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LIFE

OF

LORENZO DE' MEDICL

VOL. III.

THE

LIFE

OF

./

LORENZO DE' MEDICI.

CALLED

THE MAGNIFICENT.

BT WILLIAM ROSCOE.

THE FIRST AMERICAN,

FROM THE FOURTH LONDON EDITION, CORRECTED,

IN THREE VOLUMES.

VOL. III.

PHILADELPHIA :

PRINTED FOR BRONSON llf CHAUNCEY. 1803.

POESIE

DEL MAGNIFICO

LOREJ^ZO DE' MEDICI,

TRATTE DA TESTI A PENNA

BELLA LIBRERIJ MEDICEO-LAURRNZIAXA.

VOL. III.

INDICE.

AMBRA, FAVOLA, . 1

LA CACCIA COL FALCOJVE^ 16

ELEGIA, 31

AMORI DI VEJVERE E MARTE, ...... 36

LA COJVFESSIOJVE, 41

LE SETTE ALLEGREZZE n^AMORE, ... 42

CAJVZOJVE, Prenda Plata, 46

CAJVZOJ^E, Con tua promesse, 47

CAJVZOJVE, lo iirego Dio, 48

CAJVZOJVE, lo ho d" amara dolcezza, 49

SOJVETTO, Se come Giove, 51

SOJVETTO, Fugiendo Loth, 52

SOJVETTO, Segui anhna divota, 53

A SUOI COMPATRIOTTI,

AMATORl DELLA BELLA FAVELLA ITALIANA,

Z' Editor e,

NeL darvi a leggere questi poemetti, die il mio caro amico, e concittadino, il Sig. Guglielmo Clarke, accu- ratamente trasse dagli original! esistenti nella Libreria MediceO'Laurenziana^ d'altro non occorre avvertirvi, se non, che per darvi un saggio della lingua Toscana, nel secolo del 1400, I'antica ortografia e stata, per quanto fu possibile, conservata.

AMBRA.

FAVOLA.

Fug IT A e la stagion, ch' avea conversi E liori in pomi gia maturi, e colti ; In ramo piu non pub foglia tenersi, Ma sparte per li boschi assai men folti Si fan sentir, se avvien clie gli attraversi II cacciator, e pochi paion molti : La fera, se ben P orme vaghe asconde, Non va secreta per le secche froncle.

Fra gli arbor secchi stassi '1 lauro lieto, E di Ciprigna P odorato arbusto ; Verdeggia nelle bianche Alpe P abeto, E piega i rami gia di neve onusto ; Tiene il cipresso qualche uccel secreto ; E con venti combatte il pin robusto ; L'umil ginepro con le acute foglie, Le ii\an non piigne altrui, che ben le coglie,

L' uliva

2 POESIE

L' uliva, in qualche dolce piaggia aprica, Secondo il vento, par or verde, or bianca Natura in questa tal serba, e nutrica Quel verde, che nell' altre fronde manca : Gia i peregrin! uccei con gran fatica Hanno condotto la famiglia stanca Di la del mare, e pel cammin lor mostri Nereidi, Tritoni, e gli altri mostri.

Ha combattuto delP imperio, e vinto

La notte, e prigion mena il breve giorno : Nel ciel seren d' eterne fiamme cinto Lieta il carro stellato mena intorno ; Ne prima surge, ch' in oceano tinto Si vede P altro aurato carro adorno ; Orion freddo col coltel minaccia Phebo, se mostra a noi la bella faccia*

Seguon questo notturno carro ardente Vigilie, escubie, sollecite cure, E 'I sonno, c benche sia molto potente, Queste importune il vincon spesso pure, E i dolci sogni, che ingannon la mente, Quando e oppressa da fortune dure : Di sanita, d' assai tesor fa festa Alcun, che infermo e povero si desta.

O miser quel, che in notte cosi lunga Non dorme, e '1 disiato giorno aspetta ;

Se

DI LORENZO DE' MEDICI. 3

Se avvien, che molto, e dolce disio il punga, Quale il future giorno li prometta ; E benche ambo le ciglia insieme aggiunga, E i pensier tristi escluda, e i dolci ammetta ; Dormendo,o desto, accioche il tempo inganni, Gli par la notte un secol di cent' anni.

O miser chi tra 1' onde trova fuora Si lunga notte, assai lontan dal lito ; E '1 cammin rompe deila cieca prora II vento, e freme il mar un fer mugito ; Con molti prieghi e voti P Aurora Chiamata, sta col suo vecchio marito : Numera tristo, o disioso guarda

I passi lenti della notte tarda.

Quanto e diversa, anzi contraria sorte De' lieti amanti nell' algente bruina, A cui le notti sono chi are, e corte,

II giorno oscuro, e tardo si consuma. Nella stagion cosi gelida, e forte, Gia rivestiti di novella piuma, Hanno deposto gli augelletti alquanto, Non so s'io dica, o lieti versi, o pianto.

Stridendo in ciel e gru veggonsi a lunge L' acre stanipar di varie, e belie forme ; E P ultima col coUo steso aggiunge Ov' e quella dinanzi alle vane orme ;

E poiche

4 POESIE

E poiche negli aprichi lochi giunge, Vigile un guarda, e P altra schiera dorme 5 Cuoprono i prati, e van leggier pe' laghi Mille spetie d' uccei, dipinti, e vaghi.

L' Aquila spesso col volato lento

Minaccia tutti, e sopra il stagno vola, Levonsi insieme, e caccionla col vento Dellc penne stridenti, e se pur sola Una fuor resta del pennuto armento, L' uccel di Giove subito la invola : Resta ingannata misera, se crede Andarne a Giove come Ganimede.

Zefiro s'e fuggito in Cipri, e balla Co' fiori ozioso per P erbetta lieta ; L' aria non piu serena, bella, e gialla, Borea, ed Aquilon rompe, ed inquieta : L' acqua corrente e querula incristalla II ghiaccio, e stracca or si riposa cheta : Preso il pesce nelP onda dura e chiara, Resta come in ambra aurea zanzara.

Quel monte, die s'oppone a Cauro fero, Che non molesti il gentil fior cresciuto Nei suo grembo d' onor, ricchezze, e 'mpero, eigne di nebbie il capo gia canuto ; Gli omer cadenti giu dal capo altero Cuoprono i bianchi crini, e '1 petto irsuto

L' orribil

DI LORENZO DE' MEDICI. 5

L' orribil barba, ch' e pel ghiaccio rigida : Fan gli occhi, e '1 naso un fonte, c '1 ciel lo 'nfrigida.

La nebulosa ghirlanda, die eigne

L' alte tempie, gli mette Noto in testa ; Borea dalP Alpe poi la caccia, e spigne, E nudo, e bianco, il vecchio capo resta y Noto sopra P ale umide, e maligne Le nebbie porta, e par di nuovo il vesta ; Cos! MORE LLC irato, orcarco, or lieve, Minaccia al pian subietto or acqua, or neve.

Partesi d' Etiopia caldo e tinto

Austro, e sazia le assettate spugne, NelP onde salse de Tirreno intinto, Appena a' destinati luoghi giugne, Gravido d' acqua, e da nugoli cinto, E stanco stringe poi ambo le pugne ; I liumi lieti contro alle acque amiche Escono allor delle caverne antiche.

"Rendono grazie ad Ocean padre adorni D'ulve, e di fronde iluvial le tempie; Suonan per festa conche, e torti corni, Tumido il ventre gia, superbo sempre* Lo sdegno concepnto molti gioriii Contro alle ripe timide s'ademple ;

VOL. III. . c Spiimoso

6 POESIE

Spumoso ha rotto gia 1' inimic' argine, Ne serva il corso deiP antico margine.

Non pervietorte, o per cammino oblico, A guisa di serpenti, a gran volumi Sollecitan la via al padre antico ; Congiungo V onde insieme i Ionian fiumi, E dice P uno all' altro, come amico, Niiove del suo paese, e de' costumi : Cosi parlando insieme in strana voce, Ciercon, ne truovon, la sm:irrita foce.

Quando gonfiato, e largo si ristrigne Tra gli alti m.onti d' una cliiusa valle, Stridon frenate, turbide, e maligne L' onde, e miste con terra paion gialle : E gravi petre sopra petre pigne, Irato a' sassi dell' angusto caile ; L' onde spumose gira, e orribil freme i Vede il pastor dall' alto, e sicur teme.;

Tal fremito piangendo rende trista

La terra dentro al cavo ventre adusta ; Caccia col fumo fuor iiamma, e acqua mista Gridando, clie esce per la bocca angusta ; Terribile agli orecchi, et alia vista : Teme vicina il suono alta, e combusta Vol TERR A, e i lagon torbidi, che spumano, E piova aspetta se piu alto fumano.

Cosi

DI LORENZO DE' MEDICI. 7

Cosi crucciato il fer torrente frende Superbo, e le contrarie ripe rode ; Ma poiche nel pion largo si distende, Quasi contenta, allora appena s' ode : Incerto se in su torna, o se pur scende, Ha di monti distanti fatto prode ; Gia vincitor, al cheto lago incede, Di rami, e tronchi pien, montane prede.

Appena e suta a tempo la villana Pavida a aprir alle bestie la stalla ; Porta il figlio, che piange nella zana ; Segue la figlia grande, et ha la spalla Grave di panni vili, lini, e lana : Va P altra vecchia masseritia a gaila : Nuotano i porci, e spaventati i buoi, Le pecorelle, che non si toson poi.

Alcun della famiglia s'e ridotto In cima della casa, e su dal tetto La povera ricchezza vede ir sotto, La fatica, la speme, e per sospetto Di se stesso, non duolsi, en non fa motto ; Teme alia vita il cor nel tristo petto, Ne di quel ch' e piu car par conto faccia ; Cosl la maggior cura ogni altra caccia.

La nota, e verde ripa allor non frena I pesci lieti, che han piu ampj spazj :

L'antica

8 POESIE

L' antica, e giusta voglia alqiiaiito e piena Di veder nuovi liti ; e noii ben sazj Questo nuovo piacer vaghi li mena A vcder le ruine, e i grandi strazj Degli edificj, e stotto 1' acqua i muri Veggon lieti, ed an cor non ben sicuri.

In giiisa allor di piccola isoletta,

Ombrone, amante superbo, ambra eigne; Ambra non meno da lauro diletta, Geloso, se'l rival la tocca, e strigne ; Ambra Driade a Delia sua accetta, Quanto alcuna che stral fuor d' arco pigne ; Tanto bella, e gentii, eh' al fin le noce, Leggier di piedi, e piu ch' altra veioce.

Fu da' primi anni questa Nyncipha amata Dal suo LAURO gentii, pastore alpino, D' un casto amor, non era penetrata Lasciva fiamma al petto peregrino ; Fugiendo il caldo un di nuda era entrata Nelle onde fredde d' ombron, d' Appenino Figlio, superbo in vista, e ne' costumi, Pel padre antico, et cento frati fiumi.

Come le membra, verginali entrorno Nelle acque brune e gelide, sentio, Et, mosso da leggiadro corpo adorno, Delia spelonca usci P altero Dio,

Dalla

DI LORENZO DE' MEDICI. 9

Dalla sinistra prese il torto corno, E nudo il resto, accieso di disio, Difende il capo inculto a' phebei raggi, Coronato d' abeti, e montan faggi.

E verso il loco ove la Nympha stassi, Giva pian pian, coperto dalle fronde ; Ne era visto, ne sentire i passi Lasciava il mormorio delle chiare onde ; Cosi vicin tanto alia Nympha fassi, Che giimger crede le sue treccie bionde, E quella bella Nympha in braccio havere, E nudo, il nudo e bel corpo tenere.

Sicome pesce, alhor che incauto cuopra El pascator con rara et sottil maglia, Fuggie la rete qual sente di sopra, Lasciando per fuggir alcuna scaglia ; Cosi la Nympha, quando par si scuopra, Fuggie lo dio, che adosso se le scaglia ; Ne fu SI presta, anzi fu si presto elli, Che in man lasciolli alcun de' suoi capclii.

E saltando delP onde strigne il passo, Di timor piena fuggie nuda, e scalza ; Lascia i panni, e li strali, et il turcasso ; Non cura i pruni acuti, o P aspra balza ; Resta lo Dio dolente, afflitto, e lasso. Pel dolor le man stringe, al ciel gli occhi alza,

Maladisce

10 POESIE

Maladisce la man crudele, e tarda, Qiiando i biondi capelii svelti guarda.

E seguendola alhor, diceva, o mano A vellere i bei crin presta, e ferocc, Ma a tener quel corpo piu che humano, E farmi lieto, ohime, poco veloce : Cosi piangendo il prhno errore iiivano, Credendo almeno aggiugner con la voce Dove arrivar non puote il passo tardo, Gridava, o nympha, un fiume sono, et ardo ;

Tu m'accendesti in mezzo alle fredde acque El petto d' uno ardente desir cieco ; Perche, come nelP onde il corpo giacque, Non giace, che staria meglio, con meco ? Se P ombra, e P acqua mia chiara ti piacque, Piu belle ombre, piu belle acque ha ilmio speco; Piaccionti le mie cose, e non piaccio io ? Et son pur d' Appenin figliuolo, et Dio.

La Nympha fuggie, e sorda a' prieghi fassi, A' bianchi pie aggiugne ale il timore ; Sollecita lo Dio correndo i passi, Fatti a seguir veloci dalP amore ; Vede dapruni et da taglienti sassi, I bianchi pie ferir con gran dolore ; Crescie el desio, pel quale aghiaccia, e suda, Veggendola fuggir, si bella, e nuda.

Timida,

DI LORENZO DE' MEDICI. H

Timida, e vergognosa ambra pur corre, Nel corso a' venti rapidi non cede ; Le leggier piante sulle spighe porre Potria, e sosterrieno il gentil piede ; Vedesi ombrone ognor piu campo torre, La Nympha ad ogni passo maiico vede, Gia nel plan largo tanto il corso avanza, Che di giugnerla perde ogni speranza.

Gia priaper li monti aspri, e repenti Venia tra sassi con rapido corso, I passi alti, manco espediti, e lenti, Faceano a lui sperar qualche soccorso ; Ma giunto, lasso, giu ne' pian patenti, Fu messo quasi al fiume stanco un morso, Poi che non puo col pie, per la campagna Col disio e cogli occhi P accompagna.

Che debbe far 1' innamorato Dio,

Poiche la bella Nympha piu non giugne ? Quanto gli e piu negata, piu desio L' innamorato core accende, e pugne ; La Nympha era gia presso ove arno mio Ricieve ombrone, eP onde sue congiugne, Ombrone, arno veggiendo, si comforta, E surge alquanto la speranza morta.

Grida da lungi ; o arno, a cui rifugge La maggior parte di noi fiumi Toschi,

La

12 roEsiE

La bella Nympha, che come ucciel fiigg^? Da me seguita in tanti moiiti, e boschi, Sauza alcuna pietate, il cor mi strugge, Ne par, ciie amor il duro cor conoschi ; Rendimi lei, e la speranza persa; E il legier corso siio rompi, e'ntraversa.

lo sono CM B RON, chc le mie ceriile onde Per te racogiio, a te tutte le serbo, E fatte tue diventon si profoiide, Che sprezzi e ripe, e ponti alto e superbo ; Questa e mia preda, e queste treccie bionde,^ Qiiali in man porto con dolore acerbo, Ne fan chiar segno ; in te mia speme e sola -y Soccorri presto, che la Nympha vola.

Arno udendo ombrone, da pieta mosso, Perche el tempo non basta a far risposta, Ritenne P acqua, e gia gonfiato, e grosso, Da lungi al corso della bell' ambra osta ; Fu da nuovo timor freddo, e percosso II Ycrgin petto, quanto piu s' accosta ; Drieto ombron sente, e inanzi vede un lagOy Ne sa che farsi el cor gelato, et vago.

Come fera cacciata, e poi difesa, Dei can fuggiendo la bocca bramosa, Fuor del periglio gia, la rete tesa Veggiendo inanzi agli occhi paiirosa,

Quasi

DI LORENZO DE' MEDICI. 13

Quasi gia certa d' haver esser presa,

Ne fuggie inanzi, o indrieto tornare osa ; Teme i can, alia rete non si fida, Non sa che farsi, e spaventata grida.

Tal della bella Nympha era la sorte, Da ogni parte da paura oppressa, Non sa che farsi, se non desiar morte ; Vede 1' im fiume, e P altro, che s' appressa ; E disperata alhor gridava forte : O casta Dea, a cui io fui concessa Dal caro padre, e della madre antica, Unica aita all' ultima fatica.

Diana bella, questo petto casto Non maculo giammai folle disio, Guardalo hor tu, perch' io Nympha non basto A duo nimici, e P uno e P altro e Dio ; Col desio del morir m' e sol rimasto Al core il casto amor di lauro mio ; Portate, o venti, questa voce estrema A LAURO mio, che la mia morte gema.

Ne eron quasi della bocca fuore

Queste parole, che i candidi piedi Furno occupati da novel rigore, Crescierli poi, e farsi un sasso vedi; Mutar le membra, e'l bel corpo colore, Ma pur, che fussi gia donna, ancor credi ; VOL. III. D Le

14 POESIE

Le membra mostron, come suol figura Bozzata, e non finita in petra dura.

Ombrone pel corso faticato, e lasso, Per la speranza della cara preda, Prende nuovo vigore, e strigne il passo, E par, che quasi in braccio haver la creda ; Crescier veggiendo inanzi agli occhi un sasso, Ignaro ancor, non sa d' onde proceda ; Ma poi veggiendo vana ogni sua voglia, Si ferma pien di maraviglia, e doglia.

Come in un parco, cerva, o altra fera, Ch' e di materia, o picciol muro chiuso, Soprafatta dai can, campar non spera, Vicina al muro e per timor la suso Salta, e si lieva inanzi al can leggiera, Resta il can dentro, misero e deluso, Non potendo seguir ove e salita, Fermasi, e guarda il loco onde e fuggita.

Cosi lo Dio ferma la veloce orma,

Guai'da piatoso il bel sasso crescente ; II sasso, che ancor serba qualche forma Di bella Donna, e qualche poco sente ; E come amore e la pieta P informa, Di pianto bagna il sasso amaramente ; Dicendo : o ambra mia, queste son P acque, Ove bagnar gia il bel corpo ti piacque ;

lo

DI LORENZO DE' MEDICI 15

lo non harei creduto in dolor tanto, Che la propria piata vinta da quella Delia mia Nympha, si fuggissi alquanto, Per la maggior pietad' ambra miabella; Questa non gia mia, move in me il pianto : E pur la vita trista, e meschinella, Anchorche eterna ; quando meco penso E' peggio in me, che in lei non haver senso.

Lasso, ne' monti miei paterni eccelsi Son tante Nymphe, e sicura e ciascuna, Fra mille belle la piu bella scelsi, Non so come ; et amando sol quest' una, Primo segno d' amore, i crini svelsi ; Et cacciala delP acquafresca e bruna, Tenera, e nuda ; e poi, fuggiendo esangue, Tinge le spine e i sassi sacro sangue.

Et finalmente in un sasso conversa. Per colpa sol del mio crudel disio : Non so, non sendo mia, come 1' ho persa, Ne posso perder questo viver rio ; In questo e troppo la mia sorte avversa, Misero essendo et immortale Dio ; Che s'io potessi pur almen morire, Potria el giusto immortal dolor finire.

lo ho imparato come si compiaccia

A Donna amata, et il suo amor guadagni ;

Che

16 POESIE

Che a quella che piu ami, piu dispiaccia. O Borea algente, che gelato stagni, L' acqua corrente fa s'induri, e ghiaccia, Che petrafatta la Nympha accompagni ; Ne Sol giammai co' raggi chiara e gialli Risolva in acqua i rigidi cristalli.

LA CACCIA COL FALCONE.

Era gia rosso tutto 1' oriente,

E le cime de' monti parien d' oro ; La passeretta schiamazzar si sente ; El contadin tornava al suo lavoro ; Le stelle eron fugite, gia presente Si vedea quasi quel, ch' amb P alloro ; Ritornavansi al bosco molto in fretta L' alocho, el barbagianni, e la civetta.

La volpe ritornava alia sua tana ; El lupo ritornava al suo diserto. Era venuta e sparita Diana, Pero egli saria suto scoperto : Havea gia la sollecita villana AUe pecore, e i porci I'uscio aperto ; Netta era I'aria, fresca, e cristallina, Et aspettar buon di per la mattina.

Quando

DI LORENZO DE' MEDICI. 17

Quando fui desto da certi romori Di buon sonagli, et allettar di cani : Hor su aiidianne presto, ucellatori, Perche gli e tardi, e i luoghi son lontani : El canattier sia '1 primo ch' esca fuori ; Almen die sian de' cavalli stamani ; Non ci guastassi di can qualche paio ; Deh vanne innanzi presto, capellaio.

Adunque il capellaio nanzi camina,

Chiama Tamhuro, Pezuolo, e Martello,

La Foglia, la Castagna, e la Guerrina,

Fagiano, Fagianin, Roca, e Capello,

E Friza, e Biondo, Bamboccio, e Rosina,

Ghiotto, la Torta, Viola, e Pestello,

E Serchio, e Fuse, e '1 mioBuontempo vecchio,

Zambraco, Buratel, Scaccio, e Penecchio.

Quando hanno i can di campo preso un pezzo, Quattro segugi van con quattro sparvieri ; GuGLiELMo, die per suo antico vezzo Sempre quest' arte ha fatto volontieri ; Giovanni Franco, e dionigi il sezzo, Che innanzi a lui cavalca il fogla amieri; Ma perche era buon' ora la mattina, Mentre cavalca dionigi inchina.

Ma la fortuna, die ha sempre piacere

Di far diventar brun quel, ch' e piu bianco,

Dormendo

18 POESIE

Dormendo dionigi fa cad ere Appiinto per disgrazia al lato manco ; Si che cadendo adosso alio sparviere, Ruppegli un' alia, e macinnolli il fianco, Questo li piacque assai, benche nol dica, Che gli par esser fuor di gran fatica.

Non cade dionigi, ma rovina, E come debbi creder toccb fondo, Che com un tratto egli ha preso la china, Presto la truova com un sasso tondo ; Disse fra se meglio era stamattina Restar nel letto, come fe gismondo, Scalza, e in camiscia sulle pocce al fresco ; Non c' mciampo mai piu, se di quest' esco.

lo ho avuto pur poco intelletto A uscire staman si tostofuori, Se mi restavo in casa nel mio letto. Per me meglio era, e per li uccellatori ; Messo harei '1 disinar bene in assetto, , E la tovaglia adorna di bei fiori ; Meglio e stracar la coltrice, e '1 guanciale, Che il cavallo, e '1 famiglio, e farsi male.

Intanto vuol lo sparviere impugnare,

Ma gli e si rotto, che non puo far V erta; Dionigi con la man 1' osa pigliare, E pur ricade, e di questo s' accerta,

Che

DI LORENZO DE' MEDICI. 19

Che d' altro li bisogna procacciare ; Nei rassettargli la manica aperta Le man ghermilU, e lui sotto se '1 caccia, Saltolii adosso, e feime una cofaccia.

Dov' e '1 CORONA ? ov' e giovan simone ? Dimanda, braccio, ov' quel del gran naso ? Br AC c 10 ripose; a me varie cagione Fatto han eh' ognun di loro sia rimaso ; Non prese mai il corona uno starnone, Se per disgrazia non P ha preso, o a caso ; Se s' e lasciato adunque non s' ingiuria : Menarlo seco e cattiva auguria.

LuiGi PULci ov' e, che non si sente ? EgU se n'ando dianzi in quel boschetto, Che qualche fantasia ha per la mente, Vorra fantasticar forse un sonetto ; Guarti corona, che se non si pente, E' barbotto staman molto nel letto, E sentii ricordarli te corona, Et a cacciarti in frottola, o in canzona.

Giovan simone ha gia preso la piega D' andarne, senza dire alii altri addio ; Senza licenzia n' e ito a bottega, Di che gran sete tiene, e gran desio ; LuiGi quando il fiero naso piega, Cani, e cavalli adombra, e fa restio ;

Per

20 ' POESIE

Per questo ognun che resti si contenta, Cio che lo vecie fuggie, e si spaventa.

Restono adunque tre da uccellare,

E drieto a questi andava molta gente ; Chi per piacere, chi pur per guardare ;

BaRTOLO, et ULIVIER, BRACCIO e il

pAtente, Che mai noii vidde piii starne volare ; Et io con lor mi missi parimente,

PlETRO ALAMANNI, C il PONTINAR GIO- VANNI

Che pare in siilla nona un barbagianni,

Strozzo drieto a costor, come maestro Di questa gente, andava scosto un poco ; Come quello che v' era molto destro E molte volte ha fatto simil gioco ; E tanto cavalcamo pel silvestro, Che finalmente fumo giunti al loco Piii bel, che mai vedesse creatura : Per uccellar 1' ha fatto la natura.

E si vedea una gentil Valletta, Un fossatel con certe macchie in mezzo, Da ogni parte rimunita, e netta, Sol nel fossato star possono al rezzo ; Era da ogni lato una piaggetta, Che d' uccellar facea venir riprezzo

A chi

DI LORENZO DE' MEDICI. 21

A chi non avessi occhi, tanto e bella ; El mondo non ha una pari a quella.

Scaldava il Sole al monte gia le spalle, E '1 resto della valle e aricora ombrosa ; Quando giunta la gente in su quel calle, Prima a vedere, e disegnar si posa, E poi si spargon tutti per la valle ; E perche a punto riesca ogni cosa, Chi va go' can chi alia guardia, al getto^ Sicome strozzo ha ordinato, e detto.

Era da ogni parte uno sparviere

Alto in buon luogo da poter gittare ;

L' altro a capo n' era del canattiere,

E alia brigata lo vorra scagliare ;

Era BARTOLo al fondo, et uliviere,

Et alcun altro per poter guardare

A mezza piaggia ; e in una bella stoppia,

El cappellaio ai can leva la coppia.

Non altrimenti quando la trombetta Sente alle mosse il lieve barbaresco, ' Parte correndo, o vuo dir, vola in fretta ; Cosi i cani, che sciolti son di fresco ; E se non pur che '1 canattier gli aletta, Chiamando alcuni, et a chi squote il pescho, Sarebbe il seguitarli troppa pena ; Pur la pertica, e il lischio li rafrena.

VOL. III. E Tira

22 POESIE

Tira buon can, su, tira su, cammina,

Aiidianne, andianne, torna qui, te, torna ; Ah sciagurato Tamburo, e Guerrina, Abiate cura a Serchio, che soggiorna ; Ah bugiardo, ah pohron, volgi Rossina, Guata buon can, guata brigata adorna ; Te, Fagiano, o che volta fu mai quella; In questo modo il canattier favella.

State avveduti, ah Scaccio, frulla, frulla ; E che leva cacciando 1' amor mio ? Ma io non veggo pero levar nulla, E n'ha pur voglia, e n' ha pur gran desio Guarda la Torta la che si trastulla, O che romor faranno, e gia '1 sent' io ; Chi salta, e balla, e chi le levera, Di questi cani il miglior can sera.

Io veggo che Buontempo e in su la traccia. Ve' che le corre, e ie far a lev are, Habbi cura a Buontempo, che e' le caccia, Parmi vederle, e sentirle frullare, Benche e' sia vecchio assai, non tidispiaccia, Ch' io P ho veduto, e so quel che sa fare, Io so che '1 mio Buontempo mai non erra, Ecco, a te ulivier, guardale a terra.

Guarda quell' altra all' erta, una al fossato, Non ti diss' io, che mi parea sentire ?

Guardane

DI LORENZO DE' MEDICI. 23

Guardane una alia vigna, e 1' altr' allato, Guardane dua da me, guardane mi He ; Alia brigata prima havea gittato GiovAN FRANCESCO, et cmpicva le villc Di grida, e di conforti al suo uccello ; Ma per la fretta gitto col cappello.

Ecco GUGLiELMO a tc uua nc viene, Cava il cappello, et alzerai la mano ; Non istar piu guglielmo, ecco a te, bene ; GuGLiELMo getta, e grida, ahi villano ! Segue la starna, e drieto ben le tiene Quello sparviere, e in tempo momentano Dette in aria forse cento braccia ; Poi cadde in terra, e gia la pela, e straccia.

Garri a quel can, guglielmo grida forte, Che corre per cavargnene di pie ; E perche le pertiche erono corte, Un sasso prese, et a Guerrina die ; Poi corre giu, sanz' aspettar piu scorte, E quando presso alio sparvier piu e, Non lo veggendo, cheto usava stare. Per udir se lo sente sonaglare.

E cosi stando gli venne veduto;

Presto, grida, a caval, la prima e presa ; Lieto a lui vanne destro, et avveduto ; Come colui, che 1' arte ha bene intesa ;

Preseli

24 roEsiE

Preseli il geto, e per quel 1' ha tenuto ; Dalli il capo, e '1 cervello, e non li pesa ; Sgermillo, e P unghia e '1 becco gli havea netto ; Poi rimisse il cappello, e torna a getto.

GiovAN FRANCESCO intaiito havea ripreso II suo sparviere, e preso miglior loco ; Parli veder, che a lui ne venga teso Uno starnone, e come presso un poco Gli fu, egli ha tutte le dita esteso, E gitto come maestro di tal gioco ; Giunse la starna, e perche era vecchia, Si fe lasciare, e tutto lo spennecchia.

In vero egli era un certo sparverugio,

Che somigliava un gheppio, tanto e poco, Non credo preso havesse un calderugio ; Se non faceva tosto, o in breve loco, Non havere speranza nello indugio : Quando e' non piglia, e' si levava a gioco ; E la cagione che quell tratto e' non prese, Fu, clie non vi avea il capo, e non vi attese.

Intanto venne uno starnone all' erta,

Viddelo il fog la, e fece un gentil getto ; Lo sparvier vola per la piaggia aperta, E presegnene innanzi al dirimpetto ; Corre giu il fog la, e pargnene haver certa, Perb die io sparvier molto e perfetto ;

Preselo

DI LORENZO DE' MEDICI. 25

Preselo al netto, ove non era stecco,

E in terra insanguinoUi i piedi, e '1 becco.

E questo fe die lo sparviere e soro, Et intanto ulivier forte griclava ; Chiama giu il cappellaio, chiama costoro, Guardate una n' e qui, cosi parlava, Tu lega i can, per 6 che basta loro La Rocca, che di sottera le cava ; Vien giu guglielmo, non ti star al rezzo, E tu, e '1 FOG LA la mettete in mezzo.

Cosi fu fatto, e come sono in punto, II canattier dicea, sotto Rocca ; Qui cadde, ve', e se tu '1 harai giunto, Siesi tuto, corri qui, te, ponlibocca; Poi dice, havete voi giiardato a punto ? Et in quel lo starnon del fondo scocca ; Ecco atCFOGLA: c'IFogla grida, e getta, E' 1 simil fe guglielmo moltoin fretta.

Lascib la starna andare lo sparviere,

Et attende a fugir quel, che gli ha drieto ; Disse guglielmo, tu P hai, fogla amieri ;

* * *

Corri tu, che vi se' presso, ulivieri,

Diceva il fogla, e guglielmo sta cheto ; Corse ulivieri, e come a loro e sceso, Vidde, che P uno sparviere ha P altro preso.

Quel

26 POESIE

Quel del FOG LA havea preso per la gorga

Quel di GUGLiELMo, e crede, che '1 suo sia ;

Perche a guglielmo tal parole porga :

La tua e stata pur gran villania,

Non credo a starne lo sparviere scorga,

Ma a sparvieri ; egli e troppa pazzia,

A impacciarsi uccellando con fanciulli ;

Quest! non son buon giochi, o buon trastulli.

Guglielmo queto sta, e gran fatica Duraatener P allegrezza coperta , Pur con humil parole par che dica ; lo nonlo viddi, e questa e cosa certa, E questo piu, e piu volte riplica ; Intanto il fogla havea gia sceso P erta, E come alio sparviere e prossimano, Quel di guglielmo e guasto, il suo e sano.

E getta presto il suo loghero in terra, Lo sparviere non men presto rispose, E come a vincitor in quella guerra, Vezzi li fa, et assai piacevol cose ; Vede intanto guglielmo, che lui erra, E guasto e il suo sparviere, onde rispose Al FOGLA ; tu se' pur tu ilvillano, Et alzo presto per darli la mano.

Ma come il fogla s' accorse dellatto,

Scostossi un poco, accioche non li dessi ; .

Disse

DI LORENZO DE' MEDICI. 27

Disse GUGLIELMO al FOGLA, tu sc' itiatto, Se ne credi andar netto ; e s' io credessi Non far vendetta di quel, che m' hai fatto. Credo m' impiccherei, e s' io havessi

MeCp MICHEL DI GIORGIO, o'l RANNUCINO,

Attenderesti ad altro, cervellino.

El FOGLA innanzi allafuria si leva, E stassi cheto, et ha pur patienza, E altro viso, e parole non haveva, Che quel, eh' aspettando in favor la sentenza, E poi subitamente la perdeva ; Disse GUGLIELMO ; voglio haver prudenza, TerroUa a mente insino all' hore extreme, E rivedremci qualche volta insieme.

Gia il Sole, in verso mezzo giorno cala, E vien P ombre stremando, che raccorcia ; Da loro proportione e brutta e mala, Come a figura dipinta in iscorcia ; Rinforzava il suo canto la cicala, E '1 mondo ardeva a guisa d' una torcia ; L' aria sta cheta, et ogni fronde salda Nella stagion piu dispettosa, e calda.

Quando il mio dionigi tutto rosso, Sudando, come fassi un novo fresco ; Disse, star piu con voi certo non posso, Deh vientene almen tu giovan Francesco ;

Ma

28 POESIE

Ma venitene tutti per ir gi osso ; Troppo sarebbe fiero barbaresco, Chi volessi hor, quando la terra e accesa, Aspettar piu per pascersi di presa :

E detto questo, die volta al cavallo,

Senza aspettar giovan Francesco ancora ; Ciascnn si mette presto a seguitallo, Che '1 sole tutti consuma, e divora ; El cappellaio vien drieto, e seguitallo. I bracchi, ansando con la lingua for a ; Quanto piu vanno, il caldo piu raddoppia ; Pare appicciato il foco in ogni stoppia.

Tornonsi a casa chi tristo, e chi lieto, E chi ha pieno il carnaiuol di starne ; Alcun si sta senza, et e tristo e cheto, E bisogna procacci d' altra carne ; GuGLiELMo viene dispettoso adrieto, Ne puo di tanta guerra pace fame ; Giovan Francesco gianon se ne cura ; Che uccella per piacere, e per natura.

E giunti a casa, riponeva il cuoio, E i can governa, e mette nella stalla II canattier ; poi all' infrescatoio Rinovasi ognun co' bicchieri a galla ; Quivi si fa un altro uccellatoio, Quivi le starne alcun non lascia, o falla ;

Pare

DI LORENZO DE' MEDICI. 29

Pare trebbiano il vin, sendo cercone, Si fa la voglia le vivande buone.

El primo assalto fii sanza romore, Ognuno attende a menar la mascella ; Ma poi, passato un po' il primo furore, Chi d' una cosa, chi d' altra favella ; Ciascuno al suo sparvier dava 1' honore, Cercando d' una scusa pronta, e bella ; E chi molto non sa con lo sparviere, Si sforza hor qui col ragionare, e here.

Ogni cosa guastava la quistione

Del FOGLA con guglielmo, onde si leva

Su DioNiGi con buona intentione,

E in questo modo a guglielmo diceva :

Vuoci tu tor tanta consolatione ?

E benche il caso stran pur ti pareva,

Fa che tu sia com son io discreto,

Che averai il mio sparviere, e statti cheto.

Queste parole, e questo dolce stile,

Perche guglielmo P ama, assai li piace ; E perche gli era pur di cor gentile, Delibero col fog la far la pace ; Onde li disse con parole humile. Star piu teco non voglio in contumace, E voglio in pace tutto sofFerire ; Fatto questo ciascun vanne a dormire. vol. III. F E quel

30 POESIE

E cj'jel die si sognassi per la nolle, Quello sarebbe bello a poter dire ; Ch' io so, ch' ogiiiin rimettera le dotte, Insiuo a terza vorranno dormire ; Pol ce n' aiidremo insieme a quelle grotte, E qualche lasca farem fuora uscire. E cosi passo, compar, lieto il tempo, Con mlile rime in ziicchero, et a tempo.

DI LORENZO DE' MEDICI. 31

ELEGIA.

ViNTo dalli amorosi empj martirj, Pill volte ho gia la mano a scriver porta, Come il cor viva in pianti, et in sospiri,

Donna, per farti del mio stato accorta ; Ma poi, temendo non P haressi a sdegno, Ho dal primo pensier la man distorta.

Cos! mentre die dentro il foco al legno

E stato acceso, hora il disio m' ha spinto, Hor m' ha paura ritenuto al segno :

Ma pill celar non puossi ; et gia depinto Porto el mio mal nella pallida faccia. Come chi da mal lungo e stanco, e vinto.

El cor dentro avvampa hor, di fuor tiitto aghiaccia ; Onde convien, che a maggior forza io ceda ^ ^ ^

Speme, soverchio amor, mia fedeltate

Questo laccio amoroso hanno al cor stretto, Et furato lor dolce libertate.

Ben veggio il per so ben, ma perch' io aspetto Trovar, donna gentile, in te merzede Fa, che di ben seguirti ho gran diletto ;

Che

32 POESIE

Che s* egli e ver quel ch' altri dice, o crede, Che persa e belta in donna sanza amore ; Te ingiuriar non vorrei, e la mia fede : Perche non cerco alcun tuo disonore. Ma sol la grazia tua, e che ti piacci, Che '1 mio albergo sia dentro al tuo core,

Mostron pur que' belli occhi, e' non ti spiacci El mio servire ; e cosi amor mi guida Ognor piu dentro ne' tenaci lacci ;

Ne restera giammai finche me occida, Donna, se tua pieta non mi soccorre, Che morte hor mi minaccia, et hor mi sfida:

Ahi, folic mio pensier, che si alto porre Vuolse P effetto ; ma se a te m' inchina, Madonna, il cielo, hor me H posso opporre I

Cosi mi truovo in ardente fucina

D' amore, et ardo, e son d' arder contento, Ne cierco al mio mal grave medicina,

Se non quando mancar li spirti sento ; Alhor ritorno al veder li occhi belli ; Cosi in parte s' acqueta el mio tormento.

Talche se pur talvolta veder quelli

Potessi, o in braccio haverti, o pure alquanto Tener le man ne' crispi tua capelli,

Mancherian i sospir, P angoscia, el pianto, Et quel dolore in che la mente e involta, E in cambio a quel sai'ia dolcezza, e canto.

Ma tu dalli amorosi lacci sciolta,

Crudel, non curi di mie pene alhora, Anzi gli occhi mi ascoiidi, altrove volta.

Li

DI LORENZO DE' MEDICI. 33

Li occhi tuo belli, lasso, ove dimora II pharetrato Amor ver me protervo, Ove suo dardi arruota, ove gP indora.

Et cosi il mio dolor non disacervo, Ma resto quasi un corpo semivivo, Con piu grave tormento, et piu acervo. Ma fa quel vuoi di me per fin eh' i' vivo, lo t' amero, poiche al ciel cosi place ; Cosi ti giuro, et di mia man ti scrivo.

Ne gesti, o sguardi, o parola fallace

D' altra non creder dal tuo amor mi svella, Ch' al sine i' spero in te pur trovar pace.

Solo a te pensa Palma, et sol favella Di te la lingua, e il cor te sol vorrebbe, Ne altra donna agli occhi mia par bella. Tanto amor, tanta fe certo dovrebbe Haver mossa a piata una Sirena, Et liquefatto un cor di pietra harebbe.

Nata non se' di Tigre, o di Leena, Ne preso il latte nella selva Ircana, O dove il ghiaccio el veloce Istro affrena.

Onde se quella speme non e vana,

Che mi dan gli occhi tua, il occhi che ferno La piaga nel mio cor, ch' ancor non sana,

Non vorrai. Amor, di me piu scherno. Cosi ti prego ^ * *

Tua piata faccia il nostro amor eterno.

Venga, se dee venir, tuo aiuto quando Giovar mi possa, et non tardi tra via, Che nuoce spesso a chi ben vive amando.

Ma,

34 POESIE

Ma, lasso, hor quel mi duole e, ch' io vorria, II volto, e i gesti, e ilpianto ch' el cor preme, Accompagnassin questi versi mia ; ^Ma s' egli avvien, che soletti ambo insieme, Posso il braccio teiierti al colla avvolto, Vedrai come d' amore alto arde, e geme.

Vedrai cader dal mio pallido volto Nel tuo candido sen lacrime tante, Da' mia ardenti sospiri ^ * molto.

E se la lingua pavida, e tremante Non ti potra del cor lo aiFetto aprire, Come intervien sovente al lido amante,

Dagli baldanza * * * dire,

Quando gran fiamma in gentil cor accenda Lo amor, la speme del iedel servire,

Chi sia che tanta cortesia riprenda ? Anzi, perche mal puossi amor celare, Che altri dal volto, o gesti nol comprenda,

Sovente io mi odo drieto susurrare, Quanto e dal primier suo esser mutato Questo meschin, per crudel donna amare.

Non rispondo, anzi vergognoso guato A terra, come chi talvolta intende Quel, che a ciascun credea esser celato.

La tua impieta te stessa, et me riprende, Che non bene tua bellezza accompagna, Et al mio bon servir mal cambio rende.

Ne percio mai il cor di te si lagna, Ne si dorra sino alio extremo punto, Ma ben vorrebbe, e percio il volto bagna.

Teco

DI LORENZO DE' MEDICI. 35

Teco V avessi il cicl, donna, congiunto ; In matrimonio : ah, che pria non venisti Al mondo, o io non son piu tardo giunto ?

Che gli occhi, co' quai pria tu il core apristi, Ben mille volte harei baciato il giorno, Scacciando i van sospiri, e i pensier tristi.

Ma questo van pensiero a che soggiorno ? Se tu pur dianzi, et io fui un tempo avanti Dal laccio coniugal legato intorno,

Qual sol morte convien, che scioglia ^ ^ *- Puoi ben volendo, e te ne prego, e stringo, Ch' un cor, un sol voler sia tra due amanti.

Ben t' accorgi. Madonna, che non lingo Pianti, sospiri, o le parole ardente ; Ma come Amor la detta, io la dipingo*

Occhi belli, anzi stelle luciente, O parole soavi, accorte, e sagge, Man decor, che toccar vorrei sovente,

Amor e quel, che a voi pregar mi tragge, Non sia. Madonna, il mio servire invano, Ne in van la mia speranza in terra cagge.

Tu hai la vita, e la mia morte in mano. Vivo contento, s' io ti parlo un poco, Se non, morte me ancide a mano a mano.

Fa almen, s' io moro, dell' extremo foco Le mia ossa infeiice sieno extorte, E poste in qualche abietto, e picciol loco.

Non vi sia scritto chi della mia morte Fussi cagion, che ti saria gravezza ; Basta 1' urna di fuor stampata porte,

'' Troppo in hii amor, troppo in altrui durezza.''

36 rOESIS

AMORI DI VENERE, E MARTE.

VENERE PARLA.

SU Nymphe ornate il glorioso monte Di canti, e balli, e resonanti lire ; Fate di fior grillande alme alia fronte,

Che mi par Marte amico mio sentire ; E dalla plaga lattea su nel cielo Visto ho la stella sua lieta apparire.

Spargete all' aura i crini avvolti in velo, E liete tutte nel fonte Acidalio Gratiose vi lavate il volto, e il pelo.

Le sacre Muse dal liquor Castalio Di dolci carmi piene inviterete ; Stendete drappi, ornate il ciel col palio.

Bacco, e Sileno mio liete accogliete, E se Cerer non e sdegnata ancora Per Proserpina sua, la chiamerete.

Va, Climen nympha mia, dalP Aurora, Digli, che indugi alquanto il bel mattino, Lieta col suo Titon faccia dimora. Tu Clytia andrai nel bel monte Pachino, Tu nel Peloro, e tu nel Lilibeo,

Guardate di Sicilia ogni confino,

SI,

DI LORENZO DE' MEDICI. 37

Si, che Volcano mio fabro Pheteo Con Marte non mi trovi in adulterio, Donde fabula sia poi d' ogni Deo.

Ascondi Luna il iucido cmisperio ; Voi per le selve non latrate, o cani, Sicche d' infamia non si scuopri il vero*

Vien lieta notte, e voi profundi Mani Scurate P ora, o tu iigliiK)! Cupido, Mi do nelle tue braccia, in le tue mani.

Con le tue fiamme dolce ardente rido, Fa lume a Marte, mio sposo, et signore, Tu me feristi, Amor, di te me fido.

Marte, se oscure ancor ti paron i' ore,

Vienne al mio dolce ospizio, ch' io t' aspetto ; Vulcan non v' e, che ci disturbi amore.

Vien, ch' io V invito nuda in mezo il letto, Non indugiar, ch' el tempo passa, e vola, Coperto m' ho di fior vermigii il petto.

Vienne Marte, vien via, vien ch' io son sola ; Togliete e lumi, el mio mai non Io spengo ; Non sia chi piu mi parli una parola.

MARTE PARLA.

Non qual nimico alle tue stanze vengo, Vener miabella, ma sanz' arme, o dardo, Che contro ai colpi tua null' arme tengo. VOL. III. G Altra

38 POESIE

Altra cosa e vedcre un grato sguardo D' un amoroso lume, ovunque e' vada, Che spada, o lancea, o vessillo, a stendardo.

*' Amor regge suo impero sanza spada ;" Coperto no, ma vuole il corpo nudo, Dolce contento a seguir cio che aggrada ;

Odir parlar, non dispietato, e crudo, Ma dolce in se, qiial di piata s' accolga ; E questa V arme sia, la lancia, e '1 scudo.

Intorno al col suo bianca treccia avvolga, Deili ardenti amator dura catena, E forte laccio, che giammai si sciolga.

Baciar la bocca, e la fronte serena, E dua celesti lumi, e '1 bianco petto, La iunga man d' ogni bellezza plena.

Altra cosa e giacer nelP aureo letto

Con la sua dolce arnica, et cantar carmi, Che affaticar il corpo al scudo, e elmetto.

Gustar quel frutto, che puo lieto farmi. Ultimo fin d' un tremante diietto ; Tempo e d' amor, tempo e da spada, etarmi.

APOLLO PARLA.

Ingiuria e grande al letto romper fede ;

Non sia chi pecchi, e di', chi '1 sapra mai ? Che '1 sol, le stelle, el ciel, la luna il vede.

E tu

DI LORENZO DE' MEDICI. 39

E tu che lieta col tuo Marte stai,

Ne pensi, il ciel di tua colpa dispone ; Cos! spesso un gran gaudio torna in guai.

Ogni lungo secreto ha sua stagione ; Chi troppo va tentando la fortuna, Se allide in qualche scoglio, e ben ragione.

Correte, o Nymphe, a veder sol quest' una Adulterata Venere impudica, E '1 traditor di Marte ; o stelle ! o luna !

Giove, se non ti par troppa fatica,

Con Giunon tua gelosa, al furto viene ; Non pecchi alcun, se non vuol che si dica,

Vieni a veder, Mercurio, le catene, Che tu riporti in ciel di quest' e quella ; Che nul peccato mai fu senza pene.

Pluto, se inteso hai ancor questa novella, Con Proserpina tua lassa 1' inferno ; Ascendi all' aura relucente et bella.

Alme, che ornate il bel paese eterno De' campi Ely si, al gran furto venite ; Convien si scuopra ogni secreto interno. Glauco, Neptuno, Dori, Alpheo correte Al tristo incesto, et Ino, et Melicerta, Con le Driade, e '1 gran padre d' Amphy-

trite. Accio cho in terra, in mare, et in ciel sie certa Infamia tal d' una malvagia et rea, Et grave strupo, e inhonestate aperta.

Vulcan,

40 POESIE

Vulcan, vieni a veder tua Cytherea, Come con Marte suo lieta si posa, Et rotta t' ha la fede, et fatta rea.

Debbe al consortio tuo esser piatosa, Ad altri no ; ma gP e fatica grave Posser guardare una donna amorosa.

Che sa la vuol, non fia chi mai la cave ;

Tu dor mi forse, ma se ' 1 mio sono hai inteso, Vieni a veder di lei V opere prave.

Lascia Sicilia, e '1 tuo stato sospeso ; Che patir tanta ingiuria honora te poco, Vendetta brama Dio d' un core ofFeso.

VULCANO PARLA.

Non basta havermi il ciel dall' alto loco Gittato in terra, et da sua mensa privo, Et fatto fabro, et Dio del caldo foco ;

Che per piu pena mia ciaschedun Divo

Cierchi straziarmi, et dimostrar lor prove ; Ma tanta ingiuria mai non la prescrivo.

lo pur attendo a far saette a Giove, Sudando intorno alP antica fucina, Et Marte gode mie fatiche altrove.

Venere, Vener mia, spuma marina, Tu Marte adulter, pena pagherete, Che grave colpa vuol gran disciplina. •^ * ^

DI LORENZO DE' MEDICI 41

LA CONFESSIONE.

DONNE, et fanciulle, io mi fo conscienzia D' ogni mie fallo, e vo' far penitenzia.

Io mi confesso ad voi primieramente, Ch' io sono stato al piacer negligente ; Et molte cose ho lasciato pendente ; Di questo primo i' mi fo conscienza.

Io havea lungo tempo disiato

A una gentil donna haver parlato, Poi in sua presentia fui ammutolato ; Di questo ancora i' mi fo conscienza.

Gia in un altro loco mi trovai, Et un bel tratto per vilta lasciai ; E non ritorno poi quel tratto mai : Di questo ancora i' mi fo conscienza.

Ah, quante volte io me ne son pentito ! Presi una volta un piu tristo partito, Ch' io pagai innanzi, e poi non fui servito : Di questo ancora i' mi fo conscienza.

Io mi ricordo ancor d' altri peccati ; Che, per ir drieto a parole di frati, Molti dolci piaceri ho gia lasciati : Di questo ancora i' mi fo conscienza.

Dolgomi

42 POESIE

Dolgomi ancor, die non ho conosciuto

La giovenezza, e '1 bel tempo che ho aviito, Se non hor, quando egli e in tutto perduto ; Di questo ancora i' mi fo conscienza.

Dico mia colpa, et ho molto dolore

Di vilta, negligentia, et d' ogni errore : Ricordi, o non ricordi, innanzi Amore

Generalmente io ne fo conscienza.

Et prego tutti voi, che vi guardiate, Che simili peccati non facciate ; Accio che vecchie non ve ne pentiate, Et in van poi ne facciate conscienza.

LE SETTE ALLEGREZZE D'AMORE.

DEH state a iidire giovane et donzelle Queste sette allegrezze, ch' io vo' dire, Devotamente, che son dolce, e belle, Che amore a chi Io serve fa sentire ; Io dico a tutte quante, et primo a quelle, Che son vaghe et gentile, e in sul fiorire ; Gustate ben queste allegrezze sante, Che amor ve ne contenti tutte quante.

Prima AUegrezza, che conciede amore Si e mirar dua piatosa occhi fiso,

Esciene

DI LORENZO DE' MEDICI. 43

Esciene un vago, bel, dolce splendore ; Veder mover la bocca un dolce riso, Le man, la gola, e modi pien d' honore, L' andar, ch' uscita par del paradiso ; Ogni atto, e movimento, che si faccia, Et cosi prima un cor gentil s' allaccia.

La seconda allegrezza, che amor dona, E, quando ho gratia di toccarla mano Accortamente, ove si balla, o suona, O in altro modo stringnerla pian piano ; Et mentreche si giuoca, o si ragiona, Gittar certe parole, et non in vano ; Toccare alquanto, et stringner sopra a' panni In modo, che chi e intorno, se ne inganni.

Terza allegrezza, qual Amor conciede, E quando ella unatua lettera accetta, E degna di rispondere, e far fede Di propria man, che el collo al giogo metta ; Bene e duro colui, che, quando vede Si dolce pegno, lacrime non getta ; Leggiela cento volte, e non si satia, Et con dolci sospiri amor ringratia.

Piu dolce assai quest' allegrezza quarta, Se ti conduci a dir qualche parole A solo a solo, a far del tuo cor carta, Et dire a boccha ben dove ti duole ;

Se

44 roEsiE

Se advicn, che amor le some ben comparta, Senti dir cose da fermare el sole : Dolci pianti, et sospiri, etmaladire Usci, et finestre, che ti pub impedire.

Che pub gustar questa quinta allegrezza

Pub dir, che amor, e il suo servitio piaccia, Se advien, che baci con gran tenerezza Un' amorosa, vagha, e gentil faccia, Le labra, et dentro ov' e tanta dolcezza, La gola, el petto, et le candide braccia, Et tutte P altre membre dolce, et vaghe, Lasciando spesso e segni delle piaghe.

Questa sesta allegrezza, ch' io dico hora, E il venir quasi alia conclusion ; Et a quel fin, perche ogni huom s' innamora, Et si sopporta ogni aspra passione ; Chi 1' ha provato, et chi lo prova ancora, Sa che dolcezza, et che consolatione E quella, di poter sanza sospetto Tenere il suo signore in braccio stretto.

Vien drieto a questa P ultima allegrezza ; Che amore in fin pur contentar ci vuole : Non si pub dir con quanta gentilezza, Con che dolci sospir, con che parole, Si perviene a questa ultima allegrezza, Come si piange dolcemente, e duole ;

Fassi

DI LORENZO DE' MEDICI. 45

Fassi certi atti alhor, chi noii vuol fingere, Ch' un dipiiitore non sapre' dipingere.

Queste sono allegrezze, che Amor da, O donne, a chi lo serve fedelmente, Perb gustile, e pruovile chi ha Bellezza, et gentilezza, eta florente, Che perder tempo duole a chi piu sa ; Queste allegrezze, ch' io ho detto al presente, Chi le dice, et prova con divotione, Non puo morire sanza extrema untione.

Questo povero Cieco, quale ha detto Queste allegrezze, a voi si racomanda, Amor 1' ha cosi concio el poveretto, Come vedete, et cieco attorno il manda, Vorrebbe qualche carita in effetto, Almen la gratia vostra v' addimanda ; Fategli qualche ben, donne amorose, Che gustar possa delle vostre cose.

El poveretto e gia condotto a tale,

Che non ha con chi fare el Carnasciale.

VOL. III.

46 POESIE

CANZONE.

PRENDA piata ciascun della mia doglia, Giovane, et donne, et sia chiunche si voglia.

Sempre servito io ho con pura fede Una, la qual credea fussi pietosa, Et che dovessi haver di me merzede, Et non, come era, fussi disdegnosa; Hor m' ho perduto il tempo, et ogni cosa, Che si rivolta, come al vento foglia.

O lasso a me ! ch' io non credetti mai, Che sua occhi leggiadri, e rilucenti Fussin cagione a me di tanti guai, Di tanti pianti, et di tanti lamenti ; Ah crudo amore, hor come gliel consenti ? Di tanta crudelta suo core spoglia.

O lasso a me! questo non e quel merto, Ch' io aspettava di mia fede intera, Questo non e quel, che mi fu oiferto ; Questo ne' patti nostri, Amor, non era ; Folic e colui, che in tua promessa spera, E sotto quelia vive in pianti, e in doglia.

Cantato

DI LORENZO DE' MEDICI. 47

Cantato in parte vi ho la doglia mia,

Che vi debba haver mosso haver piatate ; Et quanto afflitta la mia vita sia, Perche di me compassioiie habbiate ; Et prego Amor, che piu felice siate, Et vi contenti d' ogni vostra voglia.

CANZONE.

CON tua promesse, et tua false parole, Con falsi risi, et con vago sembiante, Donna, menato hai il tuo fedele amante, Sanza altro fare ; onde m' incresce, et duole.

lo ho perduto drieto a tua bellezza Gia tanti passi per quella speranza, La quale mi die tua gran gentilezza, Et la belta, che qualunche altra avanza ; Fidomo in lei, et nella mia costanza. Ma insino a qui non ho, se non parole.

Di tempo in tempo gia tenuto m' hai

Tanto, ch' io posso numerar molti anni, Et aspettavo pur, di tanti guai Ristorar mi volessij et tanti affanni ;

Et

48 POESIE

Et conosco hor, che mi dileggi, et inganni La fede mia non vuol da te parole.

Donna, stu m'ami, come gia m' hai detto, Fa, eh' io ne vegga qualche sperantia ; Deh non mi tener piu in contanto aspetto, Che forse non haro piu patientia, Se vuoi usare in verso me dementia, Non indugiare, et non mi dar parole.

Va canzonetta, et priega el mio Signore, Che non mi tenga piu in dubbio sospeso, Di, che mi mostri una volta il suo core, Et se e perduto il tempo, ch' io ho speso, Come io haro il suo pensiero inteso, Prendo partito, et non vo' piu parole.

CANZONE.

IO prego Dio, che tutti i mal parlanti Facci star sempre in gran dolor i, e pianti.

E prego voi, o gentil donne, e belle, Che non facciate stima di parole, Pero che chi tien conto di novelle,

D' ogni

DI LORENZO DE' MEDICI. 49

D' ogni piacer privare al fin si suole ; Honestamente, e liete star si vuole, Vivere in gioie, et in piaceri, e canti.

Deh lasciam dir chi vorra pur mal dire, E non guardiamo al lor tristo paiiare ; Allegro si vuol vivere, e morire, Mentre che in giovinezza habbiamo a stare ; E chi vorra di noi mal favellm e, El cor per troppa invidia se gli schianti,

Canzona, truova ciascheduno amante, E le donne leggiadre, alte, e gentile, Ricorda lor, che ciascun sia costante Al sno am ore con animo virile ; Perche il temer parole e cosa vile, Ne fu iisanza mai di veri amanti.

CANZONE.

r HO d' amara dolcezza ii mio cor pieno, Come amor vuole, e d' un dolce veneno :

Nessuno e piu di me lieto, e contento, Nessuno merta maggior compassione ; La dolcezza, et dolor, che insieme sento.

Di

50 POESIE

Di rider damni, e sospiri cagione ; Nori puo iiitender si dolce passione, Scusa non fo, chi non ha gen til core.

Amore et honestate, et gentillezza, A chi misura ben, sono una cosa : Per me e perduta in tutto ogni bellezza, Ch' e posta in donna altera, et disdegnosa ; Chi riprender mi puo, s' i' son piatosa, Quanto honesta comporta, et gentil core ?

Riprenderammi chi ha si dura mente, Che non conoschi li amorosi rai :

10 prego amore, che chi amor non sente Nol faccia degno di sentirla mai ;

Ma chi P osserva fedelmente assai, Ardali sempre col suo foco il core.

Sanza ragion riprendami chi vuole, Se non ha cor gentil, non ho paura ;

11 mio constante amor vane parole Mosse da invidia, poco stima o cura, Disposta son, mentre la vita dura,

A seguir sempre si gentil amore.

DI LORENZO DE' MEDICI. 51

SONETTO.

HERMELINO EQUO SU.'E PUELLJE UTENDUM MISSO.

SE come Giove trasformossi in toro, Anch' io potessi pigliar tua figura, Hermellin mio, senza darti tal cura, Portare vorre' io stesso il mio thesoro.

Non SI da lungi, ne con tal martoro, Ne pria nell' onde mai con tal paura Portato harei quell'Angioletta pura, Che hora m' e donna, et forse poi sia alloro.

Ma poiche cosi va, Hermellino mio, Tu solo porterai soave, ei piano La pretiosa salma, e ' 1 mio desio ;

Guarda non molestar col fren sua mano, Ubidisci colei, che ubidisch' io, Poiche SI tosto Amor vuole, che amiano.

52 POESIE

SONETTO.

FUGIENDO Loth con la sua famiglia La citta, ch' arse per divin g-iuditio ; Guardando indrieto, et visto el gran supplitio, La donna immobil forma di sal piglia.

Tu hai fuggito, et e gran maraviglia, La citta, ch' arde sempre in ogni vitio ; Sappi anima gentil, ch ' 1 tuo offitio E non voltare a lei giammai le ciglia.

Per ritrovarti il biion pastore eterno Lascia el greggie, o smarrita pecorella, Truovati, e lieto in braccio ti riporta.

Perse Eiiridice Orfeo gia in suUa porta, Libera quasi, per vol tarsi a quella ; Pero non ti voltar piii alio inferno.

DI LORENZO DE' MEDICI, S3

SONETTO.

SEGUI, Anima divota, quel fervore, Che la bonta divina al petto spira, Et dove dolcemente chiama, et tira La voce, o pecorella, del pastore :

In questo nuovo tuo divoto ardore

Non sospetti, non sdegni, invidia, o ira, Speranza certa al sommo bene aspira, Pace, et dolcezza, et fama in suave odore.

Se pianti, o sospir semini talvolta In questa santa tua felice insania, Dolce, et eterna poi la ricolta.

'^ Populi meditati sunt inania"

Lasciali dire, et siedi, et Cristo ascolta, O nuova cittadina di Bettania.

IL FINE,

TOL. III.

^

APPENDIX.

APPENDIX.

NO I.

^x adnotationibus Isf monmnentis Ang, Fabronii ad vitam Laur, Medicis fiertineiitibus,

LN' libro perantiqiio inscripto : Notizie della Famiglia dei Medici : haec in prnemio leguntur.

Al Nome di Dio mccclxxiii. di Gennajo.

Al nome di Dio e della sua Santissima Madre Ma- donna Santa Maria e di tutta la corte del Paradise checcidia gratia di bene fare e di bene dire.

lo Filigno di Chonte de' Medici veggendo le passate fortune di guerre citanesche e di fuori, e le fortunose pistolenze di mortalita, che Domenidio a mandate in terra, e che si teme che mandi, vigiendole a nostri vi- cini, faro memoria delle cose passate chio vedro, che possano essere di bisongno sapere a voi che rimarrete o verrete dietro amme, a cio che voi le troviate, se bi- songno fosse, per ciauno chaso : pregando voi che scriviate bene per loinanzi, e che conserviate quelle terre e chase, che troverete inscritte in questo libro,

la

58 APPENDIX, NO I.

la maggiore parte aquistate per la dengna memoria del nobile chavaliere Mess. Giovanni di Chonte meo fra- tello, dopo la di cui morte io formo questo libro, levando del suo e daltri, e priegovi, che questo libro guardiate bene, e tengniate en luogho segreto, sicche ninvenisse a mano altrui, e si perche vi potrebbe essere de bisongno per lonanzi, come ora bisongna a noi, che ci conviene trovare carte di c. anni per cha- gioni, che nanzi troverete inscritto, peroche gli stati si mutano, e non anno fermezza.

Ancora vi priego, che non solamente conserviate lavere, ma co iserviate lo stato aquistato pe nostri pas- sati, il quale e grande, e maggiore soleva essere, e comincia a manchare per carestia di valenti uomini chabbiamo, de' quale solevamo avere gran quantita.

Ed era tanta la nostra grandigia, che si dicea, tusse com uno de Medici, e ogni uomo ci temea ; e anchora si dice, quaiido un cittidino fa una forza o ingiuria altrui, se gli el facesse uno de Medici, che si direbbe: anchora e grandissima e di stato d' amichi e di ric- chezza, piaccia a Dio conservarlaci.

E oggi in questo d\, lodato Idio, siamo uomeni in- torno cinquanta.

E' nota poi chio naqqui, sono niorti di casa nostra intorno a cento viomeni ; e di pochi e famiglia, e oggi siamo male a fanciuUi, cioe nabiamo pochi.

I scivero

APPENDIX. NO I. 59

I scrivero in piu parti questo libro, e prima mettero note di charte, quanto potro sapere e dote, fini, com- promessi e altre, poi mettero tutte le compere, e chi fece le charte, poi mettero tutte le case e terre confinate coggi possediamo, &c.

II.

Jo. Lamii* Delicia Eruditoruniy v, xii. fi. 169. Flor. 1742.

Copia di Parlamento dell' anno 1433. e. 34. levato da un libro di propria mano di Cosimo de' Medici, dove scriveva i suoi ricordi d' importanza ; e fu levata detta copia da Luigi Guicciardini.

JxiCORDO come a di primo di Settembre entro all* Uffizio del Sig. Giovanni di Matteo dello Scelto, Do- nato di Cristofano Sannini, Carlo di Lapo Corsi, laco- po Berlingliieri, Mariotto di Mess. Niccolo Baldovi- netti, Bartolommeo di Bartolommeo Spini, Bernardo di Vieri Guadagni Gonfaloniere di Giustizia, e Berto di Messer Marco di Cenni Albergatore ; e quando fu- rono tratti si comincio a mormorare, che al tempo loro si farebbe novitti nella Terra ; e fummi scritto in Mu- gello dove era stato piu mesi per levarmi dalle contese, e divisioni, ch' erano nella citta, ch' io tornassi, e cosi tornai a di 4. II di medesimo visitai il Gonfaloniere, e gli altri, come insieme Giovanni dello Scelto, il quale, reputava miolto amico, ed erami obligato, e il simile degli altri ; e dicendo loro quello si deceva, ei

prestamente

60 APPENDIX. NO II.

prestamente tutti lo negarono, e die fussi di buon animo, che volevano lasciare la Terra, come 1' avevano trovata. Ordinarono a' 5. una Pratica d' otto Citta- dini, due per quartieri, dicendo volevano con il con- siglio di quest! fare ogni loro deliberazione, e furono questi, Messer Giovanni Guicciardini, Bartolommeo Ridolfi, Ridolfo Peruzzi, Tommaso di Lapo Corsi^ Messer Agnolo Acciaioli, Giovanni di Messer Rinaldo Gianfigliazzi, Messer Rinaldo degli Albizi, ed io Co- simo. E benche per la Terra, come si e detto, fusse sparso dovessino fare novita, pure avendo da loro quello aveva, e reputandoli amici, non vi prestassi fede. Segui che a di 7. la mattina soto colore di volere la detta Pratica, mandarono per me, e giunto in Palazzo trovai la maggior parte, de compagni, e stando U ragionare, dopo buono spazio mi fu comandato per parte de Signori, che io andassi su di sopra, e dal Ca- pitano de' Fanti fui messo in una Camera, che si chiama la Barberia, e fui serrato dentro ; e sentendosi, tutta la Terra si sollevo. II di fecero consiglio de' Richie sti, e per lo Gonfaloniere fu detto, che quello avevano fatto di ritenermi, era per buona cagione, come altra volta sarebbe loro noto ; e che di questo non volevano consiglio, e licenziarono i Richiesti : e li Signori per le sei fave mi confinarono a Padova per un anno. Fatta questa azione fu -subito avvisato Lorenzo mio fratello, ch' era in Mugello, e Averardo mio cu- gino, ch' era a Pisa, e cosi fu fatto intendere a Niccolo da Tolentino Capitano di Guerra del Comune, ch' era molto mio amico. Lorenzo vennc il di medesimo in Firenze, e mandarono i Signori per lui che andasse a Palazzo, gli fu significato il perche, subito si parti, e ritornossi al Trebbio. Averardo si parti da Pisa pres- to,

APPENDIX. NO II. 61

to, che avevano dato ordine farlo pigliare Ik, e cosi se ci avessero preso tutti a tre, ci facessero male arrivare. Niccolo da Tolentino sentito il caso a dl 8. venne la mattina con tutta la sua Compagnia alia Lastra, e con animo di fare novita nella Terra, perche io fussi lasci- ato ; e cosl subito che si sentl il caso nell' Alpe di Ro- magna, e di piu altri luoghi, venne a Lorenzo gran quantita di fanti. Fu confortato il Capitano, e cosi Lorenzo a non fare novita, che poteva esser cagione di farmi fare novita nella persona, e cosl feciono ; e ben- che chi consiglio qiiesto fussino parenti, e amici, e a buon fine, non fu buono consiglio ; perche se si fussino fatti innanzi, ero libero, e chi era stato cagione di questo, restava disfatto. Ma tutto si vuol dire fussi per lo meglio, perche ne segui maggior bene, e con piu mio onore, come innanzi faro menzione. Non parendo agli amici miei si dovessi far novita, come ho detto, el Ca- pitano si torno indietro alle stanze, mostrando esser yenuto per altra cagione, e Lorenzo se n' ando a Ve- nezia coi miei figli, e portonne quello pote de' denari, e delle cos sottili. E Signori confinarono il detto Lo- renzo per un anno Venezia, e me a Padova per 5. anni, e Averardo a Napoli per 5. anni. Dipoi a di 9. feci- ono sonare a parlamento, e vennero in Piazza quelli ch' erano stati cagione della novita con fanti, avevano fatto venire de fuori ventitre Cittadini, e fu piccolo numero, e poco popolo vi si trovo, perche in vero il forte de' Cittadini n' erano mal contenti.

Per Parlamento dierono Balia a' Cittadini, come si

costumaVa in tali casi, e confinarono me per anni 10. a

Padova, Lorenzo per anni 5. a Venezia, Averardo per

VOL. m. K anni

62 APPENDIX. NO IL

anni 10. a Napoli, Orlando cle' Medici per anni 10. in Ancona, e Giovanni d' Andrea de Messer Alamanno e Bernardo d' Alamanno de' Medici a Rimini ; e fecero la mia famiglia de' Medici de' Grandi, eccetto i figliuoli di Messer Veri, perche Niccolo era Gonfaioniere ; eccetto ancora i figliuoli d' Antonio di Giovenco de' Medici, per- che Bernardetto era molto amato dal Capitano della Gu- erra, e per contemplazione del Capitano mostrarono ec- cettuare il detto Averardo e fratelli ; feciono piu ordini contro a nci, e massime che io non potessi vendere possessioni, ne denari di monte ; e ritennommi in Palazzo in sino a di 3. d' Ottobre.

Sentendosi questo a Venezio, mandarono subito qui tre Ambasciatori, cioe Messer Luisi Storlando, Messer

Tommaso Micheli, e li quali con ogni is-

tanza proccurarono, e concordarono la mia liberazione con offerire tenermi a Venezia, e promettere non farei contro alia Signoria, e obbedirei a quello mi fussi com- mandato ; e benchc non facessono ottenere fussi libero, pure la venuta loro giovo assai, perche c' era di quelli confortavano fussi morto, e ebbono promissione non mi sarebbe fatto offensione nella persona. Per simil modo mando qui il Marchese di Ferrara Ser Gherar- dino da Sabiglia al Capitano della Balia, ch* era Messer Lodovico del Ronco da Modena, suddito del Marche&e, a comandargli, che se io gli fussi messo nelle mani, non ne facessi altro conto, che se fussi Messer Lionar- do suo ligliuolo ; e che se ne fuggisse m^eco, e non du- bitasse di danno, nc di nessuna altra cosa.

Mi ritennero, siccome e detto, in sino a' 3. di Ot- tobre per due cagioni, la prima perche potessero otte- nere

APPENDIX. NO II. 63

Here nella Balia nell' ordinare la terra a loro modo ; die quando non si riceva, minacciavano che mi fareb- bono morire, e per qiiesta paiira gli amici, e i parenti, che si trovavano nella Balia, deliberavano quello era loro messo innanzi, La seconda fii, che credettono, che per tenermi in prigione, e aver fatto io non mi potessi valere del mio, farci fallire ; il che non riusci loro, che non per questo perdessimo credit© ; ma da molti Mer- catanti forestieri, e Signori, ci fu offerto, e mandato a Venezia gran somma di denari. In fine vedendo non riusciva loro il pensiero di farci fallire ; Bernardo Giiadagni, offertogli da due persone denari, cioe dal Capitano della Giierra fiorini 500. e dallo Spedalingo di S. Maria Nuova fiorini 500. i quali ebbe contanti, e Mariotto Balduinetti per mezzo di Baccio d' Antonio di Baccio fiorini 800. a di 3. d' Ottobre la notte mi trassero di Palazzo, e menommi fuori della Porta a S. Gallo : ebbono poco animo, che se avessero voluto denari, 1' averebbono avuti diecimila, o piu, per uscir di pericolo.

A di 4. di Ottobre il di di S. Francesco arrival a Cutigliano nella montagna di Pistoia, e fui accom- pagnato da due degli otto della Guardia, cioe Francesco Soderini, e Cristofano . . del Chiaro. Dagli uomini della montagna fui presentato di biada e cera, come se fussi Ambasciadore. A di 5. mi partii, e venni a Fas- sano Terra del Marchese di Ferrara, e fui accom- pagnato da piu di 20. uomini della montagna. A di 6. arrival a Modana, e il Governatore ch' era Messer Piero . . venne a me per parte del Signore, mi visito, e presento, e la mattlna mi fe dare compagnia, e guida. A di 7. arrival al Bondeno, e 1' altra mattlna per acqua

andai

64 APPENDIX. NO II.

andai a Francolino ; stetti due giorni per aspettare An- tonio Uguccione d' Contrari, che per parte del Mar- chese mi fece molte offerte. A di 11. arrival a Vene- zia, dove mi venne incontro molti Gentiluomini nostri amici, insieme con Lorenzo ; e fui ricevuto, non come confinato, ma come Ambasciadore. La mattina se- guente visitai la Signoria, e ringraziaila di quelle aveva operato per la mia salute, mostrando riconoscere la vita da quella : fui ricevuto con tanto onore e tanta carita, che non si potrebbe dire, dolendosi delli affanni mia, & ofFerando la Signoria, la Citta, V entrata loro, per ogni mio contentamento, e la casa : da molti Gentil- uomini fui visitato, e presentato. A di 13. mi partj per andare a Padova, come m' era comandato, e in miia compagnia venne Messer lacopo Donato, e m' alloggio in una sua bella casa fornita di panni, e di letta, e di cose da mangiare per ogni gran maestro ; e stette meco per infino ritornai a Venezia, che furono circa a di 20. A Padova venne a casa a me a visitarmi per parte della Signoria di Venezia, offerendomi tutto quello potesse fare per loro in mia complacenzia. Ho voluto fare ricordo deil' onore che mi fu fatto per non essere in- grato in fame ricordo, e ancora perche fu cosa da non credere, essendo cacciato di casa, trovar tanto onore, perche si suol perdere gli amici con la fortuna ; fu re- plicato a Lorenzo 1' onore avevo ricevuto, e per via de mercanti, e per un m.azzieri de' Signori, che venne meco insino a Padova, al quale fu comandato non ne dovesse parlare.

Dipoi del mese di Decembre chiedendo io di grazia a Signori di potere stare a Padova, e a Venezia, e per lo territorio della Signoria di Venezia essendo de' Signori

Barto-

APPENDIX. NO II. 6 5

Bartolommeo de Ridolfi Gonfalonieri di Giustizia, fu deliberato, e ottenni di potere stare per il territorio Veneziano, non m' appressando a Firenze piu che 170. miglia ; e questo fecero ancora a complacienzia della Signoria di Venezia, la quale per loro Ambasciatore, che fu Messer Andrea Donate, ne richieseno la Citta ; bene appiccorono questa grazia sotto gran pene, non si potessi piu rimuovermi, o farmi grazia di confini, come appare per la declarazione fetta.

Al tempo di questi Signori fu confinato Puccio, e Giovanni d' Antonio di Puccio, i quali erano miei prin- cipali amici ; e di poi al tempo de Priori seguenti, ch' era Gonfaloniere Mariotto Scambrilla, fu confinato Mes- ser Agnolo Acciaioli, per ccrte novelle aveva scritto a Puccio e a noi ; le quali in vero non erano d' importanza, nc da esserne cacciato.

Ricordo che a di 1. Settembre 1434. entrarono de' Signori Gio. di Mico Cappone, Caca di Buonaccorso Pitti, Niccolo di Cecco Donati Governatore di Gius- tizia, Piero d' Antonio di Piero Feltriano, Toto Martini per artefici, Simone di Francesco Guiducci, e . . . . di Tommaso Redditi, Baldassarri d' Antonio di Santi, Neri di Domenico Bartoleni ; e come furono tratti tutti i buoni Cittadini, presero vigore, e conforto, parendo fusse tempo di uscire dal mal governo avevano, il che prima averebbono fatto, se avessero avuto Signori che avessono voluto attendere ; perche in vero tutto il Po- polo, e tutti i buoni Cittadini, stavano mal contenti ; e subito venne a me a Venezia Antonio di Ser Tommaso Masi, mandato da piu Cittadini, perche venissimo verso Firenze, offerendo, quando sentissono fussimo presi,

66 APPENDIX. NO II.

si solleverebbono, e metterebbonci dcntro ; e cosi da molti parenti, e amici eravamo continuo sollecitati. Parveci volere intendere 1' animo de' Signori con dire, non volevamo fare contro al volere della Signoria ; e per questo mandammo, da Venezia a Firenze Antonio Martelli, perche sentisse da' Signori la loro intenzione, da' quali ebbe buona risposta che venissimo, e cosi per fante proprio ci avviso per sua lettera ; la quale avuta ci partinimo da Venezia 29. di Settembre Lorenzo e io Cosimo; e Averardo rimase a Venezia ammalato di febbre, che non poteva venire, e a' 30. arrivamo al Ponte a Lago. Stemmo in casa dell' Magnifico Uguc- cione, il quale insieme col Marchese, a nostra richiesta, aveva ordinato gran quantita di Fanti nella montag- na di Modena, e del Frigano, e ancora 200. Cavalli aveva a suo soldo, perche venissono con noi, com' era prima ordinato ; e a di 1. d'Ottobre essendo la mattina a udir Messa, avemmo un Corrieri d' Antonio, Salutati con lettere, per le quali ci avvisava, come sentendosi per la Terra 1 'animo de Signori, e presentendosi la nostra venuta, i nostri nemici avevano preso 1' armi a di 26. cioe, Messer Rinaldo delli Albizi, Ridolfo Peruzzi, e piii altri in numero di 600 persone : di poi la sera mancando loro I'animo, e essendo mezzano d' accordo per parte del Papa, Messer Giovanni Vitelleschi allora Vescovo di Hecanati, e dipoi Arcivescovo di Firenze, e poi Cardi- nal e, il quale era molto mio amico, si ridussono a S. Maria Novella dove abitava il Papa ; e sentendo che gli amici nostri erano provvisti, e di gente, e d' armi, per tema di loro persone, Messer Rinaldo, e Ormanno suo figliuolo, e Ridolfo Peruzzi, si rimasero la notte la, e non vollero uscire ; e chi era con loro si parti chi in qua, e chi in la, e andaronsi a disarmare. II perche i

Signori

APPENDIX. NO 11. 6^

Signori fecero venire dentro gran numero di fanterie che solo di Mugello, e dell' Alpe, e di quello di Ro- magna, venne a casa nostra, piu di fanti 3000. e cosi fecero venire la compagnia di Niccolo da Tolentino ; e a di 29. il di di S. Michele fecero parlamento in su la piazza, dove fu tutto il Popolo armato, che fu numero grandissimo e bene in punto, dettero la Balia a

Cittadini, e annullarono quello avevano

fatto r anno passato, e il primo partito e deliberazione che fecero, fu che Cosimo e Lorenzo fussero restituiti ne' primi onori, e annullato tutto quello fusse fatto contra di loro, che non vi fu 4. fave in contrario, con- fortandoci per parte di tutti a venire presto. E letta detta lettera subito la mandammo a Venezia, dove se ne fece gran festa, e noi andammo a visitare il Mar- chese, il quale dimostro maggior allegrezza di noi ; ringraziammolo de' favori, che ci aveva prestati, e a dl 2. ci partimmo di Ferrara, e a 3. fummo a Modana, dove fummo ricevuti con grand' onore in casa del Marchese, e venneci incontro il Governatore e il Po- desta, e molti Cittadini di Modana. A di 4. venimmo e per la via sempre ci fu fatto le spese dal Mar- chese, e per tutto trovammo fanti, che erano ordinati a venire con noi, i quali licenziammo, perche non era di. bisogno ; e a 5. venimmo a Cutigliano, e poi a Pistoia, e appunto in capo dell' anno in quel medesimo di, ciob a 5. d' Ottobre, e in quella medesima ora, rientramimo in su quello del Commune, e in quel medesimo luogo. Di questo ho fatto ricordo perch^ ci fu detto da piu persone devote, e buone, quando fummo cacciati, che non passerebbe 1' anno che saremmo restituiti, e torne- remmo a Firenze. Per la via trovammo molti Citta- dini, che ci venivano in contro, e a Pistoia tutto il Po- polo

«8 APPENDIX. NO II.

polo si fece alia porta per vederci cosi arraati, qiiando vi passammo, che non volemmo entrare dentro. Venim- ino a di 6. a desinare al nostro luogo a Careggi, dove fu gran gente ; i Signori bi mandarono a dire non entras- simo dentro, se non ce lo fecevano intendere, e cosi fecemo ; e tramontato il Sole mandarono a dire che venissimo, e cosi ci movemmo con gran compagnia, e perche tutta la via, si stimava facessimo in sino a casa nostra, era piena d' uomini, e di donne, Lorenzo, ed io con un famiglio, e un mazziere volgemmo lungo le niura, e venissimo dietro a' Servi, e poi dietro a Santa Reparata, e dal Palazzo del Podesta, e dal Palazzo dell' esecutore entrammo nel PaJazzo de' Signori, senza essere quasi veduti da persona, perche tutto il popolo era nella via larga, e da Casa nostra a aspettarci, e per questa cagione non vollero i Signori entrassimo di di per non far maggior tumulto nella Terra. Da Signori fummo ricevuti graziosamente, e ringraziatigli con quelle parole is richiedeva, vollero che insieme con piu altri Cittadini rimanessimo in Palazzo con le loro Signorie, e cosi fecemo.

Trovammo prima che giugnessimo, era stato confi- nato Messer Rinaldo, e Ormanno suo figliuolo, Ridolfo Peruzzi, e molti altri Cittadini ; e la Terra era pacifi- cata, benche continuamente in Piazza, e in Palazzo stessono buon numero di fanti armati, per sicurta del Palazzo.

Dipoi in Calendi Novembre si fecero i Priori a ma- no di la dair acqua, Sandro di Giovanni Biliotti, Piero di Bartolommeo del Benino in Santa Croce, Andrea Nardi, e Lodovico da Verrazzano, in Santa Maria

Novella ;

APPENDIX. NO II. 69

Novella ; Giovanni Minerbetti Gonfaloniere di Gius- tizia, Brunetto Beccaio per Arcefice in S. Giovanni, Ugolino Martelli, e Antonio di Ser Tommaso Masi. Questi Priori coniinarono molti Cittadini, e cosl posarono a sedere molte famiglie sospette, e fecero molte cose in favore dello Stato; e a loro tempo spiro la Balia data a piu Cittadini, e finirono li squittini, e rimasero le borse per 5. anni in mano degli Accoppiatori, cioe le borse del Priorato ; E potranno de' Priori e Gonfaloniere di Giustizia, quelle vorranno fare a loro piacimento. E del naese di Gennaio prossimo fui il primo tratto delle borse dello squittino per Gonfaloniere di Giustizia, e al mio tempo non si confine, ne si fece male a persona. Ma Francesco Guadagni, e piu altri, i quali trovai nelle mani del Capitano della Balia, Sc avevano raffermo la

lo operai in forma non morirono, ma furono

condennati in perpetua carcere, e cosi al mio tempo feci levare certi fanti armati, die stavano alia porta del Palazzo, ridurre il Palazzo, e la piazza come solevano stare innanzi alia novita, e feci prolungare la leg a con la Signoria di Venezia per 10. anni.

NO III.

Ex M, S. sec, XV. ficnes auctorem,

Leonardi Arethii Ejiistola ad Cosmum Medicem de conver- sione Rfiistolarum Platonis e Grceco in Latinum,

INTER clamosos strepitus negotiorumque procellas,

quibus Florentina palatia, quasi Euripus quidam, sur-

sum deorsumque assidue restuant, cum singula non

voi. ITT. L mode

70 APPENDIX. NO in.

modo drcta, sed verba etiam interrumperentur, tamen, ut potui, Latinas efTeci Piatonis epistolas, quas nunc tibi dono dedo atque mitto ; putans niulto pretiosius- quiddam ad te mittere quam si tantidem pondo auri dilargirer. A te certe longe carius gratiusque existi- mandum. Etenim aiiriim tibi abunde est, Sapientia vero nee tibi nee alteri cuiquam hominum abunde. Deinde quse comparatio justa esse potest aurum inter ac sapi- entiam 1 Ad quam non solum opulentia ista privato- rum eximia, verum etiam regum opes atque potentia, fascesque Sc imperia comparata vilescunt. Fragilia nempe bona, ac nescio an omnino bona sint existimanda, quse auferri nobis atque eripi possunt, £c quorum pds- sessio usque adeo imbecilla est Sc incerta, ut nemo exploratum habere queat ad vesperas usque esse dura- turam : sapientix vero ac virtutis stabilis est firniaque possessio. Neque enim eripi ab homine uila vi possunt, neque fortunse subjacent ictibus. Nee eas, ut philoso- phis placet, labefactat oblivio. Prjcterea cum homo constet ex animo & corpore, ac utriusque particulsi bona S;: quasi dotes qusedam existant, ut animi quidem sapientia, fortitudo, justitia, cjcteracque virtutes, cor- poris autem valitudo, forma, firmitas, patientia laborum, pernicitas, et hujuscemodi alia, nemini dubium esse potest, quanto animus corpori dignitate prsestat, tanto bona animi bonis corporis antecellere. Divitiai vero & opes, nee animi sunt neque corporis bona. Itaque ne nostra quidem ilia dicuntur, sed externa &; a corporis dignitate longe superantur. Itaque comparare divitias ad sapientiam, nihil est aliud quam infimi gradus bonum cum supremo conferre. Et de his quidem satis. Traductio autem harum epistolarum ita vehementer mihi jocunda fuit, ut cum Platone ipso

loqui.

APPENDIX. NO III. n

loqui, eumque intueri coram viderer. Quod co rnagis in his mihi accidit quam in ceteris ejus libris, quia hie neque fictus est sermo, nee alteri attributus ; sed procul ab ironia atque figniento, in re seria actionem exigente, ab illo summo ac sapientissimo homine perscriptus. Saepe enim preestantes viri, doctrinam vivendi aliqviam prosecuti, multa prsecipiunt aliis, quae ipsi dum agunt prxstare non possunt. Ex quo fit ut ahter loquantur, aliter vivant. Cerno integritatem hominis incorrup- tam, libertatem animi, fidei sanctitatem. Inter hsec prudentiam eximiam, justitiam singularem, constantiam vero non protervam neque inhumanam : sed quae Sc consuli sibi Sc suaderi permittat. In amicos vero tantam benevolentiam, ut commoda sua propria illorum commodis posthabere videatur. Ad h^ec autem dii boni 1 quK consiliorum suorum explicatio, qux cir- cumspectio, qux observatio, qux modestia, jam vero de adeunda republica qux appetitio qux, ratio, qux consi- deratio, qux religio ! Fateor in his magnum &c absolutum quendam virum bonum mihi ad imitandum proponi. Imitatationes vero nonnunquam efficaciores sunt quam doctrinx, ut in oratoribus k histrionibus intueri licet ; quorum artes difficihus quidam addiscunt, facilius imi- tantur. Ego certe plus utilitatis lectione harum pau- carum epistolarum percepisse me intelligo, quam ex multis voluminibus antea perlectis : ita mihi viva hxc quodammodo Sc spirantia, ilia vero intermortua Sc um- bratilia videbantur. Qux enim in re agenda mihi am- biguitas esse queat, in qua videam Platonem ita fecisse. Tu igitur has epistolas multum lege quxso, ac singulas earum sententias inemorlx commenda, prxcipue vero qux de republica monent. Intelliges vero quid dicam si cuncta diligenter triteque perlegeri.s. Nee eo ista

scribo

72 APPENDIX. NO III.

scribo quod tuje aut intelligeiitise aut voluntati diffidam, sed quod propositum tuum, auctoritate summi viri, confirmandum 8c corroborandum censeo. Vale, & munus hoc meum non tarn verbis, quam lectione operi- busque tibi non frustra collatum ostendas.

NO IV.

£a: Aug, Fabronii Monum, ad vitam Cosmi Med, Pius PP. II. Cosmo Medici.

-DlLECTE fili, Salutem Sc Apostolicam benedic- tionem. Mors bonae memoriae Johannis filii tui, quam modo intellexerimus, molesta nobis plurimum fuit, non ob id solum, quia per naturam est immatura, sed quia aetati, 8c valetudini tuae multum adversa. Consolandus esses omnibus horis, Sc vita in dulcedine Spiritus protrahenda : sed hoc nos consolatur, quia sapiens es, 8c exercitatus in fortunae casibus, 8c mode- rari tuis sensibus potes. Ita rogamus te, Cosme, facias, Sc convertas ad Deum oculos, 8c iiii benedicas. &: in bonum omnia deputes. Ncque enim scimus arcana Dei ; novit illc solus quid nobis expediat, Sc quorum indigemus. Credamus nobiscum 8c cum illo actum misericorditer esse. Venturorum nee tu eras consciusj nee ille. Hortamur tuam nobilitatem, Fili, ut volun- tatem banc Domini patienter feras, sicut te ferre audi- mus, neque dolori indulgeas. Aetati tuae moeror non convenit, 5c valetudini contrarius est. Expedit nobis, patriae tuae, Sc toti Italiae, ut quam diutissime vivas.

Johannem

APPENDIX. NO IV. Tt

Johannem fiiium bonis operibus, Sc piis prosequere. Aliud ex tota substantia tua non stetit, eleemosinae, devotio, Sc oratio sunt sua suffragia. Haec pauca ad te scripsimus, ut tristitiam nostram agnosceres, Sc de tua nos esse sollicitos intelligeres. Singula in partem caritatis accipito. Datum Romae apud Sanctum Pe- trum, sub anulo piscatoris die non. Novembris 14.63» Pontificatus nostri anno sexto.

Pio II. S. P. Cosmus Medices.

Videor te legens, Beatissime Pater, tanta est verbo- rum vis, Sc sapientia, eum vere audire me consolantem, cujus tu vere vicem geris. Quid enim melius, aut sanetius, Sc plane divinus scribi potuit ? Igitur hac consolatione tua, Beatissime Pater, id est effectum, ut qui prius utile esse, & laude dignum putarem quam minimum dolere (nam nihil baud possum) nunc etiam nefas aliter ac tu suadeas, facere existimem. Itaque do operam pro viribus, Sc pro iniirmitate animi mei, ut feram aequo anim.o tam adversum casum, ut mlhi qui- dem visum est. Sed Deus novit solus quid adversum sit. Nos nescimus, ut sapienter, religioseque scribis, Quanquam cum Johanne fiiio nunquam male actum putavi, qui non e vita, sed e morte migrasset ad vitam. Est enim mors haec, quam nos vocamus vitam. Ilia vere vita est, quae aeterna est. Si quid in ejus obitu mail videbatur, nobis, qui ejus, ut opinamur, indigeba- mus, id evenisse judicavi. Sed nos nescimus quid petamus. Coniido fore ut Deus misereatur etiam nos- tri, qui relicti sumus, secundum multitudinem mise- rationum suarum, quoniam suavis est Dominus, Sc multum Taisericors. De vita autem mea, quod Sum-

mus

74 APPENDIX. NO IV.

mus Pontifex Christi Vicarius sollicitus est, etiam feli- citati ascribo. Curabo id quidem non his de causis, quibus tu pro divina humanitate tua curandam scribis. Quid enim jam nos possumus ? Aut quid unquara potuimus ? Sed ut Dei tarn excellens vivendi munus non neglexisse, aut tot, tantorumque beneficiorum di- vina pietate susceptorum oblitus fuisse videar. Tu, quo id facere possim, Beatissime Pater, velim pro me filiolo tuae Sanctitatis ad Deum preces porrigas.

NO V.

JExtat in Tabulario Mediceo : Copia d' una lettera scritta da Pietro di Cosimo, a Lorenzo e Giuliano de' Medici, da Careggi a Cafaggiolo il di 26 Luglio

1464.

OCRIPSIVI jer 1' altro, & avvisai come Cosimo era aggravato dal male, di poi mi pare che si vadi logorando, Sc questo pare a lui medesimo, in modo che Martedi sera voile che in camera non fossi, se non Monna Con- tessina et io. Comincio da principio a dire tutta la sua vita, dipoi entro sul governo della citta, e poi seguitando a quello de' trafichi, di poi alia cura familiare delle possessione et di casa, et sopra e fatti di voi due, con- fortando, essendo voi di buono ingegno, io vi dovessi ailevare bene, perche mi leveresti assai faticha, 8c che di due cose si doleva, 1' una di non haver fatto quanto arebbe voluto Sc potuto fare, 1' altra che essendo io mal sano mi lasciava con assai noia. Di poi desse non vo- lere fare testament© alcuno, perche mai non fu suo

pensiero

APPENDIX. NO V. 75

pensiero di farlo, eziandio vivente Giovanni, perche sempre ci vide con buono amore 8c in buono accordo 8c stima, & che quando Iddio facesse altro di lui, non voleva alcuna pompa, ne dimostratione nell' esequie, & come in vita altravolta mi aveva detto, mi ricordava dove voleva la sepoltura sua in S. Lorenzo; 8c tutto dissc con tanto ordine 8c con tanta prudentia, 8c con uno animo si grande, che fu una maraviglia, soggiungendo che era vissuto lunga eta, 8c in modo che si partiva molto ben contento, quando Dio lo volessi. Di poi jermattina di buon ora si fece levare, calzare 8c vestire di tutto, essendoci il Priore di S. Lorenzo, quel di S, Marco, e della Badia ; si confesso dal Priori di S. Lo- renzo 8c di poi fece dire la messa, alia quale tutta ripose come da sano. Dipoi domandato delli articoli della fede, a tutti rispose per lettera, fece la confessione lui medesimo, 8c prese il S. Sacramento con tanta devo- tione, quanto si potessi dire, havendo prima chiesto perdono a ciascuno. Le quali cose m' hanno fatto cres- cere I'animo 8c la speranza verso Messer Domenedio, Sc benche secondo il senso, io non sia senza dolore, pure veduto la grandezza dell' animo suo, la disposi- tione buona, sono in gran parte contento, che viene a ' quel fine che tutti habbiamo a fare. Lui si stette jeri assai bene, 8c cosi questa nocte passata ; pure rispetto air eta grave non posso sperar molto del suo guarire. Fate fare per lui orationi ai Frati del Bosco, Sc fate dar elemosina come pare ad voi, pregando Iddio ce lo lasci ancora per un tempo, sendo per lo meglio. Et voi pigliate exemplo, che siete giovani, Sc con buono animo pigliate la parte vostra delle fatiche, poiche Messer Domenedio dispone cosi, 8c fate conto d' essere

huomini.

76 APPENDIX. NO V.

huominij essendo garzoni, che cosi lo richiede lo stato" vostro 8c il caso presente, Sc sopra tutto attendete a quelle, che vi puo fare onore 8c utile, perche e venuto il tempo che bisog-iia che vol facciate sperientia di voi ; et vivete col timor di Dio, 8c sperate bene. Quello che seguira di Cosimo vi advisero. Noi attendiamo ognora un medico di Milano, ma ho piii speranza in Messer Domenedio, che in altri. Non altro al presente. Cha- reggi ai 26. Luglio 1464.

NO VI.

Ricordi di Piero de' 3Iedlci.

RiCORDO che a di 1. d' Agosto 1464. a ore xxii 1. Cosimo di Giovanni d' Averardo de' Medici passo di questa presente vita, essendo stato pel passato molto vexato da dolore di giunture, benche d' ogni altro male fosse sano, salvo che in quest' ultimo fine della vita sua per spazio d' un mese fosse oppressato per difecto d' orina con al quanta febbre. Era d' eta d' anni d' lxxvii. i^-rande e bello uomo, e di perfecta natura, excepto e' mali sopradecti. Fu uomo di grandissima prudentia, e vie maggior bonta, el piOi riputato ciptadino, 8c di maggior credito che a\esse la nostra cipta per lunghi tempi ; e quello che ebbe maggior fede, 8c piii amato da tucto el popolo : ' ne si ricorda morire alcuno a questa eta con migliore grazia e maggior fama, e di cui piu dolesse a ciascuno ; e meritamente, perche non si trovo nessuno che con ragione si dolesse di lui : ma

furono

APPENDIX. NO VI. 77

furono molti, e' quali da lui erano stati serviti, & sovvenuti, 8c ajutati ; di che piii si dilecto che alcun altro : e non solamente parent! e amici, ma gli strani, e ancora, che par difficile a crederlo, non che a farlo, chi non gli era amico : col quale laudabil modo si fece pill e piu persone, che per difecto loro e d' altri non gli erano amici, amicissimi. Fu molto liberale, cari- tativo, e misericordioso, e molte elemosine fece in sua vita ; e non solamente nella cipta e distretto, ma eziandio ne' luoghi molto lontani, in accrescimento di Religioni, e reparatione di Chiese, Sc generalmente d' ogni ragione di beni, che accadesse. Fu per sua sapientia molto extimato e creduto da tutti e' Signori e Potentie d' Italia, e fuori d' Italia. Fu onorato di tutti gli uficj degni nella nostra cipta ; di fuori non voile mai accettare alcuno oficio. Esercito le piii honorate et importanti legationi, che a' suoi tempi accadessero alia nostra Repubblica : & nella cipta fece ricchi molti uomini per mezzo de' traffichi suoi, oltre alia ricchezza che di lui rimase, nel quale esercizio fu non solamente savio, ma bene avventurato mercatante. Mori, come si dice, el di sopra decto, nella casa e luogo nostro da Careggi, avendo prima ricevuti tutti e Sacramienti di Sancta Chiesa con grandissima divotione, e riverentia : non voile fare testamento, ma liberamente el tutto rimise in me. Fu seppellito el di seguente nella Chiesa di S. Lorenzo in terra, e nella sepoltura innanzi per lui ordinata, senza alcuna honoranza, o pompa funebre, dove non voile altri che Calonaci & Preti di decta Chiesa, 8c Frati di S. Marco, e' Calonaci Regolari della Badia di Fiesole ; ne con piu e manco cera che a uno mediocre mortorio si richiede, perche cosi dispose per I' ultima sua pa- rola ; affermando, le limosine e altri beni doversi fare VOL. III. M in

78 APPENDIX. NO VI.

in vita, che giovano piu che di poi, come aveva facto lui. II perche non ostanta questa, volendo io satisfare al debito filiale verso la pieta paterna, feci fare quanto si richiedeva, Sc era conveniente a chi restava ; et ordi- nal le elemosine, 8c uficj, che nel presente libro segiii- ranno.

VII.

H O S P E S.

jEdes CERNIS FAMA CELEBERRIMAS. PUL- CHERRIMAS ATQUE MAGNIFICAS. A COSMO MEDICE PATRE PATRIiL. MI- CHELOTIO ARCHITECTO ERECTAS A. S. PLUS MINUS CIO CCCC. XXX. IN QUIBUS MAGNUS ILLE SENEX SUCCESSORESQUE SUI IN R. P. FLORENTINA PRINCIPES. ET ALEXANDER DUX R. P. FLOR. PE- TRUS MEDICES COSMI I. TERTIUS FILI- US HABITARUNT. HIC A SENATU FLO- RENTINO COSMUS MEDICES DUX FLO- RENTI/E. PLENIS LIBERISQUE SUFFRA- GIIS CREATUS AD QUINQUE ANNOS SE- DEM SUAM AC REGIAM HABUIT. CAP- TIVOS MONTIS MURLI VICTORIiE TES- TES VIDIT. NUPTIAS CELEBRAVIT. RE- GIAM STIRPEM FELICITER HODIE REG- NANTEM FUNDAViT. VARUS TEMPORI- BUS ROMANI PONTIFICES. ROMANI IM- PERATORES. REGES. REGINiE ALIIQUE

PRIN-

APPENDIX. NO VII. 79

PRINCIPES. INNUMERIQUE PROCERES HOSPITIO EXCEPTI. LEO X. P. M. IN ITU BONONIAM REDITUQUE CAROLUS V. IMPERAT. GUI ORATORES TUNETANI REGIS HIC SOLENNE TRIBUTUM SOL- VERUNT. CAROLUS VIII. GALLIARUM REX. CARLOTA CYPRI REGINA, ET SAR- MATI^ REGINA. THOM^ REGIS FILIA. FRIDERICUS PRINCEPS SALERNI. FER- RANDI REGIS NEAPOLITANI FILIUS ET MARIA HIPPOLYTA DUX CALABRIiE. GALEATIUS MARIA SFORTIA MEDIO- LANI DUX. HIC LITTERii. LATINS GRM- C^QUE RESTAURAT^. MUT^E ARTES EXCULT^. PLATONICA PlilLOSOPHIA RESTITUTA. ACADEMIA FLORENTINA A COSMO I. VERNACUL^ ETRUSCiE. LIN- GUAE CULTUI SACRATA. SEMPER HI PARIETES COLUMNiEQUE ERUDITIS VO- CIBUS RESONUERUNT. iEDES HASCE. TANT^ GLORIA VIX CAPACES, GAB- RIEL CHIANNI ET RIVALTI MARCHIO SENATORIS FRANCISCI RICCARDI F. A FERDINANDO II. M. E. D. A. CIO. 13 C LVIIII. COMPARATAS. IN POSTICA PAR- TE AUXIT. FRANCISCUS MARCHIO. COS- MI MARCHIONIS F. GABRIELIS SUPRA- DICTI. EX FRATRE N. ET HERES. VETUS- TAM ^DIUM MAGNIFICENTIAM ^MU- LATUS. ILLAS SACELLO SACRIS RELI- QUIIS REFERTO. BIBLIOTHECA. MUSEO. SIGNIS. SCALPTIS CiELATISQUE GEM- MIS.

80 APPENDIX. NO VII.

MIS. VETERIBUS NUMMIS. ANAGLYPHIS. PICTURIS INSTRUCTAS. INTUS FORIS^ QUE DUPLO AMPLIAVIT. VETEREM PARTEM IN MELIOREM FORMAM REDE- GIT. ORNAVIT. ORNAT. A. CIO. lOCC. XV.

H O S P E S

MEDICEAS OLIM jEDES. IN QUIBUS NON SOLUM TOT PRINCIPES VIRI. SED ET SAPIENTIA IPSA HABITAVIT. jEDES OM- NIS ERUDITIONIS. QUiE. HIC REVIXIT. NUTRICES. NUNC ETIAM AD ERUDITUM LUXUM ANTIQUITATIS ET ELEGANTIA- RUM THESAURUM.

GRATUS VENERARE.

NO VIII.

£x Monum, jing. Fahronii,

Laurentio de^ Medlcis Filio Carissimo^ Romae^ Petrus Medic es, Florentiae die 15. Martii 1465.

lo mi ritrovo in tanta afflictione Sc dispiacere pel Hiesto 8c doloroso caso della morte dell' Illmo Duca di Milano, che io non so dove mi sia, 8c per tua discre- tione puoi giudicare quanto cimporta 8c publice Sc privatim, 8c parmi col suo M. Oratore che costi si

truova.

APPENDIX. NO VIII. 81

truova, te ne debba per mia parte con lui cordialmente dolere, & te conforto a pigliarne pensiero 8c non ma- ninconia, la quale non giovaniente, Sc i pensieri alle volte sono utili, facendoli buoni. lo ancora che mi sia duro quanto puoi stimare, m' ingegno pigliarne partito meglio che posso, 8c spero, che quel che al presente non puole in me la ragione, ancorche difficile sia, lo fara el tempo. E ci sono poi lettere da Milano de' 9. 8c de' 10. le quali mando, perche tu intenda come le cose di la passano, che alia ventura andranne meglio che non era 1' oppinione 8c credentia di molti. lo scrissi di principio a N. S., il quale come capo 8c guida non solamente della Lega, ma di tucti e Chris- tiani, che facesse pensiero alia conserva di quello stato, che vi puo fare piii sua Beatitudine, che nessuno altro, 8c quando non fosse per altro rispecto per mantenere ia pace 8c la quiete d' Italia, 8c benche io creda Sua Beatitudine esserci optimamente disposta, pure acca- dendo fame ogni opportuna opera, perche sai quel che richiede V oficio 8c debito nostro verso la felicissima memoria del S. passato e della Excellentia di Madonna 8c de' suoi incliti figliuoli. Et appresso leverai via sonare d' instrumenti, o canti e balli, o simili altre cose d' allegrezza ; 8c della cagione, perche e venuto Malatesta, per ora lascia stare, 8c maxime in fino a Pasqua, 8c non ne ragionare, perche credo bisognera mutare proposito, 8c di quello che io deliberero saprai, Sc tu non ne parlare con nessuno, excepto non Gio- vanni 8c Malatesta.

Per r ultima tua delli VIII. eri arrivato costi a sal- vamento che mi piace, 8c all' entrata tera stato facto grande honore, che tutto habbiamo a riconoscere 8c

da

82 APPENDIX. NO VIII.

da Dio Sc dagli huomini del niondo, a chi siamo trop- po obligati, Sc ni fa pensiero di satisfare in parte al debito coir opere, Sc fare conto d' essere vecchio in- nanzi al tempo, che cosi richiede el bisogno.

Deir altre cose che costi seguono alia giornata in- tenderati, come per altra to detto, con Giovanni (Tor- nabuoni.) Sc infrall altre metti el capo a intendere lo state di cotesta regione, e ne' termini che ella si truova, accio che al suo ritorno tu lo raporti chiaro ne' ter- mini, in che si truova. Ne altro al presente : Christo ti guardi.

Erami scordato come jersera ci furono lettere da Mantova delli 11. Sc avvisono come quello Sig. avea capitolato 8c conchiuso, Sc restare soldato del Re Fer- rando, Sc questo per un passo e grande Sc utile ; cosi habbiamo questo di lettere similmente delli 1 1 . da Ge- neva, Sc raccontano come quelli cittadini universal- niente tutti come sono stati alia devozione della felice memoria del Signore passato, vogliono essere a Madon- na & alii figliuoli : Sc havevano facto octo cittadini, che col Governatore insieme circa tale effect© faces- sono quanto fusse di bisogno.

Eidem,

A questi di to scripto a bastanza. Ho di poi una tua de' 15, Sc per essa intendc, come costi era la nuova deila morte del Duca di Milano, el quale Dio habbi ricevuto a gratia, e delle provisioni facte costi del mandare a Milano Sc scrivere aitrove, Sc ultima- mente della determinazione havea fatto N. S. della

conserva

APPENDIX. NO VIII. 83

conserva di quello stato, che molto e piaciuto univer- salmente a ciascuno. Noi qui per lo simile siamo in disposizione far tanto per quella lUma. Madonna 8c pe' suoi incliti figliuoli quanto per la liberta nostra che non manco cimporta, Sc potra essere che non sara a fare altro che dimostrationi, perche per infino a di 17. del presente, che sono 1' ultime, habbiamo da Milano> non v' era innovato cosa nessuna, Sc tutto passava in buona pace 8c quiete, 8c per quanto si sente a Vinezia, secondo le parole e le dimostrationi, quella Signoria mostrava volere vivere in buona pace Sc quiete con Madonna Sc con li figliuoli, come havevan fatto colla felice memoria del Padre. lo sono di quelli che lo credo, parendomi che la ragione lo persuada. Circa questa parte non mi distendo, havendotene per altra mia detto allungo, Sc perche rimando le lettere chio 6 di la ma a ogni modo conosco essere grande profitto 8c utilita, che la Sanctita di N. S. dimostri volere, che si conservi la pace Sc quiete d' Italia, 8c a questo effec- to credo concorreremo tucti ; Sc perchio sono certo Sua Beatitudine ce inclinata, 8c sempre na facto dimo- stratione, me ne passo di leggiere, sperando che per la gratia di Dio &: V opere di Sua Sanctita tucto habbi a succedere bene.

Resto avisato come colla Sanctita del Papa eri stato Sc parlato della faccenda di Stefano da Osimo, 8c come Sua Sanctita restava contenta, che cosi porta la ragione pel bene commune deile parti Sc 1' universale della citta, 8c parmi N. S. lantcnda a buon verso 8c sapien- tissimamente che non si da tagliare, ma tenere in spalla, che non puo stare, se non per giovare, e po- trebbe essere, che la dispositione del tempo farebbe

mutare

84 APPENDIX. NO VIII.

mutare proposito pure a me ; basta sentire che questo non sia motuproprio di Sua Beatitudine, ma daitri, &c vedi sopra tucto di fare che resti satisfacto Sc con- lento, perche quando fusse altrimenti, restarei mal quieto nell' animo.

Non so quello harete eseguito dipoi circa la dis- positeria dello allume, la quale, come per altra ho dec- to, son contento che accept! in mio nome, Sc non du- bito ce ne governeremo in modo, che la S. di N. S. se ne terra ben servita 5c contenta ; circa di cio ti ristrig- nerai con Giovanni Tornabuoni, & di questa 8c dell' altre cose ne determincrete quello che crederete sia el meglio.

Come per altra to decto delP andare tuo piu in la, mi pare da soprastare per insino facto la pasqua: in questo mezzo s' intendera tanto innanzi che c' inseg- nera deliberare el meglio. Facesti bene a incitare Messer Agnolo, el quale aspectiamo qui ogni giorno. Le lettere da Milano, ch' io ti mandai ne' di passati, 8c quelle che ti si mandano al presente, rimandale indrieto. Qui si actende ognora sentire dell' entrata dell' lUmo. Galeazzomaria. El Conte d' Urbino a di 18. fu alia Scarperia senza venire qui, che stimo lo facesse per non perder tempo : subitto doverra essere a Milano ; Sc simile el Sig. Alessandro : di quel che seguira sarai avvisato. El Sig. Gismondo era arrivato a Vinegia.

Egle el vero che 1' Arcidiacono e stato in extremo di morte, di poi e migliorato in modo, che non si stima habbia a morire di questo male, e 1' inpensiero, che

avevi

APPENDIX. NO VIII. 85

avevi facto di Pellegrino, lodo sommamente, et essendo accaduto el bisogno glarei dimostrato quanto desidero conpiacerlo Sc servirlo : quando tu vedi el Vescovo di Raugia, raccomandami alia Sua Signoria, & simile a Messer Lionardo Dati. Ne altro. Christo ti guardi. A di 22. di Marzo 1465.

NO IX.

Lettcra di Luigi Pulci a Lorenzo de^ Medici, Tratta da testa a fienna nel archivio del Palazzo Vecchio a Firenze.

Al nome di dio. a di 22 Apr. 1465. Caro mio Lo- renzo, tu ci lasciasti si sconsolati nel tuo partire, ch' io non credo ancora potere sostenere la penna a scri- verti questa lettera. Ho bene intesto da Braccio dili- gentemente del tuo cammino, et stimo al presente sia in Vinegia ; et accioche noi facciamo buono principio al mio scrivere, dico ch' io son tutto soletto, smarrito, afflitto senza te. D' altra parte io son molto contento della tua dipartita, pero ch' io la riputo avventurata per molte ragioni. Tu vedrai cose degne et varie, di die suole volentieri pascersi il tuo ingegno, Io quale io extimo prestantissimo di tutti gli aitri, excepto in una sola cosa, et cetera ceterorum. Et la tua consolazione non puo per alcuno modo essere senza mio gaudio. Et ancora ho chiamata piu volte felicissima questa tua partenza ; accioche tu non abbi commesso peccato, ad ajutare nelia sua petizione nuovamente afiermata, quello, con che i' amico di Valdarno del corno, voleva cntrare nelP orto del Borromeo per le mura ; overo VOL. III. N con

SS APPENDIX. NO IX.

con che egli pota le pergole, quando non v' agiugne clappie col suo pemiatuzzo. Non domandare s' ella ci e alzata tre braccia piu che quest' anno passato la neve ; ct io n' ho tanta havuta pel capo, e per gli occhi, che non sa se non a fare di me, come facemo in Miigello di pesci al salceto poi che furono morti. Et al tutto la mia buona diligenzia, la mia povera fatica in ricercare per ogni parte vocaboli accomodati al bisogno, per ritrovare V origine vero, andando personahnente, e perduta, e cassa, '^Moi f,iu non -uo cantar com? io solea^''^ &c. Se tu ci fiissi io farei mazze di sonetti come di ciriege in questo calendo di maggio. Io direi cose ch' el sole et la hma si fermarebbono, come a Josue, per udirle. Tuttavia n' o tra denti qualcuno per uscir fuori ; poi dico il niio Lorenzo non ci e, nel quale era veramente ogni mio refugio, et ogni speranza. Questo solo mi ripreme ; ma sia felice e presto il tuo tornare ch' io faro pure un tratto ridere il popolo tutto ; poi me n' andro in sul carre Delio ; et la mia patria sara dove Io stajo della farina valli pochi soldi, e dove s' infarinino i pesci, e funghi secchi, et le zucche, et non gl' huomini, &c. Vale

Ex M, S, in Pal, vet, FlorentiiS adservato,

Xobilissimo atque Optimo adolescenti Laureniio Medici Petri Filio tanquam fratri suaviscimo—Peregrinus AUius S, D.

Ne forte mireris hominem tibi deditissimum, in tuo a patria discessu, aniicorum ilia comnumia tibi minime prsstitisse, reddam, si ^potero, rationem per litteras, quas ne multum differam, facit incredibiie de- .siderium tui, pietasque in te nostra singularis. Ut

enim

APPENDIX. NO IX. 87

cnim ii quibus forte vulnera resecantur vultus aver- tunt, neque Medici manus aspicere patiuntur, sic ego cum a me dimidium mei separatur, JEqiiiore animo absens tui quam prxsens extitissem. Accessit et alia cura quam nos dicendam in aliud tempus aifferemus ; sed profecto hoc vero afiirmare possum, inter tot caia- mitates quibus me fortuna vehementer exercuit, nihil mihi hac nostra disjunctione, his annis accidisse mo- lestius. Neque tamen ego is sum ut aliquis forte putaret malignus alienee voluntatis interpres, qui ut mel muscze, cadavera corvi sequuntur, sic fcenerator amicitias proposita metiar utilitate ; sed tanta certe ob singulares virtutes tuas et mores ingenuos exarsit in nobis benevolentias magnitudo, ut sine te ab ipsa pene humanitate destituti esse videamur. Et jam tam brevi paucorum dierum intervallo, tam diu videmur suavis- sima consuetudine tua caruisse, ut quin, aliquid ad te demus litterarum quibus tecum quasi coram colloqua- mur, facere nullo modo possimus. Qui enim aliter desiderium nostrum fallamus, atque orbitatem nostram consolemur? Atque in hoc illud nobis deesse senti- mus, illud. requirimus, illud omnibus votis expetimus, jocundissimas sermonum tuorum per litteras vices, quze quidem si cogitationibus nostris accesserint, mul- tum erit profecto de nostro desiderio diminutum. Videbimur enim nobis et tecum esse, et vivas, ut ait Maro, audire et reddere voces. Quam quidem rem facere tu profecto debes ; sive ut amicitise satisfacias, sive ut hac exercitatione aliquam dicendi facultatem consequaris ; est enim, ut ait Cicero, optimus ac prse- stantissimus dicendi effector ac magister stilus : quern prsEcipue adolescentes intermittere nullo pacto debent ; Frequens namque a teneris anufs faciendum pericu-

lum,

88 APPENDIX. NO IX.

lum, atqiie altius agendze radices eoriim studiorum ex quibiis postea in provectiore setate maximam gratiani atqiie uberrimos friictus expectamus. Et quarum, ut inqiiit idem Cicero, laudum gloriam adamamus, quibus artibus ese laudes comparentur, in iis est potissimuni certe ab adolescentia laborandum. Usus prseterea et experientia omnibus in rebus dominatur, sine quibus profecto nedum res tarn ardua, tarn prseclara, sed ne minimse quidem et vilissimse artium perdiscuntur. Quod si ulla res est quae assidui usus ac sedulitatis in- diget, ea certe stilus est : qui ut frequenti exercitatione alitur, ita desuetudine obsolescit, atque intercidit. Neque solum in iis qui nondum jecerunt dicendi fun- damenta, sed et in iis qui multum in ea re perfecerunt, si intcrmittatur, scribendi languescit industria. Quare sive ob exercitationis utilitatem, sive ut amico tibi de- ditissimo rem gratam facias, scribe ad nos, quam scepis- sime, neve nos suavissima verborum tuorum vicissitudi- ne fraudes. Satis enim erit superque satis ejus aspectu carere, qui uno tantum obtutu (neque hoc te latet) ex maxima animi perturbatione ad summam tranquillitatem revocare potestatem habet. Vale et nos ama, nosque Gentili nostro commendato. Ex Florentia 4. Kalendas Novembris 1463.

NO X.

Ex Monum, Ang, Fabronii, Rex Siclliae Laurentio,

M.AGNIFICE vir amice noster carissime. Amava- move prima si per le virtute vostre, si per li meriti

paterni

APPENDIX. NO X. 89

paterni 8c aviti, ma nuovamente inteso con quanta pni- dentia virilita 8c animo vi siate portato in la reforma- tione del novo reggimento, £c quanta demonstratione habiate data de vui liberamente, havete tanto adiuncto all' amore ve portavamo, che e stata una moltiplicatione infinita. Congratulomene dunque al Magnifico Piero, che abbia ini si digno figliolo : congratulomene etiam al populo Fiorentino, che habia si notabile difensore de la sua libeita : 8c non mino ad nui medisimi, che abbiamo tale aniico, in lo quale la virtute con gli anni insiemc piglia ogne di manifestissimo augmento. Apparteneria forse ad nui excitarve ad le opere laudabili, ma la natura vostra generosa et prona ad le cose digne non ha bi- sogno de excitatore. Ultra di questo la memoria del vostro nobilissimo avo et lo exempio del patre, che havete avanti locchi, hanno in se tanta efficacia, che non rechedino exortatione ne conforto alcuno. Pur lamore, che ve portamo ne stringe a pregarve vogliate de continue producere tali fructi, quali havete comen- zato ad dare delle vostre digne opere con tanta laude de vui propri, gloria del vostro Magnifico Patre, 8c ex- pectatione de la vostra citta, 8c finalmente con lauda- bilissimo testimonio de Italia tutta, in notizia della quale e andata la virtu vostra. Seguitate dunque como havere comenzato, dando ogne di de' vui ali cit- tadini, Sc amici vostri maior speranza dela virtu pro- pria, 8c de haver ad esser digno successore della nota- bilissima casa vostra. Ad la qual cosa cosi como non ve mancano anche abundantemente, ve suppliscono tutte facultate ad cio necessarie, 8c de la cassa 8c de la cit- tate, cosi haverete etiam da lontano amici, che ve

da ran no

90 APPENDIX. NO X.

daranno vera & eifectuoso evidentia de vera & perfecta amicitia, inter li quali have^rete nui per precipui.

Datum in Castro novo Neapolis XXVIII. Sept. 1466.

Rex Ferdinandus.

- NO XI.

Lettera di Angela Acciajoli a Pietro Medici, Siena 17. Settembre 1466.

OPECTABILIS vir frater honorande. lo mi rido di quel ch' io veggio. Dio t' ha apparecchiato potermi cancellare tucte le ragioni che io ho teco, Sc non lo sai fare, e mi fu totla la patria 8c lo stato per tuo padre ; tu se' in termine che me lo puoi rendere : io 1' ajutai che non li fusse tolta la roba, ora e' tolgono a me & grani & certe miserie di masserizie ; tu me le puoi sal- vare ; non dormire piii in dimostrare che tu non vuoi essere ingrato ; io non dico questo per la roba, bench' io n' abbi bisogno, quanto io lo dico per rispetto tuo : raccomandomi a te.

Risjiosta di Pietro Medici ec, Firenze 22. Settembre 1466.

Magnifice eques tanquam pater honorande. II vostro ridere ha fatto che io non pianga, che pure avevo dispiacere di questa vostra fortuna. Ma voi usate el

vostro

APPENDIX. NO XI. 91

Tostro consueto senno, die in simili casi h necessario. La vostra colpa, come per altra mia ve ho detto e mani- festa & tale, che la mia o altra intercessione non giove- rebbe. lo di mia natura volentieri dimentico Sc a voi Sc a ciascun altro, che contro di me ha havuto animo inimico 8c hostile. lo ho dimesso ogni ingiuria; la Repubblica non puo e non debbe per lo exemplo cosi de leggiere perdonare, come voi sapete meglio di me, che solete di queste cose vedere assai, & in pubblico 8c in privato predicarle. Scrivete che fusti cacciato per moi padre, Sc per salvargli la roba ; ricordate gli ob- blighi. Non niego essere stato sempre grande amicitia la vostra con mio padre, 8c con noi altri, la quale se- condo ragione mi vi dovea fare figliuolo, come io sem- pre mi vi sono reputato. Fusti cacciato con mio padre, fusti eziandio richiamato con lui, come piacque alia Repubblica, che di noi ha piena ^ libera potentia, nee redo 1' amicitia nostra con voi vi sia stata danno o ver- gogna alcuna, come chiaro si dimostra, Sc forse che la ragione oblighi 8c benefizj fra noi batte, e resta piu del pari, che non vi pare secondo el vostro scrivere, benche io certamente sempre mi vi riputai obligato ; ma voi me avete, se bene examinate la coscientia vostra, assai disobligo ; nientedimeno voglio restarvi obligato in quanto appartiene a me privatamente, che la ingiuria publica non posso, ne voglio ne debbo perdonare, ed in privato dimenticare el tutto, Sc dimettere ogni ingiuria, Sc restare quel figliuolo che debbo essere in verso di voi tal padre.

92 APPENDIX. NO XII.

NO XII.

JRicordi dtl I'.IagniJico Lorenzo di Piero di Cosimo de* Medici,

Cavati da due fogli scritti di sua jiroiiria mano.

ESTRATTI DA UN CODICE DELLA PUBBLICA LIBRERIA MAG LI A EEC HI AN A.

E stamjiati net nuovo Liinario dclla ToscanadeW anno 1775.

NaRRAZIONE breve del corso di mia vita e d' alcune altre cose d' importaiiza degne di memoria per lume e informazione di chi succedera massimamante de' figli noslri cominciata questo di 15. Marzo 1472.

Trovo per libri di Piero nostro padre, che io nacqui a di primo di gennaio 1448, ed ebbe detto nostro padre di Maria Lucrezia di Francesco Tornabuoni nostra madre sette ligli, quattro, maschi, e tre femmine, dei quali res- tiaiTio al presente quattro due maschi e due femmine, cioe Giuliano mio fratello d' eta d' anni . . . ed io d' anni 24. e la Bianca donna di Guglielmo de' Pazzi, e laNannina donna di Bernardo Rucellaj.

Giovanni di Averardo, ovvero di Bicci dei Medici

nostro bisavolo trovo che mori a di 20. Febbraio 1428.

a ore 4. di notte senza voler far testamento, lascio il

valsente di Fiorini 178. mila 221. di suggello come appare

per un ricordo di mano di Cosimo nostro avolo a un suo

libro segreto di cuoio rosso a c. 7. visse detto Giovanni

anni 68.

Rimase

APPENDIX. NO XII. 93

Rimase di lui due fig*li cioe Cosimo nostro avolo allora d' eta d' anni 40. e Lorenzo suo fratello d' eta di' anni 30.

Di Lorenzo nacque Pier Francesco a di ... nel 1430. che al presente vive.

Di Cosimo nacque Piero nostro Padre a di . . e Gio- vanni nostro zio a di . . .

A di . . . di Settembre 1433. fu sostenuto in Palazzo Cosimo nostro avolo con pericolo di pena e supplicio capitale.

E a di 9. di Settembre confinato e relegato a Padova lui, e Lorenzo suo fratello, e a di 11. confermato per la Balia del 1433.

E a di 16. di Dicembre 1433. allargato di potere stare in tutte le terre de' Veneziani, non piu presso a Firenze che fusse Padova.

A di 29. di Settembre 1434. per il consiglio della Balia fu revocato nella Patria con grandissimo contento di tutta la Citta, e quasi di tutta Italia, dove poi visse insino all' ultimo de' suoi giorni Principale nel governo della nostra Repubblica.

Lorenzo de' Medici fratello di Cosimo nostro avolo passo da questa vita a di 20. di Settembre 1440. d' eta di anni 46. in circa a Careggi a ore 4. di notte senza voler fare testamento, resto suo unico Erede Pier Francesco, suo figlio e trovossi alia sua morte il valsente

VOL. III. o di

94 APPENDIX. NO XII.

di fiorini 235. mila 137. cli suggello come appare a detto libro segreto di Cosimo a c. 13. del qual valsente Cosimo sopradetto tenne a utile a beneiizio di detto Pier Frances- co figlio del detto Lorenzo, come di Piero, e Giovanni suoi figli insino che fu d' eta conveniente, come appare tutto particolarmente per i libri di detta Cosimo, dove e tenuto particolarmente conto di tutto.

A di . . . di Dicembre 1451. sendo detto Pier Fran- cesco in eta si divise da noi per lodo dato M. Marcello. degli Strozzi, e Al am anno Salviati, M. Carlo Marsup- pini, Bernardo de' Medici, Amerigo Cavalcanti, e Gio- vanni Serristori, per il qual lodo gli fu consegnato la meta di tutti e nostri beni grassamente dandoli il vantaggio, ed i migliori capi, e di tutto fu rogato Ser Antonio Pugi Notaro.

E nei medesimo tempo lo ritiro compagno per il terzo in tutti e nostri traffichi, dove ha avanzato piii di noi, per aver avuto manco spese.

Giovanno nostro zio sopradetto mori a di primo di Novembre 1463. nella nostra casa di Firenze senza fare testamento, perche non aveva figli ed era in potesta paterna, non di meno fu inessa ad esecuzjone interamente la sua ultima volonta, ebbe di Maria Gi- nevra degl' Alessandri un figliuolo chiamato Cosimo che moii di Novembre 1461. d' etd, di anni 9. in circa.

Cosimo nostro avoio uomo sapientissimo moii a Careggi a di primo di Agosto 1464. d' eta d' anni 76. in circa, molto lacerato dalia vecchiezza, e dalla gotta,

con

APPENDIX. NO XII. 95

con grandissimo clolore, non solamente cli noi, e di tutta la Citta, ma generalmente di tutta Italia perche fu uomo famosissimo ed ornato di molte singolari virtu, mori in grandissimo stato quanto Cittadino Fiorentino, di cui sia memoria, fu sepellito in San Lorenzo, non voile far testamento ne voile pompa funebre, nondi- meno tutti i Signori d' Italia mandarono ad onorarlo, e a condolersi della sua morte, e infra gli altri la Maesta del Re Luigi di Francia commisse fusse onorato della sua bandiera, die per rispetto di quanto aveva ordinato, di non voler pompa, non voile Piero nostro padre die si facesse.

Per decreto pubblico fu intitolato Pater Patriae, di die abbiamo in casa il privilegio o lettera patente.

Dopo la cui morte seguirono molte sedizioni nella Citta, specialmente fu perseguitato per invidia nostro padre, e noi non senza gran pericolo, e degli amici, e dello Stato, e facolta nostre. Da die iiacque il Parla- mento e novita del 1466. die furono relegati M. Agnolo Acdaiuoli, M. Dietisalvi, e Niccolo Soderini con altri, e riformossi lo Stato.

L' anno 1465. per la familiarita tenuta nostro avolo, e nostro padre con la casa di Francia, la Maesta del Re Luigi insigni e orno 1' Arme nostra di tre gigli d' oro nel campo azzurro, die portiamo al presente, di die abbiamo lettere patenti col suggello Reale pendente, die fu approvato, e confermato in Palazzo per 8. fave de' Priori.

L' anno

96 APPENDIX. NO XII.

L' jinno 1467. di Luglio ci venne il Duca Galeazzo di Milano cli' era in campo contro Bartolommeo da Bergamo in Roniag-na che vessava lo Stato nostro, e alloggio in casa nostra, che cosi voile, benche dalla Signoria gli fusse stato apparecchiato in Santa Maria Novella.

II medesimo anno 1467. circa il Febbraio, e Marzo, si compro Serezzana, o Serezzanello, e Castel-Nuovo da M. Lodovico, e M. Tommasino da Campo Fregosi per opera di Piero nostro padre, non ostante fussino nella guerre folta, e fecesi il pagamento a Siena per Frances- co S^ssetti nostro Ministro, e compagno in quel tempo degli Ufiziali del Monte.

lo Lorenzo tolsi Donna Clarice figliuola del Sig- nore lacopo Orsino, ovvero mi fu data, di Dicembre 1468. e feci le nozze in casa nostra a di 4. di Giugno 1469 trovomi di lei insino a oggi due figliuoli una fem- mina chiamata Lucrezia d' eta d' anni . . . e un maschio chiamato Piero di .... mesi, e lei gravida, Iddio ce li presti lungamente, e la guardi lungamente da ogni peri^ colo, sconciossi de' altri due figli maschi di mesi cinque in circa, e vissero infino al battesimo.

Di Luglio 1469. a richiesta dell' Illustrissimo Duca Galeazzo di Milano andai a Milano e gli tenni a batte- simo ii suo primogenito, chiamato Giovanni Galeazzo a nome di Piero nostro padre, dovi fui molto onorato, e piu ch' alcun' altro che vi fusse per si mil cosa, benche ve ne fussi de' piu degni assai di me, e per fare ii debito nostro donammo alia Duchessa una collano d'

APPENDIX. NO XII. 97

oro con un grosso Diamante die costo circa ducati tre mila. Donde e seguito ch' il prelato Signore ha Yoluto che battezzi tutti gli altri suoi figli.

Per eseguire e far' come gli altri giostrai in suUa piazza di Santa Croce con grande spesa, e gran sunto, nella quale trovo si spese circa fiorini 10. mila di sug- gello ; e benche d' anni, e di colpi non fussi molto strenue, mi fu giudicato il primo onore cioe un elmetto fornito d' ariento, con un marte per cimiero.

Piero nostro padre passo da questa vita alii 2. di Dicembre 1469. d eta di anni, . . . molto afflitto dalle gotte, non voile far testamento, ma fecesi 1' inventario, e trovammoci allora il valsente di fiorini dugento tren- tasette mila novecento ottanto nove, come appare a un libro verde grande di mia mano in carta di capretto a c. 31. Fu sepeliito in S. Lorenzo, e di continuo si fa la sua sepoltura, e di Gio. suo fratello, piu degna che sappiamo per mettervi ie ioro ossa. Iddio abbia avuto misericordia delle anime. Fu molto planto da tutta la Citta, perche era uomo intero, e di perfettissima bonta, e dai Signori d' Italia massimamente i principali fum- mo per lettere, e imbasciate, e condoglienze delia sua morte, e cosi offerito lo Stato Ioro per la nostiii difesa.

II secondo di dopo la sua morte quantunque io Lorenzo fussi molto giovane, cioe di anni 21. vennono a noi a casa i Principali delia Citta, e dello Stato, a do- lersi del caso, e confortarmi, che pigliassi la cura delia Citta, e dello Stato, come avevano fatto 1' Avolo, e il

padre

98 APPENDIX. NO XII.

padre mio, le qiiali cose per esser contro alia mia eta, di gran carico, e pericolo, mal volentieri accettai, e solo per conservazione degli amici e sostanze nostre, perche a Firenze si puo mal vivere senza lo Stato, delle quali infino a qui siamo riusciti con onore, e grazia, repu- tando tiitto, non da prudenza, ma per grazia di Dio, e per i buoni portamenti de' miei passati.

Gran somma di denari trovo abbiamo spesi dall' anno 1434. in qua, come appare per un quadernuccio in quarto da detto anno 1434 lino a tutto 1471. si vede somma incredibile, perche ascende a fiorini 663755, tra muraglie limosine, e gravezze senza '1 altre spese, di che non voglio dolermi, perche quantunque molti giu- dicassero averne una parte in borsa, io giudico essere gran lume alio Stato nostro e pajommi ben collocati, e ne sono molto ben contento.

Di Settembre 1471, fui eletto Imbasciatore a Roma per '1 incoronazione di Papa Sisto IV. dove fui molto onorato, e di quindi portai le due teste di marmo an- tiche delP Immagine di Augusto, e di Agrippa, le quali mi dono detto Papa, e piu portai la scodella nostra di Calcidonio intagliata con molti altri cammei, e medag- lie, che si comprarono allora fra le altre il Calcidonio.

APPENDIX. NO XIII. 99

NO XIIL

Ex Band. Sjiec, Lit. Flor. v, up. HI.

Christophori Landini Xandra^ Liber secundus, ad Petrmn Medicem.

JN OSTRI certa salus Medices, quo sospite, nunquam

Defuerunt sacrisp raemia virginibus, Quo Duce, Tyrrhenis deductum montibus Arnum

Praeferet Aoniis turba canora iugis. Publica si quando cessant tibi munera, 8c audes

Instaurare brevi seria longa ioco, Ne pudeat nostros percurrere Petre libellos,

Et nugas hilari fronte probare meas. Magnos magna decent, fateor : tamen haec quoque fessos,

Quae reparent animos, ne fugienda putes. Scipio nam quanlus cessit, cui punica virtus,

Fortia cum Lybici contudit arma Ducis. Hunc tamen in placido viderunt ocia ludo,

Ostrea Campano spargere lecta salo. Tristius in terris, quam Stoica dicta Catonis,

Nil Danai, Latii nil meruere viri, Hie tamen ad multam convivia ducere noctem.

Et solitus curas saepe levare mero. Sic Tu, quo magni populi flectuntur habenae,

Dum legis haec, sanctum pone supercilium. Saepe tibi -reditus, Petre, ad maiora dabuntur,

Si'reparas mentem, qua geris ilia, iocis.

Ad

100 APPENDIX. NO XIIL

Ad Petrum Medic cm,

Carminibiis nostris veniet tibi siqua voluptasy

Ut reieves animum carmina nostra lege. Quod si nee salibus poterunt, uUove lepore,

Te retinere Petre, tu tamen ilia leges. Sic Rex Peliacus quamvis non docta Poetae

Suscepit laeta carmina fronte tamen : Et magis officium studiosi movit amici,

Quod tardum vatis laeserat ingenium. Ergo non munus, sed dantis munera mentem

Inspice 1 sicque libens carmina nostra leges. Non tarn magnificus, non est qui maxima donat,

Quam qui parva libens sumere dona potest.

Ad Petrum Medicem de suis, is' Moecciiatis laudibus,

Pvrpureis semper vernent tibi busta rosetis,

Inque tuum tellus sit levis usque caput, Ulla nee Elysios passim celebrata per agros,

Quam tua Moecenas rideat umbra magis. Moecenas, inopes quondam miserate Poetas,

Moecenas Phoebi, Pieridumque decus, Te duee grandisonans consurgit in arma, virumque,

Olim qui denas vix cecinisset aves. Alter erat tenuis pauper praeconis alumnus,

Cuius erat Lalagen dicere posse labor, Hie ubi Campanos a te deductus in agros

Pauperiem verso sentit abire pede, Protinus heroum Lesboo carmine laudes,

Et superum cecinit dulcia furta Deum ;

- Nee

APPENDIX. NO XIII. 191

Nee mirum tristipulsis e pectore curis,

Libera si tantum mens agitabat opus. Seel nunc Moecenas Tyrrhenis alter in oris

Conspicitur, claris qui favet ingeniis. Vos modo sublimi vates eonsurgite versa,

Qui cupitis sacra cingere fronte caput. Sive Sophocle's libet haec cantare cothurnis,

Seu iuvat Aonii ludere more senis. Nam Medicum Fesulis stabunt dum fulta columnis

Atria magnanirais concelebrata viris, Nee vos materies, nee merces carminis unquam

Deseret, hoc virtus praestat utrumque Petri. Ille coiit musas, doctos colit ille Poetas,

Unquam nee merita laude earere sinit. Nam novit quaeeumque armis, quaecumque togata

Pace, gerant clari nobilitate viri, Ni fuerint magno Musarum fulta favore,

Tendere in aeternum non reditura situm. Ergo colit doctos, doctorum &: carmina vatum,

Quae sirit digna cani maxima facta gerit. Nusquam magnanimo gtnitus fortique parente,

In coeptis gravibus degener ipse fuit. Nam tantum emicuit iuvenili in pectore quondam

Consilium, quantum vix solet esse seni. Inque dies crevit virtus crescentibus annis,

Se,que tulit gradibus accumulata novis. Unde Sc maturo gravior cum cesserat aetas,

Non cuncta ex usu mens meliora facit. Quid mage jam sanctum, vei quid divinius unquam

Lydius Etrusca vidit in urbe Leo ? Ergo agite, o vates, sublimi insurgite versu,

Seu libeat natum dicere, sive patrem.

VOL. TIT. p lam

102 APPENDIX. NO XIII.

lam canite altlsono Medicum pia carmine facta. Quels servata salus saepe fuit patriae.

Et si vos patriae pietas tenet ulla parentis, lam Patriam, versa concelebrate novo.

NO XIV.

Ex Monum, Ang, Fabronii,

PrivUegiuin Ludovici XI, quo Mcdiceis concessit aurca Gallormn Regis Lilia in suorum stemmata inserere^ extat in Filza VI. di document! originali, cstque hujusmodi,

JL4OYS par la grace de Dieu Roy de France. Savoir fai- sons a tous presens Sc advenir. Que nous ayans en me- moire la grande louable £c recommandable renommee, que feu Cosme de' Medici a eue en son vivant en tous ses faits & affaires, les quels il a conduitz en si bonne vertu & prudence, que ses enfans Sc autres ses parens 8c amis en doivent estre recomm^andez & eslevez en tout honneur. Pour ces causes Sc en obtemperant a la supplication & requeste, qui faite nous etre de la partie de notre ames, Sc leal Conseilleur Pierre de Me- dici filz de dit feu Cosme de Medici, avons de notre certaine science, grace especial, plaine puissance Sc auctorite Royal octroye Sc octroyons par ces presentes

que le dit Pierre de Medici Sc ses heires 8c

successeurs nez £c a naistre en loyal mariage puissent doresenevant a tousjours perpetuellement avoir 8c por- ter en leurs armes trois fleurs de lis en la forme 8c ma- niere qu' elles sont ici portraictes . . . . Et Icelles

armes

APPENDIX. NO XIV. 103

armes leur avons donnees 8c donnons par ces dites presentes pour en user par tous les lieux & entre toutes les personnes que bon leur semblera & tant en temps de paix, que en temps de guerre sans que aucun em- peschement leur puisse etre mis ou donne ores ne poui les temps advenir en quelque maniere que ce faire au contraire. Et afin que ce soit chose ferme Sc stable ar tousjours nous avons fait mettre notre seel aux deux presentes sauf en autres choses notre droit, Sc 1' au- truy en toutes. Donne a Mont Lucon du moys de Mai r an de grace 1465. Sc de notre Regne le qua- triesme.

NO XV.

Ejc codice XLII. membranaceo in 8. Plutei XXXIX. Bibliothecae Mediceae iMurcntianae^ qui continet Ugo- lini Verird Flamjiiettam (pag. 41.) descriptum est «f- quens carmen eleglacum^ quod est XLII, Libri II,

Ad Lucretiam Donatam, ut amet Laurentium Medicem.

CrLORIA sis quamvis Tuscae, Lucretia, gentis,

Aequiparesque ipsas nobilitate Deas ; Nee tua Tyndaridi concedat forma Lacaenae,

Aethereo tantum fulget in ore decus ; Sis nive candidior, sis formosissima tota, Extet ut in toto pulchrius orbe nihil ; Sis facie insignis quamvis, & crine soluto Ipse tuis pulcher cedat Apollo comis.

Sidereas

104 APPENDIX. NO XV.

Sidereas quamvis vincant tiia lumina flammas,

Et tua sint astris aemula labra poli ; Vincat ebiir nitidum quamvis tua lactea cervix,

Et superent roseae punica mala geiiae ; Os minimum, dentesque pares candore micantes,

Et risum Juno vellet habere tuum ; Et Tyrio niveus perfusus rideat ostro

Vviltus, nativus sit color usque genis ; Et planae scapulae, nihil ut sit rectius ilHs,

Brachia non tacta candidiora nive ; Parva mamillarum niveo sit pectore forma^

Nee nimium pinguis, nee macileTita himis ; Tyrrhenas coUo superes tenus usqvie puellas,

Nullaque ad exiguos vertice menda pedes ; Et quamvis victae cedant tibi voce Syrenae,

Et Charites choreis, cedat & ipsa Venus ; Sit roseo vultu divina infusa venustas,

Fecerit ut manibus Jupiter ipse suis ; Incessusque tuos quamvis soror ipsa Tonantis,

Denique quidquid habes vellet habere tui ; Atque pudicitiae exemplar Lucretia cedat

Cujus habes nomen, moribus ilia tuis ; Et ouamvis omni penitus sis parte beata,

Ut te felicem quisque vocare queat ; Non tamen idcirco talem contemnere amantem

Debes, sed magis hie ultro petendus erat. Si te uivitiae capiunt ditissimus hie est.

Divitias moneo nulla puella velil. Divitiis periere viri, periere puellae,

Alcmeonis mater testis avara mihi est. Si te nobilitas titulis insignis avorum

Tanp-it, quis Mcdice est nobilitate prior?

Non

APPENDIX. NO XV. lOi

Non fuit in populo generosior iilla Quiritum

Stirps, neque tarn claris nobilitata viris. Si mores, si forma placet, juvenilis 8c aetas,

Judice te, juvenis, pulcber, Sc ipse probus. Quin age non alius tota praestantior urbe

Est juvenis, si non saevus adesset amor. Hunc quoque Castaliis Musae nutriere sub antris,

Et totum bunc fovit Calliopea sinu. Hunc, saeva, immiti patieris amore perire ?

Et quis te juvenis dignior alter erat? Hie te dilexit, salvo Donata pudore ;

Et famam laesit fabula nulla tuam.

NO XVI.

Invc7itiva cP una imjiositione di 7nio'ca gravczza^ per Lodovico Ghetii,

Tratta da testo a^fienna del Sccol. 27".

x\CCIO cbe e sottcposti del magnifico commune di Firenze, et alconi altri m2.1ivoli d' essa communita, et con doglenza e ramaricbi non usino andare dicendo ne infamando che essi, con infinita gravezza, e stensioni incomportabili, sieno rubati et discrti da essa commu- nita, in avere, ct in persona ; et con queste cose in- citando e capitani et e tyranni di Italia, alchuna volta muoversi et fare imprese di guerra contro alia nostra citta di Firenze, sperando di fare ribellioni negli ag- ravati popoli, (et advengha dio cbe questa loro speranza sempre insino al di doggi sia loro fallata, non resta percio che la difesa sia suta sanza danni et pericoli et

grande

106 APPENDIX. NO XVI.

grande spesa della detta citta e del suo paese,) et veduto che le terre d' Italia non sono atte a venire meno, ma di continuare, e crescere, et che la prefata nostra citta sia posta in sito che per salute della nostra liberta, quasi a tutte le predette guerre ci bisogni porre mano, et participare et riparare ; et che queste cose non si pos- sino fare sanza continova spesa, la quale come detto e di sopra, per molti si dice con grande doglenza non potersi sopportare, & che convenghono partirsi, le quali cose seguitando saria con grande danno, et biasi- mo, et pericolo della predetta nostra citta

Adunque e da vedere, poiche la spesa e necessaria per salute della liberta e stato di Firenze, se si puo porre questa gravezza in forma et in modo si ugual- mente, che voluntaria da tutti possa essere sopportata, sanza biasimo, o lamento d' alchuna persona.

E perche lo scriptore, avendo sopra di cio facta alcuna imaginatione, dilibera- dime il suo pensiero ; sempre siserbato migliore e piu giustificato modo.

Et dicho cosi, accioche ciaschuno participi general- mente alia detta gravezza, laquale conviene essere tanta che supplischa al bisogno del commune, che ella si pongha a perdere. Lo decimo, per stima, sopra tutti i fructi che frutta il terreno sottoposto al commune di Firenze, cioe sopra grano, et biade grosse, et minute, legume d' ogni ragione, lo decimo del vino, et sopra lo fiTitto del bestiame grosso, et minuto, dogni genera- tione, lo decimo dell olio, et lino, canape, safforano, guadij robbia, di legne da fuoco, di fitti lavorj, et lo

decimo

APPENDIX. NO XVI. lor

decimo di strame, di paschi d'erbe, et di fitti d' orti, et sopra la industria de detti che lavorano 1' orta.

Ancora lo decimo de' fitti di mulina, o pigioni di case, di botteghe, et d' alberghi, et popra ogni altra cosa che pagasse fitti e pigioni.

Ancora lo decimo sopra la rendita del monte.

Ancora lo decimo sopra e salari, e soldi degli uffi- ciali, dentro alia Citta, e di fuori, et di loro giudici, et cavallieri, et sopra la pensioni de Castellani, tanto quegli che vanno di fuori della jurisdizione del commune di Firenze, quanto a quegli della Citta et distretto ; eccettuati gP ufficj forestieri quali non sieno tenuti a decimo.

Ancora porre lo decimo sopra alia industria et gua- dagno delle sette maggiori arti, tanto di fuori della Citta et suggetti del commune, quanto dentro, et ancora sopra e salarj de' loro fattori grossi che avessono da Fl. 30 in su di salario, exceptuati quejli che lavorano di mano.

Similemente sopra lo decimo della industria et gu- adagno sopra questc delle quattordici minori arti, cosi di fuori come di dentro, et e loro fattori e lavoranti, sieno de loro prezzi e salarj franchi, concio sia cosa che lavorino di mano, e quasi sono tutte povere per- sone.

Et nota, che a tutti quanti questi decimi, verrieno a essere tenuti generalemente, ogni persona, tanto gli

ecclesiastic!,

108 APPENDIX. NO XVI.

ecclesiastici, come e laici, et simile gP assenti, e fores- tieri abitanti, conciosiacosachc ciascuno dessi possiede col favore del commune, et beneficio della pace, et della giustizia, et cosi debbono debitamente participare agi' affamii, et se pure alchuni cierici, o terre exenti si ric'dsassi, la via et el modo e per le ragioni sopra dette a fargli acceptare voluntariamente. >

Insino a qui, s' e detto di sopra, sopra a che sarebbe da mettere la impositione del decimo ; resta ora a di- cliiarare quanto gittasse.

Et intorno a questo che a me pare, et per alcuni intendenti si dicie, che la Citta di Firenze, col suo ter- ritorio, facci huoraeni ottanta mila di -guardia ; che se COS! fusse, che si presume sia, seguiterebbe secondo naturale ragione, che ogni huomo di guardia, compu- tata la sua persona, facessi 1' uiio per 1' alto cinque bo- che, tra femmine, et fanciulii, et vecchj ; che verreb- bono a moltiplicare boche a quattro cento migliaja.

Arebbesi ora a vedere queste boche quanto pane^ vino, olio, carne, vogliono 1' anno ; e per questa via si trovera quasi tutta la quantita de fructi, e quali, se non e qualche sterminata carestia, tutto eschono del territorio di Firenze, sicche appresso verro a dichiarare quanto^ vogliono le sopradette boche.

Dicho adunque che quattro cento milli- aja di boche, aiutante la pichola coUa grande, et el cittadino col contadino lavoratore, vu- ole Staja XIIII. per bocha V anno, che monterd lo graiio, dugento trenta due mil-

liaja

APPENDIX. NO XVI. 109

liaja di moggia, lo quale stimo a Fior

el moggio monta Fior 111,815

Et pur stimo che le dette boche, risto- rando 1' una 1' altra anchora del vino, avan- za oltre all' anno, quantunque a molti ne manchi, tutto arbitro che voglieno, Cogna CCC. m. lo quale stimo quello d' allungie con quello d' appresso, e buoni co' mezzani et manuali, che 1' uno per 1' altro vaglia Fio- rini tre e mezzo cioe Fl. 3i che monta a una miglione di Fiorini el decimo Fl. . . . 100,000

Et stimo che voglino sopra dette boche, tra per ardere e per mangiare, olio orcia cento migliaja, a fior 1^ 1' orcio, che monta lo decimo, fior 15,000

E perche della carne non posso fare ap- punto per molti rispetti, nel conto piglo questo ordine, che io stimo che nel territo- rio di Firenze sia pechore, fra mezzane, e basse, et grosse, et montanine, circa ad uno miglione, alle quali 1' una per 1' altra metto per decimo 21 fi. fra V agnello, lana, et cac- cio ; et nota che tanto metto alle minute, et basse, quanto alle grosse, considerato che le grosse anno piu spesa per I' andata di ma- remma et che monti questo decimo fior. . . .

Et stimo che nello detto territorio, tra

allevare a mano, et in selva, s' alievi porci

quaranti migliaja a quali si debba mettere,

cioe alii allevati a mano, et in casa, stimo

VOL. III. q_ sieno

110 APPENDIX. NO XVI.

sieno la meta grossi uno per porche, et agli della selva, considerato sta due anni a alle- varsi, pure uno grosso per anno ; inontino a e decimi in tutto, ridotti in somma fior. 2509

A quegli che allevano e porci temporili, per rivendere, non gli metto per carne, ma per industria allerte inanzi.

Ancora stinio, che fra vache, bufoli, et cavalle, sia che figlino nel territorio di Firen- ze, capi ventimila, e piu ; alle quali per lo decimo del fructo, metto uno quarto di fior. per capo, che monta fior 5000

Ancora stimo che oltre alle sopradette boche sia nella citta, contado, et distretto di Firenze tra cortegiani, soldati a cavallo, et a pie, et marinai, et viandanti, et inendicanti, et altri forestieri, circa a boche XX m. le quali voglono molto piu roba che I' ordinarie boche ; stimo voglono 1' uno per 1' altro fior. XII. per uno, tra pane, vino, et carne, et oglo, che monti fior. 240,000 lo decimo sie fior 24,000

Ancora fo, oltre al nostro bisogno, for- nite tutte le sopradette boche, per uno anno che e detto, che avanzi sopra la spesa, grano per quattro me si, che sarebbe alia ragione detta moggi ottanta mila di grano, lo decimo sarebbe otto mila chea fior. 5i per moggio

sono fior 44,000

Ancora

APPENDIX. NO XVI. Ill

Ancora slimo che in Firenze, e nel paese, fra cortigiani, et soklati, et di cittadini, muli, cavagli, somieri da soma, circa a venti quat- tro migliaja, cioe che mangino biada, le quali stimo V una per 1' altra mangino i di stajo el di\ che monta P anno circa a cin- quanta migliaja di moggia di biada grossa, che lo decimo sarebbe moggia 5000 a fiorini due et mezzo 1' uno anno per 1' altro el moggio, monta fior 12,500

Ancora lo decimo del miglo, et saggina, e panicho, che stimo montera meglo che fior. 3000

Ancora lo decimo di fave, ceci, e d' altri lagumi fructi meglio che fior 2000

Ancora lo decimo del lino, canape, gua- di, robbia, zafferano, e fitti d' orti, fior. 3000

Ancora lo decimo di legname da edificj et d' altri lavori, e di quello da ardere fior. 3000

Ancora lo decimo di strame, paglia, fie- no, e paschi di montagne, e di marina, fior. 5000

Ancora lo decimo delle selve che si ven- dono, et ghiande, e lo decimo delle castagne, fior 1000

Ancora stimo, che oltre al olio che e stimato adrieto, che bisogna per nostro uso.

112

APPENDIX. NO yVI.

si tragha et consumi in arte di lana, che si fa nella citta, e distretto, oltre accio, quelle che avanza oltre al nostro uso, in tutto orcia sexanta migliaja che naonte a fior. li 1' orcio fior. novanta migUaja lo decimo, fior. .

9000

Ancora stimo secondo lo macinato che voglono le boche in fitti de' Mulini coUo decimo che guadagna il mugnaio, frutti a decimo tra el padrone et el mugnaio pre- detto, fior. cinquanta mila

5000

Ancora credo e tengho, che fmcti la pigione delle case et di botteghe, et d' al- berghi di Firenze, et del suo territorio, e distretto, lo decimo fior

5000

Ancora credo che frutti lo decimo de' salarj de capitani, vicarj, et podesta, e de loro giudici et cavalierj, e castellani, 1' anno che sono uficj etiandio lo salario de gli ufici di dentro fior

5000

Ancora lo decimo della rendita del monte, chosi come detto abbiamo di interessi, cioe fior. dugento migliaja fior. ......

20,000

Ancora lo decimo della industria delle sette maggiori arti, e lo decimo de salarj de fattori loro fior.

50,000

Ancora

APPENDIX. NO XVI. 113

Ancora la industria delle qualtordici minori arti, lo decimo fior. venticinque migliaj^. 25,000

Somma in tutto, fior. . . . 475,815

Nota che io stimo per molti membri che anno le supradette arti, et maxime le minori, che si stendono nello distretto di fuori in grande numero, et sia molto maggioi-e quantita, che io non disegno di sopra.

Ora qui e una difficulta contraria a questo disegno, cioe che nel sopradetto disegno se a d' inchiudere lo decimo della meta di fructi a lavaratori che lavorano a mezzo, e quali essendo gravati di soldi tre di stimo per testa, non potrebbono sopportare ancora lo decimo.

A questo si dice non volendo guastare el numero delle taxxe, in che entrano el sopradette soldi tre per testa, et cogli dettl lavaratorj. Et nota che se del sala- rio non fusse excettuato persona, et da altri non fus- sino e riagravati piu che non potessono computare che si piglasse della sopradetta somma del decimo, tanto che si pagassi pegli detti contadini, la loro taxa, salvo et riservato a quegli che anno et lavorano lo terreno pro- prio, sicche sbattuta la quantita che tocha a detti lava- ratorj, et ancora a quello bischonto di non essere si grassa 1' entrata del decimo come si disegna, che la detta somma resterebbe in su quattro cento migliaja netti di fiorini 400,000.

Et accio che questo decimo piu pienamente gittasse le sopradetti quantita di fiorini, credo che sarebbe buo-

no

114 APPENDIX. NO XVI.

no providemento di fare per le genti che a ciascuno persona habitante a Pisa o nel paese, fusse lecito di lavorare in ciascuno terreno sodo di quello di Pisa> sanza alchuna contraditione di padroni o d' altri, pa- gando egli a padroni de terreni 1' usato convenevole araticho, et lavorando egli con quattro bestie, o bovine, o buffoline, o cavalline, et da indi in su potessi trarre per mare o per terra, la meta de grani o biade ricoglessi, pagando V usata tracta, con questo inteso, che el grano non passasse a Firenze, soldi venti lo stajo, et passando non si posse trarre.

Seguiteranne che gli abitanti forestieri cresceranno a Pisa et nel contado ; et miglioreranno le gabelle per la tracta, et entreranno danarj assai contanti di fores- tieri in paese, pero che gnuna cosa che empia di danari piu maneschi uno paese quanto fa chi a a vendere grano. Ancora ne seguitera che sempre Pisa sara for- nita per quello restera che sara grande quantita di grano.

Ancora e da notare, che chi paghasse a ragione di lior. 5 |- lo moggio del grano, per la sopradetta imposi- tione del decimo, sara per questo necessario per la via della tratta, mantenere el grano in su soldi xx lo stajo, perche se valessi sol x per pagare lo detto decimo gli converrebbe vendere 2 stajo di grano per fare soldi xx, et a questo modo arebbe a pagare due decimi et cosi dell' olio et del vino. Non credo si potessi fare salvo, se non per una via cioe in tenerlo in su lior 5 I ; questo tengho in me per ora.

Avete veduto come il mio disegno delle impositione del decimo soprastato gitterebbe fior. 400,000 o piii, e

quali

APPENDIX. NO XVI. 115

quali si vorebbono per piu habilita pagare in tre ter- mine, et questo e che quella parte che tochassi a lavora- tori d' altrui, gP osti loro ne fussono tenuti, accio che in su la ricolta la rechassono al loco, sicche questa sus- tanza rimanessi a 1' oste e pagassi P oste se detto lavo- ratore eon pagasse al tempo.

De detti fiorini cccc. m. a chiarire per sperienza ciascuna persona che non cl. m. di fiorini P anno, si puo mantenare et contentere cavagli 4000, fanti, 1000 (a), siche abbi ad avvanzare della quantita fior ccL. m. e cosi con quegli si puo sdebitare el debito del monte, e poi resterebbono le rendite et el comune libero, colle quali si potra fare e mantenere piu gente bisog- nando. Et non sara di bisogno ne prestanza, ne bal- zello. Et sarebbesi fuori d' una grande pistolenza e malattia. Et seguiterebbe che ci ritornerebbe assai cittadini. Et molti danari uscirebbono fuori per ogni via. L' arti, el popolo, el paese, multiplicherebbe, e crescerebbe la riputatione, e non si direbbe pe' nostri vicini che fussimo falliti et in piegha. Et e tiranni non farebbono pensiero affare si leggiermente guerra, colle loro false speranze.

ia) Piutosto, Cavagli looo. Fanti 4000.

116 APPENDIX. NO XVII.

NO XVII. Ex Otier, Ang, Politiani, Ed, Jldi, 1498. Ad Lauren, Medlcem,

t/UM referam attonito Medices tibi carmina plectro,

Ingeniumque tibi serviat omiie meum, Quod tegor attrita ridet plebecula veste,

Tegmina quod pedibus sunt recutita meis ; Quod digitos caligas disrupto carcere nudos

Permittunt cselo liberiore frui ; Intimabombycuni vacua est quod stamine vestis,

Sectaque de cxsa vincula fallit ove ; Rid^t, et ignavum sic me putat esse poetam,

Nee placuisse animo carmina nostra tuo. Tu contra effusas toto sic pectore laudes

Ingeris, ut libris sit data palma meis ; Hoc tibi si credi cupis, et cohibere popellum,

Laurenti, vestes jam mihi mitte tuas.

Ad eitndem^ gratiarum actio,

Dum cupio ingentes numero tibi solvere grates,

Laurenti, a^tatis gloria prima tux, Excita jamdudum longo mihi murmure tandem

Astitit arguta Calliopeia lyra ; Astitit, inque meo preciosas corpore vestes

Ut vidit, pavidum rettulit inde pedem ; Nee potuit culti faciem dea nosse poetse,

Corporaque in Tyrio conspicienda sinu :

Si

APPENDIX. NO XVII. 117

Si minus ergo tibi meritas ago carmine grates, Frustrata est calammn Diva vocata meum ;

Mox tibi siiblato modulabor pectine versus, Cultibus assuerit cum mea musa novis.

NO XVIII. Aloysius Laurentio de^ Medicis,

JVlAGNIFICE vir affinis noster carissime. Non pos- sumus non laetari summopere, cum bene valere vos Sc vestra omnia bene esse sentimus. Redivit nuper ad nos e Roma, dilectus consiliarius noster magister Lu- dovicus de Ambasia, qui cum iter per Florentiam fecerit, abunde retulit prospera vobis omnia succedere, quod profecto nobis admodum voluptati fuit : addidit- que quantum a vobis perhumaniter exceptus fuerit, quamve interrogatus diligenter &: summo cordis affectu de his quae nostra sunt, Sc nostra & regni nostri com- moda concernunt. Quod etsi factum sciamus non praeter solitum, habemus tamen, quas possumus, gra- tias ingentiores praestantiae vestrae, quae ita omni tempore solicitam se praebeat rerum nostrarum, quas sibi Sc amicis cordi non dubitamus, tametsi quis hor- tatus fuerit nos, ut rem majori experimento compro- baremus : sed sinentes eum in sua sententia credimus contrarium, Sc nobis Sc vobis notum satis, experientia docente. De vobis erga nos integram illam servabi- mus opinionem, quam gessimus semper, Sc verba Sc rerum efFectus comprobarunt.

VOL. III. R Caetej'um

118 APPENDIX. XVIII.

Caeterum facit ilia, quam semper erga nos ges- sistis, benevolent! a, ut quae nostra intersunt libenter vobisciim communicemus. Relatum fuit nobis supe- rioribus mensibiis Regem Ferdinandum tractasse, ut filia sua Primogenita matrimonio jungeretur moderno Duci Subaudiae, cum dote trecentum millium ducato- rum, sed rem adhuc esse imperfectam : ex quo mente revolventibus nobis quid potius bono Sc commodo ipsius Regis 8c nostro conveniret, illud videtur potis- simum, ut invicem nos 8c ilium ligaret aliquod matri- monii vinculum : quocirca in banc sententiam 8c deli- berationem venimus, quod contenti essemus, quod filia sua Delphino Viennensi primogenito nostro nuberet : quod per vos eidem Regi notum fieri vellemus, 8c fieri inde certiores de mente sua circa hoc, 8c si negocium aggredi intendit, quam dotem fiiiae se daturum dicet ; quamvis ab ipso potius quam dotis summam quantita- tem, cujus rei loco 8c tempore vestroniet verbo stabi- mus, veram amicitiam 8c confederationem perpetuam expeteremus, quae sibi contra quoscumque inimicos suos ac praesertim contra domum Andegavensem, quae nobis etiam infida fuit 8c est, adjumento 8c favori erit. Speramus etiam, quod hac conventione mediante Rex ipse contra Regem Ara,gonum nobis praestabit aux- ilium Sc favorem, 8c amicus erit amicis nostris, 8c inimi- cus inimicis. Quae omnia nobis aperienda duximus his nostris tantum, ut quamprimum habita communicatione horum omnium cum Rege ipso, vestro medio, aut illo- rum, quibus onus per vos demandatum erit, quantoci- us fieri poterit, certiores fiamus de his, quae intendit 8c sentit Rex ipse super haec, quae si Majestati suae con- venire videbuntur, ut executioni mandentur, dabit^r opera, 8c Oratores nostros Florentiam mittemus ve! m

regi vim

APPENDIX. NO XVIII. 119

regnum suum pro conclusione terminanda, qua habita, poterit 8c ipse suos transmittere ad nos visum filium nostrum primogenitum, & ad alia exequenda quae oc- currunt. Et gratum esset quod tarn pro his, quam pro aliis nonnullis negociis, quae nobiscum communi- canda saepe veniunt, ad nos aliquem ex vestris mitte- retis, qui saltern certo tempore apud nos esset, qui ha- bebit opportunitatem adeundi Sc redeundi. Sed hunc vellemus praemonitum, ne alicui se commiltat ex Magnatibus & Dominis de sanguine nostro, sed nobis tantum. Postremo quae oblectant non omittemus. Rogamus igitur vos, ut aliquem canem ex vestris a vobis dono habeamus, St etiamsi vmum mittatis, satis erit, dummodo pulcher sit Sc magnus, quern apud per- sonam nostram Sc cameram servari faciemus. Scrip- turn Ambasiae decima nona die mensis Junii 14T3.

NO XIX.

Ferdinandus Rex Siciliae JLaurcntio dt' Medicis*

JVIaGNIFICE vir amice noster carissmie. Etsi tanto in nos amore esse jampridem vos intellexerimus, ut nulla praeterea testificatione opus sit, quin exaltatio- nem nostri status Sc nominis semper optaveritis, tamen litterae eae quas nuperrime accepimus, Sc ea quae Augustinus Biliottus retulit, ita nobis amorem ipsum significarunt, ut omnino difficillimum nunc quidem videatur judicare, utrum ab Alfonso ipso filio nostro magis vel amemur 'vel veneremur, quam a Laurentio,

qui

no APPENDIX. No XIX.

qui & amantissimus nostri est, Sc officii plenissimus. Facitis itaque, ut amicum amicissimum decet, qui nobis conditionem proponatis, quae honori &. commo' do nostro factura sit maximam aGcessionem, dum foe- dus feriendum, Sc iniendam esse affinitatem cum Rege Maximo Francorum, dandamque filiam nostram filio ■ejus primogenito uxorem suadetis, ut . ipse suis ad vos litteris scribit. Qua de re nos vobis debere profite- mur, quantum ut cupimus persolvere, ita posse opta- nius. Sed ut meam mentem aliquando intelligatis, esset sane nobis non modo gratum, sed optatissimum etiam cum Rege ipso foedus percutere, inireque affini- tatem, quem ut nobilissimo genere, ita amplissimo regno, primum esse in toto orbe, non ignoramus. Sed quando iis conditionibus res ipsa proponitur, quam cum integritate honoris nostri accipere nullo modo possumus, caussa est cur molestissime feramus. Etenim non modo adversus Serenissimum Regem Ara- gonum patruum nostrum nos unquam colligare, sed ipsi deesse tarn iniquum putamus, ut prius mori sta- tuamus, quam id simus facturi, vel quod ita ejus in nos beneficia postulant, vel quod pietas nostra in ilium tanta est, ut nobis ipsis deesse, quam illi aequius pute- mus ; neque movere nos debet, quod Rex ipse poUice- tur, si conditionem acceperimus, futurum se hostem familiae Andegavensis. Ille enim jure optimo & posset Sc deberet id facere propter Andegavensium ipsorvnn perndiam, eorumdemque in euni inimicitias. At ego immanitate ac potius feritate adductus videbor, si patruo defuero, cum adesse saltern ratione familiae, quando cetera arctiora vincula deessent, semper de- bebo, nisi is esse voluerim, qui meis desira, ut adsim externis. Quamobrem quod ad iniendam affinitatem,

foedus-

APPENDIX. NO XIX. 121

foedusque Rex ipse paciscitur, ut ego patruo meo ad- verser atque sibi foveam, aequius sanctiusque fuisset, si se affinitatis ipsius gratia fautorum mecum patruo meo dixisset ; visiisque esset cum pro sua humanitate agere, turn affinitatem. hanc faniiliae meae commodo potius quam ejusdem incomniodo desiderare, et ho- noris mei habere rationem. Impedit etiam haec non minus ictum foedus &c societas, quae nobis est cum Illmo Burgundiae Duce, quam ut optatissimum fuit inire, ita nunc tueri esse debet jucundissimum. Ex quo fit ut nisi Rex ipse cum illo etiam Principe in pace victurus sit, perducere quo velle se ostendit nego- tium non potuerimus. Ita enim aequitatis amatores, fidei nostrae observatores sumus, ut hanc omnibus nostris commodis prueponamus. Honorem autem nos- trum tanti facimus, ut non modo res caeteras, verum etiam regnum universum nostrum ammittere, Sc ca- pitis subire periculum malimus, quam ex eo ipso ho- nore quidquid imminui patiamur. Verum si Rex ipse facturus est, quod ejus ahoqui humanitatis officium fuerit, ut neque in patruum nostrum, neque in Du- cem, amicum socium Sc fratrem bellum sit habiturus, sed vires suas in fidei hostes versurus, ex quibus glo- riam atque triumphum honestius possit referre, non modo affinitatem societatemque annuemus, sed pollice- bimur nos omnia facturos, quae vei honori, vel com- modo ei futura intelligamus. Neque vero Regi ipsi aegre ferendum est, si fidem datam honoremque ac fa- miliae nostrae imperium non minui aut labefactari ve- limus : quandoquidem si aliter faceremus, neque ipsi in nobis spem reponere, aut fidem habere conveniens foret, quem^ scimus etiam non ignorare gerenda esse bella in eos, a quibus injuriam acceperit. Nos p.utem

qua

122 APPENDIX. NO XIX.

qua injuria provocemur, aut ab rege patruo nostro, aut ab Illmo Burgundiae Duce, quis est qui ignoret ? Quod si regnum ipse habere potest tranquillum & otio- sum, simul Deo immortali gratias agere, eumdemque precari, ut tale semper habere liceat, simul eo conten- tus esse debet ; ne si aliud appetat, non suum, violare jus videatur humanae societatis. Quamobrem suadere vos Regi poteritis honestissimas conditiones, quas si accepturus est, accipiemus nos quas ille nobis proponit. Proinde date operam, ut persuadeatis, ita enim nos vobis obligaveritis, ut qui nunc magnum quoddam vobis debemus, infinitum simus debituri. Reliquum est, si quid vestra caussa efficere possumus, licet utamini facul- tate nostra, quoad nostrae vires patientur. Datum in Castello Novo Neapolis die IX. Augusti 1473.

NO XX.

Marsilius Ficinus Flor, Martino Uranio Amico Vnico S,

WlHIL a me justius postulare poteras, quam quod per loannem Straeler congermanum tuum, iam saepe requiris, amicorum videlicet nostrorum catalogum, non ex quovis commercio, vel contubernio confluentium, sed in ipsa duntaxat liberalium disciplinarum commu- nione convenientium. Quum enim absque amicorum meorum praesentia esse nusquam aut debeam, aut velim, ipseque sim, non in Italia solum in me ipso, sed in te etiam in Germania, merito amicos hie meos, istic etiam mihi adesse desidero. Omnes quidem in- genio, moribusque probatos esse scito: nullos enim

habere

APPENDIX. N<^ XX. 12S

habere umquam amicos statui, nisi quos judicaverim litteras, una cum honestate morum, quasi cum love Mercurium, conjunxisse. Plato enim noster in epis- tolis, integritatem vitae veram inquit esse Philosophi- am ; litteras autem, quasi externum Philosophiae nun- cupat ornamentum. Idem in epistolis ait, philosophi- cam communionem, omni alia non solum benevolentia, sed etiam necessitudine praestantiorem stabilioremque existere. Sed ut mox veniam ad catalogum, cunctos summatim amicos ita laudatos accipito. At si pro- prias cujusque laudes slngulatim narrare voluero, opus inceptavero longe proiixum -, si quos practermisero, non aeque laudatos, pre us invidiosum. Omnino vero absurdum fuerit, si di. i amicos ordine disponere tento, interim comparationibus omnia perturbavero, odium pro benevolentia postrem.o reportans. Primum suminuinque inter amicos locum patroni nostri Me- dices jure optimo sibi vindicant. Magnus Cosmus, gemini Cosmi filii, viri pra.estantes, Petrus, atque Joannes, gemini quoque Petri nati, magnus Lauren- tius, et inclitus lulianus ; tres Laurentii liberi, mag- nanimus Petrus, loannes Cardinalis plurimum vene- randus, lulianus egregia indole praeditus. Ac ne in longum singulorum laudes prosequar, una Medices omnes communi laude complectar ; Genus heroicum. Praeter Patronos, duo sunt nobis amicorum genera. Alii enim, non auditores quidem omnes, nee omnino discipuli, sed consuetudine familiares, ut ita loquar, confabulatores, atque ultro citroque consiliorum, dis- cipiinarumque liberalium communicatof-es. Alii au- tem, praeter hos quos dixi, nos quandoque legentes, et quasi docentes audiverunt, esti ipsi quidem quasi discipuli, non tamen revera discipuli ; non enim tan-

tum

124 APPENDIX. NO XX.

turn mi hi adrogo, ut docuerim aliquos, aut doceam, sed Socratico potius more sciscitor omnes atque hortor, foecundaque familiarium meorum ingenia, ad partum adsidue provoco. In primo genere sunt Naldus Nal- dius, a tenera statim aetate mihi familiaris ; post hmic in adolescentia nostra Peregrinus Allius, Christophorus Landinus, Baptista Leo Albertus, Petrus Pactius, Be- nedictus Accoltus Arretinus, Bartolomaeus Valor, Antonius Canisianus ; paullo post lo. Cavalcantes, Dominicus Galectus, Antonius Calderinus, Hierony- mus Rossius, Amerigus et Thomas, ambo Bencii, Cherubinus Quarqualius Geminianenses, Antonius Seraphicus, Michael Mercatus, ambo Miniatenses, Franciscus Bandinus, Laurentius Lippius Collensis, Bernardus Nuthius, Comandus, Baccius Ugolinus, Petrus Fannius Presbyter. Horum plurimi, exceptis Landino, et Baptista Leone, et Benedicto Accolto, primas lectiones nostras nonnumquam audiverunt. In aetate vero mea jam matura familiares, non auditores Antonius Allius, Ricciardus Anglariensis, Bartolo- maeus Platina, Oliverius Arduinus, Sebastianus Sal- vinus Amitinus noster, Laurentius Bonincontrius, Benedictus Biliottus, Georgius Ant. Vespuccius, lo. Baptista Boninsegnius, Demetrius Byzantius, lo. Vic- torius Soderinus, Angelus Politianus, Pierleonus Spo- letinus, lo. Picus Miranduia. In secundo genere, id est in ordine auditorum, sunt Carolus IVIarsuppinus ; Petri quinque, Nerus, Guicciardinus, Soderinus, Com- pagnius, Parentus ; Philippi duo, Valor scilicet et Car- duccius ; loannes quattuor, Canacius, Necius, Guic- ciardinus, Rosatus ; Bernard! quattuor, Victorius, Medices, Canisianus, Micheloctius ; Francisci quat- tuor, Berlingherius, Rimicinus, Gaddus, Petrasancta ;

Amerigus

APPENDIX. NO XXI. 125

Amcrigus Cursiniis, Antonius Lanfredinus, Blndaccius Ricasulaiuis, Alamannus Donatus, Nicolaus Micheloc- tiiis, Matthaeus Rabbatta, Alexander Albitius, Fortuna Ebraeus, Sebastianus Presbyter, Angelus Carduccius, Andreas Cursus, Alexander Borsius, Blasius Bibienius, Franc. Diaccetus, Nicolaus Valor.

NO XXI.

ANGELI POLITIANI CONJURATIONIS PACTI- AN^ ANNI M.CCCC. LXXVIII. COMMENT ARI- UM.

Jiixta Edit, Joannis Adimari ex Marchionibus Bumbce, JVeajiGli, 1769.

Jr ACTIANAM conjurationem paucis describere insti- tuo ; nam id in primis rnemorabile facinus tempestate mea accidit, parumqne abfuit, quin Fiorentinam omnem Rempubiicam penitus everteret.

Cum is igitur esset ejus Urbis status, ut omnes boni a Laurentio, 8c Juliano fratribus, reliquaque Me- dicum familia starent ; Pactiorum una gens, ac Salvi- atorum. nonnulli coepere praesentibus rebus clam primo, mox etiam palam adversari. Invidebant enim Medicae familiae ; ejusque summam nostra in Repub- lica auctoritatem, Sc privatum decus, quantum in eis esset, obterebant.

Erat Pactiorum familia civibus, plebique juxta

invisa : nam, praeterquam quod avarissimi essent om-

voL. in. s nes,

126 APPENDIX. NO XXI.

nes, neqiie eorum contumax, atque insolens ingenium satis aequo animo tolerari poterat : ejus familiae prin- ceps Jacobus Pactius Equestris ordinis vir, diem noc- temque aleae vacabat ; sicubi male jactus caderet, Deos, atque homines diris agebat : nonnunquam vero & alveolum tesserarium, aut quod aliud irato offerre- tur, temere in proximum quemque jaculabatur : saepe Sc ad ipsum alveolum furiosi instar frontem allidebat. Ipse pallidus, &c exanguis, caput jactare semper, 8c quod levitatis maximum foret argumentum, nunquam ore, nunquam oculis, nunquam manibus consistere. Duo in homine ingentia vitia, eaque, quod mirum esset, maxime inter se contraria eminebant : multa avaritia, multa ambitio. Domum paternam magnifice exstructam a fundamentis diruit : novam exaedificare adgressus est ; mercenarias ibi operas conducere soli- tus, neque tamen integrum solvere ; pauperculosque homines misere sibi vix manuum mercede in diem vic- tum parantes defraudabat ; quare omnibus erat invisus. Non ipse, non ejus majores gratiosi populo unquam fuerant. Erat praeterea sine legitima prole : quaprop- ter Sc a suis necessariis, quippe qui hereditatem hominis captarent, praetor caeteros colebatur. Incuria in ho- mine maxima, maximaque rei familiaris negligentia : cumque hi essent hominis mores, facile rem facturus videbatur, quod ipsi ad maturandum facinus calcar maximum, facesque subdidit. Non enim sperabat homo insolens, Sc ambitiosus decoctoris ignominiam non iniquissimo se iaturum animo : studebat itaque uno incendio sese, suamque omnern patriam concre- mare.

Franciscus

APPENDIX. NO XXI. 127

Franciscus autem Salviatus homo repente fortuna- tus, quippe qui Pisanum haucl multo antea Archlepis- copatum esset adeptus, vix ipse sese, suamque fortunam capiens, coeperat, supra quam dici potest, secundis rebus, insolescere ; nihilque non sibi de sese, suaque fortuna polliceri. Is Franciscus homo fuit (id quod Dii, atque homines sciunt) omnis divini, atque humani juris ignarus, & contemptor; omnibus flagitiis, Sc faci- noribus coopertus ; luxuria perditus, and lenociniis infa- mis. ' Aleae Sc ipse studiosissimus : maximus praeterea adulator : multae levitatis, ac vanitatis : idem audax promptus, callidus, & impudens ; Quibus artibus (adeo fortunam nihil puduit) 8c Archiepiscopatum est adeptus' & coelum ipsum votis captabat.

Hie una cum Francisco Pactio, quod propter insi- tam animo vanitatem ingentes spes sibi proposuerat, consilium Laurentii, ac Juliani necandi, occupandaeque Reipublicae multo antea Romae dicitur agitasse. Tan- dem in suburbana Jacobi Pactii Villa, quod Montug- hium dicitur, una omnis factio in facinus conjurant. Ejus conjurationis formulam Salviatus ipse praescribit. Franciscus ex Antonio Jacobi fratre erat natus, qui cum contumacis homo ingenii esset, magnos sibi spi- ritus, magnam arrogantiam sumpserat. Mirifice indig- nari praeferri sibi Medicam familiam : semper Lau- rentio, semper Juliano obtrectare ; eosque passim tra- ducere : nulli maledicto parcere, nullis contumeliis, ni- hil pensi habere, dum illis, quantum in se esset, inju- riam faceret. Romae plurimum ad nummariam ipsam Pactiorum mensam aetatem agere : nam Florentiae ni- hili suam esse auctoritatem sentiebat, propter earn, quam sibi Medices germani pietate, & bonis moribus

vendi-

128 APPENDIX. NO XXI.

vendicarant. Erat autem Sc ipse (id quod Pactiis omnibus peculiare fuit) supra quam dici potest, ad excandescentiam proclivis. Statura fuit brevi, gracili corpusculo, colore sublivido, Candida coma, cujus & in cultu nimium ferebatur occupatus. Is vero ejus cor- poris, vultusque habitus, ii gestus erant, ut facile intel- ligeres hominis incredibilem insolentiam, quam tamen ipse primis maxime congressibus magnopere obtegere conabatur. Neque id satis ex sententia succedebat. Sanguinarius praeterea homo erat, 8c qui, dum renm quamcunque ipse animo volveret, expeditum iret, nul- loque honestatis, nuUo religionis, nullo famae, aut no- minis respectu detineretur.

Jacobus dein Salviatus homo ad captandos homi- num animos maxime factus, semper iis arridere modis omnibus, laute omnes accipere, scortis, 8c comessatio- nibus intentus agere : mercaturae tamen studiosus, 8c gnarus ferebatur.

In his erat 8c Jacobus tertius, Pogii illius eloquen- tissimi viri filius. Hie 8c ob angustiam rei familiaris, aesque alienum, quod grande conflaverat, 8c ob inge- nitam quandam sibi vanitatem, rerum novarum cupidus erat. Ejus praecipua in maledicendo virtus, in qua vel patrem maledicentissimum referebat. Semper ille aut Principes insectari passim, aut in mores hominum sine ullo discrimine invehi, aut cujusque docti scripta laces- sere ; nemini parcere. Ipse ex multa historiarum memoria, magnaque loquendi copia mirifice superbus esse : eas omnibus circulis, coronisque, vel ad satieta- tem audientium ingerere. Patrimonium, quod ipsi ampium ex hereditate paterna obvenerat, totum paucis

annis

APPENDIX. NO XXI. 129

jinnis profuderat : quare Sc egestate coactus, Pactiis, Salviatoque se totum addixerat : Erat enim id, quod semper fuerat, cuicimque emptori venalis.

Fuit in his 8c quartus Jacobus, Archiepiscopi frater, omnino vir obscurus, ac sordidus.

Bernardus praeterea Bandinus perditus homo, audax, impavidus, quern & ipsum dilapidata res fami- liaris in omne flagitium praecipitem ageret.

Septem ii fuere cives, qui faclnus susceperint ; additi his Joannes Baptista ex oppido Montesicco, ac Hieronymi Comitis familiaris, Antonius Volaterranus, quern vel patrium odium, vel facilis quaedam hominis, Jevisque ad obsequendam natura in facinus soilicitabat. Stephanus praeterea Sacerdos Jacobi Pactii scriba, homo impudens, 8c male audiens omni crimine, qui Sc in Jacobi domo baud satis honeste versari ferebatur : ejus enim unicam filiam adulterio conceptam literas docebat.

Conjurationis hujus Sc Renatum, Sc Gulielmum Pactios non ignaros fuisse compertum est. Gulielmus ipse Blancam Laurentii Medicis sororem in matrimo- nium duxerat, eque ea amplam jam sobolem susceperat ; quare Sc duabus (quod dicitur) selUs sedere putabatur. Hie ejus, quem saepe dicimus, Francisci major nata erat germanus. Renutus autem ex Petro Equestris ordinis viro, Jacobi, atque Antonii fratre genitus, Guli- elmi Sc Francisci patruelis. Erat hie homo baud incal- lidus, maximusque odii, atque injuriae dissimulator: Animi vero maximi neque tamen audax, sed qui rem

maturius

130 APPENDIX. NO XXI.

maturius quamcunque is animo agitasset, expeditum iret. Tenax idem, 8c pecuniae avidus : quapropter Sc multitudini minime charus.

Cliens praeterea Gulielmi Neapoleo Francesius non ultimas partes in eo negotl, "^sumpserat.

Interfuere ei facinori 8c nonnulli obscuriores, par- tim ex Archiepiscopi, partim ex familia Pactiorum. Hos inter Sc Brigliainus quidam homo extremae condi- tionis, k. Nannes Notarius Pisanus vir sceleratus Sc factiosus.

Sed qui ex peregrinis primas partes susceperat, is erat, quern diximus, Joannes Babtista Hieronymi fami- liaris. Hie rem totum biennium jam ante agitatam, in quintum kalend. Majas anni a Christiana salute octavi 8c septuagesimi supra mille 8c quadringentos, inque ipsum Dominicum ante Ascensionem diem re- jecerat. Erat is magni vir ingenii, multi consilii, 8c sagacis animi, ad obeundas res maxime dexter : neque vero in iis non saepe exercitatus. Magnam in eo fidem Salviatus, magnam conjurati omnes habuerant. Res ipsa jam postulat uti conjurationis consilium expli- cemus.

Medicum familia cum plerisque in rebus splendida semper, magnificentissimaque est, tum vel maxime in Claris hospitibus accipiendis. Nemo unquam vir clarus aut Florentiam, aut Florentinum agrum petiit, in quem non ilia domus hoc rnagnificentiae genere usa sit. Cum igitur in suburbano illo Jacobi rure, ubi supra, conjurationem factam ostendimus, Raphael forte

Cardinalis,

APPENDIX. NO XXI. 131

Cardinalis, ex Hieronymi Comitis sorore natus, haud multo antea divertisset, banc tanti facinoris ansam con- jurati occupant. Nunciant Cardinalis nomine geminis fratribus, uti se Fesulis, quae ipsorum suburbana Villa est accipiant. Eo Laurentius, atque egomet cum puero Petro Laurentii filio accedimus. Julianus, quod vale« tudine impediretur, domi restitit : id, quod rem in ipsum, quem diximus, diem extraxit. Iterum familia- rius homini nunciant cupere Cardinalem Sc Florentiae convivio accipi. Urbanae domus ornamenta, vestem, aulea, gemmas, argentum, pretiosam omnem supellec- tilem inspicere. Nullum optimi juvenes dolum suspi- cantur. Domum parant, ornamenta depromunt, ves- tem explicant, argentum, signa, toreumata in propatulo conlocant, producunt gemmas in promptuarium : mag- nificentissime convivium adparatur.

Ecce tibi ante tempus conjuratorum manus scitan- tur, ubi Laurentius ? ubi Julianus ? Dicunt, in Templo Divae Reparatae esse ambos ; eo contendunt. Cardi- nalis in suggestum Chori de more subducitur. Dum- que Eucharistiae Mysteria celebrantur, Archiepiscopus cum Jacobo Poggio, Sc duobus Jacobis Salviatis, aliis- que nonnullis coniitibus in Curiam contendit, uti Dominos Florentinos arce deturbet, ipse Curiam occupat : Reliqui in Templo ad facinus obeundum remanent. Destinatus ad Laurentii caedem Johannes Baptista, negotium detrec- tarat ; Antonius Volaterranus, Stephanusque susceper- ant : Reliqui in Julianum tendebant.

Ibi primum peracta Sacerdotis communicatione, signo dato, Bernardus Bandinus, Franciscus Pactius, aliique ex conjuratis, orbe facto, Julianum circumveni-

unt.

132 APPENDIX. NO XXI.

lint. Princeps Bandinus, ense per pectus adacta, juvenem transverberat. Ille moribundus aliquot passus fugitare ; illi insequi. Juvenis, cum jam sanguis eum viresque defecissent, terrae concidit. Jacentem Fran- ciscus repetito saepe ictu, pugione trajecit. Ita pium juvenem neci dedunt. Qui Julianum sequebatur fa- mulus, terrore exanimatus in latebras se turpiter con- jecerat.

Interim 8c Laurentium delecti sicarii invadunt ; ac primo quidem Antonius Volaterranus sinistram ejus humero injicit, ictuni in jugulum destinat. Ille im- perterritus humeraleni amictum exuit, laevoque advol- vit brachio ; simul gladium vagina liberat, uno tantum ictu petitur : nam dum sese expedit, vulnus in collo accipit. Mox se homo acer, Sc animosus stricto gladi- olo ad sicarios vertere, circumspectare se caute, &: tueri. Illi exterriti fugam capiunt. Neque vero segnis in eo tuendo Andreae, & Laurentii Cavalcantis (quibus ille pedissequis utebatur) opera fuit. Cavalcantis brachium vulneratur. Andreas integer superat.

Videre erat, tumultuantem populum, viros, mulier- culas, Sacerdotes, pueros fugitantes passim quo pedes vocarent. Omnia fremitu plena, Sc gemitu : nihil ex- audiri tamen expressae vocis. Fuere & qui crederent Templum corruere.

Qui Julianvim trucidarat Bernardis Bandinus, non contentus suis partibus, ad Laurentium contendit. Ille se commodum cum paucis in Sacrarium conjecerat. Bernardus obiter Franciscum Norium prudentem vi- rum, Sc mcrcatuiis Medicae familiae praefectum, ense

per

APPENDIX. NO XXI. 133

per stomachiim adacto iino vulnere perimit. Ejus cada- ver spirans adhuc idem in sacrarium, quo se Laurentius receperat, invectum est.

Turn ego, qui eodem me contuleram, aliique non- nulli, fores, quae aheneae essent, occlusimus. Ita pe- riculum, quod a Bandino ingrueret, propulsavimus. Dum fores servamus, Irepidare intus alii, de Laurentii vulnere solliciti esse. Ibi Antonius Rodulphus Jacobi filius honestus adolescens Laurentii vulnus exugere. Ipse nullam suae salutis rationem ducere ; sed rogitare continenter : Ecquid Julianus valeat. Interdum vero & indignabundus minitari querique, quod a quibus minime aequum fuerat, sua vita peteretur. Continuo juvenum globus, qui Medicae domui fidi essent, ad sacrarii fores cum telis constipantur. Clamant una- nimes ami cos sese, &: necessarios. Exeat ^ exeat Lau- rentius^ priufsquam adversa Jactzo robur capiat, Nos tre- pidi intus ambigere, hostes, an amici forent ; rogitare tamen an incolumis Julianus. Ipsi ad ea nihil respon- dere. Tum Sismundus Stupha egregius juvenis, k qui Laurentio jam inde a puero miro amore, mira pietate esset conjunctus, scalas conscendit, speculam, quae in Templum despiceret, ubi & organa essent mu- sica festlnans petit. Facinus continuo ex Juliani cada- vere, quod prostratum viderat, intelligit. Qui prae foribus adstabant, videt esse amicos ; jubet aperiri : illi frequentes Laurentium in armatorum globum adcipi- unt. Domum per dispendia, ne in Juliani cadaver incl- deret, perducunt.

Ego recta domum perrexi ; Julianumque multis

confectum vulneribus, multo crucre foedatum mise-

voL. III. T rabiliter

134 APPENDIX. NO XXI.

rabiliter jacentem offendi. Ibi titubans, & prae doloriii magnitudine, vix satis animi compos, a quibusdam ami- cis sublevatus, domumque sum deductus.

Omnia ibi armatorum plena erant, omnia faventium clamoribus personabant : strepitu, 8c vocibus tectum omne resultabat. Videres pueros, senes, juvenes, sacros, & prophanos viros arma capere : Domum Medicam quasi publicam omnium salutem defensare.

Interim Pisaii'is Praesui Caesarem Petrucium Vexil- liferum, quod ajunt, Justitiae, remotis arbitris in col- loquium vocat, eo consilio, ut hominem trucidet. Velle se, ait, nennulla Pontificis referre nomine. Quidam ex Perusinis proscriptis, qui hominem facinoris conscii in Curiam comitabantur, in publici cubiculum Scribae se conjiciunt, ubi locum idoneum teneant. Fores con- cludunt cubiculi, neque eas, ubi res postulat, aperire queunt; ita neque sibi, neque suis auxilio esse. At Caesar ubi titubantem Salviatum contemplatur, dolum suspicatus, lictores ad arma concitat : Salviatus metu perturbatus, e cubiculo se proripit. Ille in Jacobum Poggii iilium incidit, eumque, ut est homo ingentis animi, capillo correptum humi deturbat, custodibusque servandum mandat : mox ad summam turrim cum Domi- norum manu festinus evadit. Ibi quantum in se est, correpto e culina veru (nam id ei telum metus, atque ira obtulerant) fores tuetur ; suam atque publicam salutem magna animi praesentia acerrime defensat. Idem alii pro se quisque viriliter agunt.

Crebrae in Florentina curia sunt januae : Eae a lic- toribus occlusae, capita conjuratomm separant. Ita illi

in

APPENDIX. NO XXI. 135

in multos diducti rivulos impetum perdvnit. luterea omnis curia intus fremere, paiicique ex civibus co con- venire.

Jacobus autem Pactius, ubi spem necandi Laurentii se fefellisse intellexit, baud ignarus quantum sceleris in se admisisset, utraque palma suam ipse faciem ceci- xlerat. Mox dum se domum corriperet priusquam de templo egrederetur, ad terram prae angustia conlapsus est. Tandem ubi rem in angusto esse vidit, fortunam periclitari deliberans, cum paucis ex necessariis recta in forum contendit : populum ad arma convocat. Ni- hil succedere illi ; verum omnes hominem scelestum, & tum prae formidine vix sonum vocis, qui exaudiretur, erumpentem, contemptui habere facinusque detestari. Is ubi nihil in populo auxilii videt, trepidare, animoque destitui.

Qui in summam curiae arcem receperant se, saxa ingentia, telaque in Jacobum jaculantur : Homo pavi- tans domum se refert. Eodem & Franciscus, acceptis in eo tumultu gravibus vulneribus, repente confugerat.

Interim Laurentiani curiam recipiunt. Perusini effracto ostio trucidantur : Tum 8c in reliquos saevi- tum. Jacobum Poggii e fenestris suspendunt ; Car- dinalem comprehensum magno praesidio in curiam subducunt, aegreque hominem a populi impetu tuentur. Qui eum assectari consueverant, plerique a plebe occisi ; omnia direpta, cadavera ipsa foede lacerata. Jam ante Laurentii fores caput humanum lanceae prae- fixum, jam humeri partem adtulerant. Nihil tamen undique magis exaudiri quam populi voces : Pilas^

Pllas :

136 APPENDIX. NO XXI.

Pilas ; id enim Medicae familiae insigne est, clami- tantes.

At Jacobus Pactius desperatis rebus fuga sibi con- sulit : portam, quae ad Crucis dicitur, cum armatorum manu petit ; inde erumpit.

Interim ad Medicum aedes miro studio, miro favore popidus confluere ; proditores ad supplicium flagitare ; iiulli maledicto, nullis minis parcere, dum ad poenam sceleratos rapi cogerent. Ibi Jacobi Pactii domus vix a direptione defensa, Franciscus nudus, ac saucius ex ipsis patrui aedibus a Petro Corsino, qui magna clientum manu stipatus eo accurrerat, ad laqueum rapitur pene semi- vivus : non enim facile, aut pronum erat furenti populo temperare. Mox 8c Pisanus Praesul ex ea, qua & Franciscus Pactius fenestra pendebat, supra ipsum ex- animum corpus suspenditur. Cum dejiceretur (id, quod mirum omnibus visum iri arbitror) nemini tamen igno- tum eo tempore extitit, sive id casus aliquis, seu rabies dederit, ipsum illud Francisci cadaver dentibus invadit ; alteramque ejus mamillam vel cum laqueo suilocatus, apertis furialiter oculis mordicus detinebat. Post Iiunc Sc duo Jacobi ex Salviatorum familia laqueo guttur franguntur. Memini me tum venire in forum (nam domi quieta jam res erat) ibique multa cadavera foede lacerata passim videre projecta : Multa in ea populi ludi- bria, multae detestationes.

Erat enim Medica domus multis causis populo grata. Tum Juliani caedem detestari omnes, indignum facinus clamitare. Juvenem egregium, delicias Florentinae juventutis, per scelus, per dolum, ac proditionem, a

quibus

APPENDIX. NO XXI. 137

quibus minime oportuit, interemptum ; familkim im- potentem, ac sacrilegam, Diis hominibusque infestam, tantum facinus perpetrasse. Stimulabat plebem Sc memoria recens ejus virtutis. Nam cum paucis ante annis equestre illud cataphractorum equitum certamen celebraretur, mira virtus Juliani extiterat, palmamque, & spolia domum reportaverat ; quae res magnopere Yulgi animos conciliat. Ad haec 8c facinoris indigni- tas accedebat. Neque enim quicquam tarn scelestum dici, aut excogitari poterat, quod hujus atrocitatem sceleris adaequaret. Fremebant omnes, Juvenem pium, innocentem, in templo, inter aras, Sc sacra crudeliter trucidatum ; violatum hospitium, violata sacra, pollu- tum humano sanguine templum : Ipsum autem Lau- rentium, in quern unum Florentina omnis Respublica recumberet, ipsum ilium Laurentium, in quo spes omnes, opesque populi sitae forent, ferro petitum, id vero indignissimum clamitabant.

Jam ex omnibus municipiis, ut quaeque Urbi proxi- ma essent, magna vis armatorum in forum, in trivia, in INIedicam praecipue domum confluere ; ostentare pro se quisque suum studium : Gives catervatim cum liberis, k ciientibus poiliceri suam oper?vm, suas vires, atque opes : omnes ex uno Laurentio, & publicam, Sc privatam pendere ipsorum salutem, dictitare. Videre erat continues aliquot dies, undique in domum Lau- rentianam arma convcbi, importari carnes, 8c panes, quaeque essent victui opportuna. Ipse Laurentius non vuinere, non meiu, non dolore, quern ex fratris nece maximum coeperat, impediri quo minvis rebus suis prospiceret : preliensare cives omnes ; gratiam st sin- gulis

138 APPENDIX. NO XXI.

gulis habere, ipsis omnibus suam dicere salutem re- ferre acceptam ; populo sese de ipsius salute anxio, nonnunquam e fenestris ostentare : Ibi adclamare om- nis populus ; manus ad coelum tollere ; gratulari ejus saluti, exultare gaudio. Ipse rebus omnibus intentus agere, neque animo, neque consilio destitui.

Dum haec aguntur, nuntiatum est Johannem Fran- ciscum Tollentinatem Fori Cornelii praefectum cum delecta equitum manu, in nostrum agruna ex ipsis Fori Cornelii finibus irrupisse. Idem mox Sc Tipher- natem fecisse Laurentium, qua parte SenensJum fines Florentinum discriminant agrum, multorum nunciis, litterisque admonemur. Turn utcumque a nostris pul- sum domum suam recepisse se. Nocte atra, vigiliae per urbem dispositae ; domus Laurentiana diligenter custodita : stationes annatorum in quadriviis, in foro, tota urbe. Postridie ejus diei Johannes Bentivolus Bononiensis eques, suaeque princeps reipublicae, vir multis officiis familiae Medicum conjunctissimus in Mugellanum cum aliquot equitum turmis, multisque peditum cohortibus auxilio venerat. Jamque tota urbs peditibus oppleri coepta. Sed veriti octoviri, quorum princeps Dionysius Puccius, nequid milites praedae avidi tumultuarentur, delectis qui custodiae urbis prae- essent, reliquos, ut primum in urbem venerant, suam quemque domum, aut sicubi usu fore decernerent, re- gredi jubent.

Renatus interim Pactius, qui pridie ejus diei, quo facinus gestum est, in Villam Mugellanam se recepe- rat, ibique milites cogebat, cum duobus fratribus Joanne, 2c Nicolao captus ducitur. Guilielmi, ac

Francisci

APPENDIX. NO XXI. 139

Francisci frater, Joannes Pactius, in horto quodam suae domui contiguo deprelienditur. Qui Jacobum sequuti sunt, ab omnibus jam destitutum in Castaneo Vico comprehendunt. Qui primus hominem adsequutus est, is fuit Alexander quidam Agricola annis plurimum XX. natus ; ipse homini manum injicit. At Jacobus septem prolatis aureis obsecrare rusticum incipit, uti se neci dedat ; neque vero id homini persuadet. Ut vero magis hoc, magisque precibus contendit, a fratre Alexandri Scipione verberatur. Tum intellexit homo pavitans, verum esse quod dicitur : Duciint volentem. fata, nolentem trahunt, Ibi Florentiam cum praesidio octovirum, ne a plebe laniaretur, in curiam prolatus, expressa nullo tormento totius facinoris confessione, paucis post horis laqueo poenas luit. Hie homo jam letho vicinus, haudquaquam sui illius rabidi furiosique ingenii obliviscitur ? manes suos adverso Daemoni de- dere se clamat. Post eum 8c de Renato supplicium sumptum. Reliqui fratres in vincula conjecti : Eorum minimus natu Galeottus, impubes adhuc muUebri stola amictus, fugam trepidus moliebatur ; ibi agnitus in eundem carcerem conjicitur : Eodemque haud multo post 8c Andream Pactium Renati fratrem ex fuga re- tractum obtrudunt.

Bandinus fugitans in Tiphernatem incidit, a quo in aciem receptus Senas pervasit. Neapoleo a Petro Vespuccio adjutus, fuga sibi salutem petiit. Aliquot post dies 8c de Joanne Baptista supplicium sump- tum.

Qui Laurentium percusserant Antonius Volaterra- nus, 8c Stephanus, in Florentina Abbatia aliquot dies

latuere.

140 APPENDIX. NO XXI.

hituerc. Id ubi rescituni, continuo gregatim eo po- pulus convolut ; vixqiie ab ipsis monachis, quod relir gione prohibit!, iion eos indicassent, manum absti- nent ; abreptos sicarios foede la.cerant : ibi demuni mutilato naso, trimcis auribus, multis colaphis con- tusi, ad laqueum post confessionem sceleris rapiuntur. Praemia deinde publice his decreta, ac per praeconem denunciata, qui Bandinum, Sc Neapoleonem aut oc- ciderent, aut viventes agerent captivos. Guilielmus Pactius, qui affinitate fretus in Laurentianam domum confugerat, una cum liberis ejus vigesimum trans quintum ab urbe lapidem proscribitur. Multae prae- terea insequutae caedes, atque omnes conscii partim caesi, partim in vinculis habiti, aut proscripti sunt.

Romae ubi nunciatum est, maximus dolor, mira oninivim de Laurentii incolumitate exultatio.

Funus Juliano magnifice ductum, Sc justa manibus in Divi Laurentii templo persoluta. Pleraque juventus western mutavit. Ipse unde viginti vuhieribus perfos- sus erat. Annos vixerat quinque & viginti.

Ubi rescitum est a Petro Vespuccio Neapoleonem adjutum, continuo & ipsum capiunt. Hie homo pro- digus jam inde a pueritia bona paterna dilapidaverat : quamobrem & hereditatis jure parentis testamento n\ox cecidit. Domi erat illi summa inopia, foris grande aes alienum : quare Sc praesenti republica of- fendebatur, Sc re rum novarum cupiens erat. Atque is, ut primum Juliani caedes patrata est, coepit, ut erant hominis subita, ac repentina consilia, Pactiorum

facinus

APPENDIX. N'^ XXT. 141

fticiniis verbis adtollere : Mox, lit omnem populum, omnes cives videt a Laurentio stare, confestim se ad diripiendam Pactiorum domum corripuit ; nactusque praedam inhiantes milites parum abfuit (nisi Petrus Corsinus egregius juvenis ejus ferociae occurrisset) quill civitatem omnem, bona, fortunasciue civium in summum periculum adduceret ; adeo homo praeceps ac furiosus, populum, militesque omnes ad pmedam animaverat. Demum Sc ipse in carcerem conjectus, & Marcus filius, ad quintum ab urbe lapidem pro- se riptus. ,

Paucis post diebus cum juges pluviae essent inse- quutae, rcpente ex omnibus agris magna vis hominum in urbem confluit. Nefas esse clamitant Jacobi Pactii corpus in sacro conditum. Ideo tandiu perpluisse, quod hominem nefarium, &c qui ne in morte quidem religionis ullam, aut Dei, rationem habuerit, contra jus, fasque in templo condiderint. Officere id (quae vetus est rusticorum superstitio) lactentibus adhuc frvi- mentis ; idem Sc plebs omnis, ut in tali re assolet, passim dictitare. Mox vero ad ipsum sepulcri locum conveniunt frequentes, effossumque hominis cadaver, in pomerio defodiunt : Statimque foedatus nubibus aer (adeo plebis opinioni fortuna favel)at) Solis fulgo- rem coepit ostendere.

Postridie ejus diei, id quod iTionstri simile visum est, puerorum ingens multitude, velut quibusdam fu- riarum arcanis facibus accensa, conditum rursus ca- daver eflbdiunt ; prohibentem ncscio quem, parum abfuit, quin lapidibus necarent. Eiim, quo fuerat VOL. III. T^ smTocatus

142 APPENDIX. N^ XXI.

suffocatus laqueo adpreheiidunt, multis convitiis ac ludibriis per omnes urbis vicos raptant. Alii enim perridiculum praeeuntes, decedere viae obvios jubere, quod se equitem insignem dicerent adducere ; alii ba- culis, stimulisque increpitantes monere hominem, ne praestolantibus se in foro civibus esset in mora : Mox ad suas adductum aedes, januam capite pulsare subi- gunt, simul exclamant : ecquis intus familiarium sit, ccquis redeuntem magno comitatu domum excipiat. In forum venire prohibiti, ad Arni flumen contendunt, eoque cadaver abjiciunt. Id cum supernataret, magna vis rusticorum convitia fundentes subsequebantur. Unde Sc quidam non irridicule dixisse fertur ; fuisse illi omnia ex sententia successura, si quern extinctus habuit populi comitatum, Sc vivens habuisset.

Multa praeterea jocularia carmina in Jacobi Pactii contumeliam, inque omnium conjuratorum detestatio- nem passim per urbem a pueris cantitata ; multi un- dique famosi libelli in eosdem conscripti.

Bona eorum in publicum adducta ; factumque Se- tt atusconsultum ne quis post earn diem ejus nomen familiae usurparet ; ne qua usquam Pactiorum insignia remanerent : neve quis nostra in Rep. affinitatem cum ipsis contraheret : qui contra faceret, eum contra Remp. contraque Senatus auctoritatem facere.

Ex hac tanta rerum commutatione, saepe ego de humanae ibrtunae instabiiitate sum admonitus, maxi- meque admiratus incredibilem omnium de Juliani in- teritu dolorem. Cujus quae forma corporis, quive ha- bitus, qui mores fuerint, paucis absolvam. Statura

fuit

APPENDIX. NO XXL US

fuit procera, quadrate corpore, magno, 8c prominenti

pectore ; teretibus, ac musculosis brachiis, valicUs ar-

ticulis, compressa alvo, amplis femoribus, suris ali-

quanto plenioribus, vegetis, nigrisque oculis, acri visu,

subnigro colore, multa coma, capillo nigro, Sc pro-

misso, atque in occiput a fronte rejecto : equitandi,

jaculandique gnarus : saltu et palaestra excellens : ve-

natu mirum in modum delectari solitus : vigiliae, atque

inediae juxta patiens : potionis adeo exiguae, ut ea

aliquando vel integrum diem sponte abstinuerit. Mag-

ni erat animi ; maximae constantiae ; religionis, &

bonorum niorum cultor ; picturam maxime amplecte-

batur, & musicam, atque omne munditiarum genus :

ingenio erat ad Poesin non inepto. Scripsit nonnulla

Etrusca carmina, mire gravia, Sc sententiarum plena :

amatoria carmina libens lectitabat. Facundus erat, 8c

prudens, minime tamen promptus. Idem 8c urbanita-

tum mirus amator, Sc ipse non inurbanus : mendaces

magnopere oderat, Sc injuriarum memores. In cultu

corporis mediocris ; mire vero elegans, Sc lautus.

Gravis decorusque erat ejus incessus ; atque omnino

dignitatis plenus. Obsequii erat multi, multae huma-

nitatis. Magnae in fratem pietatis, atque observan-

tiae ; magni roboris, et virtutis. Haec ilia, atque alia

chainim populo, charum suis, dum vixit, reddebant.

Haec eadem nobis omnibus luctuosam egregii Juvenis,

atque acerbissimam memoriam relinquunt. Deum tamen

optimum, maximumque ne prohibeat precamur :

Hunc saltern everso Juvencm succunere sciifclo.

Anno MCCCCLXXVIII.

144 APPENDIX. N*^ XXII.

NO XXII.

Jacopo dc'' Pazzi Laurmtio Medici Floreyitiae,

JVIaGNIFICO Lorenzo. lo mi raccomando sempre alia tua buona gratia. Sono avixato del nuovo ordiiie della gravezza preso, e della electione degli uomini, la qualcosa io lode e commendo, non volendo eiitrare in niiova distributione, che havesse a dare lungo travaglio alia citta. Cosi sono informato da quel di casa haverli parlato del caso mio, e risposta tua essere stata tanto gratiosa e benigna, quanto dire si puo ; il che, non che mi sia facile a crederlo, ma mil tengo per decto per molti rispecti, maxime considerando alle tue supreme virtu e bonta, sapiendo tu essere informato in buona parte de' danni grandi ricevuti e del disordine e travag- lio grande in che mi trovo, che e di qualita, chel caso mio non ha bisogno ns di piagha ne di scarpello, ma di pichoni ; e pero ti prego strettissimamente, Magni- fico Lorenzo mio, tu voglia essere contento volermi havere per raccomandato, e mettermi nel numero delle tue prime spetialita in forma, che io possa stare a Firenze, che se Dio m' ajuti, se la necessita non mi stringnesse, mi verghognerei a supplicarti o richiederti di quello non fusse la verita, o che t' avesse a dare alchuno charicho. In effecto ogni mia fede e speranza e in te, e sapiendo io che le parole teco sono superfine, faro sanza piu, dire raccommandandomi di nuovo a te, che Iddio in felicissimo stato ti conservi. In Avignone a di 21, di Diccmhrc 14 7,4.

APPENDIX. NO XXII. 145

Idem,

Magnifico Lorenzo. lo mi raccommando sempre alia tua buona gratia. Sono avisato della tua valetudine per lo Dio gratia, e mediante 1' acqua della Poretta, essere sanza piii dubio di febre, e ne se ito a Pisa per* pigliare aria, di che ricevo singularissimo piacere, & a Dio piaccia in buona felicita lungo tempo prosperarti. Intendo al si del nuovo ordine di gravezza, e electione degli huomeni ; il che lodo e commendo, non volendo maxime intrare in niiova gravezza, che havesse a dare maggiore confusione alia citta. Per lo simile mi dicevono quei di casa haverti parlato del caso mio, e la risposta tua non potrebbe essere stata piu amorevole ne piu gratiosa, di che mi rendono certissimo per infiniti rispecti, maxime sendo tu informato in buona parte del disordine e travaglio in che mi triiovo. II perche ti priego, Magnifico Lorenzo mio, ti voglia placare, met- termi nel numero dei principali, Sc chi tu abbi a prestare il f^vore tuo, e volere che io possa riputarmi per Dio & per te potere stare a Firenze. Certificandoti, che il caso mio non ha bisogno di pialla, ma di grosso pichone. E piacessi a Dio non dicessi il vero, come dico. Ma sapi- endo io, che teco mi bisogni spendere poche parole, faro sanza piu dirti, se non di nuovo pregarti tu mi vogli iix detto numero porre : che I'Altissimo in felicita ti salvi. In Avignone a di 23. Dicembre 1474.

^146 APPENDIX. NO XXIII.

NO XXIII. Ex Codice 170. Provisionum Reifiublicae Florentinae,

In Dei nomine Amen, anno Incarnationis Domini nostri Jesu Christi millesimo quadringentesimo septua- gesimo octavo Indictione XI. die vigesimo tertio men- sis Maii, in Consilio populi civitatis Florentiae mandato Magnificorum & Excelsorum Dominorum Dominorum Priorum Libertatis Sc Vexilliferi Justitiae populi Floren- tini, &c.

Novum Sc omnibus saeculis pene inauditum scelus in pernitiem Reipublicae Florentinae plures annos ma- chinatum, & jam prope peractum proximis diebus cuncti cognovistis. Conjurarunt enim in patriam, Pac- tii, & Salviatus Pisanus Archiepiscopus in primis, Sc externi fautores nonnulii, qui nulla reiigione prae- diti, rerum novarum cupidi, 8c ambitione maxime ducti foeda crudeliaque in cives facinora fecere, ma- jora Sc molituri. Nam assueti privatim Sc publice" omnia rapere, delubra spoliarcj sacra profanaque om- nia polluere, summo quidem Magistratui tendere insi- dias per Archiepiscopum non dubitarunt, opportuna loca armatis militibus obsederunt ; ipsi cum telis erant intenti paratique ad omne facinus, nihil magis quam tempus rei gerendae spectantes, nullis neque vigiliis, neque laboribus fatigati : tandem V. Kal. Maii in Ba- silica Virginis Matris post Eucharistiae consecrationem, assistente Cardinal!, quem cum dicto Archiepiscopo 8c primoribus civibus, 8c nonnullis ex conjuratis, Lauren- tius 8c Jullraius Medices eo die lautissime ac magni-

ficentissime

'' APPENDIX. NO XXIII. X^n

ficentissime convivio erant accepturi, ausi sunt Pactii optimos cives affines suos & de Republica optime me- ritos armis impetere plurimis satellitibus nequissimia ac perditis hominibus constipati, Sc occidere sunt eos enixi. Non successit res ad votum. Evasit enim illo- rum manus quamvis saucius Laurentius, lumen civita- tis nostrae, vivitque incolumis, Deoque vindice, cae- des, quam aliis Reipublicae malo paraverant, in necis auctores magistrosque conversa est. Maxima profecto gratia est habenda Deo, quando referri non potest, qui misericorditer, non severe nobiscum agens, nobis hunc optimum virum clementissimum Sc Reipublicae conser- vavit, cujus salus ex illius viri salute pendebat, eo praesertim tempore : quippe tantum luminis Sc gratiae cunctis civibus infudit, ut cum primum scelus inno- tuit, armati omnis ordinis aetatisque ad tutandam patriae libertatem, Sc Reipublicae dignitatem conser- vandam subito accurrerint, Palatium receperint, loca opportuna urbis armatis complerint, cuncta communie- rint. O mira adversus patriam caritas, o ineffabilis Dei misericordia, cujus nutu incruenta fuit victoria ! Nullus (mirabile dictu !) vulnus accepit, exceptis tan- tum parricidis, eorumque satellitibus. Cuncti fere sontes eodem die poenam, fracta laqueo gula, dederunt, vel capti venere in potestatem Magistratus, cui curae fuit, ne quid Respviblica detrimenti caperet. Ita Deo volente proceres urbis experrecti Rempublicam capes- senmt, libertatem Sc civium animas, quae in dubio erant, vigil ando Sc bene consulendo conservarunt. Conjurati vero, nullo adhibito tormento, confessi, sese caedem, status mutationem, aliaque foeda atque cru- delia facinora in cives patriamque paravisse, militum manus locis opportiuiis, unde celeriter adesse possent,

non

148 APPENDIX. NO XXIIL

non sine magnis sumptibus, £c suis, 8c externorum faiitorum disposuisse (8c jam adventabant hostes) prope parem sceleri exitum invenerunt. Spectavitque popu- lus frequens eorum suppliciiim, partimque gaudio 8c laetitia gestiebat) sontes suspend! cernens, partim luctu 8c moerore tenebatur, recordatus acerbi crudelissimi- qiie casus optimi 8c gratiosi Juliani civis sui. Visa est eo tempore Florentina Respublica multo magis miserabilis. Mirabantur cum tam late propagati fines essent imperii, domique otium ac divitiae abunde es- sent, quae prima mortales putant, inventos esse cives rebus omnibus affluentes, qui se remque publicam ob- stinatis animis perditum irent. Haec omnia repetentes tristi animo Magnifici 8c Excelsi Domini D. P. Liber- tatis 8c Vexillifer Justitiae populi Florentini primorum civium judicio 8c suo censuerunt indignum esse pati illorum memoriam extare, qui iibcrtatem patriae op- pugnaverunt, 8c in eo luerunt, ut Florentinum nomen extinguerunt. Immo sanciendum lege fore, ut Pactio- rum insignia, nomenque decusque privatim 8c publice supprimatur 8c extinguatur, nee nisi per ignominiam, cum de parricidis Sc conjuratis in patriam meminisse oportuerit, memorentur. Ideo habita primo super infrascriptis omnibus 8c singulis die 22. mensis Mail an. Domini 1478. indictione XI. inter se ipsos Domi- nos Priores 8c Vexilliferuni Justitiae in sufficienti nu- mero congregates in Palatio populi Florentini delibe- ratione solemni, 8c inter eosdem facto solemni 8c se- creto scruptinio 8c misso partito ad fabas nigras 8c

albas providerunt, ordinaverunt, 8c deliberave-

Yunt, quod insignia Pactiorum, quae nostri arma do- mus appellant, ubicumque sculpta, ficta, caelata, vel picta reperiuntur in locis publicis^seu sacris, seu pro-

fanis.

APPENDIX. NO XXIII. 149

faliis, dejiciantur, tollantiir, eoque loco signa populi Florentini iigantur, pingantur, aptentur ; ubi vero in aliis essent locis, penitus deleantur, supponanturque illorum insignia, quorum talia loca fient. Quanm rem. cum primum licebit, eritque otium, rebellium Offiti- ales curent effici. Quadrivium autem sive angulus Pactiorum non ita amplius nominetur, verum, mutato liomine, nuncupetur, uti Priores Libertatis Sc Vexil- lifer Justitiae instituerint atque declaraverint. Si quis deinde decreti negligens aut temere pristino vocabulo nominaverit, ad arbitrium Octovirorum custodiae civi- tates mulctetur. Currus ignis sacri, qui ad Pactiorum aedes omnibus annis per urbem duci consuevit a tem- plo D. Jo. Baptistae Sabati S. die non fiat amplius, sed provideant Consules callis mali, ut eo die quo- tannis idem ad templum ante fores loco aperto 8c com- modo is adsit ignis, ita ut inde sumi a volentibus possit, 8c Pactiorum decus, non mos sublatus videa- tur. Si qua alia restant, quae ad Pactiorum decvis spectent, quaeque ad eorum honorem fieri consuerint, cuncta ex nostrorum hominurai memoria deleantur 8c sint extincta, idque curent Octoviri.

Quicumque superant ex ipsa familia, Sc quot quot ejus nominis sunt, intra Florentini fines imperii de- beant intra bimestre tempus, quot quot autem extra eos fines reperiuntur, saltem intra sex menses proxi- mos, mutasse signa sive arma, &c nomen domus, quo- modo sibi quisque voluerit, idque significari ac notum fieri curasse intra dicta temporum spatia Octoviris, aut eorum Scribae, atque ita in eorum libro, in quo apud eos Sc relegati et rebelles descripti sunt, de prae- dictis diligens fiat scriptura, 8c nova familiae nomina VOL. III. X signaque

150 APPENDIX. NO XXIII.

signaque siimpta notentur, curentque Octoviri, ut nota sint haec, uti convenientius judicarint, ne hoc ignorent hi, ad quos spectare potest ; ex iis Pactiis quicumque haec neglexerit, sed post factam talem commutationem, ea non observaverit, ipso facto rebellis intelligatur, absque alia solemnitate servanda. Praeterea nulli sculp- toi'um, pictorum, aurificum, fusorum, fictorum, aut aliorum opificum liceat in jurlsdictione populi Floren- tini sculpere, caelare, pingere aut facere aliquo loco, vase, panno, vel re Pactiorum insignia sive anna ; sed omnes homines, qui ea domi quoquo more vel loco haberent, delevisse aut mutasse oporteat saltern intra quatuor menses proxime futuros post conclusionem praesentis provisionis ; sub poena florenorum quin- quaginta largorum cuilibet contrafacienti aut praedicta non observanti auferenda, & Communi Florentiae ap- plicanda, pro qua sint supposita Officio ac Magistratui Octovirorum. Eandem quoque poenam incurrat qui- cumque faciet, aut fieri curaret, vel uteretur aliqua re de vetitis supradictis, Sc ob earn poenam sit suppositus ut supra, & semper notificator lucretur quartam par- tem ; Sc insuper quicumque capiet uxorem natam seu nascituram per lineam masculinam ab aliquo descen- denti per lineam masculinam Domini seu a Domino Andrea Guglielmini de Pazzis, vel nuptui traderet cuipiam ex talibus descendentibus aliquam suam filiam^ intelligatur ipso facto, £c ipsemet 8c omnes sui des- cendentes per lineam masculinam admonitus in per- petuum, privatusque omnibus officiis Sc dignitatibus tum Communis, turn pro Communi Florentiae, ac sic pcrpetuo observetur. Intelligatur autem contrafacere seu contrafecisse huic capitulo, quo-ad uxorem capien- dam maritus tantum, Sc ipsi Sc suis descendentibus, sit

apposita

APPENDIX. NO XXIII. 151

apposita dicta poena. In locanda autem & in matri- monium tradenda aliqua puella vel foemina cuipiam ex talibus descendentibus, sit poena apposita & prae- judicia supradicta : praedicta omnia 8c singula sane & recte intelligendo, & referendo cuilibet personae ac rei quantum & quomodo congruit convenitque.

Qua Provisione lecta & recitata, ut supradictum est, Magnificus vir Jacobus Domini Alexandri de Alexandris Vexillifer Justitiae 8c tunc Praepositus dicti Officii de voluntate, consilio, et consensu suorum collegarum in dicto Consilio praesentium in numero opportuno proposuit earn, 8c contenta in ea inter Con- siliarios dicti Consilii, Sc super ea Consiliariorum ro- gata sententia, Sec.

NO XXIV.

LUIGI fier la gratia di Dio Re di Francia,

C/ARISSIMI 8c grandi amici. Noi abbiamo di pre- sente saputo el grande 8c inhumano oltraggio, oppro- brio, ingiuria, che, non e molto, furono facti tanto a Vostre Signorie, come alle persone de nostri carissimi 8c amati cugini Lorenzo 8c Giuliano de' Medici, 8c a loro amici 8c parent!, servidori 8c allegati per quegli del Bancho 8c delle alleganze de' Fazzi ; Sc cost la morte del nostro decto cugino Giuliano de' Medici, donde noi siamo stati 8c siamo cosi dolenti come di cosa, che ci potessi advenire ; Sc percio die lo honore vostro 8c il nostro ve stato tanto grandemente effeso ;

Sc per-

152 APPENDIX. NO XXIV.

Sc perche e Medici sono nostri parenti, amici 8c colle- gati, Sc perche noi reputiamo el decto oltraggio 8c la morte del decto nostro cugino Giuliano essere di tale effecto, che se fusse fatto Sc commesso nella nostra propria persona, Sc per questo tutti e decti Pazzi cri- minosi laesae Majestatis ; noi che per niente vorremo sofferire, che la cosa restasse impimita, ma desideriamo de tucto nostro cuore ne sia facto punitione Sc correc- tione per exemplo di tutti gli altri. Et habbiamo pen- sato di mandare verso Vostre Signorie il nostro amato e fedele Consigliere Sc Cameriere el Signore d'Argen- tona Siniscalco del nostro paese de Poetous, che e oggi uno degli uomini che noi habbiamo, nel quale habbi- amo maggior fidanza, per farvi sapere bene a lungo la nostra intentione, che vi dira Sc exporra piu cose toccanti questa materia. Preghiam voi che di tucto quello vi dira da nostra parte, che gli vogliate credere, Sc prestargli altrettanta fede, quanta voi fa- reste alia nostra propria persona, perche con questa intentione ve lo mandiamo. Pregando Iddio, carissimi Sc grandi amici, che vi tenga in sua guardia. Dat. 12.. Maii 1478. ^

Laur, Med, Ludovico Francia Regi,

Serenissime Reg Sc Domine mi singularissime. Litterae Majestatis Vestrae, quas ilia ad me super in- felici nostro casu dignata est scribere, incredibilem quemdam in me amorem Sc paternam charitatem prae se ferunt ; nam Sc quam ipsa acerbe calamitatem nos- tram tulerit, Sc quam egregio in nos animo sit, facile lis litteris certior sum factus. Quod si velim nunc ei gratias pro merito agere, ineptus profecto, tantique

beneficii

APPENDIX. NO XXIV. 153

beneficii ignarus sim judicandus. Tanta enim amoris benevolentiaeque significatio in humilem servuluni a Regia Majestate profecta nullis certe aut rebus aut verbis nostris pensari potest. Est tamen magnanimi- tatis Regiae, vestraeque praesertim animum hunc meum fide plenum saltern pignoris, aut arrhabonis

loco accipere. Rcsiduuiii nostri dehiti speramus Ma-

jestati Vestrae Deum saltern persoluturum. Quod autem tarn sapienter vestra eadem Majestas me conso- latur, ut tantam calamitatem forti animo fcram, sic pro certo habeat me non tarn hoc tempore meam ipsius vicem, quam Christiani nominis indignitatem dolere ; unde enim maximum auxilium mihi in tam acerbo casu sperabam, in eo potissimum totius mali caput fontemque deprehendo. Nam 8c sese unum, multis praesentibus, fateri ultro est ausus, ejus facinoris caussam extitisse, & in me meosque filiolos, successores, com.piices Sc bene- volos excommvmicationem iniquissimam promulgavit. Nee contentus eo, etiam arma contra banc Rempubli- cam parat, etiam Ferdinandum Regem in nos concita- vit, etiam Ferdinandi primogenitum cum magna mili- tum muititudine, cum infestis armis contra banc Rem- publicam venire compulit, ut quos dolo & fraude non penitus delevit, vi £c armis dekat. Ego enim mihi sum conscius, Deus autem testis adest, nihil me com- misisse contra Pontificem nisi quod vivam, quod me interfici non sim passus, quod Omnipotentis Dei gra- tia me protexerit ; hoc meum est peccatum, hoc scelus, ob hoc unum exterminari cxcommusiicarique sum me- ritus. Deum tamen optimum cordium scrutatorem, justissimum judicem, meae innoctiitiae testem, minime permissurum credo, ut quem iilemet inter suas aras 8c sacra, ante sui corporis sacramentum, a sacrilegis illis,

non

154 APPENDIX. NO XXIV.

non ab hac etiam injustissima calumnia defensum velit. Nobiscum faciunt Canonicae leges, nobiscum jus na- turale & politicum, nobiscum Veritas & innocentia, nobiscum Deus atque homines sunt : ille haec omnia nno tempore violat, 8c nos secum volutari percupit. Haec ego ad Majestatem vestram tanquam ad pium parentem scribenda dccrpvl, a qua procul diibio propter suam bonitatem, innocentiam, animique magnitudinem multum auxilii, multum favoris ac praesidii, ubi opus fuerit, expectamus : Neminem enim bonum passurum arbitramur, ut qui se in haec facinora praecipitem jaciat, in idem secum praecipitium & Christianum no- men protrahat. Valeat V. S. M. cui me semper humillime commendo. Florentiae die 19. Junii 1478.

Laur, Med, Hispaniaruin Regi,

Serenissime &: Excellentissime Domine mi rex : post humilem commendationem, Sec. Nunciatum mihi est superioribus diebus Majestatem vestram in acerbissimo illo tempore, quo mihi dulcissimus frater mens Julianus tam crudeliter in medio templo ereptus est, ego vul- nere petitus sum, scripsisse ad me quasdam litteras ple- nas amoris & charitatis ; quae tamen nescio qua caussa mihi redditae non fuerunt. Atque utinam redditae forent ! Mirifice enim tanti Regis commotio dolorem ilium re- centem adhuc meum, qui me pene obruit, lenisset. Quod si vei tunc saltem 8c a Maj estate vestra missas, Sc in itinere detentas scivissem, non mediocri mihi solatio £c hoc ipsum extitisset. Egissemque jam tunc gratias Majestati vestrae pro sua hac tam egregii in me animi significatione : £c nunc profecto quam maximas possum ago, meque ipsi magnopere devinctum obligatumque

profiteor.

APPENDIX. NO XXIV. 155

profiteer. Neque quicquam malim hoc tempore, qiiam dari occasionem mihi, qua meam erga Majestatem ves- tram devotionem aliquo argumento ostendere possim. Sed cum non ipsae modo litterae, sed vel nutus tanti Regis omnes meas superet vires, quando, re ipsa, mihi nequeo satisfacere, animo certe meo vestrae semper Majestati devotissimio uberrime mihi satisfaciam. Com- mendo autem me semper Majestati Vestrae, Domine mi Rex, eamque rogo, ut me sub umbra alarum suarum accipiat. Res nostras Majestati vestrae scio esse notissi- mas. Nos quantam possumus ad bellum accingimur, damusque operam, ut viribus saltem hostium resistamus. Et resistemus procul dubio, ut spero ; nam Sc ipsi nobis non desumus, 8c affuturum Deum meliori caussae spera- mus. Iterum me Vestrae Serenissimae Majestati com- mendo, quam Deus perpetuo felicissimam conservet. Florentiae die 3. Aprilis 1479. Ejusdem Serenissimae Majestatis Vestrae

Devotissimus Servitor

Laurentius de' Medicis.

NO XXV,

llUJUS EpistoU Exemfilar extat inter Acta Synodi Flo- rentine, V, Ajifi, XXVII,

156 APPENDIX. NO XXVL

NO XXVI. SIXTUS PAPA IV.

Ad futuram rei memoriam,

InIQUITATIS filius 8c perditionis alumnus Lauren- tius de' Medicis, 8c nonnulli alii cives Florentini, ejus in hac parte complices 8c fautores, superioribus annis reprobi sensus, ac perversae 8c damnatae conditionis filio Nicolao de Vitellis, ut ejusdem Romanae Eccle- siae Civitatem Castelli nobis rebellem faceret, eamque per tyrannidem occuparet, 8c detineret occupatam, consulere, favere 8c auxiliari, etiam postquam per litte- ras 8c nuncios nostros Laurentium, 8c complices prae- dictos paterne monueramus, atque ut a praestandis dicto Nicolao auxiliis hujusmodi desisterent, charitative requisiveramus, quibus potuere viribus non expaverunt, quinimo tanquam aspis surda nostris hujusmodi re- quisitionibus aures claudentes pertinaces, etiam post- quam dilectus filius noster Julianus tituli S. Petri ad Vincula Presbyter Cardinalis in partibus illis Aposto- licae Sedis Legatus, quem cum exercitu, ut ipsam civi- tatem Castelli ad ejusdem Ecclesiae obedientiam 8c devotionem reduceret, transmiseramus, se illuc contule- rat, ac exercitus hujusmodi noster apud civitatem ante- dictam castra metaretur, 8c illam teneret obsessam, Laurentius 8c complices praedicti, non ignari etiam gravium aliarum censurarum Sc poenarum, quas per certas alias nostras speciales litteras publicatas ipso facto erant incursuri quicumque dicto Nicolao 8c ejus gentibus auxilium darent, consilium, vel favorem, quod-

que

APPENDIX. NO XXVI. 157

que omnes & singulos, qui ipsi Nicolao quovis moclo obligati ad ejus defensionem censeri poterant, quam- quam contra dictam Romanam Ecclesiam ad eumdem Nicolaum ipsius Ecclesiae subditum Sc vassallum, prae- seitim ill hujusmodi rebellione defendeiidum nemo potuit, ut notorium est, se obligare, ad cautelam tamen ab omni foederis, ligae, 8c juramenti vinculo quemcum- que ad hujusmodi cffectum tendente absolveramus, eidem Nicolao, quantum in eis per amplius favere Sc auxiliari non destiterunt, usque adeo, ut cum Nicolaus antedictus, omnipotent! Dex) caussam Ecclesiae suae curante, a praedicta civitate ejectus extitisset, nosque in ea arcem pro potiori illius tutela, construi Sc aedili- cari mandavissemus, idem Laurentius 8c complices praedicti Nicolao praedicto, ut contra fidem per eum nobis datam, civitatem praenominatam per proditionem reingredi, Sc iterum occupare, praedictam Romanam Ecclesiam spoiiando, valeret, rursus assistere ac post- modum ipse Nicolaus hujusmodi periido suo propo- sito, adnitentibus in contrarium 8c contra eos, qui dictae arci per nos propositi erant, deceptus remansisset, eamdem, cum suis receptare, plerasque simultates 8c conspirationes cum eo adversus eamdem Romanam Ecclesiam facere, mala malis addendo, similiter non formidaverint.

His quoque non contenti, cum dicta civitate ipsam Romanam Ecclesiam, ut cupiebant, spoliare non pos- sent, ut adversus eamdem, a qua tot honores Sc com- moda, ac etiam in eorum opportunitatibus auxilia con- secuti esse dignoscuntur, conceptum virus diiTusiua evomerent suis pravis Sc dolosis niachinationibus, ut quidam Carolus de Montone Perusinam etiam civitatem VOL. HI. Y a nos-

158 APPENDIX. N" XXVI.

a nostrae 8c praedictae Romanae Ecclesiae obedieiitia ^ devotione, quibus subest, subtraheret, ac suae tyrannidi subjiceret, solicitatis ad id etiam nonnullis dictae civi- tatis civibus, procurarunt, propter quae non minus graves impensas subire, quam de aliquorum subditorum nostrorum fide dubitare, & in nonnullos, qui culpabiles reperti fuerunt, animadvertere coacti sumus. Quin- imo deinceps cum praedictum Carolum vana spe in hujusmodi negotio 8c tractatu illusum videret, ne ab incoeptis ob inopiam desistere cogeretur, Laurentius antedictus non advertens, quod Italiae pace turbata, 8c debilitatis dictae Ecclesiae Romanae viribus, atrocis- simo Turcorum Principi immanissimo Fidei Orthodoxae hosti, facilior ad Italiam ipsam aditus aperiebatur, prae- dictum Carolum, ut congregato facinorosorum homi- num exercitu in Senensem agrum incursiones faceret, ipsumque depopularetur, 8c in praedam daret, ac plu- rima inibi nefanda perpetraret, induxit, ad finem etiam, ut substentato pro tempore ejus exercitu, nee inter- missa interim proditione, solicitatione, Perusinam civi- tatem praedictam Carol as ipse de improviso ingredi, cc ea per fraudem potiri valeret. Quod quidem cum per Dei potentiam minus eis ad votum similiter, successis- set, 8c nos pro conservanda Italiae pace Castrum Mon- tonis a dicto Carolo in territorio Perusino per antea possessum, qui his scandalis occasionem praebuerat, S>i in dies praebere posse videbatur, prout pote rat, veri si- militer, ibrmidari, ad jus 8c proprietatem cjusdem Romanae Ecclesiae, data prius pro to reconipensa, re- duci curarcmus, idem Laurentius 8c complices, etsi nulla injuria per nos, aut per nostros iacessiti fuissent, in suo pravo a.nimo contra Romanam Ecclesiam prae- dictam imprcbe perseverantes, ne hujusmodi Castrum

ad

APPENDIX. NO XXVT. 159

ad eamdem Ecclesiam deveniret, neve scandalorum materia tolleretur, destinatis ad id armigeris, quorum nonnulli ductores a nostris postea intercepti sunt, ex- quisitis 8c damnatis viis impedire tentarunt.

Insuper ut eamdem Romanam Ecclesiam, cumulatis contra eamdem improbis favoribus, magis opprimere conarentur, Deiphebum de Anguillaria quondam Aversi etiam de Anguillaria Comitis filium per felicis recorda- tionis Paullum secundum Praedecessorem nostrum, exigentibus ejus demeritis, olim a detentione terrarumj castrorum & locorum, qui in territorio ipsius Romanae Ecclesiae per tyrannidem possidebat, amotum, £c a terris ejusdem Romanae Ecclesiae exulem factum, ut se Carolo praedicto cum armata manu conjungeret, quo praedicta Ecclesia Romana a duobus fortius laces- seretur, evocari, venientemque in territoriis Dominii Florentini recipi, ac per plures dies ibidem commorari procurarunt.

Praeterea ad Castra ejusdem Ecclesiae anhelantes, Sc apertis faucibus inhiantes, Castrum Citernae Civitatis Castelli Diocesis, quod ad eandem Ecclesiam pertinere dignoscitur, per insidias nocturnas clam invadere, 8c dato ad id nonnullis armigeris negotio, tyrannidi eorum subjicere, quamvis temerariis eorum ausibus iidelium dicti Castri custodum opera 8c diligentia obstiterit, minime erubuerunt ; nee minus sententias £c censuras per Praedecessores nostros, 8c nos successive in Bulla, quae in Coena Domini singulis annis legitur Sc publi- catur, in eos latas, qui ad Sedem Apostolicam venientes, vel recedentes ab eadem, temeritate propria capiunt,

detinent,

160 APPENDIX. NO XXVI.

detinent, aut talia fieri mandant, nee non qui Romipetas & peregrinos ad Urbem caussa peregrinationis 8c devotio- iiis a.ccedentes capiunt, detinent, sen depraedantur, aut aliis super his auxilium praestant, consilium Sc favorem, |:^5jiformiter Sc per piratas Sc latrunculos maritimos, 8c il- los praecipue, qui mare nostrum a monte Argentario us- que ad Terracinam discurrere, 8c navigantes in illo de- praedari, vulnerare, interficere, 8c rebus ac bonis suis spo- liare praesumpserint, receptant, aut eis auxilium dant, consilium, vel favorem, simul etiam, qui victualia, vel alia ad usum Romanae Curiae necessaria de- ducentes, ne ad Curiam ipsam deducantur, vel de- ferantur, impediunt, invadunt, seu perturbant, 8c qui talia facientes receptant, vel defendunt, idem Lauren- tius, Sc complices sui praedicti parvi pendentes, Sc elevata cervice atque animo more Pharaonis indurato contemnentes Sc spernentes, multos ad ipsam Curiam RomanaiTi caussa prosequendi negotia sua venientes Sc novissime dilectos filios Bernardum Sculteti de Luni- borgo, Thimoholui de Leytzhau, Sc Henricum Brandis Clericum Lubicensem, Romipetas Sc peregrinos, qui ad Urbem eandem caussa devotionis accede- bant, capere, bonis spoliare, 8c carceri mancipare, nee non quasdam triremes remigiis Sc aliis navalibus instru- mentis abunde munitas in mare nostrum praefatum discurrentes 8c navigantes, in illo depraedantes, bo- nisciue Sc rebus eorum spoliantes, vulnerantes Sc inter- ficlentes, nee non 8c victualia, quae ad usum dictae Curiae Ronianae necessaria ad eandem pro tempore deferebantur, invadentes, receptare, defendere, favori- bus prosequi, alimenta eisdem non dener^-ando, ut (quod dcterius est) etiam stipendiis ordinariis conducere Sc

adjuvare

APPENDIX. NO XXVI. 161

udjuvare praesumpserunt, contumaciter in hujusmodi censiiris 8c poeiiis, etiam per diuturna tempora insor- ^lescentes.

PoiTo lie quid sceleris intentatum aut inausum relin- querent, non immemores aut ignari censurarum Sc poenarum in sacris canonibus contra violatores Ecclesi- asticae libertatis 8c dictae Sedis auctoritatis per eosdeni Praedecessores nostros diversis temporibus successive promulgatarum 8c contentarum, cum nos dudum Eccle- siae Pisanae certo modo vacanti, de venerabilium Fra- trum nostrorum S. R. E. Cardinalium consilio, de persona bonae memoriae Francisci Arcbiepiscopi Pisani €umdem illi in Archiepiscopum praeficiendo providis- semus, Laurentius Sc complices sui praedicti, ne provisio hujusmodi debitum sortiretur efTcctum, per plura tem- pora proliibere mandatis nostr's palam resistendo non formidarunt. Deindeque cum per Omnipotentis Dei gratiam dictae Sedis praevaluisset auctoritas, idemque Franciscus Archiepiscopus, qui etiam ex insigni familia Salviatorum optimorum civium Florentinorum existe- bat, mandatorum nostrorum vigore regiminis Sc admi- nistrationis dictae Pisanae Ecclesiae pacilicam posses^ sionem consecutus fuisset; idem Laurentius pravo Sc maligno animo tam in cum, quam in multos alios dictae civitatis Fiorentinae etiam priinarios Sc optimates cives odia exercens continue, dicti Arcbiepiscopi auctoritatem conculcare, 8c in iis, quae ad eum spectabant, indebite se inimiscere, ac ipsius Arcbiepiscopi, sicut et tyrannide quadam Florentini populi, onmem auctoritatem sibi vendicare 8c usurpare non cessavit.

Cum nos Salvatoris nostri exemplo, cujus propriutn est misereri semper &c parcere, sperantes eosdem Lau- rent! um

162 APPENDIX. N*' XXVI.

rentium & complices tot & tantorum excessuum per eos contra nos & praefatam Romanam Ecclesiam impie commissorum poenitere, & illatas injurias atque damna hujusmodi bene operando in dies recompensare debere haec omnino pro Italiae praeseitim pace Sc quiete aequo animo tolerare devovissemus, eosdemque Laurentium & complices paterna charitate, ac si nunqiiam talia commisissent, prosequeremur, Sc pro posse non cessa- remus, in cunctis complacere eisdem, contrarium spei nostrae hujusmodi nobis ex di recto successit, nam cum ex eo, quia Laurentius ipse novissime multos ex dictis civibus Florentinis primariis partim relegare, part.m de medio toUere, Sc occidere, sicut fertur, intendens, ut latior sibi ad vindictam 8c crudelitatem hujusmodi cam- pus pateret, sese in unum ex Octo civibus Florentinis de Balia nuncupatis, assumi £c eligi procuraverat aegere hoc ferentibus civibus, ad aliquas civiles & privatas inter eos dissensiones deventum esset, Lauren- tius praedictus Sc tunc Priores Libertatis, ac Vexillifer Justitiae dictae civitates f lorentinae, assistentibus eis- dem complicibus reliquis ex dictis Octo de Balia nun- cupatis, Sc nonnullis aliis civibus dictae civitatis, Dei timore penitus abjecto, furore succensi, Sc diabolica suggcstione vexati, ac tanquam canes ad efferam rabiem ducti, ut tandem sua libidine potiti, in Ecclesiasticas personas, quantum possent, ignomlniosius saevirent, (proh dolor, Sc inauditum scelusl) in Archiepiscopum praedictum manus violentas injicere, Sc captum per plurcs horas in publico Palatio residentiae eorumdem Priorum Sc Vexilliferi detinere, ac tandem communicato invicem desuper consilio, eum publice in fenestris dicti Palatii eminentibus coram populo in die Dominico laqueo turpiter suspendi fecere ; cumque vitam fini- visset, laqueum scindi, ut corpus ipsius in terram ca-

deret

APPENDIX. NO XXVI. 163

<leret quemadmoduni cecidit (quod neduni referre, sed meminisse horremiis) procurare minime erubucrunt ; multosque deinde alios Presbyteros 8c Ecclesiasticos viros bonae conditionis 8c famae, quorum aliqui erant ex dilecti filii iiostri Raphaelis S. Georgii ad Velum aureum Diaconi Cardinalis in Provincia nostra Ducatus Spoletani, 8c nonnullis aliis civitatibus, terris 8c locis praedictae Romanae Ecclesiae dictae Sedis Legati, 8c aliqui ex dictis Archiepiscopi familiaribus, partim sus- pendi, partim gladiis £c fustibus confodi 8c necari palam 8c publice in Ecclesiasticae dignitatis opprobrium fecerint, Sc deterrima prioribus aggrediendo Raphaelem Cardinalem 8c Legatum praedictum in dicta civitate Florentina in Ecclesia Cathedrali, dum ibidem divinis Officiis 8c Missarum solemniis eadem die Dominica interesset, capere 8c capi mandare, capturamque ipsam ratam habentes, eumdem sub fida custodia in praedicto Palatio teneri curarunt 8c curant, 8c dum venerabilis frater, Nicolaus Episcopus Modrusensis nostcr, £c ejus- dem Sedis Nuncius ad hoc specialiter destinatus, prae- dictos Laurentium, Priores, Vexilliferum, ac complices, ut Raphaelem Cardinalem, 8c Legatum praeiibatum in sua libertate reponerent, nostro nomine requisivisset, illud negare, 8c se eumdem Cardinalem dimittere nolle pertinaciter affirmare non dubitarunt in Clericalis Ordi- nis 8c Pastoralis Officii vituperium. Quae omnia in Raphaelem Cardinalem, Sc Legatum ac Archiepisco- pum, Presbyteros 8c Clericos praedictos perpetrata, communi omnium de eis notitiam habentium judicio damnata, publica omnium fama id attestante, 8c facti notorietate approbante, adeo referuntur, ut eorumdem tie iliis notitiam habentium animi in hoc suspensi k. oculi

pendentes

164 APPENDIX. N^ XXVI.

pendentes esse asserantur, £c expectent quid a nobis in tales pro tantorum scclerum ultione staUiatur.

Nos igitur praeniissis omnibus debita meditatione pensatis, quamvis immensa scelestissimorum honiinum trudelitateni, feritatenique immanissimam, ac flagiti- osissimum Sc ignominiosum universae Ecclesiae Sanctae Dei dedecus turpiter illatum videamus, Iz a Praedeces- soribus nostiis in magnos Principes ob minora facinora acriter saevitum esse conspiciamus, tf infra, habita super his cum eisdem fratribus nostris S. R. E. Cardi- nalibus matura deliberatione, de illorum unanimi con- silio, Sc assensu, auctoritate Apostolica tenore praesen- tium declaramus iniquitatis filios Laurentium, Priores, Vexilliferum, Octo de Balia antedictos, tunc &c qui illis in eorum Prioratus Sc \^exilliferatus, ac Octo de Balia Officii successerunt nunc existentes, ac omnes £c sin- gulos Ecclesiasticos k. saeculares, qui eis in praemissis in Archiepiscopum Sc Raphaelem Cardinalem, Presby- teros £c Clericos praefatos commissis praestiterunt 8c praestant auxilium, consilium vel favorem, detentio- nemque Raphaelis Cardinalis praeiati continuant, quo- rum nomina Sc cognomina ac si exprimerentur, volumus haberi pro expressis, cujuscumque status, gradus, ordi- nis vel conditionis existant, &: quacumque Ecclesiastica vel mundana dignltate fungantur, propter praemissa in Raphaelem Cardinalem Franciscvim Archiepiscopum, Presbyteros ^ Clericos praefatos commissa, juxta bonae memoriae Bonifacii Papae Octavi similiter Praedeces- soris nostri, & Viennensis Conciiii, ac aliorum Prae- decessorum nostrorum Constitutiones Sc Decreta crimi- nis laesae Majestatis reos, sacrilegos, excommvmicatos,

anathe-

, APPENDIX. NO XXVI. 165

anathematizatos, infames, diffidatos, intestabiles. Et ut publica repulsa confusi luilluni inveniant suae militiae successorem, cujuslibet haereditates esse ab intestate incapaces, feudis insuper ac locationibiis, officiis & bonis spiritualibus 8c temporalibus, qui singuli eorum a praefatis Romana Sc Pisana Ecclesiis, necnon dic- torum Laiu'entii, Priorum, Vexilliferi, Octo de Balia, & alioium complicum filios 8c nepotes per rectam lineam descendentes, quibuscumque beneficiis Ecclesiasticis, quae quomodolibet tempore perpetrationis excessuum praedictorum obtinebant, qualiacumque forent, spe promotionis in futurum omnino sublata, privatos, nee non feuda ad bona locata hujusmodi, ad Ecclesias ipsas, ita ut ii, ad quos spectant, de illis pro sua voluntate disponant, reversa esse. Et cuncta eorumdem Lauren- tii, Priorum, Vexilliferi, 8c Octo de Balia, ac auxilium, consilium, vel favorem praestantium, complicum, 8c adhaerentium hujusmodi aedificia in ruinam dari debere, ita ut eorum habitationes desertae fiant, &c non sit qui eas inhabitet in posterum ; 8c ut perpetuam notam in- famiae perpetua ruina testetur, nullo unquam tempore reparentur : nullum eis debita reddere, nullumve in judicio respondere teneri : nuUi quoque filiorum aut nepotum praedictorum per virilem sexum descenden- tium ab eisdem, alicujus aperiri debere januam digni- tatis aut honoris Ecclesiastici vel mundani, 8c ad alicu- jus loci regimen ascendere omnino posse ; postulandi facultatem eis negatam Notariatus, Judicatus, 8c quod- libet aliud officium, seu ministerium publicum interdic- tum ; ad Ordinis ascensum inhibitum, ad beneficia 8c officia Ecclesiastica denegatum ascensum existere. Et ut magis sit famosa eorum infamia, ad actus legitimes VOL. III. z nullum

166 APPENDIX. NO XXVI.

nullum eis aditum, nuUamve poitam patere. Quidquid in bonis tunc inveniebatur, eorumdem Fisci & Reipub- licae dominio applicatum fore, ita ut ex illis nil trans- mittatur ad posteros, sed potius cum eis, 8c sua dam- nata existant. Florentinam praeterea 8c Fesulanam ac Pistoriensem illi propinquiores dominio subjectas Civi- tates 8c Dioceses Ecclesiastico £c strictissimo interdicto suppositas esse, Sc praeter has poenas, eosdem Lauren- tium, Priores, Vexilliferum, Octo de Balia, auxiliatores, consultores, fautores, complices S^ adhaerentes omnes, £c singulas alias excommunicationis, anathematis, 8c aeternae maledictionis sententias, censuras 8c poenas in tam gravia crimina 8c excessus perpetrantes tam a jure, quam per extravagantes constitutiones 8c litteras Prae- decessorum praedictorum, 8c nostras inflictas incur- visse ; ipsam quoque civitatem Florentinam, si infra mensem ei a jure statutum Laurentium, Priores, Vex- illiferum, Octo, auxiliatores, consultores, complices, fau- tores, 8c adhaerentes praedictos, prout tanti facinoris exigit enormitas, 8c ei facultas affuerit, non duxerit puni- niendos, Pontificali, Archiepiscopali, qua decoratur, dig- nitate privatam fore, 8c nihilominus interdictam rema- nere, 8cc. Denique Laurentium Mediceum ac Magistra- tus solemni ritu diebus festis anathemate percelli jussit, atque cum iis eorumque sectatoribus ac sociis quodvis genus commercii haberi vetuit. Datum Romae apud S. Petrum anno Incarnation! s Dominicae millesimo quadrin- gentesimo septuagesimo octavo Kal. Junii Pontificatus nostri anno VII.

APPENDIX. NO XXVII.

NO XXVII.

J^LORENTINA Synodus in luce ilia Spiritus Sancti congregata, quae illuminat omnem hominem venien- tem in hunc mundum, 8c revelat abscondita tenebra- rum ad perpetuum veritatis testimonium, Sc Sixtianae caliginis dissipationem. Infallibilis summi Patris prae- scientia, qua nobis clamavit ab initio, judicate matrem vestram^ judicate quonia-m uxor mea non est, facit, ut re- jectam in faciem filiorum pudibunda ejus operientium crapulam salva conscientia extergamus. Dies enim venere comminationis illius, nudabo ignominiam tuam, destruent lupanar tuum, demoliantur firostibulum adulterii tui, b* desinea farnicari, mercedesque ultra non dabis ama- toribus tuis.

Nam Sixtus leno matris suae oblitae jam dierum adolescentiae suae, quando erat nuda, operuit con- fusione faciem suam, ingressus vineam Domini Saba- oth bonos palmites extirpavit, malos inseruit, turrim aedificatam disjecit, maceriem opposuit pro muro Hie- rusalem, hortum conclusum dissipavit, locustas 8c brucos in agrum Domini convocavit. Quam celestis sponsus formosam suam unicam 8c columbam sine ma- cula appellabat, hie adulterorum minister deformam meretricem 8c corvum sordibus plenum reddidit : emp- tam in templo profanis vendidit, Sc ex ejus pretio por- cos auratis glandibus enutrivit. Successor inde Petri filium interemit, 8c diaboli Vicarius christianissimum quemque adortus est. Gubernator naviculae in solam Circis insulam enavigavit, 8c ejecto Joanne 8c Andrea,

Tyresias

168 APPENDIX. NO XXVII.

Tyresias tantum 8c Hieronymos transportavit. Cla- vi^er Superorum inferis omnibus ostium aperuit, Sc funiculo illo, quo Dominus ex Ecclesia vendentes & ementes columbas de templo ejecit, sicariis suis laque- vmi fecit. Pastor infectus sanas oves persecutus est, Sc sues solos, in quorum gregem Salvator innniundos spiritus abire jussit, in caulis ejus congregavit. Prop- terea, dicit Dominus, congregabo omnes quos dilexisti cum universis quos odisti, tit videani turpitudineni tuam^ Isf denudent te vestimentis tuis, Turpitudo ejus nova, quam Dominus per nos universis ejus fidelibus ostendi voluit, Sixti ascensus est, aliunde quam per ostium in Florentinum ovile ; homicidium est innocentis agni Ju- liani de Medicis, quem tamquam fur Sc latro ante altare Domini mactavit 8c perdidit : illud per Salviatum Archi- episcopum Pisanum molitus est, hoc per Raphaelem perfecit Riarium, quem quia puerum ad Cardinalatum evexerat, voluit, ut his primitiis, 8c per sanguinem Christiajium defectum suppleret aetatis. Commisit haec praeterea inter Missarum solemnia, dum corpus Domini a Sacerdote sumeretur, ut Christum quoque, cujus se Vicarium dicit, traderet, ac secum faceret proditorem. Et clamat in suis censuris, proh dolor ! snspenderunt Archiepiscopum ; Archiepiscopum, qui nun- quam fuit Christianus, Archiepiscopum molientem, seditionem, occupantem Palatium publicum, 8c sus- pensurum Priores patriae libertatis, nisi se defendis- sent : excommvuiicat Magnificum Laurentium sanctis- simum civ em, quod se mactari, ut frater, non per- miserit, Dominos urbis quod se dejici de fenestris no- luerint. O excommunicatam excommunicationem ! O maledictam maledictionem damnatissimi judicis ! cujus maledictione os plenum est^ ^ a?naritudme i^ dolo^

sub

APPENDIX. NO XXVII. 169

sub lingua ejus labor ^ dolor, sedet in insidiis cum diviti- bus, ut intei'Jiciat innocentem,

Permittitur etiam diabolo defensio, nee vim vi re- pellere natiira unquam aut leges uUae vetuerunt. Et pro poenitentia commissi sceleris, pro dissimulatione, quam etiam per castigationem suorum perferre potuit, pro aliqua commiseratione, quae ab eo fusi sanguinis expectabatur, subdit interdicto civitatem, quod, liber- tatem suam tutata sit : pro remuneratione servati Car- dinalis, quem aut homicidii paiticipem ob tam familiarem conjurationem, aut nimium adolescentem fateri opor- tet, saevit in animas, litterisque necat, quos ferro non potuit.

Reos sanguinis, ne particeps fiat sanguini;3, defen- dit Ecclesia. Hie quia Sanctae Reparatae templum cruentavit, fuso se immiscet sanguini, maledicit mor- tuo, vulneratum persequitur ; nam, ne alterum quo- que gladium contineat, armat Ferdinandum Regem, qui aperto marte perficiat, quod ipse occulte Sc per prodi- tionem molitus est ; sic, ut fuit, scelus scelere tegitur, 8c mendacium mendacio excusatur. Nee unquam par- cit malus, qui semel bonum offendit. Stimulabat pri- mum ambltiosa malignitas ; nunc &c conscientia 8c detecta proditio faciunt, ut declaret quod intelligi non vult, quo opprimatur, aut auctoritati detur, si nequit rationi, quod intelligitur.

II. Sed priusquam suis litteris respondeamus, mo- dum tam nefandae conjurationis percurramus, Sc mo- dum, quem nos non fingimus, aut arbitramur, sed quem sui deprehensi sine tortura scripsere, 8c Praetor

alienigena,

170 APPENDIX. NO XXVII.

alienigena, ac sex viri religiosi a sanctioribus nostras civitatis praesentes subscripsere : neve minus credatur purae veritati nostrae, quam figmentis illius, ob ciijus honorem tacebamus, inseremus propria verba Jo. Bap- tistae Montesecco, qui mandatum Sixti acceperat, ex- cerpta fideli manu, ex confessione ipsius, quam vir gravis, verus, 8c tantum proditor, ne Domino suo asset proditor, reliquit. Caussam vero tam insolentis odii, & inexpectatae retributionis in familiam de Me- dicis, quae semper ei &c Sedi Apostolicae servierat, nullam invenimus, nisi quamdam perditam carnis Sc sanguinis revelationem, qua ob Comitem ilium suum Hieronymum, in cujus manibus nunc Ecclesia Dei est, delirat, furit Sc insanit. Habit hie suus Imolam S. Romanae Ecclesiae urbem, quam, ejecto Taddeo Manfredo, se tenere post mortem sui Pontificis posse diffidebat, nisi vicinum dominium Florentinum aliquo foedere amicitiae obligaret. Major autem obligatio inveniri posse non videbatur, quam si suo beneficio praeessent, qui in ea Republica primates essent ; fieri autem id sine status mutatione non poterat, mutari autem status sine morte Laurentii 8c Juliani de Me- dicis impossibile videbatur : nullus enim pene in ea civitate patricius est, qui hac promovente domo, patri- cius non sit ; nullus plebejus, qui Cosmianis opibus 8c pane Laurentiano pastus aliquando non fuerit. Hac igitur impellente rabie, Comes oblitus omnis humani, divinique juris, oblitus beneficiorum, oblitus condi- tionis suae, qui cerdo fuerat, stirpem Cosmianam de- lere aggreditur, Pactiam subrogare, ex qua etiam Franceschinum libidinum socium inter familiares habe- bat. Hunc, ac Salviatum Archiepiscopum, ut omnia ex suorum ore referamus, ita primum secum locutos

Johannes

APPENDIX. NO XXVII. in

Johannes Baptista moriturus scripsit. " Noi determi- " niamo mutar lo stato di Firenze, e vogliamo 1' ajiito " tuo. To gli risposi, che per loro faria ogni cosa " ma essendo soldato del Papa e del Conte, non ci " poteria intervenire : I'Arcivescovo mi rispose ; come " credi tu facciamo questa cosa senza consentimento " del Conte ? Imnio cio che si ricerca e che si fa, e " per sua sicurta, ed esaltar piii lui, che noi, e per " mantenerlo nello stato suo. Avvisandoti se questa " cosa non si fa, io non ti daria del suo stato una fava, " perche Lorenzo de' Medici, che gli vuol male, dope " la morte del Papa non cerchera mai altro che torli " quel poco di stato, e farlo mal capitare. Et infra : e " in quanto pericolo era lo stato del Conte dopo la " morte del Papa, e che mutandosi detto stato saria " istabilito di non potere il suddetto Conte aver piu " male, e che per questo si voleva fare ogni cosa."

Sed haec quantum ad caussam, 8c primam facem incendii, ut intelligatur nulla lacessitum injuria Comi- tem Hieronymum, sed ut tutius possideret, quod male occupaverat, in familiam conspirasse de Medicis. Mensum vero eum a suo animum Laurentii & inten- tionem ex his, quae sequuntur, apparet.

" E fummo insieme con Lorenzo, ne altrimenti " mi rispose, che se fosse stato padre al Conte, ne " con altro amore, in modo che a fe maravigliare. Et " infra: io me ne andai a Imola, dove stetti pochi " giorni, perche cosi aveva in commissione per la " espedizione di detta causa, e nel tornare addietro fui " a Cafaggiolo, dove trovai la Magnificenza di Lo- " renzo e di Giuliano, e avendo riferito &l Magnifico

" Lorenzo

172 APPENDIX. N^ XXVIL

" Lorenzo come aveva trovato le cose del Conte, mi " consiglio con le piii cordiali parole ed amorevoli del ^ mondo.''

Nonne ex his colligitur Comitem statui suo ful- crmn removisse, quaesisse laqueum {in mar-ginc) ab ejus infirmitate abegisse Medicos, advocasse insanos : nam ipsum sic mandasse huic suorum militum ductori tmn ex multis ejus ad Archiepiscopum Sc Pazzios lit- teris, turn ex his verbis, cum essent ante Pontiiicem, & de morte istorum tractaretur, suadente Pontifice, ut si fieri posset, status sine caede mutaretur, deprehendi- tur. " E quest' ordine ci fu dato tutto per il Sig. " Conte in Roma." Item {in margine) tanquam sine sanguine tanta mutatio fieri posset, retulit sic Comitem respondisse : " se far<^. quanto se podera non interven- *^- gha ; pure quando intervenisse, la Vostra Santita « perdonera a chi il fesse. Rispose il Papa al Conte : " tu sei una bestia" tamquam vellet dicere a doman- darmene, nam Sc ipsum Pontificem consensisse caedi subsecuta verba satis plane demonstrant. " Con " questo ci levassimo da S. Santita, facendo conclu- " sione esser contento dare ogni favore & ajuto di ^' gente d' arme, o d' altro, che a cio fosse necessario, " V Arcivescovo rispose e disse. Padre Santo siate " contento, che guidiamo noi questa barca, che la gui- " deremo bene; e Nostre Signore rispose, io sono " contento ; Sc con questo ci levassimo da' suoi piedi. " Et infra : dicendo impero sempre, che V onore di N. " Santita e del Conte ci fosse raccomandato, e con *' quest' ordine la Domenica mattina a di 26. d' Aprile " 1478. si fe in S. Reparata quanto e pubblico a tutto " il mondo, 8cc."

Eat

APPENDIX. NO XXVII. 173

Eat nunc Sixtus, & se Pontificem dicat, justum hel- ium movisse praedicet, recte censuras promulgasse clamet ; sed quid probationis opus est ? Fassus est, & hoc ipsemet post detectam conjurationem. Sed nolu- mus, nisi quae vidimus, & manus nostrae contractave- runt, in testimonium rei afferre ; scribit tamen ad eum Philelphus vir non minoris doctrinae, quam aetatis istud idem audivisse se Mediolani his verbis : " at au- " dio abs te, quo nihil est absurdius, magisque indig- " rum sanctissimo ore tuo id jactitatum esse tui consilio " Sc jussu, Sec."

Videte quam obcaecatus, quam perditus sit senex, conjurat ob Comitem, omnia vult patiatur prius Sedes Apostclica, quam Comes ; nee erubescit, qui modo panem vicatim mendicabat, fateri se voluisse per pro- ditionem statum antiquissimae Reipublicae reformare, quo melius aut oimiem sui Comitis in se culpam trans- ferret, aut ambitionem dissimulet. Haec enim prima ejus in eumdem conjurationis ratio fuit, ut ex his ver- bis ejus colligitur. " E cosi ti dico Gio. Batista, che io desidero assai, che lo stato di Fiorenza si muti, 8cc. che ogni volta che ne fusse Lorenzo fuoraj faressimo di quella Repubblica quello voiessimo, e saria a un gran proposito nostro. II Conte e 1' Ar- civescovo, che erano presenti, dissero : La Santita Vostra dice il vero, che quando aviate Fiorenza in vostro arbitrio, e poterne disporre, come potrete, la S. V. mettera legge a mezza Italia, e ognuno avra caro esservi amico, &c." Sed quid Florentinis cum Papa in his quae Spiritus non sunt, 8c quo sae- culo, 8c qua pera banc arrogantiam prompsit, ut cogi- voL. III. A a taret

174 APPENDIX. No XXVII.

taret vir religiosus de invadenda Republica Floren- tina ?

Mittitur denique Pisas Archiepiscopus Salviatus, Florentiam Fraiiceschinus Pazzius, Imolam Joannes hie Baptista, qui suo nobis banc digito veritatem os- tendit, Sc Tiphernum Laurentius Eques Castellanus, qui praesto essent cum expeditis militibus ad diem caedis ; alios non habebat Comes, quos Consiliarios suos appellaret, Sc hi omnes pariter in negotio palam deprehensi. Creatur interea Cardinalis in Studio nos- tro Pisano suus hie adolescens nepos Comitis. Venit Montughium Pazziorum villam, tamquarn profecturus Perusiam suae jam legationis Provineiam ; secum erat Archiepiseopus Salviatus ; visitatur publico privatoque nomine a civibus universis. Invitatur Fesulas a Mag- nifico Laurentio, ubi etiam quantum postea pereepi- mus, si Julianus adfuisset, inter epulas homieidium commisissent ; adesse autem non potuit, quia erat infirmus, & ut omnia nude referamus, ancha, id est sanguinis tumore tenebatur. Alterum sine altero aggredi periculosum existimabant. Nam alias perdu- cere ilium Romam tentavere, quo securius disjunetis ab invicem fratribus homicidia diversis in loeis com- mitterentur. Non creditis Romam solitam esse asy- lum omnibus etiam sontibus, non fuisse tutam homini christianissimo ? Legite quam ipsemet quoque Joan- nes Baptista admiratus sit. " E domandandolo io che " niodo era questo, mi disse Lorenzo di venire questa " Fasqua, e quanto prima si senta la sua partita, Fran- " ceseo partira ancor lui, £c andera a spedirsi, e fara

^ ' «il

APPENDIX. NO XXVII. 175

" il servizio a quello rimarrk, & all' altro innanzi che " tomi, ec.

<' Domaiidai il Conte ; sa Nostro Signorc qucsto « medesimo, niadio si dico. Diavolo egli e gran fatto, <' che il consent!. Mi rispose, non sai tu, che gli " facciamo fare quello vogliamo noi ? Basta, che le " cose anderanno bene. E stettesi in queste trame " parecchi di del suo venire, o no. Da poi veduto che non veniva, deliberammo ad ogni modo cavarne " le mani."

Proponitur itaque, dum e^sent Fesulis, desiderium tlsendae Florentiae ; offert Laurentius se refacturum libenter in urbe, quod ruri omiserat. Acceptatur, venltur. Die Dominica XXVI. Aprilis itur ad Ecr clesiam, solenmiter Missa celebratur.

Domi interea parabatur convivium, quantum nun^ quam alias magnincum : videte quam diversa hospitum & convivarum intentio. Deambulubat circa Chorum Laurentius ; Julianus, quia claudus erat, stabat, re- ducturi ambo domum Cardinalem, qui quod venerat saeptus armatis pedissequis, & pluribus stipatoribusj. quam ejusmodi soleant dignitates, multis reprehension! fuit, suspicion! nulli ; quis enim unquam Cardinalem, dum res divina ageretur, necaturum hospites suos, si non legisset illud, gui comedunt tecum, portent insidias, credidisset? Archiepiscopus simulata salutatione ma- tris, relicto in Ecclesia Cardinale, domum se contu- lerat. Conventum enim erat inter eos, ut auditis cam- panis in elevatione corporis Christi, Emissarii in Eccle- sia genuflexos 8c adorantes fratres trucidarent, Archiepis- copus

we APPENDIX. NO XXVII.

copus in Palatio civitatis curia, Dominos verbis, ac aditus armatis occuparet. Jacobus Eques Pazzius com- missd a sicariis in templo caede, cum manu armatorum populum convocans invasoribus Palatii succurreret. Ingressi enim jam erant tanquam familia Cardinalis Urbem lecti sub Johanne Baptista milites, de quibus in confessione sua " 8c a me ordino me ne andassi a " Imola con cento provigionati." Agrum quoque Aretinum Laurentius Castellanus, Mugellam Tolenti- nus, Imolae Gubernator cum exercitu Sixtiano intra- vefant. Evenit autem, ut in Ecclesia ab Elevatione ad Communionem res differretur. Voluit nam Domi- nus, arbitramur, aut in hoc secum sanguine novam sponsam descendentem de caelo communicare, aut a sua hujus innocentiam mortis ostendere. Ut enim Sacerdos in ejus memoriam calicem sumpsit, ambo inermes 8c sine ulla suspicione ab armatis sicariis in- vaduntur, occiditur statim Julianus a Franceschino Pazzio, Bernardoque Bandino lateri ejus haerentibus, iniirmus quidem, 8c qui ea die praeter morem gladio- lum, qui ei uiceratum crus quatiebat, domi reliquerat, sicque innocens juvenis, gaudium universae terrae, iilius ac nepos eorum, qui semper erexere Ecclesias, in Ecclesia trucidatur inter Missarum solemnia, qui mille paverat Sacerdotes, &c in oculis novi Cardinalis, qui eum erat convivio excepturus, immolatur. Vere martyr patriae suae, qui nulla sua culpa, sed quod sine ejus morte nee frater, nee ilia subjici poterat, interfi- citur. Laurentius, sive quod pluris faciens Dominus ejus elecmosinas, quam symonias Comitis Hieronymi, obunibrazit cajiut ejus in die belli^ sive quod strenue ma- nu 8c clamore populi se defenderet, uno tamen vul- nere accepto sospes in Sacrarium se recipit. It tamen

rumor

APPENDIX. N<^ XXVIL 177

i-umor per urbem utrumque esse mortuum, ac supera- tum Palatium, arcem civitatis. Intraverat enim jam illud Salviatus sub praesentandi Brevis Apostolici no- mine, portamqiie ac aditus supremos tenebat. Nullus tamen victores secutus est ; arma capit Patritius quis- que ac Plebejus. Locum alii caedis, alii aedes Lauren- tianas, Forum majus multi petiere : civitas universa consurgit : ploratus auditur eorum^ qui arma capere non possunt, sublatos e medio patres paupei'um, propugna- cula libertatis, panem patriae. Magistratus interea, qui tenebatur verbis Archiepiscopi quo adveniret Eques Paz- zius, cognito dolo, arreptis candelabris, arreptis verubus, cum alia arma non haberet, invasores detrudit, turrim ascendit, venientemque in subsidium Jacobum saxis e campo subjecto repellit : tenebant tamen inferiorem Palatii partem Salviatani banc ingressi per fractam ariete portam cives capiunt, suspendunt, praecipitant. Juventus interea, quae ad locum caedis concurrerat, jacentem Julianum offendit, ululat, amplectitur, Lau- rentium a Sacrario domum reducit, vulnus, quod ei inflictum collo fuerat, ob suspicionem veneni sugit labiis, parricidas insequitur. Mirum quam brevi tan- tum incendium extinctum sit, quam nullus e tot pro- ditoribus evaserit. Solus Cardinalis opera Laurentii, qui etiam in tanta clade amissi optimi fratris, Sc propriae vitae periculo suae erga illam dignitatem rcverentiae est recordatus, a furore populi liberatus est. Hunc Lauren- tiani in Palatium vix deduxerunt, reliquos omnes sanguis ille innocens aut suspensos vidit laqueo, aut discerptos unguibus.

III. Sic se res habuit, Christian! lectores, hac de caussa, hoc ordine, his mediis tentata eversio Floren-

tina

178 APPENDIX. NO XXVII.

tina est. Per haec vestigia eum, qui venit^ ut vitam habeant^ 13" abiindantius habeant^ Sixtus secutus est. Sanguis optime de Christiana religione meritus per Principem religionis fusus, violata per Pontificem Ec- clesia, poUuta per summum Sacerdotem sacra sunt, Et haec neqiiis ignoret aut excusare possit, confirmat aperto bello, & promulgatis censuris coeptam conjura- tionem sequitur. Earn muherculam imitatur, quae vento detectum calvitium, ut posteriori veste reterreret, nates detexit. In cubiculo suo, ut vidistis, tractata res est : suus Comes F actios ad necem armavit, suus cardinalis farniliam caedi, presentium sceleri praestitit, suus exercitus fidelis fines nostros pro Turcis ingressus est. Quis jam non videat dehrum senem his suis pro- mulgatis censuris voluisse notam macula, lutum ster- core lavare ? Ecquis fidelis non moveatur ad tarn sceleratam machinationem, studeatque saluti suae per nostrum periculum providere ? Non enim pro sua, sed Domini caussa claves expediunt, qui ligandi atque solvendi auctoritatem habent. Non adimunt defen- sionem, qui judices esse volunt, non imprimunt cen- suras, qui officio satisfacturi sunt, non evaginant gla* dium, qui nolunt mortem peccatoris, sed ut ma^is convertatur £c vivat. Non jubent, solvai nemc, exigant omnes, qui suum unicuique tribuunt, cum hi praeser- tim quos ad decoctionem compellere cupiebat, suis creditis non receptis, debitis omnibus persolutis sic ex- communicati & lacessiti, dispensatori ejus non inveni- enti Romae qui illi suas pecunias crederet, de qua- dringentis aureis in quotidianas expensas subvenerint, quae omnia tam vobis timenda sunt, quam nobis de- ploranda. Sed ad refellendam sententiam ejus fin marline, quamquam rem exposuisse superasse sit) ut

factis,

APPENDIX. XXVII. 179

factis, non verbis, ratibnibus non querelis caussam nos- tram tueamur, veniamus.

Hie quidem undecim capita rerum objicit Sixtus Laurentio Medici, ut multis vincat, quern una ratione non potuit : adjutum Vitellium : tentatam Perusiam ; defensum Montonium : vocatum Deiphaebum : Tyfer- num expetitam : captos Romipetas : Pyratas immis- SOS : negatam Salviato Pisano sacram possessionem : suspensionem ejusdem familiarium : denique mortem Archiepiscopi, ac derentionem Cardinalis.

Quae omnia tarn vera sunt, qiiam falsum suis ma- chinationibus Julianum non esse occisum. Bone De- us, qiiaip toties labitur, qui semel offendit ad lapidem pedem suum (in margine. Quam vera ea vox Pauli '- quoniam Ijf ijise circundatus est injirmitate ) . Non satis est Solium illud Pontificium prostituisse ; vult etiam censuras in contemptum, Sc eamdem turpitudinem ad- ducere (in margine, Plenitudinem potestatis, quae ad criminalia non extenditur, evacuat auctoritate, dum replet injustitia). Vocat filium iniquitatis Laurentium, qui non iniqua tunc egit, cum pristinae paupertatis suae victum subministravit, cum postmodum assumpto ad Pontificatum, primus omnium obedientiam prae- stitit, &c semper fuit aequissimus. Vocat perditionis alumnum, quia perditum cupiebat : at secundum Bo- minum, qui eum e tot gladiis eripuit, salutis fuit alum- nus, quod etiam is, qui eum occisurus erat, praemo- nuit. " Non me gli fate dare in Chiesa, die quelli « Santi V ajuteranno ;" religiosior sicarius, quam theo- logus Pontifex. Declarat excommunicatum, ut boni omnes intelligant extra communionem esse malorum

juxta

180 APPENDIX. NO XXVII.

juxta illud : odivi Ecclesiam malignantium^ Isf cum impiit non sedebo, Maledicit ut super maledictionem ipsius Dominus inducat benedictionem. Et monuimus^ inquit, firius^ immo necare voluit prius : gladium prius adegit jugulo, quam verbum auri. Nunc conclamat post in- fectam rem, ut verbis conficiat quern ferro non po- tuit.

IV. Dicit sensisse cum Laurentio quosdam com- plices ejus. Interroget Cardinalem suum Sancti Geor- gii ad Velabrum, populusne, an complices isti erant, qui in illo tumultu capiti suo enses intentabant ? Po- pulusne an complices illud remiserunt ? Partem ne civitatis an totam vidit pro Laurentio in parricidas in- surgere ? Raptavit ne per urbem cadaver Pactii, qui animam suam ^moriens diabolo commendavit multitu- do complicum an puerorum I Cujus erat illud threa- trale carmen, " Muoja il Papa, muoja il Cardinale, " viva Lorenzo, die ci da del pane" a complicibus ejusmodi aegre repressum. Vidit ille omnia, audivit, tetigit ; modo sinatur ingenue loqui, nee prius Hiero- nymum adeat, quam Vicarium ejus Sixtum. Magnus certe fuit is complicum numerus, qui clamante Pazzio libertatem, mortuos esse Laurentium 8c Julianum, palatium cessisse victoribus,. neminem reliquerit vel affinem, qui eum sequeretur ; mitis ea tyrannis, quae plures habuit mortua defensores, quam vivens ac vic- trix libertas sectatores : illud quoque quam ridiculum est, quam falsi, Sc imperiti judicii argumentum, vo- luisse Laurentium creari se ex Octo viris Baliae, ut aliquos cives e Republica ejiceret. Per alios faciunt, Sixte Pontifex, per alios Principes civitatum, cum quid ejusmodi est agendum. Auctores tamen haberi

voluit

APPENDIX. NO XXVII. 181

voluit eoriim, quae populo sint placitura ; 8c ne longe exempla petantur, cum prlmum in hos parricidas ani- madvertendum fuit, Magistratu se Laurentius abdica- vit, acceptarat id, ut nimiam illius dignitatis in se licentiani corrigeret, 8c ut extorres quidam per eum in patriam revocarentur, non novi proscriberentur. Nunc vis eum omnia posse in Florentina Rcpublica, quo melius communibus jaculis privatam simultatem ferias ; nunc adeo debilem effingis, ut esse in Magis- tratu indigeat, quo aliquid in ea pro arbitrio statuere possit. Sistas, Sixte, oportet, si vis banc tuam decla- rationem, non confusionem a.ppellari Sed quid verba singula repellimus ? Cuperemus pro honore Romanas Sedis, nt una saltem clausula praeter illam (licet im- meriti) in tarn longo processu, vel excessu potius, veri- tate niteretur : nam ilia de fratrum nostrorum consensu quid mendacius, quid impudentius I Verius dixisset de filii nostri Hieronymi sinu ; nam fratres illi sui viri sanctissimi nunquam tot mendaciis consenserunt ; vivi sunt, possunt interrogari ; sed credite, (ideles ; Monacho ad ultimum ad summum gradum provecto nihil frontosius, nihil privati appetitus pertinacius, pub- lici honoris negligentius.

I. Quantum autem ad Nicolaum Vitellium, ju- vere hominem Florentini, ne sua patria ejiceretur, dum is praesertim nee rebellabat, nee unquam alias tarn obediens Ecclesiae fuit, qui ita ex foedere icto de vo- luntate Pavili Pontificis per Sixtum quoque alioquin confirmato .tenebatur. Revocari autem id subito lege uUa non pcrmittebatur, cum hoc quod Tifernates cum Florentinis contraxerant, liberum esset, duraret,

VOL. III. B b Sc

182 APPENDIX. NO XXVII.

?c per conversationem sua cum Ecclesia initum esset & concessum : ilia enim perturbatio, & in media eorum obedientia ac pace Italiae exercitus immissio, quid sibi voluit ? quid subesse c£.ussae poterat, quid externos, ne dum conjunctos exire in occursum non deberet? Utendum quidem fuit licentia, nedum concesso foe- dere, quod saltern intelligeretur Pontifexne, an milita- ris excursio improvisam iilam calamitatem inferret. Nam patuit postea quid statui Florentine illius civitatis motus portend /oat, quanquam multarum caedium 8c perturbationum fomes erat &, initium. Fuit insuper auxilium illud ejusmodi, ut fidem Ligae servaret, Pon- tiiicis mentem ofTendere non posset : nam Legati copi- alas tarn verum est alioquin fuisse lacessitas, quam falsum Florentinos eam solvere obsidionem non potu- isse, si voluissent. Hujus rei testem alium nolumus, quam nepotem suum, ipsum scilicet Cardinalem S. Petri ad Vincula, quem is falso in testimonium suum Bullis inseruit. Fatetur hie ingenue palam se nun- quam in ea legatione aut Laurentium, aut aliquid Lau- rentii contra Ecclesiam vidisse ; dignior nepos thiara, quam patruus pileo. Fuit absolutus praeterea jam tertio Laurentius ab omni, si quem, ob missos a prin- cipio milites fines defensiiros, in canonem incidisset. Nam quartus hie est annus hujus rei, cujus nunc judi- cium repetit, immemor, quod Dominus bis in idipsum non judicat, immemor quod Salva.tor dixit, si fieccaverit in te frater tuiis^ vadt isf corripe eum inter ie ^ ifisum solum^ immemor, quod subjunxit etiam, septuagici sejities, immemor illius ad Petrum, cujus tam vices gerit, quam m.onitum servat, niitte gladium tuum in vagi- nam, nain qui gladio ferit, gladio Jierit»

At

APPENDIX. NO XXVII. 183

At qiieritur revocatum post ope Laurentii in patri- am Vitellium ; tanquam ea imprudentia sint Florentini, ut malint jacentem erigere, quam stantem non tueri. Durasset Viteilius, permansisset Tiferni Vitellius, si Florentimis manum apposuisset ; quid enim obstabat, quo minus, capta urbe, arx quoque imperfecta capere- tur, nisi quod deficientibus externis amicis, defecere & interni qui eum revocaverant. Nam Joannem Vitelli Vitellii filium, qui eorum stipendiis militabat, nedum reliquos tenuerunt Praetores Florentini, ne patrem contra Ecclesiam sequeretur, ita ut ejectum se Tiferno Viteilius a Ilorentinis non revocatum quereretur. Laurentium vero postmodvim revocasse Nicolajum ex agro patriae suae vicino, Sc praeter auctoritatem Flo- rentinae Libertatis transtulisse Fisas, quo pacatus Six- tus civitate ilia potiretur, non dicit, Subticet beneficiaj offensas derivat in crimina, suspiciones afiert pro com- missis, in non subditos, non confessos, non convictos, non citatos sententiam profert excommunicationis. Sic redditur pro bono malum, sic fratilis gratitudo pro cus- todito sublatum Tifernum queritur. Sic quod tumul- tuarie coepit, tumultuarie 8t nullo servato juris ordine prosequitur.

II. Sunt juncti foedere Florentini cum Perusinisj & his Perusinis, qui Comiti Carolo adversantur, Ponti- fici favent, & culpat Vicarius veritatis Laurentium, quod per Comitem Carolum, quaesierit abducere Peru- siam ab Ecclesiae reverentia. Vanum omnino Sc ridi- culum mendacium, & quod se ipsum solvat, sociasque calumnias apud recta judicia mentitas demonstret. Nam hi quoque Perusini, qui Caroli partes sequebantur, cum Florentiae exularent in Pactiana conjuratione

depre-

184 APPENDIX. NO XXVII.

depvehensi cum reliquis, qui Achiepiscopum ad occu- pandum Palatium secuti sunt, periere. Et, in quit, ut subdat PerusiaiTi per Carolum suae tyrannidi. Subdi- turne per redituni unius civis tarn facile populosissima civitas nunquam verum jugum passa servitutis ? Eratne insuper Comes Carolus tam servus, ut praestaret ei secum patriam alienae subdere ditioni ? Tyrannus praeterea Laurentiusne est, qui suo exercitu potuerit rem tantam aggredi ? At forsan discessus Caroli a Venetis fuit adeo ignotus, ut simulatus putari posset. Pudet respondere tam puerilibus verbis 8c impudenti mendacio verecundam opponere A'eritatem. Credimus eum congerere in hanc Bullam voluisse quidquid adversi in suo Pontificatu, quidquid poenarum offen- derit : tot enim pene execrationes in suis litteris con- glutinat, quot vulnera Juliano etiam jacenti sicarius ejus infiixit, ut idem judex videretur 8c occisor. Unam tamen injustam juste poenam adhibuit. Privavit Pisa- nos dignitate Archiepiscopali, qui nihil aliud egerunt, quam quod cives duos in eo suspendio amisere, 8c id fecit, putamus, quia voluit etiam habere partem cum his, qui illos privarunt Archiepiscopos, Sc sentire in aliquo Presbytericidis, ut senserat cum homicidis. Ve- rius quidem privarat eos {in marghie, tam antiqua dig- nitate) cum Pisanae eorum Ecclesiae Simoniacum prae- fecit lenonem hereticum. Sed hanc novam excogitavit privationem, ut cognosceretis a multitudine poenarum ejus tam odii copiam, quam justitiae paupertatem (m marginc^ Florentinae quoque Ecclesiae tam Justus fuit quam pius. Interdixit illam prius armis quam cen- suris, prius A'ctuit homicidio, quam interdicto, divinum in ea celebrari officium, 8c id etiam credimus, ut intel-

ligeretis

APPENDIX. NO XXVII. 185

Hgeretis praecederc in co diabolum, subscqiii Ani^elum, niucronem spiritualem temporalis esse ministrum. At inquit Paulus ; si quis tcmjilum Dei violaverit, difiperdet ilium Deus),

III. Objicit tertio loco obsessum a se MontoniuiTi adjutum fuisse a populo Florentino, 8c ad fidem faci- endam quosdam interceptos niilites subsidiarios adducit. Deus immortalis ! quam fulcimus pluribus, quod debi- lius videmus ! Ipse, qui Comitem Carolum in Senenses pepulerat, Florentinos, qui hominem abscedere jusse- runt, accusat. Nos jurene, an injuria nobilis Senex ad propria rediens sua sede spoliatus fuerit, unde illi incubuit post necessitas, ut vivere posset, sua a Senen- sibus repetere, non requirimus. Nolumus enim quae nostri judicii non sunt, ut Sixtus nobis, affirmare. Sed ob aliud quam Montonium, ob aliud venisse illuc castra Sixtiana ostendemus. Legite banc sui Joannis Baptis- tae narrationem, non extortam cruciatu, nee ad ejus rei fidem exactam : cognoscetis Sixtum proditionem prodi- tione voluisse occulere, imitatum eas muliercuias, quae cum ipsae meretrices sint, alias fornicarias appel- lant. Haec sunt verba Jo. Baptistae, mendacium illud, dum aliud narrat, aperientia. " Dipoi co- '' menzo andare per il tavolero fatto del Conte " Carlo, e per dicta cagione bisogno mettere insieme " ognuno, che 1' hebbero niolto caro, Sc essendo il " campo del Conte Carlo in quello di Siena, e com- " prendendosi chiaramente la cosa non potere aver du- " rata, fu fatta deliberatione d' andare a campo a Mon- '• tone, e tenere in tempo 1' assedio piu che si posseva, " accioche chostoro havessero tempo a dare ordine alia " espedizione, e per decta cagione venne Francesco de' " Pazzi in quello tempo qui in Fiorenza con dimos-

" tratione

186 APPENDIX. NO XXVII.

" tratione di fuggire V acre, 8cc. £t infra, E da parte

" del Conte gli sollecitai assai a decta espedizione pri-

" ma ch' el campo si dividesse. Loro me resposero,

" che non bisognava speroni, ma morso, & ad omne

«* modo vedera spedirla in questo tempo, e che io stesse

" parato, che sperava avvisarme presto quello havesse

" a fare, e che al sue avviso non preterisse niente, Sc

" io dissi di farlo, e con questo me n' andai ; 2c non

" trovando chostoro comoditi di farlo in quello tempo^

" deliberarono lasciare stare sin a tempo nuovo, & awiso

" che se deviasse il campo."

Et scribit in suis censuris bonus Pontifex ad pacem Italiae conservandam se illuc suas copias misisse. Pax- ne Italiae erat, an perturbatio ? An aditus Turcorum per eversionem Florentinae civitatis, commotio omnium Christianorum ? Sunt ociosi Veneti pugnantes tot annos contra Turcos pro uni versa Christianitate ; quid eos abducere a muro Hierusalem in auxilium sociorum quaerit? Est bonus Auditor spiritus prophetici Orfano tu eris adjutor ; quid puerum Ducem Mediolani beilis implicare conatur ? Est Florentinis forsan foedus cum eo, qui irritat Turcum in Christianos, qui eorum agrum diripit, incendit oppida, civitatem premit ? Nunc in- telligimus cur vendebat Ecclesias. Habebat unde simoniam excusare posset : in propugnatores fidei : in pupillum Sc viduam : in eos qui semper tcclesiae partes secuti sunt. Credebatis omnia Tyresianas cre- pidas obligurisse. Restabat 8c quod in hoc sanctum opus exponere posset. Appellat bellum pacem noster hie Vicarius veritatis, ut omnia ei inversa sunt, 8c a contrario sensu interpretata. In cervices Florentino- rum, in jugulum hujus populi, qui toties sanguinem suum pro dignitate Pontificum fudit, vicinus ille ad

Montonium

APPENDIX. NO XXVII. 187

Montonium exercitus cogebatur, ut cum primum con- jurati in urbe homicidium commisissent, externa haec auxilia ad fovendam proditionem, vel diripiendam po- tius opulentissimam civitatem convolarent. Nam is exercitus nonne illius Sixti erat, qui Spoletum, Tuder- tumque Apostoli Petri urbes sine caussa diripuit ? Et quid pietatis in alienas sperari poterat, si in suas, dum longa processione Legatum excipiunt, tam crudeliter saevitum est i Quod si Montonio opem ferre voluis- sent Florentini, non erat ea vis obsidionis, non tam male munitum oppidum, ut propinqua hyeme, nee loci domino, duce fortissimo absente, defendi non pos- set. Sed facies ejus mendacii, ut ostendimus, tam deformis est, quam vultus male compositus. Nam nee illud quoque huic purgationi deest, quod in omni- bus suis rebus abunde semper subministratur, repug- nantia scilicet, Sc sui ipsius redargutio. Immemor enim omnium, praeterquam dolosae intentionis, crimen nunc appellat, quod olim innocentiam nominavit. Hoc ejus ad Laurentium Breve est. Legite cognituri quam alius posito, alius sufhpto cucullo sit Monachus.

Dilecte fili salutem &. Apostolicam benedictionem. Intelleximus ex litteris venerabilis Fratris Fr. Archi- episcopi Pisani Referendarii nostri te vehementer ani- mo angi, quod processus contra Carolum de Fortebrac- cis facti, in quibus tui nominis mentio fit missi vulga- tique fuerint. Non est, fili dilecte, quod moleste id feras ; nos enim optime de tua devotione sentimus, innocentiamque tuam exploratam habemus. Nee idcirco processus hujusmodi misimus, ut te notare, sed ut purgare vellemus. Verba litterarum nostrarum, in quibus processus inclusimus, ita sonant, ut ille mentitus esse, si forte apud alios jactasset, & viros magnae

aucto-

188 APPENDIX. NO XXVII.

auctoritatis falso nominando, perfidiae suae, favorem quaerere voluisse videatur. Nos nihil sinistri suspi- cari de tua in nos spectata caritate possumus, neqiie unquam suspicati sumus. Quare hortamur, ut omnem animi molestiam deponas, tibique per- suadea.s nos te unice diligere, & ad paternum nos- trum in te amoreni niiiil addi posse, queniadmodum ex litteris dilecti filii nobilis viri Hieronymi nostri secundum carnem nepotis notum tibi esse potest. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoris die XXVII. Pontincatus nostri an. VII. L. Grifus.

Quid dicitis, Christiani Lectores ? Idem ne est hie, qui ob Montonium excommunicat, an latet anguis in herba, £c est hamus, non amor, quem paternum appel- iat ? Nam eo potissimum tempore Breve hoc reddi- tum est, quo, soluta Montoniana obsidione, Romam Laurentium attrahere cupiebat. Utrum capiatis dolum ne an contradictionem, Sixtianum est. {In margine. Nam egregie hie juxta Prophetam mentita est iniquitas sibi.')

IV. De vocato in Thusciam Deiphaebo mala pro bonis recipiunt Florentini. Scit enim Sixtus, scit sua conscientia, bis hunc venientem ad stipendia Florenti- norum, bis sua caussa fuisse rejectum. Recitaremus hie iitteras, quibus 8c interrogatus est Sixtus, & re- spondit, nisi tribuere nimium etidenti mendacio videre- mur, praesertim cum vivat Deiphaebus, qui testis esse potest locupletissimus, Sc apud illos militet, potius quam Florentinos. Sed dicat, precamur, Deiphaebi pecuniae nonne apud suos Pactios erant ? Nonne per eos ad paternum regnum aspirabat ? Si aspirabat, Floren- tini praeterea cur minus Christiani sunt, quam Veneti,

quibus

APPENDIX. NO XXVII. 189

quibiis Deiphaebum militare conceditur ? At vicini terris Ecclesiae non sunt, ut Florentini ; Viciniores Senenses sunt Florentinis, & ad hos divertit bis Deiphaebus ut ad Florentines : cur his crimen est, quod ill is meri- tum ? Nisi quia noverca non mater, ira non ratio banc sententiam promulgavit. Sed banc calliditatem quis Sixtum nostrum, qui tam simplex haberi vult, docuit ut omnem culpam, omnem caussam censurarum & belli in solum Laurentium rejiceret, quo dempto intestinis odiis capite, facilius reliquum civitatis corpus invaderet. Verum altius radices suas agit Laurus. Nimis sua ilia viriditas, dum fulmina 8c hyemes contempsit ; nimis ante oculos omnium caedes ilia versatur ; nimis cog- nitum Laurentium potius fuisse vulneratum, & unicum, quern habebat, amisisse fratrem ob patnam, quam patriam ob ejus ullam in aliquem injuriam fuisse laces- sitam. Nam haec, quae objicit Sixtus, aut publico, aut privato nomine sunt gesta. Si publico, auget Lau- rentio commiserationem Sc gratiam, quia solus pro omnibus patiatur, cum solus praesertim, praeter locum relictum sibi a majoribus suis, nihil publici commodi capiat, omnia substineat. Si privato, quod fieri nequit in urbe libera, acquirit haec iiisecutio tam Sixto odium, quia innocentem pro noccinte puniat, quam Laurentio auctoritatem, quia umis tot obierit, ut rempublicam & communem reliquJs patriam augeret. Nihil enim Sixtianam versuciam tam puerilem demonstrat, quam fundatum super illato homicidio bellum : hoc Petrum, qui sedem erexit, nedum hunc, qui illam dejecit, dam- naret.

V. Ut ad Citernam oppidum insidiis petitum venia-

mus, & haec multo post reperitur querela tam fulcta

VOL. Ill, c c veritate

190 APPENDIX. NO XXVII.

veritate quam superior. Non occupant per insidias noc- lurnas alienas iirbes Respublicae, Sixte Pontifex. Ty- rannorum ea ars est, Sc eorum, qui non per comitia, sed cubicula res suas gubernant. Ignota cordis pec- cata castigas, qui manus 8c oris manifestam injuriam intulisti. Centurionis puerum sepelis, qui Lazarum in tua sede foetentem non excitas* Sed iiujus tuae calumniae quam vel saltern conjecturam affers ? Nonne tua Citerna est? Nimium tuis verbis tribui vis, qui contra evidens factum sola auctoritate niteris, 8c aucto- ritate, cui sine probatione, in terris, quae Ecclesiae sunt, credi non debet. Dominus certe, qui est scruta- tor covdium, suum Adam saltem citavit, tu alienum ne audias opprimis. Si tunc praeterea peccavit Lauren- tius, cur nor\ tunc excommunicatus est ? Cur in eum solum saevitur ? Certe nulla fuit culpa, quae nuUam tunc ab irato judice poenam substinuit. Quod si cle- mentiae suae id dari contendat, contendemus 8c nos verisimile non esse ut verbis clemens sit, qui sanguini non pepercerit. Sed statera dolosa calumniam dilexit, 8c ut trabem suam aliena festuca excluderet, laborare fecit Dominurn in sermonibus suis, quos etiam ne timeamus sanctae nos Scripturae monuerunt. A verbis viri jieccaloriH ne timuerUis^ quia gloria ejus stercus, i^ vermis est ; hodie extolUtur^ ^ eras non invenitur, quia conversus est in terrain suam^ l^ cogiiatio ejus peribit (in margine : verba oris ejus iniqnitas iP" dolus noluit intelligere ut bene ageret),

Peregrinorum similiter objectionem non possumus non mirari, cum &: Laurentius semper paveret pauperes, exceperit peregrinos, liberaverit obnoxios, 8c Florentini hoc apprime intelligant, nihil eis esse Romipetis utilius.

Quod

APPENDIX. NO XXVII. 191

Quod si quis mercator in eorum patria spoliatiis ipsos transeuntes apud judicem de licentia Pontilicis hie convenerit, ac etiam sine solution e dimiserit, non prop- terea arbitramur post tantam dilationem, aut civitatem hanc debuisse sacris interdici, aut Laurentium, ad quera parum ea res pertinuit, excommunicari, aut praedatores propterea debuisse ablata non restituere : subjiceremus hie fidem oblatorum nisi id melius ipsi testarentur, subjiceremus BuUam facultatis in eos concessae, nisi longior esset quam nostra haec defensiuncula capere possit. Registrum tamen Romae est ; tarn possumus nos mentiri, quam ipse non erubescer^.

VI. De pyratis etiam P'lorentinis videre potius libet quam respondere. Quis enim unquam audivit Floren- tinos pyraticam exercuisse ? Utinam non fuissent semper pyratarum praeda, quam nunquam ejusmodi artificium exercuere. Quod si aliquem ejus generis hominem ad defensionem suarum triremium conduxcre, Sc is aliquid ex se commiserit, num propterea innocens pro nocente plectendus erat : num tam atrox sententia aliam non requirebat caussae cognitionem ? Sed repe- tita tam longo intervallo memoria, tam impudens fuit precipitanda sententia. Judicaret saitem quod sentit ; aliquam saitem judicii formam praeferret : toleraremus. At contra earn innocentiam, quae etiam ipsi judici exploratissima est, contra omnem stilum justitiae, om- nem ordinem juris sub pretextu notorii, ignoti, nedum non probati damnari, non possumus non contemnere,

VII. Negatam vero a principio Salviato Pisani Ar- cliiepiscopatus possessionem tam excusamus, ut dolea- mus aliquando postmodum fuisse concessam. Si per-

stitissemus

192 APPENDIX. NO XXVII.

stitissemus in ea inobedientia, nostrae nunc obedientiac retribution em non lugeremus. Per eum enim tSixtus, ut vidistis, omnem proditionem istam machinatus est. Zelo domus Domini, Sc ut aliquid videretur habere gustus populus Florentinus, hunc eo anno promotum, quo aurato vultu per urbem in bacchanalibus & camelo vec- tus est, recusavit primum, acceptavit post ne obstinatus videretur, qui jam ostenderat, non sua electione, sed ejus, qui hominem propriis manibus consecravit, dig- nissimae Ecclesiae male esse provisum : si igitur ante obedientiam nihil contra renitentes factum est, ad quid post in Laurentium, cujus opera est data possessio, red- dita spolia, receptus honorifice fertur censura ? Quid bills imperfect! homicidii pro justitia vomitur ?

VIII. At dicet, suspensus fuit, & per vos laqueo necatus. Suspensus leno, suspensus parricida, suspen- sus lusor, suspensus proditor ; Sc id in ipsa enormitate criminis dum fureret populus in proditores patriae^ quorum hie erat caput, dum cives primarii de salute patriae trepidabant. Archiepiscopus non erat, quern popularis ille furor, dum palatium suum defendit, sus- pendit. Archiepiscopi enim talia non faciunt ; arma- tus scuto &; ense captus est ; invasor Curiae reten- tus. Et quis hunc pro Archicpiscopo cognovisset, aut cognitum sacerdotaliter tractasset ? Noluissemus ipsmn Sixtum sic inventum fuisse a Savonensibus suis. Quod si injiciens manum quocumque modo in Clericum excommunicandus sit, cur non hi, qui manus injecerunt, excommunicantur ? Quid miser Laurentius vulneratus 8c confectus doiore interempti fratris juxta illud, ulula abies^ quia cecidit cedrus^ de sua vita, de suo statu, de salute patriae anxius impetitur ?

Quid

APPENDIX. NO XXVII. 193

Quid additur afflicto afflictio, 8c pro medela illati vulne- ris vulnus adjungitur ? Est ne haec ilia manifesta Sc rationabilis caussa, pro qua tantam ferri censurani sacri Canones statuerunt ? Est hie gladius ille bis acutus ex ore sedentis in throno procedens, ut laudetur peccator in desideriis animae suae, Sc iniquis benedicatur ? Maledicitur innocens, qui pene occisus est : cccisor & proditor patriae, bonae memoriae filius appellatur. Haeccine memoria, Sixte Pontifex, tuae bonitatis Sc justitiae I Parricidarumne patrem te Cardinales isti creaverunt ! Hinc forsan cum hunc solus, £c per saltum promovisti, hi vota sua reddere noluerunt, qui tarn bo- nae memoriae partem omnem tibi relinquere statuerunt. Perfidia fidem, nocentia innocei-itiam, scelus bonitatem perdidit, Sc vis ad nomen censurarum benedictum maledictum existimemus ? Non sic impii, non sic, sed tanquam pulvis, quein projicit ventus a facie terrae, frustraque jacitur rete ante oculos pennatorum. Vah qui dicis amarum dulce, 8c dulce amarum, ponens tenebras lucem, Sc lucem tenebras ! nam sicut avis in incertum volans, Sc passer quolibet vadens, sic maledic- tum frustra prolatum venit super eo, qui misit illud ; propiores enim sunt ligationi manus habentis potesta- tem ligandi, quam ejus, qui iigandus sit, aut solvendus. Idem Sc de reliquis Cardinaiis familiaribus, qui armati inventi sunt, referemus Clericos non esse, qui Domini sorte relicta arma capiunt Sc daemones sequuntur; ait enim Scriptura de ejusmodi Clericis, Clericatus eorum non proderunt els, Quis viros graves, nedum furentem multitudinem requirat, ut ad pectus manus contineant, si videant capi arcem suae civitatis, opprimi libertatem, occupari patriam per proditionem ?

Excom-

194 APPENDIX. NO XXVII.

Excommunicet eos, qui contra omnem religionem, contra omnem aequitatem, contra omnem humanitatem benemeritos de se cives 8c hospites offenderunt, non cos, qui se defenderunt, & pro patria demicaverunt. Geterum libenter hie intelligeremus ab eo, qui tot tam tonstanter proponit, unde nunc maledicat, quod modo benedixit. Nonne ilia sua vox fuit, cum audivit sus- pensum fuisse ob proditionem Archiepiscopum & Sti- patores : " Benedicti vos a Domino, qui hominem " suspendistis ; nunquam voluissemus praefecisse eum " illi Ecclesiae." Nonne etiam mentionem habuit de mittendo Florentiam Legato qui afflictos consolaretur ? Et unde post tam repens exorta in contrarium senten- tia ? Tam subito mutata in crudelitatem commiseratio ? Nondum erat for s an captus Jo. Baptista, qui, sua con- fessione, Sixti occultam voluntatem in apertam neces- sitatem converteret : vel pendet ab alio, & est Vicarius alicujus hostis nobis ignoti, & hominis, utinam boni, non ejus qui Ecclesiam suam super firmam petram fun- davit : utinam boni diximus, utinam non ejus, qui fines sibi extendere non potest, nisi suos minuat Eccle- sia : ejus, qui suum alienis stipendiis bellum gerit, ejus qui non tam pii Pontificis opera Romanae sedi erat obnoxius, quam hunc suo commodo nunc sibi manci- pium fecit. Nam credit ne Sixtus ad minimum usque quadrantem stipendia haec illi se non soluturum ? Urbes Ecclesiae nunc emuntur, dum exhausti Pontificis mala coepta foventur. Percurrimus haec singultuoso stilo & abrupto, quia dolor orationem mutilat. Quis enim magis vulnera sentit Ecclesiae, quam Florentinus ? Si tam Hispanum aut Ligurem ejus calamitas tangeret, non adeo dolenter cladem illius & nostram intueremur. Privigni mutrem in filios armaverunt, & ubera, quae

reple-

APPENDIX. NO XXVII. 195

replevimus, in amaritudinem nobis 8c venenum conver- terunt.

IX. Sed ad captum Cardinalem veniamus, in cujiis oculis caedes ilia nefandissima, 8c sacrilegium commis- sum est. Qua in re si pro bono opere lapidatum Lau- rentium videbitis, credetis 8c reliquas purgationes ejus non minori dignas esse commiseratione, quam fide. Hoc litterarum ipsius Cardinalis ad Pontificem exem- plum est : ipse de se testimonium prehibeat, qui scit, an caperetur, an a furore populi Laurentii opera libera- retur. " Paucis ante diebus, Beatissime Pater, Sane- " titati Vestrae significavi liberam mihi abeundi facul- " tatem fuisse concessam. Declaravi praeterea, " quantum huic Senatui, Sc praesertim Laurentio Me- " dici ob mirificam in me pietatem essem obnoxius. " Postremo Sanctitatem Vestram suppliciter obsecra- " bam, ut pro beneficiis in me suo nomine collatis, " beneficio aliquo Florentinos afficeret ; verum longe " me mea fefellit opinio, siquidem nuntiatum, populo " Florentino &c Laurentio praesertim sacris interdic- " tum fuisse, & quibus bona desiderabam expectabam- " que, mala nunc (heu miser !) video contigisse : " mirabitur forte Sanctitas Vestra, quod me modo " miserum nuncuparim. Quid mirum ? Exprimere " non possum, Beatissime Pater, quanto dolore pre- " mar, quod vel parum apud Sanctitatem Vestram " meae preces valuisse putentur, vel in eos ingratus " existimer, quibus usque adeo gratus esse percupio, " ut non prius abire hinc meo quidem judicio decere " videatur, quam lata in eos sententia retractetur. Si " pietas de Medicis huic populo manifestissima " Beatitudini Vestrae satis nota esset, nunquam tan-

" quam

196 APPENDIX. NO XXVII.

" quam impios eos execraretur. Quantum laetatua " sum, quando me Vestra Sanctitas Cardineis tltulis " declaravit, tantum certe, multoque magis gaudebo, " cum sensero meo nomine hos optimates optima de " nobis meritos, aiiquando muneribus gratitudinis or- " navisse. Tunc maxime Beatitudini Vestrae me " commendatum esse cognoscam, cum Senatum hunc *' Laurentiumque nostrum imprimis intelligam com- " mendatum. E Monasterio Annunciatae Florentiae ; " die 10. Junii 1478." Quid igitur captum Cardina- lem queritur Sixtus, si ipse se liberum 8c debitorem Laurentio profitetur ? Si honorifice ac etiam praestitis in sumptus itineris pecuniis remissus, si redditum illi bonum pro malo contra morem Sixtianum est ? Quod de superioribus, quae tam recentem Sc manifestam redargutionem non habeant credendum, si in hoc tan\ evidenti mendacio non verum deprehenditur : nam ipse quoquemet Sixtus per Episcopum Modrusiensem gra- tias retulit Magistratui Florentino, quod roganti Cardi- nali suo & exigenti deductio in Palatium concessa fuerit, quod a furore populi liberatus, quod, honorifice tractatus. Sed prostituta mulier, ut diximus, 8c extra Monasterium Monachus ejusdem frontis sunt. Nos vulnera Sc necem ostendimus, ille verba k. fictas calum- nias adducit : nos eversam pene ipsam Rempublicam proponimus, ille pro remedio tam enormis injuriae Oratoi em nostrum Sc mercatores Florentinos, qui Romae versabantur, capi jubet : nos Cardinalem servatum remittimus, ille civitatem sacris interdicit, parat exer- citum, ut corpora simul, 8c animas bonus pastor in- terimat. Ob ?iecatos inquit, Ckricos : non dicit, armati erant, palatium capiebant, seditionem move rant, janito- rem Curiae, abreptis clavibus, tenebant, gladios in

jugulum

APPENDIX. NO XXVII. 197

jugulum Dominoriim vibrabant, Julianum occiderant. Accersendine erat tempus Joannem Andreae, qui cap. Si quis suadente diabolo declararet ? Suasit id Dominus, suasit natura, suasit ratio ; privilegio privatur, qui privilegio abutitur : nee ideo Ecclesiastica dignitas pe rmibsa est, ut clericus grassari in Ecclesia permit- tatur.

Sed quis judicem eum existimet, qui gestae rei partem unam tantum, Sc illam multo aliter, quam ^esta sit, in sua sententia exprimat ? Trucidati in Ecclesia, sine caussa vulnerati inter Missarum solemnia sine ullo Dei respectu impetimur. A proditore, ab hoste aperto judicamur. Et quis banc censuram timeat ! Quis non clamet in coelum t Quis non premat calcibus omnem religionem, omne exetrationum genus, nedum banc venientem a tarn iniqua proditione sententiam. Nescimus quidem utro major sit, Sixti ne temeritas, an injustitia, qui censuris & armis credat commissum ho- micidium 8c seditionem justificare. {In margine, Pug- nant sane inter se vis & censura ; qui utrumque adhibet, utroque indiget. Vim prohibuit Dominus Pastoribus, cum jussit Petro, ut etiam pro se Christo gladium non educeret.) Censuram quoque aliter alius Sixtus, quam hie noster exerceat, instituit. Scribit enim hie Hispanis Episeopis. Incerta nemo Pontificum judicare praesu- mat, & quamvis vera sint, non tamen eredenda, nisi cum certis indiciis comprobantur, nisi cum manifesto judicio convineantur, nisi quae judiciario ordine publi- cantur. Hie Christianior Christo, Sixtior omni Sixto vim Sc arma in Christianos, censuras contra omnem ordinem juris exercet. Sed qui nee Christum audit, nee Secundum Sixtum &; se ipsum judicat, jam a qui- voi,. III. n d bus

198 APPENDIX. NO XXVII.

bus audiendus sit vos judicate, qui Sc ilium & nos audistis.

X. Duo haec sunt capita suarum censurarum : de- tentio Cardinalis &: suspensio Archiepiscopi ; reliqua omnia pro fulcris istorum congeruntur. Cardinalem non hostiliter, sed reverenter, non temere, sed sapienter fuisse servatum per ejus litteras, redditum per rem ipsam probavimus. Quern si etiam vi, nedum precibus Sc sumptibus publicis in privata custodia, nedum Pala- tio publico Florentini, postquam audierunt suos Romae esse conjectos in arcem Adriani, tenuissent, a sacris canonibus ob rerum suarum defensionem non discessis- sent. Liber enim erat servatus, sedato jam populo, Cardinalis, cum auditur Romae captos esse Florenti- nos, ac eorum bona omnia pene esse direpta. Quo factum est, ut Cardinalis non tanquam obses, sed inter- cessor servaretur, illisque redditis redderetur. Ar- chiepiscopum quoque non fuisse, nedum suum Episco- pum, quem Florentini suspenderunt, at Salviatum indicat Innocentius, qui diffidatum appellat, excommu- nicatum, & sine alia declaratione omni dignitate priva- tum eum, qui per assassinium hominem Christianum occideret. Direptionem domus Laurentii promiserat occisori Laurentii, Sc licet laqueus contritus sit, non minus tamen ipse degradatus est. Nee dicat liabito etiam consilio id factitatum esse ; aliud enim illi Palatii liberatores non consuluere, nisi ut subito, Sc priusquam id Laurentius intelligeret, suspenderetur ; timebant enim ne ob religionem id in Archiepiscopo statueret, quod in Cardinale mandaverat. Repentinus fuit tu- multus, repentina, 8c nuUo Priorum rite communicate consilio, adhibita sunt remedia. Notum praeterea

adhuc

APPENDIX. NO XXVII. 199

adhuc non erat his, qui se defendebant, quo in statu civitas esset, quamquam serperet in familias Pazziorum factio. Sciebant autem solere in seditionibus, demptis capitibus, & reliquos conjuratos arma deponere. Erat enim adhuc in armis eques Pactius. Veniebant hinc Tiferno per Senenses, hinc Foro Cornelio per agrum Mugellanum in auxilium conjuratorum copiae Sixti- anae, quas verisimile erat subsistere, audito ^um, qui Palatium capturus erat, esse suspensum. Nonne lice- bat nascentem flammam, vel natam potius, priusquam invalesceret, exstinguere ? Hinc Salviatum, non Ar- chiepiscopum, absque ulla quaestione, vix scelus con- fessum, e fenestris precipitarunt, nee Cardinali igitur, nee Archiepiscopo injuria illata est. Tarn canonice nobiscum egissent ipsi, tarn Christiane, tarn ex lege vixissent, quam eos clementius quam decuit tractavi- mus ? Quid enim hi sunt aut virtute aut nobilitate ad Julianum Medicem, quern nobis occiderunt? Sed vi- deat Cardinalis, ne plus injuriae ejus restitutio suis in- tulerit, sublata belli caussa, quam detentio : ut enim dignitatem illam homicidio praeposuerat, sic materiem belli & ansam esse cupiebant.

XI. Restat itaque, ut sententia nulla sit, quae nullam habuit judicandi caussam : falsum sit judicium, quod mendacio nititur. Excommunicatus non sit, qui alios excommunicare vult violenter Sc injuste. Acce- perit Spiritum Sanctum, non simoniace sit creatus, qui vocem suam veri Pastoris, non haeretici hominis vult haberi. Praeveniat citatio oportet ex jure Divino, 8c alibi quam Romae in faucibus hostium, ut Laurentius recte excommunicetur, eb id enim potissimum Clemens sententiam Henrici Imperatoris in Robertura Regem

non

200 APPENDIX. NO XXVII.

lion revocavit, qui eum ad locum suspectum citaverat. Moveat uliud opus est quam perficiendi homicidii desi- denum, ut injustitia, non odium videatur. Vuliiera enim fasciolis non gladiis, offensae indulgentiis, non censuris leniri solent. At Sixtus veneimm vulneri, liastam gladio, exercitum sicario addidit, h qu.ndo obclucta jam erat cicatrix, muris Hierusalem admovit machinas, censuras publicavit. Peccarit sane Lauren- tius quam dicit, commiserit quae congerit ; num prop- terea erat a religioso Pontifice necandus in P'xclesia, num mittendus exercitus in eos, qui Laurentii non sunt ? {In margine : quae enim utilitas in sanguine pec- catoris ? non infernus confitebitur Deo, neque mors laudabit eum.) Sentimus, quod nusquam legimus, expugnationes urbium, direptiones templorum, vesta- lium, puerorumque raptus, sanctum omne Sc innocens concedi praedae militari, baculum esse & disciplinam Pontificis in eos maxime, quibus, si interrogetur cur bellum intulerit, nesciat ipsemet vel unam caussam assignare, nisi dicat, ut Florentinos pro Comite Hieronymo^ occisos firo homicidia puniam, Excommunicationis enim aliqua praetendi a Pontifice caussa potuit ; belli contra eos, qui semper juri paruerunt (in margine : nisi sanc- tior Nicolao, qui scribit, sancta Dei Ecclesia gladium non habet nisi spiritvalem^ quo non occidit^ sed vivijicat) nesciraus aliam, quam imperfectum in Ecclesia homi- cidium. Execrationem quoque in Laurentium latam, ex Sixto, quantum videmus, excerpsit, ubi discipli- nans, non eradicaiis jubetur esse, censura.

Hinc illam imprimi fecit, non contentus calamo, illam vendi in campo Florae, non contentus valvis Ec- ciesiarum, ut ejus disciplina ad eos prius perveniens,

ad

APPENDIX. NO XXVII. $oi

ad eos quos non pertinebat, eradicans esset non emen- dans. Hinc etiam mandat populo, ut Priorum ac Octo virorum aedes tarn publicas quam privatas demo- liatur. Prudens sane, grata, ac religiosa sententia, credit eos qui defenderunt esse offensuros. Provocat in servatores Cardinalis eos qui discerpere Cardinalem voluerunt. Praecipit contra Jus Divinum ac praecep- tum Domini, ne occidas, ut ejus videatur Vicarius, qui animam suam posuit pro ovibus suis. Non contentus caede una, totam urbem involvere eadem ruina conten- dit ; quis enim tarn inops mentis est, ut credat, sine caede multorum Sc sanguine sex Sc triginta domos op- timatum posse subvert! ? Virum autem sanguinum 8c dolosum quomodo patietur Dominus illud subjicere, jubtam vel injustam Pastoris sententiam esse timen- dam ? Nam illud quoque sacri Canones addidere, con- tra notoriam Sc manifestam caussam sententiam non valere. Si praeterea dixit timendam, non jussit obser- vandam fin margine : nam praevidens hoc flagitium Spiritus Sanctus praedixerat per Prophetam ; con side- rat peccator justum, & quaerit interficere eum : Domi- nus autem non derelinquet eum in manibus ejus, nee damnabit eum, cum judicabitur illi), maluntque boni judicio falsi Pastoris damnari, quam in minimam Evan- gelii litteram impingere ; sed banc quoque suam hu- jusmodi sententiam, constans sibi Pontifex, quodam- modo paullo post abrogavit. Scripsit enim mox eidem populo, quem sacris interdixerat Breve in haec verba. " Si qui bunt, qui existiment nos defecisse a desiderio " juvandae Reipublicae Christianae, 8c arma adversus " civitatem istam movere, errant quidem vehementer ; ** nam neque publicae saluti nunquam deerimus, neque " adversus civitatem Florentinara, quam semper ex

" cordc

302 APPENDIX. NO XXVII.

" corde dileximus, quicquam sinistri cogitamus. Absit " a nobis haec cogitatio."

Quomodo autem quis diligatur & interdicatur, nihil sinistri in eum cogitetur, & militum direptioni detur, hi judicent, qui noverunt quam differat in hypocrita manus ab ore, ab opere verbum. Et audebit etiam aliquando dicere se ad libertatem Ecclesiae defenden- dam bellum Florentinis movisse, qui fecit earn servam omnium saecularium : qui prius earn lavit sanguine in- nocentis, quam suis purgavit sacrilegiis ; qui eami spe- luncam latronum reddidit, omnique immunitate spoli- avit ; qui denudavit femur virginis in confusione ; qui caedem, quam nunquam intulit Italiae, prius libidini unius juveni, prius militari praedae, quam transalpinis nationibus concessit. Deus, qui absconditorum es cog- nitor, qui nosti omnia antequam fiant, tu scis, quia falsum testimonium tulit contra nos, nee oblitus es sea- belli pedum tuorum in die furoris tui.

In tam manifesta itaque innocentia lacessiti, non servata forma, non servato jure, damnati, ad quern recurremus ? Ad Pastorem animarum nostrarum ? At is pro remedio perturbatae pacis, tentatae tyrannic dis, invasi Palatii, afHictae civitatis, vulnerati Lau- rentii, occisi in Ecclesia per proditionem Juliani ex- communicat, interdicit, & Curiam ac domos Prin- cipum civitatis solo aequari jubet, obsidet oppida nos- tra, diripit segetes, urit villas, sugentes ubera Sc om- nem moventem feras aetatem militum suorum furopi exponit. Oh Pastor ! Oh idolum derelinquens gre- gem 1 Gladium super brachium ejus, Sc super oculum dextrum ejus : brachium ejus ariditate siccabitur, & oculus

APPENDIX. NO XXVIL 203

oculus dexter ejus tenebrescens obscurabitur. Ad alterum igitur lumen, ipsum scilicet Caesarem semper Augustum confugiemus ; id enim Dominus, ut huic nocti praeesset creavit ; Christianissimum Regem Fran- corum, in cujus tutela Christi Ecclesia est, sub cujus alarum umbra populus Florentinus semper protectus est, invocabimus ; omnes Principes Sc populos Christi- anos implorabimus, ut quando jam vident simoniace creatum Pontificem, templa, Cardinales, Missas ad homicidia fidelium exercere, Concilium (in 77iargine^ ad quod appellaviiiius) amplius non differant : sponsam. i.Uius, in cujus sanguine baptizati sunt, a tanta turpi- tudine liberent : dicimus Ecclesiae, ut qui Ecclesia sunt, per Evangelium quod ita praecipit, nos obdurate huic inauditus audiant. Dolenter, £c eo impellente, id facimus. Sed cum Deo resistat, qui veritatem re- primit : turbinem metat, qui ventum seminavit (in margine : Tninoris enim Jieccati esf, inquit Hieronymus, segui malum quod bonum fiutaris^ quam non audere defen- dere quod bonum pro certo noveris : 8c Bernardus ; melius est ut scandalum oriatur^ quam Veritas relinquatur ), Abeat itaque leno, casta erit mater : angularem lapi- dem non premat petra scandali, 8c non erit ultra offen- diculum amaritudinis, nee spina dolorem inferens. Stuporem enim dentium, £c omnem hunc nobis infide- lium morsum acerbae uvae paternae pepererunt. No- vistis multi Julianuiii Medicem, bonitatem ejus 8c vir- tutem pene omnes audistis. Cedri non fuerunt alti- ores illo in paradiso Dei, 8c tamen in templo per pro- ditionem Pontificiam tam crudeliter occisus est. San- guinem ejus de manu Sixtiana requirens Dominus, non potest 8c eorum, qui haec patiuntur, consensum non requirere. Mercenarium jam pro Pastore habi-

tum

204 APPENDIX. NO XXVII.

turn alieno sanguine cognoscite. Fructus ejus obscuri non sunt ; simonia, luxus, homicidium, proditio, hae- resis. Jam siquid aliud expectatis, quod mentita ves- timenta, Sc quid intrinsecus sit declaret apertius, simi- lem aliquain nostrae proditionem, 8c insuper belium expectatis.

Columnae Sc vos aureae super bases ars^enteas, lapi« dem, quern dedistis offensionis, excutite. Non negate suos cardines templo, cujus vectes is jam demolitus est. Turbatur navir.ula Petri, quod in ea erat Judas fin mar- gine^ intus est qui concitat tempestatem). Dicite illi erranti cum Domino. Vadt fiost Sathana^ scandalum nobis es ; non sapis quae Dei sunt, Infatuatum sal foras inittitCy priusquam conculcetur ah hominibus, Minatur enim vobis Dominus in matre, si pudori illius non consulitis. Oblita es, inquit, legis Dei tui, obliviscar filiorum tuorum, auferat fornicationes a facie sua, & adulteria sua de me- dio uberum suorum, ne forte expoliem earn nudam, Sc statuam eam secundum diem nativitatis suae.

Dominus Deus noster. cujus manus est super omnes, qui quaerunt eum in bonitate, custodiat corda vestra, Sc intelligentias vestras. Liberet vos a falsis Pastoribus, qui veniunt in vestimentis ovium, intrinsece autem sunt lupi rapaces.

Datum in Ecclesia nostra Cathedrali Sanctae Repa- ratae 23 Julii 1478.

I

APPENDIX. NO XXVm. 205

NO XXVIII.

Excusatio Florentinorum per, D, Bartholomaeurn Scalam ex MS, Codicc Bibliothtcae Stroctianae,

iblNGULIS atque universis, in quos haec scripta incide- rint, Priores Libertatis, & Vexillifer Justitiae Sc Populus Florentinus salutem.

Rem sumiis narraturi inauditam 8c novam, adeo alienam ab omni humana natiira 8c consuetudine Vi- vendi, ut nihil dubitemus omnes qui audierint, vehe- menter tantam atrocitatem, atque immanitatem rei ad- miraturos. Movet autem nos non caussa modo nostra, ut haec scribe remus, 8c nota faceremus, sed Christiana etiam 8c publica, quae profecto, his gubernatoribus, his moribus, dilabatur brevi, 8c funditus dispereat necesse est. Dum enim Religionis nostrae hostis post tot tantasque de bonis claras victorias in limine insultat, Italiae superbissimus atque formidabilissimus, dum imminet cervicibus nostris, Sc comminatur Romae, Sc nomini Christiano excidium, Sixtus Romanus Pon- tifex, Sc illi sui praeclari rerum administratores pro- ditionibus dant operam sceleratissimis : insidiantur vitae 8c libertati populorum ; incessunt maledictis cunctos bonos ; interdicunt sacris admodum execra- biliter, ac bellum inferunt Christianis ; Sc direptioni- bus Sc praedae atque incendiis, quocumque arma con- vertunt, pro viribus involvunt ; nihil pensi aut ha- bentes, sed foedantes omnia divina atque humana, barbaro potius quodam 8c ferino, quam aliquo humano more. Certo scimus non facile fuisse nos assensicnem VOL. III. E e adepturos

206 APPENDIX. NO XXVIII.

adepturos ob tarn nefarii facinoris magnitudinem ; sed fama rei gestae jam per universum fere orbem vulgata, patrocinatur vero, & fidem scriptis his pulcherrime procurat. Quod si ex primis quoque scelerum Minis- tris audientur ea, quae ipsi cum in nostras devenissent manus morituri fassi sunt, & chirographo suo tradide- runt nobis, erit profecto apud vos omni ex parte cor- roborata 8c stabilita Veritas. Igitur visum est, ut ordi- nein omnem rei ipsi edoceant. Ex ipsis ergo Johan- nem Baptistam de Montesicco audiamus ; ipse rem omnem ordine aperiet, cujus attestationis exemplar hoc est, videlicet.

Questa sera la confessione, la quale fara Giovam- batista da Montesicco de sua mano propria, in la quale fara chiaro a omne uno V ordine, Sc el modo dato per mutar lo stato della citta de Fiorenza, comentiando dal principio infino alia fine, ne lasciando cosa alcuna inderietro, imo in narrando tutte le persone, con chi lui n' aveva auto colloquio, & particolarmente narrando le puntali parole auto con tutti quelli, con chi n' ha par- lato ; e prima con 1' Arcivescovo e Francesco de' Pazzi ne parlai in Roma in la camera del detto Arcivescovo, dicendome volerme revelare un suo secreto Sc pensiero, che avevono piu tempo auto core, e qui con Sacra- mento volse, che io gli promettessi tenerli secreti, ne de questa cosa parlarne, ne non parlarne se non quanto saria il bisognio, e quanto porteria, e vorria a loro, Sc io cosi gli promissi.

L' Arcivescovo comincio a parlare, facendome en- tendere, como lui e P'rancesco avevono el modo di mutare lo Stato di Fiorenza, e che determinavono ad

omnc

APPENDIX. NO XXVIII. 207

omne mocio farlo, & die ci voleva 1' ajuto mio. lo glie rispuosi, die per loro faria ogni cosa, ma essendo soldato del Papa e del Conte, io non ci podeva iiiteiv venire ; loro mi rispiioson : como credi tu die noi faremo questa cosa senza consentimento del Conte ; imo cio die si cerca, e die si fa per esaltario e magni- iicario cosi lui, come noi, e per mantenerlo nello Stato suo, avvisandoti, die se questa cosa non si fa, non ghe daria del suo Stato una fava, perclie Lorenzo de' Me- dici gli vuol mal di morte, ne crede die sia uomo al mondo, die gli voglia peggio ; e dopo la morte del Papa non cerchera mai altro die torli quel poco Stato, e farlo mal capitare della persona, perclie da lui se sente grandemente ingiuriato. Et volendo io enten- dere el perclie &c la cagione Lorenzo era cosi inimico del Conte, mi disse cose assai sopra questa parte e della Depositeria e dell' Arcivescovato di Pisa, Sc piu cose, die sareano longhe a scrivere ; e in fine fu fatto questa conclusione, die dove concorreva 1' onore, e utole del Conte, Sc el loro, io mi sforzeria a fare juxta posse tutto quel, die pel Conte mi sara comandato ; Sc tutte queste cose furono comune frallo Arcivescovo Sc Francesco, Sc die un altro di se devesse essere insieme Sc con il Conte proprio, e pigliare determinazione de quello s* aveva da fare, Sc cosi se remase. Sec. La cosa remase cosi per parecchi giorni, ne me fo detto altro, ma so bene, die fra I'Arcivescovo e Francesco Sc el Signer Conte ne fo in questo tempo parlato piu volte.

Dapoi un giorno fui chiamato dal Signor Conte in camera sua, dove era I'Arcivescovo, e cominzio a par- larsi de novo di questa cosa, dicendome el Conte ;

I'Arci-

208 APPENDIX. NO XXVIII.

V Arcivescovo me dice, che t' hanno parlato d' una faccenda, che avemo alle mani : que te ne pare ? lo gli rispuosi : Signore, non so que me ne dire di questa cosa, perche non la intendo ancora ; quando 1' avero intesa, diro el mio parere. L'Arcivescovo : como non t' ho io ditto, che volemo mutare lo Stato in Fiorenza f Madiasi che me 1' avete detto, ma non m' avete detto el modo ; che non avendo inteso el modo, non so que ne parlare. Allora e V uno e 1' altro ussinno fuora, e cominciorno a dire della malivolenza e mal animo, che '1 Magnifico Lorenzo aveva contro de loro, e 'n quanto pericolo era lo Stato del Conte dopo la morte del Papa, & che mutandosi ditto Stato saria uno sta- bilire el Sig. Conte da non possere avere mai piu male, e che per questo si voleva fare ogni cosa. E domandandoglie io del modo e del favore, mi dissero ; noi averemo questo modo, che in Fiorenza e la casa de' Pazzi e de' Salviati, che si tirano dietro mezzo la citta di Fiorenza. Bene ; avete A^oi pensato el modo ? El modo lassa io pensare a costoro, che dicono non potersi fare per altra via, che tagliare a pezzi Lorenzo e Giuliano, & aver poi preparato le genti d' arme, 8c andarsene a Fiorenza, e che bisogna accumulare queste genti d' arme in modo, che non se ne dia sospetto: che non dandose suspetto, ogni cosa verria ben fatta. Io gli rispuosi : Signore, vedete quel che voi fate : io vi certifico, che questa e una gran cosa ; ne so como costoro se lo possono fare, perche Fiorenza e una gran cosa ; e la Magnificenza di Lorenzo ci ha una grande benevolenza, secondo io intendo. El Conte disse : dicono costoro el contrario ; che ci ha poca grazia, Sc e malissimo voluto, & che morti loro, ognuno giungera le mani al Cielo. L'Arcivescovo usi fuora, e disse :

Giovam-

APPENDIX. NO XXVIII. 209

Giovambatista, tu non sei mai stato a Fiorenza : le cose de la, & la cognizione di Lorenzo noi lo 'ntendi- amo meglio di voi, e sappiamo la benevolenza e la ma- levolenzia, che egli ha in nel popolo, e de questo non dubitare, che la reussira, como noi siamo qui. Tutto el facto e, che ce resolviamo del modo. Bene ; que modo ci e? El modo ci e riscaldar Messer Jacomo, che e piu freddo che una ghiaccia ; e como aviamo lui, la cosa e spacciata, ne n' e da dubitar punto. Bene ; a Nostro Signore como piacera questa cosa ? E' me respuosoro : Nostro Signore li faremo far sempre quello vorrimo noi, 8c ancora la Sua Santita vuol male a Lorenzo ; desidera questo piii che altro che sia. Aveteneghe voi parlato ? IN'Iadiasi, e faremo che te ne dira ancora a tc, e te fara intendere la sua intenzione. Pensiamo pure in que modo possiamo mettere le genti d' arme insieme senza suspetto, che 1' altre cose passa- ranno tutte bene. Fo preso el modo di far far la mos- traj e de mutare le genti d' arme da stanzia a stanzia, e mandare quelli del Signor Napolione in quello di Todi e de Perusia, e cosi el Signor Giovanfrancesco da Gon- zaga ; e cosi fo dato ordine. Da poi comincio andar per il tavoliero el fatto del Conte Carlo, e per ditta casione bisogno mettere insieme ognuno, che 1' ebbero molto caro : Sc essendo il campo del Conte Carlo in quello di Siena, 8c comprendendose chiaramente la cosa non avere durata, fu fatta deliberazione d' andare a campo a Montone, e tenere in tempo 1' assedio piu che se posseva, a cagion che costoro avesser tempo a dare ordine alia spedizione della faccienda ; e per detta oc- casione venne Francesco de' Pazzi in quel tempo qui in Fiorenza con demostrazione di fuggir 1' aiere, Sc fo a questo effetto ; 8c essendo stato dttto Francesco per

alcuni

510 APPENDIX. NO XXVIII.

alcuni giorni, scrisse a Roma all' Arcivescovo, como passavano le cose, £<. che bisognava riscaldare e pun- gere Messer Jacomo, e farghe intendere tutti li favori se ara in questa cosa, Sec. Et il niodo delle genti d' arme, e tutto quello favore se podeva avere, farglielo intendere chiaramente, & inteselo se lassasse poi il pensiero a lui, che a tutto daria buon ordene ; Sc ac- cadendd in quello medesimo tempo la malattia del Sig. Carlo di Faenza, & essendo stato longo tempo amma- lato, venne in pericolo de morte, Sc dubitandose assai della morte sua, parse al Conte Sc alio Arcivescovo avere scusa licita di mandarme qui con intenzione, che io vedesse i modi di questa citta Sc ancora del Magnifico Lorenzo, e che io parlasse con seco, Sc in- tendesse da lui, volendo el Conte cercare de aravere el suo stato, cioe Valdeseno, que favorise podeva avere de Sua Magnificenza e da questa Repubblica per suo mezzo, & che glie fesse intendere, che il Sig. Conte sperava piii in sua Magnificenza, che persona del mondo, e che in questo io intendesse il consiglio 8c el parere suo, e che gli fesse ancora intendere, che non ostante alcune cose fossero state fra loro e '1 Conte, le voleva buttare tutte da parte, 8c in omne cosa de- sponerse a compiacerlo, 8c averlo in loco de patre ; 8c con molte altre buone parole appresso, quali erono la maggior parte simulate. Et arrivando qui tardi la sera, non poti parlare con Sua Magnificenzia. La mattina andai a trovarlo, e se ne venne di sotto vestito a nero per la morte dell' Orsino, 8c fommo insieme, ne altramente me respuose, che si fosse stato patre del Conte, ne con altro amore, in modo che a me fe ma- ravigliare, avendo inteso da altri, 8c poi ritrovandolo cosi ben disposto in le cose del Conte, che varamente

non

APPENDIX. NO XXVIII. 211

non s'averia possuto parlore per niimo fratello piu amo- revolmente, che me parlo, dicendome : Tu te ne girai a Imola, e vederrai come trovi le cose, e daraimene avviso de quello te parera s' abbia a fare dal canto nostro, che tutto si fara senza mancare de niente per satisfare alia Signoria del Conte, al quale e in questo Sc in omne altra cosa me sforzero sempre a satisfarlo .... con li piu amorevoli ricordi che possesse mai patre a figliolo, li quali ricordi li tacero per bene: la sua Magnificenzia gli deve bene avere a memoria : per quando gli parra, che io gli chiarisca, pensece bene e diamene avviso, che io gli chiariro.

Dipoi me ne andai all' ostaria della Campana a desinare ; et avendo a parlare a Francesco de' Pazzi, & con Messer Jacomo pur de' Pazzi, ai quali avevo lettere di credenza del Sig. Conte e dello Arcivescovo, infin che si desino, mandai ad intendere qui n' era de^ loro : me fo detto, che Francesco era andato a Lucca, e ncn c' essendo, mandai a dire a Messer Jacomo pre- detto, che io aveva bisogno de parlarli, & de cose de 'mportanza, Sc che se voleva, che io andassi a casa sua, che io anderia, Sc se lui voleva venire all' ostaria, che io r aspettaria. Messer Jacomo predetto venne all' ostaria della Campana, dove lui & mi ci ritirassimo in una camera in segreto, h per parte del Nostro Signore el confortai, e salutai, 8c cosi da parte del Sig. Conte Jeronimo e dell' Arcivescovo, de' quali Conte & Arci- vescovo io avevo una lettera credenzial per uno : le ap- presentai ; le lesse, e lette disse : che avemo noi a dire, Giovambatista ? Avemo noi a parlare de Stato ? Dissi madiasi. Mi rispuose : io non ti voglio intendere per niente, perche costoro si vanno rompendo il cer-

vello.

^ 212 APPENDIX. NO XXVIII.

vello, Sc voglion deventare Signori de Fiorenza, 8c io intendo nieglio queste cose nostre de loro : non me ne pailate per niente, die non ne voglio ascoltare. E per- suadendolo io pure all' ascoltarme, se contento d' in- tendermi. Que vuoi tu dire ? Io vi conforto da parte di Nostro Signore, con el quale prima che io partissi, gli parlai, 8c presente el Conte e 1' Arcivescovo me disse Sua Santita, che io vi confortasse a spedire questa causa de Fiorenza, perche lui non sa in que tempo possa accadere un altro assedio de Montone da tenere sospese 8c insieme tante gente d' arme e cosi appresso al vostro terreno ; Sc essendo pericoloso Io indusiare, ve conforta a far questo. Madiasi che Sua Santita dice, che vorria seguisse la mutazione della Stato, ma senza morte de persona. E dicendoli io, presente el Conte e 1' Arcivescovo, Padre Santo queste cose se potranno forse mal fare senza morte di Lorenzo e di .Giuliano, e forse delli altri ; Sua Santita mi disse : io non voglio la morte di niuno per niente, perche non e offizio nostro acconsentire alia morte di persona ; e benche Lorenzo sia un vlllano, 8c con noi si porte male, pure io non vorria la morte sua per niente, ma la mu- tazione dello Stato si. Et el Conte respuose : se fara quanto se podera, accio non intervenga ; pure quando intervenisse, la Vostra Santita perdonera bene a chi '1 fesse. El Papa respuose al Conte : tu sii una bestia. Io te dico : non voglio la morte de niuno, ma la muta- zione dello Stato si. E cosi ti dico, Giovambatista, che io disidero assai, che Io Stato di Fiorenza se mute, 8c che se ieve delle mani de Lorenzo, che elli e un villano, 8c un cattivo uomo, 8c non fa stima de noe, e tuttavolta ched e' fosse fuor de Fiorenza lui, farissimo de quella Repubblica quello vorressimo, 8c saria ad un gran pre-

posito

APPENDIX. NO XXVIII. 213

posito nostro. E '1 Conte e 1' Arcivescovo, che erano present!, dissero : la Santita Vostra dice il vero ; che quando aviate Fiorenza in vostro arbitrio, 8c posserne desponere, come porrete, si sera in mano de costoro, la Santita Vostra mettera legge a mezza Italia, Sc omne una avera caro esserve amico ; sicche siate contento si faccia ogni cosa per venire a questo effetto. Sua San- tita disse ; io ti dico che non voglio. Andate e fate quello volete voi, purche non v' intervenga morte. Et con questo ci levassimo dinanzi da Sua Santita, facen- do poi conclusione essere contento dare omne favore 8c ajuto de gente d' arme, o d' altro, che accio fosse necessario. L' Arcivescovo rispuose 8c disse ; Padre Santo, siate contento, che guidiamo noi questa barca, che la guideremo bene. Et Nostro Signore disse ; io son contento. E con questo ci levassimo da' suoi piedi, e reducessemonce in camera del Conte, dove fo poi discussa la cosa particolarmente, e concluso che questa cosa non se poteva fare per niun modo senza la morte de' costoro, cioe del Magnifico Lorenzo e del fratello. Et dicendo io essere mal fatto, mi rispuosero, che le cose grandi non si possevano fare altramente ; 8c sopra de cio fo dato molti esempli, che seria lungo a scri- verli ; 8c finaliter fo concluso, che per intendere e modo, bisognava essere qui 8c parlar con Francesco 8c Messer Jacomo, e intendere appunto quello era da fare, Sc intesolo mandare ad effetto. Io foi qui, e non tro- vando Francesco, non volsi fare altra conclusione ; se non che mi disse : vattene a Imola, e alia toniata tua sara qui Francesco, 8c delibererasse tutto quello sara da fare. Io me ne andai a Imola, dove stetti pochi giorni, perche cosi aveva io in commissione per la espedizione di detta causa, e in nel tornare e dietro foi vol,. Tii. F f a Ca-

214 APPENDIX. NO XXVIII.

a Cafaggiolo, dove trovai la Magnificenza di Lorenzo e de Giuliano, e avendo referte al detto Magnifico Lorenzo como aveva trovate le cose del Conte, me consiglio con le piu cordiali 8c amorevoli parole del mondo, dicendome die per il Signor Conte aveva deli- berato fare ogne cosa per farli intendere die gli voleva essere buono amico ; £c avendo Sua Magnificenzia deli- berato tornare a Fiorenza, ce ne venissimo di coni- pagnia, dove per la via mi fe intendere ancora piu chiaramente quanto era el suo buon animo verso del Conte, die lo tacero, perclie seria longo lo scrivere. Arrival in Fiorenza, e fui con Francesco, con il quale presi ordine di non partire quel di, acciocche la notte ce retrovassimo con Messer Jacomo ; 8c cosi fo fatto. La notte ditto Francesco venne per me, 8c condus- seme in camera de M. Jacomo, dove fo parlato assai di questa cosa, Sc la conclusione fo questa, die per la espedizione bisognava piii cose ; una die 1* Arcives- covo fosse de qua, 8c die vedesse venirci con qualclie scusa licita in modo non desse suspetto, 8c a questo lassava pensarlo al Conte, e a lui, Sc die alia sua ve- nuta si piglieria poi forma de quello s' avesse a fare, e die si fosse cifre, per le quali si patesse scrivere bene, k che non dubitava, avendo el favore delle genti del Papa ec. che la cosa non venissi fatta, ma die per farla netta, bisognava, die detti doi fratelli fossero fora, Sc che immediate, che la cosa avesse questo, di certo la spacciariamo, 8c che tra '1 Magnifico Lorenzo e '1 Signor di Piombino si trattava parentado per Giuli- ano, e seguendo, saria necessario uno de loro andasse la, el quale andava ; la cosa era spacciata, ma essendo totti dua in la citta, per niente non voleva fare, perch e rion gli pareva posser riuscirlo ; Sc Francesco diceva

aitraiiiente,

APPENDIX. NO XXVIII. 215

kltramente, che ad omne modo si faria, 8c sempre gli ajido per la mente in Chiesa, o a giuoco di carte o a nozze, purche fossino tutti dua in un luogo, gli ba- steria V animo di farlo, 8c che non ci voleva se non po- chi non seco, 8c recercommene a me, che io volessi quello, che mai el volsi fare. Lui disse trovaria bene 11 modo a far questo, 8c che se desse pur piu tempo che se poteva, e mandassesi 1' Arcivescovo in qua, che a tutto se daria bene espedizione, Sc che de tutto quello s' avesse a fare, si avviseria. Intesa la conclusione, me n' andai a Roma, e referii el tutto al Conte 8c alP Arcivescovo, 8c subito fu presa per il Conte delibera- zione de mandare V Arcivescovo sotto colore delle cose di Favenza, 8cc. 8c a n:ie ordino che me n' andassi a Imola con cento provisionati, 8c con quelle poche genti d' arme, che gli erono state preparate ad omne requisi- zione de costoro, 8c etiam con i suoi popoli, 8cc. Io me partii, 8c andamene a Imola, 8>c poi a Montugi ; e fui una notte con Messer Jacomo e con Francesco, e fegli intendere 1' ordine dato da ogni banda, e che ques- ta cosa bisognava espedizione, k da parte, &c. del Conte gli soliicitai assai a detta espedizione prima che il campo si dividesse loro ; me rispuosero, che non bisognava sproni, ma morso, 8c che ad omne modo vederia espedirlo in questo tempo, 8c che io stesse pre- parato, che sperava avvisarne presto quello avessi a fare, e che al suo avviso non preterisse niente ; & io dissi di farlo, e con questo me ne andai, 8c non tro- vando costoro comodita di farlo in quel tempo per essere la persona del Conte Carlo qui, e alloggiato in casa de' Martelli, deliberorno lassarlo stare per fine a tempo nuovo, &c avviso, che si devidesse il campo, & cosi fo fatto, ne di questa cosa fo parlato piu per un

pezzo,

216 APPENDIX. NO XX VIII.

pezzo, 8cc. Et essendo stato a Imola per la recupera-

zione cli Valdiseno, Sc essendosi recuperato, me n'

andai a Roma questo Marzo, dove trovai la Signoria

del Conte, e Giovanfrancesco da Tolentino, e Messer

Lorenzo da Castello e Francesco de' Pazzi, Sec. fra i

quali molte volte si parlava de queste cose, Sc die se

cominciava adesso approssimar il tempo d' espedir detta

causa ; Sc domandando io que modo era questo, mie

disse : Lorenzo deve venire qvii per questa Pasqua, Sc

quamprimum se senta la sua partita, Francesco se par-

tira ancora lui, Sc andera a spedirsi ; Sc farse il servizio

a quello remanent, Sc all' altro, innanzi die torni, se

pensera quello si doverra fare di lui, Sc terrassi con

esso tal modo, die la cosa sara bene assettata innanzi

die se parta da noi. Io gli dissi : Faretelo niorire ?

Mi rispuose : madiano, die questo non voglio per

niente, die qui abbia alcuno dispiacere : ma innanzi

die parta, le cose saranno bene assettate in forma,

die staranno bene. Domandai il Conte : Nostro Sig-

nore sa questo ? Me disse : madiasi. Dico ; Diavolo,

egli e gran fatto die '1 consenta ! Me respuose : non

sai tu, die '1 famiiio fare quello volemo noi ? Basta

die le cose anderanno bene. Et stettesi in queste

trame parecchi di del suo venire, o no. Dappoi ve-

duto die non veniva, deliberarono ad ogni modo ca-

varne le mani prima che fosse fora Maggio, Sec. Et

como lio detto di questo piu e piu volte ne fo parlato

in camera del Conte, Sc como mancava materia, se

tornava su questo, e clii prima si trovava insieme con

loro, ne parlava, dicendo, che per niente la cosa po-

deva durare cosi, che non venissi a palese, e questo

per essere in tante lingue, Sc che ad ogni modo bisog-

nava darii spedizione, onde che per detta casione fu

preso

APPENDIX. NO XXVIir. 217

pveso per partito, che Francesco se ne venisse cjui ; e Giovanfrancesco da Tolentino 8c io ce ne andassimo a Imola, 8c Messer Lorenzo da Castello, 8ic. per dare ordene quelle s' avesse da fare, e poi se ne tornasse a Castello 8c omne uno con le preparazioni fatte stesse apparecchiato a tutto quello, che da Messer Jacomo, r Arcivescovo e Francesco fosse ordinato et che ad omne sua requesta onneuno fosse presto a far quanto per loro saria comandato. Et quest' ordene ce fu dato tutto per el Signor Conte m Roma.

Da poi venne ultimamente il Vescovo de Lion, el quale ce comando de nuovo, che ad omne requisizion de' sopradetti fussemo apparecchiati sanza fare una difficolta al mondo ; Sc cosi s' e fatto, ne mai se 'ntese niuno loro ordene, se non lo Sabato a doi ore di notte, e poi la Domenica mutorno ancora proposito : 8c in questa forma sono state governate queste cose diciendo impero sempre, che 1' onor de Nostro Signore e del Conte ci fosse raccomandato. Et con questo or- dene la Domenica mattina a dl 26. d' Aprile 1478, si fece in Santa Liberata quanto e pubblico a tutto el mondo.

Item che tornando di Romagna, 8c andando a Roma, quando fu la, 8c parlando con Nostro Signore d' altre cose me disse : poi Giovambatista dell' Arci- vescovo 8c de Francesco, che diceva voler far tante cose, e non savessero mutare uno Stato come quello de Fiorenza ; ma non credo s'avesse pure accozzare tre ove in un bacile, se non con cianciatori ; tristi che s'empaccia con loro.

Item

21 S APPENDIX. NO XX Vm.

Item che '1 Signor Conte mi ha ditto molte volte, die Nostro Signore ha cosi gran desiderio della muta- zione di questo Stato come noi, Sc se tu intendesse quello dice, quando semo lui e mi, diresti quelle che dico io.

lo Giovan Batista da Montesicco confesso e fo fede essere vere tutte le predette cose scritte in un fog- lio intero & in mi altro mezzo, e qui di sopra, e quantcr io ho scritto avere detto a Messer Jacomo qui in Fio- renza della mente Sc volunta della Santita del Papa, & queste cose sono verissime, & io mi trovai presente, quando la Sua Santita lo disse, & tutto questo e scritto, e di mia mano propria.

Io Matteo Tuscano da Milaiio Cavaliero e presente- mente Podesta della Magnifica Citta di Fiorenza sono stato presente insema colli Reverendi Patri infrascritti (m? infra) che '1 prefato Joanne Baptista ha detto, che quanto e scritto sopra in un foglio intero, e in un altro mezzo, e in questo, che tutti s' allegheranno inseme, sono ne sua propria mano, & confesso essere vero quanto de sopra e scritto, & cosi ne fazzo fede de mia propria mano, che gli e la propria verita quanto in esse scritto se contene : a di 4 di Maggio 1478, in Fiorenza. (^Omittimus alias alioriim subscri/itiones,)

Noti jam sunt Conjuratores, atque eorum omnia consilia ex ipsis conjuratis. Nos modo quid inde secu- tum sit, brevi perstringemus. Cum dies advenisset Aprilis vigesimus sextus, qui destinatus erat facinori, in Liberatae Templum conjurati tectis gladiis conve-

nerunt,

APPENDIX. NO XXVIII. 219

nerunt, lioram caedi constitutam expectantes. Con- venerat eodem Sc Irequentissimus populus ad sacroriini apparatiora spectacula. Raphael enim Cardinalis ex nepte natus Sixti Pontificis sacris solemnioribus prae- sidebat, accipiendus convivio a Laurentio Julianoque Medicibus post peracta sacra, quod proditores de in- dustria curaverant, ut eos, si in Templo perfici res non posset, domi inter epulandum obtruncarent. Aderant igitvir in primis Laurentius Julianusque fratres, ut Car- dinalem Sc convivas domum reducerent. Conjurati autem ad fractionem Eucharistiae (id enim datum sig- num erat), strictis gladiis Julianum confodiunt ante aras, caeduntque ; atque eodem tempore altera manus, ut diversa spatia circum Altare faciebat, Laurentium adoritur, 8c sub aurem dextram in collo vulnerat. Deus, suo clementissimo beneficio, ex tam diro infortunio salvum reddidit. Ipse quoque suae saluti fortiter est opitulatus, Sc gladiolo, quern ex consuetudine Floren- tinae juventutis ad ornatum gerebat, stricto, dantibus viam proditoribus, in Sacrarium confugit.

Eodem tempore, quo id negotii susceperat Francis- cus Salviatus Archiepiscopus Pisanus, cum ad id deiec- tis armatis satellitibus Palatium occupat Status nostri 8c Florentinae Libertatis domicilium : Magistratus cum circumveniri se improvisum sensisset, in deambulacra conscendit, 8c illic aditibus clausis se tutatur ; atque inde Jacobum Pazium Equitem Florentinum imman- issimum patricidam cum globo armatorum accurrentem Sc ferentem conjuratis auxilium, lapidibus ex deambu- latris magnis jactibus deturbat, arcetque Palatio. Fla- bet in summo aedificii Palatium duas quasi porticus, tectam alteram, sine tegumento alteram, in modum

dupliciH

220 APPENDIX. NO XXVIII.

duplicis coronae ad deambiilandi usum fabricatas, iinde Sc deambulacri nomen est. Ea non modo ornatius faci- unt Palatium, & commoditatem deambiilandi Sc sub tecto Sc sub dio praebent, sed belligerandi Sc arcendi, unde unde veniat invasorem, pulcherrime faciunt facul- tatem. Dum igitur Magistratus hinc repugnat atque insectatur lapidibus parricidas, populus, caede cognita civium suorum, &c Laurentii vulnere, Sc vim inferri Magistratui, percitus furore incredibili Sc dolore arma capit, in Curiam, ut Magistratui succurrerent, convola- runt. Principes quoque civitatis, atque optimates cuncti idem factitant. Ad aedes Mediceas sugendo vulneri ob veneni suspicionem amici dant operam. Ad Palatium ad effringendum trabalibus crebris ictibus atque igni appositis accensis facibus fores acerrimis insudatur studiis. Vix integram horam occupatores substinuerunt impetum. Victi ergo, partim prime impetu caesi, partim vivi capti Sc conjecti in vincula, post quaestiones breves perierunt. Johannes Baptista de Monte si ceo erutus tandem e latebris, per quas pau- cos dies difiiigerat, quae supra sunt posita, cum sua manu perscripsisset, Sc se ita scripsisse, 8c vera esse quae scripsisset, pluribus clarorum virorum attesta- tionibus corroboratum, ut fieri ipse voluit, vidisset, quamquam in suprascripta confessione ejus quaedam bonis de caussis subtracta sint, Sc ea tantum apposita, quae ad Sixtum Pontificem, atque Ecclesiae Guberna- tores pertinent, capitis est damnatus. Sic Gives Givi- tasque, Sc Libeitas, proditorum manus effugerunt. Nam Sc Johannes Franciscus Tolentinas, qui Imola absens, cum expeditis Sixti Papae militibus, jussus ad destina- tum caedi diem ferre conjuratis auxilium, quique jam in Mugeilanum a^rum descenderat, re cognita, unde

abierat,

APPENDIX. NO XXVIII. 221

ubierat, revertitiir. Idem tacit 8c Laurentius Tipher- nas, qui alia parte eadem de caussa a Civitate Castelli iiiovens, Sc per agrum discurrens nostrum ad Senenses fines accurrerat. Raphael Cardinalis, quern praeesse sacris supra diximus, sic procurantibus pluribus civibus Sc Laurentio Medice imprimis, qui in tanto periculo suo, in tot tantisque negotiis 8c tumultibus, atque omni confusione rerum, hujus quoque officii non est oblitus, in Palatium perductus, vix furentes populi manus evasit. Moverat scilicet Laurentium Cardina- latus dignitas 8c Sanctae Romanae Ecclesiae reverentia, ut eum intactum inviolatumque curaret ; ubi cum pau- cos dies publicis sumptibus honorificentissime fuisset, quoad populi furor elanguesceret 8c fieret remissior, Romam abiit incolumis. Quae tamen vel in primis praetenditur caussa, cur interdicamur sacris, 8c com- munio fidelium separemur? Ita de bono opere lapi- damur, 8c ubi gratias reportasse oportuit, immeritis- sime damnamur. Tandem quod foeda proditione non successit, tentatur Ecclesiasticis censuris atque armis. BelluiTi infertur a Sixto Pontifice Maximo 8c praeclaris illis, quos gubernationi Status Ecclesiae proposuit, non aliam ob caussam, nisi quod trucidari nos non sivimus ; fiam id quoque accusat in interdictis, Sc de proditori- bus, atque Archiepiscopo Pisano sumptum esse sup- plicium moleste fert ; quae altera caussa est interdict! 8c censurarum. Quamvis quam juste, quam pie, quam religiose, 8c Pontificaliter factum sit, plurium est doc- tissimorum Jurisconsultorum & CoUegioruni declara- turn testimonio, 8c publicis eorum scriptis in aperto positum, 8c quod Palatium, Statumque 8c Libertatem nostram, quaf vita quoque est carior, defendimus. Sic VOL. iiT. G JT Pontificis

222 APPENDIX. No XXVIII.

Pontificis Christianorum maximiis exercitus in populum reUgJosissimum, & illius Pontificalis fastigii semper observantissimum, infestissimus insurgit, jamque agrum vastat, Castella diripit atque incendit ; foeminas, ma- resque & sacra 8c profana loca militari licentiae & libi- dini elargitur. Deus bone quandiu tantam iniquitatem sustinebis ? Quando laborantis gregis tui misereberis, & confirmabis populum tuum ? Ad te quoque, ad te confugimus, Federice Serenissime Imperator semper Auguste. Memineris rogamus fidelissimae urbis tuae Florentiae 8c populi hujus isti Sacratissimae Majestati Imperatoriae semper devotissimi. In nobis, ni fallimur, caussa agitur publica Christianae Religionis, quae dum Sixtus suis bellum infert, versatur in periculo manifes- tissimo victoriosissimis 8c potentissimis hostibus in limine Italiae ita insultantibus. Tua est in primis re- rum omnium Christianarum cura. Tu quoque, Lu do- vice Francorum invictissime Rex 8c Christianissime, virtutem ut excites tuam admodum necesse est, Sc suc- curras rebus Christianis periciitantibus. Idem nisi ca.eteri quoque Principcs 8c Populi Christiani fecerint, multum de salute Christianarum re rum dubitare cogi- mur. Agite igitur, agite omnes, expergiscimini jam, 8c capessite rem communem ; 8c cum Christo Optimo Maximo Redemptore 8c Saivatore nostro, qui caus- sam suam profecto non deseret, in commune consulite. Ex Florentia dio X. Mensis Augusti mcccclxxviii.

Bartholomaeus Scala Cancel. Florentinus.

APPENDIX. NO XXIX. 223

NO XXIX.

Philelfihus Laurentio Medici Florentiae,

JVIAGNIFICE clarissimeque vir tanquam frater hono- rande. Quanto sia stato el dispiacere ho ricevuto del vostro acerbissimo caso per due altre mie lettere lo ha- vete potuto comprendere. Delle cose passate Sc inrecu- perabili bisogna haver patientia, e ben provvedere per lo advenire, il che, come prudentissimo che voi siete, sono certo el dovete fare, al che sommamente ve conforto & priego.

Harei carissimo essere advisato del fundamento Sc processo de tanto tradimento, &; a cui petitione Sc a che fine se faceva, acciocche una perpetua memoria per me scripta fusse, avisandove che a niuno la sparmiero Sc sia chi si vuole.

In quanto a Vostra Magnificentia paresse, io harei caro essere rebandito : potreste tenere quella via voile tenere il vostro Magnifico avolo Cosmio, il quale, come me significo per Messer Angelo Acciajolo & per Messer Nicodemo Tranchedino, per non aprire la via alii altri rubelli ordeno, chel Duca Francesco scrivesse una let- tera a cotesta Illustr. Comunitate, demandando de gratia che io fosse rebandito, h. cosi a contemplatione d quello io come forestiere fusse messo a partito. Ma il prefato Signore per tema de perderme entorbido el tucto. De questo fatene quello a voi pare. Ben ve aviso, che io ve sarei utile in Firenze quanto pochi

amici

224 APPENDIX. NO XXIX.

nniici voi habiate. lo ve ho dedicato el corpo c 1'

Farebbe molto per Vostra Magnificentia havere in Milano Aciarito, il quale e amato, &: e di grande repu- tatione in Corte e tra tutti i Milanesi, e lui solo ha la pratica e 1' usanza. Vale ex Mediolano 20. Maii

1478.

NO XXX.

BARTHOLOMiEUS SCALA Laurentio Medici sa- lutem dicit. Succenseo tibi ad longa tempora, mi Lau- renti, mtum columen, idest donee redieris. Quid enim potest esse longius ? Non possum vero non admi- rari istam fortitudinem animi tui atque constantiam. Reviviscit in te ilia antiqua virtus £c magnitudo animi, quae quanto magis nova est, magisque aliena ab his modis &^- consuetudine vitae, tanto est admirabilior tantoquc ornatior. De me fatebor id quod est. Non possum esse fortis, nee solum non admirari istam deli- berationem tuam, sed etiam non valde timere. Sum vero aliquot dies exanimatus metu, Sc vix apud me sum : si coilegero animuni, poteris habere saniores littcras. Decemviri coUegae tui oratorem te post dis- cessum tuum ad Neapolitanum Regem statuerunt. Idem novi quoque Decemviri decreverunt. Putabam autem posse id fieri a Centumviris honoratius, sed quibusdam amicis id attentare non est visum : in quorum ego sententiam facile concessi, quod in tanta suspen-

sione

APPENDIX. NO XXX. 225

sione animorum utque expectatioiie rerum quid melius factu sit, non est facile cognoscere.

Calles nostros mores. Qui novas res cupiunt, si qui sunt, qui his minime contenti sint, oblatam occasionem confundendarum rerum avide accipiunt.

Rogavi ergo & scripsi Deccmvirorum mandatum, quam potui, elegantius : Sc ut esse magis credidi in rem communem & tuam, si separari tua a nostra, idest a publica potest, ut ego non posse certe scio, 8c sum aperte saepe testificatus. Si tu adfuisses, non ita in con- denda laborassem.

Cui vero mirum est si sine meo sole obcaecatus .... sine duce vager, £c sine mea Arcto etiam naufragem. Si scire quid expectas a me de rebus nostris, animum in pacem intenderunt, 8c fieri eam per te posse honora- tam Sc dignam civitate putant : ab omni nota, quae vel quid minimum obscurare antiquam Florentinae gentis gloriam queat, plurimum abhorrent. Si tu eam nobis confeceris e sententia, redibis totus aureus, beabisque nos. Magna spes est in tua prudentia Sc auctoritate.

Regis quoque mentem non ex praesenti rerum con- ditione pensant, sed paullo altius res ab eo gestas Sc pa- terna in nos studia meritaque recensent.

Quid multa dixerim ? Linguis atque animis huic fortissimo incoepto tuo plerique favemus. Me tibi plu- rimum commendo. Vale. Ex Florentia die V. Dec.

1479.

22S APPENDIX. NO XXXL

NO XXXI.

Ferdinandus Rex Siciliae Laurentio Medici,

MaGNIFICO LORENZO heri alle 20. hore heb- bemo per cavallaro aposta lettera del Magnifico Messer Lorenzo de Castello Oratore della Santita de Nostro Signore, quale ve mand^mo intro la presente ; Sc vi- dendo quello ne scrivea, como ancora vui vederite, ne parse per non disturbare tanto bene quanto delle con- clusione, delle cose agitate se spera, scriver a quisti nostri supra fedessero fin ad altro nostro mandato : 8c poco spacio da poi venne ipso Messere Lorenzo. & licet per lettera de Messere Annello havessemo visto quanto de bona volunta la Santita de Nostro Signore era condescesa a tutte quelle conditione della pace, che ultimamente erano state mandate de volunta vostra & de' quisti Magnifici Oratori Ducali, tamen dicto Messer Lorenzo lo have dicto con tanta majore efficacia, quanto piu lo have inteso per altre lettere have havute cosi dalla dicta Santita como dal Conte Hieronimo. Et perche lo possate vedere, ve mandamo con la presente copia de quanto Messer Anello ne ha scripto. Benche heri la donassemo al vostro Ser Nicolo, & credimo ve la habbia mandata. Da po venne el cavallaro con le lettere de Messere Princevallo, per le quale intesimo la ragione e cagione, per le quale a vui non parea dever retornar secondo Messer Lorenzo havea scripto 8c man- dato dicendo. El che inteso per ipso Messer Lorenzo, se ne e mostrato mal contento, dicendo, che havendo la Santita de Nostro Signore acceptato tutto quello per

nui

APPENDIX. NO XXXI. 227

nui li e stalo scripto per grandissimo desiderio e vo- lunta, che have de questa pace, dubita grandemente, che lion retornando viii, e dilatandose qiiesta conclu- sione per qualsevoglia respecto, porranno facilmente feguir inconvenienti, che non solamente serranno causa de disturbar questa pace, nia de far malcontenti tutti quelli la desiderano. Et respondendoseli, che la partuta vostra era stata non voluntaria, ma necessaria per le cose de Fiorenza star in grandissimo periculo de trabuccar a camino contrario a quello desidera la San- tita de Nostro Signore ; & nui resposse, che conside- rato el tempo non era disposto a navigare, Sc conside- rato a Fiorenza omne homo avera la inteso vui esserve partuto, & che el tempo contrario ve ha impedito, & che tra quisto mezzo essendo supra venuta da Nostro Signore la resposta con la conclusione, quale per tucti se desiderava, site retornato, acciocche alia conclu- sione della pace non se havesse de dar dilatione : & circa questo ve porrissivo allargar quanto ve paresse, 8c etiam porrissivo scrivere alii amici vostri che bisognan- do per qualsevoglia respecto per tener le cose della Comunita vostra quiete, se poteno ajutare delle gente de Nostro Signore e nostre. Non solamente quella Comunita, Sc li amici vostri non haveranno dispiacere della vostra retornata qua, ma ne pigliaranno grandis- simo conforto e consolatione praesertim che vui ancora li possite scrivere, che la conclusione se farra de con- tinente, & al piu tardo alia resposta, che venera da Milano, che ne sera tra secte di, 8c che etiam se li po scriver, che immediate chel tempo serra disposto, vui continuarete vostro camino, concludendo che quando vui non retornassivo, lui se parteria immediate, Sc serra in tucto exclusa questa pratica ; el quale lagiona-

men to

228 APPENDIX. NO XXXf.

mento ne piacque g-randemente, & simo certi iion me- no piacera a vui. Et parendone le ragione de Messer Lorenzo bone 5c efiicace, 8c pensando, che della vos- tra toinata qiui son per seguire infiniti beneficii senza alcuno vostro sconcio, 8c del contrario infiniti mali, ve pregamo quanto ne e possible vogliate omnino dis- ponerve e per terra o per mare, como piu ve piacera a tornare, acciocche ultra li altri beneficii son per se- guire a vui Sc a tucti per la conclusione de questa pace e lega, quale indubitataniente se concludera vui retor- nando, se possa dir vui csserne causa, che non sola- mente li misi passati per fare quello effecto venissivo qua con tanta liberalita, non perdonando a pericoli del- la persona ne dello stato, ma da poi con non minor volunta e promptezza siate retornato, &c quisto acto a judicio nostro e de tal natura, che credimo lo animo della Santlta de Nostro Signore ne restara tanto placato Sc satisfacto, che con alcuna altra cosa non lo porris- sivo piu satisfare ; demostrarasse la grandissima sin- cerita & optima volunta vostra alia pace, Sc alia obe- dientia de Nostro Signore, disturbarite le pratiche de qualunca ha tra.vagliato e travagiia alienar Nostro Sig- nor da queste conclusione, che questra vostra retornata cancellera in tucto quests persuasione 8c suspecti, Sc asserenera lo animo de Nostro Signore non solum verso nui 8c vui, ma ancora verso quiili lUustrissimi Signori de Milano, adeo, che simo certi nulla cosa, che a pro- posito vostro sia Sc vui desiderate, ne porra essere de- negata; avisandove, che non simo fora de speranza, tornando vui, questi Magnifici Ambasciadori Ducali non debiano differir la stipulatione delli contracti, per- ehe alloro non e prohibito la stipulatione ma solamente U e comandato, che non concludendose la pace tra

otto

APPENDIX. NO XXXI. 229

otto di Sc poi tra quattro altri, se debiano partire, 8c se cosa alcuna li ha de indurre a stipulare de continente serra la presentia vostra per lo beneficio certo, che de quella conclusione se vede have de seguire a tutti ques- ti stati : & non dubitamo con ragione se nnostrara loro possono &c devono far qiiesta conclusione. Ma la piu viva ragione serra la presentia &: lo conforto vostro ; &; praesertim perche, statim fatta la conclusione, possate partire Sc tornare a Fiorenza con tanta gloria e stability delle cose di quella Excelsa Repubblica. A nui pare soverchio scrivere altre ragione & cause per persuader- ve la vostra retornata, che essendo vui de tanta pru- dentia & intellecto, ne intendite multo piii che nui. Solaniente ve dirimo, che in satisfactione de quanto havessemo possuto, o porrimo fare tucta nostra vita in vostro beneficio, vogliate retornare per fare questa con- clusione, la quale a judicio nostro importa tanto alii comuni stati, che non dubitamo, per fuggire li con- trarj effecti, che possono seguire del vostro non tor- nare, se fussivo in Pisa, non che a Cajeta retornaris- sivo, & ve pregamo non vogliate mostrare de farla si non allegramente como certamente possite e devite, ancorche ultra lo effecto de tanto bene e per seguire de la vostra retornata, la Santita de Nostro Signore habia de intendere lo havite facto con jocondissimo animo* Datum in Castello novo Neap. 1. Martii 1480.

VOL. III. H h

230 APPENDIX. No XXXII.

NO XXXII.

Al mio caro quanta fratello Albino^ Segretario dello Illustrissimo Sig; Duca di Calabria,

Albino mio caro quanto buon fratello. lo non so ancora giudicare, se le vostre de' 2 8c 8. del presente mi hanno portato maggiore piacere che dispiacere, pro- ducendomi insieme nello animo uno sviscerato deside- rio della gloria del nostro Sig. Duca, a che si e dato grandissimo principio per la profligatione di cotesti cani Turchi a di 8. ; & uno stemperamento che io ho, che al Signore non venga per la animosita sua qualche si- nistro caso. Quelle zerbottane, di che me scrivete, in mezzo delle quali spesso si trova il Signore, me hanno piu d' una volta impallidito, perche piu d' una volte ho letta la vostra lettera ad mia maggior satisfac- tione : se e possibile, Albino mio, mandateci spesso di queste nuove non miste da tanto suspetto, Sc confortate il Signore ad haversi cura alia persona. Non voglio dire piu, perche mi stempero mentre che ci penso. Conservesi per Dio a se, 8c a noi altri sui servitori, 8c facci quello medesimo col pericolo d' altri non suo. Voi che le siete appresso, dovete procurare questo in- nanzi alia vita vostra, e se non lo volete fare per vos- tro conto, fatelo per mio, se mi volete bene, 8c raccom- mandatemi al Signore, 8c io aspetto la risposta vostra ad questa con sommo desiderio per intendere, che questo mio amorevole ricordo habbi giovato senza di- minuzione alcuna di quello che io tengo per constantis- simo, 8c questo e che presto el Signore habbi ad re-

portare

APPENDIX. NO XXXIII. 231

portare la laurea di cotesta expugnatione : orsu aspet- to esserne ragguagliato alia giornata da voi. Floren- tiae die 18 Mail 1481. Laurentius de^ Medicis,

NO XXXIII.

AT. jinselmo Calderoni, jiraldo delta Signoria di Firenze mandato a Cosmo de^ Medici,

Da testa a fienna della Libreria Laurenziana,

SONETTO.

vj LUME de' terrestri cittadini,

O chiaro specchio d' ogni mercatante, O vero amico a tuct' opere sante, O speranza de' grandi, Sc de piccini ;

* * #

O soccorso d' ognun che bisognante, O de' popilli, e vedovi aitante, O forte scudo de' Toscan confini ;

O sopra ogn' altro a Dio caritativo, Prudente, temperate, giusto, e forte, O padre al buono 8c padrigno al cattivo,

O di somma pietate largho porte, O adversario d' ogn' acto lascivo ; O tu che rende per mal buone sorte !

Dobbiam fino alia morte, Per Cosimo & Lorenzo tucti noi Pover, pregare Iddio sempre per voi.

Di

232 APPENDIX. N^ XXXIII.

Di Maestro JSficcolo Cieco fier efiso Cosimo de^ MedicL SONETTO.

O DELLA nostra Italia unico lume, O Cicerone in arti oratorie, O nuovo Tito Livio all' alte historic, O fior d' ogni poetico volume 1

O voi che'l fonte pegaseo consume, O albergo di tucte le memorie, O ch' alle muse hai dato eterne gloria, O di philosophia lecto de piume !

lo corro a voi come cervo a chiar fonte, A tormi sete, Sc viver piu contento. Perche la patria e si ingrata al suo nato !

E'l nato exalta lei con voglie pronte ;

Et chi ne sostien morte, Sc chi tormenti, Et io ne so parlar che 1' ho provato.

NO XXXIV.

Rime del Burchiello^

Da testo a jienna del sec, xv.

jLjI tutto el centro che la Europia eigne, Italia n' c Reina incoronal^, Secundo che pe' savi si distingue :

II frutto che la ciba, et tiene ornata, E^ la porpora vesta di Toscana, Di fior' d' alisi, et gigli seminata :

Lo

APPENDIX. NO XXXIV. SSS

Lo specchio in che costei si mira, e vana,

Si e Fiorenza terra sopra marte,

Che strigne ogni terrena etsi lontana. Perche eglie giiida, et fuor di molte parte

Si manda per rifar lo studio athene,

Molta sua imbasceria, con libri, et carte ; O quanta nobil gente si niantiene

In questa vaga et bella imbasceria,

Con poco senno le lor menti piene. Se ti piacessi lettor, pr^gheria

Cho ti agustassi d' esta gente el nome,

Se vuoi avere alquanta giuUeria, b'c. * * *

Maestro inio se a dirmi non se' lasso, lo te priegho per dio che ancor mi dica, E nomi di questi altri apasso apasso.

Et egli a me : e' non mi fia laticha, Et presto ti faro da loro contento, Villano e quelio ch' a te nulla disdicha.

Rivoglanci diss' egli al nostro armento, Et mostrerotti uno nuovo pesce medic ho, Grande di carne, e di poco sentimento ;

Ne a.ltrimente a chi teme il solleticho, Chi lo tocha per motti lo f;i ridere, Tal fecie a me quel maestro farneticho.

Com io lo vidi, credetti dividere, Le mia mascella, per troppo letitia, Tal che Ser Gigi disse, non ti uccidere ;

Et fa di tanto ridere masseritia, Che tu vedrai venire dirieto a lui, Gente che riderai piu ch' a divizia

Se vuoi sapere el nome di costui,

Maestro Antonio Falcucci egl' e chiamato, Ch'a ogni sole gli paion tempi buoi ;

Costui

234 APPENDIX. No XXXIV.

Cestui e si perfetto smemorato,

Che se toccasse el polso al campanile, Sonando a' festa non V aria trovato.

Et non ostante che sia tanto vile,

EgP ha morti piCi huomini a suoi giorni, Che la spada d'Orlando signorile.

Dagli licenza, et di che non ci torni ; Pero che dove sta vifa moria, Con suoi nuovi sciloppi, et masusorni.

Et io al medico, trovate la via,

Quanto piu tosto meglio siate atene, Et fate a noi di voi gran carestia.

Quale colui che dal capo alle reno

Porta gran peso, et lui fa gire in archo, Cos! fe quel medico di sene :

Cosi sen gia di vergogna carco,

Et noi agli altri a rimirar ci demmo, Che ciaspettavan per volere il varcho, is'c.

NO XXXV.

Va Testo a jienna della Libreria Laurenziana,

Bernardo Pulci a Lor, de^ Medici.

SONETTO.

W ATURA per se fa il verso gentile. Studio le rime, e ricche le 'nvenzioni ; Vere scienze solvon le quistioni. El dilectarsi poi fa il dolce stile ;

Amor I'ingegno sempre fa soctile : Dote dal Cielo, privilegii, e doni. Son questi : benche sien molte cagioni, Che fan no un dir superbo, I'altrui humile.

Diversi

APPENDIX. NO XXXV. 235

Diversi casi fanno il dir diverse ;

Quando amor, & foituna, a dir ti strigne,

E colori temperrai con discretione : Chi pensa il vero e poi compone il verso,

Eterno con la penna si dipigne.

Che poi morendo ha piu riputatione.

SONETTO.

NUOVA influenza dalle Muse piove, Novellamente ed ho cangiato stile, Cagion di quel Signor, vagho et gentile, Che per Calisto fe transformar Giove.

Cosi amore d'un esser me rinuove, Libero sendo : in acto hora servile, Et tant' e in se crudel, quant' io humile, Colei che favellando i sassi muove.

Sonetto mio, a Cafaggiuolo andrai, Paese bel, che siede nel mugello, Dove tu troverai Lorenzo nostro ;

Et con gran riverenza porgi a quello Questi altri tuo consorti ; & sol dirai Questi presenta a voi Bernardo vostro.

NO XXXVI.

Al Sig, Jacopo Facciolati, a Padova.

Venezia, 30. Maggio 1742.

jLjA Lettera al Principe Federigo d' Aragona mi ha dato lume, per venir. in chiaro dell' essere e del nome del compilatore della vostra Raccolta di Rimatori anti-

chi,

236 APPENDIX. NO XXXVI.

chi, e del tempo, in cui ella fii fatta. E qiianto a! tempo, si dice quasi nel cominciamento di essa, che trovandosi Federigo nella Pisana Citta nel fiassato anno^ ed essendo entrato col raccoglitore in ragionamento in- torno a cjuegli, che nella volgar lingua aveano scritto, mostro d'aver desiderio, che per opera di lui tutti quegli Scrittori lo fossero insieme in un medesimo -volume raccolti, II tempo in cui Federigo ando in Toscana, fu nel 1464. come si ha da Scipione Ammirato nell' Istoria Fioren- tina torn. III. pag, 93. ne si trova, che in altro tempo egli facesse cjuel viaggio. La raccolta dunque ne fu fatta r anno seguente, cioe nel 1465. Un anno fu impiegato nel farla, e non senza molta fatica, da chi si prese il carico di soddisfare alle instanze di quel Signore. DelP essere del raccoghtore, due indizj mi porge la medesima Lettera : 1' uno che e' fosse persona di qualita e d' altro rango, poiche 1' espressioni, con le quali tratta con un Principi figliuolo e fratello di Re, e che poscia fu iRe di Napoli anch' egli, non converreb- bono a persona privata e di bassa sfera, ma bensi ad una, cho non conosce superiore, e che parla da grande e per nascita e per fortuna. L'altro indizio si e, che questi fosse Toscano, poiche parlando quivi dei Rimatori di quella nazione, li nomina semplicemente con 1' aggiunto di nostri, Tutte queste pero non sarebbono, se non sem- plici conghietture, e lontane per farci credere, che il raccoglitore fosse stato Lorenzo de^ Medici il Magnijico^ il Cjuale era, come si sa, di quell' alta famiglia e gran- dezz'd in Firenze sua patria, e che nel 1465. era d' anni 17. o 18. stante 1' esser lui nato nel Gennajo del 1448. Cio che irii ha indotto a dirlo francamentCy qual precedentemente vei dissi, per Lorenzo de' Me- dici, si e quel tanto che si legge nel fine della suddetta

sua

APPENDIX. NO XXXVL 237

sua lettera al Principe d' Aragona. Habbiamo nello ESTREMO del libra (jierche cos: ne pare te fiiacesse) aggiunti alcuni delli NOSTRI SONETTI e CAN- ZONE, accio die quelli leggendo se Hnnovelli nella tua mente la miafcde^ e amore insieme verso la tua Signoria, Ripigliato adunque per mano il vostro bel Codice, ed esaminatelo ben bene verso il fine, ho ritrovato, che I'ultimo componimento con nome di autore era alia pag, 283. 2. un Sonetto del Notaro Jacopo da Lentino^ Poeta notissimo Siciliano, vivuto pero dugent' anni al- meno prima dell' anno 1464. onde conclusi, che questi non poteva csser 1' autore d' una Raccolta, dove stavano reg-istrati i nomi, e i componimenti di tanti Poeti vivuti ne' due secoli susseguenti. Piacciavi ora dare un' at- tenta occhiata alia Jiag, 284. e anche alle susseguenti sino alia fine del Codice, e vedrete, che le Rime quivi' trascritte sono tutte di un anonimo raccoglitore, che a veruna de esse non ha voluto apporre il suo nome, come ne pur 1' avea apposto alia sua Lettera proemiale : onde alia pag, 285. 2. malamente e stato riempiuto un picciol vacuo, con recente inchiostro, col nome di JVotar Jacomo^ il quale sara bene che nel facciate radere inte- ramente. Dopo cio messomi a leggere i componimenti del predetto anonimo raccoglitore, venni subito in sos petto, che questi esser potessero del suddetto Lorenzo e pero tolto per mano il volume delle sue Foesie volgari stampate in Vinegia in casa d<?' Jigliuoli di Aldo nel 1554 in ottavo^ vi ritrovai tutti quasi i componimenti, cioe i Sonetti e la Canzone, che stanno nel Manoscritto, tol- tone le cinque ultime Ballate, o sia Canzoni a ballo, che saran forse in altro volume con quelle del Poliziano e di altri stampate : di che non mi son potuto accer- tare, per esserne senza. Dopo cio credo che non vi VOL. III. I i rimarru.

23a APPENDIX. NO XXXVI.

rimarra dubbio alcuno intorno a quanto vi scrissi. Puo essere, che io mi risolva a dime qualche cosa, se mel permette, in una delle mie Annotazioni all' Eloquenza Italiana del fu Monsig. Fontanini, le quali a quest' ora sarebbono terminate, se le mie frequenti e lunghe in- disposizioni non mi avesser costretto a sospenderne il lavoro. Vi ho recato un lungo tedio, e pero senz' altro passo a dirvi, che di vero cuore sono e saro sempre ....

NO XXXVII.

Risjietti del Politiano.

O TRIOFANTE sopra ogni altra bella, Gentile, onesta, Sc gratiosa Dama, Ascolta el canto, non che ti favella Colui, che sopra ogni altra cosa t' ama ; Perche tu sei la sua lucente stella ; Et giorno, e notte il tuo bel nome chiam; Principalmente a salutar ti manda, Poi mille volte ti si raccomanda.

Et priegati umilmente, che tu degni Considerar la sua perfetta fede, Et che qualche pieta nel tuo cuor regni, Come a tanta bellezza si richiede ; Egli ha veduto mille, e mille segni Delia tua gentilezza, Sc ogn' or vede, Or non chiede altro el tuo fedel suggetto, Se non veder di quei segni I'effetto.

Sa ben, che non e degno, che tu I'ami

Non

APPENDIX. NO XXXVII. 239

Non n' e degno vedere i tuoi belli ochi, Massime avendo tu tanti bei dami, Che par die ognun solo el tiio bel viso adochi ; Ma perche sa, che onore, 8c gloria t' ami, E stimi poco altre frasche, o linochi, Et lui senipremai cerca farti onore, Spera per questo eiitrarti un di nel core. Quel che non si conosce, e non si vede, Chi I'ami, o chi 1' aprezi niai non truova, E di qui nasce, che taiito suo fede, Non sendo conosciuta, non gli giova, Che troveria ne' belli occhi merzede, Se tu facessi di lui qualche pruova ;

Ognun zimbella, ogoun guata, e vagheggia, I' sol per fedelta esco di greggia. E se potessi vin di solo soletto Trovarsi teco sanza gelosia,

Sanza paura, sanza niun sospetto, E raccontarti la sua pena ria ;

Mille, e mille sospiri uscir dal petto,

E i tuoi begli occhi lagrimar faria,

E se sapessi ben aprire il suo cuore

Ne crederebbe acquistare el tuo amore. Tu sei de' tuoi begli anni ora in sul fiore,

Tu sei nel colmo della tua bellezza,

Se di donarla non ti fai onore,

Te la torr^ per forza la vecchieza,

Che '1 tempo vola, e non si arreston I'ore,

E la rosa sfiorita non si appreza,

Dunque alio amante tuo fanne un presente,

Chi non fa, quando puo, tardi si pente. II tempo fugge, e tu fuggir lo lassi,

Che non ha el mondo la piu cara cosa,

E se

240 APPENDIX. NO XXXVII.

E se tu aspetti ch'l Maggio trapassi, Invan cercherai poi di cor la rosa ; Quel che non si fa presto, mai poi fassi, Or che tu puoi, non istar piu pensosa, Piglia il tempo che fugge pel ciuffetto, Prima che nasca qualche stran sospetto.

Egli e nello inira due pur troppo stato, Et non sa, se si dorme, o se s' e desto, O segli e sciolto, o segli e pur legato, Deh fa un colpo, Dam a, e sic pel resto, Hai tu piacer di tenerlo impiccato i O tu I'affoga, o tu taglia il capresto ; Non piu per dio, questa ciriegia abocca ; O tu stendi omai I'arco, o tu lo scocca.

Tu lo pasci di frasche, e di parole,

Di risi, e cenni, e di vesciche, e vento, E di, che gli vuoi bene, e che ti duole Di non poterlo far, Dama, contento, Ogni cosa e possibile a chi vuole, Purche '1 fuoco lavori un poco drento, Non piu pratiche, omai faccisi I'opra, Prima che affatto questo amor si scuopra.

Ch' egli ha deliberato, e posto in sodo, Se gli dovessi esser cavato il cuore, Di cercare ogni via, ogni arte, e modo. Per corre i frutti un di di tanto amore ; Scior gli conviene, o tagliar questo nodo, Pur sempre intende salvarti Ponore, Ma e' convien, Dama, che anche tu aguzzi Pervenire ad effetto i tuoi feruzzi.

E se tu pur restassi per paura

Di non perder la tua perfetta fama, Usa qui Parte, e poi molto ben cura,

Che

APPENDIX. NO XXXVII. 241

Che ingegno, o che cervello ha quel che t' ama ;

S' egli e discreto, non istar piu dura

Che piu si scuopre, quanto piu si brama ;

Cerca de' modi, truova qualche mezo,

E non tenere troppo il caval rezo. Se tu guardissi a parole di frati,

lo direi, Dama, che tu fossi sciocca,

E' sanno ben riprendere e peccati,

Ma non si accorda il resto colla bocca ;

E tutti siam d'una pece macchiati,

lo ho cantato pur, zara a chi tocca,

Poi quel proverbio del Diavolo e vero,

Che non e come si dipigne nero. E non ti die tanta bellezza Iddio,

Perche la tenga sempre ascosa in seno,

Ma perche ne contenti al parer mio

El servo tuo di fede, e d' amor pieno ;

Ne creder tu, che si a peccato rio,

Per esser d'altri, uscir un p6 del freno,

Che se ne dai a lui quanto e bastanza,

Non si vuol gittar via, quel che t' avanza. Egli e pur megiio, 8c piu a Dio accetto

Far qualche bene al povero affamato,

Che ha presentato nei divin conspetto,

Cento per un ti fia remunerato ;

Datti tre volte della man nel petto,

Et di tuo colpa, di questo peccato,

E non vuol troppo, e basta che raguzoli

Sotto la mensa tua di que' minuzoli. Et pero, Donna, rompi un tratto il ghiaccio,

Assaggia anche tu el frutto dell' amore ;

Quando V amante tuo ti ara poi in braccio,

D' aver tanto indugiato arai dolore ;

Quest!

242 APPENDIX. No XXXVII.

Quest! mariti non ne sanno straccio, Perche non hanno si infiammato el cuore ; Cosa desiderata assai piu giova, E se nol credi, fanne pur la prova. Queslo mio ragionare e un Vangelo, lo t' ho contato apertamente tutto ; So che nell' novo su conosci il pelo, E sapranne ben trarre el ver construtto ; E s' io aro punto di favor dal cielo, Forse ne nascera qualche buon frutto ; Fatti con Dio, che '1 troppo dire offende, Chi e savia, e discreta, presto intende.

NO XXXVIII.

Stanze di Francesco Berni.,

Orlando Innamorato. lib, iii. caiito 7.

OuiVI era non so come capitato Un certo buon compagno Fiorentino, Fu Fiorentino e nobil, ben che nato Fusse il padre e nutrito in Casentino, Dove il padre di lui gran tempo stato Sendo, si fece quasi cittadino, Et tolse moglie e s' saccaso in Bibbiena Ch' una Terra e sopr' Arno molto amena.

Costui chi'o dico all' Amporecchio nacque, Che' e famoso castel per quel Masetto, Poi fu condotto in Firenze, ove giacque Fin a diciannove anni poveretto, A Roma ando da poi com' a Dio piacque

Pien

APPENDIX. NO XXXVIII. 243

Pien di molta speranza Sc di concetto D'un certo suo parente Cardinale, Che non gli fece mai ne ben ne iTiale. Morto lui, stette con un suo Nipote Dal qual trattato fu come dal Zio, Onde le bolge trovandosi vote Di mutar cibo gli venne disio, Et sendo all'hor le laudi molto note D^un die serviva al Vicario di Dio In certo officio che chiaman Datario,

Si pose a star con lui per Secretario.

* * *

Di persona era grande, magro & schietto, Lunghe & sottil le gambe forte haveva, E'l naso grande, e'l viso largo, Sc stretto Lo spatio che le ciglia divideva, Concavo I'occhio haveva azurro Sc netto, La barba folta quasi il nascondeva Se I'havesse portata, ma il padrone Haveva con le barbe aspra quistione.

Nessun di servitu gia mai si dolse Ne piu ne fu nimico di costui, Et pure a consumarlo il Diavol tolse, Sempre il tenne fortuna in forza altrui, Sempre che comandargli il padron volse Di non servirlo venne voglia a lui, Voleva far da se non comandato. Com' un gli comandava era spacciato.

Cacce, musiche, feste, suoni, Sc balli, Gioche, nessuna sorte di piacere Troppo il movea, piacevangli i cavalli Assai, ma si pasceva del vedere, Che modo non havea da comperalli,

Onde

244 APPENDIX. NO XXXVIII.

Onde il suo sommo bene era in jacere Nudo, lungo, disteso, e'l suo diletto Era non far mai nulla, Sc stars! in letto. Tanto era dallo scriver stracco &: morto, Si i membri e i sensi haveva strutti & arsi, Che non sapeva in piu tranquillo porto Da Qosi tempestoso mar ritarsi, Nq piu conforme antidoto Sc conforto Dar a tante fatiche, che lo starsi, Che starsi in letto Sc non far mai niente, Et cosi il corpo rifare &c la mente.

NO XXXIX.

Stanze di Lor, de^ Medici,

LA NENCIA DA BARBERINO.

ArDO d'amore, e conviemmi cantare Per una dama che mi strugge il core, Ch' ogn' otta ch' io la sento ricordare El cuor mi brilla, e par che gli esca fore. Ella non trova di beliezza pare Con gl' occhi getta fiaccole d' amore, Io sono stato in citta e castella Et mai non vidi gnuna tanto bella. Io sono stato a Empoli al mercato, A Prato, a Monticelli, a san Casciano : A Colle, a Poggibonzi, a San Donato ; Et quinamonte insino a Dicomano : Figline, Castelfranco ho ricercato, San Pier, el Borgo, Montagna, e Gagliano

Piu

APPENDIX. NO XXXIX. 245

Pill bel mercato che nel mondo sia, E' a Barberin dov' e la Nencia mia. Non vidi mai fanciullatanto honesta, Ne tanto saviamente rilevata ; Non vidi mai la piu pulita testa, Ne si lucente, ne si ben quadrata : Ell ha due occhi che pare una festa Quando ella gl' alza ; e che ella ti guata : Et in quel mezo ha el naso tanto bello, Che par proprio bucato col succhiello. Le labbra rosse paion di corallo, E havvi drento duo filar di denti, Che son piii bianchi che quei di cavallo, Et d* ogni lato ella n' ha piu di venti : Le gote bianche paion di cristallo, Senz' alrri lisci ovver scorticamenti ; Et in quel mezzo elP e come una rosa "^

Nel mondo non fu mai si bella cosa, Ben si potra tener avventurato, Che sia marito di si bella moglie ; Ben si potra tener in buon d\ nato Chi ara quel Fioraliso senza foglie : Ben si potra ten ersi consolato, Che si contenti tutte le sue voglie D' aver la Nencia e tenersela in braccio, Morbida, e bianca, die pare un sugnaccio. lo t' ho agguagliata alia Fata Morgana Che mena seco tanta baronia ; lo t'assomiglio alia stella diana, Quando apparisce alia capanna mia ; Piu chiara se' che acqua di fontana Et se' piCi dolce che la Malvagia

VOL. III. rr U ^ ,

^.^ Quando

246 APPENDIX. NO XXXIX.

Quando ti sguardo da sera, o mattina, Piii bianca se' che'I fior della farina*

Ell' ha due oechi tanto rubacuori Ch' ellatrafigere' con essi immuro : Chiunche la vede convien che s' innamori ; Ell' ha il suo cuore piOi ch'un ciottol duro : Et sempre ha seco un migliajo d'amadori Che da qnegli occhi tutti presi furo : Ma ella guarda sempre questo ^ quelle, Per modo tal che mi strugge il cervello. * * *

Nenciozza mia chi' vo sabato andare Fino a Fiorenza, a vender duo somelle Di scheggie che mi posi ieri a tagliare, In mentre che pascevan le vitelle. Procura ben se ti posso arrecare, O se tu vuoi ch' io t'arrechi cavelle, O liscio, 6 biacca drento un cartoccino, O di spilletti, o d'agora un quattrino.

Eir e direttamente ballerina :

Ch' ella si lancia com'una capretta ; Et gira piu che ruota di mulina, Et dassi delle man nella scarpetta, Quand' ella compie el ballo ella s'inchina, Poi torna indrieto e duo tratti scambietta ; Ella fa le piu belle riverenze Che gnuna cittadina di Firenze.

Che non mi chiedi qualche zacherella, Che so n' adopri di cento ragioni ; O uno intaglio per la tua gonnella O uncinegli, o noagliette, o bottoni, O pel tuo camiciotto una scarsella,

O cintolin

APPENDIX. N^ XXXIX. 247

O cintolin per legar gli scuffioni, O voi per ammagliar la gammurrina Una Cordelia a seta cilestriiia.

Se tu volessi per portare al collo Un corallin di que' bottoncin rossi Con un dondol nel mezzo, arrecherollo, Ma dimmi se gli vuoi piccoli, o grossi, E s' so dovessi trargli dal midollo Del fusol della gamba, o degli altr' ossi, E s' io dovessi impegnar la gonnella, I' te gli arrechero, Nencia mia bella.

Se mi dicessi, quando Sieve e grossa, Gettati dentro, i' mi vi getteria ; E s' io dovessi morir di percossa, II capo al muro per te batteria ; Comandami, se vuoi, cosa ch' i' possa, E non ti peritar de' fatti mia ; Io so che molta gente ti promette, Fanne la prova d' un pa' di scarpette.

Io mi sono avveduto, Nencia bella,

Ch' un altro ti gaveggia a mio dispetto ; E s' io dovessi trargli le budella, E poi gittarle tutte inturun tetto ; Tu sai, ch' io porto allato la coltella, Che taglia, e pugne, che par un diletto, Che s' io el trovassi nella mia capanna, Io gliele caccerei piu d' una spanna.

248 APPENDIX. NO XL.

NO XL.

TRIONFO DI BACCO E ARIANNO,

Di Lor. de* Medici,

V^UANT' e bella giovinezza, Che si fugge tuttavia ; Chi vuol' esser lieto sia, Di doman non ci e certezza.

Quest' e Bacco, e Arianna,

Belli, e Pun dell' altro ardenti ;

Perche '1 tempo fugge, e'nganna,

Sempre insieme stan contenti:

Queste Ninfe, e altre genti

Sono ailegre tuttavia :

Chi vuol' esser lieto sia,

Di doman non ci e certezza.

Questi lieti Satiretti,

Delle Ninfe innamorati ; Per caverne, e per boschetti Han lor posto cento aguati : Hor da Bacco riscaldati, Ballon saltan tuttavia: Chi vuol' esser lieto sia, Di doman non ci e certezza.

Queste Ninfe hanno ancor caro, Da ioro essere ingannate ; Non puon far' a Amor riparo, Se non genti rozze, e' ngrate : Hora insieme mescolate, Fanno festa tuttavia :

Chi

APPENDIX. NO XL. 249

Chi vuol' esser lieto sia, Di doman non ci e certezza. Questa soma, die vien dreto, Sopra r Asino, e Sileno, Cosi vecchio, e cbro, e lieto, Gia di carne, e d' anni pieno : Se non puo star ritto, almeno Ride, e gode tuttavia : Chi vuol' esser lieto sia, Di doman non ci e ceitezza. Mida vien, dopo costoro, Cio che tocca, ora diventa ; E che giova haver tesoro, Poi che I'huom non si contenta ? Che dolcezza vuoi che senta ? Chi ha sete tuttavia ? Chi vuol' esser lieto sia, Di doman non ci e certezza. '

Ciascuno apra ben gli orecchi, Di doman nessun si paschi ; Oggi siam giovani, e vecchi,' Lieti ognun femmine, e maschi : Ogni tristo pensier caschi, Facciam festa tuttavia : Chi vuol' esser lieto sia, Di doman non ci e certezza. Donne, e giovanetti Amanti, Viva Bacco, e viva amore ; Ciascun suoni, balli, e canti, Arda di dolcezza il core : Non fatica, non dolore, Quel c'ha esser, convien sia :

Chi

350 APPENDIX. NO XL.

Chi vuol' esser lieto sia, Di doman, non ci e certezza ; Quant' e bella giovinezza Che si fugge tuttavia ?

NQ XLI.

CANZONE A BALLO.

Di Lor. Be' Medici.

Ben venga ma^gio,

E'l gonfalon selvaggio. Ben venga Primavera,

Ch' ognun par che innamori ; E voi donzelle a schiera Con li vostri amadori, Che di rose, e di fiori Vi fate belle il maggio. Venite alia frescura Delli verdi arbuscelli : Ogni bella e sicura Era tanti damigelli ; Che le fiere, e gP uccelli Ardon d'amor il maggio. Chi e giovane, e bella, Deh non sie punto acerba Che non si rinnovella L' eta come fa 1' herba. Nessuna stia superba, Air amadore il maggio. Ciascuna balli e canti

Di questa schiera nostra :

Ecco

APPENDIX. N<5 XLI. . 251

Ecco e dodici amanti,

Che per voi vanno in giostra

Qual dura allor si mostra

Fara sfiorire il maggio. Per prender le^donzelle

Si non gP amanti armati ;

Arrendetevi belle

A' vostri innamorati ;

Rendete e cuor furati,

Non fate guerra il maggio. Chi 1' altrui cuore invola

Ad altri doni el core :

Ma chi e, quel che vola ?

E' 1' Angiolel d'amore,

Che viene a fare honore

Con voi donzelle al maggio. Amor ne vien ridendo

Con rose, e gigli in testa :

E vien di voi caendo,

Fategli o belle festa :

Qual sara la piu presta

A dargli el fior del maggio. Ben venga il peregrino,

Amor che ne comandi ?

Che al suo amante il crino

Ogni bella ingrillandi ;

Che le zitelle, e grandi ;

S' inn amor an di maggio.

252 APPENDIX. NO XLII.

No XLII. Joannes Picus Mir an, Laurentio Medici,

J-iEGI, Laiirenti Medice, Rhytlimos tuos, quos tibi ver- naculae musae per aetatem teneram suggesserunt. Ag- novi musarum 8c gratiarum legitimam foeturam, aetatis tenerae opus non agnovi. Quis enim in tuis Rhythmis Sc numerosa versuum junctura saltantes ad numeruni gratias non peresenserit ? quis in canoro dicendi genere & modulato canentes musas non audiat ? quis in lepore non affectato, hilari argutia, mellitis salibus, aptis ille- cebris, miro candore in prudenti dispositione, in gravis- simis sensibus ex penetralibus philosophiae erutis ado- lescentem hominem agnoscat ? Scio profecto me non esse in hoc albo, nee eum qui hue ascendam, idest, ad judicium rerum. Sed vellem dici posse extra suspici- onem adulationis quod de illis sentio. Dicerem pro- fecto non esse veterem scriptorem, quern in hoc genere dicendi longo intervallo non antecesseris. Quod ne putes dictum ob gratiam, afferam tibi hujusce sensus rationes meas. Sunt apud vos duo praecipue celebrati poetae Florentinae linguae, Franciscus Petrarcha, 8c Dante s Aligerius ; de quibus illud in universum sim praefatus esse ex eruditis, qui res in Francisco, verba in Dante desiderent ; in te qui mentem habeat 8c aures neutrum desideraturum, in quo non sit videre, an res oration e, an verba sententiis magis illustrentur. Sed expend amus velut in librili particulatim uniuscujusque merita. Franciscus quidem si reviviscat, quod attinet ad sensus, quis eum dubitet ultro herbam tibi daturum ? adeo tu Sc acutus semper, gravis 8c subtilis, ille vero de

medio

APPENDIX. NO XLII. 253

medio plurimum arripiens, sententias colorat verbis, 8c quae sunt gregaria egregia facit genere dicendi : in quo videamus quid libi ille, quid tu illi praestes. In qui- busdam dulcior apparuerit, sed mihi illius dulcedo (ut ita dixerim) dulciter acida & suaviter austera. Ille fusus 8c aequabiliter deliniens, tu majestate, &c quadam vivaci luce orationis animos perstringens. In illo am- bitiosa 8c nimia, in te neglecta potius quam affectata diligentia. Ille tener Sc mollis, tu masculus Sc torosus. Ille volubilis Sc canorus, tu pressus, plenus, firmus, 8c modulatus. Ille forte lepidior, tu certe amplior 8c erectior. Ille fucatior, sed tu nervosior. In illo est, quod amputes, in te nihil redundans 8c nihil curtum. Sed forte audaculus, qui tollendum aliquid de illo dix- erim. At ita est certe, ita multis videtur, quorum judicio confido : nam meo nihil ; cum saepe sit videre peccantem ilium, quod Asiatici peccabant, idest infar* cientem verba quasi rimas expleat, adhibentemque, voces plenas Sc concinnas, non ut exornent, sed ut sus- tineant quasi tibicines, carmen ne claudicet. In te omnia verba non minus in re necessaria, quam in ornatu grata, ita ut qui ex te demat, mutilet ; qui ex illo, ton- dat & repurget. Quod si demus (quod nunquam dabo) lepidiora esse quae ille scripserit, 8c comptiora tuis, facile id fuit praestare hominem, cui non esset cum ipsis sensibus labor Sc pugna. At tuae illae acres, subtiles, 8c (ut uno dixerim verbo) Laurentianae senten- tiae, vix dici potest, ut calamistros respuant, 8c istos fucos non libenter admittant. Quas ille tractandas si habuisset, quem moUem legimus, nitidum 8c jucun- dum, legeremus equidem spinosum, squalidum 8c in- gratum ; cum sit videre ilium, quoties aliquid tale aggreditur, acytum implicitum vel nodosum, tarn stylo VOL. III. L 1 cadere.

254 APPENDIX. N>^ XLII.

cadere, quam seiisu surgit. CUm vero illam siiam verborum ostentat supellectilem, sua unguenta, cincin- nos Sc flores admoneret saepe si adesset Castritius, quod admonuit in Graccho, ne falleremur, rotundato sono, Sc versuum cursu, sed inspiceremus quidnam subesset, quae sedes, quod firmamentum, quis fundus verbis : quod si facias illic, videas Epicuri quandoque vacuum, ita aut nullum subesse sensum, aut frigidum 8c levem. Qua parte (quamvis est maxima) etiam illi si non praestes, non video omnino, cur praestet ille tibi di- cendi gratia : cum 6c verba apud te esse non possint illustriora, Sc coUocatio illorum ita sit apta, ut nee cohaerere melius, nee fluere rotundius, nee cadere numerosius ullo modo possint. Sed jam Dantem te- cum pensiculimus, de quo fortasse plures controver- siam sint facturi. Sunt enim multi, qui in scriptorum collatione non taiTi expendant merita, quam annos numerent, jubentque alios, ut priscos legant cum reve- rentia, coaetaneos ipsi legere non possunt sine invidia. Primas, certe, quod ad stylum spectat, denegaturum tibi neminem puto, ita est Dantes nonnunquam hor- ridus, asper Sc strigosus, ut multum rudis Sc impolitus : hoc ejus etiam aurarii fatentur ; sed in aetatem 8c saeculum illud, id quod sit ita, culpam rejiciunt ; om- nino tu cratione cultior, 8c non ille granidior. At sensibus (Inquient) grandior Sc sublimior. Quaeso, quid mirum in philosophica re ilium philosophari, ipsa natura ad hoc cogente, atque ultro suppeditante sen- tentias ? Si de Deo, de anima, de beatis agitur, affert quae Thomas, quae Augustinus de his scripserunt ; 8c fuit ille in his tractandis meditandisque tam frequens quam assiduus, tu in obeundis maximis negotiis publicis Sc privatis. Non fuit tam praeclarum in Dante hoc fecisse,

quaiTV

APPENDIX. NO XLII. 255

quam won fecisse turpe fuerat : at fuit dubio procul summi ingenii opus, quod ipse praestas, philosophica facere, quae sunt amatoria, 8c quae sunt sua severitate austerula, superinducta venere facere amabilia. Ita in tuis versibus amantium lusibus, Philosophorum seria sunt admixta, ut 8c ilia hinc dignitatem, 8c haec illinc hila- ritatem gratiamque lucrifecerint ; ut ambo hac copula & retinuerint quod erat proprium, 8c mutuo se sibi ita participaverint, ut habeant utraque singulatim quaje prius erant simul amborum. Sed non est hoc tani admirandum, quam illud, quod me maxime movit : ita haec a te invecta, ut non invecta, sed de materiae ipsius (de qua agis) eruta gremio, 8c ex ilia ipsa (ut ita dixerim) te irrigante solum, efliorescere videantur, ut appareant nativa, non adventitia ; necessaria, non com- portata ; genuina omnino, non insititia, hoc est quod admirari satis non possum, quo mihi videris Dantem exsuperasse. Nam Sc si ille sublimis A^olat, materiae alis attollitur ; tu repugnante ilia 8c deorsum trahente tolleris in altum alis ingenii, atque ita tolleris, ut a materia non discedas, sed illam tecum simul attollas, tantum de ipsa tu, quantum de Dante ipsa fuit bene- merita. Jam videre licet quid te inter, Franciscumque 8c Dantem intersit, de quibus hoc addiderim, Francis- cum quandoque non respondere pollicitis, habentem quod allectet in prima specie, sed ulterius non satisfa- ciat : Dantem habere quod in occursu quandoque offendat, sed juvet magis intima pervadentem. Tua non minus habent in recessu quod detineat, quam habeant in prima fronte quod capiat. Adde quod illi suas poeses in secessibus, in umbraj in summa studio- rum tranquillitate : tu tuas inter tumultus, curiae stre- pitus, fori clamores, maximas curas, turbulentissimas

tempes-

255 APPENDIX. N^ XLII.

tempestates, occupatissimus cecinisti. Illis erant Musae ordinarium negotium, 8c principale : tibi ludus, & a curis quaedam relaxatio. Illis summa defatigatio, tibi defatigatio otium. Deniqiie eo animum remittens pertigisti, quo illi omnes animi neruos contendentes fortasse non pertigerunt. Sed quid dicam de mea paraphrasi ? meam enim cur non appellem vel hujus, quae niea est, appellationis jure ? demuni cur non meam, quam etsi veneror ut tuam, amo tamen ut meam ? admiror profecto illam, 8c te in ilia ; ex qua conjicio quantum ego aberam a vera laude tuorum versuum, in quibus quae erant maxima, quaeque max- ime illustria, quibus sum noctuinis oculis, non intro- spexeram, vidi deinde per te reveiata, qui id solus 8c poteras Sc debebas ; debebas autem tibi 8c nobis, no multa Sc te gloria, 8c nos voluptate fraudares. Lego (deum testor) maxime Laurenti eam, non tarn ad delec- tationem. quam ad doctrinam. Quot enim ibi ex Aristotele, auditu scilicet physico, ex libris de Anima, de Moribus, de Caelo, ex Problematis ? Quot ex Platonis Frotagora, ex Republica, ex Legibus, ex Sym- posio ? quae omnia quamquam alias apud illos legi, lego tamen apud te ut nova, ut meliora, Sc in nescio quam a te faciem transformata, ut tua videantur esse, & non illorum ; Sc legens discere mihi aliquid videar, quod maximo est indicio, haec te sapere non tam ex commentario, quam ex te ipso. Solent enim plurimi majore in Uteris sophisteia quam opera, cum quid scrip- turi sunt, philosophos habere velut pragmaticos, eis dogmata quaedam suggerentes, quae ingerant suis libel- jis, ut videantur philosophi. Sed facile hos deprehen- das, nam videas ilia nee recte disposita, nee cohaeren- tia, 8c ab ipsis non explicata, sed implicata. Atque

homines

APPENDIX. NO XLH. 257

homines alioquin eloquentes, in illis dicendis apparent infantissimi. At te quis non videat ea non tenei-e precario, sed lit in quae jus habeas 8c potestatem pro arbitrio versare, agere, tractare ? Haec tu (proh felix ingenium) in aestu Reip. in actuosa vita es assecutus, quae nos philosophorum non discipuli, sed inquilini, in umbratili vita &: cellularia, sequimur potius quam consequimur. Sed quid dicam de paraphraseos tuae suavissimo stylo? is mihi videtur penitus, qui Caesaris in Romana lingua. Est enim oratio non manu facta, non bracteata, non torta; sed suo ingenio erecta, Can- dida, & quadrata, nee temere excurrens, sed pedem servans, nee luxurians, nee jejuna, nee lasciviens, nee ingrata, dulciter gravis, graviter amabilis, verba electa 8c non captata ; illustria, non fucata ; necessaria, non quaesita ; non explicantia rem, sed ipsis oculis subji- cientia. Praetereo quam tuae personae semper rnemi- neris, quam sint ubique tuae illius prudentiae inspersu passim semina atque vestigia. Haec ego hi cum multis, Sc alius quisquam longe potiora. Sed duo praecipua praeter haec vidi, quae videant forte non mnlti quam- quam oculatiores. Primum est illud, ut ilia suas divi- tias dissimulet, ut invidiam fugiat, flores in sinu habeat, non ostentet, non exurgat in plantas, sed subsidat in genua, ut minor appareat. Alterum quid sit non video, neque enim tam solers, sed video esse nescio quid (ut dicam signatissime) Laurentianum. Quod si quis videat Lavu'entii dotes, ingenium, praestantiam, Laurentium totum videat graphice effigiatum. Sed haec nimis fortasse multa, quae dixi etiam invitus, ipsa me transversum (ut dicunt) trahente" in verba animi sententia. Illud non praeteribo, hortari tc quanto possum opere maximo, ut aliquod quandoque a mode-

ra]ida

258 APPENDIX. NO XLII.

randa republica otiolum suffuratus, absolvendae pava- phrasi impartiaris, tibi quidem et linguae patriae ad honorem, civibus tuis 8c nobis omnibus futurae ad uaiim Sc voluptatem. Florentiae idibus Julii mcccclxxxiv.

NO XLIII.

Federicus Dux Urbini,

Laiu'entio Medici de Florentia.

JVIaGNIFICE frater carissime. Per la copia de una io scrivo alio illustrissimo Duca di Ferrara, la quale io mando alii Signori Otto della Balia, la vostra Magnifi- Gentia vedra Io aviso ho havvito della perdita della Roc- cha di Melara, £c Io pensero de li inimici, die e de unire 1' armata loro de acqua cum questi di sopra, &; unita- mente poi cum Io favore del curso del fiume andarsene ad Ferrara ; & non e dubio, che non si facendo dala Serenissima Lega celere &: potentissima provvisione in qualche parte, li potria reuscire Io pensero, perche quello Illustrissimo Signore da se non e bastante ad sub- stinere tanto peso, commo la V. M. intende per se me- desimo.

Lo remedio, che mi occurre a tanto eminentissimo periculo, si e, che cotesta Excelsa Signora volando, le mandi quelio piu numero de fanti li sia possibile, maxi- me de quelli de Romagna, & de Valle de Lamone, li quali 8c per la vicinita, 8c per essere homini exercitati, verranno piii a proposito del bisogno, che de volere fare

pensero

APPENDIX. NO XLIII. 259

peRsero de mandare altri ; Sc io maiKlandome lo Illus- trissimo Signore Duca di Milano quella gente da pede & da cavallo li ho scripto, descendero nel Ferrarese per fare tenere la briglia in mano alii inimici, 8c quando per la Serenissima Lega se facciano quelle provisione li e necessario & per lo honore Sc per lo utile, Sc per modo, che io possa stare a fronte delli inimici, me basta lo animo farli intendere, che da fare uno pensiero ad mandarlo ad eifetto ci e grandissima differenza. Non me euro essere piii longo cum la Vostra Magnificen- tia, perche so certo che per sua prudentia intendendo quanto questa cosa sia importante, cum omne diligen- tia opera per le neces,sarie provisione.

Ricordo alia Vostra Magnificentia sollecite lo man- dare li fanti ragionati in le terre del Sig. Constantio 8c mie : Sc questo pure se vol fawe cum omne celerita, per- che io ho dato ordine, che li miei homini d'arme se ne vengono ad trovarme, che non ce restando ditti fanti, non se porriano movere perche el non seria secura cosa de spogliare le terre del prefato Sig. Constantio, Sc mie, non ce restando gente da posserle defendere in omne caso.

Seria de parere, che lo Sig. Constantio prcditto se ritirasse in Toscana 8c cum la persona, 8c cum la gente, Sc che li fossero deputate le stantie in quello di Rezo Sc in Angira, la quale cosa vene alio proposito della securta dello stato de cotesta Excelsa Signoria, del suo Sc mio, Sc minacciare li inimici per tutto, Sc porria essere che la fortuna porgesse tale occasione, che saria stato optima provisione de avere preso simile partito ; pero ricordo alia Magnificentia Vostra opei"e, che senza

metterc

26(5 APPENDIX. N<5 XLIII.

iTiettere dilatione de uno actimo de tempo se li ordini venga ad lo dicto loco : Sc io in questo ponto per una mia ho persuasa la sua Signoria ad cio. Ex Revere 4. Mali 1482.

NO XLIV.

Guidantonio Vespucci*

Laurentio Medici.

jM \GNIFICE vir. Se I'avviso mio della creationc del Pontefiice fu tardetto, ne fu causa, perche Antonio Tornabuoni spaccio sanza aspettarmi, perche ero in luo- go udivo messa con gli altri Oratori, Sc non potevo uscire si tardi : la staffetta di Milano fu spacciata per Francesco da Casale & non per I'Oratore ; habbiatemi per scusato.

Di questo Pontifice vi diro quanto ne intendo. La natura sua, quando era Cardinale, era molto hu- mana 8c benigna, & a ciaschuno faceva carezze assai, Sc baciava qualunche piu che chi voi sapete : e non molto di sperienza delli Stati, di non molta letteratura, ma pur non e in tutto ignorante ; era tutto di S. Pier in Vincula, 8c lui lo fece far Cardinale : pieno in viso 8c assai gi'ande, di eta di circha 55. anni, assai robust©, ha uno fratello, ha figliuoli grandi bastardi, credo al- meno uno, 8c figliuole femmine maritate qui : Cardi- nale non andava bene col Conte : San Pier in Vincula si puo dir esser Papa, 8c piu potra, che con Papa Sisto, se se lo sapra mantenere : ha uno Fratre Ge- nuese, che si dice ha donna, naturalmente Guelfo, 8c

e della

APPENDIX. NO XLIV. 261

^ della casa Zibo : ha qui uno nipote Prete 8c parente di Filippo di Neronc, che ha per donna una Maria Cle- menza che fu moglie di Stoldo Altoviti. El Capitano vecchio de' fanti ha per donna una sua parente. Essi monstrato huomo piu per esser consigliato, che consigliare altri.

La electione sua e stata in questa forma, che li Reverendissimi Monsignori di Ragona e de' Visconti veduto non poter fare el Vicecanc* lliere, Sc veduto el Vicecancelliere, cerchava far guardia, s' ingegnorono tirar qui el Vicecancelliere, Sc fare el facto loro, & ante omnia accordarono il Camarlingo Sc Ursino con San Pier in Vincula, e quali vi cominciarono ad incli- nare, Sc parmi assicurassino con promesse le cose del Conte Sc del Camarlingo, Sc molti habbino satisfacto di cose prima al Cardinale di Ragona la casa sua, a Messer de' Visconti la Casa del Conte, la qual se paga al Conte per Sua Beatitudine, Sc tanto che ascende ultra alia casa a dodici mila ducati, Sc la Legatione del Patrimonio, Sc ne ara non so che a Castello, al Savello la Legatione di Bologna, a Milano la Legatione di Vignone, le quali tutte ultime Legationi havea S. Pier in Vincula, Sc a tutto ha consentito per condurre quest' opera, imo ha renunziato ad alcune badie per satisfare ad altri che io non so. Colonna non dubito sara an- chor satisfacto ; el Vicecancelliere ancora s' e assicurato di certe sua cose di Spagna. Noara ha havuto non so che Castello : di altri non intendo, ma extimate ce ne assai simile.

Concludovi, che questa electione si da tutta all'

opera di Mons. de Visconti, Sc parrebbemi gli dovessi

VOL, III. M m scrivere,

261 APPENDIX. NO XLIV.

scrivere, die havendo lo bisogno dell' opera sua nelle faccende vostre, ci vogli ajutare 8c scrivere una buona lettera a S. Pier in Vincula, perche del caso di Fonte Dolce non dubito se non di lui, &c lui e Papa 8c plus- qiiam Papa. Et credatis che Monsig. Ragona & Vis- coi>ti hanno in ogni electione a mettere a sacco questa Corte, & sono e maggior ribaldi del mondo.

lo attendero qui fra pochi di a ressetare le cose vostre, Sc intendo farlo, perche in su questi principj e Pontefici sogliono essere gratiosi, & di voi la Santita Sua sente bene 8c mecho era assai dimestico. Ricor- dovi innanzi §' entri in nuova pratica el farmi aver li- cenzia, che vorrei esser costi per tutto Settembre almeno, 8c vi prego mi vogliate exaudire di farmi el mio Simone degli Otto. Romae die 29. Augusti 1484. Ricordovi el sollecitare la impresa de Serrezzana, innanzi costui pigU piedt) perche poi sara pericoloso.

NO XLV.

Laur, f/e' Med. ad Albinuin,

JLlAVETE intesa 1' offerta mi e stata fatta di stato in quel Regno, quando non donasse li presidj al Sig. Re, See. 8c cosi avete intesa la mia risposta . . Dogliome che lo Sig. Re non habbia quella reputatione aveva altro te»ipo de' denari 8c de gente d' arme, che S. M. era stimata lo Jodice d' Italia; adesso che sia lo contrario, me ne doglio per la servitu che loro ho ; pure in nullo caso mancaro a S. M. Dispiacemi iino all' anima, che lo

Sig.

APPENDIX. NO XLV. 263

Sig. Duca habbia questo nome di crudele, 8c falsa- mente le sia imposto ; pur Sua Eccellenza tuttavia se forze toglierlo con ogni arte, che certo li mettera bon conto. Et cosi se le gabelle se tolerano raal volentieri dalli popoli, levele, via, & torne alii soliti pagamenti, che vale piu havere un carlino con^ piacere & aniore, che diece con dispiacere & isdegno, che certamente indurre usanza nova ad ogni popolo ,pare forte. Flo- rentiae 3. Novemb. 1485.

Anco ricordamo a S. S. che lo partire de' niercatanti da Napoli, quali dicono per sua causa essere partiti, I'l da mal nome per ogni loco, alii quali se non satisfa el debito, almeno satisfaccia de bone parole, accio che non se dica quello che non e, et quello che e ; pero Sua Ec- cellenza accarezze ogn' uno, come e solita, che li animi delU homini se vincono & obbligano piu presto con bone parole, che non severitate, & questo vise con ogni ma- niera de gente, che in fine li mettera bon conto. Qhe lo S. Virginio conduca quanti Baroni puote in questo de Roma, perche vole del suo soldarli fin alia summa de 300. homini d'arme. Una delle principali cose che mi pare necessaria e che Sua Signoria tenga ben con- tenti tutti i soldati, che mai n'hebbe necessario come hoggi. Ultimamente S. M. stia de buono animo, che in ogni modo serra victoriosa, che prima questa Sig- noria delibera perdere lo stato suo, che detta Maesta habia a patire : del resto me remetto alia vostra rela- tione.

264 APPENDIX. NO XLVI.

NO XLVI.

Laurcntio de^ Medici Florentinae* Rex Siciliae.

M\GNIFICO LORENZO, laudabile cosa e persis- tere nel consueto bene operare, 8c satisfare alle obliga- zioni, &c, como se dice, par pari reddere ; ma in vero in le amicitie confirmate, Sc dove se va con una me- desima volunta & disegno, ad nostro judicio se recerca non attendere ad quanto se debia fare, ma ad quello piu che sia possibile farse. In le occuiTentie di questo inverno ne doleva fino ad V anima che ad Sarzana se facesse novita, non per comparire, ma perche non haveviamo possuto comparire, justa el desiderio nostro. Turbavane, che eramo eshausti, le cose del regno non reassectate, le pratiche con la Santita de N. S. assai turbide, 8c che havevamo notitia dell' apperato Tur- chesco, como de poi se e per tucto inteso ; 8c non de manco al primo adviso 8c rechesta circa la novita de Serzanello, sat'sfecimo, Sc con volunta 8c con opera circa la gente d'arme 8c galere recercate, dolendone imperC) cordialmente, che alia rechesta non possevamo adj\mi2;ere quel che el debito nostro officio, 8c la promta volunta recercava, stando tuttavia con attentione, se la fortuna avesse producta alcuna occasione de possere alcun tanto piii satisfure ad noi medesimi in queste occurrentie della Repubblica vostra : de che havendo ultimarnente da diverse 8c bone vie Parmata de' Tur- chi havere ad soprastare per questa stasone 8c che dalP altro canto Genuesi armavano ad fine de damnificare le marine nostre, per divertere Sc distrahere le vostre

forze

APPENDIX. NO XLVI. 265

forze dall' obsiclione de Serzana, subito senza piu dif- ferire, rengratiando N. S. Dio, che ne havea ofierta comodita, deHberammo mandare ad questa impresa otto altre galere, bene instiucte, £c lo robore del nos- tra stolo, colo havimo facto intendere al Mag. Mis- ser Bernardo, Sc eodem tempore insemi con la deli- beratione havimo dato ordine ad la esecutione, facendo scrivere da nostro figliolo D. Federico, el quale ha cura delle cose de mare Sc ad Brindisi, & per fe marine de Calabria, che dicte octo galere subito subito siano de qua, & tengano la via de Serzana ad giongerse con le altre : ne se persuada la V. Mag. che la mente nos- tra habbia da firmarse qua, perche con lo pensero dis- cuteremo se altro per noi fai^ se potera, £c al pensero adjungeremo I'opera, sequendo lo exemplo della vostra Repubblica, Sc anco vostro proprio, 8c havendo sempre avante li occhi quel che se facto in nostro adjuto S- favore : Sc quanto in noi sera facendo tale opere £c de- portamenti, che li beneficii ricevuti habbino ad restare bene testificati della buona 8c grata voluntu nostra ap- presso el populo de Fiorenza, Sc appresso la V. M. Havemo dunque voluto ultra quel che scrivemo vA 11 Ex. Sigg. Sc ad Marino fare nota per propria lettera questa nostra dellberatione ad ia W M., la quale se renda certa che dalle faculta nostre ad le sue proprie Sc della sua Repubblica, non se ha da fare differentis alcuna, perche de tucte cose nostre volimo, che la commodita 8c lo uso sia non manco de' Sigg. Fioren- tini Sc de V. M., che lo nostro ; 8c questa intra noi ha da essere institutione 8c legge perpetua. Confortamo lu M. V. ad attender bene alia sua valeludine. Dat. in Castello Nove Neap. 3. Junii 1487.

26S APPENDIX. NO XLVII.

NO XLVII.

Magnifico inro Johanni de Lanfredinis,

Oratori Florentino Romae,

Laur, Med,

InTENDO per la vostra de' di 13. che N. S. ha preso qualch-e molestia per la instantia fatta per voi acciocche Hon si proceda piii oltre in queste citationi. A me rincre&ce ogni molestia di Sua S. ma molto mi dorebbe, quando accadessi in lei alcuna opinione, che le parole o effetti miei procedessino da alcuna cagione, altra che dal bene di Sua S. la quale potete accertare, che in ogni partito i<. evento io voglio sopportare come servitore quella medesima fortuna, Sc questa massima tenga ferma per sempre. Se io ho persuaso alia S. Sua a temperarsi in queste cose contra il Re, I'ho fatto per le infrascritte ragioni. Come per 1' ultima vi scripsi, a me pare necessario, che la S. Sua si proponga uno di questi tre infrascripti fini, cioe o con la forza havere la ragione sua col Re, o veramente accordarsi come si puo, o quando pure quello accordo, che si potessi al presente fare, fussi con poco honore, temporeggiare pill honore volmonte che si puo, aspettando migliore occasione ; la prima conditione saria piu honorevole, ma a mio parere e di qualche pericolo Sc di gran spesa, ne credo che horamai si possa fare senza mettere una nuova Potentia nel Reame : a questo mi pajono neces- sarie tre cose, cioe, che almeno o Vinitiani o Milano siano d'accordo a questa impresa; la seconda, che questa tale Potentia, che s' introducessi di nuovo, sia

per

APPENDIX. NO XL VII. 267

per se medesima potente Sc di gente & di danari ; la ^ terza, che per N. S. si faccia ogni estrema potentia senza perdonare a spesa o a cosa alcuna per octenere la impresa, 8c e necessario che tra quello che puo il Papa, & quello che puo questo tale, che s'introducessi, e vi sia maggiore potentia, che non e quella del Re sola, presupponendo che se Vinetia adherissi a questa disposizione, havessi a fare questo effelto di teaere Milano, che non soccorressi il Re. Chi havessi intel- ligentia co' Baroni del Re, o altri simili adminiculi, tanto meglio si poteria fare. Hora a questa prima parte io potria ingannarmi, quando la ho dissuasa a N. S., perche non veggio di queste condition! tanto che mi paja ad sufiicentia, che forse ne e cagione il non sapere io tutti i secreti di questa cosa : per quello che io vegga o intenda non ci e ragione, perche N. S. debba per hora havere questa dispositione o speranza, havendo a pigliare o Spagna o Francia a questo effetto, 8c Spagna mi pare che sia poco potente, maxime alio sconfortare, cioe spendere. In Francia secondo la natura loro, non so come si possa fare fondamento, pure presupposto che mutassi natura, mi accorderei con N. S. che fussi manco male, maxime, perche sarebbe manco pericoloso uno augumento di potentia in uno di casa di Lorena, che in Spagna, perche il Duca di Lorena non e pero Re di Francia, Sc veggiamo per experientia, che il Re di Napoli e molto piu stretto con Spagna, che il Duca di Lorena con Francia, 8c nondimeno il Re di Napoli & Spagna non sono amici, Sc ciaschuno che fussi Re del Reame, farebbe poi il conto suo. Con tutte queste ragioni non intendendo io altro particulare, non conforterei mai N. S. a tentare mai per oni simile impresa : cc se cosi c-, Io esasperare

il

5^58 APPENDIX. N^ XLVII.

il Re con citationi £^ simili cose per questo capo non giova, anzi clii fussi ad ordine a poter fare gagliarda- mente questa impresa, mi parebbe tanto piu da fug- gire ogni dimostrazione di malo animo per fuggirfr il pericolo di quello, che puo fare il Re dal dire al fare, che a me non pare poco, & pero sarebbe meglio dissi- mulare Sc secretamente atteiidere a prepararsi, che mos- trare malo animo prima che allri potessi offendere, che non e altro che dare occasione ad altri di prepararsi 8c offendere prima, si che per ogni ragione in questo prime paruto a me non pare sia bene citare il Re. Qanto alia seconda parte dello accordarsi, potrei ancora ingan- narmi, perche forse si propongono tali conditioni, che non sono note a me, le quali si adjutano meglio con questo modo della citatione, che forse servirebbe quando le pratiche fussino mature Sc quasi resolute, nel quale caso il darsi in qualche modo reputatione suole ajutare meglio il risolvere : ma se non ci e altro che quello che io so, le pratiche pajono acerbe Sc non punto di facile resolutione, Sc pero questi modi, che si tenessino per ajutare tali pratiche, potrebbono forse generare qualche scandolo o ruptura, che e il contrario dello accordo. Quanto al temporeggiare, credo che questa parte non bisogna disputare, perche seuza comparatione e meglio posare le cose ai presente con reputatione di N. S. che tentare la fortuna, niassime perche voi conoscete molto meglio di me, che il Re ha gran faculta di offendere. Hora come dico di sopra per non sapere piu innanzi in queste cose non ve ne posso dire altro. Se il pro poco temere del Papa nasce da qualche buon fonda- mento, fate, che lo sappi ancora io per levarmi questa molestia, Sc benche io no:i sia di natura vile, per la fede, che mostra il Papa in me, ho molto maggiore

sospetto

APPENDIX. NO XLVII. 269

sospetto delle cose sue, die iion harei clelle proprie. Quando la S. S. ne sara sicura, io attribuisco tanto alia prudentia Sc autorita sua, clie ne restero ancora io quieto. Insino che non intendo altro fondamento di questa sua sicurta, vi confesso, che non sto con I'animo riposato. Se ci e cosa alcuna, per V amore di Dio fatemela intendere, che per 1' ordinario non mi sento bene. Non creda il Papa per cosa del mondo, che ad alcuno particulare proposito fuori del bisogno di S. S. io pensi, dica, o adoperi cosa alcuna, perche il bene, che ho havuto da N. S. 8c quello che io ne asnetto, pro- cede tutto dal suo buono stato reputatione. Del Sig. Lodovico ho detto quanto intendo, & aperto it cuore mio della natura sua. Io so che vo rettamente, & ho il mio primo fondamento in N. S. ne diro altro che quello mi habbi detto molte volte, cioe che quando la S. Sua si possa accordare col Re con qualche parte dello honore suo, mi pare meglio uno comunale eccordo, che una buona guerra : quando questo havessi difficulta, m' ingegnerei temporeggiare con honore & sicurta, presupposto che non ci sieno quelle condition!, che bisognerebbero ad valersi contro il Re, le quali dice di sopra, perche quando ci fussino, sono certo il Re nello accordo si lasceria maneggiare, 8c consentirebbe all' honesto, 8c perche io credo, che il Re intenda molto bene il male, che gli puo essere fatto ; dubito per questo non venga in piu gagliardia. Tutte queste mie ragioni potrebbero essere resolute invento ; tale secreto potrebbe havere N. S. che non e noto a me. Non credo, che sia molesto alia S. Sua questo mio discorso con questa risolutione, che io ho sempre a sopportare quella medesima fortuna, che la S. S. voglio havere licentia di parlare sempre liberamente, 8c fare quello VOL. III. N n che

270 APPENDIX. No XLVII.

che vuole S. S. Ringratiate con og-ni vostra efficacia la S. di N. S. della amorevole &c benigna risposta vi ha fatta circa la protetione dell' Ordine de' Servi in Mes. Giovanni. Tutte queste cose mi obbligano immortal- mente alia S. Sua. Piacemi assai, che siate state a Cervetri & a S. Severa, 8c sopratutto mi piace vi hab- bino satisfatto i modi & i governi del Sig. Francesco con cotesti suoi sudditi, perche Dio mi e testimone^ che non amo meno lo honore 8c bene suo che il mio. Pregovi & conforto quanto posso adoperare con N. S. per dare perfetione alle cose di S. Severa, poiche voi medesimo giudicate la importantia Sc necessita di ag- giungere questo stato a Cervetri. Cosi vorrei mi ris- pondessi qualche cosa di Gallese, perche possa rispon- dere a quello amico, che dovera presto tornare a me. Bisogna che N. S. acconci una volta il Sig. Francesco in modo, che ogni di non habbi havere molestia per le cose sue, accioche lui 8c noi possiamo vivere lieti 8c di buona voglia, perche, dicendo pure il vero, il Sig. Francesco non ha ancora stato conveniente a uno nipote di uno pontefice, e pure ci appressiamo al settimo anno del Pontificato. Debbesi havere piu rispetto cominciando a venire in famigHa et con piu giustificatione per questo lopuoajutare N. S. Florentiae die 17. Octobris 1489.

APPENDIX. NO XLVIIL 371

NO XLVIII.

JLaurentio de^ Medici, Ferdinandus Rex Siciliae,

JVlAGNIFICE vir compater Sc amice noster carissime. Non era necessario, ehe da voi fossemo rengratiati di quelle per lettera de nostra matio ve ho offerto in bene- ficio di Mes. Joanni vostro figlio, perche sape Dio lo animo Sc la volunta. nostra, quanto desideressimo fare tutte le cose del niondo per ijsarve gratitudine per quel- lo havete continuamente operate in beneficio nostro, & de questo Stato, del quale sempre potete fare quella stima, che fereste delle cose vostre medesime, perche li oblighi, che ne havimo, cosi recercano, 8c mai ve poriamo offerire tanto in beneficio vostro 8c della casa vostra, che ne para havere satisfacta una milleslma parte de quello, e lo animo 8c desiderio nostro de fare, secundo speramo per experientie, omni di porite conoscere piu manifestamente. Datum in Castello Novo. Neap. 23. Agosto 1488.

NO XLIX.

Pietro da Bibbiena a Clarice de'' Medici a Roma,.

JJOMINA mea. Scrivendovi- io in nome di Loren- zo, non me accade dire altro alia M. V. se non che da sabato in qua ho script© piu lettere a quella, 8c per

questa

272 APPENDIX. NO XLIX.

questa le mando lo inventario del presente del Soldano daio a Lorenzo, el quale mandai pero a Piero, ma verra piu adagio. Vale.

Un bel cavallo bajo ; animali strani, montoni e pecore di varj colori con orecchi lunghi sino alle spalle, & code in terra grosse quasi quanto el corpo ; una grande am- polla di balsamo ; ii. corni di zibetto ; bongivi, Sc legno aloe quanto puo portare una persona ', vasi grandi di porcellana mai piOi veduti simili, ne meglio lavorati ; drappi de piu colori per pezza ; tele bambagine assai, che loro chiamaho turbanti finissimi ; tele assai coUa salda, che lor chiamano sexe j vasi grandi di confectione, mira- bolani Sc giengituo.

NO L. AURELII BRANDOLINI.

FLORENTINI.

Cognomento Lippi.

Z)e laudibus Laurentii Medicis,

\J MEA Tyrrhenas nondum sat nota per urbes

Hue ades imparibus vecta Thalia modis. Vade age laurigeros Medicum pete Iseta penates,

Magnaque Phcebei limini vise laris. Est via longa quidem fateor, sed splendor, & ampli

Maxima Laurenti gloria vincit iter. Hunc igitur forti superabis mente laborem ;

PrK'mia sunt viso sat tibi magna viro. V

Nee

APPENDIX. NO T.. 273

Nee vereare sacris aditum non esse Camoenis,

Ilia domus Musis nocte, dieque patet. Non nisi ciilta tamen te coetu intersere tanto,

Odit barbaricos docta caterva sonos. Ecquis enim Phcebo, Phoebique sororibus illo est

Gratior ? Aonio quis magis amne bibit ? Sed sis culta licet ; moneo tua tempora serves

Omnia non omni tempore visa placent. Excipiere ilia (serves si tempora) fronte,

Quam prjestare solet civibus ille suis. Mox cum te placido trepidantem perleget ore,

Illi hsec de multis pauca, sed apta refer, Ausonios inter proceres, celeberrime princeps,

Inter Sc Etruscos gloria sunima viros ; Accipe Laurenti quae dat tibi munera Lippus,

Lippus Partenope civis ab urbe tuus. Sunt ea parva quidem, sed sint tibi grata precamur,

Namque ea sunt animi pignora magna sui. Mens pia coelestes, non grandis victima placat,

Hostia parva Deum, sit modo sancta, juvat. Gratus erat Baccho quamvis pauperrimus esset

Icarus ; £c dignus numinis hospes erat. Alcides domitis invicto robore monstris

Accubuit mensis ssepe, Molorche, tuis. Ipse quoque immensum fertur quum viseret orbem

Juppiter in parva discubuisse casa. Cumque torum pomis oneraret agrestibus hospes,

Vilia non puduit sumere poma Jovem. Tu quoque parva licet placido mea carmina vultu

Accipe. Moeonius det tibi magna pater. Et daret, 8c cuperet Pitii pro nomine Achillis,

Proque Itaco nomen ponere posse tuum.

A St

574 APPENDIX. N^ L.

Ast ego quod possum fero ; tu ne parva ferentem

Despicias ; animo dona repende meo. Non sunt parva tamen ; magnam celebrantia nomen,

Qux tu vel solo nomine magna facis. Sed quisnam merito divinas carmine laudes

Concipere, & tanto par queat esse viro ? Moeonides iterum liceat Ciceroque resurgant,

Moeonides dicet cum Cicerone parum. Ipse potes solus digno tua condere gesta

Carmine, te prater dicere nemo valet. Vincitur ingenium tanto jam nomine nostrum,

Tergaque succumbunt pondere victa gravi, Sed tamen incipiam, deerunt si carmina tantis

Laudibus, ignosces, sit voluisse satis. Rursus in ambiguis versatur cura tenebris.

Rursus in incertum mens vaga fertur iter. Quae quibus anteferam, qu^e prima aut ultima dicam,

Quis mihi sit finis principiive locus ? Bella ne dent aditum ? quis bello est major, & armis ?

Quis magis in dubio Marte timendus adest ? Quid tu te ^acidse fulgentibus induis armis ?

, Exue, non faciunt ista, Patrocle, tibi. Indue, Laurenti, nee eris simulatus Achilles,

Indue, non Hector, te duce, fortis erit. Nee nisi te armari pro se voluisset Achilles,

Dixisset comiti : cede Meneacide. Tu quoque quid spolium verbis tibi summus Ulixe ?

Huic dedit iEacides, non tibi : redde suum est. Non tibi sed nobis cessit Telamonius Ajax

Tu quoque (sed facies jam puto) cede libens. Hunc decet jEacide spoliis gaudere superbis,

Hunc decet Hectoreas vincere ssepe manus.

Aspice

APPENDIX. NO L. 275

Aspice quantus eat rutilis bellator in armis,

Quantus agat celerem, quamque tremendus equum. Quo tenet ingentes habitu, quo dirigit hastas,

Qua ferit ipse alios, qua cavet arte sibi. Defendit clypeo, ferit ense, excellit utroque,

Tutus abit clypeo, victor at ense redit. Nemo levi melior jaculo volucrique sagitta,

Nemo pedes melior, nemoque prsestat eques. Seu cursu spatium rapido vis pervolet ingens ;

Vincet Thraicio vos Aquilone sati. Seu velis exiguum sonipes se verrat in orbem,

Vincere te propria, Castor, in arte potest. Hunc Pellaeus equus cuperet modo viveret unum,

Hunc cuperet solum Caesarianus equus. Magna gerit sumptis miles fortissimus armis,

Sed majora toga, consiliisque gerit. Maxima consilio, non armis bella geruntur,

Ilia quidem faciunt jussa, sed ista jubent. Hoc probat illustris facinus Themistoclis ingens

Libera eonsiliis Graecia tota suis. Romaque prudenti nisi libera facta fuisset

Consilio ; Poeni serva futura fuit. Maximus Hannibalem nullo mucrone repressit,

Vastaret Latias quum sine fine domos ; Per juga, per summos colles residere solebat,

Castraque in excelso semper habere loco. Nubila quum tandem nimbum montana dedere

Sensit, & Hannibales Hannibal esse duos, Artibus his Fabius victorem contudit hostem,

Restituitque ipiora rem tibi Roma tuam. Quid Cato ! nonne tuam peperit bis victa ruinam

Carthago ? 8^ verbis diruit ante suis ?

Quid

276 APPENDIX. NO L.-

Quid loquar ereptam veniente tirannide Romam

Non nisi consiliis, Marce dlserte, tuis. Jure parens igitur patriae meri toque vocaris,

Reddita te, Cicero Consule, Roma sibi est. Nonne igitur posito fiunt quoque maxima bello ?

Nonne locum media pace triumphus habet ? Hunc sibi facundo fretus Laurentius ore

Consiliis meruit saepe referre suis. Saepe alias, sed parta recens (ut caetera mittam)

Non sinit indictum gloria abire decus. Quis Volaterrani funesta incendia belli

Nescit, Sc armatas Marte furente manus ? Quantus Sc Ausonias urbes incenderat ardor ?

Sustulerant animos ira, dolorque truces. Acta furore gravi socia defecerat urbe,

Armarat validas in sua fata manus. Undique finitimos rupto jam foedere ad arma

Concierat populos Italicosque duces. Instabant magni nostris discrimina belli,

Nee par tot populis urbs erat una satis. Perdere vel socios erat, aut superare necesse ;

Ardua res nimis haec, foeda erat ilia nimis. Quid faceret ? dubia trepidabat in urbe senatus,

Certabant animis, hinc decus, inde pudor. Jamque videbaris succumbere victa pudori

Gloria, jam turpi vertere terga fuga, Ni tibi subveniens Tuscae lux unica terrae

Ad tua victricem signa tulisset opem. Protinus ille gravi trepidantem voce senatum

Arguit, 8c segues increpat usque viros. Hinc decus eximium, & victricem collocat urbem,

Hinc victam, multo cumque pudore locat ;

Et

APPENDIX. NO L. 277

Et jubet aequata geminas expendere lance,

Quaque velint potius vivere in urbe rogat. Erigit hinc animos facunda voce jacentes, Spemque dat hostiles vincere posse manus. Quoque geri possit pacto res indicat omnis, Consiliumque probat civibus inde suum. Dicta placent patribus : rerum hiiic traduntur habenae,

Hie jubet, urbs nulla conficit ilia mora. Verba fides sequitur : superat Laurentius hostem,

Et venit in Tuscum terra inimica jugum. Quae gesta, aut quas his poteris conferre triumphos ?

Ista decent animum, vir generose, tuum. Nonne ha^c innumeros meruerunt gesta triumphos ?

Plurimaque hoc meruit laurea serta caput ? Cuncta quidem cives ilium meruisse fatentur ;

Cunctaque detulerant ; cepit at ille nihil. O magnum, Sc nullo visum unquam tempore factum !

O vir, sed magnos inter habende Deos ! Quid tibi pro tantis dignum virtutibus optem,

Aut quae coelestes praemia digna ferant ? Maxima quum fuerint uno te coepta jubente,

Et sint consiho bella peracta tuo ; Abnuis oblatos ultro, refugisque triumphos ;

Detrahis & capiti laurea serta tuo, Et quando haec Fabium, quando haec renuisse Ca- millum, Aut Curium, lector, Fabritiumque vides ? Nonne & ab hoc maduit civili sanguine Caesar ?

Quum sibi sublatum non tulit esse decus. Denique quis meritae non poscit praemia palmae ?

Vincere n^agnanimi est, praemia nolle Dei. VOL. III. o Q Hi(i

278 APPENDIX. NO L.

Hie mihi millenas ausim deposcere lingua-s,

Et totidem voces, feiTeaque ora simiil, Ut tantas merito resonarem carmine laudes,

Viveret Sc tan to nomen in orbe tuum. Talia non debent, nee possunt gesta perire :

Omnibus, Aonides, haee celebrate modis. Quid magis heroas Latio juvat edere versu ?

Quid magis Herculea monstra subacta manu f Quid magis Argolicas chartis mandare phalanges?

Fietaque Priamidae gesta referre juvat ? Quis Romana puer, quis Puniea praelia nescit ?

Quis jam Pellaei non tenet acta ducis? Scribite nunc alios, alios celebrate triumphos,

Inclita Laurenti dicite facta mei. Hie solus meritos novit non velle triumphos,

Quodque petunt alii, despicit ipse decus. Jure potes talem, Laurenti, temnere pompam,

Non etenim gestis par erat ilia tuis. Gloria majorum tibi dat contempta triumphum,

Majus Sc a spreto surgit honore decus. Deque triumphandi victa ambitione triumphas :

Non datur humanis viribus istud opus. Quum reliquos soleas mortales vincere, minim I

Exuperant laudes haec nova facta tuas, O decus, o praestans, divinaque gloria, quando

Jam nullum poteras vincere, te superas. Quin tibi non unus meritusve, actusve triumphus :

Innumeros tribuunt talia facta tibi. Quid quod k officiis servas civilibus urbem ;

Inque dies auges nobilitasque magis. Sed neque quid praestes hac est mihi parte tacendum,

Ni tua versiculis deinoror acta meis.

Sed

APPENDIX. NO L. 279

Sed tibi (si fauces £c copia vocis adesset)

Lrbs mallet lingua cuncta relerre sua. Tu tamen illius haec pectore prompta putato,

Haec tibi si posset, nunc velit ipsa lo^ui. Principio victrix numeroso ex hoste triuniphat ;

Imputat hoc meritis maxima facta tuis. Otia composito tutissima foedere firmat :

Hoc quoque quis nescit muneris esse tui ? Bella silent : placida cives modo pace fruuntur,

Nee minor inter se pax quoque parta aomi est. Omnibus indulsit miti Laurentius ore :

Unanimos claudant moenia ut una viros. In curvam rigidus falcem nunc flectitur ensis,

Vomeribus cassis, vitibiis hasta bona est. Armaque qui coluit miles, nunc incolit arva ;

Arma quoque hie semper, sed meliora gerit. Scilicet Sc rastros, & magno pondere aratrum ;

Quaeque habet alma Ceres, quaeque Lyaeus habet. Fossor inermis arat, graditurque viator inermis ;

Nee timet hostiles ille, vel ille manus. Aurea, Laurenti, redeunt te sospite saecla,

Aurea te nobis sospite vita redit. Nee valet hoc quisquam (velles licet ipse) negare,

Nam te quisque petit, suspicit, optat, amat. Quidquid habent omnes, tibi se debere fatentur,

Et sonat in popiilo nomen ubique tuum. Defessus viridi requiescit arator in umbra,

Dumque sedet, laudes concinit ille tuas. Serus ab Etrusca discedens urbe viator,

Se tutum meritis. cantat abire tuis. Hie te divitias rogat, & rogat ille favorem,

Accipit optatum, laetus uterque suum.

^0 APPENDIX. NO L.

Te pupillus adit solum, verumque patronum : Te simul orba parens, virgoque casta petit. Optat opem hie, victum petit haec, rogat ilia maritiim Sentit opem hie, victum haec impetrat, ilia virum. Haec rogat amissam misero pro conjuge dotem,

Hanc quoque non pateris dote carere sua. Ut juvet in carum pietas impensa maritum,

Efficis, 8c dotem das sibi ferre suam. Nee satis hoc ; inopi querula nil voce petenti

Ultro ades, Sc gratum porrigis auxilium. Suppeditas largas (cum parva est copia) fruges,

Ut vivat mentis plebs numerosa tuis. Denique quidquid habent pueri juvenesque, senesque,

Aut virgo, aut mater, munus id omne tuum est. Magna quidem dixi ; longe majora sequuntur :

Haec quoque sint quamvis non tibi magna satis. Instituis Sanctis victricem moribus urbem,

Discat ut exemplo se superare tuo. Jura aliis saneis, sed quae prius ipse probaras-, Quaeque jubes aliis, tu prius ipse facis. ' Fusa prius luxu nunc est moderata juventus, Et coepit similis moribus esse tuis. Deposuit Tyrias vilis plebecula vestes, Et didicit fines nosse modesta suos. Omnia non debet, possit licet omnia vulgus,

Quaeque valent omnes omnia ferre, nefas. Quisque igitur cohibet luxum, Tyriasque lacdrnas

Ponit, &c in modica se tenet usque toga. Hoc faciunt alii, suptrat Laurentius omnes,

Gaudeat ut mores urbs imitata ducis. Tu quoque delitias posuisti, virgo, nocentes, Non poteras alio vivere casta modo.

Non

APPENDIX. L. 281

Non nisi fulgentem gemmis, auroque puellam

Caecus Amor sequitur, quam bene cernit amor. Non petit ancillas aurata veste carentes

Ille puer ; sed te, culta puella, petit. Nulla piidica diu, formosaque vivere posset,

Ipsa esset quamvis Pallade casta magis." Vivere casta (gerit quum gemmas femina) non vult ;

Culta nimis, juvenes credite, virgo vocat. Si tua simplicibus facies contenta fuisset,

Tindari non te bis subripuisset amor. Tu quoque non raptam quaesisses anxia natam,

Flava Ceres, cultu si foret usa tuo. At tu delitiis vives nunc casta fugatis,

Munere Laurenti, Tusca puella, tui. Ilium igitur venerare sacri tibi numinis instar,

Quo duce parta redit vita pudica tibi. Tu quoque laxa prius ; nunc frugi, & parca juventus

Illius (esto memor) te tibi reddis ope. Hoc duce pestiferum posuit Florentia luxum,

Et retinet fines femina, virque suos. Imbuit ingenuis victricem moribus urbem :

Luxuriem, 8c turpes sustulit illecebras. . Protulit imperium pugnando Roma superbum,

Sed praestans animi perdidit imperium. Nam quum Marte suo nuUos non vinceret hostes,

Armaque jam toto spargeret orbe potens ; Anxia captivo parebat turpiter auro,

Docta alios, sed se vincere docta parum. Non sic imperium servat Florentia partum,

Non sic magna diu vivere posse putat. Sed postquam externos vincendo sustulit hostes,

Luxuriem, & molles vincere discit opes.

Optimus

283 APPENDIX. N^ L.

Cptimus hoc docuit civis, facit ipsa libenter ;

Qui jubet hoc fieri, fecerat ipse prius. Namque ubi finitimos vicit Laurentius hostes,

Se docet exemplo vincere quemque sue. Caesar adulteriis poenam statuisse minacem

Dicitur, ipse tamen turpis adulter erat. Haud satis esse putat sanctas hie scribere leges,

Ut faciant alii quae jubet, ipse facit. Condidit aeternis meliorem legibus urbem,

Moeniaque huic circum nobiliora dedit. Quid Numa, quid Minos, Lacedaemoniusque Lycurgus

Urbibus audebant, condere jura suis ? Esto tamen. nullas modo quisquam conferat istis :

Scripta legunt homines ilia, sed ista viaent. Moenia quid, Theseu, quid moenia, Romule pastor,

Condere, vel Romae Cecropiaeve fuit ? Romule, non Romam, Theseu, non condis Athenas,

Sed qui jura dedit, conditor ille fuit. His magnae, his, inquam, cinguntur moenibus urbes :

Haec non tormenti robore fracta cadunt. Perpetuam leges urbem, non moenia, servant ;

Moenibus icta ruit, legibus aucta regit. His igitur Tuscam cinxit Lau^'entius urbem

Moenibus, ut nullo robore victa ruat. Ergo pater patriae communi est voce vocandus,

Dicite io cives jure, pater patriae. Quid quod 8c Alpheas iterum sibi condere Pisas

Mens fuit, 8c coeptis ducta Minerva comes. Undique Palladias studiosus contulit artes,

Ut colerent unum, quem coiit ipse locum. Elicuit medlis hie Pallada solus Athenis,

Lit praesit studiis non aliena suis.

Solus

APPENDIX. NO L. 283

Solus Sc Aonio ductus Helicone sorores Ire nee invitas per juga Tusca facit. Ipse pater Phoebus Cyrrha Delphisque relictis,

Venit, 8c auratam protulit ante chelym. Numina quando etiam Pisas injussa frequentant,

Certatimque suae quisque dat artis opus. Hoc tibi (quis nescit ?) Laurenti numina praestant :

Tune putas Pisas sponte petisse sua ? Quae tot causa Deos, quisve illuc cogere posset ?

Cui veniunt igitur numina ? nempe tibi. Quem potius, quaesc, superique hominesque frequen- tent ? Ecquis numinibus carior atque viris ? Esse hunc Cecropiae carum junctumque Minervae,

Consilium prudens juraque sancta probant. Quis neget hunc olim dbctas aluisse Camoenas ?

Atque Aganippeo fonte levasse sitim ? Quum superent veteres etiam sua carmina vates,

Parque habeat reliquis partibus ingenium. Qun etiam doctos profert extempore versus,

Qii deceant calamum, culte Tibulle, tuum. Oblcquiturque lyra numeros resonante disertos ;

Eit lyra numeris, ingeniumque lyrae. Hicne potest Phoebo gratus non esse Poeta ?

An quisquam Phoebo gratior esse potest ? Quin Hum proprias Deus excoluisse per artes

Dicitur, & cytharam sponte dedisse suam. Nunc k uterque simul noctesque, diesque moratur,

Et canit ad doctam doctus uterque lyram. Hactenus in tacito servaram pectore fixum

Clarius et cunctis (credite) majus opus. Dicturus fueram Phoebi quoque sanguine natum, Auctoremque sui stemmatis esse Deum.

Sed

384 APPENDIX. NO L.

Sed mea ne risum parerent ut vaua, verebar-

Nam solet a magnis rebus abesse fides. At nunc intrepido sic jussit pectore numen,

Vix credenda quidem, sed tamen acta loquar. Est Deus in nobis ; coelestis pectora versat

Spiritus, aethereo missus ab usque polo. Saepe 8c coUoquio fruimur propiore Deorum.

Ipsa petunt nostros numina saepe lares. Hesterna meditans igitur dum luce require

Piogeniem, & patres, vir generose, tuos ; Astitit aurato fulgens mihi Phoebus amictu>

Et coepit posita talia verba lyra : Inclita Laurenti, vates studiose, requires

Stemmata ; sed sine me non mea nosse potes.^ Ipse ego sum tanti praeclarus sanguinis auctor :

Desine tu genus addubitare meum. Ipse ego sum Medicae (si nescis) gentis origo,

Primaque in inventis est medicina meis. Quoque magis credas ; hie nostra ex arbore ductun

Sumpsit ; 8c a lauro nobile nomen habet. Jure igitur cytharam, nostrasque huic tradimus jrtes :

Laurea jure sedet vert ice multa suo. Dixit ; 8c a nobis multo fulgore recedens,

Ambrosio totam sparsit odore domum. Ergo age, Laurehti, divino sanguine gaude,

Gaudeat et Phoebo vestra parente domus. Nee minus ipse tuo laetus sis, Phoebe, nepote.

Suscipiat sobolem gens quoque laeta suam. Gaudeat, ut tanto Florentia gaudet alumno,

Tuscaque laetetur pignore terra suo. Tu superas veteres, juvenum pulcherrime, dives,

Si fas est magnos vincere posse Decs.

Cornua

APPENDIX. NO L. 285

Comua quid, Liber, quid jactas, Phoebe, pharetram?

Phoebe, tibi pharetram, cornua. Liber, habe. Est tibi formosum praestanti robore corpus,

Cui natura parens tnunera cuncta dedit. Sunt Sc opes tantae, Croesos ut viceris omnes,

Seque putet Croesus nunc habuisse nihil. Fabritios, Curiosque tamen (qui crederet ?) aequas :

Difficile est Croesum vinccre, Sc esse Numam. Laurigeros etiam memisti saepe triumphos,

Magnaque parta foris gloria, magna domi. Pierides idem retines, castamque Minervam ;

Consulit haec, vatem te chorus ille facit. Adde quod 8c Phoebi generoso es sanguine cretus,

Et genere, ingenio, fidibus, arte vales. Quid magis aut optent homines, aut numina praestent ?

Omnia supremum jam tetigere gradum. Quod tribuant nee habent superi, licet addere vellent :

Nee tibi vir cupidus, quod magis optet habet. Tu juvenis locuples, sapiens, generosus, honestus ;

Singula quid referam ? cuncta beatus habes O fortunatos homines, o saepe beata

Saecula, quae tanto digna fuere viro. Quae tam laeta dies tanti, rogo, munera partus

Gentibus innumeris, ^ tibi, terra, dedit ? Hanc dare qui sobolem tanti potuere parentes ?

Cui licuit tanti pignoris esse patrem ? Quae majora Deus potuit dare munera terns ?

Quid potuit majus terra rogasse Deum ? Aurea falcifero non debent saecula tantum,

Nee tantum Augusto saecula pulchra suo. Quantum nostra tibi, tibi se debere fatentur

Aurea, Laurenti, munere facta tuo. Nee tam laeta suis fuit umquam Pella duobus,

Nee tam Roma suis inclita Caesaribus, VOL. III. p p Quam

286 APPENDIX. NO L.

Quam tua te gaudet, tua te Florentia jactat,

Et queritur meritis non satis esse stuis. Te sibi conveniens retinet modo sospite nomen,

Te sibi conveniens sospite nomen habet. Vive igitur sospes, multo sed tempore vive,

Vincat Nestoreos & tua vita dies. Semper Sc aspiret vultu tibi diva sereno,

Augeat inque dies te magis atque magis. Sint tibi persimiles fecunda conjuge nati,

Quos amet, &c meritis urbs sciat esse tuos. Sentiat aut nullum aut serum domus inclita luctum,

Et fiant nati te seniore senes. At tu cum meritis totum repleveris orbem.

Nee jam te poterunt astra carere diu, Serus ad aetherei culmen te confer olympi

Gaudiaque optato carpe beata polo.

NO LL

Laurentio de^ MecUcis,

Aug, Politianus,

JMaGNIFICE Patrone. Da Ferrara vi scripsi Pulti- ma. A Padova poi trovai alcuni buoni libri, cioe Sim- plicio sopra el Cielo, Alexandre sopra la topica, Gio- van Grammatico sopra le Posteriora 8c gli Elenchi, uno David sopra alcnne cose de Aristotile, ii quali non hab- biamo in Firenze. Ho trovato anchora uno Scriptore Greco in Padova, Sc facto el pacto a tre quinterni di foglio per ducato.

$ Maestro

APPENDIX. N^ U. 587

Maestro Pier Leone mi mostro e libri suoi, tra li quali trovai un M. Manilio astronomo Sc poeta antiquo, el quale ho recato meco a Vinegia, Sc riscontrolo con lino in forma che io ho comprato. E' libro, che io per me non ne viddi mai piu antiqui. Simiiliter ha certi quinterni di Galieno de dogmate Aristotelis 8c Hippocratis in Greco, del quale ci dara la copia a Padova, che si e facto pur frutto.

In Vinegia ho trovato alcuni libri di Archimede 8c di Herone mathematici clie ad noi manciOio, Sc uno Phornuto de Deis ; e altre cose buoue. Tanto che Papa Janni ha che scrivere per un pezo.

La libreria del Niceno non abbiamo potuto vederc. Ando al Principe Messer Aidobrandino Oratore del Duca di Ferrara, in cujus domo habitamus. Fugli negato a lettere di scatole : chiese pero questa cosa per il Conte Giovanni 8c non per me, che mi parve bene di non tentare questo guado col nome vostro. Pure Messer Antonio Vinciguerra, 8c Messer Antonio Pizammano, uno di quelli due gentilhomini philoso- phi, che vennono sconosciuti a Firenze a vedere el Conte, Sc un fratello di Messere Zaccheria Barbero son drieto alia traccia di spuntare questa obstinatione. Farassi el possibile : questo e quanto a' Irori^'^^. Piero Lioni e stato in Padova molto perseguitato, ' 8c non e chiamato ne quivi n^ in Vinegia a cura nissuna. Pure ha buona scuola, 8c ha la sua parte favorevole : hollo fatto tentare dal Conte del ridursi in Toscana. Credo sara in ogni modo difficil cosa. In Padova sta malvolentieri, Sc la conversatione non li pud dispia-

Ift cere,

«88 APPENDIX. NO LI.

cere, ut ipse ait. Negat tamen se velle in Thusciam agere.

Niccoletto verrebbe a starsi a Pisa, ma vorrebbe un beneficio, hoc est, un di quelli Canonicati ; ha buon nome in Padova, 8c buona scuola. Pure, nisi fallor, e di questi strani fantastichi ; lui mi ha mosso questa cosa di bene- iicii : siavi adviso.

Visitai stamattina Messer Zaccheria Barbero, & mon- strandoli io Paftectione vostra ec. mi rispose sempre lagrimando, & ut visum est, d'amore : rlsolvendosi in questo : in te uno spem esse. Ostendit se nosse quan- tum tibi debeat. Sicche fate quelle ragionaste, ut favens ad majora. Quello Legato che toma da Roma, & qui tecum locutus est Florentiae, non e punto a loro proposito, ut ajunt.

Un bellissimo vaso di terra antiquissimo mi mon- stro stamattina detto Messer Zaccheria, cl quale nuo- vamente di Grecia gli e stato mandate : Sc mi disse, che sel credessi vi piacessi, volentieri ve lo manderebbe con due altri vasetti pur di terra. Io dissi che mi pareva proprio cosa da V. M. Sc tandem sara vostro. Domat- tina faro fare la cassetta, Sc manderollo con diligentia. Credo non ne habbiate uno si bello in eo genere. E' presso che 3. spanne alto Sc 4. largo. El Conte ha male negli occhi, Sc non esce di casa, ne e uscito poiche venne a Vinegia.

Item visitai hiersera quella Cassandra Fidele lit- terata, Sc salutai ec. ec. per vostra parte. E' cosa, Lorenzo, mirabile, ne meno in Volgare che in Latino,

discretissima

APPENDIX. NO LI. 289

discretissima Sc meis oculis etiam bella. Partimmi stupito. Molto e vostra partigiana, 8c di voi parla con tutta practica, quasi te intus &: in cute norit. Verra un di in ogni modo a Firenze a vedervi, sicche apparecchia- tevi a farle honore.

A me non occorre altro per hora, se non solo dirvi, che questa impresa dello scrivere libri Greci, Sc questo favorire e docti vi da tanto honore Sc gratia universale, quanto mai molti e molti anni non ebbe homo alcuno. E particolari vi riserbo a bocca. A V. M. mi racco- mando sempre. Non ho anchoi'a adoperata la lettera del cambio per non essere bisognato. Venetiis 20. Junii 1491.

NO LII.

Exstat Romae in Bibllotheca Corsina^ CatulU^ TibuUi^ ac Profiertii editio.^ anni mcccclxxii, una cum Statii Sil~ vis, quae fuit Angeli Politiani, cujus juanu haec in Jine noiata sunt*

Band, Cat. Bib, Laur, v, ii. p, 97.

V/ATULLUM Veronensem, librariorum inscitia cor- ruptum, multo labore multisque vigiliis, quantum in me fuit, emendavi ; quumque ejus Poetae plurimos textus contulissem, in nullum profecto incidi, qui non itidem, ut meus, esset corruptissimus. Quapropter non paucis Graecis, Sc Latinis auctoribus comparatis, tantum in eo recognoscendo operae absumpsi, ut mihi videar consequutus, quod nemini his temporibus doc- torum hominum contigisse intelligerem. Catullus

, Veronensis,

290 APPENDIX. NO LIL

Veronensis, si minus emendatus, at saltern maxima ex parte incorruptus, mea opera, meoqiie labore 8c in- dustria in manibus habitat. Tu labori boni consule, & quantum in te est, quae sunt aut negligentia, aut inscitia mea nunc quoque corrupta, ea tu pro tua hu- mani^tate corrige, Sc emenda ; meminerisque Angelum Bassum Politianum, quo tempore huic emendationi ex- tremam imposuit manum, annos decem Sc octo natum. Vale jucundissime Lector. Florentiae mcccclxxiii. pridie Idus Sextiles. Tuus Angelus Bassus Politia- nus.

Similis nota in Jlne Propertii occurrit, l^ quidem ita, Catulli, TibuUi, Propertiique libellos, coepi ego, Ange- lus Politianus, jam inde a pueritia tractare, 8c pro aetatis ejus judicio, vel corrigere, vel interpretari ; quo fit, ut multa ex eis ne ipse quidem satis, ut nunc est, probem. Qui leges, ne quaeso, vel ingenii, vel doctrinae, vel diligentiae nostrae hinc tibi conjecturam, aut judicium facito. Permulta enim infuerint (ut Flautino utar verbo) me quoque qui scripsi judice digna lini. Anno 1475.

NO LIII.

Georgiiis Merula Alexandrinus^ Laurentio ilf Juliano Me^ dices if Salutem*

VETEREM legimus professorum morem fuisse, quem posteriores crescentibus subinde disciplinis ser- vaverunt, ut veri habendi gratia, si quid a scriptoribus perperam dictum fuisset, id corrigere & emendare

vellent ;

APPENDIX. NO LIII. 291

vellent ; nee vel amicis, vel preceptoribus parcerent, modo veritati consiilerent. Sic Aristoteles Platonem, Varro Lelium, Casselium Sulpieius, Hilarium Hie- ronymus, rursum Hieronymum Augustinus reprehen- dit. Alii quoque permulti leguntur, quorum concer- tatione bonae artes Sc illustratae sunt Sc creverunt maxime. Hos ego imitari cupiens, cum opus Galeoti, quod de homine inscribitur, legissem, plurimaque non dico minus eleganter dicta, vel parum docte tractata, sed plane falsa offendissem, veritus ne lectio novi operis avido lectori imponeret, 8c eo magis, cum non deessent qui mendose 8c vitiose precepta defenderent, quae vete- rum auctoritate Galeotus niti videretur, non potui sane pati bona ingenia sic decipi, 8c turpiter errare. Opem itaque cum veritati, turn amicis ferre volui, atque ea refellere, quae plurima temere 8c sine judicio dicta, in eo opere leguntur. Turn in libellum coacta Laurentio Sc Juliano Medices privatim dedicare statui, in quo- rum sinu, nostra aetate, maxima spes 8c studiorum ratio fovetur. Sic enim vos partes litterarum suscepis- tis, ut litteratorio gymnasio in nobilissima Italiae parte nuper constitute, jam leges sanctissimae Sc liberales disciplinae sic Laurentium 8c Juiianum parentes appel- lare possint, quemadmodilm Florentia Cosmum salutis Sc ocii sui auctorem, publico decreto, patrem patriae dixit. Cujus urbis fato nimirum gratulandum est, quod negotiis publicis avum, filium, Sc nepotes, pre- fectos continua serie habuerit, per quos certa quaedam & solida Florentini populi felicitas perduravit. Et ita nunc urbs pulcherrima £c opulenta floret, ut non mi- nus e re Florentina sit, Laurentio Sc Juliano Medices urbis tutelam per manus traditam fuisse, quam Cos- mum 8c Petrum illi praefuisse : quorum prudenti con-

silio

292 APPENDIX. NO LIII.

silio et magnifica opera, undique prementibus bellisj tutus & incolumis status civitatis servatus fuerit. Sed nee vos poeniteat, qui in administrandis rebus urbicis occupati semper magna tractatis, ad haec legend a de- scendere ; quando memoriae proditum sit illustres rerum publicarum principes hoc fecisse. Sic Cicero post pero- ratas causas & curas publicas Antonii Gnifonis scholam frequentavit ; et Julius Caesar, sive in bello, sive in civili negotio, de analogia libros conscripsit. Nos autem etsi in errores hominis sibi plurimum arrogantis, 8c qui omne genus scriptorum tractare audet, invehamur ; ta- men nee petulanti, nee contumelioso sermone res agitur, sed litteris Sc eruditione certatur ; ut scilicet aliquando recte dijudicari possit, veriusne Galeotus, an Georgius dc re Latina dissei'at.

NO LIV.

Joannes Picus MirandiUa^

Laurentio Medicis,

ApOLOGIAM nostram dicavi tibi, Laurenti Medi-= ces, ut rem non utique (Deum testor) vlsam mihi dig- nam tanto viro, sed tibi eo jure debitam quo mea om- nia jam pridem tibi me debere intelligo. Hoc enim habeas persuasissimum, quicquid ego aut sum, aut sum futurus, id tuum esse, Laurenti, Sc futurum sem- per in j)osterum. Minus dico quam vellem, 8c verba omnino frigidiora haec quam ut satis exprimant quod concipio, in quo amore, qua fide, qua observantia, 8c

prosequar.

APPENDIX. NO LIV. 293

prosequar, Sc a multis jam annis fiierim te prosequu- tus. MoYeor cum pluribiis in me collatis officiis, amantissimum animum tuum plane testantibus, turn tuis non tam fortunae quam animi, iisdemque raris, immo tibi peculiaribus bonis, quae narrare in presentia pudor me non sinit tuus. Redeo ad Apologiam, quam hilari, quaeso, suspicias fronte ; exiguum sane munus, sed fidei meae, sed observantiae profecto in omne tempus erga te meae, non leve testimonium. Quam si forte eveniat ut a niagnis quibus es semper occupa- tissimus tractandis rebus attingas, memineris non tam hoc ipsum, properatum scilicet opus potius quam ela- boratum, & operis argumentum, ex alieno mihi, non. meo, sumendum fuisse judicio, quam non iccirco illam nuncupatam tibi, ut quae in rnea non est, in me agnoscas, ingenii aut doctrinae praestantiam ; sed ut scias (nam dicam iterum) me quicquid sum, tuae am- plitudini esse deditissimum.

NO LV.

Marsilius Ficinus Angela Politiano Poetae Flomerico^ S. D,

vJUID totiens quaeris librorum meorum titulos, An- gele ? An forte ut tuis me carminibus laudes ? at non in numero, sed in eiectione laus : non in quantitate, sed in qualitate bonum. An potius ut mea apud te habeas omnia, quoniam amicorum omnia communia sint ? utcunque sit, accipe quod petieras. E Graeca lingua in Latinum transtuli Proculi Platonici physica, 8c theo- logica elementa. Jamblici Calcidei , libros de secta VOL. III. (^q Pythagorica

294 APPENDIX. NO LV.

Pythagorica qiiatuor. Theonis Smyrnei mathematica. Platonicas Speusippi definitiones. Alcinoi epitoma platonicum. Zenocratis librum de mortis consola- tione. Carmina simbolaque Pythagorae. Mercurii Tris- megisti librum de potentia & sapientia Dei. Platonis libros omnes. Composvii autem commentarium in evan- geliam. Commentariolum in Phedrum Platonis. Com- mentarium in Platonis Philebum de summo bono. Com- mentarium in Platonis Convivium de amore. Composui physiognomiam. Declarationes Platonicae disciplinae at Christophorum Landinum, quas postea emendavi. Com- pendium de opinionibus philosophorum circa Deum Sc animam. Economica. De voluptate. De quatuor phil- osophorum sectis. De magnificentia. De felicitate. De justicia. De furore divino. De consolatione paren- tum in obitu filii. De appetitu. Orationem ad Deum theologicam. Dialogum inter Deum 8c animam theolog- icum. Theologiam de immortalitate animorum in libros decemque divisam. Opus de Christiana religione. Dis- putationes contra astrologorum judicia. De raptu Pauli in tertium coelum. De lumine argumentum in Platonicam theologiam. De vita 8c doctrina Platonis. De mente questiones quinque. Philosophicarum epistolarum volu- men. Ltinam Angele, tam bene quam multum scripser- imus. Utinam tantum caeteris nostra placeant, quantum ego tibi, tuque mihi. Vale.

APPENDIX. NO LVI. 295

NO LVI.

Ad Petrum Medicem in obitu Magni Cosmi ejus Genitoru^ qui vere dum vixit ojitimus Parens Patriae cognomina-^ tus fuit,

Mildus JValdius.

IjLRGO quis Infandum possit narrare dolorem ?

Quis possit lacrimas expiicuisse graves ? Quae mihi, quae possit carmen spirare Dearum j

Dum gravis alili^it ptctora nostra dolor ? Dumque adeo Medicis lugemus funera Cosmi,

Natus ut extincti tristia busta patris. Quiim nova praesertim quae jam dictare solebant

Vatibus Aonio verba notanda pede, Nunc etiam nigra squallescant veste Camoenae,

Et solvant tristes in sua colla comas. Cum graviter Phoebus casu concussus acerbo

Dicatur xnoesta conticuisse lyra. Nam neque Syllani tantum te Cosme Quirites

Extinctum lacrimis condoluere suis, Sed Superi, quorum lugendi rarior usus,

Et procul a tristi vivere moestitia. Quod bene de cunctis adeo si Cosme fuisti

Promeritus, vita dum fruerere pia, Ut sua nunc moestis tundentes pectora palmis,

Heu mortis doleant fata severa tuae ; Non precor e nostro discedat corpore luctus,

Aut sim praecipuae conditionis ego. Hoc precor, usque adeo laxentur membra dolore,

Ut pateat stupido pectore vocis iter,

Qua

296 APPENDIX. N^ LVI.

Qua liceat, moesto dum fundimus ore querelas,

Fortunae miseras condoluisse vices ; Qua liceat, patriae dum dantur justa parenti,

Tristia flebiliter publica damna queri. Tempus erat Titan quo fervida signa per orbem

Aitior Herculei terga Leonis adit, Cum prope jam positus supremo in limine vitae

Senserat extremum Cosmus adesse diem. Ergo non vanos metuens in morte dolores

Inscia quos homintim turba timere solet, Sed constans, veluti qui dudum certus eundi

Sidereas cuperet nempe redire domos, Advocat hie natum, qui verba extrema parentis

Audiat, heu levibus non referenda modis. Qui simul accitus monitis gravioribus, ille

Divini subiit era verenda patris. Naturam nivei Medices imitatus oloris

Suprema moriens talia voce dedit. Si morbus gravior tristi vitiata senecta

Corpora nostra vetat vivere posse diu ; Te precor, ut nostri tales de pectore curas,

Et medicam mittas, quam, Petre, quaeris, opcm^ Nee tu Parcarum durum contende tenorem

Humanis unquam flectere consiliis : Nam me fata vocant (video) nam Juppiter ipse

Me jubet humanas deseruisse vices. Non invitus eo, nee me mortalia tangunt

Vota, nee est vitae jam mihi cura meae. Humanas pridem meditor deponere curas ;

Et procul humano me removere gradu, Corporis ut caecis tenebris vinclisque solutis

Extremum vale am carpere mente bonum.

Quo

APPENDIX. Ncv LVI. 297

Quo facere id possim, curas tu, nate, paternas

Suscipe ; sunt humeiis pondera digna tuis. Quarum nulla magis nie me nunc urget euntem^

Nee magis ingenium degravat uUa meum, Quam me, quae semper vita mihi carior ipsa

Extitit, heu patriam linquere, nate, piam. Quod te, per gem.inos, tua pignora cara, nepotes

Oroque, perque meum, Petre, senile caput, Ardenti ut studio Lydos tueare penates,

Et procul infesto semper ab hoste tegas, Et quae nunc multos est jam servata per annos

Florentis placidus ocia pacis ames. Concordes, moneo, semper complectere cives,

Et quibus est Patriae maxima cura suae. His precor, ut sociis Etrusci fraena Leonis

In rectum semper flectere, nate, velis. Nee tu justitiae monitus contemne severos,

Dum statues urbi libera jura tuae. Namque potes diros populi vitare tumultiis,

Hac duce dum m-eritus quemque tuetur hones. Quin ubi te justis urbes populique videbunt

Legibus Etruscas instituisse domos, Undique convenient ad te, mi nate, frequentes,

Qui rebus cupient consuluisse suis. O quam conspicies banc urbem, qualia cernes

Tempore Lydorum surgere regna brevi ! Cum tibi vel reges potius parere monenti,

Quam reliquis mores iraposuisse volent. Hie ego si tenues fuero dilapsus in auras,

Ut nequeam sedes, nate, videre novas ; Attamen Etrusci gaudebo ut regna Leonis

Accipiam mouitis aucta fuisse tuis.

Nam

298 APPENDIX. N^ LVT.

Nam me quae tenuit vivum, tellure repostum Suscipiet patriae maxima cura meae. Jamque vale, 8c nostrum pompis ornare sepulchrum Desine ! quod terra est, fac quoque terra tegat.

NO LVII. Christoiihori Landini^ iii obitu Michaelis Verini,

ELEGIA.

£a7id. Cat, Lib, Laiir, vol. III. /z. 463.

EsTNE levis rumor ? sic, o, seu conscia veri

Fama ? sed heu niniis est conscia fama mali ; Occidit heu, vestrum crimen, crudelia fata,

Occidit heu Michael, luctus, amorque patris ; Occidit, Aonio quem vos nutristis in antro,

Musae, Cyrrhaei quen lavit unda jugi ; Occidit heu Michf ci proprio nam nomine dixit

Princeps Aonii Calliopea chori. Quis Deus est, Michaei resonat ; modo nosse velimus

Prisca Palaestino verba notata sono ; Ipse Deus quid sit. vix puber nosse laborat.

Tempore quo reliquis ludus et umbra placet. Veinim id quum vera faceret ratione, putandum est

Verini agnomen non sine sorte datum. Quid pietas, quid casta fides, quid possit honestum, ' A teneris annis hie monumenta dedit ;

Quique

APPENDIX. NO LVII. 299

Quique solet primam nimium vexare juventam,

Expers obscaeni semper amoris erat. Vivebat caelebs, primis atque integer annis

Contempsit Cypriae dulcia dona Deae. Hoc tulit indigne, superat qui cuncta Cupido,

Cui parent superum numina magna DeAm? Et parat viitrici puerum terebrare sagitta,

Altitonum valeat qua superare Jovem. Sed frustra aurato tentat praefigere telo

Pectora, quae sanctae Falladis arma tegunt. Hoc cernens, aliosque dolos, aliudque volutans

Consilium, insolita callidus arte petit ; Nam morbum inmisit, quem nee queat ipse Machaon,

Nee tua docta manus pellere, Phoebigena. Convocat heic medicos Paullus, quem cura nepotis

Anxia sollicitum nocte, dieque premit. Conquirunt igitur veterum monumenta virorum,

Siqua datur morbo jam medicina gravi, Quae, Galiene, tuo divine volumine monstras,

Quaeque docet Coi pagina docta senis, Quid velit Hippocratis magni doctrina, quid ille,

Cujus Arabs justo paruit imperio. Mosaicosque manu versat, Latios, Danaosque,

Quique colunt ripas, advena Nile, tuas. Denique perceptis cunctorum sensibus, omnes

Hue veniunt, atque haec mens fuit una viris ; Non posse extremae hunc tempus sperare juventae,

Gaudia percipiat ni tua, pulcra Venus. Res miranda quidem, rara et per saecula visa,

Exemplum in puero tale pudicitiae : Qui vitae sanctum potuit praeferre pudorem,

Viveret ut senjper, tunc voluisse mori.

I nunc,

300 APPENDIX. NO LVIL

I nunc, Hippolytum verbis extolle superbis,

Bellerophonteum nomen in astra refer. Non hie Antiam, non pulcrae gaudia Fhaedrae,

Omnia sed Veneris furta nefanda fugit. At ne forte piites nullo hunc caluisse furore,

Nulla nee alig-eri tela tulisse Dei ; Sunt geminae Veneres, gemini hinc oriuntur Amores,

Terra haec demersa est, caelitus ilia venit. Altera, vulgarem vero quam nomine dicunt,

Namque levis plebisvilia corda domat, Mortalesque artus, homines, formaeque caducae

Terrenum miseros corpus amare jubet. Altera caelestis superis dominatur in oris,

Mater nulla illi est, Juppiter ipse pater, Haec, quas nulla mali violant contagia sensus,

Divino mentes urit amore pias. Hie Michael valido praefixus pectora telo,

Caelum amat, et caeli moenia mente capit : Nee quidquam puerile sapit puerilibus annis,

Tristis at in tenera fronte senecta sedet. Sevocat a sensu mentem, taetramque perosus

Luxuriem, aethereae scandit ad astra plagae, Cunctaque sub pedibus mittens, quae mersa sub ipsa

Materia, in tenebris corpora caeca tegunt, Et magni volitans mundi per curva, supernos '^^ Spirituum volucer tentat adire choros. Interea pestis teneros depascitur artus,

Contrahit in rugas squallida membra lues, Et toto succum flaccescens corpore sugit

Pus solidum, innatus deserlt ossa vigor. Donee ab absumptis animus discedere membris

Cogitur, et putri carcere pulsus abit.

Pulsus

APPENDIX. NO LVII. 301

Pulsus abit, sed laetus abit, vinclisque solutus

Cognoscit quantum mors habet ista boni, Exsilioque gravi liber, caelestia summi,

Quae patria est, ardet visere templa Dei. Sed quid te plorem puerum, Verine, quid ultra

Fata tuae mortis stultus iniqua querar ? Mortuus en vivis ; sed nos dum nostra manebit

Vita, nimis blanda morte maligna premet

Gabrielis Medlolanensis Theologi Carmen in sepulcro ejus- dem.

Conditur hoc tumulo tuus, o Florentia, vates,

Verinae Michael stirps generosa, domus, Qui dulces Elegos scripsit lanugine prima,

Naso, tuis similes, terse TibuUe tuis. Ad tria lustra, duos hie vix adjecerat annos,

Quum vitam hanc miseram pro meliore dedit. Occidit obscaenae Veneris contagia vitans,

Aeger, et hanc medicus dum sibi spondet opem.

In Michaelem Verinum, Ex. Op, Ang\ Politian'u Aid. 1498.

Verinus Michael fiorentibus occidit annis ;

Moribus ambiguum major, an ingenio. Disticha composuit docto miranda parenti,

Quae claudunt gyro grandia sensa brevi. Sola Venus poterat lento succurrere morbo.

Ne se pollueret, maluit ille mori. Sic jacet, heu patri dolor, et decus, unde juventus

Exemplum, vates materiam capiant. VOL. III. ' R r Conso-

Soa APPENDIX. NO LVII.

Consolatoria a, S, Ugolino Verini per la morte di Michele^ suo Jigliuolo»

Di Girol. Benivieni, nelle sue ojiere, Ven» 1524.

Oual piu ingrata virtu, qual impia sorte, Qual duro fren, qual cieco inetto & stolto Furor, qual nuova legge iniqua e cruda Fia che'l fonte immortal, ch'acerba morte D'amaro pianto ha intorno al cor raccolto, Con le sue proprie man restringa e chiuda Taci lingua crudtl, rustica, e nuda D'ogni pieta, cruel el, anzi tenore Farai piangendo a' suoi giusti lamenti* Gr improbi tuoi dolenti Sospir, perche, perche la via del core Non apron lasso? e perch' agli occhi in tanto Duol, Padre, hor nieghi '1 disiato pianto ?

Rompi hormai'l duro fren, I'iniqua legge Sprezza, ch' al tuo dolor non se conviene, Ne si puo modo por ch' indietro il volga. Chi del cieco dolor governa e regge L'improbo e duro freno e in poche pene, Ne sa ben com' un cor s' affliga e dolga. Rompa hor dunque'l van fren, apra e disciolga L'indurati sospir, I'horribil pioggia Che 1' attoiiito cor restringe e serba. Ahime che tropp' acerba Tropp'iniqua cagion dentr' al cor poggia. Non virtu, ma furor quel piant' infrena Che sciolto invita, e chiuso ad morir mena.

Piangi

APPENDIX. NO LVII. 303

Piangi dunniie; infelice e miser Padre, Poiche morte crudel quel sol n'ha spento Quel sol ch' esser potea tua guida e scorta. Kcco Amor, Phebo, e 1' altre sue leggiadre Suore, piangend' al tuo flebil lamento Fan tenor, poi ch' ogni lor gloria e morta. Teco piange ogni padre, e chi non porta, Chi non ha al tuo dolor, e a' tuoi affanni Pieta, non puo saper che cosa e tiglio. O nostro human consiglio Pien d' ignoranza, almen hor con tuoi danni Conosci, impio mio cor, quanto sia inferma La mente di ciascun che qui si ferma.

Lasso, quante speranze insieme, e quanti Fior di futuri ben nel vivo obietto Posto havea'l ciel, le stelle, e la natura ! Amor suo albergo fe degli occhi santi, Del volto gratia, e del pudico petto, Honesta sempre immaculata e pura. Quici (e ch'il crederia ?) de Pimpia e dura Falce, V ultimo coipo aspettar volse Pria che V alma oscurar, Candida e bella. Cosi di sua novella

Pianta, acerbo quel fior per forza colse Morte crudele, il cui ben culto frutto Far di se potea lieto il mondo tutto.

Sette e sette anni e tre gia volto il sole

Havea'l gran cerchio suo, dal primo giorno Ch' al bel nostro orizonte il tuo sol nacque ; Quando credo, per far dell' alme e sole Sue vive 'uce il ciel piii riccho e adorno, Morte al mondo oscurar quel sol gli piacque :

E per-

304 APPENDIX. NO LVll.

E perche mentre in terra afflitto giacquc> Nel siio corporeo vel, mirabilmente Qiial fussi '1 suo valor ne mostro alhora ; Ben creder dei che hora Dell' immense sue pene il premio sente, Et ch' in cambio al dolor caduco e breve, Immortal gaudio sii nel ciel riceve.

Cosi da quest' inferma e cieca vita

Qual contr' al suo disio per forza'l tenne Chiuso, piangendo in questo oscuro speco, Felice e in grembo al suo fattor salita L' alma, a veder la patria ond'ella venne, Per essempio del ciel, nel mondo cieco. Et hor lasso, da noi partendo, seco Se'n portol vero ben, quel ben dal quale Ogni tuo bene human diriva e pende ; Ivi tant'hor risplende,

Che se in virtu del ciel 1' orr.hio mortale Potessi gli occhi suoi ben guardar fiso, Cangere'l tristo pianto in dolce riso.

Dunque qual nuovo error ti stringe e muove A pianger quel che ti dovria far lieto, Se vero e che'l suo ben ricerchi e chieggia ? Non sai ben che salito in parte e, dove Com' in fulgido specchio ogni secreto Del tuo misero cor convien che veggia ? Quinci'l fonte, onde in van con verso ondeggia Dal cor per li occhi un lagrimoso fiume Scorge, e pietoso del tuo mal si turba, Cosi oscura e deturba L' infelice tuo pianto il divin lume

Di

APPENDIX. N" LVII. 305

Di quel, ch' acceso d' amoroso zelo, Cosi Padre ti parla infin dal cielo.

Non hai padre, non hai, come tu pensi, Perduto quel di cui mentre ch' io vissi Miser in terra havesti a pena un ombra. Hor se 1' interno sole da' ciechi sensi Sciolto, se gli occhi infermii al ciel tien fissi, Vedrai ben quanto error t'involve e'ngombra. Vivo son io, e qualunque altro adombra. Vostro career mortal ben dir si puote Morto, quand' altri al mondo '1 tien per vivo. Dunque Padre s' io vivo, Com' io fo, lieto in queste eterne rote, Et se tu mi ami, o se'l mio ben ti piace, Pon la lingua in silentio e gli occhi in pace.

Canzona, io credo hormai che 1' impia piaga Ch' accesa in mezzo al miser petto spira, Benche cruda, palpar si possa in parte. Va dunque, e come del pio cor presaga Vedi, e se forse ancor per se respira Da tante e tante lagrime gia sparte, Di che se'l ciel, 1' ingegno, il tempo p 1' arte Non ponno in lui, ch' ahnen I'inclini e volti La voglia di colui che accio 1' induce : Et che 1' amate luce, Senza timor alcun, non dopo molti Anni, dell' alma sua vera Phenice, Vedra in ciel, piu che mai bella e felice.

J06 APPENDIX. NO LVIIL

NO LVIII.

I>e studio Pisanae Urbis^ ^ ejus situs maximd felicitate^ ad Laurentium Medicem*

Car, de Maxirnis.

XTE, quibus studiis amor est accendere mentes,

Ingenii quibus aura favet, quibus atthere ab omni

Hac una astriferi datur ad fasugia regni

Ire via, et merito concessum assistere caelo ;

Ite datur veteres tandem consurgere Pisus,

Et priscus renovatur honos. Sint diruta quamvis

Moenia Tyrrhenum late dominata per aequor,

Tu tamen exstincaim studiis melloribus urbem

Instaurare paras, atque intermissa Minervae

Sacra novas, Medices ; procul exsultantia cerno

Littora, et arridet vicina Palaemonis mida.

Quid mirum ? geminus qui faucibus excipit Arnum

Collis ovat, Dominique intrantis laeta salutat

Stagna Dryas, mediamque libens transmittit in urbem.

Vix mihi certa fides, num tu Pelopeia tellus,

Num vos Tyrrhenae, tristissima moenia, Pisae ?

Unde haec laeta dies tam festinantibus horis

Effulsit, quaenam vobis inopina reluxit

Gratia, quaeve hilaris subito fortuna renata est ?

O bona lux ! patriis nuper discedere tectis

Incola jussus erat, vacuoque in limine m.atres

Flebant, crudeles & detestantia Divos

Ora cruentabant, tantae memoresque ruinae

Errabant tristes, & sparsis crinibus umbrae.

Quae modo tam volucri i-edierunt gaudia penna ?

Quaenam fata locis 1 plectrone haec saxa canoro

Demulcet

APPENDIX. NO LVIII. 307

Demulcet dorso residens delphinis Arion ? Dircaeae num fila lyrae ? Stupet Italus orbis, Hucque flu it- Libycis nee qui Deus exstat arenis, Aurato insignis cornu, nee opaca Sibyllae Tot siniul adjunctas videre silentia gentes. Nee minim, nam tu mediis de nubibus urbi Alluces, positaque hane erigis aegide, Pallas, Et dubium juvenem, nee adhue fidentis habenas Ipsa impellis equi, & magnis hortatibus urges. Quin age, seu ebara nune in Tritonide virgo Lanifieas monstras artes ; seu eorpora pura Tingis aqua, & primos non dedignaris honores ; Sive ad Ceeropias frustra lamenta profundis Relliquias, einerique virum, ineumbisque ruinae ; Seu potius laetas inter Dea eandida Divas Texis opus, niveoque animas in stamine telam, Hue propera, hue totis ad terram labere pennis ; Sume vias ; non te poseunt juga Sarmata multo Pressa gelu, aut Cancro ferventis gleba Syenes ; Sed vocat uvifero madidus de palmite Frater, Deque Fluentino propior Cyllenius axe ; Laeta, hilarisque veni, qualem post bella gigantum Vidit paeifei'a velatus fronde saeerdos. Adspiee cognatis quanto tibi moenibus arae Thure sonant ; nee enim liaee superis ineognita sedes, Sed de sacrifico dieta est bona Thuseia ritu. Heic tibi non oleae deerunt ; aptissima ponto Pinus habet eolles ; hue si te forte tulisses, Quum tua Phryxaeas esset eursura per undas Puppis, et Argois aptares robora remis, Non aliis elassem tentasses ducere silvis. Heie tua fatiferos primum tuba compulit enses,

Et bellator equus clangentes arsit ad iras.

Ubera

308 APPENDIX. NO LVIII.

Ubera quid referam terrae, formasque locorum ? Vobis Campanae nee cedat Thiiscia glebae ; Et si larga magis multiim, si ditior istis Stet natura locis, et pleno copia cornu, Thusca magis cultu tellus Formosa, magisque Ingeniosus ager ; medio pomaria saxo Cernis, et agricolam sterili de vertice messemi CoUigere. His credunt Cerealia semina sulcis Spargere Triptolemum, picturatosque dracones Arentem placidis terram irrorare venenis. Non taceaiii Thuscis et quae nascantur in oris Pectora, consiliis, duroque aptissima bello, Contentique magis laeta sub pace quiescunt. At tu, Laurenti, quae te pietatis imago Moverit hos tantos ut molirere paratus, Dinumera, et caeptis quando mihi parcere tantis Difficile est, tu tende chelym, partemque tuarum Tot mihi de cumulis da nunc perstringere rerum ; Et mea si nimium levis, et temeraria virtus, Da veniam, trepidamque ratem propel le per Efuros. Et tu, Cos ME Pater, cujus sibi numen adorat Arnus, Romano cognatus \ertice Tybri, Praebe animos, impelle lyram, et majore cothurno Ire jube, numen t:ertum, et mihi major Apollo. Est in Pisano saltu nemus, ardua multum Cui coma, frondentesque in caelum surgitis alni, Montivagis domus apta feris, accessaque numquani Solis equis ; habitant salientes robora Fauni ; Virginibus sacra silva choris, castaeque Dianae Creditur : ipsa loci facies dat signa, novaeque Auditae voces, et visae per juga Nymphae. Hue, quum civiles cessarent undique curae, Urbanusque labor, laeto Laurentius ore

Vcnerat

APPENDIX. NO LVIII. 309

Venerat : Herculeo sic quondam robore fidens Atlas, deposita gavisus mole laboris, Et super injecto paullum subductus ab astro. Nee mora, pars multa cingunt indagine valles, Pars urgere canes, et vincula demere collo ; Cornua mille sonant, vestigatorque Molossus Dat signum, fugiente fera, tremit icta fragore Silva, et diffusi fugiunt per devia Panes. Vallis erat, vitreas ubi formosissima servat Nais aquas, densisque expellens frondibus aestus Brumam Nympha sibi facit, et nunc roscida musco Strata tegit, tremulosque lacus nunc flore coronat Narcisso, aut foliis, casus qui luget amaros. His Dea venatu defessa loquacibus undis Assuerat Dictymna suas renovare sagittas, Et multo nitidos temerabat sanguine rivos : Et turn forte aderat, quae vocibus excita vidit Quum primum per lustra virum, quo subter anhelat Arte laboratis circumspiciendus habenas Acer equus, laterique haeret fidissima tigris, Spartana de matre canis ; Mea Cosmea proles, Haec ait, o superi quantum debere fatemur ! O vos, vicinae quantum exsultabitis arces I Nee mora, velocem pedibus, similemque sagittae Ire jubet cervam, quae se frondentibus umbris Opponat, monstretque viro, turn deinde revertat In liquidum fontem volucri vestigia gyro. Ilia volat celeri frondosa per avia saltu ; Quam simul adspexit celso de vertice tigris Irrumpit siivis, animos vox nota ministrat Festinantis heri, timidis it pendula costis Tigris, et in vallem vicinis dentibus urget.

VOL. III. s s Ecce

310 APPENDIX. NO LVIII.

Ecce per irrigui nemorosa cubilia fontis Accelerat Diana gradus, optataque lora Pernicis Dea pressit equi, et sic ora resolvit : Chare iiimis, dilecte mihi, quern gentis Etruscae Fas dixisse Deum, quantum tibi Numina debent ! Quantum ego ! nam solis habitabam frigida lucis, Virginibus comitata meis, atque acre nudo. Hippolytus mihi nullus erat, qui retia posset Tendere, et alatos mecum praevertere cervos ; Languebant Satyri, Nymphaeque, et flumina, et auras Implebant queruHs actae clamoribus umbrae* Per te cuncta mihi redeunt, manesque quiescunt, Exsultant silvis Dryades, Nereides undis ; Nee deserta queror, nam te mihi semper in istis Coilibus adspicio comitem, et mea lustra frequentas Candidior, similisque Deo : quotiesque putarem Fratrem materna venisse per aequora Delo, Si calami ex humeris starent, et flexilis arcus ? Dum ioquor, inque tuos figo, placidissime, vultus Lumina, quanta paras oculis ! o quantus in ore Stat genitor, patriique nitet splendoris imago 1 Virtus quanta patet, quanti monstrantur honores ? Et tibi, si qua fides superis, longaeva merenti Tempora et astra dabunt. Sed ne pars uUa parato Deficiat caelo, nostris his annue dictis ; Ostendam quo sis fugiturus tramite terras. Est mihi chara soror, quam nee Cytherea, nee umquam Vos jaculatores illam fixistis Amores, Vertice nata Jovis, cui cessa potentia ferri, Proximaque, in studiis nee eiiim minor addita virtus. Nunc incerta loci, varias defv^rtur in urbes, Qua se ponat humo, sedem quibus eligat oris

Nescit,

APPENDIX. NO LVIIL 311

Nescit, et exstinctas semper suspirat Atheiias : Nee voluit parvi ripis cf)nsidere Rheni, Nee, Ticine, tuis ; hie enim civilibus armis Noxius, hie magno didicit servire tyranno. Libera mens illi est ; da tu, charissime, portus, Da fessae sua tecta Deae ; non heic furit ensis Civicus, et claro gens est dilecta Leoni, Magnanimae servitque ferae, placidasque jubarum Non timet ad setas primis vagitibus infans Ludere, et a forti pendent cervice puellae. Eja age, perge, adero, mecumque ad tanta jiivabit Frater, et hue gentes gemino niittemus ab axe. Dixerat : alatis et se per devia plantis Sustulit in silvas, lateri cui plvirima virgo It comes, et nitida sequitm' vestigia palla, A jaculis lucent humeri, nervoque sonanti Omnibus arcus erat, Zephyris raptique capilli Colla repercussis umbrabant Candida tergis, Divinumque cohors late dispersit odorem Per silvam, et casti lustraiamt a\ia vultus ; Quaque recesserunt sese violaria plantis Supposuere, latus subitoque rosaria tractu Cinxere, et ramus se culmine flexit ab alto. Venantes sensere viri, subitusque per ora Fulgor iit, blando mansit fera juncta Molosso, Quae prius auditis fugit latratibus umbram. Hauserat has voces, hortatricisque Dianae Numen agit Medicem : vix bino Sole calentes Aeripedes fumastis equi, totiesque relapsi Vos ponti mersistis aquis, et vera per urbes Fama volat, Studlum lapsis componere Pisis Te te, Laurenti ; nee enim minus inclyta virtus Ista tibi, quam quum Volterras marte rebelles

Ausu5

312 ^ APPENDIX. NO LVIIL

Ausus es ipse tuis de tot modo civibus unus Vincere, et iiijectis hostem frenare catenis. Ergo ubi multivago discurrit fama volatu, Et circumfusi procul, ut sensere parari, Accurrunt populi ; florentes mittit alumnos Trinacris ora, venit Gallis admistus Iberus, Quique racemifero vultum crinesque sequuti Se vovere Deo ; ruit hue gens omnis ; anhelant Aequora, & Inoi capiunt vix claustra Learchi. En ego nunc etiam nimium fidente carina Dum feror, et puppem majori credimus Austro, Distrahor, et rapido multum increscentibus undis Nutat cyniba mari, et scindunt mea vela procellae. Nam quis inexpleti referat certamina circi, Quis tantos rerum motus ? non si mea texant Tempora Maeoniae laurus, et Cynthius haustus Bellerophonteos plenis indulgeat urnis, Sit satis, et tantos valeam narrare paratus. Cedite vicinae, liceat mihi dicere, Senae, Tuque Antenoreo tellus fundata colono, Felsineaeque nives, tuque o cui sanguine nostro, Ticine, infausto tumuerunt flumina bello ; Non vestris tarn grande sonat facundia muris ; Non heic qui populos doceant sub lege tenere, Justitiaeque sacros monitus, et jura ministrent, Deficiunt, nee qui conducere vulnera, morbos, Ostendant, somnos et quid fugientibus aegris Efficiat, mortes et qua teneantur ab herba ; Sidera. qui reseret, magnique volumina coeii Explicet ; heic omni fulgent ex arte nitentes Stipanturque viri ; Graecae hue facundia fluxit Romanaeque decus linguae, majoraque dictis Sunt et plura meis ; nihil his quod dicere possis

Deerit

APPENDIX. NO LVIII. 3ia

Deerit grande locis ; gcnialis gratia terris Indulsit, largum sen fundat Juppiter imbrem, Tunc quum saevit hiems, Calabros seu Sirius urit, Aut fervet latos Nemeae populator in agros, Temperies his mira locis ; uberrima tellus Ipsa suas distinguit opes ; heic flumina fecit Flexivagis ambire vadis ; hinc surgere in altum Verticibus montes, vastas radicibus imis Hinc cadere in valles ; ast inde tepentia fumant Balnea de terra, multumque salutifer agris Nascitur humor aquae ; stagnis sudare videres Numina, anhelantesque hiberno frigore Nymphas. Ista vaporiferae nee vincant aequora Baiae, Nee vos vicinae notissima Balnea Lucae. Quid bipara referam pendentes arbore fructus, Quid bene partitis laetissima dotibus arva Naturaeque vices ? hinc pubescentibus uvis, Ulmea serpentes pingunt fastigia vites, Et circum amplexis servant connubia nodis ; mine effusis large super arva canistris Laeta Ceres natam Stygiis invitat ab undis ; Exoratque Jovem ; Thuscis deque urbibus una Romanae par haec, et terra simillima glebae est. l.anigerae pecudes, campisque armenta vagantur, Lascivique greges ; nemora heic habitataque miti Lustra fera ; arboreis heic se cum cornibus infert Actaeon, trepidae saliunt et per juga damae, Et mollis lepus, et maculato tergore caprae. Non ursus, non tigris adest ; si forte malignus Frendit aper, vel spumivomo diffulminat ore, Te sibi, Laurenti, fatis melioribus usum, Thestiaden sentit, si quive in valle leones Occurrunt, placidi lambunt vestigia, et altas

Summisere

314 APPENDIX. NO LVIII.

Summisere jubas, et te voluere magi strum. Non sileam positus urbis ; slant m.argine piano Moenia, et Lereas medio Iransmisse canali Arne, domos, urbemque tuis interfluis undis, Arne, Fluentinos qui praeterlaberis hortos, Pecundisque secas rivis : non fonte refuso, Nee rapidis transcurris aquis, sed pontis habenas Dignaris, curvos et te qiiater addis in arcus ; Inde tuam aeqiioreis immisces Dorida nymphis, Fessaqut littorea praetexis cornua myilo. Parte alia portus, cinctis ubi Nereus midis Innatat, et posito paullum fervore quiescunt Aequora, et intluso Nereides amne lavantur. Heic Athamantheus nautis venientibus infans Lustratam flammis, et ituram in nubila turrim, Per latas ostendit aquas, parvoque reclamat Vagitu, et vigili noctem propellit olivo. Nee procul a terra surgentes cautibus altis. Bis geminas arces servat, cingitque catena, Brontis opus, tutis ubi possit navita velis, Securo totas noctes traducere somno. Heic et Atlantiades dulci testudine pontum Mulcet, et auratis invitat Pallada chordis, Hortaturque viros, fidissima laudis imago Quos superis facit ire pares, et vivida virtus. Ille renascentes canit alta ab origine Pisas, Seu quod, magne Pelops, dederis tu nomina terris^ Fundarisque urbem, seu quod tuus accola muros Heic posuit, nomenque Eleaea adjecit ab urbe. Pisanos etiam plectro movet ille triumphos, Et quos terra viros, bellis navalibus aptas Quas tulit ista manus, felix, nimis improba felix, Si non finitimo fregisset jura Leoni,

Victrici

APPENDIX. NO LVIII. 315

Victrici tumefacta manu, rebusque secimdis.

Namque Fluentinae socialia foedera genti

Abruptamque fidem, jiistisque hinc excita bellis

Pectora, et armatas Deus addit in ordine turmas,

Excidiumque urbis quanto Deus hie tonat ore?

Qiiis modus in cithara ! credas fera bella movere,

Vincula captivo rursumque imponere collo.

Nee procul his laudes, et facta referre suoruna ,

Gaudet, et a Fesulis primae fundamina terrae,

Antiquos fasces, et relligionis honores ;

Hinc memorare viros, inter quos, Maxime, primus,

Cos ME, venis, teque innumeris cum laudibus offers,

Templorum, Patriaeque Pater, te curia felix,

Te duce libertas populis, cultusque Deorum

Crevere, et priscis demissa altaria Thuscis.

Proh vanae mentes hominum 1 te civicus error

Jussit ab emeritis patriae discedere tectis ;

Sed Dii quam melius ! vix in se vertitur annus,

Vix Janos videre duos, quum teque, tuosque

Indiga gens Cosmi, patrias revocavit ad aras.

Sic etiam immeritum damnavit Roma CamiUum,

Acrisioneis illumque reduxit ab oris ;

Sic sponte ingratos effugit Scipio cives,

Ultoresque suo titulos dedit ille sepulcro.

Scilicet hoc etiam timuit Florentia, neve

In mare tarn turpi flueres languentibus undis,

Arne, nota, aequoreis et ne vox ista nataret

Fluctibus, emeritos cineri persolvit honores,

Et dignam posuit titulis sulcantibus urnam.

Haec tibi, Ccsme, Deus, fessosqiie ex aggere laudum

Conciliat nervos, junctaque retemperat aure.

Mox vestri canit acta libens miranda parentis,

Et vos, o gemini Medices, certissima Thuscis

Sidera,

316 APPENDIX. NO LVIII.

Sidera, olorini referensque ingentia furti

Pigiiora, fraternum vobis inspirat amorem,

Et tibi, Laurenti, remm concessit habenas,

Cui major de more dies, et firmior aetas

Exemplis urit mentes ; inceptaque suadet

Tanta sequi, atque animum patrios accendit ad actus.

Numquam ille adversos ferro saevibat in hostes,

Nulla cruentatis edebat fun era dextris ;

Sed mitis, simplexque animus, semperque serena

Ma-naque mens victo suadebant parcere civi.

Testis Pittus erit, tunc quum male gratus honoris

Per vos accepti, civilem movit Erynnim :

Nee teaitum infirmae potuere in corpore vires,

Herculis auderet quin mente aequare labores.

Dum tali canit ore Deus, longeque vagatur

In virtute patris, teque altos urget ad ausus,

Vertitur ad cantus, semperque cadentia verba

In te, Laurenti, placidisque remurmurat undis

Arnus, et haec totos ad carmina porrigit amnes.

Accelerat Niobe, quae si lapis, attamen audit.

Nee magis illacrymat. Gressus et cetera reddunt Fila lyrae ; sed ne superos rursum improba laedat,

Os tacet, et frustra conantem verba relinquunt. Hue etiam quae te timuit, Polypheme, furentem,

Et pavet, adjunctis et adhuc se mergit in undis,

Cum sibi dilecto Galatea allabitur Aci.

Quin et vos Siculis mersae Syrenes in undis,

Quarum praedulci cantu scrutator aquarum

Aure soporata medium delapsus in aequor,

Surgitis, et victis ad cantus plauditis alis.

Scylla silet, rapidi ponunt ad carmina venti,

Et mitis natura feris, rabiemque luporum

Mulcet, et arctatas cohibet cava fistula malas.

Silva

APPENDIX. NO LVIII. 317

Silva comas praebet, venit cum frondibus Echo, Reddita voxqiie illi est, et fari posset, ad istas Sed potius voces omni vult ore tacere ; Cornigeri nudam nee prendimt Dorida Panes. Hos inter coetus plectri modulamine capta, Adque tuum nomen versis Tritonia cristis, Laurenti, aethereae plaga qua candentior orae Parte, nitet, labi visa est, non Gorgonis atrae Concutiens vultus, stillantiaque arma cruorem, Sed Dea flaventes foliis pacalis olivae Intertexta comas, laetis quas Gloris in hortis Docta pinxit acu : summo de vertice in armos Nunc lapsi ludunt flores, nunc frontis oberrant Marginibus, tremulum medios internatat aurum, Multicoltor radiatque lapis, neve aura capillos Spargeret, in nodum filis religaverat auri. Sic Dea lapsa polo,i laetis sic adstitit aris : Stridentes dant signa foci, meliorque per urbem Plausus abit, variis sparguntur floribus arces, Et rebus mutatur honos. Prius apta palaestrae, Nocturnis melius nunc ardetoliva lucernis, Quaeque erat undosas toties passura procellas, Et factura vagis pontem super aequora nautis, Fissilis edoctos abies aptatur ad usus. Non tuba nunc, non castra movent, nee casside malas Atterit, aut duros exercet Diva labores ; Laetior ingenuis sed se nunc artibus infert, Certatusque virum, et Medicis dignatur honores. Ponite jam luctus, lamentaque tristia, Pisae : Hue rnelior fortuna redit, veteremque malorum Jam pensare juvat faciem ; felicior aetas His permissa locis. En mixto hinc inde tumultii Facundo innumerae miscentur milite pugnae.

VOL. III. T t Vobis

318 APPENDIX. LVIII.

Vobis loiigiis honos ; nee enim dilecta Minervac

Ulla magis teilus, hac permutaret Athenas,

Si starent, numquamque aliis babitabit in oris,

Deque ullis capiet non thura libentius aris.

Vivite, et in longas aevum traducite metas-,

Neve Fluentinas umquam mutetis habenas.

Nobile servitium magno parere Leoni est.

At vos, o juvenes, quorum praecordia pulcrae

Laudis inardescunt cumulis, et per vaga mundi

Nubiia sidereos conscenderc quaeritis axes.

His mecum properate choris, gratesque feramus

Usque meo Medici ; rebus venerandaque multis

Tu Pallas, superis et qui regnatis in oris,

Vos virides, Stygiique omnes, quique antra tenetis^

Et siivas, et stagna Dei, Indigetesque, Laresque,

Vitales densate colos, dextramque tenete

Atropos, et juveni plenos extendite fusos.

Tuque omni dilecte Deo, de Pleiade nate,

Qui plectro majore sonas, hunc cantibus effer,

Hunc superis ostende tuis, laudunique suaruni

Agmina cognatam, Cylleni, prefer ad Arcton.

Me quoque jam fessum, quique ad tua carmina victam

Pono cheiym, sua facta doce, et pendentis ab orc

Usque tuo nostrae Libethridos instrue mentem.

Mox ego, Dive veils, tunc quum fidentior altis

Per mare curret aquis, flatuque vehetur amico

Cymba, coronatis lauro Peneide rostris,

Illi dona feram, et libamina prima dicabo.

Haec ego ; turn casto risit Tritonia vultu,

Mentem fassa suam, risit qua parte fugatas

Adspexi nubes, ocuiisque recanduit aer.

Sic magis incussis, et prono vertice nervis,

Et subito metis Caducifer annuit alis,

§ig;naque de laeto fecere tonitrua caelo.

APPENDIX. NO LIX. 319

NO LIX.

Laurentio cle^ Medicis Florentiae, Angelus Politianu.^,

MaGNIFICE Domine, &c. Mona Clarice sta bene^ et cosi tucta questa brigata. Qui non sera ancom udito nulla del roniore cccorso, del quale ne ha per questo medesimo apportatore dato adviso ad me il Franco, che ci ha levata ogni sospitione, perche ci sia.mo assai fondati in sulla sua lettera, che Mona Clarice dubitava non fussi la cosa piu grave, et che voi de industria V allegerissi. In somma e restata di buona voglia, et acquievit.

A noi non manca nulla ; et solamente habbiani©

passione delle molestie vostre, che sono pure troppe.

Iddio ci adjutera. Spes enim in vivis est, desperatio mortui.

Vorrebbe Mona Clarice, che quando costa non haves&i troppo bisogno di Giovanni Tornabuoni, lo ri- mandassi in qua, che gli pare esser sola sanza epso, et per ogni rispetto gli pare sia a proposito la stanza sua qui.

lo attend© a Piero, e sollecitolo a scrivere ; et in pochi di credo vi scrivera, che voi vi maraviglierete, che habbiamo qua un maestro, che in quindici di in- segna a scrivere, et fa maraviglie in questo mestiero. E fanciulli s' attendono a vezzeggiare piu che 1' usato,

et

320 APPENDIX. NO LIX.

et sono tutti rifatti. Iddio ajuti loro e voi. Piero non si spicca mai da me, o io da lui. Vorrei esservi a propo- sito in maggiori cose ; ma poiche mi tocca questo, lo faro volentieri. Rogo tamen, ut aliquid aut litterarum aut nimtii hue perlatum iri cures, desque operam, ne quidquid est in me auctoritatis, patiaris xolescere, quo et puerum facilins in officio teneam, et - eo munere, ut par est, defungar. Sed haec si commoaum ; sinminus, quod sors feret, feremus aequo animo. State di buona voglia, et fate buono animo, che e grandi uomini si fan- no nelle adversita. Durate, et vosmet rebus servate secundis. Raccomandomivi. Pistorii die 26. Augusti 1478.

Magnifice mi patrone. Desidero assai, che la Mag- nificentia Vostra non si sia turbata d' una mia li scripsi stamani dettatami dalla passione, la quale ho non d' altro, che di non potere havere patientia. Spero in bonam partem acceperis, rebusque nostris prospectum curabis.

Mona Clarice vi manda tre fagiani, et una starna. Dice ne habbiate cura, come ne venissimo da nemici : perche non sa chi, o quale sia questo apportatore, il quale e il padre del ragazzo vostro, che ruppe ia gamba, cavallaro di Pistoja.

Per costui vi mando e consiglj di Messer Bartolom- meo Sozzini. Hoili sollecitati a ogni hora, et trovato li scriptorl ; et elli ancora vi ha usata diligentia somma. Ma non si e potuto far piu presto.

Piero

APPENDIX. NO LIX. 32 \

Piero sta bene, et io li ho grancUssima cura. Cosi

tutti li altri sono sani. Governiamoci il meglio pos^

samo, ma a me toccano tutte le botte, pure te propter Lybicae, &c.

Io aspetto con desiderio novelle, che la moria sia restata per il sospetto ho di voi, et per tornare a servire voi, che con voi volevo et credevomi stare. Ma poiche voi, o piu tosto la mia mala sorte mi ha assegnato questo grado appresso di Vostra Magnificenza, Io sopportero, quamvis durum nee levius fit, patientia. Raccomandomi a V. M. Pistorii die 24. Augusti 1478.

Magnifice mi Domine. Tutta questa vostra bri- gata sta bene : Piero studia cosi modice, et ogni di andiamo a piacere per la terra : visitiamo questi horti, che ne e piena la citta, et qualche voita la libreria di Maestro Zambino, che ci ho trovate parecchie buone cosette et in Greco et in Latino. Giovanni se ne va tutto il di in sul cavallino, et tirasi drieto tutto qucisto popolo. Mona Clarice si porta molto bene : piglia pero poce piacere, se non delle . novelle buone si seh- tono di costri. Poco esce di casa. Non ci manca in effetto nulla. Non si accepta presenti, da in sal ate, fichi et qualche fiasco di vino, o qualche beccafico, o simili cose infuori. Questi ciptadini ci porterebbero acqua cogli orecchi ; et da Andrea Panciatichi siamo trattati tanto amorevolmente, che tutti ci pare esserli obbligati. In effetto a ogni cosa di qui sa 1' occhio. Et- gia si comincia a far buona guardia alle porte.

Attendete

S22 APPENDIX. NO LIX.

Attendete aiK:ora voi a darvi buon tempo, et vinc^'e ; et quando si puo, venite a vedere questa Aostra brigata, che vi aspetta a man giunte. Raccomaiidomi a V. M. Pistorii 31. August! 1478.

Magnifice Domine mi. Mona Clarice s'e sentita da hiersera in qua un poco chiuccia : scrive lei a Mona Lucretia, che dubita di non si sconciare, o di non ha- vere il male, che ebbe la donra di Giovanni Torna- buoni. Comincio dopo cena a giacere in sul lettuccio. Stamani si levo del letto tardi. Desino bene ; et doppo desinare se tornata a giacere. Qui sono con lei queste donne de Panciatichi, che e nnolto intendente. Dicemi Andrea, che ella gli ha decto, che Mona Clarice non e sanza pericolo di sconciarsi. M' e paruto d' avvisarvi di tutto. Dicono pero tutte queste donne, che credono non hara male. Lei a vederia non mostra altro segno di malata, nisi quod cubat, et quod paullo commotior est, quam consuevit.

Piero ando incontro stamattina a questo Signore, et fu il primo. Disse poche parole nella sentenza gli scrivete ; et molto bene. El Signore solo mise in- nanzi, et cosi entro in Pistoja. Mona Clarice gli pre- sento un bel mazzo di starne : stasera andremo a visitarlo alle 22. hore, che siamo hora a hore 19. Fe compagnia a Piero GJovanni Tornabuoni : et lui riprese le parole di Piero. Mostra questo Illmo Sig. secondo dicone questi sui, di venire con una voglia troppo grande di farsi honore, et di satisfare a cotesta Excelsa Signoria et max- ime alia V. M.

Clarice

APPENDIX. NO LIX. 323

Clarice vi manda non so quante starne gli sono state donate, poiche, presento qucsto Signore. In staro intento a quanto seguira ; et in quello sapro, faro niio debito, e di tutto avvisero V. M. la quale Iddio conservi. Raccomandomivi. Pistovii die 7. Septembris 1478.

NO LX.

j^ngelus rolhianus.

Magnificae Dominae Lucretiae de Medicis Florentiat.

JVIaGNIFICA Domina mea. Le novelle, che noi vi possiamo scrivere di qui, sono queste. Che noi habbiamo tanta acqua, et si continua, die non possia- mo uscir di casa, et habbiamo mutata la caccia nel giuoco di paila, perche e funciulli non lascino 1' exer- citio. Giuchiamo comunemente o la scodella o il savore o la came, cioe che chi perde non ne mangi. E spesso spesso quando questi miei scolari perdono, fanno un cenno a Ser llumido. Altro non ce che scrivetvi per ora di nostre novelle. lo mi sto in casa al fuoco in zoccoli et in palandrano, che vi parrei la malinconia, se voi mi vedessi : ma forse mi pajo io in ogni modo, et non fo, ne veggo, ne sento cosa che mi dllecti, immodo mi sono accorato per questi nostri casi. Et dormendo et vegliando sempre ho nel capo questa albagia. Eravamo due di fa tutti in su 1' ale, perche intendemo non esser costa piii moria : hora tutti siamo rimasti basosi, intendendo, che pur va piz- zicando qualche cosa. Quando siamo costa, habbia- mo

324 APPENDIX. NO LX.

mo pur qualche refrigerio, quando non fussi mai altro se non vedere ritornare Lorenzo a casa. Qui tuttavia dubitiamo, et d' ognl cosa : et quanto a me vi pro- metto, che io aftogo neli' accidia, in tanta solitudine mi truovo. Dico solitudine, perche Monsignore si rinchiude in camera accompagnato solo da pensieri, et sempre lo truovo addolorato, et mpensierito per modo, che mi rinfresca piu la malinconia a essere con lui. Ser Alberto del Malerba tutto di biascia ufficio con questi fanciulli : rimangomi solo, et quando sono res- uicco dello studio, mi do a razolare tra morie et guerre, et dolore del passato et paura dell' advenire j ne ho con chi crivellare queste mie fantasie. Non truovo qui la mia Mona Lucretia in camera, colla quale io possi sfogarmi, et muojo di tedio : quanto allegeri- mento ci habbiamo, sono le lettere di costa, cioe quelle del Malerba, che pur ci ha scripte a questi di delle novelle ; et sovi dire, che le scrive tutte buone per V ordinario. Et noi per un poco ogni cosa ci crediamo, tanto habbiamo voglia che sieno vere. Ma si convertono pur poi in bozzachini queste susine. Nientedimeno quanto posso io per me, mi vo armando di buona speranza, et a ogni cosa m'appicco per non irne cosi al primo tratto in fondo.

Altro non ho che scrivervi. Raccomandomi a V. M. Ex Cafagiolo die 18. Decembris 1478.

APPENDIX. NO LXI. 335

NO LXI.

Laurentio Medici Florentiae,

Clarice Ursini,

JVlAGNIFICE Conjux ec. Intendo costi la morig. far danno piii che Tusato. Quanto possono e prieghi di vostra donna et figliuoli vi exorto a dovervi guardare, et anche se possete con riguardo di qui venire a vedere queste feste, ci sara consolatione. El tutto rimetto in vostra prudentia. Harei caro non essere in favola del Francho, come fu Luigi Pulci, ne che Messer Agnolo possa dire che stara in casa vostra a mio dispetto ; et anche 1' habbiate facto mettere in camera vostra a Fiesole. Sapete vi dissi, che se volevi che stessi, ero contentissima, e benclie habbia patito, che mi dica mille villanie, se e di vostro consentimento, sono pa- tiente, ma non che lo possa credere. Credo bene che Ser Niccolo per voler fare pace con lui, me habbia tanto sollecitata. E fanciulli sono tutti sani, et hanno voglia di vedervi, et maxime io, che non ho altro struggimento che questo, habbiavi a star costi a questi tempi. Sempre a voi mi raccomando. In Cafaggiolo 28. Mail 1479.

NQ LXII. Ricordi di Lorenzo,

A Di 19. di Maggio 1483. vemie la niiova, che el Re

di Francia per se medesimo aveva data la Badia di

VOL. III. u u Fonte

326 APPENDIX. NO LXII.

Fonte Dolce a Giovanni nostro. A di 31. venne la nuova da P».oma ch' el Papa gliel aveva conferita, et factolo abile a tenere benefizj sendo d' anni 7. die Icr fece Protonotario. A di 1. Giiigno venne Giovanni nostro a Firenze dal Poggio, et io in sua compagnia ; giunto qui fu cresimato da Monsig. nostro d' Arezzo, et datali la tonsura, et fu chiamato Mess. Giovanni. Feronsi le predette cerimonie in cappella di casa. La sera poi si torno al Poggio. A di 8. Giugno detto venne Jacopino cornere di Francia sulle 12. ore con lettere del Re, che haveva dato a Mess. Gio. nostro 1' Arcivescovado di Hayx in Provenza, et a vespro fu spacciato el fante per Roma per questa ragione con lettere del Re di Francia al Papa et Card, di Macone, et al Co. Girolamo, che in quest' ora medesima se gli sono mandate per il Zenino corriere a Furli. Dio mandi di bene. A di 11. torno el Zenino dal Co. con lettere al Papa et S. Giorgio, et spacciaronsi a Roma per la posta di Milano. Dio mandi di bene. In questo di medesimo dopo messa in cappella di casa si cresimarono tutte le fanciulle di casa et fanciugli da M. Giovanni in fuori. A di 15. a ore 8. di notte venne lettere da Roma, che il Papa faceva difficulta di dare 1' Arcivescovado a Mess. Giovanni per la eta, et subito si spaccio el fante medesimo al Re di Fran- cia. A di 20. venne nuova de Lionetto che V Arci- vescovo non era morto. A di 1. Marzo 1484. mori 1' Abute di Fasignano, et spacciossi una cavalcata per stafietta a Messer Gio. d' Antonio Vespucci Imbascia- tore a Rcma, che facessi opera col Papa della detta Abbadia per Messer Gio. nostro. A di 2. se ne prese la tenuta col segno della Signoria per vigore della re-

servatione,

APPENDIX. NO LXII. 327

servatione, che ne aveva fatta Papa Sixto a Mess. Gio- vanni confermata da Innocenzio nella gita di Piero nostro a Roma a dare ubbidienza.

NO LXIII.

Alexandri Braccii, dcscrijitio Horti Lcuirentii Afedicis,

Ad* CL Equitem Venetian Bernardum Bembum.

IN E me forte putes oblitum, Bembe, laboris

Propositi nuper cum Meliore mihi, Decrcvi Mediciim quaecumque legantur in horto

Scribere, quod Melior non qiieat ille tuus. Prodeat in campum nunc, et se carmine jactet,

Namque mihi validas sentiet esse manus ; Cumque viro forti, cum bellatore tremendo,

Miiite cum strenuo praelia saeva geret ; Victorique dabit victus vel terga potenti,

Me vocitans clarum magnanimumque ducem, Vei captiva meos augebit praeda triumphos,

Afferet et titulos Crescia paima novos. Nunc hortus qui sit Medicum placido accipe vultij^

Perlege nunc jussu carmina facta tuo ; Villa suburbanis felix quern continet arvis,

Caregio notum cui bene nomen inest. Non fuit hortorum Celebris tam gloria quondam

Hesperidum, jactet fabula plura licet. Regis et Alcinoi, forti sque Semiramis horti

Pensilis, aut Cyrum quem coluisse ferunt, Quam nunc est horti Laurentis gloria nostri,

Inclyta fama, decus, nomina, cultus honor.

Heic

328 APPENDIX. N^ LXIII.

Heic ole^ est pallens, Bellonae sacra Minervac,

Et Veneri myrtus, aesculus atque Jovi. Heic tua frons est, qua sese Thirintius heros

Cinxit honoratum, popule celsa, caput. Est etiam platanus vastis ita consita ramis,

Illius ut late protegat umbra solum. Heic viridis semper laurus, gratissima Phoebo,

Qua meriti vates tempoi-a docta tegunt. Ante Mithridatis quam nondum Roma triumphum

Videret, hoc surgit hebanus ampla loco. Heic piper, et machir, gariophilon, assaron, ochi>

Mellifluens nardum, balsama, myrrha, lothon, Intubus est etiam, therebinthus, casia, cedron,

Heic et odoratus nobilis est calamus. Tus quoque fert sacrum superis heic terra Sabaeum,

Fert cythisum, clarum laudibus Ant'ochi. Est abies, pinus, buxus, viridisque cupressus,

Nascitur heic quercus, robora, taeda, larix. Est suber, est cerrus, fagus, quin carpinus, ilex,

FraxiuLis, et quidquid silva, nemusque ferunt. Svmt ulmi, salices, dumi, fragilesque genistae,

Sambucusque levis, sanguineusque frutex. Cornus, lentiscus, terrae quoque proxima fraga,

Praedulces siliejuae, castaneaeque nuces. Sunt et quae Romae dederat tua poma Lucullus,

Cerase, mora rubens, acida sorba, juglans, Heic et Avellanae sunt appia mala, pyruraque

Omnigenum, ficus, persica, chrysomila. Punica mala, et cotona, cidoneumque volemum,

Turbaque prunorum vix numeranda subit. Vicia, panicumque, fabae, farrago, lupinum, Pisa, cicer, milium, far, triticumque bonum,

Ervum,

APPENDIX. NO LXIII. 329

Ervum, fasellus, lens, sisima, oriza, siligo,

Tiphae, similago, sunt aliae segetes ; Quin cucumis, melopepo, cucurbita longa, papaver,

Allia, caepa rubens, porraque cum raphanis, Angurium, coriander, eruca, nepeta, et anesum,

Marubium triste est, asparagusque simul, Serpillum, petroselinum, amarathus, onyx,

Beta, cicoreum, brassica, menta, ruta. Quid dicam varias uvas, dulcesque liquores,

Quid mage sunt suaves Hectare, melle, sapa ? Quid violas referam, celseminos bene olentes,

Quid niveas memorem purpureasque rosas ? Cur te, Bembe, moror ? sunt lioc plantata sub horto,

Quidquid habent Veneti, Tuscia quidquid habet ; Pomorum species hoc omnis frondet in horto,

Hortus et hie olerum fert genus omne virens. Heic florum poteris cunctorum sumere odores,

Heic si tu quaeras, omne legumen erit. Haec nos pauca tibi de multis scripsimus, at quum

Plura voles, mehus lumine cuncta leges ; Lustrabisque oculis exceisa palatia regum

Instar, et egregia quaeque notanda tuis. Nam si cuncta velim perstringere versibus, o quam

Difficile ; atque audax aggrederemur opus.

NO LXIV.

Instruzioni date a Piero ck Lorenzo de' Medici. Mella gita di Roma a d) 26. di J^Tovembre I4S4.

X ER Siena avrai solamente tre lettere di credenza, a Messer Paolo di Gherardo, una a Messer Cristofano

di

una

350 APPENDIX. NO LXIV.

di Guido, e uila a Messer Andrea Piccolomini, i quali essendo in Siena visiterai a casa loro, e date le lettere di credenza, mi raccomanderai alle Magnificenze loro, usando le medesime parole quasi a tutti e tre, et in questo effetto ; che andando tii a Roma, vai a questi Ambasciatori, et avendo a passar per Siena, ti commissi visitassi le loro Magnifies; nze, alle quali avendo io affezi- one e reverenza, come a' padri, ho voluto conoschino ancor te, e ti conoschino in luogo di iisrliuolo, e pos- sinti comandare in ogni tempo e luogo, come potre'io, perche non altrimenti gli obbedirai, e che potendo loro disporre di tutte le facolta, stato, e fieliuoli mia, tale quale tu se', ti presenti loro come )or cosa, e cosi ne disponghino ad ogni loro beneplacito. In questi eiTetti userai le parole tue bene accomodate, naturali et non forzate, et non ti curare di parere a costoro troppo dotto, usando termini umani, dolci e gravi, e con costoro, e con ciascun altro.

Avrai la lista n' alcuni cittadini Sanesi, i quali avendo tempo, a.ncora visitai, usando le parole e gli eiTetti sopradetti^ et offerendo mc coei ai tre di scpra, come agli altri per la conscrvazione del loro stato, per lo quale farei, come per lo mio proprio> massime per- che tutta la citta nostra general.mente e in questa dis- posizione, offerendomi e raccomandandomi a ci^s- cuno.

Ne' tempi e luoghi, dove concoiTeranno gli altri giovani degl' Imbasciatori, portati gravemente, e cos- tumatamente, e con umanita verso gli altri pari tuoi, guardandoti di non preceder loro se fossino di piu eta di te, poiche per esser mio figliuolo, non sei pero

altro,

APPENDIX. NO LXIV. 331

altro, che cittadino di Firenze, come sono ancor loro, ma quando poi parra a Giovanni di presentarti al Papa separatamentC; prima informato bene di tutte le ciri- monie, che si usano, ti presenteria alia Sua Santita, et, baciata la lettera mia che avrai di credenza al Papa, supplicherai, che si c^egni leggerla, e quando ti toc- chera poi a parlare, prima mi raccomandcrai a' piedi di Sua Beatitudine, e diragli, che io conosco molto bene, ch' era obbligo mio personalmente conferirmi a piedi di Sua Beatitudine, come feci alia Santissima memoria del Predecessore di quella ; ma spero in quella per umanita sua mi avera per scusato, perche in quel tempo, che andai a Roma, potevo lasciare a casa mio fratello, ch' era di qualita di poter supplire molto bene in mia assenza ; al presente non posso lasciare a casa uomo di piu eta autorita, che sei tu, e pero credo non sai-ebbe grato a Sua Santita, che io avessi preso partito di andarvi, ma che in mio luogo ho mandato te, non mi parendo di poter fare maggior segno del desiderio che avrei d' esser andato in persona. Ho mandato te oltre ie altre ragioni, perche tu cominci a buon'hora a conoscer la Sua Beatitudine per Padre e Signore, at abbi cagione di continuare in questa devo- zione piu lungo tempo, nella quale nutrisco anco gli altri mia figliuoU, i quali non vorrei avere, quando non fossino di questa disposizione. Appresso farai intendere a Sua Santita, come io ho fermo proposito di non mi partir mai dai comandamenti di quella, per- che oltre air essermi naturale la devozione della S. Sede Apostolica, a quella di Sua Beatitudine mi cos- tringono molte ragioni et obbligationi, che insino quando era in minoribus la casa nostra aveva con la persona di quella : oltre di questo ho provato quanto

dam:io

333 APPENDIX. NO LXIV.

danno mi sia stato il non avere avuto grazia col Pon- tefice passato, sebbene a me pare senza mia colpa aver sopportate molte- persecuzioni, e piuttosto per altri mia peccati, che per altra ingiuria o offesa fatta alia Sua Santa memoria. Pura lascio questo al giu- dizio degli altri, e sia come si vuole, io sto in fermo proposito non solamente non offendere in alcmia cosa Sua Beatitudine, ma pensare il di e la notte a tutte le cose, che stimi potergli esser grate : et cosi facendo spero V allegrezza e contento, che ebbi delP assunzione di Sua Beatitudine al Pontificato, doversi lungo tempo conservare in me, suppUcando umilmente Sua Beatitvi- dine, che si degni d'accettar me, e voi altri mia figliu- oli, et ogni altra mia cosa per umiii figliuoli et servi- tori suoi, et conservarci nella sua grazia, massime perche io e voi ci sforzeremo con V opere nostre farci ogni di manco indegni della grazia di Sua Beatitu- dine.

Appresso farai intendere a Sua Santita, che aven- dogli tu raccomandato me, ti sforza I'amore di tuo fratello raccomaadargli ancor Messer Giovanni, il quale io ho fatto Prete, e mi sforzo e di costumi e di lettere nutrirlo in modo, che non abbia da vergognarsi fragli altri. Tutta la speranza mia in questa parte e in Sua Beatitudine, la quale avendo cominciato a fargli qualche dimostrazione, per sua umanita e clemenza, d' amore, e che noi siamo nella sua grazia, suppli- cherai si degni continuare per modo, che alle altre ob- bligazioni della casa nostra verso la Sede Apostolica s' aggiunga questo particolare di Messer Giovanni per i benefizj che avra da S. Beatitudine, ingegnandoti con queste et altre parole raccomandarglielo, e met-

terglielo

APPENDIX. NO LXIV. 333

terglielo in grazia piu die tu puoi ; e questo mi pare che basti col Papa. Harai mie lettere di credenza per tutti i Cardinali, le quali darai o no secondo parra a Giovanni. In genere a tutti mi raccomanderai, e dirai come tu se' ito a Roma, perche oltre alia servitu mia, Loro Reverendissime Signorie conoschino in chi lia a continovare la servitil di casa nostra, e nossinti comandare et usare, come possono tutte 1' altre mie cose, offerendoti ec. Questo farai con tutti general- mente, ma in specie cogl' infrascritti quel piu che diro appresso, e prima.

Col Cardinale Visconti dirai, che quando mai non fossi Cardinale, la casa nostra ha obbligationi antique e natural! con tutta la sua Illustrissima casa, e che tu te gli dai a conoscere per mio figliuolo, naturale Sfor- zesco, e vero servitore di Sua Signoria Reverendissi- ma, e con queste condizioni ti comandi sempre, e do- mesticamente ti tratti, et abbi per suo servitore, che cosi nascon tutti quegli di casa nostra.

Col Cardinale d'Aragona dirai che avendo io tutta la mia speranza e fede nella Maesta del Re suo padre, il debito tuo, come mio figliuolo e di presentarti a Sua Sig. Reverendissima, e dartegli per servitore ancora per particolare obbligo che abbiamo con Sua Signoria Rma. e che tu e gli altri mia figliuoli oltre a molti altri benefizj ricevuti dalla Maesta del Re, non dimen- ticherete mai quello dell' onore, che mi fece a Napoli ultimamente, e dell' avermene rimandato a casa nel modo che fece, e che tu pensi molto bene, che condi- zioni erano quelle di voi altri mia figliuoli, quando fossi seguito altro, e pero per quest' obbligo massima- voL. III. :jv X mente

SM APPENDIX. NO LXIV.

mente Sua Rma. Signoria e tutti gli altri figliuoU della Maesta del Re possino venderti Sc impegnarti e fame in eftetto come di lor cosa.

Col Cardinale Orsino dirai, ch' io t' ho maftdato la, perche vegga come le piante di casa loro provino ne*^ terreni nostri, e che frutti ci fanno, e che tal qual sono, ne mando le primizie a Sua Signoria Rma. e sebbene tu non sei degno figliuolo di casa Orsina, pure, come tu sei, vuoi essere servitore di Sua Signoria Rma. alia quale come a capo della casa ti presenti pronto e dis- posto in quel che potrai in tutta la vita tua, a pagar V obbligo, che hai con quella inclita casa, il quale non puo esser maggiore, avendo tu avuto da quella V essere, e per questa medesima ragione ti par dovere impetrare da Sua Signoria Rma. come capo ec. e che abbia ad aver cura di te, e tenerti le mani addosso, perche dell' onore 8c incarico tuo non ne harebbe per manco parte S. R. S., che io tuo padre, raccomandogli la Clarice, e tutti gli altri tuoi fratelli e sirocchie, ec.

Con quel Cardinali, che per qualche capo fossero parenti di casa Orsina, come credo sia Savelli, Conti, e Colonna, userai qualche parola piu domestica, mos- trando che oltre agli altri obblighi, che intendo io avere con loro Rme. Signorie, e questo, che Dio ci ha fatto grazia, che siamo parenti delle loro indite case, la qual cosa reputiamo tra' maggiori ornamenti della casa nostra. A Monsignore nostro 1' Arcives- covo di Firenze mostrerai tutta questa istruzione prima che cominci ad eseguirla in alcun luogo ; la quale secondo V eta tua e molto breve, e questo nasce perche ho speranza, che Sua Signoria supplira, come meglio

inform ata

APPENDIX. NO LXIV. S3i

informata e piu piiidente, certificandola, die io non dico questo per cerimonie, ma pel vero, e pero fa.piu e manco quello che ti dira Sua Signoria, come se io proprio te Io dicessi. Ad ogni modo visiterai tutti quei Signori di casa Orsina che fossero in Roma usando ogiii riverente termine, & raccomandandomi a Loro Signorie, & oiferendoti per figliuolo e servitor loro, poiche loro si sono degnati, che noi siamo loro parenti, del qual obbligo tu sei quello, che n' hai la map:tior parte per essere tanto piu degnamente nato, e pero ti sforzerai giusta tua possa di pagarlo almanco con la volonta. Io ti mando con Giovanni Tornabuoni, il quale in ogni cosa hai ad obbedire, ne presumere 4i far cosa alcuna senza lui, e con lui portandoti modesta- mente, & umanamente con ciascuno, e soprattutto con gravita, alle quali cose ti debbi tanto piu sforzare, quanto 1' eta tua Io comporta manco. E poi gli onori e carezze, che ti saranno fatte, ti sarebbon d' un gran pericolo, se tu non ti temperi, e ricordati spesso chi tu sei. Se Guglielmo o i suoi figliuoli o nipoti venis- sero a verderti, vedigli gratamente, con gravity, pero e modo, mostrando d' aver compassione delle loro con- dizioni, e confortandogli a far bene, e sperar bene fa- cendolo. Se paresse a Monsig. nostro Arcivescovo, che tu ti trasferissi in qualche luogo fuora di Roma per visitare qualche Signore di casa Orsina, puoi farlo, Sc ubbidire Sua Signoria in questa 8c in ogni altri cosa, come dico di sopra, non altrimenti che facessi a mc proprio. A Guglielmo dirai, che avendogli scritto la Bianca a stanza mia e di Bernardo Rucellai, che vogli compiacergU del Canonicato di Pisa per poter fare eerta commutazione a suo proposito, sia contento

farlo,

S36 APPENDIX. N^ LXIV.

farlo offerendogli Bernardo massime di salvarlo, e sicu- i*ar]^ in quel migiior modo che sapra chiedere, stringen dolo poi con le parole a questo effetto.

NO LXV. Ad Archangelum Vicentinum Pair em et Concanonicum*

Quanta ordine Joannes Medices Cardinalatds accefiit insig- nia,

JVIaXIMUS annus videri tibi potest, ex quo ad tc nil scripsi, Pater Archangele, et mc quidem negligen- tiae atque torporis etiam accuso, ut facilius veniain a te pronierear ; quam si non dederis, neque censuram tam formido, quam amo amicissimam et aequissimam tuam. Meo tamen ex animo efiiuere nunquaiii sane potuit, neque ullo tempore poterit sancta et suavis- sima recordatio tui, etsi pepercerim calamo tam diu, nulla se mi hi offe rente vel occasione, vel causa scri- bendi. Verum me dormientem excivit res modo, quara (ut puto) tu libenter Archangele sis auditurus : qui non parvam vitae partem egisti Fesulis, et inclytam Mediceorum familiam excoluisti, illis prope vernacu- lus, semperque charissimus. Res plane haec est, ut tibi aliquanto notescant, quae sunt apud nos acta quo die Joannes Medices, Laurentii magni filius, Cardinal- at"s accepit insignia: cujus rei ordinem, mysteria, plausus, publicam laetitiam, liberalem impensam, lauta ambitiosaque convivia enumerare, atque describere facundissimi Oratoris, vel Historici opus utique sit : '«ed grandiloquo aeque Poetae res tanta convenerit.

Ego

APPENDIX. NO LXV. 337

Ego ingenue fateor, me a tanto facinore vinci, qui etiamsi velim, neque rei illustranclae satis posseni operae, temporisque navare, sacris quadragesimae sanctae mysteriis in aliud nie revocantibus. Verum enimvero in breviarum quoddam potlora attamen stringam, ne palatum incassum tibi exacuerim. Cum itaque Joannes hie Medices quintumdecimum aetatis annum tantum agens Cardinalis declaratus est, turn Pontifex et sacri Patres voluerunt impuberem ilium tanti ordinis administratione insignibusque ad trienni- um usque carere : quo tantisper et moribus et doctri- nis coalesceret, atque proficeret, et viilute ac sapien- tia mactus, tanto fastigio, tantarumque rerum suscep" tione dignus evaderet. Venit, Deo ilium servante, optatus hie dies, plenitudoque triennii. Suscepturus itaque haec ornamenta, quae diximus. Pallium scilicet, Biretum, ardentem Pileum, desponsationis Annulum, pridie quam talibus iniciaretur, ad nos post meridiem Fesulas conscendit, parvo suorum admodum comitatu, et humili, ac simplici cultu. Postridie affuit mane Joannes Picus Mirandula noster, et Jacobus Salviatus Cardinalis Sororius, ac Simeon Staza notarius : cum quibus hora diei circiter sexta de cubiculo egressus sacer adolescens templum intravit. Ubi primum in Virginis laudem (Sabbatum enim erat, dies Virgini vetere religione dicatus) ritu can tuque solenni agl coepit ea res sacra, quam vulgo dicimus Missam : in qua cum prius sacrosanctum ego Domini corpus san- guinemque libassem, tum ille ante Aram in genua flexus concommunicavit singulari humilitate, et quan- tum agnosci poterat, devota quidem mcnte, et erccta semper in Deum. Peracta re sacra vestimenta mox a me quoque sunt benedicta : postea vero sublata manu

builam,

338 APPENDIX. NO LXV.

bullam, bfeveque Pontificis Maximi tenens, ilium hunc in modum affatus equidem sum. " Quod tibi ecclesia " sanctae Dei patriae, Generique tuo foelix salutare- " que sit, hodie Joannes Medices decursum est trien- " nium Cardinalatui tuo per banc bullam, breveque *' praefixum. Legant qui volunt. Servata sunt om* " nia : de quibus tu Simeon publicam tabellam, testi- « moniumque conficito." Subinde pallio a me induc- tus est, ita precante, " Induat te Deus novum homi- " nem, qui secundum Deum creatus est in justicia et " sanctitate veritatis." Biretum denique, Galerum, Annulumque porrexi his rursum cum verbis, " Haec " sunt decora dignitatis subiimis tuae a Sede aposto- " lica tibi tradita atque concessa : quibus quamdiu " vixeris, ad Dei laudem, tuique salutem utinam sem- " per utare." Quibus ita pei^actis, Hymnum, " Veni " creator spiritus," canoris vocibus ante Aram Fra- tres cecinere. Postremo quantam Cardinalis singulus potest indulgentiam, elargitus astantibus, et idem visi- tantibus altare eodem die quotannis, rediit nobiscum in domum. Paulo post prandium Petrus frater cum paucis en affuit, delatus sonipede mirae ferocitatis, ac magnitudinis, auratis bracteis quaque fulgente. A porta interea Sancti Galli, qua itur Fesulas, tanta effusa equitum ac peditum manus, ut plena undique via nulli contra in urbem eunti transitum cederet. Quae omnis multitudo sistere jussa est ad Munionis pontem, nee datum uUi quidem cis pontem, amnem- que transire. At vero rebus caeteris ex constituto dis- positis, descendit ille cum fratre, trajectoque flumine exceptus est medius inter Pontifices, Prothonotarios, alios praelatos, ac primores urbis cives, et ambitiosissima pompa deductus in urbem per viam majorem, quae ad

aedes

APPENDIX. NO LXV. 339

aedes ducit suas. Qui cum pervenisset ad Virginis Nun- tiatae basilicam, mula descendens, ad illius humiliter se constravit aram, pro se orans voce summissa, Inde ad Divae Liparatae templum profectus pari modo sic est opem gratiamque precatus : Denique in lares se recepit quos habitat suos. Ubi ferme tota in unum conspecta est civitas ita frequens ut non via modo, sed fenestrae et tecta ipsa vix caperent prospectantes. In sequentem vero noc- tem jugis in plateis, inque turribus et pinnis ignes collu- centes illuminarunt veluti diem, et conclamantium vocibus ominifariisque tinnitibus, atque crepitibus aether semper insonuit, ut obliti sint homines somnos hac tanta laetitia, inspectumque sit quanti faciat Reipublicae servatorem et columen gratissima civitas. Haec dixisse extempore sit mihi satis : seriem alius copiosius ornatiusque conscrip- serit. Vale atque ora ut ista sint fausta. Fesulis pridie idus Martias.

NO LXYI.

Lorenzo de^ Medici Padre, A Messer Giovanni de^ Medici Card.

JVIESS. Giovanni : Voi sete molto obbligato a Mess. Domenedio, e tutti noi per rispetto vostro, perch^ oltra a molto beneficj 8c honori, che ha ricevuti la casa nostra da lui, ha fatto che nella persona vostra veggia- mo la maggior dignita, che fosse mai in casa ; & an- cora che la cosa sia per se gi*ande, le circostantie la fanno assai maggiore, massime per 1' eta vostra 8c conditione nostra. Et pero il primo mio ricordo e, chi vi sforziate esser grato a M. Domenedio, ricordan-

dovi

340 APPENDIX. NO LXVI.

dovi ad ogn' hora, che non i merlti vostri, prudentia o sollecitudlne, ma mirabilmente esso Iddio v' ha fatto Cardinale, Sc da lui lo riconosciate, comprobando questa conditione con la vita vostra santa, esemplare, & honesta, a che siete tanto piu obbHgato per havere voi gia dato qualche opinione nella adolescentia vostra da poterne sperare tali frutriv Saria cosa molto vitu- perosa, k fuor del debito vostro Sc aspettatione mia, quando nel tem}X) che gli altii sogliono acquistare piu ragioiie Sc miglior forma di vita, voi dimenticaste il vostro buono instituto. Bisogna adunque, che vi sfor- ziate alleggerire il peso della dignita che portate, vi- vendo costumatamente, et perseverando nelli studj convenienti alia professione vostra. L' anno passato io presi grandissima consolatione, intendendo, che senza che alcuno ve Io ricordasse, da voi medesimo vi confessaste piu volte et communicaste ; ne credo, che ci sia miglior via a conservarsi nella gratia di Dio, che lo abituarsi in simili modi, et perseverarvi. Questa mi pai-e il piu utile et conveniente ricordo che per lo prlmo vi posso dare. Conosco che andando voi a Roma, che e s.entina di tutti i mali, entrate in maggior difficulta di faro quanto vi dico do sopra, perche, non solamente gli esempj muovono, ma non vi mancheran- no particolari incitatori et corruttori ; perche, come voi -potete intendere, la promotione vostra al Cardinalato, per 1' eta vostra et per le altre conditione sopradette, arreca seco grande invidia, et quelli, che non hanno potuto impedire la perfetione di questa vostra dignita, s' ingegneranno sottilmente diminuirla, con denigrare 1' opinione della vita vostra, et farvi sdrucciolare in quella stessa fossa, dove essi sono caduti, confidandosi molto debba lor riuscire per 1' eta vostra. Voi dovete

tanto

APPENDIX. NO LXVL 341

tanta piii opporvi a queste difficulta qiianto nel Col- legio hora si vede manco virtu : et io mi ricordo pure havere veduto in quel Collegio buon numero d' huomi- ni dotti et buoni, e di santa vita : peru e meglio se- guire questi esempj, perche facendolo, sarete taiuo piu conosciuto et stimato, quanto 1' altrui conditioni vi distingueranno dagli altri. E' necessario die fuggiate, come Scilla et Cariddi, il nome della hipocrisia, et come la mala fama, et die usiate mediocrita, sforzan- dovi in fatto fuggire tutte l.e cose, che oiVendono in di- mostrazione, et in conversatione, non mostrcindo aus- terita, o troppa seveiitd ; che sono cose, le quali col tempo intenderete et farete meglio, a mia opinione, che non le posso esprimere. Voi intenderete di quanta importanza et esempio sia la persona d' un Cardinale, et che tutto il mondo starebbe bene se i Cardinali fussino come dovrebbono essere ; perciocche farebbono sembre un buon Papa, onde nasce quasi il riposo di tutti i Christiani. Sforzatevi dunque d' essere tale voi, che quando gli altri fussin cosi fatti, se ne potesse aspet- tare questo bene universale. Et perche non e maggior fatica, che conversar bene con diversi huomini, in questa parte vi posso mal dar ricordo, se non che ■y' ingegnate, che la conversatione vostra con gli Car- dinali et altri huomini di conditione sia caritativa et senza offensione ; dico misurando ragionevolmente, et non secondo 1' altrui passione, perch^ moiti volendo quello che non si dee, fanno della ragione ingiuria. Giustificate adunque la conscientia vostra in questo, che la conversatione vostra con ciascuno sia senza offensione ; questa mi pare la regola generals molto a proposito vost o, perche quando la passione pur fa qualche inimico, come si partono questi tali, senza VOL. tii. Y y ragione,

342 APPENDIX. NO LXVL

ragione, dalP amicitia, cosi qualche volta tornano facil- mente. Credo per questa prima andata vostra a Roma sia bene adoperare piu gli orecchi che la lingua. Hog- gimai io vi ho dato del tutto a M. Domenedio, et a S. Chiesa ; onde e necessario, che diventiate un buono Ecclesiastico, et facciate ben capace ciascuno, che amate 1' onore et stato di S. Chiesa, et della Sede Apos- tolica innanzi a tutte le cose del mondo, posponendo a questo ogni altro rispetto ; ne vi manchera m^odo con questo riservo d' ajutare la citta et la casa ; perche per questa citta fa 1' vmione della Chiesa, et voi dovete in cio essere buona catena, et la casa ne va colla citta. Et benche non si possono vedere gli accidenti che ver- ranno, cosi in general credo, che non ci habbiano a mancare modi di salvare, come si dice, la capra e i cavoli, tenendo fermo il vostro primo presupposto, che anteponiate la Chiesa ad ogni altra cosa. Voi siete il piii giovane Cardinale non solo del Collegio, ma che fusse mai fatto infino a qui ; et pero e necessario, che dove havete a concorrere con gli altri, siate il piu sol- lecito, il piu humile, senza farvi aspettare o in Cap- pella, o in Concistoro, o in Deputazione. Voi cono- scerete presto gli piu e gli meno accostumati. Con gli meno si vuol fuggire la conversatione molto intrin- seca, non solamente per lo fatto in se, ma per 1' opi- nione ; a largo conversare con ciascheduno. Nelle pompe vostre lodero piu presto stare di qua dal mode- rate che di la ; et piii presto vorrei bella stalla, et famiglia ordinata et polita, che ricca et pomposa. Ingegnatevi di vivere accostumatamente, riducendo a poco a poco le cose al termine, che per essere hora la famiglia et il padron nuovo non si pud. Gioje e seta in poche cose stanno bene a pari vostri. Piu presto

qualche

APPENDIX. NO LXVI. 845

qualche gentilezza di cose antiche et belli libri, et piu presto famiglia accostumata et dotta che grande. Con- vitar piu spesso che andare a conviti, ne pero superflua- mente. Usate per la persona vostra cibi grossi, et fate assai eseixitio ; perche in cotesti panni si viene presto in qualche infermita, chi non ci ha cura. Lo stato del Cardinale e non manco sicuro che grande ; onde nasce che gli huomoni si fanno negligenti, parendo loro haver conseguito assai, et poterlo mantenere con poca fatica, et questo nuoce spesso et alia conditione et alia vita, alia quale e necessario che abbiate grande avver- tenza ; et piu presto pendiate nel fidarvi poco, che troppo. Una regola sopra 1' altre vi conforto ad usare con tutta la soUecitudine vostra ; et questa e di levarvi ogni mattina di buona hora, perche oltra al conferir molto alia sanita, si pensa et espedisce tutte le fac- cende del giorno, et al grado che havete, havendo a dir 1' ufficio, studiare, dare audientia ec. ve '1 trovarete molto utile. Un' altra cosa ancora e sommamente nesessaria a un pari vostro, cioe pensare sempre, et massime in questi principii, la sera dinanzi, tutta quello che havete da fare il giorno seguente, acciocche non vi venga cosa alcuna immeditata. Quanto al par- lar vostro in Concistorio, credo sara piii costumatezzaj et piu laudabil modo in tutte le occorrenze, che vi si proporranno, riferirsi alia Santita di N. S. causando, che per essere vol giovane, et di poca esperientia, sia piu ufficio vostro rimettervi alia S. S. et al sapientissi- mo giuditio di quella. Ragionevolmente voi sarete richiesto di parlare et intercedere appresso a N. S. per molte specialita. Ingegnatevi in questi principj di richiederlo manco potete, et dargliene poca molestia, che di sua natura il Papa e piu grato a chi manco gli

spezza

344 APPENDIX. No LXVL

spezza gli orecchi. Questa parte mi pare da osservare per non lo infastidire ; et cosi 1' andargli innanzi con cose piacevoli, o pur quaiido accadesse, richiederlo con humilt I et modeslia doveri sodisfargU piu, et esser piii secondo la natui-a sua. State sano : di Firenze.

NO LXVII.

Laurentio de^ Medicis Florentiae* Servitor Stefihanus, Fabr, x». ii. p, 296»

JMaGNIFICO Lorenzo. Per un' altra mia scrittavi hiersera la M. V. hara inteso V ordine si tenne hier- mattina qui all' entrare di Madonna Duchessa. Per questa vi ho da significare come questa mattina si e fatto al sponsalitio, et udito la Messa del congiunto nel Duomo ; e stato una bellissima et dignissima cerimo- nia, come qui appresso intendera la M. V. In prima si fece codunare tutta la Corte et gentilhuomini in Castello. Dipoi alle 15. hore il Sig. Duca, il Sig. Messer Lodovico, et tutti li altri Baroni et Signori ci sono, andarono a levare Madonna Duchessa di camera et ognuno monto subito a cavallo, et inviatosi fuori di Castello a coppia, all' ultima porta era uno baldachino di damaschino bianco con P arma del Sig. el quale fu portato da circa 40. dottori, tutti vestiti di raso cher- misi et scarlatto con certi letitii al coUo, et la berretta era madesimamente con una piega di letitii. II Sig. Duca, et la Exc. di Madonna entrorno sotto detto bal- dachino, et cosi ne andorno di coppia insino al Duo- mo-

APPENDIX. NO LXVII. 345

mo. Giunti la, si canto la Messa co' cantori del Sig., et il Vescovo di Piacenza la disse. Finita che fu, il Vescovo Sansoverino fece le parole molto accomodata- Tnente. Dipoi il Sig. decte lo anello alia Exc. di Ma- donna. Fatte che furono tutte queste cose lo Illmo. Sig. Duca fece Cavaliere il nostro Piero AUamanni, et il Magnifico Mess. Bartolommeo Calcho : a Piero dono una vesta di broccato a oro ricca et bella quanto dir si possa, et lo acto e stato molto honorevole. Messer Galeazzo et il Conte di Cajaza li messero li speroni et cinsero la spada. Dipoi tutta la brigata monto a cavallo, et ritornossi a Cr^stello con grandis- sima festa et triompho, et secondo il computo fatto da chi era presente vi si trovo de' cavalli 500. In prima vi fu annoverato 35 regole tra Frati e Preti, che anda- rono innanzi a tutta la corte insimo al Duomo. 60 Cavalieri tutti vestiti di broccato a oro con le collane. 50 donne, 28 vestite di broccato a oro con perle, gioje et collane assai. 62 trombetti, 12 pifferi. Da Castello al Duomo sone 1200. passi, che di sopra era coperto di panni bianchi, et le mura da ogni banda coperte di tape- zerie et con festoni di ginepro et mele arancie, che mai vedesti la piu bella cosa. Di poi tutti li usci et finestre erano piene di fanciulle et donne vestite ricchissima- mente, et per obviare al tumulto del popolo tutti e canti della strade, che mettevano in questa principale, dove s' andava, erano sbarrati, et alia guardia di ogni canto erano da dieci in dodici provisionati. In sulla piazza del Duomo stetter del continuo 200. stradiotti et balestrieri a cavallo : ogni cosa e ita molto ordinata- mente in modo non e nato uno minimo scandalo, che e non piccola maraviglia per la grajide et innumerabile multitudine, che e in questa citta. E' vero che circa

V arme

346 APPENDIX. NO LXVII.

V arme si e usato extrema diligentia per farle porre giu a ogni persona dalli nostri in fuori, che sempre 1' hanno portate per tutto.

La Exc. del Duca havea in dosso una vesta di broc- cato a oro col riceio tanto ricca et bella quanto dire si possa ; nella berretta havea una punta di diamante con una perla grossa piu che una nocciuola tonda di gran- dissimo valore : al petto havea uno pendente con uno balasso, et di sopra uno diamante, cosa veramente excel* lentissima.

La Exc. di Madonna Duchessa era ancora lei vestita di broccato, et havea certa ghirlanda di perle in capo con certe gioje molto belle, et cosi vi era molte altre donne vestite ricchissimamente : non scrivo el nome loro per non lo sapere.

Messer Annibale havea una vesta di broccato a oro divisa con certe liste di velluto nero, et nella rimboc- catura dinanzi al petto vi era un' aquila di perle che stava gentilmente, ma non era molto ricca, piuttosto si poteva chiamare polita. II Sig. Lodovico et il Sig. Galeotto, et il Sig. Ridolfo con tutti questi altri Sfor- zeschi erano etiam vestiti di broccato, et i piu si accor- dano ci sia stato de vestire da 300. in su, tra di argento «t di oro. Di velluto et raso non vi dico nulla, perche insino a chuochi ne erano vestiti.

La vesta del nostro Piero col broncone e suta tenuta cosa admiranda, et secondo il judicio mio ha abbattuto ogni altra. Hoggi questi Signori hanno mandato per epsa, et 1' hanno voluta vedere, et molto bene exami-

nare,

I

APPENDIX. NO LXVII. 347

nare, et in effetto ognuno ne sta maravigliato. lo cog- Dosco havere scripto confuso et senza ordiiie : a bocca poi, piacendo a Dio, suppliremo piu diffusamente et con maggiore otio, che non posso fare al presente per havere a cavalcare a Corte con Piero. Altro non mi occorre. Raccomandomi sempre alia Magnificenza vostra. Medio*- lani die 2. Februarii 1488.

NO LXVIII.

Angelas Politianus Laurentio Medici Patrono Suo S.

OAPIENTER ut cetera Laurenti facis : qui sanctos istos extremae quadragesimae dies consumere in Agnano tuo malueris, quam Florentiae. Quis enim tutior portus, in quern de tantis occupationum fluctibus enates, quam tyrrheni Uteris amoenissimus iste sinus atque secessus, ubi quasi quoddam naturae certamen sit, et gratiae. Sed ego quoque, imitatus exemplum, ceu fugitivus urbis, assiduus in Fesulano fui, cum Pico Mirandula meo, Coenobiumque illud ambo regularium Canonicorum frequentavimus, avi tui sumptibus ex- tructum. Quin Abbas in eo Matthaeus Bossus, Vero- nensis, homo Sanctis moribus, integerrimaque vita, sed et litteris politioribus mire cultus, ita nos humanitate sua quadam tenuit, et suavitate sermonis, ut ab eo digressi mox. Ego et Picus, soli propemodum relicti (quod antea fere non accidebat) nee esse alter alteri jam satis videremur. Hoc ille arbitror sentiens Dialogum nobis a se compositum de salutaribus animi gaudiis obtulit, quasi vicarium, cujus materia stilusque nos ita cepit, ut quam diu quidem legebamus, facile auctoris

praesentia

348 APPENDIX. NO LXVIIL

praesentia careremiis. Eum ii^itur ego Dialogum mitto ad te quoque, Laurenti, quern subter piiieta ista legas, ad aquae caput. Delectaberis arbitror argumento, sen- sibus, indole, nitore, varietate, copia : nee in eo tamen domesticas quoque laudes desiderabis. Ac si tuis hue etiam accesserit calculus, dabitur opera protinus, lit in multa liber exemplaria transfundatur. Vale.

N<^ LXIX. Matthaei Bossi ad Laur, Medicem,

De transmisso Dialogo^ Efiist,

JJe quo Politianus noster scripsit ad te inclyte Me- dices, Dialogus noster impressus est quern ego edidi quo anno Cosmus Paternus tuus Avus ad superna subla- tus terris excessit. Inde ille ad haec tempora usque obscurus jacuit, et nisi religiosis hominibus nostris ulli vix cognitus. Refrixerat enim in me calor ille et primus amor, qui quemque afficit ut sua initia praema- turosque labores amet etiam immodice, cum is interea ita dimissus sua veluti sponte se tollens perfugit in sinura lo. Pici Mirandulae, et ejus Politiani quern dixi, qui praeclarum sibi ocium et a frequenti turba recessum nostro sacro in Fesulano saepe captabant : Viri ambo admirandae doctrinae atque virtutis, et studiosissimi splendoris et magnitudinis tuae, quinetiam neque mihi non dediti ; qui opus complexi hospitioque dignati non antea destiterunt et curare et agere, quam uno ex stipite sexcenti vel surculi ducti ; quorum unus imprimis tibi Laurenti destinandus fuit faustiore tanquam auspicio. Cujus frons hilaris sublandietur primum forsitan tibi,

cum

APPENDIX. NO LXIX. 349

cum titulum audies De veris et salutaribus animi gaudiis. Deinde cum rimari perrexeris corpus, et mem- bra deprehendes ubi solidae inanisque laetitiae fines sint positi, teque ipsum adhuc peregrinantem a caelo interque vitae mortalis erumnas fluitantem, ut puto, solabere recte factorum et foellcissimi ac sempiterni aevi praegustata laetitia, si tamen res tanta a me potuit per- poliri satis ac iliustrari. In quo neque modestissimi et pii animi tui censvu^am vereor, quem sincera albaque Veritas delectare magis quidem solet, quam fucus et falera. Ex his itaque ilium quem tibi transmittimus lautius cultum gratioremque indole non dedignabere Laurenti suscipere; cui hie ludus est, et Avitus et proprius, ut magna largiri , sic nee parva oblata contemnere. Regum profecto opus, si non Dei magis, cui tuenti moderan- tique omnia, ut sane possunt, debent reges et amplissimi viri esse persimiles. Vale laetus Deo ac patriae vive.

NO LXX.

Petrus Bonus Avogarius Artiiim Medicinae Doctor, Laurentio Medici Florentiae,

JVIaGNIFICE ac potens domine, domine mi singula- rissime salutem perpetuam, &c. lo ho receputo una lettera di V. M. dal Magnifico Messer Aldovrandino Oratore del Duca di Ferrara, et ho inteso quanto me scrive V. Exc. sopra el facto del remedio desidera have re perfecto in doloribus juncturarum, particular] z- zando la cosa, quando e come, &:c. Dico, che primo VOL. III. z z et

350 APPENDIX. NO LXX.

et ante omnia V. M. deve fare qualche purgatione in- nanti la primavera, cioe innanti sia mezzo Marzo, et poi se que 11a sentisse qualche movimento di doglia, se unza con quella unzione, facta segondo el modo chio scrips! a Mes. Aldovrandino, el quale a V. M. appresente la vicepta ; facto questo cessera la doja, quando venisse, et non vegnendo, puote aliquando pigliare qualche me* dicina che purgasse la materia peccante. La medicina mia si e uno confecto facto in forma solida descriptione mesne, che si chiama ellescof, et bisogna pigliarne mezza onza alia volta la mattina nel levare del sole, et fare cussi una volta el mexe, maxime quando V. Ex. sentisse qualche doglia. Per >fare autem, che non ritorni, bisogna havere una preda, che si chiama eli- tropia, e ligarla in anello di oro in modo, che tucchi la carne, e bisogna portare nel dito anulare della man stanca ; fazendo questo non retornera mai la doglia arctetica, o podagrica, perche ha proprietate occulta et a forma specifica, strenze li humori non vadino alle zonture ; ego autem hoc expertus sum in me. Et- enim divina res et miraculosa. Post hoc interim re- trovaro in questa esta del mese de Agosto el celidonio, che e una preda rossa, che nasce nel ventre della ron- dana, e mandarollo a V. M. che el lighera in panno di lino, et cuseralo sotto la sena stancha al zipone, che tucchi la camisa, et fara simile operatione come fa la preda elitropia antedicta, et cussi, Deo Duce, V. M. sara libera e sicura da ogni dolore de zonture. In questo proposito Messer Aldovrandino etiam parlera, cum V. M. et informera quella ad plenum. Azo che V. Exc. intenda de cose molte future, li mando el juditio mio dell' anno 1488. ligato cum la presente, et

are com-

APPENDIX. NO LXX. 351

arecomandome mille volte alia Exc. V. la quale Dio

conservi in stato felicissimo. Ex Eerrara die 11. Febr. 1488.

NO LXXI.

Laurentio cW Me die is.

Ludoxucus et Chechiis Ursiua,

JViAGNIFICO et colendissimo Laurentio nostro ; siamo certi che la INI. V. prima che ora, sara, stato ad- visato della morte di questo iniquo et maledetto, non vogiio dire N. S. che non meritava essere. Ma per satisfare in parte al debito nostro, benche prima non se sia possuto, cie parso, considerato la temeraria sua presuntione et bestialita, che habbi havuto tanto ardire, che se sia voluto inbrattare nel sangue di quella Mag- nifica et Excelsa Casa vostra, significarli la crudele morte, che li habbiamo fatto fare, et meritamente. La M. V. sappia come questo tiranno, ultra la famiglia sua di casa, tenea cento provisionati. Iddio ci ha in- spirati in modo, che non extimando periculo alcuno, quantunche li fosse grandissimo, et cie siamo mossi cum una firmissima deliberatione o de non tornare a casa, o veramente d' eseguire quanto habl)iamo facto, che considerando la grandissima guardia, che questo iniquo tenea, et non essere stato noi piu che 9. persone ad fare questo effecto, lo accusamo piuttosto ad una cosa divina che humana, como puo conjecturare la M. V. che exceptandone epso maledetto, et uno bari- ceilo di sua natura, non si e sparso pure una goccia di sangue ; cosa da non credere. Questa Comunita non

se

352 APPENDIX. NO LXXI.

se poteria ritrovare de miglior voglia, et non poteria essere meglio unita insieme de quello e. Habbiamo voluto significare tutte queste cose alia M. V. perche quella grandemente e stata ojffesa, et siamo certi ne havera singular piacere. Nui non poteressimo mai significare a quella li soi poitamenti, ma per declararne in parte, sappia non solamente non amava li soi cit- tadini, ma non faceva exstima ne di Dio ne de' Santi : era bevitore del sangue de' poveromini, non attende^a mai promessa alcuna, finalmente non se amava che se medesimo. Avea conducto questa terra in una ex- trema necessita, et in modo die appena ci restava el fiato. Tandem e piaciuto all' Omnipotente Iddio liberare- questo nostro populo di mano di questo Nerone, et quello che volea fare a nui altri, Iddio ce lo ha prima facto fare sopra il capo suo, che non poteva piu sus- tinere tante insidie et malignita, quanto in epso reg- nava. Per li soi mali portamenti, et per amore della M. V. della quale siamo servitori, et per il bene della Repubblica, et per il nostro proprio interesse, habbiamo facto questo, che habbiamo liberato questo nostro populo dallo inferno. Pertanto preghiamo la M. V. che in questo nostro bisogno ci voglia prestare quello adjuto et favore, che speramo nella M. V. cum con- siliarse quanto habbiamo ad fare in questo nostro bisogno, offerendoce alia M. V. per quanto vagliamo ad ogni suo beneplacito, farli cosa grata. Ricomen- diamo di continuo a quella, quae bene valeat.

Et ad cio che in tutto quella resti satisfacta 1' ad- visiamo como di questa maledetta stirpe non se ne trovera mai piu radice. Et del facto delle rocche speramo che per tutto el di de oggi haverne una, et

1' altra

APPENDIX. NO LXXI. SSS

V altra assediarli in modo, che per forza bisognera, che pigli partito. Ex Foiiivio die 19. Aprilis 1488.

NO LXXII.

Magistro Francisco de Pistorio Ordinia Mi7ioVniiu

Poggiua Florenti7ius,

VeNERABILIS Pater. Pridem habui literas a te ex Chio duplicatas. Ante habueram alias, quibus res- pondi, et item scripsi ad praestantissimum virum An- dream Justinianum ; quas literas misi Cajetam, et inde relatum est, literas ad te missas per quandam navem Januensium. Eas existimo qiiamprimiim ad te delatum iri. In prioribus Uteris, ut primum rescribam ad ea, quae mihi cordi admodum sunt, scribis te habere nomine meo, hoc est, quae te ad me delaturum polliceris, tria capita marmorea eximii operis, unum Minervae, alterum Junonis, teriium Bacchi. Itaque scias me, receptis Ute- ris, magno gaudio affectum. Delector enim supra mo- dum his sculpturis : adeo ut curiosus earum dici possim. Movet me ingenium artificis, cum videam naturae ipsius vires repraesentari in marmore. Nunc vero scribis te habere caput Phoebi, et addis ad ejus excellentiam Vir- gilii versum,

Miros ducent de marmore vultua.

Nihil potes mihi facere acceptius, mi Francisce, quam si similibus sculpturis ad me onustus redieris : in quo meo animo morem geres, satisfaciesque quampluri- mum. Multi variis morbis laborant, hie praecipue me

tenet,

354 APPENDIX. NO LXXII.

tenet, ut iiimium forsan, et ultra quam sit docto viro satis. Admiror haec marmora ab egregiis artificibus sculpta ; licet enim natura ipsa excellentior sit iis, quae instar ejus fiunt ; tamen cogor admirari artem ejus, qui in re muta ipsam exprimit animantem, ita ut nil praeter spiritum persaepe abesse videatur. Itaque in hoc maxime incumbas, oro, ut coUigas, ac corradas un- dequaque, vel precibus, vel pretio quicquid ejusmodi magnum putes ; si quod vero signum integrum posses reperire, quod tecum afferres, triumpharem certe. Ad hoc advoca consilium Andreae nostri, cui etiam hac de re scribo : qui si mihi aliquid de suis miserit, bene foeneratum feret : id certe re ipsa experietur, se com- placuisse homini minime ingrato. Satisfaciam saltem Uteris beneficio suo, eumque celebrem reddam apud multos pro sua, si qua erit, in me beneficentia. Nam, quod centum ferme statuas integras scripsisti repertas fuisse Chii, in antro quodam, me diutius suspensum tenuisti varia cogitantem, quid sibi tot statuarum in eo loco voluerit congregatio. Cupiebam certe alas mihi dari, ut quantocius maria possem trajicere, ad ea signa inspicienda. Quid id sit, exquiras perdiligenter, et nihil omittas, quin his rebus suffultus venias, confi- dasque Poggium tuum pro hoc tuo labore diligentiaque tibi cumulate satisfacturum. Quod tamdiu fueris Chii, culparem, nisi capita ilia pro te causam egissent. Sed optimum consilium videtur, quod conferas te eo, unde frequentiores Alexandriam navigant. Unum te oro, ut in reditu naviges tuto mari, et navi tuta. De capitibus, quod scribis, gratum est ; sed omnia mihi devota et concessa existimabo. Cum aspexero imagi- nes illas, quae mihi rebus caeteris, te excepto, erunt

jucundiores,

APPENDIX. NO LXXII. 355

jucundiores, Pontifici, cum tempus se dabit, dicam quae videbuntur aptiora ad banc moram excusandam. Sed, ut dicere solebat Cato, Satis citb, si satis bene. Dixi Cypriano contribuli tuo, te bene valere, idem ut tuis significet rogans, quod se facturum recepit, cum primum scribet ad suos. Sed tamen scias Pistorii per- magnam fuisse pestem praeterita aestate. Quoniam scio te non esse pecuniosum, quicquid dandum esset pro his, et aliis capitibus, aut signis, pro adimplendo memoriali meo, sumas alicunde mutuo sub fide mea ; nam praesto tibi erunt in reditu tuo : quanquam co- gam quemdam Januensem, ut scribat istic Andreolo nostro, aut alteri, ut tibi vel xx. vel xxx. aureos no- mine meo tradat, si tibi fuerit opus pro emendis sculp- turis. Hos sume pro libito ; nam tibi praesto erunt, quemadmodum pollicitus est. Vale, et me Andreolo nostro commenda. Romae.

NO LXXIII.

Poggiiis Florentinus^ Suffreto^ Rhodi commoranti.

V IR insignis, existimo te fortassis miraturum, me hominem ignotum tibi longoque a terrarum tractu dis- junctum audere te aliquid rogare, ac si tibi magna consuetudine conjunctus essem. Sed cum videam te eisdem rebus delectari quas ego summo studio per- quiro, scio te mihi veniam daturum, si diligentiam tuam fuero imitatus, ut quae tu omni cura investigas, mihi quoque summe sentias placere. Dedi olim in

mandatis

356 APPENDIX. NO LXXIII.

mandatis egregio viro fratri Francisco Pistoriensi, ma- gistro in theologia, ad partes Graeciae proficiscenti ut diligenter inquireret, si quid signorum reperire pos- set, quae ad me deferret. Delector enim admodum picturis Sc sculpturis in memoriam priscorum excellen- tium virorum, quorum ingenium atque artem admi- rari cogor, cum rem mutam atque inanem veluti spi- rantem ac loquentem reddunt. In qviibus persaepe etiam passiones animi ita rtpresentant, ut quod neque laetari, neque dolere potest, simile tristanti ac ridenti conspicias. Scripsit mihi nuper Franciscus magnam copiam horum signorum te congregasse, et ilia prae- cipue quae fuerunt Garsiae, quorum et aliqua mihi descripsit. Hoc idem asseverabat modo mihi Petrus Laviola, thesaurarius religionis, vir mihi amicissimus. Quo cum de hujusmodi signis agerem, percunctarer- que, quomodo aliquid ex tuis habere possera, dixit mihi e vestigio, ut ad te scriberem, aliquidque postularem, te virum doctissimum esse atque humanissimum, ideo- que mihi quae pete rem non negaturum. Credidi equidem te talem esse. Neque enim ejusmodi signa estimantur, nisi a viris excellenti ingenio et doctrina eleganti, et praesertim dedito studiis humanitatis. Sed quo doctior et liberalior, eo prudentior esse debeo in poscendo. Urget me cupiditas ad petendum, pudor trepide et remisse cogit rogare. Itaque tantum a te petam, quantum patitur humanitas ac liberalitas tua. Gratissimum mihi erit et prae caeteris acceptum, si quid signorum quae habes egregiorum, quae quidem multa esse dicuntur, et varii generis, mihi impertitus fueris. Collocabis munus apud hominem non ingra- tum, sed qui agere gratias et reddere paratus sit, cum tempus dederit facultatem. Franciscus tecum super

hujusmodi

I

APPENDIX. NO LXXIII. 357

hujusmodi re loquetur, rogabitque nomine meo, qui et ipse majorem in modum rogo, ut aliquid niihi conce- dere velis, aut precibus, aut precio, meqiie hoc beneficio devincere, quod non frustra in me conferes. Dulce est, inquit Cicero, officium serere, beneficium ut possis mete- re. Sed nolo multis precibus tecum agere, ne videar di^idere tuae liberalitati. Romae.

NO LXXIV. Poggius Florentinus viro insigni Andreolo Juetiniano.

Won respondi antea Uteris tuis, neque libi gratias egi pro muneribus quae ad me misisti, propterea quod Franciscus Pistoriensis qui ea detulit, adeo suis men- daciis, quae plura sunt verbis, mihi stomachum com- movit, ut non possem quieto esse animo ad responden- dum, praesertim cum de eo mihi scribendum esset, qui longe abest a boni viri moribus, qualem eum esse existimabam. Itaque compressi calamum quoad refri- gesceret indignatio quam erga eum concepi. Sed ne nunc quidem continere manum potui, quin paulum querar levitatem hominis (ut verbis levioribus utar) ac vanitatem. Nam cum is olim in primo suo ad Grae- ciam accessu, multa mihi scripsisset, maria, ut aiunt, et montes poUicitus, cum signa pku-a ad me se dela- turum promisisset tua, suaque pariter opera adinventa, non solum postea non attuiit ad me, quae toticns suis Uteris praedicaret quaecunque tu ei tradideras mihi de- ferenda, sed cum Suffrctus quidam PJiodius ei consis*-- nasset tria capita marmorea, et si gnu m inte^jrum duo- voL. III. 3 a rum

358 APPENDIX. NO LXXIV.

rum feiv cubitoruni) quae Franciscus se ad me aliatu- rum promisit, capita quaedam dedit, slgno autem me fraudavlt, asserens id sibi infirmo corpore e navi esse sublatum. In quo, ut conjicio, manifeste mentitus fuit. Noil enim marmoris sculpti Cathalani cupidi sunt, sed auri, & servorum quibus ad remigium utan- tur. Capita vero ilia quae mihi tradi volebas, non Ca- thalani vi aut ferro subripuerunt, sed Florentiam sunt comportata, quae ille quibus voluit donavit. Quae cum tgo^ moleste ferrem, tamen promissionibus suis credens, cum in Graeciam rediturus esset, (cupiebam enim praesentem injuriam futuro beneficio compen- sari,) nihil de ea re ad te scripsi. Adde quod cum ille secum detulisset quaedam capita impressa in cera, ap- tissima ad obsignandum iiteras, idque se tuo mandate fecisse testaretur, ut aliquod elicerem quod ad me destinare cupiebas, non modo signum non attulit, cum ilium multis ad id verbis hortatus essem, sed alia in- sup&r promissione elusit. Primae literae quas ad me scripsisti, capite quodam satis venusto erant obsignatae, quod ille nomine tuo mihi promisit, cum ille nunc in adventu suo (novissimae enim literae alio capite signa- tae erant) nihil secum tulisset. Dixit item te secun- dum signum mihi, si id cuperem, traditurum, quod idem etiam alteri promisit. Capita vero quae ad me per eum misisti, cura.vit ut Cosmo traderentur, mihi simulans, se aegre ferre quod in manus alterius devenis- sent. Cosmo vero qui hie est, dixit se illi gratias agere quod ilia accipere dignatus esset, et simul illi quoque signum quo epistolam obsignasti, quod est Trajani caput, se daturum operam dixit ut sibi tradere- tur. Itaque, vides quanta hominis hujus sit fallacia,

quanta

y'

APPENDIX. NO LXXIV. 359

*|uanta verbositas, quanta verborum officina. Scio ego, iieqiie hoc exprobandi causa dico, quantum nuhi Fran- ciscus debeat. Scio quae mea fuerint in ilium ofPicia. Taceo benevolentiam, charitatem, amorem, quo ilium lit virum bonum compicctebar, ut paulum ista abster- rere hominem debuissent, ne me totiens fallendo decipe- ret. At ilium non solum priori s errati non poenituit, sed illud majore fraude cumulavit. Reddidit tamen numis- ma aureum, cultelios, et item munuscula quae preclaris- sima foemina uxor tua ad meam uxorem destinavit : quae fuerunt- ambobus gratissima. Pro his ago tibi Uteris gratias, quandoquidem re ipsa non possum. Dona tua Pontifici me intermedio sunt reddita, quae ilie grato animo cepit. Dispensationem pro iilia tua nubenda ego solus procuravi, feciqire ut satisfacerem aliqua ex parte meritis in me tuis : pro ea vero nihil expensum est. Reliquorum vero quae quaerebas, curam Fran- cisco reliqui, ut ea procuret apud eos quos piurls quam me fecit. Sed nisi cito deficiam, reddani ei beneficium cumulatum. Ilaec quae scripsi vera esse si cut Evangelium puta, nulla in re mentior, scripta sunt ex ipsius ore veritatis. Si qua deinceps a me velis, aut si quid ampiius ad me mittere voiueris, nulla in re utaris opera, aut intercessione Francisci ; qui enim praesentem decipere non est veritus, multo auda- cius fraudare absentem non formidabit. Sum tecum de eo pro suis operibus parcissime locutus. Haec ad te scripsi manu festina. Saluta laetissimam miilierem uxorem tuam, et simul filiam, meis et uxoris meae verbis. Ego mi Andrcole tuus sum. Vellem tecum aliquid rerum mearum participare, sed cui trad am nes- cio. Scribas mihi ad quern Januae ea mittere possim, qui ilia curet ad te deferenda. Vale, et me ama. Vel- lem

360 APPENDIX. NO LXXIV.

lem ego signum aliquod aptum ad signandum literas. Si quod habes superfluum usui tuo, quod quidem egregium sit, rogo per amicitiam nostram, ut illud mihi elargiri digneris. Aliqua in re alia munus recognos- cam. Ferrariae die 15 mensis Maii.

NO LXXV.

Extat Liber in Tabulario Mediceo qui inscribitur Libro scritto anno 1464, appartenente a Piero di Cosmo de' Medici, in quo hae gemmae et numismata enume- rantur,

M[eDAGLIE cento d' oro pesano libbre 2 oncie

una fior ....... 300

Medaglie cinquecentotre dariento pesano libre sei ........

Un' anello d' oro con una corniuola d' una

mosca m cavo ......

Un' anello d' oro con una corniuola con uno

100

r

r

10

Un' anello con una testa d' un Fauno di rilie-

Yo di diaspro ......

Un' anello d' oro con una testa di donna di

rilievo in cammeo 10

Un' antlio d' oro con due rubini con una test^

di Domitiano di rilievo . . 15

Un' anello d' oro con la testa di Medusa di

rilievo . ......

Un' anello d' oro con la testa di Cammilla in

cammeo di rilievo 60

Un

APPENDIX. NO LXXV.

361

Un suggello d' oro con una figura in damatisto in

cavo . . . . . .

Un suggello d' oro con una testa d' uomo in daraa

tisto in cavo ....

Un suggello d' oro con una testa di donna in da

matisto in cavo Uno Niccolo legato in oro con la testa di Vespa

siano in cavo ....

Una corniuola legata in oro con uno uomo mezzo

pesce et una fanciulla in cavo Una corniuola legata in oro con una femina a se

dere, et uno maschio ritto in cavo Un Cammeo legato in oro con una testa di uomo

in nudo in cavo Un Cammeo legato in oro con una testa vestita

in cavo ....

Uno Sardonio legato in oro con un toro in

cavo .....

Una corniuola legata in oro con una testa di Adri

ano di rilievo . ...

Un Cammeo legato in oro con una testa di fanci

ullo di rilievo .... Uno Calidonio legato in oro con una testa di tutto

rilievo ....

Un Cammeo con una testa d' uomo di rilievo legato

in oro ....

Un Cammeo legato in oro con 2 figure ritte di

rilievo ....

Un Cammeo legato in oro con 2 figure, et un Hone

di rilievo ..... Un Cammeo legato in oro con tre figure, ed un

albero di rilievo

30 20 15 25 25 25 40 50 60 50 50 40 50 60 60

60 Un

^2 APPENDIX. NO LXXV.

Un CanAmeo legato in oro d' assai rilievo con 2 ' figure una a sedere, e una ritta . . 70

Un Cammeo legato in oro con due figure, e un

albero in mezzo, Sec. di rilievo . . 80

Un Cfccmmeo legato in oro con la storia di Dedalo

di rilievo . . . . .100

Un Cammeo legato in oro con una figura, et uno

fanciuUo in spalla di rilievo . . . 200

Un Cammeo legato in oro con 1' Area di No^y et

piu figure, et animali di rilievo . . 300

Una tavola di bronzo dorata con saggi di ari-

ento. . . ... 100

Una tavola greca con uno S. Michele de Bario

legata in ariento dorato. . . .20

Una tavola greca di pietra fine con nostra Donna,

et 12 Apostoli ornata d' ariento . . 25

Una tavola greca di Musaico con S. Jo. Batista

intero ornata d' ariento . . .20

Una tavola greca di Musaico ornata d' ariento col

Giudizio. .... .30

Una tavola alia greca con una nostra Donna ornata

d' ariento . . . . .35

Una tavola greca con nostro Signore dipinto or- nata d' ariento . . . . . . 40

Una tavola greca con 2 figure ritte di Musaico

ornata d' ariento . .50

Una tavola greca di Musaico con una Annuntiata

ornata d' ariento ...... 40

Una tavola greca di Musaico con uno S. Niccolo

ornata d' ariento . . .50

Una tavola greca di Musaico con uno mezzo S.

Jo. ornata d' ariento . . . 60

Una

APPENDIX. NO LXXV. 363

Una tavola greca di Musaico con uno S. Piero

ornata cP ariento 50

Una tavola greca con una i figura del Salvatore

ornata d' ariento . - . . . .100 Una tavola d' ariento dorato con uno quadro smal-

tato, et tondo ...... 50

Una tavola d' ariento intagliata la paxione di

Cristo . . . . . . . 15

2624

Succedunt his e diversi vasi preziosi, e altre cose

di valuta, che fanno la somma di Fiorini . 8110

Varie gioje inventariate che fanno la somma di

Fior 17689

Gli arienti, che si trovavano in Firenze, e nelle Ville di Careggi, e di Cafaggiolo.

Catalogo dei libri.

N^ LXXVI. Matthaei Bossi ad Laurentium Medicem^

Exhortatona^ ut Abbatiam Fesulanam pergat absolvere, Efiiatola,

V^UOD tu Laurenti clarissime atque magnanime for- tasse vix cogitas, omnes, qui in Fesulanum ad nos divertunt inspecturi monasterium omni opere clarum, intuentibusque mirabile, cum partiunculas illas, templi frontem scilicet, et subsellia fratrum, quae Chorus appellantur, nonnullaque alia minora conspiciunt in-

ubpoluta

364 APPENDIX. NO LXXVI.

absoluta senescere, relictaque jacere, conversi ad tc suspirant, t^bique animum ad haec perficienda divini- tus dari, ut datae sunt divinitus vires, comprecari non desinunt. Ego vero, qui tcmplo, aedibusque surgenti- bus operam, curara, intentionemque etiam non exigu- am praesens adhibui, charusque ex mea hac diligentia tuis progenitoribus extiti, et qui mecum sub his tectis Concanonici Christo famulantur et militant, quantum foelicem hunc diem quo beneficam tuam manum ap- ponas operi peroptemus, nuUis plane verbis satis indi- carc possum. Vincit enim hie ardor, qui decorem do- mus Dei et locum habitation's gloriae ejus tantopere cupit ac diligit, eloquium meum omne, atque sermo- nem. Taceo ordinem universum nostrum, omni prae- sertim Italia diffusum, et, Deo miserante, numero vir- tutibusque nitentem, cujus vel tibi aliqua ratio habenda etiam est, cum tui peculiarius simiis omnes, et quan- tum fictilia et moribunda vascula possumus tua pro salute, quae una omnmm est et concivium tuorum et nostra, precibuSj gemitibus, votis, meritorumque sup- petiis caelum pulsamus. NulUe hinc atque hinc lit- terae, quibus non queratur, num perficiendi operis tibi insideat animus. Qoud si coeperis velle, atque ita equi- dem velle, ut incipias agere, non solis nobis, qui tecum Florentiae degimus, sed singulis qui ferme omnem, ut diximus, Italiam complent, nostris te confratribusj dum stabit Regularis haec nostra religio, excolendum memo- randumque praestabis : tantus est universorum delubri hujus amor, et ut absolvatur aviditas. Quibus plane re- bus versatis saepe mecum atque libratis, consilioque eorum maxime adhibito qui chari tibi sunt, tuaque pro dignitate et laude vel animas objectarent, statui equidem mihi te, Laurenti insignis atque magnanime, multa alia

atque

APPENDIX. NO LXXVI. 365

atque diversa cogltantem, rei praeterea publicae tuae perpetuo consulentem, et caelestis providentiae dono foelici omnium commodo primatum agentem, ad nos etiam tanquam ad praeclaram aliquam tuam laudem, ac sempiternam in caelo mercedem revocare atque convertere, qui inchoatum a paterno tuo Avo, deinde a Petro genitore destitutnm nunquai-n opus, nee pror- sus ipse destituas, eorum virtutum omnium atque opum, haeres non modo pulcherrimus et nobilissimus, s.ed tantae praeterea foelicitatis et nominis, ut majors quam illi ipsi unquam, tu facile possis, qui avitam tirtutem omnem, fortunas, atque potentiam servasti non solum ac tenuisti, sed afflante tibi Christo, tarn longe lateque extendisti ac dilatasti, ut nemo jam videat quo te sublimius tua virtus possit attollere, et illustriua collocare. Ingens animus, ac sapientissimus tuus, ef- floruit in utraque fortuna admirabilis atque conspicuus, omniumque vocibus nobilitatus. Quid Laurenti, per Deum, tu virium, tu in genii, tu fortitudinis declarasti, cum furentem illam fragoremque tonantem, et inno- centissimi tui sanguinis et generosi spiritus necem extre- maque nefanda exanhelantem, modo cederts, modo re- pugnans, incredibili constantia, dexteritate, prudentiaque tua sub jugum traxisti, et tanquam manibus post terga revinctam in triumphum duxisti ? Quae tandem, cum grassari violentius ultra non posset, benigno te vultu conspexit vel invita. Quam certe fortunam, non ut in- sanus hominum furor, vel omnipotentem vel divinam appello ; sed in quo Peripatetic!, nostrique catholic! recte cpnveniunt, vim quandam et fiatum, unde aut quomodo fiat ignotum. Hanc contra assistentem tibi Deum, proximeque tuentem habuisti, illi te concili- ante virtute, Sanetorumque gemitibus, qui fidentes illi VOL. III. 3 s atque

366 APPENDIX. N<3 LXXVI.

atque clamantes novit exaudire, de angustiis eriperc, atque salvare : ut inde elucescat vox ilia laetissimi Pauli, " ut castigati et non mortificati, et quasi mo- « rientes, et ecce vivimus :" nianasseque et videatur comicus etiam ille versiculus, " Qui per virtutem pe- « ritat, non interit." Tu itaque protectus divinitus atque servatus, una et Immortalitatis gloriam tibi pro- pagasti, et incolumitatem patriae quietisque dulcedi- nem attulisti : quae cum flos Italiae jure nuncuperetur et extet, sic fausto caelestique dono te suum alumnum insignem, charissimasque delicias peperit, cujus au- spicio, sapientia, virtute mirabili, foelix degeret atque regnaret : quod semper est assecutura facillime, si quandiu tibi vita supererit, quibus caepisti itineribus gradiere, et te non cura modo, sed procuratio atque anxietas tuendae illius atque ornandae semper incende- rit, pro qua dedisti hactenus et opes et sanguinem, et ab cujus cervicibus bellorum pericula plerumque pro- pulsasti, qui et imperium auxisti, et Tuscuiti nomen ad barbaras usque et remotissimas gentes extendisti. Tibi serenissimi Reges, tibi respublicae potentissimae, tibi Sultanus grandis, tibi formidatus omnibus Turco- rum imperator mittunt et legatos et munera. Te Romanus pater, terrestris Deus et mortale numen, ac- ceptissimum et perdilectum veluti filium salutari ac beatissimo complexus est sinu. Complexi et pileati patres, qni tuum filium adhuc impuberem eu primis litterarum instltutis, ac Sanctis moribus sub pedagogo coalescentem, cardinei culminis numero adjungere ultra mores et leges non dubitarunt. Tu lucrosae civitati ubique fere gentium atque locorum commercia tutis- sima et mercaturam coaptasti, ut caeteris ferme Italis / urbibus tua ista (dicam ut audio) et nummatior sit, et

omni

APPENDIX. NO LXXVI. S67

omni cultu et affluentia rerum uberior. At vero fa- mem atque penuriam, si quando incidit, vel consilio, vel opibus ingentibus tuis, patria pietate, aut levasti, aut propulisti, atque ita, lit reliquae saepe Italiae orae, tractusque famelici, in Florentinmn agrum (quod mi- rum videtur, sed ita sane res est,) ad laniRcium, efTos- siones, cementationes, scrobationes, ligonizationes, re- liquaque onera sordida ac despicatissima, ceu ad beatas olim promissionis glebas confugerint. Sed qualis ego aut quantus tuarum Uudum campum usurpo, qui ab illo eloquentiae atque doctrinae nitore longe equidem absum, qui explicandae convenit rei ? cui neque hujus negotii im-praesens est ullo modo propositum, cum ad incitandum te magis ac permovendum mea tota anni- tatur et gliscit oratio : quam ut exaudias, Laurenti benefice, invocatum supplex te venio, cohortor, adjuro. Neque enim alium praeter te incolumem haec fabrica habet, quern citra injuriani possit rogare. Ex te pen- det tota, tuoque genere sui auctore, ut quae per ilios crevit in tantam admirationem et decus, per te aeque haereditario quodam jure accipiat postremam digiiiia- tem, levigationem, et manum. Negotium exigui sane temporis, parvique sumptus, at speciosissimuni, at iie- cessarium, at pium, at sanctum, planeque et onmibus gratum, his maxime, qui tam pio inflammatoque studio opus coepere, majoribus illustribus tuis, nisi tam hu- manis exuti, ut superstitiose in poetarum fabulis est, lethaeo amne libato humana dememinere. Sed absit a nobis, et ab salutari sanctaque fide somniatus hie gur- ges, oblivionem ac noctem offundens atque invoivens profectis a nobis. Perniciosa haec infideiitas est, ra- tione vacans et mente, sacrisque repugnans litteris, praeclarisque et multis Sanctorum exempUs, ac visis.

Sed

368 APPENDIX. NO LXXVI.

Sed quod ad te attinet, dabit ista res imprimis immen- sum tibi ac sempiteraum praemium apud ilium, Lau- renti, ilium inquam, qui pro his caducis parvisque muneribus spondet munus aeternum. Dabit et inter mortales, quibus omnibus magis, quam nobis ipsis nati singuli sumus, tibi laudem et gratiam, qua nulla hones- tior, nulla communior, nulla dulcior, nullaque est diuturnior. Pecunia, signa toreumata, purpura, gem- mae, ambitiosus victus et prodigus, equorum strata, multitudo puerorum, omnia vix, diurna, quin effugiunt velut umbra. At operum magnificentia sanctorum, maxime et publicorum, aeternitatem quandam aemula- tur, vel monumentis litterarum illustrata, vel quod ut permanere hujusmodi talia diutissime possint, vim ha- bent atque naturam ; cumque ea ipsa senuerint, reli- gione praecipua turn excolantur, quod vicinitatem. ha- bere cum Deo videntur quae longissime perstant ; cum lapsa corruerint, misericordiam et pietatem etiam ab hostibus sentiant. Sane itaque quaecunque ad magnum illud sacrificium transtuleris, caelestique area condideris, ea sola, Laurenti, et tua, et tibi propria erunt, neque cum iis varia insolensque fortuna com- municabit unquam, sed neque ulla temerabit invidia. Cogita tu omnium prudentissime, quantum ex hoc majores tui Medicae familiae reliquerunt honoris et nominis ; quantus odor religionis et pietatis omnium impievit aures atque intuitus, et ad devotionem animos incitavit. Vestes et gemmas, servos, ministros, ancil- las, caeteraque id genus nemo curat, nemo commemo- rat, nemo et praedicat, quoniam utique danda fortunae sunt ista. Aedificiorum vero sumptus, et sacrarum aedium ornatus, quoniam virtutis sunt opera, quisque non civis niodo, sed peregrinus, non Italus noster, sed Barbarus quoque obstupescit, nee urbem praeterit, nisi

^ prius

J

APPENDIX. NO LXXVI. «6&

prills collustratis tantis operibus, tamque magnificis at- que sublimibus. Haec qiiaeriintur studiose, haec vi- suntur cupide, haec obstupescunt quotidie omnigenae gentes et populi. Hinc per omnium ora, Cosmi no- men, et Petri genitoris tui vagatur et volitat, et emor- tui adhuc versantur in luce celebrati omnium Unguis et litteris. Quaeso, quo zelo incendebatur Cosmus idem noster jam senex, eventusque praesagiens, cum Fesulanum, quo de nunc agimus, opus construeretur ? qui nos exsuscitans frequenter aiebat, " Euge fratres, " instate strenue operi, satagite, manus ducite, ad " vesperum inclinatur, et properat dies, festinatque " et subit occasus." Et tuum genitorem eo tempore dixisse memini, " Quantum vestro pecuniarum im- " pendimus operi, tantum extra petulantiam ludumque " fortunae nobis in lucrum concedit.'' His impen- sis aluntur artifices, sustentantur inopes, cohonesta- tur patria, et religiose excolitur Deus. Te idem sen- sisse atque optasse jamdudum facile credimus, immo confidimus, Magnanime Laurenti ac pientissime. Sed tempora quandoque vidimus, et occasionem tuo voto defuisse. Nunc vero cum arrideat tibi summa pros- peritas, teque eo dignitatis et loci pervexerit non casus aliquis, sed maxima tua et admirabilis virtus, ut hono- ribus, potentia, opibus, ulla recordatione majoribus, ornatus sis ac cumulatus, aggredere ac perfice prospero sidere, ac benefactore Jesu Christo favente, nostram hanc quam te rogavimus fabricam. Quod ut queas efficere, ardenter omnes vitam tibi incolumitatemquc precabimur. Vale Tuscae gloriae splendor, et pater, tuosque supplices audi. Ex Abbatia Fesulana tuu, Nonis Septembribus.

sro APPENDIX. NO LXXVIL

NO LXXVIL

Angelus Politianus^ Jacobo jinfiguano suo, S. D.

VULGARE est, ut qui serius paulo ad amicorum literas respondeant, nimias occupationes suas excusent. Ego vero quo minus mature ad te rescripserim, non tain culpani confer© in occupationes (quanquam ne jpsae quidem defuerunt) quam in acerbissimum potius hunc dolorem quern mihi ejus viri obilus attulit, cujus patrocinio nuper unus ex omnibus literarum professori- bus, et eram fortunatissimus, et habebar. Illo igitur nunc extincto, qui fuerat unicus author eruditi laboris videlicet, ardor etiam scribcndi noster extuictus est, omnisque prope veterum studioium alacritas elanguit. Sed si' tantus amor casus cognoscere nostros^ et quaiem se ille vir in extremo quasi vitae actu gesserit audire, quanquam et fietu impedior, et a recordatione ipsa, quasi- que retractatione doloris abhorret animus, ac resilit, ob- temperabo tamen tuae tantae ac tani honestae voluntati, cui deese pro instituta inter nos atnicitia, neque volo, neque possum. Nam profecto ipsemet mihi nimium et incivilis viderer, et inhumanus, si tibi et tali viro, et mei tam studioso rem ausim prorsus uUam denegare. Caeterum quoniam de quo tibi a nobis icribi postulas, id ejusmodi est, ut facilius sensu quodam animi tacito, et cogitation e comprehendatur, quam aut verbis, aut Uteris exprimi possit, hac lege tibi jam nunc obsequium nostrum astringimus, ut neque id polliceamur quod implere non possimus, tua certa causa non recusemus. Laboraverat igitur circiter menses duos Laurentius

Medices

APPENDIX. NO LXXVII. 371

Medices e doloribus iis, qui quoniam viscerum cartila- gini inhaereantj ex augmento Hyfiochondrii appellantur. Hi tametsi neminem sua quidem vi jugulant, quoniam tamen acutissimi sunt, etiam jure molestissimi perhi- bentur. Sed enim in Laurentio, fatone dixerim, an inscitia, incuriaque medentium id evenit, ut dum cu- ratio vloloribus adhibetur, febris una omnium insidio- sissima contracta sit, quae sensim illapsa, non quidem arterias, aut venas, sicuti caeterae solent, sed in artus, in viscera, in nervos, in ossa quoque, et medullas in- cubuerit* Ea vero quod subtiliter, ac latenter, quasi- que lenibiis vestigiis irrepserat, parum primo animad- versa, dein vero cum satis magnam sui significationem dedisset, non tamen pro eo ac debuit diligenter curata, sic hominem debilitaverat prorsus, atque afflixerat, ut non viribus modo, sed corpore etiam pene omni amisso, et consumpto distabesceret. Quare pridie quam na« turae satisfaceret, cum quidem in villa Caregia cubaret aeger, ita repente concidit totus, nullam ut jam suae salutis spem reliquam ostenderet. Quod homo, ut semper cautissimus, intelligens, nihil prius habuit, quam ut animae medicum accerseret, cui de contractis tota vita noxiis Christiano ritu connteretur. Quem ego hominem postea mirabundum, sic prope audivi narrantem, nihil sibi unquam neque majus, neque in- credibilius visum, quam quomodo Laurentius constans, paratusque adversus mortem, atque impeiterritus, ct praeteritorum meminisset, et praesentia dispensasset, et de futuris item reUgiosissime prudentissimeque ca- visset. Nocte dein media quiescenti, meditantique, sacerdos adesse cum sacramento nunciatur. Ibi vero excussus, Proculy inquit, a me hoc absit, jiatiar ut Jesum meum, qui mc Jinxit^ qui me redemit^ ad usque cubicidum.

hoc

372 APPENDIX. NO LXXVII.

hoc venire : tollite hhic, obsecro, mc quamfirimum^ tollite, ut Domino occurram. Et cum dicto sublevans ipse se quantum poterat, atque animo corporis imbeciliitatem sustentans, inter familiarium manus obviam seniori ad aulani usque procedit, cujus ad genua prorepens, sup- plexque ac lachrymans : Tune<, inquit, mitissime Jesu, tic nequissimum hunc servum tuum dignaris invisere ? At quid dixi servum ? immo vere hostem potius^ et quidem ingratissimum, qui tantis abs te cumulatus henejiciis^ nee tibi dicto unquam audiens fuerim^ et tuam toties majestatem laeserim* Quod eg-o te^ /ler illam qua genus omne homi- num comfilecteris, charitatem^ quaeque te caelitus ad nos in terrain deduxit, nostraeque humanitatis induit involucris^ quae famem^ quae sitim^ quae frigus^ aestum^ labores^ ir- 7'isus, contumelias^ Jiagella et verbera^ quae postremo etiam mortem^ crucemque subire te comjiulit ; Per hanc ego te, salutijer Jesu, quaeso, obtestorque, avertas faciem a pecca^ tis meis ; ut cum ante tribunal tuum constitero, quo me jamdudum citari plane sentio, non mea fraus, non culpa, plectatur, sed tuae crucis ineritis condonetur, Valeat, va- leat in causa mea, sanguis ille tuus Jesu preciosissimus, quern pro asserendis in libertatem hominibus, in ara ilia sublimi nostrae redemptionis effudisti. Haec atque alia cum diceret lachrymans ipse, lachrymantibusque qui aderant universis, jubet eum tandem sacerdos attolli, atque in lectulum suum, quo sacramentum commodius administraretur, referri. Quod ille, cum aliquandiu facturum negasset, tamen ne seniori suo foret minus obsequens, exorari se passus, iteratis ejusdem ferme sententiae verbis, corpus ac sanguinem dominicum plenus jam sanctitatis, et divina quadam maj estate ve- rendus accepit. Tum consolari Petrum filium (nam leliqui aberant) exorsus, ferret aeque animo vim neces- sitatis

APPENDIX. NO LXXVII. 37S

sitatis admonebat, non defuturum caelitiis patrocinium, quod ne sibi quidem unquam in tantis re rum, fortu- naeque, varietatibus defuisset ; virtutem inodo et bo- nam tiientem coleret, bene consulta bonos eventus paritura. Post ilia contemplabundus aliquanniu qui- evit. Exclusis dein caeteris eundem ad se natum ■\focat, niulta monet, multa praecipit, multa edocet, quae nondum foras emanarunt, plena omnia tamen (sicuti audivimus), et sapientiae singularis, et sancti- moniae ; quorum tamen unum quod nobis scire qui- dem licuerit, adscribam. Gives, inquit, 7m Petre, sue- cessorem te meuvi hand dubie agnoscent, JVcc autem ve- reor, ne non eadem futurus authoritate in hac Refiublica sis, qua nos ipsi ad hanc diem fiuerimus, Sed quoniam civitas omnis corpus est (quod ajunt) multorum cajmum, neque mos geri singulis potest, memento in ejusmodi varie- tatibus id co7isiliur.i sequi semper, quod esse quam hoTiestis- simum intelliges, magisque imiver sitatis, quam seorsum cujusque rationem habeto, Mandavit et de funere, ut scilicet avi Cosmi exemplo justa sibi iierent, intra mo- dum videlicet eura qui privato conveniat. Venit dein Ticino Lazarus vester, medicus (ut quidem visum est) experientissimus, qui tamen &ero advocatus, ne quid inexpertum relinqueret, preciosissima quaedam gem- mis omne genus, margaritisque conterendis medica- menta tentabat. Quaerit ibi tum ex familiaribus Lau- rentius (jam enim admissi aliquot fueramus) quid ille agitaret medicus, quid moliretur. Cui cum ego re- spondissem, epithema eum concinnare, quo praecordia foverentur, agnita iile statim voce, ac me hiiare intuens (ut semper solitus) heus, inquit, he us Augele : simul brachia jam exhausta viribus aegre attollens, manus ambas arctissime prehendit. Me vero singultus iachry- voL. III. 3 c iiiucque

374 APPENDIX. NO LXXVII.

maeque cum occupavissent, quas celare tamen rejecta cervice conabar, nihilo ille commotior, etiam atque etiam manus retentabat. Ubi autem persensit fletu adhuc praepediri me, quo minus ei operam darem, sensim scilicet eas, quasique dissimulanter omisit. Ego me autem continuo in penetrale tnalami conjicio flentem, atque habenas (ut ita dicam) dolori et lachrymis laxo. Mox tamen reverter eodem, siccatis quantum licebat oculis. Ille ubi me vidit (vidit autem statim) vocat ad se rursum, quaeritque perblande, quid Picus Mirandula suus ageret. Respondeo, manere eum in urbe, quod vereatur, ne illo si veniat, molestior sit. At ego, inquit, vicissim ni verear, ne molestum sit ei hoc iter, videre atque alloqui extremum exoptem, pri- usquam plane a vobis emigro. Vin' tu, inquam, ac- cersatur? Ego vero, ait ille, quamprimum. Ita sane facio. Venerat jam, assederat, atque ego quoque juxta genibus incubueram, quo loquentem patronum faci- lius, utpote defecta jam vocula, exaudirem. Bone Deus, qua ille liunc hominem comitate, qua humani- tate, cjuibus etiam quasi blanditiis excepit ? Rogavit primo, ignosceret quod ei laborem hunc injunxisset, amori hoc tamen et bene volenti ae in ilium suae adscri- beret, libentius sese animam editurum, si prius amicis- simi hominis aspectu morientes oculos satiasset. Turn sermones injecit urbanos, ut solebat, et familiares. Non nihil etiam tunc quoque jocatus nobiscum, quin utrosque intuens nos : Vellem^ ait, distulisset me saltern mors haec ad eum diem^ uuo vestratn plane bibliothecam absoliu8snn, Ne muitis. Abierat vix dum Picus, cum Ferrariensis Hieronymus, insignis et doctrina, et sanc- timonia vir, caelestisque doclrinae predicator egregius, cubiculum ingreditur : hortatur ut fidem teneat ; ille

vero

APPENDIX. NO LXXVII. 375

vero tenere se ait inconcussam : iit quam emendatissi- me posthac vivere destinet ; scilicet facturum obnixe respondit : ut mortem denique, si necesse sit, aequo animo tolleret ; nihil vero^ inquit ille, jucuvdius, sicjui- dem ita Deo dccretum sit, Recedebat homo jam, cum Laurentius, Heiis^ inquit, henedictiontin fiatcr^ priusijuam a nobis firojicisceris, Simul demisso capita vultuque, et in omnem piae religionis imaginem formatus, subinde ad verba illius et preces rite ac memoriter responsita- bat, ne tantillum quidem familiarium luctu, aperto jam, neque se ulterius dissimulante, commotus. Di- ceres indictam caeteris, uno excepto Laurentio, mortem. bic scilicet unus ex omnibus ipse nul- 1am doloris, imihan perturbationis, nullam tristitiae significationem dabat, consuetumque animi vigo- rem, constantiam, aequabiiitateni, magnitudinero, ad extremum usque spiritum producebat. Instabant Me- dici adhuc tamcn, et ne nihil agere videreutur, oi- ficiosissime hominem vexabant. iSinil ille tamea as- pernari, nihil aversari quod illi modo obtr.lissent, non quidem quoniam spe vitae blandientis iiiiceretur, sed ne quein forte moriens, vel levissime perstringeret. Adeoque fortis ad extremum perstitit, ut de sua quo- que ipsius morte nonnihil caviilaretur, sicuti cum por- rigenti cuidam cibum, rogantique mox quam piacuis- set, respondit : quam solet morienti. Post id blande singulos amplexatus, petitaque suppliciter venia, si cui gravior forte, si molestior morbi vitio fuisset, totum se post ilia perunctioni summae, deniigrantisque animae commendationi dedidit. Recitari dein evangelica histo- iia coepta est, qua scilicet irrogati Christo cruciatus explicantur, cujus ille agnoscere se verba et sententias prope omnes, rnodo labra tacitus movens, modo lau-

fruentes

376 APPENDIX. NO LXXVII.

giicnlcs oculos erigens, interdum etiam digitorum geslu signilicabat. Postremo sigillum crucifixi argen- teura, margarids geinmisque magnifice adornatum, de- fixis usciuequaqiie oculis intuens, identidemque deoscu- lans expiiavit Vir ad omnia summa natus, et qui flantem reflantemque ^toties fortunam, usque adeo sit alterna veiificatione moaeratus, ut nescias utrum se- cundis rebus constantior, arx adversis aequior ac teni- perantior apparuerit : ingenio vero tanto ac tarn facili, et perspicaci, ut quibus in singulis excellere alii mag- num putant, ille universis pariter emineret. Nam pro- bilatem, justitiam, fidem, nemo arbitror nescit ita sibi Laurentii Medicis pectus atque animum, quasi gratis- simum aliquod domicilium, templumque delegisse. Jam comitas, humanitas, affabilitas quanta fuerit, eximia quadam in eum totius populi, atque omnium plane or- dinum benevolentia declaratur. Sed enim inter haec omnia, liberalitas tamen, et magnificentia explendes- cebat, quae ilium pene immortali quadam gloria ad Deos usque provexerat : cum interim nihil ille fam.ae duntaxat Cc.usa, & nominis, omnia vero virtutis amore persequebatur. Quanto autem literatos homines studio <:omplectebatur r Quantum honoris, quantum etiam reverenliae omnibus exhibebat ? Quantum denique ope- rae industriaeque suae conquirendis toto orbe terra- rum, coemendisque linguae utriusque voluminibus po* suit, quantosque in ea re quam immanes sumptus fecit ? lit non aetas mcdo haec, aut hci*c seculum, sed pos- teritas etiam ipsa, maximam in hujus hominis interitu iacturam fecerlt. Caeterum consolantur nos maximo in luctu liberi ejus, tanto patre dignissimi, quorum qui niaximus natu Petrus, vixdum primum et vigesimum ingressus annum, tanta jam et gravitate, et prudentia,

et

APPENDIX. NO LXXVII. S77

et authoritate molem t.otius Reip. sustentat, ut in eo statim revixisse genitor Laurentius existimetur. Alter annorum duodeviginti Joannes, et Cardinalis amplis» simus (quod nunquam ciiiqiiam id aetatis contigerit) et idem pontifici maximo, non in ecclesiae patrimonio duntaxat, sed in patriae quoque suae ditione legatus, talcm tantumque se jam tarn arduis negotiis gerit, et praestat, ut omnium in se mortalium oculos converterit, atque incredibilem quandam, cui responsurus planis- sime est, expectationem concitaverit. Tertius porro Julianus, impubes adhuc, pudore tamen ac venustate, neque non probitatis, et ingenii miriiica quadam sua- vissimaque indole, totius sibi jam civitatis animos devinxit. Verum ut de aliis in praesenti taceam, de Petro certe ipso cohibere me non possum, quin recenti re testimonium hoc loco paternum adscribam. Duobus circiter ante obitum mensibus, cum in suo cubiculo se- dens (ut solebat) Laurentius, de Philosophia, et Uteris nobiscmn fabularetur, ac se destinasse diceret reliquam aetatem in iis studiis mecum, et cum Ficino, Picoque ipso Mirandula consumere, procul scilicet ab urbe, et strepitu ; negabam equidem hoc ei per suos cives licere, qui quidem indies viderentur rnagis magisque ipsius et consilium, et authoritatem desideraturi. Turn subri- dens ille, Atqui jam, inquit, vices nostras alumno tuo delegabimus, atque in emn sarcinam hanc, et onus omncy reclinabimiis, Cumque ego rogassem, an adhuc' in adolescente, tantum virium deprehendisset, ut eis bona fide incumbere jam possemus, E^o vera, ait ille, quanta ejus et quam solida video esse fundanienla^ laturum sficro haud duhie quicguid inaedijicavero. Cave igiiur flutes, Jng-e/e, quenqiiam adhuc ex nostris, indole fidsse tanta, quantam jam Petrus ostcndit^ ut sfierem. fore, atque adco

a usurer

573 APPENDIX. N^ LXXVII.

augur er (nisi me ipsius ingenii aliquot jam experimenter fefellerint) ne cui sit ma'pruin suorum coyicessuru^:. At- que hujus quidem judicii praesagiique p?iterni, magnum profecto et clarum specimen hoc nuper dedit, quod aegrotanti praesto fuit semper, omniaque per se pene etiam sordida ministeria obivit, vigiliainim patientissi- mus, et inediae ; nunquamque a lectulo ipso patris^ nisi cum maxime Respublica urgeret, avelli passus. Et cum mirifica pietas extaret in vultu, tamen ne mor- bum aut solicitudinem paternam moerore suo adau- geret, gemitus omneis, et lachrymas incredibili virtute quasi devorabat. Porro autem, quod unum tristissima in re pulcheirimum, ceu specfaculum videbamus, in- vicem pater quoque ipse, ne tristiorem filium tristitia sua redderet, frontem sibi extempore velut aliam fin- gebat, ac fluenies oculos in illius gratiam continebat, nunquam aut consternatus animo, aut fractus, donee ante ora natus obversaretur. Ita uterque, cercatim vim facere afFectibus suis, ac dissimulare pietatem pietatis studio nitebatur. Ut autem Laurentius e vita decessit, dici vix potest, quanta et humanitiite, et gravitate cives omneis suos Fetrus noster ad se domum confluentes exceperit, quam et apposite, et varie, et blande etiam dolentibus, consolantibusque pro tempore, suamque operam pollicentibus respondent ; quantam deinde, et quam soiertem rei constituendae famiiiari curam im- penderit ; ut necessitudines suas omneis gravissimo casu perculsas sublevarit : ut vel minutissimum quem- que ex familiaribus dejectum, diffidentemque sibi ad- versis rebus coliegerit, erexerit, animaverit, ut in obeunda quoque Republica nulli unquam, aut loco, aut tempori, aut muneri, aut homini defuerit, nulla denique in parte cessaverit ; sic ut eam plane institisse

jam

APPENDIX. NO LXXVII. 379

jam viam atqiie ila pleno gradu iter ingressus videatur, brevi \it putetur parentem quoque ipsum vestigiis con- secuturus. De funere autem nihil est quod dicam. Tantum ad avi exemplum ex praescripto celebratum est, quemadmodum ipse, ut dixi, moriens mandaverat : tarn magno autem omnis generis mortalium concursu, quam magnum nunquam antea memincrimus. Pro- digia vero mortem ferme haec antecesserunt, quanquam alia quoque vulgo feruntur. Nonis Aprilibus, hora ferme diei terliaj triduo antequam animam edidit Laurentius, mulier, nescio quae, dum in aede sacra Mariae novellae, quae dicitur, declamitanti e pulpito dat operam, repente inter confertam populi multitu- dinem expave facta consternataque consurgit, lympha- toque cursu, et terrificis clamoribus, Heus /leus, inquit, cives, an hiinc non cernids fcrocientem taurum^ qui tem- iiluTYi hoc ingens fiammads cornibus ad terrain dt-jicit ? Prima porro vigilia, cum coelum nubibus de impro- vise foedaretur, continue Basilicae ipsius maximae fastigium, quod opere miro singuiarem toto terrarum orbe testudinem supereminet, tactum de coelo est, ita ut vastae quaepiam dejicerentur moles, atque in eam potissimum partem, qua Medicae convisuntur aedes, vi quadam horrenda, et impetu, marmora imnnania torquerentur. In quo illud etiam praescito non caruit, quod inaurata una pila, quales aliae quoque in eodem fastigio conspiciuntur, excussa fulmine est, ne non ex ipso quoque insigni proprium ejus familiae detrimen- tum portenderetur. Sed et illud memorabile, quod, ut primum detonuit, statim quoque serenitas reddita. Qua autem nocte obiit Laurentius, stella solito clarior, ac grandior, suburbano imminens, in quo is animam agebat, illo ipso temporis articvilo decidere, extinguique

visa,

580 APPENDIX. NO LXXVIL

visa, quo compertum deinde est eum vita demigrassc. Quin excurrisse etiam faces trinoctio perpetue dc Faesulanis montibus, supraqne id templum, quo re- liquiae conduntur Medicae gentis, scintillasse nonnihil, moxque evanuisse feruntur. Quid ? quod et leonum quoque nobilissimum par in ipsa qua publice conti- nentur cavea, sic in pugnam ferociter concurrent, ut alter pessime acceptus, alter etiam leto sit datus. Arreti quoque supra arcem ipsam, geminae perdiu ar- sisse flammae, quasi Castores feruntur, ac lupa iden- tideni sub moenibus ululatus terrificos edidisse. Qui- dam iiiud etiam (ut sunt ingenia) pro monstro inter- pretantur, quod excellentissimus (ita enim habebatur) hujus aetatis medicus, quando ars eum pracscitaque fefellerant, animum despondent, puteoque se sponte demerserit, ac principi ipsi Medicae (si vocabulum spectes) familiae sua nece parentaverit. Sed video me, cum quidem multa, et magna reticuerim, ne forte in speciem adulationis inciderem, longius tamen provectum, quam a principio insdtueram. Quod ut facerem, partim cupiditas ipsa obsequendi, obtemperandique tibi Optimo, doctissimo prudentissimoque homini, mihique amicis- simo, cujus quidem studio satisfacere brevitas ipsa in transcursu non poterat : pai'tim etiam amara quaedam dulcedo, quasique titillatio impulit, recolendae, frequen- tandaeque ejus viri memoriae. Cui si parem similem- que nostra aetas unum forte atque alterum tulit, potest audacter jam de splendore nominis et gloria, cum vetus- tate quoque ipsa contendere. Vale 15. Cal. Junias MccccLxxxzii. in Faesulano Rusculo.

APPENDIX. NO LXXVIII. 381

NO LXXVIII.

Rime di Jacofio Sanazzaro, JVella Morte di Pier Leone^ Medico.

II qual per la morte del gran Lorenzo de^ Medici Ju gittaU in un pozzo a Careggi,

XjA notte, che dal ciel carca d' obblio

Suol portar tregua a' miseri mortali,

Venuta era pietosa al pianger mio : E gia con 1" ombra delle sue grand' ali

II volto della terra avea coverto ;

E tacean le contrade, e gli animali ; Quando me lasso, e di mia vita incerto,

Non so com', in un punto il sonno prese

Sotto 1' asse del ciel freddo, e scoverto. Ed ecco il verde Dio del bel paese,

Arno, tutto elevato sopra 1' onde,

S' offerse agli occhi miei pronto, e palese. Di limo un manto avea sparso di fronde,

E di salci vma selva in su la testa.

Con la qual gli occhi, e'l viso si nasconde. Oime, Fiorenza, oime, qual rabbia e questa ?

Venia gridando, oime, non ti rincrebbe ?

Con voce paventosa, irata, e mesta ; Pietosa oggi ver te Tracia sarebbe ;

Pietosi i fieri altar di quella terra

La qual sol un Busiri al suo temp' ebbe. VOL. III. % D Bell

382 APPENDIX. N^ LXXVIII.

Ben fosti iiglia tu d' ingiusta guerra ; Ben sei madre di sangue ; e pid sarai, Se vendetta dal ciel non si dis^erra.

Indi rivolto a me, disse, Che fai ?

Fuggi le mal fondate, ed empie mura : Ond' io tutto smairito mi destai ;

E tanta ebbe in me foi-za la paura,

Che sconsigliato, e sol, presi '1 cammino Senz' altra scorta che di notte oscm^a.

Errando sempre andai fin al mattino,

Tanto, ch' allor da lunge un' ombra scorsi Chi in abito venia di peregrine.

Al volto, ai gesti, ed all' andar m' accorsi Che spirto era di pace, al ciel amico ; Onde piu ratto per vederlo io corsi.

E, mentre in arrivarlo io m' affatico, Ei riprese la via per entro mi bosco, Sempre guard ando me con volto oblico.

Non mi tolse il veder quell' aer fosco,

Che V lume del suo aspetto era pur tanto, Che basto ben per dirli, Io ti conosco ;

O gloria di Spoleto, aspetta alquanto E volendo seguire il mio sermone, La lingua si resto vinta dal pianto.

Allor voltossi ; ed ioj O Pier Leone, Ricominciai a lui con miglior lena, Che del mondo sapesti ogni cagione,

Deh dimmi, questa vita alma, e serena, Per qual demerto suo tanto ti spiacque, Che volesti morir con si gran pena ? Qual si fero desir nel cor ti nacque, Qual cieco sdegno a non curar ti strlnse

Del

APPENDIX. NO LXXVIII. 383

Del corpo tuo, che 'n tanto obbrobrio giacque ? Che ti val, se '1 tuo senno ogn' altro vinse ?

Che r ingegno, e '1 valor ? se l' ultim' ora

Con la vita la gloria insieme estinse ? O padre, o signor mio, 1' iiscir di fora,

Come tu sai, non e permesso all* alma ;

Ne far si dee, se '1 ciel non vuole ancora : Che '1 dispregiar deila terrena salma

A quel con piu vergogna si dibJice,

Che piu braman d' onor aver la palma. Ogni riva del mondo, ogni pendice

Cercai, rispose, e femmi nn altro Ulisse

Filosofia, che suol far 1' uom felice. Per lei le sette erranti, e 1' altre fisse

Stelle poi vidi, e le fortune, e i fati,

Con quanto Egitto, e Babilonia scrisse ; E piu luogh' altri assai mi fur mostrati,

Ch' Apollo, ed Esculapio in la bell' arte

Lasciar quasi inaccessi, ed intentati. Volava il nome mio per ogni parte i

Italia il sa ; che mesta og-gi sospira,

Bramando il suon delle parole sparte. Pero chi coii ragion ben dritto mira,

Potra veder ch' in un si colto petto

Non trovo loco omai disdegno, od ira. Dunque da te rimuovi ogni sospetto ;

E se del morir mio 1' infamia io porto,

Sappi che pur da me non fu '1 difetto : Che, mal mio grado, io fui sospinto, e morto

Nel fondo del gran pozzo orrendo, e cup9i

Ne mi valse al pregar esser accorto : Che quel rapace, e famulento lupo

Non ascoltava suon di voci umane,

Quand©

!84 APPENDIX. NO LXXVIIL

Quando giii mi irjando nel gran dirupo.

O dubbj fati, o sorti invoke, e strane,

O niente ignara, e cieca al proprio danno, Come fur tue difese insulse, e vane !

Previsto avea ben io i' occulto inganno Ch' al mio morir tessea 1' avara invidia, E sapea ch' era giunto all' ultim' anno.

Ma credendo i'uggir Ponto, o Nomidia, Di Padoa mi partii, venendo in loco Ove, lasso, trovai frode, e perfidia.

E qiial farfalla al desiato foco, Tirata dal voler, si riconduce, Tanto, ch' al fin le pare amaro il gioco,

Tal mi moss' io correndo alia mia luce ; Lorenzo, dico, il cui valore, e '1 senno A tutta Italia fu maestro, e duce.

Cosi le stelle in me lor forza fenno. Or va, mente ingannata, in te ti fida, Che muover credi il ciel con picciol cenno.

Quell' alma provvldenzia che '1 ciel guida, Non vuol ch' umano ingegno intender possa L' ammirando segreto ove s' annida.

E non pur voi che sete in questa fossa.

Ma gli Angeli non hanno ancor tal grazia, Quantunque scarchi si an di carne, e d' ossa.

Di contemplar ciascun s' allegra, e sazia Nel sommo Sol : pur quelle leggi eterne Lasciando a parte, il ciel loda, e ringrazia.

Tanto si sa la su, quanto decerne

L' alto motor. Colui che piu ne volse. Or geme, e mugghia nelle notti inferne.

Quando dal corpo mio 1' alma si sciolse, Non le gravo '1 partir ; ma 1' empia fama

Che

APPENDIX. NO LXXVIII. 385

Che lasciava di se qua giu, le dolse : Ne d' altro innanzi a Dio or si richiama.

Se '1 feci, se '1 peiisai, se fui nocente,

Tu ciel, tu verita, tu terra, esclama. O mal nata avarizia, o sete ardente

De mondani tesor, che sempre cresci !

Miser chi dietro a te suo mal non sente. Or va, infelice, a te stessa rincresci :

Poi che fan senza te piu lieta vita

Le fere vaghe, e gli augelletti, e i pesci. Ma quella man che 'n me fu tanto ardita,

Per ch' e cagion che il mondo oggi m' incolpe

Contra mia voglia a profetar m' invita. lo dico che di questa, e d' altre colpe

Vedrassi di la su venir vendetta,

PriiTia che '1 corpo mio si snerve, o spolpe. Macchiare, ahi stolta, e sanguinaria setta,

Macchiar cercasti un nitido cristallo,

Un* alma in ben oprar sincera, e netta. Sappi, crudel, se non purghi '1 tuo fallo,

Se non ti volgi a Dio, sappi ch' i' veggio

Alia ruina tua breve intervallo ; Che cadera. quel caro antico seggio,

(Questo mi pesa,) e finira con doglia

La vita che del mal s' elesse il peggio. Poi volse i passi, e disse, Quella spoglia

Che fu gittata, ed or di tomba e priva,

Ben verra con pieta chi la raccoglia. Ma che piu questo a me ? pur 1' alma e viva,

Ed onorata nei superni chiostri,

Ove umana virtu per fede arriva : Ivi convien che '1 suo ben far si mostri.

!86 APPENDIX. NO LXXIX.

NO LXXIX.

JEx Diario anonymi cujiisdam Florentini^ quod extat in Bibliotheca Magliabechiana,

A Di 8. d' Aprile 1492. in Domenica circa ore 5. di notte mori il Magnifico Lorenzo di Piero di Cosimo de' Medici, a Careggi, d' eta d' anni 44. non finiti, il quale era stato malato circa a mesi due d' una strana infer- mita, con grandissimi dolori di stomaco e di capo, che mai potettono i Medici conoscere la sua malattia. Dubi- tossi di veleno, e massime perche un Mess. Pierlione da Spuleti singolarissimo Medico, che era stato alia cura sua in tutta la malattia, la mattina seguente dopo la sua morte, fu trovato essere stato gittato in un pozzo a S. Cervagio alia Villa di Francesco di Ruberto Martelli, dove era stato trafugato, perche certi famlglj di Loren- zo 1' avevano voluto ammazzare, per sospetto che non avessi a\^'elenato Lorenzo, ma non se ne vedde segno alcuno.

NO LXXX.

Joannes Cardlnalis de* Medici, Magnifico viro Petro de^ Medicis,

V-/ARISSIME frater mi, ac unicum nostrae domus columen. Quid scribam, mi frater, praeter lachrimas

p,ene

APPENDIX. N<^ LXXX. 387

pene nihil est, perche considerando la felice memoria di nostro Padre essere mancliata, flere magis libet, quam quidpiam loqui. Pater erat, ac qualis Pater i In filios nemo eo indulgentior : teste non opus est, res ipsa indicat. Non mirum igitur, se mi dolgo, se pi- ango, se quiete alcuna non truovo, ma alquanto, mi frater, mi comforta, die ho te, quern loco defuncti patris semper habebo. Tuura erit imperare, mcum vero jussa capessere : farannomi e tua comandamenti sempre sommo piacere supra quam credi potest. Fac periculum : impera ; nihil est, quod jussa retardem. Oro tamen, mi Petre, is velis esse in omnes, in tuos praesertim, qualem desidero, beneficum, affabilem, comem, liberalem, con le quali cose non e cosa che non si acquisti, e non si conservi. Non ti ricordo ques- to, perche mi diffidi di te, ma perche cosi mio debito richiede. Confirmant me multa ac consolantur, con- cursus lugentium domum nostram factus, tristis totius urbis ac moesta facies, publicus luctus, et caetera id genus plurima, quae dolorem magna ex parte levant ; ma quello, che piu che altro mi conforta, e 1' havere te, nel quale tanto mi confido, quanto facilmente dire non posso. Di quello, che avvisi si debba tractare con N. S. non s' e facto nulla, perche cosi e paruto nieglio : piglierassi un' altra via, secondo che per le lettere delli Imbasciatori intenderai : credo si pigliera uno modo et piu comodo, et piu facile, el quale, ut quod mihi vide- tur, ti satisfera. Vale : nos quoque, ut possumus, valemiis. Ex Urbe die 12. Aprilis 1492.

388 APPENDIX. NO LXXXL

NO LXXXL

Laurentio de^ Medicis, A bagno a Vzgnone, Filius Petrus de^ Medicis,

MaGNIFICE Pater, &c. Intesi da Ser Piero par una sua, che hebbi hiermattina, quanto desideravi si fa- cessi circa la venuta di Messer Hermolao, el quale venne hieri dopo mangiare, et quasi ex improv.iso, che non se ne seppe nulla, se non forse un' hora in- nanzi. lo gli andai incontro, et da quattro o cinqu' altri in fuora non vi venne altri, et bisogno, che gli smontassi all' osteria, che ancora non era ad ordine la stantia, che vi si meno poi a pie. Subito che io fui smontato, tornai da lui per invitarlo, come mi era suto scripto, et visitarlo, et per intendere quanto voleva stare qui fermo ; invitailo per hoggi, et intesi non stava piu qui che oggi, et domane cavalcava per essere domane sera a Poggibonsi, o in luogo, che 1' altro di desini in Siena, dove non posso intendere se si fermera. Noi lo habbiamo hoggi convitato, che non si potria dire, quanto lui lo ha havuto a caro. Habbiamogli dato in compagnia a tavola chi lui dcsiderava, oltra quelli che lui haveva seco, che haveva un suo fratello carnale, un Segretario di San Marco, et un Dottore. Di qui vi fu el Conte dalla Mirandola, Messer Mar- silio, M. Agnolo da Montepulciano, et per torre un cittadino, et non uscire di parente et letterato, togliem- mo Bernardo Rucellai, che non so se habbiamo facto bene o male. Dipoi che havemmo desinato, li mon-

strai

APPENDIX. NO LXXXI. 389

strai la casa, le medaglie, vasi et cammei, et in sum- ma ogni cosa per insino al giardino, di die prese grande piacere, benche non credo s' intenda molto di scultura. Pure gli piaceva assai la notitia et 1' anti- quita delle medaglie, et tutti si maravigliavano del mmiero di si buone cose, Sec. Di lui non vi saprei- dire particulare, se non die e un homo molto elegante nel parlare per quello io ne intendo. Ajutasi delle lettere, et fassene honore et in rubare motti, et in dime ancora in Latino. Lo aspecto lo vedrete, die non puo essere migliore, et secondo i facti. Tempe- rato in ogni sua cosa, et pare ne liabbi bisogno, die pare molto cagionevole et debole di complexione. Ha nome di experto in rebus agendis, ma non pare con- sonino queste cose insieme, die piu presto pare da ceremonia die no. Non potrebbe monstrare, piu die si faccia, essere vostro amico, et credo sia, et molto gratamente ha ricevuto ogni honore, die gli e state facto, et non punto alia \'eneziana, che non pare di la se non al vestire. Ma secondo che dice ha ^randis- simo desiderio di vedervi, et dice volere divertere per trovarvi ed abbracciarvi : hovdo voluto sif^fnificare se a voi facessi per proposito di aspettarlo, che dice have re commissione etiam di salutarvi da parte della sua Sig- noria. Qui gli e stato facto honore publico da' citta- dini, et ristorato del lasciarlo smontare all' Osteria, et stamane innanzi venisse a desinare visito . la Signoria con molte grate parole, le quali non scrivo, perclie credo Ser Niccolo ve le scrivera lui, che cosi gli ho decto. Fuvi un poco di scandalo, che nel rispondere el Gonfaloniere prese un poco di vento presso al fine, et cosi si resto senza troppa risposta, che credo nello animo suo se ne rldessi, et ab uno didicerit omnes, VOL. III. 3 E che

390 APPENDIX. NO LXXXI.

che cosi se ne doleva hoggi qualchuno de' nostri. Cir- ca V onore non so che mi vi dire altro. El convito come gl' ando faro fare una iistra all' Orafo, 8c ve la mandero forse con questa, se lo trovano. Jacopo Gu- icciardini si sta cosi presto un poco peggio che no ; che hieri gli venne un poco d' accidente di tossa, et sputo cosa, secondo dicono quelli sua, molto strana, et pure inoltra con gP anni in modo, che a lungo andare, a mio juditio, quod absit, io ne dubito piu presto che no. La Contessina sta bene, et ha gia tre sciloppi, et seguita di purgarsi : et tutta 1' altra brigata di qui sta benissimo. Non vi scrivo nulla della libreria, perche rispecto alia venuta dello Imbasciatore sono a quello medesimo che 1' altro di. Raccomandomi a voi. Firenzc a di 10. di Maggio 1490,

NO LXXXII.

Titi Vespasiani Strozac^ Ad Angelum Poetam, Ex, Ed, Aid, 1513.

AnGELE, si quis erit, lacrymosi plena doloris

Qui tua non tristi carmina fronte legat, Ille feras inter saevis in rupibus ortus,

Aspera duritie vincere saxa potest. Non ego talis in hoc, sed amici fletibus angor,

Immeriti quern sors vexat acerba mali. Certe dignus eras hominum, coelique favore,

Nee t9i' .asus convenit iste viro.

In

APPENDIX. NO LXXXn. S9l

In te consumpsit vires fortuna nocendo,

Nil superest, ut jam possit obesse tibi. Sed licet in tenues concesserit irrita ventos

Intempestiva spes tua morte Ducis, Nee promissa Patris servet tibi Filius haeres,

Abstuleritque tuas Gallus adulter opes Non tamen ista valent rectam infortunia mentem

Eripere, et virtus inviolata manet. Candidus ille viget moruni tenor, et pia vitae

Simplvcitas nullis est labefacta dolis ; Parsque tui melior fraudein praedonis iniqui

Dtspicit, ac ferrum, terribilesque uiinas. Namque sacros inter celebraberis, Angele, vates,

Seraque posteritas scripta diserta leget : Et clarum toto stabit tibi nomen in orbe,

Donee in aequoreas Rex Padus ibit aquas. Dura fuit rerum jactura, ut scribis, at illud

Triste magis, versus tot periisse tuos. Namque donium, et vestes, nummosque, et praedia siquis

Perdidit, haec aliqua sunt reparanda via. Casus, et indulgens hominum praesentia multis

Amissas duplici foenore reddit opes. Quis tibi restituet non exemplaribus ullis

Tradita, per longas carmina facta moras ? Quorum siqua manet memori sub mente reposta

Pars tibi, plura tamen pectore lapsa reor. Atque ita susceptus frustra est labor ille, jacctqiic

Clarorum in tenebris fama sepulta virum. Quo fit, ut indigner, doleamque, impune quod ausus

In te sit tantum barbarus ille nefas. Ille sacras aedes potuit spoliare, Deosque Qui vertit duras in tua damna manus.

Non

;92 APPENDIX. N^ LXXXII.

Non ilium pudor, aut pietas, aut gratia movit,

Nee vindex magni terruit ira Dei. Et bona Pieridum dextro tibi numine parta,

Sacrilega rapuit barbara turba manu. Sed non parva mali restant solatia, quod non

Ullius culpae conscius ipse tibi es. Adde quod illustres multi graviora tulerunt

Kis, quae tu pateris, nee meruere viri. Respice Threicii fatum miserabile vatis,

Est et Arioniae cognita causa fugae. ' Exul, inops, degens in amaris Naso querelis

Finiit extrcmam per mala multa Diem. Hos praeter facile est aliorum exempla referre,

Quae quoniam tibi sunt nota, silenda puto. Sed tamen ad vatem pauca haec de vatibus istis

Dicta velim, quamvis fabula trita foret. Quod petis, egregii pietas spectata Casellae

Et favet, et voto est officiosa tuo. Nee tibi Castellus Regi gratissimus, et qui

Rectum amat, optatam ferre negabit opem. Nos quoque, si precibus quidquam, studioque vah mus.

Si quid apud magnum est gratia nostra Dueem, Hoc erit omne tuum, nee non curabimus, una

Consulat ut rebus Regia cura tuis. Caetera semper agat quamvis dignissima laude

Borsius, baud minor hae gloria parte venit, Quod bonus afflictis suceurrere novit, et idem

Magna solet meritis praemia ferre viris. ' Saepius hoc alii senserunt. Angele, rursum

Ad vivas sitiens ipse recurris aquas.

APPENDIX. NO LXXXIII. 39S

NO LXXXIII.

Robertus Ubaldimis de Galliano, Dominicanae Faniiliae Monac/ms, de obitu Ang» Politiani,

OEPULTURA Domini Angeli Politiani, Item ne memoria oblivioni detur omnino, ubi jacet corpus clarissimi, ac doctissimi, et eloquentissimi viri Domini Angeli Politiani, Canonici Cathedralis Ecclesiae Flo- rentinae, hie mihi suprascripto Fratri Roberto visum est justum, et bonum, annotare locum sepulturae suae, quoniam et teneor, quum fuerit ipse mihi olim magis- ter, et ego illi discipulus, et ejus infirmitati frequenter interfui, una cum venerando Patre, Fratre Dominico Pisciensi, familiari suo, ac etiam morti ejus, imo et qui post mortem ipsius, propriis manibus, ex commis- sione Reverendi Patris, Fratris Hieronymi Savonaro- ke, Ferrariensis, Generalis Vicarii tunc Congrega- tionis nostrae S. Marci, dedi eidem habitum Ordinis nostri, et indui corpus ejusdem habitu illo, quem antea in vita optaverat et petierat, et sepulturam apud nos requisierat. Unde et Domini Canonici Ecclesiae su- perscriptae ad funus ejus venerunt una cum omnibus Fratribus nostri Conventus. Hue detulere corpus ipsius de voluntate etiam suae sororis, et quorumdam nepotum ipsius, qui tunc aderant ea de causa Floren- tinae urbi, et pro tunc sub deposito quodam in capsa mia in Coemeterio secularium, quod juxta Ecclesiam nostri Conventus est, et sub ea portione, quae in Coe- meterio ipso est, et in capite portionis ipsius juxta Al- tare quod ibidem est, fuit conditum ipsum corpus habitu

nostri

394 APPENDIX. NO LXXXIII.

nostri Ordinis vestitum. Sed post quum nuUus at- tenentium suorum adimplesset quod dixerant, faciendo sibi ornatum sepulchrum ad memoriale perenne, fuit sepultum in dicta capsa in sepulchre quod ibidem est commune, ubi Fratres sepeliunt eos qui apud nos sepe- liri petunt, et locum sepulturae apud nos minime habent. Obiit autem prefatus Orator summus, atque Poeta insignis de mense Septembris ; credo quod in principio illius mensis ; non tamen memoria me.a hoc tenet adamussim ; sed de anno Domini 1494. eo anno, quo Comes Mirandulanus, cujus etiam familiari con- suetudine utebatur, et ante ipsius obitum per duos men- ses ; et obiit in domo, horto qui dicebatur Giardinus Dominae Claricis dim uxoris magnifici Laurentii de* Medicis. Fuerat enim praeceptor Petri filii majoris natu ipsius Magnifici Laurentii. Et haec ad memoriam rei sint, &c.

NO LXXXIV.

Discorsoy o jipologia di Lorenzo de^ Medici,

Sofira la nascita, et morte rf' Alessandro de^ Medici jirimo Duca di Firenze,

ij£ 10 avessi a giustificare le mie azzioni appresso di coloro, i quali non sanno che cosa sia Liberta, 6 Ti- rannide, io m' ingegnerei di dimostrare, e provocare con ragioni, come gli uomini non devon desiderare cosa pill del viver politico, e in liberta, trovandosi la politica pill rara, e manco durabile in ogni altra sorte

di

I

APPENDIX. NO LXXXIV. 395

di Governo, che nella Repiiblica, e dimostrarei ancora, com^ essendo la Tirannide totalmente contraria al viver politico, ch' ei devono parimente odiarla sopra tutte le cose ; e com' egli e prevaluto altre volte tanto piu questa opinione, che quelli, che hanno liberata la lore Patria dalla Tirannide, soiio stati reputati degni de* secondi onori dopo gli Edificatori di quella. Ma aven- do a parlare a chi sa, e per ragione, e per pratica, che la Liberia e bene^ e la Tirannide e male^ presupponendo universale, parlero particolarmente della mia azione, non per domandarne premio, ma per dimostrare, che non solamente io ho fatto quello a che e obligato ogni buon cittadino, ma che io averei mancato 8c alia Patria, & a me medesimo, se io non V avessi fatto.

E per cominciarmi dalle cose piu note, io dico, che non e alcuno, che dubiti che il Duca Alessandro, (che si chiamava de' Medici,) non fusse Tiranno della nostra Patria, se gia non son quelli, che per favorirlo, e tener la parte sua ne divenivan ricchi, i quali non potevan pero essere, ne tanto ignoranti, ne tanto aececati dall' uti- lita, che non conoscessero, ch' egli era Tiranno. Ma perche ne tornava bene a loro in particolare, curandosi poco del Publico, seguitavano quella fortuna ; i quali in vero erano uomini di poca qualita, & in poco nu- mero, tal che non possono in alcun modo contrape- sare il resto del Mondo, che Io reputava Tiranno. Ne, alia verita, perche essendo la Citta di Firenze per antica possessione del suo popolo libera, ne seguita, che quelli che la comandano, che non sono proposti dal popolo per comandarla, sono Tiranni, come ha fatto la Casa de' Medici, la quale ha ottenuta la supe- riorita della nostra Citta per molti anni, con consenso

e par-

396 APPENDIX. NO LXXXIV.

e participazione della minor parte del popolo : ne, coi> tutto questo, ebbe ella mai autorit.i, se non limitata, insino a tanto che dopo molte alterazioni venne Papa Clemente VII. con quella violenza che sa tutto il Monde, per privare deila liberta la sua Patria, e fame questo Alessandro Padrone ; il quale giunto, che fu in Firenze, perche non si avesse a dubitare, s' egli era Tiranno, levata via ogni civilta, h. og-ni reliquia, e nome di Republica, e come fusse necessario per esser Tiranno non esser men' empio di Nerone, ne meno odiatore degli uomini, 6 lussurioso di Caligola, ne meno crudele di Falari, cerco di superare le scelera- tezze di tutti ; perche, oltre alle crudelta usate ne' cittadini, che non furono punto inferiori alle loro, supero (nel far morire la Madre) I'empieta di Nerone, perche Nerone lo fece per timore dello stato, e della vita sua, e per prevenire quello che dubitava non fusse fatto a lui. Ma Alessandro commesse tale scele- ratezza solo per mera crudelta, e inumanita, come io diro appresso ; ne fii punto inferiore a Caligola col vilipendere, befPare, e straziare i cittadini con gli adul- terii, con le violenze, con le parole villane, e con le minacce, che sono a gli uomini, che stiman 1' onore, piu dure a sopportare che la morte, con la quale al fine gli perseguitava. Supero la crudelta di Falari di gran lunga, perche dove Falari puni con giusta pena Perillo della crudele invenzione per tormentare e far morire gli uomini miseramente nel Toro di Bronzo, si puo pensare che Alessandro 1' averebbe premiato, se fosse stato al suo tempo, poiche lui medesimo cogi- tava, e trovata nuove sorti di tormenti, e morti, come, murare gli uomini vivi in luoghi cosi angusti, che non si potessero ne voltare, ne muovere, ma si potevan

dire

APPENDIX. NO LXXXIV. S97

dire miirati insieme con le pietre, e co' maltoni, e in tale stato gli faceva morire, e allungare 1* infelicita loro pill ch' era possibile, non si saziando quel mostro con la morte semplice de suoi cittadini ; tal che J sei anni, ch' egli visse nel principato, e per libidine, e per avarizia, e per uccisioni, si posson comparare con sei altri di Nerone, di Caligola, e di Falari, scieglien- doli per tutta la vita loro i piii scelerati, a proporzione pero della citta, e dell' imperio ; perche si trovera in si poco tempo essere stati cacciati dalla patria loro tanti cittadini e perseguitati, poi moltissimi in esilio, tanti essere stati decapitati senza processo, e senza cause, e totalmente per vani sospetti, e per parole di nessuna importaiiza, altri essere stati avelenati, e morti di sua mano propria, 6 de' suoi satclliti, solamente per non avere a vergognarsi da certi, die 1' avevano veduto nella fortuna in ch' egli era nato e allevato; e si trove- ranno in oltre essere state fatte tante estorsioni, e prede, essere stati commessi tanti adulterii, e usate tante violenze, non solo nelle cose profane, nia nelle sacre ancora, ch' egli apparira. difficile a giudicare chi sia stato piu, 6 scelcrato e inipio il Tiranno, o pazi- ente e vile il popolo Fiorentino, avendo sopportato. tanti anni cosi grave calamita, essendo all' ora mas- sime piu certo il pericolo nello starsi, che nel mettersi con qualche speranza a liberar la patria, e assicurarla per 1' avenire. Per<^ quelli, che pensano, che Ales- sandro non si dovesse chiamar Tiranno, e per essere itato messo in Firenze dall' imperatore, qual' e opi- nionc che abbia autorita. d' investire dcgli stati che gli pare, s' ingannano, perche quando I' imperatore abbia cotesta autorita, egli non 1' ha da fare senza giusta causa, e nel particolare di Firenze egli non lo VOL. III. 3 F poteva

398 APPENDIX. NO LXXXIV.

poteva fare in nessun modo, e&seDcloci ne' i capitoli ch' ei fece col popolo FiorentinD, dlla fine dell' assedio del 1530, expressamente dichiarato, che non potesse mettere quella citt^c sotto la servitu de' Medici ; oltre che quando ben 1' imperatore avesse avuta autorita di fado, e non 1' avesse fatto con tutte le ragioni e giustificazloni del iVlondo, tal ch' ei fusse stato piu legitimo prenclpe del Re di Francia, la sua vita disso- luta- la sua avarizia, la sua crudelta, V avrebbono fatto Tiranno ; il che si puo manifestamente conoscere per V esempio di lerone, e del leronimo Siracusano , de' quali 1' uno fii chiamato Re, e 1' altro Tiranno, perch' es- sendo lerone di quella santita di vita che testificano tutti gli scrittori, fu amato mentre visse, e desiderato dopo la moite sua, da' sijoi cittadini, ma leronimo suo fig- liuolo, che poteva parere piu confermato nello stato, e piu legitimo mediante la successione, fu per la sua trista vita cosi odiato da' medesimi cittadini, ch' egli visse e mori da Tiranno, e quelli che 1' ammazzarona furono lodati e celebrati, dove, s' eglino avessino morto il padre, sarebbono stati biasimati, e reputati parricidi ; si che i costumi son quelli, che fanno divenire i pren- cipi tiranni contro a tutte 1' investitiu'e, tutte le ragioni, e successioni del Mondo. Ma per non consumar piu parole in provar quello, ch' e piii chiaro del sole, vengo a risponder a quelli, che dicono, ancorch' egli fusse Tiranno, che io non lo dovevo ammazzare, essenc'o io suo servitore, e de' sangue suo, e fidandosi egli di me ; i quali non voriei, che portassino altra pena dell' invidia, e malignita loro,, so non che Dio gli facesse parenti, servitori, e confidenti del Tiranno della loro Patria, se non e cosa troppo empia deside- rare tanto male ad una Citta per ia colpa di pochi,

poiche

APPENDIX. NO LXXXIV. 399

poiche cercano di oscurare la buona intenzione con queste calunnie, che quando le fussino vere, non avrebbono elle forza alcuna di farlo, e tanto piu, che io sostengo, che io non fui mai servitore di Ales- sandro, ne lui era del sangue mio, o mio parente, e jprovero, ch' ei non si fido mai di me volontariamente. In due modi si puo dire, che uno sia servo, o servi- tore di un altro, 6 piscliando da lui premio per servirlo 6 per essergli fedele, o essendo suo schiavo, pcrche i sudditi ordinariamente non son compresi sotto questo nome di servo, e di servitore. Che io non fussi schiavo ad Alessandro e chiarissimo, si come e chiaro ancora (a chi si cura di saper'o) che io, non solo non ricevevo premio, 6 stipendio alcuno, ma che io pagavo a lui la mia parte delle gravezze, come gli altri cittadini ; e s' egli credeva, che io fussi suo suddito, 6 vassalo, perch' egli poteva pivi di me, ei dovette conoscere ch' ei s' ingannava, quando noi fummo del pari, si che io non fui mai, ne potcvo esser chiamato suo servitore. Ch' egli non fusse della casa de' Medici, e mio parente manifesto, perch' egli era nato di una donna in- fima, e di vilissimo stato, da Colle Vecchio, in quel di Roma, che serviva in casa di Lorenzo agli ultimi servizi della casa, ed era maritata a un vetturale, e infin qui e manifestissimo. Dubitasi, se il duca Lo- renzo in quel tempo, ch' egli era Fuoruscito, ebbe che fare con questa serva, e s' egli accadde, non accadde piu d' una volta ; ma chi e cosi imperito del consenso degli uomini, e della legge, ch' ei non sappia, che quando un donna ha marito, e ch' ei sia dove lei, ancorch' ella sia trista, e ch' ella esponga il corpo suo alia libidine di ogn' uno, che tutti i figliuoli, ch' ella fa, con sempre giudicati, e sono del marito? perche

le

400 APPENDIX. NO LXXXIV.

le legg-i vogliono conservar 1' onesta, quanto si pu6. Se dunque questa serva da Coilevecchio (della quale non si sa per la sua nobilitd ne nome, ne cognome). era marltata a un vetturale, (e questo e manifesto e noto a tutto il mondo,) Alessandro, secondo le leggi umane e divine, era figliuolo di quel vetturale, e non del duco Lorenzo ; tanto ch' egli non aveva meco altro interesse, se non ch' egli era figliuolo di un vetturale della casa de' Medici. Ch' egU non si fidasse di me, lo proYo, perch' egli non voile mai acconsentire, che io poitassi armi, ma mi tenne sempre disarmato, come faceva gli altri cittadini, i quali egli aveva tutti a sos- petto. Oltre a questo mai si fido meco solo, ancor che io fussi sempre senz' armi, e lui armato, che del continuo aveva seco tre 6 quattro de' suoi satelliti ; ne quella notte, che fu 1' ultima, si sarebbe fidato, se non fusse stata la sfrenata sua libidine che 1' occeco, e lo fece mutare, contro a sua voglia, proposito ; ma come poteva egli essere, ch' egli si fidasse di me, che non si fido mai d' uomo del mondo ? perche non amo mai persona, e ordinariamente gli uomini non si posson fidare, se non di quelli, che amano. E ch' egli non amasse mai persona, anzi ch' egli odiasse ogn' uno, si conosce, poich' egli odio, e perseguito con veleni, e insino alia morte le cose sue proprie, che gli dovevano esser piu care, cioe la Madre, et il cardinale Ipolito de' Medici, ch' era riputato suo Cugino. Io non vorrei, che la grandezza delle sceleratezza vi facesse pensare, che queste cose fussono finte da me per aggravarlo, perche io son tanto lontano dall' averle finte, che io le dico piu semplicemente che io posso, per non le fare piu incredibili di quelle ch' elle sono per natura. Ma di questo ci sono infiniti testimonii,

infiniti

APPENDIX. NO LXXXIV. 404

infiniti examini, la fama freschissima, d' onde si sa per ttrto, che qucsto mostro, questo portenio, fece avelenare la piopria Madre, non per altra causa, se non perche vivendo ella, faceva testimonianza della sua ignobiita, perche, ancorche fusse stalo molti anni in giandezza, egii I' aveva lasciata nella sua poverta, e ne' suoi esercizi a lavorar la Terra, sin tanto che quel cittadini, che avevan fuggita dalla nostra citta la crudelta, e P avarizia del Tiranno, insieme con quelli che da lui n' erano stati cacciati, volsono menare all' imperatore a Napoli questa sua Madre, per mostrare a sua maesta d' end' era nato colui, il quale ei com- portava che comandasse Firenze. All' era Alessandro, non scordatosi per la vergogna della pieta ed amor della Madre (quale lui non ebbe mai) ma per una sua innata crudelta e ferit^, commesse, che sua madre fusse morta, avanti ch' ella andasse alia presenza di Cesare ; il che quanto li fusse difficile, si pub con- siderare, immaginandosi una vecchia, che stava a filar la lana, e da pascer le pecore ; e s' ella non sperava piu ben nessuno dal suo figliuolo, almeno la non temeva cosa si inumana, e si orrenda, e se ei non fusse stato, oltre il piu crudele, il piu insensato uomo del Mondo, ei poteva pure condurla in qualche luogo segretamente, dove se non 1' avesse voluta tener da madre, la poteva tener almanco viva, e non voler all' ignobiita sua aggiugnere tanto vituperio, e cosi nc- fanda sceleratezza. E, per tornar a proposito, io conclude, che, perche lui non amo sua madre, ne il cardinale de' Medici, ne alcuno altro di quelli che gli erano piu congiunti, che egli non amo mai alcuno, perche, ccme io ho detto, non ci possiamo noi fidare di quelli che noi non amiamo ; si che io non fui mai

suo

402 APPENDIX. NQ LXXXIV.

siio servitore, ne parente, ne lui mai si fido di me. Ma mi par bene, che per esser male informali, o per qualche altro rispetto, diccno, che io ho errato ad amazzare Alessandro, allegandone le sopradette ra- gioni ; mostrino esser molto meno informati delle ieggi ordinate contro a Tlranni, e delle azzioni lodate dag'li uomini, che hanno morto infino i pioprii fratelli per la liberta della patria : perche se le leggi non solo permetlono, ma aGtringrono il figliuolo ad accusare il padre, in caso ch' ei cerchi di occiipare la Tirannide della sua patria, noa ero io tanto piu obligato a cer- car di liberar la patria, gia serva, con la morte di lino, che quando fusse sta^o di casa mia (che non era) a loro modo sarebbe stato bastardo, e lontano 5, o 6 gradi da me ? e se Timoleone si trovo ad ammazzare il pro]»rio frattello per liberar la patria, e ne fu tanto lodato e celebrato, che ne e ancora, perche averanno questi malevoli autorita di biasimarmi ? Ma quanto air ammazzare un che si fidi (il che io non dico di aver fatto) dico bene, che se io 1' avessi fatto, io non avrei errato, e se io noii 1' avessi potuto fare altri- menti, I'avrei fatto. Io domando a questi tali, se la loro patria fusse oppressa da un Tiranno, se Io chia- merebbono a combattere ? o se gli farebbono prima intendere, che Io volessino ammazzare i o se eglino andrebbono deliberati per ammazzarlo, sapendo di aver ancor loro a morire ? ovvero, se cercherebbono di ammazzarlo per tutte le vie, e con tutti gli inganni, « con tutte le strategemme, purch' egli restasse morto, e loro vivi ? Quanto a me, io penso, che non piglia- rebbono briga di ammazzarlo nelF un modo, e neir altro, ne si puo credere altrimenti ; poiche biasimano, che io ho preso quel modo, ch' era piu da pigliare.

Se

APPENDIX. NO LXXXIV. 403

Se questo consenso, e questa legge, che e fra gli iiomini santissima, di non ingannare chi si fida, fusse levata via, io credo certo che sarebbe peggio essere uomo, che bestia, perche gli uomini mancherebbono principalmente della fede, dell' amicizia, del consorzio, e della maggior parte delle qualita, che ci fanno su- perior! agli animi bruti, essendo che nel resto, una parte di loro e di piu forze di noi, e di piu vita, e manco sottoposti a casi e alle necessita umane ; ma non per questo vale la consequenza, che questa fede, che questa amicizia, si abbia da osservare ancora con i Tiranni, perche siccome loro pervertono, e confon- dono tutte le leggi, e tutti li buoni costumi, cosi gli uomini sono obligati, contro a tutte le leggi e tutte Pusaze, cercar di levargli di terra, e quanto prima la fanno, tanto piu sono da lodare. Certo sarebbe una buona legge per i Tiranni questa, che vorrebbero introdurre, ma cattiva per il Mondo, che nessuno debba offendere il Tiranno di quelli in cui egli si fida, perche fidandosi egli di ogni uno, non potrebbe per vigore di questa nostra legge esser offeso da persona, e non avrebbe bisogno di guardie, o fortezze ; si che io concludo, che i Tiranni in qualunque modo si ammazzino, siano ben morti. Io vengo ora a rispon- dere a quelli, che non dicono gia, che io facessi errore ad ammazzare Alessandro, ma che io errai bene nel modo del proceder poi dopo la morte ; a' quali mi sara un poco piu difficile rispondere, che a gli altri, per- che P evento pare, che accompagni la loro opinione, dal quale loro si muovono totalmente, senz' aver altra considerazione, ancorche gli uomini savii siano cosi alieni dal giudicare le cose da gh eventi, che gli usino lodar le buone, e savie operazioni, ancorche P effetto

soiiisca

404 APPENDIX. NO LXXXIV.

sortisca tristo, e biasimar le triste, ancorche lo sortis^ cano buono. lo voglio oitre a questo dimostrare, non solo, che io non potevo far piu di quello, che io feci, ma ancora, che se io tentava altro, chelne risultava danno alia causa, e a me biasimo. Dico dunque, che il fine mio era di iiberar Firenze, e V ammazzar Alessandro era il mezzo. Ma perche io conoscevo, che questa era mi' im.presa, che in non potevo condur solo, e communicarla non voievo per il pericolo mani- festo, che si corre in ailargar cose simile, non tanto della vita, quanto del non poter condarle a fine, io mi risolvetti a far da me, finche io potetti fare senza la compagnia, e quando io non potevo far piu da me cosa alcuna, all' ora allargarmi, e domandare ajuto, il quale consiglio mi successe felicemente fino alia morte di Alessandro, che insino all' ora ero stato suf- ficiente a far quanto bisognava, ina d' allora in qua cominciai ad aver bisogno di ajuto, perche io mi tro- vavo solo senz' amici, e confidenti, e non avendo altre armi, che quella spada, con cui 1' avevo morto. Bi- sognandomi dunque domandar ajuto, non potevo io piu convenientemente sperare in quelli di fuora, che in quelli di Firenze ? avendo visto con quanto ardore e quanto animo loro cercavano di riavere la loro liber- ta, e per il contrario con quanta pazienza e vilta, quelli ch' erano in Firenze sopportavano la servitu, e sapendo, che gli eran parte di quelli, che nel 1530 si eran trovati a difender cosi viiluosamente la loro liberta, e che il resto erano Fuorusciti volontari, d' onde si poteva piu sperare in loro, che in quelli di dentro, poiche questi vivevano sotto la Tirannide, e quelli volevano piu tosto esser liberi che servi ; sa- pendo

APPENDIX. NO LXXXIV. 405

pendo ancora, die i Fuorusciti erano armati, e quel di dentro disarmati. In oltre tenendo per certo, che quel di fuora volessono unitamente la liberta, e sapen- do, che in Firenze vi erano mescolati moiti di quei, che volevano la Tirannide, poiche si vidde poi, (che rale il giudicar dagli eventi,) che in tutta quella citta in tante occasioni non fu chi si portasse, non dico da buon cittadino, ma da uomo, fuorche due, o tre ; e quest! tali che mi biasimano, pare che cerchino da me, che io atevo da andar convocando per la citta il popolo alia liberta, e mostrar loro il Tiranno raorto, e vogU- ono, che le parole avesson mosso quel popolo, il quale conoscevano non esscr stato mosso da fatti. Avevo io dunque a levarmi in spalla quel corpo a uso di Facchi- no, e andar gridando solo per Firenze, come i pazzi ? Dico solo, perche Piero mio serritore, che nell' ajutar- melo ammazzare si era portato cosl animosamente, dopo il fatto, e poi ch' egli ebbe a pensar il pericolo, ch' egli avea corso, era tanto avilito, che di lui non potevo disegnare cos' alcuna, e non avevo io a pensare, sendo nel mezzo della guardia del Tiranno, e si puo dire nella medesima casa, dov' eran tutti i suoi servi- tori, e essendo la notte un lume di luna splendissimo, di aver io a essere, o preso, o morto prima, che io avessi fatto tre passi fuora dell' uscio ? e se io avessi levatag-li la testa, che quella si poteva celare sotto a un mantcUo, dove avevo io a indirizzarmi essendo solo, e non conoscendo in Firenze alcuno, in chi io con- fidassi ? chi mi avrebbe creduto ? perchj una testa tagliata si transfigura tanto, che aggiunto il sospetto ordinario, che hanno gli uomini di esser tentati, o ingannati, e massime da me, ch' ero tenuto di mente contraria a quella, che io avevo fatto, io poteva pen- voL. III. 3 G sarc

406 APPENDIX. NO LXXXIV.

sare di trovar prima uno, che mi ammazzasse, clie uno, che mi credesse, e la morte mia in quel caso im- portava assai, perche averebbe data riputazione alia paite contraiia, e a quelli, che volevano la Tirannide, potendo parere, chs in quel moto fusse in parte la morte di Alessandro vendicata, e cosi procedendo per quel verso, io potevo piu niiocere alia causa, che giovare ; pero io fui di tanto contraria opinione di costoro, che non che io publicassi la morte di Ales- sandro, io cercai di occultarla e piu che io poteva in quell' istante, e portai meco la chiave di quella stanza, dov' eg-li era rimasto morto, come quello, che averei voluto, se fusse stato possibile, che in un medesimo tempo si fusse scoperto, che il Tiranno era morto, e che i Fuorusciti erano mossi per venire a ricuperar la liberta ; e da me non resto, che cosi non fusse* Certi altri dicono, che io dovevo chiamar la guardia del Tiranno, e mostrarglielo morto, e domandar loro, che mi conservassono in quello stato, come succes- sore, e in somma darmi loro in preda, e di poi, quando le cose fussono state in mio potere, che io avessi resti- tuita la Republica, come si conveniva. Questi che la discorrono per questo verso, almanco conoscono, che nel popolo non era da confidare in conto alcuno, ma non conoscono gia, che se quei soldati in quei primi moti, e per il dolore di veder morto il loro signore avessono morto me (come e versimile) che io avrei perso insieme la vita, e I'onore, perche ogn' uno av- rebbe creduto, che io avessi voluto far Tiranno me, e non liberar la patria ; dal qual concetto, si come io sono stato sempre alienissimo nel mio pensiero, cos> mi sono ingegnato di tener lontani gli animi degli

altri ;

APPENDIX. NO LXXXIV. 407

altri ; si che nell' un modo io avrei noclulo alia causa, e nell' altro all' onor mio : ma io confessarei facil- mente di avere errato, non avendo preso uno d'l questi, o simili partiti, se io non avessi avuto da pensare, che i Fuorusciti dovessero finir meco 1' ope '-a, che io avevo cominciata ; perche avendoli io visti venire cosi fran- camente a Napoli con tanta ripiitazione, e con tanto animo, e cos? unitamente, a ridomandare la loro liberta in presenza del Tiranno, ch' era non solo vivoj ma Genero dell' Imperadore, non avevo io a tener per certo, che da poi, ch' egli era niorto, che 1' Imperadore era in Spagna, e non a Napoli, ch' eglino avessono a raddoppiare, e la potenza, e V ani- mo che io avevo visto in loro, e che dovessono ripigli- are la loro liberta, dove non avessono piu constrasto ? Certo che mi parrebbe di essere stato maligno, se io non avessi sperato questd da loro, e temerario, se io non avessi preso questo partito. Io confesso, che non mi venne mai in considerazione, che Cosimo de* Medici dovesse succedere ad Alessandro, ma qiiando io r avessi pens;ito, o creduto, io non mi sarei gover- nato al altrimenti dopo la morte del Tiranno, che come io feci, perche io non mi sarei mai immaginato, che gli uomini (che noi repiitiamo Savii) dovessero preporre alia vera presente gloria, la futura incerta, c trista ambizione.

a

Egli e altrettanta difliicolta dal discorrer le cose al farle, quanta ne e dal discorrerle inanzi al dopo. Pert) quelli che discorrono ora cosi facilmente quello, che io dovevo fare all' ora, se si fussono trovati in sul fatto, avrebbono un poco meglio considerato quanto era posslbile soUevare un popolo, che si trovava in

corpo

408 APPENDIX. NO LXXXIV.

corpo una Guardia, e in capo una Fortezza, che gli era di magu^iore spavento, quanto la cosa era piu nu- ova, ed insolita a Firenze, tanto piu era a me difficile, che oltre al poilare il nome de' Medici, ero in con- cetto di amatore della Tirannide ; e cosi quelli, che discorrono le cose dopo il fatto, veggono che le sono mai successe : se mi avessino avuto a consigliare all' ora quando eglino avrebbono visto da una banda tanta diffi- culta, e dall' altra i Fuorusciti con tanta riputazione, e tanto numero, cosi ricchi, cosi uniti per la liberta. come tutto il Mordo credeva, e che non avessono ostacolo alcuno al tomare in Firenze, poiche il Tiranno era levato via, io credo-, che sarebbono stati di contraria opinione a quella che ora sono ; e in somma la cosa si riduce qui\ che dove volevaiio, che io solo disarmato andassi svegliando, e convocando il popolo alia liberta, e che io mi opponessi a quelli, ch' erano di contraria opinione (il ch' era impossibile) io Io volevo fare in compagnia de' Fuorusciti, e col favore degli uomini del dominio, quali io sapevo, ch' erano la maggior parte per noi. E se noi fussimo andati alia volta di Firenze con quella celerita, e risoluzione, che si ricer- cava, noi non trovavamo fattoci contro provedimento alcuno ; ne 1' elezione di Cosimo (che era si mal fondata, e cosi fresca) ci poteva nuocere, o impedire. Se dunque io avessi trovati i Fuorusciti di quell' ani- mo, e di quella prontezza (ch' era pero la mag^or pane di loro, ma quelli che potevano m^anco, non avendo altre qualita che di esser Fuorusciti) nessuno neghera, che la cosa non fusse successa appunto, come io mi ero immaginato ; il che si puo provare, e con molte ragioni, che per non esser troppo lungo, si tralasciano, e per il caSo di Monte Murlo, perche

dopo

APPENDIX. N^ LXXXIV. 40§

dopo molti niesi, che dovevano, e da poiche eglino avevano lasciato acquistare agli avversarii tanta riputa- zione, quanto loro ne avevano perduta, succedess' egli di liberar Firenze, se la malignitu, e V innetta ambizione di pochi non avesse dato agli avversarii quella vittoria, che loro stessi non speravano mai, e che quando si viddero vincitori, non jx)tevano ancor credere di aver vinto : tanto che i Fuorusciti perderono un impresa, che da ogn' uno era giudicato, che non si potesse perdere. Pero chi vorra di nuovD giudicare dagli eventi, conoscera, che all' ora eglino avrebbon rimesso Firenze in liberta, se si fussono saputi gover- nare ; tanto piu era la cosa certa, se dopo la morte di Alessandro immediatamente avessono fatto la meta della sforza, che feciono all' ora, e che non fecero, quando eglino dovevano, perche non volsono ; che altra ragione non se ne puo assegnare. Ancora voglio confessare a qiiesti tali di essermi nial governato dopo la morte di Alessandro, se loro confessano a me di aver fatto quel medesimo giudizio in quell' instante, ch' eglino intesero, che io 1' avevo morto, e che io mi era salvato, ma se feciono all' ora giudizio con- trario, e se parve all' ora, che io avessi fatto assai ad ammazzarlo, e salvarmi, e se giudicarono (essendo usciti fuora tanti cittadini, e cosi potenti, e di tanta riputazione) che Firenze avesse riavuta la liberta, io non voglio concedere loro ora, che si ridichino, ne che pensino, che io mi partissi di Firenze per poco animo, o per soverchio desiderio di vivere, conciosiacosache mi stimerebbono di troppo poco giudizio, se volessino che io avessi indugiato insino all' ora a conoscere, che quello che io trattava era non pericolo, ma se conside- ravano, che io non pensai mai alia salute mi a piu di

quello,

410 APPENDIX. NO LXXXIV.

quelle, e ragionevole pensarvi, e se io me ne andai di poi a Constantinopoll, io Io feci quando io vidde le cose, non solo andate a mal cammino, ma disperate, e se la mala fortuna non mi avesse perseguliato infin la, forse quel viaggio non sarebbe riuscito vano. Per tutte queste ragioni io posso piu tosto vantarmi di aver liberata Firenze, avendola lasciata senza Tiranno, che non possoa loro dire, che io abbia mancato in conto alcuno, perche non solo io ho morto il Tiranno, ma sono andato io mede- Simo ad essortare, e sollecitare quelli, che io Scipeva, che potevano, e pensava, che vollessino fare piu de9;U altri per la liberla della patria loro. E clie colpa dunque e la mia, se io non gli ho trovati di quella prontezza, e di quell' ardore, ch' eglino dovevano essere ? o che piu ne posso io ? Guardisi in quello, che io ho potuto far senza 1' ajuto d' altri, se io ho mancato. Nel resto non doman- date degli uomini, se non quello, che possono, e tenete per certo, che si mi fusse stato possibile fare, che tutti i cittadini di Firenze fussero di quell' animo verso la patria che dovrebbono, che cosi, come io non ebbi rispetto per levar via il Tiranno, ch' era il mezzo per conseguire il fine propostomi, e metter a manifesto pericolo la vita mia, e lasciar in abbandono mio padre, mio fratello, e le mie cose piu care, e metter tutta la mia casa in quella rovina, ch' ella si trova al presente, che per il fine stesso non mi sarebbe tanta fatica spargere il proprio s?ngue, e quello de' miei insieme, essendo certo, che ne loro, ne io averessimo potuto finire la vita nostra piu gloriosamcnte in servizio della patria.

APPENDIX. NO LXXXV. 4U

NO LXXXV.

DEO LIBERATOR!,

Jt ER non venire piu in potere de' maligni inimici miei, ove, oltre all' essere stato ingiustamente e crudel- mente straziato, sia costretto di nuovo, per violenza di toinnenti, dire alcuna cosa in pregiudizio delP onore dell' innocenti parenti, et amici miei, la qual cosa e accaduta a questi giorni alio sventurato Giu- liano Gondi : lo Filippo Strozzi mi sono deliberato, in quel modo che io posso, quantunque duro (rispetto all' anima) mi paia, con le mie proprie mani finire la vita mia : L' anima mia a Iddio, somma miserecordia, raccomando, humilmente pregandolo, se altro darle di bene non vuole, che le dia almeno quel luogo dove Catone Uticense, e altri simili virtuosi uomini hanno fatto tal fine.

Prego D. Giovan di Luna castellano, che mandi a torre del mio sangue dopo la mia morte, e ne faccia fare un migliaccio, mandandolo a Cibo cardinale, af- fine che si satii in morte di quello, che satiare non si e potuto in vita, perche altro grado non gli manca per arrivare al ponteficato, a che esso si disonestamente aspira : E lo prego che faccia sepellire il mio corpo in Santa Maria Novella, appresso a quello della mia donna, quando che no, mi staro dove mi metteranno : Prego bene i miei Figliuoli che osservino il testamento fatto da me in Castello, il quale e in mano di Bene- detto Ulivieri, eccetto clie la partita del Bundino ; E

sodisfare

4l2

APPENDIX. NO LXXXV,

sodisfare ancora al signor D. Giovan di Luna di molti comodi da lui ricevuti, e spese fatte per me, non 1' aven- do sodisfatto mai di cos' alcuna ; e tu Cesare con ogni riverenza ti prego t' inform! meglio de' modi della povera citla di Firenze, riguardando altrimenti, che tu non hai fatto al ben di quella, se gia il fine tuo non e di rovinarla.

Philippiis Strozza, jam] am mori turns.

Exoriare aliquis nostris ex ossibiis iiltor.

END OF THE APPENDIX,

DESCRIPTIOJ\r OF THE PLATES,

VOL. I.

Frontispiece— Portrait of Lorenzo de' Medici, from the museum of Gimian Batt.ista Dei, at Florence. I have pre- ferred this portrait to that pubhshed by FabrOni, after Ghir- landajo, as bearing a grea'"er resemblance to the medallions that remain of Lorenzo, and as being more conformable to the description of his person by Valori and others.

Title Page The arms of the Medici family.

Chap. I Portrait of Cosmo de' Medici, from Pontormo. The em- blem in the reverse was adopted by Cosmo in reference to the death of his son Giovanni de' Medici, in 1461, and the hopes which he entertained from his surviving offspring.

Chap. II The Giostra, or Tournament of Lorenzo, from the an- . cient edition, without date, of the poem on that subject by Luca Pulci.

Chap. Ill Portrait of Giuliano de' Medici, with his seal, as preser- ved in the Strozzi library.

Chap. IV The Medal struck by Antonio .Pollajuolo,"^on the conspi- racy of the Pazzi.

Chap. V A Bacchanalian Scene, from an antique gem in the Mu- seum Florentmum, in allusion lo the Ca7iti Carnascialeschi.

End of vol. I Medallions of Marsilio Ficino, and Luigi Pulci. The former from the Promptuarlum Iconuni, Lugd. 157Q. The latter from the rare edition of the Morga?2te,F/or. 1546.

VOL. III. 3 H

DESCRIPTIOJ^ OF THE PLATES.

VOL. II.

Title Page The Impresa, ordevice assumed by Lorenzo de' Me- dici, and which generally accompanies his portrait.

Chap. VI Medallion of Lorenzo, with the emblem of Florence in the reverse, as given by Adimari in his edition of the Com' merit. Conjur. Factiattae, of Politiano, Napoli, 1769.

Chap. VII Medallion of Politiano, with the emblem of Study as the reverse ; from the same work.

Chap. VIII— The Palace of the Medici in Florence, erected by Mi- chelozzi, and now the residence of the family of Riccardi.

Chap. IX Portrait of Michelagnolo Buonaroti, from the original print of Giulio Bonasoni, published by Gori, in his edition of the life of Michelagnolo, by Condivi, Flor. 1746.

Chap. X Portrait of Leo X. after Raffaello, with his arms and pontifical emblems.

End of vol. II Medal ofNiccolo Valori, the first historian of Lorenzo de' Medici, with the arms of his family, anciently called Rustichelli, from the Famiglie nobili Florentine of Scip. Ammirato. Flor. 1615.

VOL. III.

Title page The arms of the Medici reclinedagainst a Laurel, in allusion to Lauro, the poetical name assumed by Loren- zo de' Medici.

INDEX.

AcCIAJUOLI Jgnolo, his letter to Piero de'

Medici . , . . .

Donato, inscribes several of his works to Piero

de' Medici his embassy to Rome death . ...

AccoLTi Benedetto^ his history of the wars be

tween the Christians and the Turks Agnana, a farm of Lor. de' Medici Alberti Leo Battista^ his Latin comedy enti

tied Philodoxios introduced by Landino in his Disfiutationes Ca

maldulenses . .

Albizi Rinaldo de\ opposes Cosmo de' Medici

banished .......

Alexander VI. his elevation to the pontiii

cate ....

Ambra^ an Italian poem by Lorenzo de' Medici Ambra^ a Latin poem of Politiano Ancient authors, their works discovered Ancients and moderns compared Architecture encouraged by Lor. de' Medici Argyropylus Johannes^ instructs Lorenzo in the

Aristotelian philosophy teaches the Greek language at Florence his death ....

Arts, their progress

i. 125

i. 278

i. 290

i. 124

ii. 191

1. 119

!•

I'i^

i.

20

'•

28

i.

338

i.

375

ii.

186

i.

33

i.

257

ii.

294

i.

101

ii.

107

ii.

110

ii.

237

Arts,

416

INDEX.

Arts, state of them in tlie middle ages revival in Italy .... their imperfection causes of their improvement

Augur ELLi Aurelio^ a Latin poet

ii. 238

ii. 239

ii. 256

ii. 259

ii. 147

B

Baldini Baccio^ an early engraver on copper Baldovinetti, excelled in painting portraits Baldovini, Lamento di Cecco da Varlunga Bandini Bernardo^ an accomplice in the conspi

racy of the Pazzi .... Bar BAR o Rtmolao ....

Beca da Dicomano^ rustick poem of Luigi Pulci Beccatelli Antonio^ his Hermaphroditus^ an<

other poems . . . i. 71

Bembo, Bernardo ....

Pietro

verses to the memory of Politiano Bentivoglio Giovanni^ assists Lor.

attacks Manfredi, prince of Faenza Beoni, a satirical poem of Lor. de' Medici Berlinghieri Francesco^ ha Geograjia Bessarion Cardinal, his dispute with George of

Trebisond Bianchi and JVeri Boccaccio Giovanni^ his Decanierone

Latin writings Bologna, battle of, . Bos so Matteo^ his character and works Braccio Alessandro^ a Latin poet Brunelleschi Filipjio Bruni Leonardo^ called Leonardo Aretino, his character and writings promotes the cause of learning

ii. 304 ii. 252 i. 397

12;

243 348 396

141

288 lb. 356 270 232 386 154

11

74

7

322

70

i. 115

ii. 216

ii. 147

i. 84

i. 29

ii. 73 Buonaroti

INDEX.

4ir

BuoNAROTi Michelag-nolo, studies in the gardens of S. Marco ......

resides with Lorenzo . . .

advantages over his predecessors

his sculptures

great improvement of taste introduced by him

unjustly censured . . . . »

Michelagnolo the younger, his rustick comedy

entitled La Tancia . . . .

BuRCHiELLo, his wdtings . . .

ii. 275 ii. 278 ii. 281 ii. 282 ii. 284 ii. 287

397 325

Caffagiolo, description of, . -

Calabria duke of, defeats the Florentines

defeated by Roberto Malatesta Calphurnius, his writings discovered in En

gland ^

Cantalicio, a modern Latin poet . Canti Carnascialeschi ....

Careggi, description of, ...

Castagna Andrea da, paints the portraits of the Pazzi conspirators .... introduces the practice of painting in oil Cennini BevTiardo, the first Florentine printer Chalcondyles Demetrius, teaches the Greek language at Florence ....

story of his quarrel with Politiano refuted Chrysoloras Emanuel . . . . .

the modern father of classical learning CiBO Giambattista, v. Innocent VIII. CiBO Francesco, marries Madalena, daughter of

Lorenzo de' Medici

Cicero, several of his writings discovered by Poggio

ii. 191 i. 292 ii. 15

i. 41 ii. 147 i. 406

n.

188

i.

278

ii.

253

ii.

83

ii.

110

ii.

112

i.

29

ii.

74

ii. 206

Cirifo

418

INDEX.

Ciriffo Cahjaneo, heroick poem of Luca Piilci Clarice, wife of Lorenzo . , i. 158

quarrels with Politiano

her death . . Classical learning, progress of, in Italy Classick authors discovered

eai'ly editions of, Collectiones Cosmianae CoLONNA OttOs Martin V. elected pope Columella, his works discovered . Constantinople, capture of, CoNTucci Andrea^ an eminent painter CoRNiuoLi Giovanni delle, a celebrated engraver

Qn gems CossA, Balthazar John XXIII Council of Florence 1438 Cremona, congress of, Crescimbeni, his character of the poetry of Lo renzo ... ....

1.

330

ii.

168

ii.

174

ii.

219

67.

135

i.

33

ii.

84

i.

70

i.

16

i.

i.

60

ii.

292

ii.

309

1.

16

i.

47

ii.

19

i. 417

D

Dante, his Inferno ....

character of his sonnets Latin writings Denmark, king of, at Florence DoMENico de' Camei, an engraver on gems DoNATELLO, favourcd by Cos. de' Medici

his works in sculpture DoNATO Lucrezia^ mistress of Lor. Drama, Italian, its rise .... musical, its origin .... Driadeo d'' Amore^ pastoral romance of Luca Pulci

i. 319

i. 367

ii. 68

i. 213

ii. 310

i. 84

ii. 257

i. 145

i. 397

i. 404

i. 33;

Engraving

INDEX

419

Engraving on copper, invention of,

on gems, revival of, . EsTE Borso d\ marqviis of Ferrara

jErcole d\ duke of Ferrara, assists Lorenzo

is succoured by Lorenzo

ii.

303

. ii.

307

i.

172

i.

271

ii*

13

Federigo of Aragon, his interview with Lo renzo at Pisa Lorenzo addresses his poems to him . Ferdinand king of Naples, his letter to Lo renzo ....

declines the proposed marriage between his

daughter and the dauphin of France leagues with the pope against the Florentines is visited by Lorenzo at Naples concludes a peace with him threatened by the pope . .

defended by Lorenzo reconciled to the pope his cruelty and perfidy Ferrara, its government Ferrara duke of, attacked by the Venetians and the pope .....

defended by Lorenzo FiciNo Marsilio, educated in the Platonick phi losophy ......

instructs Lorenzo

his abstract of the doctrines of Plato introduced by Lorenzo in his Altercazione YiBELis Cassandra, her extraordinary accom plishments . . . » .

i. 102 i. 341

i. 112

i. 210 i. 282 i. 293 304 29 32 35 46 172

50 101 217 218

ii. 132 Fiesole,

420

INDEX.

Fiesole, its situation

destroyed ....

FiLELFo Francesco^ his character

researches after ancient manuscripts

dissensions with Poggio Florence, its origin government

council of, .

its state at the death of Piero de' Medici

review of its government

regulations introduced by Lorenzo

its prosperity ....

extinction of the republick Florentine secretaries, eminent scholars, FoLENGi JWcco/o, a Latin poet . Franco Matteo^ his sonnets Frescobaldi, conspiracy of, .

1.

4

i.

5

i.

44

i.

46

i.

77

i.

4

i.

6

i.

4r

i.

iro

ii.

50

ii.

53

ii.

55

ii.

422

ii.

117

ii.

147

i.

337

ii.

17

Genazano M(fzna;zo, a distinguished preacher ii. 211 Gentile d^ Urbmo, bishop of Arezzo, instructs

Lorenzo . . . . . . . i. 98

ode addressed to him by Politiano . . i. 272 summons a convention at Florence against

Sixtus IV i. 281

George of Trebisond^ his dispute with cardinal

Bessarion . . . . . , i. 74 Ghiberti Lorenzo^ his works in sculpture i. 87. ii. 256

Gfos/ra of Lorenzo and Giuliano . . . i. 126

Giotto, character of his paintings . . . ii. 241 Granacci Francesco^ a fellow-student of Michel-

agnolo ....... ii. 276

his talents ii. 292

Greek academy instituted at Florence . . ii. 104

Grocin ffzY/zam, a student at Florence. . . ii. 114

Grosso

INDEX. 421

Grosso JViccolo^ called // Cafmrra^ his works in

iron . . . . . ii. 293

GuARiNo Veronese, an eminent scholar i. 31. ii. 73 his researches after the remains of ancient au- thors . . . . . i. 40

Guelphs and Ghibelines . . i. 7

H

Hawking, poem on, by Lor. de' Medici . i. 377

Hermaphroditus^ a licentious work of Beccatelli i. 71

Innocent VIII. his election to the pontificate, and character

Lorenzo gains his confidence

he prepares to attack the king of Naples

opposed by Lorenzo

is reconciled to the king

threatens him with fresh hostilities

pacified by Lorenzo

his death Isabella of Aragon, her nuptials with Galeazza Sforza, duke of Milan

anecdote respecting her Italian language, its degradation

revivers of it in the XV. century Italy, its political state

general traquillity of, invaded by the French

. ii.

23

. ii.

ib.

. ii.

28

. ii.

31

ii.

35

ii.

46

. ii.

49

ii.

338

zzs

ii.

208

ii.

209

i.

322

i.

325

16

5. ii.

4

ii.

61

ii.

339

Landing Christoforo^ instructs Lor. . . i. JOd

his character . . . . i. 122

Disfiutatioiies Camalduknses . i, 140. ii. 84

VOL. III. 3 I Landino,

422

INDEX.

ii.

71

ii.

86

i.

381

ii.

385

i.

25

i.

51

ii.

77

ii.

346

ii.

387

1.

53

i.

SI

Landing, his poetry .... ii. 142 his commentary on Dante his edition of Horace Laudi of Lorenzo de' Medici Leo X. -v. Giovanni de' Medici, age of, Library of S. George at Venice founded by Cos mo de' Medici Laurentian, established its progress

plmidered by the French restored ....

Library of S. Marco at Florence founded by Nic colo Niccoli of the Vatican, founded by Nicholas V. LiNACER Thomas^ studies the Greek tongue at

Florence LiPPi Filif}fio^ the elder, favoured by Cosmo de Medici . . .

monument erected to him by Lorenzo Filijipo^ the younger, his paintings . LivY, researches after his writings Louis XI. of France, negotiates for the marriage of the dauphin with a daughter of the king of Naples . . . . i.

advises Lorenzo not to attend the congress of Cremona . . - . ii,

Lucretius, discovery of his works . . i.

M

Madalena, daughter of Lorenzo, marries Fran- cesco Cibo . . . . ii.

Maffei ji?Uo?iio, an accomplice in the Pazzi con- spiracy

Maffei Rafflaello^ kindness of Lorenzo to him

Mahomet II. captures Constantinople , .

ii. 1!4

1. 86 ii. 250 ii. 253

i. 40

207

19

38

ii. 206

i. 243 i, 277 . i. 60 Mahomet

INDEX.

423

Mahomet II. captures the island of Negropont captures Otranto

his death ....

Malatesta Roberto^ commands the Florentine

troops ....

engages in the service of the pope

his death ....

Manetti Giannozzo

studies perspective

Manfredi Galeotto, his tragical death

Mantegna Aiidrea^ his engravings

Masaccio, favoured by Cosmo de* Medici

Maximis Carolus de\ his poem on the restoration

of the academy at Pisa Medici family, antiquity of

nature of their influence in Florence .

sources of their wealth

their commercial concerns

other sources of their revenue

expelled from Florence

their adherents decapitated

restored to Florence.

Alessandro de\ natural son of Lorenzo, duke

of Urbiiio assumes the sovereignty of Florence . assassinated by Lorenzino de' Medici Cosmo de\ Pater Patriae assists Balthaz. Cossa, John XXIII. is banished to Padua is allowed to reside at Venice founds the library of S. George at Venice recalled from banishment encoura.ges men of learning ,

founds the Laurentian Library applies himself to study

1. 178 i. 309. ii. 10

291 U 15 30 ii. 248 ii. 229 ii. 304 i. 86

i4r

IL

IS

179

182 183- 342 368 378

403 409 412 15 16 21 24 25 i. 27 i. 28 i. 51 i. 63 IMedici

424

INDEX.

Medici Cosmo de*, his celebrity his death and character encourages the arts . his collection of antiques his repartees his great prosperity Cosmo de\ first grand duke . Giovaimi de\ an ancestor of Lorenzo, reen

forces the fortress of Scarperia Giovanni de\ surnamed cfe' Bicci^ father of Cos

mo Pater Patriae his last advice to his two sons Giovanrd de\ son of Cosmo, his death Giovanni de\ Leo X. second son of Lorenzo,

born ....

his character

raised to the dignity of cardinal letter to him from Lorenzo on his promotion letter from him to his brother Piero, on the

death of their father . his conduct in his exile his election to the pontificate promotes his relations restores his dominions to peace Giovanni de\ son of Pierfrancesco, assumes

the name of Popolani Giovanni de\ captain of the Bande nere Giidia7io de\ brother of Lorenzo, born . his Giostra, and poem on that subject by Poll

tiano

his character ..... assassinated in the conspiracy of the Pazzi his obsequies ..... personal accomplishments Giuliano de\ duke of Nemomrs, third son of Lorenzo, born

i. 68

i. 80

i. 83

ii. 270

i. 88

i. 90

ii. 421

i. 12

13 14 67

ii. 168

ii. 178

ii. 195

ii. 197

ii. 336

ii. 376

ii. 379

ii. 380

ii. 382

ii. 405

ii. 406

i. 65

i. 125 i. 176 i. 246 i. 262 i. ih.

ii. 168 Medici

INDEX.

4'25

Medici GiuUano dt\ his character «

his death ......

Giulio de\ Clement VII. born

follows the fortunes of the cardinal Giovanni

obtains the pontificate and erects a building

for the Laurentian Library IfipMito de\ natural son of Giuliano, duke o

Nemours .....

his death ,,..•.

Lorenzo de\ brother of Cosmo

collects remains of antiquity

Lorenzo il Magnifico, born

his early accomplishments

his person and character

education ......

studies under Landino and Argyropylo

his interview with Federigo of Aragon at Pisa

visits Rome .....

rescues his father from an attempt on his life

defeats the conspiracy of Luca Pitti

letter to him from Ferdinand king of Naples

his clemency

his Giostra^ and poem of Luca Pulci on that

subject ......

his description of his mistress

sonnets in her praise ....

marries Clarice Orsini

his journey to Milan . . .

intrusted with the direction of the Florentine

state ......

appointed syndick of the republick devotes his leisure to literature his embassy to Sixtus IV. suppresses the revolt at Volterra establishes the academy at Pisa

ii. 590

ii. 394

i. 263

ii. 379

ii. 391

ii. 396

ii. 411

i. 14. 43

ii. 266

65

95 97 98 100 102 103 108 111 112 113

125 146 152 158 159

174 179 187 198 200 203 Medici

426

INDEX.

Medici Lorenzo de\ negotiates for a marriage between the dauphin and a daughter of the king of Naples

his poem entitled Altercazione

wounded in the conspiracy of the Pazzi

conduct after the conspiracy

prepared to resist the pope and the king of Naples ....

his kindness to the relations of the conspirator

danger of his situation

sends his family to Pistoia

negotiates for peace

resolves to visit the king of Naples

his letter to the magistrates of Florence

embarks at Pisa interview with the king

concludes a treaty with him his reception at f lorence

concludes a peace with the pope

his studies

his early writings

inquiry into his poetical character

his talents for description

poetick comparison

personification

of the passions and affections

his talents for the Prosolwfioeia

various species of poetry cultivated by him

sonnets and lyrick pieces

Selve cf amove

Ambra^ a fable . . .

poem on hawking

moral pieces

sacred poems

I Beoni^ a satire .

2or

217

248 260

268 275 285 286 288 293 295 300 301 302 307 311 315 341 343 345 347 354 :^56 357 363 368 371 375 376 377 381 386 Medici

INDEX.

427

Medici Lorenzo de\ la Nencia da Barberino dramatick works Canti Carnascialeschi Canzo7ii a ballo character of his poetry by Pico of Mirandula

and others celebrated in the Mutricia of Politiano he endeavours to secure the peace of Italy conspiracy against him by Frescobaldi defends the duke of Ferrara against the pope and Venetians

obtains the confidence of Innocent VIII. joins the army before Pietra Santa defends the king of Naples against- Innocent

VIII

reconciles the pope and the king suppresses the insurrection at Osimo joins the army, and captures Sarzana protects the smaller slates of Italy

reconciles the pope and the king of Naples second time

regulates the government of Florence

his high reputation

his ardour in collecting ancient manuscripts

establishes the Greek academy at Florence

domestick character . .

accused of being addicted to licentious amour

vindicated ....

conduct towards his children

discharges his debts, and quits commerce for agriculture

favours learned ecclesiasticks

erects a bust of Giotto

encourages the arts

raises a monument to Fra Filippo at Spoleto

i.

396

i.

400

i.

406

i-

410

i.

414

i.

419

ii.

3

ii.

r

ii.

13

ii.

23

ii.

27

ii.

33

ii.

35

ii.

38

ii.

40

ii.

43

ii.

47

ii.

53

ii.

58

ii.

79

ii.

105

ii.

159

ii.

164

ii.

165

ii.

169

ii.

180

ii.

211

ii.

244

ii.

247

ii.

250

Medici

428

INDEX.

Medici Lorenzo de\ augments his collection of antique sculptures establishes a school for the study of the antique favours Michelagnolo other artists favoured by him . attempts to revive I\Iosaick intends to retire from publick life is taken sick, and removes to Careggi conduct in his last sickness interview with Pico and Politiano. with Savonarola

his death ....

his character .... review of his conduct as a statesman . attachment of the Florentines to him circumstances attending his death testimonies of respect to his memory monody on his death by Politiano Lorenzo c/e', duke of Urbino . his death and monument Lorenzo de% son of Pierfrancesco, called Lo

retizino ....

assassinates the duke Alessandro. motives and consequences of the attempt is assassinated at Venice Fiero de\ son of Cosmo, marries Lucretia Tor

nabuoni . his conduct after the death of Cosmo promotes the interests of learning his death and character

Fiero de\ son of Lorenzo il Magnifico^ born his character .... visits pope Innocent VIII. marries Alfonsina Orsini visits Milan ....

. ii.

271

e ii.

272

. ii.

274

. ii.

290

. ii.

300

. ii.

315

. ii.

318

. ii.

320

. ii.

322

. ii.

324

. ii.

326

. ii.

327

. ii.

329

. ii.

331

. ii.

332

. ii.

335

. ii.

352

. ii.

398

ii.

399

. ii.

406

ii.

412

. ii.

418

. ii.

421

i.

65

i.

104

i.

117

i.

160

I ii.

168

ii.

176

. ii.

193

. ii.

204

ii.

208

Medici

INDEX,

4%$

Medici Piero de\ expelled from Florence

his death and character

sonnet by him ......

Salvestro de' ••••••

Veri de'

Merula Giorgio, his contix5versy with Politiano MicHELOzzi Michelozzo, accompanies Cosmo in

his banishment

Milan, its government Miscellanea of Politiano MoNTESicco Giambaftista^ an accomplice

conspiracy of th e Pazzi Morgante Maggiore of Luig;i Pulci . Mosaick, attempts to revive it Museum Florentinum, its origin

in the

344 372 374 12 13 100

25

168

93

243 333 300 270

N

Naldo de JValdis^ his Latin poetry . . . ii Naples, its government . . . . i

Nardi Bernardo^ attacks the town of Prato . i JVencia da Barberino, rustick poem of Lorenzo de'

Medici i

NiccoLi Niccolo., a promoter of learning

founds the library of S. Marco

collects the remains of ancient art Nicholas V. founds the Vatican Library

142 167 177

396

54

266

o

Olgiato Girolamo^ assassinates the duke of Milan i.

Orazioni of Lorenzo de' Medici . . . i.

Orfeo of Politiano ...... i,

Orsini Clarice^ wife of Lorenzo, v, Clarice.

Otranto, captured by the Turks . . . i.

retaken by the duke of Calabria . . . ii«

■9-OL. Ill

3 K

232 381 404

309 11

PALEOLOGU?

430

INDEX,

Paleologus John^ emperonr of the east, at Flo- rence .... Paul II. his death and character

a prosecutor of men of learning Pazzi, conspiracy of

origin of the attempt

the family of . . .

reasons of their enmity to the Medici

arrangements for its execution

the conspirators attack the palace

repulsed by Cesare Petrucci

memorials of it .

Giacojio dt'*^ his miserable death

Guglidmo de^^ banished Perugia, battle of Petrarca, his writings .

his sonnets

his Latin writings

collects ancient medals Petronius, his works discovered Petrucci Cemre, defends the palace Pico Giovanni^ of Mirandula, his character of the poetry of Lorenzo

his history and character

last interviev/ with Lorenzo

his death *

Pietra Santa, captured by the Florentines Pisa, its academy established .

poem thereon by Carolus de Maximis Pi SAN I A'icolo, isf Andrea^ their works in sculp' ture

1.

47

i.

194

i.

195

i.

235

i.

241

i.

238

i.

239

i.

243

i.

250

i.

252

i.

265

i.

256

i.

258

i.

291

i.

320

i.

367

ii.

70

ii.

265

i.

41

i.

251

i.

414

ii.

125

ii.

322

ii.

349'

ii.

27

i.

203

ii.

147

ii.

255

PiTTI

INDEX.

43^

PiTTi Luca^ his conspiracy against the Medici Palazzo^ its erection and progress Plato, revival of liis philosophy Platonick academy, its progress

festival .....

cITectD of this institution

number and celebrity of its members Platus Fiatinus of Milan, a Latin poet pLAUTUs, his works discovered Pletho GeiniGihus PoGGio, studies under Chrysoloras

discovers the writings of many of the ancient authors .....

his quarrel with Filelfo

industry in collecting antique sculptures

Giacofio, engaged in the conspiracy of the Pazzi

his death ..... Poggio Cajano, description of PoLiTiANo Jlgnolo^ his Giostra of Giuliano de Medici ....

his birth and education

temper and character

his ode to Gentile d' Urbino

his musical drama entitled Or/so

his JVutricia ....

ode Ad Horatium Flaccum .

his industry as a commentator

authors commented by hiin

corrects the Pandects of Justinian

his Miscellanea ....

controversy with Merula

controversy with Scala

his translation of Herodian

of Homer into Latin hexameter verse

character of his Latin poetry

accompanies the family of Lorenzo to Pistoia

i. 106

i. 110

i. 49

i. 215

i. 223

i. 224

i. 226

146 38 49 31

12

37

77 267 242 i. 253 ii. 182

5. 134 i. 188 i. 192 i. 272 i. 404 i. 419

87

89

92

93

93

100

120

ii. 137

ii. 139

ii. 149

ii. 170

POLITIANO

11.

ii.

ii. ii. ii. ii. ii.

432

INDEX.

PoLiTiANO, his letters to Lucrezia, the mother of Lorenzo . . . , ,

dissensions between him and Madonna Clarice

she expels him the house

he retires to Fiesole, and writes his poem en titled Rusticus ....

his last interview with Lorenzo de^ Medici

absurd account respecting his death .

his monody on Lorenzo

celebrated by cardinal Bembo

authentick account of his death PoLLAjuoLO Antonio^ his medal on the conspi racy of the Pazzi ....

introduces the study of anatomy Printing, invention of, . . . . ,

introduction in Florence PuLCi Bernardo^ his writings .

Luca^ his Giostra of Lorenzo de' Medici i.

his other writings ....

Lmgi^ his Morgante . . .

sonnets ......

La Beca da Dicomano^ a rustick poem

11.

172

ii.

173

ii.

174

ii.

175

ii.

322

ii.

350

ii.

351

ii.

356

ii.

359

i.

268

ii.

251

i.

58

ii.

82

i.

327

125.

132

i.

329

i.

333

i.

337

i.

396

Q

QuiNTiLiAN, his works discovered

37

R

Raimondi Marc Jntonio, his engravings

JRapJirtsentazione antichi

Bccujierationes Fesulanae of Matteo Bosso

Reformation, its rise

RiARio riero^ his dissipation

Girolamo .....

engages in the conspiracy of the Pazzi assassinated ....

11*

305

400

. ii.

217

. ii.

383

211

212

236

. ii.

221

Ri

A.RIO

INDEX.

4SS

RiARio Raffaetto^ an instrument in the Pazzi conspiracy »

escapes with his life

Rome,, its government

RucELLAi Bernardo^ marries Nannina sister of Lorenzo

RusTici Gianfrancesco^ an eminent painter

jRicsHcus, a Latin poem of Politiano

S

Salviati Francesco, archbishop of Pisa, engages in the conspiracy of the Pazzi his death .....

Averardo, favoured by Lorenzo de* Medici Giacopo, marries Lucrezia, daughter of Lorenzo

i. 276 Salutati Coluccio, congratulates Demetrius Cy-

donius on his arrival in Italy Sangallo Giidiano da, an eminent architect Sarzana, attacked by the Florentines

captured ....

Satire, jocose Italian, its rise Savonarola Girolamo, his character visits Lorenzo in his last sickness commotions excited by him at Florence his disgrace and execution Saxus Pamjihilus, his verses to the memory of

Politiano

Scala Bartolomeo, draws up a memorial of the conspiracy of the Pazzi his character controversy with Politiano Jlessandra, her learning and accomplishments Sculpture, progress of, . *

state amongst the ancient Romans

.

i.

236

i.253.

276

i.

168

of

.

ii.

205

ii.

291

,

ii.

175

242 255 276

ii. 207

11.

76

ii.

296

ii.

25

ii.

140

i.

387

ii.

214

ii.

324

ii.

363

ii.

368

161

i.

28S

ii.

117

ii.

120

ii.

130

ii.

255

ii.

261

Sculpture,

454

INDEX.

Sculpture, researches after the works of the an

cients in sculpture Selve d^ amove of Lorenzo de' Medici Sforza Constantino^ general of the Florentines

Galeazzo Maria, duiie of Milan

visits Florence .....

assassinated .....

Galeazzo^Mvs nuptials with Isabella of Aragon

Lodovico^ called // Moro, his ambition

invites the French into Italy SiGNORELLi Luca, character of his paintings SiLius Italicus, discovery of his poem Sim ONE TT A, mistress of Giuliano de* Medici

her death and funeral SiMONETA Ceccoj opposcs the authority of Lo dovico Sforza ....

his death . . . . . .

SixTUs IV. succeeds to the pontificate

engages in the conspiracy of the Pazzi

his extreme violence ....

excommunicates Lorenzo and the magistrate;: of Florence .....

endeavours to prevail on the Florentines to dc liver up Lorenzo ....

his obstinacy . .

perseveres in the war

his ambition and rapacity

leagues with the Venetians against the duke of Ferrara .....

deserts and excommunicates the Venetians

his declh and character . .

Sonnet, Italian, its origin and defects Squarcialupi Antonio, a celebrated musician Statius, his works discovered

11. 264

i. 371

i. 291

i. 168

i. 185

i. 231

ii. 203

i. 233

ii. 339

ii. 254

i. 38

i. 140

i. 148

i. 234 i. 235 i. 198 i. 236 i. 278

i. 279

!. 282

1.

!90

i.

308

ii.

16

ii.

11

ii.

19

ii.

21

i.

364

ii.

155

i.

39

Strozzi

INDEX. 435

Strozzi Filijijio^ opposes the authority of Cosmo

de' Medici iirst grand duke . . ii. 423

his death . ii. 424

Synod convened at Florence . . . i. 281

reply to Sixtus IV. .... ih»

ToscANELLi Pao/o, erects the Florentine Gnomon ii. 152 Traversari Ambrogio^ visits Cosmo de' Medici

in his banishment . . . . i. 26

his character . . . . i. 27

studies under Emanuel Chrysoloras . . i. 29

U

UccELn Paolo^ studies perspective and fore- .

shortening . , . . . ii. 248

Urbino Raffaello de% his obligations to Michel-

agnolo . . . . . ii. 285

Valerius Flaccus, his works discovered by

Poggio . . . . . i. 37

Venice, its government and resources . . i. 166

Verini Ugolino, his Latin poetry . . ii. 143

ikTz'cAae/, his accomplishments and early death ii. 144

Vicentino Valerio^ an engraver on gems . ii. 311 VoLPAijA Lorenzo de\ constructs a time-piece

for Lorenzo de' Medici . . . ii. 153

Volterra, its revolt and sackage . . . i. 200

Z

Zambino of Pistoia, his library . . ii. 17 i

TILE EifD.

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Lucius H. Stockton, Esq. L. W. Stockton, Esq. William Salter, Esq. Mr. William Scott,

J. W. Scott,

Jno. Sims,

Thomas St. John,

Gabriel Tichenor,

John Vandegrift, Robert Voorhees,

Rev. C. H. Wharton, D. D.

Hon. Joshua M. Wallace,

Isaac H. Vv^illiamson, Esq.

A. D. Woodruff, Esq.

Mr. Anthony W. White,

Whig Society,

PENNSYLVANIA.

Thomas B. Adams, Esq. Mr. John Yarnall Bryant, Mr. John Adlum, G. L. Barreut,

George G. Ashbridge, Henry Budd,

Miss Aitkin, 2 Copies.

Hon. H. H. Brackenridge,

Horace Binney, Esq.

Edward Bridges, Esq.

E. Shippen Burd, Esq.

William W. Biddle, Esq.

William Barber Esq.

Ralph Bowie, Esq.

Thomas Bradford, jun. Esq.

Mr. Bazillai Bailey, Thomas Biddle, George W. Biddle, John N. Baker, Jesse Blackfan, Thomas Batson, F. Bachin, John Bowman, Charles N. Bancker, William Bethell, Samuel F. Bradford,

100 Copies. Frederick Brown,

Miss Eliza Boude,

Daniel Ciymer, Esq.

John Cla^k, Esq.

Charles Chauncey, Esq.

Dav' 1 Cald v^il, Esq.

Joseph Clay, Esq.

Mr. Sanmei Church, jun. William Clai^ke, Benjam/n Carr, Conrad Carpenter, James W. Clement, Alexander Cobean, Robert Craig, John Cross, William Croxford, John Conrad,

Thomas Duncan, Esq.

Peter S. Du Ponceau, Esq.

William De Wees, M. D.

Mr. Benjamin Davies, Thomas W. Duffield, William Davidson,

SUBSCRIBERS' NAMES.

Mr. Benjamin Day,

W. C. Davids, John Ewing*, Esq. Samuel Ewinp;, Esq. Mr. Joseph Bennet Eves,

Warder Emlen, Samuel M. Fox, Esq. Walter Franklin, Esq. Mr. George Fox,

Redwood Fisher,

Alexander Fridge,

Moses Farrar,

William Fry, Rev. Ashbel Green, D. D, Edward Gilfillan, M. D. George Gillasspy, M. D. Mr. Hance H. Gibbs,

Jacob Glause,

William G. Govett,

Charles Goldsmith,

Abraham Golden,

John Grant,

Hyman Gratz, Hannah Gibbs, Hon. Joseph Hemphill, Hon. John Jos. Henry, John Hallowell, Esq. Joseph Hopkinson, Esq. Major Samuel Hodgdon, Charles Hall, Esq. Robert Hazlehurst, Esq. Washn. L. Hannum, Esq* Mrs. Elizabeth Hartung, Mr. Thomas M. Hall,

Jehu Hay,

John E. Hall,

Mr. Philip W. Havacker, Robert Hayes, Jacob Harper, Henry K. Helmuth, John K. Helmuth, George A. Henry, E. Humphreville, James Humphreys, Lawrence Huron, Samuel Hindman, John L. Hody,

Jared Ingersoll, Esq.

Rev. Jacob J. Janeway,

Mr. Joseph Jones,

John Johnson, jun. Thomas P. Jones,

Michael Keppele, Esq.

Mr. Charles Kane, Elisha Kane, Francis Kennedy, Thomas Kerr, James Knox, Thomas Knox, John Knox, Frederick Kuhl, jun. Jacob Klady

Hon. William Lewis,

Rev. John B. Linn,

Hon. George Logan,

Moses Levy, Esq.

Samson Levy, Esq.

Conrad Laub, Esq.

Mr. Joseph Lamb, jun. Robert C. Latimer, John B. Large, David Lewis,

SUBSCRIBERS' NAMES.

Mr. Joseph S. Lewis,

Richard Lee,

John Lippard,

Jeremiah Lambert,

James Bourbon Loveless, James Milnor Esq. Algernon S. Magaw, Esq. Richard M'CalK Esq. Mr. Benjamin W. Morris

G. W. Mecum,

Thomas M'Euen

Thomas M'Dowel,

Peter Miercken,

Joseph Miles,

Jacob Martin,

Thomas Maybury

Nathaniel Major,

William M'Kensey,

Alexander M'Kenzie,

John Napier,

Lewis Neil,

J. Newman,

John Newbold,

Caleb Newbold, jun.

Peter Niff,

Robert Nisbet,

William North, :[ohn C. Otto, M. D. Mr. Jacob S. Otto,

John H. OsAvald,

William Overman,

John Overy, Zalegman Phillips, Esq. Mr. Zachariah Pouison, jun. Mary Saul,

Silas Porter, Mr. Arthur Sanderson,

S, Passey, Andrew Shock,

Mr. Richard Potter, Samuel Potts, William Patton^ W^illiam Page, Thomas Price, Thomas Price, John Quinlan,

Hon. Jimes- Ross,

William Rawle, Esq.

William Ross, Esq.

Jacob Rudisell, Esq.

Richard Rush, Esq.

Major I. L Ulrick Rivardi,

Mr. Samuel Relf, Josiah Roberts, William Robinson, Jun, Thomas Rodman, William Rodgers, Samuel Robinson, James Robinson, Thomas Rowland,

Jonathan Smith, Esq.

John R. Smith, Esq.

William Smith, Esq.

John B. N. Smith, Esq.

William Sergeant, Esq.

John Sergeant, Esq;

Joseph Strong, M. D.

Mr. John R. C. Smith, Robert Smith. John Jacob Sommer, Thomas Sheeve, Samuel Story,

SUBSCRIBERS' NAMES.

Mr. George SheafF, Gilbert Stewart, Thomas Shewell, Thomas Smith,

Hon. William Tilghman,

William H. Todd, Esq

Mr. Samuel T^cem, jun. Isaar Tyson,

Geoi'^e Vaux, Esq.

Mr. Abraham Van Beuren,

John B. Wallace, Esq.

D. Watts, Esq.

Bird Wilson, Esq.

Mr. Thomas White,

Mr. Gideon Hill Wells, Caleb P. Wayne, Fishbourn Wharton,

Frederick Wolbert, Esq.

Mr. Jeremiah Warder, jun. Thomas Wignell, John Weeden, Thomas Wotherspoon, Silas E. Weir, James Wood, Isaac Whitelock, Thomas Wilson, Nicholas West,

Thomas B. Zantzinger, Esq,

DELAWARE.

Archibald Alexander, Esq. Col. Allen M'Lane, Hon. James A. Bayard, James Brobson, Esq.

Mr.

James Booth, Esq.

John Bird, Esq.

Mr. Abraham Broom,

Maxwell Bines, John Caldwell, Esq. William Collins, Esq. Th. Clayton, Esq. John Dickinson, Esq. W. C. Frazer, Esq. Washington E. Finney, Esq. Benjamin Gibbs, jun. Esq. Mr

Thomas L. Macomb, French M'Mullen, James M'Calmont, George Pierce,

Caesar A. Rodney, Esq.

G. Read, Esq.

James Rogers, Esq.

Gen. Henry M. Ridgley,

Mr. Samuel Spackman, Thomas Stockton, E. A. Smith, Evan Thomas, N. Van Dyke,

Mr. John Hayes, John Hall, jun. Kensey Johns, William C. Kerr, James Lea,

VOL. III.

Hon. Samuel White, William H. Wells,

Mr. Thomas Witherspoon, James Wilson.

3 PI

SUBSCRIBERS' NAMES.

MARY

Ashton Alexander, M. D. Charles C. Brown, Esq. James P. Boyd, Esq. Mr. James O. Bryan, Hon. Samuel Chase,

Samuel Chase, jun. Esq. John Caldwell, Esq. James Cowan, Esq. Edward J. Cole, Esq. Mr. William Carmichael,

Israel Cope,

James Chester, James Davidson, Esq.

LAND.

Patrick Grant, Esq. 2 copies Mr. Philemon W. Hemsley,

James Kemp,

John Merryman, jun. Matiitiit^ui Potter, M. D. Mr. Charles b. Ridgeley, William E. Seth, £^. James Smith, M. D. Mr. Isaac Smith, Robert Tuit, Esq. Mr. John I. Troup, Hon. Robert Wright, Mr. Thomas Wilson,

John Walraven.

DISTRICT OF COLUMBIA. His Exc. Thomas Jefferson, Mr. Thomas Swann.

VIRGINIA.

Mary Davie, Col. John G. Gamble, Charles W. Grym.es, Esq. Robert Gwathmey, Esq. John Hopkins, Esq. Mr. James Hunter, Hon. John Marshall, Hon. William Marshall,

Charles F. Mercer, Esq.

Hon. William C. Nicholas,

Mary Peyton,

Mr. John Ranee, jun.

Robert F. N. Smith, Esq.

Mr. Carey Selden,

Hon. Bushrod Washington.

NORTH-CAROLINA.

John Devereux, Esq. Mr. William Graston,

Edv. ard Graham,

F. Nash,

John S. Pasteur,

Hon. John Stanly, John Lewis Taylor, Esq, Benjamin Woods, Esq. Mr. B. Wait.

SUBSCRIBERS' NAMES.

SOUTH-CAROLINA. Hon. Charles C. Pinckney, Mr. John J. Kimly.

GEORGIA.

Hon. James Jackson.

KENTUCKY. Hon. John Brown.

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