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Prof. ANGELO SOLERTI

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PER LE SUE NOZZE

QUESTO RICORDO

L' AMICO

V, C.

24 APRILE 1889

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Smosso e ripreso pìù volto, questo lavoro lìualnionte («(uaiiti amici ac- compagneranno d'assenso codesUi avverbio!) comparisce in pubblico. Pur troppo non comparisce tutto, perchè, e me ne dolgo assai, non mi à venuto fatto di condensarlo in un volume solo; ma U resto terrà dietro in breve. Intanto qui ò trattata la questione principale: ac il rantare di Florio e liianci- llore sia anteriore al Filocolo del Boccaccio, «1 quali rapporti (Corrano

fra lt> >Jiie i-tHÌii&u>m ibUlatie <leJÌa graziosa Itiggvfiiia. )Aa da «{iwstt) redsziuui aim :^i polevaau !»enm- paf^nai'Q alR-« 'lue, che utub> -Hiuo ad tMse aJfiiti; la ^^raca ti lu spafpraola; perno nu acnio ouco- può nÙDUzbeameiite anche lii <{uh- sUi. 'AMTat^geiuiu 1 oompiuntlu le pracadeati dhooittruiaai «li due va- (Miti ncwcaion. <;tie ha avuti <:iitii- pii^ui in 'jUBsti coii'.lt'euiu ^tuiii: Huuis Ostxoff. tnl Ifmil Uausknucht. J&- T. ho 'iovui: «iciio im

tarhio ^ '{uaJu mi fenou.

L iiUaUi l' accusa <ìì inJnu- òoabi, » <:oul'e8au i;he « ii»v>nHa rifiire il laviir<j 1 131 maudlonbiw ancb» i^uDsU» p^r aUmidir <leirat trn!). 'llvnrsi ne jarabboni l'onìllo d Ut ilispiKizuniu. tnaifgitìre la ^n- brutu. Mu s'impara uu via. a uidìUi giuftamaotu fii -Ifittn <:hfl olii m- <KHuimnu iiu Ultra \nm << ^:fau lo m»-

lari! lii chi In compie. D'altra parte, io ho voluto svolgere (iistesamoiito uu argomento di che fra noi si era aolo toccato, argomento non privo d' importanza ; e , sospinto dallo scetticismo che su certe mie conclusioni, già dianzi eiiunciate, aveva manifestato tui uomo cosi degno di stima, com'è Adolfo Ga- spary. mi sono incaponito a cer- car di vincere i suoi dubbi, re- cando le maggiori prove, che sa- pessi, in favor mìo. Ci sarò riu- scito? Vedremo,

Vivissime grazie al mio maestro. prof, rio Kajna, per lo molte cure, di cui mi fu cortese sempre, mas- sime nella composizione ■T'esto lavoro,

r'aclovu. 2fi mai-w) 18H0.

INDICE

I.

La leggenda di Fiorio e fìianci fiore. Opinioni su la origino di eana (pp. 1-5). Sua diffusione europea (pp. 0-15).

II.

La leggenda di F. e B. in Italia. Al- lusioni ad essa fin dal sec. XIII (pp. 16- 19). Al tempo del Boccaccio corre nella tradizione orale (pp. 19-20). Redazioni italiane, nelle quali è svolta (pp. 20-24).

III.

Da quali fonti fu tratta la principale delle redazioni italiane, il Filocoloì Opi- nioni vane (pp. 25-32).

Il c»tM« (li P. a ni U filmlD. U ovuoM ilt F. & cìUU utl Otrtaonb bOMtMfMu |)n6 «Mara idaabfieita •! «■m nwlKT* < pt>. aS-47 >. Praw . <kU* ^wJi rMkhk eb» il «ntu* fti ««m-

» Uie. d. Ttn. la

tlf. «-£&). itMali Mai tk fatta <|Mte ««fi». M i|Mti fli rwpili» fwfchttetB a l<IMM<iA>r (fy. »-37v U t«9ia * «ih

ÌHn «f- ii^VMh -^

SN>^£-fi5^€/'i>®^4§§^% 6NSs£^^3M§r^c/?)

I.

Florio e Biancifiore sono forse lo creature più ìntimamente e finamente poetiche, che ci offrano le antiche leggende medievali: insieme nascono il giorno stesso (1), insieme crescono,

(1) Vedi Floire et B lance fior ^ poèmes

du XIII.* siècl© , publiés par M.

tdélesUnd da Mérll^ Paris, 1856, vv. 160-63, 714 nel I. poema; vv. 225-28, 1534 nel II. Per il piii gentile narratore de' loro casi, Corrado Fleck, essi nascono anzi e muoiono nell'ora stessa: vedi K. Flecky Flore und Blanscheflur, edizione Sommer^ Quedlinburg und Leipzig, 1846, vv. 590-91, 7894.

fl ai aiuajio, fuJit'.ìulli, cùbI, oIiq nulla poasft vincaia U loro aiuuiii, iiìSe' ruiiZA ili focit) o ili furtunu, tié vio- lonza iiil ìusidiu di oppoaiEiooi dome- Btiche. È una leggi» d' amoi'^ , ebe U Kovut'ua, un iato, a ouì &' abbaiido- iiauo ìuoauAoii, e li i-endv, deboti a wb, pili torti d'orai fioro coatrasto, s't che olilac la pieU di tanto adbtto spouga le ire uduticho, si sposino, vivano boati e pot«ati gran tempo, p«r awriiv insieme il giom» come sonu nati (1).

<1) D<*Ua moE'ifl 'iu'aonU'L -trai purlttui»' BOlu il FlMk « il jiuuiu gruco. pnru di uwi («oli a. Haraog, Di* >m- dtn Sdf/tmltniiiit eon t'Ioit tnii icfufltir, uoti-. OalU G'.-r<na»>a, 1884^ Helt a, |ip. t>5-£6). uia ù pi-ululjUfi ci U <.'out«iupoi-itn«lU 'IuUa nitirM corr spuaJcDta IL ijuelU iletla naisoiia, so m (t sUta ÌQui^iniitu iaiiip-iuJoutuuiuuWi co irò iiUL'Ui] fho pnuait I' H«rKig, >U' di pooU, sia Qu ilolo «oUca >> t^niauue -JoUtti l«ggsiwl«. \'eUiaiiii> >-tM Mti.-hu in ulLi«< aUiHo irnuiora V incoili

[Iftl'ticollU

L' origine di quesU leggenda è nn problema, per quanto tormentato, an- cora non risoluto, come avviene ii più spesso di problemi siffatti. Fino al Du Méril parve che culla di essa dovesse tenersi la Provenza o la Spagna (1),

BtesM Tristano e Isotta {Lai du Chévre- feuiltf, vedi CoBBtans, Chrest. de f an- eim fran^ais, Paris. 1884. p. 81); e al- l'ora stessa Lanzol et e Iblis adì Lame Ut di Ulrich voii Zatzikhoven (redi Q. Pa- ris, Étudcs sur tts Rum. de la Tàble Ronde, Roniaala, X. 476),

(1) Brnns, Rem. und and. Oedichie in altplattdeulscher Sprache, pag. 222; Fanriel, Chanis popul de la Grèee mo- derne, 1, p. XVIII, 0 Hist. de la Poesie proetntale , III pp. 459-61 ; Ideler , G«»ekiehU dtraltfr. nat. Litfratur, p. 91; tìèFTlnUBjGftwAir/ite der dculschen Dìrhl. l*. 463 (non posaamo ciUre dalla 5.*edii. di quesl' op., che manca olle liibl. locali); Sornmer, Op.cii.. pp. Vll-Vni; Wehrle, Slume und Weitsblumc, eine Diehtimg da dreixehnttn lahrhuad^i» iibcrselil «ini erfeHrf, Freiburg, 1856, pp. XIX-XK, XXUlBgg.

^H mentre il Sommor, seguito poi dal ^H Wehrie, da tacita grazia di queste H- ^H gtire, die la fautasia populare quasi ^H^ vezzeggiò co» tutte le squisitezze della ^^L predilezione, da quella certa corri- ^^H Bpoudeoza, eh' è tra esse e i fiori, ^^H nella cui stagione si favoleggia la loro ^^H nascita, e da cui traggono il nome, ^^H dalla loro bellezza incomparabile, dalla ^^M precoce vivacità del loro spirito, da ^^B tutto insomma si sentiva anche in- ^^V dotto a scorgere intime analogie tra i ^^B due fanciulli amanti o gli esseri pii'i ^^H leggiadri e luminosi della mitologia ^^M germanica, le elfe (1). A ben altra ^^M fonte ricondusse invece, poco più tardi, ^^M la nostra storia d' amore il Du Méril, ^H ricollegandola a quel genere di ro- ^H manzi erotici fioriti in Grecia dai pri- ^^M mi secoli cristiani, in cui l'amore ^^M trasformato dalla nuova fede non fu ^^M più accensione efimera dei sensi, ma

^H (1) Sommer, Op. rii.. i>ag. XXXI; ^H Wehrie, Op. cit., pp, XLII sgg.

aspirazione superiore, e la donna, eie- Tata al livello dell' uomo, divenne sua unica e costante compagna , l' essere armonico, io cui egli s'integrò (1).

Ma quale che sia stata la genesi remota del racconto, ci basti ora dire, ch'esso fu sommamente caro ai po- poli d' Europa (2).

(1) Da Merli, Op. cit., pp. C sgg. Velli ()Uie B. ZuDIÌllnl, I! Fiìor.opo del Buctaccio. Firenze, 1S79. pp. 5 Bgg.

(2) Vedi Sommer, Op. di., pp. VIl- XXV; Da MérU, Up. eii, pp. v-iixiix; Sobwslbacll, Die Verbreitung àer Sag« non FI. urtd Bl. in der europ. Lit. , Kro- toschin nnd Oeti-owo, 1800 ( quasi pede- 8tr» riproduiione dello studio del Dn M^ril); H. Heraog, Op. di., pp. 2-16; E< HBDsbtiecht, Floris and Blaumhe- flur, mitteìeniiliiiches Gedickt aus detti 13. lakrhunderi nebst Uitei'ariteher Un- tertuahung und einem Abriti ùber die Verbreitung der Sage in der europSischen Litteralur, Berlin, 1885, pp. 4-88. Poi- ché gli outori citati lianno trattato asaai Urgarnente delle rediuioni diverso dalla

Intorno forse il 1160, o poco primo, elaboro la nostra legenda un ignoto troverò francese; ma di questa an- tica rodaiione restò solo il riflesso ne' frararaenti di un poema baasore- nano composto circa il 1170 (1). E cosi piacque in Francia la storia gra- ziosa de' due fanciulli amanti, cbe i poeti del paese vollero collegarla alla grande epopea nazionale, ìmaginando

leggenda di Fiorio diffuaasì presso che ìu tutta le Idttariiture europee, io debbo limitarmi, in questa rapida introduzione ul mio lavoro spedale, a brevissimi conni. (1) Questi frammenti (Floyris, Trieror Brucbstiicke) Tennero trovati dallo SellB- mann e fiitti conoscere dallo Stelnineyer nella ZeiUchrift fur deuUehes Allerilium, XXI, 307 ggg. Vedi poi K. Bartseb, Naehtrdge lum Floj/rii, nella Gitr^auia XXVI, 04-65. Cfr, A. Blrch-HirschfeW, VfÒBT die de» Proven^. Troubad. det XII und XJII lahrhunderls bekanttten episehen Stoffe, Leipsig, 1878, p, 33; H. Herwgr, Op. ci';., p. IS; Hausbnecbt, Op. eit., pp. 4-5, S-tì, 9-ly.

ctio di Bianciiìi grans piifs, sposa di Pipino , madre (li Carlomagno (l). aolamente ]a poesia narrativa celebrò i piccoli croi, n anche la lirica, come si vede dalla romanza, che svulgt^ il tciUa «lei la- mento di Fiori», ohe tornato in casa il ptulrc, dopo molta loiitananita , per rivedere l'amica, dalla quale non pud mere diviso, apprendo invece che ella tf morta (2), Probabilmente nella ro- ti) Floire tt Blancefim; eilii. Dn Mè- rli» f. poema, w. 7-12: Cuu eat àa roi Floire l'enfant Bt de Bknceflor la vaillant, De qui Berte aa-gi'aus-piòs fa née; Puis fa ea Franca coronaéa. Iterte fu mere Charteniaine, Qui puis tint et Francc et le Maine. Vedi Sommer, Op. ni. , pp, XXV sgg. ; Stm Mèrli f Oji. cit.. pp, svìj-ivìij; tì. Paria, B'aloire po-ftique de Charlema- I gru, p. 128, n. 4 ; Hangfcneeht, Op. cit. ,

(2) BartMh, Alifmn

Ttn und Paslonrel/rn, \

ùsiwhen R"tiiii

maiiKa noi abbiamo una reliquia dell(> estrinsecazioni liriche varie dtjllo stes- so motivo, e d'altri, che per avven- tura abbia offerto ÌI racconto di Fio- rio e Bianoifiore. Contomporanea a questa rimane un' altra testimonianza della diffusione, cb' ebbe in Francia il racconto medesimo, nell' accenno, che se no trova fatto in un' antica albata (1). Dobbiamo credere pertanto che i due poemi su Fiorlo a noi ri- masti, composti nel secolo successivo, Xin (3), GÌeno stati preceduti e ac-

(1) Quest'alba è nel cod. atesao, spet- tante al sec. Xli, che contieue la. ro- manza testé citala. Vedi Da Kérll, Oji. <■(■(,, p. XIV. Lefgi l'alba iu Bartsoh, Chrest. de l' ancien /rancaw*. coli. 245- 248. Un' altra menzione di Bisncifiore, posteriore perft d'un secolo, troviamo nel FcAliau de la VieìUte: vedi Un Héril, Op. cit., p. xiij.

(S) Sono quelli, che abbiamo citati, editi dal Dn Sérll. 11 primo di essi era sialo già pubblinilo nel \6i4 da Ema*

ceinpagaati da a

tradiiiome, e da ■& ÌMmn ìaBtmmÉe

della fantasia popoUre e livnuiu

suUa leggenda, dcfla

aero oertamcfilA attn

andarono smanite, an

aibilfflentre kr proesdatfl da tme (1).

Miei* Bdker {flarv «m

aUfranj. roman. nafh dtr abtehrift der Pararr ha-ndaUtrift ic htrauageg. c<>n !■■, Btfcker* B lUdiner, ISU).

(1) Che 1-aulon M llnnA» !■ nano tMm Indotto Maa fMte fri

oppanaee cb tna da'nomi degli eroi, AlsMbqhMr, iRoy- W*. V«di BiTtfc-BinefeMd, £^ e Ar. ei'f. Ora, 4 prabatrile dw la fpMa ba»- o«M da lai adoiMma Cu^ aaa radnfaaa piti aalìcà ditena daUe dae. eW d Ito- roiM eooMmlfc VeA MaukaMfet^ 0|p^ àt., p. IO. CcMi aa utioo poata tcdaca^ fiorito nel ncolo XIl, Ulriea *«i Gaim- bnrg, cbe airceana bIU naiOa I>gi(eada,

L

Oost avveniva sempre; una data leggenda si propagava per trasmis-

Dominaudo l'eroina Planschi/lùr, adom- bra Seneca dubbio un orìgiaale fi'ancese, perche la forma tedesca è rìdetso Bianche fior: ctr. Soinmert Op. cit., pp. XI-XII; Dn Mèrli, Op. r.f., p. xxviy; Blrch-HIrBohfeld, loe. di. Il Fleck di- cliiara di avere tradotto dal fraucese (vedi yv. 142-45); la stessa dichiarazione ripete poco appresso l'autore della reda- ìiione olaiideae, Didenc van Aasenede. E ■ì noti che ambedue, niBnifQgtainente, eb- bero innanzi un modello francese, che non può identificare all'uno al- l' altro dei poemi arrivali sino a noi (HauBkaeoht, Op. cit., pp. 10-11). AJ- treitauto d da dire della poesia bosso- teilesca lu Fiorìo, e, con anche maggior ragione, dtjle rodazionì toandìna^e (ibid. pp. 12. SO-Sl ). Tutte «luesto vei-aiouì ri- specchiano rìmanaggismeati vari della primitiva forma, irbe assunse la leggenda, affini al pi'iino de' poemi pubblicati dal Da Ktfrn. Anche in Italia fu certo i-o- nnariuta ed «laborata una fonl« franceae:

orale, eil un poeta la elabo- rava: dalla prima elaborazione altre, forse indipendentemente, ae ne for- mavaDo, e da questo altre ancora. tratta anche qui del sema gettato in terreno fertile: il seme diventa al- bero, da questo vengono nuovi semi, che a loro volta producono altre piante, si cho cresce s ai addensa la foresta. Ma anche sulla foresta dello leggenda scoppia il turbine, e si pro- pagano pure in essa gì' incendi : de' molti alberi restano pochi tronchi so- litari. È da dire per questo che fu anzi gran ventura, se delle redazioni francesi della storia di Florio ce ne rimasero due.

Pure nella lirica de' trovatori oc- citanici occorrono allusioni antiche , del secolo XII, alla nostra favola, Co-

vedi la mia recensione dello studio citato di R. Herzo; nel Gioiti, stoi-ico della Ittt. Hai., IV, pp. 241 Bgg, Cosi pure in ìipagaiì, <

tcato, la leggenda dovette dapprincipio penetrare d'oltre Pirenei.

1*ft. K -nuMmnnMr J'ttm-

13 Ne basta: che da una delle roda- iiioni popolari, le quali, tmtte dal Fi- locoto o dal poema del Flpck, si sono sparse in Germania (1), venne un ruc- corIo czeco (2); onde vediamo che la leggenda, quasi non paga del dominio

ampllsei

latin i e

ano dei

Con

imo guadagnalo ne' paesi r germanici, ei stese anche in territori alavi.

uguale facìlitiì eesa corse il d' Europa, da! Portogallo alla Grecia. I trovatori portoghesi ri- cordano come i loro maestri, i pro- nmuli, la celebre coppia dc'noslri e attestano cosi, che nel loro la leggenda fu conosciuta fino XIII (3). Al qual tempo

cii-, pp. 13-U. DelU «toria di % Germania e' •?bbe pure una re- dazione obreo-tetlusna: vedi Haasknecht, Op. di., pp. 19-20,

(3) Dlei, l'eber die trsle flirt. A'unjf- KiKf Uofpoesic, p. 81 ; Th. Braga» Ma- Hual da Hiitùria da Litteratum portu-

14 risala' puri- la mniizioop pin antica, dir BP ne sappi* fatta da ecrìttorì BpBpnDoli. IiS Gran ronquista de 11- tramar nomhuindd B^rta, la s|>n«a di re Pipino, «irvflrtr cho ossa fii fi- pila é\ Viaria e KaacifiarB. < \m ara- nko enamnmdc* de qne va cittee bt- Nar » {\\ I) cIm- basta, erada, a iim>- fftnuvì oIm poFF lAa ^len 1* *»- tàìa frena 4«*i

0> IMi «Ik AMT Kt» «^ «Ni. |i«. ksxi«; ■a»fc»Mk^

15 t'anni pirt tardi in un terzo antere spa- gDualo(l), Ma una ■«dazione casti^Uana ' della nostra favola non s' incontra gg non nel cinquecento: voglio alludere al romanzo di Flores ;/ Blanca/tor, del quale dirò largamente più innanzi.

La leggenda passò a fiorire anclic sotta il nostro cielo, ma della fortuna. ch'ebbe in Italia, toccherò qui appres- so. Frattanto chiuderò queste rapide nota suir ampia dilTusionc di essa col rammentare il poemetto che un ignoto autore scrisse nel secolo XIV in Gre- cia (2), propagando per tal modo pure nell'Oriente una favola, che era or- mai famosa per tutta Europa da set- tentrione a mezzogiorno.

(1) Francisco Ynperial {Caacìonero rlf Batna, p. 204). Vedi Mèrli, Op. eil..

p. lUTiij.

(2) Vedi Ch. Gldel, ÈUides sw la !ii- térature greeq-ue moderne. Imifalions en grec de nos romana de chcoalerie depuin le XII siéele. Paria, 1866, pp. 231-835; B. Nicolai, Geachkhle der neugriechis- ehen LUemtur, Leipzig, 1876, p. 78.

liÉMIIIIIMhUJMt ^^>k -V I

Tommasino de' Cerutiiari . sorittoro italiano aa poema tedesco, il Wàl- sche Gasi, composto nel 1216, con- figlia alle- fanciulle leggere, cun quello di Andromaca, di Enida, di Penelope, di Euone, di Galiana, dt Sordamor, Is storia di BiauciUore (1). C era dunque di sicuro in princìpio del dugento un italiano (e oc n' eran probabilmentt! non poulii altri ) che conosceva questa storia.

Danle ria itaiam, Ravmua, 1882; F. NoTstl, Dank di Maiano al Adolfo Bor- gogìwni, Ancona, 1883; L. Volpe Klno- Upoll, Di Dante da Maìano e di una rtcenlt monoifrafia del prof. Sorpogiioni, Napoli, 1883; M., Appendire al Dante da Maiano; Id. Atifui-a di Dante da Ma- ìano (foglietto); A. Borgognoal, La Qui- itione MaianesfXi o Datile da Aùiiaiw . Cittì di Castello, 188r..

(1) tìerilnUB , Oóschichie dm- dtn- tfclien Dichlung, 1', 430-31 ; A. €!r«f , Appuntì per la atoria del eìeh brettone m Italia, Giora. et. dolU Lett it., V,

lia-13.

Ed ecco chu più avanti le teeiimo- nianzs ci ei £aaDu anche meglio esplì- dte. Il poeta della Intellìgenxa ìma- ^DB, che, insieme a quelle di molti amanti delle favole classiche e medie- vali, sicno intagliate suUe pareti di una fra le splendidiesime aule del pa- lazzo della Bua donna allegorica !■■ fig^e di Fioro e Blartzifiore : R non follio chi fu lo 'ntagUadore La bella Analida e lo boQD Ivmio; Evi "ntaeliato Fiore e BUnzifinre, E la bella Isaotta blauzesmano ecc. (1)

Un altro antico poeta, celebrando i pregi dt'ir amata, afferma;

Blaniiflor isaotta [o] Morgana Non elier quanto voi di [liaciinento (2).

(l) St- 75, edi». Gellrìch.

(S) D. Comparettl e À. IPAacou,

Le anticìu Rime volgari secondo la U*. del eod. vai. 3793. IV. p. 68. Per tro- vare in questt) cod. il sonetti) non puA esBere che del Ber. Xlll. o, tutt'al più, •lei primi anni del XIV,

\9 Ed un altro ancora, che si dipinge martire d'amore, a^cura i^e non portò mai tante peu» Florio quando colai tanto aria in moraorìa li fn venduta per moneta orta (t). Inoltre dal Filocolo del Boccaccio apparisce che di Fiorìo e Biancìfiore favoleggiava il volgo , ai novellava nelle (gioconde brigate ohe discorreano M diporto la divina campagna presso Napoli, e fino in più pacati convegni, quale doveva esser quello, in cui raea- ser Giovanni presso le bene dottine della chiesa dell'Arcangelo Michele a Bajano incontrò la seconda volta Maria d'Aqnino, e n'ebbe invito di comporre il suo primo romanzo (2).

(1) T> Casini, Rime inedite dei secoli Xni e Xrv nel Pivpugnatore, Nov.-Die. 1683, p. 340. Trascrìtto nel cod. maglia- bechinno, di sul quale lo pubblica il C, ne' primi anni del trecento, il sonetto qui sopra citato può tenersi composto nel MC. XIII.

(2) Vedi ZUMblnl, op, cit, p. 15; e i miei Diui iludi riffuardanli opere mi~ non <ki Boccaccio, Padova. 1882, p, 9.

20

La celebrità della nostra leggenda si riflette pure in un luogo deW Amo- rosa vìstonCy ove gli eroi di essa pre- sentansi nel trionfo d'amore, fra Di- done e Lancilotto:

Appresso questa (Didono) al mio parar vedea Tanto contenti Florio e Biancofiore Quantunque più ciascuno esser pote;i;

Tutto il lor trapassato dolore V*era dipinto degno di memoria Pensando al lor perfettissimo amore (1).

Questo per la tradizione orale: quan- to a composizioni scritte svolgenti la

(1). Gap. XXIX. Biancifiore è i*ecata a paragone di bellezza , fra altri famosi esempi , anche in un rispetto , eh' è a p. ."iO, num. 37, delle CantUriie e ballate ecc. pubbl. dal Carducci (ctV. B. Wlese, A/- cuìie osservai, alle Canti/, e Ball. piMl. da G. Carducci, Giorn. St. della lett it II. 123). Non abbiamo citato il rispetto nel testo, perchè costituisce una testimonianza piuttosto tarda: il in.*, magliabechiano- Btrozz. CI. VII. 1040, in cui si trova, è della fine del XIV sec. o del principio del XV.

storia Fiopio, l'Italia, so non le obi»! del valore d?' poemetti francesi e del poema altotedesco del Fleck, non ne fu almeuo piiva. Ancor prioia d«I Fiiocoìo, intomo Florio e Biancifior» si leggeva una canzone, come prova un luogo del Corbaccio, nel quale alla vedova, che v' è crudamente tortu- rata, si b, tra molti altri, por questo rimprovero; « le sue orazioni e pa- ternostri sono i romanzi franceschì e le canzoni latine : ne' quali ella legge

di Lftncelotto e di Ginevra

Lt^e la canzone dello indovinello e quella di Florio e di Biancofiore e simili cose assai (1) >. Quosta canzone

(1) Cortmeio. ed'a. Sonzogno di Op. Mi- Qori del Boctu, KliUiio, ÌS79, pp. DflS-S. Eneodo il Corhafrio posteriore al Filo- eolo può aorger« il dubbio che la am- »tme non sU stata un rirm^imeDlo del- l'opera boccjLcrescji , ma. un tal dnbUo fu gik tolto con argomeDlazioDÌ conviii' centìmime dallo Znmblal fop. dt. p. IT n. I.) e ilftl Soerllns (Bofforeio '$ Ltben umd Werhe, p. 497).

82

'ed II oaDtare, che da noi vien pab- blieat», delibono tenersi, come vedremo, una sola cosa.

Olti-e alla canzone o cantare, uu altri) poemetto italiano uarrù Ut nostra l«ggi*ndu, quello che siili' <i»i ore rf» Florio rt di Bianvo/iorf mando in- nanzi, ma non ridussi' a compimento LodoTÌoo I>olce (I). cjue^to [ieri

(1) Ftt ini|>r««M in Vinojtta per M, BeAurdinu ila Vitali Vonitiano, nell'uino M.D.XKXII. È preveduto da boa lettet» dedicatoria « al Magnifico et Nohiliniiiio Man^r Ptiilippo Contariiii , GentìUtaomo venìtìsao- > L'aniora in «jucata dedìo- torìa diic«, che, (porine. per fradìna aUs ma donna, oelVetà degli affaiiiiì amorov, compose codeste Statue, < opera per in- aaui, p^ molti auiii dal Boci;ai?'.-ìi> adi* caiitUde et ornate sue prose difusantesht dmcKtta, ma per troppa Inagbena rìn- cpDace*ole, et vie più fon» «die legenli giovani fastiiiioea, t^he di diletti): n cvma quella e ' ha ìa più tosto tona et stile delta Romana Ci*«Ua che della volgari!. Per il 'he lei In molte parti feci luìnoru

S6

quando egli serÌTeTa» agli studio». Il Pu Méril poi vede tra il Fiìocolo e le due redazioni troveriche manifeste corrispondenze^ ma ritiene che il Boc- caccio abbia attinto pure ad altre fonti. Forse la tonte primitiTa delia tradixiotte era a lui tornata anche ana ▼olta dall\>rtettte : anzi sriuiiica Tem- dito firanc^ee che si debba tener conto di quanto adferma il Boccaccio stesso nella chiusa del Fffocoto^ che. cioè, questo romanzo tu tolto dal racconto di Ilario^ un prete ateniese (iK

Ma delle argomentazioni e della o- piuioue del Du Méril non fece caso un altro dotto d' oltp' ^Vlpi, il Le Clerc, che seguito « come se quegli neppure avesse mai scritto^ a bandire dogma* ticameute che nel suo primo romanzo il Boccaccio tu non altro che un tiaoco imitatAjre truveri francesi (2).

(l) Op. irtt, pp. Ixix-lxTJ, clxxix, .^Ixxay. {2) Hùft, Litk dt /a /^'roHCtr. XXJIL ìJl; WIV, 5$l.

corsi, tàC esèie sotto state fonti del Fiìocoh (l).

Se non chf, io compenso, olla con- gettura Jol llu Mi'rii Tenne un forte aiuto dagli stuilì un altro chiaro Bcriltorc, dolio Zombiui , cho procurò di rendere anche meglio evidente la grecita originaria della leggenda di Fiorio 6 del Fiìocoh: ma, insieme, con felico indagine, ud una ^~& nota agpunsM testiiuonianxe nuove delta diAl8Ìon« di' ebbe U Ic^renda tra noi prin» della oampoeinoBe d«l romamo'

(l)ttJ

li!^«B. it di e &atoaa-Tnvarn, p. 143. Il ÌMltll. dsl K«a, tron cka il Boc- Moci> asa Al ìbìIéUm podisM^iw: ebe. aa'MngoK «pùodi, n^ ora t'ana or» r altra doli* mrsQui (notasi Ja Clt sup- pcMm ufae tu abbia ooaoKCÌitti> Catl«lDe, appuro tuu tona ora smarrita, permet- ludOH a pÙKW ma a|es>«ii««cia e di nrÌMN, * atul>T« lUKwa il rarstkira e««aUor«iMt mvilinala ifeUe &iati o ifeda butto Dell' astku pagaaii.

KW. CHM «onfa- 1 Zmùm^ 4

ti ai mT jlm niti^ "3^ '■!

l«eio, ma pervenuto al Boccaccia in aa ri maneggi amento italiano, o per co- muQÌcazioDi> orale Hi alcun amico (1).

Il Gaspary invece volle accostare a' BOetenitori dell' opinione contraria , e couchiuse un suo studio notando: « che .... unica font« del Boccaccio BÌeno Etate lo due versioni francesi coaservata, non è sicuro; ma non è stato pi-ovato finora che non lo sia- no > (2).

Poco appresso, chi scrìve questo pagine, offrendo un sn^o di sue ri- cerche sul soletto, affermava resul- targli che il cantare Piorio e Bian- cofiore apparisce anteriore al Filocolo; lo dimostrava indipendente' da questo, e terminava esprimendo l'opinione che ambedue sieno derivati da una reda- doae italiana pia larga e piena della

(1) Boec. L. u. W. pp. 497-99.

(2) /( poema italiano tli Florio e Bian- cofiore , nel G iom. di FU. Romania , IV. 7.

leggenda; che quindi non foccia me- stieri cercare le fonti del Filocolo ne' poemi francesi o in problematici ro- manzi greci (1). Cobi si raffermava la congettura, cui era pervenuto per al- tre prove non molto prima il Novali, che aveva pensato fosse il Filocolo da ricondurre ad una narrazione ita- liana, 0, più Ètcilmente. latina, ma i- taliana d'origine (3).

Anche ad un altro studioso, 1' Her- zog, che venne posto sa questa via dalle osservazioni dello Zumbini e pel Koerting, parve che il Boccaccio abbia potuto trovare le fonti varie del romanzo uè' racconti su Fiorìo, che, orali e scritti, correvano in Ita- lia (3), Da ultimo 1' Hausknecht ai

(1) Due lindi cit, pp. 7-36.

(2) Sulla eompoiiiione del Filoroh, dcI Giom. di FU. Rom.. IK. fti-65.

(3) Op. tì(. pp. 6-7. L'Eenmg conobbe tardi il nostro studio, ma poti teoemi! conto in un'aggisnta al suo dotto lavoro; vedi p. 91.

32

giovò dei nostro scritto sopra accen- nato , e accolse la nostra conclu- sione (1).

Il problema però non ci sembra af- fatto risoluto (2); onde qui, serena- mente, senza cedere all'amore di alcun preconcetto, vogliamo ritentarlo.

IV.

Vedemmo che il Boccaccio non fu primo in Italia a conoscere la leggenda di Florio, che già da meglio che un secolo poeti nostri citavano con altre delle più famose nel medioevo, e che al tempo suo , ma prima eh* egli si accingesse a comporre il Filocolo, correva , largamente diffusa , sulle bocche dei nostri volghi: vedemmo pure eh' ei non fu primo a scriverne,

(1) Op. cit, pp. 21 8gg.

(2) Vedi in proposito Englische Studt'en^ IX, 93-94, ove sono talune buone osserva- zioni del K51blng.

[ perdlè, come ai deduce da un iuo^o I dd QtrUuKio. d suo romanzo prece- I detto ttna canionf di Florio e Bian- cifiore.

Ora, e giuato chiedere : col tn'mine ramane. U Boccaccio toUo adom- hram UD ctimponiiuento lirico, simile, por esempio, alla romanza fraucese del secolo XII già rammentata, o svol- ante un episodio della leggenda , o si riferì ad una vera composizione KKiTatìra in versi, ad un cantare? Si pad erodere, in altre parole , che la ransùne citali nel Corbaccio fosse tntt' una cosa col cantare, di che noi ci Decapiamo?

Questa domanda trae necessaria- mentd a farne un'altra: alla voc>> eansone e lecito attrìhoire il secondo ai^nlflcato, che l'ipotesi vorrebbe? Certamente: e poBsiamo tosto citare a favor nostro duo eeompi ellìcacìs-

IsìmL Vedasi infitti come Dante dica ivmrONi" ii suo Inferno: ^ r ■—

Itiuvo il«l nuatru sorittn sopra accon- iinli), i' (tucuLstt U noetrB codcIu- aioD« (1).

Il probloma perA uoii d timbra af- , fkttu rÌDolutu (3); onde qui, s«ivna- moalis ««DU cedt>i-tf nll'amure di alcun pr9«>ii(«ttv , vogtùuDO rìteatarlt),

IV.

YaJvtttuw clw* il Hoeviicciii i fi-iaut in Itttba n coat>scere ia ìe di KÌM-i(\ cito già da nutgliii i ievolv [>ooti uk'sU'i uitavaoo eoa

(loUu I^U ÒUlMM Ufi tBudilWYQi ttij

•1 teanp» suo. ma pciaa ek'^ «i «Mitigsos» a oodipurre l1 FrAvofo, owwva, lACgwuwM» tfidfasa.. mlfe bvcoJw dui aoetn vutghi; vodoum» par* ok' <M KM Al primo a serivonab

(;H| X4ttl ìli pripvtiUt Kng'ite/» jitnAn. woai <l»l KNUmI..

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nsmliTB >a reni, me ^ ««■•»«■/ i

■In al Stilili t'iiiHd ( tlui) uomi av«9sero l«litutIlRH |{iuiiU'ÌM <li «ifcnidcato, « si o>wf»n4m— w >ii un vulort* lutriitto

Boeeaccia um pocu sopra, nel ìaogo )t«B«u, «ti cui ai tien disounso. Dt

■an^mttm f. AiUt flvÈtMwi * ; MA «Uo

A ■Min l'wifBi-M.- dha «f mttimlm im^

MM >MM tWg '111 ««I«4MJI ^Kff

Jn« jtto ngà Jt UWW» WiriB pMM

■»■»■< ot. 11. ^ :«»:

Qie tutta l'oitta e 1 itaao, Ab iato Oli k aempre; romo n daaeaa Latma, e lolle e prende l'oiivr tatto;

rome Dante, Jnf. XXVIL 26-?! (lerm ilocma = lu&ii), 33; XXIX. 88. 91; f XI, 58. latini gli luliud. e /ii^Mi £i- (niormn 1' iuliano dice «?DtiiiiMiBCBt« Dante stesM nel De Vnlf. Elo^iuo; am- tre il BoecMd* dengn* U nwtj* lis- giut «OD la esprcnODV Ialino votpart. cbe «n stalA però omU siM-.h« da Dante fDt Vittff. El. L. L e. XiX). volpar taiéo (DedicatorU a PiunmMl» ddU ToWilr. GoruriKl, Le leti. té. e mtd. éi M. Giof. Bore., p. 3; e Taeide. XII. »ty Vedi ancora Veeomemn. V, 2; e P«- trarea, Trùmfo d'Amort, cap. Il:

Ed egli al suoD

Altri eaeni|tì d danno bUmo per «l>- /Wmw in reljuifiiie a fntneato ffi-anetM), cotn« nel pavo ^1 Curbarno. Cori ìa ■■ ■onetto atirìboitu C«ee« àasMIeri

V«tt yMT ^WM Mk. Mite «MfK :«.

'<tA fitfe. A, L at Sii Mi Lm- i«ft U.U. j& X I-U K . Ii«p: « »

litak ito» «Md> oMf^ p«^ te

>kfc«>MV<M» ■ik ■■■•■

41

(lice schiettu che debboDo stow «nto

sostaozìale rapporto. £■« «oa»

i cantari, i poemi in ttìmn tim, eh»

si rìcantavuo nDe pinac, e hf-

mento popolare lascua idU MMcti»

Alpi o a' oltre Po.

Si noti poi eke a BeetMOB fOM»

la canzone dell' UòimmeÙo: ««a. « ^

avrertjre che por ddrbdnMdk. t

M mte, Boks» laa, cak. *•».

iiuid. e iw«, pp. xy B xxnr. •. T.&

iooUn il GiMon dc-GMian. «Ik. blH»

ztitKhriH fio- rom^ pk. U- aa. s». m.

1. 7.:

PortBM nooTC. /hw>K*r < iMMf.

E amWlette Art ^M fa«L

Por ^mrnti «kÌ* p* artii*. MT.»

ua.MdiKn«t«vl, k»iL»t^ U^tt

Il 1010.

1

un cantare cho ci rceta (1). Jiù solo qui il Boccaccio accenna a cantari,

(1) Pu pabblicato in soli 12 eeempkrì dallo Zambrlnl: Lo Indotinelh no- vella antica in ottava rima non mai fin qui BUmpaU Bologna Tipi Fava e Oaragnani 1861. SotUi il ti- tolo Noeella della fii/lìuula del mercatante trovoai questo cautui'e pur nel libro Quat- tro novelle «ecfe, Cosmopoli, MDCCCLXV (volumetto in 16°, l'V-72, stampato a Bru- xelle», Imp. de I. H. Briard, rue dee Mì- uimes, 51, a 100 esemplai'! , per cura di una rianìone bibliofili), ove, nella HTvertenKa preliminare , indicano di esso due antiche stampe, una di Firenze verso il 1495, registrata dal Libri, l'ul- tra senia data e luogo. Lo Zambrlnl dun- que g' era ingannato stimandosene il pri- mo editore; ma nelle Opere r^lg. a stampa MP. Bologna, 1866. egli congetturò l'i- dentità del cantare da esso pubblicato alla nocella della figlia del mercatante. Bon a ragione lo Zambrlnl avverti che l'/ti- dovinelto richiama a memoria la XXX novella del Decameron: si pu6 aniti ag-

r.i

ma anche poco più aopra, ove, attri- buendo alla vedova la millanterJa < che se uomo stata fosse, l'arebbo dato il cuore d'avanzar di fortezza non che Marcobello , ma il bel Ghe- rardino, che combatte con l'orsa (1)», volle alladen? appunto al Cantare del bel Gherardfno (2); mentre non u improbabile, che, alcune parole prima, nominando Febus, egli si sia riferito al poema di Febusso n Breusso (3). Possiamo addurre ancora altri ur- gementi a sostegno della nostra opi-

giuDgerlo sUe noveUo, che il Landau

rsnimenlu (Dit Qu«tlen des Dekaineron*, 162), indicando le fonti del racconto Uoc- cuccesFo. Vedi sullo attìMo Indovinello: F. Selml, op. pit., ini. 575-76. (S) Corbacào, ài. ediz. p. 299.

(3) Vedilo, pubbl. dallo Zftmlirlnl, in questa Seeltn di mriosild lett/^arie, Dia]>. LXXIX. Bologna, 1867.

(4) U Febunso e Brtm»<i. Poema ora per la prima volta pubblicato. Firou- M, nella tip. Plutti, 1847.

tiione. Lft vedova lasciva legge, ben s' ftvrcrta , ì romanzi fraaceschi e le cannoni latine, come pure la can- zone dell' Indovinello o quella di Fio- rio. Queste canzoni non potevano essere dunque brevi composizioni li- riche, Be erano da leggere quanto i romanzi francesi: dentro il giro ungiisto di una lirica si sarebbe contenuta la storia di Florio e Bian- cifiore , la quale invece più accon- ciamente poteva distendersi nell' am- pio metro proprio de" cantari , l' ot- tam rima.

E poi non si sa che queste stono romanzesche si siano svolte nella li- rica: si sa invece che si svolsero ne' cantari. Qui si vuol dire, insomma, che la vedova si ritraeva non giA, come dava a credere, a sgranare il rosario, ma a leggero romanzi e no- velle d* amore o di cavalleria (1).

(t) Della finta devo/ione ilelle dunau, in altra forma, muove laineutu anche il FrooIi

•15 Anch' t!Bsa delirava dietro <t quui che le carte empion di sogni » , e divo- rava oltre 1 propri testi, cho di co- storo trattavano, ancora riproduzioni popolari delle storio romanzesche . che fiorivano tra noi.

Ma le letture oh' ella cercava non erano soltanto frivole; si erano un- ohe oscene: « ella tutta ai stritola quando legge, Lancclotto, o Tristano, o alcuno altro con le loro donne nelle camere segretamente e soli raunarsi : l quale par vedere

E dono d' adorar mold «embiaDti, Ma quando in Rhiesa ai ti'oran di piano Poco ragionan di Dio e di Santi; Ma: t le galline mìe non buccan grano: Dolgonsi delle balie e delle fanti, E qual dice: < cosi mi la gatta: > G quest' è l' orazion eh' è da lor fatta.

Vedi Contnuio delle Donna, pubbl. dnl VAncona nel Pfopufinainrn , voi. II., 1'. II., 43fl, St LXXIV.

ciò che fanno, u che volentieri, come di loro immagina, così farebbe, ar- vegnachè ella faccia sì, che di oorta voglia sostiene >, Ora, il can- tare di Fiorìo e Biancicore 6 osceno? Non lo possiamo mettere a paro con la novella dell' lodovinello; ma certo esBo contiene due episodi, cbe alla vedova dovevano specialmente gra- dire: quello, noi quale due fanciulle procaci, per invito dello zio di Florio, tentano distrarre costui dal pensiero dell' amica sua, mostrandogli ciascuna il suo bel petto bianco, prezioso, e le mammelle; l'altro, in cui, dopo lunga e dolorosa separazione, ì due giovani ritrovansi, quasi per mira- colo, nella torre dell'ammiraglio, e s'abbandonano alle amorose ebbrezze. È inoltre da por mente al fatto che questa nostra favola non ebbe le simpatie de' gelosi custodi della mo- ralo: il 16 aprile 1621 la colpi, con iillre opero simili, un oditto di cen-

I

sarà del vescovo d'Anversa (1); r Lodovico Vives, il secolo [irocedente, l'aveva compresa tra ì libri più fa- voriti < qiios oranos conscripseruiit. Iiominas otiosì, male feriali, imperiti, vitUsque ac spurcitiae dediti; in queis miror quid delectet, nisi tam Dobis Qagitia blanilirentur (2) >,

No» ci paro dunque che alla nostra ipotesi si opponfrano difficoltà gl'avi ; ma cho il pooraeltti sìa stato com- posto innanzi il Filocolo ci si fa manifesto ancho per vie più dirotte. Abbiamo acceanato in altro luogo cho prove chiare di ciò escono dal- l' esame di un antico maDoscritto contenente il cantare (3): qui torna necessario ohe questo osarne si faccia.

(1) VsJi Do MórU, op. eit, p. ;x1t, n.

(2) De Christiana femina , 1. I ( da Dn Mèrli, op, cit., p. iliv, n. 4).

(3) Ihie Studi rit,, pp. H-15. Vedi an- che F. Selml, op. rit-, pp, 276-70, .lei quale, B dire il vero, quando scrìasì la prima TolU su questo «oggetto, non m'ero accorto.

18

Il coil. Magliabechkiio CI. Vili. 141(i <• un volume di mediocri dimensioni ( cent. 24 X 16 ), di carte 54 recen- t«mente numerate, e d presenta ona dello solite miscellanee risoltaatì dal- l' accozzo di elementi disparati. I mes. 0 frammenti di ms. qui raccolti sono propriamente quattro. Si hanno prima sei carte in pergamena, col titolo: « Est h'&er Senache », contenenti un brano del Tolgaristamento dello scrit- tarello attribuito a Seneca, che fu opera invece del vescovo Martino Du- mionse (VI sec), sulle quattro vinti cardinali (1) (la-&a). Nel margine inferiore del f. 5a si legge: « Conpi- m[<m]to di q [ite] sto libro Vai- na[n]3Ì aìfolglo doue la croce -i-; poi, d'altra mano (5b-0b), seguono sentenze e fatterelli. Viene appresso, di diversa scrittura, un codìcetto car- taceo {7a-ì8b), che porta in fronte.

(1) Vedi Tenffel, fioHa drlla Utt n> '«ana, (rad. HA.. II. p. 72.

49 segnato da manu moderna, il tìtolo: « Gradi di S. Qiroìamo ». Al f. 18 b a' interrompono i Gradì : indi a que- sto secondo a' attacca un terzo opu- scoletto (19a-24b), ove, d' altra ma- no ancora, trovansi narrate alcune storielle (Ida), come, ad es., i^i tro- iano inperadore » . che dA 1' unico figlio alla vedova rimasta priva del proprio pei- cngion di quello dell' im- peratore; che viene lovato di pena per le preghiere di S. Gregorio ; della meìalrice *, che fa penitenza, <> cosi via. Nella faccia sncce8BÌTa{19b) s' incontrano tentativi poetici volgari nel tetrametro trocaico catalettico su questi argomenti : della natività di Cristo, della sua resurrezione ecc.; a' quali tengono dietro (20 a) brani degli Evangclìi. Al f. 20b la stessa mano delle prime pagine membrana- cee riprendo la sua scrittura secondo il glA fatto avvertimento, e alle po- che linee, che compiono il trattatollo attribuito a Seneca, la seguire detti

50

di fì»oÌafi. Ciò ano al f. 23 b, ove, (iella stessa mano, si novella: *come uergilio diflco napoli >; con che si continua a tutto il f. 24a. ÀI f. 24b s'ha un computo per trovare il giorno (li pasqua: in fundo, in uno spazio rimasto bianco , la mano che ha scritto il tosto volgaro di Seneca e i detti de' filosofi, aggiunge alcune linee sopra Socrate. Viene quarto l' opu- scolo, che a noi specialmente inte- ressa, scritto, meno le ultime carte, e qua e qualche riga, tutto di una mano sicurissimamente, dal f. 25 a al f. B2a. Questo opuscolo è pure car- taceo. In capo gli si legge: « Mcccxìi'ij adj XV dagkosto > ; cui seguono ta- luni appunti di credenza:

« Tonio chesfara alvofjho dat- dobrando frateìlù chvgino di- nante soqi'o dei detto aldobran- "-ì do midedat-e chegli diedj p[sr] ij cftoròf diformentii ecc. ecc. ecc. ». Sul v." segue: « Ora fi tjoglio inseyniarp rno tavola chi-

vaìesf rftrovare graie mese e gran- die del mese fie la pasi/va dirisoressi del nostro signiore teso cristo e fne fittta qvesta tavola net 13H e la l&tera chedìsopra alla rvota e indio- minciasi cioè. L. andando ad anno adanno ecc. ecc. », Nel f. successivo (26 a) lediamo: « Qpesla sie lare- ffhola chefece donmartino priore di ehamaliloli p[er] la ijvale '•insegnio trovare qvando viene la pasqva di riaoresso e sono disotto edalato iscritti xj versi i ijraii sono 133 nomi e ciascltedvno sferjre a rno ano e dìso- rra aehatvno nome siepferj afxiebo Ì242 e 1S43 echosi ad tmo a rno i;i insino al J373 ecc. ». Seguita la re- gola coDsigtentc in certi Tersi latini artificioBamente composti: quindi si soggiunge come, rifacendosi da capo, la si puBsa applicare a nn nuovo pe- riodo, dal 137y in avanti: « qvesfa reghola sie chonpivta nel 1373 anni e. se rvoffli sapere poi p ir ina[n]si fitti ricìwminsa da chapo dorè dicie

i

dpv t37S * <àmm m «f»* tari»

wmmn* *rir ifiiiiilk Al ( 46^ »

fondo, altra flguru, e al f. 47.-1, ove compie il poemetto, ancora nuove figure , fra cui l' agnello con l' asta crocigcm, simbolo di S. Giovanni Bat- tista : superiormente alle figure , e frammezzo ad osse trovansi altre pa- role della mano solita, in parte ean- cellate, ctie sono nuovi appunti mer- cantili: * Quello libro sie di ... , (non ai leggo, perchà fu raschiato ciò che stava scrìtto) edaìo pegnio pferj T. J rf. iiij di Fior. ecc. » Qui ho cercato, ma senza Irutto, (gualche data che ponesse fuor di dubbio l'anno in cui fu trascritto il poemetto. Se- guono tavole di abbaco (47b-50B); Indi tavole di riduzioni di moneta, ed altro che tornava buono al possessore del libro (50a 2.' col. - 52a). In fondo alla 2." col. del f. 51 b. ai rilevano a sfento disotto alla cancellatura parole Vtf^ltra mano, ma sincrona; * questo Jih-icciuofo e di benedeto di bancho

». Non mi riuscì A' intendere

la terea linea : parrebbe ai s' avesse

1

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a trovare una data, che, per il caso nostro, sarebbe assai preziosa; ma tutti gli sforzi per leggervi sicura- mente riescono vani. Sulle tre ul- time carte non abbiamo più la mano consueta : vi si vedono memorie di un mercante, delle quali riferisco qualche cosa ad esempio, tanto più che dap- principio comparisce una data molto opportuna al fine della presente ri- cerca: (f. 52 b) [PJesamo la lana peso libre cinqvata d tela peso libre X^iX 1 tela peso libre XXX queste ij tele e libre cinqvanta di lana porto a tesere iachopo giovan- nini a di xxiiij dotobre iiiqnaran^ tanove >.

E tosto d* altra mano : « elo iacopo di 24 dottobre 349 fior[ini] due dor[o] pa^ai io bancho de miei de- nari e p[er]o ecc. ecc.

In fondo al f. 53 b una mano rozza al pari delle altre, diversa caratteri-

55

sticameote par come le aìtre due, Hn quella chi) scrisse 1' opuscoletto e in eno il cantare, verga talani versi. Sal- l" nltimo f. {54 b) ancora altra mano segnò niioTG note; Tengonu infine di m&ni diverse, fra cui quella anche che scrìsse il più di qaest' ultime me- morie, talani nomi con accanto due teste : « Oìouan[n]i .fachfipo ecc. ecc. »

Fermiamoci alla data '349, ossia 1349 . che ci si offre al f. 52 b. Il poemetto sta dunque tra questi due termini: 1343-1340; ma esao fu in- dabbìamento trascrìtto dalla mano me- desima, che, pochi fogli avaoti, in capo all' opuscolo, pose la data 1343, e ri- empì quindi quasi tutte le carte; men- tre la data 1349 e una semplice nota accidentale messa li in uno de' fogli rimasti bianchi da altre persone, in possesso delle quali era passato il libro. Manifestamente la trascrìzione dorette essere fatta molto più vicino al 1343 che al 134fl: fissando come estremi il

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cunelndorebbe che il Boccaccio lurra la storia di Fiorìo alquanto prima del poeta di piaxj.a, e cbe qu«ati |n>1£ co- noscere e utilizzare il Fì/ocoln; ma invece è chiam che ci sTanza la copra indiretta di do tosto, il quale rimonta ben oltre il 1342. Abbiamo a altrove che a«l nostro ma. 3 p d' alterazione del poemetto ^ipartsco (li molto iniiltrato (1): diamo ora e- sompi dei danni, ch'esso ba patito.

Si veda la chiusa di questa Stanza; B n poM Loro tanta amore Cb a posto nome fiorio al nio flglioalu R a U pulzella a nome bianciafior^ Penhe aaomxgliata al fraacho gligliu

(1) Vadi Bostn Due Studi ecc. cjt,, p. 15. Gii il Sebal nvera scrìtto nello stcaso proposito: « Se poi si gturd> si Itiogbi guasti della lezione, alle itoquatore fr«- qnenli , « ad alcuni arerpelloni di ania- QUense n liew in persuaaioue che stuiU di giungere alla mano del trasmtto» vlliiau (il noatro poemeUo) dovette ps»- wn per pia altri * (<rp. àL, p. ZK).

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canptmf il) Bianri/hre.

oppure : canpata ^ Bianci/tore.

a tavola sedea lo dondolio

ina chaminmla r oste due dolcie amor min hello 3 onde fu ella nai/i E .f. si dise tn uno ehastellii Chella meliàa ti ellapeUaia K poi li fece .(. un donataonia Cb una cbopa 11 fece donare.

(ff. 41 a - 41 l-f

Qui gli altri mse. e le stampe n offrono r aneddoto di Fiorìo che in ano degli albci^hi , a cui sosta nella ricerca di Bìanciiiore, per distrazione, urtandovi il coltello, rbmpe il bicchien> cbo ha sul desco. Le rime però sono stasBe (2); uguale e il principili

(1) Secondo l'ortogralìa moderna: cani-

(2) Ne' primi aei varai: - elio: - ala: - elio: - ala ecc.; negli nltimi due: -

- enio. Il lesto msgliabechiano t

«3 perche, sebbene in forma nn po' di- rarsa, erao occorro anche ns' pD<>niotti francesi e nelle altre reilaziani della leggenda (1). Qualche canlastori'' l'i Avr& dimenticato, o lo avrà levato per sue proprie ragioni : ed invero non trattava di fatto capitale che si avesse a mantener fisso. li Catto capitale era che Florio si fermasse a quell'albergo, e risapesse che vi era passata Bian- cifiore co' mercanti, in modo che il suo cammino potesse avere direziono più sicura: il resto era puramente e- pisodìco. Se non che nell' aneddoto ae-

(1) Vedi I. poeta, fr., vv. 1100 sgg. n poem. jv. 3399 tgg.: per le altre re- dazioni efr. Henoff, op. dt., pp. 4^7. L'aneddoto manc-a nel Fi/ocolo e nel ro- manso spagnuolo ; e che maucliì nul 0 spiega per phe il Boccafrcio non immagiun che Piorio trovi ricetto preBK> osti, ma sia accolto e aiutalo personaggi ricchi e ragguanl ovoli : cfr. , eSi. Moulier . 2 voi, . pji, 127. 131.

E chuiurisu ù penso cba foue ileM

Cbolui in cbui -fi. sTes Uperanu

E tosto ne fu aodata a .B.

E ilìae B ci e venuto lo tuo unkdore. (f. 45 o)

f^i tratta di Florio elio, nascosto in una costa di rose, vien coUato ad una llncstra della tono dolio coutu doQ- toWo (ove BJancJfìure era stata chiusa per volerò doli' ammiraglio Babi- lonia) da un'ancella. Pensando che nu lo tracBBH la stossa Biaucifiore, impa- sientc, il giovinptto sporgo 11 capo diU «i8to per vederla; l' nncella alla com- [laraa inaspettata di una testa umana sbigottisce, grida, ma ^i, prudonto, alle compagne accorse dissimula la cagioutt vera del suo sbigottìmeuto, e, pregata di pìeia dal gioviue smarrito, lo ricopre di fiorì e lo nasconde. Essa 0Ì6 fìi pcf umor di Bìanciflore, die le vnra (doreTasi diro neUa redazione orì^narìa) mamifntttto i) suo amore, f |K>»eando che ìl gtoviaMIo salito m ■lud modo Klla tonv fotte raeuuiU

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<li certi errori nolla rima che, so pos- soDo essere attribuiti qualche volta a inesperienza e disattenzioDe del co- piata, pid spesso indicano che su molte bocche doveva essere corso il cantai-e, e da molte mani doveva essere stato ricopiato, guastandosi più sempre, pri- ma di venire trascritto nel codice ma- gliabechiano. \. jit-cseritoroin: charo(l delle St. conservate, f. 31 a); 2. topi- eia - leggi Topazia (1) -; gracia: to/- ma^o - leggi Dalmazia (2) - (3, ivi); 3, gravida: chamera: femetm (6, f. 31 b); 4. fiffluolo: glìglio; rawiffh'e (8, f. 32 a); 5. mio; mio: desidei-o

ultimi quattro esempì abbiamo rima pari a quelle che ai offrono pura nelle com- posizioni de' vecchi poeti (i'art«, dato che, come altrimenti si vuole, hoq si tratti, almeno per i sidliani, di mera illusione prodotta dalla supposta tirano degli originali bìcuIì

(1) Vedi più inuanii nel metto Si. 10.

f2) Come sopra.

70

(9, ivi); 6. fare: amore: mandare (13, f. 32 b); 7. dire: malchometto: letto (16, f. 33 a); 8. mia: niente: mia (18, ivi) (1); 9. chomiato: achon- pagniato : volontieri (19, f. 33 b) (2);

(1) Ecco r intera St:

E sai di che ti pregho vita mia

Dicie .B. allo dongello

Se in altra parte dimori niente

Ispesse volte guarda in queato anello

E sera alegra la persona mia

Quando sarà cholorìto e bello

E se si chanbiase punto lo choloi'e

Per lo mio amore sochorì biancicore.

(2) E .£. lo prende volentieri

E da la chorte prende lo chomiato E secho vanno dongelli e chavalieri Da bella gente eli era achonpagniato Astori e brachi e Mchoni e livorìeri Per chonfortallo e chandaase volontieri ec.

La rima volontieri si produsse per la vi- cina rìsonanxa di quella che immedia- tamente precede, livorieri, la quale fece dimenticare la men prossima uscita in

71

l 10, pn-ntra: dimessa; eaaa (32, t |35«) (l); li tomenca: calore: sen- ^tcnzia ^, t 36b); 12. traditore: \ ineholpà (ivi) (2); 13. taglio : ItìTÙi I agio perduto - leggi perdut'ò - (40, I 1 36a); 14. damigella: (ohun) lei; I donzella (42, ff. 26b-36a): 15. tro-

-rare: marito: alegmre (45, d Stì b) (3);

16. /iiftVo:dato:araturato(4S,f. 37a);

17. feccia : (mona etera -■ piaccia (55,

£ 38a) {4)i 18. imanttìneute: lavorati.-

- alo. Qneato istinti'o tarbiuneato dell'or- dine dell© rime nolU pressato St. Ibrsf accadde perchè ai rìpeUvu e n troscrìvcv» il contare n memorili.

(I) Abbiamo il caw> notato ora: la riiiiu prtrura per pratua ci rappreaenln l'in- llnenui dell' altra altemanteai. iti - urti.

(8) Neil' ultimo r. di questa St. ni con- ttnnn la rima in - ó dd tt. 2. 4. a

(3) ifarito por marilare: nncbe qui o- P«rA r iufluenxa dell' ultra rima alter- aaiit«iù, in - ilo.

H) El padfuue delia nate rende suo saluto ilelll l'iapuose ckuu alegra lai^ciu

màemi, <Sa, £ 38 il) (1); Ifl. ùt^n- muitato: ùRJtolorito,' duMuiaUi fC4,

imi Mgtufr: - -ve &' avedetr (C^, f. Sf hy. SX. poFU : worlfi : àeutrù (CO. M) <(£»; SE. wk «MA. a^alUtB («!,

'NMS «•• ^!fMW*>*HHlì% «Mk fM« Pi

ivi); 23. vaoa: criatuna: vira | f. 40s); 24. andare; risciiuilaK : lu- intffiere (70, ìtì) (1); 25. petto: àoo- gella: dongella (72. ivi): 2G. Tenduta: tradita: pentnta (74, C -lOb): 27. at- hergheria: Bkncifiore (78, t 41 «> (2^

E tutta I& ma genie (ww bena aooru .t toma «a DM choipaodftownto Dlrenu) che .B. sin drntiv Morta e ^ace nella ■epulioia QoelU gentile e n'jbilR criaUira.

É evidente cbe arreiiD» uno ^ttriwnMto della rima moria: probubilineitte il tim- ■crlUore mrk «tabi inganiula dalla <»■- ■■"■»"" di ehomaivlantenio e iifax/ro.

(1)

Da pai cbe voi m avete moru» inamoraiu Choiue mi protrMli rìaeiiuilare El ohnur del cborpo m aveb: furalu Ed ura mi eredi tu blao lugim/irrt.

Qui, le non a' ha nn «emplioe errum di Kiittora, •*« «cwnbialo il vortm lu- littffort col aoat. tutìHffhiere.

{2} Per inABOiua della ritn« alherghr- na, eh' è al V. fidi quatta St. Dtnrvra

r (». f. ^H H SU. ornsTrter rvfnrrnf^- m?. rrij: 80. fiaéao : dAor- ti):

(UO, f. 46ti\; 8c>. ftinm aùw: ^ llBic (ISl. ixK

ìmAut «imi Al' w imuiuircu ■»■ wn

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poema a memoria: e puit) in «lui^sUi caso oonviena ammettere che prìmn listo sia stato lungamente u larga- mente ripetuto,

Alleerà 6 da vi^dere ijuaato nellii trascmiuae mugUab^chiaita sia stata rispettata la prosodia. È ben poco frequento il caao ohe in osso pre- sentì illeso il malcapitato endecasil- labo. Sappiamo bene che non può at- tenderei rigorusa esattezza metrica in una rima popolare; sappiamo inoltre ohe da noi facìlmeoto si gabellano come sbagliati endecasillabi che tali non poreano a' nostri antichi poeti: (|Uellì, ad esempio, che nel primo emi- stichio, conforme l'uso francese e pro- venzale, serbano un' atoua soprannu- meraria (1); ma tutto questo non pud bastare a pecsuaderci che gravi irre- golarità non si trovino realmente ne'

(I) Vedi Monsel» nella ctt. niv. 11. S39; (Ux^ Origini drlla Lìngua poe- tìea ila!., pp. 13J34.

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Versi come questi, ai quali altri t potrebbero essere aggiunti (1), riflettono la tendenza do' copiali to- scani a pareggiare la lingua della po- esia a quella della prosa (2), e concor- rono insieme a provare l' alterazione del testo primitivo del poemetto pro- dottaei mano mano nello successive trascrizioni e recitazioni.

Se dunque una copia del cantai'e (atta tra il 1343 e il 1345 si e cosi corrotta, a che tempo risalirà la composizione di esso! Sara possibile ritenerla come vogliono taluni stu- diosi (3), posteriore al Filocolo, so

(1) Vedi notti al testo del poemetto,

(2) Cais, op. cit., pp. 127 ugg.

(3) 11 Bartoll {Rie. Europea, Nuovu ;, Anno X, voL XV. p. 470, e 1 primi

due secati della leti, il., p. 562. n.) e il 6upU7 (Giom. di FU. Hom.. IV pp. 1-7) giudicarono che il poemutto aia nul- rfllti-o rhtì una inetrir'a ridn/iono del I-'i-

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la pQMta popolare rapidamente si gua* sti, Doa si pii6 credere che nel ^o

sere proceduto dal m/M) poema del popolo. Per il crìlerìo med^mo aegaì. senza «■- perio, ropinioue dello SqnarcUSc» il LUbrUf che diKorreado del ciutUre i> proposito di quel franimento che gli uv- Tnane di trovarne nel cod. loled&no, di mi qokle pabblic6 < il tnct^Ui dei mesi di Bonreno da Riia » (di questo Seella Diap. 127), lo ebbe a ^udicare anteriore al Fi- localo sul mero indizio della sua forma - Il Selnl, op. rit., p. 276. t quasi t^auio a riteUbn» il <:aii- ijBfpent dal dugeoto. < Se inoltre, egli imiiia ni minato la dizione, un cerio pmfuma di Telnstà incontanente TI ai fa sentire; e dai Tocaboti, dalle ma- niere, dai costrutti pare di aver sott' oc- chio una di quelle lìriche che furono nKcolte nei due volami contraenti ì poeti de) primo secolo doUa lingua. Nod è che lo pretenda di ^udicarla upera del du- inialn; ma non ardirei ni-ppure di con-

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Al cantare ed al F^locolo si colle- gaoo particolarmente dae altre reda- zioiii della nostra leggenda: ti poema greco ed il romanzu spagnnolo. Que- sti racoonti, a' quali s' aceoala il se- condo poema francese, si accordano in modo cbe costituiscono un gruppo, il quale stacca dalle altre versioni, la prima ^'uncese e quelle che le sotto affini; e si presenta anzi a ta- luni come un rimaneggiamento, un secondo cielo della leggenda (1).

n Sommer, non avendo conosciuto il cantare, non potè rilevarne le ìn-

(I) Sommer, Op. eit.. png. XXV; Snndmacber, Die alifransOs. und mhd. Bearbeititng drr Saije boti FI. und BL, Góttingen, 1872, p. 3; Her»9, Op. di., pp. 2 ee^g. ; lUiUknecbt , Op. cit. , pp. 3, ai.

ià. éat éiMo tniesoo, olbw « aaa sia-

lOBOr AWW BtnSBOBtU tTUppU StTwt—

iBMWMhi il piMim gnau aST >jp«m é^ 1 tBaaM al Sommar

11] OjpL <>L. pp. XMD-XXIV.

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chi lo Beasse: fii qaeati il Oidel. il qnalo, n«n contento sostenere l'opinioDd allrai, avanzò anche ond Ìpot(«t nuova: che, cioè, ti poeta greco non abbia dilettamente rical- cato Q Filocolo, ma abbia tradotto no poema estratto da esso, il nostro cantare (1).

Pnre a! Wagner parve dapprima assai probabile che il racconto greco fosse una imitazione di quello del Boccaccio: a' ha ragione però di ri- tenere che più tardi egli si sia ri- creduto (2).

Lo Zumbiai invece , accogliendo l'opioioDe del Du MériI, esctnse l' im- medìota relazione de' due testi, e notò che, indipendentemente dal filocolo, il poemetto greco presenta somiglian- ze con la seconda versione francese,

{!) Op. <■-(.. pp. 835 sgg.

(2) Medieval GrVek Texia , Londun. IS70, p. XVIII; B. Znmbint, Boa-aaus f/racee, Uflsscgnn Settim., V. , 345-46.

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eesere non altro che iuta tndndooe. DDii io tutto pedissequa, ma nemtna»- co assai libera, del caaUre (1). Que- ste [>arole probabi]iiieat« fiorarono all' HausknecLt , che aceertA l' intui- sioDe del Gtdel, e preTenne La dimo- strazioDe nostra, rendendo erideal^ la dipendenza del poeina greco dall' i- taliaao (2).

Quanto al romanio spagnnolo, fb creduto anch' esso ona traduzione del Filocolo: si veda infatti cbe ne di- cano il Quadrio e ÌI Mazzachcllt (H),

(1) Dm tl-di àU , p. 16,

(2) Op. di., pp. «. •gg.

(^ S(. e Jloff. d'ogni pQttùx, IV. 442. Il JCaxzDelieUl rìp«le db cbe ^ià ftvevs detta il Qnadrle: vedi SrritL d' li., V. IS35. AmbeilGc atlribuiti^ono arbitm- mmeata qnesta iuppoata traduzione del POowlo a Juao àa Florei: mi di eh? cfr. anche Hsaikaeekt, Op. tit.. p. 51. il qmlo perà dt» solo il lecondo degli terìuori neaninatL

1. Noi II do' poomctti bimeMl dm giovaol e nobiUuimi apOM, il duca o

di FiL Romanta, IV. Ió9-lfi9), « di qaella che io partn rìprodoiM, in parta rìanutiso rHiniknecht, Op. eit, pp. ^^ "SS- L' ^eni;<lfire dnlU M&rciaiw spotta olla prima delli- àae edizioni ■. 1. n. d., che troTÙ>nio regintrale dal Bn* aiAf S£aHU4Ì, SuppUm. I, 500. AucIi'cìk. a. L D. d., 6 ìa-i. earaU. goL, di 28 ff. a Zi righe U pag. inlont, Mga. A-XIV a 14 tr. Milita MgnBtnra. Snllft prìcam faccia il frontiapizio : h leiaao dna figure rapprese nlaD ti i doe ìnoAiaorstl, « UMo à legge il titolo: La hitloria de lo* dot enamoradoi Flore» et Bianca fior. Al- l' ÌDlomo un beiliinitio frsfpo. NeUk Ebb- cìb Begueate (t 1 r.) Uggiamo: Aqui eo- munfa la hùtoria Flore* y Blanea- flor ji de *f deteeadencia y de tut amo- ret de quanta lealtad uno «nt)« elUu: y de gvantoì iralajc/t y pelìgroi paeearoa <n el liempo de tue amore* lùndo Flore» mora s BUmcaftor ckittiana. Y de corno por voluiUad de dia* nneatro lenor *e couuerlio Fiore* a lo* Hiaadamieaioi dr.

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oBnanovf de ìa tMa rtdtmda. 1524 (carte 40) Io fine h rìpelata Lt dati 1304, ed A aggiuto il giorno, in cui fn ftomplu U etuapa, 28 ttorembre.

2) Bùlaria de Bnrìqve fija de dima OUmt ny de fenaalem: y emp&vdor de tMutaatinopla. In fine: Emprimìose el praettU tratado en la muy m^U et nuiy Irai ciHdad di> Seuilla potlrero dei mtt de Setiembre mill et quinicntoi et Mynfe et etneo. (carta xrxiìj.

n Bnuwt suppone che pur rodiziooo d«l roawiLio Flore* ■/ Bl. già deacrìcta aia BtktA btta Terso il ISSO. La nostm laggesds è ancora riva Sri il popolo spa- gnnolo come si vede dalle ristampe mo- derne del romanzo: Boi potemmo rano- arome, per eort««a del prot RAjaa, una di Madrid 18T7. S'intitola: Hittoria de Flores y Slanea-flor, ju detrendencia , antarts y peligros que pafaron por ser Florei moro y Bianca-Fior cristiana Madrid, i877. Dftpaeho, calle de Inanelo, nù<n.l9. cuatru pliegua. Precedi; ai titolo

L

Gallizia (1). Cosi nel cantare italiano meeser Iacopo, .cavaliere di Roma potente e ricco, e la gioTÌna sua sposa, Topazia. Nel poemetto fran- cese manca perù un particolare cb' ò nella nostra redazione: il voto so- lenne che fa il signore romano di re- carsi a s. Giacomo «; se la moglie potasse ingravidare >; voto che non fa troppo attendere l'invocato effet- to (2). Qui dunque il cantare è pros-

una vignetta l'apprcEen tante la fugu di Florea e Bianca-Fior dalla casa del viceré d'Egitto: a deatra, appoggiata ail una pa- rete, si vede una Beala, per cui s" efl«t- tuò ia fuga: gli amanti stunno nel mex- xo, in atto fuggire: Flores addita a Bianca-Fior la uave che li attenda: sul loro capo à la luna falcata. Dieci capì- toli, in-8. Sul contenuto di questa redazione moderna Todi Ìl nostiv artìcolo Flores y Btancafior nel Giom. di l'HL Rom., IV. 167-69.

(1) Vedi i TV. 49 Bgg.

(2) Vedi Cantare, St. 2-3:

Un caTalier di Roma anticamente [iresu ^mr moglie uuei geutìl pulzella,

diverso affatto dalla prima (1). 1^ segue fedelmente, anzi lo tradnee il 1 greco (2); cosi, pure nel Fi-

lo&tti, >e c'era onnù prommu figliaoUnzn (la dusc(b)i>Ì3e estoit «acaia- te), perche recarsi a b. Oiacomot Mi par giusta ritenere che a questo strìn- s il duca un precedente impegno, la ulsnniU di un Toto. CohI nel 11 poema fr. «■ avrebbe raltorarione «li un primi- tivo teeto, che mrglìo ai rìflelierebbe nella redazione italiana e nello altro, olle la ai collegaue. È vero perù che si può cro- dore Tolesaero il duca e la moglie pro- pmnrai b. Giacomo per ottenere felice il parto, a s' affrettaasero insieme a ren- dergli grazie della fecondità flaalmoDle eoo cessa.

(1) Vedi 1 poema fr. tv. 91 sgg. Seeoado que«to poema t pellegrini erano padre e figlia: cosi è pare nelle redazioni affini, tranne la baaso-tedeBca ( Henwg'; pp. 18-19). Si noti che anche in queste vei-- eioni n accenna ad un voto fatto innanzi di aceingerd al pellegrinaggior cfr. I vv. 05-98; Fleck, w. 429-31,

(t) Vv. 1-23:

localo e nel romanxo spagonoio, ore ai proBCiDda dalle {nnpe dovale kIU

-:;<yOT o-JSév E»:5<r,TÈv 3WI Tptiì(h)x£v -n^ Win)' :-rTÌpxe Y^ e-ijfsvtxr;, td eE&? xfJiTTaiXdxpaia,

: - -t^txidv xonaÉpiTTS^ sìXiS'^ sdì tiS' ój.tv : x'ixX*5 Tou :^93*i7rou TiK Tóv -^im àvTr,-y{ti, -i ìuOAa^ TTK ""' Elf'Of^s* ^À^Y* voi i:apa7Ta(i'vri

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: aWp Ti)5 •pjvxtxdij Sia wf 'yij Totxdrr/v x^ptv,

I : ^" Ti|« thtsV/tTiw mviXix^v il x-ipri . ' '-. ««vTEj; ei? Tov oixifv to-j^ '/api; |trf<»5-»? kìiivouv ^■jv 8^ iVy ónd^X''*^ anoipTi nX-i]p(i>e£r(j5iv.

: iy^À/i? xarf «ìv aToXiiv e'prfpàffsv ad-r^xa. . !T»v et; edx-nripiov, wadv tou 'LmcùÌ^u,

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ftintjMÌa, affondo eredo , ilo' rispettm autori, 81 trova ancora, ne' fatti ca- pitali, la narrazioDe del cantare (1).

n Boccaccio rinzeppa il racconto d' aggiunte, che, almeno qui nel prin- cipio, devono ritenersi originali. L'e- sordio, corno tutti sanno, è infatti un luogo autobiografico, ael quale, sul- l'orroe Ver^lio, narrata con epica pompa, sotto velame di allegoria mi- tologica, r origine della Bignoria an- gioina in Napoli, il nostro autore si riduce a parlare di re Roberto e della Aglia sua naturale Maria d'Aquino, a raccontare come innamorasse di costei , e come avvenisse cìi' ella gli

Si confrontino questi versi con quelli pib sopra riporlAti dal canlArs: è facile vedera che il poota greco traduce, solo ooDCedendoai qualclie libertà d'amplili- caiioae.

(1) Ftìaeolo, ed. Moulior, voi. 1, pp. lS-15; Flotvt V Blanai/U>r. IT. 1 v. - 5 T. ; Hanakneclit, pp. &S-59.'

desac incarioo di scrivere lu storia Hi Florio e Bianciflora (1). Invocato

(I) Filotoh, I. 1-8. Vedi noatro Con- tributo agli Studi mi Bùeeaeeia, pp. 300- 201, Q. 3> ove sullo stesso argomento BCrivenUDO: < Che (nel Filocolo) l'epopeai dapprincipio almeno, à tenti, è mani- festo. OiuDOQe, «t«raa nemica di Roma, e cagione della sua rovina, come nel- l'Endde nd Eolo, si presenta al pontA- fìCQ('),elo eccitu alio scempio di quel- l'avanzo dì progenie l'umana, che nel- r ««trema Italia teneva ancora levata l'aquila antica, do6 della oasa sveva, cVem il sostegno dell' impero e del ghi- tiellinisroo. Indi, come gii nel poema di Vergilio, la saeva lovis eonìux scendo a" regni di Plutone e chiama Aletto, ac- cendendola contro gli ultimi Eneadi, So re Manfredi risponde ad Enea, Cai'lo

la penlrriee . i

upele. fi da noti di Otm«, repprainla qui I Ctt. ContribHle, p. 100, a.

^

quindi l'aiuto di Dio, o, soconilo il nomo pa^no eh' egli preferisce , del sommo Giove, il Boccaccio ei volg«, sempre classicamente esuberante e

d'Angiò è Turnu; ma la storia, a ilispetlo del BoccBCpio, rumpa il parnllelo, poi- ché ben divens fortuna dal prìnio ebbo quest' altro Enea a Benevànto. Tutto questo perchè a Tenga a ben più umile cosa, a diacorrere Roberto d'Aogiò, e Hpecialment<i della sua figliuola naturalo, Maria d'Aquino ». Il Sorlo s'era g'A accorto di questa imitaiiona, ed nvevH pensato che il Boccaccio ai fosse proposto di fare del suo racconta un poema in prosa, che arìeginrae all'epopea vergi- liana. Per questo ansi egli esaltò l'opera boccaccesco, osila cui solenne forma ima- ginò si nascondessero alti a riposti sunsL Vedi le sue Letture sopra il Fìlueopo di G. Baca., in cui fraumeiio a sti'aneize souo pure osserraziom buone, negli Atti lUt R. ht. Veneto. Seria HI, 7, pp. 596- 016; 10, pp. 635-673, 753-773; 11,735- 813.

solenne , a' friovani ed alle giovinottp innamorate, e li invita, citì che pur (anno uno dei [toeti francesi e 1' ita~ liano (1), a porgere ascolto a' casi d'amore, che s'accinge a narrare. Incomincia il racconto, e continua l'epica intonazione dell'esordio. Spre- giando rnmlità della materia roman- lesca e la semplicità delle narrazioni popolari, fervido ammiratore dell'arto antica, il Boccaccio si sforza di ele-

(l) Vedi I, poema fr., w. 1-6: OjM, flignor, tout amant Cil qni d'aroors se vont p(>nant, Li chevnlier et les pucelea, Ili damoisol, lea demoÌBe!ea: Se mon eonte volez c-ntendro Moalt i poniJK d'amore aprendre. Cosi il poeta del cantaro toscano n'in- diri»*» specialmente a chi sia innamo- rato: vedi nel testo, I St. In questo in- vito, come pure, io credo, nellu invoca- iion« di Dio, il Boccaccio si è confor- malo all'uso d(>' poeti popolari,

ran Topefs pracna »Bm dìgnifà de*

Tffijibo a Stano, e^ Inumila tho «^ «Tenti, onde ha priadpo Q n- maaio, pnóedaao carni edeatì. Cba eoa» d ai presenta snci tutto! L'«- tm» lotta fra Ko « Satsaa, oaiia, per oaue i nomi pift graditi a] ture, fra Gìots e Plntoae. Coeù i bui, da coi si arolge tstt* b l di Florio e Kaaciftor«, aoa si pf»- doflono, al pari che aeQe altre rèda- «jom della leggenda, come reali aaa- tìageoze, ma, lo vedremo tosto, come «fletto di qotìl coDtraEto dirino (1).

Anche nel rìEaciinento boceadcesoo si comÌDCta dal prllrgrinA^o a s. Giacomo, che compiono i gioTani spo- si, da' quali nascerà Bianci£Lir«; se non che, amplificatore artifidosu, il Boccaccio DUO sa toccare di esso senza dilongani a chiarire la ragione Iod- tanadi tali via^ deroti. Ecco dim-

(I) QKUribMo, L t

qn» eh' egli ha bisogno di rifarsi alle orìgini del mondo, e, traducendo in linguaggio pagano il testo biblico, di riparlare, con retoi'ica magniloquenza, del conflitto accesosi fra ciclo o in- ferno dopo la cacciata degli angeli ribelli, e de' fatti , che ad esso s' an- nodano: la creazione dell'uomo, la SUB prima colpa, il bando dalle sedi boftte; per scendere a dire del ri- scatto cristiano, della propagazione apostolica della nuova fede, della pre- dicazione che ne ha latta s. Giacomo nell'estremo occidente, del martirio che questi subì, della erezione di un tempio nel luogo del suo supplizio , de' miracoli eh' ei vi operava, e della &ma che ne suonava por il mondo (1). Della quali cose messer Giovanni par-

(1) Fit., 1. 9-12, Sulla felsa tradizione cha s. Giacomo apostolo predit^ù in bpa- gna, vedi quello che scrive il Sorto, oi>. ciL, Alti wx.. in. 10. 644 sgg.

^Q^ak»^

■•^:rrri

103

" frìcano, disceso del nobilo sangue del prìmo conquistatore dell' atfrìcana Car- tagine >. Costui era < ornalÌ99Ìmo be' costumi, e abbondaa te di ricchezze e di parenti, e già per la sua virtù prescritto all'ordine militare, e aveva secondo la nuova legge del figliuol di Dio una uobilissima giovane romana, nata della gente Giulia, e Giulia To- pazia nominata, presa per sua legit- tima sposa, la quale per la sua gran bellezza ed infinita bontà era motto da Ini amata » (1).

È Ctcile scorgere come questo luogo corrisponda al seguente del Cantare:

Un eavalier di Roma anticamento prese per moglie una gentil pulzella, e era molto riphisimo e posonte d' oro e d' avere e di molte castella.

Diversa la forma, m toslanza. Infatti nell' n

identica è la testo e nel-

l'altro il personaggio, che ci viune presentato, è detto cavaliere; il Boc- caccio non ai discosta dal poota di piazza se non per qaesto che in luogo della parola adopera una ctrconloca> zione (prescritto all' ordine militare). Cosi vediamo che in tuttedae i rac- conti s'accenna alla molta riccheMa del personaggio stesso, e si narra eh' egli i condotto in moglie una va^ giovine. La differenza è in cid solo, che in cambio Jol mesaor Iacopo del cantare (1) abbiamo un nobile ram- pollo d' inclita gente romana, degli Scipionì; e che al nome di Topazia, comune al gruppo costituito dalle due redazioni italiane, dalla greca e dalla spagnnola (2) , sta premesso quello di

(l) noti cbo il nome di Iacopo oc- in vn certo nnmaro stampo ilei cantare; nei mas. e in talune oduioiiì non si trova vedi note alla St. 4); come b puro ignoto al poeta gl'eco,

{%) Cantare, St 10 ; Poema gr, , v. 1 ìì; Roin. ap., r. 1. y., Haiuklieeht, p- K-

105 Giulia. Variazioni qiiijste, dio si de- vono certo al lìoccaccio , il quale , come si noto, volle darò alla sem- plice Bua storia pompose forme clas- siche.

Gli epoBi non hanno figli: onde Le- lio, ridottosi in una chiesa dedicata a B. Giacomo, fa voto egli pure, come meeser Iacopo, di recarsi pellegrino in Oallizia, se ottenga che la moglie ingravidi (1).

Pero il racconto boccaccesco con- tiene duG particolari che mancano nel poema italiano o nel greco : v' è indicato il tempo che Lelio e Giulia Topazia sono rimasti senza figliuoli (cinque anni) (2); e v' ò narrata

(1) FU, T. 14-15.

, I, 14. Cinque anni tra- scorrono pure inutilraeabi dallQ nozxe tra Thiebaut di Dune M^i't (Dominare) e la figlia del conto di Poiitia (PontXieu): vedi Holand et d'Uérlcaolt, Nouvelles fran;oÌses en pfose dii XIW siècie, Pa-

.un'apparizione notturna dell'invocato iipostolo , che annunzia a Lelio l' C" saudimento della fatta preghiera (l).

Sono queste invenzioni del Boccac- cio; od ebbe egli sott' occhio una fonte più larga che non sia il can- taro! Per ora non posBiamo venire a conoluBÌono alcuna.

Notiamo pure che ci sono corri- spondenze fìn di parole fra i due teBtì. Nel roraanzo dici! che, fatto il voto nel tempio s. Giacomo, Lelio « tor- nò al Buo militar pataffio » (2); nel cantare si nomina il palazzo della milizia:

ris, 1856, p. 166. Per questa o per altre «oiniglianze l'HerwtTf op- <^it.. pP- H. 7S-80, imagina che il Boccaccio abbia .imitato in codesto luogo del buo racconto la novella fraoctise.- Non mi pare che la imitazione aia cosi sicura come egli crede. Vedi ciò che ne ho detUi nel Giom. St. dilla Leti. Ital., IV. 257.

(1) Fit., I. 15-16.

(2) Fil., I. 15.

I

Deatro ia ftuBa d fb U prami^oiM ■taada «al palano da U nulìzì» (1).

S^arvcrta tattarìa oh» qui sWs?o Miste naa disoordonu, U qualo cun- oorre a mostrara T mdJpendoiuii dot cantare dal romanco: io questo la promiasìone aTTÌeait, come ve«lt.>mmo, in una chiesa; in quello d fotta nel palano della milizia. So il poomii fosae stato estratto dal romanzo, as- sai probabilmente vi si ritrovorobbo la circoslaiua medosima del roto fatto nella ctjicsa. Ma G*e di più: il palano della militia ù iadubbiainante quello 8t£Bso, die duDUDieuti della fine del dogento e de' primi anni del trecoiitu dicono miViViam e domon seu patatitt militiarum, che il Villani nomina fa- UelÌQ delle milùie, dol quale unooru na avanzo nella torre dell»

(1) St. 3. Questi! purriapundonia i il UaBparT (Oiorn. Fii. Itamama. IV- ;t-4).

tniliitf sorgente nel chiostro di a. Catflrina da Siena, non lunghe at Foro Tr^ano. (1) Ciclopico colosso medie-

(1), OrefforoTlaSr Gesehkhu der Stadi Eom im Milleìaller, V. (ffiO sgg. Casuilh dellemiliiia dii^a il Villani: quwU desi- gnazione mi fa toiiiare a mente che poche pB^Qti addietro vids come in un luogo della copia roagliBberhiftoa del cautai-e ^n dotto che Bìandfìore è nata noi ca- stello denoroinato La meticìa. Si tratta BQn«a dubbici dal noslro castello, che si appellava Z^ niilitia,La me/iMa-Realapci-ó fernid che quel luogo è guasto per le i-o- gjooi esposte, alle quali può Bf^giungerai r ouervazioQe che fai' d' un tratto na- scere Biancifora nel casiello delia milUia, quindi a Roma, cunti'aBta col dato della leggenda, accolto pur nel poemetti, che esui nacque in Ispagua, nel palazzo di re Felice. Chi riroaueggìA a spiMposito il piuno n È troppo ricoi'dato che in prin- cipio del poema si imugìua che La mi- litia fosse residenza e possesso della fa-

val«, in cui pareva si coatinuasse ii > superbo di Roma antica, insie- ^■aUa toiTO de' Conti esso gigan- 6U r iatera cittA, risibile lontano più miglia, come oggi la cu- pola di a. Pietro: o offriva al popolo fecondo argomento di favolose isto- rie. (1) Non (iobbiamo per questo af- frettarci a credere che la prima re- dazione italiana della nostra h^ggenda sia alata elaborata a Roma, e che ri>- mana sia stata la fonte comune delle versioni che analizziamo: anche fuori certo si celebrava tra le meraviglie più cospicue dalla eterna città it palazzo delle milizie, detto anche la milizia (vedi eopra miìitiatn). (2) Era

miglia di Biancicore; e non rammentù più che costei era nata ben lun(n <ÌB"a casa patema, in paese struaiero.

(1) GrBfforoTiuH, op. eit, V. 651: Graf, Roma nella memoria e nelle immagiiia- tiom del Media Eoo, I. 356.

(2) OrefforortDB {op. ài., V. 651, n. 1.) reca anche più tai'de l'orme volguii: La-

dunque facile immaginare che il fan. tastico cavaliere di Roma, esaltato dal cantastorie come potente e rìceo, abitasse uno degli edifici più famosi di quella: intatti il palazzo o castello delle milizie fu ambito possesso di case romane tra te più doviziosa e potenti. (1) Ora si pensi che dalla do>

(1) Fu, ad esempio, degli Anibalili e ilo'Gaetani, poi anicini degli Aoìbuldi: vadi flrcyoroiias, op. ni..V. 572, 658, VI 50. n, 4. Tunto ami impoi'tava il possono del castello che chi n'era signore da «aao traeva il tìtolo, rome da una foi'male ba- ronìa: Pietro Gaetani, nipote di Booitacio Vili, dal 1301, in cui lo comperò da Riccardo Ani baldi, ai dìsso DomintM iti- ìieiarum Urbis. Ore^rovInSf ibid. Al- trove (VI. 52) il flre«. dice che le Mi- lìtÌÉ erano il piìi forraidabile costello di Roma. Per il terremoto violentiesimo del 1348. 9 G 10 Settembre, la famo» torji. ruinfi fino alla metà {Gng., VT. 316).

Ili

si^azioae non bene compresa pa- latio della milizia può essere ve- nuta r altra eh' ò nd Boccaccio, mi- Ulare palagio; ma da questa espres- none così indeterminata non può es- sere uscita quella indicazione positiva. Il Boccaccio dunque rinvenne sìjfattn indicazione, se non nel cantare, in una foatfi affine ad esso: il cantare per- ciò non deriva dal romanzo di lui, Poiché egL non ha inteso che fosse codesto palagio della milizia ed ha supposto che in questa forma, che deve essergli sembrata straua, s' ac- ceonaase nella sua fonte ad un pala- gio qualsiasi proprio di cavaliere, mutò l'espressione in militare palagio. Inol- tre egli modificò il racconto imagi- nando, quasi a crescergli solennità, che il voto sia stato fatto in una chiesa anzi che nella casa di Lelio.

n romanziere spagnuolo esordisco ricalcando quasi il cantare: aach'egli comincia dal presentarci il barone romano, ricco o potente, che sarà

ili Fcrrai-a, (.■ stavagi alla corte dello zio, il duca di Milano. Snonava in- torno la fama della sna rara tioUezza, tanto che measw Persio se n' accen- de, e dolìbtìra condursi u vederla. Apprestate perciò due grosse navi, si inett« in mare con la più onorata compagnia di sua gente, approda a Genova, ove gli son fatta liete ac- cogliensse; indi seguita verso Milano. 11 duca gli viune incontro una gior- nata dalla citta , e lo ospita con rogate splendore. Cresce la fiam- ma del principe al vedere Topacia; la cliìede in isposa; si conconla il maritaggio, e si comiiiono intanto le Eponsaliue tra le feste più alloro. ' Dopo essersi- alquanto trattenuto a Milano, messur Peraio si congeda per tornarsene allo zio imperatore, perchè il romanziere, non contento di avorio imaginato, come il cantastorie, ricco, nobile B potante, gli aggiunge il lu- stro di una tal parentela. Il duca stosso b' accompagna agli sposi. Da

UaMTtm (ioiipno eoa pcoepoo « r»- jpào Tittggid ad Ostia. (kmAi é i dato arvtaa iM Inn arrìTu all' impe- I nuuiva luto inouataiT a nDambÌB al ilnua ìe uapitalì onrtesìa osata al olpuu. SJ tinnii i

un. pa(n « lupwaton» alntavano insica» l'iMana dtta miUa pia ìtBL— Um uiBuaia (1).

0^ aiMaì UNI nasounu it^ouU. Pro- flaaWiiiia amlHdtw ( nun U otarito aula. oaSk'è imI i»nt&n. ik'1 puoBW gnieo a aal FUornh) (il ruear!» [Mll<i(;rÌDÌ a a, GiaeuiBD. w TapacM ì&|fnni(i (S^

IO Viidl li. I *.-«'. -. •nriÉ (;ì) NvUa :S)w«B<t la lawMMla Ji Fiono

I

NoD acconna perù ad alcun voto solenne nel palazzo delta mithìa, od in qualche chiesa. L' angela Dio appare in sogno due volte alla donna: U prima annuncia che Dio le noga Itgliuolanza, pcrchù le ne verrelitie gran danno; la seconda invece, mcB- ssggETO di miglior nuova, la raccerta che il suo voto sarà esaudito (1).

Questa celeste apparizione Tu in- spirata da quella che al Ittogo cor- rispondente si vide pur nel Fiìocolof 0 si devo alla fantasia del ri&cìtoro epagnuolo t Parrebbe più probabile la

Portogallo, nella Catalogna. Io ne cono- eco la Inazione portoghese (Hardang , RomatKtiro porivgi*eì , II. 29 ) , e la castigliano-catalana (Hllà y Fontanaln, HomanceriUo OiUUan, p. 'Ì\A). Seconilo quest'ultima i due spo^ sono recati in pellegrÌD&ggiu non dopo che il cielo hft fatto loro la grazia chiesta, ma per pregarlo di conceder loro figliuoli. (I) Ff. 5 r. - 6 r.; Haudinecht, p. 59.

un

«ooontlii ipiiUHiì. [wrcìiti ira rnnAa{»- piu-lslulin e l'altra non coire molta mmiiKliamn (I). D'altro cauto cad«Eta pmfotlche visioni «rano tra lo ciar|ie Jallu VDOt^bia rif^ottorla poetica e ro- uiaiuH^acd; Iti può quindi ritonere che i nostri scrittori u' abbiano osato in- iliIH>uiJeuttìm«nto (2).

(t) Noi ^Uueoto a{i(>ari>ioe «. Giacoma, Bua aula «olla, a a Lulio; nel nimunzo «p. apparÌM'o ti nHgel tb DiW. duo volto, u Tupu'ia. hm iNCOiiila rìv«LiuùoQti del- l'ui^lu di Dio a •jDost' ultima A però Uloutiu» a quollu litio ia i. «lÙKumu » Lulio: iu uaboduo i -ma s'aunandu (4m la gruia uhÌNta (ti acconlala.

Cl> Ita Mttil, |>|>. CM^*-*). Noi awtlwiM rilw;iuiu&tu J«l nuotro nmamo la DarruioiM à «i>iii|>LÌlica(a rOwm. di m. Itom,. IV. 16»): Quum la parto lùial* dol rtcfìouio, eh* xl nfacan alta WMaa >li Canto <li To^iaciai imw flU» te Uw aii|Mhaiotu ditU'iuig<4o di ÌUOi S' II» font ^ui U Uauoia lU naa

I

Comunque, per ora basti rii>e(«re che &a dup principio le quattro ver- di! noi raffrontate, si oorrlspon- duno: moniro il poema gl'eco appa- risce una traduzione del cantare ita- liano, i due racconti, che più libera- mente si scostano da questo, con- tengono pur sempre il nocciuolo co- mune, il fatto che ritorna in tutto quattro le versioni, od è il seguente : un possente signore di Roma non ha Agli dalla vaga sposa; fa voto di an- dare in pellegrinaggio a s. Giacomo di Compostella, se il cielo gli conceda che la donna ingravidi ; ed ottiene così la grazia domandata.

Da questo racconto quello di Rosalia ai distingue per dilTerenze non lievi : gli aposi, re Austero e la moglie Ro-

giormeute vicina alla aemplicitii del poe- ntotto italìanol Ancora; in queaU re- diuione modornu il voto è latto da Topai-ia col consenso del marito ; eaaa recara al santn una lampada del ' lon: di 4000 scudi d' oro,

I

119 caaa fanno gt'audi feste. Avendu ve- duto la promessa ormai compiuta, prese (il cavaliere romano) la scar- sella (Ttf (tapaiitiov ) col bordone, come povero, e vestì l'abito [da pellegrino] per andare al santuario, tempio di Iacopo » (1).

Ne' due romanzi il racconto 6 più largo, e indipendente da questo dei due poemi. Giulia Topazia, dopo la promessa e la appoi'izione di s. Gia- como a Lelio, sento in etì il frutto desiato, e lo confida al marito, che n'd lieto senza line, e delibera

(1) Vv. 18-23. Si noti che il poeta greco ebbe innanzi qualcuna delle i-e- dazioni del cantare , in cui , io luogo della tezionu s tuia gente, s'ha l'altra: tutta la corte; coal egli acriasa che ai Jànuo grandi ullegrexze nella casa. An- che il singoL prvie {tXa^tv) la scarsella ecc. in cambio del pi. presoti, eh' è nel nutro t«eto, deriva dalla lei. prese eh' & io UBO de* mas. e in quasi tutto le atant- l». Vedi note atlu St. 3.

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ISl terre e i vassalli (1); e fa che gli sìcno pi«|iarate < ynixa esclauiuas para el et otra» para su muger j sondos bor- dones seguo Iub romerus sueleo lle- var » (2). Ecco che in questo ul- timo pECrtìcolare il romanzo spagnuolo raccosta al poemetto italiano.

Gli sposi dun(|ue s' avviano verso Qallizia. 11 tluca e la ducheaaa d' Olo- nuis, nel socondo poema francese, viaggiano con una scorta di loro frans homex (3): cosi gli eroi del cantare menan seco trecento cavalieri (4).

(1) Vedi li. poema fr, vv. 70-74, ove il duca d'Olanais raci^omaada ad un suo nipote la sua lerm e i suoi uomini. NelUi Bapprvfenttu. di ìiosana, p. 373, il Ru, inoanù il partire , confida il governo dallo Stato al suo primo consigliere.

(2) F. 6 r. - 6 V.; Hanskneoht, p. 59.

(3) Vv. 62-69. Noi I poema fr. ( vv. 85 igg.) «i parlu solo, a quanto pare, di compagnia di pellegrini acc idon tal mente raccDxiatan per ìslrndu.

(4) Velli St. 4, e note a questa L-d alla St. preoedeQt«.

123 le del poema greco (1). Ma si può :hfl essere tentati ad avanzare un'al- tra ìpoteBÌ, forse più ardita e meno probabile : che con fin' «utÌiv ìta( i-Hptav il ptwta abbia voluto alludere, anzi che a persone, a coso, che real- mente poco prima trovausì meniio- nate, ossia alla scarsella ed al bor- done presi dal cavaliere nel prepa- rarsi al pellegrinaggio. Allora si di- rebbe che insieme marito o moglie si sono posti in via recando seco queste ed altre cose: e tutto il passo suo- nerebbe: < come si fu avvisto, che la promessa uveva avuto compimento, [il cavaliere] prese la scarsella col bordone, come povero, e vestì 1' abito [da pellegrino], per andare al san- tuario di Iacopo: e insieme [ìi ma- rito e la donna] fecero viaggio coit queste ed altre cose ». Certo vor- rebbe man duro e inusato costrutto:

(1) Ve<U ai vv. 2 6M, 1022. 1708.

l, 307. 452, 563, 606.

1U

moi^av nlv c8óv ^épovTS^ TauTa km" eTspa; ma è pure da riflettere die ci sta innanzi un testo medievale.

QuoEta seconda spiegazione aareblie confortata dal fatto clic tosto seiguomi versi, nei quali si rispecchia la le- zione di due de" mss, da noi cono- sciuti, che, a questo luo|^, non pi-o- sentano oenuo di compagni, che ab- biano seguito il cavaliere. Uno le^e: la donna el marito intraro in viugìo atloi'a se scoDtraro io g-rsadanuagiofl); r altro : la dona, ellomo jnsieroemente allora ÌHchontro in gran diLnaagio(2):

(1) Bibl. Nia. (li Parigi, 1095, ital., f. 15 r.

(2) Mb. Aibburnhamiano-laureDEiano 1397-1473, f. SD r. Anche la stampa di

Siena 1606, che sarà descrìtta piii avanti, deve rìfl«ttsre un taito. che, a quuto luogo, non oflriva cuiiao di coinpugui, che seco obbiano avuto i due sposi: in vsaa è questa lezione: coiiiiuciurono il santo gron viaggio, togliendo oro et argento da vantaggio.

e il poeta greco quasi ripete (w. 25-27):

.ri fk Toii «opE'jE^m atpdTiv tO'I t^JiSi

ixaoe ouvEmfrmio-ixv:

»« nel camminare la strada del viag- gio incontro ostile pionu di danno incontrarono *. PnO darsi cho esen poeta abbia tradotto o imitato un testo del can- tare almeno affine a quelli ora citati, a quindi non abbia fatto conno, in (juesto punto, di segnaci ctie si eienci aggitinti agli sposi pellegrinanti. Ove inveco si preferisca la prima ipotesi, si può credere elio egli abbia utiliz- zata noa redazione, in cui, corno. nel fratomonto toledano (1). si trovassero

(1) Liilforss, op. cit. p. XVi rouwgo nieniivoDO tresenb) cavalerì a bianche uriue e convnli destrei'i : lo marito e le dona introna in lo viagio alora si ÌDContii' ai t^ran dalmugio.

del cantare stesso, quelli compresi che ne avean taciuto, menzioiiaaa ì trecento, che erano con lui (1).

Certo 6 che il poeta greco """

ebbe innanzi una delle edizioni della

1 italiana, in cui la chiusa ^dd la

9 la St. 4 suonano cosi:

B del baron vi conteraggio ,

9 m' ascoltate, ch'andava in viaggio.

r lacobo egli era appellato, baron di Roma, e di graade leg[iagg:io. Da incita gente egli era accompagnato: la donna col marito entrò in viuggio, per andare all'apostolo beato, colla compagnia ch'io ti conteraggio, ch'eletti fur trei^eoto cavalieri, che montar col barone in su' destrieri. Vediamo infatti che noi poema gi-o- co non si incontra il nome del iia- rone: il che accade pure nei mas. che ) noti, 0 in talune stampe

(1) Vedi St, 6, e note relative. A que- sto luogo coriispondono Del poema greco i V¥. 36-3U.

qnBilB I

bmm stato popùÌD alla lom ppegM»- tm)^ anùamÌÈnàu ni v«m cb« tiwim- ìanwtfrf fii— Il apponeeliiiiti v pmti j*4iitÌBiB eoo. bicu a nuiUera ail ^f- ùMa filtts pruDutanunt, al guaiti oonuwiMaaBtu fn rj«pa«tu. lun* «kmk pnati s agni loco piaca» > (I). Cart nalia dii» raiaiioiu iIuUa teg-

mi

OL. L 18.

IS9 geùàk ài Rùsana, gli spora muovono al peUegrinaggio con segnìto kt- mato (I).

Invece n«l romaam epagnuolo ve- diamo che i due pellegrini se ne vanno scompagnati : < deIJheramoB, dico mes- cer Persio a' parenti od agli amici convocati innanìii la partenza, de no lleoar con nosotros otra compaSia nLngnna saluo aqif^lla de dios » (2), Probabilmente il romanziere, corno forsd il poeta greco, ebbe innanzi una delle ci.>pie del cantare, in cui, secondo ciò che villo poco eopra, non si fa motto di compagnia, che abbia se- guita gli spusi pellegi-inantj , e eulo si dice:

(I) La Itgenda della rema Ilosana e< p. 13; La Bappreaentai. di Rotano,

> F. 6 V. Anche ndla redai. raoderau . i due pellegrioi viu^giuuo

i!•id^ inra

l«àK.fVte

A<^ Mk -A* pw «db ém

131 non han cuore di difendersi, e spoi-- ^no, tremanti , l' avere. S' accompa- gnara ad essi un oavaliere francaso, chs menava la figlia, vedova e in- cinta, al tempio dell' apostolo, cui b' era votata per pietà dello sposo perduto: costui solo resiste, ma i pa- gani lo uccidono, e traggon seco la donna (1).

Bai secondo troverò sappiamo qual- mente re Galoriens d'Almeria, gia- oesdosi con la sposa , si fosse la- sciata sfuggire una promeissa, cbe dovea tornargli amara : quella di farle presente di uno schiavo cri- stiano , che le apprendesse il fi'an- ceeo, Ecco che senza por t«mpo in meso, ^li si metto in mare, ap- proda con mille cavalieri in Gal- lina, e insidia ì pellegrini awian- tisi a s. Giacomo. Stavano per giiin- gm-Q al luogo, ov'era posto l'ag- guato, il duca e la duchessa d'Ole-

I I

(I) Vt. 55-102.

k

yrnmiìi jMtifRimi s In,

^-^•«l«tfc

I

re soruciuo il nume stesso che gli attribuisco il I testo francese, e sono il csntare e i due romanzi: il poeta greco, infedele per la prima volta alla sua fonte, lo nomina Filippo (1). Il n^o di lui e per tutta quattro le verBÌoni in Ispagua (2). Secoudo il cantare ed il romanzo spagnnolo, cume ne' duo poemi Cruncesi e nelle altre redazioni, egli muovo da' suoi domìni e inrade un paese , che non gli ap- partiene (3).

(1) Vedi St. 5 de! eautare; Fihcolo, r. 20; Ftores y SI. , f. 6 v. ; Hknskneebt, op. cit, p. 60. Nel poema gr. vedi t. 2^. In luogo della forma Felù (Felice) ai incontra qnella di Fenix: vedi, per ea., poema del Fleok^ v. 370. CohI nella redaz. tvedew; mentre n<dla olandese si legge Fmu»; cfr. Sommer, op, cit., pp. XIX, XXI; Dn HérU> p. Ixtj, n. I; UBrmg, p. 82.

(2) LI. ce.

(3) Questo paese ò, nel maggior numero delle redazioni, la Gallixiu: cfr. Somner, p[>. 283-84; Hersog, pp. 18-19-

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!■ CiAtttft, ^Bk oii ' mtewfc, . '

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soggiange che qoeeto ca^ii^iiù il i

I Filippo di ^ngnìi:

L « nel camminare la strada del viag- gio incontro ostile pieno di danno lA I iocontroroiio : tale danno mosse il re Filippo di Spagna ». Il verso itatianu lo re Felice si mosse di Spugna non Tiene tradotte; ma da ciò che s^ue apparisce evidente che il re si e spinto in Gallizia sulta strada, cho couduccva a s. Giacomo (1).

Uaioo fra i rimaoeggiatorl della leggenda, il Boccaccio, come ni vedi'a pia sotto, al dato oomuu« della in- vasione di re Felice ìn terra cristiana 8ostltuIace una invenzione probabil- mente bus: clie re Felice non irrompe

I procurarle uno Bchiavo cristiano

! Ifl apprenda l' idioma di Francia ;

r questo egli passa in Gallma, ove

fina di poter sorprendere qualche

compagnia di pellegrini cristiani, o

(li tn>var« fra essi un trancese da of-

irire alla regina. Secondo V altro poe-

, il re si Benli spinto a correre e

Ia diserterò la (lallizia da efferato odio

I ■' cristiani ; ma badi però che pur

Iqui e nelle redazioni alfìni egli ora

I Btito pregato dalla regina, innanzi di

I nooTCra all' impresa , di procurarlo

i gdiiaTa cristiana (1); e che la

Rdunna, che cado prigioniera io sue

i futura madro di Biancifiore,

(1) Vv. 107-110. Per le redaiioni af- Sai cfr. UeriOff, p- SO. Anche nelle due itunuuxe dt-, pg. e cast.-catal., si riflette questa usdaione: pure in esse la acor- «aracina è fatta dipendui'e dal ile- ndorio della regina di avere una scbiavjt nùtiaaa.

138

insegna alla regina il francese (I). Nulla di tutto questo nel cantare e ] nel poema greco; mentre nelle altre due nostre redazioni, nel ronianzo boccaccesco e nello spagnuelo, alla spedizione pagana assegna tutt* al- tro motivo.

Si noti ancora che nel nostro poe- metto re Felice non passa in Galli zia por mare; sia che nella fonte di esso mancasse cenno di ciò; sia che il can- tastorie nel riassumerò il racconto tralasciasse questo particolare; sia che del racconto stesso gli foBSe giunta, oralmente, una tradizione imperfetta.

Pur nella nostra rima si rappresenta il Saracino seguito da grossa compa- gnia d'armati; ha seco mille cava- lieri, secondo la lezione pia comu- ne (2) , come re Galeriens (mil che- vahers mena o soi) (3); molti, t

(1) V. 138. Cfr. Uerios, (S) Tedi note alla St. 5. (3) V. 40.

eondo un'altra lezione, comò re Ff- e del l poema francese (de che- valiers ot grani compatgne) (l). Ol- tre il folto stuolo do' cavalìuri , con- duce molta gento a piedi: Lo re Felice si mosse di Spagna, e cavalcò nn di secretamente

con mille cavalieri In sna conpagna, e del povol menava al gran gente.

Molti cavalieri o fanti seguono il re pur secondo il poeta greco, che Continua a tradurre, o quasi, il can- tare (2).

Dal passaggio in Gallkia si viene tosto all' agguato teso a' pellegrini , come nel II poema francese , quasi anche nel cantaro il re non fosse uscito dal auo stato per allro fino (3),

Fra il nostro o i due testi fran-

140 cesi c'è a questo luogo una mani- festa corrispondenza.

I. POEBCA. FR.

n re 8* appresta a lasciare la Gallizia disertata:

. . . s* en Yeut li rois repairìer: Les nes commanda a chargier, Puis apela de ses fouriers Dosqu'a quaituite chevaliers: Esranment >, iàìt il, vous armez; Gii autre chargeront assez. Alez, lassus en ces cJieminSj Gnitier por reuber pelerins ». Doni s* en vont di en la montatane; Gardent aval panni la platine; Pelerins voient qui montoient La montaigne que il gaitoienU Il lor vont scure, s*es assalent... (1)

II. POEBfA FR.

Re Galeriens giunge co* suoi

Desore saint-lasque au perron. Ilueques a* arma el sablon, Et quant li rois fu arrivez,

(1) Vv. 75-87.

Set fompaignons a apélex: Gmter entoie Un chemittg Por detrober Ut ptlerins (V

Sarraim t

I

1 la montaigne: Qtiant il voieni nottre eompaigne, Sore lar eorent paien. Qui atni n' aimererU creiOen,.,. (2)

Cast ARE. Lo re Felice si mosse di Spagna, e cavalcò di Hecretamenta con mille cavalieri in sua coDpagaa, e del pOTol menava si gran gente. Qiiattdù tiene al posar d' una >nontiii/nii mtta Tnaiina a l' alba parisenie, fece guardar U strade e li camini; vide venir romeri e per^rini,

E lo re eomandò alti pagani,

e a' caBalieri, eh' eran bene armati:

ondale a vedere te aon crialiani;

n prosi a tagliati.

(1) Vv. 41-46. ) Vt. 127-30.

t

Co» gran fvrort ti mMSer li cani sovra dilli etistiani bal^iati,.,. {})

In tutte tre le redazioni ei tratta dunque di un agguato che ì Sai-aconi tendono a pellegrini recantisi al tem- pio di E. Giacomo, al varco d'una mon-

(1) Ud gruppo di stampe ci presanta quost' altra lezione, che qui riportiamo dalla più antica di esse, da qualla del 14S5: Lo re felice ai mosse della Bpagna, ot a causilo montb nubitamenta con mille paualierì in sua compagna; del popol menb eoa lui una gran gente: al passar che fecion d'una montagna lo re felice disse: «tato attenti, et guardate ben le strade e chamini doue paasar deon questi pellegi-ioi. El re felice ilisse agli pagani: o cUaualieri, andata bene acorti. et uedete se quegli son crìatiani; cbe incontanente sieno tagliati e morti. Con gi'au furore s miasono i cani sopra de' cristiani cbs oron men forti...

à

' 143

p

tagna, per cni quelli debbono paesnre.

n re stesso pensa e dispone l'agguabi,

facendo a'suoi guardare ffaUer

(si noti come ci sìa fino corrispon-

denza di parole) i cammini le»

1

ehemim , per i quali si va al tempio.

n cantare s' accosta al II poema

francese in quanto ha rapida 1' azio-

ne, e tra l' arrivo de' pagani a s. Gia-

como e r assalto a' pellegrini non

1

pone, come notammo, alcun altro fat-

to; ma r incontro del cristiano, sfug-

gito per miracolo a" Saraceni, col duca

d'Olenois, e gli accidenti della lotta M

tra i cavaliorì francesi e gì' infedeli ^|

non si riflettono punto in esso. Il H

cantastorie aruti non accenna clila- H

ramente che i romani abbian venduta ^|

cara la vita o la liberta (1): quosto H

(1) Vedi St. e, 0 note. 1 testi del Can- H

lare, a questo luogo, dicono beo poco; ^|

Con gran fururt.' si mcnser cani ^|

sovra detli criationì balegiali: ^|

144

perù va sottinteso. Del loro Signore, di mewer Iacopo certo Bappìamo da nna SlADza, che « truva unìcainente nel frammento toledaso, che a lungo di- fese sé e la sua donna (1). Egli perisce, mentre il duca d' Olenois resta pri- gioniero nelle mani re Galerìpn. In qnesto pure discordano le due ver-

tte ucistro e UtgUar più di dugenlo. a pochi ne eattpar, eh' tran trteettto. Con gran furore si mìnono ì cani sopra da criatiani che «tod mea forti: uìnteno et tagliarne ben dugmto et pochi teamparon che eran ttvoento.

(1) UdfoTSS, o[.. ciL, p. XVI:

E questo fe de mtudo lo bel mese Che lo ra Feliae fece la sconGta; De quela gente asaj n'olHsi e pria. SI ch'el barone de la wa dona a triste». Davanti le; se meae a la dafeea Con una spada, che asaì n' a qaistn; Ma a la finita no la potò durar», Che lo re Feliee 1p h tuto tagliare.

8Ìoni, perchè la francese presenta un particolare, che le 6 affatto proprio, e l'italiana si conforma alla redazione comune della leggenda (1).

Si vedeva che, tolto il nome di- verso del re Saracino, il poeta greco aegae il cantare anche nella parte del racconto, che ora s'illustra. I pagani passano per mezzo a monta- gne (Cant. quando vene al pasar d'una montaffna); al romper del- l'alba (Cant. «Ma matina a V aìUi jiarisen/e) pongono vedette a guar- dai-o le strette de' monti. Videro pel- legrini: erano cristiani, di Roma, che andavano per venerare s. Giacomo: con esa! viaggiava il barone, che avea fatto voto . di recarsi in Qaliizia se la moglie sua avesse concepito (2). Il l»apone dunque non viaggiava solo; questo potrebbe indurci a credere elio in un passo precedente, che ci pjirvo alquanto oscuro, secondo una ipotosi

(1) HerMgr, p. 19. (a) Vv. 3S-43.

146 fatta , s' accennasse davvero a com- pagni , che egli abbia avuti nel pel- legrinaggio. Ma non à a mcravigUaro che qui solo si trovi parola de' com- pagni suoi, perche ciò accade pur noi testo del contare, che fiaora vedemmo seguito dal poeta gl'eco: in esso in- fatti si tace di compagni, che gli si sieno aggiunti al partire, ma dove si narra dell' assalto pagano e della strage menata, ei accenna, ciò che a' è avvertito anche .più aopra, a' tre- cento che, secondo altri testi, oran mossi fin dapprincipio con la coppia pellegrinante. S' aggiunga che dal passo greco, come dalla probabile sua fonte, non si capisce so gli altri pel- legrini fossero cavalieri dipendenti dal bai'one (1), secondo vuole la re- dazione migliore dol cantare.

(1) Vt. 36-39. ìxu "Show Sia^aivavraq ovApunrou? mXirfpCvavq^^

òXsi vfli àita-yahoiioiv Bwì voi npQaxwfyjoi}v Tàv aytov Idoitù^, atnàatoì.ov xupt'ov,

I

Scorti i pellegrini, il i comanda a' suoi di radere so Eìenu cristiani (Cant. andate a vedere ne son cristiani}, <?■ se tali sieno, di far loro ogni maggior danno (Cant. xe son cristiani, sien pregi e tagliati). Oli infedeli corrono loro sopra corno come cani (Cant, con gran furore si mauser li cani) : e come lupi li sbranano. Uccisero quasi cento, uo- mini e donne; i superstiti legarono con le mani dietro la schiena: fra i morti fu anche il barone. (1).

Il Boccaccio ricollega le vicende de' pellegrini alla lotta fra Dio (Gio- vo) o Satana (Plutone), dalla quale comincia il suo romanzo, Pio offro a* mortali armi effi(^aci a difendeTli dalle tentazioni sataniche; fra queste

e tìilero passanti i Romtuii tutti nobili, cri che andavuno per vener apostolo del signora >. (1) Vi. 40-57.

mini pellegrini, iani (li fuJtì, tutti e il santo lacojm

148 armi sono i santi pellegrinaggi: Sa- tana dunque tanta impedirà cbe si compiano, o contro Lelio, che moveva pìamenta al tompio di s, Giacomo, spinge, a troncargli il cammino o la vita, re Felice di Spagna.

Egli convoca i ministri infei-nali, e, rammentato l' origino e le fasi del- l'eterno couflitto col cielo, Bo^nnge che tra i mem più sicuri dell' umana salute sono lo travagliose peregrina- zioni a lontani templi; che massima- monte i Romani danno agli altri po- poli esempio in così fatte imprese; ch'egli, infine, s'è proposto ri- trarli da esse: perciò comincerà a sfo- gar r ira sua sopra buon numero di costoro, che ora si dirìgono al tem- pio, il quale soi^o noli' strema Espe- ria. I ministri suoi facciano il simi- gliante ovunque sentano che si eoo Romani pellegrinanti a luoghi sa- cri (1). Satana voleva riferirsi alla

(1) J^., I. 18-19.

c-.

I

149

compagnia di Lolio, cho in quel men- tre cumminuva sulla via di s. Gia- como.

Il Boccaccio dunque pone diretta- meat^ sulla scena il re dell'inferno, e ci presenta un coucilio diabolico; ma del suo Plutone o Satana che si voglia, egli non si ferma a ritrar la figura, come avean fatto innanzi a Ini, terrìbilm<intti , Claudìano (1) o Dante, e come faranno più tardi il Tasso 0 il Milton : descrive l' in- ferno (2) e i demoni convocati. L'adu- nata de' diavolÈ nun è invenzione sua. Qui non li vediamo prorompenti a far guerra a' celesti come in Claudiano stesso (3), 0 in atto tumultuosa ribellione contro la volontà divina

(1) De Rapiu Proserpinac, T. 79agg.

(2) .\cceiina solo all' Acheronte nella frase: e il miserabile re, il cui regno Acheronte circocila >. Più in ìk (p. 45)

i fiumi di Stìge.

(3) De liaptu Pr.,1.32 Bgg.

^^^^^^^^ ^^^B

^^M corao nd Taagdo ipocrifu Nìeo-

^H tMM (2); ma norahi ti qb ancOlo.

^H dogU dei RiU-Oliapo. Coà «M«re-

^H k-, «Omm. «X. . L 1. MaW», Ed.

^H 2. HwtMttsi- nt«. pp. «S-: **-

^B lUto. [883^ L pp. so «ff.); ». «-48

^H e teMtk /&cÌM d> tW-. £«(., ffiap.

^H d da iafcm ,«» pMto.

^M (S> A./:. Vin.aSwt.CA wa «Ha

^H «otnaponOaasa fra U laogo daaUK»

^H IimUu tu Nii-HieiWK Si noli iati -^Mi

^H Veagilio, aUonbà i jmiMti Ja' cmAi vm-

^^H taau Dito al sw alanno, maianta la

^H CnMV, 1UB.Ì0 !G«M «a' ÙLTenw:

^^H QimU lor tm-Mfeua aoB <t uiwva.

^H OU tP> rwn aaou MVretepurU.

^^M La qual MBU «natta nacur ai trunt.

I

gsti li traviamo in un racconto cli't) nei bìalagki di Gregorio Magno, ove si narra che certa volta un ebreo colto dalla notte in cammino sulla via Appia', ei ricoverò in un tempio antico d'Apollo, e qui, appiattato, paté assistere ad una conventicola di demoni (I). Ma più ancora il luogo boccaccesco ci fa rammentare il con- cilio infernale, ch'ó in principio del Merlino di Roberto de Borron (2), Si tratta qna e la di riparare i danni, che l' inferno pati quando Cristo sceso a spogliarlo de' giusti morti innanzi la saa venuta, e 1' uomo, redento, fu ravviato sulla strada del cielo. (3).

(1) 8. eregorll ecc., Opera. VenotiÌB, 1769, VI. 181-83.

(8) P. Farla, Les Romani de la Table Ronde. II. 3 B^g.

(3) Uu concilio diabolico s'incontra puro Di'amma Saci-o italiuno : cfr, D* Ancona , Origini del Teatro in Italia, I. 156-57.

15é

Ma in qual modo Plutone impedi- sce a. Lelio ed a' suui di compiere il pellegrinaggio? Adopei'ando la qua- litil, che pili Toleatiori la fantasia medievale attribuiva al diavulo, aJo- |>ei-ando la sua perfida astuzia. Ecco eh' egli 8i trasforma nel cavaliere che, B nome di re Felice, governava Marmorina; inforca un cavallo di spettrale magrezza, e corre difilato ove quel re stava dilettosamente caccian- do: gettatoglisi a' piedi narra il mi- serando caso di Marmorina assalita da' Romani con notturna sorpresa e bruciata, ondo egli appena aveva po- tuto salvarsi ferito per dargli, prima di morire, il doloroso annuncio. Fi- nito il parlai-e, finge di cader morto innanzi il re. Questi s' afii'etta 8 rac- cogliere un poderoso esercito, a muove a combattere i presunti assalitori : in- contrandosi nella compagnia de' pel- legrini romani, credulo sempi-e al- l'inganno di Plutone, li attacca, e li

153 . Lelio rimane ucciso ut-Ua iia(l).

Esempi di dei che plgliuno fvrma ma ci oi^Do KDche qVi autori ; ma la metamorfosi di Plu- ì imaginata dal Boccaccio appar- ) Bconflnato du'tramu- Plaauoti diabolici secondo le credenze Iciistiana (2).

Dltblu H«it ilo tot IoDgaig«3,

le en fornii humamnt; Tm jiiTB de mal fkire se poiniie,

. Toccliio poeta francese (3) ;

oi indugiamo ad il-

1 E«oonda verso, perche co-

) trasformaziouì del diavolo

I (1) FU., I. 20-51,

I \^ Un'altra metamorfosi Ai Plutone Q poco pili lontano nel FUotolo stesso,

les-TO.

I) Dolopaihos , ed. Brnnet et Kod* (Paris, 18A0), 12141; B.Schr&- I Glaube und Aberylaubt in den all- t. DkhCungen, Erlangea, 1880, p, 07.

154 d tema assai coinuDe nei raci^onU me- dievali. L' episodio boccaccesco non fa che riconfermare ciA cbe nell' etA di mezzo si credeva universalmente, e credono ancora 1 volghi, che il dia- volo , per uBare le parole da Dante poste in bocca a frate Catalano de' Molavolti,

.. à bugiardo e padre di menzogna fi ) : cosi l'inganno, di cui fu vittima ro Felicfl, 0 peggio Lelio co' suoi ro- mani, b' inquadra in una lungUissima 0 srartata istoria di trappolerie sa- taniche (2). Per quanto poi (K pa- gano non abbia che il nome, e in

(1) Inf., XXni. 144.

(2) Rsoiii|)i d' iDganni diabolici vedi in Sl^ebertl Geinblaee&slB » Chnm., od ann. 43»; 8. Gre^rlI, Op., ed. eìL VI. 66-67, 93 ecc. ; lae. ab Àqnls, Ckron. Imaginis Munàì . Moo. HisL Patriae, SS. ni. 1417; Chron. Epiteop. Otnabury., prMM il Meiboa, itgrum Germ, SS.. II. 214.

I

fa a pezzi. IaUìo rimano ucciso nella migchia (1).

Esompi di dei che pigliano forma umana ci offrono anche gli autori classici; ma la metamorfosi di Plu- tone imagiaata dal Boccaccio appar- tiene al novero sconfinato de' tramu- tamenti diabolici secondo lo credenze cristiane (2).

Dìttbtea seit de tot leagaìges,

Et bifrt >c tnue tn forine humainne;

Toi jors de mal faìre se poiane, dice un vecchio poeta francese (3) ; occorre che ci indugiamo ad il- lastrare il secondo verso, perche co- desto delle trasformazioni del diavolo

(1) Fil., I. 20-51.

(2) Un'altra raetamorfou di Plutone vedi poco più loulano nel Filocolo ateaao, I. 68-70.

(3) Doiopathos. ed. Brnnet et Mon* Ul^«a (Paris, 185G), I2t41; B. Scbrii- der, Gtaube rnirf Aberglaube in den alt- front. Diehtuiigm, Erlangeu, 1886, p. 67.

I5fl

Ma in quosUeoù ampia libortA di rimaneggiamento ìncoDti-iamo perù qualche dato, che appartiene ad altre delle redazioni da noi illustratf. Se- condo il cantare, seguito dal poema greco, re Fulico scorge primamente ì pellegrini al passare d' una montagna, sul far dell' alba : a tal ^'ista ogli eccita i suoi a piombare sopra di essi. Cosi, in fondo, nel più complicata rac- conto boccaccesco, ove pure sul mat- tino re Felice dall' alto di una mon- tagna, che gli couveuiva passare, vede i pellegrini , o comanda a' suoi cavalieri di scendere ad attaccarli (1).

I due te«ti si corrispondono poi anche nel fatto che re Felice non com- pie in essi, come ne' due poemetti francesi e nelle redazioni affini, alcun viaggio marittimo por condursi a combattere i cristiani.

(1) Si confrontino lo SU 5 e 0 del Cant. con le pp. S8'3I, I voi-, del Filocolo.

157 É ehiaro tuttavia cho il caiitiirt» nella parte, che ora si analizza, è indipendente dal Filocolo, la i|uello e Delle altre versioni s'ha un adom- bramento (antaatico della realtà sto- rica: una scorreria di Saraceni in tenltorio distiano, e lo scompio do' pellegrini incontrati per via. Non e' entra dunque affatto il meraviglio- so, il soprannaturale eh' è nel Filo- cólo; nò Giove Plutono, Dio Satana. La fantasia erudita di messer Giovanni dilata la scena, e feconda un lieve gemae: nella leg- genda è la soliietta verisimiglianza dt fatti umaui ; nel romanzo boccaccesco invece gli accidenti dell' azione umana altro non sono che effetto della lotta etema tra cielo ed inforno, lotta che lia fondamento cristiano, ma si vest« pur di forme classiclio, si che la contesa fra Dio e Satana fa rammentare quelle dei Numi narrate dai poeti greci e UtiDÌ. Re Felice cosi non è più un capo feroce di predoni pagani : diventa

J

r in^nuo strunientu dell' ira di ! tana. Egli non prende 1' anni contro i cristiani per odio alla loro fedo; ma I>ei' difendere il suo regno da una creduta invasioni! (1), Anzi la di- stinidono di cristiani e di siu'aciui nel ) del Boccacciii non à più cosi netta e precisa come nelle altro re- dazioni dollu li«ggenda: vediamo in- fatti che gli unì e gli altri adorano le divinila dell'Olimpo; e che la steesa erudizione classica de' discorsi di Le- lio fiorisco in quelli dol ro Saracino (2).

(1) Vediamo anzi corno egli, coooscialo che Lelio e i suoi ei'aao innacenli dal- l' eccidio di Marinorinti, pi-ovi rammarico di averne fatta strage: cfr. FU. I. 62, 66.

(2) FU., l. 24-27. Re Felice, oltre che Marte, nomina nell" invocare l'aiuto di-

, Oiove e Oiunoiie; Lelio (p. 43) prega Giove. Certo s' iotendo che il Gio- ve, cui si volge prcg'hiera do" cristiani, 6 Dio, ma per queala, sia [iure appiirente, comunità di culto la dìvei-silà religiosa

i

Ciò che muove costui è ^liuttostii U>r-

de'due popoli non ò più cod manifeata. Lh Dazioualità do' nemici di Lelia à peri) indicata qua e chiaramente: «... già ionumerabill quantità di saette e d' ap- punlati dardi erano sopra i Romuni gio- rani discese, gittate dagli archi di Par- ità e dall' arabe braccia * (p. 45); «., .. mescolando le romane ceneri cult' arabiche non conosciute > (p. &1|. I Saraceni soii ■letti canina genie (p. 46); altrove sono eRpresuoni come queste: un ardito ara- bo.... > {p. 43); «... aff'ricaiii bracci * (p. 50). Quando Lelio s'accorge delU genia armata, che gli si fa incontro, sospetta che sieno nemici della sua fedo , < perocché noi dimori;Lmo, egli dice, io quello parti nolle quulì ha più persecu- tori della nostra novella e santa legg'e. che qiiaw in niuna altra del mondo » (p. 33). Vedi pui-e pp. 36. 37. Il Boc- cacdo imagina che re Felice fosse « ni- pote d' Atalante sostenitore de' cieli > (p. 20): ora, poicbò si favoleggiava che Atlante abitasse uell' Africa di conti-o lu

rore del grande nomn romano (1), Mostre dunijuc il poenK^to si collega strettiBsim&mente alle aliro Ti.Tsitini ed e un fi<lo e immi-diaUi riflesso po- poUre della |{^:<?nda, il Fìtocoto se ns staoca affatto, e ]>reseiita i carat- teri di mi rtmaneggiiimciilu Iett«nirÌo. P«rò. se levi ciA che indabbia- tnoote epetta alla fantasia ed alla dottrina del Boccaccio, 1' elemento suprannatnrale, le reminiscenza clas- siche , aggiunte fatte nel li)>ero STol^menlo del racconto , Tediamo eome il Filocolo s'accordi col cantare

Spagna, si potrebbe ci«dere rhe in que- sto modo il nostro autore volewe adom- brare U proTeni«Dta di lui e del lao popolo dall' -africa setlentrìonole. L*o- mdizioiio claaìica, di rui ta efog^o re Felice, vedi ne) diarorso che gli b posto in bocca, pp. 2&-2fì: confronli anche il discorw di Lelio, p. 34; l'altro a pp. 36-37 ecc. (1) FU., I. 66.

I

161 ' meglio che con ogni altra versione. Tuttavìa s' avvertii oha nel romanzo non determina ' che fossero trecento i cavalieri pellegrinanti col BÌgnore romano, corno nella rima (1); che inolire, mentre in questa non a'ao- oonna dove sia avvenuto lo scontro fc& earacini e romani, nel romanzo si rileva, spigolando qua e là, cho esso accadde, Beeondo voleva la ti-a- diidone comuno della leggenda, non lontano dal tempio di s. Giacomo (2).

(1) Vedi Fiìoeolo.l. 18, 32, 35. A coloro che eran partiti da Roma con Lelio ai aggiungono per 'via altri giovani egual- mente diretti a s. Giacomo (pp. 32, 35),

(2) Lelio cninmiDaTa ormai da quattro mesi allorché fu pervenuto al punto, in cui ro Felice lo attaccò (p. 28). Egli avea valicati gli Apennioi (p. 28) , era pnsaiito da Marmorina, posta nll' entrare nel re- gno di colui (p. 62), vicino a quei monti (p. 20), ed ora a" atTi-etlava verso b. Gia- como, eh' ora agli ultimi ronlini del re- ' goo steBSO (p. 62). Quando si vide pro- li

Ma e' 6 iissai pia, porche queste sarebbero dissomiglianza troppo leg-

ceder i^otttro U gente di re Felice ei tro- TATA in pEMsa pagano: < perocché, egli dice a' suoi, noi dimorianio in quelle parti n«U« qiuli ha più peraecaMn della oosti'a novella e santa legge, che quasi in ninna altrs dal mondo > , p. 33. Vedi pnre p. 3G. Cbe la zaffa sia acCBilata in (spagna à desume anche dal luogo, ove è detto cho e non solamente i Inpi di Spagna oocii- paroQO la sventurata volle (dopo la strs^ di Lelio e de'suoi), ma ani-ora quelli dello strane contrade rt'unero a pascersi sopra i mortali pasti » (p. 64), Altrove (li voi., p. 367) si vede che. raccolto r ossa travate sul campo di battaglia e lasciatole sotto suflirienta custodia, Fin- rio e Biancifiore, cavalcando iananii al loro cammino, > poco distanti tn breve al dimandato tempio (di ». Giacomo) pei'- vennero ». La mischia dunque aveva avuto luogo poco lìiglanle dal tempio. Non è a dire che il Bocc. qiii abbia at- tinto a' poemi francesi, perchè egli si stacca da tutte le oltre versioni imagi- nando che a. Giacomo fosse dentro 1 con- fini del regno di Felice.

163 giere: il Boccadcìo nomina la città di Marmorina, e la imugina soggetta alla signoria ili ro Felice : anzi nel ae- guit» fa che buona parte delle cose che narra ahbia luogo in questa citta. Il cantastorie invece non la menziona mai. Si sa poi che Marmorina è Ve- rona (1); ma ili ciuesto si dira pitì

(1) Sorto, Leu. sui Fil., Atti dei R. laL Yen., Serie III, 10, pp. 067-73. 753- 73; Rajna, Uggeri il Danae nella L«i- teral. romanzesco d^ti Italiani, Roma- nin, in. 49; Norati, Sulla eomposii. del Filoeolo, Oiorn. di Fil. Rom. , III. 62-65; SfnlmerOf Sulla eoroiftafia del Filoeolo, Rivista Minima, XIII, 7 (1883); Graf, App. per la »i. del ciclo brellone in Ita- lia. Giara, et. della Lett. it., V, 125-26, Verona fu detta citlà marmorea. Mar- mora, Marmorina da' mannorei palagi, 0 dai marmi, che ai cavavano nel suo territorio, Luoghi del Filocolo, dai quali apparisoe evidente che la Marmorina del liuccaccio è Verona: I. 165 (Florio e

L

avanti. Anche qui Hiitii)U<> può sor- gere r ipotusi cbo il Boccaceio abliia profittato di una fuul*^ affine al can- tare, ma non cosi secoamento com- pendiosa.

Asralioae movendo a saNur BittQCÌRoi'e prendono U cammino verso la Braa [Pra- ia], la nodaiima piazza di Verona, ove sorge l'Arena); 179 (s'indica ancora la Braa); 289 (Fileno, fuggito di Marrao- l'ioa, dopo aver veduto « l'uno e l'altro lite di BacchigliODB, pervenne alle mura cwtrutte por l' addietro dall' antico An- tenore, e in quello vide il laoi^ ove il vecchio corpo con giusto epitaffio si li- poaava » [Padova] ecc. ecc.; 308 (non lontano da Marmorina sono i porti, <ìà dove il Po le Hoe dolci acquo mesoolu colle salse >); 309 (a'acceiuia ancora alla vicinanza di Marmorina all' Adrìatico); 350 (le case re FeUce sono proasime all'Adige); II. 5 (da Marmorina Florio e ì com])agni toccan prima Mantova); 188 (Florio ai diue purtiW < dallo ton-e che l'Adige riga >).

165

La stori» di Rosana, a i]uesti) luo- go, uon è molto diseJmile da quella di Florio. Il re di Cesarea, fiero ne- mico de' romani, che gli aveaa tolta la signoria della Cappadocia. coglie i pellegrini ad un passu difficile, ùvù s'impegna aspra battaglia, e li fa a i noti che qui pure vien tesa un'imboscata a'iiellegrini, eche il loro duce, re Austero, perisce, come messer Iacopo e Lelio (1).

Vedemmo che Persio e Topacia > da Roma scompagnati (2); nel romanzo spagnuolo non s'accenna por conseguenza a nessuna battaglia. La Spagna era quasi tutta de' Morì : il

(1) Race, (li Uos., pp, 13-14; Rappre- seaL, pp. 374-75.

(2) L'Hanaknecbt, p. 60, nel risa- scrìve: <.'.... brecban

Panna, Topacia, und ihre beglei-

tung auf nach Spanien >. Credo

che le parole spazieggiate non trovino rlsoontro neppure nel l«eto seguilo dallo studiOHo tedesco.

ra crùtiano di Gallida v di Portogal- lo (t) poguva tributo a Fetide, re Sara- cino. Costui manda snoi messi per a- Tere il ti-ibnto consueto; ma il re cri- «tiono rifiuta di pagiirlo, pei' cui s'ac- cendo guerra fra i due. Il Saracino, fatti) vutu ili non risparmiare cristia- no, che gli accada incontrare, esce dolio Bue terre cuntru il vassalli) ribel- : invade, veri similmente!, la GalUzio, cunforme il dato comune della l^igen- da. S'avverta cerne anche U romanziere spagnuolu si scosti dal Boccaccio. In- tanto i nostri due pelU-grinÌ tapioavatio (tuli' U«pr» cammino : un ^-iorno, fi-aati dal caldo, sostano a ristorarsi nella fiMWura di un pratu, presso una footo,

(1) Nel iMtD tp. ora par« vhie una mU panona cwgaaaa» iwlL* in» primazìe ; oca oh* loMMV ilua N ilntiuti: 4 liiie In U- •liirÌA (■« 4 ra? Jn lìolìiia t •!• Partii- m1 au/t tffua chrìftCuuio^ ^^^t^n càiitto ttilHilO a E'Wkv . . . >. S oaà aoeb* pift

allorché sopraggiunge 1' antiguardo pagano. Interrogati se sieno cristiani, lo aSenoano impaviiii, ondo il cupo de* Mori fa ucciderò Persio ; ma non ha cuore di spegnere la donna, cho gli piace invece di serbare, qual ghiotto dono da offrire al ro (1).

Anche il romanziero spagnuolo, co- nie si yede, ba rimaneggiato libera- mente il racconto: egli infatti asse- gnò alla iinpreBa aaracina un motivo che forse, ignorando i:tuelli accennati nelle altre redazioni, ha imaginato egli stesso (2^, dietro la tradizione

(1) Ff. 6 T.-7 r,

(2) Nelle già citate romanza portoghese e CBBi-catalans il oonte Flores è colto da' sarocini non mentre andava, ma men- tre tornava da b. Giacomo. Dalla prima di osse noQ s' accenna a resietenza ilei conte (HardnnS) op. e 1. cit.):

Deram com o con de Flores Que vinha da i-omaria: ^mha Ut de Samtiago, Sarotìago de QalLiza;

delle lotte ebe limgamiaot« si stw eombotinte nel mo paese fra ro cri- stiaai e re mori. Ma io fondo rimane pur sempre it arno essenziale d'una incursiuno ro Felice in OalUzia per odio a' crìstìam. L' autore 8pa- gnoolo si allontana dunque dalla for- ma origtDarìa della leggenda meno del Boccaccio. Egli non mantenne il particolare della imboscata tesa dai pagani a'pelle^ini; ma si noti peni che anche Persio e Tupacia, non a- Tendo aTOto aleno sentore dell'ap- pressarsi degli infedeli, sono da questi

MalATam o conde Flore», A cundena vai captila. La seranda invece adombra codesta resistenza (KUàr Fontanals, op. e 1.

city.

Vod Venir el curnle Floris | »)U0 viene da romeria,

\ì»ae de pi-egar h Dìos | nue le diese un hijo o hiJL

( Comte PlorU, comte Floris, | tu mtijer aoii cautiva i

I Nn cera rautìva, nò, [ aunque me cueste la -rida *.

Malaron corate Floris, | quedik su mojer cautiva.

160

l.sorprosi. MesseF Perfiio non oppone I resistenza; il die si spiega ripmisundo Ifibd il rommiziiire lo ha fatto partire 1 compagnia e senz' armi, con la I BchiaTina soltanto e il bordone dei l'pellcgrini (I).

3. Uccisole il marito, ì Saracini I fa'aggon seco la donna innanzi il re: r questi, al vederla cosi bella e gentile, [ rallegra del dono ofibi'togli; indi, r reduce dall' impresa di Qallizia, la I presenta alla regina, che so ne com-

(ì) Nel rifacimento moderno del ro- Buuuo Bpagnuolo i due pellegrini fan ft viaggio terrestre; ma poi, vinti EftuicheEzs, montano sopra una na- T In mure che son eorpi^si dai mori: Rostro galere di corsari assaltano U FnsTa, ov'esd trovanà, e una palla moi'»' B trapassa il petto di Micher Peroio. B {}ui Biamo forse men discanti dalla roila- I originaria della leggenda, per la i.^uale i pellegrini sono appnato assaliti » veri pi-edoni aaraceai.

piace viramcnl«. In questa parte e l'acconto il cantare si aceusta al I poema fì-ancese ed alle versioni bJ&oì.

Testo frascesk,

Au roi Felis l'ont pi'eseiitée, Et il l'a forment eigardée; Bien aparpoit a son viaoge Que eie estoit de haut purage, Et diat. s' il puot, qu' a la rotnu Fera preseiil de la meachuie (1).

. . . por sa purt, a la roine Doae de gaaìug la neachine. La roine a' en (kit moult liée .. .[i]

Testo ftamìLvo.

daTunti a lo re la presenloro, a quel presente beUo tene cara.

Lo re quando la vidde si belliaumu quella criatiaua di terra latina, bene la tenne por gioia grandiainia;

(1) Vv. 103-108.

(2) Vv. 131-133.

diedek ìa guardia

Naia fu in Itoraa la genti lisi ni a:

apruseotar k fece a la reiiia,

e quand' aparve In bella cristiiina

ella reina beltà (enea cara (I).

n cantare tuttavia ó qui pure più breve aesai dell'altro redazioni ; quindi manca d' ogni particolare sul ritorno di re Felice e de' suoi Del loro paese. Altrove si narra che essi Bonu sbar- cati a Napoli, che nella fantastica geografia di questi vecchi poeti è fatta capitale di un re di Spagna, od a To- ledo, che non meno Etranamento si muta in porto di mare, o, cun veri- simiglianza senza confronto maggiore, ad Almeria (2) ; nel cantare invece il ritomo ó af&itto sottinteso, come si vede nel passo testé riferito.

(i) St. 8-0.

(2) n troverò del I testo fr. à'ic.e che il re pagano amoata < a Naples, a la cita bela > v. 119: vedi pure il poema del Fleck, v. 498. Cfr. Sommer, ^. 285

Il poema greco soguo l' italiano con la osata fedeltà (1); mentre senza con- fronto più ricco si svolge il Filocoìo. Dopo la battaglia tra la gpnto di iv Felice e i romani, al calar della sera, essendosi riavuta da un lungo tra- murtimeiito, cLo il romanziere fu du- rare dal principio della zuffa sino a

Wehrle, pp. XXXIII-VI (ove si spiega Del modo più pei-Hua^vo come Napoli possa esBersi imoginata capitale di un regno di Saraceni apagnuoli); Dn ULi' rll, pp. Ixvj, ci. È il rìman^giatore olandsM, Diedei'ic van Araeuede, che fa sbarcare il re Saracino noi porto ili To- ledo (Sommer; 1. e). Alroeria è indi- cata inTece dal secondo troverò francese: V. 165.

(1) Vv. 68-71. Fa già notalo (Henotr, 20. n. '" ) che nel testo greco manca il passo, ove dovrebbe accennarsi che Ìl re ha affidata la prigioniera ciistians alla regina: vedi tv. 72-63. Sarà ancha qui il eaao una lacuna del i del poemetto 1

I

173 puntai, Oiulìa si aTvede dai pianti cho tacevano le sue compagao come le armi de' auoi fossero state sfortunate. Quasi foi-sennata, ella corre tra i morti a cercare il corpo del suo Lelio, e, ritroratolo, si lamenta o piange, e fa con le compagne riso- nare di lungo gemito, nella notte, la funerea valle ; tani-o che il re manda ano de' sui cavalieri, Ascalione, a vedere onde movessero quei lamenti : Ascalione ritrova Giulia, la conforta, la rassicura, o la persuade a seguirlo innanzi il re. Costui la accoglie pie- tosamente, la rianima, e quindi, con- dottala seco a Siviglia, la presenta e raccomanda alla regina (1).

Di questi fatti non trovano riscontro nelle altra versioni se non quelli che si debbono riguardare come fonda- mentali, perchè anche qui riesce evi- dente che il Boccaccio ha con piena libi'rta rifatto ed arricchito il rac-

(1) FU. I. 53-6D.

174

cooto. Cosi Tediamo che Giulia, la (juale cerca nottetempo fra i morti, sili campo di battaglia, il carpo At>\ marito, e sovr' esso, scopertiilo, si abbandona e si aciùgUo in disperato pianto, ricorda un'altra dolorosa, che un poeta caro al Boccaccio rappre- soDt6 nella stessa condizione: vugliam dire la Argia di Stazio, vagante del pari fra le tenebre in traccia del ca- davere di Polinice (1).

(1) Tehaide, Xll. 280 sgg. FU., 1. 54: 4 E andando ella per lo (^ampo pian- gendo, e Bprez7Aiii3o le sue bellezze, molli corpi morti colle sue inani Tolgea por

trovare il suo misero marito ». T«b. .

XII. 28S-90:

viauque sagaci

Kimutur poaitos, et corpora prona supiaat

Incumbens

Il Boccaccio rìesce però inferioi-e al poeta imitato: confrontino infatti le parole: ( e poiché alla n'eblie molti livolU. e

rìconoaciuto il suo Lelio,

quivi sopr'esao «emiviva piangendo cadde

175

Pare il romanziere spagnuolo narra che il re Saracino assai pregiò il dono della bellissima cristiana fattogli dai suoi ; ed aggiunge che, affidandola ad un suo cavaliere, tosto la mandò

ecc. ecc. », coi versi 317 sgg. del poema latino. Nel discorso che indi segue, Giu- lia rimprovera dapprima il marito per essersi scostato da* suoi consigli ; ma poi, pentita quasi, soggiunge : « o iniquo pen- siero, e sconvenevole volontà, recate la morte in me, che non Tho meno meri- tata che costui ecc. » (p. 55). Cosi ordi- nato e intonato è pure il discorso d' Ar- gia, che, dopo gli amorosi e sconsolati rimproveri, esclama (vv. 336-37):

uid queror? ipsa dedi bellum, moestumque rogavi sa patrem, ut talem nunc te complexa tenerem.

Giulia aveva il volto brutto di sangue (pp. 54, 58); Antigone, sopraggiungendo, scorge la cognata (vv. 363-65):

atra sub veste, comisque [uallentem, et crasso foedatam sanguine vultus.

alla regina, odia citU Caòt^ fi Oriego (l), ovo le fu fatta da i]uella

Vedi deUa slassa T^ide. III. 130-30. Oìnlja bacia il cgrpo Lelio (pp. 54-^); Argia e Antigone baciano in- sieme quello di Polinice (vr. 3S5-8S). Cfr. anche XII, 27-38. Aacalione dice a Ginlia (p. 60): < or se doÌ ti roleni- iDO qui l&eciare, non ti spaienterebbono gli infiniti spiriti de" morti corpi sparti por lo piangevole aere? >. noti rome Argia TagBBie pel campo (tv, 284-85).

non circuDofusa tremiscens

l'oncilin umbrarum, atque animos sua membra gemenb^

(1) Non Oi/wfa dei Griego^VHi. Morii, [t. c]j ; HansknecEit, p. 60). Il Du Mèrli, I. e, riteneva che questo nome dato nella varuone apagnuola alla capitale dei pre- doni taracint volene a sostegno dalla sna ipotesi che la leggenda si fosse formata in Oriente. Cabota del Griego gli parava denominazione orientale, come quella ahe «■sanse Corinto nel medio evo. Caput Achajae. Se non che il Du Mèrli ha

r ncGoglienza festosa che dicono pur le altre redazioni (1). Lo epagnuoto dunque fa eompre come il Boccaccio :

fatto ì conti senza i Dizionari geografici: ce n' è uno, voccbio ma buono, vhe mi atteita la reale esiaten»! in lapugna di Cabepi-et-griego, mentre in altri piii re- centi macca ogni indìcozioue del luogo. Vedi Bruttn de la Hartinlère , Le Grand Dietìonnaire fféoi/raphigue hlslo- rique et critiqve, T. 2. , Paris, 1768, p. 3: « Cabe^'tl-grùgo, village d' Espagne daos la TÌeillo CaHUUe. Moralez, Mariana et Zurìta, laissent incertain, ai c'est dang ce lieu, ou & Ineesta, bourg voiein, qu' il Taut cbercher l' aacienne Segobrlga, qae d* autres clierclient beaucoup : Segoi've. >

(I) F. 7 V.; HanBkneofat, p. 60. Anche nelle romanze portoghese e casti- gliano- catalana è lieta l' accoglien la regina mora fa alla prigioniera. Vedi opp. e II. ce. Nella redaz. moderna del rom. ap. , Topacia, divelta dui cada- Tere dello sposo, ch'è gettato in mai^ Tiene dai conarì presentata al loro re.

178

amplia e modifica liWamente il rac- conto. Qui infatti egli non ee^ao \a rimanenti versioni, nelle quali il re stesso presenta alla moglie la schiava, tornando dalla spedizione contro i cri- stiani: ed è naturale, che quando la donna cade in suo potere, egli non ha compita, come si narra altrove, ma appena cominciata la guerra in Gal- Ikia; del suo ritorno quindi non si poteva parlai'e cosi presto.

Ora ecco insieme la regina e la scbiava. Cosi nel 1 poema francese che nel cantaro vien posta in rilievo r amicizia confidente strettasi fra le due donne, di che tace affatto l' altra redazione oitanica (1). Occorrono tut- tavia segni chiarissimi che il testo

presso Argel. Costui pregia molto il do- no, e manda la prigioniera alla regina, che la rìceTe con vivo segno di aggi'sdi- inento.

(I) Nel II poema fr., a qneato luogo, ■I narra invece che la duchessa d' Olenoia

^^H italiano non dipende direttamente ^^H dallo straniero: questo si rode aperto ^^F puF dove essi si accoBtaao, senza con- ^H tare che nell' uno si leggono parti- H^ colapi, che mancano all' altro. Il tro- verò narra che la rt'gina consente alla cristiana di guardare la sua fede, e che da lei apprende il francese; il

t cantastorie, in cambio, sa dirci i nomi delle due donne (1), de' quali c'im- porta specialmente il primo, quello della cristiana (Topazia), perchè, se- condo già si è notato, ripetendosi nelle quattjo nostre versioni, vale a renderne manifesti gì' intimi rapporti. Le due redazioni si somigliano U dove rappresentano la schiava intenta a leggiadre opere mulieri. Mentre è in- tasa a queste, essa impallidisce, si la-

pletceameote s'ingegnava di campare il manto, langueoU in prigione, serbando- gli la miglior parte del cibo, ch'era a lei assegnato, e raccogliendo le briciola della mensa del re (vt. S05-18). (1) St. 10.

bi^w^^^v.

kS»fcHM&.

.^^«ai_ «._.(■)

(ttiv tajs

18]

i le puose H

e standosi e

chella reina

Una tela che Tenne di Dolraam,

di seta e d'oro, che rendea splendore,

daTanti & la criaUana la fa metai-e,

cba molto bel lavorio gapaa tesere.

La crestìana istava pensosa, e nel ano tìso nono' avea colore, edicia; lassa che son, dolorosa, che non mi venne d'una lonza al core? ch'io fossi morta, di sa venturosa, quando fu morto '1 mio doke signiorel Con lui mi moB^ con grande lelizia per andare a V aposto! di Galizia.

Ella reina disse: donna mia, per lo mio amore non ti seonfortai'e, e si mi di' per la tua cortesia, se tu se'grossu non mello cielare, eh' io t* iaprometto per la fede mìa, eh' i' ti ferù servire ed onorare: or ti conforta, e sta alegramente ; eredo eh' aremo frutto insiememente (1).

(1) St. 10-12. Nella prima di queste St. a tela di seta e d' oro ( broc- catot Haratorl, Ant. Ital. , II. 401) ve-

i

I8S

È questa una scena dotceioea- te intima 6 vera; ma il nodo che lega il particolare de' graziuei ricami , onda si piace la cristiana , all' altro dello smarrimento che la coglie in- tanto che attende ad essi, e de' con- forti, che la regina adopera a rin- jraacorla, dev' essersi allentato via via nei rimaneggiamenti e nella tra- smissione della favola, cosi che noi cantare esso non risalti manifesto come nel poema irancese. Adombrati in ottave diverse, ì due particolari anzi furono disgiunti: vi sona infatti testi del nostro poemetto, nei quali

nula di Dalmazia. Non so che tele cesi fatte potessero venire di quel paese. Può darti che U poeta sìa stato condotto a nominare la Dalmazia dalla necesBiti delta rima; o che sia accaduta confusione nella aua testa poco erudita fra l'indu- ■tiùa di quelle tele e l'altra della lana, onde la Dalmazia, che avea dato il nome alla famosa tuga dalmaliea, ara stata fio-

k

la stanza, ove s' accenna a' lavori di Topazia, truvasi fuori luogo, segue cioè alle due, cui dovrebbe precedere, a quelle, che ci rappresentano re^na e schiava strette In fraterno collo- quio (1).

XjO atesso spostamento ci si offre nel Fitocolo (2). Dopo non molti giorni dalla battaglia co' pellegt-ini romani, re Felice, insieme alla mo- glie e a Giulia Topazia, da Siviglia si reca a Marmorìna, eh* egli stupisce di rivedere intatta, contrariamente a ciò che gli aveva fatto credere Plu- tone. Giulia era tutta lacrime e so- spiri: un giorno, la regina, vedendola piangere, le rivolge amorevoli parole, e si studia di riconfortarla. Qui, ove si sfrondi il luogo degli esempi di romana fortezza, che quella adduce a rilevar l' animo dell' afflitta, ci ai ri- presenta la scena, che ora dicem-

(1) Vedi nota alla SL 10.

(2) Pp. 67-68.

ifwtoi^CW

> ì'amen àdim n^ìML, Gì»- Ba « neqvetk, e, per fmgs^ roda. tafpaa» di tetri tÌMrC, « eoBe fio-

àa aeU BobfiiMUM tele di dmra» or- m*gim ilganto >. A queste parale cmjtpoads il hugo ^ fednto dd antan, in «ni ri narra, dw la ngiits

£ wta e d'oro, che randa* apleiuiors,

dsFanti A Ia criatiaiu la metore,

cb« mollo bei Uvorio mpeK tesara.

Qui dunque U cantare, serbando la

disposizione del racconto eh' 6 nel

po^^mA francese, rifletta, lontanamente,

la redazione prlmìtÌTa della leggenda,

tnuQtre il FUocoh, come talnni testi

tralignati del cantare stesso, a' quali sopra fu accennato , presenta una alterazione (li quella.

Nel nostro poemetto il giorno del parto non 6 Lo stessa che nello due veroioDÌ francesi e nello altre affini alla prima: in queste la nascita de' futuri eroi del racconto avviene di Pasqua fiorita (Domenica delle pal- me); nel cantare invece di Pasqua ) (1). Cosi in eSBO

(I) 1 poema fp, vv. 161-64 (per le i-eda- xioni alRui vedi HenOff, p- 21 ); Il poe- ma TV. 2S5-S8. Seconda la redazione basso- tedesca i fanciulli nascono nello etesso giorno di Pasqua (Sommer, p. Sd6; Dn Xéril, 1^1 Uerxog, 1. e). Dol Cant. vedi St. 13-14. Sul valore di Pasqua fioiila e Pasqtca rosata c(r. Du Cange, a. V. Puaclia; Boquefort, Giosi, de la langue rom., s. v. Pasques-eommeniaubi ; Dn Mèrli, pp. liiv. n. 2, isris. n. 3, Isxxiij. n. 1; Llttre, Dici. fr.. a. t. Pd- que; Laronsge, (Jr. Dici. Univ. ecc. s. V. Pdqiu. Il Diz. del Godefroj' uon è

ise

manca il rapporto che si avverte net maggior numero della altro redazioni fra quello del della nascita e i nomi posti a' due fanciulli , Florio e Biancifiore (1). D' uno solo di questi nomi è data spiegazione dal conta- storie, di quello di Biancifiore, eh' ei dice nominata così perchè 8* ELSO migliava al fresco gUglio (2). Pur nel romanzo boccaccesco le due donne partoriscono il di stesso: < nel

ginolo ancora olla voce Pdque o Pasque. Vedanù inoltre i Lessici italiani, e Bajoa, Rinaldo da Montalbano, Propugnatore, HI, 323. n. 1. Pasca floria anche in pro- teiisale, ma in senso indeterminato di primavera (Ka^nonard, Choix, V. 41, 31fl! Lux. Som., IV. 4<5).

(1) I poema fi., 169-73; Il poema. 131- 36; poema del Flock, 59S-95. Vedi Her- «Off, 21-28.

(2) St. 15. Mentre il nnme di Biancif. parve equivalente a ff'glio , va quello di Fiore, Florio, si volle il senso di rtisa.- t(r. Dn MérO, ci. □. 1. Vedi pure Wetir)«,

fiocondo giorno, scrive 1' autoro, elet- to per festa de' cavalieri, essendo Febo nelle braccia di Castore e Polluce », ossia essendo il sole in gemini: par- toriscono dunque di maggio, come vnole il cantastorie,

di magia eli' è la rosa in eu la spiaa (1).

Messer Giovanni non profana la Sua aulica prosa nominando, come un volgare qualsiasi, la Pasqua rosata: egli narra che i due fanciulli nacquero nella festa de' cavalieri. Ma in altro luogo della rima si dice:

domenica si è pasqua rosata, che «ara feata per li cavalieri {i

np. cit., p. XLIIl; I. Grimm, Ueber Ftxtuennamen aus Blunten, Mem. del- l' Accad. di Berlino 1852, p. 129, o Klein. Sehrifl. II, 396-97. Sul rapporto tra il nome de' laDciallì e i fiori parla anche il Sonni er, xxi-xxzii.

1(1) St 13. (2) St. 119, Con tale festa de' cava- lieri s' intende certe una eour pieniére.

dunque le due iodicaziouL si riferi- scouo all' identico gioroo , e il Boc- caccio s' accorda in questo dato non già co'troTeri IraDcosi, ma col can- tastorie toscano. Egli pei'ò ci offre maggior copia di particolari narrando che le due donne partorirono ad ora diversa dello stesso giorno: la regina il mattino, Topazia la sera (1).

una delle briilsnti adanate cavalleresche, che HTean luogo allo tre Pasque; usaoia, com' b noU), di lontana orìgine germa- nico, che si riflette nelle naiTozioni epi- che e romanieache del Diediuevo iL. dati- tier, Èp. fr.. T.' 13; V. Paris, Rom. de la Tabu Ronde, 11. 64).

(l) FU., I. 80. 71, 73. Topasùa so- stenne coel grave doglia, dice il Boec, che « tra V erronea gente ai dubitava non Lucina sopra i suoi altari stesse con le mani comprese resistendo al suo p.vto,

0 con divotì fuochi s' ìngogTiavsno

di mitigare la colei ira ecc. > ( p. 71). Ma essa è liberata da pericolo quando a Oiove piace por fine a' suoi dolori (ibid.). A' Sa-

Eguale rispondenza mostrano i due testi italiaui nel fatto che per essi Topazia muore dopo il pai'k), mentro nelle versioni francesi e germaniche aoprawive. Nel Fi/ocoìo la morente vuole che le sia posta &a le tremanti braccia la bambina di fresco nata, la bacia gemendo e lacrimando, e la raccomanda, poco prima di spirare, a Glorìzia, la più diletta o Ada delle ancelle, che con lei, dopo la strage de' pellegrini, erano cadute ia potere di re Felice. Qui pure il cantare si mostra indipendente dal filcolo.

Nel racconto boccaccesco, come nel-

nicaai dunque il Bocc. attribuisce il culto d«gli dei latini, e li chiama erroiua gente; ma poi, riterendoai alla crudaiiza di To- pazia, accenna a Giove. Corto in Giove qui e' adombra Dìo, che anzi plìi sotto è chiaramente nominato; questo perù, co- me ai vide anche pagine addietro, pro- duce nell' uniforma linguaggio claasico del nostro autom una curiosa confusione tra il eulto Saracino e il cristiano.

1

190

la noetra rìroa. è il re medmmo die impone i nomi a' fanciulli ()): e^ li trae dal giorno, in cai sono nati. 4 nel qoale ogni fiore manifesta la eua bellezza, e 1 cavalieri simìglian- temente e le gaie donne si rallegrano facendo graziosa festa (2) >. Tale epie- gazione de' due nomi non é la stessa che si ride nella maggior part« delle vereioni della nostra leggenda; ma ce la fa rammentare, mentre quella ac- cennata nella rima è al tutto diversa. Se non che i nomi di Fiorio o Bian- cifiare cola si imaginano tratti dalla

Pasqva fiorita, scita: il Boccacci son nati in un gi

iorno della loro na-

invece narra che

omo, che roostram-

mo corrispondente alla Pasqua ro-

(I) Cant., St. 15. Nel I poema &. il re non pone il nome che al bnciuUo (V. 173).

(S) Emendai l'errata lezione della stam- pa Moutier (p. 74) valendomi della vec- chia stampa del 1503 (Veneda), Lib. I. cap. slv.

191

Kw&i. Egli danoue non ha BOguita una

^di quelle versioni. Perciò rispunta

P coma assai probabile l'ipotesi che gli

j fosse nota una redazione, affine al

■"Cantare, ma più ricca di esso, nella

T quale restasse qua e la qualche mi-

E glior traccia della narrazione urigi-

. In questa fonte, poichg i fan-

Iciulli certamente vi si dicevan nati

Ila Pentecoste, o di Pasqua rosata,

l-.doT0ra esaere svanito il nesso, che in

r più antichi testi legava i luro nomi

quello della Pasqua fiorita ; ma

r doveva però riflettersi la tradizione

vaga, che dal giorno della nascita i loro

nomi fossero pure, in qualche guisa,

derivati (1).

(l) Ci BOao altra redazioni, nelle quali i di Fiotto e Bianeifiore non ai I spiegano dalla Pasqua fiorila : alludo al olandese , al baasotedesco , allo LsTodese. Io questi ultimi (si rammenti che nella versione bassotedesca s'imagìna Ila nascita de' fanciulli non nel giorno di I Pa«;t<a fiorita, ma nel praprio giorno di

Sempro aguale ò la fedeltà del poema greco alla rima italiana (1):

Pasqua) i nomi ai riferiscono alla pri-

maTera, come olla dolce stagione dai fion (Sommer, p. 286; Da Mèrli, pp.

Iv (erroneam. liv), Ixj). Queato motìvo ha min qualciitì corriapoudenia eoo quello che trovammo assegnato nei Filoeolo.

(1) Vv, 72-137. I nomi delle due donna aoao gli atessi, che vediamo nel cantare:

(tt. II2-I3J

KaiiXioT^poi è lii tradui. del nome Mi- gliore dato nel cantare alla regina (St. 10), come altri ha gifi notato (Schwnl* baeb, op. cit, p. 26; Hanalineolit, op. cit, p. 42). Vedi ancora vt. 115-21, a St. 10 per ci& che si i-iTerisce alla tela Dalmazia :

Tuole invece men fuggevole cuuno t'umunzo spagnuolo (1).

La tela diventa però uq panno non meno pretioso, del quale la regina vuule clie ■ì vetta Topazia: qui il poeta greco noa ha bene interpretato il testo, od ha rg- Into allentar lo bvigtii^ alla sua fantasìa, tanto da romper la monotonia del tr:i- durre. La nascita de' fanciulli avviene il giorno stesso, e di mag-gio, couie nel cantaiv:

i magiii ch'è la i-osi

(St. 13); upàTipat £VÉAivv)C7av k'^ ^amXzti)^ oìxov

u. ÒTav po?'av6oiiv xi e'xiTE'(i7touv jiupwSi'ati;. (vv. 124-25). Anche nel tjjslo greco Topazia muore dopo il parto, e il nome di Biancitìore (IlXaT^taqiWpe) deriva dal giglio, cui somiglia {vv, 146-47): il poeta non s'av- vide che in greco spai'ìva il rappoi'to che invece corre in italiano tra biaricofìore e

(1) Ff. 7 V. 0 v.; Uausknecbt , pp. 50-0 L

194

La scena tra la regina e Topazia , che, unica nel testo francese e nel cantare, vedemmo sdoppiarsi nel i'V- locoìo, si triplica in questo romanzo. Vengono prima gli scorati lamenti della cristiana, e i confurti della re- gina (1). Costei chiede alla achiova di qual paese sia: quella le dA con- tezza di e de' suoi, e del modo come le avessero ucciso il marito. Sentendo di che alto grado ella fosse, la regina le fa recare panni preziosi ; ma la sventurata preferisce vestir

(1) Nel cantare la ragiaa dice, pi-ocu- raado di consolar Topazia:

... mi di' per la tua cortesia

eh*

) t' inpromelto per la fnde n. ' ti farò Barrirà ed onorari

E nel rem. ap.: < mas ;o te ruego quc

tu me diga* la verdad que yo te prumelo por la fp mìa qiio tu seras tratada assi corno la peraona mia et con tanto amor te quieiij tener »,

A

195 gramaglia. Un altro d'i sono le duo

raccolte nelle intimo stanze : Topacia, Tolgendosi alla regina, le dice di sa- pere come ella fosse incratA, e sog- giunge che, a darle qualche prova d'affetto, vorrebbe per il suo parto preparare una ricca cortina, da or- narne la sua stanza. La regina, con- tenta, lo oilre modo di appagare il gentile desiderio; e dalle mani abili della ci'istJana esce opera tal pre- gio, che r ugnale non si sarebbe tro- vata in tutta Spagna (1), Un altro

(1) Topaciti dice di anper < bien obrar de oro y de x-yìa t; o la regina fa darle « oro TI 3gda et olandas o leìas burgeeot ecc. ». Vedemmo già nel cantare:

una tela che venue di Dalmazia,

di »eta e d' oro

daTanti a la cristiana la metera ecc. n romanziere sp. accenna a tele di Bui-- gos, città che in lane e iu tele ebbe giù floridiasimo commei'cio. Come fu compita, la cortina parve la pìii ricca

i

^Girno ancora, mentre stara&D insie- mc , la risina s' accorge della pre- gnazza di Tupacia, la inchiede di dd, e (iQells confideotemeattf le manifesta il suo stato.

Il parto delle due donne avviene il primo giorno di penetra florida, (1) lo-

co«a cb« u potoHe vedere : < U r«7na la ettimaua tanto qui" aingun predo butana: tt fi* hasla alli le hauia tenido muf.ho amor, muy mayor le tenia de alU adelanU *. Qneata ultime parole fauDO ricordarne altre BÌmìli del FiU>- eala, uve ilells opere leggiadre di Topa- zia «i dicu clie « atxano senia fine mul- tiplimtù r amori! delta rrina, perocché mollo in simili cosa n dilettODa; onde eonw V amore altresì V OHore a lei e alle ma compagne muliiplicare faeea » (I.

(1) \nehe

I due mss. del cantare i

B Fiorio e Itiancifiore sono nati < (o primo s/iorno àì Pasqua rosata >. Ma. 1095, fondo ital., Bibl. ìii<z. di Pa- rigi, f. 16 V.: nu. ashburoham-laureaz.

107 1 die ha senso diverso dalla pasque fiorii' delle vereioni oitanìche, poiché ÌDdica uun la domenica delle palme, ma la pasqua mag^ore, di riBurrezione (1). Per esser nati « en

(1) A torto il Da Mdril afTerniR che 'PoÈtua florida significa ÌI giorno di Pen- tecoste (p. Ixxii); egli stesso poco oltre (p. Ixxi, n.) avverte che già in uno de' pih antichi romanees (Mala la yisteis, FranceBea] la Pasqua principale è detta Pasqua de Flores (Dnruif Rom. gen., T. 266). Vedansi infatti i lesa, ep.; anche Oggi poicua de fiorcs o florida significa la jMUCua de resurreeeion. Noto che lo stesso valore ha nel dialetto padovano paggtm fioria. Pasqua florie è detta ta Pasqua di maggio, la Pentecoste, ncl- Y Ugo d' Ahemia, ras, 32 del Seminario di Padova, f. ^ r. (vedi mio Orìanào nella CA. de Rai. e ne' poemi del Bojardo e del- l'Ariosfo, Bologna, 1880, p. 89); ma trat- tai di esempio isolato, che pur nel Veneto la Pentecoste si dice pelar mente pasqua roga, come, oltre che in Toscana, in al- tre regioni d'Italia. Nel Do C«ngre (I. e.)

■• 'WUfe sitpaK. I riunì ttu^ 3

ab •• •• adh i^iadii

■VOàavk'

I

m

f«mpo sembra correre, in cui quella le si viene quasi preparando. Quando è presso a finire, Topacia prega la re- gina, che intanto aveva procurato darle animo ed era atata al suo letto pietosamente soccorrendola, di farle recare la bambina, che aveano man- data a balia: come la vede, rompe in pianti e le volge amorose e desolate parole; ìndi la battezza con lo sue st)>sEe la^ime, e spira fervidamente raccomandandola alle curo della reg:i- na (1). Quest'ultima scena ci fa tor-

(1) Redazione moderna del romanzo sp, Topacia non lavora ad una cortina, ma compie e unOB pannlos bordadoa de oro y brocwlo ecc. ». Come nel Filocolo, la due donne partorlacono ad ora diversit del medesimo giorno: la regina sul far dell'alba; Topazia di aera. Anche nella due romanze, p^, e cost.-cat. . il parto delU regina e della schiava avviene ii di stesso; ma qni la prima ha una figUa, l'iltrB un figlio, che le levatrici si pensano, ingannevolmente, di acambiare. Nella ro-

aare a mente l' altra consimile, che b' accennò poco sopra discorrendo del

manza pg. la cristiana battazia la bam- bina, ch'ella crede HUit, con la suo la- grime, come nel romnnio spagouolo: As logrimas de meua olhoi Te sirvam do agua bemdita. Il nome eh' essa le pone è di Branea Rasa, Branca llor d'Aleiaadria >. Nel- r altra romanza la sehiava dice che se fosse nella sua terra battezzerebbe la baro- bioa * Maria, llor de Castilla ■. Serondo una variante, la reg'ina chiede alla rri- Btìana qual nome la parrebbe che fosse da pori'e al fanciullo, e quella propone il nome di Floris, che aveva avuto già il marito EUo: Comte Floris, Compte Floris. | qu'es einora de mimi Non à indicato in queste romanza quale sia stato il giorno del parto : nella pg. ai accenna alla Paschoa florida, ma per dire che in quel giorno i mori avean preso la sorella della cristiana, che era poi la regina medesima. Di qui innanzi le romance si distaccano affatto dal rac- conto di Florio e Biancicore.

I

Filocolo: ma fra le due s' avvertono segni non lievi di indlpondtiiiza, in modo che non si può afirettarai a giudicare che il romanziero spagnuolo abbia imitato l' italiano.

Rosana incontra presso i pagani, de' quali ò rimasta prigioniera, la stessa pietil che Topazia (1). C è però questa dissomiglianza Ira le due re- dazioni della favola, che nel racconto la regina non compie 1' ufficio di si- gnora generosa e di amica consola- trice, che le si trova assegnato nella versione di'ammatica, io corrispon- denia alla leggenda di Fiorio: queir uf- ficio è invece attribuito al re ; della re- gina neramanco si fa motto. Allurcìié approssima il t«mpo del partorire, un angelo si presenta iti sogno a Rosana, o le predico che aiTà indi a poco una bambina, cui dopo multo pene. sorri- derà la più gioconda fortuna; e che duo

(1) Del racconto pp. 14-19; dalla rap- preKDtJu. pp. 37G-83.

L

giorni appresso il parto raggiungerà nella TÌta beata il marito e i compagni. Nella rappresentazione, Rosana par- torisce contemporaneamente alla re- gina; invece nel racconto, che pure in questo si accorda meno alla sto- ria di Florio, la regina alla luca il suo figliuolo alquanti giorni dopo la moi-te di Rosana. Sentendo che la vita era prossima a mancarle, coatei raccomanda al re la sua bambina, e chiede di poterla battezzare, dandole il nome di Rosana: il ro consento. Secondo il racconto, essa fa porgersi in braccio la funeiulletta, la segna, la benedice: ciò ricorda le due scene corrispondenti avvertite già nel fS- locolo 0 nel romanzo spagiiuolo. Nella rappresentazione anzi occorre col Filo- colo un più vicino riscontro, ove Rosa- na, oltre die al re, raccomanda la figlia all' unica ancella rimastalo dopo la strage de' pellegrini : così si vide Topa- zia confidare la figliuola alle cure di un' ancella sua, di Olorizìa. R' ag^un- ga che corno nel romanzo spagnuolo

la regina (1), in questa rappresenta- zione il re fa interrare in luogo cri- etiauo la spoglia della morta donna.

4. Per tutte quattro le nosti-e ver- sioni, i duo fiiDciulli vengono amo- rosamente allldati alle balie (2). Nulla

I

(1) Topacia almano prega la regina che il suo corpo aia seppellito in lena cristiana: f. 9 v.

(2) Cant, St. 14; FU., I. 75; Poema gr., TV. 138-140; rom. sp-, f. 9 r. Il cantaitoue narra che il re prodigiiva a'due fanciulli le stesse cure, e li faceva vestire 4 ad uno intaglio >. Pur questo lieve particolare trovìam tradotto nel poema greco {v, 141). Vedasi come anche nel Piloeoh si accenni la stessa cosa : quando i bambini han laaciato il nutrimento delle balie, e sono venuti a piii Terma eia, il re, vi ai dice, li (s. > sempre insieme l'eal- mente vestire ». Delle cure, onde aon Iktti segno i noatii piccoli eroi, ai [larla an- che nella 1 versione francese e ìn oltre alTi- ni (Herwg, pp- 22-23); ma il racconto, che ivi ai là, È diverso da quello, che ci offrono le rt-da^ioni meridionali.

204

è in tna dell* idillio intimo e dolce . che d presmtAno ti troverò del I t«sto francfifte e il Fleck, discorrendo della fanciullezza di Fiorio e BiancLfioi^; Dalla del fucini cenfid«ite di co- storo nel Terziere di re Feb'ce, del- l'ingenuo baciarsi tra gli aspetti leg- giadri della natora, le piante, i fiorì, le erbe, e gli ungili trillanti; di qnel- r amore, per cai la iancinlla è più cara a Florio che a madre non sia l'nnioo figlio, per cui an bacio Florio fi soave alt' amica sna quanto a bocca di poppante Q latte materno; nulla di quel compenetrarsì inconscio degli animi loro, che guida mani infantili sulle tavolette d' aviM-io a Bcriverfl « letres et vers d' amors » , de' fiori come sbocciassero, degli au- gelli Como gorgheggiassero d' amo- re (1). Dobbiamo pur troppo rinun-

(1) I poema fr., 337 egg.; Fleek, 756 «gg. Vedi ZnRblni, op. rit.. pp. 34-35. A que>ta primavera ds' nostri amanti, sul-

i

ctare a questi voli, e acctiDt«ntarci di rader terra, per avrertire qui an luuga, nel quale il cantare si accosta al I poema fraDceee ed alle redazioni affini, staccandosi, coma arrìene al- trove, dal Filocoio. Vediaino infatti come in questo manchi la scena ca- ingenua, nella quale Fiorio il padre, che aveva deliberato lo alla scuola, di non to- ^ierlo alla sua Biancifiore, e di con- cedere eh' essa gli sia compagna di studio (1): questa scena occorre in- vece nel poemetto popolare, e serve

lazxantÌBÌ raacinllescameate in un gìar^ dine, riferisce ftiree un luogo corrotti»- ■imodel Cont, SL 15, in cui ai dice che

Vedi in questo voL p. 58.

(1) Nel Filocoio 11. e.) Fiorio dou ha bisogno di chiedere al ra che non lo se- pari dalla piccola amica, perchù spon-

^L taneamante quegli vuole che i duu fan-

^^K CÌulli weno ioaieiue ìati'iilti.

a mostrarci t&nto meglio com' esso tyad, e ì& colleghi alle versioni più antiche e più pure della leggenda (1). Superfluo aggiungere che il poeta greco segue il toscano (2): si noti piuttosto che la scena stessa si ripete nel romanzo spagnuolu (3).

I due fanciulli son duuque alla scuola. Mentre nel romanzo spagnuolo Florio, per effetto dell' amore, che tutto lo occupa, neglige lo studio, seoondo le tre altre versioni, che s' accordano al gruppo della 1 fìran- cese e dolio germaniche (4), insieme

(1) Herioff, p. 23.

(2) Vv. 153-176.

(3) F. IO. Nellu redaz. moderna del l'ora. ?p., a tre anni i due fanciulli sono dalla regina affidati ad un'aja; come son fatti più graudicetli, vengono sepai-ati: di FTorea ha cura un ^o, di Blancaflor un" a- ja, figliuola di un cristiano rinnegato, ohe, più cbe ne' lavori mnliebri, la Lstruì- acD nei misteri della fede cattolica.

(4) Heriog, 1. e.

J

807 all'amica siiu fa mirabili progreBsi. Lessero tosto 11 salterò, ci dico il cantastorie, e poi il « libro dell' a- mor« », 0, secondo un'altra lezione, « Gridio d'amoi-e > (1), espressioni, con le quali si designa l'Arte d'amare

(1) St. 17-18. Nel I toato fr. si dice che i due l'aaciutli (vt. 225-:ì8)

Livres lisoient paienore. Ou ooient parli^r d'amors; En con formont te delìtoìent, Es auvrea d'umor qu'il trovoient. Nel poema del Fleck troviamo un' espres-

BÌone eorriapOD dente a quella del nostro cantare: « diu buoch vun minnen » (v. 713], L'altra legione (< Ovidio d'amore >) trova riscontro in quella dui testo in proM islandese, e del poema fìatnming-o. K anzi noto che in una redimotie del rBccODto ialande»c, e nel poema di Die- derìe TU Asseuede ai cita l'opera ovi- diaus letta du' fanciulli: de arte ■anfindì. Vedasi Da Mérit, p. xlix; Zumbtnl, U FU. lUl Bocc, p. 22; Gasparj, Il poema di FI. e Siancof. , p. 2.

del Sulmontino, opera che fu cosi cara al medioevo, e realmente veniva letta e commentata nelle scuole (1). Pari- menti vediamo nel Filocolo cbe in breve il maesti-o fece leggere a' fan- ciulli « il salterò e '1 libro d' Ovi- dio . (2).

Galeotto fu il libro e cbi lo scrisae, poasiam dire con Dante. Infatti la lettura di Clvidiu snaelta fiamme amo- rose nel cuore dei due fanciulli. Qui pure il cantare corrisponde alla 1 re- dazione francese ed alle altre affini (3); e il poema greco rispecchia il can- tare (4), Nel Filocolo invece i pio- coli eroi non innamorano per la im-

(1) 6. Paris, Chrétien Ltgowiis et au- Ires imilaUurs d'Ooide, Hìat. IJtt de la Franca, XSIX. 456,

(2) I. 76. Anche nel testo greco si nomina il libro dvir amore (w. 181, 183).

(3) Cant.. St. 18; T poema fr-, 229 agg. Per le altre versioni vedi Henog, p, 23.

(4) Vv. 183-97.

n) FiJ.. I. 77-81. b qMsts laafo il BarMcdo iaiU Vcffìtio (fiMtàir, L KR Hgg.). V«i£ asclM XsMbfHly op. eìt^ p. 31 . Xdl» TÌrioBe dw Ila n Fdice Ausate 3 ■Miiio, che lo oixiip« p«r Tvlonli di V»- nere, n adombra ratta storia fatana di Fiorio e Biaocifiore. Per effetto del B amoroso, cL« in «sai ha iadnaato Cupido, i due IknriDlti liguanlaiisi fina- li l'altro; gli occhi di Fiorio non n poMooo Buiiore di rimirar Biun- dfiora (pp. 79, 81). Cosi nella rima:

a Fiorio riguarda Bìanciftore: di lei non si potea saciare.

■Oli Mi patto ^haàdB m^éU i*

mfl Iona

» dane parte al n (3).

<l) Aseke hI JV. « fin (pp. 81-83> eh* raaiore fiUnen i ftaciBDacti MI» «M^; c«l par nal poeta» gr., SM; ed (■ ttsa ndos. del cantare, da eoi il poeta grimo haMTtoaienle attmbi (vedi «nL A«b> hvrnliam.-taiirKai. laOT-UTS, t 22 t,). Cfr. Hcnof, p. 26, la qna^ ' dofipriroa ì doe (andoUi procedono a bilniAiiU Iwrti negli «tncli; quando unore più li accende: ad ro- tamato epagnuoto qaeati dne momenti non li rifletto eha il lecoDdo.

(i, I poema fr. , 267-68. U Fleek J«- pliira l' ìmpni'IonHt de' [anciulli, ohe non )ian lapulo rnlaru l'amor loro, onile il m n'è Tonato n nonosceau (8S2 *S8-)-

.Vlla novella costui si cruccia fie- ramcnto. Nel I pi^ma francese, e aelle affini redazioni, ta regina gli suggerisce di allontanare il figliuolo, mundandolo a « dame Sellile », la sorella sua, moglie al duca di Mon- torio (1). Anche nel Filocolo e nel romanzo spagnuolo 6 la r^na, che consiglia al re turbato di separare

r

Nella II vera. fr. non s'ìiiteode se il re sia- « accorto da stesso, o se da aitai sia alato DTvei'tìto deirmaamoramento : si dice solo, bruscamente, che egli ha deciso di separa- re i fanciulli {263 sgg.). Can(. St 18: FU., I. 81-«4i poema gr., 199 sgg.; rora. ap. 1. e. Nel FU. la cosa procede un po' dÌTersamente dalla altre redazioni , perchè il maestro parla anzi che al re, al men- tore de' due fanciulli, Aacalione , che quindi, insieme al maestro, pi'eaentasi al re per riferirgli i chiari iudiiì dell' a- moni de' toro alunni, È una delle solite amplificazioni del rimaDcggìamento buc-

(I) Uenog, pp. 23-24.

gli iimamorati , mandando ìl figlie a Molitorio (1). Nel cantare il re vìeno

(1) Fil, I-, 84-88; rora. ap-, f. 10 v. Nel Piloeolo il ro 6 la r^tia trovansi a discorrer del figlio come per cnso (p. 84); nel I poema fr. invece ìl ro si coa- dure a posla presso la moglie per aver consiglio (vT. 2.18-49; Henog, p. 22). Coà nel rom. ap. , e, come toelo nota plji sopra, nel cantare. Nel romanzo boccaccesco re Felice HTrersa la inclina- zione del figlio, por esser Biancifiore « una l'Oman» popolaresca ecc. > (p. 86). Lo Znmblnl) op. cit., pp. 45-46, swertl a queato punto una contraddizione del Bocc. sembrandogli manifesto che il re dovesse conoscere, por ci6 che si trova detto ìn parecchi altri luoghi, la illustre nobìlti di BÌBDcifiore. Il SotbU, op. cit. pp. 66^7, difese il romanziere, procurando di mostrare che ìl re non sapeva inte- ramente o floguva igDorai-e u quale alta stirpe appartenesse la fanciulla. Ma non v' ha dubbio che la contraddizione eeiata, poichd Biancìfiom attesa, conscia certamente di qual sangue fosse, ìn un

213 a questo partito da stesso; ma del ì al consiglio della mo-

luogo accenna alla sua * qualità vile e popolaresca > (I. 106). Coma poUva al- tri bn irai codesta quali tJL parlanilo con Florio, che poco prima aveva rammen- tata al padre la discendenza di lei nien- temeno cbe da Giulio Cesare {p. 98}? Il re avrebbe potuto dubitare, o finger di ilabitare che fosse vero ciò clie ai ripe- teva sulla splendida origine della gio- vinetta; ma non è logico cbe lutt'a un tratto egli la affermi, mau più, vile e popolaresca. E^ti ne rileva anche la con- dizione servile. Or bene, eran questa e la diflerenia di fede, lo difflcollà vere da porre inoanti. Comunque, nel FUorolo il re si vale di argomenti , che rispondono a quelli, che trovanai addotti nelle re- daiioui francesi e germaniche (Rem?* p, 22; II poema fi-., 370-73) per com- twttere l'amore di Florio. Di essi, allo sterno luogo, il cantastorie non fa cenno. Ecco dunque ancora una prova che il Boccaccio abbia conoscilito on racconto piit diffuso e pieno che non aia la breve rima tofana.

su

glie resta pure iiaa traccia. Avuta infatti U nuova dell' innamoramoato di Florio, egli si rivolgo olla regina, chiedendo :

gootìl dongellit, cbelti par di faret Certo qui troviamo alterata la ver- sione primitiva, che le parole poste in bocca al re:

vogliolo dipartir dalla tàntiua, dovrebbero rappresentarci anzi che il seguito del suo discorso, la risposta della moglie sua (I). Cosi abbiamo un'altra prova che Ìl Pilocoìa, cui s' aggiunge qui il romanzo spagnuolo, debba tratto tratto pìflottere un rac- conlu migliore a pia ampio del cau- tMrt>. A. questo rimane invece Mrìt V imitaiione greca (3).

(1) St. SO. Aoobe Mi il piMBt fr.. £63 tgg. , il ra delibera d* «fr ifi ■Moa tanara il figtto, nu Mim ptrt ftrw

215 Le quattro versioni perù si rac- cordano tiisto. Per esse « dame Se- bile » non esiste: i! giovinetto è man- dato ad un duca di Montorio, che tuttavia, al pari di quella, è imagi- nato stretto consanguineo dal re (1). Inoltre, Florio non è fatto allonta- nare con la finzione che, essendo ma- lato il maestro, gli convenga seguir gli studi altrove (2); ma col pretesto che Montorio eia luogo più acconcio al compimento della sua istruzione (3). E dacchtì egli non sa staccarsi da Biancicore, lo si persuade a lasciarla,

(1) Cant. St, 21; FU., I, 90-91; poema gr., V. 229; rom. sp., f. 10 v. Nel cant., St. 79, il duca è detto wo di Fio- rio; CDBl nel rom. sp., f. 12 v. Qui o'È un ricordo delle versioni più antiche, nelle quali e dame Sebile > è imaginatu na del giovinetto.

(2) Cobi nella I vera, fr., e nel Rac- conti affini {Reixogf p. 23).

(3) Cant.. St, 21; FU., i, 87, 90-91; poema gr., w. 224-28; rom. sp.. f. Il'r.

2ie

Etmnlando, non ch'olla debba stare al letto deUa madre malata (1) (sfr* coodo queste redazioni costei era mor- ta da un pezzo), ma a quello della regina stessa (2). Acche nei racconti nostri il re vince ogni resistenza del fi^o, promettendo che in breve maa- dera Biancicore a raggiungerlo (3).

(1) Vedi 1 Uato (r., e redazioni affini

(àtnùt, ^ S4).

<2) Cant, St 23; FU. 1, 97, 117; poema ^.TV. 249-61; ram. sp., f. II r.

(3) Cant., Fil., ram. sp., II. ce.; |>oe- ma gr., v. 263. Si veda anche in questo esempio qnantft somiglianza da fra i no- stri testi:

Cantare

El padre gli risponde al suo detto.

e dif^ie: la reina atae malata.

e par la che porto a Malcoraetlo,

questa malina non a' è ancor levata.

Se non mi cradi, va, pon Diooto a letto,

che tue la trover»! forte cnnbiata:

la tuu madre Usila guaii'ra;

poi Biandftoru ti forò venire.

I

Oli amanti debbono dirsi addio. La scena della separazinne offre una dello ppoTe più lìmpide degli stretti rap- porti, che legano le nostre versioni. Solo altri due de' rimanegg^iamenti della leggenda ci presentano ijnesta

Il poeto greco qua^i traduco: « figlio mio, dice il re, per la nostra fedo n Macometto, questa notte alla tua madru venne male, e stamattina ancora non s'è levata ecc. ». Nel Filoroìo: * SI toslu come tua madre, la quale alquanto non sana * stala come tu puoi vedere, avrà Intei'a aanitji ricuperata, io la ti man- derò a Monturìo >. Nel rom. sp.: * X&m- bien Tutvfra madre està enojada. et uo qui*ere que otra ninguna la sirua sino bianca flor, et Inego corno la revna eate buena ■}(> os prometo de os la erobiar a Montorìo pnra ({Ur os sima. > Nel rifaci' mento mod. del ramanzo stesso Flovea nemmeno s'attenta di opporsi al volore paterno, cbè il re, prima ch*egli fiati, minaccia, ov'ei rifiuti, di cacciare Blan- caflor dalla reggia.

S18 •cena, e «ono il poema attotedeeeo (1). e il n tc«tc francese (2); ma pare nell' altro [»oeiiis oitaaico e in quello di Diederic vau Asseiiede occorre un luogo, in cai si accenna ad essa, onde poseiam «apporre die fosse ims- ginata già dalle prime dabtwstioni della favola (3).

D cantastorie, imitato qni pare dal poeta greco, ci sbozza nnn scena ra- pida e semplice. Fiorio, lasciato il padre, al quale aveva finito per ce- dere, si accomiata dalla fanciulla, che, piangendo, lo prega di portar seco un magico anello, gemmato ano zaffiro, da cui gli verri indìzio, men- tre Bara lontano, dello statu lei. Ouardido epesKo, ella dice: ee lo ve- drai lucento, vorrft dire che io san lieta; se foeco, che mi abbisogna il. tuo aiuto (4).

(1) Vv. 1051-1:505.

(2) Vv. 279-304.

(3) StTSog, pp. 24-25, 26.

(4) Cant. St 24-26 poema gr., vv. 268-84.

I

21?»

Il dono doU' anello, fornito della stessa virti), ripeto uelle altra duo versioni, e concorre a mostrarci la affinità tutte quattro. Né' racconti infatti , a' quali poco sopra si accen- nò, il ricordo dalla fanciulla dato a Florio, che sta per abbauduuurla, é diverso (1),

(1) Cfr. I poema fr., 787-90.

Un grafa a trait de soa grader. D'argont esloit; raoult Tot chier Pur Bknceflor qui li dona. Le darrain jor qu'u lui parla, Qiiant il en-ala a Muutoii'e ecc. Co«l nel poema del Fleck, 1321-30, i due giovani scambiunsi per amoi'oso ri- cordo i loro stiletti fj/riffel!). Ve<li Som- ner, p. 292; Hcfiog, pp. 24-25, 26-27. Nel II poema fr. , 2S3-84, quando Florio venne a lei per accomiatarsi, Biancicore atsva intrcci^iando de' suoi capelli per fame un presenta hU' amico. Vediamo cbe piti innanzi, allorché Florio ai di- spone a partii'e per rintrocciai'e Bion-

Semplice e breve è questa scena anche nel romanzo spagnuolo. Il gio- vinetto non si congenla dall' amica tosto dopo il colloquio cui padre: lo fa il mattino seguente, allorché pre- aentandoglisi it re co' cavalieri elotti a fargli compagnia, per invitarlo a porsi in cammino, egli non vuole ir- sene senza aver salutata Bianciflore. Entra perciò nella cameni, ov'olla stava, e le dico che si intende sepa- rarlo da lei, ma che non la abban- donerà mai il suo pensiero. Neanche qui mancano, naturalmente, soEpirt e pianti. Bianciflore regala quindi a Florio l'anello (I).

cifiord. la madre ili costei gli c]it un < lai longié > de" capelli dalla figlia (v, 1797). Di questo lai troviam cenno anche ap- preMofw. 3150, 3327).

(1) F. IS r.; Haiukneelit, p. 61. Nel moderno rifa«imeDlo del rom. sp. V aneUo, che Blancatlor a Flores, non è dotato di aJcuaa TÌrtù magica.

231 n Boecaecìo s'indagia hen pH nel rappcfeaUia codesto cummiato. E^li imigina ebe, cetaU in luii^ro arani- du, la &iicÌuUa abbia inteso U> pa- role che erano state tra re Felice e il figliuol». Così, com'ella sente co- stai, allettato dalla promessa che ìl ftt ffi fece di mandargli la sna Bian- cifkffe, rispondere che a questo patto se n'aadra a Montorio, prova il pia fiero dolore, e, sciolta in lagnino, «eprimendosi in forma intollerabil- ntCTte prolissa, retorica e noiosa, de- plora che r ingenuo non abbia intuito il vero intendimento del padre. Fio- rio, che avera ceduto così malvolen- tieri, al partirsi del re, soprasta al- quanto pensieroso: assalito tosto dal pentimento di essersi arreso al dc- . siderio paterno, ondeggia fra speranze e timori. leva quindi, e ritrova Biancifiore ane^ra piangente. La fan- ciulla sì sfrena a rimproverarlo d'a- vere consentitti ad abbandonarla * ti- mida pecora tra la fieritft de' bra-

DI'"'*: !up. ». t^il li riàe.r-iT

rcii*aE)£T]t«; tua «sj d^ a !■?;< letizis o ereotora (I), ;

cooinria tu Q wdiai tarbuc Io ti pngo che allora lenia nisDO iitdiigìo u vea- ghi B *«dera. « prenoti che ta aorenl» il rìgnanli , ogni ora riconiudoti £ imi che tu U T«dj >. Cosi ael cantare la fko- dulU àlee:

Piorio, porta questo anello,

elle ci é entra no lafino molto bello. R aaì di che ti prego, tìU mia, dieta BÌbdcìSots allo doogello: w in altra parte lai dimoraria. Ìap«ne volte guarda io qaesto anello, H wri alegra la ponona mia quuiilo «arae colorilo e bello; M li canlnaae paolo lo cglore. per lo mio umor socorì BìancìfiorA

che se U padre non attendesse la promessa, o non la mandasse a luì.

I

Di questo anello il Boccaccio ritease la lunga storia: Asdrubale lo aveva dato ad un guerriero cartaginese, Althimede, dal quale era stato regalata a Scipione afrì- cano; successi va mente passando dall'uno all'altro do' diacen denti di quest'ultimo, ara Tenuto a Lelio, cbo lo aveva poi dato a Topaua: coBtei, morendo, lo a

a Glorii

e Glori;

i lo a

duto a Biannif)ora(pp. 109-11). Per altri esempi di questi favolosi trapassi di og- getti d' alto pregio vedi la storia di l'è Arturo (P. P«ri§, Rom. (k la T. R. li. 19-2); eZambinl, op. cit.. p. 25. ba-li che pur nel framniBnto toledano del no- stro cantare Tupiuia accenna ad un suo anello meraviglioso, e prega la regina di darlo, ov'ella muoia, al nascituro suo figUuolo (Lidforss, op, cit., p. XVII). < Aio un anelo d'una virtii soprana, Che a la mia redese lo vovò donare, Che se morisse, voy me prometati Che a la mia Une a ley lo donariti'. >

«gli tosto tornasse, che, troppo stando Renza vederlo, ella straderebbe in lagrime. Detto questo, gli si stringe al collo tutta in pianto ; e così , Del- l' abbracciarsi, vince entrambi la com. moKione, che STengono. Al riaTersi. Florio Tede Bianciflore immola an- cora: se la reca fra le braccia, n spia trepidando se le resti segno di vita : e poiché gli par morta, la ba- cia piangendo, si laiueota, e fa per Qccidersi. quando, chinatosi a baciarle un' altra volta il viso, lo sente caldo della vita, che tornava, e vede « muo- vere le palpebre degli occhi, che con bieco atto riguardavano verso lui > (1). Biancicore si ridesta; dalla bocca Ii> sfuggo un sospiroso suono. Allora

< Per Dio, damisela, > dise la regina, Dime la verità, do me lo zelare; De questo uoelo, ohe lassi a toa rodeae Dima la bob virtù e lo su affare. *

(1) Vedi puro Filoftrato, IV. 117-26; Ninfale Fietolam. IV, 42-47.

Fiorio, rincorato, la riabbraccia, e tra le lagrime, le volge soavi parole di conforto (1).

Codesto largo svolgimento della sce- na si deve all'arte del Boccaccio, o fu opera di un precedente rimaneg- giatore della leggenda! Aache nel H poema francese i due amanti smar- riscono i sensi nell' accorato abban- dono d^li ultimi baci:

En baisant ch&Trent pasmé (2);

ma, oltre a «luesto particolare, non vedo che altro potrebbe esser deri- vato al Fììocolo da un racconto, in cui della separazione dei due giovi- netti si tocca con la brevità, press' a poco, del poema italiano, del greco, fi del romanzo spagnuolo. Somigliante a quella del Boccaccio fu voluta piut- tosto la descrizione, altrettanto dif- fusa, che del congedarsi di Fiorio fa

(1) Fiì., I, 100-16. (2J V. 302.

raOietartil Forse t'han fatto alcun male il padre tuo e la madre? Ahi- mè, i^h' io EOQ triste, e nulla di buono m'aspetto! * La notte essa avea fatto un sogno malauguroso: iivea veduto una coppia amoi-osa di timide colombe fuggire ilal nido per paura di nn falco, che, ins^uendole, le aveva costrette a spartirsi. « Ai, mia amica, soggiunge Fiorio; io ti spie- gherò il Bogno: la dolce compagnia delle colombe rappresenta l'amor no- stro, ch'io temo abbia a svanii'e por r avidità del falco. Mio padre, cui repngna questo grande amore, non vuole che noi stiamo insieme: il so- gno si compie: sappi ch'egli mi man- da tosto a Montorio. » Ecco come Biancicore, secondo il Fleck, viene a eonoscere che si è stabilito di sepa- rarla dall' amico suo.

Non è necessario che seguiamo a riassumere ed a sciupare la gentile ecena descritta dal poeta tedeGCO ; basti dire che alla novella amara la

228 fanciulla prova tal dolore, che ogni conforto di Fiorio toma inutile: ella si volge, con desolata aposti-ofe, a Dio e ad Amore; ìndi, vinta dall' af- fanno, si Eviene sul petto del giovine; anzi pia oltre, dìsperùta, con lo Bti- Ictto si vibra un colp;), che Fiorio per ventura disvia. Tramorti meri il dunque e un tentativu di suicìdio sono qui, nel racconto del Fleck, come in Fanello del Boccaccio; ma in forma cosi diversa, che non si sa scorgere la somiglianza voluta dall' Herzog in (lucsto luogo delle due redazioni. Le luali in questo solo, ci pare, s'in- contrano, che nell'una e nell' altra Florio riconforti la smarrita amica, a le prometta ili non dimenticai-la , essendole lontano, e di tornai-c se il padre fallisca al patto di mandarla a lui (1): corrispondemia scarsa e vaga.

(I) Fil.. 1, 109, 116; Fleok, vv. 1132- 41; 1860-64; 1281-97; 1313-17. Nel PìUxaio (pp. llS-13), nasalità du gelosi

229

forse dipendente dall'aToro i due autori svolta la identica scena, o spiegabile con la congettura che quella circo- stanza e quella promessa costituis- sero come un dato fondamentale, che essi abbiano riprodotto da fonti, in que- sto punto, affini. Si può pertanto rite- nere che il Boccaccio anche qui abbia «Tuta innanzi una redazione della fa- vola men ristretta del cantara, ma

timori, Bianciflore, la mite donzello, mi- naccia Fioiio, ss la dimentichi per altra donna, in modo cosi llero, da toc- rara la volgarifa e il oomico (Znmblnt, Op, cìt., p. 51). Anche nel poema, alto- tedesco la tanciullu accenna alla pu»i- bilìtà che Florio abbia altri amori, ma con qual tono eoave e mesto l Ella rac- comanda all'amico, che, hh pur gli av- venga di amare un'altra, non iscordi mai r amore, che è stato fra essi, a corno in- sieme Bìen vissuti , e <'he dolce compa- gnia si sisn fattoi (vv. 1306-11).

230

ad esso Ticina; egli, però, deve non poco avere aggiunto suo (1).

Nel II poema francese, in quello del Fleck, nel cantare. Del poema greco, nel romanzo spagnuolo, Florio se ne va dopo il colloquio con la fan- ciulla: nel Fiìocolo, al mattino se- guente (2), Qui il romanzo boccac- cesco ci offre un luogo delicatameato vero. Biancicore accompagna l' amico

(1) Questo colloquio di Florio e Bianci- fiore nel Filocolo può confrootarai eoo quello di Panfilo a Fiammetta nella Piam metta, ca.p. 11. Neil' uaa scana e nall' altra trattosi d'amanti, cbe debbono Hopanirsi. Di auo molto qui aggiunse, probabilmeate, anche il Fleck. Vedi Sommer, p. XIIIi Snudmactaer^ p. 27; ai quali, per ciò chi> si vide sopra, debbo accostarmi piìi che non paia r^onveuientc all' HerEOg'.

(2) II poema fr, ». 355; Fleck, w. 1332 Hgg.; Cant-, St 26; poema gr., vv. 285 8^.; rora, sp. f. 12 r.; Filocolo. I., 11&-I7.

231 > appiè delle scale, « senza far motto r ano all' altro ». Come l' ebbe veduto a cavallo, < riguardato lui con torto occhio, tacita se ne tornd indietro, e sali sopra la più alta parte della reale casa, e quivi guardando dietro a Piorio, stette tanto quanto le fu possibile di vederla > (1). Anche nel poema altotedesco Biancicore segue il gioTtnetto fin 1' ultimo momento : quando egli piglia le redini per salire a cavallo, essa gli re^e la staffa, fin eh' è montato in sella: allora il suo volto si bagna lutto di pianto. Al pari di quella del Boccaccio, la Bian- oifiore del Fleck sale poi sulla torre del palazzo per seguire degli occhi, quanto può, l' amico, che a' allonta- na (2). Questo riscontro dei poema ger- manico col romanzo nostro, più sicuro e precìso dell' altro, clie fu poco sopra

Cosi nel cantare (l); e cosi nei Filo- colo ; < egli pare

inverso la citta, la quale egli mal-

Vedi poema gr. , w. 288-93, ov' è quasi tradotto questo passo dot cantare. Filo- colo, 1. 119: « Andavano i suoi (dì Fio- lio) compari lascÌAodo i volanti uccelli alle gridanti gme, facendo loro fare in aria diverse baltogUe. E altri <Ma gran roraore sollecìtavaDo per terra 1 correnti cani dietro alla paurose bestie, E coli, rhi in un modo e chi in un altro, an- davano prendendo diletto > Pure

nel rom. ap., f. 12 r. , s'accenna a' ca- valieri, che il re aveva acelti a compa- gni del figlio. Nel 1 poema fr. ri dice, pih eenaplica mente, che Piorio lascia la

Tel que convieni a fil de rei (w. 353-54),

Anche il Fleck allude a compagni che iegnirano Pioiio nel viaggio (v. 134Ì1]. (I) St. 26. Cfr. poema gr., w. 206-98.

volentieri abbandonava, si rivolgeva > (1). Altrettanto gentil- mente nel poema del Fleck :

boi wia dicke Ftóro aich

niu-h riner friuadla umbe surb ! (3)

Codesti particolari furon certo comuni alla fonte francese del Fleck (3), ed il quelle, qualunque sia stata, del Boccaccio ; la quale apparisce qui pure affine al cantare, che nell' ulti- mo esempio vediamo corrispondere al poema germanico ed al romanzo Iioc-

Avvertito della venuta del giovi- netto (4), il duca di Montorio g\i

(1) I., lltì.

(2) Vt. 1354-55.

(3) Sulla fonte Trancose del Fleck vtilj Snndinacher, op. dt, , pp. 3-21.

(4) Nel CoDt., St. 27, e ool rum. gp., f. 12 r. e V., è il re sUbbo che fa an- nuDc^iare al duca la venula del tìglio. Nel Filocolo ai dice solo: < . . . . il duca Feraroonte, che la irua eenula ar<ea lapiila.

muove incontro con bel seguito di cavalieri :

coati e baroni v'aodàr per suo amore, asti e bandisre e bìgordi ispei'taado, inverso Fiorio con tronbe sonando (1).

Presa' a poco ne! Filocolo: « E

coverti e i loro cavalli di sotti- lisBÌmi e belli drappi di seta, rila- centi per molto oro, circondati tutti di risonanti sonagli, con bagordi in mano, accompagnati da molti stromenti e varìi, e coronati tutti di diverse fron- di bagordando, e colla festa grande gli vennero incontra , facendo risonore r aere di molti suoni (2) ». Ma nulla

contento molto di quella . . . . > (1., 1 19). Quanto al poema greco, presenta a que- sto luogo una lacuna: gli manca la tra- dnzione ili tutta la St. 27 del cantai-e,

(1) Cant., St 27.

(2) L. e. Nelrom. sp., f. 12 v.: <.... al duqiM mando que todoa los caualleroa et prìncipales de toda an corte que ia

S36

valeva a vincere 1' iatìma pena di Fiorio (1). Nella città le accoglienze furono amorevoli e gioconde : (2) il duca aveva fatto imbandire un rìccu desinare, al quale la brigata sedette.

adere^assen pira el reoebimianlo de Flo-

i-es, Como Flores fuesse a vna jornaiìa de Molitorio, el duque salio ut fueron se a encontrar a una legna de la (^ìudad

(1) Cant,, St. 28.

E non vale giuoco aollaccio cba Fioiio ai potase alegran.

Poema gr., t. 30^ Filoeolo, 1. 119: « Quando Florio vide questo, sforxata- mente si cambiò uel viso mostrando al- legrezza e festa, quella rhe dal tutto tra di lungi da Ini . . . . > Rom. sp. , f. IS T. : Perca Flores nìnguna cosa lo alegraua: antea comò mnvores fiesUa le hazian, mas le oreacia la trìsteza >.

(2) Fiioeolo, I. 119-20; rom. ap., 1. e.

toBto che furono giunti al palazzo (1). Questa descriùone del ricevimento

(1) Cant, Si 28:

OinoBOi-ono a Montorio in sul palnerin, dov'era fatto mi rico desinare: lo duca BÌlIo prenda per lo braccio, edicia: figlio, aodemo a deunnre, che per amor di questi ravalierì bene dovresti alar cen^a pensieri, Poema gr., vv. 303-25. Filoeoh , I. 120: < Perviìnne tuIuiKjue Florio con costoro al groo palagio del duca, e quivi con tutto quello onore che peiiaara o fare ai potMie a qualunque Iddio, se alcuno in terra ne disfen dense, fu Florio da* pili nobili della teri-a ricevuto. E icavnlrati, tatti salirono alla gran aata, e quivi per piccolo spazio riposatisi, pi-eiero l'acqua, e andarono a mangiare >. Il racconto spagnuolo qui si stacca un po' dalle altre veraioni. Per due o tre giorni dall' arriva di Fiorìo ai cootinuan lo feste {Filoeolo, 1. e. : « E poi per amoro Florio molti ^orni solenne mente por la cittft festeg- giarono») : si fan juatas et Juegos de

it-^»«fe.

■■ ' " '

R'ifB'Va-

(floa, a '(a«9to ponto, il eantaetone . a ripete il poeta greco (li. .inchu il Boccaccio da JllAbBUuiit <n la unura a. Mannorina per roostrarm <^u «ibi » la dolente BluoinlkFn ilupu i ^oFÌa (2) : mik tosto ,

icaAi^AnJlé3<KÀi«K3««d3Tpd$«ap«T^ UtW elle, più fcwmtmmaìBi m tmfaiGw In na da'tiUBtri oa», a itt

a lo n Felic*.

Vali note alla St S9.

^ riL. L 120-31. BiuM-ifiorv ^ii> •gm giorno ali* parte pia alta Jella cusa. onde vederoai Monlorìo, « fra s^, mi«[m- naia, dtceTa: < U 6 ìl mìo ilisio il nùo bene .. Cfr. FitastnHo, VI. 4, VII, 63, e Proemio al poema, edii. Moutinr, p. 4. aTTeDiTA cìie da quella platea eeotìase spirare qualche alito lieve, uaaa

Ilo riceveTa con aperto braccia nel putto, dicendo: 4 quelito lenticella toccfi il min Florio > Cfr. Son. XV. nelle Hime dol

riracendo il hrsTe tratto, cho con» tra le dui; terro Ticino (1), d ri- conduce pressa l' innamorato adole- scente, e rappresenta le pene, eh' et soffre nella lontanansa dalla sua

Bo«r., ed. Balclellì. Livorno. 1803; Fi- lottrato. Proemio, L e, e nel poema V. 70; Texeide, IV. 32. CercaT» i Im^hi della caaa e delta cilU, ove rìeordan di aver Tednto l' amato giovinette. C(r. Pi- losiraia, V. 54, ^ Hla lo rammentava rontionameate. e di lai ngnava. Cfr. Seraid.. XIH, 104 «gg.; f^amm^m. «d. Moutier, p. 63. Eaaa Baglig« la tua per- sona; lascia dlaonlinati i capelli, e non ha cura iodoesare pnÓBaa tmIì. Ctr. Hermd^ XIH. 31, 33. 39,«>; fWmwMa, p. 122. e altrore.

(I) Fa.. L laO, ISl, Mi. HMoatorio, cui tìibriice fl Boccaeno, è qnaUo e^ ■1 Mm a fioca dMtaaa da Vanma (Uar- ■orìa^ Vedi &«••, «f. òL . Atti R.

bt v«B.. & m. ». oae-TO; Barati, o|i.

eft., |1. Ifi.

241 diletta (1). Cos'i egli si stacca dal cantastorie, che non curandosi adatto di descrivere queste pene, passa su- bito a narrare come il re cercasse di tagliere di mezr.Q l' invisa fanciulla; e si rannoda al filo di qaasì tutte l'al- tre redazioni (2). Con le quali il suo racconto offre qui alcuna somiglianza tanto da reoderci sempre meglio evi- dente che egli abbia profittato una fonte pili particolareggiata, che non aia il cantare. Anche uel Filocolo , infatti, Fiorio, distratto dal pensien^) di Biancifiore, neglige gli studi; at- tende con desiderio ogni giorno cpe-

(1) Fil., I. 121-24.

(2) Vedi I poema fr., 363 sgg-, e Tar- MODÌ affini (Henog, pp. 31-32). Invece nel II poema fr. , 359 sgg. , ai laaciu star Florio, cume nel cantare, e si torna si rei dello stato d'animo del giotinelto, mentre è lontano da Binncifiore, fa k>-

lo 1 613-18).

i (T,

e dalle versioni, che gli s'accostano (1). Neppare il romoDziere epagouolo si stacca da Fìorio tosto dopo averne narrato l' arrivo presso lo zio come fa il nostro cantastorie: anch' egli b' indugia alquanto a dire del suo sog- giorno a Montorio, e della tristezza perenne, ohe gli cagioDava il combat- tuto amore (2), Il suo racconto è tuttavia indipendente da quello del

(1) Nel FUocolo, ad esempio, ood si diee che Fiorio fosse posto nella scuola insieme a fanciulle bellissime, perchè di- meuticasse Biancìlìore (I poema fr., wv. 363-66; Flecli, y*. 1391-07; Herwff, le).

(2) Ff. 12 V. _ 13 r. Nella reda»!. mCNleraa del rom. sp., Flores ammala per il dolora d'eser lontano a Bianca- Sor; tornato alla corte, risana in pocbi giorni i disgiunto nuovamente da lei, ri- cade malato, ti suo maestro Mahomod tenta invano di rilevar l' animo dell' a- Innno, e di rici'earlo con divertimenti.

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(1) Vw. 305-00: neefc, n; lMO-3;. Par k *lb« «etaìAni cu-. Marng^ py.

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Ma qui perchè tanta ira? Dello stru^ìmeoto di Piorìo nel ano esìgtio il cantastcìrìe culla dice; fa quindi cenno di notiàa che al re ne sia per- venuta: nel suo racconto manca dun- que la ragione immediata delle nuove furie di lui. Il Fi/ocolo e il romanzo gpBgnuolo ci danno invece pure a questo luogo nna narrazione piU com- pleta, ohe a' accosta a quella del I poema francese, e delle versioni af- fini (1).

(!) Nel Filocolo (I. 124-25, 120) Fiorio ■tesM chiede di potersene tornare a, casa, e più persone riferiaeono al re la vita dolorosa eh' ai conduce ; uel romanzo ■p. (f. 13 r.) è invece il duca medesimo che Rcrìve al re informandolo dello stato del figlio, ed invitandolo, per evitar peg- gio, a mandargli la fanciulla. Anche nella redazione moderna del rom, sp, il mae- stro IVIahomad scrive al re che Flores non può aver pace senza la sua Blancafior, onde qu^li à delibera di sbarauBrai di

d. liv gli atete ai m

247 e intesa a aottrai're l' innocenta alla rabbia di lai. Il Boccaccio in quotila vece per armonizzare questa alle due scene, in cui la regina compie 1' uf- cio di sagace consigliera (1), ìma- gina che ella stessa suggerisca lo spediente crudele, del quale ora di- renio: sicché reca meraviglia ch'egli non si sia accorto della grave con- traddizione, in cui cadeva, mostran- dola in nn luogo pietosa, in un at- iro scellerata (2). Pure nel romanzo spagnuolo il re stringe a colloquio con la moglie, e, fermo nell'animo di voler far morire Biancifiore, spe- rando che, scomparsa, il figlio la di- menticherebbe , chiede alla regina che le paia del suo disegno : questa non inorridisce, ma solo s' affanna a domandare come possa esser condotta la cosa in modo che resti occulta.

(1) Filorolo, I. 87-88; 307-308,

(2) Fitocolo, I. 126-127. Cfì-. nostri

WM «dita dil re, al pari che mI II poeisa francese, nel eantsn e nel poema greeo (2).

Qn«sU caatnddmoae peioologioa , che si maaifeata nella regina, ^pernio ila eia, che le tuwtre veTeì<iaÌ aoa ae- gaitaoo ad accompagnarsi bdelmente a' racconti del primo troTero fran- fleae e dei rifacitori gemanici; ma accolfoDo, d' accordo col secAndo tro- verò, r episodio, a quelli ignoto, del- l' accusa insidiosamente fatta eoBiro Biancicore, d' arer rotalo arvelenare il re, « del duello combattato da Fiorio per ealrarla dal sopplizio. coi

(1) Rom. ap., t 13 r.

(2) Il poema greco Miotinita ad «nai« DBS traduione abbactuita fedele del cantare: cfr. t*. 33S s^.

249

r aveanu condaanata. Cosi il colloquio secondo di re Felice con la moglie non precedo tosto, come in que' rac- conti, alla vendita di Biancifiore , consigliata dalla regina, per impedirò almeno che la sventurata sia uccisa; ma al tentativo di spacciarsi di lei in modo ben più violento: perciò qui la regina apparisce consigliera malvagia o muta complice, mentre più in la, dove le nostre versioni si ricongiun- geranno a' vecchi compagni, rivelerà il carattere, senza confronto, miglio- re, che le attribuiscono le redazioni più antiche o più conformi al testo originario. Nel II poema francese non si produce questa stessa contraddi- zione , percbù re Oaleriens , come s' accennò poc' anzi, non s' apre mai con la moglie, e non invoca il suo aiuto.

Re Felice la chiamare il suo s scalco, e gli dice: . . . (tiui'a '1 mio comandamento di ciò eh' io ti vorò raanìfestare,

cbe fatto »a «uid^ dimoramento:

quando laremo v. tavola a mangiare, cornandoti per questo sacraineato, 'na galiaa mi mundi avelenata, che Biuncifioi'a ne sìa incolpata (1). Come qui nel cantare, è anche nelle tre ultre nostre veraioni il re stesso ohe indica al siniscalco qunl modo s' abbia a tenere perchè liiancifiore sia creduta rea e perisca per con- danna di giudici (2). Non è così nel li poema francese, ove il re lascia pigliare al Eioiscalco lo spedìenf« che gli paia più acconcio (3).

(1) Cant., St 3(1.

(S) Il poema greco £ sempre anal Ti- cino al cantare: Tedi vr. 345 Bg^. Il Ft- loeolo e il romanzo sp. eono qui, come da per tutto, pili diffusi e particolareg- giuti dei due poemi: del primo vedi I., 127-31; dell'altro, f. 13 r. e v.

(3) Vv. 359 Bgg. Anche nel mod. rifa- cimento del rom. (i|i. non è il re, ma il suo < conaejei-o particular », il quale tiene il luogo del siniscalco, che tcova al fina voluto da quello il moixo della gallìua avvelenata.

851 Ma perchè mai costui porge mano COBI facilmente all' opera nefanda I Per nativa perfidia e per vik> obbe- dienza, rispondono insieme il poeta francese, l' italiano, il greco, o il po- maiiziere spagnuolo, che ce lo rap- presentano degno ministro di un ti- ranno, n Boccaccio invece, eh' è piii sottìla scrutatore del cuore degli uo- mini, assomma a queste una ragione più profonda della sua volonterosa complicità: egli accenna che il sini- scalco era stato acceso di Biancifiore, e che nel suo animo cattivo le ri- pulse della fanciulla avevano conver- tito r amore in odio e in desiderio vendetta (1).

Nei cantare, nel poema greco, ne! ro- manzo spagnuolo quegli appronta una gallina avvelenata ; nel FUocaìo un pavone: più genericamente, nel li poema francese, un « Iarde » (2). Ap-

(1) FiV, I., 127, I3^, 208.

(2) V. 397.

fau-ir-a p:<i t^iiarnamf ix;i<eli« fl Boe-

psllina il psTTO? snpurbù. D pnee&t^ atCj6»c«ti:i 6 uSeri4> &1 re a nomo iBiaociSure: ael Fil'fCoh e «ori U faaàiilto steeaa efae lo reca aiU u- Tola nato <1X

Qai è da «rrcrtira che il racconto boccaccesco H spicca dalle altre i«- dazioni per essere a questo )uo^ ■ingcilarment« ricco d' ornamenti e di particulari soci propri. È infatti in giorno della pia aoionne festa che Biancifinre presenta il pavone: re Fé- lioo, intorniiito da splendida corto, oclebravu il di del suo natale. L& fanciulla entra, meravigliosa di bel- Ittua, nitlU sala del convito; avanza, vargUffRando, innanzi i si^ori che ivi aìecluno; Eaiuta, e li invita, •eoondo il eostume, a £ar vanti al pavon*. Alla luco nuora della bel- Uam ÌB«tt«M. e al saono d«Ua voce

il) L, 133.

soave , quelli volgono ammirati, rendono il saluto, e cominciano tosto a fare i vanti. Re Felice gium che innanzi che un anno trascorra, le avrA dato a marito uno de' maggiori ba- roni del 9U0 regno; seguono gli altri obbligandosi, con varie promesse, a festeggiare le sue nozze: Ascalione. ad esempio, si vanta, benché sin vec- chio ormai, di misurarsi i^uel giorno con qualunque cavaliere vorrà affron- tarlo, di trargli di mano, senza rice- vere 0 produrre offesa, la spada, e di porgerla alla Eposa. (1).

Chi abbia qualche famigliarità con la vita medievale e con le favole ro- manzesche, che la rispecchiano, sa che sieno questi voti al pavone; sa che, al pari di queUi che si usava pro- nunciare sopra altri non men nobili pennuti, suU' airone e sul fagiano , spettano al vario genere de' vanti che, seri 0 burleschi, in occasioni diverse.

(I) !,, 137-U

correvauo pronti alle lalibi'a de' ca- valieri (1). Il pavone, che si portava,

(1) La Carne de S/" Palafej Mém. sur l' aneietìne Ckeval., vo). XX della Memorie dell' Arad. Roy. dea Inter, et Beltes-LeHrea (1753). pp. 636 Bgg., (non ho pi'eBante l'ed. Nodier, Parigi, 1886, della iiuale vedi 1, 157-64, li, 95-111); Ferrarlo, Storia ed anal. d^gli ant. corri. di cavali.. I, 182-183; Tobler , Plus (1 parotes ecc., Zeitschrifi fnr roni, Ph., IV. 80-85 ; Bajna , Origim dell' Bp. fr., pp. 404-6; Sjrop -Gorra, St. del- l' Bp. fr., pp. 119-SO. Il Eajao, «me sa ogniiDO , ritiene che i vauU cutilI- lei-eschi rappresenti do la metauoi'fOBÌ medievale di una usanza che i remoti pi'ogenito^ de' cavalieri avi'ebber trutta seco di Germania: vedasi un cenno di questa aleasa origine de' vanti nello stu- dio dell'Ampère sulla Cavalleria {M^- tanges d' hisloire lill. et de Lilléral. , Pa- ris, 1867, I. 242-3). Il Thnrnersen , Eeltommaniiches , pp. 18-20 , rimana sorpreso dalla somiglianza che collega specialmente il vanto giullaresco di Tnr-

ne'suntuoai banchetti, yestitu della eua fulgente maestà, cun T ampia rota delle piume occhiute, era fra i cibi pia ricorcati, un vero boccon di si- guarì (I); la sua carne proclamavaBi la viande ans preus *, come ha detto laoqueB de Longuyoa, ed ha ripetuto

pÌDO, nel Péter'mage de Cliarlemagne , coi cUìs, con le braverie aUrìbuile agli eroi delle antiche leggende epiche d' Ir- landa, l'ercib egli chiede: nella seconda parte del Pélerinage ai riflette la conti- nuità popolare di una vecchia tradizione celtica; o s'ha a preferir di credere che l'incontro sia fortuito? Spunta qui dun- que un quesito interasaante : eha rapporto iutisrcede tra i vanti celtici, e i germa- nici!! da quale di questa due fonti venne l'us" de' vanti a' Francesi?

(1) La Orante; Hugues Capet ecc., Antiens Poètea de la Fr., Vili, p. m; Gaydon, Anc, Poètos ecc. , VII, pp. 26-7; A, Heraf} La vit au umpM dis Coura d" Amow, pp. 248-9; L. «aatler, Ln ChmalerU, pp. 635, 63(J-7

il cantore delle geate di Ugo Cape- te (1); e sovr'essa i prodi promct- tev&n di compiere non so quante au- daci imprese. Da' voti del pavone s' in- titola anzi, com' è noto, il lungo poe- ma che il primo de' roraaozatori testd accennati ha intrecciato alla saga d'A- lessandro (2).

La scena dunque che qui ci pre- senta il Boccaccio è prettamente me- dievale e cavalleresca; e i particolari, che in essa occorrono, non sono ìn- ì pura del nostro autore, ma

(1) Huffues Capei, pp. h, 59 (t. 1121), Ì5S; La Carne de 8." Falaje, op. cit,

pp. 636-7.

(2) Il poema di lacqnes de Longujon^ /,** VoeuJ! du Paon, è ancora inudito; «opra di esso e gli altri due poemi, che gli fecer seguito (Reslur du Paon, For- fait du Paon) vedi La Crantce, op. cit.. pp. ivij sgg.; V. UejtT , Alexandre le Grand, li., pp. 822, 208-72. Un lunto vedine uells Notices et Extraits dcs Mss. de la Bibl. Sai., V, 118.

rispondono a ciò che ci si oSve in narrazioni consìmili del tempo, ed era certo nelle costumanze d' allora. Le quali volevano che il pavone fosse re- cato come alto segno di onore, da Dna donzella, la più vaga che mai fosse nel luogo, aopra un piatto d' oro 0 d'argento (1). EIcco dunque perchè il Boccaccio, introducendo nna scena di vanti, imagina che il nobile uccello sia porto in giorno di gran festa, per onorare maggiormente il re (2); e non da un valletto, come il lardez e la gal- lina delle oltre versioni, ma, secondo 1" uso, daUa fanciulla più bella e gen- tile, che nella reggia e a Marmorina si trovasse (3); ecco ancora perchè

(1) Vedi la Conquisili de Ultramar. L. 11, cap. xLin (Amador de los Klos, Hist. erti, de la Lit. esp. , V. 51); Hiii/uc.i Ca- pei, VT, HIT sgg.; La Carne do 8. PaUje^ op. cit.. pp. 637. ^9.

(2) FU.. ]., 134,

(3) Ib, , 130. 13.">.

Come scopre che la pietanza of- ferta al re nasconderà on' insidia al-

Qiùraaai abbia profittato di un altro poe- ma, nel quale troriaEQO vaati al pavone, dell' Hugues Capei, poiché probabiime&te flDesto fa messo insieme qnando egli sta- ra intorno al sao Filoeolo. drca il 1340 (La fintile, op. ut., p. xxtìj). D'altra pnrl« è lecito imagìnore che i Voeux du Paon, con altri poemi e romanzi oitanici, fonerò nella librerìa degli Aagioìni. o di altri ugDori napoletani d'orìgine franc»- M, co' quali measer Giovanni avesse di- infatti, ae si vede che i libri francesi costi i uivano , dopo i ktini, il fondo delle biblioteche prìnciposche, a Mantova come a Ferrara { Roinonia, IX. 500), pDÒ tenersi che altrettanto fosse delle biblioteche di quelle bmiglie, al- meno, che erano stanziate nel regno napoletano insieme agli Angià; che, piìi particolarmente , i Voetu; du Pam A trOTBWero nella libreria stessa reale o di alcnn barone del mezzogiorno, come più tardi furono in quella di Francesco 1 Gonzaga (ib., 509). Ma è proprio ne-

la sua vita,

clamori. Manifesta apparisce la colpa

cemario pensare che il Bocc. abbia avuto fra mano i Voeux, a' quali, d'altroude, egli noD fa alcunu allusioiie! L'usanza di vantare sul pavone i-isale ben olti'e il tempo di locqaeH de Loogujon. Intanto il luogo poco sopra allegalo della Con- quìila de Vltramar, per il quale l'AnUI* dor de Ioh RIob (op. e voi. dt.. pp. 47-53) riportò il perduto poema epa- gnaolo Los Votog del Pavon arni che al ciclo d' Alessandro, seconda Togliono i più (Ileknor; Gesch. der sck5n. hit. ■n Spanien, traduz. tedesca del IiiUds^ I. 52), a quella di Carlomagno, senza però buon fondamento ( MII& j Fon- tanalsj De la poesia heroico - pop. ca- aiell., p. 333, n. 1.), mostra come l'uso di far vanti al pavone si possa incontra- re anche nel eec. XIII; ma nemmeno a questo tempo dobbiam fermarci , sa ac- cogliamo l' opinione cba 1' uso stesso ai colleghi a riti e consuetudini dei Ger- mani. Dall' altro canto questa costumane Ka convivale si protrassi' fln dopo il mezzo

della fanciulla; perciò anche

più

I

del Eecolo XV ( La Carne de 8/^ Fa*

ÌMje, op. cit. , pp. 637 Bgg.), Ora, io uno spazio di tempo cosi lungo, chi sa quanti altri raci?ontì, oltre a quelli che aran- tano, rìSettendo la vita cavollereHca del medioevo, avraano contenuto scene simìti a questa che ci offre il Filoeoio. E forse che il Boccaccio stesso di scene coti fatte, duraute l' allegro soggiorno di Napoli , quando frequentava la reggia angioina, ed aveva famigliarità co' più cospicui del paese, non eia stato testimonio 1 1 costami cavallereschi e francesi colà certamente non mancavano. In altri testi italiani troviamo rammentati vanti di maniera dirersa. Citeremo le Novelle anCiche, teato flaalUrn2d,4^*— 15° del testo Blagrf ( D* Ancona, Le Fonti del Novellino, ne- gli Studi di crii, e st. leu., pp. 317-18); e 64' (Meit, Ldim und Werkeder Tr.*, 429); il Caninre di Madontta Eletta im- peratrice, Livorno, 1880, per noMe So- ria-Vitali. con prafai!. e note di 0[tttt- Ttano] Tfnrgionl] T[oxì(ettiJ (Landau, Dia Quellm d-^s Dekam.^ 135 sgg.). Si.

i

tvpogiuuiti woo tratti a wnlawìaria al fuoco (1).

Le nostre venùai iigi pot^gmo un'altra prova dd loro accorda Um-

9 agg.i VAjolfo det Barbieone. «t. ed. Del Prct«, I. 140; il Mambriano. C. 41. Se ^ •KK'l Vittoria di Liombrvno, stani - patn gii dal sec XV (FasMBO, / noceti. it. in vario, p. 68), ma riva tuttora mila bocche del po^lo (InbrlaDl^ La Xovti- la^a /(orenlina. pp. -161-61!); Ìl Rmaido dal TaMO, C. 9. St. 30 agg. C'4 accora U po«metto che ha per titolo Fiorttto e Viano di' Paladini (^aadrlo^ Si. e Rag. d" ogni poesia, VI. 678; Ferrarlo, op dt. IV. 28; Xclzl-T<ul, Bibl. dc> ra- nwui di cavali, il., p. 153; Mdchsaek' D* Ancona, Diap. 1^7 di qneala SceJla: p. 21U; Noratt, Dacrit. alcune slampe di poemtUi pop. ilal. ecc., Bibliofilo, Vili, 5, 66); ma non potei vedarlo.

(I) IT poema fr., vv. 429 sgg. ; Caot. SL, 31 Rgg.; Fìt.. I., 140 agg,; poema et., TV, 388 agg.; rom. sp.. ff. 13 v. U r. { HaDBknecht, 61-02).

263 damentale, che tuttfi quattro si con- ttappongono al testo francese nel rap- presentare il modo, per cui si svela U simulato tradimento: un cane ab- bocca il cibo velenoso, e di subito muore (1): in quel testo, invece, vit- tima dell' assaggio micidiale è un malcapitato donzello (2). Perù l' accor- do non si mantiene in ogni punto del racconto. 11 cantare, al solito, pro- cede rapido, e addensa ciò che altro- ve è steso e diffuso. Ecco quel che vi si compendia in poche stanze: il re, alla scoperta del delitto, fa sona- re a parlamento, e accusa pubblica- mente Bianciflore di aver voluto at-

(1) Cant, St. 31; Fil.. I. 140; poema gr-, w. 384-87; rora. sp., f. 13 v. Con- fronUndo il luogo dol Filoeoto con quel- li citati delle altra redazioni, ai può an- che qui chiurameiile vedere come ìl Boi> eacio determini, allarghi, arrìccttisca ciò che altrove «a fuggevolraante accennato.

(2) Vv. 416, 4S1-28.

tc«carìo ; Ia fucina lua sa con»

naau al r~'^j, e il j>jf-it.s siiioandotA Tta, orb ti tsiolta ùla bai:<¥Dte: Q

per ti^Uerie oudù di diieciìersi: puì U trae d'jT' e preparale' il snpplmo. n p-i^ta greco rip«e, press'* pocù, qu«M racc--jm>.'. nu ]■-' i*\:!^ i:- tvin- pie. Per es«npici, il caiilAsicrie ac- cenna all' oagi-'Scii^s* statu fU Biin- CiSure chs, inn^mi i baivuLi cooto- eati dal re, sotto il peao di nt' at-

. . . ndoodo ri gnu tmluBeato, non ai npe» JMdioer ni smgiuv:

S^ua aver prima detto che sia stata tratta alla loro presenza (1). Or bene, ciù ch'egli sottìotende, nel rìtacimaiiW gr«co si trova pianaiuenttì narrato: < masduio per la fanciijlla, la meoan

I^ata . . . > (I) Cosi nella rima i re si querela concisamente:

. . be'signiori, io mi lamento

di Qianciflor, che mi volle atoscai'e;

mentre nel tfisto greco ci non s' ap- paga di spiccia conciona (2).

(1) Vv, 399-4(B. Il poeta greco , per una curiosa disti'BCÌone, fa avveuire l' a- danata del popolo, chiamato a giudicare Biancifiore, in Roma (v. 39G).

(2) Cant., St 33; poema gr., vv. 407-28. S" avverW uua certa affinità tra il discorso che pronuncia il re net poe- ma greco e quello che gli attrìboìsce Ìl Boccaccio : cosi nell' uno che nell' altro egli rammeola Is generosa pietà avuta di Bianciflore e di sua madi'e, per la quale, aaà che odio, si aspettava rac- cogliere gratitudine; ed aggiunge ch'e- gli avrebbe poi voluto maritare alta- mente k donzella (FiL, l.. 142). Si può credere che questa rispondenza sia ac- cidentale; o che il poeta greco abbia

i del cantare, che

Nel Fitocolo ù nel romanzo spa- gnaolo i due fatti rìlcTanti di questa parte della favola segaonsi in ordine inverso da quello che tengono nel cantare e nel rìmaneggiamanto greco: vien prima la presura della fanciulla; poi r adunanza bandita per deliberare snlla creduta colpa di lei. Differenza notevole è poi qnesta : cbe nei due ro- manzi , al pari che nel testo fran- cese, la fanciulla non compare in- nanzi il consiglio, come nella rima toscana e nel poema greco; ciò che mi sembra più logico. È naturale in- fatti che il re, secondo si mostra nella più ampia redazione boccacce- sca, massimamente s' adoperi perché Biancìllore non abbia maniera di par- lare ad alcuno, e scusarsi (I): in-

I ristretta di

fosse, a questo luogo, quelle che potummo co.— ^^. , r— che non saprei troppo Tolontieri indur- rai a ritenere che egli abbia direttamen- te imitato il Fiiorvto. (1) FU.. !.. 141, 107.

tendimento, che, del reato, &' accenna par dal cantaetorìe (1), Gli onesti giudici vorrebbero anzi, cosi nel Fi- locolo che nel poema francese, che la accusata fosse condotta al loro cospetto (2); ma il re non lo con- cede, dicendo esser tanto manifesto il fallo da non tornar necessario si udisse la confessione di chi lo avea omesso (3).

A proposito delle quali rispondenze tra il romanzo boccaccesco e il poe- ma oitanico, cade in acconcio rile- varne alcun' altra. I giudici, in tot- tedue, b' avvedono della mala volontà

(1) St. 34:

Hcalco, cane e ricredente, tosto la fece metera in pregiooe, e fecela legare isti'ettaraente perch' ella doo diceue aua ragione. 12) Poema fr-, tv. 443-47; Fìl., I. , 144, 174-75. (3) Poema fr. . w, 448-50; Fif., I.,

<ni I ilfa

i

ormai annotta (l); noi Fihrnh o[ipon- ^no r espresso divieto delle leggi, che fosse data mortale sentenza in giorno Bolenn'?: tale era (|iid11o del natale del re (2). Ed ancora in un altro punto b' iunontrano i du« rac- conti ; ueir indicare che BianciJIore fa presa mentre si trovava presso la re- gina (3). Non dobbiamo stimare tutr

(1) V». 463-68. Nei rupronti tpin u OBfollereKhi della Kmni^ia medievola , < il tr&moiito ii's\ »oì« •ejfiift in fina ilogli atti giiulì;tmrì > : cool voleano la \fggi ed aceadefB in fatte (0. Tamailla, Il diritta neirtfiea francete, Roma, ISW. p. 29).

P) FU., !.. 145. Noi rom. ip. .•onlln» che il iappliiì'> abbia luogo tre giorni dopo la «entenza: f. 14 r.

, [., 145; po«ma fr, . tv. 485 i^g. Nel Filocolo, il ra, pur muglio co- lorire r inganno , fa imprigionare oon Btancifiore il nni^o^co e Salpadino, che qnal di, Mrvendolo del coltello, aveva smembrato ìl pavone: questi ultimi però tono tosto iprigioDoti (141).

tarla che il Boccaccio abbia avnto aott' occhio il poema franceee, parche vicino alle somiglianze nutate stanno differenze evidentissime.

Biancicore e presa, come ora si disse, mentre sta con la regina; ma nel poema francese, i sergenti che dal re han l' incarico di trarla al ro- go, impietositi anch' essi della sorte immeritata della bella e buona fan- ciulla, es^uisoon l'ordine a malin- cuore, e usano con lei dolci modi e dolci parole (1); nel Filocolo, per contrario, entrano furiosi, o la tra- soiiian sorpresa e piangente (2). Inol- tre, la cattura secondo il testo tro- verico non avviene immediatamente dopo che si e scoverto il veleno ne) Iarde presentato a nome di Bianci-

(1) Vt. 483 sgg.

(2) I., 145. 179. Qui oon eaìsU, chi bea guardi, la contraddizione che ho creduto di poter notai's nel mio Contributo agli Studi sul Socc.. p. 204, n. 1.

i

2T1 flore; si quando oramai il giudizio

i stato pronuaciato, e U rogo cre- pitava (1), la mattina appreaso. È doBqae probabile elio ciò che di si- mile al racconto francese si trova nel FUoeolo, sia derivato da quella fonte più larga e ricca del modesto cantare, alla quale gii più volte s'è da noi imagìnatu che il Boccaccio ab- bia attinto.

Illusa dalla cortesia blanda dei buoni sergenti, la giovinetta, secondo il poema francese, é ben lungi da imaginare eli' ei la debban condurre a morire insieme alla madre, che il re ha pur comandato gli sia tratta innanzi, intendendo darla alle fiamme stosse con la figlia. Crede ella, inge- nuamente, che il signore voglia mo- strarla, con paterno compiacimento, a' suoi baroni, e acconcia, perciò, e s'adorna leggiadramente: poi va, per measo la folla, verso il re: al ve-

(!) Vv, 469 s

278 darla, così candida e gentile, avviarsi , ignara, al suppludo, piangono tutti, e dolorano inteneriti. Il re steeso al-. l' aspetto della innocente si spetra, e, rifatto umano, tra lamenta: «ahi- mè, povera fanciulla, della quale non è al mondo altra piil bella, le tocca morire! , . . Ah, maledetto questo a- more, che mi sforza a cotal tradi- mento. » Ma, novamente simulando, con aspra parola le annuncia cho fu condannata a perire nel fuoco per aver tentato di levar la vita a lui, al padre di quel Piorio, ch'ella pur faoaa sembiante di amare. Avvezza al do- lore, non contorce ella, non im- preca: cade in ginocchio avanti il tiranno, teneramente mansueta, e così, dolce, gli parla: « o re gentile, mai vennemi in cuore di ingannarvi, di procacciarvi morte: pur se vi piace ch'io muoia, eccomi a voi, come a mio padre. Se volete che mi si uc- cida, con tanta bontà mi avete nutrita e cresciuta, fate di me secondo vi

I

talenta, come padre del suo figlio- I lo (1) ». n re, alla dolceaza semplice di questo parole, la guarda, e non trova risposta: assai deve odiare in eb stesso la sua follonial Soprag- giunge la madre, costernata all' or- renda nuova; ai precipita a' piedi del re, glÌGli bacia, e « Re, ella prega, per la grazia di Dio, per il mio buon servigio, lasciate la figlia mia; fat« ch'essa per sempre vada bandita dalie vostre terre, e bruciate me, date a me il tormento eh' è per lei ». Ma il crudo signore sol questo risponde: V una non salverà 1' altra ; morrete ambedue ». E invano supplicano la regina, i baroni; invano questi o£<o- no di ricomprar l' ancella a peso d' oro : il re giura di spogliare del re- taggio loro i signori, che ancora chie- dan grazia per lei : dopo questo giuro

(1) Questa parole fanno rammentAre il dantesco: tu ne vealìaU - queste mìsere u no spoglia *.

non e, naturalmente, più alcuno cho osi far motto (1). Più oltre s'aggiunge che il fnoco è già pronto: Biancifiore prega d'esservi gettata prima por non mirare lo strazio della madre; o al si- niscalco chiede clic la lasci morir da cristiana: cosi, genuflessa, s' abbandona lungamente alla prece, e, immemore di sé, implora da Dìo aiuto a' genitori. Poi si rilava, si segna, e, guardandosi dietro, scorge la madre sua: al ve- derla, cede, sopraffatta, alla piena del- l' affanno, o Bmarrisce 1 sensi. « la- sciate almeno cb' ella si ridesti » , geme la povera donna a' sergenti fret- tolosi. La coricano quindi sopra un tappeta, e fanno per lanciarla fram- mezzo le fiamme, allorché soprarrlva un cavaliere, che impetuoso si sferra contro il siniscalco e i camoflci, e libera la fancialla (2).

(1) Vv. 485-579.

(2) Vv. 743-894.

2-re

Lo nostre versioni nemmen s' ap- pressano alla cara bellezza di questa scena, drammatica insieme e soave: ad solo perchè manchi in esse il per- sonaggio che (.■fficacemcnte concorre a crescerne la tensione tragica, la ma- dre di fiianciiìord (1); ancora per- chè non anima i rifacitori meridionali quello spiro schietto di poesia, che, in questa parte, ha mosso vivamente il troTero. La cui grazia delicata e spontanea contrasta in ispecie con la artifìcioBità macchinosa e stucchevole del Boccaccio.

Qual differenza, per esempio, tra la Bianciflore del francese e quella del narratore italiano, ch'è tutta smanie e retorica! Mentre l' una, campeggiando serena in un quadro pietoso, va incon- tro alla morte con aommesaiono dolce di martire, l'altra, se non fosse stata impedita dagli stretti legami, < s' a- Trebbe i biondi capelli dilaniati e

(1) Vedi Herzog, op. cil, p. 29.

i

278 gùutì, e '1 bel visù setoA niona pietà lacerato con crudeli onghje, strac- ciandosi i neri drappi significanti La futora morte .... (I) » E basti questo, a Bcusa di pio parole. Mi- ^iore, Benza dubbio, nella stia pupu- lore aemplicitA, e il nostro poemetto, ove eom nativamente Biancicore lagna, penaando aU'amico suo, che d lontano, e non sa del pericolo, ch'ella corre, può salvarla;

o dmdo mio, che ti itai a Montone, B gii non ni di questa mischinel)*, come per te ricevo gran martorio! Non agio meno che tei venga a dire, come per te wd menata a morire (2).

(1) Fit., I,, 176. Sulla inferioriti del Filocolo a talune delle redazioni strauii^re della leggenda fedì Znmbtnf, op. cit,, pp, 49-57.

(2) 3t 35. Cf. poema gr., vv. 463 sgg. (Juà e diBaeminato, ne' lunghi discorsi, rho il Borcaecio pone in bocca a Bian- cifiorc, troviiun (]ualche peuaioro di quusto

277 Tutte quattro poi le nostre T^rsiooi d staccano dal poema francese po' tma dissomiglianza di fatto, che per esse Biancifiore non procede inconscia al tao fine, ma, imprigionata prima d' esser tratta al ro^o, sa almeno che le sovrasta sciagura: dissomiglianza, che le mostra indipendenti da quel poema, e raS'erma che qualche par-

lamento, cK è nel cantaro. < E m io po- tessi questo in alcun modo farlotì ano- pero ben lo ferei, ma io non posso > {FU . 1. 169), 4 Oimi, dove sono ora tanU amici tuoi, a quanti solava me per amor di te calare, quando tu c'eri? Or non ce n' ha egli alcuna il quale tei venisse a direi > (Ibid.). CanL. St. 35: non agio msHao che tal venga a dire ecc. « La morte eh' io vo' a prendere m' 6 ingiustamente data, e tu me ne se' prin- cjpal cagione > {Ibid., 180). Cuiit. , ìb. : ... per te ricevo gran martorio

. , per te son menata a morire.

tìaìe riepondenza, per cui gli racco- stammo il Filocolo, non derifa da imitaziono dirotta cho il Boccaccio abbia fatto della redazione oitanica.

Chi è il cavaliere eopraggiunto a flalvar Biancifiore 1 Ci vuol poco a indovinarlo: è Florio stesso, che del pericolo sovraEtante all' amica sua ha saputo per virili dell' anello ma- gico, eh' essa gli avea dato prima eh' ei partisse per Montorio. Guar- dandolo, egli ne vide smarrita la sin- golare chiai'ezza, e così conobbe cho Biancifiore avea mestieri di soccorso. Si procurò subitamente armi e ca- vallo, e volò in aiuto della fanciulla, a cui giunse nel punto che già stava per essero gettata tra le fiamme. Tale il comune fondo del racconto nelle nostre versioni (1).

(1) Cant., St. 37-39; poema gr,, 484-&14; FU., I, U6-67, 182-84; t

E Fiorio al s'è meso imanteDeute, un;» diraorameiito tardani^; a un cavaliei'S. eh' era suo parente,

B cavallo li chiese in prestanza ; e li preatò uno destrier corente, e un chiaro isbargo ed elmo e scudo e laa^a, una spada con dolcie tagliare, che ben podea secnro cavalcure.

E Fiorio a cavallo fu montato, e dell! sproni bello rìcbsdea: inveivo a Blancifìore se n' è andato, po' che ne era in tanta gelosia: B quando '1 cavalier giunae a lo prato, trovò la damigella che pìangea, ed era preaao dello ftioeo argante, e per vedere ìstava Dna gran gente.

280

Semplice e breve dnnque, al solito, la narrazione del cantastorie: il poeta greco la ripete, alquanto però allar- gandola e stemperandola. Non s' ap- paga di così rapidi cenni il Boccaccio, che invece atende an racconto ampio e minuto. Egli non si limita a indi- care nudamente, al modo del cantore di piazza, che Fiorio aveva dormito, ma spiega come gli avvenisse di ab- bandonarsi al sonno (1), e qual vì-

(1) Standosi malinconicamente a pen- sare di Biancìfiore, poco a poco Florio fu preso da soave sonno (FU, I., 147-4S). Pur aeW AmeU) Galeone, vinto da lungo sforzo di dolorosi peasieri, si addormenta. ed ha una visione (ed. Moutier , p. 150) Vedi pure Amorosa Visione, ed. Moutier, 1 cap.; Corbacdo, ed. Sonzoguo, pp. 262-63. Goal Dante, Vita Nuom, §. TU (p. 26, li ed. D'A.iioona): «... E ricorsi al s<.>Ungo luogo d' una mia cameiit. e puoaimi a pensare di questa eortaassìma; e pensan- do di lei, mi Bopraggiunse un soave sonno, nel quale m' apparve una moravigliosa

I

281

sioDe paurosa gli coin{tarìs8e , e pei^ dtó quindi deetassa tatto turbato, a guardasse torto l'aDello, che doveva eaaer^ «icnro indice dello etato di Bianci flore. Cosi al Boccaccio vien fatto di mescere a' dati , che certo traeva dalla sua fonte, ed han riscon- tro nel cantare, nnove imilazìooi da' poeti latini, de' quali era tutta piena la sua fantasia. Egli narra io- fotti che Venere mostra al dor- meata Pioriu, e gli sTela ciò che era stato ordito in danno della sua amica, gli promette il divino aiuto, e ter- mina col laaciai^li una spada tem- prata da Vulcano, e usata da Marte, per la quale ottorrft vittoria contro i noi nemici. Del pari Stazio imagina nella tua Tebaide che a Polisso, in- stigstrice delle omicide LecmJadi, ap> parisca di notto Venere, per eccitarla contro U viril sesso, e le lasci sul letto una spada (1).

(1) V. 131-40. NeU- Eneide, Vili. 608 *qg., Venere appare al figlio per preaen- largli te armi apprestategli Ja Vnlcanu.

n cavaliere, cai Fiorio si toI^ per avere armi e cavallo, non è un suo parente, come nel cantare, ma il suo stesso vecchio maestro Àscalioiie, che dapprima tenta dissaaderla dal pro- posito arditissimo, ma poi, vedendo la sua ferma volontà, gli concede le armi, e studiosamente imparte a lui novido gii ammaestramenti più ac- conci a procurargli vittoria. In tutte le altre redazioni, compreso il teeto francese, Fiorio va solo a combattere por Biancifiore; nel Filocolo, ove tatto b' ingrandisce e si complica, lo acGompogua Ascalione ; anzi si pi- glia r incomodo di fargiisi aiutatore il dio stesso della guerra. Marte, che per lui, come già per altri eroi, scende dalla superba sede celeste a mesco- larsi alle battaglie degli uomini. Con che sforzo messer Oìovannì tenta ac- costare all' altezza dell" epopea clas- sica la modesta novella medievale) (1)

(1) Vedi io proposito Zamblol , op, cit , pp. 39-40.

Qualche sua vnriante e nge'""*^ "^^ anche il comanzo spagQuulo: ma la sue dissomiglianze dalla fondamentale redaaone non sono noteToliseime (1). É piuttosto degno osserraiuoDO an- che qui il fatto che le nostre versioni si a^mppina in comune discordanza dal poema oitanico (2).

(I) Non è nel destarsi sbigottito chs Piorio volge gli occhi all' anello magii^o; ma iatando che sta conversando con lo no duca: è a questo (Cant a un eaea- liere ch'era suo furente) ch'egli chiede armi e cavallo, sotto pretesto di volerai addestrare al combattere. Per via incon- tra uomini che apprestavano legna pei' il eupplixio di Bianciflore, e sa da costoro quale sia il pericolo, di cui lo aveva av- vertito lo scolorimento dell' anello. Nella redaz. moderna del rom. sp. Piorìo non s'avvede che a Biaacifiore sovraata acia- gnra per alcun mezxo soprannaturale ma a' 6 informalo da secreto avvìao del- l'aia dalla fauoiuila.

{2t Vedi w. 613 agg. Anzi tutto d'a- nello magico, come sappiamo, qui non

In qaal moda salva Piorìo )' amica Ena? Com'è dei drammi e dei ro-

ti pbtIa: Fiorìo rompe quella sua ipecjs di confino non perchè in alcun modo ab- bia svnto Dotizìa che ali' &mic& aua bi»o- gnaue ainto ; ma perchè non sa pìil ■Uni, redendo clie il padre, «scondo U promena, non U manda a raggiungerlo. Per istrada a' imbatte in nn cavaliere, che, tatto corraccioEO per ciò ch'eraaT- Tennto, avea lasciata la città; e da coettti apprende che la innocente fanciulla do- veva eeaer bruciata. L' ardito giovinetto gli chiede armi e cavallo. noti che il gentiluomo :

Floire paroili ert let ia toi (623). Io non so indurmi a credere col Da SérD (op. cìt , p. S94) che qui paroiU tMjuivalga a parente, eh' è nel CaiiL (a un cavaliere ch'era suo parente): la lo- cuzione le* la hi, come avverte il Dn Hrirìl stcMO, parrebbe escludere una tale spiegazione. È forse avreouto che io I- talia la voce poroils al volgere per er- rore in piirifWe f S'avverta ancora

manzi del tempo nostro, il duello era la droga piccante de' racconti epici e cavallereschi del medioevo: chi per- tanto abbia presente lo schema di questi racconti, s' aspetta certo che

che pure nel rom, sp, , come testò si vide, è per via che Fiorio ha notizia che ri vuole ardere Bìanciftore (Dn Hérll, p. Ixxxìj, □. 3;Her»>S, p. 31); ma il modo ù diverso, si può dire che qui il romanziere sp. imiti il poeta francese. Vedanai anche talune rìspondeaze del testo oitanico col romanzo boccaccesco. Il gentiluomo tentA sulle prime di rimuovere Fiorio dal pro- ponimento di accorrere alia difesa Biancifiore (w. 646-48), come tenta A- Bcalione (FU, !.. 15G); e come questi, gli osserva eh' È troppo giovine (v. 65fi ; Fil. , ib.). Dtiscrivonsi pur qui le armi recate a Fiorio (vv. 661-76; FU., I., 161-62), Queste rispondenze sono però vaghe e lontane, e solo possono giovare a ralfer- marci nella sohta ipotesi che il Boccac- cio abbia profittato di una fonie più am- pia del cantare.

dopo il proceeso venga il duello giu- diziario, e che Is causa di Bianciflore sìa decisa a colpi di spada (1). Così infatti avviene. Fiorìo fende la folla, narra il cantastorie, airivn sino alla fanciulla, e, incanito sempre, la raa- BÌcura, e le cbiede perché il ro l' ha voluta condannare. Essa gli espone il fatto, si protesta innocente, e lo pr&- ga d'aiuto. Il giovinetto allora si volge al popola, domanda che re- vochi la sentenza, accusa il sinÌBoalco di tradimento, e lo sfida. I giudici e notai fanno sospendere il supplizio, e si recano al re per annunziargli che si è presentato uu cavaliere a difen- dere la donzella. Il ro non può op- porsi, soQza manifesta violenza, alle consuetudini: fa rimettere in pri^o-

(1) Sul duello giudiziario, e ad illustra- zione del processo contro Biancifiore, vedi FfelTer; Die FormaiMten des gotUage- riehtl. Zieeikampfs, nella Zetlsrhrif fùr rom. Phiì., IX, 1-74.

ne la fanciulla, e stabilisce per il mattino appresso la prova deU' armi. Chiama a so quindi il siniscalco, gli riferisce l' accaduto, e lo invita a com- battere: quegli, mìles gìorionus, ac- cetta baldanzoso il duello. Ecco il mattino seguente 1' un contro l' altro t due cavalieri: Fiorio, nemmanco dirlo, vince ed uccide il siniscalco: Biancicore 6 salva. Accorasi re Fe- lice, che si leva piangendo da' balconi, ond'era stato spettatore dello scontro: la ùinciulla invece si getta, tutta lacri- me di contento, a' piedi del suo cam- pione. Il quale la fu rilevare, la conduce al ve , e gliela raccomanda per pietà del figlio suo stesso: indi si parte, e torna a Montorio (1).

Onesto del cantastorie presenta ri- spondenze con il racconto del troverò, ma insieme se ne allontana quanto basta per produrre la persuasione

che qnello non ne ÒM eUto U fonte diretta. N«l poema franoese, ad esem- pio, Fiorio non chi«<de alia donzcUa per qnal cagione il re 1' abbia fotta condannare, che egli l'ha già sapo- to dal paroit incontrato per via (1); si Tolge al popolo accasando e sfidando il einiscalco. Inoltre , i giadici e notai non 8ono menzionati , giacche, secondo l'uso fendale, qui non gìadicano e sentenziano magistrati speciali, ma i nobili raccolti dal re (2).

(l) Vv. ^5-28. Il paroilt racconU:

t roia velt Blancheflor ardoir. rirBoit le volt ampoisaner; Ardoir la velt et tormenter.

(8) Mentre il poema francese rispeochia instituti e costumanze fondali, le due ra- danoni italiane preeentano un misto di ordiDi feudali e comunali, che mostrano r origine francese del racconto, e l'adat- taiione all' ambionle italiano.

Questi poi assista alla scena, per cui non 6 mestieri che alcuno gli si rechi innanzi a i-appoi-targli eh' è comparso un ignoto cavaliere a difendere la fan- ciulla (l). Cosi il siuiscalctj, presente

B 1 re fecie tonare a parlamenlo, e tuta i puOTOl fecie radunare,

narra il cantastorie (St, 3'J). Curioso è quatto l'è, questo capo feudale, che chiede ginaCma, non a'anoi nobili vaMolli, ma al popolo radunato, come usava db' nostri Comuni, a Buon di campana, sulla piazza. chù tale imagina et suscita la frase sonare a parlamenb) (vedi Bflzueo, Dit. Star. amminisir., a. v. sonare). Avverti perà a questo luogo la variante: e ì prìncipi del popò! te adunare (note alla St. 33).

(I) Il siniscalco, volgendosi al re, dice (906-8):

4 Avez e^H d' un lechéor Qui vostre cort a dasjugiée Et honia vostre inaianiéeì »

Egli dunque iupponeva rbe il re avesse

anch' egli sul luogo a dirigere l'esecu- zione, non ha bisogno a Eaa volta sapere l' istessa cosa dal re. ci si poi^ egli ia quell'atteggiamento spa- valdo, che gli attribuisce il cantastorie; anzi è renitente ad accoglier la prova del duello per paurosa coscienza della sua perfidia (1). Lo scontro avvieno lo- Bto, non il mattino appresso, ed ofirc, descritto riccamente o vivamente, par- ticolari e situazioni, che nel cantaro non si ripetono (2).

Oli altri racconti moridionatì s' ap- pressano piuttosto alla nostra rima, che al testo francese: di uno anzi, del poema greco, dobbiamo dire sen- z' altro che segaita ad attenersi, pili

veduto l'atto di Ftorìo, che, fatti fuggire Btniacalco e aergentì, avea salTato da morte la fanciulla.

(1) Cfr. la St 48 del Cant. co'tv. 92S tgg. del poema francese.

(?) Poema fr., vv. 945 Bgg.

291 0 Dien Uberamento . alla fonte con- sueta (1); che possiamo restrìngerci a discorrere del Filocolo e del ro- manzo spagnuolo.

Nella versione boccaccesca Fiorio ,

raggiunta Bianciflore presso il rogo,

la conforta, e le domanda, come nel

cantare, perchè sia stata condannata

alle fiamme: « giovane damigella,

egli dice, fugga da te ogni paura . .

. . dimmi luale eia la cagiono che il

re t' ha fatta giudicare a £Ì crudele

morte .... » Cant. :

quando lo cavalier fae ^unto ad essa,

■l li dise; dongella, or t'aBicura,

dirai la verità, nou mei cielare;

perchè lo re f il fatta giudig8re!(2)

Domanda questa tanto naturale e ne- cessaria nel poemetto, quanto forse inutile nel Filocolo, ove ai narra cho Florio ogni cosa aveva gi& saputa

(1) Vv. 545-739.

(2) Fil, 1., 189; Caat., St. 40

F-«^ Affala A.

E.M»ir»irt»f«ttA

■ì la tì- ém*, Fkna mb fatarne a«tam

(I) KL, L. IWi CnL, Sl <I. (X> /V^ L, itk; Cult. St. 42.

b

incognito, secondo il suo desiderio! « D' altra parte, avverte il giovinetto, io sono strettissimo e caro amico di Fiorlo, ed ella per amore di lui mi prega eh' io l' aiuti a difenda nella ragione : ed io così son presto di faro fi in ragione e in torti>, contro a qua- lunque la volesse far morire; peroc- ché s' altro ne faceBsi, molto alla cara amistà mi parrehhe fallire, e ogni uomo mi potrebbe di ciò giastamente riprendere. > Cant:

E par amor di Piano eh* eli' ama la mia persona a morto voglio spendere: ella per lo suo amor mi si rìt^hiama, ed io per lo suo amor la vo'difendtre, e del combatere agio voglia e brama col siniscalco, se la vuol contendere; Florio, e b'ìo no lo stasa,

) non lo amasse (t),

S^uono avanti altro simili rispon- denze : cos'i vediamo che pur nella descrizione del duello il Boccaccio è

(1) ni.. !.. 190-91 ; Cant,, St. 41-

pin vicino al caniastorie che al tro- verò (1).

Questi riscontri Su tli parole sono assai notevoli. 11 Gaspary ne bapro fittato per assodare la sua ipotesi che il cantaro sta uscito dal Ffloco- lo: essi gli provano che il poeta di piazza ha ricopiato il testo boccac- cesco (2). Noi por ora non ci fer- miamo a dirne di piti, paghi solo rammentare che in principio di questa lunga analisi nostra appunto uno di cosi fatti riscontri (FU. miliiare pa- lagio; Cant. palazzo de la milizia), addotto ooQ altri dal tiaspary a so- stegno della sua opinione, valse in- vece ad attestarci anche meglio l'in- dipendenza del cantare dal romanzo del Boccaccio (3).

Della quale indipendenza ecco qui

(1) FU., l, 198-203; Cant., St. 49-51

(2) Op, cit, pp. 3-5.

(3j Vedi sopra, pp. 100-11.

905

ancora giTsìcIie altro indizio proprio dove le duo versioni più s'assomi- gliano. Nel cantare, come disse, il re determina che il duello nbbia luogo il mattino i

: certo egli ò ragione: alli meaaggi diso; or vi partiti:, andato, rimetetola in presone; e poi allo mattino a me venite: lo cavalier menate a la magione,

i cortesia a lui farete; poi domattina si corobaterfuino: qual sia di loro n'ara morte o danno.

Cosi il ra a' giudici o notai. Prea- s* appoco le stesse cose egli dice nel Filocolo al siniscalco: « a me pare l'ora molto alta a, volere combattere, e te sento oggi molto affannato, e perù rimangasL per questo giorno la bat- taglia. Va', e fa' convitare il cava- liere, e onorarlo inflao al mattino; poi, quando il sole con più tiepido lume ritornerà, combatterete, poiché negare non gli possiamo la batta-

£06

glia > (1). Ma nel Fiìomla la batUglia non si rimane, che il siniscalco induce il re a coocedere che si combatta tosto; mentre nel cantare ^lì accoglie il termine voluto dal euo signore (S). Possiamo dunque dire che il canta- storie abbia ricopiato il FilocoÌQ f S' avverta che nel mag^or numero dei poemi francesi contenenti esempi di duelli giudiziari , accade preci- samente come nei cantare , che lo econtro non segua immediato alla sfida, ma si rimetta al mattino suc- cessivo (3). Vediamo cosi che questo offertoci dalla rima nostra è un dato comune ne' racconti epici e cavalle- reschi : forse il cantastorie T ha tratto dalla sua fonte, che pur qui si ma- nifesterebbe diversa dal superstite te- sto francese; forse era anche nellk fonte del Boccaccio, che avrà voluto

I

4

(1) FU., 1„ 194; Cant, St 46. {2) Fil., 1. e; Cant., St. 47 egg. (3) Pfeffer, op. cit„ pp. 57, 59-60.

^1 la f(.>ru ^P Bini Bea

I

297 [ìficaria per ritrarre più al vivo la f(.>ruc(i impazienza di Florio e del Bini scalco,

questa è la sola dissomigli an- sa che presentino le due versioni italiane. Nel poemetto si narra che il siniscalco fa menare la fanciulla al supplizio; ma poi non si dice ch'e- gli, fidatissimo complice del re, e carnefice di Biancifiore, sia rimastu , come sarebbe stato logico , su quel campo scellerato a dirigere la ese- cuzione; in modo che il re deve poi chiamarlo, pere h'oi sappia ch'é soprav- venuto un cavaliere a difendere con- tro di lui la donzella. Invece nel ro- manzo del Boccaccio egli reata a in- vigilare la mala bisogna , come av- viene pur nel poema francese (1). Non si può dire tuttavia che il Boc- caccio abbia profittato di questo poe- ma, da cui troppo si scosta il suo racconto: par chiaro piuttosto anche

(l) !.. 181. 187.

polo prDduundownft esnpiOM. Il ■JBÌtBtlep mn é prewato qiaado Pio- rio Kpnggiiug»,- onde a re, oone m1 cauiUn e od poema green, lo ebiania per atugneìai^ la sfida: ì Ifìadici si recano al re per dirgli cb'A Tonitto nn caTalisre ignoto a difendere Biancifiore : «jueg-li trova cb' 6 gioito gli conceda il campo, e intanto comanda bÌs cortesementd trattato. Il doello doq avviene tosto, ma dopo due giorni. La descrizione

(I) «. U f. - 16 V

I

290 di esso non o poi conforme a quella del cantare e del Ftìocolo, si all' al- tra del poema francese (1); per cui ai vede come le due versioni , l' Ita- liana e la oitanica, in questa parte del romanzo spagnuolo sieno con- fuse. Ci sono inoltre particolari, che s'incontrano solo nel romanzo (3).

L' episodio del processo e del duello manca nella storia di Roaana, che in tiuesto dunque si collega al 1 poema francese, ed allo affini versioni ger- maniche. Essa perù corrisponde stret- tamente anche a' nostri racconti nella

(1) Da Méril, p. IxitiJ,

(2) La modtìi'Da roda/Jona del rem. ip, in UD punto si stacca dall' antica. Comit nel poema francase e nel Filoeolo, il ri- niac^co à presente quando sopravviene Flores e getta la alida. E){li sterno si porta ioDanzi il re, che, dietro parero del suo consiglio, stabilisce il duello per il giorno successivo . al pari che nel cantare.

daxfaiw dell* leggeodft di Pkrie, pcmude il re Mpinn i pawnàì nu « por qodla c^ deU' amor ka« •'«fvede, ff M min U r& AsU- neoto è ■«"■^*<« « Parigi a'mpanr balli e giaNtra e lonùaaniti (^

<l) Racc^ pp. 30-21 ; 1

pp. VO-S8.

(2) RaM^ p. £0: « e lo re e U mna eoiamidarono all« balie ohe ninna ami- lagb B*eaM l'uno dall'altro >. Nello «Uno noconto, ìb., il ro fa porre i due gioTÌ- netlì a logora insieme apontaaeamente , come nel Fìloeulo.

<3) Kapprcaeotax., p. 385.

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^M fra

^r ou-i

^1 rioo ^f Beta

ripreaenu U aooia d'addio

due amanti r RoSOBS DOD d&

all' amico suo alcon snello od shri rioordi, ma lo pr^gA dod partire esoereì fatto. batt«aare; e, cri- i«nle rassegnata, la inda<<e ad acquetarsi dociliesimo al desiderio de! genitori. Come si vedo, domina in questa ùivola l' inspiradone religiosa.

5. Florio, dopo il daelb, torna presso lo zìo. Le versioni meridionali qui si ricongiungono al 1 poema fran- che ed alle redazioni affini; ripren- dono quindi il filo interrotto per la inserzione dell' episodio, che ora si fin) di analizzare, al punto st«6so, in cai lo avevano lasciato; e riprodu- cono necessariamente la situadone, che s'aveva innanzi a quello: Fiorio, quantunque lontano, ama sempre la sua Biancicore, se ne stragg» aou pe^io che mai; il re per questo in- Csrocisce contro la fanciulla, tanto da volerla spacciare. Cosi, terminato l' e- pisodio, si ripetono fatti o scene, che

J

ci b' erano offerti prima che eonùti- ciiiflse. Vedasi, sd esemiMo, nel can- tare:

St S9 Or torna la cagione a re Pelicie, e Lucia Utar di Florio innamorata: B la reina 'Unii: iaparadrìcitt, lo tuo figliuolo a Mui)U)rio b mondato; [liancifiora, U (alia meletrìcie, bm^! iredo ehe F aijùt afaturato; ma M di Iti non faccio wt%d«Ua, giantai no» porterò tvroma in Ugla.

St 65 B re Felice dÌcÌO a la r«ina: io tue iìgliol « ninore imunorato: novella avute i' n' 6 quMta matina, nba m'anno fortomente eonsnmitto: dUtnitti BÌumo per queata bntìna; ben credo che ci t abia afaturabi; ma te di Ut non facto tmdella. giamtù non porterò corona in tetta.

Chi ha mandato lo novelle, cui al- lude il re ÌD quest' ultima Stanza 1 E che novello furono?

Tornatosi a Montorio. l'aroo del racconto ripiomba in quello stato do-

^^

loroeo, in cui era prima muovere fi salvare da morte 1' amica sua. Lo zio duca pensa di poter guarirlo dell' amore, che lo travaglia fiera- mente, Buacitandogli in cuore altre fiamme : perciò procura eh' ei trovi con due fanciulle belliBsime, le quali ogni arte osano perchè egli bandisca il pensiero, che lo fa costantemente sospiroso e tetro, e, dimenticando Biancifiore, ceda ali' invito de' loro ab- handoni procaci. Invano : il giovinetto supera le insidie abilmente 4«8e alla sua fedeltà amorosa. Allora il duca scrive al re che il suo figliuolo, indif- ferente ad ogni altra fanciulla, ama sempre Biancifiore, cosi da consumar- si desiderandola; perciò lo sollecita a mandargliela a Montorio, se voglia che ancora egli viva. Di qui le ire del re, come si vide poco sopra nella seconda delle Stanze, che abbiam ri- portate (1).

(1) Cant., St. 58-64; poema gì-,, vv. 740-856.

304

L' episodio della seduzione è proprio delle versioDì meridionali, e concorra a provare nel modo più perspicuo il topo accordo fondamentale: però nel I poema francoBo e in altri, che gli sono affini, si rinviene come il ger- me, onde esso certamente s' è svolto. Dove consiglia il re allontanare il figlio, confidandolo alle cure della sorella Sebile, la regina esprìma la speranza che costei trovi maniera di fargli abbandonare Biancifiore per i]nalche altra fanciulla. Cosi si vede che

Aprendi'e l' eo-muine Sebile 0 Im puMl«s de 1a vile, SaToir se il l'oublleroit Et en l'escolo autre amecoit (1),

Diversi sono il modo e l' estensione, ma quel medesimo 6 l'intendimento da una porte e dall'altra. Natural- mente nel testo francese, per esservi

(1) I poema fr.. vv. 319-22. 363-66; poema del Fleok, vi. 950-55 964-72, 1391-97. Htnog, p. 34.

305 Florio rappresentato come ancora fan- oinllo, il fatto si porge sotto aspetto innocentissimo : iuTGCe nelle versioni meridionali, ove s' imagina che, ormai capace di imprese cavalleresche, egli aia crescinto dalla infanzia al flore della adolescenza, la cosa muta carat- tere, e le ingenue e piccole compagno di scuola diventano conscie e impu- denti seduttrici.

Vediamo ora quali rapporti corrano fra le nostre versioni. Anzi tutto la solita osservazione: Il posta greco ricalca la rima italiana (1). Liberis-

(1) Tratto tratto sarA bene ofliir prove dell'intima riapondenz^, che lega il poema greco alla rima italiana.

« 4>Xci)pie, nd6Ev sp/saai; . . . (V. 746)

* Onde ven' puese si touLano ! > (CanL, St 58)

Chi fu questa domanda nel poema greco non 6 il duca, ma 11 maestro di Fìorìo: deve però tratUrs! di erroi'e . che al v. 763, nellu contiiiuaziune d«llo stesso dia-

lùmu, jier eontrsóu, » mnnve 1 ooooio.

lego, Piwki pvla, doohi diu ohìarM- mvnÌK, al duu» Lu riapona dal §Jim> f uMtu « In KttuBii iit^' doli potali :

t(q «^/wrtcsai? '^YtviKat"?, inp5Ì5£v«i5 ^awSDwLn; I

(TT. 7 - - C/r. CmI. St 68. Più ianfuui (tt. 773-851: Evpi'cxu 9ud xopóau,

« inoKd tìv leaiiij va xapij. Tdv 9Xti!piov, Ti? l^-st, « xt afni Tirt» OW^J'iv et'? /«pàu orpa^wai tiSi X9[pS:'«v, 5pxsv rj^ xai|ivu ^«vgjsiì, àw8p« voi Tri? "-^ Sifsw. » it x^p«t? oijTDxptvouTOit JLÌT°" "^"^ Sfloxav 5oT(i>? « tvKfifiX'x TiÌ5. auO^vTn |wii; xat oovcixt^TOpa ji*;, T^ffov nsXOv 8t«j^|tov xai Tdciiu aa^oXTsiu x«i' TdfTiiv tip'^w xa( /«piv vai 8G(^tDfi.£v et? outow, wtxp^ «V i^TOV i^ioe,. vci Y^vi) e|i4^jx(u;i^wo? , Ksw' «cà »Tafr^ x«' vai x^p^J xai voi TÌcfrfJ t' "Jwjnri tw, xai' nmpojn'^w mxpni7|i5i)? va toù? iirigiowii'iTTi.

307

Da poi che a Montorio fu ritornato, lo duca alilo prende per la roano, e dicie; figlìuol mio, ove se* tu atatoT Onde yen' di paeae si lontano t E Fiorio disse: io mi boo solaciato inniin giardino presioso e sanai ■tato sono con donne e con donzelle, reduto son con bello damigelle (1).

La Bcena atesaa ó pur nel Fitoco- ìo: «... quando il duca il TÌde, lietamente andandogli incontro, l'ac- colse, dicendo; o dolce amico, or dov'è oggi vostra dimora stata, che veduto non v'abbiamo? Certo noi e- ravamo tutti in pensiero di voi. A cai Florio facendo grandiBsIma festa, disao: io sono stato, e Ascalione con meco, in uno bellisEÌmo giardino con donne, e con piacevoli damigelle in

Cfr. Cant. St. 60. E lascio altri esempì, perchè, volendo addurna molti, sarei co- stretto a porre 1' uno accanto all' altro tatti interi i due testi.

(I) St. 58.

a festa tutto questo giorno » (1). Ma per il Boccaccio, che, snaturando la leggenda, mira coetantcmentc a fare del suo protagonista un ei-oe pari a quelli celebrati da' poeti anti- chi , prima che al palazzo del duca, Florio, col suo maostro, reca ai templi di Marte, di Venero e degli altri dei, che 1' aveano aiutato a sal- var Biancicore. Così qui abbiamo sa- crifizi e prodigi affatto pagani, cbo, manco dirlo, le altre redazioni igno- rano del tutto (?). Nel cantare, dal ritorno di Fìorìo si balza repcntina-

(1) I..209.

(2) FU., I., S07-8. Florio e Ascalione &Qno disarmare nel tempio di Marte, o conBacrano l' armi al dio. Vedi eaempt di armi votata a' numi nell' Eneide, VII. 183, XI. 5-11; Tebalde, II. 725-26. Più semplicemente, nel cantare, Fiorio 6 fatto spogliar dell' armi dal duca (St. 59):

Lo duca lo faccn disartnare, a. cavalieri bello fa servire.

mente ali' episodio Boccaccio, in cambio, con Isnto tra- passo mostra come il duca aia stato condotto a procurare che nel cuore del giovinetto nuovi amori sotten- trassero al primo. Soffriva egli tal pena, che nuli' altro rimaneva, per guarirlo, se non tentare l' antidoto di altre fiamme: il romanziere pertanto s'indugia a descrìverci la lunga tor- tura amorosa di lui, con una analisi psicologica, della quale il rozzo canta- storie non sarebbe stato capace. Certo ci sono qui lungherie tediose; ma, fra esse, qualche tratto è vero e f&- lice (1). Di mozzo a codeste lungherie però torna facile rilevare come la si- tuazione fondamentale sia quella stessa che s' ha al luogo corrispondente nella

I comune redazione della leggenda: il duca tenta di ricreare lo spìrito ab- battuto dì Fìorio, e dìstrai'lo dal (i)p, ;

(1) Por es., Fil., I., 215, 223, 225. Vedi ) Contributo, pp. 202-3.

310 penfiiera Ai Biancjfiore; il giovinetto invece si logora inviiicibilmeDte dietro a quel pensiero doloroso (1).

A tentare il cuoro dell' innamorato si el^gono due fanciulle , alle qnall 6 proposto i] partito medeGÌmo nel cantare o nel Filocolo: il duca pro- mette che quella di loro che lo &r& allegrare, avrà Fiorìo per marito (2). Ed eccoci cosi alla scena della eeda- KÌone, che, fuggente, scarna, languida nella rima, lussureggia lieta e pas- sionata nel romanzo, degnissima della penna del Boccaccio (3). Fallita la prova, nel Filocolo il duca non manda lettere informandone re Felice, ed ao- certandolo che l' amore, onde è tor- mentata il figlio, é insuperabile, cotno accade nel cantare, che anche qui si mostra indipendente dal testo boo-

ti) Fil., J., 219-22, 238-39, 241-44.

(2) Cfcot., SL 60; FU. I., 228.

(3) FU., T. 229-38. Vedi nontri Due Sludi, p. 33; Qmiribitto, I. e.

eaccesco, o si collega, in quella vece, olle altre redazioni. 11 duca, secondo il racconto boccaccesco, ò abbastanza avveduto per comprendere che, scri- vendo al re, avrebbe fatta anche peg- giore la condizione de' due amanti(l). Tnttavia pur nel FHocolo al re giun^ notizia dello stato del figlio. Non dobbiamo dimenticare che al ro- manzo boccaccesco han posto mano cielo a terra, e che a' casi umani vi sono mescolati gli dei. Poco fa si vide Marte entrare in un duello giudiziario ad usanza medievale! Ora, è appunto una immortale abitatrice dell' Olimpo, Diana, che si piglia il gusto feroce di rieocitar l' ira di re Felice contro la povera Biancifiore, attendendolo un giorno, eh' egli era a caccia , ad un

(1) Vedasi infatti p. 225: «Essi (il duca a Ascalione] dubitavano di farlo sentire ai re, tamendo non egli facease novità per questo a Bianciflore, e di questa a Florio US Beguisie peggio >.

312

Turco, por annunziargli che, iatanto eh' egli prendeva spensieratamente quel diletto, il figliuol suo si moriva per amore (1). Ma perchò tanta celeste collera contro ì nostri amanti ? N era stata innocente cagione Biancicore stessa, allorché, recandosi ad oflrire sacrifizi agli dei , per essere stata salvata dal rogo, avea dimenticato di o- norare al modo stesso ìa divina caccia- trìce (2). La quale, ardendo vendicarsi, dapprima avea tentato di straziare e dividere i due giovani con le furie della gelosia, come si vede nell' epi- sodio di Fileno, affatto estraneo alia leggenda , e liberamente inserito dal Boccaccio nel suo romanzo (3); poi

(1) FU., I., 305-6.

(2) Fit., 1.. 209, 275.

(3) FU.. I., 244-305. tjucat' episodio

collega all'azione principale', inutUe <iuindi aoSermarm a illustrarlo. Vedi ciò che se n' 6 detto nel Qmlributo , pp, 70-73

313

s' è pensata di nuocer loro nel modu che abbiam detto. Cosi al disopra de' contrasti umani fcrv« qui pure, come ne'poemi classici, la lotta de'nu- mì, che contro a Diana sta, protet- trice de' due innamorati , la loro dea, Venere.

Re Felice, al pari che in altra si- mile scena precedente (1), si riduce, dopo il celeste avviso, soletto e pen- soso in una stanza del suo palagio. Sopravviene la regina, e, vedendo il suo turbamento, gli domanda quale ne sia la cagione : s' avvia , per tal maniera, fra essi quel dialogo, che trova riscontro nel passo corrispon- dente delle altro versioni {2). E qui i due testi ricongiungono in una strettissima somigUanza.

pei' questa fantlDD

r

^^^■1

1

314 esclama il re oel cantare, e nel Filty colo: « ella .... per dolorosa di- struzione di noi nacque ». Egli erode che la fanciulla gli abbia affatturato il figliuolo:

ben credo che ci l'abia afatnrato;

tana r abbia con virtuose erbe, o con parole o con alcuna magica arte co- stretto ». Tanta ira gli ri- bolle in iwtto che vorrebbe tosto pre- cipitarsi sulla fanciulla e ucciderla. E infatti nel cantare egli impugna una spada:

la tosta aBianciflor volen tagUare;

proposito ch'ei manifesta anche in altre redazioni (I). Cosi uel Filocoh;

(1) I. fr., 400:

la U rerai le cbief couper. Vedi pui-e Fleek, 1454. H«rzoK, |>- 32.

4 io le leverò colle proprie mani la Yita. La mia spada trapasserà il suo sollecito petto >,

n romanzo spagniiolo si collega qui pure al nostro gruppo; ma, coma sempre, ha caratteri aperti di libero rimaneggiamento (1). Per la spai^- done del nipote il duca ò in gravi pensieri, secondo si vede anche nel Filocolo; quando Piorio arriva, ei gli si fa incontro , ma , a differenza delle altre versioni, non gli chiede donde venga (mas no se cupo de de- mandar da donde venia): pensa però a rifocillarlo come nel cantare, e come nel cantare Florio si schermisce, adducendo la stanchezza e il hisogno di riposo, n duca fa tosto venir me- dici, ohe lo visitino : essi nuli' altro male gli trovano che «passion de amor». E qui viene una scena, che ha riscontro nel Filocolo: il duca, alla dichiarazione de' medici , si reca

(I) Pf. 16 V. - 17 V.

31(5 nella stanza del giovinetto, e lo coo- duco ad aprirgli l' animo, a confidar- gli la sua storia d'amore (1). Il ri- medio, cui egli risolve di metter ma- no, è lo stesao delle altre redazioni: con altri amuri combattere quello , che crudelmente lo tortura. Le fan- ciulle seduttrici qui non sodo due, ma tre : tuttavia nessun vantaggio apporta qnesto aumento di numero: Florio ri- mane inaensibile alle arti delle tre, come già delle due. £l il giovinetto atesao che prega il duca di scrivere

(1) Del resto, anche nel cantare Florio confessa soffrire per cagione d' amora (St, 59):

di ber di mangiar non metto cura;

per Biancilìore vìvo in gran paura. E in uno de' msa. , ohe noi conosciamo (1095, fondo it,, B. Naz. di Parigi, £. 23 r.), ci sono due Stanze, ignote agli altri testi del caotara. in cui h' ha coma nel Filoealo e nel rom. ep., un dialogo tra il duca e il nipote, net quale questi coufessii lu rugiuDe di suo pene.

317 ^^^H al re: si tratta della solita do ni onda, ^^^^H comune alle nostja versioni, tranne ^* il Filocolo, che Biancifiorc sia quanto più presto mandata a Montorio (1). Ira e dolore del re al ricfivere il mes- saggio del duca; egli si stringe a col- loquio con la regiaa. Questo coUoqnio e riferito brevemente, in forma in- diretta: il re non esprime alcun so- spetto che Florio sia vittima di una malia (2); vuole poro anche qui far morire la fanciulla.

(1) Invece noi I poema fi-, e nelle ver- ^K eioni affluì al chiede ul re che licbiami ^M nella sua corte il figlio ( Herse», p- 32) : ^^F ecco dunqao un Altro punto , in cui la i-edarioni meridionali mostrano il loro uecordo fondamentale, staccandosi inaiems dalle altre tutta. ^_ (2| C è pur nel l'ora, sp., più addietro ^K un luogo, in cui il re manifesta il dub- ^H bio che Biancifiore gli abbia stregato il ^M figlio: .... eata chnatiana catiua Blan- di caflor creo <\ue dane ser algun diablo ^H qu« tiene hechizado a mi liijo Floi-ea,... > ■^ (f.

Buona e accorta iosieme, la regina campa la vita a Biancifioro, fìvnandu la TÌolenza dol re, col persuadeteli che ci era altro modo a liberarsi di lei: sìa venduta, essa consiglia, a stranieri mercanti, che la traggano lontano. Cosi in tutto le Torsioni, fatta solo eccezione della II francese (1). La rara concordia però cessa presto, che nel cantare, quindi anche nel poema greco, e nel Fiìocolo, la ven- dita della f^ciulla procede in ma- niera diversa da quella clic vediamo nel I dei poemi francesi e negli altri . ad esso alHnl. Secondo questi, il re manda al porto con la fanciulla uno o due borghesi , spertissimi de! traf- ficare, per offrirla a qualche dovizioso mei'cante (2). Invece ne' racconti no-

(1) HerBOff* p. 33. Nella II vera. fr. il ro, seaxEt che piìi nulU sia iabirvenuto a rattizzare la sua collera, a ad insaputa della regina, da conduca al porto la donzella, per venderla (vv. 12^1 agg,).

(2) «maog, ib.

3UI stri, Biancicore non è mandata a ven- dere: vanno due cavalieri a proporne l'acquisto a'mercaDtì, i quali, prima di stringere il patto, vogliono vederla, e vengono per questo al palazzo del re (I). Al poema francese s'avvicina piuttosto il romanzo spagnuolo, ove il re affida Bìancifiore al suo mag-

(1) Cani., St. 68-77; poema gr., vv. 901-1037; FU., l, 308-14. I nostri rac- conti si ecOBtano certo dalla redazione prìmitivB, mutando i borghesi in persone meno adatte alla bisogna, in cavalieri. Questi però, nella metamorfo», serbano qualche cosa de' primi; aon del pari savi ed inatrutti. I poema fr., tt. 414-16:

... un borgoia

Qui de marcie ealoit moult sages

Et sol parler de mains langages . . CaoL, Si, 68:

due cavalieri sairi ed inseniatti; mentre noi Filocolo: « giovani cavalieri e valorosi > {I. , 308). Pure in questa minuiia s' intravvodu l' indipendenza del cantare dal Filocolo.

giardomo e ad un canliere, percb« U tnfgn teeo e U TendaBo (1).

I rapporti fra i due tati haiitai ri naalaigono teatfn gli «tsM: ^a»- •oml^laao umì, ma non pa6 aflfar- nani die U cantare dipenda dal tae- eoato boccaceesoo. Di eomnae. per «ttaofno, han qaeato: ai dice alla gto- rìaetta che vada a ornarsi cb6 l' amor ano Bta per tornare: easa t'affiretta, e rìcomparìaco fìilgonto bellezza ineffabile; ma, ahimé, fu tratta in inganno pereh« si moetraeae anche pia Taga dell' uialo a' ffleraanti, e la rarità meravigliosa dellii merce ab-

(I) F. 18 r. e T. I dne ni«MÌ del n vendono la fuidulU al porto di Porli- gttdo. fi il Part-Lu/ai \aA\nto dal Bro- len de la Martinldre (np. dt-, rv. Ul54), nulla costa dalla Cat«JogD&. La raduione modiii'na del rom. Bp. pre- senta larìsnti amai Ui'vi: U laiicìiiUa, ad et. , vi si dice venduiu Don u Corligado, ma a Tdiubì.

I I

baglìasse costoro, e U rénd^aso sol- leciti all' acquieto e liberali nel pat- to (1). Ntì mancano anche qui riscontri fin di parole: « noi atamo cavalieri e messaggi dell' alto re di Spagna », dicono nel Filocolo gì' inviati di re Felice a' mercanti; e nel Cant. :

noi aiam meaagi da Io re Felice (S).

Se non che a questi Bcgni di par- ticolare accordo son misti indizi non meno chiari che il cantastorie non ha ricopiato il romanzo del Boccaccio, dal quale si stacca non per sole dis- Bomiglianze, che dipendano dal men largo BTolgimento che ha nella stia rima il racconto (3). Vediamo come in

(l)Cant., St. 73; FU., !.. 310-11. Vedi pure poema gr. , vv. 947-55. Her* wag, p. 33.

(^ FU.. I,, 309; Cani., St. 71.

(1) È da ripelure 1' osservazione eolita che il Boccaccio moltìplica i particolari, onde il «no racconto rìsace, seiua p&rit- gone, pib ricco del cantare. I due meHÌ

tutte le T^sioDÌ si dica cha U donielU fa comperata a rìccbissimo prezzo, mi

di re Falice non rec&nsi al porto «olo QUA «olt>; sono mandali prima m ricer- care chi RÌsiio ì mercanti, onde (recati, di che abbian carica la naTtf, perchd la i^hb non areva saputo dar di ciò à- cura notina: quÌDdi, poi cbc haa portato al loro ngnore precise infomiaaioaì, toraano per proporre il mercato (J^., I. 308-10). Ancora: il ra «1 mostra Tarso Biancifiore più bagiordo, ma nn po*men bmtale cbe nella rima, a Delle altre vergiom , procnrando disìmulare averla tsd- duta, e dicendo che, tecoudo il vanto già fatto al pavone , la aveva maritata ad uno fra' maggiori baroni del suo r^no, al quale oro doveva esser condotta {FU., I., 312-13). NnlU ciò nel cantai*, e nelle altre redazioni. Cosi aon propri del Boccaccio i lunghi particolari sul viag- gio di BÌBndfiore, la descrizione del ano a&nno sconaolato, il rìcouciliarsi di Dia- na, a lei dianzi nemica , con la dea , che la protaggcva, con Venere, per darle ^nto imi., I. 314-^28).

^^■mB

^^

^^^^^^^^ 323

^^M nel Filocoto non ù determina che cosa

^H ì mercanti abbiano dato in cambio di

^m flBBa, mentre nel cantare ijneata det*^-

^H minazione e* 6, al pari che nelle ver-

^B sioni francesi e nelle altre. « Signore,

^H dichiarano ì mercanti al re, senz'altro

^^1 mercataro, de'nostri tesori prendete

^H quella quantità che a voi piace, che

^H noi non G&premmo a cosi nobile e

^H pre;ùgsa cosa porre pregio alcuno ».

^H Si confronti invece il cantare:

^H E trenta muli d' oro caricati

^H e'fedeQO veaii-e imtmtanenla;

^H mille scudi d'agiurro lavorati

^H ad aquile e a leoni certamente; J

^H astori a bracchi cum falcoa mudati, 1

^V ed una copa d'oro e d'atlento, fl

eh' era dorata atomo a le sue brande ^|

tutta la stona di Troia la grande (1).

(1) St. . 74 ; poema gr. , w. 964-69.

1

Ctr. I poema fr., tt. 425 sgg.; Il, vv.

1371 8gg.; Fleok, .V. 1540 sgg. Col

Fleok e col rimaneggiamento olfiiidene H

il («sto italiano presenta qai maggior 1

somiglianza, che con le versioni francesi 1

J

A ^^ » mot iipiNMa» oft'ia e

i^

dft qaelfi tÈm ntengom il TVinnlo

^làÌA noria di "nvial

(I) flL. l. 312. Ommv, p. 33.

EbsI (i mercanti) .

sopra tutto

I

che preso avera (it re), gli do- narono ima bellissima coppa d'oro, nel gambo, e nel pie delta quale con sottilissimo artificio era tutta la tro- iana ruina smaltata, cara e per ma- gisterio e per bellezza motto >. D Boc- caccio non dice una parola di più.

Ma dove si trova una discordanza anche più notevole del cantare dal Filocalo, é nella parte del racconto che tosto succede a quella ora illu- strata. Tutta le versiooi fanno viag- ^are Siancifiore co' mercanti fino a Babilonia; il Boccaccio la fa appro- dare e rivendere ad Alessandria (1). Qui pure il cantastorie é d'accordo con le rcdaziotii straniere, anzi cfao col Fihcoìo (2). E ciò presso le cor-

ti) HewoK, p. 34.

(2) A quoHtó punto (St T7-78) il cfWi- tare non mouziooa prerisameate Babi- lonia; ma da altri luoghi piìi iananxi si vede chiariBsimo eho ivi & stata ri»on- iluta BÌBD<^ifiorE!. Noi poema greco non

B&triloais, anche qui. Fiorìo la nggim- ge. Il paau riferito può tnttana spiegani cod: il mercante , ttatoseoe , ì prinit [Ine giorni dopo Tapprodò, entro U as-

327

accanto a!!' altro. Biancìflore, accor- tasi del tradimento , < incominciò , narra messer Giovanni , si forte a piagnere, che a furza mise pietà ne' crudeli cuori del re e della reina ». SI gran lamento Iacea la fiuitìaa, e nel petto si dava delle mani; piaugier focea Io re e la ruina (1).

ve, à determìnù ad andarne at Cairo; scMe quindi ad Alesaandria per aTviarsi a quella volta, ma per ventura ven- dette toato la bellissima fanciulla in A- leaaandria stessa, prima, ancora di met- tersi in cammino. Nella redaz. mo- derna del rom. ap, non si parla che d'A- letaandria.

0) FU., ì. 314; Cant, St 76. Cfr. poema gr., w. 1026-99. Qui cade in ac- conciò notare la eomlglianza eh' fi a que- sto luogo fra il cantare, e il li poema fr., TV. 1391 agg.:

Quant Biancheflor se vit vendue, Pasra6e cliiet, la conlor mue. Et quant el se fa redreciée, Demanla boi, molt (ii iriée.

u

94CO meaino

« « liate le reld »' naù^ ai p

Qoaado bOa nda br ki j

Bianciflore dunque vn lontana, perde quasi, già nell'ignoto dei mari

I

Ma perchè tanta frettai Bianciflore avea detto:

< Se Floires puet a tana venir, Vm venroii tart au repentir >

(vv. 1411-12). II re, intendenilo i'alluaioDe e la ape- rama di BUocifiore, ricordando come poco tempo iananzi uu improTYiao cam- pione fOBie Mpragin^nto a salvarla, in- calza t mercHDti (vv. 1414-16). Nel can- tare la csuaa codesto affrettamento non È espresso. La accenna vagameate il Boccaccio: * a voi conviene, dice il re a' mercanti, poiché comperala avete costei, senza ninno indugio dare le vele a' venti, più in questi paesi dimorare, no» forse nuoBO accidente addiMnitte per lo quale il vostro e mio intendi- mento si turbasse (312) >. Pur dova nar- rano lu partenza do' mercnati , il poema italiano e il francese a' accostano : Lor engre aachent du gravier, Et font la voile amont drecìer : Vont s'en u joie et a baudor (1421-23).

dal Fiìocolo. DiCatti nella cornane

rodanone i

imagina lo gpedìente,

leggenda, la regina , che

B i mercatAuti d' aj^ro coraggio lev&r le vele, e fecer lor riaggio fTT). (l) RT.. !.. 308,328; Cant, St 80-81.

Vedi I poema fr. 517 agg.; TI. 1430 tgg. ;

ne«k, 1804 agg: Henoff, pp- 34-35.

quando Bìancìlìoro é sparita; mentre

nel

boccaccesco essa penea

I

ad ingannare il figlio, simulando la mort« della sua amica, fin da prin- cipio, nella scona stessa, in cui con- siglia al re di venderla (1), Or bene, qui la rima si conforma alle v^^ionl straniere, discordando con esse dal Filocoio. Del quale non ci ofiJre al- cuna traccia nemmeno riguardo l' ag- giunta che fa il Boccaccio all' altrui racconto, ove dice che, a render piil compiuto l'inganno, nel sepolcro il re volle si chiudesse il corpo di una giovine morta allora, co' vestimenti medesimi di Biancifiore (2).

Che fa mai Florio intanto che gli rubano il suo amore? Nel I poema francese e negli afflai racconti ger- manici, egli non tarda a lasciar Mon- torio poi che il padre, sapendo cerne

(1) FU., I., 308,

(2) FU.. I., 328.

non potesse reggere lontano da Bisn- cifiore, gli ha concesso di ritornarseno a casa (1), Tre delle nostre redazio- ni, il cantare, il poema greco, il ro- manzo spagnuolo , ci dicono invece ch'egli 8'à affrettato a tornare perchè l'anello magico pur questa volta, oU fuBcandosi, gli ha porto indizio che la Boa amica correva pericolo (2). Il

(1 ) t poema fr., tv. 393. 682*3; Fle^ TT. 1438, 9123-30; Herwgr, pp. 3S, M. Il I[ poetA t'i*,) |>$r imperfetta remini- ■cenxa dells redaEione primitiva, dice solo che < Florio torna dalla scuola > (v. 1489), tacendo che del tornare gli areae data lìceuia il padre.

(i) Cant,, St. 79; poema grwo, n. 1039- 45; rem. sp.. ff. 18 t. - 19 r. Fra il can- taPe e il poema gr. e' è qui una qualche differenza: in quello accade la seconda, come la prima volta, cbe Fioiio guardi r anello nel de^^tarù sgomento dopo un sogno pauroso (cfr. con la St. 79 la 37); uel testo greco invece, a quanto pare, il giovinetto ù a caccia con altri signori

r Boooftcoio si scosta da questa ver- siona, e ci offre novella prova che quello del cantaetorio non d^iva dal racconto suo. Dell'anello magico in- fatti egli non parla, ed assegna al ritorno di Fiorio tutt" altra enf,''iono, poiché por lui è il re stesso elio ri- chiama il figliuolo, mandandogli av- viso cba subitaneo male ha preso

quando h' avvede che l' anello s' è scolo- rato. All' effetto prodotto nell' animo di Fiorio da questo nuovo indizio di sven- tura, acconoa solo un verso di alcune re- daiioni dal cantare (v. not« alla St 79):

allor nel viso si cambia a un tratto. Anche il Boccaccio dice che Fieno < tutto à cambiò nel viso > (p. 329); ma non si appaga di una frase; egli descrive il tra- mortire del giovine, e le sollecitudini di qoantì erangli intorno per fare che ai risenUsse. Una descnxione simile è pur nel poema greco, ma poiché tutto il ri- manente è diverso, non ci si può vedere un rìflemo del tosto boccaccesco.

3M

SeriseimameiiW Bìaneìflore, eoe) da far temere cL'ella fossa per morir- ne(I).

Florio toma, e chiede tosto dd- r amica eoa. Dolco scena e questa, delle più dolci che abbia dod pure la fevoU nostra, ma tatta la poesìa dell'antica Francia: così teneram«ot® e rapidamente drammatica, che dalla narrativa si svolse nella forma Urica in qnolla romanza, che addietro s'ebbe occasione di rammentare (2). La veraioni francesi e germaniche sono anche qui più efficaci delle nostre. In

conccesagli lasciare il san (sjglio, e impaziente di rivedere colei, sema coi non può vivere. Ne chiede, ap- pena acavalcato, a'genìtori, che sodo

L

(1) Fil., 1., 320. Un po' sembra che «ornigli at Fiìoeùlo la redaiione mòà. dal rom. «p., ove, venduta Blaucallor. * pur» il che rìchìnma il figlio: qui però ù finge malato egli mede»iiiio,

(2) Vedi -«pra, p. 7.

I

impaeciati a rispondere: egli non at- tende, corre dalla sala nelle camere, e trovando la madre della fanciulla: dov' è t' amica mia ì le domanda. La povera donna avea giurato, per comando del re, elio non avrebbe ma- nifestata a Florio la verità (1); an- ch'essa dunque non sa che rispondere. « fJon c'è », ella dice. « Dov' éì » incalza il giovinetto < Non so » « Chiamatela » « Non so do- ve » « Voi mi gabbate. Me la volete nascondere? » < No, dav- vero » « Per Dio, come ciò ini fa male ». Ma la disgraziata madre sente troppo straziaro; il pianto' le si aggroppa alla gola, e chiudo il dialogo angoscioso dicendo, come 11 re aveva imposto, che Biancifiore era morta (2).

(1) Vedi I poema fr., w. 653-62; Fleok, w. 21ia^. Cfr. Cant., St. 81. Nulla di ci6 nai Filoeolo.

(2) I poema ti-„ tv. 663 sgg. Cfr. Fleok, V», 2)34 egg.; Herw», p. 35.

Non meno pietosa ó questa sceoa

neir altra redarfone francese. < Madrev chiede Fiorio, dov'è lamia amica f » «Bel figlio, non c'è: è uscita a diporto >. La duchessa, madre Biancifiore, era presente: a quella pia menzogna delia regina non sa trat- tenere le lagrime: Fiorio allora ca- pisce che lo ingannano. « Madre », fa egli, < io ve la affidai : rendetemela, o qni innanEi a voi mi nceiderò » < Lassai » essa esclama, * che fiord, se io non posso dar vita a qnelli che maoiono? morta, morta per amor vostro, la donzella Biancifiore » (1),

Bel contrasto è qni tra l' imbarazzo e il dolore altrui, e la letizia di Florio, sicuro di ritrovare la sua amica; tra la perfidia, di cui 6 vìttima ignara, e la sna fede fanciullesca. Ne'rac- conti del cantastorie e del Boccac- cio ( degli altri due diremo poi ) il contrasto quasi manca, perché , in

(1) n fr., vv, 1409 »gg.

virtù dall' anello o per il messaggio paterno, Florio, già al partirai, ha cagione di temere che gli sovrasti sciagura. Toglie ancora effetto alla scena, nelle due redadoni italiane, il non esservi quel personaggio , in cui più violenti si dibattono gli af- fetti, la madre stessa Biancifiore. Inoltre, nel cantare non c'è la flnema psicologica quelle sospensioni, di quelle reticenze piene di trepidanza angosciosa, che vedemmo ne" poemi francesi :

Fra questo tanpo Florio fu tornato.

10 cavaliere sagio e cunoacienlc,

e imanteoente che fuc dìsmontato, ai domandò lei inprimaraeat« : che è di quella dal tuo rosato, che non la vago venire in presantoì Dìae la madre: dolra mia vita, Biancifiore è- moi-ta e 8epenita(l).

11 cantare avvicina al II testo francese, ove puro alla madre si volge

(I) St. i

n gioTÌnctta per sapere deQa sua dt letta, e da lei ne apprende la marte. Co^ nel FSocolo, Fiorto, appena la Tède, domanda alla regina « che di Biancofiore foeae, ae migliorata era, e come stava, che ^li avanti non la ai vedeva » (1). Nta qui è nna ìq- congraeoza curiosa : come poteva Fio- rio meravigliare non vedersi a- vanti la fanciulla, se il padre gli a- veva mandato pressantissimo avviso, ch'ella era per morire! Gli é che il Boccaccio malamente ha volato manto- nere quella sorpresa del giovinetto io- conscio al non vedersi innanzi Bian- cifiore , cb* è naturale nei poemi francesi, che si riflette nel cantare, e doveva essere pare nella fonte adoperata da lai; ma non spiega più nel racconto, com'egli l'ha ridotto. Felice, all'incontro, benché si tratti di simulazione, è quel tacersi della regina all'inchiesta del figlio, a cui non ri-

(1) 1., 332.

339

siwiide che abbracciandolo e ptangeD- do. Essa Io mena avanti il re, che, ma- lauguratamente, pensando l'enderlo meno crudele, affoga in un penoso predicozzo r annunzio che Biancicore è morta (1). Anche in questo il can- tare è indipendente dal Filacolo.

Intesa l' amara novella, Fiorio cade tramortito. Questo particolare si ri- presenta nelle vario versioni: anzi tra il cantare ed il Filocolo l'accordo giunge fino a darci altri incontri di parole, simili a quelli che gift furono notati (2). Riavutosi , il giovinetto

{l)Tb.

(2) Fil., I. 334: ..... e messasi le mani al petto, dal capo al pie (Fiorio) tutu, la bella roba squarciò . . . . > Cant.

dal capo al pia stradò U gonella a la giuba del palio rosato. Fil; ib.: Fiorio risponde al padre: «... a ora credi con lusinghevoli parole aa- ...» Cant (St. 85): r mi credi tu, &lso, lusingara.

341

la creduta moile di Biancifiore (1). Ecco il filo del racconto boccaccesco : la regina conduce il figliuolo al se- polcro; egli si sviene al leggere le parole, che su vi ereoo scritte, si- gnificanti che ivi giaceva Biancifiore; poi si lamenta a lungo, e finisce col trarre, disperato, un coltello, e vi- brarsi un colpo al petto: la madre gli arresta il braccio, e a' affretta a rassicurarlo che Biancifiore non 6 morta. Per farlo certo di cosi ina- spettata asserzione, si scoperchia la tomba: Florio vede eh' entro non v'è chiusa l'amica sita. Dov'è dunque? egli domanda. Rìtraggonai nel palazzo, e qui la regina manifesta al figlio come sia stata tradita e venduta BianciSope (2).

Si veda ora la versione del can- tare secondo il testo mogliabechiano. Ai conforti del padre, Fiorio rispondo

(1) Heriogr» pp. 35

(2) FU., I., 33441.

(IVI

k MB fi fWW h C«id ItVKl

E poi ri Riw MM0 ad n ealklH dwK 4 «Iha per k ^i^b:

par lo kT amor, figtiMlo. or ti eoateta.

E Fiorio diBe: se voi la sapete, ora la m' inaegniate incontanente, e pregavi che se l>en mi volele, che voi mi diciute '1 conveneate, e se non, già mai non mi rivedrete, che io m' ucideragio imaotenente : or lo mi dite: dove c'è andata in bai co nata 1

Alor dise la madre; caro figliuolo, noi I bene aeremo degni A mala mentre 1' a'

otel V

1 venduta:

10 tradata;

grande avere: per t«, figliuolo, io ne eon lien pentuta. I mercatanti chella conperaro, in vèr del nostro porto la menaro,

Qni ritroviamo alcuni degli ele- menti poc' anzi accennati nel sunto della narrazione boccaccesca, che vuol dire alcuni elementi della sfessa re- dazione primitiva e fondamentale, a cui quella nel presente luogo si con- forma assai bene. Abbiamo cosi il tentativo di suicidio da parte di Fiorio, lo scoprimento della tomba.

biiBiiBaMb «» ni m i

iWimimmUrmf

iHmI. b iJutK riillllilii il

aevfmtUan U lonibB per a

Perù non possiamo aacora dire di avere a pieno reintegrato il testo del poemetto. La copia maglìabechiana , oltre elle scomposta, qui è manchevole: difatti a un tratto ci presenta la gc«ua del sepolcro, senza avere accennato, lo notammo poco fa, che al sepolcro Florio ai recasse. Così ù nella maggior parte delle stampe. Ma la lacuna può es- sere riempita con l' inserirò una Stan- za che ci offrono tre manoscritti ed alcune edizioni, per la quale appunto ai narra, come negli altri rifacimenti della leggenda, che Fiorio s'è con- dotto alia tomba, a sfogarvi il dolor suo con pianti e (juerele (1). Non ò da creder tuttavia che la Stanza, che ci par buono introdurre a rifare que- sto passo del poemetto, sia la stessa, che qui certo ebbe il testo origmario. Essa si trova nel luogo dell' altra, che nel codice magliabechiano si riferisce allo scoprimento del sepolcro, partico-

(1) Vedi St. 86 sgi?. . e note rolative.

lare che alla redotione dei tre moDo- Bcrìtti e dolle stampe seguaci rimane af- fatto ignoto; ed ha con qaella, maSGÙne in nna dolle duo forme, in cui ci per- venne, comunanza di rime e al- cuni versi. Perciò , tenuto conto di questi fatti e di varie confiiderazìonì, io mi Bontirei tratto a vedere in essa nulla pia che un rifacimento di quella Stanta (1).

(l) Poniamo le due Stanze l'una ap- preeao l'altro;

Cod. Mglb.

Alor si fecie aprir lo munimento, e da pii itava della sepotCìra, per vedere la morta nhe v'era enbv; ma DOQ li pano la gentil figura: alor li cominfò si gram tamfnio, r.he piangei-e factea ogni creatura, e dÌBe: madre, ov*è Biancifiore, ch'io noiai '1 sinisculco per su arooreì

Bill. Na/. di Par. . f, it. . 1095. f. 26 v.

! sia, risalta chiara l' al- terazione di questo luogo: con che

Piangendo Bende andò allo monimenlo posese a piedi della sepoltura epso ne faeea g-ran lamento piangere ficea otnne irealura et dica o druda mìa io uoa te senio et DOD po»ao vedere la toa figura se tu morta io voglo morire allato ad ti me voglo sepellire.

Corrisponde a quest' ultima lei. quella dell' AHiibumham.-laurenz. 1397-1473, f. 34 r. 8 V. Nell'altra forma della St-, ma. parig., f. it, 1069, f. 126 v.. è comune eoa quella del eud. mglb. una rima, ed un verso:

Da pò; andava a quela sepullt e pianganJo cole mani sa bati da poj abrazava e basava le dicendo o B lanci fioro anima i e pianger fanea ogni creature e cori piangendo forte dicia ae tu sey moi-ta io volio mor e lego inseme mi voy aepeliii

ooMM^ntBOt ffK fatte linlira I 'ihm la date delU copia nul Si^ i

ioilipetidMiti dalle altre t tre is ifOMle, ad esem^. la ragna Ron ou trelare a Fìork) la venta aal taensUi Bianctfioire eenca aTisno ^liafto lioeiua al re. nelle due reda- stoni itelJaae eaaa £a ci6 Uberamente, di no capo (2). Il Filoeoh, a o^

(I) Vedi topra. pp. 5T-«8. (S) Ibrrat, p. 35; Fa., I., 210-41; Cast. , SL 89-90.

è sempre più largo della modesta rima, non solu per aupliu- menti, che si debbano direltamento alla fantasia del Boccaccio , ma per un maggiore svolgimento, che par chiaro fossa gi^ nella fonte, ondo il

) ò derivato. Lo Zumbìni a' è accorto, che nell' apostrofe diretta da Florio alla Mort«, quando si lamenta auUa tomba dell'amica, torna il me- desimo concetto in tre redazioni, il I poema francese, quello del Fleck, il romanzo del Boccaccio. Il concetto ò Innesto: che la morte visita chi non la desidera, ed è sorda a chi la in- vooa. Or bene, ha ragione lo Zum- binì non ritenere fortuito ([uesf in- contro in un concetto punto comune, anzi ricercato (1). Ma non basta: non è

(1) Znmblnl, op, c.ìt., p. 18. n. 1. E, del resto, uo concetto Boezio; cfr. De consolatione fihil., L, I,, Metrum I., TV. 13 sgg.; e 11 Baeiio proTsozali», vr. 1 17 Bgg. Il Boccaccio se n' É Borrito ancbo

%0 questo, Della parte che ora iUiistrianu), l'unico luogo, in cai il Filocoìo d trovi conforme alla Tereiune oit»- njca ed all' altotedcsca. Riassumendo jl racconto boccaccesco, abbiamo a«- c«nnato che alla vista del sepolcro, ed al leggere le parole, che v'aran 8i> pra incise, Fiorio si sviene: si noti ora che lo stesso accade secondo i racconti del troverò francese e del

altrove: Corbaccio, »d. Sonsogno, p. S60. Trovai il concetto atasso io ana castiga ilei Cartageiiat cfr. Ti«knor> I. 347.

ti'ad. tedeeca. S' avrerta ìaoltra coma i]UÌ il Boccaccio ai ricordi anche di Danta. Nella Btaasa apostrofe alla Morte, Fiorio dice: < Certo tu ei?' alata io parte che asBere dovi-eati pietosa , . . , » (3381. Ve- dasi Vita Nuova, %. 23, II ed. D'Ancona, p. 171: .... Morte, aasai dolce ti legno: Tu dèi ornai esser cou gentile, Poi che tu ee' nella mia donna stata. V. AH aver pietale, e non disd^no.

1

I

351 Plock (1). l'ui'e, giova, ridirlo, il Fi- localo, insiome al cantare, indipen- dente, a chiari segni, da'due poomi, come dalle altre redazioni, che conti- Eciamo.

Ci si fa dunque, per questa caso, più persuasiva e sicura l' Ipoteei cho fonte del Filocolo sia stata una re- dazione affino al cantare, mu pia ricca e particolareggiata di esKu.

Come ha inteso che Bianciflore fu venduta, e tratta lontano, Fiurìo si racconsola, o delibera tosto andarne pellegrino a cercarla ppr il mon- do. Cos'i in tutte le versioni. I gè- nitori sono costretti a concedergli r andata; il padro gli da il prezzo avuto dal mercato della fanciulla; la madre nn magico anello , che avrà

(1) I poema fr., v».70&-8i Fleok, ' 2222-30. Cfr. anche il tosto ingloao, . Haniknooht, vt, 261-68 ^ Il fr.. i 1527-30.

Tirta di salvarlo dal ferro, dal fuoco, dall' acqua (t). Il Filatolo e il oca- tare segaitano a rassomigliarsi, di- scordando insieme da altre redadonj; ma, come sempre, ria^st' nltimo nd- donsa cid che altrove 6 lai;gamieiitfl esposto; qnello, per contrario, ag- giunge dol proprio alla tradizione eo- mane (2).

(1) HerWK, pp. 36, 38. SnirAnetla ctr. Da ]14rU, p. 42. n. 4.; HmA» tv.

8891-99; poema ingl-, vt. 390-98; CanL, SL 92; FU., 1-, 352-53. Nel FiL pwù non si dice che l' iLnoUo salvi aactie dal ferro ; s'aggiunge invece eh' e»o ha Titti di rendere graxinao a tutti chi Io porti. V, un'altra virtù ancora ha per il troraro franceM e per il Fleck ! ((iiella & pn>- ciuvre a chi lu possieda il cons^nìmento d'ogni cosa bramata.

(2) FU., I., 349-50: il re al flgUoolo: < ma poicbè disposto se' all' andare, b' (treiidera tutti i tesori che della tua Biancofiore ricevemmo, e degli altri no- stri nssù, e quelli porta con toco, e io

^" Bpeeialn

I

I

C e (lui anzi un' aggiunta, che più

Bpecialmento richiama la nostra at-

ogni parte ove la fortuna ti conduce fa' che cortesemeote e con virtù la tua rao- gaìfioenM dimostri ». Cant, St. 91: ciò eh' ella fu venduta e comparata portarsi teco, & nonn' aver dotauza, e a tutta ganto doaa e fa krganza, ed usa cortesia e leanza. Nel I poema fr, e ne' racconti affini (w. 956-63; HerBoy, p. 36), ciò che il re a Fiorio del guadagno fatto ven- dendo la fanciulla, è Bolomentti la cop- pa preziosa. Secondo i testi medesimi, Fiorio si pone in via sotto le spoglio di mercante: invece nel cantaro a nel Fi~ localo, egli è accompagnato da uno stuolo di cuvalieii. Gasi è pur nel II poema fr. , w. 1791-94; dal quale però le due ver- sioni italiane discordano in altri parti- colari. Esso, per es., non fa menzione dell'anello magico: in cambio, la madre Biancifioce a Fiorio, come b'ò già accen- nato più sopra (p. 219 n. 1), un laccio te»- ■Uto de' capelli della figlia {vv, \TSó-\mi\.

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I

(conventi soppressi) (sec XV)i Riccai-diono 1062 (soc. XV) f. 118 r. 2. col.; Riecard. 1022 (sec. XV in.); Bibl. Cornuti, di Ve- rona, 624 (del 1459). le questi codici, a' luoghi citati per quelli cho hanno i fogli numerati, la spiegazione del nome Fi- loeolo è da /Sto* e colon : la prima parola ò fatta equivalere mi amore (non ad amalore , carne nelle stampe meno antiche, compresa l' ed. Moutier: »edi aopra); la seconda a fatica. Quest'ultima ai trova nella forma: colon (in quattro mss. , in uno de' quali, Ashbumham.-laur. 1213, insieme a colon s'iia colin);cholon (in cinque mas., due de' quali, C. 5 195, Naz. di Fir., conv. sopp., e Magl- H. I. HI hanno, insieme a ckolon, cholin; mentre l'Ashb. laur. 491 presso cholon scrive chaleo) ; cholom (data dal solo Rice. 1062). 11 Mglb. 11. II. 19 ri dft, codrt, cAo- linj: U Mglb. II. II. 18 chalon. Delle stampe antiche conosco quelle del 1503, 1514, 1520: leggono colon, e spiegano filo» per amore. Ch: per le edizioni del

358 Pofi nella edizione di Venezia 1527 (I). Costui, non molti mesi innanzi, come ci apprendo la dedicatoria posta a- T&nti il racconto, trovandosi a con- versare presso la signora Camilla Bontivoglio, moglie di Pirro Gonzaga, nel lieto palazzo di Gazzuolo (2) ,

Filocolo: F. Zarobrini e A. Bacchi della Le^at Bibì. boeeacixsca, Prupugn»- tóre, Vili. P. 1. pp. 465 sgg.; F. Zam> brini, le Opere Volg. a Si* ecc, , ISIM. coli. 144 Hgg.

(1) Il PhlIopoBo di mc«8er filoTantiI BocDMclo, in fino a qui Colsumeute detto Philooolo, diligentemente dn Messer Tu" zone Gaetano di Pofl riuieto. In /tnt: Impresaa in uinegia da me lacobo da lecco De l'anno 1527 a 6. di settembre. C&. cit. bibliografie. Qualche cenno in- torno Tizzone Gaetano redi nello Bcritto: 6. Telndo, Di Titione Gaetano e di un emetto di Gio. Della Casa, negli Atti' thirjal. Veneto, T. V. S. VI. Disp. Vili, pp. 1011-18.

(S) Camilla Bentivoglio era Rglia d'An- nibale, e Liipola di Giovanni 11 signore

359

aveva intaso fare i peggiori di- spregi del nostro romanzo. Torna- tosi di l'i a poco a Venezia, n' ebbe per avventura fra mano un testo a penna ottimo, a così antico da parere scritto in vita stessa dell' autore, leg- gendo il quale si potè persuadere che sola cagione de' biasimi dovesse es- Bore la negligenza di menanti e stam- patori; perciò gli venne in animo

di Bologna: mori nel 1529 (Lltta, Fa-

tniglie cet. ital., 1. Famiglia Bantivogiio, Tav. V; V. Fam. GonMgà, Tkv. XV). Pirro Oonnaga, il marito buo, era della linea dei duchi di Sabbioneta e pi-iocipi di Bozzolo, figlio di Gianfra&cesco e di Antonia de Baili. Aveva avuto in appan- naggio GazEUolo , S. Martino , OsUauo . che insieme agli altri beni e feudi gli flli-ono confiacali da Carlo V , quando , luBcìato il servizio di Siiagna, militò pei' Francia. Perdonato più tardi, non ebbe che Coraesaggio : vediamo però eh" ei mori, nel 1529, a Qazzuoto (Utta^ op cit., V. Fam, Goni., Tav. XV).

(li ripulire il libro mslcapitsto, o ri- donargli la nativa fisiunoiaia. Ma ea che foseero codeste restitazioni , nelle quali i nostri vecchi osavano ogni arbitrio. L'editore comincia dot trovare i guasti nel titolo, e meesù- gli le mani, di Filocolo lo ridaea« Filopono, perché non gli pareva che l'errore manifesto della prima fomui potesse attribnirsi al Boccaccio, ch'era stato non ignaro di greco; ed aveva eìcuro convincimento eh' egli avesse scritto Filopono, « percioche philoe amatore, et ponos fatica significano, donde congiungendole resultano ama- tor di fatica >. Questa prima emen- dazione non incontrò fortuna. Tre anni appresso , no altro editore , Marco Ouazso, soldato o lettorato, quasi con tono rudemente militare, la impugnò, giudicando che, caso mai, dovesse essere più giusto correggere Fflocolo in Filocopo: «... ponoB vuol dire fatica et dolore , ma se lo anttore hauesse voluto dire amatore di fatica,

haurebbe dettu più presto Philocopn che Philopono, perche PhiloB com'è detto vuol dire amatore, et copos fa- tica, et aggiongendo 1' uno all' altro haurebbe detto philocopo . ...» Il Guazzo duoque non credeva che l' au- tore avesse voluto dire amalor di fatica; è per questo eh' egli conserva al romanzo U titolo antico: «... philoE vuol dire amatore, et colos ire, e non colon come quello ha detto (1), dunque ponendo philos et cholos in- sieme dicono amator ire seu ira amoris come fu la vera intentione del poeta .... (2) » Ma la vera

(1) Ctr. la epiatola dedicai, dalla cit, ed. 1587. ove il Tizzone scrive: « Dun- que ben BBpeua (il Bocc.) che pkilos si- gnifica amatore et Colon altra cosa ecc. ecc. > Abbiamo ora veduto che la forma data da' codici e dalle Tocchie stampa 6 appunto colon.

(2) Il Pkllocolo measer eioTaoni Boccaccio novammle corredo. In fine:

•sMintneate, noa pire tnttarà ihe

■oìtcts, Ift p*-

wmiaee.BTiMtooe, ri die per TÌsto: giorta ^nasaB-

■00 cootnddittare, poiefaèlo «v&mo abbanlaaan U fona* racipoMO, pr»- ferire neUa sUmpa del 1538, qtulU elle a Guano avers priaio additate, Filocopo. La qoale «bbe miglior ante dell'altra, si che qoasì fece diam- tkare la piA antica, FBocolo. Diaij

Stampalo aelU ìadita Qtta di Vinegia, appMM (ne) Santo Mo^w ìttUo case nnoaa Imtìiuaiie, per PnuxwMo di Ali:awnJrc Biodoni et Mapkeo Pai^iu compagni. NeUi aoni del Signore 1530 del : di Mano. Regnante il Sereniasimu Prea- dpe Meeser Andrea Dritti. Cfr. la eh. bibL Le parole del Ouaiio fnroDO tolta dall'AvTÌM ch'è innanzi il («sto: < Marco Ooaaio alli lettori >.

I

quasi , porche invero quest' ultima i ristette da difendere la aua le- gittimità contro l'usurpatrice, per mgdo che in certe edizioni, come la più recente curata dal Moutier, fra le due forme avvenisse confusione (1).

(1) Intanto è ancora intitolata Filoeoto la ediz. giuotina de) 1594, per la quale ctt. la cit. bibliografe. Ma a p. 1 tro- viamo: Del FUoeopo di M. Giocinni* Boccaccio eoe. ecc. ; mentra a p. 379 leg- gasi Filoeoto, e la spiegazione dal nome ù data da pkilof e colos. Cosi nel aeguito del racconto sempre Filocolo. Al modo alwao nella ediz, 1723, Firenio (Napoli), b' ha nel titolo Filocopo, sul frontispizio, e a pag. 1.; poi a p, 290, voi. I., Filo- eolo, a la apiagaiione da phihs e eolos ; coma pure in seguito sempre Filoeoto. La etamga Moutier Ila sul frontispizio Fitoeolo, poi in capo al teste Filocopo, che si ripete io cima d' ogni pagina per tntto il 1 voi., fino alla penultima, per dar luogo all'altra Ibnuu dallit pag.

1(64

1 vecchi aluiiiosi non sapevano ae- coneiarsi a credere che il Boccaccio potesse avere commeEso un grossa sproposito, e si davano quindi gran briga per accagionarne chi n'era af- fatto innocente. Noi invece che ci governiamo secondo diversi criteri, e abbiamo alla storia ed alla verità più geloso rispetto , lasciamo stare 1' errore al suo posto, rilevando co- m'esflo riconfermi che il Boccaccio, specialmente da giovine, aveva scai-sa conoscenza del greco, secondo ma- nifestissimo per altri simili esempi (1); cìù che agli studi nostri torna assai più utile degli spedienti pedanteschi

354 (ov' è la spiegai, del noma da philos, come ai vide, e eolot) in giù, per tntto U voi. II.

(1) Sulle scarse conoscenze, che del greco mostra il Bocc. vedi, per racco- gliere in uaa le ritaz, varie che si po- trebber fare, una mia nota (1) a pag. 255, voi, IV.. del Giorn. Si. della Leu. Hai.

ì Iìboo» Gaetano e Marco Ga«i- 9 (I), perche serre la sua parte, ' a muarare l' eeteosione della cattura r del Boccaccio, e di quella della sua I età. Per il Gasparj il coìos del nostro I scrittore sarebbe X^^°^> ^ quale ^li avrebbe attribuito il senso di fatica, I mentre ba quello di odio, ira. Altri- I menti pensano il Vitelli ed il Rnina, 80 per notizia cortose fomitaini \ dall'ultimo. Avvertendo nella scrittura \ dei codici la somiglianza e il facilis- I Simo scambio dello Ietterò n e X, i- ano ambedue che 1' emm! "ia j uscito di li. Infatti il Boccaccio può L aver tratto il suo xAoq da an gioii- I vario, o che altro ai voglia . ove fgìà > lo ibaglio; oppure può xven;

y «d. 1733, 0. »*■

■m

egli stesso letto malamente xÓiaq pt>r KÓitoq (1). La soluzione è chiara e coDTÌQOente, cogì che mi pare si debba accogliere.

(l)Neir«piBtok a fra Martino da Signo, eaplicativa delle sue allegorie bacolicha, il Bocc. accenna ad un libro, da cni ha tolto i nomi greci usati nelle Eclogha. ma non dice quale sia. Cfr. Lt tettav ed. e ined. di M. G. B. ed. Coraolnl , p. 273. S' è già veduto in una prece- dente nota che codici e stampe antiche non danno la forma eolos ma eoìon [eìuh lon sarà per il uolito uso di i-apprttten- tare il auono gutturale con eh, gh). Pro- babilmente cod avrà scritto il Bocc. Che egli abbia confuso xw>^v con xtfXoq letto per xdnoq? Superfluo avvertire l'errore cb'ò pure nella spiegaiione della prima parola, end' è composto il nomo Filoeolo. Il Bocc. spiega fii-oq per amore anche in principio della Dedicatoria del Filostrato, se si bada alla ed. Moutìer (cfr. però CoraxzfnI, op. cit. , p. 9. n. 1.), e nella lettera a fra Mattino da Signa (Leti. rd. e ined. di M. fl. B. . 1, e).

367

Chiedo venia della digressione, e riprendo il filo de' mìei raffronti. Nel poema greco manca ogni cenno del fìnto sepolcro, e, in conseguenza, an- che la scena, che si svolge innanzi a quello: il tentativo di suicidio, la rivelazione della vendita di Bianci- core da parte della regina, lo sco- primento della tomba. Gonfio, di so- lito, e prolisso, qui ìl poeta greco stringe in poche parole ciò che nel cantare é piti largamente esposto. Florio toma, trova insieme il padre e la madre, ma non vede la fan- cinlla: < apprende qnesto cose, si duole, si lamenta, risponde al pro- prio padre.... (1)». Nel discorso che segue vediamo come già egli sappia che la uncinila era stata vendala e mandata lontano. Ma in qual modo

(1) Vv. 1048-50. Utteralmaate: « ap prende queste cose Florio, ai duole m cuore, lamenta dolorì inaumeravoli, ! duole per la bella ecc. ecc. >.

l'ha saputo! Non si capisco. La re- ^na, che altrove ha f-anta parte, qni non apre bocca che all' ultimo : essa al figlio, come nelle altre versioni, r anello che ha la vii-tù di salvare chi l'abbia ia dito dall'acqua, dal ferro, dal fuoco. Qua e perà i so- liti strettissimi accordi col cantare. Per il mondo tutto, dice Florio, de- sidero , voglio ricercar Eiancìflore, per mezzo regni e principati, per tutta Sai-acini'a, per città e luoghi inco- gniti, notti e giorni, finché venga qaello cLo bramo, tlnchò la ottenga: e se fallisco, e non trovo In fanciulla, qui più non vengo, più ritorno ». Cosi' nel cantare: e cercaragio la terra elll el mare, con tutta quanta la Saracinia, e giamal non credo in qua toniare, b'ìo non ritruovo la speranza mia; giamai a voi io non rìtorneraggio, s'io non rivegio'l suo chiaro Tisag{pa(iy.

(t) Poema gr. vv. 1065-70. Letteral- mente: « il mondo tutto deiddero, voglio

1

ì

Àncom: in fondo al suo [ii'cdiciizAn il re fa al 6g:linolo le rac^comanda- tioni, che sono pure accennate in questi versi del testo italiano:

e n tutu gente donit o fn Urgnnxo,

ed uaa corteaTa e leanza (1).

n poeta greco non ha dunque ab- bandonata ni tutto la solita fonte. Proball il mente egli n' ha avuto in- nanzi una rodiLzione manchevole; in- fatti vediamo che, ad eeempio, nel codice astiburnliiimiamo-luui'custiano , più volte citato, nulla è dotto della erezione dei sepolcro (2). Ma ancho da se 6 vorìsimilo che il poeta abbia soppresso, accorciato, oppure amplifi- cato ed aggiunto (3), osando di mo^;-

riceroarla. re e principi, tutta Sanci- nia «e, tee. ». Cwit., St. 91.

fi) St. 92. lia purta qui rioMunta del poema gv. è a' tv. 1040-1209.

(2) Vadi del cit cod, f, 33 v.

(3) Un'aggiunta parrebbe l'esortaxionn chfl Fierio fa a' cavalieri ddlii euu t^eili.'

370

^iore liberta ohe U consnoto: come ' [>avo puo supporsi ohe il manoscritto viennese qui presenti una Eìngolare alterazione dell' opera originale.

Il romanzo s^uigiiuolo non ii menu remoto dalla Tersiono più comiute e antica (1), Fiorio torna, e non vede la fanciulla uscirgli incontro: egli per^ non domanda tosto lei. Ne chieda un giorno che conversava con la re- gina, la quale gli rispondo eh' ora morta. Fiorio vuol vederne la sepol- tura; ma neppur qui s'era provve- duto ad ingannare il giovinetto con io apedicnte della tomba; perciò la regina, impacciata, non ea come pii) nascondere il vero al Aglio, e ai 5ent« costret.ta a rivolargli che la fanciulla era stata venduta. Di fra i mutamenti traspare, come si vede, la redazione primitiva. La regina non ha qui la

perchè lo seguaao (w. 1182-1202), Vedi partì Filocolo, I, 344-47, (I) Ff. 19 r, - 20 r.

parte modesta, che le trovamino bb- Begnata nel testo ^eco: essa dA al figlio il solito anello magico, e quei consigli ancora, elio invoco il cantaro, il Filacelo ed il poema greco attri- buiscono al re, raccomandando a Fio- rio di essere « muy humilde et libe- ral; j qwe hallen en ti toda geatileza et cortesia, et assi seras amado de todas las gentes que contigo contra- taran » (1).

(1) La regina dice pure, congedando il figlio: < ve mucbo en baen bora con la bendicìoQ de Mahomat >. Nel caat. :

or va, che Macometto si ti Taglia (Si. 93}. Il poeta greco pone questa parole in bocca al re: va, figlio mìo, figlio, colla mia benedizione; Maometto in te sem- pre sia ecc. » (tv. 1 134-35). Nella reda- Kiono mod. del rom. ap, Fio rio chieda della sua amica all'aia di lei. che Io ri- manda al maggiordomo: costiu stretto da minaccia del giovinetto, conraasa di aver

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372

Nella storia di Rosatia (1), tr» il ptì 6 la regina le parti s' invertono : chi vorrebbe far morire la fanciulla e quest' ultima, mentre il re pro- pone la vendita a' mercanti. D modo como"8i stringe il mercato è press' & poco lo BtoBso che nel cantare, nel Fiiocolo e nel poema greco. La fan- cìnlla è pure rlvonduta a Babilonia. Aulimento toma di Parigi, e, infor- mato d' ogni cosa, vuole andarne al- l' inchiesta di Rosana. Un' altra remi- versione drammatica, ove la regina, por trattenere il figlio, gli dice cho Rtìsana è morta. Presso a queste so- miglianze fondamentali troviamo dif- ferenze non lievi. Nel racconto, ì ge-

vanduta la Maciulla per ordina dal re. La ste»aa notte Florio abbandona fui-ti- Tamente la casa paterna, per corrore in IraKÓA di Biancicore.

(1) Racconto, pp. S5-18; Rapp., pp. 388-400.

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nitori di Aulimonto sauna delle sua sofferenze amoroeo per mezzo di una bella francese, che, accesa del gioTÌ- netto, ha voluto in ([uesta maniera vendicarsi dello sue ostinate ripulse. Qui però e' ò forse un' omln-a dello versioni meridionali del Fiario, ove si mostra come 1' eroe abbia resì- stito alla insidie alti'e donne. Di- verso affatto e invece il modo, per cui Aulimento può sapore cho fu ven- duta la ianciulla: un amico gliene manda avviso per lettera. Notevole ó poi la prova, a cui il Soldano di Bn- bilonia sottopone le donzelle, ch'egli compera; prova dissimile interamente da quella cho vedremo accennata ne" racconti su Fiorio ; in questa storia di Rosana, egli ne conosco la verginità £acendole bere in un nappo fatato, da cui il vino si verserebbe so non fos- sero pure (1).

(I) Sul nappo fatato efr. Bajns, Le Fonti dell' Ori. Fur.. pp. 498 sgg.

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agli aotU ad oa a&erK»:

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die giorao prima. Fìurio iaieoaiiiieia eoai ad avere notizie intorno ratnies •Ita. L' indoDuuii rìproide il cainnuBO, « csTalca fino ad un porto di mare: ■moaU sii DD «econdo &Iber^ ; andra qui r oatecea l' infumta che Biaacifiore ara panata di fresco. Anzi in naato albergo gli si dice assai più: l'osto. BUigiaoto 0 Bdkonto, ss, a quanto ■ombra, pprchfì bisogna spie^^v a fan* tosia i Bottiniesi del cantastorie, che la fanciulla fa trutta a Babilonia; quindi egli indirizza il giovinetto, in codeatA città, al nio comparo Dario

I

375

eh' era puru albergatore. Fiorìo lo colma doni; poi monta aopra nna nave, 0 fa condurrò in Egitto. Ap- proda ad Alessandria; qui, senEa indugio, cavalca alla volta di Babi- lonia, e, giuntovi, reca tosto all'al- bergo di Dario. Finalmento egli sa dove proprio sia la sua amica: i mer- canti l'avevano rivenduta all' ammi- raglio di Babilonia, in cui potere ella ora trovava (1).

Pur questa parto della «arrazionn ci mostra chiaro come il cantaro avvicini alle vorsìoni franceei o ger- maniche, e eia indipendente dal ro- mauzo del Boccaccio. Ancbo in quellci Bono ostesse ed osti cho danno a Fio- rio buono indicazioni Bulla via fattJL da' mercanti, o sul destino della fan- ciulla; anche in quelle 6 l'episodio del vino rovesciato da Florio, distrata tamente, sul desco, di cui si tuccù iti- trovo (2); anche in quelle il nostro

(1) St 94-99,

(2) Vedi sopra pp. tSl-05.

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maaUm aaCM* * pm riniw al I da' da* IMI) taKM aOù nd»., ck« al IL Qni, ^ WiMpfat gfi è ftbtto igMti to ■'■■Iw cnallmKa FIowd Dfagii. ah'4 rfiwfftt* Mi fr^ ••. IMI «X

ineontriiiniu difft'rona! non lievi, senza cuntare clie la rima é sempre un pal- lido e magro sunto rispetto le reda- Eioni, ricche, vivido, compìuffl, alle quali s' ò accennato ; ma ò innogabile, u ogni modo, che essa riflette, yisi- bilmente, una fonte simile a quelle. Si confronti in quella vece il Filocolo. IiaBciamo la peregrinazione di Florio per mezzo l'Italia fino al cuore della Toscana, la sua lunga soató a Napoli, e tutta la parte allcgoricamento au- tobiografica del romanzo, ove il Boo- cacoio narra di e de' suoi amori per Fiammetta (1); lasciamo, dicevo, tutto questo, per ripigliare i raffronti al punto, in cui Piorio da Napoli ri- comincia r inchiesta di Biaocifiore (2). Notiamo prima di tutto che nella co-

(1) FU., II. 5-120. Sopra questa bellis- tànta parte del Filofolo vedi Zumbini, op. cit,, pp. 57-65; CreMlnl) Contributo cit., pp. 73-82.

(2) FU. li. 120 sgg,

mnae redazione, qitandu si po&« in V per cercarla, Fìorio non ss oro sia Rtata condotta la eoa amica, che rende più ardua e insieme più Cant»- stica e intereesanta l' aTTaitara. Cosi é pur nel canfAre (1). Net IVoeolOt per contrario, giA il re aveva sagge- rito al figlio di cercare i lidi d'AJes- eandria, poiché 2 ijuclla volta aveano navigato ì mercanti ; e gli anticbi dei pagani, dei quali, peregrinando, area trovato un rovinoEO tempio, negletto in un selvaggio recesso, e a cnì, dopo tanto oblio, aveva un istante ridonato

(1) Cfr. n poema fr.. w. 1740-43: Fio- rili chiede al padre chi Cassero i mercanti, che avevano comperata Biancif. , e dove l'aveuaro condotta:

< Certei >. diat roie, * ne sai. Vedi anche Fleolt, vv, 2584-91. Nel can- tare aall'alti-o sa dir la. regina al figlio, te non che i mercanti

in *ér del nostro porto la menaro,

I

i del eulto, gli avoan dato re- sponso di far Tela per la Sicilia, as- Bicurando che ivi avi'ebbe raccolte novelle della sua Bianciflord (1). L'i> stessa, da cui Fiorio ha avute le pri- me notizie intorno la fanciulla, si muta in una donna noLilissima, parente a' mercanti che traevan quella; Beliaante in BcUisano, uno do' più cospicui cit- tadini di Rodi, amico e compagno di armi di Ascalìone; Dario albergatore in un gentiluomo d'Alessandria. Bel- lisono poi non si sta pago all' aver date nuove prezioso sul viaggio e la sorte di Biancifiore; per gli obblighi antichi, ch'egli aveva al padre di lei, vuole a ogni costo aver parte nell'im- presa; perciò lascia Rodi con gli o- spiti suoi, e, seco loro presa terra ad Alessandria, li conduco presso l'inti- missimo suo Dario. Del resto, 1' ordito è quello etesso del cantare, al quale

(1) FU.. I., 350; IL, 7. Cfr. nostro Con- tributo, p, 73.

f

n poema groco si raccoste qui alla solita font«. Dissomiglt&nze non man-

tanto che di Beliicano non occorra che un solo esempio, nel mglb. II. m. 107.11 nome Selisant, applicato a. donna , ho incontrato nelle Nouc. fran^. rfu XIll' aiiele, ed. Koland et d'Hérlcanlt^ p. 57. RiBcontri al caso nostro saranno nel Cantrib. alla Si. dell' Ep. e del Rom. medievale, n. VII, del Rajna (vedilo an- nunziato nella Itomania , nura. 68), ove b' avranno queste forme : Braimanda e Braimano & fronte a Braimant; Ago- tanle e Affurano di contro ad AffotilanL Si penai anche a Triplani e 7'risluno. Notisi qui, che Florio nel Filocolo fa spac- cia all'ospite Bna di Sicilia, Sisife, come fratello di Bianci&ore (II. 129-30). Goal nel I poema fi-., nel Heck e negli altri rac- conti aiSni, Florio, ci'eduto dalla moglie di Dario , per la grande somiglianza, fratello di Biaiicifioro, procura dapprima, non ben sicuro della fede ile' suoi ospiti, di paBure per tale: tosto però confessa il vero (1. fr. t». 1526-37; Fleok, w.

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(0- -ftmt^ «*i «Mài «Ili» -«MAk. -m

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gDuolu poi c' è uD ricordo tonue, lon- tano tifilo versioni precedenti, o più di quella accolta dal cantastorie, che delle altre. Florio sosta a un solo al- Itorgo : qui l' ostessa gli conto di Biancifiore, ma non pei'ché aia stata colpita dalla somiglianza, ch'era fra lui e la donzella. Quindi il giovinetto per mare arriva ad Alessandria, onde, senza arrostarsi, seguita verso Balii- lonia. Pervenuto in questa città, smoa- ta allo case di Dario. Nuli' altro: r episodio del vino rovesciato o del bicchiere infranto, né, por via, pili larghe informazioni sulla meta dei mercanti, e il destino di Biancifiore. La regina già avea detto al figlio che la fanciulla doveva esser tratta ad Alessandria; ma perchè Fiorio s'af- frotti inveoo verso Babilonia, e scon-

Come bI spiega che all' oste sìa al biato il titolo di re? S'avverta che vano incceniiTO È detto ^svoS^o^.

ture medievali, presso In qunlo sorse il Cuiro, elio con ossa, pop la estrema vicinanza, venne ii formare quasi una sola immonsa città (1). £ infatti nella

<1) Forllls^r» ffandhìtch rf-n- all^t Geogr., IT. 782-83; Maspéro, Bist. a'i- eienne da peuplts d'OnVut.'. pi>. 21, 201. Cfr. pui'o Giornale tU-gli Brudili t Cu- rio«p, I, 394, 468, 711; II. 30. 80, 213, 333; ITI, 3^, 358. Citerò alcuni luoghi, io cui Babilonia e Cuiro sono poste in- eiemo: Bisloria Belli sacri di Gnirllelino di TlrOf e<l. Baailaa, 1561, L. XIX, cnp, xnn, p, 350 ( nella troduz. ital. Giu- seppe Oroloffij Vanezia 1500, p. 506); Uinirairea à lénualem el deseriptìonn de la Terre SfiinU', redìgis en frantavi nux XI.' XII.' el XIli: si-Vles publk's par H, Miehelant et G. Raynaud Socii'iù de V Orient latin Genùva IttóS, p. 174. Bernardi de Brcrdenbaeli, Sanetarum pereffrìnalionum in monlein Si/on , ad venenmduM Chrhti scpulehrum ecc. ere, { DnunKO , Glose. m. et u Lai. , eJ. llutischel. B. V. Babilonia Aei/ipti); 1 Vi,i,,(ii di ilio, da Sbindarlila, edi^

, n. ir m SE.

illitMKHtMM d- -té dw «t 3

Ionia, et tandem Chajrum >, Ditlam. ,

loc. cit. :

O luca mia, tu che mi sproni e pungi

Per questa strada, diss' io, fammi chiiiro,

Che terra è quella, prima che la giungi.

Due città sono, dime, e fan riparo

Soprii r^uest' acqua, e quella di noma

Babilonia, l'altra di qua il Caro.

E l'unae l'altra aon maggior che Roma.

Qui ó il rual palagio del Soldano.

Che tutto Egitto signoreggia 6 doma.

Notiamo di passatjv i^he sarà da Icg- gere : « e quella di nom' ha > , per rarti&cìo ben conosciuto della enrlisia a cagion della rima. L'altro luogo trar- remo dal 'olume di Viaggi in Teira Santa ecc. . e proprio da quello, che de- scrisse Glarglo Guwl, pp. 287-88: «Fra il Cairo (I Babilonia è una medaBÌma cosa, che quasi nulla vi tramezza se non un poco di terreno sodo e disabitato, non accEL^ato ; e dove più e dove meno il det- to teri'eno è disabitato. Havvì luogo dove ha dalle case del C^ro a quelle di Ba- bilonia, dove una balestrala e dove- due.

P. in tal tiM^o presso che ud miglio corre U detto Nilo ftllalo a Babilonia. DftUa |iurle di fuori il Caini e Batrìluata non sono murati, e suno catuno di per graDdimime città: tioniì i-Iie il C«ira solo sia luogo circa di X miglia, e largo 1 uno luogo per l'altro naam V migl Uuliilouia è laoga circa a VI miglia, «4 i*tà quasi come uno scudo, lai'ga dallo parti del Cairo, o isti-etta e appuntaU dall'altra parte; ed è larga l'uiiu luogo p«r r altro quasi tre miglia, sin-bò in tutto le detta città, cbe sono una mode- glia e larghe quasi Vili miglia .... B»- bilonla è la città antica, d'ooile fii Fa- ■■aone. Il Giuro i la t«iTa nuova {atta « odidcala poi, e secondo il dii-e quasi di Lutti, e che per veduta si può compran- dei-o >. Pur nel Cairo d'oggi, nel quale si sono agglomerate piii città vicine, ri- mane vestigio della vecchia Babilonia il quartiere di ÌMxtul: cosi Laronne, Dict. Univ., *. y. Coire.

(1) St. 101. Al Cairo accenna pare, come giA B b veduto, il i-omanxioro apa-

Fiurii) unii ]iriici'ilii iiiù in lil li'Alcu- KiTulriii: pertanto è qui, non a BiiLi- lonìa, elio si svolge la ciktostrofn del Filocoto. Così la fanciulla non si tro- vii ul Cairo, ma nella torro doU'A- rabo, cho raalmente esisteva, po<;o lungi Oa Alpssamiria{l); e il signora, che riia in suo potere, non è, come nel cautaru, net poema greco, nel i-o- mnnKo spnffnuolo, l'ammiraglio nel aonso pia ampio di pignoro supremo (il cantasturio lu dico anche 11 n? de' Saracmi) , o , per usare una o-

gnnolo {ff. 18 V. a 20 v.). Por il poema gr. cfr. V». 1S50, 1256-57, 1287-88!

Cant., SI. lOII;

EU in Aliaanclrlii sono

e Fiocio cavalpfl sui

e ì BaballoniB al su

(1) Bibl. Ambroaiana,

F. 200 Inf. Vodi Fifur.

ari vati.

I Bogiornali ixc. purtuknu eeyii. , 328; 11. 111.

I al C S r. è diUB « Im

fior* f e«Hhk

A fV. L, 3»-28; IL. 137-^8. Bfi»- tmaaste icggen Aknsadria uno 4cgti ttinmingli del «uklBDa <S BalrilooU: «adì ciL Vioffj/i <N r«rra 5ini&i, pp. S4, Iftl, ?ir.. Or. pmn iM'ÀIUUr, BeliOicm it f /h'JP" eoe. tni. pàrthàt Stejf Paris 1810. pp. I8S. 230. Sopra il Bi^fi- (ralu di ammiraglio {aj'àb, amir, princi|>o , ronuuidnale) cfr. Da Caas«, ■- r. .imir, e Dlex. Rli/m. M'M». I. 13. ». * Almi-

i' indiponilunzit della rima dal ■■oraaii-

rante. Parrebbe che anche per mesaer Giovanni il signora dell' amniìi'aglio di Aletanodrìa dotasse essere il Soldaao im- peiiLnta nella Bubiloniu egizia. In un luo- go perù (FU., L, 327-28) l'ammifaglio esprime il proposito voler procurare che Binncifiore diventosao principale fra le mogli del suo re, e cingesse la corona di Semiramide. Il nostro sorittore dunque pensava alla Babilonia aaiatica. Ma un noto verso danteeco, relativo alla famosa regina ilnf. V. 60) ; Tenne la terra che '1 soldan corregge, ititerpretabi , a mio avviso , erronen- nieule , poterà allettarlo a imaginiiru elw Seniirauiido avesse retto puiti l' K- gitto (cfr. Boccaccio , Coni, sopra ia Comm. di Dante, ed. Moutier. II. 23; BeneTenntl de Uainb. do Im. , Com. ■tup. D. A. Comoed., ed. Lacaita, I., 107- 99). Si può anche d'edere eh' egli volesse i-iferirù sotto il nome di Babilonia al centro aaiatico della potun/.a islamitica.

DivM.dw te rUmm» tmm ala OM ed* rio* fi itmiamièt (••«. fL «k. fihfb mtr9 l'I f I II I BTi» rwK. BmÌIm. ISfìOi U IT. r. Xlltt p. I-M; L. VL e. L p. SOO: 0. I

adM «( G'^r. £ r«fa>M> ao^ aer. T>. B«i« UOl, e. MM «BSi. « <.; 6. B. I. «■Ohm 4t SsWe^nlx. fìte. mt fa Ahuw d^ Batyfat. Aeai. Rd*. 4m Imet. •e BdlM-Uttm. M£& d> lia, T. «I. Pnisi 1808, f.aSì.Twiaxim»atm0DiM. gtogtvfin (^ aoatrk £ ■pww eko Ta^ lieaBab£lMM «n nlTEsbatK. e mb la coated« en Bag^M <«L rewù, ISIl. e. 140 r-y Ofipvs. pih M^plieeaeMa, psA Mppei-m eh» >«* bcik «mcìaakiBa d' idee riMa Uipata U MS pea^MQ MI» BaUlMm ^em all'aUn •aatm. cte par nw«o ^ M «««dato £ www— tao Beaiii iiiiiilii . 06 At. 4'alm pafte, gli era lacito , pcrdiè mm a*a«a 4ia«B

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ftjllcpa i>er c'iiì i-lm la scpna dogli ultimi ovonli della cumtini' l'avuta una città dell' Ejjitto.

La nuova Biibilonin non oclìssù l'antica. Questa era, ormai tia secoli, un cumulo di gigant{<sdie rovino (l); ma l' influsso del testo biblico o lo tradiKionì storiche, come pure la \e^ genda formatasi intoruo i casi e lo

I

cittA iotendesse alludere. Del reato, che la Babilonia d'Egitto esistesse, il Boec, sapeva i^uanto qualunque suo conterapo- rnneo: cfr. Decameron, I, 3; 11.7; Com. sopra la Comm. di D., I. e.; Genealogtae, ed. Veneuia, 1511, L. II., cap. XIX. c. 18 T. Ad essa egli accenna certo nello stesso Filocolo, IT. 151, ove al castellano ilella ton'e dell'Arabo Piorìo finge di essei-e venula ad ammirare la bellezza di quella, noi vi.tggiare alla volta di Babi-

(1) 8aint«<Cn>Ix. op. cit, p. 25, Già al V scc. dell' era cristiana Babilonia, ca- duta alffttto in rovina, non doveva più essere contata fra le città dell' Orieulo.

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imprrae di AJ(9>8anilm iaafeiloM>. rai- MTu a mant^nieme vivn o lumtAou la ricordanza. Accadilo i>ui cbe neSiM (vmtroda, sn coi er» stata sopcrba- monte regina, st«»d«ss«ro la Awle o la signoria di Mjiomettu : Bagdait, la Roma dell' Islam , la città dt!t cn- Uffi, fu talora confusa con BahiJo- iiìa (1). I-a quale pev U nuovo pofwlo eletto, per Ì cristiani, B«guitA a esaere la ^uida e il centro dt^la fftlsa cre- ileiiza, come era stata già per l'silticOt per gli Ebrei. S'immagino quindi che essa sorgesse capitale ili uu impero

(1) Cfr. peaultima nota. Si ciwdatte put« cbo Bagdad fosso stata comtmtta «o' ruderi Babilonia: A, Lasor aTarea, op. cit. t. V. ISabylon; FerrarlJ, eìt, Lex. Gfoffi-., a. V, Dabylon, Bagdatum-, Salat»- Crols. op. cit., p. 2»). Si seppo tuttaTÌa fino dal medioevo che di Bubiloaia avan- zavano Boltunlo le rovine: cri-, per ea IkneTenBtl de Bamb. de Imola, op. è 1. e. ; pome anche Sainte.CroIx. op. Hl.

r ^nnicliio, nnzi di lutti) it mondo uiiis- intiaano; che vi tenesse sua sedo iin potente o ricco ammiraglio: o la si onri6 di quanto favoloso Tueraviglie ■eppero suggerire alle fantasie doi poeti occidentali la fama della sua prima grandezza od i! fulgore dolla civiltà araba (1).

(1) Vedi A. Morel-Fatlo. Rech. sur le texte et les sources du Libro de AlejtaiL- dre; Romania, IV. 71. Buli>;anx, che in un notissimo episodio inserito nella Clian- son de Roland, nppi-oda in Ispagna a soc- corso di l'è Marsilio, ì: detto atntrail* Babilonia (vr. 2613 s^g., ed Miiller). Dal &tto {lei'ò ch'egli sal|>a da AlessandHa (v. 2626), si potrebbe credere elle la sua Babilonia fosse Vegi%\&. E invero si vedo pure in un alleo poema, nel Foteo di Candia, quest'ultima città esser sede del- l'ammii-aglio di tutti Ì pagani (0. Paris, , La lift, fi: OH moyen uge , p. 70). Ma neir /fuori de Bordeaux la Babilonia, al cui amii-al Carlomogno manda, appoi'Ia- toi-e di un lerribilo niawwggiu, il pi-ota-

metto cajw il pellt-^rinofTg'o Ji l'iurio nella I rodatìono frunceso e nollo af- flnl: per questa iufatti, Bagdad, tm- muUtta bizzari'amento in porlu di mu- re, non Alcssundria, é la città n cui siHU'ca il (fiovincttu, mi Enfrale ba nomo il fiume, che coito per entro il vei-ziere dell' ammiraglio (1).

Cosi poi nell' una che ueLl' lUtrn Ba> bilonia, la torre, in cui Eia chiusa 1' e- roìna del racconto, si leva tnirabil-

{TOnÌBtB (Anf, PoéL delaFr^ V., tv. 2315 s^.), parrebbe posU in Aua, 8e sorge al <li Ih del Mar Rosso rìspettu alla Fran- cia, e se, vìaggiaoilo alla volta dt can. l'eroe tocca pi-ima GemMlonunp. Ancbe nei racconti rraoceii en Alessandra, Ba- bilonia è seggetta ad un amirat IP, !■•• yer, Al^-x. (e Gr. !. SI; II. 189-91).

(1) Herw^. p. 47. Par il nome del fìunio vedi I jiocma Ir. v. 1749; FlMft, V. 4444. Noi II poema fr., di lla^dad non

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3!>7

mOHir U'Ilil I' lufU', al O gL'lcisailUTllc

(juiuclala, lindo ci-esce a milto duinii IK>r Fioi'ìo Ift difflcolU di riavere l'a- mica sua. Questo il dato camuuo che i diversi rimaneggiatorì hanno svolto variamente secondo le posse della lur fantasìa. Porciù, accanto alla descri- siione iussurc^igiaut(> che della città e della torre offrono i poemi migliori , il 1 francese e 1" alt^tedesco, corro via povera e sciatta quella che traccia frettolosamente il nostro cantastorie, che della sua miserin ha però fidi cympa;fni i! jioeta greco ed il ruraaii- ziero spa^uulo (1). Ben altra ala ha r infi'efpio del Boccaccio, ma anche la sua descrìziono è men colorita e ricca elle cjuella dei due poeti stranieri, dalla quale inoltro, cìit che pii'i im- porta a noi, si mostra indipendente.

(1) f fr., TV. 1571 agg.i Fleok, w. 4170 Hgg.; poema ingl., vv. 611 egg.; Her»9. ib. Caiit., St. 104-106; poema gr., w. I2>tì igg.; rorn. ap,. f. 21 r. e v.

poiché ancho in questo punto uic!Kt*>-r Giovanni dovettu avere imuuixi ttna fonte slmili) alia nostra rima (1). Cor- rono di fhtto tra 1" una o l* altra ver- sione concordanzo particolai'i : il giai^ dino fiorisce al Borumo della torre (3); la prava della virpnita suoi lArsi ìm, mattina; il modo di essn 6 il mcdo- 8Ìmo ne' due raci'unti (3); le donzello

(1) FU. ir. 138-42.

(2) Cant-, St. 105:

E disopra la torre Ji nno gianlino; /■■|7, ; < Neil» Boromiti q«esU Kure i

uno dilettevole giai-dino > (140). Cfr.

(uvece I fi-., 1721 sgg.

(3) Net giardino a uda fontana; m quMta à leva un albero, perenneni6at« venie a fiorito:

qual dona vi posase dal tnatjno, *opi'a li rade ud fior se l' t puli;eUs, e s' alla foao da uomo adopiiitn. quell'aqua ì a man tenente è intorbidata. PiLi « .... qualora l' ammiraglio rool far prova della verginità d'idcuua giovwM,

■jii'i'liiiiso Simo O'iito (1); upii twtln r'C);Lin intorno il cnstelto grosso stuoli) d' armati. Tuttavìa la fonlfl usata [nir

I

egli Dell'ora che le guance dell' aaror» oomìnciano a divenir vermìglie. pi*eiiile la eio^'ane, In quale vmil veJt're se è pul- cella o ni), e menata sotto questo atbei-u, e quivi per piccolo spazio dimorando, so questa pukella le cada un flore aopi'a la testa, e l'acqua e più chiara e più bella esce de' suoi canali, ma ?e questa forse congiugnimentu d' uomo ha cono- sciuto, l'acqua ai turba e il fiore non ca.]e »(U1). Neil fr.,vv. 181 1-3-1, quella che mostra la virginità è Is prova sola del- l'acqua: la caduta del fioi*e serve a indi- rare, tra le donzelTe appare vergini, quale debba essere eletta sposa dell' ammiraglio. Vedi anche Flcck, vv. -I4<'>8 sgg,; poema ingl. vv. 711 Bgg.; HerKog. p. 47.

(1) Questo numero, com'è natui-alc. L nello redazioni diverse: jeplci'nf sa- no le fanciulle nel I fr., 1(173; 70 nel Fluk, 4181-8(1; 44 uel poema ingl., CióO- 60. Tanto più dunque notevole è qui IV- cordo del Cant. e del l'M.

MU rfmt m altra imt Tdnidw i

Mft UHla 00» ni tfm BMbÉ» afe» il amtagK, fo* fMola ^ ■wiiiwi, non iain M >HwaiK, b ^miém

(I) U MUK Jdbl Bm MM ttHM

4MM> la AammOr: I fr^ lAO-H, UWIr^ifc fa. tt. Ì3k. U «MUM. * ■>! wn» «Ìw«m: I fr. 1781 : /a. Q. Ma

O) Ad po«n sr- per* i •Db pnw d^'aotn*: n ram- «^ L «, ci pwif« (sJììIb fMw uHw twga» alterata ebu md CasL ••I FU.: < S alaùnl 6m «pa nfc nMMM ha iIormIm ^«« Btt b tOR* «taa atJM m Sor et iMnete «dHr <m (b«iU«: 7 w|N<11a ^m •• <nt|n d »- Ifm mU cUfft: rt niw <■ d ag** lal» tnrfìa ; b«nwj« tana mbj;t« ». AmJm imI fleck. *. *tìS, r x^m* difÌMB par> MlnacnU hmm.

V anuuu'aglio aduna le cento donzelle, perchè eran parte del tributo, che ogni ilioci aniii doveva pagare al suo signora, il re di Baliiloitin (1); in quello, poiché non v'è fatto dipm- dore dall'altrui dizione, egli lo rac- coglie i) custodisco per sé, come nella comune i>edaziaue della favola. Dalla quale però il cantastorie si stacca nol- r accennare alla sorto delle fanciulle. Egli dico che l' ammiraglio si sollaz- zava con eese, ed ogni netto ne to- neva una in braccio, e poi la mari- tava riccamente (2): mentre le altro versioni lo papprosentano come assai meno umano, facendogli eleggere di tra quello ogni anno la sua sposa, che poi ordinava fosae uccisa, perchè niun altro avesse una donna, che gìk fosso stata sua (3).

(1) FU., II, 137,

(2) St. 78.

P) Hern>9. p. 47. I poema fi', w. 1707- U; Flook. vv. 4488 agtr.; poema in?!., vv. 070-83,

inmlat* Uanettaenia. Che i ima ft Piano ftrpwantmek

■[tlenitids iirigioiie, en

tiuiM Kw onrcala mu tonta i

Qtwllii iwl& cho Itarìo gji i

«loT«'va procararo di in^miàiminn H 1

crudele o suporbo «ut^iUno rfclla torm ,

ma prìtaa era necessario sfidare ì! pe- 1

rÌPX>lo (li ctuK!re iol-wo a mono da Ini |

neir apltroMarni all' edificio (1).

Tntto avviene secondo l' accorUffiiiDo Dariu uviiva {Giurato, poiché I^orio no ■ofTuc in ogni porle il consiglio. NoUa divunui redazioni egli non pone troppo Usm]>o in mozzo a metterlo ad effetto; anzi nel cantare, come noi poema greco «I nel romando «pugnuolo, monta tosto a cavallo, e s' nft'rctta senz'altro vei-so In t«rm (2). Non 6 cosi nel Fiìocolo,

~{l) Herwgr'. p. -18. FU., Il, Mì-M- Uant., SI. IOfl-7; pooms gr.. tv. 1350-61; rem. «p.. t. 21 v.

(■-') Noi 1 [HHiroa fi-.. T*. 193! ees„ Fio- l'io HttoD'le Milo il iduIUdo n|i|>resso. Cosi

<

ove luugametite egli stji sospeso fra (losidprio o tiraoTO, e non g\ì attenuu quest' intimo contrasto se non il ri- torno della dolce stafriuue, elio lia la virtù di raccendopo il foco amoroso (1),

neck, VT. 491fl sgg. Vedi Cani, St. 108; poemn gr.; yv. 13'ì3-79; l'ora, sp , t. 21 v. Nel poema gì'. Fiorio volge il discorso BJ suoi corapagai: « ascolta queste cose Fiorio , i suoi chiajna , i suoi signoi'i raduna, sedettero a cousiglìo >. Ci6 non ha riflcontr'o ne! cantare , ma le parole cheli giovinetto nvolge a' signori, aun poi le stosse della St. 108 del Cnnt.

(I) Fi!., II. 144-49. Qui è quel solilo- quio di Fiorio, che somiglia all' in tersa disputa tra Saggezza e Amore adombrata nel I poeni. fr., \v. 1382 sgg., e nel Fleok, YV. 3750 sgg. Vedi Zninbliil, op. cit., p 19 n. Lo Zamblnl stesso avverte pei-ò qualche dissoniigUuiza tra il luogo ile' due poeti e l' altro del Bocc. S' agi^iungn che il contrasto non b' iosei'l da questo e da quelli proprio nello stosso punto del racconto; e si noti ancora che simili ten-

Atm.lHM; Jtt. J»lKBh.3Sn;rat.-.•

v«tolliMrvi^M»to•^kn

. U> nel Cut rÙA a

iloglisi uhi:! t'oroco, the t'I' "l'i stuM dipinto; ma poi racqueta. I tosti francesi o germanici altri bui a co ne V ammansarsi del crudolo un pu' a pietii che gU desta I' aspetto del- l' adolescente bello e gonfilo , un po' a certo suo calcolo (l). Dario a- Tera suggerito a Florio di a])prc8sarsi alla torre misurandola a guisa d'ar- chitetto, e di rispondere, ove il ca- stellano Io avesse infflrpellato, ch'ora sua idtenziune erigerne una eguale ad suo paese: a udir ciò, ijuc;:!! lo

per lubito partito preso ila Fiui'iu di se- guir tosto il conaiglio di Durio; nel P'ìl. invece, quasi sonxa eh' lo vo(;Ua. Cn- valcando non lungi cluUa torre, egli gr-orgu ad una finestra una Sigurn di giovino donna: iniagina che sia Bianciftora, u Henna poter più contenni'sì, ahbundona lu redini al cavallo, che lo trasporta fin gotto a quella.

(I) I fr., vv. 1B35 sgg,; Il fr., 25C7 «g.; Fleck, 4930 sgg. Cfr. ìlenog. p. 51.

csUmndo, e €nia pacar neo*- gli aeaoeU, pw aOeggcfitsli a proprio natMfgio h bona. Coà ^^nto 'eads: Ù rwtHlaan * in Thor Florio al ^oeo (1). Ke' i Bottri, Dario am diràa u I lUU: egli STTcrts Ab H < « aTorÌMimo, ed ha ifr^tatA p per il (doco de^t scacchi ; die qaiadì pobvbbe t<niure molto gtorerate a Florio proSitani« per renirpll in gra- zia, e aver modo di gnadagnanene l'niatu, gaziaoilo la ingorda lirama d'oro, che lo strD{:^«va; ma non ad- dita la maDiers di adescarlo a prò- liorre il giocu (2). Tuttavia rimane qualche trorcia della versione pia as- ticB nel cantare e nel poema freeo. Nemmeno qui Fiorio si reca s mìsn-

(I) Benor, pp. 18. 51. (3) CaoL, Sl 106-7; peonia gr., rr. 1350-01; Fil.. 11. U3: rom. sp. f 21 ».

rw<? la torro a modo d' infognerò : iwro, interrogato ilal castellano, ri- Bpondo:

. . . . i' sono d'oltre 'I msre, che veni pei' veiler questo castello, che in verità un alti'o ne vo' far fare a questa ramìglianza o cosi bello (I).

Se non che a' nostri pìfacltorì è giunta una tradizione imperfetta. Perciò alla lor mente non ò chiaro che il mo- strarsi ricco, fingendo di voler ediS- care una torre simile a quella me- ravigliosa, che k'ì serpeva avanti gli occhi, dovesse bastare a Florio jjer essere risparmiato dull' avidissimo ca- stellano. Anzi nel romanzo del Itoc- caocio, Florio si dice: « un povero valletto d' oltramare » {'2). Essi per- tanto hau biso^rno di attribuire la sal- vezza di lui a quella sua fortunata

(t) St, 110, Cfi-. poonw gi\ vv. 1307-

1407. ii) II.. 151-

t

L'ftceordo tru lo versioni moridio- nali contìnun strottìssimo pur noli» acena del gioco: FioHo lascia vinc«ro lo ricche poste al coatelluno, o gli prodiga bisanti anche se é penlente, tanto che quegli lo invita a desinar soco il di successivo, nel quale il j^Ìo- vinetto così sa farlo buo da potergli aprire il proprio animo, manifestargli il desiilerio di vodere Biancilìore, e pregarlo di porgergli aiuto nella ci- mentosa impresa (1).

Nel poema gr. la seconda mgiotie, il ri- chiamo tisi falno. non ai accaiinii; invece nel Pom. sp., f. SI v., à U aula cIiq Fiorio adduca.

(1) Cant., St. 111-118; poema gr.. vv. 1425-1533; FU.. Il-, 15S-61; rora. ap., f. 22 r. a V. Per la differenxa tra questi e i ra(!conti rranceai e ^rmanici vedi Her» ngf pp. 51, 63. Qualche lieve disaumi- [{lianM è pur tra la nostro versioni: nel rom. s|). , ad ea. , 6 non al secondo, ma

Il lìono, che Unisce per empirò di meraviglia e cumoioziono ìl caste- llino, in muDÌera <la fare cli'c^lì si protesti prontissimo ad ogni servigio che Fiorìo esiga in ricambio, è qaello della coppa, comune a tutte le reda-

fil terao giorno che Florio osa conAdani

col casti^Uano. Nel poema gì-., Florio iu- dace il ceatallano a giurare di serrirlo ia ciò che gli chieJa (vv. 1489-95). Par- rebbe che qui ci fosse aperta s^gno d' in- (lipendenaa, oltre ehe dal Filoeolo (Her* EOeT; p- 53), anche dal cantare, nel quale, secondo il testo da noi costituito, di giu- ramento del castellano non si parla. Vedi però nella note alla St. 1 19, come la va- riante del V. 4., giurare pur ffìucart, spieghi r apparente discordanza. Ci aona infatli redtuiioni del cantare, nelle quali ai riflette la più comune versione, che il castellano, vinto dagli splendidi presenU di Florio, gli si aia giurato uomo ligio, prestandogli omaggio (Herxogf p- 51 ; 1 fr., 1985 s^^r., e cosi le rcdni^. affini).

zioni (1). Socondo Irt versiono fonda- raentale. In coppa d quella stessa eho i mercanti avoaa datu al l'è compo- raniìo Biancicore, e quegli aveva poi ceduta al figliuolo nel partirsi di co- stui per r inchiesta amorosa. < For^o, avoa detto il ro, otterrai poi- essa co- lei che fu per essa vemìuta > (2): ciù che realraentfi avviene. Ora, meif- tre nel cantare, nel poema ^Teco, nel romanzo spagnuolo non si accenna che la coppa sia quella medesima, il Fi- ìocoìo riproduce perfettamente la ver- sione migliore e fun<laineiitnLe ('j). Questo fatto tanto meglio ci assicura che il Boccaccio ha rimanet'j;;iata una

(1) Henogr, pp. 51. 53.

(2) [ fr., vv. 960-61.

(3) Cani, St. 115; poema gr., vv. U74- 76; rom. sp. f. 22 v. Vedi FU., II., 156: «... la bellissima coppa e grande d'oro, la (]UaIe eoa g'ii altri tesoli Folice re ri- (covette per premio della giovane Bianco, fiore dugli uueonici mercatanti . . t.

fniìtadiae, od aacfae pegipo, wcamlu voffliuno Le redaxioitj fnateà e e«r- nuuitche, il poro prestato sopirlo rumo nio uomo: ilovera c^ donquo

(I) Col. per M^ nel Fil, che nelle «1- ti-a venloni morì dio Bali , la coppa, che Kiurio prosenU al cttstellaiiu. è colina di

lilwinti o d'nltru moneta. Cnnt.; 'na l>el1a ropn li puose ilaTanti, eh» luta ora piena il' oi-o e bisaiiti;

tSl.,: « .... e quella pìona ili bisantì

d'uro . . . >; poema gr.:

Irtav o'pftuìv 6}.ri_pwr([v. fiiidTtfi -ri SsuxdTTv i-orn. sp.: *Dn niuv rifa co|»i ile oro llcua itv rulibis uilieiiM . . >.

4i;i

slVirZfirsi <i'ì tcoviiru in qiml iiui'ln potesse rendergli accresiljìli lu socreto stanze, ovo BJancìfiure tanto gelosa- mente era custodita (1). Tutte le redazioni ci offrono <\m lo stesso dato; Fiopio può raggiunpeve In donzella, cBseDtlo nascosto, per arte del castol- lono, in un corbello di fiorì. Ma questo dato comune svolgono i racconti me- ridionali in forma affatto ìdv propria. £ la poRqua rosata, giorno della festa de' cavalieri (2);

(1) Uerzoff, p. 51. Cant., St. 110; poema gr., tv. 1534-48; FU. il. 161; rom. 8f.. f. 22 i,

(3) Vedi sopra p. 187, n. 2. Cant.. Si. 120:

Domenica si è pasqua rosata, che aerò, festa per li cavalieri. Poema gr., vv. ltCO-01 :

»' T)" 0T£CÌXt] T(uv xaptaXlapttiJv

FiL, II, 1C2: « .... di qui a pochi giorni in queslu purti ccluljra una fusta

Ili

confinino l'uso, fa porre innanzi l'am- miraglio cestii coline di rose: <[um;Iì soleva stenderci le mani, pigliarne ria ciascuna, e poi presentare le ceste alle donzello, facendole collare alle (inestre delia torre {!). Fiorio funa-

graadissima, 1& qaile noi chiamiamo de' cavalieri . . . . > Rom. sp. f. S3 r : < al domingo es din de pascun llorìda : y en eata tierra todos los cauaUeros et d&inas iiquel din aalea muj ataniados .... » Su pasqua rosata e paseua florida cfi*. ■opra pp. 185, 196. (!) Cant,, ib. : prìmiem mente è mestìero che vada a l' amiroglio le rose e panieri, e ciascuna prende una giumella; poi U presenta a ciaacuma dongela. Poema gr., vv. 1568-73: Ti dive»] fàp j-Jvfli^o'J^tv, p«V5'JV Ta '<i -zd xofivvt Tov ajujpav toì (p^pvo-jsiv xai'^avouv tix op,ftpdq Toa X ex TÓv xa^Év xo9fwioy xt sx xaC èwa pdiJc* ojraiov xpEt«^T^ d aprtipa? va nofpti Stai ipiXfav, 5<«i o'X', i'ja '7rop,EÌv3u5iv vai resp-i^i) tsì; f^vM». XTtTiXiJtràv TfÌ4 >!i6ip,ti^, oi? npénn xai olpit^Gt

41S

si:iH!|o nel iiunioi-e [lìù bollo , che r ani miniai io comandò fosse offeq'to alla prediletta delle fanciullo, a Bian- cifiure. Con tanto desiderio egli caccii!) la mano per mezzo que' fiori, cho tirò puro i capelli del giovinetto che stava appiattato, tremando,

come la grua ìstà sotto il falcone.

Per sua ventura di nulla s'accorso r ammiraglio, cosi che la cesta i'u col- lata su alla toiTO (1). Ancho pei-

I qaesto pralo

I

FU.. II, 162 : « davanti la torre . nato e vestito di rnali dra{ipi con gi'an- dissima compagnia viene, e di ciascuna ceata prende rose con mano a suo piacere, e coel com' egli comanda cosi poi si col- lane sopra la torre . . . . >

(1) Cani, St. 122-23; poema gr. w. 1587-99; FU., Il, 166. Cant.:

. . . come la graa, istà sotto il falcone,

si stava Florio queto e dubitoso ;

apreseatato fue a l' amiraglio ;

or ben si mise Fiorì it gran travaglio.

4)HBto iMUtieofare ik-U'(«Mr la oau coBala, e MB portata a qMdle tfwo^

umn dalle altre (1).

E ]' ^miraglio pme in veribula <klle rosa a de' fior, eh' erui DorelU. e •! ne prese per tal Tolontade, che a Fìorìo Uro di anoi capelli, « io non Torei per aoa gran «tade eaerti istato li dove fu elli . . . FU.: < Sadoe torto quella (cesta). iIoto Filocolo timido, come U gru «otto ÌI Ed- cone, o Li coloraba eotto il rapace apar- viera, dimorsTa gli porta da*aiiti .... .... Mise allora 1' ammiraglio le mani ia quella, e pensaodo a Bisucofiore a cui mandar l:i doveva, tanto aflettuo«aiaent« di quelle prese, eh' e' Mondi capelli seco tii-ò. ma noQ gli vide. Quale allora lu paura di Filocolo foue io noi crederei sa- pai-fl potrei dire; p«rò chi ha punta il' ingegno il pensi. Egli fu qua» che passetto agi' immortali aocoli . . . . >

(l)Cnnl..SLl21;poemagr.Tv. 1615-10; FU.. Il, 166; rom. «p., (. 23 », Poi- queaUi

417 Fiorio dunque aaie, sale tirato su alla toire: ormai è presso all'amica sua; impadente, spoii^o il capo dalle rose credendo che fosso Bianciflore la donzella chiamata a collare la costa. Era invece un'altra, che all'apparire inatteso quel capo umano, mise per paura un acuto grido : accorsero lo compagne; ma quella, supplicata da Florio, per subita intuizione immagi- nando eh' ei fosse l' amante di Bian- cifiorc, di cui essa era ancella e con- Sdente, 1* aveva gìA rapidissimamente ricoperto di fiori ; onde allo accorse, con pietosa menzogna, risposo che quel grido le aveva strappato un uc-

ed altre discordanze delle uosti-e verdoni dalla francesi e germaniche, cfr. Herzo?, pp. 51-5S, 56. Anche in una nota romani:» neerl&ndese, Voti Floris *ti Blanchefieiir, Fiorio à, coma nei nostri racconti, tirato su (lolla finoatra : cfr. Da Hérll , p. slv. n. 2; OlSpar;, /' poetna di F. n t!.. pp. 2-3.

Cellino, che, fngg^onda repente dal cesto, le avea dato nel petto (1).

(1) CuiL St 124-26: poema gr., TT. 1617-41 ; FU., H^ I66-fl7. Dai nostri racconti parrebbe che Floris eporgone il capo nel salire, qnand' era ancora a mezi'arìa (cfr. aache [nii «opra p. 66): ciò inatti rappreeeotA, come vedremo, la vignetta, di coi è fregiata parte delle stampe del cantare.

E Fiorio nella ciesta fae colato aa a la torre da ana finestra. Colorìeo istava aparechiata, 0 per tor quelle rose fne richesta ; a Fiorio n pensò che fosse nn' altra: bUIì mostrò lo viso colla tasta : e quando vide si bella craatara, quella dongella n'ebe gran panra. Poema gr.: < . . . . ana donzella ....

pronta stava a tirar bq le roso «

Floiio era dentro il corbello; lo hanno tirato su le ancelle della finestra: parvo dunque a Florio che fosse Blania£ora ; solleva la sua Usta, ai mostrò la sna bccU Lo vede, e si meisviglìA

Chi era costei ? U nomo che lo at- tribuiscono le redazioni francesi e ger-

r ancella dalla finestra, strillò dal cuore, grid» come poterà .... » FU.: «... Filocalo quasi atordilo della paura non intese chi chiamata fotse, ma ferma- mente si credette da Biancofiore essere ricevuto: perchò egli già aGlorizIa vicino, desideroso di veder Biancofiore, si scopei-se il viso: la qiiiU cosa, quando Glorila il vide, non riconoscendolo, aubito gitUi un grandiaBimo strido . . . . > Net rom. sp., f. 23 V., invece Gloriata ha già « aca- bado de subir el cueuano > : ponendo le mani tra i fiori toccA la testa del giovinetto (come nelle altre versioni me- ridionali vedemmo cb' è accaduto all' am- mirajflio), e per questori sbigottì, e gettò un grido. Anch'essa finge alle compagna accorse di essersi impaurita perchè « nn raysenor .... aalio et diome ea loe pechOB .... » (CsJit: no ucelletto

che mi die nel petto •). Ben più gn»-

noaamente e naturalmente nelle redazioni francesi e germaniche, t portatori, per errore, ami che io quella Btancifìore,

420 munictic, e ciucilo di Claris (1). Nutl.i eopia magliitbMhiuna del nostro can- tare è detta Coh'i'so, formn che ci riconduce a Cloriso, Cloris (2). In

depongono il corbello nella stanza un'altra donzella, di Ctarìa Costai e'ap- preua, tutti allegra, a' bei fiori: ÌI no- stro eroe imagioa che aia la sua amica, balza desioso del cesto: Hrpresa, spavento, grido di Claria. Alla compagne accorae essa dice che volò da' fiori non nn uc- celletto, ma una farfalla (1 fr.. vf. 20fi3 Bgg.; n fr., VT. 2766 sgg. ; poema ingl.. V». 8Sr 8gg. ; Hflrxog, p. &2). Nel FlMk, vv. ?&ìì agg., la bndulla a sbigottifm, ma non grida (nibt Idte ei-Bchré, 5633), per la pronte»» del fine Bccorgimanu, indovinando subitamente che il giovinetto comparaole d'improvviso fosse l' antico della eua Bìancifiore ( SnndnuGhcr, op. cit, pp. 31-33).

(1) Heraos, p 5S.

(3) Vedi nostri Due Studi cìt, p, 19, n. 1. Coioriso da Cloriso, per l'incomo- 'liljt alla pronuncia toscana del nesso e/.

due altri innnospritfi (il Parip. 1095, 0 r aaliburnham.-laur.) abbiamo Glo- ritia e GroUcia ; in buon numero di stampo Gloria ; nel romanzo boc- caccesco Gloritia, Glorisia : nel ro- manzo apa^nuolo Glorisia. Da questo forme si risale a Gloris, che real- mente s' incontra in ano dei mano- scritti del I poema firancese (1). S<*

che ai tolse con una frequentisània inser- zione eufonica: ciò che tanto meglio ri prova come doìesse esaere già popolare la noetra novella quandu fu copiata noi co<). inglb. Clorieo pai da Claris, come Parino da Puri* ( Calx , Orig. Lintjtta poel. il., p. 194), senza riguardo al geo nere diverso.

(I) È il ma. già fatto conoscere dal Bekker f rontra^isegnato con A dal Dn Mèrli. Cfr Semmer, op, eit, pp, XXl, •AZi, a. al v. 5630; Dn Mèrli» pp. Ixviij (correggi lixviij), 87, n. 1. Ciaecnno in- tende che la foi'ma Glorttia, Qlorista, n cui evidentemente si riconduce pure Grolicia, è la riduzione n desnenza ita:-

1

il cantare fosso stato estratto dal Fi- hcolo non s'avrebbe in esso ciio l'n-

liana o spagnnoU Otoris, come sa- rebbe Clarissa da Claris. A Gloria m é certo venuti per Glori(s), che ai ai» pronunciato non più oaàbiiueaiDiMil«, alla francese, ma Glori, cui ra a^^nnae, a ni»do italiano, la desinenza -a. Cfr. CalXy op. Q I. e. Nel poema gr. il noma della donzella è diverso: IHjreyrp, (w. 1617, 1631, ie35), da leggere Bfchfl. U GUel, op. lit., p. 247, n. l, arri- srhierebbe la congettura che s" avinu qni il rìHeGso di un nome francoae : CéciU; ma il nesso |in rlaponde a b, non a e (cfr. anche Htaskneehtj op. dt., p. 47. n. 5 ), Forse il poetA greco ebb« innanzi uno dei tMti del cantare, in cai il QOiae deli' ancella è omasao. QneaU) vediamo, per es., nel ms. parìg. 1069 (cfr. note alla St. 124), che an- che altrove ci ha oflerto qualche speciale rapporto col poema gr. Si potrebbe quindi supporre che il poeta Bvease introdotto da ìA il nome lUne^^iiX, che non corrì- «ponde a Clarix, Ctoris, Glort's, Colarìaa

-123

nica riduzione Qlorìtia; non lo altro ilue, Q}loriso e Gloria, Anche da questa osserv aziono dunque risulta chiarissima l' indipendenza della rima dal testo del Boccaccio. Dal quale essa discorda più nettamento ancora ne! far comparire la sua Coloriso solo all' ultimo del racconto, in perfetta rispondenza alle redazioni francesi o germaniche, come pui'o alla greca ed alla spagnuola; mentre Glorizia del Filocolo è giiì una vecchia nostra conoscenza. S' è infatti veduto eh' ella era l' ancella preililetta di Topazia, dalle cui braccia, poco prima che questa morisse, aveva raccolta la neo- nata BianciUore , che poi era stata da lei amata e vigilata con cuore materno. Per comando di re Felice, allorchÈ i mercanti l' avean tratta seco, ella aveva seguita la fanciulla, dalla quale

ecc. ecc., poiché sappiamo eh' ei qou reetrìnse a riprodurre nudamente la a fonte, ma lu rimaneggiò e amplificò.

425

molto simile alla rima, e 1' ha rifog- giato a modo suo, procurando di ac- costarlo, quanto potesse, al tipo claE- gico della anus, della nutrice, cha i poeti anticlii rappresentano custode, consigliera , confidente dello donne giovani (I).

cessa qui l' indipendenza del cantaro dal Filocolo, ma continua ad apparire manifestissima nella parte rimanente del racconto. Cosi vcdiam tosto che in tutte le Tereioni Claria b' affretta ad annunciai-e a Biancicore che l'amico suo è penetrato nel ca- stello, cha è poco lungi da lei : Bian- cicore dapprima è incredula, e imma- gina che Claris voglia gabbarla; ma lH>i lascia condur nella stanza, ove Florio la attendeva trepidante r al ve-

(1) Dal raslo, tipi simili, la ontiico , la maitresse duùgne, b' incontrano pui-e nella poesia romanzesca medisTule: pec' w., Hiat. titt. de la Fr., XXH. 7B8, 784 ; Bart§eh, Chrest. fr.*, 165, 35 sg^g.

[

m

doi-si, i due amanti si precipitano l'nno nelle braccia dell' altra. La rima, comò il poema greco ed il romanzo epa- gnuolo. conforma alla redazione comune (1); il Filocolo so ne stacca atfatto. La Glorizia del Boccaccio pre- para altrimenti l' incontro de' due Rovani : essa procura alla fanciulla la sorpresa troTarsi nella nott« il ano Florio sognato tra le braccia (2). In cambio pertanto della scena, che ci offrono le altre redazioni, ab- biamo una tutta propria del Boccaccio, assai probabilmente introdotta allo scopo di rammentare a Fiammetta il notturno ardimento, per cui mosser Giovanni aveva potuto conquistarsi i lavori della bellissima donna; abbiamo, a dire altrimenti, una scena, che in altri luoghi del nostro autoro troviamo nn-

1

(1) mrtog, p. m. CaQt.,St. 126-128; poema gr.. v». 1612-85; lom. *p . ff. 23 V. 24 r.

(2) FU., II,. 107-85.

Cora aecennuta o descritta, ocì ha l'orsu valore di documento autobiografico (1),

(1) Nel Filocoìo stesso {epÌBodio d' IJa- lagoi), tteiW A.meto, neWAmorosa Visione, □ella Fiaminella. Cfr. nostro Contì'ibuto, pp. 80-82, 131 u, 2, 140 n. 1. Vedi tuttavia una scena simile nel Lancelot du Lae. (P. P*rl«, Les liom. de la T. fi., IV' 32). Seguita però ad easorcì qualche notevole incontro fra il Cant. e il Filoeoto. lìianci- flore dice in queat' ultimo, pp. 169-70, che quel giorno medesimo, in cui Florio era penetrato nella torre, essa e il suo amiro eran nati. Cosi nel Cant. l' incontro toro avviene quel di stesso PaaijDa rosata, nel quale s'è giù veduto eh' eran venuti al mondo. Rem. sp., f. 23 v. :*.... tal dia corno este oaBcinios lus dos .... * Si noti, d'altra parte, che pur qui il FU. offi-e un particolare, che concorre a persuaderci piìt sempre che il Bocc, abbia conosciuta una fonte piii ampia della rima. Nel 1 poema fr., tv. 2037-40, per conaiglio del cascellaDo, Florio, dovendo uaacon 1)01*91 nel corbello di rose, veste rosso:

tn Fiotw « la iaagéU BiasofioM

Ooaè, an la l«»nU solita, Q can- tastorie: aà pi& dtfftasUDente Ìl poeta greco, qnaai sempre suo fido seguace, e il ntoMBÓare spagnnolo (1). Mag- gior pieiwas ha qui pare la narra- rne boccaccesca, al pari che quella del I troTOTo francese e del Flock,

Cosi Del FU. n, ni, 183, rosata d. quel

giorno, la Teste sua. (I) Poema gf. (tv. 1680-85): rdt pdSoi rd euYsvtx^, Tei SpoaopMptajUvx Ei^ Èv xXiu^iv é|j.vruaTOv, ^utòv, J^otYpaftopevov, n/xpaSia^^aw, xiR'povTat. cipixTonepiiUi^iJiciuouv, (òaitep xtffuti^ Eli; xd SevBptìv. otlt*)? irEpiEiriacx'nxi Y'-uxo^iXouw 'evìlSowa, xt e^XXiìXoi? «cr/oXouvToii e'xìi ycip TTÌv e'Yv(i)piff£v d *Xtupioq Tiìv xdptv, xai |iBTsi Tto'flou Tou «oXio'j EitXiipuKjaw tÌu £pta.

Rolli, sp., r. 24 r.

420

ma giova notare che il Boccaccio nu» imita questo rodazioni (I). Q Flock., distinguendo nettamente l'amore ca- valleresco dall' amore volgare , dietro i concetti del tempo suo, avrerttìche Fiorìo e Bianciflore tntto seppero le dolcezze amorose, tranne quel gioco, che solo piace al villano, il quale por nuli* altro ama la sua donna che por giacerai con lei (2). Noi Filocoìo in-

(1) I poema fr.. tt. 2195 Bg«.;FlHk, rv. 6091 Kgg.x FU., U, 161-82. U doc versioni ctraniere non differiscono dal FU. e dalle altre redaz. marìdionali «ol- taalo nella «Oflanza, ma pur n«Ua forma del racoonto. chi in cae Intlo quaslo e- piaodio, in eoi Fiorìo penetra dentro la torre, è di ona leggiadrìa iquiaita (Zb»> U>Ì, p. 53).

(i) Vv. 6090-103. Vedi anche piìi •Tanti TV. 7836-40. Anche wA 1 [MMua fr.. TT. ÌS37-38:

Flwei biava H. Blanoedor

Etti n

Selì' altro poMBa tr.. a ■gnanto («re. e ai tmufi» <*r. 2937-38).

430

vnpft si congiunse il fino amore al modo stesso, che nelle altre Terrionì meridionali ; se non che il Booo«oeio, per snlvaro 1' on««tà degli eroi, fk cbn prima celebrino il rito sponsalisio io- nanzi un simulacro di Cupido, secondo la forma usata noi medioevo, con T a- neUo dato dallo sposo alla eposa (1^

La felicita de' riconginntì amanti dura poco, che l' ammiraglio scopre i 1 loro secreto idillio.

Due a dae le donzelle erano scelte dall' ammiraglio a scrrirto il mat- tino, quand' egli si levava. Vien la volta della coppia pr»ìiktta, Biand- floi-o e Clai'ice. Costei più lesta della

(1} Fertile, St. del Dir. ital., IO. 853

mgg. Di quL'sta forma di eponaali a' incon- trano frequenti esempi ne" racconti iJel medioevo : per non diBcoetarsi dal Boc- caccio, cfr, Dtcamtì-an, V 4 ; X 8. Nel reni, sp., BiancìAore non si conceda a Fiori» se non dopo ch'agli ba gìurau) di volerti far cristiano.

compagnH, che i

gione di non esser troppo ft-ettolosa , la avverte eh' è tempo di scendere nella camera del aif^ore. « Va pure », le rispondo sonnacchiosa Biancitìore; « tosto verrò anch' io »: ma invoco si l'iaddonnenta, e non compai'isce in- nanzi r ammiraglio. La huona Clai'ice procura scusarla; « Signore, merco! tutta notte lesse nel suo libro, pre- gando che in gioia possiate vivere, che a pena dormì : all' alha si ridesta. È ciò vero, Clarice? Si, o Bi- fferò; ò vero », fa olla « Ben (love amarraj colei che vuole io ahbla lunga vita». Intenerito r ammiraglio, s'acconcia a far sonm, pei' quel matti- no, della adorata fanciulla, che fra un mcso contava sposare; e concede ai lasci dormire. Se non che il prc- fflsto vale un giorno: ma l'altro? L'indomani Clarice chiama dolcemente r amica, cho risponde come il di in- nanzi, mii come il di ìnoanzì rico- minciano baci ed abbracci , e gli a-

433 isfanm; & aprirò la tineatra, il solo si i versa entro, o illumina i due dorraenti, I BbH}ttt insieme bocca n bocca, faccia \ a faccia. Freme il re di gelosia: pa- reva una fanciulla la persona giacente con Biancifloi'e ; perciò è bisogno che il camerlengo scopra ì petti di ambe-

»due, perché la verità aia paloso. Y*ro- rompo r ira dell' ammiraglio: vorrebbe tosto ucciderli entnunbi in un punto : poi s' avvisa altrimenti : saprà chi sia colui, ([uindi li ucciderà. Destansi i giovani : ahimó, la spada ignuda [)endo sul loro capo! Tutto inUiniloao, o ve- dono che Bon por morire. * Chi sei tuì » grida l' ammiraglio * per tutti gli dei che adoro, oggi, vorgo-

Pgnoaamente, morrete ambedue >. Pian- gono i miseri, a guardano pie- tosamente , e Florio rispondo : « io sou r amico suo, ella la mia amica : r ho trovata alfine, dopo averla tanto lungamente cercata ». Egli domanda _ cho r ammiraglio non tosto li uccida, I ma conceda che di loro eia fatto gin-

dizio iiL'lIa sDft corte, innuuù la sua gentfi. L'aminira^lio li & legare, e bea custodire ; indi li fa giudicare da' suoi baroni , che li condannano al rogo. Tale il racconto nelle redazioni mi- gliori (1). Nel cantare, nel poema greco, nel romanzo Bpagnaolo se no ritrova conio una tradizione impop- fetta, un'eco lontana. L'ammiraglio fa chiamare a Biancicore; la fld« ancella di coatti risponde che la ùia- ctuUa A malata, o non puO levarsi di letto. Dolente, il signore s'affretta a ealire alla torre per vederla, e con- fortarla: così g:li accade di 8orprend«« i due giovani, mentre dormivano nodi e abbracciati. Trae la spada per notti- derli; ma tosto ponte: perciò li ri- copre e li lascia stare. Anche qui e?!:

(1) HerioR, pp

Jr. non s'accorda

58-59. Il II poenu in tntlo nemman qui oni affini: fedi Her*

I

4^

rivolge a' suoi bai-oni, dai <]i]nli i duo amanti sono santonziati al fuoco (1). II racconto del Boccaccio è diverso. Ij' ammiraglio, pieno di melanconia, 80 ne viono alla torre per ti-ovsr conforto nel dolco aspetto della bel- lezza di Bianciflore : 60 non clic, salito alla camera doUa fanciulla, da cui poco prima Glorizìa era uscita, Bcrran- dola di fuori, Bcopro i due giovani

(I) Cant, St. 129-132; i<oenm gr., *». 1686-1748; rom. ap,, f. 24 r. o v. Il rom. Hp, non è eoa) simile al cant. come il poema gr. L'ammiraglio, al ve- dere i due giovani insieme, non trae la epada; ma esco tosUi dalla cameriL poi- sapere chi mai fosse (juet gallone, e come fosse entralo colà. Gli dicono ch'era un cavaliere spagnuolo, e che la madre sua, dotta delle eette arti, aveva saputo farlo enti-ar nella torre. L' ammiraglio fu chiudere in carcere oscuro gli amanti, e non pronunzia la condanna so non dopo eh' à passata la pasqua. Di consiglio di baroni nessun cenno.

rT^iH|

436 f^tacenti insieme. Susina la spiula, ma Venere, p-xAaà iii mezzo, ri<»vtì il colpo sopra di sé, e salva i suoi devoti. L' ammiraglio quindi muta [leiisluni : «38Cfl dalla camera suiiza dmtare gli amanti; ma non raccoglie i baroni: comanda piuttosto c^e sien te^U, e, cosi nudi, calali dalla finoslra, iwr cui Florio ora già aalìto, e sìen lonuti sospesi a mezz' ai-ia, finchù noi sno animo duri il dubbio a qual pena debbano essere condannati. Si decide alfine a giudicarli al rogo (1).

Qui pure è chiaro cho il Boccaccio non ha attinto ai poemi francesi, o L'he, d' alti-a parte, il esulare È indì- liendento dal Filocolo, il quale perù l'i riflette una fonte men lontana da qtie^, che da quelli (S).

(1) m, II, 185-88.

(2) Ci stono tMti del c^nt., in cui si dico come nel F>7.. che l'ammiroeliw fo' ealare i due giovani in Urrà dal pataxìo (note alla St 133).

Ecco i iiustrì amanti tratti al sup- [iliziu. Piangono, non ciascnno per sé, ma [ter dolore cUe 1* altro debba mo- i-iro a co^on suo. Florio si rammenta che r anello datogli dalla madre ha la TÌrtù rendere innocui 1' acqua, il ferro, il fuoco, e lo offre a Bianci- fioro; ma la fanciulla non \'uole sai- varo se per lasciar perire Fiorìo h-a le fiaramo. Cumo potrebbe infatti un solo anello camjiai'll tuttedue? I rau- conli meridionali risolvono questa dif- ficolta in modo ch'é affatto lor proprio. Noi I testo francese a ìa quelli , che più gli apprciisano, i nostri ornanti riHulano a gara 1' anello , appunUi perchè avrebbe procurato lo scampo d'uno solo di essi: cosi non sulva alcuna virtù soprannaturale, ma la stessa forza del loro amaro, che inilucu i nemici olla pietà ed al perdono (1).

(1) Henoff, p. 59. e (|UeBt* op. nel Giom. al. della leti, il., IV, 247. Il 11 poema fr. stacca intera-

^

Invece secondo la versioni nordlclie, l'a- nollu può salvuro ambedue gli ninonti. L' ammiraglio chiede a Fiopio so nella 1 turro gelusamonte gn&nlata, egli sia pe- netrato per arti negro manticlle: Fiopio nega, e racconta veracemente come gli sia riuscito di raggiun^ro la sua Biancicore, Confermano la Bua narra- , £ÌOQe la fanciulla stessa e il guardiano della torre ; ma, non pago di ciò, V eroe giovinetto s' oflVe ili provami i la verità col mezzo del duelly. Vin- cendo, avrebbe riguadagnata per sem- pre r amica sua, o la libertà ; pu- dendo, con Biaocìfiore e col guar- diano sarebbe perito. Ecco dunque die l'anello, salvando Fiorio, col pi-o- curargU magicaraent^ vittoria, salva indii-ettamente anello Bìancifioro (II.

mente a questo punto daUi> altre rernoni: Henog, p. ^3. 0 mio ecritlo ciL , p. 247

(1) Herzo?, pp- 06-70; mio sci-itW cit.. [jp, 248-49,

.t3U i nostre abbiamu pura la scena, in cui vogliono i duo giovani morire e sacrificarsi r uno per l'altro; ma, dopo il contrasto pietosa, possono profittare insieme dell'anello, abbrau- ciandosi in guisa che ad ambo i corpi se ne stenda la virtù benigna (1).

Il Filocolo però non va in tutto d'accordo con le altre nostre redazioni, poichù il Boccaccio non s' accontenta do' mozzi otTertigli dalla leggenda por lo scampo degli eroi : egli si giova di esempi romanseschi, in cui dannati ingiustamente al fuoco sono salvati non per magiche virtù, per com- passione destata ne' condannatori, ma per quei soliti meravigliosi cdIjiì di spada, che i formidabili cavalieri dei vecchi racconti sapevano menare (2).

(1) Cani, St 133-133; poema gr., v 1749-1803; FU., II,, 188-214; ram. si e. 24 1.--25 r. Vedi cit. mio. scritto.

(2) Rajntt, Foni'* dell' Or/. Fur., [ip.

r

440 Qui pura sono raccolti iiisieuio i tre elementi, da' iiuali usci il Filocolo : il «iato della leggemia, l' imitazione clos-

adolesconli, secondo vuole la commiu redazÌDDo moridionalo, prot^ggonei dal- lo fiamme con l' anello, che eatcìule la sna azione ad ambedue i loro cori'l

pari salvarsi dal fumo, che avvol- ge. Cobi il Boccaccio lascia qualche po' da fare a'prediletti suoi numi pagani, . che, invocati, intervengono ad assiste- re anche questa volta Fiorio e Bian- cifiore. Venere li difende dui fumo; Marte eccita alla loro liberaziono i compagni di Fiorio, dio a colpi ili spada, e più per 1' opera del dio, rie- scono a salvare i due giovani (1). Concorrono iiertanto a camparli ìe virtù cospìrauli dell' anello, de' numi e dolio armi. Qui dunque manca

(1) FU., II., 100-211. Cfr. rit, mìo scrino, p. 24C.

bella scena del cantare, in cui la sorte de' giovinetti amanti eccita ìntorou tanta «ouiDiiaoi-aziono da fai- che aolga all' ammiraglio un coro alto di voci, supplicanti che sia br concessa grazia.

latrali bendue iitavano abraciatì quando furoD mesi in lo foco ardente: la vertii dall'anello gli à acanpati, che '1 fuoco non gli s'apresa aleuta; ed eran tanto bianchi e Uiiicati, che Éicieano pianger tuta genlu: ulora ai levò uo grido e un romorL': air, perdonata a lor per nostra amore.

Il figlio stesso dell' ammiraglio ag- giunge la propria alla preghiera co- mune, e i giovinetti son tratti dal rogo, non per furore armi libera- trici e meraviglia di prodigi celesti, ma per la inanità pietà, che destano. Chiusa questa, che ò certo bene ac- concia alla favola gentile, e ci fa ri- pensare a quella delle redazioni mi- gliori , di cui pare un rlllesso, pei'

3

fiuaoto pallido o iiidipotto (1). ( accado cho pur sul finirò si riconfer- mi quella indipendenza dol canlAro dal i-omanzo boecacceBco, della quolR Biamu Tenuti via via notando le più sicuro prove. Tuttavia è Bcmpre ila erodere cho la versione rifiitbi dal Boccaccio fosso molto vicina al rac- conto del cantastorie, percliè tosto rispuntano fra il romanzo o il poe- metto le solito particolari Gomi^liaiuc. Florio, por esempio, interrogato dal- l' ammiraglio corno gli sia riuscito di penetrare nella torre, atTerma nel can- tare:

.... la mia madre sa delle sette arti, e per suo seuoo i" venui in queste porti.

E noi Fiìocolo : < ammae- strato dagl' ingegni della mia roadra

, a cui gì' iddìi ciò che seppe

Medea lianno dato a sapere, in quella forma che Giove con Loda ebbe pia-

(1) HerMs, p. OU.

I I

oovoli congiugnimenti, mi mutai o in

quella torru vulaì (l) ». Coet

pure è comune all'uno e all' altro rac- conto italiano la agniziono , per cui r araminij^lio e Florio si riconoscono paranti (2).

Quanto poi a' rapporti del cantare con il poema greco, sono qui olla fino gii stoasi elio vcdenirao continuamente nel coi'80 ili questi ralTroiiti. Né, In fondo, diversa da quoUa del cantasto- rie d a questo luogo la nurraztoiio del romanziere spaguuolo (3).

1) Cant., St 138; FU., li., 218.

(2) Cant., St. 139; FU., Il-, 219.

(3) Vedi del poema gv. e del rom. sp. U. ce. Nel poema gl'eco non è il figlio dell'ammiraglio che levi con quella degli altri b voce sua in favore de* giovani, ma « un cavaliora . . . nobile, valoi'OBo ecc. * (v. 1789). Non t, questa pei-ò una variante che debba al poeta greco, o a fonte diversa dal cantare, perchè lu troviamo pure in taluni testi di queat'ul-

Giocosi t issi me nozze, cclobratfl nella coite Etessa iIqU' aiii miraglio, cUiadoiin

tìmo, fra i quali ì due rou. parìgìiii e l' nshbnrnbam. laurex. (vedi note alla SL 138). Anche qui Fìorio attribuisce alia scìenxa materna l'aver potuto raggiuu- gere Biuncirioi'e : * mia madre ù Sloeo- SessfL Dell'arte; l'arte della fllosoHu co- nosce e posmede; e con l' arte e la sapien- za della mia madre venni e giunsi den- tro a quBBtu torre * (tv. 1814-17). Il poeta greco fa qui come sempre: allatta, Ar- ricchisco, adorna la rapida e sempUcti oarnuione del cantafitorie: < . . . tengono l'anello, bouo gettati eutro il Tuoco da' sei'genti ; ma apparve l' azione dell* anello; fug^ il fuoco, si spense, resta iacfficacc; la fiamma apparve rugiada dall' Onnipo- tente; — piccoli e grandi hanno gridato e pregano Dio onnipotente , il grande che tutto comanda; dentro il ftioco stavano, splendevano come la luun; la fanciulla e Florio come le stelle splen- dide ecc. ecc. > (vv. 17T7-85), Nel rom. sp i due nmnnti nou sono li-alti

■luesta vaga sfeiria d' anioi-e. Nelle vei-- sioai laoridìoiiali le foste sono anche

dal fuoco tanto per la pietà che inapii'ano, quanto perchè parve all' ammiraglio od agli altri presenti che in quel portento dalla loro incolumità tra le fiamme, fosse

algun gran raiaterio de dios >. Fiorio non dice di esser capitato colà per la scienza magica della madre, perchè di ciò, come vedemmo, l'ammiraglio aveva già inteao dira precedentemente (f. 24 v.]:

* . . . . dìseroii que voa madre que tenia labin laa siete artca y que ella le auia metido alli ». Di riconoscimento di pa- rentela tra r ammiraglio e Florio il ro- manziere Hp. non fa cenno alcuno. Ab- biamo già detto che nulle reda:. mod, del rora. ap. i' ultima fuse del racconto il indipendente dalla solita tradizione. Florea ottiene di essere ammesso come paggio al servizio del viceré d' Egitto , che. prende ad amarlo singolarmente , e persino lo conduce seco nel serraglio a, visitare BlancaHor malata. S'avvia cosi una ■ecreta corrispondenza fra i due amanti, che riescono a fuggire,

1

più liete, perchè non lo tarba, w9^^^| nello alti-e, l' annuncio, psrvonuto a ^| Fiorìo, della morte di re Folico (1). ^| Ma ì novellatori non formano alle- H nozzo di Fiorio e Bianoifìoro ; ess\ ^M compiono anche meglio il racconto ^M aggiungendo che Fiorio a" ó fatto cri- H el.lano inmemo a tutto il popolo suo, ^M 0 che regnò e visse felici ssimamonto H con la sua donna : anzi il Flcck sa H perfino cho egli morì nel giorno, noi- H r ora , in cui pur Biancilloré, o elio ^M con ossa , sicoomo la vita intera , ^ oblio comune anche il gopolcro (2).

E Fiorio ritornò di qua da maiv. nd arivò nella rlolcio Towsna, e andò in lapangnia, e Tucìe batcgiar^ lo re Felìcìe o la modi-a {lagaDm

L

(1) Hersos, pp. W (alk redM.. qui Cl- luto aggiungi il poema inglese. v\. l2Sft

«gg.). 64,

(2) Flcck, TV. 7890-95; o p. S n. l di questo studio,

e tutta la lor genie tornai-e a la fede catolica o cristiana; poi di Roma fa eletto inparadore: piit di cieato anni iatb con Biancifioi'it.

È cosi che finisce il cantare, e, diotni Itti esso, il poema greco (1), Nel Fi- locolo a nel romanzo spagnuolo b' ar- riva alla conclusione stessa, ossia alla convoi-siono Fiorio al cattuticìsmo, al Euo elevamento al trono, che perù,

(1) Vt. 1851-69. Di questi versi basl«ifi riprodnr gli ultimi:

rivincati Si TTÌ<; X''P*5> tt^? liSovrf^ ixtivr^

-'TTTi'^ovTai. '/pt^Tiava' y'votto» ittipvjjtxit, .■■■'■: ndq Ì5(5<; tii? Z(iip«4 tot. fuxp^ Tt stai p^Y^^'* li: Tn'mv Ti^w xsOoXtxilv 'Pco)uif<tw ^;43S^wv. x' ti 'PùSjti] SiaJtóY*'^" 'PwjMi'oii BoailiiTV.

rrl'J KpE7^'JTip3t■.» ICfl-lV [Ti] 'P<lj|inv Ti Ttill |U';''AV''

it ^MT» TtwT« ttm^to^ '««^wv d vias -

448

si aggiunga jiur quest'alti^ |>rova MI» indipeii'loiiza della rima dal fitocoh. non 6 per ti Boccaocio quello il« Cdaar! : ù da ultimo all' aeccnno inaiti olla Innga e venturosa vita, che^ dopo tanti a&nnt, godettero i noitri amanti: ma non ci s'arriva cosi presto come nelle due altro redazioni meridionali. D Boccaccio non si limita mai, come sappiamo, a nude e rapide indicauoni; sopra o^i puBto del racconto egli ri indugia a lungo, moltiplicando cireo- Btanzo e personaggi, tntto determi- nando analiticamente. Cosi, anche por (([testa parte conclusiva del romanzo, vediamo come ad una sola Staoxa, r ultima, del cantaro currisponda tolto il quinto libro del Filocolo.

Florio rimane oaplt« dell'ammira- glio dieci mosi : al venire della pri^ mavora, la stagione dei fiorì, dei canti o dei pensieri gentili, risente vivo U desiderio della patria lontana ; perciò, in compagaia di Bioncifiure, lascia AlessRn<lm, o scioglie le volt? verso

I

I

I

449 ato. A Napoli si ferma, u fa di pros^Dire il cammino ulbi volta di Marmorìna per via di terra- fi noto che qui il roKianziere, vago di rompere con l'artifìzio degli episodi la monotonia del racconto, insonsco la storia d' Idalagos, adombramento allegorico della storia sua medosìma : e che, non contento a questo, fo ri- «omparirp sulla scena un porsonnp^'lu, sotto le cui spoglie gli è piaciuto rap- presentare aè stesso, quel Galeone, oli» Florio aveva già incontrato noi primo Boggiomo a Napoli, n Boccaccio al- lenta i freni alla fantasia, o Ima- gina liizzarramente che Cal«o«H ni jiartA con Florio, o lo m^a fino n quel poggio cerruto,ovo ambedue fon- ilano la terra, che fu poi Cortaldu. (I) Questo gtangere e trattenersi ili Fiorio in Toscana mi b ripensare ad un vorv^ delia rima :

'ivo nella di>lcie Toacana;

verso, clia rifletto lii nostra li'iidoiua iid asaìmilarci gli ci'oi ilei jtnciui o dei romanzi stranieri, i-icollogaiidon« , in qualclie modo , al nostro pa«ao Jl nome e le TtCGadc. Forse il Boccnccio ha fermato e svolto nel suo romanzo il vago cenno dei cantastorìe, viUen- dosone anche per nasconderà nn' altra volta Botto le apparenze della %iirft- Eìono fantastica un fiitlo della Boa vita : il doloroso suo ritomo dalla cittit di Fiammetta alla casa paterna, ch6 tal signtfìcato autobiografico li* probabilmente il viaggio di Calcune da Napoli a Certaldo (1). Dalla Toscana Florio non seguo a risalire verso Marmorina : l' incitamento di Glorizia, e più ancora una mirabile vi- sione, comparsa a Blanciflore, lo indu- cono a sviarsi per poter visitam Roma, la patria dot ma^'^iori di sua mo^clic.

(1) Ivi, p. (

451

Meuorc certo M passo dantesco ai>pra Giustiniano, il Boccaccio imngina cli<< Aoma fosso allora soggette alla si- gnoria di questo imperntore, cosi fu- moso por la grand' opera legislativa 6 la fortuna guerresca (1). La neces- sità del racconto gli togliova di rimon- tare alla Roma pagana ; d' nltra partj' non si sarebbe egli occoncinto a rap- presentare una Roma troppo divoraa da quella , che gli splenduva noli' in- namorata fantasia d' italianu o di oi'ii- dìto. Naturale quindi elio, non curando anacronismi, che ne seguivano, o non e a' avvedendo, (2) egli si rifftcniiBe

(1) A propoulo di GiiutiaUno, aacbo

I il Boccaccio, come Diint«, accenna ali»

J 'tradizione che Urne atate ricondotto bIIb

orlodOMÌa cattolica ds Agapito papa: cfr.

FU., n. 328,334, o Farad. VI. |:J.1M.

col conunanto AtAìo MeutAcdBL

(3) Al Umpo di GiuCiaiano I (KH K>

MMSatliMSO,

ft ijuolla otà, ohe a lui (lurfi rlureta parere l' aurea dolla Itoioa crìstiana od imperialo, retta insit^mo dalle dae somme potestà, concordi nell' amianiit vaglieggiata dal buo Aliglùeri. Pwr fìiuBtinìano governava, qnale patrìzio, il figliuol suo Bellisano (nome, che para una reminiscenza di Bolieario): accon- to al patrizio stava il pontclico (1). Dapprìma Fiorio ri liene colato por tema che i parenti di Biancìfiore iion volessero vendicare sopra di Ini la stin- ge di Lelio e do' compari-, ma poi gli avviene di poterei Bcoprire. Un giorno, nella chiesa di S. Giovanni Lat^rano, s' incontra in nn prete ateniese, Ilarìa. Costui, poco a poco, spiega a Fiorio la dottrina di Cristo, e lo persuade a lasciare la sua per la fedo cristiana.

come pure non cori-eva Tnao de'peUegri- naggi A a. Oiacorao. Vedi Laodatlf G. Bore. ecc. , trad. it , p. 132.

[I) Cfr. la visione comparsa a Bianri- fiore. Fit. . IL 2ìn, 0 più innansì, 343-<4.

Lo atosso Ilario procura cLo i l'raltìlli ' de] morto Lelio dimontichino la rice- vuta offesa, 0 smettano ogni pensìoro ' (li Tendcrtta, accogliendo benignamente figlio dell' offensore. Cosi Fiorio, Biancifloro, il loro pai'golotto Lelio, o ì compagni i>osaono essere nella forma più solenne battezzati dal papa mode- eimo (1). Dopo di ciò, oasi riprendono

(I) Il Borio, Leti, sopra il FU. ili G. B. , Atti R. lat. Ven. , S. HI. . voi. 10. , pp. 638,643, 0 il LftndKn, op. a 1. e. , credono che questa converEÌone romnn- Kesca riepunda a quella storica di Teu- domìro, l'è siievo della Spagna, al cat- tolicesimo , avvenuta nel tempo, che il Eiocc. assegna all'azione del Filoeolo; quasi non fosse l'una cLe velo allegorico dell'altra. Ma il Bocc. non ha fatto che attenersi alla comune redazione delia leggenda, che si chiude, appunto come il suo romanzo, con questa converBÌona del personaggio principale. La coinei- den«a puù dunque essere fortuita. La conversione di Fiorili fa sparire l'eie-

u

la via (li Mapmorina, accompa^afi da Ilai'io. Noli' apiiroesoi'si alla citta r tiva Fiorio manda mt'ssi al padro per annunziargli la sua venuta, o invitarlo a lasciare lo suparstizioni idolatriche per la vera credenza. Non ci vnol meno una spaventosa visiono per vincerò la riluttanza del vecchio re, che finisce per essere liattozzato da Ilario insieme alla rqpna ed a tutto il popolo. Mn qui non tm termine ancora la narrniione, poiché il Boc- caccio, che ntiUa si lascia sfu^iro,

mento mitologico dall'ultima parte Jel romanzo. CurìoiH) t, cfas «piegando i rili (Iella sua religione pagana, Piorìo dii^a che conBbtooo nell'accender fuochi sopra gU altari dagli dui (II. 308). Or bene, anche il cristiano Lelio che altro pra- mette, in principio del racconto, all'oe- cidentaU dio, a e. Oiacomo, ao non alluminare i suoi altari di devoti fuochi (I,, 15)1 Vedi quel clic A' dotto Boprn,

455

oltre che de' vivi, s' occupa dei morti. Sol campo, ove ora avvenuta la strage di Lelio 6 do' suoi, giacevano iaono- pati i loro avanzi ; Fiorio e Bianci- fiore, recatisi in pietoso poUegriDoggiu a quei luoghi, e al prossimo tempio di s. Giacomo, li raccolgoDO, e col corpo di Giulio, esumato a Marmorina, li compongono in più degne tomho, presso le ossa dei padri, a Roma. Di i]Dt un avviso della regina chiama Fiorio a Cordova per assistere il padre moribondo. Il romanzo si chiuda lie- tamente con lo featoper la incorona- zìono di Florio, succeduto a re Felice, e con parole che ricordano 1 vorsi

ultimi del cantare : « del giovane

re, il quale con la sua reina Bianco- flore ne' suoi regni rimass, piacendo a Dio, poi felicemente consumò i gioi'ni della sua vita ».

L'Heraog ha voluto accostare questa parte finale del romanzo boccaccesco alla chiusa delle versioni scandinave, deducendono che il Boccacccio, di-

rettamente o ÌD(Iirettamente , i]ebba arerò utilizzata la font<^ oitAnicA di quolle versioni (1). A me rum pare i;lio si possa troppo facilmente coBsen- tii% con lo studioso tedesco. Ecco in- tanto ciò olle ai narra no' raceonti nordici. Florio, dopo essersi trattenuto presso r ammiraglio dodici ini^i, nn bel giorno pensa di partire per tor- nare in patria. Giunge, o apprendo che i genitori eran morti ; e aceuho con gran festa, e |iro<:lamato re. Ceèo- ]ira quindi lo nozze con Btancifiom, « in tre anni ha tre figliuoli. Bianrùfiore. eh' era francese, propone al marito di intraprendere con lei un viaggio od sua paese nativo, p^ visitare la suo famiglia. Fieno acconsente ; perciò recunsì a Parigi, ovu soggiornano tre mesi. Qui Bioncifioro induce lo spoeu a convertirsi al cristianesimo, dichia- rando che ei sareblie ritirata alcuni

457

anui in un chiostro, se egli non Et fosse tatto battozzoi'e ; ma il buon Piorio acconcia al voler della mo- glie, e riceve il batteBÌmo. Tornano quindi nel l'egno in compagnia di Teacovi e preti, e costringono il loro popolo ad accogliere la fedo dei cri- sUanL Edificano monasteri, e giunti a settant' anni, diviso il loro regno ti'a i figli, ritra^onsi in un convento (1). Ognuno vedo che i racconti nordici hanno ben poco di comuno con quello del Boccaccio. Biancifiore, per esempio, non costringa nel Filocolo il morite ad abbracciare 11 cristianesimo, porcile, oontrarìameute alla redazione fonda- mentale, noppui'o essa 6 ancora cristia- na, in modo che anzi è battezzata in- sieme a Fiorio. Non è poi vero atllittu che nel romanzo loccaccesco ì due

(1) HsnOK, pp. 70-71. Le nordiche, onde è tratto questo sud due: la islandese completa (M), i \ dese. Cfr. Ueriog, p, 15.

4S8 sposi muovano a Roma da N^j (ParteDope) a quella gnba tnedeaima cho nelle versioni scandinava da tre loogo a Napoli rispondente si dirìgono a Parigi (1). D punto immediato di partenza nel Filocolo ò un altru : « Oertaldo (Calocipe) (2). Anche queeu concordanza, sforzatament« volata dal- I* llerzog, sparisce appena si esamini il t«fito del Boccaccio. Ne son più e- satte altre ccrrìspondeDEC che l' Hem^ vede in possi precedenti delle eUbora- Kioni nordiche e del Filocolo. Così in luelle che in questo, afferma l'Hewog, il finto sepolcro di Biancifiuro è co- strutto por diretto comando del re, non per consiglio della regina. Nnlla di più errato: il racconto del Boccac- cio qui e conforma alla più comune redadone, diverso quindi interamente

(1) Per queaU e le segueoU rioni, ìaii Herxo;, pp. 72-73. (■2) FU., W. 292 sgg.

4S0

dai rac(?onti ecandinari (1). L' Hersog ti^va inoltro che ci sia pieno accordo tra qneeti racconti o il Filocalo nella scena del suicidio tentato da Pìorìo in- nanzi il finto sepolcro. Ma qui non si tratta, come sarebbe necessario porcliò avesse serio fondamento l'opiniono dol- l'Horzog, di un accordo alTalto parti- colare, porehò la Dairazìono «lei Boc- caccio in questo punto, ci6 dio ^ì& u suo luogo fu notato, rispaccJiia la rcda- Btone primitiva e più semplice; perciò, oltre le verwoni nonlicho, o, per esaero meglio esatti, una di questo, la islan- dese compiuta, ricorda it poema ftltot«- desco, r olandese d l' inglese (2). Vagho poi, senza valore , sono taluno rispon- denze, per le quali 1' Horzog volle ri- collegare la desiTizione boccaccesca della lotta fra Ascalione a Ircuscoiiios

. (1) Vedi sopra pp. 330-31, e mia cit. l'oceos. del lavoro deU'Herwy, p. 259. (2) Vedi sopra, pp. 340-41. Cfr. Her- mg, pp. 30-:», 44-4.").

460

u quella dei duelli comltattuti da Fio- rio nella II vepsìona £raD(:cst> o nello redazioni nordiche, per salvare so e k sua amica (I).

Mi pare piuttosto che i dati del racconto boccaccesco concordino con quuUi, che sono fuggevolmente accen- nati dal cantastorie. Si noti bona cliu così nel romanzo come nella rima, a differenza dallo altre redazioni, ì ge- nitori di Florio campano ancora tan- to da p<jt«r vederi! di nuovo il Aglio, e da convei'tirai essi pure al cristia- nesimo.

n Boccaccio ha posto molto del suo, non v' ha dubbio, in quest' ultima par- te dei Filocolo ; ma è quasi sicuro che anche qui egli ha profittato di una funle maggiore del cantare. Se non si può dire che egli alibia conosciuta la tonto medesima dei racconti scandinavi, ù però degno di attenzione che in nuo-

>

401

Bti occorra un dato. cb'« pare nel Filocolo : il dato Florio che, sovoo- daodo il desiderio deQa moglie, si reca nella patria di lei. ti rìcovu il battasi- uo, e ri[>arte, condutcndo seco aiKtetoli della DDova fede per convertirò il suo popolo. È prifbabile assai che l' ÌDConti-o non sia meramente accidentale , e che questo tratto fosso pure, diversamentt^ svolto, nella redazione utilizzata dal Boccaccio. S' aggiunga che iii qualche altro punto il Filocolo fa peasaro ul I poema francese ed allo versioni af- fini. Anche in esso, per esempio l' am- miraglio tenta cortesemente di tratto- nor<! r ospite suo, che vuole tornai'!' nel BQO regno di Spugna ; nuche in esso, più avanti, Piorio aduiia i suoi baroni, e li persuado a farsi cri- stiani (1). Si toi-na dunquo alla solita

(1) Fit., II. 232; I poaina fr., tv. 2801-8; Herwg, pp. 60, 70. Fit., II. 327; I poema fr., w. 21M5-K.

coaclasiotie ; che U fSlocolo somiglili strettamente ni cantaro^ ma deve osectv stato attinto a fonti piil eEteee e par- ticolareggiate.

n romanziere spa^nuolo, s' « gi& accennato più volte, fa come il Boc- caccio : allarga, infiora, an-icchiaoo la &vola comune. Qui infatti Tediamo che Florio, pongedatoai daU' ammira- g;liu i)er desiderio rivedere i goni- tori, non può toccar cos'i presto i lidi della patria, perdio una di qu^e bus l'aaohe , che sono tra gli Bpodlenti abusati da'romansatori, (1) lo gotta, insìomc a Biaocitioro od n' compagni. sullo spiaggie di un' isola deaorta. Stimando che il Hero caso fosse un castigo del ciclo, rafferma il pro- posito di farsi cristiano , e sollecita Biancifloi'o ad implorare l'ùuto di- vino. Q cielo ascolta le preghiere ,

(1) Rajna, Foni! dell'OH. Fw.,

, poco appresso, una nave, che pas- tva di lì, li raccoglie, e li rimona ad AlGBsandria. L' ammiraglio appre- sta altri legni, o riprendono il mare : queeta volta un prospero tempo li fa giungere rapìdamento ai porto di Oai-- tagona. Come nel Filocolo, Fiorio an- nunzia l'arrivo a'genitori, aggiungendo che 80 amano riaverlo, debbono farei cristiani (1). ,Quolli dapprima tur- bano, ma poi, per araoro del figlio, si convertono, e con essi il loro popolo. Fiorio succede in breve al padre. Gli nasce poi un figliuolo (2), al quale assegnala Spagna, come accade ch'egli sia eletto imperatore. Poiché la fortuna o ora così prodiga de' suoi favori a' no- . corno prima delle suo ire. . sa che Biancifiore era pronipote

(1) Cfr. FU., li. 352. ) Ha nome Oodorton, secondo il uo- alro testo, f. S7 v.; nel testo usato dui Dn Hérllf p- luiiv, o dall' Ha uskneoht, p. 70, Gordion.

«Icir imiieratoriì di Roma: in mancaiun di erodo mascolino, snrebbo spettato a lei il trono dei Cesar! ; ma non ù vo- leva che soTr'eSBO salisse una donna. Di qui divisioni o guorro. Soi mm dopo esaero succeduta al padre, Florio peusa di rocarsì pollogriuo a Roma con Biauciliore, al santo gìnbileo. Il papa raduna i prìncipi e i baroni ro- mani, e sostiene elio sarebbe pilSto conceder la corona imperialo allo spo- so dell' unica erede legittima del- l'ultimo imperatore. I pnucipt non b' accordano, onde si rimette il gludt- zio ad un vecchio cavaliere, micsr Prospero Coluna, il iguale senteniia in favore di Fiorio, ondo i duo sposi finiscono col montare sul soglio impe- riale, come nel cantare italiano e nel poema greco (1).

(B) Ff, 25 T. 2H p, Pur nella reda». mod. e'ù l'episodio dal naufragio ad nna isola dMerta, Di qui trae ì due amanti una nave francese, che li depone in un

465

So cosi lieta chiusa ha la storia di I Florio, come tonnina quella di Rosa- Nella inchiesta della &nciulla, anche Aiilimento è aiutato dall' osU) (qui 0 uno solo), che l'aveva alber- gata, e dalla moglie di lui. Costei fa più assai che nella favola di Fiorio : con il prett'sto di vendere alle donzelle sor- rate nel palagio del Boldauo,un drappo o una cotta di seta, penetra flao a Rosana, e le annunzia che è giunto a Bahiionia il fratello suo. Il fratello, porchò Auliraento ha lo studio stosso di tenersi colato, che vedemmo aver Fiorio, 0 si spaccia per fratello dell» giovinetta (1). Qui pure l' impresa rio- luogo, da! quale toci^anu Roma. Bianci' fiore si fa liconoBcei'e da parenti e vas- salli: Fiorio ai battewa, e sposa quindi l'unica sua; ma non cinge la corona imperiale. Questa cbiusii ricorda beo dap- presso quella del Filocolo.

(1) V«di un rÌBc:onti'0 a ciò nel Fiioeolo B nel I poonin fr. e radaz. affini : p. 381. . n. di questo voi.

Bce K bono pw la complicità del guar- diano dello donKtìlle. Noi raetiouto, costui è invitalo a degnare didl'oeto, in modo ohe AuUmonto pud conoscerlo, 0 cattivai'solo; nella rappresentazione, è Aulimento stesso cJje, seguendo il cousiglio dell'oste, si reca al guardiano, mon crudele che nella leggenda di Florio, e ne sa vinTOi- l' animo con Inaingho di gnadu^ni e di onori. Man- ca la scena del gioco degli scaccili, od Aulimento non entra nel [Jalaz»> por r inganno dei corbelli di roso. Guidato e aiutato dal guardiano, egli, più seinplicemente, rapisco nottotcìmpo Hosona (1). Inseguito dtdto genti del Soriano, combatte o vinco, I genitori suoi, comò nelle redazidU meridranali della storia Fiorio, vodono il suo ritorno trionfale. Anch' essi, per ao-

(1) La notturna fuga tle'dae ara«nti a pure nella railoz. mod. del rom. epa- ^nuolo : nta le cìrcoatmiKe sono nfliiMo

divorao-

L^idi-i

467

condarc il desiderio del figlio, abbrac- ciano il cristianesimo insieme al loro popolo. Le nozze dei dac amanti chiu- dono la favola (1).

VI.

Dopo la lunga analisi un po' di sin- tesi. Cominciamo dal poema greco. I nostri raffronti pongono ormai fuor d'ogni dubbio la diretta dipendenza di questo poema dal cantare. Non si può dire tuttavia che il poeta greco abbia fatta mora opera di letterale traduttore, poiché quasi sempre egli fiorisce, svolge, stempera il suo te- sto, 0 in alcuni luoghi rimuta, scor- cia, aggiungo. La redazione poi del cantare, eh' egli ha usata, dovette es- sere , più spesso che ad altre , somi- gliante a quella che ci offre il gruppo costituito dai due manoscritti parigi-

(l) Race, pp. 47-69; Kappresent. , pp. 398-414.

468

Ili (1(M(9. WQb, fuiido ital. delkNac. ili Parigi) o ilall' usliburulismiiuw laureiiziano (13tì7-U7a). Forse la sua fonti] fu qua e la più ampia alfiuactu ilello rtxluzidiii del caularo, dm nuì IKittiiomo roccogliei'o, op)iure ac<^de che, prima ancora di accìugersi a ri- l'are lit rima ituliana, e^'ll avesse gìA i[Ualcbo roiuinisreiiza dalla fav»la i>er iiverno letto o intese recitare altre vm-sìoni. Cosi vediamo che, ti*» i rlfa- citot'i meridionali, egli solo accctum (■ho r ammiraglio voleva far sua Spusa Biancìfiore (1); che tra costei e Fiorlo rinDovuno io nuszc, poi che i tornati in patria (2); o cbo, fuialmente, i sono morti insieme, come eran vissuti. 1

(1) L' ammiraglio dìc« (tv. 1730-31)- z«i Tiìv Ejiiiv aoxoJ-tlfJiv £notx£V ù 5nou Ttietw? sv^i£|oi ìprfiv xupisiv vai »

Pur nello migliori verdoni. I fr. «d 1

;itfini, I* atii mi rullio conta*» tir sua spo** J Biundfiui^ (HerKO?, \i. l~)

(2) V. I85H. Cfr, Hcr»»?, ]). &

I

i[iialunf|iie modo le mutazioni e le giunte sono cobi poelie, die non ci impetliBcono atìatto di ripeterò che il poema greco altro non so non una traduzione, & volte fedele, a volte un po' libera, del cantai'e.

Ma come mai un cantare italiano fu potuto tradurre in greco? Rpeciul- meiits dal tempo in giti delle crociate, ]' influenm occidentale fu cobi viva in Grecia, cLe vi si formò da fonti fran- cesi e italiane una letteratura roman- Non mi fa mestieri insistere su questo, perchè tratta di cose assai note agli studiosi, che tosto, per quesfu richiamo, ripenseranno ai due buo- ni volurat messi insieme dal Gidel come contributo olla storia della letteratura medievale e moderna dei Greci (I). Le

(I) Oldel, É'ittles sur la liti, greajue [ mod., Paris, 1868; Nowelles Ètudes sur I la liti, grecque mod.. Paria, 1878. Del [ eidel proQcUno anche il Klcolal , ' Gefchichte der neugrifickisdwn Lìl., già I cit., pp, 75 8gg. . u il ffag'Der, Afid. I Greeek IVrW, cit., pp. liii «gg.

corti francesi Soreati nei poaseasì tohE a'flueci Kz&atini. e le oolanle e ggnoreei diffusero per il conttient* e le isole greche la luce ddU civilu caT&Ueresea. Le^, costumanze. Un- gila, poesia dei nuovi conquistatori n trapiantano e rìTÌvono nelle t«ra d* Oriente. 1 Greci stessi, nello ddla Innga seiiilìtA. 8i sontoa oorao ringiovanire alle esuberanze di <]ucOa vita nuova, e diventan ra^ì di n- mcnti cavallereschi, di tornei, iii Cmte. Irradiazione della civilU ocàdimtale, il romanzo d" avventura cosi migra e fiorisco nella culla dell'epopea classics, ove i tpoveri fan dimenticare i rapsodi, il Roman de Troie Y Iliade, Benoit do Sainte-More Omero. A questo tempii i poeti greci s'adoperano per Tar co- noscere nel loro paese 1 romanzi occi- dentali, ìmitaniloli o tradDcendoli, \^ <1lamo dunqno che la versione greca del cantare il.-diano fu Fiorìo e Bian- clfioro si Hcoll^a ,i tutto un ordine

471 •ti l'atti, e rionlnt in unn serie di testimonianzt', le quali mettono in cliia- rissìnia luco l' influenza letteroi'in dul- rOocidenta sulla Grecia del medioevi». n nostro cantare non e passato di- rettamente dalla Toscana oltre l'Ionio; 6 assai probabile che l'abbian fatto conoscere nei loro possessi greci i Ven«KÌani o i nenovesi (1). Si sa che

L la pensare ; e ài moneta iioi 0 iltì-Veneiiuni voluto i

(I) Fra i non pochi italianismi del no- atro testo greco ce n'è uno, Toi SouxdtTa (V. \il€j, i dueati, che ( Venaxia: ma questo u era esclutdvamente proprii e, d'altra parte, avesse poeta riferirsi alla mone pa6 bastar questo indizi ehe egli fosso di qualche terra od isola greca, come Corfii, Negroponte, soggetta a a. Marco. Giacché abbiamo accennato agli italianismi del nostro poema, eccone qualche altro esempio; I e altrove xa- ^nXUptq, e cosi il verbo xo^aXXiXEtJEtv; 229 ÌBwI$.31I o'Souxw;; 413 t«1 «o-

n per imaginare

472

dallo Sl^o^Gio del qnattrocf^nto n tutto il ctn(]iiecento ^\óìf« titt perioda, in cni, come il resto d'Europa. 1& Grecia si foce anch'essa amminitrìcA e satellite dell' ItAtia, eli* «ti allora liei pieno dello splendore letterario e della sua civiitA : ma il cantaro dovè (la Oenova o da Venezia trasmiprarc ìli Oriente pia presto, perehà il poema greo^, elio da esso fu tratto, manca della rima, ed è noto che la rima fu aggiunta ad ornare i versi politici doi Greci solo dalla metà del secolo XV, a imitazione appunto della poesia ita- liana. Il ri mane^g: lamento greco ilol nostro poemetto potrebbe essere dun-

Xd-nix; 456 e altrove ó njivimo&xo^; 9CÓ oxoOTopia; S68 e altrove xsuna; 1349 e altrove xixaztìtévoq; I8u6 xafi.rté9i*^: 1857 TpoDpurtTO^. L'italianismo, dicu il tìidel (p. 99 J»l cit. voi. ad Wagrnen. è froqnanto oe' racconti |)ti|ioluri grcri dnl sec. XIV in gin.

473

[ i|tie r1<?l trccpnta o àei primi ciii- ' quant'iinni Jel quattrocento (1).

Quanto è agevole la ricercn àMn

foute per il poema greco, altrettanto L riesce ardua per il roatanzo spagnuolo. : Olialo impressione rimane, a proposito

di questo problema, dopo 1 ralfronti

del capitolo precedente ì Certo , che ' il roman» spagnuoio sia stretto du

rinculi di intima parentela alle tre I altro versioni meridionali ; die non

dipenda dal Filocoh, e cbe, più che I ad ogni altra redazione, nomigli al

(1) eidel, Études ecc.. rol. ilei 1806, I pp. 65, ~^J1, 233. In questo senso dob- biamo dunque correggerà la troppo re- cisa nostra atTermazione, i^he si trovu più sopra a }). 15. Del resto, anebe il Mullneb^ Grammatik iler griechischcn Vuiyiirspr., |i. 82, dice. 8en*'ftlti-o. del aee. XIV il nostro poema giepo, Sp^ta invece al peiiodo, in cui a' OBa la rimn, lo tradu- zione della Testidi! del Boccaccio; &\péo^ Xai •(d\^Q\ Tf? ■E|liriil«^. stnnipilln a Venezia nel 1529.

caotaro. Mn <jui cumincifiiio colta. Ad utia ìmint>diat& dtirivaziùne dsl romanzo dal nostro poemetto nvn 8i può pensare. Se talvolta ci sono fra r uno e l' altro riscontri Suo di parole (1), occoiroao, d' altra part«,

(I) V«di sopra pp. 112, n. 1.; IH. n. 1.; 195, D. 1. Aggiungaai qualche altiv «sempio: < .... et loa caualleros se vinìe- ran el vno contra el otro de lan gnu Tuer^a q«e pareacian leonea . , . > (t IS r.). Cant, St, 51 :

come due leoni ecalenati un contro l'altro si coree

feim

La torre del Cairo à labrada de pio- Jras preciosas » (f. 21 r.), Caut.. SL 104:

e di pietre preciose eli' è merlata.

« En el priiner juego qiw jugm-on gftno

llorea al capitan . ij . mll peaanlee de

oro . (f. 22 r.}, Cant. St. 112:

E Florio lo vinse inmantenenle

al primo Irato ben mille bigìanli.*

S' avvei-ta che i<' b ìa varliuile : dur mila

abbondanti e sicuri ì sogni della loro Ìndi|iendenza. Ci suril stala dunque

b. (nule alla St.). Et coma Io vìdo ve- nir el capitan de la ton-e aaliolo a res- cabir con mucha alegria » {(. 22 v.). Cant., St. 115:

. . . FìoHo al caatelaao è litoniBkt; alegrameute vi fue ricevutu. La frase, che due volte il l'ao tasto i'i<.' italiano pone in bocca al ve (St 55, 05):

distrutti BÌanio per qumta fantina, trova iwoutra puro in duo luoghi dal Tom. apr. «... que aqiMlla, dice sem- pre il re, uuia de Mr deatrujcion de la lej anya y de ni reyno . . . » [f. 11 v.); « j eUa ci'tìo que ha de sor principio et Un de la dealruycioa de mia i-cynos et de ouMlra ley , . . . » (f. 13 r.j.

In principio de' nostri ralTronti ap- parisce che in noi fosse la persuasione che il romanziere apagauolo potesse avere avuto sotto gli occhi, press' a poco quale noi l'abbiamo, il cantare (vedi pp. 120- 30) ; ma questa persuasione è venuta

comunanza fonti, Può bn\ suppc che nella Spagna sia penetrata una redaziunu francese identica a simile a quella, da cui, di rettamente o in- Oirettament* , sia seoso il cantere. Da questa foiit^ il romanzo non sani uscito per ria immediata: infatti, sce- verando tutto ciò che più verisimil- niente lo scrittore spagnuolo aggiunse di suo noi liberissimo rimancggìit- meiito del raecontfl, se talora il ro- manzo rispecchia la redazione primi- tiva più fedelmente e compiutamente che il cantare, tal' altra ce ne offro come una reminiscenza lontana, sfu- mata, alterata. Che l' ipotesi poi f^a lecita ci mostra il molto che anche

mancsnilu mano niuno che »ìam pm- ceduti nella nostra analisi comp^rn ti- vù. Ci duole che 1' aver dovuto, per ta- luno apeciati ragioni, Bollecttare la staiiipa (lei primi fo^li, ci ubbia tolto ili foiv Bconiparire qualunque s^iio di codesta iucerte;iza.

<T7

essi gii Spagnuoli liaii preso Aa l'u- manzi franceBi, e, tanto meglio, il noto passo doìiaOranOsnquìsfa de Ultra~ mar, cLe fu gift rammentato in prin- cipio dui nostro studio. Tutti sanno, massime ora ctie le indagluì di Ga- aton l'aris hanno gottato su ciò nuova e vivida lace, eUe il corapìlatora della Conquista ha tratta 1" opora sua da fonti, eh' orangli vunute d' oltre i l'i- renei (1): per il caso nostro, e sicu- ro ohe il luogo, ovo si tocca di Florio •; Uiancifioro, riflette la tradizione rac- c^>\la. nel II poema francese {2). L'wu-

(I) Romania, XVII. 513 sgg.

f2) Riferiremo qui l' inteiu passo dulU Otnquisia: < . . , é esla Berta fu<i bga da Blancoftor è de Flores, que era rey do AlmerU, la de Eapùiia, é conquorìó muy gi'an tierru ea Africa u en Kapunit pur BU bondad, segun su histoi'ia Io i^uenta, 6 libnì ni rey de Bìliìloim de mu- no da SUB enamìgoa, cuandu le dio b, Blan- cador por ui^jer, por Jukio du nw i:oi'k<.

dorè Bpagnuolo allude a' nostri inna- morati ed alla loro storia come a

donde oatos amos fuertin Iob inni'ho e- namoradoB da que jia ointes bablttr. E despues ijue tomaran ea su tiorra no bobieron otro hijo ni bija eino ft Berto. <]ue Tue casiula cou ul )«; Pe[iÌDO , de FruQcia. quu liizo Iob gi'undus Lechos é vuD(^i(ì laa muchaa balallaa de qu« lodo d mondo iiubla > (T.. II, cap. xun, «d. GujangoSf p. 175, I col.). Dello strallo rapporta), che è fra questo pas^ e il rac- conto fatto dal Bacondo troverò franoMU, s' ora accorto anche il Dn HérlI, p. Ixsix, n. I. Flores ò re d'Almeria oell'uDO e noir altro {li fr., v. 2i\; nell'uno a nel- r altro, agli libera l'ammiraglio di Da- bìlonia da' suoi namìci, con che pur l'an- loro «pagnuolo si é Tolnto rifon» al duello di Fiorio con

loniis de Handres, l' aumacor, Qni d'AcTonon est sei gnor, il i[ua]e sopravriane, mentre l'ammira- glio sla>a per far ginstizia da' due gio- vinetti da Ini sorproai ioùeme, a inipor-

479 cose, che dovessero essere ben note a' lettori: « ya oìstes hablar », egli

dice, di Florio e Bianciflore, e de' lor casi , cho gli basta ricordaro con rap idi esimo cenno. Con-eva dunque nella Spagna i! nostro racconto già dal secolo XHI, e vi si era diffuso per r ampia irradiazione , che ebbe Un dappriacipto la letteratura roman- zesca della Francia. E si badi che così nella redazione in prosa come nella romanza, svoltasi dalla leggenda di Fiorio, o' 6 qualche ricordo delle

I ai a «lìdai'lu. Florio, (inichò alcuno non osa raccoglie l'è il guanto, accetta egli la sfida, o uccide il Tiei-o e superbo nemico dell' ammiraglio. Il quale gli accorda allora, il miglior premio, concedendogli a aposa Biancicore (II fr. , vv. 3079 sgg.). Del II poema fr. manca la line, ma è ben probabile cho in essa si accennasse alla nascita Berta, si collegaase codi, «^ome nell'altro poe- ma oìtanico e nello afBni i-edajtioni, U legi^nnda di Fiorio alla gesta caroUngia.

i frWMKsL S*

U descriuome del dndki tra il siiiisoako Mi necaaUt ■omlfj^a a igaella, che ci otfn U poeto* franeese (1); iiuintre all'ai- tn> poema d (a ripensaro U DMdo («nato Del vatider BianciSon (2). Della inunzioQe, du; areva l'ammi- raglio (ti eposare l' eroina della leg- genda, non ai fa motto nella redaiìoae pin antica del romanzo spagunolo, ma vi si accenna per>J nella modenu. La <iuale s'avvicina ad nno dei poemi francesi , al II, anche in altri du« ponti : per ee3& il ptsrsonag^o del du- ca di Montorio non esiste, e Fktm non ha col» che la coinpagoia del soo maestro; nell' episodio del dneUo, il Giniscalco e pi-eseiilc, sul eaiapo ilei «upplinio, iiiando sopraggiun^ Flores a salvare Dlancador, e gii Un-

ii) Vedi eopni, p. 299. Alk oitiu. &ita ivi, a. l., aggiungi: Havsknciebt, p. >n. 12) Sopì-». |i|>. :il9.2fl.

eia la sfldii (1). Quanto itila r lappiamo elio pur essa in un luogo corrisponde alle Torsioni francesi, la dove, precisamente, la seotTeria ^ei Mori, eh' è nel principio della nostxa favola, è fatta dipendere dal desiderio attribuito alla loro regina, di posse- dere ana achiava cristiana {2). Tutto questo dunque ci prova che le ela- liorazioni spagnuole della log;gcaila 3ro rannodate a fonti fran-

Ma ci si vomì notare che nel ro- manzo spagnuolo si mostrano, a dir cosi, gì' indizi geografici di una de- rivazione italiana: comò nel cantaro e nel Filocolo, parte dei fatti, che vi si narrano, svolgesi in Italia, e i ge- nitori dì Biancicore sono romani, non &anc«si, e imperatore di Roma, al modo stesso che nella rima italiano.

(1) Sopra, p. 20y, a. 2, Cfr. nnche p. 250 n. 3.

(2) Sopra, p. 137 n. 1.

Uh rimaneggiaraonto del cantare fatto •lu un italiano dello provìncie settcn- ti'ìunali, da qualche poeta u roman- zatore della corte di Milauo o di ([uellu di Ferrara{l). Io non trovo punto nocesaaria l' ipotesi : anche uno spa- gnuolo poteva discorrspo dell' Italia e de' suoi prìncipi , tanto più che al tempo, nel quale molto probabilmente tu mosso insieme il romanzo, almeno nella redazione, clie ci fu conservata, alla tino del quattrocento od al prin- cipio del cinquecento (2), per le va-

(1) Op. cit., pp, 76-81.

(2) La prima «taitipa d»l rom. sp. à dui 1512 (UauHkneclit, p. 51). Ecco in- Untu uua data pi'exiosa pei- determìnai'u il ttiiapo della eomposi^one del romanzo. Le urnii da fuoco erano già la ubo: in- fatti a' ff. 3 V. e 25 v. si accenna al- l'* ai-tilleria >. U signore di Milano b detto duca, e d sa che questo titolo fu concesso a Gian Gal. Visconti il 1395. Ma questa sarebbe una duta troppo lon- tana. S'avverta che il signore di Ferrara

Hl^ llpi ■' mi

s auiit auiìuir:!!!

temente al nostro paese. Si può Aan- «lue fraiicanionto nttribuiro nllo stesau roman^tiero i|tiella parto dui raccontOi ohe r Haueknecht vorrebbe invece conoodere al bud italiano dol setten- trione.

Giacche poi siamo noi vasto campo dolio congetture, ce ne vogliamo per- metteru un' altra. Il cantare po- trebbo ossure passato in Ispagiia , press' a iJOuu in quella forma, chu noi conosciamo, ed osservi stato li' berissimamento rimaneggiato; il ri- maneggiatoro potrò bbe aver sentita l'intltionza delle versioni di origine francese, che tioveano correre nella tradizione orale e noUa poesia po- polare do! suo paese. Sarebbe av- venuta i|uasi una contaminazione , forse inconscia, della redazione ita- liana e delle versioni oitaniche as- similatesi do^'ll Spagnuoli: di questa contaminazione ci sarebbero i segni e il riflesso nella redazione, Ao oggi abbiamo, del romanzo spagnuolo.

486

Anconi: potrebbe puro imaginar^i (guai so si ,ìt\ I& frtura alU> ipoteeil) cliu uno apagniiolo, venuto in Italia al tempo doUc guerre tra Francia e Spagna, che hanno lungamente stra- niato ìa ponisola, conoscesse qui un testo assai alterato del nostro can- taro, 0 lo rìelaborasso a modo suo, valendosi della reminiscenza di altre versioni intese girt in Ispagna (1).

Faeaiamo ora nllc due redazioni ìtn- liane. VorrA ancora qualcuno, dopo avere avuta la pazienza di so^itarci fin qui, condiscendere noli' opinione del Oaspary, che il cantare sia non più di una riduzione metrica del Fi- ìocolof (2). Queet' opinione fu da noi

(1) Foree il romaniiisre spagnuolo ura di Cabeca-el'Oriega, o del paese inlomu, poiché ivi pone la capitale di ra Folice, » la accudei'e multa poi'te dei fatti, che racconta.

(2) V^ aopra p. T7 n,3; KWUIns, cit. i-ecens. del voi. dell' llansbnecht {Engl. StWiiieu . IX, »3-SMf.

romliattulii altrove ; ma il Gnsparr non s" arrostì (1). Sia pure, egli ali- menta, che il cantare non a' avricini solo al Fiiocoìo, o cho segua, proprio oTo questo so ne tiiscosta. altro ver- sioni : o perchè il cantastorie, pur ser- vendosi principalmente He! racconto boccacceBco, non può aver profittato di altre fontif La (litflcoltj\ , die piti vaio a mantener fennn il giudizio del Gnspary, è questa: ho II cantare non dipende dal Filocolo, ma e derivato I inveci! il Filocolo da una fonte iden- I tica o simile a quella do! cantare, si [ deve crederò che in tutti i luoglii , [ noi <iuali fra T uno e T altro è u^ale I fin la dizione, il Boccaccio abbia oo- I piato il suo testo! (3) Ebbene: qual I nteraviglia cbe pui-e messer Giovanni r abbia fatto, in alcuni passi di un lungo I racconto, ciò che agli scrittori del auo 1 tempo non pareva punto un delitto 1

(1) GescXiehte dei-

(2) Ib., p. 637.

. Lii., 11.*^, 649.

IMI, ^iAa*a«

■liiijliil nauMi, fjfc»

I mB» Tiwfifc il Bqw^rr» MB

n bMrtain» neeost^ Bri ^ub al pato plK^ «pni MIO ««lgM« tttaa* li- tMiiofll prieologiebe. U fa*** M

489

del cantare medesimo con il romanzo boccaccesco, con i poemi francesi, con altro versioni, non è sovente riflesso di immediata derivazione, ma di lon- tana affinità. Inoltre, se il cantastorie avesse direttamente utilizzato il Filo- colo e i poemi francesi, non incon- treremmo nella rima le alterazioni, che qua e vi si avvertono, altera- zioni, le quali ci fanno risalire ad un testo del cantare più antico di quello, che ci si presenta nella copia maglia- bechiana, e anteriore quindi al Filo- colo. Già da alcuni anni noi abbiamo rammentato agli studiosi che in quella copia si trova della mano stessa, che ha scritto il poemetto, la preziosa data 1343; (1) ma poiché essa non precede

(1) Studi cit., p. 14. La data fu da noi rammentata^ perchè prima T aveva fatta conoscere il Selml^ 1. e. sopra a p. 47 n. 3. Vedi anche Zambrini^ Le Op.

Volg. * (1884), 981.

190 immoilìataniimtt- Il t^tu ilella rima, jiare al Qaapiu-y si possa ritonoro cho la rima fosse trascritta anche dieci anni dopo la data : in dioci anni un iKwmetto popolare, recitato, rico- piato, passando di bocca in bocca, di paew) in paese, da mano a mano, Ita liene il tunipo di sofl'rire (|uci ^asli, che noi abbiamo ravvisati ad t«ato im^^Whiano, o cbo ci aveano of- forto il migliore argomento jiei- cpe- (Iltc il cantaro piti antico dui romaniu lH>ccacci<scu. (1) Ma alla objeziona del Qaspapy oggi rispondono te nuavo Dosti-o indagini, por le quali piti Bopra b' è mostrato che la Irascriziono ma- ^liabscliiana non può i^sor [losteriure al 1343 che, tutl'al più, di uno o dne anni, mentre il Filocoìo non fu com- pito 0 pulfblicato chu nel 1341, o, più vcrisimilmcuto , nel 1342 (2). Ora,

(1) Getehiehte, I. e.

(9) Vedi BOpra u pp, 48 igg.

potrebbe ammettere ohe in

COBI rapida tempo il teetu del cautaro corrompesse prò fondamento nel mo- do, che b' ó veduto , e in punti rile- vantiasimi del racconto ? (1) Tutto dunque 'dimostra la indipendenza n la priorità del cantare rispetto al Filocolo, conclusione questa, chu, corno ognun vedo , servo uou solo ad illustrai'e la questione dello fonti del romanzo del Boccaccio, ma an- cora a sparger nuova luce sulla storia del poemetto popoloi'e italiano ■nulla metà prima del trecento, o sul- } antico dell' ottava nella poesia narrativa.

Cosi rimane chiaro che la nostra leggenda fu conosciuta in Italia Un dal dugento, e che, al tempo sao, il Boccaccio la seutiva l'ecìtare, o poteva leggerla in un poemetto fatto per Ìl popolo. Pertanto egli non aveva bi- Bogno di ricorrere a versioni straniere

(1) Sopra, a pp. 57 sr».. 214, 341 f%g.

[)ei' trmnie In miihiria {>t'im», cali lii qaalo plnamaro l' Oliera suit. (1) Ma a' 6 veduto cho il Filocolo dev' ossoro stato nttintfì ad una font^ più rìcoa del inwiesto caiitapi.'. Qaalu sarà ttAUx questa. foiit«? E il poomotto, n sua volta, donde sarà venuto? A codosto <lomando i-ispniulorumi) noi protuimo capitolo, < pei-chò pioiio son titto lo carte >, ordit« a questo primo vo'umek

(1) Altra voiU U Guparj sUsso uvea detto che è beo possibile ebe in fonte dol Filociilo sia it&lianu {Zcitsehrifl fùr rom. Ph,, V. 451). Ora, per quanto non b'' paia Bis stato dimoatrato, crede che il BoccBcciu possa afera usata odi fonte diversa da'due poemi fianceù (tlwehiehte, 11, Kìl). Cfr. anrbe Bartoll» J preeun. lif/ Bocc^. pp. 5fi-57.

GIUNTE K CORREZIONI

3. n. I . Aggiungii Wartoji, Hùlori/ of eìtglish Poetnj, od. del IB40, II. 135.

5. Alla opiniunì alt la orìgine

.ìylla ItìBBeodn F. o B. iJa Doi brovomenle at-coa- naW, dtìTi) ora aggiun- i^'etijijuella del prof. Italo PIìieI, elle osao, con .lUii miggotti romanzeschi, oi siti venula di Persia. Cfr, l'EirticuIo àeWìxAf L'epo- pea persiana e V epopea francese nel Medio Eco GiuM)tlaLett(M'ai'ia,di To- rino, XII. 48, I Die. "88, pp. 380-81.

8. Circa la diffuaione e la cele- lubrìtà, di chu godeva in PniDeia In stoiiu di F. e ri., vedi aDtbc il fabliau dei deuaj hordeors rìhaui {VLttuMglonfltec.g énàra l i'I compiei des Fabliaui;,

\.i.y.

^^^^^It^^^^^^^^^^^^l

^^^^L

1

^^^^1

l.Vedi puw: D*Aac;oiiA, /xi

poesia pop. iial., p. 22;

S. Ferru-i, Bibt. di Mi.

pop. ital., I. 73.

^^^H

l.Cfr. lUm}itìaì,Op.Volg*.

1884, 604-95, ove u 9,1-

ferma esser la iVowrWarfe/-

/a figCimla del mercatante

la sleesB che quella ào\-

V Indovinello.

^^^B > n

2. Oltre il Dn MérU, cfr.

Warton, oj!. e L e; Som*

mcr, op. «t. p. XVI.

^m >

Lu scnttura attribuita k

Seneca, che qui si riu,

fu pubblicata fin dal «ec.

XV: cfr. Zambrlnl, Op.

Volff.*. 1884, 0£fl-30. Cfr.

H. Sachlor, rVocmj.

DmkmTiler. 1. |>, v.

^H *

Su la novella di Ti-ajaoo

ijui acctìunala.efr.JtfoM/t

imtiche, ed. BUgl^ nnin.

LVIIIl D*Aiieoiia, Siud,

iti Criliaa e Storia kll. ,

pp. 330-31 itìrtr, «orna

mila M«m. ecc.. IL 3.

^H

iNol noto zibaldone boc-

495

caccesco della Magliabe- chiana , ms. II. ii. 327 ( cfr. F. Haeii-Leone , // zibaldone bocc. della Mglb,, Giorn. St. della lett. ìt. , X. 1. 8gg. ), sotto la rubrìca De hedifiHis memorandis urbis rome secundum fratrem Mar- Unum », f. 88b, non trovo alcun cenno, che possa riferirsi al palazzo della milizia, Pag. l H. n. 2. Della romanza qui citata

vedi anche la versione castigliana: Wolf e C. Hofmann , Prima- vera y Fior de Romances, II. 38.

y* 122. Dovevo avvertire che fjie- T'aiÌT(uv è emendazione delWagrner; il ms. ha pie- T'aoTdv, che il Hnllach corregge in fjieT' auTOu: ma che senso può darò anche questa lezione?

» 122-23. A questo luogo, come pure a p. 370, avrei dovuto

rj^^^^

F^^

«

^V P^g.20.„.

l.Vedi pure: D*AneoM, £«

;>Q«si(i pt>p. >Ia{. , p. £2:

^H

8. Ferrarla Bibl. di tM.

^H|

pop. Hai., \. 73.

H

l.Cfr. Zarobrlnl, Op. Volg.*.

1884. «94-95, ove à ai-

^^B

ferma egaei- la Novella iel-

^H

la figliuola dit merealOMit

^H

tu itesea che quella ilel-

H

a. Oltre il Du MiSrU, cfr.

W«rtOD> op. e 1. e; 8oB*

^^H

mer, up. di., p. XVI,

H

La scrittura attribuita a

Seneca, cba qui cita.

^H

fu pubblicata fin dal wc

^^H

XV:cfr. ZamUrliiI, 0/..

^H

Volg.'. 1884. 929-30. Cfr.

^^^

fl. Snohicr, /Vomii j.

^^^^^

Dunkmàler, 1. p, v.

^^K

Su la DOvuUa di Tri^aEio

^^^^^H

aMdcfe, ed. Blngl, num.

^^^^^H

LVin^ D*AtlCOU, S(M(fi

^^^^^H

ài Orilica e Storia Utt. .

^^^^^H

pp. 330-31; Unf^RcnKi

^^^^^B

tw(ia mem. ecc.. IL 3.

L

Nel nolo zibaldone hoc-

J

m

6 un fliguiflcato, il pou- kgrecopotevasen tire una i ripugDiuiza n tmMri- ) con lettere greche ' fDFnuDdo una voce che non avrebbe avuto più nenuQ senso nel grecu (4>^Xt4): d'altronde il ren- derlo con eo5«fjto)\), eiÌto- Xv(5 0 simile, avrebbe aeo- Ktatotroppolaformagrectt ilalla orìgìnaria, e prodotto altri inconveniontì. Di 'lUi l'uso di «PfXtiww;, nome, quanto al suono, non mol- to lontano do Felice.

discopulo D.' U. Marche-

il poeta greco abbia inteso: Lo re Felico^mos- se di Spagna= coat mosse, cobI operò, tal danno fece il re Felice di Spagna! Tra guardare e gailer inten- diamo che ci sia rinpon- •ìvnm idL>ologicn. non fo- nftica. Sappiunio bene che

I&ln

(Hattm ti^dlte ite XT 4«el«,«in. JmMMi, IL

CoodU lUsboUd: etr. aaclw

Ree. yAt. ib* FoM. eit.. tri. 105. finì wrt piDttoato ds naam-

Brtda, Dna «ec. T 170.11, I. Pad) r.7t.Ca»ara(fe/ Gravo. 213,11. Cfr. f'iloeolo. II. 308, 3E8, 387. Re PeliM iKiB b oo»- tento ae aoa piando è ^ coro eìte la tpoia M 6- Rlintrio apporteBera a usa protnpia delb pifa gl»- riou. Tiiltniu la C9iv- Iraji] intoni? avT«r(tU daUo

ZdhUhÌ c'è ■empi'e, iu non altro per le parole poste in bocca a Biand- ftore, che in questa ootu sono ricordate.

n. La atoriudelleapade celebri, passate da un personaggio nll'altro, è comune Del- l' epopea francese , forse per tradizione germanica: R^lna, Oriff. dnir Ep. />-., p. 444. n. 4.

n. I, Udb vera scena di vanti vedi nelle Gfsla Tancredi prineipis di Baoul dc Caen^ cap. LXXI, presso Muratori, Rer. It. SS. V. 300, o nel Rócueil de.s Hiìt. de» CroUadet, Hist. Occid., 111. 657. Vedi in qitest' ultimo voi. anche pp. 215-16., testo di Tu- dabodus imilatìuì et ean- linuatM.

n. Si ritiene che la Gran Con- quitta de Ullratnar sìa stata oonipilala hIIh fine del sec. XIII., o tutt'al

più nel prineipìi) <iel eec. XIV (Gayui^S, introd. nllH sua edizione flella Gm^itla; Mììk J Fo«> ta]Uls.Po«»~a htroira-prip. out. . pag. 337 : H. Pirls, La Ch- d'Ani, prav. et In Gr&D Conquista de Ultr-, Komania, XVII. ^3-24). Nel Filoeolo re Felice non puA dar sentenza mortole in giorno di festa solenne. Cosi nel romanzo ap. , f, 24 v„ l'ammiraglio aspetta che !<ÌB passata la Pasqua iwr giudicare a morte Flore» e BlancaHor. Cfr., [UT aa.. Buon rU' Bi)r- dtyitM;(Anc. Po^t. rie la Fr.. V.). .V. 5806-10:

317. u. 2. .\nelie al 1 li v. noi rom. sp. il rc> dice elle * . . . . alludili i]cTlajser]qiuilqi«'

501

diablo que nasi le tenin vencido su fijo Flores...»

Anclie in fondo al rom. ap., f. r. e V., 31 fa eonfu- aione tra Alessandria u Babilonia, e ei nominu quella per questa.

Mentre io compiva di w ri- vere questo voi., È com- parso Tarticolodel Hijiui. Dall' estratto cito le pp. 17-18, 23, 48.

In altro luogo del Filoeolo, II. 312. il lìocc, nomina insieme Babilonia e Semi- ramide, ma ivi tratta aicuramento dello Babi- lonia asiatica.

Vedi però a pn^. 480 rome ancbe il mod. rifacitoro sp. accenni all'intenzione dell'ammiraglio di spo- sare SianciRore: ciù che qui importava notare era che di quella intenzione tace all'atto ìl cantastorie, o fa motto invece il poeta gl'eco.

URItATA

UORRICK

P, Un

I.Id luogo del n'f<I>,ni<ip>i»>i

'"""

tl«et(«. Nm, .i lr.ll.

1. aH^rnu! Qi^thU dtr

GerrliM, Onchlchlt dtr

dt^ ùchn..

dml- K»m...

«emptan del poeir»

UQ Gunoplnre dol poema,

ahesicoDHrvE...

- 30

... dsUDiL reduioDB iti-

... tina rsdiuloiHi iu-

... d>,u7gon.binl . |»l

IÌ>D. della tege«id>...

... d=Uo Ziunbini 0 dei

K«rlioe...

KOB-Iins...

m

(Il

. 37

... dlffloolli...

... dlfllooll*,..

... Ajollb dal Darriooiw...

... AjoirudelBarUociiM...

13

.. poemm di FibuMio 0 tirtuiKi

... pMina di AMitto i

-

(8) ... (31 ..^

'!,'.Z-ì.5V„„ì™,

..TTSU'no»tów>,«lw

^y

poltrì... ... che viene lenU di

pene...

in grulli di aiMaf^BlU) vieMWlWdlpoiUi...

57

a.owrmArilaSI, r^erl.:

flgl-uolo

figliuolo

. U3n

"pp. in. 13" "'

... «dlR. lloutler,ll.,ltT. IBI

a... rimuiB «olouii vmo

... rìmau «lo un verw,

l-nliimo, (f, 3d»)

1' ulllnw (f. 30(4.

. 75

. Wd

.. /-wre»..-

« *. fa. oroni*!...

.. ti dt lai graadti...

... dt armai qnt tme...

.naTJsr»..

... r)iM Mlanapryio... .. itomiIfdqMrnfenWi..

* »in

B..

.. j, p<r%i-o. flw 1.0M-

... per ottenero feliM i) urte...

i,' liti etrti grepl rlporl.;

80." vtrto 'Stòv

-, fligoorEa ftnffiain& ^, l. ...come noli' Bneids...

I. . . vali noie alla 81. 4),..

."A

*." lUI vtrH greti ripoi-f.

... A da un nn»a\o... .., «ho In apprenda l'Wio-

Deì loro Signore.

D. I, l." del veni grtei rfpoFt.:

. . B." dermi XptffTta«Oy? . t." rana xuofov

pp. 38S-37S.

... ci da an non . .. eho le appreodoMF

D«T Imo ligiiore...

... OigHAr... eanpA . . . ooms dinna <

XpitTTiavoiiq

- ISOo. 1 non el di

Bruti (I KM^ al

rìpoaava > { Pulava ]

'collo da' laraQni*'.. BaniBWi p- va, I

ma. -^ rinpatiBtn. lU, S

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W CORSO DI STAMPA

Slitria Sirlliiiiui d'aDMlmo «nt«re tferMta dialetto net 8m. XT, pubbtiata « cura Stkk-vso ViTT'jRid Uonto. (Parte lì.* Stoi

1.11 hi'IU CuuIUa , {poeuetto infidlto ili Ptn Ali Klenu , it rurn (It Vittmuu^ FinHtNL

Testi Inmiltl di aotiette rlniB TOlgari , ta III ]wf iJ» ToMiiAa'J Ca81m. V.v|. U

LunienU ntorìel del Braoli XIT, XV e X' a ijum ili A5T0KI0 Mprtw a LtruoTioi Ftu ViiliuuH in.

Suitettl 0 Cmoouì di Poeti Veaetl del «pfi

XIV, u nurn ìH Onuow ZidìaTtì-

Fforlo e BluuiQore, pcMmiittn antifl'i bnuaj n cura ili Vrsanrao <^W&cact. Voi. n.

ItrnMiuUili FronceitOO* La Psit^ a eara Maoio MWOttRil.

11 N«pol6ro ili Dante. Dooumanti raonilLt da 1 i-'.vioi FniTi fi Coluti!» Ricci

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