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ARCHIVIO 

della  Società  'Romana  di  Storia  'Tatria. 


ARCHIVIO 


DELLA 


SOCIETÀ  ROMANA  DI  STORIA  PATRIA 


Volume  VI. 


In   ^ma:  presso  la  Società. 

i88j 


\/>  (o 


Forzani  e  C,  tipografi  del  Senato 


INDICE  GENERALE 

delle  materie  contenute  nei  quattro  fascicoli 
del  sesto  volume. 


MUNTZ  K.  L-  FROTHINGHAM  A.  L.  (jun.)  —  //  Tesoro  della  ba- 
sili cn  di  S.  Pietro  in  ì'aticavo  dal  XIII  al  XV  secolo  coti  una  scella 
d'inventari  inediti Pag.         i 

CUGNONI  G.  —  Appendice  al  Commento  della  Vita  di  Agostino 

Chigi  il  Magnifico  (continua) 139 

G.  TOMASSF.TTl.  —  Della  Campagna  Romana  nel  Medio  Evo 

(continuazione) lyj 

LANCIANI  R.  —  Il  Codice  luir.keKiniano  .XXX,  cS'9  contenente 
f rammenti  di  una  descrixjone  di  Roma  del  secolo  XVI  (con- 
tinua)   225 

Varietà 241 

Bibliografia 249 

Periodici 255 

CANTARELLI    LUIGI    —    L'Imperatore    Maioriano    (Saggio 

critico) 261 

RAVIOLI  C.  —  Le  Guerre  dei  Sette  Anni  sotto  Clemente  VII, 
l'assalto,  presa  e  sacco  di  Roma,  l'assedio  e  la  perdita  di  Firenze, 
dall'anno  MDXXIII  al  MDXXXI  sui  documenti  ufficiali    .     .303 


vili  Indice 

LANCIANI  R.  —  //  Codice  harheriniauo  XXX,  S9,  contenente 
jrammeuii  di  una  descrizione  di  Roma  del  secolo  XVI  (conti- 
nuazione e  fine) 445 

CUGNONI  G.  —  Appendice  al  Commento  della   Vita  di  Agostino 

Chigi  il  Magnifico  (continuazione  e  fine) i97 

Varietà 54i 

Periodici 553 


IL   TESORO 

DELLA  BASILICA  DI  S.  PIETRO  IN  VATICANO 

dal  XIII  al  XV  secolo 

con  una  scelta  d'inventarii  inediti 


y/rjj/'L  tesoro  della  basilica  di  S.  Pietro  presenta  un'im- 
*^  Ini  portanza  assai  maggiore,  che  se  fosse  una  semplice 
^^^:^;:  collezione  di  relique;  tanti  illustri  Sovrani,  tanti  pre- 
lati distinti,  tanti  generosi  fedeli  vollero  offrirgli  memorie 
della  loro  munificenza  o  della  loro  pietà;  che,  percorrendo 
la  lista  dei  loro  doni,  dei  quali  i  più  antichi  rimontano 
al  regno  di  Costantino,  vediamo  svolgersi  gli  annali  stessi 
dell'arte  e  del  lusso,  dal  trionfo  del  Cristianesimo  fino  ai 
nostri  giorni,  I  più  ricchi  tessuti  vi  si  alternano  coi  capi- 
lavori  dell'oreficeria  e  della  scultura  in  avorio;  i  mano- 
scritti miniati  mostransi  accanto  a  cristalli  di  rocca,  smalti 
e  mosaici  portabiH;  qui  ammiriamo  un  paUio  d'altare  di- 
pinto dal  Giotto,  più  oltre  la  croce  offerta  nel  vi  secolo 
dall'imperatore  Giustino,  o  la  famosa  dalmatica  imperiale  (i). 
Se  non  fossero  le  tante  crudeli  ed  irrimediabili  mutilazioni, 

(i)  Oggi  sappiamo  che  questo  magnifico  parato,  attribuito  per 
molto  tempo  al  pontificato  di  Leone  III,  data  realmente  dalla  fine 
del  XII  o  dal  principio  del  xiii  secolo.  Vedi  il  canonico  BocK,  Ges- 
clnchte  der  lilurgischen  Gewànder  des  Mittelalters,  Bonn,  1859-1871,  t.  I, 
pag.  201,  e  Die  Kleinodien  des  heil.  ròmischen  Reiches  deutscher  Natioii, 
Vienna,  1864,  pag.  95-110. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  i 


E.  €Munt-{  e  oA.  L.  Jrothingham 


il  tesoro  di  S.  Pietro  formerebbe  oggi  un  museo  impa- 
reggiabile. Insistiamo  sopra  la  parola  museo  ;  difatti,  mercè 
il  loro  continuo  uso  nelle  cerimonie  della  basilica,  le  opere 
d'arte  del  tesoro  dovettero  esercitare  una  considerevole 
influenza  sul  gusto  del  popolo  romano. 

Il  tesoro  di  S.  Pietro  rimonta,  come  abbiam  detto,  al 
tempo  stesso  di  Costantino.  Il  Lìbcr  Pontificaìis  dà  una 
lunga  lista  di  candelabri,  calici,  ampolle,  patene,  vasi  d'oro 
e  d'argento  offerti  al  santuario  dal  primo  imperatore  cri- 
stiano (i).  I  successori  di  Costantino  sul  trono  imperiale 
non  furono  meno  generosi.  Fra  i  loro  doni  merita  spe- 
ciale menzione  la  croce  d'oro  a  rilievo,  offerta  da  Giu- 
stino e  conservata  fino  ai  nostri  giorni  (2).  I  sovrani 
d'oltr'Alpe  si  sforzarono  anch'essi  di  gareggiare  in  ma- 
gnificenza colla  Corte  Bizantina:  Clodoveo,  Teodorico, 
Carlomagno,  tutti  i  principi  infine,  i  quali  si  resero  famosi 
nella  storia,  arricchirono  a  gara  la  basilica  di  doni  preziosis- 
simi, come  dire  oggetti  d'oreficeria,  tessuti,  ecc.  Carlomagno 
si  segnalò,  come  tutti  sanno,  col  dono  di  un  crocifisso 
in  argento,  e  di  tavole,  anch'esse  in  argento,  sulle  quali 
erano  incise  delle  vedute  di  città  o  dei  mappamondi  (3). 
Sarebbe  superfluo  aggiungere  che  i  Papi  superarono  queste 
prove  di  pietà  o  di  liberalità  prodigate  da  ogni  parte  d'Eu- 

(i)  In   Vita  S.  Silvestri. 

(2)  Riprodotta  nell'opera:  Die  Klcìnodim  dcs  hnil.  romischen  Reiches 
deutscber  Nation,  pi.  XX,  pag.   111-114. 

(3)  Vedi  per  questi  vari  doni  :  Panvinio,  De  praecipuis  urìrìs  Roinae 
saiictioribiisque  basilicis,  qiias  septem  ecclesias  vulgo  vocant, 'Rom.a.,  1570, 
pag.  39  e  seg.;  P.  Ugonio,  Historia  delle  Stationi  di  Roma,  Roma,  1588, 
pag.  IDI  e  segg.  ;  Severano,  Memorie  sacre  delle  sette  chiese  di  Roma, 
Roma,  1630,  t.  I,  pag.  64  e  seg.;  Torrìgio,  Le  sacre  grotte  vaticane, 
Roma,  1639,  passim;  De  Angelis,  Descriptio  Vaticanae  Basilicae  veteris 
et  novae,  Roma,  1643,  pag.  25,  50  e  passim;  Borgia,  Vaticana  Con- 
fessio  beati  Petri,  Roma,  1776,  passim;  Mignanti, /^/orm  della  sacro- 
santa patriarcale  Basilica  Vaticana,  Roma,  1867,  t.  I,  pag.  189  e  se- 
guenti, ecc. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  T^ietro 


ropa  alla  basilica  del  principe  degli  Apostoli  :  fin  dal  tempo 
del  pontificato  di  Celestino  I  (422-432)  è  difficile  il  re- 
gistrare le  innumerevoli  opere,  preziose  per  il  materiale  e 
per  il  lavoro,  colle  quali  essi  si  piacquero  arricchirla. 

S'ignorano  le  vicende  del  tesoro  di  S.  Pietro  in  mezzo 
alle  calamità  che,  dal  v  secolo  in  poi,  piombarono  cosi 
spesso  suir  Eterna  Città.  Solo  sappiamo  che  sotto  Sergio  II, 
neir  84^,  i  Saraceni  s'impadronirono  della  basilica  e  ne 
saccheggiarono  il  tesoro  (i).  Quanti  oggetti  storici,  quanti 
capilavori  d'arte  dovettero  essere  perduti  in  questa  occa- 
sione! La  liberalità  di  Leone  IV  riparò  in  gran  parte  a 
queste  sventure,  ma  non  v'ha  dubbio  che  gli  sconvolgi- 
menti del  Medio  Evo  recassero  di  frequente  danno  ad  una 
collezione  che  ha  veramente  attraversato  tutte  le  prove 
immaginabili. 

I  doni  dei  fedeli  contribuirono  anche  spesso  a  colmare 
le  lacune  fatte  nel  tesoro:  Pietro  Mallio  il  quale  scrisse 
la  sua  descrizione  di  S.  Pietro  sotto  il  pontificato  di  Ales- 
sandro III  (11 59-1 181),  c'insegna  chei  fedeli,  allorché  vi- 
sitavano la  confessione  del  principe  degli  apostoli,  offirivano 
di  consuetudine  vestimenti  sacri  ed  ornati  preziosi  dei 
quali  la  quarta  parte  riveniva  di  diritto  ai  canonici  della 
Basilica  ed  i  tre  quarti  al  Pontefice  (2). 

Nel  XIII  secolo  i  doni  fatti  da  Bonifazio  Vili  alla  cat- 

(i)  Vedi  varie  testimonianze  riguardanti  questo  sacco  in  Borgia, 
Confessio  Beati  Pelri,  pag.  Lxii. 

(2)  Descriptio  Valiamae.  hasilicae-  veteris  et  novac  Edizione.  De  An- 
gelis,  pag.  131.  Roma,  1644.  Dt;  consuetudine  Confessionis  Altaris  Beati 
Pdri.  «  Haec  sunt  qnae  Dominus  Papa  de  consuetudine  recepturus  est  ab 
illis,  qui  eunt  ad  confessionem  beati  Petri,  prò  tribus  partibus:  canonici 
vero  prò  quarta  parte.  In  primis  Planetas,  Camisos,  Dalmaticas,  Tunicas, 
Aniictas,  Stolas,  Manipulas,  Cingulas,  crucem,  Turibulurn,  Anulum  au- 
reuni,  qui  sit  aptus  ad  cantandum  Missam;  libros  et  alia  rasa,  quae  ad 
officium  altaris  spectant:  candelabra,  tualias  (sic)  frisatas,  et  operatas, 
quae  totum  Altare  colligant,  sine  frisio  tantum;  frisatas  vero  parvas,  vel 
magnas  »,  etc. 


E.  Qj[funti  e  (yl.  L.  Jrothingham 


tedrale  di  Anagni,  la  quale  ha  potuto  conservare  fino  ai 
nostri  giorni  questi  ricordi  si  preziosi  (i),  permettono  di 
giudicare  della  ricchezza  e  della  varietà  di  quelli  offerti 
dal  medesimo  pontefice  a  S.  Pietro  di  Roma.  Ogni  traccia 
degli  accrescimenti  fatti  in  quel  tempo  al  tesoro  della  ba- 
silica non  si  è  però  perduta  ;  la  sala  del  Capitolo  contiene 
ancora  il  pallio  d'altare  dipinto  dal  Giotto  per  il  cardinale 
Giacomo  Caetani  Stefaneschi,  mentre  la  biblioteca  va  su- 
perba d'un  codice  le  cui  miniature  furono  per  molto  tertipo 
attribuite  al  medesimo  artista. 

È  appena  necessario  l'osservare  che  il  tesoro  pontificio 
è  sempre  stato  separato  da  quello  della  basilica:  l'inven- 
tario redatto  nel  1295,  al  momento  della  creazione  di  Bo- 
nifacio Vili,  si  riferisce  alle  collezioni  della  Santa  Sede  e 
non  a  quelle  del  Capitolo,  delle  quali  i  canonici  di  S.  Pietro 
possono  considerarsi  come  gli  usufruttuari  (2).  L'istesso 
deve  dirsi  dell'inventario  redatto  nel  1304,  alla  morte  di 
Benedetto  XI  (3).  Questa  circostanza  spiega  come  il  te- 
soro di  S.  Pietro  sia  restato  a  Roma,  mentre  quello  dei 
Papi  fu  trasferito  ad  Avignone. 

Durante  il  soggiorno  della  Corte  Pontificia  in  Francia, 
il  tesoro  della  basilica  non  sembra  aver  ricevuto  aumenti 
importanti.  Solo  noteremo   il    dono   fatto  nel  1330  dalla 


(i)  Vedi  Exposiiion  religieuse  de  Rome,  1870;  Antiquìtès  chrctiennes 
photographiées  par  M.  Ch.  Simklli,  cataloguées  et  décrites  par  Mgr,  X. 
Barbier  de  Montault,  Roma,  1870,  nn.  91,  94,  loi,  115,  118,  121, 
142  e  segg. 

(2)  La  Bibliothèque  de  l'Ecoli  des  Charles  sta  ora  pubblicando  il 
testo  completo  di  questo  pregevole  documento,  da  una  copia  con- 
servata nella  Biblioteca  Nazionale  di  Parigi  (il  manoscritto  originale 
trovasi  negli  Archivi  della  Santa  Sede). 

(3)  [MCCCIIII  tam  Romae  quam  Penisii].  Hoc  est  inventarium 
thesauri  Romanae  Ecclesiae  fuit  factum  de  tempore  dominorum  Bonifatii 
et  Benedicti  summoriun  pontificum....  P.  Gallet ri.  Del  vestarario  della 
Santa  Romana  Chiesa,  Roma,  1758,  pag.  58-76. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  'Pietro  5 

contessa  Costanza  Anguillara  di  tre  grandi  cortine  di  seta  (i) 
e  l'acquisto  d'un  antifonario,  in  una  delle  cui  miniature 
vedesi  Cristo  in  trono  sotto  il  quale  stanno  sei  donatori. 
Questo  volume  e  dell'anno  1337,  come  lo  prova  la  se- 
guente iscrizione:  «  Ego  pbr  Guillermus  màgn  Bernardi  de  lo 
Gypso  scripsi  et  illuminavi  hoc  opus  prò  basilica  principis 
apostolorum  de  Urbe  anno  domini  i}}'],  V  indictione  »  (2). 
•  Lo  scisma  che  segui  la  «  captività  di  Babilonia  »  non 
era  neanche  adatto  a  flivoreggiare  lo  sviluppo  delle  col- 
lezioni vaticane.  Tutt'al  più  possiamo  registrare  per  questo 
periodo  il  dono  o  il  lascito  di  alcune  stoffe  preziose;  ar- 
ricchendosi notevolmente  il  tesoro  coi  vestimenti  sacri  dei 
cardinali  seppeUiti  a  S.  Pietro.  Fra  le  profiinazioni  onde 
ebbe  a  soffrire  in  questi  tempi  la  basilica  devesi  special- 
mente citare  quella  commessa  nel  141 3  dalle  barbare  orde 
di  Ladislao. 

I  «  censuali  »  degH  anni  1403  e  seguenti  ci  provano 
che  in  questo  periodo  agitato  il  Capitolo  non  neglesse 
nulla  per  tutelare  i  suoi  diritti,  e  per  aumentare  i  suoi 
mezzi.  Lo  vediamo  affittare  a  pittori  o  ad  orefici  delle 
botteghe  istallate  nell'atrio  della  basilica  e  destinate  al  com- 
mercio dei  «volti  santi»,  delle  medaglie  di  divozione,  dei 
rosari  ed  altri  simili  oggetti  che  i  pellegrini  solevano  ri- 

(i)  ff  Reliquit  siipradìcte  hasilice  tres  cortinas  tiiagnas  siricalas,  et  •voliiit 
et  mandavit  qiiod  appendantiir  Ui  dieta  basilica  aiiiiiiatim  in  festa  Cor- 
poris  Domini  nostri  Ihesu  Oiristi».  (Archivio  del  Capitolo  di  S.  Pietro, 
libro  dei  benefattori,  fol.  i24-v°). 

(2)  Grimaldi,  De  SS.  Sudario,  fol.  138-v".  Un  altro  codice  miniato 
della  medesima  raccolta,  che  contiene  le  Messe  àtW Annunciata  e  di 
5.  Giorgio,  la  vita  del  medesimo  Santo  scritta  da  J.  C.  Stefanesclii,ecc., 
è  stato  descritto  dai  signori  Crowe  e  Cavalcaselle  nella  loro  Storia 
della  pittura  in  Italia,  t.  ii,  pag.  351  (ed.  tedesca):  venne  anche  de- 
scritto \\€iVIndex  IJhrorum  MSS.  Arch.  Bas.  S.  Petri  a  ci.  v.  L.  Hol- 
stenio  digestus;  Cancellieri,  De  Sec,  pag.  920:  k  lacchi  de  Stefanescis 
Diaconi  Cardinalis,  de  miraculis  et  martyrio  Sancii  Georgii  Martvris, 
miniatus  iiianu  lotti  pictoris  cxiinii  ». 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  froihingham 


portare  nella  loro  patria,  come  ricordi  della  Città  Eterna  (i). 
Queste  rendite  giovarono  più  d'una  volta  alle  collezioni 
che  formavano  il  tesoro,  collezioni  il  cui  mantenimento 
era  alquanto  oneroso. 


(i)  (Ex  censualibus  Capituli  Vaticani,  140^-14^)). 

«  Die  penultima  Januarii  140^  per  mantis  Petri  Palili  a  .Paiono 
pletore,  a  Palutio  Bellohomo  et  a  Lello  de  lo  Monte,  prò  parte  restae  ter- 
tiae  solutionis  locormn  ad  vendendnm  ymagines  in  porthico  Pontificum. 

—  Die  XXIV  Februarii  dicti  anni  recepimus  a  Palutio  Bellohomo  pletore 
prò  parte  nltimae  restae  tertiae  solutionis  locorum  ad  vendendnm  ymagines 
fior.  Ili  (Idem). 

1404.  Die  IV  Fehr.  1404  recepimus  per  manus  Lclli  dello  Monte  a 
Lello  Cecchi  Sahhe  pletore  f.  xx. 

140^.  Minutius  aurifex  tenetur  prò  censii  suae  vineae  ad  portavi  Viri- 
dariam  positae,  ah  anno  1^8^  ad  annum  1401  inclusive,  ad  rat.  per  annum 
f.  XL,  lib.  XXIIII. 

—  Apotheca  sub  navi  musajca  (la  «  Navicella  »  di  Giotto)  locata  est 
lohanni  Carboni  aurificidie  xiujiiUi  anni  [uccc]L\xxxvnu, pretio  annat. 

f.   VIII. 

140J.  Loca  paliariorum  et  pictorum  existentium  in  portieu  Pontificum: 
imprimis  recepimus  a  Palutio  Bellotno  et  sotiis  siiis  pietoribus  prò  medie- 
tate  pensionis  locorum  ad  vendenduni  ymagines  prò  pretio  florenorum  xxxvi, 
in  summa  due.  xii  (Censitali,  1407,  f.  2-v°). 

—  In  Paradiso  discoperto  :  a  magistro  lohaniie  Adami  prò  suo  banco, 

b.    VITI. 

—  Ab  Antonio  Lclli  Philippi  aurifice  prò  suo  banco  f.  xiiii. 

—  A  Petro  Philippi  aurifice  prò  suo  banco  f.  xiiii. 

—  Recepimus  a  Niceodemo  aurifice  prò  suo  banco  b.  x. 

—  Recepimus  a  magistro  Theotonieo  aurifice  prò  medietate  pensionis 
apotheeae  dimidii  anni  sibi  locatae  die  xv  mensis  Aprilis  anni  [mJcccciii, 
pretio  annatim  fior.  v.... 

—  Pro  actatione  domus  cum  sigito  clavium  140'/  solviinus  Ceccho  Ve- 
rigutio  et  Gabrieli  suo  sotio  prò  quatuor  diebus  qui  laboraverunt  in  dicto 
domo  ad  rat.  prò  quolibet  s.  xx,  in  summa  libr.  viii. 

—  Die  xvii  Mail  140"/  solvimus  Ceccho  Virigutii  et  sotio  prò  uno 
ponlello   posilo  in  domo   cum  signo    biccherii  de  Parocia  S.  Marinae  de 

Virgariis  f.  vini. 

—  Die  XV  lunii  140J  solvimus,  quando  ivimus  ad  casale  piscis  cum 
magistro  Juvannola  et  suo  sotio  cum  certis  aliis  magistris  et  aliis  hominibus 


I 


//   Tesoro  della  basilica  di  S.  Ttelro  7 

La  pacificazione  della  Chiesa  ed  il  ristabilimento  del 
potere  pontificio  nella  Capitale  del  mondo  cristiano  apri- 
rono pel  tesoro  di  S.  Pietro  una  nuova  era  di  sviluppo  e 

ad   detnonstrandum    dictum  casale  quantum  posset  ibi  expendi  ut  comode 
possent  ibi  laboratores  stare,  in  pane,  vino  et  carnibus  s.  xxv.  (?) 

—  Die  XXIII  dicti  mensis  solvimus  Allo  Vistione  de  Fantino  prò  pie- 
tura  duariim  armarum  pictarum  in  domo,  sire  Apoleca  posila  in  canale 
pontis  Sancii  Petri  grossum  i. 

—  V  decenibris  140J  solvimus  cuidam  pictori  prò  /adendo  depingi 
arma  in  domo  noviter  relieta  Basilicae  nostrae  per  quamdam  Margaritam 
sit.  in  parochia  Sancii  Panialeonìs  bon.  vi. 

—  Die  XXI  Jan.  140J  solviìnus  magistro  Paulo  muratori  prò  tribns 
dietis  positis  in  domo  dominae  Petrutiae  ad  rat.  per  dietam  s.  xxiii,  in 
summa  Jìor.  7.  (?) 

I40<^.  Die  V  apr.  140C)  locavimns  loca  ymaginariorum  deporticu  Ponti- 
ficuìi!  infrascriptis  sex  personis,  videlicet:  Palutio  Bellomo,  Lello  dello 
Monte,  Petro  Paulo  Paloni,  Lutio  Pauli  Bruni,  Johanni  Mathei,  et  Lello 
Nutii  Gori  pictoribus,  prò  uno  anno.... 

—  A  Jacobello  Nelloni  aurifice  recepinius  prò  suo  banco  gross.  11. 

—  A  Laurentio  aurifice  —  boi.  iii. 

—  A  Cola  Lelli  Philippi  aurifice,  boi.  v. 

—  A  Petro  Cola  Philippi  aurifice,  boi.  v. 

—  A  Paulo  Lelli  Philippi  aurifice,  boi.  v. 

140Q  ;  V  sep.  Recepimus  a  magistro  Paulo  muratore  prò  parte  pen- 
sionis  domus  cum  signo  rosarum,  boi.  xiiii. 

—  Die  xxiii  mail  140^  Ceccho  Herigutii  et  Joanni  Paulo  ejusfratri, 
qui  reparaverunt  teda  domorum  q'"  episcopi  Firmani,  videlicet  prò  duabus 
operìs  in  summa  S.  xl. 

—  Die  xxvii  augusti  140^  magistro  Tome  et  Johanni  Paulo  fratri 
Cecchi  Herigulii  prò  eorum  salario  de  quatuor  operis  positis  in  repara- 
tione  domus  antedidiC  (cum  signo  tenailarum),  ad  rationem  prò  qualibet 
opera  boi.  xii,  in  summa  b.  XLViii. 

—  Ultima  die  didi  mensis  et  anni  solvimus  magistro  Paulo  muratori 
prò  tribus  operis  pontiì  in  reparatione  tedorum  domus  cum  signo  Rocchae  de 
platea  saiicti  Tetri,  in  parochia  sancii  Gregorii  de  Cortina,  ad  rationem 
prò  qualibet  opera  boi.  xiiii,  in  summa  boi.  xlii. 

—  Solvimus  magistro  Stefano  sciavo  aurifici,  qui  fecit  nostra  cande- 
labra  majora,  videlicet  prò  parte  sui  salarvi,  ut  patet  in  bastardello  dic- 
torum  caiidelabrorum,  in  compensationem  vili  ducatorum  auri,  in  summa 
rubla  mi. 


E.  Stinti  e  qA.  L.  Jrothingham 


di  prosperità.  Papa  Martino  V  (1417-1431),  per  dare  alla 
basilica  una  prova  della  sua  venerazione,  le  fece  omaggio 
della  rosa  d'oro.  Fra  brgve,  sotto  il  regno  di  Eugenio  IV, 
nel  1430,  il  ricchissimo  lascito  del  cardinale  Giordano  Orsini 
aumentò  il  tesoro  considerevolmente:  la  biblioteca  lasciata 
da  questo  prelato  era  specialmente  l'ammirazione  dei  con- 
temporanei (i).  Queste  liberalità  furono  sfortunatamente 
contrappesate  dagli  atti  di  vandalismo  avvenuti  durante  il 
lungo  soggiorno  di  Eugenio  IV  a  Firenze  (2). 

Verso  la  metà  del  xv  secolo,  oltre  i  ricchi  e  preziosi 
gioielli  offerti  dai  papi,  devonsi  citare  le  pitture  ed  i  mo- 
saici lasciati  al  tesoro  dal  cardinale  Bessarione  (3)  ;  il 
«  missale  »,  il  «  breviario  »  e  gli  ornati  sacri  lasciati  dal- 
l'arcidiacono Martino  de  Roa  (4);  il  pluviale  di  drappo 
d'oro  donato  nel  1474  dal  card.  Filiberto  Ugonetti  (5)  e 
quello  di  damaschino  dato  da  Angelo  di  Crapanicha,  ve- 
scovo di  Palestrina  (-]-  1478)  (6^);  la  a  pianeta  cum  dalma- 
tica, et  tnincella  pulcherrima  auri  intertexti  brocati  cum  orna- 
menti »  :  e  le  «  due  planete  de  serico    et   duo    altaris  para- 


141^.  Unimn  palatiuin  dirutum  magnum,  quodfuH  ohm  domini  Jobannis 
de  Malpihis,  locatum  fiiit  Macào  aurifici  (Censuale,  141 5). 

—  Medieias  domus,  jtincta  cum.  alia  medietate  Lutii  pictoris,  locata 
fuit  Dante  de  Florentia,  ejus  vita  durante,  die  v  niensis  octobris  anni 
mille  412,  quam-  promisit  raedificare  de  solariis,  hostiis  et  tectis,  et  de  om- 
nibus aliis  necessariis...  snis  suniptibus  et  expensis,  annua  pensione  due.  un 
et  una  libra  piperis  in  festo  S.  Lucine.  Solvit  camerarris  a.  Mccccxii. 

(i)  V.  Cancellieri,  De  Secretariis  basilicae  Vaticanae,  pag.  906-914. 

(2)  Vedi  specialmente  il  Bullarium  Vaticanum,  t.  II,  pag.  89  e  seg. 

(3)  Les  Arts  à  la  Cour  des  Papes,  t.  II,  pag.  298. 

(4)  Ibid.,  l.  Ili,  pag.  261,  267,  268. 

(5)  1474.  2S  giugno.  «  Philibertus  Ugumcti  cardinalis....  donavit  nostre 
basilice  unum  pulcherrimum  pluviale  de  drapo  aureo  rubeo  ».  Libro  dei 
benefattori,  fol.  90. 

(6)  1478.  f  «  Angelus  de  Crapanicha,  episcopus prenestìnus  S.  R.  Eccl. 
Cardinalis....  qui  donavit  nostre  basilice  unum  pluviale  de  damaschino 
brochatum  auro  et  pulcherrimum  »,  ih.,  fol.  92. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  T^ietro  9 

menta  »,  lasciati  dalla  regina  di  Cipro  nel  1487  (i).  Dob- 
biamo anche  far  menzione  in  questo  secolo  del  lascito  di 
quattro  planetae  piiìchrae  fatto  da  Neìhis  de  Bononia,  fa- 
miìiaris  domìni  nostri  Nicolai  P.  P.  V.  (2)  I  canonici,  da 
parte  loro,  non  trascurarono  verun  mezzo  per  aumentare 
od  abbellire  questa  rara  collezione. 

A  cagione  delle  ripetute  prove  da  essa  sofferte,  fra  le 
quali  è  da  segnalarsi  specialmente  il  sacco  di  Roma  nel 
1527  (3),  in  conseguenza  anche  dei  cambiamenti  nel  gusto, 
i  quali  fecero  sacrificare  tante  opere  pregevoH,  il  tesoro  di 
S.  Pietro  non  racchiude  oggi  che  un  piccolo  numero  di 
antichi  oggetti  storici.  Ce  ne  possiamo  accertare  percor- 
rendo il  catalogo  fatto  da  monsignor  Barbierde  Montault  (4). 

Ciò  rende  anche  più  interessante  il  cercare  di  ristabi- 
lire un  insieme  che  era  nel  passato  cosi  brillante,  e  che 
ha  nella  storia  dell'arte  un  posto  cosi  riguardevole.  Gli 
elementi  di  cui  si  dispone  per  questo  lavoro  sono  nume- 
rosi; oltre  il  Liber  Pontificalis,  varie  cronache  romane,  la 
descrizione  della  basilica  di  Pietro  Mallio  (5),  si  dovrebbe 
far  uso  degli  inventari,  dei  Hbri  delle  spese,  e  del  libro 
dei  benefattori  della  basilica,  documenti  i  quali  trovansi 
tutti  negli  Archivi  del  Capitolo.  Malgrado  lo  spoglio  che  ne 
fecero  Grimaldi  nel  xvi-xvii  secolo,  e  Cancellieri  nel  xviii, 
in  maggior  parte  questi  documenti  sono  ancora  inediti  (6). 

(i)  Libro  dei  benefattori,  fol.  99.  Vedi  Dionisio,  Sacrarum  Vati- 
canae  Basilicae  cryptariiiu.  .monunienta.  Roma,  1773. 

(2)  Libro  dei  benefattori,  fol.  161,  e  Cancellieri,  de  Sccretariis, 
t.  II,  pag.  869. 

(3)  Vedi  ToRRiGio,  Sacre  grotte  vaticane,  pag.  255-259  e  le  Ricerche 
intorno  ai  lavori  archeologici  di  Giacomo  Grimaldi,  Firenze,  1881, 
pag.  49  e  segg. 

(4)  Les  Souterrains  et  le  Trésor  de  Saint  Pierre  à  Rome.  Rome,  1866. 

(5)  Descriptio  Vaticanae  hasilicae  veteris  et  novae,  ed.  De  Angelis, 
Roma,  1644, 

(6)  De  Secretariis  Basilicae  Vaticanae:  Indices  reliquiarum  Basilicae 


IO  E.  <£Milnti  e  Q^i.  L.  Jrothingham 

Lasciando  da  parte  i  registri  delle  spese  ed  il  libro  dei 
benefattori,  ci  applicheremo  al  presente  a  riprodurre  quattro 
inventari,  dei  quali  il  primo  appartiene  al  xiv  secolo,  gli 
altri  tre  al  xv.  Da  questi  documenti  si  vedrà  quanta  sia 
stata,  a  quest'  epoca,  la  ricchezza  del  tesoro  in  ornati 
d'ogni  genere. 

Faremo  precedere  questi  quattro  inventari  da  un  estratto 
del  Libro  dei  benefattori  della  basilica,  relativo  ai  doni  di 
Bonifacio  Vili:  questo  estratto,  poco  conosciuto,  quan- 
tunque abbia  già  avuto  gli  onori  della  stampa,  si  collega 
così  intimamente  alla  storia  del  tesoro  che  ci  parve  im- 
possibile di  trascurarlo  in  questa  occasione. 

Infine  dobbiamo  rendere  omaggio  alla  memoria  del 
compianto  cardinale  Borromeo,  arciprete  della  basilica, 
mercè  la  cui  benevolenza  ci  fu  possibile  consultare  gli 
Archivi  del  Capitolo,  ed  anche  rivolgere  i  nostri  ringrazia- 
menti al  dottissimo  archivista  D.  Pietro  Wenzel,  la  cui  gen- 
tilezza ci  ha  aiutato,  singolarmente  nelle  nostre  ricerche. 

Eugenio  Muntz 

A.   L.   FrOTHINGHAM  Jun. 


Vaticanae  db  Alpharano  adornati,  t.  iv,  pag.  1 659-1 666.  Elenchus  Rc- 
liqiiiariim  Basìlicae  Vaiicanac  a  lacoho  Grimaldo  conUxtus  novis  acces- 
sionihus  locHplòtatus,  ibid.,  pag.  1 667-1 696.  Lychnuchi  Pensihs  aliaqiie 
donarla  aurea  et  argentea  Principi  Jpostoloruin  dicata,  ibid.,  p.  175 3-1 759. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  Tietro  ii 


Libro  dei  Bette/attori  della  Basilica  di  S.  Pietro 
[1294-1303] 


[f.  i44-v°]  In  nomine  domini  Amen.  Anno  ejusdem  MCCCIII, 
III"  Indictionc  mensis  Octobris.  Obiit  sancte  memorie  dominus 
Bonifatius  Papa  Vili,  natione  Campanus,  de  Civitate  Anagnie, 
de  domo  Gaytanorum,  magnarnm  scientie  et  eloquentie,  qui  oh 
magnam  devotionem  quam  hahuit  ad  islam  Sacrosanctam  Ba- 
silicam,  ciijus  ante  fiierat  Canonicus,  liberaliter  donavit  ipsi 
Basilice.... 

Item  unum  calicem  aureum  ad  usum  Sancte  Marie  de  Can- 
cellis,  ponderis  qiiinque  marcharum. 

Item  imam  crucem  cum  pede  de  argento  pulcerimc  (sic)  operis 
ad  smaltos,  ponderis  LVII  marcharum  cum  dimidia. 

Item  unum  pluviale  nobilissimum  de  opere  Cyprensi  ad 
ymagines  cum  aurifrigio  Anglicano  ad  perlas. 

Item  unam  dalmaticam  nobilissimam  de  opere  Cyprensi  cum 
gramicis  ad  figuras  cum  perlis 

Hic  etiam  instituii  tres  beneficiatos  ultra  numerum  triginta 
institutum  per  sancte  memorie  doniinum  Nicol aum  papam  ter- 
tium  per  qnos  volnit  perpetuis  temporibus  dici  missas  ad  al- 
tare Santi  Bonifatii  prò  anima  sua,  juxta  quod  altare,  quod 
fecit  innovari  et  etiam  consecrari,  fecit  construi  et  erigi  sepul- 
chrum  suuni,  in  quo  requiescit;  supra  quod  altare,  et  juxta 
ipsum  fecit  erigi  cappellani  insignem,  cancellis  ferreis  circum- 
datam...  Ad  cujus  cappelle  altaris  et  ministrorum  usum  do- 
navit hec,  que  sequuntur  : 

In  primis  unum  par  bacilium  de  argento:  quatuor  calices 
cum  patenis,  duas  cruces  de  argento,  unam  de  dyaspro,  et  unam 
de  cristallo:  tria  paria  candelabrornm  de  argento,  et  unum 
par  de  dyaspro  cum  apparatu  de  argento  et  gemmis  ;  duas  na- 
viculas  de  argento:  unam  pissidem  de  argento  deauratam  prò 


12  E.  oMunti  e  oA.  L.  Jrothingham 

hostiis:  unum  collatorium  de  argento  perforatum,  qiiatuor  paria 
ampullarum  de  argento,  quorum  unum  par  est  deanratmn. 

Item  tria  thuribula  de  argento  quorum  duo  sunt  deaiirata  : 
et  sunt  in  eis  due  teste  de  argento  ponderis  predictarum  CXIIII 
marcharum  unciarum  iiii  et  quartorum  Hi. 

Item  imam  coronam  de  ebure  cum  duodecim  ystoriis  novi 
testamenti  valde  pretiosam. 

Item  undecim  planetas  diversorum  coi  or  uni  de  scyamito, 
panno  tartarico,  et  dyaspro. 

Item  duo  pìuvialia  de  dyaspro  et  panno  tartarico. 

Item  sex  doxalia  diversorum  coìorum,  quorum  tria  sunt  de 
opere  Cyprensi  nobilissima. 

Item  deceni  et  septem  pannos  integros  diversorum  coìorum 
de  opere  Lucano. 

Item  quinque  aurifrigia,  quorum  tria  sunt  de  opere  Cy- 
prensi, et  unum  est  de  opere  Anglicano,  et  unum  est  ad  smaldos 
(sic)  habens  figuras  sanctorum  integras,  nobilissimum. 

Item  quatuor  camixos  (sic)  de  cortina  cum  pectorallbus  et 
gramicis  (sic)  de  opere  Cyprensi. 

Item  septem  amictos  cum  aurifrigiis  de  opere  Cyprensi. 

Item  tres  stolas  et  tria  manualia  de  opere  Cyprensi. 

Item  septem  cingala  de  serico. 

Item  duo  paria  corporalium  cum  domibus  de  opere  cypressino. 

Item  unum  missale  pulchrum. 

Item  unum  breviarium  pulchrum  notatuin  in  duobus  volu- 
minibus. 

Item  unum  graduale  notatum  parvi  voluminis. 

Item  viginti  tobaleas  tam  sericas  (sic),  quani  operis  Ala- 
manici. 

Item  tria  superpellicia  de  vimpa  {i),  et  cortina. 

Item  duo  articularia  de  opere  ad  arcum. 

Item  hic  cum  in  nocte  festi  beati  Petri  ex  incuria  mansiona- 
ri) Ducange:  «  Vimpa,  pannus  scilicet  lineus  ex  quo  conficiebantiir 
vimpae,  seu  pepla  iitiilienuii». 


//  Tesoro  della  T^asilica  di  S.  dietro  i3 

riorum  ignis  consiimpsisset  tcctnm  et  quicqiiid  hcdificii  lignei 
erat  i?i  campanili  a  siimnio  usque  deorsum.  Et  propter  quod 
campane  corrmntes  in  terram  confracte  fuissent,  celeriter  ipsum 
campanile  in  hedificiis  ligneis  reparari  et  innovavi  melins  so- 
lito. Et  campanas  sex  fieri  de  novo  fecit  optimas  duplicati  pon- 
derisi et  plnris  quam  prioris  (sic)  extitissent. 

Qui  etiani  super  alia  bona  que  nostre  Basilice  fecit  non 

contenta  in  libro  hoc  mandavit  de   camera   nostra  perpetuis 

temporibus  in  anniversario  suo  duodecim  florenos  expendi  inter 

canonicos,  beneficiatos,  et  clericos  chori  distribuendos  secimdum 

.tenorem  in  licteris  (sic)  sua  bulla  bullatis  contentum  (i). 

[f.  35-r°]  [13^1]. 

Incipit  Inventarium  omnium  et  singiilorum  dossalium, 
■  paramentorum,pliivialium  sacristie  Basillice  Prin- 
cipis  Apostoloriim  de  Urbe.  (2) 

In  primis  unum  dossale  magniim,  quod  vulgariter  dicitur 
Constantini,  ornatum  perlis  et  auro  cum  ymaginibus  et  cru- 
cibus  mire  piilchritudinis  prò  altari  majori. 

Item  unum  dossale  prò  dicto  altari  majori^  ornatum  perlis 

(i)  Martirologio  ossia  Libro  dei  benefattori,  fol.  144-145.  Cf.  Ru- 
BEVS.  Bonifacìtis  Vili  efaniilia  Caietanonim,  princìpum  romanorum,  pon- 
tifex.  Roma,  1651,  pag. '^42  e  segg. 

(2)  I  canonici  di  S.  Pietro,  come  se  avessero  il  presentimento 
del  prossimo  ritorno  della  Papazia  a  Roma  e  del  ristabilimento, 
anche  momentaneo,  della  tranquillità  pubblica,  fecero  redarre  l'in- 
ventario qui  riprodotto  quasi  alla  vigilia  dell'elezione  di  Urbano  V, 
il  primo  dei  papi  Avignonesi  che  tentò  seriamente  di  tornare  all'Eterna 
Città.  Il  soggiorno  d'Urbano  V  sulle  sponde  del  Tevere  (13  67- 13  70) 
divenne  il  segnale  d'importanti  lavori  intrapresi  tanto  al  Vaticano 
quanto  al  Laterano.  La  Chronique  des  Arts  et  de  la  Curiosile  (22  mag- 
gio 1880)  ha  pubblicato  la  lista  degli  artisti  i  quali  lavorarono  nel  1369, 
insieme  al  Giottino,  a  Giovanni  da  Milano,  ed  a  Giovanni  ed  Angelo 
Taddei,  a  decorare  due  Cappelle  situate  nel  Vaticano.  Possediamo 
inoltre  il  dettaglio  dei  lavori  eseguiti  nella  «  pescheria  »  del  giar- 
dino pontificio:  «  ij6^,  VII  novemhris.  Die  eadem  ftieruiit  ibidem  soluti 


14  E.  QMiinl-{  e  (lA.  L.  Jrothingham 

ad  fipiras  qnatuor  grifonum  in  medio  ejiis,  qiiod  dicitiir  dos- 
sale Bonifatii,  valde  pnlchrum. 

Item  aliud  dossale  prò  dicto  altari  majori  de  catassamito  (i) 
celestino  (sic)  coloris  ornatiim  de  auro  ad  figuras,  videlicet  in 
medio  ejns  est  ystoria  assumptionis  cimi  XIIII  angelis  magnis, 
et  perlis  in  circuitu,  et  qnatuor  evangelistis,  et  ah  nna  parte  est 
ystoria  annnntiationis  nat.  Domini,  quando  beata  Virgo  visitavit 
beatam  Helisabet,  etystoria  magornm  cumstellisper  totum  deanro. 

Item  unum  aliud  dossale  prò  dicto  altari  de  syndone  vio- 
lato, ornatum  de  novem  ymaginibus,  videlicet,  cimi  nostra 
domina  in  medio  et  a  dextris  ejiis  sanctus  Paiilus,  sanctus  Ste- 
pbanus  Rex  Ungarie,  sanctus  Erricus  Diix  Ungarie  et  san- 
ctus Lodoycus,  et  a  sinistris  sanctus  Petrus  et  sanctus  Ladislaus 
Rex  Ungarie,  sancta  Helisabet  filia  Regis  Ungarie,  et  sancta 
Margarita  filia  Regis  Ungarie,  ami  spicis  aureis  duplicatis 
inter  ipsas  ymagines  et  in  circuitu  una  vitis  de  auro  in  sindone 
ruheo  ciim  rosis  aureis. 

Item  unum  aliud  dossale  prò  dicto  altari  majori  de  ca- 
tassamito celestini  coloris  cum  XXIIII  grifonìhns  et  diiodecim 
vitibus  de  auro  inter  ipsos  et  cimi  UH"''  ymaginibus  sanctoruni 
a  dextris  et  a  sinistris  de  auro  et  serico. 

Item  unum  aliud  magnimi  dossale  prò  dicto  altari  labo- 
ratum  ad  aurimi  cum  ordine  creationis  mundi  et  judicio  ejus, 
crucifixo  et  multis  et  diversis  ymaginibus. 

de,  mandato  dui  uri  pape  Johanni  dù  Siiichis  canccllario  alme  Urbis  de- 
putato per  dnum  nruni  papani  ad  fieri  Jac'iedmn pìscariam  in  viiiea  orti 
palacii  apostolici  Rome,  apnd  sanctitm  Petriim,  prò  expensis  per  ipsum 
factis  fieri  »,  etc,  etc.  Conviene  citare  fra  i  marmorarii  impiegati  da 
Urbano  V,  M''"  Janni  d'Amelia,  Jacometto,  Donato  ;  fra  i  muratori 
Muccio  dello  Rico,  Pisanello,  lo  Mancino;  fra  i  pittori,  oltre  quegli 
già  annoverati,  Juani  e  Jacopo  da  Janeria,  etc. 

(i)  Sul  senso  delle  parole  «  cataxamitum,  catesamitmn,  cathasa- 
mitiim,  cathesamittum  »,  vedi  F.  Michel,  Recherches  sur  le  commerce, 
la  fabrication  et  Viisage  des  étoffes  de  soie,  d'or  et  d'argent  et  autres  iissiis 
prècieux,  en  Occident,principalenieiit  eii  France,  pendant  le  Moyen  Age. 
Paris,  1850,  t.  I,  pag.  362;  t.  II,  pag.  5,  454. 


//  Tesoro  della  Tiasilica  di  S.  T^ieiro  i5 

[f.  35-v°]  Itim  iiuniìi  alìiid  dossale  rubeiim  de  catassanùto  cimi 
duabus  figuris  in  medio,  videìicct  Domini  nostri  cnm  palla  in 
m,ann  et  Domine  tiostre  coronate  ciim  duohus  angelis  supra  ipsas 
figuras,  et  cum  liliis  aureiis  (sic)  per  tòtnm,  cimi  capitibiis 
leoniim  in  medio  ipsorum  liliorum,  circumdatimi  friseis  aurcis 
cum  parvis  roseis  nibeis,  quod  dicitiir  Regis  Francie. 

Item  unum  dossale  prò  altari  majori  antiquum  de  auro  la- 
horat.  ad  arma  Regis  Aragonum,  et  aquilas  nigras  in  sciitis 
albis. 

Item  unum  dossale  antiquum  de  serico  albo  laborat.  ad 
aurum  ad  diversa  opera  prò  dicto  altari. 

Item  unum  dossale  prò  dicto  altari  de  cataxamito  rubeo 
ad  magnos  pavvones  (sic)  et  pennas  (?)  avium  de  auro. 

Item  aliitd  dossale  dz  sindone  reforcxato  rubeo,  cum  una 
rota  magna  in  mi'dio  et  cum  quatiior  figuris  secularium  perso- 
naruin  cnm  qnatuor  pavonibus  et  1111°''  parvis  rolis  et  qiiatuor 
compaxibus  sive  nodibus  (?)  et  duabus  listis  ab  utroque  capite 
de  opere  Saracenico  (i),  fodsrat.  de  panno  lineo  viridi. 
[f.  36-r°]  Item  unum  dossale  prò  altari  diete  sancte  Marie  de 
Cancellis  ad  aurum  cum  ymagine  domine  nostre  cimi  dyademate 
de  perlis  et  a  dextris  sanctus  Johannes  baptista,  sanctus  Jo- 
hannes evangelista,  sanctus  Franciscus  et  sanctus  Gregorius,  a 
sinistris  vero  sanctus  Petrus  et  sanctus  Pauliis,  sanctus  Antonius 
et  sanctus  Nicolaus  cum  FUI  angelis  a  capite,  et  in  circuitu 
ipsius  dossalis  una  vitis  magna  de  perlis  circum  ornata  duobiis 
listis  de  perlis  et  vitreolis,  quod  dossale  dicitiir  pape  Nicolay. 

Item  unum  dossale  prò  dicto  altari  de  Cancellis  de  ca- 
tassanùto coloris  celestini  cum  morte  domine  nostre  cum  sexdecim 
angelis  magnis  et  parvis:  ab  una  parte  est  y  storia  innocentum  (sic) 
et  baptismi  Domini,  ab  alia  parte  est  purificatio,  quando  Chri- 
stus  fuit  temptatus  a  Demone,  cum  stellis  miiltis,  omnia  de  auro 
laborata. 


■  (i)  Vedi    sopra    Vopiis   saraccnicum,    F.  Michel,    Rechuxlies,  etc. 
t.  Ili,  pag.   105. 


i6  E.  oMiìnti  e  oA.  L.  Jrothingham 

Item  unum  dossale  de  catassamito  rubeo  prò  diete  altari 
cani  crucifisso  in  medio  cum  domina  nostra  et  sancto  lohanne  et 
sex  figuris  de  auro  erucifigentihus  eiim  et  duobus  angeìis  ineen- 
santihus  super  dictuin  crucifissum,  et  cum  liliis  de  auro  per 
totum  in  quibus  sani  capita  leonum  circumcirca,  et  per  medium 
ornatmn  aurifrisio  cum  rosis  rubeis  et  liliis  albis  serico. 

Assignata  ad  tisum  Sacristie  mingris. 

Item  aliud  doxale  de  serico  albo  laborat.  ad  compassus 
de  auro,  cum  rosectis  et  stellis  minutis  de  serico  diversorum  co- 
lorum,  cum  duabus  listis  ad  vites  cum  rosis  et  stellis  et  crucibus 
major ibiis  de  auro  et  serico  ab  utroque  capite,  cum  tribus  scutis 
ad  arma  Comitis  et  Comitisse  de  Celano  cum  aurifrisio  de 
serico  ad  rotas  cum  Agnis  Dei  et  stellis  de  auro  et  serico  diver- 
sorum colorum  et  ceruliis  (sic):  foderat.  de  sindone  indico. 

Item  unum  dossale  prò  dicto  altari  de  Cancellis  de  serico 
nigro  laborat.  ad  figuras  sanctorum  et  Angelorum  Salvatoris 
et  domine  nostre  de  aurifrisato  cum  Vili  aurìfrisiis  juxia  ipsum 
et  in  circuitu  antiqumn. 

[f.  3^-v°]  Item  aliud  dossale  prò  dicto  altari  de  panno  serico 
viridi  ad  aiirum  laborat.  cum  duobus  listis  in  capite  de  sa- 
mato (sic)  rubeo. 

Item  aliud  dossale  prò  dicto  altari  de  panno  serico  viridi 
simpliciter  laborat. 

Item  aliud  dossale  prò  dicto  altari  de  grosso  opere  adplures 
ymagines  domine  nostre  et  angelorum. 

Item  aliud  dossale  antiquum  ad  diversas  ystorias  domine 
nostre  cum  listis  viridibus  in  circuitu  de  sindone  et  catassamito. 
[f.  37-r°]  Aurif risia  seu  frontalia  prò  altari  majori. 

In  primis  unum  aurifrisiuni  seu  frontale  prò  altari  majori 
de  catassamito  rubeo  quod  fuit  ornatmn  de  perlis  et  ymaginibus 
de  argento  deaurato  longis  et  rotundis  destructis  propter  anti- 
quitatem,  a  parte  superiori  et  inferiori  mia  vite  in  modum  cor- 
dulae  cum  seralia  de  serico  diversorum  colorum,  sutum  in  una 
tobalea  Alamanica  cum  quibusdam  licteris. 


//  Tesoro  della  ^Basilica  di  S.  dietro  i  7 

Iteni  unum  aiirifrisiiun  de  catassamato  rubeo  prò  dicto  al- 
tari min  pUtatù  in  nudio  cani  quatnor  yniaginibiis  sanctonini 
ab  utraquz  parte  et  Inter  ipsas  sunt  odo  ymagìnes  parv:  in 
campo  aureo  et  ab  una  est  sudarium  et  ab  alio  (sic)  est  ymago 
domine  nostre,  cum  seralia  diversorum  colorum  de  serico,  sutum 
in  quodam  linteo,  quod  dicitur  Reginae  Ungarie. 

Item  unum  aurifrisium  seu  frontale  prò  dicto  altari  de 
opere  Lucano  (i)  de  auro  et  serico  viridi  et  rubeo  laboratiim 
cum  seraliis  de  serico  diversorum  colorum  consutum  in  una  tela 
de  cortina  cum  dimidia,  cum  tribus  listis  a  quolibet  capite  de 
panno  lineo  laborat.  ad  aves  et  vites  de  auro  et  serico  nigro. 

Item  aliud  aurifrisium  d:  opcr:  autiquissimo  cum  quibnsdam 
vitris  more  lapidum  prctìosornm  in  casconibus  suis,  cum  qiii- 
busddììi  vitreolis  albis  et  giallis  et  aliorum  colorum,  sutum  in 
qnadam  tobalea  cum  listis  banibicinis  cum  seraliis  de  serico 
rubeo  puro. 

It:m  aliud  aurifrisium  de  opere  antiquissimo  ad  vitriolos 
albos  et  auripellum  (sic)  et  ad  circa  (sic)  inter  ea  more  lapidum 
pretiosorum  diversorum  colorum  cum  serraliis  de  serico  rubeo 
cum  tobalea  de  panno  lineo  virgato  de  bombice  nigro  cum 
repet.  nigris. 

[f.  37-v°]        Aurif risia  prò  altari  de  Cancellis. 

In  primis  unum  aurifrisium  de  catassamato  rubeo  ornatum 
de  perlis  per  totum  cum  ymaginibus  de  argento  deauratis  ro- 
tundis  cum  seratura  de  serico  diversorum  colorum,  sutum  in 
quodam  tobalea  de  Alamania. 

Item  unum  aliud  aurifrisium  prò  dicto  altari  factum  ad 
vmagines  sanctorum  de  serico  videlicet  Domini  nostri  et  Domine  ab 
utraque  parte  ymagines  apostolorum,  cum  vite  et  foliis  sericeis 
diversorum  colorum  cum  seralia  de  serico  diversorum  colorum. 

Item  aliud  aurifrisium  prò  dicto  altari  de  opere  antiquo  ad 

(i)  Riguardo  alVopus  lucanum,  vedi  l'opera  citata  di  F.  Michel, 
t.  II,  pag.  342. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  2 


E.  oMiint'^  e  oA.  L.  Jrothmgham 


laminas  siibtiles  de  argento  deanratas  quadratas  et  ìongas  in 
modum  compassiium  cuni  qidhiisdam  smaltis  parvis  ad  steììas 
in  campo  ac'^iro  et  ad  perìas  in  modum  rosarum  et  criicium  et 
cum  quibusdam  aliis  smaìtnìis  diversoriim  colorum  et  ad  lilia 
de  argento  deanrata  cum  seraliis  ligatis  more  marsupiarum  et 
auro  et  serico  diversorum  colorum,  sutuni  in  antiqua  tohaìiola. 

Item  unum  aurifrisiiun  antiquum  qnod  quandoque  fuit  im- 
pernatum  sed  est  deformatam  prò  vetustate  sine  tobalea. 

Item  unum  aurifrìsium  prò  dicto  altari  de  opere  Lucano 
ad  leones  et  rosectas  de  auro  in  campo  de  serico  violato  cum 
seraliis  de  serico  non  toto  diversorum  colorum,  foderai,  de  sin- 
done rubeo. 

Item  alìud  aurifrisium  prò  dicto  altari  de  opere  Lucano 
antiquo  cum  certis  compaxibus  cum  seraliis  viridibus  sutum  cum 
una  tobalia  lini  antiqua  et  nmcida. 

Item  aliud  aurifrisium  de  opere  Lucano  cum  seraliis  rubcis 
sutum  in  una  tobalia  cum  rosis  de  serico  rubeo. 

Item  aliud  aurifrisium  prò  dicto  altari  ad  compaxus  de 
opere  simplici  cum  seraliis  de  serico. 

Item  aliud  aurifrisium  de  sifidone  rubeo  laborat.  ad  aurum 
iani  consuìNpfuììi  cum  seraliis. 

[f.  38-v°]  Pluvialia  Pontificalia. 

Im  primis  unum  pluviale,  quod  dedit  Basilice  bone  me- 
morie Papa  lohannes  XXII,  de  auro  cum  multis  et  diversis 
ystoriis  novi  et  veteris  testamenti  et  alibus  (sic)  compassibus  ad 
perlas  cum  uno  pulchro  aurifrisio  de  auro,  ornatum  adfiguras 
diversorum  animalium  et  avium  de  perlis  et  viireolis,  in  cuius 
capite  ornato  de  perlis  sunt  duo  angeli  incensantes  et  in  pede 
ipsius  est  unum  monile  rotundum  de  perlis  plenum;  a  pede  vero 
ipsius  pluvialis  est  unum  aurifrisium  rubei  et  viridi  coloris 
mire  pulchritudinis  per  totum  (i). 

(i)  Non  è  cosa  impossibile  che  questo  lavoro  prezioso  di  ricamo 
sia  stato  eseguito  nell'Italia  stessa,  quantunque  il  Papa  che  l'offri, 
residesse  ad  Avignone.  Difatti    sappiamo    dai   documenti   pubblicati 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  T^ietro  19 

lUm  unum  pluviale  de  auro  curii  injìnitis  imaginibus  di- 
versarum  ystoriarum  sanctorum  de  opere  Anglicano  (i),  silicei 
(sic)  cum  ystoria  passionis  Christi  et  beati  Petri  cum  aurifrisio 
mirepulchritudinis  ad  fignras  diversorum  animaìium  et  avium  de 
perlis  et  vitriolis,  et  in  caputio  ornato  de  perlis  sunt  duo  angeli 
incensantes,  et  a  pede  ipsius  est  una  vitis  de  perlis  cum  avihus 
et  animalibus  infra  ipsam  vitem,  quod  transivit  (sic)  Basilice 
sanctissimus  pater  Chmms  papa  VI  per  reverendum  patrem  do- 
mìnum  A.  Episcopum  Tusculanum  sancte  Romanae  Ecclesie 
Cardinalem  apostolice  sedis  Legatum  Archiprebyterum  sacro- 
sancte  Basilice  (2),  multe  pulchritudinis  per  totuui. 

Item  unum  pluviale  de  auro  de  opere  Anglicano  quod  fiiit 
Bonifatii  papae  Vili  cum  ymagine  in  modum  pontificis  cum 
corona  amicto  pallio  pontificali  et  libro  de  perlis  et  a  medietate 
infra  in  circuytu  ymagines  apostolorum  cum  frisio  ornato  de 
perlis  minutis  et  crucibus  nigris  de  serico^  et  in  caputio  ejus  est 
Annunctiatio  domine  nostre,  a  pede  vero  est  aurifrisium  or- 
natum  de  perlis. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  \opere^  Anglicano,  quod  fuit 
Nicolay  Tertii,  cum  diversis  figuris  et  in  campo  aureo  cum 
aurifrisio  de  opere  Romano  (3)^  in  medio  ejus  praecipue  est 
ymago  Salvatoris  cum  luna  et  sole  ab  utraqw:  parte  et  duobus 
angelis  uno  a  dixtris  et  alio  a  sinistris.  Signat.  per  AB:  foderat. 
de  sindone  rubeo. 

dal  signor  Faucon  che  Giovanni  XXII  comprò  o  comandò  molti 
gioielli,  oggetti  d'orifìceria  e  stoffe  preziose,  principalmente  in  To- 
scana :  Ecold  Fraii^aisi  de  Rome.  Mèlaiiges  d'archeologìe  et  d'histoìre, 
1882,  pag.  71,  72. 

(i)  Vedi,  per  Vopus  anglicamim,  l'opera  citata  del  Michel,  t.  II, 
pagg.  336,  337,  342. 

(2)  Vedi  \]GnE'Li.\,  Italia  sacra,  t.  i,  pag.  238,  ove  dice:  Aegidius 
Arcellinì,  vel  Iselnii  de  Sylva  di  MontMcuto  Gallus,  ex  PresbyLro  Card, 
tu.  S.  S.  Silvestri  ac  Martini  in  Montibiis  sub  Innocentìo  VI,  Sub  Mar- 
tino V pronnnciatus  est  Episcopus  Card.  Tusculanus,  ac  S.  Petri  Patrimonil 
Legatus....  Decessit  Avenioiie  i^yS  non.  Decemb.  » 

(3)  Si  tratta  probabilmente  di  tessuti  di  Romania:  vedi  l'opera 
del  Michel,  t.  I,  pagg.  258,  280  e  295;  t.  II,  pagg.  363,  369  e  570. 


20  '     E.  oMilnti  e  oA.  L.  Jrothìngham 

[f.  39-r°]  Itcm  unum  pluviale  de  cassamito  viridi  cum  diversi s 
■compaxibus  aureis  et  diversis  ymaginihm  Salvatoris  et  apostolo- 
rum  Petri  et  Pauli  cum  aurifrisio  Regimi  Francie  et  Anglie,  in 
cujus  capputio  est  ymago  Salvatoris  et  beate  Virginis,  foderat. 
de  sindone  rubeo.  Signat.  per  duo  SS. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  diaspcro  viridi  laborato  ad 
aves  cum  capitibus  et  pedibus  et  capite  alar  uni  de  auro,  et  certis 
aliis  figuris  seralium,  cum  aurifrisio  de  opere  Romano  ad  figuras 
sanctorum  apostolorum.  In  cujus  caputio  est  figura  beate  virginis 
Marie.  Signat.  per  I.  O:  foderat.  de  sindone  rubeo. 

Item  aliud  pluviale  de  catassamito  rubeo  adyuiaginesleonum 
de  auro  et  compassus  de  auro  cum  diversis  armatiiris  in  dictis 
compassibus  et  in  medio  ystoria  assumptionis,  et  in  capite  duo 
angeli  incensantes,  et  a  pede  ystoria  sancii  Sebastiani  cum  au- 
rifrisio de  auro  cum  certis  compassibus  cum  capputio  ad  eumdem 
compassum.  Signat.  per  S:  foderat.  de  sindone  viridi. 

Item  aliud  pluviale  de  dyaspero  rubeo  factum  ad  ymagines 
honum  et  grifonum  cum  capitibus  et  pedibus  de  auro  cum  au- 
rifrisio de  opere  Romano  cum  ymaginibus  Salvatoris  et  domine 
nostre  et  ab  utraqm  parte  apostolorum,  in  cujus  capputio  est 
ymago  beati  Petri.  Signat.  per  duo  R  R:  foderat.  de  sindone 
croceo. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  dyaspero  rubeo  cum  vitibus 
et  uvis  viridibus  cum  aurifrisio  de  opere  Romano  cum  ymagine 
Salvatoris  et  domine  nostre  et  ab  utraque  parte  diverse  alie 
ymagines  apostolorum  et  aliorum  sanctorum,  in  cujus  capputio 
est  ymago  cujusdam  pontificis  cum  mitra  in  capite.  Foderat. 
de  sindone  giallo.  Signat.  per  fo  _p. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  rubeo  simplici 
cum  aurifrisio  de  opere  Anglicano  cum  ystoria  pueritiae  Domini 
nostri  et  certis  avibus  diversorum  colorum,  in  cujus  caputio  est 
ymago  Salvatoris  cum  palla  in  manu  in  quodam  compasso  (sic) 
albo,  non  foderat.  Signat.  per  duo  DD. 
[f.  39-v°J  Item  pluviale  unum  di  vAluto  rubeo  cum  aurifrisio 
de  opere  Romano  cum  ymagine  Salvatoris  et  domine  nostre 


//  Tesoro  della  IBasilica  di  S.  'Pietro  2 1 

et  sancii  lohannis,  ah  utraqite  parte  ymagines  Apostohriim.  In 
cujus  capputio  est  ymago  ciijusdam  episcopi  benedicentis.  Fode- 
rai, de  sindone  giallo.  Signat.  per  xxx- 

Item  unum  aliud  pluviale  de  auro  lahorat.  ad  pappa- 
gallos  cum  foliis  de  serico  albo  cuni  aurifrisio  de  opere  Ro- 
mano, in  summitate,  videlicet  in  medio  est  ymago  Salvatoris 
et  ab  una  parte  est  ymago  domine  nostre  et  ab  alia  sancii 
lohannis  et  ab  niraque  parte  ymagines  apostolorum  et  in  fin:. 
media  ymago  sancii  Stephani,  in  cujus  capputio  est  ymago  sancii 
Johannis  evangeliste,  foderai,  de  sindone  rubeo.  Signat.  per  I C. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  diaspero  aureo  cum  compas- 
sibus  de  rubeo  cum  pappagallis  et  aliis  compassibus  et  foliis 
de  auro  cum  aurifrisio  de  opere  Romano,  in  medio  ymago  Sal- 
vatoris et  nostre  domine  et  sancii  lohannis  et  ah  niraque 
parte  ymagines  apostolorum,  in  cujus  capputio  est  ymago  Pape 
cum  regno  in  capite  induti  de  pluviali  rubeo,  foderai,  de  sin- 
done giallo.  Sigimi,  per  L  G. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  dyaspero  rubeo  cum  pappa- 
gallis et  grifonibus  et  bestiis  viridibus  et  cum  compassibus  in 
medio  cum  aurifrisio  de  opere  Romano,  in  medio  ymago  Sal- 
vatoris cum  compassibus  et  foliis  circumcirca  et  ymagine  do- 
mine nostre  et  sancii  fohannis,  ab  niraque  parte  ymagines  apo- 
stolorum et  aliorum  sanctorum  et  sanctarum,  in  cujus  capputio 
est  ymago  cujusdam  episcopi  cum  crocia  et  libro  in  manibus. 
Foderai,  de  sindone  croceo.  Signat.  per  T  T. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  diaspero  rubeo  cum  ccrtis  com- 
passibus et  figuris  ad  pappagallos  cum  capitibus  summilalibus 
alarum  et  pedibus  de  auro,  et  ad  grifones  cum  capitibus  et  pe- 
dibus  de  auro  cum  aurifrisio  de  opere  Romano,  in  medio  ymago 
Salvatoris  cum  compassibus  et  foliis  ab  ulraque  parte  cum  yma- 
gine domine  nostre  et  sancii  fohannis,  et  ab  ulraque  parte  ymago 
apostolorum-  et  sanctorum  et  sanctarum  cum  avibus  et  vitibus 
diversorum  colorum,  in  cujus  capputio  est  ymago  cujusdam  Epi- 
scopi benedicentis,  foderai,  de  sindone  croceo.  Signat.  per  LL. 
[f.  40-r°]  Item  unum  aliud  pluviale  de  diaspero  albo  ad  aves  et 


22 


E.  óMiint^  e  oA.  L.  Jrothìngham 


fjifones  ciim  capitìhiis  siuniìiitatibiis  alarum  et  pedibus  de  auro 
ciim  aurifrisio  de  opere  Lucano  ad  ymagìms  apostolorum,  in 
cujus  caputio  est  ymago  unius  pontificis  benedìcentis,  sine  fodera. 
Signat.  per  duo  C  C  et  duo  e  e. 

Iteni  unum  aìiud  pluviale  de  panno  ìaborat.  ad  auruni  in 
campo  rubeo  ad  rosas  et  folia  cum  rosectis  indicis  in  dictis  rosis 
aureis  cum  aurifrisio  de  opere  Lucano  ad  compassos  (sic)  parvos 
diversorum  coìorum.  In  cujus  capputio  stint  compassus  majores, 
foderat.  per  totum  de  sindone  croceo.  Signat.  per  DPS. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  rubeo  sim  fodera 
cum  aurifrisio  de  opere  Romano  ad  medias  ymagines  aposto- 
lorum et  aliorum  sanctorum  et  sanctarum  cum  avibus  et  foliis 
diversorum  coìorum,  in  cujus  capputio  est  ymago  unius  pape 
cum  libro  in  manu.  Signat.  per  duo  h  h 

Item  unum  aliud  pluviale  de  diaspero  rubeo  ad  aves  cum 
capitibus  summitatibus  alarum  et  pedibus  de  auro  et  cervos  cum 
capitibus  de  auro,  sine  fodera  cum  aurifrisio  de  opere  Romano 
ad  medias  figuras  apostolorum  cum  Salvatore,  nostra  domina 
et  sancto  lohanne  baptista  in  summitate,  in  cujus  capputio  sunt 
quatuor  ymagines  cpiscoporum,  donatum  per  dominum  A.  episco- 
pum  Tusculanum  Archipresbyterum  nostrum,  (i)  Signat.  per  /^ 

Item  unum  aliud  pluviale  de  panno  serico  laborato  ad  au- 
rum  in  campo  nigro  cum  diversis  avibus  et  animalibus  cum 
aurifrisio  de  catassamato  viridi  laborato  ad  vites  aureas 
cum  rosectis  albis  et  fiorcctis  rubeis  cum  certis  compassibus  ad 
lilia  aureas  in  campo  yndico,  foderat.  de  sindone  yndìco.  In 
cujus  capputio  sunt  duo  angeli  cum  turibulis  incensantes.  Signat. 
per  g 

[f.  40-v°]  Item  unum  aliud  pluviale  de.  panno  serico  ad  aurum 
in  campo  albo  ad  divcrsas  parvas  aves  de  opere  Lucano  cum 
aurifrisio  de  opere  Romano  ad  ymagines  apostolorum  infra 
quas  ymagines  sunt  aves  et  folia  diversorum  coìorum  In  cujus 
summitate  sunt  ymagines  Salvatoris,  nostre  domine,  et  sancti 


(i)  Vedi  la  nota  a  pag.  19. 


//  Tesoro  della  TBasilica  di  S.  T*ietro  23 

lohannìs  haptiste,  in  cujiis  cappiitio  est  y mago  unìiis  epìscopi  cum 
crocia  hi  manu,  foderai,  de  sindone  rubeo.  Signat.  per  AX. 

Item  unum  aìind  pluviale  de  catassamito  viridi  sine  fodera, 
cum  aurifrisio  de  opere  Lucano  cum  compaxibus  parvis  de 
serico  diversorum  colorum,  in  cujus  capputio  sunt  eidem  com- 
passus  aliquantulum  majores.  Signat.  par  duo  PP. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  cum  cervis  et 
pappagallis  cum  capitibus  [et^  pedibus  de  auro,  cum  aurifrisio  de 
opere  Lucano  cum  mediis  parvis  ymaginibus  diversorum  colo- 
rum  sanctorum,  cum  capputio  de  eodem  panno  cum  frisio  in 
quo  est  ymago  cujusdam  sancti  induti  de  biada  tenentis  librum 
in  duabus  tnanibus,  cum  fodere  de  sindone  rubeo.  Signat.  per  KK. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  rubeo,  sine  fode- 
ratura, cum  aurifrisio  de  opere  Lucano  ad  compassus  de  serico 
diversorum  colorum,  cum  capputio  de  eodem  panno  et  frisio 
sine  fodera.  Signat.  per  e  e. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  opere  Lucano  de  serico  albo 
laborat.  ad  ramiculos  et  frondes  de  auro,  cum  aurifrisio  de 
opere  Romano  ad  medias  ymagines  apostolorum  in  compaxibus 
cum  pavonibus  et  pappagallis  de  serico  diversorum  colorum,  in 
cujus  summitate  sunt  ymagines  Salvatoris,  nostre  domine,  etlohan- 
nis  baptiste:  cum  capputio  de  eodem  panno,  et  aurifrisio  in  quo 
est  ymago  cujusdam  pape  tenentis  crociani  in  manu  :  foderat. 
de  sindone  rubeo.  Signat.  per  PS. 

[f.  4i-r°]  Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  albo  sim- 
plici  cum  aurifrisio  de  opere  Senensi  cum  magnis  compassibus 
diversorum  colorum  sine  fodera,  cum  capputio  de  eodem  panno 
et  aurifrisio.  Signat.  per  LL. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  velluto  rubeo,  cum  aurifrisio 
de  opere  Romano  ad  integras  ymagines  apostolorum,  et  ange- 
lorum,  foderat.  de  sindone  giallo  cum  capputio  de  eodem  panno, 
et  frisio  cum  ymagine  unius  sancti  pape.  Signat.  per  ... 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  violaceo  simplici, 
cum  aurifrisio  ad  magnas  arbores  de  opere  Senarum,  sine  fo- 
dera, cum  capputio  de  eodem  panno.  Signat.  per  SS. 


24  E.  oMiint-^  e  oA.  L.  Jrothingham 

[f.  42-r°]  \PluviaUa\  Beneficiatormn. 

Item  unutn  aliud  pluviale  ài  panno  serico  violato  lahorat. 
ad  rotas  magnas  in  qtiibus  rotis  snnt  magate,  figure  bestiaruni 
de  auro,  et  in  giro  dictarum  rotarum  siint  rosi,  et  aìie  figure 
animalium  de  auro  cum  aurifrisio  ad  aliquos  compassus  de  opere 
Lucano,  in  cujus  capputio  de  eodem  panno  est  aurifrisium  de 
auro  simplici,  foderai,  de  sindone  giallo.  Signat.  per  unum  ... 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  rubeo  ad  com- 
passus de  auro  in  medio  quorum  su7ìt  stelle  et  in  giro  flores  et 
lilia  cum  aurifrisio  de  catassamito  yndico  ad  lilia  aurea  la- 
borat.  per  totum,  iti  cujus  capputio  est  ymago  unius  pontificis, 
foderat.  de  sindone  albo.  Signat.  per... 

Item  unum  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  laborat.  ad 
pavones  et  pappagallos  de  auro  cum  aurifrisio  ad  certos  com- 
passus diversorum  colorum,  foderat.  de  sindone  rubeo,  in  cujus 
capputio  sunt  idem  compassus  per  totum.  Signat.  per  duo  MM. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  panno  ad  aurum  per  totum 
cum  aurifrisio  de  catassamito  rubeo  ad  medias  ymagines  apo- 
stolorum  in  campo  argenteo  cum  licteris  ipsorum  sanctorum, 
in  cujus  capputio  est  ymago  unius  sancii  coronati,  sine  fodera. 
Signat.  per   Y. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  panno  serico  nigro  laborat. 
ad  aurum  de  opere  Lucano,  cum  aurifrisio  de  dicto  opere,  ad 
certos  compassus,  cum  caputio  de  eodem  opere.  Signat.  per  F. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  albo  laborat.  ad 
rotas  per  totum,  in  quibus  rotis  sunt  duo  pappagalli  de  auro, 
et  serico  rubeo,  cum  aurifrisio  ad  certos  compassus  magnos,  et 
parvos  cum  caputio  de  eodem  opere  sine  fodera.  Signat.  per  E.  P. 

[f.  42-v°]  Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  rubeo 
ad  pingias  (i)  aureas  cum  floribus  diversorum  colorum,  cum  au- 
rifrisio de  opere  Lucano  ad  ymagines  sanctorum,  et  sanctarum, 
hi  cujus  summitate  sunt  duo  Angeli,  et  capputio  (sic)  est  ymago 
beati  Petri,  sine  fodera.  Signat.  per  duo  MM. 

(i)  Si  deve  leggere  pignias  come  in  appresso. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  ^Pietro  25 

Item  unum  aìiiid  pluviale  de  panno  serico  nigro  de  opere 
Lucano  lahorat.  ad  aurum  ad  frondes  et  folia,  cum  aurifrisio 
sim  figuris  dicto  opere  ad  aliquos  magnos  compassus,  cum  ca- 
putio  de  eodem  aurifrisio  sine  fodera.  Signat.  per  ... 

Item  unum  aliud  pluviale  de  panno  serico  nigro  lahorat. 
ad  aurum  de  opere  Lucano  ad  pignias  cum  ramusculis,  etfron- 
dihus  in  giro:  cum  aurifrisio  sine  figuris  ad  quosdam  compassus, 
cum  capiitio  de  simili  aurifrisio  et  panno  sine  fodera.  Signat. 
per  ... 

Item  unum  aliud  pluviale  de  paimo  serico  nigro  lahorat. 
ad  aurum  de  opere  Lucano  ad  pignias  parvas  cum  ramusculis, 
foliis  et  rosis  in  giro  cum  aurifrisio  et  panno  ad  aurum  in 
campo  ruheo  sine  fodera,  cum  caputio  de  dicto  panno.  Signat. 
per  B. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  cataxamito  giallo  siniplici 
sine  fodera  cum  aurifrisio  de  opere  Lucano  cum  certis  com- 
paxihus  et  quihusdam  parvis  figuris  ehurneis  (?)  cum  caputio 
de  dicto  panno.  Signat.  per  I.  * 

Item  unum  aliud  pluviale  de  catassamito  coloris  celestini 
simplici  cum  aurifrisio  de  Cipriano  rupto,  cum  caputio  sim- 
plici.  Signat.  per ... 

Item  unum  aliud  pluviale  de  velluto  ruheo  scacchato  (sic) 
de  auro  foderat.  de  sindone  ruheo  cum  aurifrisio  de  opere  Nea- 
politano  lahorat.  ad  rosas  diversorum  colorum  per  totum  cum 
caputio  de  eodem  panno.  Signat  per  GG. 

Item  aliud  pluviale  de  serico  ad  listas  giallas  et  columhinas 
quod  dicitur  de  lana  piscis  sine  fodera  cum  aurifrisio  de  opere 
Lucano  ad  grifones,  cum  caputio  de  eodem  panno  et  frisio.  Si- 
gnat. per  Sf. 

Item  aliud  pluviale  de  serico  ruheo  lahorat.  ad  aurum  de 
opere  Lucano  lahorat.  ad  vites  et  pampanes,  cum  aurifrisio  de 
opere  Anglicano  antiquo  ad  compaxus,  cum  caputio  de  eodem 
opere  sine  fodera.  Signat.  per  o 

Item  unum  aliud  pluviale  de  opere  Veneto  lahorat.  ad 
compassus  per  totum,  in  quìhus  sunt  diversa  ammalia  ad  au- 


26  E.  Stìnti  e  oA.  L.  frothingham 

rum  et  aves  cum  simplici   anrifrisio   de  panno  Lucano,  cimi 
caputio  de  eodem  panno.  Signat.  per  N. 

Item  aliud  pluviale  de  opere  Veneto  laborat.  ad  rotas  de 
auro  cum  leonìbus  in  campo  violaceo,  cum  anrifrisio  de  panno 
aureo,  cum  caputio  de  alio  panno  cum  modico  fresecto  (sic)  de 
auro.  Signat.  per  duo  VV.     . 

Item  unum  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  laborat.  ad 
pignas  de  auro  cum  anrifrisio  simplici  cum  capputio  de  eodem 
panno.  Signat.  per  ... 

It:m  unum  aliud  pluviale  de  opzre  Lucano  de  syrico  albo 
laborat.  de  auro  ad  diversas  bestias,  cum  anrifrisio  de  syrico 
intico  (sic)  cmn  liliis  de  auro  per  totum  cum  caputio  de  eodem 
anrifrisio,  foderat.  de  syndone  rubeo.  Signat.  per  IL 

Item  unum  aliud  pluviale  de  syrico  biavo  darò  laborat. 
ad  aurum  cum  pignis  cmn  anrifrisio  strido  et  antiquo  sine  fo- 
dera, cum  caputio  de  eodem  panno.  Signat.  per  PP. 
[f.  43-v°J  Item  unum  aliud  pluviale  de  serico  giallo  laborat. 
ad  magnos  compaxus  de  auro  in  campo  rubeo  ad  aves,  et  am- 
malia, sine  fodera,  cum  anrifrisio  de  serico  violaceo  cum  gri- 
fonibus,  et  gallis  de  auro,  cum  caputio  de  eodem  panno  sine 
fodera.  Signat.  per  ... 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  nigro  cum  anrifrisio 
stricto  de  opere  Lucano  ad  compassus  de  auro  et  sirico  diver- 
sorum  '  colorum,  sine  fodera,  cum  caputio  de  eodem  panno  et 
f'isio. 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  giallo  cum  anrifrisio 
de  panno  serico  ad  nodos  Salomonis  sine  fodera,  cum  caputio 
de  dyaspero  giallo  cum  aliquali  frisio.  Signat.  per  ... 

Item  aliud  pluviale  parvum  de  cataxamito  violaceo  cum 
anrifrisio  de  panno  Cypriano  prò  accholitis.  Signat  per  ... 

Item  unum  aliud  pluviale  parvum  simile  proximi  (sic)  supe- 
riori. Signat.  per  PG. 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  albo  cum  magnis  rotis, 
et  cum  duobus  pappagallìs  in  qualibet  rota,  et  cum  compaxibus 
in  predictis  rotis:  cum  anrifrisio  de  opere  Lucano  cum  alibus 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro  27 

(sic)  compaxibus  cum  caputio  de  dyaspero  albo  sine  fodera. 
Signat.  per  FFF. 

Item  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  laborat.  ad  grifones 
de  auro  cum  certis  compaxibus  in  medio  cum  aurifrisio  de 
opere  Senensi,  cum  caputio  de  eodem  panno  et  frisio.  Signat. 
per  00. 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  rubeo  simplici  cum  auri- 
frisio simplici  et  antiquo  sine  fodera,  cum  caputio  de  eodem  panno, 
et  frisio.  Signat.  per  F. 

Item  unum  pluviale  simile  proximi  (sic)  superiori.  Signat. 
per  ... 

[f.  44-r°]  Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  rubeo  cum  au- 
rifrisio antiquo  et  laborat.  ad  certas  bestias  cum  aurifrisio  de 
eodem  panno.  Signat.  per  ... 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  rubeo,  cutn  aurifrisio 
antiquo  strido  laborat.  ad  certas  bestias,  cum  caputio  de  eodem 
panno.  Signat.  per  e. 

Item  aliud  pi uuiale  de  cataxamito  rubeo  laborat.  ad  aurum 
ad  incognita  opera,  cum  aurifrisio  antiquo  ad  compaxus,  cum 
caputio  de  eodem  panno.  Signat.  per  a. 

Item  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  ad  rotas  cum  pappa- 
gallis,  cum  capitibus  et  pedibus  et  quibusdam  stellis  de  auro, 
cum  aurifrisio  antiquo  ad  certos  compaxus  de  opere  Senensi  sine 
fodera,  cum  caputio  de  eodem  pamno,  et  frisio.  Signat.  per  M-\r . 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  albo,  cum  grifonibus  de 
auro  in  campo  rubeo  in  rotis  niagnis,  antiquo  et  reparato  de 
alio  panno,  cum  simplici  aurifrisio.  Signat.  per  R. 

Item  unum  aliud  pluviale  de  buccarame  (sic)  albo,  cum  sim- 
plici aurifrisio  de  auro  caputio  et  frisio  de  eisdem.  Signat. 
per  ... 

Item  tmum  aliud  pluviale  de  opere  Veneto  antiquum,  cum 
rotis  et  grifonibus  aureis  in  campo  rubeo,  cum  aurifrisio  ad 
armaturas  Regis  Roberti  (i).  Signat.  per  ... 

(i)  Si  tratta  probabilmente  di  Roberto  d'Anjou,  re  di  Napoli: 
1 309-1 543. 


E.  biniti  e  qA.  L.  Jrothingham 


Item  aliiid  pluviale  de  serico  giallo  et  riiheo  lixlato  cum 
pappagallis  fractis  et  antiquum,  cum  simplici  aurifrisio.  Si- 
gnat.  per  ... 

Item  aliud  pluviale  de  cataxatnito  antiquo  violaceo  simplici 
cum  aurifrisio  ad  arma  Regis  Roberti.  Signat.  per   YY. 
[f.  44'V°]  Item  aliud  pluviale  de    cataxatnito  albo  rupto  et 
antiquo,  cum  aurifrisio  antiquo  ad  compaxus.  Signat.  per  C.h. 

Item  aliud  pluviale  de  syndone  violaceo,  cum  aurifrisio  strido 
antiquo  ad  scaccos  et  certos  compassus.  Signat.  per  XX. 

Item  aliud  pluviale  de  opere  Veneto  ad  rolas  magnas  cum 
duobus  Iconibus  de  auro  in  campo  rubeo,  antiquum  confractum, 
cum  aurifrisio,  et  reparatum  cum  caputio  de  alio  panno.  Si- 
gnat. per  ... 

Ad  usum  sacrìsiie  minoris. 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  rubeo  simplici,  cum 
aurifrisio  antiquo  ad  compaxus  et  ammalia  et  aves,  cum  ca- 
putio de  eodem  panno.  Signat.  per  QV. 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  rubeo  simplici,  cum  au- 
rifrisio ad  certos  compaxus,  cum  caputio  de  eodem  panno.  Si- 
gnat. per  TT. 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  rubeo  simile  superiori. 
Signat.  per  C.N 

Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  violaceo  simplici  cum 
aurifrisio  largo  ad  compaxus  cum  caputio  de  eodem  panno  et 
frisio.  Signat.  per  BB. 

Item  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  cum  rotis  et  grifo- 
ìiibus  aureis  in  campo  albo  et  stellis  aureis  in  campo  albo,  quod 
communiter  portatur  ad  incensandum  cum  aurifrisio  ad  aliquas 
parvas  aviculas,  cum  caputio  de  eodem  panno,  et  alio  auri- 
frisio. Signat.  per  -f- 

[f.  45-r°]  Item  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  ad  rotas 
parvas  et  stellas  et  compaxibus  inter  ipsas  rotas,  cum  auri- 
frisio stricto,  et  antiquo  ad  parvos  compaxus.  Signat.  per  FQ. 

Item  aliud  pluviale  de  dyaspero  albo  ad  grifones  cum  pignis 


Il  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro  29 

et  aìiis  compaxìhus  cuin  aurifrisio  de  syrico  ad  parvos  leones 
in  campo  rubeo.  Signat.  per  NN. 

Item  aìiiid  pluviale  de  serico  rubeo  cum  avlbus,  ramun- 
culis  et  foliis  de  auro,  cum  aurifrisio  antiquo  stricto.  Signat. 
per  T. 

Item  aliud  pluviale  antiquum  confractum  de  cataxamito 
violaceo  cum  aurifrisio  largo  et  antiquo  ad  compaxus,  cum 
caputio  de  eodem  panno.  Signat.  per  TT. 

Item  aliud  pluviale  de  opere  Veneto  ad  rotas  cum  leonibus 
aureis  cum  capitibus  de  serico  intico  cum  aurifrisio  antiquo  et 
stricto.  Signat.  per  L. 

Item  aliud  pluviale  antiquum  admagnas  rotas,  cimi  duobus 
grifonibus  aureis  in  campo  de  syrico  violaceo  cum  aurifrisio 
antiquo  ad  compaxus.  Signat.  per  ... 

Item  aliud  pluviale  de  opere  grosso  Veneto  serico  ad  di- 
versas  listas  modici  valor is.  Signat.  per  ^. 

Item  aliud  pluviale  de  serico  cum  maximis  rotis  albis  et 
leonibus  inter  ipsas  in  campo  violaceo  cum  frisio  antiquo.  Si- 
gnat. per   TT. 

[f.  45-v°J  Item  aliud  pluviale  de  cataxamito  nigro  cum  au- 
rifrisio antiquo  cum  tribus  Angelis  in  capite:  ad  compaxus  cum 
caputio  de  eodem  panno,  cum  frisio  de  alio  opere.  Signat.  per  IT. 

Item  aliud  pluviale  de  panno  serico  deaurato  de  opere  Ve- 
neto antiquo  ad  rosas  aureas  in  campo  rubeo  et  anatres  per 
totum  inter  ipsas  rosas,  cum  aurifrisio  de  serico  rubeo  labe- 
rat,  ad  vites  et  leones  de  auro,  cum  caputio  de  eodem  opere. 
Signat.  per  a  a . 

Item  aliud  pluviale  de  panno  serico  albo  deaurato  antiquo, 
cum  aurifrisio  de  cataxamito  rubeo  ad  leones  de  auro,  cum 
caputio  de  eodem  panno.  Signat.  per  e  e  . 

[f.  47-r"]  Viridia  paramenta  sacerdotalia: 

videlicet  planete  dalmatice,  et  tunicelle. 

In  primis  una  pianeta  de  dyaspero  viridi  ad  pappagallos 
cum  capitibus,  rotunditate  alarum,  et  pedibus  de  auro,  et  cum 


3o 


E.  oMiint'^  e  oA.  L.  Jrothingham 


ccrvis  cmn  capitìbus  et  pedibus  de  auro,  cnm  aurifrisio  de  opere 
Romano  ad  medias  Jiguras  in  compaxìbus  et  avibiis  de  serico 
diversorum  colorum  ante  et  retro,  in  cujus  cruce  simt  guatiwr 
ymagines  s.  Salvatoris,  domine  nostre,  sancti  lohannis  baptìste, 
et  iinius  sancti.  Itmi  tonicella  et  dalmatica  de  eodem  panno 
dyasperi,  ciim  fimbriis  de  serico  albo  ad  pappagalìos  et  cervos 
de  auro,  cum  capitibus  pedibus  et  summitatibus  alarutn  de  se- 
rico rubeo  et  viridi  cum  foliis  aureis  ad  collum  ad  spatuìas 
et  ad  manus.  Signat.  per  A.  Reìicta  Basiìicz  per  dommum 
Petrum  Ferri  Episcopum  Theatinum.  (i) 

Item  alia  pianeta  de  dyaspero  viridi  cum  pavvonibus, 
cum  capitibus  pedibus  et  snmiìiitatibus  alarum  de  auro,  et  cervis 
cum  capitibus  et  pedibus  de  auro  et  alibus  (sic)  floribus  de 
auro,  cum  aurifrisio  de  opere  Romano  cum  figuris  diversorum 
sanctorum,  et  diversorum  colorum  in  tabernaculis  ante  et  retro. 
In  cujus  pectore  estymago  Salvatoris  coronantis  dominam  no- 
strani, et  ab  utraque  parte  duo  angeli  magni.  Item  dalma- 
tica et  tunicella  de  eodem  dyaspero,  cum  fimbriis  de  serico 
rubeo  cum  arboribus  de  auro  et  serico  viridi,  cum  aurifrisiis 
ad  collnni  et  ad  spatuìas.  Signat.  per  B.  Relieta  per  dominum 
Petrum  Yspanum  Cardinalem,  Episcopum  Sabinensem.  (2) 


(i)  e  Petrus  Fcrrus,  Privenias,  Canoiiìcns  Antisiodorcnsis,  generis  no- 
hilitatc  praeclarus  electus  [Episcopiis]  Anagninus,  anno  ipo,  idib.  Aprilis  a 
Joanne  XXII,  etc.  Poscia,  nel  1327,  fu  fatto  Episcopum  Marsorum,  e 
finalmente  trasferito  da  Papa  Benedetto  XII,  nel  1336,  alla  Chiesa 
di  Chieti:  egli  mori  nel  medesimo  anno,  li  14  dicembre  (vedi  Ughelli, 
Italia  Sacra,  t.  I,  pag.  319  e  911,  e  t.  VI).  Il  Martirologio  ossia  Libro 
dei  Benefattori  di  S.  Pietro  lo  ricorda  in  queste  parole  al  fol.  163; 
Quinto  decimo  hahndas  Decemhris.  Ohiit  bone  memorie  Rcverendus  pater 
et  dominns,  dominus  Petrus  Ferro  (sic)  de  Piperno,  Episcopus  Theatinus 
qui  reìiquid  (sic)  tiostre  Basilice  unum  paramentum  compbtum  cum  pianeta 
dialmatica  tunicella  et  pluviale  de  auro  siip.  viridi  unum  dossale  cum  pineis 
aureis  unum  facistorum  et  unani  tohaleam  de  sirìco  valoris  ceiUum  trl- 
ginta  florenoi'um. 

(2)  Sembra  essere  il  medesimo  onde  parla  1' Ughelli  (op.  cit., 
t.  I,  pag.  174):  Petrus  Gomesii  de  Bar  rosso  Hispanus,  ex  Episcopo  Car- 
thaginensi  factus  est  Presb.  Card.  tit.  S.  Praxedis  a  Joanne  XXII,   anno 


//  Tesoro  della  T^asilica  di  S.  'T*ìetro  3i 


lUm  una  dalmatica,  et  tma  tunìceìla  de  panno  serico  vi- 
ridi testo  ad  spinam  piscis  per  totum  cimi  fimbriis  de  cataxa- 
mito  riibeo  lahorat.  ad  aurum,  cum  pallis  rotimdis,  et  aliquibns 
hestiis  parvis  :  foderat.  de  syndone  giallo  cum  aurifrisio  ad  col- 
lum  et  ad  pectiis.  Signat.  per  ... 

Item  una  dalmatica  de  dyaspero  viridi  cmn  pavonihus, 
cum  capitihus,  summitatibus  alarum  et  pedibus  de  auro,  et  cervis 
cum  capitibus  et  pedibus  de  auro,  cum  fimbriis  aureis  in  campo 
rubeo,  et  mappis,  e  friseis  ad  collum  et  pectus.  Signat.  per  ... 

[f.  47-v°]  Data  Sacristie  minori. 

Item  una  planata  de  cataxamito  viridi  et  simplici,  cum 
aurifrisio  de  opere  Lucano  cum  certis  compaxibus  et  foliis  cir- 
cumdata  (sic)  dictos  compaxos  de  serico  diversorum  colorum  retro 
ante,  et  in  cruce  pectoris  de  eodem  opere.  Item  dalmatica  et 
tunicella  de  eodcm  panno,  cum  fimbriis  et  manicis  de  panno 
serico  rubeo  cum  leonibus,  cervis  et  vitibus  de  auro  per  totum 
cum  aurifrisio  ad  collum  et  spatulas  cum  certis  compaxibus 
de  serico  diversorum  colorum  sine  foderatiiris.  Signat.  per  ... 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  viridi  simplici  cum  auri- 
frisio de  opere  Lucano,  cum  compaxibus  magnis  de  serico  di- 
versorum colorum  et  in  conjunctione  dictorum  compassuuni  parvi 
compassus,  ad  lilla  et  rosettas,  et  in  dictis  magnis  compaxibus 
sunt  parvi  conipaxus  de  auro,  et  serico  diversorum  colorum, 
ante  retro  et  in  pectore  sine  fodere  (sic).  Item  dalmatica  et 
tunicella  de  simili  cataxamito  cum  aurifrisiis  ad  collum  et 
spatulas  cum  compaxibus  de  auro,  et  serico  diversorum  colo- 
rum,  et  cum  fimbriis  et  manicis  de  panno  de  serico  rubeo, 
cum  leonibus,  cervis  et  vitibus  de  auro  per  totum,  non  foderat. 
Signat.  per  ... 

Item  tma  alia  pianeta  de  sindone  viridi  cum  fimbriis  de 
panno  serico   rubeo  cum  bestiis  sive  avibus  magnis  et  certis 


jp'/,  a  Bémàìcto  vero  XII  Card.  Episcopus  Sahinensis.  Avenione  decessit 
anno  1^48,  14  Jidiì. 


32 


E.  oMiìnti  e  oA.  L.  Jroihingham 


compaxihiis  et  rosectis  de  auro  ciim  frìsio  ad  colìuin,  et  spa- 
tulas,  et  manus,  cimi  certis  cotnpaxibus  de  serico  diversorum  co- 
lorimi sine  fodere.  Signat.  per.... 

Iteni  una  pianeta  de  cataxamito  viridi  simplici  cimi  aiiri- 
frisio  ante  retro  et  ad  pectiis  de  panno  serico  rubeo  laborat. 
ad  hones  parvos,  et  certas  vites  de  auro.  Item  dalmatica  et 
timicella  de  eodem  panno  cimi  fimbriis  et  inanicis  de  eodem 
panno  siciit  est  aurifrisimn.  planete,  cimi  frisiis  ad  collum  sed 
non  ad  spatulas.  Signat.  per  Q. 

Item  alia  pianeta  de  sindone  viridi  cimi  frisio  de  dy aspero 
laborato  ad  vites  et  criices  de  auro  et  serico  diversorum  colo- 
rimi, foderat.  de  panno  lineo  viridi.  Signat.  per  ... 
[f.  48-r°]  Item  ima  pianeta  de  dyaspero  viridi  cum  pappa- 
gallis  et  cervis,  cum  capitibus,  rotunditatibus  alarum,  et  pedibiis 
de  auro,  cum  aurifrisio  ad  listas,  cum  quatuor  scutis  ad  arma 
Collumpna,  foderat.  de  panno  lineo  giallo  antiquo.  Signat.  per  K. 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  celestino  simplici  cum  au- 
rifrisio de  opere  Nealetano  (sic)  ad  figuras  diversorum  sancto- 
rum  et  sanctarum  cum  onice  a  tergo,  cum  dalmatica  et  tii- 
nicella  sua  de  eodem  panno,  cum  aurifrisiis  simplicibus  ad  spa- 
tulas tisqiie  ad  pedes  et  ad  manus,  foderat.  de  sindone  viridi, 
cum  spalleriis  de  syrico  rubeo  cimi  nodis  de  auro.  Donatam  (sic) 
per  Reginani  Ungarie.  Signat.  per  HE. 

[f.  48-v°]  Rubea  pafamenta 

Item  una  pianeta  de  samato  (sic)  rubeo  cum  aurifrisio 
de  opere  Anglicano  magno  cimi  ystoria  Anmmiptiationis  beate 
Virginis,  Resurrectione et  Ascentione  Domini  a  tergo:  ante  vero 
in  cruce  pectoris  ymago  Salvatoris,  foderat.,  ab  utraque  parte 
ymagines  apostolorimi  Petri  et  Pauli:  intra  vero  ymagines  alio- 
rum  X  apostolorum  bini  et  bini  sine  fodera.  Signat.  per 

Item  dalmatica  et  tunicella  de  cataxamito  rubeo,  cum 
fimbriis  aureis  ad  quatuor  listas  laborat.  de  opere  Tartarico 
cum  manicis  de  eodem  panno  cum  frisiis  ad  collum  et  spatulas, 
sine  fodera.  Signat.  per  I. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  Tietro  33 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  rubeo  simpUci  cimi  an- 
rifrisio  ad  medias  ymagiiies  in  giro  apostoloriun  et  aìiorum 
sanctoriun  cani  steììls  de  auro  aìaterihus  dictornm  sanctorum 
qne  inedie  ymagines  a  tergo  sunt  XIIII,  et  pectore  Salvatoris 
nostre  domine  et  sancii  lohannis,  et  intra  X  medie  ymagines 
apostolorum  et  sanctorum  et  sanctarum  ciim  predictis  stellis  in 
campo  Litico.  Item  dalmatica  et  tnnicella  de  sUnili  panno 
cataxamito  cum  fimbriis  de  panno  aureo,  lahorat.  de  serico 
rubeo  cum  aurifrisiis  ad  collum  et  ad  spatulas.  Signat... 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  rubeo  simplici,  cum  au- 
rifrisio  de  cataxamito  violaceo  strido  laborat.  cum  ramulciis 
(sic)  et  frondibus  laboratis  ad  perlas  in  quo  a  tergo  sunt  XIIII 
ymagines  sanctorum.  In  pectore  vero  y storia  spiritus  sancii  de- 
scendcntis  in  discìpulos,  et  subsequenter  usque  ad  pedes  XII  me- 
dias ymagines  sanctorum  de  opere  Cipriano  in  rotunditatibus 
de  perlis  cum  frisio  aureo  ad  collum.  Signat.  per  B. 

Item  una  tunicella  de  cataxamito  rubeo  cum  fimbriis  de 
serico  acxiirino  cum  magnis  pigiiis  de  auro  cum  vite  et  fron- 
dibus de  auro  Inter  dictas  pignas,  cum  aurifrisio  ad  collum  et 
ad  spatulas.  Signat.  per  P. 

Data  ììiansionariis  ad  usum  Sacristie. 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  rubeo  simplici,  cum  au- 
rifrisio de  opere  Cipriano  in  campo  de  serico  albo  cum  com- 
paxibus  de  auro .  in  serico  diversorum  colorum  ante  et  retro  et 
in  pectore  cum  orlatura  in  giro  de  sindone  giallo.  Signat.  per... 
[f.  49-1"°]  Item  una  pianeta  de  cataxamito  rubeo  sive  sin- 
done reforczato  foderai,  de  sindone  violaceo,  cum  aurifrisio  de 
sindone  viridi  laborat.  ad  vites  et  folla  de  auro  ante  et  retro 
per  totum:  cum  cruce  ante  et  retro.  Signat.  per  C. 

Item  una  dalmatica  et  una  tunicella  de  cataxamito  rubeo 
grosso,  cum  fimbriis  de  eodem  cataxamito  laborat.  ad  leones 
et  ad  vites  et  compaxus  de  auro  cum  fimbriis,  aurifrisiis  ad 
collum  et  ad  pectus  cum  alibus  (sic)  compaxibus.  Signat.  per... 

Item  ima  pianeta  de  dy aspero  rubeo,  cum  pappagallis,  cum 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  3 


34 


E.  oMunti  e  oA.  L.  Jrothingham 


capitihus,  rotunditatibus  alariim,  et  pedibus  de  auro,  et  cervis 
cuni  capitibus  et  pedibus  de  auro,  et  certis  floribus  in  medio 
cum  aurifrisio  largo  ìaborat.  ad  compaxus  de  opere  Lucano  de 
serico  diversorum  coìornm  retro  et  ante  per  totiim,  foderai,  de 
sindone  albo.  Iteni  dalmatica  et  tunicella  de  codem  panno  cum 
fimbriis  de  cataxamito  rubeo  laborat.  ad  magnas  ymagines  de 
auro,  cum  aiirifrisiis  ad  collum  et  ad  spatulas  ad  certos  com- 
paxus, de  serico  diversorum  colorimi.  Signat.  per  lA. 

Item  una  pianeta  de  dyaspero  rubeo  ad  pappagallos,  cum 
capitibus,  rotunditatibus  alaruin  et  pedibus  de  auro  et  ad  cervos, 
cum  capitibus  et  pedibus  de  auro,  et  certis  floribus  de  auro  in 
medio,  cum  aurifrisio  de  opere  Romano.  In  quo  a  tergo  sunt 
VI  ymagines  in  tabernaculis,  videlicet  in  capite  ymago  domine 
nostre  et  subsequenter  apostolorum,  ex  parte  ante  sunt  V  yma- 
gines videlicet  in  cruce  pectoris  ymago  Salvatoris  cum  Angelis 
a  dextris  et  a  sinistris  et  subsequenter  ymagines  apostoloruni, 
cum  aurifrisiis  ad  collum  ad  aliquos  compaxus  sine  fodere. 
Item  dalmatica  et  tunicella  de  cataxamito  rubeo  ad  gallos, 
pampanes  et  ad  quatuor  listas,  cum  licteris  grecis  et  certis  com- 
paxibus  ex  sirico  diversorum  colorum,  cum  frisios  ad  collum 
et  ad  spatulas  strictis,  foderai,  de  panno  croceo.  Signat.  per... 
[f.  49-v°]  Item  una  pianeta  de  cataxamito  rubeo  laborat.  ad 
magna  tabernacula  cum  grifonibus  et  arboribus  de  auro,  cum 
aurifrisio  de  serico  viridi  et  rubeo  laborat.  ad  auruni,  sine 
fodere.  Signat.  per  ... 

Item  una  pianeta  de  serico  rubeo  deauraia  per  totum  de 
diversis  operibus,  cum  magno  aurifrisio  de  opere  Cipriano,  cum 
floribus,  avibus,  crucibus,  compassibus  et  rosis  de  syrico  diver- 
sorum colorum  ante  et  retro,  foderai,  de  sindone  giallo.  Si- 
gnat. per.... 

Item  una  dalmatica  de  sirico  rubeo  laborato  ad  aurum, 
laborata  ad  certas  magnas  figuras  avium,  cum  aliquibus  com- 
paxibus  in  medio,  cum  fimbriis  et  manicis  de  sirico  biado  la- 
borat. ad  magnas  pignas  de  auro,  cum  frisio  de  auro  simplici 
ad  collum  et  ad  pectus.  Signat.  per  n. 


//  Tesoro  della  T^asìlica  di  S.  Tìetro  35 

Item  una  dalmatica  de  dyaspero  viridi  ìaborat.  ad  cervos 
de  serico  rnbeo,  cimi  capitibus  et  pcdibtis  de  auro,  et  ad  pi- 
gnias  de  eodem  serico  rnbeo  curri  floribns  de  auro  in  medio 
cum  fimbriis  et  manicis  de  auro  ìaborat.  ad  grifones,  pappa- 
galìos,  et  alias  diversas  aves,  et  pavones,  in  compaxibus  de 
serico  diversoruììi  colorimi  cum  aurifrisio  ad  spatuìas  et  ad 
collimi  de  auro  simplici.  Signat.  per  N. 

Item  una  tuniceìla  de  dyaspero  ìaborat.  ad  rotas  et  com- 
paxus  de  serico  rnbeo  in  campo  de  serico  viridi  per  totimi,  cum 
avibus  in  ipsìs  rotis,  capitibus,  pectoribus,  et  pedibus  deanratis, 
et  steììis  in  ipsis  compaxibus  de  auro.  Cimi  fimbriis  de  samato 
(sic)  viridi  ìaborat.  ad  compaxus  de  serico  diversorum  colo- 
rum,  in  quibus  sunt  grifones,  et  aquile,  et  folla  de  auro,  ante 
et  retro.  Cum  frisiis  aiireis  ad  coììum  et  ad  manicas  et  spa- 
tuìas. Signat.  per  N. 

[f.  50-r°]  Item  una  pianeta  de  dyaspero  de  opere  Lucano  ìa- 
borat. ad  vitjs,  pampanes,  et  uvas  de  serico  biavo  in  campo 
rubco,  Clini  aurifrisio  ad  armaturas  Coìumnensium,  cum  fo- 
dere (sic)  de  panno  ìineo  croceo.  Signat.  per  E. 

Item  una  pianeta,  daìmatica  et  tuniceììa  de  cataxamito 
riibeo  cum  frisiis  ad  compaxus  et  fimbriis  ad  pcdes,  et  manicas 
de  diversis  operibus  ad  aurum,  argentimi,  et  sericum,  sine  fo- 
dere, ad  continuum  usimi  beneficiatorum  et  cìericorum.  Signat. 
per.... 

[f.  50-v°]  Aìba  par  amenta. 

Item  una  pianeta  de  dyaspero  aìbo  ìaborat.  ad  aves,  ar- 
bores,  et  cervos,  cum  capitibus  et  pedibus  de  auro  per  totani, 
cum  puìcro  aurifrisio  de  opere  Romano,  cum  quinque  figurìs 
magnis  in  tabernacuìis  suis  a  parte  anteriori,  videlicet  in  ca- 
pite ymago  domine  nostre  fiìium  tenentis  in  braccìjiis  et  diiohus 
Angelis  a  dextris  et  sinistris,  luna  et  sole  in  capitibus  eorum 
et  Fili  mediis  angelis  Inter  ipsas  figuras.  A  parte  vero  po- 
steriori est  ymago  Saìvatoris  sedentis  cum  ìibro  et  1111°^  aìias 
figuras  integras  cimi  X  angelis  midiis  et  una  midia  figura  in 


36 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrolhing^ham 


taberiiacHÌìs  et  compaxibus  siiìs:  foderai,  de  sindone  indico. 
Signat.  per  R. 

Item  dalmatica  et  tiinicelìa  de  dyaspero  albo  laborat.  ad 
basiliscos,  et  babuynos,  et  arbores  de  auro  pter  totuin,  cnni  fim- 
hriis  aiireis  in  campo  de  syrico  rubeo  de  diverso  laborerio,  sine 
fodere  exceptis  fimbriis  et  manids  de  iisdeni  finibriis  et  cuni 
aurifrìsiìs,  cuni  certis  compaxibus  de  serico  diversonim  cole- 
rum.  Signat.  per.... 

Item  una  pianeta  de  diaspero  albo  de  opere  Lucano  labe- 
rata  ad  aves  et  cervos  per  totum,  [cnm]  capitibns  et  pedibus  et 
sumitatibns  alaram  aviiim  de  auro,  et  ad  flores  aureos  in  qui- 
busdam  pineis  insertos,  cnm  pulcro  aurifrisio  de  opere  Scnensi, 
cum  Salvatore  et  domina  nostra,  cum  dnobiis  angelis  in  pectore 
et  quatuor  angelis  in  compaxibus  siiis,  cum  aliqiiibiis  avibiis 
relevatis,  cum  nominibas  et  licteris  ipsariini  figurar nin.  A  tergo 
vero  est  in  sumitate  ynlago  domine  nostre  cum  filio.  Infra  vero 
quinque  ymagines  angelorum  in  compaxibus  suis  et  dcscriptionibiis, 
cum  aliquibus  parvis  figuris,  pappagallis,  pavonibus,  grugibus, 
et  aliis  avibns  iìiter  ipsos  compaxus  sine  fodere  excepto  frisio. 
Item  dalmatica  et  tunicella  de  \eodem\  dyaspero  et  laborerio, 
cum  fimbriis  de  panno  serico  rubeo  laborat.  ad  aurum  et  ar- 
gentum  de  diverso  opere  frondium  et  avium,  sine  fodere,  cum 
friseis  strictis,  et  munitis  ad  collum  et  ad  spatidas.  Signat.  per  G. 
[f.  5i-r°]  Item  una  pianeta  de  samato  (sic)  albo  laborat.  ad  au- 
rum cum  diversis  operibus  per  totum,  cum  aurifrisio  de  serico 
biavo,  cum  liliis  aureis  ante  et  retro  per  totum,  foderat.  de 
sindone  rubeo.  Signat.  per.... 

Item  dalmatica  et  tunicella  de  eodem  panno  aurato  per 
totum  cum  frisiis  ante  et  retro  et  ad  collum  et  ad  nianicas, 
foderat.  de  sindone  rubeo,  sine  fimbriis.  Signat.  per  .... 

Item  una  pianeta  de  panno  tartarico  albo  deaurato  de  opere 
curioso  minuto  per  totum  cum  pulcro  aurifrisio  sine  figuris, 
cum  compaxibus  de  serico  diversorum  colorum  ante  et  retro, 
et  in  cruce  pectoris,  foderat.  de  sindone  rubeo.  Signat.  per.... 

Item  et  dalmatica  et  tunicella  de  eodem  panno,  et  opere, 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  Tietro  3; 


que  dalmatica  habet  ornatas  manicas  de  samato  (sic)  viridi,  ciim 
quinqiic  mediis  fif^nris  aureis  et  foìiis  in  compaxibus  suis  sericis 
et  manicis  et  aureis  prò  qualibet  manica.  Finibrias  vero  habet 
de  serico  intico,  de  opere  Veneto  ad  gaìlos  et  grifones  ciim  an- 
rifrisio  ad  spatnìas  et''  ad  collnm,  ad  vites  avicuìas  et  rosas. 
Timiceìla  vero  habet  fiinbrias  de  serico  viridi  laborat.  ad  au- 
riun  de  diverso  opere,  cum  similibus  aurifrisiis  ad  col  Inni,  et 
ad  spatnìas,  foderai,  ambe  de  sindone  rubeo.  Signat.  per.... 

Item  lina  tuniceììa  et  dahnatica  de  panno  Tartarico  labo- 
rat. curiose  ed  aurum  de  opere  minuto,  cum  finibriis  ad  pedes 
de  panno  serico  rubeo  laborat.  ad  kones  et  vites  de  auro  ;  ad 
manichas  vero  habet  fmbrias  ornatas  de  panno  aureo  laborat. 
ad  grifones,  pappagallos,  pavones,  et  aqnilas  in  certis  com- 
paxibus ad  modum  vitis  de  serico  diversorum  colorum.  Cum 
aurifrisiis  ad  colìum  et  ad  spatulas  et  ad  mappulas  manicarum, 
Tuniceììa,  cum  raniis  [in]  compaxibus,  foderat.  de  sindone  rubeo. 
Signat.  per.... 

[f.  5I-^■°]  Itcui  una  pianeta  de  diaspero  albo  ad  pappagallos, 
cum  capitibus,rotuuditatibus  alar  uni  etpedibus  de  auro,  et  agnos 
Dei  cum  capitibus,  et  pedibus,  et  crucibus  de  auro,  cum  aurifrisio 
de  opere  Lucano  ad  compaxus  magnos  etparvos,  in  dictis  magnis 
compaxibus  de  serico  diversorum  colorum  ante  et  retro,  et  in  cruce 
pectoris  de  eodem  opere,  foderat.  de  sindone  rubeo.  Signat.  per.... 

Item  una  dalmatica  de  serico  albo  ad  leones  de  auro  in 
magnis  rotis  de  auro  cum  fimbriis  et  manicis  de  panno  aureo 
laborat.  ad  1111°''  listas  licteris  grecis  et  diversis  compaxibus 
diversorum  colorum,  cum  frisiis  ad  collum  et.  ad  spatulas  de 
auro,  cum  certis  compaxibus  de  serico  biavo  et  nigro.  Signat. 
per  IO. 

Item  una  dalmatica  et  tuniceììa  de  panno  miro  (?)  laborat. 
ad  scachos  aureos  cum  aliqiiibusparvis  compaxibus  et  scacos  (sic) 
columbiuos  picchiatos  de  auro  per  totum,  cum  fimbriis  et  manicis 
de  samato  rubeo  ad  undas  aureas.  Cum  aurifrisio  ad  collum 
et  spatulas  de  auro,  cum  certis  compaxibus,  foderat.  de  sindone 
giallo.  Signat.  per  PE. 


^ 


38 


E.  oMiinti  e  0^4.  L.  J'rothingham 


Itein  una  pianeta  de  serico  albo,  ciini  rotis  de  serico  rubea 
ad  vites  anreas  ciun  pappagallis  et  iiliis  in  ipsis  rolis,  ctim 
frisio  de  panno  serico,  et  iaborat.  ad  aiiriun,  rcparat.,  sine 
fodere.  Signat.  per  B. 

Iteiìi  aiia  pianeta  de  cataxaniito  albo  ctiuì  aiirifrisio  de 
serico  rubilo  iaborat.  ad  aiirnm.  Signat.  per  T. 

Itcm  una  pianeta  de  dyaspero  aibo  iaborat.  ad  pappagaiios 
cani  capitibns  roUinditatibus  ai  arimi  et  pcdibns  d:  auro,  et  ad 
cervos,  cum  capitibns  et  pedibus  de  auro,  cnm  anrifrisio  magno 
et  puicro  de  opere  Angiicano  ciun  tribiis  figuris  ex  parie  ante 
sajictorinn,  et  in  fine  unns  conipaxus  de  serico  et  ex  parte 
[f.  ^2-r°]  posteriori  ciini  quatnor  figuris  Episcoporiini  et  Regnili 
in  tabernacniis,  cum  duobns  intra  qiiodiibet  tabcrnacnium,  sine 
fodere,  et  frisio  ad  coiitun  ad  compaxus.  Signat.  per.... 

Iteni  una  daimatica  Imperiaiis  soiiepnissima]  que  dicitur 
Costant[i?ii^  de  dyaspero  albo  iaborato  ad  rotas  de  auro,  et 
serico,  in  quibns  sunt  grifones  et  pappagalli  et  aquile  cum  duobns 
capitibns,  crucibus  in  medio  de  auro  et  serico,  cum  finibriis  et 
manicis  deauratis  cnm  figuris  in  rotis  ad  perlas,  et  cnm  dnabus 
cordis  de  perlis  circumcirca.  Cum  armato  ad  colhun,  et  ad 
spatulas  ad  filnni  ornatum  de  perlis,  foderai,  de  sindone  ritbeo. 
Signat.  per  A4. 

Item  una  daimatica  et  una  tunicella  de  dyaspero  albo  ia- 
borato de  opere  minuto  et  curioso  cum  fimbriis  a  p:de  de  ca- 
taxamiio  rubeo  Iaborat.  ad  vites  folla  et  flores  de  auro  et  serico 
dìversornm  coloruin  cum  tribits  mediis  ymaginibus  sanctorum 
in  quibusdam  rotis  factis  ante  et  retro  ipsas  daiiìiaticam  et  in- 
nicellam,  cnm  aurifrisiis  ad  manicas  et  ad  colliiiii  et  ad  literam 
(sic),  de  simplici  opere  laboratis,  que  fuerunt  domini  Raymimdi 
domini  Pape  Vicarii.  (i)  Signat.  per  p.a. 

(i)  L'Ughelli  (Italia  Sacra,  t.  I,  pag.  1208)  ricorda  fra  i  vescovi 
di  Rieti  un  «  Raymundus  Urbevetanus  »  eletto  vescovo  nel  1342  ed 
il  quale  fu  anche  Vicario  della  città:  di  ciò  troviamo  una  conferma 
in  un'iscrizione  che  stava  presso  l'altare  di  S.  Antonio  Eremita  nel- 
l'antica Basilica  di  S.  Pietro,  la  quale   ricorda   esser   stata  eretta   e 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  Tietro         89 

Item  novem  planete  de  panno  lineo  albo,  cum  aliquibus 
crucihus  de  sindone  ruheo,  sine  signo  et  sine  fodere. 

Item  una  pianeta  de  dyaspero  albo  de  opere  Lucano  laborat. 
ad  avcs  et  cervos  cum  capitibus  et  pedibus  et  rotunditatibus 
alaruni  avìum  et  qaibusdani  parvis  florìbus  de  auro,  cum  auri- 
frisio  ante,  et  retro,  et  in  pectore  ad  aves,  lilia  et  quosdam 
compaxus  et  nodis  de  serico  diversorum  colorum,  et  cum  uno 
aurifrisio  ad  collum  laborat.  ad  vitem  de  serico,  etiam  diver- 
sorum colorum,  foderat.  de  sindone  rubeo.  Signat.  per... 

Item  una  dalmatica  et  tunicella  de  dyaspero  albo  laborat.  de 
opere  Lucano  ad  quedam  opera  minuta  ad  ramunculos,  frondes 
et  rosas  et  animalia  de  auro,  cum  fimbriis  ad  pedes  de  samato 
rubeo  laborat.  de  simili  opere  ad  aurum  et  de  simili  opere  ad 
nianicas  dalmatice,  cum  aurifrisiis  simplicibus  ad  collum,  spa- 
tulas  et  pedes  et  manicas  tunicelle,  sine  fodere.  Signat.  per... 

[f.  52-v°]  Ad  usmn  Sacristie  minor is. 

Item  una  pianeta  et  dalmatica  et  tunicella  de  dyaspro  albo 
cum  fimbriis,  aurifrisiis  et  aliis  ornamentis  ad  ymagines  et  alia 
opera  :  jam  prò  vetustate  consumpta,  sine  fodere  et  signo,  ad 
usum  continuum  beneficiatorum  et  ckricorum. 

Gialla  paramenta. 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  giallo  simplici,  cum  auri- 
frisio de  opere  Lucano,  in  quo  a  tergo  sunt  quinque  ymagines 
apostolorum  et  aliorum  sanctorum,  et  in  pectore  ymago  Salva- 
toris  media,   domine  nostre  et  sancii  lohannis  Evangeliste,  et 

consacrata  per  mano  di  questo  «  Raymundus  »  Vescovo  di  Rieti  e 
Vicario. 

Hoc  OPVS  ET  ALTARE  ERIGI  ET  CONSECRARI  FECIT  VeNERABILIS 
VIR  DOMINVS  NlCOLAVS  DE  AsTALLIS  CANONICVS  HVJVS  BaSILICAE 
SVB  VOCABVLO  SaNCTI  AnTONII  ErEMITAE  et  CONFESSORIS  PER  MANVS 
VENERABILIS  PATRIS  DOMINI  RayMVNDI  EPISCOPI  REATINI  AC  DOMINI 
PaPAE  in  VrBE  ViCARII    CONCESSA  INDVLGENTIA   VNIVS  ANNI  PER   EVM 

Anno  Domini  MCCCXLIIII,  Mense  Martii,  Die  XXIII. 


n 


40 


E.  oMunt^  e  oA.  L.  Jrothingham 


intus  1111°^  ymagines  apostolorum  et  aliorum  sanctorum  cum 
aurifrisio  ad  collum  ad  parvos  compaxus  de  serico.  Item  dal- 
matica et  tunicella  de  eodem  panno,  cum  fimbriis  et  manicis  de 
panno  aureo  et  serico  ad  iindas  cumfloribus  aureis  et  sericis  (sic): 
cum  frisis  (sic)  strictis  ad  coììum  et  spatuìas  cum  certis  com- 
paxihus,  sine  fodere.  Signat.  per.... 

Item  una  pianeta  de  panno  Lucano  giallo  laborat.  per  totum 
ad  rosectas  minutas  de  auro  cum  aurifrisio  per  totum  de  panno 
serico  rubeo  laborat.  per  totum  ad  aurum  cum  aurifrisio  anti- 
quo ad  collum.  Signat.  per  L. 

Item  alia  pianeta  de  cataxamito  giallo  cum  aurifrisio  stricto 
de  serico  viridi  ad  licteras  grecas  de  auro  et  serico  rubeo  per 
totum,  sine  fodere.  Signat.  per.... 

Item  una  pianeta,  dalmatica  et  tunicella  de  cataxamito  giallo 
cum  aurifrisio,  fimbriis  et  mappulis  de  diversis  operibus,  sine 
fodere  et  sine  signo,  prò  usu  continuo. 


U-  53-v"] 


Violacea  paramenta. 


Item  una  pianeta  de  cataxamito  violaceo  simplici,  cum 
magno  aurifrisio  de  opere  Cipriano  ante,  et  retro,  et  ad  pcctus, 
cum  niagnis  compaxibus  in  quihus  sunt  parvi  compaxus  de 
auro  et  serico  diversorum  colorimi  et  frisio  ad  collum  cum 
certis  compaxibus  de  serico,  sine  fodere.  Signat.  per.... 

Item  alia  pianeta  pulcra  cataxamito  violaceo,  cum  magno 
aurifrisio  de  opere  Cipriano  ante,  retro,  et  ad  pcctus,  cum 
avibus  de  serico  albo,  rosectis  de  serico  rubeo  et  vite  viridi,  cum 
ramulculis  (sic)  blavis,  et  floribus  rubeis  de  serico,  cum  auri- 
frisio ad  collum  cum  certis  compaxibus,  sine  fodere.  Signat.  per.... 

Item  alia  pianeta  pulcra  violacea  cataxamiti,  cum  pulcro 
aurifrisio  de  opere  Cipriano  ante,  retro,  adpectus,  cum  vitibus, 
ramusculis,  rosectis,  avibus  et  liliis  de  serico  diversorum  colo' 
rum,  cum  aurifrisio  ad  collum  ad  aliquos  compaxus,  sine  fodere. 
Signat.  per.... 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  violaceo  simplici  cum  auri- 
frisio de  opere  Tartarico  laborat.  ante,  retro  et  ad  pectus  ad 


Il  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro  41 

sex  magnas  arhores  cum  aviculis  de  serico  albo.   Cnm  auri- 

frisio  ad  collum,  sine  fodere.  Signat.  per.... 

Item  dalmatica  et  tunicella   de  simili  panno,  cnm   auri- 

frisiis  [et]  fimhriis  de  panno  aureo  ad  pignas  de  serico  rnbeo, 
*et  ad  collum  et  ad  spatnlas  cum  aurifrisio  ad  vites,  ad  rosas, 

et  lilia  de  serico  rubeo  et  yntico.  Signat.  ut  supra,  sine  fodere. 

[f.  54-r°]  Item  dalmatica  et  tunicella  de  sindone  violaceo,  cum 

fimbriis  [et]  manicis  de  panno  serico  rnbeo  ad  listas  aureas. 

In  campo  yntico,   cum  frisiis  laboratis  de  auro  et  serico  di- 

versorum  colorum,   ad  leones  parvos  et  arbores,  sine  fodere. 

Signat.  per....   Tunicella  vero  caret  fimbriis  et  habet  frisium 

in  pede. 

Item  una  pianeta  de  panno  sericAblavo  laborat.  ad  aurum 

per  totum  ad  pignias  cum  leporibus,  canibus  et  avibus  de  auro. 
Cum  pulcro  aurifrisio  de  opere  Tartarico  laborat.  ante,  retro, 

et  ad  pectus  ad  magnos  et  parvos  compassus  de  auro  in  campo 

rubeo   cum   duabus  virgis  nigris  a  qualibet  parte  ejus,  sine 

fodere.  Signat.  per.... 

Item  dalmatica  et  tunicella  de  dy aspero  violaceo  ad  pap- 

pagallos  et  cervos   cum  capitibus  et  pedibus  de   auro  :  cum 

fimbriis  et  manicis  de  panno  serico  rubeo  laborat.  ad  magnas 

pignas  de  auro  :  cum  frisiis  ad  collum  et  spatulas,  ad  compaxus 
de  serico  diversorum  colorum,  sine  fodere.  Signat.  per.... 

Item  una  pianeta  pulcra  de  panno  dy  aspero  violaceo  la- 
borat. ad  viperas,  aves,  cum  vitibus  et  floribus,  cum  aurifrisio 
de  auro  laborat.  per  totum  ad  perlas  grossas  et  minutas,  ad 
aves  et  ammalia  ante,  retro,  et  ad  pectus,  et  in  circuytu  ipsius 
aurifrisii  est  una  catenula  de  perlis  per  totum,  et  ad  collum 
habet  unam  vitem  cum  foliis  de  perlis,  foderat.  de  panno  lineo 
rubeo;  donata  per  unam  comitissam  de  Ungaria.  Signat.  per... 
Item  una  pianeta  de  syndone  violaceo,  cum  antiquo  frisio 
de  serico  rubeo  ad  grifones  de  auro,  cum  frisiis  parvis  de 
auro  simplici  a  qualibet  parte  cum  virgulis  de  serico  diver- 
sorum colorum,  foderat.  de  panno  viridi.  Signat.  per.... 
Item   alia  pianeta   de   cataxamito   violaceo,   cum  frisio 


42 


E.  oMunti  e  oA.  L.  Jrothingham 


laborat  per  totum  ad  arnia  Regis  Roberti,  sine  fodere.  Signat. 
per  F. 

[f.  54-v°]  Itein  alia  pianeta  de  syndone  violaceo,  cum  frisio 
de  syndone  viridi  virgato  de  rubco  ante  et  retro,  foderai,  de 
panno  lineo  rubeo  antiquo.  Signat.  per.... 

Item  lina  pianeta,  dalmatica  et  tunicella  de  cataxamito 
violaceo  cum  aurifrisio,  fimbriis,  manicis  et  mappulis  de  diversis 
operibus  antiquìs.  Sine  signo  et  fodere,  ad  continuum  tisum 
beneficiatorum. 

Item  due  alie  planete  de  cataxamito  violaceo  et  similes 
superioribus,  cum  aurìfrisiis  antiquis,  sine  fodere  et  signo,  ad 
usum  continuum. 


u-  55-n 


Nigra  paramenta. 


Item  una  pianeta  de  cataxamito  nigro;  cimi  aurifrisio  de 
opere  Lucano  ad  compaxus  de  auro,  et  serico  diversorum 
colorum,  cum  rosectis  et  liliis  de  auro  ante  et  retro,  et  ad 
pectus  et  ad  collum,  cum  aurifrisio  ad  compaxus,  sine  fodere. 
Signat.  per  L. 

Item  una  pianeta  de  cataxamito  nigro;  cum  aurifrisio  de 
auro  simplici  cum  vitibus,  avibus,  et  rosectis  de  serico  diver- 
sorum colorum,  ante,  retro  et  ad  pectus;  cum  aurifrisio  sim- 
plici ad  collum.  Signat.  per  F. 

Item  alia  pianeta  de  cataxamito  nigro;  cum  aurifrisio  ante, 
retro  et  ad  pectus,  cum  IX  compaxibus  de  serico  diversorum 
colorum;  cum  una  virgo  (sic)  nigra  ab  utraque  parte  ipsius, 
sine  fodere.  Signat.  per  I. 

Item  alia  pianeta  de  cataxamito  nigro;  cum  aurifrisio  de 
opere  Cypriano  ad  compaxus  magnos  et  parvos  per  totum,  de 
serico  albo,  et  a  qualibet  parte  ipsius  due  virgule  de  serico 
rubeo,  cum  frisio  ad  collum,  ad  compaxus,  aviculas,  et  rosectas 
de  serico  diversorum  colorum.  Signat.  per.... 

Item  alia  pianeta  de  cataxamito  nigro;  cum  aurifrisio  stricto 
de  panno  serico  rubeo  deaurato  per  totum,  cum  aurifrisio  stricto 
ad  collum.  Signat.  per  0. 


//  Tesoro  della  "basilica  di  S.  T'ietro  48 

Itevi  una  dalmatica  et  tunicella  de  cataxainito  nigro,  cimi 
finihriis,  manicis,  [g/]  aiirifrisiis  ad  collimi  et  ad  spatiilas^ 
nsqne  ad  pedes  de  panno  auro  (sic)  et  serico  rubeo  ad  spinatii 
piscis  foderat.  de  panno  lineo  viridi.  Signat.  per  T. 

Item  alia  pianeta  de  cataxamito  nigro,  cimi  frisio  de  panno 
serico  rubeo  laborato  ad  aurimi,  cum  aurifrisio  de  serico  albo 
laborato  ad  aiiruni  ad  collimi.  Signat.  per  ~\-  E. 

Itcni  una  pianeta  nigra  et  antiqua  de  sindone  cimi  frisio 
ad  collimi,  cum  crucibus  de  serico  rubeo.  Signat.  per  R. 

[f.  5^-r°]  Cortine. 

Item  una  cortina  magna  de  serico  violaceo  laborat.  de 
serico  albo  de  opere  minutissimo  auro  intermisto  (sic),  ornata  in 
circuytu  de  syndone  rubeo  ad  armatiiras  Regis  Roberti,  Ursi- 
noriim  et  lerusalem,  foderat.  de  panno  lineo  viridi,  qne  fuit 
olim  domini  lohannis  Gaytani  (i). 

Item  una  alia  cortina  de  panno  serico  rubeo  laborat.  ad 
compaxiis  aureos  ornat.  ab  utraque  parte  ad  armattiras  Boni- 
faci]  pape  Vllf  ornat.  in  circuytu  de  syndone  violaceo  et  fode- 
derat.  de  panno  lineo  viridi,  qne  fuit  ipsiits  Bonifacii. 

Item  alia  cortina  de  panno  serico  biavo  laborat.  ad  aiirimi 
per  totimi,  et  in  circuytu  ad  listas  de  syndone  rubeo  et  giallo 
foderat.  de  panno  lineo  rubeo. 

Item  una  alia  cortina  minor  de  eodem  panno  et  laboritio 
similis  superiori. 


(i)  Egli  sembra  il  medesimo  famoso  Cardinale  onde  parla  il 
Libro  dei  Benefattori  (fol.  121).  «  Tcrtio  Kal.  ScpUmhris.  Anno  Dui. 
MCCCXXXF  tertie  Indictlonis,  mensis  Augii  Hi,  ohiil  RìUhs  pater  et  do- 
minus,  domìniis  Joannes  Gaytanus  de  domo  Ursinornm  Sancii  Tlieodori 
Diaconus  Cardinalis  Concanonicus  noster,  ciijns  corpus  requiescit  apud 
suam  cappellam  Sancie  Marie  Pregitantis  sitam  in  nostra  Basilica,  qui  in 
vita  sua  doìHivit  nostre  Basilice  etc. 

Leggiamo  in  Giacomo  Grimaldi  (Cod.  Barh.  XXXIV,  50,  f.  30J 
i'  racconto  della  dissecra^ione  di  questa  Cappella  e  della  distruzione 
del  sepolcro  del  Card.  Caetani:  questo  ebbe  luogo  nel  1605. 


44 


E.  Giunti  e  qA.  L.  Jrothmgham 


Itein  una  cortina  magna  de  syndone  intico^sunpìici,  quefnit 
facta  in  honorem  Regine  [uxoris]  Regis  Ungarie. 

Item  tres  panni  de  serico  violaceo  ad  rosas  et  arhores  aureas 
simili  constiti  cum  alio  panno  serico  laborat.  ad  aves,  rosas, 
folla  et  raninscnlos  divcrsonim  coloriun. 

Item  unus  aliiis  pannus  de  serico  albo  laborat.  ad  aiirnm, 
ad  aves  et  alia  diversa  opera. 

Item  tres  panni  de  serico  rubeo  laborat.  ad  auriim,  ad  vites 
et  arbores  diversimode. 

Item  unus  pannus  Tartariciis  de  serico  laborat.  ad  diversas 
ymagines  hominurn  mnlierum  et  quadrupedum,  arborum,  avium, 
foliorum,  ramiisculorum  et  fiorum  de  auro  et  serico  diversorum 
colorum,  donat.  per  quamdam  comitissam  soiiam  Regine  Ungarie. 
[f.  5^-v°]  Item  unus  alius  pannus  de  serico  violaceo  laborat. 
ad  aiirum,  ad  dracones,  et  arbores,  cum  arboribus  de  serico 
diversorum  colorum,  cum  simplici  aurifrisio  ab  utroque  capite. 

Item  una  petia  integra  magna  de  cataxamito  rubeo  simplici. 

Item  unus  pannus  de  serico  violaceo  laborat.  ad  leones  et 
anseres  de  auro  in  campo  serico  diversorum  colorum. 

Item  alius  pannus  de  serico  rubeo  antiquus,  cum  XII 
ymaginibus  magnis  domine  nostre,  et  alia  opera  ad  auriim. 

Item  alius  pannus  de  serico  albo  laborat.  ad  senta  de  se- 
rico violaceo  ad  lunas,  stdlas  et  cruces  sive  scalladoos  (sic) 
in  compaxibus  de  auro. 

Item  alius  pannus  de  serico  rubeo  laborat.  ad  rosas  in 
compaxibus  ad  modiim  catenarum  per  totiini,  cum  listis  aureis 
ab  utroque  capite. 

Item  alius  pannus  antiquus  de  serico  violaceo  ad  rotas 
cum  leonibus  in  ipsis  rotis  et  lilia  inter  ipsas  rotas,  et  cum 
listis  aureis  ab  utraque  parte. 

Item  alius  pannus  antiquus  et  fractus  de  serico  rubeo  la- 
borat. ad  pappagallos  et  leones  de  auro  in  compaxibus  de  auro 
cum  listis  ab  utraque  parte. 

Item  alius  pannus  de  serico  albo  ad  parvas  rotas,  cum 
una  lista  ab  uno  capite. 


//  Tesoro  della  Ijasilica  di  S.  'Pieti^o  46 

Item  duo  panni  magni  de  opere  Tartarico  ìahorat.  ad 
listas  de  auro  et  serico  diversorum  color  uni,  ad  vites  et  com- 
paxns,  qui  dicuntur  panni  Regis  Francie. 

Beni  uniis  aìius  panniis  de  dicto  opere  Tartarico  ad  listas 
aureas  et  sericas  diversorum  operiim,  qui  dicitur  pannus  Se- 
natoris. 

[f.  57-r°]  Iteni  iinus  pannus  de  dy aspero  viridi  prò  copertorio 
corporaìium  et  prò  yinagine  unius  Cappelle  portatile  (sic)  in 
quo  panno  ah  uno  capite  est  yniago  Salvatoris  de  auro,  cimi 
libro  aperto  in  manu  de  perlis  niiniitis,  in  quo  sunt  lictere 
nigre  dicentcs  Ego  suni  lux  mundi,  cuni  dyadeniate  de  auro 
girato  de  perlis,  cum  quatuor  rotis  de  auro.  4^  alio  capite 
est  yniago  domine  nostre  cum  filio  in  brachiis  de  eodem  opere 
de  auro  et  perlis,  cum  quatuor  rotis  de  auro.  In  medio  vero 
est  Crucifixus  cum  domina  nostra  et  sancto  lohanne,  et  duohus 
parvis  Angelis,  cum  dyadematibus  de  perlis  minutis.  Qui 
pannus  est  circumdatus  de  serico  et  auro,  et  cum  fodere  de 
syndone  rubeo.  Qui  fitit  domini  lohannis  Gaytani. 

Item  tres  cortine  de  opere  Alamanico,  cum  licteris  ab 
utroque  latere,  et  cum  una  lista  ab  utroque  latere  de  syndone 
rubeo,  ad  rosas  albas,  et  cum  anulis  de  octone,  quaruni  una 
discrepat  ab  aliis,  que  non  habet  licteras,  set  (sic)  certas  rosas, 
et  stellas,  et  alia  diversa  opera  in  modum  vitis  et  compaxus. 

Item  alia  cortina  de  syndone  rubeo,  cum  duobus  taberna- 
culis  de  syndone  giallo,  in  uno  quorum  est  qiiedam  magna 
ymago  domine  nostre,  cum  filio,  et  in  alio  sunt  tres  magi  ado- 
rante s  et  offerentes  eis  mimerà. 

Item  alia  cortina  de  opere  Alamanico,  cum  listis  in  cir- 
cuytu  nigris  de  panno  lineo  yntico. 

Item  unus  pannus  de  serico  violaceo  laborat.  ad  pignas 
de  auro  per  totum. 

Item  alius  pannus  de  dyaspcro  novus  de  opere  Lucano  com- 
petenti ad  aves  et  cervos  de  serico  rubeo,  cum  capitibus  et  pe- 
dibus  de  auro  et  sumitatibus  alarum  in  campo  de  serico  viridi. 

Item  alius  pannus    de    serico    intico,    cum    arboribus   ad 


n 


46 


E.  Stinti  e  qA.  L.  Jrothingham 


rnodum  pineanim  de  auro  per  iotiim,  ciim  duabus  listis  in 
capitibns. 

Iteni  alius  pannus  antiquiis  de  serico  riiheo  ciim  diversis 
operibns  de  auro. 

Itein  alius  pannus  antiquus  de  serico  et  ruptus  (i). 

[f.  57-v°]  Faìcistoria. 

Itcm  unum  falcistorinni  de  cataxaniito  rubeo,  cum  pallio 
in  medio  de  cataxamito  giallo  laborat.  ad  unani  magnani 
rotam  ad  dnas  magnas  aves  cum  una  arbore. 

Item  aliud  falcistorium  de  duobus  pannis  siuiul  consutis  de 
àiaspero  rubeo  laborat.  ad  aves  diverse  forme. 

Item  aliud  falcistorium  pulcrum  de  serico  albo,  laborat. 
ad  compaxus  de  auro  cum  leonibus  et  aliis  animalihus  de 
auro  in  ipsis  compaxìbus,  cum  listis  de  syndone  rubeo  et  giallo 
circumcirca. 

Item  aliud  falcistorium  de  velluto  violaceo  ornat.  circum 
circa  de  listis  syndonis  viridis  et  rubei,  foderat.  de  panno  lineo 
viridi. 

Item  aliud  falcistorium  de  panno  Tartarico  ad  IIIf°^  ma- 
gnas rotas,  cum  avibus  magnis  in  eis,  foderat.  de  panno  lineo  albo. 

Item  aliud  falcistorium  de  dyaspero  viridi  laborat.  ad  cer- 
vos  de  serico  rubeo  cum  capitibus  et  pedibus  de  auro,  et  ad 
quasdam  rotunditates  et  vites  ad  modum  arborum,  cum  qui- 
busdam  florectis  de  auro  in  medio  ipsoru?n,  et  cum  listis  de 
sindone  rubeo  et  albo  in  circuytu  ipsius  panni. 

Item  duo  paria  sandalium  cum  caligis  suis  de  cataxa- 
mato  (sic)  rubeo  et  sine  auro,  et  aliud  cum  auro  ad  leones 
et  aves,  et  diversa  opera. 

(i)  Quest'Inventario  delle  cortine  del  Tesoro  di  S.  Pietro  con- 
ferma ciò  che  uno  di  noi  ha  detto  nella  sua  Histoire  de.  la  Tapis- 
serie  Italienne  sulla  rarità  degli  «  arazzi  »  propriamente  detti  in  Italia 
durante  il  xiv  secolo.  Gli  oggetti  ivi  descritti  sembrano  comporsi 
unicamente  di  stoffe  broccate  o  ricamate,  e  non  mai  di  arazzi  fatti 
al  telaio. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S,  T^ieiro  47 


Camìsì. 

Itcììi  tiniis  camisus  seii  alba  caniisia  de  panno  lineo  sub- 
tili  cimi  fimhrìis  seii  f^ramitibiis  de  syndone  ìntico,  ciim  duobus 
draconibus  siinul  coììigatis  in  collo  de  auro,  cum  caudis  ad 
modum  arborum  et  ciini  mappiiìis  in  manicis  de  simili  syn- 
done, cum  una  arbore,  cum  uno  magno  folio,  cum  odo  bocto- 
nibiis  seu  pistillionibus  de  argento  deaurato  in  qualibet  ma- 
nica, et  ciun  simplicibns  frisis  (sic)  et  uno  pistillione  in  collo  de 
argento  deaurato.  Cum  suo  ammicto,  cum  frisio  de  simili  opere, 
et  cum  uno  boctone  de  argento  deaurato,  [f.  58-r°] 

Item  undecim  camisi  sive  albe  camisie  de  cortina  cum 
fimbriis  seu  graniitibus  de  auro  et  serico  de  opere  simplici  et 
de  opere  figurato,  cum  aurifrisiis  in  collo  et  ad  latera  prò 
parte  simplici  et  prò  parte  curioso. 

Item  aia  sexdecim  camisi,  seu  albe  camisie  de  panno  lineo 
et  prò  parte  de  cortina,  nove  et  antique,  fimbriate  et  frisate 
de  fimbriis  et  frisis  (sic)  anliquis  de  diversis  operibiis  et  coloribus, 
de  quibus  computantiir  albe  due,  quas  donavit  Regina  Un- 
garie,  cum  fimbriis  de  samato  intiquo  (sic)  simplici. 

Item  aia  tresdecim  albe  camisie,  seu  camisi  de  panno  lineo 
novo  et  antiquo,  grosso  et  siibtili,  simplices  sine  aliquo  orna- 
mento. 

Ad  usum  Sacristie  minoris. 

Item  camisy  canonicales  tres  cum  fimbriis  seu  gramitibus 
ad  pedes  et  ad  pectiis  in  duobus,  de  quibus  unum  fuit  do- 
natum  per  Reginam  Ungarie,  qui  sunt  de  cortina  ornata  ad 
diversa  laboreria,  et  opere  figurato  Anglicano  et  Romano  de 
serico  et  auro  et  stellis  ad  usum  continuum,  cum  duabus  stolis 
et  tribiis  manipulis  de  opere  Anglicano,  et  Veneto,  cum  figuris 
et  sine  figuris.  Cum  tribus  cintoriis  de  serico  diversorum  co- 
lorum,  et  tribus  ammictis  cum  aurifrisiis  largis  et  strictis. 

Item  sex  cintoria  sacerdotalia  de  serico  diversorum  colorum, 
et  alique  laborat.  de  serico  ad  aurum. 


48 


E.  Òdiinti  e  qA.  L.  Jrothingham 


Itcm  octo  camìsi  seu  albe  camisìe  inUr  novos  et  vetcres, 
fimhriatos  et  sine  fimhrìis  de  panno  lineo. 

Iteni  mi"''  aia  ad  usiiin  heneficiatorum  et  chrìconun,  ciim 
ammictis  et  alìis  fornitnentis. 

[f.  58-v°]  Ammìcti. 

Iteni  nnus  aiiwiictus  de  cortina,  cnin  (qirifrisio  ad  perlas, 
et  ad  aiiruin  lahorat.  ad  conipaxns,  de  quo  aurifrisio  multe 
perle  jani  ceciderunt  prò  vetustate. 

Itein  alius  animictus  de  panno  lineo  ciim  aurifrisio  de 
opere  Romano  cum  sex  compaxibns  de  serico  diversorum  co- 
lorum  in  qnihus  sunt  medie  ymagines  diversorum  sanctorum 
arma  et  folla,  cum  seraliis  de  syrico  diversorum  colorum. 

Item  alius  ammictus  de  cortina,  cum  aurifrisio  de  opere 
Romano,  cum  tribus  compaxibns,  in  quorum  quolibet  est  qnedam 
figura  media  unius  sancti  et  alia  folla  de  serico. 

Item  alius  ammictus  de  cortina  cani  aurifrisio  de  simplici 
opere  laborato  novo  donato  per  Reginam  Ungarie. 

Item  aliits  ammictus,  cum  frisio  strido  de  opere  Romano, 
cum  septem  figuris  sanctorum  in  compaxibns  suis. 

Item  unum  aurifrisium  prò  ammicto  antiquum  laboratum 
ad  perlas  de  opere  Romano  cum  septem  figuris  sanctorum,  cum 
compaxib'.is  de  perlis  et  dyadcmis  de  perlis. 

[f.  59-r°]  Stole. 

Item  IIII"''  stole  de  opere  Anglicano  ad  figuras  sanctorum 
de  serico  et  auro  diversorum  colorum  foderai,  de  syndone  pallio 
(sic)  et  due  stole  de  dyaspero  viridi  foderat.  de  syndone  rubeo. 

Item  ima  stola  cum  manuleis  de  syndone  violaceo,  cum  cru- 
cibus  rubeis  foderat.  de  panno  lineo  rubeo. 

Item  una  stola  cu^n  mannìi  de  syndone  violaceo  darò 
laborata  ad  rosas  aureas,  et  in  rotas  sericas  mistas,  cum  una 
ymagine  ab  uno  capite  stole,  et  sex  pistilliones  de  argento  deau- 
rat.  pendentes  in  seraliis,  cum  una  ymagine  ab  alio  capite  cum 
HIP''  pistill.  in  seraliis.  In  manule  vero    cum  Salvatore  in 


//  Tesot^o  della  T^asilica  di  S.  dietro  49 

medio  ami  sancto  Pctro  ab  una  parte,  et  ciim  sancto  Paulo 
ab  alio  (sic),  et  ciim  uno  pistillione  de  argento  deaurat. 

[f.  59-v°]  .    Tobalie. 

Item  quinque  paria  tobaliarum  de  panno  lineo  ad  listas 
sericas  seu  costas  ab  utraque  parte  diversorom  colornm,  tani 
de  opere  texto  qiiam  et  de  opere  siito  prò  altari  majori. 

Item  duo  paria  tobaliarum  de  panno  lineo  ad  listas  sericas 
et  bamacinas  ab  utroque  capite  prò  dicto  altari. 

Item  unum  par  tobaliarum  de  panno  lineo  ad  listas  sericas 
ah  uno  capite,  cum  clavis  pictis  in  medio,  prò  dicto  altari. 

Item  septem  paria  tobaliarum  de  panno  lineo  cum  listis 
amplis  et  strictis  prò  dicto  altari  ab  utraque  parte  de  bambice 
nigro  inter  novas  et  veteres. 

Item  unum  par  antiquum  cum  certis  rosectis  de  serico  et 
leonibus  antiq.  multum  prò  dicto  altari. 

Item  unus  pannus  subtilis  de  Uno  cum  una  lista  de  filo  de 
lino  diversorum  colorum  ad  rote  (sic)  prò  dicto  altari. 

Item  viginti  tres  tobalie  ad  ramas  (sic)  laborate  cum  listis 
hombicino  nigro  ab  utraque  parte  prò  missa,  de  quibus  octo 
sunt  nove  et  quatuordecim  sunt  antique. 

Item  due  tobalie  in  una  petia  de  simili  opere  prò  missa, 
antique. 

Item  due  tobalie  ampie  prò  dicto  altari  majori  de  opere 
Alamanico  ad  rosas  et  cruces  et  alia  opera  de  panno  lineo. 

Item  septem  alie  tobalie  de  opere  Alamanico  de  panno  lini 
de  diversis  operibus  laborat. 

Item  due  tobalie  magne  sine  ramma  (sic)  in  uno  fusto  sive 
petio,  cum  quibusdam  coslis  sericis  rnbeis  et  nigris,  que  sunt 
nove,  et  non  sunt  ad  aliquem  usum  deputate. 

Item  alie  due  tobalie  de  simili  opere  de  panno  lini  sine 
rammis  (sic)  cum  quibusdam  listis  a  quolibet  capite  de  serico 
nigro  et  rubeo,  que  sunt  aliquantulum  usate. 

Item  triginta  iobalia  de  panno  lineo  laborate  ad  sericum 
de  diversis  coloribus  per  listas  ah  utroque  capite  ipsorum,  de 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  4 


5o 


E.  SMiint^  e  oA.  L.  Jrothingham 


quibus   decem  sunt  nove,    et  XX  antique,  et  usate,  parve,  et 
magne,  et  mediocres. 

[f.  ^o-r°]  Item  sexdecim   tohaleoli   inter   magnos   et  parvos, 
cum  costis  de  bombice  nigro  ab  utraque  [parte\ 

Item  unus  tobaleolus  de  opere  Veneto,  vel  Yannuensi  de 
panno  lineo  factus  ad  moduni  velluti. 

Item  octo  tobaleoli  seu  vinipe  ad  sericum  et  ad  aurum, 
et  syndone  diversoriim  colorum,  quibus  utuntur  clerici  quando 
faciunt  et  simulant  festuni  de  Mariis. 

Item  viginti  quatuor  vimpe  de  serico  ad  listas  aureas  et 
sericas  diversorum  colorum  prò  crismate  et  corpore  Christi, 
inter  parvas  et  magnas. 

Item  quinque  tobalie  ad  listas  sericas  et  de  serico  et  ad 
figuras  aliquas  deauratas  quibus  utuntur  prelati  quando  ce- 
lebrant. 

Item  tobalie  magne  serìcate,  que  vocantur  tobalie  Comi- 
tisse,  que  ponuntur  in  girulis,  qimm  celebratur  festum  corporis 
Christi. 

Item  tres  case  corporalium;  cum  paribus  (?)  corporalium 
intus  in  eis. 

Item  tres  muscon.  ad  pellendas  muscas  diversimode  laborati. 

Item  una  cocto,  seu  superpellicium  subtile  de  serico. 

Item  unum  copertorìum  prò  onglerio  de  pallio  (sic)  de  opere 
Veneto  ad  aurum  in  capite  rubeo. 

Item  quatuor  frustra  panni  bomicini. 

Item  una  tobalea  prò  altare  de  Cancellis,  cum  duabus 
costis  amplis  de  serico  nigro  et  rubeo. 

Item  una  tobalia  prò  dicto  altare  ad  rammas  (sic)  de  opere 
antiquo. 

Item  unum  rotolum  de  panno  lineo  subtili  prò  coctis  seu 
subpelliciis. 

Item  sex  sudaria  prò  facie  tergenda  laborata  ad  modum 
Theotonicum  cum  serico  et  sine  serico. 

Item  quatuor  tappeta,  duo  magna,  et  duo  parva,  ad  di- 
versa opera  laborata. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  dietro  5 1 

Item  odo  tobalie  sericate  ad  usum  altaris  de  Cancellis. 
Itetn  alie  UH"''  tobalie  sericate  de  diverso  opere  (i). 

(i)  Q.uest' inventario  offre  una  grandissima  importanza  da  varii 
punti  di  vista:  è  pregevole  per  la  precisione  delle  sue  descrizioni 
e  per  preziose  indicazioni  che  ci  permettono  di  far  risalire  ad  un'cr 
poca  molto  anteriore  a  quella  della  sua  compilazione  un  gran  nu- 
mero di  opere  importanti.  Diffatti  il  nostro  inventario,  classificando 
le  opere  contenutevi  in  «  antichissime  »,  k  antiche  »,  o  senza  quali- 
ficazione di  epoca,  ci  permette,  appoggiandoci  alle  opere  di  data  certa, 
di  stabilirvi  per  cosi  dire  una  cronologia:  per  esempio  il  termine 
«  antiquum  »  non  si  dà  alle  opere  del  principio  del  medesimo  se- 
colo, il  XIV  (i)nè,  in  generale,  a  quelle  della  seconda  metà  del  xiii: 
potremmo  dunque  senza  dubbio  datare  alcune  opere  dal  xii  secolo, 
e,  fors' anche  le  due  descritte  alla  pagina  17  come  opere  atitiquissimo, 
e  d'un  lavoro  tanto  diverso  da  quello  di  tutte  le  altre,  devono  attri- 
buirsi ad  età  anche  più  remota. 

Vediamo  svolgersi  una  lunga  lista  d'illustri  donatori:  si  distin- 
sero pei  doni  che  offrirono  alla  Basilica  i  Re  di  Francia,  d'Inghil- 
terra, d'Aragona  e  di  Napoli,  ma  specialmente  la  famiglia  reale  di 
Ungheria  la  quale  si  mostrò  verso  di  essa  di  una  munificenza  vera- 
mente rimarchevole,  e  che  fu  in  ciò  imitata  da  nobili  della  sua 
corte  (2):  dobbiamo  verosimilmente  attribuire  questi  doni  alla  dina- 
stia d'Angiò  che  montò  sul  trono  di  Ungheria  nel  1310.  Della  me- 
desima famiglia  era  Roberto  d'Angiò,  Re  di  Napoli  (i  309-1 543)  al 
quale  sono  dovuti  gl'importanti  doni  di  due  «pluviali»  (3)  e  di 
una  «  pianeta  »  (4).  Le  opere  che  portano  le  armi  dei  Re  di  Fran- 
cia e  d'Inghilterra  furono,  secondo  ogni  probabilità,  donate  da 
Edoardo  III  d'Inghilterra  (1327-77)  il  quale  aveva  preso  titolo  di 
Re  di  Francia. 

Fra  i  sommi  pontefici  nominati  troviamo  Niccolò  III  (1277-81), 
Bonifazio  Vili  (1294-1303),  Giovanni  XXII  (1316-34),  Clemente  VI 
(1342-52),  etc.  Vediamo  anche  figurare  nobili  personaggi  come  il 
Conte  e  la  Contessa  di  Celano,  e  la  famosa  famiglia  Colonna,  senza 
parlare  dell'illustre  stuolo  di  vescovi  e  cardinali  i  quali  si  segnala- 
rono pei  loro  doni  nella  prima  metà  del  xiv  secolo. 


(i)  Di  quest'epoca  sono  p.  e.  i  doni  di  Pietro  Ferri  Vescovo  di  Cliieti,  del  Card. 
Giovanni  Gaetani,  e  dei  pontefici  Bonifacio  VII!  e  Giovanni  XXII.  etc. 

(2)  Esempi  ne  sono  i  doni  di  una  »  comitissa  de  Ungheria  »  (p.  41),  e  d'una  »  co- 
mitissa  sotia  regine  Ungarie  »  (p.  4<f). 

(3)  Vedi  le  pag.  27  e  28. 

(4)  Vedi  a  pag.  42. 


52 


E.  oMitnti  e  oA.  L.   frothingham 


[1436J. 

Itivenlarium  Sacnstie. 

[f.  i-r°]  Anno  domini  tn.cccc.xxxvj,  Ind.  xiiii,  mense  luìii 
die  xvij.  Hoc  est  inventarium  factum  de  honis  et  jocaìihus  sa- 
cristie  principis  apostoloruin  de  Urbe;  de  mandato  Reverendis- 
simi in  Christo  patris  et  domini,  domini  Jordani  miseratione 
divina  Episcopi  Sahinensis,  dignissimi  cardinalis  de  Ursinis, 
in  Sili  presentia,  in  domo  videìicet  ad  presens  prò  sacrisiia 
deputata  posita  in  regione  Parionis  etc  :  prescntihus  dominis 
Jacoho  de  Aquila  priore,  Angelo  Petri,  A.  Lelli,  P.  Puccia- 
relli,  L.  Sancti  sacrista.  Silvestro  Thome,  L.  de  Leis,  P.  de 
Porcariis,  A.  Laurentii,  L.  de  Ursinis,  B.  Joannis  Panis  et 
nonnullis  Beneficiatis  etc  (i). 

Caput  sancti  Luce  cum  argento  et  litteris  smaltatis. 

Crux  Constantini  cum  lapidibus  diversorum  coloruni  et 
litteris  latinis. 

Tahernaculum  beati  Gregorii  pape  cum  tabernaculo  dear- 
gentato, deaurato  cum  smaltis  et  armis  de  Stefanescis  (2). 

Brachium  sancti  Andree  Apostoli  cum  tribus  anulis  in- 
clusum  in  argento. 

Brachium  sancti  Longini  cum  uno  anulo  similiter  in  ar- 
gento iticlusum. 

Imago  beati  Petri,  cum  regno  in  capite,  deaurata,  smal- 
tata in  pede. 


(i)  Nel  libro  dell'»  Introitus  et  Exitus  )>  conservato  nel  medesimo 
archivio,  troviamo  più  volte  ripetuti  i  nomi  delle  persone  qui  anno- 
verate, sia  all'anno  medesimo  sia  nei  seguenti.  In  questo  modo  pos- 
siamo supplire  l'intero  nome  del  quale  non  abbiamo  qui  che  la  sola 
lettera  iniziale:  p.  e.  Petrus  Pucciarelli,  Johannes  Panis  o  Bapta  Panis, 
Laur.  de  Leys,  Anton.  Laur.  etc. 

(2)  Questo  si  riferisce  probabilmente  a  Pietro  Stefanesco  degli 
Annibaldi  fatto  cardinale  nel  1405  e  morto  nel  141 7:  vedi  Lorenzo 
Cardella,  Memorie.  Storiche  dei  Cardinali,  Roma,  1 793,  t.  II,  pag.  331-33. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  T^ietro  53 

Alia  ymago  beati  Petri  deaurata  sine  mitra  cum  tribus 
smaltis  in  pede. 

Alia  ymago  sancii  Petri  parva  cum  diademate  de  argento 
deaurata. 

Una  cona  de  argento  deaurata  piena  reliquiarum  a  tergo 
cum  Christo  crucifixo. 

Unum  reliquiarium   de   argento   deauratum  cum  diversis 
reliquìis  rotundum  cum  aquila  in  capite. 
[f.   i-v°]   Una  alia  cona  de  argento  deaurata  cum  ultra  duo- 
decim  perlis  grossis. 

Oiwddam  tabernaculum  cum  cristallo  in  medio,  et  pede  et 
superficie  de  argento  deaurato  cum  armis  dni  Cardinalis  de 
Ursinis  cum  una  spina  de  corona  domini  nostri  Jhesu  Christi. 

Unum  tabernaculum  de  cristallo  cum  multis  reliquiis  et  cum 
pater  noster  {sìc)Sancte  Caterine,  facto  de  ossibus  Sancte  Caterine. 

Aliud  tabernaculum  de  cristallo,  ornatum  de  argento,  deau- 
ratum et  smaltatum,  cum  reliquiis  beati  lohannis  Glisostomi 
(sic),  cum  crucifixo  in  capite. 

Aliud  tabernaculum  cum  cristallo  cum  pede,  ornatum  de 
argento  cum  mia  ex  costis  Sancii  Laurentii,  cum  armis  de 
Thebaldescis. 

Reliquiarium  rotundum  de  argento,  cum  reliquiis,  videlicet 
beati  Andree  et  Egidii. 

Unum  tabernaculum  parvum  de  cristallo,  ornatum  de  ar- 
gento, cum  reliquiis  beati  Antonii  cremile,  cum  pede  deaurato. 

Crux  de  argento  deaurata  cum  perlis  et  lapidibus  pluribus 
et  [m]  medio  de  Ugno  vere  Crucis. 

Alia  crux  de  argento  deaurata,  cum  smaltis,  cum  lapide 
unichino  (sic)  in  medio  et  cum  aliis  lapidibus  per  circuitum. 

Alia  crux  de  argento  deaurata  et  smaltata  ab  utroque 
latere,  in  medio  esl  agnus  dei  sculpitus  (sic). 

Alia  crux  de  argento  deaurata  cum  crucifixo  in  medio  et 
smaltata  et  lapidibus  pretiosis. 

Alia  crux  de  argento  deaurata  cum  pede  smaldato  (sic)  et 
reliquiis  et  crucifixo  in  medio  et  lapidibus  per  totum,  cum  dua- 


54 


E.  oMiint-^  e  oA.  L.  Jrothingham 


bus  ymagìnìbus,  in  qua  deficiunt  plures  ìapides  [in  quo  sunt 
plures  sanctorum]  (sic),  (i) 

Alia  criix  de  argento  deaurata  ad  niodum  sancti  Spiritus 
cum  duobus  smaìtis  in  medio. 

Alia  criix  de  ere  deaiirala,  cum  armis  de  Tomacellis  (2) 
et  crucifixo  in  medio. 

[f.  2-r°]  Alia  crux  de  argento  deaurata  cum  pede  quadrato  et 
nonnullis  lapidibus. 

Alia  crux  lignea  (3)  cooperta  tecis  et  intits  de  Ugno  cum 
crucifixo  et  evangelistis. 

Alia  crux  de  argento  deaurata  cum  pede  de  ere  septem 
pomorum. 

Alia  crux  antiqua  de  argento  intus  de  Ugno:  cum  cruci- 
fixo in  medio  et  apostolis  Petro  et  Paulo  in  pede. 

Unus  crucifixus  de  argento  posiius  in  erme  lignea. 

Crux  de  diaspero  rubeo  et  onichino,  ornata  de  argento 
deaurata  cum  pano  rotunno  (sic)  in  pede. 

Alia  crux  de  cristallo  albo  totaliter  cum  fusto  ferreo  per  totum. 

Alia  crux  de  cristallo  ornata  de  argento  deaurata  cum 
crucifixo  in  medio. 

Crux  magna  de  argento  alba,  qm  stationaria  dicitur. 

Tabernaculum  de  argento  deaurato  cum  tribus  columnis 
cum  imagine  Nostre  Domine. 

Tabernaculum  cum  cristallo  in  medio  de  argento,  deau- 
ratiim  ad  portandum  corpus  Christi,  cum  pede  magno,  smal- 
tatum,  in  quo  deficit  unum  smaltum. 

Unum  reliquiarium  parvum  de  auro  in  medio  cum  Ugno  vere 
crucis  cum  instrumentis  passionis  Domini,  quod  clauditur  (?). 

(i)  In  questo  inventario  le  parole  fra  parentesi  sono  sempre  ag- 
giunte fatte  ad  un  tempo  posteriore,  sia  per  amplificare  la  descrizione 
originale,  sia  per  indicare  alcuni  cambiamenti  fatti,  o  anche  la  distru- 
zione dell'oggetto. 

(2)  Pietro  o  Pierino  Tomacelli,  Napoletano,  creato  cardinale  nel 
1381  e  sommo  pontefice  sotto  il  nome  di  Bonifacio  IX  nel  1389. 
Cardella,  Meni.  Stor.,  t.  II,  pag.  291. 

(3)  Prima  eravi  scritto  de  argento. 


Il  Tesoro  della  ^Basilica  di  S.  T*tetro  65 

Tabula  cimi  diversis  reliquiis  ornata  de  argento  cum  cru- 
cifixo  in  medio. 

Tabernaculum  de  argento  deauratum  cum  cristallo  in  medio 
cum  armis  Ursinorum  cum  crucifixo  in  capite. 

Una  carta  cum  allquibus  lapidibus  pretiosis  parvi  valoris. 

Una  alia  carta  cum  perlis  intus  et  matreperlis. 

Una  carta  cum  certis  smaltis  et  ymaginibus  de  argento  et 
aliis  nonnullis  rebus  positis  in  quadam  cappa. 
[f.  2-v°]   Una  alia  carta  cum  duobus  anulis  (sic)  de  argento, 
quorum  unus  est  sine  lapide. 

Una  crux  parva  de  argento  deaurata  in  modum  crucis 
septem  pomorum,  que  posita  fuit  super  tabernaculum  in  quo 
est  spatula  Sancii  Stephani. 

Unum  parvum  focale  de  auro  cum  catenella  et  perlis  in 
medio,  cum  Michaele  archangelo  draconem  inter fidente. 

Una  parva  bussala  de  ebore  cum  aliquibus  reliquiis,  or- 
nata de  argento. 

Crux  parvula  de  argento  cum  lapide  viridi  in  medio  et 
perlis  in  circuìtu. 

Acus  de  argento  cum  lapide  in  capite  ad  usum  palli  (sic) 
pontificalis  et  tribus  petiis  de  argento  simul  involutis. 

Maspillus  de  cristallo. 

Una  carta  cum  aliquibus  lapidibus  et  argento  fracto  et 
aliis  rebus. 

Que  omnia  usque  ad  crucem  supradictam  parvula  (sic) 
recondita  sunt  in  quadam  scutella  de  Ugno. 

Anulus  pontificalis  de  auro  cum  lapidez^  aphireo  in  medio 
cum  perlis  per  circuitum. 

Unus  anulus  pontificalis  cum  cambeo  (sic)  in  medio  cum 
quatuor  perlis  et  tribus  lapidibus  [positus  jam  in  brachio  Sancii 
Philippi  apostoli]. 

Unus  anulus  pontificalis  prò  episcopo  de  argento  cum  la- 
pidibus (i). 

(i)  Vedi  sull'uso  di  questo  genere  di  anelli  la  dotta  dissertazione 


56 


E.  oMimti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Una  crux  de  auro  pectoralis  cum  perlis  et  smaltis  et  agnus 
dei  in  medio. 

Quatuor  parve  cruces  simul  ligate. 

Item  alia  ad  moduin  crucis  smaltata  cum  crucifìxo  in  medio. 
Alia  cristallo  (sic)  parva  cum  Ugno  vere  crucis,  ab  uno 
ex  lateribus  [cumji  lapidibus  et  perlis  [posita  est  in  taberna- 
culo  corporis  Christi]. 

Tres  anuli  de  argento  lapidati  (sic)  [duo  fuerunt  positi 
in  bracino  Sancii  Philippi]. 

Hec  sunt  omnia  simul  ligata. 
[f.  3-r°]   Unum  pectorale  de  argento  deauratum  d.  de  Ursinis 
cum  tribus  maspilUs  de  perlis  ad  ponendum  ante  pectus. 

Unum  vasculum  de  argento  positum  in  vase  coreo  ad  po- 
nendum crisma  oleum  sanctum  et  oleum  infirmorum  d.  de 
Ursinis. 

Tria  petia  coralli  fracti. 

Item  unum  petium  coralli  pulcrum. 

Unum  aliud  petium  coralli. 

Unum  petium  coralli  ad  moduni  leonis  ctLm  argento  in 
capite  cum  armis  Ursinorum. 

Due  parve  claves  de  argento. 

Unum  pomum  de  cristallo  cum  manico  de  ere  deaurato. 

Unum  petium  cristalli  triangulatum. 

Vasculum  rotundum  de  cristallo  in  parte  fractum. 

Una  testa  parva  de  marmore  sculpita. 

Unum  pectorale  de  argento  deauratum  et  smaltatum  cum 
quatuor  evangelistis  cum  lapidibus  et  perlis. 

Una  tabula  de  cristallo  ornata  de  argento  per  circuitum 
cum  angelo  annuntiante  beatam  Virginem  posita  in  in  (sic) 
vasa  corea. 

Ymago  ad  dannimi  (sic)  pacem  de  argento  deaurata  cum 
pietate  in  medio  [destructa  prò  bracino  Sancti  Philippi']. 


di  Mgr.  Barbier  de  Montault:  L  anneau  d'investiture   dii  Musée  de, 
Mptitauban.  Montauban,  1881. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  'Pietro  67 


Una  teca  argentea  deaurata  in  qua  est  ymago  Sancti  Petri. 

Sanctus  Petrus  de  argento  deauratus  et  unum  telarium  de 
argento  deauratum  simul  ligatum  (i). 

Pomuni  de  argento  cum  armis  Cardinaìis  Sancti  Angeli 
ad  ponendum  in  sinichio  (sic). 

Una  scuteìla  de  ambra  cum  clocleari  de  maxar^^a  (?) 
ornatum  (sic)  de  argento  positis  ' (sic)  in  vasis  coreis. 

Una  ìanipas  de  argento  albo  cum  catenella  et  pomo  et 
armis  Sancti  Petri  [destructa  fuit  prò  braccìno  (sic)  Sancti 
Philippi]. 

Unum  turribulum  (sic)  de  argento  album  cum  armis  dni 
Petri  Nardi  smaìtatis. 

[f.  3-v°]   Tabula  ornata  cum  ymagine    beati  lohannis  Bap- 
tiste  in  medio. 

Figura  beati  lacobi  apostoli  posila  in  lignea  tabula,  que 
fuit  fusa  quando  fuerunt  renovata  candelabra  Sancti  Petri  (2). 

Due  ampulle  de  argento  albe  sine  pizo  que  fuerunt  fuse 
quando  fuerunt  renovata  candelabra  supradicta  (3). 

Due  alie  ampulle  de  argento  in  parte  deaurate  cum  pi^is. 
Fuerunt  fuse  prò  candelabris  (4). 

Due  alie  ampulle  de  cristallo  de  argento  ornate  in  capite 
et  pede. 

Unum  petium  de  cristallo  rotunduni  ad  modum  coppe  cum 
coper  torio. 

Una  crux  parva  de  cristallo  posita  in  uno  vase  rotundo 
ligneo. 

Aliud  vasculum  de  cristallo  rotundum  cum  copertorio  po- 
silo in  vase  ligneo  [posilum  fuit  in  ornamento  labernaculi  cor- 
por  is  Christi]  (5). 


(i)  Cancellato  nel  codice. 

(2)  Cancellato. 

(3)  Cancellato. 

(4)  Cancellato. 

(5)  Cancellato. 


58 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jì^othingham 


Unum  pomum  de  cristallo  ad  faciendum  novum  ignem  in 
die  sabbati  sancti,  cum  manucUo  (i). 

Duo  poma  de  ere  deaurata  ad  calefaciendum  manus. 

Unum  altare  viaticum  cum  lapidibus  viridibus  ornatum. 

Aliud  altare  viaticum  ornatum  de  argento  cum  diaspero 
in  medio  et  figuris  in  circnitu. 

Duo  alia  altaria  viatica  etiam  de  diaspero,  unum  orna- 
tum de  argento,  aliud  vero  prò  parte  ornatum. 

Unum  par  cirotecarum  ad  usum  Episcopi  cum  duobus  jo- 
calibus  de  argento  deaurato  et  perlis  et  lapidibus. 

Unum  vas  rotundum  de  argento,  album  sine  reliquiis  [cum 
una  capsetta  etiam  de  argento  {2)],  in  quo  erat  caput  Sancti 
Sebastiani,  et  una  casseta  que  fuit  destructa  quando  fecimus  ta- 
bernaculum  in  quo  est  spatula  Sancti  Stephani,  et  alia  pars 
ipsius  cassete  est  in  manibus  d.  L.  prò  renovatione  ampullarum. 

Duo  parva  candelabra  de  argento  albo  cum  castris  per 
circuitum,  [fuerunt  destructa']  (3). 

Duo  alia  candelabra  de  argento  cum  smaltis  et  pomis  in 
medio  ad  usum  altaris  conventus  [renovata  sunt]  (4). 

Duo  alia  candelabra  argentea  de  cristallo  in  parte  deau- 
rata et  [cum]  armis  domini  Card,  de  Ursinis. 
[f.  4-r°]  Mitria  pontificalis  de  argento  cum  perlis  et  lapidibus 
per  totum,  donata  per  dominum  Cardinalem  de  Ursinis. 

Rosa  aurea  cum  pede  de  bere  deaurato  cum  duabus  yma- 
ginibus  (5). 

Ymago  beati  Michaelis  ornata  de  auro  cum  perlis  et  la- 
pidibus pretiosis  in  capite. 

Item  viginti  tres  calìces  de  argento  deaurati  et  smaltati  in 
medio. 


(i)  Cancellato;  in  margine  leggesi:  bis  positus  est. 

(2)  Cancellato  :  ciò  che  segue  è  di  mano  posteriore. 

(3)  Cancellato. 

(4)  Cancellato. 

(5)  Può  credersi  la  rosa  data  dal  papa  Martino  V  (Les  Aris  à  la 
coiir  des  Papes,  t.  I,  pag.  19). 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro  69 


Calices  viginti  de  argento  deaurati  sine  smaìtis  in  medio. 

Item  sex  calices  de  argento  in  (sic)  coppa  in  pede  de  ere 
deaurati  et  smaìtatis  (sic)  prò  parte. 

Item  calix  nnus  de  argento  deauratus  cum  sua  patena  da- 
tus  per  uxore  Gemini  harhitonsoris  cum  literis  in  pede  ((per 
l'anima  di  Gemma  ». 

Item  patene  de  argento  deaurato  xxxxvij.^"^ 

Patene  quinque  de  ere  deaurate. 

Una  capsula  tartiata  cum  inuìtis  reliquiis. 

Brachia  Sancti  Philippi  et  Sancii  Guilielmi. 

Multe  reliquie  sanctorum  involute  in  sindone  nigro  deau- 
rato, que  sunt  posite  in  quodam  scrineo  rotundo,  cum  armis 
pape  Alexandre 

Item  bracchium  sancti  Philippi  apostoli,  expcnsis  ecclesie 
noviter  ornatum. 

Item  candelahra  de  argento  paria  duo,  cxpensis  capituli 
noviter  facta. 

Item  naviculam  de  argento,  per  Antonium  Masotti  nostre 
Basilice  donatam,  heneficiatum  ejusdem  Basilice. 

Item  ampullas  duas  datas  per  fratrem  Antonium  sancti 
Marcelli,  de  argento  (i). 

[£  5-r°j  [Par amenta  alba]. 

Eodem  anno  et  sequenti  die:  Paramenta  alba  in  capsa 
prima  cum  signo  I. 

Unum  pluviale  album  de  auro  cumfrisio  de  perlis  et  smaltis 
cum  leonibus  et  aquilis  et  papagallis  laboratum. 

Una  pianeta  ejusdem  laborei  (sic)  et  frisii  cum  armis  de 
Cechano  (2). 

Una  alia  pianeta  ejusdem  coloris  cum  frisio  laborato  ad 
sanctos  rachamato  et  laborato  ad  aquilas  et  grifones. 

(i)  Queste  ultime  quattro  rubricelle  sono  di  mano  diversa  e  po- 
steriore :  abbiamo  già  veduto,  alle  pagine  precedenti,  come,  per  fare 
gli  oggetti  qui  annoverati,  fossero  adoperati  molti  fra  gli  ornamenti 
sacri  che  trovansi  cancellati  nell'inventario. 

(2)  Il  card.  Annibaldo  di  Ccccano  era  vescovo  toscolano  e  legato 


6o 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Una  funicella  quasi  ejusdetn  laborerii,  sed  solummodo  min 
papagallis. 

Due  dalmatice  etiam  de  auro  ad  grifones,  papagallos  et 
aquilas. 

Unum  pluviale  papale  de  auro,  laboratum  ad  diversos 
sanctos  cum  frisio  aureo,  inpernato  ad  ammalia  diversa. 

Aliud  pluviale  papale  de  auro  cum  figuris  diversis  cum 
frisio  de  auro  et  perlis  cum  diversis  animalibus  et  avibus  et 
domini  nostri  Jhesu  Christi  passione. 

Pianeta,  diarmatica  (sic)  et  tunicella  albe  cum  armis  olim 
domini  Cardinalis  Vivaniensis  (i)  deaurate. 

Una  tunicella  de  purpura  alba  [inbrochata  de  auro  (2)] 
cum  armis  regum  Francie  et  Anglie  in  manicis. 

Una  dialmatica  de  eadem  purpura  cum  figuris  sanctorum 
in  manicis  et  cum  armis  rcgis  Francie  et  leonibus  rubeis  et 
aquila  alba. 

Una  pianeta  de  purpura  alba  cum  frisio  de  auro  et  armis 
Rmi  domini  Cardinalis  Aquilegensis  (3). 

Una  pianeta  de  purpura  alba  inbrochata  de  auro  cum 
frisio  de  auro  rachamato  ad  sanctos. 

Diarmatica  et  tunicella  albe  inbrochate  de  auro  ad  aquilas 
cum  fimbreis  ad  sanctos. 

[f.  5-v°J  Diarmatica  etiam  de  purpura  inbrochata  de  auro  ad 
papagallos  [et  aquilas  (4)]. 

Tunicella  de  purpura  alba  cum  fimbreis  de  auro  antiquo. 

Diarmatica  et  tunicella  alba  inbrochata  de  auro  cum  gallis 
in  pede  in  manicis  cum  figuris  de  auro. 


della  Santa  Sede.  Cardella,  Meni.  Stor.  dei  cardinali,  t.  II,  pag.  122-25. 
Morì  nel  1350  e  dei  suoi  doni  parla  il  Libro  dei  BenefaUori,  f.  96. 
(i)  Joannes   episcopus  Vivanensis  -{-  1426.  (Panvinio,  op.  land., 
pag.  295). 

(2)  Cancellato. 

(3)  11  famoso  Lodovico  Scarampi  patriarca  d'.Aquileia.  (Panvi- 
nio, pag.  311). 

(4)  Cancellato. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  Tietro  6\ 

Una  tuniceìla  ejusdem  drappi  cuni  fimhres  (sic)  in  pme 
viridis  coloris. 

Una  tuniceìla  alba  punctata  de  auro  et  fimbriata  de  auro. 

Dialmatica  de  purpura  alba  antiqua. 

Pianeta  alba  inbrochata  de  auro  et  rosettis  rubeis  cum 
frisio  de  auro  lab  orato  ad  s  aneto  s. 

Dialmatica  de  purpura  alba  inbrochata  de  auro  et  parvis 
rosettis  cum  fimbreis  rubeis  inbrochata  de  auro  (sic). 

Pianeta  de  purpura  alba  inbrochata  de  auro  cum  friso  di:, 
auro  ad  sanctos. 

Pluviale  album  inbrochatum  de  auro  ad  aves  et  rosettas 
cum  pulcro  friso  de  auro  ad  sanctos. 

Dialmatica  alba  de  purpura  inbrochata  de  auro  cum  fim- 
breis rubeis  etiam  inbrochatis. 

Dialmatica  de  purpura  alba  cum  friseis  rubeis  inbrochatis 
de  auro  in  pede,  in  manicis  vero  de  serico  ad  leones  et 
alia. 

Tuniceìla  de  serico  albo  fimbriata  de  auro  et  serico  rubeo 
et  axiirino. 

Tuniceìla  de  serico  albo  cum  fimbriis  de  auro. 

Tuniceìla  alia  de  purpura  alba  cum  fresis  (sic)  rubeis  in 
pede  ad  angelos. 

Diarmatica  alba  inbrochata  de  auro  antiqua. 
[f.  6-r°]  Dialmatica  etiam  alba  inbrochata  de  auro  et  antiqua 
cum  fimbreis  per  circnitum,  ad  arma  Regis  Francie. 

Dialmatica  etiam  alba  de  auro  cum  fimbreis  de  auro  et 
diversorum  colorum. 

Tuniceìla  de  serico  albo  cum  fimbreis  de  serico  rubeo 
deaurato. 

Dialmatica  de  purpura  alba  cum  fimbreis  rubeis  et  aureis 
ad  figuras. 

Dialmatica  de  serico  albo  cum  fimbreis  inbrochatis  de  auro. 

Dialmatica  de  serico  albo  cum  fimbreis  de  auro. 

Dialmatica  de  serico  albo  cum  friseis  rubeis  inbrochata 
de  auro. 


62 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Pluviale  album  inhrochatum  de  auro  ad  aves  et  rosettas 
parvas. 

Pluviale  album  cum  armis  Urbani  sexti  per  totum.. 

Tunicella  alba  de  serico  fimbriata  in  pede  ad  parvas  aves. 

Dialmatica  similis  panni  et  similiter  inbrochata. 

Dialmatica  et  tunicella  albe  de  purpura  alba. 

Pluviale  de  purpura  alba  cum  frysio  pulcherrimo  fé.  me. 
domini  Card,  de  Ursinis. 

Dialmatica  et  tunicella  de  purpura  alba  ejusdem  domini 
Cardinalis. 

Dialmatica  et  tunicella  de  purpura  imbroccata  de  auro 
ejusdem  domini  Cardinalis. 

Pianeta  de  purpura  inbroccata  de  auro  per  totum  cum 
parvis  rosectis  rubeis  de  serico  croceo  foderata  cum  frysio  ad 
sanctos  (i). 

[f.  7-r°]  [Par amenta  rubea']. 

Eodem  die.  Paramenta  rubea  in  alia  capsa  cum  signo  R.  IL 

Una  pianeta  de  velluto  rubeo  cum  friso  (sic)  de  auro  ad  sanctos. 

Pianeta  rubea  inbrochata  de  auro  ad  folla  et  ammalia  et 
cum  friso  (sic)  ad  sanctos. 

Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  rubee  de  serico  inbrochatc 
de  opere  anglicano  cum  angelis  de  auro. 

Pianeta  rubea  inbrochata  de  auro  ad  aves  cum  friso  (sic) 
de  auro  ad  sanctos. 

Dialmatica  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  sbedatis  (sic)  de 
auro  quasi  croceis. 

Dialmatica  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  in  manicis  de 
auro  cum  figuris  magorum  adorantium  dominum. 

Dialmatica  et  tunicella  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  a^u- 
rinis  inbrochati  de  auro  ad  aves  et  arbores. 


(i)  dueste  quattro  ultime  rubricelle  sono  state  cassate  da  mano 
posteriore  che  aggiunge  in  margine  «  cassala  quia  in  alio  loco  simi- 
liter posila  sunt  ». 


//  Tesoro  della  T^asilica  dì  S.  T^ietro  63 

Pianeta,  dialmatica  et  funicella  de  purptira  rubea  figurata 
cum  friso  in  pianeta  cum  representatione  Yhesu  in  tempio  et 
aliis  figuris. 

Tunicella  de  purpura  rubea  cum  fimbris  nigris  inbrochatis 
de  auro. 

-    Dialmatica  de  serico  rubeo  cum  fimbreis   aTjirinis  inbro- 
chatis de  auro. 

Tunicella  et  dialmatica  de  purpura  rubea  cum  fimbreis 
diversorum  colorum  ad  diversa  ammalia. 

Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  inbrochate  de  auro,  rubee, 
ad  aves  et  camelos. 

Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  rubee  inbrochate  de  auro 
ohm  domini  Card,  de  Francia. 

Pluviale  riibeum  inbrochatum  de  auro  ad  aves  et  arbores. 
[f.  7-v°]  Pianeta,  due  dialmatice  et  due  tunicelle  et  duo  plu- 
vialia  ohm  domini  Cardinalis  de  sancto  Petro. 

Dialmatica  et  tunicella  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  alhis  de 
auro. 

Tunicella  de  serico  rubeo,  ubi  deficiunt  fimbree  in  pede. 

Pianeta  de  serico  rubeo  cum  friso  ad  medias  figuras. 

Tunicella  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  viridis  coloris  et 
rubei,  antiqua. 

Dialmatica  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  de  auro. 

Tunicella  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  a^irinis  inbrochatis 
de  auro. 

Dialmatica  et  tunicella  de  serico  rubeo  cum  fimbreis  albis 
imbrochatis  de  auro. 

Dialmatica  et  tunicella  etiam  de  serico  rubeo,  qnarum  diar- 
matica  s ine  fimbris,  tunicella  cum  fimbris  inbrochata  de  auro. 

Tunicella  rubea  imbrochata  de  auro  cum  fimbreis  de  azjiro 
cum  stellis  et  aliis  de  auro. 

Dialmatica  et  tunicella  de  auro  inbrochate  ad  papagallos. 

Dialmatica  rubea  inbrochata  de  auro  cum  leonibus  sive 
draconibus. 

Dialmatica  rubea  de  auro  cum  opere  minuto  ad  aves. 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Pianeta  rtibea  inbrochata  de  auro  cum  frisoriim  (sic)  de 
auro  sine  figuris:  cum  crucibtis  tantum. 

Pianeta  alia  de  purpura  rubea  ad  aves  et  camelos  cum 
pedibus  et  capìdibus  (sic)  deauratis. 

[f.  8-r°]  Dialmatica  de  purpura  viridi  et  rubea  cum  anima- 
libtis  habentibus  capita  et  pedibus  (sic),  deaurata:  cmn  fim- 
breis  in  manicis  et  pede  ad  papagaUos  et  alias  aves. 

Tunicella  etiam  de  viridi  et  rubea  ad  aves  prò  parte  deau- 
ratas  cum  fimbreis  agricagies  (?)  et  aquilas. 

Pluviale  rubcmn  ad  sanctos  de  auro  per  totum  cum  friso 
cum  pcrlis. 

Pluviale  de  purpura  viridi  et  rubea  ad  avus  prò  parte  ad 
aquilas,  olim  domini  de  Francia. 

Pianeta,  diarmatica  et  tunicella  de  sitani  (sic)  rubeo  cum 
friso  pulcro  ad  figuras  de  auro. 

Pluviale  rubeum  de  setani  cum  friso  inbrochato  de  auro. 

Tunicella  rubea  inbrochata  de  auro  ad  pisces. 

Pluviale  ad  cherubin  et  serapbinper  totum  cum  friso  aureo 
ad  figuras  s  aneto  rum. 

Pluviale  de  veluto  rubeo  inbrochatum  de  auro  ad  flore- 
nos  (sic)  cum  friso  de  auro  et  perlis. 

Una  pianeta  rubea  lacerata. 

Tunicelle  due  de  purpura  rubea  antique  ad  aves  inbro- 
chate  de  auro.  [Defcit  una]. 

Dialmatica  de  serico  rubeo,  antiqua. 

Tunicella  etiam  antiqua  de  serico  rubeo  incolorata  (sic). 

Pianeta  [et]  pluviale  de  purpura  rubea  cum  frisiis  pul- 
cherrimis  fé.  me.  domini  sancii  Marcelli.  [Cardinalis  S.  Mar- 
celli Stephanus  Palosius  qui  canonicus  fuit]  (i). 

Dialmatica  et  tunicella  de  serico  rubeo  foderate  boccacino 
ejusdem  domini  Cardinalis. 

(i)  Di  mano  posteriore.  Stefano  Palosio  di  Roma,  cardinale 
del  titolo  di  S.  Marcello,  mori  nel  1394;  egli  fu  sepolto  a  Santa 
Maria  Maggiore.  Panvinio,  Epit.  pont.  rornan.  a  S.  Petro  usquc  ad 
Patilum  mi,  pag.  264. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro  65 


[f.  9-r°]  \Paramenta  varii  coloris]. 

Eodem  die  in  tertia  capsa  paramenta  infrascripta  viridia, 
crocea,  axurina  et  nigra,  ciim  signo  videlicet  III. 

Pianeta,  dialmatica  et  funicella  de  purpiira  viridi   cum 
avibus  in  parte  deauratis. 

Dialmatica  de  purpiira  viridi  cum  avibus  consimilibus  et 
fimbreis  rubeis  de  auro. 

Pianeta,  diamiatica  et  ttmicella  de  pur  pur  a  viridi  cum 
avibus  consimilibus  et  animalibus  antique. 

Dialmatica  et  timicella  etiam  de  purpiira  viridi  cum  fim- 
breis ad  aquilas  deauratas. 

Dialmatica  de  ciammelotto  viridi  siveattabi  (sic)  cum  pulcris 
fimbreis  in  manicis  et  pede  et  ymaginibus  sanctorum. 

Tiinicella  de  siricio  viridi  cum  fimbris  in  pede  aureis  cum 
nostra  domina  et  sanctis. 

Dialmatica  et  tunicclla  de  sirico  viridi  cum  fimbreis  rubeis 
imbrochatis  de  auro. 

Dialmatica  et  tunicclla  de  sirico  viridi  quarum  una   est 
fimbriata,  alia  vero  non. 

Dialmatica  et  tunicella  de  sirico  viridi  cum  fimbreis  au- 
reis ad  leones. 

Dialmatica  et  tunicella  etiam  viridia  sive   crocea  inbro- 
chate  in  fimbris  ad  leones  etc.  (sic). 

•  Pianeta  de  purpura  viridi  cum  friso  de  velluto  rubeo  cum 
costis  de  auro. 

Dialmatica  et  tunicella  crocee  ornate  cum  fimbreis  undatis 
de  auro  et  sirico. 

Pianeta  crocea  de  sirico  antiqua  cum  friso  de  auro. 

Pianeta  rubei  et  viridis  coloris  inbrochata  de  auro  cum 
friso  attirino,  inbrocata  ad  aves. 

Pianeta  more  Teutonicorum  inbrochata  de  auro  ad  aves,  et 
viridis  coloris. 

[f  9-v°]  Pluviale  de  purpura  viridi  cum   avibus  prò  parte 
aureis. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  5 


66 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Pianeta  violata  inbrochata  de  auro  ad  aves  et  lepores,  ciim 
friso  de  auro  ad  figuras  sanctorum. 

Pianeta  alia  violata  ad  aves  cum  diarmatica  et  tunicella 
violate  ad  aves  prò  parte  aiireas. 

Pianeta,  diarmatica  et  tunicella  etiam  violate  ad  aves  con- 
similes.  [Deficit  pianeta]. 

Pluviale  violatum  ad  ammalia  cum  capidibus  (sic)  aureis 
et  pineis  etiam  de  auro. 

Due  planete  violate  etiam  imbrodiate  de  auro  ad  cervos 
et  aves. 

Pianeta  et  diarmatica  violate  imbrodiate  de  auro  ad  leones 
et  aves  cum  friso  totaliter  de  auro  filato. 

Tunicella  a^tirina  imbrochata  de  auro  ad  rosas  per  totum, 
et  aurea. 

Pianeta  etiam  a^urina  imbrochata  de  auro  cum  florihus 
rubeis  et  foliis  diversis,  cum  friso  ad  figuras  sanctorum. 

Pianeta  violata  imbrochata  de  auro  sive  attira,  cum  friso 
de  serico  in  medio  cum  friso  (sic)  [samati  rubei  listìs  aureis 
albis  et  croceis]. 

Pianeta  de  attiro  inbrochata  de  auro  cum  friso  rubeo  in- 
brochato  de  auro,  [cunt]  armis  domini  Cardinalis  Iserniensis{i). 

Pianeta  de  setani  a^uro  cum  friso  de  auro  ad  figuras 
sanctorum. 

Pianeta  de  pur  pur  a  a^urina  cum  friso  diversorum  colorum 
et  armis  Ursinorum. 

Pianeta  de  purpura  violata  cum  friso  diversimode   labo- 
rato,  videlicet  albo,  rubeo  et  viridi. 
[f.  io-r°]  Quatuor  planete  de  purpura  nigra  cum  frisis  de  auro. 

Due  dialmatice  de  purpura  nigra  cum  frisis  aureis  [de- 
ficit una  que  fuit  destructa  in  reparatione  parame?itorum]. 

Unum  pluviale  de  purpura  consimili  cum  friso  ad  figuras 
sanctorum. 


(i)  Il  card.  Cristoforo  de  Majoribus  di  Roma.  «  Episcopus  Eser- 
niensis  »  morì  nel  1404,  e  fu  sepolto  a  S.  Pietro;  Panvinio,  pag.  266. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  dietro  6j 

Duo  (sic)  pìanete  de  setani  nigro  ctim  friseis  deaiiratis. 

Due  tiiìiicelle  de  serico  nigro  fimbriate  [lacerate  et  quasi 
totum  anichilate]. 

Tres  pìanete  etiam  de  serico  nigro  cum  frisis  aureis  in  parte. 

Pluviale  de  purpura  nigra  cum  friso  de  auro. 

Petia  palìiorum  tria  parva  de  purpura  nigra  inbrochata 
de  auro  antiquissima. 

Duo  alia  petia  palìiorum  de  serico  nigro  ornata  per  cir- 
cuiium  serico  croceo  et  nigro. 

Diarmatica  et  tunicella  antique  et  violate  cum  avibus  im- 
brochatis  de  auro. 

Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  coloris  viridis  cum  anima- 
libus  et  avibus  [cum]  capidibus  et  pedibus  deauratis,  cum 
eorum  (sic)  fimbris. 

Pluviale  croceum  cum  friso  deaurato. 

[Omissis.    —  Libri]  (2). 

[Pallia^. 

[f.  i9-r°]  Eodem  die  (21  Lug.°  14)6)  infrascripta  sunt  pal- 
lia Bas[ilice\ 

Pallium  antiquum  rubeum  inbrochatiim  de  auro  sine  fodera. 

Petium  sindonis  crocei  et  rubei  coloris  scachatum  et  liliatum. 

Pallium  album  inbrochatum  de  auro  antiquum  [foderatum 
de  bocacino  et  fimbriatum  fimbreis  de  sirico  rubeis]. 

Pallium  violatum  sine  fodera  cum  appennaglis  (sic)  diver- 
sorum  armorum. 

Pallium  rubeum  laboratum  sine  auro,  cum  fimbreis  nigrìs 
cum  armis  de  Tomacellis,  foderatum. 

Pallium  de  cammellotto  attirino,  cum  fimbreis  albis  labo- 
ratis  ad  ymagines,  foderatum  bochacino  attirino. 

Pallium  rubeum  inbrochatum  de  auro  et  serico  viridi,  cum 
fimbris  nigris,  cum  armis  de  Milis  (o  NulisJ. 

(2)  Qui  principia  l'enumerazione  dei  libri  manoscritti  della  Sagre- 
stia fino  al  f.  i8-v:cfr.  Cancellieri,  De  Secret.  Vat.,  t.  II,  p.  906  e  915. 


68  E.  QMUnt\  e  oA.  L.  Jrothingham 

Pallium  ruheum  inhrochatum  de  auro,  antiqimm,  cum 
fimbreis  nigris,  cum  armis,  non  foderatum. 

Pallium  violatum  antiquum  inhrochatum  de  auro,  circuvi- 
datum  frisio  aureo  antiquo. 

Pallium  rubeum  inhrochatum  de  auro,  cum  appennagUs 
per  circuitum  uhi  sunt  arma  ecclesie  et  regis  Lodovici  et  no- 
stre Basilice  sancti  Petri,  non  foderatum. 

Pallium  quasi  alhum  laboratum  minutim  cum  appendaglis 
per  circuitum,  et  cum  armis  regis  Francie  et  Ursinorum,  fo- 
deratum. 

Pallium  ruheum  imhrochatum  de  auro  per  circuitum  de 
serico  ruheo  cum  armis  spadarum,  foderatum  de  hochaccino. 

Pallium  rubeum  inhrochatum  de  auro  et  serico,  circumda- 
tum  dz  serico  nigro  cum  armis  ad  porcos,  non  foderatum. 

Pallium  rubeum  inhrochatum  de  auro,  circumdatum  serico 
nigro  cum  armis  Innocentii  pape  7. 

Pallium  rubeum  inhrochatum  de  auro,  circumdatum  serico 
attirino  cum  armis  ad  Cossas  (i),  non  foderatum. 
[f.  i9-v°]  Pallium  a^urinum  inhrochatum  de  auro,  circumda- 
tum serico  aziirìno ,  cum  armis  olim  Cardinalis  de  s aneto  Angelo 
ad  stdlas,  foderatum  (2). 

Pallium  axurinum  inbrochatum  de  auro  circumdatum  de 
serico  nigro  cum  armis  prioris  Urbis  de  ordine  lerosolimitano: 
foderatum  de  panno  tincto. 

Pallium  axiirinum  inbrochatum  de  auro,  cum  armis  do- 
mini Cardinalis  Vivariensis  (3),  foderatum. 

Pallium  axiiri'num  inhrochatum  de  auro,  circumdatum  serico 

(i)  Devono  credersi  le  armi  del  noto  cardinale  Baldassare  Cossa 
il  quale  ebbe  una  così  avventurata  carriera,  e  fu  per  qualche  tempo 
papa  sotto  il  nome  di  Gregorio  XXIII:  egli  mori  del  1419. 

(2)  Si  tratta  probabilmente  di  Pietro  Fonseca,  spagnuolo,  card,  di 
Sant'Angelo,  morto  nel  1422,  e  sepolto  a  S.  Pietro  «  in  aedicola 
S.  Thomae,  sepulchro  marmoreo  »  (Panvinio,  Epitome  pontìficum 
romanorum  a  S.  Petro  usque  ad  Patilum  UH,  pag.  295). 

(3)  Giovanni  Armet  o  Brogner  cardinale  Vescovo  d'Ostia  detto 
card.Vivariense,  mori  nel  1426.  Cardella,  op.  laud.,  t.  Il,  p.  355. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  Tietro  69 

nigro    cum  armis   domiìii  Cardinalis   Iserniensis,  fodcratuni 
panno  lineo  croceo. 

Pallium  rubeum  inbrochatum  de  auro,  cum  armis  Ursi- 
norum,  foderatum  voccacino  (sic),  Jìmbriatum,  cum  armis  Pan- 
celli  de  Ursinis  (i). 

Pallium  a^urinum  inbrochatum  de  auro,  cum  armis  domini 
Cardinalis  Novdriensis,  alias  dicti  Della  Porta  (2), 

Pallium  rubeum  inbrochatum  de  auro  et  serico,  cum  armis 
domini  Cardinalis  de  Calvis,  circumdatum  serico  viridi,  non 
foderatum  (3). 

Pallium  axtirinum  inbrochatum  de  auro,  cum  armis  domini 
Petri  Nardi,  circumdatum  serico  viridi,  foderatum  de  voccaccino. 
[f,  2o-v°]  Eodem  die  infrascripta  sunt  pallia  ad  usum  pon 
tificalem  ad  altare  majus,  et  primo  videlicet: 

Pallium  axiirinum  inbrochatum-  de  auro,  circumdatum  se- 
rico viridi,  et  foderatum. 

Pallium  rubeum  inbrochatum  de  auro,  circumdatum  serico 
viridi.  Clini  armis  Ursinorum. 

Pallium  a^urinum  inbrochatum  de  auro,  circumdatum  se- 
rico viridi,  et  foderatum. 

Pallium  axiirinum  imbrochatum  de  auro,  cum  armis  de 
Tomacellis. 

Pallium  a:(urinum  imbrochatum  de  auro,  cum  fìmbreis 
nigris,  foderatum. 

Pallium  album  olim  Urbani  sexti,  foderatum. 

(i)  Poncello  Orsini,  card,  pretedi  S.  Clemente;  fatto  Vicario  Gen. 
in  Sabina  da  Bonifacio  IX;  morto  nel  1395.  Cardella,  t.  11,  p.  278. 

(2)  «  Ardicinus  de  la  Porta  Novariensis  »  senioi-e,  morto  nel  1434, 
sepolto  «  in  basilica  principis  Apostolorum  sepulchro  marmoreo, 
quod  adhucextat  in  aedicola  S.  Apostoli,  Romae»  (Panvinio,  pag.  505, 
cfr.  Cardella,  t.  Ili,  p.  43).  Il  suo  sepolcro  ora  vedesi  nelle  cripte 
Vaticane. 

(5)  «  Antonius  Calvus  Romanus,  archipresbyter  Basilicae  S.  Pe- 
tri ».  (f  141 1).  (Panvinio,  pag.  285).  Il  Cardella  (op.  land.,  t.  II, 
pag.  329)  nega  che  fu  arciprete:  d'altra  parte  era  canonico  della  Ba- 
silica e  fu  fatto  cardinale  nel  1405. 


70 


E.  (zMiint'^  e  oA.  L.  yrothingham 


Palliiim  rubeuin  inhrochatiim  de  auro  olini  Urbani  scxtt, 
foderatum . 

Pallium  axtirinum  inbrochatum  de  auro  cum  fimbreis 
croceis,  foderatum. 

Pallium  rubeum  de  serico,  foderatum. 

Pallium  violatum  inbrochatum  de  auro,  et  foderatum  sin- 
done viridi. 

Pallium  a:^urinum  inbrochatum  de  auro  cum  serico  nigro 
per  circuitum,  cum  armis  olim  Cardinalis  Vivariensis,  fode- 
ratum panno  rubeo. 

Pallium  de  serico  violatum  laboratum  ad  folia  et  tivas  et 
alia,  ornatum  sindone  viridi,  foderatum  panno  rubeo. 

Pallium  de  serico  attirino  inbrochatum  de  auro  antiquo, 
ornatum  de  panno  axiirino. 

Pallium  de  serico  albo  antiquum  laboratum  et  inbrochatum 
de  auro  antiquo,  foderatum  cum  tobalia  sericata. 
[f.  2i-r°]  Diversa  et  multa  petia  de  diverso  serico   lacerata 
et  multi  aia  panni  etiam  lacerati. 

Tres  calices  de  stanio  (?)  cum  duabus  patenis. 

Una  pianeta  alba  de  serico  inbrochata,  in  parte  lacerata. 

[Pallium  de  auro  album  felicis  memorie  domini  de  Ursinis]. 
[f.  2i-v°]  Eodem  anno  et  die  XXIII  ejusdem  mensis. 

Boxale  de  velluto  cum  figuris  de  auro  ad  sanctos,  et  Ut- 
teris  per  circuitum  etiam  de  auro,  cum  una  tobalia. 

Boxale  de  auro  cum  passione  domini  nostri  fhesu  Christi, 
cum  una  tobalia,  et  foderatum. 

Pallium  Constantini  cum  figuris  et  crucibus  per  totum, 
foderatum  sindone  rubeo. 

Boxale  de  velluto  rubeo  cum  sanctorum  figuris,  et  co- 
lumpnatum  in  inter  (sic)  ipsas  figuras,  foderatum  sindone 
violata. 

Boxale  rubeum  de  purpura,  foderatum  canapatro. 

Boxale  de  auro  et  serico  cum  figuris  de  judicio,  de  opere 
Anglicano,  foderatum  sindone  rubea. 

Boxale  de  auro  ad  figuras  sanctorum,  et  impernatum  prò 


Il  Tesoro  della  'basilica  di  S.  dietro  71 


parte  cimi  beata  Virgine  filium  tenente,  in  medio,  cum  to- 
balia,  et  foderatum  panno  lineo  tincto. 

Doxalc  de  sindone  ruhea  cum  crucifixo  in  medio  et  armis 
de  Thebaìdescis  (i)  et  aliis  armis,  cum  tobalia,  et  foderatum 
panno  viridi. 

Boxale  de  sindone  violatum  cum  figuris  sanctorum  et  spicis 
et  cum  rosis  per  circuitum,  cum  tobalia. 

Boxale  de  velluto  rubeo  cum  figuris  sanctorum  de  auro,  cum 
beata  Virgine  in  medio  et  angelis,  foderatum  panno  attirino. 

Boxale  de  serico  attirino  cum  figuris  de  auro  et  stellis, 
cum  Salvatore  coronante  beatam  Virginem  in  medio,  foderatum 
cum  sindone  crocea  et  rubea. 

Pannus  antiquus  de  serico  coloris  diversi  cum  figuris  an- 
tiquis,  foderatus  panno  lini. 

Boxale  de  serico  attirino  cum  figuris  et  stellis  de  auro,  cum  as- 
sumptione  beate  Virginis  in  medio,  foderatum  baccaccino  attirino . 
[f.  22-r°]  Boxale  de  serico  a^iirino  cum  grifonibus  de  auro  et 
sanctis  a  lateribus,  foderatum  serico  croceo. 

Boxale  parvum  prò  parte  de  velluto  croceo  et  serico,  anti- 
quum,  diversimode  laboratum  (2).  [fuit  destructum  et  positum 
in  fimbreis  pallii  Urbani  sexti]. 

Frontale  antiquum  de  velluto  rubeo  cum  sanctis,  cum  magna 
tobalia. 

Frontale  antiquum  de  auro  et  serico  ad  figuras,  cum  ap- 
pennaglis  de  serico. 

Frontale  de  auro,  etiam  antiquum,  ad  figuras  et  appen- 
naglias,  cum  tobalia. 

Frontale  de  auro  de  opere  Anglicano,  antiquum,  cum  to- 
balia et  appendaglis. 

(i)  Francesco  Tebaldeschi,  era  card,  arciprete  di  S.  Pietro  e  de- 
cano tra  i  canonici  della  Basilica;  morì  nel  1378  e  fu  sepolto  in 
S.  Pietro.  Cfr.  Torrigio,  Le  sacre  grotte  vaticane,  pag.  234,  F.  Dionisio 
Sacr.  Vaticanae  Bus.  Crypt.  Moti.,  pag.  no,  e  L.  Cardella,  Meiw.  Stor. 
dei  Cardinali,  Roma,  1793,  t.  II,  pag.  222-23. 

(2)  Cancellato. 


E.  QMunt\  e  oA.  L.  Jrolhingham 


Frontale  de  velluto  violato  cum  pulcris  figuris  de  auro 
et  matreperlis. 

Quinque  figure  de  serico  et  auro  separate.  [Quatuor  sunt 
quia  una  ipsarum  fuit  posita  in  uno  camiso  sollempni]. 

Frontale  pulcherrimum  de  auro  ad  figuras  sericas,  cum 
appennaglis  cum  bochaccino  albo,  et  tobalia. 

Frontale  de  auro,  antiquum,  etiam  ad  figuras  minutas, 
cum  tobalia. 

Frontale  de  serico  rubeo  olirn  parvis  perlis   impernatum 
et  auro,  cum  tobalia. 
[f.  23 -r°]  Eodem  die:  Facistorialia  et  alia. 

Facistoriuni  antiquum  de  velluto  Indico  in  medio,  circum- 
datum  de  serico  viridi  et  rubeo,  foderatum  panno  attirino. 

Facistorium  rubeum  de  auro,  circumdatum  serico  croceo  et 
rubeo,  foderatum  [serico  croceo]  panno  lino  tincto. 

Facistorium  antiquum  de  serico  violato,  ad  cervos  de  auro, 
circumdatum  serico  violato  et  rubeo,  foderatum. 

Facistorium  de  purpura  viridi,  ad  papagallos  prò  parte 
deauratos,  circumdatum  serico  rubeo  et  croceo,  foderatum. 

Facistorium  rubeum  inbrochatum  de  auro,  circumdatum  se- 
rico violato  et  croceo,  foderatum. 

Facistoriale  antiquum  de  serico  cum  parvis  rosettis  per  to- 
tum,  foderatum  sindone  violata. 

Petium  de  serico  longum  ad  aves  crocei  et  viridis  color is, 
laceratum  in  parte. 

Facistorium  nigrum  inbrochatum  de  auro,  circumdatum  se- 
rico nigro  et  croceo. 

Facistorium  sine  ornatu  de  purpura  rubea  et  viridi,  inbro- 
chatum de  auro  antiquo,  foderatum  sindone  crocea. 

Facistorium  longum  de  serico  rubeo,  inbrochatum  de  auro 
circumdato  (sic)  sindone  croceo  et  rubeo  (sic),  laceratum  in 
medio,  in  parte  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  de  serico  viridi  cum  animalibus  prò  parte  de- 
auratis,  circumdatum  serico  rubeo  et  albo. 

Facistorium  de  serico  rubeo  sive  purpura  si?ie  ornatu. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  Tieli'o  7 3 

Facistorium  de  serico  rubeo  cimi  clavibus  aìbis  in  medio. 

Facistorium  a^urinum  scachatum  de  auro,  circumdatimi  se- 
rico rubeo  et  croceo. 

[f.  23 -v°]  Facistorium  longum  album  de  auro,  circumdatum 
croceo  rubeo  et  viridi  (sic),  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  longum  nigrum  sindone  (sic),  circumdatum  sin- 
done rubea  et  viridi,  foderatum  bochaccino. 

Facistorium  magnum  rubeum  de  auro  antiquum,  circum- 
datum sindone  croceo  (sic)  et  violatum,  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  sbendatum  derico  (i)  diversi  coloris  et  auro, 
cum  appennaglis  de  serico  a  tribus  lateribus,  foderatum  sindone 
viridi. 

Facistorium  de  auro  album,  circumdatum  sindone  rubea  et 
crocea,  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  antiquum  [de^  serico  sive  panno  nigro  diver- 
simode  laboratum  sine  ornatu,  foderatum  panno  croceo. 

Petium  sive  facistorium  de  panno  serico  rubeo  cum  vasis 
et  rosis  de  auro  per  totum,  sine  ornatu  et  fodera. 

Facistorium  de  purpura  violatum  inbrochatum  de  auro, 
circumdatum  serico  albo  et  rubeo,  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  sbendatum  serico  et  auro,  circumdatum  sindone 
crocea  et  rubea,  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  album  de  auro,  circumdatum  serico  rubeo  et 
croceo,  foderatum  panno  croceo. 

Facistorium  de  serico  nigro  ornatum  sindone  rubea  et  crocea, 
dissutum,  foderatum  panno  attirino. 

Petium  panni  serici  axurini  et  rubei  coloris,  cum  literis  per 
totum,  non  ornatum,  sine  fodera  [quod  poni  solet  per  circuitum 
tabernaculi  inagni  corporis  Christi]. 

[f.  24-r°]  Petium  panni  serici  antiqui  crocei,  et  diversi  coloris, 
non  foderatum. 

Petium  panni  serici  axurini  cum  rosis  albls  in  parte  et 
croceis. 

(i)  Per    de  serico. 


74 


E.  oMunt-^  e  oA.  L.  jrofntngnam 


Cortina  de  serico  diverso  antiqua,  non  foderata. 

Vexillum  de  serico  cum  magis  dona  portantibus   Domino 
Deo,  in  parte  laceratum. 

Facistorium  antiquum  cnm  gallis  in  medio  de  serico,  fode- 
rattim  panno  albo. 

Pannus  inconsutilisy  ìaboratus  ad  cruces,  foderatus. 

Petium  palla  ruba  antiquum,  inhrochatum  de  auro. 

Petium  panni  serici  antiqui,  cum  armis  per  totum. 

Duo  paria  sandalium  sive  calicarum  de  serico  albo. 

Unum  par  calicarum  de  serico  rubeo,  inbrochatum  de  auro. 

Calica  una  de  serico  viridi,  et  una  alia  de  serico  albo. 

Duo  paria  sandalium  prò  episcopo  celebrante. 

Duo  petia  panni  serici  a^urini,  inbrochati  de  auro,  prò 
auricularibus  et  capitalibus  faciendis. 

Duo  coopertoria  similiter  prò  capitalibus  de  serico  rubeo, 
inbrochata  de  auro  ad  aviculas. 

Tria  petia  sindonis  nigre  longa  simul  ligata.  [^Ex  quibus 
facta  fuerunt  duo  pluvialia']  (i). 

Duo  petia  sindonis  albe. 

Quatuor  [duo]  petia  sindonis  nigre. 

Unum  petium  sindonis  avarine. 

Unum  petium  sindonis  violate  sbendatum  per  totum. 

Eacistorium  longum  de  serico  et  auro  sbendatum,  circum- 
datum  sindone    crocea  \et\    rubea,  foderatum  panno   croceo. 
[Nota  quod  tria  facistoria  seu  petia  sunt  in  basilica,  duo  ad 
locum  cathedre  et  duo  (sic)  ad  altare  majus], 
[f.  24-v°]  Novem  mitrie. 

Due  case  (sic)  corporalium. 

Duo  petia  brevia  de  serico  et  auro  ad  aves  et  ammalia. 

Frisium  antiquum  planete  prò  parte  anteriori  ad  figuras 
ad  gloriam. 

Duo  /risei  antiqui  de  serico  et  auro. 

Unum  pannum  ami  cum  angelo  nuntiante  beatam  Virgi- 


(i)  Cancellato. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  Tietro  7 5 

nem  olim  impernato  [Est  positus  (sic)  in  qiiodam  camiso  ante, 
pectiis  ad  usum  tnisse]. 

Unum  pet'mm  quadrimi  et  parvum  de  auro  per  totum,  cnm 
una  figura  in  medio. 

Sex  petia  frisi  ad  figuras  de  auro  et  serico. 

Duo  'petia  prò  fimbreis  faciendis  de  serico  a^iirìno  inhro- 
chato  de  auro.  [Sunt  posita  in  camiso']  (i). 

Certa  alia  parva  petia  etiam  de  auro  et  serico. 

Certa  alia  petia  de  diversis  maneriebus  (sic)  de  serico  si- 
mili ligata. 

Quinque  cirotece  dissimiles  ad  usum  Episcopi,  antique. 

Octo  corporalia  nova. 

Corporalia  vigintiquatuor  antiqua. 

Duodecim  mocichini  (sic)  simul  ligati. 

Amictus  de  serico  rubeo  cnm  animalibus  et  [vitibus]  de  perlis 
per  totum. 

Amictus  de  auro  cum  figuris  sanctorum  et  perlis  per  totum. 

Papilionus  parvus  cum  francis  de  serico  rubeo  et  croceo. 

Stola  una  et  marnile  (sic)  ad  arma  regis  Francie,  et  alia 
arma,  impernate  per  totum. 

Stole  vigintiquinque  de  auro  et  de  serico  [in ter]  (2)  novas 
et  antiquas. 

Una  alia  stola  ad  figuras  sanctorum  de  auro  et  serico  viridi. 
[f.  25-r°],  Manipuli  decem  etiam  de  serico. 

Facistorium  de  sindone  nigra,  circumdatum-  sindone  crocea 
et  viridi,  foderatum  panno  aziirino. 
[f.  25-v°]  Die  XXIIII  ejusdem  mensis.... 

[Omissis.  —  Camici,  tovaglie,  tele,  ecc.]. 

Petium  longum  de  velluto  cum  angelis  et  crucibus  de  auro 
per  totum,  donatimi  per  filium  Regis  Portugalli,  cum  tobaliis 
sericatis,  involutum  intus  et  extra. 

[Omissis], 

(i)  Cancellato. 

(2)  Per  completare  il  senso  è  stato  d'uopo  qui,  come  in  varii 
altri  posti,  aggiungere  una  parola  tra  parentesi. 


76 


E.  ^iml\  e  qA.  L.  Jrothingham 


Due  fimbrie  de  serico  aziirino  cum  sanctis  de  auro  labo- 
ratis.  l^Posite  sunt  in  camiso^ 

Duo  petia  ad  modum  corporalis  de  auro  et  serico,  cum  beata 
Virgine  et  Salvator  e. 
[f.  26].   [Omissis']. 

Doxale  de  serico  rubeo  et  viridi  inbrocato  de  auro  antiquo 
cum  tobaìia. 

[Omissis]. 
[f.  27-r°]  Die  XXV  ejusdem  mensis  secuntur  (sic)  bona  donata 
per  dominum  Cardinalem  de  Ursinis,  nostre  basilice  archipresbi- 
terum,  in  primis: 

Unum  missale  puìcherrimum  tavolatum,  cum  armis  Ursi- 
norum,  et  cum  strictoriis  de  argento. 

Breviarum  compìetum  vaìde  pulchrum,  cum  predictis  armis 
et  strictoriis  simiìibus. 

Psalterium  degrossatra  (sic)  tabulatum  et  copertum  corio  nigro. 

Pluviale  de  purpura  alba  cum  friso  pulcherrimo  de  auro 
ad  figuras  sanctorum,  foderatum  bochacino  albo. 

Pluviale  etiam  album  de  serico,  imbrochatum  de  auro,  cum 
friso  de  auro  ad  figuras  sanctorum,  foderatum  sindone  viridi. 

Dialmatica  et  tunicella  de  purpura  alba  cum  rubeis  fim- 
breis,  imbrochate  de  auro. 

Dialmatica  et  tunicella  etiam  de  purpura,  imbrochate  de 
auro,  cum  fimbreis  de  serico  attirino,  inbrochatz  de  serico  atti- 
rino et  auro. 

Pianeta  de  serico  albo  imbrochata  de  auro,  cum  rosettis 
rubeis  de  serico  per  totum,  cum  pulcro  friso  de  auro  ad  figuras 
sanctorum. 

Camisus  cum  fimbreis  de  auro  et  serico.  ' 

Stola  et  manipulus  de  purpura  alba. 

Cingulus  ad  usum  sacerdotis,  albus. 

Duo  amictus  albi. 

Gremiale  de  bochacino  albo  cum  agno  dei  in  medio,  et 
armis  ipsius  domini  Card,  de  Ursinis. 

■  Gremiale  cum  litteris  aureis  in  medio.  Ave  Maria  videlicet. 


//  Tesoro  della  ^Basilica  di  S.  Tietro  77 

Gremiale  album  de  serico  cimi  cruce  septem  pomorum  de 
auro  in  medio,  et  armis  predictis,  foderatum  viridi. 

Vnum  par  cirotecharum  de  lana  alba,  emù  duobus  joca- 
libus  de  argento  smaltatis. 

[f.  27-v°]  Aliiid  par  cirotecarum  cum  armis  ipsius  domini,  et 
jocalibus  etiam  de  argento  smaltatis. 

Alitid  par  cirotecharum  cum  literis  Maria  et  Ihesu,  sine 
jocalibus. 

Pluviale  de  purpura  violata  cum  pulcherrimo  friso    de 
auro  ad  figuras  sanctorum. 

Pianeta,  dialmatica  et  tuulcella  etiam  de  purpura  violata, 
fimbriate  de  auro. 

Camisus  albus  cum  fimbreis  de  purpura  rubea. 

Facistorium  de  serico   rubeo    imbrochatum  de   auro,    cir- 
cumdatum  sindone  rubea   t  axiirina,  foderatum  boccacino  rubeo. 

Pluviale  de  sammato  (sic)  nigro  cum  friso  rubeo  de  auro, 
foderatum  panno  nigro. 

Tunicella  de  purpura  nigra  .cum  fimbreis  de  auro. 

Dialmatica  de  serico  nigro  fimbriata  similiter. 

Pianeta  de  purpura  nigra  cum  friso  de  auro  cum  literis 
Ihesu  et  Maria,  foderata  bochaccino  adirino. 

Camisus  albus  cum  fimbreis  de  purpura  nigra. 

Amicius  cum  velluto  nigro. 

Stola  et  manipulus  de  purpura  nigra,  inbrochati  de  auro. 

Alia  stola  et  manipulus  etiam  de  purpura  nigra,  sine  auro. 

Cingulus  de  serico  nigro. 

Pluviale  de  purpura  rubea  ctim  friso  pulcherrimo  de  auro 
ad  figuras  sanctorum. 

Facistorium  de  purpura  viridi  inbrochatum  de  auro,  cir- 
cunidatum  sindone  crocea  et  rubea. 

Unus  camisus. 
[f.  28-r°]  Amictus  cum  purpura  rubea. 

Stola  de  velluto  figurato  rubea,  imbrocha[ta^  de  auro. 

Alia  stola  et  manipulus  de  purpura  rubea   cum  crucibus 
de  auro. 


78 


E.  oMunti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Alia  stola  de  purpura  violata. 

Cingulns  maspillatus  de  serico  rubeo  et  auro. 

Cingiilus  de  serico  carmusi  (sic)  ruheo. 

Manipulus  de  serico  attirino,  imbrochato  de  auro  et  serico 
rubeo. 

Stola  et  manipulus  de  serico  axurino  cum  crucibus  albis. 

Casa  cum  corporali  de  velluto  rubeo  et  auro,  cum  Ihesu  ab 
uno  latere,  ab  alio  vero  cum  assumptione  beate  Marie  Virginis. 

Alia  casa  etiam  cum  corporali  de  auro  et  serico,  cum  do- 
mino nostro  Ihesu  resurgente  et  armis  dicti  domini,  videlicet 
pietatis,  in  medio. 

Alia  casa  de  serico  impernata  et  laborata,  cum  cruce  de 
auro  in  medio  et  figuris  doctorum  ecclesie. 

Tria  corporalia  alba  posila  in  una  casa  de  Ugno. 

Par  caligarum  et  sandalium  de  purpura  viridi  et  rubea. 

[Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  de  purpura  rubea']. 
[f.  28-v°]  Eodem  die. 

Casa  corporalium  de  serico  et  auro,  cum  Salvatore  et  beata 
Virgine  et  crucifixo. 

Alia  casa  corporalium  cum  perlis  diversis,  laborata  cum 
auro,  ad  arma  plurima. 

Alia  casa  corporalium  pulcherrima  de  auro  filato  cum  ar- 
gento et  gemmis  et  perlis,  cum  crucifixo  ab  uno  latere,  ab  alio 
cum  Salvatore  coronante  beatam  Virginem,  posite  (sic)  in  una 
casa  de  Ugno. 

Utia  capsetta  de  serico  et  auro,  cum  armis  diversis,  cum 
reliquiis  intus  positis. 

Una  pissis  de  ere  cum  uno  anulo  intus  de  auro  et  certis  la- 
pidibus  et  perlis  et  smaltis  de  argento. 

Una  cassa. 
[f.  29-r°]  Anno  domini  MCCCCXXXXI,  die  XXI,  mensis 
februarii,  assignata  fuerunt  nob[ili]  domiìio  A.  de  Paparonibus 
ac  L.  Sancti  sacristanis  presentis  anni  basilice  principis  aposto- 
lorum,  per  egregium  virum  dominum  lacobum  de  Bracciano  exe- 
cutorem  ultime  voluntatis  Rnii  dm  Cardìnalis  de  Ursinis,  quc 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  'Pietro  79 

nondum  consìgnata  fuerant  juxta  relictum  factum  sictiti  in  testa- 
mento continentur  res  infrascriptas  {sic),  videlicet. 
Tunicella        \ 

Diarmatica     I    .      .  .       ,  ..... 

p,  >  cinerttia  ad  usimi  primi  dui  quatragesime. 

Pluviale  ) 

Item  pianeta  invellutata  et  inbroccata  de  auro  cum  frixo 
nobilissimo. 

Item  pianeta  nigra  inbroccata  et  pulcra. 
[f.  29-v°]  Die  XXVI  ejusdem  mensis. 

[Omissis.  —  Tovaglie,  panni,  cotte,  ecc.]. 

Unum  petium  de  serico  et  auro,  ad  arma  Francie  et  Anglie 
[positum  est  in  fimbreis  unius  caniisi\ 

[f.  30-r°]  Eodem  die,  reliquie  sanctorum  infrascripte  posite  in 
una  capsa. 

Una  cassepta  (sic)  tarsiata  cum  certis  ramis,  cum  reliquis 
intus. 

Alia  cassetta  de  Ugno  deauraia,  etiam  cum  reliquiis. 

Alia  cassetta  de  Ugno  depicta,  etiam  cum  reliquiis. 

Una  cassetta  etiam  de  Ugno  deaurata,  cum  int"  (?)  sine  cri- 
stallo etiam  cum  reliquiis. 

Una  cona  de  ebore  alba,  cum  passione  Ihesu  Christi. 

Una  capsetta  parva  de  ebore,  cum  reliquiis. 

Alia  cassetta  paulo  major  etiam  de  ebore,  cum  reliquiis. 

[Omissis.  —  Altre  cassette  ecc.  con  reliquie]. 

Una  cona  pulcherrima  ad  figuras  de  ebore  et  matreperla. 

Ymago  beate  Virginis  de  ebore  cum  pede. 

Una  colletta  de  ebore  cum  figura  beate  Virginis,  et  aliis 
sanctis. 

Alia  conetta  paulo    minor,   etiam   de  ebore,   cum   beata 
Virgine  in  medio,  et  aliis  figuris. 

Ymago  beate  Virginis  parva  de  alabastro. 

Ymago  beati  Georgii  de  ebore,  cum  armis  Ursinorum. 

Yma[go\    beate   Virginis,    tenentis  filium  in  brachiis,   de 
ebore. 


8o 


E.  €Munti  e  oA.  L.  Jrothingham 


[Omìssis.  —  Pissidi,  qcc\. 
[f.  30-v°]    Ymago  de  Ugno  deaurata  ciim  figuris  de  ebore. 

Ymago  Virginis  de  Ugno  dipicta  more  Grecormn. 
[f.  3i-r°]  Eodem  die. 

Pianeta  de  serico  viridi  et  ruhea  (s\c),  inhrocata  de  atiro, 
cum  friso  ad  arma  regis  Francie  et  alia  arma. 

Alia  pianeta  de  serico  viridi  cum  friso  de  auro,  foderata  de 
panno  ruheo. 

Alia  pianeta  de  serico  violata  cum  friso  de  auro  antiquo, 
foderata  panno  croceo. 

Alia  pianeta  de  purpura  ruhea  cum  friso  viridi  deaurato, 
foderata  pannis  ruhei  (sic). 

Alia  pianeta  de  serico  ruheo,  inbrochata  de  auro,  cum  friso 
lacerato,  foderata  panno  croceo. 

Alia  pianeta  de  serico  croceo,  foderata  de  serico  viridi,  cum 
friso  lacerato. 

Alia  pianeta  de  bochaccino  a:{urino  cum  friso  de  hochacino 
ruheo,  foderata  hochacino  nigro. 

Alia  pianeta  de  purpura  viridi,  inbrochata  de  auro,  cum 
friso  de  auro  ad  figuras  sanctorum. 

Alia  pianeta  de  serico  axiirino  sbendato  de  auro,  prò  parte 
lacerata,  cum  friso  de  sindone  ruhea. 

Alia  plancia  de  purpura  viridi,  cum  purpura  (sic)  friso  de 
auro,  foderata  panno  ruheo. 

Alia  pianeta  de  serico  viridi  prò  parte  lacerata,  cum  friso 
de  auro  antiquo,  foderata  bochaccino  viridi. 

Alia  pianeta  antiqua  de  purpura  ruhea  cum  friso  de  auro 
antiquo. 

Alia  pianeta  sbendata  de  serico  viridi  et  alio  serico,  cum 
friso  de  serico  ruhea  sive  sbendata  (sic). 

Alia  pianeta  de  serico  azìirino  antiqua,  inbrochata  de  auro, 
foderata  panno  ruheo. 

Pianeta  de  serico  ruhea  cum  friso  de  auro  et  serico  antiquo, 
non  foderata. 

Alia  pianeta  de  vochaccino  nigro  cum  friso  albo. 


Il  Tesoro  della  basilica  di  S.  'Pietro  8i 

[Nos  Agneloctus  et  Oddo  sacrist[ani]  antiqui  assignavimus 
novis  sacristanis  planetas  numero  triginta  [alias  :  vigintiseptem] 
antiquas  et  prò  majori  parte  laceratas,  quia  difficile  fuit  supra- 
dictani  formam  reperire,  v eluti  supra  habetur  scriptum]  (i). 
[f.  3i-v°]  Tunicella  de  pur  pur  a  rubea  inbrochata  de  auro, 
cum  fimbreis  de  auro. 

Dialmatica  de  purpura  alba  antiqua  inbrochata  de  auro, 
cum  fimbreis  rubeis  etiam  inbrochatis. 

Unum  doxale  de  sindone  rubea,  cum  armis  de  Tomacellis, 
foderatum  panno  croceo. 

Camisus  cum  fimbreis  de  serico  sbendato  aziirino. 

Doxale  de  palino  tincto  ad  stellas,  cum  tribus  tobaliis  seri- 
catis  simul  sutis. 

[Omissis.  —  Tovaglie]. 

Planete  albe  de  panno  lineo  numero  sex. 
[f.  32-r°]  Eodem  anno  et  die  XXVIII  ejusdem  mensis. 

Pannus  cum  figuris  lotti  inseratus  et  rotulatus. 

Quatuor  tobalie  longissime  rotulate  et  sericate. 

Una  tobalia  alba  et  laborata  ad  acum,  magna,  cum  diversis 
laboreriis,  et  rotulata. 

Duo  riglieria  de  auro  et  serico. 

Duo  alia  riglieria  de  velluto  attirino. 

Una  banneria  de  sindone  alba  cum  magna  rosa  rubea  in 
medio. 

[Omissis.  —  Pezzi  di  seta,  camici,  tovaglie,  ecc.] 
[f.  33-r°]  Eodem  anno  et  penultima  die  ejusdem  mensis. 

Pluviale  violatum  cum  signo  .... 

\_Omissis.  —  Pluviali,  ecc.]  (2). 


(i)  Di  mano  posteriore. 

(2)  Segue  una  lunga  enumerazione  di  pluviali  (52),  tovaglie, 
panni,  ecc.,  che,  per  non  avere  nessun  interesse  artistico,  crediamo 
bene  omettere. 

Archivio  della  Società  romana    Storia  patria.  Voi.  VI.  6 


E.  oMiinti  e  QA.jjTjrófhingh 


am 


[f.  i3-r°]  hwentariiim  omnium  rerum  Basilice  S.  Petri. 
Inventarium  siippellettilium  et  librorum   Bibliothece 

et  Sacristie  anni  14S4-145S  cum  intToitu  et  exitu 

expensarum  sacristie  145S.  (i) 

Unum  frisium  allaris  antiquum  sine  tohaìiis.  [Est  in  altari 
Sancii  Philippi  et  Jacobi].  (2) 

Duo  frontaìia  aìtarìs  ami  tohaìiis  antiqua. 

Una  cortina  de  hucchaccino  ruheo,  que  est  in  sancto  Petro. 

Una  cortina  de  pannato  (sic)  viridi. 

Gremialia  parva  quinque. 

Dorsaìia  prò  altari  majori  et  altari  conventuali  numero 
decem.  [Quorum  unum  est  ad  altare  majus,  et  alind  ad  altare 
conventus]. 

Capitalia  de  auro  qiiatuor. 

Capitalia  de  sirico  ruheo  domini  Eugenii  (3)  duo. 

Capitalia  de  villuto  azurro  duo. 

Unum  capitale  rubeum  de  auro  antiquum  [fiiit  sepultum 
cum  domino  Nicol ao]. 

Unum  capitale  de  azurro  cum  auro  antiquum. 

Unum  capitale  de  giallo  antiquum. 

Duo  tappeta. 

[Omissis.  —  Camici,  etc.]. 

Stole  pontificales  sex. 


(i)  I  primi  dodici  fogli  del  codice  contengono  parte  d'un  inven- 
tario antico  del  Tesoro  senza  data  ma  compilato  verso  il  1400,  col 
seguente  titolo:  Istud  est  Inventarium  continens  in  se  omnia  et  singula 
bona  et  molnlia  Sacristie  Basilice  Principis  apostolortim  Urbe,  videlicet 
Imprimis  Argentum  cum  reliquiis  et  alia  ornamenta  assignatum  in  do- 
mtim  quondam  Epi  Fiumani  et  Imprimis,  etc. 

(2)  Abbiamo  già  osservato,  nel  precedente  inventario,  essere  le 
parole  fra  parentesi  una  giunta  posteriore  alla  compilazione  del  do- 
cumento. 

(3)  Il  papa  Eugenio  IV. 


Il  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro  83 

Unum  manule  pontificale. 

[Omìssis.  —  Stole,  manipole,  cingoli], 
[f.   i4-r°]  [Omissis.  —  Libri  della  sagrestia], 
[f.   17]  Sequuntur  libri  qui  fuerunt  de  libraria  sancii  Blasii 
portati  ad  Sacristiam,  in  primis 

[Omissis]. 
[f.  2i-r°]  Infrascripte  suntres  quas  donavit  Andreas  Corso  Ba- 
silice  sancti  Petri,  assignate  mihi  Jacobo  de  Benenatis  sacriste, 
inprimis  : 

Unum  calicem  aniiqtmm  parvum  argenteum,  cum  signo 
aquile  in  pede,  ponderis  unciarum  sex  et  quarti,  non  totaliter 
deauratum. 

Unum  altare  portatile  marmar eum  longitudinis  unius  palmi. 

Unum  camisum  tristissimum,  cum  stola  et  manipulo  et 
ammictu. 

Unam  planetam  de  panno  lineo. 

Item  habuimus  per  manus  dui  Vicarii  unum  par  oculorum 
de  argento  ponderis  dimidie  uncie  minus  den  (?)  medio. 

Item  habuimus  per  manus  Loysii  unam  tobaliam  grossam 
et  decolor atam  in  costis,  et  duo  frustra  (sic)  panni  linei  subtilis 
ad  faciendum  quatuor  ammictus. 

[Qiie  omnia  posila  sunt  in  amictuario  predicto  et  infra- 
scripto'].  (i) 

[f.  22-r°]  (sic)  Iste  sunt  res  assignate  ultra  primum  Inven- 
tarium. 

Una  pianeta  rubea  de  sammato  (sic)  cum  frisio  albo  ad  breves. 

Item  alia  pianeta  de  sammato  rubeo  cum  frisio  aureo,  cum 
armis  Francisci  de  Ursinis. 

Item  alia  pianeta  de  sirico  cum  frisio  aureo,  et  habet  arma 
cum  rosa  alba  in  pectore  ante  et  retro. 

(i)  Tutte  queste  rubriche  del  fol.  21  sono  cancellate,  ed  una  mano 
posteriore  aggiunge  Qtie  omnia,  ecc. 

Ove  manca,  come  in  questo  caso,  l'indicazione  del  recto  o  del 
verso  di  un  foglio,  è  segno,  a  meno  che  non  vi  sia  un  omissis,  che 
la  pagina  è  lasciata  in  bianco  nel  codice. 


84 


E.  QMiint-{  e  oA.  L.  Jrothingham 


Item  alia  pianeta  de  sammato  ami  frisio  cum    apostolis. 

Item  alia  pianeta  violata  ciun  leporibiis  de  auro,  et  frisio 
de  auro. 

Item  alia  pianeta  tota  de  auro,  cum  frisio  de  auro  pulcro . 

Item  unum  pluviale  viride  cum  pallottis  etpedibus  de  auro. 

Item  alia  plaìieta  rubea  cum  frisio  ad  sanctos. 

Item  una  diahnatica  viridis  cum  capitibus,  pallottis  (sic)  et 
pedibus  de  auro. 

Item  una  diahnatica  tota  de  auro. 

Item  una  diahnatica  alba  tristis. 

Item  una  tunicella  rubea  de  sirico. 

Item  alia  tunicella  cum  fimbria,  cum  cervìs  et  aquilis. 

Item  alia  tunicella  sanguinea,  cum  piscibus  de  auro. 

Item  alia  tunicella  similis,  cum  pallottis  de  auro. 

Item  una  pianeta  gialla  cum  frisio  tristi. 

Item  ima  tunicella  alba  serpentina. 

Item  duo  pluvialia  gialla  tristia. 

Item  octo  facistoria. 

Item-  una  tobalia  magna  cum  costis,  cum  litteris  aureis  et 
argenteis. 

Item  novem  camisi  inter  magnos  et  parvos. 

Item  una  tobalia  de  bombice  prò  altari  conventuali. 
[f.  22-v°]  Item  due  planete  de  panno  lineo. 

[Omissis.  —  Panni  e  tovaglie]. 

Item  unum  frisium  prò  altari  majori  depavona^o  cum  foliis, 
pukerrimum  (sic),  cum  tobalia. 

Item  unum  frisium  de  auro  pulcrum,  cum  testamento  novo 
(sic),  cum  tobalia. 

Item  unum  dorsale  de  a^uro,  cum  grifonibus,  prò  altari 
conventuali,  de  auro,  cum  tobalia. 

Item  unum  frontale  rubeum  cum  frisio  rachamato  de  filo 
in  medio  fenestrarum,  cum  tobalia. 

Item  unum  dorsale  de  viridi  et  mixto  antiquo,  cum  tobalia. 

Item   unum  dorsale  de  auro  antiquum,    cum   armis   cum 
aquila,  cum  tobalia. 


//  Tesoro  della  '\Basilica  di  S.  Tietro  85 

'[Otiiissis.  —  Tovaglie,  amitti]. 
[f.  23 -r°]  Item  una  tobalia  de  sirico  larga. 

Item  aia  panniculi  pulcripro  calicibus,  inter  quos  sunt  alique 
tobalie  pulcre  de  sirico. 

Item  senicchium  antiquum  cum  clavibiis. 

Item  quatiwr  planete  albe  de  purpura,  reliete  ecclesie  per 
Nellum  (r). 

Item  ima  dialmatica  alba  cum  pallottis  et  capidibiis  (sic) 
de  auro. 

Item.  due  alie  cruces,  ultra  numerum  primi  inventarii,  com- 
munis  forme. 

Item  una  crux  pectoraìis  smaltata. 

Item  una  crux  de  argento  fracta  cum  duobus  oculis  argen- 
tasi que  alias  erat  in  cappella  sete  crucis. 

Item  una  bussula  de  argento  parva  prò  hostiis  deaurata. 

Item  alique  relique  sigillate  in  quodam  amictu. 

Item  certe  alie  relique  sigillate  in  quodam  :(annato  nigro. 

Item  unum  altare  portatile  marmoreum. 

Item  vigìntìquatuor  capsette  diverse  cum  reliquiis  sanctorum. 

Item  una  alia  capsetta  cum  reliquiis  sanctorum,  que  ftiit 
olim  cappelle  sancte  Marie  de  febribus. 

Item  duo  tabernacula  crea  cum  reliquiis. 

Item  una  cuppa  vitrea  virgata  cum  relliquiis  (sic). 

Item  sex  ymagines  eburnee. 

Item  una  ymago  Virginis  de  ambra. 

Item  una  cona  eburnea  cum  ymaginibus  intus,  et  passione 
domini  nostri  lesu  Christì. 

Item  una  cona  magna  de  tribus  frustris  (sic)  cum  ymagi- 
nibus sanctorum  eburneis. 

Item  una    alia    capsetta  rachamata    cum   reliquiis   san- 
ctorum. 

Item  duo  frustra  (sic)  de  cristallo  ttirpia. 

Item  quatuor  ammicti  sine  cingulis,  quos  dedit  Loysius. 

(i)  Nello  da  Bologna,  famigliare  di  papa  Niccolò  V. 


86 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Iteni  una  corona  argentea  deaurata  cuni  ìapìdibus. 
[f.  23 -v°]  Isti  sunt  libri  ultra  ìibros  Cardinalis  de  Ursinis,  eie. 

[Omissis.  —  Libri], 
[f.  24-r°]  Inventarium  rerum  et  bonorum  repertorum  in  Mo- 
nasterio  nostro  sancii  Blasii  della  Pagnotta.  In  primis 

Una  crux  lignea  coperta  de  argento,  cum  crucifixo  ab  uno 
latere,  ab  alio  cum  agnus  (sic)  dei. 

Calix  de  argento  cum  luna  in  pede  et  duabus  stellis,  et  pa- 
tena cum  stampa. 

Calix  de  argento  cum  rosis  rubeis  et  patena. 

\_Alius  calix^  de  argento,  cum  armis  ad  modum  bovis  in 
pede,  cum  patena. 

Tabernaculum  de  argento  ad  usum  corporis  Christi,  invo- 
lutum  cum  una  vimpa  (?). 

[Omissis.  —  Messali  ed  altri  libri]. 

Unum  dorsale  diversorum  colorum. 

Dorsale  aliud  de  balacchino  (sic)  deaurato,  cum  una  tobalia. 

Pallium  diversorum  colorum  cum  fimbriis  de  viridi,  cum 
armis  ad  modum  avvis  (sic)  nigre. 

Pallium  de  auro  cum  avibus. 

Pianeta  rubea  de  velluto  cum  frisio  de  attiro. 

Pianeta  alia  de  drappo  aureo  cum  avibus. 

Pianeta  alia  de  sirico  rubeo. 

Pianeta  alia  diversorum  colorum  laniata. 

Pianeta  alia  de  sirico  nigro. 

Pianeta  alia  alba  sine  frisio. 

Pianeta  alia  de  syricho  (sic)  a:(t.iro  cum  frisio  ad  sanctos. 

[Omissis  —  Camici,  etc.]. 
[f.  25-r°]  Introitus. 

In  nomine  Dni  Amen,  anno  Dui  MCCCCLIIII,  mense 
Marta,  die  primo.  Infrascripte  sunt  pecunie  recepte,  etc. 
[f.  26-r°]  Exitus  die  ultimo  Martii  (i). 


(1)  Fra  le  altre  cose  vi  notiamo  spese  per  la  riparazione  di  an- 
tichi parati,  come  pallii,  pianete,  amitti,  ecc.,  fra  altri  quelli  donati 


Il  Tesoro  della  basilica  di  S.  dietro  87 

[Omissis]. 

Iteni  solvi  prò  camera  quam  fecimus  fieri  de  novo  in 
nostra  sacristia,  prout  apparet  nianu  magistri  lohannis  de  Pa- 
lanxia,   qui  fecit    eam    in    totum,  due.    septem,    hon.    vigin- 

tisex due.  FU  hon.  XXVI 

[f.  2j-r°]  Lignum  crucis  ornatum  cum  cristaììis,  cum  angelis 
et  hasis  (sic)  argenteis. 

Cassetta  de  argento  cum  cristaììis,  donata  per  papam  Ni- 
coìaum  quintum. 

Navis  argentea  domini  Eugenii  quarti. 

Capud  (sic)  sancti  Luce. 

Capud  sancti  Sebastiani  in  quo  deficiunt  tres  lapides. 

Capud  sancti  Jacohi  intercisi  in  quo  deficit  unus  lapis. 

Capud  sancti  Manni  de  rame  deaurato. 

Regnum  domini  pape  Nicolai  quinti. 

Rosa  aurea  Martini  quinti. 

Spatula  sancti  Stephaìii  in  uno  tabernaculo  argenteo,  cum 
cristalUs. 

Brachium  sancti  Andree. 

Brachium  sancti  Philippi  in  quo  sunt  quatuor  perle,  tres 
lapilli,  cum  imo  cammeo. 

Brachium  sancti  Longini  in  quo  deficiunt  septem  la- 
pides. 

Brachium  loseph  a  Barimattia  (sic). 

Tabernaculum  de  cristallo  cum  genu  sancti  Andree,  dona- 
tum  per  papam  N[icolaum]  quintum. 

Reliquiarium  cum  brachio  sancti  Gregorii. 

Tabernaculum  argenteum  ubi  est  gutttir  sancti  Bìasii  cum 
duobus  angelis. 

Tabernaculum  de  cristallo  ad  portandum  corpus  Christi. 

Tabernaculum  de  cristallo  ornatum  per  dominum  Petrum 
Pucciarelli,  cum  armis  Eugenii. 

da  Bonifacio  Vili,  dai  cardinali  Poncello  degli  Orsini,  di  S.  Angelo, 
Vivariense,  Iserniense,  Cossa,  ecc. 


E.  oMunti  e  oA.  L.  Jrothìngham 


Tabernaculum  de  cristallo  ami  corona  argentea,  cum  co- 
stula  sancti  Laurentii  martiris. 

Tabernaculum  de  cristallo  cum  armis  Symonetti,  cum  reli- 
quiis  sancti  Teodori. 

Tabernaculum  de  cristallo  cum  spina  Christi. 

Tabernaculum  de  cristallo  cum  paternostris  de  ossibus 
sancte  Katerine. 

Tabernaculum  parvum  de  cristallo  cum  crucifixo  supra, 
cum  armis  de  Ursinis. 

[f.  2y-v°^   Tabernaculum  parvum  de  cristallo  sine  pede,  ad 
portandum  corpus  domini,  quod  est  in  sancto  Petro. 

Tabernaculum  de  cristallo  parvum  cum  una  cruxetta,  cum 
reliquiis  sancti  lohannis  Crisostomi,  cum  smaldis  (sic)  sancti 
Benedicti  et  sancti  Antonii. 

Tabernaculum  parvulum  de  cristallo  cum  smaldis  sancti 
Michaelis  et  sancti  Antonii,  cum  reliquiis  de  Ugno  crucis  et  de 
pane  et  piscibus  de  quibus  satiati  sunt  quinque  milia  hominum. 

Tabernaculum  de  cristallo  sine  copertorio  alias  fracto,  cum 
reliquiis  capitis  sancti  Antotiii  abbatis. 

Tabernaculum  de  argento  deaurato  factum  ad  modum 
castri,  cum  falcone  in  capite. 

Tabernaculum  sive  bussulum  de  argento  planum  cum  li- 
stis  deauratìs. 

Imago  seti  Petri,  cum  regno  in  capite,  cum  libro  in  manu 
sinistra  et  clavibus  hi  dextra,  de  argento,  induta  ad  modum 
pontificis,  aliquantulum  magna. 

Imago  seti  Petri  minor  predicta  de  argento  deaurata,  cum 
erme  et  clavibus  in  manu  dextra. 

Imago  seti  Petri  parvula  de  argento  deaurata,  cum  cla- 
vibus in  manu  dixtra,  et  libro  in  sinistra. 

Una  cona  de  argento  deaurata  piena  reliquiis,  cum  gemmis 
parvis  diversorum  colorum,  de  quibus  deficiunt  septem  cum 
crucifi[xo  de  argento]. 

Una  alia  cona  cum  perlis  grossis,  cum  crucifixo  intus,  tota 
deaurata,  que  perle  sunt  in  totum  duodecim. 


Il  Tesoro  della  basilica  di  S.  'Pietro  89 

Una  alia  concita  parvula  plicahìlis  de.  auro,  cum  passione 
Christi  et  reUiquiis,  larga  duobus  digltis. 

Una  alia  conetta  parvuncida  cum  septem  perlis  parvis  de 
argento  deaurata,  cum  ymagine  heburnea  seti  Michaelis. 

Una  tabula  sive  cona  ornata  de  auro,  in  qua  est  ymago 
seti  Michaelis  habens  coronam  cum   duobus  balascis   et  uno 
zciffiro  g[rosso]  cum  undecim  perlis  grossis. 
[f.  28-r°]    Una  tabula  cum  ymaginibus  apostolorum  Petri  et 
Pauli,  que  dicitur  Constantini,  que  est  apud  altare  majus. 

Tabula  magna  de  cristallo  ornata  cum  argento. 

Tabula  de  diaspro  prò  altari  portatili  in  qua  deficit  ar- 
gentimi circumcirca. 

Una  alia  tabula  seu  altare  portatile  minor  predicta,  ornata 
cum  argento  deaurato  circumcirca. 

Tabula  seu  altare  portatile  de  porfiro  (sic)  viridi. 

Tabula  vel  altare  portatile  cum  reUiquiis,  cum  smaldo  cum 
cruci fixo  in  medio. 

Pectorale  de  argento  cum  quatuor  Evangelistis  smaldatis  de 
smaldo  attirino,  et  quatuor  perlis  grossis  et  una  smarola  (sic). 

Pectorale  de  argento  deaurato  cum  tribus  bottonibus  de  perlis 
ad  ponendum  in  pluvialibns. 

Crux  magna  coperta  de  argento,  que  dicitur  crux  proces- 
sionalis. 

Crux  Constantini  magna  de  auro  et  argento,  cum  lapidibus, 
et  pede  ligneo  coperto  de  argento. 

Crux  cum  pede  smaldata  per  totum  cum  crucifixo,  cum  la- 
pidibus, et  cum  reUiquiis,  et  duabus  ymaginibus  in  pede  [et 
deficiunt  novem  lapides] . 

Crux  de  argento  deaurata  cum  tribus  niccolis,  cum  uno  ca- 
pite de  cammeo  in  pede,  et  cum  uno  capite  de  crugnola  (sic)  in 
capite  cum  aliis  lapidibus. 

Crux  de  argento  ornata  cum  lapidibus  parvis  de  turchino, 
et  aliis  lapidibus  et  perlis  parvis. 

Crux  de  argento  deaurata  ad  modum  crucis  seti  Spiritus,  in 
qua  deficiunt  omnes  smaldi  preter  duo. 


90 


E.  oMiint^  e  OA.  L.  Jrothingham 


[f.  28-v°]   Criix  de  argento  deaurata,  ornata  cimi  lapidihiis 
cimi  crucìfixo  in  medio  [deficiimt  odo  lapides]. 

Criix  de  cristallo  cum  cruce  viridi  in  medio,  cimi  pede  de 
argento. 

Crux  de  cristallo  rottmda,  in  qua  estferrum  intus. 

Crux  de  cristallo  cum  crucìfixo  in  medio,  smaldata. 

Crux  de  diaspro  cum  ferro  intus,  cum  uno  pomo  in  pede. 

Crux  crea  cum  aliquihus  smaldis  de  argento  de  quihus  de- 
ficiunt  duo. 

Crux  de  Ugno  coperta  cum  crucifixo,   cum  duohus  pomis 
ereis  a  laterihus. 

Crux  de  argento  parva  cum  pede  de  argento,  que  stat  in  Sa- 
cristia  prò  altari  conventuali. 

Crux  crea  deaurata  que  dicitiir  :  delle  sette  pomelle,  que  est 
apud  scttfm  Petrum. 

Una  tassia  de  ambra  ornata  ami  argento  deaurato,  que 
dicitur  de  scià  Chiara,  cum  cocleari  de  mazara. 

Unum  pomum  de  cristallo  magnum  ad  faciendum  ignem. 

Unum  ocularium  de  cristallo  cum  manico  de  argento. 

Una  pax  de  argento  deaurata,  cum  crucifixo,  ad  dandum 
pacem. 

Unum  caldarotium  cum  aspersorio  de  argento  prò  aqua  be- 
nedicta. 

Unum  par  candelabrorum  magnum  de  argento  cimi  ferris 
intus. 

Unum  aliud  par  candelabrorum  de  argento  cotidianum. 

Unum  par  candelabrorum  de  cristallo. 

Unum  turibidum  de  argento  magnum. 

Unum  turibulum  de  argento  parvum  cotidianum. 

Unum  par  ampullarum  de  cristallo. 

Tria  paria  ampullarum  de  argento,  unum  quorum  est  sine 
manicis. 

Una  navicula  de  argento  cum  cocleari. 

Navicula  alia  minor  predicta  cum  cocleari  parvo  et  alio 
cocleari. 


Il  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  Tietro  91 

Unum  colatorium  de  argento  deauratum. 

Unum  bussulum  parvum  de  argento  prò  crismate  et  oleo 
sancto. 

Unum  pomum  de  argento  smaìdatum  prò  sinicchio  (sic). 

Duo  poma  erea  deaurata  ad  cahfaciendum  [tmum  est  in 
sancto  Petro]. 

[f.  29-r°]  Calices    argenti   inter  magnos   et  parvos   numero 
l^quinquagintanovem] . 

Calices  argenti  cum  pcde  ereo  numero  novem  —  miii. 

Quorum  iinus  est  in  altari  cappelle  Gentilis  juxta  Feronicam. 

Quorum  unum  habet  dominus  Antonellus. 

Item  unus  est  in  altari  Crucifixi. 

Item  unus  est  in  altari  sancii  Pbilippi  et  Jacobi. 

Item  unus  est  in  altari  sancii  Petri  dello  brunxp. 

Item  unus  est  apud  altare  sancii  Leonis. 

Item  unus  est  apud  aliare  domini  Cardinalis  de  Ursinis. 

Item  unus  est  penes  dominum  Maffeum. 

Item  sex  calices,  sunt  in  sacristia  seti  Petri,  inter  quos  est 
calix  conventualis. 

Item  unus  est  in  cappella  sancte  Marie  de  febribus. 

Item  unus  calix  est  apud  Magistrum  Petrum  Grassum,  quam 
fedi  fieri  Anselmus. 

Patene  argentee  inter  magnas  ci  parvas  numero  septuaginia. 

Patene  eree  numero  quatuor. 

Mitra  dui  Cardinalis  de  Ursinis  pulcra  aurifrigiata,  cum 
smaldis,  lapidibus  et  perlis,  in  qua  deficiunt  plures  lapides  et 
perle  [et  una  campanella^. 

Mitra  alia  antiqua  de  x^nnaio  aurifrigiata  cum  lapidibus. 

Unus  anulus  (sic)  pontifixalis  cum  uno  zaffiro  grosso  cum 
perlis  et  lapillis,  prefati  dm  de  Ursinis. 

Crux  parva  seupectorale  vel pontificale,  cum  smaldis  parvis 
cum  evangelistis  et  agnus  dei  in  medio,  cum  septem  perlis,  pre- 
fati  dui  de  Ursinis,  relique  cecideruni. 

Crux  mortuorum. 

Alius  anulus  pontificalis  cum  lapidibus  ei  sex  perlis  parvis. 


E.  oMimt'^  e  oA.  L.  Jrothingham 


Crux  alia  seu  pectorak  de  argento  deaiirata. 

Odo  alle  criices  seu  pectoraìia  parve  de  argento  et  de  rame. 
[f.  29-v°]  Duo  agnus  dei,  uniis  de  argento,  alter  de  rame. 

Tres  branche  corallorum. 

Unum  par  cirotecarum  domini  de  Ursinis,  cum  smaldis  et 
armis  suis. 

Tria  alia  paria  cirothecarum  pontificalia. 

Samìalia  Inter  caligas  et  scarpettas  paria  sex. 

Due  calige,  una  viridis,  alia  alba. 
'Novemdomus  corporalium  pulcra  (sic). 

Corporale  medium  racchaniatum. 

Due  domus  corporalium  de  villuto  plano  rubeo.  [^Quorum 

unum  habet  Au alium  habet  dnus  Maff[eius]  ut  asserunt 

sacristani  preteriti']. 

Duo  amidi  pule  ri  cum  aurifrisio  cum  perlis,  de  uno  defi- 
ciunt  X  perle  grosse,  et  de  alio  multe  plures  (sic). 

Corporalia  linea  undecim. 

[Oìnissis.  —  Altri  corporalia]. 

Una  pissis  lignea  cum  certis  rebus,  [et]  jocalibus  prò 
paramentis,  posita  in  uno  marsubio. 

Imago  manu  lotti  in  panno  lineo,  posita  in  quodam  Ugno 
concavo. 

Due  alle  imagines,  una  in  panno  lineo,  altera  depicta  in 
Ugno;  sunt  in  fenestra  sacristie. 

Gabattum  seu  reliquiarumdni  Alexandri  ornatum  de  argento. 
[f.  30-r°]  Pluviale,  pianeta  cum  dialmatica  et  tunicella  dm  Ni- 
colai quinti,  rubeum  cum  ymaginibus  Salvatoris  et  seti  Tome  (sic) 

Pluviale,  pianeta  pulcherrima  cum  dialmatica  et  tunicella 
dui  Nicolai  quinti,  album  cum  predictis  ymaginibus. 

Duo  pluvialia  alba  papalia  de  opere  Anglicano  cum  perlis, 
que  dicuntur  fuisse  pape  Bonifatii  octavi. 
"    Unum  pluviale  album  dui  de  Cecchano{i)de  opere  Ciprino. 

Unum  pluviale  album  dni  de  Ursinis  cum  armis  suis. 


(i)  Vedi  la  nota  alla  pagina  59. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  'Pietro  gS 

Unum  pluviale  album  dui  de  Aquilea,  cum  armis  suis. 

Unum  pluviale  album  foderatum  de  viridi,  cum  armis  de 
Ursinis. 

Unum  pluviale  album  foderatum  de  buccaccino  attiro  cum 
rosettis. 

Unum  pluviale  album  domini  Urbani. 

Tria  pluvialia  alba  papalia  antiqua  de  opere  Anglicano, 
que  dicuntur  fuisse  pape  Gregorii. 

Pluvialia  alba  antiqua  et  consumata  numero  odo. 

Unum  pluviale  cinericium  de  ciambellotto  dni  de  UrsMs, 
sine  armis. 

Unum  pluviale  album  cum  avibus  cum  pallottis  de  auro. 

Unum  pluviale  cum  pianeta,  dyalmatica  et  tunicclla  de  in- 
brocchato  rubeo  pulcherrimo,  donatum  per  s.  d.  Nicolaum 
quintum. 

Due  planete  albe  dni  de  Cecchano  de  opere  Ciprino,  quarum 
una  est  cum  perlis. 

Due  dialmatice  dicti  dni  ejusdem  operis. 

Una  tunicella  prefati  dm  ejusdem  operis. 

Una  pianeta  alba  dni  Vivariensis  cum  armis  suis. 

Dialmatica  et  tunicella  predicti  dni  de  eodem  drappo. 

Una  pianeta  alba  cum  rosettis  rubeis  cum  ramis  (sic)  de 
auro  dni  de  Ursinis. 

Dialmatica  et  tunicella  ejus  (sic)  de  damaschino  albo,  cum 
fimbriis  cumfloribus  de  viridi. 

Una  pianeta  alba  dni  de  Aquilea  cum  armis  suis. 

Dialmatica  diete  planete  dicti  dfii  cum  fimbriis  aureis. 

Una  pianeta  alba  cum  brevibus  antiqua,  cum  dialmatica  et 
tunicella  ejusdem  coloris. 

Una  alia  pianeta  alba  antiqua  ad  usum  beneficiatorum,  cum 
dialmatica  et  tunicella  cum  brevibus. 

[f.  30-v°]  U?ia  pianeta  alba  cum  auro  cumparvis  rosettis  rubeis 
dni  de  Ursinis. 

Una  pianeta  cineritia  de  damaschino,  cum  dialmatica  et 
tunicella  de  ciambellotto  ejusdem  coloris,  dni  de  Ursinis. 


94 


É.  oMiuiti  e  qA.  L.  Jrothingham 


Due  planete  de  panno  lineo, 

Dìaìmatice  et  timiceìle  albe  Inter  honas  et  maìas  quindecim. 

Dialmatìca  et  tunicella  serpentine  de  auro  antique. 

Diahnatica  alba  cum  avibus  de  auro,  que  dicitur  de  Regìbus. 

Duo  pluvialia  rubea  cuni  angeìis  de  auro  de  drappo  Regis 
Portugallie. 

Unum  pluviale  rubeum  cum  sanctis  de  auro,  cum  frisio  cum 
perlis. 

Unum  pluviale  rubeum  cum  seraphinis. 
•    Unum  pluviale  rubeum  ad  baslones  din  de  Ursinis,  cum 
armis  suis. 

Unum  pluviale  rubeum  cum  avibus  et  cervis  drd  Urbani. 

Unum  pluviale  rubeum  dm  Seti  Marcelli,  cum  armis  suis. 

Unum  pluviale  rubeum  damaschinimi  drd  de  Ursinis,  cimi 
armis  suis. 

Unum  pluviale  rubeum  cimi  ducat\is\  sive  flor[ems]. 

Unum  pluviale  rubeum  dui  Seti  Petri. 

Unum  pluviale  rubeum  de   sammito   (sic)  cum  frisio  de 
pallio  aureo. 

Unum  pluviale  rubeum  antiquum  cum  grijonibus. 

Unum  pluviale  rubeum  antiquum  cum  leonibus  et  armis. 

Unum  pluviale  rubeum  dui  de  Francia. 

Pluvialia  trista  (sic)  rubea  numero  vigintitres  (sic). 

Unum  pluviale  rubeum  parvum  dni  seti  Petri. 

Una  pianeta  rubea  ad  bastones  drd  de  Ursinis,  cum  armis 
suis. 

Una  pianeta  rubea  damaschina  dni  de  Ursinis,  cum  armis 
suis. 

Diahnatica  et   tunicella   diete  planete   dicti   drd,  ejusdem 
coloris. 

Una  pianeta  rubea  de  damaschino  dni  seti  Marcelli,  cum 
armis  suis. 

Dialmatìca  et  tunicella  de  pannato  raso  dicti  dnis  ejusdem 
coloris. 
[f.  ji-r'^]  Pianeta  rubea  cum  angelis,  cum  dialmatica  et  tunicella. 


//  Tesoro  della  Tìasilica  di  S.  'Pietro  go 

Pianeta  rubea  domini  sancii  Petri  sanguinea. 

Due  dialmatice  et  due  tunicelìe  prefati  din,  ejusdem  coloris. 

Pianeta  rubea  sanguinea  cum  armis  dni  Eugenii. 

Pianeta  rubea  cum  campo  viridi  dni  de  Francia. 

Diahnatica  et  tunicella  dicti  dni,  ejusdem  coloris. 

Una  dialmatica  cimi  campo  viridi  cum  animalibus  rubeis, 
ejusdem  coloris. 

Una  tunicella  ejusdem  coloris  cum  avibus  rubeis  cum  pal- 
lottis  de  auro. 

Pianeta  rubea  de  damaschino  figurato  antiqua,  cumpaiwis 
liliis,  cum  frisio  de  auro. 

Dialmatica   et  tunicella  ejusdem    coloris  et   drappi  cum 
fimbrìis. 

Una  pianeta  rubea  cum  avibus,  pallottis  et  capidibusde  auro. 

Diahnatica  et  tunicella  ejusdem  coloris  et  drappi. 

Pianeta  alia  ejusdem  drappi,  cum  frisio  de  sirico. 

Planete  rubee  inter  bonas  et  malas  numero  quatuor. 

Una  pianeta  de  auro  cum  armis  Bonifatii  noni. 

Una  pianeta  de  auro  cum  frisio  plano  cum   crucibus  de 
azjiro  et  avibus  albis  parvis,  cum  tunicella  ejusdem  drappi. 

Dialmatice  de  auro  tres. 

Dialmatice  et  tunicelìe  rubee  numero  vigintiquatuor. 

Una  pianeta  rubea,  cum  dialmatica  et  tunicella,  ad  usum 
quotidianum  ifi  scto  Petro. 

Pluviale  violatum  drd  de  Ursinis. 

Pluvialia  tria  violata  antiqua. 

Pianeta  violata  dni  de  Ursinis. 

Dialmatica  et  tunicella  ejusdem  coloris  et  ejusdem  dni. 
[f.  3i-v°]  Una  pianeta  violata  cum  floribus  rubeis  cum  canibus, 
leporibus  et  avibus  de  auro. 

Tres  planete  violate  ad  usum  cotidianum. 

Una  alia  pianeta  violata  valde  consumata. 

Una  pianeta  violata  et  viridis. 

Planete  violate  piane  et  satis  consumpte  tres. 

Dialmatice  et  tunicelìe  numero  quatuor. 


96 


E.  oMiinti  e 


Trothingham 


Unum  pluviale  de  axuro  cum  regibus  de  auro. 

Unum  pluviale  de  attiro  imbrocchato  de   auro  cum    leo- 
nibus,  floribus  et  avihus. 

Una  pianeta  de  a^iiro  cum  floribus  et  avibus  de  auro. 

Unaplaneta  a^urina  inbrocchatade  auro  dfii  Serniensis  (sic). 

Tres  planete  de  attiro  damaschine  dni  de  Ursinis. 

Una  dialmatica  de  a^uro  de  panno  prefati  pluvialis  inbroc- 
chati  ad  leones. 

Una  tunicella  a^tirina  cum  canibus  et  rosis  de  auro. 

Dialmatica  et  tunicella  de  axuro  dfii  Eugenii. 

Duo  pluvialia  viridia  antiqua. 

Unum  pluviale  viride  antiquum  cum  frisis  (sic)  de  vitibus. 

Planete  virides  inter  bonas  et  malas  numero  octo. 

Dialmatice  et  tunicelle  virides  numero  quindecim. 

Una  pianeta  seu  vestis  seti  Petri  sine  frisio  cum  rosa. 

Unum  pluviale  de  giallo  canonicale. 

Pluviale  aliud  de  giallo  rachamatum  antiquum. 

Duo  alia  pluvialia  de  giallo  antiqua. 

Una  pianeta  cum  dialmatica  et  tunicella   de  giallo  prò 
canonicis. 

Una  pianeta  cum  dialmatica  et  tunicella  de  giallo  prò  b^- 
neficiatis. 
[f.  32-r°]  Una  pianeta  tristis  de  giallo. 

Dialmatice  et  tunicelle  de  giallo  quatuor. 

Due  alle  dialmatice  et  tunicelle  de  giallo. 

Pluviale  nigrum  dni  de  Ursinis. 

Pluviale  nigrum  de  samato  cotidianum. 

Pianeta  nigra  cum  floribus  de  auro,  cum  frisio  cum  an- 
gelis  tenentibus  tabernaculum  corporis  Christi. 

Pianeta  nigra  dni  de  Ursinis. 

Pianeta  nigra  cum  canestrellis  sclava  (sic),  cum  dialmatica 
et  tunicella. 

Dialmatica  nigra  drn  de  Ursinis. 

Tunicella  nigra  de  damaschino  dni  de  Ursinis. 

Unum  aliud  pluviale  nigrum  ruptum. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  'Pietro  97 

Planetc  nigre  rupie  numero  quinque. 

Pluvialia  diversoruni  colorum  numero  quindecim. 

Planetc  diversorum  colorum  tristissime  numero  sexdecim. 

Planetc  linee  inter  bonas  et  malas  numero  quhtdecim. 
[f.  32-v°]  Pallìum  Constantini. 

Pallium  dni  Eugenii  de  auro  cum  uno  linteamine. 

Palliuni  din  cardinalis  de  Ursinis  novum. 

Pallium  dni  cardinalis  de  Cesarinis. 

Pallium  dni  cardinalis  della  Porta. 

Pallium  dni  cardinalis  de  Aquilea. 

Pallium  dni  cardinalis  Vivariensis. 

Pallium  drd  cardinalis  de  Tuderto. 

Pallium  dni  cardinalis  Vicecancellarii. 

Pallium  dni  cardinalis  seti  Angeli  Ispaniensis  cum  stellis. 

Pallium  cum  armis  Bonifatii  noni. 

Pallium  dni  cardinalis  Serniensis. 

Pallium  dni  de  Cossa. 

Pallium  dni  Petri  Nardi. 

Pallium  din  Georgii  de  Cesarinis. 

Pallium  cum  armis  de  Ursinis  antiquum. 

Pallium  prioris  de  Roma. 

Pallium  castellani  Castri  Seti  Angeli. 

Pallium  serpentinum. 

Pallium  campi  sancti. 

Pallium  de  Tetellinis  (sic)  cum  spadis. 

Pallium  corporis  Cbristi. 

Pallium  seti  Nicolai  de  Tollentino. 

Pallium  seti  Bernardini. 

Pallium  Puncelli  de  Ursinis  antiquum. 

Duo  frustra  pallior  uni  baldachini  cumfloribus  de  viridi  cum 
campo  rubeo,  donata  per  quandam  dominam  de  Albania. 

Facistoria  inter  magna  et  parva,  inter  bona  et  mala,  nu- 
mero trigintaocto.  [Unum  est  in  altare  crucifixi,  aliud  in  altari 
sanctorum  Philippi  et  Jacobi']. 
[f.  33-r°]   [Omissis.  —  Varie  spese  insignificanti]. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  7 


E.  Plinti  e  qA.  L.  jFrothingham 


[f,  34]  Iste  simt  res  exportate  de  cappella  5/  Marie  de  fe- 
hrihus  per  venerabiles  vtros  dnnm  Agabìtum  et  dnum  Xa- 
[verium]  dehutatos  Sacristanos  eie,  et  assignate  duo  Corrado 
de  MarcelHnis  et  dm  L.^  Magdalene.  In  primis 

Una  pianeta  rnbea  virgata  fracta. 

Una  pianeta  axiirra. 

Unum  camisum  pulcrum. 

Septeni  tobalie  aliqnaìiter  magne. 

Item  una  tobalia  de  serico  cum  costis  de  auro. 

Item  aìie  tobaìioìe  et  panniculi  numero  decem  et  odo. 

Item  pannicnhis  rubens  de  sirico  cum  costis  de  auro. 

Item  una  vimpa  de  sirico. 

Item  pannicnhis  cum  frauda  de  viride  (sic). 

Item  vimpe  quindecim. 

Item  nasitergium  unum. 

Item  ima  chona  cum  ymagine  Crucifixi. 

Item  due  mammille  de  argento  juncte. 

Item  lingua  et  labium  argenti. 

Item  anulus  argenti. 

Item  corculum  parvum  argenti. 

Item  unum  frustum  guarnelli. 

Item  duo  pulcri  amidi. 

Item  una  pulcra  tobalia  sericata  larga. 

Item  panniculus  prò  calice  ad  reticella. 

Item  panniculus  pulcer  circumcircha  deauratus. 

Item  alius  panniculus  de  auro  cum  costis  et  franciis. 

Item  alius  panniculus  cum  armis  in  medio. 

Item  alius  panniculus  de  serico. 

Item  alius  panniculus  cum-  listis  de  auro. 

Item  due  vimpe  pulcre. 

Item  unus  alius  pannicnhis. 
[f.  3^]  Introitus  anni  14^^. 
[f.  37  a  39]  Exitus     » 


Il  Tesoro  della  IBasilica  di  S.  T^ietvo  99 


[fol.  47-r°]  Inventarium  Sacristie 

[1489]. 
Mobilium,  Bonorum  et  Librorum  'Bibliothece  (i). 

Capita. 

Caput  S.  Sebastiani  ornatum  argento  cum  quatuor  pedihus, 
cum  aniiìs  Eugenii  super  spatulis,  et  trihus^  ìapidibus  super 
quoìibet  arnwrum,  licei  in  uno  deficiat  unus,  et  in  pectore  cum 
uno  speculo  cristallino  et  quinque  ìapidibus  cìrcumcirca. 

Caput  S.  lacobi  intercisi  ornatimi  argento  cum  quatuor 
pedibus  leoninis,  cum  armìs  Eugenii  super  quoìibet  humero  cum 
iiii°^  ìapidibus  super  quoìibet,  licet  in  uno  deficiat  unus,  et  cum 
speculo  cristallino  in  pectore  cimi  octo  ìapidibus,  quorum  duo 
deficiunt. 

Caput  S.  Luce  ornatum  argento  cum  figura  bovis  in  pectore 
et  cum  litteris  circumcirca. 

(i)  Nel  principio  del  Codice  dal  quale  sono  Tratti  il  precedente 
inventario  ed  il  presente,  vi  è  il  sunto  del  medesimo  che  deve 
essere  al  più  della  fine  del  secolo  xviii,  ma  probabilmente  del  secolo 
presente  e  dice  :  Si  contengono  in  questo  ire  inventari  delle  suppdbttil 
sagre  della  sagrestia,  e  delle  sac.  reliquie,  e  delti  libri  della  nostra  Biblio- 
teca co^  nota  di  alcuni  strumenti,  bolle  e  privilegi  ecc. 

Il  primo  inventario  che  di  cesi  antichissimo  (in  pergamena  an- 
tica) senza  anno,  principia  dalla  pagina  prima  a  tutta  la  pag.  12: 
varie  ragioni  ci  conducono  a  fissarne  la  data  all'anno  incirca  1400. 

Il  secondo,  che  deve  essere  stato  fatto  negli  anni  1454  e  1455, 
principia  alla  pag.  13   e  finisce  alla  pag.  46. 

Il  terzo,  che  si  nota  fatto  l'anno  1489,  principia  alla  pag.  47  colla 
•descrizione  delle  sacre  reliquie,  e  termina  alla  pag.  81  in  quella  dei 
libri  della  Biblioteca  della  Basilica'  Vaticana  in  decima  bancha,  ecc. 
■Cfr.  alla  pag.  82. 

Appena  si  apre  la  fodera  del  Codice,  prima  del  suddetto  sunto 
"vi  sono  4  fogli  oblunghi  come  un  foglio  piegato  in  mezzo  dall'alto 
-al  basso,  a  guisa  di  quei  libri  oblunghi  che  si  dicono  vacchette  :  in 
essi  vi  sono  alcuni  oggetti  dell' Inv.  del  1489,  con  la  seguente  nota 
marginale  per  traverso:  Ista  sunt  Pallia  magna  Inijus  inventariì  in 
pergamena  et  in  papiro  sub  anno  148^. 


100 


E.  oMiuiti  e  qA.  L.  Jrothingham 


Caput  S.  Manni  in  tabernaculo  de  ere  deaurato  cutn  duabus 
artnis  curri  novem  foliis  et  curn  littera  G  supra  dìctis  armis. 
[^Caput  S.  Lamberti  in  capsa  argentea'],  (i) 

[f.  47-v°]  Brachia 

Brachiuìu  Joseph  ab  Araniatìe  (sic)  ornaturn  argento,  cum 
teneìlis  argenteis  in  marni. 

Brachiurn  S.  Andree  Apostoli  ornaturn  argento,  cum  duobtis 
annuìis  in  digitts  cum  tribus  lapidibiis. 

Brachium  S.  Guiìhehni  ornaturn  argento,  cum  litteris  de- 
scriptis  in  basi  designantibus  (sic). 

Brachium  S.  Longìni  ornatnm  argento,  cum  uno  annulo  in 
digito  annulari. 

Brachium  S.  Pbilippi  apostoli  ornaturn  argento,  curn  uno  an- 
nulo viridi  in  digito  grosso  et  uno  alio  annulo  in  digito  an- 
nulari cum  uno  cambeo  (sic)  galeato  et  quatuor  perlis  circum- 
circa  et  duobus  lapidibus. 

[f.  48-r°]  Tabernacula. 

Tabernaculiun  in  quo  est  ligmim  sancte  Crucis  cum  una 
capsa  curn  signo  crucis  sanctl  Spiritus  de  argento,  cum  duobus 
angelis  dictam  capsam  manutenentibus,  quorum  unus  sine  alis, 
cum  base  argentea  deaurata  cum  litteris  circumcirca,  cum  uno 
pomo  superius  cum  lapidibus  novem,  et  cum  quatuor  aliis  la- 
pidibus in  dieta  capsa. 

Tabernaciilum  de  argento  rotundum  cum  reliquiis  intus  et 
circumcirca  infrascriptis  figuris,  videlicet  beate  Virginis,  san- 
ctoriim  Petri,  Pauli,  Thome,  Nicholai,  cum  duabus  (sic)  la- 
pidibus. 

Tabernaculum  cum  Ugno  sancte  Crucis,  et  curn  una  capsula 
cum  duabus  tabiilis  cristallinis  cum  uno  lilio  smaltato  in  stim- 
mitate,  cum  duobus  angelis  argenteis,  et  cum  base  argentea  deau- 
rata et  perforata. 


(i)  Di.  mano  posteriore. 


Il  Tesoro  della  ^Basilica  di  S.  "Pietro        loi 


Tahernaculmn  ad  tnodum  arcis  fabricatum,  deatiratum,  in 
quo  simt  reliquie  cum  figuris  circmncirca,  et  cum  falcone  in 
summitate. 

Tahernacnhim  deauratmn  quod  per  angelos  diios  sustinetur, 
habentes  alasfractas,  cum  armis  unius  cardinalis  cumuno  leone 
scacato  de  albo  et  asurro  in  campo  rubeo.  [Nota  quod  hec 
insignia  sunt  Card.  Henrici  de  Minutulis  Archiep.  Neapolit.  et  in 
co  servatur  guttur  S.  Blasii  et  vixit  tempore  Bonifacii  IX]  (i). 

Tabernaculum  de  argento  cum  armis  de  Ursinis  ab  una 
parte,  et  ab  alia  clavibus  S.  Petri,  in  quo  est  spatula  S.  Stephani 
prothomartiris . 

Tabernaculum  aliud  cristallinum  ornatum  argento  deaurato, 
cum  sento  in  quo  sunt  litere  continentes:  Nicolaus  papa  V,  et 
cum  sex  leonibus  sustinentibus  ipsum  tabernaculum,  et  in  sum- 
mitate ifuàgo  sancti  Petri,  in  quo  sunt  (sic)  gemi  S.  Andree 
apostoli  (2). 

Tabernaculum  cristallinum  ornatum  argento  in  parte  deau- 
rato, in  cacumine  imago  S.  Petri,  in  pcde  vero  scutum  cum  arce 
alba  in  campo  rubeo,  in  quo  sunt  incluse  reliquie  S.  Tbeodori{^). 

Tabernaculum  parvum  cristallinum  rotundum  cum  figura 
S.  Michaelis  Archangeli  et  S.  Anthonii,  in  quo  sunt  infrascripte 
reliquie,  videlicetdepane,  depiscibus  de  quibus  satiavit  Christus 
quinque  milia  hominum.  Item  de  Ugno  S.  Crucis.  Item  de  re- 
liquiis  S.  Nicholai  Epi  et  confessoris.  Item  de  reliquiis  S.  Marie 
Magdalene.  Cimi  armis  in  pede  cum  compassu  et  novem  foliis 
et  hoc  nomine:  Anthonius. 

[f.  48-v°]  Tabernaculum  cristaUinum  cum  armis  Cardhialis 
de  Ursinis. 

Tabernaculum  cristallinum  ornatum  argento  cum  figuris 
sanctorum  Anthonii  et....  (in  bianco)  in  quo  sunt  reliquie,  vi- 

(i)  Enrico  Minutolo  patrizio  napoletano,  fatto  card,  nel  1389  e 
morto  nel  141 2.  Cardella,  t.  II,  pag.  512. 

(2)  Reliquie  perdute  nel  1527,   al   tempo   del   sacco    di    Roma: 
Vedi  Grimaldi. 

(3)  Idem. 


102 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  frothingham 


delicet  de  sindone  Dni,  S.  lohannis  Crisostomi  et  S.  lohannis 
Baptiste,  cum  una  cruce  parva  in  parte  superiori  cum  imagine 
crucifixi  in  una  parte  et  alia  beate  Marie,  cum  quatuor  pedi- 
bus  leoninis  (i). 

Tabernaculum  cristaììinnm  cum  multis  reìiquiis  interius,cum 
pede  rotundo  pontato  cum  armis  Eugenii  Cardinalis  de  Cesarinis 
et  ecclesie  S.  Petri  et  tribusdliis  rotundis  cum  cruce  rubea  et 
quatuor  rotundis  rubeis. 

Tabernaculum  cristallinum  sine  copertorio  in  quo  sunt  re- 
liquie de  costala  S.  Laurentii  niartiris,  cum  aliquibus  figuris 
sanctorum  et  armis  de  Ursinis  smaltatis,  et  cum  pede  ad  sex 
angui  OS. 

Tabernaculum  cristallinum  in  ere,  ligatum  cum  copertorio 
fracto,  in  quo  sunt  infrascripte  reliquie,  videlicet  de  sanguine 
5.  Catherine,  de  ossibus  apostolorum  Petri  et  Pauli  et  S.  Sa- 
turnini de  ossibus  XI.  m.  virginum  et  S.  Vrsule,  de  ossibus  S.  Mo- 
nache matris  S.  Augustini,  de  reìiquiis  S.  Georgii,  de  manto 
S.  Magdalene,  de  spinis  dui  nrt  Ihfi  XrJ,  de  reìiquiis  S.  Mar- 
garite. 

Tabernaculum  cristallinum  ornatum  argento  deaurato,  cum 
pomo  in  medio  ad  fectas  (sic)  et  cum  pomo  parvo  cum  cruce 
superius  et  cum.  pede  rotundo  cum  armis  Cardinalis  de  Vrsi- 
nis,  in  quo  est  una  de  spinis  dnJ  nrt  Ihu  Xru 

Tabernaculum  cristallinum  cum  pede  de  argento  deaurato 
ad  odo  angulos,  in  quo  sunt  reliquie  infrascripte,  videlicet  de 
digito  S.  Georgii,  de  ossibus  S.  lacobi  majoris.  Pater  noster  de 
ossibus  S.  Catherine,  de  reìiquiis  S.  Romani  et  de  reìiquiis 
S.  Agnetis. 

Tabernaculum  cristallinum  prò  corpore  Xrt  cum  pomo  in 
medio  cum  aliquibus  figuris  sntaltatis,  cum  pede,  in  qua  (sic) 
sunt  arma  beati  Petri  et  tria  alia  arma  cum  aliis  figuris  smal- 
tatis  et  cum  quatuor  imaginibus  parvis,  cujus  copertorium  est 
cristallinum  et  fractum. 


(i)  Idem. 


Il  Tesoro  della  'basilica  di  S.  T^ietro         io3 

[f.  49-r°]  Tahernacidiim  de  argento  deaurato  firmatimi  super 
tribus  coìumpnis,  in  quo  est  imago  beate  Virginis  cum  filio  in 
brachio  de  lapide  gallo  (sic). 

Tabernaculum  argenteum  cum  pede  rotundo  et  cum  armis 
in  pomo  cum  listis  albis  asurris  et  aurcis,  in  quo  sunt  de  ca- 
pite beati  Antonii. 

Tabernaculum  parvum  in  quo  est  figura  S.  Michaelis  cum 
aliquibus  perlis  circumcirca. 

[f.  50-r°]  Capsule  et  bussule. 

Capsula  de  cristallo  cum  armis  pape  Nicolai,  ornata  ar- 
gento deaurato,  in  qua  sunt  reliquie  infrascripte,  videlicet  pars 
capitis  S.  Lamberti  Episcopi,  et  reliquie  S.  Joseph  ab  Ara- 
matie. 

Capsula  argentea  cum  pede  smaltato,  cum  figura  S.  Gre- 
gorii  in  summitate  capsule,  cum  armis  in  quibus  sunt  tres  liste 
rubee  et  inter  dictas  listas  Urne  rubee. 

Casetta  una  quadra  munita  ab  intus  laminis  argenteis  et 
in  superiori  parte  copertorii  coperta  argento  laborato  ad  rosas, 
et  similiter  circumcirca  latitudinem  diete  casette,  in  qua  tamen 
deficit  unum  frustum  argenti,  cum  nonnullis.  reliquiis. 

Calamare  unum  de  osse  cum  clausuris  de  ere,  sculptum  cum 
figuris  hominum  equestrium  et  aliorum  diversorum  anìmalium, 
cufìi  reliquiis. 

Cophonettum  unum  de  cristallo  ornatum  cum  laminis  ar- 
genteis deauratis,  cum  pluribus  reliquiis  intus. 

Cophonettum  ligneum  cum  certis  reliquiis. 

Cophonettum  copertum  coreo  rubeo  cum  certis  reliquiis. 

Capsa  parva  serata  coperta  corio  albo  cum  reliquiis. 

Capsula  lignea  piena  reliquiis. 

Capse  due  de  corio  nigro  ad  conservandum  mitras. 

Bussula  argentea  cum  uno  circulo  in  quo  est  nomen  Xrùs,  cum 
quatuor  stellis  et  una  crux  parva. 

Bussula  rutonda  de  Ugno  ornata  certis  lapidibus  ad  mo- 
dum  perlarum  asurris  et  albis,  cum  certis  -eliquiis. 


I04 


E.  oMiinti  e  OA.  L.  Jrothingham 


[f.  5i-r°]  Imagines. 

Imago  S.  Petri  argentea  et  deaurata,  indtita  pontificali,  cum 
libro  et  clavihus  in  manihus,  cum  base  smaltata  que  sustinetur 
a  quinque  leonibus,  et  cum  regno  in  capite  cum  lapidibus. 

Imago  S.  Petri  minor  predicta,  dcaurata,  cum  cruce  et  cla- 
vibus  in  manu  dextra,  et  cum  arinis  trium  ìeonum  nigrorum 
in  parte  anteriori,  et  in  parte  dextra  cum  leone  flavo  in  campo 
nigro,  in  parte  sinistra  cum  leone  albo  in  campo  rubeo. 

Imago  S.  Petri  minor  predictìs  duobus,  de  argento  deaurato, 
cum  clavibus  in  manu  dextra  et  libro  in  sinistra,  cum  base  in 
qua  sunt  reliquie. 

Imago  sive  figura  unius  sancti  de  ebore  cum  armis  de  Ursinis. 

[f.  52-r°]  Cruces. 

Crux  argentea  deaurata  cum  pluribus  lapidibus  et  tribus 
perlis  cum  quinque  cameis,  unum  in  summitate  cum  facie 
hominis,  alind  in  medio  cum  erme  et  duobus  angelis,  aliud  in 
parte  dextra  cum  uno  vase,  a  parte  sinistra  cum  figura  unius 
avis,  in  pede  ipsius  crucis  aliud  cum  figura  hominis  galeati,  et 
in  parte  posteriori  cum  quinque  figurìs,  videlicet  in  superiori 
parte  Xrl,  in  medio  beate  Virginis,  a  dextris  S.  Pauli  et  a 
sinìstris  S.  Petri,  in  pede  unius  angeli  factis  ex  smalto. 

Crux  argentea  deaurata  in  cujus  medio  sunt  tabule  cri- 
stalline et  de  Ugno  crucis  intus,  cum  diversis  lapidibus  diver- 
sorum  colorum  et  perlis  parvis. 

Crux  cristallina  cum  uno  pomo  rotundo  in  pede  ipsius. 

Crux  magna  cum  quatuor  petiis  de  diaspro  a  lateribus, 
in  medio  cum  uno  quadro  de  alabastro  et  similiter  in  extre- 
mitatibus  de  alabastro  cum  uno  pomo  in  pede  de  diaspro. 

Crux  cristallina  ligata  cum  argento  deaurato  ab  una  parte 
cum  figura  crucifixi,  beate  Marie  Virginis  et  S.  lohannis  Evan- 
geliste;  ab  alia  parte  figura  beate  Virginis  defuncte  cum  apo- 
stolis  circumcirca. 

Crux  cristallina  ligata  cum  argento   deaurato,   in  medio 


Il  Tesoro  della  "Basilica  di  S.  Tietro        io5 

cruce  (sic)  de  lapide  smaragdino  cum  quatuordedm  perlis 
parvis,  et  ah  alla  parte  facies  Feronice. 

Crux  argentea  deaurata  lahorata  ah  strafa  rum  (sic),  in 
ctijus  medio  est,  ah  ima  parte  figura  crucifixi  argentea  stantis 
in  cruce;  ah  alia  parte  est  figura  Agnus  dei  in  medio,  in  sum- 
mìtate,  in  parte  inferiori  et  a  ìateribus  figure  evangeìistarum, 

Crux  argentea  parva  que  consuevit  portari  in  processio- 
nibus  supra  senichium. 

Crux  parva  deaurata  cum  figura  crucifixi,  cumundecimperlis. 

Crux  parva  aurea  cum  figura  crucifixi  et  cum  fguris 
quatuor  evvan\^gelistaruni\  circumcirca. 

Crux  parva  argentea  deaurata  cum  tribus  granatis  circum 
circa,  et  in  pede  cum  una  turchina,  et  in  medio  cum  uno  cri- 
stallo, et  pater  noster  quatuor  de  corallo. 

Crux  parva  de  auro  que  pontificihus  celebrantihus  sus- 
penditur  in  collo,  in  qua  sunt  quinque  smaldi  virides  cum 
variis  foliis  et  cum  decem  perlis  et  decem  alle  defitiunt.  Ah 
alia  parte  in  medio  est  figura  Agnus  [f.  52-v°]  dei  et  circum- 
circa figure  quatuor  evangeìistarum.  Item  cum  dieta  cruce  an- 
nulus  pontificalis  cum  lapidibus  smaragdinis  et  balasiis  et 
perlis  parvis. 

Crux  argentea  deaurata  cum  figura  crucifixi  et  a  ìate- 
ribus cum  figuris  beate  Virginis  et  S.  lohannis  Evvangeliste, 
cum  pomo  in  medio,  et  cum  pede  in  quo  sunt  sculpte  figure 
apostolorum  Petri  et  Pauli. 

Crux  argentea  antiqua  et  fracta  cum  figura  crucifixi  in 
medio  et  Evvangelìstarum  circumcirca,  et  cum  figuris  ali- 
quorum  sanctorum  in  pomo. 

Crux  argentea,  ab  una  parte  cum  crucifixo  in  medio,  et 
figura  Dei  in  parte  superiori,  et  a  ìateribus  figure  B.  Marie 
Virginis  et  S.  lohannis,  in  pede  cum  figura  S.  Francisci.  Ab 
alia  parte  in  medio  figura  beate  Catherine  et  circumcirca  figure 
evvangelistarum. 

Alia  crux  quem  (sic)  tenet  R.  p.  d.  Vicarius  Epus  Ur- 
bevetanus. 


loG  E.  oMiniti  e  oA.  L.  Jrothìngham 

Cnices  septeni  parve  simul  ligatc  cum  uno  agniis  dei  de 
argento. 

Crux  argentea  in  qua,  ab  una  parte  est  facies  Feronice 
cum  quatuor  ìiìiis,  in  alia  parte  imago  S.  lohannis  Evvangeliste. 

Reìiquiarium  parvum  de  auro  in  quo  est  una  crux  parva 
et  varie  alie  reliquie,  in  quo  etiani  sunt  sculpta  omnia  instrn- 
menta  passionis  XrT,  videlicet  laucea,  colmnpna  eie. 
[f.  sy^^^  ^"^  scattila  in  qua  est  fornimentum  unius  mitre, 
videlicet  pendentia  de  argento  aurato,  et  xii  figure  smaltate 
in  argento  ad  ponendwn  super  pendentibus. 

Item  castones  quator  (sic)  magni  cum  rosetis. 

Item  quatuordecim  castones  mìnores  cum  rosetis. 

Item  sex  alii  sine  rosetis. 

Item  castones  parvi  sine  rosetis  cxxij. 

Item  unus  annulus  de  auro  cum  una  corniola,  cum  duobus 
capitibus. 

Item  alias  annlus  cum  certis  armis. 

[f.  54-r°]  Tabule  et  altaria  portatilia. 

Tabula  in  qua  est  depicta  figura  Xrt  ornata  auro  stra- 
forato, cum  tribus  lapidibus  in  capite,  videlicet  uno  sapbiro  et 
duobus  balasiis,  et  pcrlis  undecim. 

Tabula  sive  reìiquiarium  ornata  argento,  in  cujus  medio 
est  figura  Xriin  cruce  et  a  lateribus  beate  Virginis  et  S.  lohannis 
Evvangeliste  et  octo  alie  figure  sanctorum  facte  ex  smalto. 

Tabula  una  cristallina  ornata  argento  cum  figuris  san- 
ctorum circumcirca,  in  qua  a  parte  superiori,  ab  uno  latere  est 
figura  beate  Virginis,  et  ab  alia  Gabrielis  angeli. 

Tabula  una  de  ebore  in  qua  est  sculpta  passio  drd  nri 
Iha  XrT. 

Altare  portalvz  (sic)  de  diaspro  quadruni,  ornatum  argento 
aurato,  cum  figuris  evvangelistarum  circumcirca  in  quo  sunt 
littere  continentes  annum  consecrationis  et  nomina  sanctorum  in 
quorum  honorem  consecratumfuit. 

Altare  aliud  de  diaspro  ornatum  argento,  oblongum. 


//  Tesoro  della  'basilica  dì  S.  'Pietro         107 

Altare  portatile  de  lapide  serpentino  oblongtim  ornatum  ar- 
gento circnmcirca. 

Alìud  altare  portatile. 

Altare  portatile  de  lapide  serpentino  ciim  opere  tertiato  (sic) 
circnmcirca. 

[Patene  argentee  2)\. 

[Patene  de  ere  f\. 

[Calices  argentei  iii\. 

[Calices  habentes  pedes  eneos  11]. 

[f.  55-r°]  Calices. 

Calix  magnns  de  argento  deaurato  cum  pomo  in  medio, 
ciim  armìs  de  Ursinis  factis  ex  smaltis,  et  inpede  cum  plnribus 
Jìguris  sanctonim  similiter  smaltatìs,  et  cum  litteris  designan- 
tibus  nomen  domine  Ursine  que  illum  donavit  ecclesie.  Et  cum 
patena  sua  cum  smalto  in  medio  cum  figura  crucifixì  in  se- 
pulcino. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  rosis 
viridibus  et  galdis  (sic)  smaltatìs,  cum  patena  sua. 

Calix  argenteus  cum  pomo  in  medio  cum  certis  smaltis 
■  parvis  quadris,  cum  tribas  armi's  in  pede  cum  campo  albo  et 
tribus  listis  rubeis,  cum  litteris  designantibus  nomen  illius  qui 
donavit,  cum  patena  sua. 

Calix  cum  pomo  in  medio  in  quo  sunt  plures  figure  san- 
ctoruni  anneliate  (sic),  cum  armis  in  pede  cum  compassu  albo 
et  asurro  ad  undas  cum  littera  P  in  campo  rubeo,  cum  pa- 
tena sua. 

Calix  alius  cum  pomo  in  medio  cum  pluribus  figuris 
sanctorum  smaltatis,  et  cum  fuste  (sic)  smaltato  tam  supra 
pomum  quam  infra  in  modum  rosarum,  cum  patena  sua 
[smaltata]. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  quì- 
busdam  parvis  smaltis  quadris  in  quibus  sunt  littere,  cum  fuste 
similiter  supra  et  infra  pomum  similiter  smaltato  cum  argento 
perforato  circnmcirca,  cum  patena  sua. 


IO? 


E.  oMiinti  e  oA.  L.  Jrothingham 


Caììx  argenteiis  deauratus  cum  pomo  in  medio  in  quo 
sunt  pìures  figure  sanctomm  cum  figura  crucifixifacte  ex  smalto, 
et  cum  fuste  supra  et  infra  pomiim  simiìiter  smaltate  ex  colo- 
rihus  ruheis,  viridibus,  aìhis  et  gallis  (sic),  cum  patena  sua 
in  qua  sculpta  est  crux. 

Caìix  argenteus  deauratus  cum.  pomo  in  medio  cum  smaltis 
in  quibus  est  scriptum  nomen  Ihesus,  simiìiter  cum  tribus 
smaltis  in  pede  in  quibus  scriptum  est  dictum  nomen  Ihesus, 
cum  patena  sua  in  qua  designata  est  crux  in  medio. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  smaltis 
in  quibus  est  figura  crucifixi  et  beate  Virginis  et  S.  lohannis  et 
arma  in  campo  aureo  cum  quinque  balottis,  et  cum  uno  signo 
mercatoris  cum  quibusdam  litteris  in  pede,  cum  patena  sua. 
[f.  S5'^°ì  Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum 
pluribus  smaltis  in  quibus  sunt  figure  sanctorum  in  cujus  pede 
sunt  infrascripte  littere:  Martinus  de  Rova  Canonicus  saficti 
Petri,  cum  patena  sua  (i). 

Calix  argenteus  deauratus  cum  cupa  argentea,  et  pede  creo, 
cum  pomo  in  medio  cum  smaltis  de  rosis  viridibus  et  asurris, 
cum  patena  sua  argentea  deaurata. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  plu- 
ribus figuris  sanctorum  smaltatis,  et  cum  clavibus  Ro.  Ec- 
clesie, cum  tribus  smaltis  in  pede  in  quorum  uno  est  figura 
Xrì,  in  alio  beate  Virginis,  in  alio  S.  lohannis  Evvangeliste,  cum 
patena  sua. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  plu- 
ribus smaltis  cum  figuris  sanctorum,  cum  patena  sua. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  ad  fectas, 
et  cum  pede  rotundo  plano,  cum  patena  sua. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  et  figuris 
sanctorum  smaltatis,  in  cujus  parte  inferiori  pedis  sunt  arma 
de  Ursinis  et  S.  Petri,  cum  patena  sua. 


(i)    Sul   lascito   fatto    da    Martinus    de   Roa  (f    1475)    vedi   Les 
Arts  à  la  Coiir  des  Papes,  t.  Ili,  pag.  268. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro         109 

Calix  cum  cupa  argentea  et  pede  ereo  deauratus,  ciim  pomo 
in  medio  ad  fectas,  cum  patena  sua. 

Calix  argentcus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  smaìtis 
plurium  sanctorum,  in  cujtis  pede  sunt  arma  cimi  aquila  nigra 
et  certis  listis  rubeis  et  aureis  et  tribus  spicis  in  campo  rubeo, 
cum  patena  sua. 

Calix  argentus  deauratus  cum  pluribus  figuris  sanctorum 
smaltatis,  cum  pede  rotundo  et  laborato  cum  foliis,  cum  pa- 
tena sua. 

Calix  argentcus  deauratus  cum  pomo  sculpto  ad  rosas,  in 
cujus  pede  designata  est  una  crux,  cum  patena  sua. 

Calix  cum  cuppa  argentea  et  pede  ereo,  cum  pomo  smal- 
tato cum  pluribus  figuris  sanctorum,  et  sine  patena. 

Calix  cum  cuppa  argentea  et  pede  ereo,  cum  pomo  in  quo 
sunt  figure  sanctorum  smaltate  et  arma  cum  campo  rubeo  cum 
lista  nigra  Inter se[i.  ^6-r°]cata  aliis  listis  nigris;  item  alia  arma 
cum  campo  aureo  et  una  lista  rubea  per  transversum  in  qua 
sunt  tres  rose,  sine  patena. 

Calix  cum  cuppa  argentea  et  pede  ereo,  cum  pomo  in 
medio  plano  cum  armis  in  pede  imius  Cardinalis  in  campo 
gaillo  (sic)  et  listis  rubeis,  sitie  patena. 

Calix  cum  cuppa  argentea  et  pede  ereo,  cum  pomo  plano 
et  armis  Cardinalis  proxime  suprascripti,  sine  patena. 

Calix  cum  cuppa  argentea  et  pede  ereo  cum  pomo  in  nijedio 
ad  fectas. 

Calix  cum  cuppa  argentea  et  pede  ereo  deauratis,  cum  pomo 
smaltalo,  in  quibus  smaltis  est  figura  XrJ  in  sepulchro  et  ali- 
quorum  alioruin  sanctorum,  et  sine  patena. 

Calix  argentcus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  figuris 
sanctorum  smaltatis,  et  cum  tribus  smaltis  in  pede  cum  figuris 
sanctorum,  cum  patena  sua. 

Calix  argentcus  deauratus  cum  pomo  in  medio  laborato  ad 
rosas,  cum  patena  sua. 

Calix  argentcus  deauratus  cum  pomo  in  medio  laborato  ad 
rosas,  cum  patena  sua. 


Ilo 


E.  oMunt^  e  oA.  L.  Jrolhingham 


Calix  argenteus  cum  pomo  in  medio  ad  fectas,  deauratus 
solum  intra  cuppam  et  circa  pomum,  in  cujus  pede  est  scnlpta 
ima  aquila,  cimi  patena  sua. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  scuipto  ad  rosas  et 
folla,  et  cum  signo  in  summitate  cuppe,  cum  patena  sua. 

Calix  ereus  deauratus  cum  pomo  in  medio  plano. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  lahoratoad  rosas,  cum 
armis  in  pede  cum  lista  de  quadris  albis  et  asurris  in  campo 
rubeo  et  cum  stella  in  campo  asurro,  cum  patena  sua. 

Calix  argenteus  d:auratus  cum  pomo  smaltato  cum  figuris 
sanctorum  XrJ,  Beate  Marie  et  S.  lohannis. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  cum  rotundis 
anneliatìs  cum  figuris  sanctorum,  sine  patena. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  in  medio  laborato  ad 
jenestras,  cum  quatuor  smaltis  in  pede  cum  figuris  sanctorum, 
sine  patena. 

[f.  5^-v°]  Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  laborato  ad 
folla  in  quo  sunt  aliqui  smalti  parvi  cum  litteris  et  rosis,  cum 
patena  sua. 

Calix  argenteus  deauratus  cum  pomo  ad  fectas  et  cum  pede 
rupto,  sine  patena. 

Calix  cum  cupp a  argentea  et  pede  creo  deauratus,  cum  pomo 
ad  fectas,  sine  patena. 

Calix  quem  tenet  dominus  Simon  Bonadies. 

Calix  quem  tenet  Blasius  Pharao. 

Calix  quem  tenet  lulianus  Matheoli. 

Calix  cum  cappa  argentea  et  pede  creo  deauratus,  cum  patena, 
quem  tenet  dominus  Paulus. 

Calix  quem  tenet  dominus  Fabianus  Canonicus. 

Calix  quem  tenet  dominus  Georgius  Vicarius  Episcopus 
Urbevetanus  (i). 

Patene  sex.  Tres  mediocres  et  tres  parve  argentee  deaurate. 


(i)  Giorgio  della  Rovere  fu  nominato  vescovo    di    Orvieto   nel 
1476.  Ughelli,  Italia  Sac,  t.  I,  pag.  1476. 


//  Tesoro  della  'Basìlica  di  S.  dietro         iii 

Calìx  hahens  in  porno  nomen  Francisci,  in  pede  arma  Car- 
dinaìis  Senensis  {i)  et  figuram  set  Petrì,  ciun patena  sua  (2). 

Caìix  hahens  in  pomo  litteras  smaldatas  dicens:  Ihesus,  cum 
patena  sua,  quem  dedit  Cardinaìis  Rachanatensis  (3). 

Calìx  habens  pomiim  ad  fectas,  cum  patena  sua. 

Caìix  ìdahens  pomum  smaìdatum  cum  aìiquibus  Jìguris  san- 
ctorum  et  sanctarum,  cum  patena  sua. 

Caìix  ìjabens  pedem  eneum,  pomum  cum  figuris  smaìdatis, 
[et]  infra  pomum  rosas  aìbas,  cum  patena  sua. 

Caìix  Ìjabens  pomum  cum  ìitteris  Teutonicis  {/\)  que  dicunt: 
lÌKSus,  habens  ìitteras  supra  et  infra  pomum,  cum  pede  rotimdo, 
cum  patena  sua. 

[f.  57-r°]  Caìix  habens  pomum  cum  aìiquibus  smaldis  quadratis 
cum  fioribus,  cum  patena  sua. 

Caìix  cum  pomo  a  fettas  (sic)  cum  pede  rotundo  et  eneo, 
cum  patena  sua. 

Caìix  cum  pomo  habens  smaìdas  (sic)  cum  figuris  sancto- 
riim,  cum  patena  sua. 

Caìix  cum  pomo  a  fectas  (sic)  cum  pede  rotundo  et  eneo, 
cum  patena  sua. 

Caìix  cum  pomo  habens  scutos  rotundos  cum  pede  eneo,  et 
patena  sua. 

[f.  58-r^]  Reìictasive  legata  per  Nicenum  Car.  Grecum  (5). 
Icona  cum  figura   beati  Michaeìis  Archangeìi,  ornata  ar- 

(i)  Antonio  Casini  Senese,  personaggio  di  nota  fama,  adempì  a 
moltissime  ed  alte  cariche  ecclesiastiche  :  fatto  cardinale  nel  1426, 
mori  nel  1439.  Egli  era  generalmente  chiamato  «  Cardinaìis  Senensis  », 
ma  anche  «  cardinaìis  S.  Marcelli  »,    essendo  questo  il  suo  titolo. 

(2)  Le  seguenti  notizie  sono  scritte  di  altra  mano. 

(3)  Girolamo  Basso  della  Rovere,  nipote  di  Sisto  IV,  fu  da  luì 
fatto  vescovo  di  Recanati  e  poscia  cardinale  nel  1477:  egli  morì 
nel  1507.  Il  suo  magnifico  mausoleo  a  Santa  Maria  del  Popolo  è 
un  capolavoro  del  Sansovino.  Cardella,  t.  Ili,  pag.  203. 

(4)  Con  questi  s'intendevano  probabilmente  lettere  gotiche. 

(5)  Questa  lista  di  oggetti   d'arte   lasciati   dal  cardinale   Bessa- 


112 


E.  oMiinli  e  oA.  L.  Jrothingham 


genio  signato  ciim  stellis,  et  cum  sìrice  Alexandrino  a  parte 
posteriori. 

Icona  Clini  uno  sancto  armato  cani  lancea  in  manti,  ornata 
argento  scuJpto  ad  rosas  et  alia  folia. 

Icona  cum  Cristo  crucifixo  et  a  lateribus  beata  Virgìne  et 
S.  lohanne  Evvangelista,  ornata  argento  cum  litteris  grecis  et  a 
parte  posteriori  cum  cruce  argentea  cum  figura  Xr'i  et  angulis 
deargentatis. 

Icona  cum  figura  unius  sancti,  ornata  argento  signato  stellis, 
cum  sirico  Alexandrino  in  parte  posteriori. 

Ichona  in  qua  est  figura  beati  lohannis  Evvangeliste,  ornata 
argento  deaurato  cum  figuris  sanctorum  circunicirca. 

Ichona  in  qua  est  figura  beate  Virginis  in  sepukhro  cum 
sanctis  circumcirca,  ornata  argento  deaurato  cum  figuris  san- 
ctorum, quatuor  smaltatis  et  quatuor  sculptis,  ornata  in  poste- 
riori parte  damaschino  rubeo  cum  uno  flore  rubeo. 

Ichona  in  qua  est  figura  S.  lohannis  Baptiste  in  heremo, 
et  una  parassis  (sic)  in  qua  est  caput  ejtisdem  et  figura  Dei  lo- 
quentis  ad  eum,  ornata  argento  deaurato  circumcirca  cum  figu- 
ris sanctorum  circumcirca  et  rosis  et  aliis  figuris  et  foliis. 

Ichona  in  qua  sunt  similes  figure,  ornata  argento  deaurato  cum 
cruce  in  parte  superiori  et  novem  figuris  sanctorum  circumcirca. 

Ichona  in  qua  est  figura  Michaelis  Archangeli  cum  ense 
in  manu,  ornata  argento  deaurato  sculpto  ad  rosas. 

Ichona  in  qua  sunt  quatuor  figure  sanctorum  de  ebore  in 
campo  asurro,  ornata  argento  deaurato  laborato  ad  rosas. 

Ichona  in  qua  sunt  quinque  figure  de  ebore,  videìicet  figura 
Dei  in  sede,  b.  Virginis,  b.  lohannis,  b.  Petri  et  Pauli,  ornata 
argento  deaurato  laborato  ad  rosas. 

Ichona  cum  figura  unius  sancti,  ornata  argento  deaurato 
cum  quatuor  figuris  et  quatuor  rosis. 

Ichona  cum  figura  beati  Michaelis  Archangeli  integra,  or- 
nata argento  deaurato  laborato  cum  rosis  et  foliis. 

rione  è  molto  più  completa  di  quella  redatta  dal  Grimaldi  che  fu 
pubblicata  nell'opera  Les  Arts  à  la  Cour  des  Papes,  t.  II,  pag.  298. 


Il  Tesoro  della  'basilica  di  S.  Tietro         1 1 3 

[f.  58-v°]  Due  tabule  in  quibus  sunt  xxiiii  casule  in  quìhus 
sunt  figure  de  operibus  Xri  ab  anmmtiatione  usque  missionem 
Spiritus  Sancti. 

Due   tabule  de  ebore  in  quibus   est   historia  beate  Marie 
Vìrginis  et  XrT  usque  ad  ascensionem  ipsius. 
In  .una  scatula. 

Crux  argentea  deaurata  cum  crucifixo  in  medio  et  a  late- 
ribus  cum  figuris  Evvangelistarum. 

Crux  cum  crucifixo  in  medio  et  figuris  Evvangelistarum-, 
facta  cum  smalto  et  ornata  circumcirca  perlis  :  et  in  parte  po- 
steriori siniiliter  smaltata  cum  figura  b.  Marie  Virginis  in  me- 
dio et  quatuor   aliorum  sanctorum  circumcirca. 

Figura  B.  lohannis  Baptiste  argentea  et  deaurata  demon- 
strantis  agnum. 

Ichona  argentea  deaurata  cum  figura  XrT  portantis  cru- 
ceni  et  cum  figuris  B.  Virginis  et  B.  lohannis  sculptis  in  clau- 
suris  diete  icìwne,-  cum  imo  lapide  asurro  in  summitate. 

Pax  argentea  cum  armis  dui  Niceni  (i). 

Pissis  argentea  cum  armis  dui  Niceni  ad  tenendum  hostias. 

Crux  ornata  argento  deaurato,  in  qua  ab  una  parte  est 
figura  crucifixi,  ab  alia  parte  figura  B.  Virginis  cum  aliquibus 
figuris  sanctorum,  inclusa  in  una  capsula  crea  deaurata. 

Una  bulla  domini  Venetorum  super  receptionem  Niceni  ad 
nobilitatem. 

Alia  bulla  super  ujiione  Grecorum  cum  Ro:  Ecclesia. 

Due  figure  sanctorum  simul  scnlpte  de  ebore. 

Una  crux  de  lapide  diasprino  duplex,  ornata  cum  cristalUs 
et  argento  deaurato,  et  cum  pomo  in  pede  deaurato. 

Unum  doxale  prò  altare  contextum  auro  et  argento,  cum 
figura  XrT  in  medio  et  figuris  angelorum  et  aliorum  sanctorum. 
Cum  armis  Niceni  a  lateribus  cum  veluto  rubeo. 

[f.  59-r"]  Diversa  denodia. 

Navicula  Petri  cum  cruce  cristallina  cum  quatuor  vexillis 

(i)  In  margine,  di  altra  mano. 
Archivio  della  Società  romana  di  Storia  p.itria.  Voi.  VI.  8 


114 


E.  oMimti  e  oA.  L.  Jrothingham 


argenteis  cum  armis  domini  Eugenii  pape  iiii  et  ciim  quinde- 
cim  lapidibus,  videlicet  :^aphiriis  vel  coloris  :;^apbiri  et  smaragdi 
et  balasiì,  et  octo  simiìihus  lapidibus  hi  velo,  in  qua  deficiunt 
due  imagines  parve  angelorum. 

Unum  pectorale  argenteum  deauratum  smaltatntn  ab  una 
parte  cum  figuris  Evvangelistarum  et  figura  XrJ  in  medio,  et 
ab  alia  parte  simiUter  est  figura  XrJ  sculpta. 

Rosa  Martini  pape  V  in  qua  sunt  tantum  quatuor  rami 
cum  quatuor  rosis,  cum  uno  vase  cum  quatuor  pedibus  leonis 
et  cum  quatuor  smaltis  in  pedc  basis  (i). 

Bacile  argenteum  cum  armis  S.  Petri,  et  cum  bocali  etiam 
argenteo. 

Ampulle  due  cristalline  ornate  ornate  (sic)  argento.  _ 

Ampulk  alie  due  argentee  [fuenmt  fuse  prò  uno  calice  novo]. 

Scutella  una  de  cornoilha  (sic)  ornata  argento  deaurato, 
smaldis  cum  uno  cocleare  ligneo  ornato  argento. 

Coclearia  duo  argentea  parva. 

Coclear  (sic)  aliud  majus  perforatum  et  deauratum. 

Baculus  argenteus  ad  deferendum  crucem,  cum  pomo  in 
summitate  cum  armis  Cardinalis  Constantiensis. 

Pomum  unum  argenteum  prò  sinechio  (sic)  cum  quinque 
smaldis  cum  armis  Cardinalis  S.  Marcelli. 

Pomum  cristallinum  ad  incendendum  ignem  in  die  sabuati 
sancto  (sic). 

Pomum  ereum  deauratum  ad  calefitiendum  (sic)  manus. 

Corona  beate  Catherine  parvi  valoris. 

Unum  oculare  de  cristallo  ligatum  in  argento. 

Quinque  petie  corallorum. 

Agnus  dei  de  ere. 

Anulus  unus  pontificalis  cum  lapide  de  granato  (sic)  de  argento. 

Ale  due  argentee  de  angelo  tabernaculi  in  quo  est  lignum 
crucis  (2). 

(1)  Involata  nel  1527.  (Grimaldi). 

(2)  Appartenevano  ad  uno  degli  angeli  che  reggevano  la  cassa 
del  suddetto  tabernacolo  di  cui  leggesi  la  descrizione  alla  pag.  100. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  Tietro         ii5 

Turrihula. 
Turribuìnm  unum  nmgnum,  argcnteum. 
Turribuhim  aliud  mediocre,  etiam  argenteum.' 
Ttirribiilum  aliiid  parviim,  argcnteum. 
Navicella  una  argentea,  cum  cocleare  prò  incenso. 

Candelahra. 

Unum  par  candelahrorum  argenteoruni,  magnum. 

Aliud  par  candelahrorum,  mediocre,  argcnteum. 
[f.  59-v°]   Aliud  par  parvorum  candelahrorum,  argcnteum, 
cumarmis  de  Ursinis,  ad  usum  altaris  majoris,  noviter  factum. 

Aliud  par  magnum  candelahrorum,  ad  usum  etiam  altaris 
majoris. 

Aliud  par  parvum  candelahrorum  ad  usum  ecclesie. 

Mitre. 

Mitra  una  aurifrisata  cum  duohus  Xf-phi^is  in  summitate, 
cum  rosis  factis  de  perlis  in  latitudine  ipsius  mitre,  cum  vigin- 
tiquatuor  lapidihus  magnis  ante  et  retro,  ^aphiriftis,  smarag- 
dinis  et  halasinis  :  et  cum.  duodecim  similibus  lapidihus  fixis 
in  pendentihus  diete  mitre:  et  cum  deCem  campanellis  affixis 
ipsis  pendentihus  :  et  cum  multis  aliis  lapidihus  parvis,  affixis 
circumcirca  in  dieta  mitra  et  in  pendentihus  divcrsorum  co- 
lortim,  sicut  predicti  majores. 

Mitra  una  antiqua  que  fuit  S.  Catherine,  cum  figura 
Agnus  dei  in  parte  anteriori  et  qnatuor  rosis  factis  ex  perlis 
et  duohus  lapidihus  de  granato,  et  in  parte  posteriori  cum  una 
rota  in  medio  de  argento  et  figura  Agnus  dei  in  parte  supe- 
riori, et  uno  lilio  in  parte  inferiori,  et  duabus  rotis  de  perlis, 
et  cum  frisie  (sic)  circumcirca  caput  de  perlis. 

Mitra  alia  alba  cum  duabus  crucis  (sic)  de  perlis  in  parte 
anteriori,  et  duabus  in  parte  posteriori,  cum  decem  et  octo  lapidi- 
bus  divcrsorum  colorum  et  perlis  minutis  in  frisiis  diete  mitre. 

Mitra  alia  de  brochato  albo,  cum  sole  in  medio  tam  a 
parte  anteriori  quam  posteriori,  que  fuit  pape  Pauli. 


ii6 


E.  Plinti  e  od.  L.  Jrothingham 


Mitra  alia  de  damaschino  albo,  qne  fuit  Cardinalis  Spo- 
letani  (i). 

Regnum  pontificale  qiiod  fuit  pape  Martini. 
Religuiarium  ligneum  in  quo  sunt  arma  Alexandri  pape. 

[f.  ^i-r°]  Pluvialia,  dalmatice  et  alia  par  amenta  rubea. 

Pluviale  rubeum  contextum  cum  figuris  Criicifixi  et  olio- 
rum  sanctorum,  et  variis  animalibus,  videlicet  leonum  et  aqui- 
laruin,  et  cum  frisio  similiter  contexto. 

Pianeta,  dalmatica  et  tunica  (sic)  ejusdem  panni  et  operis. 

Pluviale  de  sirico  rubeo  commixto  cum  sirico  viridi,  cum 
variis.  animalibus  et  avibus  et  variis  floribus  et  cum  liliis  in 
capuano. 

Pianeta,  tunicella  et  dalmatica  ejusdem  coloris  et  operis. 
[deficit  pianeta]. 

Pluviale  rubeum  contextum  cum  figuris  aureis  animalium 
et  avium,  et  cum  diversis  arboribus. 

Pianeta,  tunicella  et  dalmatica  ejusdem  coloris  et  operis. 

Pluviale  de  veluto  carmusino  rubeo  figurato  et  cum  ba- 
stonis  (sic)  aureis  cum  quibusdam  foliis  de  sirico  viridi. 

Pianeta  ejusdem  panni  et  operis. 

Pluviale  de  damaschino  rubeo,  cum  arniis  Cardinalis 
S.  Marcelli. 

Pianeta,  tunicella  et  dalmatica  ejusdem  panni  et  coloris, 
et  cum  armis  predictis. 

Duo  (sic)  dalmatice  et  due  tunicelle  de  damaschino  rubeo 
scolorato,  cum  fimbriis  contextis  auro  ad  rosas  et  flores. 

Pluviale  contextum  auro  et  argento,  cum  figuris  sanctorum 
et  cum  frisiis  diversorum  animalium  et  avium  factis  ex  perlis. 

Pluviale  aliud  simile  proxime  precedenti. 

(i)  Berardo  o  Bernardo  Erulo  di  Narni  fatto  vescovo  di  Spo- 
leto nel  1448,  creato  cardinale  nel  1460,  e  morto  nel  1479.  Egli  fu 
sepolto  nella  Basilica  Vaticana  e  si  vedono  ancora  nelle  cripte 
frammenti  del  suo  monumento  :  cfr.  Dionisio,  Sacr.  Vat.  Bus.  cripta- 
rum  niQnmnenta,  pag.   162. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  'Pietro        117 

Pluviale  contextum  auro  cum  figuris  animaìium  et  avium 
ctitn  rosis. 

Pianeta,  tunicella,  et  dalmatica  ejusdem  panni  et   operis. 

Pluviale,  tunicella  et  dalmatica  rubea  cum  figuris  diversorum 
animaìium  in  campo  viridi,  et  figurate  cum  rosis  et  aliisfioribus, 
cum  fimhriis  contextis  auro  et  argento  cum  animalibus  et  avibus. 

Pluviale  de  veluto  rubeo  brochato  auri  cum  figuris  Cristi 
(sic)  et  S.  Thome  mittentis  manum  in  latus  Cristi. 

Pianeta,  tunicella  et  dalmatica  ejusdem  coloris  et  operis. 

Pluvialia  duo  de  veluto  carmusino  brochato  auri  cum  fi- 
guris angelorum  et  cruce. 

Pluviale  de  panno  aureo  carmusino  cum  armis  R.  d.  Car- 
dinalis  Masticonensis  (sic)  cum  capusitio  (sic), 
[f.  ^i-v°]  Pluviale  de  panno  aureo  rubeo  cum  armis  Abbatis 
Farfensis. 

Dalmatica  et  tunicella  de  raso  carmusino  que  fuerunt 
pape  Nicolai. 

Pianeta  de  panno  aureo  cum  figura  XrT  in  medio  crucis, 
et  b.  Virginis  et  S.  lohannis  Baptiste  a  lateribus. 

Dalmatica  et  tunicella  ejusdem  panni  et  coloris. 

Pluviale  rubeum  cum  ducatis  aureis. 

Pluviale  rubeum  cum  figuris  sanctorum  contextis  ex  auro 
et  cumfrisio  contexto  ad  modum  [nodi]  Salomoìtis. 

Unus  pannus  rubeus  cum  quatuor  figuris,  videlicei  B.  Vir- 
ginis et  trium  Magorum. 

Vesiis  S.  Petri  de  sirico  et  auro. 

[f.  62-r"]  Paramenta  asurrea, 

gailla  (sic),  pavvonachia  et  viridia. 

Asurrea.  —  Una  dalmatica  de  colore  celesti  contexta  cum 
figuris  aureis  et  argenteis,  que  in  una  parte  habet  figuram  dei 
et  pluriiim  aliorum  sanctorum,  in  altera  parte  similiter  habet 
figuram  XrT  sedentis  in  ihrono  cum  angelis  circumcirca  et 
cum  cruce  super  caput  ex  opere  Greco,  cum  stola. 

Scapulare  unum  similiter  contextum. 


ri! 


E.  oMiinij  e  (2A.  L.  ^rothingham 


Timicetla  et  dalmatica  de  panno  aureo  asurro  cutn  firn- 
briis  de  panno  albo  aureo. 

Pluviale  asurrum  contextum  cum  auro  et  cuni  figuris 
regum  et  angelorum. 

Gailla  (sic).  —  Pluviale  de  sirico  gaillo. 

Pianeta,  dalmatica  et  tunicella  ejusdem  coloris. 

Pluviale  gallum  (sic)  contextum.  cum  figuris  sanctorum  cum 
armis  Francie  et  Angine. 

Pavvonachia.  —  Pluviale  de  hrochato  auri  pavvonachio 
cum  armis  ecclesie  S.  Petri  [co mbustum  fuit  pluviale]. 

Pianeta,  dalmatica  et  tunicella  ejusdem  panni. 

Pluviale  de  brochato  auri  pavvonachio,  quod  donavit  Car- 
dinalis  S.  Crucis  Reatin.  cum  armis  ejusdem  (i). 

Viridia.  —  Pluviale  de  damaschino  viridi  brochato  ami 
cum  armis  d.  lacobi  de  Moncerellis. 

Pianeta,  tunicella  et  dalmatica  de  damaschino  viridi  bro- 
chato, factum  (sic)  cum  floribus  aureis. 

[f.  62-v°J  Paramenta  nigra. 

Pluviale  de  veluto  nigro  [aliud  refectum  loco  combusti]. 

Pianeta,  tunicella  et  dalmatica  ejusdem  panni  et  coloris. 
[pluviale  tantum  fuit  combustum]. 

Unum  frustum  pendati  nigri  [antiquatum]. 

Una  coperta  prò  cruce  ex  damaschino  biso  cum  f ade  Sal- 
vatoris  in  summitate. 

Unum  frisium  de  uno  pluviali  de  auro  tirato,  cum  decem 
figuris  sanctorum  et  quinque  figuris  in  colari,  videlicet  Xrlin 
medio,  et  beate  Virginis  et  S.  lohannis  Evvangeliste  ab  una  parte, 
et  S.  lohannis  Baptiste  et  Petri  ab  altera. 


(i)  Angelo  Capranica  detto  cardinale  di  Santa  Croce,  divenne 
vescovo  di  Rieti  nel  1450  o  51  :  era  celebre  per  virtù,  pietà  e  talento, 
ed  a  lui  furono  affidati  i  più  gravi  affari  della  Chiesa.  La  sua  morte 
avvenne  nell'anno  1478. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  dietro        119 


[f.  63 -r*']  Par  amenta  alba. 

Pluviale  de  hrochato  albo  cum  armis  dui  Martini  de 
Rova,  donatimi  per  ipsimi  d.  Martinum  (i). 

Pluviale  album  contextum  auro  cum  figuris  avium,  aqui- 
larum  et  leonum,  cum  frisio  rubeo  rechamato  cum  perlis. 

Pianeta  ejusdem  coloris  et  operis,  similiter  cum  frisio  ra- 
chamato  cum  perlis. 

Pianeta  alia  ejusdem  coloris  et  operis,  cum  frisio  sine 
perlis. 

Due  dalmatice  ejusdem  coloris  et  operis  [de  duobus  (sic) 
dalmaticìs  facta  fuit  una  tunicella]. 

Dalmatica  una  de  damaschino  albo  brochato  auri  cum 
figuris  papagall[orum].  / 

Tunicella  una  alba  contexta  auro  cum  figuris  papagal- 
lorum,  et  cum  fimbriis  contextis  auro  cum  figuris  papagallorum 
et  gruum. 

Pluviale  de  veluto  albo  brochato  auri  cum  figuris  Xrt  et 
S.  Thome  ponentis  manum  in  latus  Xrì. 

Pianeta,  dalmatica  et  tunicella  ejusdem  coloris  et   operis. 

Pluviale  de  damaschino  albo  brochato,  cum  captitio,  cum 
figura  assumpsionis  (sic)  bte  Marie  Vìrginis. 

Pianeta  ejusdem  panni  et  coloris  cum  figura  Xrt  in  medio 
crucis  et  duobus  angelis  a  lateribus  [fuit  combusta']. 

Dalmatica  et  tunicella  deservientes  predicte  planete,  de 
pennato  albo  ab  una  parte,  et  ab  alia  parte  de  pennato  rubeo. 

Pianeta  alba  de  damaschino  brochato  cum  mitris,  clavibus 
et  quercubus. 

Tunicella  et  dalmatica  de  damaschino  albo  quas  donavit 
papa  Paulus. 

Pluviale  album  contextum  cum  sirico  rubeo,  cum  floribus 
flavis  cum  Annuntiata  in  caputio,  et  cum  armis  unius  Episcopi 
cum  una  lista  asurra  in  campo  flavo. 

(i)  Vedi  la  nota  a  pag.  108. 


120  E.  QMu7iti  e  dA.  L.  frothingham 


Pianeta  de.  damaschino  albo  min  figura  Annuntiationis 
in  criice. 

Dalmatica  et  tmicella  ejusdem  coloris  cum  aliquibus  fio- 
ribus  aureis. 

Pluviale  de  damaschino  albo  cum  armis  unius  Episcopi, 
cum  una  lista  alba  et  tribns  stellis  aureis,  quod  donavit  d.  An- 
tonius  Marganus.  [combustiun]. 

Una  dalmatica  et  una  tunicella  prò  episcopis  celebrantibus, 
albe  in  una  parte  et  rubee  in  alia. 
[f.  6y\°~\  [Pluvialia  facta  post  suprascriptum  inventarium.] 

Pluviale  album  de  damaschino,  inbrochatum  auro. 

[f.  ^4-r°]  Stole  et  manipuli. 

Stola  de  panno  aureo  cum  octo  figuris  sanctorum,  cum  ta- 
bernaculis  super  capita  ipsarum  figurarum. 

Stola  aurea  cum  XII  figuris  sanctorum,  cum  tabernaculis 
super  capita  illarum,  ex  sirico  viridi. 

Stola  contexta  ex  auro  et  sirico  gaillo  cum  frangis  (sic) 
viridibus  et  tribus  crucibus  rubeis. 

Stola  cmn  liliis  et  leonibus  aureis,  ornata  cum  perlis.  Ma- 
nipulus  similis. 

Stola  de  damaschino  albo  brochato  auri  cum  fiocchis  et 
frangiis  ex  sirico  de  gratta  et  auro,  cum  una  cruce  in  qua 
fuerunt  perle. 

Stola  pontificalis  ex  damaschino  carmusino,  rechamata  ex 
floribus  et  rosis  auri,  cum  una  cruce  de  perlis  et  quatuor  rosis 
similiter  de  perlis  et  duobus  Agnus  dei  similiter  de  perlis. 

Stola  viridis  cum  figuris  sanctorum  contextis  ex  auro  et 
sirico,  cum  frangiis  rubeis,  albis,  viridibus  et  gaillis  (sic). 

Stola  antiqua  cum  figuris  sanctorum  contextis  ex  sirico,  cum 
tabernaculis  super  capita  ipsarum  rubeis  et  viridibus. 

Stola  antiqua  contexta  auro  cum  figuris  decem  sanctorum 
contextis  ex  sirico,  foderata  sirico  gaillo  per  totum. 

Stola  de  cambelotto  (sic)  albo  cum  frangiis  asurris.  Ma- 
nipulus  de  simili  patino. 


Il  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro        121 

Manipulus  rubeus  ex  panno  aureo  citm  figuris  cervorum 
factis  ex  auro. 

Ma?iipHlus  de  sirico  pìurium  coìorum  cum  crucibus  argenteis. 
[f.  ^4-v°]  Camisus  de  cortina  cum  amictu  de  simili  panno, 
et  cum  fimbriis  ante  et  post  ex  damaschino  carmusino  brochato 
auri. 

Unus  amictus  de  veluto  carmusino  cum  perìis  et  cum  aìi- 
quibus  rotundis  de  argento  in  quibus  est  scuìpta  corona. 

Ornamentum  prò  uno  amictu,  nigrum  cum  rosis  de  perìis 
minutis. 

Frisium  unius  amidi  rechamati  et  cum  septem  figuris,  vi- 
delicet  Dei  in  medio,  et  a  latere  dextro  beate  Virghiis  et  apo- 
stolorum  Petri  et  Pauli,  a  sinistro  S.  lohannis  Evvangeìistc, 
lohannis  Baptiste  et  lacobi,  cum  frisiis  de  perìis  circiimcirca, 

Frisium  unius  amidi  quod  ftiit  destructmn  ut  ex  perìis  que 
erant  in  eo  fieret  mitra. 

Cinguìum  rubeum  pontificale  cum  flocclns  ex  sirico  rubeo 
et  botonibus  aureis. 

Cinguìum  rubeum  cum  floccìjis  ex  auro  et  sirico  rubeo. 

[f.  6yf\  Capse  corporaìium. 

Capsa  de  veìuto  carmusino  prò  corporaìibus,  in  qua  ab  una 
parte  est  nomen  Ihesus  cum  radiis  ad  modum  soìis,  ab  aìia 
parte  est  una  crux  cum  quatuor  flocchis  cum  perìis. 

Capsa  de  damaschiino  aìbo  brocloato  cum  uno  flore  aureo 
in  medio,  cum  quatuor  floccìns  de  sirico  de  grano  (sic)  et 
auro. 

Capsa  contexta  ex  auro  et  sirico  cum  figuris  Agnus  dei 
aureis,  et  cum  nomine  lìjesus  cum  radiis  soìaribus. 

Capsa  contexta  ex  auro  cum  figura  Dei  Patris,  cum  muìtis 
crucifixis. 

Capsa  antiqua  contexta  auro  cum  figura  S.  Pauìi  in  medio, 
et  quatuor  rosis  in  quibus  fuerunt  oìim  perìe. 

Capsa  contexta  ex  auro  cum-  pietate  in  medio,  cum  armis 
Cardinaìis  de  Ursinis. 


122 


E.  QMimi-{  e  oA.  L.  Jrothingham 


Capsa  córporalis  alba  cum  qtiatuor  jìoribus  aiiri  et  cruce 
aurea  in  medio,  cum  frangiis  viridibus  circiimcirca. 

Ornamentum  sive  capsa  córporalis  in  quo,  ab  una  parte 
est  figura  crucifixi,  B.  Marie  Virginis,  S.  lohannis  Evvange- 
liste  rechaniato  auro  et  argento,  ab  alia  parte  figura  Dei  et 
beate  Virginis  stantis  in  throno,  rechaniatuni  auro  et  argento 
et  sirico  et  cum  perìis. 

Ornamentum  sive  capsa  córporalis  in  quo,  ab  una  parte 
est  crux  cum  4^^  figuris  sanctorum  circumcirca,  videlicet  Au- 
gustini,  Iheronimi,  Anthonii,  etc,  ab  alia  parte  est  nomen  Ihesus 
de  perìis,  ornatum  per  totum  cum  perìis  et  rosis  smaìtatis  et 
aliis  floribus  de  sirico. 

Ornamentum  simile  contextum  auro  et  argento,  cum  aquilis 
nigris  et  leonibus  rubeis  et  quibusdam  quadris  cum  ìistis  rubeis 
et  albis. 

Ornamentum  simile  in  quo  est  figura  Dei  sedentis  in  tìorono 
cum  quatuor  angelìs  circumcirca,  rechamatum  auro  et  ar- 
gento. 

Ornamentum  simile  in  quo  est  figura  beate  Virginis,  cum 
Xró  in  bracìjio  et  cum  angeìis  circumcirca,  sedentis  in  tìorono 
et  allieta  soie,  similiter  rechamatum  auro  et  sirico. 

Ornamentum  simile  in  tribus  petiis,  in  quorum  uno  est  figura 
crucifixi  cum  figura  beate  Virginis  et  S.  lohannis,  in  alio  est 
figura  Xrt  cum  litteris  :  Ego  sum  lux  mundi;  in  alio  est  figura 
b.  Virsìnis  cum  Xró  in  bracino. 


[f.  6y\°'\  Gremiaìia. 

Gremiale  album  cum  duobus  grifonibus  et  quatuor  rosis  et 
cum  litteris  aureis:  Ave  Maria. 

Gremiale  album  cum  rosis  rubeis  et  cum  aliquibus  anima- 
libtis  cum  diversis  armis. 

Gremiale  album  cum  armis  Niceni. 

Gremiale  aliud  simile  etiam  cum  armis  Niceni. 

Gremiale  album  cum  rethibus  a  lateribus  et  frangiis  albis 
et  bisis  (sic). 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  T*ieiro        i23 

Grcmiale  album  contextum  auro  a  lateribus  et  sirico  vi- 
ridi, cum  frangiis  albis  et  rnbeis. 

Gremiale  album  cum  sex  texturis  de  sirico  et  auro,  cum 
frangiis  asurris  et  rtibeis. 

Gremiale  antiquum  contextum  ad  modum  rethis,  cum  cru- 
cibus  nigris. 

Gremiale  de  ortica  cum  texturis  ex  auro  et  sirico  viridi 
in  angulis,  cum  una  figura  leonis  in  medio  et  quatuor  aliis 
figuris  avium. 

Gremiale  de  veluto  carmusino  figurato  ad  fior  es  cum  frangiis 
rubeis  albis  et  celestis  (sic). 

Ttielle  (sic). 

Tuella  (sic)  una  de  serico  rubeo  cum  listis  diversorum  co- 
loruni,  ad  serviendum  Pontifici  prò  mitra. 

Tuella  una  de  renaci  prò  paranda  mense  (sic)  quando  Epi- 
scopus  celebrat.  Et  quatuor  tuelle  parve  ad  tergendum  nianus 
quando  lavat. 

Tuella  de  sirico  cum  listis  albis  rubeis  et  viridibus  cum 
sex  crucibus  nigris. 

Tuella  de  sirico  laborata  cum  roseis  viridibus,  rubeis,  asurris 
et  cum  variis  animalibus,  videlìcet  pavonibus  et  leonibus  et  cum 
stellis  aureis  et  asurris. 

Tuella  contexta  auro  et  argento  cum  listis  rubeis  de  sirico 
rubeo. 

Pannicellus  de  x^ennato  rubeo  cum  tribus  flocchis  de  perlis. 

Quatuordecim  petie  pannicellorum  et  tuellarum  et  vimpa- 
rum  diversorum  colorum, 

[f.  66-1°]  Capitalia. 

Duo  capitalia  de  veluto  asurio  (sic). 

Capitalia  duo  de  veluto  rubeo  figurato  cum  fioribus  albis 
et  viridibus,  que  fuerunt  Cardinalis  Spoletani. 

Duo  capitalia  de  veluto  pavena^io  (sic),  que  fuerunt  pape 
Pauli. 


124 


E.  oMimti  e  qA.  L.  Jrothinghatn 


Capitalia  duo  de  raso  car musino. 
Capitale  de  veluto  car?nusino. 
Capitale  de  raso  carmusino,  antiquum. 
Capitale  album  cum  rosis  vìridibiis  rubeis  et  pavonaxiis. 
Capitalia  duo  rubea  cum  figuris  avium  factis  ex  auro,  et 
cum  trunsis  (sic)  arborum  aureis  et  rosis  aureis,  albis  et  asurris. 

Fimbrie. 

Fimbrie  due  albe  cum  figuris  grifonum  aureis. 

Fimbria  una  rubea  contexta  auro  cum  papagallibus  (sic). 

Fimbria  contexta  auro  cum  figuris  annuntiationis  et  visi- 
tationis. 

Fimbria  alia  similis  cum  figura  nativitatis  et  adorationis 
trium  magorum. 

Fimbria  antiqua  rubea  cum  figura  leonis  et  aquile  ex  auro. 

[f.  ^6-v°]  Doxalia. 

Boxale  prò  altare  contextum  auro  cum  figuris  decem,  vi- 
delicet  Xr'i,  beate  Marie  Virginis,  beati  lohannis  Evvangeliste, 
B.  Petri,  B.  Zenobii,  S.  Marie  Magdalene,  S.  lohannis  Bap- 
tiste,  S.  Aìidree,  S.  Nicholai  et  S.  Catherine,  cumfrisio  cir- 
cumcirca  celesti  contexto  auro. 

Boxale  contestum  (sic)  auro  cum  novem figuris,  videlicet  beate 
Marie  Virginis  in  medio,  B.  lohannis  Baptiste,  B.  lohannis 
Evvangeliste,  S.  Francisci  et  Silvestri  a  parte  dextra,  sancto- 
rum  Petri,  Pauli,  Anthonii,  Nicolai  a  parte  sinistra,  cumfim- 
briis  contextis  ex  auro  et  perlis. 

Boxale  de  veluto  ruheo  cum  figuris  contextis  auro,  videlicet 
Xrt  et  beate  Virginis  in  medio,  S.  Petri,  Laurentii,  Bartho- 
lomei,  lohajinis  Evvangeliste,  Bavid  ex  parte  dextra  :  Pauli, 
Philippi,  lohannis  Baptiste,  Catherine  et  lacobi  ex  parte  sinistra. 

Boxale  magnum  contextum  auro  cum  figuris  Xrt  crucifixi 
in  parte  superiori,  et  figura  Xrt  sedentis  in  parte  inferiori,  et 
cum  aliis  diversis  figuris  et  historiis. 

Boxale  de  veluto  viridi  quod  fecit  Petrus  de  Summa,  cum 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  Tielro         126 

uno  frontale  de  veluto  nigro  cum  frangia  viridi,  et  una  tuelìa 
de  renxa. 

Frontale  contextum  auro,  antiquum,  cum  Ustoria  passionis 
XrL 

Frontale  cum  pluribus  figuris  sanctorum,  cum  frangiis  vi- 
ridibus. 

Frontale  de  veìuto  ruheo  factum  ad  tahernacula  cum  perlis. 
[f.  ^8-r°]  Unum  par  sirothecarnm  (sic)  cumfrisio  contexto  auro 
cum  duabus  rosis  de  argento  deaurato  et  smaltato. 

Sotularia  pontificis  de  sirico  asurro  et  auro  cum  coronis. 

Unum  par  sotularium  de  panno  albo  cum  fitutia  (sic)  aurea. 

Unum  par  sandalorum  de  brochato  albo  cum  armis  pape 
Nicolai. 

Unum  par  sandalorum  de  damaschiìio  brochato  auro  cum 
fioribus  albis. 

Unum  par  sandalorum  ex  damaschino  albo  brochato  qui- 
busdam  rosis  aureis. 

Frisia  duo  prò  sirothecis  contexta  auro  et  argento,  cum 
armis  de  Ursinis. 

Par  cirothecarum  pontificalium  cum  frisio  contexto  auro  et 
argento  ex  sirico  ad  rosas. 

[f.  68-v°]  Tappetta  (sic). 

Tapettum  (sic)  magnum  de  quatuor  compassibus  cum  qua- 
tuor  rosis,  et  cum  frisio  circumcirca  albo  ad  modum  nodi  Sa- 
lomonis. 

Tapettum  magnum  contextum  cum  lana  viridi  obscura  cum 
rosis,  et  cum  frisio  circumcirca  albo. 

Tapettum  rubeum  cum  ima  rosa  in  medio  magna  et  qua- 
tuor rosis  aliis  (sic)  parvis  circumcirca  et  cum  spicis. 

Tapettum  parvum  cum  uno  compassa  rubeo  cum  aliquibus 
listis  nigris,  et  cum  frisio  albo  et  nigro  circumcirca. 

Figura  beate  Virginis  pietà  in  panno  lineo  albo. 

Due  sedes  pontificales  de  ferro. 


126 


E.  oMuntj  e  oA.  L.  Jrothingham 


Baìdechini  (sic). 

Baldechinum  (sic)  de  brochatello  cum  armis  Caìixti  et  regis 
Angìie. 

Baldechinum  album  cum  armis  Pii  et  communitatis  Senensìs. 

Baldechinum  de  hrochato  albo  cum  sctó  Bernardino. 

Baldechinum  de  brochato  albo  cum  S.  Vincentio  et  armis 
Calixti. 

Baldechinum  album  cum  floribus  et  rosis,  cum  armis  Eu- 
genii  et  S.  Nicolao  d:  Tollentino  (sic). 

Panni  duo  de  ra:;^^  cum  armis  Niceni  cum  uno  fonte  in 
medio. 

Duo  aia  patini  rubei  cum  armis  ejusdem  Niceni. 

[f.  ^9-r'']  Palia  magna. 

Palium  martirum. 

Palium  Constantini  Imperatoris  contextum  auro  et  argento. 

Palium  Eugenii  pontifcis  brochatum  auro  cum  arboribus 
datiulorum. 

Palium  Nicolai  pontificis. 

Palium  Calixti  pontificis. 

Palium  Pii  pontificis.     , 

Palium  Pauli  2  pontificis. 

Palium  Regis  Ferdinandi. 

Palium  Cardinalis  de  Ursinis. 

Palium  Cardinalis  Spoletani. 

Palium  Abbatis  Farfensis. 

Palium  Cardinalis  Constantiensis. 

Palium  prefecti  Urbis. 

Palium  Cardinalis  de  Ursinis  antiquum. 

Palium  Magistri  de  Rhodo. 

Palium  Cardinalis  de  Cesarinis. 

Palium  cum  armis  cum  quinque  stellis  rubeis  in  campo  albo. 

Palium  de  brochatello  cum  armis  Vicecancellarii  nepotis 
Eugenii. 


//  Tesoro  della  'basilica  di  S.  Ttetro         127 

Paliiim  de  brochatello  asurro  cum  armis  de  Cossa. 

Palium  Cardìnalis  de  Calvis. 

Paììum  de  brochatello  asurro  cum  armis  cum  scachis  albis 
et  asurris  cum  una  stella. 

Palium  de  brochatello  cum  armis  Micinensis  Cardìnalis. 

Palium  (de)  brochatello  asurro  cum  armis  unius  Cardi- 
nalis  cum  duabus  crucibus  rubeis. 

Palium  de  brochatello  Cardìnalis  De  la  Porta. 

Palium  antiquum  cum  armis  de  Cesarinis. 

Palium  de  brochato  aurì  pavvena'^io  (sic)  cum  fimbriìs 
circumcìrca  de  raso  cel estro  (sic). 

Palium  pontificale  album  cum  listis  aureis. 

Palium  de  sirico  cum  listis  aureis  quod  (sic)  solent  uti 
pontifices  quando  celebrat  (sic). 

[f.  6^-\°]  Palium  de  panno  aureo  ad  listas  aureas,  virìdes  et 
asurras  cum  lista  circumcirca  de  pennato  rubeo. 

Valium  aliiid  simile. 

Palium  de  panno  aureo  albo  cum  figuris  aquilarum,  cum 
duabus  listis,  una  de  ::^ennato  rubeo  et  alia  de  :^ennato  gaillo 
circumcirca. 

Palium  de  sirico  celesti  cum  avìbus  et  floribus,  cum  duabus 
listis  de  :(ennato,  una  gailla  et  alia  rubea  circumcirca. 

Palium  rubeum  deauratum  cum  figuris  dragonum,  cum 
duabus  listis  de  :[emiato,  una  gailla  et  alia  rubea  circumcirca. 

Palium  de  veluto  pavvona:^io  in  medio,  cum  quatuor  listis 
circumcirca,  duabus  de  ::;ennato  rubeo  et  duabus  de  pennato  gaillo. 

Palium  asurrum  cum  quadris  aureis,  cum  quatuor  listis 
circumcirca,  duabus  rubeis  et  duabus  gaillìs. 

Palium  nigrum,  in  medio  cum  quatuor  listis  gaillìs  circum-  - 
circa. 

Palium  de  brochato  rubeo  cum  rosis,  cum  quatuor  listis. 
duabus  gaillìs  et  duabus  pavvenatiìs. 

[f.  70-r°]  Antiqua  ornamenta 

Duodecim  tunìcelle  rubee  de  sirico,  antique. 


12? 


E.  oMiinti  e  (lA.  L.  Jrothingìiam 


Odo  dalmatice  rnbee  de  sirice,  etiam  antique. 

Septem  tunicelle  virides  de  sirico,  antique. 

Octo  dalmatice  virides  etiam  de  sirico,  antique. 

Una  tunicdla  et  una  dalmatica  gaille,  antique. 

Sex  tunicelle  albe  de  sirico,  antique. 

Septem  dalmatice  albe  de  sirico,  antique.. 

Novem  pluvialia  diversornm  colorum,  antiqua  et  consumpta. 

Una  pianeta  viridis  antiqua  et  consumpta. 

Pianeta  asurra  cum  auro,  consumpta. 

Unum  sinichium  antiquum  et  consumptum. 

Unum  sinichium  ad  usum  processionis  de  sirico  gaillo  et 
rubeo. 

Unum  pluviale  rubeum  cum  figuris  sanctorum  et  leonibus 
et  floribus,  antiquum. 

Una  cortina  de  x^nnato  viridi,  antiqua. 

Palium  de  pennato  cum  lilijs  et  quadris  albis  et  listis  asur- 
ris  et  gaillis. 

[f.  7i-r°]   [Omissis.  —  Libri]. 

[f.  84- v°]  [Calix  habens  in  pomo  nomen  Francisci  in  pedede 
(sic)  arma  Cardinalis  Senensis  et  figuram  S.  Petri  cum  pa- 
tena sua. 

Calix  habens  in  pomo  litteras  Ihesus  cum  patena  sua. 

Calix  habens  pomum  ad  fettas  cum  patena  sua. 

I  sacula  reputa  multis  rutturis  (brani  rotti)], 
[f.  a-r'']  Pallium  Constantini  in  forma  crucis,  aureum  ac  ra- 
camatum  (i). 

Pallium  Eugenii     pontificis. 
))       Nicolai  V       » 
»       Calixti  » 

»       Pii  II  » 

))       Pauli  II         » 
»       Sixti  UH        » 


(i)  Q.uest' inventario  dei  pallii  trovasi,  come  abbiamo  notato  alla 
pag.  99,  separato  dall'inventario  del  1489  ed  al  principio  del  codice. 


//  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  'Pietro         129 


Pallium  Innocentii  Vili  pontìficiis. 

)) 

Alexmidri  VI          » 

» 

Pii  III                    » 

» 

Cardinalìs  Ursinomm. 

)) 

»         Spoletani. 

» 

)>         Mantuani. 

» 

»         Aragonie. 

n 

Ardicini  Cardinalis  Della  Porta. 

)) 

Cardinalìs  sci  Dionysii. 

)) 

»          Mutinensìs. 

» 

»          Perusini. 

» 

n          sce  Praxedis. 

n 

»          set  Petri  ad  v'incula. 

)) 

»          su  Sabine. 

» 

))          Segurbiensis. 

» 

Regis  Aragonie  (i). 

» 

Cardinalis  Constantiensis. 

» 

Prefecti  Urbis. 

» 

Magnifici  Roberti  [Malatesta]  (2). 

Palliotta. 

Palliottum  in  campo  violaceo  ciim  armis  Sixti  Pontificis 
cimi  floronibus  (sic)  aureis  ciim  balzana  viridi. 

}  Palliotta  tria  in  campo  rubeo  cani  floribus  aureis  cum 
balzana  viridi,  omnia  cum  armis  Alexandri. 

[f.  a-v°]  Pallia  antiqua. 

Pallimn  Cardinalis  Cesarini  antiqunm. 

»  »         della  Porta      » 

»       Magri  de  Rhodis  antiquum  cum  armis  habentibus 
cruces  duas  et  bar  ras  ex  rubeo  et  croceo  color[ibus]. 
Pallium  antiquum  cum  armis  Cardinalis  Ursinomm. 

(i)  Cancellato. 

(2)  Nel  margine  è  scritto:  «  lita  sunt  Pallia  magna  htijiis  Inventarii 
in  pergamena  et  in  papiro  sub  anno  148C}.  —  Omnes  ce  bracato  ». 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  9 


i3o  is.  oMunti  e  oA.  L.  Jrothingham 


[f.  b-r°]  Baìdacchìna. 

Baìdacchinum  in  damasco  albo  ciiin  floronibus  atireis  cuvi 
armis  Ecclesìe. 

Baìdacchinum  damascììì  aìbì  sìne  floronibus  cum  armis 
Ecclesìe  sacrosancte. 

Baìdaccìjìnum  de  broccato  Regis  Aragonìe. 

Baldaccìììnum  ex  damasco  albo  cum  floronibus  aureis 
[cum  armis  CarJ'^  Ursinoriini]  (i). 

[f.  b-v°]  Paramenta  alba. 

Pianeta  brocchatì  albi,  pluviale,  dalmatica  et  tunicella  Pape 
Nicolai  V,  cum  figuris  set  Tìmme. 

Pianeta,  pluviale,  dìalmatìca,  tunicella  ex  opere  vermicu- 
lato  aurato  cum  griphis  in  albo,  pianeta  tamen  et  pluviale 
cum  perlìs. 

Pianeta  alia  alba  cum  avìbus  et  griphis  ex  opere  simili 
vermiculato  aureo  et  tunicella:  dieta  pianeta  h  ab  et  natìvitatem 
domìni  in  friso. 

Pianeta  CarJ^^  S.  Sabine  ex  auro  in  albo. 

Dìalmatìca  et  tunicella  alie  ex  damasco  albo,  episcopales. 

Dìalmatìca  et  tunicella  alle  ex  serico  albo  subtìlì,  etiam 
episcopales,  intus  vero  sunt  ex  rubeo. 

Pluviale  ex  ciatubellotto  albo  cum  capputìo  consuto. 

Dìalmatìca  una  ex  damasco  albo. 

Dìalmatìca  una  cum  avìbus  ex  auro  basso  in  albo. 

Pianeta  Syxti  4,  pluviale,  dìalmatìca  et  tunicella,  omnes 
cum  armis  Syxtì  ex  broccato  in  albo. 

[Desimi  pluvìalia  ^  alba]. 

Pluviale  attrìtum  et  antìquum  cum  crucìbus  albìs  in  rubeo, 
cum  armis  diWrum  Coìumnensìum  et  Comìtum. 

[f.  c-r°]  Paramenta  rubea. 

Pianeta,  pluviale,  dìalmatìca,  tunicella  brocchatì  in  rubeo 
Car.^^^  Poriugallensìs  cum  duabus  stoìis  et  trìbus  manìpulìs. 

(i)  Cancellato' 


Il  Tesoro  della  'Basilica  di  S.  dietro         i3i 

Pianeta,  pluviale,  dìalmatìca  et  tnnicella  Nicolai  quinti  broc- 
chati  ritbei  cuin  figurìs  set  Thovie. 

Pianeta,  dialmatica,  tunicella  Regine  Cyprie  ex  hrocchato 
in  ruheo. 

Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  rasi  rubei  cmn  frisis  aureis. 

Pianeta  alia,  dialmatica  et  tunicella  rasi  rubei  ubi  est  in 
friso  figura  beate  Virginis  Marie  assumpte  in  celum. 

Pianeta  ex  velluto  rubeo  cuni  armis  Cardinalis  Bononiensis 
de  Calandrinis. 

Pianeta  alia  ex  velluto  rubeo  cum  armis  CarJ'^  Ursinorum 
et  baculis  pampinis  aureis  involuiis. 

Pluviale  etiam  ex  velluto  rubeo  cum  baculis  pampinis  ex 
auro  involuiis. 

Pluvialia  etiam  ex  velluto  rubeo  cum  angelis  ex  auro 
crucem  portantibus. 

Pluviale  Sixti  iiii  brocchati  rubei  cum  armis  ejusdem. 

Pluviale  brocchati  in  rubeo  ex  auro  cum  armis  Ecclesie. 

Pluviale  brocchati  rubei  cum  armis  Car}'^  Matisconensis. 

Pluviale  brocchati  rubei  cum  armis  Abbatis  Farfensis  de 
Ursinis. 

Pluvialia  quattuor  \_rasi  rubei]  damaschi  rubei,  duo  ex  ipsis 
ex  damascho  rubeo  obscuro  et  duo  [elafi]  ex  damasco  claro{i). 

Pianeta  ex  damasco  rubeo  cum  S.  Petro  existente  in  navi- 
cula  in  friso  aureo. 

Pianeta  ex  damasco  rubeo  minuto  cum  dialmatica  et  tuni- 
cella ex  rubeo  subtili. 

[f.  c-v°]  Rubea  paramenta. 

Dialmatice  due  et  due  alle  tunicelle  omnes  rubee. 
Pianeta  brocchati  bassi  in  rubeo  cum  frisio  aureo  et  pernis 
(sic),  ohm  Demetrii. 

Tunicella  et  dalmatica  ex  raso  rubeo  attrite. 

Pluviale  cum  ducatis  in  velluto  rubeo  et  cum  frisio  cumperlis. 

(i)  Le  parole  tra  parentesi  furono  cancellate  da  altra  mano  e  le 
seguenti  vi  furono  sostituite. 


i32  E.  oMiinii  e  oA.  L.  Jrolhingham 

Pianeta,  dialmatica  et  tunicella  cuni  wmginibus  angeìornm 
ex  auro  basso. 

Pianeta,  pluviale,  dialmatica  et  tunicella  cnm  cervis  et  avibus 
ex  auro  et  arboribus  ex  serico. 

Pluviale  cuni  liliis  in  cappuccio  {sic),  et  dialmatica  et  tu- 
nicella cnm  avibus  et  cervis  ex  serico  rubeo  in  campo  viridi. 

[f.  d-r"]  Paranmtta  violacea. 

Pianeta  Car.''^  Montis  Regalis  cnm  dalmatica  et  tunicella 
et  pluviali  tantum  cum  armis  Ecclesia. 

Pianeta  violacea  cum  floronibus  aureis  ubi  est  in  finz  frisi 
imago  set  Augustiìii.  Pluviale  cum  armis  Car.^^^  Capranicensis 
cum  dalmatica  et  tunicella  cum  floronibus  aureis,  omnia  violacea. 

Pianeta  vialacea  (sic)  cum  armis  Nicolai  Boneventure. 

Dialmatica  cum  avibus  et  leonibns  ex  auro  in  serico  ce- 
lestis  coloris,  antiqua. 

Paramenta  viridia. 

Pianeta  cum  pluviali  cum  armis  \et']  cum  enoforis  tribus 
cum  dialmatica  et  tunicella,  omnes  [su?it]  ex  damascho  viridi 
cum  floronibus  aureis. 

Pianeta  alia  ex  damascho  viridi  cum  avibus  magnis  et 
cum  beata  Fìrgine  existente  in  friso  tenente  dominum  parvulum 
fascibus  cinctum,  cum  dialmatica  et  tunicella. 

Alia  pianeta  ex  damasco  viridi  habens  quadrupedes  in  friso 
habens  etiam  imagìnem  beati  Baptiste,  Imentem  agnum  (sic)  dei, 
cum  tunicella  et  dialmatica  in  viridi  raso. 

Duo  alia  pluvialia  ex  damasco  viridi  [attrital  (i). 

(i)  Questa  voce  è  stata  corretta  da  altra  mano  in    «  antiqua  ». 


Il  Tesoro  della  basilica  di  S.  'Pietro        1 33 


APPENDICE 


I. 

Crediamo  opportuno  aggiungere  alcune  notizie  tratte  dal  citato 
Martirolo^^ìo  ossia  Libro  dei  Benefattori  della  Basilica,  che  ci  danno 
importanti  schiarimenti  intorno  a  varie  opere  d'arte  ricordate  negli 
inventarli  precedenti. 

Ognuno  avrà  ammirato,  nel  leggere  l'inventario  del  1361,  il  nu- 
mero e  la  ricchezza  dei  doni  della  casa  reale  di  Ungheria  dovuti 
quasi  tutti  ad  una  regina  di  cui  si  taceva  il  nome:  in  una  nota  alla 
pag.  SI  accennammo  che  questi  dovevano  attribuirsi  alla  dinastia 
d'Angiò,  ma  ultimamente  una  notizia  del  Libro  dei  Benefattori  (f.  1 5  i-v") 
ci  permette  di  precisare  quasi  con  certezza  che  l'illustre  benefattrice 
fosse  la  Regina  Elisabetta.  Ecco  intanto  il  passo: 

Quarto  decimo  Mas  Octobris.  In  nomine  Dui  amen.  Anno  Dni  M" 
trecentesimo  qiiatragesimo  quinto,  pontificat.  dni  C[lementis]  pape  VI  In- 
dictione  XIIII  mens.  Septetnhris  die  XVIII.  Obiit  bone  memorie  dns  Andreas 
Jerusalem  et  Sicilie  Rex,  ftlitis  bone  memorie  diti  Karoli  regis  Ungarie:  cui 
dni  ifgis  Andree  mater,  videlicet  dna  Helysabeth  consors  relieta  dicti  dni 
Regis  Ungarie  et  filia  bone  memorie  dni  Ladisìay  regis  Polonie,  veniens 
ad  urbem  ante  mortem  dicti  dni  Regis  Andree  fìlii  sui,  donavit  nostre  Ba- 
silice  unum  pulcerrimum  calicem  de  auro  puro  viultis  pretiosis  lapidibus 
et  margaì-itis  ornatum,  et  unam  tabnlam  depictam  cum  figura  unius 
Angeli  auro,  argento,  gemniis  et  margaritis  mirifice  ornatam,  et  insuper 
largissima  reginali  clementia  donavit  prò  helymosina  cationicis  beneficiatis 
et  clericis  ipsius  basilice  in  uno  siffo  (sic)  de  argento  sexcentos  florenos 
auri,  et  multa  alia  jocalia  clementia  reginali  donavit.  Fiat  anniversa- 
rium,  etc. 

Negli  inventari  del  1456,  1454  e  1489  troviamo  descritte  con  mag- 
giori o  minori  particolari  tre  preziosissime  immagini  di  S.  Pietro  di 
argento  dorato  (pagg.  52,  88  e  104):  ora,  il  Libro  dei  Benefattori  (f.  125) 
c'insegna  che  queste  immagini  erano  di  un'antichità  assai  maggiore, 
poiché  nell'anno  1378  furono  dagli  esecutori  del  cardinale  Tibaldeschi 
restituite  ai  canonici,  i  quali  le  avevano  messe  in  pegno  per  trecento 
fiorini.  Q.uesto  passo  riveste  anche  speciale  importanza  per  le  vicis- 


E.  zMunt\  e  Q/1.  L.  Jrothingham 


situdinì  del  Tesoro,  che  in  quei  giorni  versava  in  grande  pericolo, 
a  cagione  dei  debiti  del  Capitolo. 

In  nomine.  Dui  Amen.  Anno  nativitatis  Dui  MCCCLXXVIII°  mense 
Sept.  die   VI.  Ohiit  hone  memorie  reverendi ssimus  pater  et  diis  dus  Fran- 

ciscus  de  Thebaldescis,    tit.   Scé   Sabine  presbiter  card Item  qnia 

propter  scisma  noviter  exortum  in  Ecclesia  Dei  nostra  Basilica  erat,  prout 
est,  in  magnis  debitis  constitiita;  ideo  mannaliter  dicti  dui  execntores  sol- 
veruni  prò  distribntionibus  sepiem  mensium  canonicis,  beneficiatis,  et  cle- 
ricis  dno  inillia  florenornm.  Item  recolligerunt  nostre  Basilice  tres  ymagines 

de  argento  deaurato  ponderis (in  bianco),  duas  videlicet  ad  figuram 

sancii  Apostoli  Petri  cum  regno  in  capite,  aliavi  sine  regno,  aliam  ad  figuram 
Sci  Giorgii,  que  per  Capitulum  pignorate  fuerunt  prò  defensione  Romane 
Ecclesie  prò  trecentis  florenis,  quas  nobis  et  nostre  Basilice  sine  solutione 
aliqna  tradiderunt,  etc. 

II. 

Lettere  inedite  di  Giacomo  Grimaldi 
al  cardinale  Federigo  Borromeo. 

Non  potremmo  terminare  più  felicemente  questa  raccolta  di  ma- 
teriali intorno  al  Tesoro  della  Basilica  di  S.  Pietro  che  col  dare 
alcune  lettere,  fin'ora  inedite,  mandate  a  Federigo  Borromeo  da  Gia- 
como Grimaldi,  dal  1618  al  1622,  e  che  riguardano  dei  codici*o  dei 
disegni  i  quali  fanno  parte  della  medesima  collezione.  Il  nome  del 
Grimaldi  è  indissolubilmente  unito  a  quello  della  venerabile  Basi- 
lica, e  queste  lettere  dell'archeologo  romano  oltre  a  dare  maggior- 
mente in  evidenza  le  relazioni  di  lui  coli' illustre  prelato  milanese, 
ci  adducono  alcune  particolarità  utili  a  completare  le  ricerche  che 
precedono.  Nel  pubblicarle  cogliamo  altresì  l'occasione  per  additare 
la  raccolta  di  disegni,  fin'ora  sconosciuta,  che  fu  da  Grimaldi  formata 
per  il  fondatore  della  Biblioteca  Ambrosiana,  e  che  fino  ad  oggi  si 
conserva  nella  stessa  Biblioteca.  Questa  raccolta,  quantunque  copiata 
in  maggior  parte  da  quella  del  Ciacconio,  che  trovasi  alla  Vaticana, 
merita  pertanto  un  esame  approfondito  da  parte  di  qualche  dotto 
avvezzato  allo  studio  delle  antichità  cristiane  di  Roma. 


///'""  &  R"'°  Sio'-'  Padrone  col"'° 

Ho  ricevuto  la  benignissima  lettera  di  V.  S.  Ili""'  et  insieme  li  quin- 
dici scudi  che  ella  mi  ha  donato;  la  ringratio  infinitamente;  &  tanto piìi 


//  Tesoro  della  "Basilica  di  S.  Tietro        i35 


per  l'offerta  di  V.  S.  lll""^  che  mi  fa  di  valersi  dell'opera  mia  in  copiare 
scritture  dall' arcìyivio  del  Palalo  apostolico  ;  mi  sfor^arò,  ancor  che  debili 
siano  le  mie  jor%e  di  servirla  quanto  meglio  potrò  &  saprò  à  ogni  minimo 
commandamento. 

Ho  voluto  avvisarle  che  nella  libraria  di  S.  Pietro  vi  è  un  libro  ma- 
nuscritto  (sic)  in  tempo  d'Alessandro  ter\o  in  pergamena  (sic);  continet 
compilationem  Decretoriim  editam  per  Laborantem  card.  S.  MaricC  transti- 
berini. Detto  libro  é  molto  stimato,  et  tenuto  cosa  singolare.  Nella  libraria 
del  Papa,  non  vi  è.  Della  qualità  del  libro  si  può  pigliare  informatione 
nella  bibliotheca  Vaticana,  et  in  altre  tanto  in  Roma,  come  fuori. 

Questo  ho  voluto  accennare  alla  prudenza  di   V.  S.  Ill'"'^,  alla  quale 
riverentemente  baciando  le  sacre  vesti  faccio  riverenza. 
Di  Roma,  à  20  di  aprile  1618. 
Di  V.  S.  Ili"""  &  R'"" 

Humilissimo  et  devotissimo  servitore 
Giacomo  Grimaldi. 

Ili"'"  &  R"">  Sig"  Padrone  col'"" 

Non  mancarò  di  servire  V.  S.  Ili"'"'  di  copiare  il  libro,  ma  e  neces- 
sario di  domandarlo  al  Capitolo,  ò  per  mezj^o  dell'Ili"'"  Sig''  Card''  arci- 
prete, ò  del  Sig''  Canonico  Cittadino,  ò  altro  canonico,  che  sarra  (sic) 
dato  subito;  et  quanto  spetta  à  me  farò  ogni  sformo  per  che  V.  S.  Ill'"'^ 
resti  sodisfatta  della  scrittura. 

Per  fine  baciando  riverentemente  ecc. 

24  maggio  161S 

Giacomo  Grimaldi,  (i) 

IW""  et  R"'°  Sig'''  &  Padrone  col"'" 

La  tardanza  di  non  haver  servito  piìi  presto  V.  S.  Ili'""-  e  stato  ca- 
gione la  residenza  del  choro  di  S.  Pietro  ;  venute  le  vacani^e  ho  scritto  il 
libro  del  S*""  Volto  santo  fatto  da  me,  quale  hora  le  invio.  La  supplico 
'  con  ogni  riverenia  à  scusare  &  la  tardanza  et  la  insufficien:^a,  cedendo  le 
for^e  all'animo.  Da  <)i6  anni  in  qua  per  continua  serie  è  stato  in  S.  Pie- 
tro &  forsi  avanti,  come  diffusamente  vedrà  dal  libro  &  dall'indice  ri- 
dotto in  sommario. 


(i)  Le  lettere  del  4  agosto  e  del  3  settembre  1618,  nonché  quella  dell'S  gen- 
naio 1622,  si  riferiscono  all'invio  del  trattato  sul  SS.  Sudario:  non  crediamo  cosa 
utile  pubblicarle  in  questa  circostanza. 


i36 


E.  Riluti  e  qA.  L.  Jrothingham 


Ho  intiso  che  V.  S.  Ill""^  fa  copiare  le  hnagini  de  alcuni  sommi  pon- 
tefici. Neil' Archivio  di  S.  Pietro  vi  è  Adriano  V,  Celestino  V ;  nelle 
mine  del  palalo  Lateranense  Callisto  2°,  Anastasio  4°,  Alessandro  f 
Pasquale  2",  Gregorio  7".  Apresso  il  duca  Conti,  Innocenzo  f  &  Gre- 
gorio IX,  havuti  di  musaico  delle  mine  di  S.  Pietro. 

Ricordo  a  V.  S.  Ill""^  Probo  &  Proba  quali  voleva  ridurre  in  ritratto 
grande  dal  mio  libro  di  Leon  ter^o. 

Ho  alcune  memorie  delle  imagini  di  alcuni  cardinali  antichi,  che  se 
ella  desidera  ne  darò  notitia  in  un'altra  mia. 

Questo  è  quanto  per  hora  mi  sovviene,  offerendo  humilm"  à  V.  S.  Ill""^ 
&  R""^  come  mio  signore  &  padrone  &  il  libro  del  5""'  Volto  Santo 
&  me  stesso  ad  ogni  suo  commandamento,  facendole  humilissima  rive- 
renza. Che  S.  D.  Af'*  la  conservi  felice. 

Di  Roma,  a  XXV  di  settembre  1621 
Di  V.  S.  IW""  &  R'"" 

Humillissimo  &  devotissimo  servitore 
Giacomo  Grimaldi 

chierico  di  S.  Pietro. 
All'Ili""'  &  R"'"  Sig.  Padrone  col'"" 

il  sig.  Cardinal  Borromeo.  -  Milano. 


111'"°  et  R"'"  Sig"  Padrone  col""> 

Con  la  presente  vengo  à  fare  humil  riverenza  à  V.  S.  Ili""*,  et  per- 
chè so  ch'ella  fa  copiare  alcune  antiche  imagini  in  Roma  de  Papi  et  altri 
personaggi,  ho  voluto  significarle  queste: 

Cioè  in  San  Pietro  Giovanni  VII,  già  è  notato  nel  libro  del  Volto 
Santo  che  io  mandai  a   V.  S.  Ill""^ 

Probo  et  Proba,  amicissimi  di  S.  Ambrosio,  già  ne  mandai  copia  nel 
libro  del  sermone  di  Leon  j". 

Adriano  V  in  un  libro  manuscritto  et  è  notabile  per  il  breve  pon- 
tificato, sta  nella  libraria  di  S.  Pietro,  prout  in  indice. 

Statua  di  Bonifatio  Vili,  Benedetto  XII,  Nicolò  V,  Paolo  2°,  Cal- 
listo f  et  altri  pontefici  et  cardinali  sotto  il  novo  pavimento. 

Innocentio  VII,  Urbano  VI,  nella  libraria  Vaticana  nel  libro  in 
lettera  longobarda  delti  privilegi  di  Santa  Sofia  di  Benevento,  fol.  126. 
Jmago  Ottonis  secundi  imp.  in  privilegio  anni  (^^2.  Ubertus  episcopus  Par- 
mensis  archicancellarius  dat.  Beneventi,  etc, 

Fol.  14J  privilegium  Paschalis  secundi  cum  ejus  imagine. 

Fol.  ip  privilegium  Gelasii  2*  cum  ejus  imagine  sub  dat.  Capuae  per 
manum  Chrisogoni  S.  R.  E.  diaconi  cardiiialis,  1118. 


//  Tesoro  della  basilica  di  S.  Tietvo        iSy 


Foì.  ;9  hnagines  PaUolfi  ei  Lanàolfì  Langoh  ardo  nini  genlis  principnm 
anno  lo^i.  Paldolfus  factiis  est  nionachus  S.  Sophie  ord.  S.  Benedicti  et 
regnavit  ann.  4],  de  quibns  latius  haheiiir  foJ.  2],  24  et  2;  d"  libro. 

Latcrani  in  oratorio  Callisti  2  imagines  ipsiiis  Callisti,  Anastasii  IIII, 
Gregorii   VII,  Akxandrì  secundi  et  aliornni. 

Desidero  quanto  prima  scrivere  un  catalogo  che  io  feci  mentre  hebhi 
cura  dell'Archivio  di  S.  Pietro  de'  tutti  li  arcipreti  di  detta  Imsilìca  da 
Benedetto  nono  sino  al  presente  giorno,  sotto  il  qual  pontefice  cominciò 
detta  dignità.  Avanti  li  arcipreti  il  vescovo  di  Selvacandida,  qual  vesco- 
vato fh  imito  al  Porttiense,  governava  la  basilica  di  S.  Pietro  in  co- 
gnoscendis  causis,  sacri  ordinihus  conferendis  et  alia  agendi  (sic)  ciim 
ampia  auctoritate,  come  chiaramente  manifesta  la  bolla  di  Giovanni  XIX. 
Et  perchè  detti  vescovi  cardinali  di  Porto  pretendevano  la  basilica  di 
S.  Pietro  essere  totalmente  della  diocese  di  Porto,  et  sotto  la  omnimoda 
giurisditione  di  detto  vescovato,  imperochè  si  cardinalis  erat  prasens  in 
basilica  tertia  oratio  dicebatiir  prò  pontifice,  non  considerando  essere  meri 
suffraganei,  et  che  la  detta  basilica  est  propria  apostolici  prasulis  sedes. 
Benedetto  nono  come  si  racoglie  da  probabili  ragioni,  hvò  l'autorità  à  detti 
vescovi,  et  fece  l'arciprete  (sic)  quali  sono  stati  4j,  tutti  cardinali,  sicome 
piacendo  a  Iddio  vedrà  dal  mio  libro. 

Prego  sua  divina  Maestà  conservi  longo  tempo  felicemente  V.  S.  Ill""^, 
alla  quale  faccio  humilissima  riveren-^a. 
Di  Roma,  à  20  di  settembre  1622 
Di  V.  S.  Ili"""  &  R""" 


Hiimillissimo  servitore 
Giacomo   Grimaldi. 


All'Ili'""  &  R"'°  Sig""'  Padrone  col" 
Cardinal  Borromeo.  -  Milano. 


ERRATA-CORRIGE. 


30 


5  a  f.  Amictas 
»      >  Manipulas 
«      '  Cin^'-ulas 

7  a  f .  pontìs 

1 3  a  f.  raedificare 

1 1  a  f.    faciedum 

8  'deformatam 

12  a  f  Im  primis 
I  a  f.  restdesse 

5  a  f.  Martino 
18  ^pluuiale 
12  a  f.'painno 

9  \dommutn 


Amictiis 

Manipulos 

Cingulos 

positis 

reaedijìcare 

faciendum 

deformatum 

Irìprimis 

risiedesse 

Urbano 

pluviale 

panno 

domimi  in 


pag- 

linea 

30 

14  a  f. 
5  a  f. 

H 

37 
49 

55 

20 
5af. 

IO 

S 
Saf. 

il 
85 

5     ^ 
7  a  1. 
1 6  e  17 
ioa  f. 

C)2 

94 

3  a  f . 

Episcopum 

jacistorum 

frisios 

bracchiis 

ed 

diversorom 

lapide^  aplii- 

reo 
tixore 
Urbe 
relique 
reliquiarum 
dnis 


Episcopiis 
jacistorium 
frisiis 
brachi  is 
ad 

diversorum 
lapide  ;aph!- 

reo 
uxorem 
de  Urbe 
reliquie 
reUquiarium 
dni 


APPENDICE 

AL 

Commento  delia  Vita  di  Agostino  Chigi 

IL    MAGNIFICO  (i) 


m^^M(\}^^  consultare,  per  occasione  d'altri  miei  studii,  al- 


,  ^      _  -    ^ .^--     —  ,„ 

{ i^  cuni  manoscritti  chieiani,  essendomi  imbattuto  in 
^^^^-^^z  documenti  risguardanti  Agostino  Chigi  il  Magni- 
fico, dei  quali  non  potei  valermi  nelle  note  illustrative  del 
Commentario  della  sua  Vita,  perchè  allora  a  me  ignoti;  mi 
faccio  adesso  a  qui  pubblicarli  a  modo  di  appendice  a  quel 
mio  lavoro.  Nel  quale,  poiché  per  la  fretta  della  stampa 
(vizio  consueto  delle  pubblicazioni  periodiche),  non  giunsi 
in  tempo  ad  inserir  per  intiero  altri  documenti,  di  cui  ac- 
cennai soltanto  i  titoli;  ancora  di  questi  darò  qui  più  ampia 
contezza^  ed  alcuni  pure  ne  trascriverò  compiutamente. 
Porrò  prima  le  nuove  note,  indicando  la  pagina  ed  il  vo- 
lume, e  recitando  le  parole  del  testo,  alle  quali  esse  note  si 
riferiscono;  e  poi  le  giunte  e  gli  ampHamenti  delle  già  pub- 
blicate, citandole  col  loro  numero  d'ordine. 

Pag.  46,  voi.  II  :    «  Haec  (negolìaiio)  loiige  laLqne  adeo  patuit,  ut 

per  Gaìliam,  Hispaniam,  Germaniam,  Belgas,  Britanniam....  etiagaret  ». 

Ai  traffichi  di  Agostino  nella  Brettagna  appartiene  il  seguente: 

(i)  V.  questo  Archivio,    voi.  II,   pag.    3-83,    209-226,   475-490; 
voi.  Ili,  pag.  213-232,  291-3O),  422-448;  voi.  IV,  pag.  56-75,  195-216. 


140 


G.  Cugnoni 


Laudo  di  Onofrio  dì  GienU,  Simon  da  Ricasoli 

e  Leonardo  Bartolini 

nelle  differenze  fra  i  Chigi  ed  il  loro  agente  a  Londra,  (i) 

Noi  Noferi  de  gienU,  Simone  da  Ricasoli  et  lionardo  di  hartolomeo 
hartolini  albitri  chiamati  da  una  parti  per  le  rede  di  mariano  cingi  e 
compagnia  di  roma  et  dall'altra  parte  per  Antonio  di  Iacopo  da  Siena 
chome  lor  chomando  appare  per  contratto  rogato  messer  Christofano  Pagfii 
sotto  di...  (2)  di  giennaro  a  giudicare  et  dichiarare  pili  diferen^e  sono  in- 
fralii dette  parti  delle  chose  che  detto  Antonio  a  ministrate  per  detti  Chigi 
in  Inghilterra  et  vdito  più  volte  h  parti  et  tiisto  quelle  scripture  ci  anno 
ìioluto  mostrare  et  di  poi  preso  parere  et  buona  informatione  da  terze  per- 
sone di  quelle  chose  che  non  erono  a  nostra  notizia  e  tutto  bene  esaminato 
giudichiamo  dechiariamo  et  lodiamo  sopra  esse  diferen^e  nel  modo  che 
apresso  si  dira  e  prima 

Sopra  più  spese  di  lettere  fatte  per  detto  Antonio  in  spacciare  caual- 
lari  et  vantaggi]  et  altre  spese  d'esse  lettere  che  ascendono  alla  somma  di 
lire  hottanta  di  sterline  in  circha  chonie  si  tiede  per  li  conti  dati  da  esso 
Antonio  a  essi  Chigi,  sopra  il  che  giudichiamo  et  dechiariamo  che  detto 
Antonio  resti  asoluto  et  libero  et  che  quello  che  mette  in  conto  a  essi  Chigi 
li  sia  fatto  buono  et  acieptato.  lire  — 

E  pia  trouiamo  che  detto  Antonio  di  Iacopo  mette  in  conto  a  essi  Chigi 
in  più  partite  per  andare  più  uolte  alla  chorte  del  re  d' Inghilterra  et  per 
altro  dipendente  dal  seghiiire  detta  chorte  lire  quarantacinque  di  sterlini 
incircha  come  si  uede  per  li  Monti,  sopra  che  giudichiamo  et  dechiariamo 
che  per  giuste  e  buone  chagione  se  ne  sbatta  lire  venti  e  che  il  resto  essi 
Chigi  lienabino  affare  buoni  ne'  chonti  loro  e  pero  esso  antonio  avrà  a 
essere  fatto  debitore  d'esse  lire  venti,  lire  20 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  Chigi  lire  XIIII 
di  sierliìii  per  auere  la  spedizione  d'uno  perdono  del  re  d' Inghilterra  cioè 
per  il  sugello  e  schripture  d'esso,  sopra  che  giudichiamo  e  dechiariamo 
che  di  detta  somma  ne  sia  sbattuto  a  esso  Antonio  lire  hotto  di  sterlini  et 
il  resto  li  sia  fatto  buono  nelli  sua  conti,  lire  8 

Iteiìì  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  cingi  in  più  par- 
titi per  ritenzione  di  più  denari  rischossi  dallumi,  perdite  di  monete  e  chosti 
doro  lire  ji  di  sterlini  in  circha  sopra  che  noi  gìiidicìrianio  e  dechiariamo 
per  giuste  e  buone  chagione  che  se  ne  sbatta  lire  venticinque  et  il  resto  li 
sieno  fatti  buoni  nelli  sua  chonti.  lire  2/ 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  chonto  a'  detti  cingi  lire  XI 
di  sterlini  in  circha  per  più  donatiui  fatti  a  più  persone  di  che  ne  ne  lire 


(i)  Misceli,  chig.,  ms.  R.  V.  e. 
(2)  Laguna  del  ms. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  14; 


7.  i^.  j.  di  sUrlini  che  detto  Antonio  dicie  auere  donato  a  imsser  Pietro 
Ghrisi  nuntio  appostoUco  et  mandato  da'  detti  Chigi  in  Inghilterra  del  che 
noi  giudichiamo  e  declariamo  chessi  sbatta  a  detto  Antonio  lire  sette  soldi 
XVIIII  denari  V  di  sterlini  e  ne  sia  fatto  debitore  da  detti  Chigi  et  il 
resto  li  sia  fatto  buono,  lire  7.  ic;.  j. 

Item  trouiatno  che  detto  Antonio  mette  in  chonto  a  detti  Chigi  lire 
XXV  di  sterlini  in  circha  per  piti,  viasseri^ie  che  dicie  auere  comperate 
per  la  sita  chamera  sopra  che  noi  giudichiamo  et  dechiariamo  che  dette 
masseriiie  restino  et  sieno  di  detto  Antonio  et  chelli  detti  Chigi  per  danno 
per  detti  masserÌ7Je  patischino  et  faccino  buono  a  detto  Antonio  lire  sette 
di  sterlini  e  del  resto  che  sono  lire  XVIII  ne  vadi  debitore  detto  Antonio 
di  detti  Chigi,  lire  18 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  Chigi  lire  Vili 
di  sterlini  in  circha  che  mette  auere  spesi  per  prochuratori  avochati  con- 
sigli schripture  et  lite  dipendente  da  gharbugli  d'allumi  sopra  che  giudi- 
chiamo et  dechiariamo  che  gV abbino  a  essere  fatti  buoni  da  detti  Chigi 
la  detta  somma  giusto  il  conto  datone  loro  detto  Antonio,  lire  — 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a'  detti  Chigi  lire 
XIVIIII  di  sterlini  in  circha  per  le  spese  sue  hordinarie  di  vitto  et  del 
ghar:(one  suo  et  d'Antonio  Saluestri  et  suo  ghar^pne  et  salario  di  detti  ghar- 
:{oni  et  altro  sopra  che  giudichiamo  et  dechiariamo  che  detti  Chigi  li  abino 
affare  buono  detta  somma  e  che  detto  Antonio  sia  assoluto,  lire  — 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conio  a  detti  Chigi  lire  X 
di  sterlini  iti  circha  dipendenti  da  spese  di  vita  et  altro  de  cierto  Fili:{iano 
.  .  .  .  (i)  de  quali  per  giuste  e  buone  chagione  giudichiamo  e  dechiariamo 
detti  Chigi  ne  faccino  buoni  lire  cinque  ecche  del  resto  che  sono  lire  cinque 
ne  vadi  debitore  detto  Antonio  di  detti  Chigi,  lire  j 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  Chigi  qualche 
picchole  somme  per  spese  strasordinarie  per  la  chamera  sua  et  per  fare 
dire  messe  e  per  molte  altre  spese  straordinarie  sopra  che  giudichiamo  et 
dechiariamo  che  detti  Chigi  li  abbino  affare  buone  dette  somme  e  che  detto 
Antonio  ne  sia  asoluto,  lire  — 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  Chigi  lire  VII 
soldi  V  di  sterlini  per  cierte  dette  contati  da  Giovanpaolo  Gigli  sopra  che 
giudichiamo  e  dechiariamo  che  detto  Antonio  si  pigli  esse  dette  per  se  e 
allui  se  apertenghino  e  vadia  debitore  di  detti  Chigi  di  dette  lire  sette 
soldi  V  di  sterlini.  lire  7.  ) 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  di  Iacopo  a  dato  et  mandalo  pia 
conti  a  detti  Chigi  di  uendite  d'allumi  fatte  per  loro  in  Inghilterra  doue 
mette  più  quantità  di  spese  fatte  a  detti  allumi  giudichiamo  e  dechiariamo 

(i)  Laguna  del  ms. 


142  G.  Cugnoni 


chi  detti  conti  e  spese  li  abbino  a  essere  fatti  buoni  secondo  chelli  a  dati 
a  detti  Chigi  chosi  delle  spese  chome  del  peso  e  dogn'altra  chosa  ecceptiiato 
la  prouixione  di  più  allumi  uiuduti  per  la  quale  mette  in  conto  a  detti 
Chigi  lire  ip.  4.  io.  di  sterlini  la  quale  prouisione  giudichiamo  e  dechia- 
riamo per  essere  detto  Antonio  loro  ghar:{one  e  mandato  non  l'abia  potuto 
ne  debba  mettere  in  conto  a  essi  Chigi  ina  se  li  debba  dare  vno  salario 
conveniente  il  quale  noi  giudichiamo  e  dechlariamo  che  per  mexi  XXX 
in  circha  che  è  stato  in  Inghilterra  se  li  faccia  buono  lire  quarantacinque 
di  sterlini  di  che  viene  a  restare  debitore  detto  Antonio  di  detti  Chigi  per 
questa  partita  di  lire  hottantasette  soldi  IIJI  denari  X  di  sterlini  e  di  tanti 
a  andare  debitore  dessi  Chigi  con  questo  inteso  che  di  mesi  hotto  in  circha 
che  detto  Antonio  pretende  essere  stato  alloro  seruigi  fuori  d'Inghilterra 
oltre  alli  mesi  XXX  sopradetti  n'abbia  a  contare  con  detti  Chigi  e  starne 
con  loro  a  ragione  in  nelli  altri  conti  che  anno  insieme,  lire  Sj.  4.  io 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  Chigi  per  chosto 
e  spese  di  dna  Caualli  lire  XXV  soldi  V  denari  VII  di  sterlini  giudi- 
chiamo e  dechiariamo  che  ci  sia  errore  di  lire  dna  e  pero  si  defalchono 
e  fassene  debitore  detto  Antonio,  lire  2 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  a  ricieuto  di  conto  di  detti  Chigi 
dette  a  risquotere  per  la  somma  di  lire  sexantadua  di  sterlini  in  circha 
0  quello  fussino  delle  quali  esso  Antonio  dice  auerne  riscossi  solo  lire  cinque 
giudichiamo  e  dechiariamo  detto  Antonio  vadia  debitore  di  dette  lire  cinque 
e  del  resto  sia  tenuto  consegnare  0  fare  consegnare  a  detti  Chigi  0  a  chi 
loro  ordineranno  li  obrighi  e  chautele  di  detti  debitori  in  fra  mesi  sej  pro- 
ximì  futuri  e  non  faciendo  consegnare  le  chautele  chenna  ridente  sia  tenuto 
alla  satisfa:(ione  di  dette  somme,  lire  j 

It^m  trouiamo  che  detto  Antonio  mette  in  conto  a  detti  Chigi  soldi  XV 
denari  Villi  di  sterlini  per  Giouanni  Turelli  soldi  XIII  den  I  per  Agniolo 
Vieri  lire  una  soldi  XIII  denari  Villi  per  Piergiovantii  Tay  che  in  tutto 
fanno  la  somma  di  lire  tre  soldi  II  denari  VII  di  sterlini  giudichiamo  e 
dechiariamo  che  detto  Antonio  vadia  debitore  d'essi  Chigi  ceche  dasse  stesso 
se  li  risquota  e  questo  per  che  detti  Chigi  alleghano  e  mostrano  non  li 
attere  auti.  lire  3.  2.  y 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  resta  debitore  di  detti  Chigi  per  uno 
resto  di  resti  sechondo  il  libro  suo  di  lire  hottaniotto  soldi  XVIIII  denari 
VII  di  sterlini  de  quali  per  essere  chose  chiare  e  d'achordo  giudichiamo 
detto  Antonio  andarne  debitore  d'essi  Chigi  saluo  se  ni  fussi  errore  di 
chalchulo  che  senpre  le  parte  ne  abino  a  stare  a  buon  chonto.  lire  88.  ic).  7 

Trouiamo  che  tutte  le  soprascripte  partite  schripte  ih  questo  presente 
foglo  ascendono  alla  somma  di  lire  CCLXXVII  soldi  XI  denari  V  di 
stjrlini  e  di  tanti  viene  a  restare  debitore  detto  Antonio  di  Iacopo  alle 
dette  Rede  di  Mariano  Chigi  e  compagni  di  Roma  la  quale  somma  giù- 


Agostino  Chigi  il  Magnijìco  143 


diclnavw  et  dechiariamo  abbi  a  pagare  loro  lìberamente  e  sen%a  alchuna 
eccezione  in  fra  mesi  sey  proximi  auenire  dando  a  detti  Chigi  sufficiente, 
chaiitela  a  satisfa^ione  loro. 

Item  trouiamo  che  detto  Antonio  di  Iacopo  a  paghato  a  conto  di  detti 
Chigi  alla  maestà  del  re  d' Inghilterra  la  somma  et  quantità  di  lire  seciento 
di  sterlini  per  cauxa  di  non  anere  tratto  merchanzje  del  regnio  d'inghil- 
terra  del  ritratto  delli  allumi  venduti  chome  portano  li  antichi  statuti  di 
detto  regnio  anchora  che  non  sieno  in  vxo  ne  in  frequentai^ione  di  che 
per  sahiare  buona  somma  delli  allumi  di  detti  Chigi  da  detta  Maestà  in 
mano  di  detto  Antonio  suti  arestati  e  ingharbugliati  esso  Antonio  insieme 
a  messer  Pietro  Ghrisi  nuno:io  appostolico  et  mandato  di  detti  Chigi  in 
Inghilterra  per  la  Chauxa  di  detti  allumi  e  altri  etc  composono  di  paghare 
la  detta  somma  per  liberare  li  sopradetti  allumi  et  quitarsi  della  detta 
proibi:(ione  di  leggie  in  che  per  la  maestà  regia  si  dicieua  essere  inchorsi  etc. 
del  che  giornalmente  auisauono  detti  Chigi  etc.  e  chos'i  detto  Antonio  ri- 
cercho  della  maestà  regia  dell' osseruan:(ci  della  convegnia  pagho  la  detta 
somma  II  quale  paghamento  con  effetto  achosta  essere  stato  fatto  e  perche 
detti  Chigi  alleghono  essa  convegna  con  la  regia  maestà  di  paghare  detti 
danari  e  di  poi  esso  pagamento  fatto  per  detto  Antonio  essere  suto  fuora 
di  loro  commessione  e  volontà  parendo  loro  vno  spressa  ruberia  et  for:(a 
di  detta  maestà  contro  a  dovere  uxata,  doue  per  Antonio  s'allegha  moltj 
ragione  in  contrario  con  dire  che  detta  convegnia  chol  Re  di  pagare  detta 
somma  fu  fatta  per  messer  Pietro  Ghrifi  mandato  da  detti  Chigi  e  non 
per  Uni  ecche  per  hordine  di  detto  messer  pietro  se  iibrigho  e  fede  tibri- 
ghare  Gianpavolo  Gigli  alla  maestà  regia  alla  hoserua^jone  di  detta  con- 
vegna e  chosi  di  poi  venuto  il  tenpo  pago  per  commessione  e  consenso  di 
detto  Ghrifi  e  che  se  non  si  facieua  tal  convegna  e  pagamento  la  maestà 
regia  di  poteif^a  si  piglaua  li  allumi  che  eron  molta  maggior  somma.  In 
oltre  el  Gigli  che  era  hobrigato  aueua  li  allumi  in  chasa  sua  o  in  ci  suo 
cielliere. 

Seghue  un  altro  foglo  a  presso  della  medexima  mano  della  medexima 
materia  arroto  a  un  foglo  tutto  schripto  della  medexima  mano  della  me- 
dexima materia  e  non  Merla  lassato  disporre  Antonio  se  prima  non  fussi 
stato  disobrigo  et  in  oltre  allegha  detto  Antonio  che  per  il  magnifico  messer 
Aghostiiio  e  suto  acieptato  detto  achordo  et  paghamento  chome  per  più  sue 
lettere  dice  appare,  Il  perche  noi  ben  considerato  et  esaminato  hogni  parte 
ella  somma  essere  notabile  anchora  che  il  pagamento  effettualmente  fatto 
ci  consti  chome  si  dice 

Declariamo  che  detta  partita  resti  per  non  giudichata  ecche  dette  parti 
si  restino  nelle  loro  ragione  ne  a  persona  diminuirle  ne  achrescierle  pili 
che  in  fatto  si  sieno  et  nichiloniinus  per  essere  suto  disporsato  dette 
somme  e  che  a  detti  Chigi  pare  loro  strano  e  fuora  di  dovere  avergli  a 


144 


G.  Cugnoni 


perdere  prekndono  di  valersene  in  qualche  modo  o  d' InghilLrra  per  me'i^^o 
d'esso  Antotiio  o  altrimenti  e  pero  noi  anchora  decblariamo  che  per  da 
hoggi  a  mexi  diciotto  proxiini  futuri  essi  Chigi  non  passino  dimandare 
chosa  alcuna  di  detta  somma  di  lire  seciento  a  esso  Antonio  ne  in  aucre 
ne  in  persona  ne  in  modo  alchuno  stimolarlo  ne  farlo  m  farlo  (sic)  sti- 
molare ne  qui  ne  altroue  sotto  alchuno  quisito  cholore  affine  che  se  in 
questo  tenpo  passino  essi  Chigi  per  mex_:(0  d'esso  Antonio  o  altrimenti  va- 
lersi di  detta  somma  lo  faccino  per  il  quale  effetto  fare  esse  parte  ciasche- 
duno ne  vxera  quella  migliore  diligenzia  si  potrà.  Et  quando  non  ne  se- 
ghua  alchuno  effetto  noi  chome  e  detto  giudichia:nio  e  dechiariamo  che  si 
restino  nel  medeximo  termine  chelli  trouamo  ecche  ciaschuno  si  resti  nelle 
sue  ragioni  sanza  in  alchuua  parte  diminuirli  o  achrescierle  chome  se  di 
questa  partita  per  noi  parlato  non  si  fussì. 

Item  perche  noi  ahiamo  visto  hogn'allra  chosa  particholarmente  tanto 
cierti  conti  di  saccherie  e  altre  chose  tutto  bene  esaminato  noi  dechiariamo 
e  giudichiamo  che  d'ogn'altre  chose  che  esso  Antonio  abbi  ministrato  in 
Inghilterra  per  essi  Chigi  resti  assoluto  ellibero  et  solum  abbia  a  satisfare 
quanto  di  sopra  e  per  lallro  foglo  si  contiene  e  per  che  tutte  le  sopra 
schripte  chose  sono  di  nostra  volontà  giudichiamo  lodiamo  e  dichiariamo 
questo  di  oltimo  di  denaro  i^oS  et  per  fede  del  vero  ci  sotto  schriuiamo 
qui  di  sotto  tutt'a  tre  di  nostre  proprie  mano  e  diamo  piena  autorità  al 
notaro  di  estendere  esso  lodo  in  hogni  miglore  forma  non  mutando  chosa 
alchuna  della  senten:(a 

Io.  Lionardo.  di  bartolommeo.  Bartolini.  come,  teri^o.  albitro.  de  so- 
pradetti. Chigi:  e.  d'Antonio,  di  Iacopo,  affermo,  giudico,  e  lodo,  e  de- 
claro.  quanto  si  contiene,  di  sopra,  e  nell'altro  foglo.  e  per  fede,  del  nero, 
mi  sono  soscripto.  di  mia.  propria,  mano,  in  Roma,  questo,  di.  ultimo  di 
giennaro  i)o8  // 

Io  nofri  di  Gente  vno  de  detti  abitri  con  fermo  quanto  in  questa  sen- 
tensia  si  contiene  e  a  fede  mi  sono  sotloscrillo  di  mano  propria  questo  di 
31  di  genaro  1^08  in  Roma 

Io  Simon  da  Richasoli  vno  di  detti  arbitri/  con  ferino  quanto  in  questi 
2  fogli  si  contiene  e  a  fede  della  Ferita  mi  sono  sotto  scripto  di  mia 
propria  mano  questo  di  XXXI  di  Gennaro  jjo8  ab  incarnatione  in 
Roma. 


Pag.  46,  voi.  Il:  «  Romae  ujro,  sicut  (negotiationem)  cuiusque  generis 
rerum....  fecit  ». 

Di  tale  disparata  moltiplicità  di  commerci  sono  prova  i  docu- 
menti che  seguono: 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  145 


jjjj.  50.  Apr. 

Empio  facta  per  Mag.»^  D.  Augustinum  Chisium  pannorum, 

ut  dr,  Scarlatti  prò  scutis  — ;   Venetij's 

Actiim  Romae  (i) 

In  nomine  Domini  Amen.  Per  hoc  praesens  publicum  instrumentum 
cunctis  pateat  euidenter,  et  sit  notum,  quod  anno  a  Natiuitate  eiusdem  iji^ 
Indictione  prima,  die  nero  vltima  mensis  Aprilis  Pontificatns  S.^i  in  Christo 
Patris,  et  D.  N.  D.  Leonis  Diuina  Prouidentia  Papae  X.  anno  primo  In 
nostrorum  pnhlicoriim  Notariorum  tesiiumq.  infrascriptorum  etc.  praesen- 
tia  personaliter  constitutus  MagS^^  D.  Angustinus  Chisius  mercator  ex  una, 
et  Maitheus  de  Cattare,  alias  Schiareto  partihus  ex  altera  nominihiis  in- 
frascriptis  Agentes  ad  infrascriptas  conuentiones  etc.  deuenerunt  etc.  pront 
in  quadam  cedala  etc.  in  uulgari  sermone  continetur,  cuius  tenor  sequitur 
et  est  talis   Vt. 

Noto  sia  a  ciascuno,  come  il  M.^o  Ms.  Angustino  Chigi  compra  dal 
S.f  Giouanni  Vittorio,  e  Compagni  Drappen  (sic)  di  Venetia  àbsenti,  con- 
trahenti  per  loro  S.^  Matteo  de  Catlaro  alias  Schiareto,  il  quale  ecc.  panni 
scarlatti  di  Venetia  di  Cento  di  ottanta  per  la  moneta  de  ducati  trenta- 
mila d'oro  Larghi  per  due.  quattro  d'oro  Larghi  el  bra:(p  quelli  di  Cento, 
e  ducati  (tre)  d'oro  Larghi  quelli  di  ottanta;  Quae  hraza  2^00  di  Cento 
et  hraxa  6666,  et  due  ter:ìj,  di  ottanta  che  tanto  importano  a  ducati  quat- 
tro, e  ducati  tre  il  hra^p  misurati,  e  consegnati  in  Venetia  in  anni  quattro 
ogni  anno,  comiticiando  al  primo  anno  in  Calende  de  lidio  ad  vno  anno 
la  quarta  parte,  e  così  ogni  anno  vn  quarto  ecc.  —  Seguono  le  con- 
dizioni del  contratto,  ed  il  relativo  Rogito.  —  Ada  fuerunt  haec  Ro- 
mae in  aedibus  Dui  in  Christo  Patris,  et  D.  D.  Adriani  tituli  5/'  Chri- 
sogoni  Presbyteri  Cardinalis  etc.  praesentibus  etc.  —  Philippus  de  Carolis 
de  Sancto  Miniato  etc.  rogatus  etc. 

2. 

Cessio   Vinorum  graecorum  facta  per  Laurentium  Ghisium 

nomine  Augustini 

sui  fratris  Antonio  de  Spanochiis  (2) 

Die  2().  lulii  i4C)<) 

Cum  sit  quod  alias  Augustinus  de  Ghisiis  Ciuis,  et  Mercator  senen.  etc. 

uendiderit  Dno  Aloisio  Coppolae  asserto  Procuratori  etc.  Dui  Lucae  Cop- 

polae  summam  et  quantitatem  sexdecim  millium  quingentorum  librarum 


(i)  Scritture  di  casa  Chigi,  voi.  II,  pag.  igS;  vo!.  B,  pag.  25. 

(2)  Scritture  di  casa  Chigi,  voi.  D,  pag.  23,  e  nella  Misceli.  R.  V.  e. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  i 


14? 


irTUugnom 


lanarum  Maioricarum  prò  pretio  de.  Carlenorum  septuaginta  duorum  prò 
quolibet  centenario  dictariim  lanarum,  et  prò  dictis  lanis,  et  earum  pretio 
praefatus  Dnus  Aloisius  etc.  promiserit,  et  conuenerit  dicto  Angustino  dare 
etc.  tot  uina  graeca  de  Montanea  Suminae  de  quarto  munda  et  pura  de 
quatuor  saporibus  in  Ripa  Romana  etc.  ad  rationem  uiginti  quatuor  Flo- 
renorum  Romanorum  prò  qualibet  Vegete  ad  mensuram  Romanam  etc.  Hinc 
est  quod  Laurentius  de  Gbisiis  eiusdem  Augustini  frater  uice  et  nomine 
dicti  Angustini  etc.  promisit,  et  conuenit  etc.  —  Seguono  le  condizioni 
del  contratto  e  il  relativo  Rogito.  —  Actum  Romae  in  banco  Francisci 
de  Lomellini  etc.  praesentibus  etc.  —  Ita  est  F.  de  Piscia 


3- 
Irt  un  Regesto  di  contratti  e  d' istrumenti,  inserito  nella  Misceli, 
chig.,  ms.  R.  V.  d.,  sono  ricordate   più   maniere  di  traffichi  condotti 
in- vari  tempi  da  Agostino.  Eccone  un  cenno: 


Traffico  di  lane 

—  di  salumi 

—  stagnarum 

—  di  pannine 

—  di  bestiame 

da  macello 


pag.  )S6,  }8j,  }Sc),  ]94. 

—  389. 

—  393- 

—  400,  4og,  pi. 


di  cereali  — 

di  :(uccheri  — 

scartiae  — 

di  erbe  e  ^Ijìimle  — 


—  40;,  406,  40J,  408, 

416,  420. 

—  408,  40C),  410,  411. 

—  412. 

—  417- 
418,  421. 


Del  molto  favore  prestato  ad  Agostino,  nel  fatto  di  questi  com- 
merci, dalla  pubblica  autorità,  è  argomento  notevole  il  seguente  pri- 
vilegio : 


(i)  «  R.  Epus  Alban. 
CarM^  S.^'  Georgv 


Dui  PP.  Camer.s 


K  Spect.^^^  viris  Heredibus  Mariani  de  Chisijs  Et  Socifs  mercatoribus 
senen.  Sàlutem  in  Dno.  Cuni  sicut  in  Cama  aplica  exponi  fecistis,  varias 
ac  diuersas  merces  a  trasmarinis  partibus  aduehi  faciatis  :  Et  eas  ad  portus 
et  loca  Ste  Ro.  Ecc.^  applicare  et  exonerare  intendati s  et  presertim  per 
prouinciam  Marchie  Anconitane   et  aliquas  forsan  applicueritis  et  exone- 


(i)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  b.,  pag.  187. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  147 


rari  feceritis  Ctipiatisque  ms  de  loco  ad  lociim  irasuehi  proni  vobis  fuerit 
oportunum  ex  quo  et  subditoriim  ecc.^  iitilitas  et  carne  aplice  introitus  aii- 
geantur  debeatque  mercatoribics  et  negociatoribiis  liberum  esse  comertiutn, 
timealisque  ne  propter  uliquas  represalias  aliquibus  concessas  aut  in  po- 
sterunt  concedendas  Fobis  aut  rebus  et  hominibus  uestris  ali  qua  molestia 
siue  impedimentum  inferatur  Nos  itaque  volentes  precibus  uestris  libenler 
annuere  et  de  oportuno  remedio  et  securitate  prouidere  De  mandato  S.""^ 
D.  N.  pape  Viue  Vocis  oraento  super  hoc  nobis  facto  et  auctoritate  nostri 
Camerariatus  offici}  Vobis  et  Cuilibet  vrum  vrisque  socij's  iustitoribus 
factoribus  et  ministris  per  quascunque  Ciuitates  terras  castra  et  loca  Ste 
Ro.  EccS  mediate  et  immediate  suhiecta  et  presertim  per  prouinciam  Mar- 
cine Ancotiitane  prefate  veniendi,  standi,  eundi,  redeundi,  pernoctandi, 
abeundi,  recedendi  et  redeundi  cum  mercantijs  rebus  bonis  pecunijs  et  ani- 
malibus  uestris  plenum  liberum  et  ualidum  saluum  conductum,  ac  omni- 
modam  realem  et  personalem  securitatem  concedimus  per  presentes  man- 
dantes  pp^  onDiibus  et  singulis  Gubernatoribus  potestatibus  Bargeìlis,  et 
alijs  quibtiscunque  officialibus  quacunque  dignitate  et  auctoritate  fungen- 
tibus  et  alijs  publicis  et  priuatis  personis  per  Ciuitates  terras  castra  et  loca 
predicta  constitutis  Ne  quis  audeat  cantra  premissa  aliquid  atemptare  sed 
predicta  omnia  et  singula  obseruet  et  faciat  ab  alijs  obseruari  sub  quin- 
gentorum  ducatorum  Carne  aplice  appUcan.  et  alijs  prò  arbitrio  nostro 
imponendis  penis,  Volumus  autem  presentes  nostras  Salui  conducti  patentes 
literas  per  annum  et  non  ultra  durare  Dummodo  represalìe  predicte  no- 
stra causa  ani  prò  interesse  Carne  aplice  concesse  non  fuerint,  Non  obstan- 
tibus  quibuscunque  in  contrarium  disponentihus  Cum  disdicta  quindecim 
dierum.  Dat.  Rome  in  Cama  aplica  Die  VII  lulij  M.  D.  V.  pontificatus 
5."*'  in  Chr.o  pris  et  D.  Nri  Dui  lulij  diuina  prouidentia  pp.  secundi 
anno  secmtdo. 

Visa  F.  Armellinus 

M.  de  Campania  ». 

Pag.  50,  voi.  II .  ((  Villae,  quas  Casalìa  nomen  pabat,  complures. 
Serpentariae  »  etc. 

A  questo  tenimento,  detto  oggi  Villa  Spada,  si  riferisce  il  seguente 
contratto  posteriore  di  pochi  mesi  alla  morte  di  Agostino. 

Die  XXV.  Octobris  ipo  (i). 
Maestro  paganino  di  paganino  da  Carauagio   muratore   habitante  in 
Roma  in  campo  mar':(0  Et 

(i)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e. 


148 


Mgnoni 


Maestr 


naie   de  bettino  da   Can 


rauagio  nimratore  habitante  hi  Roma 
in  campomar:(o  ambi  doi  insieme  et  ogni  uno  principalmente  et  per  lo 
tutto  (e  per  se  et  sol  de  loro  spontanea  volunta  promettono)  et  s'ohligano 
al'  nobile  messer  Sigismundo  Chisio  patruo  et  administratore  de  li  beredi 
et  beni  del  magnifico  messere  Angustino  chisio  quondam  presente  et  sti- 
pulante (di  fare  et  edificare)  ne  lo  Cassale  d'epsi  heredi  chiamato  la  Ser- 
pentaria  (Tutte  le  muraglie  et  altri  edificj)  che  a  epsi  maestri  seranno  dese- 
gnati (secundo  el  desegnio)  quale  a  loro  sarà  dato  per  epsa  Madonna 
Francesca  0  altri  a  nome  suo  (per  lo  predo  et  nomine  de  pretio  Injra- 
scripto  (cioè)  La  Canna  del  muro)  per  carlini  dodici  ad  vsan:(a  di  Roma 
(a  Tutte  spese  d'epsi  maestri)  La  Canna  del  Tecto  a  carlini  sinquanta 
(cioè  Impianellato)  a  Tutte  loro  spese  (La  Canna  del  matonato  in  piano 
arotato)  per  carlini  vndeci  la  Canna  {La  Canna  de  lastrico  per  carlini 
septi  e  messo  la  Canna)  Et  lo  Intonicato  quattro  canne  et  me'^^a  (al  ducato 
a  carlini  diece  per  ducato  a  tutte  loro  spese  Et  li  solari  che  in  detti  edifi:(i 
andasse)  farli  per  quello  saranno  estimati  ad  Judicio  de  doa  periti  nell'arte 
(Et  le  volte  che  andassero  in  detto  lauoro  misurarle  ad  vsan'^a  di  Roma) 
Et  tutti  li  prefatì  lauori  farli  boni  et  belli  et  sufficienti  ad  fudicio  de  homini 
et  maestri  experti  ne  l'arte  (ad  tutte  loro  spe:(e)  tra  el  tempo  de  vno  anno 
proximo  ad  uenire  cominciando  hoggi  (non  mancando  epso  messer  Sigi- 
smundo per  la  parte  sua  di  quello  che  promette)  A  lì  quali  maestri  paga- 
nino  et  menale  (epso  Messer  Sigismundo  promette  pagare  come  e  detto  di 
sopra  de  mano  in  mano  secundo  il  lauoro  che  epsi  maestri  faranno)  Et 
per  arra  et  parte  di  pagamento  del  predo  de  epsi  edificj  epsi  maestri  con- 
fessino hauere  auto  da  epso  messer  Sigismundo  presente  ducati  cento  de  car- 
lini diece  per  ogni  ducato  de  qualli  se  chiamano  contenti  et  quittano  (cum 
pacto  mai  più  domandare)  Et  ad  prece  et  requisitione  depsi  maestri  paga- 
nino  et  Menale 

Maestro  facobo  di  bettino  da  Carauagio  sapendo  non  essere  ohligato 
volendo  obligarsi  per  epsi  maestri  in  Tutto  e  per  tutto  come  se  contiene 
(et  e  detto  conio  principale  debitore  accede  et  s'obliga)  il  quale  maestro 
Jacobo  (epsi  maestri  Paganino  et  menale  promettano  di  conseruare  sen'^a 
danno  alcuno  Pro  quibus  etc  se  se  obligarunt  etc.)  Aduni  Rome  in  Palatio 
ipsorum  heredum  sito  in  regione  Transtiberim  presentibus  dominis  Ber- 
nardino fohannis  de   Viterbio  et  Antonio  Plppi  de  Viterbio  Testibus 

foannes  Caraiiasquini  substitutus  domini  Nicolai  Noiroti  Curie  Cau- 
sarum  Camare  apostolice  notarius  scripsìt. 

Pag.  53,  voi.  II:  «  ....  quos  (equos)  liberaliter  Pi-incipibus  atque  Car- 
dinalibus  mutuabat  ». 


In  una  lettera,  a  pag.  70  della  Misceli.  Chig.  ms.  R.  V.  e.  Ago- 
stino scrive  al  fratello  Sigismondo  di  voler  donare  un  cavallo  «  al 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  149 


Mso  Juliano  (de' Medici)  et  imo  a  romolines  (i)  ».  Altrove  (ivi  pag.  17) 
scrivendo  al  medesimo  di  alcune  possessioni  da  comperare  in  Siena, 
dice  ((Similmente  del  Monte,  il  quale  io  desiderano  per  la  ra:(^a  delle 
mie  Caualle,  ma  poi  esaminando  meglio  non  so  se  ni  stessero  bene  ». 

Pag.  54,  voi.  II:  «  In  horuin  comitatu  saepius  fuil  equo  insidens 
Turco  splendide phalerato  ephippiatoque  (Magni  Turcae  munus  hocfuerat)  ». 

Di  un  cauallo  turco  tocca  Agostino  in  una  lettera  al  fratello  Si- 
gismondo, la  quale  sta  a  pag.  71  della  sopra  citata  Misceli,  chig. 
ms.  R.  V  e. 

Pag.  54,  voi.  II:  «  Patria  eins  quamquam  ahsentem,  honorihus  tamen 
semper  proseqimta  est  ». 

Trascrivo  qui  una  lettera  di  Agostino  al  suo  fratello  Sigismondo, 
che  ha  relazione  ad  un  capitano  di  ventura  stipendiato  da  esso  Ago- 
stino per  conto  della  sua  patria  (2). 

Gismondo.  Ho  receputo  le  tue  Ire,  et  circa  quel  che  ne  scrini  de  li 
denari  da  pagarse  al  SJ'  Chiappino,  ne  dicemo  non  debi  in  alcun  modo 
pagarli  più  un  quatrino,  la  Cascione  è,  che  la  SM  de  N.  S.^^  non  uole 
per  niente  che  se  conduca  ali  semiti]'  della  S."'^  come  haturai  inteso  dal 
Magso  ne  pò  far  stima  alcuna  de  condurre  vn  homo  danne  de  quelli  che 
ha  facti  perchè  el  prefato  N.  S.^^  ha  facti  in  modo  serrar  li  passi,  che 
non  ce  uerso  alcuno  a  poter  passare,  in  modo  che  ne  sera  necessario  resti- 
tuir li  denari  pagati,  et  che  lui  ne  li  restituisca  a  noi,  et  molto  più  facil- 
mente se  rehaueranno  quelli  che  sonno  pagati  che  si  fusseno  magiur  suma  : 
si  che  non  pagate  pili  cosa  alcuna  et  fate  intendere  al  S.^  Chiappino  la 
Cascione  sopradicta  che  non  se  li  paga  el  resto  secando  ch'era  ordinato, 
perchè  è  impossibile   cosa  per  le  prouisioni  grandi  che  ha  facte  N.  5.'*<^ 

che  possi  condurre    li  soi  homeni  darme   ali  serviti]  de  la  S.^ì^ 

Rome  X  maji  M.D.X. 

Pag.  60,  voi.  II:  «  ....  intjr  hos  (eruditos)  et  poetas  siue  latine  siue 
thusce  canentes  (invenit  amicos,  aut  beneficentia  fecit)  ». 

Tra  questi  poeti  è  da  annoverare  Serafino  Aquilano,  di  cui  narra 
il  Calmeta  (3):  «  (Agapito  Gerardino)   in   Sala  Maria  dal  Populo  el 


(i)  Forse  questo  romolines  è  Rodorico  Molina  (confuse  insieme,  nella  furia 
dello  scrivere,  le  iniziali  del  nome  ro  col  cognome  Molines)  «  al  quale  (dice  Ago- 
stino in  un'altra  lettera,  ivi  p.  114)  sema  desyderosissimi  far  cosa  grata  per  ogni 
respecto  » . 

(2)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e,  pag.  40. 

(3)  Vita  del  fecondo  Poeta  Vulgare  Seraphino  Aquilc.no  per  Vincenzio  Cal- 
meta composta.   Sta  a  pag.  4-14    delle   Collettanee  Grece  Latine  e  Vulgari  per 


130 


G.  Cugnoni 


fece  sepelire.  Et  ordinatoli  mediante  la  industria  de  molti  amici  soi  et  in 
spetialita  de  Angustino  Gìiisi  getilbomo  Senese  ricco  e  generoso  honoreuole 
sepoltura  ».  V.  A.  D'Ancona,  Del  Secentismo  nelle  poesie  del  secolo  XV. 
Nuova  Antologia,  fase,  d'agosto  1876. 

Pag.  65,  voi.  Il:  «  Celsus  quidem  Cittadinus  ....  narrauit  mihi,  ma- 
lorum  medicorum  limoniorumque  extitisse  olim  copiam  immensom  ». 

In  una  lettera  a  pag.  47  della  Misceli.  Cliig.  ms.  R.  V.  e,  Ago- 
stino fa  premura  al  fratello  Sigismondo  perchè  «  Li  annesti  mandinsi 
a  Roma  (scrive  da  Bologna)  con  ogni  presterà  perchè  hormay  passa  el 
tempo  di  piantarli  ».       1 

Pag.  69,  voi.  II:  «  Liberalitatem  eius  (Augustini),  affines,  cogttati, 
amici  paene  omnes  experti  sunt  ». 

Di  tale  liberalità  è  degno  argomento  la  «  Doiiatione  d'Agostino, 
e  Franzo  Chigi  a  Gismondo  loro  Fratello  di  pili  beni  d'ogni  heredità 
paterna»  fatta  per  pubblico  istromento  in  Roma  ai  17  luglio  1504, 
trascritto  a  pag.  522  segg.  del  voi.  I,  delle  Scritture  di  Casa  Chigi. 
Rispetto  alla  quale  donazione  così  Agostino  scriveva  al  donatario  il 
50  settembre  151 3   (i). 

<(  Gis.^o  come  intenderai  da  Cristophano  habiamo  facto  la  diuisione 
fra  nui  e  ti  porta  el  quaterna  tuo  sottoscriuelo  come  nui  altri  e  rispetto  a 
la  donatione  che  ti  feci  non  uogUo  pero  tal  diuisione  ti  prò  giudichi  an:(i 
uoglio  uenga  a  seruirti  perche  come  uederai  per  detto  quinterno  quello  che 
e  la  parte  mia  e  tanto  apartiene  a  te  per  uigore  di  decta  donatione  non 
obslante  la  diuisione  presente  e  per  altrettanto  ti  resto  obligato  per  la  parte 
de  Francesco  e  così  douarai  restar  ben  contento  e  se  ti  portarai  bene  non 
ti  mancharo  in  maggior  cosa  ». 

Pag.  71,  voi.  II:  K  Libct  haec  adnectere  per  uulgatani  falso  histo- 
riam  a  Maìeuolta,  emptos  tantum  fuisse  ab  Angustino  Castri  huius  (Portus 
Herculis)  prouentus  ac  uestigalia,  nihil  nero  dominationis  aut  regiminis 
ad  eum  per  tinnisse  ». 

Di  questa  falsa  diceria,  così  lamentasi  Agostino  col  fratello  Si- 
gismondo in  una  lettera  a  pag.  17  della  Misceli.  Chig.  ms.  R.  V.  e: 
«  ....  perchè  in  fine  a  dirti  il  nero  io  so  assai  stufo  de  le  cose  di  Porther- 


diuersi  Auctori  Moderni  nella  Morte  de  lardente  Seraphino  Aquilano  Per  Gioanne 
Philotheo  Achillino  Bolognese  in  uno  corpo  Redutte.  Et  alla  Dina  Helisabetta 
Feltria  da  Gonzaga  Duchessa  di  Vrbino  dicatenella  Vetustissima  Citta  di  Bolo- 
gna. Per  Caligula  Baialiero  di  quella  Cittadino  impresse.  Gubernante  il  Secondo 
Bentiuoglio.  Nel  M.D.IIII  di  Luglio. 

(1)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e,  pag.  63. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  i5i 


cole,  parendomi  che  quelli  Portbercolesi,  o  per  ordine  d'altri,  o  per  cit- 
ladini  di  Siena,  o  per  loro  medesimi  mille  uolte  hanno  hauuto  a  dire  che 
di  la  io  non  ho  che  fare,  e  che  son  semplice  Gotiernatore  e  che  per  una 
piccola  lettera  della  Balìa,  o  de  la  Signoria  mi  leuarebhero  ogni  ohbe- 
dien:(a:  sicché  io  non  son  solito  spendere  il  mio  denaro  in  questa  forma, 
e  però  con  pruden:^a  farai  intendere  l'animo  mio  a  S.  Magnificentia  rin- 
gratiandolo  del  tutto  ». 

Pag.  72,  voi.  II:  «  Ex  hoc  eodem  oppido  Augustinus  uina  ut  gene- 
rosiora  hiberet,  etc.  ». 

A  questo  suo  deliziarsi  in  vini  si  riferisce  il  seguente  brano  di 
lettera  al  fratello  Sigismondo  (Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e,  pag.  46): 
«  Similmente  mi  manda  8,  0  io  fiaschi  di  qualche  hono  vino  nono  parte 
vermiglio  et  parte  bianco  Che  non  manchi  Ma  sopra  tutto  aduertisce  sia 
bono  come  dico  et  bene  scarico  ». 

Pag.  75,  voi.  II:  «  Suo  nero  Augustinus  dotem  indulsit  (alla  Cap- 
pella della  Pace)  aureorum  annuorum  L  ». 

Da  un  istromento  trascritto  a  pag,  375  della  Misceli.  Chig.,  ms. 
R.  V.  d.,  apparisce  che  questa  rendita  era  fondata  sopra  una  casa 
in  Borgo,  comperata  poi  da  Girolamo  de'  Glanderoni,  Arcivescovo 
di  Amalfi. 

Nota  12: 

Dopo  il  n.  I.:  e  Patentes  ^  Due.  prò  Augusto  Ghisio  (per  altrettanti 
da  esso  anticipati  alla  Camera  Apostolica  nell'atto  della  stipulazione 
del  succitato  istromento  d'appalto  delle  Allumiere)  die  ly.Februarii  ijoi 
{Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  G,  pag.  385)  ». 

Dopo  il  n.  6.  «  Motus  proprius  Leonis  X.  mandantis  S.  R.  E.  Ca- 
merario et  Clericis  et  Praesiden.  Camerae  Apostolicae  quod  debeant  so- 
lemniter  promiitere  etiam  cum  celebratione  Contractus  quod  intra  spatium 
decem  et  odo  mensium  Augustinus  appaltator  Allumeriae  S.  Cruciatae 
quietetur  in  forma  a  Duo  Plumbini  etc.  de  residuo  pecuniarum  soluto  etc.  » 
(ivi,  pag.  331). 

«  Motus  proprius  Leonis  X.  in  quo  disponitur  ut  Angustino  Chisio 
soluantur  loiyó  ducator.  (per  altrettanti  de'  quali  questi  risultò  cre- 
ditore della  Camera  Apostolica  nel  computo  finale  dell'appalto  delle 
Allumiere).  Ivi,  pag.  333  ». 

Patti  fra  Agostino  Chigi  e   Vannino  d'Antonio  di  Sergiovanni 
mastro  di  gitlo  (i). 

Al  nome  di  Dio  a  di  XXIIII  di  Febraro  i)o8  ab  incarnatione. 

(i)  Misceli,  Chig.,  ms.  R.  V.  e. 


l52 


G.  Cugnonì 


Sia  noto  et  manifesto  a  chi  Uggiara  la  presente  scripta  come  hoggi 
questo  dì  decto  di  sopra  come  Messer  Angustino  Chigi  mercante  senese 
appaltatore  della  Camera  della  Tolfa  da  vna  parte  e  Maestro  Vannino 
d'Antonio  di  Ser  Giohanni  di  Siena  mastro  di  gitto  da  l'altra  parte  de- 
uenghano  a  le  in  frascripti  pacti  capitali  et  conuentioni  de  li  quali  apresso 
si  fa  meutione  In  prima 

El  decto  M.  Angustino  questo  di  decto  di  sopra  consegna  a  decto 
Maestro  Vannino  alle  Lumiere  quatro  fondi  di  Bron-^o  rotti  e  rotti  glieVha 
a  rendare  a  la  fine  d'anni  quatro  tanto  pia  quanto  di  qui  a  Maggio  pro- 
ximo  a  uenire  Et  quando  li  hauesse  a  rifare,  si  pesino  et  lui  per  quello 
pesano  li  hahbi  a  fare  huoni. 

liem  che  decto  Maestro  Vannino  sia  tenuto  tener  tre  fondi  che  sempre 
possino  lauorare  come  è  usato  El  quando  decto  messer  Angustino  nolesse 
che  si  facessero  septe  casse  possi  farlo. 

Item  che  decto  Messer  Angustino  li  dia  ducati  dugento  viginti  cinque 
eV  anno  di  karlini  X  per  ducato  per  mantenere  decti  fondi  a  spese  di 
Maestro   Vannino  cominciando  questo  dì. 

Item  che  alla  fine  dì  anni  quatro  tutti  li  rami  nuouì  et  uecchi  restino 
a  Maestro  Vannino  et  si  nolesse  pagarli  dicto  Messer  Angustino  per  quello 
stanno  a  Maestro   Vannino  possi  farlo. 

Item  che  tutti  e  hron7;i  che  al  presente  si  trouano  et  rami  et  stagni 
sieno  pesati  al  pi  esente  a  decto  Maestro  Vannino  Et  a  la  fine  di  quatro 
anni,  li  hahbi  arrendare  dicto  Maestro  Vannino  a  Messer  Augustìno,  o, 
farli  buoni  ducati  cinquanta  el  migliaro  di  kajlini  l'uno  per  l'altro  come 
parrà  a  Maestro  Vannino.  Et  così  li  quatro  fondi  decti  si  debbino  pesare 
et  restituirli  al  medesimo  peso. 

Item  chel  decto  Messer  Angustino  li  debbi  dare  al  presente  dugento 
cinquanta  ducati  di  carlini  per  comprare  rami  e  fartte  fondi. 

Item  che  si  caso  fusse  di  guerre  o,  di  peste  che  fisse  rohbato  o,  non 
si  potesse  praticare  dicto  Maestro  Vannino  non  sia  tenuto  a  danno  nissuno. 

Item  che  li  sia  consignata  una  staw^a  a  la  Lumera  in  casa  per  poter 
rimettare  bron:(i  et  altre  cose. 

Item  che  in  capo  del  primo  anno  si  posi  rinunciare  la  detta  concordia 
per  detto  maestro  Vannino  restituendo  tutto  quello  che  lui  hauesse  hauto 
excepto  quello  che  lui  hauesse  guadagnato. 

Item  che  li  habbi  a  dare  tutti  li  denari  di  mano  in  mano  che  lui  hausse 
guadagnato  Et  non  n'abbi  a  fare  buono  ne  denari  ne  cosa  nissuna  si  non  ne 
soscripto  di  sua  mano.  Computando  per  questi  hauti  per  comprare  li  rami. 

Item  che  dicto  Messer  Angustino  tutto  el  tempo  che  maestro  Vannino 
stesse  a  le  Lumiere,  li  habbi  a  fare  le  spese  et  dare  aiuto  et  legne  come, 
e,  usato  per  il  passato  sen:(a  premio  nissuno  per  fare  dìcti  fondi  et  non 
altre  faccende. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  i53 


lìcm  che  quando  per  difecio  di  fondi  non  si  potesse  ìauorare  come  si 
suole  ìauorare  quando  si  lauora  a  tre  caldare  et  non  tenesse  preparati 
quatro  fondi  che  Maestro  Vannino  sia  tenuto  far  buono  el  danno  che  fusse 
stimato  per  due  homini  comuni  della  Lumera  Et  tutto  s'intendi  a  bona 
fé  sen^a  fraude. 

Item  che  decto  Messer  Angustino  li  dia  al  presente  un  mulo  et  un  paro 
di  bufali  per  stima  di  due  homitii  delle  Lumere. 

Item  che  decto  maestro  Vannino  sia  tenuto  dare  li  fondi  facti  a  la 
buttega  Et  decto  Messer  Angustino  li  habbi  a  fare  murare  come  e,  usato 
per  il  passato  et  quando  fussero  rotti  el  decto  Messer  Angustino  li  habbia 
a  fare  cauare  comejejusato. 

Item  se  il  detto  Aghosiino  non  potessi  più  ìauorare  overo  non  volessi 
ìauorare  in  fra  questo  tempo  il  posi  fare  a  sua  posta  ne  sia  obrigato  a 
pena  alcuna  per  questo.  Similmente  se  volessi  ìauorare  con  mancho  fondi 
sabi  d'avere  rispetto  a  lavorato. 

Item  promette  detto  maestro  Vannino  che  li  ducati  200  che  piglia  al 
presente  di  quelli  n'ara  conperato  tanto  rame  e  portato  alla  Lumiera  la- 
uorato  in  fondi  (0)  vero  rotto  e  questo  per  i  tempo  di  5  mesi  da  ogi  e 
caso  che  non  lo  facci  sia  obrighato  di  pagarli  0  restituirli  di  contanti  al 
detto  tempo. 

Que  omnia  etc.  Actum  Rome  in  apotxa  mei  notarli  sita  in  regione 
Pontis  corani  et  presentibus  dominis  Quinio  Andreae  notario  publico  Se- 
nensi  et  D.  Petro  Mariani  de  Senis  aromatario  testibus. 

Christophorus  Pagnus  notarius  de  predìctis  rogatus  scripsit. 

Di  questo  Vannino  scrive  Agostino  in  una  lettera  al  fratello  Si- 
gismondo (Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V,  e,  pag.  47)  :  «  Circa  quanto  mi 
scrivi  de  facti  di  M.o  Vannino  voglio  che  sappi  non  esser  siato  sostenuto 
ad  mia  instantia.  Ma  della  Camera  Apostolica  per  certe  quantità  dallumi 
che  lui  el  suo  gar:^one  hanno  tolto  ale  Lumere  et  uenduto  per  le  terre  del 
patrimonio  È  ben  nero  ch'essendo  examinato  sopra  questa  cosa  el  vene- 
rabile ha  confessato  hauermi  tolto  io  some  di  loppe  di  metallo  ch'in  ef- 
fecto  era  bron:(o  schietto  ». 

Alle  Allumiere  della  Tolfa  si  riferiscono  le  seguenti 
Memorie  Antiche 
delle  Lumiere,  (i) 
Beatissimo  Padre  et  Signore 
Ancor    che    la    Grade-^a  di  V.o^  Santità  mi  spaueti  no  di  meno,  ecc.  » 
La  lettera  è  di  F.  Zenobi  Eremita  della  Tolfa,  il  quale  manda  a  Papa 

(I)  Ms.  Chig.  G,  IV,  107. 


i54 


G.  Cugnoni 


Alessandro  VII  alcune  notizie  intorno  ad  Agostino  Chigi.  Notevole 
in  questa  lettera  è  il  passo  seguente:  «  Nello  scatoUno  sigillato  qui 
congiuto  è  un  chiodo  di  Broif^o,  trouato  a  caso  in  un  muro  atico  nel 
Cornuto  di  SJ^  Maria  della  Sugara,  et  si  crede  fusse  di  quelli  maggiori 
fissi  nella  Grada  del  tetto  della  Tribuna  coperta  di  Piombo,  per  che  li 
chiodi  di  tutte  le  Macchine  (non)  erano  minori  in  numero  di  sessata  Mila, 
e  Cento,  come  dissi  nel  Capo  ymo»^  Seguono  le  Memorie: 


«  Ricordo  come  là  Santità  di  Papa  Pio  secondo  lo  stesso  anno  146}. 
et  il  quinto  del  suo  Pontificato,  fece  publicare  una  Bolla  ecc.  » 


«  Ricordo  come  l'Anno  1464.  che  successe  nel  Papato  Paulo  de  Ve- 
nezia pure  secondo,  ti  quale,  fatta  la  Santa  Cruciata,  e  Lega  de  Principi 
Christiani  contr'alli  Turchi,  a  persuasione  di  Misere  Agostino  Orisi  da 
Siena  nostro  Padrone  applicò  tutte  l'entrate  dell'Allumiere  della  Tolfa  per 
questa  guerra  ecc.  » 

3-  _ 

«  Paulus  Venetus  Papa  secudus 
«  Has  Aedes  cum  alijs  proxime  circumstantibus  conseruationi  Aluminis 
aedificauit,  quod  primum  sub  Pij  secundi  Pontificis  eius  praedecessoris 
Anno  Salutis  M.  CCCC.  LXII  Diurno  munere  apud  Tulpham  inuentum 
est,  ipsa  nero  Tulpha,  Paulo  sedente,  restiluta  Ecclesiae,  singulos  Aluminis 
prouentus  ob  Fidei  defensionem  Sanctae  Cruciatae  perpetuo  dedicauit. 


Nicol. 


1  Si  giusto,  incorruttibile,  e  sincero 
Si  tu  per  S.ta  Chiesa  al  pesar  posto 
Per  consignar  che  palese,  o  nascosto 
Non  sia  trouato  mai  se  no  col  uero 


De  Fab.no 


«  Questa  Memoria  è  in  Ciuitauecchia  scolpita  in  Marmo  nella  fac- 
ciata d'uno  delti  Maga:(;(ini  dell'Allume,  detto  il  Maga^xj^io  della  Chiauica  ». 


«  Ricordo  quahnete  l'Anno  1464.  Misere  Agostino  Chisi  da  Siena  no- 
stro Padrone  per  somministrare  maggiori  sume  di  denari  per  la  Santa 
Cruciata,  et  Guerra  contro  alti  Turchi,  deliberò  accrescere  il  Nego:!;io 
delle  Alluminiere,  e  trasferirlo  alla  Fontana  della  Bianca,  luogo  più  op- 
portuno. Elio  adunque  con  li  suo  Huomini  cercò  diligentemete  per  questi 
Monti  nuotie  Caue  d'Allume  in  Pietra,  et  in  breue  tempo  se  ne  scoper- 
sero molte,  ma  il  detto  Misere  Agostino  ne  elesse  una  sola  molto  copiosa, 
posta  neirAltei:(a  d'un  Monte  fra  la  Rocca  della  Tolfa,  e  la  Fontana  della 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  i55 

Bianca  iierso  Traniotaiia,  et  repudiò  l'altre  basse Si  atterrò  la 

Macchia  intorno  al  detto  Monte,  et  con  gran  fretta  si  lauorò  a  detta  Catta 
nuoiia,  intanto  molti  operarij  faceuano  le  Fornace  lini  appresso  per  cuo- 
cere le  Pietre  alluminose,  le  quali  poi  cotte  si  portarono  per  molti  Mesi 
alla  Fontana  della  Bianca  prima  che  ui  s'hàbitassi. 

S- 
«  Ricordo  come  l'Anno  146J  rente  (sic)  alla  Fontana  della  Bianca 
del  Mote  si  trono  una  Catta  di  Sassi  alltiminati,  che  non  statia  sotto  terra 
un  Cubito,  migliore  pur'assai  della  prima  iti  luogo  largo,  e  piti  comodo. 
Per  qtiesto  Misere  Agostino  Girisi  Padrone  del  Nego:(io  dell'  Alltiminiere  ui 
fece  lattorare  in  prescia  con  molta  gente.  Itim,  perchè  V operarij  e  Ministri 
udissero  ogni  mattina  la  SM  Messa,  la  prima  cosa  fece  mtirare  tuta  Cap- 
pella Grande  liui  tiicitto,  e  nel  muro  ui  fece  dipengnere  Madonna  5.^^  Maria 
col  suo  Bambinello,  Misere  Santo  Pietro,  e  Misere  Santo  Agostino.  Si  tagliò 
il  Bosco  per  farsi  agio,  et  perchè  la  Legna  ftisse  stagionata,  et  per  non 
fare  uertina  spesa  di  condutta.  Itsm  detto  Misere  Agostino  Ghisi  fece  fare 
le  Fornace  per  cuocere  le  Pietre  alluminate  appresso  la  Fontana  della  Bianca 
uerso  Leuante,  et  le  Pia'^^e  in  quel  p.o  piano  uicitio  un  tiro  di  sasso.  Dalla 
Caua  lini  sopra  ru^p^olatcaiio  li  sassi  alluminosi  alle  Fornace  liui  sotto,  e 
coiti  si  portauano  alle  Pia:(^e.  Di  verno  li  vetturali  faceuano  Diciotto 
Viaggi,  setti  innattzi  allo  scioluere,  e  uttdici  dopo  lo  scioluere,  cominciando  la 
mattina  doppo  la  Messa,  efiniuatio  col  sole  per  la  gran  uicittanxa.  Misere  Ago- 
stino detto  fece  murare  alla  Bianca  Quattro  Fornelli  co  le  Caldaie  piti  mag- 
giori della  prima  per  fare  bollire  l'Allume.  Item  fece  circondare  la  Fontana, 
e  ragunare  l'Acqua  con  muro  a  Bottaccio  per  li  bisogni  del  Negozio.  Item  Mi- 
sere Agostino  Ghisi  fece  murare  il  Palagio  alla  Bianca  per  habitare  esso  con 
li  sua  Mitiistri,  e  Fanti.  Item  Misere  Agostino  Ghisi  fece  murare  le  stalle 
delle  Bestie.  Il  Nego^iio  ingrossò  pure  assai,  perchè  ui  latioratiano  sessata 
cinqtie  Caualli,  Venti  Muli,  e  Dieci  Carra  tirate  da  Boni.  Item  fra  le 
Cane  e  le  Fornace  ui  lauorauano  Cetito  l^nticiitque  Huomini.  Misere 
Agostino  Ghisi  al  principio  di  Giugno  146^  (sic)  abbandonò  il  luogho  del 
Zanfone,  et  esso  con  tutto  il  Nego:;jo  andò  a  stare  alla  Biaca  perchè  liui 
non  era  quasi  spesa  di  condutte,  et  ui  era  più  comodità  ». 


Nota  (17).  Dopo  il  n,  2:  «  Mandatum  Alexandri  6.  super  soltitione 
-  due.  per  Atigtistinum  Ghigitim  super  Dohana  Patrimotiij.  Die  V.  Octo- 
bris  i4()6  »  (Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  G,  pag.  367).  —  «  Decla- 
ratio  prò  Camera  contra  Atigtistinum  Chigium  Dohanerium  (a  pagar 
ducati  quattromila  dovuti  per  l'appalto  della  dogana  pectidum  Patri- 
monii,  con  fissazione  di  termine  unius  mensis  ad  prodticendum  et  prò- 


i56 


G.  Cugnonì 


handum  qiiidquid  voliierit  prò  recompcnsa  damnorinn,  tcc^  die  25.  Maiì 
149S  »  (Ivi,  pag.  369). 

In  un  fascicolo  contenuto  nella  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e.  v'  ha 
una  ProUstatio  di  Agostino  Chigi  dohanerii  dohane  pairìmonii  alla  Ca- 
mera Apostolica  prò  recovipensa  damnorum,  tee,  in  data  27  Giugno 
1498.  Forse  questa  fu  fatta  da  Agostino  in  conseguenza  dell'accen- 
nata Dichiarazione. 

Nello  stesso  fascicolo  hannovi  altre  stampe  e  scritture  spettanti 
all'argomento  in  proposito,  di  due  delle  quali  parmi  utile  trascrivere 
il  testo: 

I. 

Forma  Salnj  conducti  antiqiiitus  fidaiis  dari  soliti  (i) 
AVGVSTINO  :  ChlSCI  :  DA  :  SIENA  : 

N deìa  prouincia  di  Patrimonio  generali  Dohaneri  perla  sanctita  del 
nostro  signore  ed  de  sancta  Chiesia  Affidemo,  Assecuremo  et  Affran- 
chenio.  (2) 

con  tutti  et  singuli  (3)  Gargari  Pastori  Gar^^oni  et  fanti  con  loro 

Bestiame  grosso  et  menato  et  arnese  oportiino  conducendolo  0  facendolo 
condure  iti  le  Dohane  de  la  prefata  sanctita  che  possano  venire:  stare: 
et  tornare  :  franchi  et  securi 

Notificando  ad  tutti  et  singuli  mediate  vel  immediate  suhgetti  della  pre- 
fata sanctita  et  sancta  Chiesa  che  prosumisseno  impedire  ditta  securita  (4)  che 
incurrerauo  in  pena  de  ducati  milli  da  applicarse  alla  Camera  apostolica 
durante  lo  tempo  della  presente  fida  :  la  quale  sia  duratura  fine  ad  Scto 
Auglo  de  magio  pxft  dauenire 

Et  più  li  assecuremo  et  affranchemo  da  ogni  Represaglia  contessa  (5) 
et  da  comnietterse  et  per  debiti  getierali  et  particulari  durante  lo  tempo  della 
presente  fida. 

Et  più  li  promettemo  che  porrano  portare  Arme  de  die  de  nocte  (6) 
con  lume  et  sen:(a  lume  sen-^  pagarne  pena  non  ohstante  ogne  altra  cosa 
in  contrario  ordinata. 

Et  promettemoli  che  porranno  cauare  de  tutte  le  terre  dela  chiesa  vit- 
tualia  per  hisognio  loro  et  de  loro  bestiame  serf^a  pagerne  gabella  ne  passo 
non  portandela  fuor  deh  terre  della  chiesa 

Et  più  lì  promettemo  che  facendo  danno  alchuno  con  loro  bestiame 
venendo  staendo  :  et  tornado  non  possono  essere  constretti  ad  pagarne  pena  : 

(i)  E  scrittura  a  stampa,  riempita  qua  e  là  ed  annotata  in  margine  a  penna. 

(2)  Laguna  dello  stampato. 

(3)  Id. 

(4)  Sanctes  de  Morra  fuit  ceptus  in  terris  ducis  vrbini.  (Nota  marginale  ms.) 

(5)  In  petro  mar....o  de  nursta  hoc  non  fuit  servatian.  (Nota  id.) 

(6)  Item  in  mor icone  de  treni  qui  in  viterbio  fuit  captus.  (Nota  id.) 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  167 


ma  solo  ad  emendare  lo  danno  da  estimarse  per  doi  honiini  conmunamete 
elecH  perle  parti:  quali  no  essendo  de  accordo  li  promettemo  noi  o  nostri 
mandati  estimarli  et  accordarli 

Et  piti  li  promettemo  che  recepedo  dano  alchuno  loro  o  in  loro  (i) 
bestiame  da  genti  darme  o  da  altri  suhditi  dela  prefata  Sanctita  et  sancta 
Chiesa  emendarlilo  o  farlilo  emedare  alle  spese  de  quelli  che  lo  facessino. 

Et  prometlemoli  che  nisuno  officiale  mediate  vel  immediate  subdito  dela 
prefata  sanctita  et  sancta  Chiesa  hauera  iurisdictione  alchuna  sopra  de  essi 
fidati  eccepto  noi  alli  quali  fidati  administraremo  giusticia  in  ogne  diffe- 
rentia  che  li  occurressi  et  per  ogne  altra  cosa  :  eccepto  Crimelese  maie- 
statis.  Domicidio  et  furto  et  ogne  altro  delieto  che  de  ragione  ne  andassi 
la  vita  :  quali  delitti  se  debiano  punire  loro  ludici  competenti  vna  insieme 
con  ìioi  Dohaneri 

Li  sopraditti  sei  capituli  cominciando  da  quello  che  contiene  le  (2)  Re- 
pressaglie  in  li  quali  non  se  fa  mentione  de  pena  volemo  che  chi  presumissi 
de  nolli  obseruare  et  cotra  la  continetia  de  essi  venire  che  per  ciaschuno 
et  per  quante  volle  contrafacessino  incurrerano  in  pena  de  ducati  vinti- 
cinque  da  defatto  tollerse  et  applicarse  perla  teria  parte  alla  camera  apo- 
stolica; la  ter:{a  pt^  a  noi  Dohaneri:  et  laltra  ter^fl  parte  allo  denuntìa- 
tore:  0  vero  accusatore:  et  niente  de  meno  alla  satisfactione  de  danni  et 
interesse  che  perciò  ditti  fidati  incurrissino 

Et  li  sopraditti  fidati  siano  tenuti  et  debiano  pagare  ad  noi  Dohaneri 
per  nome  dela  Camera  per  ciaschun  cetinaro  de  bestie  grosse  ducati  vinti 
dua  doro  :  et  per  ciaschun  cetinaro  de  bestie  menute  mite  (sic)  ducati 
cinque  et  me:^o  simili 

Et  debiano  li  sopraditti  fidati  vbedire  ad  tutti  nostri  comandmenti  (sic) 
et  no  se  partire  dela  Dohana  se  prima  non  hanno  integramenti  satisfacto 
tanto  debiti  de  Camera  quanto  de  officiali  de  Dohana  ad  quanto  serranno 
obligati^  et  sen^a  nostra  bolleta  de  passagio  alla  pena  et  sotto  la  pena  de 
perditioe  de  quello  bestiame  che  sen^a  bolleta  passassino  cojiscatioe  de  loro 
beni  et  deh  albitrio  (sic)  nostro  :  la  mila  dela  qual  pena  da  applicarse 
alla  Camera  apostolica:  vn  quarto  ad  noi  Dohaneri:  et  laltro  quarto 
allo  inuentore  0  vero  accusatore. 

Et  per  auctorita  del  nostro  officio  comandemo  ad  tutti  et  singuli  Si- 
gnori Baroni  Cita  Comunità  Terre  Castelli  Gouernatori  Castellani  Po- 
testa  Vicary  et  Conductori  di  genti  darme  da  cauallo  et  da  pie  et  a  Ga- 
bellieri Passagieri  et  altri  officiali  et  liiochi  mediate  vel  immediate  sub- 
tecti  (sic)  della  prefata  Sanctita  et  sancta  chiesa  che  tutti  et  singuli  sopradicti 
capituli  debiano  totaliter  et  ciim  effictu  obseruare  et  fare  obseruare  et  che 

(i)  Nullus  fuit  affidatus  qui  non  passus  fuerit.  (Nota  marginale  ms.) 
(2)  Li  sopradetti  sei  capitoli  a  nisciuno:  et  a  nisciuno  de  essi  e  stato  obser- 
uato.  (Nota  id.) 


Cugnoni 


nullo  ardisca  ne  presuma  iollere  ne  adomadare  alchuna  qualità  de  dinari 
0  bestiame  ne  citra  (sic)  cosa  per  passo  o  vero  gabella  de  destiame  (sic) 
et  de  fructi  descedenti  de  pecora  li  sopra  dicti  fidati  in  venire  stare  et 
tornare:  ina  che  gli  debiano  dare  aiuto  et  fauore  tate  volte  quate  li  bi- 
sognassi et  da  loro  fosseno  recbiesti  in  modo  che  loro  et  loro  bestiame  (^ì) 
vengano  steano  et  tornino  franchi  securi  conto  de  sopra  per  eoi  (sic)  selli 
promette  alla  pena  de  ducati  milli  doro  da  de  fatto  tollerse  ad  qualunche 
cotrafacessi  et  applicare  alla  Camera  apostolica.  Data  Rome  in  Dohana 
Pecudum  sub  anno  dui  Millesimo.  CCCC.  LXXXXFI  Pontificatus  Sanctis- 
simi  domini  nostri  Alexandre  diuina  prouidentia  pape  sexti  Indictione  XIII f 
mensis  die         Pontificatus  eiusdem  Anno  quinto 

Secundianus  Canc.^    de  manto (2) 


Lre  aug.  ad  Camera  p  quas  significai  dapna  et  coitates  et  alios  dapnu 
dantes  cu  denoiatie  eor.  q  dapna  receperut  q.  apparét  pntate 

adi  Patri  :  oltra  lessar  annata  qi  tucta  la  dohana  In  puglia  cotra  il 
banj  de   V.  S.  ce  e  qstaltro  rstoro  :  Et  prima  _ 

In  ql  de  Spoleti  per  tucti  li  lochi  doue  passa  la  dohana  no  stimate  eh 
ci  sia  passato  fidato  nisciuno  eh  In  Grandissima  quantità  de  loro  bestiame 
no  sia  stato  assassinati  :  et  mostrando  le  fide  le  stato  dto  chi  papa  no  pò 
fidar  nel  loro  :  et  uoluto  sopra  ciò  farci  prouisione  habiamo  mandato  ala 
Coita  et  al  Gouprnator  el  q<^le  ha  acteso  apigliarsi  qualch  prsente  et  qsta 
e  la  prouisione  et  la  rsposta  eh  ci  ha  mandata  _ 

In  quel  de  lode  per  eer  Gente  Cortese  no  ce  passa  nisciuno  eh  no  pi- 
glino a  brancho  de  pecor  :  et  e  lecito  ad  omne  mendico  annar  al  fidato  : 
et  domandar  la  Carne  con  dir  eh  la  uole  voglia  0  no  et  a  dispeeto  de 
la  fida  et  del  papa  :  et  maximamente  ad  un  Castello  chiamato  lu  quatro 
eh  si  dice  ppr  de  qsti  da  Canale  Passando  vn  Giuuannj  de  litio  da  Norscia 
li  tolsero  circa  Cento  pecor:  doue  annando  el  dto  Giuuannj  co  vno  de 
uri  Cauallari  per  raquistarle  li  fu  resposto  eh  no  obstante  de^  rendarle  : 
ma  per  tucti  l'altri  eh  ce  passariano  comp^ariano  ama^^ar  el  Peco- 
raro et  poi  tucte  le  pecor  et  lu  patrone  :  et  mostrandoli  la  fida  glela 
straeciaro  et  feeerone  milli  pe:(i  :  et  iiolmdo  far  reurso  per  altre  uolte  al 
Gouernator:  rsponde  eh  ha  più  anela  eh  el  dohaniere  nun  e  sopto  posto 
ad  esso:  et  no  li  uolesser  schiano  :  Volendo..  ..(3)  lochi  Contar  tucti  li 
dampni  et  assassinameli  no  bastariatio  dece  fogli 

In  qllo  damelia  In  vno  Castello  de  eh  Intano  li  schiauj  hanno  tolte  tante 


(1)  In  haue  penam  multe. 

(2)  Qui  il  ms.  è  corroso. 

(3)  Id. 


et  alq  incicierunt.  (Nota  marginale  ms.) 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  169 


pecor  fra  volta  et  uolta  :  eh  horamai  per  modo  de  dir  porrìano  da  loro 
medesimi  far  vna  dohana.  Et  Vllimamete  passandoci  Pa\aglia  da  monte 
leone  ne  impiro  vita  fornace  piena  di  ciauarri  per  la  qual  cosa  recor..  (i) 
vn  Garrone  chiamato  pampana  per  rcuperarli  :  al  Gouernatore  de  nargne  : 
et  mostrandoli  la  fida  et  l'anctorita  del  officio  :  El  fauor  eh  li  fé  :  In  mise 
in  vna  pscione  :  et  menacciollo  de  impicharlo  et  anchora  crdo  eh  ce  stii 

In  quello  de  Surìano  :  Non  ce  passato  fidato  niscìuno  eh  chi  no  ghia 
donato  le  stato  sfor':^ato  et  Rohato  vno  o  dtij  bestie  per  hrancho  :  et  no 
solamente  hanno  acteso  a  questo  quando  ce  passata  qualche  hella  Cappa 
no  lanno  lassata  annare 

Simile  in  qllo  de  viturchiano  et  de  bagnala  :  tucto  qsto  passo  dela  do- 
hana ce  Sono  stati  septe  o  no  odo  latroncelli  eh  no  ce  passato  alcuno  eh 
no  habino  assassinato  et  volendo  aeìo  protieder  :  habìamo  scripto  ale  Coita 
de  dti  lochi;  et  li  resposte  loro  sonno  no  poterei  proueder  perch  sonno 
soldati  et  allegano  no  essarli  superiori  ete. 

In  ql  de  Viterbo  eh  maj  si  intese  più  questo  anno  per  no  pterir  el 
cuslume  del  altre  Terre  :  hantio  uoluto  in  qualeh  cosa  la  parte  loro  in 
mo  eh  ne  cocludemo  eh  per  tucte  le  Terre  de  uro  Signor  doue  passa  la 
dohana  no  ce  obedìentia  alehuna 

Anchora  ve  faeemo  intendar  eh  el  Mag.co  Signor  hercule  soldato  de 
N.  S.  et  le  sue  genti  in  cambio  de  fauorir  la  dohana  come  sonno  obli- 
gati  :  Ad  Sancto  hiemino  :  ad  Pampana  et  Pa:(aglìa  da  mote  leone  tolsero 
circa  cento  castronj :  et  ad  Robato  et  piacente  dauissi  li  tolsero  circa  qua- 
ranta pecor  Et  ad  Giuuanbaptista  da  Noscia  nel  Confino  damelia  li  tol- 
sero vinti  bestie  :  et  a  Giimanagto  de  Caterino  da  norscia  li  tolsero  circa 
quaranta  pecor  :  Ad  Giuuannj  de  litio  nel  Confini  de  Tode  et  damelia 
tolsero  circa  Trenta  pecor  :  ad  Pietro  de  Coli  alla  Caprafica  li  tolsero 
septe  bestie:  et  ad  molti  altri  eh  saria  troppo  lon^o  lo  scrinar  in  modo 
eh  infra  tiicti  stimano  per  trecento  bestie  hanno  tolte  sen^a  le  cappe  et 
mectar  aroba  le  masseritie    et    laltre    cose    indebite    eh  hanno  faete 

Per  le  qual  cose  ne  successo  eh  molle  pecor  et  altri  animali  eh  erano 
remasti  in  easci  in  monte  leone:  in  monte  del  monaco  in  Vissi  et  in  molti 
altri  lochi  li  quali  per  hauer  inteso  tal  portaniti  se  deuiaro  :  et  annaro 
nela  marcha  et  in  altri  lochi:  Et  più  psto  li  uogliano  scortiehar  eh  mectarli 
in  bocha  de  qsti  latronj 

Da  laltra  Banna  donde  viene  la  dohana  fagiolana  et  fiorentina 

In  quel  de  peruseia  in  tucte  le  terre  loro  dove  passa  la  dohana  e  as- 
sassinata et  robata:  non  solamele  da  Contadini  et  altri  Ribaldi:  ma  da 
proprij  ceptadini  et  Gentilominj  de  peroseia  :  et  maximamte  Ala  fracta 
et  al  ponte  lanese  (?)  et  a  Capo  Cauallo  ce  sonno  eerti  Castellani  latron- 

(i)  Qui  il  ms.  è  corroso. 


i6o 


G.  Cugnoni 


cellj  eh  non  passa  massaritia  eh  non  ne  tioglia  qtialch  bestia  per  braneho: 
Et  no  bastando  qsto  scareano  le  Caualle  et  tollano  tucte  le  massaritìe  doue 
casualmte  iti  vna  de  decte  some  ee  trouaro  certo  easo  eh  secudo  se  dice 
era  bono  :  et  annado  el  cauallaro  per  rcuperare  dee  robe  li  fu  rsposto  eh 
se  annasse  co  dio  eh  intediua  eh  no  cene  passasse  nulla  eh  no  fusse  se  ar- 
cata perch  el  caso  era  bono  Et  uolendoui  scrinar  tucte  le  Rebalderie  et 
dampnj  eh  rcepe  la  dohana  in  qllo  de  peruscia  :  et  la  pocha  ruerentia  eh 
si  psta  ala  fida  sarbe  troppo  longo  : 

Vnauolta  ve  facciamo  intendar  la  minor  parte  :  la  minor  parte  :  donde 
nasce  eh  no  ce  più  dohana  :  et  si  uolete  più  dohana  fatane  vnaltra  de  nono 

Nela  montagna  dela  piglia  per  li  Conti  de  marciano:  no  ee  passa 
fidato  eh  non  veglino  dece  bestie  per  massaritie  olirà  le  Cappe  et  Caualle 
et  altre  cose  :  et  qn  le  possano  tagliar  non  gliele  lassano  :  Et  perch  li 
Gar:(oni  et  soldati  loro  no  errino  in  poeho  ee  vanno  personahnte 
■  Al  ponte  Carnaiola  ce  sonno  certi  latroncelli  eh  se  dicano  cer  soldati 
de  Nro  Signor  apocho  apocho  robanno  :  hanno  piìi  peeor  eh  no  hauemo  noi 

El  Castellano  doruieto:  quanti  branchi  ce  passano  intende  voler  una 
bestia  per  braneho  et  cussi  la  fa  robar  :  Et  per  no  errar  de  hauer  la 
peggio  piglia  qlla  eh  guida  laltra  Et  mostrandoli  la  fida  et  lauetorita  del 
dohanieri  sela  mecte  sul  capo  et  dice  eh  ha  più  auctorità  de  luj  et  eh  non 
li  pò  commandar 

A  Bagnorea  hanno  vna  certa  patente  eh  mai  più  se  vide  una  simile 
et  quando  el  fidato  pteisce  vna  hora  li  uoglìano  far  pagar  la  Gabella  et 
la  pena 

Per  la  qualcosa  intendendo  qsto  el  fagiolani  et  altri  affidati  fiorentini 
eh  hauiuano  promesso  venir  sene  sonno  annali  in  quello  de  Siena  Et  se 
ve  facemo  intendare  eh  per  qsti  rspecti  et  per  Peroscia  maxime  no  ce' ve- 
nera più  Bestiame  furestiero 

Lect.  in  Cam.^  ap.'^<^  die  lune  XlIIf  Nouembr.  1497. 

(Di  fuori) 
P.o  AugP  de  Chisijs 

Dopo  il  n.  5  :  «  Praesentatio  Motus  proprii  Leonis  X.  facta  a  Fran- 
cisco de  Chisiis  (sull'appalto  della  Tesoreria  del  Patrimonio)  die  /  lunii 
1^16  »  (Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  G,  pag.  201). 


Dopo  il  n.  6.  A  pag.  183  della  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  d.,  v'è 
un  sunto  di  contratto,  in  data  9  maggio  1502,  riferentesi  alla  gabella 
dell'Ancoraggio  nel  porto  di  Civitavecchia,  appaltata  da  Agostino 
Chigi  insieme  con  Antonio  di  Villanova,  castellano  della  rocca  di 
Civitavecchia. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  i6i 

Nota  (24)  in  fine.  Ancora  il  CasteUo  di  Castro  Celo,  nel  regno 
napoletano,  è  da  annoverare  fra  le  possessioni  di  Agostino,  come 
si  ritrae  dalla  seguente  scritta: 

(i)  Dh  quinta  Octohris  1^1} 

In  Dei  nomini  Amen.  Cunctis  pateat  etc.  quod  Anno  etc.  In  mei  No- 
tarij  piihlici  etc.  presentìa  personaliter  constituti  magnificns  dominus  Au- 
gustìnus  Olisi  de  Senis  mercator  etc.  sponse  asseruit  etc,  diebus  non  longe 
decursis,  nohiUm  viriini  Herculem  de  russis  de  gifono  procuratorevi  Illu- 
stris  domini  Ferdinandi  Francisci  de  Auolos  de  Aquino  marchionis  Pi- 
scarie,  ac  edam  Illustris  domine  Victorie  Colunpne  sue  consortis,  ac  II- 
lustris  domine  Constancie  de  Auolos  ducisse  Francheville ,  recepisse  et 
Imbuisse  mutuo  a  domino  Benigno  Egidii  nomine  etc.  ipsius  domini  Au- 
gustini  ducatos  mille  de  auro  in  auro  largos,  et  illos  restituere  promississe 
eidem  domino  Angustino  seudicto  domino  Benigno  etc.  infra  vnum  annum, 
et  in  casum  in  quem  in  termino  supradicto,  dictos  ducatos  etc.  non  resti- 
tueret  etc.  In  eodem  casu  prefatum  Herculem  procuratorio  nomine  et  prò 
parte  dicti  domini  Marchionis  dedisse  in  solutum  etc.  quoddam  Castrum 
vulgariter  nominatum  Castro  celo  cum  casali  palatoli  situm  etc.  in  regno 
neapolitano  in  prouintia  terre  laboris  iuxta  territorium  rocche  sicché  iuxta 
territorìum  aquini  iuxta  territorium  collis  et  alios  etc.  cum  eius  castro 
seu  fortellitio  hominibus  vaxallis  vaxallorumque  redditibus  rendentibus  ca- 
salibus  villis  bonis  et  iuribus  etc.  Vt  lacius  etc.  in  quodam  publico  instru- 
mento etc.  rogato  per  manus  Federici  de  Carpanis  de  neapoli  etc.  die 
XXVIII  proximi  preteriti  mensis  julii  asseruit  hec  et  alia  contineri.  Sub- 
iunxitque  dictus  Augustinus  etc.  prefatum  dominum  Benignum  etc.  per  àliud 
publicum  instrutnentum  promisisse  eidem  Herculi  etc.  Quod  vbi  infra  ter- 
minum  quinque  annorum  dictus  dominus  marchio  voliiisset  emere  ab  ipso 
domino  Angustino  dictmn  Castrum  et  eidem  solueret  ducatos  mille  etc,  in 
casu  ipso  vendere  et  perpetuo  alienìire  eidem  domino  Marchioni  etc.  dictum 
Castrum  Celi  etc.  pront  hec  et  alia  ladies  etc.  in  altero  publico  instru- 
mento etc.  rogato  per  manus  dicti  notarij  Federici  dicto  die  XX  Vili  mensis 
lulij  dixit  contineri.  Quibus  omnibus  etc  prefatus  dominus  Augustinus  etc. 
voluit  instrumentum  ipsum  eie  sutim  debitum  sortiri  effectum  etc.  Ada 
fuerunt  hec  Rome  ante  Banchum  ipsius  Magnifici  domini  Augustini  et 
ecclesiam  Sancii  Celsi  presentibus  etc. 

I. 
Nota  161.  (2)  Inuentario  de  le  robe  consigJ"  ad  ms.  Paulo  de   Torri 
da  ser  Fran.""  potestà  et  castellano  :  stato  per  el  Mag.""  ms.  Agostin  Chisi 

(1)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e. 

(2)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  A,  pag.  i5. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  spatria.  Voi.  VI  11 


102 


G.  Cugnonì 


ne  la  Roccha  et  Urrà  di  Porthfrcide  scripto  àixtintamets  secudo  ad  fervi o 
bauerle  haute  lui:  Et  prima  le  robe  haute  da  Chisi  de  Siena:  quali  sou 
queste  cioè  : 

Vn  pano  de  ra^a  uso  ad  personali 

Vnìcì  Maglini  grossi  usi 

Doi  Maglie  da  cocina  use  de  le  quali  una  ne  me^a  rotta 

Vna  maglia  bianca  curta  et  usa 

Doi  maglie  grosse  adpiccate  use 

Tre  maglie  grosse  adpicchate 

Vna  maglia  grossa  uergata  usa 

Quadro  sacchette  da  g"no  use  et  co"se 

Cinq  para  de  reti  da  fieno  vse 

Doi  accepte  grandi 

Vna  pendala  et  una  laterna 

Vn  criuello  de  grano 

Doi  caldaroncelli  de  rame 

Vna  sechia  de  ramo  da  lauar  mano 

Sei  candelieri  de  octòne 

Quadro  piatti  de  stagno  tre  grandi  et  un  piccholo 

Sei  tondj  de  stagno 

Sei  scudelle  de  stagno  de  le  quali  una  leuato  tiido  Iorio 

Sei  scudellini  de  stagno 

Doi  padelle  co  la  mescola 

Quadro  cultelli  piccolj  et  tre  g"ndj 

It.  tre  altri  cultelli  piccholj 

Quadro  Lucerne  use 

Vn  raniaiolo  uso 

Quadro  fundelli 

Quadro  saliere 

Vn  bacino  dodone  ' 

Sei  len:(ola  fra  bone  triste 

Vn  panno  de  taula 

Doi  asini  forniti  de  inbasti  et  funj. 

Seguitano  le  Robe  che  disse  hauer  haute  da  Salinbene  petroni  per  lin- 
frascripti  pre:(i  et  primo  cioè  : 

Braccia  XXI  de  maglie  none  alla  parisina  per  libr.  .  .  .  L.  2^ 
Lensola  tredici  fra  bone  et  triste  fra  le  quali  ce  ne  uno  i  trepe%i.   p.         20 

Sei  maglie  quadro  bone  et  doi  use  et  triste p.  2y 

Dodici  maglìoli  sottili  usi p.  6 

Tre  sciuccatori  da  capo  usi p.  21}  io 

Una  guardanappa p.  5 

Doi  tappeti  boni  et  tre  tristi p.  21 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  i63 


Vita  spalliera  et  una  portiera  iiechia  et  usa p.  i(, 

Vn  letto  uso  et  uechio  co  coltra  rosa  et  capatale  et  saccone  .    p.         26 
Tre  balestra  frollane  co  trincaccj  et  montini p. 


Vna  lettiera  in  sala 


49 


Vn  letto,  doi  capatali  et  un  panno  hiancho  usi  per  lihr.      .       .         ^9 


p.  u 


Tre  paiolj  cum  callari,  doi  piccolj  et  vn  grande,  et  un  collarone 

doi  pignatti  de  rame  de  peso  in  tucto  de  lihr.  ^2   .     .     .    p.  21 

Vn  scallaletto  de  rame />.  j 

Vn  paio   de   molli,  doi  spitoni:   una  graticula:    et  una  pala  de 

ferro  da  foco /,.  2 

Più  vasa  de  tirra 

Doi  monconi  de  torcia 


2/j    IO 

30 


14 


Doi  tank  co  5  piedj  et  doi  banchetti 

Vn  letto  co  una  poltra:  ttn  cape^ale  et  una  lettiera  usi    .     .    p. 
Doi  me^e  botti  co  some  tre  daceto   \ 
Doi  coppi  doglio  I  . 

Sei  peli  de  taula  )  '  ^"^^^ P-         ^4 

Vn  cofanaccio  tristo  ) 

Dece  peif  de  taub   \ 

Una  mastra  '  i  tucto 

Un  cassone  grande  1 

Cinque  barilj 

Tre  barlecte 

Doi  bigon:(i p,  2 

Vna  botte  co  nino  già  heuto p.         ^o 

Stala  doi  et  me:(o  loglio jj 

Seguitano  le  Massarie  del  Bottino  et  primo  : 

Vna  cassa  ferrata  et  detro 

Vn  bacino 

Vn  bocale 

Vn  ta:{one 

Doi  forcine  ]>     Tucli  dargeto 

Doi  cuchiari  grandi  doi  piccolj 

Vn  paio  de  salette 

Quadro  tondj 

Quadro  scudelle 

Vna  scuffia  doro 

Vn  sagione  de  monachino  forrato  de  raso  negro 

Vn  sagione  de  accottonato  negro  sen^a  maniche 

Tre  sciuccatori  da  capo 

Tre  para  de  guati  da  sparuierj 

Vna  barretta  nona  negra  a  doi  paghe 


164 


G.  Ciignonì 


Doi  barrette  de  tielluto  negro 

Tredici  para  de  colse  de  più  colori,  et  parte  use 

Quinici  adsciuccatori  corseschi  i  tre  pe'^i 

Sepie  camise  use 

Vna  pe\a  de  pano  h'ancha  cosila 

Vna  pe:(a  de  pano  cilestra  cusita 

Vna  coraiina  hiancha  co  la  brachetta 

Tre  targhe  turchesche 

Doi  spade 

Tre  archi  iurcheschj 

Un  ma\o  de  frecce 

Un  trincaccio  de  coio  tristo 

Doi  coltre  bianche  use 

Vn  pano  deletto  biancho  uso 

Vna  coltraccia  usa 

Tre  cuffioncini  depano  lino 

Tre  fodere  de  guancialj 

Septe  sciuccatori  de  capo  usi 

Doi  sciuccatori  grossi 

Vn  cascino  scoccato 

Vna  scatula  co  certe  pietre  de  mare 

Vn  salone  de  lionato  senza  maniche:  cioè  de  ciambelloi.o 

Vn  asciusccamani  longo  ad  la  turchesca 

Vn  pettinatoro  de  pano  sottile 

Doi  tappeti  tristi 

Vna  portiera  piccola  ad  la  turchesca 

Vna  maglietta 

Vn  lensolo  bono 

Vn  lensolo  tristo 

Vn  Untolo  adnie:(ato. 

Seguitano  le  Massarie  et  robe  ha  facts  Ser  Fran.""  et  cosignate  come 
qui  adpresso: 

Tre  lensola  sottili  fé  far  dco  ser  Francesco  dal  Frodo 

Cinque  Untola  facte  del  panno  compo  dco  ser  FranS° 

Vna  maglia  biancha  ad  la  parisina 

Vno  sciuccamani  grosso  et  piccolo 

Vnaltro  sciuccamanj  grande 

Vna  tuaglia  grande  bona  ad  la  parisina  de  braccia  4 

Vna  lanterna  usa 

Vna  balestrina  dacciaro  ad  Martinetto  de  bap.*"  barbiero  q'*le  sta  per 
libr.  4 

Vna  coperta  da  letto  pelosa  et  laltra  rasa 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  i65 


Vn  sacco  longo  uso 

Cinq  nia:(eUi  de  funi: 

Vita  accepta 

Dot  gabant  da  guardia,  un  biancho  et  laltro  negro  : 

Vn  focone  de  rame 

Vn  libro  nono  da  coti 

Dai  statutelli  de  gabelle  et  anchor. 

Vn  Untolo  uso  eh  e  sop  el  ledo 

Vna  gratta  cascio 

Vn  strapontino 

It.  144  piccioli  cagliaresi 

It.  mìlli  et  duceto  aspri  dargeto  turchieschj 

Quactro  putaletti  dargeto 

It.  uno  smaldo  dargeto  co  lamie  del  bacino 

Vn  ma^etto  de  bambace  filata 

Pe:^i .  X .  fra  coscie  et  spalle  de  carne  salata 

Cinque  pe:(i  de  lardo  grandj 
.   Tre  rotolj  de  assogna 

Vna  botte:  et  un  hotticino  piene  di  uin  greco 

Vna  botte  di  uin  uermigUo  piena 

Quactro  butti  piene  de  uin  biancho 

Vna  botte  nota  de  la  roccha  comprata  per  ser  Francesco 

Doi  mogia  ul  circa  de  farina 

Staia  X  de  grano  ul  circa 

Quactro  sete  da  cerner 

Nota  che  le  buttj  piene  :  quelle  del  greco  sondo  de  la  roccha  :  qlla 
del  uermiglio  è  de  ant.°  catalano:  Doi  ce  ne  sondo  note:  vna  de  mariotto 
Zuccalota:  et  laltra  de  paolo  daltronino  :  et  de  le  piene  de  uin  biancho 
una  nov :  de  Iheredi  de  grandino  lombardo:  et  una  de  migliane:  una  nota 
che  sa  de  muffa  è  de  salinbe7ie  :   unaltra  co  laceto  de  salinbene  puro 

It.  ce  sondo  X  galline  et  ungallo 

It.  doi  balle  de  seta  spagnola  admagliata 

It.  una  cassa  co  la  chiane 

It.  un  altra  cassetta  longa  sen\a  chiane 

It.  staia  doi  et  me-^o  de  sale 

It.  mcÀ^o  staio  de  saletta 

It.  una  catasta  de  legna 

It.  una  sedia 

Il  vna  sella  co  la  briglia  del  cauallo  morello  morto 

It.  una  striglia 

It.  un  caldarino  de  rame: 

E  jo  Fran.""  de  Someti  nott."  et  castellano  et  potestà  stato  per  dicto  M."" 


i66 


G.  Cugnoni 


nis.  Angustino  Importerchole  da  mai-:io  ijoj.  Infine  a  di  XV  de  giugnìo 
j)0^  affermo  come  de  sopra  et  pò  miso  soli."  scripto  de  mia  mano. 

Dopo  il  n,  I.  Da  una  lettera  di  Agostino  al  fratello  Sigismondo, 
del  i8  settembre  1510(1):  a  Se  li  falconetti  et  sacri  sarano  matidati 
Mipìacera  assai  Et  hauendo  trouato  vno  homhardiere  come  scrini  uoleni 
cercare,  Li  farai  vno  salario  honesto  che  mi  par  che  stieno  bene  ».  Da 
un'altra  lettera,  come  sopra,  del  26  aprile  15 16  (2):  «  Vedi  se  costi 
(in  Siena)  trouassi  da  comprare  2$  in  50  scoppietti  dominali  mandali  a 
portercole  per  questi  sospetti  de  mori  che  qui  non  nahbiamo  trouati  ». 


Conuentiones  Inter  D.  Aug.num  Chisium  et  Mag.^^'"^ 
Cola  Mathucij  super  edificatione  Arcis  Portus  Herculis.  (5) 
Die  22.  Marti]  1^18. 
Mag.cus  Vir  d.  Ang.^^^  de  Chisijs  patricius  Senen.  portus  Herculis 
dnus  ex  una  et  Magr  Cola  Mathucij  de  Caprarola  Ciuitatis  Castdlan. 
dioc.  architector  partibus  ex  altera  sup  constructione  erectione  et  edificatione 
cuiusd.  arcis  in  loco  portus  Herculis  erigende  construende  et  edìficande  deue- 
nerut  ad  infra*^  conuentiones  pacta  et  capla.  In  primis  vt  Ipse  Magr  Cola 
Mathucij  debeat  et  sic  pmisit  eid.  d.  Aug.f^  pnii  construere  erigere  et  edificare 
in  dto  loco  portus  Herculis  et  pficere  vna  arcem  iuxta  et  secundu  designa^ 
et  specifica'"^  cuiusd.  modelli  p.  dm  Mag^  dnum  Aug.''"^  dand.  et  consignand. 
eid.  magro  Cole  omnibus  eiusd.  inagrì  Cole  sumptibus  et  expesis  infra  duos 
annos  pxime  futuros  absq  excep."^  quacuq.  ita  lame  q  cade  arx  sit  bene 
et  legaliter  oc  hi  omni  perfectione  erecta  constructa  et  edificata  Et  hoc  prò 
pedo  et  nom.^  pecij  Carlenoru  None  cu  vno  tertio  alte^ius  Carleni  prò  qualb . 
cana  romatia  Et  ex  nuc  prò  arra  et  pie  solu.nis  et  pagameti  pcij  predicti 
prefatus  Magr  Cola  confessus  fuit  et  recognouit  se  Imbuisse  et  recepisse  res. 
botta  et  massaricias  ascenden.  ad  summS  ducat.  tercentoru  triginta  sex  de 
Cari,  in  vna  nec  no  in  alia  manibus  ducs  Centum  de  Carleni s  siles  inpropta 
et  num.t'^  pecu.'^  de  .quibus  se  bene  contmtu  uocauit  etc.  et  prò  laboribus 
fiendis  in  pia  arce  et  residuu  pcij  ipe  Dns  Aug.^"^  pmisit  eid.  magro  cole 
pnii  etc.  soluere  secund.  g.  ipe  laborabit  seti  secund.  operatioe  et  erectioe  quas 
faciet  in  dea  arce  Cu  hoc  g  ipe  magr  Cola  teneatur  et  sic  pmisit  accipere 
lapides  decétes  et  congruas  prò  erectione  cottstructione  et  edifica."'  dc2  arcis 
in  locis  in  quibus  fosse  designate  existut  prò  fossibus  eiusd.  arcis  oportunis 
et  congruis  et  iuxta   ipsius  desig."'   qua   hic  prò  expressa  hre  voluit   Ac 

(i)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  e,  pag.  45. 
{2)  Ivi,  pag.  76. 

(3)  Scritture  di  Casa  Cliigi,  voi.  D,  pag.  366;  voi.  G,  pag.  399;   Miscellanea 
Spithòver,  pag.  14. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  167 


etia  cu  hoc  q.  in  euentii  in'  que  ipé  magr  cola  esset  in  mora  in  edificando 
còstuédo  et  erigédo  et  ud  faceret  làborare  continue  et  decenter  ita  g  possit 
pfici  infra  dtds  duos  annos  g  nunc  et  eo  casti  ipe  niagJ  d.  aug."'"  possit 
laborari  et  edificari.facere  eavid.  arce  omnibus  eiusd.  magri  Cole  sum- 
ptibus  et  expis.  Que  ola  eie.  Actu  Rome  in  do.  pdtt  Mag."  dìii  Aug"^ 
in  regione  trastiheri  pntihcs  Rnd.  dmis  Fraticisco  Clementis  cancelìarie 
ap.'^^  ndto  substituto  et  magro  Aloysio  Jacobi  de  Neapoli  test. 

Dea  die  . 

Cum  hoc  fuerit  g  dui  heredes  quond.  Mariani  de  Chisijs  et  soci)  mercres 
senéses  R.  Cu.  se.  ad  instam  magri  Cole  Mattucij  de  Caprola  Ciuitatis 
Castcllatte  dioc.  fecefit  pmissione  J)  eoru  cedala  banchi  de  soluédo  dite 
Cecilie  petri  paiili  de  Cometa  ducs  Centu  de  Carlenis  infra  et  p  tota 
mésem  mai)  pxié  futuru  occaone  tatoru  bubalor.  p  eumd.  magfum  Cola 
ab  ead.  vt  asseruit  habitor.  hinc  est  q  ipe  magr  Cola  sponse  promisit  èisd. 
mercatoribus  licet  absus  dare  et  consig.''^  hic  Rome  et  domi  dti  Dui  aug."^ 
in  trastiberi  tanta  lignamina  prò  horto  dtt  D.  Aug."'-  cògrua  et  decentia 
ascenden.  ad  eanid.  suina  iuxia  ptius  als  inter  eos  conuèlu  ad  quod  ipe 
magr  cola  rela."^  hfi  voluit  infra  et  p  tota  mése  maij  pxié  futuru  sine 
excep."'  sic  pmisit  declaravit  idem  et  accessit  prò  quibus  etc.  obligauit  se 
sub  penis  Camere  ap."  iurauit  etc.  et  prò  eod.  magro  Cola 

Gaspar  magri  Stephani  de  Suriano  laicus  pdté  obligatìoni  ducator. 
Centu  in  solid.  accessit  prò  qiiib.  se  etc.  sub  penis  Cam.  ap.'  iurauit  etc. 
Act.  Rome  in  horto  pdcl  D.  augustini  préntibus  Francisco  et  Aloysio 
pdcls  test.''' 

P. 

■  4.  ■ 

«  Deputatio  Castellani  arcis  Portus  Herculis  facta  a  D.  Aug.""  Chisio 
illius  pròno,  et  Dno  (i) 

<(  Die  jj"  Octobris  i^k). 
«  Magnificus  Dnus  Augustinus  de  Ghisijs  etc.  Arcis  Portus  Herculis 
Dominus  et  Patronus,  confisus  etc.  de  legalitate  etfidelitate  Nobilis  Viri  Dìii 
Colae  Mattucci)  de  Caprarola  in  eius,  et  dictae  arcis  Castellanum  fecit  etc. 
dictum  Dnum  Colam  Mattucci)  etc.  cum  salario  et  mercede  quatuor  du- 
catorum  etc.  prò  quolibet  mense  etc.  Et  ex  nunc  idem  Dnus  Cola  etc. 
sponte  etc.  promisit  per  se  ipsum  una  cum  quatuor  suis  famulis  etc.  tato 
tempore,  quo  dictae  Arcis  Castellanus  erit  bene,  fideliter  etc.  custodire  etc. 
restituere  etc.  dictam  arcem  etc.  sub  pocna  etc.  Quae  quidem  Castellani 
deputatio  eie.   censeatur   durare   ad  beneplacilum  praefati  Magnifici  Dìii 

(i)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  D,  pag.  441. 


i68 


G.  Ciignoni 


Augustini  de.  Actum  Romae  in  Palatio  ipsius  Magnifici  Diti  Augustini 
sito  in  Regione   Transtyherina  Sub  anno  etc. 

(c  Nicolaiis  Noirot  Notarius  ». 


«  Bretie  hortatorium  Clementis  VII.  ad  Officiales  Baliae,  et  Conser- 
uatons  libertatis  Reipublicae  senensis,  ut  restituant  D.  Laurentio  Chisio 
Oppidum  Portiis  Hercnlis,  et  nonnulla  uasa  argentea  (i) 

«  Dilectis  Filijs  Officialibus  Baliae,  et  Conseruatoribus  Libertatis  Rei- 
publicae Seneti  senensibus. 

«  Dilecii  Filij.  Quaestus  est  nobis  dilectus  Filius  Laurentius  Chisius 
filius,  et  haeres  quondam  Augustini  Chisij  vester,  et  Romanus  Ciuis,  ac 
familiaris  nost^r,  quod  licei  oppidum  Portus  Hercnlis  in  nostro  (uestro) 
Dominio  ad  eum  legitinio  spectet,  tamen  et  illud,  et  ìionnulla  vasa  argentea 
notabilis  valoris  cum  certis  alijs  rebus  ad  eum  spectan.  a  vobis  indebite  oc- 
pantur.  Quamobrem  a  nobis  remedium,  iustitiam  (remedium  iustitiae)» 
cuius  debitores  omnibus  sumus,  humilìter  implorauit.  Nos  qui  eundem  Lau- 
rentium  paterne  dilìgimus,  et  vestram  Rempublicam  paterna  charitate,  ac 
nspectu  prosequimur,  ad  vos  prius  scrihendum  duxinius,  vos  hortantes,  ac 
paterne  requirentes,  vt  et  oppidum,  et  vasa  argentea,  et  suppellectilia  praed.'^ 
eidem  Laurentio  corsu  effectu  restituere,  et  restituì  facere  velitis,  Id  erit 
nobis  pergratum,  tum  ipsius  Laurentij  causa,  tum  ne  cantra  vos  ad  iustitiac 
remedia,  ad  quae  inuiti  descender emiis,  ufo  adducti  officio,  deuenire  cogamur. 
Dat.  Romae  apud  S.  M.  etc.   Vili  Augusti  jpj  (2)  anno  quarto 

«  Blosius  ». 

Neil'  aprile  dell'  anno  seguente  £u  fatta  la  restituzione  del  ricco 
pegno  dalla  Repubblica  di  Siena  a  Lorenzo  Chigi  con  l'istromento 
qui  appresso: 

(3)  (c  In  Dei  nomine  Amen.  Anno  Domini  Millesimo  Quingentesimo 
Vigesitno  Octavo,  Indiclione  prima,  Die  nero  nona  mensis  Aprilis,  Cle- 
mente Septimo  Summo  Pontifice,  et  Dno  Carolo  Romanorum  Rege  Re- 
gnantihus 

Cicm  hoc  fuerit,  et  sit,  quod  Magnifici  Dui  Officiales  Baliae  et  Con- 
seruaiores  libertatis  ex.**'  Ciuitatis  Senensis  in  nfum  CoUegium  etc.  conuocati 
età.  Asseruerini  se  notitiam  habere  qlr  eorum  Respublica  habet  quasdam 
Margaritas,  Gemmas  pretiosas,  Cortinaggia,  Aurum,  et  Argentum,  et 
quasdam   alias  res,    et  bona,   quae  fuerunt  Nob.   Viri  Dìii  Augustini  de 


(i)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  G,  pag.  377. 

(2)  Nella  copia  la  data  è,  con  manifesto  errore,  «  Vili  Augusti  1538 

(3)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  d.,  pag.  106. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  169 


Chisijs  Mercaioris  Seiiensis,  ed  hodie  suoriim  haeredum.  Et  Andito  Dno 
Hieronymo  AUxandri  de  Venturie  Prore,  et  prdrio  nomine  RA^  Dni  Phi- 
lippi  de  Sargardis  Prothonotarij  Apostolici,  Dndrum  Praesidentiiwi,  et 
Clericornm  Camerae  Apostolìcae  Decani,  Tutoris,  et  Curatoris  prò  ipsor. 
Mag.'^°^-  haerediini  hon:  meni:  quond.  D.  Augtistini  de  Chisijs  praedicti, 
et  eo  nomine  petente  ab  eortcm  Republica,  et  Mag.^"  Dìlis  Baliae  siti  dt7> 
nomine  restitiii  dtas  margaritas,  gemmas  pretiosas,  auriim,  et  Argentum, 
et  omnes  alias  res,  et  bona  penes  dtam  Rempnhlicam,  seti  Mag.'^"'  Dìios 
Baliae  existen.,  et  ad  d."'  haredes,  et  eortim  Tiitorem,  et  Curatorem  etc. 
spectan.  et  pertinen.,  proni  de  eius  mandato  ad  dtam,  et  infram  faciendam 
constare  nidi,  et  ligi,  pnblicaui  Instrum  rogatum,  et  pttblicatum  manti 
ser  Petri  Paiili  Armini  Notrj  publici  fact.  sub  die  24  Marti]  proxime 
praeteriti,  et  Voiis,  et  Siipplicationibus  suis,  tamquam  iiistis  faitorabilr 
annuen.,  Ctipientes,  quod  in  bis,  quae  a  rationis  tramite  non  discordant 
se  liberales  exhibere  pronos,  atque  benignos  ut  supra  in  numero  sufficienti 
Congregati  etc.  decreuerint,  et  deliberauerint,  quod  dictae  Gemmae,  Mar- 
garitae,  Aurum,  et  Argentum,  ac  res  aliae  etc.  dictis  haeredibus  restituan- 
tur  etc.  Pro  quarum  Gemmarum  etc.  restitutione  ehgerint,  et  deputaue- 
rint  etc.  Cupientes  pta,  et  injrapta  debitae  executioni  mandare,  receptis 
prius  clauibus  locorum,  in  quibus  sunt  dictae  infrascriptae  Gemmae  etc. 
una  cum  mag.'^°  et  Generoso  Equite  Diio  Antonio  Episcopi  Rectore  Operae 
Ecclesiae  Cattedralis  Senen.  d.'"  D.  Hieronymo  de  Venturis  Prdre,  etc. 
Contulerunt  se  in  primis  ad  Ecclesiam  Cattedrahm  Senen.,  ad  Cappellam 
S.  lohannis  etc.  in  quo  erat  tunt  infrapta  Archula,  seu  Cassetta  clauata 
cum  infraptis  Gemmis,  Margaritis,  auro,  et  argento.  Qua  aperta,  pfati 
Mag.^'-  Dni  Commissari]  etc.  acceperunt  dictam  Archulam  infrascriptam 
clausam,  eamque  etc.  portare  fecerunt  etc.  ad  Domum  d."'^  Operae  habi- 
tationis  pfacti  Dili  Antonij  Epi,  et  ea  aperta  etc.  consignauerunt  etc. 
D.  Hieronijmo  de  Venturis  Prdri  etc.  dtam  et  infraptam  Archulam  cum 
infraptis  gemmis  etc. 

Gemmae  autem,  Margaritae,  Aurum,  et  Argentum,  et  alia,  de  quibus 
sup.  fit  mentio,  sub  maxime  infraptae  uulgari  sermone  descriptae. 

In  primis  una  Cassa  di  Christallo  di  longhe:(^a  di  5/9  in  e.**  fornita 
tutta  d'argento  dentroui  V  Infrascritte  Gioie,  e  cose  inscritte  molto  belle. 

Vna  Collana  d'oro  a  bronconi  con  dieci  balasci  grandi  et  perle  Cento 
trenta,  cioè  1^0  grosse. 

Vna  Crocetta  con  cinque  Diamanti  legati  iti  quella  come  perle  grosse 
in  un  bossolino. 

Vn  Bossolino  con  uno  smalto  uerde,  con  una  Testa  d'oro,  e  circon- 
dato d'oro. 

Vn  Bossolo  d'argento  lauorato  di  straforo  con  suo  Coperchio  dentroui 
Trentanoue  Turchine  cioè  Turchiae  59.  inuolte  in  carta  Gialla. 


170 


G.  Cugnoni 


Vna  Natdcella  di  maniperla  in  uno  Scatoìino. 

Vna  Scatola  d'argento  ìoiiga  con  suo  Coperchio  lauorata  di  straforo, 
dentroui  un  ditale  con  none  Rubini,  et  Vna  Corniola  legati  in  oro,  Vn 
altro  Bossolìno  in  detta  Scatola. 

Vna  Medaglia  dentroui  un'Agata. 

Cinque  Corniole,  quattro  legate,  et  vna  sciolta. 

Vna  Plasma  legata  in  oro. 

Vna  Collanina  d'oro  con  ij.  Smeraldi  hucarati. 

Vn  Moccichino  dentroui  Dodici  perle,  otto  in  Coppia,  e  quattro  scop- 
piate, et  Sei  Diamanti  in  Castone,  et  Sei  Rubini  in  castone,  et  un  ba- 
lascio  sciolto,  belli. 

Vn  bussohtto  di  Cuoio  con  un  Agnus  Deo  fornito  tutto  di  perle,  et 
un  balascio  da  pie  d'oro  con  una  Assunta,  et  Crocifisso  d'oro  sodo,  belli. 

Vno  scatolina  di  legno,  dentro  tre  Anella  da  cuscire  d'argento.  Dui 
acorainolì,  et  dui  scatolini  lauorati  d'argento. 

Vno  scatoìino  di  legno,  dentro  vna  Vasetta  d'agata  col  pie  d'argento, 
e  suo  Coperchio  belli. 

Vno  scatoìino  d'auorio,  con  sette  perle,  due  Grosse,  e  cinque  vie^:(ane 
non  hucarate,  et  una  perla  legata  in  oro  belle. 

Vn' altro  scatoìino  con   Tre  perle  grosse  a  pera  belle. 

Vn  Bossolino  d'Auorio  dentroui  un  Cornicino  di  Serpente  legato  con 
un  poco  d'oro. 

Vn  ditale  di  Carta,  con  none  Anella,  cioè  due  Turchine,  Vna  grande, 
et   Vna  me^cina,  et  Sei  Rubini  et  dui  cerchietti. 

Vn  pelalo  d'Agata  Grande  con  un  Aquila. 

Sessantanoue  pe^^i  fra  Agate,   Topati),  e  Corniole. 

Cento   Vintisei  medaglie  d'argento  con  uno  Scatoìino. 

Trent'una  medaglie  d'argento  in  una  Carta,  fra  grandi  e  picciole. 

Vn  Pendente  con  un' Aquila,  Cinque  Diamanti,  Dui  Rubini,  Vna  perla 
grossa  a  pera,  et  Sei  Smeraldi  attorno  belli. 

Vn  Gioiello  con  un  Smeraldo,  un  Diamante,  et  un  Rubino  belli. 

Vn' altro  Gioiello  con  un  Diamante  a  faccia,  et  un  Rubino  bellis- 
simi. 

Vn  ditale  con  un  smeraldo,  e  dui  Rubini  belli. 

Uno  Scatoìino  con   Trentasette  perle  di  piii  sorti. 

Vn  Balascio  con  un  Castone  d'oro. 

Vn  Zaffiro   Tento  con  un  Rubino. 

Vna  Rosetta  con  cinque  Diamanti  sfacciati  con  una  perla  da  Capo 
manca  una  Pietra. 

Vn  Carneo  con  sei  perlu:^e,  et  sei  rubini. 

Vn  Ditali  con  otto  anella.  Quattro  fra  Diamanti  e  Zaffiri,  Vna  Tur- 
china,  Vn  Canteo,   Vna  Fede,  et  un  Zaffiro   Tento. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  171 


Vn' altro  ditale  con  otto  anella,  Vito  Smeraldo,  Cinque  Diamanti,  et 
Tre  perle. 

Vna  Crocetta  ài   Vinti  Diamanti,  e   Tre  perle. 
Vna  Rosetta  di  Cinque  Rubini,  et  una  perla. 
Vn  Baiaselo  legato  in  castone. 
Vna  filw^a  d'oro. 

Vno  Capo  di  forcina,   Vn  Cameo  sciolto. 
Vna  botta. 
Ada  fuerunt  pia  Senis  in  Domo  dictae  operae  etc, 

Ego  lohannes  Ser  Andreoccij  not.'  rog.^ 

In  Dei  Nomine  Amen  Anno,  Indictione,  Pontificatu,  et  Imperio  prae- 
dictis,  die  nero  decima  eiusd.  mensis  Aprilis. 

Dominus  Hieronymus  de  Venluris  suprascriptus  Pròr  etc.  fuit  con- 
sessus  et  recognouit  etc.  ultra  gemmas  etc.  habitas  et  receptas  etc.  Imbuisse 
et  recepisse  etc.  omnes  alias  infraptas  Gemmas,  aurum,  et  argentum,  et 
bona  infrascripta  existentes,  et  existentia,  et  quae  reperta  fuerunt  in  quo- 
dam  Cassone  clauso  existenti  in  Consistorio  Mag.'"^-  Dominor.,  et  Capi- 
taneì  III.  Reipub.  Senen.,  quae  fuerunt,  et  sunt  haeredum  pti  Dni  Augu- 
stini  de  Chisijs  etc. 

Gemmae  atitem,  Margaritae,  aurum,  argentum,  et  res  aliae,  de  quibus 
supra  ft  mentio  sunt  infrae  uulgari  sermone  descripiae. 

In  prima  Tutte  le  Gioie,  Margarite,  oro,  argento,  et  altre  cose  de- 
scritte sopra  nel  precedente  Contratto,  et  V Infrascritte,  quali  erano  in  Con- 
cistoro predetto  contenute  ecc. 

In  prima  sette  pe^^i  di  Cortinaggi  d'oro  per  una  Cuccia  belli. 

Sei  pe'^i  di  Cortinaggi  d'oro,  e  seta  bianca  per  una  Cuccia  belli. 

Due  guanciali  d'oro,  e  seta  bianca  belli. 

Vn  paro  di  Candelieri  d'argento  belli. 

Vna  pace  d'Argento  bella. 

Vn   Vaso  d'una  Noce  d'India  con  pie  e  Coperchio  d'argento. 

Vna  sega  di  legno  dorata  bella  con  denti  d'argento. 

Vn  paro  di  Speroni  di  Rame  dorati. 

Vn  Vaso  di  Diaspro  ad  uso  di  Drago  con  Capo,  piedi,  Ale,  et  altri 
finimenti  d'argento. 

Vno  Scatolino  di  profumi  smaltato  dentroui  una  Chiana  Cuore  d'ar- 
gento, due  palle  d'argento,   Vn  Crocifisso  d'oro,  et   Vn  Ceraio  di   Vetro. 

Vno  Calice  col  pie.  Coppa,  e  patena  d'argento. 

Vn  Bossolo  di  legno  con  diciotto  grossi  d'argento  dorati. 

Tre  Anella,  cioè  Vn  Rubino,  Vno  Granato,  et  Vn' Agata, .  Vna  Ca- 
tena di  Rame. 


172 


G.  Cug?iom 


Vna  Nostra  Donna  in  uno  Trono  d'oro  con  dieci  diamanti  piccioli, 
e  perle  52,  con  suo  Coperchio. 

Vna  Croce  con  Christo  in  Croce,  con  uno  pie  a  Triangolo,  tutto  d'ar- 
gento indorato. 

Tre  Cortelli  con  manichi  d'argento. 
Actum  Senis  in  Coli."  Baliae  etc. 


Ego  Johannes  quon.  Ser  Andreoccij  Not.^  Baliae  rog.' 


(continua) 


G.   Tomassetiì  lyS 


DELLA  CAMPAGNA  ROMANA 

NEL  MEDIO  EVO 


(Continuazione,  vedi  voi.  V,  pag.  653). 


Vìa  Flaminia. 


Una  delle  più  nobili  vie  romane  fu  la  Flaminia  aperta 
nella  prima  metà  del  sesto  secolo  di  Roma  da  quel  Caio 
Flaminio,  che  peri  nella  famosa  sconfitta  del  Trasimeno. 
Conduceva  a  Rimini,  donde  fu  protratta  ad  Aquileia  per 
opera  del  figlio  di  Flaminio  stesso.  Usciva  dal  primitivo 
recinto  urbano  per  la  porta  Ratumena,  ch'era  nella  gola 
tra  il  Campidoglio  e  il  Quirinale,  molto  angusta  prima  che 
Traiano  facesse  costruire  il  suo  Foro,  e  procedeva  in  una 
Hnea  retta  più  o  meno  corrispondente  alla  nostra  via  del 
Corso  fino  al  ponte  odiernamente  detto  ponte  molle;  e 
quindi  si  volgeva  sulla  destra,  più  presso  al  fiume  che  non 
la  Flaminia  moderna.  Delle  stazioni  della  via  Flaminia  che 
ci  forniscono  gl'itinerari  antichi,  entrano  nei  limiti  topografici 
di  questo  lavoro  le  prime  cinque,  che  coincidono  coi  moderni 
luoghi  di  ponte  molle,  di  prima  porta,  del  monte  della  guardia, 
di  Morolo  e  di  Acqiiavlva  (nome  antico)  presso  Civita  Castel- 
lana. Nel  nuovo  recinto  urbano  di  Aureliano,  la  via  Fla- 
minia ebbe  la  sua  porta  omonima,  sul  cui  sito  preciso  gli 
archeologi  finora  non  sono  stati  concordi;  ma  dopo  nuovi 
studi  fatti  e  nuove  scoperte  avvenute  può  affermarsi  senza 
verun  dubbio  che  la  moderna  porta  del  Popolo  coincida 
colla  porta  Flaminia  del  recinto  Aurelianèo  (i).  Per  quanto 

(1)  I  topografi  moderni,  dal  Donati  al  Becker,  eccettuati  Fea 
e  Piale,  hanno  tenuto  l'opinione  che  la  porta  Flaminia  stesse  più 
a  destra   della  moderna,   sulla  pendice  del  Pincio,   opinione   basata 


^74 


G.   Tomassetti 


dal  secolo  quarto  in  poi,  cioè  dall'età  trionfale  del  cristia- 
nesimo, sia  divenuta  maggiore  la  frequenza  e  perciò  l'im- 
portanza della  via  Clodia,  siccome  quella  che  conduceva 


sul  testo  di  Procopio,  che  nella  guerra  gotica  (I,  e.  23)  scrisse  es- 
sere tal  porta  situata  in  luogo  dirupato  e  poco  accessibile  :  àv  x"P".* 
x.p-niJivu5ei,  xei[AsvT)  où  J.iav  sttìv  eÙTTpóo-O'^'o;.  Ma  si  è  provata  la  conti- 
nuazione della  linea  dei  sepolcri,  incominciando  da  quello  pirami- 
dale già  esistente  al  di  qua  della  porta,  segnato  nella  pianta  del 
BuFALiNi,  proseguendo  con  un  altro  fuori  della  porta,  segnato  pure 
nella  pianta  suddetta  ;  con  un  altro  gruppo  di  sepolcri  scavati  sotto 
i  miei  occhi  nella  fondazione  delle  case  dei  signori  Valle  e  Menotti 
nel  1872.  duesti  sepolcri  corrispondono  con  altri  conosciuti  come 
esistenti  sulla  destra  della  via  moderna,  come  per  esempio  colla 
chiesa  di  s.  Andrea,  costruita  su  di  un  antico  sepolcro  (Venuti, 
R.  aiit.,  II,  pag.  IDI.  EscHiNARDT,  Descrii.  di  Roma  e  dell'agro  rom., 
pag.  194).  Inoltre  sappiamo  che  la  porta  Flaminia  fu  sotto  Gre- 
gorio II,  cioè  nei  primi  anni  del  secolo  ottavo,  e  sotto  Adriano  I, 
soggetta  alle  inondazioni  del  Tevere  (Lib.  Pont.,  in  Greg.  II,  n.  6, 
in  Hadrìano,  n.  94).  Finalmente  essendosi  testé  demolite  le  due  torri 
laterali,  sonosi  rinvenuti  entro  le  medesime  gli  avanzi  delle  torri  di 
Onorio  ;  fatto  che  non  permette  ulteriore  discussione  sull'argomento. 
Adunque  la  porta  Flaminia  era  la  stessa  che  la  presente  ;  ed  il  testo  di 
Procopio  devesi  intendere  in  lato  senso,  cioè  che  la  porta  era  difesa  da 
fortificazioni  poste  in  luogo  scosceso,  sul  contiguo  Pincio  (cf.  C.L.  Vi- 
sconti nel  Bull.  Archiol.  Coinunah,  iSj-j,  pag.  207-212).  Le  memorie 
antiche  della  via  Flaminia  consistono  in  alcuni  luoghi  dei  classici 
scrittori  che  la  ricordano  come  fiancheggiata  da  sontuosi  sepolcri 
e  da  ville  (Cicerone,  Philipp.,  XII,  9.  Livio,  Epit.,  lib.  20;  Hist., 
lib.  39,  2.  Strabone,  lib.  V,  2.  Ovidio,  De  Ponto,  lib.  I,  8.  Gio- 
venale, Sat.,  l,  V.  170).  Se  ne  deduce  che  non  era  seconda  alla 
Latina,  ma  soltanto  all'Appia  in  fatto  di  monumenti.  Io  faccio  os- 
servare che  il  numero  dei  nomi  colla  desinenza  in  annui,  per  lo 
più  indizi  di  ville  o  vasti  poderi,  è  più  grande  lungo  la  via  Fla- 
minia che  sulle  altre.  I  monumenti  pòi  della  Flaminia  superstiti  fino 
a  memoria  nostra,  o  dei  quali  ci  è  pervenuta  la  notizia,  sono  nu- 
merosi e  insigni.  Veggansi  alcuni  registrati  neirAccnrata...  descri:(_.  di 
Roma  antica  del  Venuti  (voi.  2)  tutti  poi  enumerati  nella  citata  mo- 
nografia del  comm.  Visconti.  Molte  iscrizioni  pagane  ricordano  la 
via  Flaminia.  Non  se  ne  può  agevolmente  riunire  la  serie  finché  non 
saranno  editi  tutti  i  volumi  del  Corpus.  Accenno  soltanto  quelle  che 


Della  Campagna  Romana  lyS 

direttamente  al  Vaticano,  tuttavia  la  Flaminia  non  fu  tra 
le  vie  che  rimasero  abbandonate.  Imperocché  comunicava 
essa,  come  ognun  sa,  colla  Clodia  presso  il  ponte  Milvio; 
e  perciò  ne  divideva,  quantunque  in  minor  parte,  i  van- 
taggi. Inoltre  costituiva  sempre  l'arteria  di  comunicazione 
tra  Roma,  l'Umbria  e  la  Romagna  (i);  quindi  non  cessò 

ho  nelle  mie  note.  Alcune  riguardano  l'amministrazione  della  me- 
desima (WiLMANNS,  II 79.  Marini,  Atti  Arv.,-pa.g.  6']2.  Orelli,  2285, 
2648,  3183.  Kellermann,  Vìgiì.  rom.  lat.,  243.  Henzem,  6049),  ^^^""^ 
spettano  a  luoghi  lontani  dalla  città  (Henzen,  5360,  5580).  Altre 
furono  trovate  sulla  strada,  presso  Roma,  e  quindi  hanno  valore 
topografico:  (Corpus,  voi.  VI,  4,  5,  6,  1016,  2 161,  2765,  ecc.  Vi- 
sconti C.  L.,  1.  cit.,  pag.  201,  202.  GoRi  F.,  Annoi.  Istit.,  1864, 
pag.  120-135.  Marucchi  Orazio  in  Bull.  Comunali,  1877,  pag.  255. 
Lanciani  comm.  R.  in  Bull.  Comunale,  1878,  pag.  270;  1880,  pag.  49, 
nella  Silloge  aquaria  dal  n.  306  fino  al  316;  Noti:(ie  degli  scavi,  1879, 
pag.  16,  115,  116.  Fea,  Varietà  di  noti-^ie,  pag.  159,  Fabretti  R.  in 
più  luoghi).  Quando  furono  scoperti  i  sepolcri  presso  il  nuovo  ga- 
zometro  dai  signori  Valle  e  Menotti,  insieme  colla  lapide  di  L.  Te- 
natius  VahnÈ,  importante  per  la  rara  menzione  della  coorte  XI 
pretoria  {Corpus,Yì,  2765),  trascrissi  ancora  questa,  ch'era  in  un  cippo 
fastigiato  ed  ornato  di  pilastrini  : 

C  .  NVMMIVS  •  COL  •  SEVERVS 

VIX  •  ANNIS  •  XX  •  M  •  Vini 

D  •  XV  •  C  •  NVMMIVS  •  CARINVS 

VIX  •  ANNIS  •  III  •  M  •  Vili  •  D 

XV-NVMMIA    PHAEDR 

A  •  D  I  S  •  M  A  N  I  B  V  S   •  MiiS  (filiis?) 

SVIS  •  FECIT 

Enumerando  sepolcri  e  lapidi  della  Flaminia  il  Venuti  ricordò 
una  vigna  Bnccardini,  della  quale  il  eh.  Visconti  dichiarò  di  non 
avere  rintracciato  il  sito.  Neppure  io  sono  riuscito  a  far  ciò.  Sol- 
tanto in  conferma  della  giusta  ipotesi  dell'egregio  scrittore,  che  tal 
vigna  fosse  prossima  alla  porta,  posso  notare  che  nel  registro  delle 
tasse  di  Roma  del  1567,  che  si  trova  all'Archivio  di  Stato  (docu- 
mento X)  si  legge,  tra  i  nomi  dei  proprietari  prossimi  alla  porta 
del  Popolo,  Hortensia  Bucciardina. 

(i)  Che  la  via  Flaminia  fosse  chiamata  nel  mtà\o  &vo  Ravennana 
dalla  importantissima  comunicazione  che  formava  tra  Roma  e  quella 


176 


G.   Tomassetti 


mai  di  essere  percorsa,  all'opposto  di  quanto  ebbi  occa- 
sione di  osservare  per  la  via  Ardeatina.  Finalmente  se  in 
tempi  di  religioso  fervore  per  le  memorie  dei  martiri  giovò 
grandemente  ad  alcuna  delle  vie  suburbane  l'esistenza  di 
qualche  santuario  ad  essi  dedicato,  siccome  abbiamo  già 
veduto  sull'Appia,  eziandio  questa  sorte  non  mancò  alla 
via  Flaminia.  Di  questa  cosa  dirò  prontamente  ora,  enu- 
merando le  vicende  onomastiche  della  porta,  sulla  quale 
tengo  tuttora  immobile  il  lettore  dal  principio  di  questo 
paragrafo.  La  porta  Flaminia  dunque  ebbe  nel  medio  evo 
quattro  denominazioni  più  o  meno  successive.  Anticamente 
conservò  il  suo  nome  primitivo,  col  quale  apparisce  tre 
volte  nell'itinerario,  che  noi  diciamo  di  Einsiedeln,  del 
secolo  ottavo  (i).  Ma  nella  descrizione  di  Roma  attribuita 
a  Guglielmo  di  Malmesbury  (secolo  xiii),  che  sembra  molto 
più  antica  di  lui  e  inserita  nella  sua  istoria,  troviamo  la 
nuova  denominazione  della  porta  indicata  siccome  recente, 
dicendovisi  :  secnnda  porta  flammea  quae  modo  appellatur 
sancii  ualent'mi  (2).  Supponendo  col  De  Rossi,  che  siffatta 
descrizione  risalga  al  settimo  secolo,  dovremo  ricercare  la 
ragione  storica  di  quella  mutazione  di  nome  in  quel  tempo. 
E  l'abbiamo  chiara  e  determinata  nella  notizia  che  il  libro 
pontificale  e  l'anonimo  detto  Salisburgese  ci  somministrano, 
avere  cioè  i  pontefici  Onorio  e  Teodoro  (che  sono  ap- 
punto del  settimo  secolo)  magnificamente  ristaurato  la 
chiesa  di  s.  Valentino  eretta  fin  dal  quarto  secolo  sulla  via 

celebre  città,  lo  abbiamo  dalle  note  topografiche  del  Maìmeshuriense 
(Urlichs,  Cod.  top.,  pag.  87),  la  qual  cosa  favorisce  non  poco  la 
sentenza  del  eh.  De  Rossi  (Roma  sotierr.,  I,  p.  146)  che  affermò  essere 
quelle  note  del  settimo  secolo,  ben  cioè  più  antiche  del  compilatore 
inglese,  che  le  inserì  nella  sua  istoria.  Infatti  le  relazioni  tra  Roma 
e  Ravenna  erano  quasi  cessate  nel  secolo  xii,  età  dello  storiografo, 
od  almeno  non  v'era  motivo  per  dar  luogo  a  quella  denominazione. 

(i)  Porta  fiamima  (sic)  cf.  Urlichs,  Cod.  top.,  pag.  66,  70,  78. 
Jordan,  Topogr.,  I,  pag.  353. 

(2)  Idem,  ivi,  pag.  86. 


Della  Campagna  Romana  177 

Flaminia  da  Giulio  I,  presso  il  sepolcro  del  martire  stesso  (i). 
S'intende  flicilmente  che  la  popolarità  del  culto  tributato  a 
s.  Valentino,  e  la  sontuosità  della  sua  nuova  basilica  detta 
nell'epitome  Salisburgese  de  ìocis  ss.  martyrum,  che  spetta 
parimenti  al  settimo  secolo,  mirifice  ornata  (2),  deve  aver 
dato  luogo  alla  nuova  intitolazione  della  porta.  Ciò  non 
significa  che  il  nome  classico  sia  cessato,  perchè  questo  ri- 
tornò sempre  per  lo  meno  associato  a  quello  religioso.  Cer- 
tamente la  curia  romana  accogUeva  volontieri  e  preferiva 
la  nuova  denominazione.  Infatti  la  seconda  menzione  che 
abbiamo  della  porta  di  s.  Valentino,  e  senza  l'associazione 
del  nome  antico,  si  è  nella  bolla  di  Sergio  II  in  fiivore  del 
monistero  di  s.  Silvestro  in  capite,  uno  dei  più  grandi,  forse 
il  massimo  dei  possidenti  sulla  via  Flaminia  nel  medio  evo  (3). 
Dal  testo  alquanto  lacero  di  tal  diploma,  una  trascrizione 
del  quale  fritta  nel  secolo  xi  è  nell'archivio  di  s.  Silvestro 
(ora  nell'archivio  di  Stato)  impariamo  che  nel  secolo  ix, 
essendo  l'anno  844  quello  della  bolla,  Sergio  II  concesse 
ai  monaci  di  s.  Silvestro,  oltre  la  porta  medesima  coi  di- 
ritti annessi  e  terre  di  qua  e  di  là  della  medesima,  il  monte 
di  s.  Valentino  fuori  detta  porta,  la  chiesa  di  s.  Valen- 
tino compresa  nella  parola  monasterium  e  il  ponte  Molle 
col  suo  pedaggio,  affinchè  i  monaci  stessi  potessero  rifab- 

(1)  Lih.  poni,  in  Theodoro,  e.  5.  De  Rossi,  Roma  soli.,  I,  pag.  136. 

(2)  Urlichs,  ivi,  pag.  82. 

(3)  La  maggior  parte  delle  notizie  spettanti  al  tronco  suburbano 
della  Flaminia  provengono  dall'archivio  di  s.  Silvestro  in  capite.  Non 
è  necessario  ch'io  insista  sul  valore  dei  documenti  contenuti  in  detto 
archivio,  vera  miniera  di  notizie  topografiche  urbane  e  suburbane. 
Viene  ora  conservato  nell'Archivio  di  Stato  in  Roma,  e  consiste  in 
una  serie  di  pergamene,  la  più  antica, delle  quali  è  la  bolla  di  Sergio  II, 
di  cui  do  un  cenno  nel  testo,  in  tre  volumi  d'inventario  o  sommario 
di  documenti,  lavoro  moderno  ben  compilato,  ed  in  un  volume  detto 
compendio  di  bolle,  ecc.,  dall'anno  775  all'anno  1573.  È  deplorevole 
il  fatto  che  molti  degli  antichi  documenti  non  sieno  pervenuti  al- 
l'Archivio di  Stato,  e  perciò  ne  sia  defraudato  ogni  studioso. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  12 


178 


G.   Tomassetti 


bricare  il  decadente  loro  cenobio.  Ora  nel  testo  suddetto 
è  scritto:  concedimus  perpetuo  portam  quae  vocatiir  s.  Ua- 
lentini,  ecc.  (i).  La  terza  notizia  della  porta  col  nome  stesso 
proviene  dalla  fonte  del  genere  medesimo,  cioè  dalla 
bolla  di  Agapito  II,  che  nell'anno  955  confermò  ai  monaci 
di  s.  Silvestro  le  concessioni  di  Sergio  foris  portam  s.  Ua- 
lentini,  e  nella  quale  per  quattro  volte  troviamo  essa  porta 
cosi  esclusivamente  nominata  (2).  La  quarta  indicazione 
identica  della  porta  si  legge  nella  bolla  di  Giovanni  XII, 
ch'è  del  9^2  (3).  Tuttavia  nelle  Mirabilia  del  codice  Va- 
ticano 3973,  che  sono  al  certo  posteriori  di  tempo  a  tutti 
i  documenti  finora  citati,  si  trova  la  porta  additata  col 
nome  di  Flaminea;  ciò  che  dimostra  non  essersi  potuto 
cancellare  il  nome  classico  dalla  popolare  diffusione  del 
culto  prestato  sulla  via  Flaminia  al  martire  Valentino  (4). 
Così  Pandolfo  Pisano,  ch'è  del  secolo  xii-xiii,  nel  de- 
scrivere l'entrata  in  Roma  di  Roberto  Guiscardo,  chiama 
Flaminia  la  porta  (5).  Nella  Graphia  poi  si  legge  pa- 
rimenti l'antico  nome  (6);  e  ciò  conferma  l'idea  del 
eh.  prof,  loRDAN,  che  questa  descrizione  di  Roma  spetti 
alla  prima  recensione  delle  Mirabilia  ch'è  del  secolo  xii  (7). 
Ma  già  nel  secolo  xiii  si  affaccia  il  nome  recente,  cioè 
in  un  atto  dell'anno  1293,  nel  quale  alcune  vigne  sono 
indicate  extra  portam  sce  Marie  de  Popido  (8).  Nella  pianta 
di  Roma,  del  secolo  xiii,  eh'  è  nel  Cod.  Vatic.  i960,  la 
porta  sembra  nominata  seti  valentìnì  (9).   Nella  seconda 

(i)  Carletti,  Memorie  istor.  crit.  delia  chiesa  e  monist.  di  s.  Silve- 
stro in  capite,  pag.  179. 

(2)  Marini,  Papiri,  pag.  38.  Jaffé,  pag.  320,  1*  ediz. 

(3)  Idem,  op.  cit.,  pag.  45.  JafiÉ,  pag.  322. 

(4)  Urlichs,  op.  cit.,  pag,  92,  106, 

(5)  Rer.  Ital.  Script,  III,  pag.  313. 

(6)  Urlichs,  op.  cit,,  pag.  115,  119. 

(7)  loRDAN,  Topographie  cit.,  II,  pag.  362, 

(8)  Cod.  Vat.  8050,  f,  67. 

(9)  De  Rossi,  Piante  icnogr.  e  prosp.,  tav.  I, 


Della  Campagna  Romana  179 

recensione  delle  Mirabilia,  che  si  attribuisce  al  cardinale 
di  Aragona  (secolo  xiv)  la  porta  Flaminia  è  detta  porta 
Flaminea  quae  dicitur  sancii  Vahntini  (i).  La  stessa  indica- 
zione abbiamo  nella  poUstpria  di  Giovanni  Cavallini,  ch'è 
del  secolo  xiv  (in  fine),  ove  comparisce  ancora  la  terza 
denominazione  in  queste  parole  :  porta  flaminea  dicebatur 
a  flamine  sacerdote  martiali....  alias....  dicitur  porta  sci  tia- 
lentini  per  quam  itur  ad  dictam  ecclesiam....  hodie  dicitur  porta 
de  populo  a  multitndine  popnlariiun  degentium  itixta  e  ani  ante 
tempora  Roberti  dncis  dicti  belli  Uiscardi  de  Normandia  ducis 
Apulie  qui  loca  finitima  diete  porte  populauit  bonis  et  com- 
bussit  incendio  corruptìs  per  eiini  nonnullis  ciuibus  romanis 
de  genere  buchapeciidum....  al  iter....  dieta  est  porta  de  populo 
propter  nimiam  frequentiam  forentium  popularium  intrantium 
et  exeuntium  per  eandem  prò  expiatione  peccatorum  huius  (sic) 
populorum  meritis  beatoruni  apostolorum  Petri  et  Pauli  (2). 
L'anonimo  Magliabechiano,  come  più  recente  di  età  (se- 
colo xv),  nella  sua  indicazione  abbandona  il  nome  del 
medio  evo,  cioè  s.  Valentino,  e  ritenendo  l'antico  vi  ag- 
giunge, come  già  adottato,  quello  moderno  :  flaminea  porta 
est  porta  populi  (3).  Nelle  piante  di  Roma,  del  secolo  xv, 

(i)  Urlichs,  op.  cit.,  pag.  127. 

(2)  Jdevi,  pag.  142. 

(3)  Idem,  pag.  151,  152.  La  denominazione  di  s.  Valentino  che 
l'anonimo  attribuisce  ad  una  porta  pompeiana  dev'essere  uno  dei  tanti 
errori  dell'anonimo  stesso,  a  meno  che  non  sia  stata  letta  o  scritta 
male  invece  di  pinciana  dal  primo  autore  donde  egli  trascrisse.  A 
costui  sarebbe  in  tal  caso  da  attribuirsi  la  speciosa  ragione  del  nome 
quae  dominus  ...  a  Pompeio  denominata  uoluit,  qcc.  Del  resto  io  penso 
che  la  porta  s.  Valentino  per  tutto  il  medio  evo,  rimanesse  in  pro- 
prietà della  chiesa  di  s.  Silvestro,  e  che  non  fosse  in  genere  acces- 
sibile al  commercio;  perciò  la  porta  Pinciana  che  vedremo  al  suo 
luogo  essere  stata  chiusa  nel  principio  del  medio  evo,  venne  ria- 
perta, e  dovette  (a  mio  credere)  far  le  veci  della  Flaminia  divenuta 
un  possesso  privato.  Il  Gregorovius  riportando  l'elenco  delle  porte 
di  Roma  di  Ambrogio  Spanocchi,  tesoriere  pontificio  del  1454,  notò 
con  una  certa  maraviglia  che  non  vi  sia  la  porta  del  Popolo  anno- 


i8o 


G.   Tomassetti 


si  scorge  la  nostra  porta  col  nome  di  flammea  q.  d.  (quae 
dicitur)  porta populi  (i),  ed  anche  col  solo  nome  flam'mia  (2). 
La  quarta  denominazione  eh'  ebbe  questa  porta  cioè  flu- 
mmtana  comparisce  nella  pianta  di  Alessandro  Strozzi, 
ch'è  del  secolo  xv,  ove  leggesi  p.  fliimentana  p.  s.  M.^  del 
popolo  (5).  La  prossimità  della  porta  al  Tevere  spiega  sif- 
fatto nome.  Fu  esso  prodotto  ancora  dal  Biondo  (4), 
flumentana  fune  flaminia,  e  dallo  Smezio  in  proposito  di 
una  iscrizione  spettante  alla  ripa  vicina  (5).  Nelle  piante 
eseguite  sulla  fine  del  secolo  xv,  come  nel  celebre  panorama 
ch'è  nella  biblioteca  di  Mantova,  edito  dal  De  Rossi,  si  trova 
sempre  il  titolo  moderno,  óoh  porta  del  popolo.  Dalle  fonti  che 
ho  allegato  si  scorge  chiaramente  la  debolezza  dell'opinione 
del  NiBBY  e  seguaci,  che  cioè  il  nome  del  popolo  non  fosse 
anteriore  al  secolo  xv  (6).  Infatti  se  accettiamo  l'origine 
della  nuova  denominazione  della  chiesa  dedicata  da  Pa- 
squale Il  a  s.  Maria  come  patrona  del  popolo,  ovvero 
dall'essere  stata  costruita  essa  chiesa  a  spese  del  popolo 
romano,  sempre  partiamo  da  un  fatto  che  risale  al  secolo  xii. 
Se  ci  persuade  di  più  la  ipotesi  verosimile  del  eh.  cav.  Cor- 
visiERi,  che  il  nome  popiiliis  sia  rimasto  alla  chiesa  ed  alla 
porta  nel  senso  dì  parrocchia,  siamo  parimenti  ben  più  indietro 
del  XV  secolo  (7).  Del  resto  la  porta  Flaminia  ch'ebbe  nel- 
l'età media  numerosi  fasti,  dall'ingresso  di  Costantino  vincitor 


tata  fra  quelle  alle  quali  si  pagava  la  gabella  (op.  cit.,  lib.  XII,  e.  7, 
§  5).  Colla  ipotesi  della  proprietà  suddetta  mi  sembra  essere  spie- 
gata tale  mancanza.  La  Pinciana  invece  vi  è  annoverata. 
(i)  Nel  Cod.  Vat.  Urb.  277.  De  Rossi,  op.  cit.,  tav.  III. 

(2)  Cod.  bibl.  naz.  Parigi,  fond.  lat,  4802.  De  Rossi,  tav.  II. 

(3)  Cod.  Laurenziano  del  Redi,  77.  De  Rossi,  tav.  IV. 

(4)  Biondo,  Historicar.,  decas  II,  3. 

(5)  Cf.  Corpus  Insci:  Lat.  VI,  p.  I,  pag.  258. 

(6)  NiBBY,  R.  Antica,  I,  pag.  139.  Nella  monografia  dette  mura 
di  Roma,  egli  avea  detto  che  il  nome  det  popoto  risaliva  alla  fine  del 
secolo  XIV. 

(7)  CoRVisiERi  C,  Dette  posierule  tiberine,  pag.  i,  2. 


Della  Campagna  Romana  i8i 

di  Massenzio  nel  312,  fino  a  quello  di  Carlo  Vili  nell'ul- 
timo giorno  dell'anno  1494,  ebbe  ancora  il  suo  patrimonio 
di  leggende,  come  tanti  altri  monumenti  romani  nel  medio 
evo.  Imperocché  si  trova  prossima  al  colle  degli  orti,  detto 
poi  Pincio  dalla  famiglia  dei  Pinci,  che  v'ebbe  la  sua  di- 
mora, sulla  pendice  del  quale  sorgeva  un  albero  infestato 
dai  demoni,  che  quivi  avevano  sepolto  il  cadavere  di  Ne- 
rone. A  questo  fatto  è  associata  l'origine  della  chiesa  di 
s.  Maria  del  popolo.  Parimenti  si  credeva  che  in  una  torre 
la  quale  stava  sulla  via  Flaminia,  prossima  alla  porta,  ma 
dalla  parte  interna,  apparisse  lo  spirito  di  Nerone  (i).Nèda 
questa  sola  parte  pagava  la  porta  Flaminia  il  suo  tributo 
al  genio  dell'età  medievale,  che  dall'esterna  eziandio  essa 
confinava  quasi  con  una  rovina  antica  rivestita  ancor  essa 
di  romantica  leggenda.  Questa  è  tuttora  in  piedi,  e  può 
da  ognuno  contemplarsi  sotto  il  muraglione  esterno  del 
Pincio,  presso  l'antico  cancello  della  villa  Borghese.  É  un 
masso  di  costruzione  in  gran  parte  laterizia,  di  opera  re- 
ticolata, che  ha  una  pendenza  di  un  metro  verso  la  via. 
Può  credersi  che  fosse  una  delle  torri  sostenenti  le  mura 
degli  orti  dei  Domizì.  Alcuni  hanno  giudicato  che  fosse 
un  antico  sepolcro  piramidale,  per  ispiegare  la  pendenza, 
che  altri  vogliono  causata  da  un  terremoto  (2).    Questo 

(i)  Di  questa  torre,  ch'era  un  sepolcro  antico,  e  della  sua  demo- 
lizione veggasi  quanto  narra  il  cit.  prof.  Visconti  nel  Bull  Arch. 
Covinnale,  iSjj.  La  più  antica  rappresentanza  si  vegga  nella  cit.  opera 
del  comm.  De  Rossi,  Piante  ecc.  di  Roma,  tav.  12.  Sulla  origine 
della  chiesa  e  sulle  tradizioni  relative  si  veggano  De  Albertis  Ja- 
cobus,  Historicarum  sanctiss.  et  gloriosiss.  virginis  Deiparae  de  populo 
aìmae  urbis  compendiutn,  Roma,  1599,  P^»-  3-iO-  Landucci  Ambrogio, 
Origine  del  tempio  dedicato  in  Roma  alla  V.  Maria,  Roma,  1646,  pag.  9. 
Panciroli  Ottavio,  Tesori  nascosti  dell'alma  città  di  Roma,  ecc.,  Roma, 
1625,  pag.  448-50.  Graf  prof.  Arturo,  Roma  nella  memoria  e  nelle 
imaginaiioni  del  medio  evo,  voi.  I,  pag.  353-55. 

(2)  EscHiNARDi,  Descri:^.  di  Roma  e  dell'agro  rom.,  pag.  192,  19 j. 
Becker,  Topographie,   pag.  198.  Nibby,  Roma   ant.,  I,  pag.   141,  II, 


l82 


G.   Tomassettì 


rudero  si  chiama  muro  torto,  moderna  corruzione  di  murus 
ruptus,  come  fu  chiamato  nel  primo  medio  evo.  La  sua 
leggenda  risale  al  secolo  sesto,  essendoci  raccontato  da  Pro- 
copio nel  luogo  già  da  me  citato  per  la  porta  Flaminia 
(I,  23).  L'occasione  del  racconto  è  la  storia  dell'assedio 
posto  dai  Goti  comandati  dal  re  Vitige  a  Roma  difesa  da 
Belisario,  nell'anno  537.  Dopo  un  primo  combattimento 
presso  il  ponte  Salario,  i  Greci  superati  dal  numero  dei 
nemici  ritiraronsi  sul  monte,  che  fra  poco  io  dimostrerò 
essere  il  moderno  colle  detto  dei  Parìoli.  Quindi  Belisario 
rinunziò  alla  lotta  esterna,  però  non  senza  opportune  sor- 
tite, e  Vitige  intraprese  l'assedio  regolare.  Ora  nella  difesa 
generale  della  città,  Belisario  voleva  munire  anche  l'angolo 
delle  mura  Pinciane,  cioè  il  murus  ruptus;  ma  i  Romani 
non  gliel  permisero  affermando  che  l'apostolo  s.  Pietro 
aveva  cura  di  difendere  quel  muro  misterioso.  Il  fatto  in- 
tanto favori  la  leggenda,  perchè  in  più  assalti,  che  i  Goti 
diedero  alle  mura,  non  si  rivolsero  mai  contro  quella  ro- 
vina, con  meraviglia  di  Procopio"  stesso,  che  aggiunse  es- 
sersi per  venerazione  mantenuto  quell'avanzo  isolato.  Ed 
esso  è  rimasto,  e  rimane  sempre  tale.  Ma  non  finiscono  qui 
le  curiosità  del  muro  torto.  Nel  medio  evo  ebbero  sepol- 
tura presso  il  medesimo  le  donne  di  mala  vita  (i),  e  in 
tempo  anche  più  recente  uomini  e  donne  che  morivano 
impenitenti  (2).  Quindi  mi  sembra  poter  essere  derivato 
il  nome  di  muro  malo,  con  cui  venne  talvolta  designato 
nel  medio  evo.  Le  suddette  circostanze  diedero  luogo  a 

pag.  314-18.  NiBBY,  !,(;  mura  di  Roma,  pag.  310-314.  Nella  tavola  IV 
è  disegnato  questo  muro  dal  Geil.  Nell'anno  1789  presso  questa 
torre  fu  scoperto  un  sotterraneo  destinato  a  cella  vinaria,  pieno  di  an- 
fore; e  fu  illustrato  dal  visconte  D'Agincourt  (Recneil  de  Jragments 
de  sctiìpture  antique  en  terre  cuiie,  pag.  45,  planche  XIX). 

(i)  Adinolfi,  Roma  nel  m.  evo,  I,  pag.  84.  Io  credo  che  vi  fosse 
il  sepolcro  per  le  sole  meretrici  morte  impenitenti;  la  notizia  che 
segue  mi  sembra  confermare  questa  ipotesi. 

(2)  EscHiNARDi,  1.  cit.;  Venuti,  Roma  ani.,  1.  cit. 


Della  Campagna  Romana  i83 

popolari  tradizioni  di  comparse  di  spiriti  e  ad  altre  simili 
malinconie,  delle  quali  intorno  a  questa  celebre  porta  temo 
di  avere  abbastanza,  e  forse  troppo,  trattenuto  i  lettori. 
Prima  di  incamminarci  sulla  via  darò  un  ultimo  e  più  serio 
cenno  sul  muro  torto.  Questo  masso  non  è  privo  di  storia 
diplomatica;  ed  ecco  quanto  mi  è  riuscito  raggranellarne. 
Una  pergamena  di  s.  Maria  in  via  Lata  del  102^  conte- 
nente un  affitto  di  una  terra  sementaricia,  determina  il  sito 
di  questa  foris  porta  flammea  iuxta  muro  de  ssta  porta  et  qui 
vocatur  inclinato  quod  est  inter  affines  hab  uno  latere  terra 
quem  ha  pastinanduni  detinet  beno  saioso  et  a  secando  vel 
a  tertio  latere  via  publica  et  a  quarto  latere  muro  qui  vocatur 
h arcione  iuris  ssto  monrio  (i). 

Una  pergamena  di  s.  Maria  in  via  Lata,  del  1045, 
contiene  una  donazione  che  Romanns  de  niorino  (Marino?) 
e  Constantia  sua  moglie  flmno  a  quel  monistero  di  mezza 
pezza  di  vinca  mannaricia  con  metà  di  una  vasca  et  cal- 
catorio  suo  cum  introito  et  exoito  (sic)  suo  usque  in  via  pu- 
blica.... posita  foris  porta  sancii  balentini  insta  murum  incli- 
nato inter  affines  ex  omni  latere  tenientem  monrium  sci  ci- 
riaci  (2). 

Un'altra  pergamena  dello  stesso  archivio,  del  11 15 
incirca,  relativa  ad  un'  enfiteusi  a  terza  generazione,  stabi- 
lisce la  vigna  foris  portam  flamineam  ad  muro  inclinato  inter 
hos  affines  a  primo  latere  tenet  Gre^orius  bononis  de  rainerio 
et  est  iuris  prcdicti  monasterii  et  romanus  de  stantio  a  secundo 
et  ante  tenet  prcdicto  monasterio  a  quarto  via  publica  (3). 

In  una  pergamena  dell'archivio  di  s.  Pietro  in  Vincoh, 
del  1155,  riguardante  una  lite  dell'economo  della  chiesa 
di  s.  Maria  monasterium,  posta  innanzi  la  basihca  suddetta, 
coll'abbadessa  di  s.  Agnese,  figurano  due  pezze  di  terra  po- 


(i)  Cod.  Vat.  8048,  f.  80. 

(2)  Cod.  Vat.  7932,  f.  69,  Cod.  Vat.  8048,  f.  131, 

(3)  Cod.  Vat.  8049,  f.  5. 


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G.   Tomassettt 


sitas  in  muro  malo  et  partem  silvae  positae  ibidem....  e  al- 
trove, nello  stesso  documento,  oltre  le  dette  cose  anche 
un  pratwn  (i). 

In  un  registro  notarile  già  altrove  arrecato,  del  1370, 
si  legge  muro  chienato  extra  portam  Populi,  lunii  18  (2). 

Un'altra  pergamena  di  s.  Maria  in  via  Lata,  del  1270, 
concerne  una  vigna  posta  fuori  la  porta  Flaminia  in  loco 
qui  dicitur  murus  inclinatus  (3). 

In  una  pergamena  della  stessa  raccolta,  dell'anno  1278, 
si  trova  che  quel  monistero  acconsentiva  alla  vendita  del 
dominio  utile  di  una  vigna  fatta  da  Odone  Fina  a  Gio- 
vanni di  Romano  dei  Sinibaldi,  la  quale  era  situata  extra 
portam  flamineam  ad  murnm  incìinatum  (4). 

Da  un  documento  dell'archivio  del  Salvatore  si  ha 
che  Giovanni  Orsini  nel  1384,  in  soddisfazione  della  vo- 
lontà del  suo  estinto  genitore  Giacomello,  donava  alla 
Compagnia  del  ss.  Salvatore  dieci  pezze  di  terreno  vignato 
nel  luogo  detto  mnr  chinato  (5). 

Dall'analisi  di  tutti  questi  documenti  si  può  scorgere 
come  la  ripetuta  denominazione  si  estendesse  alla  contrada 
campestre  circostante,  o  per  dir  meglio,  posta  innanzi  alla 
misteriosa  muraglia,  e  come  vi  si  coltivassero  vigne,  vi 
fossero  prati  ed  anche  parti  incolte.  Non  andrò  lungi  dal 
vero  dicendo  che  questi  fondi  occupavano  l'odierno  prato 
e  parte  ancora  della  moderna  villa  Borghese. 

Oltrepassata  che  abbiamo  la  linea  delle  mura  urbane, 
ci  si  offre  sulla  destra  la  collina  denominata  dei  Parioli, 
la  quale  fa  parte,  anzi  è  l'estrema  punta  settentrionale  del 
gran  monte  di  tufo  vulcanico    che  si    estende  al  sud-est 


(i)  Cod.  Vat.  7930,  f.  34. 

(2)  Cod.  Vat.  7930,  f.   125V. 

(3)  Cod.  Vat.  8050,  f.  58. 

(4)  Cod.  Vat.  80JO,  f.  62. 

(5)  Archivio  del  Salv.,  arni.  II,  fase,  8,  n,  21.   Adinolfi,  op.  e 
Ice.  cit. 


Della  Campagna  Romana  i85 

di  Roma  (i).  Qual  nome  ricevesse  nell'età  antica  io  non 
so;  ne  conosco  la  più  antica  menzione  in  Procopio,  il 
quale  descrivendo  il  conflitto  tra  Belisario  e  Vitige  presso 
Roma,  già  da  me  poco  sopra  rammentato,  dice  che  i  Goti 
si  ritirarono  sul  colle  rimpetto  alla  porta  Pinciana  sepa- 
rato da  quello  degli  orti  per  una  gola,  e  lo  chiama 
yfcóAoOov  ^2)  senza  un  nome  proprio,  perchè  forse  non 
l'aveva  (3).  Nel  medio  evo  però  questa  collina  ci  si  pre- 
senta con  due  nomi,  l'uno  è  di  s.  Vahntìno  e  facilmente 
se  ne  intende  la  causa;  l'altro  è  Pdaioìo,  di  cui  non  è 
facile  indovinare  la  origine,  ma  che  gli  è  appunto  il  nome 
pervenuto  a  noi  trasformato  in  Parìolì  (4).  Il  più  antico 
documento  relativo  alPelaiolo  ch'io  abbia  veduto,  è  nelle 
parole  della  citata  bolla  di  Agapito  II  e  nell'altra  di  Gio- 
vanni XII,  confirmamus  vobis  (all'abate  Leone  di  s.  Sil- 
vestro in  capite,  nell'anno  955)  casalem  unum  in  ìntegrum 
quem  Peìaiolum  cum  terris  suis  sationalibus  campis  pratis  pa- 
scuis  montìbus  pìanitie  in  quo  fuit  ecclesia  seti  Silvestri  q.  est 

(i)  V.  la  carta  della  Campagna  Romana  edita  dall'Ufficio  geo- 
logico (1879). 

(2)  Procopio,  op.  cit.,  e.  18,  ediz.  Dindorf.,  voi.  II,  pag.  89. 

(3)  l^tlVAnalisi  del  Nibby  non  ho  trovato  notizia  sui  Parioli. 

(4)  L'Adinolfi  registrò  il  vicolo  del  Pdaiolo,  ch'egli  lesse  nel 
libro  degl'istromenti  di  s.  Silvestro  in  capite  (R.  nel  medio  evo,  I, 
pag.  86)  senz'avvedersi  che  coincide  appunto  colla  moderna  via 
dei  Parioli.  Che  anzi  avendo  egli  trovato  il  Pariolo  in  altri  docu- 
menti di  s.  Silvestro,  lo  ha  registrato  separatamente  (ivi,  pag.  87). 
Del  resto  se  i  documenti  non  ci  forzassero  ad  ammettere  la  sud- 
detta etimologia,  nascerebbe  il  pensiero  che  pariolo  derivasse  da 
parietes  antiche  come  il  parione  urbano  e  il  paritorio  (oggi  palidoro) 
della  via  Aurelia.  Anzi  v'  è  un  passo  della  bolla  di  Agapito  II  ri- 
petuto nell'altra  di  Giovanni  XII,  nel  quale  descrivendosi  i  confini 
del  fondo  Passarano  situato  su  questo  monte,  s'indica  tra  i  confini 
un  caput  de  pariete  antiqua  (Marini,  P.,  a  pag.  38  e  46)  che  giove- 
rebbe alla  ipotesi  accennata.  Ma  ciò  non  basta  ad  escludere  la  identità 
dei  Parioli  col  Pelaiolo,  del  quale  io  schiero  nel  testo  le  notizie  che 
ne  ho  rinvenuto. 


i86 


G.   Tomassetti 


in  desertis  posita  et  ciim  omnibus  ad  eam  generaliter  pertinen- 
tibus  sicutl  oìitn  in  suprascripto  vestro  monrio  in  comniuta- 
tionem  dedit  per  commutationis  cariala  Albericus  omnium  ro- 
manornm  senator  quondam,  in  qua  et  ille  cum  suis  fratribus  ac 
sororibus  propriis  manibus  subscripserunt  et  consenserunt  vide- 
licet  Constantius  7iobilis  vir  Sergius  sanctae  Nepesine  eccliae 
epiìs  cum  Berta  et  alia  Berta  propter  vallcm  sancti  Viti  què  in 
vener.  motirio  s.  Agnetis  suprascr.  Albericus  donavit  que  vestro 
suprascripto  monrio  fuit  posit.  foris  portam  Salariam  milia- 
rio.... tertio  iuxta  fluvium  Tyberis.  inter  affines  ab  uno  latere 
fundiim  Gorgini,  etc.  (i).  Se  ne  deduce  pertanto  che  il 
Pelaiolo  fu  vasto  possesso  che  comprendeva  numerosi  fondi; 
che  fu  del  celebre  Alberico  il  quale  l'avrebbe  ceduto  al 
monistero  di  s.  Silvestro  in  compenso  della  valle  di  s.  Vito 
fuori  la  porta  Salaria  che  sarebbe  stata  ceduta  al  moni- 
stero  di  sant'Agnese.  La  chiesa  di  s.  Silvestro  in  desertis 
era  la  basiHca  nel  cimitero  di  Priscilla,  sulla  via  Salaria, 
come  provò  il  De  Rossi  (2).  Infatti  tra  i  nomi  delle  con- 
trade dei  ParioH  nel  medio  evo  mi  è  occorso  quello  di 
vallis  s.  Silvestri  in  una  pergamena  dell'anno  1139  del- 
l'archivio di  s.  Silvestro,  che  contiene  una  locazione  in 
favore  di  Pavarello  e  figliuoli  (3)  ;  e  mi  sembra  questa 
valle  corrispondere  al  piano  sottostante  ai  Parioli  verso  la 
via  Salaria.  Proseguendo  la  storia  diplomatica  dei  Parioli, 
ne  trovo  la  menzione,  seconda  per  ordine  di  tempo,  in 
una  locazione  dell'anno  11^5  fatta  dall'abate  di  s.  Silvestro 
a  Berardo  di  Leone  di  una  terra  posta  in  Pelaiolo  e  pre- 
cisamente in  valle  de  diacono  (4);  la  quale  doppia  indica- 
zione dimostra  che  Pelaiolo  era  il  nome  generico  di  una 


(i)  Marini,  Pap.,  pag.  46.  Ho  seguito  il  testo  di   Giovanni  XII 
eh'  è  più  corretto  di  quello  d'Agapito. 

(2)  Bull.,  1880,  pag.  25.    . 

(3)  Archivio  di  Stato.  Pergam.  di  s.  Silv.  ad  annum,  perchè  sono 
ordinate  cronologicamente. 

(4)  Arch.  di  Stato  come  sopra. 


Della  Campagna  Romana  187 

contrada.  La  terza  notizia  del  sito  medesimo  ne  conferma 
l'ampiezza,  leggendosi  in  un  atto  del  1247  riguardante  il 
tcnimentwìi  quod  dicitiir  Pelaioìtim  usufruito  da  Stefano  ed 
Augusto  figli  dell'avvocato  Giovanni  Del  Prete  (i).  La 
quarta  volta  che  si  offre  il  nome  suddetto  comparisce  con 
una  disgiuntiva  che  disperde  qualunque  dubbio  sulla  sua 
coincidenza  col  monte  dei  Parioli.  È  un  atto  di  vendita 
del  1282  di  Paolo  Vecchiola  a  Carlo  di  Andrea  di  Carlo 
di  una  vinca  posila  foris  portam  Pincianam  in  Pelaiolo  sive 
Parioìo  (2).  Dunque  già  nel  secolo  xii»si  veniva  mutando 
quel  nome;  quantunque  lo  si  ritrovi  nel  secolo  xiv,  perchè 
trattandosi  di  documenti  scritti  dai  notai  del  monistero, 
questi  sempre  si  attenevano  alla  nomenclatura  antica.  Ri- 
guardo allo  scambio  della  porta  Pinciana  colla  Flaminia, 
non  solo  non  deve  recar  meraviglia  perchè  le  due  porte 
sono  quasi  contigue,  ma  eziandio  perchè  l'accesso  ai  monti 
Parioli  è  dato  per  la  via  ora  detta  delle  tre  madonne,  che 
risponde  sulla  via  Pinciana.  Questa  via  delle  tre  madonne, 
di  cui  parlerò  sulla  via  Pinciana,  è  un  antico  diverticolo 
della  via  Salaria,  che  legava  questa  colla  Pinciana  e  colla  Fla- 
minia. Chi  la  percorre  ancora  al  giorno  d'oggi  può  scorgere 
in  parecchi  suoi  punti  l'antico  lastricato,  di  livello  alquanto 
più  alto  dell'odierno.  Altri  due  documenti  spettano  al  Pe- 
laiolo, e  sono  due  vendite,  l'una  del  13 18,  in  cui  è  additato 
pure  fuori  la  porta  Pinciana,  l'altra  del  1325  (3).  I  contraenti 
nella  prima  sono  Daria  vedova  di  Pietro  Carbone,  e  Perna 
moglie  di  Pietro  da  s.  Maria;  nella  seconda  sono  Paolo  di 
Simeone  e  Margherita  moglie  di  Tomaso  di  piazza  Lom- 
barda (odierna  piazza  Madama  o  del  Senato).  Alle  date  me- 
morie di  cotesto  luogo  aggiungo  di  volo  le  notizie  del  vi- 
colo Pelaiolo  che  stabilisco  come  corrispondente  alla  nostra 


(i)  Ardii,  come  sopra. 

(2)  Arch.  come  sopra. 

(3)  Arch.  di  Stato.  Arch.  di  s.  Silv.,  libro  degl'  inventari,  ad  ami. 


G.   Tomassetti 


via  de  Parioìi.  L'una  è  stata  giA  notata  dall' Adinolfi  (i); 
l'altra  parimenti  è  stata  da  lui  veduta,  ma  riportata  inesat- 
tamente, avendo  scritto  :  «  il  capo  del  luogo  detto  Vorto 
«  Pesce  era  dal  vicolo  del  Pelaiolo  »  parole  che  non  danno 
senso,  mentre  invece  vi  si  legge  (è  un  atto  del  13 1^)  che 
il  sito  orto  Pesce  era  in  capo  al  vicolo  Pelaiolo.  Rivedremo 
fra  poco  questo  nome  e  ne  daremo  il  sito  approssimativo. 
Illustrata  la  denominazione  generale  dei  Parioìi  nel 
medio  evo,  e  stabilito  che  il  principale  possidente  lassù  era 
il  monistero  di  s,  Silvestro  di  Roma,  debbo  passare  a 
qualche  particolarità  topografica  di  tale  contrada.  E  primie- 
ramente noterò  i  nomi  diversi,  che  ne  ho  rintracciato,  i 
quali  ci  aiuteranno  a  ricostruirne  in  qualche  modo  la  pianta. 
Questi  nomi  pertanto  sono  : 

Mons  sancii  Valentini 

Cicongioìa  o  Cicognoìa 

Saxum  o  Sasso 

Horto  Pisce  ed  orto  Pesce 

Mons  Cacciareìli,  o  Ca^areìli,  o  ZaccareUi  od  AcT^a- 
rello 

Casale  Giridum 

Passarana. 
Pubblicare  tutti  i  documenti  che  si  riferiscono  alle  no- 
tate denominazioni,  e  che  per  la  massima  parte  spettano 
air  Archivio  di  s.  Silvestro,  mi  sembra  cosa  non  necessaria 
e  troppo  tediosa.  Dirò  piuttosto  generalmente  ciò  che  si 
rileva  dall'analisi  di  tali  memorie  intorno  al  collocamento 
topografico  di  quei  nomi,  e  riporterò  alcuni  cenni  di  quei 
documenti  che  sono  più  efficaci  a  provarlo.  Incomincio  dal 
primo  f^nons  s.  Valentini),  e  osservo  che  l'esame  delle  no- 
tizie che  lo  riguardano  fa  nascere  la  convinzione,  che  sif- 
fatto nome  spettò  alla  punta  dei  Parioìi  eh'  è  dopo  la  via 
detta  dell'arco  oscuro,  ossia  al  di  Là  del  casino  di  s.  Carlo 


(i)  Op.  cit.,  I,  pag. 


Della  Campagna  Romana  189 

Borromeo  e  del  palazzo  di  Papa  Giulio.  Anzi  è  mia  opinione 
che  la  detta  via  colla  Flaminia,  col  vicolo  della  Rondinella 
e  col  tratto  che  congiunge  quest'ultima  e  il  vicolo  d'acqua 
acetosa  formino  i  confini  del  monte  s,  Valentino  (i).  Ciò 
premesso,  non  debbo  spender  molte  parole  sulla  origine 
del  suo  nome.  Si  consultino  le  fonti  topografiche  e  le  cri- 
tiche risguardanti  i  cimiteri  suburbani;  e  si  troverà  che 
sotto  cotesto  monte  stava  il  cimitero  che  tolse  il  nome  dal 
martire  Valentino,  in  onore  del  quale  fu  eretta  quivi  sopra 
la  chiesa  nel  secolo  quarto_,  divenuta  poi  basilica  nel  secolo 
settimo  (2).  Alla  chiesa  era  unito  un  monistero,  come  si 
scorge  dal  testo  della  bolla  di  Sergio  II.  Che  questo  cenobio 
fosse  ricinto  da  un  muro  fortificato  si  apprende  dalla  iscri- 
zione tuttora  superstite  nel  portico  della  chiesa  di  s.  Silve- 
stro in  Roma.  Essa  è  una  memoria  del  secolo  xi,  del  pon- 
tificato di  Nicola  II  (a.  1058-1061)  relativa  ai  grandi  lavori 
eseguiti  nella  basilica  suburbana  di  s.  Valentino,  e  ai  dona- 

(1)  La  pianta  dei  m.  Parioli  nella  carta  dello  Stato  Maggiore 
lascia  molto  a  desiderare,  come  tutto  il  foglio  Roma  e  parte  del 
Casld  GiiihiL'o. 

(2)  Ada  Saiictornm  14  Fehriutr.  Urlichs,  op.  cit.,  pag.  72;  è 
l'anonimo  di  Einsiedbn  che  scrisse  :  in  vìa  Flaminia  foris  niurum  in 
dextra  sci  Valeniinì,  pag.  82,  pag.  87.  Ibi  in  primo  milliario  foris 
s.  Valmtinus  in  sua  ecclèsia  requiescit  (l'anonimo  trascritto  dal  Mal- 
mesburiense).  Infatti  col  monte  s.  Valentino  siamo  appunto  al  primo 
miglio  della  Flaminia.  Lib.  poni.,  11.  cit.  in  lidio,  Theodoro.  De  Rossi, 
Roma  sotterranea,  I,  pag.  io,  144.  Settele,  Atti  dell' Accad.  di  Archeol., 
tomo  III,  pag.  166  eseg.  Mabillon,  Museum  Ital,  II,  pag.  161.  Bosio 
Ant.,  Roma  sotterranea,  III,  e.  65.  Marucchi  Orazio,  La  cripta  se- 
polcrale di  s.  Valentino  sulla  via  Flaminia,  Roma,  1878.  Uno  dei  pregi 
del  cimitero  in  discorso  era  un  affresco  rappresentante  il  Crocifisso, 
soggetto  di  una  certa  rarità;  né  aveasene  notizia  dal  secolo  xvi  in 
poi.  Fu  merito  del  eh.  signor  Marucchi  l'averlo  ritrovato  in  una 
grotta  della  vigna  del  signor  comm.  Bernardo  Tanlongo,  ed  è  atto 
lodevole  del  proprietario  l'averne  curato  la  conservazione.  Il  Ma- 
rugghi  la  giudica  opera  del  secolo  settimo,  e  ciò  basta  per  com- 
mendarne la  importanza. 


igo 


G.  Tomassetti 


tivi  filtri  alla  medesima  dall'abate  di  s.  Silvestro.  Imperocché 
sembra  che  fin  dal  secolo  nono  i  monaci  benedettini  di 
s.  Silvestro  andassero  a  costruire  o  per  lo  meno  ad  abitare 
il  cenobio  di  s.  Valentino,  che  venne  poi  loro  confermato, 
come  abbiam  veduto,  da  parecchi  diplomi.  Del  resto  in  co- 
testa  lapide  dottamente  esaminata  dal  Settele  (i)  si  legge: 
clausuram  monasterii  afundamento  construxit.  Io  non  intendo 
far  la  storia  della  basilica,  perchè  il  citato  autore  1'  ha  già 
riassunta  (2);  ricordo  soltanto  come  le  sue  fortificazioni 
fossero  bene  intese  dal  secolo  nono  all'undecimo,  tempi  di 
continue  infestazioni  nella  campagna  romana  prima  da  parte 
degli  Arabi,  poi  di  feudatari  e  dei  Tedeschi  ;  che  il  moni- 
stero  venne  abbandonato  prima  che  la  chiesa,  e  di  questa 
nel  secolo  xvi  erano  in  piedi  miserabili  avanzi  nella  vigna 
spettante  allora  ai  frati  di  s.  Agostino  (3).  Questa  vigna,  ora 
spettante  al  signor  comm.  Tanlongo,  si  trova  nella  parte 
dei  Parioh  già  da  me  indicata  come  quella  che  tolse  il  nome 
dalla  ripetuta  chiesa.  Vi  si  cercherebbero  invano  al  presente 
le  accennate  rovine;  nondimeno  recentemente  il  eh,  signor 
Marucchi  vi  scoperse,  insieme  a  parecchie  lapidi  dell'antico 
cimitero,  eziandio  un  avanzo  dell'abside  della  basilica  ad- 
dossato alla  colHna,  alcuni  capitelli  e  basi  delle  colonne, 
ch'egH  suppone  fossero  alte  circa  sei  metri  e  mezzo,  una 
mensa  marmorea,  forse  quella  stessa  dell'altare,  ed  altri 
frammenti  (4).  La  basiHca  era  in  piano;  prospettava  la  via 
Flaminia,  ed  aveva  un  portico  innanzi  ed  un  nobile  in- 
gresso, anzi  più  d'un  portico  come  si  arguisce  dal  testo 
della  ricordata  iscrizione  (porticus  qtiae  circa  sunt  omnes  re- 


(i)  Aiti  ddì'Accad.  ài  Archeol,  III,  pag.  242.  Il  Settele  ne  diede 
quivi  la  lezione  migliore  di  quella  del  Carletti  (op.  cit.) 

(2)  Settele,  Atti  cit.,  II,  pag.  79-84. 

(3)  Per  testimonianza  del  Panvinio  (cf.  De  Rossi,  R.  Sott.,  l, 
pag.  io).  Il  eh.  Marucchi  suppone  che  l'abbandono  della  chiesa 
avvenisse  nel  periodo  del  pontificato  in  Avignone  (op.  cit.,  pag.  21). 

(4)  Marucchi,  op.  cit.,  pag.  56,  57. 


Della  Campagna  Romana  191 


novavit...  construxit  arcum  ante  ianuatn  ecchsiaej.  Che  insieme 
con  s.  Valentino  fosse  venerato  s.  Zenone  lo  ha  scoperto  re- 
centemente il  De  Rossi  in  un  codice  di  Arezzo  (i).  Il  moni- 
stero  doveva  essere  contiguo;  ma  non  ne  rimangono  ve- 
stigia, ad  eccezione  di  due  piccole  torri  del  diametro  di  3 
metri,  rovinate  per  metà,  congiunte  fra  loro  da  un  muro, 
le  quali  si  veggono  ancora  sul  ciglio  del  monte  che  do- 
mina la  chiesa  del  Vignola,  entro  la  vigna  dei  signori. 
Gnecco.  Queste  torrette  insieme  ad  un  frammento  di 
bocca  di  pozzo  in  marmo  lavorato  a  rozzo  intaglio,  super- 
stite nella  vigna  medesima,  furono  dal  Marucchi  attribuite 
al  monistero.  Inflitti  la  costruzione  delle  torri  è  simile  a 
quella  di  altri  muri  del  decimo  e  undecimo  secolo.  Quindi 
mi  sembra  che  se  pure  non  fecero  esse  parte  del  recinto 
del  monistero  cioè  della  clausura  ricordata  nella  ripetuta 
iscrizione,  come  pensa  il  eh.  mio  amico;  perchè  forse  io 
preferisco  l' ipotesi  che  il  monistero  fosse  in  basso  ;  tuttavia 
le  torrette  in  parola  dovettero  spettare  a  quelle  fortificazioni 
che  senza  dubbio  munivano  il  colle  e  proteggevano  il 
santuario  sottostante.  Ciò  premesso,  riguardo  allo  stato  delle 
memorie  monumentali,  aggiungo  quanto  mi  forniscono 
quelle  diplomatiche,  facendo  avvertire  anzi  tutto  che  queste 
sono  in  mirabile  accordo  con  quelle.  Infatti  il  mons  s.  Va- 
lentini  nei  documenti  dell'Archivio  di  s.  Silvestro  apparisce 
diviso  per  cosi'dire   nelle  parti  seguenti: 

contrada  s.  Fakntini  formeìlum  s.  Fai.  (2) 

plannm  s.  Fai.  nionticdlum  s.  Fai. 

prata  s.  Fai.  elusa  s.  Fai. 

(i)  De  Rossi,  Musaici  crist.  e  saggi  dei  pavimenti  delle  chiese  di  Roma. 
V.  Musaico  dell'oratorio  di  s.  Zenone  in  s.  Prassede. 

(2)  Nel  sommario  di  un  atto  del  1242,  contenuto  nel  libro  detto 
compendio,  si  legge  foracellum  s.  Valentini.  Quantunque  non  possa  ve- 
rificarsi la  lezione,  perchè  il  documento  originale  è  scomparso,  tut- 
tavia io  sono  convinto  che  l'abbreviatore  ha  letto  foracellum  invece 
di  formeìlum. 


omassetti 


Mi  affretto  ad  escludere  dall'analisi  il  primo  di  questi  nomi, 
che  siccome  generale  non  ha  bisogno  di  comento,  ed  è 
stato  posto  soltanto  per  esattezza.  Esso  era  proprio  di  cia- 
scuna parte  sì  piana  come  montuosa;  quindi  in  un'  enfi- 
teusi del  1356  (i)  in  favore  di  Nucio  di  Matteo,  gli  si  con- 
cedono due  pezze  e  sei  40""^  di  terreno  con  chiostro,  chììi 
claiistro;  e  gli  si  assegnano  per  confini  i  beni  del  detto 
Nucio,  di  Andrea  di  Giaquintello,  di  lacobello  da  Magliano 
ed  il  monte  di  s.  Valentino.  Dunque  col  nome  di  contrada 
s'intese  quivi  la  parte  piana,  distinta  dal  monte.  La  se- 
conda appellazione  planum  s.  Val.  occorre  in  più  atti,  e 
spetta  a  quella  parte  della  pianura  sottostante  ai  Parioli, 
la  quale  non  era  compresa  entro  il  ricinto  del  monistero. 
Riporto  soltanto  qualche  menzione  di  questo  luogo  che 
ce  ne  indichi  la  situazione;  per  esempio  quella  nell'enfi- 
teusi del  1355  in  fiivore  di  Tuccio  di  Giovanni  Amoroso, 
perchè  tra  i  confini  del  terreno  situato  in  plano  s.  Vaìen- 
tini  vi  è  notata  la  via  puhlica,  cioè  la  Flaminia,  che  lam- 
biva infatti  la  pianura  adiacente  alla  chiesa.  Altrettanto  si 
legge  in  un'altra  enfiteusi  dellp  stesso  anno  in  favore  di 
Giacomo  Secnritas  di  Magliano  in  Sabina;  altrettanto  in 
altri  che  per  brevità  tralascio.  Viene  poi  l'altro  consueto 
nome  di  prata  s.  Val.  il  quale  dovette  appartenere  a  quella 
parte  della  pianura  che  si  estende  maggiormente  verso  la 
Flaminia  e  verso  il  fiume  fin  verso  Acqua  acetosa.  Delle 
numerose  memorie  di  questi  prati  scelgo  soltanto  una  ch'è 
in  un  atto  del  1242  perchè  vi  si  aggiunge  che  tah  prati 
erano  vicini  al  forniellum  di  s.  Valentino.  Sarebbe  questo 
un  vero  schiarimento  se  potessimo  rintracciare  quale  con- 
dottura  d'acqua  dava  luogo  a  siffatta  denominazione.  Ma 
io  non  conosco  altr'acqua  che  scorresse  sotto  i  Parioli, 
eccetto  la  vergine;  la  quale  non  passa  nella  parte  di  quel 


(i)  Archivio  sudd.  Dei  documenti  non  citerò  che  l'anno,  attesa 
la  loro  cronologica  disposizione  nell'Archivio. 


Della  Campagna  Romana  igS 

monte,  che  ora  stiamo  indagando,  sibbene  la  viene  quasi 
a  lambire.  Ora  questo  fatto  si  accorda  benissimo  colla 
mia  ipotesi  che  i  prati  di  s.  Valentino  guardassero  la  cam- 
pagna prossima  alla  via  Salaria,  e  quindi  il  formdliun  in 
parola  sarebbe  una  condottura  dell'acqua  Vergine,  che  an- 
ticamente percorreva  ben  più  lungo  giro  che  adesso,  e 
forse  forniva  ancora  il  cenobio  ed  il  borgo  di  s.  Valen- 
tino, poiché  come  nota  il  Cassio  :  entrava  tic  vigneti  su- 
hurbani  del  monistero  di  s.  Silvestro  in  capite  e  d'altri  parti- 
colari, nel  guai  tratto  scuopronsi  li  molti  pox^i  o  sfiatatori  con 
suoi  cappelli  aperti  in  tempo  de' sommi  pontefici,  siccome  narra 
Luca  Peto  (de  restit.  aquae  virginis)  da  cui  si  dice,  che  de- 
putati li  nobili  Mario  Frangipani  e  Rutilio  Alberini  col  taglio 
di  un  durissimo  tufo  fu-  accorciato  l'antico  giro  (i).  Inflitti  uno 
dei  cippi  iugerali  dell'acqua  Vergine  fu  rinvenuto  al  diver- 
ticolo detto  di  s.  Filippo  presso  la  già  indicata  via  delle 
tre  madonne,  antica  arteria  dei  Parioli  (2).  La  fontana  che 
doveva  ahmentare  la  badia  e  gh  annessi  poderi  l'ho  ri- 
trovata nella  bolla  di  Giovanni  XII,  nelle  parole:  inter 
affines  (del  Passaranum)  a  primo  latcre  iam  dieta  via  publica 
(la  Flaminia)  et  a  secundo  latere  fontana  aque  vive  comunalis 
inter  suprascriptum  Monrium  et  Gregorium,  etc.  Ecco  pertanto 
il  gruppo  delle  notizie  riferibili  al  formello  in  discorso,  che 
ho  tratto  dalle  ripetute  fonti.  Esse  sono,  oltre  il  documento 
del  1242  già  accennato,  un  altro  del  1246^  che  indica  tra 
i  confini  dei  prati  la  costa  del  monte  (3);  uno  del  125 1 
risguardante  una  vigna  ad  formellum  foris  portam  s.  Val.  (4) 
una  vendita  del  1254  di  vigna  nel  sito  detto  il  formello 
di  s.  Val.  fuori  la  porta  stessa  (5);  un  altro  dello  stesso 


(i)  Alb.  Cassio,  Corso  delh  acque,  I,  pag.  136. 

(2)  Cf.  Laxciani  R.,  I  comentari  di  Frontino,  pag.   123. 

(3)  Nel  libro  del  compendio,  ad  ann. 

(4)  Ivi. 

(5)  Ivi. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  spatria.  Voi.  VI.  13 


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194 


G.   Tomasselti 


anno  con  semplice  menzione  del  formello  di  s.  Val.  (i); 
uno  del  13 12  con  la  sola  indicazione  di  una  vaììis  for- 
mella fuori  la  porta  Flaminia,  ch'evidentemente  è  la  pia- 
nura di  cui  trattiamo  (2);  uno  infine,  per  prescindere  da 
altri  meno  importanti,  che  è  del  131^,  nel  quale  ritorna 
la  suddetta  vaìlis  formella  (3).  Sembrano  eziandio  da  rife- 
rirsi a  questa  condottura  dell'acqua  Vergine  le  parole  delle 
bolle  di  Agapito  II  e  di  Giovanni  XII  nell'annoverare  i 
confini  del  casale  Girulmn,  vale  a  dire  :  ab  uno  latere  via 
publica  qiie  est  silice  antiqua  qui  descendit  usqtie  in  sanguinaria 
et  a  secundo  latere  Formello  aque  vive  qui  exit  sub  monte  istius 
Girulo  (ovvero  exiit  sub  monte  de  snpradicto  Girulo^  seti 
prato,  etc.  (4)  Il  quinto  dei  nomi  particolari  del  monte 
s.  Val.  si  è  nionticellum,  del  quale  può  credersi  che  rap- 
presenti la  sezione  del  monte  immediatamente  sovrastante 
alla  chiesa,  come,  per  esempio,  la  odierna  vigna  Cardelli. 
L'unico  documento  donde  ho  desunto  tal  nome,  è  il  se- 
guente, che  trovasi  due  volte,  ed  alquanto  diversamente 
l'una  dall'altra,  in  pergamene  dell'Archivio  di  s.  Maria  in 
via  Lata.  Una  dice  :  Nos  presbiter  Advocatus  et  lacobus  cle- 
rici ecclesie  set  Martini  de  Posterula  in  presentia  dm  Stephani 
Paparonis  indicis  huius  scrinarii  et  testium  locamus  tibi  lohanni 
Angeli  qui  nominaris  Johannes  sancii  lohannis  tuisque  here- 
dibus  tres  petias  vinearnm  positarum  extra  portam  Flaminiam 
in  pratis  set  Valentini  in  Monticellis  sub  proprietate  diete  ec- 
clesie inter  fines  a  I  lat  tenet  dieta  ecclesia  a  II  est  viculus  a 
III  est  fìumen  a  UH  tenet  ecclesia  sce  Cecilie  ad  quartam 
partem  musti  reddendam  diete  ecclesie  (5).  L'altra  contiene  la 
stessa  locazione  che  sopra,  più  diffusa  nel  testo  e  nelle 
formole;  quanto  alla  indicazione  non  vi  trovo  che  extra 


(i)  Ivi. 

(2)  Inventario  s.  Silv.,  ad  ami. 

(3)  Ivi. 

(4)  Marini,  op.  cit.,  pag.  46. 

(5)  Cod.  Vat.  8049,  f.  205. 


Della  Campagna  Romana  igS 

portam  Flamineam  in  pratis  sancii  Vahntini  in  Monticeìlo  ;  ì 
confini  sono  gli  stessi  (i).  Rimane  a  dire  dell'ultimo  vo- 
cabolo, cioè  della  elusa  s.  Val.  Io  penso  che  per  chiusa 
s'  intendesse  l'antico  recinto  del  monistero,  nel  quale 
sorgevano  case,  poderi  e  specialmente  vigne.  Notai  già 
nel  cenno  preUminare  come  elusa  talvolta  si  adoperasse 
per  curtis  nel  medio  evo;  ed  avesse  lo  stesso  significato 
di  questa.  Brevemente  ne  riassumo  le  memorie,  che  sono  : 
un  atto  del  13 14,  che  nella  descrizione  dei  confini  ci 
porge  lume  sulla  ubicazione  della  elusa,  essendovi  tra 
essi  il  vicolo  del  Sasso,  che  or  ora  rintracceremo;  poi  un 
atto  del  1322  in  cui  la  detta  chiusa  comparisce  confinante 
colla  via  publica;  ed  un  altro  del  1325,  nel  quale  un 
fondo  della  chiusa  è  detto  esistere  nella  contrada  Cicon- 
gnola.  Non  posso  credere  identica  la  indicazione  della  elusa 
con  quella  del  claustrum  del  citato  documento  del  135^; 
quantunque  a  prima  vista  sembri  tale,  poiché  mi  sembra 
che  per  elusa  s'intendesse  l'ampio  recinto  in  cui  sorgeva 
il  monistero,  per  claustrum  invece  il  vero  chiostro.  La 
elusa  corrispondeva  alla  clausura  monisUrii  che  l'abbate  a 
fundamento  construxit  nel  secolo  xi  (come  dalla  citata  la- 
pide); il  claustrum  invece  dev'essere  il  cortile  abbandonato 
e  mezzo  diruto.  Ciò  colUma  giustamente  colle  notizie  sto- 
riche rimasteci  del  monistero,  la  cui  ultima  memoria  è 
del  secolo  xiii  (2);  mentre  il  documento  che  io  adduco 
in  prova  del  suo  abbandono  è  della  seconda  metà  del  de- 
cimoquarto. Aggiungo  inoltre  come  utile  alla  storia  del 
monistero,  in  questa  digressione,  che  nella  serie  dei  do- 
cumenti che  stiamo  sfruttando,  l'ultimo  nel  quale  compa- 
risce la  indicazione  in  monisterio  s.  Vahntini  è  dell'anno 
123^  (3);  ciò  che  conferma  la  sua  esistenza  in  quel  se- 

(i)  Cod.  Vat.  8049,  f-  206. 

(2)  Settele,  AUicit.,  II,  pag.  81.  Le  prove  dello  splendore  dicotesta 
basilica  nei  sec.  xi  e  xii  veggansi  nella  R.  sotl.  del  De  Rossi,  I,  p.  222. 

(3)  Arch.  s.  Silv.,  lib.  conipend.  ad  aii. 


196 


G.   Tomassetti 


colo,  mentre  nel  posteriore  abbiamo  il   suo   chiostro    ab- 
bandonato e  dato  in  enfiteusi  col  terreno. 

Entriamo  nell'esame  degli  altri  luoghi  dei  Parioli  ossia 
di  quello  che  ho  sopra  enunciato  dopo  il  monte  s.  Valen- 
tino, dal  quale  siamo  usciti  appunto  determinando  alcuni 
confini  della  elusa.  Dalle  parole  dei  documenti  possiamo 
dedurre  che  questa  confinava  colla  via  publica  e  colla  con- 
trada Ciconiola  o  Ckognoìa  e  col  Sasso.  Poco  o  nulla  so 
dire  intorno  al  Cicognola,  che  può  avere  avuto  origine 
anche  dal  nome  di  qualche  enfiteuta,  ne  figura  che  in 
due  documenti,  per  quanto  io  ho  veduto.  Invece  il  Sasso, 
eh' è  il  terzo  dei  nomi  da  me  annoverato  fra  i  singolari 
dei  Parioli,  ci  apparisce  frequente,  e  possiamo  indagarne 
il  sito.  Io  non  voglio  affermare  che  tal  nome  venga  da 
un  Saxo  index  che  figura  tra  i  proprietari  di  questa  con- 
trada (i);  soltanto  sento  l'obbligo  di  annotarlo,  ed  ora 
procedo  coU'analisi  del  sito.  Mi  par  certo  che  questo  sasso 
corrisponda  non  ad  un  gruppo  di  fondi  o  ad  un  prato,  ma 
ad  una  strada,  e  precisamente  al  vicolo  che  oggidì  è  de- 
signato col  nome  della  rondinella,  che  taglia  l'ultimo  lembo 
dei  Parioli  verso  il  Tevere.  Una  pergamena  di  s.  Maria 
in  via  Lata,  del  1148,  risguardante  una  rinunzia  di  lite  per 
parte  di  Cincius  et  Pandoìfus  filii  Gregorii  Cencii  intorno  ad 
una  vigna,  la  indica  siccome  posta  extra  portani  Fìaniineam 
ad  Saxum,  senza  verun' altra  topografica  illustrazione  (2). 
Un'altra  del  1197  presenta  qualche  maggiore  schiari- 
mento. È  una  cessione  di  diritto  per  parte  di  Romana  uxor 
quondam  Laurentii,  e  suoi  parenti  a  favore  di  Crescentio  de 
Americo  :  vi  si  legge  ceduto  totum  ins  quod  habemus  et  dictiis 
Laurentius  habiiit  in  uno  petio  terre  ad  imam  petiam  vinee 
pastinandam  plus  vel  minus  cum  tota  melioratione  sea  pastina- 
tione  qne  ibi  est  facta  et  cum  vasca  dirruta  atque  cum  introhitu 


(i)  Veggasi  l'atto  del  1254  nel  libro  coìnpciidio. 
(2)  Cod.  Vat.  8049,  f,  31. 


Della  Campagna  Romana  197 

et  exittc  suo  omnibnsque  siiis  iisibtis  et  utilibus  ac  pertinentiis 
posita  foris  portam  sci  Vaìentinì  ad  sassum  in  mollarico.  Inter 
hos  fines  a  primo  latere  tenet  lohannes  petri  advocati  a  II  est 
flumen  a  tertio  est  mons  mollaricus  a  IIII  est  via  carraria  vel 
vicìilus  per  quem  transis  ad  dictam  vineam  et  vascas  (i). 

Questa  voce  mollarico  ci  chiama  verso  il  ponte  Milvio 
o  Molvio  che  veniva  prendendo  nel  medio  evo  la  denomi- 
nazione di  ponte  Molle.  Inoltre  in  un  documento  del  1321 
(locazione  di  un  terreno  a  Sabatino  di  Manfreduzzo  olim 
Mattia)  il  Saxo  ha  per  confini  i  fondi  della  chiesa  di  s.  Maria 
al  ponte  Milvio  (2);  e  ciò  conferma  come  il  Sasso  fosse  una 
contrada  non  lontana  dal  ponte.  Che  poi  fosse  una  strada 
ed  anche  posta  sulla  mano  destra  della  Flaminia,  come  io 
testé  annunciava,  lo  traggo  non  solo  dal  già  riferito  docu- 
mento, nel  quale  la  chiusa  di  s.  Valentino  ci  si  offre  come 
confinante  con  cotesto  vicolo;  ma  eziandio  dal  registro  delle 
tasse  del  1570,  nel  quale  la  nota  delle  vigne  tra  i  Parioli 
e  il  Tevere  soggiace  a  questa  intitolazione  :  vicolo  a  man 
dritta  che  va  al  sasso  (3).  Dunque  il  vicolo  era  anonimo  nel 
secolo  XVI,  ma  veniva  ancora  determinato  dal  Sasso.  Del 
resto  la  contrada  circostante,  nel  secolo  xiv,  toglieva  il 
nome  dal  vicolo,  come  rilevasi  dagli  atti  già  allegati,  ed 
anche  da  due  altri  istromenti  d'enfiteusi,  l'uno  del  1357, 
l'altro  del  1371  (4). 

Abbiamo  poi  il  nome  della  contrada  horto  pisce  che 
sembra  potersi  attribuire  ad  una  stazione  di  pescatori  del 
Tevere,  ovvero  ad  un  mercato  di  pesce  che  quivi  abbia 
avuto  luogo.  Nell'una  e  nell'altra  ipotesi  dobbiamo  farne 
ricerca  verso  il  fiume.  Ma  un'altra  ragione  mi  persuade  a 
fissarne  il  sito  presso  la  discesa  dei  Parioli  verso  il  Tevere; 
ed  è  il  senso  della  indicazione  che  ne  abbiamo  nella  ven- 

(i)  Cod.  Vat.  8049,  f-  78. 

(2)  Inventario  s.  Silv.  ad  ami. 

(3)  Archìvio  di  Stato,  reg.  eh.  1570,  fol.  26v. 

(4)  Inventario  s.  Silv.  ad  ami. 


198 


G.   Tomassetti 


% 


dita  del  13 17,  della  quale  ho  restituito  la  lezione  sbagliata 
dall' Adinolfi,  Giova  qui  ripeterla:  è  una  vigna  fuori  la 
porta  Flaminia  nel  luogo  detto  horto  pisce  in  capo  al  vicolo 
Pelaiolo  presso  li  beni  di  Tebaldo  di  Matteo  Miccinelli,  il 
monte  Cacciarello,  il  detto  vicolo  e  la  via.  Ammesso  per- 
tanto che  pel  capo  di  una  strada  chi  scrive  intende  il 
punto  di  sbocco  della  medesima,  non  certo  il  principio; 
ammesso  che  il  vicolo  del  Pelaiolo  corrisponde  alla  via  dei 
Parioli,  poiché  lo  sbocco  di  questa  è  appunto  verso  il  fiume, 
possiamo  proporre  che  il  sito  borio  pesce  corrisponde  al 
terreno  occupato  al  presente  dalla  villa  Glori,  del  quale 
studiandone  alquanto  la  configurazione  si  possono  anche 
tracciare  i  confini  espressi  nell'atto  riferito.  Altre  e  più  an- 
tiche carte  accennano  a  questo  luogo  ;  e  sono  la  solita 
bolla  di  Agapito,  e  meglio,  cioè  con  più  lunga  frase,  quella 
di  Giovanni,  vale  a  dire:  che  il  gruppo  delle  terre  del 
monte  s.  Valentino  era  posto  infra....  terra  qui  appellatur 
Passaranum  et  ortum  piscinm ;  un'enfiteusi  del  12^5,  una 
locazione  dell'anno  stesso,  un'enfiteusi  del  151^,  la  ven- 
dita gii  citata  del  13 17,  un'enfiteusi  dell'anno  medesimo, 
una  vendita  del  132 1  ed  un'altra  del  1322  (i).  Questi 
documenti  ci  conducono  all'analisi  del  quinto  fra  i  nomi 
speciali  dei  Parioli,  voglio  dire  del  mons  Cacciar elli  o  Ca- 
:(arelli,  o  Zaccarelli,  o  Ac-^arello.  Imperocché  questo  é  ad- 
ditato in  esse  carte  siccome  un  dei  confini  dell'orto  pe- 
sce (2).  Dovett'essere  così  denominata  una .  delle  alture 
mediocri  dei  Parioli,  verso  la  parte  di  Acquacetosa,  ma 
donde  togliesse  quel  nome  io  non  ho  potuto  scuoprirej^ 
dacché  non  credo  accettabile  la  prima  congettura  che  mi 
si  offerse,  cioè  di  un  Ceccarello  possidente  in  orto  Pesce, 
quindi  lupus  in  fabula,  in  un  atto  del  1354.  La  ragione 
che  mi  vieta  di  accoglierla  è  semplicissima,  vale  a   dire, 

(i)  Arch.  s.  Silv.,  Inv.  e  compendio,  ad  ami. 
(2)  Perciò  non  è  necessario  che  ripeta  la    citazione    dei   docu- 
menti nei  quali  è  notato. 


Della  Campagna  Romana  199 

perchè  trovo  quel  nome  in  documenti  che  risalgono  fino  al 
126^5,  e  più  avanti;  né  posso  supporre  che  messer  Ceccarello 
vivesse  ben  cento  anni.  Sarà  stato  forse  qualche  suo  ante- 
nato; ma  non  ho  come  provarlo,  e  però  tiro  innanzi.  Ri- 
mangono il  casale  Girulum  e  il  Passar anuiìi,  i  quali  dal  tenore 
delle  bolle  spesso  ricordate  ci  si  presentano  come  situati, 
l'uno  verso  la  via  Salaria,  ove  sboccava  il  formalo  di 
s.  Valentino,  l'altro  lungo  la  via  Flaminia  non  lungi  dal 
grande  arco  di  s.  Valentino,  e  perciò  è  da  supporsi  tra  i 
Parioli  e  la  Flaminia,  nella  zona  dei  piani  a  destra  di  questa. 
Inoltre  in  tre  documenti  di  s.  Silvestro  è  additato  un  monu- 
mmium,  forse  un  sepolcro  antico.  Non  sarebbe  improbabile 
l'attribuire  siffatta  appellazione  ad  un  avanzo  della  chiesa  di 
s.  Valentino,  che  nel  secolo  xiv  (età  dei  documenti  stessi) 
poteva  essere  indicato  in  tal  modo  (i).  A  tutto  ciò  si  aggiun- 
gono il  Radiciola,  nome  di  luogo  indicato  in  un  atto  del  13  io, 
il  Sanguinaria  ed  il  Bussetulum,  nomi  frequenti  della  cam- 
pagna, significanti  l'abbondanza  di  sanguini,  del  busso;  nomi 
accennati  nelle  bolle  e  corrispondenti  al  versante  di  villa 
Borghese,  che  pertanto  apparisce  essere  stato  nel  medio  evo 
un  folto  e  salubre  bosco  alle  porte  di  Roma,  ed  avremo 
finito  la  lunga  illustrazione  dei  monti  Parioli.  In  genere  la 
coltivazione  della  parte  montuosa  dei  Parioli  fu  in  vigna, 
com'  è  al  presente.  Chiuderò  questa  interessante  sezione 
del  mio  itinerario  con  un  elenco  di  possidenti  dal  secolo  xii 
a  tutto  il  XIV,  quali  risultano  dagli  atti  di  s.  Silvestro  come 
locatari,  come  enfiteuti,  od  anche  estranei  siccome  con- 
finanti, affinchè  i  loro  nomi  e  qualità  e  il  respettivo 
tempo,  che  noterò  accanto  al  nome  di  ciascuno,  possano 
fornir  lume  a  chiunque  meglio  di  me  saprà  trarne  pro- 
fitto per  lo  studio  di  cotesta  contrada,  o  per  qualsiasi  altro 
scopo  (2). 

(i)  Cf.  il  noto  catalogo  di  Torino,  del  secolo  xiv,  ove  la  chiesa 
è  detta  sitie  muris.  Cf.  De  Rossi,  R.  Sott.,  I,  pag.  161,  162. 

(2)  Quei  nomi  che  non  sono  accompagnati  dalla   data   non  ri- 


200 


G.   Tomassetti 


1119. 

Paccarello  e  figliuoli  e  Gregorio. 

1165. 
Berardo  di  Leone. 

1226. 
Callisto  e  Sofia  (coniugi). 

1236. 
Scotta  moglie  di  Pietro  cognata 
di  Sinibaldo  di  Odone. 

1247. 
Giovanni  del  Prete,    avvocato    e 
figli  Stefano  ed  Angelo. 

1251. 
Angela  moglie  di  Giacomo  di  Gio. 

Samartino 
Simone  cognato  del  suddetto 
Gio.  di  Paolo 
Andrea  di  Gio.  d'Andrea 
lacomo  Gualtero 
Matteo  Vecchiazolo. 

1252. 
Alessio  di  Mattia 
Paolo  di  Accursone 
Gualterone 

lacomo  di  Gio.  Pietro  Scotto 
Eredi  di  Gio.  Nicolò 
Andrea  lacomo  de'  Rustici. 

1254. 
Alessio  Giudice 

Angelo  Imperatore  figlio  di    Sa- 
xone  giudice  e  di  lacoma. 

I2s6. 
Benedetto  di  Gualterio 
Antonio  di  Gio. 
Gemma  di  Berardaccio. 

1257. 
lanuccia  ved.  di  Carmio 
Matteo,  Bartolomeo,  Angela  figli 

del  suddetto 
Gualterone  Fornelli 


Leonardo  Thebaldo 
Romano  di  Pizzo 
Thebaldo  di  Tivoli 
Pietro  Andrea  Corvino 
Iacopo  Malavoglia. 

1259. 
Pietruccia  f.  di  Pietro  di  Stefano 

Umilio  e  di  Stefania 
Pietro  di  Lorenzo 
Giovanni  Lacarena. 

1260. 
Romano  di  Rinaldo 
Leonardo  Salverio 
Bernardo  Aquirio. 


Pietro 

1263. 
di  Salucci. 

1265. 
Gio.  Thedaldi  Bianca 
Vitello  Argastaro. 

Pietro 

1266. 
de  Falconj 

Gregorio  Cesareo 
Pietro  Fissichonetti. 

1268. 
Andrea  di  Bonacurtio 
Angelo  Palladino 

Lorenzo  detto  Salvagio 

Pietro 

Pippone. 

1269. 
Saxo  Malte 

Santa  moglie  di  Pier  Vitale 
Gio.  di  Pietro  Marelli 
Nicolao  Musco 
Candido. 

1270. 
Bartolomeo  di  Greg.  di  Leonardo 
lacomo  Scalzolo 
Giorgio. 


Nicolò  Musco 


1271. 


sultano  da  documenti  ma  da  un  semplice  elenco  di  fittaiuoli  ed  enfi- 
teuti  esistente  nell'Archivio. 


Della  Campagna  Romana 


201 


Nicola  di  Pietro  Falconi 

Maestro  Aurelio 

Heredi  di  Rinaldo  di  Bianca. 

1272. 
lacomo  Crescenti 
Andrea  di  Gio.  Andrea. 

1275. 
Gio.  Silvestro 
Gio.  Casciola 
Angelo  Bivario 
Andrea  Mallaroni 
Pietro  di  Angelo  de  Giamonaschi. 

1275. 
Acurambano    di    Orlando    della 

Marca 
Lorenzo  di  Colle 
Pietro  Sgolgello 
Gio.  Fornaro  e  fratello. 

1277. 
Nicolò  Cesarino 
Marco  Vcchiazolo. 

1282. 
Paolo  Vecchiola 
Carlo  di  Andrea  di  Carlo. 

1294. 
Pietro  di  Gio.  di  Nicola 
Gio.  Paolo  di  Pietro  bono 
Bertoldo  del  Giudice 
Pier  Nicola  Abruzelle. 

1311. 
laquinta  moglie  di  Paolo  Marconi 
Perna  di  maestro  Ventura 
Paolo  Cafari 

Giacomello  di  Marco  Gaullo 
Agnese  moglie  di  Paolo  Manzone. 

1312. 
Agnese  moglie  di  lannuccio 
Gaita  moglie  di.... 
Paolo  ed  Angelo  lannuccio. 


Giovanni  di  Egidio 
Andreozza  di  Pietro  Giov. 
Angela  moglie  di  Silvestro   Mu- 

sciano 
Pandolfuccio  de  Gennaro 
Nicolò  di  Pietro  Alessio 
Pier  Nicola  Castellone 
Angelo  Castellone  altrove  Thar- 

chellone  (?) 
Martino  di  Marco 
Pietro  e  Lello  di  Giov.  Matteo 
Andrea  di  Giov.  Tani 
Margherita  Del  Prete 
Pietro  di  Romanello 
Giacomello  di  Sinibaldo. 
Cesario  di  Biagio  Cesalino 
Stefano,  Pietro  di  Carbone 
Giovanna  de  Roca    f.    dì    Pietro 

Ugolino 
La  moglie  di  Teminotto 
Giacomello  di  Romano  detto  Mil- 

■^etia. 
Lucio  di  Tebaldo 
Andrea  marchisciano  f.  di  Pietro 

di  Giov.  e  di  Altamilia 
Sebastiano  di  Ang.  di    Pietro    di 

Calisto 
Pietro  Muczolo 
Egidia  moglie  di  Cerberio 
Romano  di  Romanello 
Apollinario 
Andrea  moglie  di  Giov.  di  Sante 

o  Fati  (?) 
Diorama  ved.  magìstri  lacobi  stt- 

berarii. 
Pietruccio  di  Romanetto 
Angelo  di  Corrado. 

1314. 
Prete  Giacomo 
Giacorno  di  Sergio. 

1315. 
Lucio  di  Teballo 
Margherita  vedova  di    Pietruccio 

Mugoli 
Mastro     Giacomo    di    Bernardo, 

calzolaio  (i) 

(i)  In  questo  documento  v' è  menzione  della,  chiesa,  dì  s.  Andrea 
de  capite,  che  tuttora  esiste  presso  il  ponte  Molle,  per  la  quale  veg- 
gasi  l'EscHiNARDi,  op.  cit.,  pag.  195,  che  la  dice  costruita  da  Pio  II, 


202 


G.   Tomassettì 


^ 


Eredi  di  Stefano  Oddone 

Silvestro  Musciano 

Neve  moglie  di  Giov.  Gemma. 

1316. 
Lello  di  maestro   Leonardo   Pu- 

zolino 
Maestro  Giov.  da  Palestrina 
Stefano  di  Obizone 
Viviana  ved.  di  Paolo  Smerino 
Simeone  di  Angelo  Porcaro 
Pietro  di  Oddone 
Bartolomeo  di  Stef.  di  Oddone 
Prete  Angelo  f.  di  Berarduccia  e 

di  Francesco  Portabarili 
Miliano  di  Giacomo 
Agnese  ved.   di    Francesco    Sec- 

caficora 
Lello  di  Pier  Gregorio,  giudice 
Lello  di  Gregorio  di  Pietro  Rosso 
Luca  di  Marco 
Cola 
Eredi  di  Francesco  de  Mutis. 

1317. 
Matteo  di  Zampone 
Matteo  Cellenio 
Thebaldo  di  Matteo  MiccinelH. 

1318. 
Angelo  di  Nicolò  Boccamozza 


Bartolomeo  Malabranca 

Pietro  di  Angelo 

Stef.  di  Gocio 

Daria  ved.  di  Pietro  Carbone 

Perna  moglie  di  Pietro  da  s.  Maria. 


di 


1321. 
Manfreduzzo 


olim 


Sabatino 
Mattia 
Pietro  Venerio 
Cola  di  lacobello 
Prete  Adinolfino 
Stefanello  di  s.  Maria. 


1322. 

Sofia  moglie  di  Tuccio  Bocti 

Maria  moglie  di  Guglielmo 

Eredi  Crilleto 

Lucio  di  Marco 

Romano  Celletto 

Romano  di  Giov.  Bono 

Leonarda  di  Greg.  di  Pietro 

Giacomella  moglie  di  Cipriano 

Abbondanza  ved.  di  Celletto,  al- 
bergatore 

Teodora  moglie  di  Matteo  di  Silv. 

Perna  moglie  di  Romano 

Guglielmo 

Giacomo  Rufino  (i) 

Erminia  moglie  di  Buccio  di  Ni- 
colò di  Cristoforo 


come  rilevasi  ancora  dalla  relativa  iscrizione;  ma  com'era  in  tal 
caso  nominata  nel  citato  documento  fin  dal  13 15?  E  il  nome  de 
capite  derivò  dal  capo  di  s.  Andrea  quivi  arrivato,  sempre  sotto 
Pio  II,  ovvero  direi,  per  evitare  l'anacronismo,  dal  titolo  di  s.  Sil- 
vestro, che  a  sua  volta  lo  ripeteva  dalla  testa  di  s.  Giovanni?  Io 
non  sarei  lungi  dall'affermare  che  questa  chiesa  di  s.  Andrea  non 
corrisponde  a  quella  di  Pio  II,  ma  a  quella  più  antica,  che  venne, 
dopo  il  sacco  di  Roma  del  1527,  ricostruita  per  voto  di  salvamento 
fatto  da  Giulio  III,  la  quale  poteva  facilmente  appartenere  a  s.  Sil- 
vestro e  portarne  il  nome.  A  proposito  dell'altra  più  vicina  al  ponte 
Molle,  osserverò  che  dobbiamo  a  un  documento  edito  dal  Muntz 
{Les  arts  à  la  cotir  de  Rome,  l,  pag.  296)  la  notizia  dell'autore  della 
statua  rappresentante  s.  Andrea,  cioè  Paolo  di  Mariano  romano.  Ciò 
serve  a  correggere  quanto  il  Guattani  aveva  accennato  su  quel 
monumento  (Memorie  enciclop.,  I,  pag.  8). 

(i)  Questo  Rufino  dava  il  suo  nome  ad  una  collina. 


Della  Campagna  Romana 


2o3 


Giovanni  calzolaio 

Vanna  moglie  del  suddetto. 

1325. 

Santina  moglie  di  Lombardo 

Clodiello  muratore 

Cola  sarto 

Andrea  di  Giov. 

Giacoma  moglie  di  Palone  Boc- 
caforno 

Nicola  di  Giov.  Stefano 

Angelotto  da  Rieti 

Bartolomea  moglie  di  Giov.  Mar- 
tino Pizolino 

Maestro  Giov.  Rocco 

Stefano  di  Obizone 

Andrea  ved.  di  Pietro  Ang.  di 
Martino 

Stefano  di  Gocio. 


1524. 
Giacomo  di  Lorenzo. 


1325. 
Cecco  di  Ang.  Montanello 
Teodora    moglie     di     Giannello 

Barberio 
Paolo  di  Simeone 
Margherita  moglie  di  Tomaso  di 

Ang.  di  Bartolomeo  di  Piazza 

lombarda 
Paolo  di  Luca. 

1326. 
Giacoma  di  Calisto 
Francesca  vedi  di    Stefanello    di 

Pier  Lorenzo 
Cipriano 
Aldruda 
Pulgia. 

1328. 
Bianca    moglie    di    Simeone    di 

Pietro  Giannicone 
Rossa 
Giovannella  di  Berberio. 

1329. 
Nicola  di  Angelo  Canicarone  alias 

Canicatore 
Giovanni  Salvolo. 

1330. 
Leonardo  di  Francesco 


Bartolomeo  Malabranca 
Mancino  Traco 
Eredi  D'Amico. 

1352. 
Nuccio  di  Matteo  Tomaso  di  Ru- 

biano 
Paola  moglie  di  Giaquintello 
Andrea  madre  del  med. 
Bucio  maestro  Ciecha 
Lello  Vitale 
Fidanzolo 
Paolo  di  Simone 
Nicolò  di  lacomo  d'Ascoli 
Theodoro  caldararo. 

I3J4- 
Perna  moglie  di  Federico  di  Fe- 
derico 
Nicola  Carticella 
Eredi  di  Paolo  di  Teodoro 
Florenzello. 

I3SS- 

Lucio  di  Martino 

Coppettone 

Pietro  da  Narni  nip.  di  Giov. 
dell'  Olgio 

Tuccio  di  Giovanni  Amoroso 

Lello  Vitale 

Il  figlio  di  Giovanni  Altruda 

Giovanni  Riso 

Giovanna  moglie  di  Paolo  Bucio 
de  Tostis  de  regione  scortecla- 
rioriim 

Pietro  di  Ventura  da  Todi 

Giovanni  di  Paolo  da  Todi 

Cecco  della  Chierica  o  del  Chie- 
rico 

Tito 

Giacomello  Securitas  di  Magliano 
(Sabina) 

Apollinare 

Andrea  Giaquintello 

Giovanni  de  Brabante  hhorator. 

1356. 
Nucio  di  Matteo  di  Tomaso 
Giacomello  da  Magliano 
Domenico  di  Andrea  Fontinvolgia 
Filippo  Frangiomuro  di  Sicilia 
Giacomo  di  Romanone  della  reg. 
scorteclaria. 


^ 


204 


G.   Tomassetti 


Filippo  di  Simeone  siciliano 
Todora  moglie  di  Nicola  da  santo 
lemini. 

1357- 

Leila  di  Giovenale  sorella  di  Pie- 
tro da  Narni 

Giacoma  di  Paparello  moglie  di 
Bucio  di  Martino 

Lucio  di  Andrea  Securitas  di  Ma- 
gnano Sab. 

Nucio  Pacis 

Bucio  di  Martino 

Vannuccio 

Gentilesca 

Paolo  di  Angeluccio  da    Gubbio 

Paolo  di  Piczolante. 

1358. 
Pielruccio  di  Pietro  Gemma 
Matteo  detto  Campana. 

1370. 

Caterina  moglie  di  Pietruccio  Ca- 
sale (i) 

Cola  di  Lello  d'Egidia 

Pietro  d'Ascoli 

Zimera 

Giacomello  Frangipane 

Giacomella  di  Acquasparta  ved. 
di  Giov.  Pauletto 

Nicola  de  Cecco 

Bartolomeo  da  Terni 

Adoneo  di  Giovanni 

Pietruccio  di  Pancrazio 

Giovanni  di  Magulgiano 

Rainaldo  siciliano. 

I37S- 
Chiandi  Giovanni 
Amico  di  Pietro  di  Nicola. 

13  79-. 
Domenico  di  Leucio  da  Orvieto 
Giovanni  di  Guglielmo   siciliano 
Antonio  di  Gocio  pellicciaio 
Gio.  Benzolino  macellaio 
Vittorio  da  Narni 
Francesca    ved.    di    Lorenzo    di 
s.  Todoro 


Giovanni  di  Angelo 
Matteuccia  moglie  di  Vanni  Tac- 
cagna 
Cola  di  Andrea  da  Casamolo 
Paolo  di  maestro  Sabba. 

1382. 
Ceccola  di  Magulgiano 
Cecco  ferraio. 

1383. 
Matteo  di  Giovanni  di  Amelia 
Cola  de  Schiangielemosinis. 

1387- 
Giacomuccio  del  Rosario 
Tomaso  da  s.  lemini 
Torroscllo 

Domenico  di  Pancrazio 
Domenico  di  Leucio 
Cecco  di  Nardo  Riccio 
Cola  di  Vannuccio 
Munaletto  barbaro. 
Cecco  sartore. 

-390. 
Stefano  di  lacomo  Lucantonio 
Henrigo  Siciliano 
Rosso  di  Crescentio 
Nicolò  di  Agustino 
Ceccho  di  Gio.  Lebelle. 


Gio.  Parisi. 


1391. 


1399. 
Gio.  di  Pietruccio  macellaro 
Agnese  moglie  di  Gio.  Visalti 
Gio.  Minalletti 
Francesco  di  Casamala. 

(Senza  data). 

Pietro  di  Andrea  Vetulo  e  Nucio 
suo  nip. 

Maria  Del  Prete 

Leonardo  di  Feo.  Tuccio  di  Ca- 
listo 

Simeone  Porcario  notaro  della 
Pigna 


(i)  Della  regione  Campo  Marzo.  Dev'essere  della  nobile  famiglia 
di  tal  nome. 


Della  Campagna  Romana  2o5 


Angelo  della  Riccia 

Eredi  Paolo  Trachio 

Eredi  Meo  di  Stefano  di  Oddone 

Cola  Ferino,  Renzo  Lalle,  Pietro 
di  Carbone  notaro 

Monacello,  Lello  Ferraio,  Gu- 
glielmo e  Lucio  da  Orte 

Paolo  Teminotti 

Lorenzo  di  Ligio  Seccaficora 

Cola  di  Bartolo 

Giov.  di  Silvestro 

Pietro  Mario  di  Castelnovo 

Sabbatino  di  Roffreduccio 

.Cecco  nip.  di  fr.  Giovanni  da 
Lamentana 

Costanza  di  Lorenzo  Lucido 


Nicola  di  Egidio 
Giacomuccio  da  Rieti 
Pietro  da  Montenegro 
Andrea  Spoletino 
Nicola  di  Caro 
Cola  di  Franco  Barberio 
Cola  di  Giacomo  di  Ascoli 
Mattusio    di    Tagliaferro    notaro 

della  Colonna 
Bucio  di  fr.  Paolo  del  Mercato 
Giov.  Bono  dei  Patareni 
Giov.  di  Ottaviano  dei  Tedallini 
Agostino  calzolaio 
D.  Egidia  tessitrice 
Giov.  di  Carbone 
Tomaso  Mardone. 


Fece  parte  dei  monti  Parioli  la  contrada  Selce  rotta, 
che  trovasi  indicata  fuori  la  porta  Flaminia  in  alcuni  do- 
cumenti di  s.  Silvestro?  Non  posso  accertarlo  perchè  non 
vi  è  notato  tra  i  confini  il  monte;  ma  poiché  non  vi  è 
neppure  marcato  il  fiume,  od  altra  particolarità  che  faccia 
supporre  essere  stata  a  sinistra,  cosi  dobbiamo  lasciarla  in- 
certa (i). 

È  tempo  che  ci  volgiamo  alla  sinistra  della  via  Fla- 
minia, osservando  come  nel  medio  evo  ancor  questa  parte 
spettasse  quasi  per  intiero  al  monistero  di  s.  Silvestro.  In- 
fatti nelle  bolle  pontificie  si  ha:  terram  scmentaridam  sitam 
foris  portam  s.  Valmthii  iuxta  mnros  huius  dvttatis  Rome 
mann  leva  inter  affìnes  a  primo  latere  fossatum  qiiod  est  car- 
bonaria  inter  ipsum  miirum  et  eadem  terra  extenderet  iisque  in 
fliwiiim  Tiberim  et  a  secundo  latere  ipsum  fliiviiim  et  a  tertio 
latere  via  publica  quae  ducit  et  redncit  ad  s.  Valentiniim,  et 
a  quarto  latere  iurls  s.  Rom.  ecclesie.  Da  questo  passo  si  de- 

(i)  La  vendita  dell'anno  13  71  dà  per  confinanti  di  un  terreno 
in  Selce  roda  i  beni  di  Silvestro  Lucido,  gli  eredi  di  Paolo  de  Astallis, 
la  via  publica  innanzi  e  il  vicolo  vicinale  dietro.  Neppure  da  questi 
nomi  può  essere  schiarita  la  topografia  del  sito.  In  un  sommario 
di  altra  vendita  del  1355  riguardante  il  medesimo  fondo,  non  vi  è 
maggior  lume.  L'essere  però  additato  come  terreno  sodo  mi  fa  in- 
clinare per  la  parte  sinistra  della  via  piuttostochè  pei  Parioli. 


206 


G.   Tomassetti 


^ 


termina  che  un  terreno  di  s.  Silvestro  era  situato  tra  le 
mura  di  Roma  fuori  della  nostra  porta  a  sinistra,  un  fos- 
sato Carbonaria,  il  Tevere,  la  via  Flaminia  e  un  altro  ter- 
reno della  Chiesa  romana.  È  facile  intendere  quale  sia  questa 
situazione;  e  quanto  al  nome  del  fossato  gh  sarà  stato  pro- 
babilmente conferito  da  qualche  scalo  di  carbone  sul  Te- 
vere quivi  situato.  Le  scarse  notizie  che  ci  avanzano  di 
questo  tronco  sinistro  suburbano  bastano  per  farci  credere 
che  fosse  coltivato  a  prati  ;  ciò  che  del  resto  è  consentaneo 
alla  natura  del  terreno.  Tuttavia  qualche  vigna  v'era,  come 
dai  testi  siamo  per  vedere.  Non  era  quello  sopra  indicato 
come  confine  il  solo  fondo  che  la  Curia  romana  possedeva 
su  questa  parte  della  strada.  Dal  regesto  di  Onorio  I  si 
ricava  che  si  affittavano  per  annui  trenta  solidi  d'oro:  Ur- 
ras  et  v'meas  et  prata  foris  portam  flamineam  nsque  ad  pontem 
molvium  (i).  Una  enfiteusi  del  monistero  di  s.  Silvestro 
in  favore  di  Rusticello  figUo  di  Angelo,  dell'anno  1192, 
concerne  una  vigna  situata  sulla  sinistra  della  via  Flaminia. 
Infatti  essa  è  additata  come  posta  innanzi  alla  chiesa  di 
s.  Valentino  (nella  pergamena  originale  leggo  an  eccìa  sci 
Fai.)  e  tra  i  confini  si  notano  la  via  pubbHca  ed  il  fiume  (2). 
Una  enfiteusi  del  13 13  in  favore  di  Cesario  figlio  del  quon- 
dam Biagio  Cesalino  riguarda  una  vigna  in  s.  Valentino, 
ma  poiché  i  confini  n'erano  i  fondi  di  Stefano  e  di  Pietro 
di  Carbone,  la  strada  e  il  fiume,  mi  sento  inclinato  a  col- 
locare questa  vigna  sulla  sinistra  della  Flaminia  (3).  Prima 
di  accedere  al  ponte  dovrei  parlare  di  un  ragguardevole 
monumento  del  medio  evo,  di  una  torre  cioè  chiamata 
Tripixpne,  ove  io  accettassi  la  opinione  di  qualche  scrit- 
tore, che  collocò  la  torre  al  di  qua  del  ponte  stesso  (4). 

(i)  Deusdedit,  ed.  Martinucci,  pag.  321. 

(2)  Pergam.  di  s.  Silv.  ai  an. 

(3)  Archivio  cit.,  lib.  invent.  ad  an. 

(4)  Adinolfi,  R.  nel  m.  evo,  I,  pag.  85.  Il  Gregorovius,  narrando 
l'ingresso  di  Enrico  VII  in  Roma,  non  determina  il  sito  del  Tripi- 


Della  Campagna  Romana  207 

Ma  ciò  non  mi  sembra  probabile;  ed  io  ne  lascio  il  giu- 
dizio ai  lettori,  ai  quali  or  ora  sottoporrò  i  testi  riferentisi 
a  quel  monumento. 

Siam  giunti  al  ponte  Molle,  il  cui  nome  rappresenta 
una  corruzione  di  Moìvio  dal  più  antico  Milvia  o  piuttosto 
Mulvio,  come  nel  marmo  Ancirano  ed  in  Livio.  Nel  medio 
evo  fu  dapprima  nominato  Moìvio  o  Molbio,  ma  dal  se- 
colo XIV  in  poi  fu  detto  Moie  o  Molle  (i). 

Ordinando  cronologicamente  le  notizie  storiche  e  le 
menzioni  diplomatiche  del  ponte  Molle  nel  medio  evo,  mi 
si  offre  la  serie  seguente  : 

Apparisce  col  nome  di  pons  Molhius  nel  Curiosum  Urbis, 
e  di  Molvius  nel  flilso  P.  Vittore  (2). 

Nell'anno  637  Vitige  movendo  contro  Roma  e  cin- 
gendola d'assedio  pose  il  suo  accampamento  nella  pianura 
presso  il  ponte,  alle  pendici  del  Monte  Mario  (3).  In  oc- 
casione di  questa  notizia  il  biografo  pontificio  chiama  Mol- 
vitim  il  ponte;  e  da  Procopio  è  detto  Milvio  (4). 

Nel  citato  libro  pontificale,  narrandosi  il  trasporto  della 
salma  di  Sabiniano,  il  successore  di  Gregorio  Magno,  si 
nota:  funiis  et  lectiis  eiiis  per  portam  s.  Ioannis  dtictus  est  foris 
muros  civitatis  ad  pontcm  Molvium  (5). 

:(oiie,  del  cui  nome  propone  la  etimologia  dalle  macchine  balistiche 
dette  trahuchì.  Prescindendo  dalla  poca  probabilità  di  questa  deriva- 
zione, non  credo  utile  il  cercarne  un'altra,  perchè  cotesto  nome  stra- 
nissimo, forse  allusivo  alla  forma  triangolare  delle  fortificazioni  on- 
d'era  la  torre  munita,  ci  viene  troppo  variamente  riferito  dai  cronisti, 
(i)  Per  la  etimologia  del  nome  e  per  la  storia  del  ponte,  cf.  Nibby, 
Analisi,  II,  pag.  580,  Piale,  Degli  antichi  potiti  di  Roma,  pag.  8-9.  Jordan, 
op.  cit.,  I,  pag.  415.  Per  le  iscrizioni  relative  alla  ripa  Tiberina  presso 
il  detto  ponte,  d.  il  Corpus  Insci:  Lat.,  voi.  VI,  1234  e  segg.  Tito  Livio, 
lo  indica  col  nome  Mulvitim  (lìb.  XXVII,  e.  51,  ed.  Weissenborn). 

(2)  Urlichs,  op.  cit.,  pag.  22,  44. 

(3)  Procopio,  lib.  I,  e.  19. 

(4)  Lib.  pont.  in  Silverio,  n.  4.  Il  Codice  Vaticano  3764  ha  Molvi. 
In  Procopio  si  legge  Mapiou  (I,  e.  19,  ed.  Dindorf,  II,  pag.  94). 

(5)  Lib.  cit.  in  Sabiniano  n.  2.  Il  Cod.  Vat.  5269  e  l'Ottoboniano 


208 


G.   Tomassetti 


q 


È  detto  Milvius  in  più  di  un  luogo  delle  Mirabilia, 
della  prima  recensione,  vale  a  dire  del  secolo  xii  (i);  nella 
graphia  (2)  e  nelle  altre  recensioni  (3). 

Il  noto  fatto  storico  dell'anno  770,  ci  ricorda  il  ponte 
medesimo;  cioè  quando  Cristoforo  e  Sergio  capi  degli  ot- 
timati romani  resistettero  al  papa  Stefano  III,  protetto  dal 
re  Desiderio.  Alia  vero  die,  dice  il  biografo,  trans&untes 
(Cristoforo  e  Sergio)  per  pontein  Molviiim  venerimt  ad  por- 
tam  beati  Petri  et  deinde  pergentes  appropinquaverunt  ad  por- 
tatii  beati  Pancratii  (4).  In  tal  modo  è  parimenti  nominato 
il  ponte  a  proposito  della  vicina  basilica  di  s.  Valentino  (5). 
Ugualmente  viene  indicato  nella  biografia  di  Gregorio  II 
ed  in  quella  di  Adriano  I  a  proposito  delle  inondazioni 
che  sotto  l'uno  e  l'altro  ebbero  luogo  {6). 

Il  ponte  Milvio  fu,  mi  si  lasci  dire,  spettatore  di  una 
delle  più  grandi  pompe  del  medio  evo  in  Roma,  dell'  in- 
gresso solenne  cioè  di  Carlomagno,  nell'anno  799.  Im- 
perocché questo  principe,  quantunque  fosse  venuto  sotto 
Roma  per  la  via  Nomentana,  tuttavia  volle  far  l'entrata 
nella  città  pel  Vaticano,  girando  le  mura  e  passando  pel 
ponte  Milvio.  Quivi  gli  andarono  incontro  il  clero,  gli  ot- 
timati, la  milizia,  il  popolo,  le  dame,  le  scholae  straniere 
cioè  la  Franca,  la  Sassone,  la  Frisona  e  la  Longobarda 
simili  omnes  connexi  ad  pontem  Molvium  (eum)  ami  signis 
bandis  et  canticis  spiritalibns  susceperunt  (7). 

Nell'anno  855  Benedetto  III,  eletto  appena,  fu  turbato 

183,  hanno  Olvium;  il  Vat.  629  e  TOttobon.  545,  Molhìum;  il  Vat.  3762, 
Moìhii. 

(i)  Urlichs,  pag.  94,  9),  etc. 

(2)  Idem,  pag.  116,  118,  etc. 

(3)  Idem,  pag.  128,  131. 

(4)  Lib.  cit.  in  SUfano  IH,  n.  8. 

(5)  Lib.  cit.  in   Theodoro,  n.  5. 

(6)  Lib.  cit.  in  Gregorio  II,  n.  6,  in  Hadriano,  n.  94  cum  a  porta 
beati  Petri  apostoli  usque  ad  pontem  Molvium  aquae  se  distenderent. 

(7)  Lib.  cit.  in  Leone  III,  n.  19. 


Della  Campagna  Romana  209 

e  ridotto  a  mal  partito  dall'antipapa  Anastasio  spalleggiato 
dai  legati  dell'imperatore  Ludovico  IL  Costoro  non  ma- 
nifestarono la  loro  avversione  a  Benedetto  se  non  quando 
furono  in  Roma.  Ora  il  biografo  racconta  che  i  Romani 
ebbero  dai  legati  la  ingiunzione  di  recarsi  sulla  via  Fla- 
minia trans  Milvium  pontem  per  conoscere  le  intenzioni 
dell'Imperatore  per  bocca  de' suoi  legati  (i). 

Nell'anno  89^  quando  il  re  tedesco  Arnolfo  venne  in 
Roma,  omnis  senatus  romanorutn,  scrisse  l'annalista  così  detto 
Bertiniano,  vel  graecorum  scola  ad  pontem  Molviiim  venientes 
regem  honorifice  ad  urbem  perduxerunt  (2). 

Nel  secolo  x  il  pedaggio  del  ponte  Molle  con  altri 
diritti  fu  dato  da  Agapito  II  al  monistero  di  s.  Silvestro, 
siccome  si  legge  nella  già  ripetuta  bolla:  pontem  Molv'mm 
in  integrum  cum  omni  eitis  ingressa  et  egressu  et  datione  et 
tribntu.  S' intende  facilmente  che  da  questa  concessione  de- 
rivò in  parte  l'arricchimento  del  monistero. 

Nel  secolo  ix  o  x  le  processioni  facevano  stazione  ad 
pontem  Mohium  (3). 

Nell'anno  13 12,  quando  s'avvicinava  Enrico  VII  a  Roma, 
Giovanni  d'Acaia  coi  guelfi  occupava  il  ponte  Milvio;  poi 
l'abbandonava  per  occupare  il  Vaticano,  come  si  vedrà  fra 
poco  in  proposito  del   Tripìxone. 

Nella  pianta  prospettica  di  Roma  del  secolo  xiv  od 
almeno  desunta  da  una  di  quel  tempo,  che  il  commend. 
De  Rossi  trovò  in  un  codice  di  Parigi  (4),  è  segnato  il 
ponte  Molle,  e  lo  si  scorge  munito  di  tre  torri. 

Spetta  pure  al  secolo  xiv  la  menzione  che  fece  Gio- 
vanni Villani  di  questo  ponte,  a  proposito  dei  fatti  sopra 
accennati,  quando  lo  chiamò    col  singoiar  nome  di  ponte 

(i)  Lib.  cit.  in  Bened.  Ili,  n.   11. 

(2)  Annales  Bertiniani  in  Rer.  Ital.  Script.,  II,  p.  i'^,  pag.   574. 

(3)  Bosio,  op.  cit.,  pag.  575. 

(4)  Bibliot.  naz.  fond.  ital.,  81.  De  Rossi,  Piante  icnografiche,  etc. 
di  Roma,  tav.  II. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  14 


^ 


2  JO 


G.    Tomassetti 


Emulo,  corruzione  forse  di  Emilio,  nome  che  più  scrittori 
gli  hanno  dato  (i). 

Nell'anno  1405  si  combattè  presso  il  ponte  Milvio  fra 
i  partigiani  di  Innocenzo  VII  e  i  ghibellini  di  Roma.  Il 
sapersi  dall'  Infessura,  che  il  ponte  allora  fu  incendiato, 
ne  persuade  che  fosse  almeno  in  parte  di  legno.  Anche 
dopo  i  restauri  fattine  successivamente,  le  testate  del  ponte 
furono  di  legno  fino  all'anno  1805  (2).  Intorno  alla  parte 
che  in  quella  lotta  toccò  al  ponte  Molle  potrei  lungamente 
trattenere  i  lettori;  ma  mi  studierò  di  esser  brevissimo, 
accennandone  le  principali  memorie.  In  forza  del  trattato 
conchiuso  tra  Innocenzo  ed  il  popolo  romano,  mediatore 
il  re  Ladislao,  il  Comune  restava  padrone  di  tutti  i  ponti 
della  città,  eccetto  il  ponte  Molle  (3).  Perciò  il  Papa  di- 
ceva guardare  il  ponte  da  gente  armata;  ciò  che  doveva 
spiacer  grandemente  ai  Romani,  come  osserva  il  eh.  signor 
Giorgi  che  afferma  essere  stato  «  il  possesso  di  quel  ponte 
«  il  pomo  della  discordia  fra  i  due  mal  conciliati  avver- 
«  sari  »  e  ricorda  come,  per  testimonianza  di  s.  Antonino, 
i  Romani  prima  di  dar  mano  alle  armi  chiedessero  al  pon- 
tefice la  consegna  del  ponte,  adducendo  a  pretesto  il  ti- 
more che  di  là  potessero  introdursi  in  Roma  le  genti  di 
Ladislao.  Mette  in  dubbio  e  giustamente  il  Giorgi  l'alle- 
gazione di  quel  pretesto;  ma  ammette  la  richiesta  e  sup- 
pone che  Innocenzo  rifiutasse.  Infatti  i  Romani,  nella  notte 

(i)  G.  Villani,  IX,  e.  39. 

(2)  NiBBY,  R.  Antica,  I,  pag.  188.  Infatti  la  iscrizione  sulla  torre 
dice  plus  vii  pont.  max.  — parUm  pontis  subliciam  impetu  aqiiarum 
vexatam  structorio  lapide-  reficiendam  curavit,  etc.  La  parte  media  del 
ponte  è  antica. 

(3)  TnemER,  Cod.  dipi.,  Ili,  pag.  131.  Giorgi  avv.  Ignazio,  Rda- 
lione  di  Saba  Giaffri  ntìV Archivio  della  S.  R.  di  storia  patria,  voi.  V, 

.pag.  170.  Mi  valgo  di  questo  eccellente  scritto,  in  cui  l'egregio  au- 
tore ha  riassunto  e  criticato  giustamente  tutto  ciò  che  dai  documenti 
pontifici,  dai  diarii  e  da  altre  fonti  si  ricava,  per  illustrare  la  rela- 
zione di  Saba  Giaffri. 


Della  Campagna  Romana  211 

dal  1°  al  2  di  agosto,  diedero  l'assalto  al  ponte,  intorno 
alla  qual  circostanza  ed  alle  seguenti  lasciamo  parlare  il  re- 
latore edito  dal  Giorgi.  Officìales  urbis,  scrisse  Saba  Giaffri, 
miserunt  ad  dictmn  pontem  Mihiium  gmtes  ariìiorum  equitum, 
pedìtum  prò  hahendo  pontem  predicttwi,  et  prò  comburendo 
dictum  pontem,  et  proiecto  et  facto  igtte  supra  pontem  predictum, 
non  potuerunt  dictum  pontem  habere  me  comburere,  propter 
defensiones  factas  per  custodientes  pontem  predictum  et  prò  snb- 
curso  facto  per  gentes  armorum,  dicti  Domini  Nostri  qui  sta- 
bant  in  platea  sancii  Petri,  in  tantum  quod  in  preìio  facto  ad 
dictum  pontem  multi  uuìnerati  fuertint,  et  sic  reduccntes  diete 
gentes  Romanorum  et  Romani,  qui  iuerant  ad  dictum  pontem 
prò  habendo  pontem  predictum,  dicto  die  Dominico  in  bora 
none,  subbito  pulsuta  campana  ad  sturmum,  et  facto  bandi- 
merito  per  Urbem,  prò  maiori  parte  Romanorum  insurrexerunt 
ad  arma,  et  armati  inerunt  ad  Capitoìinm  cum  omnibus  ca- 
pitibns  Regionum  Urbis  qui  Capite  (sic)  Regionum  portaue- 
runt  banderias  prò  eundo  versus  gentes  armorum  dicti  Domini 
Imiocentii  pape,  que  gentes  armorum  dicti  Domini  papae,  ui- 
deìicet  Brigata  de  Mostarda  et  Ceccoìini  equites  et  multi  pe- 
dites  qui  uenerunt  ad  urbem  ad  mandatum  dicti  Domini  pape 
qui  stabant  in  platea  sancti  Petri,  munierant  se  se  armis,  et 
proiecerunt  sbarras  prope  plateam  Castelli  per  totam  stradam 
et  per  uiam  Pontinam,  et  uersus  finmen.  Itaque  Romani  et 
officiales  Urbis  qui  armati  iuerant  ad  Capitolium  prò....  non 
iuerunt  et  ad  eorum  domos  reduxerunt.  Dicto  die  Dominico 
bora  cenae  quasi  hi  occasu  solis;  et  hoc  tempore  officii  sep- 
tatus  Thome  de  arctionibus....  seguono  altri  nomi  e  poi:  et 
deinde  die  hmae  tertio  et  die  martis  quarto  dicti  mensis  Au- 
gusti, tractata  fuit  concordia  per  officiales  Urbis,  et  dictum 
Domìnum  papam,  in  taìitum  quod,  de  voluntate  dicti  Domini 
nostri  papae,  dictus  Pons  Miluius,  in  ea  parte  ubi  erat  pons 
lignaminis  secatus  fuit  et  proiectns  ad  terras  (i).  Quest'ultima 

(i^  Archivio  cit.,  pag.  205,  206. 


212 


G.   Tomassetti 


^ 


notizia  cioè  l'abbattimento  della  parte  lignea  del  ponte  con- 
ferma quanto  sapevamo  dal  citato  Infessura.  Del  resto  è 
certo  che  questo  danno  fu  in  breve  riparato,  poiché  da  uno 
scrittore  del  1408  ci  apparisce  come  frequentato  (i). 

Nelle  due  piante  prospettiche  di  Roma^  del  secolo  xv, 
tratte  dal  comm.  De  Rossi  dai  codici  Vaticano-Urbinate 
277  e  di  Parigi-latino  4802,  apparisce  il  ponte  col  nome 
Milvius,  e  munito  di  una  sola  gran  torre.  In  quella  tratta 
dallo  stesso  De  Rossi  dal  codice  Laurenziano  del  Redi, 
ch'è  pure  del  secolo  xv,  la  figura  del  ponte  è  la  mede- 
sima: soltanto  il  suo  nome  è  scritto  milius  (2).  Nell'altra 
pianta  di  Roma  dipinta  da  Taddeo  di  Bartolo  nella  cap- 
pella del  pubblico  palazzo  di  Siena,  edita  dal  eh.  signor 
Enrico  Stevenson,  il  ponte  Molle  si  trova  munito  di  tre 
torri,  delle  quali  la  più  alta  è  nel  mezzo  del  ponte  stesso  (3). 
Spetta  pure  al  secolo  xv  la  seguente  menzione  del  ponte, 
che  fece  Leonardo  Aretino  :  Pons  est  Milvius  super  amne 
Tiheris  extra  Urbem  Romam  per  quem  ex  Etruria  in  Latium 
transitur.  Nunc  nostri  prdesidio  militum  imposito  tenehant. 
Romani  vero  cupientes  eum  quoque  pontem  in  suam  redigere 
potestatem...  pontem  adoriuntur,  poi  segue  raccontando  la 
respinta  dei  Romani,  poi  il  nuovo  assalto,  poi  la  strage 
degli  undici  ed  il  resto  (4). 

Nel  1428,  il  ponte  fu  riparato  coli' opera  di  un  Fran- 
cesco di  Genazzano,  che  ne  fu  pagato  con  io  fiorini  d'oro, 
come  si  deduce  dai  registri  dei  mandati  deUa  Camera  (5). 

(i)  Mensis  Januarii  die  Sahhati  septima  (1408)...  equitavit  Beccharinus 
cum  mullis  aliis  de  gentihus  armoruni  Pauli  de  Ursinis  per  pontem  Molli 
versus  montem  Rotundum,  etc.  Diarium  Antonii  Petri  in  Rer.  Ital. 
Script.,  XXIV,  pag.  986. 

(2)  De  Rossi,  Piante,  etc,  tav.  II  e  tav.  Ili  e  IV. 

(3)  Cotesta  pianta  è  dell'anno  1407,  come  lo  Stevenson  ha  sco- 
perto. Veggasi  la  sua  pubblicazione:  Di  una  pianta  di  Roma  dip.  da 
Taddeo  di  B.  nel  Bull.  Arch.  Comunale,  1881. 

(4)  Leonardi  Aretini,  Comentarius  in  R.  I.  Script.,  XIX,  pag.  922. 

(5)  Ex  relatione  Retri  Juliani  prò  reparatione  pontis  Mollini.  Man- 


Della  Campagna  Romana  2i3 

Pel  ponte  Milvio  fece  l' ingresso  il  re  Sigismondo, 
quando  venne  nell'anno  1433  ad  incoronarsi  imperatore 
per  mano  di  Eugenio  IV  (i).  Ricordiamo  poi  la  occupa- 
zione fattane  da  Nicolò  Fortebraccio  nemico  di  Eugenio  IV 
nello  stesso  anno  (2);  e  le  altre  riparazioni  materiali  fat- 
tevi nell'anno  143 1,  forse  in  seguito  del  suddetto  avve- 
nimento (3);  i  ristauri  che  ne  intraprese  Nicolò  V  e  con- 
dusse a  termine  Calisto  III  (4).  Ricordiamo  l'imbarco  di 

dati  Camerali,  1428,  f.  loi.  Muntz,  Les  arts  a  la  coiir  des  papes,  I, 
pag.  17. 

(i)  Cf.  Poggio  nella  Miscellanea  del  Baluzio,  III,  pag.  183  e  lo 
Spicilegium  Romanuni,  t.  X,  ep.  y 

(2)  Infessura  in  Eccardo  Corpus  hist.  II,  pag.  1877.  Fortebraccio 
tenne  lungo  tempo  assediata  la  città,  finché  cioè  Francesco  Sforza 
divenuto  difensore  di  Eugenio  IV  costrinse  il  Fortebraccio  a  pren- 
dere la  difensiva. 

(3)  Nobili  viro  lohanni  de  Valle  Rtìbiano  prò  aptatione  potitis  Mollis 
fior.  60  atiri  de  camera.  Mandati  Cam.   1432,  f.  50.  Muntz,  op.  cit., 

pag.  SI. 

(4)  Il  suo  stemma  si  vede  ora  murato  nell'interno  dell'arco  mo- 
dernamente ricostruito.  Quanto  ai  lavori  del  tempo  di  Nicolò  V,  si 
legge  nei  registri  della  tesoreria  segreta,  145 1,  f.  73,  a  m.  Antonio 
Paciuri  da  Roma  686  ducati  e  holognini  18  per  paxi  21^  di  muro  a  fatto 
al  ponte  a  ghakra  a  tutte  sue  spexe  a  ragione  di  due.  5  114  ilpaxo.  Nel  1454, 
f.  3  7  :  a  m."  lacomo  Ciavarone  di  Ancona  che  fa  ponte  Molle  ducati  jo 
di  papa....  per  parti  di  detto  lavoro;  ed  altrove  (f.  119V)  a  Antonio  Paciuro 
da  Roma...  due.  40  d.  e.  cont.  a  lui  per  casone  di  la  pietra  a  cavata  sotto 
Ponte  Mole  dove  pasano  le  barche.  Quanto  al  proseguimento  e  fine  dei 
lavori  sotto  Calisto  III,  nei  Mandati  Cam.,  1455,  fol.  261  v.  si  veg- 
gono assegnati  al  sunnominato  Ciavarone  di  Ancona  altri  586  ducati 
e  boi.  65  prò  residuo  et  complemento  omnium  pecuniarum  sibi  quomodolibet 
detentarum  ratione  dictact  fabricae.  Ed  a  Mastro  Cencio  falegname 
ducati  20  prò  manufactura  portarum  et  pontium  levandorum  (ponti  le- 
vatoi) in  passu  pontis  Molli  (Mand.  C,  1457-58,  fol.  43V)  ed  altrove 
altri  pagamenti  fatti  al  medesimo  ed  uno  a  messer  Varrone  d'An- 
gelo fiorentino  scultori...  prò  certis  marmoribus  per  eum  laboratis  prò 
edifitio  pontis  Mollis.  Vedere  il  Muntz,  op.  cit.,  pag,  158,  203,  297. 
Reumont,  Gesch.  d.  St.  R.,  Ili,  parte  i*,  pag.  378.  De  Rossi  G.  B., 
Piante  icnog.  e  prosp.,  pag.  92. 


214 


G.   Tomassettì 


^ 


Pio  II  per  la  crociata  nel  14^4;  i  nuovi  lavori  eseguiti 
nel  ponte  sotto  Paolo  II  (i);  la  nuova  occupazione  fat- 
tane da  Virginio  e  Paolo  Orsini  nemici  d' Innocenzo  Vili, 
nel  1485,  quando  si  era  sparsa  la  voce  della  morte  del 
Papa  (2);  e  finalmente  il  passaggio  che  vi  fece  in  Roma 
Carlo  Vili,  il  31  dicembre  dell'anno  1494,  allorquando 
venne  in  Italia,  inaugurandovi  la  nuova  infelicissima  età 
delle  invasioni  straniere  (3). 

(i)  Nei  Mandati  Cam.  del  1464-73,  fol.  47:  Magistro  Gilio  Tocho 
muratori  prò  totidem  in  reparatìone  pontis  Milvii  solutis,  fl.  14,  etc.  e 
nel  foglio  67:  Mag.  Domenico  de  Florentia  fahro  lignaniinis  fior,  auri 
de  e.  12,  b.  ^6  prò  totidem  per  eum  e.xpositis  in  clavihus,  lignaminilnis 
et  magislerio  certae  reparationis  factae  in  ponte  levatore  pontis  Molli:'. 
MiJNTZ,  op.  cit,  II,  pag.  99-100. 

(2)  Virginius  Ursinus  et  Panlus....  cepernnt  pontem  Molliinn,  si  noti 
dai  lettori  la  denominazione  moderna  che  apparisce  quasi  perfetta, 
pontem  Salariiim  et  Nuinentanum  quos  per  quamplures  dies  eorum  nomine 
lenuerunt  et  custodivertint,  et  tentaverunt  insuper  siihtili  ingenio  capere  portas 
videlicet  Flaminiam  Pincianam  Salariam  et  Viminalem.  Sed  cimi  desperati 
essent  de  morte  Innocentii,  ultro  iììos  dimiserunt  et  retrocesserunt.  Infes- 
SURA,  pag.   195 1. 

(3)  Qualche  altro  ricordo  storico  del  ponte  Milvio  ci  accompagna 
nell'età  moderna;  e  siccome  rimane  fuori  del  nostro  tema,  così  mi 
limito  ad  accennarlo  in  questa  nota.  Quando  il  duca  Valentino  tornò 
in  Roma,  dopo  le  sue  imprese  di  Romagna,  fu  presso  cotesto  ponte 
accolto  dalla  Corte  romana  e  dal  corpo  diplomatico.  (Reumont, 
Geschichte  der  Stadi  Rom,  III,  parte  i",  pag.  231).  Sul  parapetto  del 
ponte  a  mano  destra  eravi  una  edicoletta  con  una  imagine  della  Ver- 
gine, cui  si  largivano  parecchie  limosine,  l'erogazione  delle  quali  fu 
nel  secolo  xvn  determinata  come  si  deduce  da  una  iscrizione  ora  scom- 
parsa, che  diceva  r=  i.  0.  m.  —  vetustam  hanc  deiparae  genitricis  imagi- 
nem  —  ad  viatorum  praesidium  et  pietatem  hic  positam  —  omnesque  elee- 
mosynas  —  a  christianorum  ohsequio  in  eiiis  cultiim  erogatas  —  innocentius 
decimus  p.  m.  —  tnonialihus  paenitentibus  —  sub  titillo  sanctae  mariae  mag- 
dalenae  ad  cursum  —  in  earum — paupertatis  subsidium  —  apostolica  au- 
ihoritate  concessit  —  ubi  viator  —  et  a  maire  misericordiae  —  addisce  mi- 
sericordiam  erga  pauperes  paenitentes.  (Galletti,  Inscr.  rom.,  I,  pag.  117). 
S'intende  che  la  lapide  riferivasi  alla  casa  delle  donne  traviate  con- 
vertite, che.  dava  il  nome  alla  via  sul  Corso,  ora  detta  via  della  posta. 


Della  Campagna  Romana  2i5 

Enumerate  le  memorie  del  ponte,  toccherò  di  quelle 
spettanti  al  Tripixpne.  Escludendo  che  fosse  situato  al  di 
qua  del  ponte,  rimangono  due  ipotesi  intorno  alla  posi- 
zione di  esso,  cioè  o  che  sorgesse  sul  ponte,  fosse  né  più 
né  meno  che  una  delle  torri  del  ponte  medesimo  fortifi- 
cata in  modo  singolare,  ovvero  stesse  al  di  là  del  ponte, 
presso  di  questo,  in  modo  da  proibirne  l'accesso  in  caso 
di  guerra.  La  prima  di  queste  ipotesi  balenò  al  Nibby, 
che  ricordando  come  la  torre  compiuta  da  Calisto  III 
avesse  il  difetto  di  obbligare  'ad  una  svolta  a  destra,  notò 
quasi  di  volo  che  antecedentemente  vi  era  un  propugna- 
colo in  gran  parte  di  legno,  chiamato  Tripi^ott  e  nomi- 
nato da  alcuni  cronisti  (i).  Mi  sembra  degna  di  consi- 
derazione questa  congettura;  tuttavia  non  voglio  conclu- 
dere in  proposito  né  proporne  un'altra  senza  accennare 
le  fonti  storiche  di  questo  edifizio. 

Nella  stori-a  di  Roma  è  nominato;  cioè  nell' ingresso  di 
Enrico  VII  in  Roma,  nell'anno  13 12.  I  lettori  rammentano 
quanto  avventurosa  e  singolare  fosse  l'incoronazione  di 
queir  imperatore;  com'egli  trovasse  la  città  di  Roma  in  gran 
parte  occupata  dai  guelfi  romani,  fiorentini  e  napolitani,  co- 
mandati da  Giovanni  d'Acaia  fratello  del  re  Roberto  d'Anjou; 
come  perciò  foss'egfi  -costretto  ad  entrare  in  Roma  per  la 
via  Clodia  colle  proprie  mìHzie  in  ordine  di  battagha.  Ora 
i  testimoni  oculari  di  quel  fatto  e  della  lotta  successiva, 
ch'ebbe  luogo  in  Roma,  ci  raccontano  che  la  cavalleria  dei 
guelfi  si  limitò  a  molestare  la  retroguardia  di  Enrico  VII 
presso  il  ponte  Molle,  e  che  questi  potè  accamparsi  fuori 
della  porta  del  Popolo,   perché    Giovanni  d'Anjou    aveva 

Un'ultima  moderna  curiosità  spetta  alle  memorie  del  ponte  Molle, 
ed  è  la  Società  degli  artisti  denominata  da  esso  ponte,  ora  non  più 
in  esercizio,  sul  cui  statuto,  iaiocco,  insegne,  etc,  scrisse  una  mono- 
grafia il  dott.  Giovanni  Boschi,  (cf.  Giornale  Arcadico,  voi.  148, 
pag.  62). 

(i)  Analisi,  II,  pag.  581. 


2l6 


G.    Tomassetti 


ritirato  la  sua  gente;  ma  soltanto  aveva  lasciato  un  pre- 
sidio nella  torre  detta  Tripi-:^one.  I  cronisti  che  ci  forniscono 
qualche  cenno  su  questo  monumento  scomparso,  sono  i 
seguenti: 

Albertino  Mussato,  che  chiama  moìis  il  ponte,  dice  che 
ex  ligneo  propugnaculo  ad  pontis  littis  extructo  quem  Tripi- 
Xpneni  vocabant,  sagittarum  iactus  exivere,  illataque  vulnera 
introetmtibus  ex  quibus  equi  occisi  quamphirimi  et  nonnulli 
hominum  in  transitu  interemti.  Poi  racconta  come  fosse  as- 
saHto  ed  espugnato  dai  ghibellini  (i). 

Buonincontro  Morigia  così  ne  parla:  N'ani  ante  regis 
transitum  faciendnm  iuxta  urbem  quidam  locus  Columnensium 
erat  Trepixpne  nominatus  iuxta  ponte  Mollem,  quem  super 
Humen  Tiberis  tcnebant  Columnenses,  atque  unicum  in  urbe 
transitum  servabant  Regi  et  hostes  iUis  diebus  occupaverant  et 
praesidio  armatorum,  praecipue  sagìttantium,  pleìmni  dimi- 
serant,  ut  saìtem  volatili  ferro  Regis  transitum  impedirent.  At 
Rex  inqiiit  mìlitibus  suis:-  locus  iste  ribellis  in  momento  capi 
nequit,  ncque  hic  est  nobis  libera  mora  :  quocumque  modo  per 
hoc  iter  transeundum  est.  Aggiunge  una  viva  descrizione 
dell'ingresso  e  delle  ferite  dall'alto.  Era  molto  vicino  il 
Tripixpne  (il  che  combina  coW'ad  latus  di  Mussato)  perchè 
dice  :  dum  ante  sagittantis  muri  nimium  propinquam  faciem 
necessarium  iter  faciunt  (2). 

Ferreto  Vicentino  narra  che  correva  voce  come:  lo- 
hannem....  pontis  Molli  transitum  quem  ferme  ter  mille  pas- 
sibus  ab  Urbe  distantem  murisque  septum  Stephanus  et  Sarra  (3) 
Columnensium  Optimates  callide  anticipatum  Augusto  servabant, 
totis  viribus  impugnare.  All'arrivo  di  Enrico  VII:  Johan- 
nes.... copias  suas  retro  abire  coercens,  relictis  tantum  viris 
XL  prò  tuitione  loci  quem  Tripi^pn  vocant,  ubi  Turris  vasta 

(i)  MussATUs  Ale.,  Hist.  Aug.  in  Rer.  Hai.  Script.,  X,  pag.  449. 

(2)  Morigia  Bonincontrius,  Cronicon  Modoeti&nse,  ibidem,  t.  XII, 
pag    1105. 

(3)  Sciarra. 


% 


Della  Campagna  Romana  ii'j 

in  oppositum  memorati  Pontis  non  procul  imminebat,  in  tuta 
s.  Angeli  oppido  se  crediderat.  Caesar  vero  ttirmas  hostiles 
praeterquam  ftierat  ratus  ahiisse  tristatiis,  trans  pontem  libens 
memoratum  nullo  adversante  se  corripit.  lam  nox  tenebris 
coelnm  oppresserat,  imde  in  agris  mediis  pernoctare  coactiis 
quietis  remedia,  utcumque  valuit,  novus  hospes  invenit.  Obs- 
tabat  nempe  Tripi^pnis  arx  metuenda,  sub  cuius  eundum  ca- 
cumine  prorsus  fuerat.  Nec  tamen  inde  absque  iactura  suorum 
transitum  est  ;  multi  namque  spiculorum  iactibus  a  longe  sancii 
medicorum  opem  necessario  petiere.  In  sequenti  antem  dilucido 
Caesar....  urbem  romanam....  ingressus  est....  e  più  appresso: 
Repìetus  vero  cibis  mox  in  peragendìs  aestuaus  Proceres  suos 
consuìtor  maturus  aìlicit,  quibus  ìwrtantibus,  Treverentis  An- 
tistes  et  Robertus  Flandrensis  prò  expugnanda  superandave 
Tripixpnis  Turri,  quae  iter  impediebat,  dimittnntur.  Hi  Regis 
iussu  sumtis  virorum  cohortibus  ad  id  loci  propere  veniunt, 
et  in  agris,  quibus  nudius  tertius  Caesaris  alae  pernoctarant, 
castra  disponunt,  factoque  impetu  in  lohannis  satelìites  aere 
conductos,  qui  Turrim  missilibus  variisque  tormentorum  ge- 
neribus  tutabantur,  pugna  prima  vix  locum  exceperunt.  De- 
nique  tamen,  cum  secundi  iumulius  etiam  vim  repulissent, 
adiecto  bis  mature  praesidio  propter  copias  multas  illorsum  a 
Ioanne  transmissas,  confecto  proelio,  muìtisque  utrinque  caesis 
et  sauciis,  Regis  gens  victrix  emicat....  qui  vero  Turrim  ser- 
vabant,  opem  desperantes,  nitro  se  locumque  Caesariensibus 
dederunt  (i). 

Nelle  Gesta  Baldewini  de  Luc^emburch  sì  legge:  Deinde 
Rex  cum  domino  Baldevvino  et  aliis  multis  XXIV  die  aprilis 
per  Rausegonem,  Bibone,  Campillo,  Castelliu,  etc...  et  per 
campos  de  Bakenvelle  transit  Pontinole  per  ante  turrim  Tri- 
pe:(on,  de  qua  plurimi  fuerant  sagittati  (2). 


(i)  Ferretus  Vicentinus,  in  R.  I.  S.,  IX,  pag.  1098. 
(2)  Gesta  Baldewini  de  Luc:{emburch  in  Baluzio,  Miscellanea  (ed. 
Mansi),  voi,  I,  pag.  310. 


i8 


G.   Tomassetii 


^ 


Nicolò  di  Botronto  tra  parecchie  menzioni  che  fa  del 
ponte  produce  queste  :  item  petivimus  qnod  (Ioannes)  gentem 
suam  quae  erat  circa  pontem  De  Mollen  faceret  recedere  poi 
dominus  rex  et  sua  gens  dircele  versus  pontem  de  Mollen 
aciehns  ordinatìs.  Quando  ad  pontem'  venerunt  jam  homines 
domini  Ioannis  illuni  locum  ante  pontem,  ubi  plusquam  per 
mentem  fuerant,  dimiserant,  munita  una  turri  hominibus  et 
balistis  multum  bene;  nec  aliquls  supra  pontem  ascendere  po- 
terai, quin  illì,  qui  in  turri  existebant,  possent  eum  sagittarc. 
Postquam  rex  prope  pontem  fuit,  qui  in  penultima  ade  ve- 
nerai, nullus  adirne  transiverat.  Exiverunt  per  pontem  sancii 
Angeli  gentes  domini  Ioannis,  etc.  Miserunt  aliquos  in  cur- 
soribus  ad  respiciendum  locum,  et  invenerunt  illi  quod  pratum 
Mollae  pulcrum  erat  medium  et  quaedam  vineae  inter  eos,  et 
unus  rivus  prope  pratum,  nec  erat  via  nisi  strida  per  quam 
pauci  siviul  ire  poterant.  Postea  delìberaverunt  quod  pontem 
transìrent,  credentes  quod  cum  ultimis,  si  bellare  inlcndcrenl, 
bellarent.  Inceperunt  continue  transire  et  alii  de  turre  sagil- 
tare.  Dopo  l'ingresso  di  Enrico  in  Roma  dice  il  cronista: 
gens  regis  continuato  insulta  per  duos  vel  tres  dies  lurrim 
Ulani  iuxta  pontem  ceperunt  et  omnes  qui  erant  ibi  et  credo 
quod  se  reddiderunt  salva  vita  (i). 

Da  Giovanni  di  Cermenate  estraggo  che  dicevasi:  lo- 
hannem  fratrem  regis  Roberti  sedere  hostiliter  cum  exercitu 
ante  pontem  Mollem....  nunciatur  etiam  ipsum  pontem  multis 
insultibus  multis  machinis  et  hellicis  instrumentis  continue  ten- 
tari....  poi:  Rex  properans  ad  pontem  hostem  non  invenit.... 
verum  nec  ab  hoste  transitus  relictus  est  totus  liber.  Nam  ante 
Regis  transitum  faciendum  locus  Colonnensium  erat  quem  na- 
tura satis,  et  antiquorum  arce  (2)  munitum  vulgus  Erupi- 
tionem  nominai,  et  Saracenorum  opus  esse  dicebat.  Hunc  locum 
hosles,   durante    obsidione  pontis,   proximum    occuparant,  ac 


(i)  NicoLAUs  BoTRONTiNEN  in  R.  I.  S.,  IX,  pag.  914. 
(2)  Arte? 


Della  Campagna  Romana  219 

praesidio  armatornm  praecipue  sagittariorum  planum,  cum 
recederent  ab  obsidione,  dimiscrant,  ne-  saltem  volatili  ferro 
Regis  transitum  impedirent.  At  dum  Rex  examinat  in  tran- 
situ  per  certuni  viam  niminm  sagittis  hostium  proximum  pe- 
riculum;  et  detrimentum  gentis  snae,  excitat  ad  passum  aegro 
animo  (i). 

Dai  Rendages  di  Gilè,  che  accompagnò  Enrico  VII  in 
quella  spedizione,  tolgo  questo  passo  :  Item  ce  joiir  (samedi 
vigile  de  la  Trinitè)  et  ce  lieti,  delivré  a  monsegnour  Renar 
d'Argny,  quii  avoit  paiet  do  mandement  monsegnour  de  Treves, 
XVI  jour  en  may,  a  trente  sergans;  qui  celi  jour  furent  mis 
avoec  leur  conistable  en  le  tour  de  Tribichon  devant  Ponte 
molle,  et  eut  cascun  sergans  un  gros  le  jour  et  li  conistable 
iij  monois  le  mois;  quatrevingt  iiij  florins  (2). 

Altre  menzioni  di  altri  scrittori  non  valgono  tanto  da 
essere  raccolte,  perchè  sono  piuttosto  trascrizioni  di  queste 
contemporanee  che  ho  riunite  (3).  Se  i  lettori  da  esse 
ricaveranno  una  convinzione  più  sicura  della  mia,  io  ne 
sarò  soddisfatto  come  se  accettassero  questa.  Io  trovo  in- 
nanzi a  me  nelle  citate  fonti  una  incerta  serie  di  deter- 
minazioni topografiche.  Il  tripixpne  era  rispetto  al  ponte 
come  appresso,  cioè: 

ad  latus  (Mussato) 
in  oppositiim  (Ferreto) 
propinqua  (Morigia) 

(i)  Johannes  de  Cermenate  in  R.  I.  S.,  IX,  pag.  1263. 

(2)  Acta  Henrici  VII,  R.  I.,  etc.  a  Francisco  Bonainio  collecta. 
Fior.,  1877,  1°  voi.,  pag.  316. 

(3)  Le  opere  posteriori  riguardanti  il  viaggio  di  Enrico  VII  in 
Italia  sono:  Wezer  Conradiis,  de  rebus  gestis  Henrici  Vllimp.  (autore 
del  secolo  xvi)  ;  Barthold  F.  W.,  der  Ronier^iug  Kònig  Heinrichs  von 
Lùt^elburg;  Von  Gundling  I.P.,  Leben  Heinrichs  VII  (iji^);  Olen- 
schlaeger  I.  D.,  Geschichte  des  róm.  Kaiserthums  in  dem  vier:(ehnten 
lahrhund.  i.  Theil.  (1755);  Dònniges  W.,  Acta  Henrici  VII,  etc,  (1839) 
e  Geschichte  des  teutschen  Kaiserehums  im  XIV  lahrhund.,  etc,  (1841), 


220 


G.   Tomassetti 


4 


iuxta  (Nicolò) 
ante  (Gesta  Baldewini) 
ante  (G.  Cermenate) 
devant  (Gilè). 

Prepondera,  come  ognun  vede,  la  indicazione  dell' an^^, 
ma  non  ha  forse  minor  peso  l'altra  della  semplice  vici- 
nanza. Dalle  piante  del  medio  evo  poca  luce  riceviamo 
in  proposito,  perchè  certe  particolarità  vi  sono  trascurate. 
Da  piante,  le  quali  tutte  collocano  il  ponte  Salario  sul 
Tevere  possiamo  aspettarci  lume  sulla  gran  torre  trian- 
golare del  ponte  Molle?  Inoltre  esse  partono  da  un  ori- 
ginale comune,  quindi  non  ha  gran  peso  la  loro  identità. 
Del  resto,  se  a  questa  si  vuol  dare  un  valore  qualunque, 
giova  osservare  che  tutte  pongono,  eccetto  quella  di  Siena,  la 
gran  torre  verso  Roma,  non  già  verso  la  campagna.  Cresce 
con  ciò  la  confusione;  perchè  dai  testi  degh  scrittori  si 
rileva  che  la  lotta  col  tripixpne  fu  sempre  prima  che  gH 
imperiali  passassero  il  ponte,  non  sul  ponte  medesimo  e 
molto  meno  dopo  di  esso.  Lasciamo  adunque  da  parte  le 
inesatte  indicazioni  delle  piante.  In  conclusione,  io  sono 
d'avviso  che  il  difetto  della  svolta  a  destra,  che  il  ponte 
manteneva  fino  al  secolo  passato,  partisse  appunto  dalla 
pianta  del  medesimo  fatta  in  modo  che  chiunque  vi  acce- 
deva dalla  campagna  fosse  obbligato  a  passare  presso  il 
Tripizone;  ciò  che  mi  sembra  accordarsi  coi  cenni  dei  cro- 
nisti. Adunque  l'accesso  del  ponte  Molle  può  definirsi,  se- 
condo il  mio  ragionare,  una  specie  di  porta  scea;  il  Tri- 
pixpne  ne  guardava  sulla  destra  l'accesso  tra  la  riva  del 
fiume  (detta  ora  la  riva  della  torre")  e  la  testata  del  ponte. 
Restituisco  pertanto  sotto  questa  forma  approssimativa  la 
pianta  del  ponte  Molle  nel  medio  evo: 


•Della  Campagna  Romana  221 


l>" 


a 

m        f 

■«— «    (fiume) 

m        m 


tenendo  per  a  il  ponte,  per  e  l'accesso  e  per  h  la  dispu- 
tata torre.  Con  questa  congettura,  alla  quale  mi  sembrano 
potersi  adattare  i  passi  degli  allegati  cronisti,  si  spiega 
eziandio  il  fatto  che  non  ne  sia  rimasto  avanzo,  poiché 
fu  essa  compresa  nei  grandi  lavori  di  Nicolò  V  e  di  Ca- 
listo in.  Se  volessimo  collocare  il  Tripi^one  alquanto  più 
lungi  dal  ponte,  sulla  riva  di  destra,  si  potrebbe  ricorrere 
a  quel  nucleo  di  sepolcro  posto  sull'antica  Flaminia,  che 
tuttora  si  scorge  in  piedi:  ma  parmi  non  essere  questa 
supposizione  conciliabile  colle  fonti  finora  discusse.  Esiste 
tuttora  un  grosso  muraglione  di  costruzione  irregolare, 
propria  dell'età  di  mezzo,  addossato  alla  riva  destra  del 
fiume,  presso  la  moderna  torretta  o  testa  del  ponte.  Io 
sono  d'avviso  che  questa  muraglia  sia  un  avanzo  della 
costruzione  che  sosteneva  la  ripetuta  torre. 

(continua). 


n 


//  Codice  harberiniano  XXX,  8^ 

CONTENENTE     FRAMMENTI     DI     VNA     DESCRIZIONE     DI     ROMA 
DEL    SECOLO    XVI 


,NÌ7T^1ì^  ACENDo  lo  spoglio  topognifico  dei  codici  barberi- 
(^  f^rsp  niani,  uno  ne  ho  ritrovato,  segnato  col  n.  XXX,  89, 
cjs^^?<^  che  mi  sembra  meritevole  di  illustrazione.  Secondo 
le  notizie  favoritemi  dall'egregio  bibliotecario  D.  Sante  Pie- 
ralisi,  questo  manoscritto  formava  parte,  in  origine,  di  una 
voluminosa  miscellanea  di  argomenti  così  disparati,  che  è 
sembrato  opportuno  al  lodato  bibliotecario  di  formarne  più 
tomi  omogenei  e  riferibili  ad  uno  stesso  soggetto.  Il  co- 
dice XXX,  89,  che  è  cartaceo  e  scritto  negli  ultimi  anni 
del  secolo  xvi,  regnando  Sisto  V,  incomincia  la  numera- 
zione a  carte  494,  terminando  a  carte  5^9,  e  reca  per  ti- 
tolo: Cose  antiche  e  modeme  pub.  e  prinate  in  Roma  e  fuori 
anc.^  forse  lontano. 

Non  so  quali  propositi  letterari  avesse  l'autore  di  questo 
scritto:  poiché  i  materiali  da  lui  raccolti  possono  servire 
tanto  ad  una  collettanea  di  iscrizioni  antico-moderne  che 
leggevansi  disperse  qua  e  là  per  le  vie,  case,  giardini  ed 
edifizì  pubblici  nella  Roma  di  Gregorio  XIII  e  di  Sisto  V, 
quanto  ad  una  guida  descrittiva  della  città.  Per  ciò  che 
spetta  alle  antichità  classiche  il  codice  è  di  poco  valore: 
le  grandi  iscrizioni  degH  antichi  monumenti  pagani  non 
vi  sono  trascritte,  forse,  perchè  notissime  ed  alla  vista  di 


224 


'7^.  Lanciani 


% 


tutti.  Per  converso  vi  .si  ritrovano  molti  titoletti  funebri 
di  niuna  importanza,  specialmente  quelli  che  stavano  com- 
messi nei  pavimenti  delle  chiese  e  de' cenobi,  murati  nei 
recinti  delle  vigne  e  degli  orti,  ovvero  collocati  ad  orna- 
mento di  questo  o  di  quel  cortile  di  casa  privata,  di  atri,  di 
fontane,  di  ninfei,  etc.  E  siccome  l'anonimo  autore  era 
stato  preceduto  in  queste  sue  ricerche  antiquarie  da  epi- 
grafisti valentissimi  (cf.  l' index  auctorum  del  CIL,  VI, 
n.  I  -  LXV),  ne  avviene  che  il  suo  lavoro  riesce  per  noi 
di  pochissimo  vantaggio. 

Per  ciò  che  spetta  alle  epigrafi  ed  ai  monumenti  della 
Roma  di  Gregorio  XIII  il  codice  è  di  notevole  pregio,  e 
degno  di  essere  messo  alla  portata  degli  studiosi.  Come 
elemento  per  una  statistica  catastale  (ed  antiquaria)  della 
città,  fa  opportuno  seguito  al  censimento  di  Leon  X  edito 
dal  eh.  Mariano  Armellini,  all'  indice  della  pianta  del  Bu- 
falini  edito  dal  eh.  senatore  Fiorelli,  alle  memorie  di  Ulisse 
Aldovrandi,  alle  «  monumenta  »  di  Lorenzo  Schrader,  e  ad 
altrettali  documenti  del  secolo  xvi.  Alcuni  dei  luoghi  e 
alcuni  degli  «  antiquari  »  descritti  nel  codice  ci  eran  noti 
per  altre  fonti;  quali  sarebbero  per  esempio  quelli  del  pa- 
lazzo Cesi,  di  villa  Medici,  degli  orti  di  Giulio  III,  dei 
Porcari,  dei  Ceuli  o  Cefoli,  dei  Capodiferro,  del  palazzo 
dei  Conservatori,  etc.  :  nondimeno  non  mancano  anche  per 
questa  classe  notizie  inedite  e  peregrine.  Assai  più  abbon- 
dante è  la  serie  dei  luoghi,  e  delle  raccolte  men  cono- 
sciute, descritte  nel  codice;  quali  sarebbero  le  case  e  le 
anticaglie  di  Antonio  antiquario,  di  Fabrizio  Lazzaro,  di 
Gregorio  Epifanio,  di  Cristoforo  Nardini,  di  Alfonso  Ca- 
rillo,  di  Geronimo  Gabrielli,  di  Saturnio  Gerona,  dei  Vi- 
telli, dei  Santacroce,  dei  Savelli,  di  Alessandro  de' Medici,  etc. 
Disgraziatamente  l'autore  del  manoscritto  si  occupa  quasi 
esclusivamente  delle  iscrizioni  che  quei  gentiluomini  ave- 
vano fatto  dipingere  o  incidere  nelle  loro  case  e  nei  loro 
conclavi:  e  siccome  l'epigrafia  non  è,  per  vero  dire,  il  suo 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  226 

cavai  di  battaglia,  ne  lascia  sovente  col  desiderio  di  saperne 
di  più.  In  ciò  rassomiglia  per  filo  e  per  segno  a  Lorenzo 
Schrader,  il  quale,  pretendendo  di  descrivere  Roma,  si  li- 
mita a  copiare  iscrizioni  che,  otto  volte  su  dieci,  hanno  il 
solo  merito  di  essere  state  copiate  dugento  novantanni  or 
sono;  e  quando  commette  una  eccezione  alla  regola,  par- 
lando di  cose  diverse  dai  suoi  epitaffi,  parla  di  scioccherie 
che  non  e'  interessano  punto.  Per  esempio,  uno  dei  più 
brillanti  episodi  dello  Schrader,  è  la  lista  dei  trentadue  vini 
da  pasto  che  la  corte  pontificia  soleva  bere  largamente; 
intorno  al  merito  relativo  dei  quaU  egli  pronuncia  sentenza 
da  vero  figlio  d'Arminio.  Al  modo  istesso,  l'anonimo  autore 
del  codice  barberiniano  è  cosi  secco  nelle  sue  descrizioni 
che  talvolta  riesce  inesplicabile;  e  quando  si  dilunga  dall'a- 
bitudine, parlando  ex  professo  di  qualche  opera  d'arte,  si  può 
star  sicuri  che  quell'opera  non  meritava  tanto  onore.  Ad  onta 
di  questi  difetti,  io  credo  di  non  avere  fatto  opera  vana  pub- 
blicando il  codice,  perchè  ogni  descrizione  della  Roma  del 
cinquecento,  buona  o  cattiva  che  sia,  è  documento  degno 
di  essere  conosciuto,  e  non  manca  di  recare  i  suoi  frutti,  spe- 
cialmente quando  lo  si  ponga  a  confronto  con  gli  altri  docu- 
menti contemporanei^  più  accurati  e  degni  di  maggior  fede. 
La  mia  edizione  è  stata  fatta  coi  seguenti  criteri: 

L  I  nessi  e  le  abbreviazioni  talvolta  eccessive  del- 
l'originale sono  disciolti,  e  la  lettera  v  è  stata  sostituita 
alla  u,  quando  quella  ha  il  valore  di  questa.  Ho  pure  sop- 
presso le  maiuscole  applicate  ad  ogni  sostantivo,  e  le  in- 
numerevoli interpunzioni. 

IL  Le  iscrizioni  moderne  che  ancora  esistono,  o  che 
sono  state  trascritte  da  altri,  sono  emendate.  Per  le  restanti, 
ho  rispettato  perfino  gli  errori  evidenti  del  testo. 

IH.  Ho  omesso  le  epigrafi  edite  nel  sesto  volume 
del  Corpus  inscrìptìonnm  latinarum,  citando  soltanto  i  nu- 
meri di  riferimento. 

Rodolfo  Lancianl 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  i5 


226 


'7^.  Lari  ciani 


ff.  494]  In  una  casa  depinta  non  a  colori  incontro degli 

Arcioni  sul  principio  della  montata  di  s.  Silvestro  a  man  dritta, 
nel  cantone  della  strada  che  voltaverso  Magnaìiapoli,  e  nella  fac- 
ciata in  calcina  tal'  iscrittione.  «  Antonius  antiquarius,  pub.  uti- 
litatis  potiusque  sui  rationem  habens  eximiorum  artificum  opera, 
quae  nimia  uetustate  exesa,  aedificiorumque  mina  sepulta,  ac 
uariis  urbis  calamitatibus  confracta  et  disiecta  pene  interierant, 
ingenti  labore  effossis  et  collectis,  ad  superiormn  temporum  glo- 
riam,  nostrorumque  posterorumque  admirationem  et  imitationem 
instaurandis,  prò  rerum  maximarum  augustia  fecit,  anno  Xti 
nati  1^46  » . 


Ho  sospettato  sul  principio  che  questo  Antonio  antiquario  fosse 
una  stessa  persona  con  l'Antonio  Agostini,  contemporaneo  del  Bembo, 
di  Fulvio  Orsino,  del  Metello,  dello  Smezio,  e  di  altri  valenti  epigra- 
fisti, ed  epigrafista  anche  lui:  tanto  più  che  la  data  del  1546  segnata 
nell'iscrizione  cade  appunto  nel  decennio  1545-1555  della  sua  dimora 
in  Roma.  Cf.  CIL,  II,  p.  XV,  32  e  VI  p.  XLIX,  35,  Andres:  Ant.  Au- 
gustini  Epistolae,  Parma,  1804.  Senonchè  parmi  impossibile  che  un  ar- 
civescovo di  Tarragona  volesse  di  proposito  celarsi  sotto  il  modesto  e 
profano  appellativo  di  «  antiquario  »,  il  quale  appellativo,  per  di  più, 
non  deve  prendersi  nel  senso  scientifico,  ma  nel  senso  materiale  e  mer- 
cantile. L'Antonio  della  casa  incontro  gli  Arcioni  trafficava  di  antica- 
glie. Nel  cod.  barberiniano  XLIX,  21  al  f.  26  è  disegnata  una  figura 
di  vecchio,  col  moggio  in  testa,  avvinto  da  una  serpe,  con  varii  occhi 
e  simboli  sulle  nude  carni.  Segue  la  postilla:  «  Questa  immagine  sim- 
bolica del  mondo  di  marmo  fu  trovata  nelle  therme  di  Traiano,  poi 
venduta  da  Antonio  antiquario  a  Giovan  Antonio  di  Parione  molto 
rotta  «.  Una  figura  molto  somigliante  a  quella  posseduta  da  Antonio 
antiquario  è  riprodotta  nel  cod.  vat.  3109,  f.  189,  con  la  seguente  po- 
stilla di  mano  di  Pier  Leone  Ghezzi  :  «  È  stato  copiato  da  me  cav. 
Ghezzi  da  un  libbro  intitolato  disegni  originali  cavati  dall'antico  .da 
Pietro  Santi  BartoH  e  da  altri  celebri  professori,  il  padrone  di  detto 
libbro  è  il  s.  duca  di  Bracciano  et  è  composto  di  fogli  166  e  questo  di- 
segnio'è  a  fogli  85  «.  Veggasi  il  Bull.  Cotti.,  X. 


//  Codice  barberiniano  XXX,  Sg  22.7 

{494^].  Nel  f riscio  al  palax^o  della  Cancellaria : 

((Raphael  Riarius  savonensis  sancii  Georgii  diaconus  car- 
dinalis  5.  R.  E.  camerarius  ((  qui  è  l'arme  di  lion  X»  a  Syxto  iiii 
pontifice  maximo  honoribus  ac  fortunis  honestatiis,  templum  ditio 
Lamentio  martyri  dicatum,  et  aedes  a  fundamentis  sua  impensa 
fedi  mcccclxxxv  [Alexandre  vi  p.  m.'\  » 

Raffaele  Riario,  creato  cardinale  appena  trilustre  nel  1477,  da  suo 
zio  Sisto  IV,  costruì  la  Cancellaria  sotto  il  pontificato  di  Innocenzo  Vili 
(Muntz,  Les  Arts,  III,  pag.  37)  con  materiali  tolti  da  antichi  edificii, 
p.  e.  dall'arco  di  Gordiano  al  Castro  pretorio  (cuius  quidem  mar- 
mora  e  profunda  tellure  eruta  converti  vidimus  in  ornamenta  templi 
ac  palatii  s.  Laurentii  in  Damaso,  A.  Fulvio,  Antiq.,  1.  II,  f.  21), 
da  un  ignoto  nobilissimo  monumento  che  sorgeva  poco  lungi  dalla 
eh.  di  s.  Eusebio  (Flavio  Biondo,  II,  17,  Gamucci,  pag.  105,  Seve- 
rano,  pag.  677),  dal  tempio  del  Sole  quirinale  (tutti  li  marmi  che 
sono  i  nel  palazo  di  sa  giorgio  sono  canati  da  qsto  edificio.  S.  PE- 
RVZZI  Uffizi  n.  664)  e  fors'anco  dal  Colosseo.  Veggasi,  per  maggiori 
particolari  il  Fonseca,  de  basii,  s.  Laur.  in  Damaso,  Fano,  1745.  L'iscri- 
zione si  vede  tuttora  nella  fascia  tra  il  primo  ed  il  secondo  piano 
del  prospetto,  ma  non  vi  sono  stemmi  interposti.  I  più  reputati  de- 
scrittori di  Roma  s'accordano  nell'attribuire  l'architettura  del  palazzo 
a  Bramante:  mentre  è  certo  che  i  Sangalli,  zio  e  nipote,  debbono 
èssere  chiamati  a  parte  del  merito  di  quella  fabbrica  insigne.  Nella 
scheda  987  degli  Uffizi,  v'è  la  pianta  del  u  palazo  di  Santo  Lorenzo 
in  Damaso  »  postillata  da  Antonio  Giuniore  come  segue  :  «  questo 
è  lo  piano  del  chardinale,  cioè  lo  primo  piano  dove  abita  lui  :  a 
piano  tereno  no  sta  così:  ci  è  mura  asai  sopra  alle  volte.  Questo 
disegnio  è  di  mano  del  Golpaza,  ed  è  misurato  dove  a  bracia  dove 
a  palmi,  ed  è  fatto  falso  a  posta:  non  stanno  bene  le  misure  ».  Nella 
scheda  188  è  un  disegno  a  penna  e  sepia  della  «porta  per  lo  pa- 
latio  del  cardinale  di  santo  Giorgio  di  Roma  »  con  altri  particolari  : 
nella  scheda  993  il  disegno  dell' «  inbasamento  del  palazo  della  can- 
celleria» dal  quale  s'apprende  come  fosse  ornato  di  antiche  scol- 
ture, nominandovisi  «  la  basa  della  femina  grande  ched  e  in  la  can- 
cellaria e  la  basa  della  fiura  pichola  eh'  è  nella  cancellaria  ».  La  scheda 
loio,  finalmente,  contiene  la  pianta  <.<.  del  giardino  di  S.  Lorenzo  in 
Damaso  ».  Si  consulti  il  cod.  vat.  9181  di  Francesco  Cancellieri 
<(  Notizie  de'  due  pala:(^i  Cesarini  e  Riario  della  vecchia  e  nuoya.  Cartr 
cellaria  etc.  »  Mi  permetto  di  aggiungere  un'altra  pòsti-lla,  l'argomento 
della  quale  entra  assai  bene  nello  spirito  del  nostro  codice  barberi- 


228 


9^.  Lanci  ani 


n 


niano.  In  altro  codice  di  questa  biblioteca,  segnato  XLIX,  32,  f.  75 
ed  ultimo,  si  legge  questa  memoria  di  mano  di  Gasparo  Morone. 
«  Matthia  Coruino  dipinto  in  una  casa  a  mano  manca  all'entrar  della 
strada  del  Pellegrino  (sul  canto  opposto  al  palazzo  del  card,  di  s.  Gior- 
gio), della  qual  pittura  ne  fa  menzione  il  Giovio.  Da  un  lato  del  ca- 
valiere, sotto  la  figura  d'angelo  : 

«  Deberis  coelo  Matthia  inuicte,  sed  ipsa 
Religio  in  terris  usque  tuenda  tenet. 
Hanc,  uictor,  defende  diu,  coelumq.  mereri 
Mortales  possint  qua  pietate  doce  ». 

A  sinistra  del  cavaliere  sotto  la  figura  di  demone: 
«  Tartara  te  cupiunt  :  sed  te  sibi  vindicat  aether 
Dips  (sic),  adeo  virtus,  rex  bone,  cara  tua  (est) 
Dum  neq  te  sperant  in  ea  regna,  neq  astra  exposcunt  (?) 
Imperio  terras  inter  utrumq.  rege  ». 

Nello  scoperto  di  s.  Silvestro,  all'arco  di  Portiigalìo  messo 
al  muro  per  fabrica  e  per  memoria  goffamente  una  parte  di 
cass' antica  di  marmo  bianco  con  figuracce  di  basso  rilìeuo,  che 
dinotando  sepoltura,  eccone  lo  scritto: 

((....  caro  op.filio  incomparabili  mater  Pompeia  Heliodora 
fecit  et  sibi)). 

[495].  In  una  pietra  antica,  trovata  del  i^yS  nell'orto  dei  Zoc- 
colanti, all'  Isola  di  s.  Bartolomeo: 

Segue  l'iscrizione  di  Senione  Sanco  CIL,  VI,  567.  Secondo  il 
CiOFANO  ad  Ovili,  fast.,  VI,  v.  214,  sarebbe  stata  ritrovata  nel  lu- 
glio 1574.  Ora  trovasi  nella  galleria  lapidaria  Vaticana. 

Nella  facciata  del  muro  de  frati  di  s.  Pietro  in  vincola, 
verso  la  vigna  con  .  2  .  statue  una  maschio  e  l'altra  femina  : 

«  L.  Tampio  L.  [l]  Tampia  .1.1. 
Papae  Prima 

In  un'altra  dappresso: 

((  L.  Marcio  l  .1 .  Theodoro [Grutero  ^84  .  ^]. 

[495^].  In  un'altra: 

«  Clodius  Hermogenianus \^CIL  .  FI.  /ó^jy]. 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  229 


Queste  epigrafi,  copiate  anche  dallo  Schrader,  Monum.,  f.  172* 
debbono  essere  state  ritrovate  0  in  occasione  dei  restauri  fatti  al- 
l'edificio da  Giuliano  della  Rovere  nel  1 471 -1472,  ovvero  in  occa- 
sione degli  scavi  descritti  da  Berto  di  Giovanni  Alberti,  Cod.  ,di 
Borgo  s.  Sepolcro,  f.  3.  Nel  1550  incirca,  furono  scoperti  altri  piedi- 
stalli descritti  più  sotto  al  f.  550'.  Giovanni  Ruccellai,  nel  1450,  vide 
altre  anticaglie  «  di  fuori  allato  alla  porta  della  chiesa  »  andate  a  fi- 
nire non  so  dove.  Cf.  Arch.  S.  R.  di  St.  patria,  IV,  574.  Alla  pag,  550 
del  codice  si  trovano  altre  notizie.  Lorenzo  Schrader  pone  il  giar- 
dino di  S.  P.  in  Vinculi  fra  gli  «  hortos  amoenissimos  »  nei  quali 
«  antiquitatis  studiosi....  sese  oblectare  et  animum  ac  oculos  pascere 
possunt  ». 

Nella  vigna  0  giardino  dell'arcivescovo  de  Massimi,  incon- 
tra S.'^  Sabina,  trame^^ato  dalla  strada  ptiblica,  in  una  pietra 
antica  di  marmo  bianco  di .  2  .  busti  piccioli  di  maschio  efèmina 
ch'era  a  man  destra. 

«  D  .  M  .  «  Flauiae  elpidi  .  T .  Flauius  Herma  coniugi 
sanctissimae  ». 

Questa  vigna  dei  Massimi  è  nota  non  solo  per  gli  oggetti  d'arte 
e  di  erudizione  che  conteneva,  ma  anche  per  esservisi  scoperto  l'Er- 
cole di  basalto  capitolino.  Il  Vacca,  mem.,  90,  la  dice  posta  «  verso 
Testacelo  ».  Appartenne  in  seguito  alla  casa  professa  dei  Gesuiti  (CIL, 
VI,  1008)  e  da  ultimo  al  principe  Torlonia.  Nella  edizione  del  Gru- 
TERO,  1141,  7,  il  cippo  di  Flavia  Elpide  è  indicato  «in  palatio  Maxi- 
morum  sub  stemmate  viri  ac  foeminae  ». 

Alla  fine  dell' ortaccio  verso  uia  lata  0  il  corso,  e  verso  il 
[496]  Popolo,  in  un  muro  di  Casetta  nona  era  messo  un  pila- 
stro cosi  scritto  :  «  Soli  inuicto  mithrae  ».  \C  .1 .  L.  VI,  72y]. 

Questa  base  marmorea,  che  forse  appartiene  all'insigne  mitreo 
di  s.  Silvestro,  stava  sull'angolo  di  via  della  Croce  con  via  Belsiana. 
Veggasi  la  bibliografia  nel  Corpus.,  1.  e. 

Da  ogni  banda  nel  ponte  di  s.  Maria  in  Trasteuere,  con 
armi  di  me^xP  dragone  alli  suoi  luoghi  : 

ff  Ex  auctoritate  Gregorii .  xiii  .poni.  max.  s.  p.  q.  r.  pon- 
iem  senatorium,  cuius  fornices  vetustate  collapsos  et  iampridem 


2'3ò 


9^.  Lanciarli 


n 


refectos,  fluminis  impctus  denuo  deiecerat,  inpristinam  firmitatem 
ab  pulchritudinem  restituii,  anno  lubilei  .mdl xxv  ». 

■  Si  consulti  il  Cancellieri  «  il  ponte  Leonino  detto  finora  il  ponte 
di  s.  Maria  o  ponte  Rotto  chiamato  anticamente  Fulvio,  Senatorio, 
Consolare  e  Palatino  »  nel  cod.  vat.  9196. 

[49  ^V].  Al  cantone  della  facciata  in  Suburra: 

«oh  maiestatem 

S.P.Q.R 

Alex,  vi .  Pont .  Max. 

Sutura. 

((  Aediculam  Sahatoris  trium  imaginum  suburani  ambitus 
rég.  montensiutn  ne  memoria  intcriret,  Stephanus  Coppus  Gemi- 
nianensis  suis  impcnsis  in  cultiorem  formani  redegit,  aedituoq. 
annuós  smnpius  perpetuo  conseruauit  » . 

In  questa  lapide  ravvisiamo  il  secondo  esempio  che  s'abbia  in 
Roma  di  leggende  poste  per  indicare  la  denominazione  di  una  strada. 
Il  più  antico  è  quello  della  via  Florea  di  Sisto  IV  (vedi  appresso). 
La  lapide  di  Alessandro  VI  è  importante  «  sia  per  la  memoria  locale 
che  serba  della  chiesa  da  lungo  tempo  disfatta  del  Salvatore  detto 
delle  tre  immagini....  sia  ancora  perchè  dimostra  che  la  tradizione 
circa  il  sito  del  quartiere  antico  di  Roma  detto  Subura,  si  era  man- 
tenuta popolarmente  «.  Visconti,  Bull,  munìc,  V,  192. 

Vigna  di  papa  Giulio,  dentro  lo  spatio  nella  fontana,  an- 
dandosi giù  a  man  sinistra. 

[497].  «  Deo  et  loci  Dominis  volentibus  -  Hoc  in  suburbano 
omnium,  si  non  quot  in  orbis  al  quot  in  Urbis  sunt  ambitu, 
pulcherrimo,  ad  honestam  potissime  uoluptatem  facto,  honeste 
uoluptarier  cunctis  fas  honestis  està  :  sed  ne  forte  quis  gratis  iu" 
gratus  sietf  iussa  haecce  ante  omnia  omnes  capessunto.  -  Quouis 
quisquis  ambulanto,  ubiuis  quiescunto  ;  ucrum  hoc  citra  sommum 
circumcapta  illud.  Passim  quidlibet  lustranto,  ast  nihilum  quid- 
quamusquam  attingunto  -  Qui  secus  faxerit,  quidquamve  clepserit 
aut  rapserit  non  iam  ut  honesti  moribus  sed  ut  fustis  onusti 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  23'i 


in  crucem  pessimam  arcentur.  -  Illis  vero,  qui  flortim  fron- 
ditim  pomorum  olerutfique  aliquid  petierint,  Fillici  prò  anni 
[497^]  tempore,  prò  r^ruin  copia  et  inopia  prò que  merito  cuiusque 
largiuntor  -  aquam  hanc  qiiod  tiirgo  est,  ne  temeranto,  sitìmque 
fistulis  non  fiumine,  poculis  non  osculo  aut  volis  extinguunto - 
Piscium  lusu  oblectantor,  cantu  avium  mulcentor,  et  ne  quem 
interturbent  interim  cauento  -  Signa,  statuas,  lapides,  picturas,  et 
cetera  totius  operis  mir acida  quàmdiu  lubet  obtiientor,  dum  ne 
nimio  stupore  in  ta  vertantor  -  Si  cui,  quid  tamen  haud  ita  mi- 
rum  uidebitur  eorum  caussae,  qua  nemo  mirari  satis  quiuit,  equo 
potius  silentio  quamsermonibus  iniquispraeterito-Dehincproxum^ 
in  tempio  Deo  etdiuo  Andreae  gratias  agunto,  uitamque  et  salutem 
[498]  lulio  iiipont.  max.  Baìduino  eius  fratri,  et  eorum  familiae 
uniuersae  plurimam  et  aeternam  precantor  -  Huic  autem  subur- 
bano speciem  atque  amplitudìnenipulchriorem  in  dies  maioremque, 
ac  in  eo  quidquid  inest,  felix,  faustum,  perpetuum  optanto. 

(( Hisce  actis  valento,  et  salui  abeunto  ». 

A  mano  destra  : 

((  lulii  Hi  pont.  max.  auspicio  -  Balduinus  eius  frater,  prae- 
dium  suburbanum  prope  Flaminiam,  ab  Antonio  palmo  car- 
dinali olim  ab  eo  comparatum,  syìua  hortis  uillis  uìnetisque  con- 
tiguis,  et  cuiusvis  plantarum  generis  numero  pene  infinito,  a  se 
[498^]  auctum,  nouoque  acpolitiore  uultu  nullo  non  loco  directum 
atque  illustratum,  aqua  uirg(ine)  etfontibus  saluberrimis,  e  la- 
teribus  terrae  inaccessis  non  niinus  ad  comune  omniumque  ad 
priuatum  commodum  in  lucem  eductis,  undisque  ir riguum  factum, 
salientibus,  piscina,  aviario  atque  hoc  quali  theatro  admirabili 
picturae  statuarum  emblematum  splendore  extructis,  tempio  que 
in  primis  Deo  opt.  max.  et  diuo  Andreae....  lulius  pont.  erecto 
atque  dicato,  sibi.  Jnnocentio  cardinali,  et  Fabiano  corniti  filiisqùe 
et  eorum  posteris  in  ampliorem  et  angustiorem  formam  redegit. 
-  Praedium  autem  hoc  ipsum,  et  quidquid  uspiam  in  eo  ortum, 
cultum,  structum,  ampliatum,  ornatum,  ut  in  pr aesenti  est,  uel 
erit  in  posterum,  siue  totum  seu  aliqua  ex  parte  cuiusque  modi 
[499]  et  quantulaecumque  fuerint,  praeter  ipsosfructus  uti,  nullo 


2  32  l^.  Lanciarli 

prorsus  officio,  nullo  pacto,  nullo  iure,  cuiquam  nunquam  alicubi 
uendi,  obligari,  donari,  alioui  quoUis  modo  alienari  possit,  te- 
stamento in  perpetuimi  ah  eodeni  Balduino  omnibus  est  inter- 
dictum,  ne  de  nomine  exeat  familiae  suae». 

Intorno  alla  villa  di  Papa  Giulio,  ai  suoi  adornamenti,  alle  sue 
vicende,  ed  allo  stato  miserando  cui  è  stata  ridotta  dalla  nostra  pro- 
pria barbarie,  si  potrebbero  scrivere  volumi  di  commento.  Ricorderò 
solamente  due  o  tre  notizie  poco  conosciute.  Le  colonne  del  porti- 
cato vengono  dal  Vaticano.  «  Antonio  (da  Sangallo,  giuniore)  per 
commessione  di  Sua  Santità  (Clemente  VII)  messo  in  opera,  subito 
rifece  un  cortile  in  palazzo,  dinanzi  alle  loggie  che  già  furon  dipinte 
con  ordine  di  Raffaello;  il  quale  cortile  fu  di  grandissimo  comodo 
e  bellezza....  Ma  questo  luogo  non  istà  oggi  in  quel  modo  che  lo 
fece  Antonio,  perchè  Papa  Giulio  terzo  ne  levò  le  colonne  che  vi 
erano  di  granito,  per  ornarne  la  sua  vigna,  ed  alterò  ogni  cosa  »  Va- 
sari, ed.  Lemonnier,  v.  X,  pag.  9.  Il  Vasari  e  l'Ammannati  architet- 
tarono il  Ninfeo,  alimentato  dall'acqua  vergine,  allora  scarsissima,  e 
ricordato  nella  medaglia  col  motto  FO'NS  VIRGINIS  VILLAE IFLIAE. 
Cf.  Lanciani,  Aqued.,  pag.  129.  La  villa  conteneva  una  impareggia- 
bile raccolta  di  antichi  monumenti  soprattutto  di  marmi  scritti.  Se 
ne  avessi  il  tempo  e  se  ne  valesse  la  pena,  potrei  ricostituire  in  gran 
parte  il  catalogo  del  nuseo  epigrafico  della  villa.  Basti  rammentare 
quante  volte  ricorra  nel  VI  volume  del  CIL  l' indicazione  «  in  hortis 
lulii  III  pont.  max».  Nel  cod.  vat.  3439,  f.  46,  si  ha  menzione  di 
un  labro  porfiretico  trovato  a  s.  Adriano  «  postea  ad  villa[m]  Iulia[m 
translatum]  ».  Altre  scolture  in  marmo  ed  in  bronzo,  ritrovate  in 
una  vigna  presso  il  ninfeo  di  Minerva  Medica,  erano  state  donate  al 
papa  dal  suo  tesoriere  Francesco  d'Aspra.  Vacca,  mem.,  16. 

Termini.  All'anticaglia  del  muro  eh'  è  bora  di  s.  Maria 
degli  angeli  arme  in  facciata  di  mexxp  dragone,  eh'  é  del  papa 
infra  scritto: 

<r  Gregorius  xiii  pont.  max.  adversus  annonae  difficultatem 
subsidia  praeparans,  horreum  in  thermis  diocletianis  extruxit 
anno  lobilei  mdlxxv.  pont.  sui .  Hi  ». 

Veggasi  il  cod.  vat.  9160.  «Le  terme  diocleziane  illustrate  da 
Francesco  Cancellieri  con  le  chiese  ivi  erette  ». 

Piazza  Colonna  in  facciata  di  quella  casa  alta  in  Via  lata 


4 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  233 

[499I]  ch'era  d'uno  de'Buffali  et  bora  è  di  mr.  Fabritio  La:(- 
Xaro  dottore  celebre. 

«  Sedente  Paulo .  iij Pont.  opt.  Max.  suadente  urbis  ornatu  Io: 
bapta  Bubalus  solo  equauit,  instauravit  q.  attuo  D.  1^48». 

Dentro  nello  scoperto  è  un  pilastro  appoggiato  al  muro  con 
busti .  2  .  di  mex^o  rilieuo,  a  man  dritta  d'homo  vecchio  raso, 
et  alla  manca  di  donna  attempata  co  spessi  capelli  e  ricci. 

((  L.  Tullio  Diotimo  »  \cet.  C .  I .  L.  VI,  1^24]. 

Dentro  questa  casa  di  mr.  Fabritio  Lazzaro  è  ancora  una 
rara  statua  nuda  di  Venere. 

Il  cippo  di  L.  Tullio  Diotimo  fu  scoperto  nella  vigna  di  Gio.  Paolo 
Manfredi,  fuori  della  porta  s.  Pancrazio  l'anno  1567.  Passò  quindi 
nella  casa  dei  Ceuli  a  strada  Giulia,  poi  in  questa  di  Fabrizio  Laz- 
zaro. Ora  trovasi  in  villa  Borghese.  Più  sotto  si  troveranno  altre 
notizie  intorno  questa  casa. 

[500].  Campidoglio.  Nella  prima  sala  del  senatore,  et  in  capo 
di  lei  è  statua  di  marmo  bianco: 

«  Gregorio  XIII  poni.  max.  opt.  principi  -  Hugoni  Bon- 
compagno  bononiensi  qui  per  romanos  magistratus  et  ecclesia- 
sticas  dignitates  Tustitiam  et  pietatem  coleus,  ad  pontificiant  sedem 
evectus  universam  rempuhlicam  christianam  summa  prudentia 
et  charitate  moderatur.  S.  P.  Q.  R.  Hier.  Bubalo,  Camillo 
Mancino,  et  Ber.  Caualerio  conss.  ». 

Pur  ivi  al  muro,  e  con  statua  di  aspetto  veramente  virile 
e  nobile,  che  sede  con  la  corona  in  testa  e  con  palla  in  una 
mano,  nell'altra  mostra  tenesse  la  bacchetta  reale: 
[500^].  <(  Ille  ego  pr acciari  tuleram  qui  sceptra  senatus 
Rex  Siculis  Carolus  iura  dedi  populis: 

Ohrutus  heu  iacui  saxis  fumoque:  dederunt 
Hunc  tua  conspicuum  tempora,  Sixte,  locum. 

Hac  me  Matheus  posuit  Tuschanus  in  aula 
Et  patriae  et  gentis  gloria  magna  suae. 

Is  dedit  et  populo,  post  me,  bona  iura  senator 
Insignis  titulis  dotibus  atque  animi. 

Anno  Domini  MCCCCLXXXI .  Ili  semestri  ». 


2  34 


'7^.  Lanciani 


\ 


Nell'adornamento  h  V arme,  di  Sisto  pp.  4°,  eh' è  la  cerqtia, 
del  Senato  romano,  et  im  altra.  DaW altra  banda  della  porta 
nella  sala  medesima  è.  nel  muro  e  alla  stessa  mano,  con  statua 
che  pur  sede  e  tiene  in  una  mano  le  chiavi,  e  con  l'altra  dà 
la  beneditione: 

[501].  «Paulo  III  poni.  max.  qtiod,  eius  iussu  atispiciis  atqm 
aere  xotilato,  urbem  sitn  et  divertiadis  viarum  deformem  et 
imperviam,  disieUis  male  posìtis  aedificiis,  in  meliorem  fortnam 
redegerint,  viis  areisque  cnm  veteribus  directis  et  ampliatis,  timi 
novis  constitutis  auxerint  ornaverin(t)  qtie,  Latinus  luvenalis 
Mannectiis,  Hyer.  Mapheiis  cnr.  viar.  urbe  instaurata,  officii 
et  memoriae.ergo,  statuam  in  capitolio  opt.  pont.  posucrunt, 
anno  Christi  M .  D  .  XLIII  ». 

Dalle  bande  é  l'arme  de  Maffei  e  del  compagno. 

Nella  pia^iXft  di  s.  Giovanni  Laterano,  presso  le  scale  sante, 
con  l'arme  papale,  al  posamento  del  cavallo,  che  noti  c'è: 

((  Sixtus  ini  pont.  max.  equum  hunc  aeneum  vetustate 
quassum  et  iam  collabentem  cum  sessore  restituit  n. 

Hora  sta  nella  piazza  di  Campidoglio,  e  nel  posamento 
[501^]  sono  intagli  di  ynex^o  rilievo,  e  l'arme  del  papa  e 
dd  popolo,  guardando  il  cavallo  verso  Roma.  Dalla  banda 
d'Aracoeli: 

((  Paulus  III  pont.  max.  statuam  aeneam  equestrem  a 
S,  P.  Q.  R.  M.  Antonino  Pio  etiam  tum  viventi  statutam,  variis 
dein  urbis  casib.  eversam,  et  a  Syxto  IIII  pont.  max.  ad 
lateran.  basilicam  repositam,  ut  memoriae  opt.  principis  con- 
suleret,  patriaeq.  decora  atq.  ornamenta  restitueret,  ex  humi- 
liori  loco  in  aream  capitolinam  transtulit,  atque  dicavit  ann. 
sai.  M.DXXXFlH  ». 

Verso  li  •  conservatori  (Iscrizione  fittizia  di  M.  Antonino). 
Dinnanzi  nel  basso  : 

«  Augustinus  Trincius,  lacobus  Bucca  Bella,  Caesar  de 
magistris  conservatores  cur  ».      . 

[502].  Nella  prima  sala  de'  conservatori  in  Campidoglio.  Alla 
statua  dorata  d'Hercole: 


//  Codice  barberinìano  XXX,  8q  235 

«  S.  P.  Q.  R.  Signum  Hcrculis  aeneum  in  foro  boario  ad 
aram  maximam  egestis  ruderihus  repertiim  et  Syxto  UH  poni, 
max.  in  Capitolium  translatum,  nova  collocatum  basi  reposuit, 
Gregorio  XIII  p.  m.  » 

Questo  è  in  faccia  del  posamento,  e  da  una  banda  : 

((  Octavio  Muto  de  Papaztiris,  Hier  Rusis,  Petro  mathia 
Pignaneìlo  cons.  ». 

hi  questa  sala,  nella  facciata,  sopra  tavola  di  bronco,  ador- 
nata intorno  di  pietra  bianca,  circondata  di  rossa  con  vene 
bianche  : 

«  Senatus  populusque  romanus  monumentum  regiae  legis 
ex  Laterano  in  Capitolium  Gregorii  XIII  pont.  max.  aucto- 
rìtate  reportatum,  in  antiquo  suo  loco  reposuit  ». 

Questo  è  rifatto  in  pietra  nera  a  lettere  d'oro:  poi  segue 
cosi  V antico  scritto  in  bronco  :  ma  da  pie  sta  pur  aggionto  con 
tal  parole: 

[502^].  «  Jo:  bapta  Buccabellio,  Pompeio  Rogerio,  lulio  Gual- 
terio  cons.  ». 

[503J.  [Segue  il  testo  della  Lex  regia,  CIL.  VI,  930]  e  qui  è  rotto 
il  bronco.  In  questa  prima  sala  de'  conservatori  hanno  lasciato, 
nel  renovare,  quattro  quatri  depinti  nelle  facciate  a  tempo 
d' Alessandro  VI,  che  ci  son  l'armi,  hora  che  risarciscono  il 
Campidoglio,  an:(i  lo  rifanno. 

[504].  Nel  primo  quatro  è-  la  fondatione  del  ponte  Sublicio, 
ch'i  quello  tagliato  da  Horatio,  e  quivi  apparisce  tutta  quella 
historia,  et  il  vestire  delle  donne  di  quei  seculi.  Nel  2do  ve- 
denio  lo  steccato  et  il  successo  tra  gli  oratii  e  coriatii,  con  bello 
ordine  e  varia  moltitudine.  Queste  pitture  sono  finissime  e  lavo- 
rate per  mani  dottissime  veramente  tutte,  ma  la  presente  passa 
li-  termini,  avan:(ando  forse  gli  antichi,  massime  nel  ritratto 
degli  occisi  con  quei  gesti  e  quelle  ferite  somiglianti  al  naturale. 
Di  sorte  che  genera  stupore  a'  riguardanti.  Nel  terbio  sta  Cesare 
dittatore  perpetuo  con  alcune  cerimonie.  Nel  quarto  era  lo  impe- 
ratore creato  mentre  arava. 
[504^].  Nella  detta  sala  erano  .  2  .  quatri.  Si  rappresenta  nel 


236 


9^.  Lanciani 


n 


primo  la  rotta  de  Sanniti,  e  nel  2°  sono  raddunati  a  dar 
leggi,  e  simile. 

Pitture  iti  una  stanza  più  dentro  con  tali  memorie: 

«  Fedus  Luctatii.  Cartagineses  non  solimi  Sicilia,  verum 
insulis  que  inter  Sicilia  Italiamq.forent  excedat  captivos  restituàt, 
sotios  no  vexent,  et  duo  millia  .  et .  ducenta  talenta  in  anos  X 
pendàt  ». 

E  nel  presente  palaxxp  de  Conservatori,  da  una  banda 
della  porta: 

«  S.  P.  Q.  R.  capitolium  praecipue  iovi  olim  commendatum, 
nunc  deo  vero  cunctorum  honorum  auctori  lesu  Christo  cum 
salute  communi  supplex  tuendum  tradit,  anno  post  salutis  ini- 
tium  M.D.LXVIIl  ». 

Dall'altra  banda  incontro: 

«  S.  P.  Q.  R  maiorum  suorum  praestantiam,  ut  animo  sic 
re,  quantum  licuit  imitatus,  deformatum  iniuria  temporum  capi- 
tolium restituit.  Prospero  Buccapadulio  Thoma  Cavalerio  cura- 
toribus,  anno  post  urbem  conditatn  CXJCXJCCCXX  ». 

Nello  scoperto  al  muro: 

((  S.P.Q.R  monumenta  marmorea  magistratuum  triumpho- 
rumque,  ab  urbe  condita  ad  tempora  divi  Augusti,  ruderibus 
in  foro  egesiis  eruta,  impensa  Alex  Farnesii  card.  Pauli  III 
[501^]  pont.  max.  nepot.  in  Capitolio  p.  ». 

Sotto  sono .  12 .  versi  latini  di  questo  suggetto  [Forcella,  I,  88] 

In  un  posamento  di  marmo  tenuto  ivi  sudiciamente  con  altre 
cose  [Iscrizione  di  Vespasiano,  CIL,  VI,  931.] 

Nel  palazzo  de'  Conservatori  in  Campidoglio  una  statua 
in  pie,  con  palla  in  mano  bassa,  e  nell'altra  un  non  so  che, 
e  con  tal  iscrittione: 

[50^].  ((  S.  P.  Q.  R  C.  lulio  Caesari  dictatori  perpetuo».  — 
Da  una  banda  nel  posamento  è  ancora:  «  Dedic.  Honophrio 
Camaiano,  Hippolyio  Salviano,  M.  Antonio  Palosio  cons.  »  — 
Dall'altra  banda:  «  Ex  aedibus  Alexandri  Rufini  Melphiensium 
Episcopi  in  Capitolium  translata  ». 

Nell'entrata  presso  le  scale  si  legge  la  dichiaratione  per 


//  Codice  barberiniano  XXX^  8g  287 

conto  della  prccedenxfi  nella  processione  che  si  faceva,  mentre 
si  portava  il  salvatore  a  sta  Maria  maggiore  da  san  Giovanni 
Laterano,  in  conformità  di  una  cerimonia  antica.  Questa 
procession  bora  è  intromessa  per  essere  suprastitiosa.  [Segue  il 
testo  della  iscrizione  che  ancora  quivi  esiste,  cf.  Forcella,  I,  60]. 

La  fondazione  del  museo  capitolino,  viste  le  condizioni  dei  tempi 
e  della  coltura  generale,  è  una  delle  maggiori  glorie  di  Sisto  IV',  e 
vale  a  discolparlo  in  certa  guisa  dei  molti  atti  vandalici  da  lui  com- 
messi a  danno  degli  antichi  monumenti,  non  ostante  le  proteste  di 
persone  assennate,  quale  è  quella  di  Fausto  Maddalene  di  Capo  di 
Ferro,  nel  cod.  vat.  3351,  f.  56.  II  museo,  solennemente  costituito  ai 
14  di  dicembre  147 1  (Forcella,  Iscr.,  I,  28,  n.  16)  comprendeva  il 
fanciullo  che  si  cava  la  spina  -  l' Ercole  del  foro  boario  -  il  gruppo 
marmoreo  del  leone  col  cavallo  -  la  mano  di  bronzo  col  globo  -  l'urna 
dì  Agrippina  -  la  Zingara,  dai  più  riconosciuto  nel  Camillo  (cf  le  An- 
tiquarie di  Prospettivo  Milanese,  ed.  Cori,  1876,  pag.  25  -  la  lupa 
e  gli  altri  bronzi  già  del  Laterano  (Stevenson,  Ann.  Inst.,  1877, 
pag.  52,  sg.)  -  alcuni  busti -e  la  statua  di  Carlo  d'Angiò.  Nella  iscri- 
zione che  ricorda  la  fondazione  del  museo  per  opera  di  Sisto  IV,  è 
notevole  la  frase  «  insignes  statuas,  priscae  excellentiae  virtutisque 
monumentum  populo  romano....  restituendas  censiiit  ».  Questo  solenne 
riconoscimento  dei  diritti  del  comune  sui  monumenti  della  città,  fatto 
nel  secolo  xv  da  Sisto  IV,  confermato  nel  secolo  seguente  da  Paolo  III 
(patriae  decora  atque  ornamenta  restituit)  trova  un  curioso  riscon- 
tro nel  contegno  di  talune  autorità  verso  il  comune  stesso  dopo 
l'anno  1870.  Abbiamo  udito  perfino  negare  al  comune  il  possesso 
delle  raccolte  archeologiche  capitoline,  dopo  decorsi  quattrocent'anni 
dalla  loro  prima  costituzione.  Ma  per  tornare  all'istitutore  delle  me- 
desime, a  Sisto  IV,  è  vero  che  i  pochi  oggetti  d'arte  da  lui  restituiti 
alla  città  formavano  un  gruppo  di  gran  lunga  inferiore  ai  tesori  rac- 
colti da  Paolo  II  suo  predecessore.  Ma  mentre  le  collezioni  del  Barbo 
furono  affatto  private  ed  inaccessibili,  Sisto  ebbe  il  merito  di  aprire 
al  pubblico  il  nuovo  museo,  e  di  inaugurare  in  tal  guisa  una  riforma 
che  doveva  col  volger  degli  anni  trovare  tante  e  così  nobili  imita- 
zioni in  Roma  ed  altrove.  L'epigrafe  commemorativa  del  museo  fon- 
dato nel  palazzo  dei  Conservatori  dice  cosi  : 

«  Sixtus  IIII  pont.  max.  ob  immensam  benignitatem  aeneas  in- 
signes statuas  priscae  excellentiae  virtutisque  monumentum,  romano 
populo,  unde  exortae  fuere,  restituendas  condonandusque  censuit.  La- 
tino de  Ursinis  cardinali  camerario  administrante,  et  lohanne  Alpe- 


238 


'T^.  Lanciani 


n 


rino,  Phil.  Paloscio,  Nicolao  Pinciaronio  Urbis  conservatoribus  pro- 
curantibus.  Anno  salutis  nostrae  MCCCCLXXI,  XVIII  kal.  ianuar  ». 
(Forcella,  Iscr.,  I,  28,  n.  16). 

È  deplorevole  che  questo  venerabile  nucleo  del  museo  capitolino, 
sia  stato  con  sì  poca  avvedutezza  disperso  nei  tre  palazzi  municipali, 
mentre  avrebbe  dovuto  gelosamente  custodirsi  nel  suo  essere,  nella 
sua  semplicità  primitiva,  come  un  vanto  piuttosto  nazionale  che  cit- 
tadino. La  mano  col  globo,  l'Ercole,  la  lupa,  il  Camillo,  il  fanciullo 
dalla  spina,  stanno  in  una  oscura  e  bassa  sala  del  palazzo  dei  Con- 
servatori; l'urna  d'Agrippina  in  un  angolo  del  cortile,  la  statua  di 
Carlo  d'Angiò  in  fondo  alle  scale,  la  lex  regia  nel  museo,  e  così  via 
discorrendo. 

La  descrizione  del  palazzo  dei  Conservatori  nel  codice  barberi- 
niano  è  veramente  importante,  non  ostante  che  proceda  a  sbalzi  e 
senz'ordine.  L'anonimo  descrittore  visitò  il  palazzo  nel  momento  della 
sua  trasformazione. 

La  statua  di  Gregorio  XIII  fu  tolta  dall'aula  del  palazzo  sena- 
torio nel  1876,  e  trasportata  nella  chiesa  dell' Aracoeli,  dappresso  alla 
cappella  del  Pinturicchio.  L'epigrafe  antica  non  so  dove  ora  stia  :  in 
sua  vece  leggesi  questo  ricordo  del  traslocamento  : 

«  Translata  de  aula  maxima  palatii  capitolini  anno  MDCCCLXX  VI, 
curante  Petro  Venturi  syndico  Vrbis  ». 

Nel  plinto  è  incisa  la  firma  dello  scultore:  «  P.  Pauli  Oliveri 
opus  ».  Veggasi  il  poemetto  «  In  effigiem  marmoream  Gregorii  XIII 
positam  in  Capitolio  »  nel  cod.  vat.  7192,  f.  245'  sg. 

La  statua  di  Carlo  d'Angiò  fu  tolta  dall'aula  senatoria  nell'  istessa 
occasione,  e  collocata  in  fondo  al  vestibolo  terreno  del  palazzo  dei 
Conservatori.  Sul  lato  destro  del  piedistallo  è  incisa  la  memoria  del 
traslocamento  simile  a  quella  trascritta.  Intorno  alle  vicende  dell'iscri- 
zione metrica,  cf.  Archivio  storico....  della  città  e  provincia  di  Roma, 
1875,  pag.  48. 

La  statua  di  Paolo  III  fa  ora  riscontro  a  quella  di  Gregorio  XIII 
nella  chiesa  dell'Aracoeli.  L' iscrizione  del  sindaco  Venturi  è  ripetuta 
sul  piedistallo. 

Sisto  IV,  per  racconciare  il  celebre  simulacro  equestre  di  M.  Au- 
relio si  valse  dell'opera  di  Nardo  Corbolini  e  di  Leonardo  Guidocci, 
maestri  orefici.  I  restauri  durarono  dal  luglio  1473  al  dicembre  1474, 
e  costarono  600  fiorini  d'oro,  senza  computare  la  nuova  base  di  marmo. 
L'iscrizione,  omessa  dal  Forcella  è  data  dall' Albertini,  de  mirah., 
ed.  1515,  f.  62.  [Muntz,  les  arts,  III,  177]. 

Il  merito  di  aver  rivolta  l'attenzione  al  gruppo  equestre  e  di  aver 
iniziato  i  risarcimenti  spetta  a  Paolo  II.  I  documenti  inediti,  raccolti 


//  Codice  barberiniano  XXX^  8g  239 


e  pubblicati  per  la  prima  volta  dal  Muntz,  1.  e,  II,  92,  sg.,  dimo- 
strano come  fino  dal  novembre  1466  si  fosse  incominciata  a  costruire 
una  «  domuncula  prò  resarcendo  equum  ereum  apud  sanctum  lohan- 
nem  »  con  600  tavole  di  castagno  del  valore  di  30  fiorini  d'oro.  La 
mano  d'opera  era  costata  22  fiorini  e  91  bolognini.  L'artefice  inca- 
ricato del  ristauro  chiamavasi  Cristoforo  de  Gieremiis  da  Mantova: 
la  sua  mercede,  sborsata  il  25  giugno  1468,  fu  di  300  fiorini.  Paolo  III 
trasportò  il  gruppo  sul  Campidoglio  nel  1538,  ai  24  di  marzo,  come 
risulta  dai  Diarii  di  Cola  Coleine,  Bibl.  chigiana,  F  VI,  146,  pag.  266. 
Egli  trasportò  pure  nell'istesso  luogo  i  due  Costantini  scoperti  nelle 
terme  sul  Q.uirinale.  Vacca,  mem.,  io. 

Il  piedistallo  della  statua  equestre  fu  tagliato  da  un  architrave  del 
foro  Traiano  secondo  il  Vacca,  mevi.,  18,  da  un  marmo  del  tempio 
dei  Castori  secondo  il  Ligorio.  Paolo  III  trasportò  pure  «  in  capitolio 
signu[m]  Minervae  e  parietinis  urbis  veteris  erutum  »  [Forcella,  I,  43] 
collocato  poi  da  Gregorio  XIII  «  in  illustriore  areae  loco  »  [ivi,  71]. 

Intorno  alla  statua  di  Ercole  del  foro  boario,  alla  sua  scoperta, 
al  suo  trasferimento  sul  Campidoglio,  ed  alla  distruzione  del  tempio 
dove  fu  rinvenuta,  si  consultino,  oltre  gli  autori  più  noti,  B.  Ruc- 
CELLAi,  de  urbe  Roma,  pag.  968,  ed.  Tartini-Becucci:  Momtfaucon, 
Diarium,  pag.  173:  R.  Maffeo  da  Volterra,  RR.  nrhauar.  Comment., 
1.  VI.  L'Albertini,  opusc,  f.  86,  ed  il  De  Rossi,  Ara  Massima,  in 
Ann.  Inst.,  1854.  L'Albertini  trascrive  l'iscrizione  commemorativa 
del  simulacro  a  questo  modo  : 

«  Syxto  IlII  Pont.  max.  regnante  aeneum  Herculis  simulachrum 
aurea  mala  secundum  vivente  (sic)  tropeum  sinixtra  gerentis  in  ruinis 
Herculis  Vict.  fori  boar.  effossum,conservatores  in  monumentum  glo- 
riae  romanae  heic  locandum  curarunt  ».  Sulle  iscrizioni  incise  «in 
basi  Herculis  aenei  »  cf.  Forcella,  I,  70. 

Importantissima  è  la  descrizione  ed  il  catalogo  degli  affreschi  di- 
pinti al  tempo  di  Alessandro  VI,  nella  prima  sala  del  palazzo  dei 
Conservatori,  e  periti  al  tempo  di  Sisto  V.  Si  vede  che  il  cav.  d'Ar- 
pino  si  è  ispirato  al  concetto  delle  vetuste  decorazioni,  dipingendo  la 
sala  degli  Orazi.  Gli  affreschi  della  «  stanza  più  dentro  »  rappresen- 
tanti i  fatti  delle  guerre  puniche,  ancora  in  essere,  sono  attribuiti  a 
Benedetto  Buonfiglio  «  assai  stimato  nella  sua  patria,  innanzi  che  ve- 
nisse in  cognizione  Pietro  Perugino  «  come  dice  il  Vasari,  V,  276. 
Il  Buonfiglio  ce  molte  cose  lavorò  in  Roma»  nel  quadriennio  1450- 
1453.  Veggasi  il  Muntz,  1.  e,  I,  93. 

L'iscrizione  che  ricorda  il  traslocamento  dei  fasti  sta  ancora  in 
opera.  L'epigramma,  o  siano  i  12  versi  latini,  dei  quali  parla  il  co- 
dice, furono  dettati  dal  cardinale  Michele  Silvio. 


240 


'7^.  Lanciarli 


f 


Nelle  iscrizioni  commemorative  del  Campidoglio  rinnovellato  che 
ancora  si  leggono  sui  due  lati  dell'ingresso  al  cortile  dei  Conservatori, 
appariscono  i  nomi  di  Tommaso  Cavalieri  e  di  Prospero  Boccapa- 
duli.  I  due  gentiluomini  furono  grandi  amatori  e  collettori  insigni  di 
scolture  e  di  lapidi.  Il  nome  di  Tommaso  Cavalieri  apparisce  so- 
vente nel  CIL,  come  possessore  di  piedistalli  e  di  marmi  scavati  nelle 
regioni  Vili  e  X.  Prospero  Boccapaduli  custodiva  nella  propria  casa 
i  rilievi  trionfali  dell'arco  di  Traiano  a  «  Spoglia  Cristi  »,  i  disegni 
dei  quali,  importanti  oltre  ogni  dire,  ho  scoperto  nel  codice  vat.  3439. 
Egli  presiedette  nel  1555  alla  ricostruzione  di  una  parte  del  Campi- 
doglio; e  nell'anno  1566  collocò  ed  ordinò  nel  museo  capitolino  le 
statue  del  Belvedere  vaticano,  donate  alla  città  da  Pio  V.  Veggasi 
il  Vacca,  mem.,  9,  ed  il  Bicci, /«w.  Boccapaduli,  pag.  114,  il  quale 
divulga  r  inventario  delle  statue  dettato  dallo  istesso  Prospero. 

Prima  di  dar  fine  a  questo  comento,  parmi  utile  ricordare  un  altro 
monumento  del  palazzo  dei  Conservatori  del  quale  s'è  perduta  ogni 
traccia:  cioè  la  cisterna,  abolita  dopo  la  perduzione  dell'acqua  felice 
per  opera  di  Sisto  quinto.  Nel  puteale,  oltre  alla  iscrizione: 

«  Antonius  Militius,  Stephanus  Teulus,  Sanus  Corona  coss.  cister- 
nam  hanc  vetustate  deforme[m]  in  meliorem  forma[m]  restituerunt  », 
leggevasi  pure  questo  brillante  epigramma: 

«Nos  vas  condidimus:  pluvia,  tu  lupiter,  imple, 
Praesidibusque  tuae  rupis  adesse  velis  ». 

(continua). 


VARIETÀ 


T)i  un  Processo  in  datene  nel  i3o2. 

Nel  R.  Archivio  di  Firenze  si  trovano  gli  atti  auten- 
tici del  processo,  che  si  fece  nel  1302  in  Atene  contro 
Guglielmo  de  Bandonina  cantore  della  chiesa  di  Daulio  fDo- 
valiensis  diceceseos)  il  quale  aveva  oltraggiato  usque  ad  ef- 
fusloneni  san^uinis  Viviano  tesoriere  e  canonico  della  diogesi 
di  Tebe.  Gli  atti  sono  scritti  in  cinque  fogli  di  carta  per- 
gamena cuciti  l'un  l'altro,  e  portano  da  oltre  trecento  versi 
di  scrittura,  e  rogati  da  Ilto  de  Tribiìian  notaro  imperiale 
in  Atene,  con  data  dell'i i  agosto  1302.  Essi  si  conser- 
vavano nel  monastero  degli  Olivetani  di  S.  Bernardo  di 
Arezzo,  e  di  quivi  ne'  primi  del  presente  secolo  furono  tra- 
slocati all'Archivio  di  Stato.  Siccome  da  loro  si  traggono 
delle  utili  notizie  sull'oscurissima  condizione  delle  diogesi 
della  Chiesa  ateniese^  però  non  sarà  vano  mostrare  come 
andò  questo  processo. 

Viviano,  tesoriere  e  canonico,  assahto  e  fortemente  per- 
cosso da  Guglielmo  cantore,  diresse  la  sua  querela  al  papa 
Bonifacio  Vili,  che  allora  stava  in  Roma;  e  il  papa  con 
lettera  pontificia  datata  dal  Laterano  delegò  ad  istituire  il 
processo  e  deferire  la  scomunica  Lorenzo  de'Gandolfi  di 
Roma,  che  in  Atene  aveva  l'officio  di  tesoriere  fthesaura- 
riiis  Athenarum).  Pare  ch'egU  fuggisse  colà,  per  la  persecu- 
zione che  avevano  fatto  i  Colonnesi  alla  sua  famiglia; 
perchè  in  fine  del  processo  ricorda,  che  «  domimis  Johannes 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  16 


242 


Varietà 


de  Coliipna  ciim  miiìtitiidine  maxima  armatorum  bellicose  ex- 
pulit  dominiim  Angelum  de  Candolphinis  de  domibiis  suis.  Item 
dicti  Coìumnenses  in  Capestro  beilo  iiixta  castrum  Candolpin- 
norum  interfecerunt  filium  domini  lohannis  de  Candulphis  » . 
Si  vede  inoltre  dal  processo,  che  sebbene  l'Attica  e  gran 
parte  del  Peloponneso  fossero  allora  in  preda  dei  Catalani, 
erano  divenuti  pure  il  rifugio  di  molti  Italiani,  non  pochi 
dei  quali  avevano  ottenuto  cariche  ecclesiastiche. 

Prima  che  il  processo  s' istituisse  regolarmente,  il  can- 
tore Guglielmo  aveva  fatto  appello  all'arcivescovo  di  Atene 
per  averlo  dalla  sua,  ma  a  nulla  attecchì.  Si  chiamava  questi 
Ero  (Ero  Atheniensi  archiepiscopo),  che  del  tutto  ignoto  finora 
(per  quanto  sappia),  (i)  si  dovrà  porre  fra  Stefano  e  Fran- 
ceschino  (Le  Quien,  Oriens  Cìmst.,  Ili,  pag.  840).  Il  can- 
tore si  presentò  in  camera,  ubi  hospitabatur  pradictus  dominus 
arcJjiepiscopus,  e  dinanzi  alla  persona  domini  Bononcimtri  de- 
cani argolicensis.  Poco  appresso,  chiamati  il  querelante  e 
l'offensore  a  comparire,  si  aprì  l'udienza  dinanzi  al  dele- 
gato pontificio  Lorenzo  dei  Gandolfi,  e  corani  domino  Guil- 
lelmo  de  Lattaca  Merellario  ecclesia  Atheniensis.  Quest'ufficio 
di  Merellario  non  lo  trovo  nell'edizione  del  Du  Gange  di 
questa  biblioteca  aretina  (Venetiis,  1739);  ma  dalla  voce 
meralltis  o  merellus  bene  si  argomenta,  ch'era  una  specie 
di  sagrestano  particolarmente  addetto  a  distribuire  la  tes- 
sera^ e  segnare  le  puntate  a  coloro  che  dovevano  interve- 
nire agli  uffici  divini. 

Il  cantore  non  negò  il  fatto,  ma  cavò  fuori  un  monte 
di  cavilli,  tacciò  il  tribunale  d' incompetenza,  e  sostenne 
che  non  era  incorso  nella  scomunica,  perchè  Viviano  era 
già  inflitto  di  scomunica  maggiore,  in  quanto  che  col  fa- 
vorire i  Golonnesi  veniva  a  dire  che  Bonifacio  non  era  il 
vero  papa;  e  qui  citò  varie  testimonianze.  Il  delegato  pro- 

(i)  Non  si  può  riconoscere  in  lui  l'arcivescovo  SUphanus  Man- 
giaterus  (13  io?)  citato  dal  Gams,  Series  epp.  Eccl.  Caih.,  pag.  430; 
giacché  dovevasi  adoperare  assolutamente  il  nome  di  Stephanus. 


Varietà  243 

rogò  il  giudizio  ad  un'altra  udienza;  nella  quale  non  com- 
parve l'offeso  Viviano,  ma  fece  la  procura  a  Rogerio  prete  e 
vicario  della  diogesi  tebana,  e  che  fu  stipulata  in  curia  ar- 
cìmpiscopatiis  Thebariiin;  dalla  quale  si  desume  che  la  sen- 
tenza si  sarebbe  dovuta  pronunziare  a  Tebe,  piuttosto  che 
ad  Atene,  se  in  Tebe  fosse  stato  un  luogo  per  il  tribu- 
nale. Teneva  allora  l'arcivescovado  tebano  Niccolò,  di  cui 
non  si  aveva  una  notizia  anteriore  al  1308  (^Or.  Chr.,  Ili, 
pag.  1084).  Qui  figura  il  cantore,  che  dà  nuove  eccezioni, 
nelle  quali  viene  a  sapersi  il  luogo  dove  egli  dimorava,  o 
dove  il  fatto  avvenne,  che  si  chiamava  Corianos,  et  ìocns 
qui  dicitur  Petra,  et  isti  loci,  qui  sunt  de  dioecesi  Dovaliensi, 
non  distant  ab  ecclesia  et  castro  Athenarum  unam  dietam  ;  et 
ecclesia  Dovalicnsis  est  sujfraganea  ecclesia  Atheniensi.  Ma  nel 
processo  si  obbietta  contro,  che  questa  distanza  non  era 
la  vera,  ma  invece  di  due  e  più  diete  dai  confini  della  dio- 
gesi di  Daulio  ad  Atene.  Il  delegato  non  giudica  ancora, 
e  rimanda  la  sentenza  all' 11   di  agosto. 

A  questa  udienza  definitiva  si  presenta  la  procura  del 
cantore,  la  quale  fu  fatta  nella  chiesa  di  Daulio  coram  Tho- 
masio  de  Bonis  Fermopolensi  electo  et  confirmato.  Qui  si  tratta 
di  un  nuovo  vescovo  eletto  e  confermato;  e  di  vero  il 
vescovo  di  Daulio  era  morto  di  fresco,  e  si  chiamava  Gio- 
vanni, flohannem  quondam  Dovaliensem  episcopumj,  e  Tom- 
maso de  Boni  ne  era  divenuto  adunque  il  successore.  Ciò 
è  evidente,  che  non  si  può  pensare  ad  una  diogesi  di  Fer- 
mopoli,  che  non  è  esistita,  ma  sibbene  che  egli  fosse  della 
città  di  Fermo,  nella  quale  viveva  allora  il  vescovo  Albe- 
rigo Visconte  (Ughelli,  It.  Sacra,  II,  711).  Preziose  queste 
notizie,  che  dei  nomi  dei  vescovi  di  Daulio  non  ne  sap- 
piamo niente  prima  del  1376^.  (Or.  Chr.,  Ili,  pag.  855). 
Rispetto  poi  alla  sentenza,  il  cantore  Guglielmo,  nonostante 
l'acre  difesa  fatta  dal  suo  procuratore,  venne  condannato 
e  scomunicato. 

L'inserto  del  processo  originale  colla  sentenza  fu  in- 


244  Varietà 

viato  a  Bonifazio  Vili,  che  vi  ponesse  la  sua  sanzione. 
Molto  probabilmente,  se  non  certamente  è  quello  stesso, 
che  capitò  quindi,  non  so  per  quale  destino,  nel  mona- 
stero degli  Olivetani  di  Arezzo,  e  che  cosi  fino  a  noi  si 
è  conservato. 


G.  F.  Gamurrini. 


Varietà  243 


Una  ^olla  inedita  di  papa  Gregorio  X. 

Allorché  nella  primavera  del  126$  Carlo  d'Angiò  si 
mosse  alla  volta  di  Roma,  la  repubblica  di  Pisa  mandò 
a  Manfredi  un  buon  numero  di  galee,  perchè  unite  alle 
sveve  impedissero  il  passaggio  dell'Angioino  alla  imboc- 
catura del  Tevere  (i);  e  chiuse  le  porte  al  fratello  di 
S.  Luigi.  Perciò  il  papa  Clemente  IV  colpì  d'interdetto 
la  città  di  Pisa,  che  se  ne  Hberò  il  15  aprile  del  1266  col 
deporre  nelle  mani  del  pontefice  trentamila  lire  e  col  ri- 
mettersi a  quanto  aveva  ordinato  (2). 

Ma  nel  1268  dirigendosi  il  giovane  Corradino  alla  con- 
quista del  reame  di  Napoli,  tolto  da  Carlo  a  Manfredi  nel 
126^,  fu  accolto  come  legittimo  imperatore  dalla  repub- 
blica di  Pisa,  che  lo  provvide  di  buona  somma  di  danaro  (3), 
gli  fece  grandi  offerte  di  aiuto,  fornì  a  lui  cavalieri  e  ba- 
lestrieri, e  fece  scorrer  molte  galee  per  i  Hdi  napolitani, 
portandovi  danni  non  lievi  in  alcuni  paesi,  volgendone  altri 
alla  devozione  degli  Svevi  (4)  ed  ogni  cosa  tentando  per 
rendere  meno  difficile  a  Corradino  il  riacquisto  del  reame. 
Perciò  la  repubblica  pisana  ricadde  in  disgrazia  del  papa, 
che  sottopose  di  nuovo  all'  interdetto  la  città  ribelle  ai  suoi 
voleri,  le  tolse  la  dignità  arcivescovile  ed  altri  insigni  pri- 
vilegi, di  cui  godeva  la  Chiesa  pisana  da  tempo  assai  antico. 

Morto  Clemente  IV  sul  finire  di  novembre  del  1299, 

(i)  Saba  Malaspixa  (In  Mur.,  Rer.  IL  Script.,  tomo  Vili),  lib.  II, 
cap.  XVII. 

(2)  Annali  Pisani  —  (Ibid.,  tomo  VI). 

(3)  G.  Villani,  lib.  VII,  cap.  23. 

(4)  Chi:  Far.  Pis.  in  Muratori,  Rer.  li.  Script.,  tomo  VI,  col.  198. 


246 


P^arietà 


vacata  la  S.  Sede  per  circa  due  anni,  veniva  eletto  ponte- 
fice Tebaldo  o  Tedaldo  della  nobil  casata  Visconti  di  Pia- 
cenza, arcidiacono  di  Liegi  (i)  che  prese  il  nome  di  Gre- 
gorio X:  uomo  di  grandi  virtù  e  pieno  di  zelo  per  lo 
incremento  della  fede  cristiana  in  Oriente  ove  si  trovava 
da  qualche  tempo.  Tornato  in  Italia  per  prendere  il  governo 
della  Chiesa,  intimò  un  generale  Concilio  per  la  liberazione 
di  Terrasanta,  da  tenersi  in  Lione,  alla  cui  volta  più  tardi 
si  diresse  partendo  da  Orvieto;  e  il  18  giugno  del  1273 
arrivò  a  Firenze  ove  stabilì  di  fermarsi  tutta  l'estate.  Do- 
lenti i  Pisani  dell'interdetto  e  della  perdita  dei  loro  privi- 
legi, avendo  così  prossimo  il  pontefice,  pensarono  a  man- 
dargli ambasciatori  per  supplicarlo  a  voler  ricevere  nelle  sue 
grazie  la  loro  città,  restituendole  quanto  le  aveva  tolto  (2). 
Gregorio  X  che  era  amante  della  pace  (3),  e  desiderava 
che  i  Pisani,  insieme  ad  altre  città  marittime  della  penisola, 
prestassero  con  buon  numero  di  galee  il  loro  valevole  con- 
tributo alla  santa  impresa;  accolse  benignamente  gli  am- 
basciatori della  repubblica,  che  sciolse  dalle  censure  nelle 
quali  era  incorsa:  e  restituì  alla  sua  chiesa  la  dignità  ar- 
civescovile insieme  a  tutti  gli  altri  privilegi  ed  onori  per 
mezzo  della  Bolla  che  ora  per  la  prima  volta  vede  la  luce, 
ed  alla  quale,  fra  i  cronisti  pisani,  accenna  monsignore 
Paolo  Tronci  in  due  luoghi  dei  suoi  annali  (4). 

Pietro  Vigo. 


Gregorius  episcopus  servus  servorum  Dei  ad  perpeUmm  rei 
memoriam.  Sicut  magni  benefici  inditium  est  indevotorum  exces- 
sihus  medicinalis  ultionis  antidotum  obiter  adhibere,  ut  qiios  a 

{1)  Muratori,  Annali  d'Italia,  ad  annum. 

(2)  Tronci,  Ann.  Pis.,  ann.  1273. 

(3)  V.  in  Capponi,  Storia  della  Rep.  di  Fir.,  lib.  II,  cap.  I,  i  tentativi 
del  pontefice  per  ristabilire  nella  città  la  più  perfetta  concordia. 

(4)  A.  1268;  a.  1273. 


Varietà  247 

filialis  devotionis  debito,  culpa  proprie  temeritatis,  avertit;  ad 
ipsius  observantiam  congruentis  saltem  severitatis  disciplina  con- 
vertati  sic  materne  pietatis  est  debitum  hiis  qui  post  indevo- 
tionis  lapsum  et  persecutionis  excessum,  fortiores  in  obsequendi 
proposito  et  continuande  in  posterum  devotionis  exhibitione  re- 
sìirgunt,  nec  pietatis  sinum  precludere,  nec  miserationis  ubera 
denegare.  Sane  dudum  felicis  recordationis  Clemens  papa  pre- 
decessor  noster,  ecclesiam  et  civitatem  pisanam  exigentìbus  ctilpis 
et  pertinacia  incolanim  civitatis  ipsius,  qui  contra  monitiones, 
inìnbitiones  et  comminationes  predecessoris  eiusdem  dudum  Cor- 
radino  quondam  Frederici  olim  Romanorum  imperatoris  nepoti 
pertinaciter  adherendo  prestiterunt  eidem  auxilium,  consilium 
et  favor em,  Romanam  Ecclesiam  et  devotos  ipsius  una  cum  ilio 
et  cum  f autor ibus  gravibus  afficiendo  molestiis  et  molestis  in- 
iuriis  aggravando  :  et  carissimum  in  Christo  filium  nostrum 
Caroluni,  Sicilie  regem  illustrem,  primo  paciarum  et  postea 
vicarium  Imperii  per  eandem  Ecclesiam  in  Tusciam  destinatum, 
non  solum  recusaverimt  admictere  veruni  etiam  se  UH  pre 
sumpserunt  opponere  ac  ipsum  moltipliciter  impugnare,  archie- 
piscopalis  dignitatis  privavit.  Verum  eidem  incolae,  tangente 
Domino  cor  ipsorum,  post  tantorum  excessuum  culpam,  magne 
humiliationes  pretendentes  indicia,  eiusdem  matris  Ecclesie  mi- 
sericordiam  continuata  diutius  instantia  implorarunt,  devotionis 
ad  eandem  ecclesiam  irrevocabiliter  observanda  suppUcantes 
oblationibus,  et  oblatis  devote  supplicationibus  insistentes,  ut  ad 
fineni  eiusdem  matris  ecclesie  a  quo  ipsi,  sua,  quam  recogno- 
scebant  humiliter,  perversitate  recesserant,  sola  miseratio  ma- 
terna reducer  et  et  circa  filios  penitentes  superexaltata  iudicio 
benignitas  pie  matris  ecclesie,  pisane  ac  civitati  predictis  de 
restitutione  dignitatis  metropolitice  misericorditer  provider  et.  Nos 
itaque  more  pii  patris  offensarum  immemores  ubi  ad  id  peni- 
tentie  signis  congruentibus  invitamur,  desiderantes  civitatem  pre- 
dictam  in  oblate  ad  eandem  ecclesiam  devotionis  proposito  multe 
benignitatis  exhibitione  firmare;  syndicos  et  procuratores  civi- 
tatis ipsius  ad  mandata  recepimus,  et  civitati  ac  incolis  me- 


248 


Varietà 


moratis  circa  excommunicationis  et  interdicti  sententias  occasione 
pretnissorum  latas  in  ipsos  de  absolutione  et  relaxatione  bene- 
ficio fecinms  provideri;  et  ut  eo  pìenius  Sedi  apostolice  shicere 
affectionis  vincuìis  astringantur,  quo  erga  se  ipsiits  henivoìen- 
tiam  in  remissionis  promptitudine  senserint  promptiorem,  de 
fratrum  nostrorum  Consilio,  eccksiam  pisanam  restititentes  in 
integrum  ipsi  ecclesie  nec  non  et  civitati  predicte  archiepisco- 
palem  dignitatem  cum  omnibus  iuribus  suis,  immunitatibus,  pri- 
vilegiis  et  quibuscumque  honoribus  a  sede  apostolica  ecclesie  con- 
cessis,  eidem,  prout  eadem  tempore privationis  huiusmodi  obtinebat 
de  grafia  restituimus  speciali.  Nulli  ergo  omnino  hominum  liceat 
hanc  paginam  nostre  restitutionis  infringere  vel  ei  ausu  teme- 
rario contraire.  Si  quis  autem  hoc  attentare  presumpserit  in- 
dignationem  omnipotentis  Dei  et  beatorum  Petri  et  Fault  apo- 
siolorum  eius,  se  noverit  incursurum.  Datus  Florentie  XII". 
kal.  Jnlii.  Pontificatus  nostri  anno  secundo. 

(R.  Archivio  di  Stato  in  Pisa^  Diplomatico,  Atti  pub- 
blici, 20  giugno  1273). 


BIBLIOGRAFIA 


Tito  Berti.  Dizionario  dei  Comuni  della  Provincia  di  Roma. 
Circondario  di  Roma  :  serie  prima.  Roma  (tipi  Arraanni) 

1882. 

È  il  primo  volume  di  un'opera  di  gran  mole  eh 'è  stato  pre- 
ceduto da  un  saggio  contenente  le  prime  pagine  del  volume  stesso, 
vale  a  dire  la  descrizione  del  comune  di  Afile.  Il  titolo  del- 
l'opera è  modesto  ed  inferiore  al  merito  di  essa,  che  in  sostanza 
è  una  illustrazione  dei  comuni  della  provincia  romana  sotto  il 
punto  di  vista  sì  della  storia  come  dell'economia  e  della  stati- 
stica. L'autore  avrà  forsB  inteso  rendere  la  sua  opera  pratica- 
mente più  utile  ordinandola  per  alfabeto.  Ad  ogni  modo  è  sempre 
un  lavoro  utile  e  commendevole  per  la  quantità  delle .  notizie 
accumulatevi.  Nel  volume  primo  descrivonsi  Ajile,  Agosta,  Al- 
iavo Laziale,  Anguillaia  Sabazia,  Anticoli  Corrado,  Ariccia  ed 
Arsoli.  Di  ciascun  comune  si  trovano  enumerate  la  circoscrizione 
politica,  giudiziaria  ed  amministrativa,  le  condi  zioni  topogra- 
fiche, le  notizie  storiche  antiche,  medievali  e  moderne,  le  tra- 
dizioni sacre,  i  monumenti,  le  costumanze,  le  particolarità  rife- 
ribili all'  industria  ed  alla  igiene,  le  biografie  dei  più  illustri 
nativi  del  luogo,  e  finalmente  le  fonti  letterarie.  Quantunque 
l'autore  non  sia,  a  quanto  apparisce  da  qualche  espressione, 
della  nostra  provincia,  nondimeno  egli  si  è  con  lodevole  sforzo 
impadronito  abbastanza  della  nostra  copiosa  bibliografia  storica. 
Egli  non  trascura  neppure  l'analisi  aneddotica  che  spetta  alla 
storia  letteraria,  come  si  vede  nel  capitolo  della  storia  di  Albano, 
in  proposito  del  RiccY  e  del  Lucidi  (p.  86,  87). 

Opere  che  hanno  preceduto  la  presente  sono,  come  ognun  sa, 
quelle  del  Nibby,  del  Marocco,  del  Calindri,  del  Cayeo,  del 
Palmieri.  Ma  chi  oserebbe  paragonare  quegl' informi  abborrac- 
ciamenti di  notizie,  salva  l'opera  del  Nibby,  coll'ordinato  e  com. 
posto  metodo  del  dizionario  del  signor  Berti  ?  'L'Analisi  del  Nibby 
ha  certamente  il  primo  posto  nei  lavori  di  questo  genere,  quan- 
tunque l'ordine  alfabetico  abbia  costretto  l'autore  a  ripetersi  spesso, 
e  talora  l'abbia  messo  in  contraddizione.  Il  medio  evo  fu  dal  Nibby 


2  So 


Bibliografia 


poco  accuratamente  osservato.  La  parte  archeologica  fu  la  migliore 
della  sua  analisi  ;  ma  ora  non  è  più  tale  ;  e  ciò  dovrebbe  essere 
considerato  da  chiunque  si  accinge  a  lavori  analitici  riguardanti 
la  storia  antica  del  nostro  territorio.  Dopo  l'età  del  Nibby  le  sco- 
perte letterarie  e  monumentali  sono  state  e  sono  tuttora  così  nu- 
merose, che  molte  cose  allora  per  così  dire  nere,  sono  adesso  dive- 
nute hìanch:.  Incominciando  dai  testi  degli  scrittori  che  il  NlBBY 
leggeva  in  edizioni  scorretto,  fino  alle  più  recenti  esplorazioni, 
vi  è  tanto  da  aggiungere  e  rettificare  nella  Analisi  di  quell'insigne 
scrittore,  che  essa  dovrebbe  rifarsi  da  capo  con  ordine  topografico 
e  sulla  nuova  pianta  dello  Stato  Maggiore .  Oggidì  appartengono, 
per  un  esempio,  alla  bibliografia  del  suolo  di  Albano,  gli  scritti 
del  De  Rossi,  dell' Hknzen,  del  Lakciani,  alla  bibliografia  di  Ar- 
soli lo  scritto  di  Carlo  Ludovico  Visconti  sulle  epigrafi  Arsolane. 
Così  nelle  antichità  di  Anguillara,  la  iscrizione  data  dal  Beeti 
sulla  fede  del  Nibby  è  sbagliata,  perchè  questi  non  la  lesse  esat- 
tamente. Inoltre  vi  meritavano  posto  le  due  lapidi  di  L.  Longim 
Philomusns  e  di  Fabia  Meline  importanti  per  le  particolarità  rela- 
tive alla  cittadinanza  di  due  lihertini.  Ma  tuttociò  ed  altre  osser- 
vazioni possibili  intorno  Ariccia,  Afile  ed  Anticoli,  non  pregiu- 
dicano punto  il  merito  del  dizionario  del  signor  Berti  ;  lavoro 
d'indole  non  prettamente  scientifica,  ma  tuttavia  il  più  perfetto 
nel  suo  genere,  e  dal  quale  io  credo  che  possiamo  prometterci  un 
eccellente  compagno,  quando  andiamo  girando  pei  nostri  limi- 
trofi comuni.  Lo  stile  dello  scrittore  è  vivace  specialmente  a  ca- 
rico di  costumanze,  di  tradizioni  più  o  meno  superstiziose,  comu- 
nissime  del  resto  in  ogni  piccola  città.  Ma  infine  dobbiamo  augurarci 
la  continuazione  di  un  lavoro  che  offre  del  pari  utilità  e  diletto. 

T. 


Ferdinando  Gregorovius.  Mirabilia  della  città  di  Atene. 
Dai  processi  verbali  della  K.  Accademia  bavarese  delle 
scienze,  classe  filosof.  fllolog.  stor.  1881,  voi.  I,  fase.  3.  — 
{Monaco,  Straub,  editore,  1881). 

Ha  senza  dubbio  molta  parte  di  vero  l'analogia,  balenata  già 
alla  mente  dell'  illustre  storico  di  Roma  medievale  :  «  Lo  stesso  spi- 
«  rito  di  leggenda  ha  avvolto  nell'oscurità  i  monumenti  di  Atene 
«  come  quelli  di  Roma...  »  (^S";^.  d.  eit.  di  R.  nel  M.  E.,  II,  145) 
—  Ma  di  fronte  al  fiume  delle  semierudite  favole  e  delle  travisate 
memorie,  che  il  compilatore  della  grapTiia  aurea  urbis  liomae  at- 
tinse alla  fantasia  ingenua,  ma  fervida  della  popolazione  romana 
del  lieo,  qual  magra  e  meschina  figura  fanno  mai  quelle  due  roz- 
zissime  e  eerotine  descrizioni  di  Atene,  che  i  dotti  conoscono  sotto 


Bibliografia  25 1 


i  nomi  di  anonimo  viennese  e  di  frammenti  jjarif/ini!  Ha  ragione  il 
Gregorovius  :  «  Un  libro  di  mirabilia  ateniesi  esiste  tanto  poco, 
ce  quanto  poca  notizia  si  ha  della  cronaca  di  questa  città  nel  medio 
ff  evo  ».  —  E  tuttavia  ove  si  pensi  che  quei  due  poveri  frammenti 
non  sono  più  antichi  della  metà  del  secolo  xv,  dell'epoca,  cioè 
«  in  cui  Flavio  Biondo  dedicò  ad  Eugenio  IV  la  sua  Roma  instau- 
«  rata  »,  si  deve  ammettere  che  il  Gregorovius  ha  fatto  ad  essi 
un  onore  forse  soverchio,  col  paragonarli  alle  mirabilia  di 
Roma. 

Le  vestigia  di  un  poema  del  dotto  Michele  Acuminato,  metro- 
polita di  Atene  al  xii  secolo,  parrebbero  far  risalire  a  quell'epoca 
i  primi  tentativi  di  una  investigazione  degli  antichi  monumenti 
di  Atene,  desunta  dai  ruderi  ancora  in  piedi  a  quei  tempi.  Ma,  se 
pur  vi  furono,  furono  tentativi  isolati,  e  non  furono,  come  a  Roma, 
l'opera  inconscia  della  fantasia  di  tutto  un  popolo.  Un  Nicolò  Ma- 
chiavelli, della  famiglia  fiorentina,  a  cui  appartenne  più  tardi  il 
grande  storico,  andato  nel  1423  alla  Corte  degli  Acciaiuoli,  altro 
non  seppe  vedere  in  Atene,  fuorché  un  bel  paese,  ed  una  bella  for- 
tezza, cioè  l'Acropoli  :  —  e  quando,  pochi  anni  più  tardi,  un  altro 
italiano,  Ciriaco  d'Ancona,  si  recò  due  volte  ad  Atene,  e  vi  racco- 
glieva, con  la  curiosità  scientifica  di  un  archeologo  occidentale,  le 
notizie,  i  disegni  e  le  misure  di  quel  che  restava  dei  monumenti 
dell'antichità,  i  pochi  tratti,  che  da' suoi  scritti  si  possono  desu- 
mere, di  tradizioni  maravigliose  esistenti  nel  popolo  intorno  a 
questo  0  quel  monumento,  mostrano  che  le  mirabilia  ateniesi  del 
secolo  XV  nessun  progresso  segnavano  su  quelle  dei  tempi  del  ve- 
scovo Acuminato,  oc  Gli  epiroti,  parlanti  una  lingua  diversa  dalla 
«  greca,  ed  ignari  dell'antichità  ateniese,  difficilmente  sarebbero 
<x  stati  capaci  di  darsi  pena  per  l'origine  o  per  l'ufficio  di  un  an- 
«  tico  monumento,  e,  meno  ancora,  di  dare  a  questo  tali  nomi, 
«  che,  per  quanto  fossero  errati,  avrebbero  sempre  presupposto 
«  qualche  nozione  di  archeologia  ateniese  ;  come  l'appellativo  di 
ff  Arsenale  di  lAcurgo  per  una  parte  del  Propileo,  e  di  lanterna  di 
ff  Demostene  per  quel  monumento  coragico  (in  onore  di  Lisicrate). 
«  —  Tali  nomi  non  potevano  esser  trovati  se  non  se  da  ateniesi 
ff  indigeni,  e  per  di  più  mezzo  eruditi,  e  così  potevano  col  volger 
«  del  tempo  esser  divenuti  popolari,  e  come  tali  Acuminato  li  avrà 
«  trovati  a  lui  preesistenti  ». 

L' impressione,  che  far  dovettero  negl'indotti  ateniesi  le  ri- 
cerche archeologiche  di  Ciriaco  d'Ancona,  può  fino  ad  un  certo  punto 
spiegare,  come  opina  il  Gregorovius,  la  tardiva  e  quasi  isocrona 
comparizione  delle  due  descrizioni  della  città  di  Atene,  che  sono 
gli  unici  frammenti  che  si  conoscano  di  quello  che  dovrebb'essere 
un  ciclo  di  mirabilia  di  quella  città.  Attorno  a  questi  lavorò  bre- 
vemente, ma  col  consueto  acume  critico  il  dottissimo  illustratore 
del  medio  evo  di  Roma,  per  stabilire  le  poche  analogie  e  le  mol- 


Bibliografia 


teplici  diversità  esistenti  tra  quelle  mirabilia  ateniesi  e  le  nostre 
viìrabilia  della  città  di  Koma. 

Malgrado  i  tre  secoli  corsi  dalla  redazione  di  queste  alla  reda- 
zione di  quelle,  lo  stile  e  il  tono  della  descrizione  è  nelle  une  e 
nelle  altre  così  vicino,  da  far  supporre  al  Gregorovius  che  sotto  il 
ducato  franco  avesse  circolato  fra  gli  Ateniesi  qualche  copia  delle 
viirahilia  romane.  Ma  qual  diversità  nel  contenuto  ! 

Il  primo  difetto,  che  si  nota  nei  due  frammenti  ateniesi,  si  è 
la  mancanza  non  solo  di  un  ordine  officiale  (com'era  stata  per 
Roma  la  divisione  nelle  regioni),  ma  altresì  di  qualsivoglia  altro 
ordine  tipico. 

Il  secondo  punto  è  l'assenza  di  un'Atene  cristiana.  Le  mira- 
bilia romane  prediligono  i  monumenti  pagani  :  ma  iJ  pellegrino  vi 
trovava,  accanto  a  questi,  le  indicazioni  de'  luoghi  santi  o  pii;  e 
la  leggenda  miracolosa  intreccia  bene  spesso  incuriosi  nodi  paga- 
nità  e  cristianesimo.  I  due  frammenti- gre  ci  sono  privi  di  tali  nessi 
caratteristici.  L'anonimo  viennese  che  designa  il  più  gran  tempio 
dell'Acropoli  col  nome  di  Santa  Maria,  mostra  di  non  conoscere 
affatto  la  sua  antica  destinazione,  e  sembra  anzi  che  ignori  del 
tutto  il  nome  classico  di  Partenone.  L'anonimo  parigino  l'indica 
invece  già  ridotto  a  moschea,  e,  lungi  dal  far  menzione  della  fase 
cristiana  del  tempio,  lo  chiama  addirittura  dal  nome  di  Pallade 
Atene.  A  qualche  raro  luogo  di  Atene  annettono  bensì  i  due  fram- 
menti una  tradizione  cristiana  :  ma  sono  casi  rari  ed  isolati,  che 
mostrano,  come  ad  Atene  la  nuova  fede  del  cristianesimo  poca 
lotta  combattè  con  la  vecchia:  ne  v'ebbe  mai  una  cristiana  J.^ew^' 
sotterranea.  Tradizioni  relative  a  S,  Paolo  ed  a  S.  Dionigi  del- 
l'Areopago, menzionate  in  quei  frammenti,  ed  ancora  esistenti 
all'epoca  del  gesuita  Babin,  sembrano  essere  state  le  più  vecchie 
leggende  cristiane  di  Atene. 

Il  ricordo  dell'  impero  romano  e  le  tradizioni  monarchiche  dei 
coloni  franchi  possono  aver  influito  sopra  il  frequente  travisa- 
mento di  antichi  monumenti  in  palazzi  o  basiliche,-  ma  il  ripetuto 
e  spesso  errato  riscontro  di  luoghi,  che  erano  stati  già  sedi  delle 
accademie  o  scuole  de' filosofi,  dovè  esser  attinto  come  ricordo 
spontaneo  alla  viva  tradizione  ateniese,  e  costituisce  una  saliente 
caratteristica  di  quelle  mirabilia.  Questi  ultimi  caratteri  sono 
quelli  che  danno  alle  mirabilia  ateniesi  una  certa  fisionomia  ge- 
nerale, non  dissimile  ad  un  lato  delle  mirabilia  romane  :  per  ciò 
a  Ferdinando  Gregorovius  la  vista  dell'ultimo  monumento  cora- 
gico,  rimasto  in  piedi  nell'antica  via  rpiTTSòiiav,  ridestò  in  mente  l'a- 
nalogia tra  le  mirabilia  di  Atene  e  di  Roma.  Le  une  e  le  altre 
poco  o  nulla  concludenti  per  ristabilire  la  vera  topografia  archeo- 
logica delle  due  città  :  ma  quelle  di  Atene  tanto  più  monche  e  di- 
fettose, in  quanto  vi  manca  fin  la  nozione  di  molti  tra  i  più  indi- 
menticabili monumenti  dell'antica  -nro'Xt;. 


Bibliog  rafia  253 


Forse  altra  più  segnalata  diversità  si  potrebbe  rilevare  tra  le 
mirabilia  ateniesi  e  quelle  di  Roma  :  ed  è  che  in  queste  ultime  si 
trova  ad  ogni  pie  sospinto  l'impronta  della  tradizione  popolare 
sul  carattere  universale,  perpetuo,  imperituro  della  città  eterna  ; 
Valma  Roma  è  diventata  il  caput  orhis  dei  cristiani  :  in  luogo  dei 
re  trionfati  vi  accorrono  i  pellegrini  e  i  divoti  ;  ma  il  popolo  ro- 
mano, autore  vero  e  primo  delle  mlrahilia,  sente  indeclinabilmente 
e  trasforma  in  una  fede  inconcussa  nell'avvenire  questa  coscienza 
della  grandezza  etorna  di  Roma.  Mi  ricordo  di  aver  trovato  lo 
stesso  sentimento  riprodotto  nelle  descrizioni  di  Roma  per  opera 
dei  geografi  arabi  (J.  Guidi,  Roma  nei  geografi  arabi,  Arch.  della 
Sflc.  rem.  di  ut.  pai.,  I.  173  e  seg.)  Questo  sentimento  stesso  mancò 
all'Atene  antica  e  mancò  tanto  più  all'Atene  del  medio  evo,  po- 
vero ducato  latino  creato  e  poi  smarrito  dai  crociati  tra  le  guerre 
di  Levante.  Le  leggende  dei  XII  re  che  fondano  VOlimpieion,  e  di 
Cecrope  biforme  che  alza  le  mura  di  Atene  e  ne  indora  i  santuari 
all'interno  e  all'esterno,  palesano  piuttosto  il  rimpianto  di  un  pas- 
sato nobile  perduto  per  sempre,  che  non  la  fede  di  una  grandezza 
durata  e  duratura. 

Questa  differenza,  per  me  tanto  rilevante,  non  fu  notata  dal- 
l' illustre  Gregorovius,  forse  perchè  non  è  imputabile  ne  alla  bar- 
barie degli  abitanti  di  Atene  nel  medio  evo,  ne  alla  rozzezza  di  chi 
ha  redatto  le  frammentarie  mirabilia  di  quella  città.  L'illustre 
storico  di  Roma  ha  avuto  ragione  di  tacere  questo  punto  :  il  quale, 
più  che  una  differenza  con  le  mirabilia  ateniesi,  costituisce  una 
caratteristica  che  distingue  la  tradizione  popolare  romana  dalle 
tradizioni  di  qualsivoglia  altra  città  del  mondo.  G.  P. 


Paulo  Pierliiig  S.  I.  Autonii  Possevini  Missio  Moscovitica 
ex  annuis  litteris  Societatis  Jesu  excerpta,  etc,  Parisiis, 
Leroiix,  1882. 

Ivano  IV  il  Terribile,  durando  ornai  da  molti  anni  l'infelice 
guerra  colla  Polonia,  mandò,  siccome  è  noto,  pregando  Grego- 
rio XIII  che  volesse  interporsi  perchè  la  pace  fosse  conclusa. 
A  tal  uopo  fu  dal  Pontefice  incaricato  il  gesuita  P.  Antonio 
Possevino  di  Mantova,  il  quale  recatosi  presso  il  Principe  mo- 
scovita condusse  felicemente  a  termine  le  trattative  della  pace 
(1581-82),  ma  non  riuscì,  come  il  Pontefice  sperava,  a  convertire 
Ivano  al  cattolicismo.  La  narrazione  di  queste  cose  fu  nel  1584 
stampata  a  Roma  nelle  annuae  littcrae  della  Compagnia  di  Gesù 
e  ricavata  dalla  lettera  del  P.  Possevino  al  P.  Acquaviva  gene- 
nerale  della  Compagnia,  datata  da  Riga  28  aprile  1582,  e  dalle 
lettere  di  un  compagno  di  viaggio  del  Possevino,  il  P.  Campan. 


2D4 


Bibliografia 


Il  P.  Pierling  ha  fatto  un  dono  assai  gradito  ai  cultori 
della  storia  russa  ristampando  dalle  anniiae  littcrae,  libro  ormai 
rarissimo,  questo  importante  documento  che  è  la  missio  mosco- 
vitica,  ove,  oltre  la  parte  puramente  storica,  trovansi  moltissime 
rilevanti  e  curiose  notizie  sulle  condizioni  in  che  era  la  Russia 
nel  XVI  secolo,  le  consuetudini  della  vita  e  gli  usi  religiosi.  Ne 
il  dotto  editore  si  è  contentato  di  semplicemente  ristampare  il 
testo  delle  annuae  littcrae,  ma  vi  ha  aggiunto  molte  ed  oppor- 
tune note,  ed  un  glossario  di  nomi  propri  che  nella  trascrizione 
latina  spesso  si  riconoscono  appena.  In  fine  dell'elegante  volu- 
metto è  pubblicata  una  memoria  del  cardinal  di  Como,  segre- 
tario di  Stato  di  Gregorio  XIII,  ove  brevemente  si  ricordano  le 
missioni  inviate  dal  detto  Pontefice.  Questa  memoria  è  tratta 
dagli  archivi  della  Propaganda. 


I.  G. 


PERIODICI 


Archìvio  storico  italiano.  To.  XI.  Disp.  1"  del  1883.  —  Yito 
La  Manila.  Notizie  e  documenti  su  le  consuetudini  delle  città  di 
Sicilia.  Consuetudini  di  Castrogiovanni.  —  Diario  di  Palla  di 
Noferi  Strozzi.  —  G.  E.  Saltini.  L'educazione  del  principe  don 
Francesco  Medici.  —  Rassegna  bibliografica.  —  Notizie  varie. 

—  Annunzi  bibliografìci.  —  Pubblicazioni  periodiche.  —  Ap- 
pendice. Inventario  delle  carte  strozziane  del  R.  Archivio  di 
Stato  in  Firenze. 

ArcliÌTio  storico  lombardo.  Anno  IX.  Fase.  IV.  —  P.  Tede- 
schi. S.  Vincenzo  in  Prato  e  le  Basiliche  Istriane.  —  A.  Ber- 
tolotti.  I  testamenti  di  Girolamo  Cardano,  medico,  filosofo  e 
matematico  nel  secolo  xvi.  —  M.  Caffi.  Raffaello  da  Brescia 
maestro  di  legname  insigne  nel  secolo  xvi.  —  C.  Canetta.  Ari- 
stotile da  Bologna.  Notizie  inedite  tratte  dall'Archivio  di  Stato 
di  Milano.  —  I.  Ghiron.  Bibliografia  lombarda.  Catalogo  dei 
manoscritti  intorno  alla  storia  lombarda  esistenti  nella  biblio- 
teca nazionale  di  Brera. —  Varietà.  —  Rivista  archeologica  dell  i 
provincia  di  Como. 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane.  Anno  VII. 
Fase.  IV.  —  Minieri  Riccio  C.  Genealogia  di  Carlo  II  d'Angiò 
Re  di  Napoli.  —  Maresca  B.  Relazione  della  guerra  in  Italia 
nel  1733-1734,  scritta  da  Tiberio  Carafa.  —  Lioiy  G.  L'aboli- 
zione dell'omaggio  della  chinea.  —  Capasso  B.  Napoli  descritta 
nei  principii  del  secolo  xvn  da  G.  C.  Capaccio.  —  Notizie  varie. 

—  Rassegna  bibliografica. 

Archivio  storico  per  Trieste,  l'Istria  e  il  Trentino.  Voi.  II. 
Fase.  1°.  —  B.  Malfatti.  I  confini  del  principato  di  Trento.  — 
P.  Tedeschi.  Fra  Sebastiano  Schiavone  da  Rovigo,  intarsiatore 


Periodici 


del  secolo  xv.  —  C.  Cipolla.  La  valle  di  Pruviniano  in  un  di- 
ploma di  Berengario  I.  —  V.  Toppi.  Inventario  del  tesoro  della 
chiesa  patriarcale  d'Aquileia.  —  L.  A.  Ferrai.  Pier  Paolo  Ver- 
gerlo il  giovane  a  Padova.  —  F.  Novaii.  La  biografia  di  Alber- 
tino Mussato  nel  De  scriptoribus  illustribus  di  Secco  Polentone. 

—  Varietà.  —  Appunti  e  notizie.  —  Rassegna   bibliografica^ 

—  Annunzi  bibliografici.  —  Pubblicazioni  periodiche. 

ArcliÌTÌo  veneto.  To.  XXIV,  parte  II.  —  E.  Simonsfeld.  Studii 
intorno  a  Marino  Sanuto  il  vecchio.  —  C.  Cipolla.  Provvedi- 
menti presi  dal  Consiglio  di  Verona  in  occasione  della  piena 
d'Adige  del  1757.  —  C.  Bullo.  Della  cittadinanza  di  Chioggia  e 
della  nobiltà  de'  suoi  antichi  Consigli.  —  G.  Giorno.  Le  rubriche 
de'  Libri  misti  del  Senato  perduti,  trascritte.  —  L.  Gaiter.  Il 
dialetto  di  Verona  nel  secolo  di  Dante.  —  Aneddoti  storici  e 
letterari.  —  Rassegna  bibliografica.  —  Commemorazioni.  — 
Atti  della  regia  Deputazione  veneta  di  storia  patria.  —  Bol- 
lettino bibliografico. 

Archeografo  triestiao.  Nuova  serie.  Voi.  IX.  Fase.  I-II.  — ' 
G.  B.  Di  Sardagna.  Lettere  del  doge  Andrea  Contarini  e  del 
capitano  generale  Domenico  Michiel  (1368-1369).  —  Bernardo 
Dr.  Benussi.  L'Istria  sino  ad  Angusto.  —  Carlo  Kunz.  Monete 
inedite  o  rare  di  zecche  italiane.  —  Id.  Aggiunta  agli  articoli 
di  Mirandola  e  Correggio.  —  Pietro  Dr.  Pervanoghi.  L'Istria 
prima  de'  Romani.  —  Antonio  Dr.  Toppi.  Diritti  di  Aquileia 
nel  marchesato  d'Istria.  —  Id.  Lapide  scoperta  a  San  Martino 
di  Terzo.  —  Don  Angelo  Marsich.  Regesto  delle  pergamene 
conservate  nell'Archivio  del  rev.  Capitolo  della  cattedrale  di 
Trieste  (1431-1439).  —  Annunzi  reciproci. 


Foschungen  zur  Deutscheii  Geschichte.  To.  XXII.  Fase.  3". 

—  Br.  Krusch.  Zur  chronologie  der  Merowingischen   Kònige. 

—  G.  Waitz.  Ueber  die  Ueberlieferung  von  Bertolds  Fortset- 
zung  des  Hermann  von  Reichenau.  —  J.  May.  Zur  kritik  von 
Bertholds  Annalen.  —  R.  Beyer.  Die  Bamberger,  Constanzer, 
Reichenauer  Kandel  unter  Heinrich  IV.  Von  Stadtarchivar.  — 
H.  von  Breska.  Ueber  die  Zeit,  in  welcher  Helmold  die  beiden 
Bùcher  seiner  Chronik  sabfaszte.  —  0.  Meinardus.  Die  Verhand- 
lungen  des  Schmalkaldischen  Bundes  vom  14-18  Februar  1589 
in  Frankfurt  a.  M.  —  Kleinere  Mittheilungen. 


Periodici  267 


Giornale   Ligustico   dì    archeologia,   storia    e   letteratura. 

Anno  X.  Fase.  I.  —  N.  Giuliani.  Ansaldo  Cebà.  —  G.  Claretta. 
Di  una  nobile  famiglia  subalpina  benenaerita  dell'industria  serica 
nel  secolo  xvi,  e  di  analoghe  relazioni  del  Piemonte  col  Geno- 
vesato.  —  A.  Neyn.  Divertimenti.  —  Yarielà.  —  Spigolature  e 
notizie,  —  Bollettino  bibliografico. 

Gorres-Gesellschaft.  Historischen  Jahrbuch  redigirt  von  Dr. 
Georg  Hiiffer.  To.  III.  Fase.  4°.  —  Schmid.  Zxxv  Geschichte  der 
Gregorianlschen  Kalenderreform,  II.  —  Galland.  Die  Papstwahl 
des  jahres  1700  im  Zusammenhang  mit  den  damaligen  kir- 
chlichen  und  politischen  Verhàltnissen,  III.  —  V.  Krones.  Die 
Literatur  zur  Geschichte  Franz  Nàkóczi  II.  im  letzten  lahrzehnt 
(1827-1882),  I.  —  P.  Zeiter.  Ein  unedirter  Brief  des  P.  Olivi 
(-f   1292).  — Recensionen  und  Re  ferale. — Z  eitschriftenschau. 

Mittheilungen  des  Institut  fiir  Oesterreichische  Geschichts- 
forschung.  To.  IV.  Fase.  T.  — Julius  Ficher.'E,vòvieT\xngexìz\ìV 
Reichsgesehichte  des  dreizehnten  .Tahrhunderts.  — Alfons  Huber. 
Die  steirische  Reimchronik  und  das  òsterreichische  Interre- 
gnum.  —  Henry  Thode.  Die  Ròmische  Leiche  vom  lahre  1485. 
Ein  Beitrag  zur  Geschiche  der  Renaissance.  —  Kleine  Mitthei- 
lungen. —  Literatur. 

Neues  Archiv  der  Gesellschaft  fur  altere  deutsche  Geschi- 
chtsknnde.  Voi.  Vili.  Fase.  2".  —  lui.  v.  Pflugh-Harttung.  Die 
Register  Gregors  VII.  2.  Papsturkunden  in  Karlsruhe  (bis  zum 
lahre  1198).  —  Theodor  Lindner.  Nachtràge  zu  den  Regesten 
Karls  IV.  —  W.  Wattenbach.  Nachrieht  von  drei  Handschriften 
in  Eisleben.  —  A.  Nurnberger.  Zur  handschriftlichen  Ueberlie- 
ferung  der  Werke  des  hi,  Bonifatius.  —  W.  Wattenbach.  Die 
Handschriften  der  Hamiltonschen  Sammlung.  —  Miscellen.  — 
Nachrichten. 

Nouvelle  Revne   historique  de   droit  fran^aìs   et  étranger. 

6'^^  année.  N.  6.  —  L.  Beauchet.  Etude  historique  sur  les  formes 
de  la  célébration  du  mariage  dans  l'ancien  droit  frangais.  — 
E.  Beaudoin.  Etude  sur  le  Jus  italicum.  —  Comptes-rendus 
bibliographique. 

Revne  des  qnestions  historiques.  Dix-septiéme  année.  65® 
livraison.  —  D.  L.  Chamard.  La  victorie  de  Clovis  en  Poitou 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  17 


258 


Periodici 


% 


et  les  légendes  de  Saint  Maixeiit.  —  Cotute  de  la  Ferrière.  La 
paix  de  Troyes  avee  l'Angleterre,  1563-1564.  —  Ch.  Gérin.  Le 
Pape  Innocent  XI  et  l'élection  de  Cologne  en  1688,  d'après  des 
documents  inédits.  —  F.  Yigouroux.  De  l'autenticité  des  livres 
Saints.  Réponse  aux  souvenirs  d'enfance  et  de  jeunesse  de 
M.  Renan.  —  Mélanges.  —  Revue  des  Recueils  périodiques.  — 
Bulletin  bibliographique. 

Revue  liistorique.  Tome  Vingtième.  —  Due  de  Broglie.  Le 
cardinal  de  Fleury  et  la  Pragmatique  Sanction.  —  L.  Pivgand. 
Leprésident  de  Veret.  1743-1816.  —  E.  Bourgeois.  De  la  Con- 
stitution  carthaginoise.  — Bu  C^at.sse.  Documents  inedits  relatifs  au 
premier  Empire:  Napoléon  et  le  rei  Jerome,  1811  et  1812.  — 
Bulletin  Mstorique.  —  Comptes-rendus  critiques.  —  Puòlica- 
tions  périodiques  et  sociétés  savantes.  —  Chronique  et  Biblio- 
graphie. 

Studi  e  documenti  di  diritto.  Anno  III.  Fase.  4°.  —  0.  Rug- 
gieri. Sugli  uffici  degli  agrimensori  e  degli  architetti,  special- 
mente rapporto  alle  servitù  prediali.  — N.  Scagliosi.  Due  sigilli 
dell'arte  dei  sartori  in  Perugia.  —  C.  Descemet.  Frammento 
d'antica  iscrizione  romana.  Documenti.  —  C.  Re.  Statuti  della 
città  di  Roma.  —  G.  Gatti.  Statuti  dei  mercanti  di  Roma. 


n 


L'IMPERATORE  MAIORIANO 


SAGGIO  CRITICO. 


Procopio,  De  beli,  vand,,  I,  7  (ed.  Dindorf). 

AiORiANO,  questa  nobile  figura  d'imperatore,  che, 
quale  meteora,  passa  attraverso  il  secolo  quinto, 
merita  di  esser  fatta  oggetto  di  uno  studio  spe- 
ciale ?  I  pochi  avvenimenti  che  costituiscono  la  storia  del 
suo  regno  meritano  di  esser  ricordati  ? 

Indebolire  la  potenza  de'  nemici  esterni  dell'impero  oc- 
cidentale, quella  di  Genserico  re  de'  Vandali  in  ispecie;  miglio- 
rare, con  savi  provvedimenti,  le  misere  condizioni,  politiche, 
sociaH  ed  economiche,  in  cui  versava,  internamente,  lo 
stato;  ricondurre  infine  a  severità  e  disciplina  l'affievolito 
spirito  militare,  tal  fu  lo  scopo  grandioso  che  Maioriano  si 
prefisse  dal  primo  momento  in  cui  venne  assunto  all'im- 
pero, e  al  quale  consacrò  tutto  sé  stesso  fino  a  perderne 
miseramente  la  vita. 

Se  la  forza  delle  cose  impedì  che  il  suo  disegno  po- 
tesse tradursi,  del  tutto,  in  realtà,  e  produrre  effetti  dure- 
voli ed  efficaci,  ciò  non  scema  per  nulla,  a  nostro  avviso, 
la  sua  fama;  anzi  quella  lotta  disperata,  da  lui  intrapresa 
contro  un  male  ormai  divenuto  incurabile,  lo  rende,  a'  nostri 
occhi,  più  grande  e  degno  quindi  di  studio.  Noi  crediamo 
infatti  esser  vere  quelle  parole  scritte  dal  Machiavelli  nel 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  vatria.  Voi.  VI,  18 


202 


L.  Cantarelli 


suo  proemio  alle  Istorie  fiorentiney  vale  a  dire  che  «  le  azioni 
che  hanno  in  sé  grandezza,  comunque  elle  si  trattino,  qua- 
lunque fine  abbino,  pare  portino  agli  uomini  più  onore 
che  biasimo  »  ;  e  non  possiamo  perciò  accordarci  nel  giu- 
dizio poco  favorevole  emesso  dal  Wietersheim  intorno  a 
Maioriano  nella  sua  Storia  delle  migrazioni  dei  popoli,  là  ove 
egli  dice  che  i  tentativi,  per  quanto  nobili  ed  efficaci  pos- 
sano essere,  non  destano  certo  entusiasmo  (Enihusiasmus) 
quando  son  condannati  a  riuscire  interamente  inutili. 

Uno  studio  intorno  all'imperatore  Maioriano,  per  esser 
completo,  dovrebbe,  oltre  l'uomo,  descriverci  ancora  l'am- 
biente in  cui  egli  si  trovò  a  vivere;  ma  ciò  equivarrebbe, 
come  ben  si  comprende^  a  tessere  a  dirittura,  sia  pur  bre- 
vemente, la  storia  intima  del  pensiero,  del  costume,  della 
vita  sociale,  insomma,  del  secolo  quinto,  di  quel  secolo 
che  vide  sparire  la  società  antica  e  sulle  rovine  sue  sor- 
gere le  nuove  società  barbariche.  Noi  non  abbiamo  in 
animo  di  dare  al  presente  scritto  una  tale  estensione,  se 
non  altro  perchè,  facendolo,  sostituiremmo  un  abbozzo 
informe  allo  splendido  quadro  che  di  quel  tempo  ci  diede 
appunto,  nei  suoi  Recits  de  l'Histoire  Romaine  au  V^  siede, 
Amedeo  Thierry. 

Il  nostro  scopo  è  ben  più  modesto.  In  una  parola,  è 
il  medaglione  di  Maioriano  che  noi  cerchiamo  d'illustrare 
nelle  pagine  seguenti. 


Le  fonti  e  la  letteratura. 


Dividiamo  le  fonti  relative  alla  storia  di  Maioriano  in 
due  classi:  fonti  latine;  fonti  greche.  Da  ultimo  verranno 
le  fonti  numismatiche. 

a)  Fonti  latine. 

i)  Coiitinuatìo  Prosperi  ex  ms.   Vaticano,  ed.  Roncalli.    {Vetustiorum 
Latinor.  Scriptor.  Chronica),   I,   pag.  719.    Vedi    quanto   ne  dice 


L'Imperatore  oMaioriano  263 


I'Holder-Egger,  Untersuchwigen  uber  einige  annalistische  Quellen 
:(ur  Geschichte  des  fùnften  una  s.  lahrhtmderts  nel  Neues  Arch.  der 
Gesellschaft  fi'ir  iilt.  dentsche  Geschichtskunde,  I  (1876),  pag.  280. 
È  un  compendio  della  cronaca  di  Prospero  Aquitanense,  conti- 
nuata fino  all'anno  466  e  sta  nel  Cod.  Vat.  ms.  2077. 

2)  Jdatii  Chronìcon  (a.  395-470),  ed.  Roncalli,  II,  pag.  337.  Idazio 

era  nativo  di  Lemica  nella  Gallaecia  e  fu  vescovo  di  Aquae 
Flaviae  (Chaves)  nel  Portogallo  settentrionale.  Sono  autorevoli 
per  noi  le  notizie  della  sua  cronaca  che  si  riferiscono  agli  av- 
venimenti dalla  Spagna  durante  il  regno  di  Avito  e  di  Maioriano. 
Il  Kaufmann  (die  fasten  der  spciteren  kaisev^eit.  Philologus  XXXIV 
(1876)  pag.  294),  è  d'opinione  che  siano  opera  d' Idazio  anche  i 
Fasti  Idatio  adscripti,  che  dall'anno  509  a.  Cr.  giungono  fino  al 
468  d.  Cr. 

3)  Anonymus  Cuspiniani.  Tal  nome,  come  è  noto,  porta  una  cro- 
naca, in  duplice  redazione,  di  cui  la  prima,  più  completa,  va  dal 
47  a.  Cr.  fino  al  403  d.  Cr.  ;  e  dal  455-496  con  molti  partico- 
lari importanti.  La  seconda  va  dal  47  a.  Cr.  -  45  d.  Cr.  ;  77-387; 
438-455  ;  496-539.  Esiste  in  un  ms.  del  xv  secolo  della  Biblio- 
teca di  Vienna.  Il  Mommsen  pubblicò  questa  cronaca  negli  Atti 
dell'Accademia  Sassone  delle  sciente,  II,  pag.  656  e  seguenti,  dando, 
come  testo,  la  prima  redazione,  da  lui  chiamata  ree.  A,  colle 
varianti  in  nota  della  seconda  (ree.  B).  L'edizione  del  Roncalli 
(II,  103-138;  139-160)  è  sempre  da  consultarsi  poiché  le  due 
redazioni  sono  da  lui  pubblicate  separatamente.  La  parte  della 
ree.  A,  che  comprende  gli  anni  455-496,  fu  compilata  in  Ra- 
venna e  contiene  un  frammento  degli  annali  ravennati,  dei  quali 
I'Holder-Egger  (op.  cit.,  pag.  347  e  seguenti)  ha  tentato  una 
ricostruzione.  L'Anonimo  Cuspin.  rec.^  (ed.  Mommsen,  pag.  166), 
è  importante  per  noi  in  quanto  stabilisce  la  vera  data  della  ele- 
zione di  Maioriano,  come  imperatore,  e  quella  della  sua  morte. 

4)  Severi  Snlpitii  Cbronicon.  Sotto  questo  •  titolo  il  Florez  pubblicò 
una  cronaca  universale  nel  quarto  volume  della  sua  Espana  Sa- 
grada,  pag.  433-454.  L'Holder-Egger,  il  quale  ha  scritto  una 
erudita  dissertazione  intorno  a  questa  cronaca  (Ueher  die  Weltchro- 
nik  des  sogenn.  Sev.  Snlpitiiis  nnd  siìdgallischen  Annalen,  Gott.,  1875) 
sostiene  che  essa  sia  stata  compilata  nella  Gallia  meridionale 
sopra  un  esemplare  degli  annali  ravennati,  che,  venuto  ad  Arles, 
fu  accresciuto  di  notizie  relative  alla  Gallia.  Per  noi  sono  im- 
portanti le  notizie  sull'ultimo,  anno  del  regno  di  Maioriano. 

5)  Magni  Aiirelii  Cassiodori  senatoris  Cbronicon,  ed.  Mommsen,  Atti 
dell'Accademia  Sassone  delle  scien:(e,  VIII,  pag.  589.  Questa  cronaca 


264 


L.  Cantarelli 


da  Adamo  giunge  fino  all'annuo  519,  cioè  sino  al  consolato  di 
Eutarico,  genero  di  re  .Teodorico  ;  le  notizie  contenute  in  essa 
dal  455-495  son  tolte  dagli  annali  di  Ravenna.  Ciò  non  può  dirsi 
però  di  tutte  ;  per  esempio,  di  quella  dell'anno  458  relativa  al  nostro 
argomento  come  vedremo  in  appresso.  Cf.  Holder-Egger,  op. 
cit.,  pag.  247. 

6)  Marcellinus  COMES  Chronicon,  ed.  Roncalli,  II,  pag.  266.  Si 
estende  dall'anno  379-534.  La  continuazione  che  va  dal  547  fino 
al  566  non  è  di  Marcellino.  Oltre  che  degli  annali  ravennati, 
egli  si  giova  anche  dei  fasti  costantinopolitani.  Cf.  Holder-Egger, 
op.  cit.,  pag.  251.  Scarse  son  le  notizie  di  questa  cronaca  intorno 
a  Maioriano. 

7)  Victor  Tunnunensis  Chronicon,  ed.  Roncalli,  II,  pag.  337. 
Questa  cronaca,  scritta  da  Vittore  di  Tunnuna  vescovo  della  Chiesa 
africana,  va  dal  444-566;  è  piena  di  notizie  inesatte,  specialmente 
agli  anni  457,  458,  462  in  cui  si  parla  di  Maioriano.  Cf.  Hol- 
der-Egger, op.  cit.,  pag.  298. 

8)  Marius  Aventicensis  vescovo  di  Aventicum  (Avenches),  la  capi- 
tale degli  Helvetii,  continuò  la  cronaca  di  Prospero  Aquitanense 
dall'anno  455-581,  ed.  Roncalli,  II,  pag.  399.  Si  giova  degli 
annali  di  Ravenna  ;  le  poche  notizie  che  dà  su  Maioriano  sono 
esattissime.  Non  abbiamo  potuto  servirci  della  recente  edizione 
dell'ARNDT  fatta  sul  ms.  di  Londra.  Lipsia,  1875.  Cf.  Holder- 
Egger,  op.  cit.,  pag.  354. 

9)  loRDANis.  De  summa  Umporum  vel  de  origine  actibusque  gentis  Ro- 
tnanorutn:  de  origine  actibusque  Gctarum,  ed.  Mommsen,  Berol.,  1882, 
pag.  43,  17;  118,  9.  Il  primo  è  un  compendio  della  cronaca  di 
s.  Girolamo  e  de'  suoi  continuatori,  di  Floro,  Eutropio,  Rufo, 
Orosio;  il  secondo  è  un  compendio  della  storia  dei  Goti  di  Cas- 
siodoro,  scritti  tutti  e  due  nel  551  e  552.  Il  vero  nome  di  questo 
cronista  è  Giordane,  non  Giornande  come  scrivono  alcuni.  Vedi 
a  questo  proposito  il  proemio  del  Mommsen  alla  ed.  citata,  pag.  V. 
Giordane  commette  non  pochi  errori  intorno  a  Maioriano  come 
vedremo  a  suo  tempo.  Cf.  Holder-Egger,  op.  cit.,  pag.  296. 

io)  Paulus  Diaconus.  Historia  romana,  XV,  25,  ed.  Droysen,  Ber- 
lino, 1879.  È  ^^  continuazione  di  Eutropio;  intorno  a  Maioriano 
ci  dà  notizie  tolte  dagli  annali  di  Ravenna,  non  direttamente,  ma 
mediante  le  cronache  di  Giordane  e  di  Cassiodoro,  come  dimostra 
I'Holder-Egger,  op.  cit.,  pag.  302. 

Il)  Catàlogus  Imperatorutn.  Roncalli,  II,  pag.  254. 

izX'Chronica  sancii  Benedictl  Casinensis.  Fa  parte  dei  Mon.  Germ.  H., 
ed.  Waitz,.  Hannover,  1879,  pag.  485. 


\ 


L'Imperatore  oMaioriano  265 


13)  C.  LoLLius  Apollinaris  Modestus  Sidonius  nato  a  Lione 
(Lugdunmn)  l'anno  430,  genero  dell'imperatore  Avito,  fu  dal  472 
vescovo  di  Clermont  d'Auvergne  (Claramontium  Arvernorum)  ; 
morì  nel  488.  Pei  primi  anni  di  Maioriano;  per  la  sua  fami- 
glia; per  le  sue  prime  imprese  militari;  per  la  spedizione  in 
Gallia,  il  panegirico  pronunziato  a  Lione  da  Sidonio  dinanzi  allo 
stesso  imperatore  (Tanegyricus  lidio  Flavio  Maioriano  dictus)  è  la 
sola  fonte  a  cui  possiamo  attingere.  Certo  bisogna  conceder  molto 
allo  stile  enfatico  e  pomposo  di  Sidonio.  II  suo  panegirico,  dice 
giustamente  il  Gibbon,  contiene  più  artifizio  che  genio  e  più  fatica 
che  arte.  Gli  ornamenti  son  falsi  e  triviali;  l'espressione  debole 
e  prolissa;  e  Sidonio  manca  dell'abilità  di  porre  il  soggetto  prin- 
cipale in  un  aspetto  luminoso  e  distinto.  Anche  una  lettera  di 
Sidonio  (I,  II)  contiene  notizie  importanti  pel  nostro  argomento. 
Vedi  le  edizioni  commentate  dal  Savaron,  Lutetiae  Paris,  1599, 
e  del  SiRMOND,  Paris,  1614.  Noi  seguiamo,  in  generale,  la  recente 
edizione  del  Baret,  Oeiivres  de  Sidoine  Apollinaire,  Paris,  1879. 
La  letteratura  sopra  Sidonio  è  abbastanza  ricca;  vedila  citata 
nella  Romische  Literaturg.*  del  Teuffel-Schwabe,  Leipzig,  1882, 
pag.  1109. 

14)  L'epigramma  sulla  tomba  di  Maioriano  (De  septilcro  Maioriani 
Imp.,  carni,  136)  composto  da  Ennodio  (473-521)  vescovo 
di  Pavia.  Ed.  Magni  Felicis  Ennodii  opera  omnia,  ree.  Hartel 
(voi.  6"  del  Corpus  Script.  Eccl,  Vindob.,  1882,  pag,  603),  In- 
torno ad  Ennodio  vedi  lo  studio  del  Talini  negli  Studi  in  Ita- 
lia, 1880-81. 

15)  Liher  Legum  Novellarum  Divi  Maioriani  A.  Abbiamo  seguito 
l'edizione  dell' Haenel,  Corp.  iur.  Antciustin.  II,  Bonnae,  1844, 
pag.  291.  Diamo  qui  i  titoli  delle  Novellae  per  ordine  di  data, 
notando  che  deir8^,  10^  e  12=^  ci  son  giunte  solo  le  rubriche. 

I)  De  Ortu  Imperii  Divi  Maioriani  A.  -  ad  Senatum.  III.  Id.  lan. 
Ravenna,  Maioriano  A.  I,  Cos.  (11  gennaio  458). 

II)  De  Indulgentiis  reliquorum  -  Basilio  Pf,  P.  VI.  Id.  Mart.  Ra- 
venna, Maioriano  A.  L  Cos.  (io  maggio  458). 

III)  De  defensoribus  civitatum  -  Unìvers.  rect.  prov.  Vili.  Id.  Mai. 
Ravenna,  Leone  et  Maioriano  AA.  Coss.  (8  maggio  458). 

IV)  De  Aedificiis  puhlicis  -  Aemiliano  Pf.  U.  V.  Id.  lui.  Ravenna, 
Leone  et  Maioriano  AA.  Coss.  (11  luglio  458). 

V)  De  bonis  caducis,  sive  proscriptorum  -  Ennodio  corniti  R.  P. 
Prid.  Non.  Sept.  Ravenna,  Leone  et  Maioriano  AA.  Coss.  (4  set- 
tembre 458). 

VI)  De  Sane  timoni  alibus,  vel  viduis,  et  de  successionibus  earum  - 


266 


L.  Cantarelli 


Basilio  Pf.  P.  VII.  Kal.  Nov.  Ravenna,  Leone  et  Maioriano  AA. 
Coss.  (26  ottobre  458). 

VII)  De  curialibus,  et  agnatione  vel  àistractìone  praediorum  eorum 
et  de  diversis  negotiis  -  Basilio  Pf.  P.  Vili.  Id.  Nov.  Ravenna,  Leone 
et  Maioriano  AA.  Coss.  (6  novembre  458). 

Vili)  De  reddito  iure  armorum. 

IX)  De  adulteriis  -  Rogatiano  Consulari  Tusciae  Suburbicariae. 
XV.  Kal.  Mai.  Arelato,  Ricimere  V.  C.  Cos.  (17  aprile  459). 

X)  Neqtie  senatorem  urbis  Romae,  neque  Ecchsiam  ex  testamento 
sihi  a  certis  personis  aliquid  reìictuni  fisco  inferre  cogendiim,  et  de  po- 
ptilis  urbicis. 

XI)  De  Episcopali  iudicio  et  ne  quis  invitus  cUricus  orditietur  et 
de  ceteris  negotiis.  Ricimeri  viro  illustri  corniti  et  magistro  utriusque 
militiae  atque  Patricio.  V.  Kal.  Aprii.,  Magno  et  Apollonio  VV. 
ce.  Coss.  Arelato  (28  marzo  460). 

XII)  De  aurigis  et  seditiosis. 

b)  Fonti  Greche. 

1)  Prisco  Panita  (del  quinto  secolo).  Il  Niebuhr  lo  dice:  longe  opti- 
mus  omnium  sequioris  aevi  historicorum  ;  ingenio,  fide,  sapientia 
nulli  vel  optimorum  temporum  posthabendus.  —  È  relativo  a 
Maioriano  il  frammento  27°  della  sua  'loTopi'a  TotSuc'a  conserva- 
toci negli  Excerpta  de  legationibus.  Ed.  Moller,  F.H.G.,  IV,  pa- 
gina 103;  DiNDORF,  Ristorici  Graeci  Minores,  I,  pag.  338. 

2)  Procopio  di  Cesarea.  De  bello  Vandalico,  I,  7,  ed.  Dindorf.  Bon- 
nae,  1835,  pag.  340.  L'autorità  di  Procopio,  per  le  cose  d'Occidente, 
è  ben  poca  come  hanno  dimostrato  di  recente  alcuni  scrittori; 
vedremo  a  suo  tempo  come  non  sia  attendibile  quanto  egli  scrive 
intorno  agli  avvenimenti  del  regno  di  Maioriano. 

3)  EvAGRio  di  Epifania,  amico  del  patriarca  Gregorio  (570-593). 
Historia  Ecclesiastica,  II,  7,  ed.  Reading,  Cantabrigiae,  1720. 

4)  Giovanni  Malala  XpoNo-^pacpia,  ed.  Dindorf.  Bonnae,  1831,  pa- 
gina 375.  Questo  cronografo,  di  pochissima  autorità,  il  quale  scri- 
veva sotto  Giustino  II  (565-578)  apre  la  serie  delle  cronache 
bizantine.  Esso  fa  succedere  erroneamente  Maioriano  ad  Olibrio. 

5)  Chronicon  Pascale,  ed.  Dindorf.  Bonnae,   1832,  I,  pag.  593. 

6)  Teofane  d'Isauria  soprannominato  il  Confessore,  Xpovo-Ypacpta, 
ed.  Classen,  Bonnae,  1839,  I,  pagg.  169,  174,  183.  Noi  seguiamo, 
in  generale,  la  recentissima  edizione  del  De  Boor,  Lipsiae,  1883, 
I,  pagg.  109,  112,  118.  L'Holder-Egger  (op.  cit.,  pag.  292)  crede 
che  Teofane  si  sia  giovato  per  la  sua  cronaca  degH  annali  Ra- 
vennati. Le  notizie  che  riferisce  sono  confuse  ed  inesatte,  poiché 


Ulmperatore  oMaioriano  267 


non  solo  la  sua  cronologia  è  arretrata  di  circa.  8  anni,  ma  inoltre 
egli  ripete  uno  stesso  fatto  due  o  tre  volte.  Nel  nostro  caso  ei 
pone  la  morte  di  Maioriano  nel  455,  quando  invece  avvenne 
nel  461  ;  lo  fa  succedere,  in  un  luogo  a  Massimo,  in  un  altro 
ad  Olibrio  nel  472  (464  secondo  Teofane)  dimenticitndosi  di  aver 
poco  prima  parlato  della  sua  morte. 

7)  Giovanni  Antiocheno.  Framm.  201,  202,  205,  ed.  Mùller,  F.H.G., 
IV,  pag.  615.  Preziosissime  notizie  ci  ha  conservato  questo  mo- 
naco del  settimo  secolo,  nella  sua  cronaca,  intorno  ad  Avito  e 
a  Maioriano,  notizie  degne  di  esser  considerate  poiché  Giovanni 
Antiocheno  trascrive,  a  parola,  le  sue  fonti;  per  esempio  la  prima 
parte  del  frammento  203  è  tolta  di  peso  dal  frammento  27°  di 
Prisco.  Cf.  Holder-Egger,  op.  cit.,  pag.  295. 

8)  G.  Cedreno,  Hist.  compendium,  ed.  Bekk'er,  Bonnae,  1838,  I, 
pag.  607.  La  cronaca  di  Giorgio  Cedreno,  monaco  del  secolo  un- 
decimo,  va  dall'origine  del  mondo  fino  all'anno  1057.  Secondo 
questo  cronista,  ucciso  Massimo,  Maioriano  occupò  l'impero  ro- 
mbano per  due  anni,  e  dopo  di  lui  regnò  Avito. 

9)  Costantino  Manasse  (del  secolo  xii),  autore  di  una  cronaca 
in  versi  (Comp.  Chronicum,  ed.  Bekker,  Bonnae,  1837,  pag.  116) 
scrive  che  dopo  Massimo  regnarono  in  Roma  Antemio,  Olibrio 
e  Maioriano. 

c)  Fonti  Numismatiche. 

Dell'imperatore  Maioriano  ci  restano  16  medaglie  d'oro,  d'argento 
e  di  bronzo.  Vedile  descritte  in  Cohen,  Médailles  Imperiahs,  Paris, 
1862,  VI,  pag.  514.  Cf.  anche  Rasche,  Lexicon  rei  ninnmariae, 
III,  i,  pag.  130;  Eckhel,  Doctrina  Numorum  Veterum,YlU,  pag.  195. 
Maioriano  fu  seguace  della  religione  cristiana;  lo  dimostra  il  2^  di 
alcune  medaglie  e  la  croce  in  una  corona  di  lauro  effigiata  in  una 
di  queste. 

Letteratura. 

a)  Monografie. 

i)  Jacobus  van  Hengel,  specimen  historico-literarium  de  Maioriano. 
Lugduni  B.,  1833.  È  il  solo  lavoro, fatto  con  abbastanza  cura,  che 
conosciamo  intorno  a  Maioriano.  Ce  ne  siamo  giovati  moltissimo. 

b)  Opere  diverse. 

i)  SiGONius,  de  occidentali  imperio.  Francf.,  1593,  pag.  235.  Non  è 
molto  esatto,  anzi  confonde  i  fatti,  specialmente  rispetto  alla  spe- 


L.  Caìitarelli 


dizione  Vandalica  di  Maioriano.  Vedi  la  giusta  critica  che  ne  fa 
il  VAN  Hengel,  op.  cit.,  pag.  26  e  seg. 

2)  H.  Valesii,  rerum  Francicarum,  Lutetiae,  1646,  l,  pag.  190.  E 
utile  specialmente  per  la  guerra  di  Maioriano  con  Teodorico  II 
re  dei  Visigoti. 

3)  T11.LEMONT,  Histotre  des  Emperetirs.  Venise,  1739,  VI,  pag.  306. 

4)  Vaissette,  Histotre  gén.  de  la  province  de  Langtiedoc,  Paris,   1730, 

I,  pag.  200  e  seg. 

5)  DuBOS,  Histoire  critique  de  V établissement  de  la  Monarchie  Franfuise 
dans  les  Gaules.  Amst.,  1735,  II,  pag.  40  e  seg. 

6)  BuAT,  Histoire  anc.  des  peuples.  Paris,  1772,  VIII,  pag.  49  e  seg. 

7)  Muratori,  Annali  d'Italia.  Anni  457-61. 

8)  GiBBON,  Storia  della  decaden:ì^a  dell'impero  romano  (trad.  it.),  Milano, 
1821,  VI,  pag.  501  e  seg. 

9)  ScHLOSSER,  Geschichte  der  alt.  Welt.  Frank.,  1832,  III,  3,  pag.  246. 
Non  è  molto  esatto:  cf.  van  Hengel,  op,  cit.,  pag.  52. 

io)  Papencordt,  Geschichte  der  vandalische  Herrschaft  in  Afr.  Berlin, 

1837,  pag.  93  e  seg. 
ri)  L.  Marcus,  Histoire  des   Wandales^,  Paris,  1838,  pag.  264. 

12)  H.  Fynes  Clinton,  Fasti  romani.  Oxford,  1845,  I,  pag.  656  e 
seguenti, 

13)  L'art,  del  Teuffel nella  Enciclopedia  Reale  del  Pauly,  IV,  pag.  1457. 

14)  Nouvelle  Biographie  gén.  Didot,  XXXII,  col.  989.  Uart.  intorno 
a  Maioriano  è  segnato  Y. 

15)  Uart.  del  Plate  nel  Dict.  of  G.  a.  Roman  Biography  dello  Smith, 

II,  pag.  906. 

16)  Wietersheim-Dahn,  Geschichte  der  Vòlkerivanderung,  Leipzig,  1881, 
IP,  pag.  282  e  seg. 

17)  Dahn,  Die  Kònige  der  Germanen,  Mùnchen,  1861,  I,  pag.  157; 
Wùrzburg,  1870,  V,  pag.  87. 

18)  Sievers,  Siudien  ^ur  Gesch.  der  Rom.  Kaiser,  Berlin,  1870,  pag.  518. 

19)  Gregorovius,  Storia  della  città  di  Roma  nel  medio  evo  (trad.  it.), 
Venezia,  1872,  I,  pag.  244. 

20)  Le  già  citate  ricerche  del  Kaufmann  e  dell' Holder-Egger,  che 
gettano  tanta  luce  sulla  storia  dei  secoli  quinto  e  sesto,  e  che 
son  fatte  coll'erudizione  e  coU'esattezza  propria  dei  lavori  tedeschi. 

21)  Am.  Thierry,  Dermm  temps  de  l'Empire  d' Occidente,  Faris,  1876, 
pag.  2  e  seg. 

22)  WATTEtiBACH,  Deutschlands  Geschichtsquellen  in  M.  A. '^,  Berlin,  1878. 


% 


L'Imperatore  oMaioiHano  269 

IL 

Maioriano  prima  che  fosse  eletto  imperatore. 

Maioriano  prese  il  suo  nome  (i)  dall'avo  materno,  prode 
soldato,  che,  al  tempo  di  Teodosio  I,  aveva  avuto  il  co- 
mando della  cavalleria  e  della  infanteria  nella  Panonia, 
Della  madre  la  storia  non  ci  ha  conesrvato  il  nome;  il 
padre  chiamavasi  Donnino  e,  in  qualità  di  questore  di 
Ezio,  amministrò  con  abilità  e  giustizia  la  cassa  militare 
aella  GaUia.  In  qual  luogo  e  in  quale  anno  sia  nato  il 
futuro  imperatore  ci  è  ignoto  (2);  è  per  altro  certo  che, 

(i)  Gli  antichi  scrittori  non  sono  concordi  sul  nome  di  Maioriano. 
Maiorino  (Ma-.opTvo;)  lo  chiamano  Procopio  (de  hell.  Vand.,  I,  7); 
Teofane  (Chronographia,  I,  109);  Evagrio  (Hist.  Eccl.,  II,  7);  Gio- 
vanni Malala  (Chronographia,  pag.  375);  Giovanni  Antiocheno 
(fr.  203);  Cedreno  (Chronographia,  I,  pag.  606);  Costantino  Ma- 
nasse lo  chiama  Mafwp  (Camp.  Chr.,  pag.  116).  La  Chronica  Sancii 
Benedica  Casinensis,  pag.  485,  lo  dice  Maurinus.  Maioriano  (Maioria- 
niis,  Maiopia^ò;)  lo  si  trova  chiamato,  tra  i  Greci,  da  Prisco  Panila 
(fr.  27);  tra  i  Latini  da  Idazio,  Marcellino  (Chr.,  Roncalli,  pag.  42, 
293);  dall' Anonimo  Cuspiniano  (ree.  A,  pag.  666);  da  Cassiodoro 
(Chr.,  pag.  654);  da  Severo  Sulpicio  (Chr.,  pag.  451);  da  Sidonio 
Apollinare  (passim);  da  Giordane  (Rom.,  pag.  43),  il  quale  però  lo 
chiama  anche  Maiurianus  (Gei.,  pag.  118).  Vittore  di  Tunnuna 
lo  dice  Maioranus  (Chr.,  Roncalli,  342).  Il  nome  di  Maiorianus  però 
apparisce  tale  anche  nelle  Novellae  e  nelle  medaglie  che  di  lui  ci 
rimangono  ;  perciò  la  sua  autenticità  ci  pare  bene  stabilita.  Gli  altri 
due  nomi  da  lui  portati  sono  Julius  e  Flavius,  non  Valerius  come 
sostengono  alcuni.  Cf.  Rasche,  Lexicon,  III,  i,  pag.  130;  Eckhel, 
Doctrina  num.,  Vili,  pag.  195;  Cohen,  Médailles  Imp.,  VI,  pag.  514. 
Una  iscrizione  greca  cristiana  data  dal  De  Rossi,  Inscr.  Chr.,  803,  lo 
chiama  appunto  Flavio  Maioriano.  Non  sappiamo  per  qual'  ragion 
il  Reumont  nella  sua  Geschichte  der  Stadi  Rom,  I,  pag.  777,  lo  chiami 
Julianus  Maiorianus. 

(2)  SiD.  Kv.,pan.,  v.  106  e  seg.  ;  Giov.  Ant.,  fr.  201,  6;  Cf.  Til- 
lemont,  Empereurs,  VI,  pag.  306  ;  Gibson,  Impero  Romano,  VI,  pa- 
gina 505. 


270 


L.  Cantarelli 


n 


fin  dai  suoi  primi  anni,  si  esercitò,  sotto  il  comando  di 
Ezio,  nel  mestiere  delle  armi  (i),  e  che,  in  breve  volger 
di  tempo,  diede  tali  segni  del  suo  valore  da  destar  l'invidia 
e  la  gelosia  di  molti  e,  specialmente,  della  moglie  di  Ezio. 
Codesta  donna,  nata  di  sangue  reale,  profetessa  come  Vel- 
leda,  ambiziosa  e  crudele  come  Agrippina  (2),  e  che,  se- 
gretamente cercava  di  preparare  la  via  al  trono  al  figHuol 
suo  Gaudenzio,  prevedendo  forse  un  ostacolo  nelle  virtù 
militari  di  Maioriano,  istigò  il  marito  ad  ucciderlo.  Ma 
Ezio  non  volle  soddisfare  lo  scellerato  desiderio  della  mogUe 
sua,  e  contentossi  di  licenziare  il  valoroso  giovane  dalla 
mihzia;  al  quale  ciò  riuscì  più  utile  che  dannoso,  poiché, 
ritiratosi  nella  solitudine  della  campagna,  si  diede  tutto  allo 
studio  delle  leggi,  imparando  cosi  l'arte  di  ben  governare 
i  popoH  (3). 

Ucciso  Ezio  nell'anno  454,  Maioriano  fu  richiamato  alla 
corte  nella  qualità  di  conte  dei  domestici;  ei  vi  tornava  in 
giorni  assai  nefasti  per  l'impero  romano.  L'anno  dopo  infatti, 
levato  di  mezzo  Valentiniano  III  da  Optila  e  Traustila, 
due  antichi  commilitoni  di  Ezio,  il  irono  venne  usurpato 
dal  senatore  Petronio  Massimo,  non  estraneo  certo  alla 
congiura  che  avea  spento  l'ultimo  dei  Teodosidi.  Brevis- 


(i)  Che  combattesse  contro  i  Franchi,  risuha  da  questi  versi  di 
SiDONio  Apollinare,  pan.,  v.  212: 

post  tempore  parvo 

Pugnastis  pariter,  Francus  qua  Cloio  patentes 
Atrebatum  terras  pervaserat.  Hic  coeuntes 
Claudebant  angusta  vias,  arcuque  subactum 
Vicum  Helenam,  flumenque  simul  sub  tramite  longo 
Artus  suppositis  trabibus  transmiserat  agger. 
mie  te  posilo,  pugnabat  ponte  sub  ipso 
Maiorianus  eques. 

Vedi  nel  Dubos,  Histoire  Critique,  II,  pag.  40  e  seg.,  e  nel  van 
Hengel,  de  Maioriano,  pag.  11,  la  discussione  sul  tempo  probabile 
di  questa  guerra. 

(2)  Am.  Thierry,  Empire  d'Occident,  pag.  5. 

(3)  SiD.  Ap.,pan.,v.  205-295.  Cf.  Tillemont,  op.  cit.,  pag.  307. 


L'Imperatore  oMaiorìano  271 

simo  fu  il  regno  del  nuovo  imperatore,  che  venne  uc- 
ciso, come  già  è  noto,  dalla  plebaglia,  m.entre  cercava 
di  fuggire  da  Roma,  minacciata  da  Genserico  re  de'  Van- 
dali, il  quale,  con  quella  sua  spedizione  nel  Lazio,  inau- 
gurò la  guerra  di  sterminio  che  d'allora  in  poi,  come  ha 
ben  dimostrato  il  professore  Morosi  in  una  sua  recente 
monografia  (i),  ei  non  risparmiò  di  fare  alla  dominazione 
romana.  Mentre  queste  cose  accadevano  in  Italia,  Avito, 
patrizio  di  Alvernia,  era  proclamato,  coll'aiuto  dei  Visigoti, 
imperatore  a  Tolosa.  In  mezzo  a  tanto  disordine,  a  tanta 
confusione,  un  uomo  cercava  di  usufruire  degU  avvenimenti 
a  proprio  vantaggio.  Era  costui  Ricimero.  Nato  da  uno 
svevo  di  sangue  reale  e  da  una  figlia  del  re  Vallia,  il  fon- 
datore del  regno  Visigoto  di  Tolosa  (2),  valoroso  in  guerra 
(della  quale  avea  imparato  l'arte  alla  scuola  di  Ezio,  ove 
gli  furono  compagni  Egidio,  Marcellino  e  Maioriano)  ma 
dotato  di  animo  feroce,  come  ebbe  a  mostrarlo  in  parecchie 
occasioni,  abbracciò  subito  la  causa  dell'  imperatore  Avito  e 
da  lui  ottenne  grandi  favori  fino  ad  esser  nominato  co- 
mandante supremo  di  tutte  le  milizie  d'Italia  (3).  Egh  pe- 
raltro mirava  a  cose  maggiori;  a  creare,  cioè,  un  potere 

(i)  L'Invito  ài  Eudossia  a  Gefiserico,  Firenze,  1882.  Vedi  la  nostra 
recensione  nella  Cultura  15  aprile  1883.  —  Da  un /r.  (201,  §6)  di 
Giovanni  Antiocheno  risulterebbe  che,  dopo  la  morte  di  Valenti- 
niano  III,  alcuni,  e  tra  questi  specialmente  l'imperatrice  Eudossia, 
cercarono  di  innalzare  al  trono  Maioriano,  ma  Petronio  Massimo, 
a  furia  di  oro  (t-^  twv  xp^.'^-àTUN  xo^n'([(x)  trionfò  del  suo  competitore. 

(2)  SiD.  Ap.,  carni.  XXII,  v.  360: 

Tum  livet  quod  Ricimerem 
In  regnum  duo  regna  vocant:  nam  patre  Suevus, 
A  genitrice  Getes.  Simul  et  reminiscitur  iliud, 
Quod  Tartesstacis  avus  huius  Wailia  terris 
Vandalicas  turmas  et  iuncti  Martis  Alanos 
Stravit,  et  occiduam  texere  cadavera  Calpen. 

Cf.  Am.  Thierry,  op.  cit.,  pag.  3. 

(3)  Alcuni,  tra  cui  il  Wietersheim  (Gesch.  der  Vòlkerwanderung, 
II*,  pag.  285),  credono    che   il    comandante   supremo   delle  milizie 


272 


L.  Cantarelli 


occulto,  a  governare  lo  stato  lasciando  il  vano  titolo  d'im- 
peratore ad  un  uomo  che  fosse  a  lui  interamente  devoto  (i), 
e  quest'uomo  egli  credeva  di  averlo  trovato  nel  suo  amico 
Maioriano.  Unitosi  a  lui,  ed  approfittando  dei   malumori 

(magister  militiitn)  a  cui  alludono  i  seguenti  versi  di  Sidonio  Ap. 
(pan.,  V.  553)  sia  Ricimero: 

Qui  libi  praeterea  comites,  quantusque  magister 
Militiae,  vestrum  post  vos  qui  compulit  agmen, 
Sed  non  invitum  ?  dignus  cui  cederei  uni 
Sylla  acie,  genio  Fabius,  pietate  Metellus, 
Appius  eloquio,  vi  Fulvius,  arte  Camillus? 

Ma,  come  osserva  il  van  Hengel  (op.  cit.,  pag.  5),  Ricimero  era 
stato  magister  inilitiim  prima  di  Maioriano  e  quando  questi  lo  divenne, 
fu  creato  patrizio  nello  stesso  giorno.  Ad  ogni  modo  Ricimero  era 
comandante  delle  milizie  in  Italia,  e  qui  Sidonio  parla  di  quello 
delle  Gallie.  Questi  versi  alludono  invece  ad  Egidio,  antico  com- 
pagno d'armi  di  Maioriano,  comandante  appunto  le  milizie  della 
Gallia,  come  risulta  da  questo  passo  di  Gregorio  di  Tours  (Hist. 
Frane,  II,  11):  «  in  Galliis  autem  Egidius  ex  Romanis  magister  mi- 
litum  datus  est  »;  e  al  quale  principalmente  Maioriano  dovè  la  vittoria 
sul  partito  che  nelle  Gallie  si  era  formato  contro  di  lui,  come  avremo 
occasione  di  vedere  più  tardi.  Che  nei  versi  di  Sidonio  non  si  alluda 
neppure  a  Nepoziano,  come  sostennero  altri,  lo  ha  provato  lo  stesso 
VAN  Hengel  col  dimostrare  che  Nepoziano  era  magister  militum  di 
Teodorico  II  re  dei  Visigoti.  È  opportuno  avvertire  che  Costantino 
istituì,  pel  comando  dell'armata  regolare,  due  magistri  militum,  uno 
per  la  fanteria,  l'altro  per  la  cavalleria.  Al  quinto  secolo  crebbero  a 
otto:  cinque  nell'impero  di  Oriente,  di  cui  due  alla  corte  (prasen- 
tales),  e  tre  nelle  provincie  (per  Orientem,  per  Thracias,  per  Illyricum)  ; 
tre  in  Occidente,  di  cui  due  alla  corte  (prasentales)  ed  uno  in  Gallia 
(per  Gallias).  Vedi  Willems,  Droit  pnbìic  romain,*  Louvain,  1880, 
pag.  601. 

(i)  Quasi  tutti  gli  storici,  tra  cui  il  Thierry  (op.  cit.,  pag.  7) 
sostengono  che  Ricimero  non  aspirò  al  potere  imperiale  nella  sua 
qualità  di  barbaro;  certo  è  invece  che  lo  Svevo  ambi  l'impero  e 
battè  moneta.  «  Nei  sepolcri  santambrosiani,  così  il  Biraghi  (/  tre 
sepolcri  santambrosiani.  Milano,  1864,  pag.  52,  citato  dal  Talini, 
5.  Epifanio  ed  Ennodio),  se  ne  rinvenne  una  colla  scritta:  VLavius 
REGImi;RVS,  e  nel  rovescio  YlcTOria  rappresenta  una  nave  gui- 
data da  un  genio  e  in  essa  la  Vittoria  con  corone  in  mano  ». 


n 


L'Imperatore  oMaìoriano  278 

che  Avito  aveva  destato  nel  senato  e  nel  popolo,  ordì 
una  congiura  contro  l'imperatore,  lo  costrinse  a  deporre 
il  diadema  imperiale  in  Piacenza  il  5  ottobre  del  456  e  di 
11  a  poco  tempo  lo  fece  anche  uccidere  (i).  . 

(i)  Alcuno  potrà  forse  maravigliarsi  di  quanto  diciamo,  nel  testo, 
sulla  morte  di  Avito;  ma  noi  vogliamo  affermare  sol  quello  che  è 
consentito  dalla  maggior  parte  delle  foiiti.  Ora  esse  non  sono  con- 
cordi sulla  fine  di  questo  imperatore.  Gregorio  di  Tours  (II,  11) 
scrive  che  Avito  a  cum  Romanorum  ambisset  imperium,  a  Senato- 
ribus  proiectus  apud  Placentiam  urbem  episcopus  ordinatur  «  ma 
temendo  per  la  sua  vita  «  basilicam  sancti  Juliani  Arverni  martyris 
cum  multis  muneribus  expetivit  »  e  che  mori  per  via,  ed  il  suo  corpo, 
portato  a  Brives,  fu  sepolto  a'  piedi  di  quel  martire.  Tutto  questo 
racconto,  dice  I'Holder-Egger  (op.  cit.,  pag.  273),  «  ist  gewiss 
keiner  schriftlichen  Q.uelle  entnommen,  sondern  Gregor  hat  den 
Grabstein  des  Avitus  in  der  Kirche  zu  Brives  gesehen  und  diese 
Erzàhlung  ist  ihm  mùndlich  mitgetheilt  worden  ».  La  notizia  che 
Avito  sia  stato  ordinato  vescovo  di  Piacenza  non  mi  pare  molto 
attendibile  benché  la  i\ìgistrino  la  cronaca  del  641  (Prosperi  chronìci 
contimiator  Hauniensis,  ed.  Hille,  pag.  26,  cito  dall' Holder-Egger, 
pag.  258);  Mario  d'Avenches  (pag.  402),  Vittorio  di  Tunnuna 
(pag.  342)  e  Gregorio  di  Tours  sopra  citato;  non  mi  pare,  dico, 
molto  attendibile  poiché  non  ne  fan  cenno  alcuno  I'An.  Cuspiniano 
che  ha  queste  sole  parole  (pag.  666)  :  «  Et  capituus  est  imperator 
Placentia  a  magis.  mil.  Ricimere  »;  Cassiodoro  (pag.  654);  la  Cro- 
naca del  Florez  attribuita  a  Severo  Sulpicio  (pag.  453);  la  Con- 
tinuatìo  Prosperi  ex  nis.  Vaticano  (pag.  719);  Idazio  (pag.  42),  il  quale 
cosi  si  esprime:  «  Avitus  tertlo  anno  posteaquam  a  Galliis,  et  a 
Gothis  factus  fuerat  Imperator  caret  imperio,  Gothorum  promisso 
destitutus  auxilio,  caret  et  vita  ».  Certo  è  che  in  questo  caso,  la  pre- 
ferenza va  data  alla  Cronaca  d' Idazio  «  der  glauhwùrdigere  Zeitge- 
nosse  »  dell'imperatore  Avito,  come  dice  il  Wietersheim  (op.  cit., 
pag.  281).  Diverso  da  tutti  è  il  racconto  di  Giovanni  Antiocheno 
(fr.  202),  secondo  il  quale  Avito,  sfuggendo  ad  una  ribellione  del 
popolo  romano,  sarebbe  stato  inseguito  da  Maiorìano  e  da-  Ricimero 
e  costretto  a  salvarsi  in  un  luogo  sacro  (-:è;ji.ENo;).  Colà  le  milizie 
di  questi  ultimi  lo  assediarono  finché  egli  morì  di  fame.  Però  aggiun- 
gevasi  che  egU  finisse  invece  strangolato  (oTt  àirsTT'v i-yti).  Riassumendo 
adunque  e  fondandoci  specialmente  sopra  1'  Anonimo,  Idazio  e 
Giovanni  Antiocheno,  noi  crediamo  probabile  che   Avito  in  Pia- 


274 


L.  Cantarelli 


Dopo  la  morte  di  Avito  successe  un  interregno  di  circa 
sei  mesi,  durante  il  quale  Ricimero  signoreggiò  da  solo; 
egli  si  fece  creare  patrizio  il  28  febbraio  dell'anno  seguente, 
e  nello  stesso  giorno  concesse  il  supremo  comando  di 
tutte  le  milizie  a  Maioriano  (i),  il  quale  si  conciliò  subito 
il  favore  dei  Romani,  riportando  una  vittoria  sopra  gli 
Alemanni,  Questi  infatti,  in  numero  di  novecento,  passate 
le  Alpi,  eran  discesi  a  predare  nella  Rezia  ;  Maioriano  inviò 
contro  di  loro  un  suo  ufficiale  di  nome  Burcone,  il  quale, 
nel  marzo  di  quello  stesso  anno  457,  li  vinse  nei  cosid- 
detti Campi  Canini  obbligandoli  ad  abbandonare  quelle 
regioni  (2).  Da  questa  vittoria,  così  facilmente  acquistata, 
e  che  Sidonio  Apollinare  {Pan.,  v.  275)  magnifica  nel  suo 
Panegirico,  si  può  di  leggieri  comprendere,  scrive  il  Gibbon, 
in  quali  misere  condizioni  versasse  allora  l' Italia. 


III. 

Maioriano  imperatore.  Sue  riforme. 

Morto  sul  finire  di  gennaio  dell'anno  457  l' imperatore 
di  Oriente  Marciano,  fu  scelto  a  suo  successore,  il  7  feb- 

cenza  non  solo  abbia  perduto  la  dignità  imperiale  ma  anche  la  vita. 
Quanto  alla  data  della  deposizione,  essa  si  fonda  sopra  un  testo  di 
Teofane  il  quale  dice  che  Avito  fu  vinto  {hi%riis-fì)  da  Ricimero 
19  giorni  (p.s3'  r;v.E5a;  ts')  dopo  la  morte  del  patrizio  Remisto  {Chr., 
pag.  169,  ed.  Classen),  e  questa  avvenne  il  17  settembre  (XV.  Kal. 
Octohres)  secondo  I'An.  Cusp.  A.  —  La  complicità  di  Maioriano  con 
Ricimero  non  si  può  metter  in  dubbio,  che  la  registrano  tutti  i  cro- 
nisti i  quali  attinsero  ai  fasti  ravennati.  Cf.  Wietersheim,  op.  cit.,  II, 
pag.  281;  SiEVERS,  Studien,  pag.  517;  Kaufmann,  Fasten,  pag.  284; 
Holder-Egger,  op.  cit.,  pag.  249,  357. 

(i)  An.  Cusp.  A:  «  457.  Constantino  et  Rufo  His  coss.  Ricimer 
magist.  mil.  patricius  factus  est  prid.  kl.  Marcias.  Et  factus  est  Maio- 
rianus  mag.  mil.  ipso  die  ».  Cf.  Muratori,  Annali,  a.  457;  Sievers, 
op.  cit.,  pag.  518. 

(2)  La  vittoria  sugli  Alemanni  deve  esser  avvenuta  nel  marzo  457, 
poiché  SiDONio  (Pan.,  v.  278)  dice  che  Maioriano  era  allora  mae- 


Uhnperatore  oMaioriano  276 

braio,  Leone  chiamato  il  Trace  (i);  il  quale,  aderendo 
all'unanime  desiderio  del  senato,  del  popolo  e  dell'eser- 
cito romano,  nominò  Augusto  in  Occidente,  il  primo 
aprile  dello  stesso  anno,  Maioriano,  il  comandante  supremo 
delle   milizie    d' Italia   (2).    Giordane    {Getica,  45)  scrive  : 

stro  delle  milizie  (iamque  magister  eras).  I  campi  canini  sono  la  val- 
lata di  Bellinzona  per  la  quale  passa  il  Ticino  nella  sua  discesa  dal 
monte  Adula  al  lago  Maggiore.  Oggi  si  chiamano  Grauhùnàleti. 
Cf.  Cluveri,  Italia  Antiqua,  I,  pag.   idi. 

(i)  Marcell.,  Chr.,  pag.  293;  Sievers,  op.  cit.,  pag.  480;  Wie- 
TERSHEiM,  op.  cit.,  II,  pag.  282;  Holdhr-Egger,  op.  cit,,  pag.  357. 
La  data  della  elevazione  di  Leone  I  ricavasi  dal  Chronicon  Pascah, 
pag.  S92. 

(2)  An.  Cusp.  a,  pag.  666:  «  Constantino  et  Rufo  conss.  Et  le- 
vatus  est  imperator  DN.  Maiorianus  Kal.  Aprii.  ».  Cf.  Caialog.  Imp., 
pag.  254;  Marcellin.,  pag.  293.  Da  questi  versi  di  Sidonio  {Pan.,  387): 

postquam  ordine  vobis 
Ordo  omnis  regnum  dederat,  plebs,  curia,  miles 
Et  collega  simul, 

chiaro  apparisce  come  Maioriano  fu  eletto  imperatore  per  concorde 
volere  del  popolo  (phhs),  del  senato  (curia),  dell'esercito  (ìniles)  e 
di  Leone  (collega).  —  Il  Tillemont,  op.  cit.,  pag.  634,  in  una  nota 
erudita  sostiene  che  l'elezione  di  Maioriano  non  può  essere  avve- 
nuta il  primo  aprile  del  457,  come  risulta  dal  passo,  testé  riferito, 
dell'AN.  CuspiNiANO,  ma  bensì  verso  la  fine  di  quell'anno  «  à  cause 
que  dans  sa  lettre  du  13  janvier  458  il  mande  sa  promotion  au 
Senat  comme  une  chose  tonte  nouvelle:  Imperatorem  me  factum  co- 
gnoscite  ».  Devesi  però  osservare  che  in  quella  lettera  (della  quale 
parleremo  fra  poco)  egli  dice  di  aver  liberato  «  communibus  ex- 
cubiis  »  l'impero  «  et  ab  externo  host.i  et  a  domestica  elude  ».  Secondo 
il  GiBBON  (op.  cit.,  pag.  491),  per  quest'ultima,  Maioriano  doveva 
intendere  (non  so  con  quanta  probabilità  di  esser  nel  vero)  la  tirannia 
di  Avito,  di  cui  egli  riguardava  la  morte  come  un  atto  meritorio  ; 
neir  «  externo  hoste  »  a  me  pare  di  scorgere  evidente  l'allusione  ai 
Vandali  che  invasero  la  Campania  subito  dopo  eletto  Maioriano,  in 
ogni  modo  prima  della  fine  del  457.  Del  resto  la  data  riferita 
dall'ANONiMO  merita  considerazione  poiché  senza  dubbio  la  ripor- 
tavano i  fasti  ravennati,  di  cui  un  frammento  ci  viene  appunto  con- 
servato, come  già  fu  detto,  nella  ree.  A.  Vittore,  di  Tunnuna  pone 


276 


L.  Cantarelli 


% 


«  post  quem  (cioè  Petronio  Massimo)  iussu  Marciarli  im- 
peratoris  Orientalis  Maiurianus  Occidentale  suscepit  im- 
perium  gubernandum  ».  Due  errori  sono  da  rilevarsi  in 
questo  passo  dell'antico  cronista;  il  primo  consiste  nel  far 
egli  succedere  immediatamente  a  Massimo,  Maioriano, 
tralasciando  così  di  discorrere  del  regno  di  Avito.  Gior- 
dane incorse  in  questa  omissione  perchè  erroneamente 
credeva  che  Avito  avesse  governato  l' Occidente  per  bre- 
vissimo tempo  e  senza  il  consenso  dell'  imperatore  Mar- 
ciano. Difatti  egli  dice  nello  stesso  capitolo  :  «  Ecdicius 
nobilissimus  senator  et  dudum  Aviti  imperatoris,  qui  ad 
paiicos  dies  regnum  invaserai,  filius  »,  quando  invece  è  cosa 
accertata  che  Avito  regnò  circa  un  triennio  col  consenso 
dello  stesso  Marciano.  Scrive  invero  nella  sua  cronaca 
(pag.  38)  Idazio  :  «  Marcianus  et  Avitus  concordes  prin- 
cipatu  Romani  utuntur  imperii  »  (i).  Il  secondo  errore 
di  Giordane  è  di  non  minore  evidenza;  secondo  lui,  Maio- 
riano, diventando  imperatore,  avrebbe  avuto  il  consenso 
di  Marciano,  e  Marciano  era  già  morto.  È  curioso  poi 
che  in  altro  suo  hbro  (^Romana,  ^^^^  Giordane  è  immune 
da  codesto  errore,  poiché  egli  scrive  :  «  Leo  Bessica  ortus 
progeniae  Asparis  patricii  potentia  ex  tribuno  militum  factus 
est  imperator,  cuius  nutu  mox  loco  Valentiniani  (2)  apud 

erroneamente  l'elezione  di  Maioriano  nell'anno  458  a  Roma.  «  Leone 
Aug.  Cos.  Maiorianus  Romas  imperium  sumit  »  (pag.  342).  Cf.  Hol- 
der-Egger,  op.  cit.,  pag.  299. 

(i)  Già  fu  accennata,  trattando  delle  fonti,  la  grande  confusione 
che  regna  tra  i  cronisti  bizantini  sulla  successione  degli  ultimi  im- 
peratori d'Occidente.  Teofane  (pag.  109)  in  un  luogo  fa  succe- 
dere Maioriano  a  Massimo,  e  dopo  di  lui  «  "A|ìy)to;  tiqv  t^;  'PoSar; 
paai>.£tav  IjcpdcTrffS'' »  ;  in  un  altro  (pag.  ii8)  dice  che  Maioriano, 
morto  Olibrio,  «  xr^  paaiXatav  SisSs^a-ro  ».  Così  pure  GIOVANNI  Ma- 
LALA  (pag.  375)  afferma  che  ad  Olibrio  successe  Maioriano,  uno 
dei  senatori  romani  (àwò  rr?  (jm^^xX-tto^j  tti;  aÙT'^;  'Pwam;).  E  lo  stesso 
errore  commettono,  come  fu  già  avvertito,  Giorgio  Cedreno  e  Co- 
stantino Manasse. 

(2)  Il   VAN  Hengel  (op.  cit.,  pag.  17)   discute   sulla   parola  Fa- 


L'Imperatore  oMaioriatio  277 

Ravennani  Maiorianus  Caesar  est  ordinatus  »;  e  ciò  con- 
ferma Cassiodoro  nella  sua  cronaca  là  dove  egli  dice 
(pag.  547)  che  nell'anno  457  «  Marciano  defuncto  Leo 
Orientis,  Maiorianus  Italiae  suscepit  imperium  ». 

Il  primo  aprile  adunque,  Maioriano  fu  creato  impe- 
ratore a  Ravenna  in  un  campo,  sei  miglia  distante  dalla 
cittcì,  chiamato  le  piccole  colonne,  che  forse  serviva  come 
luogo  di  esercitazione  pei  soldati  (i). 

I  primi  mesi  del  suo  regno  furono  occupati  da  lui 
nel  respingere  una  incursione  dei  Vandali.  Fu  già  accen- 
nato precedentemente  come  Genserico  non  si  tenesse  del 
tutto  sicuro  nel  suo  dominio  africano  finche  l'impero  occi- 
dentale fosse  stato  in  caso  di  nuocergli.  Collo  scopo  d'in- 
debolirlo prima  e  poi  di  distruggerlo,  ei  mandava  ogni 
anno,  con  molte  navi,  i  suoi  Vandali  ed  i  Mauri  ad  infe- 
stare le  coste  dell'  Italia,  della  Sicilia,  della  Sardegna  e  della 
Corsica.  Gl'imperatori  d'Oriente,  parecchie  volte,  gì' invia- 
rono ambasciatori  a  pregarlo  che  cessasse  dal  portare  tanta 
desolazione  in  quelle  regioni;  ma  Genserico  non  si  lasciava 
distogliere  dai  suoi  propositi.  La  fortuna  delle  armi  non 
gli  fu  però  sempre  propizia,  che  nel  456  la  flotta  dei  Van- 
dali patì  non  lieve  sconfitta  presso  Agrigento  e  nella  Cor- 
sica (2).  Ad  onta  di  ciò  le  incursioni  continuarono  ancora. 
Appunto  poco  dopo  l'elezione  di  Maioriano,  i  Vandali  ed 
i  Mauri  assalirono  la  Campania  ;  se  non  che  que'  luoghi,  in 
previsione  di  un  assalto  nemico,  non  erano  senza  difesa. 
Infatti  appena  i  Mauri,  lasciati  i  Vandali  nelle  navi,  scesero 

lentiniani  che  non  si  sa,  egli  dice,  come  possa  essere  entrata  nel 
testo.  Ad  ogni  modo  il  Mommsen  l'accoglie  nella  sua  recente  edi- 
zione (pag.  43)  di  Giordane. 

(i)  An.  Cusp.  A:  «  Constantino  et  Rufo.  His  coss....  levatus  est 
imperator  D.N.  Maiorianus  kl.  Apr.  in  miliario  VI.  in  campo  ad 
Columellas  ». 

(2)  Marcus,  Histoire  des  Wandales,  pag.  264;  Sievers,  Stiidien, 
pag.  517. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  19 


278 


L.  Cantarelli 


% 


a  terra,  furono  all'  improvviso  assaliti  dalle  milizie  imperiali 
e  costretti  a  retrocedere.  Accorsi  i  Vandali  in  aiuto  dei  loro 
compagni,  si  venne  a  battaglia  nel  territorio  di  Sinuessa 
all'imboccatura  del  Garigliano  e  del  Volturno.  D'ambo 
le  parti  si  combattè  con  ostinato  furore;  ma  la  vittoria 
rimase  ai  Romani,  ed  i  barbari,  lasciati  sul  campo  mol- 
tissimi morti  dei  loro,  tra  cui  il  cognato  medesimo  di 
Genserico  che  li  guidava,  dovettero,  in  disordinata  e  pre- 
cipitosa fuga,  riprendere  la  via  del  mare  (i). 

(i)  Questa  incursione  dei  Vandali  è    così    descritta   da  Sidonio 
Ap.  subito  dopo  la   vittoria    riportata    da   Burcone   sugli   Alemanni 

(Pan.,  V.  386-391): 

Nuper  post  hostis  aperto 
Errabaf  lentus  pelago,  postquam  ordine  vobis, 
Ordo  omnis  regniim  dcderat,  plebs,  curia,  milcs, 
V.X  collega  simili.  Campanam  flantibus  austris 
Ingrediens  terram,  securum  milite  Mauro 
Agricolam  aggreditur  :  pinguis  per  transtra  sedebat 
Vandalus  operiens  praedam,  quam  iusserat  illuc 
Captivo  capiente  trahi  ;  sed  vestra  repente 
Inter  utrumque  hostem  dederant  sese  agmina  planis, 
Quae  pelagus  collemque  secant,  portumque  reducto 
Efficiunt  lluxu  fluvii.  Perterrita  primum 
Montes  turba  petit,  trabibus  quae  clausa  relictis 
Praedae  praeda  fuit  etc. 

SiDOMio  non  ci  dice  se  Maioriano  stesso  comandasse  l'esercito  ro- 
mano. —  Il  Dahn  (Die  Kònige  der  Germanen,  I,  pag.  156;  Urges- 
chichte  der  germ.  und  roman.  Vólker.  Berlin,  1881,  I,  pag.  168)  pone 
la  battaglia  del  Garigliano  nell'anno  459;  ma  da  quanto  dice  qui 
Sidonio  {niiper  post....  postquam  ordine,  etc.)  è  chiaro  che  essa  av- 
venne subito  dopo  la  elezione  di  Maioriano,  il  quale,  a  nostro  av- 
viso, ne  fa  menzione  nella  sua  lettera  al  senato,  come  già  abbiamo 
più  sopra  avvertito.  Curioso  è  peraltro  che  nella  Storia  delle  miora- 
%ioni  dei  popoli  del  Wietersheim  rimaneggiata  appunto  dal  Dahn, 
quest'ultimo  accetta,  senz'altro,  l'opinione  del  primo  che  cioè  «  die 
Landung  der  Vandalen....  sehr  bald  auf  Maiorian's  Erhebung  zum 
Kaiser  folgte  »  (pag.  387).  —  Il  Sirmond,  nelle  note  al  Panegìrico 
di  Sidonio,  e  il  Marcus,  op.  cit.,  pag.  264,  credono,  senza  alcun 
fondamento  di  verità,  che  il  cognato  di  Genserico,  il  quale  coman- 
dava i  Vandali  fosse  quel  Sersaone  che  appunto  Vittore  di  Vita 
nella  sua  Storia  della  persec.  afric.  (I,  35)  chiama  «  cognatus  regis  ». 
Cf.  Dahn,  Die  Kònige,  I,  pag.  157. 


L'Imperatore  oMaioriano  279 

Ma  questo,  per  Maioriano,  era,  come  dice  giustamente 
il  Wietersheim,  un  vantaggio  momentaneo,  non  una  vit- 
toria decisiva;  ed  ei  già  preparavasi  ad  imprese  maggiori. 

Col  primo  gennaio  del  458  assunse  il  consolato  in- 
sieme all'  imperatore  d'  Oriente,  Leone  ;  e  l' 1 1  dello  stesso 
mese  Maioriano  scrisse  al  senato  di  Roma  una  lettera,  la 
quale  forma  tutto  il  programma  del  suo  regno,  e  che 
merita  perciò  di  esser  qui  riportata  per  intero  : 

Imp.  Maioriamis  A.  ad  Senatum.  —  Imperatorem  me 
factum,  Patres  Conscripti,  vestra  electionis  arbitrio  et  fortis- 
simi exercitus  ordinatiom  cognoscitc.  Adsit  ad  existimationem 
omnium  propitia  divinitas,  qua  regni  nostri  augeat  prò  vestra 
utiìitatc  et  publica  succcssiis,  qui  ad  sustinendi  principatus 
apiceni  non  voluntate  rnea,  sed  obsequio  publica  devotionis 
accessi,  ne  aut  mihi  soli  viverem,  ant  ingratus  rcipublica,  cui 
natus  sum,  sub  hac  recusatione  iudicarer.  Dicatis  quoque  lano 
kalendis  suscepti  feliciter  consulatus  ereximus  fasces,  ut  pra- 
sens  annus,  nascenti  imperii  nostri  incrementa  suscipiens,  nostro 
etiam  nomine  signaretur.  Favete  nunc  principi,  qnem  fecistis, 
et  tractandarum  rerum  curam  participate  nobiscum,  ut  impe- 
rium,  quod  mihi  vobis  annitentibus  datum  est,  studiis  conimu- 
nibus  augeatur.  Prasumite  iustitiam  nostris  vigere  temporibus, 
et  sub  innocentiae  merito  proficere  posse  virtutes.  Nemo  dela- 
tiones  metuat,  quas  et  privati  in  aliorum  condemnavimus,  et 
nunc  specialiter  persequimur.  Nullus  calumnias  reformidet, 
nisi  quas  ipse  commoverit.  Erit  apud  ifos  cum  parente  patri- 
cioque  nostro  Ricimere  rei  militaris  pervigil  cura.  Romani 
orbis  statum,  quem  communibus  excubiis  et  ab  externo  hoste 
et  a  domestica  clade  (i)  liberavinius,  propitia  divinitate  ser- 
vcìnus.  Pitto  instituti  nostri  vobis  inesse  notitiam,  quam  mihi 
amore  vestriìm,  vitae  et  periculorum  quondam  socius  indubitanter 
spondeo:  enitar  tamen  rebus  communibus,  si  superna  conces- 
serint,  auctoritate  principis    et   obsequio  coUegae,  ut  vestrum 

(i)  Vedi  più  sopra  la  spiegazione  di  queste  parole. 


28o 


L.  Cantarelli 


in  me  vobis  non  possit  dispìicere  iiidicium.  Et  manu  divina: 
optamus  vos  felicissimos  et  florentissimos  per  multos  annos 
bene  valere,  sanctissimi  ordinis  patres  conscripti.  Dai.  IH. 
Id.  lan.  Ravenna,  M."  Aug.  I.  Cos.  (i). 

Un  imperatore,  dice  il  Gibbon  (2),  a  proposito  di 
questa  lettera  al  senato,  il  quale,  in  mezzo  alle  rovine 
del  mondo  romano,  faceva  risorgere  quell'antico  linguaggio 
della  legge  e  della  libertà  che  avrebbe  potuto  esser  proprio 
di  Traiano,  doveva  trarre  dal  proprio  cuore  sentimenti  si 
generosi;  mentre  non  poteva  prenderli  né  dai  costumi 
del  suo  secolo,  ne  dall'esempio  de'  suoi  predecessori. 

Le  leggi  che  Maioriano  promulgò  durante  il  suo  regno 
appartengono,  quasi  tutte,  all'anno  458;  è  ragionevole  quindi, 
prima  di  discorrere  intorno  alle  spedizioni  militari  del  no- 
stro imperatore,  veder  brevemente  quali  furono  i  principali 
provvedimenti,  con  cui  egli  tentò  arrestare  il  processo  di 
decomposizione  della  società  romana. 

In  una  sua  costituzione,  che  porta  la  data  del  io  marzo 
458  ed  è  diretta  al  prefetto  del  pretorio  Basilio  (3),  Maio- 
riano dichiara  che  fino  dai  primi  momenti  del  suo  regno 
ei  fu  sollecito  a  sollevare  le  sostanze  dei  provinciali  oppresse 
dall'esazion  dei  tributi  (fessas  provincialium  varia  atqiie  mul- 
tiplici  tributorum  exactione  fortimasj  e  dal  peso  accumulato 
d'indizioni  e  soprindizioni  (4).  A  questo  fine  egli  accorda 
una  generale  e  completa  liberazione  di  tutti  i  tributi  arre- 
trati dovuti  al  fisco  fino  al  principio  della  indizione  unde- 

(i)  Tutti  gli  storici  dicono  che  la  lettera  di  Maioriano  al  senato 
è  del  13  gennaio  (Id.  lan.);  noi  seguiamo  l'edizione  delle  Novellai 
data  dall' Haenel,  che  l'ascrive  invece  all' 11  (III.  Id.  lan.).  Vedi  a 
questo  proposito  le  note  dell'  Haenel,  Nov.  I. 

(2)  Op.  cit.,  pag.  491. 

(5)  Nov.  II:  de  indulgentiis  reliquorum. 

(4)  L' imposta  fondiaria  era  fissata  per  ogni  anno  finanziario,  chia- 
mato hidi'^ìone.  dal  verbo  indicere,  che  esprimeva  l'azione  d'imporre 
i!  tributo.  Superindictlo  significa  una  tassa  straordinaria.  Cf.  Serrigny, 
Dr.  puh.  rontain,  Paris,  1862,  I,  pag.   113. 


4 


L Imperatore  oMaioriano  281 

cima  che  correva  allora  dal  precedente  mese  di  settembre  (i). 
Per  l'imposizione  e  la  collezion  delle  tasse,  Maioriano  ri- 
stabilì la  giurisdizione  ordinaria  dei  governatori  delle  Pro- 
vincie, togliendo  cosi  l'abuso  di  alcuni  officiali,  chiamati 
palatini  et  canonicarii,  i  quali,  in  nome  del  prefetto  del  pre- 
torio, si  servivano  del  loro  potere  per  estorcere,  in  mille 
modi,  il  danaro  ai  sudditi  senza  che  poi  ne  avvantaggiasse 
il  pubblico  erario.  Essi  infatti  esigevano  sempre  i  pagamenti 
in  oro,  ricusavano  la  moneta  corrente  e  volevano  solo  le 
monete  portanti  l'effigie  di  Faustina  e  degli  Antonini.  L'im- 
peratore rimediò  anche  a  questa  frode  col  dare  corso  a 
tutte  le  monete  d'oro,  eccettuato  il  solido  gallico,  man- 
cante non  nel  peso  ma  nel  titolo  (2). 

Di  non  minore  importanza  di  questi  provvedimenti,  ris- 
guardanti  le  finanze  dell'Impero,  son  quelli  relativi  alle 
curie,  i  nervi  dello  stato  e  le  viscere  delle  città  (curiales  nervos 
esse  reiptiblicae  ac  viscera  civitatum  nullus  ignorat),  come  le 
chiama  lo  stesso  imperatore  nella  sua  legge  del  6  novem- 
bre 458.  Erano  esse  ridotte  a  tal  misera  condizione  per  la 
ingiustizia  dei  magistrati  e  per  la  venalità  dei  collettori 
(exactores)  che  parecchi  dei  loro  membri,  rinunziando  alla 
loro  dignità  ed  alla  loro  patria,  fuggivano  nelle  più  lontane 

(i)  Nov.  II,  §  I  :  «  ...sancimus,  universorum  fiscalium  tìtulorum, 
vel  ad  arcarti  magnificentiae  tuae,  vel  ad  utrumque  aerarium  perti- 
nentium,  reliqua  usque  ad  praesentis  nndecitnae  indictionis  ìtiitium  a 
possessoribus  non  petenda  :  quae  sub  generalis  indulgentiae  beneficio 
relaxamus  obnoxiis  ». 

(2)  Cf.  GiBBON,  op.  cit.,  pag.  493.  Il  solidus  era  una  moneta  d'oro, 
che,  dopo  Costantino,  secondo  i  calcoli  di  Bureau  de  la  Malle 
(citato  dal  Serrigny,  op.  cit.,  I,  pag.  93),  valeva  15  franchi  e  io  e. 
—  Nov.  VII,  §  14:  «Nullus  solidum  integri  ponderis  calumniosae 
improbationis  obtentu  recuset  exactor,  excepto  eo  galHco,  cuius  aurum 
minore  aestimatione  taxatur  ».  —  §15:  «  IHis  quoque  fraudibus  ob- 
viandum  est,  quas  in  varietale  ponderum  exactorum  calliditas  facere 
consuevit,  qui  vetustis  caliginibus  abutentes,  Faustinae  aliorumque 
numinum  nescientibus  faciant  mentionem  ». 


282 


L.  Cantarelli 


H 


regioni.  Maioriano,  in  quella  legge,  esorta  i  curiali  a  ritor- 
nare nelle  città,  da  essi  abbandonate,  togliendo  gli  oneri 
aggravanti  le  loro  funzioni  municipali;  ordina  che,  sotto 
l'autorità  dei  presidi  delle  provincie,  levino  di  nuovo  i  tri- 
buti; ma,  invece  di  farli  responsabili  di  tutte  le  somme 
esigibili  nel  loro  territorio,  li  obbliga  solamente  a  render 
conto  esatto  dei  pagamenti  ricevuti  e  a  presentare  la  lista 
dei  morosi,  i  quali  rimangono  sempre  debitori  dello  stato. 
Talvolta  i  curiali,  per  isfuggire  agli  oneri  della  loro  dignità, 
entravano  negli  ordini  sacri;  Maioriano  decise  che  quelli, 
tra  essi,  i  quali  non  erano  ancora  pervenuti  al  diaconato, 
fossero  reintegrati  nelle  curie.  I  diaconi  poi,  i  sacerdoti,  ed 
i  vescovi,  se  aveano  figli  nella  curia,  doveano  lasciar  loro 
1  propri  beni  non  conservando  che  l'usufrutto  della  metà. 
Le  stesse  disposizioni  avean  luogo  quando  si  fosse  trattato 
di  figlie  maritate  a  curiali.  Se  invece  erano  privi  di  figli, 
tutto  il  loro  patrimonio  spettava  alla  curia  (i). 

Ma  i  provvedimenti  dell'imperatore  non  erano  rigo- 
rosamente applicati,  e  Maioriano  stesso  ce  lo  conferma. 
Difatti  alcuni  funzionari  incaricati  di  ricercare  e  di  rein- 
tegrare nella  curia  i  decurioni,  che  l' aveano  abbandonata 
da  meno  di  trent'anni,  li  vendevano  invece  come  schiavi. 


(i)  'Nov.  VII,  §  14:  «  Compulsor  tributi  nihil  amplius  a  curiali 
noverit  exigendum,  quam  quod  ipse  a  possessore  susceperit:  quia 
ad  hoc  tantummodo  perurgendus  est,  ut  pariter  exigat,  et  publicum 
d'ebitorem  ostendat  atque  convincat  ».  —  §  7  :  «  ...  si  intra  diaconatus 
gradum  locatus  probatur,  ad  originem  suam  sine  dilatione  revocetur, 
si  vero  iam,  diaconus  aut  presbyter  aut  episcopus  latae  huius  legis 
tempore  reperitur  —  nihil  de  patrimonio  suo  ahenaturum  se  esse 
cognoscat.  Cui  si  masculini  sexus  prolem  seu  propinquos  esse  conti- 
gerit,  qui  utique  curiae  necessitatibus  obsequantur,  mox  medietatem 
omnium  facultatum  eis  tradere  non  desistat,  sibi  ad  usumfructum 
sex  residuas  uncias  retentaturus  :  si  defuerit  sexus  virilis,  easdem  in 
filiabus  sine  dubio  servaturus,  si  tamen  curialium  connubiis  copu- 
lentur.  Qui  si  in  totum  fortasse  defuerint,  ad  ordinem  urbis  suae 
praedictum  patrimonium  pertinebit  ». 


L'Imperatorie  oMaioriano  283 

dopo  essersi  impadroniti  dei  loro  beni  (i).  L'imperatore 
pronunziò  la  pena  di  morte  contro  gli  autori  di  tali  spe- 
culazioni, ma  ciò  era  del  tutto  inutile,  poiché,  come  dice 
giustamente  l'Houdoy,  la  corruzione  aveva  invaso  tutti  gli 
strati  sociali,  e  se  ancor  esistevano  principi  capaci  di  sancir 
delle  leggi,  mancava  affatto  chi  volesse  eseguirle  (2). 

Con  un'  altra  sua  legge,  intimamente  congiunta  con 
quella  che  abbiamo  testé  esaminata,  Maioriano  tentò  di  far 
risorgere  l'ufficio  del  defensor  civitatis.  Introdotto,  l'anno  3^4, 
nella  diocesi  dell'Illirico,  da  Valentiniano  I,  sulla  proposta 
di  Probo,  prefetto  del  pretorio,  il  defensor  ebbe  lo  scopo 
nobilissimo  di  proteggere  tutte  le  classi  dei  cittadini,  senza 
distinzione  alcuna,  ma  più  specialmente  il  popolo  minuto 
fplebsj  dalle  oppressioni  dei  potentiores.  Altre  attribuzioni 
furono  affidate,  in  processo  di  tempo,  al  defensor,  già  esteso 
per  tutto  l'impero,  le  quali  ne  scemarono  "molto  l'impor- 
tanza; né  certo  potè  accrescerla  Maioriano  colla  sua  co- 
stituzione (3). 

Appartiene* al  26  ottobre  458  quella  che  s'intitola  de 
sanctimonialibus,  vel  viduis  et  de  successionibtis  earum.  In  essa 
r  imperatore  ordinò  che  le  vergini  non  potessero  abbracciare 
la  vita  monastica  prima  di  40  anni;  i  genitori,  che  avessero 
trasgredito  quest'ordine  erano  puniti  colla  perdita  di  un 
terzo  dei  loro  beni.  Le  donne  poi,  rimaste  vedove  e  senza 
figli  in  età  minore  di  40  anni,  doveano  riprendere  marito 
entro  un  quinquennio,    altrimenti  la  metà  del  loro  patri- 

(i)  'Nov.Wl,  §  8:  <f  Hic  etiam  eorum  nequitia  comprimenda  est, 
qui  locum  principalitatis  indepti,  vendunt  defugas  curiales  et  obnoxios 
corporatos,  cum  eos  occulta  depraedatione  concusserint,  quos  utique, 
si  honestatis  memores  patriae  suae  aliquid  affectionis  impenderent, 
revocare  deberent.  Q.uod  ne  deinceps  existiment  se  impune  facturos, 
quicunque  in  tam  sceleratis  nundinis  fecerit,  quocumque  accusante 
convictus,  capitalem  poenam  subibit  ». 

(2)  Le  droitmunicipal.  Paris,   1876,  pag.  631. 

(3)  Cf.  HouDOY,  op.  cit.,  pag.  647;  Padelletti,  Storia  del  D.  Ro- 
mano, Firenze,  1878,  pag.  423  ;  Willems,  op.  cit.,  pag.  600. 


284  L.  Cantarelli 


monio  devolvevasi  ai  prossimi  parenti,e  mancando  questi, 
al  fisco.  Maioriano  ci  avverte  che,  nel  promulgare  questa 
legge,  era  animato  dallo  scopo  di  veder  moltiplicate  le  fa- 
miglie, preservando  così  lo  stato  dagli  effetti  dannosi  del 
celibato  (i).  Questa  legge  venne  abrogata  più  tardi  (20 
febbraio  4^3)  dall'imperatore  Severo,  il  quale  la  chiama  a 
dirittura  iniusta  lex  Maioriani  (2). 

Essendo  in  Arles,  nell'anno  459,  Maioriano  promulgò, 
il  17  aprile,  una  legge  sull'adulterio,  di  cui  fu  questa 
l'origine.  Nella  Tuscia  suhurbicaria  un  Ambrogio  era  stato 
convinto  d'adulterio;  il  governatore   Rogaziano  (3)  avea 

(i)  Nov.  VI,  §  I  :  «  ...edictali  lege  sancimus,  filias,  quas  pater  ma- 
terve  a  saeculari  permixtione  translatas  Christianae  fidei  servire  prae- 
ceptis  continuata  virginitate  censuerint,  in  beatae  vitae  proposito 
permanentes  non  ante  suscepto  honorato  capitis  velamine  consecrari 
quam  quadraginta  annos  aetatis  emensae  talibus  infulis  inofensa  me- 
ruerint  »  —  §  5  :  k  Sancimus,  ut  maritali  obitu  destituta  mulier  qua- 
dragenaria minor,  donec  procreare  per  aetatem  liberos  potest,  intra 
quinquennium  nubat...  sin  vero  saecularem  vitam  et  coniugales  taedas 
perosa  damnaverit,  emenso,  ut  dictum  est,  quinquennio  in  viduitate 
persistens  mox  cum  germanis  fratribus,  vel  sororibus,  eorumque  filiis 
vel  parentibus  propinquiisque...  suas  dividat  facultates,  aut,  si  hi  for- 
tasse  defuerint,  cum  fisco  patrimonium  partiatur  ».  —  Vedi  l'editto 
identico,  nel  contenuto,  del  28  marzo  460,  col  quale  Maioriano  or- 
dina che  nessuno,  contro  la  propria  volontà,  sia  costretto  ad  abbrac- 
ciare lo  stato  ecclesiastico.  «  Il  jugeoit  fort  bien,  dice  il  Tillemont, 
op.  cit.,  pag.  321,  que  ces  ordinations  violentes  ne  se  pouvoient  gueres 
faire  qu'à  la  sollicitation  des  peres  et  des  meres,  qui  vouloient  avan- 
tager  quelques-uns  de  leurs  enfans  au  préjudice  des  autres  ». 

(2)  Nov.  Severi  I,  X.  Kal.  Mart.,  Romae.  Basilio  V.  C.  Cos. 

(3)  Questa  Nof(j//a  sull'adulterio  è  diretta  a  Rogaziano  «  Consularis 
Tusciae  Sulnirhicariae  ».  È  opportuno  accennare  qui  come  tra  le  Pro- 
vincie d'Italia,  dipendenti  dal  vicarius  urbis,  fosse  la  Tuscia  d  Umbria, 
governata  fino  al  366  da  correctores,  e  poi  (dal  370)  da  consulares. 
Nel  367  la  provincia  fu  divisa  in  due  parti:  a  settentrione  dell'Arno 
si  chiamò  Tuscia  annonaria,  e  a  mezzogiorno  si  chiamò  Tuscia  su- 
burbicaria.  Ambedue  furono  governate  da, un  corrector  o  consularis. 
Ma  nell'anno  459  (erroneamente  il  Marquardt  scrive  458)  la  Tuscia 
suburbicaria  apparisce  —  nella  Novella  di  Maioriano  —  governata  da 


n 


L'Imperatore  oMaioriano  285 

creduto  che  fosse  pena  sufficiente  il  relegare  quell'uomo 
in  luogo  determinato  per  un  certo  spazio  di  tempo.  Ma 
non  avendo  Ambrogio  ottemperato  all'ordine  ricevuto,  Ro- 
gaziano  fu  costretto,  per  averne  consiglio,  di  rivolgersi 
all'imperatore,  il  quale  gli  rispose  che  sarebbe  stato  dover 
suo  di  punire  più  severamente  codesto  delitto;  «  non  so- 
lum  leniter  immo  negligenter  pensasti  (così  Maioriano), 
alieni  doloris  iniuriam,  ut  maculam  pudoris  extincti  et  eius 
summam  criminis,  in  quo  quicquid  viro  indignum  est, 
continetur,  elabi  vita  superstite  iudicares  ».  E  generalizzando 
questa  disposizione  relativa  ad  Ambrogio,  l'imperatore  or- 
dina che  il  reo  d'adulterio  sia  punito  colla  relegazione, 
colla  deportazione  anzi  e  colla  confisca  di  tutti  i  suoi  beni  ; 
facendo  esso  ritorno  in  Italia,  permette  a  chiunque  di  uc- 
ciderlo (i). 

Abbiamo  tenuta  per  ultima  la  legge  dell' ii  luglio  458, 
diretta  al  prefetto  di  Roma  EmiHano,  la  quale  rivela  nel 
nostro  imperatore  l'amore  per  le  arti  e  lo  rende  beneme- 
rito dell'archeologia  e  della  città  di  Roma. 

Fin  dai  tempi  di  Costantino  si  trovano  costituzioni  impe- 
riah  che  lamentano  l'incuria  dei  governatori  delle  provincia 
rispetto  ai  monumenti  antichi.  Ma  più  che  la  negligenza 
dei  magistrati  era  deplorevole  l'uso  introdottosi  allora  nelle 
principaU  città  dell'impero  di  demohre  i  pubblici  edifizì. 
Difatti  in  Roma  specialmente   «  i  monumenti    dell'antica 

un  cow5;//am  speciale.  Sul  nome  di  regiones  annonariae  et  suburhicariae 
le  opinioni  sono  diverse.  Vedile  riassunte  nel  Marq.uardt,  Ròm. 
Staatsverw.  P,  pag.  230,  236. 

(i)  Nov.  IX:  «  Unde,  Rogatiane  carissime,  noveris,  ad  rigorem 
veteris  disciplinae  hanc  perennitatem  nostram  observationis  adiecisse 
mensuram,  ut...  relegationem  probrosi  ac  nefandissimi  rei  deportatio 
adiecta  continuo  sequatur,  et  bonis  eius  omnibus  fisci  utilitatibus 
vindicatis,  eum  a  congressu  totius  Italiae  summovendum,  edictorum 
propositione  denunciata  omnibus  perimendi  licentia  :  qua  passim  ita 
insequendus  est...  ut,  si  in  comprehensa  orbis  nostri  parte  repertus 
fuerit,  caesus  iure  videatur  ». 


286 


L.  Cantarelli 


n 


grandezza,  cosi  scrive  il  Ricci  (i),  non  erano  stimati  che 
come  miniera  inesausta  de'  materiali  più  a  buon  mercato  e 
più  atti  di  quelli  che  si  estraevano  da  lontane  cave.  Si  face- 
vano continuamente  ai  facili  magistrati  delle  speciose  ri- 
chieste con  le  quali  si  esponeva  la  mancanza  di  pietre  o 
<li  mattoni  per  qualche  opera  necessaria:  i  più  bei  pezzi 
d'architettura  venivano  indegnamente  deturpati  per  causa 
di  qualche  insignificante  o  pretesa  riparazione».  Contro  tale 
usanza  emisero  leggi  severissime,  Costanzo,  Valentiniano, 
Teodosio  ed  Onorio  (2);  ma  facendosi  sempre  maggiori 
le  demolizioni  dei  monumenti,  Maioriano  ordinò  che  nessun 
edifizio  potesse,  sotto  qualunque  pretesto,  distruggersi,  ri- 
servando al  principe  ed  al  senato  la  cognizione  dei  casi 
estremi.  Il  magistrato  che  avesse  concesso  il  permesso, 
senza  chiederlo  prima  alle  autorità  superiori,  dovea  esser 
multato  di  50  libbre  d'oro;  i  ministri  subalterni  poi  che 
gh  avessero  obbedito,  vengono  minacciati,  nella  legge,  di 
severi  colpi  di  verghe  e  dell'amputazione  d'ambo  le  mani  (5). 
Quest'ultimo  provvedimento,  è  inutile  negarlo,  ha  del 
feroce,  dell'eccessivo  per  lo  meno;  ma  d'altra  parte  non 
bisogna  dimenticarsi  il  tempo  in  cui  esso  veniva  promulgato. 

(i)  Storia  dell'architettura  in  Italia,  Modena,  1857,  I,  pag.  94.  — 
E  strano  che  il  Fea  nella  sua  eruditissima  Dissertazione  sulle  rovine  di 
Roma,  la  quale  fa  seguito  alla  Storia  delle  arti  del  disegno  presso  gli 
antichi  del  Winkelmann,  trad.  dallo  stesso  Fea,  Roma,  1784,  III, 
abbia  tralasciato  di  parlare  dell'editto  di  Maioriano. 

(2)  Cf.  Garzetti,  Della  cond.  di  Roma  e  d'Italia  sotto  gl'imperatori. 
Capolago,  1843,1,  pag.  334. 

(3)  Nov.  IV,  §  I  :  ff  Sancimus,  cuncta  aedificia,  quae  vel  in  tem- 
plis  aliisque  monumentis  a  veteribus  condita  propter  usum  vel  amoe- 
nitatem  publicam  surrexerunt,  ita  a  nullo  destrui  atque  contingi,  ut 
ìudex,  qui  hoc  fieri  statuerit,  quinquaginta  librarum  auri  illatione 
feriatur;  apparitores  vero  atque  numerarli,  qui  iubenti  obtemperaverint, 
fustuario  supplicio  subditos,  manuum  quoque  ammissione  truncandos, 
per  quas  servanda  vetera  monumenta  temerantur  ».  Cf.  Gibbon,  op. 
cit.,  pag.  491  ;  Gregorovius,  Storia  di  Roma  nel  M.  E.,  I,  pag.  245; 
Dyer,  a  History  of  the  city  of  Rome,  London,  1865,  pag.  323. 


L'Imperatore  oMaioriano  287 

Con  queste  leggi  Maioriano  avea  compiuta  una  parte 
del  suo  programma  politico:  il  miglioramento  delle  con- 
dizioni interne  dello  stato.  Gli  restava  da  compiere  an- 
cora la  più  difficile  :  deprimere  le  forze  de'  nemici  esterni 
di  Roma.  Vedremo  come  ei  dovesse,  in  codesta  lotta,  mi- 
seramente soccombere. 

IV. 

Le  spedizioni  militari  di  Maioriano.  Sua  morte. 

La  morte  di  Avito  avea  immerso  la  Gallia  nella  più 
completa  anarchia.  I  Gallo-Romani,  irritati  che  il  loro  im- 
peratore fosse  stato  deposto  ed  ucciso,  rifiutavano  di  ob- 
bedire agli  ordini  del  senato  e  di  Ricimero;  si  era  già 
formato  un  partito,  il  quale  avea  lo  scopo  di  proclamare 
imperatore  Marcellino,  l'antico  compagno  d'armi  di  Ezio, 
che,  sotto  il  pretesto  di  vendicare  la  morte  di  lui,  si  era 
impadronito  della  Dalmazia  (i).  Uno  dei  capi  di  questo 
partito  era  un  certo  Peonio,  il  quale  avea  usurpato  il  ti- 
tolo di  prefetto  del  pretorio  ;  di  lui  Sidonio  Apollinare,  in 
una  sua  lettera  (I,  1 1),  ci  fa  questo  ritratto  :  «  Erat  enim 
ipse  Poeonius,  popuh  totus,  qui  tribunitiis  flatibus  crebro 
seditionum  pelagus  impelleret.  Caeterum  si  requisisses,  qui 
genus,  unde  domo,  non  eminentius  quam  municipaliter 
natus;  quemque  inter  initia  cognosci  claritas  vitrici  magis 
quam  patris  fecerit;  identidem  tamen  per  fas  nefasque  cre- 
scere   affectans,    pecuniaeque    per    avari tiam    parcus,   per 


(i)  Procopio  (de  hell.  Vand.  passim)  Io  chiama  Marcelliano  i^Map- 
jteXXtavò;)  ;  Idazio,  Prisco  ed  altri  lo  dicono  invece  Marcellino.  Egli 
era  ancora  pagano,  e  ciò  non  deve  far  meraviglia,  poiché  il  paga- 
nesimo contava  ancora  molti  seguaci  e  nel  popolo  e  nelle  alte  classi 
sociali.  Vedi  Baret,  Étude  sur  Sid.  Apol.  nella  sua  citata  edizione 
delle  opere  di  questo  scrittore,  pag.  61.  Cf.  Dubos,  loc.  cit.;  Beugnot, 
Hist.  du  Paganisme,  Paris,  1835,  II,  pag.  246;  Cons.  La  prov.  rotti,  de 
la  Dalmatie,  Paris,  1882,  pag.  321. 


288 


L,  Cantar elli 


% 


ambitum  prodigus...  Quumque  de  capessendo  diademate 
coniuratio  Marcelliana  coqueretur,  nobilium  iuventuti  signi- 
ferum  sese  in  factione  praebuerat:  homo  adhuc  novus  in 
senectute  ;  donec  aliquando  propter  experimenta  felicis  au- 
daciae,  natalium  eius  obscuritati  dedit  hiantis  interregni 
rima  fulgorem.  Nam  vacante  aula  turbataque  republica, 
solus  inventus  est  qui  ad  Gallias  administrandas  fascibus 
prius  quam  codicillis  ausus  accingi,  mensibus  multis  tribunal 
illustrium  potestatum  spectabilis  praefectus  ascenderete .  ». 

Questo  è  il  solo  testo  che  ci  rimanga  sulla  congiura 
Marcelliana  ordita  nelle  Gallie;  ed  è  cosa  assai  deplore- 
vole poiché  sarebbe  stato  importante  conoscere  i  rapporti 
dei  congiurati  con  Marcellino  e  i  loro  intendimenti  coi 
Burgundii  e  coi  Visigoti,  i  quali  naturalmente  approfitta- 
vano dello  stato  delle  cose  per  estendere  la  loro  domi- 
nazione nelle  Gallie.  Idazio  ci  narra  che  Teodorico  II  re 
dei  Visigoti,  sulla  fine  del  marzo  457  «  adversis  sibi  nunciis 
territus  »  per  la  elezione  cioè  di  Maioriano  avvenuta  poi  il 
primo  aprile^  abbandonò  la  Spagna,  lasciandovi  una  parte 
del  suo  esercito  a  combattere  i  Suevi,  i  quali,  dalla  Gal- 
lizia  ove  aveano  lor  sede,  si  erano  sparsi  per  tutto  l'interno 
della  penisola,  e  fece  ritorno  in  Gallia.  Fu  certo  allora  che 
i  Visigoti,  e  fors'anco  i  Burgundii,  occuparono  Lione  per 
invito  del  partito  ribelle,  che  di  quella  città  avea  fatto  il 
centro  delle  sue  operazioni  (i). 

Frattanto  Maioriano,  deciso  a  ridurre  i  ribeUi  alla  sua 
obbedienza,  fece  grandi  preparativi  di  guerra.  «  Ridotto  a 
sostituire  de'  barbari  ausiliari  in  luogo  degl'  imbelli  suoi  sud- 
diti »  raccolse  un  numeroso  esercito,  composto  di  Alani,  di 
Suevi,  di  Daci,  di  Rugi,  di  Burgundii,  di  tutti  gli  avanzi 


(i)  Sulla  guerra  tra  ì  Visigoti  e  i  Suevi  in  Spagna  fonte  prin- 
cipale è  Idazio,  Chr.,  pag,  41.  Cf.  Tillemont,  op.  cit.,  pag.  309; 
WiETERSHEiM,  op.  cit.,  pag.  309;  Dahn,  Kontge,  V,  87;  Urgeschichte,  I, 
pag.  361. 


L'Imperatore  oMaioriano  289 

insomma  delle  schiere  di  Attila  (i)  e    con   questo   passò 
le  Alpi  dopo  la  metà  del  gennaio  458  (2).   Bisogna  leg- 

(i)  SiDONio  Ap.  enumera  nel  Panegirico  (v.  474-479)  tutti  questi 
barbari  formanti  l'esercito  imperiale: 

Bastarna,  Suevus 

Pannonius,  Neurus,  Chunus,  Geta,  Dacus,  Alanus, 
Bellonothus,  Rugus,  Burgundio,  Vesus,  Alites, 
Bisalta,  Ostrogothus,  Procrustes,  Sarmata,  Moschus, 
Post  aquilas  venere  tuas  ;  tibi  militat  omnis 
Caucasus,  et  Scythicae  potor  Tanaiticus  undae. 

Alcuni  di  questi  nomi  sono  certamente  un  prodotto  della  fantasia 
di  SiDONio.  Cosi  Bellonothus  è  certo  un  popolo  sconosciuto;  il  Dahn 
(WiETERSHEiM,  pag.  244)  crede  che  sia  un  aggettivo  trasformato  in 
nome  proprio  dai  copisti.  Cf.  Buat,  Hist.  des  peuples,  Vili,  pag.  49. 
(2)  Gli  scrittori  non  sono  d'accordo  sul  tempo  in  cui  avvenne 
la  spedizione  gallica.  Il  Dubos  (loc.  cit.),  il  Tillemont,  pag.  316, 
il  VAN  Hengel,  pag.  34,  il  Papencordt,  Gesch.  der  Vand.  H.,  pag.  92, 
sostengono  che  Maioriano  preparò  il  suo  esercito  dalla  fine  del  457 
fino  al  6  novembre  458  in  cui  esso  era  ancora  in  Ravenna,  e  che  marciò 
alla  volta  della  Gallia  durante  l'inverno  458-59,  di  guisa  che  fece  la 
sua  entrata  in  Lione  nel  dicembre  458.  Sidonio  infatti,  nel  Panegi- 
rico, lo  chiama  console  ed  il  suo  consolato  finiva  appunto  in 
quell'anno.  Questi  scrittori  si  fondano  sugli  editti  imperiali,  che,  nel- 
l'anno 458,  son  sempre  datati  da  Ravenna  sino  all'ultimo  del  6  no- 
vembre. La  Novella  nona  invece  del  17  aprile  459  è  datata  dalla 
città  di  Arles.  Dunque,  concludono  i  suddetti  scrittori,  la  spedizione 
gallica  deve  porsi  tra  questi  due  termini  e  precisamente  sul  finire 
del  458  poiché  Maioriano  era  ancora  console  quando  entrò  in  Lione. 
Ma  il  WiETERSHEiM  (op.  cit.,  pag.  307),  mostrò  giustamente  come 
r  impresa  gallica  non  possa  invece  esser  avvenuta  che  nei  primi  mesi 
dell'anno  458.  Va  bene  che,  secondo  le  date  delle  Novelle,  Maioriano 
sarebbe  rimasto  in  Ravenna  almeno  fino  al  6  di  novembre  458;  ma 
d'altra  parte  non  si  può  comprendere  come  la  lunga  e  difficile  marcia 
da  Ravenna  a  Lione,  nel  cuor  dell'  inverno,  i  negoziati  coi  nemici, 
tutto  ciò  insomma  che  ci  descrive  Sidonio  abbia  potuto  avvenire 
in  meno  di  otto  settimane.  Di  più  si  paragoni  il  modo,  col  quale 
il  poeta  ricorda  il  consolato  di  Maioriano: 

Concipe  praeteritos,  respubblica,  mente  triumphos: 
Imperium  iam  consul  habet... 

{Pan.,  V.  1-2) 

coU'altra    espressione  di   Sidonio   (ib.,   v.   278):    «  iamque  magister 


290 


L.  Cantarelli 


% 


gere  nel  Panegirico  di  Sidonio  la  descrizione  di  questa 
marcia  invernale  e  faticosissima,  durante  la  quale  Maio- 
riano  era  il  primo  ad  affrontare  i  pericoli,  incuorando,  col 
suo  esempio,  i  più  deboli  ed  eccitando  i  meno  disposti  a 
soffrire  tanti  disagi  e  tante  fatiche.  La  sua  improvvisa  ve- 
nuta nella  Gallia  sconcertò  i  disegni  del  partito  a  lui  con- 
trario, sicché,  a  Pietro,  il  magister  scrinionim,  già  spedito 
innanzi,  riusci  facile,  dopo  breve  resistenza  da  parte  dei 
ribelli,  l'impadronirsi  di  Lione.  Alla  città  fu  imposta  dap- 
prima una  forte  guarnigione  per  tenerla  in  obbedienza, 
e  una  considerevole  contribuzione  di  guerra,  che  i  prin- 
cipali abitanti,  tra  cui  Sidonio  Apollinare,  furono  ob- 
bligati a  pagare.  Ma  Pietro,  il  segretario  di  Maioriano, 
legato  di  amicizia  con  Sidonio,  consigliò  all'  imperatore 
più  miti  propositi  verso  Lione;  e  Maioriano  accondiscesa 
a  ricevere  alcuni  ostaggi  in  luogo  della  guarnigione;  li- 
berò gli  abitanti  dalla  contribuzion  di  guerra,  esonerando 
anche  Sidonio  dal  tributo  (tria  capita)  del  quale  era  stato 


eras  »  relativa  alla  vittoria  sugli  Alemanni  riportata,  come  sappiamo, 
da  Burcone  subito  dopo  che  Maioriano  era  stato  creato  magister 
militum;  e  dal  confronto  sorgerà  evidente  come  l'espressione  «  im- 
perium  iam  consul  habet  »  non  possa  alludere  che  ai  primi  momenti 
del  consolato  di  Maioriano.  Sarebbe  stata  infatti,  ci  si  conceda  la 
parola,  assai  ridicola  quella  espressione,  se  il  Panegirico  di  Sidonio 
fosse  stato  pronunciato  negli  ultimi  giorni  di  codesta  dignità.  Oltre 
a  ciò  abbattere  il  partito  Marcelliano  era  per  l'imperatore  una  ne- 
cessità suprema;  quindi  egli  non  avrebbe  fatto  che  il  vantaggio  dei 
propri  nemici  restando  inoperoso  per  tutto  l'anno  458.  E  se  ci  si 
oppone  che,  a  formare  quell'esercito  di  barbari,  era  necessario  pa- 
recchio tempo,  noi  rispondiamo  che  dal  primo  aprile  457  alla  se- 
conda metà  del  gennaio  458  esso  potè  benissimo  esser  raccolto  ed 
organizzato.  Queste  ragioni  ci  paiono  sufficienti  per  affermare  che 
la  spedizione  gallica  avvenne  non  sul  finire,  ma  sul  principio  del- 
l'anno 458  ed  in  ogni  caso  dopo  l'ii  di  gennaio.  Se  le  leggi  di 
Maioriano  sono  sempre  datate  da  Ravenna,  ciò  devesi  senza  dubbio 
ascrivere,  dice  il  Wietersheim,  a  consuetudini,  che  a  noi  rimangono 
affatto  ignote.  Cf.  Sievers,  Stuàien,  pag.  518. 


L'Imperatore  oMaioriano  291 

colpito.  Un'amnistia  generale  segui  la  vittoria  riportata 
dalle  milizie  imperiali  ;  Maioriano  fece  il  suo  ingresso  nella 
vinta  città  e  dinanzi  a  lui  Sidonio  Apollinare,  il  quale  era 
stato,  come  genero  di  Avito,  uno  dei  più  ardenti  sosteni- 
tori di  Marcellino,  pronunciò  quel  lungo  panegirico,  di  cui 
fu  più  volte  discorso,  e  nel  quale  prega  l'imperatore  che 
voglia  ristorare  Lione  dai  mali  sofferti  durante  la  guerra  (i). 
Ma  vinti  i  ribelli,  Maioriano  dovè  continuare  a  com- 
battere contro  i  Visigoti  i  quali  posero  l'assedio  ad  Arles. 
Anche  su  questi  avvenimenti  le  fonti  poco  ci  dicono; 
certo  è  che  Egidio,  il  magist&r  miìitum  delle  Gallie,  rin- 
chiuso in  Arles,  potè  fare  una  felice  sortita  dalla  città,  e 
sconfiggere  completamente  i  nemici  (2)  tantoché  essi 
chiesero  la  pace.  Teodorico  II   infatti    (a.    459)   rinnovò 


(i)  Et  quia  lassatis  nimium  spes  unica  rebus 

Venisti,  nostris  petimus  succurre  ruinis, 
Lugdunumque  tuam,  dum  praeteris,  adspice  victor. 
Otìa  post  nimios  poscit  te  iVacta  labores: 
Cui  pacem  das,  redde  animum.  Lassata  iuvenci 
Cervix  deposito  melius  post  sulcat  aratro 
Telluris  glebam  solidae  ;  bove,  fruga,  colono, 
Civibus  exhausta  est.  Stantis  fortuna  latebat, 
Dum  capitur,  vae  quanta  fuit  !  post  gaudia,  Princeps, 
Delectat  meminisse  mali.  Populatlbus,  igni, 
Etsi  concidimus,  veniens  tamen  omnia  tecum 
Restituis  :  fuimus  vestri  quia  causa  triumphi 
Ipsa  ruina  placet, 

(Pan.,  V.  573-586). 

Un  altro  poemetto  Sidonio  indirizzò  a  Maioriano,  nel  quale  appunto 
lo  prega  di  liberarlo  dal  tributo  che  esso  era  obbligato  a  pagare 
(car.  Vili).  Vedi  Baret,  op.  cit.,  pag.  12  e  seg. 

(2)  Gregor.  Tur.,  Mir.  Mari.,  2;  Paulinus  Petroc,  De.  Mir. 
s.  Martini,  6.  Su  questa  vittoria  di  Egidio  così  scrive  il  Valesio, 
Reruin  Frane,  I,  pag.  130:  k  Pugnam,  cuius  Hydatius  mentionem 
facit  (vedi  la  nota  seguente),  Inter  Romanos  et  Visigothos  tum  fuisse 
existimo,  cum  ^gidius,  Magister  militiae  Gallicanse,  Arelati  obsessus, 
interclususque  a  suis,  invocato  Martino,  ex  urbe  eruptionem  fecit,  et 
hostibus  fusis  ac  fugatis  cum  auxiliis  sese  coniunxit,  eaque  Victoria 
Maioriano....  securitatem,  Gallise  pacem  reddidit  ».  Questa  battaglia 
è  descritta  da  Paolino  Petrocorio  nella  Vita  di  s.  Martino  (loc.  cit.) 


292  L.  Cantarelli 


^ 


l'antica  alleanza  con  Maioriano  promettendogli  valido  aiuto 
contro  i  Suevi  e  contro  i  Vandali  (i);  Prisco  Panita  ag- 
giunge che,  oltre  i  Visigoti,  l'imperatore  d'Occidente  sot- 
tomise ancora  altri  barbari,  parte  colle  armi  e  parte  colle 
alleanze  (2).  Così  coli' aiuto  e  col  credito  che  nella  Gallia 
godevano  Egidio,  il  maestro  delle  milizie,  e  Magno  Felice 
di  Narbonna,  creato  allora  prefetto  del  pretorio,  Maioriano 
riusci  a  pacificare  quella  regione,  facendosi  da  essa  rico- 
noscere come  il  legittimo  successore  di  Avito  (3). 

Da  Lione,  ove  si  fermò  poco  tempo,  Maioriano  andò 
ad  Arles  e  colà  rimase  per  parecchi  mesi  tutto  occupato 
nei  preparativi  per  la  spedizione  contro  Genserico.  Negli 
arsenali  di  Ravenna  e  di  Miseno,  in  quelli  della  Gallia 
furono  allestite  due  grandi  flotte,  tantoché  nel  porto  dì 
Cartagena  in  Ispagna,  in  breve  tempo,  si  raccolsero  tre- 
cento navi,  pronte  a  trasportare  l'esercito  di  terra  in 
Africa  (4).  L'Italia  e  la  Gallia  gareggiarono  in  contribu- 
zioni ;  i  Visigoti  mantennero  i  patti  promessi,  di  guisa  che 
nel  maggio  4^0  Maioriano  partì  alla  testa  di  un  forte  eser- 


(i)  Id.,  Chr.,  43:  (c  Legati  a  Nepotiano  magistro  militice  (di  Teo- 
dorico II)  et  a  Sunierico  Cornile  missi  veniunt  ad  Gallnscos  (ove 
Idazio  viveva),  nunciantes  Maiorianum  Augustum  et  Theodoricum 
regem  firmissima  inter  se  pacis  iura  sanxisse,  Goihis  in  quodam  cer- 
tamine  superaiis  ».  —  Da  quel  tempo  i  Visigoti  furono  uniti  ai  Ro- 
mani nelle  loro  operazioni  militari,  e  nel  giugno  461  combatterono 
contro  i  Suevi,  i  quali  aveano  uccisi,  nella  città  di  Lugo  in  Gallizia, 
alcuni  cittadini  romani  (Id.,  43).  Cf.  Vaissette,  Hist.  de  Lan^uédoc,  I, 
pag.  200  e  seg.;  Dahn,  Kónige,  V,  pag.  87;  Martin,  Hist.  de  France, 
Paris,  1865,  !■*,  pag.  381. 

(2)  Fr.  27  :  «  "0-»  ó  Maisptavò;  ó  tw'*  lairspìwv  'Pwaatwv  paaiXeù?, 
w;  aÙTw  oc  ì^t  FaXarta  FotSoi  (s{>'j.ij.olx.oi  xarsa-rnaa^,  xaì  rà  TlapoiìtoÙNTa 
Tiriv  aÙTOÙ  iTTDcpàTctaN  its^n  xà  aèv  ó'irXsi;,  xà  6è  Xo-^oi;  irapso-Ti^ffaTO  ». 
Cf.    TiLLEMONT,    Op.  cit.,  pag.    3  20;    WlETERSHEIM,    Op.  cit.,  pag.    286. 

(3)  Vaissette,  op.  cit.,  pag.  200. 

(4)  Sui  preparativi  delle  flotte  vedi  la  descrizione  poetica  di  Si- 
DONio  Ap.  (Pan.,  v.  441-461).  Cf.  Papencordt,  op.  cit.,  pag.  94. 


L'Imperatore  oMaiortano  2c)3 

cito,  per  Saragozza  donde  muovere  alla   volta   di   Carta- 
gena  (i). 

Genserico,  spaventato  da  quei  grandi  preparativi  di 
guerra  flitti  contro  di  lui,  fortificò  Cartagine,  ma  nello 
stesso  tempo  volle  inviare  ambasciatori  a  Maioriano  per 
chieder  pace.  L'imperatore  rifiutò  di  accondiscere;  il  re 
vandalo  invase  allora  le  coste  della  Mauritania  Tingitana  e 
Cesariana,  attraverso  la  quale  doveano  passare  le  milizie 
imperiali,  mise  a  ferro  e  a  fuoco  ogni  cosa,  avvelenando 
perfino  i  pozzi  e  le  fontane  (2).  Egli  sperava  così  d' inti- 
morire Maioriano  e  di  persuaderlo  ad  abbandonare  l'inco- 
minciata impresa  (3).  Ma  l' imperatore  non  era  certamente 

(i)  Cassiodoro  nella  sua  cronaca  all'a.  458  (ed.  Mo.mmsen,  pag.  654) 
nota:  c<  Leo  Aug.  et  Maiorianus  Aug.  His  cons.  Maiorianus  in 
Africani  movit  procintum  ».  Forse  qui  accenna  ai  preparativi  della 
spedizione;  poiché  da  Idazio,  Chr.,  43,  ricavasi  invece  che  «(a.  4") 
mense  Maio  Maiorianus  Hispanias  ingreditur  imperator  »,  e  Idazio, 
come  cronista  spagnuolo,  merita  fede.  Vittore  di  Tunnuna (C/;r.,  343) 
aggiunge  che  Maioriano  entrò  in  Saragozza:  «  Magno  et  Apollonio 
Cos.  His  diebus  Maiorianus  imperator  Ccesar.  Augustam  venit  ».  — 
Che  le  navi,  raccolte  nel  porto  di  Cartagena  fossero  in  numero  di 
trecento  risulta  da  questo  passo  di  Prisco,  //-.  27:  «  Itti  ttiv  At^uviv 
ffÙN   TTollvì  5'.aPat>;siN   ÈTrstpà-rs  Ò'j^Ì'j.zi,  ^tiM^   àaoì  rà;  Tpiaxoota;   rSpot- 

(2)  Prisc,  Fr.  27:  «  npEd^J'?  y-è^  irpsTspo-^  xap'  aùrà^  ó  twv  Ba^*- 
òriXia^  r'ysuy.svo;  lirsaTTS,  Xustv  rdé  Stàcaspa  Xi-yst;  |3o'j>.o;ji.svo;.  w;  6è  oùjt 
SirstSe,  T^v  Ma'jpo'jaìwv  -yTiv,  1;  vjv  to'j;  k'j.'^l  tÒv  Mxtopia^òv  òl-kÒ  ?■«? 
'I^Tipia;   àTTipaì^cH   ly^^r,^,  iràffav   lòipioas,   /.olì  vaì/mciz  y.txi  rà  uSara  ». 

(3)  Procopio  (De  hell.  Vana.,  I,  7),  il  quale  di  questa  spedizione 
contro  Genserico  ci  fa  un  racconto  a  modo  suo,  non  degno  di  esser 
considerato,  narra  che  Maioriano,  desideroso  di  conoscere  in  per- 
sona le  forze  di  cui  i  Vandali  potevan  disporre,  fece  tingere  in  nero 
i  suoi  biondi  capelli,  assunse  il  titolo  di  ambasciatore  di  sé  stesso 
e  partì  per  Cartagine.  Colà  giunto,  Genserico,  per  spaventarlo,  lo 
condusse  nella  sua  armeria  ove  erano  raccohe  moltissime  armi  (ou 
Si^  Tà  OTvXa  ^u^S)4£'.To  iràvra,  ■koWó.  ts  %%\  àatsXs-j'WTaTa  ÓTrspcputS;  ovra); 
ad  un  tratto  le  armi  si  mossero  di  per  sé  facendo  molto  rumore. 
Genserico  pensò  che  ciò  derivasse  da  un  terremoto,  ma  quando  seppe 
che  la  terra  non  avea  punto  tremato,  non  potè  far  a  meno  di  cre- 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI,  20 


294 


L.  Cantarelli 


uomo  da  lasciarsi  spaventare  da  quelle  minacce;  egli  avrebbe 
proseguito  imperterrito  nella  sua  via  e  forse  depressa  per 
non  dire  abbattuta  la  potenza  di  Genserico,  se  i  suoi  di- 
segni non  fossero  stati  sventati  dal  tradimento.  Le  fonti 
sono  oscurissime  su  questo  punto;  pare  che  i  Vandali 
abbiano  potuto,  forse,  comprare  coll'oro  chi  comandava 
la  flotta  romana  ancorata  nel  porto  di  Cartagena;  certo 
è  che,  ad  un  dato  momento,  l'assalirono  all'  improvviso 
e  la  distrussero  catturando  moltissime  navi    (i).    Cosi,  in 


dere  ad  un  prodigio  di  cui  ignorava  la  ragione.  Questo  è  il  racconto 
che  ci  fa  Procopio,  e  che  dagh  storici  più  autorevoli,  tra  cui  il 
WiETHERSHEiM  e  il  Dahn,  è  dichiarato  un  mero  romanzo.  Tale 
giudizio,  emesso  sul  racconto  procopiano,  merita  fede,  poiché  gli 
elementi  romanzeschi,  in  ciò  che  ci  narra  lo  storico  di  Cesarea, 
rispetto  agli  avvenimenti  d' Occidente,  non  fanno  difetto  come  ha 
dimostrato  egregiamente  il  Morosi  nella  sua  citata  monografia. 

(i)  Idat.,  43  :  <c  ....Quo  Carthaginensem  provinciam  pertendente, 
aliquantas  naves,  quas  sibi  ad  transitum  adversum  Vandalos  prae- 
parabat,  de  litore  Carthaginensi  commoniti  Vandali  per  proditores 
abripiunt  »;  Mar.,  Cbr.,  402:  «  Magno  et  Apollinare  coss....  eo  anno 
capt^  sunt  naves  a  Vandalis  ad  Elecem  iuxta  Carthagine  Sparlarla 
Cf.  Sev.  Sulp.,  Chr.  (Florez,  E.  S.,  IV,  pag.  451).  Queste  sono  le 
sole  ed  oscure  notizie  conservateci  dalle  fonti  sulla  disfatta  della 
flotta  romana.  «  Ob  dies,  dice  il  Wietersheim  (op.  cit.,  pag.  286), 
durch  theilweise  Zerstòrung  mittelst  Brander  geschah,  was  bei  ver- 
ràtherischen  Einverstàndnisse  oflfenbar  am  léichtesten  ausfùhrbar 
gewesen  und  mit  Idatius  allenfalls  vereinbar  sein  wùrde,  oder  ob 
der  bestochene  Fuhrer  einer  Abtheilung  geradezu  dieselbe  den  Van- 
dalen  in  die  Hànde  spielte,  erfahren  wir  nicht,  kònnen  iedoch  an  eine 
fòrniliche  Seeschlacht  kaum  glauben  »  e  il  Dahn  aggiunge  in  pa- 
rentesi: «  es  war  wohl  nur  ùberraschende  Wegnahme  j).  —  Carthago 
Nova  (Cartagena)  nella  Spagna  Tarraconese  era  situata  un  po'  ad 
occidente  del  proni.  Saturni  (C.  de  Palos),  al  fondo  d'una  baia,  che, 
avendo  l'entrata  quasi  chiusa  dall'isola  di  Scombraria,  era  così  ridotta 
un  porto  ben  difeso.  Al  tempo  di  Cesare  fu  fatta  colonia,  col  nome 
di  Colonia  Victrix  Julia.  Il  suo  soprannome  di  Sparlarla  deriva  da 
una  pianta  del  genere  delle  ginestre  (Spartum)  che  cresce  in  gran 
copia  nel  suo  territorio  (campus  Spariarius),  e  che  per  la  sua  tena- 
cità vien  adoperata  nella  fabbricazione  dei  cordami  delle   navi.  Cf. 


U Imperatore  ^aioriano  29Ì 


un  sol  giorno,  l'opera  di  Maioriano  era  distrutta  per  sempre. 
Il  Gibbon  non  crede  improbabile  che  Ricimero  sia  stato 
partecipe  di  questo  tradimento  ;  ripensando  alla  fine  di 
Maioriano  certo  non  si  può  che  dar  ragione  allo  storico 
inglese,  ma  d'altra  parte  Idazio,  Mario  Aventicense,  la 
cosiddetta  cronaca  di  Severo  Sulpicio,  che  parlano  del 
tradimento,  tacciono  il  nome  del  traditore  o  meglio  dei 
traditori  (i). 

Cean-Bermudes,  Antìgiledades  Row.  cu  Espaìia.  Madrid,  1832,  pag.  34; 
KiEPERT,  Alte  Gcogr.,  pag.  491  ;  Smith,  Gcogr.  antica  (tr.  it.)  pag.  633; 
Jung,  Die  romanischeu  Landschaften  des  R.R.  Innsbruck,  i88i,pag.  24,  85. 
(i)  Il  Marcus  (op.  cit.,  pag.  266)  è  pieno  di  inesattezze  per  non 
dire  errori,  sulla  spedizione  di  Maioriano.  Dice  che  Teodorico  II 
si  offrì  alleato  di  Maioriano  perchè  Genserico  «  se  souciant  peu  de 
voir  les  Visigoths  commander  en  maitres  en  Espagne  »  avea  intri- 
gato presso  i  Suevi  per  eccitarli  a  ribellarsi  contro  i  Visigoti  loro 
vincitori.  Il  Marcus  si  fonda  sopra  Idazio,  e  Idazio  non  dice  una 
parola  di  tutto  ciò.  Cf.  Dahn,  Kònige,  I,  157.  Più  giù  continua: 
«  Giséric...  pratiqua  des  intelligences  sur  la  flotte  romaine,  au  moyen 
de  quelques  capitaines  maures  en  garnison  dans  l'ile  de  Maiorque, 
qui  s'offrirent  à  servir  de  guides  aux  troupes  de  l'empereur  lors- 
qu'elles  marcheraient  sur  Carthage;  ceux-ci  gagnérent  plusieurs  of- 
ficier  goths,  qui  massacrérent  les  commandans  des  vaisseaux  au  mo- 
ment où  les  Wandales  se  présenterent  comme  pour  combattre;  ces 
derniers  firent  le  reste,  et  coulèrent  à  fond  le  vaisseaux  qu'ils  ne 
purent  enlever  ».  Vero  è  che  il  Marcus  cita  come  fonte  di  queste 
notizie  un  Victor  Cartennensis,  apud  Mientras  schediasmata  antiqua. 
Madrid,  1653,  pag.  31.  Questa  cronaca  di  Victor  Cartennensis 
invano  fu  cercata  per  le  biblioteche  di  Europa  dal  Papencordt,  dal 
Waitz  e  dal  Dahn  ;  il  Marcus,  a  richiesta  del  Waitz,  disse  di  averla 
trovata  a  Dijon.  L'  Hùbner  pure,  dimorando  a  Madrid,  ne  fece  ri- 
cerca. Ma  nessuno  conosceva  codesta  opera  ;  per  di  più  Mientras  non 
è  un  nome,  ma  un  avverbio  spagnuolo.  Però  nel  catalogo  dei  libri 
inediti  di  Tommaso  Tamayo  de  Vargas,  1'  Hùbner  trovò  una  rac- 
colta intitolata  :  Schediasmata  Latina  de  rebus  diversis;  quindi  esso 
crede  che  quelle  schediasmata  provengano  dalle  schede  di  Girolamo 
Romano  de  la  Higuera  (15  51- 1624)  famoso  gesuita  che  falsificò 
varie  cronache,  e  del  quale  il  Tam.wo  era  appunto  ammiratore,  e 
che  un  esemplare  a  stampa  0  ms.  esistesse  a  Dijon.  Tale  è  la  con- 


296 


L.  Cantarelli 


Maioriano,  fallita  V  impresa  contro  il  regno  vandalico, 
ritornò  nelle  Gallie  ed  accolse  di  buon  grado  le  offerte 
di  pace  fattegli  da  Genserico,  e  questa  venne  conclusa  sulla 
fine  dell'anno  4(30  (i).  Benché  non  se  ne  conoscano  di- 
rettamente le  condizioni,  pure  da  un  luogo  di  Prisco  (2) 
apparirebbe  che  Genserico  si  obbligava  a  non  più  deva- 
stare l'Italia  e  la  Sicilia  colle  continue  invasioni  dei  suoi 
Vandali  e  dei  Mauri. 

L'anno  seguente  (4^1),  Maioriano  diede  splendidi  giuo- 
chi nell'anfiteatro  di  Arles,  forse  per  celebrare  i  suoi  quin- 
quennali ;  e  nel  medesimo  giorno  invitò  ad  una  cena  fami- 
gliare Severino,  uno  dei  consoli  ordinarli  di  quell'anno,  l'ex 
console  Magno,  Sidonio  Apollinare  ed  altri  illustri  personaggi. 
Il  vescovo  di  Clermont  ci  ha  lasciato  in  una  sua  lettera  (1, 11) 
una  descrizione  bellissima  di  questo  geniale  banchetto  che 
meriterebbe,  se  non  fosse  troppo  lunga,  di  esser  qui  ripor- 
tata per  intero  (3).  —  «  Il  est  peu  de  tableaux  d'histoire... 


gettura  dell' Hùbner  manifestata  negli  Atti  dell' Acc.  di  Berlino,  1861. 
Ad  ogni  modo  questo  è  un  problema  ancora  insoluto  e  che  merite- 
rebbe di  esser  chiarito.  Vedi  intorno  all'argomento  e  alle  falsificazioni 
del  gesuita  Higuera  la  prefazione  dell' Hùbner  alle  Iscrizioni  della 
Spagna  antica  (Corp.  Inscr.  Lai.,  II,  pag.  XVII);  Wattenbach,  D. 
Geschichtsqnellen,  II,  Appendice. 

(i)  Idat.,  Cbr.,  46  «  Gaisericus  (cosi  lo  chiama  Idazio)  rex  a 
Maioriano  Imperatore  per  legatos  postulat  pacem.  »  Secondo  Gio- 
vanni Antiocheno  (fr.  203)  questa  pace  sarebbe  stata  vergognosa 
per  Maioriano  :    «  xaì  lizi  ff'jvSr.xat?,  così  scrive,  aW^paT;  xa-raXuaa;  tòv 

(2)  Fr.  29:  «  OTi  ó  TeKt^i'i^i  oùxèn  tcv.ì  wpò;  Maioptavèv  TESslaat; 
aiTONSat;  laiAE'^wN  BaNOT^Xw"*  xal  MaupouaìuN  wX^So?  lui  Siriwasi  xr?  'ItaXia; 
xal  SixsXta;  l-nvj.-KS...  » 

(3)  SiD.  Ap.,  Ep.  I,  II  «  Postridie  iussit  Augustus  ut  epulo  suo 
circensibus  ludis  interessemus  ».  —  «  Severino  et  Dagalaifo  coss.  Maio- 
rianus,  così  il  SxWAROn  nelle  sue  note  a  questo  luogo,  circenses 
edidit  post  quintum  Imperii  annum.  Quinquennalibus  Circenses  edere 
solemne  erat  ».  Nell'anfiteatro  di  Arles  vi  celebrarono  giuochi,  ohre 
Maioriano,  gli  imperatori  Gallo   e  Volusiano   nel  251;  Costanzo  II 


L'Imperatore  oMaioriauo  297 


{scrive  il  Baret)  aussi  complets,  mieux  encadrés,  que  la 
description  de  ce  souper...  où...  la  figure  de  Majorien  se 
dessine  avec  je  ne  sais  quel  air  de  majesté  calme  et  sou- 
riante  du  plus  grand  effet,  parfaitement  conforme  d'ailleurs 
à  ce  que  raconte  l'histoire  du  caractère  magnanime  de 
cet  empereur.  La  conversation  est  vive  et  enjouée;  les 
vers,  les  bons  mots  se  succèdent  comme  dans  un  souper 
de  seigneurs  et  de  gens  de  lettres  sous  Louis  XV.  Un 
impromptu  de  Sidoine  est  accueilli  avec  des  cris  d'admi- 
ration  par  ces  graves  personnages,  encore  épris  au  plus 
haut  degré  de  littérature  et  d'art.  Sous  cet  enjouement  ex- 
térieur  se  cache  une  grave  question  politique:  la  pacifica- 
tion  de  la  Caule  révoltée.  Au  fond  du  tableau  est  Arles 
la  magnifique,  Rome  en  petit  de  la  Caule,  comme  l'ap- 
pelle  Ausone,  avec  son  théàtre,  son  immense  amphithéatre, 
son' forum  orné  deportiques  et  de  statues,  parmi  lesquelles 
se  trouvaient  sans  doute  cette  statue  de  Vénus,  dont  on 
admire  encore  le  torse,  et  celle  d'Auguste,  si  remarquable 
par  l'air  de  majesté  qui  respire  dans  les  traits  »  (op.  cit., 
pag.  58). 

I  giuochi  circensi  di  Arles  sono  l'ultimo  avvenimento 
del  regno  di  Maioriano;  licenziate  in  Calila  le  milizie  degli 
alleati,  ei  si  preparò  a  ritornare  in  Italia  diretto  a  Roma.  Ma 
le  sue  savie  riforme  che  ponevano  fine  a  tanti  abusi,  gli 
aveano  creato  un  numero  grande  di  nemici,  specialmente  tra 
coloro  che  erano  addetti  alla  amministrazione  delle  finanze. 
Di  questi  malumori  latenti,  di  quest'odio  che  ogni  giorno 
diveniva  più  grande  contro  Maioriano,  approfittò  Ricimero, 
il  quale  non  poteva  certo  perdonare  al  suo  antico  compagno 
d'armi  di  aver  voluto  regnare  e  governare  lo  stato  romano 
indipendentemente  dalla  sua  volontà.  La  disfatta  della  flotta 


nel  355;  e  il  re  Childeberto,  nell'anno  539,  vi  diede  combattimenti 
gladiatori!.  Vedi  per  maggiori  notizie  Estrangin,  Èttides  sur  Arles, 
Aix,  1838,  pag.  18. 


298 


L.  Cantarelli 


n 


avvenuta  nel  porto  di  Cartagena  forniva  un'occasione  pro- 
pizia per  rigettarne  tutta  la  colpa  sullo  stesso  imperatore. 
Come  lo  Svevo  sia  riuscito  ad  ordire  una  congiura  le  fonti 
non  lo  dicono;  certo  è  che  a  Tortona,  ove  Maioriano  era 
giunto,  lo  fece  arrestare  il  2  agosto  del  461,  obbligandolo 
a  deporre  il  diadema  imperiale,  e  pochi  giorni  dopo  (il  7 
agosto)  ordinò  gli  fosse  mozzato  il  capo  presso  il  fiume 
Iria,  la  Scrivia  moderna,  facendo  spargere  la  voce  che 
l'imperatore  era  morto  di  malattia,  (i) 

(i)  Il  VAN  Hengel,  op.  cit.,  pag.  47,  ed  altri  scrittori  sostengono 
che  Maioriano  dalla  Spagna  fece  ritorno  in  Italia,  da  dove  si  appa- 
recchiava a  muovere  contro  gli  Alani,  invadenti  la  Gallia,  quando 
invece  venne  ucciso  a  Tortona.  Essi  si  fondano  sopra  questo  passo 
di  Giordane  (Gd.,iiK):  «  Maiurianus...  dum  contra  Alanos,  qui 
Gallias  infestabant,  movisset  procinctum,  Dertona  iuxta  fluvium  Hyra 
cognomento  occiditur  ».  Ma,  come  ben  osserva  I'Holder-EGger, 
op.  cit.,  pag.  297,  di  questa  guerra  contro  gli  Alani  nulla  sappiamo  (dass 
Maiorian  gegen  die  Alanen  in  Gallien  gefochten  oder  doch  zu  fechten 
beabsichtigt  hatte,  ist  uns  unbekannt),  e  la  sola  testimonianza  di 
Giordane  non  vale  contro  quella  d'Idazio,  della  cronaca  arleatense 
di  Severo  Sulpicio  e  di  Giovanni  Antiocheno,  secondo  i  quali  Ma- 
ioriano fu  ucciso  nel  suo  ritorno  dalla  Gallia  in  Italia.  —  Id.,  Chr.,  45, 
«  Maiorianum  de  Galliis  Romam  redeuntem,  et  Romano  imperio  vel 
nomini  res  necessarias  ordinantem,  Rechimer  livore  percitus,  et  in- 
vidorum  Consilio  fultus,  fraude  interficit  circumventum  »;  Sev.  Sulp., 
Chr.  (Florez.,  1.  cit.)  :  «  Maiorianus...  profectus  autem  ex  Arelate  ad 
Italiam  a  Patricio  Recimere  occiditur  Dertona  »;  Joan.  Ant,,  fr.  203  : 

(f  MatoupTvo; y\òi\    Sa  è;  ti?ìn   'IraXiav    SiaPsPTJcoTt    ó'Psìtiaep    òàvarov 

IwePouXEuas-^.  »  Dopo  aver  detto  che  Maioriano  colle  milizie  famigliari 
(aùv  Tof;  st-ziSioi;)  se  ne  veniva  a  Roma,  il  cronista  greco  aggiunge, 
senza  precisare  peraltro  il  luogo  dell'avvenimento,  che  i  seguaci  di  Rici- 
mero  arrestarono  Maioriano,  e  spogliatolo  della  porpora  (t^?  àXoup-j'iSo;) 
e  del  diadema,  gli  mozzarono  il  capo  (t^;  xscpaX^;  àwtxtavovTo).  Da 
questo  passo  di  Giov.  Antiocheno  parrebbe  che  tra  la  deposizione  e 
la  morte  di  Maioriano  non  corresse  verun  intervallo.  L'An.  Cusp.  A 
però  è  preciso  su  questo  punto;  Severino  et  Dagalaifo  coss.  depositus 
est  Maiorianus  imp.  a  patricio  Ricimere  Dertona  IIII.  non.  Aug.  et 
occisus  est  ad  fluvium  Ira  VII.  id.  Aug.  (pag.  666).  Oltre  i  testi  citati 
affermano  la  morte  violenta  di  Maioriano:  Cassiodoro  (pag.  654); 


U Imperatore  ^Maioriano  299 


In  Tortona  correva  un'antica  tradizione  che  una  mole 
grandiosa,  la  quale  si  vede  nel  convento  di  S.  Matteo, 
fosse  il  sepolcro  di  Maioriano.  Ma  essa  «  non  poteva  con- 
venire (così  scrive  il  Bottazzi)  all'inumazione  di  quel  prin- 
cipe amatissimo  dalle  truppe  per  le  sue  ottime  qualità,  e 
di  cui  non  conveniva  certamente  al  patrizio  Ricimero, 
che  l'aveva  fatto  trucidare,  il  ravvivar  la  memoria  con 
sontuosi  mausolei,  ma  piuttosto  farlo  sepellire  il  più  nasco- 

Mar.  Av.,  402;  Paolo  Diacono,  HisU  rom.,  XV,  25;  Marcellino 
Conte  (c.  293);  il  Catalogus  hnperatorum  (e.  254);  ed  infine  Evagrio, 
Hist.  EccL,  II,  7.  Giovanni  Malala  (Chron.,  pag.  375)  ci  dice  che 
Maioriano  fu  levato  di  mezzo  perchè  partigiano  di  Genserico  (w; 
cptXrcavra  Ziv^pt^s"',  pr-ya  tw><  "Acppw*).  Questa  notizia  riferitaci  dal  cro- 
nista bizantino,  a  me  pare  importante,  poiché  ci  svela  il  pretesto  col 
quale  probabilmente  Ricimero  persuade  a  molti  la  necessità  di  ucci- 
dere r  imperatore,  cioè  che  egli  tradiva  i  Romani  a  vantaggio  del  re 
barbaro.  È  una  congettura,  la  quale  benché  basata  sopra  uno  scrittore 
poco  autorevole,  non  ci  pare  affatto  improbabile.  Vittore  di  Tunnuna 
(e.  343)  scrive  erroneamente  che  Maioriano  fu  ucciso  a  Roma  (Romae 
occiditur)  nel  462;  e  la  contlnuatio  Prosperi  (Roncalli,  I,  719)  all'anno  461 
registra:  «  Moritur  Maiorianus  »  quando  invece  dovrebbe  dire  :  «  Oc- 
cisus  est  Maiorianus.  »  Cf.  Holder-Egger,  op.  cit.,  pag.  285. 
Nel  testo  abbiamo  detto  che  Ricimero  fece  spargere  la  notizia  che 
Maioriano  fosse  morto  di  malattia,  altrimenti  non  si  saprebbe  spie- 
gare come  Procopio  (de  beli.  Vand.,  I,  7)  scriva  :  «  àXXà  |x3Ta;ù  «iiuw 
òuaevTspia;  àXoù;  ó  MaVspì^o;  SiatpSsipETat  ».  E  che  si  tratti  di  una  voce 
fatta  spargere  a  bella  posta  da  Ricimero  e  dagli  altri  nemici  di 
Maioriano  me  lo  fa  anche  supporre  Teofane,  il  quale  dopo  aver 
detto  in  un  luogo  della  sua  Cronografia,  pag.  112,  che  Maioriano  fu 
ucciso  (lacoà-Yr)  da  Ricimero  (nell'anno  455  secondo  la  sua  cronologia 
che  é  arretrata  di  otto  anni),  poche  pagine  dopo  (118)  dice,  come  Pro- 
copio, che  l'imperatore  morì  di  malattia  (èv  tw  asrailù  NÓaw  S-josNTspia; 
Xrcpsst;  èT£u>.£UTin(T£v).  —  Il  luogo  vero  in  cui  Maiorano  finì  la  vita,  è  posto 
dalle  fonti  presso  il  fiume  Irla  (hand  procul  a  Dertonensi  civitate  iuxta 
Hyram  flumen  occisus  est,  dice  Paolo  Diacono,  Hist.  rom.,  XV,  25, 
e  ciò  attestano  anche  gli  altri  scrittori  citati).  Una  città,  chiamata  Irla, 
registrano  V Itinerario  di  Antonino,  pag.  37,  e  la  Tavola  di  Peutinger, 
pagina  199  (ed.  UrbanJ,  nella  quale  si  vuol  ravvisare  la  moderna 
Voghera.  Allora  il  fiume  Iria,  dovendo  trovarsi  vicino  ad  essa,  per 


3oo  L.  Cantarelli 


stamente  che  si  potesse  «  (i).  E  Maioriano  ebbe  difatti  un 
sepolcro  modestissimo  poiché  ci  resta  una  poesia  di  En- 
nodio  vescovo  di  Pavia  nella  quale  esso  deplora  la  viltà  del 
sepolcro  in  cui  giaceva  un  imperatore  degno  invece  del 
più  splendido  mausoleo. 

Cum  perstat  gravior,  bustum  fortuna  per  iram 

Contulit  exuviis,  Maioriane,  tuis. 
Pyramidum  indignis  (ingentes)  prospice  moles, 

Villa  principibus  linque  scpulcra  piis.  (carni.  II,  135)  (2). 

Cosi  finì  Maioriano  dopo  un  regno  di  più  che  quattro 
anni  (3);  di  lui  Procopio  e   Teofane  esaltano  la  giustizia 

molti  scrittori  di  geografia  e  di  storia,  tra  cui  il  Cluverio  (It.  A.,  I, 
pag.  80),  il  Cellario,  il  Muratori,  e  il  Becchetti,  sarebbe  la  Staf- 
fora,  la  quale  appunto  scorre  vicino  a  Voghera.  Ma  il  Bottazzi 
nelle  sue  Antichità  di  Tortona,  Alessandria,  1808,  con  diversi  argo- 
menti, i  quali  si  riducono  a  questo  che  il  fiume  Iria  non  era  distante, 
ma  vicino  a  Tortona,  sostiene  la  identità  della  moderna  Scrivia 
coiriria  antica  «  con  cui...  ha  bastante  rassomiglianza  di  nome,  cosa 
che  non  può...  ravvisarsi  nella  Stafferà,  il  cui  nome  nelle  carte  più 
antiche  è  sempre  scritto  Staphiila,  o  Stafula  »,  e  conclude  «  che  la 
Scrivia,  che  ora  va  in  direzione,  boreale  al  Po,  anticamente  pie- 
gasse da  Tortona  verso  la  città  d'Iria  (ora  distrutta),  e  vi  passasse 
a  tal  vicinanza  da  darle  il  nome»  (pag.  152).  Anche  il  Forbiger, 
Alte  Geographie,  III,  pag.  554,  crede  che  l' Iria  fosse  la  Staffora;  ^e 
ragioni  del  Bottazzi  mi  paiono  però  così  convincenti  da  dover  adottare 
la  sua  ipotesi.  Non  sappiamo  come  il  Tillemont,  op.  cit.,  pag.  325, 
possa  dire  che  l'Iria  si  chiama  ora  «  Coron  »  e  che  la  città  d'Iria  è 
«  nommée...  aujourd'hui  Ponte-Coron  ». 

(i)   Op.  cit.,  nella  nota  precedente,  pag.  93. 

(2)  L'epigramma  di  Ennodio  è  dato  nel  testo  secondo  la  lezione 
dell'HARTEL  ;  assai  errata  era  quella  delle  antiche  edizioni,  tanto  da 
non  poterne  cogliere  il  senso.  Non  sarà  inutile  il  trascriverla: 

Cum  praestat  gravior  bustum  fortuna  petitum 

Contulit  exuviis,  Maioriane  tuis  ! 
Nane  indignis  pyramidum  prospice  mole  ' 

Vilia  principibus  linque  sepulclira  tuis. 

Cf.  VAN  Hengel,  pag.  65. 

(3)  Erroneamente  Evagrio  (Hist.  Ecch,  II,  7);  Teofane,  Chr., 
pag.  109;  Cedreno,  pag.  606,  lo  fanno  regnare  per  un  biennio;  del 


4 


L'Imperatore  cMaiorìano  Sor 

pei  sudditi,  la  severità  coi  nemici,  il  grande  valore  nella 
guerra,  le  virtù  insomma  che  lo  resero  superiore  a  tutti  gli 
imperatori  romani.  Questo  giudizio  de'  due  scrittori  bizan- 
tini è  stato  accolto  dalla  maggior  parte  degli  storici  po- 
steriori. 

Ma  la  morte  di  Maioriano  dovè  esser  pianta  molto 
dai  romani  del  secolo  quinto.  In  quella  società  di  allora, 
che  crollava  da  tutti  i  lati,  vi  furono,  senza  dubbio,  alcuni, 
i  quali,  fiduciosi  nelle  peregrine  virtù  del  nostro  impera- 
tore, sperarono  in  lui  il  risorgimento  della  patria  gran- 
dezza, ed  accompagnarono  coi  voti  più  caldi  e  coi  più 
fervidi  auguri  di  felice  successo  la  spedizione  intrapresa 
contro  il  re  Genserico.  L'assassinio  di  Tortona  e  la  suc- 
cessiva elezione  (i)  dell'oscuro  Severo  fecero  svanire  ben 
presto  quelle  speranze,  se  mai  furono  nudrite,  talché,  come 
benissimo  osserva  il  Thierry,  «  on  peut  dire  de  ce  Germa- 
nicus  des  derniers  jours,  enlevé  aux  illusions  de  Rome  par 
un  Tibère  barbare,  ce  que  Tacite  disait  de  l'autre  :  Que  les 
amours  du  peuple  romain  étaient  fragiles  et  infortunées: 
jamais  elles  ne  le  furent  davantage  »  (2). 

Roma,  aprile  1883. 

Luigi  Cantarelli. 


pari  errano  Giordane,  Rom.,  pag.  43  ;  la  cronaca  di  San  Benedetto 
(ed.  Waitz,  pag.  485)  che  gli  attribuiscono  un  regno  di  tre  anni.  Se 
le  date  dell' An.  Cusp.  A  sono  sicure  (i  aprile  457-2  agosto  461) 
Maioriano  regnò  4  anni,  3  mesi  ed  i  giorno. 

(i)  Severo  fu  creato  imperatore  a  Ravenna  il  19  novembre  (XIII 
kal.  Dee.)  del  461.  Cf.  Sievers,  Studien,  pag.  519. 

(2)  Empire  d'Occident,  pag    2. 


LE  GUERRE  DEI  SETTE  ANNI 

SOTTO  CLEMENTE  VII 

'assalto,  presa  e  sacco  di  Roma,  l'assedio  e  la  perdita  di  Firenze 
dall'anno  MDXXIII  al  MDXXXI 

SUI    DOCUMENTI    UFFICIALI 


A  magnificenza,  il  fasto  e  la  protezione  alle  arti 
e  alle  lettere  non  bastano  a  rendere  rispettati  gli 
individui  e  le  città;  anzi  spesso  nocciono  agli  uni 
e  alle  altre,  quando  questi  fattori  o  espressioni  di  civiltà 
eccedono  nella  loro  manifestazione  o  non  fluiscono  conti- 
nuatamente da  pure  fonti;  imperocché  si  danno  talora  av- 
venimenti che,  turbando  la  pace,  rendono  la  situazione  di 
tanto  peggiore,  di  quanto  per  quelle  lo  Stato  o  l' individuo 
si  era  posto  maggiormente  in  evidenza  e  in  pericolo.  Il  papa 
e  la  sua  Corte  erano  in  questa  condizione  dopo  i  tempi  lumi- 
nosi e  terribili  per  grandi  fatti  e  per  più  grandi  nequizie,  di  cui 
fu  teatro  quanto  d' ItaHa  si  racchiude  dal  Po  e  dall'Arno  fino 
ed  oltre  il  Garigliano  ;  poscia  che  si  erano  succeduti  nel  ro- 
mano pontificato  il  Borgia,  i  Della  Rovere  e  i  Medici.  L'Eu- 
ropa colle  sue  diverse  tendenze  e  co' suoi  apprezzamenti  tenea 
vólto  lo  sguardo  sui  possessi  pontifici  non  meno  che  sulla 
città  eterna;  ma  gli  animi  dei  più,  che  non  erano  artisti  o 
letterati  o  ferventi  cattolici,  né  venerazione  né  ammirazione 
nutrivano  per  lei,  ma  invidia  o  disprezzo.  D'altronde  Roma, 
posta  nel  bel  mezzo  di  un'  Italia  divisa  in  molteplici  Stati 
deboli,  su  cui  i  più  potenti  monarchi  per  vecchie  pretese 
si  agitavano  da  circa  trent'anni  con  varia  sorte  e  con  pò- 


004 


C.  I^avioli 


derosi  quanto  ingordi  eserciti,  i  quali  viveano  a  carico  delle 
terre  occupate,  e  tra  i  quali  serpeggiavano  già  colla  riforma 
religiosa  le  idee  dello  scherno  e  la  cupidigia  dell'altrui; 
e  cosi  nel  proprio  seno  partigiana,  che  quasi  a  gloria  tenea, 
insieme  ai  diritti  feudali,  di  essere  coi  Colonnesi  e  cogli 
Orsini  ghibellina  e  guelfa  ad  un  tempo,  e  infine  circon- 
data solo  di  mura  antiche  qua  e  là  in  ruina  da  non 
poter  più  resistere  alle  scalate  e  molto  meno  al  cannone, 
Roma,  che  avrebbe  dovuto  tenersi  in  riserbo  e  lontana 
da  ogni  azione,  fuorché  quella  di  pace  e  di  concordia,  con 
nuovo  principe  sprovvisto  d'ogni  qualità  eminente,  con  im- 
provvido consiglio  gittata  nelle  avventure,  s'attirò  la  mag- 
giore delle  calamità  che  possa  incoghere  un  popolo  e  che 
più  non  avea  sofferto  dall'epoca  dei  Goti  e  dei  Vandah, 
il  saccheggio,  lo  stupro,  la  strage,  la  ruina!  E  incredibile 
a  dirsi!  quel  secolo  medesimo  che  si  nominò  da  Leone, 
dopo  cinque  anni  da  che  quello  era  sceso  nel  sepolcro,  vide 
la  felicissima  Roma  sommersa  nella  miseria  e  nel  lutto. 

Morto  dopo  circa  due  anni  di  pontificato  l'innocuo 
frate  tedesco  Adriano  VI,  fu  eletto  il  cardinale  Giulio  dei 
Medici,  che  prese  il  nome  di  Clemente  VII.  Quest'ine- 
sperto si  trovò  subito  a  fronte  dei  due  emuli  del  tempo, 
Carlo  V  e  Francesco  I;  l'uno  erede  delle  pretensioni  im- 
periali, l'altro  erede  della  protezione  papale  non  solo,  ma 
dei  diritti  pei  quaH  avvennero  la  famosa  discesa  di  Carlo  Vili 
e  le  recenti  guerre  di  Luigi  XII.  Il  nuovo  papa  volea 
schermendosi  dominare  ambidue  e  guidare  gli  eventi;  e 
non  fu  che  il  giuoco  miserabile  di  tutti  e  due,  e  Roma  rese 
vittima  degli  eventi  medesimi,  che  doveano  opprimere  lui 
solo,  perchè  lui  solo  nocente  ed  improvvido.  Né  giova 
dire  che  le  intenzioni  fossero  santissime,  e  che  il  novello 
pontefice  andasse  lodato  per  alcune  qualità  personah,  buo- 
nissime in  uomo  privato;  ma  in  politica  non  valgono  che 
gli  accorgimenti,  tra  cui  il  principale  è  di  non  pascersi  d' il- 
lusioni e  d'essere  ad  un  tempo  giusto  e  temperante. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  3o5 

La  lunga  serie  degli  errori  era  cominciata  col  4  agosto 
1523,  in  cui  fu  stipulata  una  confederazione  in  Roma  per 
mezzo  del  viceré  di  Napoli  per  Carlo  V,  in  cui  entrarono 
Adriano  VI,  lo  stesso  imperatore,  il  re  d'Inghilterra,  l'ar- 
ciduca d'Austria,  il  duca  di  Milano  e  molti  dei  principi 
e  signorie  d' Italia,  la  quale  ebbe  preso  per  pretesto  di  far 
collettivamente  guerra  al  Turco.  Ma  Francesco  I  ben  vide 
lo  scopo  principale  a  cui  quella  mirava;  quindi  a  Lione 
si  affrettò  di  preparare  un  grande  esercito  per  venire  in 
Italia;  il  disegno  però  fu  rotto  per  l'ambizione  di  un  uomo, 
il  quale  il  grado  di  parentela  col  re,  la  sregolatezza  del 
vivere  e  l'esagerazione  dei  torti  ricevuti  in  Corte,  fecero 
trascendere  fino  alla  slealtà  e  alla  ribellione  contro  la  Francia, 
di  cui  era  figlio,  e  contro  il  re  a  cui  era  legato  dai  vin-  ^ 
coli  di  sangue. 

Era  costui  Carlo  di  Borbone,  figlio  di  Gilberto  conte 
di  Montpensier,  che  fu  con  Carlo  Vili  capitan  generale 
de' Francesi,  morto  a  PozzuoH  nel  1495,  e  di  Chiara  Gon- 
zaga, nato  nel  1489.  Di  sangue  regio,  ebbe  in  moglie  l'u- 
nica figlia  di  Anna  duchessa  di  Borbone^  vedova  del  duca 
Pietro  e  sorella  di  Carlo  Vili,  e  con  essa  gli  toccò  in  dote, 
tra  le  altre  cose,  la  ducea  di  Borbone.  Da  ciò  ostentando  po- 
tenza di  re,  spendeva  tanto,  oltre  le  entrate,  che  gli  convenne 
impegnare  i  suoi  Stati  ai  creditori.  E  per  maggiore  sventura 
del  re  e  della  Francia,  d'Itafia  e  sua,  quest'ambizioso  era 
chiamato  naturalmente  al  trono  di  Francia  dopo  il  duca 
d'Alen^on  fatto  riabilitare  alla  successione  da  Luigi  XII, 
perchè  questi  volle  dargli  per  mogUe  Margherita  sorella 
del  duca  di  Angouléme,  Francesco,  divenuto  re  di  Francia. 
A  rendere  a  Carlo  meno  doloroso  questo  incidente,  il  re 
Francesco  il  fece  nel  15 15  gran  contestabile,  carica  del 
regno  non  più  conferita  a  nessuno  da  Luigi  XI  in  poi,  il 
quale  aveva  fatto  decapitare  il  conte  di  Saint-Pòi  per  la 
troppa  autorità  arrogatasi  contro  il  suo  principe. 

La  carica  di  contestabile  non   tardò  molto  ad  inorgo- 


3o6 


C.  Traviali 


n 


glire  anche  Carlo  di  Borbone,  al  punto  che  la  facea  da 
signore  assoluto  in  Milano,  quando  Francesco  I  ve  lo  lasciò 
governatore  ;  per  lo  che  dovette  il  re  dargli  un  compagno, 
ed  adiratosene,  per  vendetta  nel  15 16,  quando  l'impera- 
tore Massimiliano  venne  fin  presso  Milano,  egli  volea  par- 
tirsene, ma,  impedito,  restò;  e  senza  effetto  da  quella  città 
allontanatosi  poi  l'imperatore,  a  sé  stesso  attribuì  la  gloria 
di  quell'allontanamento. 

Il  re  stancato  dei  suoi  modi  il  richiamò  in  Francia,  dove 
seguitò  a  spendere  per  parer  grande  e  far  proseliti;  ma  in 
breve  gli  mori  la  suocera,  che  di  danaro  il  soccorreva 
spesso,  poscia  la  moglie  che,  sconciatasi  di  sei  mesi  nel  15 18 
di  un  bambino  che  visse  un'ora,  il  lasciò  senza  figli,  e 
perciò  lo  diseredava  della  dote.  Quindi  la  madre  del  re, 
Lodovica  di  Savoia,  per  questo  gH  mosse  lite,  stantechè 
essa  pure  era  discesa  dalla  medesima  casa  di  Borbone,  ed 
a  lui  senza  prole  eran  morte  suocera  e  moglie,  uniche  cause 
di  ricchezza  e  potenza,  ormai  troppo  abusate.  Per  questo 
raccomandavasi  al  re;  e  il  re,  che  non  volle  offendere  i 
diritti  della  madre,  lo  assicurava  di  compensarlo  di  più  belle 
e  ricche  terre,  se  la  sentenza  a  lui  fosse  stata  contraria  e 
lo  avesse  reso  pitocco.  Questa  nuova  posizione  di  lui,  certo, 
non  potea  innalzarlo  nell'animo  del  re,  né  il  suo  ne  potea 
essere  sollevato,  e  l'occasione  il  dimostrò.  Il  re  Francesco 
avea  da  combattere  in  Piccardia;  al  gran  contestabile  si 
dovea  la  cura  della  Guardia,  e  il  re  la  dette  invece  al  go- 
verno del  suo  cognato,  il  duca  d'Alengon.  Da  qui  nacquero 
sconci  nell'azione  e  parole  d' ira  e  deliberazione  nell'ab- 
bietto di  lui  core  dì  vendicarsi  del  patito  insulto:  né  gli 
mancarono  fautori  che  alla  vendetta  lo  eccitassero.  Entrò 
ben  presto  in  congiura,  promettendo  all'  imperatore  Carlo  V 
e  ad  Enrico  Vili  d' Inghilterra  che  quando  l'esercito  fran- 
cese avesse  passato  le  Alpi,  aiutato  dai  propri  vassalH  e 
dai  baroni  che  alla  sua  causa  perfidamente  si  erano  legati, 
si  sarebbe  egh  gettato  nel  regno  di  Francia. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  Soy 

Il  re  e  l' imperatore  non  vollero  di  meglio,  assentirono 
alla  proposta.  Il  re  Francesco,  scoperta  la  trama,  adunata 
molta  gente,  si  portò  a  Moulins,  castello  di  Borbone.  Costui 
si  finse  malato,  ma  ricevè  il  re,  ne  baciò  le  mani,  atte- 
stando che  veniva  incolpato  a  torto  dagli  emuli  suoi  ne- 
mici ed  assicurando  il  re  della  propria  fede:  anzi  il  pregò 
a  perdonarlo  se  talvolta  ebbe  offeso  con  parole  aspre  troppo 
e  licenziose  la  maestà  del  nome  reale,  mentre  egli  non 
cancellerebbe  mai  dalla  memoria  la  grandezza  dell'umanità 
e  clemenza  del  suo  re.  Francesco,  non  tocco  dalle  espres- 
sioni di  Carlo,  risolutamente,  partendosi  da  lui,  gli  comandò 
che  il  seguisse  in  Italia.  Borbone  seguitò  a  simularsi  in- 
fermo per  alcuni  giorni,  quando  a  un  tratto  travestito  fuggi, 
e  per  la  Borgogna  entrò  nelle  terre  dell'  imperatore  e  quindi 
in  Italia. 

Di  qua  il  ribelle,  che  tale  fu  dichiarato  dal  re,  istigò 
a  guerra  imperatore  e  re,  ai  quah  si  era  legato,  ed  espose 
r  intendimento  suo  d'assaltar  la  Provenza,  poiché  al  suo 
nome  era  certo  che  Francia  a  suo  favore  si  sarebbe  sol- 
levata. E  re  e  imperatore,  giudicando  esser  tempo  di  fiaccar 
la  potenza  del  re  Francesco,  occupato  ad  estirpare  i  rami 
della  congiura,  deliberarono  la  guerra.  Il  marchese  di  Pe- 
scara, marito  a  Vittoria  Colonna,  fu  fatto  generale  dell'e- 
sercito, il  quale  sarebbe  governato  da  don  Ugo  di  Mon- 
cada:  ambidue  sotto  il  consiglio  e  direzione  di  Carlo  di 
Borbone,  nuovamente  governatore  di  Milano  per  Carlo  V, 
come  poc'anni  prima  lo  era  stato  per  Francesco  I.  Ne 
seguì  l'assedio  di  Marsiglia.  Il  re  non  ardì  allora  di  scen- 
dere in  Italia  e  per  tema  di  nuove  defezioni  o  congiure 
giudicò  restare  in  Francia. 

Di  questa  guerra  suscitata  fuori  di  tempo  e  governata 
siffattamente,  il  papa  Clemente,  i  Veneziani  e  Francesco 
Sforza  furono  scossi  e  turbati;  ma  più  d'essi  ne  dovet- 
t' essere  l'imperatore,  imperocché  le  promesse  di  Borbone 
non  si  avverarono  e  l'esercito  imperiale  sul  finire  di  set- 


3o8  C.  Traviali 

tembre  del  1524  diffidando  di  espugnare  Marsiglia,  dopo 
circa  quaranta  giorni  e  dopo  aver  sofferto  perdite  gravi, 
se  ne  parti.  Borbone  ne  fu  addolorato  perchè  si  persuase 
che  le  sue  cose  erano  disperate,  ma  non  si  perdette  d'a- 
nimo, sebbene  vedesse  d'essere  stato  ingannato  o  tradito; 
fatta  di  necessità  virtù,  dissimulando,  si  mostrò  obbediente 
al  marchese  di  Pescara.  Francesco  I  intanto,  rassicuratosi 
all'  interno,  visto  sciolto  l'assedio  di  Marsiglia,  colle  sue 
nuove  forze  entra  in  Italia,  prende  Milano  e  passa  a  far 
l'assedio  di  Pavia. 

Impaurito  Borbone  dai  progressi  del  re,  lascia  l'eser- 
cito imperiale  in  Lombardia,  passa  in  Alemagna  a  chieder 
soccorsi  a  Ferdinando,  fratello  dell'imperatore;  Clemente 
e  i  Veneziani,  temendo  la  vendetta  di  Francesco  ove  prenda 
Pavia,  si  stringono  con  lui  in  lega;  ed  egli  da  loro  altro 
non  vuole  che  non  favoriscano  alcuna  delle  parti,  ma  non 
impediscano  le  vettovaglie  :  tale  condizione,  mutata  la  for- 
tuna della  guerra,  sarà  loro  di  grandissimo  danno.  Né  valse 
al  papa  l'adoperarsi  con  i  due  contendenti  per  la  pace; 
mandò  al  re  ed  ai  capitani  imperiali  il  vescovo  di  Verona, 
che  era  Gìovanmatteo  Giberti,  e  l'arcivescovo  di  Capua, 
che  era  fra  Niccolò  Schomberg;  fu  passo  inutile. 

In  questo  tempo  tornava  Borbone  d'Alemagna  con  forte 
esercito  di  Tedeschi  e  con  esso  arrivò  a  Lodi  il  27  gen- 
naio 1525;  sempre  più  impensierito  allora  il  papa  dell'esito 
della  guerra,  si  die  di  nuovo  a  pregar  per  la  pace,  con- 
sigliando a  rivolgere  le  armi  comuni  contro  ai  nemici  del 
nome  di  Cristo.  E  ne  avea  ben  d'onde,  egli  che  nel  proprio 
seno  avea  nemici  pericolosi  e  potenti,  i  Colonnesi.  Difitto, 
a  preludio  dell'esito  degli  avvenimenti  che  si  maturavano, 
gravi  timori  furono  in  Roma  la  sera  del  3  marzo  per  una 
scaramuccia  con  feriti  e  morti  fattasi  vuori  le  mura  all'ab- 
badia  delle  Tre  Fontane  presso  San  Paolo  tra  Colonnesi 
ed  Orsini,  seguitando  fino  a  Campo  di  Fiori  e  ritirandosi 
di  poi  gli  uni  a  Monte  Giordano,  gli  altri  in  casa  del  car- 


n 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  809 


dinal  Colonna.  Il  Palazzo  si  armò,  serraronsi  le  porte,  si 
posero  in  ordine  le  artiglierie.  Né  il  caso  fé'  nascere  quella 
contesa.  Avea  i  suoi  due  precedenti,  la  defezione  di  Cle- 
mente, il  rinforzo  di  Borbone;  e  il  partito  imperiale  in 
Roma  commovendosi  avvisava  e  richiamava  al  dovere. 
Perciò  a  questo  punto  il  Ragguaglio  storico  del  sacco  di  Roma, 
che  s'attribuisce  a  Jacopo  Buonaparte,  osserva  che  il  papa 
«  per  sua  fatalità  voleva  parere  di  non  nuocere  ad  alcuna 
parte,  con  tacito  senso  l'una  e  l'altra  parte  offendendo  gra- 
vemente, acquistò  a  sé  e  a  tutta  Italia  una  grave  e  peri- 
colosa guerra  ». 

Dopo  ciò  alcuni  consigliavano  il  pontefice  a  mettere 
insieme  un  buon  esercito  per  pesare  nelle  condizioni  even- 
tuali di  prossimi  trattati.  La  mala  sorte  d' Italia  lo  impedì 
di  prendere  questo  e  qualunque  altro  partito;  si  astenne 
anche  per  non  incontrare  spese:  sembra  che  ora  volesse 
star  lontano  da  ogni  contrasto  e  fir  professione  di  giu- 
dice e  di  uomo  propenso  alla  pace. 

In  questa  però,  cioè  agH  ultimi  di  febbraio  1525,  era 
successa  la  famosa  rotta  di  Pavia  e  la  prigionia  del  re;  ed 
ecco  esser  consigliato  il  papa  a  volersi  scordare  della  parte 
francese  ed  intendersi  coi  capitani  imperiali.  Nò  manca- 
vano altri  che  dicessero  essere  simiH  consigli  d'animo  vile 
e  dappoco  e  non  si  dovesse  abbandonare  il  re  nella  sven- 
tura. L'uno  e  l'altro  partito  dispiacevano  al  papa,  che  diceva 
di  voler  quiete  e  temeva  sempre  degli  esiti  incerti  della 
guerra.  Quando  ad  un  tratto  finalmente  si  decise  e  fece 
solenne  lega  coli'  imperatore  per  mezzo  di  Carlo  Lannoy, 
generale  di  Carlo  V,  e  questa  con  patti  e  condizioni  sotto 
la  data  del  primo  maggio  1525  (i);  ma  l'imperatore  non 

(i)  Ecco  come  Girolamo  Negro  in  una  lettera  del  18  giugno  1525 
diretta  a  Marcantonio  Micheli  racconta  l'avvenimento  :  u  II  Pontefice 
s' è  lasciato  veder  per  Banchi,  et  l'ultimo  di  di  aprile  cavalcò  bra- 
vamente sopra  un  cavallo  turco  da  palazzo  fino  a  San  Giovanni 
Laterano.  Di  ritorno  ad  hore  23  diverti  appresso  di  noi,  nel  palazzo 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  vatria.  Voi.  VI.  21 


010 


e.  Ravioli 


4 


volle  confermare  ne  gli  uni,  ne  le  altre.  Ed  ecco  il  papa, 
come  è  ben  da  credersi,  trovarsi  in  grande  affanno,  che 
più  gli  si  accrebbe  per  il  caso  seguito  in  Roma  dei  Co- 
lonnesi  coi  soldati  del  duca  di  Albania.  «  Venivano  questi 
da  Napoli  alla  volta  di  Roma  per  servizio  della  Chiesa  e 
furono  tutti  tagliati  a  pezzi;  essendo  stati  tolti  in  mezzo 
dagli  Spagnoli  e  Colonnesi,  i  quali  per  la  prigionia  del  re 
di  Francia  (dice  il  libro  di  Jacopo  Buonaparte)  avevano 
preso  animo,  dimodoché  scorsero  colle  loro  genti  fino  a 
Monte  Giordano  ed  alle  case  degli  Orsini,  perseguitando 
ancora  quelli  che  fuggivano  per  Roma.  E  tutto  ciò  face- 
vano perchè  non  stimavan  più  papa  Clemente,  né  facevan 
più  conto  alcuno  delle  minacele  sue  per  aver  tenuto  dalla 
parte  dei  Francesi  perditori  :  cosa  che  scemò  grandemente 
la  riputazione  della  Chiesa  e  del  papa  medesimo  ». 

E  quel  che  importava  di  più,  il  papa  era  caduto  in  di- 
spregio nel  cupo  animo  dell'  imperatore,  che  si  persuase 
della  doppiezza  o  volubilità  di  Clemente,  mentre  egH  fuor 
d'ogni  pericolo  se  ne  stava  in  Ispagna,  tenendosi  in  armi 
per  mezzo  de'  suoi  generaU  in  Italia.  Col  14  febbraio  1526 
si  concluse  e  seguì  la  liberazione  del  re  Francesco.  Questi 
si  dolse  al  suo  ritorno  in  Francia  cogli  ambasciatori  del 
papa  e  dei  Veneziani,  andati  per  rallegrarsi  secolui  della 
liberazione,  che  non  gli  avessero  mantenuta  fede.  E  il  papa, 
per  la  nuova  posizione  fattagli  dal  potente  vincitore  di  Pavia 

di  Santo  Apostolo  de'  Colonnesi,  fabrica  già  di  Papa  Giulio,  dove 
il  Reverendissimo  Cardinal  Colonna  lo  ricevette  con  Pontificale  ap- 
parato, et  ivi  pernottò.  La  seguente  mattina  fu  celebrata  una  so- 
lenne messa....  In  fine  ìnitum  foedus.  I  confederati  sono  il  Pontefice 
l'eletto  Imperatore,  il  Re  Anglico,  l'Arciduca,  il  Duca  di  Milano. 
In  somma  simile  a  quello,  che  fu  fatto  in  tempo  d'Adriano,  centra 
il  Turco,  ut  sonant  verha,  secondo  la  comune  opinione  contro  la 
Calila,  et  utinam  non  sia  contra  la  Italica  libertà.  Doppo  la  messa 
fu  fatto  un  magnifico  convito  in  detto  palazzo,  vi  stette  il  Papa  con 
quattordici  Cardinali,  et  il  Duca  di  Sessa,  Orator  Cesareo.  Dio  vo- 
glia, che  l'effetto  di  questa  confederazione  sia  buono  ». 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  3ii 


e  dal  proprio  carattere,  di  nuovo  si  dispose  coi  Veneziani 
a  coliegarsi  a  favore  del  re  e  del  duca  di  Milano.  E  il  re 
temporeggiava  a  concludere  la  lega  con  essi,  perchè,  non 
volendo  mantenere  i  patti  convenuti  con  V  imperatore  e 
proponendo  denaro  invece  di  rilasciar  la  Borgogna,  aspet- 
tava di  questo  sciagurato  appiglio  una  risoluzione.  Intanto 
però  il  papa  dal  suo  canto  preparavasi  a  quella,  mandando 
nell'aprile  dello  stesso  anno  1526  a  visitare  le  fortezze  dello 
Stato,  ed  in  ispecie  quelle  di  Romagna,  Antonio  Gordiani 
da  Sangallo  fiorentino  e  Michele  Sanmicheli  veneto,  perchè 
riferissero,  e  seguitando  a  munire  di  forti  opere  di  difesa 
Parma  e  Piacenza,  ove  fin  dal  marzo  1525  sui  disegni  di 
Pierfrancesco  da  Viterbo  s'era  dato  principio  a  fortificare. 
Così  pure  il  conte  Pietro  Navarro  e  Niccolò  Machiavelli 
avevano  esaminato  il  terreno  e  le  mura  di  Firenze,  né  re- 
stava che  giungessero  in  essa  Vitello  Vitelli,  Baccio  Bigio 
e  Antonio  da  Sangallo  per  risolversi  della  forma  dei  baluardi 
e  del  modo  di  collocarli  onde  dar  principio  e  costruire  le 
fortificazioni  preparate.  Di  già  dal  1521  si  eran  cominciate 
a  cimar  le  torri,  con  gran  rammarico  dei  Fiorentini,  e  per 
l'eventualità  di  guerra  ora  co'  disegni  di  Antonio  da  San- 
gallo innanzi  alle  porte  maestre  si  costruirono  puntoni, 
ossia  rivellini  sulla  nuova  maniera  di  difesa. 

L' imperatore,  sdegnato  di  tutto  ciò  e  impensierito  degli 
apparecchi  che  si  facevano  contro  lui  in  Italia,  fece  subito 
partire  di  Spagna  alla  volta  di  Genova  con  poco  numero 
di  fanti  il  Borbone,  col  titolo  di  suo  luogotenente  e  colla 
investitura  per  costui  del  ducato  di  Milano;  e  mandò  in 
Francia  don  Ugo  di  Moncada  a  dire  al  re  ch'egli  non 
intendeva  mutare  la  convenzione  e  i  patti.  Allora  il  re  de- 
cise stringere  la  lega  cogU  agenti  del  papa  e  dei  Vene- 
ziani, e  si  concluse  a  Gognac  il  22  maggio  1526,  con- 
venendo nel  patto  di  far  restituire  intero  il  ducato  di  Milano 
a  Francesco  Sforza  e  Hberare  i  figli  del  re,  ostaggi  in 
Madrid.  A  questo   proposito  Luigi    Guicciardini,  scrittore 


3l2 


e.  Inainoli 


4 


del  Sacco  di  Roma,  cosi  esclama  nel  giudicare  questa  lega: 
«  Quanto  i  disegni  delle  grandi  imprese  male  si  colori- 
schino,  quando  da  principi  e  dalle  repubbliche  non  sono 
prima  con  diligenza  misurati  e  molto  maturamente  pon- 
derati. Come  si  può  affermare  essere  stati  questi  della  pre- 
sente lega,  essendo  cominciata  senza  danari,  senza  proprio 
capitano,  necessario  a  tanto  grave  impresa,  e  priva  di  quella 
celerità,  unione  e  di  quel  fine  conveniente  a  reprimere  la 
grandezza  dello  imperatore  e  liberare  Italia  dagli  avaris- 
simi  e  crudelissimi  modi  de'  suoi  ministri....  » 

Difatto  gli  eserciti  in  quel  tempo  e  l' imperiale  in  ispecie 
non  avean  che  di  rado  le  paghe,  ma  vivean  giornalmente 
di  prepotenza  sulle  terre  occupate,  taglieggiando  città  e 
castella  e  trattando  crudelmente  paesani  e  agricoltori.  Era 
capitan  generale  Francesco  Maria  I  della  Rovere,  che  con 
quel  grado  stava  già  a  soldo  dei  Veneziani  e  che  ogni 
azione  regolava  sulle  istruzioni  ricevute  dai  suoi  signori  e 
sopra  la  massima  di  mantenersi  nel  comando  e  nella  ripu- 
tazione colla  sapienza  de'  movimenti  e  non  coU'azzardo  di 
fatti  decisivi,  nutrendo  mal  animo  verso  i  Medici,  che  lo 
avean  privato  dello  Stato  d' Urbino  e  Pesaro.  Da  ciò  le 
truppe  papali  della  lega,  che  erano  comandate  dal  luo- 
gotenente generale  Francesco  Guicciardini  nelle  Romagne 
e  che  dovevan  fare  testa  a  Piacenza  per  congiungersi  a 
Chiari,  oltre  Po,  con  quelle  dei  Veneziani,  restarono  lungo 
tempo  inoperose.  Il  duca  di  Ferrara,  che  poteva  esser  di 
grande  aiuto  alla  lega,  veduto  di  non  poter  convenire  col 
papa  per  antichi  dissapori  circa  le  saline,  teneva  ambascia- 
tori presso  l'imperatore  e  mostravasi  pronto  a  secondarlo. 

Questo  era  lo  stato  dei  componenti  la  lega,  mentre  i 
principali  articoli  di  questa  portavano,  oltre  la  durata,  lo 
scopo  e  la  spesa,  anche  quello  che  il  re  mandasse  tosto 
uno  de'  suoi  primi  capitani  con  grosso  esercito  in  Italia, 
sotto  la  custodia  del  quale  si  mantenessero  unite  le  forze 
della  lega;  il  che  non  si  avverò  mai.  Quanto  all'esercito 


Le  Guerre  dei  Sette  Q,4nni  3i3 

imperiale,  esso  era  allora  composto  di  circa  diecimila  flinti 
tra  Italiani,  Spagnuoli  e  Tedeschi,  con  duemila  cavalli,  di- 
stribuiti tra  Alessandria,  Pavia,  Cremona,  Lodi  e  Milano; 
lo  comandavano,  poiché  il  Pescara  era  morto  in  seguito 
delle  ferite  toccate  a  Pavia,  Tuna  di  picca  nel  viso  e  l'altra 
di  punta  d'alabarda  in  una  gamba,  il  suo  nipote  il  mar- 
chese del  Vasto  e  Antonio  di  Leva. 

Non  parlando  della  composizione  dell'esercito,  ma  dei 
principi  che  accederono  alla  lega,  troviamo  il  papa,  i  Ve- 
neziani, lo  Sforza  ridotto  nella  cittadella  di  Milano  e  i 
Fiorentini,  già  mal  sofferenti  i  Medici;  ma  non  Genova, 
non  Savoia,  non  Mantova,  non  Ferrara,  non  Lucca,  non 
Siena,  non  Napoli.  Al  pubblicarsi  poi  di  questa  Santa  lega, 
che  tale  è  il  titolo  col  quale  fu  bandita,  non  erano  in  campo 
che  le  forze  della  Chiesa  e  dei  Veneziani,  aspettandosi 
d'ora  in  ora  diecimila  Svizzeri  da  quella  assoldati  e  gli 
aiuti  di  Francia.  Mentre  dunque  quei  due  stavano  per  muo- 
vere alla  liberazione  dello  Sforza,  giunse  reduce  da  Francia 
in  Lombardia  don  Ugo  di  Moncada,  il  quale  andò  a  Mi- 
lano dando  grandi  speranze  di  soccorso;  scontrò  presso 
Bologna  Vitello  Vitelli  e  il  conte  Guido  Rangoni  con  assai 
numero  di  fanti  e  cavalli  papali;  passò  per  Firenze  intenta 
alle  opere  di  difesa  e  quindi  a  Siena,  confortando  quel 
popolo  a  restare  in  fede.  Di  qua  scrisse  lettere  inquietanti 
all'  imperatore  e  proponenti  di  accordarsi  colla  lega  ;  le 
quali  vennero  intercettate.  In  questa  avvennero  disordini 
in  Milano  e  giunse  a  Piacenza  il  Guicciardini,  dov'era 
Giovanni  de'  Medici  colle  sue  bande  ed  altri  capitani  pon- 
tifici con  seicento  lancie  e  ottomila  fanti,  aspettando  ri- 
sposta da  Francesco  Maria  per  sapere  quando  e  dove  s'a- 
vevano seco  a  congiungere.  Questi  stava  già  a  Chiari  con 
tutte  le  sue  genti,  ma  disse  non  volersi  muovere  se  prima 
non  arrivavano  i  primi  tremila  Svizzeri  che  erano  in  marcia. 
Era  intanto  giunto  in  Roma  don  Ugo  insieme  al  duca  di 
Sessa.  Eglino  andarono  dal  papa  e  gh  dissero  che  inten- 


3i4 


C.  %avioli 


zione  dell'  imperatore  era  di  lasciar  libero  il  ducato  di  Mi- 
lano allo  Sforza,  purché  fosse  consegnato  il  castello  al 
Caracciolo,  di  levar  l'esercito  di  Lombardia  e  di  por  fine 
alle  differenze  che  avea  coi  Veneziani.  La  risposta  del  papa 
agli  ambasciatori  non  sembrò  di  pace. 

Avvenne  in  questo  tempo  che  il  Malatesta  Baglioni, 
condottiere  dei  Veneziani,  per  trattato  entrasse  di  notte  a 
Lodi  e  se  ne  impadronisse,  meno  la  fortezza;  e  che  di 
Milano  si  movesse  il  marchese  del  Vasto  per  ricuperarlo; 
ma  dopo  un  assalto,  fosse  prudenza  o  timore,  noi  rinnovò 
e  ritirossi  e  la  fortezza  si  rese  a  patti.  L'acquisto  di  Lodi, 
senz.l  aspettare  altra  disposizione  di  Francesco  Maria,  ac- 
celerò il  luogotenente  Guicciardini  e  tutti  i  capi  della  Chiesa 
a  passare  il  Po,  ravvicinandosi  a  lui  vicino  a  tre  miglia; 
per  lo  che  abboccatisi  con  esso  si  decise  di  non  consumar 
più  tempo  ed  avvicinarsi  a  Milano,  ove  non  eran  dentro 
che  un  7  mila  fanti  e  400  cavalli  tra  Spagnoli  e  Tedeschi. 
Così  tutto  l'esercito  della  lega  mosse  fino  a  Marignano,  ca- 
stello a  dieci  miglia  da  Milano;  esso  si  componeva  di  un 
20  mila  finiti,  tra  cui  erano  8  mila  scoppettieri  e  archibusieri, 
1500  lance  ed  altrettanti  cavalli  armati  alla  borgognona,  con 
assai  artiglieria  grossa  e  da  campagna  e  ben  provvisto  di 
munizioni  e  di  vettovaglie.  Ma  qui  volle  il  capitan  generale 
far  sosta  ed  aspettare  i  3  mila  Svizzeri,  dichiarando  di  non 
far  gran  conto  della  fanteria  italiana  contro  alla  spagnuola; 
nel  che  non  convenia  altri  che  lui,  ma  n'avea  ben  d'onde  : 
finalmente  le  ragioni  del  Guicciardini  e  la  ferocia  del  Me- 
dici lo  persuasero  e  il  5  di  luglio  152^  si  trasferì  al  ca- 
stello di  San  Donato  a  quattro  miglia  da  Milano,  dove  in 
quel  giorno  stesso  avea  gettato  meno  di  un  migliaio  di 
fanti  il  Borbone,  il  quale  fin  dal  suo  sbarco  a  Genova 
mostravasi  pochissimo  contento  del  termine  in  cui  trova- 
vansi  le  forze  imperiali  in  Lombardia.  Il  capitan  generale 
a  un  tratto,  senza  seguire  le  deliberazioni  prese  co'  capi, 
si  mosse  fin  sotto  le  mura  dalla  banda  di  porta  Tosa,  i 


Le  Guerre  dei  Sette  oAiini  3i5 

soldati  della  lega  vi  fecero  diverse  scaramucce,  diedero 
anche  degli  assalti;  ma  non  fecero  progressi,  anzi,  per  la 
fuga  delle  fanterìe  papali  avvenuta  in  uno  scontro,  se  ne 
ritirarono  fino  a  Marignano,  ove  un  400  bocche  inutili, 
tra  cui  molte  donne,  cacciate  dal  duca  dal  castello  di  Mi- 
lano, provarono  a  quale  estremità  egli  era  ridotto.  Si  de- 
liberò allora  di  tornare  sotto  Milano  e  vi  giunsero  a  due 
miglia  tra  il  fiume  Lambro  e  la  Badia  di  Casaretto.  Gl'im- 
periali non  aveano  intanto  perduto  il  tempo  ;  avendo  atteso 
a  fortificar  Milano,  usando  i  soldati  di  Borbone  crudeltà 
inaudite  contro  i  cittadini,  ai  quali,  violando  le  abitazioni 
sotto  colore  di  cercar  armi,  rubavano  ciò  che  trovavano. 
Indugiando  ancora  più  giorni  il  capitan  generale  di  assaltar 
la  città  e  di  vettovagliare  il  duca,  questi  cesse  il  castello 
a  patti  e  raggiunse  il  campo  della  lega  a  Casaretto. 

Ma  lasciamo  che  il  coraggio  e  l'impazienza  del  Medici 
e  delle  sue  bande  nere  si  logori  nell'inazione  o  in  audaci 
fazioni  isolate;  il  prudente  animo  di  Francesco  Maria  si 
stia  soddisfitto  nel  costruire  ripari  fortificandosi  a  Casa- 
retto  tra  gl'indugi  e  le  speranze  di  obbligare,  non  senza 
ragione,  i  principi  della  lega  a  dichiararlo  capo  assoluto 
delle  armi  della  medesima,  e  i  Milanesi  di  sollevarsi  da  se 
e  vincere  il  nemico,  che  aveano  in  seno;  il  tempo  e  gli 
errori  altrui  diano  modo  al  Borbone  e  agli  imperiali  d'uscire 
dagl'imbarazzi,  che  sembrano  travagliarli.  Rechiamoci  piut- 
tosto a  Siena,  il  giorno  stesso  della  consegna  del  castello 
di  Milano,  per  vedervi  la  miserabile  prova  fattavi  da  genti 
papaU  che,  intente  a  predare  più  che  ad  obbedire,  per  or- 
dine del  papa  con  artiglierie  venute  sotto  le  mura  collo 
scopo  di  metter  dentro  i  fuorusciti,  furono  fugate  e  rotte 
da  piccol  numero  di  Senesi,  con  sommo  loro  vitupero. 
A  Genova,  bloccata  dal  lato  del  mare  dall'armata  del  papa, 
dai  Francesi  e  dai  Veneziani  e  ridotta  da  loro  a  più  tristo 
termine,  se  fossero  stati  i  viveri  intercettati  dalle  armi  della 
lega;  ma  Francesco  Maria  per  aspettar  gh  Svizzeri,  non  s'in- 


3i6 


C.  1{api'oli 


n 


dusse  mai  a  distaccare  un  altro  certo  numero  di  fanti,  come 
s'era  convenuto  ed  ordinatogli.  A  Cremona,  dove  per  to- 
glier la  città  a  2  mila  fanti  e  a  200  cavalli  nemici,  non 
solo  il  Malatesta  Baglioni  con  un  quarto  dell'esercito  della 
lega,  ma  Francesco  Maria  con  altrettanti  furono  costretti 
concorrervi  e  alla  resa  dettar  condizioni  che  i  Tedeschi 
tornassero  in  Alemagna,  e  gli  Spagnuoli  andassero  a  Na- 
poli passando  per  lo  Stato  romano.  Ne  avv  enne  che  que- 
sti s'impadronirono  di  Carpi  e  fecero  danno  al  paese  e 
alla  lega;  di  quelli  la  parte  ricca  di  preda  invogliò  altri 
a  venirvi^  la  parte  povera  a  tornare,  contro  la  conven- 
zione, indietro  per  vendicare  le  ingiurie  sofferte,  avendo 
indarno  consigliato  Francesco  Maria  ai  Veneziani  di  as- 
soldadi. 

Intanto  però  che  si  trattava  la  resa  di  Cremona,  ap- 
parve finalmente  in  Antignano,  mandato  dal  re  suddetto, 
il  Marchese  di  Saluzzo  con  500  uomini  d'arme  e  4  mila 
fanti;  e  a  Casaretto  arrivarono  altri  2  mila  Svizzeri  ed 
altri  2  mila  eran  prossimi  ad  arrivare:  ma  avvenivano  pur 
anche  in  mezzo  a  questi  fatti  ed  imprese,  in  cui  si  per- 
deva onore,  tempo  e  danaro,  ben  altre  cose  ancor  più 
dannose  e  vituperevoli  in  Roma.  Il  pontefice,  che  indarno 
era  stato  consigliato  di  dover  stare  armato  e  non  si  fidare 
della  poca  fede  dei  Colonnesi,  né  delle  astuzie  degH  Spa- 
gnuoli, e  che  per  il  fatto  degli  stessi  Colonnesi  avea  già 
pubblicato  un  Monitorio  contro  il  cardinal  Pompeo  e  gU  altri 
della  famigUa,  che  seguitavano  a  dargli  travaglio,  cominciò 
a  dar  orecchio  a  don  Ugo  di  Moncada;  e  questi  per  di- 
stoglierlo dai  provvedimenti  di  guerra  e  per  tenere  a  bada 
l'animo  suo  debole  proponeva  convenzioni  coi  Colonnesi. 
Ma  all'annunzio  della  resa  del  castello  di  Milano  e  in  veder 
che  né  la  lega  né  le  cose  del  re  si  rivolgevano  in  bene, 
precipitò  gl'indugi,  e  mandò  il  segretario  allo  stesso  re 
di  Francia  proponendo  nuovi  partiti. 

E  nello  stesso  tempo  avendo  don  Ugo  pronta  la  sua 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  Siy 

proposta,  mandava  a  Roma  Vespasiano  Colonna,  in  cui 
il  papa  avea  fede,  e  fu  convenuto  il  22  di  agosto  1526: 

Che  i  Colonnesi  restituissero  Anagni  e  gli  altri  luoghi 
della  Chiesa;  che  lasciassero  le  genti  delle  terre  loro,  le 
quali  possedessero  nello  Stato  della  Chiesa;  che  potessero 
servire  l'imperatore  contro  chi  si  sia  che  movesse  contro 
il  regno  di  Napoli;  che  il  papa  perdonasse  loro  ogni  of- 
fesa fatta;  che  annullasse  il  Monitorio  fotto  contro  il  car- 
dinal Pompeo;  che  non  offendesse  gh  Stati  loro,  né  che 
lasciasse  che  gli  Orsini  gli  offendessero.  —  Dopo  ciò  il  papa 
fé'  licenziare  molti  fanti  e  cavalH  poc'anzi  assoldati,  ed  altri 
pochi  ne  mandò  nelle  terre  vicine.  Ma  non  molti  giorni 
passarono  che  s'intesero  i  progressi  delle  armi  della  lega 
per  terra  e  per  mare,  dal  che  prevedevasi  il  danno  de- 
gl'imperiali coir  aver  essi  perduta  Cremona  ed  essere  Ge- 
nova in  pericolo,  Milano  stretta  d'assedio.  Quando  ad  un 
tratto  s'intese  pure  che  contro  la  convenzione,  che  in  fondo 
non  era  che  un  inganno  teso  dal  Moncada  e  dal  duca  di 
Sessa  a  Clemente  VII,  i  Colonnesi  aveano  spinto  2  mila 
fanti  ad  Anagni  come  volessero  assaltarla  occupando  i  passi 
d'attorno  a  Roma  ed  occultando  sì  bene  quel  che  voleano 
fare  che  al  numero  di  5  mila  fanti  ed  800  cavalH  con 
prestezza  e  silenzio  la  notte  del  19  settembre  1526  giun- 
sero alle  mura,  presero  tre  porte  della  cittcà  ed  entrarono 
per  là  porta  Asinaria  presso  S.  Giovanni  in  Laterano  con 
Ascanio  e  Vespasiano  Colonna  e  don  Ugo  Moncada:  a 
giorno  eran  raccolti  a  Ss.  Cosma  e  Damiano  fino  alle  case 
dei  Colonna  in  Ss.  Apostoli 

L'improvvisa  notizia  riempì  il  papa  e  la  Corte  di  spa- 
vento, né  più  sapean  che  fare.  Al  Campidoglio  si  spedi- 
rono i  cardinali  Campeggio  e  Cesarino  che  nulla  conclusero: 
il  popolo  romano  stava  e  vedere  e  salutava  fanti  e  cavalH 
-che  passavano  in  bella  ordinanza.  Gli  artefici  che  avevano 
aperte  le  loro  bottege,  non  le  serravano^  ma  accorrevano 
sulla  via  o  andavano  molti  a  vederli  passare  sotto  il  Già- 


3i8 


C.  Immoli 


n 


nicolo,  diretti  parte  di  sopra  per  la  vigna  allora  del  Ba- 
gnacavallo,  parte  per  il  portone  di  Santo  Spirito  ove  ri- 
buttarono la  guardia,  e  per  Borgo  Vecchio  a  San  Pietro 
ed  al  palazzo  del  papa.  Questo  era  stato  munito  di  guardia 
e  d'artiglieria  e  poscia  abbandonato  e  ritirata  l'una  e  l'altra 
in  Castelsantangelo,  da  cui  con  grosse  artiglierie  erano 
scoperte  le  strade  e  con  scoppettieri  furono  tenuti  in  ri- 
spetto i  nemici,  dei  quali  molti  perirono;  tanto  che  al 
terzo  dì,  carichi  di  preda,  perseguitati  a  sera  fino  a  Ponte 
Sisto,  temendo  dei  Romani  prima  indifferenti  ed  ora  irri- 
tati, si  ritrassero  alla  Colonna. 

Ma  prima  che  questo  avvenisse  e  al  primo  irrompere 
delle  soldatesche  a  San  Pietro,  il  papa  si  raccomandava  e 
chiedeva  aiuto;  mandava  ai  Colonnesi  i  cardinali  Della 
Valle  e  Cybo,  che  da  quelli  non  vollero  neppure  essere 
ascoltati;  cosi  vedendosi  abbandonato  da  tutti,  era  di- 
sposto a  morire  nella  sua  sedia,  se  alcuni  cardinali  a  stento 
non  lo  avesser  forzato  ad  andare  in  Castello  con  alcuni 
dei  suoi  più  cari,  e  questo  avvenne  alle  ore  17  (11  anti- 
meridiane) del  20  settembre.  Non  appena  uscito,  il  pa- 
lazzo fu  invaso  e  messo  a  ruba  e  saccheggiata  la  chiesa 
di  San  Pietro.  Le  insolenze  di  quella  villana  soldatesca 
fecero  provare  grandissimo  dolore,  affermano  gli  storici,  al 
cardinal  Colonna,  eh' erasi  fermato  in  sua  casa  per  pianger 
meglio  a  lacrime  di  coccodrillo.  Per  avarizia  del  Camar- 
lingo, che  parve  eguagliasse  quella  di  Clemente,  era  di- 
fetto in  Castello  di  vettovagHa  e  di  munizioni;  perciò  non 
trovandosi  egli  sicuro  neppur  là  dentro,  con  grandissimi 
preghi  ottenne  di  potersi  abboccare  con  don  Ugo,  man- 
dando per  ostaggi  i  suoi  nipoti  cardinaH  Innocenzo  Cybo, 
e  Niccolò  Ridolfi. 

Don  Ugo,  contro  la  volontà  del  cardinal  Colonna,  con 
pochi  entrò  in  Castello.  Restituì  al  papa  il  pastorale  d'ar- 
gento e  la  mitria  papale,  rubata  dai  soldati,  e  parlò  della 
pietà,  giustizia  e  temperanza  di   Cesare;   poiché    tutto    si 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  3i9 


sarebbe  rimesso  nelle  mani  di  Sua  Santitcà,  per  dar  la  pace 
all'Italia;  disse  non  pretender  egli  all'impero,  ancorché  di 
ragione  vi  potesse  aspirare  per  l'antico  possesso  e  comando 
degli  antichi  imperatori.  A  tanto  umili  dimostrazioni  il 
papa  poco  rispose  :  di  Pompeo  parlò  ironicamente,  di  Ve- 
spasiano si  dolse.  Quanto  all'imperatore,  del  quale  sempre 
avea  favorito  la  dignità  e  la  grandezza,  soggiunse,  se- 
guisse egli  giustizia  e  stesse  agli  accordi,  restituisse  lo  Stato 
di  Lombardia  a  Francesco  Sforza.  Quindi  dopo  altri  ra- 
gionamenti segreti  fu  concordato  a  modo  di  tregua  per 
tre  mesi:  Il  papa  levasse  i  soldati  di  Lombardia;  perdo- 
nasse a  Pompeo  e  ai  Colonnesi;  mandasse  ostaggio  a 
Napoli  Filippo  Strozzi,  ricchissimo  :  don  Ugo  tornasse 
nel  regno  con  tutte  le  genti;  procurasse  la  restituzione 
delle  cose  tolte  alla  Chiesa;  fosse  liberato  senza  paga- 
mento alcuno  Camillo  Colonna,  prigioniero  di  Baccio  Ba- 
glioni^  capitano  dei  cavalli  dei  Fiorentini,  nella  battaglia 
di  Siena. 

Da  ciò  vedesi  a  che  tanto  tramestìo  e  tanta  rovina 
condusse:  Clemente  appena  fu  libero,  a  un  tratto  s'accese 
d'ira  per  vendicarsi  dell'ingiuria  patita,  in  ispecie  da  Pom- 
peo Colonna  e  da  tutta  la  famigha.  Per  stare  però  all'ac- 
cordo e  parere  d'essere  in  pace  coll'imperatore  e  per  ti- 
more ancora  dell'esercito  che  potea  venire  col  Lannoy, 
richiamò,  è  vero,  tutte  le  genti  che  eran  sotto  Milano  e 
ch'erano  pagate  dalla  Chiesa  e  dai  Fiorentini  ;  e  il  luogo- 
tenente ben  presto  con  tutti  i  suoi  si  trasfierl  a  Piacenza, 
mandando  a  Parma  il  Rangoni;  ma  fece  venire  in  Roma, 
sbarcati  a  Civitavecchia,  2  mila  degli  Svizzeri  e  sette  in- 
segne italiane  di  Giovanni  dei  Medici  ;  di  più  molta  ca- 
valleria con  Vitello  Vitelli  e  200  uomini  d'arme  di  Federico 
Gonzaga  ed  altri  soldati  e  capitani  valorosi,  restando  a 
quanto  pare  a  soldo  di  Francia  in  Italia  4  mila  fanti  delle 
bande  nere  col  Medici,  che  seguitarono  a  stare  nelle  armi 
della  lega.  Parve  il  pontefice  persuadersi  alfine  che  pe'  prò- 


320  e.  Ramali 

pri  interessi  fosse  meglio  essere  armato  da  vicino  che  aver 
esercito  lontano  a  discrezione  d'altrui. 

L'imperatore  in  tal  rivolgimento  di  cose  fece  che  il 
Lannoy  viceré  di  Napoli  stesse  in  ordine  con  6  mila  Spa- 
gnuoli  e  con  un'  armata  di  trenta  navi,  ed  aveva  scritto  a 
Ferdinando  suo  fratello  gH  mandasse  un  i8  mila  Tede- 
schi con  Giorgio  Fronsberg,  uomo  nobile  e  pratico  nelle 
passate  guerre  di  Lombardia  ed  amicissimo  del  Borbone. 
Costoro  tardarono  a  venire  per  essere  intrigati  contro  il 
Turco  in  Ungheria,  quando  questo  giunse  a  poche  miglia 
da  Vienna  e  poscia  carico  di  preda  si  ritirò  perchè  infe- 
stato da  gravi  epidemie.  Per  lo  che  mentre  le  armi  della 
lega  stavano  attendendo  le  risoluzioni  di  Francia  e  di  Ve- 
nezia, sempre  ferme  a  Casaretto^  all'udire  la  nuova  di  tal 
discesa  di  nemici,  che  era  coli' intelligenza  del  duca  di 
Ferrara,  il  Medici  colle  sue  bande  nere  si  mosse  ad  in- 
contrarli. 

Il  papa  rimessosi  da  que'  primi  furori  e  pur  ripensando 
al  caso  accadutogli  co'  Colonnesi  diceva  tanto  di  deside- 
rare la  pace  e  di  voler  andare  di  persona  a  trovare  l'im- 
peratore a  Barcellona  che  ne  fu  sconsigliato  dai  re  di 
Francia  e  d'Inghilterra,  i  quali  lo  avvertivano  di  non  fidarsi 
di  lui  e  che,  se  pace  voleva,  la  trattasse  sol  con  mezzi 
convenienti  ed  onorevoli.  Allora  per  sua  mala  ventura  ne 
pensò  un'  altra,  di  vendicare  addirittura,  per  certe  nuove 
correrie  intorno  a  Roma,  l'affronto  già  ricevuto  dai  Co- 
lonnesi, o  come  allora  si  diceva  far  la  vendetta  di  San  Pietro. 
Scagliò  ai  primi  di  novembre  le  forze  chiamate  in  Roma 
a  sua  sicurtà,  e  con  esse  mandò  il  Vitelli,  il  quale  co- 
minciò col  bruciare  Marino  e  Montefortino,  spianare  Gal- 
licano e  Zagarolo  ed  afforzarsi  a  Valmontone. 

Intanto  Giorgio  con  un  12  in  14  mila  Tedeschi  tutti 
luterani,  s'affrettò  a  discendere  per  Val  di  Sabbio  e  per  la 
Rocca  d'Anfo  giungendo  nel  Mantovano  a  Castiglione 
delle  Stiviere.  Il  duca  d'Urbino  e  Giovanni  dei  Medici  ai 


n 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  32 1 


•19  novembre  gli  mossero  incontro,  e  quest'ultimo  che  sapea 
coloro  senza  artiglieria  da  campagna  e  malissimo  armati, 
cosi  si  die'  a  perseguitarli,  che  H  stringea  di  continuo  a 
ritirarsi,  fuggendo  verso  Govèrnolo.  Quelli  però  ai  24  pre- 
sero la  via  di  Borgoforte  e  il  Medici  con  ardire  dava  loro 
alla  coda,  situro  sempre  che  non  avevano  artiglierie, 
quando  tornando  al  suo  alloggiamento  per  la  via  delle 
Fornaci,  sentì  scaricarglisi  addosso  alcuni  falconetti  sparati 
oltre  il  Mincio,  i  quali  erano  stati  presi  da  una  flottiglia 
che  il  duca  di  Ferrara  mandava  per  il  Po,  restando  ferito 
sotto  il  ginocchio  per  modo  che  in  pochi  giorni  tra  il  29 
e  il  30  novembre  a  Mantova,  nonostante  gli  fosse  segata 
la  gamba,  mori  di  spasimo. 

Così  finiva  Giovanni  de'  Medici  all'etcà  di  28  anni,  e 
così  rimaneva,  dice  Luigi  Guicciardini,  questa  nostra  po- 
vera Italia  a  discrezione  degli  oltramontani,  della  morte  del 
quale,  subito  che  fu  nota  agli  Spagnuoli  e  Tedeschi,  co- 
storo mostrarono  manifestissimi  segni  di  grandissima  le- 
tizia, poiché  lo  preponeano  ad  ogni  altro  capitano;  restando 
inflitto  sul  fronte  di  Alfonso  I  d' Este  onta  ed  infamia, 
soggiungo  per  mio  conto,  per  essere  stato  strumento  della 
morte  del  più  prode  e  nobile  dei  cavalieri  italiani,  in  una 
contesa,  in  cui  egU  avea  poco  a  vedere,  sfogando  rancori 
ingiusti  che  risalivano  al  tempo  di  Giulio  IL 

Da  ciò  venne  che  non  essendo  più  quelle  masnade 
molestate,  ai -28  passarono  il  Po  ad  Ostiglia  ed  alloggia- 
rono a  Revere.  Ben  presto  Bologna  e  Toscana  entrarono 
in  timore,  poiché  il  duca  d'Urbino  non  le  seguitò  più,  non 
tenendo  commissione  di  ciò,  diceva  egH,  dal  Senato  ve- 
neziano. E  per  la  morte  del  Medici  anche  i  collegati  co- 
minciarono a  temere,  tanto  più  perchè  di  que'  giorni  era 
arrivata  al  porto  di  Santo  Stefano  parte  dell'armata  spa- 
gnuola  condotta  da  Carlo  di  Lannoy  viceré  di  NapolL 
Sebbene  disordinata  da  Andrea  Doria,  quando  essa  tentò 
di  Corsica  trasferirsi  in  Genova,  adesso  era  cercata  di  nuovo 


322 


C.  T{avioli 


4 


in  quel  porto,  di  modo  che  con  celerità  sfuggendogli  si 
gittò  a  Gaeta.  Portava  essa  un  6  mila  Spagnuoli  circa  e 
2  mila  Tedeschi,  agguerriti  per  più  anni  contro  certi  Mori 
di  Granata  ai  confini  di  Spagna  e  Francia  ;  ed  ora  smon- 
tati a  terra  presso  Napoli  gli  uni  e  gli  altri,  dopo  che  il 
Doria  gli  ebbe  sbaragliati,  soffrivano  malatt^a  per  i  disagi 
avuti  sul  mare.  Purnondimeno  se  per  tutte  queste  cose,  unite 
alla  notizia  della  morte  del  Medici,  si  fossero  gl'imperiali 
accordati  in  una  risoluzione,  forse  ogni  forza  della  lega 
in  breve  sarebbe  stata  fugata  e  disciolta.  Ma  i  Tedeschi 
sebbene  tardassero  ad  unirsi  colle  genti  che  erano  in  Mi- 
lano, passato  il  Secchia  erano  ai  3  dicembre  a  Guastalla, 
ai  4  raggiunsero  Castelnuovo  vicino  a  Parma,  dove  Fili- 
berto principe  d'Orange,  fiammingo,  vi  si  congiunse;  il 
5  passarono  il  Lenza  al  ponte,  il  7  il  Parma;  qui  si  fer- 
marono per  le  pioggie  continue  e  per  la  grande  penuria 
delle  vettovaglie;  con  questa  data  il  Datario  Giberti  scri- 
veva al  Nunzio  in  Inghilterra:  «  I  Colonnesi  dopo  la 
venuta  dell'armata  han  preso  tanto  spirito,  che  minacciano 
far  peggio  che  prima;  et  è  una  cosa  grande  lo  spavento, 
che  è  nell'animo  d'ognuno,  che  per  tutta  Roma  si  tra- 
mutano robe  in  quelle  case,  che  son  credute  più  secure, 
come  se  d'hora  in  hora  aspettassero  i  Lanzichenecchi  ». 
Perciò  cogli  1 1  dicembre  scriveva  il  Datario  stesso  al  Na- 
varro ch'era  sulle  navi  dei  confederati,  che  presto  mandassero 
a  Roma  Renzo  da  Ceri  perchè  col  suo  credito  ed  autorità 
solleverebbe  le  cose  del  papa,  e  coi  20  mila  scudi  del  re, 
de'  quali  egli  era  portatore,  avrebbe  aiutato  assai  » .  Agli  1 1 
gl'imperiah  passarono  il  Taro,  ai  12  alloggiarono  di  là  da 
Piacenza  a  Castel  Sangiovanni  e  a  Borgo  Sandonnino, 
ove  restarono  quattro  mesi  dilettandosi  a  guastare  le  imma- 
gini sacre  e  le  rehquie.  Dal  canto  loro  i  capitani  spagnuoh 
in  Milano  vedevano  l'utile  del  congiungersi  coi  Tedeschi  e 
passare  più  sicuramente  in  Toscana;  ma  ne  temevano  al 
tempo  istesso,  perchè  ne  conoscevano  le  tendenze;  quindi 


Le  Guerre  dei  Sette  Q/lnni  323 


affermavano  volere,  prima  di  partire,  essere  soddisfatti  delle 
paghe.  E  Borbone,  che  avea  disegnato  di  secondarli,  trovò 
l'espediente  di  fare  sborsare  al  conte  Girolamo  Morone 
condannato  a  morte,  20  mila  scudi  dandogli  libertà  ;  co- 
stui pel  suo  ingegno  divenne  suo  consigliere. 

Intanto  il  luogotenente  del  papa  dette  danaro  ai  fanti 
delle  bande  nere,  che  già  cominciavano  a  sfilarsi,  ne  fece 
trasferire  una  parte  a  Parma,  ov'egli  pure  si  recò,  e  la- 
sciata ben  guarnita  Piacenza,  dove  dovea  trovarsi  già  Giu- 
lian  Leno,  capitano  d'artigheria  e  grande  ingegnere  con 
bombardieri  scelti  e  munizioni,  essendo  partito  da  Roma 
il  IO  giugno  1526  a  quella  destinazione,  e  in  dicembre 
era  in  Terracina;  un'  altra  parte  ne  mandò  verso  Roma 
per  il  sospetto  dell'armata  a  Gaeta  e  il  resto  delle  forze 
a  soldo  della  Chiesa  e  de'  Fiorentini  distribuì  tra  Bologna 
e  Modena.  Sarebbe  stato  miglior  partito  di  tener  sempre 
riunite  le  restanti  armi  della  lega.  Machiavelli  avea  pre- 
veduto le  fatali  conseguenze  della  disseminazione  delle 
forze  e  del  poco  accordo  dei  collegati.  Agli  1 1  di  aprile  da 
Forlì  scriveva  a  Firenze  :  «  ...  e  se  si  a  fare  la  guerra,  e 
questo  esercito  della  lega  non  si  unisce,  ogni  cosa  andrà 
in  rovina...»  e  più  sotto:  «...  seguitando  la  guerra,  se 
questo  campo  non  si  riunisce,  se  non  si  soddisfa  a'  capi, 
se  i  Veneziani  e  il  re  non  diventano  migliori  compagni, 
se  il  Papa  non  fa  di  essere  più  danaroso,  si  porta  peri- 
coli evidentissimi  d'una  strabocchevole  rovina  ».  Ma  era 
chiaro  l'animo  di  Francesco  Maria  di  non  acconsentire  mai 
quest'unione  per  non  dover  passare  il  Po  e  venire  anche 
a  giornata  ;  egli  ritenendo  sotto  le  mani  le  forze  francesi  e 
svizzere  tutelava  lo  Stato  de'  Signori  che  lo  tenean  a  soldo, 
promettendo  solo  passarlo  in  caso  l'inimico  si  volgesse  a 
Bologna  o  a  Pontremoli  :  così  era  certo  tener  discosto  la 
guerra  da  casa  loro,  guardando  di  non  cattivo  occhio, 
com'è  usanza  dei  signori  Veneziani,  l'indebolimento  e  il 
travaglio  degli  altri  Stati  d'Italia,  compromessi  a  subire  una 


324 


C.  'T{avioli 


stessa  sorte.  Perciò  questi  abbandonati  a  sé  stessi,  ma  legati 
sempre  alle  parti  di  Francia,  venivan  dando  esecuzione  a 
lavori  di  fortificazione:  Firenze  col  conte  Pier  Nofri  da 
Montedoglio  secondo  il  dettato  di  Pietro  Navarro  quand'era 
segretario  il  Machiavelli  e  per  recenti  consigli  del  dicem- 
bre, che  furono  poco  osservati  ;  le  Romagne  secondo  la 
visita  fatta  innanzi  dal  Sangallo  e  dal  Sanmicheli  per 
mezzo  del  Guicciardini;  e  Roma  restava  sempre  aperta, 
nessuno  consigliando  il  papa  a  pensare  di  provvedere  di 
ripari  e  di  artiglierie  le  parti  del  recinto  interamente  sco- 
perte, le  quali  purtuttavia  erano  state  studiate  da  Antonio 
da  Sangallo. 

Ma  il  papa  pascendosi  ognora  della  bella  speranza  di 
trovare  a  suo  piacimento  gli  accordi  della  pace,  li  rinno- 
vava col  viceré  di  Napoli,  ch'era  sempre  a  Gaeta  :  costui 
vi  rispòndea  simulando;  imperocché  il  solo  accordo  in  cui 
era  fisso  era  quello  di  far  coi  Colonnesi  guerra  al  ponte- 
fice, del  cui  carattere  mal  fermo  diffidava  sempre.  Pro- 
mise perciò  tregua  per  qualche  mese  se  avesse  Ostia  e 
Civitavecchia  per  sicurezza,  ed  alcune  somme  di  danaro: 
intanto  non  trascurò  di  ridurre  insieme  tutte  le  forze  del 
regno  con  quelle  che  avea  condotto  per  mare,  uscir  con 
esse  da  Napoli  e  andar  a  campo  a  Prosinone,  dove  si 
trovavano  rinchiusi  circa  a  2000  fanti  delle  bande  nere. 
Nel  medesimo  tempo  il  Borbone  passava  il  Po,  ed  ai 
30  gennaio  1527  univa  gU  Spagnuoli  ai  Tedeschi,  parte 
di  loro  a  Pontenuovo,  parte  di  là  di  Piacenza;  e  il  Lan- 
noy  trattava  ancora  col  papa  e  teneva  i  suoi  attorno  a 
Prosinone;  così  il  re  e  i  Veneziani  andavano  a  rilento  ad 
aiutare  questo,  mentre  quello  co'  suoi  12  mila  fanti  nuovi 
assediava  e  batteva  quella  città,  e  n'era  ributtato  più  volte 
e  il  Vitelli  accorreva  in  aiuto  partendo  da  Roma  il  12  e 
13  gennaio  con  buona  banda  di  cavalli  e  flmti  italiani  e 
2  mila  Svizzeri  essendo  legato  dell'impresa  il  cardinal  Ago- 
stino Trivulzio;  cui  il  Datario    Giberti  infocava   col  dire 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  32  5 

che  la  maggior  felicità  d'Italia  e  del  mondo  era  riposta 
nell'esercito,  nel  capitano  e  nel  legato.  E  le  cose  proce- 
derono  per  questi  siffattamente  che  il  viceré  si  dovette  di- 
scostare dalle  mura,  perchè  in  una  zuffa  parziale  del  31 
gennaio  i  suoi  Tedeschi  nuovamente  venuti  furono  rotti 
con  200  morti  e  400  prigioni  in  modo  che  spaventa- 
rono il  resto  dell'esercito.  Che  se  si  fosse  seguitata  la  vit- 
toria, e  soccorso  di  paghe  i  soldati,  poiché  il  datario 
confessava  che  non  essendovi  danari  da  fornir  la  paga  agli 
Svizzeri,  non  si  eran  potuti  muovere,  e  quelli  del  signor  Gio- 
vanni pur  gridavan  danari,  si  sarebbe  interamente  messo 
in  fuga  e  fatto  flicilmente  dipoi  gran  mutamento  nel  re- 
gno. Avvenne  il  contrario. 

Arrivò  a  Roma  sul  finir  di  gennaio.  Cesare  Fieramosca 
mandato  dall'imperatore  al  papa  per  condolersi  degli  ac- 
cidenti avvenuti  nella  città  per  causa  di  don  Ugo  e  dei 
Colonnesi,  desideroso  egli  di  comporre  ogni  discordia:  ma 
il  trattato  della  pace  si  riduceva  ad  una  tregua  da  durare 
due  o  tre  mesi,  pagando  però  il  papa  centocinquanta  mila 
scudi,  i  Veneziani  scudi  cinquanta  mila,  e  dando  pegno 
Parma,  Piacenza  e  Civitavecchia,  con  tregua  pure  di  otto 
giorni  per  dare  spazio  a  conoscere  le  intenzioni  di  questi. 
L'ambasciatore  inglese  partì  il  24  febbraio  per  Venezia  per 
indurre  la  Signoria  o  ad  aiutare  gagliardamente  il  papa  o 
a  consentire  alla  tregua.  Intanto  ebber  tempo  le  genti  del 
Lannoy  a  ritirarsi  pel  danno  ricevuto  conducendosi  con 
prestezza  a  Ceprano  e  lasciando  molto  bagaglio  e  due 
pezzi  di  grossa  artiglieria,  e  l'esercito  papale  prosegui  contro 
gl'imperiali;  i  Veneziani  avendo  risposto  di  non  far  tregua 
se  non  col  consenso  del  re  di  Francia. 

Pochi  giorni  prima,  cioè  agli  ultimi  di  febbraio,  Renzo 
degli  Orsini  detto  da  Ceri,  per  mezzo  della  fazione  guelfa 
avendo  bruciato  Siciliano  e  preso  l'Aquila,  procedeva  innanzi 
pe'  monti  con  inaudita  crudeltà  vendicando  antiche  ingiurie, 
e  mettea  sossopra  le  deboli  castella  e  villaggi  degli  Abruzzi. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  22 


326 


C.  'I^avioli 


Né  il  Doria  coll'armata,  né  Orazio  Baglioni  liberato  dalle 
carceri  poco  innanzi  dal  papa,  restavano  dal  molestare  con 
arditezza  i  porti  vicini  al  mare  tanto  che  questi  avea  di 
già  preso  Salerno  e  quegli  si  trovava  con  assai  fanti  a 
Gaeta.  Per  gli  acquisti  dunque  fatti  in  terra  e  in  mare, 
l'esercito  del  papa  avea  già  passato  Sangermano  ;  il  viceré 
colla  fantasia  sbigottita  e  la  fazione  guelfa  tumultuante, 
s'era  ritirato  a  Gaeta  e  don  Ugo  a  Napoli  ;  ma  il  papa 
bisognoso  di  danaro  e  trepidante  per  gl'imperiali  che  col 
Borbone  venivano  senza  impedimenti  innanzi,  ai  i8  feb- 
braio, mentre  i  collegati  stavan  fermi  a  vedere,  non  de- 
sisteva al  solito  di  trattare  accordi,  senza  concludere,  per 
i  suoi  agenti,  che  non  aveano  istruzioni,  mentre  i  colle- 
gati lo  esortavano  a  non  far  tregua  promettendo  danaro. 

I  progressi  però  dei  pontifici  nel  regno  di  NapoU  se 
eran  felici  nelle  fazioni,  non  lo  erano  per  la  carestia  dei 
viveri  che  soffriva  quell'esercito  o  per  negligenza  o  per 
mali  provvedimenti  dei  ministri  al  punto  che  all'apparire 
della  vittoria,  i  soldati  non  progredendo  tumultuavano,  si 
sbandavano  e  l'impresa  raffreddavasi;  imperocché  il  re  non 
mandava  il  danaro  promesso,  le  genti  mal  reggevansi  nei 
luoghi  presi,  anzi  tornavansene  a  Roma  non  certo  disci- 
plinate ed  altere.  E  il  papa  che  di  più  sentiva  dire  che 
il  Borbone  e  i  suoi  s'accostavano  con  animo  di  andare  a 
Bologna  o  di  sorprendere  Firenze,  maggiormente  inclinava 
alla  pace. 

Di  fatto  ai  20  febbraio  il  Borbone  dopo  eh'  ebbe  la- 
sciate metà  delle  forze  in  Milano  sotto  la  custodia  di  An- 
tonio di  Leva,  passava  il  Trebbia  con  7  mila  uomini 
d'arme,  molti  cavalleggeri  quasi  tutti  itahani,  12  mila  fanti 
tedeschi,  405  mila  fanti  spagnuoli  e  2  mila  fanti  ita- 
hani, feccia  di  banditi,  e  tutti  non  pagati.  Ai  22  arrivò  a 
Sandonnino,  senza  munizione  e  senza  vettovagHa,  senza 
guastatori  e  senza  danari.  Unica  speranza  era  di  aver  Roma 
e  gran  parte  d'Italia   per  predarla  e  saccheggiarla.  Il  24 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  Zi-] 

passò  il  Taro,  mentre  il  25  i  pontifici  erano  a  Sassuolo 
diretti  a  Castelfranco  ;  intanto  il  Borbone  giunse  a  Reggio, 
e  passato  il  Secchia,  piegò  a  sinistra  ed  arrivò  a  Buon- 
porto.  Quindi  andò  solo  al  Finale,  per  abboccarsi  col  duca 
di  Ferrara,  e  pare  ch'egli  il  consigliasse  di  marciar  diret- 
tamente su  Roma.  Ai  27  febbraio  il  Borbone  e  i  suoi  al- 
loggiarono a  Sangiovanni  in  Persiceto,  tra  Cento  e  Bo- 
logna, Quivi  si  diedero  a  predare  per  vivere  spargendosi 
nel  contado.  Se  l'esercito  della  Chiesa  si  fosse  loro  avvi- 
cinato e  li  avesse  tenuti  in  rispetto,  era  opinione  ch'essi 
non  sarebbero  corsi  qua  e  là  devastando;  ma,  com'eran 
ridotti  nelle  maggiori  necessità,  o  avrebbero  retrocesso  o 
si  sarebbero  sciolti.  Pur  tuttavia  il  luogotenente  generale 
Guicciardini,  temendo  che  gl'imperiali  si  volgessero  a  Fi- 
renze, mandò  parte  delle  sue  fanterie  a  Pianoro  e  le  altre 
aveva  distribuite  ed  ordinate  in  modo  che,  come  coloro 
avessero  preso  il  cammino  del  Sasso  a  traverso  l'Appen- 
nino subito  quelle  si  conducessero,  come  si  condussero, 
per  la  via  di  Marradi  a  Firenze  innanzi  agl'inimici,  dove 
ancora  sarebbe  la  persona  sua  insieme  col  marchese  di 
Saluzzo  e  altri  capitani  con  molti  fanti  e  cavalli.  Era  troppo 
lo  zelo  del  luogotenente;  impedendo  così  la  via  di  To- 
scana recisamente,  l'inimico  trova  vasi  agiatamente  sulla  via 
di  Roma.  Con  tutto  ciò  il  Borbone  era  intento  ad  altro 
che  il  travagliava;  davasi  ogni  cura  a  trovare  vettovagHe, 
molte  delle  quali  ogni  giorno  gli  venivan  mandate  da  Fer- 
rara, e  colà  venia  mettendo  assieme  guastatori  e  muni- 
zioni. Ma  ai  14  di  marzo  i  fanti  tedeschi  e  spagnuoli  gli 
si  ammutinarono  domandando  danaro,  e  il  Borbone  correa 
pericolo  di  vita  se  non  si  fosse  occultato;  tanto  è  vero 
che  svaligiarono  il  suo  alloggiamento  ed  uccisero  un  suo 
gentiluomo.  Il  marchese  Del  Vasto  perciò  fu  costretto  di 
correre  a  Ferrara,  dove  trovò  un  po'  di  danaro  e  quietò 
con  questo  il  tumulto,  condiscendendo  essi  per  necessità  ad 
obbedire  al  Borbone,  il  quale  generalmente  era  odiato.  Gli 


328  C.  Ravioli 

Spagnuoli  lo  schernivano  per  l'ambizione  di  aver  deside- 
rato sposare  quella  che  ebbe  in  moglie  Francesco  I  e  per 
aspirare  ad  essere  duca  di  Milano;  i  Tedeschi  il  dicevano 
furfante  per  aver  perduto  tutte  le  sue  sostanze  e  per  es- 
sere traditore  della  sua  nazione.  V'era  poi  il  suo  collega 
Giorgio  Fronsberg,  uomo  bestiale  e  rotto,  il  quale  per  odio 
agli  ecclesiastici  diceva  voler  strozzare  il  papa  con  un  cor- 
done d'oro  che  portava  con  sé,  e  ogni  cardinale  con  cor- 
done di  seta  chermisina.  A  costui  però  in  un  tumulto  dei 
suoi  minacciato  nella  vita  prese  un  colpo  apopletico,  onde 
cionco  in  lettiga  fu  portato  a  Ferrara  ove  visse  alcun  tempo, 
finché  noi  ricondussero  in  Germania.  Ai  17  marzo  soprav- 
vennero nevi  e  pioggie  stemperate,  che  ingrossarono  i  fiumi 
e  guastaronsi  le  strade  in  modo  che  quelle  orde  selvaggie 
furono  costrette  a  rimanersi. 

Noi  pur  lasciamole  per  poco  tra  i  paduli  e  il  fango, 
e  riportiamoci  a  Roma  tra  ben  altra  melma.  I  nuovi  pro- 
gressi del  Borbone,  l'inazione  dell'armi  della  lega  col  suo 
generale  Francesco  Maria,  coperto  nemico  dei  Medici  e 
scopertamente  ligio  al  governo  veneto,  i  Fiorentini  mal 
disposti  e  volti  a  novità  atterrivano  il  papa;  la  presenza 
in  Roma  del  segretario  del  viceré  di  Napoli  e  l'arrivo  in 
essa  del  frate  Francesco  degli  AngeH,-  generale  dei  fran- 
cescani, o  confessore  o  stretto  parente  dell'imperatore,  il 
quale  portava  commissione  della  pace  tra  lui  e  il  ponte- 
fice_,  ne  lusingavano  l'animo;  le  spese  incessanti  di  guerra, 
il  nessun  esito  delle  operazioni  fatte  nel  Napoletano  lo 
spronavano  a  risolversi.  Lo  decisero  finalmente  alla  pace 
il  ritorno  agli  1 1  di  marzo  di  Cesare  Fieramosca,  confidente 
dell'imperatore  e  la  lettera  da  lui  recata,  piena  di  rispetto 
e  di  sentimenti  pacifici;  ma  contemporaneamente  al  Fie- 
ramosca, per  mettere  a  tortura  l'animo  del  papa,  giunse 
pure  monsignor  Langes,  con  promesse  assai  del  re  di 
Francia,  acceso  più  che  mai  alla  guerra.  Ma  eran  parole 
e  nulla  più;  l'armata  intanto  al  7  marzo  si   era   recata  a 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  029 

Sorrento  e  alla  Torre  del  Greco  e  fin  presso  Napoli,  dove 
Orazio  Baglioni  con  1500  fanti  sostenne  un  combatti- 
mento. E  la  pace,  o  meglio  sospensione  d'armi  per  otto 
mesi,  si  concluse  ai  15  di  marzo,  giorno  nefiisto,  da  cui 
trassero  impulso  se  non  origine  le  sciagure  di  Roma  e 
d'Italia.  Le  condizioni^  senza  commissione  dei  collegati 
e  senz'  essere  preventivamente  loro  comunicate,  furono 
queste,  che  amo  trascrivere  dalla  descrizione  citata  di  Luigi 
Guicciardini  : 

«  Che  le  armi  e  le  forze  cesaree,  insieme  coi  Lanzi 
ultimamente  venuti  in  Italia,  si  ritraessino  e  si  riducessino 
dove  erano  avanti  si  cominciasse  la  .guerra,  restituendo 
nondimeno  a  Francesco  Sforza,  come  a  legittimo  duca,  il 
castello  e  Milano  con  tutto  il  suo  ducato.  Dall'altra  parte, 
il  regno  napoletano  rimanesse  libero  all'  imperatore  dove 
ancora  si  trasferissino  tutte  le  fanteria  sue;  e  che  li  Te- 
deschi, ricevute  tre  paghe  da  Sua  Santità,  ritornassino 
subito  al  paese  loro;  e  finalmente  si  dovesse  per  l'una 
parte  e  per  l'altra  fare  a  spese  comuni  l' impresa  gagliar- 
damente contro  agi'  infedeli,  e  che  s' intendesse  riservato 
tre  mesi  di  tempo  a  tutti  i  collegati  dì  ratificare,  piacendo  » . 
Agli  orecchi  de'  quali  quando  pervenne,  prosegue  il  Guic- 
ciardini^ «  fu  biasimato  molto  e  da  ciascuno  per  diverse 
cagioni  ripreso  :  da'  cardinali  e  da'  prelati,  perchè  si  per- 
suadevano certa  la  vittoria,  e  che  la  grandezza  e  la  pompa 
loro  dovesse  assai  per  tale  accordo  diminuire;  da  Francia 
e  da  Inghilterra,  per  dubitare  che  Cesare,  non  essendo 
stati  autori  loro,  e  restando  il  pontefice  inclinato  e  obbli- 
gato alla  voglia  sua,  avesse  in  futuro  di  ciascun  re  a  te- 
nere poco  conto  :  da'  Veneziani,  per  giudicare  che  la  sedia 
della  guerra  dovesse  in  breve  ridursi  nel  dominio  loro:  dal 
duca  di  Milano,  per  perdere  intieramente  la  speranza  del 
suo  ducato  ;  dal  governo  di  Firenze,  ancor  che  gran  parte 
de'  suoi  cittadini  l'avesse  prima  molto  persuasa  al  papa, 
nondimeno  avendo  tardato  tanto,  dubitavano  molto  allora 


33o  C  T{avioli 

dell'astuzia  del  viceré;  massime  tenendo  per  cosa  certa  che 
Borbone,  trovandosi  tanto  innanzi  in  campagna,  e  con 
tante  forze,  aggiunto  il  persuadere  egli  ad  ognora  a  quelle 
il  condurle  in  Toscana,  né  essendo  stato  per  ordine  suo 
concluso,  non  l'avesse  a  confermare;  ne  stavano  tutti  li 
amici  di  Sua  Santità  di  malissima  voglia  ». 

La  narrazione  attribuita  al  Buonaparte  riduce  l'accordo 
in  questi  termini,  che  giova  aggiungere  :  «  Sospensione 
d'armi  per  otto  mesi;  il  pontefice  pagasse  all'esercito  im- 
periale scudi  sessanta  mila  ;  si  restituissero  le  terre  prese 
l'un  l'altro,  e  la  dignità  del  cardinalato  a  Pompeo  Colonna 
assolvendolo  dalle  censure;  venisse  a  Roma  il  viceré  di 
Napoli  ». 

Questi  ricevuto  in  ostaggio  il  legato  Trivulzio  a  Na- 
poli, venne  il  25  marzo  a  Roma;  ma  un  fulmine  (in 
mezzo  ad  una  pessima  giornata  di  vento,  pioggia  e  tem- 
pesta inusitata,  come  quel  giorno  ch'ei  venne  a  Roma  ai 
tempi  di  Adriano  VI)  colpì  e  malmenò  il  palazzo  che  egli 
andò  ad  abitare;  i  Romani  ne  trassero  cattivo  augurio. 
E  poiché  un  errore  facilmente  dà  posto  ad  un  secondo, 
il  papa  mostrando  confidare  nel  concluso  accordo  licenziò 
la  soldatesca  tra  cui  i  duemila  Svizzeri  e  i  fanti  delle 
bande  nere,  che  avean  riputazione  dei  migliori  in  Italia. 
Riservossi  solo  cento  cavalleggeri  e  circa  un  duemila  delle 
suddette  bande,  e  die  ordine  che  tutta  l'artiglieria  per  terra 
e  non  per  mare  fosse  condotta  in  Roma.  Il  Fieramosca 
intanto  avea  spedito  le  convenzioni  al  Borbone,  perchè  le 
approvasse,  e,  ricevuti  i  danari,  uscisse  co' suoi  dallo  Stato; 
ma  Borbone  e  coloro  che  voleano  guerra  e  guadagni,  i 
denari  non  essendo  che  per  due  paghe,  non  accettarono 
accordo  e  si  dierono  a  saccheggiare  come  prima  il  Bolo- 
gnese, risoluti  di  proseguire  il  viaggio.  Un  messo  pure 
del  viceré  si  recò  presso  il  Borbone,  per  persuaderlo  a 
ricevere  la  tregua;  il  messo  se  non  era  lesto  a  fuggire, 
restava  ucciso  dalle  ire  degli  Spagnuoli;  così  il  marchese 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  33 1 

del  Vasto  se  ne  tornò  a  Napoli  e  il  5  di  aprile  il  Borbone 
entrò  nel  territorio  d'Imola  e  il  13  andò  verso  Meldola. 

Il  pontefice  pregò  il  viceré  di  pigliar  la  briga  lui  d'an- 
dare in  Toscana  per  provvedere  alle  cose  di  Firenze  e  di 
opporsi  ai  disegni  del  Borbone  colla  sua  autorità.  Dove 
mai  si  giunge  quando  si  è  messi  in  sentiero  sdrucciolo 
ed  inclinato  !  Il  Borbone  già  avea  risposto  al  Fieramosca, 
il  trattato  piacergli  molto  ed  essere  utile  all'  imperatore, 
ma  i  denari  esser  pochi;  se  fosse  stato  un  dugentomila 
scudi,  si  sarebbe  egli  ripromesso  di  contentare  i  soldati  ; 
intanto  non  guardasse  se  non  si  fermava,  poiché  sebbene 
parea  che  non  obbedisse,  pur  non  erano  che  apparenze 
queste  per  secondare  l'esercito.  Cosi  erasi  costui  accordato 
con  alcuni  soldati  e  capi  a  non  voler  danaro  e  minacciar 
chi  lo  portasse. 

Il  viceré  sollecitato  ancora  dal  papa,  parti  per  le  poste, 
e  andò  a  Firenze.  Quivi  gli  si  promisero  cencinquanta- 
mila  scudi  e  dati  ottantamila,  il  rimanente  promesso  ad 
ottobre.  Il  Borbone  era  vicino  alla  Vernia;  il  viceré  gli 
fece  intendere  che  si  fermasse,  che  volea  con  lui  abboccarsi, 
e  solo  con  un  trombetto  e  due  gentiluomini  famigliari 
andò  a  trovarlo  ;  poco  mancò  non  fosse  fatto  a  pezzi  o 
maltrattato  come  gli  altri  che  furono  o  presi  o  feriti.  Im- 
pacciato e  attonito  rimandò  Berlinghieri  Orlandini  cogli 
ottantamila  scudi  ai  Fiorentini,  e  se  ne  andò  a  Siena. 
Molti  sostennero  che  egli  fosse  d' intesa  a  sbeffare  e  bur- 
lare il  papa,  e  tutto  fosse  finzione;  la  più  comune  e  più 
verosimile  opinione  era  ch'egH  e  il  papa  fossero  dal  Bor- 
bone villanamente  ingannati  e  beffati  ! 

Da  Meldola,  castello  allora  di  Alberto  da  Carpi,  vicino 
a  Forlì,  preso  per  trattato  e  messo  a  fuoco,  si  gittò  a  Ci- 
vitella  di  Romagna,  debole  e  picciol  castello  della  Chiesa  ; 
avutolo  a  patti  e  saccheggiatolo,  per  la  medesima  valle 
seguitò  il  suo  cammino  e  colla  medesima  furia  e  crudeltà 
passò  Calcata,  Pianetto,  Santasofia  e  Sanpiero  in  Bagno, 


332  C.  ^{avioli 

piccioli  e  debolissimi  luoghi  e  borghi  di  Firenze,  arden- 
doli e  predandoh  tutti.  Dipoi,  arrivato  presso  la  Pieve  di 
Santostefano  e  alcuni  de'suoi  fanti  alla  sfilata  datovi  qualche 
scaramuccia,  si  distese  per  il  piano  d' Anghiari  e  d'Arezzo  : 
di  là  allungando  le  sue  masnade  fino  a  Chiusi  e  Castel- 
luccio  di  sotto  e  di  sopra,  a  Laterina  e  a  Rondine,  bat- 
tagliando e  saccheggiando  rivolse  verso  Firenze  e  giunse 
a  Montevarchi  tra  il  21  e  il  22  d'aprile,  e  vi  si  fermò 
col  grosso  dell'esercito  stanco  e  per  le  difficoltà  del  vivere 
non  cibandosi  che  d'erbe  e  carni  perfino  d'asino.  I  Fio- 
rentini intimoriti  mandavano  a  lui  per  comporsi;  ed  egli 
chiedeva  ogni  dì  più  danaro,  né  si  movea:  quindi  essi 
con  questa  speranza  non  proseguiano  i  provvedimenti  ed 
egli  era  sempre  pronto  ad  assaltare  gente  sprovveduta.  In 
questa  stazione  ingrossò  l'esercito,  perchè  molti  fanti  d'Italia 
nel  desiderio  di  qualche  espugnazione  e  preda  notabile, 
s' univano  agli  oltramontani,  come  portava  il  costume 
(sono  parole  della  descrizione  di  Luigi  Guicciardini)  degh 
scorretti  soldati  del  tempo,  non  avendo  vergogna  di  tro- 
varsi coi  comuni  nemici  all'estrema  e  miserabile  distru- 
zione d' Italia;  e  il  Borbone  li  riceveva  volentieri  per  es- 
sere più  formidabile  ! 

Il  pontefice,  mentre  il  Borbone  era  fermo,  scrisse  al 
viceré  a  Siena  dicendo  che  se  costui  non  si  ritirava  fuori 
dello  Stato  della  Chiesa  e  del  dominio  dei  Fiorentini, 
non  intendeva  che  il  trattato  andasse  avanti.  Sperava 
con  ciò  che  i  nemici  fossero  costretti  a  domandare  ac- 
cordo più  tollerabile,  come  se  non  avessero  armi  in 
mano,  ma  bordoni  da  pellegrini;  tale  speranza  era  poi 
lusingata  dall'esser  vicine  alle  mura  di  Firenze  quasi  tutte 
le  forze  della  lega,  e  Firenze  munita  in  parte  per  sostener 
assalti,  come  se  quelle  masnade  stessero  sulle  Alpi,  e  non 
tra  Roma  e  Firenze.  Che  sapienza  di  papa  e  di  ministri  ! 

Di  soprappiù  pareva  che  il  papa  ignorasse  che  una 
parte  dei  Fiorentini,  anche  per  recenti  violenze  da  lui  co- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnnì  333 

mandate,  desideravano  che  i  Tedeschi  magari  pighassero 
e  saccheggiassero  Firenze,  stimando  non  con  altro  modo 
Hberarsi  dalla  servitù  di  lui  e  di  tutta  la  progenie  medicea. 
La  gioventù  però,  sempre  generosa,  chiedeva  armi  per 
difendere  la  patria,  e  il  papa  finalmente  avendo  scritto  al 
cardinal  di  Cortona  che  si  concedessero,  questi  si  era  posto 
d'accordo  col  gonfaloniere  di  Giustizia,  Luigi  Guicciardini, 
quando  Rinaldo  Corsini  cominciò  verso  Mercato  Nuovo 
contro  quei  che  governavano  lo  Stato  a  declamare  col- 
r  intendimento  di  togliersi  dal  servaggio  dei  Medici.  Non 
però  l'oratore  attecchì,  e  la  gioventù  corse  al  palazzo,  e 
dopo  parecchie  ore  inteso  il  tumulto,  il  cardinal  di  Cor- 
tona tornò  a  Firenze  coi  cardinali  Cybo  e  Ridolfi,  con 
Francesco  Maria,  con  Ippolito  Medici  e  molta  fanteria,  e 
tutto  fu  sedato,  e  tutto,  il  dirò  colla  frase  dei  reprimitori 
nostrani  e  stranieri,  rientrò  nell'ordine. 

Quando  poi  il  Borbone  ebbe  appreso  che  il  papa  ri- 
cusava di  stare  all'accordo,  perchè  non  gH  si  erano  man- 
tenute le  condizioni  fermate,  tra  le  quali  era  che  proprio 
egli  e  i  suoi  dovessero  sgomberare  lo  Stato  di  Firenze  e 
della  Chiesa,  e  che  eran  riunite  attorno  a  Firenze  tutte 
le  forze  della  lega,  si  partì  da  Montevarchi  e  si  trasferì 
nel  dominio  di  Siena,  dove  stabiU  di  gittarsi  su  Roma; 
onde  lasciate  in  sicuro,  perchè  territorio  amico,  tutte  le 
artiglierie  ed  ogni  impedimento  ed  assicurate  le  vettovagHe 
col  governo  di  Siena,  ne  partì  il  27  di  aprile  (i).  Questo 

(i)  Per  questo  fatto  è  inutile  asserire  che  il  Borbone  avesse  coi. 
sé  anche  un  cannone;  e  peggio  ancora  un  qualunque  cannone  di 
grosso  calibro.  Giova  qui  riportare  una  leggenda  complicata,  un 
po'  curiosa,  ,che  trovasi  nei  libri.  Si  dice  (vedi  Antichità  ài  Roma  di 
Giacomo  Pinarolo.  Roma,  171 3,  tom.  II,  pag.  12)  che  «  nella  porta 
principale  di  questo  Palazzo  (di  Villa  Medici)  foderata  di  ferro,  si 
vedono  tre  colpi  di  palla  di  cannone  tirati  dalla  regina  Christiana 
Alessandra  di  Svezia  da  Castel  Sant'Angelo  per  curiosità  •>■>.  Can- 
cellieri dopo  di  aver  riferito  quest'aneddoto  nel  volume  L&  Due- 
Campane,  di  Campidoglio  (Roma  1806,  pag.    156    in   nota),   vi   torna 


334 


C.  I^violì 


si  chiama  profittar  dell'occasione  offerta  dalla  buaggine 
degli  avversari  ed  anche  dalla  perversità  di  un  Italiano, 
poiché  si   vuole    che   il    cardinal   Pompeo    lo    assicurasse 


sopra  nel  volume  II  Mercato,  il  Lago,  ecc.  Roma,  1811,  a  pag.  222, 
in  questo  modo  parlando  della  stessa  Cristina  di  Svezia:  «  Un  giorno 
per  suo  divertimento,  tirò  tre  colpi  di  palla  di  cannone,  con  uno  di 
libbre  2395  detto  lo  Spinosa,  preso  all'Esercito  dì  Borbone  a  Monte 
Mario  (Degli  Effetti,  Monte  Soratte,  idi)  alla  Porta  foderata  di 
ferro  della  Villa  Medici,  ove  ancora  se  ne  vedono  impresse  le  ve- 
stigia, dalla  fortezza  di  Castel  S.  Angelo  ».  In  tutto  questo  che  cosa  sia 
di  vero,  non  so.  Quello  che  v'  è  di  certo  si  è  che  sulla  piazza  di 
Rignano,  paese  vicino  a  quello  di  S.  Oreste,  che  sta  sul  Monte 
Soratte,  si  vede  ancor  oggi  un  antichissimo  cannone  formato  almeno 
un  secolo  prima  che  il  Borbone  predasse  Roma.  Esso  è  a  doghe 
di  ferro  battuto  e  cerchiato.  Si  carica  dalla  culatta,  per  mezzo 
di  un  mascolo  ed  è  offeso  nella  gioia,  rarissimo,  e  bel  cannone 
degno  di  museo.  E  siccome  il  duca  Valentino  in  Rignano  aveva 
un  forte,  di  cui  resta  in  piedi  tuttora  la  base  di  una  torre,  ragion 
vuole  che  quel  cannone  lo  guernisse  e  sia  restato  colà  quasi  reliquia 
di  quello.  Certo  è  poi  che  quando  il  Borbone  marciò  su  Roma, 
quasi  ad  appoggiar  quella  marcia  i  Colonnesi  a  Rignano  fecero 
escursioni  guidati  da  un  tal  Mario  da  Monterolondo  della  famiglia 
Orsini.  Che  costoro  lo  abbian  preso  e  portato  con  sé  è  probabile  ; 
ma  lo  abbian  lasciato  a  Monte  Mario  e  rimanesse  preda  delle  genti 
di  Clemente  VII,  fosse  poi  trasferito  in  Castelsantangelo,  il  ToR- 
RiGio  (Le  Grotte  Vaticane,  ecc.,  pag.  261)  lo  vedesse  in  questo  e  che  con 
esso  Cristina  di  Svezia  tirasse  dei  colpi  nel  1668  per  divertimento 
alla  porta  ferrata  di  Villa  Medici  e  che  in  questa  ai  primi  del  pre- 
sente secolo  si  vedessero  ancora  tre  tracce  dei  colpi  tirati,  non  è 
facil  cosa  colla  scorta  del  buon  senso  il  prestarvi  fede.  Domanderei, 
chi  lo  trasse  di  Castelsantangelo  per  farne  dono  a  quei  di  Rignano, 
i  quali  lo  tengono  in  proprietà  e  ne  sono  gelosi  al  punto  che  gli 
han  fatto  una  tettoia  ;  che  non  lo  han  voluto  cedere  all'arsenale  e 
museo  d'artiglieria  di  Torino  con  lo  scambio  proposto  d'altro  pezzo 
d'artiglieria;  che  si  servono  del  mascolo  per  spararci  insieme  a'  mor- 
taletti  in  occasione  di  festa  del  Santo  titolare.  Q.uesto  è  quanto  al 
cannone  ;  sul  nome  di  Spinosa  non  fo  quistione.  Ma  la  regina  di 
Svezia  avrà  tirato  ella  o  no  questi  colpi  che  gli  scrittori  le  attribui- 
scono? La  Villa  Medici  a  suoi  tempi  non  era  Accademia  francese 
di  belle  arti;  era  facile  però  la  Hcenza  di  tirar  palle  a  traverso  Roma, 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  333 

delle  poche  genti  armate  in  Roma  :  qual'  è  quel  capo 
di  avventurieri,  che  con  simili  condizioni  non  avrebbe 
consumato  l'impresa,  favorita,  vedi  caso,  da  quella  Siena 
stessa,  da  quella  Repubblica  che  un  secolo  e  mezzo  ad- 
dietro favorì  invece,  con  una  santa  monaca  alla  testa,  il 
ritorno  dei  papi  da  Avignone?! 

A  grandi  giornate  giunsero  le  masnade  al  fiume  Paglia, 
e  traghettatolo  a  nuoto,  sebbene  gonfio  per  forti  piogge  e 
riordinatesi  con  prestezza  e  senza  ostacoli  seguitarono 
il  viaggio;  il  i°  maggio  erano  ad  Acquapendente  che 
misero  a  sacco,  quindi  a  Sanlorenzo  alle  Grotte  e  a  Boi- 
sena;  l'indomani  a  Montefiascone,  il  quale  non  volendo 
dare  il  passo  ne  vettovaglia,  fu  saccheggiato  ;  mossero 
poscia  verso  Viterbo,  ove  entrarono  con  l'opera  de'  fuo- 
rusciti e  n'ebbero  i  viveri;  i  Lanzichenecchi  che  furono 
alloggiati  alla  Madonna  della  Quercia,  uccisero  tutti  i  frati; 
Ronciglione  per  aver  negato  il  passo  e  le  sussistenze  fu 
messo  a  sacco  e  violate  le  donne  ed  ammazzati  molti 
della  compagnia  di  Ranuccio,  figliuolo  del  cardinal  Farnese. 

Firenze  die  pronto  avviso  a  Roma  della  partenza  del 
Borbone,  e  dispose  che  l'esercito  della  lega,  ch'era  a  San- 
casciano,  si  spingesse  prontamente  ad  Arezzo,  onde  per  la 
via  di  Perugia  fosse  a  Roma,  che  era  sprovvista  di  tutto, 

che  nel  tragitto  non  solo  i  comignoli  de' tetti,  ma  potean  colpire  in 
pieno  chiese  e  case,  nobili  e  plebei  ?  E  lo  Spinosa  o  altra  qualsiasi 
artiglieria  del  tempo  giungeva  a  cogliere  col  Tevere  e  la  sua  valle 
in  mezzo,  e  in  direzione  del  mausoleo  di  Augusto  senz'altro  la 
porta  di  Villa  Medici,  1500  metri  distante  in  Hnea  retta  dal  maschio, 
facendovi  solo  ammaccature?!  In  tutto  il  racconto  v'è  certo  una 
confusione  e  una  mistificazione  innocente.  Si  creda  pure  che  Cri- 
stina tirasse  a  un  bersaglio  qualunque  dal  Castello,  ma  si  lasci  a  me 
credere  nello  stesso  tempo  che  il  Monte  Mario  non  sia  altro  che 
Mario  da  Monterotondo  co'  Colonnesi  a  Rignano,  dove  è  il  Soratte 
a  piccola  distanza,  ed  era  ed  è  il  cannone  a  doghe  cerchiato  con 
suo  mascolc  del  secolo  xiv  o  xv  da  me  veduto  e  toccato  in  questi 
ultimi  anni,  il  più  lungo  che  si  conosca  di  que'  tempi  tra  noi. 


336  C.  'I{amoli 

prima  del  nemico;  e  questo  prometteva  il  conte  Guido 
Rangoni,  sollecitando  egli  il  capitan  generale  provvisorio 
della  lega  Francesco  Maria,  il  marchese  Saluzzo  e  il  prov- 
veditor  veneziano  :  ma  sic  erat  in  fatis  il  gran  condottiero 
non  si  partiva  di  Firenze;  e  sebbene  lo  spazio  a  percor- 
rere fosse  di  un  nono  più  lungo  di  quello  del  nemico,  e 
sebbene  il  Borbone  precedesse  almeno  di  due  marce  le 
genti  confederate  di  un  30  miglia  circa,  contando  anche 
r  impedimento  delle  artiglierie  e  delle  salmerie,  pur  tut- 
tavia colla  cavalleria  e  i  fanti  leggeri  del  Rangoni  potea 
prendere  le  feroci  masnade  di  fianco  sui  piani  medesimi, 
ove  lottarono  Massenzio  e  Costantino,  dar  tempo  a  tutto 
l'esercito  di  giungere  e  sconfiggerle.  Invece  le  genti  della 
lega  pel  dominio  fiorentino  fecer  peggio  che  non  avean 
fatto  Tedeschi  e  Spagnuoli,  perfino  saccheggiando  Castel 
della  Pieve  con  la  morte,  dicesi,  di  sei  o  ottocento  per- 
sone, tanto  che  erano  a  due  miglia  dal  lago  di  Perugia, 
quando  il  Borbone  co'  suoi  giungeva  alle  mura  di  Roma 
il  giorno  di  sabato  4  maggio  1527  alle  ore  21  (ore  5  po- 
meridiane), il  grosso  dell'esercito  prendendo  alloggiamento 
alla  distanza  di  sette  miglia  nel  luogo  detto  Isola,  or  con 
più  distinto  nome  chiamato  Isola  di  Farnese,  non  lontano 
dal  famoso  torrente  il  Cremerà,  luogo  nefasto  ai  Fabi  e 
a'  Romani  ed  a  Massenzio. 

Roma,  che  tante  volte  aveva  sostenuto  assedio  dal 
tempo  dei  Goti  fino  ad  Arrigo  IV  e  al  Barbarossa,  non 
era,  al  momento  in  cui  vi  giunse  il  Borbone,  preparata  a 
sostenere  un  assalto  qualunque  :  non  era  che  la  Roma  del 
tempo  dei  Galli,  da  cui  non  fu  salvo  che  il  CapitoHo.  L'arte 
fina  di  Clemente  talora  per  addormentare  chiunque  a  forza 
dovea  aver  su  lui  la  maggior  vigilanza,  e  tal' altra  per  ecci- 
tare e  sfidare  il  nemico  con  istolti  propositi,  consisteva  nel 
lasciar  sguernita  Roma  di  difensori  e  di  opere  di  difesa. 
Nuova  politica  d' ingegno  bastardo  !  Gridando  ad  ogni 
ora  pace  ed  accordi,  aveva  fatto  e  veniva  facendo  guerra 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  SSy 


all'  imperatore  con  un  esercito,  che  giunse  a'  danni  di 
quello  fin  sotto  le  mura  di  Milano,  e  con  altro  esercito 
e  con  le  navi  confederate  fin  sotto  la  città  di  Napoli,  ar- 
mato ai  confini  e  fuori,  ma  nel  centro  disarmato  e  nudo. 

Aveva  fatto  il  papa  visitare  e  fortificare  le  città  di 
Romagna;  aveva  fatto  bastionare  e  guernire  di  tutto  punto 
Parma  e  Piacenza,  che  allora  erano  sotto  la  dizione  pon- 
tificia; aveva  consigliato  e  fatto  armare  e  munire  magni- 
ficamente Firenze,  e  molti  luoghi  della  campagna  aveva 
resi  forti  e  muniti;  i  più  grandi  nomi  dell'epoca  quali 
ingegneri  e  soldati  presiedevano  e  combattevano,  ma  in 
Roma  nulla;  e  se  gente  armata  e  di  vaglia  era  fatta  ve- 
nire, come  gli  Svizzeri  e  parte  delle  bande  nere,  giunta 
a  Roma  per  ordin  suo  era  sciolta  e  licenziata.  Parea  vo- 
lesse dire  al  Borbone  vieni  qua,  vieni  qua!  ed  egli  vi 
venne  e  come  ! 

È  vero  che  Antonio  da  Sangallo  il  giovane,  sia  per 
commissione  di  lui,  sia  di  moto  spontaneo  avea  compiuto, 
prevedendo  i  tempi,  ciò  che  valente  ingegnere  suol  fare. 
Studiato  egli  avea  tutto  il  terreno  e  il  giro  delle  mura 
di  Roma,  e  i  suoi  studi  prima  e  dopo  l'epoca  infausta 
del  1527  protrasse  per  molti  anni.  Die  forma  alle  sue  idee 
sulla  carta  in  molti  disegni  per  afforzar  la  città  di  lavori 
alla  moderna,  modificando  la  cinta  aureliana  o  sostituen- 
dola. Difatti  cominciò  in  questa  sua  opera  da  Castelsantan- 
gelo,  progredì  pei  borghi,  poscia  pei  colh  di  Santo  Spirito, 
di  porta  San  Pancrazio,  di  Testacelo  e  del  Monte  Aven- 
tino giugnendo  pel  recinto  aureliano  a  porta  Pinciana,  no- 
minando in  questi  suoi  disegni,  ove  sono  appunti  di  livel- 
lazione, anche  il  baluardo  fuori  porta  San  Paolo,  da  lui 
fatto  eseguire  poco  dopo  il  1534  coll'opera  del  fratel  suo 
Battista  il  gobbo,  sotto  il  pontificato  del  successore  Paolo  III. 
Oltre  che  tutto  questo  che  io  dico  emerge  dai  disegni  di 
lui,  che  si  conservano  a  Firenze  nella  R.  Galleria  e  dei 
quali  è  cenno  nel  Commentario  alla  vita  di  Antonio  scritta 


338  C.  1{avioli 

dal  Vasari  nell'edizione  fiorentina  del  Le  Monnier,  1854, 
a  pag.  24  e  seguenti,  voi.  X;  sappiamo  chiaramente  an- 
cora dall'opera  del  De  Marchi,  che  il  progetto  del  San- 
gallo  buono  o  cattivo  che  fosse,  era  di  circondar  Roma  con 
diciotto  baluardi  d'ordine  rinforzato,  ossia  a  fianchi  doppi, 
come  quello  appunto,  nominato  di  sopra,  e  che  si  eseguì 
fuori  porta  San  Paolo.  Ma  se  non  potè,  né  prima  né  poi 
porre  in  atto  tutto  il  suo  progetto,  cominciò  egli  tuttavia 
poco  dopo  il  1527  la  fortificazione  del  colle  di  Santo  Spi- 
rito e  la  porta,  che  restò  incompleta,  come  ancor  si  vede, 
per  la  disputa  avuta  con  Michelangelo  circa  il  1542  e  perchè 
ben  presto  si  pensò  a  fortificare  le  alture  del  Gianicolo. 

Ma  queste  sono  opere  posteriori  al  1527  e  delle  ante- 
riori non  evvi  traccia,  perchè  nulla  si  fece  ad  eccezione  di 
un  subito  riparo  fatto  fabbricare  da  Renzo  da  Ceri  nel  mezzo 
del  Vaticano;  cosa  della  quale,  oltre  i  periti  di  Roma,  anche 
i  nemici  se  ne  facevano  befie.  Queste  sono  parole  testuali 
del  Ragguaglio  storico  attribuito  a  Jacopo  Buonaparte.  È  un 
po'  diffìcile  dire  in  che  consistesse  questo  riparo  e  dove 
fosse  collocato.  Può  ritenersi  però  essere  stato  un  trince- 
rone  in  terra  a  campo  aperto  sul  monte  Vaticano  presso 
i  giardini,  il  quale  secondando  le  vie  a  dritta  o  a  sinistra 
di  porta  Pertusa,  allora  non  chiusa,  a  modo  di  forbice  o  di 
puntone,  formasse  una  seconda  cinta  interna  circondante 
la  parte  posteriore  della  basilica  vaticana  allora  in  rico- 
struzione. Quindi  senza  badare  a  tal  riparo  non  resta  che 
dare  un'  idea  dello  stato  del  circuito  della  città  al  momento 
che  ferocemente  a  lei  il  Borbone  sovrastava. 

Il  Castelsantangelo  era  quale  ai  tempi  di  Innocenzo  Vili 
e  di  Alessandro  VI  ;  cioè,  si  componea  del  maschio,  qual'  è 
pur  oggi,  entro  cui  s'alzava  una  torre  merlata  di  basse 
cortine  col  suo  torrione  quadro  di  mezzo,  ed  un  recinto 
quadrato  ai  piedi,  con  quattro  torricelli  agli  angoli,  che  poscia 
presero  nome  di  cavalieri;  di  faccia  al  ponte  Elio  il  tor- 
rione tondo,  legato  alle  cortine  dei  torricelli,  e  tra  il  fiume 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  SSg 

e  il  ponte,  a  destra  di  questo,  l'edificio  casamattato  di 
Antonio  da  Sangallo  il  vecchio,  distinto  col  nome  di  Giar- 
dino, legato  esso  pure  all'  inclaustro  inferiore  ed  avente 
nell'angiporto  tra  lui  e  il  torrion  tondo  l'unico  ingresso 
al  Castello,  che  avea  le  sue  fosse  all'  ingiro,  coronato 
tutto  di  piombatoi  e  beccatelli  e  di  merli  all'antica  o  alla 
francese  per  dar  posto  ai  cannoni,  (i)  Chi  volesse  avere 

(i)  L'edificio  casamattato  del  Giardino  fu  opera  di  Antonio  Giam- 
berti  da  Sangallo,  il  vecchio,  che  gli  fruttò  la  costruzione  del  bel 
forte  di  Civitacastellanà,  lodato  dal  Brantóme  nella  Vita  di  Cesare 
Borgia,  imperocché  l'uno  e  l'altro  furon  costruiti  ai  tempi  di  Ales- 
sandro VI.  Il  forte  del  Giardino  non  è  stato  osservato  mai  da  nes- 
suno, eppure  era  ben  facile  riconoscerlo  nelle  parole  della  lapide 
di  Urbano  Vili,  il  quale  il  fece  demolire  per  tre  ragioni.  Perchè 
fosse  libera  la  difesa  dei  fianchi  del  nuovo  pentagono  già  finito  di 
costruire  ai  tempi  suoi,  perchè  la  sua  mole  insistendo  nell'area 
dell'attuale  cancello  d'ingresso  al  castello  fino  in  direzione  della 
porta,  accecava  due  fornici  del  ponte  Elio,  e  perchè  restringendo 
la  sezione  del  fiume  all'epoca  delle  grandi  piene  tratteneva  le 
acque.  —  Il  torrion  tondo  che  fronteggiava  il  ponte  suddetto  sul 
passo  della  strada  non  ha  nulla  a  vedere  colla  iscrizione  della  la- 
pide sopracitata,  perchè  fin  che  fu  in  piedi  non  off"ese  mai  le  tre 
condizioni  accennate  nella  lapide. 

Di  questo  forte  alessandrino  esistono  due  documenti.  L'uno  è 
offerto  dal  Gamucci  {Le  Antichità  della  città  di  Roma,  ecc.,  1569),  per 
chi  sa  leggerne  l'incisione  in  legno  a  pag.  188,  ove  ne  dà  l'elevazione. 
Consisteva  esso  in  un  edificio  quadro  con  sotterraneo  quasi  a  livello 
del  Tevere  con  muro  a  scarpa  sino  al  cordone  e  quattro  feritoie  a 
fiasco  da  spingarde  nel  lato  che  guardava  la  piazza  di  ponte.  Di 
sopra  eravi  una  linea  di  beccatelH  e  piombatoi  con  sopra  una  cor- 
nice a  livello  del  piano  della  volta.  Su  queste  posava  una  batteria 
casamattata  con  tre  cannoniere.  Coperta  essa  pure  da  un  secondo 
piano  di  volte,  sostenenti  un  terrapieno  in  piano  a  botta  di  bomba, 
offriva  comodità  nel  mezzo  a  coltivarvi  fiori  e  piante,  donde  il  nome 
di  Giardino;  e  intorno  una  batteria  in  barba  con  sue  cannoniere  e 
merloni  o  merli,  cosi  detti,  alla  francese,  in  numero  pur  di  tre,  dal 
lato  della  piazza  di  ponte:  di  soprappiù  il  parapetto  era  in  muro  a 
becco  di  falco.  Oltre  ciò  nell'angolo  che  sorgea  presso  il  ponte 
s'alzava  una  torre  con  gran  finestrone  dal  lato  sempre  che  prospetta 


340  e.  Traviali 


un'  idea  adeguata  del  Castello  e  del  giro  delle  mura  della 
cinta  Leoniana  di  poco  anteriore  all'epoca  che  ci  intrat- 
tiene, non  ha  che  guardare  l'affresco  del  1465  di  Benozzo 


la  piazza,  coronata  essa  pure  da  piombatoia  beccatelli  e  merli.  — 
L'altro  documento  sono  le  parole  di  Benvenuto  Cellini,  il  quale  in 
que'  sotterranei  fu  rinchiuso  dopo  la  sua  evasione,  quand'egli  si  gitto 
dal  maschio  nel  1539.  «  Io  fui  portato,  dice  nella  sua  vita,  sotto  il 
giardino  in  una  stanza  oscurissima,  dov'era  dell'acqua  assai,  piena 
di  tarantole,  e  di  molti  vermi  velenosi  ».  Dalla  descrizione  fatta  è 
chiaro  che  al  Cellini,  dopo  che  colla  gamba  rotta  il  papa  lo  fece 
mettere  in  Vaticano  nelle  camere  basse  del  giardino  secreto,  riconse- 
gnato al  castellano,  fu  dato  a  carcere  il  piano  della  casamatta  su- 
periore, sottostante  al  Giardino.  Ma  il  castellano  Giorgio  Ugolini 
fiorentino  non  fu  contento,  lo  volle  cacciare  nella  inferiore  con 
queste  parole:  «  Andate  presto  e  mettetelo  in  quella  più  sotterranea 
caverna,  dove  fu  fatto  morire  il  predicatore  Foiano  di  fame....  » 
Quest'edificio  adunque  durò  per  tutto  il  secolo  xvi  e  nel  1628  era 
già  demolito  e  a  monumento  di  giustificazione  fu  posta  da  Ur- 
bano Vili  nel  muro  di  Castelsantangelo  la  lapide  seguente  : 

VRBANUS  .  Vili .  PONT  .  MAX  . 

PROPVGNACVLVM  .  DVO  .  HAEC  .  INTERCLVDENS 

SVB  .  PONTIS  .  FORNICE  .  SPATIA 

INVTILITER  .  ANTIQVITVS  .  FABRICATVM 

SOLO  .  AEQVAVIT 

FLVMINIS  .  LAPSV  .  HAC  .  EX  .  PARTE  .  RESERATO 

QVOD  .  MVNITAM  .  MAGIS  .  ARCEM  .  EFFICIT 

ET  .  EXUNDATIONES  .  INGRUENTES  .  COHIBET 

NE  POSTERI .  PROVENIENTIS  .  HINC  .  VTILITATIS 

IGNARI .  SECVS  .  QYID  .  MOLIANTVR 

HOC  .  VOLVIT  .  EXTARE  .  DOCVMENTVM 

AN  .  DNI .  M  .  DC  .  XXVIII .  PONT  .  V  . 

Tanta  è  la  verità  dì  tutta  la  esposizione,  che  il  Gamucci,  il  Cellini 
e  la  lapide  si  dan  mano  scambievole  a  costatare  l'esistenza  del  forte 
del  Giardino,  che  occultava  l'entrata  del  castello  in  modo  che  nel 
serra  serra  della  presa  di  Roma,  che  sto  raccontando,  coloro  che 
vi  si  ricoverarono,  non  potean  essere  né  visti  né  inseguiti  dalle  orde 
vincitrici  in  quell'angiporto  tra  il  ponte  levatoio  e  la  porta,  ambidue 
occulti  e  difesi.  Che  io  nei  miei  Nove  da  Sangallo  non  abbia  descritto 
tal  forte  borgiano,  non  è  maraviglia.  Nel  1865  non  avea  ancora  ben 


Le  Guerre  dei  Sette  cAnni  341 

Gozzoli,  che  è  nella  chiesa  di  S.  Agostino  a  S.  Gimignano 
nel  Senese,  pubblicato  non  è  guari  dal  Muntz  dopo  la 
seduta  del  21  aprile  1880  de  la  Société  natìonah  des  An- 
tiquaires  de  Frante  (Nogent-le-Rotron,  imprimerie  Dau- 
peley-Gouverneur).  È  una  veduta  prospettica  importantis- 
sima, da  cui  si  rileva  molto  bene  l'antica  cinta  colla 
porta  di  S.  Pietro,  prima  che  fosse  ridotta  a  corridoio, 
l'alzato  delle  torri  e  la  posizione  delle  due  porte,  che  la 
pianta  del  Bufalini  chiama  Vaticana  e  Pertusa.  (i)  E  più  di 
tutto  il  maschio  del  Castello  col  giretto  e  i  beccatelli  e 
le  torri  soprapposte  anteriori  ad  Alessandro  VI  e  sopravi 
l'angelo  quale  è  nominato  da  Benvenuto  Cellini.  —  Esso 

chiara  idea  di  quest'opera  sparita  da  secoli.  Dissi  solo  che  «  ad  An- 
tonio da  Sangallo  il  vecchio  nel  1495  fu  affidata  la  costruzione 
dei  torrioni  da  basso,  oggi  cavalieri  sotto  il  maschio  di  detto  Ca- 
stello (Sant'Angelo)  con  i  fossi  e  con  le  altre  fortificazioni,  che  erano 
in  piedi  prima  che  avesse  la  cinta  bastionata  pentagona  più  recente  ». 
(i)  La  porta  Pertusa  ebbe  tal  nome,  perchè  fu  ricavata  in  una 
torre  del  recinto  Leoniano  e  non  nella  cortina  tra  torre  e  torre, 
come  fu  quasi  sempre  in  uso.  Qual  bisogno  vi  fosse  a  far  ciò  e 
quando  venne  essa  costruita  è  difficile  determinare.  Non  essendo 
stata  formata  come  tante  altre  fin  dal  principio  della  costruzione 
del  recinto,  nel  riattamento  delle  mura  nacque  forse  la  necessità  di 
praticar  quel  foro  e  da  pertiiiidere  e  da  pertusum  venne  la  denomi- 
nazione sua.  Al  Cancellieri  cosi  dotto  investigatore  non  venne  in 
mente  tale  origine  del  nome,  e  nel  suo  Mercato,  il  Lago,  ecc.,  a 
pag.  216  dice:  «  Ma  s'ignora  perchè  le  sia  stato  dato  questo  nome  ». 
—  È  chiaro  però  dal  disegno  poc'anzi  citato  del  Bozzoli  :  in  questo 
scorgesi  una  strada  che  conduce  a  quella  porta,  ricavata  nella  faccia 
di  una  torre  e  quindi  la  strada  prosegue  nella  direzione  della  ValU 
dell' Inferno.  —  Naturalmente  l'odierna  porta  non  è  più  la  primitiva, 
poiché  sta  nella  cinta  moderna,  eretta  alla  fine  del  secolo  xvi;  ri- 
tiene quel  nome,  ma  senza  più  indicarne  l'origine.  All'intelligentis- 
simo Stefano  Piale  (Delle  mura  e  porte  di  Roma  fatte  da  Leone  IV  nel 
secolo  IX,  ecc.,  pag.  14)  non  pertanto  sfuggi  questa  origine  del  nome, 
dicendo  egli  :  «  la  porta  Pertusa,  nuova  porta  aperta,  forando  le  mura 
leoniane  nell'alto  del  Vaticano  »  ;  e  ne  stabilisce  l'epoca  dell'apertura 
sotto  Giovanni  XXIII  ne'  primi  anni  del  secolo  xv. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  23 


342  e.  Trinali 

dominava  tutto  all'intorno;  le  sue  artiglierie  spazzavano 
di  ficco  più  o  meno  utile,  le  strade  dei  borghi  che  me- 
nano alla  piazza  Vaticana  per  un  600  metri;  spazzavano 
la  campagna  dalla  parte  dei  prati  e  le  rive  scoperte  del 
Tevere,  dalla  parte  del  palazzo  pontificio  fin  sotto  Belve- 
dere per  metri  800,  dall'altra  più  verso  il  recinto  aure- 
liano  è  la  via  Flaminia  per  la  distanza  pur  oltre  gli  800 
metri;  e  finalmente  spazzavano  il  Tevere,  le  ruine  del 
ponte  trionfale  rasentando  l'ospedale  di  Santo  Spirito,  al- 
lora senza  lunghi  bracci  o  corsie,  e  infine  la  valle  o  ter- 
reno e  le  casipole  tra  l'odierna  porta  di  Santo  Spirito  e 
suo  colle  e  i  piedi  del  colle  di  Sant'  Onofi-io  al  Gianicolo 
per  la  distanza  di  un  500  metri  e  con  tiri  più  ficcanti 
del  maschio  dominante  più  verso  la  vigna  e  palazzo  Sal- 
viati  per  un  rooo  metri,  luogo  oggi  occupato  dal  ponte 
di  legno,  dal  porto  Leonino  e  dal  palazzo  seicentistico 
Salviati  alla  Lungara.  Nessuno  ci  dice  il  corredo  delle 
artiglierie  che  allora  vi  fossero,  in  grossi  cannoni,  colu- 
brine e  falconetti  ;  ma  è  certo  che  Benvenuto  Cellini  bom- 
bardiere ci  dà  notizia  di  gran  tiri  fatti  e  veduti  fare;  ne 
mai  ci  avverte  della  scarsezza  della  munizione,  né  dei  pezzi 
per  l'uso  che  se  ne  fece  il  giorno  dell'assalto  e  ne'  mesi 
successivi  a  rilento,  a  riprese,  quasi  per  giuoco.  Ma  qua- 
lunque fosse  il  numero  dei  cannoni  e  la  dote  delle  mu- 
nizioni^ di  cui  in  Roma  in  quella  circostanza  di  guerra 
sempre  fu  penuria,  è  certo  che  fuori  del  Castello  nessuna 
opera  di  difesa  tra  porta  Santo  Spirito  e  porta  Settimiana, 
né  sui  colli  gianicolensi  né  lungo  il  fiume  ;  e  nessuna  tra 
il  ponte  Santangelo  e  l'ultima  torre  sul  Tevere  verso  la 
porta  Flaminia:  ogni  difesa  della  città  era  l'ostacolo  del 
fiume  stesso  e  il  dominio  del  Castello;  unico  concetto  nu- 
drito  e  non  mai  posto  ad  effetto  era  il  taglio  dei  ponti 
Sisto,  Santangelo  e  Santamaria  o  Senatorio  per  tenere  se- 
parati in  caso  disperato  i  borghi  dalla  città.  Da  tutto  ciò  è 
chiaro  che  le  colline  di  Monte  Mario  e  la  lunga  linea  già- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  843 


nicolense  sarebbero  state  facile  base  al  nemico  per  dominare 
Roma  ed  investirla  per  l'odierna  via  della  Lungara,  per 
la  valle  dell'  Inferno,  pei  prati  ;  e  il  solo  Castello  mal  do- 
minava gli  accessi  di  Santo  Spirito,  i  borghi  e  i  prati 
stessi  per  l'ondulamento  del  terreno,  per  i  fossati  delle 
vigne,  per  gli  alberi  e  per  le  case  coloniche  o  di  piacere, 
di  cui  eran  pieni  allora  com'oggi. 

La  regione  Vaticana,  che  comprende  i  borghi,  la  piazza 
di  San  Pietro,  i  palazzi  ed  i  giardini  papali,  il  Monte  Va- 
ticano, la  basilica  e  il  colle  di  Santo  Spirito,  era  circon- 
data dalla  cinta  Leonina,  restaurata  più  volte  e  poco  mo- 
dificata se  non  dal  Castello  fino  al  palazzo  papale  presso 
la  torre  a  Sanpellegrino;  imperocché  al  giro  delle  ronde 
sotto  il  piano  dei  merli  si  era  praticato  un  corridoio  co- 
minciato nel  141 1  da  Giovanni  XXIII  e  terminato  da 
Alessandro  VI,  onde  il  papa  da  questo  liberamente  potesse 
ricoverarsi  in  quello,  chiamato  Ambulatoritim  Alexandri 
sexti;  le  torri  e  le  tele  di  muro,  coronate  al  solito  di 
merlature,  eran  fatte  d'opera  saracinesca,  perchè  gli  schiavi 
saraceni  sotto  Leone  IV  l'ebbero  finite  di  costruire. 

or  ingressi  alla  città  Leoniana,  oltre  i  tre  antichi  del 
tempo  di  Leone  IV,  che  furono  la  posterula  presso  l'ul- 
timo torricello  di  Castelsantangelo;  la  porta  a  San  Pelle- 
grino o  Viridaria,  o  Sancti  Patri  detta  dal  Bufalini,  vicino 
alla  guardia  svizzera  e  alla  piazza  di  San  Pietro;  e  la  poste- 
rula dei  Sàssoni  dal  lato  del  fiume  dappresso  a  Santo  Spi- 
rito, v'erano  allora  la  porta  Vaticana  e  non  lontano  da 
questa  la  porta  Pertusa,  le  quali  due  eran  volte  alla  valle 
dell'Inferno;  porta  posterula  detta  da  un  tal  Posterulone 
sassone,  secondo  la  tradizione,  che  fu  conosciuta  anche 
sotto  il  nome  di  porta  del  Torrione  ed  oggi  col  nome 
di  porta  Cavalleggeri  ;  la  porta  Giulia  di  Giulio  II,  sotto 
i  muri  del  Museo  Vaticano  e  la  porta  delle  Fornaci,  aperta 
per  comodo  della  fabbrica  della  basilica  e  perciò  detta  di 
poi  porta    Fabbrica.  Quella  delle   Fornaci   non  deve  mai 


344 


C.  ^I{avioli 


confondersi,  come  alcuni  fanno,  colla  Cavalleggeri  ;  essa 
tirava  diritto  al  punto  ov'era  l'Obelisco,  prima  della  sua 
traslazione  ed  avea  vicino  la  porta  del  campo  santo  ed 
il  fianco  del  San  Pietro  in  costruzione. 

Passando  alle  mura  serviane  ed  aureliane  che  recin- 
gono la  città,  v'erano,  come  tuttor  vi  sono,  la  porta  Set- 
timiana  ai  piedi  del  Gianicolo,  la  porta  Aurelia  o  di  San- 
pancrazio  nell'alto  dello  stesso  monte,  la  Portuense  o 
Portese  presso  il  Tevere;  tutte  e  tre  nella  regione  traste- 
verina. Le  rimanenti  porte  erano  allora  al  pari  d'oggi, 
quella  di  Sanpaolo,  di  Sansebastiano  in  direzione  dell'an- 
tica Capena,  la  Latina,  la  Metronia  chiusa;  la  porta  Asi- 
naria  presso  la  piazza  di  San  Giovanni  in  Laterano,  la 
Maggiore,  la  Tiburtina  o  di  San  Lorenzo,  la  Nomentana 
o  di  Santagnese  o  Pia,  la  Salaria,  la  Pinciana  chiusa,  la 
Flaminia  o  del  Popolo.  È  da  notarsi  che  dall'ultima  torre 
sul  fiume,  non  lungi  dalla  porta  Flaminia,  ov'  ora  è  il 
pubblico  ammazzatoio  fino  al  ponte  Elio  non  sorgeva  più 
il  giro  delle  mura  e  delle  torri,  perchè  le  grandi  inonda- 
zioni del  Tevere,  traboccando  nel  campo  Marzio  dalla 
porta  Flaminia  dopo  d'aver  lambito  le  radici  dei  colli  Pa- 
rioli,  a  quattro  in  media  per  secolo  dai  tempi  di  Aureliano 
ad  Alessandro  VI  nel  numero  almeno  di  cinquanta,  ed 
obbedendo  le  acque  alla  chiamata  nel  loro  decrescere,  aveano 
in  gran  parte  fatto  cadere  la  cinta,  che  il  popolo  s'era  af- 
frettato a  demolire  a  rasa  terra,  servendosi  del  materiale 
per  le  nuove  costruzioni  nel  piano  del  campo  Marzio  o 
anche  sulle  basi  delle  stesse  mura,  lasciando  da  principio 
degli  intervalli  per  lo  scolo  delle  acque  e  rispettando  le 
traccie  delle  antiche  posterule.  La  sola  nona  torre  chia- 
mata Tordinona  si  salvò  dalla  distruzione  e  servi  di  car- 
cere, finché  non  fu  convertita  in  teatro.  Lo  stesso  dicasi 
del  tratto  delle  mura  e  torri  insistenti  sul  Tevere  dal  ponte 
Eho  fin  presso  il  ponte  Sisto.  Sola  restò  insieme  alla  Tor- 
dinona,  la  porta   CorneHa    all'  ingresso    del   ponte   Elio, 


Le  Guerre  dei  Sette  Q/lnni  Z^b 


Questa  che  vedemmo  restaurata  da  Alessandro  VI,  che 
r  ingrandì,  fu  tolta  nel  principio  del  secolo  xvi,  perchè 
d' imbarazzo  alla  cresciuta  popolazione.  Restarono  però  a 
memoria  due  cappellette  laterali  al  ponte  che  prendeano 
il  nome  dalle  immagini  di  san  Pietro  e  san  Paolo.  Perciò 
dovunque  sola  difesa  della  città  era  il  fiume  ai  Prati  e  alla 
Lungara.  —  Non  parlo  dello  stato  delle  mura  e  delle  torri 
nel  resto  della  città;  è  solo  ad  osservarsi  che  nella  guerra 
dei  Caraffa  vi  si  fecero  molti  risarcimenti,  la  qual  cosa 
prova  che  vent'anni  prima  non  erano  al  certo  in  buono 
stato,  e  che  le  nuove  armi  già  consigliavano  una  trasfor- 
mazione, la  cui  base  era  il  terrapieno;  ma  non  bisogna 
dimenticare  che  il  Borbone  e  le  sue  orde  non  aveano 
con  sé  le  artiglierie,  le  quali  erano  state  lasciate  in  con- 
segna alla  Repubblica  di  Siena.  Quanto  alle  mura  Leo- 
niane,  la  cinta  bastionata  attuale  gira  esternamente  ad  esse  ; 
ma  dal  punto  di  porta  Cavalleggeri  alla  porta  di  Santo 
Spirito,  le  mura  non  erano  affatto  com'oggi  sono,  opera 
di  Antonio  da  Sangallo,  posteriori  al  1527.  Erano  allora 
basse,  irregolari  ed  aveano  una  casetta  a  filo  di  esse.  Il 
loro  nome  era:  mura  di  Magello  o  Macello  (i),  di  Campo 
Santo,  di  Facciafronte,  della  posterula  dei  Sàssoni,  del  monte 
Santo  Spirito  :  queste  avvertenze  sono  necessarie  leggendo 

(1)  <c  Occiso  Borbonio  ad  Terrionis  portam,  sitar»  in  loco  nun- 
cupato  Magello,  sive  Macello,  ita  sub  Carolo  Magno  appellato  e;c 
privilegio  ejus  in  dicto  archivio  sancti  Petri,  nuncupatum  macellum 
propter  occisiones  martvrum  sub  Neroniano  gladio,  ex  Tacito,  lib.  XV, 
ubi  ejus  rei  gratia  Carolus,  suggerente  Leone  tertio,  ecclesiam  in 
honorem  Salvatoris  excitavit,  videturque  hodie  ad  dictam  portam, 
habens  ingressum  ex  palatio  Sancti  Officii,  et  anathemisato  ejus 
corpore  in  quadam  aedicula  angusta,  quas  modo  parochia:  Sancti 
Angeh  in  fornacibus  subiacet,  militari  tumultu,  ut  fama  est,  et  Bor- 
bonii  aedicula  appellatur,  humato....  »  {Ex  notis  Grimaldi  de  basilicae 
Vaticanae  direptione  -  Ambrosiana,  n.  I,  168,  inf.  fol.  66.  —  Vedi 
Eugenio  Muntz,  Ricerche  intorno  ai  lavori  archeologici  di  Giacomo 
Grimaldi,  antico  archivista  della  Basii.  Vaticana.  Firenze,  1881,  pag.  50). 


346 


e.  ^T{avioli 


gli  storici.  Inoltre  è  pur  da  notare  che  come  al  ponte  No- 
mentano  ed  al  Salaro,  così  a  capo  a  ponte  Molle  v'era  una 
cittadella,  capace  di  resistenza  che  dovea  espugnarsi  da  chi 
voleva  essere  padrone  del  ponte,  dei  colli  Parioli,  della  via 
Flaminia  e  della  via  che  conduce  alla  posterula  di  Castel- 
santangeio  costeggiando  la  riva  dritta  del  Tevere. 

La  parte  minacciata,  o  come  si  direbbe  oggi,  il  settore 
da  investirsi  dalle  armi  imperiali,  seppure  questo  nome  può 
convenire  al  caso  nostro,  era  chiaramente  disegnato  dalla 
natura  e  dall'arte,  considerate  le  condizioni  del  terreno,  il 
numero  degli  offensori  e  la  posizione  del  loro  ultimo  al- 
loggiamento. Erano  le  adiacenze  del  ponte  Molle,  il  Monte 
Mario  e  i  Prati  di  Castello,  tutta  la  lunga  cresta  del  Gia- 
nicolo  girando  per  la  valle  dell'  Inferno  e  dominando  gli 
accessi  della  porta  dei  Sàssoni  o  di  Santo  Spirito,  della 
Settimiana  e  di  Sanpancrazio  :  minacciando  i  tre  ponti  Sisto, 
Santangelo  e  Santa  Maria  per  invadere  la  città:  i  nemici 
perciò  non  aveano  base  dal  punto  donde  eran  venuti,  ma 
l'avevan  dovunque,  perchè  i  Colonnesi  scorrevano  la  cam- 
pagna da  Velletri  a  Rignano  verso  il  Soratte  e  la  loro 
ritirata  naturale  era  sempre  aperta  verso  il  reame  di  Napoli. 

Descritto  lo  stato  della  città,  non  mancano  che  due  pa- 
role per  tratteggiare  coloro,  sopra  i  quali  era  imminente 
un  disastro  in  gran  parte  preparato  con  gran  cura  dalle 
proprie  mani,  come  colui  che  per  altri  cercò  con  industria 
4i  scavare  la  fossa  e  da  ultimo  vi  cade  dentro;  ma  a  pa- 
tirne fossero  stati  soli!  La  Corte  romana  e  il  papa  v'in- 
volsero i  Romani  e  gh  abitanti  non  romani,  d'ogni  ceto 
e  d'ogni  sesso,  ricchi  e  poveri,  patrizi  e  plebei,  vecchi  e 
fanciuUi  tutti  innocenti,  che  nulla  avevano  a  dividere  col- 
r  universale  stupidità  e  mahzia  che  forse  chiamavano  ra- 
gione di  Stato,  e  benessere  d'Italia. 

I  cardinaU  e  i  prelati  quante  teste  avevano,  altrettante 
opinioni  ed  affezioni,  perchè  parteggiami  o  per  l' impero  o 
per  Francia  quelli  che  erano  potenti  ed  ambiziosi,  gli  altri 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  347 

di  diverse  tendenze  sebbene  di  colore  sbiavato  non  cessa- 
vano di  sbraitare,  secondo  loro  indole  ognuno,  ed  erano 
tutti  influenti  nelle  consulte  sull'animo  floscio  e  diffidente 
del  papa,  per  lo  che  talor  sembrava  prudente,  tal'altra  scaltro 
e  per  passeggero  soprassalto,  energico,  vendicativo,  e  non 
curante  mai  i  saggi  avvisi  di  Jacopo  Sadoleto,  vescovo  e 
consigliere  suo,  il  quale  lo  dissuadeva  da  tali  guerre  imbe- 
cilli. In  fondo  però  per  posizione  e  per  carattere  turbato 
sempre  e  sbattuto  qual  palischermo  in  balìa  della  tempesta, 
sforzandosi  di  conciliare  gli  animi,  dava  corso  alle  più  sva- 
riate ed  irreconciliabili  risoluzioni  ed  a'provvedimenti  tardi  e 
sempre  più  dannosi.  Da  qui  l'opinione  generale  che  si  formò 
di  lui  che  ad  ogni  passo  discopriva  l' i))ipotm:{a  e  l' irreso- 
luxionc  sua,  e  si  rendeva  altrettanto  sospetto  a' collegati  quanto 
si  confermava  debolissimo  ai  nemici:  sono  parole  del  biografo 
di  Francesco  Maria.  Da  qui  la  sentenza  del  volere  e  non 
volere  guerra,  di  che  s'accorse  fin  dal  3  marzo  1525  il  ve- 
scovo Del  Monte,  che  fu  poi  papa  col  nome  di  Giulio  III; 
da  qui  la  conclusione  che  ne  traeva  agli  11  di  aprile  1527 
un  personaggio,  che  era  in  relazione  coi  Veneziani  :  Questa 
Corte  ornili  è  divenuta  un  cortile  da  galline;  da  qui  il  gran 
principio  ripetuto  più  volte  dal  suo  datario,  il  vescovo 
Gianmatteo  Giberti,  marchiar  y  pattear.  Difatto  papa  e  da- 
tario fiicendola  da  gran  politici  non  solo,  ma  dar  condottieri 
di  esercito  (i),  dalle  sale  del  Vaticano  combinavano  arruo- 

(i)  Clemente  VII  avea  grand' opinione  di  sé  a  guidar  gli  eser- 
citi ;  e  il  Machiavelli  è  in  colpa  se  egli  se  ne  persuadesse  tanto  da 
averlo  posto  in  atto.  Nel  costui  Discorso  sopra  il  riformare  lo  Stato 
di  Firm-^c  fatto  ad  istanza  di  papa  Leone  X  ecco  quali  termini  usò,  a 
quanto  pare,  con  serietà  :  «  Ma  se  si  considera  vivente  la  Santità 
Vostra  e  Monsignore  Reverendissimo  (che  era  proprio  lui  Giulio 
de'  Medici),  ella  è  una  monarchia,  perchè  voi  comandate  alle  armi, 
comandate  a'  giudici  criminali,  avete  leggi  in  petto,  né  so  quello  che 
più  si  possa  desiderare  uno  in  una  città...  »  Il  povero  Segretario 
fiorentino  deve  avere  arrossito  quando  nell'aprile  del  1527  era  tra 
le  armi   pontificie-  a  Forlì  e   parlava   dell'accorcio   del    Fieramosca  e 


48  e.  ^apìoli 

lamenti  all'  interno  e  all'estero,  comunicando  direttamente 
con  vescovi  incaricati  dell' assodamento;  eglino  ponevano 
alla  testa  delle  compagnie  e  delle  insegne,  nelle  marcie  o 
nei  campi  colonnelli  e  capitani;  offendevano  per  fondati 
sospetti  col  carcere  e  poi  ne  li  tiravan  fuori  per  metterli 
capi  di  soldatesche  che  li  difendessero.  Napoleone  Orsini, 
abate  di  Farfa,  ed  Orazio  Baglione;  eglino  corrispondevano 
co'  nunzi  alle  Corti  e  spedivano  ambasciatori  ai  campi,  o 
legati  che  presiedessero  alle  frizioni  di  guerra.  Eglino  chie- 
devano direttamente  danari  al  re  di  Francia,  al  re  d' In- 
ghilterra, ai  Veneziani,  ai  Fiorentini.  E  quel  po'  di  danaro 
che  giungeva,  e  il  più  si  prometteva,  eglino  direttamente 
s' ingerivano  di  trasmettere  con  iscorta  e  con  persona  fidata 
ora  ai  campi  verso  il  Po,  ora  a  quelli  verso  il  Garigliano 
e  il  Liri  e  fino  a  Terracina  presso  all'armata,  ch'era  sem- 
pre sotto  gli  ordini  d'Andrea  Doria.  Eglino  corrisponde- 
vano direttamente  coi  commissari  dei  viveri  ordinari  e  straor- 
dinari, in  ispecie  dell'esercito  al  Garigliano,  tali  che  messer 
Niccolò....,  Giulian  Leno,  Giovanni  della  Stufa.  E  le  prov- 
visioni consistevano  tutte  a  raccoglier  grano  qua  e  colà  e 
con  65  muli  ed  altrettanti  sacchi  portarli  al  mulino,  e  dal 
mulino  la  farina  ai  forni,  e  da  questi  il  pane  al  campo  per 
la  distribuzione,  onde  pascere  gli  affamati  soldati.  Laonde 
il  cardinal  legato  scriveva  al  Giberti:  «  ma  mai,  per  estrema 
diligenzia  che  se  sia  fatta,  s'  è  possuto  per  una  volta  cac- 
ciare la  fame  a  questo  exercito,  e  con  fatica  grande  l'hab- 
biamo  intertenuto  fin  qui  (marzo  1527)  a  darli  il  pane  una 
volta  il  giorno,  et  pur  che  ne  fusse  anche  venuto  tanto  che 
havesse  bastato  per  un  buon  pasto,  saria  stato  assai....  » 
Quanto  alla  regolarità  dei  soldi  ecco  come  il  Giberti  scri- 
veva ai  21  di  marzo  al  cardinal  legato:...  «vedesse  servirsi 


della  pace  e  della  guerra  alla  vigilia  della  scesa  del  Borbone  a  Roma 
e  della  prigionia  di  monsignore  divenuto  papa,  gran  politico  e  grande 
strategico  davvero  ! 


n 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnnì  849 

delle  genti  già  pagate,  intrattenendo  le  altre  meglio  che 
potesse  con  parole  ».  Nessun  uomo  sperimentato  alla  guerra, 
eppur  ve  n'erano  parecchi,  avea  grado  supremo  e  supremo 
comando,  autorità  e  responsabilità  per  dirigere  le  operazioni 
e  l'impresa  al  Po  e  al  Garigliano:  dal  che  venia  che  papa 
e  datario,  il  primo  quasi  piccola  figura  di  Napoleone  o  di 
Guglielmo,  l'altro  qual  di  Berthier  o  di  Moltke  intrattene- 
vano due  piccoh  eserciti  al  sud  e  al  nord,  il  che  equivale 
due  guerre  ad  un  tempo,  amministrando,  ordinando  e  di- 
rigendo marce,  movimenti  e  fazioni  innanzi  e  indietro  per 
mare  e  per  terra,  mal  retribuendo  di  viveri  e  di  soldi  gente 
benissimo  animata  e  in  gran  parte  agguerrita,  comunicando 
co'  diversi  capi  ad  un  tempo.  Di  questi  ve  ne  erano  parec- 
chi :  al  Po  il  luogotenente  del  papa,  tal' era  il  titolo,  avea 
nome  Francesco  Guicciardini;  al  Garigliano  capo  dell'  im- 
presa era  il  capitano  Vitello  ViteUi;  pei  monti  dell'Aquila 
e  per  Tivoli  fino  a  Tagliacozzo,  Alba  e  Celano  scorreva 
Renzo  da  Ceri,  luogotenente  del  re  Francesco  dato  al  papa; 
altro  luogotenente  del  papa  il  signor  Renato  conte  di  Vau- 
demont  mandato  dal  re  fu  spedito  all'armata  che  scorreva 
minacciosa  col  capitan  generale  dei  confederati  Andrea 
Doria  da  Terracina  a  Castellamare  e  a  Salerno.  Questo 
signor  di  Vaudemont,  o  conte  di  Valdimonte,  non  era 
per  sentimentalismo  mandato  alla  guerra  per  mare  nelle 
"spiaggie  napolitane  ;  costui  era  l'ultimo  rampollo  della 
casa  Angioina,  ed  imbarcato  dal  Doria  pel  Tevere,  mandò 
i  suoi  manifesti  a  Napoli  come  vero  successore  al  trono 
di  Napoli  :  cosi  Clemente  irritava  maggiormente  il  suo 
nemico  con  fanciulleschi  trastulli.  Oltre  a  questi  v'era  un 
cardinal  legato  dato  al  Vitelli,  intermediario  col  papa  e 
il  datario,  e  questi  era  il  cardinal  Agostino  Trivulzio,  il 
quale  il  12  aprile  in  concistoro  riferì  i  gesti  della  sua  le- 
gazione, mentre  col  primo  maggio  il  Governo  di  Firenze 
chiamava  a  sé  il  ViteUi.  E  come  se  tanta  mole  imcomposta 
non  bastasse  per  sé  ad  operare  effetti  contrari  alle  inten- 


iVSo  C.  ^I{avioli 

/ioni,  v'erano  altri  due  elementi  che  non  poteano  appor- 
tare che  gravi  impacci  e  jatture.  E  questi  indipendenti 
dal  Borbone  che  inesorabilmente  minacciava  dall'un  dei 
lati,  il  viceré  che  astutamente  movevasi  dall'altro.  Essi 
erano  il  cardinal  Pompeo  Colonna,  ghibellino  già  amico 
ed  ora  acerrimo  nemico  di  Clemente,  che  neutralizzato 
colla  famosa  tregua,  tranquillo  e  minaccioso  ad  un  tempo 
nelle  sue  terre  tra  Roccadipapa  e  Marino,  compreso  Ca- 
stel Gandolfo  ed  Albano,  infestava  da  Tivoli  alla  ma- 
rina, e  disponendo  a  Roma  e  nella  campagna  di  un  dieci 
mila  tra  partigiani  e  soldati  armati,  con  800  dei  migliori 
in  Fallano,  fortezza  benissimo  guernita,  era  vigile  spia  a 
settentrione  e  a  mezzodì  ed  oltremare.  L'altro  Francesco 
Maria  della  Rovere  nemico  naturale  dei  Medici,  perchè 
essi  gli  avevan  tolto  il  ducato;  all'epoca  della  lega  era  già 
capitan  generale  dei  Veneziani  e  divenne  pel  suo  grado 
capo  provvisorio  delle  armi  di  quella  con  poca,  in  fondo, 
soddisfozione  di  Clemente,  mentre  al  re  di  Francia  spet- 
tava per  trattato  mandare  un  suo  generale  che  dell'eser- 
cito confederato  prendesse  il  comando  e  che  mai  non  fu 
ne  eletto  né  spedito.  L'astuto  Francesco  Maria  vide  per 
tempo  di  che  si  trattava  e  si  persuase  dei  disordini  che 
doveano  succedere  in  ispecie  colla  direzione  assunta  dal  papa 
e  dal  datario  per  la  loro  parte  d'amministrare  la  guerra. 
Perciò  egli  invocava  d'esser  lui  dichiarato  capo  assoluto  delle 
armi,  certo  che  qualcuno  vi  si  sarebbe  opposto:  così  re- 
stava più  ch'altro  capo  delle  armi  veneziane,  tollerando  l'av- 
vicinamento d'altri  corpi  confederati,  le  cui  armi  non  sempre 
dettero  saggio  di  gran  disciplina  e  coraggio,  ma  sottoposte 
le  mosse  e  le  fazioni  di  guerra  non  agli  ordini  collettivi 
dei  capi  subalterni  della  lega,  ma  all'  interesse  suo,  ch'era 
di  non  azzardare,  e  a  quello  de'  suoi  padroni  ch'era  di  tener 
netto  da  nemici  lo  Stato  della  Signoria  e  mandarli  lontani. 
Fin  qui  nulla  di  riprovevole.  La  colpa  sua  era  il  nudrire 
speranza  in  coloro,  che  il  voleano  battagliere  e  difensore 


^ 


Le  Guerre  dei  Sette  oAniii  35 1 


zelante  più  del  papa  che  degli  altri  confederati;  e  costoro 
caddero  in  una  illusione,  che  li  trasse  in  ruina.  Pur  tut- 
tavia, sebbene  ogni  buon  capitano  deve  usare  a  tempo  la 
dissimulazione  e  il  silenzio,  egli  non  li  lasciò  illudersi  to- 
talmente; fé'  saggi  progetti,  che  non  furono  ascoltati,  perchè 
papa,  datario,  Salviati  e  Renzo,  non  gH  approvarono;  così 
parve  che  egli  volesse  profittare  della  fortuna  per  vendi- 
care vecchi  rancori;  ma  se  pur  ciò  avesse  fatto,  lo  avrebbe 
compiuto  con  tanta  maggior  ragione,  dal  momento  che  dei 
confederati  il  duca  Sforza,  con  accordo  avea  perduto  lo 
Stato  e  la  cittadella  di  Milano  suo  ultimo  asilo,,  e  il  papa 
per  particolari  conveiizioni  contrarie  e  dannose  alla  lega, 
avea  richiamato  nei  confini  le  truppe  spedite  oltre  Po.  Eran 
sogni  di  disperati,  quando  si  persisteva  a  credere  che  avesse 
dovuto  a  ogni  patto  prendere  alle  spalle  il  Borbone  per 
impedirgli  l'ingresso  in  Roma:  egli  avea  difeso  il  resto  dei 
collegati  fedeli,  che  erano  i  Fiorentini  e  i  Veneziani,  e  avea 
dato  saggi  avvisi  al  pontefice.  Ma  gli  storici  contempo- 
ranei a  torto  gì'  inflissero  biasimo  e  responsabilità  che  egli 
non  ebbe  ;  ma  le  affezioni  diverse  passate  nel  dominio  della 
storia  devono  essere  rispettate  nelle  narrazioni  che  si  ripe- 
tono dopo  tre  secoli  e  mezzo;  ma  alcune  osservazioni  pur 
sono  necessarie  a  chiarire  gli  avvenimenti  e  non  tutto  ciò 
che  si  è  scritto,  approvare.  E  come  possono  approvarsi 
le  accuse  scagliate  contro  Francesco  Maria,  s'egh  co' suoi 
movimenti,  lasciando  a  parte  tutto  il  resto  che  fece,  impedi 
che  le  bande  del  Borbone  facessero  peggio,  che  altrove 
non  fecero,  contro  Bologna  e  Firenze;  se  aiutato  dall'in- 
clemenza della  stagione  e  dalle  provvidenze  fiorentine,  le 
trattenne  per  tre  mesi  tra  Bologna  e  Siena  ?  Perchè  Roma 
non  si  difese  in  tempo  coi  soldati  del  Po  e  del  Garigliano, 
con  buone  fortificazioni  e  cannoni  in  quei  tre  mesi!  Invece 
la  bella  massima  spagnuola  di  marciare  e  patteggiare  messa 
in  pratica  col  cervello  di  Clemente  portò  guerra  e  non 
guerra,  pace  e  non  pace,  fare  e  disfiu'e  in  mare  e  in  terra, 


352 


C.  IR^avioli 


% 


arruolamenti  febrili,  e  improvvisi  congedi  di  truppe,  calde 
proteste  d'amore  a  Carlo  in  Ispagna  e  a  Francesco  in  Francia, 
propugnare  il  ducato  per  Francesco  Sforza,  ed  esser  egli 
nudo  bersaglio  di  nemici  potenti  vicini  e  lontani,  esercito 
fin  sotto  Milano,  e  richiamo  di  questo  entro  il  confine; 
concentramento  parziale  a  Roma  e  per  esso  vendetta  con- 
cepita contro  i  Colonnesi,  sventata  dal  Viceré  coi  movi- 
menti spagnuoli  contro  Frosinone;  speranza  puerile  di  ridurre 
costui  a  chieder  pace  per  certe  apparenze  di  vittorie,  vel- 
leità di  sconfiggerlo  interamente  con  un  esercito  mal  pa- 
gato e  peggio  nudrito  e  perciò  incapace  di  muoversi  dalle 
posizioni  ottenute;  quindi  nuovi  licenziamenti  di  soldati  e 
chieder  egli  pace  e  aprir  la  strada  di  Roma  al  viceré  Lannoy, 
al  Fieramosca,  al  Moncada;  e  firati  e  preti  e  prelati  e  car- 
dinali interessare  a  stringere  accordi,  mentre  i  Colonnesi 
eran  forti  a  poche  miglia  e  il  Borbone  da  Siena  con  orde 
affamate  aspettava  s'aprisse  l'abisso  per  precipitarvi  gli  scon- 
sigliati ?  Cotal  violento  parossismo  potea  durare  ?  potea  non 
recare  i  suoi  frutti?  Siamo  alla  vigilia  degli  avvenimenti. 
Non  si  tosto  che  il  Borbone  ebbe  l'esercito  accampato, 
certo  che  del  suo  arrivo  fosse  giunta  novella  in  Roma, 
forte  maravigliò  che  da  essa  così  disarmata  nessun  amba- 
sciatore per  parlamentare  o  nessuna  lettera  gli  giungesse 
dal  papa  o  dai  cardinali;  imperocché  si  sarebbe  proposto, 
secondoché  se  ne  scrisse  dappoi  a  Carlo  V,  di  patteggiare 
una  somma  di  danaro  e  con  essa  risparmiare  la  distruzione 
della  città.  Fu  quindi,  colla  speranza  di  accordo,  consi- 
gliato anche  da  alcuno  dei  suoi,  di  voler  condurre  egli 
l'esercito  in  maniera  che  intimidendo  fosse  in  sua  mano 
il  trattare:  ma  egli  rispondeva  che  mai  non  si  aveva  ad 
aver  rispetto  al  danno  del  nemico,  né  dargli  tempo  di  poter 
provvedere  alle  cose  sue,  e  che  al  papa  spettava  di  dimandar 
patto,  più  che  indugiando  egli  offerirglielo;  perciò  deliberò 
risolutamente  avvicinarsi  alle  mura. 

Difatto  innanzi  l'alba  della  domenica  5  maggio  pose  in 


Le  Guerre  dei  Sette  Q^nni  353 


movimento  le  sue  genti  e  lasciato  un  grosso  distaccamento 
con  Sciarra  Colonna  sulla  via  Flaminia  a  sorvegliare  e  fin- 
gere di  attaccare  il  ponte  Molle,  cittadella  guernita  dalle 
genti  di  Orazio  Baglioni,  col  resto  marciò  rapidamente 
sulle  alture  o  croce  di  xMonte  Mario,  e  lasciatovi  una  banda 
de'  suoi  scese  e  girò  dal  lato  del  Borgo  e  della  cinta  Leo- 
niana  per  la  valle  d' Inferno  alla  porta  dei  Sàssoni  o  di 
Santo  Spirito,  proseguì  per  le  creste  del  colle  gianicolense 
e  raggiunse  a  dominar  la  città,  prendendo  alloggiamento 
parte  a  Sant'Onofrio  sul  Gianicolo,  parte  nel  monastero  di 
San  Pancrazio.  Ne  avea  lasciato  il  mattino  di  scrivere  una 
lettera  al  Papa  esortandolo,  sono  parole  dell'ufficiale  impe- 
riale scritte  a  Carlo  V  dopo  il  saccheggio,  creduto  fosse 
Giovanbartolommeo  Arboreo  da  Gattinara,  a  pigliare  alcun 
buon  appuntamento,  e  non  aspettare  gV  inconvenienti  che  ave- 
vano a  succedere:  quest'era  mettere  in  pratica  a  tempo  e 
luogo  la  massima  spagnuola  marchiar  y  pattear,  non  secondo 
l'interpretazione  melensa  di  Clemente  e  del  povero  da- 
tario. Tale  lettera  venne  spedita  per  un  trombetta,  che  non 
fu  lasciato  passare,  dandosene  colpa  a  Renzo  :  qual  fine 
essa  facesse  resterà  sempre  ignorato,  che  cosa  dicesse  è 
incerto,  fuorché  la  condizione  che  se  non  veniva  la  risposta 
avanti  le  ore  22  di  quel  giorno  (6  pom.)  non  v'era  rimedio 
di  contenere  l'esercito. 

La  parola  fu  mantenuta:  verso  quell'ora  Lucantonio 
Tomassoni  da  Terni  con  parte  delle  bande  nere  era  sulla 
via  di  Monte  Mario;  scaramucciò  coli' avanguardia  dei 
Lanzi,  ne  fece  tre  o  quattro  prigioni  e  pei  Prati  si  ritrasse 
a  Castello;  nel  passare  gran  fracasso  uscia  da  quelle  com- 
pagnie dicendo  che  Vera  un  gran  canaglia  quelle  orde,  come 
attesta  nella  sua  vita  (vedi  Gaye,  Cart.  d'artisti,  tom.  Ili, 
pag.  591)  lo  scultore  Raffaello  da  Montelupo,  che  quel 
di  stesso  passato  il  portone  di  Castelsantangelo  fu  inscritto 
bombardiere  dal  suo  maestro.  Poco  di  poi  con  una  barca, 
una  banda  di  300  nemici  traghettò  il  fiume  in  Prati  fuori 


354 


C.  'T^apioli 


del  dominio  del  cannone  di  Castelsantangelo;  ma  v'era  a 
guardia  pur  colà  Orazio  Baglioni  con  altro  distaccamento 
di  fanti  delle  bande  nere;  in  breve  si  venne  a  combatti- 
mento; i  nemici  furono  tutti  uccisi  e  la  barca  a  furia  di 
archibugiate  affondata  :  sul  tardi  Camillo  Orsini  uscì  fuori 
di  Ponte  Molle  ad  esplorare.  Conosciutisi  così  le  diffi- 
coltà e  i  pericoli,  il  Borbone  chiamò  i  capi  della  fanteria 
e  dei  cavalli  per  dar  subito  l'assalto  alle  mura  prima  che 
pontefice  e  popolo  romano  si  preparassero  a  maggior  di- 
fesa. Le  parole  sue  non  fecero  frutto:  perciò  lasciò  al- 
l'alba del  domani  a  fare  senza  artiglieria,  come  meglio 
avrebbe  potuto,  ogni  sforzo  d'assaltare  la  città. 

Avanti  al  tramontar  del  sole  fece  per  ciò  riunire  quanto 
potè  dell'esercito  e  salito  in  luogo  eminente,  che  forse  fu 
quello  presso  di  Sant'Onofrio  chiamato  Belvedere,  con 
lunga  orazione  animò  tutti  i  suoi,  che  convennero  di  f;n" 
subito  ogni  preparamento  di  scale  per  dare  l'assalto  la 
mattina  seguente  dal  canto  delle  Fornaci,  dove  il  muro  si 
giudicava  esser  più  debole.  Dopo  di  ciò  gl'invito  al  ri- 
poso ed  ordinatone  l'alloggiamento  si  restrinse  di  nuovo 
coi  colonnelli  e  coi  capi  per  fissare  le  disposizioni  neces- 
sarie ai  corpi  negli  assalti  simultanei  dell'espugnazione. 

Questo  accadeva  al  di  fuori  della  città;  vediamo  ora 
la  posizione  degli  animi  e  delle  cose  all'interno,  dappoi- 
ché contro  la  comune  credibilità  tanta  moltitudine  di  ne- 
mici era  piombata  addosso  e  avea  già  mostrato  chiaro  il 
suo  intendimento  dal  lato  dei  prati  sul  fiume.  Clemente 
spaventato  e  diffidente  avea  pensieri  diversi  nell'animo  tra- 
vagliatissimo.  In  Roma  non  seppesi  la  partenza  da  Siena 
del  nemico,  che  quando  era  esso  giunto  a  Viterbo,  ed  a 
maggiore  sventura  molti  ancor  afi^ermavano  esser  quello  non 
altro  che  l'esercito  della  lega.  Qui  era  il  caso:  Deus,  quos 
vuìt  perdere,  dementai.  Quando  in  tutti  ogni  illusione  cadde 
dinanzi  al  vero,  s'immagini  ognuno  la  costernazione,  l'ab- 
battimento, lo  spavento.  Il   papa  ora   animosamente,  ora 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  353 


paurosamente  domandava  aiuto,  consiglio,  favore  ai  car- 
dinali romani  e  ai  pochi  suoi  capitani.  Agitatissimo  e  per- 
plesso ora  volea  fuggirsene  andando  al  mare  cercando 
ricovero  sulle  sue  galere,  ora  volea  entrare  in  Roma,  ab- 
bandonar San  Pietro,  tagliare  i  ponti  ed  aspettar  gli  aiuti 
delle  armi  della  lega,  ora  comprar  con  grande  quantità  di 
danaro  la  pace,  pronunciando  per  l'estrema  volta  la  pa- 
rola, a  lui  fatale,  accordo;  l'amo  pestifero  a  cui  Spagna 
avea  sempre  preso  lui  improvvido  e  disarmato  e  adesso 
vittima  abbandonata  al  suo  destino. 

Pochi  di  innanzi,  il  vedemmo  già,  per  voler  avanxarc, 
come  allora  usava  dire  Jacopo  Salviati,  trenta  mila  scudi 
al  mese,  e  sen^a  alcun  proposito  aggiungevan  gli  storici, 
avea  licenziato  due  mila  Svizzeri  e  due  mila  fanti  delle 
bande  nere.  Conosciuto  e  tardi  l'errore,  e  visto  non  aver 
più  tempo  a  cavar  fanti  dai  luoghi,  che  danno  animosi 
soldati,  fu  costretto  in  mezzo  all'universale  trepidazione, 
assoldare  tumultuosamente,  oltre  i  pochi  rimastigli,  circa 
a  tre  mila  fanti  tra  artigiani  e  servitori  ed  altre  vilissime 
persone  radunate  fin  dalle  stalle  de'  cardinali  e  prelati,  dalle 
botteghe  degli  artefici  e  dalle  osterie.  Inoltre  si  dettero 
armi  a  sei  tribù  romane,  non  consuete  anch'esse  al  rumor 
dei  tamburi  e  meno  delle  artiglierie,  ad  artisti  volontari, 
toscani  i  più,  e  si  raccolsero  ancora  alcuni  pochi  soldati 
tra  i  licenziati  che  avean  venduto  le  armi  ed  eransi  fer- 
mati in  Roma.  Renzo  da  Ceri  preposto  al  comando  con 
cosiffatta  gente  o  inesperta  o  demoralizzata,  fisso  nella 
pazza  idea  che  il  dì  seguente  l'esercito  della  lega  entre- 
rebbe e  che  i  nemici  per  penuria  di  vettovaglia  non  po- 
tean  contrastare  due  giorni  e  sovrastare  alle  mura,  van- 
tavasi  di  voler  mantenere  con  valore  per  due  giorni  Borgo 
e  Roma  tutta.  Il  datario  e  Jacopo  Salviati  eran  tanto  si- 
curi di  questo  fiitto  che  insieme  ad  altri  non  vollero  per- 
mettere al  papa  di  lasciar  la  città,  ai  mercatanti  fiorentini 
e  d'altre  nazioni  d'imbarcare  in  un  galeone  ed  altre  barche, 


356  C.  T^avioli 

preste  a  tal'  uopo,  le  robe  di  maggior  valuta  e  le  donne 
per  Civitavecchia,  né  che  si  tagliassero  i  ponti  per  separare 
il  Borgo  e  il  Trastevere  da  Roma  e  tutto  ciò,  dicevano, 
perchè  non  fossero  messi  in  maggior  timore  gli  abitanti  e 
nell'ostinazione  i  nemici;  purtuttavia  i  più  prudenti  ed 
egoisti  eran  già  pronti  ad  uscire  ed  uscirono  il  di  4,  come 
il  cardinale  Egidio,  il  vescovo  di  Volterra,  il  vescovo  di 
Bologna,  il  vescovo  di  Pesaro,  la  famigha  del  cardinal  Cam- 
peggio, Costantino  Greco  e  Baldassare  da  Pescia.  Poi  su- 
bito fecersi  serrare  le  porte  agli  amici  e  ai  nemici:  con 
queste  precauzioni  Roma  era  salva  e  poteva  aspettare  tran- 
quilla l'assalto. 

Clemente  dunque  riconfortato  dalle  parole  de'  suoi  e 
fiducioso  che  Francesco  Maria  o  almeno  il  conte  Guido 
da  un  istante  all'altro  con  gente  esperta  qual'era  quella 
della  lega  arrivasse  per  la  via  Flaminia,  mentre  il  Borbone 
era  giunto  per  quella  di  Viterbo,  esortò  i  Romani,  ricor- 
dando che  in  tanto  bisogno  della  patria  tutti  dovevano 
prontamente  prendere  le  armi  per  difenderla  e  che  i  più 
ricchi  dovessero  in  tanta  estremità  prestar  danaro.  Si  mo- 
strò per  Roma  cavalcando;  eccitò  pure  i  capitani  a  rac- 
conciare mura  e  ripari,  che  sogHono  farsi  in  simili  circo- 
stanze; a  compartire  alle  mura  e  alle  parti  più  deboli  i 
difensori;  a  collocare  in  siti  opportuni  grosse  bande  di 
armati  che  soccorressero  al  bisogno  questa  o  quella  parte  ; 
ricordò  inoltre  che  non  si  mancasse  di  deputare  chi  ammini- 
strasse le  vettovagHe  e  ogni  altra  cosa  necessaria  a'  combat- 
tenti; e  con  prestezza  si  facessero  fuochi  lavorati  ed  altre  mi- 
sture di  pece  e  pegola  da  gittare  addosso  a'  nemici.  Né  mancò 
di  confortare  in  tanta  confusione  e  persuadere  che  i  nemici 
sprovveduti  di  tutto  e  fino  d'artigUerie,non  eran  buoni  dibat- 
tere le  mura  di  qualunque  piccolo  castello,  come  nelle  lor  mar- 
cie avean  dimostro,  non  che  Roma  ;  che  non  potean  tentare 
che  qualche  assalto,  dal  quale  ributtati,  sarebbero  astretti 
per  la  fame  a  pel  timore  dell'esercito  nemico  già  prossimo 


n 


Le  Guerre  dei  Sette  Q/lnni  35 j 

alle  mura,  rompersi  tra  di  loro.  Mostrava  ancora  che  i  ne- 
mici per  essere  in  gran  parte  luterani,  Dio  li  aveva  fatti 
venire  sotto  la  città  santa  per  essere  tagliati  a  pezzi  e  com- 
partiva a  chi  combattesse  valorosamente  e  morisse,  se- 
guendo, dice  il  Guicciardini,  «  il  costume  ridicolo  de'  pon- 
tefici in  tutti  i  tempi,  offici  e  benefici  ecclesiastici  agli  eredi 
e  parenti  e  plenaria  remissione  di  tutti  i  suoi  peccati  ». 

Queste  pratiche  disposizioni  eran  bellissime  a  dirsi,  ma 
difficili  a  porsi  in  effetto,  tanto  più  che  non  eran  seguite 
dal  fatto  di  recarsi  in  persona  durante  l'azione  sui  luoghi, 
come  avean  fiuto  altri  pontefici  tra  cui  Gregorio  VII; 
che  se  quest'ufficio  avesse  egli  di  persona  compiuto,  era 
opinione  di  molti,  aggiungono  gli  storici,  che  le  cose  sa- 
rebbero andate  altrimenti;  ma  egli  e  il  suo  Datario  fida- 
rono ne'  propri  capitani.  Una  mostra  fatta  pochi  giorni 
prima  di  Romani  e  forestieri  di  circa  trenta  mila  uomini 
da  combattere,  pria  che  fosser  giunti  i  nemici,  aveva  in- 
dotto negli  animi  d'esser  Roma  invincibile,  e  le  parole  di 
Renzo  da  Ceri  s'aggiungeano  a  dipingere  il  pericolo  mi- 
nore ;  mentre  sarebbe  stato  opera  di  capitano  prudente  il 
proclamare  il  detto  antico:  ai  vinti  sola  salvezza  è  non 
sperarne  alcuna. 

Era  costui  della  prosapia  degli  Orsini  e  rappresentava 
co'  suoi  partigiani  la  fazione  avversa  ai  Colonnesi,  tal  che 
il  Datario  scrivendo  agli  ii  di  dicembre  del  152^  a  Pietro 
Navarro  diceva:  «  N.  S.  desidera  haver  presto  qui  il  si- 
gnor Renzo,  che  con  l'autorità  et  credito  che  ha,  farà 
gran  sollevamento  alle  cose  di  Sua  Santità  ».  Cominciò 
a  militare  ai  tempi  di  Giulio  II,  il  quale  gli  permise  di 
andare  ai  servigi  dei  Veneziani,  e  questi  nel  151 1,  dopo 
la  morte  del  Brisighello,  il  fecero  capitano  delle  loro  fan- 
terie. Perciò  il  troviamo  con  Girolamo  Savorgnano  e  l'Al- 
viano  contro  l'imperatore  Massimiliano,  quando  essi  cir- 
condarono e  presero  prigionieri  sei  mila  imperiali  scesi  al  di 
là  del  Piave  nella  valle  di  Cadore.  Nel  15 15  avea  occupato 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  24 


358 


C.  Ravioli 


4 


Bergamo  con  approvazione  dei  Veneziani,  interrompendo 
a  quanto  sembra  alcuni  disegni  arditi  dell' Alviano  nella 
guerra  pure  contro  l'impero;  e  mentre  quegli  occupò  Cre- 
mona e  Lodi,  Renzo  mosse  da  Crema  con  altre  genti 
veneziane  ai  danni  del  Milanese;  e  forse  qui  adoperò 
l'astuzia  a  che  accenna  Guglielmo  Bellay  di  aver  tentato 
d'infettare  il  campo  nemico  con  panni  e  robe  che  avean 
maneggiato  gli  appestati.  Il  ritrovarsi  egli  in  queste  guerre 
sempre  a  contatto  dell' Alviano,  mostra  che  questi  lo  avrebbe 
dovuto  amare,  perchè  doveva  essere  memore  d'essere  stato 
fin  dall'adolescenza  a  far  carriera  con  Napoleone  Orsini  e 
col  figlio  Virginio  non  che  con  altri  della  famiglia  di  lui; 
ma  la  cosa  andava  altrimenti  e  il  prova  Luca  Contile  nella 
vita  di  Cesare  Maggi  da  Napoli  (carte  6  e  seg.).  Leon  X 
nel  1517  commise  a  Renzo  di  combattere  Francesco  Maria  I 
della  Rovere  duca  d'Urbino  per  cacciarlo  la  seconda  volta 
dallo  Stato,  infeudato  da  lui  a  Lorenzo  de'  Medici  suo  ni- 
pote; e  fu  si  rapida  l'impresa  che  essendovi  il  duca  rien- 
trato a  mezzo  settembre,  il  20  dello  stesso  era  finita,  pagando 
un  venti  mila  scudi  ai  mercenari  di  lui,  che  si  disciolsero. 
A  mezzo  aprile  del  15 18  il  cardinale  di  Cortona  con  Renzo 
partì  per  Roma  da  Ancona,  lasciandovi  Gìglio  da  Cor- 
tona, con  ordine  di  scaricare  alcune  case,  far  bastioni,  ca- 
sematte e  ripari,  essendosi  dato  principio  con  300  uomini 
per  munirsi  certo  contro  i  Turchi  dal  mare.  Quattr'anni 
appresso  il  ritroviamo  in  posizione  non  troppo  onorevole, 
perchè  per  suo  conto  volendo  rilevare  la  parte  Orsina  nella 
sede  vacante  per  la  morte  di  Leon  X,  egli  e  i  suoi  Corsi 
infestavano  in  quel  di  Terni  e  Spoleto  i  viandanti,  e  nel 
bosco  di  Baccano  avevano  ammazzato  di  molti  Spagnuoli, 
che  ricchi  venivano  da  Genova  a  Roma.  I  Colonnesi  ai 
IO  di  agosto  1522  si  adunarono  in  Cave  per  consultarsi, 
e  deliberarono  col  consenso  di  Giovanni  Emanuel  uscir 
tutti  per  contraporsi  loro  ed  impedire  novelli  assassini.  Ma 
la  nuova  dell'elezione  del  pontefice  Adriano  VI  fece  lasciare 


Le  Guerre  dei  Sette  Q/lnni  359 

ogni  impresa  all'una  parte  e  all'altra.  L'anno  appresso  egli 
con  Federico  da  Bozzolo  con  dieci  mila  Svizzeri  ed  altret- 
tanti Tedeschi  furon  mandati  contro  il  re  d'Inghilterra 
per  conto  del  re  di  Francia  Francesco  I,  quand'egli  era 
venuto  a  Lione  per  avviarsi  verso  Provenza  o  verso  l'Italia: 
sciolto  l'assedio  di  Marsiglia  collo  scorno  di  Borbone, 
tra  il  i^  ottobre  e  il  15  dicembre  dello  stesso  1524  stava 
colle  armi  francesi  vicino  ad  Alessandria:  nell'anno  appresso 
con  500  Corsi  presso  Gherlasco,  e  trovossi  anche  a  Barletta. 
Infine  nel  dicembre  152^  era  pure  in  Italia  luogotenente 
del  re  e  sbarcato  colla  squadra  francese  a  Savona  fu  chia- 
mato subito  in  Roma  dal  papa  pel  credito  ed  autorità  di 
cui  godeva  tra  i  suoi,  e  per  consegnargh  la  somma  di 
scudi  venti  mila,  di  cui  era  latore  da  parte  del  re:  e  già 
si  notò  che  sul  finire  di  febbraio  1527  venne  spedito  pei 
monti  di  Tivoli  e  per  gli  Abruzzi  a  sollevare  le  provincie 
del  regno,  mentre  fervevano  rofi"ese  sul  Garigliano.  Non 
era  dunque  uomo  nuovo  alla  guerra;  ma  sia  che  si  giu- 
dica spesso  dall'esito  delle  cose,  sia  che  si  cerca  un  capro 
espiatore  nei  rovesci  delle  imprese  guerresche,  sia  ch'egli 
per  suo  conto  o  d'altrui  troppo  s'illudesse  con  perturba- 
zione d'animo  nell'universale  agitazione,  concordano  gli 
scrittori  a  denunciarlo  alla  posterità  come  uomo  non  saggio 
nelle  previdenze,  inetto  a  reggere  il  grave  carico  della  di- 
fesa e  sconsigliato  nel  rapido  succedersi  dei  funesti  avve- 
nimenti. 

Perchè  nulla  mancasse  alla  enumerazione  degli  errori 
commessi  fino  all'ultima  ora,  non  dimenticarono  gli  scrit- 
tori di  descrivere  a  distesa  gH  avvertimenti  e  portenti  no- 
tati dai  superstiziosi  dopo  il  fatto,  per  dar  motivo  di  credere 
che  il  cielo  avea  dato  patente  avviso,  onde  si  scongiurasse 
il  pericolo.  Un  tal  Brandano  di  Siena  avea  predetto  per 
le  strade  al  popolo  la  sciagura  della  città  e  la  rovina  certa 
dei  preti  con  voci  lamentevoli  e  spaventose  e  dette  parole 
ingiuriose  contro  il  papa;  per  lo  che  fu  rinchiuso  in  car- 


e.  ^{avioli 


cere,  dove  s'ostinava  a  ripeterle.  Una  mula  avea  partorito 
nella  cancelleria  ed  era  caduto  un  tratto  del  corridore  che 
dal  Vaticano  porta  in  Castello.  Una  saetta  avea  divelto  il 
bambino  e  la  corona  ad  una  immagine  della  Madonna  nella 
chiesa  della  Traspontina,  e  nel  giovedì  santo,  allora  allora 
decorso,  nella  cappella  del  papa  fu  trovata  per  terra  la  pis- 
side riposta  nel  tabernacolo;  ma  in  mezzo  alla  generale 
superstizione  il  papa  e  la  Corte  pare  che  credesser  poco  ai 
portenti. 

Per  tal  modo  in  mezzo  alle  provvisioni  fatte  d'ambo  le 
parti  si  avvicinava  l'alba  del  6  maggio,  giorno  lacrimevole 
e  nefasto. 

Fin  dalla  mezzanotte  (ore  quattro)  per  due  ore  dal  Bel- 
vedere sino  al  monte  di  Santo  Spirito  vennero  scaramuc- 
ciando assalitori  e  difensori:  ma  sembrò  il  cielo  stesso  coi 
suoi  fenomeni  atmosferici  congiurare  alla  perdizione  di 
Roma.  Sogliono  nell'inverno  e  in  primavera  entro  il  ba- 
cino del  Tevere  giacere  durante  la  notte  i  vapori  umidi, 
che  trovano  nel  letto  raffreddato  adatta  dimora,  come  in 
ogni  altro  fiume,  i  quali  presso  il  sorgere  del  sole  svilup- 
pandosi sempre  più  si  alzano  ed  allargano  sotto  forma  di 
nebbia,  che  in  tempo  più  o  meno  prolungato  si  sollevano 
e  rapidamente  si  dileguano  come  il  sole  riscalda.  Questo 
fenomeno  però  è  più  proprio  del  bacino  a  monte  della  città 
che  non  a  valle.  Purnonostante,  quasi  volesse  i  movimenti 
dei  nemici,  cui  giovavan  le  tenebre  e  le  basse  nubi,  ascon- 
dere ai  difensori  di  Roma  e  peggiorarne  la  condizione,  come 
più  si  avvicinava  il  giorno,  più  la  nebbia  si  spandeva  al- 
l' intorno.  E  le  avvisaglie  non  erano  pànico  o  fisime  di 
que'di  dentro,  ma  rumori  e  voci  esterne,  rese  più  sensi- 
bili nell'aere  grasso.  Difatto  bande  spagnuole  eran  depu- 
tate a  prepararsi  e  a  cominciare  l'assalto  in  diversi  punti 
della  città  ed  accostavansi  col  minore  strepito  possibile. 

«  Non  poco  numero  di  quelle  si  sforzava  di  tentare 
l'assalto  da  quella  parte  che  si  trovava  verso  Santo  Spi- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  36i 

rito,  sopra  l'orto  del  cardinale  Ermellino,  per  essere  le  mura 
quivi  più  basse  che  altrove:,  imperò  che  in  quel  luogo  il 
circuito  delle  mura  si  vede  continuato  con  il  muro  prin- 
cipale di  una  piccola  casa  privata,  in  modo  che  di  dentro, 
a  chi  non  vi  aveva  posto  cura,  né  di  fuori  ancora,  appa- 
riva la  sottigliezza  e  la  debolezza  sua:  nel  quale  muro  si 
trovava  una  cannoniera  più  larga  assai  che  le  solite  misure, 
usata  allora  per  finestra   di   quella  casa.  Oltre    a   questo, 
nella  sottigliezza  di  quel  muro  era,  rasente  il  terreno,  ma 
ricoperta  di  fuori  con  terra  e  letame,  una  piccola  finestra, 
quale  gicà  serviva  alla  cantina  o  cella  di  quell'abitazione: 
non  ferrata,  ma  con  traverse  di  legname  chiusa  talmente 
che  per  essa  potesse  solamente  entrarvi  il  lume  necessario. 
E  benché  in  questo  tempo  non  servisse  per  tale  effetto  e 
che  per  essere  ricoperta  e  nascosta,    non    apparisse  a  chi 
non  aveva  particolare  notizia,,  nondimeno  non  si  può  ne- 
gare, non  fosse  errore  sopra  ogni  altro  gravissimo,  né  pos- 
sibile escusarlo  per  verso  alamo  dal  signor  Renzo,  o  da 
Giuhano  Leno,  o  da  chi  ebbe  per  rivedere  le  mura  e  luoghi 
pericolosi,  commissione  ».  Questa  narrazione  ho  tolta  di  peso 
da  Luigi  Guicciardini,  che  se  non  fu  presente  a  Roma  in  que' di 
tristissimi,  era  però  allora  gonfaloniere  a  Firenze  e  raccolse 
tutti  i  documenti  della  storia  del  sacco.  Tutte  le  altre  storie 
o  non  danno  tutte  le  particolarità,  o  se  le  danno  le  hanno 
tolte  da  lui.  Quindi,  riposando  sulla  sua  sincerità,  prose- 
guirò a  dire  che  in  que'giorni  per  sciagurata  fatalità  Giu- 
liano Leno  era  altrove,    e   neppure  Antonio  da  Sangallo 
era  in  Roma,  spedito  qua  e  là  dai  Fiorentini  e  solo  dopo 
il  sacco  raggiunse  il  papa  in  Orvieto.  Egli  era  conoscitore 
dello  stato  delle  mura  di  Roma  e  ne  avea  studiato  i  bi- 
sogni :  ma  architetto  e  non  soldato  non  avrebbe  avuto  ca- 
rico di  ciò  né  dall'Orsini,  né  da  altri,  per  ispirito  di  rivalità 
Q  di  non  creduta  idoneità. 

Alle  mura  di  questi  due  punti  opposti  di  Borgo,  Bel- 
vedere e  monte  Santo  Spirito,  gli  Spagnuoli  cercavano  ac- 


362  C.  T{avtolì 

costarsi  ;  l' uno  era  assalto  simulato  per  distrarre  le  forze 
dei  difensori,  l'altro  era  vero.  Era  investito  tutto  il  lato 
dalla  posterula  dei  Sàssoni  fino  ed  oltre  alla  porta  Caval- 
leggeri.  Tutto  quello  spazio,  aveva  allora  mura  basse  e 
vecchie  e  il  luogo  eminente  era  distinto  dai  nomi,  oltre 
al  suddetto,  più  particolari  per  posizione  di  Facciafronte, 
di  Macello  e  di  mura  del  Camposanto;  e  lo  sforzo  mag- 
giore, più  al  sicuro  dai  tiri  del  Castello,  facevasi  verso  la 
porta  Cavalleggeri,  allora  detta  semplicemente  posterula  o 
porta  Torrione,  e  a  quella  più  occidentale  verso  il  Vaticano 
detta  delle  Fornaci.  Né  qui  solo  era  l'assalto;  contempo- 
raneamente era  diretto  presso  la  porta  Settimiana  e  nel- 
l'alto del  Gianicolo  vicino  a  porta  Sanpancrazio:  dovunque 
però  v'eran  difensori,  che  vegliavano  alla  custodia. 

Nessuna  enumerazione  completa  può  darsi  sulla  di- 
stribuzione dei  difensori  e  sui  capitani  che  reggevano  i 
diversi  corpi  o  drappelli  sui  luoghi  ove  si  prevedeva  l'of- 
fesa: la  storia  tace  tutto  questo;  documenti  manoscritti  o 
danno  poca  luce  o  sono  di  persone  poco  competenti:  quindi 
le  particolarità  finora  s'ignorano:  si  conoscono  solo  in  parte 
i  nomi  di  coloro  che  caddero,  prodighi  di  lor  sangue  a 
difesa  della  città  tradita  dalle  illusioni  non  sue.  Renzo  il 
più  illuso  faceva  assegnamento  sul  popolo  armato  all'im- 
provviso, nella  famosa  mostra  dei  trenta  mila,  accorsi  con 
generoso  slancio,  quando  il  nemico  era  ancor  lontano:  ora 
ben  altra  cosa  ell'era,  né  si  potea  più  dire  come  il  4  di 
maggio  si  scriveva  ad  un  commissario  apostolico  da  Roma: 
«  Il  popolo  romano  è  in  arme,  e  si  mostra  disposto  di  mo- 
rire per  la  Sedia  apostoHca....  In  Roma  sono  intorno  a  cin- 
que milia  archibugieri  col  signor  Renzo  da  Cere  ».  Pur- 
tuttavia,  plebe,  artisti,  soldati  e  nobili  fornirono  un  numero 
conveniente  di  difensori,  che  può  sommarsi  ad  oltre  otto 
mila.  Munizione  ve  n'era  a  sufficienza;  e  il  4  maggio  fu- 
rono distribuite  le  ultime  sei  mila  libbre  di  polvere  da  can- 
none al  Palazzo,    al  Monte  S.  Spirito,  alle  porte  e  ponti 


Le  Guerre  dei  Sette  (ylnni  363 

della  città  (i).  I  nomi  dei  capi,  cui  era  affidata  la  difesa 
dei  punti  attaccati,  sulla  scorta  delle  memorie  dell'epoca, 
possono    ritenersi  essere  stati  come  appresso: 

A  Belvedere  in  Vaticano,  il  capitano  Simone  Tibaldi, 
romano  e  Giambattista  Bolognese. 

Sul  monte  Santo  Spirito,  a  Facciafronte  e  al  Campo- 
santo, capitano  Lucantonio  Tomassoni  da  Terni,  capitano 
Giulio  da  Ferrara  a  guardia  delle  artiglierie,  e  queste  di- 
rette con  onore  dal  sergente  Salvalaglio,  e  come  bombar- 
diere v'era  lo  scultore  Raffaello  Sinibaldi  da  Montelupo,  e 
il  suo  maestro  Lorenzo,  di  cui  ignorasi  il  cognome,  ma 
noto  col  nome  di  Lorenzetto,  amico  di  Raffiello  da  Ur- 
bino; capitano  Nicolino  Fiorentino,  Gioanlione  da  Fano, 
il  caporione  di  Ponte;  di  riserva  mille  Romani  del  rione 
Parione  con  Cristofano  Buffoli  (del  Bufalo?)  che  ne  por- 
tava l'insegna;  di  questi  sembra  tenesse  il  comando  Ca- 
millo Orsini,  cui  venne  affidata  la  guardia  di  quella  parte 
di  mura;  infine  il  capitano  degli  Svizzeri  più  verso  la  porta 
delle  Fornaci. 

A  porta  S.  Pancrazio,  i  capitani  Romano  Corso,  Mario  Na- 
poletano, il  conte  Niccolò  da  Tolentino  con  alcuni  caporioni. 

A  porta  Settimiana  e  ponte  Sisto,  oltre  alcuni  caporioni, 
v'era  un'eletta  schiera  a  cavallo  di  un  dugento  nobili,  n'era 
colonnello  Gianantonio  degli  Orsini  con  Giambattista  Sa- 
velli, Valerio  Orsini,  Giovanpaolo  Orsini  figlio  di  Renzo, 
capitano  Jeronimo  Matteo,  Ranuccio  Farnese,  Pierpaolo 
Tibaldi,  Le  storie  inoltre  ricordano  i  nomi  di  Paolo  San- 
tacroce e  di  Fabio  Petrucci. 


(i)  Ecco  il  documento  che  ho  desunto  dall'Archivio  di  Stato 
nel  volume  che  porta  sul  fronte;  MDXXVII  In  isto  libro  annotabuntur 
omnia  mandata  que  expedientur  per  Notarios  Cam.  Ap.  et  alios,  ecc., 
carte  247.  «  Mandatum  Castellano  S*'  Angeli  consignet  D.  Jo.  Bapta 
de  Avernia  libras  sex  mille  pulveris  com.  in  triginta  barilis  prò  usu 
Palatii,  Montis  S.  Spiritus  et  portarum  et  pontium  et  aliorum  locorum 
necessarios  sub  data  4  Mai)   1527  Lib.  6000». 


364  ^-  Ti^i^ioli 

A  Campo  Marzio  fino  a  ponte  Molle,  oltre  i  caporioni, 
il  capitano  Orazio  Baglioni  che  aveva  la  maggiore  auto- 
rità dopo  Renzo  da  Ceri,  a  cui  oltre  il  ponte  Molle  si 
affidò  pure  la  difesa  del  Trastevere  ;  capitan  generale  delle 
artiglierie  era  Antonio  Santacroce:  presso  il  Vaticano  v'era 
Stefano  Colonna  colle  sue  fanterie;  egli  die  tempo  a  Cle- 
mente di  rifugiarsi  in  Castello;  per  tale  fatto  questi  gli 
dette  poi  il  castello  di  Stroncone  nell'Umbria;  ma  dopo 
che  i  nemici  furono  entrati,  il  Colonna  potè  uscire  di  Roma 
da  porta  Santagnese.  Alcuni  altri  capitani  o  gentiluomini 
od  artisti  figurano  tra  i  morti  o  feriti;  ma  non  si  sa  se 
avessero  comando;  molti  andavano  volontari,  senza  appar- 
tenere a'  corpi. 

Delle  artiglierie  o  batterie,  dal  poco  che  si  può  indo- 
vinare, più  che  con  certezza  stabilire,  oltre  quelle  che  po- 
tean  trarre  dal  Castello,  parecchie  erano  sul  monte  Santo 
Spirito,  altre  m  fondo  a  via  Giulia  sulla  riva  del  fiume 
dicontro  alla  porta  de'  Sàssoni,  potendo  esse  battere  i  piedi 
del  monte  Santo  Spirito  e  spazzare  la  via  Giulia  fino  a  ponte 
Sisto;  altre  a  ponte  Sisto,  che  poteano  spazzare  la  via  ora 
chiamata  della  Longara;  altre  alla  fine  presso  San  Pietro  in 
Montorio,  mal  difendendo  gli  sbocchi  all'interno  della  porta 
Sanpancrazio  e  giungendo  a  difendere  dalla  cima  della  col- 
lina con  grosse  artiglierie  le  mura  del  monte  Santo  Spirito. 

Quanto  alle  bande  imperiali,  sotto  la  data  stessa  del 
4  maggio  e  sotto  l' impressione  dell'  imminente  arrivo  del 
Borbone,  si  scriveva  da  Roma  al  personaggio  medesimo: 
«  L'esercito  cesareo  si  dice  essere  di  persone  utili,  fanti 
30  mila,  tra'quali  sono  9  mila  archibugieri,  circa  é^oo  cavai 
leggieri,  ^  senza  artiglieria.  I  Colonnesi  sono  circa  diece 
mila  fanti....  le  strade  verso  Roma  son  rotte,  et  il  signor 
Mario  da  Monteritondo  è  appresso  Rignano  con  Colonnesi 
et  scorrono  la  campagna  ».  Contuttociò  può  ritenersi  ri- 
dotti ad  un  dodici  mila  gli  Spagnuoli  e  i  Lanzichenecchi 
ed  un  otto  mila  le.  genti  milanesi  e  napoletane,  impinzate 


% 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnnì  365 

da  lina  invereconda  accozzaglia  di  soldatesca  italiana,  sac- 
comanni, ebrei  e  banditi,  che  non  capivano  il  delitto  che 
erano  per  perpetrare  per  poche  once  d'oro  da  raccogliersi 
tra  gli  stenti  della  fame  e  i  pericoH  di  morte,  contro  inermi 
cittadini  estranei  ad  ogni  lotta  di  partito,  romani  e  non 
romani,  che  parlavano  la  stessa  lingua  ed  erano  dello  stesso 
lignaggio;  di  costoro,  è  buono  saperlo  fin  d'ora,  era  ca- 
pitano Fernando  Gonzaga. 

Tra  i  nomi  dei  capi  possiamo  annoverare,  oltre  il  Bor- 
bone e  Filiberto  d'Oranges,  Giovanni  da  Orbina,  il  Var- 
gara,  il  Verzana,  il  conte  di  Giara,  La  Motta,  l'Aldano,  quasi 
tutti  spagnuoli,  condottieri  di  fanti  e  cavalli;  l'ultimo  di  fanti 
italiani;  Coradino  o  Corrado  di  Bemelberg  era  colonnello 
o  capitan  generale  dei  Lanzichenecchi;  Giovanbartolommeo 
Arboreo  da  Gattinara,  il  capitano  Luigi  Gonzaga,  chiamato 
il  Rodomonte,  il  capitano  Fabrizio  Maramaldo  da  Napoli, 
corrottamente  chiamato  il  Maramao,  Sciarra  Colonna,  Ca- 
millo Colonna,  Pierluigi  Farnese,  Marcantonio  Napoletano, 
Luigi  Lulla,  Federico  Caraffa  conducean  genti  italiane,  in 
ispecie  milanesi  e  napoletane.  Certo  Antonio  Sartorelli  o 
Santarelli  udinese  si  fa  luogotenente  generale  del  Borbone; 
de'  cavalleggieri  erano  capitani  lo  stesso  Fernando  Gon- 
zaga e  il  d'Oranges,  fino  a  che,  morto  il  Borbone,  fu 
chiamato  a  capitano  generale  dalla  soldatesca. 

Apparivano  i  primi  albori  e  già  il  Borbone  animando 
i  suoi  colle  parole  e  coll'esempio  avea  percorso  tutto  il 
fronte  d'attacco  a  cavallo,  e  già  le  schiere  nemiche  eransi 
concentrate  ne'punti  designati  e  cominciavano  le  scale  a 
portarsi  sotto  le  mura,  ed  alzate,  a  sforzarsi  la  soldatesca 
di  tenerle  salde  alla  cima  di  esse:  e  i  difensori  con  arti- 
glierie da  lontano  e  con  sassi  e  fuochi  lavorati,  ch'eran 
pignatte  o  strali  con  palle  di  paglia  impegolate  ed  ardenti 
e  quant' altro  l'arte  a  quel  tempo  insegnava  in  tal  fatta  di 
difesa,  gittavano  a  corto  ed  a  piombo  dalle  mura  in  mezzo 
a  nebbia  ognor  più   folta   e  colle  picche  o   con   antenne 


^66 


C.  I^i^toli 


n 


rigettavan  le  punte  delle  scale  che  tentavano  alberarsi  ai 
parapetti  e  ai  merli.  Ma  lo  spazio  della  casa  interposta  al 
giro  del  recinto  restava  poco  e  mal  difeso  dalla  sola  fine- 
stra superiore.  Quivi  gli  archibugieri  nemici  facean  con 
ogni  industria  di  uccellare  al  vano  del  parapetto  come  uc- 
cellavano alle  cime  delle  mura  dovunque  apparivan  difen- 
sori, i  quaH  però  per  l'incertezza  e  la  poca  frequenza  dei 
tiri  di  quell'epoca  e  il  cielo  nebbioso,  di  rado  colpivano. 
Né  solo  alle  mura  era  la  difesa  affidata. 

Il  valoroso  capitano  Lucantonio  Tomassoni  da  Terni 
comandava  pur  esso  scelto  drappello,  resto  glorioso  in  Roma 
ed  infelice  delle  bande  nere.  Sebbene  le  descrizioni  tacciano 
di  quanto  la  sua  industria  di  bravo  soldato  gli  suggerisse, 
cert'  è  che  a  guardar  solo  le  mura,  le  sue  genti  coraggio- 
sissime e  destre  e  disciplinate  non  potean  fermarsi.  E  il 
suo  discorso  sull'arte  militare,  che  si  legge  nel  Tesoro  po- 
litico di  Onorio,  questo  conferma,  poiché  non  teneva  in 
pregio  nessuna  fortezza,  né  gli  architetti  che  le  costruivano, 
facendo  riposare  tutta  la  forza  di  uno  Stato  ne'  soldati  eser- 
citati e  studiosi  dell'arte  militare.  Una  sortita  o  un  agguato 
è  chiaro  ch'ei  fece  in  tempo  opportuno  dal  lato  di  Fac- 
ciafronte,  che  ributtò  con  strage  gli  assalitori.  Sia  che  uscisse 
da  porta  Cavalleggeri  detta  allora  porta  del  Torrione,  sia 
che  là  presso  stesse  in  arme,  il  suo  urto  fu  terribile  contro 
i  primi  battaglioni  o  battaglie  come  eran  dette,  serrate  in 
massa,  talché  turbò  l'offesa  e  in  parte  per  lui  andò  fallito 
quel  primo  vigoroso  assalto.  Un  documento  o  lettera  degli 
II  maggio  diretta  al  Vitelli,  dice:  «Della  compagnia  del 
capitan  Luca  Antonio  non  ne  sono  rimasti  dieci,  oltre 
ch'egli  ha  tocco  due  ferite,  et  cosi  fu  ritirato  in  Castello  » . 
Due  ferite  con  molta  perdita  di  uomini  di  una  compagnia, 
che  poteva  in  quel  tempo  equivalere  ad  un  nostro  batta- 
glione, é  difficile  toccarsi  alle  mura  soltanto  in  un  assalto 
non  riuscito.  Vedremo  tra  poco  ove  le  bande  nere  col  loro 
capo  furono  totalmente  disfatte.   Ora   guardiamo  l'effetto 


Le  Gueì^re  dei  Sette  oAnni  867 

dei  colpi  diretti  dai  vecchi  soldati  di  Giovanni  dei  Me- 
dici. In  quel  tramestìo  il  Borbone  sia  che  eccitasse  i  suoi 
contro  Lucantonio  che  il  prendeva  di  fianco,  sia  che  te- 
nesse colla  sinistra  mano,  come  molti  affermano,  una  delle 
scale  appoggiate  alle  mura  e  colla  destra  accennasse  o  spin- 
gesse questi  e  quelli  a  salirvi,  fu  ferito  da  un  archibuso 
nel  basso  del  ventre,  vicino  alla  coscia  diritta.  Tal  ferita 
mortale  non  potè  ucciderlo  incontanente,  checche  ne  dicano 
alcuni  storici;  né  farlo  viver  dell'ore  ad  onta  che  altri  gli 
mettano  in  bocca  di  molte  frasi,  e  g\\  dien  agio  a  confessarsi 
delle  sue  iniquità;  il  posto  della  ferita  dimostra  che  quan- 
tunque avesse  perforata  l'arteria  e  che  ne  morisse  esangue, 
pure  essa  gli  die  tanto  di  vita  da  doversene  fare  il  tra- 
sporto così  moribondo  alla  cappelletta  della  Madonna  del 
Refugio  tra  le  vigne  delle  fornaci  fuori  porta  Cavalleggeri, 
chiamata  prima  edicola  Gozadini,  sottoposta  un  tempo  alla 
parrocchia  di  Sant'Angelo  alle  Fornaci.  Queste  circostanze 
ci  rendono  certi  della  località  e  del  perchè  fu  subito  tra- 
sferito lontano;  un  cadavere  si  copre  e  si  nasconde  alla 
vista  dei  soldati,  non  se  ne  fa  nel  calore  della  mischia  il 
trasporto.  Il  Giovio  aggiunge:  «  Borbone  mentre  faceva 
mettere  una  scala  a  una  casetta  congiunta  col  muro  mori 
nel  principio  della  sua  maledetta  vittoria,  essendogli  tirato 
d'una  palla  grossa  ».  Per  lo  che  è  chiaro  che  dopo  la  po- 
sterula  dei  Sàssoni  giravano  le  mura  del  monte  Santo  Spi- 
rito, di  cui  la  parte  allora  come  adesso  saliente  era  detta 
Facciafronte;  colà  sorgeva  la  malaugurata  casetta,  quindi 
nel  rientrante  il  Torrione,  che  dava  nome  di  porta  del 
Torrione  alla  Cavalleggeri,  e  dopo  questa  seguitavano  le 
mura  basse  fino  alla  porta  delle  Fornaci,  la  quale  avea 
dietro  a  sé  il  Camposanto,  l'obelisco  e  il  fianco  della  ba- 
silica di  San  Pietro. 

Non  fa  poi  meraviglia  che  parecchi  vantassero  che  la 
morte  di  quello  sciagurato  fosse  dovuta  al  colpo  da  loro 
tirato.  Nel  bollor  dell'assalto  eran  molti  a  mirare  da  più  parti 


368  C  %avioli 

delle  mura  una  cosa  straordinaria,  che  di  mezzo  alla  folta 
nebbia  colpiva  la  vista,  stantechè  alcuni  dicono  coprisse 
egli  la  corazza  di  sopravveste  bianca. 

Il  primo  è  Benvenuto  Cellini,  che  con  tutta  credibilità 
ci  narra  che  egli  si  recasse  sulle  mura  di  Camposanto  con 
Alessandro  Del  Bene  e  Cecchino  della  Casa;  che  dietro 
suo  consigHo  sparasser  tutti  e  tre  due  colpi  ciascuno  a  un 
gruppo  di  battaglia  più  folta  e  più  serrata,  ponendo  la  mira 
nel  mezzo  appunto  ad  uno  che  vedevan  sollevato  dagli 
altri;  ma  la  nebbia  non  lasciava  discernere  se  questi  fosse 
a  cavallo  o  a  pie;  da  questi  colpi,  conclude,  si  ammazzò 
Borbone.  In  queste  asserzioni  non  è  nessuna  presunzione 
o  vanto  smoderato.  Dico  questo  per  quei  tra  gli  scrittori, 
che  l'un  l'altro  si  copiarono  sempre  senza  leggere  il  rac- 
conto, il  quale  egli  trascrisse  nella  sua  vita.  Pompilio  Totti 
narra  che  Borbone  vicino  a  porta  Cavalleggeri  nel  salire 
una  scala  per  entrare  sulle  mura  della  città,  fu  da  archi- 
bugiata,  per  mano  di  Francesco  Valentini  romano,  tra  il 
ventre  e  la  coscia,  a  morte  ferito,  e  nella  cappelletta,  che 
oggi  v'  è,  della  Madonna  del  Refugio,  tra  le  vigne  delle 
fornaci,  miseramente  mori  nel  1527. 

Il  Capodogli  afferma  che  Giovanni  da  Udine,  pittore, 
(quegli  che  fece  gli  affreschi  al  piano  superiore  delle  logge 
di  Raffaello)  colpi  bravamente  d'una  archibugiata  nel  capo 
il  duca  di  Borbone  e  spirò  l'ultimo  fiato  nelle  braccia  di 
Antonio  Sartorelli  o  Santarelli,  udinese,  suo  luogotenente 
generale.  Questo  può  essere  stato,  meno  il  colpo  alla  testa, 
poiché  l'ebbe  al  ventre;  a  ogni  modo  questa  circostanza 
d'esser  Giovanni  da  Udine  difensor  di  Roma,  è  sfuggita 
al  Vasari,  il  quale  ci  dice  che  nelle  stanze  di  Torre  Borgia 
non  fu  appena  finita  la  volta  che  «  succedendo  l' infehcis- 
simo  sacco  di  Roma,  non  si  potè  più  oltre  seguitare,  perchè 
Giovanni  avendo  assai  patito  nella  persona  e  nella  roba^ 
tornò  di  nuovo  a  Udine  con  animo  di  starvi  lungamente  ». 
Il  Celebrino  infine  co'  suoi  rozzi  versi  ci  apprende  che 


4 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  369 

Giunse  per  attastar  e  per  vedere 
le  mura  quel  signor  vestito  a  bianco 
con  una  picca  in  man  nanti  le  schiere, 
inverso  Facciafronte  ardito  e  franco; 
e  al  primo  assalto  urtò  le  bande  nere 
di  Lucantonio,  e  fu  passato  al  fianco 
d'un  archibuso.... 

Il  Camposanto  adunque  indica  la  parte  interna  delle  mura, 
ov'era  il  Cellini,  Facciafronte  la  parte  esterna  ov'era  Lu- 
cantonio^ e  siccome  nella  coscia  e  nel  ventre  si  colpisce 
meglio  da  tiri  orizzontali  che  non  di  ficco  e  di  sbieco, 
dall'alto  un  corpo  armato  di  corazza,  così  resta  il  vanto 
della  morte  del  Borbone  alle  bande  nere,  senza  escludere 
la  più  volgare  tradizione,  che  il  colpo  che  lo  feri  fosse 
venuto  pur  dalle  mura,  donde  però  si  coglie  meglio  nella 
testa  o  alle  spalle.  Checché  sia  di  questo  è  certo  che  quel 
primo  assalto  andò  fallito:  né  solo  verso  il  Camposanto, 
ma  benanche  dal  lato  delle  mura  verso  la  posterula  de'  Sàs- 
soni. Il  primo  che  era  salito  sopr'esse,  dice  Brantóme, 
fu  un' insegna  spagnuola.  Don  Giovanni  d'Avalos,  cui  un'ar- 
chibugiata  ruppe  l'osso  del  braccio,  fu  rovesciato  e  ne  mori. 

Le  artiglierie  che  da  Castelsantangelo  e  dalla  spiaggia 
del  Tevere  in  fondo  a  via  Giulia  presso  San  Giovanni  dei 
Fiorentini,  e  qualche  grosso  cannone  che  dalla  cima  delle  col- 
line tra  porta  Settimiana  e  quella  di  San  Pancrazio  traevano 
a  più  non  posso  in  mezzo  al  poco  chiarore  antelucano  of- 
fuscato dalla  nebbia,  ed  un  drappello  della  guardia  svizzera 
misto  ad  altri  soldati  e  cittadini  bastarono  a  ributtare  va- 
lorosamente quelli  che  serrati  in  battaglia  accostavansi  e 
sciolti  in  drappelli  davano  assalto  in  questa  parte  delle 
mura. 

Restava  la  casetta  dove  non  apparivano  assalitori;  ma 
forse  pochi  uomini,  o  guastatori,  guardati  da  qualche  gruppo 
di  guardie,  s'adoperavano  a  pie  della  casina  stessa  senza  che 
i  difensori,  ebbri  del  primo    assalto    mandato  a  vuoto,  si 


Syo  C.  1{avioli 

accorgessero  dell'opera  che  veniasi  compiendo  a  rasa  terra, 
dove  rimosso  il  letame  per  farsi  facile  spalleggiamento  contro 
ai  tiri  delle  mura,  ebbero  scoperto  il  pertugio  sbarrato  da 
tavole. 

Sparsasi  intanto  pel  campo  e  saputasi  dai  capi  l'ina- 
spettata novella  non  tanto  della  ferita  quanto  della  morte 
del  Borbone,  alla  baldanza  e  alla  fiducia  della  impresa  sot- 
tentrò in  un  attimo  sfiducia  e  abbattimento.  Ma  la  ferocia 
dei  capi  medesimi,  che  fecer  subito  tra  loro  consiglio,  con- 
cluse non  aver  altro  rimedio,  che  ritentare  con  maggior 
impeto  ed  arte  la  fortuna.  Chi  fosse  deputato  alla  direzione, 
in  tanto  perturbamento,  non  è  noto,  sia  l'Oranges  o  l'Or- 
bina  od  altri;  certo  è  che  fuvvi  una  sosta  che  dirò  fin 
verso  le  otto  antimeridiane  (ore  12  italiane).  Ne  profittò 
subito  il  papa  per  ispedire  al  conte  Guido  Rangoni,  Va- 
lerio Orsini,  sollecitandolo  a  venire,  e  Renzo  spedì  per 
commissione  sua  a  Tivoli  Jeronimo  Matteo. 

Accenneremo  intanto  quello  che  in  altre  parti  era  av- 
venuto in  questo  tempo.  Il  simulato  assalto  verso  Belve- 
dere, perchè  fiacco  non  riuscì;  come  pure  non  ebbe  esito 
felice  quello  che  quasi  contemporaneamente  fu  dato  a  pie 
del  Gianicolo  oltre  ponte  Sisto  nel  Trastevere.  Allora  come 
adesso  esisteva  la  porta  Settimiana,  colla  differenza  che 
ottime  difese  antiche  ancor  v'erano  sul  recinto  dell'epoca 
dei  re,  restaurato  nell'epoche  imperiali  e  papali,  il  quale 
avea  principio  dal  fiume  presso  ponte  Sisto,  saliva  ripida- 
mente la  cima  del  Montorio,  già  acropoli  etrusca,  fino  a 
porta  Sanpancrazio  e  di  là  discendeva  al  fiume  a  porta 
Portese  a  foggia  di  due  lati  di  un  triangolo  acuto  a  linee 
spezzate  e  squarciate,  di  cui  tutto  il  Trastevere  e  il  fiume 
erano  la  base,  la  quale  ricurva  e  convessa  avea  dall'un  lato 
il  ponte  Sisto  e  nel  mezzo  il  ponte  Senatorio  detto  di 
Santamaria. 

Le  difese  acconciate  ai  mezzi  moderni  erano  apparec- 
chiate su  tutta  la  linea  anzidetta;   ed  a  porta    Settimiana 


Le  Guerre  dei  Sette  dAnni  Syi 


per  la  strada  del  lungotevere,  ora  via  della  Longara,  fu 
tentato  un  assalto  confidato  ai  veterani  di  Spagna.  Ma  le 
artiglierie  del  Montorio,  di  ficco  dominanti  la  strada  e  la 
china,  ed  una  sortita  di  dugento  cavalieri  della  nobiltà  ro- 
mana provetti  nelle  fazioni  guerresche,  a  tempo  usati,  con 
una  loro  carica  sgominarono  gli  assalitori  con  grande  strage 
d'ambo  le  parti  talmente  che  quelli  dovettero  rinunziare 
air  impresa.  Orazio  Baglioni  era  corso  a  dirigere  la  difesa, 
e  l'offesa  di  tutto  il  Gianicolo  era  affidata  al  Rodomonte, 
che  era  Luigi  Gonzaga,  un  po'  diverso  dal  suo  omonimo 
e  discendente.  Costui  allora  cangiò  proposito  e  diresse  tutte 
le  sue  forze  verso  le  alture  di  Sanpancrazio.  Anche  da 
questo  lato  vi  fu  dunque  sosta  per  riordinare  le  masse 
scomposte  e  dirigere  il  movimento  offensivo  sulla  vetta 
gianicolense. 

Circa  le  otto  del  mattino  l'assalto  generale  ritentò  le 
sue  prove  con  maggiore  impeto  ed  audacia:  ora  infausta, 
in  cui  la  nebbia  ingrossatasi  sempre  più  in  que'  luoghi  adia- 
centi al  fiume  avvolse  così  offensori  e  difensori,  che  per 
fatai  destino  questi  non  potevan  dirizzare  i  colpi  d'arti- 
glieria del  monte  Santo  Spirito,  di  via  GiuHa,  del  Castello 
e  del  Montorio  addosso  ai  nemici,  se  non  sulla  guida  dello 
strepito  delle  armi  e  delle  voci  e  della  vampa  degli  archi- 
busi  con  danno  dei  difensori,  che  spesso  ne  rimanean  of- 
fesi; né  vegliare  alla  difesa  delle  mura  che  gittando  fuochi 
e  sassi,  e  sparando  schioppi  e  falconetti  alla  cieca  dov'era 
più  intenso  il  rumore  e  il  gridìo  degli  assalitori,  i  quali 
non  si  ritrassero  di  un  palmo  per  quanto  fosse  gagHarda 
la  difesa,  che  lor  si  opponea  da  que' di  dentro:  momento 
solenne  e  di  disperato  valore  segnalato  dalle  urla  feroci  e 
strazianti  ed  accompagnato  dal  rullo  de' tamburi,  dal  suono 
delle  trombe,  dal  rombo  d'ogni  specie  d'arme  da  taglio, 
da  punta,  da  fuoco,  che  incessantemente  feriva  l'orecchio 
in  mezzo  alla  nebbia  ed  al  fumo,  e  l'occhio  impietosito 
non  vi  vedea  che  una  lontana  imagine  di  una  bolgia  in- 


372 


e.  ^I{avioli 


fernale.  (i)  Ma  che  valeva?  Alle  squadre  di  nuovo  assa- 
litrici  del  monte  Santo  Spirito,  appena  sgominate  e  respinte, 
altre  fresche  succedevansi  di  continuo,  di  modo  che  i  di- 
fensori delle  mura  diradati  per  morti  e  per  ferite  vedendo 
che  il  numero  e  l' impeto  degl'  inimici  non  rallentava  mai, 
sebbene  sette  bandiere  fossero  lor  tolte  e  dai  Romani  e 
dai  soldati,  cominciarono  a  disanimarsi  e  temere  della  vit- 
toria; e  poco  utile  fu  che  vi  fosser  giunti  sulla  sinistra 
a  tutta  corsa  da  Campidoglio  colla  loro  insegna  da  mille 
del  rione  Parione  e  sulla  destra  il  capitano  degli  Svizzeri 
con  tutta  la  guardia,  da  due  in  trecento  uomini.  E  per 
colmo  di  sventura  dalla  finestra  di  cantina  della  funesta  casa 
ormai  troppo  descritta^  fracassata  ed  allargata  dai  guastatori 
con  pali  e  picconi,  era  penetrata  dapprima  piccola  banda  spa- 
gnuola,  ma  in  breve  non  trovando  ostacoli  crebbe  fuor  misura, 
mentre  che  dal  muro  basso  verso  la  posterula  del  Torrione  o 
porta  Cavalleggeri  fino  a  porta  delle  Fornaci  mal  guardato  e 
difeso  debolmente  oramai,  perchè  morti  o  feriti  molti  de'suoi 
difensori,  i  nemici  primi  vi  si  attaccarono  saltandovi  dentro, 
menando  strage.  Nella  sua  vita  (vedi  Gaye,  t.  Ili,  pag.  592) 
il  ridetto  scultore  Raffaele  da  Montelupo,  dice:  «il  giorno 
di  poi  che  fu  alli  7  [6)  di  maggio  deto  (dettero)  la  bataglia 
alla  muraglia  la  su  a  porta  Torrione  e  porta  delle  For- 
nace, e  porta  Santo  Spirito,  dove  alla  guardia  stava  il  ca- 
pitano Lucantonio  da  Terni  el  capitano  Tofano  da  Pistoia, 
el  capitano  Cuio,  fiorentino,  che  tutti  dal  capitano  Lucan- 
tonio (in  fuori)  furono  morti,  e  sforzato  la  muraglia  en- 
trorono  sachegiando  San  Pietro,  el  palazzo  e  Borgo  insino 
a  21   ora....»   Questo  racconto  dimostra  che  il  resto  delle 


(i)....  les  arquebusades,  les  cris  des  combattans,  les  plaintes  des 
blessez  et  mourans,  le  battement  des  armes,  le  son  des  trompettes, 
la  rumeur  des  tambours,  qui  animoient  d'autant  plus  les  soldats  au 
combat,  et  les  coups  de  piques  ;  faisoient  un  tei  bruit,  qu'on  n'eust 
pas  oùy  tonner  le  ciel  s'il  eust  tonné.  (Brantome,  Memoìres,  Pre- 
mière partie  —  Monsieur  de  Bourbon). 


Le  Guerre  dei  Sette  Q/lnni  SyS 

bande  nere  con  Lucantonio  dopo  quel  primo  assalto  nemico 
respinto,  mal  reggendo  fuori  alle  difese,  rientrarono  e  guer- 
nirono  le  mura,  ove  furono  massacrate  nel  secondo  assalto, 
in  cui  il  nemico  riesci  tremendo  e  feroce.  Così  pure  narra 
l' Horologi  la  fine  di  Camillo  Orsini  :  «  Papa  Clemente  che 
si  vedeva  a  mal  partito,  sapendo  quanto  fosse  il  valor  del- 
l'Orsino, gli  consegnò  la  guardia  d'una  parte  di  Borgo, 
alla  quale  fu  dato  l'assalto  da'  Spagnuoli.  Combattè  egli 
con  ammirabil  valore  e  ributtò  i  nemici,  havendo  loro  tolto 
due  insegne.  Ma  sentendo  poi,  che  erano  entrati  dentro 
da  altra  parte,  e  che  non  vi  era  più  tempo  da  difesa  tentò 
di  salvarsi,  uscendo  dalla  città  per  un  condotto  di  sporcitie, 
e  non  sapendosi  nuova  alcuna  di  lui,  fu  con  grandissimo 
cordoglio  della  moglie  e  di  tutti  i  suoi  cercato  fra  i  corpi 
morti,  dandosi  ognuno  a  credere,  che  in  quel  primo  im- 
peto fosse  restato  morto  per  mano  de'  nemici.  Ma  egli  dopo 
haver  fatto  alquante  miglia  a  piedi  scalzo,  e  molto  male 
in  arnesi,  a  somiglianza  di  privatissimo  soldato,  si  ritirò 
in  Spoleto».  Non  passarono  due  anni  che  un  altro  valo- 
roso difensore  di  Roma  morì  vicino  all'  Orsini  nel  rico- 
noscere il  luogo  per  piantare  le  batterie  contro  il  castello 
di  Brindisi.  É  questi  il  capitano  Simone  Tibaldi.  Tali  sono 
le  parole  dell'  Horologi  :  «  E  tutto  che  d'un  colpo  d'archibugio 
gli  havessero  gì'  inimici  a  canto,  non  senza  suo  pericolo 
(dell'Orsini),  ammazzato  Simone  Romano,  soldato  di  quei 
tempi  di  molto  valore,  non  volle  però  rimanere  di  non 
riconoscere  quel  Castello....  »  Ma  torniamo  alle  mura,  al 
luogo  della  strage. 

Questa  si  fece  dunque  prima  alla  porta  delle  Fornaci, 
che  fu  dove  ora  è  porta  Fabbrica,  in  direzione  dell'obe- 
hsco  vaticano,  che  stava  diritto,  prima  del  suo  trasporto, 
tra  la  Basilica  e  l'attuale  cortile  della  sagrestia,  eretta  da 
Pio  VI.  Colà  i  nemici,  dice  il  Giovio,  «  entrarono  per 
Borgo  in  Roma  dirimpetto  alla  Cuglia,  dove  le  mura  basse 
e  cadute  per  la  vecchiezza  davano  agevole  entrata  ».  Là 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  25 


374  C.  'T{avioli 

erano  a  guardia  gli  Svizzeri  e  là  opposero  ogni  resistenza 
fino  agli  estremi  e  indarno,  perchè  vi  furono  quasi  tutti 
trucidati. 

Allora  a  grida  disperate  successe  breve  e  sanguinosa 
lotta  e  spaventi  e  fughe.  Né  giovò  che  il  capitano  Gioan- 
lione  da  Fano  e  il  sergente  d'artiglieria  Salvalaglio  aves- 
sero ricacciato  dal  resto  delle  mura  gli  assalenti  e  avesser 
lor  tolto  tre  bandiere,  né  che  una  quarta  fosse  presa  dal- 
l'intrepido Romano  ed  orefice,  padre  di  famiglia,  Bernardino 
Passeri,  che  vi  perdette  la  vita,  com'è  scritto  nella  lapide 
ch'ancor  si  legge  sotto  la  torre  della  chiesa  di  Santo  Spi- 
rito (i)  ed  altre  tre  in  altre  parti  delle  stesse  mura  da  valo- 
rosi ed  infelici  difensori  della  patria.  Renzo,  che  colla  sua 
presenza  avea  dovunque  ispirato  coraggio,  veduto  i  luoghi 
allagarsi  di  orde  straniere,  si  vuole  che  prorompesse  ad 
alta  voce  :  «  I  nemici  son  dentro  ;  ciascuno  pensi  di  sal- 
varsi e  ritirarsi  nei  luoghi  più  sicuri  e  più  forti  ».  Alcuni 
dangh  carico  di  queste  parole,  seppure  egli  le  pronunciò, 
e  si  aggiunge  ch'ei  si  ritirò  a  tutta  corsa  prima  entro  Ca- 
stello, poscia  verso  ponte  Sisto,  con  confusione  e  con  im- 

(i)  Lapide  incastrata  nel  lato  esterno  del  campanile  della  chiesa 
di  Santo  Spirito  in  Roma  sulla  via  che  conduce  alla  Longara: 

D.O.M. 
BERNARDINO  PASSERIO 
IVL  .  II .  LEONIS  X  .  ET  CLEM  . 
VII .  PONTTT  .  MAXXX  .  AVRIFICI 
AC  GEMMARIO  PRAESTANTISS  . 
QVI  CVM  IN  SACRO  BELLO  PRO 
PATRIA  IN  PROX  .  lANIC  .  PARTE 
HOSTIVM  PLVREIS  PVGNANS 
MILITI  VEXILLVM  ABSTVLISSET 
FORTITER  OCCVBVIT  PR  .  N  .  MAI .  ooDXXVII 
V  .  A  .  XXX  .  VII .  M  .  VI .  D  .  XI . 
lACOBUS  ET  OCTAVIANUS  PASSERII 
FRATRES  PATRI  AMANTISS  .  POSVERE 

A  sinistra  dell'interno  della  chiesa  di    Sant' Eligio   degli    Orefici  in 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  87 5 

petuoso  disordine  di  quanti  gli  si  agitavano  dintorno. 
Eran  le  nove  del  mattino,  ore  13  italiane:  Roma  avea 
ceduto,  non  v'è  che  dire,  con  onore  alla  ineluttabile  sua 
sorte  ! 

Quand'era  per  ricominciare  l'assalto  coloro  che  rap- 
presentavano la  cittadinanza  in  Campidoglio,  e  il  Senatore 
era  un  Senese,  Aldello  de  Placitis,  avevan  deliberato  di 
mandare  ambasciatori  a  monsignor  di  Borbone,  di  cui  tut- 
tora s'ignorava  la  morte.  E  di  pari  consentimento  dettero 
il  mandato  ad  Agnolo  Cesis,  a  Jacopo  Frangipani  ed  a 
Pietro  Astalli.  Fatalità  volle  che  i  tre  cardinali  Cesarini, 
Valle  e  Jacobacci  avesser  deputato  a  tale  missione  Jacopo 
Frangipani,  Marcantonio  Altieri  e  il  marchese  di  Brandi- 
burgo  o  meglio  l'ambasciatore  di  Portogallo,  don  Martino, 
nipote  del  re.  Per  lo  che  come  i  primi  furono  giunti  alla 
porta  oltre  il  Tevere  fu  loro  vietata  l'uscita  per  ordine 
di  Renzo.  Subitamente  allora  il  Cesis  e  l'Astalli  andarono 
dal  papa  per  la  licenza,  e  il  secondo  mandò  in  Campi- 
doglio colla  risoluzione  dei  tre  cardinali.  Quest'  incidente 
portò  un  ritardo  di  tempo,  ond'  essi  quando   pervennero 

via  Giulia  si  legge  lo  stesso  epitaffio  con  questa  giunta: 

AD  PROPAGANDAM  OPTIMI  STRENVIQ.VE 

AC  EANDEM  ARTEM  PROFESSI 

CIVIS  MEMORIAM 

MONVMENTI  SACRAE  S  .  SPIRITVS  AEDIS 

EXTERIORI  MVRO  ADFIXI 

EXEMPLAR 

HIC  EXTARE  VOLVERVNT 

PETRVS  FORERIVS 

LVDOVICVS  BARCHIVS 

SIMON  MIGLIÈ 

CAIETANVS  DE  BLASIIS 

CONSVLES  COLLEGII  AURIFICUM 

ANNO  IVBIL .  MDCCXXV 

Vedi  Galletti,  Inscriptìones  Rom.,  II,  388.  —  Cancellieri,  Il  Mer- 
cato, il  Lago,  ecc.,  parte  IV,  pag.  242,  qcc. 


376  e.  T{avioli 

in  Trastevere  già  i  nemici  erano  entrati  in  Borgo,  e  vuoisi 
che  il  Frangipani  vi  restasse  ammazzato.  Purtuttavia  l'am- 
basciatore giunse  a  parlare  coi  capi  del  consiglio  dell'eser- 
cito. Questo  era  composto  del  principe  di  Oranges,  del  te- 
desco Hess,  del  figlio  o  nipote  del  capitano  Giorgio  Fronds- 
berg,  del  capitano  Corradino,  di  don  Ferrante  Gonzaga, 
fratello  del  marchese  di  Mantova,  dell'abate  di  Nagera,  del 
conte  Luigi  di  Lodrone,  di  Giovanni  d'Orbina,  di  Pom- 
peo e  Vespasiano  Colonna,  del  Morone,  di  Giovanbarto- 
lomeo  Arboreo  da  Gattinara,  di  La  Motta  di  Bourbon. 
Messo  alla  presenza  di  molti  di  costoro,  disse  che  alcuni 
Romani,  vicini  di  sua  casa,  con  consentimento  del  papa 
eran  venuti  per  trattare.  Fugli  prima  risposto  che  rimet- 
tendo prima  il  papa  in  mano  degl'imperiali  il  ponte  Molle 
e  la  parte  di  Trastevere  eran  contenti  di  trattare  accordo. 
Ma  nessuna  risposta  o  ambasciatore  tornò;  né  tempo  più 
v'era  a  far  nulla  ;  gh  avvenimenti  precipitarono  in  brev'ora, 
e  Clemente,  i  suoi  aderenti  e  i  cardinali,  invasi  tutti  da 
spirito  di  parte,  ogni  cosa  dovean  menar  siffiittamente  o 
da  muovere  a  riso^  o  da  fremere  di  raccapriccio. 

Appena  che  dal  campo  passò  rapida  la  notizia  della  espu- 
gnazione della  porta  delle  Fornaci  e  del  monte  Santo  Spirito 
e  per  ciò  del  certo  possesso  dei  Borghi,  Luigi  Gonzaga 
affrettò  più  animosamente  i  suoi  all'assalto  delle  mura 
verso  porta  San  Pancrazio.  E  tra  questa  e  la  porta  Setti- 
miana,  messe  le  scale  alle  mura  per  la  vigna,  che  allor 
v'era,  gli  assalitori  con  poco  impedimento  si  trovaron  den- 
tro agevolato  l'entrare  da  certe  scariche  di  cannone  del 
Montorio,  le  quah  nel  bersagliarli  mandarono  a  terra  una 
parte  delle  mura.  I  difensori  atterriti  lasciarono  la  difesa, 
la  porta  San  Pancrazio  fu  subito  spezzata  e  fracassata  con 
travi,  presi  in  mezzo  i  Romani,  restarono  prigionieri  coi 
loro  capi,  tra  cui  Romano  Corso  e  Marco  Napoletano  ; 
mentre  la  compagnia  del  conte  Niccolò  da  Tolentino  e 
tutti  gli  altri  affrettando  la  ritirata    si   gettarono   a  ponte 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  877 

Sisto  e  al  ponte  Senatorio  o  di  Santa  Maria.  Sembra  che 
in  capo  a  questi  ponti  vi  fossero  difese,  e  in  ispecie  al 
primo  vi  fosse  una  porta  avente  l'aspetto  di  fortilizio  e 
munita  a  difesa  in  quest'occasione;  e  pare  che  sovr'essa 
vi  fosse  portato  un  gran  cannone,  che  scopriva  innanzi  a 
sé  non  solo,  ma  dominava  tutta  quella  strada  ch'or  no- 
masi Longara  e  forse  nel  mattino  aveva  influito  alla  fuga 
degli  assalitori  di  porta  Settimiana;  ora  era  ridotto  arnese 
inutile,  imperocché  mancava  di  munizioni  e  di  bombar- 
dieri, presi  anch'essi  dallo  sgomento  universale,  o  in  altra 
parte  adoperati. 

Intanto  le  schiere  nemiche  di  Luigi  Gonzaga,  impa- 
dronite dell'altura  si  diedero  a  rinfrescarsi  e  a  ricrearsi  al- 
quanto colla  copia  delle  vettovaglie,  che  vi  trovarono.  Alle 
6  pomeridiane  (ore  22  italiane)  furono  ordinate  le  schiere 
agli  ultimi  assalti  dei  ponti  Sisto  e  Santa  Maria,  i  quali 
in  poco  d'ora  furono  espugnati,  lasciando  morto  o  ferito 
un  terzo  delle  genti  di  Niccolò  da  Tolentino  e  vi  peri- 
rono pugnando  dei  cavalieri  romani,  Giambattista  Savelli, 
Pierpaolo  Tibaldi  e  Giulio  Vallati  portinsegna  ;  feriti  Gio- 
vampaolo  Orsini  figlio  di  Renzo,  e  Ranuccio  Farnese.  Da 
questo  punto  ogni  resistenza  cessò;  così  Renzo  ed  Orazio 
vedendo  di  non  poter  più  contrastare  alla  furia  dei  ne- 
mici, si  volsero  co'  fuggenti  cercando  di  entrare  in  Castel- 
santangelo. 

Ora  ai  movimenti  militari  e  alle  vinte  difese  succe- 
dono nel  generale  scompiglio  e  terrore  cose,  da  cui  rifugge 
la  penna,  e  pure  è  d'uopo  narrare,  poiché  l'infausta  gior- 
nata non  é  ancora  al  suo  termine.  Sulle  mura  di  Santo  Spi- 
rito, presi  nel  mezzo  gli  sventurati  difensori  e  stretti  dalle 
bande  nemiche,  che  dall'un  lato  sorgevano  compatte  dal 
sotterraneo,  e  che  dall'altro  come  torrente  si  rovesciavano 
sul  piano  dei  merli  dalle  mura  ;  non  domande  di  pietà,  né 
abbassamenti  d'armi  avrebbero  mai  valuto  a  sospendere  lo 
sdegno;  così  la  ferocia  e  l'ansia  convulsa  fecero  intera  la 


378  e.  1{aviolì 

carneficina.  Per  tal  modo  e  durante  la  difesa  e  dopo  la 
presa  il  capitan  Giulio  nobile  Ferrarese  con  tutti  i  suoi 
soldati  furono  massacrati  :  la  guardia  dell'artiglieria  e  il 
povero  Tommaso  servitore  del  Vitelli,  uccisi;  dei  mille  del 
rione  di  Parione,  novecento  spenti  ;  i  residui  delle  bande 
nere  capitanate  da  Lucantonio  da  Terni,  trucidati  tutti, 
meno  dieci  uomini;  la  guardia  degli  Svizzeri  presso  la  ba- 
silica tagliata  a  fil  di  spada  col  suo  capitano;  morti  il  ca- 
porione di  Ponte,  il  capitan  Cuio  fiorentino,  Tofano  da 
Pistoia,  capitano  Niccolò  Bottigari,  luogotenente  Antonio 
Partigini,  col  suo  capitano  Cecchino  da  Ponte  Sisto,  il 
capitano  Niccolò  fiorentino  e  il  canonico  e  cappellano  Ales- 
sandro Bagarini  di  Anagni  (i);  feriti  Guido  congiunto  del 
Vitelli,  Cristof:mo  Buffoli  portinsegna  del  rione  Parione; 
alle  mura  di  Belvedere  ferito  Giambattista  Bolognese,  e 
nella  fuga  verso  il  Castello,  morto  Paolo  d'Arezzo  primo 
cameriere  del  papa.  Dilatatisi  dipoi  per  i  borghi,  a  quanti 
incontravansi  non  era  concessa  la  vita  dagU  efferati  ne- 
mici, che  predando  e  devastando  ebber  dato  fuoco  alle  case 
fino  a  quella  d'Alberto  da  Carpi  presso  Santo  Spirito. 

Ma  costò  caro  al  vincitore  l'abuso  della  vittoria,  e  i 
vinti  venderono  lor  vite  a  caro  prezzo  :  i  nemici  furono 
anche  una  volta  ributtati  indietro.  Allora  non  ebbe  più 
confine  la  costoro  vendetta.  Gettatisi  al  Vaticano  appic- 
caronvi  fuoco,  e  trucidarono  quanti  erano  stati  posti  a 
guardia  di  esso  e  del  corridore  che  mena  in  Castello  ;  alcuni 


(i)  Risulta  ciò  da  un  motupropno  di  Clemente  VII  datato  da  Castel- 
santangelo  agli  8  di  maggio  1527,  due  giorni  dopo  la  presa  di  Roma, 
fatto  collo  scopo  d'investire  dei  benefici  dello  zio  Alessandro  Ba- 
garini, il  nipote  Guido.  Le  parole  che  si  riferiscono  alla  morte  di 
quello  son  queste  :  ...  per  ohiticm  ejiisdem  Akxaiidri  qui  niiper  in  Urbis 
ìiostrae  eversione  et  prò  illius  defensione  viriliter  propugnando  interemptus 
apud  sedem  eandem  diem  clausit  extremum.  —  Devo  questa  notizia  alla 
cortesia  dell'ottimo  cav.  avv.  Raffaele  Ambrosi,  concittadino  del  Ba- 
garini e  possessore  del  documento. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  379 

scamparono  gittandosi  in  Prati  e  su  barchette  traghettando 
il  Tevere;  l'ospedale  di  Santo  Spirito  fu  malconcio  ed 
ammazzati  tutti  gl'infermi;  il  cannone  di  Castelsantangelo 
infine  aggiungeva  i  suoi  guasti  col  trar  di  continuo  per 
allontanare  i  nemici.  In  tanta  confusione  e  in  mezzo  a 
tanti  lutti  non  si  pensò  più  a  tagliare  i  ponti;  cosa  inutile 
ormai,  perchè  la  città  non  meno  che  i  Borghi  eran  preda 
della  tracotanza  nemica. 

Appena  che  le  mura  furono  invase,  il  papa,  l'infausto 
Clemente,  piangendo  e  gridando  di  essere  tradito  fu  più 
tratto  che  accompagnato  in  Castello  pel  corridore;  la  Corte, 
i  cardinali,  ogni  personaggio,  che  temeva  della  propria 
vita  era  accorso  a  ricoverarsi  colà;  s'immagini  la  calca,  la 
trepidazione,  il  tumulto  di  que'  momenti  :  ne  lascio  la  de- 
scrizione ;  si  leggano  i  documenti  dell'epoca  ;  io  proseguo 
più  ch'altro  la  parte  militare.  Tutte  le  artiglierie  che  si 
poterono  furono  ritirate  in  Castello,  e  il  bravo  Salva- 
laglio  in  questo  serra  serra  fin  sul  ponte  Santangelo 
scaricò  un  colpo  ed  uccise  uno  Spagnuolo  che  bra- 
vando s'avanzava  con  più  audacia  in  mezzo  a  quel  via- 
vai. Della  Corte  entrarono  Jacopo  Salviati,  Niccolò  Schom- 
berg  arcivescovo  di  Capua,  il  datario  Giberti,  Alberto 
da  Carpi,  il  cavalier  Gregorio  da  Casale  ambasciatore  del 
re  inglese,  ed  altri.  Dei  cardinali,  Antonio  De  Pucci  fio- 
rentino del  titolo  de'  Santiquattro  incoronati,  vescovo  di 
Pistoia,  dopo  aver  infocato  sulle  mura  i  combattenti,  nel 
ritrarsi,  sul  ponte  caduto  da  cavallo,  ferito  e  calpestato, 
mezzo  morto,  vi  fu  introdotto  da  una  finestra  inferrata; 
Francesco  Ermellino  fiorentino  vi  fu  tirato  colle  funi  in 
un  corbello;  e  poteronvi  entrare  con  molti  dei  loro  ade- 
renti, Paolo  Emilio  Cesis  romano,  che  si  credette  dapprima 
ucciso  in  Borgo,  Alessandro  Farnese,  che  poi  fu  papa,  Gian- 
vincenzo  Caraffa,  arcivescovo  di  Napoli,  Alessandro  Ce- 
sarini  romano,  Franciotto  Orsini  romano,  Niccolò  de'  Caddi 
fiorentino,  Niccolò  Ridolfi  fiorentino  e  Benedetto  degH  Ac- 


38o 


C  'T(avioli 


^ 


colti  aretino,  arcivescovo  di  Ravenna;  degli  altri,  poiché 
in  tutto  furono  tredici,  s'ignora  il  nome.  Dei  pochi  car- 
dinali ch'erano  in  Roma,  più  o  meno  avversari  di  Clemente, 
chi  si  ricoverò  nelle  case  dei  Colonnesi,  chi  degli  Spa- 
gnuoli,  Fiamminghi  e  Tedeschi,  chi  nel  palazzo  Acciaiuoli. 
Non  conosciamo  che  i  nomi  di  Domenico  Jacobacci,  di 
Giandomenico  De  Cuppis,  arcivescovo  di  Trani,  di  Tom- 
maso De  Vio  detto  Gaetano  o  della  Minerva  o  di  San  Sisto. 
Inoltre  della  fazione  ghibellina  troviamo  Giuliano  Cesarini, 
Valle,  Aracoeli,  Siena,  Enkenvoer,  Ponzetti,  Infine  Scara- 
muccia Trivulzio,  vescovo  di  Como  e  il  vecchio  Del  Monte 
zio  del  futuro  papa  Giulio  III;  questi  erano  i  più  miti,  e 
l'ultimo  il  solo  rispettato  in  quelle  orribili  vicende,  sebbene 
gH  fosse  arsa  la  casa  e  gli  fossero  stati  tagliati  a  pezzi  i 
servitori. 

Dopo  costoro,  che  colle  varie  ed  ostinate  opinioni  gran 
peso  avevano  aggiunto  alle  calamità  di  Roma,  passiamo 
a  conoscere  i  miseri  avanzi  di  una  difesa  quanto  onore- 
vole, per  chi  compì  il  dovere  di  soldato  e  di  difensore 
della  patria,  altrettanto  biasimevole  per  chi  in  tempo  non 
seppe  preservare  dall'eccidio  tanti  innocenti  che  in  essa  e 
nelle  parole  dei  capi  si  assicuravano.  Coi  pochi  soldati, 
restati  allo  scempio  e  ritirati  dalla  difesa  di  Ponte  Molle 
contiamo,  oltre  Renzo  da  Ceri,  Lucantonio  Tomassoni 
ed  Orazio  Baglioni,  Ranuccio  Farnese,  ferito,  Fabio  Pe- 
trucci  da  Siena,  Gioanlione  da  Fano,  Stefano  d'Amelia,  il 
capitano  Simone  Tibaldi,  Astolfo  Perugino,  il  Salvalaglio, 
Benvenuto  Cellini,  Raffaello  da  Montelupo  ed  altri  di  minor 
conto  frammisti  ai  nobili  e  alle  dame,  in  tutti  un  tre  mila, 
che  alla  rinfusa  vi  cercarono  un  ricovero,  mentre  che  il 
ponte  o  saracinesca  irrugginita  del  portone  di  Castello  mal 
tenuta  per  trascuratezza  di  chi  dovea  avervi  cura,  dapprima 
non  obbediva,  di  poi  minacciò  di  offendere  la  calca  di  co- 
loro, cui  si  dovette  niegare  un  asilo  e  la  volontaria  prigionia. 
Si  aggiunga  che  provvigioni  non  v'erano  a  sfamare  tanta 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  38 1 

gente  e  fu  pur  mestieri  di  provvedere  di  viveri  in  mezzo 
a  quella  lagrimevole  confusione,  come  meglio  si  potè.  Ca- 
pitano in  essa  era  un  tal  Pallone  dei  Medici  e  capo  dei 
bombardieri  Antonio  Santa  Croce;  chi  fosse  il  castellano 
non  è  ricordato,  se  pur  non  l'era  lo  stesso  Pallone,  che 
nelle  scritture  dell'epoca  trovo  scritto  Marcello  Palonio.  È 
straziante  il  racconto  che  fa  di  quel  lamentevole  caso  il 
sopracitato  Raffaello  da  Montelupo  :  «  Su  pel  muro  doppio, 
dic'egli,  levato  che  fu  il  ponte,  quelli  che  erano  inazi 
spinti  da  quelli  dirieto  cascavano  nel  foso,  e  pochi  ne 
campava  da  morte  per  la  grande  alteza:  c'erano  certi  travi 
ritti,  qualcuno  abraciandoli  si  lassava  sdruciolare,  e  così 
la  canpava,  benché  dava  a  ogni  modo  nelle  mane  de' ne- 
mici, perchè  a  Chastello  si  chalò  la  caditoia,  e  cosi  non 
si  poseva  pasare:  è  vero  che  la  non  arivò  a  terra  a  dua 
palmi,  pure  con  difìcultà  e  per  la  furia  pochi  ne  pasava. 
Stavavamo  a  vedere  questa  cosa  come  stare  a  vedere  una 
festa,  perchè  non  posevamo  tirare  che  non  amazasimo 
de'  nostri  asai  magior  numero  che  de'  nimici.  Sera  ridotto 
fra  la  chiesa  della  Traspontina  el  portone  di  Castello  più 
di  4,  5  mila  persone,  tute  sotto  sopra,  e  no  li  caciava 
cinquanta  Lanzi,  per  quello  che  si  vedeva,  e  dua  alfieri 
de'  Lanzi  pasorno  il  portone  alla  mescolata....  » 

In  breve  sfogate  le  prime  furie  della  barbarie  solda- 
tesca e  veduto  che  ogni  opposizione  era  vinta  o  dalla  fuga 
o  dalle  uccisioni,  si  posero  i  nemici  in  ordinanza  movendo 
verso  il  Castello  per  impadronirsi  del  ponte  Adriano  ed 
entrare  nella  città  sbigottita.  Le  artiglierie  però  giocando 
contr'essi  con  vantaggio,  li  trattennero  e  fugarono  anche 
una  volta.  Allora  fu  d'uopo  attendere  che  la  parte  del- 
l'esercito, ch'era  padrona  del  Trastevere  e  l'altra  che  ab- 
battuta la  posterula  de'  Sàssoni  per  la  Longara  avea  mar- 
ciato su  porta  Settimiana  di  già  atterrata,  si  muovessero  da 
via  Giulia  per  congiungersi  a  loro.  Difatto  poco  dopo  le 
ore  6  pomeridiane  al  suono  di  bellici  strumenti  si  pose  in 


382 


C.  T^avioli 


% 


marcia  da  ponte  Sisto  e  da  porta  Santa  Maria  e  s'addirizzò 
d'accordo  verso  Castelsantangelo,  ove  inteso  che  il  papa 
e  i  suoi  eransi  ritirati  tutti,  decisero  di  prenderlo  d'assalto. 
E  questo  tentò  un  capitano  spagnuolo  con  eletta  squadra 
sforzando  e  spingendo  le  porte  di  quello.  Ma  di  tanta  te- 
nacità assieme  con  molti  altri,  dice  il  racconto  attribuito 
al  Buonaparte,  ne  pagò  la  pena,  lasciandovi  la  vita:  onde 
vedendo  che  per  allora  non  potevano  superare  la  fortezza 
del  luogo,  lasciandovi  buona  guardia,  si  voltarono,  fatta 
sosta  per  poco  in  arme  entro  tre  piazze,  con  fierissimo 
animo  alla  rovina  del  popolo  romano. 

Non  parlerò  con  grandi  particolarità  delle  uccisioni, 
degli  stupri,  dei  ferimenti,  delle  prigionie,  dei  tormenti,  dei 
rubamenti,  delle  distruzioni,  dei  ricatti  e  delle  taglie  poste 
ai  cittadini;  l'enfatico  Luigi  Guicciardini  deve  esser  letto 
per  formarsene  idea  adeguata;  solo  io  traccerò  quello  che 
in  altre  scritture  si  legge  :  cosi  resterà  più  completo  il  la- 
grimevole  quadro.  Fu  posto  fuoco  a  Monte  Giordano  re- 
sidenza degli  Orsini,  e  in  parte  fu  pure  incendiato  Campo 
di  Fiori;  ai  Lanzichenecchi,  luterani  in  gran  parte,  è  chiaro 
che  fu  dato  incarico  d'impadronirsi  della  via  del  Corso  e 
della  porta  del  Popolo  ;  imperocché  si  fece  colà  dagl'in- 
vasori orribile  scempio  delle  pinzochere  di  Montecitorio  e 
delie  monache  di  San  Silvestro  :  dei  frati  del  convento  del 
Popolo  fu  fatta  una  beccheria,  non  rimanendone  uno  che 
potesse  ragguagliar  gli  altri  della  loro  disavventura.  Non 
andrei  più  innanzi  con  la  enumerazione  dei  delitti  e  nefan- 
dezze commesse  da  quella  ciurma  affamata  di  avventurieri 
indisciplinati  e  feroci  contro  le  innocue  ed  avvilite  famiglie 
romane,  le  storie  ne  son  piene,  se  non  amassi  ricordare 
il  caso  di  Domenico  de'  Massimi,  ricchissimo,  il  quale  pel 
proclama  di  Clemente,  in  cui,  oltre  agli  eccitamenti  alla 
difesa,  era  fatto  invito  ai  più  ricchi  di  prestar  danaro  al- 
l'esausto erario,  ironicamente  offerse  scudi  cento.  La  sua 
casa  fu  invasa,  derubato  di  tutto  ed  oltraggiato  nella  mo- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  383 


glie  e  nelle  figlie.  Osserva  sempre  Luigi  Guicciardini, 
quanto  all'abuso  fatto  delle  donne  che  la  nazione  luteriana 
e  tedesca,  benché  sia  giudicata  e  stimata  più  inumana  e  più 
inimica  del  sangue  italiano  che  la  ispana,  nondimeno  questa 
volta,  dimostrò  essere  per  natura  più  benigna,  meno  avara  e 
più  trattabile  assai  che  la  ispana  e  l'italiana...  Non  dico  al- 
tro, e  taccio  interamente  ogni  particolarità  sulle  donne 
d'ogni  età,  e  sugli  uomini  nobili,  potenti,  ricchi  e  mercanti, 
discendendo  fino  agli  acquaroH  e  a'  facchini.  Ma  non 
vo'  tacere  dei  cardinali,  in  ispecie  di  coloro  che  col  core 
ignobile  esultando  dell'entrata  degl'imperiali,  certi  del  loro 
trionfo  sopra  Clemente,  potenti  ora  più  che  mai  e  sod- 
disfatti di  veder  aperta  Roma  al  gran  Carlo  austriaco,  fu- 
rono tutti  indistintamente  malmenati,  vilipesi  negli  averi 
e  nelle  persone,  e  nella  loro  avarizia  trafitti  con  grosse 
taglie  e  a  loro  infamia  avviliti  trangugiando  gli  scherni 
orribili,  che  si  compierono  sotto  i  loro  occhi.  Il  cardinal 
di  Como  ci  è  guida  colla  sua  lettera,  che  da  Civitavecchia 
scriveva  il  24  maggio;  in  essa  ci  avverte  che  il  principe 
di  Oranges  dopo  tre  giorni  di  ruine,  ebbe  fatto  una  grida, 
perchè  non  più  si  saccheggiasse,  né  si  facesse  prigioni; 
e  i  soldati  col  dire  che  morto  Borbone  non  avevano  nes- 
sun superiore  fecero  peggio  di  prima,  cominciando  dal 
palazzo,  residenza  e  cancelleria  del  cardinal  Pompeo  Co- 
lonna assente,  a  quello  dell'ambasciatore  di  Portogallo,  a 
questo  involando  pel  valore  di  14  mila  ducati  e  per  un 
mezzo  milione  ai  signori,  mercanti  e  giudei  che  a  lui  pre- 
ziosi oggetti,  gemme  e  sostanze  avevano  affidato  ;  e  se  non 
fosse  stato  Giovanni  d'Orbina  sarebbe  stato  forzato  a  pa- 
gare di  soprassello  per  sé  una  grossa  taglia.  I  cardinali 
imperialisti  poi,  scaltri  davvero,  avevano  attirato  in  lor 
casa  i  capitani  spagnuoli,  credendo  cosi  di  esser  salvi;  ma 
costoro  vedendo  per  ogni  dove  tante  robe  e  persone  colà 
ricoverate,  protestando  di  non  voler  nulla  da  essi,  impo- 
sero ad  ognuno  in  massa  una  taglia  di    100   mila  scudi. 


384 


C.  Traviali 


4 


che  poi  si  compose  nella  maniera  che  segue.  Cesarini 
pe'  suoi  fu  tassato  per  45  mila  ducati,  La  Valle  per  35  mila, 
Enkenvoer  per  40  mila,  Siena  per  35  mila,  che  pagarono 
in  diversi  modi  in  due  giorni.  Ma  sopravvennero  i  Lan- 
zichenecchi, i  quali  non  potendo  aver  parte  nella  taglia 
suddetta,  vollero  la  loro.  Da  Siena  si  venne  alle  armi,  fu 
combattuto  per  quattr'ore  con  morti  dentro  e  fuori  e  quindi 
saccheggiato  il  palazzo  e  il  cardinale  condotto  prigione  tra 
calci  e  pugna,  vestito  indecorosamente  e  al  fratello,  tra  mille 
contumelie  e  intimidazioni  di  troncargli  il  capo,  trassero 
in  due  volte,  io  mila  ducati  in  danaro  e  in  cedole  di  banco. 
Gli  altri,  sentendo  che  sarebbe  venuta  la  lor  volta,  non 
l'aspettarono  e  rifugiaronsi  nel  palazzo  Colonna;  non  ap- 
pena usciti,  le  lor  case  furono  messe  a  sacco.  I  cardinali 
De  Vio  domenicano  e  Ponzetto  ottuagenario  furono  svil- 
laneggiati, perchè  poveri,  tratti  per  le  strade  dai  Lanziche- 
necchi e  fatti  prigioni;  d'Aracoeli  fu  steso  in  una  bara  e 
portato  per  Roma  cantandogli  l'esequie,  e  fu  veduto  altre 
volte,  in  più  luoghi,  come  vile  prigione,  in  groppa  a  qual- 
che Spagnuolo  in  cerca  della  somma  di  sua  tagUa.  De 
Cuppis  fuggì  coi  figli  di  Giordano  Orsini  calandosi  fuori 
delle  mura  con  una  corda,  e  giunse  a  Civitavecchia  dopo 
aver  'fatto  di  molte  miglia  a  piedi.  Il  celebre  Baldassarre 
Peruzzi  cadde  in  mano  dei  soldati  spagnuoli  ;  all'aspetto  fu 
preso  per  qualche  ricco  prelato  e  straziato  barbaramente, 
perchè  cavasse  le  immaginate  ricchezze.  Riconosciutolo 
finalmente  per  un  artista,  gli  fecero  fare  a  forza  il  ritratto 
del  Borbone  e  malconcio  lo  mandaron  con  Dio.  Il  vescovo 
di  Bagnorea  Giovan  Mercurio  Vipera  fu  preso  ed  ucciso 
il  23  giugno,  come  dice  la  lapide  sul  suo  sepolcro  in 
S.  Stefano  del  Cacco. 

Mi  fermo,  altrimenti  ripeterei  dolentissime  storie  e  ben 
conte,  che  non  entrano  nello  scopo  del  mio  racconto.  Ter- 
minerò questa  parte  colle  stesse  parole  del  cardinal  di 
Como:   «  Infine,    vennono  li    villani  de'  Colonnesi  morti 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  385 

di  fame,  che  saccheggiorono  e  ruborono  quello  che  li  altri 
soldati  non  si  degnorono  di  togliere.  Li  quali  andorono 
tutti  carichi  fuori  di  Roma,  loro  et  donne  et  somari,  et 
hanno  portato  fino  le  ferrate,  chiodi  in  modo  non  li  è  re- 
stato cosa  alcuna.  Tutte  le  botteghe  de'  speziali  saccheg- 
giate senza  utile,  con  rompere  et  gettare  tutte  le  scattole 
et  vasi  per  terra,  in  modo  che  non  si  troveria  per  io  du- 
cati un'  oncia  di  spezieria  per  tutta  Roma  » . 

Per  questo  quadro  e  per  la  lettura  delle  memorie  di 
tutti  coloro  che  parlarono  del  Sacco,  in  gran  parte  messe 
a  stampa  e  facili  a  consultarsi,  s'intende  purtroppo  che  con- 
seguenza della  guerra  e  della  crudeltà  usata  ad  una  vinta 
città  messa  a  ruba  ed  a  fuoco,  senza  reggitori  della  pub- 
blica cosa,  dovea  necessariamente  ben  presto  farsi  sentire 
la  carestia  di  tutto  che  è  necessario  alla  vita,  ridottisi  cit- 
tadini e  nemici  a  pascersi  di  cavalli,  asini,  cani,  gatti  e  fino 
di  topi;  e  quindi  inoltrandosi  il  caldo  coU'entrar  dell'estate 
per  la  fame  sofferta,  pei  feriti  mal  curati,  pei  morti  inse- 
polti e  pei  continui  terrori  ed  angoscie  d'animo,  da  cui 
era  stata  afflitta  all'improvviso  una  intera  popolazione,  co- 
minciarono malattie  maligne,  e  da  queste  una  generale 
contaminazione  dei  corpi,  una  più  orribile  pestilenza.  È 
questa  la  seconda  terribile  scena,  che  è  megUo  lasciare 
all'immaginazione  del  lettore.  Si  leggano  perciò  le  descri- 
zioni degli  storici,  ma  più  di  esse  eloquenti  le  iscrizioni 
delle  tombe,  che  sono  sparse  per  le  chiese  di  Roma  (i). 

E  dalla  città  passando  entro  il  Castello,  ove  erano  sti- 
pati insieme  al  papa,  è  Guicciardini  che  parla,  tredici  car- 
dinali, tanti  prelati,  signori,  nobili  donne,  mercanti,  cor- 
tigiani e  soldati,  tutti  spaventati   e    disperati   della  salute 

(i)  Evvi  di  questa  una  Raccolta  di  Vincenzo  Forcella,  e  un  re- 
cente Estratto  che  leggesi  nella  Nuova  Antologia  con  opportune  os- 
servazioni di  Domenico  Gnoli.  —  In  questa  circostanza  è  mio  do- 
vere di  mostrarmi  grato  al  signor  Alessandro  Corvisieri,  dotto 
cultore  di  cose  patrie. 


386 


C  l^apiolì 


n 


loro,  per  non  avere  ancora  particolare  cognizione  di  quanto 
dentro  vi  sia  successo,  essendo  circondato  e  con  tanta  di- 
ligenza guardato  dagli  inimici  suoi;  benché  ci  possiamo 
persuadere  non  vi  attendino  ad  altro  (conosciuto  non  po- 
terne senza  manifesto  perìcolo  uscire),  che  a  rimproverare 
con  mordaci  e  velenose  parole  a  Jacopo  Salviati,  al  Da- 
tario, al  signor  Renzo,  al  cardinale  Ermellino,  e  forse  al 
pontefice  ancora,  gli  errori  manifesti  fatti  da  essi  più  volte, 
e  senza  frutto  alcuno  molti  maledischino  cordialmente  la 
loro  passata  pazienza...  mentre  forse  lo  stesso  pontefice  vedea 
fumare  incendiata  la  sua  vigna  sotto  Monte  Mario  incontro 
a  Ponte  Molle  per  opera  del  cardinale  Colonna  in  cambio 
delle  castella  a  costui  arse  nella  campagna  romana,  nella 
guerra  di  NapoH. 

Infatti  nel  mercoldì,  ossia  al  terzo  giorno  dopo  l'en- 
trata non  dei  soldati  nemici,  ma  dei  sicari  di  una  popo- 
lazione in  mille  maniere  avvilita  e  trafitta,  era  venuto  in 
Roma  Ascanio  Colonna  co'  suoi  e  in  capo  a  dieci  di  il 
cardinale  Pompeo,  turcimanno  infame  e  vile  di  quest'opera 
di  sangue  e  di  ladroneggio;  e  per  restar  uniti  l'uno  e 
l'altro  Colonnese  andarono  ad  abitare,  sono  parole  del  Va- 
lesio,  nel  palazzo  della  Cancelleria,  che  era  del  cardinale. 
Benché  i  loro  soldati  e  vassalH  rapissero  quelle  cose  più 
vili,  ch'erano  avanzate  ai  Cesarei,  pure  la  loro  venuta  fu 
di  gran  giovamento.  Questo  nuovo  Nettuno,  che  abbo- 
naccia la  tempesta  dopo  un  naufragio  d'irreparabili  sven- 
ture, si  commosse  all'aspetto  miserando  di  sua  patria,  per 
lui  solo  assassinata.  Essi  si  posero  a  salvar  donne  e  cit- 
tadini, de'  quali  era  quel  palazzo  ripieno.  E  il  cardinale, 
pagata  una  grossa  taglia,  riscosse  dalle  mani  dei  soldati 
una  matrona  ed  una  figliuola  nubile  bellissima  della  no- 
bile famiglia  Santa  Croce,  benché  Girolamo,  padre  di  esso 
cardinale,  fosse  stato  ucciso  da  uno  di  quella  casa,  stato 
sempre  di  fazione  Orsina. 

Oh  gran  bontà  de'  cavalieri  antiqui  ! 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  887 

Da  questo  momento  si  cercò  di  raffrenare  la  militare 
libidine,  sia  che  il  saccheggio  fosse  ormai  esaurito  e  com- 
pleto, sia  che  realmente  si  temesse  delle  armi  della  lega, 
che  sembravano  avvicinarsi,  sia  che  lo  stato  contagioso 
di  Roma,  in  cui  tra  i  nemici  furonvi  di  molte  vittime,  in- 
timorisse que'  petti  di  sasso  per  la  propria  salute,  sia  infine 
che  fosse  necessità  concludere  e  stringere  il  Castello  (i).  Fu 
deputato  chi  tenesse  particolarmente  tra  tanti  ladrocinii  ra- 
gione e  punisse  severamente  chi  non  stesse  ne'  termini 
suoi.  Per  tal  modo  furono  visti  fermarsi  gli  assassinamenti 
ricominciati,  e  riposarsi  e  godersi  le  ricche  prede.  E  per- 
chè il  papa  coi  tredici  cardinali  e  con  molti  nobili  di  vagHa, 
con  grandi  ricchezze  rinchiuso  nel  forte  si  trovava,  e  gli 
Spagnuoli  vedendo  che  per  allora  non  poteano  forzarlo^ 
vi  posero  grandissima  guardia  attorno,  acciocché  il  pon- 
tefice in  ispecie  non  potesse  essere  una  notte,  come  parve 
tentare,  furtivamente  co'  cardinali  cavato.  Dettero  inoltre 
principio  a  disegnarvi  e  ordinarvi  trincee  col  farvi  subito 
dai  prigioni  di  minor  conto  e  dai  soldati  metter  mano. 
Fu  fatto  il  governator  di  Roma  che  andò  a  risiedere  nel 
palazzo  del  cardinal  di  Como,  in  Campo  di  Fiore  :  le  grida 
da  lui  emanate  s'intitolavano:  Per  parte  di  monsignor  della 

(i)  Gli  scrittori  non  tennero  conto  dei  nemici,  morti  di  ferro  o 
di  peste.  Avanzano  soltanto  a  ricordo  alcune  lapidi  di  ufficiali  in 
qualche  chiesa  di  Roma.  Registro  que'  nomi  ch'io  conosco  spigolati 
nelle  raccolte  : 

Giovanni  Medrano,  comandante  di  fanteria  spagnuola,  morto  agli 
8  di  maggio  1527  (S.  Stefano  del  Cacco). 

Enrico  di  Flilznicem,  capitano  di  Carlo  V,  morto  ai  14  mag- 
gio 1527  (chiesa  dell'Anima). 

Melchiorre  Frondsperg,  figlio  di  Giorgio,  comandante  di  fant. 
tedesche,  morto  il  9  gennaio  1528  a  21  anno    (chiesa  dell'Anima). 

Si  può  aggiungere  a  questi  di  parte  amica: 

Garsias  de  Herodia,  capitano  di  Castelsantangelo  per  44  anni 
sopravissuto  al  giorno  della  presa  della  città,  morto  di  peste  il  XVII 
ludio  MDXXVII. 


388 


C.  'T{apioli 


^ 


Motta,  governatore  dell'alma  città  di  Roma,  per  la  inclita 
Cesarea  maestà.  Eransi  le  iene  cangiate  in  leoni. 

Poco  sappiamo  di  quanto  facessero  in  questo  tempo 
gli  assediati  del  Castello  per  difesa  loro,  ad  onta  che  fos- 
sero cominciate  trattative  fino  dal  giorno  dopo,  ch'entra- 
rono gl'imperiali.  Dal  racconto  del  Cellini  però  slam  resi 
certi  ch'egli  e  i  bombardieri  non  si  ristavano  dal  tirare 
dal  lato  dei  Prati  contro  i  lavori  di  quella  specie  di  ap- 
procci, appena  che  si  venner  costruendo  più  che  per  espu- 
gnare il  Castello,  per  impedire  ogni  fuga  da  quello.  Ogni 
sera  si  facevan  tre  fuochi  di  convenzione  in  cima  del  tor- 
rione quadro  mal  detto  di  Alessandro  VI,  accompagnati 
da  tre  colpi  d'artiglieria  rinterzati,  come  segnale  alle  armi 
della  lega,  che  aspettavansi  da  un'  ora  all'altra,  e  che  mai 
non  vennero,  ma  che  purtuttavia  avvisava  che  il  Castello 
non  si  era  ancor  reso.  Con  un  gerifalco  che  il  Cellini  ebbe 
sparato  contro  di  tal  colonnello  spagnuolo  cognito  al  papa 
e  vestito  di  rosato  con  gran  spadone  tenuto  orizzontale,  fu 
colpito  si  bene  ch'egli  ne  restò  morto  diviso  in  due  pezzi. 
E  quando  egli  si  accorse  che  alcune  guardie,  che  cambia- 
vansi  ogni  dì  ad  ora  certa,  passavano  per  la  porta  de'  Sàs- 
soni o  di  Santo  Spirito  benché  i  tiri  dal  Castello  mirasser 
di  traverso,  pure  era  attento  a  far  fuoco  sovr'esse,  e  le 
danneggiava  di  molto  ;  per  lo  che  in  una  notte  i  nemici 
posero  sopra  un  tetto  di  una  casa  laterale  da  trenta  botti, 
che  impedissero  ogni  veduta;  ma  Benvenuto  dirizzò  i  cin- 
que pezzi  di  cui  potea  disporre  alle  botti,  e  alle  6  po- 
meridiane (22  ore),  tempo  del  rimetter  le  guardie,  dato 
fuoco,  afferma  di  averne  uccise  trenta.  Questo  sembra  che 
si  rinnovasse  più  volte,  finché  Giovanni  d'Orbina  dispose 
alle  guardie  più  lungo  giro  per  evitar  l'infilata  dei  tiri  del 
Castello. 

Passavano  intanto  i  giorni,  l'accordo  non  si  componea 
e  si  era  allo  stremo  dei  viveri;  e  papa  e  cardinali,  non  par- 
lando del  resto,  eran  ridotti  a  pascersi  di   carne  d'asino. 


Le  Guerre  dei  Sette  (filini  889 

essendo  impedito  dalle  guardie  assedianti  ogni  cibo,  ogni 
erba  v'entrasse  tirata  dalle  mura,  uccidendo  chiunque  vi 
si  accostava.  Colle  trincee  i  nemici  eran  giunti  a  un  trar 
di  mano,  secondo  l'espressione  del  Cellini,  ed  egli  intento 
sempre  a  disturbare  i  lavori  di  approccio  e  d'isolamento 
aveva  preso  certi  passatoiacci  ch'erano  in  genere  proietti 
di  legno  di  varia  forma  che  a  cataste  già  facean  parte  delle 
munizioni  del  Castello,  e  caricatoTie  un  sagro  e  un  falco- 
netto lor  dava  fuoco  e  volando  quelli  all'impazzata  reca- 
vano guasti  ai  lavoratori  con  ispessi  ferimenti.  E  siccome 
dal  papa  avea  avuto  commissione  di  fondere  cert'oro,  cosi 
compiendo  all'uno  ufficio,  non  trascurava  l'altro  dì  tener 
preste  le  artiglierie.  E  un  giorno  in  sull'ora  di  vespro  vide 
venire,  e  naturalmente  non  fu  solo  a  vedere,  sull'orlo  della 
trincea  uno  a  cavallo  sopra  un  muletto,  il  quale  andava 
veloce  e  l'uomo  parlava  ai  lavoratori.  Benvenuto  presa  la 
mira,  die  fuoco  innanzi  che  quegli  giungesse  al  suo  diritto 
e  cosi  bene  lo  investi  che  il  muletto  restò  morto  ed  ei 
ferito  inviso.  Era  costui,  prosegue  adire,  il  principe  d'Oran- 
ges,  il  quale  venne  trasportato  dalla  trincea  in  una  vicina 
osteria,  dove  corse  tutta  la  nobiltà  dell'esercito.  Il  papa 
allora  fece  chiamare  Antonio  Santa  Croce,  perchè  desse 
ordine  di  dirizzare  a  quella  casa  tutte  le  artigherie,  ch'erano 
moltissime,  e  che  a  un  colpo  d'archibuso  ognuno  desse 
fuoco  a  un  tempo.  Intese  quest'ordine  il  cardinal  Orsini  e 
subitamente  cominciò  a  gridare  col  papa,  dicendo  che  non 
si  facesse  tal  colpo,  perchè  erano  in  sul  conchiudere  l'ac- 
cordo, e  se  quelli  si  ammazzavano,  il  campo  senza  guida 
sarebbe  per  forza  entrato  in  Castello  e  gli  avrebbe  finiti 
di  rovinare  affatto.  Il  povero  papa,  conchiude  il  Cellini, 
vedutosi  essere  assassinato  dentro  e  fuora,  disse  che  lasciava 
il  pensiero  a  loro.  Contuttociò  Benvenuto  eh' avea  prurito 
di  tirare,  tirò  con  un  mezzo  cannone,  che  percosse  in  un 
pilastro  con  danno  di  chi  a  quello  si  trovò  vicino.  Clemente 
a  quanto  sembra  colla  sua  feroce  stupidità  alla  massima  ac- 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  36 


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C.  'T{avioli 


4 


Gettata  da  Spagna  di  marciare  e  patteggiare  voleva  ben  so- 
stituire l'altra  di  cannoneggiare  e  patteggiare.  Il  fatto  si  è 
che  rOranges  fu  ferito  davvero  in  quell'incontro,  che  fu 
il  28  di  maggio,  ma  da  palla  d'archibuso,  la  quale  en- 
trando sotto  l'occhio,  gli  passò  il  palato  e  uscì  fuori  sotto 
l'orecchio,  e  tra  non  molto  guarì.  Il  Montelupo  per  sua 
parte  così  narra  gH  avvenimenti  di  quei  giorni  :  «  ....  il 
primo  giorno  che  loro  ebono  preso  Roma,  cominciorono 
a  fare  le  trinciere  intorno  al  Castello,  cominciando  dalla 
parte  del  fiume  di  sopra  una  fossa  e  seguitandola  insino 
alla  parte  di  sotto,  eoe  alla  chiavica  della  Traspontina,  e 
così  inforse  dieci  giorni  ebono  circhundato  tuto  il  Castello, 
che  persona  niuna  non  poseva  entrare  né  uscire  che  non 
venisse  loro  in  mano,  salvo  che  per  la  banda  del  fiume, 
dove  bisogniava  esere  buono  notatore.  Così  stemo  tutto 
il  mese  di  Giugnio,  e  aspetando  la  lega  che  dovessi  so- 
correre  il  papa;  quando  si  vidde  la  speranza  era  vana,  si 
cercò  fare  acordo,  e  in  questo  potrei  dire  di  molte  cose, 
come  più  volte  vinne  per  tratare  acordo  in  Castello  un 
signor  domandato  il  Catinaro;  dove  una  volta  venendo 
per  tratare  lacordo,  da  uno  del  Castello  h  fu  tirata  una 
archibusata  e  ferito  in  un  braccio  ». 

Per  intendere  poi  in  che  modo  a  quest'epoca  erano  sul 
conchiudere  l'accordo,  è  mestieri  sapere  che  il  martedì 
stesso,  ossia  il  dì  appresso  dell'entrata,  il  papa  spedì  lettera 
ai  capitani  dell'esercito  imperiale,  nella  quale  li  pregava  a 
mandargli  per  intendere  alcune  cose  Giambartolommeo 
Arboreo  da  Gattinara.  E  questi  andò  in  Castello,  ma  nel- 
r avvicinarsi  ad  esso  fu  ferito  da  un  archibugiata  partita  da 
quello  e  n'ebbe  trapassato  il  braccio  destro,  ma  ciò  non 
gl'impedì  d'entrarvi.  Il  CeUini  si  dà  vanto  di  quel  colpo; 
e  dice  ancora  che  il  papa,  per  adescare  il  Gattinara  ad 
essergli  favorevole  si  lasciasse  cadere  di  dito  un  anello  con 
diamante  di  un  quattro  mila  scudi  di  valore  e  gliel  donasse. 
Comunque  ciò  fosse,  come  fu  egU  alla  presenza  di  Clemente, 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  Sgi 

costui  piangendo  in  presenza  dei  tredici  cardinali  dissegli  : 
poiché  la  sorte,  per  troppo  fidarsi  in  quello  che  dvea  ca- 
pitolato col  viceré  di  Napoli,  lo  avea  condotto  in  quello 
stato,  più  non  volea  pensare  a  difendersi,  ma  rimetteva 
la  sua  persona,  quella  dei  cardinali  e  lo  Stato  nelle  mani 
di  S.  M.  chiedendo  ch'egli,  il  Gattinara,  fosse  mediatore 
con  i  capitani  per  fare  un  qualche  buon  appuntamento.  Questi 
consolò  papa  e  cardinali,  lor  mostrò  che  l'imperatore  non 
ebbe  mai  intenzione  di  maltrattare  nò  papa,  né  Sede  apo- 
stolica; ma  molta  colpa  era  in  loro,  perchè  era  stato  in 
lor  potere  di  accomodarsi  con  qualche  quantità  di  danaro, 
onde  non  venisse  tanto  avanti  l'esercito  a  far  la  rovina  di 
Roma.  Ma  una  volta  che  così  ebber  essi  voluto,  ora  e  buon 
consiglio  quello  di  mettersi  in  mano  di  S.  M.  Dopo  ciò 
per  ben  quattro  giorni  consecutivi  andò  innanzi  e  indietro 
più  volte  per  trattar  un  accordo  e  con  i  capitani  e  col 
papa  e  cardinali,  concludendo  con  una  capitolazione  da 
sottomettersi  all'imperatore.  I  capitoli  di  questa  é  difficile 
conoscere  per  intero,  perché  non  divulgati  ;  ma  la  somma 
era  che  il  papa,  per  non  sembrare  costretto  a'  patti,  do- 
vesse fare  un'  oblazione  in  danaro.  Qui  però  comincia- 
rono le  difficoltà.  Gli  Alemanni  s'erano  posti  in  capo  di 
non  partire  da  Roma,  se  essi  soli  non  avesser  avuto  da 
300  mila  scudi,  co'  quali  essere  soddisfatti  delle  paghe  do- 
vute loro,  mentre  in  contanti  non  v'erano  che  io  mila  scudi 
e  vendendo  quanto  papa  e  cardinali  avessero  in  Castello 
non  sarebbe  mai  stato  sufficiente  a  garantire  la  detta  somma  : 
poco  mancò  che  per  quest'incidente  la  convenzione  non 
avesse  più  effetto.  Ma  dopo  alcuni  giorni  si  convenne  che 
tutti  i  danari  possibili  ad  aversi  in  qualunque  modo  sa- 
rebber  dati  ai  Lanzichenecchi  con  promessa  dell' Oranges 
e  degh  altri  capitani  che  il  restante,  che  si  valutava  ad  un 
100  mila  scudi  lor  sarebbe  dato  colla  sicurtà  o  cauzione 
di  Parma  e  Piacenza.  Condotti  a  questo  con  istento,  ri- 
nunziavano  ad  aver  papa  e  cardinali  nelle  lor  mani;  con- 


392 


C.  T{aviolì 


% 


eludendo  che  col  20  maggio  si  sarebber  posti  nel  Castello 
a  sicurezza  e  conservazione  del  papa  e  delle  persone  che 
v'eran  dentro  300  fanti  con  alcuno  dei  capitani.  Avven- 
nero però  nuovi  incidenti  e  modificazioni. 

Ai  19  maggio  tornò  il  Gattinara  per  la  risoluzione  del 
trattato,  ma  trovò  necessario  che  si  riformassero  i  capi- 
toli aggiunti  circa  il  modo  d'uscir  la  gente  dal  castello. 
Erano  in  compagnia  di  lui  Vespasiano  Colonna  e  l'abate 
Alfonso  Manriquez  di  Nagera,  e  stati  col  papa  lungo  tempo 
per  trovar  modo  d'accomodare  il  pagamento  in  denari  di 
centomila  scudi,  non  essendovene  in  moneta  ed  argenti  che 
ottantamila,  fu  concluso  per  i  residuali  ventimila  una  tratta 
sopra  mercanti  con  obbligazioni  del  papa  e  dei  cardinali. 
Risoluto  questo,  si  passò  ai  capitoli  per  l'uscita  delle  genti 
e  per  l'entrata  dei  300  fanti  nel  castello.  Il  papa  volea 
differire  a  tutto  quel  giorno;  pur  sollecitato  a  risolvere  sul 
momento  proruppe  in  questi  termini  :  «  Io  vi  voglio  par- 
lar chiaro.  Io  ho  fatto  la  capitolazione  che  sapete,  la  quale 
non  è  tanto  onorata  per  me  quanto  vorrei:  e  non  dovete 
dubitare  che  se  avessi  modo  di  andarmene  di  qua  con 
manco  danno  e  vergogna  della  Sede  apostolica,  votontieri 
lo  farei  ;  perchè  io  vi  dono  la  persona  mia  e  di  questi  car- 
dinali in  prigione,  e  vi  dono  il  stato,  la  robba  e  denari. 
Or  vi  dico  come  io  tengo  avviso  come  l'esercito  della  lega 
è  qua  vicino  per  soccorrermi.  Pertanto  desidero  che  diate 
alcun  termine,  nel  quale  potessi  aspettare  detto  soccorso; 
e  venendo  il  termine,  io  farò  tutto  quello  che  è  stato 
trattato  nella  capitolazione  :  e  non  è  cosa  grande  che  vi 
domando,  perchè  mi  contenteria  del  termine  di  seigiorni; 
e  sempre  che  alcuna  fortezza  si  abbia  da  rendere,  non  si 
sogliono  negare  simili  condizioni  ». 

La  risposta  del  Gattinara  non  si  fece  attendere  a  si- 
mili inqualificabili  parole,  e  disse  che  l'esercito  imperiale 
non  temeva  di  tali  soccorsi  ;  che  se  tal  risposta  ei  desse 
ai  capitani,  essi  terrebbero  la   capitolazione    come  un  in- 


Le  G neri' e  dei  Sette  Q/Jnni  3 98 

ganno  fiuto  per  guadagnar  tempo  ;  perciò  sarebbe  essa  una 
vera  rottura,  che  porterebbe  l'espugnazione  del  Castello  e 
il  trattamento  che  ne  verrebbe  non  sarebbe  conciliato  con 
l'offerta  di  milioni;  né  vi  sarebbe  tempo  a  pentirsi,  poi- 
ché ne  verrebbe  la  perpetua  perdizione  della  Sede  apostolica. 

Restarono  tutti  smarriti  'a  tali  parole,  che  suscitarono 
discordie  tra  i  cardinali,  perchè  quelli  di  parte  francese 
volevano  a  ogni  modo  aspettare  il  soccorso,  gli  altri  uscir 
subito  d'imbarazzo,  e  il  papa,  conciliatore  perpetuo  delle 
sue  e  delle  altrui  sciocchezze,  instava  per  la  dilazione  di  sei 
giorni.  E  qui  il  Gattinara  s'accorse  che  della  discordia  au- 
tori dovean  essere,  tra  gU  altri,  Alberto  da  Carpi,  il  Da- 
tario, Orazio  Baglioni  e  Gregorio  Casale  ambasciatore  d'In- 
ghilterra. Non  v'era  a  far  altro,  partirono  i  tre,  fecero 
relazione  ai  capitani  e  conclusero  che  nella  notte  si  co- 
minciasse la  trincea,  che  serrasse  tutto  il  Castello,  l'esercito 
stesse  in  arme,  presto  a  qualunque  evento. 

Non  vi  volle  poco  a  convincere,  massime  i  Lanziche- 
necchi, della  necessità  di  cessare  dal  bottino  e  dagli  ozi 
che  si  prendevan  per  le  case;  ma  conosciuto  che  le  armi 
della  lega  erano  a  sette  miglia,  tornarono  alle  bandiere  e 
fu  chiesto  da  Napoli  rinforzo  di  gente  spagnuola  ed  ale- 
manna. Non  lieve  confusione  esisteva  nell'esercito  saccheg- 
giatore dacché  era  morto  il  Borbone.  Senza  capo  e  colle 
nuove  insubordinazioni,  naturalissime  nella  condizione  pre- 
sente di  gente  senza  freno  e  sbandata,  concorde  solo  nella 
rapina,  sebbene  per  ragioni  di  presa  fosser  veduti  spesso 
tra  loro  alle  spade,  il  consiglio  vedea  l'urgenza  di  un  co- 
mandante supremo  anche  provvisorio.  Questo  avrebbe 
amato  che  fosse  tale  il  Lannoy  viceré  di  Napoli,  ma 
rOranges  protestò  di  non  voler  stare  sotto  di  lui,  e  quando 
si  disse  che  il  duca  di  Ferrara  verrebbe,  a  questo  si  piegò, 
dichiarando  però  che  ei  non  vorrebbe  mai  che  altri  in- 
tanto si  tenesse  per  capitano  senza  ordine  dell'imperatore, 
alludendo  a  Giovanni  d'Orbina.  Dopo  ciò,   restato  tutto 


394 


C.  'T{avioli 


% 


in  sospeso,  le  cose  sì  spedivano  a  nome  dell' Oranges, 
come  principal  persona  dell'esercito,  essendo  anche  nel 
favore  degli  Alemanni. 

Passavano  intanto  i  sei  giorni  richiesti  dal  papa,  e  già 
si  discuteva  e  si  dimandava  all'imperatore  come  si  avesse 
a  governar  Roma;  se  o  no  si  avesse  a  lasciarvi  alcuna 
forma  di  Sede  apostolica;  se  convenisse  asservirla  all'im- 
pero, mentre  Francia,  Inghilterra  e  ogni  altra  nazione 
vorrebbe  farsi  un  patriarca;  o  se  piuttosto,  secondo  l'opi- 
nione di  alcuni  del  consiglio  e  dei  cardinali  presenti  in 
Roma,  si  avesse  a  fór  in  modo  che  non  si  perdesse  del 
tutto;  ma  ogni  provvidenza,  si  concludeva,  dovesse  di- 
pendere dalla  volontà  dell'imperatore;  ma  dal  momento 
che  Clemente  era  assediato  in  Castelsantangelo  correa  fama 
in  Italia  ch'egli  era  diventato  il  trastullo  degli  Spagnuoli; 
perciocché  quando  si  scioglieva  e  quando  si  legava  più 
stretto  assai;  ond'egli  si  giudica,  dicevasi,  che  avanti  si  dia 
fine  a  questo  gioco,  noi  dobbiam  avere  due  papi. 

Oltre  queste  speculazioni,  messe  in  campo  o  dai  ti- 
mori o  dalle  speranze,  altro  v'era  più  urgente  e  più  pra- 
tico, che  ventilato  dal  consiglio,  si  affrettava  a  sottoporsi 
alla  deliberazione  dell'imperatore.  L'una  cosa  era  che  presi 
il  papa  e  i  cardinali,  essi  secondo  la  convenzione  dovean 
essere  trasferiti  a  Napoli  :  in  questo  caso  dovean  esser  poi 
tradotti  in  Ispagna?  L'altra,  nel  caso  che  il  papa  fuggisse, 
soccorso  dalla  lega,  che  cosa  fare  ?  La  terza,  se  espugnato 
per  forza  il  Castello  e  per  disgrazia  fosse  morto  il  papa, 
che  si  avrebbe  a  fare  circa  l'elezione  d'un  nuovo?  Ad 
ogni  modo  attendendo  gli  ordini  definitivi,  il  consiglio  dei 
capitani  si  afforzerebbe  del  parere  del  viceré,  del  marchese 
del  Vasto,  di  don  Ugo  di  Moncada  e  dell'Alarcene,  che 
si  attendeano  a  momenti  coi  rinforzi. 

L'esercito  della  lega  in  questo  tempo  venuto  a  poche 
miglia  da  Roma,  scaramucciò  talora  col  cesareo,  e  dopo 
d'essere  stato  fermo  per  dodici  giorni,  alla  fine  se  ne  andò 


Le  Guerre  dei  Sette  oAiini  396 

verso  Viterbo,  non  senza  vergogna  che  parecchi  capitani 
e  molti  soldati  disertassero  unendosi  agl'imperiali.  Perduta 
così  ogni  speranza,  ch'era  riposta  nelle  formidabili  forze 
dei  collegati,  si  tornò  subito  alla  convenzione  o  capitola- 
zione, firmata  dal  papa,  dai  tredici  cardinali  e  dai  capitani 
del  Borbone,  di  cui  copia  si  mandò  all'imperatore,  l'ori- 
ginale restando  nelle  mani  del  Gattinara.  Per  essa,  peg- 
giorata dalla  prima  di  molto,  il  papa  e  i  cardinali  reste- 
rebbero in  Castello  fino  a  che  potessero  andar  sicuri  a 
Napoli,  si  fiirebbe  promessa  di  sette  statichi,  ad  istanza 
degli  Alemanni,  per  garanzia  dei  pagamenti,  si  paghereb- 
bero o  donerebbero  dal  papa  400  mila  ducati  all'esercito, 
metterebbe  la  sua  persona  e  quella  dei  tredici  cardinali  in 
mano  dell'imperatore,  consegnerebbe  oltre  Roma  e  il  Ca- 
stello, tre  fortezze.  Ostia,  Civitacastellana  e  Civitavecchia, 
e  tre  città^  Parma,  Piacenza  e  Modena.  Dopo  ciò,  secondo 
la  capitolazione  medesima,  uscirono  da  Castello  agli  8  di 
giugno  molti  personaggi,  tra  cui  Renzo  da  Ceri,  Alberto 
Pio,  il  cavalier  Casale  oratore  del  re  d'Inghilterra,  e  tre- 
cento della  gente  di  guerra  del  papa,  compresovi  il  Cel- 
lini,  capitanati  da  Orazio  Baglioni,  i  quali  s'indirizzarono 
alla  volta  di  Perugia;  v'entrarono  invece  300  fanti  col- 
l'Alarcone  a  nome  dell'imperatore. 

Nulla  vo'  dire  dei  tre  cappelli  cardinalizi  posti  all'in- 
canto per  compire  le  paghe  dei  soldati;  dei  soccorsi  im- 
plorati, nella  prigionia,  dal  re  di  Francia,  dal  re  d'Inghilterra 
e  dall'imperatore  medesimo  :  tutto  il  sacco  dell' abbiezione 
e  delle  umiliazioni  fu  votato,  non  mancava  che  una  cosa 
e  questa  fu  fatta.  Il  papa  andava  dicendo  che  essendo  or- 
mai disperati  tutti  gli  aiuti,  era  necessario  aspettare  il  soc- 
corso solo  della  lancia  d'Achille  :  quest'era  il  cardinal 
Pompeo  Colonna;  il  papa  volle  vederlo  e  fu  ricevuto  con 
buon  viso  e  fors'anco  senza  finzione,  dice  il  racconto  at- 
tribuito al  Buonaparte.  E  prosegue  :  Piansero  .insieme  la 
miseria  di  Roma  rovinata,  la  perduta  riputazione  della  di- 


396 


C.  Ravioli 


n 


gnità  sacerdotale,  e  finalmente  la  comune  loro  pazzia... 
Non  trovo  similitudine  che  si  confaccia  al  caso.  Dirli  lupo 
Tuno,  l'altro  agnello,  è  troppo  nobilitare  due  perversi  senza 
cuore  e  con  mal  sano  intelletto:  lasciamoli  nel  brago  e 
nel  lezzo  delle  loro  vituperevoli  azioni;  ambidue  giudicati 
e  condannati  nella  coscienza  degli  onesti  d'ogni  epoca. 

Per  un  momento  abbandoniamo  i  prigionieri  di  Ca- 
stelsantangelo  e  le  armi  imperiali  in  Roma,  e  diamoci 
ragione  dei  fatti  delle  armi  della  lega,  le  quali  giunte  in 
prossimità  della  citta  saccheggiata  e  vituperata,  se  ne  allon- 
tanarono peggiorando  le  condizioni  di  coloro,  che  facean 
fuochi  e  cannonate,  certi  del  soccorso.  Francesco  Maria 
stesso  è  quegli  che  a  sua  discolpa  narrerà  le  sue  gesta 
militari,  compiute  in  quest'occasione,  per  bocca  del  suo  bio- 
grafo Giambattista  Leoni  :  Francesco  Guicciardini,  giudi- 
cando e  narrando  i  fatti,  sotto  il  prisma  della  malevolenza, 
non  lo  contradice  nelle  istorie  sue. 

Fatta  la  lega,  dopo  che  si  abboccarono  i  capi  di  essa 
in  Lodi,  le  armi  papali  eran  rappresentate  da  un  gover- 
natore generale  dell'esercito  ecclesiastico,  il  conte  Guido 
Rangoni,  e  da  un  capitan  generale  delle  fanterie,  Giovanni 
de'  Medici,  ai  quali  si  aggiungea  Vitello  Vitelli,  generale 
dei  Fiorentini,  e  luogotenente  generale  con  amplissima  au- 
torità era  Francesco  Guicciardini,  presidente  di  Romagna, 
gentiluomo  fiorentino,  dottor  di  leggi  e  molto  versato 
ne'  governi  dello  Stato  ecclesiastico  insino  dai  tempi  di 
Leone  X,  uomo  che  presumeva  assai  delle  cose  militari 
ed  era  eloquentissimo  da  influire  nell'animo  del  provve- 
ditor  Pesaro  de'  Veneziani  tanto  che  lo  indusse  a  tentare 
la  presa  di  Milano,  contando  sopra  una  sollevazione  certa 
del  popolo,  impressionando  papa  e  Senato  veneto.  Le  genti 
ecclesiastiche  erano  allora  8  mila  fanti,  in  700  a  800  uo- 
mini d'arme,  800  cavalleggeri,  4  mila  col  Rangoni,  2  mila 
delle  bande  nere,  contandosi  inoltre  sopra  608  mila  Sviz- 
zeri, procurati  dal  vescovo  di  Lodi  e  dal  Castellano  di  Mus, 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  897 

il  quale  fu  poi  il  famoso  Giangiacomo  de'  Medici,  marchese 
di  Marignano  (i);  ventimila  fanti  in  tutto  e  cinquemila 
cavalli. 

S'accostarono  di  fatto  a  Milano,  ma  l'esito  andò  altri- 
menti dell'immaginato;  che  dato  assalto  da  porta  Tosa  le 
fiinterie  del  papa,  dopo  qualche  tiro  di  cannone  si  diedero 
a  fuggire,  il  Rangoni  e  il  Medici  non  valendo  a  ratienerle 
anche  col  battere  e  ferire  molti  soldati;  e  le  genti  vene- 
ziane fecero  altrettanto  dopo  pochi  colpi,  i  quali  non  uc- 
cisero che  alcuni  cavalli.  Francesco  Maria,  lasciato  Ma- 
latesta  Baglioni  a  sostenere  la  pugna  dal  lato  di  porta 
Romana,  accorse  coi  cavalleggeri  a  coprire  quelle  fughe  : 
e  quindi  vide  la  necessità  di  ritirarsi  a  Marignano.  Questo 
primo  fatto,  lieve  in  sé  stesso,  perchè  avvenuto  con  mi- 
lizie novelle  alla  guerra,  poco  garantiva  l'avvenire,  e  perciò 
Francesco  Maria  sempre  mosse  guardingo,  non  si  fidando 
che  della  bontà  e  del  coraggio  del  Medici,  delle  sue  bande 
e  della  fanteria  svizzera.  All'impresa  poi  di  Cremona,  alla 
quale  concorsero  quasi  tutte  le  forze  della  lega  e  il  giorno 
innanzi  che  si  compisse  colla  resa  del  castello,  il  Guicciar- 
dini ebbe  ordine,  per  l'accordo  fatto  tra  il  papa  e  don  Ugo 
di  Moncada,  di  ritirar  subito  le  genti  papali  oltre  Po,  ed 
abbandonare  il  campo  dei  collegati,  come  avvenne.  Restò 
solo  il  Medici  co'  suoi,  perchè  a  soldo,  dicesi,  di  Francia. 

Questo  inopinato  avvenimento  nel  principio  della  lega, 
interamente  la  turbò.  Impaurironsi  i  Veneziani,  ma  più  i 
Fiorentini,  che  si  videro  correre  il  medesimo  rischio  del 
pontefice,  il  quale  ristretto  ed  agitato  da  grandissime  an- 
gustie vedeva  ne'  nemici  fatti  potenti  da'  suoi  medesimi 
disordini  crescere  l'orgoglio  e  la  forza;  e  negli  amici  per 


(i)  Intorno  a  questo  personaggio .  veggansi  le  mie  Nuove  dichia- 
raiioni   sopra  i  Sangalìo  e   Giangiacomo  Medici,   edite  nel  Buonarroti, 
periodico  romano,  serie  III,  voi.  I,  quad.  IV,  pubblicato  il  7  marzo  1883 
pag.  152. 


398 


C.  Ravioli 


4 


la  varietà  de'  consigli  suoi  sottentrare  agli  obblighi  della 
confederazione  una  propinqua  alienazione  di  animo,  e  va- 
cillazione di  confidenza.  Di  maniera  che  fatto  ormai  im- 
potente e  inabile  alla  guerra  non  poteva  assicurarsi  della 
pace  :  nel  trattar  della  quale  tutto  quello,  ch'era  già  in  lui 
arbitrio  di  risoluzione  con  dignità,  era  divenuto  necessità 
di  negozio  con  pericolo.  —  Quest'era  l'opinione  di  Fran- 
cesco Maria,  e  gli  avvenimenti  gli  dettero  ragione. 

I  timori  poi  negli  stessi  collegati  crebbero  quando  col 
Fronsberg  calarono  i  14  mila  Alemanni,  e  s'aggrandirono 
ancora  per  la  morte  di  Giovanni  de'  Medici.  Perciò  essi 
tennero  consiglio  in  Soncino  e  ventilati  i  casi  che  poteano 
insorgere,  quando  sarebbe  avvenuta  la  riunione  dei  Tede- 
schi cogl'  Imperiali  di  Milano,  videro  che  costoro  o  an- 
drebbero ai  danni  del  papa  verso  Piacenza,  o  vorrebbero 
ricuperare  Cremona,  o  si  volgerebbero  sopra  Bergamo  a 
danno  dei  Veneziani.  Quindi  si  deliberò  che  il  Rangoni 
provvedesse  Parma  e  Piacenza,  che  il  Saluzzo  colle  genti 
francesi  gettasse  un  ponte  sul  Po  dirimpetto  al  castello  di 
Cremona  ed  attendesse  al  procedere  dei  nemici,  e  Fran- 
cesco Maria  co'  Veneziani  entrasse  in  Bergamo  e  vi  fa- 
cesse difese,  con  intesa  che  dovunque  i  nemici  voltassero, 
dovesse  ciascuno  soccorrere  il  compagno. 

Appena  che  seppesi  che  i  nemici  si  congiungerebbero 
col  Borbone  e  chiaramente  costui  avrebbe  mosso  contro 
il  pontefice,  il  Saluzzo  andò  in  Parma,  Francesco  Maria  la- 
sciato presidiata  Bergamo  passò  a  Casalmaggiore  gettando 
un  ponte  sul  Po.  In  Parma  agli  11  febbraio  1527  si  tenne 
un  nuovo  consiglio,  mettendo  in  iscritto  ognuno  il  parer 
suo  per  mandarne  copia  ai  principi  collegati.  Quello  di 
Francesco  Maria  fu  consegnato  al  Guicciardini;  ma  questi 
noi  mandò  al  papa,  scusandosi  poi  colla  negligenza  del  se- 
gretario :  in  quest'anno  di  grazia  fu  la  negligenza  di  un 
segretario,  a'  tempi  nostri  fu  l'errore  di  un  copista. 

Usciti  di  Parma,   Francesco  Maria  e  il  Saluzzo  assali- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  Sgg 

rono  all'improvviso  i  Tedeschi  in  Busseto,  i  quali  in  disor- 
dine si  gettarono  in  Borgo  Sandonnino,  ove  restarono 
per  quattro  mesi.  Perchè,  domando  io,  non  riattaccarli, 
sconfiggerli,  sterminarli  colà?' La  giunzione  si  effettuò  e 
il  destino  di  Roma  fu  compiuto.  Inflitti  di  qua  impune- 
mente s' incamminarono  uniti  a  Bologna.  Allora  Francesco 
Maria  passato  il  Po  si  condusse  a  Valverde  verso  Modena 
e  quivi  fatto  un  ponte  sul  Panaro,  mentre  si  preparava 
ad  impedir  le  vettovaglie  a'  nemici,  che  traevano  dal  Fer- 
rarese, sopravvenne  l'avviso  che  il  papa,  dopo  d'aver  fatto 
guerra  al  viceré  nelle  provincie  napoletane  con  qualche 
successo,  avea  conchiusa  ai  15  di  marzo  sospension  d'armi 
per  otto  mesi.  In  conseguenza  di  ciò  i  Veneziani  furono 
costretti  a  pensare  alle  cose  loro,  e  Francesco  Maria  si 
ricondusse  a  Casalmaggiore  e  indi  a  Ficarolo. 

Quando  ebbe  poi  sentore  che  il  Borbone  non  volea 
ratificare  l'accordo  suddetto,  egli  sollecito  a  gittar  ponti  in 
ogni  circostanza  di  pericolo,  subito  ne  costrusse  uno  sul 
Po  dirimpetto  alla  Stellata  per  esser  pronto  ad  accorrere 
suir  inimico  sia  che  si  volgesse  ai  danni  del  Polesine  dei 
Veneziani,  sia  che  avesse  animo  d'assalire  la  Toscana,  sia 
la  Romagna;  e  siccome  a  quest'ultima  colui  si  diresse, 
così  il  Rangoni  si  portò  per  vanguardia  in  Imola,  il  Saluzzo, 
lasciato  presidio  in  Bologna,  andò  a  Castelsanpietro  e  Fran- 
cesco Maria  passò  il  Po,  avviando  verso  Urbino  con  buona 
banda  di  gente  a  piedi  e  a  cavallo  il  colonnello  Pierfrancesco 
da  Viterbo,  che  per  gli  scritti  del  Guglielmotti  sappiamo 
che  si  chiamasse  Pierfrancesco  Florenzuoli.  Cosi  costeggia- 
vansi  sempre  i  nemici,  senza  che  ne  fossero  offesi  ;  ed  allora 
che  essi  piegarono  a  Meldola,  minacciando  Firenze  forse 
con  intelligenza  dei  Fiorentini  avversi  ai  Medici,  le  armi 
della  lega  scesero  verso  Poppi  al  principio  di  Valdarno 
avendo  essi  a  fronte  il  Rangoni,  alle  spalle  il  Saluzzo  per 
la  via  di  Mugello,  e  Francesco  Maria  con  gente  spedita 
e  con  poca  e  leggera  artiglieria  dal  Sasso  di  Simone  calò 


400 


C.  I^violi 


4 


in  Toscana.  Giunto  il  nemico  in  quel  di  Siena,  i  capitani 
della  lega  si  determinarono  a  fare  alloggiamento  a  Lancisa, 
temendosi  allora  non  meno  di  Perugia  che  di  Roma. 

In  questa  il  viceré  di  Napoli  s'abboccò  col  Borbone 
verso  Arezzo;  e  Francesco  Maria  s'avviò  a  Firenze,  quando 
i  cardinali  di  Cortona  e  Cybo  ed  Ippolito  ed  Alessandro 
de'  Medici  lo  avvisarono  del  tumulto  d'alcuni  congiurati 
nella  città  e  l' imprigionamento  di  Federico  da  Bozzolo  in 
palazzo;  egli  accorse  in  essa  con  8o  tra  gentiluomini  e 
capitani  e  sedò  la  sollevazione.  Sentitosi  questo  dal  papa, 
questi  mandò  subito  a  ringraziar  Francesco  Maria,  Paolo 
Valdambrini  d'Arezzo  camerier  segreto,  pregandolo  di  più 
si  contentasse  di  dar  consigli  sulla  difesa  di  Roma,  se  il 
Borbone  si  disponesse  ad  assalirla.  Egli  in  presenza  di  molti 
capitani  dei  collegati  propose  che  il  papa  avrebbe  fatto 
bene  provvedere  Viterbo  e  Montefiascone  di  gente  di 
guerra;  non  confidasse  in  popolo  minuto,  e  si  ritirasse  in 
Orvieto  o  in  Civitacastellana,  lasciando  in  Roma  Renzo  da 
Ceri  e  Orazio  Baglioni;  nel  resto  riposasse  nelle  forze 
della  lega,  perchè  così  facendo  avrebbe  sfuggito  egli,  la 
Corte  e  i  principali  della  città  d'esser  preda  degl'  inimici, 
ond'essi  disperati  e  confusi  facilmente  si  sarebbero  dispersi. 
Piacque  il  consiglio,  ma  non  fu  accettato,  e  Renzo  attese 
ad  armarsi  della  plebe  di  Roma. 

Intanto,  fattosi  nuovo  patto  tra'  collegati,  poiché-  il 
papa  con  l'accordo  del  15  marzo  se  n'era  esentato,  le  genti 
loro  s'eran  ridotte  tutte  intorno  a  Lancisa,  e  appena  che 
il  Borbone  si  levò  dal  territorio  di  Siena  e  s'indirizzò  a 
Roma,  il  Rangoni  lasciata  Perugia  tirò  pur  verso  Roma, 
il  Saluzzo  ad  Orvieto  e  Francesco  Maria  a  Todi.  Il  Ran- 
goni pervenuto  ad  Otricoli,  ebbe  tre  lettere  del  Datario 
colla  data  del  4  maggio  con  commissione  espressa  che  ivi 
si  trattenesse  fino  all'arrivo  di  Francesco  Maria,  né  man- 
dasse a  Roma  se  non  200  cavalli  con  200  fanti,  perché  la 
città  del  resto  era  sufficientemente  da  Renzo  provveduta. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  401 

Il  Rangoni  obbedì,  il  Borbone  si  affrettò  ad  Acquapendente 
prima  che  il  papa  avesse  notizia  della  mossa  arrivando  alla 
croce  di  Monlemario;  e  i  cavalli  del  Rangoni  non  giun- 
sero a  Roma,  o  meglio  a  ponte  Salaro,  se  non  dopo  l' in- 
gresso dei  nemici,  onde  riportarono  essi  stessi  l' infelice 
avviso  agli  altri. 

Francesco  Maria  era  allora  a  Deruta  nell'  Umbria,  e  sa- 
puto ivi  il  caso,  deliberò  per  la  salute  delle  altre  terre  vi- 
cine a  Roma,  della  Marca,  della  Toscana  e  della  Romagna 
fermarsi  a  Perugia,  donde  fece  uscire  Gentile  Paglioni, 
molto  inclinato  alla  parte  imperiale.  Si  condusse  poi  ad 
Orvieto,  mentre  il  marchese  di  Saluzzo,  Ugo  di  Pepoli  e 
Federico  da  Bozzolo  eransi  speditamente  incamminati  verso 
Roma  con  intenzione  di  cavare  di  Castello  il  papa;  ma 
il  pericolo  corso  dal  Bozzolo  per  essergli  caduto  addosso 
il  cavallo,  ond'egli  per  morto  fu  condotto  a  Viterbo,  e 
fors'anche  una  scaramuccia  d'esito  infelice,  disturbò  quel- 
r  impresa  e  pose  in  guardia  il  nemico.  Giunto  in  Orvieto 
anche  il  Rangoni  'e  tutti  insieme  deliberato  d'accostarsi  a 
Roma,  si  condussero  all'  isola  di  Bracciano.  E  per  cam- 
mino intesero  da  Saporito  Saporiti  da  Sassoferrato,  came- 
riere segreto  del  papa,  furtivamente  uscito  dal  Castello, 
che  questi  desiderava  trattare  col  viceré  di  Napoli,  che  si 
trovava  in  Siena;  onde  li  pregava  fare  a  questo,  come 
fecero,  un  ampio  salvacondotto  si  che  ne  potesse  andar  si- 
curo a  Roma.  I  capitani  della  lega  congregaronsi  quindi 
all'  isola  in  consiglio  generale  intorno  al  darsi  soccorso  al 
papa,  e  si  fece  il  giorno  appresso  una  rassegna  generale 
dell'esercito;  si  trovò  non  essere  esso  che  di  12  mila  uo- 
mini, essendone  fuggiti  molti  pel  terrore  della  perdita  di 
Roma  e  pel  mancamento  delle  paghe  e  dei  viveri.  Erano 
intervenuti  alla  consulta  oltre  il  Guicciardini  e  i  due  prov- 
veditori veneziani  Giovanni  Vitturi,  ch'era  col  Saluzzo,  e 
Luigi  Pisani,  ch'era  con  Francesco  Maria,  i  principali  ca- 
pitani dell'esercito  e  tutti  quegli  ufficiali  e  soldati  stimati 


402 


e.  ^I{apioli 


% 


confidenti  e  di  esperienza,  oltre  alcuni  personaggi  fuggiti 
da  Roma. 

Le  proposte  furono  tre  :  l'una  approvata  dalla  maggior 
parte  e  confermata  dall'autorità  del  Vitturi,  che  non  aven- 
dosi forze  sufiBcienti  da  contrapporre  a  quella  dei  nemici 
si  dovessero  aumentar  subito  per  sovvenire  ai  bisogni  del 
papa  e  al  servizio  d' Italia.  L'altra  del  Rangoni  che  gli  si 
facesse  spalla,  ond'egli  speditamente  si  sarebbe  avvicinato 
al  Castello  per  via  dei  Prati,  procurando  di  salvare  almeno 
la  persona  del  papa  con  beneficio  della  lega.  La  terza  di 
Ugo  di  Pepoli  e  di  Filippino  Doria  che  si  passasse  con 
tutto  l'esercito  alla  croce  di  Montemario  e  qui  si  attendesse 
l'occasione  di  far  servizio  al  papa.  Francesco  Maria  incli- 
nava alla  prima,  dell'altre  essendo  l'una  troppo  ardita  e  pe- 
ricolosa, e  l'altra  incerta  massime  per  la  penuria  dei  viveri; 
ma  soggiunse  egli  che  era  pronto  a  seguire  quella  qua- 
lunque che  si  sarebbe  deciso  di  compiere.  Riflettendo  però 
che  si  aveva  a  contendere  con  esercito  vittorioso  di  20  mila 
uomini,  fortificati  e  con  acquisto  di  artiglierie  e  cogli  aiuti 
di  Napoli  e  le  forze  dei  Colonnesi  e  che  il  papa  avea  pur 
da  vivere  in  Castello  per  tre  mesi,  si  deHberò  di  procu- 
rare dai  principi  collegati  un  accrescimento  di  un  20  mila 
fanti  tra  Svizzeri  ed  ItaHani,  tremila  guastatori  ed  altri 
quaranta  pezzi  tra  piccoli  e  grandi,  e  che  si  avessero  due 
corpi  di  armata,  l'uno  sull'Adriatico,  l'altro  sul  Tirreno,  che 
favorissero  l'esercito  di  terra.  Con  tale  risoluzione  si  spedì 
incontanente  al  re  di  Francia  monsignor  d'Aste. 

Intanto  il  viceré  da  Siena  era  passato  a  Roma,  ma  non 
riuscendo  d'aver  quella  superiorità  di  dominio,  che  sperava, 
su  quelle  torme  raccogliticce,  che  pur  dicevansi  esercito, 
che  tolleravano  appena  l'Oranges,  se  ne  andò  temporeg- 
giando presso  i  Colonnesi,  portatosi  insieme  col  marchese 
del  Vasto  a  Marino,  quattordici  migUa  da  Roma  ;  mentre 
il  papa  ternendo  di  maggior  violenza  nella  persona  sua, 
poiché  si  andava  ogni  di  più  dai  nemici  stringendo  il  Ca- 


Le  Guerre  dei  Sette  (lAnni  4o3 

stello,  e  disperato  d'aver  aiuti  dalla  lega  col  sesto  giorno 
di  giugno,  con  quelle  condizioni  che  gli  furono  imposte, 
si  costituì  prigione  co'  tredici  cardinali.  L'esercito  dei  con- 
federati per  tal  modo  non  potendo  più  servir  cosi  vicino, 
si  ritirò  per  conservare  almeno  quello  che  restava. 

E  ve  n'era  bisogno,  ed  in  questo  veramente  le  armi 
della  lega  furono  alquanto  utili.  Di  fatto  Gentile  Baglioni 
s'era  rimesso  in  Perugia  con  intelligenza  dei  Colonnesi,  i 
quali  dopo  aver  avuto  stabilmente  Perugia  avevano  in  animo 
di  spingere  gl'imperiali  nelle  Marche.  Quindi  dai  confederati 
si  deliberò  di  avviarsi  colà;  e  fatto  l'alloggiamento  a  Ve- 
tralla,  vi  sopraggiunse  anche  coi  capitolati  del  Castello  di 
Roma  Orazio  Baglioni,  nel  punto  in  cui  Francesco  Maria 
aveavi  spedito  l'un  dopo  l'altro  Gigante  Corso  e  Federico 
da  Bozzolo  a  persuadere  di  nuovo  Gentile  ad  uscirne.  Ma 
ambidue  non  ottenendo  nuli' altro  che  parole,  Biagio  Stella 
ammazzò  Gentile  e  poco  dopo  fu  morto  anche  Galeotto 
suo  nepote,  che  n'era  uscito  con  assicurazione;  per  lo  che 
Francesco  Maria  si  sdegnò  con  Orazio.  La  peste  intanto 
che  s'era  sviluppata  in  Roma  si  sparse  nei  contorni  in- 
sieme alla  scarsezza  delle  vettovaghe,  e  ne  soffriva  l'esercito 
della  lega  attorno  al  lago  di  Perugia  tanto  che  le  genti 
si  sbandavano;  e  perchè  la  sventura  porta  gli  allontana- 
menti, quanto  la  vittoria  attrae  coloro,  che  corrono  dove 
la  fortuna  si  mostra,  tra  le  defezioni  dal  campo  per  servire 
nelle  file  degh  imperiali,  si  annoverarono  Piermaria  Rosso 
ed  Alessandro  VitelH;  inoltre  il  Rangoni  si  acconciò  coi 
Francesi,  i  quali  gli  dettero  la  condotta  di  3  mila  fanti  e 
di  60  lance  con  un  altro  buon  grado  :  il  Pepoli,  il  conte 
di  Cajazzo,  Sigismondo  Malatesta  e  moltissimi  altri  con 
pensieri  e  con  fini  diversi  se  ne  andarono  in  tanta  per- 
turbazione e  rovescio  d'impreveduti  avvenimenti.  Di  più, 
eransi  cacciati  i  Medici  e  mutato  il  governo  in  Firenze, 
il  duca  di  Ferrara  aveva  ricuperato  Modena,  da  Bologna 
era  stato  cacciato  il  governatore,  i   Veneziani   stessi,   per 


404 


C  T^iPtoli 


antiche  pretensioni  avevano  occupato  Ravenna  e  Cervia, 
sotto  titolo  di  tenerle  per  la  Sede  apostolica;  né  le  altre 
città  che  doveansi  consegnare,  secondo  la  capitolazione,  pas- 
savano in  mano  degl'imperiali;  imperocché  Civitacastellana 
era  in  potere  dei  collegati,  Civitavecchia  Andrea  Doria  non 
volle  dare  se  prima  non  gli  si  pagavano  per  gli  stipendi 
14  mila  ducati:  Parma  e  Piacenza  ricusarono  di  ricevere 
i  Cesarei.  Tutto  era  insomma  licenza  e  impunità  e  molti 
sdegni  occulti  prorompeano,  come  suole  avvenire  nel  di- 
sordine generale,  a  crudeltà  ed  a  vendette.  E  vittima  dovea 
pur  essere  il  luogotenente  generale  Guicciardini,  cui  per 
la  sua  mordacità  il  conte  di  Cajazzo  era  deciso  ammazzare, 
se  Francesco  Maria,  sebbene  offeso  pur  egli  pei  sinistri 
uffici  fattigli  presso  i  Veneziani,  non  l'avesse  pur  tuttavia 
avvertito  ed  occultato  nel  suo  alloggiamento.  Questi  in- 
fatti entrati  in  sospetto  ed  ingelositi  avean  posto  la  guardia 
alla  duchessa  moglie  ed  al  figliuolo  di  Francesco  Maria, 
temendo  che  poco  diligentemente  egli  avesse  fatto  il  ser- 
vizio della  lega.  E  vi  era  a  sospettare,  per  chi  spassiona- 
tamente rifletteva  che  dopo  tante  spese  e  tante  marcie 
manovre,  il  Borbone  a  danni  d'ItaHa  e  di  Roma  destra- 
mente avea  compiute  le  sue  con  l'esito  che  pur  troppo 
abbiam  visto.  Ma  il  provveditore  Pisani  moderò  ben  presto 
quel  rigore  e  tolse  ogni  sospetto. 

Giunta  la  notizia  della  presa  di  Roma  e  della  prigionia 
del  papa  al  re  di  Francia,  fu  facile  a  monsignor  d'Aste 
d'ottenere  in  gran  parte  gli  aiuti,  che  si  ricercavano  dai 
collegati  e  fu  dichiarato  capitan  generale  Odetto  di  Foix, 
signore  di  Lautrec,  maresciallo  di  Francia,  governatore 
della  Guienna.  Era  costui  nepote  al  celebre  Gastone,  duca 
di  Nemours,  morto  alla  battaglia  di  Ravenna  nel  15 12, 
dove  Odetto  stesso  fu  ferito  gravemente.  Ristabilito  e  messo 
alla  testa  delle  armi  francesi,  poiché  sapea  meglio  com- 
battere che  comandare,  fu  cacciato  da  Milano,  Pavia,  Lodi, 
Parma  e  Piacenza  da  Prospero  Colonna.  Cercò  rientrare 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  406 

con  una  battaglia  nel  Milanese,  ma  nel  1522,  perdette  in- 
vece quella  della  Bicocca:  da  quel  momento  fu  obbligato 
a  ritirarsi  in ,  una  delle  sue  terre  di  Guienna.  Egli,  richia- 
mato al  servizio,  nel  primo  arrivo  in  Italia  ebbe  occasione 
opportuna  di  cambiar  governo  in  Genova  e  di  occupare 
Alessandria  e  Pavia.  E  perchè  non  volle  tentare  di  prender 
Milano,  reputandosi  cosa  allor  facilissima,  ma  si  fermò  a 
Parma  e  Piacenza,  dov'ebbe  allettamenti  e  lusinghe  dal 
duca  di  Ferrara,  dal  marchese  di  Mantova,  dai  Fiorentini, 
che  cacciati  i  Medici  voleano  essere  conservati  in  libertà, 
e  fors'anche  dai  Bolognesi,  diede  motivo  a  temere  sulle 
intenzioni  sue.  Concorrevano  a  riputarlo  sospetto  le  ri- 
sposte ambigue,  quando  si  trattò  di  unirsi  ai  collegati, 
sembrando  non  ben  risoluto  di  quello  che  dovesse  fare. 
Francesco  Maria  in  questa  ritornato  al  campo  tra  Todi  e 
Terni,  impedì  agli  Spagnuoli  di  tentar  l'acquisto  delle  Mar- 
che, dei  quali  una  grossa  banda  col  pretesto  di  fuggir  la 
peste,  favoriti  da  molti  partigiani,  vi  si  era  indirizzata.  La 
costoro  vanguardia  dalla  vigilanza  e  celerità  di  lui  trovò  re- 
sistenza e  danno,  tale  che  si  ritirò  da  quell'impresa.  Dopo 
questa  fazione,  gl'imperiali  abbandonarono  l'idea  d'impos- 
sessarsi di  Perugia  e  delle  Marche  e  d'assaltare  Firenze 
come  era  la  opinione  comune  dei  capitani,  mentre  le  armi 
della  lega  consumarono  molti  giorni  in  ozio  tra  Viterbo, 
il  lago  di  Bolsena,  Orvieto  e  il  lago  di  Perugia. 

Lasciamoh  adunque  e  riconduciamoci  a  Roma,  dove 
troveremo  il  papa  occupato  a  dare  esecuzione  alla  capito- 
lazione, in  mezzo  ancora  ai  Tedeschi,  che  crudeli  e  ter- 
ribili dimandavano  di  essere  finiti  di  pagare  delle  loro  paghe. 
Sembra  che  quel  generale  dell'ordine  di  San  Francesco, 
fra  Francesco  Angioli,  confessore  dell'imperatore  e  Valerio 
suo  cameriere  avessero  lettere  e  patenti  sopra  l'aggiusta- 
mento da  portare  ai  capitani,  o v'era  scritto  che  era  giusto 
ed  onesto  si  Hberasse  il  papa  essendo  conveniente  difen- 
dere ed  onorare  la  dignità  pontificia,  che  però  in  qualche 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  27 


4o6 


C.  Traviali 


^ 


modo  avrebbe  detto  l' imperatore  si  trovassero  danari  per 
finir  di  pagare  i  soldati  e  quietarli,  e  liberar  Roma,  me- 
nando via  quando  fosse  tempo  le  fanterie  tedesche  fuori 
da  essa  contro  ai  nemici  ;  ma  anzitutto  con  ogni  diligenza 
si  procurasse  di  farsi  consegnare  gli  statichi,  perchè  lo 
stesso  Clemente,  liberato  che  fosse,  non  gli  si  mantenesse 
ancor  nemico. 

Era  molto  comodo  ed  equo  il  far  la  guerra  senza  mezzi, 
facendo  pagare  ad  altri  le  spese  di  un  esercito  già  ricco 
per  prede;  com'era  un  bel  dire  di  trovar  danari  quando 
le  cose  eran  ridotte  a  quel  punto  col  papa  prigione,  senza 
valori  o  danari  in  Castello,  né  egli  né  i  suoi,  tanti  da  co- 
prire l'esigenze  imposte,  e  senza  credito  alcuno  né  presso 
i  soldati,  né  presso  i  mercanti,  ch'oggi  diconsi  banchieri, 
restando  perciò  sempre  accesa  la  minaccia,  che  se  presto  non 
fossero  pagati,  avrebbero  tagliato  a  pezzi  papa  e  cardinali. 
Per  tal  modo  si  venne  nella  necessità  della  nomina  e  con- 
segna degli  statichi  scelti,  dicon  gli  storici,  tra' suoi  più 
carissimi  ed  onoratissimi  familiari.  Questi  furono  sette: 
Giovanni  Maria  del  Monte,  arcivescovo  Sipontino;  Onofrio 
Bartolini,  arcivescovo  di  Pisa  ;  Antonio  Pucci,  vescovo  di 
Pistoia;  Giovanni  Matteo  Giberti,  vescovo  di  Verona;  a 
questi  si  aggiunsero  come  danarosi,  nobili  e  parenti  stretti 
del  papa,  Jacopo  Salviati  padre  del  cardinal  Giovanni;  Si- 
mone da  Ricasoli  e  Lorenzo  Ridolfi  fratello  del  cardinal 
Niccolò. 

Ma  tali  furono  i  mali  trattamenti  fatti  ad  essi  dai  Te- 
deschi, cui  si  dettero  in  consegna,  che  perfino  si  incate- 
narono e  mandaronsi  in  Campo  di  Fiori,  ove  furono  rizzate 
le  forche,  ed  era  pronto  il  boia  per  impiccarli  se  non  davano 
o  trovavan  subito  danaro.  Con  preghi  e  lagrime  quei  mi- 
serabili supplicando  e  chiedendo  tempo  ottennero  speranza 
di  vita.  Mentr'essi  procuravano  e  negoziavano  di  aver  da- 
nari pei  pagamenti,  alcuni  loro  amici  corruppero  le  guardie 
con  quattrini,  perché  non  fossero  di  più  strapazzati  e  fé- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnnì  407 

cero  loro  una  cena  con  vini  alloppiati,  onde  quelle  dopo 
poche  ore  di  orgia  satolle  e  avvinazzate  caddero  in  pro- 
fondo sonno.  Cosi  poterono  gli  statichi  essere  scatenati  e 
tirati  su  da  un  camino  sopra  il  tetto  colle  funi,  e  sani  e  salvi 
si  condussero  fuori  di  Roma  a  raggiungere  il  campo  della 
lega  nell'Umbria. 

Questa  fuga  affrettò  la  sempre  dubbia  libertà  del  papa, 
il  quale  minacciato  ognor  più  dalla  ciurmaglia  luterana,  si 
vide  costretto  a  porre  all'incanto  parecchi  cappelli  cardi- 
nalizi, come  si  disse,  a  chi  di  parte  imperiale  volesse.  Né 
vi  mancò  chi  li  pigliasse,  onde  in  breve  tempo  con  questo 
disonesto  e  simoniaco  modo  si  raccolse  il  danaro  a  satol- 
lare l'ingordigia  soldatesca.  Pare  che  Clemente  poco  fidasse 
nel  cielo  e  poco  anelasse  al  martirio;  non  troppo  cle- 
mente si  volle  riservare  ad  ogni  costo  ad  altre  vendette! 

Fin  dal  io  lugHo  il  re  d'Inghilterra,  Enrico  Vili,  di 
accordo  col  re  di  Francia,  avea  consigHato,  mandando  il 
cardinale  Tommaso  Vulcer,  inglese,  detto  arcivescovo  Ebo- 
racense,  al  cardinale  Cybo,  che  i  cardinali  liberi  s' inten- 
dessero per  tenere  una  dieta,  e  il  27  dello  stesso  mese  il 
cardinale  Cybo,  in  nome  proprio  e  del  cardinale  Passerini, 
detto  da  Cortona,  avea  scritto  da  Roma  al  cardinale  Salviati, 
legato  presso  il  re  di  Francia,  onde  cercasse  che  gli  stessi 
cardinali  liberi,  dapprima  radunati  a  Piacenza,  convenissero 
in  Bologna  o  in  Parma  a  concilio  per  trattare  la  libera- 
zione di  Clemente,  interessando  il  re  stesso  di  Francia  ad 
interporre  i  suoi  uffici,  onde  con  prestezza  quest'adunanza 
si  effettuasse,  in  pari  tempo  che  il  Lautrec  con  effetto 
provvedesse  alla  difesa  e  conservazione  delle  terre  della 
Chiesa.  Questo  premeva  al  Cybo  e  al  Passerini  perchè  i 
cardinali  ultramontani,  in  ispecie  il  cardinale  d'Inghilterra 
suddetto  e  lo  stesso  re  di  Francia,  insieme  al  Salviati  me- 
desimo, al  Ponzetti  e  al  Farnese,  avevano  persuaso  ulla 
lor  volta  il  Cybo,  il  Cortona,  il  Ridolfi  e  l'Ancona,  che 
era  Pietro  degli  Accolti,  a  far  dieta  in  Avignone  per  prov- 


4o8 


C.  'Ravioli 


^ 


vedere  allo  stato  della  Chiesa.  La  resistenza  di  quest'ul- 
timi, che  non  voleano  acconsentire,  si  modificò  colla  scelta 
di  Ancona  e  non  in  altro  luogo  d'Italia.  Però,  come  da 
Firenze  scrivea  lo  Sforza  al  Vitelli,  si  era  ai  22  settembre 
e  stavano  ancora  in  discordia  senza  risoluzione  alcuna. 
Parve  nell'animo  di  alcuno  che  la  riunione  in  Avignone 
potesse  aver  lo  scopo  di  non  tornare  più  a  Roma,  forse 
ponendo  anche  la  quistione  della  deposizione  di  Clemente, 
come  per  ischerno  l'avean  fatta  i  soldati  luterani  in  Roma 
e  come  si  vociferava  che  alla  fin  del  giuoco  si  avessero 
ad  aver  due  papi.  Di  questo  il  Cybo  preoccupato,  man- 
tenne in  obbedienza  parecchie  cittcà,  prestò  grandi  somme 
di  denaro,  in  parte  poi  restituite  colla  concessione  della 
terra  di  Vetralla,  e  distolse  i  cardinali,  raunati  a  Piacenza, 
colla  sua  eloquenza  dal  vagheggiato  disegno.  È  ben  cu- 
rioso, dopo  l'incendio  dei  Galli  con  Brenno  alla  testa,  il 
Senato  romano  discusse  seriamente  di  trasferire  la  sede 
del  governo  a  Vejo;  dopo  il  sacco  degl'imperiali  con 
Carlo  V  voleano  i  cardinali  trasferire  la  sede  pontificia  in 
Avignone,  sotto  gli  auspici  di  Francesco  I  ed  Arrigo  Vili; 
come  pur  abbiamo  visto  dopo  i  disastri  di  Francia  del 
1870  trasportarsi  la  sede  del  governo  da  Parigi  a  Ver- 
sailles: eguali  cause  simili  effetti  sempre  nel  mondo. 

Si  era  dunque  al  finire  di  settembre  e  per  tutta  Italia 
correa  notizia  che  il  papa  prigione  era  tenuto  si  stretto 
che  non  pure  favellava,  ma  non  si  lasciava  neanche  ve- 
dere. Più,  si  sapeva  che  gli  Spagnuoli  fortificavano  Ca- 
stelsantangelo  internamente;  ma  non  si  sapeva  ne  come, 
né  dove;  solamente  si  vedea  portare  dentro  alla  prima 
cinta  di  molta  materia  da  murare.  Pur  tuttavia  i  prosperi 
successi  del  Lautrec  e  le  pressioni  sull'imperatore  dei  re 
di  Francia  e  d' Inghilterra  acceleravano  la  fine  della  pri- 
gionia di  Clemente,  ed  avean  fatto  rinsavire  le  indiscipli- 
nate masse  dell'esercito  cesareo  e  persuase  all'obbedienza 
dei  capi  e  dell'imperatore,  che  le  richiamava  altrove.  E  il 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  409 

papa  per  mostrarsi  fedele  questa  volta  alla  capitolazione 
rinnovava  gli  statichi  nella  persona  di  cinque  cardinali  ad 
elezione  dei  capitani  imperiali,  che  chiesero  :  il  cardinale 
Pisani  veneziano,  figlio  di  Luigi,  il  quale  era  provveditore 
del  campo  della  lega;  il  cardinale  Trivulzio,  sempre  affe- 
zionato alla  parte  di  Francia;  il  cardinale  Caddi,  fratello 
di  un  ricchissimo  e  prudentissimo  banchiere  fiorentino. 
Questi,  tosto  consegnati,  furono  menati  a  Napoli  e  guar- 
dati nel  Castelnuovo;  e  il  cardinale  Pompeo  Colonna  entrò 
mallevadore  per  gli  altri  due,  i  quali  furono:  il  cardinale 
Franciotto  Orsini,  romano,  e  il  cardinale  Paolo  Cesis, 
parimente  romano.  Ambidue  li  menò  seco  a  Subiaco  luogo 
suo  di  delizia,  e  quivi  furono  amorevolmente  trattati.  Lo 
stesso  cardinale  Pompeo  s'adoprò  poscia  cogli  agenti  del- 
l'imperatore a  fermare  e  stabilire  l'accordo  e  particolar- 
mente con  Cirolamo  Morone  per  la  liberazione  del  papa 
e  di  Roma  dai  soldati.  E  potè  ciò  compiere  tanto  più 
facilmente,  perchè  a  lui  aderivano  tutti  gli  altri  agenti, 
non  che  fra  Francesco  Angioli  ;  don  Ugo  di  Moncada, 
uomo  d'incerto  e  spesse  volte  malvagio  consiglio,  era  an- 
dato co'  soldati  a  Napoli,  sebbene  per  lui  vi  fosse  il  segre- 
tario Sereno;  il  principe  d'Oranges  si  era  ritirato  alle  stanze 
coi  suoi  in  Siena. 

Per  tal  modo  Clemente  il  6  dicembre,  dopo  d'essere 
stato  sette  mesi  rifugiato  e  tenuto  prigione  in  Castello,  con- 
cluso il  partito,  ancorché  egh  avesse  fisso  di  uscirne  a  capo 
a  tre  di,  potè  subito  evadere  di  mezzanotte  deludendo  le 
guardie  della  porta,  con  un  gran  cappellaccio  in  capo  e 
un  tabarro  indosso,  e  tirata  sotto  e  nascosta  la  barba,  mo- 
strando con  quell'abito  ignobile  d'essere  uno  dei  servitori 
del  maestro  di  casa  del  papa,  con  paniere  in  braccio,  spor- 
tella  e  sacchi  vuoti  in  ispalla,  come  se  fosse  mandato  in- 
nanzi a  preparare  gli  alloggiamenti  per  la  strada  che  con- 
duce a  Viterbo,  dove  dapprima  il  papa  avea  disegnato 
di  andare.  Cosi   travestito  entrò  nel  Vaticano,    e  ne  usci 


410 


C.  'Ravioli 


n 


non  dai  prati,  ma  dal  fondo  del  giardino  del  palazzo  al 
luogo  della  Torre  rotonda  per  la  porta  Pertusa,  disserra- 
tone l'uscio  colle  chiavi  fattesi  dare  dal  giardiniere,  montò 
sopra  un  ginnetto  di  Spagna,  preparatogli  da  Luigi  Gon- 
zaga e  seco  lui,  con  una  scorta  di  archibugieri,  fino  a 
Montefiascone,  cavalcando  nel  buio  della  notte,  passò 
pel  bosco  di  Baccano,  si  fermò  a  Capranica  di  Sutri  per 
pigliar  cibo  e  riposo,  e  in  fretta  poi  si  recò  ad  Orvieto, 
città  forte  di  natura  per  una  strada  ricavata  sul  sasso  di 
una  valle  che  la  circonda.  Quivi  fu  accolto  lietamente  con 
concorso  di  personaggi  che  vi  si  recarono  a  visitarlo  per 
rallegrarsi  seco  della  ricuperata  libertà.  In  questo  modo 
Clemente,  il  cui  carattere  era  sempre  di  deludere  amici  e 
nemici,  giunse  ad  eludere  capitani  e  soldati  che  dalla  tar- 
danza, che  il  papa  in  quella  mattina  faceva  più  del  con- 
sueto d'uscir  dalla  sua  stanza,  argomentandone  la  fuga, 
ne  restarono  sorpresi  ed  essi  stessi  ingannati. 

Così  ebbe  fine  l'assedio,  il  sacco  e  le  calamità  di  Roma. 
A  suggello  di  tante  scelleratezze  e  di  tante  dappocaggini 
che  avean  sapore  d'astuzie  e  non  eran  che  raggiri,  è  me- 
rito dell'opera  riportare  la  lettera,  che  datata  da  Burgos 
il  22  novembre  1527,  scrisse  ipocritamente  il  grande  e 
glorioso  Carlo  V  al  papa  liberato  in  Orvieto: 

«  Beatissimo 'Padre.  Per  via  di  Francia  m'è  stata  scritta 
«  et  pubhcata  la  liberatione  di  V.  Santità,  et  quantunque 
«  io  non  habbia  di  ciò  lettera,  né  nuova  alcuna  da' miei 
«  ministri,  a'  quali  era  commesso,  et  imposto  questo  ne- 
«  gotio  tenendo  per  certo,  che  così  l'havranno  fatto,  come 
«  da  mia  parte  era  loro  comandato,  mi  sono  rallegrato 
«  assai,  et  ho  avuto  di  ciò  molto  gran  piacere,  et  più  che 
«  di  qualunque  cosa  mi  potesse  avvenire  ;  che  certo  quanto 
«  più  mi  dolse  di  Sua  detentione,  la  qual  fu  senza  mia 
«  colpa,  tanto  maggior  allegrezza  ho  sentito,  che  essa  sia 
«  liberata  per  mio  comandamento,  et  per  mano  de'  miei 
«  ministri:  di  che   rendo  per    questo  assai  gratie    a  Dio. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  411 

«  Et  può  Vostra  Santità  esser  molto  secura,  che  essen- 
«  domi,  come  spero,  buon  padre,  et  buon  pastore,  tro- 
«  vera  in  me  opera  da  vero,  et  umil  figliuolo,  et  più 
«  pensiero  d'impiegar  le  mie  forze  al  ristoramento,  al- 
ce l'esaltatione,  et  all'accrescimento  di  Vostra  Santità,  et 
«  di  sua  Santa  Sedia,,  et  Apostolica  dignità,  che  del  mio 
«  proprio,  come  ho  detto,  et  dichiarato  al  suo  Nuntio  (i), 
«  et  come  più  largamente  Vostra  Santità  potrà  sapere 
«  con  la  persona,  che  io  spaccerò  tosto,  che  sarà  persona 
«  grata,  et  accetta  a  Vostra  Beatitudine.  Et  poiché  non 
«  desidero,  se  non  di  satisfare  et  di  compiacere  a  Vo- 
ce stra  Santità  in  tutto  quello,  che  io  onestamente  potrò, 
«  supplico  ancor  quello,  che  fra  tanto  non  si  lasci  ingan- 
«  nare,  né  creda  a  quelli,  che  per  loro  passioni,  e  con 
«  sinistre  informationi,  et  persuasioni  cercassero  dare  ad 
«  intendere  a  Vostra  Santità  il  contrario.  Et  con  questo 
«  farò  fine,  baciando  i  piedi,  et  le  mani  di  Vostra  Beati- 
«  tudine,  pregando  Nostro  Signor  Dio,  che  le  dia  felice, 
«  et  lunga  vita.  Di  Burgos,  A'xxii  di  Novembre  1527. 
«  Di  mano  di  quel,  che  é  di  V.  Santità 

«  Umil  Figliuolo,  il  Re  ». 

Siffatta  lettera  non  ha  bisogno  di  commenti;  era  tutta 
di  mano  dell'imperatore  in  lingua  spagnuola,  e  questa 
traduzione  leggesi  tra  le  lettere  de'  Principi  al  Hbro  I. 
Si  nota  in  essa  che  il  papa  premeagli  molto  e  tardi;  in 
segreto  però,  dice  Francesco  Guicciardini,  gli  era  stata 
gratissima  la  cattura  di  lui,  e  forse  non  avea  intero  torto, 
aggiungo  io;  ma  delle  stragi  di  Roma,  degli  stupri  e  del 
bottino  tutto  ignorava  l'innocente  e  potentissimo  monarca 
a  cui  fu  palla  il  mondo;  pur  tuttavia  di  tutto  questo  si 
occupò  la  storia.  Ed  essa  ci  dice  che  i  danni  ricevuti  tra 
denari,  ori,  argenti  e  gemme  giunsero  ad  un  mihone  di 

(i)  Vedasi  più  sotto  dove  si  parla  di  Baldassare  Castiglione. 


412 


e.  I^at^ioli 


n 


ducati;  per  le  taglie  dei  prigioni  o  ricattati  si  calcola  un 
altro  milione,  in  cedole  di  banco  un  mezzo  milione,  ed 
in  bestiame  perderono  i  Romani  amici  e  nemici  altret- 
tanto; per  altri  danni,  il  cui  valore  non  avea  limite,  un 
tre  milioni,  per  lo  che  la  somma  totale  si  fece  ascendere 
tra  i  sei  ed  otto  milioni  di  ducati.  Il  calcolo  che  si  fé' 
della  partizione  portò  a  credere  che  molti  soldati  per  ognuno 
insaccarono  chi  25,  chi  30,  chi  40  mila  ducati:  s'imma- 
gini quel  che  si  presero  i  capitani.  Non  tutti  però;  restò 
fama,  ad  esempio,  che  l'Oranges  non  guadagnò  cosa  al- 
cuna e  non  avea  un  quattrino.  Il  cardinale  di  Como  (Sca- 
ramuccia Trivulzio)  nella  sua  lettera  con  tutto  questo  os- 
serva che  avvenne  a  lui  ciò  non  per  coscienza  di  non 
guadagnare,  jna  per  non  aver  saputo.  É  restato  poi  sempre 
celebre  il  detto  di  far  Maramao,  volendo  dire  rubar  molto, 
perchè  in  questo  si  segnalò  il  valoroso  capitano  di  genti 
napoletane  Fabrizio  Maramaldo,  le  cui  lodi  di  buon  sol- 
dato fé'  Luca  Contile^  noM'Historia  de  fatti  di  Cesare  Maggi 
da  Napoli,  a  carte  19,  e  di  feroce  animo  la  storia  del  sacco 
di  Roma  e  la  morte  di  Ferruccio  sotto  Firenze.  Come 
per  l'orrore  che  destò  il  Borbone  colle  sue  valenti  masnade, 
dopo  il  sacco,  di  quel  nome  si  valsero  le  madri  fino  ad 
oggi  per  far  paura  ai  bambini,  qual  fosse  stato  l'Orco  o 
la  versiera.  Talché  nel  Trastevere  c'è  tuttora  la  cantilena, 
che  comincia  : 

Ninna  la  nanna  e  passa  via  Barbone 

Altro  monumento  lasciarono  in  Roma  le  soldatesche  ita- 
liane che  dal  Milanese  furono  condotte  al  sacco  e  quali- 
ficate per  Lombardi,  ancor  adesso  dicendosi:  guardati  le 
tasche,  che  colui  è  un  Lombardo,  per  dir  ladro.  Tali  sono 
le  dolci  memorie  restate  nella  città  predata  dai  buoni  Ita- 
liani settentrionali  e  meridionali  parteggianti  per  lo  stra- 
niero, di  cui  vi  si  mantiene  fresca  la  memoria;  degli  am- 
plessi spagnuoli-italo-tedeschi  violenti  e  desiderati  vi  sarà 


Le  Guerre  dei  Sette  oAiini  41 3 

rimasto  al  certo  più  di  un  ricordo;  ma  esso  restò  muto 
innanzi  alla  storia.  Il  maligno  Guicciardini  e  T  ingenuo 
Brantóme  accennano  che  nessuna  dama  o  donna  di  Roma 
fu  Lucrezia,  che  spontaneamente  o  con  ferro  si  ammaz- 
zasse o  si  precipitasse  nel  Tevere  o  nelle  strade,  e  ne 
conchiuse  il  primo  non  far  maraviglia,  considerato  quanto 
si  trovi  al  presente  quella  città  corrotta  e  piena  di  abbo- 
minevoli  vizi!  In  mezzo  però  all'universale  corruzione,  che 
pur  troppo  non  può  niegarsi,  alcuni  fatti  avvennero,  i 
quali  son  degni  d'esser  notati.  Tra  piazza  Margana  e  l'ospi- 
zio e  chiesa  di  S.  Stanislao  de' Polacchi,  che  nell'epoca  del 
Sacco  ancor  dicevasi  di  S.  Salvatore  in  Pensili  o  in  Palco, 
sorgeva  una  gran  torre,  della  quale  nel  giardino  vedevansi 
a'  dì  nostri  le  fondamenta,  dove  si  ritirarono  da  sessanta 
gentiluomini  e  signore  con  gran  provvisione  di  polvere  per 
difendervisi.  Ma  volle  sventura  che  vi  si  attaccò  fuoco  e  la 
torre  volò  in  aria  con  tutti  gli  abitanti.  Se  eranvisi  ritirati 
già  tutti  o  parte  di  quelli  che  volevano  rinchiudersi  non  è 
noto.  Nelle  biblioteche  Casanatense  ed  Angelica  si  trova 
l'inedita  descrizione  del  Sacco  dì  Roma  di  Marcello  Alberini 
romano;  nella  parte  delle  aggiunte  al  Diario  evvi  una  scrit- 
tura che  porta  il  N.  io  dove  è  notato  a  faccia  144  «  ciò 
che  è  successo  alU  soldati  nelli  contorni  di  Tor  Pignat- 
tara,  nel  voler  danari  da  un  vignarolo;  come  cinque  di 
loro  ne  restarono  sbudellati  dalla  moglie  di  detto  vigna- 
rolo, et  uno  fu  ammazzato  da  altra  persona  »,  ed  a  faccie 
149  e  1^6  vi  sono  altri  racconti,  in  culle  donne  mostra- 
rono il  loro  coraggio.  In  Campo  Marzio,  preso  d'assalto 
il  palazzo  dei  Lomellini,  fu  uccisa  d'archibugiate  una  dama 
che  per  una  fune  calavasi  nel  cortile,  fuggendo  la  ferocia 
degli  assalitori.  Basti  questo  a  confortarne  dalle  false  ac- 
cuse e  dalle  vere  ignominie. 

Partito  il  papa,  per  impedire  che  Lautrec  agli  acquisti 
fatti  n'aggiungesse  de'  nuovi,  poiché  era  tgVi  penetrato 
dalle  Romagne  e  per  gH  Abruzzi  nelle  provincie  napole- 


414 


C.  I^pìolt 


tane,  capitani  e  soldati,  Italiani  e  Tedeschi  ricchi  e  carichi 
del  bottino  si  partirono  per  Napoli,  ridotti  però  tra  per  la 
guerra  tra  per  la  peste,  dicono,  ad  un  io  mila  fanti  o 
poco  più,  cioè  4  mila  Spagnuoli,  3  mila  Italiani,  5  mila 
Tedeschi  e  1500  cavalli,  già  pure  avviati  colà  gli  Spa- 
gnuoli, che  si  erano  ridotti  aCorneto:  ai  17  di  febbraio  1528 
Roma  tornò  libera,  e  Amico  d'Arsoli  v'entrò  uccidendo  ne- 
mici fino  negh  spedaH.  Ma  la  sua  popolazione,  che  sotto  il  go- 
verno liberale,  se  non  feHce,  di  Leone  X  dalle  40  mila  per- 
sone che  v'erano  era  salita  fino  a  90  mila,  come  narra  il 
Giovio,  fattasi  l'enumerazione  si  trovò  ridotta  a  32  mila 
pei  tre  flagelli  uniti  insieme,  guerra,  fame  e  peste,cui  si  de- 
vono aggiunger  le  fughe  da  una  città  ridotta  a  tanto  disagio. 

Ma  non  poterono  i  saccheggiatori  vantarsi  che  tutto 
il  bottino  fosse  loro;  il  malacquisto,  mal  si  gode.  Non 
vo'  far  lunga  narrazione  adesso  della  specie  di  brigan- 
taggio, organizzato  da  molti  Romani  e  non  Romani  per 
spogliare  gli  spogliatori  ;  amo  di  ricordar  col  Valesio  solo  il 
fatto  della  famiglia  cornetana  dei  Cerrini,  la  quale  abbon- 
dante di  giovani  robusti  ed  animosi,  acquistò  in  quel  tempo 
copiossissime  ricchezze;  poiché  unita  con  altri  suoi  ade- 
renti si  pose  ad  insidiare  ed  uccidere  sulla  via  Aurelia  tutti 
quei  sedicenti  soldati,  che  carichi  di  preda  se  ne  partivano 
furtivamente  da  Roma  per  ritornarsene  alle  case  loro  :  è 
facile  intendere  che  cotesti  ladri  erano  prodi  saccomanni 
tutt' altro  che  Spagnuoli  e  Tedeschi. 

È  tempo  di  concludere  e  por  termine  alla  funesta  nar- 
razione delle  circostanze  concomitanti  la  presa  di  Roma 
coir  aggiungere  qualche  osservazione  sulle  morti  avvenute 
'in  men  o  poco  più  di  un  anno  di  molti  dei  personaggi, 
che  influirono  alle  stragi  e  allo  strazio  della  città  ;  la  guerra 
e  il  caso  fa  di  molte  cose,  ma  anche  gli  ordini  di  Prov- 
videnza e  la  coscienza  delle  tristi  azioni  possono  aver  la 
sua  parte  in  troncare  vite  robuste,  che  si  logorano  per 
troppo  zelo,  per  non  dir  altro,  nella  posizione  occupata. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  416 

Cominciamo  dal  Borbone,  che  trascinando  all'infame 
guerra  i  suoi  parenti  dal  lato  di  donna  Luigi  e  Fernando 
Gonzaga,  restò  ucciso  da  palla  di  moschetto  sotto  le  mura 
di  quella  città,  di  cui  voleva  la  perdita.  Costui  dopo  di 
aver  esalato  l'ultimo  fiato  nella  cappella  alle  Fornaci  detta 
per  lui  Madonna  del  Refugio  o  del  Borbone,  nell'indomani 
fu  trasportato  dai  suoi  nella  Cappella  Sistina,  posto  nel 
feretro  colla  spada  al  fianco.  La  sua  armatura,  seppure  è 
sua,  si  mostra  nell'armeria  vaticana  e  il  suo  corpo  si 
trasportò  a  Gaeta  dai  Germani,  e  sepoltovi  ebbe  quest'epi- 
taffio: Aneto  imperio,  Gallo  vieto,  Superata  Italia,  Ponti/ice 
obsesso,  Roma  capta,  Carolus  Borhonius  in  Victoria  caesus 
hic  jacet. 

Nella  cappella  della  Trinità  di  Monsegato  fin  Rupe 
Scissa)  in  Gaeta  leggonsi  questi  versi: 

Francia  me  dio  la  Luze, 
Espana  gloria  y  ventura 
Roma  me  dio  la  muerte 
Gajeta  la  sepultura. 

E  come  che  non  bastassero  queste  due,  avvene  altra 
in  distici  latini,  che  si  legge  in  Francesco  Sweertio  : 

Fictorem,   Victumque  eadem  compleciitur  urna, 
Et  tatmn  haec  Vieti  nonnisi  Corpus  babd. 

Hoccine  mìraris?  mirarì  desine;  vicit, 
Qui  jacet  heic,  alios;  ipse  sibi  periit. 

In  Gaeta  stessa  nella  fortezza  si  mostrava  lo  scheletro 
di  Borbone,  che  si  vestiva  diversamente  due  volte  l'anno. 
A  questa  leggenda  si  aggiunge  quest'altra,  riferita  al  pari 
delle  Lapidi  dal  Cancellieri.  (//  Mercato,  il  Lago,  ecc., 
pag,  243:  Storia  dei  solenni  possessi,  ecc.,  pag.  90),  Un 
giorno  un  soldato,  che  avea  il  carico  di  rivestir  questa 
mummia  disse:  «  Questo  Birbon  fottuto  grida  la  notte, 
come  un  diavolo,  se  non  si  veste  a  suo  tempo  ».  Se  il 
Birbone  della  Crusca  e  di  quest'aneddoto,  il  Barbone  della 
plebe  romana  e  di  alcuni  classici,  e  il  Borbone  ultimo  ram- 


4i6 


C.  'Ravioli 


% 


pollo  dei  Montpensier  sieno  tutt'uno  non  so  ;  né  merita 
la  pena  d'indagarlo:  il  fatto  si  è  che  costui  non  fu  che 
un  traditore,  morto  nel  consumare  un'  impresa  infame 
contro  i  Romani.  E  non  fu  solo  egli  a  morire,  ben  altri 
lutti  vi  furono,  come  dissi,  nello  stesso  anno  1528. 

Carlo  di  Lannoy  fu  il  primo;  egli  era  fiammingo  e 
generale  dell'impero  ;  nacque  nel  1470,  servì  Massimiliano 
che  nel  15 16  lo  decorò  del  Toson  d'oro  e  nel  1521  il 
fece  governatore  di  Tournai.  Carlo  V  lo  pose  viceré  di 
Napoli  nel  1522.  Dopo  la  morte  di  Prospero  Colonna 
nel  1523  gli  confidò  il  comando  generale  dell'esercito  e 
si  rese  celebre  nella  giornata  di  Pavia.  Francesco  I  non 
volle  consegnar  la  spada  che  a  lui  dicendogH  in  italiano: 
«  Signor  di  Lannoy,  eccovi  la  spada  d'un  re,  che  merita 
d'esser  lodato,  perché  prima  di  darla  se  n'é  servito  per 
versare  il  sangue  di  molti  dei  vostri  ».  Di  fatti  il  re  ve- 
dendo che  gl'imperiali  volean  risparmiarlo,  uccise  molti 
che  cercavano  di  farlo  prigioniero.  All'incontro  il  Lannoy 
prendendola  e  nel  dargHene  un'  altra,  rispose  :  «  Prego 
vostra  maestà  di  gradire  che  io  le  dia  la  mia,  ch'ha  rispar- 
miato il  sangue  di  molti  dei  vostri  ».  Il  pose  poscia  nel  ca- 
stello di  Pizzighettone  ;  lo  convinse  a  passare  a  Napoli,  ma 
egli  il  condusse  in  Ispagna  per  abboccarsi  coll'imperatore 
promettendo  che  se  non  si  fossero  accordati,  egli  il  riporte- 
rebbe in  Italia.  Concluso  il  trattato,  il  Lannoy  condusse 
il  re  presso  Fontarabia  alle  sponde  del  Bidassoa,  che  se- 
para Francia  da  Spagna.  Ebbe  dall'imperatore  il  principato 
di  Solmona,  la  contea  d'Ast  e  quella  della  Roche  nelle 
Ardenne.  Egli  ritiratosi  dai  dintorni  di  Roma,  preso  da 
febbre  ardente,  che  vuol  dire  in  Hnguaggio  moderno  da 
una  perniciosa,  in  quattro  giorni  mori  a  Gaeta  negli  ul- 
timi del  1527. 

Successe  nel  vicereame  di  Napoli  Ugo  di  Moncada  da 
noi  abbastanza  conosciuto  al  pari  del  Lannoy.  D'illustre 
antica    famiglia  di   Catalogna,  sovrana  già  del  Bearnese  ; 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  417 

giovanetto  accompagnò  Carlo  Vili  in  Italia.  Rotta  l'al- 
leanza tra  Ferdinando  di  Spagna  e  il  re  di  Francia,  Ugo 
si  unì  alla  fortuna  di  Cesare  Borgia;  e  quando  costui  passò 
alla  parte  francese,  il  Moncada  passò  nell'esercito  di  Gon- 
salvo  di  Cordova.  Si  segnalò  contro  i  pirati  in  Africa  e 
quindi  nel  15 16  ebbe  ordine  da  Ferdinando  d'aiutare  il 
papa  contro  il  duca  d'Urbino.  Fu  fatto  sulla  costa  di  Ge- 
nova prigioniero  nel  1524  da  Andrea  Boria  e  tornò  in 
libertà  pel  trattato  di  Madrid.  Nel  152^  comandava  le 
truppe  spagnuole  in  Napoli  e  pel  fatto  dei  Colonnesi  co- 
strinse alla  tregua  Clemente;  nell'anno  appresso  era  viceré 
di  Napoli  ;  ma  volle  comandare  l'armata  spagnuola  nel 
1528  e  al  combattimento  navale  di  Capo  d'Orso  presso 
il  golfo  di  Salerno,  in  cui  Filippino  Doria  riportò  una 
completa  vittoria  il  28  di  aprile,  egli  e  il  famoso  Cesare 
Fieramosca  furono  uccisi,  dice  Paolo  Giovio,  per  vendetta 
celeste. 

Dopo  questi  quattro  di  parte  avversaria,  si  deve  porre 
tra  le  morti  precoci  dei  capitani  che  si  segnalarono  in  quel- 
l'impresa, ma  di  parte  amica.  Federico  Gonzaga  da  Boz- 
zolo, che  più  pei  disagi  della  guerra  che  per  età,  dopo  di 
essersi  ristabilito  dalla  caduta  di  cavallo  in  Viterbo,  e  re- 
catosi in  Orvieto  a  visitare  Clemente,  in  brevi  giorni  mori 
a  Lodi  di  morte  naturale. 

Segui  poi  la  morte  di  Vespasiano  Colonna  figlio  del 
celebre  Prospero  e  marito  alla  Giulia  Gonzaga,  celebre  per 
bellezza  e  per  ispirito,  da  cui  non  ebbe  che  una  figlia,  essa 
pur  celebre,  Isabella.  Egli  era  di  parte  imperiale  e  il  ve- 
demmo a  Roma  quando  vi  fu  spedito  da  don  Ugo  di  Mon- 
cada, perchè  in  lui  avea  fede  Clemente,  onde  fosse  mezzano 
di  concordia  e  ne  segui  l'accordo  fatto  dal  Moncada  il 
22  agosto  152^;  vi  tornò  poi  nemico  quando  i  Colon- 
nesi irruppero  per  Borgo  nel  Vaticano  il  19  settembre  e  il 
papa  si  lamentò  di  lui;  dopo  la  presa  di  Roma  e  la  ve- 
nuta in  essa  de'  suoi,  si  parla  di  Vespasiano  come  uno  dei 


4i; 


e.  Ravioli 


n 


tre  che  entrasse  in  Castello  per  definitivo  accordo  e  in 
ultimo  pel  suo  testamento,  in  cui  aveva  disposto  che 
l'unica  sua  figlia  Isabella,  avuta  dalla  consorte  Giulia,  spo- 
sasse Ippolito  de'  Medici,  nipote  di  Clemente  VII.  Ciò 
dimostra  esservi  stato  un  ravvicinamento:  egli  era  morto 
ai  13  di  marzo  1528. 

Quel  Giovanni  d' Orbina,  capitano  spagnuolo,  che 
avrebbe  per  credito  dovuto  succedere  nel  comando  al  Bor- 
bone e  che  non  l'ebbe  per  causa  dell' Oranges,  nel  muo- 
versi le  genti  imperiali  contro  a  Firenze,  fu  ferito  sotto 
Spello  in  una  coscia  e  ne  mori  in  pochi  dì  a  Fuligno 
nell'agosto  1529. 

Altro  personaggio  degno  di  nota  è  quel  Girolamo  Mo- 
rene di  Cremona,  gran  cancelliere  e  primo  ministro  di 
Francesco  Sforza  duca  di  Milano.  Per  ingegno,  per  elo- 
quenza e  per  prontezza  d'animo  a'  suoi  tempi  assai  famoso. 
Costui  tenne  pratica  col  marchese  di  Pescara  di  distrug- 
gere gli  Spagnuoli  che  erano  in  Italia,  impadronirsi  del 
regno  di  Napoli  e  dichiarare  re  lo  stesso  marchese,  il  quale 
dapprima  non  alieno  del  tutto  d'accettare  il  partito  offer- 
togli, si  pentì  poscia  forse  per  la  difficoltà  dell'impresa  o 
per  esserne  distolto  dalla  virtuosa  sua  moglie  Vittoria  Co- 
lonna; ond'ei  palesò  la  trama  all'imperatore  colla  testimo- 
nianza di  Antonio  di  Leva,  che  nascosto  udì  il  Morone; 
perlochè  fu  questi  imprigionato  e  cadde  in  disgrazia  del 
duca  di  Milano.  Se  vi  fu  in  tal  maneggio  alcun  che  di 
generoso,  qual'era  l'indipendenza  d'Italia  dallo  straniero, 
fuvvi  pure  il  lato  disonesto  ed  impolitico;  dal  che  disce- 
sero le  più  tristi  conseguenze,  tra  le  quali  l'odio  dell'im- 
peratore contro  Clemente  VII,  ch'era  a  parte  del  disegno 
e  l'irresolutezza  sua  in  tutte  le  azioni  che  sopravvennero. 
Vedemmo  a  qual  prezzo  il  Borbone  poi  liberasse  il  Mo- 
rone e  come  divenisse  egli  di  lui  consigliero,  e  s'adoprasse 
poscia  per  la  liberazione  di  Clemente.  Ebbene,  costui  che 
sognò  per  un  istante  di  render  Hbera  l'Italia,  viste  le  stragi 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  419 

di  Roma  e  per  la  cara  schiatta  dei  Medici  andato  al  campo 
sotto  Firenze,  morì  improvvisamente  nel  1529  stesso. 

Il  conte  Alessandro  Gonzaga  di  Novellara  fu  quegli 
che  trovavasi  al  campo  col  Borbone  sotto  Roma,  insieme 
al  suo  congiunto  don  Ferrando.  E  siccome  questi  all'età 
di  21  anni  comandava  l'accozzaglia  di  soldatesche  itaHane, 
saccomanni  e  banditi  ed  avea  dentro  Roma  sua  madre  la 
marchesana  di  Mantova,  Isabella  Gonzaga  sorella  di  Alfonso 
duca  di  Ferrara  (la  quale  abitava  il  palazzo  de'  Santi  Apo- 
stoli, fatto  da  Giulio  II,  e  quivi  stava  rifugiata  in  que'  giorni 
d'orrore)  così  egli,  don  Ferrando,  del  quale  il  Goselini  suo 
biografo  magnifica  l'amor  filiale  dicendo  che  per  liberare  la 
marchesana  s'era  fatto  condottiero  di  quella  ciurmaglia,  si 
affrettò  a  spedire  il  conte  Alessandro  dentro  alla  città  sac- 
cheggiata per  salvarla.  Ma  quando  questi  vide  esser  colà  con 
essa  molta  roba  e  molta  gente,  ebbe,  è  vero,  vergogna  d'impor 
taglia,  ma  in  qualche  modo  si  propose  di  voler  far  guadagno. 
Cominciò  dal  dire  che  egli  solo  non  si  credea  sufficiente 
a  conservare  il  palazzo;  perlochè  vi  fece  venire  un  capi- 
tano spagnuolo  parente  del  duca  di  Sessa.  E  convennero 
nel  volere,  non  dalla  marchesana,  ma  dagli  altri  100  mila 
ducati  di  beveraggio,  che  a  stenti  fu  ridotto  a  52  mila,  dei 
quali  fu  fatta  partizione  nel  seguente  modo  :  di  40  mila 
toccò  la  metà  al  conte,  l'altra  metà  allo  Spagnuolo,  2  mila 
a  quattro  Lanzichenecchi  e  io  mila  segretamente  passa- 
rono al  nostro  buon  figliuolo  don  Ferrando,  di  cui  la  so- 
rella Leonora  era  moglie  di  Francesco  Maria  della  Rovere 
duca  d'Urbino.  Che  la  povera  marchesana  fosse  poi  sal- 
vata realmente  lei  e  le  sue  robe  dal  figlio  con  buona 
scorta  fino  ad  Ostia,  compresivi  gli  uomini  e  donne  tutte 
che  vi  si  erano  ricoverate,  sta  bene  ;  ed  ottimamente  an- 
che sta  che  la  marchesana  facesse  dono  al  suo  figlio  dei 
IO  mila  ducati,  come  dice  il  Goselini  ;  ciò  non  diminuisce 
però  la  voce  comune  che  riferisce  il  cardinal  di  Como, 
cioè  che  fosse  già  al  possesso  dei  io  mila  ducati  rapiti: 


420  e.  ^^apìoli 

in  questo  caso  essa  donava  una  somma  ricattata  non  sua, 
e  il  biografo  volendolo  difendere  l'accusa.  Il  quale  poi 
cerca  innalzare  il  suo  eroe  coll'astrologia  fino  alle  stelle, 
dimostrando  certi  congiungimenti  d'astri  corrispondenti  a 
quelli,  che  presiederono  alla  nascita  di  Carlo  V,  di  cui 
Ferrando  divenne  amicissimo;  imperocché  nel  diciasset- 
tesimo anno  di  sua  età  passato  in  Ispagna,  dimorò  con 
lui  tre  anni  e  poscia  nel  152^  tornò  in  Italia  colla  condotta 
di  cento  uomini  d'arme.  Eran  degni  l'uno  dell'altro;  il 
primo  avanzando  ogni  uomo  nella  dissimulazione,  il  se- 
condo nell'interpretazione  dei  pensieri  del  suo  amico  nelle 
gesta  posteriori,  compresa  la  trama  da  costui  ordita  e  così 
ben  condotta  nell'assassinio  dello  spregevole  Pierluigi  Far- 
nese duca  di  Parma  e  Piacenza.  Ma  di  lui  basti  questo 
cenno,  necessario  perchè  l'Italia  sappia  oggimai  distinguere 
i  veri  suoi  figli  dagli  abbietti,  che  hanno  della  volpe  e  del 
gatto  le  arti  e  gli  artigli.  Ritorniamo  al  conte  Alessandro 
di  Novellara,  cui  fan  merito  i  biografi,  tra  i  tanti  ricattati 
in  quella  circostanza,  di  aver  riscattato  a  sue  spese,  dicono, 
Gianfrancesco  Pico  della  Mirandola  e  restituito  alla  repub- 
blica di  Venezia  un  ambasciatore,  dimostrando  animo  ge- 
neroso e  vendicandosi  cosi  nobilmente  dell'affronto,  che 
da  un  condottiero  dei  Veneziani  aveva  ricevuto,  imperocché 
questi  portò  la  desolazione  in  Novellara  nel  raggiungere 
ch'ei  fece  le  armi  della  lega.  Perloché  il  Senato  veneto 
punì  il  condottiero  e  il  nostro  Alessandro  aggregò  alla 
nobiltà  veneta.  Oh  che  nobile  gara  davvero!  Eletto  però 
a  generale  della  cavalleria  italiana  per  recarsi  in  Ungheria 
contro  il  Turco,  moriva  in  Napoli  nel  1530. 

Dal  campo  nemico  di  Roma  per  poco  passiamo  di 
nuovo  all'amico.  Vittima  degU  avvenimenti  pei  rimproveri 
di  Clemente,  perché  non  seppe  infinocchiare  il  furbissimo 
e  giovane  imperatore,  né  scongiurare  la  scesa  del  Borbone 
e  il  sacco  di  Roma,  si  può  ritenere  che  fosse  il  di  lui 
nunzio  in  Ispagna,  il  celebre  autore  del  Cortigiano,  Baldas- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  421 

sarre  Castiglioni,  nato  nel  1478.  Ambasciatore  già  del  duca 
d'Urbino  ad  Enrico  VII,  pel  suo  merito  Leone  X  voleva 
farlo  cardinale,  e  Clemente  VII  invece  lo  spedì  presso 
Carlo  V  a  trattar  gli  affari  della  Santa  Sede,  della  Chiesa 
e  suoi  e  questi  lo  nominò  al  vescovato  d'Avila.  Non  potè 
impedire,  perchè  non  le  conobbe  che  tardi,  le  calamità  che 
oppressero  Roma  nel  1527  ;  Clemente  prigioniero  gli  scrisse 
lettere  violenti  ed  ei  rispose  giustificandosi  con  lettera  da- 
tata da  Burgos  il  io  decembre  1527;  morì  a  Toledo  nel 
1529;  certo,  gli  affimni  sofferti  non  lo  confortarono  per 
quell'anno  che  corse  tra  la  cattura  di  Clemente  e  il  dì 
della  morte,  alla  fresca  età  di  cinquant'anni. 

Poiché  si  tratta  di  morti  immature  o  per  angoscie  o 
per  disagi  o  per  guerre,  non  è  male,  anticipando  i  fatti 
dei  com.battimenti  sotto  Napoli,  sostenuti  dagl'imperiali 
contro  il  Lautrec,  di  por  qui  la  fine  di  Filiberto  di  Chalons 
in  Borgogna,  principe  di  Oranges,  nipote  del  Borbone, 
francese  pur  egli  e  come  lui  ribelle  al  suo  re  e  traditore 
di  Francia.  Egli  che  per  un  puntigHo  abbandonò  nel  1520 
il  servizio  di  Francesco  I  per  andare  a  quello  dei  nemici 
di  Francia;  che  ambizioso  di  tenere  comando  supremo  dopo 
la  morte  dello  zio  nell'assalto  di  Roma,  fu  autore  princi- 
pale e  responsabile  di  tutte  le  nefandità  commessevi;  che 
si  trovò  a  fronte  dell'esercito  francese  in  Napoli,  di  cui 
restò  vittorioso;  che  fu  pure  duce  supremo  all'eccidio  di 
Firenze,  strumento  infame  delle  vendette  di  Carlo  V  e  di 
Clemente  VII  contro  un  popolo,  che  a  lui  nulla  avea  fatto 
di  male,  se  fu  autore  e  testimone  delle  sciagure  romane 
non  lo  fu  delle  fiorentine.  Sul  finire  dell'assedio  memo- 
rabile nel  duello  che  sostenne  con  Niccolò  Masi  albanese, 
colpito  sul  suo  cavallo  sauro  dorato  e  fornito  di  bellissimi 
ornamenti  e  di  pennacchi  bianchi,  da  due  archibugiate 
de'  soldati  nemici  cadde  morto  nel  1530  ai  3  d'agosto 
presso  Pistoia  nella  fresca  età  di  28  anni,  ardito  ed  esperto 
capitano,  bel  guerriero,  di  persona  alto  e  grazioso.  «  Cosi 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI,  28 


422 


C.  ^aptolt 


n 


caddero  i  principali  capitani  della  scellerata  guerra,  esclama 
il  Giovio,  cioè  il  Barbone,  il  Moncada  e  il  principe 
d'Oranges  ». 

Non  parlo  del  cardinal  Pompeo  Colonna,  il  quale  un 
quattro  anni  dopo  l'eccidio  della  sua  patria  ai  28  di  giu- 
gno 1532,  mori  qual  visse  da  eroe  per  una  indigestione 
di  fichi  più  che  di  veleno,  com'altri  disse,  all'età  di  53  anni! 

Un  altro  nome  ancora  è  d'uopo  registrare  in  queste 
necrologie.  Alberto  Pio  da  Carpi,  il  quale  per  le  vicende 
di  queste  guerre  cotanto  infauste  all'Italia,  essendo  stato 
privato  quasi  per  intero  delle  terre  a  lui  infeudate,  venne 
a  Roma  e  fu  fanatico  consigliere,  come  vedemmo,  di  Cle- 
mente VII  e  con  lui  prigioniero  in  Castelsantangelo.  Nato 
nel  1475  ed  inviato  dal  papa  di  fresco  a  Parigi  ambascia- 
tore al  re  di  Francia,  vi  morì  nel  153 1  all'età  di  5^  anni. 

Non  rimane  che  intertenerci  alquanto  sopra  Luigi  Gon- 
zaga conte  di  Sabbioneta,  quel  desso  ch'espugnò  Sanpan- 
crazio  al  Gianicolo  nel  nefasto  giorno  del  6  maggio  1527 
e  fu  soprannominato  il  Rodomonte  per  aver  ucciso  in 
duello  un  moro  di  statura  gigantesca  alla  Corte  dell'impe- 
ratore, onde  gli  venne  il  nome  di  ammazzamori,  matanioros. 
Valente  soldato  ebbe  pur  grido  di  colto  poeta,  leggendosi 
i  suoi  versi  in  ottava  rima  in  lode  di  Ludovico  Ariosto  e 
della  propria  Stella  in  calce  del  poema  dell'Orlando  Fu- 
rioso, tra  le  altre,  nell'edizione  del  1546^  pel  Giolito  de'  Fer- 
rari in  Venezia,  Ma  qui  è  necessario  distinguere  quelle  tra 
le  poesie,  che  sono  del  Rodomonte  o  di  altri  della  stessa 
famiglia  ;  poiché,  come  nota  il  Tiraboschi,  nella  Storia  della 
letteratura  italiana  dal  1^00  al  1600,  Libro  I,  tre  Luigi 
Gonzaga  furono  nel  tempo  medesimo.  Il  primo  figlio  di 
Ridolfo,  il  secondo  di  Giampietro,  il  terzo  è  il  Rodomonte 
figlio  di  Ludovico  o  Luigi  I,  tanto  che  egli  era  Luigi  II 
conte  di  Sabbioneta,  fratello  di  Federico  da  Bozzolo,  che 
già  conosciamo,  di  Pirro  da  Gazzuolo  e  di  Camilla,  cui 
dedicò  una  novella  il  Bandello  e  fu  moglie  del  marchese 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  428 


della  Tripalda.  Stabilita  cosi  la  distinzione  genealogica, 
passiamo  a  veder  l'anno  della  morte,  in  cui  di  nuovo  colla 
confusione  dei  nomi  e  delle  opere  nacque  l'incertezza  della 
data  di  quella.  Del  Rodomonte  il  Muratori  prima  fissò  la 
morte  al  1533  e  poi  sull'autorità  del  Sardi  lo  fé'  ancor 
vivo  nel  1537.  Il  Tiraboschi  aggiunge  :  «  Egli  dopo  aver 
nel  1527  accolto  e  scortato  il  pontefice  Clemente  VII 
nella  sua  fuga  da  Castelsantangelo,  ferito  alcuni  anni  ap- 
presso sotto  Vicovaro  fini  di  vivere  in  età  di  33  anni  e 
il  cadavere  ne  fu  trasportato  a  Fondi  «.  Ravvicinando  col 
Muratori  la  data  della  morte  al  1533  e  col  Tiraboschi 
l'età  di  33  anni,  l'anno  della  nascita  sarebbe  fissato  al 
1500.  Il  diligentissimo  P.  Ireneo  Affo  nel  tessere  le  vite 
dei  Gonzaga  volle  far  distinguere  ciò  che  deve  apparte- 
nere a  ciascuno  dei  Luigi,  massime  le  poesie  attribuibili 
a  più  d'uno  di  essi,  e  disse  ancora  che  il  nostro  Luigi 
ebbe  per  moglie  l'Isabella  o  Lisabetta  Colonna,  duchessa 
di  Traietto  ,  ma  sull'anno  della  morte  sorge  nuovamente 
l'incertezza:  lo  fa  presente  all'assedio  di  Firenze  e  il  fa 
morire  nel  1533;  e  il  Tiraboschi  onde  meglio  stabilirne 
l'epoca,  come  si  narra  da  un  certo  Daino,  autore  di  una 
cronaca  di  que'  tempi  veduta  dal  P.  Affo,  la  fissa  ai  3  di- 
cembre 1532. 

È  certo  poi  che  Luigi  Gonzaga  ebbe  per  moglie  Isa- 
bella Colonna,  figlia  della  bellissima  Giulia  Gonzaga  e  di 
Vespasiano  Colonna,  morto  il  13  marzo  1528,' come  ab- 
biamo notato.  Di  questa  Giulia  cosi  cantò  l'Ariosto  al 
canto  XLVI,  ottava  8: 

lulia  Gonzaga  che,  dovunque  il  piede 
Volge,  e  dovunque  i  sereni  occhi  gira, 
Non  pur  ognaltra  di  beltà  le  cede. 
Ma,  come  scesa  dal  ciel  Dea,  l'ammira. 

Ed  è  pur  certo  che  a  lui  venne  l'Isabella  contrastata  alcun 
tempo  prima,  per  la  disposizione  testamentaria  di  Vespa- 
siano, che  la  dava  ad  Ippolito  de'  Medici  nipote   di  Cle- 


424 


..  Ravioli 


mente;  ma  questi  non  gli  fece  ostacolo  perchè  o  sponte 
o  spinte  abbracciò  la  carriera  degli  onori  ecclesiastici  e 
divenne  cardinale  nel  1529.  Poscia  insorse  più  forte  com- 
petitore in  don  Ferrando  o  Ferrante  Gonzaga,  che  pur 
conosciamo,  il  quale  giunto  in  Bologna  con  1'  Oranges  per 
assistere  alla  celebre  incoronazione  dell'imperatore  ai  13 
novembre  1529,  fece  istanza  a  Carlo  V  e  a  Clemente  VII 
di  sposare  l'allora  ricchissima  Isabella.  L' imperatore  assenti 
e  l'esito  della  domanda  dipendea  dal  papa  e  dal  cardinale 
Giovanni  Salviati.  Appena  che  il  seppe  Luigi  commise  al 
congiunto  Gianfrancesco  Gonzaga  detto  il  Cagnino  di  ac- 
correre a  suo  vantaggio  e  questi  presentò  documenti  che 
comprovarono  già  contratti  gli  sponsali  tra  Luigi  ed  Isa- 
bella con  sorpresa  di  Ferrando  e  de'  suoi  fautori.  Il  docu- 
mento più  saliente  datato  degli  11  aprile  1528  comincia: 
Io  Isabella  Colonna  dico,  confesso  e  giuro  per  lo  Dio  onnipo- 
tente come  ho  preso  per  mio  legittimo  sposo  lo  Illustrissimo 
Signor  Luigi  Gonzaga,  e  cosi  li  ho  dato  fede  di  non  torre 
altro  marito  mentre  che  sua  Signoria  stia  in  vita....  Ciò  non 
tolse  le  difficoltà;  sebbene  Luigi  si  recasse  egli  ancora  in 
Bologna  e  il  pontefice,  memore  del  viaggio  d'  Orvieto,  gli 
si  mostrasse  favorevole,  pure  non  potè  recarsi  presso  di 
lei  consigliato  ad  andare  prima  all'impresa  di  Firenze, 
ond'egli  la  confortò  con  iscritti  e  con  un  sonetto  ad  imi- 
tare l'esempio  di  Penelope.  Tutto  questo  ci  dice  Gaetano 
Giordani  nel  suo  libro  :  Della  venuta  e  dimora  in  Bologna 
del  s.  p.  Clemente  VII  per  la  coronazione  di  Carlo  V  impe- 
ratore, celebrata  l'anno  MDXXX. 

Tale  fermezza  infatti  fu  esaltata  dall'Ariosto  nel  suo 
poema  al  canto  XXXVII,  ottave  8,  9,  io,  11,  12  ov'egU 
dice: 


L'amor,  la  fede,  il  saldo  e  non  mai  vinto 

Per  minacciar  di  stragi  e  di  ruina, 

Animo  ch'Isabella  gli  ha  dimostro, 

Lo  fa  assai  più,  che  di  sé  stesso,  vostro,  ecc. 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  426 

Patrocinava  inoltre  la  causa  presso  il  papa  anche  il  fra- 
tello o  parente  di  lui  cardinal  Pirro  o  Pietro  che  con  let- 
tera degli  8  aprile  1528,  che  leggesi  tra  quelle  dei  Principi 
al  libro  III,  esclama  :  «  Alcuni  vorriano  mettere  le  mani 
in  questa  giovene  per  assassinarla....  »  Altre  difficoltà 
nacquero  per  l'eredità,  poiché  Vespasiano  era  morto  senza 
maschi.  Il  papa,  secondo  l'umor  suo  solito,  che  attirava 
calamità,  fece  occupare  Paliano  ed  altre  terre  possedute 
dalla  vedova  per  consegnarle  agli  sposi  nel  giorno  del 
matrimonio.  Ascanio  Colonna  e  Prospero  di  Cave  pre- 
tendevano alla  successione  e  le  due  donne  da  ricchissime 
eran  restate  senza  nulla  né  in  fondi  né  in  rendite.  Onde 
si  scriveva  al  Rorario:  «  Né  la  signora  Julia,  né  la  si- 
gnora Isabella  hanno  assegnamento  alcuno,  donde  vi- 
vere.... »  e  in  altra  lettera  :  «  Le  povere  signore  stentano, 
et  Nostro  Signore  non  può  provederle,  secondo  sana  il 
bisogno  loro...  »  Nel  maggio  le  cose  non  erano  ancor 
decise,  anzi  avevano  peggiorato  ;  imperocché  Prospero  avea 
adunato  un  corpo  d'armati,  fra'  quali  Sciarra  suo  agnato 
e  nel  mese  suddetto  prese  Paliano,  scacciandovi  il  presidio 
pontificio.  Clemente  VII,  che  dove  metteva  le  mani  dava 
fuoco  credendo  di  porre  acqua,  deliberò  di  aizzarvi  Na- 
poleone Orsini  abbate  di  Farfa,  e  costui  con  forze  supe- 
riori ricuperò  quella  fortezza  e  ne  fece  prigionieri  i  difen- 
sori, tra  cui  Prospero  e  Sciarra,  benché  quest'ultimo  po- 
tesse fuggire  per  opera  di  Luigi  Gonzaga.  Quindi  ne  derivò 
guerra  tra  Colonnesi  ed  Orsini,  e  quelH  invasero  l'abbadia 
di  Farfa,  Tivoli  ed  Anagni.  Il  nostro  Luigi  Gonzaga,  che 
dovea  lasciar  correre  le  cose  e  non  imbarazzarsene,  cre- 
dette bene,  autorizzato  o  no,  di  prendervi  parte.  Per  lo 
che  nei  Ritratti  et  Elogi  di  Capitani  illustri  (Roma,  164^) 
si  legge  :  «  Luigi  Gonzaga  detto  Rodamonte....  il  con- 
dusse ad  Orvieto  et  ivi  fu  da  esso  eletto  suo  Generale, 
e  mandato  poco  appresso  contra  l'Abbate  di  Farfa,  che  gli 
era  disubbidiente,  e  che  con  assai  gente  in  Vicovaro  si  era 


426 


e.  T^avioli 


fatto  forte;  ove  egli,  con  duro  assedio  stringendolo,  fu 
d'una  archibugiata  ferito  nella  spalla  sinistra,  et  in  termine 
di  quattro  giorni  morto,  d'anni  trentatre,  il  1528  ». 

Per  intendere  questo  inviluppo  è  d'uopo  osservare,  e 
parecchie  lettere  della  raccolta  dei  Principi  al  libro  III  il 
provano,  che  il  così  detto  abbate  di  Farfa,  preso  che  egli 
ebbe  le  armi,  d'ordine  di  Clemente,  cominciò  a  taglieg- 
giare amici  e  nemici  ed  incendiar  terre  così  che  il  papa 
e  la  Corte  ne  impaurirono.  Nell'agosto  1528  si  spinse  per 
Arsoli  e  Tagliacozzo  e  incontratosi  con  Scipione  Colonna, 
vescovo  di  Rieti,  che  con  armati  procedea  negli  Abruzzi 
per  cacciarne  i  Francesi,  presso  Magliano,  terra  a  setten- 
trione del  lago  di  Fucino,  nel  combattimento  lo  disfece, 
uccise  il  Colonnese,  vescovo  e  nipote  del  cardinal  Pompeo 
con  400  de'  suoi  e  fece  circa  800  prigionieri.  Da  ciò  i 
Colonnesi  infuriarono  maggiormente  contro  il  papa  tanto 
che  nell'ottobre  dello  stesso  anno  si  era  giunti  al  punto 
che  d'ordine  del  papa,  il  quale  ai  6  di  quel  mese  era  tor- 
nato a  Roma,  si  scrisse  al  vescovo  di  Terracina  che  si 
sonasse  campana  a  martello,  si  desse  dentro  e  si  disfaces- 
sero le  bande  dell'abbate.  E  costui  coi  suoi  si  accostò  a 
Napoli  per  recar  soccorso  ai  pericolanti  Francesi,  coman- 
dati dal  Lautrec.  Così  in  breve  si  riportò  quiete  tra  le  due 
famighe  nemiche  (i).  Ma  Luigi  Gonzaga  se  pur  fu  ferito 


(i)  Ecco  in  che  modo  sono  raccontate  le  particolarità  di  questo 
episodio  luttuoso,  in  cui  v'ebbe  posto  le  mani  Clemente  VII,  dopo 
la  prigionia.  Ne  do  alcuni  brani  tradotti  dal  cap.  XXXIII  Cherubini 
Mirtii  Trevirensis  Chronicon  Suhlacmse.  (1626),  veggasi  V Archivio  sto- 
rico ecc.  della  città  e  provincia  di  Roma,  diretto  da  Fabio  Gori,  Roma, 
gennaio  1881,  anno  VII,  voi.  IV,  fase.   5,  pag.  195  : 

«  Napoleone,  figlio  di  Giordano  Orsini  abbate  di  Farfa  si  pose 
in  testa  nel  1528  di  ricuperare  dai  Colonnesi  i  paesi  presso  il  lago 
di  Fucino.  Clemente  a  danno  dei  Colonnesi  mandò  truppe  di  Ti- 
burtini  e  Spoletini  e  loro  aggiunse  Amico  Orsini  signore  d'Ascoli 
(non  d'Arsoli  come  vìen  detto).  Cosi  a  Napoleone,  che  avea  chia- 
mato e  trattato  con  onore,  die  il  papa  il  vessillo  ecclesiastico  quadro 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  427 

sotto  Vicovaro  non  ne  moriva,  né  la  vertenza  del  matri- 
monio s'era  ancora  appianata,  poiché  colla  data  del  27 
agosto  1529  si  scriveva  da  Roma  a  monsignor  il  vescovo 
di  Vasona  :  «  Ho  scritto  già  per  un'altra  a  vostra  Signoria, 
quanto  mal  satisfatta  si  trova  sua  Santità  del  signor  Aluigi 
Gonzaga,  ^però  havendo  presentito,  che  anco  sua  Signoria 
è  per  far  diligentia  d'ottener  da  Sua  Maestà  d'averla  per 
moglie,  m'  ha  commesso  scriva  a  vostra  Signoria,  che  se 
li  attraversi,  et  tagli  la  via  d'ogni  speranza  con  la  Maestà 
sua,  benché  sua  Santità  tenghi  per  certo,  che  la  non  con- 
senterla  metter  quella  Signora  nel  fuoco,  come  saria,  dan- 
dola ad  esso  S.  Luigi  con  malissima  contentezza  di  tutta 
la  casa  », 

Purtuttavia  é  certo  che  potè  unirsi  all'Isabella  e  n'ebbe 
un  figlio  che  si  chiamò  dal  nome  del  padre  di  lei  Vespa- 
siano Gonzaga,  giovane  pur  esso  coltissimo,  valorosis- 
simo e  poeta,  che  si  trovò  poi  nelle  guerre  dei  Caraffii 
e  fu  ferito  nell'espugnazione  del  castello  d'  Ostia.  Ma  la 
vita  prima  tempestosa,  poscia  soddisfatta  dell'espugnatore 
di  Sanpancrazio  non  fu  lunga.  Stando  alle  date  offerteci 
dal  Muratori  e  dall' Affò  non  si  può  protrarre  la  sua  morte 


con  croce  rossa  in  campo  bianco,  perchè  debellati  Scipione  nipote 
di  Pompeo  e  gli  altri  Colonna  prendesse  Subiaco. 

«  Scipione  reggeva  allora  l'abbazìa  di  Subiaco  ed  era  fatto  vesco\'o 
di  Rieti,  buttò  la  stola  e  vesti  l'arme. 

«  Ai  27  di  giugno  vennero  alle  mani,  Napoleone  fu  distrutto  e 
potè  salvarsi,  preso  ed  ucciso  il  vessillifero  e  il  vessillo  posto  nella 
chiesa  di  Santa  Scolastica.  Ma  Napoleone  non  si  die  per  vinto.  Ra- 
dunò i  suoi,  tornò  a  guerra  e  presso  Magliano  ai  confini  dei  Marsi, 
Scipione  audace  si  espose  troppo,  venne  a  duello  con  Amico  d'Ar- 
soli e  restò  ucciso.  Quindi  gli  Orsini,  avuta  vittoria,  fugati  i  Subla- 
censi  e  i  Colonnesi,  andarono  a  Subiaco  e  l'incendiarono. 

«  Amico  d'Arsoli  non  godè  molto  di  tal  morte  di  cui  si  die 
vanto;  che  nel  1530  presso  Gavinana  fatto  prigione  nella  guerra 
di  Firenze,  da  Marzio  Colonna,  nipote  di  Scipione,  atrocemente  fu 
messo  a  pezzi  ». 


428 


C.  T{avioli 


n 


al  di  là  del  1533,  e  tenendo  a  calcolo  la  nota  del  Tira- 
boschi,  ai  3  dicembre  1532.  Con  la  costui  fine  si  sciolse  il 
nodo  del  matrimonio  dell'  Isabella,  ma  non  delle  avventure 
che  colpirono  la  sventurata  famiglia  ;  triste  retaggio  di  quel 
secolo  di  ferro  e  poco  d'oro,  •  sebbene  per  tale  decantato 
dagli  artisti  e  dai  poeti.  E  vero  che  la  vedova  Isabella, 
non  so  se  felice  o  no,  se  a  lungo  o  per  corto  tempo, 
passò  in  seconde  nozze  con  Filippo  di  Lannoy  principe 
di  Solmona  e  figho  del  famoso  Carlo  di  Lannoy,  viceré 
di  Napoh;  ed  è  pur  vero  che  la  Giulia  madre  e  vedova 
di  Vespasiano  si  disposò  pur  essa  dopo  il  153^  a  Giu- 
liano III  Cesarini,  e  da  una  lettera  di  Annibal  Caro  si 
rileva  ch'essa  viveva  a  NapoH  nel  155 1.  Ma  è  pur  vero 
che  altre  terribili  scosse  ebbe  a  soffrire  quest'ultima  du- 
rante lo  stato  di  sua  vedovanza,  oltre  a  tante  perdite  com- 
presa quella  dei  beni,  che  non  so  se  mai  più  riacquistasse. 
Nel  1534  il  celebre  corsaro  turco  Barbarossa  cercò  pre- 
darla a  Fondi,  ond'ella  mezzo  nuda  dovette  fuggire  per 
non  essere  colta.  Lascio  al  Muratori  la  narrazione  del 
fatto  :  «  Dimorava  in  Fondi  Giulia  Gonzaga  moglie  di 
Vespasiano  Colonna  duca  di  Traietto  e  conte  di  Fondi. 
Voce  correa  che  in  bellezza  ella  superasse  tutte  le  altre 
donne  d' Italia.  Ne  giunse  fama  sino  al  Barbarossa,  il  quale 
perciò  si  mise  in  pensiero  di  fare  quella  caccia  per  voglia 
di  presentare  al  Gran  Signore  una  si  vaga  preda.  Gli  andò 
fallito  il  colpo.  Mentr'egli  con  due  mila  Turchi  sbarcati 
era  dietro,  una  notte,  a  scalare  le  mura  di  Fondi,  sve- 
gliata la  giovine  Duchessa,  e  conosciuto  il  pericolo,  ebbe 
tempo  di  fuggire  e  di  salvarsi  il  meglio  che  potè  fuori 
della  terra,  lasciando  scornato  il  barbaro  cacciatore,  il  quale 
infierì  poscia  contro  i  poveri  abitanti  ». 

A  questa  terribile  avventura,  di  cui  un  autor  primo 
deve  esservi  stato  più  potente  della  fama  della  bellezza  di 
Giulia,  altra  ne  seguì  non  meno  orribile.  L' infelice  quanto 
bella  duchessa  veniva  corteggiata  fin  dal  1530,  comesi  ri- 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  429 

leva  da  una  lettera  dell'epistolario  di  Claudio  Tolomei, 
dal  cardinale  Ippolito  de'  Medici;  in  questo  modo  sembra 
trapelarsi  una  ragione  della  costui  carriera  al  cardinalato 
e  della  rinunzia  alle  nozze  dell'  Isabella.  Spesso  egli  an- 
dava da  Itri  a  Fondi  a  trovarla;  ma  nel  giorno  io  ago- 
sto 1535  preso  in  viaggio  da  dissenterìa  e  da  doglie  in  13 
ore  se  ne  morì.  Era  veleno  propinatogli  dallo  scalco  Gio- 
vanandrea  del  Borgo  a  San  Sepolcro  per  opera,  tutti  ac- 
certano, dell'  infame  figlio  bastardo  di  Lorenzo,  Alessandro 
de'  Medici,  duca  di  Firenze,  il  quale  in  breve,  cioè  nella 
sera  dell'Epifania  del  1537  fu  scannato  dal  famoso  suo  pa- 
rente Lorenzo,  o  Lorenzino,  o  Lorenzaccio,  com'ei  venne 
chiamato,  avendo  a  compagno  Michele  Tavolaccino  per 
soprannome  detto  Scoronconcolo  ;  il  qual  Lorenzo  a  sua 
volta  fu  pugnalato  da  due  sicari  del  successore  Cosimo 
a  Venezia  nel  1547.  A  notizie  così  orribili  i  cardinali 
de' Pucci,  de' Monti,  Salviati,  Ridolfi  e  de' Caddi  col  16 
gennaio  1537  scrissero  al  cardinal  Cybo  lettera  dolentis- 
sima deplorando  ad  un  'tempo  la  fine  d' Ippolito  e  di  Ales- 
sandro; ma  non  mancò  chi  nella  Corte  papale  stessa  col 
15  marzo  dello  stesso  anno  non  esclamasse:  «  L'opera 
gloriosa,  che  ha  fatto  Lorenzo  de'  Medici  Bruto  secondo, 
et  il  comune  obbligo,  che  dovemo  di  ciò  haverli,  mi  sforza 
a  non  pensare  ad  altro  che  ad  adorarlo  !....  » 

Siamo  alla  fine.  Dopo  quest'opere  di  sangue,  che  non 
han  riscontro  che  nella  famiglia  d'  Edipo  e  dopo  le  scia- 
gure di  Roma  e  di  Firenze,  la  parte  sana  dei  Romani  e 
dei  Fiorentini  dovea  sopportare  con  rassegnazione,  fatto 
gettito  degU  averi  e  della  propria  libertà,  per  tre  secoli 
r  infame  genìa  dei  Medici  dannosa  all'  Italia  finché  non  si 
spense,  più  che  noi  furono  le  cavalleresche  gelosìe  e  va- 
nità del  francese  Francesco  di  Valois  e  l'ambizione  del- 
l'ipocrita e  crudele  guantese  Carlo  d'Austria;  vita,  averi 
e  libertà,  di  cui  doveva  esser  solo  privato  la  causa  effi- 
ciente di  tante  sventure,  il  più  abominevole  degli  uomini. 


43o  C.  Traviali 

il  più  indegno  de'  papi,  più  del  Borgia  che  è  tutto  dire, 
il  bugiardo  e  vendicativo  Clemente  VII,  quel  Giulio,  che 
nato  illegittimamente  dall'ucciso  Giuliano  de'  Medici,  at- 
tossicò còlle  sue  gesta  tutta  Italia  e  dopo  averla  vitupe- 
rata e  infradiciata,  gloriosamente  si  compiacque  dell'opera 
sua  di  sangue,  sedendo  tranquillo  per  altri  otto  anni  in 
Vaticano  (i).  Secolo  delle  arti  e  delle  lettere  quello  dei  Me- 
dici dai  vili  adulatori  fu  detto!  Oh  i  poeti  e  gh  artisti! 
Secolo  dovria  chiamarsi  di  glorie  e  di  sagrifici  italiani, 
dalle  infamie  medicee  sfruttato  e  svergognato.  —  Quest'  è 
la  fine  degli  aneddoti,  proseguiamo  il  racconto  e  ne  ve- 
dremo delle  altre. 

Non  è  di  mia  pertinenza  estendermi  ora  sulle  opera- 
zioni del  Lautrec,  autore  principale  della  partenza  delle 
armi  cesaree  da  Roma;  solo  accennerò  quel  tanto  che 
basti  a  chiarire  i  fatti  principali,  che  dan  luce  agli  avve- 
nimenti futuri.  E  comincerò  dal  dire  che  il  i8  di  otto- 
bre 1527  egli  passava  il  Po,  incontro  a  Castel  Sangio- 
vannì  con  1500  Svizzeri,  altrettanti  Tedeschi  e  6  mila  tra 
Francesi  e  Guasconi,  aspettandovi  altri  fanti  tedeschi  per 
completarsi  e  facendo  entrare  nella  nuova  lega  il  ducadi  Fer- 
rara, e  il  marchese  di  Mantova.  Ai  primi  del  1528  fu  tentato 
di  nuovo  Clemente  ad  entrare  nella  confederazione  capita- 

(i)  I  miei  Nove  da  Sangalh,  Roma  1863,  pag.  9  in  nota.  «Rela- 
zione di  Antonio  Giamberti  da  Sangallo  sulla  nascita  di  Giulio  »  — 
Sulla  morte,  n^VC Archivio  storico  sopracitato  al  fase.  6"  a  pag.  249 
si  legge  del  Micinocchi  —  De  Clemcntis  VII  Pont.  Max.  ohitu  — 
terminando  il  discorso  con  questo  distico: 

Conditur  hoc  tumulo  Clemens  qui  jura  fidemque 
Perdidit  et  miseras  urbis  et  orbis  opes. 

Gli  consacra  inoltre  un  capitolo  con  molti  altri  distici,  il  primo  dei 
quali  a  pag.  252   dice: 

Clementem  eripuit  nobis  clementia  fati, 
Humanum  tota  gaudeat  orbe  gemisi 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  481 

nata  dal  Lautrec,  ma  resistette  con  buone  ragioni,  impe- 
rocché allora  si  cercava  di  stringer  pace  con  Carlo  V;  ma 
rotta  a  un  tratto  ogni  trattativa,  si  tornò  di  nuovo  alle 
armi.  Il  9  di  gennaio  il  Lautrec  partito  da  Bologna  s'in- 
dirizzò co' suoi  pel  cammino  della  Romagna  e  delle  Marche 
proseguendo  pel  Tronto  nel  regno  di  Napoli.  Si  arresero 
ben  presto  Teramo  e  Giulianova,  Aquila  e  Civitella,  e 
in  poco  tempo  tutti  gli  Abruzzi.  Allora  uscirono  di  Roma 
e  di  Corneto  tutte  le  genti  imperiali,  che  ancora  infesta- 
vano il  territorio  romano. 

Agli  8  di  marzo  Lautrec  era  a  Nocera  Tirinese,  e  sca- 
ramucciando ai  tre  di  aprile  giungeva  a  Grottaminarda 
presso  Ariano,  arrendendosi  in  breve  Capua,  Nola,  Acerra, 
Aversa  distante  sette  miglia  dalla  capitale.  Quindi  il  17 
era  giunto  a  Saviano  e  ai  29  si  avanzò  a  mezzo  miglio 
da  Napoli,  la  quale  strinse  d'assedio,  ma  non  credette  fal- 
cile procedere  all'espugnazione  né  del  monte  né  della 
città;  perlochè  cercò  privarla  delle  vettovaglie,  che  per 
terra  potessero  andarvi,  scaramucciando  spesso,  nel  che 
grandi  lodi  ne  riportavano  le  bande  nere  capitanate  da 
Orazio  Baglioni:  in  questa  giunsero  ottanta  uomini  d'arme 
del  marchese  di  Mantova  e  cento  del  duca  di  Ferrara. 
Gl'imperiali  allora  concepirono  il  disegno  di  andar  co' legni 
loro  a  rompere  Filippino  Doria  nel  golfo  di  Salerno,  per 
tal  modo  avrebbero  reso  libero  il  mare.  Fu  però  questa 
fazione  infelice  per  gli  Spagnuoli;  che  rimasero  uccisi  nel- 
l'assalto don  Ugo  di  Moncada  nella  galea  capitana,  e  nel- 
l'affondarsi  della  galea  gobba  peri  il  Fieramosca,  e  nella 
galea  quasi  affogata  ed  arsa,  che  fu  catturata,  venne  preso 
il  marchese  del  Vasto,  Ascanio  e  Camillo  Colonna,  il  prin- 
cipe di  Salerno,  il  Santacroce  ed  altri.  Questa  vittoria 
privò  la  città  di  vettovagliarsi  per  mare,  essendo  questo 
in  potere  degli  alleati. 

In  questo  modo  stretti  gì'  imperiali  da  terra  e  da  mare 
davano  speranza  agli  alleati  che  per  diffalta  di  viveri  non 


432  C,  n^moli 

tarderebbero  essi  ad  arrendersi,  mentre  il  Lautrec  con 
trinceramenti  qua  e  colà  interrompea  il  foraggiare,  ma  non 
al  punto  che  potesse  totalmente  impedirlo.  La  negligenza 
con  cui  quest'opere  eran  guardate,  portò  che  un  giorno 
standovi  con  breve  manipolo  delle  bande  nere  il  prode  di- 
fensor  di  Roma  Orazio  Baglioni,  ei  vi  restò  ucciso  difenden- 
dosi più  che  da  capo  da  soldato;  e  la  frequenza  con  cui  i  suoi 
valorosi  erano  adoperati  in  rischiose  fazioni  condusse  che 
da  tremila  fosser  ridotti,  tra  feriti,  ammalati  e  morti,  a  due 
mila.  A  queste  sventure  s'aggiungeva  che  il  Lautrec,  in- 
caponito che  i  nemici  si  dovessero  arrendere,  portava  a 
lungo  l'assedio  senza  voler  tentare  un  assalto,  e  senza  far 
concludenti  lavori  d'approccio.  La  peste  intanto  mieteva 
le  sue  vittime  dall'una  parte  e  dall'altra;  Andrea  Doria 
seguito  poi  da  Filippino  s'era  ritirato  a  Genova  e  quindi 
messosi  al  servizio  dell'imperatore,  e  le  galere  veneziane 
eransi  allontanate  anch'esse  per  vettovagliarsi  in  Calabria; 
così  restando  aperto  il  mare,  entrarono  nel  golfo  di  Na- 
poli molte  fregate  con  provvigioni.  A  questi  mali  s'ag- 
giunse ancora  che  infermasse  gravemente  il  Valdemonte 
e  poscia  il  Lautrec;  quindi  cominciarono  i  disordini  nel 
campo  e  il  correre  delle  partite  degl'  imperiali  senza  ostacolo 
per  la  campagna;  cadde  prigione  Ugo  Pepoli  ch'era  su- 
bentrato al  Baglioni,  gli  assediatori  ridotti  ad  allontanarsi 
di  qualche  miglio,  aspettando  i  soccorsi,  divennero  quasi 
essi  stessi  nel  lor  campo  assediati;  né  valse  il  Lautrec,  al- 
quanto ristabilito,  a  restaurare  le  cose  anche  per  le  infer- 
mità, cui  soggiaceano  molti  de'  suoi.  GÌ'  imperiali  resi 
ognor  più  audaci  ruppero  colle  frequenti  scorrerie  della 
loro  cavalleria  ogni  commercio  tra  il  campo  e  le  galere 
de'  Veneziani,  che  eran  nel  golfo  tornate,  e  per  colmo  di 
sventura  tra  il  15  e  il  16  agosto  1528  mori  Lautrec  e 
poco  dopo  Valdemonte.  Da  questo  punto  peggiorò  ogni 
cosa  di  modo  che  presi  il  Navarro  e  molti  altri  capi,  ca- 
pitolato Guido  Rangoni,  morto  di  cannonata  il  marchese 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnnì  433 

di  Saluzzo  (i),  abbandonata  Aversa  agl'imperiali  con  ac- 
cordo di  ritirarsi,  lasciando  bandiere,  armi  e  cavalli,  i  soc- 
corsi che  venian  dagli  Abruzzi  ritiraronsi  e  non  restò  ai 
confederati  che  qualche  terra  di  Puglia  e  di  Calabria. 
Cosi  ebbe  fine  l' impresa  di  Napoli  ;  e  dell'  imperatore  e 
della  Spagna  si  rese  certa  la  fortuna,  e  l'Oranges  vitto- 
rioso si  fece  strada  a  future  imprese,  assicurando  il  reame 
sulla  famosa  piazza  del  Mercato  con  terribili  supplizi  e 
decapitazioni,  aiutato  in  ciò  del  ben  noto  Girolamo  Morone. 
Allo  sventurato  Lautrec  non  restò  che  il  compianto,  e 
i  solenni  funerali,  che  ogni  anno  si  celebrarono  per  lungo 
tempo  in  Roma  nella  chiesa  di  Sant'Angelo  vicina  al  cor- 
ritore  di  Castello  e  in  San  Luigi  de'  Francesi  nell'ottobre, 
bandendosi  dall'altare  ad  alta  voce:  Per  l' anima  di  Monsieur 
Lautrecco  Liberatore  di  quest'alma  città,  e  decretato  dal  Se- 
nato Romano  in  Campidoglio  l'anniversario  con  pompa 
reale  in  San  Giovanni  in  Laterano.  Il  corpo  di  lui  venne 

(i)  Michele  Antonio,  figlio  di  Ludovico  II  marchese  di  Saluzzo, 
fu  ai  servìgi  dei  re  di  Francia  Luigi  XII  e  Francesco  I.  Nelle  guerre 
d'Italia  comandò  l'avanguardia  alla  battaglia  di  Marignano  ed  era 
presente  alla  battaglia  di  Pavia.  Fu  rimandato  in  Italia,  come  abbiam 
visto,  a  comandare  un  piccolo  esercito  francese  nella  lega  fatta  da 
Clemente  VII;  fu  sempre  ai  fianchi  di  Francesco  Maria  I  della  Ro- 
vere, finché  venne  il  Lautrec,  col  quale  entrò  nelle  provincie  meri- 
dionali per  attirare  l'esercito  saccheggiatore  lontano  da  Roma  ;  ma 
destino!  Egli  pure  pagò  il  tributo  di  sangue  in  quella  guerra  male- 
detta, da  cui  doveva  uscire  la  onnipotenza  di  Carlo  V  e  il  servaggio 
d'Itaha.  Colpito  da  una  palla  di  cannone  nell'espugnazione  di  Aversa 
a  40  anni  morì  nel  1528  e  fu  sepolto  in  Roma  nella  chiesa  d'Ara- 
coeli,  ove  leggesi  il  seguente  epitaffio  : 

Michaeli  Antonio  Marchioni  Salutìarum 
qui  a  Francisco  I  Galliai'.'  Rege  in  Itatiam  ciitn  exercitti 
missus  iit  Romani  a  Karolo  Borbonio  Caes.  copiar,  praefecto 
captam,  et  Ctementem  VII  poni,  in  Hadriani  mote  ohsessum 
liberaret,  ad  hostes  ab  urbe  avertendos  Neapol.  profectus, 
in  expugnatione  Aversae  tormento  bellico  ictus  obiit 
Anno  sai.  MDXXIIX  aetatis  suae  XL. 


434  e.  'Traviali 

sepolto  in  Napoli  nella  chiesa  di  Santa  Maria  Nuova.  Il 
Cancellieri,  che  riporta  queste  memorie,  aggiunge  ancora 
che  Ferrante  di  Cordova  duca  di  Sessa  gli  eresse  il  sepolcro 
a  proprie  spese  con  questa  iscrizione  : 

ODETTO    FUXIO  LAUTRECCO 

CONSALVUS  FERDINANDUS  LUDOVICI  FIL.  CORDUBA 

MAGNI  CONSALVI  NEPOS 

CUM    EJUS    OSSA    aUAMVIS    HOSTIS    IN   AVITO    SACELLO 

UT   BELLI  FORTUNA  TULERAT 

SINE   HONORE    JACERE    COMPERISSET 

HUMANARUM  MISERIARUM  MEMOR 

GALLO  DUCI  HISPANUS  PRINCEPS  POSUIT. 

Clemente  VII,  che  covando  un  pensiero  sinistro,  si  era 
contenuto  dal  rientrare  in  lega  contro  Carlo  V,  afferrò  la 
fortuna  della  morte  del  liberatore  della  città  per  dichiararsi 
imperialista  e  dopo  uno  scambio  di  lettere  e  d' idee  venne 
il  29  giugno  1529  nel  famoso  accordo  di  Barcellona.  Prendo 
dal  Guicciardini  gli  articoli  di  esso  e  do  qui  quella  parte 
che  più  può  interessarne  il  racconto.  «  Che  tra  il  Ponte- 
fice e  Cesare  fusse  pace  e  confederazione  perpetua.  Conce- 
desse il  Pontefice  il  passo  per  le  terre  della  Chiesa  all'eser- 
cito cesareo,  se  volesse  partire  dal  regno  di  Napoli  :  Cesare 
per  rispetto  del  matrimonio  nuovo  e  per  la  quiete  d' Italia 
rimetterà  in  Firenze  il  figliuolo  di  Lorenzo  de'  Medici  nella 
medesima  grandezza,  che  erano  i  suoi  innanzi  fussero 
cacciati,  avuto  nondimeno  rispetto  delle  spese  farà  per  la 
detta  restituzione,  come  tra  il  Papa  e  lui  sarà  dichiarato. 
Curerà  il  più  presto  si  potrà^  o  con  l'arme,  o  in  altro  modo 
più  conveniente,  che  il  Pontefice  sia  reintegrato  nella  pos- 
sessione di  Cervia  e  di  Ravenna,  di  Modena  di  Reggio  e 
di  Rubiera  senza  pregiudizio  delle  ragioni  dell'  Imperio  e 
della  Sedia  apostolica.  Concederà  il  Pontefice,  riavute  le 
Terre  predette,  a  Cesare  per  rimunerazione  del  beneficio 
ricevuto  la  investitura  del  regno  Napoletano,  riducendo  il 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  435 

censo  dell'ultima  investitura  a  uno  cavallo  bianco  per  reco- 
gnizione  del   Feudo,  e   gli  concederà  la   nominazione   di 
ventiquattro  chiese  cattedrali,  delle  quali  era  in  controversia, 
restando  al  Papa  la  disposizione  delle  chiese,  che  non  fus- 
sero  di  Padronato  e   degli   altri   beneficii.  Il   Pontefice   e 
Cesare  quando  passerà  in  Italia,  si  abbocchino  insieme  per 
trattare  la  quiete  d' Itaha,  e  la  pace  universale  de'  Cristiani, 
ricevendosi  l'uno  l'altro  con  le  debite  e  consuete  cerimonie 
e  onore.  Cesare,  se  il  Pontefice  gli  dimanderà  il  braccio 
secolare  per  acquistare  Ferrara,  come  avvocato,  protettore 
e  figliuolo  primogenito  della  Sedia  apostolica,  gli  assisterà 
insino  alla   fine   con  tutto  quello  che  sarà  all'ora  in    sua 
facoltà,  e  converranno  insieme  delle  spese,  modi,  e  forme 
da  tenersi  secondo  le  qualità  dei  tempi  e  del  caso.  Il  Pon- 
tefice e  Cesare  di  comune  consiglio  penseranno  a  qualche 
mezzo  perchè  la  causa  di  Francesco   Sforza  si  vegga  di 
giustizia  legitimamente,  ecc.  Promette  Cesare,  che  Ferdi- 
nando re  d'Ungheria  suo  fratello  consentirà  che  vivente  il 
Pontefice  e  due  anni  poi,  il  Ducato  di  Milano  piglierà  i 
sali  di  Cervia,  secondo  la  confederazione  fiuta  tra  Cesare 
e  Leone,  confermata  nell'ultima  investitura  del  regno  di 
Napoli,  non  approvando  perciò  la  convenzione  fattane  col 
re  di  Francia  e  senza  pregiudizio  delle  ragioni  dello  Im- 
perio e  del  re  d'Ungheria.  Non  possa  alcuno  di  loro  in 
pregiudizio  di  questa  confederazione  quanto  alle  cose  d'  I- 
talia  fare   leghe  nuove,  né  osservare  le  fatte   contrarie  a 
questa  :  possano  nondimeno  entrarvi  i  Viniziani,  lasciando 
quello  posseggono   nel   regno   di   NapoH,   e   adempiendo 
quello  che  sono  obligati  a  Cesare  e  a  Ferdinando  per  l'ul- 
tima confederazione  fatta  tra  loro,  e  rendendo  Ravenna  a 
Cervia,  riservate  eziandio  le  ragioni  de'  danni  e  interessi 
patiti  per  conto  di  queste  cose,  ecc....  la  quale  amicizia  e 
congiunzione  perche  fusse  più  stabile,  la  confermarono  con 
stretto  parentado,  promettendo  Cesare  di  dare  per  moglie 
Margherita  sua  figliuola  naturale,  con   dote  di  entrata  di 


436 


\avioli 


venti  mila  ducati  l'anno  ad  Alessandro  de'  Medici  figliuolo 
di  Lorenzo  già  duca  di  Urbino,  al  quale  il  Pontefice  dise- 
gnava di  volgere  la  grandezza  secolare  di  casa  sua:  per- 
chè del  tempo  che  era  stato  in  pericolo  di  morte  aveva 
creato  cardinale  Hippolito  figUuolo  di  GiuUano,  ecc.  L' im- 
peratore fin  dal  maggio  1529  avea  fatto  conoscere  vo- 
lesse passare  in  Italia,  e  alla  fine  d'agosto  il  papa  facendo 
scrivere  al  vescovo  di  Vasona  e  nel  desiderare  la  venuta 
dell'  Imperatore  in  Italia  fin  gli  accennava  Bologna  come 
città  opportuna  all'abboccamento  e  alla  coronazione  ». 

Nulla  vo'  dire  degli  apprestamenti  di  viaggio  sì  del- 
l'uno che  dell'altro;  in  che  modo  Carlo  V  sbarcasse  a  Ge- 
nova il  12  di  agosto  1529,  e  Clemente  VII  partisse  da  Roma 
il  7  di  ottobre  con  sedici  cardinali  e  giungesse  a  Bologna 
il  23.  Né  come  il  5  novembre  entrasse  in  questa  città  il 
rammaricatissimo  autore  del  sacco  di  Roma  e  vi  trovasse 
l'agitato  prigioniero  di  Castelsantangelo,  ambidue  pom- 
posamente vestiti  e  più  pomposamente  corteggiati  dai  prin- 
cipi italiani  ed  esteri,  quando  l'uno  si  prostrò  al  bacio  dei 
piedi  dell'altro  ed  entrambi  si  baciarono  sulle  guancie.  Leg- 
gasi la  Cronaca  di  Gaetano  Giordani  edita  in  Bologna 
nel  1842.  Mio  compito  è  d'accennare  ad  altri  avvenimenti 
contemporanei. 

All'accordo  di  Barcellona  era  succeduta  la  pace  di  Cam- 
bray,  conclusa  tra  l'imperatore  e  il  re  Francesco  il  5  di  agosto, 
nella  quale  non  si  parlò  affatto  dei  Fiorentini,  commetten- 
dosi invece  da  Carlo  V  al  principe  d'Oranges  d'assaltare  a 
requisizione  di  Clemente  VII  lo  Stato  fiorentino;  e  questi 
già  coirOranges  s'era  abboccato  in  Roma  il  31  di  lugHo; 
e  il  30  agosto  a  Genova  indarno  Firenze  mandò  amba- 
sciatori all'imperatore,  e  indarno  oratori  a  Bologna  nel 
gennaio  1530.  Clemente,  è  vero,  li  ricevette  e  fi  ascoltò, 
ma  non  acconsentì  a  nessuna  domanda.  Tentarono  essi 
allora  due  volte  d'essere  presentati  all'  imperatore,  ma  fu 
vano:  la  seconda  volta  mandò  loro  adire:  soddisf acessino 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  487 

alla-  volontà  del  Papa  ;  che.  gli  aveva  dato  un  esercito,  e  quando 
quel  non  bastasse  gliene  darebbe  un  altro.  Alla  feroce  risposta 
s'aggiunse  di  li  a  non  molto  cosa  anche  peggiore.  Col  7 
febbraio  essi  furono  cacciati  da  Bologna  dal  papa. 

E  già  il  buon  Clemente  avea  messo  in  comunicazione 
il  prelato  Giambattista  Sanga,  succeduto  nell'ufficio  al  Gi- 
berti,  con  tutti  i  capi  dell'esercito  assalitore  dello  Stato  e 
della  città  di  Firenze  fin  dal  io  ottobre  1529  scrivendo 
lettere,  che  leggonsi  nel  libro  III  delle  lettere  de'  Principi, 
e  che  si  producono  fino  al  giugno  1530,  al  principe  d'Oran- 
ges,  al  marchese  Del  Vasto,  a  Ferrante  Gonzaga,  ad  Ales- 
sandro Vitelli  e  molte  a  quel  prode  Fabrizio  Maramaldo, 
che  sì  durevoli  memorie  di  ladroneggio  avea  lasciato  coi 
suoi  in  Roma  nel  1527  sotto  il  nome  di  Maramao,  di- 
cendo a  costui  tra  le  altre  cose:  Sua  Beatitudine  confida 
tanto  nella  virtù  e  valore  di  V.  S.  che  spera  che  abbi  colla 
sua  banda  a  far  tali  effetti,  che  da  quelli  nasca  il  resto  della 
vittoria....  A  che  fa  giungere  il  desiderio  della  vendetta! 
Vuotato  il  sacco  dell' abbiezione  il  prigioniero  di  Castel- 
santangelo,  restituitosi  a  libertà,  non  s' ispira  che  alla  ferocia 
più  vile!.... 

Di  che  erano  colpevoli  i  Fiorentini  ?  La  parte  avversa 
ai  Medici,  resa  forte  dalle  costoro  esorbitanze,  era  giunta 
a  cacciarli  dalla  città,  la  quale  era  ridotta  all'estrema  mi- 
seria per  essere  stata  immersa  nella  lunga  guerra  e  non 
guerra  fatta  dal  capriccio  di  Clemente  all' imperatore  con 
gravi  spese  parteggiante  per  Francia,  delle  quali  gran  parte 
a  carico  dei  Fiorentini.  Ma  i  Fiorentini  in  fondo,  dicea  fin 
d'allora  lo  storico  Giambattista  Leoni,  «  erano  ormai  stanchi 
e  mal  soddisfiitti  di  aver  così  profusamente  speso  senza 
frutto  alcuno  essenziale;  perchè  obbligati  fino  a  tempo  di 
papa  Lione,  e  intromessi  nelle  guerre  d' Italia  si  conosce- 
vano, o  fosse  per  anticipata  sagacità  di  negozio,  o  per  quello, 
che  aveva  portato  il  caso,  sommamente  indeboliti,  e  condotti 
sotto  l'arbitraria  superiorità  della  Casa  de'  Medici,  e  però  con- 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  29 


438 


C.  bainoli 


veniva  loro  correre  un  medesimo  rischio  col  Pontefice....  ». 
E  questo  Pontefice  che  fa  ?  Egli  in  mezzo  ai  travagli,  che 
s'era  andato  cercando  con  danno  dei  collegati,  fa  accordi 
egoistici  senza  frutto,  quando  non  li  dovea  fare  per  rispetto 
ai  medesimi  e  appena  che  gli  si  offre  il  destro,  perchè  i 
nemici  di  sua  Casa  e  de'  suoi  arbitrii  crescono  in  potere 
e  li  cacciano,  come  dilapidatori,  screditati  e  ormai  impo- 
tenti, si  fa  amici  i  nemici  e  saccheggiatori  di  Roma  e  pa- 
gati da  lui  li  scaraventa  con  beneplacito  dell'  imperatore  a 
sgozzare  i  cittadini  di  quel  paese,  in  cui  egH  è  nato  inve- 
recondamente. Mai  schiatta  di  bastardi  spudoratamente  non 
fece  altrettanto.  Seguitiamo  con  celere  rivista  i  fatti  prin- 
cipali delle  vanità  soddisfatte  e  del  parricidio  insensato. 

Prima  della  fiorentina  il  papa  impose  all'Oranges  di  com- 
piere r  impresa  perugina,  e  costui  col  12  settembre  seppe 
trovar  modo  di  far  uscire  di  Perugia  Malatesta  Baglioni, 
fratello  d'Orazio,  il  quale  andato  a  Firenze  viene  eletto  al 
comando  dell'esercito  della  repubblica,  invece  d'Ercole 
d'Este.  Dopo  ciò  le  masnade  imperiali  marciano  nel  fio- 
rentino; l'Oranges  giunge  a  Montevarchi  in  Val  d'Arno 
il  24.  Per  le  cattive  disposizioni  prese  da  Malatesta  per  la 
difesa  del  Monte,  Michelangelo  Buonarroti  s'allontana  da 
Firenze  ed  incorre  nella  condanna  del  bando  il  30  settem- 
bre :  si  fa  Stefano  Colonna  capitano  delle  milizie  cittadine. 
Il  nemico  trattenutosi  in  Val  d'Arno  aspettando  le  arti- 
glierie lasciate  già  nel  Sanese,  il  5  di  ottobre  parte  da  Fi- 
ghne  e  si  avanza  nel  piano  di  Ripoli:  Stefano  Colonna  e 
Mario  Orsini  sono  deputati  alla  guardia  del  Monte  San 
Miniato.  Il  24  di  ottobre  l'Oranges  mette  il  campo  sui 
colli  di  Arcetri  a  scilocco  della  città,  il  29  comincia  l'ar- 
tiglieria nemica  a  battere  il  campanile  di  San  Miniato,  da 
cui  il  nemico  riceveva  gran  danno.  Ma  quella  torre  o  cam- 
panile per  opera  del  Lupicini  soprannominato  il  Lupo,  padre 
di  Antonio,  autore  di  un  trattato  di  architettura  militare, 
vien  fasciato  da  balle  di  lana,  legate  in   più  luoghi  nelle 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  439 

facce  di  essa,  contro  la  batteria  dell' Oranges  di  dieci  can- 
noni, fatta  da  Giramonte,  luogo  comodo,  e  sebbene  quella 
traesse  per  tre  giorni  continui,  a  tutto  il  3 1  ottobre,  pure 
non  fece  profitto,  perchè  le  palle  se  ne  tornavano  indietro  ; 
il  9  novembre  il  nemico  dopo  avervi  tirato  da  centocin- 
quanta colpi,  aveva  abbandonato  l' impresa.  Gli  storici  at- 
tribuirono ciò  fosse  stato  consiglio  di  Michelangelo;  ma 
allora  egli  era  fuori  di  Firenze  e  non  gli  fu  levata  la  pena 
del  bando  che  il  23  novembre,  perchè  eravi  tornato  da 
quindici  giorni  soltanto. 

La  notte  del  1 2  decembre  in  Bologna,  ove  stavan  tuttora 
papa  ed  imperatore,  la  soldatesca  ch'era  a  guardia  dell'ar- 
tiglieria imperiale  atterrò  la  grande  statua  di  Clemente, 
lavorata  di  stucco,  che  era  stata  collocata  sulla  porta  del 
palazzo;  spiccatale  la  testa  e  trascinata  intorno  alla  piazza 
con  una  fune,  fu  gittata  sul  fuoco.  Si  disse  che  furon 
luterani  gli  autori  del  fatto,  ma  eran  anche  i  difensori 
adesso  di  Clemente  assistenti  ai  suoi  trionfi  e  alle  sue  sod- 
disfazioni, come  già  furono  in  gran  parte  i  saccheggiatori 
di  Roma.  Quando  il  pervertiriiento  delle  idee  è  al  suo 
colmo,  nascono  anomalie,  che  dimostrano  la  falsa  posi- 
zione di  tutti.  La  notte  del  13  Stefano  Colonna  fece  una 
sortita  da  Firenze  con  perdita  dei  nemici.  Da  un  ricordo, 
notato  in  uno  dei  disegni  di  architettura  militare  di  Fran- 
cesco da  Sangallo,  figlio  di  GiuHano,  si  rileva  che  i  di- 
fensori di  Firenze  furono  Lucchesi,  Sanesi,  Pistoiesi,  Pra- 
tesi, Colletalti^  Bolognesi,  Romagnoli,  d'Agobbio  e  di  Città 
di  Castello  in  numero  di  cavalieri  2350,  pedoni  12,100, 
in  tutto  14,450  (i):  la  qual  cifra  concorda  col  documento 
pubblicato  dal  Gaye  (Carteggio  d' artisti,  tom.  II,  pag.  211) 
che  è  una  lettera  della  Balìa  di  Firenze  datata  del  27  di- 
cembre 1529,  diretta  a  Baldassarre  Carducci  appresso  il 
Cristianissimo,  che  annunzia:  «Noi  habbiamo  la  terra  assai 

(i)  Vedansi  i  miei  Nove  da  Sangallo,  pag.  48,  nota  n.  2. 


440 


C.  ^l{avioli 


fortificata,  et  il  monte  in  modo  riparato  con  bastioni  che 
non  pensiamo  in  modo  alcuno  d'havere  ad  essere  sforzati. 
Et  drento  ci  troviamo  circa  xiiii  mila  paghe  che  sono  intorno 
a  X  mila  fanti  in  essere,  una  bella  e  valorosa  gente  et  molto 
disposta  alla  defensione  nostra,  sì  per  essere  bene  pagata, 
si  che  perchè  pare  a  ciascuno  che  si  combatta  dell'honore 
di  Italia  !  »  Ed  era  vero  !  Ma  a  disonorarla  per  tre  secoli 
vegliava  la  vendetta  di  un  Medici  e  l'ambizione  di  un 
Guantese,  immersi  nel  sangue  fiorentino  e  nei  tripudi  di 
Bologna,  non  disgiunte  dall'agitazione  dell'esito  dell'impresa. 
Ben  ciò  si  fé'  palese  dalla  lettera  che  il  primo  scrisse  al 
secondo  tutta  di  sua  mano  il  3  giugno,  conservataci  nelle 
lettere  de'  Principi  al  libro  I,  carte  123.  Muratori  negli 
Annali  d'Italia  ha  consegnato  queste  poche  e  solenni  pa- 
role :  «  Per  tutto  il  tempo  che  durò  l'assedio  di  Firenze 
gran  battagha  fecero  nel  di  lui  cuore  (di  Clemente!)  l'an- 
sietà di  vincere  quella  pugna:  il  timore  che  la  lunghezza 
o  altro  sconcerto  guastasse  l'impresa;  oltre  alle  tante  cure 
per  somministrar  somme  di  danaro,  ed  un  batticuore  con- 
tinuo che  Firenze  presa  andasse  a  sacco  ». 

Le  genti  papali  composte  di  ladroni  più  che  di  soldati 
e  comandate  dal  Ramazzotto  infestano  e  saccheggiano  tutto 
il  Mugello  ed  arde  guerra  nel  contado  di  Pisa.  Il  primo 
di  gennaio  1530,  mentre  a  Bologna  festeggiavasi  la  pace 
stabilita  tra'  principi  cristiani  con  pubbliche  dimostrazioni, 
Firenze  è  circondata  dalle  armi  imperiali,  presa  già  Lastra 
a  Signa  e  cadute  Pietrasanta,  Motrone,  Pistoia  e  Prato. 
Il  22  febbraio  fu  incoronato  imperatore  Carlo  V  e  il  24 
dopo  che  l'imperatore  passò  il  ponte  di  legno  che  legava 
il  palazzo  colla  cattedrale,  si  sfondò  esso  per  più  metri  colla 
ruina  e  ferimento  di  coloro  del  corteggio  che  vi  eran  so- 
pra: il  21  marzo  l'Oranges  sotto  Firenze  è  ributtato  dal- 
l'assalto del  bastione  di  Sangiorgio  oltr'Arno,  il  23  marzo 
Carlo  V  parte  da  Bologna  e  il  31  il  papa. 

Gli  assediati  seguitano  a  far   più   sortite,  le   terre  del 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  441 

dominio  vengono  cadendo  in  mano  degl'imperiali,  Fran- 
cesco Ferruccio  ai  27  di  aprile  con  gran  valore  riacquista 
Volterra  ribellata  ;  per  tradimento  il  29  maggio  cade  Em- 
poli, castello  importante  per  la  comunicazione  con  Pisa  e 
Livorno:  Volterra  assalita  dal  marchese  del  Vasto  si  di- 
fende gloriosamente.  Malatesta  Baglioni  pei  suoi  raggiri 
cade  in  sospetto,  fa  pratiche  coi  nemici,  la  città  per  fame 
è  ridotta  agli  estremi,  i  cittadini  son  deliberati  ad  incon- 
trare ogni  disagio.  Tutte  le  speranze  si  ripongono  nel 
Ferruccio;  nominato  commissario  generale  ha  l'ordine  di 
portarsi  a  soccorrere  Firenze.  Parte  egli  da  Volterra  per 
Pisa  con  un  tremila  fanti  e  cinquecento  cavalli,  si  con- 
giunge con  Giampaolo  Orsini,  figlio  di  Renzo;  ma  per 
malattia  è  trattenuto  a  Pisa,  né  può  impedire  i  nemici  che 
assalgano  il  Pistoiese.  Ristabilito  appena,  parte  da  Pisa  e 
pel  contado  di  Lucca  marcia  verso  la  montagna  di  Pi- 
stoia. Il  principe  d'Oranges  si  muove  ad  incontrarlo  con 
tutto  l'esercito,  lasciati  un  quattromila  soldati  al  campo.  Il 
Malatesta  non  fa  nessun  movimento,  sebbene  la  gioventù 
sia  fremente  di  combattere.  Francesco  Ferruccio  tenta  in- 
vano Pescia,  varca  la  montagna,  arriva  inCalamecca  il  2  ago- 
sto, il  giorno  appresso  assalta  e  prende  San  Marcello  e  si 
accosta  a  Gavinana,  mentre  l'Oranges  da  Pistoia  entrava 
nella  terra  d'altra  parte.  Succede  lungo  ed  ostinato  com- 
battimento, il  luogo  è  più  volte  preso  e  perduto,  il  prin- 
cipe d'Oranges  viene  ucciso  da  un' archibugiata,  i  Fiorentini 
restano  oppressi  dal  numero  dei  nemici,  il  Ferruccio  è  fe- 
rito e  condotto  senz'armi  alla  presenza  di  Fabrizio  Mara- 
maldo, calabrese  e  noto  capitano  imperiale.  Costui  vilmente 
assassina  di  sue  mani  e  fa  terminare  da  altri  il  ferito, 
inerme  e  prode  Francesco  Ferruccio.  I  voti  di  chi  avea 
riposta  fiducia  nella  virtù  e  valore  dell'assassino  sono  ap- 
pagati; l'Orsini  ed  altri  capitani  cadono  prigionieri,  vien 
fatto  prigioniero  Amico  d'Arsoli,  e  dato  in  mano  a  Marzio 
Colonna,  che  compratolo  per  ^00  ducati  lo  mette  in  pezzi 


vendicando  la  morte  del  vescovo  guerriero  suo  zio,  Sci- 
pione Colonna:  le  genti  tutte  della  repubblica  sono  di- 
sperse. La  città  all'annunzio  della  morte  del  Ferruccio  è 
costernata;  Malatesta  ricusa  di  assaltare  il  campo,  è  deposto 
dal  comando  agli  8  di  agosto;  si  f;m  dimostrazioni  a  favore 
dei  Medici, .la  causa  della  libertà  è  perduta;  si  conclude 
un  accordo  con  Ferrante  Gonzaga,  succeduto  all'Oranges 
e  con  Baccio  Valori  commissario  del  papa  il  12;  Firenze 
apre  le  porte  dopo  di  aver  sofferto  la  perdita  di  8  mila 
cittadini  e  14  mila  soldati  d'ogni  parte  d'Italia;  le  bande 
nere  ed  il  più  illustre  avanzo  di  esse  Francesco  Ferruccio, 
suggellato  col  sangue  il  loro  valore  più  non  figurano  nella 
storia.  Alla  misera  Firenze  non  resta  che  povertà,  peste, 
squallore,  persecuzioni  e  la  più  grande  delle  abbiezioni  a 
soffrire,  la  presenza  di  un  altro  laido  bastardo,  Alessandro 
De'  Medici  e  col  titolo  di  duca  essere  da  costui  signoreg- 
giata ed  oppressa  col  5  di  luglio  153 1,  e  il  traditore  Ma- 
latesta Baglioni  il  24  dicembre  all'età  dì  39  anni  muore, 
senza  cogliere  il  frutto  di  sue  nequizie,  promessogli  e  non 
mantenuto. 

Camillo  Ravioli. 


CATALOGO 

dei  principali  ufficiali  e  capitani  a  soldo  pontificio  dal 
gennaio  ai  4  di  maggio  1527,  antivigilia  dell'assalto 
di  Borbone,  che  perciò  furono  attori  in  gran  parte  nella 
guerra  di  Campagna  e  nell'eccidio  di  Roma,  desunto 
dal  Registro  dei  mandati  di  pagamento  nel  volume 
citato  in  nota  alla  pag.   -^6^  : 

Galeotto  de  Medicis,  castellano.... 

Guido castellano  di  Castelsantangelo 

Giambattista  d'Avernia 

M°  Ambrogio  Suardo,  soprintendente  alle  Munizioni 

Marcello  Palonio,  capitano  (in  C.  S.  A.) 


Le  Guerre  dei  Sette  oAnni  443 


Domenico  Boninsegna,  capitano  (in  C.  S.  A.) 

Marcantonio,  capitano  di  Tordinona 

M°  Antonio  da  Sangallo 

Giuliano  Leno  inquisitore 

M°  Sebastiano,  scarpellino 

Antonio  Santacroce  (sulle  artiglierìe) 

M°  Francesco,  fonditore  d'artiglierie 

Clemente,  bombardiere  di  C.  S.  A. 

Francesco,  bombardiere  di  C.  S.  A. 

Andrea  Doria 

Stefano  Colonna 

Virginio  Orsini,  conte  d'Anguillara 

Conte  Sforza  di  Sterpeto,  capitano 

Giampaolo  della  Tolfa  nob.  rom.  sui  Caporioni  della  città 

Federico  Gonzaga  (da  Bozzolo) 

Orazio  Baglioni 

Conte  Guido  Rangoni. 

Capitani. 

LucANTONio  (Tomassoni  da  Terni) 

Antonio  da  Castello 

Cuio  (Fiorentino) 

Gaspare  Rossi 

Batista  Imperozio 

Orfeo  da  Castello 

Francesco  da  Carpi 

Gabriele  da  Mola 

Costantino  Baglioni 

Gabriele  da  Calvi  Corso 

Febo  Perugino 

Giannantonio  da  Canaia 

Geronimo  Genovese 

Bulgarini  Senese 

Vincenzo  Ubaldini  d'Urbino 


444 


{aviolt 


Mario  de  Rossi  (Napoletano) 
Teobaldo  da  Fabriano 
Giulio  da  Ferrara 
Millo  Brutto  Perugino 
Romano  Corso  tr 

Conte  Niccolò  (da  Tolentino) 
Giambattista  Borgesio 
Giambattista  da  Bologna 
Vincenzo  da  Tivoli. 

Senza  titolo. 

Giuliano  Cecio 

D'Altems 

Bernardo  Sacco 

Ippolito  de  Cesis 

Bernardo  de  Alexandris 

Guglielmo  de  Pilis 

Raffliele  Armellini 

Benedetto  Beliotto 

Pietro  da  Gubbio 

Niccolò  Bufalini 

Luigi  Gaddi 

Margotto  Pallaio  Perugino 

Bartolommeo  Marinoni 

Bartolommeo  Pattolo  Fiorentino 

Bindo  d'Altoviti 

Bernardo  Nicolini. 


'Nota.  Non  risulta  che  tutti  fossero  a  soldo  ;  ma  sono  nominati  molti 
per  la  consegna  e  somministrazione  delle  munizioni.  Quelli  ch'eran 
presenti  in  Roma  il  6  maggio,  morti  o  feriti  o  prigionieri  tra  i  Ca- 
pitani sono  notati  in  carattere  maiuscoletto  e  nominati  nella  narra- 
zione. 


'T^.  Lanciarli  445 


//  Codiu  barberiniano  XXX,  8^ 

CONTENENTE     FRAMMENTI     DI     VNA     DESCRIZIONE     DI     ROMA 
DEL    SECOLO    XVI 


(Continuazione  e  fine  —  Vedi  pag.  223). 

[507]  Campo  di  fiore.  Nel  cantone  andandosi  verso  gli  Ebrei 
a  mano  de  ritta  aito  nella  strada.  Arme  di  Sisto  iiii  in  niez^  a 
quella  del  popolo  e  del  Riario  : 

((  Qnae  modo  putris  eras  et  olenti  sordida  coeno 

Plenaque  deformi  Mattia  terra  sitii, 
Exuis  hanc  turpem  Xysto  sub  principe  formani, 

Omnia  sunt  nitidis  conspicienda  locis. 
Digna  salutifero  debentur  premia  Xysto  : 

0,  quantum  est  summo  debita  Roma  duci  ». 
i  Via  Florea  is 
«  Baptista  Archionius  et  .  anno  salutis 

Ludovicus  Marganius  '  MCCCCLXXXIII  » 

Questa  iscrizione,  che  il  eh.  Visconti  crede  a  torto  dettata  dal  Pla- 
tina, premorto  al  pontefice  Sisto  IV,  e  che  è  il  più  antico  esempio  che 
si  abbia  in  Roma  di  lapide  posta  per  indicare  la  denominazione  di 
una  strada,  è  rimasta  nascosta  non  so  quanti  secoli  dietro  un  meniano 
della  casa  Traversi,  sull'angolo  della  piazza  di  Campo  de' Fiori  (cf. 
la  via  Florea)  tra  la  via  de' Giubbonari  e  quella  de' Balestrar!.  Sco- 
perta nuovamente  nel  1863,  fu  pubblicata  dal  Visconti  nel  Bull.  Muti., 
V,  pag.  191.  I  «  magistri  viarum  »  furono  ristabiliti  da  Martino  V 
con  bolla  del  30  marzo  1425.  L'istituzione  fu  riformata  con  nuovi 
ordinamenti,  e  con  privilegi  formidabili  da  Sisto  IV  ai  30  di  giugno 
dell'anno  1480,  il  quale  la  pose  sotto  la  presidenza  del  milionario 
d' Estouteville.  Giovanni  Battista  de  Arcionibus  e  Ludovico  de'Mar- 
gani,  nominati  nella  iscrizione  della  via  Florea,  entrarono  in  ufficio, 
come  «magistri  stratarum  et  aedificiorum  »,  nel  1482,  succedendo  a 
Geronimo  de'Mellini  e  Gregorio  de'Palonibus.  Lo  stipendio  annuo 
di  cotesti  ufficiali  ammontava  a  100  fiorini  d'oro.  (Muntz,  1.  e.  III,  179). 
Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  3o 


4¥ 


rei  ani 


[507^]  In  una  pietra  0  pilastro  ci/ è  nella  pia^Tfi  di  quei  di  s.  Croce 
presso  gli  Ebrei  auanti  la  chiesa  di  casa  loro.  [Cf.  Schrader, 
1.  e,  216']. 

Arme  di  -f- 
((  De  cruce  darà  dotnus  uirtnte  prohata  fideque 
Privatos  uno  axe  lares  renovataque  tempia 
lunxit  ;  namque  hominum  nulla  est  prudentia,  nulla 
Gloria,  nullus  honos,  sine  relligionis  honore  ». 

Dall'altra  banda  in  essa  pietra  : 
«  Honori  et  fi  dei  angulum  D  .A.  de  s.  cruce  et  fratres  (ì)  » 

Nel  cantone  di  casa  di  mons.  Capilupo  in  campomar'^o  presso 
Medici  carJ'  é  la  fontana  grottesca  con  mex^a  statua  di  lupo,  la 
cui  bocca  da  l'acqua  in  un  piccolo  vasetto  0  conca,  dietro  la  qual 
grottetta  é  essa  lupa: 

((  Lac  pueris  lupa  dulce  dedit  non  seva  gemellis, 
Sic,  vicine,  lupus  dat  tibi  niitis  aquam. 
[508]    Quae  fluit  assidue,  quae  lacte  est  dulcior  ipso, 
Purior  electro,  frigidiorque  nive. 
Hinc  igitur  lymphas,  bene  tersa  sedibus  urna, 

Et  puer  et  iuvenis  portet  anusque  domum. 
Fonticulo  prohibentur  equi,  prohibentur  aselli, 
Nec  canis  hinc  fedo,  nec  caper,  ore  bibat.  i^jS  ». 
Dentro  questa  casa  del  Capilupo,  all'altra  fontana  pure, 
dov'è  statua  di  cornucopia,  et  al  posamento  : 

((  Sit  procul  a  nitidis  vitro  certantibus  undis 

Dextera  quae  humano  sanguine  tincta  rubet: 
Sitque  lingua  procul,  quae  nigro  infecta  veneno, 

Vibrat  in  aeternum  spicula  seva  deuni. 
Impuro  non  ore  licet,  manibusve  cruentis 

Virginei  puram  sumere  fontis  aquam.  i^jS  ». 
È  difficile  trovare  nella  classica  antologia  un  epigramma  più  gen- 
tile di  quello  della  Lupa.  Sugli  autori  che  parlano  della  fontanella,  cf. 
Lanciani,  Aquedotti,  129.  La  data,  secondo  lo  Schrader,  f.  198',  sa- 
rebbe il  1574. 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8 g  447 

Nella  facciata  dell' ospedale  di  santa  Maria  in  portico,  sopra 
di  pietra  longa  e  ro^XP-  ivi  messa  :  [Cippo  terminale  CIL,  VI,  1266]. 

<(  Pauli  IlIIpont.  max.  iussu,  cuius  beneficio  maiorum  monumenta 
servantur,  ut  antiquum  loctim  indicet  uhi  nuper  effossus  fuerat, 
erectus  est  an.  sai.  M-  D  •  LVI ah  urbe  condita  00 00  CCC •  IX  ». 

Una  riproduzione  litografica  di  questo  cippo,  scoperto  nel  1520, 
si  ha  nel  voi.  I,  tav.  IV,  del  Bull.  Comunale.  È  un  esempio  piuttosto 
unico  che  raro  di  rispetto  alla  importanza  locale  e  topografica  delle 
antiche  epigrafi.  Oggi  si  preferisce  gittare  ogni  cosa  nella  voragine 
dei  musei. 

[508^]  Dentro  s.  Clemente  in  una  pietra  mattonata: 

((  D.  M.  Manneia  Sestia  fecit  sihi  et  posteris  suis  » . 

[509]  Etili  Campidoglio.  Nel  posamento  della  sontuosa  papale 
statua  che  si  trova  nel  modo  solito  di  benedire  sedendo:  [For- 
cella, I,  40J. 

((  Optimo  principi  Leoni  X  med.  Ioann.  f.  pontif.  max.  oh 
restitutam  instauratamq  urbem,  aucta  sacra  bonasque  artes,  ad- 
scitos  patres,  sublatum  vectigal,  datumq.  congiarium  S.  P.  Q.  R. 
pos.  » 

In  la  loggia  de  Conseruatori  et  al  posamento  della  lupa: 
((  R.  de  Capiteferreo  \ 

M.  de  Bellis  hominibus  \  conss.  p.  curauerunt  ». 
F.  de  Miccinellis  J 

Nella  pia^X^i  di  s.  Gio.  della  Pigna  et  presso  la  minerua 
in  casa  di  quei  gentiluomini  Porcari,  a  una  porta  : 

((  Uh  ego  sum  nostrae  sobolis  Cato  Portius  auctor, 
Nobile  quod  nomen  os  dedit,  arma,  toga». 

Questo  architrave,  con  la  sua  iscrizione  (edita  da  Camillo  Mas- 
simo, Sopra  una  inedita  medaglia  di  Francesco  Massimo,  Roma,  1860, 
pag.  io)  ed  i  fregi  della  porta,  sono  ora  conservati  nella  villa  dei 
Pamfili-Doria,  eredi  della  casa  e  dei  beni  della  famiglia  Porcari.  Veg- 
gansi  ToMMASiNi,  Archivio  della  S.  R.  S.  P.,  Ili,  63  —  De  Rossi,  Studi 
e  docum.  di  storia  e  diritto,  II,  71  sg. 


448 


'T^.  Lan ciani 


Alia  porta  di  Magnanapoli,  don  è  il  bel  palazzotto  o  loco 
de  Vitelli,  e,  ci  morì  quel  cardinal  loro,  con  arme  : 

((  Vitelliorum  gens  coeli  salubritatem  et  situs  amenitatem 
secuta,  locum  hunc  instaurauit  et  exornauit.  i)j^  ». 

Veggasi  Gallo  Giovanni  :  «  Historia  della  casa  Vitelli  »  nel  cod. 
vat.  7125,  f.  129  sg.  ed  un  opuscolo  anonimo  nel  cod.  7246  con- 
tenente notizie  geneaologiche  sulla  istessa  famiglia. 

[509^]  Capo  di  bove.  Nel  torrione  stesso,  che  sarà  cosi  diman- 
dai bora  capodibove  per  li  festoni  di  trivertino,  com'è  tutta 
l'opera,  adornati  di  teste  di  Bove  che  circondano  :  è  chiamato  dalli 
scrittori  questo  edificio  d'opera  composta,  sono  queste  parole: 

[Iscrizione  di  Metella  CIL.  VI,  1274]. 

Alla  fabbrica  moderna  antica  delle  sole  muraglie  guaste  che 
ci  sono  di  castello  quadro  ch'accolgono  dentro  in  un  cantone  esso 
Torrione,  detto  Capodibove,  appariscono  l'arme  di  casa  Gae- 
tana massime  nelle  .  2 .  porte  picciole  :  questo  castello  noto  di 
case,  0  come  lo  potiamo  chiamare  n'ha  .4.  di  porte  alla  mu- 
raglia eh' è  con  merli. 

Tra  la  porta  e  san  Paolo,  a  mex^^a  strada  in  una  cappella 
de  convalescenti,  a  mano  stanca  fondata  nel  ij68  é  loco' dove 
si  devisero  san  Pietro;  e  s.  Paolo  e  dicono,  andando  ciascuno 
alla  morte.  N'apparisce  ivi  memoria  che  lo  tratta  Dionisio  nel- 
l'opera a  Timoteo. 

[5  io]  Santo  Apostolo,  dentro  nella  facciata,  sopra  la  porta. 
Aquila  antica  benissimo  fatta  di  pietra,  con  : 

((  Tot  ruinis  servatam  lui.  Car.  Sixti  UH  pont.  nepos  hic 
statuii  ». 

Questa  iscrizione,  riferita  anche  dal  Forcella,  II,  227,  n.  662, 
deve  esser  posta  a  confronto  con  l'altra  posta  dal  medesimo  cardinale 
nel  portico  di  s.  Agata  (v.  appresso  f.  512)  per  un'altra  anticaglia  quivi 
dedicata.  I  lavori  di  risarcimento  del  portico  erano  stati  incominciati 
dal  cugino  di  Giuliano,  dal  cardinale  di  San  Sisto  morto  a  27  anni 
«  tabidus  voluptate  »  (Conm.  di  Raff.  da  Volterra,  1.  22),  dopo  avere 
sciupato  nel  biennio  del  suo  cardinalato  duegento  sessanta  mila  du- 
cati d'oro  cioè  13  milioni  di  lire.  Giuliano  condusse  a  termine  tanto 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  449 

il  portico  quanto  il  chiostro  (cf.  Forcella,  1.  e,  II,  228,  615)  im- 
piegando come  architetti  Giovannino  de  Dolci,  secondo  il  Muntz, 
Baccio  Pontelli,  secondo  il  Vasari,  Giacomo  da  Pietrasanta,  secondo 
lo  Ianitschek.  Al  medesimo  cardinale  spetta  la  ricostruzione  del 
portico  di  s.  Agnese  fuori  le  mura,  conforme  dichiara  la  iscrizione 

ap.    SCHRADER,   1.    e,    I20': 

«  lui.  card.  S.  P.  ad  vincula  Sixti  IIII  pontif.  max.  nepos  porticum 
ad  aedes  s.  Agnetis  vetustate  coUapsam  restituit  ». 

Nell'anno  1876,  restaurandosi  la  chiesa  di  santo  Apostolo  con 
architettura  di  Luca  Carimini,  fu  ritrovato  un  pezzo  di  iscrizione 
monumentale,  a  grandi  lettere,  degne  o  del  secol  d'oro  o  del  tempo 
di  Sisto  IV  (PENE  •  C0LLap5flw  RESTI/»//).  Il  frammento  trovasi 
ora  murato  nel  vestibolo. 

Io  posseggo  un  frammento  di  sezione  della  chiesa,  quale  appa- 
riva ai  tempi  dei  della  Rovere,  tratto  dai  codici  albertini  di  Borgo 
s.  Sepolcro.  Le  colonne  che  dividevano  le  navate  erano  di  varia 
maniera,  alcune  liscie,  altre  scanalate,  altre  tortili.  I  capitelli  mede- 
simamente offrivano  ogni  maniera  di  singolarità.  Berto  di  Giovanni, 
autore  del  disegno,  dice  di  uno  di  essi,  distinto  con  la  lettera  A  : 
«  Capitello  ionico  dila  nauata  di  Sa*"  apostolo  fatto  sul  proprio  gusto 
fatto  i  opera  co  scale,  che  aconcavano  la  festa,  co  gra  scomodità 
et  piricolo,  fatto  di  tutta  grandezza  ».  Del  capitello  segnato  B  dice  • 
«  Capitello  co  teste  dì  capre  bilisimo;  la  coIona  scauola  a  uite  ».  Si 
può  consultare  con  frutto  il  cod.  vat.  5560:  «  volumen  antiquarum 
rerum  basilicae  xii  aplorum  compositum  per  r.  p.  dnum  G.  Vola- 
terranum...  anno...  m  .ecce .  liiii  »  ed  il  «Compendio  historico  di 
Bonaventura  Malvasia,  Roma.  Lazari,  1665  ». 

Press' a  s.  Onofrio,  in  ima  cappella  dismessa  fuori  canto 
Ventrata  in  pietra  per  tenerci  l'acqua  benedetta  : 

«  D.  M —  M.  Augustius  salutaris  fecit  sibi  et ae  co- 
niugi suae  —  Beneualeas  religiose  qui  hoc  legis.  Bene  sit  filiis  et 
fìliabus  meis  qui  me  bene  coluerunt  ». 

A  montecavallo,  nel  proprio  loco,  sopra  la  porta  delle  nove 
monache  dicono  cappoccine,  su  la  strada  pia,  incontro  al  giar- 
dino di  ferrar  a  Cardinale  nobilissimo  : 

((  Ex  auctoritate  Gregorii.  xiii.  p.  m.  Alexandro  Farnesio 
card,  protectore,  sodalitas  sanctissimi  Crucifixi  monasterium  cor- 
poris  Christi  reg.  s.  Clarae,  in  hortis  a  foanna  Aragonia  de 


4^0 


*.  Lanciani 


Columna  sihi  ad  hoc  datis,  s.  p.  q.  romani  pioriimq.  elemosinis 
adulta,  constnixit  anno  nidi  x  xv  i-». 

Veggasi  il  cod.  vat.  9162  di  Francesco  Cancellieri  «  Ragguaglio 
della  fondazione  del  ven.  monastero  delle  monache  Cappuccine  a 
Monte  Cavallo  ». 

In  quel  portico  presso  a  s.  Gio.  e  Paolo  eh' è  avanti  alla 
chiesa  dismessa,  over  ospedale  de  schiavi,  dov'  alla  facciata  reap- 
parisce ancora  «  Antoniana  »  a  lettere  grandi  fatte  in  fuori  di 
mattone  : 

[Iscrizione  di  Dolabella  e  Silano,  CIL,  VI,  1384]. 
è  scoperto  di  novo  et  è  scritto  assai  simplicemente. 

Sulle  sigle  di  mattone  ANTO«rNIANA  cf.  Lanciani,  Aquedotti, 
pag.  161. 

Santa  Anastasia  nel  piano  delle  scale  in  cima  per  mattonato 
in  pietra  : 

Iscrizione  dedicata  a  Valentiniano  da  Flavio  Massimo,  C.  I.  L., 
VI,  II 80. 

Incontro  scola  Greca,  sul  fiume,  sopra  la  porta  di  quel 
tempio  antico  ritondo  : 

«  Sixtus  i  i  ij  Pont.  M.  aedem  hanc  beati  Stephani  proto- 
martiris  diu  incultam  et  incognitam  restituit  anno  Ger. 

de  Ruere  sacrarum  aedium  Urbis  instauratorc  ». 

Questa  importante  iscrizione  è  murata  nel  pavimento  della  cella. 
Si  ha  notizia  dei  ristauri  di  Sisto  IIII  dall'ALBERTiNi,  f.  45':  «  tem- 
plum  Vestae  nonnulli  dicunt  illud  fuisse  quod  nunc  dicatum  est  ad 
honorem  s.  Stephani,  a  Sixto  IIII  instauratum  ».  Pompeo  Ugonio, 
Stagioni,  277,  parlando  dei  restauri  fatti  da  Sisto  alla  chiesa  di  s.  Qui- 
rico  nella  regione  de'  Monti,  e  delle  iscrizioni  quivi  da  lui  collocate, 
aggiunge:  «  Si  può  notare  la  diligenza  di  quel  Papa  in  restaurare 
le  chiese,  che  deputò  un  cardinale  suo  nipote  à  questo  ».  Il  titolo 
che  assume  il  cardinale  restauratore  mi  sembra  tolto  di  peso  dalla  iscri- 
zione di  Vespasiano  CIL,  VI,  934. 

In  quella  casa  vecchia  inan^  al  ponte  di  s.  Maria,  et  in- 
contro santa  Maria  E^ittiaca,  chiamata  comunemente  et  vulgare 
casa  di  Pilato,  che  non  so  perché: 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  461 

[511^]  <(  Vos  qui  transitis ari  teda  quesitis 

hac  tempestate  domo  quam  Nicolaus  homo  » 

Questo  é  sopra  una  porticella  uerso  s.  Maria  Egittiaca:  e  perche 
fa  cantone  da  quest'altra  ch'I  verso  la  via  principale,  che  va 
dalle  carrozze  al  teatro  di  Marcello,  palaT^o  de  Savelli,  é  in 
arco  di  pietra  biscia  di  tal  forma,  iscrittion^,  che  non  s'intende 
se  non  cosi: 

I  più  riconoscono  nel  Nicolò  della  iscrizione,  il  Nicolò  Crescenzio 
figlio  del  tribuno.  Cf.  Beschreibunc,  ITI,  A,  pag.  391  e  672.  Il  Gre- 
GOROvius,  Geschichte,  IV,  786,  nega  tale  attribuzione.  A  chiunque  ap- 
partenga quella  casa,  rimarrà  essa  sempre  come  unico  documento 
di  ammirazione  prestata  in  pieno  secolo  undecimo  a  cose  antiche. 
Di  questo  sentimento,  prodigioso  in  quell'epoca,  si  vanta  il  costruttore 
dell'edifizio  nei  versi  ; 

Non  fuit  ignarus,  cuius  domus  haec  Nicolaus 

Quod  nil  momenti  sibi  mundi  gloria  sentit. 

Verum,  quod  fecit  hanc,  non  taii  vana  coegit 

Gloria,  quam  Romae  veterem  renovare  decorem. 

[5 1 2]  In  un  posamento  antico  di  fino  marmo,  con  fogliami  e 
lauori,  fuori  di  suo  loco,  nel  portico  di  santa  Agata  :  «  Eucha- 
ristiae  -  lulius  Cardinalis  saxum  ex  urbica  mina  relictum,  ob 
elegantiam  erexit  ». 

Tra  Campidoglio  e  la  Consolatione ,  in  pietra  messa  in  un 
cantone  di  strada  nova  : 

<(  Hinc  ad  Tarpeiam  sedem  et  Capitolia  ducit 
Pervia  mine,  olim  silvestribus  horrida  dumis  . 
Gregorius .  xiii  .  pont.  max.  uidm  Tarpeiam  aperuit  . 
Hier  Alterius  aedilis  secundo 
Paulus  Bubalus  aedilis  sexto 

anno  Domini  .  mdlxxxii 


curabant 


L'iscrizione  sta  ancora  in  opera,  in  via  della  Rupe  Tarpea.  Quando 
Gregorio  XIII  aprì  questa  strada,  ebbero  luogo  scoperte  di  molta  im- 
portanza per  la  topografia  del  Campidoglio.  Furono  viste  e  prese  in 
esame  da  Giovanni  Alberti,  il  quale  nel  codice  di  Borgo  san  Sepolcro, 
f.  51,  ne  discorre  cosi:  «  Trovai  la  presente  basa  che  si  cavava  i  can- 
pidoHo  per  la  strada  che  sciende  verso  mezo  di  che  va  alla  cosola- 


[1:2 


'T^.  Lanci  ani 


tione  .  esse  i  opera  dove  fu  posta  .  il  difitio  era  minato  .  no  si  posiva 
cosiderare  come  fusse  .  ciera  di  molti  altre  cornici  e  coione  sotto 
terra  asai  ». 

A  s.  Angelo  in  Borgo,  in  una  tavola  nell'entrare,  conficcata 
in  terra,  o  fabbricata.  Questa  chiesa  é  di .  14  .  colonne  che  ten- 
[5 12^]  gono  la  nave  di  me^XP,  et  in  terra  dinanzi  l'aitar  grande 
é  un  sepolcro  solo  di  sacerdote,  con  statua  di  mex^o  rilevo  e 
moderna  .  Nella  detta  tavola  : 

((  -j-  .  In  nomine  dui .  Tempore  Leonis  iiii  papae,  impe- 
rante Carulo  magno  imperatore  ,  eo  tempore  quo  ter.''^  basilica 
a  saracenis  capta  fuerat,  tunc  denique  prò  totius  mundi  capite 
turbatus  totus  mundus,  turbata  omnis  gallia  cum  Rege  carulo 
ad  tuendam  illam  venerunt.  linde  contra  inimicos  D.  bella  dui 
decertando,  quidam  mortui  sunt  et  in  cripta  iuxta  Neronis  pala- 
tium  sepulti.  Eodemq.  tempore  a  leone  ppa  et  Rege  Carolo,  ad 
honorem  Micahelis  arcangeli  super  illos  facta  est  ecclesia  ista. 
peractis  (his?)  Rex  Apulia  abiit,  eafnij  q.  beato  Petro  et  Rome 
subiugavit.  per  idem  tempus  exercitu  Gallia  revertente,  tres  ilio- 
rum  milites  de  Frisia  Ilderado  de  cronica  et  leornot  de  stauera 

et  Hiaro,  et  ceteri beati  magni  corpus,  in  loco  qui  dicitur 

fundi,  inuenere:  quo  inuento  in  illorum  provincia  portare  et 
custodire  decrevere.  sed  diuina  gratia  cohoperante,  postquam  ad 
sutrinas  partes  ventum  est,  amplius  deferre  non  praevaluere: 
quin  bis  et  ter  territi  et  per  somnium  moniti.  Romane  reverten- 
tes,  sanctum  corpus  secum  tulere.  linde  factum  est  quod,  illorum 
devotionis  causa,  partem  bracini  a  se  segregari  ab  illis  permisit. 
Partes  autem  cetere  in  cripta  prefata  remansere,  super  quam, 
sicut  dictum  est,  ecclesia  iam  fuerat  facta.  Deinde  omni  anno  (?) 
simul  beneficium  apostolicum  dari  ibi  decreuere,  scilicet .  )oo  . 
marcos  argenti  per  illorum  et  ubique  requescentium  redemptione  : 
et  in  perpetuum  seu  diues  seu  pauperes  in  eadem  s.  Archangeli 
basilica,  et  beati  magni  ecclesia  iuxta  eam,  ab  eisdem  constructa, 

hospidalia  qui  a  suis  partibus  venirent  a....erent.  Idcirco 

omnibus  pateat.  si  quis  uel  quicunque  hoc  decretum  rumpere 
temptauerint,  sciant  se  perpetuo  damtiatos  et  maledictos  etprae- 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  453 

dicti  Pontificis  anathematis  uinculis nisi  resipuerint 

cum  piactilo  obligatos.  In  hac  autem  ulta  miseros,  pauperes,  et 
dispersos,  et  iterutn  de  libro  tiitae  coeìestis  deletos  et  de  regno 
christi  deiectos.  Confirmatoribus  huius  decreti  e  cantra  sit  bene- 
dictio  christi,  et  fruente  ntriusq.  uitae  gaudijs  amen  &.  » 

La  chiesa  di  S.  Angelo  in  Borgo  fu  ridotta,  alla  forma  che  aveva 
nel  secolo  xvi  circa  il  1446  da  un  arcivescovo  di  Ravenna  «  Euge- 
nius  (IV)  venerabili  fratri  Bartholomaeo  archiepiscopo  ravennaten.... 
ecclesiam  sancti  Michaelis  in  Burgo  beati  Petri  de   Urbe,  quam  tu 

propriis  expensis  tuis  in  suis  structuris  et  aedificiis  reparari  fecisti » 

Bullar.  yatic,  II,   107. 

e  dentro  le  stanze  di  campidoglio  ancora  in  facciata  scritto  : 

((  Hannibal  in  Italiani  transgressus  maxiniis  cladibus  Ro- 
manos  affecit,  non  tamen  ut  romanam  virtutem  aut  constantiam 
super arit,  qu  —  adversis  potius  quam  secundis  rebus  crescens, 
ne  dum  dticem  ipsum  eiusque  patriam  eversit,  verum  immensum 
paene  orbem  imperio  suo  adiecit  ». 

Nella  seconda  sala  del  senatore  in  facciata  :  [Forcella,  1, 3  3] 
«  lulio  .  a  .  p.  m.  sedente  » 
arme  .  arme  .  arme 
quella  di  ìne^XP  è  di  colonna  che  la  tiene  in  pie  un  leone,  sopra 
di  eh'  è  aquila  nera  :  a  man  dritta  é  di  tre  spade  attraverso  et 
alla  manca  è  doppia;  di  leopardo  cioè  a  mandritta,  et  alla  si- 
nistra di  .4.  liste  .  2  .  bianche  e  .  2  .  rosse. 

((  Io  .  Bapta.  Tarus  arte  medi .  dodo  »  di  questo  è  l'arme 
di  me^ZP- 

((  Gabriel  Cossus  »  di  quesf  è  l'altra  a  mandestra. 

((  Io  .  angelus  de  Pfierjleonibus  »  di  cui  è  l'tdtima. 

((  conservatores,  senatus  officium  quinque  et  viginti  diebus 
egregie  exercentes,  eorum  insigna  heic  posuere  .  m.d.viii  » 

Dappresso  pur'  in  facciata.  Arme  del  senato  romano  1^68. 
Qui  ve  sono  .  3  .  altre  armi. 

((  Pio  .  V  .  pont.  opt.  max. 
«  Leonardus  Tasca  i.  u.  doctor,  Matheus  Verallus,  Perdi- 


464 


'T{.  Lanciani 


nandiis  de  Torres  urbis  conservatores,  ahsoìuta  senatoris  iuris- 
dictione  interim  quoad  aìius  eius  loco  suhstitiieretur,  iuridicundo 
populo  praefuerunt  » . 
[515]   Ancora  in  facciata:  [Forcella,  I,  36] 

«  lidio  ii  .  pont.  max.  mdx  » 

tre  armi  al  solito: 

((  Franciscus  Telili  Evangelista  Buccapadulius,  Franciscus 
Calvius  camere  urb.  conservatores,  dum  a  senatore  ratio  exquiri- 
tiir,  prò  ilio  ius  reddiderunt  ». 

Sala  Regia.  Ch  è  a  s.  Pietro  nel  palax^o  di  s.  santità.  Dove 
s' arriva  per .  2 .  entrate  principali  una  dalla  banda  che  si  monta 
su  per  le  schale  che  partono  da  s.  Pietro  :  la  2a  è  in  fronte  di 
questa,  che  cala  verso  borgo.  Sopra  essa  sala  sta  depinto  un  Re 
[515I]  vecchio  per  la  barba  bianca  et  alV adornamento  che  lo 
copre,  0  gli  fa  come in  foggia  di  piramide,  che  ne  corri- 
sponde, a  i  lavori  della  porta  sono  .vi .  gigli  turchini 

«  Carolus  magnus  in  patrimonii  possessione  Romanam  ec- 
clesiam  restituit  » . 

Sopra  l'altra  porta  detta,  ch  è  entrandosi  nel  venire  per  la 
scala  di  s.  Pietro,  apparisce  il  papa  in  seggia,  eh'  in  compagnia 

del  clero  e  de  Cardinali  pontificanti S.  B  mostra  di  gettare 

una  fagoletta.  Neil' adornamento  similmente  sono  .  6  .  gigli. 

((  Gregorius  ix  Friderico  imperatori  ecclesiam  oppugnanti 
sacris  interdicit  ». 

La  sala  prefata  è  lunga  alquanto,  et  entrandosi  da  quel 
[51^]  canto  di  s.pietro  a  man  dritta  faremo  il  capo,  dov'è  la 
cappella  chiamata  la  Paolina,  sopra  la  cui  porta  è: 

((  Paulus  ii  i  pont.  max.  » 

Prima  in  facciata  sta  ivi  : 

((  Reddet  unicuique  secimdum  opera  eius  ». 

e  più  in  alto  é  l'arme  di  Paolo  .)  .  di  .  6  .  gigli.  In  cima  sono 
.).  invitriate  a  tal  facciata,  un'accanto  l'altra.  A  man  dritta 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  455 

della  porta  è  depinto  al  solito,  numero  di  navi  e  legni  marini, 
con  fortexxs^  e  genti  : 

«  Carolus  .  v  .  imperator  Tunetum  a  Tiircis  occupatum  pari 
virtute  ac  fo dicitate  recipit.  Paulo  Hi  p  m  zjjj  j). 

Alla  sinistra,  si  vede  il  papa  et  il  Re  con  multitudine  sup- 
plichevolmente. 

«  Gregorius  vii  Henricum  imperator em  male  de  ecclesia 
merentem,  postea  supplicem  et  poenitentem  ahsolvit  ». 

[516^]  In  facciata  dell'altro  alla  sala,  ci  sono  tre  finestroniin 
cima,  e  tre  a  me:(^a  facciata  -  Arme  di  Gregorio  xii i  -  An- 
cora più  basso  v'era,  et  è,  quella  di  Pio  iiii  che  dice: 

((  Plus  iiii  Medices  mediolanensis  p.  m.  » 

e  quest'arme  è  de  colori  in  pietre:  sotto  eh  é  ritratto  suo  natu- 
rale in  pietra  colorita,  altresì  grande  quanto  un  picciol'ovo,  col 
busto  solo,  però  da conoscere  facilmente.  In  me^^o  dessa  fac- 
ciata é  in  pietra  nera  di  lettere  d'oro  : 

«  Aula  haec  Pauli  Hi  iussu  ornari  coepta  et  Piorum  postea 
quarti  et  quinti  studio  aucta,  anno  Gregorii  x  Hi  primo,  ad  finem 
reducta  est  i^j)  ». 

[517]  A  man  destra  sono  di  molte  occisioni,  con  questa  iscrit- 
tionceUa  : 

«  Coligni  et  suorum  caedes  ». 

Alla  sinistra,  il  Re  di  Francia  con  i  suoi  fratelli,  et  il  car- 
dinale di  lorena,  è  in  tribunale. 

((  Rex  .  Coligni  necem  probat  ». 
Quivi  d'accanto  dalla  banda  della  porta,  che,  noi  scrivemmo 
si  trova  quando  si  monta  su,  venendosi  da  s.  Pietro  è  un'altra 
porta  ch'entra  nella  cappella  di  Sisto  iiii.  Tra  lei  et  il  cantone 
sta  depinto  il  successo  del  tradimento  dell'  ammiraglio  per  occu- 
pare il  regno.  La  onde  v'è  il  ritratto  suo  di  dotta  mano,  rica- 
vato con  un  robone  indosso  e  berettone  in  testa,  che  ferito  si 
riporta  a  braccio. 


456 


.anciani 


((  G.  Colignius  Arniraìins,  accepto  vuìnere  domi  defertur. 
Gregoritis  xiii  p.  m.  1/72  ». 

Sopra  la  prefata  porta  di  Sisto,  sono  all'adornamento  a  modo 
[517^]  di  piramide  conform' all' altre  le  palle  arme  di  Pio  iiii. 
Nella  pittura  eh  è  pur  sopra  ci  si  vede  un  re,  dinanzi  a  cui  ne 
va  un  altro  ligato  con  le  mani  dietro,  et  a  questo  spettacolo  stanno 
cavalieri  et  altri.  Non  v' è  già  descrittione  alcuna,  come  sarà  per 
efrroreì).  In  facciata  dentro  la  cappella  et  incontro  l'entrata  è 
dietro  l'altare  quel  Giudicio  di  pittura  tanto  eccellentemente  fatta 
dal  famoso  e  raro  Bonarota,  e  sono  dalle  bande  opere  dell'altro 
valentissimo  homo  Raffaele  di  Urbino.  A  fronte  questa  porta  é 
un'altra  che  guida  nella  sala  oscura,  la  quale  oscura  mena  in 
quella  de  duchi.  Ivi  é  depinto  a  corrispondenza  di  quanto  si  vede 
sopra  la  porta  detta  della  cappella  di  Sisto  iiii  un  Re  e  molti 
cardinali. 

((  Petrus  Aragoniae  rex  ad  urbeni  profectus  Innocentio  i  i  i 
pont.  max.  regnum  Aragoniae  defert,  conslituta  annui  tributi 
perpetua  pensione  obedientiam  simul  et  defensionem  sedis  aposto- 
licae  polUcitus  ». 

[518]  Presso  il  capo  della  sala  è  a  man  dritta  verso  il  cortile, 
ch'i,  dove  sopra  suol  affacciarsi  un  diacono  cardinale  all'hora 
quando  è  creato  il  papa  per  pubblicarlo,  un'altra  porta,  dove 
sopra  è  depintura  di  duo  Ré  nudi  ligati  dietro  col  papa  in  seggia, 
e  compagnia  grande. 

((  Otho  primus  imperator,  devictis  Beringario  et  Rodulpho 
filio  tyrannis,  provincias  ab  illis  occupatas  ecclesiae  restituit  ». 

Alla  porta  in  fronte  a  questa,  che  ne  cala  in  certo  appar- 
tamento d'habitatione  verso  s.  Pietro,  e  riesce  nella  spetiaria  di 

palazzo è  sopra  il  suo  adornamento  che  tiene  le  palle,  arme 

narrata.  Insieme  v'è  ritratta  quest'altra  istoria: 

«  Gregorius  .  ii .  Germaniae  magna  parte  ad  veri  Dei  cul- 
[518^]  tuni  traducta,  Arithperti  longobardorum  Regis  donatione 
per  Liuthprandium  successorem  confirmata,  anno  sui  pont.  xvii 
decessit  ». 


//  Codice  barberiniano  XXX,  Sg  467 

Dacanto,  che  l  Ira  questa  porta  e  V altra  che  si  trova  salen- 
dosi da  s.  Pietro,  si  vede  il  quatro  bellissimo  della  rotta  navale, 
dove  sono  mesticati  i  legni  degli  infedeli  e  de  nostri  cristiani, 
fumi,  oscurità,  rossore  di  mare,  per  li  corpi  morti  in  mirabil  nu- 
mero. In  cima  del  quatro  stanno  depinti  angeli  e  creature  divine 
con  spade  in  mano  e  fuoco,  et  é  alla  man  destra.  Alla  sinistra 
sono  demonii  e  simiglianti  che  fugano,  cose  che,  se  bene  raccon- 
tano quanti  che  ci  si  trovaro  che  non  si  vedessero  in  aria,  nondi- 
meno perchè  sen^a  l'aiuto  divino  mai  noi  cristiani  havremo  po- 
tuto vincere,  ci  si  saranno  depinte  per  mantenere  la  divotione  et 
accrescerla. 

[5 1 9]  ((  Hostes  perpetui  christianae  religionis  Turcae,  diuturno 
victoriarum  successu  exultantes,  sibique  temere  fidentes,  mi- 
litibus  ducihus  tor mentis  omni  denique  bellico  apparatu  ad  ter- 
rorem  instructo,  ad  Echinadas  insulas  a  comuni  classe,  praelio 
post  homnimwi  memoria  maxinio  perspicua  divini  spiritus  ope 
profligantur  MDLXXI  ». 

Incontro,  pittura  ch'accenna  Roma,  e  v'è  la  chiesa  grande 
di  s.  Pietro  che  ne  cava  nella  piaz^fi  lei  processione  del  clero, 
eh'  incontra  sua  santità,  la  quale  a  spalla  portato  in  seggia,  va 
seguito  da  cardinali  a  cavallo,  e  dalla  corte,  che  trova  molti- 
tudine che  si  ingenocchia  : 

[519^]  ((  Gregorius  xi  patria  lemonicensis,  admirabili  doctrina 
humanitate  irmocentia,  ut  Italiae  seditlonibus  laboranti  mederet, 
et  populos  ab  ecclesia  crebro  desciscentes  ad  obedientiam  revo- 
caret  sedem  pontificiam,  divino  munere  permotus,  Avenione  Ro- 
mani post  annos  .  Ixx  .  sui  pontifìcatus  annos  .  vii .  huntanae 
salutis  mccclxxvi  ». 

Da  questa  medesima  banda,  tra  la  porta  che  scende  verso 
il  cortile  di  palazzo,  che  dissi  verso  Borgo  perchè  n'arriva,  e 
f  altra  ch'entra  nella  sala  oscura,  è  l'altro  quatro  vaghissimo, 
con  ritratti  di  Venetia,  del  duce  vestito  di  broccato  d'oro,  donne 
in  fenestre,  e  per  tutto  moltitudine  assai  di  gente,  imperatore  che 
ne  tiene  la  testa  scoperta,  et  inginocchiato  ha  il  viso  ne' piedi  di 


458 


9^.  Laudani 


[520]  sua  Beatitudine,  che  rappresenta  Pio  .  4  .  che  fece  a  tempo 
suo  la  pittura:  é  questa  santità  naturalissima,  et  altresì  quel  sig. 
card,  di  Ferrara,  splendidissimo  Farnese  grande,  e  molti  altri 
personaggi. 

<(  Alexander  PP.  tertius  Friderici  primi  imperatoris  iram 
et  impetum  fugiens,  ahdidit  se  Venetias,  cognitus  etasenatuper 
honorifice  susceptus,  othone  Imperatoris  filio  navali  praelio  a 
Venetis  vieto  captoquc,  Fridericus  pace  facta  supplex  adorat, 
fidem  et  obedientiam  pollicitus.  Ita  pontifici  sua  dignitas  Venetae 
reipuhlicae  beneficio  restituta  .  iiyy  .  » 

Derimpetto  a  questo  quatro,  è  l'altro  canto  la  porta  della 
cappella  di  papa  Sisto,  è  quella  che  mena  das.  Pietro.  Dove  si 
[^20^1  scorge  garbatamente  in  ordinanza  V  armata  per  mare,  che 
fa  due  ali  di  galere  e  vascelli  atti  al  combattere,  con  alcune  altre 
alli  suoi  luoghi  -  La  santa  lega  -  Sotto  a  mano  destra  sono  . } . 
donzelle  in  pie:  a  mano  deritta  ne  sta  una  di  corona  in  testa, 
alla  sinistra  la  seconda  di  scarpino,  ch'usa  portar  il  Duce  di 
Venetia,  et  in  me:(^o  la  .  ^^  .  di  regno  papale  pur  in  testa,  ch'ab- 
braccia l'una  e  l'altra  don:;ella.  A  man  sinistra  si  vede  la  morte 
con  la  falce  et  altre  genti  celesti  0  infernali.  Ma  è  di  me^T^o  a 
tali  genti  un  quatretto  di  carta  da  navigare  con  chi  misura  e 
contempla. 

«  Classes  oppositae,  Turcarum  ima  christianae  societatis  al- 
isei] ter  a,  inter  Pium  .  v  .  pont.  max.  Philippum  Hispaniarum 
regem,  Venetam  rempublicam  inito  iam  foedere,  ingentibus  u- 
triusque concurrunt  ». 

Alla  porta  nova  di  legno  della  cappella  paolina,  et  a  quella 
che  ne  riesce  alla  spetiaria,  dentro  la  prefata  sala  regia,  sta: 
((  Gregorius  .  xiii .  Bononien.  P.  M.  » 

conform' alla  usanxa  d'ognuno  che  fa  racconcia  0  rifa  una  cosa. 
La  volta  di  questa  sala  è  di  fogliami  e  rosoiti  di  stucco  indorati 
secondo  l'occasione,  et  inmex^io  è  l'arme  di  Paolo  .  Hi  .  di  casa 
Farnese,  che  sono  .vi .  gigli  turchini.  Sono  ancora  nella  volta 
le  chiavi  circondate  dall'ombrelle,  con  : 


//  Codice  barberìniano  XXX,  8g  459 

[521']  «  Paulus  .  Hi .  pont.  max.  » 

Alle  bande  stanno  certe  imprese  e  quella  particolarmente  del 
dolfino  con  l'anima  «festina  lente  ». 

Attorno  attorno  sono  al  -basso  di  questa  sala  continue  pietra 
colorita,  rilucenti,  che  rendono  vaghi  ogetti  a' riguardanti.  Que- 
sta sala  regia,  sebbene  pare  non  so  che  di  maestà,  che  se  le  tolga 
per  non  esser  chiusa,  ne  vietato  di  passarcisi,  nondimeno  leva 
quasi  la  memoria  all'altra  prossima  di  Costantino,  si  nominata, 
eh' è  sopra  nelle  stanne  che  ne  riguardano  Belvedere,  in  compa- 
gnia delle  altre  di  Torre  Borgia,  che  suol  habitare  sua  Beati- 
tudine. 

[522]  Sono  alla  sala  di  Costantino  molte  pitture,  tutta  essendone 
coperta,  eccetto  il  basso  dove  stanno  panni  di  seta  e  d'oro  conti- 
nuamente, fatti  a  Fiorenza  da  Papi  de  Medici,  sono  tre  quatri 
principali  in  questa  sala,  che  passano  gli  altri,  sono  della  guerra 
e  giornata  sul  ponte,  e  l'altro  del  battesimo.  Ecci  scrittura  de- 
pinta che  dice  qualmente  Clemente  .  vii  .  fini,  cominciata  a 
lion  .  X  .  di  cui  si  scorgono  le  imprese  del  suave  (?)  nel  suffitto 
d'oro  tutto. 

[522]  In  casa  di  m.  Greg.°  epifanio  eh  è  dietro  il  Teatro  già 
di  Flaminio,  doti'  hoggi  è  il  pal.°  di  campodifiore. 
[522']  ((Attimi  quies.  —  Hi  tantum  animi  sui  quietem  in  terris 
consecuntur,  qui  dum  uersantur  in  mortali  corpore,  tielut  ger- 
mani et  obedietites  filii,  student  ea  f acera  quae  dei  dictat  iioluit- 
tas,  noti  ad  quae  sollicitat  ctipiditas:  non  deiudicantes  quare 
hoc,  ut  illud  uoluit,  sed  satis  habentes  eum  ab  eo  onitiia,  quod 
haec  sit  uolutttas  eitis  qui  prò  constatiti  firmiterquae  nihil  uelle, 
nisi  id,  quod  per  optimum  est  » . 

Il  palatilo  del  duca  d' Urbino  è  su  la  via  lata,  nel  cui  can- 
tone sta  Santamaria  di  tal  cogtiome,  cioè  in  via  lata.  Nel  ri- 
sarcimento si  vede  sopra  di  molte  porte,  alle  stanne  : 

((  Julius  Feltrius  de  Ruere  card.  Urbinas  ».  • 

[523 J  Ma  ci  è  la  prima  sala  grande  e  quatrilata  molto  alta, 
dove  sono  depinture  nere  in  bianco  assai  spatiose  e  ben  lavorate, 


460 


^.  Lanciarli 


con  Varmi  di  quel  cardinale,  già  secondo  V  iscrittione  che  dice  : 
((  Fatius  de  sanctoris  Viterbien.  card,  sanctae  sabine  ». 
La  sua  arme  l  un  arbore  di  palma  con  sbarra  nel  fusto,  e 

si  vede  in  molte  parte. 

Rappresentano  l'accennate  pitture  T  historie  di  Traiano,  sot- 

t' ognuna  delle  quali  si  legge: 

((  Imp.  cesar.  Nenia  Traianus,  annua  tributa  Dacis  a  po- 
pulo  romano  dependi  indignatus,  expeditione  in  eos,   regemq. 
eorum  Decebalum,  statini  initio  imperii  suscipit». 
[523 1]  La  2da. 

((  Signis  collatis  cum  Dacarum  ingenti  exercitu  confligit, 
magnaque  edita  strage  per  iiiga  montium  ad  regiam  hostilem 
agrum  depopulatus  pervaditi. 

.  i  i  i . 

((  Milites  post  Victor iam  per  tentoria  adiens,  cum  quibusdam 
fascie  ad  colliganda  vulnera  deessent,  paludamento  in  lacrimas 
scisso,  eorum  necessitati  snbvenit». 


mi 


((  Decebalus  rex,  armis  bellicisque  instrumentis,  conditioni- 
busque   acceptis,    humi  suppliciter  procumbens,    Traianumque 
adorans,  pacem  ueniamqtie  impetrat  )>. 
[524]  .  u . 

((  Post  arma  tradita  conditionesq.  acceptas  Traianus  cum 
exercitu  Romani  contendit  n. 

.  ui , 

((  Romani  reuersus  Traianus,  ex  Senatus  consulto  Daciiis 
appellatur,  spectanteque  populo  romano,  quod  omnia  prospere 
feliciterque  successissent,  meritas  Diis  gratias  agit  ». 

.  uii . 

((  Audita  regis  Decebali  defectione,  iterum  Traianus,  in 
eum  arma  capit  ».  ■ 

.  u  i  i  i . 

((  Dum  Romae  urbanas  res  meliorem  in  formam  restituii 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  461 


Traianas,  rebeìlante  Decebaìo  hostemque  per  Senatiini  indicato, 
iterum  cantra  Dacos  proficiscittir  » . 
[524']  .  niiii . 

«  Pontem  ìapidciiin  Danubio  iniponit,  struens  (?)  ex  qua- 
drato lapide,  piì arimi  altitiido  earum  (?)  e  et  l  propter  fnnda- 
menta,  ìatitndo  ìx,  intervaììum  e  et  70  pediim». 

.  X  . 

((  Fusis  hostibus  urbes  espugnat,  gentem  penitns  in  potestatem 
redigit,  Daciam  provinciam,  in  circuitu  hahentem  decies  centena 
miìia  passuum,  facit  ». 

.  X  i . 

((  The  sauri  Decebaìi,  qnod  (?)  iìle  siibter  uada  sargetìae 
amnis  occnltauerat,  consciosqiie  occiderat,  captiui  indicinm,  qui 
cedi  superfuerant,  rechidunt  » . 

.  X  i  i . 
[525]  ((  Caput  Decebaìi  regis,  qui  ne  in   Traiani  potestatem 
uiuìis  veniret,  rnanus  sibi  intulerat,  primo  miìitibus  in  castris, 
mox  Roniae  popuìo  romano  ostentum  est  » . 

.  xiii . 

((  Romae  circum  maximum  restituit,  bibìiot.  extruxit,  forum, 
singularem  sub  omni  coelo  structuram,  cum  equestri  statua  et 
coìumna  ingenti,  erigit  ». 

.  X  i  i  i  i . 

<(  Parthis,  ius  Armeniae  sibi  uendicantibus,  bellum  indicit, 
in  quo  eos  profectiis  brevi  uincit,  et  a  Senatu  princeps  optimus 
appeUatìir  ». 

.  xu  . 

((  Parthorum  armeniorumque  reges  ac  satrapas,  regione  omni 

[525 1]  ad  mare  rubrum  perdominata,  supplices  ad  pedes , 

ceterosque  iugum  detrectantes,  facile  debellat  » . 

.  X  u  i . 

((  Mare  rubro  oceanoque  nauigato,  Indicaq.  expeditioìie  ob 
ingravescentem  aetatem  omissa,  rediens,  Parthis  regein,  diade- 
mate imposito,  constitnit». 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  31 


462 


9^.  Lanci  ani 


xuii 


«  Dum  Romam  conUndit,  ìmperii  anno  nnde  20  moritura 
diuinisque  honoribiis  Senatus  consulto  exhibitis,  consecratìonemq. 
per  acta  eiiis,  ossa  supra  columnam  in  foro  coììocantiir  » . 

[526]  Farmi  assai  convenevole  dar  saggio  di  questa  depintura, 
ch'era  un  posamento  basso  che  sosteneva  letto  assai  adornato. 
In  mex^o  à  cui  giaceua  la  statua  sopina,  scoperta  con  lauro  in 
testa,  senxa  peli  alla  barba,  e,  distesa  con  una  mano  al  ventre 
et  era  la  sinistra,  e  l'altra  longa  per  canto  il  corpo,  che  pareva 
tenesse  camisa  in  dosso....  delicato.  Attorno  stavajto  in  terra  .  6 . 
foconi,  che  mostravano  ardere,  per  la  farà  ci  appare  :  e  nel 
prefato  letto  per  le  sponde  n'erano  .  4"' .  (foconi)  a  uno  de  quali 
appicciava  la  torcia  di  legno  0  non  so  che,  un  certo  d'aspetto 
venerando,  coronato  pure  di  lauro  in  testa,  et  aueua  allaccia- 
[52^1]  tura  nella  spalla  destra  che  stava  tra  di  molta  gente, 
attendente  tanto  spettacolo.  Alcuni  di  costoro  haiieuano  insegne, 
con  S.  P.  0.  R.  et  altri  tenevano  alcune  cose  a  foggia  di  torce. 
Torniamo  al  letto,  c'hauea  in  se  stesso  cacciato  un'ordine  di  .x. 
colonne  con  festoni,  che  quatrilatava  in  capo  di  tutte  ugual- 
mente sopra  che  sono  .8  .  nicchi,  pieni  di  statue:  sopra  altresì 
era  un  altexxp-  coperta,  eh'  è  posamento  à  tré  fignrette,  chà 
man  alta  sostentano  in  piano  un  cerchio  di  festone.  Attorno  a 
che  sono  quattro  angeli  che  sono  appoggiati  in  aria,  con  un 
aquila  d' ali  aperte. 

[527]  Ad  alto  di  questa  sala,  sono  altre  pitture  attorno  colo- 
rite, al  pari  delle  descritte,  ch'in  maggior  forma  stanno  à  me^^a 
facciata,  et  ha  ciascuna  la  sur  scrittura. 

«  Aedilis  .  e  et  )o  .  gladiatorum  paria  exhibet  ». 


.  it 


Statuam  cai  Marii  noctu  in  capitolio  erigit  ». 


.  ut  . 


((  Iti  sen  atti  orationeni  h  ab  et  de  supplicio  coniuratorum  ». 


mi . 


<(  Consul  facttis  de  more  sacrificai  ». 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g     •     463 


«  Contra  Catonem  kges  itnprohantur  » . 

I  527']  .ni . 

((  Equo  iisus  est  pedes  prope  humanos  hahenle  ». 

.  iiii . 

((  Hel ». 

.  uiii . 

((  Germanos  e  Gallia  fugat,  testudine  eorum per f racla». 

.  u  i  i  i  i . 

((  G.  Pomp Brundusii  tentai  includere». 

((  Erarium  Romae,  inuitis  tribunis,  diripit  » . 

.  xi . 

((  G.  Pompeium  cum  exercitu  operibus  cingit  » . 

[528]  .  xii . 

((  Victis....  parcit,  scrinium  Pompei  comburit». 

.  xiii . 

<(  Oblato  G.  Pompei  capite  ingemit  ». 

.  xiiii . 

«  Ex  egipto  ad  classem  natans  euadit  ». 

.  xu , 

<(  lubam  regem  in  Africa  cum  suis  elephantis  supera». 

.  xui . 

((  Congiarium  populo,  donatinum  militi  dai  » . 

àXuii . 

<(  De  Gallia  egipto  siria  Africa,  Hispaniaq.  triniphat  etc.  ». 

Non  s' è  potuto  ricauar  intieramente  perch' essendo  più  pic- 
cioli sono  dal  tempo  consumati. 

[528^]  San  Marco.  Dentro  il  palaxxp.  Ivi  dapresso  in  una 
porta  della  prima  sala,  che  ne  riguarda  uerso  a  s.^°  apostolo. 

«  Pius  .iiij.  Medices  Pont.  max.  has  aedes  Reipub.  Uè- 


464 


9^.  Lanciani 


netac  argmmntum  amoris  et  studìj  sponk,  donaitit,  lacobo  su- 
per antio  equiti  oratori  .  1^64  .  » . 

In  campo  iìiar:io  nella  casa  che  fa  cantone  salendosi  a  Mon- 
tecitorio depinta,  e  con  merli  sopra,  dove  nella  porta  principale 
è  levata  l'arnie  di  prima,  e  messa  quella  de  Conti,  Romani, 
sono  ancora  questi  versi  : 

((  Cristoforns  Nardinius  eques  nos  tecta  leuauit 
Diix  eqidtum,  sixtoque  principe  clarns  eques  ». 

Credo  che  il  Cristoforo  Nardini  qui  nominato  sia  fratello  o  ni- 
pote del  cardinale  Stefano,  il  quale  nel  1475  costruì  il  palazzo  del 
Governo-vecchio,  e  stabilì  pure,  sotto  il  pontificato  di  Sisto  IV,  un 
collegio  per  gli  studenti  poveri  nelle  vicinanze  di  S.  Tommaso  in 
Parione.  Cf.  Reumont,  Gisch.  d.  S.  R.,  Ili,  409;  Gregorovius,  VII, 
768.  Il  collegio  è  ricordato  nel  Ceiisìiiieuio  di  Leone  X  edito  dall' Ar- 
mellini. 

[529]  Casa  del  Ceuli,  comparata  in  strada  Giulia,  da  gli  eredi 
del  cardinal  Montepulciano,  ha  molte  statue  e  nel  posamento 
d'una  è  nel  cortile  :  [CIL.  VI,  10044] 

«  Victoria  Venitianorum  semper  constet  feliciter  ». 

In  una  pietra  che  serve  hora  per  posamento  del  vaso  per 
l'acqua  santa  nella  chiesa  di  piazza  Navona: 

((  Dis  manihus  .  luliae  Agele  coniugi  b.  ni.  Tyrannus  f.  » 

Nel  capo  del  suffitto  d'Araceli,  a  lettre  d'oro  e  grand' in  co- 
lore torchino  : 

((  Quod  Pii  .v.p.  m.  Philippi  .ii.  hisp.  reg.  s.  g.  veneti  . 
[529^]  auspiciis,  icto  contra  turcas  foedere,  Christiana  classis  ad 
Echina d. prò el.  dimicaverit,  trirenies  hostium  .clxxx.  ceperit 
.xc  .  demer scrii,  s.  p.  q.  r.  vot.  sol.  in  reditu  M.  A.  Columnae  . 
pont.  clas.  praef.  et  navalis  vìctoriae  monumentum  deiparae 
Virgini  laquear  aureiim  dd.  mdlxxv,  Gregorii .  xiii .  p.  m. 
a.  iv  ». 

Cf.  NiBBY,  7^.  y.,  5,  344;  Casimiro,  St.  d.  AracoeU,  34. 

Alla  sacristia  d' AracoeU  pure  tra  l'altre  cose  di  valore  0 
sacre,  è.  nella  colonna  d'argento  : 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  466 


«  Chrislo  victori  —  M.  Antonìiis  Ascanii  filiiis  Columna 
pontificiae  classis  praefectus,  post  insignem  contra  Tiircas  uicto- 
riam,  bencficii  testificandi  causa  d(edicavitì)  .  i^ji  .pridienon. 
decembris  ». 

In  cima  di  questa  colonna,  eh' è  l'arme  d'essa  famiglia  Co- 
[530]  lonnesc  sta  cristo  risuscitato  con  la  croce  in  spalla.  Ap- 
pariscono poi  .  xii .  poppe  di  galere,  a  tre  per  ogni  verso,  nella 
colonna,  d'ugual  distanza  e  d'argento  il  tutto  che  pesa  libbre 
non  più  però  di  .  xxiiii .  d'altezza  circa  me^^^a  canna  romana: 
di  grossex_\a  a  corrispondenza. 

Dalla  banda  in  ponte  sisto  verso  ripa 

Iscrizione  «  Qui  transitis....  »  Schrader,  1.  e,  f.  200;  Forcella, 
XIII,  n.  92. 

Dall'altra  banda  verso  s.  Pietro 
Iscrizione  «  Xystus  IIII....  »  Schrader,  1.  e;  Forcella,  XIII,  n.  93. 

Queste  iscrizioni,  auree  nella  forma  e  nel  dettato,  modellate  sui 
tipi  del  tempo  d'Augusto,  monumenti  insigni  per  la  istoria  edilizia 
della  città,  furono  stoltamente  tolte  di  posto  nel  iiSy^,  e  si  conser- 
vano nei  magazzini  della    Commissione   archeologica. 

Autore  del  risarcimento  sistino  è  stato  creduto  dal  Vasari  in 
poi  (t.  IV,  pag.  136;  cf.  Reumont,  Gesch.,  Ili,  A,  405)  Baccio  Pon- 
telli,  il  quale  non  pose  piede  in  Roma  se  non  alcuni  anni  dopo  la 
fine  dei  lavori.  Il  merito  di  sì  bella  ricostruzione  va  attribuito  a 
Meo  del  Caprino,  assistito  da  Manfredo  Lombardo,  e  da  Paolo  di 
Carapagnano.  Niccolò  da  Narni  ebbe  l'appalto  dell'impresa;  uomo 
di  cattiva  fede,  tipo  e  campione  di  quella  razza  che  anche  ai  di 
nostri  è  in  pieno  fiore.  Egli  soleva  frodare  l'erario  specialmente  nelle 
ossature  dei  muri  e  nei  rinfianchi  degli  archi,  costruendo  le  une  e 
gli  altri  «  de  simplici  luto  et  lapidibus  sine  calce  ».  Veggasi  il  Muntz, 
1.  e,  III,  203,  il  quale  mi  sembra  confondere  a  torto  il  «  pons 
quinti  »  nel  quale  fu  riconosciuta  la  frode,  col  ponte  Sisto.  Il  «  pons 
quinti  »  trovavasi  sulla  Flaminia,  passato  il  ponte  Milvio. 

La  ricostruzione  del  ponte  Sisto  fu  decretata  con  bolla  del  gen- 
naio 1473  :  ((  Eodem  anno,  a  di  29  di  aprile  Papa  Sisto  quarto  co  i 
cardinali  e  molti  vescovi,  si  conferì  a  palazzo  in  Trastevere,  et  a 
Ponte  Rotto....  dove  egli  aveva  destinato  racconciar  detto  ponte, 
discese  nel  fiume,  e  mise  ne  i  fondamenti....  una  pietra  quadra  ove 
stava  scritto  Xistus  quartus  pontifcx  ma.\imus  fecit  freri    sub    anno 


466 


9^.  Laudani 


domini  1473  ».  (Infessura,  ap.  ;  Muratori,  III,  1143).  Questa  pietra 
è  stata  ritrovata  l'anno  1878  quando  si  mise  a  secco  l'arcata  del 
ponte  sotto  la  sponda  cistiberina.  La  apertura  solenne  al  pubblico 
ebbe  luogo  in  occasione  del  giubileo  del  1475.  I  fondi  furono  rac- 
colti, multando  severamente  i  trasgressori  della  legge  suntuaria  del 
17  agosto  1473.  Gli  espropriati  a  cagione  dei  lavori,  soprattutto  i 
proprietari  di  molini,  ebbero  in  compenso  le  entrate  camerali  della 
città  e  del  territorio  di  Nepi.  Mììntz,  1.  e,  pag.  202. 

[530*]  Fontana  di  Trevi.  Ha  in  facciata  l'arme  papale,  che 
san  .2  .  chiavi  incrocicchiate,  et  è  in  mexxp  a  quella  del  popolo, 
con  solita  iscrittione  S.  P.  Q.  R.  nello  scudo,  ch'altro  noti  uè. 
((  Nicolaus  V.  PP.  M.  » 
«  Post  illustratam  insignibus  monumentis  Urhem,  ductum 
aquae  uirginis  uetustate  collapsum  sua  impensa  in  splendidiorem 
cultum  restituit  ornariq.  mandauit.  Anno  Domini  lesti  Christi 
M.cccc .liij  .  Pont,  sui .  VII. 

Cf.  ScHRADER,  1.  c,  pag.   199,  il  quale  sbaglia  la  data  (1554). 

[531]  Dietro  a  questo,  eh' è  proprio  nel  condotto  uecchio  sopra 
la  porta  dello  scoperto,  nelV  hahitatione  h  questa  memoria  in 
marmo  : 

((  Che  Pio  .u  .  ci  Institui  l'arte  di  Lana  n. 

Intorno  l'acquedotto  e  la  mostra  dell'acqua  vergine  cf.  l'erudito 
opuscolo  di  Giovanni  Beltrami,  Leonardo  Bufalini  e  la  sua  pianta 
topoorafica  di  Roma.  Firenze,  1880,  pag.  30  seg.  Credo  che  l'autore 
del  codice  sbagli  attribuendo  a  Pio  V  l' istituzione  dell'arte  della 
lana  presso  il  Trivio:  il  Galletti,  infatti,  lesse  sulla  porta  d'una 
bottega  presso  la  fontana  l' iscrizione  :  «  Sixtus  .  v  .  pont .  max  .  la- 
narias  arti  et  fulloniae  urbis  comoditati  paupertatisque  sublevanda; 
aedificavit  an.  m.  dxxxvi.  pont.  ii.» 

Nella  facciata  di  Torre  de  Conti,  verso  s^'^  Maria  mag.^^ 

[Segue  l'iscrizione  Hec  domus  é  Pdri  ed.] 

Altro  non  c'è,  dimodo  che  dourà  màcare.  Qusta  torre  e 
molto  grande,  e,  ben  fabricata  per  anticotta,  con  tutto  che  n'ap- 
parisca qualche  crepatura. 
[53  i^j  Pala^xp  d'Inquisizione  0,  prigione,  ch'I  tra  camposanto 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g         "  467 


et  i  Caualleggicri  su  la  strada.  Al  cantone  con  arme,  di  .  6  . 
sbarre  pendenti,  che  di  colore  sotto  gialle  e  rosse. 
Piiis  .  u  .  poni.  m(ax). 

In  marmo  sopra  la  porta  ch'entra  nel  cortile  d'esso  loco,  et 
è  di  ferro  con  feritoie  dalle  bande,  stando  nella  prefata  porta 
l'arme  papale  detta,  e  quattro  d'altrettanti  cardinali,  cioè  Pa- 
cecco,  Pisa,  Gamhara  e  Chiesa: 

<(  Piiis  .v.p.  m.  congregationis  sanctae  inquisitionis  domum 
hanc  qua  haereticae  pravitatis  sectatores  cautiiis  coercerentur  a 
fimdamentis  in  augumentum  catholicae  religionis  erexit  anno, 
tndlxix  ». 

\'^'^2\  Nel  Torrione  di  Castello  in  fronte  al  ponte,  che  si  passa 
per  gir'  a'  Palazzo  eh  é  di  Irauertino  : 

.  «  Alexander  Borgia  Ualentinus  PP.  vi.  14^0  » 

Torre  di  nona.  In  facciata  con  arme  Papale: 
«  Plus  qnintus  P.  M.  an.  2°  ». 

Cortesauella.  In  facciata  con  arme  di  Papa  in  me:(7^o  à  que- 
sta del  Cardinal  Savello  : 

«  Gregorio  xiij  P.  M.  Beneficium  » 

Sotto  è  un  arme  altresì  de  sauelli,  con  elmo  aperto: 

«  Bernardinus  sabellus  Curiae  de  sabellis  Marescallus  per- 
petuus  ». 

La  fabrica  è  risarcita  in  tempo  di  costoro:  ci  sono  in  fac- 
ciata tre  ferrate  principali  alte,  et  altrettante  da  basso,  con  certe 
altre  ancora  senza  riguardo  d' architettura  in  prospetiiua. 
[532^]  Casa  del  card,  già  capodiferro,  tra  la  Trinità  e  piaxxft- 
del  Duca,  e  ne  riesce  dalla  strada  di  qua  sino  alla  Giulia  con 
l'orto,  anzi  tutta  è  in  isola.  In  facciata  dinanzi  sono  finestre 
n.  ix.  a  un  paio  a  tre  ordini,  uno  sopra  l'altro  e  quello  dabasso 
è.  di  ferrate.  Al  dritto  di  ciascuna  finestra  in  alto  sono  i  nicchi, 
e  le  statue  di  stucco.  Il  primo  verso  la  Trinità  è  Traiano,  a 
che  ne  serve  questa  iscrittione: 

((  lunictae  uirtutis,  imperatoris  optimi  cognomen  promeruit  » 


468 


1{.  Lanci  ani 


G.  Pomp.  Mag. 

[533]  '■^  Maximo  fortunae  ludibrio,  iibique  tiicior,  indigno  uitae 
cxitu,  sepoltura  caruit  » 

Fahius  Maximus 

((  Inueteratae  prudentia  dux,  cunctando  restititit  reni  » 

Romulus 

((  Eternai  urbis  fundamenta  iecit,   miìitarcm  disciplinam 
domi  instituit,  qua  imperìiun  fcìiciter  crescerei  » 

Numa,  che  Ida  un  focone  acceso  dìnnanxi,  con  manto  dalla 
testa  in  terra 

«  Martìum  populum  religioni  addixit,  ut  pace  ac  bello  in- 
uictus  euaderet  » 

Marcus  Marcellus 

«  Bellafor  acerrimiis,  opima  spolia  Ioni  Fer etrio  p it. 

Cesar  dictator 

((  Universum  terraeorbenij  hostili  cruore  replenit:  suo  demum 
sanguine  curiam  inundauit  » 
[.533^^  Aiignstus  Ceear 

«  Jano  clauso  finem  Ciuilibus  et  externis  bellis  imposuit  ». 

Traiano  e  Numa  stanno  differenti  dagli  altri  prencipi  :  que- 
sti cioè  dissi,  e  quelli  tiene  in  una  mano  la  palla,  e  nell'altra 
il  bastone.  Gli  altri  tutti  hanno  aste,  et  i  vestiti  da  guerra. 
Dentro  questa  casa,  nel  cortile  sono  in  cima  ancora  molti  ador- 
namenti pure  di  stucco,  e  l' impresa  di  troncone,  e  cane,  che 
sedendo,  lo  riguarda,  con  motto  a  uiroque  tempore  ». 
[534]  In  piaz'^a  Giudea,  nella  facciata  di  quella  casa  uecchiotta, 
ch'occupa  tutta  la  banda,  che  sotto  hapix^^icaroU,  à  lettere  grandi, 
passano  un  pie. 

[Segue  la  nota  iscrizione  di  Lorenzo  Mallio]. 

La  piazza  giudea  fu  riordinata  da  Giulio  secondo  nel  1508,  come 
apparisce  dalla  seguente  poco  nota  iscrizione  ap.  Schrader,  1.  e,  f.  201  '. 

«  lulii  II  p.  m.  auspiciis,  lacobus  Albertinus  et  Hieron.  Picus 
aediles,  angustia  viae  ad  forum   ludaeorum  offensi,  coactis    regredì 


//  Codice  barberinìaiio  XXX,  8g  469 


domìbus    ampliandis,    curaver.    idemq.    probaverunt.    Ann.    Christi 
MCCCC(C)VIII  ». 

Questa  iscrizione,  nella  quale  facilmente  si  ravvisa  la  ispirazione 
dell'antico,  ci  dimostra  quanto  bene  fossero  compresi,  circa  quattro 
secoli  or  sono,  i  sani  principi  della  edilità,  quello  specialmente  che 
impone  ai  ricostruttori  di  case  l'obbligo  di  allineare  la  fronte,  ce- 
dendo od  occupando  terreno,  sull'asse  della  strada.  Se  la  iniziativa 
di  quei  due  valenti  edili  del  secolo  xvi  avesse  trovato  imitatori  negli 
ultimi  trecentocinquant'anni,  forse  non  avremmo  avuto  bisogno  di 
piani  regolatori. 

Paìaz^XO  de  Saveìli,  eh' è  sopra  lo  stesso  edificio  del  teatro  di 
Marcello,  an^i  cene  sotto  granparte.  Alla  porta  : 

((  Amphiteatra  priiis,  inox  propugnacula,  nirsiis 
Diruta  restituit  darà  Sabella  donins  ». 
[534^]  Dentro  nel  cortile  sono  molti  pezs}  d' antichità  e  doi  cas- 
soni di  marmo.  Una  delle  quali  ha  .  v  .  (cinque)  statue  di  mexxp 
rilevo  dinanzi  et  altrettante  dietro,  tutte  d'ercole  che  ne  combatte 
con  quei  suoi  mostri.  Da  capo  n'ha  tre  altre,  e  di  pie  medesi- 
mamente. Questo  sepolcro  é  il  megliore  et  il  più  sontuoso  che  si 
vedano  degli  antichi  di  questa  sorte  :  et  ha  un  coperchio  come 
tetto,  adornato  di  lenxuoli,  che  appariscono  ricamati.  Alli  can- 
toni sono  .  2  .  bambocci  con  uva  in  mano.  Sopra  giacciono  .  2  . 
statue,  che  passano  il  me:(^o  rilevo  di  maschio  e  femmina,  eh' a 
mandritta  è  abbracciata  dall'homo  giovanotto  di  barba  riccia. 

Hospidale  di  s.  Gio.  Later.°  allo  scoperto,  don  è  un  po:^:^o  sono 
molte  casse:  In  uno  sono  dinanzi,  tre  gesti  d'ercole  più  che  di 
[535]  mex^o  rileuo.  Da  capo  .2.  e,  da  pie  altrattanti,  sen^a 
coperchio,  come  certi  altri  di  uaria  foggia.  A  una  simplice  di 
marmo  bianco,  e  cosi  l'altre  pur  sono,  eccetto  che  da  capo  e 
pie  nelle  facciate,  ha  un  uisotto  con  ricci,  e  ligatura  in  fronte 
alta  ch'i  anzi  nella  testa.  Dinanzi  è  tenuto  un  breue  da  .  2  . 
angeli,  che  dice  così. 

((  T.  Manlius  prunicus  Clandiae  famiariae  con.  dul.^'^  et 
Manlio  Cyriaco  fri  amat-'"°-  » 

In  un  altra  cassa  scannellata,  a  onde. 
[Titolo  CIL.  VI,  10524]. 


470 


^.  Laudani 


[135^]  £"'  iuiun  altra  cassa  contai  figure  dimeno  riìieuo.  Prima 
una  donneila  cìjc  getta  liquore  da  un  naso  alla  seggia  d'un  altra 
che  riposatasi,  ne  sonaua  stromento  lungo.  Dinanzi  si  stendeua 
non  so  che,  a  guisa  di  letto,  rozzamente  accomodato.  Sopra  che 
stana  donna,  et  homo  che  Vabbracciaua,  et  in  una  mano  teneua 
certo  naso.  Canto  la  donna  era  putto  nudo,  che  aueua  un  cesto 
de  frutti.  Fuori  del  prefato  letto  era  donna  con  porchettino  in 
seno,  dietro  a  cui  ueneua  un  altra,  che  portaua  il  naso  dalla 
destra,  e  dalla  sinistra  la  fiaschetta.  Sotto  detto  letto,  sonucel- 
letti,  cani,  e  fantocci,  ma  certo  l'edificio  non  è  magnifico.  Nel- 
l'urlo d'esso  letto  è  overo  nel  friscio  : 

[Titoletto  greco  indecifrabile]. 

che  significa 

[156J  ///  una  parte  della  porta,  nel  palagio  di  s^^  Maria  in 
Trastevere. 

((  Foelix  nimium  prima  etas  » 
Dall'altra  banda 

«  Omnis  etas  de  suo  tempore  conquesta  est  » 
Trovo  che  ìiell'entrare  della  seconda  porta  di  campidoglio, 
era  figura  di  feroce  lione,  che  teneua  dauanti  un  lioncino  gia- 
cente, con  tali  versi. 

((  Iratus  recole,  q.  nobilis  ira  leonis 
In  sibi  prostratos  se  negat  esse  feram  » . 

Intorno  questo  monumento  si  consulti  l'egregia  dissertazione  del 
prof.  Camillo  Re  «  Il  Campidoglio  e  le  sue  adiacenze  nel  secolo 
XVI  »  nel  Bull,  coni.,  X,  pag.  104  e  seg.  Il  prof.  Re  dimostra  che  il 
distico  deve  riferirsi  non  al  celeberrimo  leone  di  marmo  «  dove  gli 
altri  la  sentenza  odono  »  ma  bensì  ad  un  leone  dipinto  «  in  ingresso 
secundae  portae  capitolii  »  e  dipinto  in  atto  di  riguardare  non  un 
lioncino  ma  un  cagnoletto.  Nelle  case  dei  Caffarelli  in  via  della 
Valle  leggevasi  lo  stesso  epigramma,  accornpagnato  forse  da  una 
replica  del  dipinto  capitolino.  (Mazocchi,  Epig.  135). 

Ancora  trono,  Apud  sanctum  Gregorium  (Georgium)  uelum 
aureum. 

M.  oratius  consul  ex  lege  templmn  fovis  opt.  Max.  dedicauit. 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  471 


An.  post  Reges  exactos,  a  coìisiiUbus  postea  ad  Dictatores,  quia 
magis  impcrium  erat,  solenine  ciani  figendi  translatum  est. 
[156IJ  Pur  leggendo  caiio  da  alcuni  scritti  a  mano,  a  Pontesa- 
laro.  In  honorem  Justiniani 

«  Qjiam  bene  curuati  directa  est  semita  pontis 

[CIL.  VI,  1199]. 

Questa  iscrizione,  trascritta  fin  dall'ottavo  secolo  dall'einsiedlense, 
doveva  essere  molto  cara  agli  epigrafisti  del  rinascimento,  i  quali  ne 
hanno  tratto  sovente  il  «  motivo  »  dei  loro  epigrammi  edilizii.  La 
iscrizione  della  via  Sistina,  rinnovata  da  papa  della  Rovere  tra  il 
Castel  s.  Angelo  e  la  piazza  di  s.  Pietro,  incominciava  appunto  così 
«  quam  bene  Sixtina  haec  quae  propter  fluminis  undas  cet  ».  Sulla 
casa  dell'arciprete  di  s.  Pietro,  leggevasi  altro  epigramma  medesi- 
mamente ispirato  «  quam  bene  stare  vides  cet  »  cf.  Schrader,  1.  e, 
200*  e  216'.  Potrei  citare  altri  esempi. 

Ho  medesimamente  come  di  sopra  che  dentro  s.  Sisto  era 
D.  M. 

Colatinus  Tar.  diilcissinie  mee  coniugi  et  incomparabili  lu- 
cretie  pndicitie  decori  et  mulierum  glorie  que  nixit  ann.  lii  (?) 
mensibus  .  u  .  diebus  .  x  u  i  . 

Di  questa  epigrafe,  che  forse  appartiene  a  qualche  scoltura  e 
pittura  del  cinquecento  si  è  occupato  anche  Io  Schrader.  Diceva 
secondo  lui  : 

«  Dum  foderet  castum  gladio  Lucretia  pectum 
Sanguinis  et  torrens  egrederetur,  ait. 
Testes  procedant  me  non  favisse  tyranno 
Ante  virum  corpus,  spiritus  ante  Deos. 
Quam  bene  producti  de  me  post  fata  loquntur 
Alter  apud  manes,  alter  apud  superos. 

Collatinus  Tarquinius  dulciss.  meae  coniugi  (et  incomparabili) 
Lucretiae  pudor  et  mulierum  gloriae,  vix.  ann.  XXII  dies  XVI  ».  f.  188. 

Et  ancora  in  antiquario  capitolino  ad  Bruti  statuam 
«  Utinam  viueres  ». 

Non  credo  che  una  iscrizione  cosi  infetta  di  nihilismo  sia  mai 
stata  scritta  nel  posamento  del  Bruto  capitolino.  Il  celebre  busto  fu 
donato  al  S.  P.  Q.  R.  nel  1564  dal  cardinale  Rodolfo  Pio  di  Carpi, 


472 


9^.  Lanci  ani 


Morì  nel  1568,  a  63 


'ebbe 


insigne  collettore  di  antichità.  Mori  nel  1508,  a  03  anni, 
nobile  mausoleo  nella  chiesa  della  Trinità  de'  Monti,  erettogli  dal 
suo  amico  e  protettore  Pio  V.  L'epitafio  può  leggersi  nello  Schrader, 
1.  e,  f.  182'.  La  memoria  incisa  nel  posamento  del  Bruto  è  del  se- 
guente tenore  : 

«  Munus  Rodolphi  Pii  card.  Carpensis  MDLXIIII.  S.  P.  Q.  R. 

pos.  Vicentio  Parentio,  Ludovico  Mattheio,  Thoma  Cavallerio  con- 
servatoribus  ». 

[537]  ^^^^0  scoperto  presso  di  snnùqiiattro.  —  Anne  sopra  uìi 
portone,  di  Castello  rosso. 

((  Haec  quicumque  uides,  ueteri  prostrata  mina 
Obruta  uerbenis  ederis  dnniisqne  (?)  iacebant. 
Non  tuìit  Hispamis  Carrillo  Alphonsus  honore 
Cardineo  fnlgens  hoc  opus  licet  occnpat  ingens. 
Si  animus  mag.  paratq.  palatia  snmptu 
Duni  sedet  extincto  Martinus  scismate  quintus  » 
Ci  stanno  le  ragax^ie  orfane.  In  una  pietra  fuori  di  loco. 
((  Hic  Virgiftes  orphanae  ekniosinis  alimtnr, 
ut  ut  Deo  diceniur,  ut  nubant  ». 

Alfonso  Carillo  è  uno  di  quei  cardinali  i  quali  «  ad  imitationem 
(Martini  V)  eorum  titulos  ruinae  paene  proximos  repararunt,  et  ad 
magnum  ornatum  usque  perduxerunt  »  (Muratori,  55.  Ili,  2,  pa- 
gina 867)  contemporanei  a  quello  dei  ss.  Quattro  Coronati  sono  i 
restauri  di  s.  Lorenzo  in  Lucina  per  opera  di  Giovanni  de  la  Rochetaille 
(iscriz.  del  1427  ap.  Martinelli,  K.  ex  etbii.  sacr.,  138)  di  s.  Stefano 
Rotondo  per  opera  del  re  Sigismondo  (Bull.  Vat.  II,  81)  etc,  etc.  Il 
palazzo  dei  ss.  Quattro  aveva  servito  di  residenza  a  spagnuoli  fino 
dal  secolo  xiil  Enrico  di  Castiglia,  senatore  di  Roma,  vi  dimorava, 
come  apparisce  dai  documenti  del  Ficker,  citati  dal  prof.  Re  nel  Bull. 
COVI.,  X,  97. 

Nello  scoperto  de  Cenci  ad  un  posamento  messo  canto  la 
chiesa  :  et  è  cosa  de  Gentili. 

((  M.  Cinciiis  Theophilus  Vestarius,  Termioniarius  ». 

In  casa  di  m.  Gir.°  Gabrielle,  presso  la  guglia  di  s.  Minuto, 
nel  camino. 

«  Domus  magnifìce  edificata,  animi  magnifcentiam  ostendit, 
[53 7 M  amoremq.  et  honorem  sibi  conciliai,  edifcauit,  Hieroni- 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  478 

miis  Gahrielhis  Caroli  fiVuis  aiignhiniis  CGnwioditaii  alq.  proste- 
ntati constilens  ». 

Alla  strada  de  pontefici  eh' è  tra  s.  Giacomo  de  gli  incura- 
bili et  il  Mausoleo  d'Augusto  nella  stessa  facciata  d'essa  casa 
de  pontefici  doue  ne  sono  molti  depinti. 

«  Saturnius  Gerona  prescriptione  quinquagenaria  annorum, 
acs  .  e.  ciues  Romanus,  ad  ornatum  urbis  et  hospitalis  sancti  laii- 
rentij  lateranensis  utilitatem,  a  fundamentis  erexit,  locumq.  ex 
egreste,  celebrem  fecit  ». 

Loco  de  Medici,  prima  di  Montepulciano  cardinale. 
In  facciata  d'una  fontana,  in  capo  del  giardino,  che  ne  ca- 
deua  in  sontuosa  pila  di  marmo  biaiìco,  piena  di  figure  più  che 
di  mex_io  rilieuo,  ancora  donerà  sacrificio  d'un  toro  et  altre  at- 
tieni diuerse: 

«  Virginìam  acquani  duxit  tantum  Mafuojrtis  i?t  agrum 

(Marcus)  Agrippa,  et  opus  dicitur  egregium. 

At  Collis  in  pincii  uerticem  Camillns  Agrippa 

Extulit,  ingenium  cernitur  eximium  ». 

I538]  Questa  memoria  sarà  fatta  in  tempo  del  cardinal  Mon- 
tepulciano onero,  di  Medici,  che  comparò  il  loco  eh  è  canto  la 
Trinità  de  Monti.  Morì  Montepulciano  uiuente  Greg.  xiii.  e, 
questo  cardinal  de  Medici  si  leuò  il  cappello,  uiuente  sisto  .  ti . 
pigliando  moglie. 

In  una  porta  fra  Castello  e  beluedere,  di  quelle  che  fece 
Pio  .  4° .  insieme  con  la  muraglia,  sotto  l'arme  di  s.  santità  : 
((  Qui  uult  rempublicam  saliiam  Nos  sequatur  ». 
È  incisa  nel  fascione  d'imposta  della  porta  Angelica. 

Nell'accasamento  del  giardino  dell' arciuescovo  di  Fiorenxft, 
oratore  di  s.  Altexxfi  eh' è  dietro  santa  Maria  nona  fin  al  co- 
lisseo:  sopra  la  porta  del  cortile  dentro,  scritto,  e,  nell'entrare, 
che  ne  conduce  all'adornate  stanne,  e  sontuose. 

«  Utrum  saluber  an  sit  aer  Hospes  desine  : 
Utrumne  in  Urbe,  an  ultimo  hoc  in  angulo 


'7^.  Lanciani 


heriis  qimscat,  commode  magis  sibi  himc 
suoque  campar avit  odo,  Jocum  :  quid  tu  :  quid 
heres sentiat  nihiì  anxius  ». 

A  questo  giardino  si  riferiscono  altri  paragrafi  del  codice  f.  540'. 

L'arcivescovo  di  Firenze,  collettore  di  antichi  marmi,  è  Alessan- 
dro de'Medici  creato  cardinale  da  Gregorio  XIII,  restauratore  della 
chiesa  dei  ss.  Quirico  e  Giulitta,  suo  titolo.  Cf.  Ugonio,  Stagioni,  277. 

[538^]  Dentro  la  Trinità  di  Ponte  sisto,a'  un  lauamano.Arme 
papale  di  tnezxp  dragone  : 

((  Sedente  Gregorio  .  i)  .  P.  O.  M.  » 

((  Sebastianus  Baldantius  florentinus,  Greg.  xiii.  Pistor  se- 
cretus  societatis  huius  confrater,  Balneum  hoc  ad  peregrinorum 
et  conualescentium  usum,  suis  sumptibus  fieri  curavit,  an.  Ju- 
bilei.  /J7;  )). 

In  un  altro  loco  arme. 

<(  Bartholomeus  Usconius  ciuis  Romanus  s.'"^  trinitatis  de- 
votissimus  egregium  hoc  nouum  et  utilissimum  ad  decoquendas 
aquas  artificium  extruxit.  i^yé  ». 

Intorno  questo  ospizio  veggasi  il  cod.  vat.  5513  contenente  un 
«  breve  ragguaglio  come  comminciasse  la  santa  opra  di  albergare  li  Pel- 
legrini et  Convalescenti  etc,  etc.  »  scritto  nei  primi  anni  del  secolo  xvii. 

Nella  porta  del  popolo,  alla  facciata  fuori  e,  rifatta  nobil- 
mente con  arme,  a  lettere  d'oro 

((  Pius  .  i  i  i  i .  poni.  max.  portam  in  hanc  amplitudinem 
extulit,  via  flaminiam  stravit,  anno  .  i  i  i .  » 
[159]  Porta  pia.  Dentro  in  facciata,  sono  .2  .  ferrate.  Arme 
in  alto,  et  a  mex^o  •  2 .  angeli  di  rilieuo  in  aria,  che  tengono 
.  2  .  croci  in  spalla,  di  legno: 

((  Pius  .  iiii .  poni.  max.  portam  piani  sublata  nomentana' 
extruxit,  viam  piani  acquata  alta  semita  duxit  ». 

Nella  muraglia  poco  lontano,  al  risarcimento,  arme  papale: 
[Forcella,  XIII,  13]. 

((  lidio  .  ii .  p.  m.  » 


//  Codice  bar  berilli  ano  XXX,  8g  478 

Passata  l'altra  porta,  andandosi  verso  il  Popolo,  sopra  la 
muraglia  pur  risarcita,  arme  et:  [Forcella,  ivi,  17] 

((  Julius  .  Hi .  pont.  max.  » 

Assai  più  oltre,  et  in  risarcimento  basso  con  arme  : 

((  lulius  .  Hi .  pont.  max.  » 

[539^]  P^^^^o  il  Popolo  fuori  alla  porta  della  iiigna  di  m.  Ti- 

tio,  spoletino,  mastro  di  casa  del  gran  Card.  Farnese: 

((  Scopus  vitae  Christus  y. 

Presso  la  torre  di  là  da  Ripa  sul  fiume  è  un'arme  di  pietra 
bianca  coronata,  che  pare  di  .  j  .  sbarre» 

A  ripa,  in  quelle  basse  loggie,  0  che  siano,  di  poca  ualuta, 
è  l'arme  di  Giulio  . }  .  cosi  et  in  più  luoghi. 

«  lulius  .  iij  .  Pont.  M.  ann.  lub.  i^^o  ». 

Dentro  al  muro  in  pietra  è  una  statua  di  mex^o  rilieuo,  come 
ercole,  col  breue,  per  fama.  Sotto. 

((  Leonardus  Boccaccius  rei  frumentariaepraefectus  inuentor. 
M.Dxl». 

Nel  giardino  già  detto  de'  Medici,  sopra  un  posamento  in 
[540]  piano  sta,  di  marmo  bianchissimo  orologio  da  sole  di  .j  . 
palmi  0  quasi. 

«  Horologium  ad  latitudinem  graduuni  .  42  .  fabricatum 
Florentie  prò  civitate  Romana,  an.  D.  M.D.xui  ». 

Quest'é  attorno,  don' ancora  l'arme  papale  di  palle,  e  l'im- 
presa delle  tré  penne  col  diamante. 

In  casa  di  m.  Antonio  palombo,  dietro  s.  m.^  in  uia.  Molte 
cos' antiche  irà  l'altre  .  2  .  busti  di  mezxp  rilieuo,  d'aspetto  no- 
bile con  portatura  in  testa  ricciotta,  e,  la  mano  destra  sopra  la 
spalla  manca,  che  scansa  essa  portatura. 

Statua  .  I .  <(  Tacitia  Aida.  Tacitia  Mater  ».  Statua  .  2  . 
filiafecit  ». 

In  questa  casa  di  Antonio  Palombo,  notaro,  conservavasi  anche 
una  statua  di  personaggio  togato  sedente,  rinvenuta  nell'alveo  del  Te- 
vere presso  Ripetta  dal  pescatore  Paolo  Bianchini.  Vacca,  mem.,  92. 


r  Lanciarli 


[540 ij  Ancora  in  un  altro  loco  sul  posto: 

((■  Domitie  Uitali.  P.  eniilius  mansuetus  coniugi  b.  m.  Emilia 
firmina  matri pientissime  fecerunt  et  sibi  et  suis  posterisq.  eorum. 
Solarium  hiiiiis  munimenti siiie superficium pertinet  adgentcm». 

Nel  giardino  0,  loco  deW Arcivescovo  di  Fiorenza  di  casa  de 
Medici  -  fu  poi  cardinale  -  è  un  bellissimo  cupido  grande  in  pie. 
col  suo  braccio  antico  meraidglioso,  eh' è  il  dritto,  la  cui  mano 
si  tiene  alla  spalla  sinistra,  doue  se  ne  appoggia  dormendo.  Ha 
Vali  e  l'arco  da  canto. 

Altrove: 

«  D.M. 
T.  Flauio  Nesimiau.  ex  tribù  Camilla  filio  pijssimo  Flauius 

<^t  Flauia  Delphice  parentes  fec.  et  sibi  et  Hbertis  liberta- 

busq.post.  cor.  H.M.H.N.S.D.H.S.D.M.A  ». 
[541]  /;/  altro  loco 

((  Julia  primogenia  fecituiu  a  sibi  et  snis,  posterisq.  cor.  Clan- 
dius  Sabinus  dulciss.  nixt.  an.  VI.  M.n.d.4  ». 
et  altrove 

«  Due  angioletti  che  tengono  pietra  in  forma  ritonda  (clipeo 
di  sarcofago)  Aurei.  Aretutle  uxori  sanctissimeintegre fìdei  frugì, 
modeste,  uere  innocen.  olympius  maritus  et  sibifecit  ». 

Questo  è  in  edifìcio,  credo  per  fontana  0  abellimento  :  sopra 
sta  un  busto'con  testa,  che  non  sarà  sua,  d'aspetto  uirile,  barba 
folta,  ritonda,  e  riccia  come  sotto  i  capelli:  e,  sotto  l'epitafio  non 
sarà  manco  suo. 

«  D.  M. 
Symphoro  euthychie  f.  coniugi,  b.  m.  » 

[541 1]  Da  presso  -  sta  ancora  un  bel  termine  di  statura  giusta, 
antico,  e  barbuto,  e  de  capelli  ricci  a  niex^a  fronte,  con  un 
montone  al  collo,  che  lo  tien....  e  garbatamente  per  li  piedi,  dal- 
l'una e  l'altra  mano. 

Ivi  nelle  stanne  alli  scoltori,  che  ui  sono,  è  pietra  doue  sono 
dui  nobilissimi  busti  di  me:^xP  rilievo  nudi,  eccetto  che  sono  con 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  477 

ammantature  dalle  spalle,  si  tengono  per  la  man  dritta  Vuno  e 
V altro,  e  sono  d'hiiomo  e  di  donna,  la  quale  sta  alla  destra,  di 
aspetto  gentiletto  e  da  bene,  con  simplicità  e  modestia,  li  capelli 
hauendo  abondanti  ridotti  dietro  e  ristretti,  e  hanno  lo  scrimo  (?). 
Tien  un'anello  alla  man  sinistra  in  ponta  del  deto  della  fede, 
[542]  et  un  altro  al  penultimo  al  solito  loco,  l'homo  par  raso 
et  attempato,  sdutto  e  d'effige  piena  di  maestà,  e  di  fronte  spa- 
ziosa, li  capelli  ricci  e  bassi.  Ne  riuersa  l' ammantatura  con 
la  sinistra  mano,  doue  porta  un  anello  al  deto  della  fede.  Gli 
occhi  d'amcndui  sono  da  morto. 

((  Gratidia.  M.  l.  chrite.  M.  Gratidius  Libanus  ». 
Tra  s.  Paolo  e  la  porta.  «  Cappella  hospitalis  sanctiss.  tri- 
nitatis  conualescentium  et  peregrinorum,f andata  fuit  anno .  1^68  ». 
fui  ad  una  pietra  : 

((  In  questo  luogo  si  separano  san  pietra  e  san  Paolo,  an- 
dando al  martirio  :  e  disse  Paolo  a  Pietro,  la  pace  sia  con  teco 
fundamento  della  chiesa,  e  pastore  di  tutti  gli  agnelli  di  Cristo  : 
e  Pietro  a  Paolo  :  va  in  pace  predicatore  de  buoni,  e  guida  della 
de  giusti  »  Dionisius  in  epistula  ad  Thimoteum. 

[542I]  Nel  portico  a  s.  Paolo,  sopra  la  porta  santa: 

«  Sanctissimo  D.  N.  Gregorio  xiij  Pont.  M.  feliciter  se- 
dente, atque  mandante  portam  hanc  sub  Julio  iij  tempore  fubilei 
apertam  et  clausam  D.  L.  Moronus  cardinalis  et  episcopus  ostien- 
sis  et  huius  congregationis  protector  et  pr  solemniter  aperuit,  an. 
domini  .  ijj^  .  die  .  24  .  men.  decembris.  et  sub  eodem  die,  anno 
elapso  D.  Alexander  Farnesius  Cardinalis  et  episcopus  Tuscu- 
laniis  clausit  ». 

Nel  portico  di  s.  Paolo,  fuori  di  loco  : 

((  Salutio  Anthoftio  salutia  Helpis  fecit  sibi  et  suis  libertis 
libertabusque  et  filiis  filiorum,  poster isque  eorum,  ne  de  nomine 
exiet  ». 

Ancora  dentro: 
«  D.  M. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  32 


478 


Lancìani 


Licinia  veneria  fecit  sibi  et  C.  ty ranno  C.  Valerio.  P.  Malìio 
[543]  secundo  coniugi,  P.  Malìio  tyranno  ffilioj  e.  Fulcinio 
Dextro,  liberftisj  libertabusgue  snis,  posterisque  eonim  H.  M. 
H.N.S.  » 

In  terra,  e  sarà  de  gentili,  che  starà  fuori  di  loco  : 

(f  Post  mortem  si  uiuit  amor,  si  gratia  prisca 

Durai  in  arcanum  mentis  ad  acta  bonum 
.    Quamuis  luctificum  fratris  tu  accipe  Carmen 
Ne  mala  sit  tumulis  extera  lingua  tuis. 

Te  natum  parens  somni  depinxerat  arte 
Moribus,  higenio,  corpore,  mente,  fide. 

Purus  amicitiae  cultor,  seruator  honesii 
Eloquio  miseros  ut  pietate  fouens. 

Himè  quod  toto  tempore  te  fieuimus  euo 
Qiiod  fuerit  Juueni  uis  tibi  multa  senis. 

Te  genetrix  fratres  que  simnl  et  compare  luctu 
Perpetuis  lacrimis  plangit  amata  domus. 

Hic  requiescit  in  pace  B.  M.  Petilius 
in  processus  us  togatus  t  H  pp  qui 
uixit  pi  M.  am.  ^8.  depositus  est,  sub 
die  .  8  .  cai.  Jan.  Prob.  imi.  ile  cons.  » 

[543 1]  E  fuori  di  loco,  come  sopra: 

((  Calphurnius  depositus  in  pace  d.  z  j  (?).  cai 
mart.  qui  uixit  an.  pi.  m.  Ix.  » 

Dentro  il  conuento,  fuori  di  loco,  al  muro  con  busto  più  che 
di  me^xo  rilieuo  : 

((  Dis  Manibus 

Felicule  uixit  an.  Ì2  (?).  m.  ^.  Cocceia  magna  et  cocceius 
chrestus  parentes  filiae  dulcissime  fecerunt  ». 

Intorno  la  prima  iscrizione  di  questo  gruppo  cf.  «  Notizie  del 
modo  tenuto  sull'apertura  e  chiusura  del  giubileo....  del  1575  sotto 
Gregorio  XIII  »  nel  cod.  vat.  6533,  f.  249  seg. 


//  Codice  barbermiano  XXX,  8g  479 

S.  Martino  àt  Monti.  In  terra,  fuori  di  loco,  e  cosi  : 

(ì) 

<(  Fl.Jouina  que  uiMt  ann.  j.  d.)2.  depos.  Neofita  in  pace, 
xi.  cai.  decembris  )>. 

et  ancora  altrove: 

((  C.  Camerius  crescens  cet.  »  [CIL.  VI,  2183]. 

[544]  Nella  porta  dello  scoperto  con  arme: 

«  Pater  Nicolaus  adnectins  Cyprius  mec  Carnielitaruni  fa- 
miliae  inter  ceteros  niendicantìum  ordines  perantiqiiissimae  ma- 
gister  generalis,  meos  alumnos  cis,  tiltraque  mare  et  alpes  in 
num.  prouinciarum....  et  cong.  ).  distrihiitos  reformauit  diti  et 

sustincns  reduxit,  ut  eis  omnia  sin Nunc  nero  aedem  hanc 

excissam  restituit.  1^61.  xil.  septembris  ». 

In  casa  di  Fabritio  La^^aro,  sopra  de  pietra  rotta  : 

«  Fortis  Caesar  N.  ser.  uer.  pedisequiis  domus  palatin.  et 
ulpia  calefecer.  sibi,  posterisq.  suis  ». 

La  casa  di  Fabrizio  Lazaro,  medico  famoso  ai  suoi  tempi,  alla 
quale  è  succeduto  il  palazzo  oggi  de'  Ferraioli,  è  descritta  di  sopra. 

In  san  Pietro,  in  un  paramento  bellissimo  e  di  ualorc,  con 
V  infrascritto  motto  a  suoi  lochi  e  con  arme  di  Casa  Farnese  : 

((  Paiilus  iij  Pont.  max.  nobile  munus  insigni  arte  ad  fti- 
[544I]  bilettm  paratiim  morbo  improuiso  interitu,  annum  non 
attigit  ». 

L'iscrizione  è  manifestameme  turbata  per  colpa  del  trascrittore. 

Alla  fontanella  nel  cantone  a  man  dritta  uoltandosi  uerso 
castello,  che  si  uede  quando  si  uiene  dalla  immagine  di  ponte,  la 
qual  fontana  è  con  un  leoncino  tra  sassi,  a  guisa  di  quella  del 
capilupo  in  campom.ar:(o  : 

«  Ut  lupus  in  martis  campo,  masuetior  agno, 
Virginias  populo  fauce  ministrat  aquas. 


480 


.an  ciani 


Sic  quoque  perspicuam,  cui  uirgo  prcsidet,  undam 

Mitior  hic  hoedo  fundit  ab  ore  ho. 
Nec  mirum  :  Drago  qui  toto  pius  imperai  orbi 

Exetìipìo  pìacidos  reddit  utrosque  suo. 

1579  »■ 

Questo  epigramma  spetta  al  fonte  del  leone  dirimpetto  a  s.  Gio- 
vanni de'  Fiorentini.  Nella  copia  dello  Schrader  il  v.  2  legge..., 
«  rite  ministrat  aquas  ».  La  data  sarebbe  il  MDLXXIIII. 

Sotto  Montecauallo  in  facciata  ad  una  casa  con  l'effige  de- 
pinta dello  infrascritto  : 

[545]  ^^  -^'^  scanderbegus  ttircarum  accerimus  hostis 
Qui  tanto  uictor  nomine  dignus  erat. 
Nam  sonat  id  nómen,  turcarum  interprete  lingua, 
Magnus  Alexander  :  lector  amice  vale». 

E  nel  giardino  del  Cardinale  Medici  -  pietra  appoggiata 
in  un  cantone  spatiosa  et  incorniciata,  di .  2  .pe^:(i,  e  colme tt a: 

<(  Seraspadanes  »  cet.  C.  I.  L.  VI.  IJ99. 

Presso  la  porta,  che  fa  entrandosi  uerso  portapinciana,  per 
quella  uia  diritta  in  mexj(p  del  giardino  si  trouano  molti  nasi  di 
quella  terra  ordinaria.  Erano  lunghetti,  et  in  uno  stauano  a  SAE. 
Pie  ». 

[545  ^]  Casa  che  fu  del  cardinale  Montepulciano  e  poi  sono  di 
Medici.  Dentro  le  belle  stanne  0  habitatione fatta  da  questo  Car- 
dinale al  giardino  su  la  trinità,  é  imo  a  guisa  di  contadino  nudo, 
che  chinato  ne  mostra  d'  arrotare  un  cortellaccio  largo  su  una 
pietra.  Mi  diss'uno  d'hauer  inteso,  che  fusse  quel  Villano,  che 
poi  scorticò  Marsio,  che  perde  nella  discordia,  c'hebbe,  e  nella 
differenza  con  Apollo.  Basta,  è  statua  certamente  signalata. 

Ancora,  è  in  pie  una  Venere  nuda,  in  faccia  d'una  camera. 

Si  uede  parimenti  il  busto  della  moglie  d'Adriano,  et  un' 
altro,  dicenano  di  Faustiìia. 

L'Arrotino,  o  Scita,  e  la  Venere  sono  i  notissimi  capolavori  della 
Tribuna  degli  Uffizi. 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  481 

Allo  statuario  del  cardinale  di  Ccse,  nel  palazzo  presso 
r Inquisitione  e  dentro  il  suo  giardino  è  un  satiro  antico  barbato 
di  statura  d'homo  giusto,  che  n'abbraccia  a  mano  stanca  un 
[54^]  giovane  sbarbato  e  nudo,  stando  il  satiro  a  coda  in  or- 
dine e  ritta,  roversata  per  natura 

[Qui  l'autore  entra  in  terreno,  nel  quale  non  posso  seguirlo  per 
rispetto  verso  il  lettore]. 

[546 1]  Ancora  in  casa  del  prefato  cardinale.  Pietra  quatra  alla 
grande,  con  segni  belli  dentro  et  adornamenti: 

<(  M.  Pompeio  M.  f.  ani.  Aspro [Orelli,  3509] 

[547]  Nel  medmo  palaxxp  0  casa.  Pietra  pur  grande  e  quatra: 
((  Qui  colitis  Cybelen j)  [CIL.  VI,  10098]. 

Marmo  incavato  in  edificio  quasi  come  una  finestra  con  .  2  ' 
colonnelle  dalle  bande.  In  mez^o  sono  .  2  .  busti  più  che  di  me^xp 
rilevo.  A  man  dritta  è  la  giovane  di  capelli  ricciotti  e  grossi  nella 
fronte  che  mostra  poco  scrinio.  L'altra  porta  l'acconciatura  de 
capelli  similmente  in  fronte...  poi  sono  accomodati  a  treccia  coni' a 
foggia  di  cappello.  Ci  sono  nel  marmo  adornamenti  e  segni,  archi, 
carcassi,  delfini,  pesce,  urna,  e  rota. 

[547']  ((  D.  M. 

Lubie  secunde,   Cornelie  Thyches  uxori  s. 


bilis  erga  maritimi  adfectus 
sanctitatisque,  et  eximiae  erga 
liberos  pietatis  q.  uixit  an.  ^4. 
m.  4.  d.  7.  ex  is  mecum  an...  » 


Et  forme  singulari  et  mo- 
ribus  piissimis,  doctrinaque  sa- 
prà legitimam  sexus  sui  aeta- 
tem  prestantissime  que  uixit  an. 
xi.  m.  q.  d.  20  et  incompara- 

Da  una  banda,  nella  grossexxfi  di  questo  edificio  e  pietra  : 
(Seguono  6   esametri  talmente   corrotti  e  viziati  che  non  danno 
senso). 

Capriolo  di  me:(;(P  i^Hi^'vo,  poi: 
(Seguono  6  esametri  e.  s.) 

[548]  Sopra  la  porta  del  giardino  dell'  arcivescovo  di  Siena, 
dalla  banda  del  Colliseo: 


482 


.anciant 


«  Se  se  theatri  avertit  ab  licentia  et  spedai  hortos  luppiter, 
quos  incolunt  festina  non  lasciua  ruris  numina  ». 

Questa  iscrittione  riguarda  fuori,  e  Giove  sta  in  cima  della 
porta  riguardando  dentro,  col  fulmine  in  mano. 

In  un  luogo  per  detto  giardino  sono  ancora  queste  anticaglie  : 

«  Domus  aeterna  Flaviae  Chrysidis  ». 
In  un  altro  luogo: 

«  C.  Mio.  c.f.  quir  prisco  scrihae  quaest...»  [CIL.  VI.  1817] 
■In  im  altro: 

((  Spei  aug.  sacr »  [CIL.  VI,  760] 

et  in  altro  luogo: 

«  T.  Claudius  Hesychus »  [CIL.  VI,  15 116]. 

II  giardino,  nel  quale  eran  conservati  questi  marmi,  apparteneva 
non  all'arcivescovo  di  Siena,  come  è  detto  in  questo  paragrafo  per 
errore,  ma  all'arciv.  di  Firenze,  Alessandro  de'  Medici.  Vedi  sopra 
pag.  539'.  Infatti  l'ara  marmorea  della  Spes  augusta  (trovata  sulla 
fine  dell'anno  1566  nella  vigna  del  cav.  Giandomenico  Sorrentino 
sulla  sponda  di  Marmorata),  fu  descritta  dal  Cittadini  e  dal  Winghe 
negli  «  horti  dopo  il  tempio  della  Pace  -  del  card,  di  Fiorenze  ». 
L'istesso  dicasi  del  cippo  di  C.  Giulio  Prisco,  descritto  dal  mede- 
simo Winghe  in  aedibus  cardinalis  Fiorentine.  I  giardini  di  s.  Maria 
Nuova  divennero,  poco  stante,  proprietà  di  Marzio  Colonna  (CIL.  1.  e). 
Il  cippo  di  C.  Giulio  trovasi  ora  nella  villa  Mattei  -  von  Hoffmann  : 
l'ara  della  Pace  è  andata  a  finire  nell'isola  di  Maiorca,  nella  rac- 
colta Despuig. 

Della  vigna  del  cav.  Sorrentino,  donde  viene  quest'ara,  parla 
Flaminio  Vacca  nella  meni.  94  :  e  quindi  ha  torto  il  Corpus,  trasfor- 
mando il  Sorrentino  in  «  Fiorentino  ».  Il  medesimo  Vacca,  meni.  39, 
descrive  un'erma  di  Socrate  trovata  incontro  a  s.  Antonio,  verso 
l'osteria  di  s.  Vito,  acquistata  poi  dal  card,  di  Firenze.  Egli  abitava 
non  in  questo  suo  giardino,  ma  nel  palazzo  Colonna  (Id,  meni.  44). 

[548^]  Nel  convento  e  monastero  della  pace,  canto  l'anima: 

«  Oliverio  Caraffae  card.^'  neapolitano,  fundatori  pientis- 
simo,  protectori  benemerenti,  canonici  regulares  pos.  an.  salii- 

tis  1^0)  ». 


//  Codice  barberiniano  XXX,  8g  488 


Il  cardinale  Oliviero  è  assai  più  benemerito  dei  Romani  che  non 
si  sapp/a  generalmente,  essendo  eglino  a  lui  debitori  del  Pasquino. 
Sullo  zoccolo  del  mutilo  simulacro  leggevasi  questa  memoria: 

«  Oliverii  Carafae  beneficio  hic  sum,  anno  salutis  M  •  D  •  I  ». 

Chi  sa  che  il  celebre  frammento  non  provenga  dalle  fondamenta 
del  convento  della  Pace,  le  quali  si  stavano  appunto  scavando  nel 
1501.  Il  cardinale  possedeva  una  villa  ornatissima  suU' Esquilino,  e 
delle  buone  anticaglie  nel  suo  palazzo.  Sotto  una  figura  di  Flora, 
posta  nel  conclave,  leggevasi  questo  gentile  epigramma  (Schrader, 

1.  e,  21  s'): 

«  Firmum  corporis  robur,  castasque  mensarum  delitias,  et  beatam 
animi  securitatem  amatoribus  meis  promitto  ». 

Presso  porta  settignana,  verso  la  pinciana,  sopra  la  porta 
d'una  vigna  con  arme  che  v'é: 

<(  Io  bapta  Victorius  » 
poi: 

((  Recessus  in  Salhistianis  » . 
In  una  pietra  cacciata  nel  muro  di   questa  vigna  dalla 
banda  di  fuori: 

((  M.  Aurelius  Pacorus »  [ClL  .  VI .  122]. 

La  vigna  dei  Vittori  occupava  nel  secolo  xvi  porzione  del  sito 
di  villa  Ludovisi,  come  può  riconoscersi  nel  foglio  A  i  della  pianta 
del  Bufalini,  ed.  Fiorelli.  Intorno  le  vicende  della  iscrizione  dei 
due  «  aeditui  Veneris  hortorum  Sallustianorum»veggansi  gli  autori 
citati  nel  Corpus. 

In  banchi,  nello  scoperto  de'  Bandini,  ch'I  a  mano  manca 
per  gir  in  ponte,  è  cupido  a  mano  destra  a  venere,  nudi  amen- 
dui:  e  venere  con  adornamento  difrez;^e  (trez^^ì)  che  tiene  sot- 
t'un  piede  un  corno.  S'abbracciano  e  fanno  vista  di  basciarsi. 
Statue  per  moderne  assai  belle  che  sedono  sopra  una  testa  di 
[549]  pofco  selvatico,  e  v'é: 

((  opus  Frane.  Moschini  F.  R.  T.  I.  » 

Il  palazzo  dei  ricchi  banchieri  di  Siena  doveva  appartenere,  quando 
fu  scritto  il  codice,  a  quell'arcivescovo  di  Siena  Francesco  Bandini- 
Piccolomini,  il  quale  dedicò  nella  chiesa  di  Santo  Apostolo  il   bel 


484 


1{.  Lanciani 


sepolcro  di  suo  nipote,  Sallustio  figlio  di  Mario,  morto  nel  1570,  e 
di  sua  cognata  Eufrasia  Agassana,  morta  nel  1563. 

In  casa  del  duca  d'Urbino,  canto  sta  Maria  in  via  lata, 
dentro  il  giardino  al  muro  in  pietra  : 
((  Quod  potui  posui  tibi,  fida  Catella,  septilcrtim 
Digna  magis  coeli  munere  quam  tumuli. 
Candenti  e  lapide  haec  tibi  convenit  urna:  fuisti 

Candida  tota  pilo,  candida  tota  fide. 
Sic  coelum,  ut  quondam  canibus  pateret  band  tua  terra 

Incendet,  set  ver  stella  perenne  dabit. 
Titae  catellae  blandissimae  -  Antonius  Tibaldeus  ». 
In  pittura  : 
«  Hic  Tita  tecta  canis  cultos  quae  maluit  hortos 
Frane'  elysium  quam  coluisse  nemus». 

Gli     epigrammi    ed    il    titoletto    furono    trascritti    anche    dallo 

SCHRADER. 

Nel  territorio  di  Belvedere  0  ristretto,  dalla  banda  di  Torre 
borgia,  dove  fabrica  Gregorio  xiii,  alla  tavola  d'Italia: 

((  Liguria  .  Hetruria  .  Umbria  .  Latium  .  Campania  foel. 
Lucania  .  Brutios  .  Magna  grecia  .  Salentini .  Apulia». 

[549']  ciol  Riviera  di  Genova,  Toscana,  Ducato  di  Spoleto, 
campagna  di  Roma,  Terra  di  lavoro  .  Basilicata  .  Calavria 
inferiore  .  Calavria  superiore  .  Terra  d'otranto  .  Terra  di 
Bari. 

Puglia  piana. 

Abruzzo. 

Marcaconitana. 

Romagna. 

Lombardia  di  qua  dalpo. 

Lombardia  di  la  dalpo. 

Marcatrivisana. 

Frioli. 

Istria. 


Apulia  daunia. 

Sannites. 

Picenum. 

Flaminia. 

Emilia. 

Gallia  transpadana. 

Veneti. 

Forum  lulii. 

Istria. 


//  Codice  barberiniaiio  XXX,  8g  486 

Nel  giardino  del  cardinale  di  Cese,  a  un  castrone  mo- 
derno : 

((  Secar  a  simpUcitas  ». 
A  un  leone: 

«  lunoxia  fortitudo  » . 

Al  primo  cortile  di  mez^xp  delle  belle  loggie  a  s.  pietro  in 
più  luoghi: 

((  Greg.  xiii .  P.  M.  an.  D.  Pontif.  s.  an.  v ». 
In  questo  corridore,  et  in  l'altro  di  sopra,  sono  pinte  bi- 
[550]  storie  moderne  et  ecclesiastiche  con  imprese,  et  in  questo 
basso  è  il  me^^o  drago,  in  wg;(^o  al  segno  di  Mercurio  (caduceo) 
et  al  cornucopia,  col  motto  che  dice  : 

((  Utrumque  praestat  ». 
Nel  basso  di  quel  frutto  di  pigna  grande  al  cortile  di  s. 
Pietro  é: 

((  P.  Cincius  P.  l.  Calvius  fecit  » . 

Veggasi  :  Lacour-Gayet,  Mélanges.  Écol.  frane,  V,  pag.  320. 

Sopra  la  porta  della  fabrica  nova,  nello  scoperto  in  capo 
di  Belvedere,  dove  sono  le  melangole  e  le  statue  : 

((  Pius  iiii  Medices  Mediolanen.  pont.  M.  quo  commodiores 
honestioresq.  sibi  successoribusque  hortos  vaticanos  redderet, 
complures  aulas  cubicula  et  scalas  circum  superque  Hemicyclum 
pleraque  a  fundamentis  extruxit,  quedam  in  veterem  formam 
restituit  atque  exornavit,  salutis  anno  .  1^62  .  pont.  s.  anno  .  )  . 
cai.  lan.  absolvit  ». 

Gregorio  XIII,  nelle  sue  fabbriche  vaticane,  cui  accenna  questo 
paragrafo,  impiegò,  come  tanti  suoi  predecessori  e  successori,  i  ma- 
teriali di  antichi  edifizi  romani.  Alle  memorie  che  si  hanno  di  questi 
spogliamenti,  può  aggiungersi  la  seguente,  tratta  dal  codice  sopraci- 
tato di  Giovanni  Alberti,  fogli  25*  26,  i  quah  fogli  contengono  bel- 
lissimi disegni  del  mausoleo  di  Adriano  con  molti  particolari  inediti. 
«  Questo  fregio  co  festone  e  teste  di  buci  (buoi)  segniati  .  A .  e 
larchitrave  segniato  .  B  .  il  basamento  segniato  .  C  .  Si  cavano  al 
preste  i  la  mola  da  driano  ditto  castel  sato  angelo  sotto   il   girone 


486 


T^  Lanciani 


dinanzi  (cioè  l' imbasamento  rettangolo)  che  eie  questa  faciata  fatta 
a  bugnie  dibasso  rilievo  segniate  .  D  .  co  uno  gra  pitafio  .  nel  mezo 
dai  canti  no  se  cavato  .  i  pilastri,  respetto  alle  muraglie  p(er)  quato 
si  pò  conoscere,  poco  pò  variare  .  e  questi  pezi  sono  stati  grandis- 
simi pezi  di  marmo  spossti  coperati  p(er)  ordine  dil  nostro  signiore 
papa  Gregorio  xiii  lavorati  i  Ila  capella  Gregorianda  i  santo  pietro  . 
el  basameto  sotto  terra  i  questo  di  20  dilulio  .  1579.  ^'  Ed  ai  fF.  57^, 

58  ripete:  «  Questa  cornici fra  i  marmi  di  sato  pietro,  che  sono 

state  minate  metre  che  lavoravano  i  palazo  p(er)  papa  Gregorio  xiii  ». 
Il  giallo  antico  impiegato  negli  adornamenti  della  cappella,  pro- 
viene da  due   grosse   colonne  scoperte   dappresso    s.  Tommaso    in 
Parione  (Vacca,  31), 

Nella  vigna  di  s.  pietro  a  vincola,  cauandosi  del  i^So  fu 
trovato  alle  rovine  delle  terme  prima  che  si  giunga  alle  .  7  .  sale 
queste  iscrittioni  in  .2.  posamenti  nobili. 

((  lulius  Felix  Campaniamis » 

CIL  .  VI .  1670.  La  testimonianza  del  nostro  autore  sul  numero 
delle  basi  concorda  con  quella  dello  Smezio  il  quale  parla  di  due 
sole.  Il  LiGORio  ne  nomina  tre;  tutti  gli  altri  una  sola.  La  data 
del  1580,  è  falsa:  forse  dovrà  leggersi  1550  la  quale  cade  nel  set- 
tennio della  dimora  dello  Smezio  in  Roma. 

[550^]  In  facciata  d'una  casa  presso  al  Giacohillo: 

<(  Ex  domo  Cesar,  et  liviae  libertorum  et  servorum  ». 
Nella  cava  della  vigna  di  s.  lorenxp  in  panisperna  presso 

il  lavacro  di  agrippina,  cavandosi  ancora  si  trovò  : 

((  I.  0.  M  -  Dianae  Ephesiae,  Dis,  Diabusque  -  T.  Fla- 

vius  Damianus  -  V.  C.  -  praef.  erar.  sat.  » 

Benché  la  pfefettura  dell'erario  civile  convenga  ad  un  v(ir) 
c(larissimus),  pure  l'iscrizione  mi  sembra  fortemente  sospetta  di 
falsità. 

E  nel  giardino  di  Cese  non  so  se  qui  ho  che  ci  é  : 

«  D.  M  -  M.  Claudius ...  aetetus  philippidi  uxori  dulcis- 

simae  b.  ni.  » 

Alla  fontana  nel  muro,  incontro  s.  Gio  :  de  fiorentini  ha- 

bitatione  del  Sangaletto,  tesorier  secreto  di  Pio  .  v .  eh' è  grot- 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  487 

tesca  con  faccia  di  lìone,  dove  esce  l'acqua,  sopra  sono  questi 
versi  : 

((  Quod  Pius  ime  oculos  ad  me  iam  flexit  amicos 
Qui  mihi  phaebeae  lampadis  instar  erant, 
Do  modo  quas  civis  Romae,  quas  advena  siimat 
Seu  sit  frigus  itiers,  seu  calor  acer,  aquas. 
[55 i]5f e  quoque  cum  solis  radios  compi ectat  acutos, 
Plenior  Aegypti  temperai  nuda  sitim. 
Sed  tamen  hoc  differt;  illic  nani  subsidet  annis, 
Hic  eadeni  semper  copia  iugis  aquae  est». 

Mons.  Sangaletto,  intimo  famigliare  di  Sisto  V,  e  cameriere  se- 
greto, lo  assistè  amorevolmente  nelle  ultime  ore  della  vita.  Nell'ar- 
chivio fiorentino  fil.  3609  si  conservano  alcune  lettere  confidenziali 
del  Sangaletto  al  gran  duca  Ferdinando,  con  la  data  dell'agosto  1590. 
Come  è  facile  avvedersene  questo  epigramma  nulla  ha  che  fare  con 
la  fontana  del  Leone  edificata  da  Gregorio  XIII  nel  1578  dicontro 
a  s.  Giovanni  de'  Fiorentini.  Spetta  invece  a  quella  del  Nilo  costruita 
l'anno  innanzi  presso  monte  Giordano.  Ambedue  le  fonti  avevano 
epigrammi  elegantissimi  (che  forman  famiglia  con  quelli  dell' Eri- 
dano e  della  Lupa)  ma  i  fabbri  errarono  nel  collocarli,  dimodoché 
il  Leone  s'ebbe  quello  del  Nilo.  Il  testo  corrotto  del  codice  barberi- 
niano è  stato  emendato  sulle  copie  dello  Schrader  e  dell' Amayden. 
Cf.  La^ciknj,  Acquedotti,  pag.  129.  L'epigramma  delle  Grazie  il  quale 
non  apparisce  nel  codice,  diceva: 

«  Par  tribus  est  facies,  qualem  decet  esse  sororum 

Par  tribus  est  aetas,  par  quoque  forma  tribus. 
Grata  Thaha  tamen,  geminae  conversa  sorori 

Implicat  alterius  brachia  blanda  soror. 
Euphrosynam  dextra  stupeo,  Aglaiamque  sinistra 

Miror  et  implicitis  brachia  nexa  modis. 
luppiter  est  genitor,  peperit  de  semine  coeli 

Haemonia  et  Veneris  turba  ministra  fuit. 
Inde  alitur  nudus  placida  sub  matre  Cupido: 

Inde  voluptates,  inde  alimenta  Deo  ». 

Nel  loco  del  cardinal  orsino,  incontro  s.  Giacomo  degli  In- 
curabili verso  Monte.  1^80.  Tra  V altre  statue  alle  fonti,  in  uno 
è  questa  antica  di  villano  da  prima  barba,  nudo  che  ride  co- 


Miiciam 


Tonato  d'elkra.  Tien  sotto  il  braccio  destro  un  ofljtre,  facendo 
vista  di  premerla  perché  n  esca  V  acqua,  come  fa,  opera  di 
marmo  finissimo,  lavorato  da  mano  dotta. 

Intorno  al  «  Monte  degli  Ursini  »  cioè  agli  avanzi  del  mausoleo 
di  Augusto,  ed,  alle  opere  d'arte  poste  quivi  per  abbellimento  del 
giardino  pensile,  veggasi  il  Btiìl.  Comm.  Com.,  X,  152  seg. 

Dentro  s.  marcello  e  dentro  al  convento,  tavola  di  marmo 
in  facciata  : 

((  Ex  libris  Antonii  Ursi  veneti,  referendarii  apostolici  jlgensis 
episcopi,  ex  testamento  non  ordinatis,  lacohns  Ursnsfr.  conscius 
[55 1^]  mentis  eius  .  yjo  .  volimiinain  hac  biblioteca  existentia, 
longe  plura  opera  in  omni  f acuitale  continentia,  ad  honorem 
Virginis  donavit  hiiic  monasterio  sancii  Marcelli  prò  anima 
eiusdem  dìlectissimi  fratris  sui,  prò  cuius  salute  prior  et  fratres 
non  ingrati  tanti  mnneris,  promiserunt  in  perpetuum  singulis 
mensibus  defunctorum  officium  celebrare  eum  missa  solemni,  et 
aliis  missis.  Qui  etiam  episcopus  in  extremis  suis  legavit  dicto 
monasterio  planetam  et  pluviale  et  ducatos  .  e  .  ami,  quibus  or- 
dinavit  sibi  annuarium  fieri  per  dictos  fratres,  et  mìssam  so- 
lemnem,  et  alia. 

«  Extrahentes  libros  et  ministris  ex  hac  libraria  (?)  nescien- 
tes  et  non  revelantes,  cuiusvis  dignitatis  existant,  etsi  prior  divi 
Marcelli  vel  generalis  sit,  ipso  facto  sententiam  exconiunicationis 
incurrant,  a  qua  non  nisi  a  solo  papa  possit  absolvi,  ut  in  bulla 
S.  D.  N.  Leonis  x.  super  hoc  concessa  an.  i^iy  ». 

Il  sepolcro  del  vescovo  Orso  sta  nella  chiesa  presso  la  cappella 
del  fonte  battesimale.  Fu  costruito  da  Giacomo  Orso  l'istitutore  della 
libreria. 

Alla  dogana  di  ripa,  over  Corte,  è  scritto  in  facciata  : 
«  Gregorio  .  xiii .  P.  M.  sedente  -  Rev.  pr.  D.  Hieronj- 
mus  Melchionus,  camerae  apostolicae  decanus  et  riparum  prae- 
ses,  per  eius  auditor em,  servatis  servandis,  sententiavitripas  flu- 
minis  omnibus  navigantibus  esse  comunes.  In  actis  notarli  ripae 
[552]  die  .2a.  lanuarii  i^jj  curante  Alexandro  Boncore,  sacrae 


Il  Codice  barberiniano  XXV,  8g  489 

catholicae  Maustatis  generali  consule,  ad  perpetuam  rei  memo- 
riam  ». 

Qui  dapresso  apparisce  scolpito  in  tavola  dal  tempo  affumi- 
cata di  pietra  con  arme  papale,  di  cardinale,  e  del  popolo  romano, 
con  certi  officiali,  il  salario  del  castellano  d'ostia,  e  le  ramaglie 
con  simiglianti  entrate,  prohibendosi  espressamente  che  nel  pas- 
sar a  Napoli  0  tornar  in  quel  viaggio  non  facciano  pagare  cosa 
alcuna  per  donne  che  se  ne  vadino  per  acqua,  si  come  dicono 
che  usano  alle  volte  temerariamente. 

«  D.  M.  S.  P.  Vibi  P.  f.  e. m.v.  Mariani »  [CIL.  VI,  1636] 

Questa  scrittura  Vanno  .  i^So  .  cosi  potiamo  leggere,  essendo 
[552^]  consumata  dal  tempo:  et  é  lontano  da  Roma  tre  miglia 
su  la  strada  che  va  a  Viterbo,  in  una  cassa  di  marmo  bianco, 
che  dinanzi  ha  questo  detto  epitafio  scolpito  e  quatrato,  tenuto  da 
certi  armati  di  testa,  e  con  certo  calciamento  essendo  nudo  il 
resto.  Da  capo  a  pie  sono  in  faccia  grifoni  alla  cassa,  e  da  una 
è.  una  testa  di  bove  col  collo  ancora.  Il  coperchio  alla  cassa  è.  a 
guisa  d'arca,  scostato  da  chi  s'havrà  forse  pensato  trovarci  altro 
che  cerniere  over  osse,  che  ci  dovevano  essere.  Ci  sono  .  4  .  aquile 
di  me:{XP  ^H'^'^o:  alli  cantoni  alcuni  altri  adornamenti.  Nelli  .2  . 
cantoni  pure  dinanzi  al  coperchio  sono  .  2  .  angeli  con  troncone 
in  mano  dove  sono  armature.  Si  dimanda  e  falsissimamente  dal 
volgo,  la  sepoltura  di  Nerone,  è  l'edificio  nobile,  stando  sopra 
di  posamento  da  terra  alto  un  homo.  Ch'é  cassa  di  sepolcro  molto 
glorioso  per  simplice,  pur  (?)  non  essendo  di  maggiore  fabrica,  ne 
mostra  di  non  essere  da  campagna. 
Veggasi  il  NiBBY,  Analisi,  III,  83. 

In  una  porta  che  stava  nella  salita  di  s.  Silvestro  : 
«  Intus  quod  foris  vides  ». 

In  una  pietra  presso  uno  scarpellino  alla  fontana  di  Trevi. 
Da  una  banda  era  molta  scrittura  che  parevano  nomi.  Dal- 
l'altra : 

((  Herculi  Aug.  sacrum.  Officinatores  et  nummulari....  » 

[CIL.  VI,  298] 


490 


.anctant 


La  notìzia  intorno  questa  pietra  è  importante,  perchè  né  il  Cit- 
tadini né  Achille  Stazio  i  quali,  soli  fra  tutti  gli  epigrafisti,  copia- 
rono la  dedicazione  ad  Ercole,  parlano  «  della  molta  scrittura  che 
parevano  nomi:  da  una  banda  »  del  titolo  dedicatorio.  Questo  pie- 
distallo appartiene  alla  bella  e  numerosa  famiglia  di  monumenti 
scoperti  sulla  fine  del  pontificato  di  Gregorio  XIII,  dinnanzi  alla 
chiesa  di  s.  Clemente,  nel  sito  della  zecca  imperiale  (CIL.  VI,  42-44) 
ed  è  tanto  più  verosimile  che  il  nostro  piedistallo  contenesse  il  la- 
tercolo  degli  ofiìcinatori  e  dei  nummularii,  in  quanto  che  anche 
gli  altri  recano  lunghe  liste  di  nomi. 

[555]  Agli  organi  di  s.  Apostolo: 

«  Piorum  ehmosinis  Pio  Hit  P.  M°  sedente,  et  Rodtiìpho 
pio  cardinali  de  Carpo protectore  ». 

Nella  casa  presso  la  fontana  di  Trevi  che  rifa  il  Marchese 
di  Riano,  della  fameglia  di  Cesc,  in  facciata  con  alcune  pitture: 
«  Firginem  aquani  ad  .  viii  ab  Vrbe  lapidemvia  pekstrina 
collectafni)  M.  Agrippa  l.f  e.  sentio  q.  lucretio  coss  adduxit  )>  {i) 
Sopra  nel  maschio  di  Castel  s.  Angelo:  [SchraderJ.c,  218] 
<f  E  Lybia  advenit  Romanas  Victor  ad  arces 
Cesar,  et  in  niveis  aureus  ivit  equis. 
Ille  triumphavit,  sed  plus  tu  Panie  triumphas: 
Victor  namque  tuis  oscula  dal  pcdibus  ». 
Sotto  è  l'arme  d'un  vescovo  che  doveva  essere  castellano  al 
[553^]  tempo  di  Paolo  che  fu  ter^o.  In  un  altro  loco  : 
((  Munere  Guidonis  dulci  recreamur  in  umbra 
Et  curas  animi  voce  levatis  aves. 
Hinc  audire  licei  resonantes  Tibridis  undas 
Otiaque  in  tuto  carpere  amena  loco  ». 
Nella  sala  di  mex;^o  più  alta  ornata  di  stucchi,  e  nel  mexxp 
della  volta,  con  l'arme  papali  di  casa  Farnese  e  ha  .vi.  gigli, 
l  attorno  un  frigio  a  lettere  grandi  e  d'oro  : 

«  Quae  olim  intra  hanc  arcem  collapsa,  impedita,  fedata 
erant,  ea  nunc  a  Paulo  .Hi.  P.  M.°  ad  solidam  frmitatem, 

(i)  L'originale  ha  «  e.  lelio  sp.  lucretio  ». 


Il  Codice  barberinìano  XXX,  Sg  491 

comodum,  utilem  subtilemcpie  venustatem  extntcta,  disposita,  or- 
nata, conspiciuntur  ». 

Ci  sono  alcune  imprese  nelli  suoi  luoghi,  ed  i  lor  motti,  come 
degli  altri,  con  le  figure,  cioè  : 
((  Festina  lente. 
Discite  iustitiam  moniti. 
Manus  fortium  dominabitur. 
Sit  modus  in  rebus  ». 
Canto  l'entrata  delle  belle  stanze,  ad  alto,  eh' è  nel  giro  di 
castello,  verso  la  porta  del  popolo  : 

((  Paulus  .  Hi .  pont.  max.  cum  multa  adfirmitatem  ampliss. 
huius  arcis  addidisset,  hunc  etiam  locufmj...  animi  causa  extruen- 
dufmj  ornandumq(ue)  mafnjdavit  .  md x xxxiii .  Tiberio 
Crispo  praefccto  », 

[554]  Del  .  1^81 .  di  novembre  fu  messa  in  facciata  a  mano 
stanca  neW entrarsi  a  s.  Maria  maggiore  quando  si  viene  da  san 
Giovanni  una  pietra  antica  con  tale  iscrittione  : 

[Lunghissimo  atto  di  donazione  quivi  ancora  esistente]. 

I555]  N^ll^  processione  della  nuntiata  della  miner uà,  dove  an- 
dava il  Papa,  fu  messo  al  Monasterio  Pio 

((  Gregorius  xiii  pont.  opt.  m.  ecclesiarum,  monasteriorum, 
collegiorum  fundatori  conservatori  benefactorique,  Cardinalis 
protector  gubernator  et  praeses  domus  praedictae  ». 

In  altr'anno  poi  qui  stava  : 

((  Perfice,  domine,  quod  inchoasti  ». 

Presso  l'anima,  rincontro  la  casotta  de  cuppis,  nel  casino 
depinio  in  facciata  : 

((  Haec  domus  expectet  lunas  solesque  gemellos 
Phenicas  natos,  nec  ruat  ante  duos  ». 

\555^^  /w  casa  del  cardinale  di  Cese,  in  Borgo,  presso  l'Inqui- 
sitione,  in  pietra  con  figure  di  me^zp  rilevo,  con  carretto  menato 
da  .2  .  leoni,  condotto  da  donna  coronata,  che  tiene  Palla  0  il 
mondo  con  l  suee  mani,  et  ancora  un  non  so  che,  che  pare  una 


492 


^  Lanciarli 


frusta:  sta  rincontro  a  questo  un  arbore,  forse  dì  fiche  indiane, 
dove  è  appoggiato  uno  che  pur  ha  la  palla  in  una  mano. 
[Iscrizione  taurobolica  di  L.  Cornelio  Scipione  Orfito,  CIL.  VI,  505]. 

Nel  giardino  de  Medici  cardinale,  ch'alia  Trinità  de' Monti, 
sotto  'l  portico  su  alto  alla  fabrica,  è  la  statua  nuda  di  bronco 
in  pie,  appoggiata  in  un  troncone,  cioè  barbata,  riccia,  di  capo 
coronato  d'ellera,  che  tiene  un  bambino  pur  nudo  in  braccio, 
coronato  altresì  d'ellera,  e  pareva  che  gli  parli  in  faccia  il  bar- 
bato. Nel  detto  troncone  è:  [Schrader,  1.  e,  218*] 

((  Bella  manu  pacemque  gero,  mox  protinus  anni. 
Te  duce,  venturi,  fatorum  arcana  recludam  ». 

Sotto  Campidoglio  presso  a  s.  Cosimo  e  Damiano,  al  tempio 
di  Faustina  nello  scoperto  : 

((  Martino  Columne  .  v  .  pont.  max.  oh  Imius  templi  ius  pa- 
tronorum  ultro  datum,  pharmacopolorum  collegium  b.  m.  pos.  » 
[SS6]  In  lapide  reperto  in  cemeterio  priscillae  ut  aiunt  in  via 
salaria  ad  primum  lapidem  sinistrorum. 

((  Hic  Paulina  iacet,  bealorum  in  regione  q...  e  cui  funus 
curavit  Pacata  sue  nutrici  dulci  sancte  in....  ». 

Dicontro  a  Castelnovo,  li  dapresso  e  verso  Roma  nuova  fa- 
brica defraricapuccini,  dentro  cui  nella  chiesa  è  sopra  la  porta: 

P.  Donatus  Ccsius.  S.  R.  E.  titilli  s.  Vitalis  prb.  cardinalis, 
templum  hoc  a  fundamentis  extruxit  beataeque  Virgini  dtiparae 
lauretanae  dedicavit.  monasterium,  locum,  solique  ambitum  or- 
dini divi  Francisci  capuccinorum prò  suae  animae  salute,  libero 
munere  dedit.  an.  1^82  ». 

In  Roma  alla  Zecca  Vecchia  in  banchi,  armi  con  la  papale 
di  casa  Medici. 

((  lui.  Medices  Leon  .  x  .  patruelis  ». 

Sotto  a  questo  : 
[SS^^Ì  fr  Clemente  .  7  .  poitt.  op.  max.  quod  fide  iustitia  probi- 
tate  clementia  universos  mortales  in  veram  seculi  aurei  spem 
excitavit  a.  a.  a.  fi.  devoti  n.  m.  q.  eius  ». 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  498 


Di  questo  edificio  (attribuito  erroneamente  al  Bramante,  come 
tante  altre  opere  di  Antonio  da  Sangallo)  occupato  ora  dagli  uffizi 
del  Banco  di  s.  Spirito,  scrive  il  Vasari,  voi.  X,  pag.  9,  ed,  Lemon- 
nier  :  «  Fece  Antonio  in  Banchi  la  facciata  della  zecca  vecchia  di 
Roma,  con  bellissima  grazia  in  quello  angolo  girato  in  tondo,  che 
è  tenuto  cosa  difficile  e  miracolosa:  e  in  quell'opera  mise  l'arme 
del  papa  (Clemente  VII)  ».  Errano  però  i  commentatori  di  quella 
edizione,  dicendo  conservarsi  negli  Uffizi  il  disegno  sangalliano  ;  poi- 
ché quello  cui  accennano,  segnato  col  n.  992,  e  con  la  leggenda 
<c  la  zeca  anticha  a  san  Chosimo  e  Damiano  »  non  rappresenta  la 
facciata  di  Banchi,  ma  un  pezzo  del  muraglione  del  Tcmpliim  Sacrae 
Urbis,  demolito  o  finito  di  sfasciare  da  Urbano  Vili. 

Neir anticaglia  presso  Varco  di  Nerva: 

((  Pro  salute  Tiherii  Caesaris CIL.  VI  ». 

Lontan  da  ponte  molle  un  grosso  tiro  di  mano,  su  la  strada 
verso  Frascati  è  posamento  grande  con  s.  Andrea  sopra  in  pie, 
statua  di  marmo,  coperta  e  tabernacolo  al  cui  posamento  sta: 

((  Plus  secundus  pont.  max.  -  sacrum  beati  apostoli  Andreae 
caput  ex  Peloponesso  aduectum,  bis  in  pratis  excepit  et  suis  ma- 
nibus  portavit  in  urbem,  anno  salutis  1462  pridie  id.  aprilis, 
quae  tunc  fuit  secunda  feria  maioris  ebdomadae.  atque  id  circo 
hunc  titulum  erexit,  et  universis  Christi  fidelibus  qui  eadem  feria 
in  poster tim  hunc  locum  visitaverint,  et  quinquies  Christo  do- 
mino adorato  intercessionem  sancii  Andreae  prò  comuni  fìdelimn 
salute  imploraverint,  plenariam  omnium  suorum  peccatorum 

perpetuo  duraturam  indulsit  remissionem  anno  salutis 

(1462)  pontificatus  sui  4  ». 

Secondo  il  costume  del  tempo,  i  materiali  per  la  costruzione  del 
tabernacolo  di  s.  Andrea  furono  presi  da  antichi  monumenti  (di  via 
Flaminia).  Tra  i  conti  di  Camera  del  1462  il  Muntz  ha  ritrovato 
questa  noticina,  con  la  data  del  10  luglio  «  a  m°  Petro  (marmoraro, 
il  distruttore  del  Secretarium  Senatus  a.  s.  Martina)  et  li  corp.  manuali 
per  opere  58  a  cavar  trevertini  a  la  gualcia  (?)  et  Ponte  Molle  per 
lo  tabernacolo  di  s.  Andrea  fi.  9,  boli.  53  »  Muntz,  1.  e,  I,  267.  Il 
tabernacolo  stesso  riposava  su  fondamento  antico,  probabilmente  di 
un  mausoleo,  cosi  dovendo  interpretarsi  la  voce  «  turrone  »  nel  se- 
guente paragrafo  del   diario   di   Paolo   dello  Mastro   ap.  Buonarroti 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  33 


494 


'T(.  Laudani 


1875  pag.  118  «  1463  -  Nel  d.°  anno  la  Santità  di  papa  Pio  ha  fatto 
una  cappella  de  marmo  relevata  e  magnifica  nello  loco  dove  stava 
un  turrone,  nello  quale  turrone  fu  posato  lo  capo  di  san.  Andrea 
apostolo,  quando  venne  a  Roma,  cioè  nel  1462  adì  XI  d'aprile  ». 
La  statua  fu  scolpita  da  Paolo  di  Mariano,  romano,  e  costò  tren- 
tatre ducati.  Nel  cod.  vat.  4034,  f.  81  seg.  si  contiene  un  «  tractatus 
de  translatione  capitis  beatissimi  Andreae  apli  dei  ab  urbe  patraciensi 
greciae  in  almam  urben.  romani....  anno  domini  m eccelli.  Com- 
positus  per  cude  Pium  »  e  nel  cod.  8092  una  «  hystoria  de  recep- 
tione  capitis  s.  Andree  ». 

[557]  -^'^  Ancona  al  portico  del  governatore,  con  .2.  teste  impe- 
ratorie : 

((  Sint  procul  insidie,  fraudes,  discordia,  bellum 

Huc  honor  et  virtus  cum  bene  carpit  iter  ». 

Tra  Torr esanguigna  e  l'immagine  di  ponte,  nella  strada  in 

faccia  al  vicolo  che  volta  a  sansimione:  Arme  sopra  la  porta; 

((  Sixtus .  V .  pont.  max.  ad  levandam  pauperum  inopiam, 

Montis  pietatis  incerta  in  hunc  diem  sede,  proprium  hoc  domi- 

cilium  aere  suo  dicavit .  1^8^  .  Pont,  sui  primo  ». 

Nel  cantorie  d'un  immagine  tra  li  trofei  di  Mario  e  santo 
Eusebio,  verso  porta  di  san  loren^p,  la  qual  maestà  quasi  tutta 
è.  guasta  dalle  strade  ci  fa  Sisto  .  v .  cominciala  santa  Maria 
maggiore,  e  dall'arco  di  san  Vito.  S'è  lasciata,  dico,  alla  pre- 
fata  Maestà  0  immagine  in  un  cantone,  pietra  scritta  d'intaglio 
antico,  cosi: 

«  Haec  est  via,  qua  itur  ad  locum,  quod  vocabatur  antiquo 
tempore  Ursi  pileati » 

[557I]  Nella  guglia  che  levo  Sisto  .v.  canto  la  sacristia  di 
s.  Pietro,  luogo  suo,  sepolcro  essa  guglia  di  caio  giulio  cesare, 
e  la  pose  Sisto  nella  piax;^a  di  s.  Pietro.  Da  una  banda  nel 
posamento  a  lettere  d'oro: 

((  Christus  vincit,  Christus  regnat,  Christus  ab  omni  malo 
plebem  suam  defendat  ». 

Dalla  altra  banda: 


Il  Codice  barberiniano  XXX,  8g  496 

((  Ave  crux  domini,  fngite  partes  adversae,  vicit  leo  de  tribù 
Inda  ». 

Dalla  ter^a: 

((  Sixtus  .V  .  poni,  max cet.  » 

[558]  Fu  questa  macchina  al':{ata  e  staccata  di  peso  con  infi- 
nit' argani  dal  suo  posamettto,  e  calata  si  strascinò.  In  cima 
che  e  era  la  palla  d'oro  con  le  cernieri  di  Cesare,  mise  la  Bea- 
titudine sua  la  croce  in  cambio,  e  di  sotto  sono  queste  parole: 
«  Sanctissimae  cruci  Sixtus  .  v  .  poni.  max.  sacravit,  ex 
prima  sede  avulsum,  et  Cesari  aug.  ac  Tiberio  oblatum  .  1^86 ». 

In  cappella  di  s.ta  Maria  maggiore  fatta  da  Sisto  .v 

Seguono  le  iscrizioni  del  mausoleo  di  Pio  V. 

[559]  Canto  ponte  Sisto  in  facciata,  dove  sono  li  poveri  nu- 
triti, ch'andavano  per  Roma: 

((  Sixtus  .v.p.  m.  Picenus  -  Pauperibus  pie  alendis,  ne  pane 
verboque  careant,  multo  suo  coemptas  aere  has  aedes  extruxit, 
aptavit,  ampUavit,  perpetuo  censu  dotavit.  an.  dui.  i^Sj.pont. 
sui .  2/"  ». 

In  casa  di  Rui::^,  presso  Torre  Sajiguigna  alla  sua  fontana  : 
«  Herydanus  dat  aquam.  Phaeton  ruit  aethere  ab  alto  : 
Temperet  iste  animum,  iemperet  ili  e  sitim. 
Dicere  quod  sentiam  summa  virtute  tacebo, 
Cum  male  non  liceat  cum  bene  non  deceat. 
[559^]  Carminibus  fontem,  non  fonti  carmina  fecit 
Hippolitus  noster  :  sic  sibi  quisque  placet  ». 

In  foligno  depinto  nel  palaz^xp  del  podestà  : 

((  Arma  magnifici  et  spectabilis  viri  Petri  de  Chitanis  -+- 
de  Cesis,  hon.  potestatis  mag.  civitatis  fulg  prò  uno  anno, 
incipiente  die  .vi .  iulii .  14^4  .  et  ut  sequitur  finiente  .partim 
tempore  D.  Nicolai  pp.  quinti  et  partim  tempore  Calìxti  pp.  jj  ;;. 

+  Catinelli  raccontano  alcuni  spoletini,  che  sia  villa  loro 
poco  lontano  dalla  città,  verso  Terni  a  mano  dritta,  partendo 


496 


l^.  Lanciani. 


da  Spoleti.  Ma  li  Cesi  raccontano  che  de  Chitanis  vuol  dire 
che  vengono  da  aquitania. 

Trinità  de'  Monti,  a  Roma  sotto  le  volte,  attorno  lo  sco- 
perto, dov' in  me^P  ^  ^^  citerna 

Seguono  XXXIX  lunghe  iscrizioni,  relative  ai  fatti  di  san  Fran- 
cesco, dipinti  nelle  lunette  del  chiostro. 

[5^9 1]  Tra  Viterbo  e  Bracciano,  alla  villa  chiamata  l'oriolo, 
su  la  strada  romana: 

«  Gregorius  Santacrucius  Onofrii filius,  Viani  dominus.v . 
silvam  Mantianam  eradicavit,  colonis  conductis  anno  domini 
.  1^62  .  viam  cassiam  celebrem  reddidit  :  castro  oriolo  murum. 
dediti  aedem  divi  Gregorii  collatis  fructibus  (?)  et  hanc  domum 
a  fundamentis  erexit  anno  domini  .ijS^». 


G.  Cugnoni  497 

APPENDICE 

AL 

Commento  della  Vita  dì  Agostino  Chigi 

IL   MAGNIFICO 


(Continuazione  e  fine  —  V.  pag.  172). 

Nota  (25): 

I. 

Die  louis  2.  Augusti  ip^.  (i) 

Inventarium  honorum  existentiutn  in  PalaTiio  lo:  me:  Aug."*  Chisij 
Hit.  In  Cameris  quas  tenebat  lulius  Tegliaccius  sunt  ista  uìt.  In  primis 
in  Camera  Inferiori  septem  libri  grossi  signati  in  diuersi  coloris  litteris 
M.  N.  O.  I.  K.  et  S.  incepta  de  anno  ij/j.  fornii,  nel  i^ic).  scripta  fino  a 
fogl.  ^8^. 

Item  septem  lornali  coperti  di  bianco  del  1^04  sino  a  jpo. 

Item  tre  libri  chiamati  ricordi  dell'anno  ip2.  ip^.  e  i^ij.  e  iji8. 

Item  un  libro  chiamato  Ventrata  et  uscita  dell'anno  i^i^. 

Item  un  libro  d'oblig."*  dell'anno  i^oi.  fino  al  ijoc}. 

Item  doi  libri  coperti  di  rosso  della  Dogana  del  Patrimonio  uecchia. 

Item  un  libro  d'entrata  et  uscita  coperto  di  bianco  uecchio. 

Item  doi  libri  chiamati  Registri  coperti  di  bianco  uno  del  i)o8  e  i^io. 
e  l'altro  ipo. 

Item  un  libro  d'obligationi  dell'anno  ip).  fino  al  i)i/. 

Item  un  libro  chiamato  Registro  dell'anno  j/ij. 

Item  un  libro  stracciafoglio  del  ipy. 

Item  un  libro  di  Gio:  Giorgio  che  stana  in  Napoli  dell' Aministratione 
sua  di  Napoli. 

Item  tre  libri  d'uno  Sollicitatore  del  banco. 

Item  un  altro  libretto  di  d."  Gio:  Giorgio. 

Item  un  libro  rosso  delle  Lumiere  segnato  L. 

Item  uno  Estratto  delti  libri  del  banco. 

Item  un  libro  chiamato  Giornale  del  ip4  (sic). 


(i)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi,  B.,  pag.  127.  In  margine  è  notato  «Tn  Arch° 
Vrbano  ». 


I 


49^  G.  Cugnonì 


Jtem  un  libro  chiamato  quaterna  di  Cassa  del  ip^. 

Item  un  libro  segnato  A  scritto  in  folio. 

Item  un  bilancio  de'  libri  del  banco  dal  ipy  fino  al  ipo. 

Item  una  Contrattai.^'  colla  Sig."'*  di  Venetìa  sopra  VAlumì. 

Item  un  ma^xp  di  Conti  di  grani  di  Port'Ercole. 

Item  un  libro  d'oblig."^  del  ij22  (sic). 

Item  noue  ma^i  della  Cam.'*  Ap."*  di  limosine  sopra  la  Lumiera. 

Item  sette  ma-{%i  di  scritti  di  diuerse  prestai.^*  e  pagati. 

Item  un  libro  segnato  et  intitolato  quaterna  di  Cambio. 

Item  tre  fil\e  di  lettere. 

Item  Conti  di  uacca  rossi  di  Casale. 

Item  il  Calcolo  del  banco  con  la  Cam.**  Aulica. 

Item  quattordici  ma\^  di  Carte  missine. 

Item  un  ligaccio-  di  lettere  missine. 

Item  bilanci  della  dogana  del  Patrimonio. 

Item  receuute  della  Recettoria  di  Fano. 

Item  una  Scrittura  d'Alfonso  Catterino. 

Item  una  scrittura  con  Maestro  Bernardino  di  Viterbo  sopra  la  Ca- 
pella  del  Popolo. 

Item  certe  scritture  di  piìi  debitori  della  Marca. 

Item  un  ma^o  di  piti  mandati  pagati  all'Off."  de'  Canal.". 

Item  un  altro  ma^^P  della  Cam.'*  Ap."*  pagati  per  l'elemosine. 

Item  pili  scritture  fatte  sopra  la  Capella  del  Popolo. 

Item  un  ligato  di  poluere  di  Girolamo  Gradotio  quando  teneua  la  Cassa. 

Item  quattro  ligati  de'  Mandati  de'  Cardinali. 

Item  quattro  ligati  di  quietan:{e  di  diuerse  persone. 

Item  cinque  ma^^^etti  di  quietan:(e  di  denari  pagati  per  V Archiuio,  et 
altre  persone. 

Item  un  ma:(^o  de'  Conti  di  Gualderoni  diuersi. 

Item  un  ma:(xo  di  lettere  di  denari  pagati  delle  Lumiere. 

Item  un  ma-^^o  di  lettere  di  denari  delle  Nani  da  Ascanio  di  Barto- 
lomeo Finetto  e  Gio.  Batta   Venturi. 

Item  uno  Stratto  delli  libri  delle  Dogane  di  Patrimonio. 

Item  un  ma:(7p  di  Conti  saldi  colVheredi  di  Leonardo  Bartolini, 

Item  piti  Conti  di  Besselua  di   Venetia. 

Item  un  Conto  con  lacomo  de  Gatta. 

Item  un  libretto  delli  conti  delli  doi  per  Cento  con  Paolo  Argento. 

Item  un  Conto  con  Alessio  Argento. 

Item  più  partite  di  diuersi  Respondenti. 

Item  Fedi  dell'argento  consegnato  al  Sig.^   Vitelli. 

Item  un  altro  ma:(:;o  di  Conti  e  partite  di  diuersi  Respondenti. 

Item  un  libro  di  Gio.  Batta  de   Vocco  di  Genoua. 


Agostino  Chigi  il  Magnijico  499 


Item  un  ma%^o  grande  di   dhicrse   quidan:(e  e  dhiersi  tempi  e  ài  più 
persone. 

Item  tma  Copia  d'una  promessa  data  a  Gasparo. 

Item  un  ma%^o  di  Poli\:{e  de  Carreggiamento  di  polline  mandate  di  fuori. 

Item  un  ma'^^xp  ^*  Rotoli  di  denari  pagati. 

Item  un  Coìito  con  Beloni  di   Venetia. 

Item  un  ma^o  di  Mandati  de'  Cardinali  et  altre  persone. 

Item  un  ma-^etto  di  più  scritture  di  denari  da  riscuotere. 

Item  un  ma^etto  della  Varia  fatta  alla  nane  Pomoro  de  Vrbari. 

Item  un  libretto  chiamato  de  Julio   Taliano  del  Casale. 

Item  un  libretto  con  certe  coperte  ligati  insieme. 

Item  un  Contratto  ài  Noleggi  di  mare  per  Fianàra. 

Item  Conti  àella  Scala  àella  lume  ài  Fianàra. 

Item  un  ma^:(o  di  più  persone. 

Item  un  altro  della  meà."^  cosa. 

Item  un  ma\:^o  ài  più  persone. 

Item  una  Scattala  àe'  Conti  àentro  ài  piti  persone. 

Item  Conti  coli'  Ar  nielli  no. 

Item  àoi  mai:(i  ài  scritti  àe  Sicurtà. 

Item  un  ma:(^o  ài  mandati  ài  piti  persone. 

Item  una  Cessione  fatta  per  Battista  Bulgarino. 

Item  un  libro  chiamato  ricordan:(e  ài  Dogana. 

Item  àoi  libri  tenuti  per  Geronimo  àe  Gratotio  Cassiere. 

Item  un  ma\:^etto  ài  Mandati  ài  piti  persone. 

Item  una  Cassetta  con  piìi.  Scritture  àentro. 

I  Item  una  polita  de  denari  dice  prestati   a  Ales." 
Ripari. 
Item  nota  de' àehitori  ài  Feliciano  in  Port' Ercole. 
Item  Scrittura  ài  àucati  àucento  àe  Carlini  ài  Girol." 
Venturi. 
ConsegnatiaMs.X  Item  Scrittura  ài  àucati  2(^4.  d'oro  larghi  àe  Pie- 
Filippo     Moscatello  \        colomini  et  Innocenti,  che  parte  sono  àati  a  Conto 
per  riscuotere  all'he-  /        à' Innocenti  lettere  e  pagati, 
redi  in  nome  di  Ms.     Item  scrìtta   de  Michel   ài  Geronimo   Sanche^   che 
Christoforo  àe  Siena.  resta  a  pagare  àucati  cinquanta. 

Item  il  Manàato  del  Card."   Vrsino  per  Metello  de 

Vari. 
Item  il  Manàato   àel  Caràinal  Cibo   che  commesse 
si  uenàa  certo  argento. 
\  Item  scrittura  àel  Priore  de  Capua  di  àucati  cento. 
Item  una  Poliz^i  àe  Ms.  Filippo  àe   Siena   sopra   àenari  de  Vingoli 
con  Milio  àe  Butracca  ài  ducati  260. 


5oo 


Mffnont 


Ilem  una  lista  di  memorie  da  Donna. 

Iteni  un  quadro  de  una  figura  de  donna  indorato. 

Iteni  un  armario  doue  stanno  parte  delle  soprad.^  Scritture. 

Item  quattro  altri  quadri  de  più  sorti. 

Item  due  pe\:^  di  parati  di  pelle  listati  d'oro. 

Item  una   Verdura  uecchia. 

Item  una  Lettiera.' 

Item  un  Fortiera  foderato  di  pelle  rossa  doue  Giuliano  famiglio  di 
Giulio  Tagliaii^o  disse  essere  rohhe  di  d."  Giulio  le  quali  sono  Vinfratte 
ult.  Due  lucerne  grandi  di  Ottone.  Vna  carta  da  nauigare.  Dui  selle  de 
punti  e  figure  alla  Tudesca.  Vn  leniolo.  Vn  libricciolo  coperto  di  ueluto. 
Vn  sacco  di  saia  negra.  Doi  Panieri  di  panno  negro,  Vn  hursio  di  raso 
foderato  di  pelle  negra.  Vn  paro  di  me:(^e  Cal\e  di  rosato.  Vna  ueste  di 
Pauona:(^o  da  donna.  Vna  Tai-^a  d'Alabastro.  Vn  scattolino  con  certi 
lauori  d'osso. 

Item  fuora  della  Cassa  tre  Saccoccie  di  tcarie  Scritture  quali  furono 
sigillate. 

Item  due  Coperte  di  panno  bianco  da  letto. 

Item  una  Cappa  uecchia  alla  Spagnuola  di  panno  negro. 

Item  un  Sacco  di  Ciatnbelìotto  lionato  listato  di  uelluto. 

Item  una  Cassetta  fatta  alla  Napolitana  et  quale  fu  sigillata. 

Item  una  Cassetta  intercalata  con  scritture  dentro  tra  le  gli  sono  doi  libri, 
et  fuit  sigillata. 

Item  una   Veste  di  panno  grosso  di  Giulio   Tagliatio. 

In  Camera  Superiori. 

Vn  Cassone  de  Giulio  con  V  infratte  robbe.  Vn  libro  uerde  doue  Giulio 
ieneua  i  suoi  Conti. 

Item  una  Scattola  tonda  bianca  dentro  una  Saliera  di  argento  bassa 
quadra.  Vna  Catenella  d'oro  a  maglie  quadre.  Vn  annellelto  d'oro  ligato. 
Vna  Crognoletta  con  la  figura  di  Mercurio.   Vn  Zaffiro  bianco  ligato. 

Item  un  annello  ligato.   Vna  Crognola  coti  una  balaustra. 

Item  anello  d'oro,  Vno  pendente  con  la  Cateneita  con  la  figura  di 
S.  Pietro. 

Item  una  Confettiera  piccola  d'argento  a  bottoiicino  d'angolo  in  mei:(p 
lettere,  Jesus. 

Item  un  TaX/(pne  con  il  piede  un  arma  in  me^xp  de  una  Rocca,  dentro 
un  scritto,  che  dice  Roderico  de  Molina. 

Item  un  Ta7;^one  grande  martellato  d'argento. 

Item  una   Ta:(i^etta  d'argento  uecchia  con  Ire  in  me:(^o,  Jesus. 

Item  un'altra   Ta^n^etta  uecchia  d'arg.'"  martellata  in  fondo. 

Item  un  guanto  pieno  di  moneta  di   Venetia  che  dice  sono  in  pegno. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5oi 


Item  un  Calice  colla  patena  d'argento  coti  un  halascio  legato  in  ar- 
gento tutti  ligati  insieme. 

Item  una   Tai:(a  d'argento  basso  fatta  a  Stira  d'animali. 

Item  due  Taz^c  uecchie  con  una  Stella  in  meì^\o  indorata  con  arnie 
con  tre  stelle  et  una  luna  pegno  per  Saluatore  di  Petrarco. 

Item  una  Pace  et  un  Tabernacoletto  ornato  di  perle  d'arg.*°  pegno 
per  ducati  d'oro  2j. 

Item  quattro  anelletti  legati  insieme  una  Testa  d'un  Intp.^'  doi  rubi- 
netti, et  uno  bertiletto  con  un  diamante  una  Collana  alla  uecchia  fatta 
d'argento  al  Sig.^  Molina. 

Vn  Sacchettino  di  Iella  (sic)  bianca  dentro  Vinfratte  robbe. 

Vna  Catenetta  a  magliette  d'oro  quadra  con  scritta  allegata  che  dice 
pegno  de  lo  Caualier  de  Medicìs  per  due.**  4. 

Item  un  ue':^o  de  bottoncini  d'argento  pegno  di  Rinaldo  de  la  Ma-^a. 

Item  un'altra  Catenetta  d'oro  a  maglie  quadre  pegno  d'un  amico  di 
Ms.  Sigismundo. 

Item  un  rubino  et  un  diamante  ligati  in  due  anelli  d'oro  pegno  d'un 
amico  del  Cassi  ero. 

Item  una  Corniola  inter^iata  di  lettere  Greche  pegno  d'un  amico  di 
Giulio   Tagliatio. 

Item  un  Zaffiro   Tusco  ligato  in  oro  di  Marco  Ant.°   Turchi. 

Item  un  Zaffiro  grande  in  Tavola  legato  in  anello  grosso  d'oro  pegno 
d'un  amico  d'Andrea  Bellante  per  due.'*  2^. 

Item  dui  anelletti,  uno  rubinetto  di  Sciacquetta  pegno  di  Aurelio  per 
due.'*  otto. 

Item  sei  anelletti  di  piìi  sorte  pegno  di  Gio.  Ant.°  Ghinatio  per  due.'*  12. 

Item  un  ba:(elletlo  ligato  in  anello  d'oro  pegno  d'un  amico  d'Andrea 
Bellante  per  dice.  uno. 

Item  un  Topatio  legato  in  anello  fatto  all'antica  pegno  per  ducato  uno 
d'un  Seruiiore  del  Card.^  d'Ancona. 

Item  un  Sigillo  con  arme  rotte  pegno  per  due.'*  /. 

Item  una  Corniola  legata  in  anello  d'oro  d'Onofrio  per  due.'*  doi. 

Item  un  Zaffiro  in  anello  di  Mrò  Saluatore  de  Cortesaluera  per  du- 
cati sei. 

Item  un  Zaffiro  et  un  diamante  legati  in  anello  di  Gio.  Antonio  Ghi- 
natio per  due.'*  ij. 

Item  una  perla  et  un  rubinetto  ligati  in  anello  d'oro  d'un  amico  di 
Andrea  Bellante  per  due.''  i^. 

Item  dui  anelletti  pegno  del  Pompa  per  due.'*-  tre, 

Item  un  Zaffiro  legato  in  anello  di  Ms.  Bernardo  Segni  per  due.**  6. 

Item  un  Zaffiro  legato  in  anello  di   Vincenzo  Spetiale  per  due.'*  doi. 

Item  quindici  nobili  d' Inghilterra  d'oro  pegno  per  due.'*  59. 


)02 


MgnoJti 


lietn  una  Corniola  legata  in  anello  di  Giulio  Borguese  pegno  per  du- 
cati due. 

Itetn  una  medaglia  del  Marchese  di  Mantoua. 

Item  un  agnelletto  d'argento  indorato  con  tre  perle  ed  una  finta. 

Ite'n  una  rosetta  di  diamanti  con  una  perla  pendente  et  un  ruhitio  da 
capo  per  ducati  jo. 

Item  una  Cinta  di  Iroccaio  lauorato  per  due.'*  j"  di  Camera. 

Item  un  Cintolo  di  Velluto  fornito  d'argento  per  sei  e  dui  Ter^i  d'una 
Vedoua  Cataniana. 

Item  un  diamante  legato  in  anello  Zamartaro. 

Sopra  la  Cassetta. 

Dui  Ta'i^xoni  grandi  martellati  con  il  piede.  Vn  boccale  d'argento  con 
4.  Cocchiari  dentro,  et  una  polita  di  Gio.  Pietro  Caffarello. 

Item  una  Scritta  di  Sebastiano  Lauri  di  due.**  I0)0.  promessi  al  Car- 
dinal de  Cesis  al   Vescouo  de  Grassis. 

Item  una  Scritta  di  Giordano  per  Conto  dell' Alumi  resta  debitore  di 
ducati  cinquanta. 

Item  Scritta  di  Compagnia  de  Forchi  tra  Julio  Tagliatio,  Sigismondo 
Cìnsi,  et  Antoi:^arini. 

Item  un  Moto  proprio  del  Papa  sopra  il  denaro  d'Alfonso  Cochemo. 

Item  un  libro  Giornale  di  Giulio  coperto  di  Bergamino. 

Item  più  e  diuerse  Scritture  di  fulio  Tagliatio  per  Ire  missine,  quali 
stanano  dentro  di  d.°  Cassone. 

Item  un'altra  Cassa  0  nero  For:(iero  pinto. 

Vn  marnello  bianco  da  donna. 


Consignatio  diuersor.  bonor.  hereditarior.  q.  D.  Aug."*  Chisij  facta  a 
D.  Sigismondo  (i). 

Die  ij  fulij  ip).  Cum  sit,  quod  defuncto  bo:  me:  D.  Angustino  Chisio 
Patritio  Senensi,  et  suis  haeredibus,  datis,  et  deputatis  ex  testamento  Tu- 
toribus,  et  prò  tempore  Curatoribus  R.  p.  d.  Philippo  Sergardi  de  Senis 
Camerae  Apostolicae  Decano,  et  M.""  Dno  Sigismundo  Chisio  eius  fratre, 
inuentarium  de  bonis  suae  haereditatis  factum  fuerit,  et  ipse  M/"^  D.  Si- 
gismundus  ex  bonis  inuentariatis  certum  quantem  habuerit,  et  de  bonis p  eum 
hdbitis. 

M/"^  D.  Sigismundus  Chisius  Patrìtius  Senensis  qui  de  bonis  haere- 
ditatis q.  M."  D.  Augustini  Chisij  per  eum  sub  inuentario  hahitis,  com- 


(I)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  E.,  pag.  281;  voi.  G,  pag.  4^7;  voi.  3,  pa- 
gina 289. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5o3 


putum  reddens  in  diuersis  vicibus,  plura  ex  eisdem  honis  restituerit,  et  con- 
signauerit,  prout  in  Inuentario  desuper  facto,  et  per  D.  Io.  Philippum 
Moscatellum  Archiuij  Rom.  Cur.  Scriptorem  rogato,  continettir,  et  apparet 
per  adnotationem  C  et  >^  consignationem  et  affrontai.'"'  respue,  ut  dicitur 
significaret  in  praesentia  d.  D.  Io.  Pbilippi  Moscatelli  Notarij  de  d.°  in- 
uentario rogati,  et  res,  et  négocia  d."*  haereditatis  curantis,  et  Nicolai 
Poliaci  Clerici  Lugdunen,  seti  Lug\gien  Diocc,  sub  ipso  D.  Io:  Philippo 
dictante,  scriben.,  et  Michaelis  Angeli  Magistri  puerorum  d.  D.  Sigismundi, 
et  Anionij  Pippi  dicti  de  Senis,  ipse  Af/"*  D.  Sigistnundus  in  Guarda- 
rohba  Palati j  haerednm  d}  D.  Aug."*  Regionis  Transtyberynae  reconsi- 
gnauit  infra  bona  quae  non  erant  in  Inuentario  proposito  ult.  6". 

Vno  Cortinaggio  di  panno  pauonatio  con  suo  cielo,  e  sue  tende. 

Vna  coperta  di  tela  di  seta  rossa  cremesina  imbottita  in  mandole. 

Quattro  pe:(^i  di  corallo  rosso  in  tronsoni. 
Dai  pe:(7ii  de  Diasperi. 

Doe  medaliole  de  bronso. 

Doe  maniche  de  ueluto  negro  foderate  de  damasco  negro. 

Vn  panoncello  di  tela  di  cortina,  lauorato  a  liste. 

Doi  panalioni  de  satino  bianco  listati  d'oro  con  li  cape^àli. 

S'è  ritrouata  una   Tela  bianca  de  lo  Cortinaggio  bianco. 

Sei  gipponi  con  doi  colari  di  seta,  et  un  paro  di  maniche  con  altro 
colaro  di  ueluto  negro,  con  Lauois  di  tre  bauari  di  saia  impannata  listato 
di  raso,  con  la  sua  fbia. 

Vno (i)  d'aqua  negro. 

Vna  ueste  de  saia  negra  da  ■fingere. 

Vn  saio  di  giameloto  negro  listato  di  ueluto  negro. 

Vn  Luto  de  panno  pelucio  foderato  de  damasco  negro. 

Vna  Sotana  di  raso  negro  da  donna  foderata  di  tela  negra  con  le 
bande  di  ueluto  negro  d'abasso. 

Vna  ueste  di  panno  negro  da  cingere. 

Vna   Torchela  traguisata  di  raso  foderato  di  tela  bianca. 

Vn  mantello  di  panno  negro  fino  foderato  di  taffettano  negro. 

Vn  borechino  de  ueluto  negro. 

Doi  lobeti  de  seta  bianca  foderati  di  tda  bianca. 

Quaranta  sacchetti  de  a^uro. 

Belle  diece  forcine  d'argento  sei  n'  hanno  hauuti  li  putti,  come  appare 
per  poliT^a  di  M/  Gio.  Filippo  Moscatello. 

Doi  baccili,  et  un  bocale  d'argento  hanno  hauuto  li  heredi  per  mano 
di  M/  Gio.  Filippo  Moscatello. 

Un  bocaletto  al  antiqua  d'argento.  Madonna  dice  hauer  guasto,  et  parte 
rimesso  in  candelieri. 

(i)  Laguna  del  ms. 


)04 


Mgnoni 


Cinque  candelieri  d'argento,  Madonna  dice  furono  rolmti  da  Aloisio 
Creden^iero,  qual  stette  prigione  in  Corte  Sahella. 

De  cinque  Tassoni  martellati  d'argento  ire  ne  so  rimessi  iti  giiarda- 
robha,  et  doi  dati  olii  heredi. 

Di  8.  scodelle  d'argento,  sei  n'hanno  battuto  li  heredi  per  mano  di 
M/  Gio.  Filippo  Moscatello,  et  due  sono  siate  remesse  in  guardarohha. 

Sei  tondi  d'argento  hanno  hamito  li  heredi  per  le  mani  di  M/  Gio. 
Filippo  Moscatello. 

Delli  tre  Cucchiari  d'oro  doi  «'  hanno  hauiiti  li  putii,  et  uno  messo 
in  guardarohha. 

Delle  ij.  Uh.  d'argento  uecchio  n'  ha  assegnato  doe  Tassette,  un  hic- 
chiero,  e  tre  Cucchiarini  d'argento,  che  pesano  onde  22  \,  et  doe  Tassette 
simili  con  doi  Cucchiarini,  et  doe  forcinette  furono  date  àlli  putti  in  casa 
di  M/  Fran.'"  Tornasi,  et  doe  simili  dice  Madonna  si  persero  la  sera, 
che  morse  Alessandro,  come  testificò  lo  Senese  di  peso  di  onde  15.,  et  resto 
delle  libre  ly.  d'argento  manca  al  detto  M/  Sigismondo,  che  ha  da  re- 
stituire. 

Super  quihus  etc. 

Acta  fuerunt  Romae  uhi  supra  etc. 

foannes  de  Nicea  Notarius. 

3- 
Die  Martis  io.  ip6 

(i)  Sequitur  Inuentarium  honorum,  quae  erant  in  domo  quondam 
£)"•  Augustini  ChisiJ,  et  quae  dimissa  fuerunt  per  D"*"  Sigismundum  de 
Chisifs  tempore  sui  recessus  ah  eadem  domo,  scilicet  Transtiberina  factum 
in  praesentia  D"*  Andreae  Bellautis  interuenientis  prò  haeredihus,  et  cum 
auctoritate,  et  praesentia  Dni  foannie  Baptistae  de  Fauentia  Auditoris  D"' 
Guheniatoris,  ac  in  praesentia  Z)"*  Hieronymi  de  Ghinucijs,  et  D'"  fulij 
de  Burghesijs  Senensihus  prò  parte  £)"'  Sigismundi  de  Chisijs  praedicti 
interuenien. 

Nella  Camera  di  sopra  uerso  il  Giardino,  doue  si  dice  hauer  costu- 
mato, et  solito  dormire  Miser  Sigismotido,  una  lettiera  di  campo  con  un 
matera^i^o,  un  cape^^ale,  un  pagliericcio,  et  una  coperta  rossa. 

Vn  Armario  piccolo  intertiato  con  piìi  cassettini,  et  suo  scrittorio  al- 
quanto dorato,  sigillato. 

Vna  tauola  con  un  tapeto  uecchia,  e  rotta. 

Vn  cassone  di  noce  intertiato  in  negro. 

Item  un  quadro  in  pictura. 

Vna  Natiuità  di  nostro  Signore. 


(i)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  E,  pag.  297;  voi.  3,  pag.  407. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5o5 


Vn  studioletto,  et  un  scabdlo. 

Vn  armano  dorato. 

Vn  picco  ad  defensionem  della  scala. 

Nella  Camera  contigua  al  Salotto  di  sopra  detta  Camera.  Vna  lettiera 
di  Campo  con  doi  matara\^,  et  un  pagliericcio,  et  una  coperta  falsata 
biancha. 

Vn  inginocchiatore,  una  capsa,  con  suoi  tre  piedi  un  quadro  da  Tauola 
internato  con  suoi  piedi,  un  Scabello. 

Nell'altra  Camera  seguente,  et  uicino  all'altra  scalata,  Vna  lettiera 
da  Campo  con  suo  pagliericcio  et  doi  matara'^i,  et  coperta  biancha  fal- 
sata con  la  sua  cariota  nuoua. 

Neil' Armario  grande  quattro  sportelli  da  tenere  ueste,  una  capsa  d'organi 
dentroui  scritture  sigillate. 

Nella  saletta  uicino  alla  predetta  Camera  una  tavola  coti  tre  piedi, 
et  un  tapeto  tre  sedie,  un  banco  longo,  none  scabelli,  una  credenza  di  le- 
gname, un  piedestallo  di  ferro,  con  il  suo  bassinetto  di  Rame,  un  quadro 
di  panno,  con  figure  sopra  al  camino,  un  paro  di  Capofuochi  forniti  di 
ottone,  una  tauola  piccola  con  li  tre  piedi. 

Nell'altro  Salotto,  o  nero  Camera  al  paro  uerso  la  stalla,  Vna  cre- 
denza di  legno. 

Nell'altra  Camera  di  detto  piano  uerso  il  Cortile  una  lettiera  con  mi 
maturalo,  et  un  pagliericcio  con  doe  coperte  di  tela  estina,  do  Capofuochi 
forniti  di  ottone. 

Nella  Sala  grande  un  candeliero  da  tener  lume. 

Item  una  figura  di  m^armoro  sopra  un  pilastro. 

Item  doe  figure  di  marmo  sopra  il  Camino. 

Itim  cinque  teste  similmente  di  marmo  sopra  le  porte  di  essa  Sala. 

Nella  Camera  depinta  un  paro  di  Capofuochi  forniti  con  una  forcina 
di  ferro. 

Nella  Camera  di  Miser  Julia  (di  sopra)  Borghese  un  letto  da  Campo, 
con  doi  matura'^,  et  una  coperta  biancha. 

Nella  prima  Camera  di  sopra  a  canto  alla  prima  del  piano  uerso  la 
stalla  una  lettiera  con  doi  matara':^,  un  pagliericcio,  et  una  coperta 
biancha  di  lana. 

Nella  seconda  Camera  di  sopra  una  lettiera  saluatica,  con  un  pa- 
gliariccio. 

Nella  terrei  Camera  una  lettiera  saluatica  con  una  piuma,  et  un  pa- 
gliericcio da  letto. 

Nell'ultima  Camera  di  sopra  appresso  al  giardino  secreto  una  lettiera 
con  li  bastoni  dorati. 

Nella  dispensa  una  uettina  da  oglio,  un  carattello,  et  una  brocca  di 
terra. 


5o6 


Cugnoni 


Nella  Camera  di  me:(X'^  tempo  uerso  la  strada  publica  doe  lettière  da 
Campo,  un  pagliericcio,  tre  matara:^:(i,  doe  coperte,  et  un  cape%;^ale,  et 
la  cariala,  un  cappellinaro  indorato  piccolo,  mia  tatiola  quadra  con  la 
cassetta  sotto,  et  doi  Scabelli,  una  spalliera  con  mia  Aquila  con  l'arme 
de  Petruccijs. 

Nell'altra  Camera  di  nie^^o  tempo  uerso  il  giardino,  una  lettiera  sal- 
uatica  con  doi  matara':^,  un  pagliericcio,  et  una  cariota,  et  un  capellario, 
et  uno  scahello. 

Nella  Camera  da  basso  al  piano  della  loggia  una  forma  d'organi 
guasta  con  li  mantici  soli. 

Nell'ultima  Camera  da  basso  al  piano  della  loggia  uerso  la  strada, 
una  lettiera  da  Campo  con  una  piuma,  un  matarai^o,  un  pagliericcio,  et 
una  coperta  bianca,  et  un  capevate. 

Item  tre  banchi. 

Nella  Saletta  al  piano  una  tanola  quadra  con  suoi  piedi,  doe  sedie, 
doe  scabelli,  un  mataraz;^o,  et  una  coperta. 

In  Cucina  un  paro  di  Capofuochi  grandi,  un  credendone,  una  padella 
grande,  una  Concolina,  et  una  natiicella  de  Rame,  un  piede  di  Spedono 
di  ferro,  una  granicola,  un  Spedono. 

Nella  Camera  del  giardiniera  un  malarax^^o,  et  una  coperta. 

Nella  stalla  un  matara^^o,  et  una  coperta. 

Nella  Sala  da  basso,  una  tauola  grande  con  tre  piedi,  et  un  banco 
da  sedere. 

Item  quattro  statue  sew^a  capo  di  marmo,  et  ima  col  capo. 

Item  sotto  alla  loggia  una  tauola  intertiata  con  suoi  piedi  di  marmo. 

Item  nell'altra  loggia  appresso  al  giardino  una  tauola  bianca  di  marmo. 

Actum  ubi  Supra  etc. 

foannes  de  Nicea  Notarius. 


Nota  (46)  in  fine.  L'illustre  bibliografo  signor  conte  Giacomo 
Manzoni  pensa  assai  ragionevolmente,  che  altre  stampe  ancora  do- 
vettero uscire  dalla  tipografia  impiantata  da  Agostino  e  condotta  da 
Zaccaria  Calliergi,  tra  le  quali  questa:  (In  principio:  %tùtj.%  toù  fj.a-Yicpo'j 
xaTà  àXcpàPxTO^  ,  aTOtòo;  òiaXs/OTSU  ìy.\o^fi.i  al;  olSoxiauTa  toi  ^pwvTat 
■xS)^  TraXaiwv  .  xat  ti-^s?  aùx^; ,  ivapa  oTiasuóast?  .  y.aX  òiàcpopat.  —  Thonic 
Magistri  per  alphabetum,  hoc  est  elementorum  ordinem  attici  eloquii,  elegan- 
tiae  .  quibus  approbatissimi priscorum  vsi  sunt .  atq .  nomtlle,  circa  eandem 
annotationes  et  differentie.  In  fine  :  TiXot;  ,  twv  IxXo-^Sv  ,  Qiit.à.  toù  fia-^ii^pou  • 
Kaì  auras  Iv  pwavi  ìrapà  Zay^apla  >caXXtc'p'^T,  tw  xpTiTri  iruTvtóÒTiffav  .  y^iXint^ò) 
(fi^\  Myìvò;  aaprìsu  ,  6'  Étei  [il  MaisTRE  pone  siri]  As'ontoi;  òix.àiTO\)  tvó.tviìoì 
pcójAV);).  In  oltre  che  il  Chigi  sovvenisse  generosamente  Ottaviano  Pe- 
trucci  da  Fossombrone   nell' imprimere,  coi  tipi  mobili  metallici  da 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  Soy 


esso  inventati,  le  opere  musicali;  affermalo,  sulla  fede  dello  Janit- 
SCHEK  (Die  Gesellschaft  der  Renaissance,  in  Italien  und  die  Kunst.  Stuttgart, 
1879),  il  prof.  Augusto  Vernarecci,  a  pag.  loi  e  155  del  suo  stu- 
pendo lavoro  :  Ottaviano  de'  Petrucci  da  Fossomhrone  inventore  dei  tipi 
mobili  metallici  della  Musica  nel  secolo  XV.  Fossombrone,  Monacelli,  1881. 

Nota  (65)  dopo  le  parole  :  «  Rela-^ioiie  degli  Archi  Trionfali....  con 
spesa  di  D.  ji  »■  Il  Branca  de'Talini  sul  proposito  di  questi  Archi 
trionfali  così  scrive  nella  sua  Cronaca: 

(r)  ((  A  di  xi  d'Aple  i^i}  Papa  Leone  X°.  gine  in  Santo  Janni  Luterano 
con  molta  pompa,  Lo  Castellano  di  S.  Angelo  pose  un  helliss.'^°  Arco  Trion- 
fale, Agostino  Chisio  Senese  un'altro  Arco  Trionfale  bellissimo,  Doi  Archi 
Trionfali  acostati  insieme  fecero  la  compagnia  delli  fiorentini  tanto  hello 
non  fu  mai  fatto  a  Papa,  un  altro  Arco  Trionfale  fece  lo  banco  delli  Moli, 
un  altro  Arco  fece  ms.  ferrante  Potente  Chierico  dì  Camera  fiorentino,  e 
tutti  li  Cardinali  reuistirno  la  sua  famiglia,  che  mai  a  Papa  è  stato  fatto 
tanto  honore  quanto  e  stato  fatto  a  Papa  Leone  X°.  e  lo  Duca  di  ferrara 
gli  fece  molto  honore  e  in  quello  d'i  lo  Papa  li  perdonò,  e  il  simile  allo 
Duca  di  Vrbino  fece  gran  Pompa  e  lo  Sig.^*  di  Camerino  lo  simile,  e 
tutti  l'altri  5/*  dì  Casa  Orsina,  e  di  casa  Colonna  in  prima  lo  Sig/' 
Ianni  Giordano  di  Casa  Orsina,  e  lo  Sig."  Fabritio  di  Casa  Colonna, 
e  molti  altri  Sig."  in  compagnia  loro,  fu  speso  nella  Incoronatione  con  li 
sudettì  Cardinali,  e  Baroni  che  fur  in  Roma  ducati  -~  che  mai  a  Papa  fu 
fatta  tale  Incoronatione  ».  —  «  Il  tutto  si  legge  nel  Diario  Manoscritto 
de' fatti  de'  Romani,  e  altri  auenimenti,  e  successi  di  Sebastiano  de  Branca 
de  Telini  che  desiderandone  Vfa  Santità  (Alessandro  VII)  Copia  si  farà 
con  ogni  presterà  ». 

Nota  (67).  In  fine.  Di  altre  insigni  anticipazioni  e  prestanze  dei 
Chigi  ecco  i  documenti  : 


(2)  ((  Alexander  Papa   VI. 

«  Motti  proprio  etc.  fatemur  hahuisse,  et  recepisse  in  prompta  et  nume- 
rata pecunia  a  dilectis  filij's  Stephano  de  Narnea  Camerae  aplicae  notarìo, 
et  socijs  Dohanarum  nostrarum  pecudtim  almae  Vrbis,  et  Prouinciae  nfde 
Patrimonij  Dohanerijs  due.  septemmilìa  auri  in  auro  de  Camera  prò  an- 
ticipata solutione,   et  parte  preti)  ipsarum  Dohanarum  pntis  anni,   quos 


(i)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  A,  pag.  266. 
(2)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  G,  pag.  375. 


5o8 


dign 


oni 


nohis  prò  nonnullis  nostris  necessitatibiis   solncriuit  etc.   Dat.  Rome  apiid 
s.  Petrum  die  v.  notcembris  i^oo  Potitus  ufi  anno  nono 

Ita  fatemnr  R.  » 


(i)  «  Alexander  Papa  VI. 
«  Mota  proprio  etc.  Citrn  dilcctus.  filiiis  Augtistinns  de  Gkisio  Mercator 
senen.  etc.  mutauerit  dilectae  in  Christo  filiae  nobili  Midieri  Sancae  Princi- 
pissae  Squillaci  ditcentos  ducatos  auri  de  Camera  sibi  restituendos  infra 
terminum  quatuor  tnensium  etc.  Volumus  etc.  quod  si  dieta  Principissa  dictos 
ducentos  ducatos  intra  dictum  terminum  (non)  restituerit,  quod  idem  An- 
gustinus  transactis  dictis  quatuor  mensibus,  illos  sibi  retinere  possit  ex  pe- 
cunijs  Sanctae  Cruciatae,  et  Doganae  pascuorum  Proninciae  nostrae  patri- 
monij,  uel  ex  eoriim  altero,  mandantes  etc.  Dat.  Romae  apud  s.  Petrum 
die  p."^  Julij  1)02  Pontus  ufi  anno  Decimo 

Placet,  et  ita  motu  proprio  mandamus  R.  » 


(2)  «  Noi  heredi  di  Mariano  Ghisij,  et  Compagni  di  Corte  di  Roma 
promettiamo  Uberamente  pagar  alla  Santità  di  Nostro  Signore  Papa  Leone 
decimo  da  hoggi  a  mesi  16.  prossimi  futuri  ducati  1000  di  Camera.  Et 
questa  promessa  facciamo  ad  Instan^a  dell' Illustrissimo  Signore  Giouanni 
lordano  et  dell'Illustrissima  Sig.^'^  Madonna  Felice  de  Ruere  sua  moglie. 
Et  in  fede  di  questo  la  presente  sarà  sottoscritta  di  mano  del  nostro  Mag- 
giore M/  Agostino  Rede  di  Mariano  Ghìsi,  et  Compagni  in  Roma  «. 


(3)  ff  Leo  pp  X.' 
«  Motu  proprio  etc.  fatemur  Imbuisse  et  recepisse  mutuo  et.  a  Dilectis 
Filijs  Alexandro  lohanne  Laurentio  Leone  et  Angustino  posthumo  filijs  et 
heredibus  bo  :  me  :  Augustini  Chisij  Patritij  Senen.,  Decem  millia  due. 
auri  in  auro  de  Cam.'^  per  manus  Dilecti  Fili]  Sigismondi  Chisij  Vnius 
et  tutoribus  et  Curatoribus  dictor.  heredum  etc.  Que  dictis  heredibus  infra 
unum  annnum  proxime  futurum  restituere  promittimus  etc.  Datum  Romae 
apud  5."""  Petrum  Die   VI.  Mai]  M.D.XXI  Ponts.'  mi  anno  Nono. 

Ita  fatem.  obligam,  et  promitt.  I.  » 

Nota  (74).  In  fine.  Il  favore   prestato    da   Agostino    agli    artisti, 
non  venne  meno  nei  suoi  eredi,  ed  in  ispecie  nel  suo  fratello  Sigi- 
li) Ivi,  pag.  389. 

(2)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  D,  pag.  317. 

(3)  Misceli.  Chig.,  tns.  R.  V.  b.,  pag.  36. 


Agostino  Chigi  il  Magtiijìco  609 


smondo,  il  quale  delle  case  e  dei  terreni,  che,  del  1523,  comperò 
nei  pressi  di  S.  Rocco  a  Ripetta  (i),  accomodò  buon  numero  di 
artisti  con  contratti  enfiteutici,  dei  quali  ecco  la  serie: 


(2)  Die  p.'^  Xhris  ip^  pagJ^  18 

de  Aniannis  notJ 

In  nomine  Domini  Amen. 

Anno  etc.  millesimo  quingeiitesifuo  Vigesimo  lertio  Indictione  duodecima 
die  nero  prima  mensis  Decemhris  Pontificatus  Sancì.""  in  Xpo  Prts  etc. 
Clementis  etc.  papcc  septimi  anno  eius  primo.  In  mei  Kotarij  publici  te- 
stiumque  infrascriptorum  etc.  presentia  personaliter  constitutus  speciabilis 
uir  Dnus  Beruardinus  q.  Ioannis  Francisci  de  ViterMo  procurator  Mag.'^ 
Viri  Dui  Sigismundi  Chisij  etc.  locauit,  et  titulo  locationis  in  emphiteusim 
perpetnam  ad  meliorandum,  et  edificandmn  dedit  etc.  Speciabili  Viro  MagJ° 
Laurentio  q.  Ludouici  Scultoris  de  Florentia  etc.  quoddam  petium  soli  etc. 
propietatis  prefati  Dni  Sigismundi  centum  cannarum  ad  mensuram  se- 
natus  etc.  cui  solo  ah  uno  latere  est  quedam  platea  nouiter  fienda  in  solo 
prefati  Dni  Sigismundi  a  tribus  alijs  lateribus  sunt  uie  publicae  etc.  Quod 
solum  situm  est  in  regione  campi  Martis  in  loco  ubi  alias  erat  viridarium 
q.  Dni  Aloisij  Gibralionis  quod  ntiper  prefatus  Dnus  Sigismundus  emit  etc. 

Hanc  autem  locationem  etc.  fecit  dictus  Dnus  Bernardinus  etc.  eidem 
mag.^"  Laurentio  prò  annua  responsione  decem  ducatorum  auri  de  Ca- 
mera etc. 

Actum  Rome  in  reg."'  Campi  Martis  in  domo  mei  notarij  presentibus 
prouidis  uiris  Francisco  Rambi  alias  Cappodaccetta  reg.""  Columne  et 
Dno  Antonio  Dni  lulij  de  Cerefinis  de  reg."^  Campi  Martis  Romanis 
Ciuibus  tessibus  etc. 

Stephanus  de  Amannis  not.'  rogatus  etc. 

2. 
(3)  3ie  5.  Xbris  1^2^.  pag.  8 
In  nomine  Domini  Amen.  Eisdem  anno  Indictione  die  mense  et  pon- 
tificatu  etc.  In  mei  notarli  publici  testiumque  infrascriptorum  etc.  presentia 
personaliter  constitutus  Ma^.'"'  Dnus  Sigismundus  Chisius  etc.  locauit,  et 
titulo  locationis  in  emphiteusim  perpetnam  ad  meliorandum  et  edificandum 
dedit  etc'  Magistro  Bartholomeo  Marinari]  Architectori  Fiorentino  etc. 
petium  soli  etc.   sexaginta  cannarum  ad  mensuram-  senatus  etc.  situm   in 


(i)  Misceli.  Chig.,  ms.  R.  V.  d.,  pag.  144,  147,  148,  149,  179. 

(2)  Cod.  A.  I.  5,  f.  I. 

(3)  Cod.  A.  I.  5,  f.  27. 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  34 


•  IO 


Mgn 


ont 


regione  Campi  Martis  et  in  loco  uhi  est  viridariiim  prefati  Dui  Sigismuìidi 
cui  ab  uno  latere  sunt  res  prefati  magistri  Bartholomei  etc.  ah  alio  sunt  res 
Domini  Antoni}  de  Bascheris  ah  alio  est  uia  puhlica  facta  seu  fienda  in 
solo  etc.  Dni  Sigismundi  etc. 

Hanc  autem  locationem  etc.  fecit  prò  annua  responsione  duodecim  du- 
catorum  de'  carlenis  decem  prò  ducato  ad   computum   monete  ueteris  etc. 

Actum  Rome  extra  portam  Septignanam  prope  montem  pincium  (sic) 
uersus  flumen  Tiheris  presentihus  nobili  uiro  Dito  lulio  petri  matthei  de 
Albertonibus  Rom.  Ciu.  de  reg."'  Campitelli  et  D.  lulio  Mei  de  Senis  testi- 
bus  etc.  De  Amannis  noì.^ 

3- 
(i)  Die  4.  Xbris  ipj.  pag.  51. 

In  nomine  Domini  Amen.  Anno  etc.  millesimo  quingentesimo  Vige- 
simo  tertio  Indici.'  duodecima  Die  nero  quarta  mensis  Decemhris  Pontìfi- 
catus  etc.  Clementis  etc.  Scptimi  anno  eius  primo.  In  mei  etc.  testiumque  etc. 
personaliter  constitutus  etc.  Dntis  Bernardinus  q.  Ioannis  Franciscii  de 
Viterhio  procuralor  etc.  Dni  Sigismiindi  Chisij  etc.  locaiiit,  et  titulo  lo- 
cationis  in  emphiteusim  perpetuavi  ad  meliorandum  et  edificandum  dedit  etc. 
Dno  lulio  pipi  dui  et  pictori  Romano  de  regione  montis  etc.  quoddam 
petium  soli  etc.  centum  cannarum  etc.  posìtum  in  regione  Campi  Martis 
in  loco  uhi  erat  uiradarium  prefati  Dni  Sigismondi  cui  solo  etc.  ah 
uno  latere  est  platea  fienda  in  dicto  solo  seu  viridario,  a  duobus  alijs 
lateribus  sunf,  tiie  puhlice  ab  alio  est  residuum  dicti  soli  adirne  nemini 
ìocatum  etc. 

Hanc  autem  locationem  etc.  fecit  etc.  prò  annua  responsione  decem 
ducatorum  aurì  de  Camera  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Campi  Martis  in  studio  domus  mei  NotariJ 
infralii  presentihus  etc.  Hieronimo  Calisto  notario  Romàno  et  magfo 
Guglielmo  Ludouici  Fiorentino  ac  Doni.'"  de  Magrinis  tulhn  diec'  testi- 
bus  etc. 

Stephanus  de  Amannis  not.' 


(2)  Die  j.  XhTis  ip}.  pag.  55. 

In  nomine  etc.  Anno  etc.  Millesimo  quingentesimo  uigesimo  tertio.  In- 

dictione  duodecima.  Die  nero  quinta  mensis  Decemhris  Pontificatus    etc. 

Clementis  etc.  Septimi  anno  eius  primo.  In  mei  notarij  etc.  Testiumque  etc, 

presentia  personaliter  constitutus  etc.  magister  Bernardinus  quondam  Ioannis 


(i)  Cod.  a  I.  5,  f.  33. 
(2)  Cod.  a  I.  5,  f.  38. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5ii 


Francisci  de  ViUrhio  etc.  locaiiit,  et  titillo  etc.  in  enphiteusiin  perpetuavi  etc. 
dedit  etc.  magro  Baldassari  q.  Ioannis  de  perutiis  de  senis  etc.  quoddani 
petium  soli  etc.  ipsius  Dni  Sigismundi  cetitum  quinque  cannariitn  etc. 
situin  in  Regione  Campi  Martis  in  loco  uhi  est  viridarium  prefati  Dni 
Sigismundi  cui  soli  ai  uno  latere  est  tiia  puhlica  ah  alio  est  platea  fienda  etc. 
a  duohus  alijs  lateribus  est  residuum  dicti  soli  etc.  ad  hoc  nemini  locati  etc. 

Hanc  autem  locationem  etc.  fecit  etc.  prò  annua  responsione  decem 
ducatorum  curii  dimidio  auri  de  Camera  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Campi  Martis  in  tinello  domtis  etc.  magistri 
Antoni]  de  Sangallo  presentibus  petro  magfi  Nicolai  de  Caprarola  et  Phi- 
lippo  Francisci  Coppula  Fiorentino  et  Ioanne  q.  Io.  Chisij  de  Vergamo 
testibus  etc. 

5- 

(i)  Die  j  Xbfis  1^2^  pag.  jj-. 

In  nomine  etc.  Eisdem  anno  indici."  (12°^)  die  etc.  In  mei  Notarij  etc. 
testiumque  etc.  presentia personaliter  constitutus  etc.  Magf  Bernardinus,  q.  Io  : 
Francisci  de  Viterbio  etc.  locauit  et  tilulo  locationis  in  Emphiteusim  perpe- 
tiiam  etc.  dedit  etc.  magistro  Antonio  de  Sangallo  etc.  quoddam  petium  soli  etc. 
Dni  Sigismundi  Chisiivaenum  centum  quinque  cannarum  etc.  situm  in  regione 
Campi  Martis  in  loco  ubi  est  Viridarium  dicti  Dni  Sigismundi  cui  ab 
uno  latere  est  solum  hodie  locatimi  magro  Baldassari  de  Senis  ab  alio 
residuum  terreni  dicti  Viridarij  etc.  ab  alio  est  platea  fienda  et  ab  alio 
est  via  puhlica  etc. 

Hanc  autem  locationem  etc.  fecit  etc.  prò  annua  responsione  decem 
ducatorum  cum  dimidio  auri  de  Camera  ad  julios  decem  prò  ducato  etc. 

Actum  Rome  in  regione  campi  Martis  in  tinello  domus  dicti  magfi 
Antoni]  de  Sangallo  presentibus  Petro  magfi  Nicolai  da  Caprarola  et  Phi- 
lippo  Francisci  Chisij  de  Bergamo  testibus  etc. 

6. 

(2)  Die  18.  Decembris  ip^  fol.  jy. 
In  nomine  etc.  Anno  etc.  millesimo  quingentesimo  uigesimo  quinto  In- 
dictione  XIII.  Die  nero  XVIII  niensis  Decembris  Pontificatus  etc.  Cle- 
mentis  etc.  septimi  aìitio  eius  secundo,  in  mei  Notarij  etc.  et  testium  etc. 
personaliter  constitutus  etc.  Dnus  Bernardinus  q.  Ioannis  de  Viterbio  etc. 
locauit  et  titulo  locationis  in  Emphiteusim  perpetuavi  etc.  dedit  etc.  Fran- 
cisco q.  Francisci  de  puteo  de  Carauagio  Architectori  etc.  certuni  petium 
soli  etc.  Dni  Sigismundi  quinquaginta  unum  cannarum  cum   dimidia  in 


(1)  Cod.  al.  5,  f.  43. 

(2)  Cod.  a  I.  5,  f.  161. 


5l2 


G.  Cugnoni 


totum  eie.  situm  in  regione  Campi  Martis  in  loco  uhi  alias  crai  Viri- 
darium  prefati  Dui  Sigismundi  cui  ah  uno  latore  sunt  res  seti  solum  hodie 
localutn  etc.  ab  alio  nero  sunt  uie  puhlice  et  ante  est  platea  etc.  Hanc 
autitn  locationem  etc.  fecit  etc.  prò  annuo  censu,  et  responsione  quinqua- 
ginta  trium  Juliorum  cum  dimidio  etc. 

Actum  Rome  in  regiom  Campi  Martis  in  domo  mei  Notarij  presen- 
tibus  Duo  Laurentio  de  honinconlris  notario  Romano,  et  Ioanne  Antonio 
Griffo  testibus  etc. 

Stephanus  de  Amannis  not.^  rogatus  etc. 

Nota  (102).  Prima  del  n.  3: 

«  Die  i^  septembris  anni  lyof).  Alexander  Fiorentlli,  hahtiil  a  DD. 
haeredibus  q.  D.  Mariani  Chisi  ducatos  nouem  prò  taxa  imposita  prò  sel- 
ciata viae  S.  Cebi  a  Magislris  stralarum  ».  (Misceli.  Chig.  ms.  R.  V. 
d.  pag.  400.; 

Nota  (loO-  Dopo  il  n.  7: 

((  Die  14  Julii  1^16 

«  D.  Jacobus  Petri  Corsicus  Patronus  unius  Galeonis  etc.  ex  una,  et 
D.  Crescentius  de  Coraminis  negociorum  gestor  haeredum  q.  Mariani  de 
Chisiis  inhererunt  concordia  etc.  In  primis  qtiod  d.s  Jacobus  super  d.°  eius 
Galeone  in  furnacibus  de  Orbitalo  caricare  faciet  etc.  et  sic  caricatum 
conducere  ad  Portuni  Ripae  Vrbis  et  ibi  discaricare  siiis  sumptibus  etc.  » 
(Misceli.  Chig.  ms.  R.  V.  d.  pag.  143). 


Al  n,  8.  Serie  seconda: 

(i)  «  Lictere  Aplice  (Gregoril  XIII)  derogationis 
fideicomissi  (Auguslini  Chisii) 

«  Gregorius  Episcopus  seruus  seruorum  Dei  ad  perpetuam  rei  memo- 
riam  post  graues  curas,  quibiis  tantopere  sollicitamur  hanc  quoque  libenter 
cabìssimus  qua  edificiorum  quoram  dignitas  esf  aliqua  status  et  Vrbis  nfe 
ornatum  conseruetur  eadem  opera  prouidentos,  uti  priuati  Homines  neces- 
sitati oppressi  rebus  suis  abuti  nel  aliqnando  eas  etiam  derelinquere  non 
cogantur  quod  de  quondam  Augustini  Ghisii  Laici  Senen.  insigni  Domo 
in  Transtiberina  regione  Vrbis  olim  magnifice  constructa  pictisque  ab  ex- 
iJhntibus  artificibus  imaginihus  illustrata  nohiscum  considerantes  ab  eius 
Heredibus  oh  inopiam  ita  uicissitudine  rerum,  et  temporum  ferente  edi- 
ficium  illud  sartnm  tectum,  nec  conseruari  nec  alif,  qui  hoc  prestd  ob 
prohibitam  alicnationem  tradì  posse  perspeximus  ut  linieri  facile  possit  ne 

(i)  Scritture  dì  Casa  Chigi,  voi.  V,  pag.  411,  voi.  F,  pag.  289. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5i3 


quoà  loiigo  tempore  multis  sumptibus  Vrbis  decori  atqtie  usui  heredum 
quoque  commodo  et  emolumento  constructum  juerat  nisi  celeri  ei  instau- 
ratione  prospectum  sit  deformi  mina  breui  tempore  collabatur.  Cum  igitur 
ut  accepiomts  alias  d\  Augustinus  suo  testamento  Inter  alia  reliquerit 
predictam  domum  suam  cum  stabulo  ac  ceteris  omnibus  casamentis  hortis 
tenis,  alijsque  iuribus  et  pertìneutljs  suis  quondam  Ahxandro  Joanni  et 
Laurentio  Leoni  impuberibus  et  alijs  filìjs  sicis  masculis  se  uiuo  nel  mor- 
tuo  nascituris  cum  eo  tamen  quod  illa  uendere  aut  alienare  quoquo  modo 
non  possent,  et  si  illi  sine  filijs  masculis  legitimis  et  naturalibus  decederent 
domus  et  alia  predicta  ad  filios  masculos  quondam  Sigismundi  Chisij  sui 
germani  deuenirent  Itidemque  si  dictus  Sigismundus  sine  filijs  masculis  le- 
gitimis et  naturalibus  moreretur  tunc  ad  filios  masculos  legitimos  et  natu- 
ralos  Francisci  Chisij  etiavi  fratris  sui  germani  perueniretil  ea  semper 
conditione  adiecta  quod  domus  et  alia  predicta  ab  ipsis  pignorari  uendi 
aut  alienari  quoquo  modo  nequirent  Francisco  nero  sine  filijs  masculis 
legitimis  et  naturalibus  decedente  atque  ita  eius  nec  non  predicti  Sigismundi 
linea  masculina  huiusmodi  deficiente  domus  et  alia  predicta  ad  filios  ma- 
sculos legitimos  et  naturalas  Filiarum  dicti  Testatoris  peruenirent  qui  et  ex 
eis  nascituri  masculi  domum  et  alia  predicte  possidentes  nomen  et  insignia 
Chisiorum  assumerent.  Ad  tollendum  nero  ambiguitatem  uoluerit  ut  do- 
mini et  possessores  domus  aliorumque  predictorum  primogenitus prime  filie 
sue  et  alij  ex  linea  masculina  nascituri  semper  intelligerentur  et  si  ille 
sine  filijs  masculis  et  naturalibus  e  tiiuis  excederet  illa  ad  secundum  et 
deinceps  filios  masculos  eiusdem  prime  filie  et  si  ex  ea  linea  masculina  le- 
gitima  et  naturalis  non  esset  tunc  ad  filios  secundae  filiae  modo  et  forma 
supradictis  deuoluerentur  quod  etiam  intelligendum  esset  si  ultra  Camillam 
et  Margaritam  filias  suas  superstites  alias  filias  feminas  procrearent,  si  uero 
ex  dictis  filìabus  linea  masculina  legitima  et  naturalis  non  esset,  Domus 
et  alia  predicta  ad  filios  masculos  legitimos  et  naturales  fratum  dicti  Si- 
gismundi et  si  filiae  dicti  Sigismundi  sine  filijs  masculis  legitimis  et  natu- 
ralibus decederent  ad  filios  filiarum  dicti  Francisci  et  si  ex  eius  filiabus 
linea  masculina  legitima  et  naturalis  non  extaret  ai  proximiores  consan- 
guineos  suos  sub  conditione  ac  modo  forma  et  ordine  predictis  peruenirent. 
Et  si  contingeret  filios  suos  sine  eorum  alterum  illa  uendere  seu  pigno- 
rare uel  alienare  quoquomodo,  illi  ab  omni  eorum  jure  ipso  facto  cederent, 
et  illorum  filij  ac  etiam  illi  qui  ea  uendere  seu  alienare  uel  pignorare 
nollent  et  recusarent  in  eis  juxta  ordinem  predictum  succederent,  si  uero 
filij  sui  aut-  eorum  heredes  et  successores  predicti  ex  linea  masculina  quo- 
quomodo inter  se  conuenirent  eo  casu  ad  filios  masculos  legitimos  et  natu- 
rales Francisci,  et  si  pariter  contrafacerent  ad  filios  masculos  dictarum 
filiarum  ac  alios  iuxta  predictam  suam  dispositionem  peruenirent  adeo 
quod  ea  quocumqus  modo  pignorari  uendi  aut  alienari  non  possent,  Dom- 


5i4 


G.  Cugnoni 


nusqtie  et  possessor  eornmdem  juxta  ordinem  predictum  de  domo  Chisio- 
rum  semper  tiocaretur  atque  ila  imperpeiuiim  se  subscriberet  insigniaque 
gentilia  sua  gesiaret.  Quod  si  predictis  non  obstantibus  domiis  et  alia  su- 
pradicta  pignori  opponerentur,  aut  uenderentur  seti  alienarentur  quoquomodo 
Confraternitas  Annunciationis  Beate  Mariae  super  Mineruam  etiam  de 
Vrbe  in  illis  omnibus  eo  ipso  succederei  que  tanlas  Puellas  nuptui  Iraderet 
quante  ex  omnibus  eorum  reddilibus  iuxta  ìpsius  confralernitalis  consue- 
tudinem  dotari  possenl  et  alias  proul  in  Instrumento  dicti  testamenti  uige- 
sìma  octaua  Augusti  anni  Domini  Millesimi  quingentesimi  decimi  noni, 
seu  alio  ueriore  tempore  in  presentia  felicis  recondationis  Leonis  Pape 
decimi  predecessoris  nostri,  ut  dicitur  confeclo,  et  ab  eo  conjirmato,  ac 
etiam  literis  confirmationis  ipsius  phnius  conlinetur.  Ac  postmodum  An- 
gustino Testatore,  et  deinde  Sigismondo  et  Francisco  fratribus,  et  successiva' 
Alexandeo  Joanne  praedictis,  et  alio  Angustino  posthumo  sinefilijs  defunctis, 
ac  superstite  Laurentio  Leone  qui  alium  Augustinum  unicum  filium  suuni 
habens patreni  indelicellegitimum  et  naturalem dilecte  in  Christofilie  Claricic 
que  diUcto  filio  Lelio  Camaiano  Aretino  frati  militis  mililie  lesti  Christi 
Cistercien  ordinis  nupsit  etiam  ab  luce  migraueril,  sicque  linea  Masailiita  dicti 
Augustini  testatoris  extincta  Domus,  stabulum  et  alia  predicta  ad  dilectum 
flium  Alexandrum,  et  quondam  Augustinum  natos  dicti  Sigismundi  et  ut 
asseritur  adfilios  quondam  Marij  dicti  Sigismundi  nati  premor lui  deuenerint, 
ac  demum  cum  predictus  Lelius  illu  pretio  decemmillium  et  quingentorum 
scutorum  monete  sibi  uendi,  et  occasione  dotis  Claì-icis  vxoris  sue  nec  non 
apparatus  fructuum  et  impensarum  septemmillia  senta  etiam  monete  sibi 
assignari,  reliqua  nero  Iria  millia  et  quingenta  senta  in  commodum  filio- 
rum  Sigismondi  erogari  ex  curia  Capilolij  sententias  et  decreta  obtinuisset 
Domimi  et  alia  supradicta  Venerabili  fratri  nostro  Alexandre  Episcopo 
Portuensi  Cardinali  Farnesio  nuncupato  uti  persone  priuate  et  huiusmodi 
bonis  etiam  tiinc  litigiosis  ideino  prò  eodem  predo  decemmillium  et  quin- 
gentorum scutorum  uendiderit  qui  dictis  septemmillibus  scutis  eidem  Lelio 
persolutis  reliqua  tria  millia  et  quingenta  ut  collocarentur  deposuit,  et 
dum  hec  agerentur  catisaque  in  eodem  Capitolio  ageretur  Intera  supra 
dicttis  Alexander  Cbisius  domimi  stabulum  hortos  et  alia  predicta  ad  se 
prò  dimidia  parti  pertinere  contendens  et  quod  dictus  Marius  ipsi  Lau- 
rentio predecesserat  asserensque  inualida  esse  ea  que  in  dieta  Curia  ut 
prefertur  et  alias  gesta  fuerant  catisam  molesiationis  super  domo  stabulo 
et  alijs  predictis,  nec  non  qiiam  et  qiias  ipse  cantra  omnes  interesse  exi- 
stimantes  occasione  premissorum  mouere  intendebat  dilecto  filio  magistro 
Gregorio  Brauo  Cappellano  ufo  et  causarum  Palati]  Aplici  Auditori  au- 
diendam  et  fine  debito  terminandam  adherentes  etiam  eius  nepotibus  sup- 
pressa  in  rescripto  litis  pendentia  in  Capitolio  predicto  committi  a  nòbis 
obtinuerit  causaque  huiusmodi  si  corani  eo  pendente,  cum  nihilominus  In- 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5i5 


dici  dictii  Cune  Capitoli]  datimi  fuisset  per  aliud  rescriptum  nostrum  in 
mandatis  ut  ad  executionem  et  subhastationem  stabuli  et  aliorum  predicto- 
rum  procederei,  ac  rursus  eodem  Alexandre  Chisio  inter  alia  asserente 
fideiconimissum  predictum  propter  dotes  frangi  non  posse.  Nos  causam 
discussionis  hereditatis  et  honorum  dicti  Laurentij  ac  etiam  restitutionìs  in 
integrum  prefato  Gregorio  Auditori  aiidiendarn  conimisserimus  et  fine  debito 
ter  minandam.  Et  postremo  in  nini  alterius  specialis  rescripti  aNobis  emanati 
uenditio  supradicta  per  ipsam  Ciiriam  Capitolinam  decreta,  et  demum 
predicto  Alexandre  Episcopo  ut  prefertur  facta  extìterit  causa  pieni  indici} 
et  discussionis  buiusmodi  remanenti,  que  et  alia  predicta  coram  Magistro 
Gregorio  Auditore  adhuc  pendere  diciur  indecisa.  Cumque  Domus,  stabu- 
lum  et  alia  sopradicta,  et  si  magnifice  et  sumptuosa  constructa,  non  extante 
qui  in  ipso  tempore  illa  tueretur  iamdiu  exesa  uitium  fecerint  ruinamque 
minentur  prodictusque  Alexander  Chisius  propter  inopiam  et  lititim,  quibus 
implicatus  tenetur,  suniptus  opem  illis  ferre  eademque  resarcire  aut  sarta 
consertiare  non  possit.  Et  licet  post  obituni  predicti  Laurentij  ex  eisdem 
edificijs  et  rebus  quadringenta  senta  plusue  minusue  percepta  sint  sibi  tamen 
suisque  heredibus  et  alijs  ad  hoc  fidei  commissum  uocatis  magis  expediret, 
illa  in  perpetuum  uendere  et  alienare  illorumque  pretiuni  ac  etiam  si 
succumbente  Lelio  predicta  septemmillia  sciita  recuperabuntur  illa  quoque 
nel  in  censibus  nel  in  predijs  et  rebus  alijs  immobilibus  collocare,  ex  quibus 
ipsi  ab  impendentibiis  ruinis  predictis  hoc  pacto  liberati  securìores  stabi- 
Uoresque  longe  proventiis  perciperent.  Nos  qui  scriptas  mortuorum  uolitn- 
.  tates  conuellere  noìumus,  et  tamen  aliquando  eorum  iiidicia  in  huiusmodi 
casibus  quod  ab  ipsis  ut  remar  factum  esset,  si  id  prospicere  potuissent 
ducimus  iniitandas,  nobisque  maxime  conuenit  decori  Vrbis  et  amplitudini 
prospicere,  et  quemadmodum  uiam  aperuimus,  ut  nona  quotidie  et  nobilia 
edificia  construantur,  sic  quoque  contendinus  operam  datum  iri  ut  antiqua 
presertim  insignia  conseruentur.  Itaqiie  de  premissis  edocti,  ut  Alexandri 
Chisij  et  aliorum  uocatorum  predictorum  commodis  ac  simul  domus  et 
stabuli  predictorum  que  insignium  architectorum  studio  edificata  et  pre- 
claris  egregiorum  artificum  picturis  decorata  etiam  a  peregrinis  cupide 
uisuntur  artificijque  et  ornamentoriim  exemplaria  certatim  sumentibus 
frequentantur  instaurationi  et  fulcimento,  Vrbis  quoque  decori,  et  Augu- 
stini  Chisij  testatoris,  qui  de  ea  Vrbis  parte  tunc  pene  deserta  bene  et 
magnifice  meritus  fiiit,  memorie  quantum  possumus  consulatur,  commodis 
rationibus  prouidere  uolentes  nec  non  Alexandrum  Chisium  predictum  a 
quibusuis  excomunicationis  suspensionis  et  inter  dicti  alijsqiie  ecclesiastici s 
sententi} s  censuris  et  penis  etc.  absoluentes  etc.  ac  testamenti  illiusque  con- 
firmationis  et  literarum  emptionis  ac  quoriimcumque  aliorum  instrumen- 
torum  et  scipturarum  tenores,  ad  domus,  stabuli,  hortorum  terrarum  et 
aliorum  bonoriim  predictorum  situationes,   confines,   qualitates,   uocabula. 


DH 


Aiiiìioni 


detiominationes  et  ueros  anmios  ualores  presentihns  prò  expressis  habentes 
motti  proprio,  non  ad  Alexandri  Episcopi,  nec  Alexandri  Chisij,  nec  alio- 
rmn  ad  fideicommissimi  huiusmodi  uocatorum  predi ctoriivi,  nel  alterius 
aiit  aliorum  prò  eis  nohis  desuper  ohlate  petitionis  instantiam,  sed  mera 
deliberatione  certaque  scientia  ac  potestale  nostra  ahsohita  predicto  Alexandre 
Chisio  ceterisque  ovtmihtis  ad  dictum  fideicommissuvi  uocatis  tam  coniunctim, 
quam,  diuisim,  ut  quisque  prò  se  suisque  heredibus  et  succeSsoribns  etiam 
in  testamento  et  fideicommisso  predicto  uocatis  in  infinitum  domum,  stabu- 
him,  hortos  et  cetera  omnia  predicta  et  quecumque  illis  cedunt  predicto 
Alexandre  Episcopo  uti  vicino  eiusqne  heredibus  et  successoribus  iure  pro- 
prio in  perpetuum,  quod  etiam  peri  possit  siue  prejudicio  prioris  emptionis 
ah  eo  facte  et  iurium  ipsius  inde  acquisitorum,  ac  prò  maiori  cautela  et 
ut  iura  iurihus  ad  Alexandri  Episcopi  heredmn  et  successorum  suorum  pre- 
dictorum  fauorem  addantur  prò  pretio  saltem  aliorum  quatuor  millium  et 
quingentorum  scutorum  etc.  uendendi  et  alienandi  plenam  et  liberam  etc. 
licentiam  tribuimus,  cum  eo  tamen  quod  pretiam  ipsum  quatuor  millium 
et  quingentorum  scutorum  Rome  apud  mercatorem  fide  et  facultatibus  ido- 
neum  deponatur  etc.  factoque  reali  quatuor  millium  et  quingentorum  scu- 
torum deposito  huiusmodi,  domum.  stàbuìum  et  cetera  omnia  bona  predi- 
cta a  uinculo  fideicommissi  et  substitutione  etc.  in  perpetuum  absoluimus  et 
penitus  liberamus  etc.  Datum  Roma  apud  sanctum  Petrum  Anno  Incar- 
nactionis  Domitiice  millesimo  quingentesimo  octuagesimo  octauo  hai.  Majj 
Pontificatus  nostri  anno  octauo  ». 

Nota  (105).  Cadendomi  qui  in  proposito,  trascriverò  alcuni  pri- 
vilegi concessi  dalla  Repubblica  di  Siena  al  Peruzzi,  i  cui  originali 
sono  nei  Cod.  Chig.  E.  VII,  215  ;  e  gli  apografi  nelCod.  Chig.  E.  V.,  143. 


IS27. 

Anno  Domini  MDXXVII  Indictione  XF  de  nero  X  mensis  lulii  Conuo- 
cato  et  congregato  Consilio  Populi  et  Popularium  Mag."^'  Ciuitatis  Sena- 
rum  etc.  proposuit  et  dixit  prestantissimus  Vir  Ser  Sigismundus  Ioannis 
de  Tricecchijs  unus  ex  numero  Mag.'^""'^  Dnorum  etc.  inter  catera  super 
pra'cordio  porrecto  in  fauorem  MagTi  Baldassaris  lohannis  Siluestris  Ar- 
chitectoris  sen.  cuius  tenor  talis  est  Videlicet: 
Mag.'^'  e  Sp.^'  5/^/* 

Alcuni  Cittadini  desiderosi  dell' honore,  et  utile  della  Città  nfa  con 
debita  et  humile  riuerentia  a  V.  M.  S.  recordano  conte  esser  cosa  molto 
laudabile  et  utile  in  la  Città  ampliare,  e  condurre  tutte  le  arti,  et  olii 
Ministri  di  quelle  sempre  con  qualche  poca  proui'sione  subuenire,  cosa  per 
li  antichi  usata,  et  essendo  adunque  oggi  in  Siena  Mfo  Baldassarre  Senese, 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  Siy 


^  seruitore  di  V.  S.  Mag."'"  et  considerato  in  lui  esser  piìi  uirtti,  et  una 
principale  di  Architettura,  che  si  può  dire  unico  in  Italia  designator  grande, 
e  pittore  tale  che  possendolo  fermare  in  la  Città  nostra  iudicamo  sarà 
cosa  molto  utile  al  puhlico,  e  commodo  al  particulare,  et  causa  di  fare 
molti  maestri  di  tali  arti  di  dare  honore,  e  nome  della  Città  Vostra  in 
le  altrui  Città,  per  tanto  con  reuerentia  recordano  ad  quella  si  uoglino  de- 
gnare per  li  loro  oportuni  Consigli  fare  'deliberare,  che  al  dee  m.°  bal- 
dassarre  li  sia  fatta  una  prouisione  di  danari  annuali  di  quel  tanto  che 
al  Consiglio  parrà  acciocché  esso  m°  Baldassarre  possa  qua  fermarsi,  et 
lui,  e  sua  famiglia  nutrire,  la  quale  prouisione  ottenuta  come  sperano  sarà 
causa  di  grandissimo  frutto  in  la  Città  nostra  come  V.  M.  S.  ben  possono 
pensare  al  tutto,  alle  quali  humilmente  si  raccomandano  che  lo  Altissimo 
Idio  le  preserui  in  pacifico,  e  libero  stato. 

Anno  Dni  MDXXVII  Indictione  XV.  die  nero  II II:  mensis  fulii. 

Lectum  fuit  supradictum  Recordium  inter  Mag^°^  Dnòs  et  Cap.  populi 
et  Sp.  Vexilliferos  magforum,  et  per  eos  approbat.  et  ddiberat.  quod  po- 
natur  ad  Consilium  prout  Stat. 

Ad  Consilium  nobilis  Equitis  Dni  lohannis  Baptae  Piccholhomini  consu- 
lentis  super  dicto  recordio  porrecto  in  fauorem  mJ  Baldassaris  lohannis 
Siluestri  architectoris  de  Senis  obtefita  prius  derogatione  statutorum  refor- 
mationum,  et  legum  in  contrarium  quoquo  modo  disponentium  per  lu- 
pinos  ijó.  albos,  nigris  75.  in  contrarium  non  ohstantibus  obtentum  fuit 
per  lupinos  20^.  albos  prò  sic  redditos  7iigris  42.  in  contrarium  non 
obstantibus,  quod  magister  Baldassar  predictus  habeat,  et  habere  debeat  a 
mag.'^°  Communi  Senarum  prouisionem,  et  habeat  prò  quolibet  mense 
scutos  quinque  ctim  obligationibus  quod  ipse  seruiat,  et  seruire  debeat 
pub/"  in  eius  arte  cum  pactis,  et  Capitalis  cnm  eo  fiendis  per  m.'°'  dnds 
et  Cap.  populi,  et  Sp.  Vexilliferos  magistros,  quod  stipendium  scutorum 
quinque  prò  quolibet  mense  per  eosdem  Magfos  Dìios  Cap.  populi,  et 
Vex.^"'  declaretur,  et  deputdiir  unde  debeat  trahi. 

Marcellus  Grammatus  Notiis  Consistorij  rogat. 


IS2-J. 

Anno  Dni  MDXXVII  Indictione  XV.  die  nero  XXI  Aiigusti  : 
Mag.""'  et  Sp.^'  Dni  Dni  Priores  Gubernatores  Communis,  et  Cap.  populi 
in  Consistorio  nostrae  solitae  Residentiae  una  cum  Sp.  Vexilliferis  Magi- 
stris  in  numero  sufficienti  congregati  etc.  vigore  eorum  auctoritatis  sic  a 
Consilio  populi,  et  Generali  sub  die  X.  mensis  lulii  proxime  praeteriti 
data,  et  attributa  super  conducta  magistris  Baldassaris  lohannis  Siluestri 
Architectoris  Sen.  seruatis  seruandis  etc.  Decreuerunt  quod  Capitula  etc.  cum 
d.°  m."  Baldassare,  quod  sit  obligatus  omnibus  factionibus  publicis  et  tam  in 


Mgnom 


Ciuitate,  quatti  in  Cornitatu,  et  lurisdictionc  Senar.  in  his  tamen,  in  quibiis 
de  eius  arte,  et  Architectura  fuerit  opus,  et  quod  sit  ohligatus  eius  artein 
docere  omnes  querentes  et  uoUntes  discere,  et  ad  predicta  omnia,  et  singula 
teneatur  etc.  ahsque  aliqua  solutione  siti  fienda  scilicet  quod  solum  ha- 
heat,  et  habere  debeat  a  p.""  Senarum  eius  prouisionem  Scutorum  quinque 
prò  quolibet  mense,  prout  per  consilium  iam  fuit  deìiheratum.  Cnm  hoc 
quod  quando  d."  m.g  Baldassari  extra  Ciuitatem  aliquo  modo  accedere 
lontigerit  ad  locum  aliquem  sit  ei  prouisum  de  uno  equo  ad  expensas  pu- 
hlici  et  per  publicum,  seu  illor.  per  quos  a  pS"  erit  sibi  ordinatum  fiant 
sibi,  et  equo,  et  vni  famulo,  si  erit  necesse  expense  iuste,  et  quod  ad  presens 
d.°  tn°  baldassari  fiat  decretum  sui  stipendij  scutorum  qainque  prò  quolibet 
mense  incipiendo  a  die  deliberationis  Consilij,  que  fuit  sub  die  X.  mensis 
ìulij  proxime  preteriti,  directum  nobili  equiti  Dno  lohanni  baptae  Bon- 
signori  de  Piccolhominibus  Debitori  Mag.'"  Comunis  senarum  super  affictu 
bonorum,  que  tmd  a  Mag/"  Communi  Senarum  continent.,  quod  durante 
dcd  affictu  quolibet  mense  incipiendo  ut  supra  a  die  Decima  lulij  proxime 
preteriti  dei,  et  soluat  m."  Baldassari  dcòs  scutos  quinque  absque  aliquo 
eius  praeiudicio  aut  damno  de  Cudio  Communis  Senarum  quibuscumq.  in 
contrarium  non  obstantibus  Dantes  autoritaiem  Cap."  popiili  ad  presens 
residenti  recipiendi  nomine  Communis  Senarum  obligationes  per  eum  fiendas, 
prò  omnibus,  et  singulis  suprascriptis  in  presenti  deliberat.  contentis  penitus 
obseruandis  et  adimplendis  et  ptS  omni  meliori  modo  etc. 

Anno  et  Indictione  predcts  Die  nero  XXXI.  Mensis  Augusti. 

Constitutus  corani  famosissimo  ac.  etc.  et  me  Avoc.  Magistro  Nicolao 
Muciaiti  de  Ceretanis  Dignissimo  Capitaneo  populi  prefatus  magister  Bal- 
dassar,  et  lecta  sibi  uulgari  sermone  de  nerbo  ad  uerbum  supta  delibera- 
tione,  et  omnia,  et  singula  in  ea  contenta  per  me  marcelluni  Gramatum 
not.  infrascriptum  per  se  suos  haeredes,  et  successores  sua  libera,  et  spon- 
tanea uoluniaie  ex  certa  scientìa,  et  non  per  errorem  aliquem,  non  ui  dolo 
uel  meta,  nel  aliqua  suasione  circumuentus  promisit  ei  conuenit  prefato 
m.°  Nicolao  Capitaneo  Dignissimo  prédco  pnti  et  recipienti  uice,  et  nomine 
mag.'*  Communis  Senarum  omnia,  et  singula  in  dea  precedenti  deliberatione 
contenta  obseruare,  et  adimplere,  et  contra  ea,  uel  aliquid  eorum  non  facere 
uel  uenire  sub  poena  dupli  eie.  etc.  prò  quibus  omnibus  etc.  obligauit  sete  etc. 
lurauit  etc. 

Actum  Senis  in  palatio  Mag.'"'"'"  Dnorum  in  Camera  mag."  Capi- 
lanei  populi  Corum,  et  pntibus  Vgone  magistri  bonelli  de  bentijs,  et  lohanne 
baptista  petri  pauli  de  peloris  Ciuibus  de  Seneis  Testibus  etc. 

Ego  Marceìlus  olim  ser  alterus  Marcelli  Grammatius  publicus  et  Impe- 
riali aucte  Notus  etc.  interfui,  et  rogatus  scribere  scripsti,  et  publicaui  etc. 

ip8. 

In  nomine  Diti  nfi  Yesu  Xpti,  eiusque  Sanct.""^'  mris  Mariae  semper 


Agostino  Chigi  il  Magnijico  5 19 


Virginis  Amen  Anno  db  ipsius  Dni  salutifera  incarnatione  millesimo 
quittgenUsimo  vigesimo  octauo  Indictione  2.*  sin  stilum  et  consuetudinem 
Notariorum  Vniuersitatis  Mag.'^"'  Ciuitatis  Senarnm,  die  nero  XXIII 
niensis  Nouemhris  Clemente  VII  Pont."  Maximo,  et  Carolo  V  sunimo  Im- 
peratore regnantibus.  Pateat  omnibus  euidenter  qualiter. 

Generali  Consilio  Campanae  Magnifici  Communis  Senarum  solemniter, 
et  in  sufficienti  numero  conuocato  etc.  de  mandato  etc.  Proposui  Ego  Ale- 
xander Bonisignius  Notarius  Reformationum  super  infrScta  deliberatione 
obtempta  in  Consilio  ppli  super  quadam  petitione  Magri  Baldassaris  perutij 
architectoris  et  super  eodem  petitum  reddi  Consilitim. 

Cuius  quidem  deliberationis.  etc.  Tenor  talis  est  Vlt. 

Anno  domini  MDXXVIII  Indictione  2.*  Die  nero  XXIII  gbfis. 

Consilio  ppli,  et  popularium  Mag.^'^^  Ciuitatis  Senarnm  solemniter, 
et  in  sufficienti  numero  conuocato  etc.  de  mandato  etc.  et  facta  in  eo  so- 
lemni  proposita  super  quadam  petitione  Magfi  Baldassaris  Perutij  Archi- 
tectoris, et  super  ea  redditis  consilijs,  et  dato  facto,  et  misso  partito  ad 
lupinos  albos  et  nigrosfuit  tandem  in  d."  Consilio  etc.prouisum  et  deliberatum, 
quod  attentis  operibus  d.^  Magfi  Baldassaris,  et  quid  utile  sit  Reipublicae 
Senarum  quod  ipse  moram  trahat  in  Ciuitate  Senarum,  quod  auctoritate 
dicti  Consilij  ppli  intelligatur  esse  et  cum  effectu  sit  duplicatum  stipendium, 
et  prouisio  dicti  Baldassaris,  ita  quod  hdbeat  et  habere  debeat  a  Mag.^° 
Comune  Senarum  duplum  ultra  illius,  quod  fuit  iam  sibi  concessum  et 
hàbet  a  preafato  Magnifico  Comune  Senarum,  et  eodem  modo,  et  forma, 
quod  habet  dictuni  eius  iam  concessum  stipendium,  et  prouisio.  Et  ita  in- 
telligatur ut  supra  sibi  datum,  et  concessum  :  Ac  etiam  ultra  predicta  quod 
prò  omni  Turri,  seu  Turra^io  finito,  et  que  perfecte  fuerint  hebeat,  et 
habere  debeat,  et  sit  ci  datum,  et  concessum  ad  rutionem  ducatorum  ui 
ginti  quinque  prò  qualibet  Turri,  seu  Turra:ì;io  finito  extrahendorum,  et 
habendorum  per  eum  de  denarijs,  et  pecunijs  Zechini,  et  deputatis  prò 
conficiendis  Turra::^i}s  predictis  :  Quod  fuit  uictum  per  lupinos  16^.  albos  prò 
sic  redditos  nigris  46.  in  contrarium  redditis  non  obstantibus  obtenta  prius 
solemni  statutorum  omnium  derogatione  per  lupinos  162  albos  nigris  47. 
non  obstantibus  etc. 

Ego  Franciscus  olim  Dr  filium  (sic)  Ioannis  Notarius  consistor  ;  a  pre- 
dictis  rogatus  infidem  me  subscripsi. 

IS3I. 
In  nomine  Dni  etc.  Anno  etc.  millesimo  quingentesimo  trigesimo  primo 
Indictione  quinta  etc.  Die  nero  uigesima  nona  Octobris  etc.  Per  hoc  presens 
publicum  instrumentum   Vniuersts,  et  singulis  notum  sit  qualiter. 

Generali  Consilio  etc.  de  mandato  etc.  forma  solemni  proposita  super 
infrascripto  recordio  etc.  dato  facto  et  misso  partito  ad  lupinos  albos,  et 
nigros  fuit  tandem  iustum  obtentum  etc.  et  deliberatum  etc.  prout  in  dicto  etc. 


Mgnoni 


recordio  eie.  in  jauorevt  Magistri  Baldassarìs  peniti)    architectoris  conti- 
netur  etc. 

Tenor  autem  dicti  recordij  et  delìberationis  consilij  etc.  est  infrascriptus 
FU  Dinanzi  da  noi  etc. 

Hatiendo  molti  Cittadini  desiderosi  del  bene  essere,  et  amplitudine  della 
Repubblica  di  V.  S.  M.  considerato  li  huomini  uirtiiosi  esser  quegli  che 
accrescano  sempre  honore,  et  fama  alle  Republiche,  et  per  questo  non  sola- 
mente esser  debito  mantenere  quelli  che  in  esse  sono,  ma  condurre  ancora 
delli  altri. 

Essendo  informati  che  Maestro  Baldassarre  Architettore  Ecc.""  è  per- 
sona di  molto  rilievo,  di  modo  che  in  tempo  di  pace  et  di  guerra  questa 
republica  potrebbe  deh  opere  sue  ualersi  et  per  non  hauere  esso  modo  di 
sostenere  la  fatneglia  e  casa  sua  è  for-^ato  cercare  fuor  della  patria  altro 
inuiamento  et  perche  saria  dannoso  perdare  si  uirtuosa  persona  con  debita 
reuerentia  recordano  alla  S.  V.  M.  che  per  loro  opp.^'  consegli  sieno 
contente  solennemente  deliberare,  che  al  prefato  m.°  Baldassare  sia  consti- 
tuito  una  prouisione  annua  di  quella  quantità  che  ad  esse  parerà  ragio- 
neuole.  Purché  esso,  eia  casa  sua  honestamente  possa  sostentare,  et  di  questo 
se  li  dia  assignamento  uiuo  di  modo  che  non  li  sia  si  faticoso  lo  essere 
al  debito  tempo  satisfatto,  et  tanto  giudicano  li  predetti  habbi  da  resultare 
in  utile,  e  betiefitio  della  nfa  repu."^,  et  Cittadini' di  essa,  et  alle  S.  V.  M. 
si  raccomandano  quali  nostro  Sig.^  Dio  feliciti  et  conserui  quanto  desiderano. 

Anno  Dui  MDXXXI  Indictione   V  Die  nero  XXVIII  octobris. 

Lectum  fuit  suprascriptum  recordium,  in  Consistorio  Magnificar,  dnor. 
et  Capitanei  populi,  et  per  eosdem  una  cmn  Sp."*"  Vexilliferis  magfis 
fuit  confìrmatmn,  approbatum,  et  deliberatum  quod  ponatur  ad  consilium 
Populi  prout  stat. 


Anno  Dni  MDXXXI  Ind.'  V.  Die  nero  XXVIII I  Octobris  Conuocato, 
et  congregato,  Consilio  populi  etc.  et  forma  ineo  proposita  super  dcò  recordio, 
superi  quo  dato  Consilio,  et  misso  partito  fuit  obtentum,  et  solemniter  delibe- 
ratum quod  d.°  magfo  Baldassari  concedatur,  et  detur  dupluni  solarium,  quod 
habebat  ante  hac  vlt  quod  uigore  pntis  consilij,  et  deliberationis  intdli- 
gatur,  et  sii  cum  duobus  in  duplo  salario  quod  habuit  usque  modo.  Pro 
quo  duplo  salario  soluendo  sit,  et  intelligatur  assignatum  super  redditibus, 
membro,  et  fructibus  marsiliani,  quod  fuit  obtent.  prius  derogatione  per  146. 
albos  LXV.  nigris  non  obstantibus  consilium  nero  per  lupinos  144  albos  66. 
nigris  non  obstantibus. 

Ioannes  q.  Angeli  noius  concistori  rogatus  etc. 


Nota  (132).  In  fine.  La  seguente  lettera  del  Card.  Santa  Croce 


Agostino  Chigi  il  Magnifico 


a  Madonna  Sulpizia  moglie  di  Sigismondo  Chigi  si  collega  all'argo- 
mento di  questa  nota. 

(i)  ff  Alla  Mag.'^'^  5/"  Madama  Sulpitia 
Ghisi  Tua  da  sorella 

In  Siena 

«  Mag.  "  Madona.  In  la  Casa  Tira  uicina  qua  della  babitatione  Era 
ce  sono  due  statue  di  Martnore  che  desideriamo  hatiere  per  ponere  qua 
in  una  nfa  loggetla,  dico  corno  prestatice  che  nò  uorriamo  spoliare  la 
ufa  casa  che  estimiamo  piìi  nfa  che  la  pnte  che  e  dalirui,  et  ornarla 
assai  più,  le  quale  statue  perche  sono  mache  come  de  braccia,  piedi, 
naso  etc,  faremo  aconciare  da  uno  nro  seruitore,  che  se  n'intende  assai 
bene  di  tal  mistiero,  perche  quando  uè  piaccia  d'accomodarcele,  ne  farete 
cosa  grata,  delle  quali  comò  cosa  ufa  imprestataci,  ne  faremo  poli:(a  al 
ufo  MS.  Michel  Angelo,  et  così  starano  sempre  al  ufo  piacere.  Ne  altro 
se  nò  che  sempre  ne  offriamo.  Da  Roma  alli  XXII  di  Maggio  M.D.XXXIIII. 

Vr.  fr. 

f  Car.^^'  S.  q<. 

Nota  (138).  In  fine.  Nel  Codice  Urbinate  940,  della  collezione 
Vaticana,  che  è  una  vita  di  Francesco  Maria  della  Rovere,  a  pa- 
gina 175  è  notato:  «Furono  poi  che  giunsono  in  Roma  (Francesco 
Maria  della  Rovere,  Elisabetta  Gonzaga  e  la  sposa  di  Francesco 
Maria)  fatti  molti  cornuti  et  feste,  recitate  comedie  in  casa  dil  Cardinale 
San  Seuerino  et  di  Agostin  Ghisi  senese,  dove  li  sposi  et  l'altre  sudetie 
signore  furono  di  sera  honoratamenie pasteggiate  ».  Debbo  questa  notizia 
alla  squisita  erudizione  del  mio  amico  sig.  Oreste  Tommasini. 

Nota  (141).  In  fine.  Della  presura  di  costui  v'ha  in  una  lettera 
di  Agostino  al  fratello  Sigismondo  (2)  questa  memoria: 

«  Alisandro  è  pure  stato  preso  in  Turchia,  e  sarà  qui  domane,  e 
questo  ripararà  a  gli  altri  che  non  nudino  facendo  simili  ladronarie  ». 

Nota  (157).  In  fine.  Di  un  altro  prestito  allo  stesso  Duca  d'Ur- 
bino leggesi  questa  memoria  a  pag.  425  della  Misceli.  Chig.  ms. 
R.  V.  d. 

<f  Die  7j  fanuarii  1^14  D.  Horatius  Floridtis  de  Fara  Seruitor  III. 
D.  Ducis  Vrbini  confessus  fuit  habuisse  a  M."  D.  Angustino  Chisio 
Vndecim  Ballacia  ligata  in  Cassone  (sic)  anri,  Vniim  Ballacium  ad  modani 


(i)  Misceli.  Chig.  ms.  R.  V.  b,  f.  109. 
(2)  Misceli.  Chig.  ms.  R.  V.  C,  pag.  2. 


>22 


Msrnom 


fermagli  cum  vno  diamante  in  puncta,  vnuvi  :(affiruiìi  in  tabula  cum  duohus 
Darfinis  in  turno  etc.  quos  D.  Agustinus  habet  in  pignus  a  d."  D.  Duce.  » 

Nella  stessa  Misceli,  a  pag.  415  è  cosi  ricordato  un  prestito  alla 
Camera  Apostolica: 

«  Die  14  ghfis  iSio.  Cum  sit  quod  haeredes  q.  Mariani  Chisij  mu- 
tuauerint  Cam.  Ap.  recipiente  R.  p.  d.  Thes.rio  S.  D.  N.  PP.  Summam 
due.  jjo.  Anni  reslituen.  eisdem  etc.  Hinc  est  quod  Dom."^  de  luuenibus 
C.  A.  Notus  etc.  promisit  d.  summam  restituere  etc.  et  ita  se  ohligauit  etc.  » 

Dopo  la  morte  di  Agostino  proseguirono  i  suoi  eredi  a  largheg- 
giare co'  sovrani  in  simiglianti  prestanze.  Eccone  due  documenti: 


((  Die  2.  Marta  ij)o.  Cum  sit  quod  S.  D.  N.  Clemens  PP.  7.  et  prò 
sua  S.'',  et  prò  Camerae  Aplae  urgentibus  necessitUiibus  quibus  Regnum 
Vngariae  Christianitatis  fìrmissum  propugnaculum  a  crudelissimo  Solimano 
Salim  Turcorum  spurcissimo  premitur  subueniatur  inter  alias  pecuniarum 
summas  iam  elargitas  etiamsc.^Q  anni  etc.  Regi  III""',  et  prò  eos  suis  Ora- 
toribus,  dare  promiserit,  quorum  solutionem  nobilis  vir  D.  Hier.^  de  Ven- 
turis  senen.  etc.  facere  ohtulit,  et  ex  illis  ^  per  soluerit  et  prò  reti  qui s  ^ 
restantibus  certa  nomina  debitorum  haeredum  q.  Didaci  de  Aro  in  Flan- 
dria  residen.,  haeredibus  q.  M.  D.  Aug.'"*  Cinsi  in  maiori  sunima  obli- 
gatorum  subdelegare  promiserit  Propterea  in  mei  etc.  Philippus  de  Ser- 
gardis  senis  Tutor  haeredum  M."  D.  Aug."^  Chisij  sponte  etc.  constiluit  etc. 
suum  et  dd.  haeredum  q.  Aug."^  Chisij  Profem  etc.  D.  Hieron."*  de  Venturis 
ad  ipsorum  DD.  haeredum  nominibus  ceden.  et  subdelegan.  d.°  111."^°  et 
Ser.'"°  Vngariae  Regi  et  prò  eo  suis  Oratoribus  omnia  lura  etc.  ipsis 
haeredibus  q.  Aug.'^*  Chisij  q.  Antonii  de  Aro  etc.  competentia  ad  hoc 
ut  d.'  ser.*""'  Vngariae  Rex  de  illis  libere  disponere  possit  ».  (Misceli. 
Chig.  ms.  R.  V.  d.,  pag.  439). 


(i)  «  Clemens  Papa  7/ 
«  Cupientes  unum  Adamantem  in  tabula,  et  unum  balascium  quos 
dudum  de  anno  1^24  ima  cum  certis  aliis  praeciosis  Dilecto  Filio  Seba- 
stiano de  Saulis  Mere.  lanuen.  per  manus  Agentium  prò  heredibus  Au- 
gustini  de  Chisiis  consignari  fecimus  prò  d.*  Sebastiani  cautione  pecunia- 
rum  super  Dohanis  herbarum,  et  Thesauraria  Perusiae  tunc  nobis  per 
eum  mutuatarum  quanto  citius  recuperari  motu  proprio  etc.  Dilecto  Filio 
nostro  Augustino  Spinulae  tituli  Sancii  Ciriaci  in  tennis  Pfbro  Cardinali 
nostro,  et  S.  R.  E.  Camerario  tenore  pntium  committimus  q.  de  pecuniis 


(i)  Scritture  di  Casa  Chigi,  voi.  G,  pag.  32i. 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  523 


quibusctwique  solnat  mercatoribus,  uel  aliis  penes  qttos  dieta  duo  localia 
pignorata  reperiuntur  prò  illorum  recuperatione  et  a  d."  pignore  libera- 
tione,  et  redemptione  usqtie  ad  ducatos  duos  mille  trecentos  aiiri  de  Ca- 
mera de  Jttliis  decem  prò  qttòlibet  ducato,  illaque  sic  redempta  ad  nos  per 
mare  uel  terram^  periculo  nostro  per  Jìdam  alioqui  personam  quam  citis- 
sime  apportari  faciat,  et  prò  satisfactione  pecuniarum  usque  ad  d."*"  sum- 
mam  prò  d."  redemptione  localium  eam  portionem  Impositionis  subsidiì 
augumenti  pretii  Salis  a  Provìnciae  Marchiae  et  Humbriae  Coniitatibus, 
et  Vniuersitatibus  exactam  uel  exigendam,  quae  alias  ho.  :  me  :  L.  Efo 
Praenestino  CardJ^  Sanctorum  quatuor  nuncupato  prò  restii.'"'  tredecim 
milium  ditcatorum  per  eum  nobis  mutuatorum  et  per  eius  obitum  ad  nos 
douolutorum  oblìgata  fuere  usque  ad  d.*""  summam,  et  quatenus  ex  dieta 
portionc  recuperari  non  possint  totavi  dictam.  et  qnamcumque  aliam  etiam 
decimarum,  et  dimidii  prò  quolibet  Centenario  et  unius  due.  prò  quoìibet 
/oculari,  et  qnamcumque  aliam  iam  faetam,  seu  faciendam  in  Dominio 
Ecclesiastico  Impositionem,  etc.  obligamus  et  hypothecamus.  Dantes  etc. 
Datum  Romae  in  Palatio  nostro  Apostolico  die  prima  Maii  M.DXXXIJ 
Pontus  nostri  anno  primo 

Placet  I.  » 
• 
Nota  (i88).  In  fine.  Nel  ms.  Chig.   H.   II,   40,  v'è  il  seguente 
documento  sui  restauri  operati  sotto  il  pontificato  di  Alessandro  VII 
alla  chiesa  del  Popolo  : 

Conto  dell'Em.""'  Sig.^  Card.  Frantone 

per  la  Fabrica  della  Chiesa  e  Porta  del  Popolo. 

Sald.o  27  Ag."  1661 

16^^  Dare 

Jll.""'  Motts.^  lacomo  Fran^^oni  Tes.'''  gnle  di  N.  Sig.^'  A  d'i 
2^  Gingilo  Se.  loo  ifita  di  suo  ordine  pagati  a  Ms.  Fran- 
cuceio  Francucci  disse  a  conto  del  Metallo,  che  deue  pigliare 
per  gettar  la  Cornice  grande  dell'Altare  della  Cappella  di 
S.  S.tà 100  — 

E  a  dì  26  d."  Se.  joo  fnta  pagati  a'  Mastri  Gio  :  M."  e  lacomo 
Pelli,  e  Filippo  Cefalasso,  e  per  essi  al  Sig.^  Marcello  Pelli 
portò  contanti,  disse  a  conto  de  lauori  di  muro,  e  stucco, 
che  fanno  nella  Chiesa  della  Mad.*^  del  Popolo ^oo  — 

E  a  d'i  12  luglio  Se.  jo  tilta  pagati  al  Sig.^  Leonardo  Seueri 
portò  contanti,  disse  pagati  di  suo  ordine  a  Francuccio  Fran- 
cucci fonditore  a  conto  de'  lauori  che  fa  nella  Chiesa  della 
Madonna  del  Popolo ro 

E  a  d'i  i^  d.°  Se.  1^0  mta   pag.*  a   Gabriel  Ren^i  Filippo  suo 


)24 


Aignoni 


fratello,  e,  Gio:  M.'^  Franchi  Compagni  Scarpellini  portò 
contanti,  disse  a  conto  de  lauori  che  fanno  nella  d."  Chiesa,      i^o 

E  a  d'i  21  d."  Se.  loo  tnta  pag.^  a  Mfo  Francesco  Peroni  portò 
contanti,  disse  a  conto  di  sei  Cornici  di  Rame,  che  fa  per 
la  Cappella  di  Sua  S.^à  al  Popolo loo 

E  a  d'i  24  d."  Se.  }oo  iiìta  pag}  a'  Mfi  Gio:  Maria  Pelli,  e 
Compagni,  e  per  essi  al  Sig.^  Marcello  Pelli  portò  conti  disse 
a  conto  de  lauori  di  muro,  e  stucco,  che  fanno  nella  sud.'^ 
Chiesa ^00 

E  a  d'i  p  d.°  Se.  100  trita  pag.*  a  mfo  Gabriel  Rentij  scar- 
péllino  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori 100 

E  a  di  ^  Agosto  Se.  p  mta  pag.^  a  Mfo  Francuccio  Francucci 
fonditore  portò  contanti  disse  a  conto  della  Cornice  di  me- 
tallo, che  fa  per  l'Altare  della  Cappella  di  S.  S.^à  al  Popolo.       jo 

E  a  d'i  g  Agosto  Se.  ^00  mia  pag.*  a  Mfo  Gabriel  Rentij  scar- 
pel.°  portò  contanti  disse  a  conto  de  lauori,  che  fa  nella  sti- 
detta  Chiesa joo 

E  a  d'i  i()  d."  Se.  400  vita  pag.*  a  Mfi  Gio  :  M."  Pelli,  e  Com- 
pagni, e  per  essi  al  Sig.''  Marcello  Pelli  portò  conti  disse  a 
conto  di  lauori  di  muro  a  stucco,  che  fanno  nella  sud.'* 
Chiesa 400 

E  a  d'i  24  d."  Se.  2;  mta  pag.*  al  Sig.^  Ercole  Ferrata  scultore, 
e  di  suo  ord.^  al  Sig.^  Ant."  Raggi  portò  conti  disse  a  conto 
delle  due  figure  di  stucco,  che  fa  nella  Chiesa  del  Popolo.  .       2^ 

E  a  d'i  d.°  Se.  50  mta  pagati  al  Sig/  Anton  Raggi  scultore 
portò  conti  disse  a  conto  delle  due  statue  di  stucco,  che  fa  nella 
sud."*  Chiesa jo 

E  a  d'i  d."  Se.  12  iuta  di  suo  ord.'  pagati  al  Sig.''  Paolo 
Nardini  scultore  portò  conti,  disse  a  conto  di  una  figura  di 
stucco  che  fa  nella  Chiesa  della  Mad."*  del  Popolo 12 

E  a  d'i  d."  Se.  20  mta  pagati  al  Sig.  Gio.  Ant."  Marij  scul- 
tore portò  contanti,  disse  a  conto  delle  due  figure  di  stucco, 
che  fa  nella  sud."*  Chiesa 20 

E  a  d'i  d.°  Se.  2j  mia  pag.*  a  Francesco  Fili:(ani  scultore  portò 
contanti,  disse  a  conto  delle  due  figure  di  stucco  che  fa  nella 
sud.'^  Chiesa 2^ 

E  a  d'i  26  d.°  Se.  12  iuta  pag.*  al  Sig.''  La%;^aro  Morelli  scul- 
tore portò  conti,  disse  a  conto  di  una  statua  di  stucco,  che 
fa  nella  sud.'^  Chiesa 12 

E  a  di  2^  d."  Se.  20  fìlta  pag.*  al  Sig.''  Gioseppe  Peroni  scul- 
tore disse  a  conto  delle  due  figure  di  stucco,  che  fa  in  d." 
Chiesa 20 


Agostino  Chigi  il  Magnijico  525 


E  a  d'i  28  Agosto  Se.  200  trita  pagj-  a  Mfo  Gabriel  Rentij 
scarpcUino  portò  conti  disse  a  conto  de  latiori,  che  fa  in  d." 
Chiesa 200  — 

E  a  dì  4  ybre  Se.  }oo  mta  pag.^  a  Mro  Gio:  M."  Pelle,  e 
per  essi  al  Sig.  Marcello  Pelle,  portò  contanti,  disse  a  conto 
de  lauori )00  — 

E  a  dì  IO  d.°  Se.  100  vita  pag.^  a  Mfo  Girolamo  Salai  portò 
conti,  disse  a  conto  de  lanari  di  ferro  fatti,  e  da  farsi  per 
la  Chiesa  della  Mad.'^  del  Popolo loo  — 

E  a  dì  24  d.°  Se.  400  iJita  pag.^  a  Mri  Gio  :  Maria  Pelli,  Fi- 
lippo Cefalassi,  e  Compagni  muratori,  e  per  essi  al  Sig.^ 
Marcello  Pelle  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori  fatti  ih 
d."  Chiesa 400  — 

E  a  dì  2y  d."  Se.  12  iiìta  pag.*  a  Mfo  Bari"  Biffi  Ramar 0 
portò  contanti  disse  a  conto  delle  ramate,  che  fa  alle  finestre 
di  d^  Chiesa 12  — 

E  a  dì  )  Ottobre  Se.  iS  iiita  pag.*  a  La^i^aro  Morelli  scultore 
portò  contanti,  disse  per  saldo  della  statua  di  stucco  di  S.  Po- 
ten:(iana iS  — 

E  a  dì  d."  Se.  j8  mta  pag.'^  a    Paolo    Naldini    Scultore  portò 

contanti  disse  per  resto  della  Statua  di  S.  Presedia iS  — 

E  a  dì  d."  Se.  40  mta  pag.^  a  Gio:  Ant.°  Mari  scultare  portò 

conti  disse  per  resto  delle  due  statue  di  SS.  Cecilia,  e  Orsola.       40  — 

E  a  dì  d."  Se.  jo  iiita  pag.^  ad  Antonio  Raggi   scultore  portò 

contanti,  disse  a  conto  di  4  statue  di  stucco )0  — 

E  a  dì  d.°  Se.  40  vita  pag.*  a  Gioseppe  Peroni  scultore  portò 
contanti  disse  per  resto  delle  due  statue  di  S.  Dorotea,  e 
S.  Agata 40  — 

E  a  dì  d."  Se.  40  mta  pag.'-  a  Fran.'^°  de  Rossi  scultore  portò 

conti  disse  a  conto  di  4  statue  di  stucco /o  — 

E  a  dì  j  Ottobre  Se.  ^00  vita  pag.''  a  mfo  Gabriel  Rentij  scar- 

pellino  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori ^00  — 

E  a  dì  ()  d.°  Se.  40  mta  pag.'  ad  Ercole  Ferrata  scultore  portò 

conti  disse  a  conto  di  4  statue  di  stucco 40  — 

E  a  dì  i()  d.°  Se.  io  mta  pag.'  a  Mfo  Bartol.°  Biffi  portò  conti 
disse  a  conto  delle  ramate,  che  fa  per  le  finestre  della  Chiesa 
del  Popolo IO  — 

E  a  dì  2^  d."  Se.  joo  ìfita  pag.*  a  Mfo  Gio  :  Maria  Pelle  e 
Comp.'  Muratori,  e  per  essi  al  Sig.^  Marcello  Pelle,  portò 
conti  disse  a  conto  di  lauori joó  — 

E  a  dì  6  cambre  Se.  2^0  mta  pag.'  a  Mfo  Gabriel  Rentij  portò 
conti  disse  a  conto  de  lauori  di  scarpello  per  la  Porta    del 

Archivin  drUc,   Società  romena  di  Storia  patria.  \'o\.    VI.  35 


526 


G.  Ciiornoni 


Popolo 2^0    — 

E  a  dì  i^  d°  Se.  jo  mia  pag.^  a  Mfo  Fran/"  Peroni  portò 
conti  disse  a  conto  delle  Cornici  di  rame  doralo  che  fa  per 
la  Cappella  di  Sua  SJà  al  Popolo p  — 

E  a  d'i  d.°  Se.  600  iiìta  pag.^  a  Gio  :  M."  Pelle,  e  comp.'  mu- 
ratori, e  per  essi  al  Sig/  Marcello  Pelli  portò  contanti  disse 
a  conto  de  lauori,  che  fanno  nella  Chiesa,  e  Porta  del  Popolo.     600  — 

E  a  dì  24  [d."  Se.  ^y  iuta  pagj  a  Fran/"  Feuilani  scultore 
portò  conti  disse  per  saldo  di  4  statue  di  stucco  fatte  nella 
Chiesa  della  Mad.'^  del  Popolo JJ  — 

E  a  dì  d.°  Se.  100  vita  pag.'  a  nifo  Girol."  Salai  ferravo  portò 
conti  disse  a  conto  de  lauori  fatti,  per  la  Chiesa  e  Porta  del 
Popolo 100  — 

E  a  dì  2/  d.°  Se.  ip  mta  pag.*  a  mfo  Gabriel  Rentij  scar- 
pellino  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori  fatti,  e  da  farsi 
per  la  Chiesa  e  porla  del  Popolo ip  — 

E  a  dì  2()  ()mhre  Se.  1^4  mta  pag.*  a  Carlo  Mattei  portò  conti 
disse  per  saldo  dell'  indoratura  della  Cornice  di  metallo  nel- 
l'Altare di  Sua  Santità  al  Popolo i)4  — 

E  a  dì  d."  Se.  12  iuta  pag.*  a  Mfo  Barlol.°  Biffi  Ramaro  portò 
conti  disse  a  conto  delle  ramate,  che  fa  nella  Chiesa  del 
Popolo 12  -- 

E  a  dì  d."  Se.  40  mia  pag.*  ad  Anton  Raggi  scuìtore  portò 
contanti  disse  per  resto  di  4  statue  di  stucco  fatte  nella  sud."* 
Chiesa 40  — 

E  a  dì  p.°  Xmbre  Se.  pò  mta  pag.*  a  Mfo  Gio  :  Maria  Pelle, 
Filippo  Cef alassi,  e  Compagni  capo  mfi  muratori,  e  per  essi 
al  Sig.*"  Marcello  Pelli  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori, 
che  fanno  nella  Chiesa,  e  porta  del  Popolo )Oo  — 

E  a  dì  II.  d."  Se.  200  iuta  pag.*  a  Mfo  Gabriel  Rentij  sear- 

pellino  portò  contanti,  disse  a  conto  di  lauori 200  — 

E  a  dì  d."  Se.  c^4  b.  74  mta  pag.*  a  Mfo  Francuceio  Franeucci 

fonditore  portò  contanti,  disse  per  resto  della  Cornice  di  bronco.        94-74 

E  a' dì  d."  Se.  400  vita  pag.*  a  Gio:  Maria  Pelle,  e  Comp.* 
muratori  e  per  essi  al  Sig.''  Marcello  Pelli  portò  contanti 
disse  a  conto  de  lauori 400  — 

E  a  dì  ly  d.  "Se.  jo  mta  pag.'  a  Frane.''''  Peroni  portò  con- 
tanti disse  a  conto  dell'Indoratura  delle  Cornici  di  rame.  .       jo  — 

E  a  dì  iS  d."  Se.  100  trita  pag.*  a  Mfo  Girol."  Calui  ferrar 0 
'  disse  a  conto  de  lauori  che  fa  per  la  Chiesa  della  Mad.'* 
del  Popolo 100  — 

E  a  d'i  24  d."  Se.  12  iuta  pag.*  a   Bartolomeo   Biffi   Ramaro, 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  627 


■    portò  conti  disse  a  conto  ddh  ramate,  che  fa  per  la  Chiesa 

dei  Popolo 12  — 

i6s6. 

E  a  dì  S  Gennaro  Se.  400  iiita  pagj  a  Mfi  Gio  :  M.'^  Pelle, 
e  Filippo  Ce/alassi,  e  per  essi  al  Sig/  Marcello  Pelli  portò 
contanti  disse  a  conto  de  laiiori  fatti  per  la  Chiesa,  e  porta 
del  Popolo 400  — 

E  a  dì  ij  d."  Se.  1)0  ìTita  pagf  a  Mro  Gabriel  Reniij  scarpel." 

portò  contanti  disse  a  conto  de  lanari i)0  — 

E  a  dì  d.°  Se.  80  iJita  pag.'  a  Mro  Gio  :  Gemini  stagnaro  portò 

contajiti,  disse  a  conto  de  lauori So  — 

E  a  dì  21  d."  Se.  12  mta  pag.^  a  mro  Bartol."  Biffi  Ramaro, 
portò  conti  disse  a  conto  delle  ramate  fatte  alle  Inuetriate 
della  Chiesa  del  Popolo 12  — 

E  a  dì  28  d."  Se.  pò  mta  pag.'  a  Mfi  Gio-:  Pelle,  e  Comp.' 
muratori,  e  per  essi  al  5/  Marcello  Pelli  portò  conti  disse 
a  conto  de  lauori  fatti  per  la  Chiesa  e  Porta  del  Pop."  .  .     )oo  — 

E  a  dì  ji  d."  Se.  jo  mia  pag.^  a  mro  Gabriel  Rentij  scarpel."  e 
di  suo  ord.'  al  Sig.''  Ahb."  Gioseppe  Brumani  portò  conti 
disse  a  conto  del  resarcimento,  che  fa  alla  fontana  di  Pia^a 
Colonna i<^  ~~ 

E  a  dì  ^  Febraro  Se.  200  iuta  pag.^  a  mro  Vincen'^o  della  Valle 
Vetraro  portò  contanti  disse  a  conto  delle  vetriaie  fatte  per 
la  Chiesa,  e  Cappella  della  Madonna  del  Popolo 200  — 

E  a  dì  8  d."  Se.  ijo  vita  pag.'  a  Mro  Bartol.°  Rentij  scarpel- 
lino  portò  contanti,  disse  a  Conto  de  lauori,  che  fa  nella 
Chiesa,  e  porta  del  Popolo i)0  — 

E  a  dì  II  d.°  Se.  60  mta  pag.'  al  SigJ'  Ercole  Ferrata  scultore 
portò  contanti  disse  per  saldo  di  due  statue  di  stucco  fatte 
per  la  Chiesa  del  Popolo 60  — 

E  a  dì  !■/  d."  Se.  26  7;  ^/s  mta  pag}  a  tufo  Bartol."  Biffi 
Ramaro  portò  conti  disse  per  saldo  delle  ramate  fatte  nella 
Chiesa  della  Mad."  del  Popolo ^ójy'j-j 

E  a  dì  ic)  Febraro  Se.  Jjo  mta  pag.^  a  mro  Gabriel  Rentij 
scarpel."  portò  contanti  disse  a  conto  de  lauori  fatti  nella 
Chiesa,  e  Porta  del  Popolo i)0  — 

E  a  dì  22  d.°  Se.  pò  iiita  pag.^  a  Gio  :  Maria  Pelle,  e  Filippo 
Cefalassi  Capi  mfi  muratori,  e  per  essi  al  Sig.''  Marcello 
Pelli  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori,  che  fanno  nella 
Chiesa  e  Porta  del  Popolo pò  — 

E  a  dì  II  Mar^o  Se.  100  aita  pag.'  a  mro  Gabriel  Rentij  scar- 


528 


G.  Ciignoni 


pellino  portò  contanti  disse  a  conto  de  lauori loo  ~- 

E  a  dì  ij  d."  Se.  2)0  trita  pag.'-  a  mfo  Già  :  Maria  Pelli, 
e  Filippo  Cefalassi  muratori,  e  per  essi  al  Sig.  Marcello 
Pelli  portò  contanti  disse  a  conto  de  lauori 2)0  — 

E  a  dì  24  d.°  Se.  }0'j.j2  iiita  pag.''  al  Patron  Filippo  Fregoni 
portò  conti  disse  per  due  pe^i  di  marmo  per  seru.°  della 
Cappella  dì  Sua  SM  nella  Chiesa  del  Popolo )0'j.'/2 

E  a  dì  2j  d."  Se.  200  vita  pag.''  a  info  Gabriel  Rentij  scar- 
pell."  e  di  suo  ord.'  al  Sig/  Gio  :  Batta  Viani  portò  conti, 
disse  a  conto  de  lauori,  che  fa  per  li  due  Organi  nella  Chiesa 
del  Popolo 200  — 

E  a  dì  )o  d."  Se.  60  mta  pag.'-  ad  Anton  Raggi  scultore  portò 
contanti  disse  per  saldo  di  due  statue  rappresentanti  due  Vit- 
torie fatte  nella  rf."  Chiesa 60  — 

E  a  dì  ji  d.°  Se.  2)0  mta  pag.'-  a  mfo  Gio  :  M.'^  Pelli  e  Fi- 
lippo Cefalassi,  e  per  essi  al  Sig.  Marcello  Pelle  portò  conti, 
disse  a  conto  de  lauori 2)0  — 

E  a  dì  IO  Aprili  Se.  100  vita  pag.^   a   Mfo    Girolamo   Salai 

ferraro  portò  contanti,  disse  a  conto  de  lauori 100  — 

E  a  dì  12  d.°  Se.  200  Unta  pag.'  a  Mfo  Gabriel  Rentij  sear- 

pel."  portò  contanti,  disse  a  conto  de  lauori 200  — 

E  a  dì  ij  Aple  Se.  ip  mta  pag.'  a  Mfi  Gio  :  Maria  Pelli,  e 
Filippo  Cefalassi  muratori,  e  per  essi  al  Sig.''  Marcello  Pelli 
portò  contanti,  disse  a  conto  de  lauori ijo  — 

E  a  dì  2C)  d."  Se.  200  mta  pag.'-  a  mfo  Gabriel  Rentij  sear- 
pellino  portò  conti  disse  a  conto  de  lauori  fatti  per  la  Chiesa 
e  Porta  del  Popolo 200  — 

E  a  dì  d."  Se.  500  mta  pag.'  a  mfi  Gio:  Maria  Pelli,  e  Fi- 
lippo Cefalassi  e  per  loro  al  Sig.''  Marcello  Pelli  portò  conti 
disse  a  conto  de  lauori  fatti,  e  da  farsi  come  s."- pò  — 

E  a  dì  d."  Se.  200  mta  pag.^  a  fnro  Fran.""  Perone  portò  con- 
tanti, disse  a  conto  delle  Cornice  di  rame  dorate  fatte  per 
la  Cappella  di  Sua  5.'^  al  Popolo 200  — 

E  a  dì  24  maggio  Se,  20.74  mta  pag.'  a  Mfo  Bartol."  Biffi 
Raniaro  portò  conti  disse  per  resto  delle  ramate  fatte  nella 
fenestra  della  Facciata  del  Popolo -20.7^ 

E  a  dì  26  d."  Se.  )00  iuta  pag.'  a  Mfo    Gabriel   Rentij  sear- 

pellino  portò  contanti  disse  a  conto  de  lauori )00  — 

E  a  dì  2']  d."  Se.  600  mia  pag.'  a  Mfo  Gio  :  M."-  Pelle,  e  Fi- 
lippo Cefalassi  muratori,  e  per  essi  al  Sig.  Marcello  Pelle 
portò  conti  disse  a  conto  de  lauori 600  — 

E  a  dì  IO  Giugno  Se.  200  vita  pagati  a   Mfo  Gabriel  Rentij 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  629 


scarpdlino  portò  cori  ti  disse  a  conto  de  laitori 200  — 

E  a  d)  d."  Se.  2)0  vita  pagj  a  Mri  Gio  :  Af.**  Pelle,  e  Filippo 
Cefulassi  muratori  e  per  essi  al  Sig/   Marcello  Pelli  portò 

conti  disse  a  conto  de  lauorì 2^0  — 

E  a  dì  i^  d."  Se.  200  vita  pag.^  al  Sig/  Caualier  Rafael  Vanni 
Pittore  portò  conti  disse  a  conto  della  pittura,  che  fa  nella 

Cuppola,  e  Chiesa  del  Popolo 200  — 

E  a  di  ly  Giugno  Se.  200  vita  pag.*  a  MTo  Gio  :  Af."  Franco 
scarpellino  portò  contanti  disse  a  conto  del  pauimento  della 
natie  di  me'^o  della  Chiesa  del  Popolo 200  — 

E  a  dì  2]  d."  Se.  200  vita  pag.'  a  Mfo  Gabriel  Rentij  scar- 
pellino portò  contanti  disse  a  conto  de  lauori,  che  fa  nella 
Chiesa  del  Popolo 200  — 

E  a  dì  d.°  Se.  100  vita  pag.'  a  Mfo  Girol."  Salai  ferraro  portò 

conti  disse  a  conto  de  lauori  fatti  nella  sud.'*  Chiesa  ....     100  — 

E  a  dì  d."  Se.  200  vita  pag.'  a  viro  Gio:  Maria  Pelle,  e  Fi- 
lippo Cefalassi  Muratori,  e  per  essi  al  Sig.''  Marcello  Pelli 
portò  conti  disse  a  conto  de  lauori 200  — 

E  a  dì  y  Luglio  Se.  ij  vita  pag.'  ad  Antonio  Mariignani  In- 
hianeatore  portò  conti  disse  per  saldo  de  lauori  fatti  nella 
Chiesa  del  Popolo /j  — 

E  a  dì  d."  Se.  ^00  vita  pag.'  a  Mfi  Gio  :  M."  Pelle,  e  Filippo 
Cefalassi  muratori,  e  per  essi  al  Sig.''  Marcello  Pelli  portò 
conti  disse  a  conto  de  lauorì  fatti  nella  sud.'^  Chiesa  ....     ^00  — 

E  a  dì  d."  Se.  i)8.^8  vita  pag.'  a  Mro  Paolo  Fran.''"  Perone 
disse  per  saldo  delle  Cornice  di  rame  dorato  fatte  nella  Cap- 
pella di  S.  S.*" ijS.^S 

E  a  d."  Se.  2^0  vita  pag.'  a  Mfo   Gabriel    Rentij   scarpellino 

disse  a  conto  de  lauori 2)0  — 

E  a  dì  d."  Se.  200  fnta  pag.'  a    Gio:  M.**  Fracchi  scarpellino 

disse  a  conto  del  pauimento  che  fa  in  J,"  Chiesa 200  — 

E  a  dì  S  d."  Se.  i28.6y  fnta  pag.'  a  Marcantonio  Inuerni  In- 
doratore disse  per  saldo  de  lauori  fatti  in  rf."  Chiesa ....      i2S.6y 

E  a  dì  i^  d."  Se.  50  fnta  pag.'  a  La:(p^aro  Morelli  Scultore  disse 

aeonto  de  lauori,  che  fa  per  la  Porta  del  Popolo jo  — 

E  a  dì  21  Luglio  Se.  2^0  iuta  pag.'  a  Mfo  Gabriel  Rentij  scar- 
pellino, disse  aconto  de  lauori  fatti  e  da  farsi  per  la  Chiesa, 
e  Porta  del  Popolo 2)0  — 

E  a  dì  d."  Se.  200  fnta  pag.'  a  Gio  :  M."  Pelle,  e  Filip."  Ce- 
falassi e  per  loro  a  Marcello  Pelle  disse  a  conto  de  lauori.     200  — 

E  a  dì  2y  d."  Se.    iy.08  fnta  pag.'  a    Fran.""  Bompiani  disse 

per  saldo  della   Terra  canata  in  J."  Chiesa ly.oS 


53o 


G.  Cugnoni 


E  a  dì  28  d."  Se.  ^00  ìTita  pagj  a  Gio  :  Maria  Fracchi  scar- 
p.""  disse  a  conto  del  paniiìieiito  della  nane  di  me:(7^o  di  d.'^ 
Chiesa ^00  — 

E  a  d'i  4  Agosto  Se.  200  iuta  pagJ  a   Mfo    Gabriel   Rentij   e 

Compagni  disse  a  conto  de  lanari 200  — 

E  a  d'i  8  d."  Sc.^^.^i  'j-  mia  pagJ  a  Gio:  Gemino  stagnaro  disse 

per  saldo  de  laiiori  fatti  nella  Cappella  di  Sua  Santità.  .  .  )).()i  ' I2 

E  a  d'i  ^  d."  Se.  60  mia  pag.'  a  Gioseppe  Testa  Organista  disse 
a  conto  de  Laiiori,  che  fa  in  agiustare  V  Organo  uecchio, 
e  nuoiio  della  Chiesa  del  Popolo 60  — 

E  a  d'i  II  d."  Sc.joo  vita  pag.'  a  info  Gio:  M."  Pelle,  e  Fi- 
lippo Cefalassi,  muratori,  disse  a  conto  de  lauori ^00  — 

E  a  dì  ig  d."  Se.  ^6.yo  mta  pag.'  a  Behmii  Ferrari  disse  per 
pre^o  di  Uh.  i8g  di  stagno  per  seruitio  dell'  Organi  nella 
Chiesa  del  Popolo i'^-Zo 

E  a  d'i  d."  Se.  ^00  mta  pag.*   a    Gio  :    M."   Fratti  scarpellino 

disse  a  conto  de  laiiori,  che  fa  per  il  pauimento  di  d."  Chiesa.     ^00  — 

E  a  d'i  26  d."  Se.   2j   mta  pag.'   a   La\:(aro   Morelli  Seultorc 

disse  a  Conto  de  lauori,  che  fa  alla  porta  del  Popolo.  ...        2)  — 

E  a  d'i  d."  Se.  ^00  mta  pag.'  a  Gio  :  M."  Pelle,  e  Filippo  Ce- 
falassi muratori  disse  a  conio  de  lauori ^00  — 

E  a  d'i  9  jhre  Se.  400  mta  pag.'  a  (?.*  disse  come  s." 400  — 

E  a  d'i  g  yhre  Se.  ^00  mta  pag.'  a  Gio  :  M."  Fracchi  scarpel- 
lino disse  a  conto  del  Pauimento  di  d."  Chiesa ^00  — 

E  a  d'i  16  d."  Se.  ino  pag.'  a  Gahriel  Rentij  Scarpellino  disse 

a  conto  de  lauori 100  — 

E  a  d'i  25  d."  Se.  40  iuta  pag.'  ad  Anton  Raggi .  seiiltore  disse 
a  conio  de  l'ornamenti  di  stucco  che  fa  per  l'ornam.*'  del- 
l'Organi in  d."  Chiesa 40  — 

E  a  d'i  d."  Se.  pò  mta  pag.'  a  Gio  :  M."  Pelle,  e  Filippo  Ce- 
falassi, disse  a  conto  de  lauori pò  — 

E  a  d'i  d."  Se.  pò  pag.'  a  Gio:  M."  Fracchi  Capo  mfo  scar- 

pel."  disse  a  conto  del  pauimento  che  fa  in  rf."  Chiesa   .  .  .     pò  — 

E  a  d'i  d."  Se.  pò  iuta  pag.'  a  Gahriel  Rentii  e  Comp.'  Sear- 
pellini  disse  a  conio  de  lauori  per  la  Chiesa,  e  porta  del 
Popolo 300  — 

E  a  d'i  2'ì  d."  Se.  100  futa  pag.'  a  Gabriel   Rentij   scarpellino 

disse  a  conto  de  lauori,  che  fa  in  d."  Chiesa 100  — 

E  a  dì  ^  ottobre  Se.  p  pag.'  a  Gioseppe  Resti  Organista  disse 
a  conto  de  lauori  dell'Organi,  che  accomoda  alla  Chiesa  del 
Popolo 30  — 

E  a  dì  13  d."  Se.  200  pag.'  a  Gabriel  Rentij  Capo  mfo  scarp." 


Agostino  Chigi  il  Magnijìco  63 1 


disse  a  conto  de  ìaiiorì,  che  fa  per  la   Chiesa,    e  porta    dei 

Popolo 200    — 

E  a  dì  d."  Se.  pò  pagj  a  Gio  :  M."  Pelle,  e  Filippo  Cefalassì 

muratori  disse  a  conto  de  laiiori,  che  fa  in  d."  Chiesa  .  .  .     pò  — 

E  a  dì  (d.")  Se.  i)0  pagJ-  a  Girolamo  Salni  ferraro   disse   a 

conto  de  lauori i)0  — 

E  a  dì  21  d.°  Se.  2jo  pag.'  a  Gio:  M."  Fracchi  scarpellino  disse 

a  conto  del  panini.*  che  fa  nella  sud."  Chiesa 2)0  — 

E  a  dì  d."  Se.  i8  pag.'  a  Bonifatio  Porti  per  saldo  della  con- 
dotta di  due  pe:(^i  di  marmo  per  fare  una  statua  nella 
Gap.»  di  S.  S.'à iS  — 

E  a  dì  ^  (^mhre  Se.  20  mia  pagJ  a  Monsit  Pietro  Varporld 
disse  a  conto  di  un  modello  fatto  di  una  lampada,  che  uà 
gettata  di  bronco  per  la  Cappella  di  Sua  Santità 20  — 

E  a  dì  IO  d."  Se,  pò  pag.'  a  Gio:  Maria  Pelle,  e  Filippo  Ce- 

falassi  Muratori  disse  a  conto  de  lauori pò  — 

E  a  dì  j8  d."  Se.  2p  pagJ  a  Gio  :  M."  Fracchi  Capo  mafo 
Scarpellino  disse  a  conto  del  pauimento,  che  fa  nella  Chiesa 
del  Popolo 2p  — 

E  a  dì  2j  d."  Se.  40  futa  pag.'  a  Fran:'"  Gualdi,  et  Ani."  Qui- 
ueri  falegnami  disse  a  conto  de  lauori  fatti  per  la  Chiesa, 
e  Porta  del  Popolo 40  — 

E  a  dì  2y  d."  Se.  p  pag.'  a  Francuccio  Francucci  fonditore 
disse  a  conto  della  lampada  di  metallo  a  capo  la  Cappella 
di  Sua  Santità p  — ■ 

E  a  dì  p."  Xmhre  Se.  ip  pag.'  a  Mfo  Gabriel  Rentij  scar- 
pellino a  conto  de  lauori  fatti,  e  da  farsi  per  la  d."  Chiesa, 
e  Porta ip  — 

E  a  dì  9  d."  Se.  400  pag.'  a  Gio  :  M."  Pelle,  e  Filippo  Cefa- 
lassì muratori  disse  a  conto  de  lauori 400  — 

E  a  dì  16  d."  Se.  200  pag.'  a  Gabriel  Rentij  scarpellino   disse 

a  conto  de  lauori •  .  .  .  .     200  — 

E  a  dì  d."  Se.  2p  pag.'  a  Gio:  M."  Fracchi  scarpellino   disse 

a  conto  del  pauimen."  per  la  Chiesa  del  Popolo 2p  — 

i6)7 

A  dì  4  Gennaro  Se.  jo  mta  pag.'  a  Gioseppe  Testa  Organista, 
disse  a  conto  del  Cassone,  et  altri  latcori  che  fa  per  il  nuouo 
Organo  nella  Chiesa  del  Popolo yo  — 

E  a  dì  4  Gennaro  Se.  120  mta  pag.'  a  Doni.'"  da  Ponte  disse 

per  stagno  dato  per  li  sud.'  Organi 120  — 

E  a  dì  I]  d."  Se.  200  pag.'  a  Gio:  M."  Pelle,  e  Filippo  Cefa- 


Tgì 


lassi  muratori,  disse  a  conio  de  lauori  fatti  nella   Chiesa  a 

Porta  del  Popolo 200  — 

E  a  dì  i^  d.°  Se.  80  ìntS  pag}  a  Gio:  Af."  Fracchi  scarpellino 

disse  a  conto  del  pauimento,  che  fa  nella  sud.*^  Chiesa  ...       So  — 

E  a  d'i  d°  Se.  25  pag.'^  a  Francuccio  Francucci  fonditore  disse 
a  conto  della  Lampada  di  hron\o  per  la  Cappella  di  Sua 
Santità  al  Popolo 2j  — 

E  a  dì  22  d.°  Se.  2 so  pag.^  a  Gabriel  Rentij  scaì-pellino  disse 

a  conto  de  lauori  fatti  nella  Chiesa,  e  Porta  del   Popolo   .      2^0  — 

E  a  dì  ]  Fehraro  Se.  25  pag.^  a  mfo  Ant.°  Constantini  disse 
a  conto  della  Cornice,  e  stella  di  rame,  che  fa  per  la  fac- 
ciata di  (f."  Chiesa 2j  — 

E  a  dì  d."  Se.  200  pag.^  a  Gio:  Af."  Pelle,  e  Filippo  Cefalassi 
muratori  disse  a  conto  de  lauori,  che  fanno  per  la  Chiesa, 
e  Porta  del  Popolo 200  — 

E  a  dì  ly  d.°  Se.  100  pag.^  a  mfo  Gio  :  Af."  Fracchi  scarpel- 
lino disse  a  conto  del  pauimento,  et  altri  lauori  fatti,  e  da 
farsi  alla  d."  Chiesa 100  — 

E  a  dì   d."  Se.   2j;o  pag.^  a  Gabriel  Rentij  scarpellino  disse  a 

conto  de  lauori  fatti  e  da  farsi  alla  d."  Chiesa  e  Porta  .  .     2^0  — 

E  a  dì  ig  d.°  Se.  100  pag.^  al  Sig.''  Caualier  Raffaele  Vanni 
Pittore  a  conto  delle  pitture,  che  fa  nella  Cuppola,  e  trian- 
goli di  i/."  Chiesa 100  — 

E  a  dì  2}  d.°  Se.  200  pag.^  a  Gio.  Af."  Pelle,  e  Filippo  Cefi- 
lassi  mur.^^  e  per  essi  al  Sig.''  Marcello  Pelli 200  — 

E  a  dì  IO  Mar\o  Se.  40  pag.*  al  Sig.^  Anton  Raggi  scultore 
disse  per  saldo  degl'Angeli  di  stucco  fatti  in  £?."  Chiesa  per 
ornamento  delli  due  organi  .  .  .  .  ' ;  .  .  .  .       40  — 

E  a  dì  d."  Se.  200  pag.^  a  Gabriel  Rentij  scarpellino,  disse  a 
conto  de  due  Altari  de  marmi,  e  mischio,  che  fanno  alla  J." 
Chiesa 200  — 

E  a  dì  ly  d.°  Se.  1^0  pag.*  a  Gio:  Af."  Fracchi  Capo  mfo 
scarpel.°  disse  a  conto  del  pauim."  et  altri  lauori,  che  fa  in 
detta  Chiesa i)0  — 

E  a  dì  d."  Se.  ^00  pag.^  a  Gio:  A^."  Pelle,  e  Filippo  Cefalassi 

disse  a  conio  de  lauori  fatti  per  (?."  Chiesa  e  Porta  ....     ^00  — 

E  a  dì  2J  d."  Se.  24.10  pag.^  a  mfo  Ani."  Costantini  ottonaro 
disse  per  resto  della  stella,  e  Croce  di  rame  fatta  da  lui,  e 
posta  sopra  la  facciata  della  Chiesa  del  Popolo     24.10 

E  a  dì  II  Aprile  Se.  100  pag.^  a  Girol."  Salbi  ferraro  disse  a 

conto  de  lauori  fatti  in  detta  Chiesa  e  Porta 100  — 

E  a  dì  d."  Se.  410.0^  pag.*  a  Gabriel  Rentij  e  Comp.*  Capi  mfi 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  533 


scarpellini   disse  per   resto   de   lauori  fatti  in   d."-    Chiesa  e 

Porta 410.O) 

E  a  dì  14  d.°  Se.  ^00  pagj  a  Gio:  Maria  Pelle,  e  Filippo  Ce- 

falassi  a  conto  de  lauori ^00  — 

E  a  dì  2S  d.°  Se.  200  pag.*  a  Gabriel  Rentij,  e  Comp.^  scarpel- 
lini disse  a  conto  delli  due  altari  di  marmo,  che  fanno  in 
d."-  Chiesa 200  — 

E  a  dì  8  maggio  Se.  100  trita  pag.^  a  mTo  Gio:  A/."  Fracchi 
scarpellino  disse  a  conto  de  gl'ornam.''  del  Battesimo  et  altri 
lauori,  che  fa  nella  sud.'^  Chiesa 100  — 

E  a  di  16  maggio  Se.  100  pag.^  al  Sig.''  Cau.^"  Raffaele  Vanni 
Pittore  disse  a  conto  della  pittura,  che  fa  nella  Cuppola  della 
Chiesa  del  Popolo 100  — 

E  a  dì  ly  d."  Se.  19.^4  pag.^  a  Donato  Melone  segatore  di 
sassi  disse  per  saldo  de  sassi  segati  per  li  4  angeli,  che  nanna 
per  ornamento  di  2  altari  nella  sud.^  Chiesa 19-94 

E  a  dì  ig  d.°  Se.  200  trita  pag.^  a  mfì  Antonio  Chiccheri  e 
Fran.'^°  Gualdi  falegnami  disse  a  conto  de  lauori  di  due 
armi,  et  intaglio 200  — 

E  a  dì  28  d.°  Se.  2^  pag.*  a  Gio:  Ant.°  Mari  scultore  disse  a 

conto  d'ana  statua,  che  fa  nella  Chiesa" 2)  — 

E  a  dì  2c^  d.°  Se.  25  trita  pag.^  ad  Antonio  Raggi  scultore  disse 

a  conto  di  una  statua  di  marmo,  che  fa  nella  sud."^  Chiesa        2/  — 

E  a  dì  d.°  Se.  266.p  trita  pag.*  a  tufo  Gio:  Gemini  stagnaro 
disse  per  resto  de  lauori  fatti,  e  piombo  dato  per  la  fabrica 
della  Chiesa,  e  Porta  del  Popolo 266.^2 

E  a  dì  d."  Se.  ijq  pag.^  a  Gabriel   Rentij   disse  a   conio   delli 

due  Altari,  che  fa  nella  detta  Chiesa ,  .  .  .  .      ijo  — 

E  a  dì  50  d."  Se.  2j  trita  pag.'  al  Sig.^  Ercole  Ferrata  scul- 
tore disse  a  conto  di  un  Angelo  di  marmo,  che  fa  per  ornam." 
della  sud.'^  Chiesa 2;  — 

E  a  d'i  2  Giugno  Se.  2)  iuta  pag.^  ad  Arrigo  Giarde  scultore 

disse  a  conto  di  un  Angelo  come  5.", 2/  — 

E  a  dì  6  d.°  Se.  72  fata  pag.^  a  Marcantonio  Inuerni  Indo- 
ratore disse  per  lauori  fatti  nella  Chiesa  e  porta  del  Popolo       j2  — 

E  a  dì  j  d."  Se.  16  pag.*  a  Nicola  Sebastiani    muratore  disse 

per  lauori  fatti  per  d.'^  Chiesa 16  — 

E  a  dì  d."  Se.  20.OJ  pag.^  a  Filippo    Buonagll    Carettiere  per 

la  condotta  di  diuersi  marmi 20.03 

E  a  dì  8  Giugno  Se.  200  ìfita  pag.*  a  Gio:  M."  Pelle  e  Comp.* 
disse  a  conto  de  lauori  di  muro  e  stucchi  fatti  in  r?.*  Chiesa 
e  Porta 200  — 


534 


G.  Ciignoni 


E  a  dì  12  à.°  221  mia  pagJ  a  Goseppe  (sic)   Testa   Organista 
disse  per    resto   della  resiauratiouc  fatta    dell'  Organo  nella 

sud.'^  Chiesa 221  — 

E  a  dì  2j  d."  Se.  ;0  tiita  pag.^  a  Gio:  Ai**.  Fracchi  Capo  info 
scarpellino   disse    a   conto   delli  rape:(^i    che   fa  nella   sud."' 

Chiesa jo  — 

E  a  dì  d."  Se.  50  mta  pag.'-  al  Sig.^  Gio:  Maria  ydariani  Pit- 
tore disse  a  conto  delli  chiari  oscuri,  che  fa  nella  Cappella 

di  d.'^  Chiesa 50  — 

E  a  dì  26  d.°  Se.  1000  vita  pag J  al  Sig.''  Caii.''^  Gio:  Loren:^o 
Bernini  disse  per  recognitione  della  statua  di   Daniele  posta 

nella  Cappella  di  S.  S.''^  et  altro 1000  — 

E  pili   a  dì  2S  d."  Se.   22.22    mta  pag.*  a   Nicolò    Sebastiani 

muratore,  disse  per  sue   mercedi  d'hauer  messo  in  opra   la 

statua  di  Daniele  nella  Cappella  di  Sua  Santità  al  Popolo  .        22.22 

E  a  di  jo  d.°  Se.  100  mta  pag.''  a  mfo  Ant.°  Piccari falegname 

disse  a  conto  de  lauori  di  legnami,   et   intagli   dell'Organi, 

che  fa  per  la  J."  Chiesa 100  — 

E  a  dì  y  Luglio  Se.  i)0  mta  pag.'-  a  Gabriel  Rentij  scarpellino 

disse  a  conto  delli  2  altari,  che  fa  in  d."-  Chiesa 1^0  — 

E  a  dì  II  d."  Se.  100  mta  pag.'   al  Sig.^  Gioseppe   Testa   Or- 
ganista disse  a  conto  dell'organo  nouo,  che  fa  in  d."  Chiesa     100  — 
E  a  ^  Agosto  Se.  200  Ma  pag.'-  a  Gio:    M."  Pelle,  e   Filippo 

Cefalassì  muratori  disse  a  conto  de  lanori  di  muro  e  stucco     200  — 
E  a  dì  ij  d.°  Se.  50  iJìta  pag.*  al  Sig.'^  Gio:  M.'*  Mariani  Pit- 
tore  disse   a   conto   delle  Pitture,    che  fa   nelle    Cappelle   d. 

sud."  Ch.'* jo  — 

E  a  ij  Agosto  Se.  4(}2.88  mta  pag.'  a  Gabriel  Rentij,  e  Gio: 
M.'^  Fracchi  scarpellini,  disse  per  resto  de   lauori  fatti  per 

il  pauivì.°  di  d."  Chiesa,  et  altro 4^2.88 

E  a  dì  24  d.°  Se.  jo  pag.'  ad  Ant.°  Raggi  scultore  disse  a  conto 
della  statua  di  un  Angelo,  che  fa  per  uno   delli  due  Altari 

nella  sud."  Chiesa "    jo  — 

E  a  dì  d.°  Se.  200  mta  pag.*  al  Sig.''  Cau.'^'  Rafaele  Vanni 
Pittore  disse  a   conto   delle  pitture,    che  fa  nella  Cuppola  e 

quattro  angoli  di  d"  Chiesa 200  — 

E  a  dì  d.°  Se.  i)  mta  pag.'  a  Pietro  Verporti  disse  per  resto 
di  un  modello,    et   altro  fatto  per  la  Lampada   della   Cap-  ■ 

pella  di  Sua  Santità  nella  d."  Chiesa ij  — 

E  a  dì  24  d.°  Se.  12  mta  pag.'  a  mfo  Antonio  Martignani 
Imbiancatore,  disse  per  saldo  di  un  coìito  de  lauori  fatti  al 
conuento  della  Mad."  del  Popolo 12  — ■ 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  535 


E  a  dì  d."  Se.  lyS.c^o  mta  pag.'-  al  Sig/  Paolo  Maccarani, 
disse,  per  il  pre:(^o  di  due  pe:{:(;i  di  marino  dati  per  far  gl'an- 
geli che  uanno  alle  Cappelle,  che  si  fanno  nella  Chiesa  del 
Pop." ijS.ijo 

E  a  dì  ^o  d."  Se.  loo  mta  pag.'-  al  5/  Gioseppe  Testa  Orga- 
nista disse  a  conto  del  nuovo  organo  che  fa  nella  siid.'^  Chiesa.     lOO  — 

E  a  dì  4  ybre  Se.  50  fnta  pag.^  a  Gio:  Antonio  Mari  scultore 
disse  a  conto  della  statua  di  un  Angelo,  che  fa  per  orna- 
mento di  un  altare  nella  sud."-  Chiesa 50  - 

E  a  dì  ^  d."  Se.  i)0  fnta  pag}  a  Mfo  Gabriel  Rentij  scarpel." 
disse  a  conto  de  due  altari  di  marmo,  e  mischio,  che  fa  nella 
sud.'^  Chiesa ip  — 

E  a  di  6  d.'  Se.  i)0  mta  pag.'-  a  Mfo  Atu."  Chiecheri  Inta- 
gliatore disse  a  conto  de  gV  ornamenti  dell'  Organi.,  et  altri 
lauori  di  legname,  che  fa  nella  sud.'^  Chiesa i)0  — 

E  a  dì  I)  jbre  Se.  2)0  trita  pag.'-  a  mfi  Gio:  Af."  Pelli,  e 
'Comp.  muratori  disse  a  conto  di  lauori  di  muro,  e  stucco 
fatti  per  la  Chiesa  e  Porta  del  Popolo 2)0  — 

E  a  dì  d."  Se.  ^0  mta  pag.'-  a  Mfo  Antonio  Chiecheri  Intag.''' 
di  legnanti  disse  a  conto  dell'Intagli,  che  fa  per  li  due  Or- 
gani nella  sud."-  Chiesa jo  — 

E  a  dì  27  d."  Se.  40  mta  pag.'  al  Sìg/  Ant."  Raggi  scultore 
disse  a  conto  della  statua  di  un  Angelo,  che  fa  per  seruitio 
della  Chiesa  del  Popolo ,       40  — 

E  a  dì  p.'""  Ottobre  Se.  ^So.iS  iuta  pag.'  a  mfo  Gabriel  Rentij 
scarpellino  disse  per  saldo  di  un  conto  di  lauori  fatti  per 
seruitio  della  facciata  della  Chiesa  del  Popolo ^So.iS 

E  a  dì  4  d."  Se.  2y.)0  mta  pag.'  a  mfo  Francuceio  Francncci 

fonditore  disse  per  saldo  de  lauori  fatti  per  rf.*  Chiesa  .  .  .         2j.jo 

E  a  dì  d."  Se.  jo  iuta  pag.'  a  Francesco  Perone  Argentiero 
disse  per  saldo  d'hauer  indorata  la  Corona  della  Lampada 
fatta  nella  Cappella  di  S.  S'"   al  Popolo p  — 

E  a  dì  2<)  d."  Se.  4)  iuta  pag.'  a  Francuceio  Francueei  fon- 
ditore disse  per  resto  della  lampada  di  metallo  fatta  nella  Cap- 
pella di  Sua  Santità  al  Popolo 4^  — 

E  a  dì  30  d."  Se.  750  riìta  pag.'  a  Gabriel  Rentij  scarpellino 
disse  a  conto  de  lauori  che  fa  in  due  Cappelle  nella  sud.'* 
Chiesa i^  — 

E  a  dì  12  No-vemhre  Se.  100  mta  pag.'  a  Mfo  Ant."  Chiecheri 
Intagliatore,  disse  a  conto  dell'ornamenti  di  legno,  che  fa  per 
la  Chiesa  della  Mad."  del  Popolo 100  — 

E  a  dì  d."  Se.  2;  ifita  pag.'  al  Sig.^  Gio:  M."  Mariani  Pittore  disse 


n 


536  G.  Cugnoni 


a  conto  delle  Pitture,  che  fa  nella  Cappella  di  tìf."  Chiesa  .       2;  — 

E  a  dì  1}  Novembre  Se.  42.0^  futa  pagJ  a  Mfo  Bartol."  Biffi 
disse  per  intiero  pagamento  di  sette  ramate  fatte  alle  finestre 
delle  Cappelle  della  sud.'^  Chiesa 42.O) 

E  a  dì  14  d."  Se.  168.2^  mia  pag.*  a  mfo  Girol."  Salici  ferraro 

disse  per  saldo  de  lauori  fatti  nella  sud.'^  Chiesa,  e  Porta.  .      i6S.2c^ 

E  a  dì  2()  d."  Se.  50  mia  pagJ  a  Gìo:  Maria  Mariani  Pit- 
tore disse  a  conto  delh  pitture,  che  fa  nelle  Cappelle  di  <?." 
Chiesa 50  — 

E  a  dì  j  Decemhre  Se.  1^0  vita  pag.'  a  Gabriel  Rentij  scarpel." 
disse  a  conto  degl'Altari,  e  Porticelle  di  bigio  che  fa  nella 
sud.'^  Chiesa i)0  — 

E  a  di  d.°  Se.  i^ócf.c)^^/^  trita  pag.'  a  mfi  Gio:  M."  Pelli,  e 
Filippo  Cefalassi  disse  per  resto  de  lanari  fatti  nella  Chiesa, 
e  Porta  del  Popolo 196(^-99^12 

E  a  dì  d.°  Se.  2/  irita  pag.'  a  Gio:  Ant."  Mari  scultore  disse 
a  conto  della  statua  dell'Angelo  di  marmo,  che  fa  per  gl'al- 
tari della  sud.'^  Chiesa 2/  — 

E  a  dì  j/  d."  Se.  40  trita  pag.'  ad  Antonio  Raggi  scultore  disse 

a  conio  della  statua  dell'Angelo 40  — 

E  a  dì  d."  Se.  100  irita  pag.'  al  Sig.''  Gioseppe  Testa  Organi- 
sta, disse  a  conto  delV  Organo  nono,  che  fa  nella  sud.'^  Chiesa     100  — 

E  a  dì  ly  d."  Se.  100  vita  pag.*  ad  Ani."  Chiccheri  Intaglia- 
tore de  legnami,  disse  a  conto  de  lauori  d'Intaglio,  che  fa 
per  li  due  Organi  nella  sud."^  Chiesa 100  — 

E  a  dì  d."  Se.  1^0  irita  pag.'  a   Vincenzo   della    Valle    Vetraro 

disse  a  conto  dell' Inuetriata,  che  fa  per  la  sud.'^  Chiesa  .  .      1^0  — 

E  a  dì  19  d."  Se.  ;o  irita  pag.'  al  Sig.^  Gio:  Af."  Mariani  Pit- 
tore, disse  a  conto  delle  pitture,  che  fa  nelle  4  Cappelle  di 
rf.«  Chiesa ;o  — 

E  a  dì  22  d."  Se.  200  irita  pag.'  a  Gio.  M."  Pelle,  e  Compa- 
gni disse  a  conto  de  ponti  fatti  per  le  pitture,  che  ha  fatte 
il  5/  Cfl«/«  Vanni,  e  di  altri  rappe^^i  per  la  Chiesa  del 
Popolo 200  — 

E  a  d'i  24  decembre  Se.  2j  irita  pag.'  ad  Ercole  Ferrata  scul- 
tore, disse  a  conto  della  statua  dell'Angelo  di  marmo,  che  fa 
per  l'altare  della  sud."'  Chiesa 2/  — 

E  a  dì  d."  Se.  jo  ritta  pag.'  al  d."  disse  a  conto  come  s."  .  .  .       jo  — 

16)8. 

E  a  dì  4  Gennaro  Se.  600  irita  pag.'  al  Sig.^'  Cau.  Raffaele 
Vanni  Pittore,-  disse  per  resto  delh  pitture  fatte  nella  Cup- 
pola,  e  4  angoli  di  J."  Chiesa 600  — 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  SSy 


E  a  d'i  8  d.°  Se.  12  fiita  pagj  a  Mro  Nicola  Sebastiani  mitr.''' 
disse  per  haner  aliato,  et  abbassato  tre  pe:(^i  di  marmo,  che 
seruono per  li  tre  Angeli,  che  uaniio  nell'Altari  di  d.'^  Chiesa.  .       12  — • 

E  a  dì  14  d."  Se.  jjo  inta  pag.'  al  Sig."  Gioseppe  Testa  Or- 
ganista disse  per  resto  dell'Organo  nono  fatta  in  d.'^  Chiesa      550  — 

E  a  dì  21  d."  Se.  20  mia  pag.^  a  Gio:  Ani."  Mari  scultore 
disse  a  conto  della  statua  dell' Angelo,  che  fa  per  tino  degl'Al- 
tari di  rf."  Chiesa 20  — 

E  a  dì  22  d."  Se.  ;o  mta  pag.'  al  Sig.''  Gio:  M."  Mariani  Pit- 
tore disse  a  conto  delle  pitture,  che  fa  nelle  Cappelle  di  J." 
Chiesa jo  — 

E  a  dì  2)  d."  Se.  100  futa  pag.'  a  mfo  Gabriel  Renlij  scar- 
pellino  disse  a  conto  delli  due  Altari,  e  particelle  di  marmo  mi- 
schi, che  fa  nella  sud.'^  Chiesa 100  — 

E  a  di  j  Febraro  Se.  i2).()4  mia  pag.'  a  Marcantonio  Iniierni 

muratore  disse  per  saldo  de  lanari  fatti  per  detta  Chiesa  .  .  .       i2).^4 

E  a  dì  d."  Se.  yo.o'^  mta  pag.'  a  mfo  Fran.''°  Gualdi  Falegname        70.0} 

E  a  dì  ij  Mario  Se.  )0  vita  pag.'  al  Sig.^  Gio:  Maria  Mariani 
Pittore,  disse  a  conio  delle  pitture  che  fa  nelle  4  Cappelle  di 
rf."  Chiesa )0  — 

E  adì  6  Aprile  Se.  266  mta  pag.'  al  d.°  Mariani,  disse  per  resto 

delle  pitture  fatte  in  d.'^  Chiesa 266  — 

E  a  dì  d."  Se.  50  iììta  pag.'  a  Gio:  Antonio  Mari  scultore,  disse  a 

conto  della  statua,  che  fa  per  un  altare  della  sud.'^  Chiesa ...       jo  — 

E  a  dì  12  d."  Se.  57^.^^  mta  pag.'  a  mfo  Antonio  Chieeheri  In- 
tagliatore, e  Falegname  disse  per  resto  de  lauori  fatti  per  J." 
Chiesa 57io7 

E  a  dì  ij  d."  Se.  6)  inta  pag.'  ad  Antonio  Raggi  scultore,  disse  per 
resto  della  statua  di  un  Angelo  fatto  per  uno  de  gl'altari  di  rf." 
Chiesa 6)  — 

E  a  dì  d."  Se.  i)0  inta  pag.'  a  Gabriel  Rentij  scarpellino,  disse  a 

conto  delli  due  Altari,  e  4  porte  di  barbiglio  (sic) i)0  — 

E  a  dì  2()  d."  Se.  20  pag.'  a  Mfo  Gio:  Maria  Giorgetti,  disse  per 

un  modello  di  un  lorderò  fatto  per  la  Cappella  di  Sua  Santità       20  — 

E  a  dì  ^0  d."  Se.  40  mta  pag.*  ad  Ercole  Ferrata  scultore,  disse 
a  conto  della  statua  dell'Angelo,  che  fa  per  uno  degli  Altari 
della  siid."^  Chiesa 40  — 

Ea  dì  ij  Maggio  Se.  p  mta  pag.'  a  Doni."  Mandelli  falegname 
disse  per  l'incassatura  dì  due  statue  di  SS.  Pietro  e  Paolo  da 
trasportarsi  alla  Porta  del  Popolo 'p  — 

E  a  dì  ^  d."  Se.  104.74  trita  pag.'  a  Vuinoceo  della  Valle  Ve- 
traro,  disse  per  resto  de  lauori  fatti  nella  Chiesa  del  Popolo  a 


538  G.  Ciignoni 


tutto  li  j.  Giugno  16/7 io4.y4 

E  a  d'i  14  Giugno  Se.  2C}i.6^  mia  pag.  a  Marcantonio  Imierni,  e 
Baldassarre  Castelli  Indoratori  disse  per  resto  dell' Indoratirra 
de  gì'  Ornamenti  di  due  Organi  nella  sud."  Chiesa. 2(}i.6) 

E  a  dì  12  Luglio  Se.  S.^o  pagJ  a  Mfo  Nieola  Sebastiani  mura- 
tore disse  per  la  eondotta  di  due  Angeli  in  detta  Chiesa.    .  .  .  S.^o 

E  a  dì  ij  d."  Se.    yo  vita  pag.'  a  Gio:  Ani."  Mari  scultore  disse 
per  resto  di  un  Angelo  di  marmo  fatto  per  un  altare  di  d." 
Chiesa 70  — 

E  a  dì  24  Agosto  Se.  100  mia  pag.'  a  Mro  Gabriel  Rentij  scar- 
pellino  disse  a  conto  de  gl'ornamenti,  che  fa  nella  Chiesa  del 
Popolo 100  — 

E  a  dì  jo  d."  Se.  40  ìfita  pag.'  ad  Arrigo  Giarde  scultore  disse  a 
conto  della  statua  di  un  Angelo,  che  fa  per  un  Altare  di  d." 
Chiesa 40  — 

E  a  dì  II  "jhre  Se.  i()}.6o  iuta  pag.'  a  mfo  Gio:  Artusi  Fondi- 
tore disse  per  il  pre:(;io  di  due  torcieri  di  VroiiTio  per  la  Cap- 
pella di  S.  Santità  in  d."  Chiesa ic)^.6o 

E  a  dìji  Ottobre  Se.  100  iJita  pag.'  a  Mro  Gabriele  Rentij  sear- 
pellino,  disse  a  conto  delle  porte  di  bardiglio  e  dclli  due  Altari, 
che  fa  nella  sud."  Chiesa 100  — 

E  a  dì  2g  Novembre  Se.  40  iuta  pagati  ad  Arrigo  Giarde  scul- 
tore disse  a  conto  della  statua  di  marmoro  che  fa  per  uno  delti 
due  altari  di  d."  Chiesa 40 

E  a  dì  2j  Deceinbre  Se.  20.^0  iuta  pag.'  a  Filippo  Benagli  Car- 
rettiere, disse  per  portatura  delle  statue  di  SS.  Pietro  e  Paolo         20.)O 

E  a  dì  25  Decembre  Se.  14.S0  pag.'  a  mro  Nicola  Sebastiani, 
disse  per  lauori  fatti  per  le  due  statue  delli  due  Angeli  fatti  da 
Ercole  Ferrata  et  Arrigo  Giarde 14.80 

E  a  dì  24  d."  Se.  80  mta  pag.'  al  Sig.''  Ercole  Ferrata  scultore 
disse  per  resto  della  statua  dell' Angelo  di  marmo  fatta  per  uno 
de  gl'Altari  di  d."  Chiesa 80  — 

i6)C, 

A  dì  2}  Gennaro  Se.  100  vita  pag.'  a  Mro  Gabriel  Rentij  scar- 
pellino,  disse  a  conto  de  gV  Ornamenti  fatti  nelle  due  Cappelle 
della  Chiesa  del  Popolo 100  — 

E  a  dì  2()  d."  Se.  10.^0  vita  pag.'  a  mro  Nicola  Sebastiani  mura- 
tore disse  per  portatura  della  statua  di  un  Angelo,  et  altro  .  .        io.}o 

E  a  dì  /9  Febraro  Se.  9;  iuta  pag.'  ad  Arrigo  Giarde  scultore 

disse  per  resto  della  statua  dell' Angelo 9; 

E  a  dì  18  Aprile  Sc.^y.20  iuta  pag.'  a  Marcantonio  Inuerni  In- 


Agostino  Chigi  il  Magnifico  5 3 9 


doratore  disse  per  saldo  de  ìaiiori  fatti  nella  sud."  Cliiesa  .  .  .        3/ -20 

E  a  dì  26  d°  Se.  100  iiita  pag.'  a  Gabriele  Reiitij  scarpellino,  disse 

a  conto  delle  Inscrittioni,  e  palamento,  che  fa  nella  sud."  Chiesa     100  — 

E  a  dì  28  d."  Se.  2c}).2o  iìita  pag.'  a  Gio:  Maria  Pelle  e  Filippo 
Cefalassi  Capo  mfi  muratori  disse  per  resto  de  Untori  fatti  a 
tutto  Febraro  passato 2()'^.2o 

E  a  dì  J2  maggio  Se.  iìi-^4  mia  pag.'  a  Girolamo  Salui  ferraro 
disse  per  saldo  di  un  conto  di  lanari  fatti  in  detta  Chiesa  a 
tutto  li  20  Aprile  passato i)i-34 

E  a  dì  II  Agosto  Se.  200  mta  pag.'  al  Sig.^  Belardino  Mei  Pittore, 
disse  per  intero  pagamento  del  quadro  a  oglio  fatto  per  uno  delli 
due  Altari,  che  si  fanno  in  d."  Chiesa 200  — 

E  a  dì  21  d."  Se.  200  mta  pag.'  al  Sig.''  Gio:  M."  Morandi  Pit- 
tore disse  perpre:(^o  del  quadro  a  oglio  fatto  per  uno  di  d.'  due 
Altari 200  — 

E  a  dì  e;  ybre  Se.  2^).2'/  pag.'  a  mfo  Gabriel  Rentij  Compagni 

searpellini  disse  per  resto  de  lauori  fatti  nella  suddetta  Chiesa.       2j).2j 

E  a  dì  i^  d."  Se.  1^9.97  mta  pag.'  a  mTo  Gio:  M."  Pelle  Capo 
mfo  muratore  disse  per  saldo  di  un  conto  di  uotatura  di  sepol- 
ture, et  altri  lauori  fatti  nella  sudetta  Chiesa ^99-97 

E  a  dì  p  ottobre  Se.  72.40  pag.'  a  mfo  Antonio  Chic cheri  fale- 
gname., disse  per  saldo  de  lauori  fatti  nelli  due  Altari  della 
Chiesa  del  Popolo 72.40 

1660 

A  di  5  Gennaro  Se.  iS  Ma  di  suo  ord.'  pag.'  a  Marcantonio  Li- 
uerni  Indoratore,  disse  per  saldo  de  lauori  fatti  nella  Chiesa 
del  Popolo „ iS  — 

Se.  37931.U  '/2 


VARIETÀ 


Epitaffio  preneslino  di  Francesca  della  Valle. 


I  lavori  di  ristauro,  che  si  vengono  compiendo  nella 
Cattedrale  di  Palestrina,  hanno  messo  in  luce  l' iscrizione 
metrica  sepolcrale  di  una  fanciulla  della  famiglia  romana 
della  Valle,  morta  nel  145^.  L'eleganza  dell'epitaffio,  scritto 
da  leggiadra  penna  di  un  letterato  del  Rinascimento,  e 
l'occasione  che  mi  viene  offerta  di  arricchire  lo  stemma 
genealogico  di  tal  nobilissima  famigHa,  sono  ragioni  le 
quali  consigliano  a  non  dispregiare  la  scoperta,  ed  a  ren- 
derne partecipi  i  nostri  lettori. 

Nel  togliere  l'iscrizione  della  tomba  del  canonico  Dario 
Ficedula  (1^25)  dal  muro  della  cappella  di  S.  Carlo  Bor- 
romeo, si  è  veduto,  che  la  lastra  era  scritta  nella  parte 
opposta.  Il  chiarissimo  signor  Vincenzo  Cicerchia,  ispet- 
tore degli  scavi  e  monumenti  di  Palestrina,  il  quale  con 
amore  ed  assiduità  si  occupa  di  ogni  cosa  che  torni  a 
vantaggio  dello  studio  delle  antichità,  mi  ha  trasmesso  cor- 
tesemente una  impronta  del  marmo,  con  una  copia  accu- 
rata, della  quale  specialmente  io  mi  varrò,  poiché  le  let- 
tere, essendo  assai  consunte,  in  detta  impronta  appena  si 
possono  vedere.  L'epitaffio,  siccome  questa  circostanza  dà 

Archivio  della  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  VI.  36 


a  conoscere,  fu  anticamente  collocato  nel  pavimento  della 
chiesa  : 

Franciscae  cari  DVLCISSIMA  CVRA  PARENTIS 

OSSA  lACENT  SACRO  Q.VAE  TENET  VRNA  LOCO 
NOBILIS  HANC  GENVIT  PROLES  DE  VALLE  PVELLAM 

ROMVLEA  HVC  VENIENS  SPONSA  FVTVRA  VIRI 
INVIDIT  SORS  ATRA  TAMEN  IVVENILIBVS  ANNIS 

OCCIDIT  ET  VOTO  FALLITVR  ILLA  SVO 
CUM  FVGERET  PESTEM  FEBRIS  HANC  DIRA  PEREMIT 

OMNIS  ET  INCASSVM  CVRA  PATERNA  FVIT 

VIXIT  AN.  XIII.  M.  V.  DIEBVS.  XVIIII.      OBIIT.  MCCCCLVI.  IDIBVS.  SEPTEMBRIS 

Francesca  della  Valle,  venuta  da  Roma  a  Palestrina 
per  isfuggire  il  contagio  della  peste,  ebbe  invece  il  duro  caso 
di  trovarvi  la  morte,  per  cagione  di  febbre  maligna,  nella 
tenera  età  di  13  anni,  e  fidanzata.  Il  morbo  si  aggirava 
da  vario  tempo  in  Europa  ;  scoppiò  violento  a  Roma  nel 
1448,  facendo  (come  vedremo)  non  poche  vittime  in  casa 
della  Valle,  e  tornò  ad  infierire  dutante  il  giubileo  del  1450 
e  nel  14^2,  mai  lasciando  del  tutto  la  città.  Si,  che  natu- 
rale fu  la  paterna  cura  di  allontanare  una  figliuola,  durando 
i  pericolosi  calori  della  state  del  145^,  per  cercare  altrove 
un'aria  mighore  e  fuggire  gli  influssi  del  terribile  morbo. 
Conviene  ora  accingersi  a  cercare  chi  furono  i  genitori 
della  nobile  fanciulla,  la  cui  sorte  miseranda  è  lamentata 
nel  marmo  con  parole  eleganti  non  meno  delle  classiche 
frasi  degli  antichi  marmi  pagani. 

Il  compianto  Adinolfi,  ragionando  delle  case  possedute 
dalla  famiglia  della  Valle,  compose  l'albero  genealogico 
di  essa  famigfia  coi  documenti  di  cui  aveva  notizia  (i).  Tale 
lavoro  riesce  utifissimo  all'uopo  della  presente  ricerca,  ma 
è  assai  incompleto;  e  l'autore  non  ha  creduto  di  arricchirlo 
con  indicazioni  cronologiche.  Il  Ciampi,  di  chiara  memoria. 


(i)  La  via  sacra  0  del  Papa,  Roma  1865,  pag.   122  e  segg. 


Varietà  b/[ò 

lo  ricordò  parlando  degli  antenati  di  Pietro  della  Valle,  il 
celebre  viaggiatore,  ed  accennò  nello  stesso  tempo  alcune 
fonti  che  accrescono  le  notizie  di  detta  famiglia  (i).  Ma 
niuno  ha  cercato  ancora  di  ricomporre  quell'albero  con  più 
ricco  apparato  di  documenti.  Io  non  mi  accingerò  per 
fermo  a  tentarne  la  prova.  Non  solo  mi  sono  prefisso  uni- 
camente di  cercare  il  posto  che  deve  essere  dato  a  Fran- 
cesca della  Valle,  ma  il  tempo  brevissimo  di  che  dispongo 
mi  vieta  anche  di  svolgere  l'argomento  e  di  compiere 
alcune  ricerche,  siccome  sarebbe  mio  desiderio  (2).  Ciò 
nondimeno,  il  poco  che  verrò  esponendo  ai  lettori  sarà  un 
saggio  delle  numerose  aggiunte  che  si  possono  fare  al  la- 
voro egregiamente  incominciato  dall'Adinolfi  (3). 

L'anno  145^,  segnato  nell'epitaffio,  ci  vieta  di  sahre 
oltre  il  tempo  in  cui  vissero  i  figliuoli  di  Paolo  della  Valle 
morto  nel  1440  (4).  L'Adinolfi  ne  numera  nove,  dai  quali 
escludo  Pietro,  che  abbracciò  la  carriera  ecclesiastica,  e  le 
donne,  cioè  Maria,  Penta,  Lucrezia  e  Giovanna.  Riman- 
gono Jacopo,  Dionisio,  Filippo  e  Lello  o  Lelio,  ai  quali  io 
aggiungo  Stazio,  o  Eustachio  (5). 

Filippo  è  assai  conosciuto  per  la  celebrità  in  che  venne 
coll'essere  stato  nominato  medico  pontificio  e  professore 


(i)  Nuova  Antologia,  voi.  XVII,  1879,  pag.  221  e  segg. 

(2)  Il  catasto  di  Saiicta  Sanctornm  e  l'archivio  notarile  capitolino, 
sono  fra  le  principali  fonti  che  saranno  adoperate.  Sono  costretto 
però  a  citarle  secondo  gli  spogli  fatti  dal  Jacobacci  nel  suo  Reper- 
torio delle  Jainiglie  (Cod.  Vat.  Ott.  2554,  pag.  64  e  segg.),  non  avendo 
avuto  agio  di  ricorrere  agli  originali. 

(3)  Aggiungo,  per  chiarezza,  in  appendice  lo  stemma  genealogico 
dei  figliuoli  e  dei  nipoti  di  Paolo  della  Valle,  secondo  i  documenti 
citati  in  questo  articolo.  Gli  altri,  che  qui  non  sono  indicati,  ven- 
gono richiamati  nelle  annotazioni  a  quella  appendice. 

(4)  V.  Adimolfi  e  Ciampi,  luoi;hi  citali,  e  Marini,  Archiatri,  T.  I. 
pag.  127. 

())  V.  l'albero  che  ho  posto  in  appendice. 


>44 


arieta 


di  medicina  nell'Archiginnasio  romano  (i).  Sposò  Girolama 
di  Stefano  dei  Margani  ed  ebbe  numerosa  prole.  Dei  sei 
figliuoli  che  sono  noti,  tre  furono  donne  :  una  delle  quali 
si  chiamò  appunto  Francesca.  Ma  essa  non  mori  in  tenera 
età,  né  fidanzata  soltanto;  con  istromento  del  1477  (2)  il 
padre  ne  approvò  gli  sponsali  con  Battista  del  Bufalo  de 
Cancellariis,  col  quale  poi  contrasse  matrimonio  (3).  E 
questi  essendo  morto,  la  medesima  sottoscrisse  nuovi  capi- 
toli con  Tommaso  de  Cappoccinis  (4),  Nulla  dunque  ha 
che  vedere  colla  nostra  Francesca,  morta  nel  145^.  Una 
sorella  ebbe  lo  acerbo  destino  di  lasciare  giovanissima  il 
mondo,  uccisa  dalla  peste,  e  fu  Paolina  (5).  L'altra  sorella, 
Gismonda  o  Sigismonda,  fu  fidanzata  a  Domenico  dei  Mattei 
nel  1490  (^),  fu  sua  moglie,  e  poi  moglie  di  Francesco 
dei  Rustici  (7).  Del  rimanente,  ogni  ricerca  tra  i  figliuoh 
di  Filippo,  è  vana.  Il  Cod.  Vat.  8251  (8)  attesta  che  egli 
tolse  moglie  nel  1461.  Non  può  adunque  essere  in  verun 
modo  il  padre  di  una  fanciulla  defunta  nel  145^. 

Jacopo  della  Valle  procreò  figliuoli  in  minor  numero 
del  fratello,  se  vogliamo  credere  all'albero  composto  dal- 


(i)  V.  Marini,  Archiatri,  I,  pag.  239. 

(2)  Istromento  notarile  presso  il  Jacobacci,  1.  e,  pag.  68. 

(3)  Istrom.  I.  e.  pag.  67. 

(4)  Istrom.  del   1490,  1.  e,  pag.  72. 

(5)  Di  una  Paolina  figlia  di  Jacopo  parlerò  or  ora.  Un'altra  Tao- 
lina  fu  figlia  di  Stadio  della  Valle  ed  era  fidanzata  nel  1497  (1.  e. 
pag.  73),  probabilmente  a  un  membro  della  famiglia  Toscanella  ;  v.  il 
Cod.  Chis.  G.  V.  148,  f.  575,  il  quale  parla  anche  di  una  Paolina 
di  Stazio,  moglie  di  Paolo  Veccia. 

(6)  Istrom.  1.  e.  pag.  72. 

(7)  V.  Magalotti,  Noti:(ie  ddh  Famiglie,  Cod.  Chis.  G.  V.  139, 
voi.  V,  pag.  54;  Cod.  Chis.  G.  VI.  165,  p.  II,  f.  213. 

(8)  Questo  codice  contiene  ricche  notizie,  estratte,  come  pare, 
dall'archivio  di  casa  della  Valle:  facilmente  sono  cavate  da  quelle 
raccolte  da  Valerio  della  Valle,  di  cui  fece  uso  il  Magalotti  nel 
voi.  V  del  suo  manoscritto. 


Varietà  S^b 

l'Adinolfi,  il  quale  ne  conta  due  soli:  Sta:(io  o  Eustachio  e 
Saveìla  (i),  fidanzata  nel  1467  con  G.  B.  Capranica  (2). 
Ma  essi  furono  assai  più  numerosi.  Dal  codice  Chigiano 
G.  VI.  1^5,  P.  II,  f.  215  imparo  che  si  devono  aggiun- 
gere Paolina,  Girolamo,  Cristoforo  e  Paolo.  I  due  primi  mori- 
rono precisamente  della  peste  nel  1448,  anno  in  cui,  come 
si  è  detto,  il  male  fece  a  Roma  stragi  maggiori  del  con- 
sueto. Jacopo,  avendo  sposato  nel  1439,  essi  giunsero  a 
pochi  anni  di  età.  Paolo  fu  canonico  di  S.  Pietro  (3).  Di 
Cristoforo  non  ho  notizie. 

Dionisio,  fratello  di  Jacopo,  è  conosciuto  soltanto  per  la 
menzione  che  ne  fece  Paolo,  suo  padre,  nel  suo  testa- 
mento (4).  È  lecito  però  congetturare  che,  al  pari  di  Pietro, 
vescovo  d'Ascoli,  morisse  prima  del  147^,  perchè  non  prese 
parte  alla  divisione  dei  beni  fatta  in  quell'anno  tra  i  suoi 
fratelli  (5).  Può  darsi  anche,  che  morisse  prima  del  1459, 
per  consimile  ragione;  vale  a  dire  perchè  non  comparisce 
nell'atto  di  vendita  di  una  casa  spettante  ai  beni  indivisi 
dei  fratelli  della  Valle  (6). 

Di  Stazio,  pochissimo  parimente  posso  dire  di  sicuro. 
L' ho  aggiunto  allo  stemma  dei  figli  di  Paolo  sulla  fede 
dei  codici  Chigiani  spesso  citati  (7).  Morì  certamente  prima 
del  1439,  non  essendo  ricordato  nel  testamento  fatto  in 
quell'anno  da  Paolo;  ma  non  ho  altre  notizie  di  lui. 

(i)  V.  Adinolfi,  1.  e. 

(2)  Istrom.  presso  Jacobacci,  1.  e,  pag.  64.  Il  Magalotti  invece 
cita  l'a.  1471,  voi.  V,  pag.  56. 

(3)  V.  anche  il  Cod.  Chis.  G.  V.  148,  f.  376;  Magalotti,  voi.  IV, 
pag.  686:  Jacobacci,  1.  e,  pag.  64  e  71.  Forse  è  lo  stesso  Paolo  di 
cui  il  citato  Magalotti  indica  la  morte  all'a.  1488,  voi.  VII,  pag  551. 

(4)  Adinolfi,  1.  e,  pag.  132. 

(5)  Jacobacci,  1.  e,  pag.  64;  cf.  Adinolfi,  Roma  nell'età  dì  meno, 
II,  pag.  8,  il  quale  cita  l'a.  1467,  credo  certamente  per  errore  di 
stampa. 

(6)  Magalotti,  voi.  VII,  pag.  5)i, 

(7)  G.  V.  148,  f.  376;  G.  VI.  165,  f.  213. 


546 


Varietà 


Fino  ad  ora  non  ci  è  dunque  riuscito  di  trovare  men- 
zione della  fanciulla  morta  a  Palestrina.  Rimane  a  cercare 
tra  i  figliuoli  di  Lelio.  L'Adinolfi  ne  annovera  sette  :  nu- 
mero già  ragguardevole  che  io  posso  accrescere  di  molto, 
e  che  perciò  sembra  in  vero  permettere  assai  poco  di  ag- 
giungere ancora  un'altra  fanciulla.  Ciò  nondimeno  le 
cose  che  verranno  esposte  mostreranno  che  i  nostri  sforzi 
non  saranno  per  riuscire  del  tutto  vani. 

Lello  o  Lelio  si  procacciò  fama  di  valente  giureconsulto, 
ed  ebbe  parte  nella  riforma  degU  Statuti  di  Roma  sotto 
Paolo  II  (i).  Trasse  per  mogUe  Brigida  dei  Rustici,  da  cui 
ebbe,  secondo  l'Adinolfi  (2),  Bernardino,  Niccolò,  Pietro, 
Amhrosina,  Livia,  Lanra(^^  e  Francesco  (4),  Aggiungo  i  nomi 
seguenti:  Faustina filia  quondam  Lellide  Falle  (Catasto  di  S.  S. 
a.  1477);  il  medesimo  Catasto  ricorda  nel  1480  la  morte  di 
una  Giulia,  figlia  di  Lello  e  mogfie  di  Battista  dei  Mattei  (5). 
Secondo  il  Cod.  Vat.  8251  (6),  Giulia  fu  fidanzata  nel  1454 
e  sposa  nel  1457:  Faustina  è  indicata  siccome  moglie 
di  Angelo  Toscanella  nel  1475  (7).  Ivi  è  ricordata  al- 
tresì un'altra  fighuola  di  Lello,  per  nome  Antonina,  fidan- 
zata nel  14^5  a  Francesco    de   Fabiis  e   sua   mogHe  nel 

(i)  Su  questa  riforma  v.  La  Mantia,  Origrae  e  vicende  degli  Sta- 
tuti di  Roma,  Firenze,  1879,  pag.  29;  C.  Re,  Statuti  di  Roma  (estratto 
dagli  Studii  e  Documenti  di  Storia  e  Diritto)  p.  CV. 

(2)  La  Via  Sacra,  pag.  124. 

(3)  Di  Livia,  Ambrosina  e  Laura  I'Adinolfi  dà  i  soli  nomi.  La 
prima  sposò  Prospero  Santa  Croce  nel  1463.  La  seconda,  fidanzata 
nel  1470  a  Niccolò  Capo  di  Ferro  (Magalotti,  voi.  V,  pag.  56; 
Cod.  Chis.  G.  VL  165,  P.  Il,  f.  213)  lo  sposò  nel  1473.  L'ultima  fu 
moglie  di  Marco  dei  Tebaldeschi  nel  1474.  V.  Cod.  Vat.  8251,  f.  424. 
L'Adinolfi  (Via  Sacra,  pag.  125)  cita  per  errore  un  Toscanella  come 
marito  di  Ambrosina. 

(4)  Pietro  e  Francesco  seguirono  la  carriera  delle  milizie. 

(5)  V.  Jacobacci  pag.  67  e  68;  cf.  Magalotti,  voi.  IV,  pag.  68 
ed  il  Cod.  Chis.  sopra  citato. 

(6)  Parte   III,  f.  424;  v.  anche  il  cit.  Cod    Chis. 

(7)  Cf.  il  Cod.  Chis.  già  citato. 


Varietà  647 

14^9  (i).  Il  codice  Chigiano  G.  VI.  165,  di  cui  ha  fatto  uso 
frequente,  aggiunge  ai  suddetti  nomi  ancora  i  seguenti  : 
Tommaso,  Gabriele  e  Francesca.  Vedremo  ora,  come  non 
ci  sia  ragione  di  dubitare,  che  questa  Francesca  sia  appunto 
la  fanciulla  morta  a  Palestrina. 

Detto  codice  contiene  indicazioni  sulla  famiglia  della 
Valle,  che  trovano  preciso  riscontro  nei  documenti  e  nelle 
notizie  cavate  dalle  altre  fonti;  sovente  sono  più  copiose; 
mai  ispirano  dubbio  di  gravi  confusioni  o  inesattezze.  Al 
nome  di  Francesca  sono  aggiunte  le  parole:  morta  a  Pele- 
strina  14J').  La  data  è  manifestamente  sbagliata,  ma  non 
credo  che  questo  errore  possa  ragionevolmente  distoglierci 
dal  prestar  fede  alla  indicazione  nella  sua  principale  testi- 
monianza ;  vale  a  dire  nell'affermazione  che  Francesca  fu 
figlia  di  Lello.  Abbiamo  già  veduto,  che  l'anno  145^  del- 
l'epitaffio prenestino  esclude  assolutamente  Fihppo  della 
Valle,  il  quale  non  ebbe  moglie  prima  del  146^1.  Ho  mostrato 
che  Stazio  morì  prima  del  1439;  perlaqual  cosa  escludo 
anche  lui.  Di  Dionisio  non  abbiamo  certa  notizia,  ma  il 
silenzio  che  sopra  di  esso  serbano  i  raccoglitori  di  notizie  di 
famiglie  romane  ed  il  non  aver  potuto  trovare  altre  tracce 
della  sua  persona,  sono  buone  ragioni  per  credere  che  mo- 
risse molto  giovane  e  sènza  figliuoh.  Resta  adunque  uni- 
camente Jacopo.  Ma  la  positiva  testimonianza  del  codice 
Chigiano  non  permette  che  rimanga  quest'ultimo  dubbio; 
e  parmi  ora  cosa  provata,  che  Francesca  fu  figlia  di  Lello 
della  Valle. 

(i)  Cf.  Magalotti,  voi.  IV,  pag.  686,  V.  pag.  56.  Quest'Anto- 
nina non  va  confusa  con  la  pronipote  dello  stesso  nome,  con  la  figlia 
cioè  di  Lello  di  Pietro  di  Lello.  Certamente  non  sono  una  sola  per- 
sona, si  per  la  differenza  del  tempo  e  si  perchè  la  prima  è  ricordata 
siccome  sorella  di  Niccolò  (Jacobacci,  1.  e,  pag.  64,  a.  1469),  fi- 
gliuolo del  primo  Lello  e  letterato  di  vaglia,  che  poi  torneremo  a 
menzionare. 

Delle  sei  menzionate  figlie  di  Lello  sono  menzionati  scherzosa- 
mente i  mariti  nei  Nuptiali  di  M.  A.  Altieri,  editi  dal  Narducci,  pag.  28. 


D4c 


^arieta 


Numerosi  stromenti  coi  capitoli  di  futuro  matrimonio 
abbiamo  ricavato  dai  documenti  che  ci  hanno  servito  di  guida 
precipua.  La  fanciulla  Francesca  fu  fidanzata  in  età  giova- 
nissima al  pari  delle  nobili  donzelle  sue  congiunte;  il  docu- 
mento che  ad  essa  dovea  riferirsi  è  però  appunto  quello  che 
ci  manca.  Una  ricerca  accurata  in  fra  gli  atti  dei  notari  capi- 
tolini facilmente  lo  farebbe  discuoprire;  ma  il  -brevissimo 
tempo  di  che  dispongo  non  mi  permette  di  eseguire  sif- 
fatto lungo  lavoro.  In  altra  occasione  forse  ne  sarà  con- 
cesso di  tornare  sull'argomento  e  di  dare  notizie  più  ampie 
sulla  famiglia  della  Valle.  Il  nome  di  Francesco  e  Francesca 
non  fu  raro  in  quella  casa,  che  amò  rinnovare  la  memoria 
degli  avi  e  degli  zii  col  darne  i  nomi  ai  nepoti.  Francesca 
ebbe  a  chiamarsi  la  figliuola  di  Filippo,  come  pure  una  ne- 
pote  di  essa  figliuola,  sposata  a  G.  Gerolamo  Benzoni  (i). 

L'elegante  epitaffio  ha  quel  classico  sapore  che  si  gusta 
con  diletto'  presso  gli  Umanisti  contemporanei.  Nella  fami- 
glia della  Valle  le  belle  lettere  furono  coltivate  con  amore, 
e  lo  studio  delle  medesime,  come  per  tradizione,  in  essa 
vivo  si  mantenne  per  lungo  tempo.  Il  bellissimo  titolo 
metrico  posto  sulla  tomba  di  Pietro,  vescovo  d'Ascoli,  da 
Gaetano  Marini  fu  stimato  opera  del  fratello  Filippo,  ispi- 
rata dalle  leggiadre  composizioni  della  classica  epigrafia  (2) 
Il  medesimo  Filippo  dettò  l'epitaffio  di  Paolina,  sua  figlia, 
morta  della  peste,  copiandolo  dai  marmi  pagani,  raccolti 
nella  casa  della  Valle.  Il  dolore  di  aver  perduto  in  siffatto 
modo  una  fanciulla  di  pochi  anni  gli  fé'  scegliere  queste 
dure  parole  di  antica  a  noi  notissima  iscrizione: 

Decipimur  votis  et  tempore  fallimur 

et  mors  deridet  curas;  anxia  vita  nihil  (3). 

(i)  Adinolfi,  1.  e,  pag.  126;  Bicci,  Notizie  della  famiglia  Boc- 
capaduli,  Roma,  1762,  pag.  217. 

(2)  Archiatri,  T.  I,  pag.  125,  237;  cf.  239:  Casimiro,  Memorie  di 
s.  M.  in  Araceli,  pag.  205. 

(3)  L.  e,  pag.  240. 


Varietà  649 

Lello  fu  uomo  addestrato  nei  buoni  studi;  l'elegantis- 
simo marmo  posto  in  Ara  Coeli  al  suo  figlio  Francesco  fu 
scritto  da  lui  (i).  Niccolò,  altro  figlio  di  Lello,  fu  in  età 
giovanissima  letterato  e  insigne  poeta  (2).  Bernardino  an- 
ch'esso fu  poeta  e  consigliere  di  Ferdinando  (I?)  re  di 
Napoli  (5).  Alcuni  di  sua  famiglia  furono  circa  questo 
tempo  scrittori  delle  lettere  apostoliche.  Nella  chiesa  di  San 
Sebastiano  de  via  Papa,  la  cappella  di  San  Giovanni  Bat- 
tista, proprietà  di  casa  della  Valle,  che  vi  depose  vari  fra 
i  suoi  membri,  aveva  una  iscrizione,  la  quale  cominciando 
colle  parole  Stirps  Falleia  sunius,  terminava  col  seguente 
distico,  che  altamente  si  risente  del  rinascimento  dei  clas- 
sici studi  e  del  paganeggiare  di  cotesto  rinascimento  : 

Fiere  refas  qiioniam  Parcarum  sepe  soluti 
Vivitnus  ìnsoìit:s  liberiore  polo  (4). 

Nulla  adunque  impedisce  di  credere  che  i  versi  gentili, 
i  quali  compiangono  la  sorte  della  fanciulla  Francesca,  siano 
opera  d'un  suo  congiunto;  anzi  tutto  fa  supporre  che  siano 
stati  dettati  dal  padre  istesso,  da  Lello  della  Valle. 

L'epitaffio  di  Francesca  della  Valle  si  esprime  con  amare 
parole  di  rimpianto  :  Invidit  sors  atra  tamen  invenììibus  annis, 
occidit  et  voto  faììitur  illa  sua.  U  invida  sors  che  volle  mie- 
tere un'  esistenza  di  pochi  anni,  fu  forse  invece  una  sorte 
pietosa,  la  quale  risparmiò  alla  nobile  fanciulla  quei  dolori 
e  disinganni  atroci,  che  la  Nemesi  spesso  si  compiace  far 
patire  a  coloro  cui  sembrava  dischiudersi  un  orizzonte  fe- 
hce,  mutando  il  sorriso  della  vita  in  uno  scherno  crudele. 

Enrico  Stevenson. 


(i)  L.  e,  pag.  122;  Casimiro,  Araceli,  pag.  206. 

(2)  V.  Ciampi,  1.  e;  Nuptiali  di  M.  A.  Altieri,  pag.  115. 

(3)  Cod.  Chis.  G,  V.  148,  f.  376,  e  G.  VI.  165,  f.  213. 

(4)  Magalotti,  voi.  V,  pag.  55. 


Varietà 


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Varietà  55 1 


ANNOTAZIONI  ALL'APPENDICE. 

(i)  Catasto  di  S.  Sanctormn;  Jacobacci,  \.  e,  pag.  68.  Gli  anni 
preceduti  da  una  croce  sono  quelli  della  morte;  gli  altri  indicano 
la  data  del  matrimonio. 

(2)  Adinolfi,  Via  Sacra,  pag.  132  (testamento  di  Paolo). 

(3)  Adinolfi,  test.  cit. 

(4)  Test.  cit.  Ho  composto  l'albero  dei  figliuoli  di  Lucrezia,  ri- 
cavandolo dai  documenti  del  cod.  Vat.  8251  e  dalle  indicazioni  del 
Cod.  Chis.  G.  V.  148,  f.  375,  il  quale  aggiunge  ancora  tre  altri  fi 
gliuoli,  i  cui  nomi  non  sono  riuscito  a  decifrare  con  sicurezza.  Ma- 
sciolo  è  chiamato  spesso  col  nome  de  Militibus.  Lucrezia,  secondo 
il  Magalotti  (VII,  551),  morì  nel  1489;  nel  voi.  IV,  pag.  686,  egli 
scrive  invece  1490. 

(5)  Cat.  di  5.  S.  Jacob.\cci,  1.  e,  pag.  66. 

(6)  Cod.  Vat.  8251,  f.  cit.;  Cod.  Chis.  G.  V.  148,  f.  375. 

(7)  Adinolfi,  1.  e,  pag.  123. 

(8)  Cat.  di  5.  S.  Jacobacci,  1.  e,  pag.  69. 

(9)  Cod.  Vat.  8251,  f.  cit.;  Magalotti,  voi.  VII,  pag.  551  ;  Cod. 
Chis.  G.  V.  148,  f.  375. 

(io)  Cod.  Vat.  cit.;  Cod.  Chis.  cit.  La  data  della  morte  è  riferita 
dal  Marini,  Archiatri,  I,  pag.  239. 

(11)  Il  Jacobacci,  1.  e,  pag.  74,  ed  il  Magalotti,  1.  e.  citano 
il  testamento  di  uno  Sta-^io  della  Valle,  coU'anno  1497.  Il  medesimo 
Jacobacci,  1.  e,  pag.  63,  riferisce  gì' istromenti  con  che  un  Eustachio 
della  Valle  divenne  fidanzato  di  Rita  de  Ilperinis  (a.  1467  e  1469). 
La  cronologia  permettendolo,  ho  creduto  di  compiere  in  questo 
modo  l'albero  fatto  dall'AoiNOLFL  Una  Giulia  di  Stazio  sarebbe  stata 
fidanzata  nel  1497  a  Pietro  de  Vecchiis,  1.  e. 

(12)  Fece  testamento  nel  1505  ;  v.  Magalotti,  voi.  VII,  pag.  551. 

(13)  Per  l'anno  in  cui  morì,  v.  Ciampi,  1.  e:  Reumont,  Gesch. 
à.  Stadi  Rom,  III,  I,  349;  Magalotti,  voi.  V,  pag.  54:  Cod.  Chis. 
cit.,  f.  375,  376:  Cod.  Chis.  G.  VI.  165,  p.  II,  f,  213. 

(14)  Cod.  Chis.  G.  VI.  165,  p.  II,  f.  213.  Il  Magalotti  cita  un 
testamento  di  Gismonda  all'anno  1527. 

(15)  L'anno  i486  lo  desumo  dal  cit.  Cod.  Chis.  il  quale  indica 
sempre  la  data  degh  sponsali,  non  quella  del  matrimonio.  Viveva 
ancora  nel  1527,  v.  Bicci,  No/,  della  fam.  Boccapaduli,  pag.  646. 

(16)  Cod.  Chis.  G.  V.  148,  f.  376. 


PERIODICI 


Archeografo  triestino.  Nuova  serie.  Voi.  X.  Fase.  I-II.  — 
Toppi  clou.  Yincenzo.  Relazioni  di  Udine  con  Trieste  e  l'Istria 
nel  secolo  xiv  —  Pervnncjlù  dolt.  Pietro.  Delle  colonie  greche 
sulle  coste  dell'  lUirio.  —  Kunz  Carlo.  Monete  inedite  o  rare 
di  zecche  italiane.  V,  Asti  (1140-1553).  —  Benussi  doti.  Ber- 
nardo. L'Istria  sino  ad  Augusto  —  Marsich  don  Angelo.  Re- 
gesto delle  pergamene  conservate  nell'Archivio  del  rev.  Capitolo 
della  Cattedrale  di  Trieste  (1448-1499).  —  Vesnaver  Giovanni. 
Notizie  storiche  del  Castello  di  Portole  nell'  Istria.  —  Biblio- 
grafìa —  Annunzi  reciproci. 

Archivio  storico  italiano.  To.  XII.  Disp.  4'  del  1883.—  Diario 
di  Palla  di  Noferi  Strozzi  —  1.  Del  Lungo.  Alla  biogriifla  di 
Ser  Brunetto  Latini,  contributo  di  documenti.  —  A.  Reumont. 
Del  luogo  di  sepoltura  di  Lorenzo  il  Magnifico.  —  Rassegna 
bibliografica.  —  Notizie  varie.  —  F.  Lampertico.  Necrologia 
di  Pier  Luigi  Luigi  Bembo.  —  Annunzi  bibliografici.  —  Pub- 
blicazioni periodiche.  —  Appendice.  Inventario  delle  carte 
strozziane  del  R.  Archivio  di  Stato  di  Firenze. 

Archivio  storico  lombardo.  Anno  X.  Fase.  II.  —  G.  B.  Intra. 
La  piazza  di  Sordello  in  Mantova.  —  Damiano  Muoni.  Gli  An- 
tignati,  organari  insigni,  colla  serie  dei  maestri  di  cappella  del 
Duomo  di  Milano.  —  Giuseppe  Piazzanti.  Inventario  delle  carte 
dell'Archivio  Sforzesco,  contenute  nei  codici  italiani,  1583-1593, 
della  Biblioteca  nazionale  di  Parigi.  —  Carlo  Canetta.  Vicende 
edilizie  del  Castello  di  Milano  sotto  il  dominio  sforzesco  —  Pietro 
Ravasio.  Memorie  e  cimeli  inediti  di  Pieve  del  Cairo  (Lomellina) 
circa  la  liberazione  del  cardinale  De' Medici  dalla  prigionia  dei 
Francesi.  —  Bollettino  bibliografico.  —  Gaetano  Hantogiorgio. 


Commemorazione:  Carlo  Borghi. —  Rivista  bibliografica  della 
provincia  di  Como. 

Archìvio  storico  per  le  provincie  napoletane.  Anno  Vili. 
Fase.  II.  —  Minieri  Riccio  C.  Genealogia  di  Carlo  II  d'Angiò 
re  di  Napoli,  —  Maresca  B.  Carteggio  del  cardinale  Ruffo  col 
ministro  Acton  da  gennaio  a  giugno  1799.  —  Furaglia  N.  Le 
memorie  degli  artisti  napolitani  pubblicate  da  B.  De  Dominici. 

—  D'Aloe  S.  Catalogo  di  tutti  gli  edilìzi  sacri  della  città  di 
Napoli  e  suoi  sobborghi,  tratte  da  un  ms.  autografo  della  chiesa 
di  San  Giorgio  ad  forum.  —  Capasso  B.  Sulla  poesia  popolare 
in  Napoli:  note  storiche.  —  Elenco  delle  pergamene  già  appar- 
tenenti alla  famiglia  Fusco,  ed  ora  acquistate  dalla  Società  na- 
poletana di  storia  patria.  —  Notizie  varie.  —  Rassegna  biblio- 
grafica. —  Necrologia:  Luigi  Volpicella. 

Archivio  storico  siciliano.  Nuova  serie.  Anno  VII,  fase.  I-IV. 

—  S.  Cusa.  Relazione  del  terzo  Congresso  geografico  interna- 
zionale. —  V.  Bello.  Il  Periplo  della  Sicilia  nel  medio  evo,  tratto 
da  carte  geografiche  manoscritte  delle  Biblioteche  del  Veneto. 

—  G.  Orlando.  Il  p.  Alessio  Narbone  e  le  sue  opere.  —  F.  S. 
Cavallari.  Sulla  topografia  di  talune  città  greche  di  Sicilia  e 
dei  loro  monumenti.  —  Miscellanea.  —  Rassegna  bibliografica. 

—  Atti  della  Società. 

Archivio  veneto.  —  To.  XXV,  parte  I.  —  R.  Fulin.  Ai  let- 
tori. —  G.  B.  Monticolo.  La  cronaca  del  diacono  Giovanni  e  la 
storia  politica  di  Venezia  sino  al  1009.  —  P.  Pinton.  La  storia 
di  Venezia  di  A.  F.  Gfròrer.  —  CarZo  Cipolla.  Il  patarenismo 
a  Verona  nel  secolo  xiii.  —  R.  F.  II  duca  di  Sturlich  ricordato 
da  Marino  Sanuto  secondo  Bons  d'Anty  e  de  Kàrolyi.  —  Anto- 
nino di  Prampero.  I  cavalli  ed  il  loro  prezzo  in  Friuli  nel  se- 
colo XIII.  —  G.  Giuriate.  Memorie  venete  nei  monumenti  di 
Roma.  —  Aneddoti  storici  e  letterari.  —  Rassegna  bibliogra- 
fica. —  Pietro  Sgulmèro.  Incunabuli  della  Biblioteca  comunale 
di  Verona.  —  Varietà.  —  Commemorazioni.  —  Atti  della  R. 
Deputazione  veneta  di  Storia  patria. 

Atti  e  memorie  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  per 
le  Provincie  di  Romagna.  Terza  serie.  Voi.  I.  Fase.  II.  —  A. 
Rubbiani.  L'agro  dei  Galli  Boii  diviso  ed  assegnato  ai  coloni 
romani  (anni  565-571  di  Roma).  —  G.  Manzoni.   Della  scono- 


Periodici  555 


sciuta  tipografìa  bolognese  aperta  nel  1547  nelle  case  del  cava- 
liere e  conte  palatino  G.  B.  Boflfrigari  a  istanza  del  cav.  Ercole 
tiglio  di  lui,  e  delle  rarissime  e  preziose  stampe  che  ne  usci- 
rono. —  Atti  della  Deputazione. 

Griornale  ligustico  di  archeologia,  storia  e  letteratura.  AnnoX. 
Fase.  V-VI.  —  Due  bolle  pontificie.  —  N.  Giuliani.  Ansaldo 
Cebà.  —  Poggi  Y.  Appunti  di  epigrafia  etrusca.  —  Varietà.  — 
Rassegna  bibliografica.  —  Bollettino  bibliografico. 

Gorres-Gresellscliaft.  Historlsches  Jahrbucli.  redigirt  von  Dr. 
Victor  Gramich.  To.  IV.  Fase.  1.  —  Funh.  Zur  Geschichte  der 
altbritischen  Kirclie.  —  Grauert.  Die  Konstantinische  Schenn- 
kung.  —  V.  Krones.  Die  Literatur  zur  Geschichte  Franz  Ra- 
koczi  II  im  letzten  Jahrzehut  (1872-1882).  —  Recensionen  und 
Referate.  —  NachHchten. 

MittheiluHgen  des  Instituts  fttr  Oesterreichisclie  Gescliicht- 
sforschung.  To.  IV.  Fase.  3.  —  Julius  Ficker.  Eròrterungen  zur 
Reichsgeschichte  des  dreizehnten  Jahrhunderts.  —  Otto  v.  Zal- 
linger.  Die  ritterlichen  Klassen  im  steirischen  Landrecht.  — 
Chr.  Hulsen.  Die  Auffindung der  ròmischen  Leiche  vom  Jahre  1485. 
—  Kleine  Mittheilungen.  —  Literatur. 

Neues  Archiy  der  Gesellschaft  fiir  altere  deutsche  Gescliicht- 
skunde.  To.  Vili.  Fase.  3.  —  F.  L.  Banmann.  Ueber  Todten- 
bùcher  der  Bisthùmer  Cur  und  Constane.  —  W.  Wattenbach, 
Das  palàaographische  Prachtwerk  des  Crafen  Bastard.  —  Karl 
Zeumer.  Ueber  die  alamannischen  Formelsammlungen.  —  S.  Loe- 
wenfeld.  Pàpstliche  Originalurkunden  im  Pariser  Nationalarchiv 
(von  Formosus  bis  Celestin  III).  —  K.  Bresslau.  Fundatio  ec- 
clesiae  Sancti  Albani  Namucensis.  —  Miscellen.  —  Nachrichten. 

Nouvelle  Revue  liìstorique  de  droìt  fran<jais  et  étranger. 

7'"o  année.  N.  3.  —  A.  Tardi f.  La  Practica  forensis  de  Jean  Masner. 
/.  Pinot.  La  Jacquerie  et  l'afi'ranchissement  des  paysans  de  la 
terre  de  Faucogney  en  1412.  —  Bulletin  bibliographique  et 
critique. 

Revue  des  questioiis  historiques.  Dix-huitième  année,  e?'"*" 
livraison.  —  M.  Vabbé  Duchesne.  Saint  Abericus,  évéque  d'Hié- 
ropolis  en  Phrygie.  —  E.  de  l'Epinois.  Les  derniers  jours  de 


556  Periodici 


la  ligue.  La  France  en  1592.  Etats  de  1593.  Absolution  d'Henri  IV. 
A.  de  Gallier.  Les  éraeutiers  de  1789.  —  R.  Chantelauze. 
Louis  XVII  au  tempie  sous  la  surveillance  du  gardien  Laurent. 

—  A.  Prost  Les  chroniques  vénitiennes.  Second  mémoire.  — 
Mélanges.  —  Courrier  aUemand.  —  Courrier  anglais.  —  Chro- 
nique.  —  BuUetin  bibliographique. 

Kevtte  historìque.  Tome  vingt  et  unième.  —  F.  Decrue.  Les 
idées  politiques  de  Mirabeau.  —  Avenel  (Vicomte  G.  d').  La 
fortune  de  la  noblesse  sous  Richelieu.  —  /.  Kauleh.  Louis  XI 
est-il  l'auteur  du  Rosier  des  guerres  ì  —  Du  Casse.  Documents 
inédits  relatifs  au  premier  Empir.  —  Bullettin  historiques.  — 
Correspondance.  —  Comptes-rendus  critiques.  —  Publications 
périodiques  et  Sociétés  savantes.  —  Chronique  et  bibliographie. 

Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto.  Anno  IV.  Fase.  2°  e  3°. 

—  0.  Ruggieri.  Sviluppo  storico  delle  serviti!  sujle  cose  in  di- 
ritto romano.  —  L.  Fumi.  Il  Governo  di  Stefano  Porcari  in  Or- 
vieto, con  appendice  di  molti  documenti  inediti.  —  Ch.  Descemet. 
Bassorilievi  assiri  della  Biblioteca  Vaticana.  —  Bibliografia.  — 
C.  Re.  Statuti  della  città  di  Roma  (continuazione  e  fine). 


IO 


^  Società  romana  di  storia 

402  patria 

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