e 37^4.
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIASTICA
DA S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI
SPECIALMENTE INTORNO
AI PRINCIPATI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI, AI SOMMI PONTEFICI, CARDINALI
E PIÙ CELEBRI SCRITTORI ECCLESIASTICI, AI VARII GRADI DELLA GERARCHIA
DELLA CHIESA CATTOLICA, ALLE CITTA PATRIARCALI, ARCIVESCOVILI E
VESCOVILI, AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILII, ALLE FESTE PIIJ SOLENNI,
AI RITI, ALLE CEREMONIE SACRE,. ALLE CAPPELLE PAPALI, CARDINALIZIE E
PRELATIZIE, AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI, EQUESTRI ED OSPITALIERI, NON
CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EC. EC. EC.
COMPILAZIONE
DEL CAVALIERE GAETANO MOROJNI ROMANO
SECONDO AIUTANTE DI CAMERA
DI SUA SANTITÀ PIO IX.
VOL, XLIII.
■'"%
IN VENEZIA
DALLA l'IFOGRAFIA EMILIANA
MDCCCXL V li.
DIZIONARIO
DI EIIUDIZIONE
STO lUCO-ECC LE SI ASTICA
n
MAR
m;
ARIA FRANCESCA delle cin-
que PIAGHE DI Gesù' CmsTo (beata).
Nacque -a 25 marzo i 7 1 5 in Napoli,
e Francesco Gallo e Barbara Ba-
sinsin ne furono i genitori, di me-
diocre condizione ambedue, ma di
indole e di costumi diversi, poiché
quanto era il primo di natura dif-
ficile ed aspra, tanto era l'altra
mite ed amabile. Iddio che con
singolari maraviglie annunzia talora
una vita cui i miracoli sono per
accompagnare e seguire, non dub-
bi segni ed insoliti diede nel na-
scere di lei. Nel battesimo ebbe i
nomi di Anna Maria Rosa Nico-
letta, e nel crescere in vece di pue-
rili sollazzi si dedicava a frequenti
ossequi verso Dio e la Beata Ver-
gine, con sorpresa di tutti; quindi
cominciò a disciplinarsi e a non
mostrare altro desiderio che di as-
sistere alla messa ed altre eccle-
siastiche funzioni. Crescendo nella
perfezione, di sette anni gli fu per-
messo di partecipare all' eucaristica
MAR
mensa; e sebbene consacrasse alla
preghiera buona parte del giorno, si
applicava alle faccende domestiche,
e nel tessere nastri di seta intarsiati
con oro, de'quali teneva commercio
il genitore, indi come le sorelle e la
madre si pose a filare l'oro. Pas-
sati i quindici anni , le sue avve-
nenti fattezze congiunte al candore
de'suoi costumi, allettarono un ricco
giovane a domandarla per isposa,
ma ella a fronte delle furie pater-
ne si dichiarò non conoscere altro
sposo che Gesù Cristo, il perchè
agli 8 settembre lySi vestì l'abito
delle terziarie di s. Pietro d'Alcan-
tara, il cui rigido istituto scrupolosa-
mente osservò, e prese il nome di
suor Maria Francesca delle cinque
piaghe . Si diede allo spirito di
contemplazione, e tenendo sempre
fisso il pensiero nella passione di
Cristo, incominciò a praticare il quo-
tidiano esercizio della Fia Crucis^
cadendo in deliqui pel dolore e
pel pianto cui si abbandonava. Du-
6 MAR
bilancio il suo direttore spirituale
ohe fosse illusione quanto eli pro-
digioso le avveniva, la trattò ru-
vidamente, mentre la consolava
Gesù nel cuore e ne' colloqui, e
l'angelo custode manifestamente la
guidava nelle persecuzioni. Alla
morte della madre, lo snaturato
padre aumentò le sue vessazioni e
strapazzi, ed abbandonò la casa
acciò tutta fosse a peso della figlia ;
allora questa andò ad unirsi a suor
Maria Felice della Passione, e potè
respirare per alcun tempo più tran-
quilla vita. Non cessando il demo-
nio di tentare la sua costanza nel-
l'esercizio delle più eroiche virtù,
la fece denunziare quale maliarda
all'arcivescovo di Napoli cardinal
Spinelli, il quale per esplorarne lo
spirito l'affidò a dotto ed accorto
regolatore, che principalmente nella
pazienza la trovò insuperabile, cosi
nell'umiltà e nell'obbedienza, laon-
de dovette assicurare il cardinale
dell'eminente santità di lei. Quindi
soggiacque a nuove persecuzioni ,
non solo del padre e delle sorelle,
ma altresì nel chiostro in cui vi-
vea, pei* cui l'accolse in casa ono-
ratissima signora, ed intanto Iddio
punì i di lei persecutori, e lo stesso
padre usci di vita placidamente a
sua intercessione ; con atroci sup-
plizi procurò alleviargli le pene
del purgatorio, siccome soleva pra-
ticare per le anime di que' defunti
che a lei venivano raccomandati ,
come quella ch'era nella carità del
prossimo infiammata. Osservantis-
sima de' voti di povertà e castità,
visse accattando, e nell'innocenza,
ignorando le malizie umane. Giam-
mai trasgredì le severissime regole
dell! istituto alcantarino, ad onl<i
delle fiere convulsioni e malattie
cui andò soggetta, flagellando con-
MAR
tìnuamcutc il suo corpo, che teneva
coperto di cilizi, laonde meritò più
celesti favori. Fra questi devesi no-
verare quello di conoscere il vicino
tempo di sua morte, alla quale si
preparò esemplarmente, e baciando
il Crocefisso soavemente spirò, in
Napoli ai 6 ottobre 1794» d'anni
79. Il cadavere nel dì seguente
fu portato alla chiesa degli alcan-
tarini di s. Lucia del Monte, ove ac-
corse innumerabile gente per baciar-
ne le mani e le vesti, e riportar-
ne qualche reliquia, ed ivi restò
tumulata alla venerazione dei suoi
divoli, subito il popolo proclaman-
dola per santa. Rifulse in ogni a-
zione e nelle più insigni virtù; fu
illustre per le penitenze a cui volon-
tariamente si sottomise, per la pro-
va delle penose direzioni de' suoi
confessori, per ogni maniera d'in-
fermità, sicché può dirsi che l'in-
tiera sua vita fu una continua ago-
nia. Due volte la santa particola
andò a posarsi sulla sua lingua, e
scemando diverse volte nel calice
del celebrante il vino consacrato,
per mano angelica fu alle sue lab-
bra apprestato. Dio la glorificò con.
prodigi e miracoli che operò a di
lei intercessione, per lo che Pio
VII con decreto de' 18 maggio
i8o3 la dichiarò venerabile, e per-
mise l'introduzione della causa per
la sua canonizzazione. Indi dopo
aver subito la sua causa fino al
1824 i giudizi preliminari e pre-
paratorii, il Papa Gregorio XVI con
solenne decreto de' 1 2 febbraio 1 832
dichiarò constare dell'esercizio delle
virtù praticate dalla serva di Dio
in grado eroico, e con" altro de*29
dicembre 1889 riconobbe l'eccel-
lenza di due miracoli, accaduti iu
Napoli; il primo fu una sanazione
d'inveterata ed assoluta cecità ca-
MAR
«ionnta da oftalmia, il secondo fu
l'istantanea e perielta sanazione da
emioiegia e spasmo cinico con per-
dita di moto e loquela, essendo
stato postulatole della causa il cav.
Luigi Vagnuzzi. Finalmente lo stes-
so Gregorio XVI ne fece celebrare
la solenne beatificazione a' 12 no-
vembre 1843 nella basilica vati-
cana. Nel medesimo anno pei tipi
di propaganda ^fl?e, fu pubblicata
la Vita della h. Maria France-
sca delle cinque plagile di G. C.
terziaria professa alcantarìna, ed
aggregata ai beni spirituali della
congregazione de' chierici regolari
somaschi, scritta dai p. d. Ber-
nardo Laviosa somasco ; nuova edi-
zione notabilmente corretta ed ac-
cresciuta dal p. d. Giovanni Stroz-
zi canonico regolare lateranense. Il
p. d. Norberto Palmieri del me-
desimo ordine, nell'istesso anno e
coi medesimi caratteri, ci diede il
Compendio della vita della ■ beata
Maria Francesca^ ec.
MARIA GLORIOSA, Ordine e
(fuestre. P\ Gaudenti.
MARIA ISABELLA, Ordine e-
quesire. V. Isabella la Cattolica.
MARIA LODOVICA o Luisa.
Ordine equestre di cavalieresse .
Nel 1765 Carlo IV re di Spagna e
delle Indie sposò la sua cugina
Maria Luisa Teresa di, Parma,
prima che fosse assunto al trono,
ciò che si efifettuò nel 1789 per
la morte del suo genitore Carlo IH.
La regina Maria Luisa appena il
consorte cominciò a regnare, s'in-
gerì negli atlari dello stato,' prese
a dirigerli, non che a disporre a
suo piacere delle cariche e delle
rendite della monarchia. L' ascen-
dente che prese poi sull'animo del
real consorte l' indusse a porre
l'ammioistrazione in mano di £m-
MAR 7
manuele Godoy a lei accettissimo,
ciò che produsse quel malcontento,
quelle sventure e quelle conseguen-
ze che la Spagna ancora deplora.
Di ciò avvedendosi la stessa regina,
onde accattivarsi almeno l'animo di
alcuni della nobiltà spagnuola, nel
i8o5 istituì questo ordine eque-
stre per le sole cavalieresse, e gli
diede il nome di Maria Lodovica.
Per insegna e decorazione dell'or-
dine stabilì una croce d'oro smal-
tata in bianco, avente negli angoli
i gigli, stemma de' Borboni, e nel
centro il proprio ritratto. Inoltre
prescrisse che la croce delle cava-
lieresse sarebbe portata in petto,
pendente da un nastro rosso di
seta, con orli color d'arancio. Con
questo ordine la regina insignì e
premiò quelle dame di alto rango,
le quali ogni mese dovessero vi-
sitare un qualche ospedale , e
Far celebrare una messa per cia-
scuna dama dell' ordine nella loro
morte, ed assistere alla medesima.
Dipoi quest'ordine fu rinnovato
nel gennaio 18 16 dalla regina
Maria Isabella Francesca principes-
sa di Portogallo, e moglie del re
Ferdinando VII figlio della regina
Maria Luisa Teresa che ancor
viveva. Al di lei ritratto fu sosti-
tuita sulla decorazione l' e/ligie di
s. Ferdinando HI, e nel rovescio
la cifra della regina restauratrice,
con l'iscrizione: Reale ordine della
regina Maria Luisa.
MARIA LUISA ISABELLA, Or-
dine equestre. Questo recente or-
dine militare ed equestre fu isti-
tuito a'20 giugno i833 nella Spa-
gna, in memoria de' servigi prestati
alla primogenita del re Ferdinan-
do VII, ora regnante Maria Isa-
bella II regina di Spagna.
MARIA TERESA, Ordine eque-
8 MAR
stre. Dopo cl»e l'imperatrice regina
Maria Teresa d'Austria, figlia del-
l'imperatore Carlo VI, per i gene-
rosi aiuti de' suoi sudditi e per
quelli de' suoi alleali, pose termine
alla lunga e sanguinosa guerra
di successione , e che pel trattato
di Aquisgrana conchiuso nel 174^»
l'impero germanico respirò pace,
essendo ella salita al contrastato
trono insieme con Francesco 1 suo
sposo, già granduca di Toscana,
si applicò a far prosperare ne'suoi
stati le arti, le lettere e le scien-
ze, ed a beneficare tutte le classi
de'sudditi. Quindi assicuratasi del-
l'appoggio della Francia, e fatte
entrare ne'suoi progetti la Russia,
la Svezia e la Sassonia, si volle
vendicare della Prussia per averle
tolta la Slesia, lo che produsse la
famosa guerra de'sette anni, soste-
nuta da Federico II il Grande.
Diversi prosperi successi onoraro-
no le armi di Maria Teresa, fra
i quali la vittoria dai collegati ri-
portata sotto il comando del gene-
ral Daun a Rollin li 18 giugno
1757; la pace segnata a' 16 feb-
braio 1763 in Hubertsburg, ter-
minò la terribile contesa. L'impe-
ratrice fino dal 1756, epoca del-
l'i ncominciaTuento della guerra dei
sette anni, formò il disegno di fon-
dare un ordine militare ed eque-
stre, indi Io stabilì a' i3 maggio
1757, e lo mandò ad effetto dopo
la vittoria di Rollin, per immor-
talarne il felice evento. L'impera-
tore Francesco I fu solennemente
rivestito della dignità di gran mae-
stro dell'ordine, che prese il nome
della fondatrice. Gli statuti pubbli-
cati a*i2 dicembre 1758, furono
poscia corretti a' 1 2 dicembre 1 8 1 o
dall'imperatore d'Austria France-
sco li stabilendo che i di lui suc-
MAR
cessori ne sarebbero gran maestri.
Quest'ordine non m conferisce che
in premio di servigi militari sol-
tanto, non riguardandosi per con»
seguirlo uè la nobiltà de' natali ,
ne la professione di fede, ne gli
anni di servigio, uè la condizione
delle persone. Il numero de'deco-
rati è indeterminato, ammettendo-
si tutti coloro che se ne resero
degni. I cavalieri sono divisi in
tre classi , cioè in grancrocì, in
commendatori, ed in cavalieri sem-
plici. Ciascun cavaliere il quale
non sia nobile, volendo deve essere
ascritto alla nobiltà, in grado di
cavaliere degli stati ereditari d'Au-
stria; e bramandosi, mediante la
tassa di spedizione, a lui e discen-
denti si spedisce il diploma di
cavaliere degli stati ereditari d'Au^
stria . L' ordine conferisce otto
annue pensioni di i5oo fiorini
pei grancroci, sei di 800 fiorini
per la classe dei commendatori_, e
cento di 600 fiorini per la prima
divisione della classe de' cavalieri,
non che cento di 100 fiorini per
la seconda divisione de' medesimi.
Le vedove dei cavalieri pensionati
o non pensionati ottengono la
metà della pensione, a seconda del
grado portato dal loro defunto
marito. La festa dell'ordine è ai i5
d'ottobre, in cui ricorre quella di
s. Teresa , o nella domenica se-
guente. La decorazione dell'ordine
consiste in una croce d'oro smal-
tata in bianco alle due estremità;
nel centro vi è lo stemma di
casa d' Austria, col motto : Farti-
tudini, il quale trovasi pure sulla
medaglia de' grancroci , che sino
dal 1765 vennero aggiunti dal-
l'imperatore Giuseppe II, figlio del-
la fondatrice. Nel rovescio la croce
ha la cifra delle lettere iniziali di
MAR
MaVia Teresa, eircoiidate dix una
gliirlaiida di alloro. La decorazio-
ne si porta appesa ad un nastro
listato dei colori bianco e rosso.
MARIAMIA o MARIAMME ,
Mariamne . Sede vescovile della
seconda Siria, sotto la metropoli
di Apamea, nella diocesi di An-
tiochia, eretta nel quinto secolo.
Alessandro il Grande confermò la
sovranità della città a Geralostra-
te re di Ai ad. La città, al dire
del Terzi, Siria sacra p. 102,
traeva l'origine dai macedoni, o dai
mariandini popoli confinanti colla
Bitinia, e fu città fenicia, grande
e facoltosa, ma peri per le incur-
sioni de'saraceni. Ne furono vesco-
vi greci. Paolo che sottoscrisse al
concilio di Calcedonia ; Magno che
sottoscrisse hi lettera del concilio
di sua provincia all'imperatore Leo-
ne; Ciro che sottoscrisse la lette-
ra de'vescovi della propria provin-
cia a Giovanni di Costantinopoli;
Eterio che assistette al concilio di
Costantinopoli, tenuto sotto il pa-
triarca Menna neh' anno 536. O-
rieiis Chris t. toni. H, pag. 919.
Ebbe ancora questa sede alcuni
vescovi latini, come rilevasi dal
medesimo p. Le Quien, t. HI, p.
I 194. Dionigi mòri nel i45o, e
Durando Sapelli francescano fu no-
minato in successore da Nicolò \^
MARIANA. Città vescovile del-
l'isola di Corsica, presso la riva si-
nistra e la imboccatuia del Golo.
Dà il suo nome al cantone in cni
si trova, e il cui capoluogo è Bor-
go. Dicesi che ripete la sua origi-
ne dal console romano Mario, che
vi dedusse una colonia romana.
Dcicchè fu rovinata dai mussulmani
d Africa, il vescovo si ritirò in una
villa della sua diocesi, a destra di
detto fiume , sopra uu colle , e
MAR 9
dalla permanenza che poscia vi fe-
cero i vescovi successori, fu quella
villa chiamata il Vescovato , nome
che tuttora ritiene. Dopo però che
la Bastia divenne residenza de' go-
vernatori della Corsica, i vescovi
Mariauensi nel iGyS stabilirono ia
residenza in quella città. In Ma-
riana vedesi ancora la sua chiesa
antica cattedrale, già magnifica e
dedicata a s. Pietro o Petreio ve-
scovo e martire della città, ed ora
ridotta in istato lagrimevole : in essa
il vescovo prendeva possesso della
sua dignità. Il rimanente della città
non è più che un mucchio di ro-
vine. La sede eretta nel secolo IV,
fu sulFraganea dell'arcivescovo di Ge-
nova, e nel XVI le fu unita Accia
sotto Pio IV.
Il primo vescovo di Mariana fu
s. Petreio martire, a cui Ugo Co-
lonna romano eresse il nominato
tempio. Suo successore fu Catano
o Catone, il quale sedeva nel 3i4,
ed assistette al concilio di Arles.
Leone personaggio cospicuo, degno
d'ogni lode, ebbe da s. Gregorio I
una epistola che il Vitale riporta,
in sacra Corsica chronica. Gli al-
tri vescovi più meritevoli di men-
zione sono: Lunergio o Aspergio
del 900 ; Ottone Colonna , conse-
crato nel 11 18 dall'arcivescovo di
Pisa; Ladio o Joaphus, che nel
1179 intervenne al concilio gene-
rale di Laterano III; gli successe
Opizo Corti nco nobile corso, fallo
da Onorio 111 nel «219; fr. Vin-
cenzo francescano del i33i; fr. Ni-
colò ligure domenicano del i3t)6 ;
Giovanni Ormessa del 1390; Gre-
gorio Fieschi nobile genovese, fat-
to amministratore del i433, ([uin-
di cardinale ed arcivescovo di Ge-
nova ; Leonardo Fornari nobile ge-
uovese, che morendo nei 1482 la-
IO MAR
sci^ una sommo per la riparazione
di sua chiesa. Meritano pure ono-
i^vole ricordanza, fr. Giulio de Is-
sopo carmelitano, celebre predicato-
re ed illustre in erudizione, fatto
vescovo nel i494) c"' successe nel
seguente anno Ottaviano o Ottavio
Fornari nobile genovese, chiaro per
virtù, nominalo da Alessandro VI
chierico di cjimera e datario; morì
nel i5oo in Roma, e fu sepolto in
s. Agostino in magnifico avello. 11
di lui successore Gio. Rattisla Uso-
dimare, non conosciuto dall' Ughel-
li, che intervenne nel i5i2 al
concilio generale di Laterano V.
Indi fu vescovo Gio. Battista Ci-
bo. Nel i53i per sua rinunzia
Clemente VII ne fece amministra-
tore il cardinal Innocenzo Cibo, e
nel medesimo anno gli sostituì il
nipote Cesare Cibo, poi nel i54B
traslato a Torino, per cui Paolo IH
fece vescovo Ottaviano Cibo geno-
vese come i precedenti. Giulio III
fece vescovo il suo archìatro Bai-
duino Balduini; e nell'anno i554
deputf) amministratore il cardinal
Gio. Battista Cicada genovese , il
quale cetìelte la sede a Nicolò Ci-
cada a' i3 settembre i56o, sotto
di cui Pio IV unì in perpetuo a
Mariana la chiesa vescovile di Ac-
cia (Fedi), laonde fu il primo ve-
scovo d' Accia o Acci e Mariana.
Della sede d'Accia fu il primo ve-
scovo Martino, che dopo la rovina
cagionata dai goti alia città , s.
Gregorio I nel Sgi lo Iraslatò a
Sagona. Sino al 900 non si trova-
no altre notizie sui vescovi d'Accia,
e Nicolò n' è il primo. Nominere-
mo per distinzione Imerio Gnarda-
lupi francos<;ano , celebre teologo ,
eletto vescovo di Accia da Grego-
rio X cui era prediletto , e inter-
venne nel 1274 al concilio di Lio-
MAR
ne IT. Gli successe nel 1297 Ben-
venuto monaco cistcrciense. Boni-
facio IX per lo stato deplorabile
della sede, ne affidò la cura al ve-
scovo di Gravina Francesco Bonac-
corsi. Fr. Antonio corso de' minori
osservanti fu fatto vescovo di Ac-
cia da Martino V nel i4iB> >1
quale nel i ^1 1 gli die a successore
fr. Anello o Agnello napoletano car-
melitano, insigne teologo. Indi nel
[44 1 'o divenne il corso fr. Al-
bertino de Casini domenicano, che
l'Oli vensi vuole francescano. Giro-
lamo Buccaureatus protonotario par-
tecipante di Sanseverino, fatto nel
i54'> vescovo da Paolo IH, non
che canonico di s. Pietro e vice-
datario. Giulio III nel 1 553 nomi-
nò vescovo d'Accia fr. Agostino Sel-
vaggi nobile genovese, domenicano
illustre per dottrina e costumi, tras-
lato a Genova nel 1559. Pio IV
nel i56o gli sostituì fr. Giulio Su-
perchi mantovano dell' ordine car-
melitano, che nel r 563 trasferì alla
sede Crapurlanense, intervenendo al
concilio di Trento. Finalmente dopo
tale ultimo vescovo. Pio IV dichia-
rò il suddetto Nicolò Cicada vesco-
vo di Mariana, amministratore di
Accia, che unì in perpetuo a Ma-
riana.
Morì Nicolò nel 1570, e Grego-
rio XI li fece vescovo di Mariana
ed Accia Gio. Battista Centurioni
nobile genovese. Girolamo del Poz-
zo o Pozzi della Spezia divenne
vescovo nel 1599, sotto del quale
la chiesa di Bastia dedicata alla
Beala Vergine Assunta fu ampliata
e restaurata, mediante ancora la
somma lasciata dal mentovalo ve-
scovo Fornari. ^fel 1622 Gregorio
XV fece vescovo Giulio Pozzi, mor-
to nel 1645. In suo luogo Imio-
ceuzo X pose sulla sede di Maria-
MAR
na Gio. Agostino Marlìaiii genove-
se : fu consecrato in Roma, celebrò
il sinodo, ed illustrò la diocesi col
suo zelo. Per sua cessione nel i656
divenne vescovo Carlo Fabiizio Giu-
stiniani genovese; nel 1682 Ago-
stino Fieschi nobile genovese tea-
tino, dottore ed egregio predicato-
re ; nel 1686 Gio. Carlo de Mari
nobile genovese, altro teatino, che ri-
nunziando nel 1 704, Clemente XI gli
surrogò Mario Emmanuele Duraz-
zo, Iraslato da Aleria, ed a questi
nel T707 Andrea della Rocca no-
bile genovese, abbate de' canonici
regolari lateranensi. Con lui V U-
ghelli ed i suoi continuatori, Itrr-
lìa snera t. IV, p. 999 e se^.^ ter-
minano la serie de' vescovi di Ma-
riana ed Acci,. la cui continuazione
si legge nelle annuali Notizie di
Roma, eh' è ia seguente. Clemente
XI a* 3 luelio 1720 traslatò da
Aleria alle sedi di Acci e Mariana
in Corsica, Agostino Saluzzi geno-
vese. Benedetto XIV nel i 747 fece
vescovo Domenico Saporiti genove-
se. Clemente XIV nel 1772 vi
traslatò da Sagona Angelo Edoar-
do Stefanini, nato in Bastia dio-
cesi di Mariana. Pio VI fece ve-
scovo di Mariana ed. Acci nel 1775»
Francesco Cittadella della diocesi
di Sagona, traslato da Nebbio ; nel
1782 Pietro Pineau Duverdier del-
la diocesi d'Ageii ; ed a' 3o marzo
1789 Ignazio Francesco de Joannis
Verclos d'Avignone, che fu l'ultimo
vescovo; poiché il Papa Pio VII
nel concordato de' 29 novembre
1801 soppresse non solo le sedi
vescovili di Mariana ed Accia o
Acci, ma ancora quelle di Sago-
na, Nebbio, Aleria ed Aiaccio nella
Corsica , solo ripristinando quella
di Aiaccio, che quale unico vesco-
vo dell'isola, sotto di lui passarono
xMAR ic
le diocesi di Mariana ed Accia. V.
Corsica.
MARIANA Giovanni. Celebre ge-
suita, nato in Talavera diocesi di
Toledo in Ispagna, studiò ad Ai-
cala , ed entrò nella società nel
i554, all'età di diciassette anni. Ap-
prese il greco, r ebraico , la teolo-
gia, la storia sacra e profana. In-
segnò a Roma ed a Parigi, e mori
a Toledo li 17 febbraio 1624, do-
po aver composto diverse opere ,
cioè : Hìstoria de rebus Hispanìae ^
ristampata nel 1788 colla continua-
zione del p. Emmanuele Mariana del-
l'ordine della redenzione degli schia-
vi. Scolii sulV antico e nuovo Testa-
mentOj Parigi 1620. De rege et re-
gis institutione, in tre libri, che fu-
rono censurati dalla facoltà teolo-
gica di Parigi, quindi bruciati. Set-
te trattati storici e teologici stam-
pati a Colonia ed a Lione nel 1609.
Più, un curioso trattato sui pesi e
misure, pubblicato in Toledo nel
1 599, ed altre opere. Fu ancora
lodato pei commenti sulla Scrit-
tura.
MARIANNE (Marianen). Città
con residenza vescovile nell'impero
del Brasile, provincia di Minas-Ge-
raes, lunge quattro leghe da Villa-
Ricca e cinquanta da Rio-Janeiro.
Giace sulla riva destra di un pic-
colo affluente della Piranga. Pic-
cola ma bella, le sue slcade sono
lastricate, e le nuove case ben fab-
bricate in pietra. Vi sono due piaz-
ze e sette fontane pubbliche. Il
palazzo vescovile e quello della cit-
tà sono belli edifizi ; la cattedrale
è di una costruzione più elegante
che solida. Evvi un grandissimo se-
minario, molte chiese , vari con-
venti e l'ospedale. Il commercio è
qui poco considerabile, quantunque
la provincia è di un gran prodotto
Il MAH
per la corona, inassìtito [)er (.|iiai)to
ricava dalle ricche miniete d' oro.
Conta più di 7000 abitanti, la mag-
gior parte de* quali travaglia nelle
miniere del territorio. Questa città
non era die un borgo, (piando Gio-
vanni V re di Portogallo essendosi
ammogliato con donna Marianna
d'Austria, le diede il titolo di cit-
tà in onore della sua sposa, ed
ottenne nel in ^5 a' i5 dicembre
dalla santa Sede, che l'erigesse in
vescovato.
La sede vescovile dunque fu isti-
tuita da Benedetto XIV, col di vi-
siere il vasto territorio del vescovo
del Rio di Gennaro nello stesso
Brasile ossia s. Sebastiano, median-
te il disposto della costituzione ,
Candor lucis aelernae^ presso il suo
Bull. t. II, p. i53, e dichiarandola
sufFraganea dell'arcivescovo di s. Sal-
vatore nel Brasile, di cui lo è tut-
tora. Per primo vescovo dichiarò
fr. Emmanuele della Croce, trasla-
tandolo da s. Lodovico del Mara-
gnaiio, nato in 4>. Eulalia nullius
(lioecesisj provincia di Portogallo, co-
me abbiamo dalle annuali Notizie
di Roma, che riportano la seguente
sene de' vescovi di Marianne. Cle-
mente XIV nel 1773 fece secon-
do vescovo' Bartolomeo Emmanuele
Mendes dos Reys, di Sercoza dio-
cesi di Coimbra , trasferendolo da
Macao. Pio VI preconizzò vescovi,
nel 1779 fr. Domenico dell' Incar-
nazione Pontevel domenicano di San-
ta rem diocesi di Lisbona ; e nel
1797 fr. Cipriano di s. Giuseppe
domenicano di Lisbona. Pio VI[
nel 1819 dichiarò successore fr.
Giuseppe della ss. Trinità minore
riformato di Porto. Gregorio XVI
successivamente elesse vescovi , nel
concistoro de' 17 dicembre 1840,
Carlo Pereira Freire de Moui a ,
MAR
della diocesi di s. Salvatore della
Buja ; e per sua morte nel conci-
sloro de' 21 gennaio 184+ l'odier-
no monsignor Antonio Ferreira Vi-
scoso, della congregazione di s. Vin-
cenzo de Paoli, di Peniche patriar-
cato di Lisbona, lettore in teologia,
già rettore e professore di hngue
nel seminario d'Angra de Reis. Am-
bedue questi ultimi vescovi furono
nominati dal regnante imperatore
Pietro II.
La chiesa cattedrale è dedicata
alla Beata Vergine Maria assunta
in cielo. 11 capitolo si cocnpone di
quattro dignità, la prima delle quali
è l'arcidiacono, di dieci canonici ,
senza le prebende teologale e pe-
nitenziaria, di altrettanti cappellani
cantori, oltre altri preti e chierici
addetti al divino servigio. Nella cat-
tedrale avvi il fonte battesimale,
e la cura d'anime si amuiinistra
da un sacerdote, venerandovisi una
reliquia del legno della ss. Croce.
L'episcopio è poco distante dalla
cattedrale, ed è unito al seminario.
Nella città non vi sono altre par-
rocchie, né monasteri con regolari;
sonovi bensì delle confraternite ed
ali re pie istituzioni. La diocesi com-
prende la più gran parte della pro-
vincia di Minas Geraes , e perciò
contiene molti luoghi. Ad ogni nuo-
vo vescovo le tasse ne' libri della
camera apostolica ascendono a fio-
rini centosedici, proporzionate alle
rendite della mensa che sono circa
duemila quattrocento scudi romani.
MARIANO e GIACOMO (ss.),
martiri. Il primo era lettore, il se-
condo diacono, ambedue di santa
vita, e forse parenti. Verso l'anno
259 si recarono insieme nella Nu-
midia, da qualche lontana provin-
cia dell'Africa. Fervendo colà la
persecuzione mossa dall'imperatore
MAR
Valeriano contro i cristiani, furono
nireslali in un luogo chiamato Mu-
guas, presso alla città di Cirta, e
crudelmente torturati. Quindi fu-
rono rimessi in prigione con molti
altri cristiani, dalla quale n' erano
tratti ogni giorno alcuni per essere
giustiziali. Nel numero di quelli che
ricevettero per tal modo la corona
del martirio furono Agapio e Se-
condino vescovi, i quali sono ono-
rati dalla Chiesa a* dì 29 d'aprile.
Vedendo i magistrati che questi va-
lorosi cristiani erano fermi nel con-
fessare la loro fede , mandarono
Giacomo e Mariano, con un gran
numero d'altri prigionieri, al go-
vernatore della provincia eh' era a
Lambese. Soffersero assai durante il
cammino, ch'era lungo e difficile;
e come furono giunti, vennero to-
sto messi in prigione, ed ogni gior-
no molli di loro erano fatti morire.
Finalmente schieratili tutti in una
valle, furono derapitali. Questi san-
ti consumarono il loro martirio nel
259 o 260, forse a' d'i 6 di mag-
gio, al qual giorno Irovansi i loro
nomi neir antico calendario di Car-
tagine; ma gli autori latini ed il
martirologio romano pongono la
loro festa a' 3o d'aprile. S. Giaco-
mo e s. Mariano sono protettori di
Gubbio, nel ducalo d'Urbino, e vuoisi
che le loro reliquie sieno nella cat-
ttdiale di questa città.
MAPilAlNO (s.), solitario nel Ber-
ry. Fioriva nel sesto secolo, e me-
nava nella solitudine una vita mollò
oscura. Egli non si nudriva che di
frutti selvaggi e del mele che tro-
vava ne' boschi, ne si lasciava ve-
dere die in certi tempi dell'anno.
I\on essendo una volta comparso,
com'era solito, fu cercalo per tut-
to, e finaluìente fu trovalo morto
sotto di un albero in fondo ad un
MAR i3
bosco. 11 suo corpo Tenne portato
al borgo d'Evau o Esvaon, nel
paese di Combrailles, ed i miracoli
da Dio operati alla sua tomba fe-
cero istituire una festa in onore di
lui. Nel martirologio d' Usuardo e
nel romano è menzionato a' 19 di
agosto; ma in alcuni antichi bre-
viari di Bourges la sua festa è in-
dicata a' 19 di settembre.
MARIANO Scoto. Fu chiamato
Scoto perchè secondo alcuni era
scozzese, benché irlandese ; nacque
nel 1028, ed era parente del ven.
Beda. Nel loSs recossi in Geri;na-
nia, e vestì l'abito religioso a Co-
lonia nel I o58. Nel seguente anno
si ritirò nell'abbazia di Fulda , ivi
si ordinò prete, poscia passò a Ma-
gonza, ove morì d'anni 58 in gran
riputazione, lasciando una cronaca
dalla nascita di Gesìi Cristo sino
al io83, che Dodechino abbate di
s. Disibodo nella diocesi di Treveri
continuò sino al 1200. Si attribui-
scono a Mariano altre opere, come
Caiciilalio de universali tempore.
E annoveralo fra gli autori che
scrissero intorno alla favola della
papessa Giovanna^ ma il p. Pagi
afferma che nella cronaca dello Sco-
to non è fatto alcun cenno dì tal
ridicola invenzione. D'altronde Vi-
gnole asserisce che se ne fa memo-
ria qual voce popolare.
MARIANOPOLl, Marianopolis.
Sede vescovile dell'Eufrate sotto la
metropoli di Jerapoli, nel patriar-
cato di Antiochia, eretta nel V se-
colo. Ne fu vescovo Cosimo, pel
quale s. Stefano suo metropolitano
sottoscrisse al concilio di Calcedo-
nia. Orìens christ. t. II, p. 95 1.
MARIE (Tre). Sotto questo no-
me s'intendono Ire persone di cui
si fa menzione nel vangelo, cioè
Maria Maddalena, Maria sorella di
i4 MAK
LazKaroj e la peccatrice di jVaim ,
die sparse Tungueiito sui piedi di
Gesù Cristo presso Simone il fari-
seo. Si cerca se queste sieno tre
persone diverse, ovvero se sia la
stessa indicata sotto diversi carat-
teri. 11 p. Calmet in una disserta-
zione su tal soggetto, dopo aver
esposte le diverse opinioni e le pro-
ve su cui i |3adri , i commentatori,
i critici si sono appoggiali, conchiu-
de col giudicare che la questione
è ad un dipresso interminabile;
pure egli inclina all' opinione di
quei che distinguono le tre Marie,
e quando si sta al testo del van-
gelo, questa opinione sembra la più
probabile.'
MARINA (s.), vergine. Fiori nel-
la Eitinia, servendo a Dio nello
stato monastico con straordinario
fervore. Ella è rinomata nelle vite
de' padri del deserto, per la sua
umiltà e pazienza. Si colloca la
siw morte verso la metà del secolo
YIII. JVel i23o le sue reliquie fu-
rono trasportate da Costantinopoli
a Venezia, dove si custodivano in
una chiesa intitolata del nome di
lei, la quale essendo stata tolta al
culto divino, come tanti altri tem-
pli di questa città, in tempo della
dominazione francese , le reliquie
della santa vennero collocate nella
vicina parrocchiale di s. Maria For-
mosa. Nel martirologio romano e
nel breviario nuovo di Parigi, s.
Marina è nominata a' i8 di giu-
gno. A Venezia si celebra la festa
della traslazione delle sue reliquie
a* 17 di luglio.
MARINA o MARINERIA. Arte
del marinaro. Si disse inoltre ma-
rina e marineria una moltitudine
di naviganti in armata^ e più re-
centemente sull'esempio di altre na-
zioni si adottò d«i alcuni il foca-
MAR
bolo di marina y col quale si ab-
braccia tutto quello che appartiene
al servigio di mare, sia per la na-
vigazione, sia per la costruzione del-
le navi, il commercio marittimo e
le forze marittime. Nautica si chia-
ma la scienza e l'arte di navigare:
dalla navigazione si riportarono im-
mensi vantaggi alla geografia, alla
storia, alle scienze, alle arti, al com-
mercio ed alle concjuiste; quindi
scuole di nautica e di navigazione
furono stabilite in vari stati d'Eu-
ropa con felici successi. Anche gli
italiani ebbero anticamente di tali
scuole, come furono i primi sino
dal XV secolo a formare carte nau-
tiche , fiorirono perciò scuole di
nautica nelle principali città ma-
rittime d'Italia, e in alcune tuttora
fioriscono. Ammiraglio si appella il
comandante o capitano generale del-
le armate di mare; vocabolo che
vuoisi derivato dall'arabo amir o
e/7»r, che significa governatore di
piovincia o generale d'esercito, per
cui vuoisi introdotto fra noi dopo
i viaggi fatti in oriente. I saraceni
pei primi chiamarono ammiragli i
capitani delle loro flotte , e dopo
di essi i siciliani ed i genovesi. In
Francia s' incominciò a conoscere
nel 1270. Gl'inglesi danno il tito-
lo di ammiraglio al comandante di
qualunque flotta. Chiamasi ammi-
raglia la nave del comandante ve-
stito di questo titolo : ne' porti la
nave ammiraglia è una vecchia na-
ve, per lo più incapace di tenere il
mare. Essa sta sempre in porto,
tiene inalberato lo stendardo, chia-
ma a bordo i capitani delle navi
ch'entrano; dà alla sera il segnale
della ritirata col cannone, e rende
il saluto alle navi straniere. Dicesi
ammiragliato l'uffizio o il luogo del
tribunale dell'ammirali tà, cosi chia-
MAR
ruandosi i diversi uffizioli che han-
no ispezione sugU affari della ma-
rina.
Tulli gli antichi scriltori greci
e latini rappresentano i fenicii come
i primi e più celebri navigatori, e
della loro destrezza in quest' ar-
te fanno prova i viaggi da essi
tentati sino dai tempi più aulichi
ai più remoti lidi, giacche essi fe-
cero più volte il giro intorno al-
l'Africa, e da altra parte si spinsero
fino al Baltico. Pimio rappresentò
gli antichi franchi o germani come
ì popoli dell'Europa più esperti nel-
l'arie della marineria : i loro vascel-
li fatti di molti pezzi di cuoio cuciti
insieme, o anche di vimini coperti
di cuoio, non avevano né prora ,
uè vele, e si avanzavano soltanto a
forza di remi. La loro navigazione
fu assai limitata da princìpio, ma
poco a poco si arrischiarono ad
intraprendere viaggi di più lungo
corso, scorrendo le coste della Gal-
lia e della Spagna, indi per lo stret-
to di Gibilterra penetrarono nel
Mediterraneo. A* tempi dell'impe-
ratore Giustiniano I i franchi s'im-
padronirono delia Provenza, di Mar-
siglia, antica colonia de' focesi, e del
mare adiacente, per cui si deduce
che verso l'anno SSg i franchi già
possedessero una specie di marina.
Tutlavolta sembra che Clodoveo I
e i suoi discendenti trascurassero
l'arte della navigazione, alla quale
pare che Carlo Magno prestasse
qualche attenzione. Fu però ne-
gletta di nuovo tale arte dopo la
sua morte, per cui nelle crociate i
francesi furono costretti ricorrere
ai veneziani e genovesi, già possenti
in marina, e noleggiare a prezzo
enorme i loro vascelli. In seguito
s. Luigi IX, Filippo III, e Filippo
IV fecero grandi sforzi per stabi-
MAR 1 5
lire la marina francese , che fece
salpare dai suoi porti in diverse
epoche flotte di qualche forza e
portata, e tentarono alcune spedi-
zioni marittime. Già gl'italiani, spe-
cialmente i veneziani, i genovesi, i
pisani e gli amalfitani , come di-
ciamo ai loro articoli, si erano da
lungo tempo distinti per la loro
perizia nella marineria , essendosi
impadroniti di tutto il traffico ma-
rittimo coU'Asia e coli' Africa , ed
alcuni persino in lontane terre pres-
so il mar Nero. Altresì i portoghesi,
e ad esempio loro gli spagnuoli, si
erano pure segnalati con lontane
navigazioni, e i primi avevano ri-
conosciute tutte le coste dell'Africa,
scoperte nuove isole, e trovato il
passaggio delle Indie orientali , gi-
rando intorno all'estremità dell'A-
frica; i secondi colla scorta di un
ingegno italiano, 1' immortale Cri-
stoforo Colombo, spinte avevano le
loro navigazioni sino nell'America,
e scoperto il nuovo mondo. 1 fran-
cesi dopo Filippo VI di Valois la-
sciarono cadere la marina in uno
stato di languore, che durò sino a
Francesco I, il quale riuscì a for-
mare una jflolta di i5o grossi va-
scelli, e di altri 6o minori. In pro-
gresso la marina francese venne ri-
stabilita in forza da Enrico IV ; ma
intanto gli olandesi e gì' inglesi si
erano grandemente raffi^rzati nel-
l'arte di costruire i vascelli, e nella
marineria si erano distinti per mol-
te ardite navigazioni e per alcune
scoperte ; anzi le imprese de' pirati
e degli avventurieri risvegliarono in
quelle nazioni e governi il gusto
della navigazione, e lo studio d'in-
grandire e fortificare considerabil-
mente la marina. Sotto il regno di
Luigi XIII il cardinal Richelieu fece
cQStiuire molti vascelli, fece espur-
I ti M A R
{^are tulli i porti, ed alcuni ne for-
tificò ; poscia Luigi XIV nel suo
liin«o e luminoso regno portò la
marina francese a quel grado di
splendore che la rese per qualche
tempo formidabile n tutta l'Euro-
pa. Ma r Inghilterra, la Spagna e
l'Olanda aveano una marina flori-
dissima, quando la Francia solo
possedeva alcuni vascelli, finche Lui-
gi XIV in breve tempo avendo
fallo costruire porti, arsenali e va-
scelli, quasi con una specie d'in-
canto armò una flotta considerabile,
che disputò agi' inglesi l' impero del
mare, fece chinare la bandiera agli
ammiragli spagnuoli , e bombardò
Algeri, ora in potere della Francia.
In Europa V Inghilterra, la Fran-
cia^ e la Russia (f^edi)^ sono po-
tenze formidabili anche in mare ,
per le loro numerose flotte e per
le loro agguerrite e possenti ma-
rine.
In Itaha si diede il nome di
Flotta anticamente ad una com-
pagnia o unione di bastimenti
mercantili, i quali navigavano di
conserva. Si diede poi il nome di
flotta, ma però abusivamente, an-
che ad una squadra o ad un'ar-
mata navale. I nostri antichi scrit-
tori non accennarono giammai le
poderose flotte d'Inghilterra, d'O-
landa e di Portogallo, se non co-
me portatrici di mercanzie. Nel
dizionario francese delle Orìgini si
definisce la flotta un numero con-
siderabile di vascelli che navigano
di conserva, tanto pel traffico, co-
me per la guerra; e si dice che
le flotte de'feaicii sono le prime di
cui si faccia menzione nella storia.
Si videro successivamente flotte
nella Grecia, nella Sicilia, nella
Sardegna e nelle Gallie. Ma i
fenicii incoraggiti dai loro gran-
M A R
diosi e continuati successi, osarono
finalmente passare lo stretto in-
oggi detto Gibilterra (che per la
sua celebrità, e per essere in pos-
sesso degl'inglesi, descrivemmo in
fine del citato articolo Inghilter-
ra), verso l'anno i2 5o avanti l'era
volgare, e le loro flotte si estesero
allora in tutto l'Oceano, e si spin-
sero a destra e a sinistra di quello
stretto. L'esempio dei fenicii diede
ben presto agli idumei, agli ebrei
ed ai siri, l' idea di porre insieme
e di munire dei necessari attrezzi
alcune flotte mercantili. Nella sa-
cra Scrittura si parla sovente di
frequenti viaggi che facevano le
grandi flotte del re Salomone nel-
l'Africa, nella terra d'Ofir e di
Tarsis, ma probabilmente erano i
fenicii che le conducevano, perchè
gli ebrei non pare se ne occupassero.
Il creatore della marina egiziana
si reputa generalmente Boccori, che
nell'Egitto regnava 670 anni a-
vanti la nostra era. Sino a quell'e-
poca la marina egizia non consi-
steva che in poche barche, o an-
co in una specie di zattere, delle
quali si faceva uso per costeggiare
le rive del golfo arabico. Neco fi-
glio di Boccori, dopo aver fatto
costruire gran numero di vascelli,
spedi dalle rive del mar Rosso una
flotta, che seguendo i di lui ordi-
ni, fece il giro di tutta l'Africa,, e
tornò in Egitto rientrando nel Me-
diterraneo per le colonne d'Erco-
le, o sia per lo stretto di Cadice
o di Gibilterra. Anche di questa
impresa però si dice che furono
condottieri i fenicii, e che fu com-
piuto quel giro nel periodo di tre .
anni. Tucidide parla d'una memo-
rabile battaglia navale, che si die-
de 600 anni circa avanti l'era vol-
gare, tra una flotta de' corinti ed
MAR
nìtra degli abitanti di Corcira; e
cjiieslo è il più antico combatti-
mento navale di cui si abbia men-
zione nella storia greca. L'ampia
pianma di Roma, detta ora prati
di Monte Testaccio, fu dai roma-
ni chiamata Navalis regio, e JVa-
yalia, dopo che vemie particolar-
mente destinata alla costruzione e
custodia delle navi, ed all'approdo
delle barche che risalivano dal
mare il Tevere. La contiada pre-
se da ciò tal nome nel IV secolo
di Roma, forse dopo la riedifica-
zione della città l'anno 365 avve-
nuta, ed allora fu dato il nome
di Navalis alla porta prossima sul-
la riva sinistra del Tevere presso
l'Aventino. La prima flotta spedi-
ta dai romani nella prima guerra
punica, era composta di 160 ve-
le; quello però che sembra incre-
dibile è ch'essi avevano impiegato
soli sessanta giorni nel tagliare il
legname, e nel fabbricare tutti quei
vascelli. Al tempo della seconda
guerra, punica, al dire di Plinio,
i romani spesero quaranta giorni
per munire ed eqi.iipàggiare una
flotta, e per abilitarla a scórrere
sul mare.
Già i romani prima delle due
guerre, puniche, e nell'anno di Ro-
ma 4' 6 avevano rovinato il por-
lo d' Amo , impadronendosi del-
la flotta degli anziati, numerosa di
venlidue vascelli; quindi seriamen-
te si applicarono allo stabilimento
e al governo della loro aiarina.
Laonde spedirono poscia flotte nu-
merose su tutte le coste del Me-
diterraneo, nella Sicilia, e nell'A-
frica contro i cartaginesi; ne spedi-
rono nella Macedonia contro il re Fi-
lippo, e poscia ancora contro Perseo;
nell'Asia contro Antioco; sulle co-
ste della- Grecia contro gli etolii;
VOL. XLIII.
MAR 17
finalmente su quelle dell'Asia mi-
nore e della Cilicia contro Mitri-
date ed i pirati. Avevano i roma-
ni per difesa dei mari Adriatico e
Tirreno o toscana parte del Medi-
terraneo, due armate marittime
principalissime, una nel porto Mi-
sentì fra Baia e Ischina, che servi-
va per tutto il ponente, mezzogior-
no e tramontana, l'altra a Ravenna
ohe serviva per tutto il levante, am-
bedue cosi ordinate da Augusto. Ser-
viva quella del porto Miseno, per
la Francia, Spagna, Mauritiana,
Africa e per l'Egitto; quella di Ra-
venna, il di cui porto era assai
ben munito, e capace di duecento-
cinquanta navi, serviva per l'Epi-
ro, Ragusi, Macedonia, Acaia, Si-
cilia j Cipro, Arcipelago, Mare Mag-
giore, ed altre provincie. Teneva-
no similmente i romani due altre
armate minori, cioè una nel porto
d'Ostia, l'altra nella Gallia War-
bonese nel Foro di Giulia, per cui
possedevano ordinariamente in di-
versi luoghi quattro armate con-
siderabili, oltre quella che stava
nel mare Maggiore ossia sopra Co-
stantinopohj dov'era in quie' tempi
un porto capace di cento navi, ia
cui a tempo di Gioseffo istorico
mantenevano trentamila soldati e
quaranta galere. Nei fiumi grossi
ne avevano tre. I romani , come;
meglio dicemmo a Corona , conce-
devano la corona navale d'oro a
col.ui che pel primo fosse entrato
armato nella nave nemica; la co-
rona poi classica o rostrale si da-
va a quello che con vittoria aves-
se vinto in mare il nemico, come
fu data a Marco Varrone ed a
Marco Agrippa. Lduumviri o com-
missari di marina, furono creati
l'anno di Roma 5^i : era loro cu-
ra di far costruire ed equipaggia-
Èobwvtwi m^i
■n
Ck
i8 MAR
re le navi. Si dislingiirvnno nelle
flotte greche e romane due diver-
se specie di vascelli, i grandi e i
piccoli; quelle dne specie divide-
"vansì ancora in biremi, Iriretìrìi ,
quadrii'emi e qiiinquìremi, secon-
do il numero degli ordini dì re-
mi e dì rematori che vi si appli-
cavano ; Polibio pel primo descris-
se !e nari de'romani, che in prin-
cipio abborrirono la marina. Os-
servano alcuni, massime gli storici
dell'antica marina, che per le na-
vi da guerra si faceva usò piut-
tosto di remi che non di vele, e
che all'opposto le navi mercanti-
li o di trasporto, sì facevano viag-
giare piuttosto a vele che non a
remi. Tra le flotte di cui si fa
menzione nella storia moderna, la
più celebre dìcesi quella che Fi-
lippo II avea disposto durante lo
spazio di tré anni nel Portogallo,
a Napoli e nella Sicilia, affine di
detronizzare la regina Elisabetta;
ma benché nominata V ìmdncihìle,
a suo luogo dicemmo la funesta sor-
te di essa, e come andò a vuoto la
spedizione. Nei bassi tempi, massi-
me ne'mari del Levante, i vene-
ziani, i pisani, gli amalfitani, ì ge-
novesi, Spedirono assai numerose
flotte; e le più grandi flotte o ar-
mate navali, che si resero celebri
ne* secoli XV e XVI, furono per
lo più formate o ingrossate da va-
scelli delle potenze italiane.
Le barche più antiche, dicono
alcuni scrittori, non furono pro-
babilmente se non che tronchi" di
albero scavati, o forse ancoia ta-
vole o tronchi d'albero galleggian-
ti, su le quali gli uomini si affi-
darono alle onde. Sembra altresì
che molte nazioni più antiche fa-
cessero uso di battelli composti di
verghe flessibili, alle quali colléga-
MAR
fc e coperte dì cuoio, si dava la
forma d'una navicella. Da princi-
pio, dicono altri, non sì adopera-
vano che zatfeie (veicoli o carri
piani di legni collegati insieme, che
vanno nelle acque come a nuoto),
piroghe (barchette de* selvaggi a-
mericani fatte dì un tronco d'al-
bero scavato), o semplici barche.
Le prime rozze barche non erano
se non che schifi deboli e leggeri,
che si condiicevano a remi, chia-
mandosi ora schifi le più piccole
barchette per cui dal vascello o
nave si scende a terra, appellate
pure lancie. Alcuni affermano che
le prime navicelle furono costrut-
; te sul modello degli uccelli che
teggonsi nuotare al disopra delle
acque, é certamente si trova nel-
le barche in generale qualche idea
di quella forma, perchè tutte pre-
sentano una convessità al disotto,
e una convessità al disopia , che
tiene il luogo dello stomaco e del-
l'addome degli uccelli, e il collo,
la testa e il becco danno l'idea
della prora eh* è la parte dinanzi
della nave, opposto di poppa eh' è
la paite deretana delle navi; co-
me la coda somministra la figura
e l'idea della poppa col timone,
il quale è quel' legno mobi-le, con
cui si governa il moto della nave,
e Serve di guida. Il moto altresì
dei piedi degli uccelli acquatici ha
potuto facilmente fornir l' idea dei
remi, che a somiglianza di quelli
de' palmipedi si sono fatti più lar-
ghi ad una delle estremità. Inol-
tre si prefende che Dedalo in-
ventasse le vele, allorché tentò di
fuggire dall'isola di Greta, e che
col mezzo di quelle egli attraver-
sasse la flotta di Minosse re del-
l'isola, senza che ad alcuni riuscis-
se arrestarlo . Si fecero ancora
MAR
lìarclie iH luoio, e le iisaiOTio certi
popoli dell' Indili, e Cesare le ordi-
nò a'suoi soldati nella spedizione
d' Inghilterra. I babilonesi andava-
no per rEulVale in barelle di euoio
di figura rotonda. Di cuoio e di otri
congiunti furono fabbricati de'pon-
àì per trapassare le armate, e gli u-
sarono pure i romani, i quali ebbe-
ro il Collegio degli ulriculari , che
erano persone che facevano le
barche e i ponti con otri per ser-
virsene ne'fìumi e nel mare. JN'oii
conoscendosi chi pel primo abbia
costruito navi, l>isogna riguardare
forse per la prima l'arca di Noè,
di cui Dio stesso indicò le dimen-
sioni e diverse proporzioni, il mo-
do di costruirla e di renderla im-
penetrabile alle acque. Si può cre-
dere tuttavia che alcune orli fos-
sero già praticale dagli antidilu-
viani, perchè Dio ordinò a Noè
di fabbricare quella nave di legni
levigati, di formarvi diverse came-
re, con finestra e tetto: ciò fa ri-
tenere che cognizioni edificatorie si
conoscessero. In progresso di tem-
po, divenuto generale l'uso delle
navi presso lutti i popoli, «e ne
costruirono di varie sorti, di varie
grandezze e materie, e l'arte della
costruzione navale, straordinaria-
mente estesa e ingrandita, giunse
a fabbricare moli galleggianti, sor-
prendenti per la loro grandez-
za e solidità, e destinate fin an-
che agli usi di guerra. Sarà sem-
pre oggetto di meraviglia^ il con-
siderare, come su barche si tras-
portassero in Roma, specialmente
dall'Egitto, moli di un peso straor-
dinario, come gli obelischi che tut-
tora ammiriamo.
Nave è vocabolo che significa
propriamente ogni legno da navi-
gare, ma più spesso si usa a si-
MAR 19
gnifìcai'e ì bastimenti grandi che
hanno tre alberi con piò ordini
di vele, per trasportar mercanzie
o armati per servizio dello stato
e della guerra; questa specie di
navi sono chiamate anche navi
grosse. Di mano in mano che la
navigazione si eslese e diventò più
frequente, si perfezionò la costru-
zione delle navij si fecero queste
di più grandi dimensioni, è fu d'uo-
po allora di maggiore mano di
opera, e di iin artifizio maggiore
per muoverle e per guidarle. Non
si lardò a riconoscere l'utilità che
trarre potevasi dal vento per faci-
litare e rendere più veloce il corso
di ima nave, e si trovò l'arte di
valersene col mezzo degli alberi o
antenne e delle vele : alcuni sono
di avviso, che il nautilio papira-
ceo, detto dai naturalisti argonau-
ta argo, e non raro anche nel
Mediterraneo, abbia dato il primo
r idea della vela applicabile alle
navi, poiché quel testaceo manda
fuori dal suo nicchio una specie di
vela o cartilagine o membrana,
la quale gonfiata dal vento. Io
trasporta rapidamente a grandissi-
me distanze. Opinano alcuni che
le navi de'fenicii fossero somiglian-
ti in parte alle galee, cioè navi-
gassero a vela ed a remi ; facendo
uso delle prime se il vento era fa-
vorevole, e dei secondi durante le
calme e quando i venti erano con-
trari. I greci fecero progressi nel-
l'architettura e nella costruzione
navale, dopo che Giasone fece co-
struire' una nave che per la sua
grandezza e corredo superò tutte
quelle che eransi fino allora vedute,
all'oggetto di penetrare nella Col-
chide cogli argonauti, per la con-
quista del vello d'oro. Presso i
ffreci e i romani vi furono due
30 MAR
sorta di navi, le Une destinale al
traflGco, al liaspoi^to delle mercan-
zie, de* viveri e delle Iruppe, e que-
ste, cbiamavansi navi da carico,
naves oncrariaej le altre alle sol-
tanto alla guerra, o adoperate a
queir uso, dicevansi lungae navesy
naVi lunghe, e questo nome si per-
petuò in Italia, e si mantenne an-
che ne' tempi di mezzo e sin qua-
si al passato secolo. Si pretende
/òhe presso i romani queste navi
avessero realmente un notabile pro-
lungamento, a disti-nzione delle al-
tre la cui forma avvicina vasi alla
rotonda o all'ovale. Le navi d'al-
tronde erano aperte e senza pun-
te; esse non ayeano neppure alla
prora que'rostri di bronzo che qua-
lificavano le navi da guerra, chia-
mati anco speroni, ed erano pur
di ferro e di rame. Con nati gui-
dale da remi e vele, benché ma -
Jamenle costrutte e debolmente
munite, sì fecero tuttavia lunghis-
simi viaggi; gl'italiani navigatori
si spinsero sino alle Indie orienta-
li, e gli scandinavi sino neirAmeri-
ca* L'invenzione della bussola, della
quale parlammo all' articolo Amal^
fi (Vedi) ed altrove, strumento che
serve a indicare la tramontana, e per
conseguenza a ritrovare i luoghi
ove uno si trova, e specialmente
a dirigere il corso delle navi, e
quella poscia delle artiglierie por-
tarono grandissimi cangiamenti nel-
la costruzione navale, arrischiando-
si colta guida dell'ago calamitato
o magnetico i navigatori a piìi
lunghi viaggi, e renduto essetìdosi
necessario in appresso il rafforzare
grandemente i vascelli, onde capa-
ci fossero di sostenere pesi assai
maggiori, e l'urto de'colpi di can-
none; quindi fiorendo le arti e le
scienze, anche la marina si ri uno -
MAR
vò e riformò totalmente, cosicché
a grado a grado si venne dalle
epoche più remole, e dalla costru-
zione navale de' tempi antichi, a
quella che oia si adopera e si
ammira. Nel passato secolo si è
stabi li la tra diveree nazioni una
emulazione attiva per la migliore
costruzione de'vascelli, dal che è
risultato un perfezionamento che
altre volte si sarebbe giudicato im-
possibile. Si narra che le antiche flot-
te de're sassoni erano tutte com-
poste di scialuppe, ora battelli al
servigio delle navi, mosse da re-
mi ; che il celebre vascello di En-
rico Vili, che passava in quei
tempi per una delle meraviglie del
mondo, sarebbe per noi appena
un vascello di quarto ordine; che
una delle nostre fregate ( piccoli
navilii da remi nell'antico tempo,
ora sono vascelli da guerra alquan-
to minori di una nave da linea )
di prima forza e grandezza, supe-
riore riuscirebbe a tutti i migliori
vascelli dèir Inghilterra che fab-
brica vansi a' tempi della regina
Elisabetta; e finalmente che ciascu-
no de'vascelli di 74 cannoni di
tiuova costruzione, è di molto su-
periore a quello ch'erano i vascel-
li di pi-imo ordine nel secolo XVI 1.
Il nome poi di Èattello 0 navi-
cello, o piccola nave, v. for^e fissai
più antico di quello che comune-
mente* si crede, e se ne fecero an-
cora con macchine meccaniche per
diversi usi, ma la più celebre e
più utile è quella de' battelli a va-
pore, motore divenuto ogj^i di uso
universale: sono, pochi anni che a
Manchester si costruiscono molti
bastimenti di ferro destinali alla
navigazione di lungo corso; la lo-
ro coslruziono è della massima sem-
plicità, e molti ne sono i vantag-
MAPl
gi. L'rdea di applicare l'azione del
vapore per fiir camminare delle
navi, ha dovuto nascere colle pri-
me notizie dell'esistenza di questa
mirabile fòrza. Nel i663 il mar-
chese dì Vorcester fece conoscere
l'idea madre della macchina a va-
pore, in un modo però enigmatico.
Quindi nel lySy Giovanni Ilulls
di Londra pubblicò la descrizione
di un battello a vapore per far
rimorchiare le navi. Inutilmente
pei' moltissimi anni si cercò in
Francia, neli' Inghilterra e nella
Scozia di effettuare i disegni di
Ilullsj ma sì bella ed utile con-
quista era ri serbata al celebre mec-
canico americano Roberto Fulton
della contea di Lancastro tìellà
Pensil Vania , il quale dimorando
nel i8o4 in Parigi, Occupato ad
arricchire la Sua mente di titili
cognizioni, e protetto da Living-
tou plenipotenziario degli Stati Uniti
presso il governo di Francia, pro-
seguì il Suo disegno d'impiegare la
potenza prodigiosa del vapore ad
agevolare la navigazione, con tutto
quell'ardore da cui era animato.
Nel r8o5 fece il suo primo espe-
rimento con un piccolo battello di
cuoio sulla Senna, dopo di che or-
dinò in Inghilterra una gran mac-
china a vaporò, e recossi in Ame-
rica per far preparare le navi che
dovevano riceverla, con perfetta
riuscita. La Spagna Volle pure ri-
vendicare l'onore di avere inven-
tato i battelli a vapore, poiché nel
1543 Blasco di Garay capitano di
nave, propose a Carlo V di far
camminare yna nave senza remi
e senza vele, ed essendo la prova
felicemente riuscita fu generosa-
mente ricompensato. Quell' appa-
recchio consisteva in una caldaia
d'acqua bollente, il cui vapoi'C mct-
MAR 21
teva in movimento due ruote ap-
plicate sui fianchi della nave. Do-
po la morte di Carlo V, il Garay
non avendo pih trovato alcun pro-
tettore, la sua scoperta rimase di-
menticata durante alcuni secoli .
Aggiungeremo a gloria del nome
italiano, che il eh. Rambelli nelle
sue Lettere intomo invenzioni e
scoperte italiane, a p. gS e seg.,
parlando delle macchine a vapore,
discorre del romano Giovanni Bran-
ca, che nel 1628 pubblicò in Ro-
ma un' opera, con la quale tentò dì
applicare in grande la potenza e-
spansiva del vapore a degli ogget-
ti utili; e del toscano Serafino Ser-
rati, il quale verso il 1787 fu il
primo non solo ad immaginare,
ma eziandio a porre ili corso sul-
l'Arno un battello a vapore, per
cui si diminuisce la gloria di HuIIs
e dì Fulton, non che di Giacomo
Vatt che fu l'inventore delle mac-
chine a vapore in Inghilterra nel
1796. L'America pose in opera per
la prima questo ramo importante
d'industria commerciale; l'Inghil-
terra prontamente imitò la sua ri-
vale d'oltremare, e la Francia non
tardò a mettersi in relazione con
esse. In seguito gli altri stati in
un all'Italia adottarono le navi e
i battelli a vapore. Queste macchia
ne che navigano in lutti i mari,
e che affrontano egualmente i ven-
ti e le tempeste, avvincono gl'im-
peri e il mondo, e rendono ogni
giorno le comunicazioni più facih
e più frequenti. Popola oggi il
Mediterraneo e l'Adriatico una fa-
miglia di battelli a vapore d'ogni
forza e d* ogni dimensione, che
tagliano le acque in tutti i sensi,
s'incrociano, si passano da costa,
e come due amici che s'incontra-
no sullo stesso sentiero^ pur quasi
22 MA.R
YOgliano stendersi una mnno tra
loro, monile due legni a vele slu-
tliano da lungi la loro direzione,
e come più si avvicinano, piti si
afTalicano ad allontanarsi. Anche i
fiumi sono popolati da legni a va>
pore, ed il Tevere lo è pure. per
provvidenza di Papa Gregorio XVI.
Delle forze marittime, e delle cose
principali riguardanti la marina
delle principali nazioni, ne faccia-
mo menzione ai loro articoli, laon-
de qui solo ci permetteremo alcu-
ni cenni sulla marina pontificia.
Incominciato il dominio tempo-
rale della Chiesa romana nei primi
anni del secolo Vili, in progresso
i Pontefici, come si dice all'articolo
Milizie pontificie [Vedi), quali so-
vrani dovettero armarsi per difende-
re i loro dominii, ed- armare il litora-
le per difendere le coste, massime dai
pirati e corsari, e talvolta dai tur-
chi. Neir849 s, Leone IV si portò
ad Ostia con un esercito, e con
battaglia navale e terrestre disper-
se l'armata de' saraceni, che volea-
no saccheggiare la basiUca vatica-
na, facendone molti prigionieri. Nel
secolo XI vedendo Benedetto Vili
che spesso i saraceni assalivano i
lidi dello stato della Chiesa , nel
1016 radunato copioso esercito, li
attaccò ne* mari di Toscana, e ri-
j>ortò compiuta vittoria. Negli anti-
chi ordini romani sono spesso no-
minati i prefetti navali. Il Moretti,
De ritus dandi presbyterium, p. 2 1 7,
parlando di quello che davasi ai
dilungari dai Papi, e consistente in
otto soldi, ecco quanto dice sui pre-
fetti navali. » Apud Luitprandum
Ticinensem, cap. 5, lib. 3, Histor.
ìegalionis ad. Nicephorum Pliocani,
Delongaristis ploas dicitur ille, qui
navigantibus praeeral , Chartaritis
(p. 98 Syllabi advocator. cotiiisto-
MAR
rial.) quod est: Praefcrtus nava-
liitni^ f/tti dicitur Snngnri : in trxlu
Ccncii §seq. exhihendo, legit, (jni di-
citur Dilungaris. Conjiciendum hiuc
romanos dilungnris laicos viros fuis-
se, quos et Navales dicerent, seu
navnlilms praesidentes ". Neil' ordine
del canonico Benedetto, fiorito nei
primi anni del secolo XII, si legge
che il Papa nel giorno di Natale tor-
nando in cavalcala dalla ba.silica
Liberiana ol patriarchio, intorno al-
la processione andavano i dirun-
gari e i due prefetti navali, i quali
si denominavano anch'essi con ba-
stoni nelle mani vestiti di piviale
come i giudici. Nell'elezione poi
del nuovo Papa, nella cavalcata che
avea luogo, seguivano i bandoneri
coi dodici stendardi rossi , i due
prefetti navali vestiti di piviale,
poi gli scrinari e gli avvocati, come
narra Cencio Camerlengo , poscia
Onorio III. Nell'ordine romano XII,
presso Mabilloti, Mus. Ital. X.\\,\).
170, praefecluf! navali, qui dici-
tur Sangari ^ avevano per presbi-
terio due molequini e quattro
soldi. Nell'anno 1046 per la be-
nedizione di Clemènte II, e coro-
nazione di Enrico III e dell'impe-
ratrice Agnese, questa fu accom-
pagnata dal prefètto de' navali e
dal secondicero de' giudici. Nelle
descrizioni de' possessi de' l*api ab-
biamo: in quello del i i43 di Ce-
lestino II v'intervenne praefecli na^
valij ed ebbe il presbiterio. In quel-
lo del 127 2 di Gregorio X, duo
praefecti navales induti pluvialihus.
In quello del i4o6 di Gregorio XII,
praefecti dande navales duo in or-
natissinw pracferuntur cultu, ut in-
telligas' eie. Nel i5i3 pel possesso
di Leone X, ebbero il presbiterio,
praelntl et alii omnes usqae ad
pratfcclos navales unum ducatuui
MAR
cL unum j'ulhimj nella cavalca fa
iuceclerono Uopo il sagiisla, e pri-
ma degli avvocali concistoriali, ve-
stiti di colla o camice e piviale al-
l'apostolica, cioè con il braccio drit-
to scoperto.
Apprendiamo dal eh. monsignor
Costantino Borgia già cameriere
segreto partecipante di Gregoiio
XVI e del regnante Pio IX, ora
ponente di consulta , nelle sue
importanti Notizie biografiche del
cardinal Stefano Borgia suo pro-
zio, che facendo questi delle corse
nelle spiaggi e del Mediterraneo e
dell'Adriatico, avea raccolto un te-
soro di cognizioni per un'opera che
avrebbe dovuto veder la luce se la
morie noi rapiva prima di porvi
l'ultima mano , e nel punto che
slava per divulgarla. Il titolo di
quest' opera era : Istòria nautica
de domimi pontificii , in due «vo-
lumi , il primo de' quali portava
l'iscrizione : La spiaggia deW Adria-
tico; e l'altro: La spiaggia del Me-
diterraneo. Queslo lavojo avrebbe
servito d'immenso vantaggio in un
argomento quanto rilevante, altret-
tanto poco conosciuto, poiché ave-
va raccolto dagli archivi di molte
ciltà e. comuni ottocento documenti
inedili relativi alla navigazione degli
stali pontificii. Eugenio IV per di-
fèndere r isola di E-odi contro i
turchi, vi maiidò alcune galere in
soccorso , come narra il Rinaldi
all'anno i434> ww^"- 20. Nicolò V
per difendere Costantinopoli da
Maometto II, armò dieci galere a
sue spese, ma vi perirono colle ve-
nete ed aragonesi : ne avea fatto co-
mandante l'arcivescovo di Ragusi.
Il primo Papa che propriamente
ebbe la gloria di pone sul mare
una flotta, fu Calisto 111 spagnuo-
lo. Eletto egli nell'anno i45j»>
MAR 23
e nel fermo intendi mento di far
guerra ai turchi per toglier loro Co-
stantinopoli (Fedi), da essi conqui-
stato, dopo aver eccitato i principi
cristiani a prendere le armi, allestì
un'armata navale di sedici galere ,
che spedì nell'oriente contro i tur-
chi, sotto il comando del valoroso
cardinal Lodovico Scarampo Mez-
zarota, col titolo di legato aposto-
lico e generale della crociata. Coa
questa flotta iì fecero alcune con-
quiste sugli ottomani, e si difesero
le isole di Rodi, di Cipro, di Mi-
tilene e di Scio : abbiamo una me-
daglia colleffigie di Calisto III ia
mitra e piviale^ e nel rovescio la
flotta in mare coH'epigrafe : hoc vo-
VI DEO, e nell'esergo: ut fidei ho-
STES PERDEIiEM ELEXlT ME. .Il dì IuÌ
immedialo successore Pio II , ere-
ditandone lo zelo per combattere
i turchi e frenarne l'orgoglio, si por-
tò a Mantova {Fedi), vi tenne un
generale congresso con tutti i prin-
cipi cristiani, e con essi stabilì la
crociala contro i nemici del nome
cristiano. Dopo aver fatto Pio II
le cose narrate al citato articolo
Costantinopoli, nominò il suo pa-
rente cardinal Nicolò Fortiguerri
generale delle galere pontificie, che
il Papa avea fatto fabbricare nel
porto di Pisa coli' ordine di con-
durle ad Ancona, ove si portò Pio
II per sabre sulle navi ed in per-
sona partire colla crociata, per ani-
mare in tal guisa tutto il mondo,
è togliere ogni pretesto a quelli che
pretendessero di scusarsene. Immen-
so fu il concorso in Ancona , per
vedere il singoiar spettacolo d' un
Papa alla testa d'una crociata na-
vale, il quale fece incontrare il col-
legato doge veneto dalle sue galere
con cinque cardinali. Ma la morte
che lo colpì a'i4 agosto i4^4; ^^
a4 MAR
impedì rcffeltuazione ; il cardinal
Hoderico Borgia nipote di Calisto
HI, e poi anch' egli Pontefice A-
lessandro VI, aveva promesso per
questa crociata una galera tutta
fabbricata a sue spese. Giovanni
Simonetta, Ber. gest Francìsc. Sfor*
tiae lib. XXX, presso il Muratori,
Rer. ital script, t. XXI, col. 764,
lasciò scritto che Pio li non sa-
rebbe mai andato in oriente, ma
che da Brindisi sarebbe tornato in
lloma. Cristoforo del Soldo, nella
sua Storia di Brescia, presso il
Muratori t. XX, col 900, afferma
che Pio li partì per Ancona con
animo non di portarsi a. far la guer-
ra ai turchi, ma sì per conquistar
quella città che allettava una spe-
cie di libertà, e poi darla ai fio-
rentini, come con essi e col duca
di Milano avea concordalo. L* uno
e l'altro però smentisce chiaramen-
te il veridico e. contemporaneo car-
dinale Ammannati detto di Pavia ,
che di tutto fu testimonio oculare;
siccome ancora Francesco Fi4elfo e
Mayero, *i quali per rampognale
questo Pontefice, osarono di affer-
inare, che non conveniva a Pio II
l'essere comandante di questa ar-
inata, mentre, commessi dicono, non
fu data ai ministri della Chiesa
quella spada, cioè la podestà delle
armi. La qual cosa quanto sia fal-
sa, tra gli altri lo dimostra il sul-
lodalo cardinal* Borgia nelle Meni.
stor. di Benevento^ par. Il, p. 2 5,
e noi ih parecchi luoghi.
Anche Sisto IV molto operò per
reprimere i formidabili progiessi dei
turchi; nel 1472 spedì legato con-
tro gli ottomani il cardinal. Olivie-
ro Caraffa, il quale come ammi-
raglio si condusse a combatterli con
una flotta dì novantotto galere,
sebbene con infelice successo, come
MAR
scrive il Chioccarellò nel Calalof^o
dtgli arcivescovi di TiapoU, p. 288.
11 Novacs narra invece che il car-
dinale fu celebi'o per perizia mili-
tare, laonde il Papa lo deputò le-
galo per comandar la flotta con-
tro gì' infedeli, concedendo indul-
genza ai ciociati. Dice inoltre che
la flotta si compose di centoquat-
tro galere, fra le quali diecìolto e-
rano della santa Sede, trenta del
re di Napoli, e cinquanlasei dei ve-
neziani. Essendo le galere pontificie
sul Tevere [J^cdi), vicino alla basi-
lica di s. Paoloj Sisto IV dopo la
processione del Corpus Domini, vi
si portò a benedirle solennemente
( nel Rituale ronianum, vi è quello
sulla Benedictio novae nnvis), mon-
tato sulla galera capitana, come
scrive il cardinal di Pavia , epist.
449- Con questa armata fu presa
e saccheggiata . Smirne. Sisto IV e-
sentò Ferdinando re di Napoli dal
tributo dovuto alla Chiesa romana
per quel regno durante la sua vita,
coU'obbligo di difendere con galere
le spiaggie dello stato ecclesiastico
dai corsari. Altre cose fece Sisto
IV in favore del cristianesimo per
difenderlo dai turchi, e si propose
di fare un'armata marittima di ven-
ticinque galere, per unirla alla na-
poletana che dovea essere di qua-
ranta ; a tale effetto spedì a Ge-
nova per legato il cardinal Giam-
battista Savelli, perchè facesse l'ar-
mamento navale, e per ottenere dal
senato una squadra di galere per
là ricupera di Otranto. Siccome la
marina pontificia fli per lo più
composta di galere, diremo qualche
cosa su questa specie di legni.
Galea o galera fu il primo de' ba-
stimenti latini, o forniti di vele la-
tine, dal quale derivavano gli altri di
questa specie. Portava la galera ses-
MAR
santa remi per parte, fra mezzo ai
quali eiavi un passaggio , die si
cliiauiava corsìa, e serviva di co-
municazione dall' indietro al davan-
ti. Gli antichi scrittori italiani fe-
cero sovente menziono di galee di
corsari, di galere tunisine, di ga-
leoni e di galee sottili. 1 francesi
chiamarono galera un vascello a
remi che avea ventìcinque o trenta
banchi da ciascun lato, e (j.ualtro,
cinque o sei rematori a ciascun
banco. Alcuni ne fauno derivare il
vocabolo dal ìaiìno galea che signi-
fica elmo, perchè dicesi chxj i ro-
mani ponessero la figura di un el-
mo su la prora delle loro triremi,
alle quali si sono fatte succedere le
nostre galee. Alcuni prelesero che
il vascello ammiraglio della flotta
degli argonauti, chiamato Argo, fos-
se una specie di galea, e fu la pri-
ma "nave di (Quella forma che usci
dai porti della Grecia. Scaligero
dice, che la prima trireme, ch'egli
interpreta per una galea a tre pia-
ni di rematori, fu costruita a Co-
linto. Marsiglia ebbe galee in mare
sino dai tempi di Carlo IV. Cele-
bri si resero in Italia per le loro
ardite e gloriose imprese , massime
contro i barbareschi, le galee to-
scane, quelle de* cavalieri di s. Ste-
fano, le pisane, genovesi e de' ca-
valieri gerosolimitani. In appresso
i veneziani ne accrebboo di molto
il numero, ne variarono la forma
e la grandezza, e queste galee for-
marono la forza principale delle
armate navali adoperate contro i
turchi. In Francia il generale co-
mandante delle galee era uno dei
grandi offiziali della . corona ; nel
i528 era certo Pregeut di Bidou-
se: Luigi Xy nei 1748 riunì il
corpo delle galee a quello della
mariila. L'uso assai aulico, spccial-
MAR 25
niente in Italia, di mandare in ga-
lera, cioè condannare i malfattori
al lavoro forzato di remar nelle ga-
lee, portò che il nome di galea
passò a quella specie di pena o di
condanna, e galeotti o forzati fu-
rono chiamati i condannali a tal
pena. La pena della galea fu pure
in uso presso i greci , e -presso i
romani il servizio delle triremi fu ri-
servato agli schiavi. In Francia la
pena di galea non è molto antica,
ed incominciò verso la metà del
secolo XVI.
Di Alessandro VI e Giulio II che
posero i successori in istato di fi-
gurar nel mondo come sovrani an-
che potenti nelle armi, poco si parla
delle loro forze marittime. Bensì
Giulio II pubblicò la bolla Ro-
vianiis Pontifex pacis^ de'24 feb-
braio i5og, Bull. Rom. tom. Ili,
par. I, p. 3 1 o, prohibilio occUpan'
di bona naiifragantia in locis ma-
ris S. R. E. Leone X ebbe ga-
lere armate, e nell'anno 1021 or-
dinò alle galere pontificie di u-
nirsi alla flotta di Carlo V, per
la guerra di Lombardia. Nel i5i'2
fu eletto a successore Adriano VI>
dimorante allora nella Spagna, che
avutane notizia fece allestire delle
navi, nominò capitani , radunò uà
esercito, e ne fece generale il conte
d. Ferdinando de Andrada. In que-
sta congiuntura d. Ignigo Velasco
e lammiraglio di Castiglia d. Fre-
derico esibirono al Papa quattro
galere. Con gran seguito fece la na-
vigazione dalla Spagna ad Ostia ,
e fermandovisi la flotta, Adriano
VI colla corte e le milizie si portò
a s. Paolo per entrare in Roma.
Quando Clemente VII nel i533 si
recò ili Marsiglia sulle galere fran-
cesi, all'uso de' Papi antichi che nei
viaggi si facevano precedere dalla
:k6 MAE
ss. Eucaristia j questa nella piiina
galera ol•diu^ che tii collocasse. Pao-
lo 111 nel i545 islituV l'ordiue dei
cavalieri Laiirctani [P't'di)^ per di-
iendere dai corsari Io «piaggio della
Marca d'Ancona e il gantuario di
Loreto: a Paolo III si deve pure
rereziotuì deirallro ordine militare
ed equestre di s. Giorgio (Vedi)
in Ravenna, per la difesa delle spiag*
gie dell' Adriatico contro i turchi.
La maggior gloria del governo di
s. Pio V fu la triplice alleanza da
lui couchiusa nel iSy i col re di Spa-
gna e colla repubblica di Venezia,
contro Selim 11 imperatore de' tur-
chi. La poderosa flolta degli alleati
che vinse la strepitosa battaglia na-
vale di Lepanto, avea dodici gale-
re pontifìcie, oltre altre navi pic-
cole e grandi, con mille cinquecento
uomini, di cui era comandante ge-
nerale capitano e luogotenente ge-
nerale della léga d. Marc' Antonio
Colonna, cui il Papa decretò gli
onori del trionfo nel suo Ingresso
in Roma [Fedi). Ne parlammo anco
in altri luoghi, coiTve a Milìzia ed a
Colonna Fanìi^lìay ove si disse della
colonna rostrata d' argento, offerta
alla chiesa d'Araceli. 11 Catena nella
Fila di s. Pio F, a p. 355 e seg.
ci diede il nome delle galere e dei
capitani che. si trovarono a tal coni*
battimento : quello delle galere pon-
tificie eccolo. Fano capitana. Vit-
toria, Grifo4)a, Pisana, Fiorenza, s.
Maria, S. Giovanni, iioprana, Pa-
drona, Serena, Reina • e Toscana.
Si hanno tre medaglie pontilieie
celebranti questa spedizione, in cui s^
vede l'armata navale pn parala con-
tro i turchi, e la medesima che gui-
data dall'angelo disperde la flotta
turca, in due diverse rappresentan-
ze; oltre ultra medaglia per la detta
alleanza, tutte cou motti allusivi.
MAR
Inoltre s. Pio V conferma al le di
Spagna l' indulto concesso da Pio
IV, pel mantenimento delle galere
destinate alla guardia delle piazze
marittime d' Italia. li di lui sue*
cessore Gregorio XIII , all' ordine
militare ed equestre de' ss. Mauri'
zio e Lazzaro (Fedi)y impose l'ob-
bligo di fornire due galere armate,
ad ogni richiesta della marina pon-
tificia ; e per aver fortificato il li-
torale dello stato ecclesiastico per
difenderlo dai corsari, fp coniata
dalla zecca pontificia una medaglia.
Dopo avere Sisto V purgato lo
stato pontificio da' malviventi, affi-
ne di liberare dai corsari le spiag-
gie del litorale ecclesiastico, fece
labbricare dieci galere ben corre-
date, e per dotarle stabilì colla co-
stituzione la quanta, de'23 gennaio
r588, un armuo assegnamento di
scudi centoduemila e- cinquecento,
ripartiti alle seguenti provincie sog-
gette alla santa Sède, e persone che
diremo. Marca, Romagna, Umbiia,
Bologna e popolo romano, scudi
dodicimila per cadauno; altrettaiilo
le beneficiali , cattedrali e chiese
vescovili ed arcivescovili. Patrimo-
nio scudi 5874> Campagna scudi
(il 26, Ancona e Fei :no snudi 1800
per ciascuna, Ascoli e Fano scu-
di 12000 per ciascuna, Benevento
scudi 5ooo, sensali di Roma scudi
35oo, ed oiIicio.de' revisori scudi
4ooo. Dipoi nel i^Hj istituì «una
congregazione cardinalizia, chiamala
nasale, per presiedere alla fabbrica
delle galere e alla marina pontifi-
cia, al modo detto nel vob XVI,
pag. 1^6 del Dizionario. Nominò
quindi prefetto delle pontificie ga-
lere il cardinale Ugo Verdala fran-
cese, gran maestro dell'ordine ge-
ros<j limita no. Inoltre Sisto V "el
1590 fece legalo delle poutificic ga-
MAR
Jere il cardinal Domenici Pinelli ,
il quale si distinse 'in vigilanza, in-
trepidezza e valore, con aver da-
to più d'una voltq la rolla 9 pa-
recchi legni turcheschi. A nìeitioiia
di (jueste cinque galere nel i58t:J
furono coniate due medaglie , ove
si vedono in niare, una coli' epi-
grafe: FOELix PRAESIDIUM, l'altra col
l'iscrizione terra mari securitas. 11
Pontefice Gregorio XJV del iSgo,
dichiarò il suo nipote Francesco
Sfondrali, marchese di Montafìò,
governatore di Castel s. Angelo e
generale delle galere pontificie. Nel
possesso che prese Leone XI nel
ì 6o5, dopo i camerieri segreti sos-
tenitori dei cappelli papali , tra
buon numero di cavalieri cavalcò
il marchese Malaspina generale del-
le galere pontificie^ seguito dai ca-
porioni.
ÌSAV Istoria della sacra religio-
ne gerosolimitana di Dal Pozzo, t.
I, p. 49^', si legge che Paolo V
nel iGo5, ad oggetto di accrescere
le forze di tal benemerito ordine,
e sgi avare a un tempo la camera
apostolica di glossa spesa, risolvet-
te di commettere alla medesima re-
ligione il governo e mantenimento
delle cinque galere pontificie, nella
Torma ch'essa teneva te proprie, me-
diante alcuni patti e condiz/oni, per
cui il cardinal Bartolomeo Cesi, con
la consulta di alcune esperte per-
sone, fece distendere i dieci seguenti
capitoli. I." 5i consegneranno cin-
que galere con gli schiavi, forzati,
artigliere (di quelle della marina
j)ontificia se ne parla a Mili-
zia ) ed altre munizioni necessa-
rie. 2." Si daranno ogni anno tutti
i condannati in galera dello stalo
ecclesiastico per mantenimento di
esse. 3." Si farà che abbiano tutte
le eseui^ioui che godono sotto il
MAR 27
Pontefice. 4- Si darh tratta o in
Sicilia o nello stalo ecclesiastico per
il grauQ che consinnano. 5-^ Si da-
rìi un certo assegnamento di dena-
ro, da pagarsi nel tempo che con-
verrà. 6.° Si concederà che porti-
no lo stendardo della Sede aposto-
lica, ogni volta che non vadino in
corso. 7." Dovranno le dette galc.-re
tenersi bene in ordine per li sei
mesi di aprile, maggio, giugno, lu-
glio, agosto e settembre. 8.** Do-
vrà chi le comanderà lasciarsi spes-
so vedere ne' mari della Chiesa per
difendere la spiaggia lomana dai
corsari, ed almeno ne' n)esi di giu-
gno, luglio e agoslo lasciarsi vedere
due volte in delti mari ed a Ci-
vitavecchia. 9.° Dovranno dette ga-
lere ad ogni richiesta di Nostro Si-
gnore essere pronte per servirlo do-
ve comanderà, io." Che rivolen-
dole sua Santità, si debhano ricon-
segnare, ben condizionate con ciur-
me e munizioni, nello slato e mo-
do che si consegnano. 11 cardinal
Cesi comunicò il progetto e con-
segnò i capitoli al commendatore
Mendes anjbasciatore tleila religio-
ne , il quale tosto li trasmise al
gran maestro dell'ordine, e l'avvertì
di molte cose essenziali per la di-
rezione dell'affare; e fra le altre,
che nel discorrere col cardinale del-
la quantità precisa circa l'assegna-
mento del denaro, avendogli asse-
rito che la spesa delle galere della
religione ascendeva un anno per
l'ai Irò a dieciotto in venti nida scu-
di per ciascima, se n'era mostrato
sorpreso. E che l'assegnamento do-
vendp essere sopra la camera apo-
stolica , avrebbe forse palilo delle
difficoltà nelle esuzioni. Fu il ne-
gozio portato dal gran maestro al
consiglio, e si deputarono tre com-
missari acciò col reggente della can-
a8 M A R
celici io esani inassero e ponderassero
bene ciò che conveniva fare. Però
alla relazione loro, considerando
che 'il governo di delle galere ben
polea riuscire di gr?uido onore, ma
d' allrelUmlo incomodo e aggravio
all'ordine, non fn stimata l' olFerta
né spediente, uè profìcua ^ per cui
Paolo V rivocò il trattalo. Urba-
no VII! nel 1642, temendo qual-
che invasione dei collegati del duca
di Parma nelle parli marittime del-
lo slato ecclesiastico, richiese in suo
aiuto le galere dell'ordine di Malta.
J'er lo spirito di ncuUalità, l'ordi-
ne procurò scusarsi, allegando quan-
to fece Clemente VII, che nel sacco
di Roma si astenne invocai* il soc-
corso de' cavalieri, sebbene dimo-
ranti in Viterbo, per non compro-
mellerli, e che Paolo III collegalo
con Carlo V contro i turchi, aven-
do richiesto all'ordine che unisse le
sue alle galere pontifìcie, accettò le
scuse . perche coi turchi andavano
unite le galere di Francia. Urbano
Vili non volle udire scuse, dichia-
rando non volersi servire delle ga-
lere contro i principi cristiani, Ort^
de la religione inviò tre galere a
Civitavecchia.
Innocenzo X appena assunto al
pontificato nel i644> dichiarò il
suo nipote Camillo Pamphilj gene*
rale deiresercito papale, il quale
fu il primo ad introdurre in Ci-
vitavecchia la fabbricazione delie
galere, che pricua i Papi facevano
costruire in altri porti ; quindi lo
creò cardinale e sopraiutendente
dello stato ecclesiastico, dignità che
poi rinunziò per continuare la di-
scendenza nella sua famiglia. Nfcl
1645 Innocenzo X nominò gene-
rale delle pouiifìcie galere il prin-
cipe d. Nicolò Ludovisi, marito di
sua uipote d. Costanza; il genera»
MAR
luto delle galere Innocenzo X glie-
lo tolse con un breve apostolico
nell* ultima sua infermità, indi
glielo restituì prima di morire.
Innocenzo X fece presidente delle
armi, come scrivono Cardella e
Novaes, il chierico di camera Jaco-
po Fransoni, indi nel iG54 '^
nominò tesoriere generale, colla
soprintendenza delle galere e for-
tezze marittime dello stato, poscia
anche prefetto generale di tutte
le milizie e del Castel s. Angelo.
Nella guerra di Candia che i ve-
neti sostenevano contro i turchi,
Innocenzo X prestò soccorso col-
le sue galere. Nel suo pontifica-
to, e nel 1646 fu ristampata la
Relazione dflla corte di Roma del
cav. Lunadoro. A pag. 29, del ge-
nerale- delle galere di sua Sanlìtàf
si legge: » Sua Santità dichiara il
generale delle galee con suo breve,
dandogli il solito giuramento, come
danno tutti gli altri otfiziali mag-
giori innanzi a monsignor tesorie-
re generale , con provvisione di
trecento scudi al mese, ù soldo
per dodici lancie spezzate. Il ge-
nerale fa un luogotenente con
èua patente , e gli fa dare di
provvisione cento scudi al mese,
e soldo e razione per quattro lan-
cie spezzate. Tutti i capitani di
galea, il capitano di fanteria e
l'alfiere, stanno con patente del
generale, colle solite paghe , come
anche il comito reale (0 coman-
dante della ciurma, soprintenden-
te alle vele del tiaviglio), l'uditore
e il notaro. Ma il provveditore, il
pagatore e il padrone di galea vi
stanno con patenti di monsignor
tesoriere generale , come ancora il
nmnizioniere e lo speziale ; ogni
altra persona, come cappellano, uf-
fìziali, soldati , barbieri, marinari,
.MAR
cornili, soUo-comiti, corniti di mez-
za nia, piloti, consiglieri, dipendono
immediatamente dal generale, il
quale non ha facoltà de jure di
liberare uomini dalla catena, il che
si spetta di fare alla congregazione
della consulta, ma il generale al-
cune volte lo fìi di fatto ".. La
squadra navale creata da Sisto V
in Civitavecchia, la fiibbrica delle
galere incominciata in quella città
da Innocenzo X, fu seguita dal
bellissimo arsenale edificato dal suc'
cessore Alessandro VII, il cui pro-
spetto si vede riportato in una
medaglia per ciò coniala nel 1660,
coir epigrafe Navale CenlumceU.
Nel i656 la regina di Svezia Cri-
stina si portò da Roma a Marsi-
glia sulle galere pontifìcie di Ales-
sandro Vn. Questo Papa soccor-
rendo i veneziani contro i turchi,
mandò loro cinque galere pontifìcie,
comandate con titolo di generale
da fr. Giovanni Bichi priore gero-
solimitano di Capua, le quah col-
la squadra di tal ordine si con-
. giunsero nel canale di Scio all'ar-
mata-veneta. Nel i658 il Bichi,
che comandava pure la squadra
de'cavàlieri gerosolimitani, si licen-
ziò dai veneti e prese la volta di
Italia. Pervenuto a Zante e con-
siderando la poca fama che ripor-
tava da una spedizione di tanto
dispendio per la camera apostolica,
risolvè di tentare l' impresa dell'i-
sola di s.- Maura, nido de'corsarij
che con galeotte grosse infestava-
no i mari e le spiaggie d'Italia ;
ma simile sorpresa non riuscì il
bramato esito. Continuando la guer-
ra di Candia, Clemente IX tra i
soccorsi che diede ai veneti conlio
i turchi, nel 1669 mandò loro la
squadra delle galere pontificie, co-
mandata dal fiatello bali fr. Ca-
MAR 29
millo Rospigliosi, Generale di s.
Chiesa (Vedi)^ il quale spiegò lo
stendardo coli' immagine del ss.
Crocefisso. A Zante la squadra del
Papa si unì a quella dell'ordine
gerosolim.itano di Malta, ed a quel-
la di Francia, incedendo la Reale
pontificia in mezzo, quella francese
a. dritta^ ed a sinistra la uìaltese.
Nel possesso del 1670 di Clemen-
te X Altieri, cavalcò in mezzo al
contestabile ed al proprio fìglio
Gaspare capitanò generale e pre-
fetto di Castel s. Angelo, il prin-
cipe d. Angelo Altieri capilantu.t
generalis trìremium ponti fidar uni ^
seguiti dal governatore di Roma.
Nel i68g Alessandro VIII fece il
pronipote d. Marco Ottoboni ge-
nerale delle galere pontifìcie e
governatore di Castel s. Angelo.
Divenuto Pontefice Innocenzo XII,
nel 1692 soppresse il generalato
delle pontifìcie galere.
Anticamente il- cardinal Camer-
lengo (Fedi) presiedeva alla mari-
na, pontifìcia, navigazione , sanità
marittima, Porti e Consoli [Vedi) j
ma. sulla marina ebbe poi subor-
dinata giurisdizione il generale del-
le galere. A questi succèsse il
preiato Tesoriere generale [Vedi)
col titolo di prefetto o commis- .
sario delia marina. Clemente XI
nell'anno 1706 concesse ai cavalieri
di Malta, di far celebrare la messa
sulle loro galere e fregate sul
mare nelle stesse navigazioni, pri-
vilegio che si diceva già concesso
da Innocenzo Vili . Pio IV e
Sisto IV avevano accordato ai me-
desimi cavalieri l'uso degli altari
portatili, quando nelle loro annue
navigazioni contro gl'infedeli giun-
gevano a terra. Sulle mésse nauti-
che o di navigazione vedasi Messa.
Noteremo che Benedetto XIV non
3o M AH
solo concesse che nelle galere tlì
Malfn si potesse celebmre la messa,
ma t'gunl privilegio accordò allo ga-
lere pontificie nell'aprile i74''> col-
la costituzione Exponiy presso il suo
Jìullario t. I, p. 162. Fra le me-
«iaglio di Clemente XI ve i/è una
ove si vede una flotta, allusiva ai*
le pubbliche preci fatte da lui pel
felice esito degli armamenti de'prin^
i.ipi cristiani. Inoltre Clemente XI
nel 1709 mandò a difendere Malta
d. Federico Colonna con galere e
seicento uomini 5 e nel partire per
^Marsiglia la regina vedova di Polo-
nia, la fece servire dalle galere pon»
tìficie; indi nel 17 i4 l'ambasciatore
di Malta ottenne dal Papa che in*
-viasse per la difesa dell'isola sei
galere armate, per cui il cav. Fai»
conieri ebbe Y incarico di reclutai*
mille uomini, ed il comando di essi.
Kel 17 16 il Papa spedì alcune
compagnie di corazze per guardare
dai turchi le spiaggie della mari*
na, ed i re di Spagna e Portogallo
promisero validi soccorsi per mare
contro il turco. Nel 1 719 parti per
Napoli monsignor Vicentini, accora*
pagnato da due galere pontificie.
Quando Benedetto XII! nel 1727
ki recò a Benevento, per porto d'An-
%o passò a torre Paola, ove s'im-
barcò in una feluca delle galere
pontificie per le Paludi Pontine,
approdando a Terracina , dopo a-
ver scampato il pericolo di due
corsari barbareschi che tentarono
di predarlo. Ritornando nel 1729
da Benevento, trovò a Terracina
le galere pontificie, e con tre fé*
luche si portò fino alle Case nuove.
Le scorrerie de' pirati barbareschi
sopra le spiagge dello stato eccle-
siastico, costrinsero nel 1749 Be-
nedetto XIV a fare le siìe rimo-
stranze air imperatore Francesco I,
1^1 A R
pel ti*ntiato di pace da lui conchiu-
so colle potenze africane, come pre
giiulizievole al commercio e alla
sicurezza de' suoi sudditi e di tutfa
l'Italia, per l'ammissione accordatji
ai legni barbareschi ne* porli della
Toscana. Non essendo slate le sue
doglianze attese , tutte le potenze
italiane si tiH3varono costrette ar-
marsi contro i pirati. Nel 1746 fu
coniata una medaglia coli' epigrafe
AUCTO TERRA MARIOUE COMMERCIO ,
con Nettuno sul carro tratto ckii
cavalli" marini, col tridente nella de-
stra, che in mezzo al mare felicita
la navigazione dei vascelli , onde
celebrar le cure di Benedetto XIV.
Abbiamo due medaglie di Clemen-
te XIII col porto di Civitavecchia,
Con nuove fabbriche e galere > l'al-
tra rappresentante il Papa che
arriva a Civitavecchia , ove nel
mare si vedono le navi pontifi-
cie. Nell'anno XIX del pontificato
di Pio VI fu coniata una meda-
glia ove vedesi una flotta naufraga-
re, allusiva a quella francese spe-
dita contro gli stati della Chiesa, e
sconfìtta dagli anglo-napoletani.
Nella Relazione della carie di Ro-
;n^del cav. Lunadoro, accresciuta dal
Zaccaria, edizione romana del i774>
si dice che un prelato chierico di
camera era prefetto di Castel s. An-
gelo, e soleva essere ancora dichia-
rato commissario del mare , dac-
ché Benedetto XIV al tesoriere tol-
se la cura sul medesimo, e perciò
soprintendeva alle fortezze e alle
torri delle spiaggie marittime, alle
navi e galere pontificie , regolate
daf comandanti, capitani ed nffi-
ziali da lui dipendenti. Il Villelti,
Pratica della cuna romana, dell 'e -
dizionedi Roma i8i5, t. II, p. 197,
tratta del consolato di Ancona in
c]ucslo modo» I mercanti d'Ancona
MAR
tra di loro e con chiunque altro ,
nelle cause concernenti la merca-
tura, COSI nella prima, che in ul-
teriore istanza, in vigore di una
bolla dì Clemente Vili del i594,
e dì un suo breve del i595, han-
no per loro privato tribunale il
consolato di quella città, formato
da tre consoli che in ogni anno si
mutano. Procede ancora privativa-
mente nelle provvisioni da pren*
dei si su quelle navi, che incontrar
potessero il perìcolo dì naufragare,
V. nelle cause in qualunque modo
su ciò insorgenti, come si ha dalle
conferme, ampliazionì e dichiara-
zioni di questa giurisdizione del
consolato, emanate da Paolo V,
Gregorio XV, Urbano Vili, Cle-
mente XII, e Benedetto XIV. Di*
poi Pio VI con breve de* 5 marzo
1777 dichiarò ed ampliò questa
privativa giurisdizione delle cause
dì mer.catura", di naufragi e di lai:
limenti, contro qualunque specie di
privilegiati e patentati. Tengono i
consoli in certi giórni della setti»
mana l'udienza ordinaria, è si trat-
tano le cause avanti di loro col*
ristesse metodo che si tiene dagli
altri giudici ordinari. E se si trat-
tasse di qualche articolo legale assu-
mono un dottore dì legge pel volo
legale. Questi però lo promulga sen*
za servare tela giudiziaria, e del
tutto strigiudizialmente. L'assessore
si concede anche per richiesta delle
parti a loro spese , e la persona
deputata in assessore può allegarsi
sospetta dentro sei giorni a die
depiUationis. Nell'istesso consolato
vi sono giudici di appellazioni, i
quali 'si estraggono a sorte dal ce-
to di tutta l'unifeisità de'mercanti,
ed anche questi all'opportunità as-
sumono l'assessore, come sì è detto:
allreltuuto si pratica in caso di
MAR 3t
ulteriore appellazione. Questa ap-
pellazione in certe c<iuse compete
solamente in devolutivo, cioè dove
si tratta, di CvSccuzione d'istromenti
pubblici, pagamento di lettere di
cambio, ed in qualunque altra ma-
teria, non eccedente gli scudi qua-
ranta. Dai gixìdicatì dì dettò con-
solalo, non può ricorrersi se non
all'uditore del Papa. Nel consolato
di Civitavecchia , dice il Villetli ,
che in sostanza si pratica quanto
si è detto per quello d'Ancona.
Nel medesimo libro del Villetti,
p. 84, l^cl commif^sario del mare,
o sìa prefetto di Castel s. A rìselo ^
si legge quanto Segue. Il tribunale
del commissario del mare richiede
qualche Spiegazione più specifica.
Égli ha giurisdizione economica so-
pra le torri e fortezze marittime,
e sopra le galere e navi pontificie.
Presiede inoltre al governo econo-
mico di Castel s. Angelo (Fedi) ^
ed il di lui uditore esercita in stia
vece la giurisdizione contenziosa nel-
le cause di sua pertinenza. Sono
isoggetti a questo tribunale gli uf-
fiziali, soldati ed altri ministri del-
l'attuale servigio di detto castello j
come sono i bombardieri e gli aiu-
tanti, a tenore delle limitazioni e
riforme espresse nelle costituzioni
d'Innocenzo XII, e particolarnrente
di Benedetto XIV, come si legge
nel Bull. t. I, p. 56, § 21, e delle
successive ampliazionì espresse nel
motu-proprio di Clemente XIII dei
26 maggio 1762, riportato nell'e-
ditto pubblicato nel 1-763 dal pi e-
fetto di Castello di quel tempo. Nel
motu proprio si dispone che tutti
quelli appartenenti al detto castel-
lo, godessero il privilegio del foro
in tutte le cause, quali doveva co-
noscere e decidere il detto prelato
prefetto, rimossa ogni appellazione,
Sa MAR
purché non sia slato rinunziato al
privilegio, e prescrisse che i patentati
i\'ì Castello fossero 240 compresi i
giubilati. Il commissariato (lei mare
sotto il pontificato di Pio VI fu uni-
to- ni tesoriera lo; posteriormente fu
di nuovo separato, e nel detto an-
no 181 5 si esercitava provvisoria-
mente insieme col commissariato
delle armi da monsignor Sanseve-
rino chierico di camera e presiden-
te delle strade. Ci avverte il Man-
zi, Dello stato della .città e porto
di Civitavecchia^ p. 4^, che in quel-
le acque la marina pontifìcia avea
negli ultimi anni del secolo passato
galere e fregate; ma quando poi
venne la guerra di Francia, il na-
"viglio pontificio composto ed equi-
paggialo di" sudditi pontificii, fu
preso dai fi-ancesi e condotto nella
spedizione di Egitto, per cui si può
dire che finisse allora la marina
pontificia, perchè il naviglio non
più tornò, e le ciurme perirono.
Pio VH, nella costituzione. Post
diuturnaSf al § 5 tit. de jurisd. tri-
bunal, civ.^ relativamente ai miHlari
dispose che non godrebbero alcun
privilegio di foro privativo nelle
cause civiJi, come avea disposto Be-
nedetto XIV, ma dovranno solo
godere il privilegio di non poter
andare soggetti ad alcuna esecu-
zione, senza che V exequatur sia
sottoscritto dal loro legittimo su-
periore; ma questo exequatur però
non è necessario, qualora l' esecu-
zione si faccia sopra degli stabili. ^e\
1802 pervennero in detto porto di
Civitavecchia due brick nominati
l'uno s. Pietro, l'altro s. Paolo, che
Napoleone primo console della re-
pubblica francese mandò in dono
a Pio VII. Nella poppa era vi l'ef-
figie del Papa e degli apostoli con
un motto a ciascuno allusivo. Den-
MAR
Irò .la camera del coraandanlc del
brick s. Pietro era vi un quadro ad
olio rappresentante l'autorità data
da Gesìi Cristo al principe degli
apostoli; e nell'altro legno il qua-
dro esprimeva la caduta di Saulo
o conversione di s. Paolo. Nel pon-
tificato di Pio VII la soprinten-
denza sulla marina pontificia fu
data alla congregazione militare ed
al prelato assessore, essendone pre-
sidente il cardinal segretario di sta-
to. Nel voi. I, p. 333. della Rac-
colta delle leggi di pubblica ammi-
nistrazione, riportandosi il regola-
mento provvisorio di commercio e-
manato da Pio VII nel .1821 per
organo del cardinal Consalvi, a p.
364 e seg. vi è il lil>. Il del com-
mercio marittimo diviso in quat-
tordici titoli, i." Delle navi e de-
gli ùltri bastimenti di mare. 2.° Del
sequestro, ossia esecuzione, e della
vendita de' bastimenti. 3.° Dei pro-
prietari del bastimento . 4° ^^
capitano. 5." Dell'arrolamento e dei
salari de* marinari e della gente
d'equipaggio. 6." Dei contratti di
noleggio o locazione di bastimento,
e dei noli. 7." Delle polizze di ca-
rico. 8." Del nolo. 9.° Dei contraili
di cambio marittimo ossia alla gros-
sa. IO.*" Delle assicurazioni, cioè del
contratto di assicurazione, della sua
forma e del suo- oggetto; degli ob-
blighi dell'assicuratore e dell' assi-
^curato , e dell'abbandono. 1 1." Del-
le avarie. 12.° Del getto e del con-
tributo. 1 3.** Della prescrizione, i 4."
Motivi d'inammissibilità di azione.
Nel pontificato di Pio VII non
essendovi più le galere pontificie,
allora e successivamente i luoghi
di condanna per «1' opera pubblica
e per la galera furono destinati il
Castel s. Angelo e Tedifizio fabbri-
cato nel 1705 da Clemente XI per
MAR
ampliare i granai dell' annona nWc
terme Diocleziane, Sebbene il codice
criminale dislingua l'opera pubbli-
ca dalla galera, ed infligga quella
lino ai cinque anni, e questa per
un maggior tempo ed a vita, ciò
non pertanto in fatto le due pene
sono una medesima cosa, tranne la
lunghezzjt del tempo. Il bagno di
Caste) s. Angelo può contenere 200
individui i quello alle terme 5oo.
Le altre galere dello slato o bagni
sono a Civitavecchia nella darsena,
in Ancona, a Spoleto nella rocca,
a Narni, a Porto d'Anzo ed a Ter-
racina ; altri luoghi di detenzione
sono in Imola, Paliano , ec. Alle
terme sotto Leone XII v'erano state
le donne condannate di s. Michele;
nell'anno i83i fu aperta la casa
di detenzione per gli uomini. I
forzati sono scortati da una spe-
cie di soldatesca detta guardaciur-
n\e, ai pubblici lavori della città :
alcuni lavorano nei bagni, così ne-
gli altri luoghi di detenzione nello
slato pontificio. E regola di man-
dare fuori a lavorare solo quelli
che hanno una condanna sotto i die-
ci anni, e ritenere gli altri nel ba-
gno per più sicura custodia. I bagni
sono sorvegliati dai capo custodi
e dai custodi. Ciascun bagno ha
un ispettore. Monsignor tesorieie
che ha la suprema presidenza dei
luoghi di pena, ha fra le sue fa-
coltà quella di diminuire la pena
di tre mesi, la quale usa in pre-
mio della buona condotta nel tem-
po della prigionia. I castighi che
si adoperano sono la privazione del
lavoro, la più stretta reclusione nel-
la camera di disciplina, le battitu-
re, il pane ed acqua, e per le più
gravi mancanze procedesi a forma
di legge dal tribunale del Campi-
doglio, cui è data la giurisdizione*
VOL. XLUI.
MAR 33
Tutti i forzati o galeotti hanno la
catena eh* è fermala ad ambedue
le gambe, del peso di circa libbre
quattro e mezza ; quando mancano
sedici mesi al termine della pena,
essa si toglie da una gamba, e to-
gliesi ancor dall' altra quando re-
stano soli tre mesi all'uscita. I con-
dannati in vita tengono oltre la
detta Catena altra che non gli per-
mette discostarsi dal loro luogo che
quattro passi. -Nello slato pontiilcio
il trattamento degl' infelici condan-
nati è più umano che altrove', e
molte sono le pratiche religiose che
si esercitano nei bagni. V. Carce-
ri DI Roma, e Governatore, in cui
si parla della visita graziosa de' car-
cerati. All'articolo Milizia pontifi-
cia, oltre molte notizie riguardan-
ti la marina papale, dicemmo pu-
re come nel 1817 furono stabiliti
ne'porti di Ancona e Civitavecchia
de* l^gni chiamati scorridore e
guardacosie doganalij per vegliare
sul contrabbando de' due litorali.
Sotto Gregorio XVI nel 1841
la marina pontifìcia fece quella spe-
dizione comandata dal capitano A-
lessandro Cialdi, di cui tenemmo
proposito all'articolo Egitto (Vedi)^
e furono nel 1842 introdotti col-
r opera dello stesso Cialdi nel Te-
vere, come diremo a quell'articolo,
cinque navigli a vapore, che il Papa
onorò usare in breve tragitto. Allor-
ché poi nel maggio i835 erasi re-
cato a Civitavecchia, città e porto
come quelle di Ancona e Terraci-
na da lui beneficale in tanti mo-
di (solo qui ricorderemo che ad
Ancona fece erigere l'arsenale ma-
rillimo, il bastione Gregoriano, e
restaurò la fortezza; a Terracina
fece costruire il nuovo porlo e ca-
nale, da lui visitata come Ancona),
salì sul ballello a vapore il Fraii-
3
34 MAR
Cesco I di regia bandiera napole-
tana, non che suiraltio haltcllo a
vapore ii Sully di regia bandiera
francese; come ancora volle ascen-
dere la golcUa pontifìcia il a. Pie-
tro. In allro giorno il Papa s'im-
barcò sul ballello a vapore il Me-
diterraneo dì regia bandiera fran-
cese, comandato dal capitano Uai-
mond, per visitare le saline di
Corneto: il capitano ne riportò te-
stimonianze onorevoli, e poi rimi-
se al Pontefice due quadretti rap-
presentanti il vapore, e la gita fat-
ta con esso. Ritornando Gregorio
XVI nel settembre 1842 in Givi-
tavecchia per osservare le grandio-
se lavorazioni da lui ordinate nel-
le fortificazioni del porlo, dell'an-
temurale e scogliera, non che del
lazzaretto, oltre V ingrandimento
della città, montò sul brick pon-
tificio il s. Pietro comandato dal
capitano Reali. Questo legno era la
mentovala goletta costruita nell'ar-
senale di Civitavecchia, ed il re di
Sardegna lo fece ridurre a brick,
condonandone al Papa una parte di
spesa del lavoro. Il Papa a bordo
di tale legno usci dal porto, e vi
rientrò dopo un tragUto di circa
cinque miglia, fatto con molto suo
piacere. Rientrato in porto salì sul
vapore da guerra francese il Dan-
te, comandalo ad interim dal pri-
mo tenente M.r Bardon: il santo
Padre fu ricevuto con segni di ve-
ra divozione, donando a tale uffi-
ziale una grossa medaglia d' oro,
agli altri ufHziali medaglie di ar-
gento, all'equipaggio corone bene-
dette e 5oo franchi. Quanto ai due
brick regalati da Napoleone a Pio
VII, uno dalla camera apostolica
fu venduto ad un genovese, l'altro
venne disfatto.
Nei tempi trascorsi la santa Se-
MAR
de ebbe, come abbiamo narrato ,
ima marina militare molto più
numerosa di quella che ora esiste,
dappoiché le circostanze di quelle
epoche esigevano che a tutela del-
le sue coste avesse il modo di re-
spingere gli attacchi delle potenze
barbaresche; cambiate poi le cose,
il governo pontifìcio nella sua sa-
viezza credendo bene di limitare le
forze militari ni puro necessario ha
ridottola sua marina militare a due
soli legni da guerra, quanti sono
puramente necessari pel decoro
della sovranità, e quindi nell'ordi-
ne del giorno 29 dicembre i834
sé ne può vedere il dettaglio. I
legni da guerra sono, il suddetto
brick, chiamato s. Pietro^ ed una
barca cannoniera, chiamata s. Be-
nedctlo. Il quadro della marina mili-
tare pontifìcia nel i834 ^ riportato
nel voi. II della citata Raccolta di
tale anno. Nel medesimo volume vi
sono: la tariffa del soldo mensile
dei militari della marina ponlifì-
cia, e la tariffa della ritenuta della
quota del soldo, che rilasciano i
militari della marina allorché sono
in punizione. Nel voi. I del i835
riproducendosi l'ordine della segre-
teria per gli affari di stato inter-
ni, in seguito della definitiva con-
centrazione di un solo ministero
delle due aziende del ramo sani-
tario e della polizia de' porti, si
parla delle cure del governo di-
rette a stabilire una cassa di sus-
sidio a favore de' marinari invali-
di ; delle regole sulle carte ed at-
ti relativamente ai bastimenti dello
stato pontificio che sono in corso;
delle disposizioni intorno il perso-
nale della, marina mercantile ; dei
requisiti occorrenti ai marinari per
ottenere le lettere di comando;
della forinola del giuramento di
MAR
h>(U'lfìi, (la prestarsi dai capitani o
paioni quando ricevono le lettere
di comando ; delle disposizioni sul-
la marina da pesca, e delle pro-
pine competenti agli officiali ma-
rittimi.
il dì. cav. Angelo Galli com-
putista generale della camera apo-
stolica nel 1 840 pubblicò gli utilis-
simi Cenni economici statistici stillo
stato pontificio, e parlando a p. 5o e
33o della marina pontificia, ne da-
remo un'indicazione. La marina
potrebbe anzi dovrebbe essere un
articolo importante pel commercio
de' sudditi pontificii, per due ragio-
ni : i.° perchè siamo fiancheggiati
da due mari, cioè dal Mediterra-
neo, che oltre i porti di Civita-
vecchia e d'Anzio, ha per mezzo
del fiume Tevere comunicazione
diretta colla capitale, e mediante
il porto -canale di Badino serve
al commercio delle provincie di
Prosinone e di Velletri (quanto
esso viene immensamente aumen-
tato dal suddetto porto e canale
di Terracina^ lo diremo a quell'ar-
ticolo); e dall'Adriatico, che dopo
il porto d'Ancona, e diversi porti-
canali lungo il litorale, comuni-
ca colla legazione dal Ponte La-
goscuro; 1" perchè abbiamo un
commercio attivo e passivo di cir-
ca venti milioni di scudi all'anno, e
questo segue quasi totalmente per
la via di mare. Nulladimeno pochi
sono i bastimenti nazionali in gui-
sa, che mancando pure al piccolo
cabotaggio, anche questo si clfet-
tua in gran parte dai napoletani,
toscani e sardi ; lo stesso dicasi
della pesca, che viene in gran par-
te esercitata dagli esteri con legni
esteri. INello slato dimostrativo dei
legni marittimi esistenti nei lito-
rali dello stato poulificio, loro nu-
MAR ^^
mi, portata e valore, nelle catego-
rie di gran corso sono enumerali
quattordici tra navi, brick, brigan-
tini, polacche, scooncr, godette, cu-
ther. In quelle delle mentovale
qualità di legni, con più i trabac-
coli, per lungo corso, numero no-
vantatre. In quelle di piccolo ca-
botaggio, cioè trabaccoli, pieicghi e
paranze, numero centoquarantotlo.
Per la pesca, come paranze, ba-
ragozzi, schiletti , sciabiche e ni-
chesse, numero quattrocento oltan
tono. Nelle categorie poi de' ter-
rieri ed alibbi , o sia burchiel-
le, piate e barcaccie, quallrocen-
tonovantotto. Va notato die nel
Mediterraneo esistono legni di altre
denominazioni, cioè sciabecchi, bo-
vi, mistichi, tarlane, martigavi e
lagheri. Nell'Adriatico^ e segnata-
mente in Ancona, ove il commer-
cio è più attivo, esistono dei bri-
gantini a vela quadra, come pure
dei glossi Irabaccoli a poppa qua-
dra. Tulli questi legni però sono
compresi nelle quantità suddescritle.
In altro fatato dei legni marittimi
nel 1838, nell'unico circondario
del Mediterraneo, sono registrati ,
22 per la navigazione a lungo cor-
so, 17 pel piccolo cabotaggio, loG
per la pesca, 24 barche terriere
ed alibbi. Nel primo circondario
dell'Adriatico legni 2 per la navi-
gazione di lungo corso, 2 5 pel pic-
colo cabotaggio, 1 19 per la pescaj
237 barche terriere ed alibbi. Nel
secondo circondario dell' Adriatico
legni 14 per la navigazione di
gran corso, 49 P^^' quella di lun-
go corso, 38 per piccolo cabotag-
gio, IO per la pesca, i23 barche
terriere ed alibbi. Nel terzo cir-
condario legni 20 per la naviga-
zione di lungo corso, 68 pel pic-
colo cabotaggio, 9.4^ per la pe-
36 MAR
8ca, 1 14 barche terriere ed a-
libbf.
Nelle asservaztoni poi sullo ma-
rina, il Iodato scrittore dice che
il ramo di commercio costituito
dalia marina sì vede non poco pre-
terito e negletto. Dal bilancio di
commercio quindi risulta , che fr«i
ciò ch'entra e ciò che sorte abbia-
mo un movimento di circa dieci -
novB milioni di scudi, avuto a cal-
colo il contrabbando, e che questo
viene e va nella massima parte per
la via di mare ; quindi il prezzo
di trasporlo delle merci che costi-
tuiscono il movimento, anche ri-
tenendolo ragguaglialamente ad un
ventesimo del valore^ suppone un
traffico di circa un milione. Di que-
sto non mollo ài partecipa sull'A-
driatico, ove pure esistono basti-
menti di bandiera nazionale, e mol-
to meno sul Mediterraneo per la
quasi nullità de' bastimenti stessi :
non essendo questi sufficienti al bi-
sogno, tutto il rimanente si effet-
tua dagli esteri. Dal riportato stato
emerge, che nella spiaggia del Me*
diterraneo, lunga miglia i5'j, esi-
stono 169 legni nazionali; ed in
quella dell'Adriatico, lunga miglia
198, se ne veggono io65: s'in*
tende à quell'epoca. Nell'Adriatico
dunque allora esistevano propor-
zionatamente il quintuplo di quelli
esistenti nel Mediterraneo j propor*
zione che regge se si ha riguardo
tanto ai legni mercantili, quanto
ai pescarecci. La grande spropor-
zione del commercio marittimo tra
le due spiagge si fa derivare dal
non inclinare al commercio marit*
limo le popolazioni delle Provin-
cie mediterranee, e dall'aria malsa-
na delle spiaggie, che allontana gli
equipaggi nell'estate. Molti vantag-
gi si avrebbero se si dilatasse la
MAR
marina pescareccia, che ora lasci.t
libem ai napoletani la pescagione
in tutta la spiaggia del Mediterra-
neo, ed a quei dì Chioggia gran
parte di quella dell'Adriatico, e
specialmente dal Po al Cesenatico.
Ne 6i creda indilTerente questo ra-
mo d' industria, perche si calcola
il pi'odolto più di un milione di
scudi, per cui chiamò V attenzione
di Leone XII. Monsignor Nicolai
opinò, che l'ampliazione della ma-
rina potrebbe cooperare al ripo-
polamento delle campagne sul Me-
diterraneo, formandosi delle colo-
nie di pescatori. Il eh. Calindri ,
nel Saggio statistico storico dello
stato pontificio^ parlò di quanto ri-
guarda la marina pontificia, e i
mari lambenti lo stato, le cui acque
Sono continuamente solcate da le-
gni da guerra, mercantili , pesca-
recci e da trasporto, a p. 87 e seg,
e 648.
Le leggi marittime, massime del
commercio, nacquero dalle celebri
leggi Roditi formatesi nell'isola di
Rodi in Asia, la quale tanto si di-
stinse pei Suoi Saggi regolamenti,
per la perizia delle cose nautiche,
e per la soggezione ai corsari, che
Secondo Aulo Gellio, tutte le na-
zioni del mondo adottarono queste
leggi, dove non si opponevano ai
loro usi marittimi, e divennero il
codice marittimo del mondo. Ne
parla il Martinetti, Codice de' do-
veri p. 44?^ ^^^ commercio marit-
timOf al modo che dicemmo al ci-
tato articolo Consoli Pontifici r (ove
Sonovi notizie analoghe a questo
argomento, e si dice che sogliono
ottenere qualche grado onorario
della marina pontificia dalla pre-
sidenza delle armi per mezzo della
segreteria di stato ), riportando le
opere di diversi trattatisti, coaie
MAH
pure sui daveri dfegM ammiragli
ed altri magistrati navaR. Nelle Ef-
femeridi letterarie di Rama &i trat-
ta di varie opere riguardanti la
marina. In quelle del 1778, p. 33^:
De /lire naufragii, di Pietro Ra-
nucci, Lucca 177B. In quelle del
177^, p. i3 e 2I^ Del sequestro
dc^ bastimenti neutralij di M. Hul>
ner, Genova 1778. In quelle del
1780, pag. 98 e log: Storia del
commercio e della navigazione dal
principio del mondo a* giorni no-
stri, di Michele de Jorio, Napoli
1778. In quelle del 1785, pag. 86:
Quale h stato l'influsso delle leg-
gi marittime dei rodiani sulla ma-
rina de" greci e dei romani , e quale
V influsso della marina sulla po-
tenza di questi due popoli, di Pa-
storel, Parigi 1784. In quelle del
17B5, p. 218: Delle assicurazioni
marittime, di Baldasseroni, Firen-
ze 1786. Oltre acquali abbiamo:
Stanislao Bechi, Istoria dell'ori-
gine e progressi della nautica an-
tica, Firenze 1785. Federico Ot-
tone Menchenio, Bibliotheca oiro-
rum militia aquae, ac scriptis il-
lustrium, Lipsiaé 1734. 0. Henr.
Goezii, Dissertalio historicó littera-
ria de eruditis, qui vel dquis pe-
rierunt, vel divinitus liberati jfue-
runt, Lubecae 1715. Joannes Schef-
feri , De militia navali veterum ,
TJrbsaliae i654. Scriptores de jure
nautico et mariiimoj Halae l'j^ù.
Si chiamarono poi corsali o corsa-
ri non solo i ladroni del mare, ma
anche quelli che avevano facoltà
legittime di armare legni in corso,
contro i nemici della santa fede e
del suo principe, e ciò sotto certe
leggi, ordini e patti, che però con
miglior vocabolo Sogliono chidmarsi
armatori. Che gli antichi non si
vergognarono di fare la professione
MAR 37
di qorsaro, lo gravò il p. Meno-
chio nelle Sluore par. IV, cent. 54-
In questo argomento si ha tra le
altre opere: Sam. Frederico Wil-
lembergio, Disput. de excursioni"
bus maritimis. Sedani 171 1. Tra-
ctatus de eo quod justXim est circa
excursiones maritimas, multis ac-
cessionibus auctus, Sedani 1728 e
1735. Conrado MoW'iOf De /ure pì-
ratarum disputaiio, Traj. ad Rhe-
nura 1737. Nella conclusione che
dovette fare monsignor Andrea Ma-
lia Frattini come avvocato conci-
storiale, trattò questo argomento che
pubblicò Colle stampe: Dissertatio
ad legem I codicis de naviada-
fiis seu naucleriSj etc. Romae 1837.
Eruditamente discorse dell'origine
della navigazione, e principalmente
del suo commerciò e vantaggi im-
mensi che ne derivarono, non che
di que'principi ó nautici che di
éiisd si lesero benemeriti e celebri;
della navigazione de'fenicii, ebrei,
cartaginesi, greci, romani, e de're-
lativi magistrati e leggi emanate
massimamente dagli antichi romani;
dei collegi de* Naupegariorum seu
Navicularìorunt fabbricatóri di navi
(di cui si hanno lapidi in Pesaro
e Verona, essendovi nel museo ca-
pitolino una lapide contenente il
catalogò d'un collegio dì navicellai
ostiensi ). Celebrò le leggi e prov-
videnze emanate dai Papi per la
navigazione, incrementò é prospe-
rità del commercio, é di questo
quelli che ne furono piò beneme-
riti, segnatamente Piò IV, Grego-
rio XIII, Sisto V, Clemente Vili,
Clemente X, Clemente XI ^ Bene-
detto XIV, Pio VI, Piò VII é Gre-
gorio XVI, del quale in «ingoiar
modo giustamente ne rilevò le ma^
gnanime utilissime provvidenze.
MARINI Carlo, Cardinale. Car-
38 MAR
Jo Maiiiìi genoTCiC, ma nulo in
Ruma in occasione che i suoi iiu-
hili genitori facevano il via^^Ji^io
dell'Italia, dopo aver applicato agli
hludi nell'università di Torino, e
scorse le provincie più celebri di
Eui'opa, si trasferì a Roma pei
impiegarsi in servigio della Chiesa,
e siccome abbondava di denaro,
ebbe agio di comprare nel ponti-
ficato di Innocenzo XI un chierica*
to di camera, allora venale. Nel
pontificato di Alessandro Vili com-
prò parimenti l'altro ufficio di udi-
tore della camera, in cui fu la-
nciato per grazia speciale da Inno-
cenzo XII, (juaudo abolendo la
vendita degli impieghi , restituì ai
compratori le somme sborsale j>er
J'acquisto. Clemente XI dichiarato-
lo suo maestro di camera, poscia
a'a9 maggio lyiS lo creò cardi-
nale diacono di s. Maiia in Aqui-
ro, divenendolo poi di santa Ma-
ria in Via Lata e primo diacono.
Lo ascrisse alle congregazioni dei
vescovi e regolari, dell'immunità,
della consulta, ed altre. Benedetto
XIII colla prefettura de* riti gli
coufèrì la legazione di Ravenna,
provincia che resse con incorrotta
giustizia, per cui Clemente XII lo
confermò per altro triennio. Be-
nedetto XIV gli assegnò quella
di Urbino, di cui prima di andar-
ne al possesso, essendosi nel 1747
per suo diporto condotto alla pa-
tria, vi lasciò la vita d'anni 80,
dopo essere stato presente ai con-
clavi d'Innocenzo XIII, Benedetto
XI II, Clemente XII, e Benedetto
XIV che coronò. Fu sepolt^j nel-
la chiesa della ss. Annnuziata dei
minori osservanti detta del Vastato.
INel suo testamento lasciò cento-
mila scudi da impiegarsi in usi
pii , parie in Genova e parte in
M A ri
Roma: avendo destmalo Roncdello
XIV suo erede fiduciario, questi
colla massima prontezza e religione
ne adempì i voleri e le pie in-
tenzioni.
MARINO (s.), martire. Eva ol-
fìziale a Cesarea in Palestina, rag-
guardevole per probità e per ric-
chezze. Avendo chiesto un posto
di centurione eh' era vacante, un
suo competitore accusollo d' esser
eristiano. Chiamato dal governato-
re, detto Acheo, confessò Marino
la sua fede ; il perchè Acheo non
gli accordò che tre ore da delibe-
rare, se morire o abiurare la sua
religione. Egli non ismentì la sua
fede, e fu condannato al taglio
della testa. Ciò avvenne verso l'an-
no 273. II martirologio romano
ne fa menzione ai 3 di marzo.
MARINO (s.), diacono. Dicevi
che lavorasse da muratore nella
riedificazione delle mura di Rimi-
ni ; ma avendo Iddio fatto cono-
scere la sua santità, fu da s. Gau-
denzio vescovo di Brescia ordinato
diacono. Ritiratosi in una capannuc-
cia che coslrusse in mezzo ai bo-
schi sul monte Titano, a dieci
miglia da Ri in ini, visse parecchi
anni da romito, e mori sul finire
del quarto secolo. Sulla cima di
esso monte fu poscia fabbricata
una città che prese il nome del
santo, ed è la piccola repubblica di
s. Marino {P^edi).]\\ si venerano con
gran divozione le di lui reliquie :
è onorato anche a Pavia, a Riini-
ni e in molte altre diocesi d'Ita-
lia, celebrandosi la sua festa a'4 ^i-
seltembre.
MARINO I, Papa. K Martino
li e Madtiivo III Papi.
MAlUiNO, Cardinale. Marino
cardinale prete di s. Sabina, fiorì nel
pontificato di s. Gregorio llldel 73 1,
r
MAR MAR 39
MARINO, Cardinale. Marino dirìgendola da Roma ad Albano;
cardinale prete del titolo de'ss, XII dappoiché autecedeulemente per
x\ postoli, viveva sotto s. Gregorio questa città passava la strada po-
lli eletto nel 781. stale dirigendosi a Vellctri, e di
MARINO, Cardinale. Maiino si là a Terraciua girando intorno alle
fmva sottoscritto al concilio di s. pendici de' monti Lepini. Un pro-
Paolo I, tenuto nel 761, in qUe- fondo acquedotto di mirabile co-
sto modo: Marino umile prete del- struzione, esteso quasi tre miglia
la S. R. C. del titolo di 8. Lorenzo circa, vi reca principalmente dai
in DamasQ. colli Algidi quella abbondante co-
MaRINO, Cardinale. V. Mar- pia d'acqua potabile che il vasto
Tiiro 11 Papa. linfeo conserva sotterra, onde si
MARINO, Marinutn, Cìltà dello alimentano le varie sue fonti, do-
stato pontifìcio, comarca di Roma, pò di aver fatto di sé bella mo-
diocesi del cardinal vescova sub- stra nella piazza in apposita fon-
urbicario di Albano. Giace su a- tana, venendo ivi pure attinta dal-
mena collina, dodici miglia lunge la popolazione. Tutti quelli che
da Roma, avente a mezzogiorno • hanno veduto le nominate prò-
ed a settentrione due vaili, lo che fondissime forme , per la loro
rende più pregevole la salubrità struttura le ritengono opera degli
dell'aria che vi si respira. Il suolo antichi romani. Marino già feudo
del territorio è fertilissimo, e dal- dell'antica e polente famiglia Fran-
la misura censuaria del i833 è di gipani, passò quindi in dominio
rubbia 1933. Vi prosperano albe- di quella degli Orsini, e stabilmen-
ri e frutti d'ogni specie, vino gè» te nell' altra romana e nobilissima
«eroso, cereali, non che gli orti casa Colonna , che vi esercitò la
ed ogni specie di erbaggi, pei di- giurisdizione baronale sino al 1816,
versi rivi d'acqua che vi scorrono, in cui atteso il motuproprio di
Nel medesimo territorio sono due Pio VII, il contestabile d. Filippo
cave di pietre di molto uso, cioè Colonna, a cui apparteneva il mag-
di peperino e di macigno, ed una giorasco di detta famiglia, rinun-
sorgente di acqua minerale. Di zio ai diritti feudali. Dopo quindi-
molli opifizi di carta, ferro, ra- ci anni che n'era priva, il Papa
me e cuoi che vi si ricordano, più Gregorio XVI nel i83i gli re-
non vi sono ora che vari mulini stiluì il governatore che tuttora
da grano, da olio, una fabbrica vi risiede. Sempre benefico coi
di sapone, ed altre fabbriche ne marinesi, considerando quel glorio -
accrescono il traffico industriale, so Pontefice la loro costante di-
Due fiere vi si tengono, l'una dal vozione e fedéltìi alla Sede aposto-
10 al i3 giugno, detta di s. Bar- lica, le affettuose dimostrazioni so-
uaba, e l'altra dal io al 16 di- lenni di sincera venerazione ed
cembre con molta affluenza special- attaccamento date alla sua sacra
mente di negozianti di tele e sto- persona in molti incontri ; che
viglie. Tuttavolta Marino molto Marino cospicua terra popolosa di
perde dopo che Pio VI diseccan- più di sei mila abitanti occupa
do le Paludi Pontine, riaprì la l'antica Firenlumj che fu illustre
via Appia per andare a Napoli, municipio romano, che vi fiorirono
4o MAR
illustri luiiili, cheli suo soggiorno
è deiiziosu, piacevole la sitiiuzìoiie
posta in mezzo ad ameni e nolVili
tlinlorni, dccoiuta di edifìzi, di
chiese, case religiose, collegio, o-
spedale, e di altri particolaii pregi,
col breve In more insti tutoqne Ro-
inanorum Ponlijìciim , emanalo ai
3 luglio i835, presso la Raccolta
lìdie leggi, voi. Il, p. i del i835,
Gregorio XVl elevò Marino al
grado di cìlià, con le donsuete
prerogative e privilegi.
Tosta questa città soprft un ripia-
no della falda dipendente dalla cre-
sta di Albalonga,in ùria purissima,
donde si gode l'ampia veduta della
canìpagna romana, è ben flibbri-
cala. La strada del corso con re-
golari edifizi, anche del secolo XVI,
la piazza ed il duomo sono degni,
come il palazzo baronale, di par-
ticolare menzione. La vecchia ter-
ra degli Orsini 6 de'Colonnesi con-
serva gli avanzi del suo reciuto e
qualche torre rotonda del secolo XV,
sulle quali ancora sono gli stemmi
de* Colonnesi che lo innalzarono,
come in quella piccola rotonda e
merlata, chiusa nella parte Inferio*
re da piccole case, e posta a ma-
no manca quasi sul cominciar la
via del corso. Incontro si vede il
«palazzo edificato con ornati di mo-
saici tuttora visibili, dal cardinal Ca-
stagna, poscia nel i ^90 Papa Urbano
VII. Dà il corso in una piazza, in
mezzo alla quale eia memorata fon-
tana decorata da una colonna 0 da
quattro turchi o mori di marmo,
colle mani avvinte di dietro, stem-
ma de' Colonnesi , sebbene costrui-
ta nel i632 a tutte spese del co*
mune, il quale pure ha sempre
spurgato e mantenuto l'acquedotto.
La chiesa principale abbazialtì col*
jegiata e parrocchiale è dedicala
MAR
air apostolo s, Barnaba protettore
della città, grandlosQ edifizlo di ec-
cellente architettura, eretto dai fon-
damenti con maestosa e regolare
facciata dal cardinal Girolamo Co-
lonna vescovo di Frascati, IV du-
ca di Marino, il cui mausoleo è
nell'interno con pregiati ornamenti
di scoltura, sebbene egli è sepolto
nella basìlica Lateranense, secondo
il Cardella, e in detta chiesa al di-
re del Piazza. Dichiarò la chie-
sa giuspatronato di Sua famiglia,
ed in morte le lasciò tutta la
sua ricca e sacra suppellettile. Qui
noteremo , che il cardinale non
la dotò di entrate , ma per l* e-
sercizio del divino culto provvi-
dero le pie lascile de* marinesi, ed
il ricavato delle sepolture; e che
le nobili suppellettili di cui è ora
fornita la chiesa provengono da
elargizioni del comune, e da di vo-
ti benefattori marinesi. Abbiamo
dal can. Etnmanuele Lucidi, Me*
morie istoriche dell! Ariccia p. 228,
che i primi fondamenti furono
gettati a* io giugno 1640, e fu
compita nel i65o: certo è che fu
aperta nel 1662. Le sue campane
hanno un bellissimo suono. 11 sot-
terraneo è ampio e luminoso. Nel
1747 la casa Colonna, che ne è
patrona, fece il nuovo coro d'inver-
no pel capitolo, con stalli di noce
all'intorno, e nobile altare di mar-
mo ì e da ultimo il principe d.
Aspreno fece rinnovare il pavi-
mento* Il quadro deiraltare mag-
giore^ rappresentante il santo ti-
tolare, è di scuola guercinesca, di-
stinguendosi per la forza del co-
lorito e del chiaro scuro- Sull'al-
tare della crociera poi a mano si-
nistra di chi entra é un quadrò
del Guercìno stesso^ rappresentante
il martirio di s, Bartolomeo apQ%
]yiAR
slolo, pìtlui*^ ^i gran merito pri-
gliiai^ e di gran pastO)>ìtì!i nnassinuì
nelle figure dei ^anto, ma pregiu-
dicata dal restauri, Nell'altrq alta-r
ve della prociera èì venera un
antico Crocefisso. Questa chiesa è
fregiata di un capitolo con ob-
baie mitrato, il quale gode il pri-
vilegio di pontificare nelle feste di
prima classe, ed ha la cura d'ani-
me. I canonici sono dodici, ed i
beneficiati sei, con l'obbligo del-
l'ufficiatura quotidiana alternativa.
I canonici hanno l'onorificenza d'in-
dossare la cappa magna. Il Piazza,
Gerarchia cardinalizia pag. 297,
stampata neliyoS, dice che allo-
ra i canonici erano sei, e che la
prima dignità dell'arciprete nella
cura di anime avea due coadiutori
perpetui, per le due parrocchie
soppresse ed unite alla collegiata ;
e che Urbano Vili, il quale eresse
la chiesa in collegiata nel i643, pri-
ma che fosse compito l'edifizio, col-
la costituzione, Excelsa merita san-
cloruni, accordò all'abbate la cappa
magna, ed ai canonici l'abito cora-
le. Benedetto XIV concesse all'ab-
bate l'uso de' pontificali, ed ai ca-
nonici il rocchetto e la mozzelta
piionaz/a , di che se ne conserva
memoria in marmo nel coro, che il
Papa vide nel 174^- Leone XII
poi insigui i canonici della cappa
maglia, con breve dei 12 agosto
1828, ove si legge di Marino
quest'elogio: Ob eoruni in adversis
rt'troactorum teniporuni vicissìludì^
nibus erga ipswn et Sedem apo-
^lolicani probatant fidelitateiii ac
devotioneni. Finalmente Gregorio
XVI nel 1843 con breve de' 17
novembre concesse alTabbale e ca-
nonici r uso del (iollaré di Seta
paonazza. Le altre chiese sono le
seguenti,
VAR 4i
Chiesa, (fella fs. Trinità, della
congregazione de* dottrinari, Ele-
gante fabbrica con annesso colle-
gio, eretta nel secolo XVIIj nella
quale furono introdotti nel prin-
cipio di tal secolo i chierici rego-
lari minori dal contestabile Fabri-
zio Colonna, perchè servissero di
aiuto spirituale e d' istruzione agli
abitanti ; ma la prima fondazione
fu opera del sacerdote Pietro Gini,
il quale lasciò quanto possedeva
ai delti religiosi. Sull'altare mag-
giore si venera per quadro la ss.
Trinità, meraviglioso dipinto di
Guido Reni, che il Bellori stima
il suo miglior lavoro, non così il
Nibby, fatto genialmente con pia
applicazione, per soddisfare le di-
vote istanze del detto sacerdote
Gini, pel solo compenso di pochi
barili di vino, come si ha per tra-
dizione; quindi il sacerdote lo donò
ai chierici regolari minori. Il di-
pinto rappresenta il Padre Eterno
che tiene sulle ginocchia il Figlio
immolato, e nel petto lo Spirito San-
to fiammeggiante. Narra il Piazza
come fu ivi collocato in bella cap-
pella* il ss. Crocefisso miracolosis-
simo, il quale prima rilrovavasi
in una nicchia cavata nel masso
di peperino nella via del Fontani-
le poco distante dalla città. Ope-
rando la sacra immagine molti pro-
digi, e fra gli altri di aver fatto
rompere i ceppi due volte, ad uno
calunniato di delitto, volendosi to-
gliere dal luogo oscuro, e riporla
nella chiesa, a'i4 giugno 1687 se
ne fece la traslazione con solenne
processione per opera dei Colonne-
si, e coll'intervento dei cardinali Co-
lonna e Santacroce, della famiglia
Colonna, di altri personaggi ro-
nmni, di tutta la popolazione ma-
ìiuèsCf onde immenso fu il concorso
4» M A R
del popolo. Il Papa Gregorio XVI
nel i835 donò l;i chiesa ed il colle-
gballa città, collocandovi i Dottrina'
ri (f^edì)y jicciò nel medesimo locale
aprissero un collegio, siccome fe-
cero con successo lodevole e van-
taggioso. Il comune lo ingrandì
ed abbellì, ed a memoria del se-
gnalato benefìzio eresse al Ponte-
lìce due marmoree iscrizioni: ven*
ne destinato per primo rettore
del medesimo d. Raimondo Cesa»
retti. Chiesa dì san Domenico^
delle monache domenicane det-
te gavotte, con monastero eret-
to con bolla di Clemente X, de-
gli 8 maggio. 1675, di strettis-
sima osservanza. Apprendiamo dal
Piazza, che fabbricò la chiesa e
il monastero suor Maria Isabel-
la Colonna, monaca del mona-
stero domenicano de'ss. Domeni-
co e Sisto di Roma, che ne fu
pure la fondatrice : la chiesa è di
gaia architettura, e di bei marmi
rivestila. Chiesa di s. Maria delle
Gr^ie, degli agostiniani, detta an*
ticamente del Gonfalone, perchè
della compagnia di tal nome ivi
eretta; a'i3 aprile i58o fu (Cedu-
to convento e chiesa a detti reli-
giosi*: merita menzione il quadro
di s. Rocco, che dicesi del Dome-
nichino o dello Spagnoletto. Ivi
venerasi una divotissima immagine
di antica divozione della Beata
Vergine, la quale prima si chia-
mò del Gonfalone, come apparisce
dal modo in cui è effigiata, cioè col
manto in ambo i lati aperto, in
atto di ricevere sotto di esso e suo
patrocinio i fratelli e sorelle del-
la detta compagnia del Gonfalone.
Dipoi si chiamò delle Grazie per
la copia di quelle concesse à chi
ricorse alla sua mediazione. Della
chiesa e convento furono correli-
M A R
giosi, benefattori, e chiari in lette-
re ed esemplarità di vita: Grego-
rio Boezio, Agostino Ronacci ma-
rinese, ed Agostino Usardi romano.
Siccome al modo che dicemmo
all'articolo Confraternite (Fedi)^ di
queste in Roma la prima fu quella
del Gonfalone, dopo la quale furono
fondate le altre, e che la romana
derivi e sia stata eretta dopo la
marinese, come scrive il Piazza, e
come sostengono parecchi marinesi,
ne faremo breve digressione, impor-
tando il conoscersi la vera origine
delle confraternite della metropoli
del cristianesimo. Essi pertanto di-
cono che si ha per antica e costante
tradizione che S.Bonaventura gene-
rale de* francescani^ poi cardinale e
dottore di s. Chiesa, dimorando nel
1260 in Albano, si recasse sovente a
Marino a visitare un'antica imma-
gine della Beata Vergine in una
cappella ora diruta j che sta fra
il bosco Ferentino e le pietraie di
Marino. Questa tradizione si avva-
lora dal fiumicello 0 rivo d'acqua
chiamato Marrana che lì vicino
Scorre, chiamato con più antico vo-
cabolo Marrana di Bonaventura^
diverso però dall'altro rivo Mar-
rana che scorre a settentrione da
Marino a Roma. In una di quelle
visite, S. Bonaventura , meditando
il modo acciò i secolari con par-
ticolar ossequio onorassero la Ma-
dre di Dio, credette che gradito le
riuscirebbe il redimere dalle mani
degl' infedeli i cristiani fatti schia-
vi, l'erezione di ospedali, l'accom-
pagnare i defunti alla sepoltura e
suffragarne le anime; vide in visio-
ne che molti angeli in candide ve-
sti Stavano riverenti intorno alla
sacra immagine, é dopo aver egli
orato avanti la medesima , rivolse
! suoi passi a Marino, ed incontrò
MAR
alcuni fanciulli marinesi , con ca-
inicietle in luogo di cotte sui loro
ubiti, die imitando le processioni
del clero, cantavano laudi spirituali.
Allora il santo si unì con essi , e
con loro s' inviò all' antica chiesa
di s. Lucia, di gotica bellissima
struttura, di marmi, pitture e mo-
saici adorna ( forse perciò, e stando
alla memorata tradizione, Vaerei-
confraternita del Gonfalone {Vedi)
di Roma eresse la propria chiesa
sotto r invocazione della medesima
s. Lucia ) ; ivi giunto encomiando
lo zelo di que' giovinetti , invitò i
signori di Marino ad unirsi insie-
me per l'efletto di tali opere pie,
ad imitazione del terzo ordine se-
colare di s. Francesco. Il che fatto
e data forma all'abito, se ne di-
vulgò ne* luoghi vicini la fama, on«
de poi volendo due canonici di s.
Vitale uniti a dodici gentiluon)ini
romani praticare simili opere pie,
si diressero ad un Irate domenica-
no, il quale venuto in cognizione
di quanto era stato da s. Ronaven-
tura operato in Marino, a lui li
rimise, ed il santo a foggia del
sodalizio marinese quello di R^oma
eresse col titolo di raccomandati
di Maria j che si cangiò nel 1 354
111 quello di Gonfalone. Ottenutasi
poi dal sodalizio di Marino la bol-
la pontificia di canonica erezione e
di conferma, questa in argomento
di primazia si riteneva originalmen-
te nell'archivio dell'oratorio di Ma-
rino, con l'altra bolla di Vixoìo V
del novembre 1607, come dichiara
Girolamo Fazza allora priore, in
una ricevuta di consegna fattagli
dal suo antecessore Riondi, esistente
nel libro dell'arciconfraternita, de'3o
novembre 1647. 1 suddetti marinesi
oltre la costante tradizione in favo-
e della primazia suH'arcicofjfraltr-
M A R 43
nita del Gonfalone alla romana,
producono le seguenti ragioni e pro-
ve, i." L'antichità degli oratorii
del sodalizio in Marino, poiché do-
po la rovina di quello ove orava
il santo, ne furono edificati succes-
sivamente tre altri; cioè nel bor-
go fuori di porta Romana, ceduto
agli agostiniani , come si è detto ,
ora chiesa di s. Maria delle Grazie,
con istromento che si conserva ; vi-
cino alla chiesa di s. Lucia, ancora
esistente come il precedente , indi
abbandonato quando fu interdetta
la chiesa ; l'attuale presso la chiesa
collegiata , eretto con architettura
del cav. Girolamo Fontana nel
1698. 2." Diversi autori asserisco-
no l'antichità e la primazia dell'ar-
ciconfraternita del Gonfalone di Ma-
rino, e fra gli altri il francescano
fr. Flaminio da Latera, che dice che
vari autori l'affermano, ed il citato
Piazza. 3." L'avere l' arciconfrater-
nita fondato le altre confraternite
filiali della Carità e del ss. Sagra-
mento in Marino prima del i5oo,
col riservarsi diversi diritti, e fra
gli altri quello del feretro, conser-
vatole dal cardinal Giustiniani ve-
scovo d'Albano. 4-° Ad onta che
ne' saccheggi ed incendi e nelle pe-
stilenze sieno periti i più antichi
libri dell'arciconfraternita, non o-
stanle nei superstiti del cinquecento
s'incontrano alcune memorie delhi
primazia e dei diplomi che si danno
in antico latino, mentre la romana
li concede in volgare. 1 diplomi
marinesi dicono così : Nos praesi^
dcs ven. archiconf. vexiWferoriun
Mareni sub ins^ocationc Deiparat
dp. Mercede primiun a s. Bonaven-
tura fundataej e nel fine: Oramus
itaquc univerias urbis et orbis ar-
chiconf.^ confrat.y sodali tia, congrc
gatiofiesj pioscjue uniones^ ut se in
44 MAR
talem t'eri pia nt et agnoscnnt. Tali
diplomi soiiQ ricevuti da per tutto,
ed I confrati marinesi indossano Ta-
bilo in qualunque godalir.io. S.'' Nel
passato secolo , nel trasporto clic
venne ftilto della Madonna del di-
vino amore (di cui parlammo nel
voi. XVII, p. i8 del Dizionario) j
quantun(|ue vi fosse l'arciconfratcr-
iiita di Roma, quella di Marino eb-
be la precedenza, ed altrettanto si
pratica ogni anno santo (il nume-
ro 77 del Diario di Roma iSi5
lo confermo), quando il sodali-
zio portasi in Roma. Nel 1799
in un discarico dato al governo
d'allora, e portante la data 24 ot-
tobre, non solo si conferma la pri-
mazia, ma si dice che avendo ri-
portato il sodalizio dalla pietà dei
li'deli molte donazioni di slabili ,
((uindi divenuto ricco di rendite, se
ne spogliò per erigere un convento
agli agostiniani con congruo asse-
gnamento, non che per erigere tre
compagnie filiali sotto 1* invocazione
del ss. Sagraniento, già del ss. Cor-
pò di Cristo, del Crocefisso o buo-
na morte, e delle Àiiinie del purga-
torio. Finalmente è da rimarcarsi,
che nel 1887 gli vSteSsi confrati della
romana confessarono ai marinesi ,
come questi aflfermano, la primazia,
e nel i^^g recandosi a Marino per
la festa de* principi degli apostoli
sette confrati del Gonfalone di Ro-
ma, iiconoscendo là primazia ma-
rinese, si vestirono de* loro abili ,
otffciarono coi confrati di Marino
nel loro oratorio, offrirono all'alta-
re sei Ix'lli ceri, e visitarono i luo-
ghi dei tre più antichi oratorii. Che
i confrati del Gonfalone furono in
origine chiamati crociferi, lo dicem-
mo altrove. H sodalizio si occupa
della redenzione degli schiavi, nell'a-
iulare i carcerati, ucl propagare la
MAR
divozione delk Beata Vergine, uf-
fiziandq in tutte le fe^te annuali
oltre le proprie che sono molte, e
nel pacificare le persone che si so-
no inimicate.
Il cardinal Marit) Matte» protet-
tore della città lo è pure dell'arci-
confraternita del Gonfalone: mentre
della confraternita della Carità
sotto l' invocazione di Gesù, Ma-
ria, Giuseppe, Antonio di Pado-
va, e anime purganti, dal i845
n'è protettore il cardinal Adriano
Fieschi. Questo sodalizio della Ca-
rità gode i medesimi privilegi di
([uelli della Morte e Gesù Maria di
Roma, associa i cadaveri di quelli
morti in campagna , ed i poveri
gratis, facendo loro un competente
funere con messa e uffizio; man-
tiene l'ospedale per gì' infermi ( o-
spedale ch'esisteva a' tempi del Piaz-
za, che lo disse canonicamente e-
fetto, verso la porta che conduce
in Roma, con sei stanze, donde gli
ammalati si mandavano in Roma);
suffraga i defunti con uffìzio una
volta il mese, ed in novembre nella
commemorazione de' fedeli defunti
per sedici giorni; facendo ogni an-
no in tal tempo nel cimiterio del-
l'insigne chiesa collegiata la rap-
presentazione con scenari dipinti e
figure dì cera al naturale, dispen-
sando incisioni e spiegazione dei
fatti, oltre la celebrazione di gran
numero di messe. Nel i845 rap-
presentò il fatto, quando s. Anto-
nio di Padova chiama in testimo-
nio l'ucciso a giustificare V inno-
cenza del padre. Nel 1846 poi per
rappresentazione si figurò la regina
Saba, che si porta a visitare il re Salo-
mone. Lo stesso sodalizio della Cari-
tà in delta commemorazione fa nel
duomo o collegiata una solenne es-
posizione con grandiosa macchina.
MAR
paratura e sorprendente luminarla,
inoltre celebra sontuosamente la fè-
sta a s. Antonio di Padova, inter-
Tiene a tutte le processioni, ed es-
sendo unite ad essa le sorelle della
carità di s. Vincenzo de Paoli, fa
continue elemosine ai poveri ed in-
ferrai anco nelle proprie case. 11
Piazza a pag. 299 parlando del-
le chiese di Marino, alcune delle
quali non più esistenti , dice che
nella collegiata vi furono canoni-
camente erette quattro compagnie,
vale a dire : del ss. Sagramento ag-
gregata all'arciconfraternita della Mi*
nerva di Koma; del ss. Crocefisso-,
del Gonfalone; della Carità; e del
Rosario che mantiene di cera e sup*
pelletlili sacre l'altare di esso in
detta chiesa, e lo recita nei giorni
destinati.
Quanto al novero delle altre chie-
se eccolo. S. Rocco^ chiesa od ora-
torio rurale sulla strada di Grotta-
ferrata. S. Maria dell' Orto detta
deWAcqua santa, sulla strada verso
Albano, di ragione del capitolo, e-
retta colle limosine de' fedeli , ove
sotto l'altare sorge un' acqua che
bevono con divozione gl'infermi, ed
opera prodigiose guarigioni, essen-
do in gran venerazione la sacra im-
magine della Madonna scolpita nel
peperino, scendendosi nel santua-
rio per una scala di 34 gradini
praticata nel masso di detta pie-
tra albana nerastra. Non è poi vero
che tale acqua sia la Ferentina. Nel
1819 la chiesuola fu decorata d'un
prospetto esterno tutto di peperini,
lodata architettura di Matteo Lo-
vatti, essendo semplice e bella, ed
avendo l'aspetto di antichità e se-
rietà che piace. S. Antonio di Pa-
dova, chiesa eretta per decreto del
cardinal Pallotla nella sua visita ,
dirimpetto alle carceri , per cele-
MAR 4>
brarvi la messa a comodo de' car-
cerali. S. Maria della Natività, chic -
sa rurale posta sulla strada verso
Roma, edificata «lel 1641 da Giu-
lio Ciliano protonotario fipostolico.
S. Giovanni Evangelista e s. Fran-
cesco, cappella pubblica (àbbricula
vicino ai molini del couumkì per
legato delia famiglia Mnjoni. S. An-
tonio di Padova, situata sulla strar
da Romana, eretta da Bartolomeo
Santo pad re. iS'. Girolamo delle Frat-
toccjiie, eretta per comodo degli a-
gricoltori dalla casa Colonna. SS.
Crocefisso, vicino alla via Appia,
della famiglia Marioli. Nel territo-
rio di Marino vi è la chiesa e il
convento de' minori osservanti di
s. Maria della Neve di Palazzola,
ove al dire del p. Kyrcher fu già
Albalonga. Del luogo, della chie-
sa e convento tenemmo proposito
all'articolo Albano, e ne parlammo
ancora agli articoli Lazio e Castel
Gandolfo. Per la celebrità del silo,
oltre quanto dicemmo ai citati arr
ticoli, principalmente in quello di
Albano, ed in quello di Lazio par-
lando di Lavinio ed Albalonga ,
qui aggiungeremo alcune altre no-
tizie.
11 convento e la chiesa di s. Ma-
ria di Palazzola, nel i449 ^'^l^be-
ro i minori osservanti, dai monaci
certosini, con quelle condizioni ri-
portate dal p. Casimiro da R.oma,
Mem. istor. p. 227, della chiesa e
del convento di s. Maria di Pa-
lazzola. Esso fu onoralo piti volte
dai Pontefici, cardinali ed altri per-
sonaggi. Si sa di certo che vi fu-
rono Pioli, e Sisto IV francesca-
no nel settembre i47^- Per la sua
amenità e scaturigini di acque ab-
bondanti e freschissime , non che
termali, ora deviate, vi furono fatte
piscine e vivai , laonde nel secolo
I
J[6 MAR
XV si tpnne in conto di delizia. Il
celebre caidinale Isidoro di Tessa -
Ionica, morto in Roma nel r463 ,
nmava il riliramento di Palazzo!»,
ed amava sovente desinare nella
stagione estiva in uno degli spechi o
caverne piftoriclic, die si vedono
a destra del convento, vestite di
edera e di musco con sorgenti di
acqua limpida, oggi inondata e pri-
va degli ornameiìti boscarecci, che
dal cardinale erasi fatto un deli'
zioso triclinio di estate. Si vuole che
tali caverne abbiano tornito i mate*
riali ad Albalonga, poscia luoghi
di orrido carcere, ed in tempo dei
romani prima un ergastolo e po-
scia un amenissimo ninfeo. Il cai'
dinal Girolamo Colonna otteime da
Urbano VII! (il quale lo dichiarò
prolettore del convento mentre vi
dimoravano i pp. riformati, che vi
restarono dal 1626 al 1640) l'in-
vestitura di un terreno, e vi formò
una villetta, edificando un casino
nella ripa che sovrasta il convento
e la rupe, che è alquanto fragile
e soggetta ad improvvisi scoscendi-
menti, l'ultimo de' quali avvenne
nel 1826, che per qualche tempo
troncò le comunicazioni fra Albano
e Palazzola. Alessandro VII si recò
al convento de* francescani agli i i
maggio i656, dopo essere sialo al
palazzo del cardinal Colonna; visitò
la chiesa, passeggiò pel chiostro e
per l'orto, e fu trattato di rinfresco.
Clemente XI due volte vi si trasferì
come il detto predecessore da Castel
Gandolfo: la prima fu ai ^3 giù*
gno 171 I, e dopo aver celebrato
la messa nell'altare maggiore, am-
mise al bacio del piede i religiosi
nella cappella di s. Diego situata
nel chiostro, assistito dai cardinali
Paolucci vescovo diocesano, e Goz-
zadioi ; l'altra fu a' 1 8 giugno 1 7 1 3^
MAR
in cui dopo la celebrazione della
messa volle visitare la chiesa di s.
Angelo coll'annesso romitorio fab-
bricato fin dal i63G. Benedetto XIV
da Castel Gandolfo si trasferì a que-
sto convento a' 28 ottobre I74' •
orò in chiesa ov' era esposto il ss.
Sagramento, indi ammise al bacio
del piede i religiosi, e permise che
entrasse nel convento la contesta-
bilcssa Colonna. Nel 1829 nel mese
di ottobre vi si recò a passare al-
cuni giorni il cardinal d. Mauro
Cappellari col p. abbate d. Am-
brogio Bianchi ora cardinale, volen-
do sempre mangiare nel refettorio
coi frati; ed io ebbi l'onore, come in
lutti i luoghi sì nel cardinalato che
nel pontificato, di seguirlo e di-
morarvi. Divenuto Papa Gregorio
XVI, nell'ottobre i83i vi ritornò
colla corte, di cui io feci parte; vi-
sitò la chiesa e il convento, am-
mettendo con somma affabilità a
discorso ed al bacio del piede l'e-
sultante religiosa famiglia, rammen-
tando la cortese ospitalità ricevuta
due anni prima. Ecco come il p.
Casimiro da Roma descrive la chie-
sa a p. 242 e seg. Incomincia dal
riferire le parole di Pio II, che nei
suoi Comnienlari descrisse il luogo.
Ecclesia est vetiisU opens^ non ma^
^na^ uno contenta fornice , cujus w-
atibuluni ntarmoreis nitet columnis.
Nell'altare maggiore vi è il quadro
rappresentante la Beata Vergine ,
coi ss. Francesco d'Asisi ed Anto-
nio di Padova, di buona maniera.
Verso la fine del secolo XVII fu-
rono fabbricati due altari quasi nel
mezzo della chiesa; e a mano dritta
della porta fu collocata ed ornala
con pietre la croce di metallo, tolta
dalla porla santa di s. Giovanni \n
Laterano, che nel i65o avea aperta
pel giubileo universale il cardutai
MAR MAH 47
GirolamoColonnacoincarcipiele.il l'ordine, che vi si portassero a di -
convento fu restaurato a spese del porto. Questa chiesa è filiale del
p. fi'. Giuseppe Maria di Fonseca duomo di Marino, e soggetta col
da Evora, detto il Por/og/zp.?mo, prò- convento alla giurisdizione parroc-
curalore e commissario generale dei chiale di s. Barnaba, per cui i re«
minori osservanti, che morì vesco- ligiosi sono tenuti ad intervenire
vo di Oporto o Porto in Porto- alle principali processioni che si
gallo, del qual regno fu ministro fanno in Marino, e da questa città,
plenipotenziario in Roma pel re ove d'ordinario scelgono il sindaco
Giovanni V (che alcuni chiamano apostolico, ricevono le maggiori li-
suo genitore). Oltre a ciò il p. da mosine per la loro sussistenza,
Evora nel lySgabhein con diversi Finalmente in Marino vi sono,
ornamenti la chiesa , e particolar- una casa religiosa per l'educazione
mente con quattro altari di mar- delle fanciulle, e un pubblico ospe-
mo e colla balaustrata di bardiglio dale pegli infermi. Altro edifizio
innailzi al maggiore. Questo illustre poi ragguardevole è il palazzo ba-
personaggio lo celebramnìo in più ronale dei Colonna, magnifico fab-
luoghi, come all'articolo Bibliote- bricato non condotto a fine. Ave-
CA Akacelitana da lui grandemente va nel mezzo una gran torre qua-
aumentata, lo che pur notammo ai dra, che venne però mozzata. Nei
"voi. XII, p. g8 , e XXYI, p. 147 saloni vi sono molti quadri im[X)r-
del Dizionario; oltre di aver ope- tanti pei soggetti che rappresenta-
rato molti miglioramenti nel con- no , poiché i migliori furono ai
tiguo convento, essendo stato gè- giorni nostri trasportati ad accre-
neroso e benefico con molti di quelli scere la preziosa galleria del pa-
della provincia romana, ed avendo lazzo Colonna di Roma, ove pure
concorso al collocamento della statua vennero collocati i più scelli dei
di s. Francesco d'Asisi nella basi» palazzi baronali di Genazzano e
lica vaficana. Nella chiesa di Pa* Paliano [Fedi). JVella gran sala al
lazzola vi sono pitture del Masucci, primo piano vi è la pregevole e
in una rappresentandosi s. Giusep- interessante intera serie delle effìgie
pe col bambino Gesù^ nell'altra i di tutti i sommi Pontefici da s.
genitori della Madre di Dio. Un Pietro al regnante Pio IX, dipinti
altro celebre pittore, Ippolito Scon- in tela in tanti quadri colla test»
Zani bolognese, sepolto in mezzo al naturale, tanto più preziosa do-
della chiesa, colorì nel convento tra pò T incendio dell'antica basilica di
le altre cose due camere ed una s. Paolo, che nelle pareti avea in
sala. Nel t. XIV del Bull. Rom. ritratti la cronologia de* Papi. Nel-
p. 23 1, si legge il breve Exponi la gran sala al secondo piano vi
nohis, di Clemente Xll, de' 9 apri- sono molti quadri di vario argo-
le lySS, dal quale si rileva, che mento^ la maggior parte rappresen-
il p. da Evora spese più di ottan- tanti ritraiti d' illustri Colonnesi.
tamila scudi pel convento e chiesa Rammenteremo quel dipinto del
di Palazzola, e si ordina che dopo cavallo tutto bianco, che dicesi del-
la di lui morte le ampliale abita- la razza dei Colonna, il quale ba
zioni non dovessero servire che sì lunghi e ricca la criniera del collo
per alloggiarvi i benefattori del- e la coda, che quella strascina per
48 MAR
terra, e questa lunga drca tre can-
ne, è sostenuta da due valletti ric-
camente vestiti , mentre un terzo
tiene le briglie di si meraviglioso
e bellissimo cavallo. Vi sono inol-
tre nel palazzo antiche suppellettili,
ed apparati ricchissimi de* Colon-
nesi. In Marino vi è l'amena villa
Bel PoggiOy già dei Colonnesi , ed
ora della nobile famiglia de' conti
di Marsciano, con elegante palazzine,
bei viali e giardini, ed ombrosi bo-
schetti. La contessa Marianna Mar-
sciano ultimamente fece ristaurare
ed abbellire il casino, sotto la di-
rezione dell'architetto Luigi Ago-
stini.
In Marino fiorirono uomini e
donne illustri. Primieramente si
vuole che l'antica e nobile fami-
glia Crescenzi appartenesse al mu-
nicipio di Marino, e si desume da
una lapide sepolcrale scritta in gre-
co ma latinizzata , che esiste nel
palazzo del comune, rinvenuta nel-
la tenuta di Monte Crescenzo , la
quale di rubbi cento apparteneva
al comune, indi incamerata, ora è
proprietà libera dei Colonna. Tra
i celebri personaggi di questa pro-
sapia che videro la luce in Mari-
no, nomineremo Vittoria Colonna
che celebrammo nel voi. XIV, p.
287 e 288 del Dizionarioy nata nel
1490 da Fabrizio Colonna e da
Agnese di Montefeltro, e morta in
Roma nel iS^f. Da ultimo il prin-
cipe d. Alessandro Torlonia , per
cura del eh. cav. Pietro Ercole Vis-
conti, ne fece pubblicare con più
corretta e magnifica edizione le sue
rime e la vita, ed a suo onore fe-
ce coniare una bellissima meda-
glia, mentre nella protomoteca di
Campidoglio il busto marmoreo di
Vittoria fu collocato con benepla-
cito di Gregorio XVI tra quelli
MAR
degli italiani illustri. Altro Colon-
ncso nato in Marino fu Prospero
de' duchi di Sonnino, che ivi vide
la Incedei giorno nel 1673, creato
cardinale da Clemente XII, e morto
in Roma nel I74'5- Altie persone
illustri di Marino sono: suor Ma-
ria Costanza Biondi fondatrice delle
monache oblate di Albano. Suor
Claudia de Angelii fondatrice delle
monachelle di Anagni : è dubbio se
nascesse propriamente in Marino,
certo è che marinesi furono i ge-
nitori. Bernardina Cioglia e Bar-
bara Costantini, ambedue morte in
odore di santità, avendo Dio con-
cesso grazie a loro intercessione. I
nominati religiosi Boezio e Bonac-
ci. Do'menico Gagliardi dottore fi-
sico, che pubblicò alcune opere, e
servi quattro Pontefici, Alessandro
Vili che lo ascrisse alla nobiltà ro-
mana. Clemente XI, Benedetto XIII,
e Benedetto XIV : però il Mari-
ni non ne fa menzione ne' suoi
Archiatri. Nicola Gagliardi vesco-
vo di Alatri. Giacomo Carissimi,
celebre compositore del Misere-
re che si cantò nella basilica va-
ticana. Giuseppe Ercole maestro
di cappella nella corte austriaca.
Due fratelli Falconi, uno maestro
di cappella nella corte di Spagna,
l'altro in quella di Portogallo. Ca-
nestri e de Cesaris si distinsero nel-
la pittura. Il cav. Mocchi valente
scultore, fu chiamato alla corte di
Baviera : nella crociera della colle-
giata edificò un bellissimo altare
con colonne di marmo colorato ed
altri ornati. Anticamente molti ma-
rinesi si distinsero nelle armi, e da
ultimo certo Rovina morì mentre
era al servigio della Russia col gra-
do di colonnello. Maria Domenica
Fumasoni, oltre essere poetessa, si
dice che fu discopritrice della fila-
MAR
tura (leir amianto ( del quale in-
combustibile ne pailanìmo al voi.
XXVI 11, p. 19 del Dizionario) f di
die, secondo il eli. I^aggi, fece espe-
rimento nell'accademia de' Lincei
nel 1806, presenti i rinomati pro-
fessori Scalpellini, Brocchi e Mori-
cbini che assai la lodarono: suo fi-
glio è il notaro Francesco Fuma-
soni Biondi, lodalo poeta che con
mirabile facilità improvvisa versi
su d'ogni argomento. Altro vivente
illustre è Giuseppe Mercuri inven-
tore dell' incisione in acciaio, nella
quale divenne sì celebre , che fu
fatto direttore dell'accademia delle
belle arti nel Belgio. Vanno enco-
miati i filantropi patrii Francesco
e Mauro fratelli Giani , per aver
istituito cinque posti gratuiti e per-
petui neir ospizio apostolico di s.
Michele di Roma, due per maschi
e tre per femmine , con pubblici
istromenti de' i/^ gennaio i833, e
25 luglio 1839 per gli atti del Sol-
dini notaro in Marino, avendo de-
ferito la nomina dopo la loro mor-
te al magistrato e segretario prò
tempore del comune di Marino. I
medesimi benemeriti fratelli fon-
darono pure sei mezzi posti per
convittori nel collegio di Marino ,
oltre diverse altre opere pie, per le
quali hanno disposto l'intiero loro
patrimonio.
Non vi sono sicuri argomenti
per dichiarare il famoso console
Mario qual fondatore di Marino, ne
memoria si ha di alcuna villa sua
nel recinto, sebbene talora sia stato
latinizzato col nome di f^illa Mariij
tutlavolla diremo ciò che opinaro-
no gli archeologi. Il p. Kircker nel
riferire che non avea la terra il
titolo di città, aggiunge che per
l'ampiezza dell'area, per l'eleganza
de' templi, per l' amenità de' giar-
VOI.. XLIII.
M A R 49
dìni, e per lo splendore de' palaz-
zi, gareggiava colle più illustri città
latine. Nelle sue vicinanze, Murena,
Lucullo, Cicerone, Ponzio e tanti
altri personaggi illustri di Roma ,
dimorarono nelle ville o delizio-
se case di campagna, delle quali
tuttora V* ha copia. Di alcune ne
parlammo agli articoli Grott afer-
rata e Frascati, abbazia e città
celebri che gli sono vicine, succe-
dute all'antico Tuscolo. Abbiamo
dal Piazza che presso l'odierno Ma-
rino fosse la villa di Caio Marino,
sulle cui rovine probabilmente fu
edificato, ovvero nel luogo ove sur-
sero i famosi giardini di Lucio Mu-
rena , onde il luogo anticamente
venne chiamato Mariano^ come lo
appellò Pio II ne* suoi Commentari
lib. II, compilati dopo aver per-
corso i circostanti luoghi e Mari-
no stesso. Dice ancora, che alcuni
affermarono giungesse sino a Ma-
rino la magnifica e vastissima villa
di Lucullo, ciò deducendo dai rot-
tami di statue, di colonne, di ca-
pitelli e di altre memorie che si
rinvennero ne' campi. Nel sito o
valle detto le Fratlocchie e dal
volgo Torre del re Paolo, già villa
deliziosa de' Colonnesi, di cui molto
si dilettò Alessandro VII mentre
villeggiava in Castel Gandolfo , fu
un tempo la villa dell' imperatore
Claudio, in un al tempio a lui de-
dicato. Amante l'augusto della so-
litudine, in essa di frequente riti-
ravasi con Tito Livio, e siccome
dotto nella lingua greca ed ammi-
ratore di Omero, a lui si attribuisce
l'erezione di quella tavola di marmo
con elegante bassorilievo, che si disse
opera di Archelao di Apollonio, in
cui erano rappresentate le piti se-
gnalate azioni di quell' insigne prxì-
ta, che nel declinar del secolo XVH
4
So MAR
fu rinveniiln presso le Frnlloccliic,
indi illustrata dal prelato Marcello
Sevcrali, dapprima collocata nel mu*
seo valicano, poi in quello di Londra,
e meglio conosciuta sotto il nome
di j4poteosi (V Omero. Di questa
scoltura ne parlarono ancora Rey-
nolds e Winkelmann : dallo stile
del monumento si volle ccngcllu»
rare che 1* artefice vivesse al tem-
po de'Cesari. Avendo fatto ricerche
su tale monumento, venni a conosce*
re che due di Omero ne furono tro-
vati alle Frattocchie, appartenenti
all'antica Bovilla, di cui tra gli altri
tratta anche il Nibby nell'opera che
qui ricorderemo. Che il primo fu
posseduto da Arcangelo Spagna an-
tiquario romano , dalle cui mani
passò nel museo Roccia ed in se-
guito dagli eredi di questa fami-
glia fu dato in dono a Clemente
XIII, che lo fece collocare nel mu-
seo capitolino ; certo è che nell'/zi-
dicazione di esso dell' attuale suo
direttore l'egregio Alessandro To-
fanelli, a p. 7 1 si legge : l'Omero «
simile a quello che si trovava in bas-
sorilievo nella sua apoteosi già in ca-
sa Colonna; ed aggiungo che questo
monumento, eh' è il secondo di
quelli in discorso, fu probabilmente
quello passato nel museo di Lon-
dra, essendo pur certo che nel mu-
seo valicano mai esistette 1* apo-
teosi di Omero. Nel territorio ma-
rinese e presso le Frattocchie era
situala l'antica città di Boville : ne-
gli ultimi scavi fatti si sono ritro-
vale le fondamenta dell'anfiteatro
Covillcnse. Di greco scalpello fu
pure la bella statua di Diana , ri-
trovata in detti luoghi. Il tempio
di Giove Cimino sorgeva al nord-
ovest sull'eminenza, che dicesi tut-
tora Colle Cimino. Fra gli antichi
monumenti sono a rimarcarsi le
MAR
costruzioni della via Appia e della
via Trionfale, die guidava al Mon-
te Albano. Che sotto Marino vi fu
il Castel di Paolo, ne fa fede il p.
Sciommari , Note ed ossen'azioni
p. 1 97, dicendo che al suo tempo
(pubblicò l'opera nel 1728) se ne
vedevano ancora le vestigia.
Il eh. Nibby, Analisi de dintor-
ni di Roma, l. Il, p. 3i5 e seg.,
tratta di Marino, che chiama Ca-
strimoeniuniy scrivendo quanto qui
riportiamo. Plinio nomina tra le
colonie del Lazio esistenti ai suoi
giorni i Castrinioenienses , colonia
che direbbesi derivata d'd Moenien-
ses o Munienses primitivi, che poi
enumera fra i LIII popoli del La-
zio, che perirono senza lasciar ve-
stigia. L'autore del trattalo De co-
loniis mostra eh' era un oppiduni
che per la legge di Siila fu mutii-
to, il cui territorio prima era sta-
to tenuto per occupazione, e poscia
fu da Nerone assegnato ai tribuni
ed ai soldati. Non si pub pertanto
porre in dubbio la esistenza di un
luogo di questo nome, il quale d'al-
tronde è ricordato ancora in mol«
te lapidi, che ne determinano la
ortografia vera in Castri- moenium,
come in Castrinioenienses quella
del popolo. Il luogo avea il suo
principe, i suoi patroni e decurio-
ni, come altre colonie e municipi,
e fioriva ancora sotto Antonino Pio,
come dalle iscrizioni riportate dal
Grulero e dal Fabrelti. Soggiunge
il Nibby, queste lapidi furono rinve-
nute tulle presso Marino (fi a le quel-
li rimarchevole in favore del Castri-
menio è quella ritrovata dj recente
nella vigna poco distante da Mari-
no, da Innocenzo Soldini proprieta-
rio di essa ed attuale zelante segreta-
rio del comune), e per conseguenza
ivi la colonia in discorso dee collo*
MAR
rni-si, tanfo più che il Mto di Marino
[>cl suo isolamento si annunzia per
quello di una città antica. Con
questo il cliiaro scrittore vorrebbe
escludere 1' opinione del dotto p.
Volpi che ritenne CaslromoenUtm o
Cnstrimoniiim essere il campo di
pretoriani stabilito nel sito dell' o-
dierno Albano, come noi pure di-
cemmo altrove. Quando penò si
estinguesse tal colonia dopo Anto-
nino è incerto, come incerta pure
è l'epoca in che per la prima vol-
ta il nome di Marino si dasse ai
luogo della città odierna. Vero è
che Anastasio bibliotecario nella vi-
ta di s. Silvestro I, parlando della
chiesa o basilica di S.Giovanni Batti-
sta edificata da Costantino in Albano,
dice che fra i doni che le assegnò
vi fu quello di un possessio Ma-
rinasi che rendeva 5o soldi; ma
quel nome non è -sicuro, poiché in
altri testi diversamente si legge
Jìlaritanas, Marianam e Mariana.
I)a molte carte de'lempi bassi ripor-
tate negli annali camaldolesi, e da
altre esistenti negli archivi privati,
al dire del Nibby, sembra potersi
stabilire, che nei secoli X e XI
tutta la falda settentrionale del
monte fra le vie Appia e Latina
•si dicesse Moreni ( perchè alcuni vo-
gliono che tal nome derivi dalla
famiglia Morena che possedeva la
delta falda del monte ), e questo
nome egli crede poter aver data
origine a quello eh* ebbe la terra,
die poscia tbrmossi sul sito dell'an-
tico Caslrimoenium, il quale dap-
prima 3Ioreni, poi MarenOy ed in
fine Marino e Marini si disse.
Dicemmo di sopra che Marino
occupa il sito dell'antica città di
Fircntiinìy poiché anco i marinesi
ritengono che sulle rovine di Fi-
rtnto si ergesse Marino. Ne parla
MAR Si
Tito Livio, Dionifio, Plinio, Fé»
sto, ed il p Rirckcr principalnien-
te nella sua celebre opera: Latium
vcius et novum cap. VII, in cui
lo chiama col nome di Marenus
svu Ferentanum. Che Marino a-
vessc origine da Firento lo asseri-
sce anche il più volte citato Piaz-
za a p. 295 e seg. Il p. Volpi,
Pietas Latium profanum^ asserisce
che dopo la distruzione di Firento,
da Caio Mario fosse fabbricato Ma-
rino cui diede il nome. Il Rion-
do pure scrisse che Marino ripete
r orgine da una villa del famoso con-
sole Caio Mario, chiamala Maria-
na. Il rivo Ferentum apiicl caput
/Iquae^ conserva tuttavia il suo
vocabolo, essendo ancora nelle vi-
cinanze di Marino, Capo d'acqua,
ed il bosco o Selva Ferenlina
già sacra alla dea Feronia: que-
sto famoso bosco resta a piedi del
paese, a destra della strada che
conduce a Castel Gandolfo, passa-
to la chiesa d' Acquasanta ed il
pubblico lavatoio o fontanile, in
una convalle che si dilunga ver-
so oriente, amenissima perchè tut-
ta ombrala da alberi, irrigata dal*
le scarse e limpide acque del gros-
so ruscello, già Caput Aefuac Fé-
rentinae^ che si vede tra intrica*
tissimi cespugli. Firento non si
deve confondere con Ferentino de-
gli ernici, e siccome in prova ci-
tummo a quell'articolo il Nibby,
qui appresso ne riferiremo il pa-
rere, come luogo e curia celebra-
tissima pei pubblici comizi ed
assemblee che vi tennero i popoli
latini, massimamente dopo la ro-
vina di Albalonga capitale del
Lazio, per tener a freno i romani,
per discutere gli affari più impor-
tanti dello stato, segnare federa-
zioni e trattati , e per altre me-
5a MAR
morie storiche che accenneremo; le
quali diete e parlamenti nazionali
si convocavano sotto la protezione
di Giove Laziale, con molte ceri-
monie e riti, dopo aver celebrato
le Ferie Latine (Vedi) sul monte
Albano o Laziale , oggi Monte
Cavo, denominazione presa verso
il XIII secolo. Noteremo però, che
tale tempio fu eretto da Tarquinìo
il Superbo, per decreto fatto nel
concilio tenuto nel bosco Ferentino,
qual monumento della giurata con-
federazione in cui quarantaselte
città latine riconobbero il primato
de'romani nella lega, dopo aver
perduto Turno Erdonio, uomo forte
e sdegnoso della preminenza del
tiranno romano; tempio che dovea
servire agli annuali sagrifizì delle
ferie latine, si pei romani, che pei
latini e volsci. Vi si teneva ancora
mercato, ed un sagrifizio in comu-
ne si faceva distribuendo le carni
immolate ai legati di ciascun po-
polo che vi concorreva ; e perchè
quei di Laurento ne furono prete-
riti neir anno di Roma 5^5 , si
dovettero fare delle espiazioni, di
che facemmo parola al vol.XXXVII,
p. 222 e 223 del Dizionario. Le
feste o ferie latine da principio
durarono un sol giorno, ma quan-
do Furio Camillo ristabilì in Ro-
ma la concordia tra la plebe e
il patriziato, si fecero durare fino
a quattro. Compito il sacrifizio ed
il pranzo federale, il popolo ban-
chettando esso pure e mascheran-
dosi si abbandonava interamente
all'allegrezza. Le città che vi con-
correvano solevano celebrare que-
ste ferie prima d'incominciare una
guerra, e Lucio Paolo Emilio a-
vanti di partire per la Macedonia
contro di Perseo le convocò, il
quale uso durò fino al IV secolo
MAR
di nostro era, vietando rimpcralo-
re Teodosio I il falso cullo a
Giove Laziale.
Scrive pertanto il Nibby, che a
pie di Marino verso oriente, fra
questa città ed Albalonga , s' in-
forca una convalle solinga , om-
breggiala da un bosco, che chia-
mano il Parco di Colonna, luo-
go celebre nella storia latina, come
quello ch'era destinato a tenere le
assemblee nazionali durante la in-
dipendenza del Lazio negli alfnri
più importanti della confederazio-
ne, e del quale col nome di Fé-
rentinum, Lucits Ferentinacy Ca-
put Aquae Ferentinae, fanno men-
zione Dionisio e Livio. Il primo
di essi mostra come avendo Tulio
Ostilio terzo re di Roma , dopo
la distruzione di Albalonga, mes-
sa fuori la pretensione di essere
succeduto ancora nella primazia
che questa esercitava sulle oltre
terre latine , queste convocarono
la dieta nazionale in Ferentino,
decretarono di non sottomettersi, ed
elessero per duci colla facoltà del-
la pace e della guerra, Anco Pu-
blicio Corano, e Spurio Vecilio
Laviniate (essendone stata conse-
guenza 5 che i romani ebbero il
primato nella confederazione latina).
Di nuovo ivi si radunarono ai
tempi di Tarquinio Prisco quinto
re di Roma, onde porre argine
alle conquiste che faceva. Dionisio
narra ancora a lungo la dieta ivi
tenuta a' tempi di Tarquinio il
Superbo settimo ed ultimo re di
Roma (che strinse alleanza con
tutti i popoli del Lazio, facendosi
dichiarare capitano generale, e ri-
cevette dai latini giuramento di
essere riposto sul trono, a cagione
della grande autorità che esercita-
va sopra di essi, in riguardo al suo
MAR
genero Ottavio Mamilio Tusculano
<ii somma stima presso tutti i po-
poli del Lazio ), ed i fatti che l* ac-
compagnarono, seguiti dalla morte
ivi data, apud Caput Jquae, a
Turno Erdonio deputato aricino
( perchè si opponeva a Tarquinio ),
pei maneggi infami e false accuse
di quel audele principe. Dopo la
espulsione da Roma di Tarquinio,
vi tennei-o generale adunanza i la-
lini l'anno 254 ^^ Roma, nella
quale si decise di mover guerra
ai romani, onde rimettere Tarqui-
nio sul tiono. Altre diete gene-
rali vi tennero i latini due anni
dopo nell'assedio di Fidene, per
consultare intorno ad esso, e final-
mente l'anno 258, poco prima
della battaglia al lago Regiilo
(perduta dai latini, che furono co-
stretti giurare perpetua pace ai
romani). Dionisio e Livio ricor-
dandogli stessi fatti, cioè la morte
di Turno Erdonio, e la lega lati-
na per ristabilire i Tarquinii ,
chiamano il luogo dell'adunanza
Lucus Ferentinacy e Caput aquae
Fcrentinae quello del supplizio di
Turno, e di nuovo Caput Feren-
unum quello dell'adunanza. Livio
stesso poi rammenta , come l'anno
4o2 di Roma, cioè poco prima
delfultima lega latina, vi tennero
l'ultima dieta. Da tutti questi pas-
si insieme uniti apparisce, che ta-
li diete si tennero successivamen-
te dalla distruzione di Albalonga
fino all'ultima lega latina, cioè
durante tutto il tempo dell' indi-
pendenza de'latini da Roma ; che
si tenevano in un bosco sacro
alla dea indigena, detta Ferenlinay
la quale probabilmente è identica
coWn Feronia de' sabini, tjtrusci e
volsci ; che questo luco o bosco
^iucro conteucva uua sorgente cci"
MAR 53
put aquacy nella quale fu gittato
ferito ed annegato Turno Erdonio,
vittima delle trame di Tarquinio
che lo fece comparire orditore di
congiure, con un graticcio pieno
di sassi, poiché le acque del ru-
scello non bastavano ad affogarlo:
d'altronde è noto che questo era
sotto il monte Albano. Queste cir-
costanze riunisconsi nel bosco so-
praindicato, sotto Marino, ch'è un
luogo de' più interessanti e de'più
pittoreschi de' contorni di Roma ,
dove nel parco Colonna , circa
mezzo miglio entro la convalle, si
vede ancora il Caput Aquacy che
non presentando una profondità
sufficiente per annegare, forzò a
gittare sopra Turno un graticcio
e sassi per farlo morire.
A quanto riportammo del Nib-
by in difesa di Marino, contro le
assertive del p. Cialino in favore
di Ferentino di Campagna e a dan-
no del nostro FirenLum latino, che
per contrastare l' autorità del p.
Rircker addusse quella dell'Alberti,
aggiungeremo alcune prove e ri-
flessi. Convien dunque dire che
l'Alberti non abbia bene letto il
p. Kircker, né Livio, né Dionisio,
né Pompeo Festo , né Plutarco ,
poiché il p. Kircker indica la vera
situazione dell'antico bosco e tor-
rente Ferentino, ov'era l'antica cu-
ria delle ferie latine, colla testimo-
nianza di Pompeo Festo, che lo
dice situato alle radici del monte
Albano con queste parole : PopulL
latini ad Caput Ferentiiiae^ quod
est sub monte Albano Consilia init"
rej e sotto tal monte appunto sono
il bosco e torrente Ferentino che
abbiamo descritto. Livio racconta,
che Tarquinio quando fece morire
Turno, avendo convocato il conci-
lio fercutiao in dieni certuni^ erano
54 MAR
quei principi sul far del giorno in>
tervenuti lutti, mentre Tarquialo
rimase per quasi tutto il giorno in
Roma; ma poco prima della cadu-
la del sole v'intervenne, sed pau-
lo antequnni sol occiileret venti. Po-
^va dunque egli starsene tutto il
^1 a Roma e poi giungere verso
roccaso a Ferentino di Campagna,
ch'è circa cinquanta miglia lonta-
no dalla metropoli, e non piuttosto
al mentovato bosco sotto Marino ,
che come dicemmo n'è appena di-
stante dodici miglia? Dionisio poi,
oltre che conviene con Livio, di
più asserisce, che Alba fu edificata
da Ascauio inter montem et laciim
dfutl acjuas Ferentinas. Plutarco
lìnalmente nella vita di Romolo ci
assicura, ch'egli dopo la pestilenza
purificò con lustrazioni la città, ed
istituì i sacrifizi alla porla Feren-
tina, che secondo il costume ro-
mano dovea essere volta verso la
parte ond'era venuto il male , co-
me face va si nell' intimar la guerra,
^n che vibravasi lo strale verso il
paese nemico , e in questo caso
verso Laurento, per le offese del
quale credevasi essere avvenuto il
flagello; ed è perciò che la porta
Ferenti na dovea essere certamente
l'Asinaria o la Capena che mette-
vano alle vie Latina ed Appia , o
fra esse, e non la Maggiore o quella
or detta di s. Lorenzo, che sono
pur le vie Labicana e Prenestina,
per cui si va a Ferentino di Cam-
pagna. Che la porta romana Fe-
rentina fosse nella direzione del ce*
lebre luco di Ferenlina presso Ma-
rino, per cui ne prese il nome, lo
dichiara il lodato Nibby, Roma nel
i838, pari. I, antica, p. 209. I no-
mi finalmente e conservati di Mon-
te Perento e di Capo d'Acqua, e
di Bosco sacro Ferentino e Colle
MAR
Perento, die hanno ancora i luo*
ghi presso Marino, smentiscono c-
gualmente la contraria assertiva. A
ciò per ultimo si aggiunga le ra*
gioni del centro del Lazio ov'ù
Marino, del tempio di Giove La-
ziale avanti cui dignitosamente do-
veansi fare i conciiii o adunanze ,
cioè corani Numine, e le vicinan-
ze di Albalonga, Roma, Tuscolo,
A riccia, Preneste e Velletri che e-
rano le dominanti latine. Anche il
Piazza, nel dire che questo luogo
si chiamò anticamente Ferentino ,
curia celebre de'romani e de* lati-
ni, per le famose acque ferenline,
alle quali la superstizione de' geu'
tili prestavano culto, lo dichiara
espressamente diverso da Ferentino
negli ernici. Ed il Nicolai, De bo-
nificamenti delle terre Pontine, ci-
tando l'autorità del cardinal Cor-
radini, autore del Pietas Latiuni,
proseguito dal p. Volpi, afierma che
il nostro Ferentino è diverso dal-
l'ernico , come situato nel monte
Albano e presso la macchia Faiola.
Va notato che il celebre Oplaco,
che combattè a singoiar tenzone
con Pirro, era originario di Firen-
to, come afierma Plutarco nella vita
di Pirro.
Distrutta la città di Ferento o
Firento, surse l'odierno Marino. Ri-
cevette il lume della fede proba-
bilmente da s. Pietro, da s. Paolo
o dai loro discepoli, poiché nel vi-
ci no Tuscolo o Frascati la pro-
mulgarono tali apostoli, principal-
mente il primo. In Albano fu il
medesimo s. Pietro o almeno il suo
discepolo e successore s. Clemente
L In Ariccia i medesimi principi
degli apostoli o i loro priiiii disce-
poli propagarono il vangelo. Dun-
que alcuno de' medesimi certamen-
te lo avrauuo bandito iu Marino
MAR
ne' primi tempi deUa Chiesa , per
cui ben presto sujsero templi al
vero Dio , primi de' quali furono
quelli sotto l'invocazione di s. Gio-
vanni e di s. Lucia. I goti che vi
fermarono stanza, con marmi e co-
lonne del demolilo tempio di Dia-
na Aricina, e colle macerie di al-
tri edifìzi diroccati, costrussero quat-
tro torri , una delle quali ancora
esistente, ed ornarono le due anti-
che chiese parrocchiali di s. Gio-
vanni e di s. Lucia di Marino, che
mostrano il gusto del tempo negli
avanzi che esistono, essendo ora
soppresse. Su di che va letto quan-
to riporta il Lucidi, Meni. stor.
dell' Ariccia p. 228. Nelle civili guer-
re i baroni romani piti volte si
trincerarono in Marino, siccome si-
to elevato, ed ebbero luogo fre-
quenti fatti d' orme e triste rap-
presaglie. In progresso di tempo
divenne feudo de' polenti Conti Tu*
sculani, e passò quindi ai Frangi-
pane. Nel 1265 vi si ritirò Rai-
natdo Orsini, e vi si difese contro
Eurico senatore di Roma. Questo
Enrico fu forse il figlio del re di
Castiglia, che nel 1267 era sena-
tore di Roma, secondo il Pompilj
Olivieri, // senato romano, p. 219.
Era dunque a quell' epoca Marino
già un castello fortificalo ed appar-
teneva agli Orsini, che lo ritenne-
ro almeno in parte fino al secolo
XV , meno diversi intervalli , poi-
ché lo dominarono ancora un ca-
valier Gianni, e l'ultimo de'Frangi-
pane che donò ì suoi diritti ai mo-
nasteri di Grottaferrata e di s. Sa-
bina di Roma. Nel i3o2 ivi stava
Sciarra Colonna, allorché Filippo
IV il Bello re di Francia apri con
lui trattative contro Bonifacio VI IL
Mentre signoreggiava Roma l' au-
dacissimo. Cola di Rienzo trìbuQO,
MAR 55
questa terra degli Orsini attrasse a
sé r occhio di quel nemico de' no-
bili romani, o nel i347 Oiordano
Orsini da lui bandito da Roma ivi
andò a ritirarsi, e raccolta molta
gente uscì in campagna , e dopo
aver messo a ferro e a fuoco i din-
torni di Roma, di nuovo si ritirò
in Marino suo dominio. Altri nar-
rano, che dopo la famosa rotta che
il tribuno dio ai signori romani
contro di lui ribellati, sulla porta
s. Lorenzo, molti baroni si rifu-
giarono a Marino, in cui li difesero
Giordano e Rinaldo Orsini, che si
vogliono nativi della terra, per cui
Giordano si diede in seguito a tra-
vagliare lungamente le terre vicino
a Roma , finché i romani venuti
ad assalirlo lo costrinsero a con-
chiudere con loro la pace. Tali
guerre civili nel secolo XIV furono
frequenti, stante l'assenza de' Papi
residenti in Avignone. Portatosi Gre-
gorio XI in Roma, vi mori nel
1378, e fu eletto in successore Ur-
bano VI, contro di cui insorse l'an-
tipapa Clemente VII. Ambedue po-
sero in piedi un esercito per di-
fendere le loro ragioni , essendo
quello di Urbano VI forte delle
truppe imperiali ed italiche, sotto
il comando del celebre capitano Albe-
rico conte di Barbiano. I dintorni di
Marino furono il teatro della batta-
glia fra le due armale. All'ardore
di Alberico resistè invano il furo-
re de' guasconi guidati da Bernar-
do de la Sale, e sebbene il subal-
terno capitano Galeazzo Pepoli pie-
gasse incontro a Montjoye o Mon-
zoja, nipote dell'antipapa, co' suoi
bretoni , sicché questi tene vasi ia
punto la vittoria, ma sopraggiun-
se in tempo Alberico già vincito-
re, che strettolo lo privò d'ogni
scampo. I soldati quasi tutti peri-
fiS MAR
rono, i duci e il generale resta*
lono prigioni a' 28 aprile 1379.
Sembra che Giordano Orsini par-
teggiasse per l' antipapa Clemente
VII , poiché questi a' a dicembre
1378 avea emanato un breve a
suo favore, come signore di Mari-
no, investendolo del dominio di
IVemi e Genzano , ed altre terre,
alcuni a quell'anno assegnano il
mentovato assedio di Marino fatto
dai romani, e il successivo accordo.
Nel i4oo, per volontaria dedi-
zione, Marino si diede al Pontefice
I^onifacio IX. In quest'anno le mi-
lizie marinesi, sotto la condotta del
capitano Pietro Paparelli, liberaro-
no il popolo di Genzano (al quale
articolo avendo ciò narrato, chia-
mammo Pietro Passarello nobile
napoletano, capitano di Marino per
Ja Chiesa romana) dalle sevizie di
Jjuccìo o Bruto Savelli, e di Nicolò
Colonna, per essere ricorsi i gen-
zanesi all'autorità di Bonifacio IX.
IVel pontificalo di Martino V Co-
Jonna, eletto nel i4i7> Marino di-
venne proprietà dei Colonnesi per
donazione di quel Papa, il quale
nel giugno 14^4 l'onorò di sua
j)resenza. Dipoi Marino fu dichia-
rato ducato in favore de' Colonne-
si. È nota la guerra che dopo la
morte di Martino V insoi^se . fra i
Colonnesi ed Eugenio IV suo im-
mediato successore. Questi a* 18 di-
cembre 143 1 fulminò una bolla
contro il cardinal Prospero Colon-
na che privò de' benefìzi, a moti-
vo di ribellione, giacché invece di
fare restituire alla Chiesa i castel-
li e le fortezze occupale dalle genti
di Antonio Colonna , al contrario
le avea animate co' suoi scritti a
non renderle, ed avea disposto a
danno di Roma il castello di Ma-
vino, a lui lasciato in testamento
MAR
da Papa Martino V. Pertanto nel
1436 fu Marino assalito, preso e
disfatto dall'arcivescovo di Pisa (giu-
liano Ricci legato di Eugenio IV.
Ritornò poscia in potere dei Co-
lonnesi nel i447>per volere di Nico-
lò V, i quali lo riedificarono , e vi
si fortificarono nella guerra insor-
ta sotto Sisto IV, nella quale i ma-
rinesi fecero una scorreria fin den-
tro Roma a' 3o maggio 1482, por-
tando via un tal Pietro Savo ma-
cellaio. Nello slesso anno ai 5 di
giugno eutrovvi il duca di Cala-
bria figlio del re di Napoli, anch'es-
so in guerra con Sisto IV, e vi
alloggiò ; ma pochi mesi dopo, per
la vittoria riportata dalle milizie
pontificie a' 2 r agosto vicino a Vel-
letri, Marino fu fbi-zato ad arren-
dersi alle genti del Papa a' 24 a-
gosto. Nell'accordo seguito nel i483.
Marino fu restituito da Sisto IV ai
Colonnesi; ma l' anno seguente ai
26 di giugno fu preso ad istiga-
zione di Lucii Antonio di s. Ge-
mini, dal contestabile delle truppe
di Sisto IV , Andrea da Norcia ,
meno la rocca che continuò a di-
fendersi; indi gli fu restituito da
Innocenzo VIII, eletto a' 29 ago-
sto. Nel i5oi Alessandro VI ma-
ledi i Colonnesi collegali col re di
Napoli, il quale empiamente chia-
mava i turchi allo sterminio d'I-
talia ; laonde i Colonnesi per la
gravissima sentenza cederono al Pa-
pa le loro signorie, mentre i loro
partitanti vennero oppressi dagli
Orsini loro perpetui emuli. Ales-
sandro VI a* 17 luglio parti da
Roma col suo esercito, dopo aver
stabilito col senato romano di spia-
nar Marino; egli soggiogò Sermo-
neta ed altri luoghi de' Colonnesi,
e Cesare Borgia duca Valentino
colle milizie francesi adeguò al suo-
MAR
Io Marino^ Morto nell'agosto i5o3
Alessantlio VI, il successore Giulio
JI richiamò dall'esilio i Colonnesi,
restituì ad essi le loro terre, e li pa-
cificò cogli Orsini. Nel pontificato
di Giulio II, Fabrizio Colonna ai
17 luglio i5i2 animosamente con-
dusse da Roma a Marino il duca
Alfonso d'Aragona, il quale corre-
va rischio di essere carcerato per
ordine del Papa. Questi credendosi
morto a' 17 agosto i5i2, Pompeo
Colonna incitò il popolo romano a
ricuperate l'antica libertà. Fabrizio
restò nel castello di Marino sino ai
20 febbraio i5i3, giorno della ve-
ra morte di Giulio II.
Dall'Eschinardi e dal Theuli si ha,
t;he Marino sotto ClemeiJte VII fu
bruciato. Ad onta che (juel Papa
avesse ricolmalo di benefizi gli ir-
requieti Colonnesi , si unirono essi
nel i526 cogli imperiali per im-
padronirsi del palazzo vaticano, che
saccheggiarono, ed avrebbero ucciso
il Papa, come dicemmo altrove, se
non si rifugiava in Castel s. An-
gelo. Non andò guari che i Colon-
nesi furono puniti colle censure ec-
clesiastiche, narrando il Borgia, Sto-
ria di Vellctrl p. 4^6, che il Pa-
pa ordinò ai velletrani la demoli-
zione delle terre de' Colonnesi, ciò
che fecero incominciando da Ma-
rino, che smantellarono e brucian-
dolo distrussero , spettando allora
ad Ascanio Colonna domicello ro-
mano. Riavutosi appena, fu messo
a fiamme e fuoco dal generale O-
bigny, poiché Prospero Colonna,
abbandonata la parte francese, si
l'eco in Napoli a combattere m van-
taggio degli aragonesi. Nuove pe-
ripezie gravitarono sui Colonnesi
sotto Paolo HI, massime conti o gli
slati di Ascanio, che Luigi Farne-
se conquistò con diccicuila uomini.
MAR Sj
Il successore Giulio III fu benigno
con casa Colonna, che ricuperò col-
le armi i suoi dominii. Ma nel
pontificato di Paolo IV, Ascanio
Colonna si trovò in nuovi guai,
perchè cadde in sospetto agli spa-
gnuoli, ed il suo figlio Marc'Auto-
nio gli tolse i suoi stati, sebbene
poi dovesse fuggire il risentimento
del Papa per essersi miito colla
Spagna nella guerra che si faceva
ne' luoghi intorno a Roma. Egli
fu l'ultimo de' Colonnesi scomuni-
cato dal Papa, perchè Paolo IV e-
tnanò le censure ecclesiastiche, e gli
confiscò i beni, che diede a' suoi
parenti Carafa; per cui quando il
Pontefice nella sua rettitudine punì
i suoi nipoti, esiliò il cardinal Car-
lo Carafa nel feudo di Marino ,
donde passò a Civita Lavinia. Pio
IV s'imparentò coi Colonnesi, re-
stituì loro i feudi, e li assolvette,
onde Marino fu dagli antichi suoi
signori restaurato. Il Papa s. Pio
V nella celebre guerra navale con-
tro i turchi, nominò generale delia
flotta pontificia Marc' Antonio Co-
lonna , che coi collegati veneti e
spagnuoli riportò la famosa vitto-
ria di Lepanto, nella quale brava-
mente militarono anche i marinesi,
i quali tuttora mostrano uno scu-
do ed uno stendardo, trofei della
parte ch'ebbero alla vittoria. Nello
scudo, che trovasi nella sagrestia di
s. Barnaba, vi è questa iscrizione :
Triuinphale hoc inarirwnsis laililis
clypeuni auspiciis Pii V Pont. Max.
sub Marco Antonio Colunvia su-
premo duce cantra Solinianuiii tur-
carwn iyrannuni ad Enchinades
strenuissime durtanlis ad ornamcn-
tum Donius Dei, et sacri belli pe-
renne monunieutum. La descrizione
del trionfo che s. Pio V decretò a
Marc' Antonio, la riportammo aN
56 MAR
l'nrllcolo TpronEssi ix Roma, Nel
pontificato (li Urbano Vili inco-
minciando i Piipi a recarsi nlln pon-
tificia villeggiatura di Castel Gandol-
fo, venne da loro spesso onoralo
di presenza e di benefìzi Marino ,
o pel primo da Urbano Vili. Que«
sto Papa avendo unito in detto ca-
stello in matrimonio, a* a4 ottobre
1627, il suo pronipote d. Taddeo
Barberini, con d. Anna figlia del
contestabile d. Filippo Colonna^ le
nozze furono celebrate privatamen-
te in Marino, luogo del contesta-
bile, dove Urbano Vili si ritrovò
con grandissimo gusto e piacere,
come riferisce il contemporaneo dia-
rista Gigli. Per l'amenità ed aria
salubre di Marino, nel secolo XVII
l'requenti furono gli accessi di per-
sonaggi che vi si recarono a vil-
leggiare , tra' quali nomineremo i
prelati Ludovisi e Pamphilj, il pri-
mo predecessore di Urbano Vili
col nome di Gregorio XV , il se-
condo successore col nome d'Inno-
cenzo X. Essendo i due prelati a-
micissimi, per convalescenza il Pam-
philj si recò a Marino, e Ludovisi
si portò Q trovarlo, restando con lui
del tempo.
. L'anno i656 fu a Marino fatale,
avendo il contagio menomato per
due terzi la popolazione. Alessan-
dro VII che regnò dal i655 al
1667, frequentando la villeggiatura
di Castel Gandolfo , si dilettò di
portarsi spesso a Marino; altret-
tanto si dica di altri, e specialmen-
te di Clemente XI che regiK) dal
1700 al 1721. Continuando Bene-
detto XIII a ritenere la sua anti-
ca sede di Benevento, volle portarsi
a visitarla nel 1727 e nel 1729.
Nella seconda volta partì da Roma
lunedì 27 marzo col suo seguilo
di treutasei persoiic, e pernottò a
MAR
Marino, dopo aver visitato la chiesa
collegiata , avendo preso alloggio
nel convento degli agostiniani. Il
contestabile Colonna l'avea incon-
trato alle Frattocchie, luogo in cui
ì Colonnesi solevano ricevere i Pa-
pi che si conducevano a Castel Gan-
dolfo o ad Albano, facendo sempre
lauti rinfreschi, i quali ebbero luo-
go pure in questa circostanza. Be-
nedetto XIII nel seguente giorno
partì da Marino ad ore quindici ,
proseguendo il suo viaggio per Ci-
sterna , altra stazione di fermata.
Benedetto XIV si giovò molto delia
villeggiatura di Castel Gandolfo ,
nel maggio, giugno ed ottobre, cioè
due volte all'anno, per cui spesso
si portò in Marino, e noteremo al-
cune delle sue visite. Con tre mute
e le guardie vi si recò lunedì gior-
no 9 giugno 174» ; visitò la col-
legiata ed il palazzo del contesta -
bile, ricevuto dal medesimo , che
fece godere alla famiglia nobile e
generoso rinfresco. Vi ritornò per
la festa di s. Barnaba agli 1 1 giu-
gno, ricevuto alla carrozza dal con-
testabile, governatore e pubblici
rappresentanti. Entrò nella chiesa
collegiata incontrato dall'abbate e
dal capitolo, ed orò all'altare del
ss. Sagramento^ e poi all'alta-
re maggiore, in cui era esposta la
reliquia di buona parte del braccio
del santo apostolo, in mezzo al
canto dell' Ecce sacerdos niagnus.
L'abbate ed i canonici gli presen-
tarono un nobilissimo fiore d' ar-
gento frammischiato di varie spi-
ghe d'oro. Trasfeiitosi quindi in sa-
grestia, ivi in sedia con dossello,
posata sopra un gradino , coperta
da ricco manto, ammise al bacio
del piede il capitolo, il governato-
re, il magistrato, e la nobile fami-
glia Colonuit. Pas:iato indi al casi-
MAR
lìo del conlcslabile, vi liovb il cai •
(linai Acqnaviva^ e fu dispensalo
uiagnifìco rinfresco. Nella villeggia-
tura di ottobre 1741, ai "xa si recò
nelle ore pomeridiane a Marino, e
vi ritornò in quelle del 28; prima
di giungervi smontò a passeggiare
vicino alla villa del contestabile,
delta il Parco, ed arrivato in Marino
giunse nell'altra di Bel Poggio. Nel-
l'ottobre 1 74'^> io un dopopranzo,
Benedetto XIV si recò a Marino,
e dopo aver visitato il ss. Croce-
fìsso nella chiesa de' chierici mi-
nori, si trasferì nella villa Bel Pog-
gio del contestabile, ricevuto dalle
contestabilesse ; nel dì seguente i
niarinesi Gagliardi gli mandarono
due bacili di pere angeliche. Nel
giugno 1747 Benedetto XIV per
la festa di s. Barnaba andò a Ma-
rino, e nella collegiata ebbe il so-
lito ricevimento: V Ecce sacerdos
magnus fu cantato con molti stro-
menti. Visitalo il ss. Sagramento
all' alture del Rosario, passò a ce-
lebrare la messa nel maggiore ,
ed in sagrestia il contestabile die
cospicuo rinfresco di cioccolate e
gelati. Indi il Papa, passò alla chiesa
dei chierici minori, ricevuto dal pa-
dre generale e dalla religiosa fami-
glia, in un al commendatore Em-
manuele Pereira de Sampajo mini-
stro di Portogallo, che dovea rice-
vere in quel giorno il Papa nel
l'apparta mento da lui fabbricato nel
contiguo collegio, e magnificamente
perciò addobbato. Nel coro mentre
orava si fecero vaghissime sinfonie.
Poscia passato nell* appartamento,
lesse l'iscrizione marmorea eretta
per celebrare T avvenimento, colla
data /// idus jiinias, sotto la sua
effigie scolpita in un medaglione. Il
Papa pranzò in una camera assi-
stito dal commendatore, e riposò nel-
MAR 59
le camere del p. generale Nella gal-
leria desinarono i due cardinali Va-
lenti e Colonna di compagnia del
Pontefice, il contestabile ed i pri'
mari della corte j gli altri mangia-
rono nel casino della villa Del Pog-
gio. Tutto fu splendido e decoroso.
Benedetto XIV passeggiò nel giar-
dino, mentre facevasi la corsa dei
cavalli; ed il commendatore fatto
dispensare altro rinfresco, presentò
al santo Padre una ricca pianeta
di lama d'oro rossa, ricamata d'oro
con fiori al naturale, con cui avea
celebrato, ed una coperta dell* In-
die tessuta d'oio e fiorata, che avea
servito al suo letto; cose somma
mente gradite dal Papa , che col
commendatore recossi nella conti-
gua villa Bel Poggio a cammina-
re per quei viali. Nel giugno 174^,
dalla consueta villeggiatura di Ca
stel Gaudoifo, Benedetto XIV per
la festa di s. Barnaba si portò u
Marino, ricevuto dal contestabile
ed altri sum mentovati, che in sa-
grestia gli baciarono il piede, pre-
sentando al Papa la cioccolata e
i gelati il contestabile coi figli: pri-
ma di partire da Marino, il Papa
visitò l'appartamento del commen-
datore Sampajo. Nel giugno 17^1
Benedetto XIV andò a venerare il
ss. Crocefisso in Marino , ricevuto
dal generale de' chierici minori e
dagli altri padri graduati ; indi vol-
le osservare una nuova fabbrica
fatta dal p. generale degli agosti-
niani. Per la festa di s. Barnaba
tornò a Marino, e ad orare avanti
il ss. Crocefisso. Nel 1755 Bene-
delio XIV onorò altresì di sua pre-
senza Marino, per la festa di dello
santo suo proiettore. Noteremo, che
quando i Colonuesi ricevevano alle
Frattocchie i Papi che reeavansi a Ca-
stel Gaudoifo, solevuuo quindi man-
6o MAR
dar loro leguli di squisili comme-
stibili. Siccome le descritte visite di
Benedetto XIV a Marino, e quelle
che audiamo a riportare de' suoi
successori lo prendiamo dai Diavi
di Roniay ai relativi numeri delle
diverse epoche se uè può leggere
il dettaglio. All'articolo poi Castel
Gandolfo notammo le pontifìcie
villeggiature, e da esse facilmente
si potrà conoscere le visite fatte
dai Papi a Marino; su di che C per
Gregorio XVI si potrà consultare
l'articolo Villeggiatura de' Ponte-
fici. Benedetto XIV rifece la stra-
da che dal giardino di Castel Gan-
dollo conduce a Marino ; altrettan-
to rifece Gregorio XVI. Inoltre i
Pontefìci visitarono Marino molle
delle volte che recaronsi a Grotta-
ferrata e Frascati^ dovendolo tra-
versare ; ed a quegli articoli notam-
mo chi furono tali PdVitefìci, e
quando ciò fecero.
Clemente Xlll egualmente mol-
to si piacque della villeggiatura di
Castel Gandolfo, in conseguenza
diverse volte fu a Marino, e per
la prima volta nelle ore pomeri-
diane degli li giugno 1759 (poi-
ché, come Benedetto XIV, faceva
la villeggiatura per maggio, giu-
gno ed ottobre ), per la festa di s.
Bainaba; dopo aver fatto oraz,ione
nella collegiata, in sagrestia am-
mise al bacio del piede il capitolo
e il magistrato. Indi passò nella
chiesa de 'chierici minori a venera-
re il ss. Crocefìsso, ricevuto dal
p. generale e da quello degli ago-
stiniani, che ammise con altri al
bacio del piede in sagrestia , ove
gli fu presentata una di vota im-
magine, con un fiore nobilmente
lavorato. Soleva inoltre Clemente
XIII visitare Marino quando il
sabbaio andava ad assistere alle
MAR
litanir della chiesa abbazialc di
Grò Ita ferra la: le sue villeggiature
dopo il 1 765 non più le fece. An-
che Clemente XIV fece delle gite
a Marino, essendo incominciate le
sue villeggiature di Castel Gandol-
fo, dal settembre 1769. Ai 19 ot-
tobre 1771 portatosi a Marino,
fu ricevuto alla chiesa de' chierici
minori dal p. proposto e da al-
tri padri, e venerò il ss. Crocefis-
so: le sue villeggiature finirono nel
1773. Pio VI non foce villeggia-
tura in Castel Gandolfo, perchè
ogni anno andò a Terracina per
osservare il progresso de'grandiosi
lavori delle paludi Pontine. Diver-
se villeggiature bensì vi fece il
successore Pio VII, ma prima dob-
biamo dire, come nelle vicende po-
litiche e deliri repubblicani, che
resero infelicemente famoso il se-
colo XVII, Mariuo nel 1798 fu
piazza d'arme difesa da due can-
noni tolti da Castel Gandolfo; ma
a* 19 agosto 1799 solfri il sac-
cheggio dei napoletani, e nel se-
guente anno vi si tennero acquar-
tierati più reggimenti di quella na-
zione. Nella seconda invasione fran-
cese, come lo era stato Pio VI, fu
deportato ancora Pio VII, laonde
dal 1809 al 18 14 Marino diven-
ne capoluogo di cantone del go-
verno invasore. Quanto alle villeg-
giature di Castel Gandolfo di Pio
VII, non contando la brevissima
del 1802, la prima fu nell'ottobre
i8o3, in cui onorò di sua presen-
za Marino, come pur fece nel
i8o4 e i8o5 (massime a' 17 ot-
tobre che si recò a Frascati) ; e
dopo il suo glorioso ritorno nel
181 4, 18 15 (particolartnente ai
22 ottobre), 1816 e 1817, nelle
quali circostanze più volte audò a
Marino, festeggiato dai marincsi,
MAR
orò nelle loro chiese, e vi ricevet-
te la benedizione col ss. Sagra-
n)ento decorosamente esposto.
Leone XII e Pio Vili non fecero
villeggiature a Castel Gandolfo; mol-
te ne fece il Papa Gregorio XVI,
come molte furono le volte clie
partendo da tale luogo visitò Ma-
rino, da lui in particolar modo
amato e affettuosamente benedet-
to, anche per le molteplici, costan-
ti e solenni festevoli dimostrazioni
dategli dai morinesi, tutte le volte
che onorò di sua presenza il bel
paese da lui elevato al grado di
città. Lungo sarebbe il riferire i
variati modi religiosi con cui i
tripudianti marinesi celebravano la
sua venuta o passaggio per Mari-
no, con edificante e religioso giu-
bilo, presentando spesso lo spetta-
colo della loro selva illumina-
ta. Accennerò le cose principali,
mentre dalle epoche che ripor-
teremo, nt' Diari di Roma e nelle
Notizie del giorno, se non l'intero
dettaglio, se ne può ricavare le
più rimarcabili nozioni, molte del-
le quali furono in Castel Gandol-
fo, per incarico de' prelati mag-
giordomi, da me descritte we* Dia-
ri mentovati. Distinguendosi i ma-
rinesi per un particolare attac-
camento alla santa Sede , e di
singoiar divozione verso i som-
mi Pontefici, sembrerà esagerato
quanto indicherò , che però vi-
dero ogni volta gli abitanti dei
luoghi convicini, ì miei concitta-
dini romani, e forastieri di ogni
condizione, che vi si recavano ap-
poMtaroente, ed io ne fui costante-
mente testimonio ammiratore. Sem-
pre il Papa fu ricevuto dal capitolo
colle insegne corali con alla lesta
l'abbate, dal governatore e dal
magistrato municipale in abito di
MAR 6i
formalità: da loro accompagnato
soleva percorrere la strada del cor-
so a piedi per recarsi alla colle-
giata, essendo la via coperta di
verdure e fiori, le finestre e i
balconi ornati di drappi, prece-
dendo la banda filarmonica, cui
facevano giulivo eco tutte le cam-
pane e il continuo fragore de'mor-
tari. Nella chiesa trovava sempre
esposto con sontuosa macchina e
sfarzo di cera il ss. Sagramento,
con il quale riceveva la benedizio-
ne, dopo il canto àeW Ecce sacer-
dos magniis e del Tantum ergo.
Dipoi il Papa ammetteva il clero
e i magistrati in sagrestia al ba-
cio del piede, accogliendo pure
con giovialità altre persone; la-
sciando ogni volta copiose liraosi-
ne ai poveri, ricevendo benigna-
mente le suppliche che gli veni-
vano presentate, molti riportandone
grazie e beneficenze.
Agli 8 ottobre i83r Gregorio
XVI per la prima volta fu a Ma-
rino (vi era pure stato da abbate
camaldolese, eda cardinale mi ci con-
dusse), ricevuto alla porta della col-
legiata dall'ab. Giuseppe Maria Seve-
ra, che nel 1887 fece vescovo di
Città della Pie^e [Vedi), dal ca-
pitolo e dal magistrato, passando
poi a Grottaferrata tra gli evviva
e il tripudio de'marinesi, e lo spa-
ro de' mortari e suono di tutte le
campane. A* i3 ottobre ritornò a
Marino, avendo seco in carrozza il
cardinal Pacca: nella collegiata ri-
cevè la benedizione col santissimo
Sagramento magnificamente espo-
sto, da monsignor Soglia ora car-
dinale, in quell'epoca elemosiniere;
in sagrestia il Papa ammise al
bacio del piede il capitolo, il
magistrato ed altre persone, ciò
che fece ogni volta che si recò a
G2 Mivn
lilarino, e partì tra le vivissime
ncclamnzioiii di immenso popolo.
Ai i4 ottobre Gregorio XVI re-
candosi all'eremo de' eamaldolesi
di Frascati, traversò Marino, e nel
ritorno trovò eretti due piccoli ar-
tlii trionfali, parate e illuminate
tutte le finestre, e da lutti festeg-
giato. Tanto nell'andata a Castel
Gandolfo che nel ritorno in Ro-
ma, i marinesi colla banda filar-
monica e lo sparo de* mortari, si
trovarono nella via Appia al con-
fine del territorio di Marino a fa-
re omaggio al Pontefice, e quest(j
lo rinnovarono sempre in simili
occasioni, con gradimento del Pa-
pa. Come ancora tutte le volte che
fu a Castel Gandolfo, dopo l'arri-
■vo e prima della partenza, le de-
putazioni del capitolo e del ma-
gistrato civico ivi recaronsi a pre-
sentare i sensi di fedeltà e di di-
vozione del clero e popolo mari-
nese, venendo tutte le volte accol-
te con paterna effusione. Nel i832
Gregorio XVI felicitò Marino di
sua presenza a* 4 ottobre, riceven-
do i soliti ossequi e la dimostra-
zione di un arco trionfale di ben
inleso disegno, sovrastalo dal pon-
tificio slemma. Volle onorare Ta-
Lilazione del cardinal Mario Mal-
ici nella villa di Bel Poggio j col
quale si recò alla chiesa collegiata
a piedi. Nelle oi"e pomeridiane poi
del 6, il Papa col solito treno e
nobile accompagnamento visitò la
*:hiesa e il monastero delle mona-
the domenicane, le quali consolò
<on benigne parole e coH'apostoli-
ca benedizione. Indi passò a Grot-
taferrata, e nel ritorno traversan-
do Marino, in più lieti modi i ma-
rinesi ne celebrarono il passaggio.
A* IO detto, reduce dall'eremo di
Frtìscali, i marinesi presentarono
MAH
uno spettacolo tenero, comraovcn
te e singolare, poiché oltre l'ere
zinne di altro arco trionfale con
paratura ed iscrizione, vollero il-
luminare con ceri di non comune
grandezza tutta la lunga strada
che traversa il bosco o macchia
del parco, che sostenevano essi
medesimi da ambo i lati tra spes-
se fiaccole sino al confine del ter-
ritorio. Penetralo il santo Padre
da tante cordiali dimostrazioni ,
traversò a piedi Marino, e in com-
pagnia del cardinal Malici visitò
la chiesa della d* Acqua santa,
tra le più ingenue acclamazioni
di gioia. Ai i5 il Papa si recò a
piedi da Castel Gandolfo a detta
chiesa, ivi orò ed osservò la pro-
digiosa acqua che vi scaturisce, ac-
correndo subito il clero e popolo
a festeggiarlo. Ai i6 dello stesso
ottobre nelle ore pomeridiane Gre-
gorio XVI andò a Marino, visitò
la chiesa de*chierici minori, e ri-
cevè la benedizione col ss. Sagra-
mento, indi in sagrestia ammise
al bacio del piede i religiosi. Po-
scia coi cardinali Odescalchi e
Malici a piedi passò alla villeggia-
tura del secondo in Bel Poggio,
ove fu servito di rinfresco ; e par-
tendo da Marino gli vennero tri-
butati i consueti ossequi. Nel i833
Gregorio XVI da Castel Gandol-
fo agli I I ottobre, nelle ore po-
meridiane si recò a Marino, rice-
vuto con vivissimo rispetto, pas*
sando sotto un arco trionfale di
verzura col suo stemma ed iscri-
zione. Visitò la chiesa collegiata,
ricevendo in sagrestia gli ossequi
del capitolo, del governatore e
della magistratura comunale , ed
i cardinali Lambruschini e Malici
trovaronsi presenti alle tripudian-
ti dimostrazioni de' marinesi. Sab-
MAR
bato , giorno 1 2 dello , cìi ritor-
no da Grotta ferrala, i marinesi
illunainarono a cera la macchia al
Papa, che disceso dalla carrozza
visitò la chiesa della Beata Ver-
gine di Acqua santa, ricevendo
dal popolo plausi infiniti. Ai i5
ripassando per Marino, provenien-
te dall'eretuo de* camaldolesi di
Frascati, il cuore del santo Padre
rimase intenerito per le nuove af-
fettuose feste dei marinesi, i qua-
li non solo con ceri, torcie e fiac-
cole illuminarono la macchia, ma
con molti fuochi e luminarie de-
corarono il rimanente della stra»
da , restandone sorpreso e com-
mosso il cardinal Zurla , che da
Castel Gandolfo volle incontrare il
Pontefice ; le giida di gioia , il
suono della banda e di tutte le
campane, e il fi agore di molti
mortari, al solito dierono un ca-
rattere imponente e religioso allo
spettacolo.
Nel 1834 Gregorio XVI agli
1 1 ottobre con entusiasmo fu ac-
colto dai marinesi, che aveano e-
retlo un arco trionfale di elegan-
te disegno e proporzioni architet-
toniche, formato di verzure, ed
ornato in più modi, col pontificio
stemma, relativa iscrizione, e colle
figure delle quattro virtù cardina-
li. Ricevuto dai pubblici rappre-
sentanti in abito, e dal cardi-
nal Mattei, dopo visitala la col-
legiata, onorò la villeggiatura di
Btl Poggio del porporato, tra-
passando quindi a piedi l'esultan-
te Marino. Ai i4 detto, di ritor-
no dalla villa Montalto del colle-
gio Urbano e da Grottaferralaj
Gregorio XVI fu fiesteggiato dalla
generale illuminazione e dagli evvi-
va de'marinesi, che assordavano l'a-
tia; la giubilante popolazione (ece
MAR 63
altrettanto a* 18 ottobre nel ritor-
no che fece il supremo Gerarca
dall'eremo di Frascati, e con un
entusiasmo che non si può descri-
vere, poiché la strada principale
era illunnnala da lampadari di
cristallo con candele di cera, ed i
balconi erano pieni di lumi. Il
pontificio stemma trasparente coni
distico decorava da vicino il sud-
detto arco trionfale: gran numero
di vasti fuochi artifiziali illumina-
vano la collina su cui erano incen-
diati; il bosco era rischiarato da
fiaccole, ed i marinesi con grossi
ceri e torcie accese precedendo e
seguendo la carrozza, accompagna-
rono il Papa sino a Castel Gan-
dolfo. Nell'ottobre i835 brevissima
fu la villeggiatura di Castel Gan-
dolfo, laonde una sola volta Gre-
gorio XVI visitò Marino, lieto di
essere divenuto città per sua bene-
ficenza. Breve pure fu quella del
i836, tuttavolta il Papa consolò
i marinesi della sempre grata sua
presenza nel dopopranzo del 20
ottobre. La strada del corso fu
abbellita di fiori disposti in vari
disegni, rappresentanti lo stemma
papale, indicando un' iscrizione le
virtù e le beneficenze del glorio-
so Pontefice, che fermossi a con-
templarne con compiacenza l'amo-
revole lavoro. Ricchissima di lumi
fu la macchina in cui si espose il
Venerabile nella collegiata, ed ac-
compagnato dal capitolo, dal ma-
gistrato governativo e municipale,
e dai cardinali Odescalchi e Mat-
tei benemerito protettore delia cit-
tàj Gregorio XVI recossi al col-
legio de'pp. dottrinari, ricevuto dal
p. Glauda generale e suoi religio-
si; ed ivi come in altre circostan-
ze, la municipalità fece servire mi
nobile rinfresco. Nell'atto della par-
64 MAR
tenta in riconoscente civica magi-
stratura fece scuoprire la marmo-
rea lapide, con altra eretta dal co-
mune stesso, che attesta la suddet-
ta donazione del locale ai marine-
si, ed affidato ai detti padri ad uti-
Jità religiosa e letteraria de'ma-
linesi, i quali accompagnarono il
munifico covrano sino al fontanile,
fra replicati vivacissimi applausi,
innalzando nel tempo stesso vari
globi areostatici a compimento del
loro filiale tripudio. Ai 2r poi di
detto mese, Gregorio XVI reduce
dall'eremo di Frascati e da Grot-
taferrata, la commozione de'mari-
nesi non potè trattenersi ; tutto fu
gaudio, giubilo e festa ; splendide
luminarie, vaghi fuochi d'artifizio,
il bosco divenuto giorno per le
fiaccole e globi trasparenti a di-
versi colori, la gioia dipinta su tut-
ti i volti, presentò una tenera sce-
na che potè sorprendere ed ammi-
rarsi, non descriversi. Nel iSSy e
nel i838 il Papa non si recò a
Marino.
Gregorio XVI a'y ottobre iSSg
da Roma si mosse per l'eremo di
Frascati, e traversando nelle ore
vespertine Marino, per recarsi alla
Ijreve villeggiatura di Castel Gan-
dolfo, fu dai marinesi festeggiato
colle solite solenni dimostrazioni di
affetto . Dipoi nelle ore pomeri-
diane degli 8 si trasferì in questa
città, visitando egualmente la col-
legiata e le monache domenicane,
rinnovandogli il popolo le feste fat-
tegli nel giorno avanti: nel seguen-
te si restituì in Roma. Nel 1840
il Papa passò a Castel Gandolfo
a' 16 luglio, e vi restò fino a* 17
di settembre. In questo lungo spa-
7.Ì0 di tempo ripetute volte recos-
si a Marino, sempre ricolmato di
giubilanti e splendide accoglien-
M A R
se, spesso facendo passeggiale sino
al fontanile. Da questo solendo il
P.ipa fermarsi a mirare dal basso
la città, pel punto pittoresco che
presenta, animato dal folto popolo
che in iscaglioni l'applaudiva tra lo
sparo dei niortari, 0 quindi bene-
dirla, mosse il valente paesista cav.
Pacelli sino dal i834 il tutto a
rappresentare in un quadro, che
presentato al santo Padre e tro-
vatolo mirabile, l'accettò collocan-
dolo nella sua particolare galleria.
Sono poi memorabili i giorni i 1
agosto ed 1 1 settembre, per quan-
to in essi fecero i marinesi a Gre-
gorio XVI. Nel primo il Papa tra-
versò la città, visitando la collegiata
per recarsi a Grotta ferrata; nel secon-
do fece altrettanto, in occasione che
fu a Frascati per visitare la regi-
na Maria Cristina vedova di Sar-
degna, donde passò all' eremo dei
camaldolesi. Pel trionfante viaggio
fatto nell'autunno 1841 da Grego-
rio XVI al santuario di Loreto e
a diverse provincie, non ebbe luo-
go la villeggiatura di Castel Gan-
dolfo. Nel iS^i vi si recò a'3 ot-
tobre, e tornò in Roma agli 8. Vi-
sitando Marino ai 6 di detto mese,
i marinesi gareggiarono con liete e
divote dimostrazioni, nelle quali
sempre studiarono distinguersi con
nuove feste. Dal numero 86 del
Diario di Roma si rileva che il
Papa percorse a piedi la strada del
corso tra le salve de'mortari e la
gioia del popolo; che così andò
alla cattedrale e al nuovo collegio,
mentre passando per la piazza di
s. Lucia, vagheggiò un obelisco di
nuova invenzione, che rasscmbra-
va un granito orientale, sebbene
lavorato con legumi a vari colori,
nel cui piedistallo eravi lo stem-
ma pontificio in un lato, e negli
MAR
altri le iscrizioni che riporta tal
Diario. Dalla loggia del collegio,
come altra volta, benedì il popo-
lo. Ivi si dice pure, come nella
seguente maj-tina il suo passaggio
per Marino, onde recarsi all'eremo
di Frascati, fu festeggiato , e nel
ritorno oltre le solite dimostrazio-
ni, il più sorprendente spettacolo
fu quello dell' illuminazione del bo-
sco, vedendosi come in tutte le
altre volte , sugli alberi, gruppi
di fanciulli, e nelle diverse som-
mità delle colline che ciicondano
la vallata, un numero grande di
persone con candele accese , che
rendevano un gaio simmetrico
splendore, quindi in diversi punti
di esse colline sorgevano fuochi ar-
tificiali frammischiati a replicate
batterie e al fragore de'mortari.
Il Papa percorse a piedi la via,
la piazza e la discesa, preceduto
da quantità di torcie portate dai
convittori di detto collegio, e segui-
to dal clero e dalle autorità del
luogo. Sorprendente poi fu il ve-
dere ogni volta gli alberi che fan-
no spalliera alla discesa della cit-
tà verso il fontanile, popolati di fan-
ciulli e giovanetti, che ad esempio
de' loro padri alzavano voci di lie-
tissime acclamazioni, agitando i ra-
mi e le fronde, cosa che riusciva
ognora grata al benigno Pontefice,
restando sempre commosso il suo
animo paterno dall' esultanza co-
stante e religiosa di questi abitanti.
Il simile questi rinnovarono a Gre-
gorio XVI nel 1843, quando dalla
villeggiatura si portò o traversò
Marino, essendo arrivato al Ca-
stello a* 2 ottobre e partito ai 9.
La villeggiatura del i844 f" ^^^
primo settembre al 7 ottobre : ai
3 di questo mese il Papa si recò
a Marino, ricevuto dal capitolo e
VOL. XLIII.
MAR G^T
magistrature, e dai cardinali Osti-
ni vescovo diocesano. Malici ve-
scovo di Frascati, e da monsignor
Lucciardi presidente della Cornar-
ca. Visitata la collegiata e il col-
legio de'dottrinari, tra l'esultan/n
del popolo fece ritorno alla sua
residenza. Nel di seguente traver-
sò la città per recarsi all'eremo
de' camaldolesi di Frascati ed a
Grottaferrata, e tra le solenni di-
mostrazioni de' marinesi, nomine-
remo il bellissimo e grandioso ar-
co di verdura , decorato di du(!
archi minori, di pilastri con basi
e capitelli, d'iscrizioni celebranti i
fasti del Pontefice, il cui stemma
sovrastava l'arco maggiore, nello
cui nicchie due fontane gittavano
vino. Le iscrizioni erano quattro,
ed una di esse parlava dell'arco
cos'i innalzato. Per le gite a Ti-
voli, a Monte Rotondo ed a Ca-
stel Porziano, Gregorio XVI non
si recò nel 184^ alla villeggiatura
di Castel Gandolfo. Finalmente nel
Supplemento al numero 49 *^^'^
Diario di Roma 1846 si legge il
profondo dolore provato dai ma-
rinesi per la morte del Pontefice,
non che i solenni funerali celebra-
ti nel duomo, e le iscrizioni in tal
circostanza dettate.
MARINO o SANMARINO .
Repubblica d'Italia nello stato pon-
tifìcio, sotto la protezione della san-
ta Sede, situata nella legazione a-
postolica di Forlì ossia in Romagna,
o meglio nella Romagnola, che fu
detta Pentapoli mediterranea, con-
finante coll'altra legazione di Urbino
e Pesaro, nella diocesi di Montefdtro
(Fe^i), posta a mezzogiorno di Ri-
mino, e lunge da essa dieci miglia.
Ha due leghe di lunghezza dal-
l' est all' ovest, sopra una lega e
mezza di larghezza, e circa tre le?
5
Gr> MAR
glie di superfìcie. Il territorio non
consiste che in una montagna sco
scesa, chiamala sino dal secolo de-
cimo I^lons Tkamis, che ha 36o
tese di elevazione, e nei castelli e
MAH
ni clie lo sOìIdamento di esso e
vicini, si del)-
degli
altri monti
ba altrihuirc a vnicaniche crnzio-
ni. Le acrjne minerali di Sanmari-
no o sia acque della \jalle, non so-
villaggi che ne dipendono, essendo no propriamente nello stalo della
i princit)ali Faelano ( da altri repubblica, ma per la conginnV-io-
chiamalo Forilano e Fcntrano), ne delle medesime al detto terri-
Serravallc, Cawle, Busiirnnno e torio, e per l'ospitalità che rice-
Fiorentinò: n'è la capitale la città vono i molti forastieri di distin-
di s. Marino^ posta sopra detta zione che da ogni parte si recano
montagna, e di cui faremo cenno in alla città di Sanmarino nella sla-
fìne di questo articolo. Altri dico- gione del passaggio di tali acque,
no che il territorio è di diciasset- per approfittarne, gli fece dare in
le miglia quadrate, con circa 7600 ogni tempo il nome di acque di
abitanti repubblicani . Il fiume s. Marino^ che presso il volgo di
Marecclìia bagna da due Iati qnc- Romagna chiamansi anche acque
sto isolato monte, di cui dal nord- della Fallcy per la posizione del
ovest, al sud est estendesi il limgo luogo donde scaturiscono. Il per-
dorso, rendendosi accessibile da che il dotto arciprete Luigi Nai-
quella sola parte, ove piìi placidi di bibliotecario di Rimino, dedicò
spirano i venti, mentre dall'altra il al supremo consiglio dell'eccelsa
sasso perpendicolarmente tagliato op- repubblica di Sanmarmo ii libro
pone opportuna barriera alle nor- intitolato : Direzione storica per
diche bufere, e dona il pregio al coloro che si portano alle acque
purissimo clima di una dolce lem- minerali di s. Marino o sia acque
peratura. Il fiumicello Amarano,
discendendo dalle cime feretrane,
bagna più da vicino il suo terri-
torio, ed un torrente vi fluisce pu-
re, che porta notabili acque in
della Falle j Pùmino 1823, per gli
Albertini. Prima di lui nel '792
il dottor Naidi pubblicò in Bolo-
gna l'opuscolo : Delle acque medi-
cìnali dette volgarmente di s. Ma-
tributo al Marecchia. Il monte rino. I principali prodotti del ter-
si'chiamò Titano dai piti remoli ri torio sono vino eccellente, olio
tempi, e si compone di un tufo comune, fruita e seta; e vi si al-
calcareo arenoso, che posa su ba- leva un sufficiente numero di be-
se d'argilla. Vi si trovano molte stiame.
conchiglie incastrate, e sonovi pu- Il potere esecutivo della repub-
re concrezioni alabastrine, e gessi blica è confidato a due individui,
di varia specie surrogabili ai mar- che dapprima ebbero nome di con-
mi col polimento di che sono su- soliy poscia di difensori, ed ora di
scèttivi . Vi è copia di manga- capitani reggenti o gonfalonieri.
nese, e tracce considerabili del- Uno di essi si sceglie fra i cittadini,
l'esistenza di carbon fossile, del ed altro fra gli abitanti del conta-
quale però non si è mai tenta- do. La durata della loro autorità
to di trarre profitto. Pei fie- è di sei mesi, quindi si rinnovano,
quenti filoni di zolfo che s'incon- ed entrano in carica nel primo di
Irano pel monte, opinarono alcu- aprile e nel primo di ottobre, il
MAR
c:oipo legislativo era formato nei
piiiiìordi dell'inteia popolazione, il
reggimento dello quale chiamavasi
/arringo o consiglio universale. In
progresso si stabilirono de'consigli
di maggiore o minor numero di
individui, ed attualmente sono ses-
santa i consiglieri; composto essen-
do il consiglio o senato di Tenti
nobili, di venti cittadini, e di ven-
ti paesani possidenti, come si crede
il meglio. Vi è poi un perraanenle
consiglio, di dodici individui clie
viene ogni anno rimosso per due
terzi, e preso dal detto consiglio
o senato ; non esercita verun po-
tere giudiziario, ma dà il suo vo-
to consultivo alla reggenza negli
affari di maggior rilevanza. Dai
giudicati poi del commissario ap-
pellasi al consiglio principe^ cb'è
cjuello composto di sessanta indi-
vidui. Nelle semestrali assemblee
nazionali , ciascun cittadino ha il
diritto di petizione al supremo ma-
gistrato, e queste adunanze chia-
manfiì V Arringo. Un podestà è chia-
mato dall'estero a rendere giustizia,
e viene in ogni triennio nominato
da! consiglio generale , non può
essere rieletto che una sola volta,
ed è assistito da un procuratore
generale e da un cancelliere. Tut-
ti i cittadini atti alle armi sono
difensori nati della patria e delle
leggi. Due segretari di stato, cioè
i due capitani, sono incaricati uno
pegli affari interni, T altro per gli
affari esterni della repubblica , le
cui rendite superano annui scudi
seimila ; formandosi le tru
ppe
di
sessanta uomini, divisi in due guar-
die pei due capitani. Il governo si
è sempre mantenuto nei giusti ri-
guardi di non essere incomodo ai
vicini, ne punto gravoso ai propri
cittadini, limitando le imposte in
M A R 6y
proporzione de'pubblici bisogni; né
si deve lacere, come dice il Fea,
che la repubblica ha anco esistilo
ed esiste per grazia e favore de*som-
mi Pontefici.
Quello scrittore, nell'opera di cui
andiamo a parlare, combatte il titolo
di slato assoluto, e fa osservare che
formando esso parte de'dominii del-
la santa Sede, non possono i Papi
concedere porzione o frammento
dello stato della Chiesa romana in
assoluta proprietà, pei giuramenti
che fanno; e che la Sede aposto-
lica nel concederla in feudo con
mero e misto impero, proprio dei
feudi, accordò l'utile non il domi-
nio diretto. Raccoglitore imparziale
di erudizioni riporterò gli opina-
namenti del Fea e del Delfico,
senza parteggiare per alcuno di
essi, poiché sembra che ambedue
con troppo calore e zelo abbiano vo-
luto sostenere il loro assunto, che
talvolta partecipò di animosità e di
spinta prevenzione. Questa ristjetlii
società, per molti rapporti singolare,
formò l'attenzione .degli storici e
de' filosofi indagatori. GÌ' inglesi
Macpherson, Addisson , Adams e
Gillies, il faentino Zuccoli ed il
cesenate Chiaramonti ne parlarono
ai nostri giorni in diverso , ma
sempre onorevole senso, ed il pri-
mo vi ravvisò una perfetta rasso-
miglianza cogli antichi modelli del-
le repubbliche greche. Taluno vi
ravvisò pure il tipo di que'dome-
stici governi, ond' era beata l'Ita-
lia innanzi alla romana dominazio-
ne^ e che insieme confederati com-
ponevano le gloriose nazioni sicule,
umbie, elrusche, sabine ed altre.
La jepubblica venne in più fama
dopo che il nestore de* letterati na-
poletani, il cav. don Melchiorre
Delfico cittadino della medesima,
G8 . MAR
con filosofica storia la fece me-
glio conoscere, rendendo parziali
omaggi di riconoscenza a questa sua
patria di adozione, però lascia mio
non solo q desiderare la venera-
zione che si deve alla santa Sede
e suoi ministri, e una pii^ castigata
riservatezza nelle ffiaterie di eccle-
siastico diritto, ma eziandio più cri-
tica e verità istorica , onde il suo
contegno fu disapprovato dai saggi
e dai letterati giusti ed imparziali.
E s'egli colla sua penna valse ad
eternare l'onore della cittadinanza
dai sanmarinesi ricevuta, immenso
però è il novero di quelli che tro-
varono sempre in questo suolo acco "
glienza ospitale, ed ove talora i me-
riti e le virtù si videro sfoggiare,
quindi nacque gara nella repubblica,
anche per dilatare i suoi rapporti,
di Conferire l'onorata cittadinanza,
e chi la riceveva andava ben con-
tento dello appartenervi, per di-
versi motivi e ragioni.
La repubblica ha un cardinale
per protettore pressò la santa Se-
de , ed un incaricato d' affari in
Roma , per antico costume. Per-
tanto si legge nel numero 16 del
Diario di Roma del 1816, che la
repubblica aveva scelto per pro-
tettore il cardinal Antonio Dugna-
ni sotto decano del sacro collegio,
e che avea sostituito al defunto
celebre e dotto monsignor Gaeta-
no Marini ^ l'avvocato conte Ales-
sandro Savorellì cameriere d'ono-
re di Pio VII, ambedue di fami-
glie ascritte alla cittadinanza no-
bile della stessa repubblica. Nel nu-
mero 34 del Diario i83i si dice
come il conte Alessandio Savorelli
incaricato della repubblica di San-
marino, ebbe l'onore di presenta-
re al Papa Gregorio XVI la let-
tera gratulatoria di questo gover-
MAR
no, pel suo fausto avvenimento al
trono pontificio , unendo in voce
. le espressioni della più ferma di-
vozione della repubblica verso la
Sede apostolica, consci* va la sempre
dai più remoti secoli, non ostante
le vicende da cui è stata spesso
circondata, e dalle quali ha saputo
mantenersi in ogni tempo illesa.
Il Pontefice rispose colle più gen-
tili parole di benevolenza, assicu-
rando che pari a quella de'glorio-
si suoi predecessori sarà la sua
protezione per si pacifico governo.
L'incaricato passò quindi ad osse-
quiare il cardinal Bernetti pro-se-
gretario di stato, che gli fece la
più cortese accoglienza. Finalmente
nel numero 69 del Diario del
1846, si riporta come il marchese
Alessandro Muti-Papazzuni già Sa-
vorelli, colonnello delle guardie ed
incaricato di affari della repubblica
di Sanmarino, avendo ricevute le
lettere del suo governo che lo con-
fermarono in tal quahfica presso
il regnante Pontefice Pio IX, fu da
lui ammesso all' udienza, che con
singoiar bontà rispose ai sentimenti
di divozione espressi dall'incaricato
per parte dello stesso governo,
assicurandolo che come ì suoi pre-
decessori, cosi egli avrà partico-
lare protezione per la repubblica.
Passò quindi l'incaricato dal car-
dinal Gizzi segretario di stato , a
cui presentò le più vive congra-
tulazioni dell'eccelsa reggenza san-
marinese, perchè fosse stato eleva-
to dalla legazione di Forh a tal
suprema dignità , ed il porporato
ricambiò sì falle nianifeslazioni col-
la più grata e gentile accoglienza.
Al presente protettore della repub-
blica di Sanmarino presso la santa
Sede è il cardinal Vincenzo Mac-
chi sotto-decano del sacro collegio.
I
MAR
In Milano nel i8o4 nella tipo-
grafia Sonzogno si pubblicarono
ie Memorie storiche della repub-
blica di ». Marino raccolte dal
cav. Melchiorre Delfico cittadino
della medesima. Questa edizione
in foglio dedicala dall' autore al
general consiglio principe della re-
pubblica, ed ai capitani reggenti la
medesima , nel 1842 iix riprodot-
ta in dodicesimo con tavola analiti-
ca e cronologica, dalla tipografia
elvetica di Capolago. JXella prefìi-
zione l'istorico dichiara che l'avea
pieceduto Matteo Valli, che nel i633
coi tipi di Padova diede l'opuscolo:
Dell'origine e governo della re-
pubblica di s. Marino, breve re-
lazione di Matteo Valli segretario
e cittadino di essa repubblica. Ri-
produssero i suoi racconti il Linda,
il Bisaccioni ed il Baudrand. Quin-
di protesta che il primo che ne
scrisse con critica ed accuratezza fu
il dotto arciprete Giambattista Ma-
rini, nell'opera intitolata ; Ragioni
della città di s. Leo detta già
Montefeltro, ec. , Pesaro 1758. Il
dotto avvocato don Carlo Pea
pubblicò in Roma coi tipi came-
rali nel 1834 l'opera intitolata:
Jl diritto sovrano della santa Se-
de sopra le valli di Coniacchio e
sopra la repubblica di s. Marino
difeso. Questo scrittore incomincia
nella prefazione a protestare che
parlandosi oggidì tanto di sovra-
nità assoluta ed indipendenza to-
tale di Sanmarino, che vuol farsi
considerare quale potenza estera,
coi principii del diritto, colla sto-
ria e con documenti diplomatici
dichiara, che questa repubblica e
suo territorio è sempre stata una
minima frazione delio stalo della
Chiesa, nel quale è inclusa; che i
sommi Pontefici sempre ne hanno
MAR 69
disposto come hanno stimato nelle
circostanze; ne hanno dilatato il
territorio; le hanno accordato mol-
ti privilegi ed esenzioni, che gior-
nalmente sì godono ; e hanno per-
messo ai sanmarinesi di continua-
re a governarsi da loro con par-
ticolari statuti, approvali e rifor-
mati a quando a quando dai
Pontefici e loro legati, a modo di
feudo, e feudo è slato Sempre di-
chiarato 6 chiamato dai medesimi
Pontefici. Aggiunge, che da qual-
che anno si ode e si legge in
qualche libro le parole libertà ,
indipendenza e sovranità assoluta;
per mostrare poi qual sia tale liber-
tà, quando essa fu restituita nel
1740 da Clemente Xli agli abi-
tatori di Sanmarino, riportò la
parte essenziale di quelle innova:^
zioni, anche acciò se ne abbia una
giusta idea, vedendo nei libri di
alcuni autori mal prevenuti comu-
nemente alterate le cose a danno
della verità e della giustizia , e
della esatta condotta del legato
cardinal Alberoni* Per avere insie-
me una storia imparziale e più
compita della repubblica, suo ter-
ritorio è forma di governo, il Fea
v' inserì la porzione della storia
di Matteo Valli l'elativa, è la re-
lazione del Salmon, correggendole
e supplendole , facendo così in
succinto una storia critica diplo-
matica di Sanmarino. Termina la
prefazione coli' avvertire che più
di tutto la conservazione della re-
pubblica si deve all'attaccamento
degli abitanti al loro patrono s.
Marino, alla loro località isolata
sopra un alto inonte alpestre , al-
la forma popolare del governo,
che lega ed obbliga ogni individuo
alla libertà ; mentre che sotto al-
tro reggimeulo perirebbe la liber-
70 MAR
là e la popolazione, ninno po-
tendo avervi iuteres!>e ne politico
né economico di assumersene il
peso con lucro cessante e danno
emergente, in un tenitoiio che si
mantiene bastantemente Tettile u
forza di attività ed industria re-
golarmente continuata. Laonde, di-
ce il Fea, conviene confessare che
fu provvida e savia risoluzione di
demente XII, di rimettere le cose
nel pristino stato di libertà, con
qualche altra provvidenza che si
legge nel di lui Sommario j il tut-
to per altro basato sulla pruden-
te condotta e dipendenza della
santa Sede, che sempre i sanma-
rinesi hanno protestato di profes-
sare sì nobili che plebei ; ricordan-
do per ultimo , che ì Papi hanno
accordati e mantenuti i tanti fa-
vori e privilegi agli abitanti natu-
rali, per la loro più comoda sus-
sistenza, non per rifugio a fora-
s.lieri molesti ed a banditi. Quale
stima poi meriti in fatto di vera-
cità istorica e critica la Relazione
del citato Valli, si legga il Fea
che ne rimarca l'esagerazioni a p.
67. Il Salmon poi nell'opera: Lo
stalo presente di tutti i paesi e
popoli del mondo j ec, stampata in
Venezia nel 1757, voi. XXI, cap. 4?
p. 49o> C' diede la Relazione della
repubblica di s. Marino. Il Fea a
pag. 83, parlando del Delfico, dice
che ne compilò una nuova storia
panegirica in tono trionfale , per
encomiare quella ch'egU si era scel-
ta per nuova patria libera; ma che
l'ardente encomiaste non ha riflettu-
to che se è cresciuta la libertà di scri-
vere a capriccio, è pure molto miglio-
rata l'arte critica, la diplomatica
e la storica, e soprattutto si sono
schiarite le controversie intorno al
dominio temporale della Chiesa 1*0-
M A I\
mana ; e secondo tutti i canoni
di bene scrivere ci vogliono pezze
(li appoggio, documenti autentici
id idonei, non frasi , non decla-
mazioni enfatiche ed iraconde. 11
Delfico all'opposto, secondo lui, ca-
ricò d'ingiurie molti Pontefici, tac-
que molte carte, narrò molte cose
a modo suo, sempre ad onore di
Sanmarino; virulente cor^tro la ge-
rarchia ecclesiastica, insultò tutti i
Papi, i cardinali e gli scrittori a-
pologisti delle ragioni e diritti
della Sede apostolica, tacendo mol-
te cose riguardanti il cardinal Al-
beroni e Clemente XII. Lungi dal
portare giudizio sopra i due sto-
rici, ripeto, nai limiterò a compen-
diarne le asserzioni, lasciiindone ai,
critici ed ai savi l' imparziale giu-
dizio.
La regione del Titano si tro-
vò anticamente compresa nella De-
capoli o nella Penlapoli Montana,
e nella divisione de'contadi, benché
a ninno appartenesse, si considerò,
come compresa in quello detto di
Monlefeltro. Benché il Monte Titano
elevi altieramente la sua cresta fra le
nuvole, e presenti in un Virslissitno
orizzonte il più vago e maestoso
spettacolo visuale, pure sarebbe
forse senza gloria e senza fama, se
un uomo proveniente dalla Dal-
n)azia non avesse prescelto ([ueste
alpestri balze pel suo prediletto
soggiorno. Tale fu quel Marino ve-
nuto o mandato in Rimino dopo
la metà del IV secolo; ed essen-
do muratore di mestiere, o condan-
nato a farlo, ebbe perciò occasione
di recarsi sul Titano pieno di
materiali pei suoi lavori. Potè al-
lora conoscere che il luogo non
era meno utile per occuparsi nel-
Tarte moratoria, che atto a sot-
trarsi dalle ingiurie della pcrsecu-
MAR
7Ìcik; religiosa , di cui era a quel-
l'epoca segno ii cullo callolico,
o proprio ad essere un soggiorno
lilìero e tranquillo per esercitarvi
nel' silenzio e nella solitudine gli
ulfizi delia cristiana pietà. Ma co-
n»e spesso avviene che dagli ere-
iTu ancora vola la fama delle vir-
tù e del vero merito, non vi re-
stò occulto quello di Marino ; ed
li buon vescovo di Rinvino s. Gau-
denzio lo volle per ministro e coo-
peratore nella difesa del culto e
nella propagazione della fede. Eb-
be egli per socio un tal Leone,
(ii cui eguali furono i principi!
e l'emigrazione, promosso poi alla
cattedra Feretrana, mentre Marino
si contentò restare fra i ministri
del cullo semplice levita; e l'u-
no e l'altro, forse stanchi de'lor-
bidi feroci e de' tm vagli che in
Rimino si offrivano, come nelle
vicine contrade , cercarono luoghi
più coniiicenti a persone abituate
alle opere ed al diletto della
tranquilla solitudine. Marino quin-
di rimontò le sue balze, e sempre
occupato negli eserci/i di pietà e
di umanità, egualmente che nei la-
vori necessari alla sussistenza , non
potè allontanare dalla sua angusta
dicuora ne i soci de'suoi travagli,
uè i fedeli che si accostavano a
lui, o per ricevere i rudimenti del-
la morale e della credenza, o atti-
rati dall'esempio e dalla sua dif-
fusiva carità. Narra la tradizione
inoltre, che Marino tagliò nello
scoglio la sua casa, il suo letto, il
suo orticino ; e pei miracoli da
Dio operati a sua intercessione, e
per le buone sue opere, ebbe da
pie persone in dono il territorio
del Monte Titano, di cui divenne
proprietario, ed il Titano incomin-
ciò ad avere i suoi propri abitato-
MAR 7t
ri. L'uomo pio e religioso , di-
venuto quasi rettore del piccolo
circondario, pensò naturalmente a
mantenere i suoi soci nei princi-
pii e sentimenti che li avea riuni-
ti, e nel culto che n*era l' espres-
sione ; ed al suo eremo aggiunse
una chiesuola, che ierv\ di primo
punto di riunione ai fedeli e
membri del piccolo nascente cor-
po sociale , cui morendo lasciò
ricordi di pace, di buoni costumi
e di libertà, come esprimesi il
Delfico, conservati in perpetuo re-
taggio dalla successiva popolazione.
Le più antiche memorie dei
primi abitatori e delle prime abi-
txizioni sulla vetta del Titano, è
vero che si sono espresse colle
parole di monaci e monastero, ma
indicanti più lo stato, che la con-
dizione degl'individui e del loro
admiamento. Tultavolla, al dire
del citato istorico, il monaco Eu-
gippio fiorito nel monastero di s.
Severino in san Leo, ed autore
della vita di s. Severino, fiorito
fra il V e VI secolo, lasciò scrit-
to di aver veduta e letta la vita
di un tal Basilico o Basilicio mona-
co del Monte Titano, uno dei
più antichi successori di Marino,
che poi finì i suoi giorni nella
Lucania. Gli atti poi della vita dì
Marino si leggono nei Bollandisli,
Jc(a sancì, ntens. stptemhris t. If,
p. 2i8, i quali però restarono
malcontenti dell' autore di essi ,
per gli episodi drammatici e cose
favolose che v' introdusse . Le
favolose narrazioni del Valli sul-
l'origine miracolosa di Sanmarino,
le storielle de' BoHandisti discus-
se a'4 settembre, le combattè più
parlitamente l'autore anonimo de
(pi scopata Ferttrano , contro il
(juale si diffuse Giambattista Ma-
72 MAR MAR
lini, ragionamlo intorno ai docu- di abbati e di monaci alcima vol-
incnti dell' operato dai Pontefici, ta furono designali gli ecclesiuslici
Si può vedere anche l'Ughelli t. che vi presiedevano ed orticìavano.
JI, coi. 854, edizione del Coleti, In fatti successivamente tal chiesa
che riporta la storia deirinvenzione divenne la parrocchiale e prese il
del corpo di s. Murino a' 4 otto- titolo di pieve, corno l'abbate prese
hre 1596 in una grotta dentro ((uello di prete o di rettore. Quali
la sua chiesa in Sanmarino. Si intanto fossero gli scarsi progressi
vuole che i primi alti veridi- della popolazione titanica , non è
ci della vita del santo andassero facile il riferirlo » nella scarsezza
smarriti , mentre la di lui fama anzi mancanza di documenti di
essendosi propagata in Italia, ivi quel tempo. Abbiamo da Anasta-
gli eiano stati eretti de* templi, sio Bibliotecario, in Vita Stephani
come in Pavia, edificato nell* Vili // detto IH, che questi avendo nel
«ecolo. Non sembra vero , dice il 7^5 ricorso all' aiuto di Pipino
Delfico e cosi il Fea, che in quel- contro Astolfo re de' longobardi,
la chiesa vi riponesse le sue reli- ch'erasi impadronito daìV Esarcato
quie Astolfo re de'longobardi, pri- (Vedi) _, il quale per spontanea
vandone il Titano, mentre pare dedizione de'popoli era già sotto
))rovato ch'egli mai si accostasse la protezione della santa Sede, e
a questo monte allorché invase faceva strage nella provincia ro-
i'Esi» reato : in favore di Pavia pe- mana suo dominio temporale, il
rò scrisse Giovanni Gualla, nel suo principe francese obbligò Astolfo
santuario delle reliquie di quella a restituire alla Chiesa romana
città, stampato in latino, lib. V, le occupate terre, e ve ne aggiun-
fol. 5S ; e Stefano Beneventano se altre in dono, come l'Esarcato,
cittadino pavese, nella descrizione per ampliare il principato del
delle memorie sacre di quella chic- sommo Pontefice, fra le quali San-
sa. Marino venendo acclamato per marino, Castelluni s. Marini^ Mon-
santo dalla popolare divozione , tefeltro, Rimino ec. : altrettanto ri-
qual primo autore della pacifica portano il cardinal Baronio, An-
aggregazione sociale fondata sul naL t. IX, anno 755, fol. 229 ;
Titano, questo dal di lui nome ed il Cenni, Codex Carpi, t. I,
prese in vece la denominazione che p. 62 e seg.
porta di s. Manno o Sanmarino. A questa donazione ripugna il
11 Butler registra questo santo ai Delfico, quanto a Sanmarino, per-
4 settembre , dice eh' è onorato che il Titano ancora non avea
anche a Pavia , a Rimino e in preso questo nome, e perchè non
molte diocesi d' Italia, ma le due esisteva allora un luogo fortifi-
vite che abbiano di lui non meri- calo, castnwif che portasse il no-
tano fede. 11 monastero rammen- me di Sanmarino > dicendolo le
tato da Eugippio, non si credè diverse copie della donazione di
popolato da uomini che vi menasse- Pipino j or san Marino, or san
ro vita regolare, ma piuttosto una Mariano, or san Martino. Che ai-
chiesa destinata alla riunione dei lora sul monte Titano sussistesse
fedeli, che in quei tempi talora una popolazione con chiesa prov-
Momiuavasi chiesa, qoxùq coi nomi veduta dì molti fondi, provenienti
MAR
dalla prima fondazione, ed ?iccre-
sciuli a poco a poco dall'oblazione
(leTedeli, si prova da un autentico
documenlo del secolo IX, dal gìu^
dicalo o placito feretrano di Gio-
vanni abbate e tcscovo di Monte-»
lèltro, ficclesiae Feretranae, contro
Deltone vescovo di Rimino, dato
in favore di Stefano parroco, ed
in cui Stefano preshyicr et ahhas
s. Marini è cliiamato, essendo Orso
tinca (li Montefeltro nominato pu-
re nel placito. Quantunque nel
territorio o provincia feretrana
lusse compreso il distretto di San-
marino che si trovava nella dio-
cesi feretrana, osserva il Delfico
die né dal placito, ne da altri do-
cumenti si rileva che la giurisdi-
zione politica de' duchi e poscia
ile'conti di Montefeltro si esten-
desse su questo monte e su le
6ue appendici. Narra in vece il
Fea a p. 68, che per le accurate
ricerche ordinate nel 1660 da
Alessandro VII , venne provato
che Sanmarino col suo territorio è
.-.empie stato sotto il dominio del-
lu santa Sede, la quale, come sua
proprietà, incastrata la repubblica
nello stato, lo avea sempre soste-
nuto e difeso nelle guerre civili
italiane, e T avea favorita di po-
ter continuare in certo modo da
<jualche secolo a governarsi da se,
come quasi tutte le città d'Italia,
però con certe date regole econo-
miche e giudiziarie ripetutevi ogni
tanto, in modo di feudo ; e che
contro tali diritti di sovranità e
dominio diretto non valeva un
supposto o preteso lunghissimo pos*
sesso e prescrizione alcuna, ripor-
tandone alcune prove, che si cou-
.scivano nella biblioteca Chigiana,
dj cui il Fea era bibliotecario. G.
ili, 68, li, 63.
MAR 75
Nel secolo X pel bisogno di
cangiar la maniera di vìvere spar-
samente nelle campagne, riunire
e concentrare le lontane abitazioni,
e fornirle di mura e fortificazioni,
gli abitatori del Titano provando
come gli altri tal bisogno, si vuole
che vi soddisfacessero più facilmen-
te, perchè la natura avea in gran
parte provveduto alla loro custodia,
e facili erano i modi di completarla.
Quindi si congettura che divenuto
castello servisse di primo ricovero
a Berengario li imperatore e re
d'Italia, ed a parte della sua gente,
allorché sulla metà di tal secolo
dovè fuggire dalle armi vittoriose
di Ottone I; trovandosi in data
26 settembre gSi un diploma di
Berengario W^ aclum in plebem s.
Marini. Nella donazione che fece
l'imperatore Ottone I nel 962 ad
Uldarico conte di Carpegna di
27 o 28 castella o terre, fra gli
altri sono nominati questi : Et
inter Jliwìos Concavi et Marichium,
Serrav alluni, sanctus Marimis, et
oppiduni Montìs Feretri; ecco un
altro esempio contro il Delfico
sulla denominazione del luogo ,
secondochè rileva il Fea. Nel se-
colo seguente, in una bolla di O-
norio li del 11 26, riportala dal-
rUghelli, Italia sacra t II, col.
933 (della prima edizione, e col.
845 della seconda), in cui si con-
fermano le chiese della diocesi di
Montefeltro, con particolare indi-
cazione si nomina la pieve di s.
Marino colla qualifica di castello:
Plebem s. Marini cuni Castello,
che certamente avrà avuto un
grado di consistenza civica e di
fòrza. Avverte il Fea a p. 70, che
Onorio 11 con tal bolla confermò
il dominio utile del Castellò di s.
Marino alla chiesa e vescovo di
74 MAR
Montefelli'o, e ciica il fine di essu
sì l*fg}^c> •s<3rA'W in omnibus Roma-
nae Kcclesìae juslilin et re\>erenùa.
Osserva inoltre il Fea, che i Ponte-
Iclìci o tulli gli scrittori gcULnalineii-
le, prima da due secoli, sempre di-
cono castello, terra, gli uoiniid di
s. Marino, uè mai città, né re-
jmbblicay e terra dice pure lo sta-
tuto. Ad esempio delle altre città
e castelli d'Italia clic proclamarono
i santi tutelari, questo popolo de-
corò la poi'ta maggiore della chie-
sa coH'epigrafe : Mva Marino Pa-
trono et Libertatis Auctori D. C.
S. P. Crescendo la popolazione
senti il bisogno d'in|»randire il suo
piccolo territorio, quindi comprò
dai confinanti signori di Carpegna
tlelle terre colle loro giurisdizioni,
e col monastero di s. Gregorio
in Concii coni[>letarono l'acquisto,
prendendo dal medesimo a livello
cjuelle terre, sulle quali dai conti
«li Carpegna acquistavano la giuris-
diziorte e tutti i diritti signorili:
gli acquisti fatti dal sindaco di San-
inariuo, furono il castello di Pen-
na rossa e la metà di quello di
Gasoli, del quale dipoi se ne com-
pì r acquieto. Altri se ne fecero
dai conti di Montefellro , convali-
dati dalla perpetua amicizia di
quella famiglia colla repubblica di
^^anniaiino. Ecco come con lenti
passi progredendo , la piccola so-
cietà stabiliva una forza propor-
zionata alla sua piccolezza , e si
lòrmava quella base che dovea
garantirne la durata, come si espri-
me il Delfico. La popolazione eb-
be rapporti continui con le fa-
iai|:;lieFeltria de' duchi di Urbino,
e Malatesta de' signori di Rimino.
Finche la popolazione del Titano
(u di pochi individui, e d'una for-
za disunita ed iudetermlaala , e
MAR
quindi invalida ad agire e resi-
stere, potè facilmente essere neglet-
ta e trascurata daf»li uomini domi-
nati dall'ambizione ed avidi del
potere ; om quando colla estensione
de' suoi confini, coli' accrescimento
della popolazione , e colla valida
fortificazione annunziò un grado
di forza e dì resistenza sostermte
dal coraggio, gli sguardi dell'am-
bizione e dell'orgoglio non furono
più indiflerenti per questo scoglio,
e Yolontieri vi si sarebbero ada-
giati, se avessero potuto espellerne
la libertà natia, come dichiara il
Delfico.
Aumentata la popolazione con
abitaziorw di cui si formò il bor-
go, eslesi i confini,, e fortificato il
luogo di residenza del governo , si
propagò la fama dell' inaccessibili-
tà ed inespugnabilità del castello
o rocca nel secolo XII; mentre gli
italiani per la debolezza del gover-
no imperiale scossero il giogo stra-
niero , dopo la pace di Costanza
ogni luogo volle assumere le for-
me repubblicane, eleggendo i con-
soli, benché la pretesa libertà fu
effimera e tumultuaria , perchè le
piccole società furono presto assor-
bite dalle più potenti, e i magi-
strati politici abusando del potere
si trasformarono in dominanti, ciò
non accadde sul Titano, perchè cre-
sciuto il popolo neir indipendenza,
col suo naturale andamento non
ebbe bisogno di farsi imitatore del-
le nuove repubbliche insorte, libe-
randolo la sua situazione dal par-
tecipare al movimento ed al gene-
rale scompiglio d'Italia. Questo po-
polo avea già le sue leggi e le sue
forme governative. I suoi supremi
magistrati, intitolati pur essi con-
soli, al numero di due o tre, adem-
pivano ai doveri del potere esecu-
MAU
livo e dei giudiziario, mentre il
potere legislativo risiedeva presso il
popolo, rappresentato dai capi delle
famiglie. Ma se potè salvarsi da
tale sconvolgimento, racconta il Del-
fico , non andò Sunmarino esente
dall'insania de' parliti guelfi e ghi-
U'llim\ che per lnnghissin»o tempo
perturbarono anche la vetta del
tranquillo Titano, riuscendo fune-
sta alia repubblica, perchè oltre la
discordia civile da cui fu lacerata,
fu successiva cagione che nella con-
trarietà de' partiti i vicini prepo-
tenti ne volessero profittare, come
i signori di Carpegna , i vescovi
feretrani, la città di Rimino o i
suoi Malatesta, e pegii antichi di-
ritti i ministri pontificii. Si crede
che Ugolino di Monlefeltro vesco-
vo feretrano e fanatico ghibellino,
quale lo dipinge il Delfico, come
gli altri di sua famiglia, gittasse i
primi semi di zizzania nella popo-
lazione titanica, per estendere so-
pra di essa il dominio temporale
della sua chiesa, e come dice il
Delfico, vantando pretese signorili
su questo territorio. JVota il Fea ,
a p. 70, che si giustifica iJ posses-
so di Sanmarino, avuto dal vesco-
vo di Montcleltro, e massime nella
persona del vescovo Ugolino , dal
contenuto d'un istromento che si
trova nel pubblico archivio di Ver-
rucchio, stipulato a' 12 settembre
1243. Nei libri poi di contralti o
enfiteusi del medesimo vescovo, a p.
2, sta pur oggi notato di carattere
antico ; Plebatus s. Marini liabtt
ecclesias X. In dirlo Plebatu est
Terra s. Marini, ex qua dictus e-
fjiscopus Feretranus habet, et con-
sucvit ha bere conde/nnationes , et
rolligcre decinias ab hominibus. È
tradizione, e si ha per sicuro, dice
il Fea, che gli uomini di Sauu)ari-
MAR
75
no si comprassero per loro le ra-
gioni di detto vescovo; che dove-
vano essere il jus- delle prime istan-
ze delle cause^ pei prezzo già ac-
cordato coi riniinesi. Quanto ai
partiti guelfi e ghibellini , il Fea
con opportuna osservazione fatta dal
Rotta, non conviene che l'elemento
di tali fazioni potesse aver luogo in
Sanmarino per la sua piccolezza, e
per i componenti l'amministrazio-
ne. Aggiunge in nota che il Ro-
scoe, nella Fila di Lorenzo de' Me-
dici y t. I, p. 4> scrive che nel pri-
mo tempo si dicevano guelfi quelli
che sostenevano le parli del Papa
contro i ghibellini aderenti agi' im-
peratori; ma che nei tempi suc-
cessivi, guelfo si chiamò quello che
in qualche popolare commozione
sposava la causa del popolo. E ve-
rissimo, dice il Fea, che ogni cit-
tà e paese intendeva (àr la causa
piopria per la libertà e indipen-
denza una dall' altra ; ma sem-
pre si protestavano dipendenti sud-
dite del Papa, di sostenere le sue
parti, o a lui ricorrevano per aiuto,
e spesso a lui si sottomettevano in-
teramente per finire le discordie
interne : le Storie di Bologna di
Gaspare Rombaci, ne danno conti-
nui esempi.
Legata la casa di Monlefeltro
per gratitudine al partito impe-
riale, e vedendo V imperatore Fe-
derico 11 guerreggiare in questi
monti coi ghibellini, contro il Pa-
pa e i suoi guelfi, non potendo re-
sture indifferente, secondo il Delfi-
co, Ugolino eccitò lentusiasmo dei
sanmarinesi pel ghibellinismo. Ma
colpito Federico H nel concilio ge-
nerale I di Lione dai^li anatemi
del Pontefice Innocenzo IV, lo fu
pure il vescovo Ugolino partitante,
e con esso il comune di Sanmari-
76 MAR
no comlaiiualo uU'inleiUcllo. Que-
sto durò (.lai l'Jtl? ^^"^ ^' '^•49>
quniidu in Perugia i conti di Mon-
tef«.'llro, Ugolino, i sanmarinesi ed
altri ftii'ono ribenedelti e re!>lituiti
alla coinunione cattolica. Non nu-
dò giiaii che i ganmarinesi cogli
altri obliarono le scomuniche della
Chiesa, ed essendo da loro bandi-
ta la cojicordia, provarono in con-
segui-n/a gli stessi mali ond'erano
afllilto le altre città italiane. Il par-
tilo dominante in questa terra fu
sempre quello de' ghibellini, soste-
nuto dai vicini baroni, e più de-
bole essendo <|uello de' guelli , si
trovarono perciò questi quasi sem-
[)re fuoruscili o banditi dalla pa-
tria; finché l'autorità di Filippo ar-
civescovo di Ravenna, se non (ine al-
meno pose tregua tra le due tremen-
de e accanite fazioni. Considerando il
prelato Sanmariiio come luogo li-
bero e indipendente, quindi njcno
soggetto air influenza de' polenti ,
nel 12^2 vi tenne un congresso
per pacificar le parti che in lui
eransi compromesse, ma non potè
ottenere che un armistizio nel ge-
neral consiglio tenuto nella chics.l
di questa pieve, perchè l'adunanza
fu qtiasi tutta formata dai ghibel-
lini.
I sanmarinesi col loro vescovo
Ugolino tornarono al ghibellinismo,
dimorando egli con loro, avendo
fissata la sua residenza in San ma-
rino ; ma il Papa lo depose dalla
dignità, e sostituì Giovanni nella
cattedra feretrana, che per essere
entralo in comunione con Sanma-
rino neir acquisto , che il comune
fiece della metà del castello o del
monte di Casole, ovvero ratifica di
quello fatto anteriormente , imitò
l'esempio del predecessore Ugolino
nella cessioue de' diritti di passo
MAR
che avea fatto Guidone da Cerre-
to. Nel medesimo anno ia53 i po-
chi uomini del restante territorio
di Casole, spontaneamente si uni-
rono con quelli di Sanmarino , fi-
cendo^i loro perpetui castellani ed
abitatori ; cosi il conmne sanma-
rinese potè dare una maggiore es-
tensione al suo territorio , e nel
suddetto anno si trova già men-
zione dei primi statuti (dell'origi-
ne de' quali parlammo all'articolo
Comuìvita' o Comune ) di Sanmai i-
no, che sicuramente debbono esse-
re tra i più antichi d' Italia. Nel
1277 Rodolfo d' Absburgo re dei
romani confermò al Papa Nicolò
III le donazioni fatte dagl' impe-
ratori suoi predecessori, compresa
la Romagna, onde poi il comune
sanmarinese Solfrj dei distiu'bi nel
possesso della sua libertà ed indi-
pendenza, e dalle pretensioni dei
vescovi feretrani, onde si conferma-
rono nel partilo ghibellino , come
pretende il Delfico che usa tali e-
spressioni. I vescovi feretrani aven-
do in Sanmarino la loro casa nel
luogo ìi pili fortificato, cioè nel gi-
rone del monte della Guaita , il
Comune cedetle loro in vece altre
case in luogo di quella. Costuman-
dosi in quei tempi tenere i gene-
rali parlamenti 'ne' capoluoghi, tal-
volta Sanmarino intervetuìe a quelli
tenuti dal podestà di Montefeltro
o delle terre della chiesa feretra-
na, contribuendo prestazioni e col-
lette imposte dal geneial parlamen-
to o dal podestà delle medesime;
secondo il Delfico non dev|& trarse-
ne argomento di giurisdizione o
dipendenza, poiché il presentarsi
alle assemblee era pel sostegno del -
la causa comune, tanto piìi ch'es-
scuilo il comune sanmaiinese ad-
detto al ghibellinismo, d quale era
MAR
quasi genernlmente il partito fere-
trano, non poteva fare a meno <li
coalizzarsi coi suoi simili. Come
ghibellino, il comune aderiva a
Guido di Montefeltro cnpoparle di
tal partilo, ma i discordi citta-
dini seguivano Io stendardo guel-
fo sotto quello di Mala lesta, men-
tre i parenti d'ambedue parteggia-
vano per le opposte fazioni. Dopo
molte vicende Guido scomunicalo
da Martino IV e sconfitto dal suo
rettore di Romagna d'Apia (delle
gesta del quale trattammo all'ar-
ticolo Forlì), già da lui vinto,
portatosi in Sanmarino, questo luo-
go divenne quasi il nido e il pro-
pugnacolo de'ghibellinisti, e vi si ri-
parò pure Parcitade ministro per
l'imperatore debellalo dal Malate-
sta. Parcitade passò in Venezia, e
Guido si fece francescano in An-
cona. L'attaccamento del comune
per Guido strinse la piti amiche-
vole corrispondenza colla famiglia
di Montefeltro de' signori di Ur-
bino, e sotto sì valente capitano i
sanmarinesi appresero meglio il me-
stiere delle armi. Della costante
confederazione colla casa Feltria si-
no all'estinzione della famiglia, ve
n'è pubblico monumento sulla por-
ta maggiore della città di Sanma-
rino, dove si vedono a paro collo-
cate di antica scoltura l'arma di
Sanmarino, cioè le tre torri colle
penne, e quella più antica de' conti
di Urbino e della città medesima ,
cioè un'aquila ardita colle ali spie-
gate, la quale si vede ripetula in
altri luoghi ancora.
Dopo la pace generale di Ro-
magna, in cui fu escluso il conta-
do di Montefeltro , ma non pare
Sanmarino, il Delfico racconta che
inviando la santa Sede i magistrati
supremi io Romagna, Teodorico vi-
MAR 77
cario nel contado di Montefélho
d'ildebrandino vescovo d'Arezzo e
rettore della provincia di Roma-
gna, intimò alla comunità di San-
marino di pagar la contribuzione
dei soldo pel suo salario. I sanma-
rinesi ricusando di pagare, a c.i-
gione della loro libertà, si compro
mise la causa nel giureconsulto Pa
lamede de Herri, giudice di Rimi-
no; e Teodorico liconosciut.a la
giustizia delia negativa de' san-
marinesi, si recò egli slesso a San-
marino a pubblicar la sentenza del-
la loro assoluzione ed esenzione ,
perchè liberi ed esenti da qualun-
que esteriore superiorità. Non andò
guaii che nel 1^-96 pretese somi-
glianti a quelle di Teodorico af-
facciarono i podestà feietrani, per
cui i sanmarinesi ricorsero al Pa-
pa Bonifacio VIIT, il quale com-
mise la causa ad Uguccione di Ver-
celli suo cappellano, e a Teodorico
suo camerlengo , giudici dei snero
palazzo, e questi subdelegarono Ra-
nieri abbate del vicino monastero
di s. Anastasio. Si difesero i san-
marinesi dinanzi al giudice , con
esame di testimoni da loro prodot-
ti, i quali concordemente deposero
che il comune avea sempre goduto
per costante tradizione della libertà
fino dai tempi de santo fondatore.
Renchè non siavi documento co-
me terminò la disputa coi podestà
di Montefeltro, si ritiene dal Del-
fico che il giudicato dell'abbate di
s. Anastasio fosse coerente alla giu-
stizia ed al precedente giudicato.
Nel i3oo per l'altra pace generale
di Romagna, potè re!«puare calma
anco Montefeltro, o a meglio di-
re sospensione di ostilità. Nel con-
gresso, che seguì in s. Leo per la
pacificazione di Montefeltro , con
l'intervento anche del comune di
7« MAR
Sjìiìtìinrino, in cui il vescovo iWr-
Irano Uhnlo rinuncia a tulle le
liti e queslinni mosse contro ni del
to comune, sì nella cnrin romana,
cl»e plesso i delegati della mede-
sima, ma con n lei me clausole ed
il pagamento di mille lire per tran-
sazione, in cui dovette concorrere an-
che Sanniarino. Verso questo tem-
po fn compilato il secondo statuto,
ove non più consoli, ma capitani
e difensore sono nominati , tenen-
dosi però ferme le attribuzioni con-
solari ai nuovi magistrati. Vennero
dunque aboliti i nomi di difensori
del popolo^ cui si sosliluirono i àiie
capitani, quindi ebbe luogo il giu-
ramento prestato dai magistrati ad
onore e stabilimento del castello di
San marino, senza commemorazione
di superiori rapporti. Nel i3o3
comparvero in Sanmarino alcuni
individui in qualità di audiascialori
della chiesa feretrana, i quali dan-
do sospetto d'essere emissari guelfi,
ftnono imprigionati da alcuni piti
ardili ghibellini: la comime li punì
col banilo, poiché per eccesso di
7.elo avevano violato il diritto delle
genti, ad onta che non sembras-
sero ingiusti del tutto i loro so-
spetti.
Nuovi acquisti di fondi pubblici
fece il comune che in questo tem-
po fece edificare la sua casa, che
fu il primo palazzo pubblico, dive-
nendo sempre più il luogo impor-
tante e castello fortissimo, perciò
vagheggiato dai guelfi, ed in ispe-
cie dai Malatesta. Uberto vescovo
di Montefellro adontato dell'albon-
to fatto ai suoi ambasciatori, mosse
guerra ai sanmarinesi, che pugnan-
do prosperamente, gli conquistaro-
no Montemaggio, Tausana , Mon-
tefotongo, ed altre feretrane castel-
la, disprezzando le scomuniche di
M A lì
cui li fulminò, e quelle ancora del
successore Benvenuto. Con questo
poi si pacificarono a' iG settembre
iS^o, restituirono i castelli occu-
pali, e furono assolti dalle censu-
re. Malijfrado questo trattato, si ri-
mase sempre nell'incertezza dei van-
tati diritti della chiesa feretrana, al
uìodo di esprimersi del Delfico, Gli
uomini di Busiijnano domandarono
la castellanza, ossia l'unione loro co!
comune di Sanmarino, che venuta
ad essi concessa; protestando però
di non voler essere soggetti a quei
diritti che pretendessero sui sanma-
rinesi il vescovo feretrano o di s.
Leo. Racconta il F'ea, a p. yr, che
ritrovandt)si la chiesa di Montefel-
tro in pacifico possesso della giu-
risdizione su Sanmarino, ne fu spo-
gliata da Federico 1 conte di Mon-
tefellro. Però Papa Giovanni XX.I1,
con breve dato da Avignone nel
i3i8, ordinò al rettore di Roma-
gna perchè operasse in modo, che
il castello di Sanmarino spettante
al vescovo di Montefeltro, fosse ri-
lascialo e restituito a quel vescovo,
siccome ne eseguì la consegna, proiit
in libro secret, e/'usdem Pontijicis
fol. 139. Nel i32r il vescovo Ben-
venuto vedendosi impotente di di-
fendere il castello di vSanmarino dal-
l'ingordigia e pretese del suddetto
Federico I, ricorse al medesimo Papa
Giovanni XXII, chiedendogli licenza
di poter vendere o permutale le giu-
risdizioni e diritti della chiesa fere-
trana sopra il castello o rocca del-
la Penna di Sanmarino, e cederli
alla città di Rimino, vale a dire
ai Malatesta, allegando per motivo
la potenza di Federico I da Mon-
tefellro , che occupava il castello,
per cui ni un reddito o poco pote-
va trarne la sua chiesa. Giovanni
XXll però con suo breve ordinò
MAR
nd Almerico di Castrolnce rolloie
di Romagna e poi cardinale, d'in-
formarsi del vantaggio di tal per-
muta per la cljiesa feretrana, e ve-
rificar l'esposto, poiché non era ve-
ro che il vescovo avesse invaso il
costello e la rocca di Sanmarino,
dichiarandosi signora del comune la
sede feretrana ; il perchè poi, secon-
do il Delfico, il contratto non ebbe
luogo, dovendolo acquistare i rimi-
ncsi per quatlordicimila lire di bo-
lognini, rcservatis jiirihus .sonctae
romana Ecclesìae, secondo la pre
scrizione di Giovanni XXII su Pen-
vae s. Marmi. 1 sanmarinesi per
l'uccisione avvenuta in una sedi-
zione di Federico I conte di Ur-
bino, rimasti privi di appoggi , a
mezzo del loro sindaco fecero pace
coi Malatesta di Piimino, confede-
randosi pure colla ciltà ; e Speran-
za da Monte feltro, zio e cugino del
defunto, si rifugiò in Saumaiino,
ricuperando poi gli slati felUeschi
coir aiuto de' sanmarinesi , sempre
attaccati all'amica famiglia Fellria.
Per aver favorito i sanmarinesi il
morto conte Federico I, dichiarato
dalia santa Sede ribelle ed eretico,
furono pur essi tenuti per suoi fau-
tori ed eretici, e perciò incorsi nel-
le sentenze d'interdetto e scomu-
nica; il perchè Giovanni XXH con
breve del 5 agosto i39,3 auloiizzò
il suddetto rettore Almerico, me-
diante ammenda e cauzione, che li
assolvesse da ogni censura e pena ,
dovendo ritornare alla divozione e
fedeltà della Chiesa. 11 dotto car-
dinal Garampi riminese, che fu pre-
fetto degli archivi pontificii vali-
cano e di Castel s. Angelo, nelle
Memorie istor. p. 5'?^., riferisce che
Sanmarino fu già della chiesa di
Monlefeltro, dalla quale fu vendu-
to nel i323 al comune di Rimiui
IVI A a 'ji)
per quattoi'dicimila lire ravennati ,
con istromcnto prodotto dal Cle-
menlini, Rac. istor. de' Malatcsla
t. Il, p. 9j e che la facoltà data
per la fletta vendita al rettore Al-
merico da Giovanni XXII , appa-
risce da una sua lettera in data
d'Avignone il novembre i37,2,
Rcg. secr. anni VII, p. i3^; indi
avverte che tal somma equivaleva
a 6364 fiorini d'oro, presso a poco
del peso e lega de' nostri zecchini.
Aggiunge, che poco durò il castello
di Sanmarino in mano de' riminesi,
raccogliendosi dai libri della caoie-
ra apostolica di Urbano V eletto
nel 136?, che pagava ogni anno
alla medesima lii-e (^5, soldi 6, de-
nari 9 per le Tall'c. Il caidinal
Anglico Giimoardi, fratello di detlo
Papa, ci assiema, che nel iSyr
pagava anche le fimantcrie (di cui
parlammo all'articolo Dogane),
riconosceva la santa Sede ne' par-
lamenti, e obbediva al vicariato di
Montefellro. Martmo V nel i4i**^
concesse a Giovanni della Serra da
Gubbio tutti i proventi che la ca-
mera apostolica allora riscuoteva in
Sanmarino, lib. I de Cur. p. 207;
ma in appresso dichiara il Garampi
che non ne trovò più menzione. Sog-
giunge il Fea a p. j^,<ihe se non
fossero stali i sanmarinesi sudditi
della santa Sede, Giovanni XXII
nella bolla de' 3 agosto 1 828^ pe»'
quella adesione e sottomissione al
Malatesta signore di Rimini, non
gli avrebbe nominati rcbelles.
Nel i332 i sanmarinesi vennero
a convenzione con Rimino per le
collette arretrate imposte sui loto
beni nell'agro riminese, mediante lo
sborso di cinquecento lire. Nel i^38
per evitare qualunque sorpresa o
tradimento, con legge fu stabilito
non far accostare alla terra perso-
8o MAR
ne nobili e polenti ; tuttavolta nel
dello anno si recò a Sanmarino U-
bellino da Carraia signore di Pa-
dova, mosso a far guerra contro i
Malatesta di Rimino, come amico
dei Feltrii. A quest'epoca il ve-
scovo Benvenuto, esule dalla pro-
pria sede, si abbandonò alla gene-
rosità de'sanmarinesi, come dice il
Delfico, ricercandone l'ospitalità, e ne
ebbe la più lusinghiera accoglienza,
malgrado le precedenti inimicizie ,
e vi lasciò poi le spoglie mortali
nel i35o. Similnjente a tale epo-
ca Benedetto XH restituì al grem-
bo della Chiesa i santnarinesi, col
solo mezzo delle spirituali e formo-
lari purgazioni. Fu fondato l'ospe-
dale di s. Maria, e disposta la fon-
dazione del convento dell'ordine dei
servi di Maria, di s. Maria in Val-
dragone, per testamentaria disposi-
zione di messer Gambalesti. A Ben-
venuto successe nel vescovato Car-
lo Peruzzi; e siccome la città di s.
Leo, solita residenza episcopale, era
ancora occupata dai Feltreschi ghi-
bellini, i quali estendevano il loro
potere sopia quasi tutta la diocesi,
quindi forse non trovò altro ripa-
ro che nei soli uomini liberi che
allora avesse questa regione, por-
tandosi a risiedere in Sanmarino,
dando al comune in affitto tutti i
diritti
, esazioni e pigioni
che
mensa vescovile possedeva nel ter-
ritorio. A* 4 aprile i353 solenne-
mente si pubblicarono i nuovi sta-
tuti, correggendo o modificando gli
anteriori, rendendoli analoghi alle
circostanze. Frattanto Innocenzo VI
nel 1 354 mandò nello stato eccle-
siastico per legato il celebre cardi-
nal Egidio Albornoz, per debella-
re quelli che ne avevano usurpato
le signorie. Rapidamente ricuperò
le terre della Chiesa , lasciò tran-
MAR
qullli i sanmarincsi , e solo vello
che la loro fortezza non fosse cu
stodita da armi Feltresche, fincht;
la Chiesa non si fosse assicurala
della fedeltà de' signori di Urbino
e di Rimino: aggiunge il Delfico chr*
si arrogò la custodia della terra di
Sanmarino in un trattato coi conti
di Montefeltro, ma probabilmente
la custodia della rocca sarà rimasta
a disposizione del comune stesso, co-
sì scrivendo quello storico; laonde
il Fea dichiara, che invece i san-
marincsi ricorsero poi al medesi-
mo legato per provare i loro pri-
vilegi avuti dalla stessa Sede apo-
stolica, farli confermare ed esten-
dere, confessandone in certo modo
la dipendenza. Eppure, aggiunge in-
oltre lo stesso Fea, da taluno si volle
poi chiamare Roma e la santa Sede,
rispetto a Sanmarino, potenza este-
ra; mentre dalla beneficenza de'Papi
i sanmarinesi ottennero anche il
privilegio di eleggersi i capitani e gli
altri offiziali, colla facoltà ad essi
capitani annessa di giudicarli e reg-
gerli. Nel i358 i sanmarinesi pre-
sero in affitto dal vescovo Peruzzi
le rendite di tutta la sua diocesi per
cinquecento fiorini. Indi il cardinale
Albornoz pei crediti che avea col
vescovo, ordinò ai sanmarinesi che
a lui si pagasse quanto restavano
debitori per l'affitto, minacciando
di scomunica il comune, il quale
invocando l'intercessione dei Fel-
trii, ottenne dilazione. Successe una
contesa di rinnovate pretensioni in-
torno all' indipendenza e libertà
di Sanmarino, che recò in dubbio
Giberto da Correggio rettore di
Romagna; ma non tardò a per-
suadersi del vero, e fece dipoi ta-
cere Giovanni Levalossi podestà di
Montefeltro, che resuscitava le stes-
se controversie, volendo obbligare
MAR
il comune a rendere ragione della
sua inobbedienza alla Chiesa ro-
mana, per averne assunto la signo-
ria, e per accettare in capitani e vi-
cari i mandati dai conti di Urbi-
no cui prestavano aiuto. Con sen-
tenza de' 25 agosto i36o, Leva-
lossi riconobbe l'indipendenza di
Sanmariuo, stando al narralo del
Delfico.
Nel 1 36 1 i religiosi di s. Fran-
cesco dal remoto e selvatico luogo
ove si trovavano, esposti perciò
ai disturbi delle guerre, a van-
taggio ancora de' fedeli si trasfe-
rirono vicino al castello. Ebbe luo-
go nel 1 36G la pace de* sanraari-
nesi coi Malatesta di Rimino, e
furono costretti per non provocar
lo sdegno del cardinal Albornoz,
a sussidiare l'esercito pontificio con-
tro i Feltreschi, e concorrere alla
rovina di s. Leo, per la cui cadu-
ta i Feltreschi se ne risentirono as-
sai. Il vescovo Peruzzi nel 1367
operò presso il cardinal Androino
Albert legato, per essere riconosciu-
to signore di quasi tutto il Monte-
feltro in un a Sanmarino : fu inten-
tata lite formale, che i sanmari-
nesi sostennero con somma fatica,
ma il legalo fece loro giustizia, ri-
gettando la domanda del vescovo,
e riconoscendo immune il territo-
rio repubblicano. Allora il vesco-
vo rinunziò solennemente a tutte
le azioni mosse contro i diritti e
l'indipendenza di Sanmarino, ed
ottenne dal comune la pace ; anzi
nell'alto della visita pastorale di-
chiarò che quanto era per fare do-
lesse ritenersi innocuo a ledere
qualunque diritto de' sanmarinesr,
i quali in questo tempo godevano
pieno esercizio di autorità nel ter-
ritorio, il potere giudiziario eser-
citandosi dai capitani, perchè nori
VOL. XLIII.
MAR Si
vollero per più secoli podestà fo-
rastiet'i, i quali sovente furono di
gran pregiudizio alla libertà delle
città d'Italia; quindi emanavano
leggi e sentenze capitali, che pub-
blicavansi nel general consiglio po-
polare. Reggendo intanto la Ro-
magna il, cardinal Anglico Gri-
moardi, quale legato del fratello
Urbano V, nel general parlamen-
to tenuto in Urbino stabili le ta-
glie o imposte per la guerra, nel-
la quale ebbero parte' -anco i san-
marinesi, e come loro amico pre-
se particolar cura delle loro cose,
ed acquietò le differenze insorte
colla terra ora città di s. Arcan-
gelo. Altra solenne testimonianza di
questo libero stato, la reseli cardi-
nal Anglico divenuto vicario gene-
rale pontificio in Italia nelle eccle-
siastiche terre, quando ne formò
un esatto censimento nel 1371 col
cardinal Stagno legato di Roma-
gna, come l'interpreta il Delfico;
ma invece il Fea a p. 72 rimar-
ca che nella detta descrizione dei
luoghi dello stato ecclesiastico, ri-
portandone il testo intero, è na-
talo in modo particolare il castel-
lo di s. Marino, come uno del vi-
cafìato di Montefeltro, cui obbedi-
vano gli uomini di Sanmarino, am-
ministrandovi la giustizia elicile e
eliminale due celpitani da loro e-
letti. Il dotto Giambattista Mari-
ni , Saggio di ragioni dèlia città
di s. Leo poi Montefeltro^ a pag.
jS e seg., dà intera la descrizione
del vicariato di Montefeltro ne'me-
si di ottobre e novembre, d'ordine
del cardinal Anglico, estralta dal-
l'originale dell'archivio vaticano.,
Quanto alle furiianlerie o collet»-
te per la guerra, 6ome le chia-
ma il Delfico^, secondo tale scritto^
rC) si |)agavaiìo dai «sanmarinesr cól
6
gì MAR
reslo della provincia del Monlofcl
Irò con cui. era comune la difesa ,
lua senza pregiudizio della loro au-
tonomia, cioè del diritto di gover-
narsi colle proprie leggi, escluso
ogni dominio straniero; perciò essi,
al dir di lui, andavano ai parla-
menti. Continuando il cardinal An-
glico la guerra contro i Feltreschi
già espulsi da Urbino, ebbe com-
passione di alcuni individui della
famiglia, mentre i sanmarinesi do-
veano continuare a prestar i loro
sussidii nell'esercito della Chiesa,
contro gli antichi amici. Il cardi-
nal Stagno mostrò stima e bene-
volenza pei sanmarinesi, e con-
cesse ad essi libera tratta delle lo-
ro entrate e rendite dal contado.
Ad istigazione del vescovo Pe-
ruzzi e del podestà di Montefeltro
Bartolomeo da Brescia, nel 1875
Giacomo Pelizzano sanmarinese
si ricopri di obbrobrio, perchè se-
dusse vari complici a danno della
patria, onde per la congiura se ne
dovea consegnare il reggimento
colla fortezza al vescovo. Per av-
ventura si discoprì il tradimento,
Giacomo fu impiccato, e gli altri
puniti proporzionatamente. Intan-
to il conte Antonio di Montefel-
tro rientrò in possesso del suo
contado e della città di Urbino;
reintegrò subito di sua amicizia i
sanmarinesi, continuandosi la guer-
ra coi Malatesta, che restata sos-
pesa nel i38i riarse nel iSgo.
In questo anno per la disfatta sof-
ferta dai Malatesta per opera dei
bolognesi, si trovarono costretti a
ripararsi in Sanmarino, e fecero un
contratto cogli abitanti pel sale di
Cervia di cui abbisognavano. A
premura di Bonifacio IX si con-
chiuse la pace nel iSgi tra i Ma-
latesta e il conte Antonio d'Urbi -
MAR
no, per cui si rese piìi durevole
col primo la concordia de'sntima-
rinesi. 11 vescovo di Montefeltro
Benedetto pe'suoi talenti giunse al-
le cari» he di tesoriere e rettore
pontificio di Romagna, e propose
a Bonifacio IX la riunione della
signoria temporale di Sanmarino
nei vescovi feretrani, onde spe-
gnervi gli antichi odi e inimicizie;
ma sebbene il Papa, come si espri-
me il Delfico, temporaneamente vi
acconsentisse, concedendo in un
suo breve la plenaria giurisdizione
sui sanmarinesi, derogando ad ogni
atto, diploma o privilegio, tutta-
volta la minaccia non si mandò
ad effetto che nominalmente, es-
sendosi mantenute colle patrie leg-
gi le magistrature ; indi i conti di
Urbino allontanarono ancor que-
sto turbine colla loro opportuna
interposizione, calmando il risenti-
mento del Pontefice. Il Fea a p.
73 riporta un brano della bolla
di concessione, data in Roma a' 5
maggio 1398, ove parlando Bo-
nifacio IX dei sanmarinesi abitan-
ti del castello di Sanmarino, que-
sto lo chiama, ad nos et roma'
nani Ecclesiam pieno jure perii-
nentis. E con altre lettere aposto-
Hche sotto la stessa data dirette
Universitati et massariis Castri s.
Marini feretranae dioecesisy coman-
dò loro che riconoscessero Bene-
detto in rettore a beneplacito del-
la Sede apostolica, e l'obbedissero,
altrimenti sarebbero considerati ri-
belli. Al che il Fea aggiunge, che
nel i636 quasi tutte le case, orti
e siti ch'erano in Sanmarino, era-
no date in enfiteusi e si atteneva-
no al vescovo, e ne pigliavano
rinvestitura pagandone il canone.
Già fino dal 1396 si compirono
le fortifìcazioui nel luogo dello la
i
MAR
Fratta j colla chinsma della Frat-
ta, due delle tre punte Titaniche,
dette Monte della Guaita e Mon-
te della Cesta o Gista rimasero
fortificate: né erasi trascurato cor-
redare di molti lavori il luogo
chiamato il Cantone. Sanmarinodiè
aiuto di gente e denaro a Giovanni
Ordeladì signore di Forlì, e fece
doni al conte Antonio di Urbino per
le nozze del figlio. Nel secolo XV
lo slato politico fu meno torbido e
retrogrado, malgrado i disastri por-
tati dai resti del ghibellinismo e
di quelli degli altri stati italiani ;
si conservarono le uìigliori leggi,
si accrebbero le forze ed aumen-
tossi la popolazione. Nello scisma
di Benedetto XIII antipapa, Gre-
gorio XII nel i4o8 si recò dai
suoi amici Malatesta in Rimino,
ed i sanmarinesi si regolarono se-
condo i consigli di Guido Antonio
di Urbino, indi nel i4i5 riceve-
rono distinte onoiificeuze dai vari
signori di Romagna. Non si lascia-
rono però indurre da Carlo Ma-
latesta ad impegnarsi in una guer-
ra col famoso Braccio da Monto-
ne, che vinto Carlo entrò in guer-
ra col conte Guido, e progettò sor-
prendere i sanmarinesi che colla
vigilanza il delusero, e poscia si
tranquillarono pel trattato di pa-
ce tra Braccio e il conte. Nel
\^ii se ne fece altro de' sanma-
rinesi col Malatesta, mentre il con-
te Guido continuamente dava lo-
ro testimonianze di affetto, che mai
sempre furono corrisposte. Non in
detto anno, come scrive il Delfi-
co, ma nel 1426 Martino V coii
sua bolla degli 8 luglio coticesse
ai sanmarinesi il privilegio delle
seconde istanze^ osia la facoltà di
nominare giudici di appello, essendo
^lercio a lui ricorso il comune,
MAR 83
per il che derogò espressamente
allo statuto della Romagna. Nel
principio della bolla si legge: Di-
lectìs filiis, universitati ttnac no-
strae s. Marini Feretranae dioecc-
f}i s univcrsorwn supplicati onihus in-
clinati^ vohis a primis sententiìs
hiifusnwdi ad diios probos viros
idoncos per vos prò tempore ad
hoc eligendoSf et deputandos ap-
pellare liceat. Restava adunque la
terza istanza alla corte generale
di Romagna, e libero, secondo il
diritto canonico, il ricorso al Pa«
pa, e non impedirlo e denegarlo
con condanne e confiscazioni, co-
me segui con esempli che produ-
ce il Fea. 11 citato Marini a pag.
19 riferisce, oltre all'ordinato e
riservato accesso al general parla
mento, la riserva che si legge in
due consimili brevi di Bonifazio
IX a favore dei Malatesta sotto
gli anni iSgo e iBgg. Cuìus la-
mem omnium ^ et singularutii ap-
pellationum, ^c nullitatum qua-
rumlibet lani criminaliuni , quam
cìviliuniy et alia quaelibet superio'
ritatis fura nohis, et successorihus
nostris, et legatis^ ac rectoribus
provinciarum nostrarum Roman-
diolac, Marchiae AnconitanaCj et
Massae Trabariae^ qui sunt, et
erunt prò tempore^ et specialitev
retinemus, ac elìani reservamus.
Con ciò Bonifacio IX e Martino V
vollero da Saumarino un atto di
obbedienza e di soggezione al di-
retto e sovrano dominio della Se-
de apostolica. Qui cade in accon-
cio • il riflettere col Fea^ che lo
statuto, per attestato di monsignor
Enriquez, nome caro ai sanmari-
nesi, come vedremo, non porta
approvazione di alcun Papa, ma
soltanto per reclores provi nciae Ro-
mandìolae in ìpsa provincia prò
84 MAR
sancta romana Ecclesia deputatusj
prova insieme questa^ non sola-
mente di sudditanza alla santa Se-
de, ma di soggezione al suo lega-
to di Romagna. Anche in tempo
di pace Sanmarino fece esercitare
i cittadini alla milizia sotto il con-
te Guido od altri condottieri. Per
la morte di Martino V nel i43i
ad insinuazione del conte i san-
marinesi si posero in difesa, per
le guerre che si temevano. Scop-
piò nel 1438 quella dei Feltre-
schi e dei Malatesta, e pei primi
parteggiò Sanmarino, finché Ni-
colò Piccinino pacificò gli animi;
e per le nozze di Federico figlio
del conte Guido, furono invitati i
deputati del comune.
Dal conte Guido nel i44o T"
concessa esenzione d'ogni colletta
e peso straordinario sulle terre pos-
sedute dai sanmarinesi sul Monte-
feltro; ma nella guerra che il con-
te di nuovo irruppe coi Malate-
sta, tardi vi presero parte i san-
marinesi, buona essendo la corris-
pondenza col giovane Federico di
Urbino. A mediazione del conte
Alessandro Sforza signore di Pe-
saro, nel i44^ l" fatta la pace,
in seguito della quale Sigismondo
Malatesta accordò l' esenzione del-
le collette pei beni posseduti dai
sanmarinesi nello stato di Rimino;
e nelle nozze di Violante sorella
di Federico, con Novello Malate-
sta fratello di Sigismondo, fu in-
vitato Sanmarino. Nel i44i » san-
marinesi ritenendo insufficienti le
fortificazioni della Guaita, sommi-
tà del Titano la più elevata, della
sua torre e girone munito di tre tor-
ricelle, ottennero dal conte Guido
per dirigere i nuovi ripari Ghiber-
to dall'Agnelld, e maestro Giovanni
di Como ingegnere. Alla morte del
MAR
conte Guido gli successe il figlio
Oddo Antonio, amicissimo anch'es-
so de' sanmarinesi, e pei suoi aiuti
questi si ripararono dalle minacce
di Sigismondo. Per abuso di po-
tere fu ucciso Oddo, cui successe
il conte Federico, che fu anch' e-
gli amico e come padre della pic-
cola repubblica, e poco dopo guer-
reggiò coi Malatesta che nel i449
ricominciarono a molestare i san-»
marinesi, i quali inviarono a Spo-
leto un'ambasceria per ossequiare
il Papa Nicolò V. Sigismondo con-
tinuando le sue mene per corrom-
pere i cittadini, il principale dei
traditori fu giustiziato. Il re di Na-
poli Alfonso d'Aragona e Pio II
avendo stabilito muovere guerra a
Sigismondo, invitarono anche i san-
marinesi, per cui si fece a'9 otto-
bre i45'8 trattato di alleanza tra la
comunità ed il re. Eccitali da que-
sti a rompere la guerra, i san-
marinesi nominarono un consiglio
di dodici preposti per le cose del-
la guerra e della pace; ma Sigis-
mondo fortemente incalzato si re-
cò a Mantova da Pio li, ed otten-
ne la pace nel 14% co» certi
patti, ricevendo Sanmarino in com-
penso il castello di Fiorentino. Ad
onta di ciò, Sigismondo riprese le
armi, e i sanmarinesi ne avverti-
rono il duca d'Urbino Federico,
e Pio II con breve de* So dicem-
bre 1461 l'invitò a dare addosso
con tutte le forze all'iniquo Sigis-
mondo; quindi a' 2 1 settembre
1 462 fu conchiuso un trattato fra
il comune di Sanmarino, e il car-
dinal di Teano ossia Fortiguerra
pel Papa, con cui venne stipulato
che per premio della guerra avreb-
bero i sanmarinesi la corte di
Fiorentino, e i castelli di Mongiar-
dino e SciTavsiile colle loro corti.
MAR
Nell'anno seguente i sanmarinesi
attaccarono e conquistarono le terre
loro specialmente assegnate da Pio
li, ed ottennero anche per dedizio-
ne il castello di Faetano ; quindi il
Papa col breve de'26 giugno i463
confermò al comune il dominio
di Fiorentino, Serra valle, Mongiar-
dino e Faelano.
Tullociò racconta il Delfico; ci
avverte però il Fea, che Pio II,
sotto il 27 giugno dell'anno i463
usò una straordinaria liberalità co-
gli uomini e comunità di Sanmari-
no, prò comi tatù nostrae terme s.
Marini^ accrescendo la loro giuris-
dizione, ristretta allora nel sem-
plice castello e due ville, con as-
segnar loro in feudo e governo
quattro castelli, i quali furono in
quel tempo levati a Ferdinando
Malatesta signore di Rimino, senza
ritorno e ricognizione alcuna di
canone dovuto alla camera aposto-
lica, e questi furono Serravalle,
Feretrano o Faetano, Mongiardino
e Fiorentino. Tutto seguì per o-
pera e favore del cardinal Forti-
guerra e del duca Federico, sotto
la prolezione del quale e suoi suc-
cessori si erano posti i sanmari-
nesi, per sottrarsi, come fecero, a
slato libero, dalla immediata giuris-
dizione dello stato ecclesiastico. Nel-
la donazione Pio 11 con bolla che
riporta il Fea a p. i6r, vi espres-
se l'obbligo a Sanmarino di non
poter mai distruggere il castello
di Serravalle, sotto pena di mille
ducati d'oro, da pagarsi alla came-
ra apostolica, ed obbligo di rifab-
bricarlo; oltre il titolo di feudo
usato nella bolla, con tal clausola
vi fu pure riserva di dominio. Il
Pelfico ripiglia la sua storia col
dirci che per l'acquisto di Sena-
valle insorsero differenze col vesco-
vi A R 85
vo Sessa luogotenente di Fano, ap-
pianate per interposizione di Fe-
derico, mentre Sigismondo, privato
di quasi tutti i suoi stati, fu neces-
sitato a chiedere umilmente la pa-
ce, ed i sanmarinesi andarono lie-
ti di non doverlo più temere.
Era allora il castello di Serravalle
abbastanza forte, e popolato anche
di qualche famiglia agiata, fra le
quali quella de'Bertoldi, da cui era
uscito un Giovanni o Giacomo,
prima vescovo di Fermo, poi di
Fano, già francescano dottissimo
in Sanmarino, e autore d'un com-
mento su Dante: nacque in Ser-
ravalle, nell'anno 1870 o i374,
allora nel contado di s. Arcan-
gelo , ed intervenne al concilio
di Costanza. Il dotto monsignor
Marino Marini attuale prefetto de-
gli archivi vaticani, nelle Memo--
rie di sanC arcangelo sua patria,
p. 124, parlando di tale insigne
prelato riprese il continuatore del-
la storia del Delfico, perchè lo in-
serì nel novero degli uomini illustri
della repubblica, mentre appartie-
ne al vicariato di s. Arcangelo, cui
dipendeva Serravalle quando fiorì.
Richiedendo Forlì nel 1464 un
soccorso di cento fanti, gli fu con-
cesso, essendo sempre più in fama
il valore guerriero de'titanici. Do-
po la morte di Sigismondo Mala-
testa, Roberto suo figlio, a dispet-
to di Paolo II volle ristabilirsi sul
soglio de' suoi avi, e trovò prote-
zione nel duca Federico, nel re di
Napoli, nel duca di Milano, e nei
fiorentini; dice il Delfico che il
Papa procurò d' interessare i san-
marinesi al suo partito, ma essi
non vollero discostarsi dal Feltrio,
ed i fiorentini scrissero lettere o-
norevoli alla repubblica, e gli al-
tri confederati si mostrarono con-
86
MAR
tenti di sua alleanza. A' 3o agosto
1470 •" Vergiano successe la bat-
taglia ti a l'esercito punti ficio, e
<|ueUo de'collegali comandalo da
Federico a prò di Roberto, in cui
i papalini furono sconfìtti ; allora
si rinnovò la lega contro Paolo II,
ì\ quale mentre stava per venire
ad un trattalo la morte ne impe-
dì il compimento, ed ebbe a sue*
cessore Sisto IV. Roberto avendo
riconquistato molle terre, sposò la
figlia del duca d'Urbino, venendo
invitato alle nozze il comune san-
marinese, che vi mandò i suoi am-
basciatori con donativi. Sisto IV
intanto volendo meglio stringere
l'amicizia col duca di Urbino, con-
chiuse il matrimonio della figliuo-
la Giovanna per darla in isposa a
Giovanni della Rovere suo nipote,
e fratello del cardinal Giuliano poi
Giulio II; poscia per l'estinzione
della linea maschile de' Fel treschi,
passò lo ^tato d'Urbino alla fami-
j^lia Rovcresca. La peste afflisse
pure il cacume del Titano, e nel
campo di Polesine ferrarese ne
mon Federico nel 14B2, e gli suc-
cesse il figlio Guidobaldo, che si
mostrò egualmente amico e protet-
tore di Sanmarino, il quale tro-
vavasi in buona corrispondenza coi
Mala testa a quell'epoca, a cagione
probabilmente delle memorate noz-
ze; Nel 1491 si risolvè dal comu-
ne la riforma del suo statuto, se-
condo i particolari rapporti con-
tralti colla società; e trovandosi
con più esteso territorio in un mag-
gior vigore nella sua indipenden-
za, prese questo piccolo stalo il
titolo di repubblica, e ne manife-
stò più decisamente il carattere,
come afferma il Delfico. Fu tolta
nel giuramento civico l'antica clau-
sola riservaliva nelle guerre, cioè
MAR
di prender l'armi contro chiun<|ue,
tranne contro la romana Chiesaj
così riportando (jnello scrittore. Nel
nuovo statuto, a tener lontana <|ua-
lunque influenza straniera, s'impo-
se pena capitale, e generale confi-
sca a chiunque invocasse estera si-
gnoria, per cui si turbasse lo sta-
to e la perpetua libertà suh. Per
rendere poi più obbiobrioso l'ul-
timo supplizio de' traditori, attac-
cati alla coda d'asino si volle fos-
sero strascinati all'ultimo supplizio.
Fu pure ad oggetto di politica si-
ciuezza proibito sotto pena capi-
tale il vendere ad alcun potente o
signore le abitazioni dentro la ter-
ra , e di non ammettere nella
medesima forastieri di cattiva fa-
ma, ciò che non sempre fu osser-
valo; e con altre buone leggi la
repubblica pensò a consolidarsi e
stabilire una favorevole opinione.
Alla venuta di Carlo Vili in I-
talia per togliere il regno di Na-
poli alla casa d'Aragona, questa
soccorsero i sanmarinesi; le dilFe^
renze con Pandolfo Malatesla, fu-
rono appianate dal duca di Urbi-
no, inoli la rcj)ubblica concesse al
signore di Pesaro il richiesto aiuto
di fanti. Eletto nel i49^ Alessan-
dro VI, Cesare Borgia suo figlio
duca Valentino, incomineifmdo ad
occupar' varie città di Romagna,
pose in seria apprensione i sanma-
rinesi. Questi non solo nel secolo
XV avevano consolidato maggior-
mente la loro indipendenza, al dir
del Delfico, ma ebbero uomini insi-
gni che fiorirono nelle armi e nelle
lettere, fra 'qua li il francescano Gio-
vanni Enrico de Tonsi vescovo di
Fano, illustratore del poema di Dan-
te ; l'altro francescano Giovanni dei
Pili, autore di un riputato com-
ntcutario sulla morale; fr. Martiuo
MAR
Madroni vescovo di Sebaste mino-
re conventuale; Giovanni della Pen-
na rettore nello studio di Padova;
Calcigni, Belluzzi, Lunaidini ed al-
tri sostennero il decoro ed i diritti
della patria in molte ambascerie e
negoziazioni importanti. Nel i497
Alessandro VI con suo breve de-
putò il governatore di Cesena ret-
tore di Romagna , giudice per le
differenze che vertevano per causa
de' confini tra la comunità di Ver-
rucchio e questa di Sanmarino ;
cani potestà te cogendi et co m pel-
tendi iitramque partem sub poenis
iam spìntitalibuSj quam temporali'
bus ad parendum judicato : segno
indubitato di supremo dominio li-
beramente esercitato, e non d'indi-
pendenza libera, scrive il Fea. Tra-
dito il duca Guidobaldo da Cesare
Borgia, i sanmarincsi lo avvertirono
del pericolo che gli sovrastava, on-
de fu costretto ripararsi negli stali
veneti. Vedendosi la repubblica mi-
nacciata d'imminente rovina, trattò
di darsi alla possente repubblica di
Venezia per non cadere nelle ti-
ranniche zanne del duca Valenti-
no : il senato veneto confortò i san-
uiarinesi con buone speranze, ma
non volle accettare la loro sogge-
zione; dice il Fea, certamente, per-
chè non ignorava il supremo do-
minio della santa Sede , o per la
sua tenuità. Guidobaldo ritornato
ne' suoi stati (ma pel trattato col
Borgia gli furono soltanto lasciale
alcune fortezze), procuiò giovare i
sanmarinesi col ritenerne la prote-
zione ; ma inutilmente perchè nel
i5oi la repubblica soggiacque al-
la tirannide dell'ambizioso duca Va-
lentino e de' suoi magistrati. Tut-
lavolta neir anno stesso tornò al
governo legittimo de' suoi capitani,
perchè al primo tumulto eccitato
MAR S7
nello stato d'Urbino, i sanmarinesi
discacciarono il presidio ed i magi-
strati dell'invasore. Non tutti però
i castelli di nuovo acquisto della
repubblica le furono fedeli, poiché
Serravalle non espulse i magistrati
del tiranno, ma poi pentendosene
a poco a poco ritornò alla divozio*
ne della repubblica. Frattanto que-
sta proseguì nell'impresa vigorosa-
mente contra il Borgia , inviando
gente all'esercito de' collegati, e fa-
cendo quanto si poteva pel bene
altrui e per la propria conserva-
zione. Proseguendo la guerra, morì
nell'agosto i5o3 Alessandro VI, e
la potenza del figlio crollò in un
punto. Giulio II divenuto Papa ncl-
r istesso anno, nemico de' lirannetti
usurpatori delle terre della Chiesa,
infuriò per la vendita di Rimina
fatta da Pandolfo ai veneti, coi quali
i sanmarinesi erano in amichevoli
relazioni, benché tale acquisto gli
ispirò gravi timori e dubbiezze.
Essendo morto Guidobaldo ultima
duca d'Urbino della famiglia Feltria,.
grande ne fu il lutto ed il dolore
de' sanmarinesi per l'estinzione di
sì amata casa. Gli successe nel du-
cato Francesco Maria della Rovere,
come figlio di Giovanna Feltria (e
nipote di Giulio II), il quale ere-
dito anche i sentimenti di amici-
zia e protezione per Sanmarino^
Quindi il gran Pontefice incomin-
ciò la guerra contro gì' invasori ,
mentre alcuni scrittori ne lacera-
rono poi ingiustamente la fama ,
come violento, guerriero e nemico
di pace ; ma se avessero imparzial-i
mente ben considerato, come con-
fessa lo stesso Delfico, che Giulio
lì incominciò con una guerra giu-
sta, e che le sue mire furono la
difesa della santa Sede, la disti u-
ziofie de'tÌFanni, e il discacciaracuta
8« MAR
degli slranieri dall'Italia, sarebbe-
ro slati più ragionevoli ne* loro giù*
HÌ7>ì. Nel i5o9 si sparse voce trat-
tarsi un accordo tra il Papa ed
i veneti , e che questi, già padro-
ni di Vcrrucchio, si sarebbero e-
sicsi , ed avrebbero occupato il
territorio, se tale accordo non si
fòsse conchiuso. I sanmarinesi che
a cagione dell' alleanza col nipote
infeudalo della Sede apostolica , e-
rano costretti a concorrere alla guer-
ra, esposero le loro agitazioni al
l*apa, richiedendolo di aiuto o pro-
tezione, e Giidio li scrisse un bre-
ve in cui gli esortò a confidare nel
suo impegno per la protezione della
loro libertà, sotto il patrocinio della
santa romana Chiesa, di che furo-
no lietissimi e contenti, per vedere
assicurata l' indipendenza dello sta-
to da un sommo Pontefice e da
un sovrano che amava stabilire il
dominì'o temporale della Sede apo-
stolica su basi più solide. Per l'alta
protezione che su Sanmarino erasi
riservata la santa Sede, nel conce-
dere r infeudazione del Montefeltrq
ai Feltreschi e Rovereschi, ecco co-
me il Papa si espresse nel breve.
Jtaque hortamur ul fovO^ et ma-
stio animo siiis , considerelìsque ,
nihil dulcius, atque utilius esse li-
herlatCy et protectione sanctae ro-
manae Ecdesiae^ m qua vos hacte-
nus conservavimusy conservaturique
sumus. Cosi il Fea. Sempre Giulio
II si mostrò col nipote benevolo
colla repubblica, e quando il se-
condo richiese alla repubblica che
ritenesse i riminesi dimoranti in es-
sa, essendo ciò contrario all'indi-
pendenza ed onestà, la repubblica
fece una dignitosa negativa. Nel
i5i3 divenne Papa Leone X, il
quale scomunicando il duca d' Ur-
bino^ gli tolse Ip stato e lo d|ec)e
MAR
al proprio nipote Giuliano de Me^
dici. 1 sanmarinesi procurarono a-
iiilare Francesco Maria, e gli offri-
rono oro inutilmente. Incominciala
la guerra. Giuliano mori dalle fe-
rite riportate, laonde Leone X di-
chiarò duca d'Urbino il nipote Lo-
renzo, il quale colle milizie papali
occupò tutto il Monlefeltro, tranne
s. Leo ; ed i sanmarinesi per non
perdersi inutilmente, cercata la sua
amicizia l'ottennero, ciò che lodò
il Pontefice, avendogli spedito la re-
pubblica per ambasciatore il padre
maestro Giuliano Pasini cittadina
sanmarinese e celebre oratore. Que-
sta buona corrispondenza co«lò ca-
ra alla repubblica, perchè tutti i
condottieri dell' esercito pontificio
sembravano aver preso Sanmarino
pel deposito o magazzino generale
dell'armala, richiedendo ogni gior-
no vettovaglie e munizioni ; crebbe
l'incomodo dopo la presa di Pesa-
ro, e quando l'armata passò all'as-
sedio di s. Leo che cadde forse per
tradimento, gli esuli trovarono nel-
la repubblica asilo, a fronte che
ne li voleva esclusi il vincitore, dal
quale anzi implorò clemenza. Il Pa-
pa alle preghiere de' sanmarinesi
solo offri ai ganleesi l' assoluzione
dalla scomunica. Intanto Francesco
Maria ritornò con un esercito col-
lettizio per ricuperare lo stato, onde
la repubblica si trovò combattuta
da contrarie istanze ed affetti , per
cui Lorenzo entrò in sospetto. Cor-
rotto l'esercito collettizio, France-
sco Maria fu costretto a capitolare
e andare in esilio, riservando solo
l'assicurazione de' sudditi, l'artiglie-
rie e la biblioteca. Morto Lorenzo,
Leone X riunì il ducato d'Urbino
allo stato della Chiesa , daqdo s.
Leo e il Montefeltro ai fiorentini.
Nel i5:?i, per morte di Leone
MAR
X, sollo Adriano VI, Francesco
Maria rientrò in possesso del du-
cuto, ad eccezione delle terre occu-
pate dai fiorentini, come ricuperò
Kimino Pandolfo Malatesta che su-
Jjjto invitò i saniiiarinesi ad esser-
gli amici, sebbene durò poco il suo
dominio. Divenuto Papa nel iSiS
Clemente VII Medici, i perturba-
menti d'Italia accrescendosi, ben-
fchè questo piccolo stato non pren-
desse direttamente alcuna parte ,
pure trovandosi in mezzo a varie
dominazioni, com'erano il duca di
Urbino, i ministri ponliOcii di Ro-
magna ed i fiorentini di s. Leo ,
non potè rimanere del tutto esente
dai generali disturbi. La repul)bli-
ca si governò egregiamente, del che
ne fu commendata dal Guicciardi-
ni e da Giacomo di lui fratello, il
primo presidente di Romagna, il
secondo suo vicario. Nel i5ij le
castella del Montefeltro furono dai
fiorentini restituite a Francesco Ma-
ria, che quale collegalo del Papa,
seguendo sempre le sue parti i san-
marinesi, dovettero dare sussidii ed
aiuto alle fortezze ed alle armi pon-
tificie, continuando nel loro pru-
dente contegno alieno da ambizio-
ne. Restò illeso Sanmarino dal bru-
tale esercito imperiale ispanico, che
a' 6 maggio prese Roma che or-
ribilmente saccheggiò, Nel i53i
fondossi il torrione di Porta della
ripa, indi a poco fu compiuta la
rocca del Monte della Cesta^. o
circondata di opere la torre, la
quale si vuole già preesistesse e
formasse colle torri del Monte del-
la Guaita e del Monte Cucco,
estrema e minor punta Titanica, la
caratteristica della repubblica. Mori
nel i538 Francesco Maria, e gli
successe il figlio Guidobaldo II della
MAR 89
del padre verso i sanmarinesi. Nel
pontificato di Paolo III, a' 4 gi'^-
gno 1542, mentre erasi senza so-
spetti di guerra, Fabiano del Mon-
te, nipote del cardinale poi Giulio
III, si mosse dal castello di Rimino
col castellano di quella rocca e con
5oo fanti e parecchi cavalli levati da
Bologna, per sorprendere la rocca e
città di Sanmarino; ma il tentativo
fu sventato, poiché in un istante
furono tutti in arme , partendone
adontato l'aggressore. Altri dicono
che lo scampo de' sanmarinesi de-
vesi attribuire perchè fu scoperto
il trattato, e pegli aiuti del duca
d'Urbino; e presso i Bollandisti, ai
4 settembre, il fatto si racconta al-
quanto diversamente per l'oggetto.
Mostrarono interesse per la salvezza
di Sanmarino, oltre il duca di Ur-
bino, Cosimo I duca di Firenze, i
ministri dell'imperatore Carlo V,
ed anco il Papa, restando dubbia la
causa motrice dell'attentato. Inoltre,
racconta il Delfico, che un invialo
dell'ambasciatore imperiale in Pio-
ma, si recò a Sanmarino, olTri pri-
vilegi alla repubblica, che senza far
molto di essi ringraziò. In questo
tempo Guidobaldo II ristabilì nella
repubblica la calma, alterala da
feroci inimicizie cittadine , e parte-
cipandole gli sponsali con Vittoria
Farnese, i sanmarinesi gli donaro-
no una gran coppa d'argento do-
rato, con una leggenda che atte-
stava la loro libertà: Liherlas per-
petua rei public ae sancii Marini.
Per le pretensioni dei ministri e
tesorieri del Papa in Piomagna, che
volevano estendere sul territorio e
cittadini le contribuzioni imposte
pei pubblici bisogni, la repubblica
ricorse a Paolo HI, il quale avendo
esaminate le ragioni de'sanmaiinesi,
Rovere, ereditando anche l'aifetto dice il Delfico che riconobbe con
cjo MAR
breve nposlolico rimmcmoral)ilc e
perpetua libertà della repubblica, e
l' iiumunità ed esenzione da qua-
lunque imposta propria a' sudditi
della Chiesa, ed ordin^ n tutti gli
oflìziali della medesima, che mai
più ardissero far simili tentativi, con
pena di scomunica, esentando inol-
tre i sanmarìnesi dallaumento del
prezzo del sale. Da altro tentativo
nel i549 dovette la repubblica di-
fendersi , tramato proditoriamente
da Leonardo Pio, divenuto signo-
re di Verrucchio, onde sorpren-
dere la repubblica a tradimento;
ma fu sventato colla vigilanza e
pronto aiuto di Guidobaldo II, col
quale i sanmarinesi rinnovarono
confederazione ed amicizia, facendo
quindi una legge, che non si con-
siderassero come amici della patria
i cittadini ricorrenti al duca senza
la pubblica approvazione, onde te-
nersi in guardia. Nel i55o il fìi-
iiioso archi letto militare Giambat-
tista Bell uzzi di Sanmarino, e il
capitano Nicolò Pellicano mandato
dal duca d'Urbino, [)roposero altre
fortificazioni alla totale difesa del
luogo, onde si completò la cinta,
si costruì il bastione della porta
s. Francesco, e si migliorarono le
mura, le quali nella parte dt fronte
hanno cinque torrioni. Nello stesso
anno fu eletto Giulio III, e nel
i555 Paolo IV, a cui ricorse con-
tro la repubblica uno sconsigliato
cittadino, ed il Papa fece citare i ca-
pitani a renderne ragione avanti di
lui^ che non ebbe però spiacevoli
conseguenze, e il duca d'Uibino ot-
tenne grazia pel licorrente.
Trovandosi la repubbhca alquan-
to degradata pei dispendi solferti
e per la tra>curanza delle leggi ,
come per gli abusi del potere, quin-
di incominciai ono 'usuirczioni ed
MAR
innovazioni di cui profittarono i
cattivi. Non giovò restringere il con-
siglio al numero costituzionale di
sessanta, né giovarono altri prov-
vedi meiìti, uno de' quali fu la no-
mina nel i566 del duca d'Urbino
in primo consigliere, ciò che durò
ne' successori fino all'estinzione della
famiglia. Guidobaldo II morendo
nel i574, gli successe il figlio Fran-
cesco Maria 11, dotto assai e reli-
gioso , che si mostrò egualmente
propizio ai sanmarinesi, rinnovando
nel i58o il trattato di confedera-
zione colla repubblica. In seguito
si venne alla risoluzione di rifor-
mare gli statuti, onde riparare ad
un manifesto rilassamento nei sen-
timenti di patria, si nominarono i
correttori, cui si aggiunsero altri,
ma inutilmente. La miseria nel i59i
divenne pubblica per la carestia ,
vendendosi il frumento ventidue
scudi d'oro la soma : tanta era la
deficienza dello stato, che alle istan-
ze per la nomina d' un pletore o
podestà per l'amniinistrazione della
giustizia, a cui protestavansi inabili
i capitani, si rispose dal consiglio
negativamente per mancanza di
mezzi. L' insensibilità de' cittadini
giunse al segno, che spesso i con-
sigli si adunavano inutilmente per
mancanza del numero stabilito dalia
legge. Per la tiascuranza poi dei
correttori eletti alla riforma dello
stato, si dovè dar forza di legge
ad una privata collezione di leggi
antiche patrie fatta da Camillo Bu-
nelli. Sotto Sisto V gli ecclesiastici
di Sanmarino dimoranti nella dio-
cesi di Montefeltro, furono obbli-
gati dal clero feretrano a concoi -
lere alla tassa delle galere imposte
sopra tutto il clero dello stato ec-
clesiastico da quel Papa, cioè pel
maulcnimtuto delle galere d'Ance-
MAR
Ha e Civitavecchia. Nel i5»99 coiii-
pari il nuovo glatulo riformato, ma
in peggio : fu perciò gran ventura
per la repubblica , che nello slato
politico di generale inditferenza, non
ricevè urlo alcuno , cbe avrebbe
potuto agevolmente rovesciarla.
Alle molte famiglie antiche restate
estinte, fiorirono invece la Cionini,
la Maggi, la Tosinj, la Maccioni,
la Biondi oggi Begni. Alla decaden-
za delle prime si deve forse attri-
buire il raffreddamento de' palrii
sentimenti, i quali non si possono
acquistare in breve tempo; fu pu-
re sventura che molli cittadini, e
senza dubbio i più colti, si trova-
rono per lo più fuori dello stato
in onorevoli impieghi , tali furono
specialmente Francesco e Camillo
Bonclli, già del consiglio, e succes-
sivamente impiegalo ed occupato
decorosamente fuori della patria ;
così Francesco Belluzzi consigliere
del duca di Urbino, il cav. Ippo-
lito Gombertini magistrato in vari
luoghi, Giidiano Pasini sullodato,
amico del Bembo e lavorilo di Cle-
mente VII, Costantino Bonelli ve-
scovo di Città di Castello, Simone
relliccieri pubblico professore di me-
dicina in Padova, Giuliano Corbelli,
Agostino Belluzzi , e finalmente il
nominato Giambattista Belluzzi, uno
de'più bravi architetti di quel secolo
nell'architettura militare, in cui in
opere insigni l'impiegò Cosimo I;
né fu men degno il figlio Gian An-
drea per politici e nnlitari tulenti.
Si potrebbe aggiungere il sommo
architetto Bramante Lazzari, che il
contemporaneo Saba Castiglioni di-
ce di Penne di Sanniarino, per-
chè il Titano degli antichi fu pu-
re denominato Penne, vocabolo con
cui gli antichi chiamarono le som-
mità dei monti che più menlisco-
MAB 91
no le creste. 11 Titano si ve-
de da lungi per le sue alte cre-
ste, guarnite ciascuna da una tor-
re più o meno fortificata, con una
penna sulla sommità in vece di
l)anderuola; ed in tal modo rap-
presentasi lo stemma della repub-
blica, colla parola Libertà: le tre
alte creste sono le Tette dei tre
monti Guaita, Gista o Cesta, e Cuc-
co. Nella degradazione dello stato
non volle esso restare indietro nel
vano progresso del titolarlo, quin-
di il consiglio generale si qualificò
d'illustre e (\' illustrissinio , prenden-
do ragionevolmente il titolo di prin-
cipe, ed i capitani , già magnifici
ed onorandi^ pur di simili titoli del
consiglio furono onorati, trovandosi
molte intestazioni de' consigli, Jllu^
stri et generali Consilio alniae rei-
puhlicae illustris libertatis tcrrofi
sanati Marini. Il duca d' Urbino
già avea preso il titolo di altezza.
Nel medesimo secolo XVI s'in-
cominciò ad ambire l'onorarla cit-
tadinanza di questa repubblica : il
governo era solito accordarla ad al-
cuni, 0 per merito, o per gratitu-
dine, o per rapporti d'amicizia, o
a pelizione de* duchi d'Urbino; ma
sovente ancora accadde, che si de-
siderasse questo distintivo per avere
un luogo di sicurezza che potesse
essere l' asilo dell' innocenza ed il
rifugio nell'oppressione, sebbene i»
progresso su ciò in vece vi furono
non pochi e gravi abusi. Conosciutasi
la itnprovvidenza de' nuovi statuti,
nel i6o2 si propose iu coniglio di
rimpiistarli ; ed il duca Francesco
Maria 11, prevedendo di morir sen-
za prole, pensò ad appoggiare la
protezione de' sanmarinesi da lui
tenuta, alla santa Sede, per cui spe-
dì ambasciata alla repubblica , che
gli mandò deputali per tratlare la
97. M A R
cosa. Pertanto i sanmarinesi invia-
rono a Roma Malatesta de* Mala-
tesli per procuratore loro, a Cle-
nicnle Vili, supplicandolo che in
mancanza del duca, si degnasse di
accettare la repubblica e gli uomi-
ni di Sanmarino sotto la protezio-
ne della Chiesa romana e de' som-
mi Pontefici in perpetuo (come a-
vevano fatto Pio li, Giulio II e
Leone X), offrendo essi di stare e
di essere ai romani Pontefici e alla
Sede apostolica sempre ed in pcr-
j)etuo riverenti sudditi e fedeli, sal-
va la loro libertà. Laonde, narra il
Fea, Clemente Vili a mezzo d'un
suo chirografo degli 1 1 aprile i6o3,
diretto al nipote cardinal Pietro
Aldobrandini camerlengo, accettan-
do volontieri il patrocinio di San-
marino anco per la Chiesa e pei
suoi successori, ne fu stipulato istro-
inento, che il general consiglio dei
24 maggio ratificò e pubblicò.
Osserva il Fea a p. yS, che il fon-
damento nel quale i sanmarinesi
appoggiarono la libertà del loro go-
verno, lo deducono dall' istromento
di prolezione di Clemente Vili, ro-
gato in Roma a' 20 aprile i6o3,
ove si dice che la terra era sem-
pre stata in libertà dal 1220 in
qua ; parole espresse dagli stessi
sanmarinesi nel proprio mandato di
procura : giurarono però di essere
fedeli alla santa Chiesa e sommo
Pontefice, ed aver sempre ainicos
sanctac rornanae Ecclesicie prò a-
micisj et inimicos prò ininiicis. Av-
verte inoltre il Fea , che il Papa
permise ai sanmarinesi il libero go-
verno rispetto al narrato, ma non
già il dominio, e che gli uomini
di Sanmarino non hanno mai tras-
curato le occasioni de' propri van-
taggi, per costituirsi in dominio li-
bero; e c|ie in fine si può credere
M A R
ancora, che le loro pretensioni sie-
no sempre state patrocinate a dan-
no della Sede apostolica, prima dai
conti di Montefcltro stati sempre
poco bene alletti alla medesima san-
ta Sede, e poi dai duchi d'Urbino
prolettori di Sanmarino, i quali pe-
rò essendo feudatari della santa Se-
de, non si verifica la costaijte as-
soluta indipendenza della repubbli-
ca. Che i duchi comandassero non
quai semplici protettori i sanmari-
nesi, si rileva da alcuni ordini da
essi emanati dal i546 al 1620, e
riprodotti da! Fea a p. 100 e seg.,
osservando che il duca non toglie-
va loro il gius di governarsi e di
far quelle funzioni giurisdizionali
che loro competevano per antica
consuetudine, ma come suole il so-
vrano sopra i vassalli, stabiliva il mo-
do e i confini della giurisdizione e di
quell'esercizio; per cui il Fea conchiu-
de, dovrà dunque la protezione della
santa Sede essere da meno di quella
dei duchi d'Urbino, considerati qua-
li semplici protettori di Sanmarino?
Inoltre Clemente Vili concesse con
breve ai sanmarinesi la libera estra-
zione delle grascicj mentre coli' i-
stromento era stata loro accordata
la facoltà d* acquistar beni stabili
nello stato ecclesiastico, di racco-
glierne i fruiti, e trasportarli libe-
ramente a Sanmarino, e d' istituire
ed aprire un banco; il perchè i san-
marinesi promisero ancora di difen-
dere l'onore , stato e diritti della
sant^ romana Chiesa e Sede apo-
stolica. Da tuttociò non pare che
Sanmarino collo stipulato istromen-
to conseguisse la sua assoluta indi-
pendenza e sovranità indipendente,
siccome si legge nel Fea.
Per la nascita del principe Federi-
co, per gioia i sanmarinesi spedirono
al duca d'Urbino un^ porpposa and^
MAR
Lasceria. Nel 1621 fu nominata una
commissione per rivedere e rifor-
mare lo statuto, senza risultato; e per
la morte del principe Federico ,
accaduta nel 1623, il padre cadde
in grave tristezza , e determinò di
restituire alla santa, Sede il ducato
che teneva in feudo, facendone do-
nazione iiiter vii'os, per cui Urba-
no Vili nel 1626 fece prendere
possesso dello stato, e fti ad istanza
dello stesso duca spedito un pre-
lato pel governo, che fu Bcrlinghie-
10 Gessi, ma con patente dello stes-
so duca. Nella cessione dello slato
di Urbino la repubblica ottenne
dallo slesso Pontefice nel 1627 la
rinnovazione delle condizioni del-
l'istromento della protezione e con-
servazione, stipulata con Clemente
Vili; stipulando che la libertà,
giurisdizione, mero e misto impero,
e governo proprio della repubblica
fossero salvi. D'anni ottantadue mo-
rì nel i63i Francesco Maria II,
ed Urbano Vili conferì la sua di-
gnità di prefetto di Roma al pro-
prio pronipote d. Taddeo Barberi-
ni. La repubblica passò effettiva-
mente colla sua libertà sotto la
protezione della Sede apostolica, più
utile senza paragone di quella du-
cale, ed i Pontefici si compiacquero
di confermare e riconoscere il suo
libero stato, come già avevano fatto
gl'illustri predecessori Pio II, Giu-
lio II, Leone X e Paolo III, ed
inoltre vollero con nuove grazie
comprovare la lealtà de' loro senli-
menti, accordando ai cittadini di
Sanmarino il diritto di poter es-
Irarre e ricondurre nel loro terri-
torio, senza dazio alcuno, le entra-
te provenienti dai propri beni nello
slato della Chiesa, anco per gli ac-
quisti che avessero potuto fare in
avvenire, esentandoli altresì dal pe-
M A R 93
so detto della cinquina. Così la re-
pubblica restò nel pacifico possesso
della sua libertà, gelosatnente e qua-
si per prodigio per tanti secoli con-
servala, solo momenlanecunente per-
turbata dalle pretensioni di un ve-
scovo feretrano, stando a quanto
volle scrivere il Delfico. Il Valli
che terminò la sua relazione nel
1 633, si compiace che la repubbli-
ca sia restata sotto la santissima
protezione di santa Chiesa e del
sommo Pontefice romano^ e vi sta-
rà perpetuamente j loda Urbano
Vili da cui fu arricchita di molte
grazie e privilegi; ed avendo in cie-
lo ed in terra persone sante che
la proteggono, non potrà mai ca-
der in animo ad alcuno di farle
nocumento e dispiacere; ma in ri-
guardo del sommo Pontefice protei^
tore, la cui potestà, autorità e giu-
risdizione cede solo a quella di Dio,
non sarà alcuno che non le porti
rispetto, conoscendo massiinamenle
meritarlo per l'obbedienza e fedeltà
sua verso la santa Chiesa ed il
sommo Pontefice romano. Con que-
ste parole il Valli termina la sua
slorica narrazione di Sanmarino,
come non tralasciò di rimarcare il
Fea.
Osservando la repubblica che sem-
pre pili in Italia si avanzava la pre-
giudizievole costumanza delle com-
mendatizie negli affari pubblici e
di giustizia, le condannò e proibì.
Nel 1639 si concesse dispensa del-
l'età a due eletti capitani, contro
il loro desiderio , per mancanza
probabilmente di persone atte alle
cariche; vani poi ed infruttuosi
furono i provvedimenti per costrin-
gere i consiglieri ad intervenire ai
consigli, i quali nel i652 si ri-
dussero dal numero di sessanta a
quello di quarantacinque consigi ie-
94
RiAK
ri. Indi si volle provvedere all'am-
uiinistrazione della gìiislì/ia collo
staMiire un podestà, sempre fore-
stiere, ma allora si Irascurò In pub-
blica istruzione, tanto necessaria al
ben vivere civile^ massime ad una
piccola repubblica democratica, ciò
che produsse il degradamento del
paese. Innocenzo X accordò che
gli uomini e cittadini di Sanuia*
rino, possidenti nello stato ponti-
ficio, debbano essere considerati
come cittadini del luogo ove ri-
siedono, e che posseder potessero,
nel pagamento delle collette; piti,
esentò i sanmarinesi dal pagamento
delle cinquine. Invalso nella repub-
blica il pericoloso abuso di accettare
ulla cieca e senza distinzione gli
esuli e delinquenti in gran numero,
nel 1654 per correggerlo si fece
un rigoroso bando per discacciare
lutti i ricovrati, e moderare l'ospi-
talità per l'avvenire ed i salvacon-
dotti, giacché la morale ne avea
inteso grave pregiudizio. Anche in
Sanmarino s'introdusse la distinzio-
ne, però di nome, tra le famiglie
nobili e le altre, venendo ampol-
losamente qualiOcati i capitani :
Regnandbus in illustrissima Rei-
pub lica illustrissinìis D. D. ca-
pilaneis Claudio Bellutio, et Pau-
lo Antonio Honofrio nobilibus san-
marinensibus. Furono ancora nu-
merose famiglie forestiere, princi-
palmente dello stato pontifìcio ,
aggregate nel secolo XVII tra le
famiglie nobili di Sanmarino. Nel-
la scarsezza de' mezzi d' istruzione
pure si distinsero in detto secolo,
monsignor Valeiio Maccioni vescovo
di Marocco e vicario apostolico nel-
la Sassonia inferiore; monsignor A-
iessandro Belluzzi; Matteo Valli che
pel primo pubblicò la relazio-
ne islorico-pohtica di sua patria: a-
M/Vll
mico di Gabriele Naudeo e segreta-
rio della repubblica e letterato, fu
pure autore di alcuni consigli scritti
con semplicità.
Indeboliti i principii costituzio-
nali, nella degradazione de' senti-
menti, ne soiTrì ancora la ricchez-
za pubblica e la popolazione. Le
guerre che devnslarono 1' Italia
dal principio fin quasi alla me-
tà del secolo XVIII, incomincian-
do da quelle per la successio-
ne alla monarchia spagnuola, la-
sciarono immune la repubblica, che
per altro andò soggetta ad in-
terne alterazioni, essendone stata
la più potente cagione la riduzione
del consiglio , che dal numero di
sessanta fu ristretto a quaranta
consiglieri. Se i sommi Pontefici
dopo che il feudo d' Urbino nel
1624 si devolvette alla santa Se-
de, cessando la protettoria di San-
marino di que' duchi , e suben-
trando quella della Sede apostolica,
non credettero di esercitare alme-
no lo stesso identico diritto di
protezione de* duchi d'Urbino, non
ne hanno però perdalo il diritto,
né hanno dubitato di poterlo eser-
citare e praticare, come al tempo
di Clemente XI nel 1701, per bi-
sogno di accantonamenti di truppe
straniere, per la battitura delle
marine, e somiglianti bisogni; che
anzi nel 1 7 1 8 a' 4 aprile, in ca-
mera apostolica avanti monsignor
Colonna giudice deputato, fu deter-
minato, che dagli ecclesiastici tutti
di Sanmarino si pagasse la stessa
tassa delle galere, che non si pa-
gava se non dagli ecclesiastici del-
lo stato pontifìcio. Ta»Uo sostie-
ne e riferisce il Fea. Un grave
pericolo che minacciò i' esistenza
della repubblica, e che andiamo a
narrare, ravvivò gli animi, che ri*
M A II
scossi dal lungo errore e profonde»
letargo, posero ogni potere per ri-
stabilirsi nell'antico slato e nei pri-
mieri sentimenti : per isterica im-
parzialità riporteremo il diverso mo-
do come l'avvenimento fu narrato.
11 cardinal Giulio Alberoni piacen-
tino fu da Clemente XII spedito
in Romagna per legato apostolico.
Alcuni sanmarinesi rei di prigione,
ed altri malcontenti del governa-
mento e degli arbitrii de'capi del-
la repubblica, ricorsero alla prote-
zione del cardinal Alberoni, invo-
cando altresì sul loro paese il pa-
terno governo delia santa Sede.
Il cardinale domandò al governo
democratico la remissione di tali
rei come patentati del santuario di
Loreto, che allora concedeva pa-
tenti immunitarie , esonerando i
patentati dalie giurisdizioni altrui.
Non riconoscendo la repubblica sif-
fatti privilegi, dichiarò al cardina-
le opporsi alle leggi la sua richie-
sta, il quale scrisse a Roma pro-
ponendo che gli fosse accordato il
diritto di rappresaglia. Il Novaes,
nella vita di Clemente XII, narra
che più volte alcuni sanmarinesi
erano ricorsi al Papa per assogget-
tarsi al suo dominio, che sulle
prime non rispondendo , quando
lo supplicarono a mezzo del cardi-
nale, fece a questi rispondere che
si portasse ai confini della repub-
blica, ed ivi prudentemente atten-
desse quelli che volontariamente
venissero a ratificare le loro sup-
pliche, e se la migliore e maggior
parte della popolazione fosse real-
mente bramosa di sottomettersi al
dominio pontificio , allora si avan-
zasse a prendere possesso del ter-
ritorio, altrimenti ritornasse subito
a Ravenna. Tanto bastò al cardi-
nale , impaziente d' impadronirsi
MAR 95
della repubblica , per portarsi con
buon numero di gente armata
nel territorio, e senza attendere
quanto gli era stato insinuato, en-
trò a forza in Sanmarino ni/^. ot-
tobre, vi pose il governatore, e
prescrisse diverse leggi, malgrado
che molti ricusarono prestare il
richiesto giuramento di sudditanza
alla Sede apostolica. I sanmarinesi
ricorsero a Clemente XII, mani-
festandogli le violenze usate dal
cardinale, ed il Papa alieno dalle
usurpazioni, riprovò pubblicamen-
te la condotta del legato e dis-
approvò il giuramento esatto. Sicco-
me poi alcuni del popolo erano con-
tenti restare sotto il dominio della
Chiesa, quindi Clemente XII mandò
a Sanmarino il governatore di Ma-
cerata Enrico Enriquez poi cardi-
nale, prelato di somma prudenza
ed integrità , incaricandolo qual
commissario apostolico e delegato,
di ricevere i voti liberi e spontanei
dei sanmarinesi, con facoltà di
annullare gli atti precedenti , se
contrari alle rette intenzioni del
Pontefice. Conosciutasi dal prelato
la libera volontà del consiglio, del
cleio e dei capi della repubblica,
nella maggior parte costanti nel-
l'antica libertà, questa interamente
restituì loro, confermando i privi-
legi concessi dai Papi, ed in ispe-
eie di Martino V, di Eugenio IV,
di Pioli (che avea confermalo il
possesso di Serra valle, di Faetano
ed altri luoghi , salvo il supremo
dominio della santa Sede), di Leo-
ne X e di Clemente Vili. Il
tutto confermò Clemente XII, re-
stituendo alla repubblica la sua
piena libertà con sua gloria, non
però del cardinal Alberoni, il qua-
le pubblicò a sua difesa un mani-
feslOj di cui restò assai disgustato
96 MAR
il Ponlcfice , anche per aver at-
taccato i suoi ministri, e divulgate
le lettere scrittegli dal cardinal
Firrao segretario di stalo. Fin qui
il Novaes.
Però lo storico di Sanmarìno
riferisce che il cardinal Alberoni,
senza attendere riscontri da Roma
suir invocata rappresaglia, arrestò
alcuni innocenti gentiluomini san-
marinesi che per affari trovavansi
in Romagna, impedì le tratte e i
passi alle vettovaglie, e fece circon-
dare i conOni del territorio dai
suoi armati; che quindi rappresen-
tò al vecchio Pontefice che a be-
ne della Chiesa e dello stato conve-
niva riunire la repubblica, che di-
pinse co'piìineri colori, alla papa-
le dominazione, per ridurla alle
vie della salute e della quiete, an-
co per le future contingenze se
un principe straniero se ne fosse
impadronito, e per terminare fra i
cittadini le continue dissensioni ed
inimicizie; che il cardinale con false
carte rappresentò al Papa e al
sacro collegio una spontanea de-
dizione del popolo, cose tutte che
indussero il cardinal segretario di
stato a persuadere Clemente XII
a convenirvi con bolla però circo-
scritta da cautelate condizioni, dal
porporato non curate, eccedendone
i limiti, invece di verificar prima
il volere de' cittadini. Accompa-
gnato il cardinale da milizie , con
alcuni traditori della patria, entrò
nel territorio; e dopo pochi applau-
si che fece Serravalle al Papa , en-
trò ancora in Sanmarino, occupò
le porte della città per mezzo dei
contadini d' un castello sedotti ,
con sorpresa de* cittadini , parte
de'quali si allontanarono, che ben
presto ne conobbero le intenzioni-
Nella maggior chietra dedicata al
MAR
santo patrono, il cardinale convoca)
i cittadini perche giurassero sog-
gezione. Si ricusarono il capitano
Giangi, Giuseppe Onofri, Girolamo
Gozi, onde il cardinale proruppe
in iraconde espressioni, che poi
sfogò con ordinare carcerazioni e
saccheggi, e gli altri per evitarti
scandali e disturbi sagrificarono
alle circostanze, prestando giura-
mento di fedeltà ed obbedienza
alla Sede apostolica condizionata-
mente. Ricorsi i sanmarinesi a Ro-
ma, il Papa e i cardinali restaro-
no sorpresi e meravigliati dalla
narrazione delle prepotenze del le-
gato, e dopo le relazioni del pre-
lato Enriquez, Clemente XII ripa-
rando air ingiustizia le disapprovò^
e restituì alla repubblica le sue
antiche forme di governo, dopo
un interiegno di circa tre mesi e
mezzo ; e nel giorno 5 febbraio
1740, sacro alla vergine s. Agataj
fu la repubblica integralmente ri-
costituita, colla più pura gioia e
liete feste de* sanmarinesi , che le
rinnovano tuttora nell'anniversario
di tal giorno. Benedetto XIV a-
vendo fatto legato di Bologna il
cardinal Alberoni , questi allora
pubblicò un Manifesto islorico-
critico- apologetico della conquista
del Titano, ma venne vittoriosa-
mente confutato per decoro della
santa Sede e di Clemente XII,
dal nipote di questi cardinal Neri
Maria Corsini, con una Memoria
corredata d'irrefragabili documenti,
secondo il Delfico. Finalmente i san-
marinesi vollero manifestare esterni
sensi di gratitudine alla memoria di
Clemente XII, con un marmoreo
busto ed iscrizione che fu decre-
tala ed eseguita, mentre il commis-
sario Enriquez { ciò che tace '\\
Delfico, anzi confonde col busta
M A R
che non nomina) assicurò il cardi-
Dal Firrao che la statua di Cle-
iDenle XI 1 eretta nel palazzo pub-
blico dal cardinal Aiberoni, ivi re-
sterà in perpetuo, giusta il suo
decreto, e l'obbligazione giurata fatta
da'consiglieri, poscia solo si cambiò
r iscrizione, come notò il Fea. Se
per tale avvenimento la repubblica
risorse in certo modo dall'oblio,
profittò anche della sventura, ri-
stabilendo i pubblici sentimenti sul
■vero amore della patria. Il gene-
ral consiglio fu rimesso nella sua
integrità, restituito il decoro ai
pubblici funzionari, e riprese le
abitudini repubblicane ed il rispet-
to alle leggi; le private gare ces-
sarono, e rinacque la stima e l'o-
pinione favorevole per la repubbli-
ca, laonde diverse illustri famiglie
d'Italia desiderarono di essere a-
scritte alla sua nobile cittadinanza,
la quale fu con piacere accordata,
tutto osservando il Deifico nella
sua nanativa.
Ma quanto all' occupazione di
Sanmarino eseguita dal cardinal Ai-
beroni, questi il Fea difende prin-
cipalmente col sommario a p. 122
e seg. , in cui ne riporta i docu-
menti, e pel primo il breve Inter
prnecipitas, di Clemente XII al
cardinale; la copia della lettera
del cardinal Firrao segretario di
slato al cardinal Aiberoni legato
di Romagna, in cui gli dice con-
venire di aver la terra di Sanma-
rino con maneggio non per via di
forza, riportando soscrizioni da quel-
li che desiderano darsi alla santa
Sede, promettendo esenzioni e pri-
vilegi ; la copia di lettera del le-
gato al segretario di stato de' 17
ottobre 1739 da Sanmarino, in
cui narra le acclamazioni ricevute
a Serravalle dal parroco, e da più
VOL. XLIII.
MAR 97
di trecento uomini che Io accompa-
gnarono al borgo di Sanmarino,
donde dopo i rogiti passò a San-
marino stesso inerme, senza solda-
ti e sbirraglia, perchè la dedizione
fosse volontaria , compiacendosi di
poter disfare un nido che poteva
col tempo essere fatale allo slato
ecclesiastico. La lettera del legato,
di Sanmarino 2 i ottobre, al segre-
tario di stato, notificandogli esser-
si a lui presentati i capi più rag-
guardevoli e più accreditali del
luogo, per riformar gli statuti sì pel
civile, che pel criminale ed econo-
mico. La copia di lettera scritta
a' 28 ottobre 1789 dal gonfalo-
niere e conservatori della città di
Sanmarino al cardinal Aiberoni
legato di Romagna e delegato apo-
stolico, in cui si dice che aduna-
tisi per la prima volta dopo l'ob-
bedienza prestata alla santa Sede,
e dopo aver ricevuto e posto al
possesso di governatore il dottor
Fogli, dal cardinale a ciò desti-
nato, era obbligo loro e di tutto
il popolo rassegnarsi umilissimi sud-
diti di sua Beatitudine, e implo-
rare la conferma de' privilegi, ri-
servandosi far simile atto diretta-
mente con sua Santità, facendo al
cardinale ringraziamenti ed osse-
qui per la carità e moderazione
usata. Il breve Cum diu vìultiim-
que , de' 21 dicembre 1739, dì
Clemente XIT, col quale destinò
monsignor Enriquez visitatore e
delegato apostolico nella terra di
Sanmarino e suoi annessi, per prov-
vedere ai bisogni di que' popoli,
e successivamente restituirli al-
la primiera libertà . In questa
breve, come in quello diretto al
cardinal Aiberoni, si vede come
i Papi non hanno mai dubitato del
supremo dominio della santa Sede
7
98 MAR
sopra Sanraarino, in vigore del qua-
le egli agì in quella occasione con
plenipotenza, ne i sanmarinosi op-
posero rilievi alla loro imlipoii-
denza, anzi implorarono e gratìi-
rono r aiuto pontificio; laonde fu
allora, come riflelle il Fea, fìssalo
uno stato inalterabile, coll'obbligo
di ricorrere alla santa Sede in o-
gni occorrenza, quindi incoerente
l'asserto che non conoscono il Pa-
pa se non che per una potenza
estera, la quale non ha alcun di-
ritto su di loro. Gli altri docu-
menti sono. L'istruzione di quanto
doveva fare il prelato Enriquez
nella commissione alìfìdatngli, e la
lettera del segretario di stato ai
capitani di Sanmarino, accompagna-
toria del prelato per ristabilir la
pace e la quiete. La lettera del
cardinal Firrao a tale prelato, e
quella di questi responsiva de'20
gennaio 1740; con altre del me-
desimo porporato allo stesso En-
riquez per conoscere se vere le
decantate angarie ed oppressioni
del popolo, prima che \i giunges-
se il cardinal Alberoni , perchè
istallasse prima di partire il nuovo
governo di Sanmarino, e ripristi-
nasse in libertà l'antico governo.
La lettera de' capitani della re-
pubblica di Sanmarino, in data 6
febbraio ì'J^o, di ringraziamento
per aver cooperato alla ricupera
della primiera libertà. La lettera
del commissario Enriquez al car-
dinal Firrao, in cui significa aver
ricevuto dal consiglio de' sessanta
i giuramenti e promesse in iscrit-
to di tutti i consiglieri sopra il
rispetto dovuto olla santa Sede, a
cui prwativamente dovranno ri-
correre per aiuto e favore in tulli
i bisogni sì interni che esterni di
questo pubblico; e di aver pubbli-
Ai APx
calo i decreti ligunrdanli vari
provvedimenti, restituendo quindi
il pubblico nella primiera libertà
per le facoltà conferitegli dal bre-
ve apostolico , onde il consiglio
volle che il prelato gli proponesse
il commissario o sia giudice ordi-
nario, ed il cancelliere, dopo che
si recò coi sanmariuesi nella chie-
sa maggiore a rendere grazie a
Dio, con voci dì riconoscenza ver-
so Clemente XIL La lettera del
prelato al magistrato di Sanmari-
no, pei ringraziamenti che aveagli
fatto nella reintegrazione della re-
pubblica, de' 17 febbraio I740'
Lettera del medesimo al cardinal
Firrao, in cui afferma che il suo
decreto di reintegrazione è relativo
al pontificio breve, dove per ben
tre volte si enuncia l'alto dominio
o sia sovranità della santa Sede
su Sanmarino, del qual breve, co-
me di tutti gli atti fatti, erano re-
slate copie autentiche nel pubblico
archivio sanmarinese ; e che di
più, tutti i consiglieri eratisi obbli-
gati con giuramento di ricoirere
privativamente alla santa vSede in
tutti i bisogni SI interni che ester-
ni del pubblico , per aiuto e fa-
vore, e di mandare per l'archivio
vaticano tutte le copie in auten-
tica forma relative alla sovranità
pontificia , estratte dagli archi-
vi di Sanmarino, di Verrucchio e
della Penna. Il decreto de' 9 feb-
braio 1740 del prelato visitatore
e delegato apostolico, reintegrante
i sanmariuesi al primiero slato, di
|il)ertà. L'alio solenne col quale
la comunità di Sanmarino nel
1464 ^> obbligò di non distrug-
gere Serravalle. Il diploma del
duca Valentino , da cui si racco-
glie che Sanmarino e Serravalle
erano a lui soggetti come fendala-
MAR
rli lidia Cliiesa. L'annotazione eli
un erudito apologista , in cui si
dice che il duca Valentino nel
i5o2 occupò Sanniarino come mém-
l)io del Monte Feltro , e parte
dello stato dtl duca Guidobaldo.
]1 breve Jiilìnniiim ordinis del
)5i7, di Leone X, col quale prese
sotto la sua protezione gli uomini di
Sanmarino. Documento sulla pro-
lezione clie prese su Sanmarino
Guidobaldo 11 nel i549- Concbiu-
de il Fca il suo sommario con di-
chiara re, cbe la commissione accor-
data al cardinal Alberoni di rice-
vere la libera dedizione dei san-
marinesi per la santa Sede, era
giusta e insieme piudente , nella
supposizione in cui fu data ; quin-
di riporta la bolla di Martino V,
Sìncerae dcvotionìs affectus^ colla
quale accordò il giudice per le
seconde istanze ; e la bolla di Pio
11, Evidentia verae pdelilaiis, del
i4f>3, per l'investitura di Serra-
valle e degli altri castelli, data al-
la terra di Sanmarino.
11 Salmon che pubblicò la sua o-
pera nel i 757, narra che a quell'epo-
ca la città di Sanmarino da un lato
era cinta di mura, dall'altro difesa
da un orribile precipizio, sopra il
quale erano tre castelli o fortezze
in poca distanza fra loro; che
conteneva nel isuo circuito cinque
cbiese, e quattro conventi o mo-
nasteri; che nel borgo a pie del
monte ogni settimana tenevasi mer-
cato, e quattro fiere ogni anno, e
nella maggioive di s. Bartolomeo
tutti i cittadini si vedevano in ar-
mi; che il popolo onesto e dabbe-
ne, vivendo in mezzo agli slati della
Chiesa, viveva altresì sotto la pro-
tezione pontificia, e quasi diremo
in potere del Papa, che volendo
potrebbe con poca fatica dar fine
MAR ^^ 9*9
alla di lui indipendenza, cwn' egli
si esprime; ed aggiunge, cti' essa
non nasce tanto dall'eccellenza del
governo con cui si regge, quanto
dalla povertà e freddezza del pae-
se. Aggiunge che sull'altare mag-
giore della chiesa principale vedo-
vasi la statua di s. Marino tenen-
te in mano una montagna coro-
nata da tre castella, che sono ap-
punto r arma della repubblica.
Passa a narrare la storia del car-
dinale Alberoni , seguendo quelli
che fecero comparire odiosa la sua
spedizione, e più la di lui condot-
ta, parlando pure della risposta
dei sanmarinesi al ragguaglio stam-
pato in Ravenna dal cardinale.
Nel 1786 il cardinale Valenti le-
gato di Romagna assunse la pro-
tezione di un tal avv. Diasi com-
missario della repubblica, accusato
di gravi mancamenti al suo impiego,
e che per isfuggire il giudizio della
repubblica t rasi appellato a Roma,
adducendo il suo privilegio chieri-
cale, o meglio' si vollero tutelare
i diritti dell'immunità ecclesiastica.
L'urto crebbe a segiìo, che in Ro-
magna fu bandita ogui estrazione
di generi ed ogni comunicazione con
Sanmarino, che in certo modo fu
bloccato sei mesi; ma Pio VI, co-
nosciute le ragioni de'sanmarinesi,
richiamò il legato, fece riaprire le
comunicazioni, e lasciò in libertà
i sindacatori di sentenziare.
La fine del secolo XVIII, tanfo
fatale ai politici rapporti dell' Ita-
lia, cangiò anche in parte, ma tran-
quillamente, i rapporti geogralìco-
politici della repubblica. Dal tro-
varsi intieramente contenuta nello
slato della Chiesa , si vide quasi
intieramente collocata in mezzo ad
una nuova repubblica, e successiva-
mente aver da un fianco l'aulico vi-
loo , MAR
cÌDo^t^ «l^iraltio il moderno. Il con-
taggjfgvoluìjionàrio si fece pur sen-
tiivp^ l^g'ermenle in qualche rao-
mento, ma l'ordine fu presto rista-
bilito. Mentre il generale Napoleo-
ne Bonaparte nel 1797 continuava
ad invadere V Italia colle armate
francesi repubblicane, dal quartieie
generale di Modena mandò il ce-
lebre scienziato Monge a visitare in
nome suo e della repubblica fran-
cese i sanmarinesi, e proferir loro
amicizia e fratellanza. Monge arri-
vò a Sanmarino a' 12 febbraio, e
fece un discorso degno di lui, della
nazione, e di chi lo mandava. Le
generose offerte dell' estensione del
territorio, della piccola artiglieria e
delle derrate, furono accettate o ri-
fiutate con ragionevoli distinzioni.
Hicusato l'aumento del territorio ,
temendo che in alcun cangiamento
potesse restare in pericolo la pa-
tria, i sanmarinesi accettarono Tof^
ferta delle armi, non mai però ef-
fettuata, le sussistenze e i favori
relativi alla finanza. Nelle sue guer-
re d' Italia Napoleone ebbe il per-
messo di far transitare le sue trup-
pe nel territorio sanmarinese. La
libertà e indipendenza salvata sulla
vetta del Titano, vi ricevè gli omaggi
della nazione che faceva allora tre-
pidare l'Europa : Alessandro il Mace-
done rispettò nelle sue conquiste la
libertà di Pindinisso; il nuovo Ales-
sandro (cosi lo storico di Sanmari-
no qualifica Napoleone) rispettò il
Titano, e gli stese la sua destra
benefica. Pindinisso; piccola città o
castello degli eleulero-cilicii , col-
locato su d'un altissimo monte, mu-
nitissimo ed inespugnabile, benché
posto fra bellicose nazioni ed am-
biziosi principi, restò sempre libe-
ro e mai da alcuno soggiogalo .
Alessandro passandogli appresso da
MAR
conquistatore, rispettò la sua pace e
libertà, e Cicerone sospirò invano
sul nome di Pindinisso per farne
un titolo al suo trionfo. Dall'anzi-
detta epoca tutto fu tranquillo in
Sanmarino, ed a quella della re-
pubblica italiana, la nuova repub-
blica e il supremo rettore della
medesima Napoleone, confermarono
con solenne trattato un sistema di
amicizia e di beneficenza , essendo
compresa nel dipartimento del Ru-
bicone. Il trattato di fratellanza
creata da Napoleone colla repub-
blica nel 1802, con bollettino delle
leggi della repubblica italiana num.
i5, presso il eh. Coppi anno 1802,
num. 34, si può leggere. In que-
sto tempo fiori benemerito dell^
patria, e ben accetto a Napoleone,
Antonio Onofri. Neil' impero , e
nel ritorno di Pio VII sul tro-
no pontificale, la repubblica nul-
la ebbe a soffrire, contenta della
sua mediocrità e della pontifìcia pa-
terna protezione, riconoscendo quel
Papa la sua indipendenza nel rior-
dinamento delle pubbliche cose. Il
cav. d'Artaud nella Storia del Pon-
tefice Leone XI I^ t. I, p. 197 e seg.
narra come per alcune dissensioni
particolari, alcuni bramarono che
il territorio della repubblica si u-
nisse allo stato pontifìcio, mentre il
numero maggiore voleva conserva-
re r indipendenza ; come alcuni di-
plomatici vi presero parte, della il-
luminata moderazione di Leone XII,
che difende in un al cardinal se-
gretario di stato della Somaglia
piacentino e figlioccio del cardinal
Alberoni , narrando inoltre , che
nel 1824 il marchese Antonio
Onofri deputato del governo , fu
dal santo Padre ammesso ad osse
quiarlo per congratularsi dell'assun-
zione al pontificato (il busto di
MAR
tal diplomatico concittadino è nel
palazzo del governo); dice in fi-
ne die nella guerra dell' ultima
rivoluzione di Napoli il conte Fri-
iTiont generalissimo dell'esercito au-
striaco^ chiese ed ottenne il per-
messo dalla repubblica di passar
coll'esercito nel suo territorio , ed
una parte della popolazione discese
dal monte per vedere il difìlamen-
lo dell'esercito, che a venti soldati
della repubblica rese gli onori mi-
litari. Pio VIIJ, Gregorio XVI, e
il regnante Pio IX riconobbero la
repubblica sanmarinese ; e questa
nelle politiche vicende del i83i e
nelle successive si contenne saggia-
mente.
La città di Sanmarino, un tem-
po detta la Penna di s. Marino,
capitale della repubblica, è posta
orizzontalmente nel versante monte
del Titano, cinta di mura , leg-
gendosi il molto Libertas nelle sue
porte. Nel tempio maggiore anti-
chissimo, ed a più vaga e maesto-
sa forma modernamente ridotto
dall'architetto Antonio Serra bolo-
gnese, si venera qual promulgtore
del vangelo e fondatore della libertà
s. Marino. Questo tempio è insigni-
to del titolo di collegiata, ed è uffi-
ciato dai canonici, essendovi la di-
gnità dell'arciprete. Vi sono sette
altari, nel maggiore ammirandosi
nell'ara massima la statua di san
Marino in marmo del valente Ada-
mo Tadolini (che scolpì pure il
monumento del diplomatico Onofri
colla figura della repubblica che
piange s\ egregio concittadino), il
quale dopo il i834 l'esegui secon-
do il disegno datogli. L'interno
della chiesa è ornato assai , con
eccellente organo , distinguendosi
ira' quadri la Madonna di Loreto
del Guercino, ed un s. Sebastia-
MAR loi
no. Vi si tengono anche 1 pub-
blici consigli, vi si presta il giura-
mento civico dai magistrati , e si
riguarda come il palladio della san-
marinese libertà. A' 3 di settembre
vi si celebra pomposamente la fe-
sta del santo titolare, che può dirsi
nazionale, poiché vi risuonano gl'in-
ni spiranti amor di patria , e de-
voti alla celestiale protezione. Nel-
la Fisita triennale, che il p. Ci-
valli fece ne' conventi de' minori
conventuali nel declinar del secolo
XVI, e pubblicata dal Colucci, An-
tichità Picene t. XXV, p. 2o3, dice
di aver veduto il sepolcro ed il letto
del santo, di pietra viva, avente vici-
no una gran tomba o arca pure di
pietra viva, nella quale giacevano i
signori che avevano donato l'altissi-
mo Monte Titano a s. Marino; e
che la chiesa era allora coperta di
coppi fatti di pietra per mano del
santo, cosa bella a vedersi. Indi sog-
giunge che i minori conventuali
vi ebbero un convento, la cui chie-
sa fu consecrata nei i254; nel
convento vi fiorirono il b. Dome-
nico, il b. Pietro da Monte del-
l'Olmo, ed il b. Graziano, i corpi
de' quali è opinione che sieno stati
trasferiti nella chiesa di s. Marino.
Del secondo convento e chiesa esi-
stenti al tempo della sua visita ,
l'erezione della prima risaliva al
i36i. Nell'altare maggiore era vi
un quadro dipinto da Girolamo da
Corognola, vicino ad esso il sepol-
cro di un signore di Carpegna , e
presso la sacrestia quello del san-
marinese Madronio vescovo di Se-
baste sunnominato. Illustrò questo
convento l'altro minor conventuale
pur rammentato vescovo Bertoldi.
11 palazzo del governo edificato
nei primi del secolo XIV adorna.
la piazza principale, ed altre con-
102 MAR
venienti fabbriche si ravvisano Fra
le private abitazioni. In ([uella del
celebre insigne archeologo cav. Bar-
tolomeo Borghesi di Savignano ,
solo per elezione e cittadinanza
sanmarinese, si ammira il suo mu-
seo numismatico ricco di circa qua-
rantamila medaglie, molte delle
quali rarissime. La istruzione pub-
blica risplendeva a' nostri giorni
nel collegio Belluzzi, ove si col-
tivavano i buoni studi con ec-
cellenti professori; ma da qualche
tempo il collegio è chiuso. Vi è
una casa religiosa di francescani ,
e vicino alle mura della città un
convento di cappuccini, che si me-
ritarono sempre, per la loro edifi-
cante pietà, il rispetto e la venera-
zione di tutta la repubblica. Egual-
mente rispettabile per cristiane vir-
tù si reputa il monastero delle
monache di s. Chiara, situato entro
il paese, ove di continuo accorro-
no molte pie donzelle delle più di-
stinte famiglie di Romagna per far-
"vi religiosa professione. Al disopra
della città vedesi sull'alto della ru-
pe la rocca della Guaita , e nella
pendice occidentale fu costruito ,
dopo l'aumento della popolazione,
il così detto Mercatale o Borgo.
Ivi si tengono quattro fiere annua-
li, essendo le principali, quella del
giorno di san Bartolomeo, e quel-
la per la festa della Natività di
Maria Vergine : avvi inoltre in
ogni mercoledì cospicuo mercato.
Il piccolo territorio è fertile, ma
soprattutto sono stimati i vini cru-
di, che nell'estate ottimamente si
conservano nelle grotte. Nell'urba-
no recinto e nel borgo gli abitanti
superano i quattromila, compresi
nel novero di quelli di tutto il ter-
l'itorio di sopra riportato.
Menti e mi giunsero da Venezia, gli
MAR
ultimi stamponi di questo artico-
lo, sono veniito a conoscere, senza
poterne profittare, una terza edi-
zione del Delfico, fatta in Firen/.e
nel 1843 con aggiunte; più il Qua-
dro storicO'Slalisiico della serenis'
sinict repidìblica di Sdiimarino^ del
capitano della mtdesiaia, il eh. cav.
Oreste Biizzi aretino; opera eru-
dita ed impollante, pubblicata nel
184*^ in Firenze. Inoltre questo
riputato scrittore, nell' applaudito
Giornale militare italiano^ di cui
è direttore il eh. cav. F. Glierardi
Dragomanni, ci ha dato un bel-
l'articolo sulle fortificazioni di San-
mariiio, con la veduta e pianta
delle medesime, coi n. 4^ e 52.
MARIO o MAIO (s.), abbate.
Nato in Orleans , lasciò il mon-
do per abbracciare la vita mona-
stica, e fu eletto abbate della Val-
Benois, nella diocesi di Sisteron,
sotto il regno di Gondebaldo re
di Borgogna, che morì nel 5o9.
Egli avea una gran divozione a s.
Dionigi di Parigi e a s. Martino
di Tours, laonde imprese un pere-
grinaggio al loro sepolcro. Ogni
quaresima procurava d' imitare il
digiuno del Salvatore , passando
quel tempo nel fondo d' una fo-
resta. Morì nel S^5. Essi^ndo sta-
ta dipoi rovinata dai barbari la
badia della Val-Benois, si trasferì
il suo coipo a B^orcalquier, ove fij
fabbricata una chiesa in suo onore,
la quale è collegiata, e prende il
nome di cattedrale di Sisleron. Ivi
si celebra anche oggidì la festa
della sua traslazione il 27 gen-
naio.
MARIO MERCATORE. Origi-
nario d' Africa, che tenne un ran-
go assai distinto fra i difensori dti
misteri della grazia e dell' incarna-
ziouCj nel secolo V. Nel 4 ' 7 cir-.
MAR
ca era in Roma o nelle vicinanze,
tjiiando Giuliano e gli altri capi
dei pelagiani disputavano contro
]<i grazia di Gesù Cristo ; egli ne
prese la difesa, e compose un'ope-
ra che mandò a s. Agostino pie-
gandolo di esaminarla , come fece
d'una seconda, e si dubita che sie-
iio giunte sino a noi: forse una è
VHypognósticon, stampalo nelT ap-
pendice del t. X di s. Agostino.
Questo padre dice che Mercatore
\i combatteva i pelagiani con molti
passi della Scrittura. Una terza ope-
ja furono piccole note sulle opere
di Giuliano. Essendo nel ^i i a Co-
stantinopoli, compose una memoria
in greco, che poi tradusse in latino,
contro Celestio, eia presentò all'impe-
ratore Teodosio li. Dopo la morie di
s. Agostino intraprese a confutare
i due libri che Giuliano avea scritto
contro quel santo dottore, e tradusse
un simbolo, che viene attribuito a
Teodoro di Mopsuesto maestro di
Giuliano, già condannato dal con-
cilio di Efeso; tradusse altresì al-
cune omelie di Nestorio, ed alcune
lettere a lui scritte; la VI sessione
del concilio efesino, e molte cose
di s. Cirillo, ed altre di altri. Mer-
catore dimostrò in tutte le occa-
sioni un gran zelo per la purezza
della dottrina della Chiesa, senza te-
mere i cattivi Irallamenti de' suoi
avversari. Fu in conseguenza di
queste memorie, che i pelagiani fu-
rono scacciali da Costantinopoli e
da Efeso, e traducendo dal greco
in latino gli anatemi di Nestorio lo
rese l'orrore dell'occidente, come lo
era dell'oriente. Abbiamo Ire edi-
zioni delle sue opere, di Parigi e
di Brussclles dell'anno i6y3, e
di Baluzio che nel 1 684 ''* P^l^-
blicò a Parigi, più completa e
comoda. 11 titolo di venerabile che
MAR io3
fu dato a Mercatore dimostra che
era laico.
MARIS (s.), martire. Era un si-
gnoie persiano, il quale dopo avere
abbracciato la fede di Gesù Cristo
con Marta sua moglie e i due suoi
figli Audi face ed Abaco, dispen-
sò i suoi beni ai poveri dietro l'e-
sempio dei primi cristiani di Ge-
rusalemme. Recatosi a Roma colla
sua famiglia per visitare le tombe
degli apostoli circa l'anno 270,
mentre Aureliano perseguitava i
cristiani, si prendevano cura di rac-
cogliere le ceneri dei martiri, e le
seppellivano con divozione. Avver-
tito di ciò il governatore Marcia-
no, li fece pigliare e li condannò
lutti e quattro alla morte, dòpo
aver messo a prova la loro costan-
za con diversi supplizi. A Maris ed
a' suoi figli fu troncata la testa, e
Marta fu annegala. I loro corpi
furono sepolti qualche miglio lon-
tano da Roma, e quivi poi venne-
ro portati sotto il pontificato di
Pasquale I, e deposti nella chiesa
di s. Adriano, in cui si scopersero
nel iSgo. I loro nomi sono cele-
bri nei martirologi dei latini e nel
sugramentario di s. Gregorio I, e se
ne celebra la memoria a' ig di
gennaio.
MARI STI. Congregazione di sa*,
cerdoti missionari sotto l' invoca-
zione della Beata Vergine Maria,
onde i membri sono chiamali Ma-
•risii. Fu istituita in Francia, cioè in
Lione ed in Belley; è un'unione
di sacerdoti secolari che sotto certe
regole vivono insieme, e dopo un
dato tempo della dimora fatta nel
collegio o seminario dei mentovati
luoghi , vengono spediti alle mis-
sioni. La società dei raaristi inco-
minciò e ripete la sua origine da
diversi aluuui dei seminario di
io4 MAR
Lione, ì quali essendo divenuti sa-
cerdoti, si dispersero nella diocesi di
Lione che allora comprendeva an-
che quella di Belley. Dopo diverse
peripezie tennero una prima riu-
nione generale a guisa di capitolo
per eleggersi un primo superiore
generale, il quale fu il p. Collin.
Monsignor Gio. Paolo Gastox de
Pins arcivescovo d'Amasia ed am-
ministratore di Lione, diede l'ap-
provazione diocesana all'istituto dei
maristi nella sua origine. Le con-
gregazioni dei maristi di Lione e
di Belley sono presso a poco eguali
nell'istituto e nello scopo al ce-
lebre e benemerito seminario delle
missioni estere eretto in Parigi fin
da molti anni addietro, il qual semi-
nario ha dato e dà rispettabilissimi
soggetti alle sante missioni, che in
un modo più singolare si distin-
guono nei vicariati apostolici della
Cina e regni adiacenti, ed in altre
missioni, non che per dottrina e
per santità, avendo dati pili mar-
tiri alla Chiesa, massime nell'ultima
persecuzione della Cocincina. Il se-
minario dei maristi di Lione, seb-
bene sia molto recente la sua isli-
tuzione, pure conta già un vescovo
vicario apostolico della Melanesia e
Micronesia martirizzalo per la fede,
cioè monsignor Giovanni Battista
Epalle, fatto da Gregorio XVI ve-
scovo di Sionne in parùbus, con-
sacrato in Roma dal cardinal Fran-
soni prefetto della congregazione di
propaganda fide nel luglio i844-
Dal medesimo seminario di Lione
è uscito pure fra i suoi alunni
monsignor Gio. Battista Pompallier,
fatto vescovo di Marronea in par-
tibus, e vicario apostolico nell' O-
ceania occidentale sino dal i836,
dal medesimo Gregorio XVI; il qua-
le prelato è il primo vescovo e
MAR
vicario apostolico eh' è penetralo
nell'Oceania, ed ha fallo un gran
bene, avendo Iddio benedetto le
sue fatiche e sudori con aver con-
vertito alla nostra santa religione
molti di quei barbari. Nel 1846 si
recò in Roma, e nel settembre si
umiliò al regnante Pontefice Pio
IX. A questi missionari maristi ,
dalla sacra congregazione di pro-
paganda fide verranno quanto pri-
ma affidsile altre missioni, per es-
sere i medesimi eccellenti operai.
Attualmenle la società e congrega-
zione di Maria detta de' maristi, sta
nelle missioni di Valparaiso nella
America, ed in quelle dell'Oceania
occidentale.
MARITO. F. xMatrimonio.
MARMARICA. Sede vescovile del
patriarcato d'Alessandria nella Li-
cia inferiore, provincia conosciuta
ancora col nome di Libia Marma-
rica, eretta nel V secolo. Thronas
suo vescovo fu condannato pel suo
attaccamento all'arianesimo, essen-
do stato ordinato dai meleziaiii.
Oiiens cìirìst. t. II, p. 638. Siria
sacra p. 882.
MARNANO (s. ), vescovo. Am-
maestrò Oswaldo e Oswi, principi
di Nortun»bria, nelle verità del cri-
stianesimo ; e morì nella provincia
di Anandale nel 620. Veneravasi
la sua testa a M(i^ravia, e vi era
portata in processione. Celebrasi la
sua festa il 2 di ifnarzo, ed è ti-
tolare della chieda di Aberkerdure
sulla Duverna, la quale era assai
frequentata per le di lui reliquie che
vi si custodivano.
MAROCCO o MAROKOS. Im-
pero del nord-ovest dell'Africa, il
più occidentale de'quattro stati della
Barbaria. Confina al nord col Me-
diterraneo e lo stretto di Gibil-
terra , all' ovest coir Atlantico , al
MAR
sud e al sud est col Sahara, ed
air est coir Algeria. La sua super-
fìcie è di circa 24,600 legiie, ed è
attraversalo dal grande Atlante, che
\i mostra le sue sommità più alte
coperte di neve perpetua, riunen-
dolo alcune piccole rcimiflcazioni al
piccolo. Atlante. Ingenerale si vanta
la fertilità di quest'impero, però
essa è limitata ai luoghi irrigati,
essendo generalmente i terreni tra
r Atlante e il mare. Il clima è de-
lizioso e sano, e quantunque la
colhvazione sia negletta, la fecon-
dità del suolo in generale fa s\
che i prodotti crescono con vigore
e straordinaria abbondanza. Le fo-
reste vedonsi popolale di utili al-
beri, nudrendo la contrada co-
piosa quantità di bestiame. Vi sono
miniere di ferro, rame, stagno, ec.
La industriasi riduce alla fàbbrica
di oggetti di necessità, e di alcuni
articoli di commercio; le più im-
portanti manifatture sono quelle del
marocchino rosso e giallo, assai sti-
mato e del quale scrupolosamente
si conserva il segreto della fabbri -
cazione} si fanno pure alcune stoffe
di seta e lana, e nella provincia di
Fez una gran quantità di berretti
di lana rossa, in uso per tutta la
Barba ria. L' impero di Marocco si
divide in cinque provincie, che sono
Fez e Marocco, sul versatolo ma-
litlimo, tSusa sui versatoi del gran-
de Atlante, e Draha e Tafilet, sul
versatoio sud-est. I geograQ non
convengono nell' assegnare la popo-
la/ione di questo impeio, poiché
chi la fa ascendere a quattordici
milioni, e chi a cinque o sei mi-
lioni, e sono arabi, berberi, mori,
andalusi, buccari, ebrei e franclii,
nonché i zingari. Gli arabi vivono
la maggior parte sotto tende, in
mezzo ai pascoli; i berberi o bre-
MAR loj
beri, i più antichi abitatori del
])aese, si dividono in due nazioni
distinte, cioè quella de' berberi pro-
priamente detti che abitano 1' At-
lante dalla parte orientale, e quella
dei chilluhi sparsa nelle montagne
delle Provincie di Tafilet e di Su-
sa; queste due nazioni si dividono
in tribù, come quella dei cabaili o
cabili, nella provincia di Fez, e
quella degli amazighi o chilluhi
in quella di Susa. La maggior parte
dei berberi si dedica alia coltiva-
zione e alla pastorizia, e professano
un maomettismo corrotto, avendo
ogni tribù un capo. I mori discen-
dono da un miscuglio di antichi
mauritani e numidi coi fenicii, ro-
mani ed arabi. Gli andalusi di'
scendono dagli arabi scacciati dalla
Spagna. I buccari sono negri com-
prali nella Guinea, che formano
una casta militare. Gli ebrei, i cui
antenati furono la maggior parte
scacciati dal Portogallo e dalia
Spagna, si occupano dei rami cont-
merciali e manifatturieri. I franchi
sono in piccolo numero, abitanti
nelle città di commercio. I zingari
seducono la credulità del popolac-
cio, vendendogli filtri e sortilegi.
In questo paese i poeti dell' anti-
chità posero il favoloso giardino
delle Esperidi, non più guardato da
un drago, ma da tigri con umana
faccia.
I marocchini, come tutti gli altri
maomettani, sono poco comunica-
tivi, e non si vedono che nei luo-
ghi pubblici; hanno un contegno
grave e silenzioso, e l'orgoglio na-
zionale fa loro disprezzare gli altri
popoli, specialmente i cristiani: nel-
le città la reclusione delle donne è
delle più rigide; quelle degli arabi
erranti e dei berberi sono assog-
gettate ai più duri lavori. Il popola
io6 MAR
è indolente , poco intelligenle, cu-
pido ed avido dei regali. In ge-
iiernle , strello osservatore della
Jegge niussidmana, pratica però cer-
te cerimonie religiose straniere a
questa legge, come quella di por-
tare ogni venerdì le provvigioni
sulle tombe dei parenti o degli
amici, cerimonie a cui i marabuti
assistono recitando delle preghiere.
1 marocobini riguardano i pellegrini
che ritornano dalla Mecca come san-
ti. La condizione degli schiavi cri-
stiani presso questo popolo crudele
ed inumano é orribile. Il governo
di Marocco è forse il più dispotico
e barbaro eh' esista sulla terra ;
l'imperatore che prende il titolo di
sultano o di Ralifat-allah (luogo-
tenente di Dio), non ha per legge
che la sua volontà. Non evvi di-
vano, muftì o capo di religione che
possa, come in Turchia, contrariare
le sue delerminazioni; da sé solo
decide della vita e de' beni de'suoi
sùdditi, bastando ai suoi ministri il
saper scrivere; però non può en-
trare neir interno delle famiglie, e
più ancora nei santuari dei dervis,
che servono spesso di asilo invio-
labile all'innocente perseguitato, al
colpevole, ed anco ai ribelli; è al-
tresì obbligato rendere la giustizia
in persona ovunque risieda; le sue
udienze hanno luogo due volte la
settimana, e lutti i suoi sudditi,
come ancora gli stranieri, vi possono
essere ammessi. La corte del so-
vrano è composta di un effendi o
letterato, eh' è il visir, d'un ciatn
bellano con aggiunti pel servigio
dell'imperatore fuori del serraglio,
e di un cadì eunuco pel servigio
interno; vi sono inoltre tre maestri
di cerimonie, e molti uffiziali del
j>alazzo incaricati delle scuderie im-
periali , dell' equipaggio di caccia,
M A R
della cucina, ec; tre ministri sono
alla testa dell' armata, della marin.i
e delle finanze; i governaloi'i ilelle
provineie e delle città, che portano
il titolo di bey, pascià o kaid ,
riuniscono i poteri militari, ammi-
nistrativi e giudiziarii; però nelle
città principali vi sono cadì o giu-
dici indipendenti, che sono inve-
stiti di una grande autorità. Oj^ì-
pressi e vessali dal sovrano e dai
cortigiani, tutti questi governatori
o giudici opprimono e vessano a vi-
cenda i loro dipendenti. Il soldato
non ha uniforme, ritenendosi l'ar-
mata per un ammasso di predatori,
di cui si serve il sovrano per la
riscossione delle imposte arretrate,
e trista la provincia che ne speri-
menta r indisciplinatezza. Quando
un ministro si è arricchito, non
manca il sovrano con qualche pre-
testo di spogliarlo. L'impero, come
tutti gli altri dispotici, è soggetto
a grandi rivoluzioni , ninna classe
essendo impegnata a sostenere il
sovrano, e la stessa guardia di ne-
gri mercenari del sovrano , fu a
questo spesso funesta detronizzan-
dolo per altro che gli dia maggior
salario. Il primo alto che fa il no-
vello sovrano del suo potere è quel-
lo comunemente di ordinare che i
suoi competitori siano strangolali,
benché parenti e fratelli.
L' impero di Marocco compren-
de una piccola porzione nella Mau-
rìliana Cesariciisej e tutta la Mail'
ritiana Tangilaiia o Tingitana. Que-
sta grande contrada soggiacque alle
medesime rivoluzioni del restante
dell'Africa settentrionale, finché se
ne impadronirono i romani. Sotto
il loro impero vi sparse il lume
della fede l'apostolo s. Simone, e vi
si fondarono diverse sedi vescovili;
e pili tardi anche in Marocco (Fé*
MAR
di), cillà capitale di questo impe-
ro, ed in Tanger o Tingis [Vtdt)
capitale della Muuriliana Taugita-
iia. Dai romani la regione passò
successi va niente nel dominio de'xan-
dalj, e da questi ai gieci nel VI
secolo sotto il regno di Giustinia-
no 1. Sotto quello di Eraclio, pri-
ma della metà del secolo VII , i
califi già dominatori della Siria e
dell'Egitto, non tardarono di sot-
tometterla, col mezzo de' loro luo-
gotenenti, che vi f'ojidarono molti
slati indipendenti. Queste diverse
dinastie arabe si disputarono lun-
gamente le loro conquiste , ed in
fine un rifortnatore della religione
mussulmana chiamato Abu alFin ,
uscito dal deserto nel secolo XI ,
acquistò una sì grande riputazione
di santità, che tutte le vicine tri-
bù si accolsero sotto la sua ban-
diera : i\ì esso il capo della dina-
stia degli Ahnoravidi o Morabiti o
Lumptuni, ch\^stesero il loro do-
minio in tutta la Barbaria, ed an-
che sulla Spagna. 11 vasto in>pero
formatosi, ricevetle il nome di Mo-
grab o dell' Ovest; nel secolo se-
guente questo grande impero fu
conquistato da nuovi settatori, gli
Almoliadi, il cui sovrano porta-
va il titolo di emir-al mumeinon,
ed anche di calilfo. Abbiamo dal-
l'annalista Rinaldi, che nel 1212
Alfonso IX re di Castiglia avendo
■\into in battaglia Miramomelino o
Mumillino re di Marocco^ mandò
le sue spoglie a Roma al Papa In-
nocenzo ili, fra le quali la di lui
lancia, ed uno stendardo tessuto
d'oro, che furono collocati in sito
eminente nella chiesa di s. Pietro,
*e siccome il principe maomettano
erasi vantato che avrebbe collocato
il proprio stendardo nella sommità
della basilica vaticana, si adempì
MAR 107
in ben altro modo. Nello stesso
tempo cinque discepoli di s. Fran-
cesco d'Asisi frati minori, Bernar-
do o Berardo da Calvi diocesi di
Narni, Pietro da Saufireminiano di
Toscana, Accursio, Adiuto ed Ot-
tone, mandati dal loro padie fon-
datore dell'ordine a predicale il
vangelo ai maomettani dell'occiden-
te, cominciarono la loro missione
dai mori di Siviglia. Questi infe-
deli fecero loro sollrire ujolte asprez-
ze, e infine gli scacciarono dal loro
paese. Da questo passarono al re*
gno di Marocco , e pel loro zelo
furono scacciati anche di là ; ma
essi lungi dal rimoversi dal loro di-
segno, vi ritornarono sperando che
il lume della fede ci avesse a tro-
vare almeno qualche cuore pieghe-
vole; in vece furono due volte sì
aspiamente battuti con verghe, che
loro rimasero scoperte le coste. In-
di il giudice fece versar sulle loro
piaghe olio bollente ed aceto , e
tiascinarli sopra frantumi di rotte
stoviglie. Poscia il re di Marocco
se li fece condurre innanzi, e colla
scimitarra ad ognuno tagliò la le-
sta a' 16 gennaio 1220. Si trasfe-
rirono i loro corpi in Coimbra, e
Sisto IV nel 14B1 li pose nel ca-
talogo de' santi. Nel 1221 in Ceu-
la nella Mauritiana Nangitana, a'io
ottobre furono dai maomettani mar-
tirizzati i frati minori Daniele To-
scano, Angelo, Samuele, Donolo o
Donno. Leone; Ugolino e Nicolò,
de'qdali Leone X nel i5i6 appro-
vò il culto di martiri.
Nel secolo XllI gli Almokadi ili
continuo assaliti da molti rivali, fu-
rono obbligati di cedere i regni di
Fez e di Marocco ai M eriniti ; que-
sta nuova dinastia, più gelosa di
conservarsi in dominio, che di ren-
derlo maggiore, non pensò a rista-
io8 IVIAR
bilire il gruiitle impero di Mogiab.
Infine nel 1 54? uno scerilVo di-
scendente da Maometto, cliiamato
Muley Aly, pose nn termine alla
dominazione dei Meliniti: devoto,
\irlnoso e costantemente occupalo
delia felicità de' suoi popoli, mori
universalmente compianto nel 1664.
1 suoi successoli , che ancora re-
gnano in questa contrada, non mol-
to imitarono il suo esempio. Si sa
poi che gli spagnuoli ed i porlo*
ghesi, appena ebbero liberato i lo-
ro paesi dai mori, portarono la
loro guerra in Africa. I portoghesi
che vi fecero maggiori conquiste
incominciarono i loro attacchi nel
14» 5, colla presa di Ceiita (Fedi),
sede vescovile (di cui ora n' è ve-
scovo monsignor Giovanni Barragan-
y-Vera dell' ordine di s, Giacomo
della Spada di Leon, fatto da Gre-
gorio XVI a' 1 5 marzo 1 840 ), e
nel i5o8 regnavano sull'intiera
costa sino a Mogador; così non fu-
rono giammai tranquilli nei loro
possessi, e i vantaggi che ne ri-
traevano coprivano appena le spese
inseparabili di im continuo stato
di guerra. D. Sebastiano piissimo
re tli Portogallo, pensando che l'in-
terno del paese gli sarebbe di una
piti grande olili là, e che vi avreb-
be propagato la religione cattolica ,
di cui era zelante, ne intraprese la
conquista. Il Papa Gregorio XIII
temendo la dinicoltà della riuscita
procurò distorlo, ma invece da lui
pregato dovette condiscendere ed
accordargli il soccorso di i5o,ooo
scudi sopra i beni ecclesiastici , ed
altri aiuti gli concesse. Ma il re
Sebastiano con un imprudente va-
lore vi perì con tutta la sua ar-
mata nel 1578, in una battaglia
che diede nelle pianure di Alcazar,
e a poco a poco gli europei fu-
M A R
rono scacciali da lutti i porti che
occupavano. Gli spagnuoli vi con'
servano ancora le piazze di Ceuta,
Penoii di Velez, Albucemas e Me-
lilla, da dove gì' imperatori di Ma-
rocco tentarono invano di scacciarli,
specialmente nel 1774. Nel secolo
XVII esisteva una missione con
prefetto nel regno di Marocco, e
nel t. I dell' Appendix p. 2 1 5 del
BidL. de prop. fide, si legge il breve
Ex debito, de' 3 novembre 1637,
con cui Urbano Vili concede al
prefetto della missione la facoltà
di ricevere i testamenti e codicilli
de' cristiani schiavi nel regno. Lui-
gi XIV ebbe sovente motivo di far
la guerra agli stati barbareschi, le
cui piraterie inquietavano il com-
mercio francese nel Mediterraneo.
Nel 1669 dopo alcune ostilità nel-
le quali i legni marocchini avevano
avuto la peggio, l'imperatore man-
dò a Luigi XIV in ambasciatore a
Parigi AbdallaliBen-Aischa ammi-
raglio di Sale, che vi fu trattato a
spese dello stato magnificamente,
ed il 16 febbraio fu nelle carrozze
di corte condotto a Versailles al-
l'udienza reale; quattordici suoi servi
lo precedettero a cavallo. Offrì l'am-
basciatore a Luigi XIV alcuni pre-
senti in nome del suo padrone ,
cioè una sella ricamata in una
pelle di tigre, ed un gran numero
di pelli di altri curiosi animali; ma
r ambasciatore partì dalla Francia
senza aver nulla conchiuso, benché
dotato di molto spirito.
Gran contentezza provò il Pon-
tefice Clemente XII nel vedersi in
Roma a'suoi piedi, nel 1733, Mu-
lei-Abdar-R.ahman, nipote del re di
Marocco, che volendo togliere il
regno allo zio fu imprigionato; ma
fuggito in Ispagna, recossi all'alma
città per abiurare gli errori del mao*
MAR
melfisiiio ed abliracciare la callolica
religione. Dopo di essere in questa
stalo bene istruito, a' 16 marzo fu
dal nipote del Papa cardinal Gua-
dagni vicario di Roma, solennemen-
te battezzato in s. Pietro coi nomi
di Lorenzo Bartolomeo , tenuto al
sacro fonte dall'allro nipote del Pon-
tefice principe d. Bartolomeo Corsini
in nome dello zio, per cui il primo
nome era quello avuto da lui nel
battesimo. Clemente XII assegnò al
principe africano una pensione di
cento scudi al mese, che egli godè
con esempi a rissi ma condotta sino
agli II febbraio 1789 in cui pia-
niente morì, restando sepolto in un
deposito che gli eresse lo spa-
gnuolo cardinal Belluga con ono-
revole iscrizione , nella chiesa di
s. Andrea delle Fratte, da un lato
della porlicella. Lo stesso Clemen.
te XII col breve Niiper prò par-
te^ de'22 agosto 1738, presso il
citalo Bull. tom. Il, pag. 244,
confermò il decieto della congre-
gazione di propaganda fide^ sopra
le facoltà concesso al p. prefetto
apostolico de' minori scalzi di s.
Francesco, delle missioni di Mequi-
nez nel regno di Marocco, e sul-
l'istituzione di un procuratore delle
medesime missioni nel castello di
Matrili diocesi di Toledo.
Dal primo marzo 1799 esiste fra
la Spagna e Maiocco un trattato di
commercio e d'amicizia, in virtù del
qjiale queste potenze godono reci-
procamente del diritto di avere dei
possessi nei due stali, senza che la
diversità della religione e de'coslu-
mi vi apporti pregiudizio. Nel 181 5
scoppiò in Marocco una sedizione
che fu soffocata a slento; trenta-
mila uomini perdettero la vita in
una sola battaglia. Si può consul-
tare Straberg, Specchio geografico
MAR 109
e stclislico dell'impero dì Marocco^
Genova 1834. Da ultimo la Fran-
cia avendo fatto energiche rimo-
stranze all'attuale imperatore di Ma-
rocco pegli aiuti che dava al fa-
moso Abdel Kadei', di cui parlam-
mo all'articolo Mano a selle diUt
(Vedi), pei gravi danni che ad essa
recava nei suoi possedimenti d' A-
frica neir Algeria, i due governi
con reciproca soddisfazione si sono
pacificati, avendo il marocchino con-
disceso ai desiderii del francese. Tut-
tavolla si rileva dalle ultime noti-
zie che Abdel Kader per la simpa-
tia che trovava in diverse tribù
dell'impero, e per la debolezza del
governo, vi si comportava non al-
tri nienti che se fosse stalo in casa
propria. In quasi tutta la Baibaria
Abdel-Kader esercitava più influen-
za e più potenza reale, che non il
sultano o imperatore, procedendo
come quasi le di tutti i marabutti
del paese ; anzi il porto di Tetuaii
era divenuto il principal punto per
cui AbdebKader e i suoi agenti
comunicavano con Gibilterra, ove
egli avea corrispondenti per aiuto
di denari ed armi. Negli ultimi del
1846 la Francia spedì un'amba-
sciata all'imperatore di Maiocco,
nella stessa capitale del suo impe-
ro, dove si dice nessuno ha pene-
trato ancora in un modo officiale,
gli ambasciatori essendosi per l'ad-
dielro arrestati a F'ez ed a Me-
quinez. Dicono alcuni che nel-
l'impero di Marocco vi siano con-
venti o ospizi di missionari re-
ligiosi a Marocco, Mogador, Tan-
ger e Mequinez, esposti per altro a
vessazioni. Certo è che lo stato della
prefettura apostolica della missione
di Marocco è il seguente. La pre-
fettura è diretta da religiosi france-
scani della riforma di s. Pietro d'Ai-
I !• MAR
rnntarn delb provincia di s. Diego
di Spagna. Il ministro provinciale
lì' è il prefeUo , che vi spedisce i
ìcligiosi dello stesso ordine e pro-
vincia per un decennio, e vi tiene
ììtì vice-prefello, die rei 1837 vi
lii fatto il p. Gitiseppe Paronollin.
Terminato l'ufTicio di provinciale ,
il successore eletto chiede le flicollà
di prefetto alia congregazione di
propaganda fide^ ed il permesso di
potervi spedire missionari. Le vi-
cende politiche della Spagna , la
soppressione dì que' conventi , de-
vono avere resa peggiore la condi-
r.ione di questa missione, cui i re
di Spagna solevano sovvenire con
limosine, non essendo la missione
a carico di detta congregazione quan-
to al mantenimento. Un missiona-
rio chiamò il luogo, la regione di
Tìtarfe. Piccola è la cristianità, es-
sendo di circa trecento ; ed i luoghi
delle missioni sono Marocco, Fez,
Mequinez, Felun , Tanger e Te-
tnan. Vi sono due chiese, ed il ve-
scovo di Centri suole deputare un
sacerdote per amministrar la cresi-
ma ai cattolici.
MAROCCO o MAROCHIUM.
Ci Ita vescovile della Barba ria iti A-
frica, capitale dell'impero di Ma-
rocco e della provincia del suo no-
me, ed ordinaria residenza dell'im-
peratore, posta in una deliziosa e
fertile pianura , abbellita da ben
ordinati gruppi di arboscelli, e ba-
£;nnta da vari ruscelli, che discen-
dono dall'Atlante e la rendono più
fimena e pittoresca, presso la riva
sinistra del Tensif. È cinta di muia
altissime, assai grosse, con calce e
.sabbia mescolata con terra grassa,
rhe forma un cemento durissimo ,
fiancheggiale da torri con baloardi
interni, e precedute da una larga
fossa esterna ; in questo circuito di
MAR
circa tre leghe sonovl numerose
rovine, grandi giardini e vasti ter-
reni. U palazzo imperiale che in
forma di cittadella domina la città,
ne occupa la maggior parte verso
il sud-est, e le sue mura possono
avere circa una lega di circonfe-
renza ; è questo un'unione di pa-
diglioni e di corpi di case fran)mi-
schiati di cortili, piazze e giardini,
dominati dalla torre della grande
e bella moschea eretta da Muley-
Abdallah. 1 padiglioni abitati dal-
l'imperatore portano i nomi delle
principali città dell'impero; gli al-
tri edifizi sono occupati dai gran
dignitari, dagli eunuchi e dalle o-
dalische. Nel circuito del palazzo
stanno anche l'arsenale, il vecchio
castello omadarassa, i vasti ma-
gazzini a grani dei sovrani, gli an-
tichi magazzini a biade, che sono
fatti a Tolto, e dove sono rinchiusi
gli schiavi cristiani, un mercato per
le derrate, ec. La parte di Maroc-
co che si chiama Al-Kaiserah ha
pure un circuito particolare, eh' è
quasi di mezza lega; essa sta fra il
palazzo ed il restante della città ;
quindi si vede mi mercato ben for-
nito, e molte case rovinose, ed è
questa parte popolala da mercanti
mori ed ebrei ; questi ultimi sono
rinchiusi ogni sera nel loro sepa-
ralo quartiere. Marocco ha molte
piazze e mercati, che come le stra*
de non sono lastricate ; l' interno è
triste, perchè le case, di un appar-
tamento solo quasi tutte, hanno di
rado le finestre sulle strade; le in-
ferriate del maggior numero guar-
dano una corte interna che d' or-
dinario vedesi adorna di una fon-
tana^ la quale rinfresca l'atmosfè-
ra e serve alle abluzioni ordinate
dal Corano. Gli accessi delle case
de' cittadini più illustri sono sem-
MAR
pre formntl tli viottoli stretti e tor-
tuosi, onde potersi agevolmente di-
fendere nelle commozioni popolari
o nelle frequenti guerre intestine.
Fra le moschee di Marocco, se ne
distinguono sei grandi; le più no-
tevoli sono quelle dette Kautoubia,
Muezzin, e Bonious veramente ma-
gnifica, e quella che sfa nel circui-
to del palazzo, fabbricata da Abdul-
lìiumen secondo re di Marocco, e
che suo figlio Jacob Almanzor ab-
belb con molte pietre di pregio ,
che fece trasportar dalla Spagna ,
insieme colle porte della chiesa mag-
giore di Siviglia, coperte di pezzi
di bronzo di ammirabile lavoro ;
portava sulla cima della sua torre
quattro palle di rame ricoperte d'o-
ro, di una graduata grossezza, e che
pesavano unite 1200 libbre: quan-
timque la superstizione le credesse
incantate, pure verso il i54o Mu-
ley Hamet non temette di fiule le-
vare. Marocco ha un serbatoio di
acqua in cui si riuniscono un'infi-
nità di sotterranei acquedotti che
lutti conducono le acque dall'Atlan-
te, le cui nevose sommità rinfre-
scano l'atmosfera, e l'aria vi è sa-
na. Gli abitanti sono sucidi , e le
loro case piene d' insetti incomodi
e velenosi; ascendono a circa 3o,ooo,
che nei tempi prosperosi della città
si fecero arrivare quasi a 700,000,
perchè le guerre sanguinose e le
fiere pestilenze la spopolarono. Ma-
rocco ha nove porte, che in alili
tempi erano ventiquattro.
Marocco si crede da alcuni che
corrisponda all'antica Bocomun- Hc'
menun, ove eravi un vescovato pri-
ma del dominio de' mori. Secondo
l'opinione coimme fu fondata nel
io52, o 4^4 dell'egira, da Abu-al-
Fin primo re degli Almoravidi o
Lomptuni, e videsi pvoul^ mente e-
MAR MI
retta ed abbellita di tuttociò che
l'oigoglio e la voluttà fecero im-
maginare di più comodo e magni-
fico. Nel secolo di Ali-Ben-Yussuf
suo figlio essa godeva della mag-
gior prosperità, assicurando molli
autori che la sua popolazione ascen-
deva allora a circa un milione di
abitanti ; egli è fuor di dubbio, che
se anche questo numero si vuole
esageralo, pure la sua superficie in-»
dica essere stata popolatissima. De-
ve la sua decadenza alle rivoluzio-
ni di cui fu spesso il teatro , alla
tirannia dei sanguinari suoi capi,
alla peste del 1678 che costò al-
l'impero tre o quattro milioni di
abitanti, a quella del 1799 che ne
fece perire quasi tremila al giorno,
alla devastazione ed alla carnifìci-
na che ne fece Muley Elyezid , al-
lorché la prese d'assalto, ed infine
alla non perenne dimora del sovra-
no e della sua corte. Al presente
Marocco, Marochie/i, è un titolo ve'*
scovile in partìbus che conferisce
la santa Sede. Alessandro VII lo
conferì a Valerio Maccioni san-
marinese, vicario apostolico del-
la Sassonia inferiore e commissa-
rio della santa Sede ne' ducati di
Brunswick e nelle provi ncie con-
vicine. Ne furono ultimi a portar-
lo, il suffiaganeo di Breslavia Car-
lo Alok o Aulock, fatto da Leone
XII; e monsignor Maria Nicola Sil-
vestri Guillon prete di Parigi , a
cui glielo conferì Gregorio XVI nel
concistoro de' 1 7 dicembre i832.
MARONE (s.), abbate. Viveva
ritirato sopra un monte non lun-
gi dalla città di Ciio, e nell'anno
4o5 fu per la sua santità innal-
del sacerdozio,
consumava giorni e botti
mliere nella preghiera : era usato
di pregare in piedi , e sólo nella
zato alla dignità
Egli
Ili MAR
vecchiaia concedeva alcun allevia-
nienlQ al suo corpo, appoggiando-
si ad un biistone. Diceva poche
cose a coloro che andavano a vi-
silarlo, per non inlerrotnpere la
sua contemplazione ; tuttavia acco-
gli'evali con molta bontà, e con-
fortavali a rimanere con lui. Iddio
guiderdonò le sue flitiche con ab-
J)()ndevoli grazie, e col potere di
guarire ogni sorta d'uifermità. Eb-
be un gran numero di discepoli, ,
e fondò parecchi monasteri nella
Siria. San Gio. Crisostomo avealo
in sì grande riputazione, che gli
scrisse da Cucuso, ov' era esiliato,
per raccomandarsi alle di lui pre-
ghiere. Morì verso l'anno 4^3; ed
il suo corpo fu trasportato in un
borgo vicino, ove venne edificata
una gran chiesa sopra la sua tom-
ba. I greci l'onorano a'i4 ^' feb-
braio ; ma i maroniti ne celebra-
no la lèsta ai 19 dello stesso mese.
V. Maroniti.
MARONEA o MARRONEA.
Maronia, Marogna. Sede vescovile
della provincia di Rodope, sotto la
metropoli di Traianopoli, nella dio-
cesi ed esarcato di Tracia, situata
airiruboccatura del fiume Nesto
vicino al mare Egeo. Fu eretta in
vescovato nel V secolo, in arcive-
scovato onorario nel VI, e secondo
Coramanville nel IX, e nel XV gli
venne unito quello di Traianopoli
dacché questa città fu distrutta, pas-
sando l'arcivescovo a risiedere in
IVIaronea. Al presente Maronea o
Marogna è un borgo della Turchia
europea nella Romelia, sangiacato
presso l'Arcipelago, /l primo ve-
scovo di Maronea fu Alessandro
che sottoscrisse la lettera del conci-
lio di Sardica alle chiese; gli suc-
cesse Timoteo, che Palladio pose nel
numero de' vescovi esiliati per aver
MAR
sostenuta la causa di s. Giovanni
Crisostomo. Quanto agli altri ve-
scovi fino a Gabriele II, il quale
sedeva nel 172 i, ne tratta il p. Le
Quieu, Orieiis chrìxt. t. I, p. i 196.
Attualmente Maronea, Marroneay
seu Marionen, sotto l' arcivescovato
in partibus di Traianopoli, è un ti-
tolo vescovile in partibus che con-
ferisce la santa Sede, e [>er ultimo
lo portarono Giuseppe Mora, per
morte del quale Gregorio XVI nel
concistoro de' 3 settembre i83i
die in successore monsignor Nicola
Ferrarelli romano, professore del
testo canonico nell' università roma-
na, che poi fece canonico Liberia-
no e segretario della congregazione
della visita apostolica. Quindi a' 1 3
maggio i836 fece vescovo di Ma-
ronea , e primo vicario apostolico
dell'Oceania occidentale l'odierno
monsignor Giovanni Battista Pom-
pallier della congregazione de' ma-
risti.
MARONI Cristoforo, Cardina-
le. Cristoforo Maroni romano, che
in uu diario ritrovato dal Mura-
tori nella biblioteca dei duchi di
Massa si chiama Manoni, chiaro
per lo splendore delle virtù, fu da
Bonifacio IX a' 18 dicembre 1389
creato cardinale prete del titolo di
s. Ciriaco, vescovo d' Isernia, arci-
prete della basilica vaticana, ed ab-
bate commendatario del monastero
de' ss. Bonifacio ed Alessio sull'A-
ventino, il quale fu dal detto Papa
incorporato a detta basilica ; ben-
ché ciò non ebbe effetto che dopo
la morte del cardinale avvenuta in
Pioma nel i4o4> ^opo essere inter-
venuto all'elezione d'Innocenzo VH,
venendo sepolto in s. Pietro nella
cappella di s. Gregorio , o presso
quella di s. Tommaso, in una tom-
ba di marmo adorna di sacre im-
I
MAR
magini e della statua del cardina-
le, o fregiata di un nobile epi tallio
in versi, rovinata poi nel i^j^in
occasione di rifabbricarsi la nuova
basilica. Bonifacio IX ebbe in tan-
to pregio questo cardinale, che in-
sieme col cardinal Francesco Car-
bone e Bartolomeo Carafa priore
gerosolimitano di Roma, lo destinò
arbitro in una gelosa causa, che
quel Papa avea con Paolo Savelli
barone romano, riguardante alcu-
ni castelli, che dal cardinal Maro-
ni fu aggiustata con soddisfazione
d'ambe le parti.
MARONITE, Monache. F. Ma-
roniti.
MARONITI, Monaci. F. Ma-
roniti.
MARONITI o MARRONITI,
Maronitae. Popoli della Turchia a-
siatica nella Siria, abitanti princi-
palmente il paese di Kesroano o
Kesrauan, coperto di ramificazioni
del Monte Libano ( Vedi) nel sud
del pascialatico di Tripoli, e go-
vernati da un ecnir, che comanda
anche ai drusi. La famiglia dell'e-
mir prima era turca maomettana,
dipoi si fece cattolica : al presente
non è più al comando della re-
gione, ed il Libano è governato da
un pascià turco. I maroniti sono lo-
dati per ospitalità generosa, essendo
l* agricoltura la principale loro oc-
cupazione. Questo popolo fu così
chiamato dal V secolo, dai monaci
maroniti che riconoscono per fonda-
tore e padre il santo abbate Ma-
rone, il culto del quale difesero
dalle altrui calunnie Teodoreto, s.
Giovanni Crisostomo , Benedetto
XIV, ed altri. È la caratteristica
de' maroniti trovarsi la nazione
tutta unita al capo della Chiesa cat-
tolica, e costituire una bella por-
zione della vigna del Signore. Ciò
VCL. XLIII.
MAR ii3
che que«ta nazione è al presente,
lo Ui ancora ne* secoli trascorsi.
Oppressa dagl' infedeli, perseguita-
ta dagli scismatici , insidiata dagli
eretici, si conservò pura nella fede,
come rosa fra le spine, senza mai
allontanarsi di un passo dall'apo-
stolico ossequio e dalle cattoliche
verità. Questa è la più numerosa
delle nazioni orientali cattoliche, e
più delle altre nel rito si avvicina
al latino. Usa il calendario grego-
riano, e con.sacra in azimo nel
sacrifizio della messa, quale possono
dire anche più sacerdoti, che uniti
intorno all' altare portando una
semplice stola assistono il celebran-
te che fa ad essi la comunione : i
secolari in coro assistono agli uf-
fizi divini, sì di giorno che di not-
te. Lasciarono la disciplina greca
quanto alla messa de' presanlifìcati
nel venerdì santo. Anche la forma
degli abiti sacri non dissomiglia
da quella dei latini. In quanto pe-
rò al matrimonio, il clero secolare
segue la disciplina degli altri orien-
tali. Ai sacerdoti semplici, e molto
più ai diaconi e suddiaconi, è per-
messo avanti che ricevano l'ordine
sacro il prendere moglie. Il sa-
ceidote maronita procuratore del
patriarca di questa nazione, resi-
dente in Roma, al presente è mon-
signor Nicola Murad maronita, na-
to nel Monte Libano nel 1797, e
dal Papa Gregorio XVI fatto ar-
civescovo di Laodicea in pattibiis
a' 5 novembre i843. Il vescovo sud-
detto, e gli altri vescovi maroniti
che si trovassero in Roma hanno
luogo nella cappella pontificia tra
i vescovi orientali, e nelle cappelle
ordinarie assumono un mantello o
ampio piviale di drappo di seta
paonazza, portando intorno al collo
e cucita sul piviale una specie di
8
ii4 MAR
mozzetta o stola di seta bianca
con ricami d'oro. Quando tutti i
vescovi nelle pontificie funzioni as-
sumono gli abiti sacri, altrettanlo
fa il vescovo maronita, che secotj.
do il costume orientale si lascia
crescere la barba. U vescovo ma-
ronita usa l'anello e la croce pet-
torale, non che il bacolo pastorale
sovrastato dalla croce. I maroniti
non si scuoprono il capo entrando
in chiesa, neppure durante la mes-
sa, né quando si canta V uffizio in
coro, poiché nel loro paese hanno
sempre la testa coperta d'una ber-
retta ornata d'una fascia bianca, o
nera rigata di bianco o di qualche
altro colore; ma quando si legge
il vangelo , o si fa l' ostensione
delle specie sagramentali si scuo-
prono la testa, e si pongono ge-
nuflessi per dimostrare il loro an-
nientamento avanti Dio. I maroniti
non digiunano nelle quattro tem-
pora, né nelle vigilie de' santi, ma
incominciano la loro quaresima al-
la domenica di quinquagesima, e
digiunano per sette settimane, ec-
cettuati i sabbati ed i giorni festi-
vi . Nei mercoledì e venerdì di
tutto l'anno essi non mangiano né
carni, né ova, e non prendono al-
cuu cibo prima del mezzo giorno.
Si astengono altresì dalle carni e
dai latticinii venti giorni prima di
Natale, quattordici giorni prima
della festa del principe degli apo-
stoli, ed altrettanti prima dell' As'
sunzione. Oltre l'olflzio ordinario
de' santi, i maroniti hanno un of-
fizio propiio, assai lungo, per la
quaresima ; nelle cui tre prime set-
timane tutto l'offizio è del digiuno;
nella quarta e quinta dei miracoli
di Gesù; nella sesta della festa del-
la palma ; nella settima della pas-
sione. Quanto ai riti de' maroniti
MAR
ai rispettivi luoghi non manchiamo
parlarne, e della liturgia loro ne
trattammo nel voi. XXXIX, p.
5o del Dizionario. La gerarchia
ecclesiastica de'maroniti si compone
d'un patriarca, di sette arcivesco-
vi, di alcuni vescovi, di circa cin-
quecento preti secolari, di circa
mille seicento monaci, de'quali sei-
cento e più sacerdoti che seguono
la regola di s. Antonio in tre di-
stinte congregazioni, olire le mona-
che , ed hanno collegi ed ospizi
nazionali. Nel voi. Il, p. lyS del
Dizionario si parlò del paliiarcato
antiocheno de' maroniti, della sua
origine, del clero, dell' elezione del
patriarca, della residenza di esso
nel Monte Libano presso il mona-
stero di Canobin o Rauubin; co-
me il Papa lo approva a mezzo
della congregazione di propaganda
fide ; dei monaci e delle monache,
e che i cattolici maroniti superano
i centocinquantamila, sebbene alcu-
ni li fanno giungere a duecento cin-
quantamila, ed altri al doppio. Fe-
di il Terzi, Siria sacra p. 3o6 :
della nazione maronita^ ed il p.
Le Quien, Oriens christ. t. HI,
p. 46.
La nazione maronita non da Gio-
vanni Marone abbate eretico, che
visse nei primi anni del VII secolo
sotto l'imperatore Maurizio, come
con altri scrisse Guglielmo arcive-
scovo di Tiro, De beli. sac. Ilb.
22, e. 8 ; ma ripete l'origine da
un pili antico Marone santo ana-
coreta rinomatissimo nel Libano
e in tutta la Scria, padre e mae-
stro di molti santi uomini, che
fiorì sul finir del IV secolo regnan-
do l'imperatore Arcadio (di altro
s. Marone probabilmente romano,
primo martire ed apostolo del Pi-
ceno, ne parlammo all'articolo Ma-
MAR
CERATA, Iraltando di Chùtanova di
cui è patrono). Esaltò la di lui vir-
tù Teodoreto suo conletiiporaneo;
la conitneiidaroiio i padri del con-
cilio di Calcedonia ; e" s. Giovanni
Crisosloino, die pur visse al di lui
tempo, e lume della chiesa orien-
tale, neUa lellera 36 lodò le sue
eroiche virtù, raccomandandosi alle
vsue orazioni. JNon nien chiara me
moria se ne ha registrata presso s.
Basilio e presso s, Girolamo. Nel
menologio greco, non che nel marti-
rologio romano è annoverato tra'san-
li, e della sua virtù e miracoli ne
scrisse con eleganza il p. Rosveido.
Benedetto ^IV colla lettera Inter
rae/f/Y/, de' 2 8 settembre lySS, pres-
so il 9>no Bull. t. IV, p. i3i, dopo
aver gravemente biasimato la con-
dotta di Cirillo patriarca de' greci
nielchitì, per avere in odio de'ma-
roniti tacciato di eresia s. Marone
loro padre, e lacerale le di lui im-
magini; e dopo di avere in essa
enconwata la di lui santità, con-
chiude essere stata sempre mente
della Sede apostolica, e sentenza di
tutti gli uomini eruditi doversi at- •
Uibuire a Marone gli onori di san-
to. Anzi nel Bull, de propaganda
fide, Jppendix t. Il, p. io 6, si
legge il breve dello slesso Papa,
Jnclyta maronilaruni de orlhodoxa
fide, emanato a' i2 agosto 1744»
col quale concesse indulgenza per-
petua in tulle le chiese de' maro-
niti, nella festa di s. Marone abbate
a' 9 lebbraio. Narra Massimo ve-
scovo di Cipro, che Marone fondò
molli monasteri nella Siria, i quali
poi divennero seunnari donde de-
rivarono alla Chiosa soggetti insigni
per santità e dottrina, e negli alti
del concilio 11 di Costantinopoli
t rinomati. Celebre fra lutti fu quel-
MAR ii5
moria sua eretto nell'impero di
Marciano, dal quale poi uscirono
trecentocinquanta valorosi che per
la fede ortodossa sparsero il san
gue sotto Severo ed Anastasio im-
peratori, registrati nel martirologio
romano a'Si luglio. Venerabile non
meno fu quello fondato in Costan-
tinopoli, i cui monaci propugnaro-
no la fede ortodossa de' loro ante-
nati contro Nestorio e Giacomo
Baradeo capo della setta de' seve-
riani ; laonde ad imitazione degli
eustaziani difensori del concilio ni-
ceno, cognomi naronsi Maroniti.
Da questa fede apostolica una
volta abbracciata, la nazione maro-
nita non ha giammai deviato punto,
com'è chiaro per irrefragabili mo-
numenti ; anzi la conservò sempre
e in ogni luogo, come la conserva
tuttora, sana, pura, illibata, e con
tale uniformità di sentimento in
ogni suo individuo, che sebbene ^
questi furono e sieno numerosissi-
mi, ed altronde circondati per ogni
parte da infedeli, eretici e scismati-
ci, pure non furono mai suscitate fra
loro questioni intorno alla fede;
ne furono mai disuniti per isci-
sma, ne v'ebbe giammai parte di
essi che macchiasse la purità del-
la cattolica dottrina, come altre-
sì osservò costante l'uniformità del-
la disciplina. Non si deve attende-
re a ciò che da alcuno incautamen-
te si è detto, che la nazione ma-
ronita fu una volta infetta di mo-
notelismo, mentre tale asserzione
viene da reputati storici e da do-
cumenti pontificii apertamente con-
futata. Fra gli altri scrisse su tal
proposito il professore di storia ec-
ilesiastica nell'università romana d.
Gio. Battista Palma nel t. II, p.
i38 e seg. delle applaudite Prtìfe/f^c^.
hist. eccL, ove chiaramente dimo-
ii6 MAR
stro» che tanto Mosheim, quan-
to gli altri s'ingannnrono a gran par-
tito nel pretendere che questa na-
zione abbracciò nna volta gli erro-
ri di quella setta ereticale, allegan-
do, come essi fanno, per unico fon-
damentale motivo , essere questi
chiamati Mardaiti per indicare che
una volta tralignarono dalla fede
circa il domma cattolico opposto
alla monotelitica eresia. Ma è certis-
simo, dice il prelodato scrittore ,
che questo soprannome fu una volta
dato ai maroniti, non perchè ia loro
fede fosse venuta meno, ma perche
ribellaronsi a Costantino III Pogo-
nato dopo la metà del secolo VII,
che non prendeva cura di difendere
le loro terre dalle incursioni de 'sa-
raceni che avevano già occupato
Damasco, fatta una grandissima stra-
ge, e depredati tutti que'contorni; ed
avendo finalmente scacciato da tutto
il Libano, insieme ai saraceni, tut-
ti gli eretici che ivi si trovarono,
e ciò in seguito di un decreto dai
vescovi per conservazion della vera
fede emanato, in vigore di cui ve-
niva interdetto ad ogni infedele
eretico rabitare in quel celeber ri»
mo monte, come leggesi nella cro-
naca de' maroniti) laonde questi fu-
rono con voce siriaca o araba ap-
pellati Mardaiti^ che vuol dire ri-
belli f ciò che dimostra ad evidenza
Fausto Nairone dotto maronita , e
professore di lingua siriaca nel!' uni-
versità romana, nella Dissertatio de
orìg. noni, ac relig. 31aronitarunt,
Romae 1679. Questa fu Tunica
ragione, dice il p. Pagi nella sua
critica agli annali del Barouio, al-
l'anno 635, n.° i3j per cui i ma-
i-onili furono dagli eretici per odio
chiamati Mardaiti In fatti, osserva
il citato Nairone, non si legge mai
nelle storie questo nome Mardaiti
MAR
prima dell'impero del Pogonalo^ ne
dopo die i maroniti tornarono al-
l'obbedienrii YcviO r imperatore di
oriente. Il che diinosira non essere
questo nome proprio della nazione
maronita, oppure non essere la me-
desima cosa il dire maroniti o mar-
daiti. Riporta di più il dotto Pal-
ma nel citalo luogo , per rigettar
({iiesta calunnia, l'argomento ad-
dotto fra gli altri dall'eruditissimo
e delle cose orientali peritissimo
Giuseppe Assernani, Dibliollu orietit.
pag. 293, t» I, ove riflette che gli
antichissimi calendari maronitici of-
frono un argomento evidentissimo
per convincere, aver essi avuto sem-
pre in orrore la setta de'monolelitij
imperocché in que* calendari viene
celebrala la memoria del sesto sino-
do generale tenuto per condannar
questa setta coi suoi errori, ed inol-
tre contengonsi in que'libri vetusti
monumenti ecclesiastici della chiesa
maronitica, cioè quasi tutti que' san-
ti che hanno grandemente resistilo
al monotelismo, come i ss. Sofro-
nio vescovo di Gerusalemme, An-
drea cronografo, Massimo martire,
e Martino I sommo Pontefice. Mentre
in questi stessi calendari non si fa
alcuna menzione di alcuno di quei
che favorirono il monotelitico erro-
re, come nota 1' Assernani.
La credenza dei maroniti non
andò giammai disgiunta da una in-
dissolubile unione, dal profondo ri-
spetto ed intera soggezione dovuta
alla Chiesa romana, madre e mae-
stra di tutte le chiese. Perchè es-
sendo questa nazione oltremodo cre-
sciuta, e fatta padrona della Siria e
Fenicia, come narrano Teofane, Cc-
dreno ed altri, e determinandosi a
(are elezione di un particolare pa-
triarca, yi^o scy come dice Benedetto
Xiy nella sua allocuzione recitala
]\JAR
nel concistoro de' iS luglio 1744?
ab ea contagìono (monothelitarum
scilicet haei-esis in patriaicatum on-
lioclienum gi-assautis) ìntegros ser-
varent (il che avvenne verso 1* an-
no 68 (] o 687 nella persona di
». Giovanni JVIarone, uno dei tno-
naci del santo anacoreta Marone) ;
furono subilo umiliati gli atti del-
l'elezione al Papa 8. Sergio I di
Antiochia, dal quale si ottenne la
conferma e il pallio per il nuovo
patriarca . Uno squarcio analogo
della memorata allocuzione si ri-
porta nel voi. XII, p. 96, degli
annali delle scienze religioso^ ove
ii legge un bellissimo articolo in
difesa della cattolicità de' maroniti,
contro la gazzetta piemontese de'28
agosto 1840. Il quale alto di som-
missione della nazione al romano
Pontefice s. Sergio 1, o di ricono-
scenza del di luì primato di giurij»-
dizioue sopra tutta quanta la Chie-
sa, non solo in quella elezione del
primo patriarca maronita, ma fino
ai giorni nostri fu Senza interru-
zione veruna costantemente conti-
nuato. Che so la nazione maronita,
come vedremo, rimiovò in appres-
so gli atti della sua unione colla
santa Sede, ciò non è prova che la
fede di quella nazione in avanti
mancasse, ma bensì di divozione,
di atlaccamento e di riverenza
verso il centro della cattolica unità.
ì^éV appendi xi. 1, p. i del Bull, de
prop. fide è riprodotta la costitu-
zione d'Innocenzo III, 7 nonas
jannarii 1207, Quia divina Sapien-
tia, colla quale concesse molli fa-
vorì al patriarca, arcivescovi e ve-
scovi maroniti; Fenerahilibus fia-
trihiis Hieremiae patriarchae^ sive
primati j archiepìscopis^ et episcopisj
et dilectis filiis pnoribus, clero , et
popido maronilano. Alcuni patriar-
MAR 117
chi aggiunseix) al loro nome pro-
prio quello di Pietro, in onore del
principe degh apostoli, eh' ebbe
la sua prima sede in Antiochia.
Giacomo dì Vitry vescovo di To-
lemaide, e contemporaneo, attesta
che il patriarca de* maroniti si re-
cò nel I2r5 in Ptoma al concilio
generale di Laterano IV (Ved^)^ ce-
lebrato da Innocenzo HI, al qual
articolo dicemmo che si chiamava
Giona.
Il patriarca de'maroniti fu in se-
guito dichiarato patriarca antio-
cheno da molti Papi, e princi-
palmente allorquando la città d'An-
tiochia fatta preda del fiero Ban-
decar soldano d'Egitto, il rimanen-
te del clero e popolo fedele, che
sino allora era governato da Elia
di nazione latino , succeduto a Rai-
nero Tanno i243 , si ritirò nel Li-
bano abitato dai maroniti. Simo-
ne che in quel tempo reggeva con
titolo di patriarca la nazione, accolta
avendo amorevolmente la smarrita
gregge, e ricevutala con quella af-
fezione e dolcezza, che i maroniti
usarono mai sempre e fino al pre-
sente, sia riguardo ai latini, non
meno che alle altre nazioni che
ricoverarono appresso di essi (dap-
poiché non solo accordarono loro
lino al presente terreni gratuiti, co-
me consta da molti istromenti, ma
prestarono anco ad essi il più del-
le volle aiuti necessari all'edifizio
dei pii luoghi ove ora trovansi ri-
coverati), e scritto avendo al Ponte-
fice Alessandro IV per ragguagliar-
lo dello stato di quella cristianità
ossequiosa e obbediente alla santa
Sede apostolica, ne ottenne in ri-
sposta nel 12540 poco dopo il ti-
tolo di patriarca d'Antiochia, co-
me pronunziò nella nominata allo-
cuzione Benedetto XIV, e come an-
ii8 MAR
Cora nella di lui vita afferma il
Novaes, tliflicile essendo che Antio-
chia tornasse al suo antico spleiì-
dorè, e che ripristinata la sede pa-
triarcale vi potesse risalire un pa-
store latino. Il medesimo titolo col-
le insegne patriarcali della chiesa
Antiochena fu dato da Eugenio IV
al patriarca David nel i438: nel
concilio generale che quel Papa ce-
lebrò, in Ferrara e terminò in Fi-
renze, v' intervenne un procuratore
o vicario del patriarca antiocheno:
nella vita di detto Papa si dice,
che nel i44^ spedì nel regno di
Cipro ed isola di Rodi Andrea ar-
civescovo Colocense, per richiamare
al grembo della Chiesa alcuni orien-
tali, fra 'quali diversi maroniti, ciò
che pur fece Nicolò V nel i4Ì7
a mezzo di Andrea arcivescovo di
Nicosia, per restaurare la disciplina
ecclesiastica. Inoltre Nicolò V scris-
se un breve, ed un altro Calisto
III che nel 1 455 gli successe, al pa-
triarca Giacomo Pietro, chiaman-
dolo ambedue patriarca antiocheno.
Similmente Leone X nel i5r4 con
ispecial breve raccomandò alla pie-
tà del patriarca Simone tutti i cat-
tolici dispersi nell'oriente; veramen-
te il Novaes dice che il Papa spe-
dì un legato apostolico ai maroni-
ti per la disciplina ecclesiastica. Lo
conferma l'annalista Rinaldi, poi-
ché all'anno i5i4, n.° 87, raccon-
ta che Leone X mandò al patriarca
Furaroche figlio di Mobaret, per
nunzi alcuni frati minori con lette-
re apostoliche, per sempre più am-
maestrarlo nelle verità cattoliche,
per informarsi come eleggevasi il
patriarca, che riti usassero e qual
forma usassero ne'sagramenti. Rice-
vette il patriar-ca con somma vene-
razione e gioia le lettere pontificie,
e secondo l'uso de* maroniti se le
M A R
pose sul capo; (jiiindi nella lettera
responsiva assicurò il Pontefice, che
i riti erano corrispondenti ai latini,
e che solo per ignoranza avea er-
rato nel fare il crisma, mescolan-
dovi diversi aromati, secondo l'u-
sanza degli antichi armi-ni. Leone
X rispose al patriarca doversi il
crisma fare solo con olio e balsamo;
e gì' insegnò non doversi aspettare
il quarantesimo giorno degl'infanti
per battezzarli, mentre ne moriva-
no molti senza essere rigenerati
in Cristo; con quali parole si do-
vesse consagiare il Corpo di Cristo;
che riti si dovessero osservare nel-
I' ordinazione de' chierici ; e molte
cose riguardanti i sacramenti della
penitenza e del matrimonio, il pa-
radiso e il purgatorio; lo Spirito
Santo procedere dal Padre e dal
Figliuolo come da un sol principio;
sul ricevere l'Eucaristia nella Pas-
qua, e sul primato delta Chiesa ro-
mana. Il patriarca ricevette il tut-
to come oracoli, e spedì in Roaia
nunzi a prestar obbedienza alla san-
ta Sede, e co' suoi si unì insieme
al concilio Lateranense V celcbia-
to da Leone X. In fatti il Rinal-
di stesso all'anno i5i6, n." 5, rac-
conta che nella X sessione i nunzi
del patriarca presentarono al Papa
le loro lettere di ringraziamento ,
protestando che avrebbe eseguilo
tutti gl'insegnamenti ricevuti, e di
osservare co' suoi popoli la fede
cattolica, i riti della Chiesa roma-
na, ed in nome dello stesso patriar-
ca baciarono i piedi al Pontefice,
gli prestarono obbedienza, e giura-
rono fedeltà.
Clemente VII e Pio IV conces-
sero molti privilegi al patriarca dei
maroniti, ed il secondo nella bolla
f^enerabileni frairem^ kal. septem-
bris i562, diretta al patriarca, pres-
MAR
so il Bull, de prop. fide, Append.
t. I, p. 4^; dopo aver lodato la
nazione per la sua costante catto-
licità, compaiCi al patriarca la fa-
coltà di assolvere eretici, scismatici
e apostali di qualunque nazione se
ritornassero alla Chiesa. Essendo
patriarca de' maroniti Michele di
Citaraiva, questi spedì due oratori
a Gregorio XI l'I a prestargli ob-
bedienza, ed a mostrargli le lettere
d'Innocenzo III in testimonio del-
l'antica loro unione alla Chiesa oc-
cidentale. Il Papa li ricevette con
straordinaria benignità, confermò le
preminenze del patriarca , di che
gli oratori lo aveano supplicato, e
Il rimandò alla patria con buona
somma di denaro, donativi, e con
l'accompagno de' gesuiti Gio. Bat-
tista Eliano e Giovanni Bruni, pe-
riti nella lingua araba, come visi-
tatori apostolici; i quali ritornati
in Roma riferirono che tranne al-
cun errore involontario e non co-
nosciuto, alcune vestigia degli er-
rori di Dioscoro in alcuni libri, e
qualche abuso ne' sacramenti ed in
alcune altre cose, che essi corres-
sero in due sinodi radunati a tal
uopo, la fede era ortodossa, sj del
patriarca e nove vescovi, che della
nazione; laonde Gregorio XIII si
applicò con più parlicolar cura al
vantaggio di questa cristianità. In-
fatti nel i583 fondò in Roma un o-
spizio e spedale ove fossero ricevuti
benignamente i maroniti che sole-
\ansi portare a visitar la tonìba
de' ss. Pietro e Paolo, coll'aulorità
della bolla Salvatoris nostri^ id.
januarii, presso la citata Appendix
pag. 82. Considerando poi quanta
maggiore utilità potea ritrarre la
nazione se l' ospizio Io convertisse
in collegio, per istruirvi-ed educarvi
la gioventù ch'era per abbracciare
MAR 119
lo stato ecclesiastico, nel i5i84 l'e-
resse in collegio e l'affidò ai gesuiti.
Vi si potevano mantenere quindici
alunni, poiché le rendite a poco a
poco ascesero, a scudi 1700 : a tem-
po di Alessandro VII i collegiali,
come gli alunni del collegio Urba-
no, furono assoggettati al giura-
mento. Il collegio fiorì perchè vi
uscirono molti dotti che recarono
grande splendore alla letteratura
orientale, fra' quali nomineremo A-
bramo Ecchellense, i monsignori
Giuseppe, Stefano Evodio e Luigi
Assemani , de' quali i primi due
hanno scritto egregie opere sull'an-
tichità ecclesiastica, ed il terzo in-
torno alle cerimonie della Chiesa.
Del Collegio de maroniti trattam-
mo nel voi. XIV, p. i44 e i^5
del Dizionario. Questo collegio fu
chiuso nella prima invasione fran-
cese al termine del secolo XVIII ;
nella seconda perdette la casa e la
chiesa convertita ad uso profano.
Da quell'epoca gli alunni furono
educati dai sacerdoti della missione
di s. Vincenzo di Paoli fino al 1822.
Allora passarono per convenzione
al Collegio Urbano (Fedi), al quale
si pagano gli alimenti dal cardinal
protettore, che in oggi è il cardinal
Giacomo Filippo Fransoni come
prefetto della congregazione di pro-
paganda fide, e presso del medesi-
mo rimane l'amministrazione delle
superstiti rendite. Da ultimo gU a-
lunni maroniti erano cinque.
Clemente Vili nel i5g6 spedì
ai maroniti per nunzi i gesui-
ti Girolamo Dandini e Giovanni
Bi uni, che sentivano uniformità di
dommi colla santa Sede. Giunti
al Monte Libano, nel pontificio no-
me consegnarono buon sussidio di
denaro. Calici d' argento^ libri di
pietà e di materie ecclesiastiche.
130 MAR
arredi sacrì^ ed al patriarca un li-
bro pontificale. Ritornati i nunzi
apostolici in Roma , il p. Dondini
pubblicò la Relazione de' suoi viag-
gi, la quale poi fu da Riccardo
Simon tradotta in francese con al-
cune note curiosissime quanto al
testo. Paolo V ancora scrisse ai
maroniti , ed encomiandoli disse
che quale roseto fioriva fra le spi-
ne. Eziandìo Urbano Vili ricolmò
di lodi i maroniti, e mandò in
dono al patriarca ricche e nobili
suppellettili sacre. Dopo l' istituzio-
ne mirabile della sacra Congrega-^
zione di propaganda fide (Fedi),
la medesima pensò di fondare e
mantenere o sue «pese tre scuole
nel Monte Libano e nella Siria,
per l'educazione ed istruzione del
clero della nazione maronitica ; ta-
le pio disegno però non potè mai
mandarsi ad efletto, essendo discor-
di fra loro il patriarca ed i ve-
scovi neir assegnare i luoghi dove
dovevano stabilirsi le scuole in di-
scorso. Nell'anno i635 venne a
morto in Roma 1' abbate Vittorio
Sciadah maronita, che avea pas-
sato molti anni in Ravenna, e la-
sciò i suoi beni per fondare in
questa città un collegio per la sua
nazione. Piacque quel testamento
alla congregazione di propaganda,
e per affrettare l'apertura di que-
sta pia fondazione aggiunse del
suo quattrocento scudi , e vi ap-
plicò quaranta luoghi di monti ri-
sultanti dall' eredità del cardinal
Ubaldmi. Cresciute essendo le ren-
dite del collegio, la congregazione
volle accresciuti anche quattro po-
sti gratuiti per gli alunni maroni-
ti, due de* quali dovevano pren-
dersi da Cipro e due dalla Soria.
Ciò avvenne nel 1647, e nell'anno
seguente Innocenzo X Ip dichiarò
MAR
collegio ponliflcHo, perchè la mapj-
gior parte de' beni proveniva da
propaganda , col breve Quoniani
dwinae honitatis , emanato a'G lu-
glio. L'esperienza non tardò a far
conoscere, che da questo pio sta-
bilimento non si poteva sperare il
fruito desideralo; perciò nel i663
fu decretata la sua traslazione in
Roma, da incorporarsi con quello
della stessa nazione. Quindi Ales-
sandro VII col breve Romanus
PontifeXf de'22 ottobre i665, /ép-
pendix l. I, p. 286, e Bull. Rom.
t. VI, par. VI, p. 36, lo soppresse
dando la commissione al cardinal
Celio Piccolomini legato di Raven-
na, di venderne le possessioni, che
comprò Pandolfi Fantuzzi per scu-
di 6200, i quali con sessantaselte
luoghi di monti si presero in am-
ministrazione dalla congregazione,
la quale dispose che a seconda
delle rendite si aumentasse il nu-
mero degli alunni del collegio ma-
ronita di Roma, cedendogli le ren-
dite stesse.
Nel pontificato di Clemente XI
insorsero tra il patriarca Pietro
Giacomo e la nazione maronita
gravi dissensioni. Il Papa scrisse
loro il suo gran cordoglio, ne lodò
l'antica fede, e gli esorlò caldamen-
te alla concordia. A questo fine col
carattere di ablegato apostolico
spedì al Monto Libano Gabriele
Eva abbate di s. Maura della con-
gregazione riformata di 8. Antonio,
imponendogli, che non potendo
esso araichevolmenla comporre le
discordie, il patriarca intimasse un
concilio provinciale , in cui fossero
con giusto ordine esaminate e de-
cise le differenze, e principalmen-
te quelle insorte fra i vescovi di
Damasco e .di Beri lo; alla parte
poi che al giudizio soccombesse del
MAR
concìlio, il Pontefìco riservò la facol-
tà di poter vicorierc alla carila Se-
de. Riconosciuto innocente il patriar-
ca, pei' tale lo riconobbe puro Cle^
mente XI, ed ordinò ai maroniti
che gli prestassero piena obbe-
dienza. Su questo punto \anno
letti i tre brevi emanati da quel
Pupa: Etsi quotquoty de'29 gen-
naio 1721 ; Ex romani, del primo
febbraio; e Curii sicuty de' 12 mar-
zo, presso VAppendìx t. I, p. 4?^»
478 e 479' Informato Clemente
XII nel 1736 per lettere del pa-
triarca de' maroniti Giuseppe Pie-
tro Gazeno, che nella nazione e-
ransi introdotti abusi nell'ecclesia-
stica disciplina, per mettervi ripa-
ro spedi suo legato apostolico nella
Siria monsignor Giuseppe Simone
Asseraani, primo custode della bi-
blioteca vaticana^ prelato dome-
stico e canonico di s. Pietro, il
quale convocò un concilio naziona-
le nella chiesa del monastero di
Loasia dell' ordine di s. Antonio,
dedicata all'Immacolata Concezione
di Maria. V'intervenne il patriar-
ca, quattordici arcivescovi e vescovi,
e fra i primi quelli di Damasco ed
Aleppo, due abbati regolari, molli
missionari di varie religioni , e di-
versi principi e magnati della na-
zione. Ne fece l'apertura il p. For-
mage gesuita ai 3o settembre, con
un discorso che si aggirò sullo
scopo salutare del concilio, la ri-
forma cioè di alcuni abusi. Si ten-
nero otto sessioni, «elle quali si
fecero molti regolamenti per la
riforma di detti abusi, i principali
de'cjuali erano i seguenti, i. L'u-
sanza, giusta la quale i vescovi
maroniti avevano vicine delle re-
ligiose, la casa delie quali non era
separata da quella de'vescovi stes-
si, se non che da una porta di
MAR i-ii
comunicazione. I religiosi ne ave-
vano pure nel lecinto de'loro mo-
nasteri. 3.*^' 11 patriarca erasi arro-
gato il diritto esclusivo dì fare
gli oli santi, e di distribuirli ai ve-
scovi ed ai parrochi a prezzo di
oro. 3." Erano pure vendute le
dispense di matrimonio. 4-° H ss.
Sagramento non conservavasi d'or-
dinario che nelle chiese de* religio-
si. 5." 1 preti ammogliati passa-
vano a seconde nozze. 6." Le chie-
se mancavano di ornamenti, ed i
poveri di soccorsi. 7.° I maroniti
di Berrea o Aleppo non celebra-
vano il divino ofijzio che in lingua
araba da dieci o dodici anni in
poi, invece di celebrarlo in lingua
siriaca , secondo 1* antica costu-
manza.
Appena divenuto Pontefice Be-
nedetto XIV, dopo che la congre-
gazione di propaganda fide ebbe
esaminati i decreti del suddetto si-
nodo, trovatili il Papa corrispon-
denti alle istruzioni date dalla san-
ta Sede al suo legato, gli appiovò
col breve Singularis romanoruni
Pontificum j del primo settembre
1741, presso il Bull. 3if7gii. t.
XVI, p. 4^} e nel Bull, de prop.
t. Ili, p. 3. Indi col breve Apo-
stolica praedecessoruiiiy de'i4 leb-
braio 1742, loco citalo p. 6^ del
Bull. Magn., e p. 12 del Bull, de
prop.j Benedetto XIV lodò nuo-
vamente i decreti del sinodo; a-
brogò la contribuzione che davasi
al patriarca per la distribuzione
degli oli santi, e perchè il prela-
to non restasse privo de' necessari
alimenti , stabilì che la congrega-
zione di propngantla imponesse ai
vescovi una tassa, cos\ ai monaste-
ri, la quale gli sarebbe data ogni
anno a titolo di sussidio nella do-
menica fra l'ottava della festa del-
171 MAR
r Assntitr». Inoltre prescrìsse che
nella nazione fosse una chiesa pa-
triarcale con olio vescovi , in vere
di sedici ch'erano prinaa, ai quali
assegnò i limiti delle diocesi, stabi-
lendovi Aleppo o Benea, Tripoli,
Itotra, Eliopoli, Damasco , Berilo,
Tiro e Cipro. Nella morte del pa-
triarca Giuseppe Pietro, divisi fra
loro d'opinione i vescovi maroniti,
alcuni elessero per patriarca Elia
arcivescovo Arceiise, e gli altri in
minor numero Tobia arcivescovo
«Il Neapolosia. Ambedue si appel-
larono a Benedetto XIV, e ne do-
mandarono il pallio; ma il Pa-
pa dichiarò nulla l'eiezione di en-
U-ambi, riservandola alla santa Se-
de col breve Qiiod non fiumana,
de* I 3 marzo i 743, Bull. Magn. p.
1 46, Bull, de prop. p. 76. In luo-
go di detti arcivescovi Benedetto
XIV nominò patriarca Simone E-
vodio arcivescovo di Damasco, col
liieve Niiper ad nos, dato a* 16
marzo ìj^^, BtdL Maga. p. i47,
Bull, de prop. p. 79, ordinando alla
iMzione maronita, che con rive-
l'enza e sommissione lo ricevessero.
}*er lo stesso fine Benedetto XIV
col disposto del breve Nuper ad
scdandas, di detto giorno, Bull.
Mngn. p. i5o, Bull, de prop. p. 87,
deputò ablegato apostolico ai ma-
roniti il p. Jacopo da Lucca mi-
nore osservante, visitatore e com-
n»issario del santo Sepolcro, ch'egli
raccomandò a molti vescovi me-
diante il breve Magna, non minn.v,
emanato nel predetto giorno, Bull.
Magn. p. i52, Bull, de prop. p. 91.
Il nuovo patriarca Simone Evo-
dio, fatta la consueta professione di
i\(\e, supplicò pel pallio patriar-
cale, che il Papa gli mandò ac-
compagnato dal breve, Literas fra-
ternitalis, degli i i agosto 1 744»
MAR
Bull. 3fagn. pag. 207, Bull de
prop. p. 1 -29. Nello stesso giorno
indirizzò agli arcivescovi e vescovi
maroniti il breve Exìmìi erga a-
postolicani, presso il Bidl. Magn.
p. 20S, Bull, de prop. pag. i3i.
Estinto lo scisma de' due patriar-
chi. Benedetto XIV dichiarò com-
missario apostolico il p. Desiderio
de'minori osservanti, presidente del
convento del s. Sepolcro, col bre-
ve Ne/w'ni sane, de' 20 luglio 1746»
e ne prevenne il patriarca Simone
col breve DUecto filio, dato in det-
to giorno, nel quale ne diresse al-
tro. Non pos.sunius, agli arcive-
scovi e vescovi maroniti, quali bre-
vi sono riportati nell' Appendix
t. Il del Btdl. de prop. p. 11 5,
118, 120, onde riordinare le cose,
e mandare ad effetto i decreti del
si nodo.
Essendo morto il patriarca Si-
mone a' 12 febbraio del 1756, gli
arcivescovi e vescovi maroniti, ai
28 dello stesso mese elessero con-
cordemente in successore Tobia
Pietro Gazeno arcivescovo di Ci-
pro, leggendosi nel citato tom. Il
Appendix p, 2o3 e seg. gli atti
di tale elezione, la lettela di obbe-
dienza del nuovo patriarca a Be-
nedetto XTV de' 20 marzo, la let-
tera del medesimo alla congrega-
zione di propaganda , la lettera
degli arcivescovi e vescovi allo
st<^sso Papa, il decreto della con-
gregazione di approvazione, la pro-
posizione e allocuzione detta in
concistoro a' 27 marzo 1757 dal
Pontefice, l'istanza del patriarca
pel pallio, e il ringraziamento che
fece di tal concessione il prelato
Giuseppe Simone Assemani . Il
pallio fu dal Papa accompagnalo
dal breve Ex venerahilem, de' 3o
aprile 17^7, presso il Bull. Magn,
MAR
t. XIX, p. ^^76, ed in mi protestò
di non trascurale occasione alcu-
na di far conoscere l'anriore suo
verso questa nazione. Nel tempo
stesso col breve Non possninus^
loco citato p. 277, esortò i vesco-
vi maroniti a prestare esatta obbe-
dienza al nuovo patriarca, e lodò
grandemente col breve Qitam prae-
claram, loco citato p. 278, la co-
stanza della fede de' magnati della
nazione, e la riverenza con che lo
avevano ricevuto. Clemente XIII
nel concistoro de' 6 aprile 1767,
coirallocuzione Tristem haud, si-
gnificò ai cardinali che per morte
del patriarca Tobia Pietro, era stato
eletto successore Giuseppe Stefano
arcivescovo di Berito, cui concesse
il pallio, come si legge nel Bull,
de prop. t. IV, p. Ili, mentre a
p. 112 si riporta il breve Quam-
quam prò, de'22 agosto 1767, dello
stesso Clemente XIII, diretto al pa-
triarca Giuseppe Pietro de Stefa-
nis, riguardante la disciplina pre-
scritta dal sinodo Libanese pel clero
de' maroniti. Pio VI a' 17 luglio
1779, ^^^ breve Dedimus ad vos^
presso VAppendix t. II, p. 259, e-
sortò il clero ed il popolo maro-
nita alla concordia ; quindi nel 1780
il primo luglio scrisse il breve Non
possumus, presso V Jppendìx t, li,
p. 261, all'emiro Giuseppe Sciab
principe del Monte Libano, perchè
accogliesse bene Pietro de Moretta
delegato apostolico destinato a com-
porre le questioni insorte tra i maro-
niti; quindi a'20 ottobre 1788 scris-
se ancora il bieve Iterum ad vos^
presso il Bull, de prop. t. IV, p. 194.
Inoltre Pio VI con breve stampato
in latino e siriaco condannò e di-
chiarò illusa e visionaria, non che
falsa la santità di Endie o sia An-
na Agemi monaca del monastero
MAR 123
di "Bechorche nel Chesronno , pre-
tesa fondatrice nel Monte Libano
dell'istituto monastico del ss. Cuor
di Gesù, e della confraternita. E
siccome il vescovo Germano Dieb,
ingannato dalla falsa monaca, avea
propagato i suoi errori in noateria
di fede, così il Papa lo sospese per
sei mesi dalla giurisdizione vesco-
vile (nel qual tempo fu deputato
all'esercizio della patriarcale Miche-
le Gazeno vescovo di Cesarea ) ,
e l'obbligò a fare la ritrattazio-
ne. Per una simile, ma volonta-
ria ritrattazione, fatta nel 1784
da Giuseppe Pietro de Stefanis pa-
triarca de' maroniti, ed umiliata al
Papa a* 28 marzo, il medesimo non
tardò a dimostrare la paterna gioia
che aveva provato, dirigendo a que-
sto fine un suo tenerissimo breve
agli arcivescovi, vescovi, magnati e
popolo della nazione maronita. Nel
medesimo volume àtW Jppendìx a
p. 279 e seg. sonovi il detto breve
Massimum nohis atlulere gaudiuni,
de' 28 settembre, che comprende
ancora la ritrattazione e gli analo-
ghi decreti della congregazione di
propaganda, e quelli deli' ablegato
apostolico Moretta. Olire a ciò nel-
listesso t. 11 deli' Jppendi'x a p.
226 e seg. vi è l'allocuzione pro-
nunziata da Pio VI a' 27 giugno
1796, in cui annunziando la mor-
te del patriarca Michele Fadel ,
partecipò al sacro collegio l'elezio-
ne seguita del successore nella per-
sona di Filippo Pietro Gemaiel ar-
civescovo di Cipro, nel monastero
di s. Maria di Bekorke; vi si legge
altresì la lettera del patriarca al
Papa, quella alla congregazione di
propaganda, la lettera degli elettori
a Pio VI, il decreto di conferma
della congregazione nominata, l' i-
slanza del procuratore p. Arsenio
1 24 MAR
Cardadii monaco auloniano pel pnl-
lio, ed il suo ringrazittinento dopo
averlo conseguilo. Nello t^tcsso l.
IV, p. 247 o seg. sono riportali
gli alti del concistoro 24 luglio
1797, in cui fu confernialo in pa-
triarca antiocheno de' maroniti Giu-
seppe Pietro Thian già vicario del
patriarca defunto, quelli della sua
elezione, conferma e concessione del
pallio di Pio VI, il quale fu do-
mandalo dal p. Luigi Belaibel de-
legato dall' eletto , facendo il rin-
graziamento l'agente Antonio As*
semani.
Pio VII col breve Explorn-
tiim (ibi rritj degli 8 ottobre 1808,
raccomandò all'emiro 13iscir prìn-
cipe de* maroniti , la disposizio-
ne testamentaria fatta a favore del
monastero di s. Maria Liberatrice
di Cliesroano dal patriarca de* siri
Ignazio Giarve ; il breve si legge
nel t. IV, Bull, de prop. fide p.
347. Ivi a p. 349 e seg. sono ri-
prodotti gli atti del concistoro dei
19 dicembre 181 4, riguardanti la
rinunzia del patriarcato fatta da
Giuseppe Pietro Thian a Pio VII
nel monastero di s. Giuseppe di
^Vintura, sino dagli 8 giugno 1809,
e r elezione in successore dì Gio*
vaimi Dolci vescovo Acrense, o sia
di Tolemaide, con tutte le consue*
le lettere, insieme a quella del vi-
cario apostolico Luigi GandoUi. Es-
sendo il Papa nel mese seguente
deportato da Roma, non potè farne
la conferma^ laonde ritornalo nel
1814 ^'^^ ^^^ sede, in detto con-
cistoro, a tenore del decreto con-
fermatorio di propaganda, con ap-
posita allocuzione lo confermò, e
ad istanza del procuratore p. Ar-
senio Cardachi concesse il pallio.
A p. 365 e seg. poi del medesimo
tomo souo i brevi di Pio VII, In
MAR \
coffiniufìi, del primo novembre 1 8 iG,
di congratulaziono, et te tollendis
prorsus agìt monasten'is duplìcibusj
Multa perfusi\ de' 1 5 febbraio 1817,
in lodo Illustj'ì ac potentissimo
Scicilk Bescir Gemblat, per la be-
nevolenza con cui riguardava i ma-
roniti; M^a://«o/;rtrem?^w, dello ster-
go giorno, diretto Illustri ac po-
tentissimo Emiro Bescir Sciehat, sul-
lo stesso argomento, in occasione
che il p. Giuseppe Assemani de-
fìnìtore della congregazione aleppi"-
na di Monte Libano, a questo da
Roma fece ritorno. Finalmente nel
medesimo tomo a p. 376 si legge
il breve di Pio VII, Quod de con-
stand ohsequio, de'3o maggio 18 19,
col quale confermò il sinodo tenu-
to dal patriarca e vescovi maroniti,
servatis nonnullis avtìculis a s. e.
de propaganda fide praescriptisj
et praesertini decretum prohat de
duplicibus monaster. abolendis. Leo-
ne XII nel concistoro de* 3 mag-
gio 1824 confermò l'elezione, e
concesse il pallio al patriarca an-
tiocheno Giuseppe Pietro Habaisci
vescovo di Tripoli (che non aven-
do quarant'anni , e mancandogli
qualche voto, fu dalla salila Sede
sanata ogni irregolarità),, essendo
morto il patriarca Dolci; l'elezione
era seguita a' 25 maggio 1823 nel
monastero di s. Maria di Kannubina
o Canubina. Tutti gli atti sono nel
t. V, p. I e seg. in un alla lettera di
Luigi Gandollì vescovo Icosiense e
vicario apostolico liiernpolitano os-
sia di Gerapoli, ed alla domanda
del pallio e successiva orazione di
ringraziamento, del p. abbate Ba-
silio Dursun monaco armeno an-
toniano. Al mentovato patriarca,
Gregorio XVI a' 24 dicembre i83i
diresse il breve, Suinmis saepCj Ball,
de prop. t. V, p. 73, incaricandolo
MAR
di esaiT)ir>are |e veitefize insorte tra
Imxiivescovo di Hicrapoli Paolo A-
ititin, il clero ed il popolo, pren-
dendo intanto egli l'amministrazio»
ne di quella chiesa, finché 1* arci-
vescovo nel Monte Lihano si ibs«
se purgato dalle accuse. Nello stes^
so tomo a pag» 124 ^'* ^ '^ breve
Fraternitalis ^//<7r?, emanato da Gre-
gorio XVr n' 6 settembre i835,
sulla questione del patronato del
monastero di $. Artemio: a p. 224
inoltre evvi il breve Quuni dilectus
filiils^ che Gregorio XVI scrisse al
patriarca Habaisci a* 16 febbraio
1841 * pel ritorno al Monte Liba-
no del p, Nicola Murad, incarica-
lo di procurare aiuti ai maroniti
a cagiono delle vicende di guerra.
Negli ultimi tempi la nazione ha
sofferto gravi mah dai drusi^ e dai
turchi con essi segretamente colle-
gati per la rovina de' maroniti ,
poiché caduto il dominio degli egi'
y.iani, si accese la guerra fra i drusì
ed i maroniti. Trionfando i primi,
il generale turco consigliò la deposi-
zione delle armi, ed i maroniti pre-
standovi fede le deposero. Ma allora
i drusi gli assalirono e ne fecero
strage, devastando campi, case, chie-
se, monasteri, villaggi e città. In-
vitali i principi cristiani a prestare
protezione ai perseguitati maroniti^
la promisero, ma con poco effetto.
Il patriarca spedì a Coslanlinopoli
il p. Nicola Murad, per Iregua e
pace; quindi da Roma, da Parigi e
i\fìi Vienna furono spedili gene-
rosi sussidi ai maioniti per alle-,
viar tanti mali. Ultimamente nel
settembre 1846 è stata fondata a
Parigi i' opera di s. Maria del Li-
banOj per istabiiire in quella capi-
tale un collegio destinato a daje
ad alcuni giovani cattolici maroniti
ima educazione gratuita che li pon-
MAR 125
ga in istato di riportare nella loro
patria i lumi delle scienze, delle
lettere e dello arti; olt«e di che que-
sta fondazione intende a vegliare
permanentemente gì' interessi delle
popolazioni cattoliche del Libano.
Finalmenle il Papa Gregorio XVI
nel concistoro de' 19 gennaio 1846,
preconizzò l'attuale patriarca d'An-
tiochia de' maroniti monsignor Giu-
seppe Gazeno, già arcivescovo di
Damasco, coH'allocuzione Ob mor-
kni antiocheni patn'archae ^ e gli
concesse il pallio a petizione óeì
suo procuratore monsignor Nicola
Murad arcivescovo di Laodicea. Nel-
la proposizione concistoriale si legge
che la chiesa patriarcale, esistente
presso il monastero di Kannubina,
é dedicata alla Beata Vergine as-
sunta in cielo, buono edifizio; che
il patriarca ha nove suffraga nei, tra
ftrcivescovi e vescovi ; che in detta
chiesa la cura d' anime si esercita
dall'arciprete, essendovi il fonte bat-
tesimale, e molte reliquie in gran
venerazione; che nello stesso mo-
nastero vi è un decente patriarchio,
e che i fruiti della mensa tassati
ne* libri della camera apostolica a-
scendono a circa scudi quattromila.
Patriarcato antiocheno c/e' maroniti.
Antiochia (Vedi) fu già la sede
de' patriarchi de' maroniti , il pri-
mo de' quali fu s. Giovanni Ma-
rone. Oggi la residenza patriarcale
è nel monastero di Kannubin in
una valle del Monte Libano : que-
sto monastero chiamalo ancora Co-
nobia e Cannubina lo lece fabbri-
care in onore della Beala Vergine
alle falde del Monte Libano l'im-
peratore Teodosio 1 verso la fine
del IV secolo. Dapprima fu un sem-
plice vescovato, ma Giovanni Algi-
ia6
MAR
geo patriarca de' maroniti aven-
dovi stabilita la sua sede verso il
i44^ divenne patriarcale. Alzaber
Bardine soldano d'Egitto esentò da
ogni imposizione questo monastero^
e fece incidere sopra una tavola di
rame in grossi caratteri tale esen-
zione acciò niuno l'ignorasse. Il pa-
triarca avea prima la sua sede nel
monastero di Capharhai. Egli sten-
de la sua giurisdizione sopra tutti
i nazionali dell' Asia e dell'Egitto,
non però su quelli del patriarcato
di Costantinopoli. Nel patriarcato si
trovano 3 20 chiese e oratorii. Le
piccole città di Eden e di Zgorta
già vescovato, dipendono dal pa-
triarca, senza far parte oggi di al-
cuna diocesi ; e possono conside-
rarsi come una sola città, passan-
do gli abitanti a vicenda da un
luogo all'altro; la chiesa pari'oc-
chiale è sotto l'invocazione di s.
Giorgio. Come si disse in principio,
si trovano nel patriarcato circa sa-
cerdoti secolari 5oo, regolari 600 ,
nello stato di monaci laici 1000.
Monsignor Gabriele Nars vescovo di
Nazareth è giudice pei cattolici nel
Monte Libano. Vi sono tre collegi
patriarcali, cioè: i.° di Ain-varca,
fondato in un monastero di s. An-
tonio abbate nel 1789 dal patriar-
ca Stefani, di giuspatronato di que-
sta famiglia, e n'è rettore monsi-
gnor Giuseppe Rezq vescovo di Ti-
ro; 2.** di Marone Rumiè, fondato
dal patriarca Dolci, di giuspatrona-
to della famiglia Safìr, erezione che
fu confermata nel 1 8 r 9 dalla con-
gregazione di propaganda; 3." di s.
Abdà, eretto dal patriarca Habaisci,
già monastero di monache. In Zgor-
ta esiste una scuola fondata nel 1734
da Pietro Benedetti e da Giorgio
vescovo di Eden, prima ch'entras-
sero nella compagnia di Gesù. Di*
MAR
verse stamperie, casa di noviziato
per le missioni, monasteri di mo-
naci, oltre le tre congregazioni di
cui parleremo ; diecinove collegi dio-
cesani, oltre quello di Antura, di
piena autorità del patriarca. Il col-
legio di s. Giorgio, tolto dall'auto-
rità del patriarca e del vescovo dio-
cesjmo, è posto sotto la protezione
della congregazione di propaganda,
e per essa ne esercita la cura il
delegato apostolico, ed è giuspatro-
nato della famiglia Benedetti. No-
teremo che al presente delegato a-
postolico nel Monte Libano e vi-
cario apostolico pei latini nel vica-
riato d' A leppo, è monsignor Fran-
cesco Villardel de' minori osservan-
ti, arcivescovo di Filippi in partìbits^
fatto da Gregorio XVI agli 8 mar-
zo 1839. Esiste in Antura un mo-
nastero di salesiane , di circa 5o
monache, delle nazioni maronita,
melchita e soriana. Il patriarca nel
giovedì santo consacra gli olii santi,
e ne fa distribuzione. Al medesimo
a titolo di sussidio caritativo tutti
i parrochi e superiori de' monasteri,
nella domenica tra l'ottava dell'As-
sunta presentano una piccola som-
ma di denaro. Il patriarca oltre le
decime ha le sue rendile partico-
lari, e prima di ricevere il pallio
viene annoverato tra i patiiarchi :
dovrebbe ogni triennio convocare il
sinodo per la direzione del suo po-
polo; non può accrescere le diocesi
oltre le otto stabilite dal sinodo
nazionale del 1736, approvalo dalia
Sede apostolica, essendo nei tempi
antichi molte di più; il sinodo (is-
sò anco i limiti delle diocesi, ciò che
pur fecero altri posteriori.
Berìlo o Bayrut (Fedì), arcive-
scovato con città e porto di mare,
di cui è arcivescovo monsignor K;>-
rara. La sua giurisdizione si esien-
MAR
de ad Alrnatan , Ginrd , Ghorh ,
Sciuhar ed Almaten fino al ponte
del giudice detto Addamur. Il con»
vento di s. Giovanni Quiaitala fu
riabilito per residenza dell'arcive-
scovo, ma non essendo abitabile,
l'ordinario si procura altrove il do-
micilio. Tra l'arcivescovo e il su*
pei
iore de' gesuiti Cu sottoscritta
una'convenzione per conservare per-
fetta concordia , indi trasmessa al
delegato apostolico a' 23 settembre
i84k
Tripoli [Vedi)^ arcivescovato i\\
cui è arcivescovo monsignor Paolo
Musa, e stende la sua giurisdizione
da Tripoli e Zuaja, ad Acca, Na-
bjas, Ranad, Tartus'', Gabala e
Lattachia fino ai termini della dio-
cesi di Aleppo. Si stava terminan-
do la fabbrica pel seminario, e pro-
babilmente ora la residenza arci-
vescovile sarà fissata in qualche vil-
laggio che ha acquistato questa dio-
cesi. Essa è stata accresciuta di un-
dici villaggi tolti a quella di Ga-
bala o Gibail e Botra dal patriar-
ca e dal delegato apostolico nel
1840 autorizzali dalla congrega-
zione di propaganda. I biblici han-
no fatti grandi ma inutili sforzi per
istabilirsi fra i maroniti, spargen-
do bibbie tradotte in siro, caldai-
co ed ebraico. Un maronita che
per dispensa pontificia era entiato
nella compagnia di Gesù, celebrò
talvolta in rito siriaco e caldaico,
per istruire gli alunni nazionali. So-
levano comunicare i fanciulli dopo
il battesimo , ma abbandonarono
questa consuetudine.
Cabala o Gihbe o Gibail ^ e
Botra o Bostra (Fedi) , vescova-
to che ha in amministrazione il pa-
triarca, il quale vi tiene un vica-
rio. La sua giurisdizione abbiac-
ciava Azura, Deir, Elahmar, Geb-
MAR 17.7
bet, Besciarra ed altri luoghi. In
ogni villaggio vi sono scuole: la
residenza vescovile è nel monastero
di s. Giovanni Marone in Kafarheji,
nel quale s'istruisce la gioventù che
si dedica al culto divino, potendo
gli alunni essere trenta. Per la dio-
cesi vi sono sparsi altri sei mona-
steri. Questa era la diocesi più ric-
ca, ciò che indusse la congregazio-
ne di propaganda a dismembrarla
di alcuni villaggi fticoltosi, e sotto-
porli a quella di Tiipoli ch'era la
più povera delle chiese de' maro-
niti.
Berrea o Aleppo ( Vedi), glan-
de città della Siria , arcivescovato
di cui è arcivescovo monsignor Pao-
lo Arutin. La sua giurisdizione com-
prende la città ed i suoi dintorni.
La casa vescovile é presso la chiesa
di s. Elia.
Damasco [Vedi), grande città
della Siria, arcivescovato di cui è
arcivescovo monsignor N. L' ar-
cidiocesi oltre Damasco contiene
una metà di Gazir, di cui è ca-
poluogo Ayeltun, Baschinta , Zug-
Arab e Zabugha. La residenza del-
l' ordinario fu stabilita nel con-
vento di s. Antonio Bogalà di gius-
patronato; non permettendosi però
dalla famiglia patrona, risiedeva nel
convento di s. Mosè \\ì Baluna, an-
che questo di giuspatronato. Morti
tutti i patroni, gli eredi ne esclu-
sero il vescovo, che restò senza re-
sidenza.
Enopoli o Balhek { Vedi), ar-
civescovato di cui è arcivescovo
monsignor Antonio Gazeno. Con-
tiene la sua giurisdizione i terri-
torii di Baalbah e di Fouh nei
confini di Giobeil, e la metà della
regione di Gazir . La residenza
arcivescovile era fissata nel con-
vento di s. Giorgio di Raifuni. In-
128 MAR
sorse lite tra ìv. due fumigiie De-
nedetti, edAhu Causo Gazeno, per
diritto di patronalo, il perdio nel
j832 fu risoluto clie la sede del
vescovo fosse fissata dentro i limi-
li della diocesi.
Sidone f o Sur o Tiro (Vedi\
arcivescovati uniti, de'quali ò arci-
vescovo monsignor Abdellah J5e-
sleni. Comprende le diocesi di que-
ste città, ed inoltre Alscius, Ba*
gali, la valle Firn e suoi contorni
dal fiume Damur fino a Gerusalem-
me, che pare spetti al patriarca*
Tiro o Sur, e Sidone apparteneva-
no al patriarca, perciò non vi fu
fissata la residenza pel vescovo.
Cipro (^Fedi)y arcivescovalo che
ha per capitale Nicosia (Fedi).
Iv'tì arcivescovo monsignor Giusep-
pe Giahgiah. I luoghi ove si tro-
vano maroniti sono Carmacili, Mar-
chi, Cambili, s. Marina, Carpascia
ed Assomatos. Vi sono sei chiese
nuove ó restaurate, e due in co-
struzione. Questa diocesi ha nel
Kesroano, Bacfaia e Bet-Sciabab,
ed i paesi vicini fino al ponte di
Berito. Vi sono i monaci di s.
Antonio detti di s. Elia. Il colle-
gio di Cornat e Scihuan è desti-
nato per la lesidenza dell'ordinario,
mentre per l'istruzione del clero è
il collegio di Mari Giovanni Zaerit.
Ordine monastico deniaroniii.
Uno è l'ordine monastico della
nazione maronita, é segue la rego-
la di s. Antonio abbate. Fino al
1 757 era diviso in due congre-
gazioni, cioè in quella di s. Isaia,
ed in quella detta comunemente
di s. Eliseo o di s. Antonio abbate.
Il p. Bonanni nel Catalogo degli
ordini rcZ/gzW, pubblicato nel pon-
tificato di Clemente XI, par. I,
MAR
pag. XCII, paria del monacxj di s.
Antonio nella Siria, e ce ne dà
lu figura. Egli dice, che nella Si-
ria, massime nel Monte Libano e
contorni, vi sono monasteri di mo-
naci cattolici della nazione de'ma-
roniti, osservando alcune regole
ricevute per tradizione , e credute
conformi ai costumi' di s. Antonio
che venerano come loro istitutore.
Si astenevano continuamente dal-
la carne, celebravano ogni anno
quattro digiuni lunghi, cioù quel
li dell' avvento , della quaresima ,
quello di quindici giorni avanti la
festa de'ss. Pietro e Paolo, e quel-
lo di quattordici avanti la festa
dell'Assunta. Recitavano dopo la
mezza notte il mattutino e poi
tutte le altre ore canoniche in lin-
gua siriaca. Alcuni di essi più
telanti stabilirono altre regole, qua-
li osservavano con vita comune,
professando pubblicamente i tre
voti religiosi, ed eleggendo un su-
periore pel governo del monastero.
Tultociò era stato approvato dal
patriarca de' maroniti Stefano Al-
doense di Eden, ed allora, dice il
p. Bonanni, procuravano la confer-
ma della santa Sede. Vestono di
nero con sottana cinta con fascia
di cuoio nero, e ad essa e unito
un piccolo e tondo cappuccio .
sopra tal veste ne aggiungono
un'altra sciolta ed aperta nella parte
anteriore. Aggiunge che tuttociò
riferì il p. Gabriele maronita, mo-
naco venuto a Roma per impe-
trar la conferma delle costituzioni
stabilite. Queste infatti approvò
Clemente XII a* 3[ marzo 1732,
cioè quelle della congregazione di
s. Eliseo o s. Antonio, col breve
Aposlolalns officium, che si legge
nel Bull. liom. t. XIII, p. 2 2 3, e
nel Ball, de prop.Jide, Appendix
MAR
t. II, p. 47- Laonde nel 1785 si
pubblicarono in Roma con questo
titolo : Regulae et conslitiitìoncs mo-
naclìorum syronun maronitarum.
Dipoi lo stesso Clemente XII ai
1 7 gennaio 1 740, col breve Mise-
ricordiaruni Pater, approvò le co-
stituzioni della congregazione di s.
Isaia. 11 breve è riportato nel Bull.
Rom. t. XIV, p. 4oo , e nel Bull,
de prop. p. 309 e seg., ove sono
ancora riportati in cinque parti,
e per intero le costituzioni. Que-
ste erano state pubblicate in Ro-
ma nel 174^ con questo titolo:
Regulae et constituliones monacho*
rum maronitarum. Divisa dunque
la congregazione de' monaci di s.
Antonio maroniti^ nelle due con-
gregazioni di s. Isaia, e di s. E-
liseo o s. Antonio, questa seconda
era composta di monaci di Aleppo
delti aleppini, e di monaci mon-
tagnoli perchè del Monte Libano,
delti haladitì. Accadde però per
questa seconda congregazione , che
nel 1754 radunati i graduati in
un capitolo generale per la scelta
del superiore, poiché i monaci di
Aleppo solevano avere in qualche
disprezzo quelli della montagna,
cioè di Monte Libano, si ruppe la
pace e la carità vicendevole, in mo-
do che non fu più possibile di
riunirli.
Per porre un termine a tanti
mali convenne alla congregazione
di propaganda fide approvare la
divisione de'medesimì, tanto consi-
gliata dal patriarca e dai vescovi
della Siria. Fu pertanto conferma-
ta la separazione delle due con-
gregazioni come oggi esistono, una
degli Aleppini, l'altra dei Libanesi
di s. Antonio abbate, a b ala diti j
da Clemente XIV col breve Ex
injunclo nobis, de' 19 luglio 177O;
VOL. XTJIf.
MAR 1Ì9
presso il Bull, de prop. t. IV, p.
126. Però in Roma presentemen-
te non vi sono aleppini, ma solo
vi risiede il procuratore genera-
le àe maroniti libanesi di s. An-
tonio abbate, il cui nome si legge
nelle annuali Notizie di Roma, ove
si legge pure il nome dei due ge-
nerali delle congregazioni. Nell'o-
spizio de' maroniti aleppini, an-
che quand' eravi il loro procura-
tore, vi abitava il procuratore ge-
nerale de'monaci libanesi come o-
spite, pagando una dozzina compe-
tente pel vitto, ed ora vi è me-
diante convenzione. La congrega-
zione di s. Isaia ha quattordici
monasteri, cioè di s. Antonio Ba-
habda studentato, di s. Rocco, dì
s. Pietro Elcatin, di s. Elia Gie-
zin, di s. Giovanni Elealhet, de
Mar Domizio Rumiè, di Mar Isa-
in, di Mar Simone Ain Elcubiè,
di Mar Abda Elmusciamur, di Mar
Elias Altelias, di Mar Giorgio Ancari
di Mar Elias Gazir, di Mar Adnà
e di Mar Sergio Eden. La con-
gregazione Aleppina è ristretta a
quattro monasteri e due ospizi ,
cioè di s. Maria di Luaizè, di s.
Pietro Cartiara Eltim , di s. Elia
Sciaueja, e di s. Eliseo; un ospi-
zio è in Roma» l'altro in Deir-Elca-
maz. La terza congregazione è quel-
la òe Libanesi o montagnoli ò ba-
Inditi, ha diecinove monasteri in
Siria ed uno in Cipro 5 due ne
dirige di monache, cioè dì s. Ma-
ria de'soccorsì, e di Mar Elias Er-
ras; oltre quindici collegi sparsi
per l'istruzione della gioventù, l
monasteri e i collegi sono di s.
Antonio Cosajo , di s. Antonio
Hùbi di i. Maria Maisuh, di s.
Cipriaho Casifano studentato, di s.
Giorgio Quatobà, di s. Marone El-
giddidj di Mar Abda Moad^ di Mar
9
i3o MAR
Giuseppe Borghi , di Mai- Silvio
Maschilità , di s. Miiria Tamisci,
di s. Antonio EInahechè, di s. Mi-
chele Bonabil , di s. Marone Bir-
sanìù, di Mar Musa Etiope, di
Mar Elia Elcasalemije, di Mar An-
tonio Sir, di Mar Giovanni Risci-
niajà, di s. Giorgio Einaiimé, di s.
Maria Maseimusei, di Mar Elia in
Cipro; inoltre ospizi in Berito, in
Tripoli, in Bolra, in Giobil, in Si-
done, in Zhale, in DeirElqumner.
I monaci di questa congregazione
sono mille : fanno quattro voli
solenni, di obbedienza, di castità, di
povertà e di umiltà, e li rinnovano
ogni anno nella festa del loro pa^
triarca s. Antonio. La loro vita
può dirsi attiva e contemplativa.
La maggior parte di essi nello
stato laicale , come gli antichi mo-
naci dell'occidente, si occupa nella
coltura de' campi, per rilrarne il
necessario sostentamento. 1 sacer-
doti frequentano il coro cinq.ue
volte al giorno ; attendono agli
studi per la propria ed altrui i
struzione, e si portano alle missio-
ni ad ogni cenno del patriarca
e degli ordinari, senza il consenso
de* quali sono alieni dal prendere
in cura delle anime, e in ispecie
delle monache del proprio istituto.
] monaci maroniti di s. Antonio
abbate del Libano desideravano
possedere in R.oma un ospizio ,
dove potessero alcuni trattenersi
per la necessaria istruzione, per il
che si rivolsero al cardinal Sacri-
pante prefetto di propaganda. Que-
sti portò le loro istanze a Cle-
mente XI, il quale acconsentì alla
richiesta e rimise l'affare a pro-
paganda. Vennero in Roma due
monaci, e loro si accordò nel 1707
la casa ed orto vicino a s. Giovanni
in Laterano, presso la Chiesa dei
MAR
ss. Marcellino e Pietro (^edi)^
che si diede loro ad uflìziare. Vi si
dovevano istruire quattro o sei
novizi nelle facoltà teologiche, per
renderli abili alla predicazione fra
i loro nazionali. Fu aperto lo stu-
dio ed approvate le regole, ed a
fronte dell'aria malsana, i monaci
vi dimorarono sino al i743. Al-
lora Benedetto XIV, già titolare di
detta chiesa , la riedificò per il
monastero delle carmelitane, ed i
monaci dovendone partire, sotto la
direzione del cardinal Petra acqui-
starono casa ed orto plesso s. Pie-
tro in Vincoli, ov'era la villa Mat-
tei de'duchi di Paganica, ed ivi e-
dificarono un oratorio o chiesa sot-
to l'invocazione di s. Antonio abba-
te. Nella divisione de'monaci que-
st'ospizio toccò agli aleppini, che
vi tengono un procuratore. Mon-
signor Eva maronita, venuto in
Roma nel principio della fondazio-
ne di questo ospizio , fece istanza
di rimanere in Roma per ordi-
nare i suoi nazionali, come sole-
vano fare i vescovi greci ed ar-
uìeni. Questa istanza non venne
ammessa, poiché essendo soliti i
maroniti ammogliarsi secondo la
disciplina orientale prima di ascen-
dere al sacerdozio, si voleva che
prima si portassero alla patria,
dove contratto il matrimonio po-
tevano gli alunni ricevere gli ordi-
ni sacri dal patriarca e dai rispet-
tivi ordinari. A' 17 gennaio nella
chiesa di detto ospizio si celebra
la festa di s. Antonio abbate.
Monache maronite.
Le monache maronite di stret-
ta osservanza hanno sette mona-
steri, e sono dirette dai preti che
professano la regola scritta da un
MAK
antico vescovo di A leppo; esse som-
mano a circa duecento. Col con-
senso del patriarca, e se la mag-
gior parte di esse non si oppone,
possono passare da uno in un al-
tro monastero. Altri due monaste-
ri sono governati dai monaci ba-
laditi, i quali però neirintrapren*
derne la cura, devono essere auto-
rizzati dall'ordinario. I cooservato-
rii sono quattro per le divote. Ol-
tre a ciò vi è un gran numero di
monache, che sono sotto l'obbe-
dienza de' vescovi rispettivi. Abbia-
mo accennato di sopra i monaste-
ri doppi, qui dunque ne daremo
dichiarazione. Da antichissimo tem-
po i monaci e le monache aveano
comune il vitto, comune l'abita/Jone,
comuni gli alti di pietà e di ricreazio-
ne. Questi che avrebbero dovuto es-
•sere di salutevole esempio al popolo,
coabitando cosi erano l'ammirazio-
ne. Io scandalo, la favola de'cattolici
e degl'infedeli. Nel 17 io il patriar-
ca Giacomo procurò venire alla
.separazione dei due sessi, giacché
il suo antecessore avea fulminata
la scomunica a quel monaco, che
o monache o altre donne ammet-
tesse nel suo monastero. Ma nien-
te ottenne il suo ecclesiastico ze-
lante rigore, che non mancavano
ne religiosi, uè vescovi sostenitori
di questa corruttela. Nel lySS il
patriarca Gazeno e tre ordinari
mostrarono maggior impegno per
estiipare cosidàtte coabilazioni e
convitti. Questo fu uno de' motivi
per convocare il sinodo nazionale
del 1786 nel Libano. Per togliere
questo abuso, causa di tanti mali,
per ordine della congregazione di
propaganda si sottoscrissero agli at-
ti del sinodo, ma senza l' effetto
desideralo. Poiché il patriarca fa-
talmente mutalo divisamenlo, ordì-
MAR i3i
nò che niun cangiamento sì ope-
rasse al convitto e coabitazione dei
monaci e monache; ed inutili per
riparare al disordine riuscirono le
minaccio della congregazione di
propaganda, e i provvedimenti di
altri sinodi. Il male giunse fino
agli ultimi anni del pontificato di
Pio VII, il quale mise la falce al-
la radice; moltissimo ottenne, giac-
che furono assegnati ai monaci
ed alle monache distinti e separa-
ti monasteri lontani gli uni dagli
altri ; ma l'opera non fu pienamen-
te coronata, e nel i836 nel mo-
nastero di s. Elia in Gezir coabi-
tavano monaci e monache, onde la
congregazione di propaganda tornò
a rinnovare l'inibizione. Nelle costi-
tuzioni approvate da Clemente XII
nel 1 740, nella parte II, il capo
XIV tratta de nionìalibus. Bene-
detto XIV colla costituzione, Ad
stipi tmam, de'4 gennaio i 74^5 pres-
so il Bull, de prop.y Appendix t.
II, p. 160, abob la congregazione
delle religiose sotto l' invocazione
del ss. Cuore di Gesù, istituita da
Anna Agemi, e le trasferì ad altri
monasteri, proibendo i libri che
spacciavano la pretesa santità e i
falsi miracoli della fondatrice, di
cui parlammo di sopra.
MARONOPOLI. Sede vescovile
della provincia di Macedonia, sot-
to la metropoli di Amida, nella
diocesi e patriarcato d'Antiochia, e-
retta nel IV secolo. N'era vescovo
Eusebio, quando Simone suo me-
tropolitano sottoscrisse , eziandio
per tutti gli altri vescovi assenti
della provincia, al concilio di Cal-
cedonia. Orìens chrisLA.Wy p. 1007.
MARQUEMONT Dionisio Si-
mone, Cardinale. Dionisio Simone
o Simeone di Marquemont, nato
in Parigi, dove fece con grande ri-
i3i MAH
putazioue i suoi studi, e ne ripor-
tò assai giovane la laurea di dot-
tore, condottosi a Roma coli' am-
basciatore Perron, essendo poi que-
sto ritornato in Francia, egli d'or-
dine del re rimase in Roma, ac-
ciò co' suoi consigli giovasse il du-
ca di Luxembourg ambasciatore di
obbedienza al Ponlellce. Prima di
questa incombenza aveva ottenuto
il posto di cameriere del Pontefi*
ce, allorquando nel i6o4 fu am-
messo tra gli uditori di rota, e
deputato a far le veci dell'amba-
sciatore assente da Roma, per trat-
tare gli affari del regno presso la
santa Sede; lo che eseguì con tan-
ta soddisfazione del suo sovrano,
che in seguito diede ordine a' suoi
ambasciatori in Roma, che non
dovessero conchiudere il menomò
affare senza l'oracolo del prelato.
Esercitando l'uditorato di rota, eb-
be ordine da Enrico IV di trasfe*
rirsì in Firenze per dar principio
ai trattati del suo matrimonio con
Maria de'Medici, che felicemente
rimase conchiuso. Da Luigi XUI
m ricompensa de'suoi meriti fu
nominato all'arcivescovato di Lione,
che gli fu conferito da Paolo V
nel 1612. Governò parecchi anni
col titolo di amministratore la dio-
cesi d'Autun vacata per morte di
Pietro Saunier. Consacrò in Roma
nel 1620, nella chiesa di s. Luigia
il celebre annalista Spondano in
vescovo di Pamiers. Due volte si
trasferì in Roma ambasciatore di
Luigi XIII, cioè nel 161 7 e nel
1622. Avendo perorato innanzi il
monarca nel i6i4 i" un'assemblea
del clero, ottenne fra i vescovi ivi
radunati il primo posto, vivamen-
te contrastatogli dall'arcivescovo di
Tours. Visitò con diligenza e sol-
lecitudine la sua arcidiocesi, oltre
MAR
le contee di Bresse e di Borgognfft,
predicando per tutlo il vangelo al
popolo. Introdusse in Lione un
gran numero di ordini regolari di
ambo i sessi, e vi fondò diel.iselte
luoghi pii. Spedito oratore del pro"
prio sovrano alla santa Sede per
affari di gravi conseguenze, ad istan-
za del medesimo, Uibano Vili ai
19 gennaio 1626 lo creò cardina-
le prete del titolo delia ss. Trinilìi
al Monte Pincio, e venne ascritto
alle congregazioni del s. offizio, di
propaganda e del concilio. Passa-
ti appena otto mesi, morì in Ro-
ma in detto anno, d'anni cinquan-
taquattro, e fu sepolto nel suo ti-
tolo, al manco lato, ove fu erelto'
il suo busto, con illustre e giusta
elogio. Ad una costante vita im-
macolata, unì eccellente erudizione
e profonda dottrina. In cinque deter-
minati giorni della settimana os-
servò rigoroso digiuno, essendo sem-
pre astinente dal vino. Sospirava
di ritornare alla sua chiesa di cui
fu acerrimo difensore. Il Papa al-
l'annunzio della vicina sua morte,
non potè contenere le lagrime, di-
cendo che temeva volere il Signo-
re castigare la sua chiesa colla per-
dita di un tanto cardinale, pel qua-
le avea particolare slima e venera-
zione s. Francesco di Sales. Le sue
suppellettili di molto valore^ le la-
sciò allo spedale di Lione. Insigne-
mente pio, divotissimo del suo re,
savio, prudente e zelante nel trat-
tamento de'negozi più ardui, sem-
pre favorì la Chiesa e il sovrano,
studiandosi di mantenere con per-
fetto equilibrio i diritti e le loro
ragioni.
MARRA ce I IppoiiTo. Lucchese,
e chierico regolare della Madre dt
Dio, fiorito verso il i65o, del qua-
le abbiamo una raccolta inlilolala;
MAR
Bihlìotcc(j. Mariana , disposta in
oicliiie olfabelico, e divisa in due
parti, in cui si trovano tutti gli
autori che scissero su Maria Verr
gine, col catalogo delle loro ope-
re, Roma 1648 in due tomi, pel
Caballi. Egli è pure autore della
Porpora Mariana^ cioè de' Papi,
cardine li, prelati, imperatori, re e
principi che furono particolarmen-
te di voti di Maria Vergine, in mol-
ti volumi, Roma i654 P^' ^^i"*
nabò.
MARRAMA URO Landolfo, Car-
dinale. Landolfo Marraroauro napo-
letano, nel iSyS da Urbano VI
fu fatto arcivescovo di Bari, chie-
sa ch'egli teneva nell'assunzione al
pontificato, contrastatagli però dal-
la regina Giovanna I fautrice del-
l'antipapa Clemente VII, per cui
neppure fu consecrato. 11 Papa pe-
rò nel dicembre i38i Io creò car-
dinale diacono di s. Nicola in car-
cere. Poco dopo parteggiando pel
re di Napoli Carlo III', nel i384
come reo di lesa maestà fu da Ur-
bano VI deposto dalla porpora e
dall' arcivescovato. Ma Bonifacio IX
eletto nel 1889, non solo Io rico-
nobbe per cardinale, ma lo spedi
con amplissime facoltà in Roma-
gna e Toscana, per aggiustare e
comporre le controversie che allo-
ra bollivano Ira i Malatesta a ca-
gione del ducato di Urbino^ alle
quali con somma prudenza e de-
strezza pose fine con immensa glo-
ria del suo nome, e compiacenza
del Pontefice ch'era stato prega-
lo per ai'bitro. Lo stesso ese-
guì in Sicilia e nel regno di Na-
poli, che agitato e sconvolto dalle
sedizioni e fiere inimicizie insorte
tra il re Ladislao e i baroni del
reame, per opera di lui fu resti-
tuito a perfetta tranquillità. Inno-
MAR i33
cenzo VI lo deputò legato di Pe-
rugia, ove si diportò egregiamen-
te. Abbandonato Gregorio XIl in-
tervenne al concilio di Pisa, in cui
riportò infinite lodi, come inviato
in Germania ad invitare i prelati
e principi della nazione al concilio;
tanto era prudente e savio, non
che attivo al maneggio degli affari
i più gelosi. Giovanni XXIII col
carattere di legato Io spedì ai re
di Leone, Castiglia, Granata, Na-
varra ed Aragona, ed a tutta la
Spagna, per eccitarli a concorrere
dal canto loro all'estinzione dello
scisma, che dal 1378 turbava la
Chiesa, ed al concilio di Costanza,
con amplissime facoltà di venir a
tjattato di concordia coli' antipapa
Benedetto XIII, e di procurare e-
ziandio la conversione dei mao-
mettani, possessori del regno di
Granata. Di queste commissioni,
per r ostinazione de' partiti, niu-
na ebbe buon esito . Intervenne
a quattro conclavi e al concilio di
Costanza, e in ogni occasione fe-
ce risplendere la sua virtù, inte-
grità e prudenza. Finalmente pie-
no di meriti morì in Costanza nel
i4i5, e fu sepolto nella chiesa dei
domenicani.
MARSAGLIA. Luogo della dio-
cesi di Parma in Italia, ove One-
sto arcivescovo di Ravenna tenne
un concilio nel 973, conciliuni Mar-
salicnse, per mettere d' accordo il
vescovo di Bologna e quello di Par-
ma eh' erano tra loro in disputa a
motivo di alcune terre che ambe-
due pretendevano appartenere alla
propria diocesi. Regia t. XXV ; Lab-
bé t. IX; Arduino t. VI.
MARSCIA. Vescovato armeno,
sotto il cattolico di Sis. Gregorio suo
vescovo assistè ai concilii di Sise di
kà^X^di. Qriens cìirist. 1. 1, p. i437»
i34 MAR
MARSCIAC. V. Marcuc.
MARSI Amawzio, Cardinale. A-
roanzio della nobilissima prosapia
de' conti di Mar'si, nato nella Ter-
ra di Lavoro, cardinale diacono,
intervenne e sottoscrisse al concilio
tenuto in Laterano da Nicolò li nel
1059.
MARSI EPIFANI Desiderio ,
Cardinale. V. Vittore III Papa.
MARSI Oderisio, Cardinale. O-
derisio de' conti di Marsi fino dal-
l'adolescenza abbandonato il secolo
e vestilo l'abito monastico in Mon-
tecassino, si acquistò in breve tal
credito per l'esemplarità de' costu-
mi e per la perizia in ogni genere
di scienza e di sacra e profana let-
teratura, che sparsasene la fama ,
da Nicolò II che portatosi a quel
celebre cenobio potè per se stesso
ammirarne la virtù e la dottrina (il
Ferlone lo dice cieato cardinale da
Vittore HI, ma con ninna proba-
bilità), nel 1059 fu creato cardi-
nale diacono di s. Agata, e poi da
Urbano II passato nell' ordine dei
preti col titolo di s. Marcello, o di
s. Ciriaco alle Terme secondo Pie-
tro Diacono. Nello stesso tempo fu
fatto il primo ottobre 1087 abbate
di Montecassino, carico che accettò
ripugnante, e sostenne diecinove an-
ni con credito di rara umiltà, pru-
denza e discrezione ; egli fu eletto
abbate in questo modo. Essendo
gravemente infermo Vittore HI, si
fece portare in letto nel capitolo
de' monaci, confortandoli ad eleg-
gersi un nuovo e degno abbate. I
monaci concordemente convennero
nella persona del cardinale, ed il
Papa di buon grado ne approvò
l'elezione. In tempo del suo gover-
no segui l'invenzione dei corpi dei
«s. Benedetto e Scolastica. La fama
di sue virtù lo rese caro ad Alei»sio
MAR
Comneiio imperatole d* oriente, il
quale l'onorò di sua auiicizia, di
sue lettere, e di rari e preziosi do-
ni per lui e [lel monastero; anzi
Enrico IV nemico della Chiesa, fu
protettore ed amico del cardinale
e del suo monastero. Morì in que-
sto nel I io5 dopo quarantasei anni
di cardinalato, e fu sepolto nella
chiesa di s. Benedetto. Il suo nome
si legge registrato col titolo di bea-
to nel martirologio benedettino agli
I I dicembre. Pietro Diacono di lui
tesse breve e significante elogio, di-
cendolo grande per umiltà, rispet-
tabile per prudenza, insigne per pu-
dicizia, e sublime per il lume di-
vino di cui era ripieno.
MARSI Teodino, Cardinale. V.
Sawseverino Teodino, Cardinale..
MARSI Giovanni, Cardinale.
Giovanni de* conti di Marsi, da Ur-
bano II fu creato cardinale vesco-
vo Tusculano e vicario di Roma ,
benché altri dicano da Pasquale II.
Si trovò presente al concilio tenu-
to da questo Papa a Guastalla nel
1106, ed a quello di Roma del
II 12 per derogare al privilegio
delle investiture accordato per vio-
lenza da Pasquale II ad Enrico V.
Fatto da esso prigione, gli riuscì
fuggire dalla basilica vaticana in
abito di villano, insieme con Leone
cardinal d'Ostia. Trovandosi libero,
con forte ed eloquente discorso in-
fiammò gli animi del popolo a sos-
tenere con vigore la causa della
giustizia e delia religione, ed a ven-
dicare l'enorme attentato commesso
contro la sacra persona del Ponte-
fice, non meno che contro il sacro
collegio, come infatti avvenne con
glande strage dell'esercito imperiale,
e dello stesso Enrico V, che sbal-
zato da cavallo e ferito in faccia,
poco mancò che non vi restasse
MAR
morto. Tuttavolta Pasquale II gli
scrisse alcune lettere risentile, do-
lendosi di lui e degli altri cardi-
nali e vescovi rimasti in Roma, che
uuiti insieme con decreto aveano
condannato il suo operato nella pri-
gionia di Sabina per la violenza
dell' imperatore , avendo avuto il
coraggio di spedirgli copia del de-
creto. S' ignora quando morisse.
MAKSl Leone, Cardinale. Leo-
ne de' Marsi vestì la cocolla mo-
nastica in Montecassino, e per la
sua eloquenza e dottrina fu da
Urbano li nel 1088 creato cardi-
nale diacono. Scrisse a nome del
Papa parecchie lettere e ne formò
un esatto registro, e secondo il
Ciacconio morì nel pontificato di
Urbano II, ma probabilmente dopo
di lui, come riflette il Baronio. Il
fliacconio crede che questo Leone
sia quel Leone cardinal diacono di
s. Vito, che per volere di Pasquale
11 prestò il giuramento delle iuve-»
stiture ecclesiastiche ad Enrico V.
Altri lo vorrebbero fatto cardinale
da tal Papa; e però affatto diverso
da Leone de' Marsi vescovo d'Ostia
che fiorì tra i cardinali di Pasqua-
le II.
MARSI Leone, Cardinale. Leo-
ne de' conti di Marsi , così detto
dalla sua patria nella Campagna os-
sia Terra d» Lavoro, offerto a Dio
fin da fanciullo nel monastero di
Montecassino, vestito l'abito religio-
so di quattordici anni , si distinse
tra gli altri così per l'esercizio del-
le virtù, come per l'ardore nel col-
tivare gli studi. Fu quindi fatto
bibliotecario e decano di quel fa-
moso cenobio, e poi vescovo di Ses-
sa nel regno di Napoli, secondo il
Rellaimino, di che tacciono Pietro
Diacono e l'Ughelli . Vittore III o
meglio Pasquale 11 del 1099 lo
MAR i35
creò cardinal vescovo d' Ostia e
Velletri nel iior, avvertendo il
Cardella non sussistere che solo nel
I r 5o le due chiese sieno state go-
vernate da un solo pastore. Accolse
Enrico V nell'ingresso che fece in
Roma; ma dopo il sacrilego di lui
misfatto contro Pasquale II, invo-
latosi per allora sotto mentile spo-
glie da Roma, sollevò poscia i ro-
mani. Intervenne con Pasquale IT
nel I 1 06 al concilio di Guastalla,
e nel e 112 a quello di Laterano.
D'ordine del cardinal Oderisio scris-
se la storia di Montecassino, da s.
Benedetto fino all'abbate Desiderio
poi Vittore 111. Questa storia: Chro-
nica monasterii Casinensrs, fu stam-
pata in Venezia nel i5i3 e po-
scia in Parigi, e finalmente nel
1616 per opera di Matteo Laure-
to monaco cassinese che la illustrò
con erudite note assai critiche ; ciò
non pertanto tali edizioni coll'ori-
ginale che si conserva in Monte-
cassino, non sono esenti di gravi e
frequenti errori. Scrisse ancora il
cardinale alcuni sermoni e vite dei
santi. A' i5 ottobre i i 12 consagrò
solennemente l'altare maggiore di s.
Lorenzo in Lucina di Roma^ e mo-
rì nel maggio i 1 1 5 con gran fama
di santità.
MARSI Oderisio, Cardinale. O-
derisio de' conti di Marsi, della
provincia di Terra di Lavoro, mo-
naco cassinese, e poi abbate di s.
Giovanni in Venere nel territorio
e diocesi di Lanciano, per la san-
tità di sua vita, congiunta ad una
rara dottrina, da Alessandro HI
nel I i63 fu creato cardinale, e morì
nel I 177. Il p. Gattula sostiene che
traesse origine dalla nobile famiglia
Palearia, e che vivesse nel cardi-
nalato quarantadue anni, in prova
di che allega un privilegio lui vi-
i36 MAR
venie accordalo da Enrico VI al
stio monastero, che governò qua-
ruittanove anni.
MARSI Stefano, Cardinale. V.
Sanseverino Stefano, Cardinale.
MARSI (Marsoruni). Ciltà ve-
scovile del regno delle due Sicilie
nella provincia dell* Abruzzo ulte-
riore secondo, l'antica Valeria > giù
capitale dei Marsi detti anco Fa-
leHy che abitavano presso la riva
orientale del lago di Fucino, ora
Jago di Celano, nell'Apennino. In ge-
nerale comprende vansi sotto un tal
nome i veslini, i peligni, i marru-
cini ed i frentani. Si crede comu-
nemente che i marsi avessero i ve-
slini al nord, i peligni ed i sanniti
all'est, il Lazio al sud, ed i sabini
all'ovest. Marrubiiini si chiamò an-
cora questa capitale, e per distin-
guerla da Marsico Niiovo^ si de-
nomina ancora Marsico Vecchio o
y etere. Le sue rovine nell'Abruzzo
ulteriore, appresso il castello s. Be-
nedetto, offrono un'arena e le trac-
cie di un vasto anfiteatro: le acque
di Fucino la ingoiarono, e vuoisi
che prendesse il suo nome da un re
Marrone compagno di Marsia re
de* lidii ; Mairuvio divenne capo e
metropoli della provincia Marsica-
na. Gli antichi danno a'marsi un'o-
rigine favolosa, ma si dicono orion-
ili dai sabini. Il paese dei marsi,
celebratissimo nelle storie per la
sua antichità e distinte memorie il-
lustri, in progresso di tempo fu
appellato col nome di provincia di
Valeria o Marsicana , ed annove-
rata tra le XVII provincie d'Italia,
secondo la divisione fatta sotto A-
driano imperatore. Dipoi prese il
come di Abruzzo e comprese città
e popoli rinomati. Tra le prime vi
fu la città di Marsia capitale della
legione, poi sommersa nel suddef-
MAR
lo la2;o di Fucino, che si crede il
cratere di un antico vulcano. Al-
tri dicono che in una violenta inon-
dazione fu rovinata la ciltà di Ar-
chippe eretta da Marsia re dei li-
dii. Di questo lago si vedono an-
cora i superbi avanzi del suo ac-
({uedotto lungo 35oo passi, fallo
costruire attraverso il monte Sal-
viano per prevenire le inondazioni:
il lavoro incomincialo sotto Cesare,
fu compito dall' imperatore Clau-
dio, e nello spazio di circa undici
anni occupò trentamila schiavi.
I popoli marsicani dominarono
varie celebri ciltà dell'Abruzzo, e
fra le altre Forconio, Amiterno ,
Aquila, Valve, Chieli, Penna,
't'eramo ed Ascoli di Satriano .
Anzi credono alcuni che i marsi, po-
poli della Germania, sieno pro-
venienti dai marsi d'Italia (Fedi),
da dove furono, dicesi, scacciali da
Pompeo. Delle guerre diverse dei
marsi, di quelle di Annibale, lieila
guerra marsicana detta sociale, ne
parlammo a detto articolo, a quello
di Lazio, ed altrove. Celebre e po-
tente fu la casa degli antichi gran
conti de'Marsi^ discendenti da Car-
lo Magno per Berardo suo affine ,
come figlio di Pipino il giovane
e nipote di Bernardo re d' Italia :
molti personaggi illustri ne deri-
varono, de' quali trattarono Leone
Ostiense e l'Ammirato. Lodovico II
imperatore elevò il gastaldato di
Marsi in contea, tolta già al du-
cato di Spoleto, di cui era dive-
nuta soggetta. Altri dicono che i
conti di Marsi originarono da Tras-
mondo III duca di Spoleto , per
cui i Trasmondi portano il titolo
di conti di Marsi, mentre gli Sfor-
za-Cesarini hanno l'altro di duchi
di Marsi. Su di che si può leggere
i' importante ed eredito libro inti-
MAR
telato: Compendio storico-genealo-
gico della patrizia famiglia Tras-
mondoj Pionia i832. Il paese dei
marsi apparleiine al dominio tem-
porale della santa Sede, per cui
l'imperatore Ottone I nel 962 ne
confermò la proprietà e rinnovò la
donazione al Papa Giovanni XII,
con diploma scritto a lettere d' o-
ro, che a' tempi del Baronio si ser-
bava nell'archivio di Castel s. An-
gelo. Tanto affermano il Borgia ,
Memor. stor. t. I, p. 94j chiamando
anche lui Marsi città del ducalo
di Spoleto, e Pietro Antonio Cor-
signani nella sua Reggia Marsica-
na, Napoli 17 38. In questa opera
esso parla delle memorie topografi-
co storiche di varie colonie e città
antiche e moderne della provincia
de' Marsi e di Valeria, compresa
nell'antico Lazio e negli Abruzzi ,
colla descrizione delle loro chiese
e immagini miracolose; e delle vi-
te de' santi cogli uomini illustri, e
la serie de' vescovi marsicani. Dai
marsi uscirono valorosi guerrieri ,
santi, il Papa s. Bonifacio IV, molti
cardinali, dotti ed altri illustri per-
sonaggi.
La sede vescovile vi fu eretta
ne' primi tempi della Chiesa sotto
la provincia della metropoli di Chic-
li, ma immediatamente soggetta al-
la santa Sede. Il primo vescovo di
Marsico si dice s. Marco di Gali-
lea, eletto dal principe degli apo-
stoli a predicar la fede ai marsi ed
agli equicoli, e martirizzato essen-
do vescovo di A ti no. e poi forse
anco di Rieli^ come scrive il Mari-
ni vescovo di tal città. Il secondo
vescovo è s. Ruffino, che soffrì il
martirio verso l'anno 240; il terzo
Giovanni che intervenne al costi-
tuto del Papa Vigilio nel ^^^ ; il
quarto Luminoso che sottoscrisse
MAR i37
al concilio di Laterano nel 649
adunato da s. Martino I. Lidue-
rito intervenne al concilio sotto s.
Leone IV ; Rottario del 968 si tro-
vò presente ad una sentenza ema-
nala dall'imperatore Ottone I in
favore della chiesa di s. Maria A-
piniaci. Gli successe Alberico figlio
di Berardo III conte di Marsi nel
970, d'infelice memoria: dopo di
lui s'intruse nella sede il suo figlio
spurio Guinisio nel 994. Nel io'56
dalla chiesa di Chieti vi fu trasla-
tato Actio de' conti di Marsi , cui
Vittore II die per successore Pan-
dolfo, sotto del quale Stefano X
nel 1057, essendo in Montecassino,
reintegrò la sede vescovile dell' in-
fera diocesi eh' era stata divisa in
due parti da Benedetto IX che vi
avea stabilito due chiese. Indi fu-
rono vescovi Andrea , e Sigenulfb
intruso dall'antipapa Clemente III,
che governò sino al i 106 per die-
cisette anni. Nel pontificato di Pa-
squale II fu fatto vescovo nel i i io
s. Berardo de' conti di Marsi car-
dinale di s. Angelo in Pescheria ,
poi del titolo di s, Grisogono: a
di lui istanza quel Papa con bolla
del iri5 confermò i confini, i te-
nimenti e le ragioni delle chiese e
della diocesi Marsicana, con distin-
ta menzione di tutte le sue parti,
sua ampiezza e. giurisdizione , poi-
ché anticamente i vescovi di Marsi,
oltre il temporale ebbero ampio
dominio spirituale, immediatamen-
te soggetti al sommo Pontefice. La
bolla Sicut injusta si legge nell'U-
ghelli, in un alla vita del beato
cardinale. Egli coli' assistenza del
preposto di Celano e de' capitolari,
fulminò scomunica contro il conte
d'Albe usurpatore de' beni ecclesia-
stici. Fino al II So non si trova
altro vescovo che Bernardo, a ca-
1 38 M A Pv
gioiK! (lei gravissimi litigi dei nn-
ncinici della catledrale di s. Savina
e di s Giovanili BiUtisla di Cela-
no, per cui vi prese energica prov-
videnza Eugenio IH, massime sulla
consagrazione deirolio santo. Altro
Piernardo era vescovo nel i 178, in
favore del quale il re Guglielmo II
emanò sentenza contro Oddone di
Celano invasore de' beni della chie-
sa. Zaccaria fu al concilio generale
del I l'jcf Laleranense III, ed ebbe
lite con Gentile di Palearia per la
chiesa di s. Bartolomeo d'Avezza-
no, che per mandato regio fu se*
data. Tra i di lui successori note-
remo i piti distinti, riportandone
la serie l'Ughelli, Italia sacra t. I,
p. 882.
Nicola di Celano prevosto della
chiesa di s. Giovanni, eletto vesco-
vo nel 1^54, fu confermato da
Innocenzo IV. Giacouio canonico
della cattedrale di s. Savina, essen-
do stato eletto dal capitolo senza
l'intervento di quello di s. Giovan-
ni Battista di Celano, questo pro-
testò, di lesione al privilegio che
concedeva doversi eleggere il ve-
scovo nella loro chiesa, e perciò di
nullità all'elezione. Per questa lun-
ga lite Gregorio X deputò ad esa-
minarla il cardinal Matteo Orsini,
liionde passati dieci anni Onorio
IV confermò reiezione di Giaco-
mo, col voto di diversi cardinali,
dichiarando però che per l'avveni-
re non s'intendesse pregiudicato il
rapitolo celanese. La chiesa di s.
Giovanni Battista di Celano , già
luiUiiis^ fu eretta in Celano vecchio
nell'anno 1264 o 1:274 ^^^ beato
Giovanni da Foligno, sópra amenis-
simo colle, e divenne patrono del
luogo. Tanta fu la venerazione ver-
so tale tempio, che in progresso fu
eretto (in uu all'altra chiesa di s.
M A R
Giovanni Evangelista, pure edificata
dal beato (xiovnnni ) in cattedrale
col titolo di nulliu!}, e giurisdizio-
ne su nove terre , il cui prevosto
fu decorato di mitra e bacolo e
giurisdizione episcopale , dovendo
intervenire alT elezione de' vescovi
marsicani, che talora si fece in que-
sta chiesa. Per questa ragione ac-
cadero in vari tempi non pochi li-
tigi tra i canonici di Celano, cioè
del capitolo delle due chiese de' ss.
Giovanni Battista ed Evangelista ,
con quelli di s. Savina. La calte-
dralità di Celano terminò nel 1 5()2
dopo lunga questione tra il vesco-
vo Matteo Colli e il capitolo cela-
nese, che fu deciso dover essere
soggetto al vescovo marsicano. La
controversia tuttavia non terminò,
ma la chiesa di s. Giovanni Batti-
sta restò collegiata insigne e pritna-
ria della diocesi. Noteremo che l'an-
tico Celano fu colonia de' romani
e città,, e si chiamò capo de Mar-
si, ed un tempo spettò al dominio
della Chiesa romana, con Soia ed
Arpino, per cui Martino V e Ni-
colò V concessero esenzioni al co-
mune pel mantenimento di sua for-
tezza ; e fu signoreggiato come feu-
do dai Cibo, dai Piccolomini, dai
Savelli, e dai Cesarmi Bobadilla.
Nel 1295 Bonifacio Vili cassata
la postulazione del capitolo per
Alessandi'o de Ponti, invece elesse
Giacomo Busce domenicano. Gia-
como de Militibus romano , cano-
nico d'Ostia e cappellano pontifì-
cio, nel i363 divenne vescovo. Pie*
tro fatto da Urbano VI nel 1 38o,
vicario della basilica Liberiana, ade-
rì poi all'antipapa Clemente VII :
qtjesti nel 1 38o fece p«ir vescovo
Giuliano de' minori, che dopo lun-
ga contestazione fu deposto nel
1409 da Alessandro V, ed ebbe il
IVI A R
piloralo (li Colle Martio per vive-
re, finché Martino V lo trasferì
alle chiesa Cnpritanense. Angelo
Maccafani nobilissimo nnarsicano ,
chiaro in giurisprudenza, Eugenio
IV nel 1446 lo l^cce vescovo, e
meritò di essere tesoriere generale
della Marca Anconitana , luogote-
nente e governatore di Fano, mor-
to in Macerata nel i47<^j ^ sepol-
to nella cattedrale. Francesco, Ga-
briele, Giacomo e Gio. Dionisio
Maccafani, successivamente furono
vescovi, e Clemente VII nel i53'^
conferì la sede a Marcello Crescenzi
nobile romano, che Paolo III creò
cardinale nel [5^2. Per sua ces-
sione nel 1 546 fu fatto vescovo
Michele Fran/ino Governatore di
Roma, di cui parliamo nella serie
di quelli. Giaoìbattista Milanesi no-
bile fiorentino, eletto nel i562, si
recò ài concilio di Trento; gli suc-
cesse nel iSyt) Matteo Colli na-
poletano, sotto del quale la sede di
Valeria o Marsi, dal luogo di s.
Benedetto fu trasferita da Grego-
rio XI II in Pescina , il perchè è
indispensabile la scmiente digressio-
ne. Il castello di s. Benedetto eb-
be tal nome dalla rinomata chiesa
di questo titolo. È costante opi-
ni<uie degli scrittori che ivi esistesse
l'antica città Prateria compresa nel-
l'antico Lazio, che diede il nome
alla contrada. Sì vuole fondata dal-
la celebre matrona Valeria iìglia
dell'imperatore Diocleziano , e che.
vi dimorasse qualche tempo, ovve-
ro da M. Valerio Massimo console
romano nell'anno 147 di Pioma ,
dopo aver soggiogato i marsi. Per
la sua magnificenza, nobiltà e pie
gì, dopo Marruvio fu capo e me-
tropoli della provincia , con avere
avuto il collegio, il senato, V anfi-
teatro ed il maestrato assai nume-
MAR l'io
roso; ne restò qualche avanzo di
sue rovine, e della diroccala città
presso la chiesa di s. Benedetto ,
dopo essere stata talvolta visitala
dagl'imperatori che vi fabbricaro-
no sontuosi villaggi, tra' quali la
celebre villa di Nerone, e fu rino-
mato il vico Valerio. La provincia
di Valeria contenne nel suo domi-
nio, Tivoli, Carsoli, Rieti, Forco-
nio, Amiterno e Marsi col lago di
Fucino. La città fu diroccala dai
goti e longobardi, e in parte dalle
ncque di Fucino, ed allora la pro-
vincia prese il nome di Marsicana.
Dopo la predicazione del vange-
lo fu quivi stabilita la cattedrale di
s. Savina o Sabina, denominata la
chiesa Marsicana o de Marsi, cioè
poco lungi dal sito di Valeria, e
la chiesa di s. Benedetto, già ca-
sa di s. Bonifacio IV del 608 di
Valeria (al cui tempo vuoisi che
esistesse la città) da lui convertita
in monastero a benefizio della
patria, come fu pure di qualche
celebrità la chiesa e monastero
di Maria Adergine, abitato da s.
Equizio abbate, che alcuni voglio-
no rovinalo prima dell' eccidio di
Valeria nel /[Si per la persecuzio-
ne de'vandali devastatori della pro-
vincia. Restaurato poi il mona-
stero , Dio comandò al santo ab-
bate di predicare il vangelo ai
marsi, i quali trovandosi meschia-
ti co' nemici della Chiesa , si e-
rano corrotti ne' costumi. 11 mo-
nastero dai benedettini passò per
breve tempo al governo de'cister-
ciensi, da' quali passò in commen-
da a' chierici secolari col titolo di
abbate. Anticamente vi risiedevano
gli abbati benedettini, detti anche
preposti, facendosi menzione del-
l' abbazia dai più rinomati sci il-
tori, come ricca di rendite e ter-
I |o MAR
liloiii a tempo de' monaci. II pri-
niu abbate commendatario di cui
si trovi menzione è del l'^jS, cioè
JXicolò Giacomo Ciucumello; sotto
l'abbate commendatario Gio. Pietro
Tomassetli di Pescina, nel 1668
fu restaurata la chiesa. Quanto al-
J*anti("a chiesa di s. Savina già cat-
tedrale de' marsi e della città di
Pesci na, ove fu trasportata la cat-
tedrale e la sede del vescovo, nel-
la provincia di Abruzzo Ulteriore
secondo, col Corsigiiani riportiamo
le seguenti notizie. La cattedrale
di s. Savina, benché s. Marco sia
stato il prillo vescovo de' mar-
si verso l'anno 4^> ^ benché a
quell'epoca la fede cattolica fosse
per lui già stabilita in Valeria,
chiesa de'marsi, non poteva esse-
re a queir epoca eretta , perché
Ja santa moglie del senatore Pu-
dente fu in Roma battezzata da
s. l^aolo , patì il martirio a' 29
agosto o 3 settembre dell' anno
122, verso il qual tempo tal
chiesa può avere avuto la sua
prima origine in Valeria, divenen-
do la matrice chiesa dei mar-
si. In progresso di tempo l'ediQ-
zio fu ingrandito ed ornato, an-
che per òpera dei conti di Mar-
si, ed in particolare del gran Be^
Tardo; e Pasquale II gli confermò
il dominio su tutte le chiese della
diocesi, come abbiamo già detto.
In questa chiesa furono sepolti i
vescovi, e presso le sue mura esi-
steva il palazzo vescovile, ove i car
nonici con altri preti vissero in
vita comune col vescovo. La chie-
sa era a tre navate con marmi fi->
rissimi, con bassorilievi e pitture
alla gotica, per cui molte pietre
lavorate furono trasportate a Pe-r
scina, cadendo in rovina il tempio
e l'episcopio. Imperocché, diroccq-
MAR
ta Valeria, rimase la chiesa in so-
litaria campagna, soggetta a deso-
lazione ed alle ruberie de'masna-
dieri, onde i vescovi si trovarono
esposti a non pochi disagi, così i
canonici. Questi avendo col vescovo
Matteo Colli ricorso nel i58o al
Pdpa Gregorio XIII, egli trasferì
l'antica cattedrale di s. Savina nel
tempio di Maria Vergine delle Gra-
zie, già sotto il titolo della Madon-
na della Neve, con bolla In su-
prema dignitatisj kal. januarii. Tut«
tavolta la cattedrale nuova non fu
compila che nel iSgS sotto il ve-
scovo Peietti, con ornati, portici,
tre navale, trono del vescovo ed
ampio coro, con l'altare maggiore
lavoralo di marmo mischio, con
cappelle, alcune delle quali abbel-
lite, essendo in complesso edifizio
maestoso. Sbagliò il Baudrand e
chi Io seguì, in attribuire a Cle-
mente Vili questo trasferimento
della sede vescovile di santa Sa-
vina a Pescina, città posta sulla
destra riva della. Giovencola, che
entra nel lago di Fucino metten-
do foce nel suo lembo orientale,
capoluogo di cantone, che conta
tra i suoi uomini illustri il cele-
bre cardinal Giulio Mazzarini. Pe-
scina per tale onore da terra di-
venne citlà, e fu così chiamata o
dal fiume che alle radici dell' A-
pennino sotto le scorre, oppure dal
rivo deli' antica chiesa di s. Ma-
ria in Apeniace, essendo baronia
sotto la contea di Celano.
Il suddetto vescovo Matteo Colli
difese con fortezza e zelo le ragio-
ni di sua chiesa, e soggiacque al
carcere di Castel s. Angelo di Ro-
ma, ma ne uscì innocente, morendo
in della città nel 1596, e fu sepolto
nella chiesa di s. Lorenzo in Lu-
giua, leggendosi nella iscrizipqe se
MAR
polcrale,che fu benemerllo della cat-
tedrale, del seminano, deUVpiscopio
e di diversi monasteri. Gli successe
Bartolomeo Pereftì, sotto del qua-
le Clemente Vili dichiarò catte-
drale s. Maria delle Giazie di Pe-
scina, appena ridotta a tale, e vi
trasferì il capitolo. Muzio Colonna
lomano fu falto vescovo nel i63o,
e fu pio pastore ; per sua morie
nel i632 lo divenne Lorenzo Mas-
simi romano, canonico della ba-
silica laleranense. Nel 1646 fu
promosso a questa chiesa Gio. Pao-
lo Caccia, che introdusse la vita
comune nelle monache di s. Chia-
ra, ed incominciò la fondazione
delle scuole pie, mediante il pin-
gue legato di Lelio Tomasselli, per
cui insorse lite tra gli scolopi ed i
silvestrini, monaci dimoranti presso
la loro chiesa di s. Antonio abbate.
Antonio o Ascanio de Gasperis di
Veroli, secondo collaterale di Cam-
pidoglio, eletto da Innocenzo X
nel i65o, compose le vertenze
sulla precedenza della prima col-
legiata, celebrò il sinodo, e fu Io-
dato per scienza e soavi qualità ',
nel 1664 gli successe Diego Petra
de'baroni di Sangro: anch' egli ce-
lebrò il sinodo, nel 1671 pose la
prima pietra alla chiesa di s. Giu-
seppe delle scuole picj e nel 1680
fu traslato all'arcivescovato di Sor-
rento. L' ultimo vescovo registrato
dai continuatori dell' Ughelli fu
Francesco Bernardino Corradini no-
bile di Fabriano, padre de'poveri
ed ottimo pastore: il seminario
trasportato dal monastero de' sil-
vestrini vicino alla cattedrale nel
1 58o dal vescovo Colli, restaurato
nel 1664 dal vescovo Petra, fu
accresciuto soltanto dal vescovo Cor-
radini, e perfezionato nel 1720
dal successore Muzio de' Vecchi.
MAR i4i
La successione de* vescovi di Marsi
si legge nelle annuali Notizie di
Eoiha : ne riporteremo gli ultimi.
1760 Benedetto Mattci di Avezza-
no diocesi di Marsi. 1776 Fran-
cesco Vincenzo Lajczza di Napoli.
1797 Giuseppe Bolognese di Chie-
ti. i8o5 Giovanni Camillo Rossi
di Avellino. 1818 Francesco Sa-
verio Durini abbate della congrega-
zione celestina, nato in Chi eli, poi
Iraslato ad A versa. 1824 Giu-
seppe Segna di Poggio Ginoifo
diocesi di Marsico. Il Papa Gre-
gorio XVI nel concistoro de' 19
giugno 1843 fece vescovo l'odier-
no monsignor Michelangelo Sorren-
tino della terra di s. Gio. a Pire
diocesi di Policaslro , della pri-
ma arciprete, della seconda ca-
nonico.
La cattedrale di Marsi esistente
in Pescina , dedicata alla Beata
Vergine delle Grazie, è soggetta
immediatamente alla Sede aposto-
lica. Il capitolo si compone della
dignità dell'arciprete, di dieci ca-
nonici, comprese le prebende del
teologo e del penitenziere, di due
mansionari o benefiziati, e di altri
preti e chierici addetti al servizio
divino. La cura di anime della
cattedrale, ov'è il fonte battesima-
le, appartiene al capitolo, che la
fa esercitare da un canonico. Tra
le reliquie che si venerano nella
cattedrale, nomineremo un brac-
cio di s. Savina o Sabina patro-
na di tutta la diocesi ; ed il capo
di s. Berardo o Bernardo vescovo
della medesima, il cui corpo dal-
l'antica cattedrale di s. Savina, nel
i58o fu trasferito alla chiesa di
s. Berardo, posta nella cima del
monte della città , e rifabbricata
dal vescovo de' Vecchi, mentre il
suo successore Dragonetli nel 1727
i4i MAH
vi fece ediiicare una (.appella .
L'episcopio è prossimo alla cat-
tedrale; fu eretto dal vescovo Col-
li dopo la traslazione della resi-
denza episcopale in Pescina, re-
staura to ed abbellito dai vescovi
de Gnspe» is , Corradini ed altri.
Olire la catltdrale in Pescina non
vi è altra chiesa parrocchiale; ben-
sì vi è un convento di religiosi
ed un uiOiiaslero di monache, quat-
tro confraternite, più dotazioni per
le poverezitelle, due ospedali e se-
minario con alunni. Ampia è la
diocesi e contenente più di sessan-
ta luoghi. La mensa ad ogni nuo-
To vescovo è tassata ne'libri delia
camera apostolica in fiorini cento,
corrispondenti alle rendite d'annui
scudi tremila non deductis ouC'
rihu.i.
MaRSICO nuovo {Marsicm).
Città con residenza vescovile del
regno delle due Sicilie, nella pro-
vincia di Basilicata, distretto sulla
laida orientale del Monte della
Maddalena, presso la sorgente del
fiume Acri, al piede deli'Apennino,
i cui popoli chiamaronsi marsici,
come noia il Corsignani nella Reg-
gia Ma rs icona j perché presero il
nome da questa città edificata dal
possente Rinaldo figlio del conte
de'Marsi, quand'egli si ritirò nella
provincia di Salerno presso alla
medesima Basilicata. Marsico Nuo-
"vo fu contea ed ebbe i suoi conti,
avendola signobeggiala per molto
tempo la nobile famiglia Sanseve-
rino. Siccome l'antico vescovato di
Grumento venne unito a Marsico
Nuovo, ne daremo un cenno come
de'suoi vescovi. Grumento , Gru-
nieniuni o Agiomento , città della
Magna Grecia, nella Lucania, ver-
so il golfo di Taranto , e fra À-
bellinuni Marsicum ed Iltraclea
M A II
o Eraclea. Tito Sempronio vi ri-
portò una vittoria sopra Hanon,
al detto di Tito Livio. Parlano
pure di Grumento, Tolomeo, Pli-
nio ed Antonino. Si crede essere
più antica di qualche altra città
del paese, la cui origine non ri-
sale che all' epoca romana : i sa-
raceni la rovinarono. Grumento di-
venne sede vescovile nel secolo IVj
e fu irrigata dal sangue di s. La-
beijio o Laverio suo patrono. Sem-
pronio Alone è il primo vescovo
conosciuto di Grumento , ordinato
dal Pontefice 8. Damaso I nel
370. Giuliano Patoraa è il secondo,
cui scrisse nel 58o Pelagio li
per trasferirlo alla chiesa Marcel-
liense, richiesto dal clero e dal
popolo. 11 terzo fu Rodolfo Alano,
uomo magnifico e degnissimo, al
cui tempo la chiesa fiorì pel san-
gue glorioso de* martiri. L' Ughelli
neir Italia sacra incomincia la
serie dei vescovi di Marsico Nuo-
vo con quelli di Grumento, e ne
tratta nel t. VII, p. 485, e X, p.
Ili e 284, riportando pure le
gesta di s. Laverio martire , che
predicò la fede in Grumento e ri-
portò presso tal città la palmu
del martirio nel 3 12, 5 kal. de-
cembris : il suo corpo fu deposto
nella chiesa a lui intitolata, ma
quando fu devastata la città, par-
te se ne trasportò nella cattedrale
di Acerenza, e parte in quella di
Satriano. Commanville dice che
Grumento fu unito a Marsico Nuo-
vo nel VI secolo, ed altri defini-
tivamente nel 1260 circa. A Giu-
liano di patria grumentino, che
accrebbe il lustro di sua chiesa ,
r Ughelli pone per successore Tu-
der o Tuderisìo che si sottoscrisse
Marsicensis ecclesiae episcopns^ nel
decreto con cui s. Leone lY nel-
1*853 conilannò Anastasio cardi-
nale prete ; questo è il primo dei
vescovi Marsicani seu Mnvsicenses^
anch'essi sufFraganei dell'arcivesco-
vo di Salerno.
S'ignora quando vivesse Ori-
ni al do vescovo Marsìccìisis^ notato
dopo Tuderisìo, sotto di cui ebbe
luogo la traslazione dejle reliquie
di s. Gennaro vescovo di Cartagi-
ne. Dopo circa duecento anni si
trova Gisolfo marsicensìs episcopus,
sotto del quale nel 1089 ^^^''
nianno donò a Rado abbate di s.
Stefano di Marsico, le chiese di s.
Nicola e di s. Caterina colle loro
pertinenze. Nel 1095 mori GisoHb,
e subito gli successe Giovanni mo-
naco cassinese, Marsicensìs et Gru-
ìnenliiiae ecclesiae si sottoscrisse ad
un privilegio concesso a Pietro ab-
bate della Cava per l'erezione
della chiesa di s. 'Giacomo de
lUtrgentia ; nei monumenti di tale
abbazia sembra che Giovanni fosse
fregiato della dignità cardinalizia. Al-
tro Giovanni pur cassinese gli suc-
cesse; quindi fiori Leone che tal-
ora si chiamò vescovo di Marsico
e talora di Grumento : nel i xiZ
fu uno de'deputali che Calisto II
incaricò per esaminare i miracoli
di s. Gerardo vescovo di Potenza,
Posentini Grumentinus item appel-
lalur. Enrico fu vescovo sotto O-
norio II, nel di cui lem pò nel i 1 3 i
fu fabbricata la chiesa cattedrale
sotto il titolo della Beata Vergine
e di s. Giorgio martire, trasferen-
dovisi la cattedra episcopale eh' e-
ra nella basilica di s. Angelo. Tra
i suoi successori noteremo quelli che
si distinsero, Giovanni a cui Sil-
vestro conte di Marsico fece pie
donazioni nel i i5o e nel i 1 52 ;
intervenne nel 1179 al concilio
ticucralc Lalcraiiense III tenuto da
MAH i43
Alessandro III, e nel suo vescovato
Guglielmo altro conte di Marsico
edificò la chiesa in onore di s.
Tommaso di Cantorbery, nella qua-
le Giovenale prete sotto la rego-
la di sani' Agostino fu costituito
priore immediatamente soggetto al-
la santa Sede, alla quale chiesa fe-
cero donazioni altri conti di Mar-
sico. Nel 1 1 88 essendo vescovo il
medesimo Giovanni, Bartolomeo
signore del castello di Marsico vec-
chio, con Mariella sua moglie, do-
narono all'abbate di s. Stefano di
Marsico la chiesa di s. Maria. An-
selmo famoso per le sue profezie
sui Pontefici, che furono pubblica-
le dopo Bonifacio Vili, contempo-
raneo dell'abbate Gioachino fonda-
tore della congregazione Florense,
visse dopo il 1210. Dal 1^39 va-
cò la sede sino a fr. B.inaldo do-
menicano siculo, fatto vescovo sotto
Clemente IV, traslato a Messina da
Gregorio X nel 1273, chiaro per
egregie qualità. Gli successe l'altro
domeyicano fr. Reginaldo da Pi-
perno discepolo di s. Tommaso di
Aquino. Essendo vescovo Giovanni
de Vetere Mattei salernitano, nel
1293 Tommaso Sanseverino con-
te di Marsico (il quale confermò
i privilegi della chiesa e monastero
di s. Tommaso, che dagli agosti-
niani passò in proprietà delle mo-
nache benedettine, alle quali con-
cessero privilegi vari conti di Mar-
sico), fece edificare la torre campa-
naria nella cattedrale. Clemente VI
nel i349 quivi trasferì da Tricarico
il vescovo Rogerio, al cui tempo
il conte Tommaso, figlio dell'altro
di simile nome, fondò il monastero
pei celestini presso la città, che
dipoi soppresse Innocenzo X, con-
cedendolo colle rendite al semi-
nario.
i44 1^1 A R
Giacomo Capndnin di Potenza,
vivente il vescovo Tommaso fatto
tale da Urbano VI, l'antipapa Be-
nedetto XI II ve lo intruse, e mo-
rì nel i4oo. Pietro Ilperino o
Alperino, di antica e nobile fa-
miglia romana , celebre teologo
domenicano e maestro del sacro
palazzo, fu anch egli nominato ve-
scovo da Urbano VI, ma cacciato
dalla sede dai vescovi intrusi, moi
lì in Roma nel i383, e fu se-
polto presso il campanile di s.
Maria sopra Minerva, al convento
della quale era appartenuto, in
nobile monumento, poi trasportato
nella cappella della ss. Annunziata.
Fr. Nardello da Gaeta de'minori,
nel i4oo nominato vescovo da
Bonifacio IX, governò egregiamen-
te, e morì nel pontificato di Eu-
genio IV. Fr. Antonio de Medi-
ci di Firenze , dotto religioso dei
minori francescani, eletto nel i4^4>
morì nel medesimo anno: gli suc-
cesse Fabrizio Guarna salernitano,
ed a questi nel i494 Ottaviano
Caracciolo di Napoli, illustre per
la sua nascita , per la sua pietà,
e per la sua erudizione , morto
nel i535, e sepolto in cattedrale
nel sepolcro dei vescovi da lui re-
staurato, nella cappella de' santi
Cosma e Damiano . Il successore
Vincenzo Bocca ferri nobile bolo-
gnese abbate olivétano, insigne in
prudenza, morì in Roma nel se*
guente anno, e fu sepolto nella
chiesa dell'ordine. Paolo III nel
i54i creò vescovo Marzio de'Medici
nobile fiorentino, che intervenendo
al concilio di Trento si fece ammi-
rare per l'erudizione , e morì nel
1573 in Venezia, ove risiedeva
quale ambasciatóre di Cosimo I
granduca di Toscana, venendo se-
polto in s. Maria dell'Orto. Gli
MAR
successo suo nipote Angelo de' Mar-
zi Medici, decano della metropo-
litana di Fiienzc. Fr. Antonio Fe-
ra toscano, gran teologo e vicario
generale apostolico de' conventuali,
Gregorio XIII nel i5S/\. lo pro-
mosse al vescovato , che rinunziò
nel 1600, anno in cui morì, (ili
fu sostituito Ascanio Parisi di Mo-
literno diocesi di Marsico , morto
in patria nel 1614. Fr. Timoteo
Casello domenicano, napoletano di
Guardia, fu eletto dopo il prece-
dente; aumentò le rendite della
mensa, ornò ed ingrandì la cat-
tedrale che arricchì con insigni re-
lifjuie ricevute in dono dal l*apa ,
fu colla voce e coli' esempio mo-
dello di virtù al popolo , e meri-
tò che dopo la sua morte accadu-
ta nel 1639 , il successore ed i
canonici gli erigessero nella catte-
drale un marmoreo monumento.
Fr. Giuseppe Cianti nobile roma-
no, dell'ordine de'predicatori, eru-
dito nella lingua ebraica, dotto nel-
le scienze. Urbano Vili nel 1640
lo fece vescovo. Con invitto animo
sostenne la lunga lite che si agi-
tava in rota contro l'arciprete dt
Saponaria , e ne riportò vittoria,
con che il vescovo di Marsico
rientrò nella sua giurisdizione sul
medesimo e clero . Celebrò nel
1643 il sinodo che fu stampato)
riedificò dai fondamenti la catte-
drale , l'ampliò ed ornò; eresse
nell'episcopio il seminario e l'ar-
chivio vescovile ; restaurò nella
chiesa di s. Maria sopra Minerva
il sepolcro de'suoi maggiori ; inol*
tre in Roma col fratello Ignazio,
pur domenicano e vescovo di s.
Angelo de'Lombardi, restaurò ed
abbellì la cappella di s. Domenico
in s. Sabina; rinunziò la sede nel
t656 per dedicarsi in Roma a
MAR
tratlurre l'opera del dottore s. Tom-
maso contro i gentili, oltre altri
scritti che lasciò.
Alessandro VII gli sostituì Ange-
lo Pineri di Montefiascone, ornato
di molte virtù , al quale successe
nel 1671 Gio. Battista Falvi dei
baroni di Giulianello, canonico di
IVlartorano e di Cosenza, stimato
da diversi cardinali; dopo l'eserci-
zio di diverse dignità ecclesiasti-
che. Clemente X lo elevò a que-
sta chiesa; ne fu benemerentissi-
mo, accrebbe le rendite del semi-
nario che ingrandì, fu zelante del-
la disciplina ecclesiastica e dei sa-
cri studi, soccorse i poveri nella
carestia ; pel terremoto del 1673
diede esempli di edificante peni-
tenza; dotò le zitelle, aiutò le ve-
dove, distribuendo ai bisognosi le
sue vesti e suppellettili; e moren-
do in Vigiano nel i676,fu tumu-
lato in onorevole sepolcro, tra il
lutto e il pianto di tutti i dioce-
sani. Domenico Lucchetti della dio-
cesi di Tricarico, arcidiacono di
Marsico, ne divenne vescovo nel
1686, succedendogli nel 17 io, do-
po tre anni di sede vacante^ Do-
nato Ansani nobile di Ariano, ed
arciprete di quella cattedrale, con
esso terminando la serie de' vesco-
vi di Marsico i continuatori del-
l'Ughelli. In quella che si legge
nelle annuali Nolizie di Roma ,
sono gli ultimi i seguenti. 1766
Andrea Tortosa di JNocera de' Pa-
gani. 1771 Carlo Nicodemi di Pen-
ta diocesi di Salerno. 1792 Ber-
nardo della Torre di Capo di
Monte arcidiocesi di Napoli. 1797
Paolo Garzillo di Solofra arcidio-
cesi di Salerno. Pio VII nel 1818
colla lettera apostolica De lUiliori do-
vìinicae, V kal. julii, nel riordina-
mento delle diocesi del regno delle
VOL. XLIII.
MAR i4^
due Sicilie, unì la diocesi e il ve-
scovato di Potenza (Fedi) a questo
di Marsico Nuovo, indi confermò
Marsico Nuovo suffraganeo della
metropoli di Salerno, e Potenza m
suffraganeo dell'arcivescovo di A-
cerenza. Lo stesso Papa fece primo
vescovo di Marsico Nuovo e Po-
tenza unite, nel concistoro de' 2 1
febbraio 1820, Giuseppe BotticelU
de'minimi paololti di Sora, al qua-
le die in successore in quello dei
29 aprile 1822 Ignazio Marolda
della congregazione del ss. Reden-
tore, nato in Muro, cui successe
r odierno vescovo monsignor Mi-
chelangelo Pieramieo, di s. An-
gelo diocesi di Penne, fatto da
Gregorio XVI nel concistoro dei
12 febbraio i838.
La cattedrale, nuovo edificio splen-
dido, perchè un incendio distrusse
l'antica, è sacra all'Assunzione di
Maria Vergine. 11 capitolo si com-
pone di tre dignità , prima delle
quali è l'arcidiacono, di dodici ca-
nonici e di diversi mansionari o
ebdomadari, oltre altri preti e chie-
rici addetti al divino servigio. Nel-
la cattedrale vi è il fonte battesi-
male colla cura d' anime , di cui
ha l'amministrazione il primicerio,
seconda dignità del capitolo , coa-
diuvato da un prete economo. L'e-
piscopio è prossimo alla cattedrale,
anch'esso riedificato dopo l'incendio.
Oltre detta chiesa, nella città vi so-
no altre quattro chiese parrocchiali
è munite del battisterio. Vi sona
inoltre due conventi di religiosi ed
un monastero di monache, diverse
confraternite, l'ospedale ed il semi-,
nario. Le due diocesi unite si esten-
dono a circa novantacinque miglia
di territorio, e contengono quindici-,
luoghi. Ogni vescovo è tassato nei
libri della camera apostolica in fio-
10
i46 MAR
lini 208, coirìspondenli alla rendi-
la (ìi circa 2000 ducati napoletani,
publicis dtduclìs ouerihiis.
MARSIGLIA (Marsiticn). Cwxìx
con residenza vescovile, la più ric-
ca, mercantile e popolata del mez-
zodì della Francia , nella Pro-
Tenza, ora capoluogo del diparti-
mento delle Bocche del Rodano,
di circondario e di cantone, distan-
te I 98 leghe da Parigi. E situata
sopra una rada del mare Mediter-
raneo, alla costa nord- est del golfo
di Lione , un poco al nord della
iroboccalura dell Huveaune. Tnoltie
Marsiglia è capoluogo dell' ottava
divisione militare, e del sindacato
marittimo, sede de* tribunali di pri-
ma istanza e di commercio. Vi so-
no direzioni delle contribuzioni di-
rette e indirette, dei demani e do-
gane, una conservazione delle ipo-
teche, una camera ed una borsa,
un consiglio di periti, un sindaca-
to marittimo, un commissario ge-
nerale, un tesoriere di marina, ed
un ingegnere de* ponti ed argini ,
incaricato de* lavori del porto. Mar-
siglia è cinta di colline, delle quali
la più alta è quella della Madon-
na della Guardia, verso il mezzodì,
su cui evvi un forte; all'ovest si
trova il mare col porto. Presso ed
all'ovest di questo ultimo, vi è la
cala della Fontana del re, e al nord-
ovest di questa quella del Faro: al
nord-est dell'ingresso del porto si
osservano le cale dell' Ourse, della
Jolietle e del Lazzaretto rimarca-
bilissimo. Il porto, di figura ovale,
si prolunga nell'interno della città,
dall'est all'ovest, sopra una lunghez-
za di 5oo tese ed una larghezza
di circa 200 ; V ingresso è rinchiu-
so fra due roccie, sulle quali s'in-
nalzarono al nord il forte s. Gio-
Tanni, e al sud quello di s. Nico-
MAR
la, che più considerabile del primo
domina altresì una parte della cit-
tà ; è diflìcile e non permette il
passaggio che ad una sola nave per
volta. Questo porto è sicurissimo,
e può contenere circa 1200 navi-
gli; le fregate sono i legni da guer-
ra i più grandi che vi possono en-
trare ; è soggetto ad essere colma-
to dalle alluvioni e dal fango delle
vicine colline, staccato dalle piog-
gie; varie macchine sono di conti-
nuo impiegale al suo nettamento.
Sul lato nord del porto evvi lo
stabilimento sanitario ; un canale
cinto di magazzini della dogana è
praticato sul lato meridionale. In-
dipendentemente da questo porto,
se ne fece di recente un altro chia-
mato Dieudonné, nella rada, fra le
isole ben fortificale di Ralonneau
e di Pomèguc; i vascelli di linea
possono ancorarvisi con sicurezza,
e serve anche di luogo di ([uaran-
lena ai navigli. Avanti della rada
si trova l'isola d'if, roccia ben co-
perta di batterie, ove stanno le tor-
ri e gli edifizi che servono di pri-
gione di stato. Il lazz^uetto sta sul-
la costa a 200 passi nord dalla cit-
tà, ed è uno de' più beili dell'Eu-
ropa ; si eresse pure nell'isola Ra-
lonneau un ospedale per gl'indi-
vidui la cui salute è sospetta. Di-
scendenti i marsigliesi dai focesi, i
quali tracciarono pei primi la via
del golfo Adriatico e del mare Tir-
reno, i marsigliesi non hanno mai
smentito la loro origine; ma sem-
pre rivolsero tutte le loro viste al
commercio, e questo coronando le
loro fatiche, fu sem^n'e la sorgente
della loro prosperità, del qual com-
mercio passirmo a da ine un cenno
istorico, limitandoci all'era cri-
stiana.
Fino dal secondo secolo le sala-
MAR
gioni della provincia godevano già
ni) soiniuo credito ; e Plinio il vec-
chio scrisse, che i pesci preparati
in Mursigiia, e specialmente le sar-
de, erano ricercale ed in molto pre-
gio presso i romani. Secondo s. Gre-
gorio di Tours^ questa città era nel
VI secolo il luogo di deposito or-
dinario delle merci della nazione
francese, e di quelle che si tras-
portavano dall'estero. Era pure in
questo porlo che sbarcavasi il vino
di Gaza , cosi rinomato presso i
galli. Abbiamo dallo storico Egi-
nardo, genero e segretario di Carlo
Magno, che nell* B3o i negozianti
stabiliti in Marsiglia importavano
già dall'Egitto le spezie dell' Indie
ed i profumi di Arabia; ne trae-
vano anche dello zucchero e della
seta, portata dalle caravane dell'A-
sia ; ma questa ultima merce era
di estremo lusso, e le sole spose
novelle facevano uso di un abito
di seta, la cui fattura costava cin-
que soldi. I cuoi, le pelle conciate,
gli olii divennero in appresso gli
oggetti più importanti del commer-
cio di Marsiglia. È noto abbastan-
za il conto in cui teneasi il sapone
ivi fabbricato, il quale forma an-
che oggidì uno de' più considere-
voli rami della sua industria, e se
ne fa smercio quasi per tutte le
piazze mercantili d'Europa. All'e-
poca delle prime ciociate, nel de-
clinar de! secolo XI e nei primi
tempi del XI 1, i marsigliesi el3bero
specialmente il merito di provve-
dere a tutto quello che poteva oc-
correre nel tragitto del mare alle
schiere cristiane de* crociati j ed et»
tennero perciò in Siria diverse con-
cessioni, e l'esenzione di tutti i dazi
sulle mercanzie che importavansi
co' loro navigli. La concia delle
pelli fu già per Marsiglia di som-
mah ì47
mo profitto, e l'Italia e la Spagna
specialmente ne facevano vistosi ac-
quisti ; ma il dazio gravoso che ftt
imposto a questa merce nel 1760,
diminuì moltissimo siffatto commer-
cio. Nel 1187 il conte di Monfer-
rato concesse a' marsigliesi il di-
ritto di commerciare con Tiro fran-
chi da ogni imposta. Nel 14^3 do-
po la morte della regina Giovanna
li, mentre Marsiglia era sottoposta
a tutti gli orrori della guerra sotto
Alfonso V re d'Aragona e di Sici-
lia, le repubbliche di Genova e di
Venezia s' impadronirono in gran
parte delle relazioni commerciali di
Marsiglia col levante ; ma ben pre-
sto sotto il regno di Renato tali
perdite furono riparate. Questo prin-
cipe stabilì saggi regolamenti, che
prepararono un'era novella di pro-
sperità, portata al più alto grado
dalle franchigie accordate nel 1669
da Luigi XIV, che dichiarò il porto
franco. Qiiesla prosperità non fu
interrotta che nel 1790: in tale epo-
ca Marsiglia ebbe a soffrire in cau-
sa di sospensione generale del com-
mercio, e specialmente dalla legge
emanata il i3 dicembre 1 794, che
«soppresse interamente la franchigia
accordata nel 1669, ch'era già sta-
ta di mollo modificata dalla ante-
cedente legge «."agosto 1791, con-
seguenze solile delle rivoluzioni. Nel-
le lunghe guerre sotto l'impero mi-
litare, Marsiglia andò del tutto in
decadenza ; e la sua popolazione ,
ch'erasi ripristinata dopo la pe.«>le
del 1720, ("lì di liuovo e così ra-
pidamente diminuita, che rimasero
perfino alcune contrade del tutto
spopolate. La pace vi ricondusse gli
abitanti e le ricchezze; il governo
s'impegnò a favorire questo ritorno
dell'attività del commercio , ed il
porlo in di nuovo dichiaralo fran-
i4S MAR
co a' 3 ottobre 1814. La legge del
16 dicembre 18 16 restituì al por-
to le sue antiche franchigie, ed ac-
cordò una piena libertà alla di lui
navigazione. Con tali provvide dis-
posizioni, Marsiglia si è ben presto
innalzata ad un grado di ricchez-
za, la cui base è un commercio spe-
ciale che non le si può contendere.
Solo gran porto francese sul Medi-
terraneo, Marsiglia ha una posizio-
ne unica incontro le corti spagnuo-
le, italiche, greche, levantine, asia-
tiche ed africane. Né a queste con-
trade limita essa le sue commer-
ciali relazioni ; ma non lascia di
estenderle col mar Nero , col Bal-
tico e coiringhilterra ; le sue navi
si spediscono alle grandi Indie ;
sono in comunicazione con gli Stati
Uniti e colle Antille; infine le sue
spedizioni per l'America del sud
dimostrano ch'essa intende il valore
commerciale nel senso più esteso.
Marsiglia è ancora una piazza di
guerra, e vi si vedono alcuni avanzi
di un'antica muraglia con bastioni.
Si divide in vecchia e /nuova città:
)a seconda è bellissima. La prima
situata all'ovest, eretta in anfitea-
tro, in parte sopra alture, ha per
limiti il porto, il gran corso, la
strada d'Aix ed altre, tutte bene
irrigate da acque sane ed abbon-
danti. Questa porzione di Marsiglia
ha il vantaggio di non essere mai
esposta ai venti impetuosi che si
fanno sentire'* nella città nuova , e
dove si è altresì più difesi dagli
ardori dell'estate. Non manca né di
piazze, ne di fontane, né di passeg-
gi ; la piazza nuova è la più gran-
de e regolare, e quanto ai passeg-
gi, quello della Torretta, chiamato
pure la Spianala , è il più bello,
perchè vi si gode di una prospet-
tiva variata e bellissima, che si e-
MAR
stende sul mare, la campagna, ed
una parte della città nuova. Il ba-
luardo delle Dame è assai ameno,
essendolo egualmente le strade lun-
go l'acqua, che sono soprattutto nel-
r inverno la porzione la più fre-
quentata di Marsiglia. La città nuo-
va, che forma circa i due terzi di
Marsiglia, è percorsa dal nord al-
l'est da una lunga e bella strada
che dalla piazza della porla d'Aix,
va in linea retta alla piazza Ca-
stellana , sotto i nomi di strada
d'Aix, grande corso, corso di s. Lui-
gi, strada di Roma e gran cam-
mino di Roma ; dall'alto della stra-
da d'Aix la vista n'è maestosa.
Questo viale è ancora abbellito dal-
l'arco trionfale eretto sulla piazza
d'Aix in onore di monsieiu' il Del-
fino, da due belle fontane costruite
sul gran corso, e da un'altra fon-
tana con sopra un superbo obelisco.
Tutte le strade di questa parte di
Marsiglia sono belle e adorne di
bellissime case ; dall'alto della stra-
da Canabière si scopre il porto co-
perto di navigli, e chiuso all'estre-
mità occidentale da colline che non
permettono di vedere da qual lato
tì penetri il mare. Il canale situa-
to sulla parte sud del porto è cinto
da belle spiaggie, da case regolari
e da magazzini la cui architettura
è semplice ma soda; un poco più
superiormente del canale, e dal Iato
stesso stanno i cantieri di costru-
zione: in vicinanza si racconciano
i vascelli. Le piazze, in minor nu-
mero che nella città vecchia, sono
più spaziose, regolari e meglio or-
nate, ricordandosi la piazza Reale
colla fontana di s. F'ereoI, cinta da
una doppia linea di maronai delle
Indie, quelle di s. Vittore, del gran
teatro, e di s. MicheFe ove si dan-
no alcune volte pubblici spettacoli.
MAR
I passeggi nel circuito e fuori della
città sono numerosissimi , mollo
frequentata essendo la strada che
conduce al giardino botanico ; il
corso Borbone che termina al-
la montagna dello stesso nome ,
un tempo roccia nuda , ed ora
piantata d' arbusti , intersecata da
strade e laberinti, con una colon-
na di granilo; infine i bastioni che
con ^ari nomi si estendono dalla
montagna di Borbone sino alla por-
la d'Aix. Le acque delle fontane
in questa parte della città sono suf-
ficienti al bisogno ; le acque di Mar-
siglia vengono da Huveaune, e da
molte sorgenti particolari che ali-
mentano alcune fontane. Un gran-
de acquedotto quasi interamente
sotterraneo, e che ha tre incili sul-
l'Huveaune ed uno sul Jarret, è lun-
go 7828 metri, oltre altri piccoli
acquedotti. Il clima di Marsiglia è
sanissimo, quantun(|ue sia la sua
temperatura assai alta.
Questa città non rinchiude al-
cun avanzo di antichi monumenti;
Mi si trovarono soltanto negli scavi
fatti, statue, urne, medaglie ed una
specie di obelisco di 7 a 8 piedi
d'altezza, e che si crede essere il
gnomone di Pitea. Ultimamente si
scopri un sotterraneo, opera roma-
na e benissimo conservata, che scor-
re tutta la lunghezza del porto.
Questo fece nascere l'idea della co-
struzione di un Tunnel non infe-
riore a quello di Londra ( Fedì).
Da gran tempo l'ingresso e l'uscita
di quel passeggio sottomarino era-
no cliiusi : fu l'ingegnere Talon che
osò tentare quell'ignoto e pericolo-
so tragitto in numerosa compagnia.
Non reca meraviglia che gli anti-
chi romani costruissero un' opera
sotterranea a Marsiglia, mentre pas-
sarono per lo spazio di Ire miglia
MAR 149
e mezzo sotto al monte Salviano
per asciugare il lago di Fucino, e
meramente per facilitare l'accesso
ad una villa, forse di Lucullo, tra-
forarono per lo spazio di un mi-
glio il colle di Posilipo. La catte-
drale di Marsiglia, posta nella città
vecchia, una delle più antiche di
Francia, dicesi eretta sulle rovine
del tempio di Diana. 11 palazzo
pubblico costrutto da Puget , è il
più bell'edilizio della città ; la fac-
ciata sul porto vedesi adorna di
bellissimi rilievi in marmo bianco;
vi si vede la statua di Pietro Ba-
yon, che uccise il console Casaux,
capo di quelli della lega, e due bei
quadri del marsigliese Serre , rap-
presentanti le stragi della peste di
questa città ; la borsa è nel pian
terreno di questo edilìzio. Si distin-
guono pur anco l'osservatorio, la pe-
scheria nuova eseguita da Puget ,
il nuovo mercato a 32 colonne
d'ordine toscano, i due teatri e
soprattutto il grande, il palazzo del-
la prefettura, la dogana, i magaz-
zini pubblici, e la colonna innalza-
ta nel 1822, in memoria dei soc-
corsi ottenuti dal Papa Clemente
XI durante la peste. Si legge nella
di lui vita del Novaes, che nel 1720
avendo una nave proveniente da
Seyde introdotta in Marsiglia la pe-
stilenza , Clemente XI compassio-
nando la miseria del popolo, man-
dò al vescovo duemila rubbia di
grano (e mille ad Avignone), per-
chè gratuitamente lo distribuisse ai
bisognosi ; onde il magistrato civi-
co di Marsiglia in segno di grati-
tudine, nel 1726 eresse nel palaz-
zo pubblico una onorevole iscrizio-
ne. Tanto fu orribile la strage, che
fece perire da 4^ a 5o,ooo abi-
tanti ; l'eroismo del vescovo di Mar-
siglia Bclsunce, che in mezzo a tutti
i5o MAR
i pericoli non cess?» di prodigare le
sue cure agii appestati , ha lascia-
to una memoria in perenne bene-
dizione, solo oUuscntH dalla contra-
rietà che mostrò alla bolla Unige-
nittis di Clemente XI che lo aveva
fallo vescovo. Oltre le chiese e par-
rocchie cattoliche, ed una chiesa
de* Mele ìùli- greci (f^edi), in Marsi-
glia vi è una chiesa concistoriale
riformata , una sinagoga concisto-
riale, parecchi ospedali, l'arsenale,
]a zecca (lettere M ed A intrec-
ciale), una gran corderia, un mon-
te di pietà, una cassa di risparmio
e di prevedimento, dei bagni a va-
pore e di sabbia saturata di sai
marino buoni pei reumatismi : le
strade sono bene illuminate dal
1785. Marsiglia è rinomata per le
sua fabbriche, massime di sapone,
di coltelleria, di damaschi di gran-
de bellezza, e meglio di quelli di
Siria, e di altre cose ; vi si tiene
una fiera di quindici giorni il 3 1
agosto.
Mai-siglia possiede una rinomata
accademia di scienze, belle lettere
ed arti, stabilita sino dal 1726,
molte società di agricoltura, di me-
dicina, di carità materna , di mo-
llale cristiana, di beneficenza. Un
collegio reale, una scuola seconda-
ria di medicina, una di mutuo in-
segnamento, scuole di disegno li-
neare, di navigazione, di commer-
cio e di musica ; un corso gratuito
di geometria e di meccanica appli-
cate alle arti, un istituto di sordi-
muti , una biblioteca pubblica di
60,000 volumi, un museo di qua-
dri, un gabinetto di storia natura-
le, un giardino botanico, ed un
giardino reale di botanica e di na-
turalizzazione. La città produsse
tanto nei tempi antichi, che nei mo-
derni, molti uomini celebri, ma no-
MAR
mineremo i primari. Il celebre Pi*
tea astronomo, gootuetra e lettera-
to, vivente al tempo di Alessandro
il Grande ; Eutimene navigatore; i
medici Demostene e Crinas; fra i
moderni Onorato d' Urfé , ameno
scrittore; Dumarsais grammatico;
i sacri oratori Mascarou e Massil-
lon ; il poeta Pellegrin; il viaggia-
tore, matematico e botanico Carlo
Plumier; lo storico di Marsiglia An-
tonio Rulli ; il viaggiatore ed eru-
dito orientalista cav. d' Arvieux ;
l'astronomo e botanista p. Peuillée;
il letterato Lantier; lo scultore, pit-
tore ed architetto Pietro Puget; il
generale Gardanne, ed altri. Il poe-
ta Petiouio nacvjue ne' dintorni di
Marsiglia, la quale conta circa
120,000 abitanti, l marsigliesi so-
no laboriosi, inteliigtuiti, franchi e
probi, ed amano con passione la
musica, la danza ed il teatro. La
letteratura fiorì un tempo assai piìi
che al presente^ in cui il commer-
cio e la navigazione attraggono ogni
cosa. Il territorio di Marsiglia è'
secco in generale, rinchiudendo le
montagne molte cave di marmo. E
irrigato dall' Iluveaune, dal Jarret
e dalla Plombières, piccole riviere.
Fu fondata Marsiglia sotto il re-
gno di Tarquinib il vecchio, verso
l'anno 600 prima di Gesù Cristo,
e perciò la più antica città di Fran-
cia, e sembra dovere la sua origine
da una colonia greca di focesi, po-
poli della Ionia asiatica, che abban-
donò il suo sterile paese, onde cer-
carne uno più fertile. In progresso
essa ricevette tutta la [lopolazione
della Focea, che abbandonò in mas-
sa la propria patria , e si 1 ifugg»
nelle Gallie per sottrarsi dalla ti-
rannia di Arpago o Arpale, gene-
rale di Ciro, e da questo invialo
governatore nel conquistato paese.
MAR
F(t in origine nominata Massalìaj
rhe i latini pronunziarono Massiliay
« da cui poscia cliinmossi Marsi-
glia e dai francesi Marseille. Quasi
dalla sua origine divenne una delle
più grandi e eoaìuiercianti città del-
l'occidente. Essa formò ben tosto
una repubblica simile a quelle delle
fitta greche, che diveime florida pel
suo traffico, e rinomata per la sag-
gezza delle sue leggi, e per la ci-
viltà, di cui sparse tosto i benefizi
sulle rive del Mediterraneo e nelle
Gallie. Pub ^vantarsi Marsiglia di
aver formato una delle tre più fa-
mose accademie del mondo, e di
aver perciò diviso l'onore con Ro-
di ed Alene, meritando da Cicero-
ne di essere chiamata V /4!ene delle
Gallie^ e da Plinio magislra s indio -
rum. Quivi venivasi da ogni parte
per apprendere l'eloquenza, la filo*
sofia e le belle arti, mandandovi
spesso i romani i loro figli per i-
struirsi. I naturali del paese, invi-
diosi della felicità e della licchezza
che acquistarono i marsigliesi , a-
vendoli spesso faticali con sempre
move ostilità, li costiinsero a fare
alleanza col popolo romano, che
fece guerra ai salii loro più pos-
senti nemici ed oppressori. 1 roma-
ni non ebbero giammai amici più
fedeli e generosi, lo che dimostra-
rono specialmente allorché abbrac-
ciarono gì' interessi della repubbli-
ca contro Cesare. Il potere de' mar-
sigliesi e le forze loro erano assai
considerabili, talché sostennero di-
verse guerre contro i gaulesi, i li-
guri, i cartaginesi ed altri popoli
nemici de* romani, avendo la loro
alleanza con essi, si può dire oc-
casionata la conquista della Gallia
Transalpina, apiendone le porle ai
tonquistatori. Marsiglia rimase per
lungo tempo alleala dei romani e
MAR i5i
resisfelle a Giulio Cesare, che vo-
lea forzarla ad abbracciar il suo
partito contro Pompeo , e non si
arrese se non dopo aver sostenuto
lungo e terribile assedio. Sotto ì
romani Marsiglia perdette la sua
potenza politica, ma conservando la
sua libertà, rivaleggiò, mediante il
suo esteso commercio, con A lessati-^
dria e Costantinopoli, ed appunto
occupandosi soltanto ad ammassare
delle ricchezze, abbandonossi a pia-
ceri di ogni genere, talché i costu-
mi dei marsigliesi passarono allora
in proverbio, onde disegnar quelli
di gente perduta nel lusso, nella
mollezza e nello stravizzo. Non ces-
sarono però di coltivare le scienze,
come lo aveano fatto in preceden*
za, lasciando il loro antico linguag*
gio pel latino, e da essi può dirsi
essersi i galli spogliati della loro
nativa barbarie, apprendendo dai
marsigliesi la scrittura, che non lar-
darono a spargere fra i popoli vi-
cini.
Roma e l' Italia soggiogate nel
V secolo dagli eruli, Marsiglia cad-
de in potere di Enrico re de' vi-
sigoti e di suo figlio Alarico, dopo
la morte del quale Teodorico re
degli ostrogoti s'impadronì di que-
sta città e del paese vicino. I suoi
successori la cedettero nell'impero
di Giustiniano I ai re franchi Me-
rovingi, che ne furono padroni sino
a Carlo Martello. Allora il duca
Moroote se ne impadronì, sotto la
protezione dc^ saraceni, ma però es-
sendo vivamente pressato dai fran-
tesi, egli si salvò per mare, e Mar-
siglia obbedì a Carlo Magno ed ai
Carlovingi, poscia ai re di Borgo-
gna, e finalmente ai conti d'Arias.
Sotto il regno di Luigi il Cieco, e
sotto il governo di Ugo conte di
Arles, i saraceni che si erano sta-.
i52 MAR
biliti e fortificati sulle coste della
Provenza, rovinaroixo tulle le città
marittime, e specialmente Marsiglia.
Ebbe la fortuna di ristabilirsi sot-
to il regno di Corrado il Pacifico.
I suoi governatori, che chiaraavansi
visconti o duchi, se ne rendettero
padroni assoluti sulla fine del X
secolo. Guglielmo, che mon nel
ioo4, fu il suo primo visconte pro-
prietario. Ugo Godofrudo, uno dei
suoi discendenti, lasciò la sua vis-
contea da dividersi egualmente fra
i suoi cinque figli. Allora i marsi-
gliesi acquistarono insensibilmente
le porzioni degli uni e degli altri, e
tornarono a governarsi repubblica-
namente nel 1226, ma non godet-
tero per lungo tempo di tale van-
taggio. Carlo d'Angiò fratello di s.
Luigi IX, essendo conte di Pro-
venza, fece marciare un'aràiata con-
ti*o di essa, e se ne impadronì nel
f25i, o secondo altri nel 1262.
Nel secolo seguente dopo che Cle-
mente V stabilì in Provenza ed in
Avignone la residenza pontifìcia ,
Urbano V già abbate di s. Vitto-
re di Marsiglia (ove si dice rice-
vesse l'avviso di sua elezione, ben-
ché non fregiato della dignità car-
dinalizia, altri dicono in Firenze)
risolvette dr restituirla a Roma sua
legittima sede. nel iSGy, partendo
d'Avignone a' 3o aprile, accompa-
gnato da diverse galere italiane.
Approdato in Marsiglia albergò nel
suo antico monastero di s. Vittore,
ove a' 12 maggio creò cardinale Gu-
glielmo di Agrifoglio , nipote dei
cardinale dello stesso nome, da cui
principalmente ripeteva la sua e-
saltazione. A' 19 maggio parti da
Marsiglia, con una flotta dì venti-
tré galere ed altri bastimenti, che
Giovanna I regina di Napoli e con-
tessa di Provenza, coi veneti j geno-
MAR
vesi e pisani gli avea magnificamen-
te somministrati. Mentii dimorava
Urbano V a Roma, non cessando le
guerre tra i francesi e gl'inglesi, né
quelle tra gli aragonesi ed i na-
varresi , per sopirle determinò di
ritornare in Provenza, le cui deli-
zie erano amate dai cardinali. A' 5
settembre iSyo Urbano V s'im-
barcò a Corneto , con una bella
squadra di diverse nazioni, appro-
dò in Marsiglia a' 16 setteuibre,
quindi a' 24 arrivò in Avignone,
ove morì a' 19 dicembre vestito
dell'antico suo abito cluniacense. Il
cadavere fu deposto nella cattedrale,
e nel seguente anno fu trasferito
nella chiesa di s. Vittore di Mar-
siglia, facendolo il successore Gie-
gorio XI accompagnare da sei car-
dinali. Ivi gli fu eretto un mar-
moreo monumento, fatto nel mo-
do di architettuia che più allora
si pregiava di gusto gotico , con
staluine e ornamenti in mezzo, che
riuscì opera accurata e splendida,
ed ove Dio a sua intercessione o-
però diversi miracoli, venerandolo
alcuni per santo.
Gregorio XI volendo anch' egli
stabilmente ridonare a Roma la
papale residenza , partì da Avi-
gnone a' IO o i3 settembre del-
l'anno 1876 con tutti i cardinali,
tranne sei, e giunto a Marsiglia vi
soggiornò dodici giorni. Ivi s'im-
barcò a' 12 ottobre in una nume-
rosa flotta, e giunse a Roma nel
gennaio 1377, morendovi nel se-
guente anno. F'u eletto Urbano Vf,
ma insorse l'antipapa Clemente VII,
per opera de' cardinali francesi che
sospiravano il soggiorno di Proven-
za, che recandosi in Avignone fu
cagione del grande scisma d' occi-
dente, seguendone le parti la Fran-
cia. Morto l'antipapa nel iSg^, g^i
M A R
successe nella (lilsa dignità Bcne-
dello XI il, il quale con inganno
mostrò nei pontificati di Bonifacio
IX ed Innocenzo VII, di convenire
all'estinzione del lagrimevole scisma,
vedendosi abbandonato dai francesi
ed altri popoli, onde diversi di essi
tornarono colla Francia alla sua
obbedienza. Al tempo di Bonifacio
IX in Marsiglia apparecchiò inve-
ce l'antipapa un'armala per tra-
gittare in Italia alla sua oppressio-
ne, ed agli 8 novembre i4o3 si
portò egli stesso a Marsiglia, e sul
principio di dicembre a Tarascona.
Dopo avervi dato incominciamento
all'anno i4o4j passò a continuarlo
in Marsiglia, ove a' 9 maggio creò
anticardinali Cbalant e de Salva ,
come dicemmo nel voi. Ili, p. 228
del Dizionario. Nel i4o5 l'antipa-
pa si trasferì a Genova, ma per
la peste fece ritorno in Marsiglia;
ed in lloma nel 1406, per morte
d'Innocenzo VII, fu eletto Grego-
rio XII. Questi nei primi dell'anno
seguente spedì i suoi nunzi a Mar-
siglia, per invitare Benedetto XI li
a rinunziar con lui il pontificato
che esercitava nella sua obbedien-
za, e si fece un accordo per abboc-
carsi, che però non ebl)e effetto
per la solita perfidia del pseudo-
papa , il quale scomunicò quelli
che si separavano dalla sua obl)e-
dienza, ciò che fece quando Carlo
VI re di Francia gli mandò am-
basciatori in Marsiglia per invitarlo
a rinunziare, e minacciarlo che i
francesi lo avrebbero abl>andonato
siccome fecero ; laonde l' antipapa
fuggì a Perpignano, poi a l'anisco-
la, ove morì deposto e scomuni-
cato dai concilii di Pisa e di Co-
stanza. Non molto dopo. Alfonso
V re d' Aragona prese Marsiglia
nel 1423, la saccheggiò e vi mise
MAR
3
fuoco, guerreggiando contro Lodo-
vico III conte di Provenza. Luigi
XI re di Francia nel 1482 riunì
Marsiglia alla corona, e le concesse
grandi privilegi.
Il Papa Cleuiente VII a' 9 set-
tembre i533 partì da Roma per
Pisa, ove montato sulle galere fran-
cesi, nella prima delle quali lo pre-
cedeva la ss. Eucaristia all'uso dei
Papi che viaggiano , tragittò a
Marsiglia per trattare col re Fran-
cesco I della riduzione di Enrico
VIII al Cuttolicismo, e per dare a
suo figlio duca d'Orleans, poi En-
rico II, la sua nipote Caterina dei
Medici d'anni tredici, che seco con-
duceva, accompagnato da buon nu-
mero di cardinali, e da molta no-
biltà. Si trovarono a riceverlo nel-
la città il re, la regina coi loro
tre figli, ed appena giunse in por-
to, fu salutato da trecento colpi
di cannone. Il Papa albergò in un
palazzo superbamente disposto nel-
l'abbazia di s. Vittore. A' 4 olt<^*
bre fece a cavallo il suo magnifi-
co ingresso vestito pontificalmente.
Lo seguivano dodici cardinali pu-
re a cavallo, e similmente distan-
te da essi alquanto la novella spo-
sa con gran seguito di dame e di
cavaheri. Come se il re volesse
lasciare il Pontefice signore di
Marsiglia, uscì da una porta del-
la cittàj in tempo clie Clemente
V^II entrava per l'altra, come nar-
ra il Ferlone, De viaggi de Ponte'
fici, p. 3oo. Abitava anco il re un
magnifico palazzo, e nel dì seguen-
te fece anch'egli la sua solenne
entrata in Marsiglia, e si portò con
tutta la sua corte a visitare Cle-
mente VII, che lo attendeva assiso
in trono. Francesco I si abbassò
per baciargli i piedi, ma il Papa
alzatosi lo sollevò. Dipoi Cleuieu-
1^4 MAR
te VII fece la ceremonia dello spo-
salizio, e contro la consuetudi-
ne de' suoi predecessori, che non
solevano assidersi a mensa con
donne, desinò coll.i regina. In se-
guilo il Papa tenne diverse con-
ferenze col re, ed a' 7 novembre
creò in Marsiglia quattro cardina-
li, cioè Veneur gran limosi nie-
re del rf, Odetto di Coligny d'an-
ni undici, iMiibedue ad istanza di
Francesco I, Languy vescovo di Ma-
con, e Ohamber abbate di Corbio
e pareuie di Caterina de Medici.
Dimorando in Marsiglia, Clemen-
te VII ebbe il dispiacere di sentirsi
dicliinrare da^^ii inviati di Enrico
Vili, che qutjsli appellavasi al fu-
turo concilK). S'imbarcò il Papa
in Ma» sigila a' i 2 novembre^ ed ai
10 dicembre rientrò in Roma.
Francesco 1 aumentò a Marsiglia
le sue fortificazioni, dopo la sua
bella difesa contro le truppe del
suo illustre emulo Carlo V, co-
mandate dal cardinal di Borbone,
nel i536 agli r i settembre. A-
vendo gli abitanti nel secolo se-
guente tentato ima rivolta, Luigi
XIV nel suo viaggio in Provenza
tolse a Marsiglia una parte de'suoi
ìMimerosi privilegi, e fece costrui-
re i forti che difendono il porlo
e dominano la città. Questa mol-
to soffri durante la rivoluzione,
per la privazione del suo comtner-
cio. Una truppa di uomini entu-
siasti e sanguinari, o piuttosto un'or-
da di tigri in figura umana uscì
dal suo seno, e ben tosto ingros
sala da un popolaccio sfrenato, si
diresse sopra a Parigi, nel 1 792,
ove in mezzo alla canzone di san-
gue, delta da loro la marsigliese^
\i cagionò una parte dei torbidi
del mese di agosto di quell' anno^
e vi commise quegli orrori che
MAR
saranno sempre troppo filinosi nel-
le pagine della storia. Nel 179'^
Marsiglia abbracciò il partito dei
girondini contro la fazione delta
della montagna, allora trionfante;
ma la sua sedizione fu prontamen-
te calmala, più tioll'astuzia che col-
la forza.
La chiesa di Marsiglia, secondo
la tradizione di Provenza, fu fon-
data da s. Lazzaro, il quale fu
ristiscitato da Gesù Cristo. Questa
tradizione dice che i giudei scac-
ciarono da Gerusalemme Lnzzaro,
con Marta e Maria Maddalena sue
sorelle, Marcella loro fantesca, san
Massimino, s. Ccdoino che credesi
il cieco nalo, e (iiuseppe d'Ari-
malea, discepoli di Gesù Cristo ;
che li cacciarono in una nave sen-
za timone, senza vele e senza re-
mi, in balia del mare; ma che la
provvidenza avendoli sostenuti, ap-
prodarono felicemente a Marsiglia;
che si separarono per andare a
predicare il vangelo nella Proven-
za; che s. Maria Maddalena ri ti rossi
nel deserto di s. Bai ma (vSainte-Bau-
me), e che s. Lazzaro fermossi a Mar-
siglia di cui fu il primo vescovo.
Ignorasi quali sieno stati i suoi
successori pel decorso di duecento
e più anni. In Marsiglia si vene-
rano le reliquie di s. Maria Mad-
dalena, ed il Novaes nella vita di
Urbano Vili, dice che questo Pa-
pa mandò in Marsiglia un'arca di
porfido^ ornata di statue di bron-
zOj per collocarvi le ceneri della
santa penitente. Commanville dice
che la sede vescovile vi fu eretta
nel HI secolo, ma da quanto ab-
biamo detto si deve piuttosto at-
tribuire al primo; che appartenne
alla seconda Viennese nell'esarcato
de'gauli, e che il suo prelato pre-
tendeva ai diritti metropolitaui
MAR
della seconda Viennese in pregiu-
dizio (lell'aicivescovo d'Aix, ciò die
gli fu accordalo dal concilio di
Torino del 3q^ ; ma che i santi
Pontefici Bonifacio l e Leone l
cassarono questa ordinanza^ e gli
restituirono il titolo di vescovo suf-
fraganeo di Arles. Noteremo che s.
Celestino I, con lettera ai vescov'i
delle Galiie, raffrenò gli eretici se-
mipelagiani passati dall'Africa in
Marsiglia, i quali screditavano la
dottrina di s. Agostino intorno al-
la predestinazione e alla grazia.
Prima di questo tempo e verso la
fine del terzo secolo grandemente
illustrò la chiesa di Marsiglia san
Vittore di Marsiglia martire. L'im-
peratore Massimiano _, colle mani
ancor fumanti del sangue dei mar-
tirij che avea versato nelle vaiie
parli delle Gallie, venne a Marsi-
glia dov'era una chiesa numerosa
e fiorente. Il suo arrivo riempi di
spavento lutti i fedeli che la com-
poneano, in mezzo alla quale co-
sternazione generale, Vittore uftì-
ziale cristiano esortò i suoi fratel-
li a disprezzare la morle^ per cui
fu accusato ai prefetti Asterio ed
Eutichio, é l'imperatore lo fece
perire tra i tormenti e decapitale,
come fece morire Alessandro, Lon-
gino e Feliciano da Vittore conver-
tili. Nel V secolo Cassiano fabbricò
presso la tomba di s. Vittore un
monastero che ricevette poi la re-
gola di s. Benedetto, e fu secola-
rizzalo nel 1739 da Clemente XIF,
e di cui ce ne permetteremo un cen-
no. Le reliquie di s. Vittore si vene-
rano nella chiesa a lui sacra, eh' è
una delle più antiche della Fran-
cia, e delle più ricche in monu-
menti di santi che hanno resi chia-
ri i primi tempi del cristianesimo.
Una porzione ne fu trasportata a
MA R T )^
Pnrigi, nel luogo ove fu poi fondalo
un monastero reale di canonici re-
golari, di cui parlijmmo nel voi. VII,
p, 264 del Dizionario; abbazia
celebre che produsse grandi uomi-
ni, tra' quali Uiijone e Riccardo di
s. Vittore. F. Gnllìa rhn'st. t. VII.
L'antica abbazia dell'ordine di
s. Benedetto di s. Vittore di Mar-
siglia, situala vicino al porto della
città, da cui era sepaiata da un.
recinto in forma di fortezza, fu
fondata nel 4^9 in onore di san
Pietro e di s. Vittore, da Giovan-
ni Cassiano sacerdote della chiesa
di Marsiglia, conosciuto per le sue
conferenze e per le sue istituzioni
monastiche. Divenne imo de' più
illustri monasteri di Francia, eoa
due chiese, l'una superiore e l'al-
tra sotterranea, con una cappella
in questa ultima ove veneravasi \ìi
Beata Vergine, vicino alla quale
nella piccola grotta si crede fosse
la prima cappella delle Gallie, ia
cui sia stala celebrata la messa.
Oltre a questo monastero, Cassia-
no ne fondò un altro per le don-
ne, e pretendesi che nel primo
abbia avuto in seguito più di cin-
quemila monaci sotto la sua di-
sciplina che avea egli veduto prati-
carsi nei monasteri di Egitto. L'ab-
bazia fu più volte rovinata nelle
guerre, e primieramente dai visi-
goti che s'impadronirono di Mar-
siglia neL 4^4) ^ c^3' normanni
nel secolo IX: i religiosi vivevano
in es»;a con tanta regolarità, che
chiamavasi la poila del paradiso.
Porta vansi da tutte le parti a cer-
care quei santi uomini per rifor-
mare le altre abbazie, e pel corso
di più di un secolo e mezzo mol-
te case religiose si sottomisero al-
l'abbazia di s. Vittore. Nel secolo
XI essendo ridotta con soli cinque
i7G MAR
religiosi, (»iii5lieln»u conle di Mar-
siglia iivenclola riparala nciraiitio
Looo, la comuni là diventò assai
numerosa, la disciplina monastica
vi rifiorì, e la casa venne in se-
i^nilo arricchita dalie pie donazio-
ni di molle persone. Recandosi
lìenedetlo IX nel io4o in Pro-
venza, ai i5 ottobre assistette alla
tionsagrazione della chiesa di nuo-
vo riedificala di s. Yillore, alla
j)resenza de' conti di Provenza, e
di Guglielmo 0 Fulcone visconti di
Marsiglia, il Papa s. Leone IX
l' esentò dalla giurisdizione del ve-
scovo, e la sottomise immediata-
mente alla santa Sede; e s. Gre-
gorio VII le accordò gii stessi pri-
vilegi di cui godeva quella di Clu-
gny. Poco dopo i religiosi si rilas-
sarono dalla purezza della regola,
e per rimediare agli abusi v' in-
tervenne la podestà ecclesiastica e
secolare, e luiono obbligati i mo-
naci a sottomettervisi nel lyoq.
Tra i prelati che l'abbazia die al-
la Chiesa, vi fu Urbano V suo
abbate, che l'onorò della preioga-
liva di capo di congregazione, in-
di ne confermò i privilegi, ciò che
fJecero altri Papi, i re di Francia,
l'imperatore Carlo IV, e Renalo
ù'Angiò conle di Provenza. L'ab-
bazia ebbe titolo di capo d'ordine
e di congregazione, avendo avuto
anticamente sotto la sua dipenden-
za una gran cpionlilk cU abbazie
e di monasteri, alcune delle quali
Ru'ono erette iq vescovato. Non so-
lamente ve n'erano in Francia,
ma pure nella Spagna, in Sarde-
gna, nel Genovesato, in Toscana,
nella contea di Nizza e in quella
d'Avignone, i cui superiori o de-
putati erano obbligati intervenire
ogni anno ai capitoli generali. Di-
poi l'abbazia fu secolarizzata e cam-
MAR
l)iala in collegiata. Gallia Christia-
na t. I.
Dopo s. Lazzaro non s'incontra-
no altri vescovi, sino ad Oresio che
fu vescovo di Marsiglia nel prin-
cipio del IV secolo; assistette e
sottoscrisse al celebre concilio di
Arles nel 3 14. Prcculo, di cui san
Girolamo, epist, 4 ad Rustie.^ par-
la come di un prelato santo e dot-
tissimo, fu al concilio d' Aquileia
nel 38 r, ed a quello di Torino
nel 397. Successori furono: Vennio
amico di s. Rustico, che sedeva
nel 4^8, ed intervenne al concilio
d'Arles nel 4^*- Eustasio o Eu-
stachio del 470* Creco contempo-
raneo ed amico di Sidonio Apol-
linare del 47^- S- Onorato dal
475 fino al 496 circa, amicissimo
del Papa s. Gelasio J. Eraeterio
sottoscrisse al concilio di Arles nel
554. S. Teodoro dal 5^5 al 594.
Sereno noto per le lettere scritte-
gli da s. Gregorio I, la prima delle
quali è del 595, e l'ultima del 600.
Dopo tal vescovo evvi una lacuna
in tutto ciò che riguarda la chie-
sa di Marsiglia, di cento quaran-
ta anni circa. Le frequenti incursio-
ni che i saraceni facevano in Fran-
cia, e principalmente sulle coste
della Provenza, fecero forse resta-
re vacante questa sede per tutto
quel tristissimo tempo. Adalone o
Adalongo era vescovo di Marsiglia
nel 739, cui succedette s. Mauron-
to o Maronto abbate di s. Vitto-
re, che mori nell'ottobre dell' 804.
Troppo lungo sarebbe il voler dar
qui tutta la serie de' vescovi di
Maisiglia da quest'epoca sino ai
nostri tempi: potrassi leggerla nel-
la Gallia christ. l. L Noteremo
soltanto alcuni distinti italiani che
ne occuparono la sede, e gli ulti-
mi vescovi. Prima però faremo
MAR
menzione di due concilii temili in
Marsiglia, cioè nel iio3 riguar-
dante i privilegi dell'abbazia di
Cluny, e del i363. Marlene, The-
saur. t. IV, e Gallia christ. t. I,
p. 358. Inoltre il Lenglet registra
il concilio di Marsiglia del 973 so-
pra le differenze di molti vescovi
italiani. I vescovi italiani sono: Ni-
cola Bramanio nobile napoletano,
dal 1447 ^^ i4^7- Innocenzo Ci-
bo genovese, cardinale de' ss. Cos-
ma e Damiano, arcivescovo di Ge-
nova, camerlengo di s. Chiesa, ar-
civescovo di Torino nel i5i7,
cambiò questa chiesa con quella
di Marsiglia nello stesso anno, e
morì in Roma nel i53o. Gio. Bat-
tista Cibo vescovo dal i53o al
i55o. Giacomo Torricelli toscano,
de' frati minori , confessore della
regina Maria de Medici, vescovo
di Marsiglia dal i6o4 «'il 1618.
Furono poi ultimi vescovi : Enrico
Saverio di Belsunce de Perigueux,
fallo vescovo nel 17 io: gli succes-
se nel 1755 Gio. Battista de Bei-
Joy di Morangles diocesi di Belley,
traslato da Glandeve, poi nel i8o3
a' 17 gennaio da Pio VII creato
cardinale. Avendo questo Papa pel
concordato del 1 80 r soppresso la
sede di Marsiglia, rinunziò al ve-
scovato, e fu promosso a' IO apri-
le 1802 all'arcivescovato di Pari-
gi. Per supplire al brevissimo cen-
no di sua biografia, aggiungeremo
qui alcune sue notizie, anche ri-
guardanti questa diocesi, cui ridonò
la quiete, e governò lungamente.
Gio. Battista Belloy nacque da
antica famiglia, che dato avea allo
slato militari di un merito distinto
ed eiiandio uffiziali generali. Fino
dai principii della sua vita eccle-
siastica, in eletto vicaiio generale,
officiale, ed arcidiacono di Beauvais:
MAR i57
mostrò in tutti i detti tjfficii quel-
lo spirito di dolcezza e di mode-
razione, che mantenne nel rima-
nente della lunga mortale sua cor-
sa. Divenuto vescovo di Glandeve
nel 1751, fu deputato alla famosa
assemblea del clero nel i'j55, do*-
ve tenne le parti de'prelali mode*-
rati, i quali si chiamavano Jeuil'-
lants perchè avevano a loro capo
il cardinale de la Rochefoucault,
ministro della Jfuille, o collazione
de'benefìzi, per opposizione a' pre-
lati eccessivamente zelanti, che ve-
nivano chiamati teatini^ per allu-
sione all'antico vescovo di Mirepoix
ch'era stato di quella congregazione,
e di cui seguivano essi i principii.
Essendo moito nel tempo dell'as-
semblea de Belsunce, vecchio ve-
scovo di Marsiglia, rispettalo quan-
to alla lodala sua condotta nella
peste, il cui zelo però erroneamen-
te esacerbato dalla celebre bolla
JJnìgenitus di Clemente XI, pro-
dotto avea grandi turbolenze nel
vescovato, la corte pose gli occhi
sopra Belloy per surrogarlo al
defunto , reputandolo il prelato
più capace per la prudenza e mo-
derazione a tornare in pace la sua
diocesi, e Benedetto XIV vi con-
venne. Non furono punto vane le
concepite speranze, poiché egli sep-
pe con fermezza ed equità conte-
nere i parliti nel dovere, con quel-
la saggezza con cui dirigeva tulta
la sua amministrazione, facendosi
amare da ognuno per la dolcezza
e soavità de'snoi costumi, di ma-
niera che non andò guari che vide
succedere la calma alle tempeste,
che infierito aveano nella sua dio-
cesi sotto il precedente governa-
mento. La rivoluzione lo tolse al
proprio gregge, ritirandosi a Cham-
bly, piccola città vicina al luogo
i58 MAR
cìi sua nascita , ed ivi passo tutto
il tempo della livolutione, senza
essere esposto a pericoli gravi. Al-
l'epoca del concordalo , il primo
fu a sflcrifìcare il suo titolo onde
facilitarne la conclusione. Tale e-
sempio del decano dei vescovi fran-
cesij per l'eia ed anzianità del ve-
scovato, influì grandemente, attras-
se sopra di lui tulli gli sguardi, e
facendo ricordare le sue piegiate
qualità, lo fece altresì considerare
come il prelato in tutta la Fran-
cia, die in quelle circostanze me
glio convenisse alla sede della ca
pitale ; e di fatto venne ad essa
innalzato, e nel seguente anno al
cardinalato. Pio "VII gli mandò il
berrettino rosso per d. Lorenzo
ile'principi Giustiniani sua guardia
nobile, e la berretta cardinalizia
per monsignor Giorgio Doria poi
c:ardinale. Kecatosi poi a Parigi il
Papa , ivi gli conferì il cappello,
il titolo (che per mezzo di Mazio
(Vedi)^ poi cardinale fece restaura-
le ed abbellire), e l'anello cardinali-
zio, annoverandolo alle congrega-
y.ioni detriti, della visita apostolica,
e de* vescovi e regolari. I costumi
patriarcali che sempre conservò in
.sì eminenti dignità, la saviezza del
suo governo, la maestà nell'eserci-
zio del suo ministero , lo fecero
da tutti rispettare. Avea ricevuto
dalla natura complessione robusta,
che seppe conservare con vita re-
golatissima, dimodoché giunse al-
l'età di quasi cent'anni, senza sof
frire ninna delle infetinità della
vecchiezza. Un reuma catari ale fu
la sua prima malattia , che non
gl'irapedì di conservare sanissima
Ja mente fino due ore prima della
sua morte, che avvenne a' io giu-
gno 1808. L'imperatore Napoleo-
ne, nel permettere per grazia spe-
INIAR
ciale che fosse sepolto nella tomba
dei suoi predecessori , ordinò che
gli fosse innalzato un monumento,
come attestato della singoiar sua
considerazione per le di lui virtù
episcopali.
All'epoca della so[)pressione del
vescovato di Marsiglia, si contava-
no quindici o sedici case religiose
d'uomini , ed altrettante di donne,
non compresi i due collegi dei
padri dell' oratorio e dei gesuiti,
ed il seminario pei preti della
missione di Francia fondati da s.
Vincenzo de Paoli. Il vescovo ave-
va una rendila di trentamila lire,
e pagava settecento fiorini di lassa
pei- le sue holle. Ritornata la fa-
miglia Borbone al trono degli avi
suoi, la sede vescovile di Marsiglia
venne ristabilita da Pio VII nel
i3i7) in conseguenza del concor-
dato conchiuso con Luigi XVI 11,
e dipoi nel concistoro de' 16 mag-
gio 1823 ne preconizzò per nuovo
vescovo, dichiarandolo però suffra-
ganeo della metropoli d' Aix, Carlo
Fortunato de Mazenod di Aix. Per
libera dimissione di esso, Grego-
rio XVI nel concistoro de'2 otto-
bre 1837 vi traslatò da Icosia in
partibus V odierno vescovo monsi-
gnor Carlo Giuseppe Eugenio de
Mazenod. La chiesa cattedrale, sol-
ato l'invocazione di s. Maria Maggio-
re, è di gotica ed ottima strut-
tura. Il capitolo si compone di
otto canonici , compresi il gran
cantore, il penitenziere ed il teo-
logo; di diversi canonici onorari, e
di chierici detti pueri de choro.
?^^el!a cattedrale vi è il fonte bat-
tesimale, e la cura d'anime, che si
esercita dal canonico orciprele .
]Von lungi da essa vi è l'episcopio
ampio e decente. Vi sono inoltre
nella clllà dodici chiese parrocchiali
M A R
munite del ballislerio , compresa
quella de'greci- uniti ; avvi ailresi
una casa dei pieli della missione
di Pioveuza e Marsiglia, alcuni
monasteri di religiose , coqae le
cappuccine, le Clarisse, le adoratri-
ci perpetue del ss. Sagramento, le
sorelle spedaliere, le sorelle del ri-
tiro, e le salesiane; diverse con-
fralernile,, ospedale, seminario gran-
de e piccolo, e monte di pietà. La
diocesi di Marsiglia comprende il
suo distretto, cinquanta succursali
e tredici vicariati. Ad ogni nuovo
vescovo la mensa è lassata nei libri
della camera apostolica in 870
fiorini.
MARTA (s.). Dimorava in Be-
fania con Lazzaro suo fratello, e
con sua sorella Maria [Vedi) j e
la sua casa fu parecchie volle ono-
rata dalia presenza del Salvatore.
Marta adempiva con molta gioia
e sollecitudine a tutti i doveri di
ospitalità verso il Salvatore, allor-
ché esso recavasi ad albergare pres-
so di lei, mentre Maria stavasi
seduta ai di lui piedi per ascol-
tare la sua divina parola. Perciò
Marta si lagnò una volta che sua
sorella non venisse a darle mano;
ma Gesù le rispose che Maria avea
scella la parte migliore. Marta an-
dò ad incon tiare il Salvatore, al-
lorché recossi iu Betania per re-
suscitarvi Lazzaro ; ed accompagna-
tolo dove questi era stato sepolto,
insieme con Maria e molti ebrei
fu testimonio del prodigio. Poco
tempo dopo , e sei giorni prima
della pasqua, essendo Gesù venu-
to a Betania , cenò in casa di Si-
mone il Lebbroso. Lazzaro era a
tavola con lui, e Marta lo serviva;
mentre Maria , preso un vasello
pieno di eccellenti profumi, lo spar-
se sui di lui piedi, e glieli asciugò
MAR iSg
co* suoi capelli. Dopo questo fatto
il vangelo non parla più né di Laz-
zaro, né delle sue sorelle, l pro-
venzali ritengono, che scacciata
questa famiglia dai giudei, si riti-
rasse a Marsiglia. iXel secolo Xlll
si credette aver scoperto le reliquie
di queste sante : quelle di s. Ma-
ria nel luogo detto presentemente
s. Massimino, e quelle di s. Marta
a Tarascoua sul Rodano : si assi-
cura che furono contemporanea-
mente trovali diversi monumenti
che attestarono rautenticità di que-
ste reliquie. Le prime si custodi-
scono nella chiesa di s. Massimino,
fondata da Carlo d'Angiò nel luo-
go dove erano state trovale, e la
parte principale di esse fu nel 1660
chiusa in un' urna di porfido, re-
galala da Urbano Vili, e colloca-
ta sull'altare maggiore. Quelle di
s. Marta giacciono in una bella
cappella sotterranea nella cattedrale
di Tarascona, che dedicata in suo
onore: il suo capo si conserva in uu
magnifico busto d'argento dorato,
dono di Luigi XI. La Chiesa onora
questa santa, insien)e con s. Laz-
zaro e s. Maria il giorno 29 i\\
luglio.
MARTA (s.), martire. F. Maris
(s.).
MARTA (s.), S. Marthae. Cit-
tà con residenza vescovile neh' A-
merica meridionale , della Colom-
bia, nella repubblica della Nuova
Granala, capoluogo della provincia
dello stesso nome, sulla baia delia
Magdalena, formala dal mare delle
Antille, lungi 170 leghe da s. Fe-
de di Bogota. Le case hanno po-
che finestre a cagione del calore ,
che di rado è al disotto di 25" 75'.
l venti violenti di sud-ovest vi sof-
fiano regolarmente in dicembre e
gennaio, e riempiono le case di una
iGo MAR
sabbia bianca finissima ; vi sono
pure in grandissiuìti nnmcm gl'iii-
tf>inotli inselli. Il porto è grande,
comodo , attornialo da ogni lato,
eccettuato all'ovest, da alte mon-
tagne, e difeso da opere fortissi-
me ; nel mezzo del canale evvi
il Morrò ^ roccia sormontata da
un castello, cbe domina l'ingresso
i\v\ porlo. 11 commercio è ben me-
no importante cbe un tempo; tut-
tavia le sue relazioni con Carla-
gena, da cui è distante 4^ 'cghe,
sono ancora assai estese. Conta più
di 5ooo abilanl). Nella ferlilissi-
iiia pianura circonvicina vi si col-
tivano molte piante ortensi e del-
le frutta : al di là stanno dei bo-
scbi, che abbondano di serpenti.
La costa della provincia è piena
di'pesce; un tempo fu assai lu-
crosa la pesca di perle, e ne dà
ancora delle bellissime. Questa cit-
tà fu fondata nel 1 554 ^^ ^'"
inenes Quesada , cbe ne fece un
luogo di deposito ; fu ridotta in
cenere nel 1596 da sir Francesco
Drake. Durante la guerra dell'in-
dipendenza ne fu disputato il pos-
sesso con molto accanimento, per
cui soffrì assai.
La sede vescovile di s. Marta o s.
Martha, secondo Commanvilie fu e-
relta nel i535, e secondo il Novaes
nel 1577 da Gregorio XIII, che la
dichiarò suffiaganea dell'arcivesco-
vo di s. Fede di Bogota, di cui
lo è ancora. Gli ultimi suoi vesco-
vi, quali si leggono nelle annuali
Notizie di Roma, sono i seguenti.
1740 Giuseppe Me la rea da Soler-
yano. 1743 Gio. JXielo Polo del-
l'Aquila, nato in Popayan. 174^
Giuseppe Saverio de Arauz di Qui-
to, 1755 Nicola Gii Martinez di
Kecuenco diocesi di Cuenca. 1764
Fr. Agostino Comacho domenica-
MAR
no, di Funsa diocesi di s. Fede.
1771 Francesco Saverio Calbo, di
Avexar diocesi di Osma. 1775
Francesco Navarro di Carlagcna
nelle Indie occidentali. 1790 An-
selmo Giuseppe de Traga, di Car-
tagena stessa. 1795 Giuseppe A-
lessandro de Eques-y-Villamar, di
Alaiisi diocesi di Quito. 1798 Fr.
Diego de s. Maria minore osser-
vante, di Jaen. i8o4 Michele San-
cliez Zerrudo de'minori osservan-
ti, di Besar diocesi di Placencia.
18 17 Antonio Gomez Polanco dei
minori osservanti, di Città di Pia-
ta ; 1827 Giuseppe Mariano Kste-
ves fatto vescovo da Leone XH.
Nel concistoro del primo febbraio
i836, per la morte del preceden-
te, Gregorio XVI dichiarò vesco-
vo l'attuale monsignor Luigi Giu-
seppe Serrano di Mompoz diocesi
di Cartagena, già arcidiacono del-
la cattedrale, e vicario generale del
predecessore.
La cattedrale è sacra a Dio ,
sotto r invocazione di s. Anna ma-
dre di Maria Vergine, edifizio di
elegante struttura. Il capitolo si
compone di quattro dignità, la
magg
iore delle quali è il decano,
di un canonicato cui è unita la
prebenda del penitenziere, di alcuni
beneficiati, cappellani ed altri preti
e chierici addetti al divino servizio.
Nella cattedrale tra le sacre reliquie
si venera parte d' una spina che
servì nella passione di Gesù Cri-
sto. Vi è il fonte battesimale colla
cura d'anime, quale si esercita dal
parroco chiamato rettore, a cui pre-
sta aiuto un sacerdote. L'episcopio
non esiste, ed il vescovo abita in
una casa prossima alla cattedrale.
Nella città vi è un'altra chiesa par-
rocchiale^ muijita del battislerio,
un convento di religiosi, alcuni
M A R
sodalizi, senìinario con alunni, ccl
ospedale. La diocesi è amplissima,
contiene sellantacinque chiese par-
rocchiali, più luoghi e castelli, a-
vendone regolarizzata V estensione
Gregorio XVI. Ogni nuovo vesco-
vo è lassato ne' libri della carne-
ra apostolica in fiorini 33, cor-
rispondenti alle rendile del mede-
simo consistenti in scudi ottomila.
MARTA, MARTANA o MAR-
TULA. Antica città vescovile d'Ita-
lia nell'Umbria distrutta, chiamala
prima Marlis Ficus, a motivo di
un tempio dedicato a Marte, che
vedevasi in quel luogo o nei din-
torni. In oggi il luogo, occupato
già dalla città di Marta, detta an-
che Mortulanam inter Tudertum
ac CarsulaSy è dello s. Maria in
Pantano. S. Bricio o Brlzio l'apo-
stolo dell' Umbria, e s. Felice di
cui si celebra la festa il 3o otto-
bre, erano siali vescovi di Maria
come si legge neh' Ughelli, Italia
sacra t. X, p. 1 29. Nel 1 77 1 fu
pubblicalo in Roma il libro: Fi-
te de santi della città di Maria-
na, e beati della terra di Massa
ìieWUmhriaj con un discorso sto-
rico. V, Todi.
MARTELLI Francesco, Car-
dinale. Francesco Martelli patrizio
e canonico fiorentino, trasferitosi a
Roma, ammesso appena da Ales-
sandro VII nel numero de'prelati,
mostrò i suoi talenti nella savia
condotta che tenne nel governo
delle pontificie città, nella vicele-
gazione di Ferrara e nella congre-
gazione del buon governo^ tra i cui
ponenti fu annoveralo da Clemen-
te IX. Spedito quindi da Clemen-
te X nunzio alla corte di Polo-
nia, per secondare le intenzioni del
Papa, eccitò quel sovrano alla
guerra contro il turco, a cui in-
VOL. XLUI.
MAR i6r
dusse pure l' imperatore e il so-
vrano delle Russie. Richiamalo in
Roma, fu da Innocenzo XI fat-
to segretario dell'immunità, pre-
mio scarso alla sua virtù e meri-
ti, lullavolla tollerò pazientemente
per parecchi anni la sua avversa
fortuna. Innocenzo Xll mosso di
lui a compassione, lo promosse a
segretario di consulta, col titolo di
patriarca di Gerusalemme. Final-
mente Clemente XI ai 17 maggio
1706 Jo creò cardinale prete di
s. Eusebio, e lo ascrisse alle con-
gregazioni del concilio, dell'immu-
nità, della consulla e de'riti. Mori
in Roma nel i 7 i 7 d' anni ollan-
laqualtro, e fu sepolto in s. Ago-
slino presso alla porla maggiore
della chiesa, con lapide fregiata del-
le insegne cardinalizie e del suo
nome.
MARTELLO, Malleus. Stru-
mento per uso di battere e di
picchiare, che è di più sorte. Le
sue parti sono tre: l'occhio, che è
un foro o una apertura per lo più
nel mezzo di esso, dove si ferma
il manico; la bocca, che è quella
parte con che si batte per piano;
e la penna, ch'è la parte stiaccia-
la, che dicesi taglia, ed è opposta
alla bocca, e questa assume diver-
se figure e forme, secondo l'uso a
cui è destinato il martello. Deve
essere stato inventalo sino dal prin-
cipio della società, poiché appar-
tiene ai primi bisogni dell' uo-
mo, laonde gli antichi ne fecero ri-
salire l'invenzione sino ai tempi
più remoli. Il Papa adopera il
martello d' argento nella solenne
apertura della porta santa nella
basilica vaticana per l'incomincia-
mento dell'anno santo dell'univer-
sale giubileo. Contemporaneamen-
te adoperano il martello per l'a-
1 1
iGi MAR
pei-tura delle porte sante delle ba-
siliche di s. GioTanni, di s. Pao-
lo e di s. Maria Maggiore i car-
dinali legati a ciò deputati. Vedi
Anno santo, Porte sante, ed il
voi. Vili, p. 200 e seg. del Dìzìo-
narioy dove si descrive la funzio-
ne. Talvolta i Papi donarono tal
martello a qualche sovrano, sovra-
na o principe reale, come fece
Leone XII che lo regalò alla du.
chessa di Angouléme figlia di Lui-
gi XVI, come raccontarama ai vo-
lumi XXVII, p. 142, e XXXVIII,
p. 65 del Dizionario. Al volume
XXXVII, p. 286 dicemmo che il
martello fu una delle insegne dei
legati apostohci. Dei colpi di mar-
tello che si danno nel porre nei
fondamenti la prima pietra, ne fa-
cemmo parola all'articolo Mala-
MOCCO.
MARTENE Edmondo. Monaco
benedettino della congregazione di
s. Mauro, nacque a s. Giovanni
di Losne, piccola città della dioce-
si di Langres, nel i654; vestì l'a-
bito di s. Benedetto nel 167F, e
fece professione nell'anno seguente
nell'abbazia di s. Remigio di Reims.
Egli si distinse nella sua congre-
gazione per la indefessa applica-
zione allo studio e per le accura-
te sue indagini letterarie, e mori
di apoplesia il 20 giugno 1789
d'anni otlantacinque, nell'abbazia
di s. Germano ai Prati in Parigi,
dopo di avere arricchito la chiesa
e la repubblica letteraria di un
gran numero di opere. La prim.-i,
che è un Commentario latino sul-
la regola di s. Benedetto, fu stam-
pata nel 1690: esso è letterale,
morale ed istorico^ perchè spiega
la regola coU'autorità degli anti-
chi scrittori, colla dottiina de'san-
ti padri, e colla pratica costante
M A R
de' primi religiosi, e vi sono fram-
miste molte dissertazioTii di diffe-
renti materie. Pubblicò nell'anno
stesso a Lione un'opera latina pie-
na di ricerche concernenti gli an-
tichi riti de'monaci : De antiqui^
monachoriim rìtibusj e la vita di
Claudio Martin, a Tours nel 1697.
Nell'anno seguente die alla luce le
Massime spirituali dello stesso
Claudio, a Rouen; ed ivi nel 1700
l'opera, De antiquis Ecclesiae ri-
tibus circa sacramenta, ed un ter-
zo volume nel 1702. E questa
per giudizio degli intelligenti il
miglior scritto che sia comparso
sopra questo argomento. II suo
trattato, De antiqua Ecclesiae di-
sciplina in celehrandis divinis offl-
ciisj fu pubblicato nel 1706 a
Lione, e riscosse elogi eguali al
precedente. I Trattati sui riti ec-
clesiastici e monastici furono ri-
stampati con aggiunte e correzio-
ni in Milano colla data di An-
versa; cioè i trattati de'riti eccle-
siastici nel 1736, ed i trattati sui
riti monastici nel 1788. Egli pub-
blicò a Parigi sotto il titolo di
Thesaurus no\^us anecdotorum^ cin-
que volumi in foglio con documen-
ti tolti dagli archivi e dalle biblio-
teche di Francia, per servire alla
ristampa della Gallia Christiana.
Fece pure ristampare nella città
stessa un'altra raccolta da lui pub-
blicata nel 1700, col titolo di
Collectio nova scriplorum et mo-
numentoruni moralium, historico-
rum et dogmaticorum ad res mo-
nasticasy ecclesiasticas et politicas
illustraìidas. Nel 1717 pubblicò a
Parigi, unitamente al p. Durando,
la descrizione del viaggio da essi
fatto insieme in Francia, col tito-
lo di Viaggio letterario di due re-
ligiosi della congregazione di san
I
MAR
Mauro; e nel 1724 collo stes-
so titolo, la relazione di un viag-
gio (la lui fatto in Germania do-
po quello di Francia. Il frutto di
questo secondo viaggio fu una nuo-
va collezione di nove volumi, 1724*
1733, col titolo: Velerum seri-
ptoriim, et monumenlorum hìslo-
ricoriun et dogmaticorum amplis-
sima colleclìo. Le due suindicate
collezioni contengono un gran nu-
mero di documenti singolari, fram-
menti di concilii e di cronache,
fondazioni di chiese, lettere di mol-
li principi, di Papi, di vescovi, at-
ti, formole, ordinanze, ec. Nel 1730
die alla luce: Impetialis stahiilen-
SIS mouaslerii fura propugnata
adversus iniquas disceptationes I-
gnatii Roderici de ahbatihus et
orìgines stahulensis et malhunda-
rìensis monasterii vindice domno
Edniundo Marlenne. Questa ope-
ra che contiene moltissime disser-
tazioni sopra diversi punti di sto-
ria, di disciplina e di diplomatica,
è una risposta ai religiosi dell'ab-
bazia di Mal medi, per la difesa con-
tro quella di Stavelo, che aveano
pubblicato a Wurtzbourg nel 17*28
un volume intitolato : Ignatii Rode-
rici disceptationes de abbatibus^ ori-
gine^ primaeva, et Jwdierna consti'
tiUione abbatiarum inter se unita-
rum nialbundariensis et stabulen-
sisj ec. Martene ebbe pure parte
nella nuova edizione dello Spici-
legio del padre d. Luca Achery,
pubblicata nel 1743 a Parigi. A-
vendo poi ottenuto i mss. lasciati
dal p. Mabillon, pel VI tomo de-
gli annali benedettini, egli li ri-
vide, fece ad essi molte giunte e
correzioni, e pubblicolli a Parigi
nel 1739 con una prefazione. Si
occupava per pubblicare i tomi
degli atti de' santi dell'ordine di
MAR i63
s. Benedetto, in continuazione del-
la raccolta del p. Achery e del p.
Mabillon, e sperava in seguilo pub-
blicar la raccolta della vita e let-
tere di s, Tommaso di Cantorbery,
quando cessò di vivere. Lasciò mss.
alcune memorie per servire alla
storia della congregazione di san
Mauro e dell'abbazia di Marmou-
tier. Il p. Martene univa mirabil-
mente la penitenza allo studio,
trovando il tempo in mezzo ai
suoi immensi lavori di assistere a
tutti gli uffizi si di giorno che di
notte, ed aggiungendo nuove au-
sterità a quelle della sua regola.
I dotti, da cui era stimato ed a-
malo, ammiravano in lui la sem-
plicità de'costumi del pari che la
vasta dottrina, essendo le sue ope-
re abbondanti di curiose investi-
gazioni tolte da libri e da monu-
menti rari e poco conosciuti.
MARTIANOPOLI, Martianopo-
lis. SeL\e vescovile nell'Asia mino-
re, esarcato di Dacia, che si cre-
de Pressa u città di Bulgaria, ver-
so il Danubio e il Ponte Eusino.
I bulgari ne fecero la capitale del
loro regno, prima di Tarnobia.
La sede vescovile fu eretta nel V
secolo, quindi divenne arcivescovi-
le e fu trasferita a Tarnobia. Al
presente Martianopoli, Martianopo-
litan, è un titolo arcivescovile m
partìbus che conferisce la santa
Sede.
MARTINA (s.), vergine e mar-
tire. Uscita da una delle più illu-
stri famiglie di Roma, ivi suggellò
la fede collo spargimento del pro-
pizio sangue nel terzo secolo. Anti-
chissimo è il suo culto in Roma:
fino dai tempi di s. Gregorio I
Magno, i fedeli visitavano con par-
ticolar divozione la cappella con-
.sacrata alla sua memoria. Alessan-
i64 MAR
tiro IV nel i7.56 dedicò in Roma
' lina chiesa al suo nome; Sisto V
la diede all'insigne Accademia di
s. Luca (Fedi), e nel i634 si fe-
ce la Iraslfìzione delle sue reliquie,
trovate sotto i rottami dell* antica
sua chiesa. Urbano Vili ne fece
allora fabbricare una assai magni-
fica in onore della santa, e ne pò*
se l'ofiizio nel breviario romano,
del quale egli stesso compose gii
inni, sotto il giorno 3o gennaio.
Santa Martina è una delle protet-
trici della chiesa di Romaj ed è
nominata eziandio nei martirologi
di AdonCj di Usuardo, ec.
MARTINI BUONTEMPI An-
drea, Cardinale, F. Buontempi
Andrea, Cardinale.
MARTINI o MARTINS Anto-
nio, Cardinale. Antonio Martini
o Martins de Chaves, nato nel
castello delle Acque Flavie in Por-
togallo, o come vogliono altri in
Porlo, di onesti genitori , chiaro
per lettere ed integrità di costumi,
ottenne un ricco beneficio nella
metropolitana di Lisbona, e poi
la dignità di decano d' Evora ;
venne quindi promosso a vescovo
di Porto. Ardeva in quel tempo
sanguinosa guerra tra Giovanni I
re di Portogallo e il re di Ara-
gona, per cui quelle regioni erano
bersaglio della licenza soldatesca^
senza rispettare nemmeno le cose
sacre. Martino V intimò pertanto
ai vescovi portoghesi di adunarsi
in sinodo a Braga per rimediare
a tanti mali, come fecero con op-
portuni decieti. In quell'assemblea
spiccò singolarmente la saviezza
e dottrina di Antonio, onde il
nuovo re di Portogallo Odoardo,
dovendo mandare il suo nipote
Alfonso al concilio di Basilea per
ambasciatore, gli destinò per corn-
ivi A R
pagiio questo prelato, incarionndo-
lo ancora di trattare con iiujK'gno
e conchiudere la pace tra Carlo
VII re di Francia, quello d'Inghil-
terra, e il duca di Borgogna, coinè
poi nel 1445 f" seguito in Arras.
Insorta tra i padri basilcesi la
controversia sul luogo di celebrare
il concilio per la riunione della
chiesa greca colla latina, essi desti-
narono Pietro vescovo di Digne,
e il nostro Antonio col carattere
di legati a Costantinopoli, per in-
vitare l'imperatore e il patriarca
al concilio. Giunti a Bologna, fu-
rono accolti da Eugenio IV con
benignità e cortesia, e portatisi a
Venezia, a' 3 settembre 14^7 col
vescovo di Coron Cristoforo Gare-
tone, legato apostolico, partirono
per Costantinopoli, ove la loro mis-
sione ebbe felicissimo successo. Tra-
sferito il concilio da Ferrara a Fi-
renze, vi si trovò ancoia Antonio,
che insieme cogli altri padri sot-
toscrisse le sue ecumeniche dellni-
zioni ; quindi in riguardo a tanti
meriti Eugenio IV a' 18 dicembre
1439 lo creò cardinale prete del
titolo di s. Grisogono, ed arciprete
della basilica lateranense che ri-
colmò di benefìzi, fra' quali un ec-
cellente organo. Donò ancora a
quel capitolo la tenuta Trigoria di
rubbia 4^^ wé\a Campagna roma-
na fuori della porta Ostiense. In-
tervenne al conclave di Nicolò V,
e fondò in Roma la chiesa nazio-
nale di s. Antonio o Antonino dei
portoghesi, coli* annesso ospedale,
in cui accogliere si dovessero gli
infermi e pellegrini portoghesi. Do-
po tante e sì preclare opere mori
nel i447> '" ^'^^ decrepita, a Ro-
ma, venendo sepolto nella delta
basilica, in una tomba che prima
della riedificazione della chiesa era
MAR
la più nobile e sontuosa, ed al
presente trovasi nel mezzo del
primo pilastro sotto la navata si-
nistra, dove giace la statua del
cardinale vestito in abiti pontifica-
li sopra l'urna sepolcrale , in cui
vedosi scolpita una semplice iscri-
zione. Il Novaes, suo connaziona-
le, nega che fosse stalo arciprete
lateranense, e dice che dalle be-
neficenze da lui fatte alla basilica
provenne tale errore.
MARTINI Bartolomeo, Cardi-
naie. Bartolomeo Martini spagnuo-
lo di Valenza, nel 147^ Sisto IV
lo fece vescovo di Segovia. Celebrò
nel i4B5 il sinodo nella catte-
drale di Segovia, e fu commen-
dalo il suo zelo per provvedere
ai bisogni de' popoli alla sua ciua
commessi. Alessandro VI lo nonji-
nò nel 140*^ prefetto del palazzo
pontificio, nel i494 "laestro della
cappella papale; indi a' 19 feb-
braio «496 'o creò cardinale prete
di s. Agata alla Suburra, che da
semplice diaconia il Papa dichiarò
per allora titolo; poscia nel i497
lo deputò amministratore della chie-
sa di Bagnorea. Morì in Roma jiì
■2^ aprile nel i5oo, o nel i5o8
secondo lUghclli^ dopo lunga ma-
lattia (della quale parla il Marini,
Archiatri t, 1, p. 256), per cui ai
3i marzo dell'anno precedente nel-
la cappella pontificia, ultima a che
ili presente, sedette in fine del ban-
co dei cardinali vescovi e preti in
luogo non suo, senza neppure ren-
dere la solila obbedienza al Pon-
tefice. 11 suo cadavere fu sepolto
nella basilica vaticana in tomba
di marmo, col suo nome.
MARTINIANA Carlo Giuseppe
Filippo, Cardinale. Carlo Giuseppe
Fdippo de Martiniana nobile pie-
monltse, nacque in Torino a' 19
MAR i65
giugno 1724. Avendo fatto egre-
giamente gli studi ecclesiastici, di-
venne direttore di spirito della re-
gia università di Torino, e meritò
col tempo che Benedetto XIY ai
19 h^lio 1757 lo facesse vescovo di
s, Giovanni di Maurienne , e per
le sue virtù e beneficenze fatte al-
la diocesi, come zelante pastore,
Pio VI nel concistoro del primo
giugno 177B lo creò cardinale
dell'ordine de' preti , ed in quello
de' 12 luglio 1779 lo traslatò alla
chiesa di Vercelli. La berretta car-
dinalizia gliela rimise a mezzo
di monsignor Cavalchina Allor-
quando Pio VI fu deportato pri-
gioniero in Francia, ed essendo
giunto ai 23 apiile 1799 nella
piccola città di Crescentino nella
diocesi di Vercelli , alloggiò nella
casa de' preti dell'oratorio; ivi si
recò subito il cardinale per osse-
quiarvi l'infelice Pontefice, e n'eb-
be breve ma benigna udienza.
Questo fu r ultimo cardinale che
Pio VI vide, essendo morto nel-
l'agosto di detto anno. La città
di Venezia fu destinata per la cC'
lebrazione del conclave, ed a que-
sto si recò il cardinale, mentre
l'eletto Pio VII nel concistoro te-
nuto nel monastero di s. Giorgo
a'2 aprile 1800, gli conferì il cap-
pello cardinalizio, che nella sera
gli portò colle consuete formalità
monsignor Ginnasi cameriere se-
greto. 11 Papa di poi gli assegnò
per titolo quello ch'egli teneva nel
cardinalato, cioè la chiesa di san
Calisto, annoverandolo alle con-
gregazioni dell'immunità, dei ri-
ti, delle indulgenze e sacre reli-
quie, e dell'indice. Beneficò anco-
ra la chiesa di Vercelli , e ne fu
benemerito, singolarmente nelle fre-
quenti laboriosibsime visite ; colle
k
i66 MAR
lettere pastorali ripiene di celeste
unzione ed ecclesiastica eloquenza ;
coi decreti spiranti soavità , doU
cezza e zelo ; colla predicazione
assidua della parola di Dio ; colla
religiosa amministrazione de't.agra-
menti ; colla misericordia e gene-
rosità coi poveri; colla beneficenza
e carità cogl' infermi , che sovente
consolava; avendo esercitato ezian-
dio tali virtù e sollecitudini epi-
scopali colla diocesi di Maurieune
ne' ventidue anni che la governò.
Mori in Vercelli a* 7 dicembre
1802 assai compianto, nell'età di
settantanove anni, e fu sepolto in
quella cattedrale.
MARTINIANO Dormeente (s.).
V. Dormienti (i sette ss.).
MARTINIANO (s), martire. ^.
Processo e Martiniano (ss).
MARTINIANO (s.) , eremita.
Nato a Cesarea, nella Palestina,
sotto r impero di Costanzo, si ri-
tirò in età di dieciott'auni in una
solitudine vicina, ove esercitossi
nella pratica di tutte le cristiane
virtù. In breve pervenne a emi-
nente santità ; e la fama dei mi-
racoli che Dio operava per suo
mezzo, rese celebre il suo nome.
Avea passato in questa solitudine
venticinque anni, allorché Dio per-
mise che la sua virtù fosse messa
alla prova. Una meretrice di Ce-
sarea, nomata Zoe, recossi di sera
alla cella del santo, infìngendosi
una povera persona che avesse
smarrito la via nel deserto, e che
correva rischio di perire se non
le avesse dato ricovero. Accolta
per compassione da Martiniano ,
la mattina appresso gli si presen-
tò riccamente abbigliata, offeren-
dogli la sua persona e le sue for-
tune, aggiungendo altre cose che
quasi io persuasero. Siccome eru
MAR
presso l'ora che molte persone ve-
nivano a ricevere i suoi consigli
e la sua benedizione, fecesi loro
incontro con pensiero di accomia-
tarle; ma preso da salutare ri mor-
di mento, ritornato alla sua cella,
accese un gran fuoco ed in esso
vi cacciò i piedi. Le grida ch'egli
mandava per lo smisurato dolore,
fecero accorrere la donna, la qua-
le lo trovò disteso sul suolo, e
che piangendo diceva : » Come sos-
terrò io il fuoco dell' inferno, se
questo soffrire non posso? " Zoe
spaventata si converti anch'essa, e
andò a passare il resto di sua vi-
ta fra le austerità della più rigi-
da penitenza nel monastero di s.
Paola a Betlemme. Quando Mar-
tiniano potè camminare, si ritirò
sopra uno scoglio da ogni parte
circondato dal mare, ove passò sei
anni, esposto all' intemperie dell'a-
ria, senza mai veder alcuno, tranne
un barcaiuolo che due volte l'anno
recavagli dell' acqua, del pane, e
dei rami di palmizio da lavorare.
Essendosi poscia un vascello, spin-
to dalla burrasca, rotto contro lo
scoglio, il santo cede il luogo a
una donzella che ivi avventurosa-
mente salvossi coll'aiuto di lui ; e
gittatosi in mare, afferrò il lido.
Poiché ebbe errato d'uno in altro
deserto, pervenne da ultimo in
Atene, ove usci di vita sul comin-
ciar del quinto secolo, in età for-
se di cinquunt'anui. Il suo nome
non trovasi nel martirologio ro-
mano, ma sì bene ne* Menci dei
greci. Era onorato in particolar
modo nell'oriente e soprattutto a
Costantinopoli, e la sua fèsta é se-
gnata il 1 3 febbraio.
MARTI i^O (s.), celebre vescovo
di Tours. Nacque a Sabaria, città
della Pauuouia, nell'anno 3 16, giù-
MAR
sta s. Gregorio ili Toiirs; ma Gi-
rolamo da Prato mette la sua na-
scila sei anni [jriina. Ricevette la
prima educiizione a Pavia, essen-
dosi colà ritirali i suoi genitori, i
t|(iali erano idolatri. Malgrado di
essi ei frequentava la chiesa, ed in
età di dieci anni implorò d'essere
ammesso nel numero de' catecu-
meni , e vi ili accolto. Un decre-
to dell'imperatore che obbligava!
tìgli degli uiìì/.iali e soldati vete-
rani a portare le armi, lo costrin-
se a seguire quella professione ,
giacché suo padre era tribuno dei
soldati. Entrato dunque in età di
quindici anni nella cavalleria, egli
seppe preservarsi dai vizi che pur
troppo predominano nella milizia,
ed appalesò le più belle virtì:i. Un
giorno tagliò la sua Ccifjpa (Fe-
di) per metà, e una porzione la
diede ad un povero nudo che gia-
ceva alla porta d'Amiens nel più
crudo inverno. Della cappa o man-
tello di s. Martino si formò uno
stendardo o Bandiera ( Fedì ),
che venne usata dall'esercito dei
re di Francia, e diede (irigine ai
nomi di Cappella e Cappellano
( Fedi ), col primo dicendosi il
luogo ove si custodiva, e col se-
condo i custodi. Di dieciolt'an-
ni ricevette il battesimo , e due
anni appresso ottenne il conge-
<lo . Secondo Girolamo da Pra-
to , egli militò assai più lunga-
mente, e non si ritirò che sotto
Giidiano, il quale fu levato alla
dignità di cesare, ed ebbe nel 355
il comajido delle Gallie. Martino
si pose sotto la disciplina di s.
Ilario vescovo di Poiliers, che lo
fece esorcista, non avendo potuto
vincere la sua umiltà per ordi-
narlo diacono. Desiderando rivede-
Jc i j,uoi iieiiituii, si reco nella
MAR 167
Pannonia. Convelli sua madre e
molte altre persone ; ma non po-
tè indurre suo padre ad uscire dal-
le tenebre dell' idolatria Trovan-
dosi neir Illiria combattè gli aria-
ni cori molto zelo, e questi eretici
la maltrattarono e lo cacciarono
dal paese. Arrivalo in Italia intese
che gli stessi eretici teneano op-
pressa la chiesa delle Gallie ed
aveano fatto esiliare s. Ilario; per-
ciò si scelse un ritiro presso Mi-
lano, e cominciò a condurre vita
nionastica. Aussenzio vescovo aria-
no lo scacciò da quel ritiro; laon-
de si rifugiò in una piccola isola
detta Gallinaria, sulla costiera del-
la Liguria, presso Albenga, insie-
me con un virtuoso prete, di cui
avea fatto la conoscenza. Ivi am-
bedue menarono i loro giorni in
grande astinenza, non pascendosi
che di radici e d'erbe selvatiche.
Avendo inteso nel 36o cbe s. Ila-
rio tornava alia sua sede, nana il
Butler che andò a ritrovarlo .
S. Ilario gli donò un piccolo ter-
reno distante due leghe da Poi-
liers, ove Marlino fondò il mo-
naslero di Ligugey, Locociagum,
che pare sia stato il primo fab-
bricato nelle Gallie. Nel 871 o
375, Martino per la fama di sua
santità e de' suoi miracoli venne
eletto vescovo di Tours. Egli nul-
la mutò nella sua foggia di vive-
re : alloggiò in una celletta vicina
alla sua chiesa; e siccome quivi
era disturbato dalle frequenti visi-
te che riceveva, rilirossi in un
monastero fatto fabbricare nelle
vicinanze della città, cioè la cele-
bre abbazia di Marmoutier, che
fu ritiro di santi ed un seminario
di eccellenti vescovi. Questo sem-
bra istituito prima di quello di
Ligugey, come dicemmo a Moìsa-
i68 MAR
co, ove celebrammo il santo per
uno de' primi introduttori della
vita monastica in occidente, mas-
sime nelle Gallie ed in Milano ;
così pure a Monaca lo' dicemmo
uno de' primari istitutori de' mo-
nasteri delle reIif»iose. Tuttoché s.
Martino amasse il ritiro, non era
per questo meno diligente nell'e-
sercizio del suo ministero. Era a
lui serbato distruggere interamen-
te r idolatria nella diocesi di Tours
e nelle altre contrade delle Gallie.
Recatosi alla corte di Valentinia-
no, ch'era allora nelle Gallie, que-
sto imperatore proibì di lasciarlo
entrare; ma dopo sette giorni di
preghiera e di penitenza il santo
vescovo si presentò nuovamente
al palazzo imperiale, ed entratovi
senza nessun ostacolo, giunse sino
all'imperatore. Questi vedendolo si
mise in forte collera contro quelli
che l'aveano lasciato entrare; se
non che d' improvviso, tocco di
venerazione pel santo vescovo, lo
abbracciò e gli accordò quanto do-
mandava.; gli diede poi molte u-
dienze, e lo ammise sovente alla sua
mensa, offerendogli ancora molli
regali, che il santo ricusò. Ritor-
nato s. Martino alla sua diocesi,
fece abbattere i templi degl' idoli,
e schiantare molti alberi che i pa-
gani riguardavano come sacri, e
vi fabbricò chiese e monasteri. Il
suo zelo lo espose in parecchie oc-
casioni al rischio di perdere la vi-
ta, che più volle campò miraco-
losamente. Sulpizio Severo raccon-
ta molti miracoli operati da Dio
per mezzo di questo santo, ed ag-
giunge ch'ebbe anche il dono del-
la profezia, e fu favorito di assai
rivelazioni e visioni. Nel 386 si
recò a Tre veri dall' imperatore
Massimo a chieder grazia per mol-
MAR
te persone ch'erano state condan-
nate a morte per aver tenuto le
parli di Graziano. Massimo ebbe
a sommo onore di avere Martino
alla propria mensa, ove il santo
dopo aver bevuto passò la coppa
al sacerdote che preferì all' impe-
ratore ritenendolo più degno di lui;
fu pure convitato dall' imperatrice
che lo volle servire a tavola ella
medesima. Dopo avere invano procu-
rato d'impedire il supplizio de'pri-
scillianisti, ebbe la condiscendenza
di comunicare con llacio e cogli
altri vescovi che mal a proposito a-
vevano promosso tale supplizio; ma
egli ciò léce per salvare ad altri la
vita. Rimproverando a se stesso la
sua debolezza, partì da Treveri;
giunto ad un bosco, ch'era lungi due
leghe dalla città presso Andetanna ,
oggidì Echternach, si mise ad o-
rare, e venne confortato da un
angelo, il quale gli disse che avea
ragione di dolersi della sua con-
discendenza, ma che la rendea scu-
sabile la carità che ve lo avea
mosso . Giunto a Tours, vi fu ac-
colto dal popolo come un angelo
tutelare. Benché assai avanti ne-
gli anni, non iscemò punto le sue
austerità, né le sue apostoliche fa-
tiche. Morì tra le braccia de' suoi
discepoli, nella parrocchia di Can-
de posta nell'estremità della sua
diocesi, ov' erasi recato per com-
porre una contesa insorta tra il
clero. L'opinione più probabile è
che morisse ai 6 o 1 1 novembre
del 4c>o. Il suo corpo fu traspor-
tato a Tours, a .seicento passi dal-
la città, ove .sorse una città par-
ticolare detta Marlinopoli, poi Ca-
stel novo, ed in seguito congiunta
a Tours. S. trizio suo successore
Io fece onorevolmente trasferire in
una basilica poco lungi di là, e vi
MAR
innalzò la sua tomba. Questa ba-
silica fu dapprima dedicata a santo
Stefano; ma il nome di s. Marti-
lino non tardò a prevalere tra i
fedeli che venivano da tutte le
parti per venerare questo celebre
taumaturgo. S. Perpetuo sesto ve-
scovo di Tours la tece rifabbrica-
re più vasta : tu poi saccheggiata
dai»li ui^onolti, che bruciarono le
reliquie del santo. Si potè non-
ostante salvare un osso del braccio
e parte del crauio, che sono colà
rimasti : si conservano pure in al-
tre chiese alcune piccole porzioni
delle sue reliquie, distiibuite pri-
ma di quell'avvenimento. S. Mar-
tino è appellato gloria delle Gallio
e lunje della Chiesa d'occidente,
e credesi uno de'primi che furono
onorati con pubblico cullo, tutto-
ché non fossero stati coronali del
martirio, al modo dello all'artico-
lo Martire, ove facemmo parola
della notissima ricreazione che ha
luogo per la sua festa, la quale si
celebra agli i i di novembre.
Martino (s.), arcivescovo di
Braga. Oriundo della Pannonia,
si rese esperto nelle scienze, e fe-
ce un pellegrinaggio per visitare i
luoghi santi della Palestina. Pas-
sato poscia in Galizia, ove gli sve-
vi, infetti dell'eresia ariana, avea-
no stabilito il loro dominio, vi
ammaestrò nella fede Teodomiro,
dopo averlo guarito dalla lebbra, e
ricondusse colle sue prediche questa
parie della Spagna all'unità cattoli-
ca. Fabbricò verso l'anno 56o molti
monasteri^ il principale de' quali
fu quello di Duma, vicino a Bra-
ga, di cui assunse egli stesso il
governo, 1 vescovi della provincia
io eressero in vescovato, ed in-
nalzarono alla nuova sede Marti-
,uo nel ^iò']. 1 re degli svevi vol-
MaR 169
lero che esso fosse il vescovo del-
la loro corte. Egli continuò la sua
prima maniera di vita, e governò
sempre i suoi religiosi con perfet-
ta regolarità. Fu poi elevato alla
sede di Braga metropolitana di
tutta la Galizia, o delle chiese di
Svevia in Ispagna. Venne lisguar-
dato come uno dei piìi brillanti
lumi della chiesa di Spagna, e dei
più begli ornamenti dello stato
monastico. Morì a' 20 marzo del
58o, ed è onorato in tal giorno.
11 suo corpo fu trasportato da Du-
ma a Braga nel 1606. Lasciò una
Collezione di ottantaquaUro cano-
ni ; una Forinola di vi la onesta ,
o trattato delle quattro virtù car-
dinali j un libro intitolato Dei co-
stami ; ed alcuni altri scritti, fra
i c|uali una raccolta di sentenze
dei solitari d'Egitto.
MARTINO ed EUTROPIO (ss.),
abbati. Il primo fu discepolo di s.
Martino di Tours, e si formò al-
le pratiche della perfezione evan-
gelica nel monastero di Marmou-
tier. Ritiratosi di poi nella Santon-
gia, fabbricò un monastero a Sain-
tes, e ne fu abbate. S. Eutropio,
uno de' suoi più celebri discepoli,
gli successe. S. Martino fioriva nel
quarto e nel quinto secolo. Igno-
rasi l'anno di sua morte; ma è pro-
babile che sia avvenuta il 7 di-
cembre, giorno in cui è nominato
nei mai'lirologi. Quello di Francia
indica nello stesso di la festa dì
s. Eutropio, successore di s. Mar-
tino.
MARTINO (s.), abbate, chiama-
lo eziandio s. Martino il Solo.
Nacque a Nantes in Bretagna cir-
ca l'anno S^y, e compiuti gli stu-
di, abbracciò lo slato ecclesiastico.
Felice suo vescovo l'oidinò diaco-
ni, e gli diede il carico di predi-
T70 MAR
Ciii"e il vangelo agi' idolatri di Er-
badilla, ciltà distante due leghe
<)alla Loira, dalla parte del Poitou;
ma le sue fatiche vi produssero
poco frutto, e non furono corris-
poste che con ischerni. Inabissata
poi la città dalle acque, il santo
^e ne allontanò; fece diversi viag-
gi in Europa, e visitò le tombe
dei martiri. Ritornato in Bretagna,
fabbricò un piccolo romitorio, do-
ve parecchie persone pie vennero
a porsi sosto la sua guida. Quin-
di per alloggiare i suoi discepoli
edificò un monastero nella foresta
di Vertave, ora Vertou, a due le-
ghe da Nantes, e vi pose una re-
gola tratta dalle massime degli
antichi padri. Altri due monasteri
fece edificare, uno per uomini e
l'altro per donne. Mon circa l'an-
i»<» 60 I, a* 24 d'ottobre; ed in tal
giorno è onorato, il suo corpo fu
trasportato a s. Jouin, dove più
non si trova; lo che si attribuisce
ai guasti degli ugonotti. S. Mirti-
no di cui palla Gregorio di Tours
nel suo libro DclLi gloria de coti-
fasori, è diverso dal prelodato, e
fu abbate di Saintes.
MARTINO I (s), Papa LXXVl.
l'ebbe per padre F abrizio , uomo
ricco e nobile di Todi, città ve-
' scovile dello stato ecclesiastico, il
quale nulla trascurò per procurar-
gli i migliori maestri per istruirlo.
Coiisagratosi allo stato ecclesiastico,
fu ammesso nel clero di Roma,
e già legato in Costantinopoli , fu
eletto Pontefice a*5 luglio del 649,
e consecrato senza aspettare 1* a-
busivo consenso deirim[)eratore di
Oliente, come sembra dall'essere
poi accusato di aver preso il pon-
tificato irregolarmente e senza
legge, coni' egli stesso scrisse in
uuu sua lettera, cpiu. i5, presso
MAR
il Libbé , Condì, t. VI, p. (\^.
11 monotelismo dominando sempre
in oriente, era combatuto a Ro-
ma ; il Papa seguendo i principii
de' suoi predecessori, nello stesso
anno 649 tenne un concilio di
centocintiue vescovi nella basilica
lateraneuse, la cui autorità fu sì
grande, che dopo i cinque concilii
generali fu inserito nella professio-
ne di fede, solita farsi dai Papi,
siccome si ha dal lib. diurnus Ro-
man. Pont. cap. 2, tit. 9, p. 26.
In esso condannò tutte le eresie,
ed in ispecie gli errori de'monote-
liti, co'Ioro fautori, Teodoro vesco-
vo Faranitano, Giro vescovo Ales-
sandrino, Sergio , Pirro e Paolo
successivamente patriarchi costanti-
nopolitani, coir Ectesi di Eraclio,
ed il Tipo di Costante II impera-
tore. I discorsi pronunziati dal
Papa nel concilio, in cui egli lu-
minosamente spiegò tutte le diver-
se opinioni, danno un'alta idea del
suo sapere ed eloquenza. Gli atti
del concilio furono mandati in tut-
te le chiese di Egitto e di oriente,
in cui le concjuiste de'mussulmani
accrescevano i mali cagionati dalle
eresie. Essendo il Tipo un editto
di Costante II, questi se ne tenne
olfeso, ed incitato dalle lagnanze
del patriarca Paolo, affidò all'esar-
ca di Ravenna Olimpo la sua
vendetta. L'esarca dapprima dise-
gnò di attentare alla vita del
Papa^ nel momento della comu-
nione ; ma sentendosi colpito da
terrore e da rimorsi, non ebbe
forza di commettere tale delitto,
e per vergogna e disperazione par-
tì da Roma e dall'Italia, ed in Si-
cilia fu ucciso combattendo co' sa-
raceni. L'imperatore mandò un altro
esarca, Teodoro Calliopa , che si as-
sunse di arrestare il Pontefice, e di
M A Pt
condurlo a Costantinopoli. Principiò
accusandolo che nascosto avesse
delle armi per difendersi, raa riuscì
facile a Martino I di giustificarsi.
Allora co* suoi soldati si presentò
in Boma, e trovò il Papa prostra-
to avanti la porta della basilica
lateranense . I soldati entrarono
nell'interno, ruppero le candele, e
posero in iscompiglio il santuario.
li clero protestò solenneniente del-
l'innocenza e purità della fede del
suo capo; ma il Pontefice si diede
nelle loro mani senza resistenza,
e non ostante le grida del popolo
fu condotto fuori della città, di
cui furono chiuse le porle, a' 19
giugno 6.>3. Il suo viaggio fu lun-
go e doloroso, senza riguardi agli
incomodi che lo facevano molto
soffrire, mentre con soli sei servi
imbarcato sul Tevere, giunto a
Porto, di là lo trassero a Miseno.
Poiché ebbe traversato la Calabria,
andò errando alcun tempo per
varie isole jonie ; si fermò un anno
a Nasso, in cui finalmente gli ven-
ne permesso di sbarcare dal va-
scello, che fino allora gli avea ser-
vito di prigione ordinaria.
Frattanto l'imperatore gli avea
fatto dare in Pioma un successore,
nella persona di s. Eugenio I (P'ef/i)
agli 8 settembre 654- Arrivò s.
Martino I a Costantinopoli a' 17
settembre di tale anno. Durante il
suo soggiorno a JNasso ricevè dei
soccorsi da tutti i fedeli che deplo-
ravano il suo infortunio, mentre le
sue guardie rubavano tutto, mal-
trattando chi li recava. Prima di en-
trare in Costantinopoli , era egli sta-
lo annunziato a Costante li; tutta-
voita fu lasciato nel porto entro il
vascello, coricato su di uno stramaz-
Z.O, tormentalo dalla golia, ed espo-
sto agli insulti di tulli ijucili che
MAR 171
vollero appressarglisi. Verso sera
fu tratto dalla barca nella prigio-
ne Prandearia, in cui dimorò tre
mesi, senza parlare a persona. Jl
suo processo incominciò a* i5 di-
cembre, onde il Papa comparve
avanti il sacellario Bucoleone, por-
tato su d'una sedia, non potendosi
reggere in piedi pei gravi disagi sof-
ferti, tuttavia assolutamente il mini-
stro volle che si alzasse in piedi. Ven-
ne accusato il santo Padre che co-
spirato avesse con Olimpo, il quale
Io volea privar di vita. Si produs-
sero contro lui venli testimoni su-
bornali, tratti dalla più vile pleba-
glia e brutale soldatesca; fu inter-
rogalo il Papa in modo insultante
e feroce, ed egli rispondeva in
Ialino alle domande in greco, per
un interprete. Il sacellario andò in
furore perchè le risposte del Papa
lo imbarazzavano; stanco poi del-
l'indegna scena, si ritirò per far-
ne rapporto all' imperatore. Si fe-
ce uscire Martino 1 dalla camera
del consiglio, e fu posto su di una
terrazza, perchè essere potesse ve-
duto dalla corte e dal popolo.
Comparve quindi il sacellario, ri-
coprì il Papa di oltraggi qual reo
di lesa maestà, e gli fece straccia-
re il mantello e rompere la cor-
reggia de'suoi calzari, indi lo con-
segnò al prefetto con ordine di
farlo in pezzi. Venti voci al più
gridarono anatema, tutti gli altri
astanti restarono silenziosi e me-
lanconici , chinando la testa per
dolore, commossi dal veder così
berteggiata la maestà pontifìcia. I
manigoldi s' impadronirono allora
di lui, gli tolsero il pallio e le in-
segne pontifìcie, lo spogliarono del-
le rimanenti sue vesti, né gli la-
sciarono che una tonaca senza cin-
tura, che lacera tu anch'essa ne due
lyi MAH
lati, gli si vedeva nudo il corpo.
Gli misero al collo un istromeuto
o collare di ferro , in lai guisa
tiasciiiandolo dal palnzzo in mezzo
alla città col carceriere, come con-
dannato a morie , precedendolo
quello colla mannaia o spada con
cui doveva essere decapilato. Fu
poscia condotto carico di catene
nel pretorio, e di là venne gi Italo
nella prigione di Diomede con de-
gli assassini, scorticandosi le gambe
neir ascendere gli alti scalini. Sem-
l)rava vicino a spirare, onde cadde
rifinito dal rigido freddo ; fu rial-
zato e messo incatenato su d'una
panca. Due donne, preposte alla
cura della prigione , ne presero
compassione lo posero in letto, e
fecero il possibile per riscaldarlo ;
ed il Papa restò sino a sera senza
parlare.
L'eunuco Gregorio prefetto del-
la città gli mandò alcuni alimenti,
facendogli concepire qualche spe-
ranza; e Martino J, desiderando il
martirio, restò afflitto da tali at-
lenzioni. Nondimeno gli vennero
tolti i ferri, e gì' indegni tratta-
menti eroicamente da lui solfei ti
mossero molti a compassione, fra i
quali il patriarca Paolo moiiotelita,
forse pei rimorsi di coscienza. Es-
sendo il Papa moribondo, l'impe-
t'atore andò a visitarlo, e non po-
tè dissimulare il suo rammarico.
Dopo essere stato più di tre mesi
in prigione, a' fo marzo 65'^) gii
iu annunziato di essere rilegato a
Clicrson nella Tauride, che il No-
vaes chiama Crimea nella Tracia.
Diede il bacio di pace e uiì com-
movente addio a chi locircondava,
e venne imbarcato segretamente ai
26 dello stesso mese, arrivando ai
ì5 maggio al luogo dell'esilio,
doade domandò soccorso a' suoi.
MAR
essendo privo nella carestia delle
cose piì» necessarie al vitto, pregan-
do Dio pc' suoi fratelli di Roma e
per chi reggeva allora la Chiesa.
Passati ivi quattro mesi in conti-
nui patimenti, modello d'invinci-
bile fermezza, morì ai i6 settem-
bre 655, dopo il governo di cin-
que anni, due mesi e tre giorni,
computato dalla sua elezione sino
a quella di Eugenio l, la quale egli
approvò; e da quando era stalo crea-
to Papa, sei anni, due mesi e d(-»di-
ci giorni. Con due ordinazioni nel
dicembre creò 33 vescovi, 5 o i i
preti, e 5 diaconi, il suo corpo fu
poi trasferito in Roma nella Chie-
sa di s. Martino a Monti (Vedi),
ove fu riposto a' 12 novembre, che
però in tal giorno si celebra la sua
festa, mentre i greci la celebra -
)io il giorno della sua morte, e
[)iìi solennemente ai i3 aprile. E-
gli lasciò dieciotto lettere scritte
di uno stile nobile e fermo, che
si leggono nella Biblioteca de pa-
dri, e nel citato Labbe'. La santa
Sede vacò, dall'assenza di s. Mar-
lino I, fino all'elezione di s. Eu-
genio I, un anno, due mesi e venti
giorni.
MARTINO II o MARINO I,
Papa CXI. Dovrebbe veramente
chiamarsi Marino I, ma perchè la
similitudine del nome die motivo
a confondersi con Martino, in guisa
che il IV ed il V furono poi chia-
mati Martini, come osserva il Pa-
pe brodi io, ìli Propylaeo p. i^i,
u. 5, ed il Pagi ad an. 882, n. 10,
così viene chiamato Martino li, ts
sendo la medesima persona di Ma-
rino I. Nacque in Montefiascone ,
città vescovde dello stato della Chie-
sa, ed ebbe per padre Palombo.
Divenne prete, diacono e cardinale
legalo tre volte a Costantinopoli
MAR
nella causa di Fozio, per parte di
s. Nicolò I ncll'86G, e nella Bul-
garia con Formoso; sotto Adriano
il nell' 868, pel concilio generale
di Coslanlinopoli IV; e neir88i
nel pontificalo di Giovanni Vili ,
per la causa di Fozio. Questo ul-
timo Pontefice, essendo già insigni-
to della dignità vescovile, lo man-
dò in Napoli ad assolvere dalla sco-
munica il vescovo Anastasio, se ri-
vocava la lega fatta co' saraceni,
i^ieno di meriti fu eletto Papa ai
'23 dicembre 882. Scomunicò nuo-
vamente Fozio, e restituì Formoso
alla cliiesa di Porto , da cui era
stato deposto, permettendogli inol-
tre di poter ritornare in Roma con-
tro il giuramento fatto. Il Cardel-
la registra tre cardinali da lui crea-
li. Governò la Chiesa un anno e
due mesi; e morì a' 2 3 febbraio
tlcir884 , colla riputazione di un
nomo illuminalo e di gran pietà.
Fu sepolto in Vaticano. Vacò la
Sede apostolica sei giorni.
MARTINO III o MARINO II,
l^apa GXXXil. Romano, fu eletto
Pontefice prima de' 4 febbraio o
forse a' 12 gennaio del 943. Scris-
se al vescovo di Capua Sivone, pres-
so Leone Ostiense, in Chron. lib. i,
cap. S^, rinfacciandolo d'ignorante
de' canoni, d'imperito nelle lette-
re, di familiare de' secolmi, e di
temerario trasgressore, perchè avea
dato, contro le leggi divino ed u-
mane, ad un suo diacono in be-
nefizio la chiesa di s. Angelo, che
il suo predecessore avea concesso
a' monaci benedettini per fabbri-
carvi un monastero. Gli ordinò
pertanto di restituire i»' monaci la
detta chiesa; che fosse fabbricalo
il monastero, il quale non sareb-
be da lui, né dai suoi successori in-
quietalo, ma resterebbe perpctua-
MAR 173
mente soggetto al monastero de' be-
nedettini ch'era in Capua ; e che
il suddetto diacono restasse separa-
to da ogni comunicazione degli uf-
fizi ecclesiastici dal vescovo, al qua-
le minacciò la sospensione del gra-
do sacerdotale e la scomunica , se
non obbedisse prontamente. Marti-
no III, secondo il Cardella, creò tre
cardinali, avendo governato laCliie-
sa tre anni, sei mesi e qiiatlcrdici
giorni. Si rese molto lodevole nel
rifoimare la disciplina ecclesiastica,
nel ristorare le chiese, nel solleva-
re i poveri, e nel couiporre le dis-
cordie tra i principi cristiani. Morì
nel mese di giugno del 946, e tu
sepolto nel Valicano. S'igiiura (juan-
lo vacasse la sede, ma probabilmen-
te due o tre giorni.
MARTINO JV, Papa CXCVII.
Simone di Rrie o Brion, o Mom-
pizio, nato da una nobilissima fa-
miglia a Mompincè o Montpensier
nella Turrena , ovvero nella Brie
in Francia, o in Montpilloi castello
della provincia di Sciampagna dio-
cesi di Sens; uomo per dottrina,
grandezza di animo e santità di
vita chiarissimo, prima beneficiato
della chiesa di Rouen , e poi teso-
riere e canonico nella chiesa di s.
Martino di Tours, per cui alcuni
lo credettero turonese di patria,
indi giiardasigilli di s. Luigi IX. li
Papa Urbano IV lo dichiarò cap-
pellano pontificio, ossia uditore di
rota, indi eletto vescovo di Puy
non seppe determinarsi ad accetta-
re. Siffatta rinunzia , suggerita dai
sentimenti di sincera umiltà, uìosse
detto Pontefice a crearlo cardinale
prete del titolo di s. Cecilia, in Vi-
terbo nel dicembre 1262 o i263.
Clemente IV lo destinò legalo in
Francia a Carlo d' Angiò conte di
Provenza, e fratello del mentovalo
1 74 ^^ ^ ^
re di Fradicia, per invitarlo a poi--
taisi in Italia contro Manfredi u-
surpatore e tiranno di Sicilia , che
-attese le sue violenze e concussio-
ni era divenuto insoffribile, ed of-
frirgliene la corona. Nella sua le-
gazione celebrò diversi concilii pro-
vincialij ne' quali oltre all'aver pre-
scritto una costante riforma agli ec-
clesiastici, ritrovandosi in Noget ,
stabilì alcune savie leggi pel buon
ordine dell'università di Parigi, ne
confermò i privilegi, e stabilì il mo-
do e il cerimoniale per l' elezione
del rettore della medesima. Aven-
do il re di Francia Filippo III an-
nullata la legge che vietava i giuo-
chi di asta e spada, ne* quali spar-
gendosi molto sangue la festa si
cangiava in lutto, Nicolò III con
sue lettere non mancò rampognar-
ne il legato , per l' eccessiva sua
connivenza, e gì impose che pro-
mulgasse sentenza di scomunica con-
tro chiunque avesse avuto la te-
merità di esporre la propria vita
a cimento in quegl' illeciti giuochi.
Già erasi trovato presente al con-
cilio generale di Lione II celebra-
to da Gregorio X (per la cui ele-
zione fu uno dei sei cardinali in
cui si compromise il sacro collegio),
dopo il quale per di lui ordine re-
stò in Francia a motivo di rista-
bilire la sacra guerra della Pale-
stina. Fu allora che si studiò con
zelo e minacce di distogliere Filip-
po III dal muovere guerra ad Al-
fonso X re di Castiglia, e celebrò
un concilio in Bourges nel 1276.
Richiamalo a Roma da Nicolò III,
per sua niorte entrò in Conclave
(Vedi)^ in Viterbo _, ove dopo sei
mesi di sede vacante, fu eletto con-
cordemente Papa a' 21 febbraio
1281, ma con tanta di lui reni-
lenza , che ricusando di assumere
MAR
le insegne pontifìcie, i cardinali ac-
cesi dì salito zelo gli strapparono
di dosso le vesti cardinalizie, e gli
misero per forza le papali , come
scrive Tolomeo da Lucca. Prese il
nome di Martino IV (terminando
con lui la confusione del nome di
Marino), in memoria della chiesa
di cui era stato canonico, e si fece
coronare a' 2 3 marzo in Orvieto,
perchè in Viterbo eravi l'interdet-
to per cagione dell'arresto fatto nel
conclave, ad istigazione di Riccar-
do Annibaldi che n'era custode,
de' due cardinali Matteo e Giorda-
no Orsini.
Il popolo romano per terminar
le discordie insorte in sede vacan-
te, in cui i potenti Annibaldi ed
Orsini avevano ciascuno creato il
senatore di Roma, onde n'erano
avvenute orribili stragi e sangui-
nosi tumulti, diede a Martino IV,
come ad un privato, la dignità di
senatore di Roma, la quale egli le-
stituì a Carlo d'Angiò 1 re di Sicili.i,
cui l'avea tolta Nicolò III. Dimoran-
do in Orvieto fece l'unica sua pro-
mozione di sette cardinali, fra'quali
uno fu poi Bonifacio Vili; sco-
municò r imperatore Micìiele Pa-
leologo per aver mancato alla pro-
messa unione colla Chiesa romana,
e ricusò riceverne gli ambasciatori.
Nel 1282 scomunicò ancora in Vi-
terbo gli autori della famosa con-
giura de' vespri siciliani , che ster-
minò tutti i francesi in Sicilia; e
dopo di essere stato alcun tempo
in Roma, egual sentenza fulminò in
Montefiascone (ove edificò il palazzo
e la fortezza, e l'abitò) contro Pie-
tro III re d'Aragona complice della
medesima, e invasore della Sicilia; lo
depose dcd regno, scomunicando chi
l'obbedisse, e pubblicando l' indul-
genza della crociata a ^chiunque
I
ÌM A R
confro di Ini combattesse ; quindi
(Inndo il regno d'Aragona al di lui
nipote Carlo di Valois , figlio ili
Filippo III re di Francia , ordinò
ni vescovi francesi che perciò gli
paga<;.sero le decime ; come le co-
mandò agli italiani in favore di
Carlo I contro lo stesso Pietro III,
Frattanto morì Carlo I a' 7 gen-
naio I ?. 8 'ì, lasciando prigioniero de-
gli aragonesi in Catalogna il figlio
( arlo li, e il figlio di questi Carlo
Martello inetto per l'età al gover-
no, per cvii il Papa come supremo
signore del regno, vi pose auìuii-
nistratori , confermando nella reg-
genza il conte d'Artois, e dandogli
per compagno il cardinal Geraldo
di Parma legato. Nell'istesso anno
Martino IV fu costretto uscir da
Orvieto per l' insolenza del gover-
natore Ranieri, v. non polendo ri-
tirarsi in Roma per le discordie che
•vi erano, passò a Perugia. A' 1^
marzo vi celebrò la messa di Pa-
squa, ed appena ebbe desinato si
ammalò gravemenle, e morì a' -28
Tenendo il 29 marzo del laSo,
per aver mangiato con eccesso le
anguille, che molto gli piacevano.
Fu sepolto nel duomo di Perugia
coir abito de' frali minori, da lui
amati sopra gii altri religiosi; e
sebbene ordinò al cardinal Saveilì
che gli successe, che il cadavere fos-
se trasferito in Asisi nella loro chie-
sa, ciò non fu eseguito. Governò
quattro anni , un mese , ed otto
giorni. Fu magnifico, di gran petto
nelle cose della Chiesa, dotto e pru-
dente, ornato di molte virtù, e tal-
mente staccalo dai parenti, che por-
tandosi un fratello a rallegrarsi con
lui del pontificato, egli avendogli
somministrato una moderata som-
ma per le spese del viaggio, lo ri-
mandò a casa dicendogli, che i be-
MAR 175
ni che avea come Papa erano della
Chiesa e non suoi per poterle dis-
porre. Alcuni Io tacciano di essersi
mostralo troppo appassionato del
connazionale Carlo 1 , per mezzo
del quale dicesi era stato esallato,
e si lasciava governare; ma i mi-
racoli che Dio operò al suo sepol-
cro, e ne' (jnali fiorì dipoi, per cui
alcuni lo venerarono per santo, mo-
sliano abbastanza di non aver egli
ecceduti i termini della giustizia.
Vacò la santa 5?ede tre giorni.
MARTINO Y, Papa CCXYI.
Ottone o Oddone della nobilissi-
ma famiglia Colonna, una delle pri-
me di Roma, nacque nel 1 365 in
Genazzano [Fedi), altri dicono in
Roma, allri in s. Vito, terra non
lungi da Palestrina, da Agapito
Colonna. Si fece amare e insieme
ammirare dai propri concitladini,
per la integrità, sapienza, dolcezza,
affabilità e modestia del suo ca-
rattercj congiunta a tale eminen-
za di letterarie cognizioni, che non
vi aveva scienza^ in cui non fosse
eccellente. Sopra tutto fece mirabili
progressi in quella del diritto ca-
nonico, che apprese nell'università
di Perugia. Da Urbano Vi fu a-
scrilto tra i referendari ed i prò-
tonotari, e nominato amministrato-
re di Palestrina. Bonifacio IX Io
fece uditore di rota, e nunzio apo'
stolico per l'Italia ed altrove. Com-
pite con suo gran decoro e pari
vantaggio della Sede apostolica nove
legazioni, fu da Innocenzo Vili
a' I 2 giugno i4o5 creato cardinr.l
diacono di s. Giorgio in Velabro.
vicario di Roma ed arciprete deb
la basilica Lateranense. Neli.fjugo
di tanti DiK^ri , anziché scemarsi,
siccome sapiente, andò crescendosi
in lui la liberalità, la piacevolezza
e la benignità ; onde a chiunque
176 MAR
ridiicslo Io avesse, prestava di
buon grndu V opera sua con tali
j^eniili maniere, e con traili così
obbliganli , che si cattivò l'alletto
e la sii ma tli tulli, tenendosi per
quanU) il poteva lontano dai pub-
blici all'ari. Si oianlenue fedele a
Gregorio XII, finche non si dovè
portare al concilio di Pisa , ove
seguì l'elezione di Alessandro V ;
couìe pure intervenne in Bologna
a quella di Giovanni XXI II. Que-
sti gli die l'amministrazione «della
provincia del Patrimonio di s. Pie-
tro, del ducato di Spoleto, e delle
città di Perugia, di Todi, di Or-
vieto, di Terni e di Amelia col
titolo di legato, ne'quali impieghi
si condusse sempre con mi i-abile
prudenza. L* Ughelli dice che fu
fatto vescovo di Urbino nel i38o.
P^inalmente essendo nel vigore del-
la salute e di circa 5o anni, nel
concilio di Costanza (Fedi) agli
li novembre i4i7» coi voti con-
cordi di tutte le nazioni fu eletto
Papa, e ricorrendo in quel giorno
la festa di s. Martino vescovo,
prese il nome di Martino V, po-
nendo fine al gran scisma d'occi-
dente. Anche il Baluzio narra la
maniera di sua elezione ^ Misceli.
lib. Ili, p. 90. Avendo ai 12 e
i3 di detto mese ricevulo gli or-
dini del diaconato e del sacerdozio
dal cardinal Broignac decano, a'i4
fu con sagrato vescovo j ed a' 2 r
che cadde di domenica fu solenne-
menle coronalo con quella pompa
che dicemmo a detto articolo, ad-
destrandogli il cavallo nella caval-
cata Sigismondo re de' romani ,
e il marchese di Brandeburgo ,
ed emanò tosto le regole della can-
celleria apostolica. Presiedette alle
quattro ultime sessioni del conci-
lio, in una delle quali rivocò tut-
M A 11
le le grazie concedute dopo Gre*
f^orio XII fino a quel tempo, or-»
dinando che le chiese e i benefizi
ritornassero al njedesimo stalo in
cui erano prinui di Urbano VI,
ed emanò quelle altre provviden-
ze narrate al citato articolo; indi
comandò la riforma del clero.
Adoperandosi egregiamente Ladis-
lao re di Polonia per l'unione della
chiesa greca colla romana, Marlino
V con sue lettere lo ringraziò ;
gli confermò i privilegi de' suoi
predecessori, e lo dichiavò vicario
della Chiesa romana ne' suoi stati.
Avendo Giovanni re di Portogallo
impreso la guerra contro i sarace-
ni, il Papa invitò i principi a soc-
correrlo, e fece bandire la crociata.
Indi per essersi impadronito di
Madera, e scoperto il Capo di
Buona Speranza e l'Indie orienta-
li, Martino V per legittimargliene
il possesso, pel progresso del van-
gelo, concesse ai re di Portogallo
tutte le terre che avessero scoperto
dall'imboccatura del Mar Nero al-
l'estremità delle Indie. Da Costan-
za il Papa s'incamminò per l'Ita-
lia , accompagnato da dodici car-
dinali , e per Sciaffusa e Berna
giunse a Ginevra , ove riconob-
be per cardinali molti di quel-
li dell' antipapa Benedetto XI 11.
Indi passò a Susa, Torino, Pavia,
Milano, Brescia , Mantova e Fer-
rara, s'avviò per la Romagna, e
per Forlì giunse in Firenze a' 26
febbraio 14^9 > avendo declinato
da Bologna allora occupata da
Antonio Benlivoglio. Mentre dimo-
rava in Cebenes, Martino V seb-
bene fosse difficile nella concessione
delle dispense , pure dispensò nel
grado di affinità Giovanni conte
di Foix per sposare la cognata.
Eresse in arcivescovile la chiesa
MAH
(\ì Firenze, e confermò la canoniz-
zazione di s. Brigida, avendo in-
caricato il cardinal Fonseca di so-
pire le guerre civili di Castiglia.
In Firenz-e attese a liberare lo sta-
to della Chiesa dall'oppressione dei
tiranni che Taveano occupato, ri-
cuperando Civitavecchia , Ostia e
Castel s. Angelo dalla regina Gio-
vanna II ; come riebbe alla sua
obbedienza altre terre della santa
Sede. Ricuperò ancora Terni ed
Orvieto, ma dovette contentarsi che
Braccio da Montone fosse vicario
di Perugia, Assisi, Jesi, Todi , e
di qualche altro luogo. Essendo
fuggito dalla sua prigione il depo-
sto Giovanni XXIII {Vedi)^ si por-
tò in Firenze ad implorar miseri-
cordia da Martino V, il quale lo
accolse amorevolmente, lo creò car-
dinal vescovo di Frascati, e decano
del sacro collegio. Fece gonfalonie-
re della Chiesa Francesco Sforza^
affidandogli le milizie pontificie. Ol-
tre quanto abbiamo detto a Firen-
ze, sulla dimora fattavi da Marti-
no V, qui aggiungeremo, che per-
nottò nella villa detta ora Torre
presso la terra di s. Casciano. Vo-
lendo quindi compiacere i romani^
pel Sanese si portò in Roma a'28
Settembre 14^0, alloggiando nel
monastero della Madonna del Po-
polo, donde a'3o dello stesso mese
si trasferì in mezzo alle acclama-
zioni del festeggiante popolo al
Vaticano, e quivi dimorò sino al
i4^7j in cui andò nell'abitazione
di sua famiglia, presso ss. Apo-
stoli, fabbricandovi di nuovo un
sontuóso palazzo. Trovò Roma squal-
lida e desolala, ma per lui risor-
se all' antico suo splendore. Mi-
lìacciata da Braccio, fu il Papa a-
ìutalo da Giovanna II, al che al-
tra volta crasi rM:usala. Lo SR)f-
tOI.. XLII^.
MAR Ì77
za , Lodovico Colonna, Luigi da
Sanseverino, e Nicolò da Tolentino
furono capitani per la Chiesa. Brac-
cio restò ucciso, onde Perugia, A-
sisi e gli altri luoghi da lui occu-
pati ritornarono al pieno dominio
pontificio. Nella vittoria ancora Mar-
tino V die saggi di rbansuetudine, sa»
pendo a tempo perdonare, per cui
molte città gli si dierono spontanea-
mente, e fra esse Bologna. I Ma-
latesta egualmente gli restituirono
Osimo, Cervia, Fano, Pergola e
Senigallia. Essendosi propagata di
nuovo per l'Italia l'eresia de'fra-
ticelli chiamati dell* opinione , il
Papa deputò due cardinali per
castigarli; indi nel 14^2 con in-
defessa fatica si applicò a reprime-
re in Boemia i funesti progressi
degli ussiti. A terminare le guerre
tra i re di Frància e d'Inghilterra
spedì a pacificarli il cardinal b.
Nicolò Albergati. In sequela dei
decreti del concilio di Costanza
promulgò la celebrazione del con-
cilio generale che si aprì in Pa-
via nel 14^3, indi per la peste
lo trasferì a Siena, e per le guer-
re d'Europa in Basilea, destinandovi
legato a Intere il celebre cardinal
Giuliano Cesarini, acciò lo presie-
desse in suo nome. Nel 142 3 ce-
lebrò Martino V YAnno santo quin-
to [Vedi): che realmente lo cele-
brasse, lo prova anche il Zaccaria,
Storia letter. t. II, p. 9< e seg.
Giovanna li avendo adottato per
figlio Alfonso V re d' Aragona, e
poi essendo di lui malcontenta , gli
sostituì Lodovico d'Angiò, che difen-
deva il Papa, il quale nel \^i^ ne
approvò l'adozione, e confermò la
regina ne! possesso dèi regno, che
g^ià avèa fatto coronare dal cardi-
nal Moi'ósini. Nel detto anno proi-
bì ai cardinali di essere prolettori
12
178 MAR
di re o principi . Con diligenti
premure nel i4^5 si adoperò Mar-
lino V per eslingueie lo scisma
che in Aragona sosteneva demen-
ta Pili antipapa (Pedi)y e vi
riuscì poi al modo detto in qnel-
TartìcolO) come ancora si adoperò
per togliere molti abusi introdotti
nella cristianità, massime in Cor-
sica. A' 26 marzo 14^5 colla co-
stituzione Sedis ApostolicaCy cano-
nizzò s. Sebaldo eremila, e beati-
ficò Nicolò vescovo Licopense, Bri-
aiulfo Tescovo Scadense , ed In-
grida domenicana ; canonizzò an-
cora s. Monica madre di s. Ago-
slino. Siccome Alfonso V pubbli-
co un editto pernicioso all' immu-
nità ecclesiastica, il Papa nel i4^6
citò il re a presentarsi in Roma
dentro Io spazio di 121 giorni a
renderne conto, e nel medesimo an-
no die ai monaci girolamini il
monastero e chiesa de'ss. Bonifacio
ed Alessio. Nel 14^7 Martino V
prese energiche misure contro il
Portogallo, in cui del pari era
gravemente lesa V immunità delle
chiese. Nel 14^9 delìuilivatneute
il Papa si pacificò col re Alfonso
V, ed ordinò contro i labori li che
la festa del Corpus Domini si ce-
lebrasse ancora nelle terre inter-
dette ; nello stesso tempo riprese
l'arcivescovo di Gantorbery, perchè
avea istituito una specie di Giu-
bileo. In quest* anno Martino V
passò in Ferentino i mesi di lu-
glio, agosto e settembre. In tre
promozioni creò quattordici cardi-
nali, e mentre nel i43i si applica-
va col più indefesso zelo nell'estin-
guere le eresie che rovinavano la
Boemia, la Slesia e la Misnia, mo-
rì in Roma di apoplesia a' 19 ve-
nendo il 20 febbraio d' anni 63,
coU'oltimo governo di tr«?dici anni,
MAR
tre mesi e dieci o dodici gior-
ni, compianto da tutto il popolo
ne'funcrali. Fu sepolto in un su-
perbo sepolcro di bronzo, in mezzo
alla basilica lalerauense, avanti le
teste de' ss. Pietro e Paolo , che
coU'epitalIìo riporta inciso l'Oldoi*
ni, Addii, ad Ciacconium t. 11,
p. 83o. Estinse l'orrendo e lungo
scisma, pacificò l'afflilta Italia, re-
staurò la desolata Roma con edi-
fizi, e meritò il titolo di padre
della patria e felicità de' suoi lem-
piy lasciando la sua memoria in
eterna benedizione, poiché il giu-
dizio del cieco popolo può fallire,
non così quello de'secoli. Fu Mar-
tino V grand'uomo dabbene e di
stato, e desideralo dopo morto
anco da quelli che vivente l'odia-
rono. Era egli dolalo di grande
erudizione , affabilità , prudenza,
consiglio, e di ottimi costumi: la
bontà di lui non fu meno che la
giustizia. Nel promuovere i sogget-
ti ai benefizi ecclesiastici era se-
vero indagatore del merito . Nalaie
Alessandro afferma , che fu diffi-
cile ad accordare dispense, comu
diciamo all' articolo Matrimonio
§ IV. Fra tutte le sue virtù spic-
cò la costanza ne' casi avversi, e
ne diede principalmente la prova
nella perdita dei fratelli. Di che
e di quanto fece alla sua nume-
rosa famiglia Colonna (F'edi)y che
assai amò ed arricchì in più modi,
lo dicemmo a qtiell'articolo. NeJa
zecca pontificia abbiamo quattro
medaglie di lui colla sua effigie, cou
allusioni alla sua elezione e corona-
zione, restauri delie basiliche di
Roma, e del nuovo portico che
fece alla Vaticana , ed alla cele-
brazione del giubileo. La storia di
questo memorabile pontificato fu
pubblicata da uu codice oiss. dei
MAR
Papebrocìiio nel suo Conni, Chron.
hìst. par. Ili, p. 112. La vita cH
Martino V. da un codice vatica-
no è presso il Muratori negli Script,
rer. imi. t. Ili, par. II, p. SSy e
H59. Vi è ancoia di Francesco
Ci rocco, Vita di Martino V Co-
lonna Noni. Pont., Foligno i638;
di Gio. Rivadella, VElogiuni Mar-
tini V et aliorum XIII Ponlif.
(ch'ebbero il nome di V), Romae
i58i; e di Felice Contelori, Vita
Martini V^ Romae 1641. Vacò la
santa Chiesa undici giorni.
MARTINO, Cardinale. Martino
o Marino prete cardinale, si trova
sottoscritto nel decreto ingiustamen-
te emanato da Stefano VI detto
VII neir8g6, contro il cadavere di
Papa Formoso.
MARTINO, Cardinale. Martino
cardinale di s. Sabina, fiori sotto
Benedetto IX che tenne il pontifi-
cato dal io33 al io44-
MARTINO Bertrando, Cardi-
nale. Bertrando da s. Martino nato
in Arles, essendo preposto nella chie-
sa di sua patria, fu flitto vescovo
di Frejus ; nata però discordia tra
gli elettori, venne nel 1264 trasfe-
rito alla chiesa d'Avignone , e nel
1*266 passò all'arcivescovato d'Ar-
les, di cui non potè subito pren-
dere possesso, per la lite promos-
sa dalla nomina fatta dai compro-
missari. Si crede che rinunziasse il
vescovato di Valence nel Delfìnato,
in luogo di cui si vuole che alla
fine ottenesse il possesso della chie-
sa Arelatense, della quale nel 1269
ottenne il pallio da Clemente IV,
con facoltà di farsi precedere dalla
croce per tutta la provincia d' Ar-
les. Gregorio X nel settembre o di-
cembre 1273 lo creò cardinale ve-
scovo di Sabina ; intervenne alle
prime sessioni del concilio generale
MAR 179
che quel Papa celebrò in Lione,
ed ivi morì nel 1270.
MARTINUSIO Giorgio, Cardi-
nale. Giorgio Martinusio così detto
dal cognome della propria madre,
ma veramente della famiglia Wise-
nowiski, quanto nobile altrettanto
scarsa di beni di fortuna , venne
alla luce nella rocca di Namiesaz,
presso al fiume Tibisco nella Croa-
zia. Annoiato del mondo , di cui
nell'età giovanile avea provato le
peripezie, professò nel i5o8 nel-
l'ordine di s. Paolo primo eremi-
ta, quantunque alcuno lo dice mo-
naco olivetano. Essendo superiore
del celebre monastero di Cestoco-
niano nella Polonia, contrasse stret-
ta amicizia con Giovanni re d'Un-
gheria, che dalle armi di Ferdinan*
do I arciduca d' Austria era stato
costretto a ritirarsi in Polonia. Ad
istanza di quel principe, più volte
si recò in Ungheria , per eccitare
i magnati del regno a richiamar
l'esule sovrano, come in fatti fu da
essi coraggiosamente eseguito; anzi
dicesi che ottenesse da Solimano
II, di cui il re erasi fatto tributa-
rio, d'intronizzarlo di nuovo. In
ricompensa il re lo nominò nel
i534 al vescovato di Varadino, e
dichiaratolo suo intimo consigliere
gli conferì la prefettura d«l regio
erario, ed in sua morte lo lasciò
colla regina Isabella tutore dell'u-
nico figlio Giorgio ^ bambino di
undici giorni, non che amministra-
tore e governatore del regno, sino
all' età maggiore del figlio. Inco-
minciò ad altercare colla regina ,
perchè vecchio valoroso, avvezzo a
comandare, e per la sua accortezza
ed imprese divenuto celebre, usava
maniere dispotiche. La regina, don-
na di valore, per materna gelosia
o femminile vanità, infastidita di
I
i8o MAR
questo procedere, si ridusse infiire
a cliiamar contro di lui Solima'
no II) qillil macchinatore della mor-
te del figlio e confederato dell'Au-
stria. Per la tardanza dell' aiuto
tindiesco, polè Martinusio riconci-
liarsi colla regina, e sbaragliare in
Tari conflitti i turchi. Disgustato di
nuovo colla regina, temendo non
poter resistere ai turchi, ricorse al-
l'aiuto deir arciduca, che aspirò ad
impadronirsi anche della Transil Va-
nia. La regina nel i55i dovè ce-
dere quello stalo e ritirarsi nel ca-
stello di Oppien nella Slesia. L'ar-
ciduca itominò subito il prelato ar-
civescovo di Slrigonia, e pregò Giu-
lio III a crearla cardinale, come
fece ai 12 ottobre i55i , e per
maggior distinzione gli trasmise il
cappello cardinalizio, con facoltà di
usare le vesti rosse, interdette ai
monaci. Pel comando delle truppe,
che pretendeva il cardinale, contro
Castaldi generale dell' esercito au-
striaco, questi risolvette di ucciderlo,
ricolmandolo di calunnie presso Fer-
dinando, fino a far credere che
avesse intelligenza col turco, per cui
strappò da lui l'ordine di prende-
re misure di sicurezza. Laonde nel
dicembre i55i in Winlz diversi
sicari l'assassinarono in un luogo di
delizie, nell'età di settanl'anni, do-
po due mesi di cardinalato, restan-
do il cadavere insepolto per venti
giorni, e solo nel marzo ebbe se-
poltura nella chiesa di s. Michele
d'Albareale. Il Berc^stel dice in
"vece, che fu trasportato a Wisem-
bourg con grande onore, e sepolto
a lato del famoso Unniade, rlove
alla sua memoria fu eretto un son-
tuoso mausoleo; e che tra le carte
non fu trovata cosa che pregi udi-
Ciisse alla sua fedeltà e probità. In
seguilo i complici del misfatto su-
MaR
crilcgo, in breve funestamente ief^
minarono di vivere, o sul patibolo
come narra il Cardella, che osser-
va essersi gli unghcri ribellati a
Ferdinando. Pervenuta in Roma la
notizia di sì violenta morte, il Pa-
pa pati gravissimo rammarico; ne
die parte in concistoro ai cardina-
li, e fece citare l' arciduca a giu-
stificarsi, e che poi scomunicò. Fin-
che visse Martinusio, l' eresia non
potè penetrare in Ungheria. La
sua vita fu scritta da Giovanni
Marnavizio; in Parigi ne fu stam-
pala la storia nel i'/t5 in france-
se, da Antonio Bechet canonico di
Uzes, col titolo di Storia del mi'
nìstevo del cardinal Giorgio Marti-
nusio.
MARTIRE, Martyr. Quegli ch'è
od è slato martirizzato. Il nome di
martire è un nome greco, che si-
gnifica propriamente testimonio j e
si dà per eccellenza a tutti quelli
che soffrono la morte per fare te-
stimonianza delle verità evangeliche.
Si distinguono i martiri in designa-
ti, in consumati o coronati, ed in
verificati. I martiri designati sono
quelli che furono condannati a mor-'
te, ma la di cui sentenza non fu
eseguita. I martiri consumati o co-
ronati sono quelli che spirarono fra
i tormenti, o poco dopo per la
violenza de' tormenti sofferti. Di-
coosi martiri verificati quelli che la
Chiesa, dopo un esame canonico,
propone alla venerazione de' fedeh.
Fu pure un tempo dato il nome
di martiri a'confessori che avevano
soCferto l'esilio, o qualche supplizio
per Gesù Cristo, benché non vi
avessero perduta la vita, e ciò^ im-
propriamente, giacche non si pos-
sono veramente dir martiri se non
quelli, i quali muoiono effettiva-
mente nei tormcnli^ o in i>eguito
MAR MAR i8i
per la violenza dei tormenti stessi, morie per annor della fede; che
o che per lo meno ne sarebbero soflra pazientemente la morte per
morti, se Dio non li avesse preser- una causa divina, non per alcun
■vati dalla morte per un miracolo umano motivo, come sarebbe quel-
delia sua onnipotenza. /^. Confes- lo di render celebre il proprio
soRE DELLA FEDE. Quanto alle cause nome. Non sono martiri quelli
che fanno il martire, non è la pe- che affrettano il termine della
na soltanto, ma ancora la causa loro vita a forza di penitenze; né
per la quale si soffie; e queste quelli che prevengono i tiranni,
cause che fanno il martire riguar- dandosi da sé stessi la morte, a
dano o la persona stessa del mar- meno ch'essi non lo facciano per
tire, o quella del tiranno. Non vi divina ispirazione; né quelli che
ha che una causa che faccia il muoiono servendo ammalati con-
martire, e che riguardi la persona tagiosi, tranne il caso in cui sia-
slessa del martire, cioè la fede delle no stati condannati a quel servizio
cose che bisogna credere o fare, dai persecutori in odio della fede.
Perchè un uomo sia ritenuto mar- Se il martire è catecumeno egli à
tire è quindi necessario ch'egli dia tenuto a ricevere il battesimo d'ac-
la sua vita , o per qualche verità qua se lo può ; se é battezzato e
speculativa della religione cristia- colpevole di alcun peccato deve
pa, come sono gli articoli di fé- confessarsi, se vi è un confessore;
de , o per qualche verità pra- deve pure ricevere la s. Eucaristia,
tica, come sono gli atti delle vir- perchè il martirio non esenta da
tu cristiane. Dal che proviene che questi obblighi in articolo di mor-
non sarebbe martire colui che mo- te. La viriti invincibile de'martiri
risse o per un' opinione pia, ma dimostra la verità della religione
non defìnita dalla Chiesa, o per cattolica. I cristiani furono somma-
un'opinione falsa che fosse creduta mente solleciti di visitarli e con-
vera per un'invincibile ignoranza, forlarli nelle prigioni ove ricevevano
p per una verità conosciuta per l'Eucaristia. Furono i martiri gran-
mezzo dei lumi della ragione, a demente pietosi verso i caduti, che
meno che essa non fosse relativa raccouìandavano a' vescovi con quel-
e preliminare alla fede, come Tesi- le lettere di cui parlammo nel
stenza di un Dio, il che forma un voi. XXXVIII, p. i33 del Dizio-
dubbio fra i teologi, o per una uario. Prima di consumare il mar-
verità conosciuta per mezzo di una tirio solevano immediatamente pre-
rivelazione particolare. Non vi ha mettere l'orazione: dovendo essere
parimente che una causa che fac- decollati , ricevevano genuflessi il
eia il martire, e che riguardi la colpo micidiale, indi i cristiani ne
persona del tiranno; l'odio cioè imbalsamavano i loro cadaveri, e
della (aie o di una buona azione ne raccoglievano premurosamente
prescritta dalla fede di Gesù Cri- il sangue. Nel giudizio universale
sto, sia il tiranno infedele, eretico, i martiri saranno giudici insieme
scismatico o cattolico. Delle dispo- con Gesù Cristo. Il coraggio col
sizioni necessarie al martire, la quale i martiri eroicamente sofFri-
prima essenziale ad un martire rono inauditi tormenti, derivava dal
adulto, è l'accettazione libera della loro amove per Gesù Cristo : sup>
iSi
MAR
plizi , prigioni e patimenti noti
smossero la loro costanza mirabile,
e meritarono coi loro trionfi di
essere intimamente uniti a Dio in
cielo, godendo tutta la pienezza
della gloria. La sapienza deTiloso-
fi e l'eloquenza degli oratori ri-
inase confusa allo spettacolo stra-
ordinario delie pugne gloiiose dei
martiri : i giudici ed i tiranni fu-
rono compresi da allo stupore al-
la veduta della fede, del coraggio,
e delia contentezza di questi santi
atleti. Tutti quelli che furono te-
stimoni di veduta della virtù dei
martiri , o fossero gentili o eretici,
confessarono che la virtù de'mar-
tiri era evidentemente soprannatu-
rale. F. Martirio.
Gloriose primizie de' martiri del-
la Chiesa furono i ss. Innocenli
(Vedi), nella quale, disse s. Ago-
stino, spuntarono a guisa dì sole
nel rigido inverno dell' infedeltà,
e furono prima del tempo della bri-
na della persecuzione, come gemme
allor nascenti, colti e involati, e per-
ciò chiamati primi fiori de martiri.
Verso ia fine poi dell'anno in cui
fu crocefisso Gesù Cristo re dei
martiri e fondatore della Chiesa, pel
primo soffi 1 glorioso martirio in
Gerusalemme il diacono s. Stefa-
no, perciò chiamato protomartire.
Nell'anno 69, nella prima delle die-
ci persecuzioni della Chiesa più in-
signi, patirono glorioso martirio i
principi degli apostoli ss. Pietro e
Paolo, in Roma capo di tutto il mon-
do, stabilendovi la religione cristia-
na. Furono ancora dette primizie
dei martiri, quelli che patirono in
Roma sotto Nerone, pei* cagione del-
l' incendio : in Roma fiorirono in
seguito innumeiabili martiri, e so-
levano avvisare d Pontefice di quan-
to loro succedeva. R terzo succes-
MAR
sore di s. Pietro, Papa s. Cle-
mente 1 del 93, istituì in Roma
sette notari, per raccogliere gli at-
ti dei martiri e registrarli nei fasti
0 dìttici delle chiese, ond' ebbero
principio i Martirologi (Vedi), e
trassero origine i Protonotari apo-
stolici (Vedi) (di quello per regi-
strar gli atti dei martiri della con-
gregazione di propagandacele, ne
parlammo al voi. XVI, pag. 2,54
del Dizionario^ e di essa fu proto-
martire s. Fedele da Sigmaringa).
1 vescovi usarono grandissima cau-
tela nel registrare nelle sacre tavo-
le i martiri, anche in lempo delle
persecuzioni; ed il Papa s. Antero
patì il martirio nel 288 per ricer-
care con diligenza e riporre negli
archivi delle chiese gli atti de'mar-
tiri, raccolti fedelmente dai notari,
cui il Pontefice s. Fabiano aggiun-
se sette suddiaconi perchè gli as-
sistessero in opera così pia ed im-
portante, e agli uni e agli altri
aggiunse pure sette diaconi, acciò
invigilassero a tale uflìzio, perchè
gli atti fossero scritti in disteso, e
non già con abbreviature. Della
moltitudine de'martiri che partico-
larmente fiorirono ne'primi quattro
secoli delia Chiesa, si può vedere
il Zaccaria j Storia lett, t. II, pag.
4i I , e r articolo Persecuzioni ,
non che quello de' ss. Martiri,
ove di molti si fa menzione, cò-
me delle loro diverse denominazio-
ni, sotto cui la Chiesa li onora col-
lettivamente. Il solo cimiterio di s.
Calisto I Papa del 221, fu arricchito
di centosettantaquattromila corpi di
martiri, e di quarantasei Pontefici,
onde si potrà argomentare in pro-
porzione, quanti ne contennero i
quaranta e più altri Cimiteri o
Catacombe di Roma (Vedi). I ss.
Prudenzio e Paolino dicono chu
MAR
Tina moltitudine innumerabile tli
altri martiri furono sepolti nella
«Ietta catacomba di Calisto; altii
dissero che il numero n' era infi-
nito. Osservano i critici, che non
bisogna immaginarsi che tutti quel-
li i quali si seppellivano nelle ca-
tacombe fossero martiri, perocché
le catacombe erano il cimiterio di
tutti i cristiani, come hanno pro-
vato Onofrio Panvinio, lib. de Coe-
meieriiSf cri; Scacco, De notis et
si'gnis sancii tatìs, sec. 9 (di che
parleremo all' articolo Martirio );
Benedetto XIV, Z>e canoniz. t. IV,
par. II, e. 26, n. 6, e come Io mo-
stra la sola ispezione delle tombe.
Se vi furono messi in progresso
di tempo i corpi di alcuni pagani,
essi non erano accompagnati da
contrassegni che indichino martirio.
INe' cimiteri talvolta si rinvennero
i corpi di alcuni martiri con meda-
glie o monete di quegli imperatori
gentili, sotto i quali avevano sofferto
il martirio. 11 Papa s. Felice I del
5.72 confermò l'uso antico di ce-
lebrare le messe sui sepolcri dei
martiri, chiamati memorie ( per le
iscrizioni e segni del martirio, e
per le ossa de' medesimi martiri
ivi riposte, come affermano Schel-
slrate e Vittorelli), ovvero che si
mettessero sotto gli altari le loro
reliquie, per cui alcuni vogliono
derivata la consuetudine di consa-
grare gli Altari (Fedi) colle re-
liquie de'martiri. S. Eutichiano
eletto Pontefice nel 275, seppellii
colle sue mani più di trecento
quarantadue martiri, e ordinò che
niuno di loio fosse seppellito senza
Colohio {Vedi), o dalmatica di co-
lor rosso, essendo prima sepolti coi
lini bianchi aspersi del loro san-
gue.
Il più delle volle, nelle angii-
MAR i83
slie e nel fervore delle persecu-
zioni , trovandosi appena tempo
di seppellire i corpi de'martiri, si
soleva frettolosamente segnarne sol-
tanto il numero, senza notarne i
nomi; quindi affinchè per questa
mancanza di nome le loro reli-
quie non rimanessero inonorate e
prive del debito culto, come notò
il p. Mabilloo, De cidtu sanclorunt
ignolorum, num. 211, s'introdusse
l'uso di battezzare questi corpi a-
iionimi, con nomi appellativi, che
loro potessero conveniie, e che ve-
nissero ad esprimere la loro virtù,
i tormenti da loro sofferti, ed i
trionfi da loro riportati. Ognuno
sa che nella persecuzione di Dio-
cleziano e di Massimiano, ignoran-
dosi il nome di un martire com-
pagno del b. Felice, gli fu imposto
il nome di Adaucto. I trecento mar-
tiri dell'Africa, che patirono al tem-
po di s. Cipriano nel 258, furono
decoiati del titolo di Massa Can-
dida. Alle reliquie che si è cre-
duto appartenere, non meno ai
compagni di s. Orsola, che ai sol-
dati della legione Tehea, sono stati
assegnati de' nomi adattati e con-
venienti alla loro fortezza. Nell'in-
venzione del corpo di s. Agostino di
Cantorbery, essendosi trovato uni-
to ad esso un altro coipo anoni-
mo, spirante soavissimo odore, gli
fu imposto il nome di Deo notua.
Essendosi pertanto abbracciata que-
sta antica disciplina, alle sacre spoglie
dei santi martiri ignoti, che si vanno
scavando nelle catacombe e ne'cimi-
teri y si continua imporre i no-
mi di Adeodato, Candido, Felice,
Giusto, Pio, Vittore, Vittoria e si-
mili, come dichiara il Boldelti e. 29,
e perciò sogliono volgarmente chia-
marsi santi battezzali , dicendosi
di nome proprio quelli che risul-
1 84 MAR
ftnno dalle Kipidi ed iscrizioni che
«i trovano presso le loro ossa. Lo
Cliiesa lascia ai vescovi clic auten-
tichino i corpi e le reliquie de'inar-
tiri, e impongano loro un nome, su
di che si può leggere il decreto
della congregazione de* riti, 23 giu-
gno 1670, e Benedetto XIV, De
ss. canon, lib. 4» pa»'- 2, cap. 28,
n. 1 5. K Reliquie. Da queste tal-
volta USCI olio od altro umore
miracoloso . Talvolta i cristiani
in pericolo di qualche guerra q
di qualche furto nascosero i cor-
pi de'santi martiri, e poi resta-
rono in dimenticanza, o per mor-
te di chi li avevq nascosti, o pey
altre eventualità.
Nelle feste de'martirì si faceva-
no dai cristiani solenni e pubblici
Conviti ( Fedi ) chiamati Agape
(Fedi)j ma degenerate in crapule
ed ubbriachezze, furono abolite ip
progresso di tempo. Grande fu il
concorso de' fedeli a celebrare le
feste de' martiri ne' luoghi ove ri-
posavano i loro corpi, i quali fab-
bricandovisi delle abitazioni, a po-
co a poco divennero terre, castel-
li e città; come pure tante fiere
e mercati in molti luoghi ebbero
origine dalle feste de' martiri. Al-
l'articolo Festa dicemmo che si
incominciò sino dal principio del
cristianesimo a celebrar le feste
de' martiri, ed il modo ( dicendosi
in fine delle lettere festive), e per-
chè chiamasi il giorno del loro
martirio natale^ per essere con es-
so rinati a vita immortale ed eter-
na. Trattandosi de'santi, il termi-
ne di natale il più delle volte si-
gnifica il giorno nel quale moren-
do in terra rinacquero in cielo,
ma venne pure usato per indica-
re solennità . Benedetto XIV, De
fanoniz., insegua che la Chiesa non
MAR
riconobbe per martiri (juclli che
si presentavano spontaneamente da
loro stessi ai tiranni ; pure non
pochi si scontrano ha'vcri martiri,
che ultroneamente incontrarono la
morte, siccome spinti da un par-
ticolare impulso dello Spirilo San-
to, ed ebbero talvolta un espresso
avviso da Dio di esporsi al mar-
tirio. Alcuni furono chiamati bis
martyreSj ed anche marlyres tri-
plicati ^ perchè due o tre vol-
te restarono esposti ai tormen-
ti . Narra san Prudenzio, fiorito
dopo la metà del IV secolo, clic
alle feste de'martiri particolari, che
il popolo celebrava al suo tempo,
tutta la città di Roma e Itì pro-
vincie vicine venivano ad adorare
Iddio alle loro tombe, ed a baciar le
loro reliquie; nel suo inno sopra s.
Lorenzo parla delie tombe de'mar-
tiri anonimi. Dal costume di pre-
gare entrando nelle tombe de'mar-
tiri e di baciarle, è venuta l'espres-
sione di visitare le loro liminti, q
soglie, la quale è stata specialmen-
te consagrala per le tombe de' ss.
Pietro e Paolo. F. Lìmina Aposto-
LORUM.
Come s' incominciò a prpsta-
ve ai martiri solenne culto , so-
no a vedersi gli articoli Canoniz-
zazione e Chiesa. Mcmoriae mar-
Lyrum furono anticamente chia-
mate le chiese dedicate ai san ti
martiri, solendosi deporre le loro
reliquie in quella parte che si
chiama Confessione {Fedi). Abbia-
mo da Eusebio^, che l' imperatore
Costantino e sua madre Elena,
con somma magnificenza e di-
spendio eressero in Gerusalemme
uno splendido tempio chiamato Mar-
tyrion, perchè consagi*ato a mag-
gior gloria del capo de' martiri
Gesù Cristo, essendosi poi questa
MAR
sfessa denominazione attribuita, co-
me dicemmo, anco alle chiese erette
in onore de* martiri. Nei primi tre
secoli della Chiesa già si prestava
il cullo ai martiri ; e quello degli
altri .^anti non martiri si vuole in-
cominciato nel IV secolo: allora
non era necessaria per la canoniz-
zazione de' martiri 1' approvazione
de' miracoli, bastando sol quella
che avessero dato la loro vita nel-
la confessione della fede, e nella
^comunione della Chiesa cattolica; e
jyrima di essere venerati si dove-
vano approvare dai primati delle
Provincie colla consulta de'Ioro ve-
scovi. Siccome ne' secoli anteriori
non celebravansi le glorie de'santi,
ove mancasse il martirio; quindi è
che nel secolo IV e seguenti, pro-
curarono gli scrittori di riconoscere
ne' santi uomini, celebri per le il-
lustri ed eroiche azioni, la somi-
glianza ed il merito de' martiri.
Così intendevano perchè fu attri-
buito a s. Martino vescovo di Tours,
che dopo i martiri prima degli al-
tri ha ottenuto l'officio proprio ne-
gli antichi libri ecclesiastici. Soleu-
nizzavasi la festa di questo santo
confessore ancor con l'ottava ; e vi
e chi sostiene essere stato questo il
primo de' santi confessori, almeno
in occidente, a di cui onore sieno
slate erette chiese ed altari, che
prima non ergevansi che in ono-
re e sopra le ossa de'martiri, co-
me dimostra il p. Anselmo Costa-
doni, nella Dissertazione sull'ori-
gine della jcstevolc ricreazione nel-
la giornata degli i i novembre^ det-
ta di s. Martino, nel t. XXI de-
gli opuscoli del p. Calogerà. Il p.
Cosladoni adottò le riflessioni fatte
dal p. Trombelli, De cullu san-
ctorum t. Il, dis. VI, e. 1 4, "el
quale ha recato le ragioni perchè
MAR .85;
la giocondità degli 1 1 novembre
per la festa di s. Martino sia un
avanzo di rito gentilesco, come le
allegrezze del primo di n) aggio e
di agosto, ed ancora nel restante
dei due mesi, che dai cristiani fu-
rono continuate. ^". Mese. Dice il
Macri che fu chiamala Martina-
lia la festa di detto santo, perchè
in tal giorno la plebe dissoluta be-
ve indiscretamente il vino nuovo,
con grande offesa del santo, che
fu astinentissimo. Si può anche
leggere il Carmeli, Storia di vari
costumi t. II, pag. 79, della festa
detta di san Martino. Samuele
Schmidt , Martinalia scolastica .
Quod L. i688.Joh. Christ. From-
raanni, De Ansere Martiniano, Li-
psiae 1720. Parimenti si conosce
perchè fra i primi confessori che
ebbero culto, si trovano gli ana-
coreti, poiché furono reputati a
guisa di martiri, come apparisce
dal prologo della vita di s. Paco-
mio. Il Nazianzeno chiama marti-
re s. Basilio; il Crisostomo, Eu-
stazio Antiocheno. Il titolo di con-
fessore prima significava un vero
martire di sangue, e poi fu adat-
tato ai martiri di volontà, e a co-
loro che osservarono e difesero la
legge evangelica. Parecchi dotti
hanno osservato, che nel VII, VII!
e IX secolo, si è sovente attribui-
to il titolo di martire, non solo a
chi era ucciso per la fede, ma e-
ziandio a chi era sacrificato ingiu-
stamente e senza causa dai proprii
nemici . Per rilevare la fiducia
de' primi fedeli all' intercessione dei
martiri, sì può leggere s. Agostino
nel tratt. 84 in Joan.; e nel ser-
mone ^V\,de verhis Apostoli ^ so^-
giunge: Infuria est enim prò mar-
tyre orare, cujus debemus orationi-
bus cominendari. Perciò nelle loro
i86 MAR
feste, preventivamente alla messa,
leggevansi gli atti del loro marti-
rio; giacché le lezioni delle sacre
scrilUirc Facevausi nel decorso del-
lo stesso divin sacrifizio, prima di
licenziare i catecumeni. Vedi Co-
in une de^ mar tiri j nel Diz. lilurg.
tii Diclich.
Nella persecuzione della Chiesa,
cominciata circa il 3o2 da Dio-
cleziano, la più fiera di tutte le
altre, e che durò per dieci anni,
si contarono in un sol mese circa
diecisellemila martiri. Dodwel scrit-
tore protestante pretese di mostra-
re non esservi stalo che un pic-
colo numero di martiri; nella qua-
le opinione egli fu solidamente con-
futalo da Ruinarl, il quale ha di-
mostrato nella celebre sua opera,
che il catalogo de' martiri non era
stalo aumentato ; perchè quantun-
que il tempo e la malizia de' per-
secutori abbiatìo distrutti un gran
numero de'Ioro atti, molti però fu-
i-ono conservati, i quali sono d'una
autorità incontrastabile, senza par-
lare di quanto ne insegna la tra-
dizione e le opere de'padri, essen-
do noto con quanta cura si racco-
glievano e conservavano antica-
mente gli atti de'patimenti e del-
la morte de' martiri, quindi con
moltissima cautela si pubblicava-
no. Molti ne alterarono per mali-
zia gli eretici, e molti per indi-
screzione alcuni cattolici ; si man-
davano a tutte le chiese, e si Ira-
diicevano nelle lingue volgari. F.
Leggenda. Nel 692 il sinodo Qui-
nisesto celebrato in Costantinopoli,
col canone 63 provvide contro le
leggende e storie false de* martiri.
Eusebio autore della vita di Co-
stantino, dice ch'era stato stabilito
da una legge di quell' imperatore,
che i beni de'marliri, se non a-
MAR
vesserò lasciato eredi, ricadessero
alle chiese. Pel celebre decreto di
s. Gelasio I Papa del 49^» piesso
Graziano, dist. i5, cap. Sancia ro-
mana ecclesia, 3, pare che in Ro-
ma comechè si ricevessero gli at-
ti de* santi martiri, ad ogni modo
ne fosse vietata la lezione nelle
pubbliche adunanze; ma siccome
spiega il Mabillon, Disquisit. de
cursu Gallicano § i, questo va
inteso per la sola chiesa Lateranen-
se, e per gli atti di que' martiri,
gli autori de' quali erano ignoti,
essendosi così prudentemente or-
dinato per non dar luogo ad al-
cuni alti di martiri finti dagli ere-
tici. Questi e gli scismatici pre-
tendono di vantare un gran nu-
mero di martìri, ma inutilmente,
giacché è impossibile eh' essi gioi-
scano di questo privilegio, sia che
muoiano per sostenere i loro erro-
ri, com'è incontestabile, sia che
muoiano per la difesa di alcuni
articoli di fede che hanno comu-
ni coi cattolici, giacche anco in
questa supposizione essi non han-
no la vera fede di questi articoli,
non essendone la credenza appog-
giata alla prima verità eh' è Dio,
ed alla infallibile autorità della
Chiesa. F. Benedetto XIV, i9e sen>.
Dei beat. lib. i, cap. a, e lib. 3,
cap. ir, 12 e 20.
Si possono dividere in molte
classi gli atti sinceri de'marliri ,
e collocare nella prima quelli che
si chiamano proconsolari o presi-
diali ^ i quali altro non erano
che interrogalorii stesi nelle for-
me giudiziarie da notari paga-
ni, in presenza de' proconsoli o
de' presidenti che facevano il pro-
cesso a'martiri. Tali atti conserva-
vansi nelle pubbliche cancellerie,
ed è da queste che i cristiani li
MAR
cstraevano a forza d'oro per tra-
scriverli , benché i gentili furo-
no sempre impegnatissirui, che i
cristiani non li avessero, e Diocle-
ziano ordinò che si bruciassero, in
un ai sacri libri, siccome comandò
ancora Galerio. Gli atti proconso-
lari, e que* cristiani che esercita-
vano r uffizio di notali presso i
tribunali de'genlili, servirono mol-
to a raccogliere gli atti sinceri dei
martiri, ed i cristiani s' intromet-
tevano alcune volte negli esami
che si facevano dai gentili, onde
testimoniare quanto operavasi so-
pra de* martiri. Devono essere col-
locali nella seconda classe gli atti
composti dagli stessi marti li, quan-
do n'ebbero l'opportunità, e nei
quali essi descrivevano tiittociò che
avevano sofferto per la fede uni-
tamente ai compagni delle loro pe-
ne. La terza classe contiene gli
alti che i cristiani presenti alle u-
dienze scrivevano nel tempo stesso
in cui i cancellieri o i testimoni
dei combattimenti de'martiri sten
devano subito dopo i loro trion-
fi. La quarta classe contiene gli at-
ti che furono immediatamente ri-
cavati da quegli originali, da'quali
furono tolte le formole noiose del-
la [trocedura giudiziaria, aggiun-
gendovi qualche volta alcune ri-
flessioni, non che alcuni ornamen-
ti di eloquenza. La quinta classe
comprende gli alti che non furo-
no tolti dalle pubbliche cancellerie,
ne composti nello stesso modo de-,
gli altri, ma che si trovano ne'li-
bri degli autori ecclesiastici, i qua-
li nei tempi tranquilli della Chiesa
hanno narrato la storia di quei
martiri nelle omelie, nei panegiri-
ci, inni ed altre opere, sia che
fosse pervenuta a loro cognizione
per il canale delle tradizioni j o per
MAR 187
quello delle memorie. Tutti questi
atti erano matinamenle esaminati,
e dopo un siffatto esame che ap-
parteneva ai vescovi, ciascuno nella
sua diocesi, venivano pubblicamen-
te letti nella chiesa con molta edi-
ficazione. Gli Jui sinceri de pri-
mi martiri della Chiesa cattolicay
i quali diedero la loro vita per
la fede di Gesù Cristo nei primi
secoli della Chiesa, ossia proces-
si verbali di quello che i giu-
dici ed imperatori dicevano, do-
mandavano, e sentenze ch'essi da-
vano ne' loro tribunali o nello stes-
so patibolo a' martiri, e risposte
di ^|uesfi a quelli ed ai manigoldi
die li tormentavano, furono pub-
blicati dal dotto e pio benedetti-
no p. Teodorico Ruinart, e tradot-
ti in italiano da Francesco Maria
Luchini, Roma 1777, ed in ca-
stigliano, Madrid 18445 accresciuti
di molti altri santi martiri spa-
gnuoli, ed illustrati con la tradu-
zione del Libro de tormenti de' ss.,
mrnliri, opera assai rara e curiosa
scritta in italiano e poscia in Ia-
lino da d. Antonio G.dloni.
Il Papa s. Gregorio 1 del 590
due abusi tolse e riprovò, di sep-
pellire i morti nelle chiese, e di
fabbricar queste ov'erano stati sot-
terrali cadaveri ; pel pericolo di
confondere le ossa profane, colle
reliquie dei martiri. Gli antichi cii-
stiani molto ambirono di farsi sep-
pellire presso le sacre spogli» dei
martiri, per godere il salutare e
benefico influsso della loro vici-
nanza. Monsignor Maiini illustra
egregiamente questo punto ne Pa-
piri diplomatici p. 99 , per com-
provare la speranza , eh' ebbei o
sempre i fedeli di essere aiutati dal-
la intercessione di que'santi, pressa
i quali si erano latti lutuulare ; a p.
88
M A R
a83 poi rileva la permissione di sep-
pellirsi entro le chiese, negli atri,
ne* portici e nelle adiacenze. Nel
608 a'iS agosto s. Bonifacio IV
consacrò alla Beata Vergine e a
tutti i santi martiri il famoso
Pantheon, che prese quindi il nome
di Chiesa, di s. Maria ad Marty-
res (P'edi), ed ivi quel Papa ri-
pose vent'olto carra di corpi presi
dai cimiteri di Roma. I manichei
ed altri eretici condannarono le fe-
ste dei martiri , nelle quali erano
slate convertite ([uelle de'gentili. I
martiri furono quelli che preferi-
rono la morte a consegnare i libri
sacri ai gentili , e se ne contano
un numero infinito, celebrandone
la Chiesa la memoria. Pretendendo
1* imperatore Foca , che fossero
tenuti martiri i soldati che mori-
vano combattendo contro gl'infede-
li, fu represso dal vescovo di Co-
stantinopoli e da altri vescovi, ai
quali egli ne fece richiesta, valen-
dosi essi principalmente dell'auto-
rità di s. Basilio , ed allegando il
canone penitenziale fatto pei solda-
ti che in guerra uccidevano gli
avversari, il quale dispone che non
si dasse loro la comunione, se pri-
ma non facevano penitenza. Su que-
sto punto si può consultare la
lettera XXXVlll del Sarnelli ,
Lelt. eccl. t. V, p. 75, ove parla
de'soldati CrocexJ guati (Fedi). Non
furono riconosciuti per martiri quel-
li che si esponevano col distrug-
gere i templi e con spezzare gli
idoli. Dei simboli de'martiri se ne
tratta agli analoghi articoli, come
Corona, la quale di metallo pre-
7.ÌOS0 o di lauro o di Fiori, si
attaccava ai loro sepolcri, oó ivi
si scolpiva significando le vitto-
rie da loro riportale: le ampolle
del sangue trovate prèsso i mar-
MAR
tiri non fecero dubitare del loro
martirio. Fu pure segno dei mar-
tiri anche la Palma (Fedi), seb-
bene talvolta tali segni furono co-
muni ai semplici cristiani, come
si dirà parlando de* loro sepolcri.
Nella basilica vaticana, come di-
cemmo a Chiesa di s. Pietro in
f^alicano, si venera la coltre con
la quale i martiri erano coperti
quando si portavano a seppellire
nella basilica, e si espone ogni
anno con musica dopo il vespero
dell'Ascensione, e si leva pur so-
lennemente il primo di agosto do-
po vespero, in cui sì fa un discor-
so sopra la provvidenza, e nel
tempo che vi sta esposta vi è gran
concorso di popolo, e si acquista
r indulgenza. All' articolo Citta*
Leonina si disse che la porta
Trionfale fu detta santa, via sacra,
via de'mar tiri, et carraria sancta,
pel gran numero de*martiri che si
conducevano per essa al circo ed
orti di Nerone, per esservi marti-
rizzati. Dell' era Alessandrina di
Diocleziano o de'martiri, ne par-
lammo al voi. XXII, p. i4 del
Dizionario. Del cavaliere detto dei
ss. martiri Cosma e Damiano, ne
tratta il p. Bonanni, Catalogo de-
gli ordini mililari ed equestri, p. 77.
MARTIRI (ss). Oltre tutti i san-
ti martiri, de' quali, colla scorta
del p. Butler, abbiamo succinta-
mente riportale le notizie in que-
sto Dizionario^ sotto i loro propii
nomi, infinito è il numero di quel-
li che suggellarono la loro fede col
sagrifizio della propria vita, e che
la Chiesa onora collettivamente in
diversi giorni, ancorché di molli
di essi non ne sia stato tramanda-
to il nome. Nel martirologio roma-
no sono menzionati innumei abili
martiri, distinti col nome delle cit-
MAR
t?i e regioni in cui riportarono la
gloriosa palmato coH'incìicazione del-
la causa del loro sagrifìcio. Ai sin*
goli articoli di esse città e regioni
tenemmo proposito di quei valo-
rosi atleti di Cristo, che vi porta-
rono il lume della fede, e la re-
sero feconda col proprio sangue.
Qui faremo cenno in ordine cro-
nologico di quelli che il Eutler ri-
porta, distinti come sopra, ai ri-
spettivi giorni delle loro feste.
Martiri di Roma. Uno spaven-
tevole incendio si appiccò alla cit-
tà di Roma l'anno 64 di Cristo,
che durò per nove giorni continui,
e che incenerì tre interi rioni, re-
cando ad altri sette gravissimo dan-
no, onde quattro soli ne rimasero
illesi. Accusato Nerone dal popolo
quale autore di questo disastro, ne
rovesciò la colpa sopra i cristiani.
Essi adunque fuiono presi da tut-
te le parti, e trattati come vitti-
me del pubblico abborrimenlo. In-
sultavasi al loro supplizio ed alla
morte, e venivano offerti come
spettacolo al popolo per divertir-
lo. Alcuni, dice Tacito, furono ve-
stiti di pelli di bestie, ed esposti
ai cani furiosi che li fecero in bra-
ni, altri o furono posti in croce
od arsi in tempo di notte, come
per servire di torcie. Si legge in
alcuni scrittori pagani che Nerone
martirizzava i fedeli, indicati col-
l'empio nome di maghi^ nella più
orribile maniera; che dopo aver
fatto intonacare i lor corpi di ce-
ra, di pece e d'altre materie com-
bustibili, ordinò che vi fosse appic-
cato il fuoco, e che durante il lo-
ro supplizio fossero costretti a sta-
re diritti per mezzo di un palo
appuntato, confìtto a ciascuno di
loro sotto il mento. Tacito aggiun-
ge che i giardini dell' imperatore
MAR 189
furono il teatro di questa orribile
scena. Il martirologio romano fa
nel giorno 24 gi"gno una genera-
le ricordanza de'cristiani che peri-
rono in questa occasione, e che fu-
rono le primizie di quella innume-
rabile schiera di martiri_, che la
chiesa di Roma mandò in cielo.
Martiri Massilani. 11 ven. Reda
ha fatto menzione di questi santi
martiri, il nome de' quali trovasi
ne' più antichi calendari; ed ab-
biamo un discorso di s. Agostino,
che fu recitato il giorno della lo-
ro solennità. Essi patirono in A-
frica ; e pare che il nome di Mas^
silani sia loro venuto da Massila,
ovvero dal paese vicino, che si e-
stendeva lungo le coste del mare.
Se ne fa la commemorazione il
giorno 9 d'oprile.
Martiri di Creta. Dopo la pub-
blicazione dell'editto di Decio con-
tro i cristiani, si versò il sangue
da tutte le parti, e specialmente
nell' isola di Creta o di Candia fu-
rono trattati colla maggior crudel-
tà. Tra' principali che soifersero al-
lora si noverano Teodulo, Satur-
nino, Euporo, Gelasio, Euniciano,
Zotico, Cleomene, Agatopio, Basi-
lide ed EvaristOj volgarmente chia-
mati i dieci martiri di Creta : i
tre primi erano di Cortina metro-
poli dell'isola, e gli altri pure cre-
tesi di vari luoghi. Poiché furono
presi, soffersero mille oltraggi e
diverse torture; poscia condotti di-
nanzi al governatore, residente a
Cortina, venne loro intimato di sa-
grificare a Giove. Fermi nella lo-
ro fede, risposero che non poteva-
no offerir sagrifìcio ad idoli, fran-
camente dimostrando la vanità di
essi. Il giudice non potendo nega-
re, né confutare i fatti allegati, non
seguì più che gli stimoli del suo
ic)o MAH
fulgore, etl il popolo egualmente
trasportato ila rabbia, avrebbe fat-
to in per.zi fpie'confcssori, se ho»
fosse slato ritenuto. Eculei, unghie
di ferro, bastoni aguzzati , fruste
annate di piombo, e quanto la più
spieiata barbarie potè inventare,
tulio fu |K)slo in opera per abbat-
tere la loro costanza ; ilncbè il giu-
dice, disperando di vincerli, lì fece
decapitare. I crisliani portarono via
segretamente i loro corpi ; poscia
si trasferirono a Roma le loro re-
liquie. I greci ed i latini celebra-
no la festa di questi dieci santi
martiri a' 23 dicembre, giorno in
cui riportarono la palma, corren-
do l'anno 2 5o.
Martiri d' litica. Durante là per-
secuzione di Valeriano, il quale
diede il guasto alla Chiesa neiran-
no 7,58, il proconsolo d'Africa ven-
ne da Cartagine ad Utica, e fece
comparire dinanzi a se lutti i cri-
sliani guardali nelle prigioni di
questa città, e che, secondo s. Ago-
slino, erano in numero di cento-
cinquantatre. Egli ordinò di ac-
cendere il fuoco in un forno da
calce, vicino al quale fu posto un
altare con sale e col fegato di un
maiale, per farne offerta agl'idoli;
e propose ai cristiani la scelta, o
di sagrificare, o di essere precipi-
tati in quel forno. Tulli preferi-
rono la morte, e furono consuma-
ti insieme nella fornace. I fedeli
raccolsero le loro ceneri, e siccome
formavano una massa mescolata
di calce, furono chiamale la Massa
candida^ col qual nome si distin-
guono questi santi martiri, la cui
memoria è onorata a' 24 d'agosto.
Martiri della pestilenza d' Ales-
sandria. Nell'orribile pestilenza che
desolò la cillà di Alessandria ne-
gli anni 261 a aiGS , i ciisliaui
MAR
che duranti le persecuzioni di Tfd'
ciò, (}i Gallo e di Valeriano erano
stali coslretli a nascondersi, e non
aveano potuto offrire i santi misteri
se non in prigioni o luoghi sotter-
ranei, accorsero coraggiosamente in
servigio degli appestati, esponendo
la propria vita per recar ad essi
aiuto e conforto, e per render loro
gli ultimi ufììzi. Molli tra questi
veri discepoli di Gesù Cristo rima-
sero vittime della loro carità; ma
essi lasciavano morendo dei fedeli
imitatori del loro zelo, i quali pu-
re morendo, altri entravano in loro
luogo. » In questa guisa ( narra s.
Dionigi vescovo d'Alessandria) i più
dei nostri fratelli, i più santi de' no-
stri preli, de'nostri diaconi, ed anche
dei nostri laici, hanno compiuto il
corso di loro vita; ed è indubita-
bile che questa maniera di morte
non sia in nulla dal martirio di-
versa ". Il martirologio romano di-
ce che i cristiani morti in servigio
degli appestati d' Alessandria, sono
onorati come martiri, per una co-
stumanza introdotta dalla pietà dui
fedeli; e ne fa la commemorazione
il giorno 28 di febbraio.
Martiri de libri santi. Avendo
r imperator Diocleziano fatto un
editto nell'anno 3o3, col quale or-
dinava di dar alle fìamtne quanti
esemplari poteansi rinti'acciare delle
nostre divine Scritture, i magistrali
delle diverse provincie adoperarono
i supplizi per isforzare i cristiani a
consegnarli ad essi. Ma ve n' ebbe
un gran numero che preferirono
di esporre i loro corpi ai tormenti
e alla morte, anziché contribuire
alla sacrilega distruzione di questo
monumento della nostra religione.
La Chiesa li onora il giorno 2 di
gennaio sotto il titolo di martiri
dei libri suuli.
MAR
Martìri di Saragozza. Sotto Ba-
ciano, uno de' più ciudeli minislri
della persecuzione accesa da Dio-
cleziano, governatore di quella par-
te di Spagna che comprende oggi-
di l'Aragona, la Catalogna ed il
regno di Valenza, diciolto confessori
furono martirizzati in uno stesso
dì a Saragozza, l' anno 3o4. Giu-
sta Prudenzio si chiamavano: Ot-
tato, Luperco, Marziale, Successo,
Urbano, Quintiliano, Giulio, Pu-
blio, Frontone, Felice, Ceciliano,
Evozio, Primitivo, Apodemo , ed
altri quattro col nome di Saturni*
no. Caio e Cremenzio, i quali era-
no stali tormentati a un tempo,
non morirono che dopo una secon-
da prova. Al trionfo di tutti questi
martiri, Prudenzio aggiunge quello
d' una vergine chiamata Encralide
( Fedi). Nell'anno iSSq si scoper-
sero a Saragozza le reliquie di tulli
questi santi martiri, i quali sono
menzionati nel martirologio roma-
no a' 1 6. d'apri le.
Marlin del Ponto. Parecchi cri*
stiani riportarono nel Ponto, sotto
Diocleziano, la corona del martirio.
Agli uni si foracchiarono le dita
con canne puntute; agli altri si
abbruciarono le coscie e diverse
parti del corpo con piombo lique-
fatto ; al restante si fecero tutte
quelle svariate sorta di tormenti,
che la più raffinata crudeltà seppe
inventare. Questi santi martiri sono
onorati il 5 febbraio.
Martiri di Sebaste. Questi, in
numero di quaranta, soffrirono in
Sebaste, città della piccola Arme-
nia, sotto r imperatore Licinio, nel
3 IO. Erano di diversi paesi, ma
tutti arrolati nello stesso corpo di
milizia, tutti giovani, di bella per-
sona, coraggiosi, chiari pei loro fat-
ti guerrescbi. Leggesi in s. Gregorio
MAR 191
di Nissa ed in Procopio, ch'essi
facevano porte della legione fulmi"
nante^ cosi celebre per la miraco-
losa pioggia ottenuta dal cielo, sot-
to r imperatore Marco Aurelio. A-
\endo Agricola governatore della
provincia pubblicato all' armata un
editto di Licinio, che ordinnva a tutti
di dover sacrificare agl'idoli, questi
quaranta cristiani si presentarono
confessando coraggiosamente la loro
fede, e protestando che nessun sup-
plizio varrebbe a far sì che la tra-
dissero. Il governatore dopo aver
tentato di guadagnarli con dolci
modi, comandò che fossero sferzati,
e straziati i loro fianchi con un-
gine di ferro; e dopo ciò furono
cacciali in prigione carichi di ca-
tene. Finalmente immaginò un ge-
nere di supplizio lento e tormen-
toso : essendo la stagione assai ri-
gida, ordinò che fossero esposti nu-
di tutta una notte sopra uno sta-
gno agghiacciato, e per tentarli fece
preparare ivi appresso un bagno
caldo, per quelli che si risolvessero
di sagrifìcare. Uno di essi si lasciò
vincere dalle lusinghe de' pagani,
ed abbandonato il suo posto, andò
a gittarsi nel bagno caldo, nel
quale appena entrato spirò. lu
quel momento una delie guardie
vide degli spiriti celesti che scen-
dendo dal cielo distribuivano delie
ricompense a que' generosi soldati,
eccettuato quello che avea così vil-
mente tradito Ja sua fede. Tocca
la guardia da questa visione, si con-
verti air istante ; e toltisi gli abili
di dosso, andò ad unirsi agli altri
trentanove martiri^ gridando ch'era
cristiano commessi. Fallo giorno, il
giudice comandò che fossero posti
sopra carri e giltati nel fuoco. Es-
si erano già tutti morti o stavano
per morire, tranne il più giovane
ìiji MAR
(cliiamato Melilone negli alti dei
santi martìri ), il quale essendo sta-
to trovalo ancor vigoroso, fu la-
scialo indietro, sperando che si po-
tesse cambiare. Ma la sua madre
ch'era presente, lo esortò a perse-
verare, ed ella medesima lo pose
sul carro cogli altri martiri , e lo
accompagnò sino al rogo. Poscia che
i corpi de' santi martiri furono ab-
bruciati, gittaronsi le loro ceneri nel
fiume : ne rimase però una parte
ai cristiani, che le involarono o
comperaronle a prezzo d' argento,
e che furono feconde di molti pro-
digi. La memoria di questi qua-
ranta martiri si celebra il giorno
IO di marzo.
Martiri dell' Acliahene. Neil' an-
no quinto della grande persecuzione
di Persia, essendo il re Sapore a
Seleucia, fece arrestare nel vicinato
centoventi cristiani, fra* quali eranvi
nove vergini consecrate al Signore,
molti preti e diaconi o chierici. Es-
si rimasero per ben sei mesi in fe-
tide prigioni, ove sovente soffrirono
crudeli torture, confessando costan-
temente la fede di Gesù Cristo, e
rifiutando di prestare al sole le a-
dorazioni che il re esigeva. Furono
quindi tutti decapitati a Seleucia il
d'i 6 della luna d'aprile, che cor-
rispondeva al giorno 1 1 di questo
mese, nelT anno 344- Jazdundotla,
ricca e virtuosa donna, che aveali
nudrili, visitati e confortali, fece
con precauzione seppellire i loro
corpi, i quali furono sotterrati a
cinque a cinque in un luogo molto
lungi dalla città. Questi centoventi
martiri sono nominati nel martiro*
logio romano il giorno 6 d'aprile.
Martiri di Raita e del Sinai *
Quaranta romiti del monte Sinai,
nel numero de' quali erano s. Isaia
e s. Saba^ furono martirizzali da*
MAR
gli arali nell'anno SyS. Nello stes-
so anno i blemmii, popolo barbaro
di Etiopia, sgozzarono parecchi so-
litari di Ralla : tra questi eran pri-
mari l'abbate Paolo; Mosò , che
colla sua predicazione e co' suoi mi-
racoli avea convertito gì* ismaeliti
di Faran ; e Psaes che passava per
un prodigio di austerità. Nel quinto
secolo i saraceni trucidarono pa-
recchi altri solitari del monte Sinai.
V avea tra loro un fanciullo di
quattordici anni, la vita del qualtì
era uno specchiato modello di per-
fezione evangelica. Avendolo i bar-
bari minacciato d'ucciderlo, se nort
iscopriva il luogo ove i vecchi solita-
ri s' eran nascosti, egli coraggiosa-
mente rispose che avrebbe data mil-
le volte la vita, piuttosto che tra-
dire i suoi padri. I .«saraceni sde-
gnati di sua risposta, lo misero
barbaramente a morte. Tutti que-
sti santi martiri sono onorati a*i4
di gennaio.
Martiri d' Alessandria. Il pa-
triarca Teofilo, del Sg:*, avendo
ottenuto dair imperatore Teodosio
un antico tempio di Bacco per far-
ne una chiesa, vi scorperse delle
volte sotterranee piene di figure, le
quali fece portare per la città, af-
finchè tutta la gente conoscesse la
stranezza del culto cui ess« servi-
vano. I pagani sommamente sde-
gnati da cotesto tratto che feriva
la loro religione, assalirono r cri-
stiani per le contrade, e ne truci-
darono molti j dopo di che si ripa-
rarono nel tempio di Serapide, qua-
si in una citladella. Di là facevano
molte sortite, nelle quaU prendeva^
no parecchi cristiani, menava ni i se-
co loro nel tempio, e H costringe-
vano a sagrifìcare, mettendo a mor-
te quelli che non volevano rinne-
gale la fede, dopo averli posti alle
MAR
pili crudeli torture. Saputasi dal-
l'imperatore questa sedizione, man-
dò ordine in Alessandria di spianare
tutti i templi degl'idoli che vi erano.
Appena i pagani intesero V editto,
abbandonarono disperali il tempio
e la città ; ed i cristiani spezzaro-
no r idolo di Serapide, gittandone
al fuoco i /rammenti. Sulle rovine
del tempio di Serapide si eressero
due chiese, e i metalli che ivi si
trovarono furono consacrati al cul-
to del vero Dio. Dopo questo trion-
fo molti idolatri aprirono gli occhi,
ed abiurando le loro superstizioni^
abbracciarono la religione cristiana.
11 martirologio romano fa comme-
morazione a'iy di marzo, di que-
gl' invitti cristiani che perdettero la
Tita in tale circostanza, a gloria
della religione.
Martiri d' Italia. Impadronitisi i
longobardi, verso la metà del sesto
secolo, della parte settentrionale di
Italia, portando dappertutto la de-
solazione e il saccheggio, tentarono
perfino di togliere la fede a quel-
li che spogliato aveano dei beni.
La persecuzione cominciò da qua-
ranta contadini, ai quali essi co-
mandarono di mangiare carni sa-
crificate ai loro idoli ; ma questi
fedelissimi servi di Gesù Cristo, a-
vendo ricusato di obbedire, furono
spietatamente trucidali verso l' an-
no 579. Gli stessi barbari volevano
costringere un' altra brigata di pri-
gionieri ad adorare una testa di
capra, favorito loro nume; e non
avendoli potuti a ciò indurre, li
uccisero. Si crede che questi santi
martiri fossero ben quattrocento.
Se ne onora la memoria il giorno
2 di marzo.
Martiri di Gorciim in Olanda.
Diciannove fra religiosi e preti se-
colari, dopo aver solferlo molti cat-
VOL. XLIII.
MAR 195
tivi trattamenti dai calvinisti, che
li aveano arrestali a Gorcum, fu-
rono appiccati a Bril il 9 luglio
1072, in odio della religione cat-
tolica. Erano in questo numero un-
dici recolletti, cioè: Nicola Pie guar-
diano di Gorcum, uomo di santa
vita, in età di trent'anni, celebre
pei frutti che avea riportato la sua
predicazione ; Girolamo di Werden,
vicario dello stesso convento ; Teo-
dorico di Embden , nativo di.A-
morfort; JXicasio Johnson del vil-
laggio di Heze ; Wilad nato in
Danimarca ; Goffredo di Merveille;
Antonio di Werden; Antonio di
Hornaire; Francesco Rodes, nato a
Bruxelles ; Pietro di Asca, e Cor-
nelio di Dorestale, ambedue fratelli
conversi. Gli altri martiri erano un
domenicano della provincia di Co-
lonia, Giovanni di nome, e curato
di Hornaire; un canonico regolare di
s. Agostino, uomo assai vecchio, per
nome Giovanni Oosterwican, diret-
tore di un convento di religiose del
suo ordine a Gorcum; Adriano di
Hilvarenbeck premonstralesedi Mid-
leburgo, che governava una parroc-
chia di un villaggio di Munster
presso la Mosa, e Giacomo Lacop
religioso dello stesso ordine e dello
stesso monastero, che serviva in una
parrocchia vicina a Munster. Final-
mente tre curati e un prete seco-
lare. Il primo di questi curati era
Leonardo Wechel, il quale studiò
a Lovanio, e divenne famoso e ri-
spettato in teologia ; resse con som-
ma pietà, zelo e dottrina una par-
rocchia a Gorcum, e spese le sue
entrate a sollievo àe poveri e de-
gl' infermi. Il secondo era iNicolò
Poppel, parimenti curato di Gor-
cum, non inferiore al precedente
nello zelo per la salute delle anime,
sebbene d' ingegno non sì elevato,
i3
194 MAR
Il terzo era Goffredo Dunen, nato
a Goicum, il quale dopo essere sta-
to rettore dell' unitersità di Parigi,
dove avea studiato e insegnato, di-
venne curato in Olanda presso il
territorio francese, alla qual cura
rinunziò per ritirarsi in patria. Il
prete era Andrea di Walter, già
curato a Heinort presso Dort. Que-
sti furono tutti dichiarati martiri e
beatificati da Clemente X nel 1674.
I Bollandisti pubblicarono la rela-
zione di molti miracoli operati ad
intercessione di essi, ja quale fu
mandata a Roma per la compila»
zione del processo della loro bea-
tificazione. La maggior parte delle
loro reliquie è custodita nella chiesa
dei francescani a Bruxelles, dove
furono segretamente recate da Bill.
La loro festa si celebra a' 9 lu-
glio.
Martiri del Giappone. L'impe-
ro del Giappone (Fedi) era im-
merso nelle più dense tenebre del
paganesimo, allorché s. Francesco
Saverio (Fedi) vi pervenne nel
i549 a predicare il vangelo. Me-
raviglioso fu il frutto delle sue
predicazioni ; intere provincie ri-
cevettero per lui il lume della
vera fede, 1' anno i582 i re d'A-
rima, di Bungo, e di Omura man-
darono un'ambasceria a Papa Gre-
gorio XI 11, e cinque anni appresso
si contavano nel Giappone duecen-
tomila cristiani. Ma nel i588 l'or-
goglioso imperatore Cambacundo-
no ordinò a tutti i missionari ge-
.suiti di uscire dai suoi stati nello
spazio di sei mesi. Malgrado que-
sto comandamento molti di essi
rimasero nel Giappone, e travestiti
continuarono esert:itare il lor mi-
nistero. La persecuzione essendosi
ridestata nel 1592, una gran mol-
titudine di giapponesi convertiti
MAR
furono martirizzati. Nel i^t^-j no-
ve missionari, per ordine dell'im-
peratore Taycosama furono croce-
fissi sopra un monte vicino a
Nangasacki; de'quali sei erano fran-
cescani, ed aveano per loro capo
il p. Piei- Battista commissario del-
l'ordine, nato in Avila nella Spagna,
e gli altri Ire erano gesuiti (ne fa-
cemmo menzione nel voi. XXX, p,
127 del Dizionario). Uno fra questi,
per nome Paolo Miki, disceso da una
onorevole famiglia del Giappone, a-
vea sortito dalla natura grande atti-
tudine alla predicazione. Altri giap-
ponesi convertiti furono con essi
martirizzati, essendo in tutti in nu-
mero di ventisei, fra i quali tre fan-
ciulli, che quantunque in tenera età,
soffiirono con gioia e coraggio i
più crudeli tormenti. Ventiquattro
di questi generosi atleti furono
condotti a Meaco, perchè si moz-
zassero loro le orecchie ed il naso;
ma il rigore di questa sentenza
venne mitigato, essendosi loro tron-
cata solo una parte dell'orecchia
sinistra. Si condussero poscia di
città in città colle guance insan-
guinate, per intimorire gli altri
cristiani ; quindi annodati sopra cro-
ci c«n corde e catene, e con col-
lari di ferro alla gola , a tutti in
un colpo i carnefici trapassaro-
no il costato colle lancie. Il san-
gue e le vestimenla di questi
martiri, raccolte dai cristiani, ope-
rarono col solo contatto grandi
miracoli. Urbano Vili li annoverò
fra i santi, e la Chiesa nel giorno
5 febbraio celebra il loro trion-
fo: questa fu la prima causa dei
martiri trattata dalla congregazione
de' riti. Dopo la morte dell'impera-
tor Taycosama, i gesuiti ricomparve-
ro nel Giappone, e vi convertirono
quarantamila anime nel 1599, e
MAR MAR 195:
pù di trentamila neirnnno seguen- parte gesuiti, spinti da religioso
te, avvegnaché essi non fossero fervore , approdarono in un porlo
pih di cento. Fecero a un tempo del Giappone, ad onta della proiln-
fabbricare cinquanta chiese, ove i zione dell' iujperatore ; ma la pre-
fedeli si radunavano. Cubosama nei cauzione di travestirsi non riuscì
1602 rinnovò gli editti ch'erano loro a bene grnn tempo, perocché
slati precedentemente pubblicati con- furono scoperti e condannati ad una
tro i cristiani. Molti giapponesi morte crudele. Fu perciò che il Giap-
ch'eransi ridotti a Dio, furono de- pone ha riempito il cielo d'un im-
capitati, alcuni crocefissi, altri ab- menso numero di martiri, de'quali
bruciali. La persecuzione divenne non avvi ancora che i ventisei pri-
ancora più sanguinosa nel i6i4> mi che siano onorali d' un culto
perocché si usarono le più orribi- pubblico, come si disse. Benedetto
li torture per sforzate i seguaci dì XIV ha inserito i loro nomi nel
Gesù Cristo a rinnegare la fede; martirologio romano,
ma una innumerevole moltitudine Martìri della Cina. Dopo i mar-
di questi la confessarono costante- tiri del Giappone, riferisce il Bu-
rnente fino alla morte. Xogun, sue- ller le notizie di quelli della Cina
ceduto nel 1616 a Cubosama suo o China (Vedi), e di parecchi ze-
padre, lo superò di gran lunga in tanti e distinti missionari ch'ivi
crudeltà, non essendovi specie di travagliarono per propagare la fe-
barbarie ch'egli non usasse contro de cristiana. La morte impedì s.
i cristiani , e massime contro i Francesco Saverio di condurre ad
missionari. Il più ragguardevole effetto V ardente suo desiderio di
di questi ultimi fu il p. Carlo predicar nella Cina la fede ; e
Spinola, nobile genovese, gesuita, non fu che qualche tempo dopo
che pel desiderio di versare il san- che i missionari trovarono modo
gue per la fede, quivi recossi nel di entrare in questo impero, me-
j6o2, e con zelo indefesso ed scolandosi fra' mercanti portoghesi
ammirabile dolcezza ridusse a Dio dimoranti a Macao, che aveano
una gran moltitudine d'anime, me- ottenuto il pe»'messo di andare
nando eziandio austerissima vita, due volte Tanno alla fiera di Can-
Incarcerato ad Omura, patì i più ton. Uno di questi fu il p. Matteo
inumani trattamenti , e poi venne Ricci, gesuita romano, eccellentissi-
condannalo al fuoco. Fu giustiziato rao matematico ^ il quale dopo
a Nangasacki con altri quarantano- diversi viaggi fatti a Canton, nel
ve cristiani, de'quali nove erano r583 ottenne dal governatore li-
gesuiti, quattro francescani e sei cenza di dimorarvi con due altri
domenicani ; laici i rimanenti. Ven- gesuiti. Mercé la sua scienza, di
ticinque furono abbruciati, gli al- cui i cinesi sono assai amatori,
tri decapitati. Il p. Spinola per- egli si procacciò un buon numero
mase immobile e cogli occhi sem- di amici e di ammiratori; della
pre rivolti al cielo , finché arse le qual cosa approfittando a vantag-
corde con cui era legalo, cadde gio della religione, ridusse a Dio
nel fuoco, ove spirò il 2 settembre alquanti cinesi , e fondò una se-
162*2, in età di cinquant'otto anni, conda istituzione pei gesuiti in
Molti altri cristiani, la maggior Nankin. Recatosi a Pekin nel
196 MAR
1600, con alcuni doni curiosi si
cattivò il patrocinio dell'imperatore,
e se ne servi per diffondere la
luce dell'evangelio, la quale illu-
minò una gran moltitudine di
cinesi, non che ufficiali di corte,
che tutti entrarono nella religio-
ne di Cristo. Fra questi ufficiali
era Paolo Sin, ch'eletto dipoi pri-
mo ministro, favoreggiò la cristia-
na religione in guisa che a Xan-
kai sua patria , nella provincia di
Nankin, vi furono da quaranta-
mila persone che la seguivano. Il
padre Martiaez, gesuita chinese,
venne crudelmente a più riprese
battuto per avere convertito un
famoso dottore, e morì in mez-
zo ai tormenti. Il p. Ricci poi
morì nel 161 7, dopo avere co-
stantemente goduto il favore del-
l'imperatore Vanlio. Il p. Adamo
Schall, gesuita di Colonia, fecesi
conoscere ed apprezzare dall'impe-
ratore Zonchi, ed assai Io stimava
il di lui successore Chunchi, prin-
cipe tartaro , e capo della nuova
dinastia. Ma dopo la morte di
questo principe, cinque mandarini
furono condannati a morte per non
aver voluto rinnegare la fede di
Cristo; ed il p. Schall ebbe pure
la stessa condanna, se non che mo-
rì durante la dilazione ch'eragli
slata accordata. I domenicani, se-
condo il p. Touron, entrarono pure
nella Cina nel i556, ove predica-
rono profittevolmente il vangelo, e
gettarono le fondamenta della gran
chiesa di Fokien nel i63i, dopo
aver convertito una grandissima
parte degli abitatori di questa pro-
vincia. Quattro sacerdoti di que-
st' ordine furono martirizzati nel
1647, ^^ ^' i^ gennaio dell' anno
seguente, dopo crudelissime torture,
venne mozzata la testa ad un altro,
MAR
per nome Francesco da Capillas, del
convento di Valladolid^ ch'era stalo
l'apostolo della città di Fogan.
Entrato al maneggio dell' impero
il giovane Cambi, figlio Chunchi,
pose fine alla persecuzione; e nel
1671 avendo permesso che si a-
prissero le chiese dei cristiani, vi
ebbero più di ventimila persone
che si fecero battezzare. I succes-
sori di Cambi non furono meno
favorevoli ai cristiani, la cui reli-
gione faceva ogni giorno nuovi
proseliti, e cohtinuò ad essere pa-
lesemente protetta fin sotto il re-
gno di Kang-hi. Ma Yong-tching
che ad esso successe esiliò i missio -
nari dalle città principali, ritenen -
do tuttavia nel suo palazzo, col ti -
tolo di mandarini, i coltivatori del •
la pittura, delle matematiche e del-
le altre arti liberali. Il successore
Rien-long ridestò la più violenta
persecuzione. Un gran numero di
fedeli soffrirono i più orribili tor-
menti, piuttosto che far cosa che
fosse contraria alla legge di Dio.
Molti, morirono ne' supplizi o nelle
prigioni ; un vescovo e sei preti fu-
rono martirizzati. Il p. Sanz, do-
menicano spagnuolo, arrivato nella
Cina l'anno I7i5, ivi affaticò con
grandissimo zelo duranti i quindi-
ci anni, in cui la congregazione
di propaganda lo nominò vescovo
di Mauricastro , venendo dipoi e-
letto vicario apostolico della pro-
vincia di Fokien. Avendo l'impe-
ratore esiliato i missionari nel
1782^ il p. Sanz ri ti rossi a Ma-
cao, ma ritornò nella provincia di
Fokien nel 1738, ove fondò chie-
se , e ricevette i voti di moltis-
sime vergini che consacraronsi a
Dio. 11 viceré adirato contro il
padre Sanz pel felice progres-
so della religione cristiana , lo
MAR
fece prendere con altri quattro
domenicani : il Tescovo venne de-
capitato ii 26 maggio 1747» g'>
altri furono strozzati il 28 ottobre
1748, nella prigione ove aveano
grandemente sofferto. Questi quat-
tro domenicani erano: Francesce
Serran d' anni cinquantadue, che
avea affaticato diecinov'anni in qua-
lità di missionario nella Cina , e
che durante la sua incarcerazione
era stato nominato vescovo di Tipasa
da Benedetto XIV; Gioachino Roio,
in età d' anni cinquantasei, de'quali
aveane consumati trentalre nella
Cina ; Giovanni Alcober , i« età
d'anni quarantadue, e missionario
da diciotto ; Francesco Diaz, d'anni
trentatre, de'quali aveane spesi nove
nelle funzioni dell'apostolato. Anche
il p. Giuseppe d'Attemis ^ gesuita
italiano, ed ii p. Antonio Giuseppe
Henriquez, gesuita portoghese, fu-
rono arrestali nel mese di dicembre
1 747, e dopo iterati tormenti stran-
golali in prigione il 12 settembre
dell' anno successivo. Il fuoco della
persecuzione si accese anche nel re-
gno di Tonchin al SHd-ovesl della
Cina, ove si atterrarono cinquanta
chiese, e si fecero patire diversi
supplizi a quelli che di recente eran-
si convertiti. Il p. Francesco Gii
di Federico, ed il p. Matteo Alfonso
Leziniana, domenicani, riportarono
la corona del martirio. II primo di
questi, arrivalo a Tonchin nel 1735,
trovò più di ventimila cristiani nella
parte occidentale di questo regno ,
battezzati dai missionari del suo
ordine, e colla più grande solleci-
tudine si diede a coltivare questa
vigna novella; ma nel 1737 fu
preso da un bonzo, e condannato
alla morte. Il suo supplizio fu lun-
go tempo differito: nel carcere fu
trattalo con amore e premura, gli
MAR 197
si permise di celebrare alcune volte
la messa, e gli si avrebbe conser-
vata la vita, purché avesse dichia-
rato di non essere venuto a Ton-
chin che in qualità di mercante ;
ma egli non volle acconsentire a
questa menzogna. Il p. Leziniana,
dopo avere per dieci anni trava-
gliato nelle missioni del Tonchin,
fu arrestato mentre celebrava la
messa, nel 1 743 ; e nel mese di
maggio dell' anno appresso venne
condotto nella slessa prigione del
p. Gii. Finalmente nulla avendo
potuto smuovere la costanza di que-
sti due missionari desiderosi del
martirio, furono decapitati a' 22
gennaio 1744*
Qui il Butler fa onorevole men-
zione del p. Giuseppe Anchieta e
del p. Pietro Claver, gesuiti. Il pri-
mo, nato nelle Canarie, mori nel
Brasile a' 9 giugno 1597, d'anni
sessantaquattro, de'quali ne avea
spesi gran parte nelle fatiche di sue
missioni, avendo convertito i selvag-
gi del Brasile in America, ch'eran
venuti in potere de' portoghesi. Il
p. Claver, nativo della Catalogna,
si portò con alquanti altri missio-
nari nel 16 IO in America, per
predicare la fede a Cartagena e
nelle provincie vicine. La sua ca-
rità per que* sciagurati negri che
gemevano sotto la doppia schiavitù
del demonio e degli uomini , fu
ammirabile. Egli attese con instan-
cabile ardore alla conversione de-
gl' infedeli e dei cattivi cristiani.
Iddio benedisse le sue fatiche, e lo
favorì del dono di far miracoli.
Morì r 8 settembre i654, in età
forse di settantadue anni, in odore
di santità. 11 Papa Benedetto XIV
confermò nel 1 747 il decreto della
congregazione de* riti, comprovante
l'eroiche virtù di qucslo venerabile
ìi)S MAR
iDissioncti'io. Airailicolo Cina o
China, e nelle opere ivi citate, non
che a quelli di Indie Orientali ,
Missionari , Missioni Pontificie ,
Missioni straniere , ec, si posso-
no leggere ulteriori notizie sul-
lo stato delle missioni iu quell'iin-
pero e regni adiacenti, e delle per-
secuzioni che vi infierirono nel cor-
rente secolo.
MARTIRIO (s.), martire. F. Si-
suvnio (s.).
MARTIRIO/ /l/^/'/yrza/7i. Tor-
mento che si patisce neiressere mar-
tirizzato, il sopportare i tormenti o
la morte per la religione cristiana.
Il martirio tiene luogo di battesimo
d'acqua negli adulti non battezzati,
scancellando in essi il peccato ori-
ginale ed i peccati attuali quanto
alla colpa ed alla pena temporale
ed eterna, sia che egli produca i
suoi elFetti per la sua propria virtù,
et ex opere operato^ sia che li pro-
duca per mezzo della caritèi del
paziente, et ex opere operanùs,
V. Battesimo e Martiri. Si può
desiderare il martirio, ma non è
permesso il procurarselo suscitando
i persecutori, perchè ciò sarebbe uno
spingerli al delitto, il che non è
lecito; ne darselo da sé stesso, pre-
venendo i carnefici, a meno che
non siasi a ciò determinato da un
particolare impulso dello Spirito
Santo. Avvi soltanto l'obbligo di
soffrirlo sotto pena di dannazione,
allorché non é possibile di dispensar-
sene senza commettere un peccato
mortale, e quando si è interrogato
intorno alla religione, sia pubblica-
mente e giuridicamente, sia anche
in particolare, ed in circostanze nelle
quali sì potrebbe astenersi dal ri-
àpondei-e sulla propria religione sen-
za che ne derivi alcuno scandalo. Il
martirio tu desiderio ardentissimo
M A W
dei primi cristiani, e fu chiamalo
battesimo massimo: venne impu-
gnato dai valeuliniani, dai gnostici
e da altri eretici ; contro i secomli
scrisse Tertulliano, De bona mar-
tyriii Origene scrisse ancora un li-
bro in lode del martirio, ed assai
bramò di sostenerlo. Il Romagnosi
attribuisce al solo fanatismo il la-
sciarsi uccidere per mantenere la
propria religione , e riprende la
politica intollerante perchè s'oppo-
ne al fanatismo. All'incontro il cal-
tolicismo insegna, che i suoi segua-
ci, che si lasciarono uccidere da' ti-
ranni!^ per la confessione della fede,
noi fecero per fanatismo, e invece
di fanatici lì chiama martiri, e gli
onora sugli altari . Tale dottri-
na del Romagnosi è dunque in
contraddizione diretta col cattoli-
ci smo.
Martirio fu chiamato l'altare e-
retto sopra il sepolcro de' martiri,
e le stesse chiese. Il martirio or-
dinariamente avea luogo fuori del-
la città, perchè fu costume de'greci
e romani di far eseguire le sen-
tenze di morte fuori della città, af-
finchè dall' aspetto delle pene e
dall'effusione del sangue non re-
stassero pollute le immagini delle
false divinità da loro adorate. Mas-
senzio concesse a quelli che aveva-
no subito il martirio di poter es-
sere seppelliti dentro di Roma, co-
me afferma il Rinaldi all'anno 3o9,
n. 4- Prodigiosa fu la moltiplicità
dei supplizi, coi quali sono stati
straziati e condotti al martirio, al-
l'ultimo scempio gl'intrepidi e va-
lorosi campioni di nostra fede nelle
ferocissime persecuzioni da loro sof-
ferte. Molti di essi furono sepolti
vivi, altri spirarono sopra i patiboli,
sulle ruote e sopra ì cavallelli. Al-
tri furono straziati sopra gli eculei,
MAR
traforati nelle viscere con acutissi-
mi legni, e tagliati pei mezzo delle
seghe. Altri vennero tormentati con
cardi ed unghie di ferro, e da cen-
to altri stromenti, inventati dalla
barbara crudeltà de'persecutori. Al-
tri generi di martirio furono le sof-
focazioni nelle acque del mare, dei
laghi, de' fiumi e de' pozzi ; la cro-
cefìssione, la lapidazione, lo stran-
golamento, la flagellazione, la fusti-
gazione; il gettito ne' precipizi e
nelle cloache, la divorazione di be-
stie feroci, l'immersione nell'acqua o
olio bollente e nelle caldaie di solfo
e di pece, nelle fornaci di calcina e
iie'termari; l'adustione con fiaccole
ardenti, l'arrostamento sulle lamine
e graticole infuocate; gii avvelena-
menti con bevande mortifere; l'in-
cisione ignominiosa delle stimmate,
perfino ne' volti, come usavasi con
la ciurmaglia e con gli schiavi; Te-
scoriazione, la sete, lo slento e lo
squallore delle prigioni più fetide
ed oscure; lo strascinamento e lo
strazio per mezzo de' tori o de' ca-
valli; la condanna allo scavo de'me-
talli nelle miniere o alla costruzio-
ne delle fabbriche; la terebrazione
o perforazione delle tempie con i
chiodi; la chiusura entro l'arche
piene di acutissimi coltelli; il cru-
cifragio, il vivicomburio ne' roghi,
genere di morte decretata dalle leg-
gi romane pei rei di vile condizio-
ne, pei servi e pei plebei, fra i qua-
li erano per lo più tenuti i cri-
stiani fino dai tempi di Nerone, che
li condannò, in usuni nocturni lu-
minisi ad ardere come altrettante
fiaccole per le strade ; la saettazioue
ad un palo; le cervellieie infuoca-
te; la sospensione pei capelli, con
le mani e i piedi traforati, e con
le pietre le più pesanti attaccate
ad essi ; la recisione della lingua,
MAR 199
delle mani e de' piedi; la frattura
delle mandibole, l'abbaciamento, e
finalmente il taglio della testa col-
la mannaia, colla scimitarra, col-
r accetta e colla spada : per rap-
presentare poi la decapitazione dei
martiri , derivò V idea di figu-
rare nelle pitture antiche e nei
bassirilievi vari santi, che reggono
la propria testa nelle loro mani.
F. tutto il cap. VI, t. Il, p. 287
De costumi de primitivi cristiani del
p. Mamachi.
Di ciascuno de'tormenti descritti
c'istruisce il libro trionfale De nior-
tibus persecutorum attribuito a Lat-
tanzio. Abbiamo ancora il libro
più volte stampato del p. Antonio
Gallonio dell'oratorio, De ss. mar-
tyrum cruciatibus, o coll'altro ti-
tolo, degl' Islromenti di martirio
usati dai gentili j cui si deve unire
il Lìbrum brevis addillo di Pau-
lo wich Lucich. Ivi sono descritti
ad uno ad uno ed effigiati an-
cora i vari generi de' tormenti
onde furono ne'lunghi tempi delle
persecuzioni martirizzati i fedeli,
nello stesso modo con cui sono
dipinti intorno alle mura della
chiesa di s. Stefano rotondo al
Celio. Su di che può vedersi la
digressione che il Piazza a p. 744
àeW Enierologio ^ fa sulle diversità
delle pene e atroci supplizi dei
martiri espressi ed esposti per ri-
svegliamento della Mg agli occhi
e alia venerazione de'fedeli in detta
chiesa. Dei segni del martirio ne
parlammo in vari luoghi; del mo-
nogramma di Cristo (Fedi) , a
quell'articolo ed a Monogramma ;
come furono segni la palma , la
colomba come presagio del mar-
tirio, l'iscrizione o lapide sepolcra-
le con individuali particolarità, e
certissimo il vaso di sangue che
200 MAR MAR
i fedeli ebbero gran premura di giorni si ommette. V. Diclich ,
raccogliere, aftìnc di collocarlo en- Dizionario liturgico^ articolo Mar-
Irò ampolle presso o ne' sepolcri tirologìo. Anticamente i marliro-
de'niartiri, mediante sponga la qua- logi si leggevano o nel capitolo
le talvolta intrisa di sangue fu tro- o nel coro, o terminata l'ora di
▼ala nei vasi slessi: questi vasi di prima, o innanzi il detto versetto,
vetro dipinti, ordinariamente gli e ciò facevasi dal pulpito, e nelle
scrittori di archeologia cristiana , comunità religiose leggevasi ancor
li chiamano ampolle del sangue, dopo cena; uso però non anteriore
Si costumò apporsi indifferente- al secolo XI o XII, e nei primi
mente non meno ai sepolcri dei secoli se ne faceva lettura nelle
santi martiri , che a quelli dei pubbliche religiose adunanze, onde
semplici cristiani, gli altri simboli servisse a glorificare Iddio, onora-
de'segni di croce, del faro, delle re i santi, edificare i fedeli. Oggi
fiamme, delle fenici, deiragnelio, i martirologi contengono i nomi
de'pavoni, delle colombe, del pe- di tutti i santi, ancorché non
sce, dell'ancora, dell'ellera, dell'ai- martiri, ed ai sommi Pontefici spel-
lerò, delle viti , delle uve, delle ta registrarli nel martirologio .
melagranate, di uno o più cavalli, Marlirologista chiamasi l'autore e
di cuori trafitti di spine, o sem- scrittore d' un martirologio . Il
plici, de* vestigi di piedi umani, p. Ruinart nella prefazione degli
di pettini, di cerchietti , di trian- Atti sinceri de'martiri, parlando
goletti, di quadratelli, di tridenti, <jel come e da chi composti, e in
spiegati dal p. Costadqni nella qual pregio debbonsi avere i mar-
Dissertazione sopra il pesce^ come tirologi, dice che questi ed i Me-
simbolo di Gesù Cristo^ nel t. nologi e Menei sono un' opera
XII degli opuscoli del p. Caloge- tratta dai registri e dai calendari
rà.. Il p. Ignazio Potenza nelle delle chiese particolari. Furono que-
Nolizie di s. Augustale martirCy a sii lavoro de' vescovi e di altri
p. 5i tratta de' segni e de'simboli minori ecclesiastici autorevolissimi,
che i primi cristiani ponevano nel- e sommamente gelosi di non aite-
le lapidi sepolcrali, e ciò che in- rare in niente la verità: quanto
tendevano con . essi significare. essi scrissero ne' martirologi, tutto
MARTIROLOGIO, Martyrolo- il trassero da monumenti a loro
giiini. Lista, nota o catalogo dei tempi reputatissimi; non si nega però
martiri , storia o leggendario dei che abbiano potuto pigliare qual-
martiri. Queste sorte di raccolte che abbaglio. I soli libri delle san-
per ordinano non contengono che te Scritture hanno questo privile-
il nome, luogo, giorno, genere del gio di contenere in ogni loro par-
martirio di ciascun santo. Come te semplicemente una inalterabile
ve ne sono per ciascun giorno verità ; questi nei non tolgono ai
dell' anno , è uso stabilito nella martirologi il pregio sommo in
chiesa romana di leggere ogni che si debbono avere. Tutti i mar-
giorno a prima la lista de' santi tirologi convengono in rappresen-
onorati in quel giorno, innanzi al tarci un numero innumerevole di
versetto Preliosa^ eccettuato il tri- eroi cristiani coronati del martirio
duo innanzi Pasqua y nei quali nelle persecuzioni de' primi tre se-
MAR
coli della Chiesa. Dodwello si sbri-
ga da questo argomento, col dire
che tutti i martirologi sono zi-
baldoni inconsiderati , e pieni di
fole e di tradizioni falsissime del
▼olgo credulo e grossolano. Egli
però non reca niente in prova di
questa sì acerba e irreligiosa cen-
sura, e veramente niente non avea
onde giustificarsi anche neil'appa-
ren/a. Egli stesso assaissime volte
fa uso delTautorità de'martirologi :
il romano è usato ne'divini uffizi
da tutti i cattolici di rito latino ,
ed anche i protestanti generalmente
lo hanno in gran pregio ; e nello
stesso pregio a proporzione sono
più altri martirologi, da' nomi dei
loro collettori diversamente deno-
minati. L*uso di stendere i marti-
rologi fu tolto dai pagani, che
scrivevano il nome de' loro eroi
nei fasti per tramandare alla po-
sterità r esempio delle azioni ma-
gnanime. Dalle notizie raccolte in-
torno ai martiri si formarono pri-
ma i calendari, quindi i martirolo-
gi: i calendari riferiscono i nomi
dei santi ed i giorni della loro
ricorrenza; i martirologi Umì men-
zione della patria, delle gesta prin-
cipali de'martiri, della specie, luo-
go e tempo del martirio; i calen-
dari rammentano solo le festività
di ciascuna chiesa in particolare, i
martirologi ricordano quelli anco-
ra di tutte quasi le chiese. Dona-
ta la pace alla Chiesa, nei marti-
rologi ai nomi e gesta de'martiri
si aggiunsero anche quelli de'santi
confessori. Se l'origine de'calendari
debba rimontare o no ai tempi
apostolici si controverte fra gli e-
ruditi; pare che si possa ammette-
re quanto ai registri che ciascuna
chiesa teneva in particolare, e il
d'Achery prova non esser vene sta-
ivi AR 20 1
to alcuno prima dei tempi di Eu-
sebio e di s. Girolamo , i quali
ne sono pure riconosciuti pei primi
autori; raccogliesi però dal ven. Be-
da che s. Girolamo trasportò nel
latino idioma il martirologio di Eu-
sebio, e vi fece delle aggiunte, per
cui incominciò a correre sotto il no-
me di s. Girolamo.
L'origine de'martirologi, secondo
Baronio, derivò dal Papa s. Cle-
mente I, eletto l'anno 93, nell'isti-
tuire ed introdurre l'uso di racco-
gliere gU atti de' Martiri [Vedi)
per mezzo di sette notari distri-
buiti in altrettante regioni, secondo
la divisione ecclesiastica di Roma
fatta dai Pontefici, ovvero furono
assegnate due regioni a ciascuno,
su di che sono a consultarsi il
Baronio, De Martyrologio ci, ed
il Bianchini ne'prolegomeni ad A-
nastasium t. 11, p. i38. Questo
impegno di raccogliere gli atti dei
martiri , non poteva non essere
principalmente della chiesa romana,
ma l'esempio di questa dovea ben
presto stendersi ancora alle altre,
come rilevasi dalla prima lettera
decretale di s. Fabiano Papa^ eoa
la quale consigliò i vescovi di se-
guire anche in ciò la chiesa ro-
mana con esattezza « diligenza.
E quanto fossero docili i vescovi
alle voci del supremo pastore, lo
dimostrano Eusebio , Dionisio e
Natale Alessandro, su quanto ri-
feriscono delle chiese di Smirne,
di Vienna , di Lione , di Gerusa-
lemme e di Cappfidocia. Tuttavol-
ta osserva il Novaes nella vita
di s. Clemente I, ch'è sentimento
de'più illuminali uomini di lettere,
che i martirologi, nella forma che
quasi gli abbiamo oggidì, non sal-
gano più in alto che al VI secolo,
e che s. Gelasio 1 Papa del 49^
aoi M A R
già avenll ridotti a quel buon or-
dine in cui si trovano, ancorché
sia certo, che facevasì lungo tem-
po prima nien/ione de' santi in
qualclie parte deli'ufìfìzio della Chie-
sa. S. Giegorio I del Sqo fu poi
il primo che introdusse l'uso di
leggerli a prima. Veggasi M. di
Hennilly, Storia di Spagna^ t. I,
prefaz. cap. 2. Si deve avvertire
che quanto riguarda 1' ordinazione
dell'uffizio e della messa , sull'e-
patte, sui cicli , sulle lunazioni,
come ancora le indicazioni delle
calende, delle none , degli idi, le
lettere domenicali^ i prìncipii delle
stagioni, il corso del sole pei segni
del zodiaco, le festività principali
del Signore, della Vergine, de'san-
ti patroni di città e diocesi, le
vigilie, le ottave, le chiese ove si
facevano le stazioni, i tempi del
digiuno, e molte altre cose che o-
rasi trovano scritte ne'martirologi,
non ispettava tutto questo ai mar-
tirologi, ma ad altri libri chiamati
Calendari^ Evangelari e Sagramen.'
tari. Inoltre noteremo , che non
tutte le chiese sono state concordi
a ricordare nei loro martirologi
i santi nel medesimo giorno; e i
luoghi diversi ai quali i martiro-
logi riportano qualche santo, non
sono sempre indizi della loro di-
versità.
Il Donati, De'dittici degli anti-
chi, cap. XVIII, dell'origine dei
cartendari e de' martirologi, questi
prova originati dai Dittici {^ì^edi).
Pertanto egli dice che si ha giu-
sto fondamento a credere, che dal-
l'uso de' sacri dittici sieno deiivati
nella Chiesa i Calendari (f^edi), e
tutti gli altri martirologi ecclesia-
stici, così ancora i menologi, e gli
aghiologi o santilogi de' monaci :
fra gli altri l'osservarono Scalige-
MAR
ro, Renaiidot, e Fiorentini ove
tratla della primiera origine dei
martirologi in una dotta prelimi-
nare ammonizione al martirologio
occidentale. Veramente dai dittici
in cui erano notati i martiri tras-
sero l'origine i calendari,, e da
questi i martirologi assai più re-
centi nelle chiese; e dai dittici dei
santi ne derivarono i loro aghio-
logi, o Leggende, (Fedi), essendo
più antico il dittico di qualunrpie
calendario, e il calendario di qual-
siasi martirologio. Ne'dittici pone-
vasi il solo nome del martire o
del santo, come vedesi da quei
pochi che ci sono rimasti ; ma nei
calendari oltre il nome segna vasi
anche il giorno della morte o quel-
lo in cui ogni anno se ne solen-
nizza la festa ; come fra gli altri
vedesi ne' calendari di Roma e di
Cartagine riportati dal Bucherio, nei
commentari al canone pasquale, eda
altri. Ne'martirologi poi notavasi di
più la qualità del martirio, il tem-
po, il luogo e il giudice, e può os-
servarsi, per tacer di altri, in quel-
li di Beda e di Adone. Poiché
non si debbono confondere i calen-
dari co' martirologi, essendo quelli
da questi molto differenti, giacché
ciascuna chiesa avea bensì il suo
propiio calendario, ma poche fu-
rono quelle che avessero un par-
ticolare martirologio; e infatti, a-
vrndone scritto uno nel IX secolo
Usnardo, di esso si servì per mol-
to tempo la chiesa romana e mol-
te altre, perchè i martirologi, al
dir di Valesio e di Pagi, non ri-
guardavano un solo luogo, ma tut-
ta la Chiesa in generale, e conte-
nevano per dir così i martiri e i
confessori di tutto il mondo cat-
tolico, tratti da più e diversi ca-
lendari. In progresso di tempo, nei
MAR
marlirologi specialmente de'mona-
ci, s'incominciò a notarsi ancora
i nomi di que' defuntij ch'erano
soliti di pone ne'loro obituari o
necrologi, e talvolta vi fu unita la
regola del loro ordine ; e però da
essi il martirologio fu chiamalo o-
hituario o necrologio. I raenoiogi
de'greci e di tutti gli altri cristia-
ni orientali ripetono l'origine dai
dittici loro; mentre insegna l'Alla-
zio, altro non essere i menologi,
che que' cataloghi che i latini de-
nominano martirologi o calendari,
molto più ampli però de' nostri,
riferendovi in ristretto la vita dei
santi fissata a quel giorno, in cui
da essi si fa menzione, ovvero di
quelli de* quali non hanno l'isto-
ria, e solo ne fanno la comme-
morazione. Ne'menologi de'greci si
leggono molti santi che fiorirono
nella chiesa occidentale, laddove
in quelli degli altri orientali, po-
chi o quasi niuni santi si riscon-
trano, che fioriti sieno fuori delle
loro chiese.
Provato l'uso antichissimo dei
martirologi de' santi, e che ne fu-
rono raccolti molti, il primo è
quello che dicesi di Eusebio e di
s. Girolamo, o perchè essi ne sia-
no effettivamente gli autori, o per-
chè sia stato ad essi attribuito :
Cassiodoro lo cita nel VI secolo,
e Beda nel VII. Ve ne sono due
sorte di copie, le une intere e le
altre compendiale: delle intere tre
vennero pubblicate; quella di Esler-
nach che passa per la più antica
e che fu scritta nel 728 dal mo-
naco Lorenzo, secondo l'ordine di
s. Villebrordo primo vescovo di
Utrecht; quella di Gorbia, e quel-
la di s. Vandrillo. Credesi che di
questo mai'tirologio di s. Girolamo
si facesse uso in Roma nel VI se-
MAR 2o3
colo, come rilevasi dalla lettera di
Gregorio I ad Eulogio di Alessan-
dria, lib, 7, episL 29; ed è al-
tresì probabilissimo, che il piccio-
lo martirologio mandato da R.oma
ad Aquileia dal Papa, e stampalo
da Roseveyd sotto il nome di an-
tico romano, sia l'antico martirolo-
gio romano, 11 martirologio del ven.
Reda fu scritto verso il 780, ed
anmenlato poscia da Floro verso
rSSg. È difficile di distinguere in
esso ciò ch'è di Beda, da ciò che
è di Floro, e per fare questa di-
stinzione il p. Sollier crede sia d'uo-
po servirsi del piccolo martirologio
che Beda avea scritto in versi.
Wandelberto monaco di Prom ,
nella diocesi di Treveri, scrisse un
martirologio nell' 848, attenendosi
principalmente a Floro, martirolo-
gio che pubblicò Molan nella sua
prima edizione d' Usuardo e di
Achery nel t. V del suo Specile-
gio. Rabano arcivescovo di Ma^
gonza compose verso l'anno 845»
un martirologio, ch'è una aggiunta
a quelli di Beda e di Floro. Il
martirologio di Wolkero, sopran-
nominalo il piccolo Balbo, mona-
co di s. Gallo, fu scritto verso
l'anno 8g4; è una compilazione di
molti altri; Enrico Canisio lo pub-
blicò dal primo gennaio fino al 26
ottobre inclusi va mente, il resto non
si è potuto rinvenire. 11 martiro-
logio di Adone, ch'è una compila-
zione del romano e di qiiello di
Beda aumentalo da Floro, fu scrit-
to l'anno 858. 11 marlirologio di
Usuardo monaco di s. Germano ai
Prati, fu scritto nell'SyS, e dedi-
cato non a Carlo Magno, come
hanno opinato Tritentio e molti
altri, ma a Carlo il Calvo che nel-
l'HyS occupava il trono imperiale,
Usuardo lo compose sopra un esém*
2o4 MAR
piare d'Adone che portava falsa-
mente il titolo di quello di Floro.
Ji martirologio di Nevelone, mo-
naco di Gorbia, scrilto verso l'an-
no 1089, non è propriamente che
un compendio di quello di Adone,
colle aggiunte di alcuni santi prin-
cipalmente delle vicinanze d'A-
mìens. Trovatasi mss. nella biblio-
teca di s. Pietro di Gorbia, e non
fu ancora stampato. Quando Dit-
maro, vescovo di Mersburgo nel-
la Misnia, parla del suo martiro-
logio, egli intende di parlare di
un esemplare del martirologio da
lui posseduto, e non di un mar-
tirologio da lui composto, ed è
quindi mal a proposito che alcu-
ni scrittori gliene attribuiscono uno.
Il padre Kirker nel suo prodro-
mo parla di un martirologio dei
copti posseduto dai maroniti in Ro-
ma. Vi sono martirologi di chie-
se particolari, come quello del mo-
nastero di s. Savino, pubblicato dal
Saussay vescovo di Toul alla fine
del l. Il del martirologio di Fran-
cia; quello di s. Lorenzo di Bour-
ges, al3bazia de'benedettini, ec; ma
i tre primi martirologi di cui qui
abbiamo parlato, sono come le sor-
genti e gli originali di tutti gli
altri, i quali non sono che copie
aumentate di quelli. Gli eretici han-
no fatto dei martirologi che con-
tengono i nomi de'Ioro pretesi san-
ti, i quali non hanno principio che
da Giovanni Wiclefo morto nel
1387, o da Giovanni Huss morto
nel i4i5.
Jl martirologio romano è stato
sempre in uso nella chiesa romana,
per testimonianza di s. Gregorio I,
ep. 29, ma è incerto se debba
altrettanto dirsi di quello di s. Gi-
rolamo, o quello di Beda : della
i>Qla basilica vaticana, dice Beuedct-
MAR
to XIV, Decanoniz, 1. 4» P- 2»
e. 17, n. a , che suum qaoddam
habtbat martyrologìurn, quod ho'
die. edam in archivio capitali con-
servatur. Gregorio XUI nel 1^82
compì la correzione del calendario
romano, cui andò unita nel i584
ancor quella del martirologio ro-
mano, per negligenza de' copisti e
degli stampatori in molti luoghi
difettoso e scorretto, ordinando ai
vescovi, e superiori regolari e se-
colari, che nel dirsi in coro il di-
vino uffizio, adoperino soltanto tale
martirologio, mediante la costituzio-
ne, Emendalo jam KalendariOy
de* 14 gennaio i584. Già Pietro
Oalesini protonotario apostolico mi-
lanese aveva procurato una nuova
edizione del martirologio romano,
la quale non venne approvata a
motivo della prolissità, e della ne-
gligenza dell'autore nelle citazioni,
e per la confusione che fa delle
persone e de' nomi de' luoghi. Fu
stampato nel 1578 in Milano ed
in Venezia, con questo titolo : Mar-
tyrologium s. Rom. Eccl. usui in sin-
gulos anni dies accornodalum ad
ss. Palreni Gregorium XIII etc. an-
notaiiones ìtem ntultiplici antiqui-
talis ecclesiasticae doctrinae cumu-
lataci ad onine lolus marlyrologii
explicandi rationem, ec. Il cardinal
Cesare Baronie fece delle note al
martirologio romano, e fece istan-
za a Sisto V che monsignor Luigi
Torres poi cardinale con altri pre-
lati rivedessero tali sue annotazio-
ni; quindi in Roma nel i586 pub-
blicò: Tractatio de mariyrologìo
romano praeniissa ejusdem edilio-
ni. Dipoi nel i63o coi tipi vati-
cani e nuove annotazioni, in foglio
fu pubblicato: Martyrologium ro-
manuni Gregorii XIII jassu e-
ditum et Urbani FUI aucioritate
p
MAR
recognilum^ accesserunl notaliones
atque tractatìo de marlyrologio ro-
mano autore Caesare Baronio. Il
re di Portogallo Giovanni V ordi-
nò al suo ministro in Roma, che
di concerto con Benedetto XIV fa-
cesse slampare il maitirologio ri-
dotto in volgare. Non poteva pre-
sentarsi più bel campo alla vasta
e profonda erudizione del Papa,
ond' egli dopo averci faticato con
felice successo, lo fece pubblicare
colle stampe vaticane e nuove cor-
rezioni, mediante il disposto della
costituzione Postcjuam intelleximus^
del primo luglio 1748» presso il
suo Bull. l. II, p. 43 1. Nel pon-
tificato di Pio VII e nel 1806 nel-
la stamperia dell'ospizio apostolico
uscì alla luce: Martirologio roma-
no dato in luce per ordine di
Gregorio XIII, e riconosciuto col-
V autorità di Urbano Vili, Cle-
mente X e Benedetto XIV, aggiun-
ti i nomi de* santi e beati piìi
recenti. Un' edizione perfetta e
completa del martirologio romano
è quella de' tipografi Salviucci ,
Roma 184^. Marlyrologìi romani
Gregorii XIII Jussu editi. Urbani
Vili et Clementi s X auctorìlale
re cogniti, ac deinde anno 1749
Benedicli XIV labori et studio an-
eti et castigati, editio novissima
SS. D. N. Gregorii XVI Pont,
Max. auspice et patrono, in qua
sanctorum et beatorum exlant elo-
gia prò ordinibus etiam regularibus
a sac. rit. congr. ad haec usque
tempora adprobata. I detti tipo-
grafi avendo anco in vista gli or-
dini religiosi, si dierono ogni pre-
mura per annettere il martirologio
particolare di ciascuna corporazione
religiosa. Quanto alle notizie bi-
bliografiche de' martirologi, molle
se ne leggono a p. 95 e seg. del-
MAR 2o5
la Dissert. epist. delle ss. Simplicia
ed Orsa, di Cancellieri.
MARTIROPOLI o MARTIRIO,
Marlyropolis. Città vescovile del-
l'Asia neir Armenia, situata sul fiu-
me Oba o Ninfèo , distante 240
stadi da Amida, e quindici miglia
dal Tigri, perciò detta anche Ta-
grila. 11 nome di Martiropoli le
fu dato, a quanto dicesi, nel V se-
colo, perchè furono quivi traspor-
tate le ossa ed allre reliquie dei
martiri, che avevano sparso il loro
sangue per la fede di Gesù Cristo,
a tempo di Sapore e Varano re
di Persia, I suoi abitanti la chia-
mavano Mai-Ferakin, o Meia Fa-
rekin, da cui ne derivò il nome
di Maipheracta. 11 Terzi, Siria-
sacra pag. i35, dice che Marti-
ropoli o città di Marte fu rino-
mata per un celebre tempio sa-
cro a quel falso nume. La di lei
fortezza fu mirabile a segno che
qual termine dell' impero romano
potè validamente opporsi alle inva-
sioni de' confinanti parti e persi.
11 suo munitissimo castello [xx es-
pugnato da Commentriolo capita-
no dell'imperatore Maurizio. E un
vescovato della provincia di Meso-
potamia, nel patriarcato d'Antiochia,
sotto la metropoli di Amida o
Diarbekir: quello di Tacrit o Ta-
grid gli era unito nel V secolo; i
nestoriani ed i giacchiti vi ebbero
ancor essi i loro vescovi. Il pri-
mo vescovo di Martiropoli o Mai-
Ferakin fu s. Maruta, che sedeva
al tempo d' Isdegerdo re di Persia,
ed occu possi assaissimo per la pro-
pagazione della fede in Persia : as-
sistette al secondo concilio generale,
ed a quello che si tenne in An-
tiochia nel 382 contro l' eresia dei
messaliani. Si uni agli avversari di
s. Gio. Crisostomo, ma avendo co-
7.o6 MAR
nosciuta la loro malafede, li abbati-
tloiiò subito per seguir il partilo
del santo. Intervenne pure al con-
cilio di Seleucia, e vi compilò ven-
ti e più canoni sulla disciplina.
La raccolta degli atti de' fedeli che
soffrirono durante la grande per-
secuzione di Sapore re di Persia, è
opera di s. Maruta, la cui memoria
i greci ed i latini onorano a' 4
dicembre. Furono suoi successori
in questa sede, Zebenno o Zeberino
che assistette e sottoscrisse al con-
cilio di Calcedonia; N. uno de* ve-
scovi di Macedonia, che scrissero
all'imperatole Leone sull'assassinio
di s. Protero d'Alessandria ; Gior-
gio cbe n'era vescovo a tempo di
Filippico Bardane imperatore, che
scrisse in favore del concilio di Cal-
cedonia ai monaci giacobiti di s.
Matteo; Basilio che assistette al con-
cilio pel ristabilimento di Fozio; e
Mandiano già vescovo di Marda.
Oriens christ. t. II, p. 99B. I ve-
scovi nestoriani di Martiropoli so-
no: Jaballaba, innalzato poi alla di-
gnità di cattolico ; Michele vescovo
ancora d'Amida; Giovanni, e Jesu
Dei»ha. Oricns christ t. II, p. i32i.
I vescovi giacobiti di Martiropoli
sono : Atanasio I, poi patriarca nel
io5r; Atanasio li del ii^i, cui
successe nel 1169 Ignazio I, morto
nel 1182; in tale anno divenne
vescovo Ignazio II ; Giacomo Seve-
ro, autore di molli scritti, morì nel
i23i; Giovanni del I253; Malco
^el 1293; N. del i365. Oriens
christ. l. IT, p. i449- Martiria o
Martiropoli , Marfyropolilan, è un
titolo vescovile in partìhus dell'Ar-
menia minore, sotto l'arcivescovato
pure in partìbus d' Amido , che
conferisce la santa Sede.
MARTORANO, Mariuranum.
Città vescovile del regno delle due
M A R
Sicilie, nella provincia delia Cola-
l)ria ulteriore seconda, distretto di
Catanzaro, capoluogo di cantone,
sulle falde del monte Goliero. Nelle
sue vicinanze verso greco stanno le
rovine dell' antica Manierlium o
Martoranum nel Bruzio , verso la
sorgente del Metauro , ed al prin-
cipio della foresta Bruziann, il cui
nome vuoisi derivato da Maniera ,
che in lingua del paese significa ti
Dio Marte. La cattedrale è dedica-
ta alla Beata Vergine Assunta in
cielo, componendosi l'antico capi-
tolo delle dignità del decano, del-
l'arcidiacono, del cantore e del te-
soriere; di otto canonici, e di sei
cappellani istituiti dal cardinal Pier-
benedetti. La sede vescovile fu e-
retta nel VII secolo, e primo ve-
scovo ne fu Reparato, che assistet-
te al concilio Lateranense del 649;
il secondo fu Opportuno, interve-
nuto al concilio romano del 721 ; il
terzo Donino che sottoscrisse al con-
cilio del 761 tenuto da s. Paolo 1;
Teodosio fu al concilio romano del-
l'826, Teodoro a quello dell' 853,
FJorio a quelli dell' 869 e 879,
de' quali nomineremo i successo-
ri più distinti. Ridolfo del 1090
edificò la chiesa de' ss. Clerico e
Luca abbati ; Michele del i r 70; Fi-
lippo di antica e chiara famiglia
de Malera di Cosenza, colto nelle
scienze ecclesiastiche, gli successe nel
122 1 ; Tommaso eletto nel i252
da Innocenzo IV, dotto e stimabile
abbate cislerciense di s. Stefano del
Bosco ; Rinaldo d' Aquino , perito
in giurisprudenza, fu eletto dal ca-
pitolo e nel i255> confermato da
Alessandro IV; Adamo eletto a
concorrenza di altro, Giovanni XXII
lo approvò nel i320; Senatore di
Martorano oriondo di famiglia da
Cosenza, morì nel i349; ^*' ^'*"
MAR
corno Castelli de' minori, traslalo
nel I Sgoda Bonifacio IX a Nica-
stiOi Martino del i45'i, traslato a
Cotrone nel i463 ; gli successe An-
gelo greco di Calabria, eccellente
dottore in jus, ambasciatore del re
di Napoli a Pio II, poeta illustre,
ed eruditissimo. Angelo Pappacoda
fatto vescovo nel i497 da Alessan-
dro VI, peritissimo nelle lettere gre-
che e latine: gli successe nel iSSy
Giacomo Antonio Ferduzi anconi-
tano, ministro generale de' minori
conventuali , sommo teologo. Per
sua morte, nel i56o Pio IV fece
vescovo Tolomeo Galli , che nel
1362 trasferì a Siponto, e nel i565
creò cardinale, sostituendovi degna-
mente Girolamo Federici milanese.
3Vel 1369 gli successe fr. Gregorio
Croce spagnuolo, dotto domenicano
d' incolpabile vita, che per voler
correggere i cattivi ecclesiastici, mo-
ri forse di veleno nel i^yy: in
sua vece Gregorio XIII vi elesse
Mariano Pierbenedelti, consagrato
dal cardinal Perelti che divenuto
Sisto V lo creò cardinale nel iSSg,
benemerentissimo vescovo come si
può vedere alla sua biografia ; gli
successe nel 1 586 il nipote Rober-
to, traslato a Nocera nel iSg?,. Fran-
cesco Monaco patrizio di Cosenza ,
lodato per dottrina e morale, fatto
vescovo da Clemente Vili nel i^gS,
governò 35 anni. Urbano Vili nel
1627 gli sostituì Luca Cellesi di
Pistoia, ornato di molle virtù, che
rifabbricò la cattedrale e l'episcopio
dal terremoto rovinate, e moili «lel
1661. Giacomo Pala mei la della
diocesi di Policaslro, nominato ve-
scovo nel 1667 , compi magnifica-
mente la cattedrale, ed a Scilliano
nel silo detto Diano edificò un no-
bile luogo per amena villeggiatura
de' vescovi, presso la chiesa parroc-
MAR 207
chiale che eresse in collegiata. L'U-
ghelli ed i suoi continuatori, Ita-
lia sacra, lom. IX, pag. 270,
terminano la serie de' vescovi di
Martorano con Pietro Antonio Pie-
trasanta, barnabita milanese, fallo
nell'anno 17 18 ; ed il proseguimen-
to si trova nelle annuali Notizie di
E orna. Ne furono gli ultimi fr. Ber-
nardino de Bernardis paolotto di
Fuscaldo , fatto da Benedetto XiV
nel 1743; Nicolò Spedalieri della
diocesi di Squillace, crealo nel 1 758
da Clemente XIII ; fr. Giacomo Ma
ria de Tarsia paolotto di Cosenza,
eletto da Clemente XIV nel 1770;
dopo lunga sede vacante, Pio VI
preconizzò nel 1 792 in successore
Francesco Antonio Grillo de' con-
ventuali di Gerace, che fu 1' ultimo
vescovo. Trovandosi la diocesi suf-
fraganea della metropoli di Cosen-
za, e dopo altra notabile sede vacan-
te, Pio VII nella circoscrizione del-
le diocesi di Sicilia, colla lettera
De ulilìori, V kal. julii 1818, sop-
presse la sede vescovile di Marto-
rano, e r uni in perpetuo a Nica-
stro {Fedi).
MARU o MERA. Città vescovile
del Rorasan in Persia , situata sul
fiume Morcab , grande e ben fab-
brìcataj e dicesi che già superò tulle
le altre città della regione. La re-
ligione cristiana essendo slata an-
nunziata nel Korasan regnando il
re Sapore, Maru diventò in segui-
lo metropoli e provincia ecclesia-
stica della diocesi de' caldei, avente
per sulTiaganei i vescovati di Dair-
Ilannes, di Damadutha, di Daabar-
sanaia e di Saichasa. Ne furono ve-
scovi, Bar-Codsaba, che predicò il
vangelo nel Rorasan ; Davide I me-
tropolitano di Maru nel 52o; Teo-
doro del 540; Davide II del 55o;
Elia considerato come santo , assi-
2o8 MAR
stette al cattolico Jesuiab III ; Giu-
seppe I del 778, rinunziò al distia-
iiesitno e fuggì presso i saraceni ;
Giovanni ordinato nell' 860 ; Giu-
seppe 11 assistette all'elezione del
cattolico Giovanni IV dei 900;
Ebedjesu; Giorgio Alsnkani, e gli
altri registrati nell' Oriens chiist.
t. II, p. 1261.
MARUTA (s.), vescovo di Ta-
grita o Martiropoli nella Mesopota-
mia, uno de' piti illustri dottori del-
la chiesa siriaca. Compose gli atti
de* martiri che soffersero nella per-
secuzione di Sapore dall' anno 34o
al 38o ; parte della quale ope-
ra ritrovò e pubblicò l' Assemani.
Compose eziandio degl'inni in ono-
re de' martiri, e sopra parecchi al-
tri argomenti, che vennero inseriti
con quelli di s. Efrem nell'officio
caldaico. Raccolse le reliquie di
molti martiri della Persia, e le di-
stribuì nell'impero romano. Nel 4' i
fece un viaggio a Costantinopoli per
indurre l' imperatore Arcadio a rac-
comandare i cristiani ad Isdegerdo
re di Persia : nulla avendo potu-
to concludere, vi ritornò l'anno ap-
presso. Teodosio il Giovane, suc-
cessore di Arcadio , onorò il santo
vescovo della sua confidenza , e lo
mandò due volte in uffizio di am-
basciatore nella Persia, per istabili-
re una solida pace fra i due impe-
ri. Isdegerdo fece grande stima di
s. Maruta, massime dopo essere sta-
lo guarito per le sue orazioni da
una malattia, ed aver scoperto l'im-
posture de'magi; laonde lo autoriz-
zò a fondar delle chiese. S. Maruta
tenne due sinodi a Ctesifone : nel
secondo, tenuto l'anno 4'4> ^^ ^^^'
dannato l'arianesimo, e si fecero
delle savie regole per la disciplina.
Ritornò aHa sua sede assai attem-
pato, portando seco molte reliquie
MAR
di martiri che depositò nella sua
chiesa, per cui la città prese il no-
me di Martiropoli. Egli morì in-
nanzi la metà del quinto secolo, e
fu sepolto nella sua chiesa. Il suo
corpo fu trasportato in Egitto du-
ranti le incursioni degli arabi e
de'persiani, e si conserva nel mo-
nastero della Madonna, nel deserto
di Sceti, abitato da monaci siri. 1
cofti di Egitto onorano s. Maruta
a' 19 febbraio; i siri ed i melchiti
a' 6 dello stesso mese ; i greci e i
latini a' 4 dicembre. L'opera prin-
cipale di questo padre è una litur-
gia siro-caldaica, la quale è ancora
usata in certi dì dai maroniti. Nel-
la biblioteca vaticana conservasi un
mss. in siriaco d' un suo commen-
tario sopra il vangelo di s. Matteo.
Ebedjesus fa menzione di un' isto-
ria del concilio di Nicea, i cui ca-
noni erano stati recali in siriaco
da s. Maruta.
MAUZATO Anselmo, Cardina-
le. Anselmo Marzato di Sorren-
to, ma nato in Monopoli in occa-
sione che suo padre era governato-
re di quella città, in cui accasatosi
vi avea fissato il soggiorno. Dotato
di eccellenti prerogative, non meno
d'animo che di corpo, disprezzale
onorevoli nozze , alle quali veniva
invitato da una donzella di sua pa-
tria ricca e nobile, determinò di
consagrarsi a Dio nella religione
de' cappuccini, e datosi all' esercizio
della predicazione, per la quale non
mancavagli alcuna di quelle doti e
qualità, che conducono a formare
un perfetto oratore, vi riuscì famo-
so ed eccellente. Dopo aver predi-
cato ne' principali pulpiti d' Itaha
e delle Gallie, fu deputato a pre-
dicare avanti al Papa ed ai cardi-
nali, con loro infinita soddisfazione,
onde Clemente VIII soleva chia-
IVI A U
Iti urlo Paolo redivivo e tromba ce-
leste. Nel viaggio che fece il Pon-
tefice a Fcrraia, Anselmo lo seguì,
ma a tenore della tegola di s. Fran-
cesco sempre a piedi. Avanzato al-
' le prime cariche di sua religione,
ti2ologo del s. ofTizio e del cardinal
Aldobrandino legalo a latere di
Francia, e poi eletto nel i59g
procuratore generale dell'ordine, in-
di Clemente Vili a' 9 giugno i6o4
lo creò cardinale prete di s. Pie-
Ilo in Montorio, e venne denomi-
tialo il cardinal di Monopoli. Al-
lo splendore della dignità seppe
unire rumiltà e la modestia de' cap-
puccini, di cui non lasciò mai l'abito
e ne osservò esattamente l'istituto,
alzandosi a mezza notte per salmeg-
giare, adempiendo i digiuni pre-
scritti dalla regola, e ne' venerdì
e sabbati si pasceva di pane ed
acqua. L* Aniidenio con calunnia
lo disse crapulone, mentre era par-
chissimo nel cibo, come lo celebra-
rono diversi storici. Generoso coi
poveri, liberale verso tutti e pieno
di compassione, visitava i suoi ser-
vi infermi ; e per la rigidezza e pu-
rità del corpo e dello spirito, fu
detto il secondo s. Francesco. Virtù
così specchiata, non andò esente da
imposture e falsità iuTentate dai
malevoli invidiosi della sua gloria ,
tentando offuscarla , accusandolo
persino al s. ofTizio, che piedicando
in Francia avesse proferite alcune
proposizioni ereticali. Chi però ne
fu r autore ne pagò anche in que-
sto mondo la pena con una ignomi-
niosa fine, a cui dall' umana giu-
stizia fu condannato a morte per
altri dcliltf. Conoscendo il Marzalo
che alle calunnie taluno fatalmente
vi credeva, ne concepì tal coidogiioj
che morì d' anni G4 nel convento
di Frascati nel 1607, dopo 38 me-
VOI. XLIII.
M A Pi xogf
si di carditialato. Trasferito a Ro-
ma, ebbe sepoltura nella chiesa del
suo titolo, senza alcuna memoria.
Ne fanno elogio il Baltaglini, i con
tinuatori del Ciacconio, ed altri. In-
tervenne ai cotìclavi di Leone XI
e di Paolo V.
MARZIALE (s.), vescovo di Li-
moges. Fu utio di que'celebri mis-
sionari, a detta di s. Gregorio di
Tours, i quali essendo stali mau-
dati da Roma con s. Dionigi di
Parigi circa la metà del terzo se-
colo, predicarono il vangelo nelle
Gallie. Egli fermò la sua sede a
Limoges, e ne fu il primo vescovo.
Le sue fatiche apostoliche operaro-
no la conversione di gran numero
d' idolatri. La sua tomba fu illu-
strala da molti prodigi; e molli ne
furon fatti eziandio in Virtù delle
sue reliquie. Leggesi il suo nome
Begli antichi martirologi il giorno
3o di giugno. V. Limoges.
MARZIALE (s. ), martire. V.
Fàusto, Gennaro e Marziale (ss.).
MARZIALE Ugo , Cardinale.
Ugo di s. Marziale, così detto dal
castello ove nacque nella diocesi di
Toul, nella provincia d'Aquitaniu;
dottore in entrambe le leggi, e pre-
posto di Douay, venne incaricato
di portarsi col carattere di nunzio
in Sicilia nel i352, per islabilire
una perfetta concordia fra Lodovi-
co i re d' Ungheria, e Giovanna I
regina di Napoli, nella quale lega-
zione ebbe a compagno Guglielmo
arcivescovo di Braga. Innocenzo VI
a' 17 settembre del i36t lo creò
cardinale diacono, sebbene assente;
poi ebbe per diaconia la chiesa di
s. Marra in Portico, e fu fallo ar-
ci[»rcte della basilica di .'^. Pietro.
Intervenne al conclave per Urbano
V, e lo tìeguì da Avignone in Ita-
lia, noft a quello di Gregorio XI,
>4
aio MAS
che partendo da Avignone lo lasciò
ni governo di quello stalo, e mo-
rendo in Roma noniinollo suo esecu-
tore testamentario. Benché non fosse
presente all'elezione di Urbano VI,
aderì al partito dell' insorto anti-
papa Clemente VII ; mori nello
scisma in Avignone nel i4o3, e fu
sepolto nella chiesa de' celestini al
ponte di Sorga.
MARZIO ( s. ), abbate. Nato in
Alvergna verso l' anno 44^, diede
a conoscere fin dalla sua giovinezza
grandissimo zelo pel servigio di Dio,
e per gli esercizi della penitenza.
In età di circa cent'anni si ritirò
sopra una montagna poco lungc da
Clermont, ove si unirono a lui al-
quanti discepoli, i quali viveano co-
m'esso delle limosi ne de' fedeli. Au-
mentatasi la comunità, edificò un
monastero più regolare, in cui vis-
se oltre sessant'anni in applicazio-
ne continua a tutti i suoi doveri.
La sua eminente santità lo fece giu-
dicar degno del sacerdozio. Iddio
r onorò del dono dei miracoli ; e
fra quelli cui tornò la salute in
una maniera soprannaturale, si an-
novera Fiorenzo padre di s. Gre-
gorio di Tours. Morì verso Tanno
525, ovvero 53o, e fu seppellito
nella cappella del suo monastero.
Onorasi in Alvergna il dì i3 aprile.
MASAMIG. Sede vescovile della
diocesi de'caldei, sotto la metropoli
di Bassora, di cui ne fu vescovo
Abramo, che sedeva sotto il cat-
tolico Jesuiab III. Oriens christ.
ì. II, p. 1260.
MASCA Pandolfo, Cardinale.
Pandolfo Masca pisano, distinto col
titolo di maestro, fatto suddiacono
del palazzo apostolico da Calisto II,
in premio di sua esimia virtù, nel
dicembre 1 182 Lucio III lo creò
cardinale prete de' ss. XII Apostoli.
MAS
D* ordine di Celestino III si du-
vette recare a Genova nel 1 196
col carattere di legato pontificio,
per quietare le civili discordie in-
sorte tra i genovesi ed i pisani. In-
nocenzo III nel I 198 lo spedì le-
galo in Toscana, in compagnia del
cardinal Bernardo^ per dichiarar
nulli ed invalidi alcuni patti stipu-
Iati tra parecchie città della To-
scana, senza il consenso della santa
Sede, che avea diritto su quel du-
cato. Scrisse le vite di alcuni Popi,
o a meglio dire fece delle aggiunte
alla cronaca creduta del Pontefice
s. Damaso I, secondo il Ciacconio
e rOudiu. Queste vite sono ripor-
tate dal Muratori nel t. Ili, Script,
rer. Italie, par. I, p. 3 04 e seg.
Il Mansi però ha dimostrato che
Pandolfo scrittore delle vite de'Pa-
pì è diverso dal cardinale, e il
Cardella vi conviene. Compose al-
tresì una storia riguardante le im-
prese e le preclare azioni de' suoi
concittadini, la quale non ha mai
veduto la pubblica luce. Si trovò
presente alla canonizzazione di s.
Giovanni Gualberto, ed ai comizi di
quattro Papi, morendo in gran ri-
putazione ed in età decrepita cir-
ca il 1202, essendo primo dell'or-
dine de' preti. L* Einsengreno scrisse
di lui, che fu dottore in sacra Scrit-
tura, oratore eloquente, peritissimo
nell'arte di perorare, storico cclo-
bratissimo, e talmente versalo in
teologia, che a niuno la cedeva in
tal facoltà.
MASCHERA, Oscillum, Perso-
nay Larva. Faccia 0 testa finta di
carta pesta, di tela cerata e dipin-
ta, di cera o di cosa simile. Co-
pertura con un naso e con due
occhi che mcttesi sulla faccia per
trasfrrmarsi, siccome dicesi anche
della persona stessa che si trasfoi>
MAS
ma. La maschera si usa principal-
mente in tempo di carnevale. Tra-
vestimento di varie foggie^ contraf-
fazione di abiti e di costumi, ed
anche di favella di varie persone
e nazioni. Chiamasi in latino la
maschera persona per doppio si-
gnificato : il primo è a personando,
secondo Gellio, lib. 5, cap. 7. Nani
caput, et OS cooperimento personae
tectum undique^ luiaque tantum vo-
cis emittendae via apertum: quo-
lìiam nec voga^ nec diffusa est,
in unum tantum modo exitum coar-
ctal voceniy et magis claros^ cano-
rosque sonitus facit. Ob eam cau-
sani persona dieta est, o, littera
propter vocahuli forniam produciio-
ne. Secondo questa etimologia era
il costume de' gentili tanto latini
ijuanlo greci, che nella morte dei
nobili usavano i trombetti ed i
suonatori di flauto, e costumavasi
particolarmente in Roma, dove so-
navano in tale occasione maschera-
ti. Dicesi ancora la maschera per-
sona dal figurare con essa, rap-
presentare e fingere alcun perso-
naggio; onde da Seneca fu detta
Personata felici tas , la felicità non
vera ma simularla, quasi dica ma-
schera di felicità. Marziale chiamò
maschera i tinti capelli, e masche-
ra del capo fu detta la parrucca.
L' invenzione della maschera si at-
tribuisce agli egiziani, propagata da
Orfeo ne' greci, e da questi passata
ai romani, e dall' Italia in Germa-
nia, e diffusa per tutto il mondo.
Le maschere del teatro debbono la
loro origine all'arte dell'imitazione.
Non fu da principio se non che
tingendosi o imbrattandosi il volto^
che i primi attori si mascherarono.
Tespi poeta tragico greco ed at-
toi^, fu il piioio che bruttandosi
il viso di feccia di vino, scorse coi
MAS 2 1 !
suoi compagni i borghi e i villaggi
con quella follia avventurosa. In
appresso si pensò a fabbricare al-
cuna specie di maschere, che di™
cevansi fatte colle foglie di una pian?*
ta nominata arction, alla quale si
fa'' corrispondere la nostra bardana
grande o maggiore, detta tuttora
arction lappa. Allorché il poema
drammatico acquistato ebbe tutte
le sue parti, gli attori trovaronsi
forzati a rappresentare personaggi
in diversi generi, di diverse età e
di diverso sesso, e quindi si videro
obbligati a cercare qualche mezzo
per cambiare ad un tratto di for-
ma e di figura . Fu dunque in
quella occasione, che secondo alcuni
comparvero le maschere di diverse
sorte, le quali oltre i lineamenti
del viso, rappresentavano ancora la
barba, i capelli, le orecchie, e tal-
volta fino gli abbigliamenti delle
teste femminili. Non è facile pre-
cisare chi fosse l* inventore di quel-
le maschere, e si attribuisce al poe-
ta Cherilo contemporaneo di Tcspi^
ad Eschilo che almeno ne estese
l'uso e l'applicazione, al poeta Fri-
nico ch'espose pel primo nel teatro
una maschera da donna . Ptoscio
Gallo poi fu il primo che mostrossi
con una maschera sul viso nel tea-
tro di Roma, alGne di nascondere
la deformità de'suoi occhi ch'erano
biutlamente loschi.
La forma, come pure la materia
di queste maschere non fu sempre
eguale. Le prime non erano for-
male se non che di foglie o di
corlcccie d' alberi; in appresso se
ne fabbricarono di cuoio, foderate
di tela o di qualche altro tessuto,
ma come facilmente perdevano le
loro forme e i loro lineamenti, si
introdusse la pratica di farle inte-
ramente di legno. Il greco Giulio
212 MAS
Polluce nel lib. IV del suo Ono-
mastico dislingue Ire specie di ma-
schere sceniche, le cornicile, le tra-
giche e le satiriche, poiché la sa-
tira entrava allora tra le rappre*
sentazioni drammatiche. In gene-
rale la forma delle maschere por-
tava al ridicolo, e consisteva in
quello che noi chiamiamo carica-
tura ; le maschere tragiche erano
formate in modo da ispirare la
compassione o il terrore; le ma-
schere satiriche presentavano esseri
immaginari, come satiri, fauni, ci-
clopi e simili, aventi un aspetto
piacevole, con lineamenti regolari.
Nelle maschere antiche l'ampiezza
della bocca era frequentissima, affin-
chè più facilmente uscisse la voce de-
gli attori, e non solo coprivano la
faccia, ma tutto il capo. Oltre le ma-
schere sceniche, i greci conoscevano
altre tre specie di maschere distinte
con tre differenti nomi, i quali [>erò
in appresso furono adoperati in-
differentemente per indicare qua-
lunque sorte di maschere. Le più
comuni e naturali chiamavansi prò-
sopopeìe; meno comuni erano quel-
le degli altri due generi, dette mor-
molycheia e gorgoneia: le prime
servivano a figurar le ombie o le
anime de' morti, e avevano sempre
qualche cosa di spaventevole; le
altre erano fatte anch' esse per i-
spirare terrore, e non rappresentava-
no che figure spaventevoli, come le
Gorgoni, le Furie e cose simili.
Altra specie di maschere furono
quelle inventate da Ermone, dette
hermoneìa, e di due sorte , cioè
calve sul davanti con barba ben
fornita, con sguardo aspro e corruc-
ciato, e semplicemente colla testa
rasa e la barba foltissima. Fra le
maschere comiche alcune avevano
doppio il viso, forse perchè TaUore
MAS
volgendosi or ila una parte, or daf-»
r altra, mostrasse sempre quel la(a
della maschera che conveniva alla
sua situazione attuale, in quelle sce-
ne, in cui necessario diventava il
cambiamento improvviso. F. Fran-
cesco Ficoroni, Le mascìiere sceniche
e le figure comiche ci' antichi ro-
manif Roma 1736. Inoltre le ma-
scheie furono dagli antichi usate
frequentemente nelle cerimonie re-
ligiose, e specialmente nelle feste
di Bacco, e di molte altre divinità,
conie in quelle di Minerva, di Ci-
bele, d' Iside ; nelle feste di Cerere,
di Strema , nelle saturnali, nelle
lupercali. Venerando i pagani Iside
qual madre degli Dei, nell'entrare
di primavera ne celebravano solen-
nemente la festa i romani, andando
mascherati, ed avendo libertà di
rappi'csentare chiunque avessero vo-
luto, eziandio i magistrali, e con
tanta naturalezza che i finti dai
veri non si distinguevano. In una
di queste mascherate, certo Mater-
no mascherato da alabardiere tentò
di uccidere Comodo, per impadro-
nirsi dell' impero. Si faceva uso
altresì delle maschere ne' trionfi ,
nelle pompe pubbliche, talvolta nei
banchetti e fors' anche ne'funerali,
giacché, come si avvertì, i suonatori
di flauti edi tromhelte sonavano ma-
scherati. Era eziandio uso antico dei
pagani mascherarsi il piimodi genna-
io, e prendere la figura di certi ani-
mali, come di vacca, di cervo, ec.
S. Massimo vescovo di Torino, nel
sermone ch'egli lece nel primo del-
l' anno 4^9 circa, sgridò assai co-
loro che secoiìdo la superstizione
de' gentili si tramutavano in cose
oltremodo sconce e contraffatte ,
perchè gli uomini non solo si tras-
formavano in donne, ma in di-
verse maniere d' aiumali, aiwi dì
MAS
mostri. TI concilio di Atixerre del
585 probi ai cristiani d' imitare
tale cos5tume; ed un antico canone
penitenziale romano impone tre
anni di penitenza a chi avesse da-
to questo scandalo, su di che può
vedersi le noie del p. Menard sul
Sa grame ntario di s. Gregorio 1,
p. 252.
La legge di Mosc proibiva alle
donne vestirsi da uomo, ed agli
uomini prendere gli abili da don-
na, perchè quest'era un'abbomìna-
zione innanzi a Dio, come si legge
nel Deuteronomio e. 22, i, 5. Os-
servano i commentatori che presso
i pagani i sacerdoti di Venere in
certe cerimonie si vestivano da
donne, e che per sacrificare a Mar-
te le donne prendevano gli abiti
e le armi da uomo ; dunque la
legge proibì ai giudei una delle
superstizioni dell'idolatria. Gli stes-
si autori profani rimarcano che
queste sorte di maschere aveano
sempre per iscopo il più materiale
libertinaggio. Si sa pur troppo che
presso noi, come altrove, quei che
si mascherano per trovarsi nelle
notturne radunianze, lo fanno per
godere sotto la maschera quella li-
bertà, che non avrebbero co^iaggio
di prendersi a faccia scoperta. Di-
cono i moralisti che l' uso delle
maschere diviene illecito in molte
circostanze, come nei divertimenti
di carnevale ed altri simili, essen-
done conseguenza ordinaria il pec-
calo. Quanto agli ecclesiastici ed
ai, religiosi, che si mascherano per
allegria e divertimento, è opinione
di alcuni moralisti che non si pos-
sano scusare di peccato morlale,
come lo prova solidamente il p.
Concina domenicano veneto, in u-
na dissertazione su questo argomen-
to stampata in Roma nel 1752,
MAS 2i3
tanto per la santità dello slato chle-
ricale, quanto per gli statuti dei
sinodi, che proibiscono siffatto abu-
so sotto pena di scomunica incorsa
pel solo fatto, e per la testimonian-
za de' casisti anche i più. rilasciati,
come Diana, Bonacina e Sanchez.
Del paganesimo resta una delle
traccie nelle ferie carnevalesche;
e quanto al tempo, siccome i ro-
mani antichi si mascheravano al-
l' incominciar di primavera, quasi
presso a quel tempo ora incomin-
cia il carnevale in Roma : della
faceta e notissima maschera napole-
tana del Pulcinella, il Cancellieri ri-
portò alcune erudizioni a p. 4^ ^
44 ('elle sue Notizie della venuta
in Roma dei re di Danimarca, ec.
I ss. Ambrogio, Agostino, Pier Gri-
sologo { il quale inveì contro i cri-
stiani che nel primo di gennaio
con maschere prendevano la forma
degli Dei de' gentili), e fra'greci s.
Gio. Crisostomo, riprovarono nei
cristiani l'abuso di mascherarsi, ed
altrettanto fece s. Carlo Borromeo,
Jet. eccl. Mediol. p. 7, e. 7. Tut-
ta volta in progresso di tempo le
maschere si sono straordinariamen-
te aumentate, moltiplicate e modi-
ficale in varie forme ne'tempi mo-
derni, massime dopo l'introduzione
de^Daili in maschera, antichissinù
però in Italia, ed in Francia in-
trodotti sotto Luigi XIV, nel qual
tempo sussistevano le maschere dal-
l' Italia introdotte nel regno di
Francesco I, cioè le maschere di
velluto nero foderate di pelle, che
le donne usavano per conservar la
pelle o per una specie di modestia
per essere meno esposte alla vista
del pubblico, e da esse derivarono
in Italia quelle che coprivano sol-
tanto la metà del volto. Di siffatte
maschere conservatrici della pelle
4i4 MAS
e del coloic ilei viso, di rijxii'O al
vento ed al sole, se ne attribuisce
r invenzione a Poppea moglie di
Nerone, che inventò pure altri mez-
zi per conservare la bellezza fem-
minile. Nel possesso preso da Cle-
mente XI nel 1701 , la regina di
Polonia Maria Clementina si recò
a vedere la cavalcata nel palazzo
nuovo de' conservatori sotto bal-
dacchino, e finché non comparve
il Papa avea tenuta la maschera
di velluto. Delle maschere e delle
mascherate ne parlammo in diversi
articoli del Dizionario ; ed oltre gli
articoli Befana ed Epifania , si
possono vedere Giuochi nel voi.
XXXI, p. 176, 177, 178 e 187,
ove si disse del carnevale e delle
corse de' cavalli ; Festa nel voi.
XXIV, p. 21 3, 223, 224 e 225,
in cui si parlò delle bizzarre e cla-
morose feste dei re della fava, del-
la festa degli asini, e delia festa
dei pazzi ; e principalmente nel voi.
X, a Carnevale^ ove si trattò de'sa-
turnali, baccanali, ed altre gozzovi-
glie e dissolutezze degli antichi ;
delle feste di Bacco, di Cerere, di
«Strenia, delle lupercali, di quelle
de* pazzi e degli asini in cui avea-
no luogo mascherale bizzarre e li-
cenziose ; dell' uso delle maschere
e di quelle che aveano luogo nelle
caleode di gennaio, ed altre diver-
se mascherate, non che di quanto
fece la Chiesa nel tollerarle, pro-
movendo al tempo stesso molti eser-
cizi di pietà. Finalmente nel me-
desimo volume evvi Carnevale di
BoMA , brillantissimo e giocondo
spettacolo, come si celebrava anti-
camente, delle mascherate e corse
di cavalli che hanno luogo oggidì,
e dellij sospensione delle maschere.
MASCHIE VOHUM. Sede vesco-
vile armena Sotto il cattolico di
MAS
Sis, di cui fu vescovo Tarasio che
assistette al concilio di Sis. Oricns
christ. l. I, p. 1437.
MASCIARTUM. Sede vescovile
armena sotto il cattolico di Sis,
il cui vescovo Vertano intervenne
al concilio di Sis. Oriens christ,
t. I, p. 1437.
MA SCIO Girolamo, Cardinale.
F, Nicolò IV, Papa.
MASSA di carrara { Mus-
sta ). Città con residenza vescovile
nel ducato di Modena presso la ri-
va sinistra del Frigido, in una a-
mena pianura, capitale del ducato
di Massa-Carrara. I due paesi di
Massa e di Carrara sono compresi
nella Toscana occidentale, e costi-
tuirono altre volte due vicarie se-
parate, dipendenti talora da un sol
governo, tale altra dominate da
padrona parziali sotto titolo diver-
so ; poiché Massn in origine fu do-
minata dai marchesi, e perciò de-
nominata Massa del Marchese j
nel i568 fu eretta in principato,
e nel i663 in ducato. Al contra-
rio Carrara intorno al mille fu da-
gli imperatori concessa e quindi
confermata in feudo col suo terri^
torio ai vescovi di Lun» ; più tar-
di fu dominata or dai pisani, or
dai lucchesi, talvolta dai Visconti
di Milano, finché ceduta ai Cam-
pofregosi di Genova, fu da questi
eretta in signoria. Acquistata poi
dai marchesi Cibo o Cybo Maia-
spina di Massa, fu dichiarala ca-
poluogo di marchesato, poi di prin-
cipato, finche sotto Francesco IV
duca di Modena, Carrara fu con-
teu)plata come un solo ducato
con quello di Massa, per quanto
questa ultima città serva di resi-
denza alle primarie autorità go-
veinalive, giuridiche, politiche, fi-
nanziarie e militari. Essendo (lonii»
MAS
lìiitrice di Massa e Carraia Maria
Beatrice, moglie di Feidiuando ar-
ciduca d'Austria, figlio dell'impe-
ratore Francesco I, ultimo rampol-
lo delle case Este e CiboMalaspi-
iia, nel 1796 al declinar del seco-
lo passato e nei primi del corrente
la guerra dei francesi fece cambiare
aspetto politico agli stati di Massa e
Carrara, che furono uniti alla re-
pubblica Cisalpina, ed alla prefet-
tura del dipartimento del Crostolo,
poscia passarono sotto il regno ita-
lico al dipartimento delle Alpi A-
puane ; finalmente per decreto dei
3o marzo i8o6 il paese di Massa
e Carrara fu eretto iu feudo im-
periale da Napoleone, coll'assegnar-
ne r amministrazione governativa
alla principessa di Lucca Elisa di
lui sorella. Questa dopo aver fat-
to di Massa e Carrara una sotto-
prefettura, dopo aver messo il nuo-
vo feudo imperiale a parità di re-
gime con quello di Lucca, e dopo
aver destinato per le villeggiature
il palazzo de' ducili di Massa a sua
abitazione, decretò che il tempio
maggiore de'massesi si distruggesse
dai fondamenti per avere piti vasta
piazza avanti il palazzo, e più li-
bera visuale verso il tramonto. Co-
sì la chiesa più moderna, più va-
sta, la meglio architettata ed or-
nata di Massa sparì in poche set-
li uta ne, senza che la città guada-
gnasse nulla dalla momentanea re-
sidenza dc'uuovi principi. Nel 1809
Napoleone conferì al suo gran giu-
dice Regnier il titolo di duca di
Massa- Carrara. Alla ripristinazione
delle cose politiche, nei trattato di
Vienna de' 9 giugno i8i5, il du-
cato di Massa e Carrara fu resti-
tuito, alla sua naturale sovrana Ma-
ria lìealrice, la quale ordinò l' u-
tilibsuno e dispendioso catasto del
MAS 2i5
ducato di Massa e Carrara nel
1820, che pose in attività nel 1824.
Morta la duchessa a' i4 novembre
1829, il ducato passò al figlio Fran-
cesco IV duca di Modena, arciduca
d'Austria e suo primogenito. Le
memorie storiche d'illustri scrittori
e d' uomini insigni del ducato di
Massa e Carrara in Lunigiaua, si
leggono nel voi. I, p. i5i e seg.
delle Mem. storiche, di Limigiana,
di Emmanuele Cerini. Questi cenni
sono per quanto spetta al ducato
di Massa e Carrara, ora prima di
parlare della città di Massa, pre-
metteremo alcune notizie sulla cit-
tà di Carrara. F'. Modena, e Cibo
Famiglia.
C^/T^r^, capoluogo di comunità
e di principato, trovasi alle base
occidentale dell' Alpe Apuana, e
nel fondo della valle solcata dal
piccolo fiume Avenza, quattro mi-
glia distante dal suo litorale, sot-
to quei monti inesausti di candido
marmo, per cui Carrara ebbe ori-
gine e celebrità. In fatti l'etimolo-
gia di questa Carrara , Carraria,
piuttostochè dalla strada Carrarec-
cia sterrata, sembra cosa più ana-
loga derivarla dalle sue cave, che
Carrariae appellavano gli scrittori
de' tempi barbari. L'origine di Car-
rara risale all'epoca delle prime la-
vorazioni delle lapidicine di Limi
[P^edi), come il punto più centrale
delle cave, il luogo di maggior riu-
nione e domicilio di lavoranti, di
amministratori o altri impiegali
del fisco imperiale, per conto di
cui si scavavano e si amministrava-
no nei primi secoli dell' impero ro-
mano le cave dei monti di Luni.
E incerto se i manni lunensi di
Carrara furono adoperati dagli e-
liuschi o dai liguri che occuparono
per lungo tempo il paese fra {Wv-
DìG MAS
pò e la Magra. ScI)bcno gli scrit-
Ipri del secolo di Angusto non fac-
cia do parola della scoperta del bian-
co ordinario e del marmo turchi-
no venato o bardiglio che scavasi
d«i tempo imnìemorabile nei monti
di Carrara, pine da Strabone si
ha la conferma che n' suoi tempi
si rejiavano dalle hmensi lapidicine
grandissime tavole, colonne è mas-
si marmorei per faine squisiti la-
vori che ammiravansi in Roma e
in altre qilta d'Italia. Che il luogo
di Carrara sino dai primi tempi
dell'impero fo^se abitato da varie
classi di qrtisti formanti probabil-
inente collegi, e forse con decurio-
ni^ ne danno argomento per cre-
derlo il lusso introdotto nella capi-
tale del mondo sino dai tempi di
Mamurra, che volle l'atrio del suo
palazzo adorno di colonne di mar-
ino lunense; e lo attestano le ma-
gnificenze di Augusto che cangiò
Iloma di laterizia in marmorea, /V
ciò si aggiunga, che a ciascuna spe-
cie di lavoro di marmo erano an-
che a quell'età destinati diversi ar-
tefici, scufptores, mnrmorarii, lapi-
(larii^ (jiiadraianiy musaru\ cluira-
itcr'n ec. Il marmo candido finissi-
jno statuario delle cave lunensi, fu
al dir di Plinio scoperto poco pri-
ma di sua età ; la quale scoperta
fece diqienticare agli scultori venuti
in Italia dalla Grecia il loro fami-
gerato marmo pario o paro e quel-
lo pentelico, di cui sino allora a-
veano gli statuari qijasi esclusiva-
mente fatto uso. Sotto il monte
Sagro esistono le più doviziose ca-
ve. Le principali qualità dei mar-
mi di Carrara sono gli statuari fini
bianchi-avorio, gli oi'dinari bianchi
di qualsivoglia grandezza, gli sla-
stuari salini, gli ordinari di tin-
ta bianca cerulea, i veriali bardi-
ci AS
gli fiorili, i bianco-venali e barr
digli venati e macchiati di pao-
nazzo.
F'ra gli cdifizi e monninenti piìi
rimarchevoli di Carrara, cvvi il pa»
lazzo del principe, ove nel 181 5 vi
fu trasferita 1* accademia delle bel-
le arti eretta da Maria Teresa, cui
nel 1769 aveva assegnato un nuo-
vo edifizio, avendola arricchila di
eccellenti esemplari la duchessa Ma-
ria Beatrice. La chiesa collegiata
insigne di s. Andrea fu fabbricata
npl XIII secolo, quindi adornata
di sculture nel XV, pregevoli per
lo studio dell'arte; il capitolo si
compone delle dignità del prepo-
sto, del primicerio e dell' arcidia-
cono, con quattordici canonici, eser-
citando il preposto l'incarico di
pievano e di vicario foraneo sopra
il clero e popoli della comunità di
Carrara. Esistono altri edifizi sacri,
e tutti copiosi di marmi, fra i
quali si distingue per ricchezza c|i
pietran^i stranieri, il tempio della
xMadonna delle Grazie; per buon
di seguo, e per un eccellente dipin-
to quello di s. Giacomo annesso
allo spedale, e l* altro di s. Fran-
cesco de' minor osservanti. Le due
piazze, varie strade, e alcune ahi-
tazioni private sono adorne di fon-
ti di acqua potabile : una d' esse
situala nella piazza A Iberica scatu-
risce dal piedestallo di una stallia
colossale che il pt)polo carrarese
innalzò all' ultima sua sovrana Ma-
ria Beatrice figlia unica dell'ultimo
rampollo di due sovrane famiglie
italiane, e madre di Francesco IV.
Non mancano a Carrara decenli
palazzi di marmo, ne buone ahi
ta/ioni , non proporzionate però a
(|uesto paese di artisti, in mezzo al
più ricco e più celebre emporio di
marmi, per cui si conleojplano dai
I
MAS
forastieri le montagne di esso; es-
sendo poi le numerose officine, lic-
clie di lavori di statuaria, e di or-
nato. Carrara è madie di uomini
distinti in varia sfera, fra' quali si
innaÌ7arono in grido nel secolo
XVI, Danese Catimeo poeta e scul-
tore; Francesco Moscliino scultore
e ornatista insigne; Francesco e
Agostino Caiamecch, artisti che la-
sciarono opeie celebrate in Messina;
Pietro Tacca scolare il più valente
di Gio. Bologna ; e Antonio Guidi
cognato di Tacca, scultore e inge-
gnere. Appartengono al secolo XVII
Ferdinando Tacca, degno figlio di
Pietro; Giuliano Finelli, scultore in
marmi e in bronzi ; Andrea Bol-
gi ; Francesco e Gio. Battista Ba-
ratta. Nel secolo XVIII il ven.
Gio. Francesco Tenderini vescovo
di Civita'Castellana , insigne per
cristiane virtù ; Cybei, due Fran-
zoni ; ma tutti cedono per fama
di sapere a tre grand' uomini del
secolo XIX, i quali ebbero culla
in Carrara, cioè Carlo Finelli, cav.
Pietro Tenerani scultori insigni, e
Pellegrino Rossi commendatore, pa-
ri di Francia, e ambasciatore di
Francia presso i Pontefici Grego-
rio XVI e Pio IX. In Avenza vi
è r arcipretura di s. Andrea, in Be-
dizzano quella di s. Genesio, in
Fossola e Moneta quella di s. Gio.
Battista, ed in Gragnana e Noceto
r altra di s. Michele ; oltre a ciò
nella diocesi sotto la comunità e
principato di Carrara vi sono altre
sette chiese rettoriali. Il clima di
Carrara e di tutto il territorio ge-
neralmente è temperato , di aria
elastica, pura, e tale che imprime
all'individuo un carattere vivace,
intraprendente, generoso.
Dall' accrescimento e floridezza
commerciale de'inarmi lunensi, scm-
MAS
2 17
bra certo che l'origine di Cai rara
si debba ritenere contemporanea
alle suaccennate lavorazioni ; ma la
di lei sorte affievolì, e quasi restò
spenta con la fortuna di lloma, e
con la rovina del suo impero. For-
se (jualche sollievo potè risentire la
contrada dal genio di Teodorico re
de' goti: quindi seguirono circa sei
secoli di tenebre, durante il qual
tempo dubitano gli storici che vi
sia monumento marmoreo, che pos-
sa dirsi uscito allora dalle viscere
dei monti di Carrara. Era il pae-
se in abbandono, quando gl'impera-
tori Carolingi lo donarono ai vesco-
vi e conti di Luni, e Ottone I nel
g63 confermò loro la corte di Car-
rara Nuova, e piti larga donazione
fu fatta a que' prelati da Federico
I nel I 1 85, e da Enrico V l nel
ifC)!, comprese le cave carrai'esi.
Divenuta la sede di Luni pericolo-
sa ad abitarsi per cagione de' pi-
rati, e di mal' aria, i vescovi pas-
sarono a risiedere in Carrara, e
vi erano nel 998. Tre secoli prima
nelle vicinanze di Carrara si riti-
rò s. Ceccardo martire della chie-
sa hmense, patrono principale della
città e distretto di Carrara, nella
cui collegiata si venerano con fi
ducia le sue reliquie, ed ove nei
ii37 convivevano preti col pieva-
no. Gottifredo II vescovo di Luni
e Sarzana nel i i5r stando in Car-
rara fece solenne cessione della pie-
ve medesima di s. Andrea, e di
tutte le sue parrocchie suffraganee,
giurisdizioni, decime e beni, a f^i-
vore del priore della chiesa de'ca-
nonici lateranensi di s. Frediano
di Lucca. Da quell'epoca in poi
sino al secolo XVI 11 la pieve di
Carrara fu considerata qual chiesa
nidlius clìocesis, governata dal dello
priore con tutti i diritti abbaziuli.
2i8 MAS
^[el Icmpo che i carraresi furono
lìi-essochè esentali cUillu potestà spi-
rituale de' vescovi di Luni, a poco a
poco si emancipò ancora dalla loro
potestà teujporale per costituirsi e
reggersi a comune : tale già era di
fatto quando i suoi rappresentanti
ottennero dal loro antico signore
il terreno per edificare la borgata
di Avenza per comodo de'carrettie-
ri e marinari destinati al trasporto
de'marmij ora grosso borgo e ca-
stello. Nel I202 in un compromes-
so fra il vescovo di Luni e i mar-
chesi Malaspina, intervennero co-
me garanti i consoli e i militi del
comune di Carrara, segno evidente
del suo governo municipale. Indi
Carrara soggiacque al dominio dei
pisani, che s'impossessarono degli
antichi feudi de' vescovi e conti di
Luni; ed ai pisani dovè la riattiva-
zione delle sue lapidicine promossa
dall' innalzamento della magnifica
primaziale, e dalle opere stupende
scolpite da Nicolò Pisano e dai nume-
rosi suoi allievi; e fu altresì durante
il loro dominio, che i carraresi co-
minciarono a edificare con disegno
gotico- italico il piti bel tempio del
medio evo eh' esista in Lunigiana.
Alla signoria della repubblica di
risa iu questa contrada subentra-
rono altri potentati per la foiza
delle armi, o per quella dell' oro.
Caslruccio signore di Lucca la con-
([tiislò nel i322, enei 1829 fu com-
prata dagli Spinola genovesi ; indi
nel i33o e i335 l' acquistarono
Rossi signore di Parma, e Mastino
della Scala tiranno di Verona. Nel
1 343 fu occupata da Luchino Vis-
conti, i cui successori diverse vol-
te vi ebbero dominio, anzi Berna-
bò la destinò per spillatico a Re-
gina Scaligeri sua moglie. Nel iSB')
i carraresi riconobbero per signore
MAS
Ciò. Galeazzo Visconti, che accor-
dò loro onorevoli condizioni, fra le
quali di non cederla ad altro co-
mune, di nominare per vicari per-
sone ghibelline, di abolire le pre-
stazioni personali , di lasciare al
comune le gabelle sul commercio
de' marmi, e di reggersi coi pro-
pri statuti.
Nel i4o2 diventò signore di
Carrara Gabriele Maria Visconti,
figlio del precedente, ma la prese
in consegna e in pegno il capitano
Giovanni Colonna, per 26,47^ ^^^'
rini di paghe arretrate: il paese
saldò il credito , e nel 14^4 '^
suo vicariato fu consegnato a Pao-
lo Guinigi signore di Lucca, previo
lo sborso al Colonnese di i5,ooo
fiorini d'oro fatto dai lucchesi. Nel
1428 fu presa ai lucchesi dal
marchese di Fosdinovo Malaspina,
e un anno dopo per conto dei
primi r occupò Nicolò Piccinino.
Indi nel i4^7 ^^ ritolse ai luc-
chesi pei fiorentini Francesco Sfor-
za, che nel i44' '^ restituì ai Vis-
conti. Estinto Filippo Maria, ulti-
mo di essi, i dinasti limitrofi Tom-
maso Cainpofregoso signore di
Sarzana^ e il marchese Malaspina
si disputarono il possesso di Carra-
ra e suo vicariato, finché nel i44^
fu aggiudicata la signoria di Car-
rara a Spinetta Fregoso, indi al
suo figlio naturale Antonielto sotto
l'iniluenza dei miliuiesi. Nel 147^
Giacomo Malaspina marchese ài
Massa cede ad Antonielto le sue
terre di s. Nazzario presso Pavia,
oltre 5ooo scudi d'oro, e ne rice-
vè in permuta la signoria di Car-
rara, con tutla la sua valle. In-
sorto contrasto nel i4B3 tra i suoi
due figli Alberico e Francesco, il
secondo s'impadronì di Carrara, che
poi restituì nel i4^4 ^'^ gennaio
MAS
i) lialt'llo. Mancato Alberico nel
i5i9 senza successione maschile,
I suoi stali di Massa e Carrara
passarono sotto la reggenza di sua
figlia Ricciarda, la quale riaiasta
vedova' nel i520 di Scipione Fie-
sco, passò in seconde nozze col
conte Lorenzo Cibo o Cybo, nipo-
te per padre d'Innocenzo Vili, e
di Leone X per via di madre.
Nacquero da questo matrimonio,
Giulio che nel i548 terminò con
tragico fine la vita nel castello di
Milano, e Alberico che fu il primo
dinasta della casa Cibo-Malaspina,
subentralo al governo dopo la
morte della madre nel i553, di-
chiarato principe di Massa e mar-
chese di Cairara con diploma del-
l'imperatore Massimiliano II, de'aS
agosto i568. Deve Carrara a que-
sto valoroso principe la costruzione
ed estensione delle sue mura ur-
bane ; quella di una vasta piazza
che porla il suo nom.e ; alcune
delle sue pubbliche fonti che l'a-
dornano ; r erezione del palazzo
sovrano, oggi sede delle belle arti ;
1 suoi statuti municipali, che so-
no tuttora di norma alla giurispru-
denza di questa città; una conven-
zione generosa che stabili coi mae-
stri dell'arte statuaria e cogli scar-
pellini , nel di cui ruolo è notato,
che nel 1570 erano fuori della
patria 5oo fra scultori e altri
lavoranti di marmo. Alberico 11
bisnipote del primo Alberico no-
minato, poco dopo salito sul so-
glio avito, nel 1663 ottenne dal-
l'imperatore Leopoldo I l'elevazione
di Carrara in principato. L'ultimo
principe di <(uesta dinastia fu Al-
dcrano che lasciò lo stato a Ma-
ria Teresa sua primogenita, la qua-
le anche dopo maritala nel 174^
ad Ercole Rinaldo d'Esle piincipe
MAS 2 r 9
ereditario di Modena, esercitò sul
paese piena sovranità, la quale
passò nell'unica sua figlia Maria
Beatrice erede eziandio dello slato
di Modena e di Massa , quindi
nei duchi di Modena . Ora ritor-
niamo a parlare di Massa.
Massa fu denominata Massa da-
cnlcy Massa lunense , e Massa
Cybeay città che fu per più secoli
la residenza de* suoi principi, ora
di un governatore ducale, sede di
un nuovo vescovato , capoluogo
tli tribunale di prima e seconda
istanza civile e criminale, e di co-
munità. Sono due Masse , l'antico
castello detto Massa vecchia, si-
tuato sopra un poggetto isolato, che
ha alle sue spalle il monte di Vn-
riana, e dal lato di levante greco
la sottoposta città di Massa nuo-
va o Cyhea^ dove già fu lui bor-
go appellalo Bagnaia. La popola-
zione e i principali edifizi pnl)bli-
ci e privali esistono in Massa
nuova , la quale risiede alle falde
occidentali del colle di Massa
vecchia j in pianura disposta a gui-
sa di cornice o margine della lar-
ghezza di un miglio in ciica, la
quale costituisce lo zoccolo me-
ridionale dell' Alpe massese. Non
solo la duchessa Maria Beatrice
eresse un magnifico ponte , dopo
caduto il nuovo appena terminato,
per attraversare il fiume Frigido,
di marmo donato e trasportato
sul luogo dai carraresi, che gratui-
tamente lo lavorarono; ma ad og-
getto di procurare alla città mag-
gior decoro, e provvederla di una
quantità più copiosa di pubbliche
i'onli di acqua [«olabile, di che
sono ricchi i colli superiori, negli
ultimi anni del suo governo ft;ce
costruire un acquedotto per con-
tlurre una ricca sebbene umile ibn-
a2u MAS
te fìiio al centro della piazza
ducale, cui fa bella aziona una
(iiipÙce fila di piante d'aranci di
Portogallo. La medesima duchessa
compì a benefìzio dell' umanità
languente un comodo spedale, e-
retto nel già convento degli ago-
fitiniani della Madonna del Monte.
Volendo procurare alla gioventù
ottima educazione morale e reli-
giosa, vi chiamò i barnabiti, e lo«
10 concesse decoroso sostentamento
€ la soppressa casa religiosa dei
serviti nel sobborgo di Massa; ma
al presente non vi sono più. E
ilifcsa da un castello , ed ha stra-
de larghe e ben lastricate, e case
in generale benissimo fabbricate,
11 palazzo icdifìcato con marmo di
Carrara, antica residenza sovrana,
è bellissimo, come i suoi giardini.
Fra gli edifìzi addetti al governo
inassese Francesco IV fece erigere
a difesa del litorale diversi forti-
ni con batteria , nuove case doga-
nali al confine, ed un palazzo pres-
so la piazza ducale , destinato per
r uffizio generale delle finanze. Vi
sono parecchi stabilimenti lettera-
ri, artistici e di beneficenza. Il suo
traffico maggiore consiste nei lavo-
ri del bel marmo bianco statuario,
proveniente dalle vicine montagne
di Carrara. Massa oltre la cliiesa
di s. Pietro contava quattro mona-
steri di religiosi, due di monaclie,
ed uno di terziarie. Gli agostinia-
ni e i serviti furono soppressi nel
secolo passalo, i minori osservanti
nel principio del corrente, e la lo-
ro chiesa, poco dopo sostituita alla
collegiata, serve attualmente di cat-
Itìdrale. Neil' istessa circostanza ven-
nero soppressi i cappuccini poi ri-
pristinali al ritorno della duchessa
MaVia Beatrice. Anche le monache
Clarisse e le terziarie francescane
MAS
in Massa vecchia fm*ono espulse dai
loro monasteri sotto la republ)lica
Cisalpina. Restò esente da tante di-
struzioni il conservatorio delle sa-
lesiane in s. Maria delle Grazie, il
(piale si conserva tuttora in ima
amenissima posizione sopra il col-
lctto a cavaliere della città.
La città di Massa diede una se-
rie di uomini illustri per valore,
per politica e per dottrina. Fra i
molti ci limiteremo a ricordare il
marchese Alberico I . il di lui zio
cardinal Innocenzo Cibo, il cardi-
nal Alderano Cibo decano del sa-
cro collegio, ed altri porporati di
tal famiglia, di cui trattammo alle
loro biografie. Furono valenti ca-
pitani , Michele Diana Paleologo ,
e Gaspare Venturini. Fra i politi-
ci più riputati sono a rammentar-
si due principi di casa Cibo, Albe-
rico I e il cardinal Irmocenzo sud-
delti : a quesli anteriore per età
fu Nicola de' nobili Cattanei , e di
poco posteriore Giulio Brunetti se-
gretario di s. Carlo Borromeo, e
antenato di altro più famoso mini-
stro vivente. Fra i doUi, Perseo Cat-
taneo, Carrara lo reclama per suo;
Antonio Venturini fu valente medica
e distinto professore d' anatomia. In
toga si distinsero l'uditore Cosimo
Farsetti, il suo parente Andrea Far-
setti , Vincenzo Cattaui , Giuseppe
Guerra gesuita , e Gio. Francesco
della Rocca. Fra gli artisti, Felice
Palma, e Giacomo Antonio Ponza-
nelli scidtori , Agostino Ghirlanda
pittore, e Pier Alessandro Gugliel-
mi celebre maestro di musica nel
secolo XV III. In questo fiorirono,
l'improvvisatore poeta latino Gioac-
chino Salvioni, e l'abbate Gaspare
Jacopelti, il (piale rianimò 1' acca-
demia delle lettere delta de' de-
reli'Uìj che nel principio del se-
MAS
colo presente cambiò il nome in
quello di Accademia delle Alpi
Apuane^ finche per sovrana appro-
■vazione nel i8i4 fu rigenerata sot-
to il titolo di Rinnovati. La posi-
zione di Massa, la bontà e tempe-
ratura del suo clima, l'ampiezza
delle sue strade e piazze, il decen-
te suo fabbricato , la maestà dei
monti che si alzano .alle sue spalle,
e le squisite produzioni del suolo,
tutto sembra concorrere a gara per
dare a questa città un aspetto pit-
torico, una fisonomia incantatrice,
alla vista delle sue deliziose colli-
ne, ai di cui piedi scorrono spu-
manti le limpide acque del Fggi-
do, del mare, e del promontorio
ed isole del golfo di Luni, ed ame-
nissima celebrò questa città il Pe-
trarca.
L' origine di Massa è incerta; il
primo monumento di sua esisten-
za è un documento dell' 882, in
cui si fa menzione del luogo, ubi
dicitur Massa prope Frigido. L'al-
tro è un diploma del 963, in cui
Ottone I concesse a Adalberto ve-
scovo di Luni, per la sua mensa,
la quarta pt^rle di Massa colle sue
dipendenze. Probabilmente dopo il
secolo IX, il poggio isolato di Mas-
sa vecchia offri una specie di ri-
fugio ad una porzione degli abi-
tanti di Luni, costretti di fuggire
da una patria stata frequenti vol-
te assalita e saccheggiata dai pira-
ti di terra e di mare, a seguo ta-
le, che le sue campagne già ferti-
li ed amenissime, converlironsi in
deserti e pestilenziali lagune. In
fatti è tradizione del paese , che
un antichissimo Crocefisso e una
campana esistenti o almeno esisti-
ti in Massa vecchia^ fossero di que-
gli oggetti sacri che i cittadini di
Luni seco trasportarono con le lo-
MAS 221
IO divinità tutelari allorché si ri-
fugiarono nel colle di Massa mo-
derna. Nel li 85 Federico 1 con-
fermò ai vescovi di Luni il luogo
di Massa, ma siccome nel 1164
uvea dato l'investitura della cj^uar-
ta parte di Massa lunense al mar-
chese Obizzo Malaspina, ai discen-
denti di questo, Federico II la
convalidò, e ciò perchè sino dal
secolo XI avea acquistato diritti di
proprietà sul paese il marchese O-
berto l conte del palazzo sotto i
due primi Ottoni, stipite dei Pal-
lavicini, degli Estensi, dei Malaspi-
na, e dei marchesi Bianchi di Mas-
sa. Dalla famiglia Malaspina, una
delle pili antiche d'Italia, alcuni
fanno discendere la gran conlessa
Matilde. Si divise in più rami, la
più memorabile delle quali divisio-
ni è quella de'due fratelli Corrado
e Opizzino o Obizzo, che anche
variarono l'arma, ritenendo il pri-
mo Tarma antica d'uno spino sec-
co, usando l'altro lo spino con fo-
glie e fiori ; i duchi di Massa fu-
rono del ramo di Obizzo. I pri-
mi marchesi di Massa, nipoti dei
figli di Alberto Rufo discenden-
te di Oberto I, furono Andrea
e Guglielmo marchesi di Palio-
di nella Liguria ; il secondo di-
venne anco giudice di Cagliari ,
dominando il primo nella Mas-
sa lunense. Figliuoli d'Andrea nei
marchesati di Massa, di Livorno
e di Corsica, più di diritto che di
fatto, furono Guglielmo ed Alber-
to, che verso la metà del secolo
XIII vivevano in Pisa quasi come
privati, mentre al dominio di Mas-
sa, dopo la morte di Andrea era
sottentrata la nipote donnicella
Benedetta, come figlia di Gugliel-
mo, e ciò risulta da un atto del
1218, per imprcstito fàltoij;li dal
112 MAS
(lomiinc (li Lucca, iIiihIo per c.Tti-
zionc la rocca di Massa: tal mar-
chesana morì nel i2 33, tlopo di
essersi col consorte giudice d' Ar-
borea, assof^gellati per sé e per i
loro stati della Sardegna al Pon-
tefice Onorio III, ciò che Benedet-
ta avea rinnovato nel 1224 con
(giuramento nelle mani del dele-
galo apostolico. Forse una simile
sottomissione era stata fatta da
Guglielmo di lei padre pel mar-
chesato di Massa, o almeno lo dà
a congetturare il giuramento pre-
stato nel 1234 dal nobii uomo
Orlandino Porcaresi al Papa Gre-
gorio iX, innanzi di prendere pos-
sesso della rocca di Massa per te-
nersi a beneplacito pontificio. Qiie-
.sta sottomissione pertanto di Mas-
sa, richiartia l'epoca delle verten-
te tra Gregorio IX e !a repubbli-
ca di Lucca per la Gaifii^naiia
(Fedi). Mentre Orlaiitlo conlinjia-
va a tener la rocca per tal Pupa,
Agnese sorella di Benedetta con-
fermò Bartolomeo di Pagano in
visconte di Massa. Adelasia figlia
d'Agnese, signora dei giudicati di
Gallura e Torres, impalmò En-
zo figlio naturale di Federico II,
il quale per lui erigendo in regno
Ja Sardegna, lo investi ancora del
marchesato di Massa, di Lunigia-
iia, V^ersilia e Garfagnana, benché
l'imperatore ciò facesse contro il
giuramento prestalo a Gregorio IX.
Posteriormente Federico li conces-
se ai lucchesi queste ultime con-
trade.
Nel 1265 prcvaicrìdo i ghibelli-
ni, Guido vicario pel re Manfredi,
altro naturale di Federico II, po-
.<ie presidio nei castello di Massa,
che ricuperarono i lucchesi nel
1266, facendo indi demolirne la
leccai e per essi sino al 128^ go-
MAS
vernò la vicaria di Massa il mar-
chese Bartolomeo, divenendo intan-
to polenti in Massa i Caltani no-
bili di Vallecchia. Emico VI nel
1192 tutlavolla aveva concesso
Massa ai pisani, ciò che fu confer-
mato nel 1209 ^^ Ottone IV, e
nel 1220 da Federico II, e ritor-
nò in potere de' pisani per opera
di Enrico VII, laonde nel i3i5
obbediva al loro capitano Uguccio-
ne della Faggiuola. Dipoi s' impa-
dronì di Massa Castruccio signore
di Lucca, e Lodovico il Bavaro
nel i324 gli concesse la vicaria
di Lunigiana compresa Massa. Vc-
nulp in Italia Giovanni re di Boe-
mia, tolse Massa ai lucchesi, cui
l'avea restituita Lodovico, e aHìdò
la rocca già da Castruccio rifatta
piti grandiosa e più bella, ad An-
selmo Nelli capitano fiorentino, il
quale nel i336 la consegnò a Ma-
stino della Scala, cui il re Gio-
vanni avea venduto il Lucchese.
Nel 1342 i pisani governando i
lucchesi, presidiarono Massa, e ne
furono espulsi nel 1 343 e 1 344
da Luchino Visconti signore di
Milano, solo tornandovi al posses-
so nel i34'^, confermandogliene-
r investitura nel i355 l'impera-
tore Carlo IV ;. mentre pochi gior-
ni prima altrettanto avea fatto coi
nipoti del marchese Spinetta Mala-
spina , pel diploma concesso nel
1164 fla Federico I al loro ante-
nato Obizzo, e per quello dato ai
di lui discendenti da Federico II
nel 1220. Continuò bensì Massa a
obbedire ai pisani, almeno sino al
1369 per tutto il tempo che si-
gnoreggiarono Lucca. Nel 1 399 do-
po che Pisa erasi assoggettata a
Gio. Galeazzo duca di Milano, il
castello di Massa colle sue ville e
terrilorioj fu dall'imperatore Veiv
iMAS
ceslao accordalo in feudo al celebre
giureconsulto Pietro Lante nobile
pisano, avvocato nella curia roma-
na, in compenso de'servigi prestali :
non si hanno documenti che ciò
avesse effetto, e nel i4oo Massa
continuava a dipendere da Lucca,
che nel 14^7 ne fece demarcare
i confini. Nel i43o la contrada fu
invasa da Nicolò Piccinino pel du-
ca di Milano , e venne in potere
de' fiorentini nel 14^7 pe^ conte
Francesco Sforza, e la signoria di
Firenze accordò ai massesi favore-
voli condizioni. Quindi i fiorentini
amici del marchese di Fosdinovo
Antonio Alberico Malaspina , paci-
ficatisi nel i44^ coi lucchesi, sotto
pretesto d' una sommossa, consiglia-
rono il popolo di Massa e della sua
vicaria, a volersi eleggere per si-
gnore e sottomettersi con favore-
voli capitoli al governo di detto
marchese, e ne fu giurata la con-
venzione in pubblico parlamento
agli 8 dicembre, per volontaria de-
dizione de* massesi; onde il mar-
chese entrò al governo di Massa,
sue ville e distretto nel i44^-
Dopo la morte del marchese An-
tonio, nel i44^ successe il marche-
se Giacomo suo figlio, che nel 147^
ingrandì il perimetro del suo do-
minio colla vicaria di Carrara, me-
diante acquisto fattone: edificò la
chiesa di s. Francesco con V annes-
so convento,' convertita la prima
attualmente in cattedrale, e l'altra
riedificato per servire di semina-
rio vescovile. Mancò Giacomo nel
1481, lasciando due figli: al pri-
mogenito Alberico li toccò il do-
minio di Massa e Carrara, al fra-
tello Francesco il marchesato di
Albissola in Lomellina. Questi mal-
contento, con Agostino Fregoso si-
gnore di Sarzana^ prese nel i4<^3
MAS 223
le rocche di Moneta e di Avenza,
mentre Alberico li difese con va-
lore quella di Massa, e potè ricon-
quistar le altre. Venuto in Lom-
bardia Carlo Vili redi Francia nel
i494> Francesco l'indusse a cac-
ciar da Massa il fratello, che morì
senza successione nel i5iq, amico
costante di Michelangelo Buonar-
roti. L' unica figlia Ricciarda en-
trò colla madre Lucrezia d'Este al
governo di Massa e Carrara, e nel
i520 si sposò in seconde nozze con
Lorenzo Cibo genovese nipote d' In-
nocenzo Vili, e dell'allora vivente
Leone X, entrando così lo stalo di
Massa e Carrara nell' illustre casa
Cibo, che aggiunse perciò al cogno-
me quello di Malaspina. Piicciarda
volle ritener sola la sovranità, a
fronte del disposto di Carlo V, che
riuscì far annullare.. Lorenzo dis-
gustato si ritirò in una sua pos-
sessione e villa d' Agnano, presso
Pisa, e vi morì nel 1 549 ^' ^""^
49. Lasciò due figli, Giulio e Al-
berico amato dalla madre, la qua-
le non permettendo al primogenito
di regnare^ per congiure fu deca-
pitato d'ordine di Carlo V nel r54B
in Milano , rimproverando gì' isto-
rici a Ricciarda poco amore pel
marito e pel suo primogenito. Mor-^
la nel i553, gli successe Alberico
I Cibo-Malaspina secondogenito, da
lei istituito erede universale., e so-
lennemente si fece riconoscere per
signore dai suoi sudditi ; indi nel
i554 ottenne da Carlo V il diplo-
ma d'investitura de'feudi imperiali
di Massa e Carrara. Una delie pri-
me cure di questo principe fu di-
retta all'abbellimento materiale del;-
le due piccole capitali, e nel dare
ai suoi popoli buone leggi. Fino
allora Massa vecchia poteva dirsi
un aggregato di case sotto la rocca
224 M A S
(lei suo nome, cui so{»giaceva ii
lM)rgo (li Dagujiia. Alberico I fece
circondnic di mura la citlà nuovo,
che fthhellì di giardini, di puhMi-
che fonfi, e di un vasto palazzo per
residenza principesca ; ed il borgo
sotto il castello di Massa prese il
nome di Massa Cybea o Massa
nuova, a distinzione della vecchia
rimasta in poggio. Nel i558 die
principio alle mura- di Carrara,
quindi nel iSSg l' imperatore Fer-
dinando I accordò al marchese e
successori il privilegio della zeccn,
mentre Massimiliano li con diplo-
ma del i568 (pialificò Massa ca-
pitale di principato, e Carrara ca-
poluogo di marchesato. Abbiamo
da Guid' Anionio Zannetti : Delle
zecche, nella Lunigiana della fami-
glia Malaspina^ dissertazione ^ Bo-
logna 1789. Alberico I alleggeriva
il peso delle cure politiche col
piacevole studio delle lettere, e col
consorzio de' dotti : riuscì discreto
poeta e sagace critico.
Nel 1620 l'imperatore Ferdinan-
do U dichiarò Massa città, e mo-
rendo Alberico I nel 1623 gli suc-
cesse il nipote Carlo I, figlio di Al-
derano suo primogenito che l'avea
preceduto nel sepolcro, principe pie-
no di sentimenti generosi, e di a-
more per la gloria militare , che
morì nel 1606. Carlo I coltivò le
scienze, favorì i letterali, ottenne da
Urbano Vili nel 1629 ^^^ ^'^^^•^
eretta la pieve di Massa in collegia-
ta insigne con una dignità abbazia-
le, e r uso de' pontificali. Cessò di
vivere nel 1662 , succedendogli il
primogenito Alberico II, il quale
dopo aver ottenuto come il prede-
cessore l'investitura imperiale, Leo-
poldo I nel i663 dichiarò Massa
capoluogo di ducato, e Carrara di
marchesato. Mostrossi Alberico U
MAS
protettore de' letterati e degli df-
tisti, ed ideò la fabbrica della
cappella de' depositi annessa alla
chiesa di s. Francesco di Massa, per
riunirvi i defunti dell.» sua làmiglia
Morto nel 1690, salV sul trono il
primogenito Carlo 11, il quale su-
bito pose ad elfelto l'idea del ge-
nitore con edificare la memorata
cappella. Cessando di vivere nel
1710, gli successe il primogenito Al-
berico III, che ottenne l' investitura
dall' imperatore Carlo VI , e morì
nella villa di Agnano presso Pisit
nel I 715, senza successione e dispo-
sizione testamentaria. Il perchè Al-
derano terzogenito di Carlo II, dopo
aver fatto una transazione col fratel-
lo maggiore Camillo, che avea ab-
bracciato lo stato ecclesiastico, e nel
1 729 fu creato cardinale, divenne si-
gnore di Massa e di Carrara. Aldera-
no pieno di vivacità, amante del lus-
so e de'divertimenti,si trovò costret-
to alienare molli beni, e per man-
canza di prole maschile per vistosal
somma voleva cedere i suoi domi-
iiii feudali alla repubblica di Geno-
va. Scopertosi il maneggio da Car-
lo VI, poco mancò ad essere espul-
so da Massa e Carrara. Morì nel
1731 lasciando tre figlie, e la mng-
giore Maria Teresa erede universa-
le, eh* essendo minorenne dichiarò
reggenti Riccia rda Gonzaga sua ma-
glie, e il cardinal Cibo suo fratello,
L' altra figlia Marianna Metilde
Cibo Malaspina, sposò nel 1748
il principe d. Orazio Albani pro-
nipote di Clemente XI : la terza ih
glia divenne duchessa di PopoH in
Napoli. Nel 1741 già Maria Te-
resa avea sposato il principe Ercole
Rinaldo figlio ed erede di Francesco
III duca di Modena, e nel 1744 ^^'
tenne dall' irnpeiatore Francesco i
V invesiitura del ducalo di Mass»
MAS MAS ii5
€ del principato di Carrarn. Il si opposero all' effettuazione del me-
suo genio benefico fondò in Mas- ditato progetto, il quale fu rimesso
sa un comodo spedale nel conven- in campo dalla degna figlia dopo
to degli agostiniani , poi compito la sua ripristinazione, nel pontifi-
dalla figlia Maria Beatrice, ed isti- cato di Pio VII. Allora l'affare fu
tuì r accademia delle belle arti a ripreso a disamina, e fu dal Papa
lustro del paese. La detta unica fi- eretta Massa in vescovato , e nella
glia fu l'erede dello stato di Massa bolla Singularis Romanorum Poh-
e Carrara, e delle virtù della ma- tificum^ la dichiarò suffraganea di
dre, la cui morte accadde in Reg- Pisa. Tuttavolta fu Leone XII che
gio nel 1790. Fino dal 1771 la diènei 182.3 compimento alle istan-
duchessa Maria Beatrice avea spo- ze della duchessa Maria Beatrice e
salo l'arciduca Ferdinando d' Au- dall'arciduca Francesco IV di lei
stria, figlio dell' imperatore France- figlio, i quali videro esauditi i loro
SCO I, e dell'imperatrice Maria Te- religiosi voti. La bolla pontificia di
resa; ed appena restò Jibera domi- Leone XII dichiarò la chiesa ma-
natrice, rivolse il suo pensiero al trice di Massa ed il nuovo vesco-
vantaggio de' sudditi che visitò di vato suffraganeo delK arcivescovo di
persona, per mostrarsi madre he- Pisa; prescrisse i limiti della dioce-
nefìca e protettrice. Sotto di lei si che nel i833 conteneva i5o
i francesi invasero Massa e Carra- parrocchie, e quasi tutte con fonte
ra al modo detto di sopra , e solo battesimale, compresivi due insigni
ne fu reintegrata nel 181 5. Morì in collegiate, oltre varie chiese cappel-
Vienna nel 1829, e gli successe lanie succursali. Una porzione delle
nel ducato il suo figlio France- chiese parrocchiali assegnate alla
SCO IV arciduca d'Austria duca di cattedra di Massa, furono stacca-
Modena. Il figlio di questi, regnan- te dall' arcidiocesi lucchese, il re-
te duca Francesco V, di recente stante da quella di Luni-Sarzana.
ha provveduto la maggiore e mi- Nella Lunigiana, compreso Carrara,
gliore parte della pianura di Mas- nella Garfagnana alta e nella Gar-
sa d'un canale irrigatorio, per far fagnana bassa, sono situate le par-
vegetare i seminati e prosperare le rocchie della diocesi. Francesco IV
produzioni del terreno nell' estiva diede compimento al seminario di
stagione. Massa, dopo averne eretto un altro
La sede vescovile si voleva eri- in Castelnuovo nella Garfagnana
gere dalla duchessa Maria Teresa, bassa, a beneficio de' suoi sudditi
per cui ottenne nel 1757 dall' im- garfagnani. Il primo vescovo di Mas-
peratore Francesco I, la facoltà di sa di Carrara fu monsignor Fran-
assegnare per la mensa 1200 fio- cesco Zoppi di Cannobio diocesi di
rini sopra i beni feudali. Ne fece Milano, fatto da Leone XII nel con-
ia domanda la duchessa a Clemen- cistoro de'i7 novembre 1823. Per
te XI II, e questi gli rispose col sua libera dimissione , Gregorio
breve Egregìum tuitm, de' i4 gen- XVI nel concistoro de' i5 aprile
naie 1766, Bull. Rom. Continua- i833 lo trasferì al vescovato i/i
tio, t. HI, p. i56, che avea dato partìhus di Gena, e poi in quella
ad esaminare la richiesta a uomini de'23 giugno i834 preconizzò l'o-
prudenli. Ma circostanze impreviste dierno vescovo monsignor France-
VOL. XLIU. i5
aa6 MAS
SCO Strani ili Dibiana diocesi dì Reg-
gio, della (jiial calledrale fu arci-
prele, vicario generale e capitolare.
La cattedrale di Massa è un ottimo
edifìcio con battisterio, sacro a Dio,
sotto r invocazione de' ss. Pietro e
Paolo, e s. Francesco d' Asisi. Il
capitolo si compone della dignità
dcir arciprete, di dodici canonici ,
comprese le prebende del teologo
e penitenziere, di cinque mansiotia-
ri, e di altri preti e chierici addet-
ti al servizio divino. La cura delle
anime è afBdata al detto arciprete.
L* episcopio è un buon palazzo , e
resta non molto distante dalla cat-
tedrale. Nella città non vi sono al*
tre chiese parrocchiali , bensì nei
suburbi; avvi due conventi di religio-
si, un monastero di monache, quattro
confraternite , ospedale , seminario ,
ed altri pii stabilimenti. Il collegio
de'gesuiti fu aperto nel i844' ^g"*
nuovo vescovo è tassato ne'libri del-
la camera apostolica in fiorini 3oo,
corrispondenti alle rendite delia
mensa che sono duemila scudi ro-
mani, esenti da qualunque peso.
MASSA LUBRENSE, o MASSA
DI SORRENTO. Città vescovile
del regno delle due Sicilie , nella
provincia di Napoli, è piccola e si-
tuata in fondo di angusto accesso
marittimo, pei molti scogli che lo
circondano. E distante per due le-
ghe da Sorrento, ed altrettanto al
nord dal Capo Campanella, che ter-
mina la costa orientale dei golfo
di Napoli, ed incomincia l'occiden-
tale del golfo di Salerno. È capo-
luogo di cantone, risalendo la sua
origine al secolo XVI, essendo sta-
ta fabbricala sulle rovine di Lobra
o Lubia città vescovile deW'Xl se-
colo, sotto la metropoli di Sorren-
to, rovinala da' saraceni. La catte-
drale dedicata ali' Aununziazione
MAS
della Beata Vergine, aveva il capì-
tolo composto delle dignità dell'ar-
cidiacono, del priniirerio e del canto-
re, di dodici canonici e di due ebdo-
madari , essendone principal patro-
no s. Costanzo. Il primo vescovo
Lubrcnsis fu N il quale venne
trasferito alla chiesa di Lucerà dal
Papa Onorio III nel 1220, e ,fu
nominato in sua vece fr. Pietro re-
ligioso nobile di Sorrento, della fa-
miglia Ursa, del 1289. Il terzo ve-
scovo è Francesco, traslato da Cle-
mente V ad Ascoli di Satriano nel
i3ii. Fra i vescovi più benemeri-
ti nomineremo i seguenti. Magesio
o Magnesio domenicano, che lunga-
mente governò la chiesa, indi tras-
lato a Trani nel i34*^ da Clemen-
te VI, il quale gli sostituì l'altro
domenicano fr. Paolo Zucca ri fio-
rentino, dotto e rispettabile. Euge-
nio IV nel 1434 f'sce vescovo Ba-
dino, sotto il quale Ferdinando I re
di Napoli, essendo Massa diruta, la
riedificò poco lungi dal suo primo
luogo. Nel vescovato di Pietro Mar-
chesi del i52i, gli agostiniani eb-
bero la chiesa di s. Maria della
Misericordia; a questo successe Gi-
rolamo delia nobile famiglia Bor-
gia , eh' eresse e dotò la cappella
dell'adorazione de' Magi. Nel i54'J»
rassegnò la sede al parente Gio.
Battista Borgia che morì nel i56o,
dopo il qual tempo Massa soggiac-
que alle devastazioni de' turchi. U
successore Andrea Belloni di Mes-
sina era decano di quella cattedra-
le, intervenne al concilio di Tren-
to, e permise che in luogo dell'an-
tico e diroccato tempio di s. Ma-
ria di Lobra, il comune ne costruis-
se altro nel sito detto Capitiello:
Et euni suo tempore sola aeclts
cathedralis loti dioecesi sacramenta
minisiraret, alias paroecias consti*
MAS
/?//>, ut suarum ovium commocìo fa-
cerei satìs, quarum a siimmo Pon-
ti fice Pio V confirmationem obli-
nuit anno i^GG. Gio. Battista Pal-
ina concesse la chiesa de' ss. Proces-
so e Marliiiiano ai rainicni di s.
Francesco di Paola, che riedificò la
famiglia Lipariilori; e permise che
si restaurasse 1' antica cattedrale di
s. Maria di Lobra de' minori os-
servanti. A'tempi del successore Lo-
renzo Asprelia, nel 1600 furono in-
trodotti i gesuiti in Massa che vi
eressero il collegio. Fr. Maurizio
Centini celebiò due utilissimi sino-
di nel 16266 nel 1629; fu tra-
sferito a Mileto, ed ebbe nel i633
in successore Alessandro Gallo na-
poletano, che adunò il sinodo nel
1642. Celebre fu il vescovo Gio.
Vincenzo de' Giuli napoletano, per
dottrina, nobiltà, pietà e zelo, che
devoto di s. Cataldo vescovo, altro
patrono della città, collocò il suo
braccio in una nobile statua fatta
del proprio, e la pose nella sua
cappella, ove volle essere sepolto.
Clemente X fece vescovo Francesco
Maria Neri di Tivoli, che celebrò
il sinodo nel 1675, e pose la pri-
ma pietra al monastero di s. Te-
resa. Degnamente occupò il suo
luogo nel 1678 Francesco Neri
napoletano, che Innocenzo XI vo-
leva creare cardinale se la morte
noi rapiva, sostituendogli nel i685
Gio. Ballista Nepeta propugnatore
dell' immunità ecclesiastica , zelato-
re dell' onore di Dio, ed ornato di
scienza ; abbellì la cappella di s.
Cataldo, celebrò il sinodo, restaurò
l'episcopio rovinato dal terremoto,
e morì nel 1701. Giacomo Maria
de Rossi napoletano gli successe, re-
staurò la chiesa dell' Annunziata, e
fu vigilantissimo pastore, e l'ultimo
della serie che si legge nelTUghel-
MAS 227
li, Ttalia sacra t. VI, p. 643, con-
tinuata coi seguenti dalle annuali
Notizie dì Roma. 1738 Andrea
Schiani d'Ischia. 1746 Liborio Pi-
sani napoletano. 1 7^7 Giuseppe
Bellotti napoletano. 1792 Pio VI
fece Angelo Vassalli napoletano, del-
la congregazione di Monte Vergi-
ne, che fu l'ultimo vescovo. Dopo
lunga sede vacante, Pio VII colla
lettera apostolica De utiliorìy nel
1818 soppresse la sede vescovile di
Massa Lubrense, ed in perpetuo
r unì a quella arcivescovile di Sor-
rento (Fedi).
MASSA MARITTIMA (Massan).
Città con residenza vescovile nel
granducato di Toscana, situata fra
la valle della Cornia e la valleco-
la della Pecora, già capoluogo di
una piccola repubblica , ora di un
vicariato regio con una cancelleria
comunitativa , la quale abbraccia
anche la comunità di Rocca-Stra-
da e di Gavorrano, nella Ruota
e compartimento di Grosseto , os-
sia provincia inferiore del Senese.
Risiede presso la cima meridionale
di un poggio, da tre parti, meno
che da greco, isolato. Si apre da-
vanti a lei dal lato di ostro libec-
cio, spaziosa la vista del mare, men-
tre dalla parte di greco, il poggio
su cui riposa la città si accoda me-
diante avvallamento ad uno sprone
di quelli di Praia, Montieri e Ger-
falco, i quali costituiscono il nodo
donde si schiudono quattro valli.
Conta un grandioso e ben prov-
visto spedale, eretto in vece di al-
tri meschini da Leopoldo I, aumen-
tato da Ferdinando III , e miglio-
rato da Leopoldo II. Vi sono scuo-
le ed altri stabilimenti di pubbli-
ca istruzione. Meritano menzione le
mura della città nuova , la torre
dell' orologio, il palazzo del comu-
328 MAS
ne, l'arditissimo arco del cassero
sul Monteregio, che unisce la città
Tecchia alla nuova, ceduto ai [sene-
si dai vescovi per costruirvi la roc-
ca nel punto più prominente della
città alla, convertita da Leopoldo I
ad uso di ospedale; e quando nel
1877 ^' governo di Siena permise
al comune rifabbricar le mura, av-
vertì che non si pregiudicasse il
cassero. La cattedrale di s. Gerbo-
ne fu riedificata dalla comunità nel
J225, nel qual anno il vescovo
Alberto ed il clero cederono al co-
mune i diritti baronali ed i beni
allodiali. Questo duomo restò com-
pilo nel principio del seguente se-
colo, e poi restaurato nel i4B3 ed
in altri tempi. 11 tempio è tutto
costruito di travertino squadrato,
circondato intorno da mezze colon-
nine. Ha una bella facciata con le
caratteristiche architettoniche del se-
colo XIII; nell'interno è diviso in
tre corpi con archi a tutto sesto sor-
retti da colonne di pietra ; la cupola
che si alza nella crociata, pare lavoro
del secolo XV, così quello della vi-
cina torre campanaria, come l'alta-
re maggiore, tutto di marmi fini,
sotto la cui mensa sono le ceneri
del santo vescovo Gerbone, dentro
un'arca di marmo bianco storiata
a quadri di alto rilievo, scolpita nel
i323 da Goro di Gregorio senese.
Di data anteriore e di mano meno
valente è la scultura della vasca
pel fonte battesimale posta a pie
della chiesa, opera fatta nel 1262
da Giroldo da Lugano ; il tempiet-
to che sta in mezzo alla vasca , è
lavoro del 1467. A pie di tal fon-
te si vede un bel sarcofago antico
con sculture siavboliche rappresen-
tanti la separazione dell'anima dal
corpo. Fra i quadri di merito, vi
è i' Adamo ed Eva di Francesco
MAS
Vanni, nella cappella presso l'or-
gano. Il vasto tempio di s. Pietro
all'Orto in città nuova fu edificalo
nel 1197, indi ampliato dai romi-
tani agostiniani, a cui fu ceduto
nel secolo XI li, quando nel 1269
vi fondarono il convento, ora abi-
tato dai minori osservanti, ivi tra-
sferiti dall' antico convento di s.
Francesco fuori di Massa, per ri-
durre questo ad uso di seminario.
L'altare dell'Annunziata ha il qua-
dro dipinto da Empoli, e quello di
s. Michele lo colorì Rutilio Manet-
ti, autore pure del dipinto all'alta-
re della Visitazione; in quello di s.
Sebastiano il quadro è di Pacchia-
rotto. Fiorirono principalmente in
Massa, s. Bernardino detto da Sie-
na, nato da madre massese, nel luo-
go o^e i francescani eressero un
ospizio; il b. Felice Tancredi, disce-
polo di s. Gaterina, e di fr. Anto-
nio generale francescano, delegato
di Martino V a Gostanlinopoli, e
poi vescovo di Massa ove morì nel
1435, ed altri uomini illustri.
Le acque de* pozzi e delle pub-
bliche fonti sono copiose di tarta-
ro, essendoché la crosta esteriore
del poggio, su cui siede la città, con-
siste di banchi altissimi di traverti-
no sovrapposti alla roccia calcarea
cavernosa ; infatti di pietra tibur-
tina sono costruite le principali
fabbriche pubbliche e private della
città, 11 territorio presenta fenome-
ni singolari, e tali da esercitare i
fisici, i mineralogisti ed i geologi
piti dotti, venendo perciò chiamata
la città il Frielberg dell' Italia. Vo-
lendo il granduca Francesco li
provvedere allo spopolamento delia
città e territorio rnassetano, vi man-
dò una colonia degli antichi suddi-
ti di Lorena ; ma questa non vi
trovò sorte migliore di quella delle
MAS
altre cliiamale dal Bresciano e dal
Friuli sotto Cosimo I, solo restan-
dovi due famiglie lorenesi, a cagio-
ne del clima insalubre e per un
terzo dell' anno pestilenziale. Furo-
no però più efllcaci e riuscirono al
desiderato intento le misure di Leo-
poldo I, preordinate a favore spe-
cialmente di Massa Marittima e dei
suoi castelli, massime col far spari-
re i ristagni d' acque terrestri , e
col più libero scolo a quelle della
Ronna e delle Veiielle, sebbene non
si ottenessero felici risultati dalle
operazioni idrauliche, intraprese a
benefizio della maremma di Massa.
Lo slato fisico del bacino masseta-
no, a partire dal promontorio di Po-
pulonia sino a quello di Troia, era
andato fino ai giorni nostri deterio-
rando a danno degli abitanti, oppo-
nendosi la natura agli sforzi fatti per
eliminar le putride esalazioni delle
acque stagnanti lungo i litorali, e
la mal' aria. Ma il regnante Leo-
poldo II è intento a provvedere a
SI funesti pregiudizi, die recano le
maremme massetane, forse appli-
candovi quanto fece per quelle di
Grosseto. L'agricoltura nei contorni
di Massa è in progresso, e pei ten-
tativi fatti per riattivare gli scavi
e l'industrie metallurgiche nel Mas-
setano, è da sperarsi che Massa col
tempo migliorerà di condizione, tan^
lo rapporto al clima, e perchè po-
trà ancora divenire centro di mol-
te industrie, e il magazzino minera-
logico della Toscana ; poiché Massa
per le sue miniere di rame e di
argento ebbe l' epiteto di Metalli-
fera, ed è anche nota pel suo ter-
reno carbonifero, che abbonda nel
territorio.
Massa Marittima fu anco chiama-
ta Massa di Maremma, Massa Ve-
terneuse e Massa Metallifera. Nel
MAS 229
terzo secolo dell'era cristiana già
in Toscana esisteva, secondo alcuni,
il paese di Massa Feternense, ma
non si prova con monumenti, mol-
ti luoghi essendo esistiti nel V
secolo col nome di Massa. Se però
non è certo che in Massa Maritti-
ma sin dall' 842 fosse traslatata la
sede vescovile di Populonia, e che
Massa prendesse d'allora in poi il
titolo di città , si può credere per
altro che già lo fosse nel principio
deli' XI secolo, tostochè allora la
chiesa di s. Gerbone di Massa ser-
viva di cattedrale ai vescovi popu-
loniensi , conservando però la dio-
cesi r antico nome di Populonia,
come risulta da documenti e da
una bolla del 1075 di s. Gregorio
VII, con la quale dichiarò la dio-
cesi sotto r immediata protezione
della Sede apostolica, in occasione
di confermare gli antichi confini
diocesani. Però già nel i 1 1 5 erasi
introdotto l'uso d'intitolare 3IaS'
sano o Massese il vescovo di Po-
pulonia, e nel secolo XI Massa Ma-
rittima era divenuta residenza dei
suoi vescovi, i quali in vari tempi
ottennero dagli imperatori privilegi
e onorificenze, qualificandoli signori
di varie castella e miniere del con-
tado, come anche principi della stes-
sa città di Massa; ed Enrico VI
nel iig4 fece restituire a Martino
vescovo Massano la città di Massa
col suo distretto e il castello , già
episcopio di Monte Regis, con tutti i
diritti principeschi^ de'quali era slato
poco innanzi spogliato da alcuni mi-
nistri dello stesso imperatore. Il ve-
scovo Alberto che gli successe ven-
tisei anni dopo, pei gravi debiti di sua
mensa, fu costretto non solo di op-
pignorare il suo castello di Valli
presso Follonica, ma ancora di qua-
lificarsi debitore insieme ai consoli
23o MAS
di Masso per 267 marche di ar-
gento ad una società di negozianti.
Nel 1206 il comune prese per con-
testabile con 2 5 cavalleggieri arma*
ti Guerrino di Neri da Montepul-
ciano; e nel 1214 si trova il pri-
mo podestà di Massa Rolandino di
Galiana. Nel 1216 già per decre-
to pontifìcio la diocesi era divenu-
ta sufFraganea di Pisa, colla quale
città Alberto si collegò per aiuti ,
cedendo in perpetuo al comune una
tassa da riscuotersi sui massetani, 1
quali avrebbongli giurato fedeltà
e obbedienza, con altre condizioni.
Nel 12 25 il detto vescovo col ca-
pitolo assolvettero dal giuramento
di fedeltà tutti i cittadini masseta-
ni, liberandoli dalle pigioni di pro-
prietà della mensa, rinunziando le
ragioni e la proprietà al comune ,
tranne le miniere di argento. L'e-
mancipazione de'masselani dai loro
antichi signori venne contraccambia-
ta dai rappresentanti del popolQ,
con promettere di non esiger dazi
sui beni della mensa, conservare il
giuspati'onato dei vescovi e del cle-
ro sulle chiese, il pagamento delle
decime qualora il comune volesse
edificar la città nel poggio detto
Certopiano , lasciando in tal caso
alla mensa e al clero alcuni fondi
e uno spazio sufficiente di terreno
per fabbricarvi la cattedrale e il
cimiterio, e sborsarono al vescovo
e al capitolo 600 lire pisane. Cosi
il comune ricomprò dal suo signo-
re la propria libertà, si emancipò
da ogni vassallaggio verso il vesco-
vo , talché può dirsi che da quel-
r atto ebbe origine la repubblica
massetana.
La città andò poi aumentando
di popolazione, e si pose opera a
costruire la città nuova e ad innal-
zare una più grandiosa cattedrale.
MAS
Poco dopo si fabbricò la città nuo-
va nel poggio superiore di Massa,
insieme con una rocca , che prese
il nome di Torre dell' Oriolo, da
non equivocarsi col castello di Mon-
te Regis, stato per lungo tempo la
residenza de' suoi vescovi , innanzi
di ridurlo a cassero; la rocca ha
un'iscrizione coli' anno 122B in cui
s'incominciò l'erezione. Nel 1226
la città, per assicurarsi la libertà,
si pose sotto la protezione della
repubblica pisana, venuta poi in
qualche potenza procurò allearsi
con Siena e colle altre repubbliche
vicine, e siccome i pisani erano ghi-
bellini, fu Massa minacciata d'in-
terdetto da Innocenzo IV. Tali mi-
nacce vennero realizzate dal suo ve-
scovo Ruggero ; al quale interdetto
aggiunse maggior gravità un breve
di Alessandro IV del 12 55, perchè
il popolo erasi impossessato delle
rendite della mensa vescovile, fra le
quali le miniere di argento, il castello
o palazzo di Monteregio, i feudi vesco-
vili dell'Accesa, di Monte s. Lorenzo,
della Marsiliana, di Valli, di Porto
Baratto, ec. Le censure ben presto
furono sanate, ed il vescovo ritor-
nò alla sede. La città prosperava
per la riedificazione della cattedra-
le, avvenuta a quel tempo, della
gran vasca del battisterio , e della
pubblica fonte nella piazza mag-
giore; e le milizie presero paite al-
la ricupera di Grosseto sotto il
vicario di Manfredi, ed alla glo-
riosa giornata di Montaperto. Do-
po la morte di Manfredi il gover-
no di Massa divenne guelfo, a ciò
costretto da questo partito; indi
soggiacque alle conseguenze del-
le fazioni , poco giovando la me-
diazione dei senesi, potenti essen-
do i conti Pannocchieschi , i To-
dini ed altri magnati ghibellini
MAS
del conloclo. Nell'anno 1278 il
vescovo Kolando ricevè dal sindaco
il giuramento di obbedien7a al-
ia sua chiesa, assolvendo il po-
polo dtdl'inlerdetto per le ingiurie
l'atte alle possessioni della mensa.
Quindi si aumentò il potere della
repubblica, col riunire al suo di-
stretto diversi castelli che avea sog-
giogato; e ad onta di non poche
turbolenze sali in istato di ricchez-
za e di prosperità al declinar del
secolo XIII, compiendo Tacquisto
di PrloDterotondo, e liberando per
comprile il territorio da molti ba-
roni ; ed essendo allora le miniere
di qualche entità, aveano magistra-
ti. Venne ancora edificato il pa-
lazzo del comune o degli anziani
sulla piazza del duomo, e si pro-
seguì r iuigrandimento della città
vecchia colla città nuova. Nel 1807
si rinnovò il trattato di amicizia
ed alleanza con Siena, la quale
spediva a Massa il capitano, seb-
bene si governasse il comune in
proprio nome ; ciò indispose Pisa
ove nel i3i3 Enrico VII rilasciò
a Giovanni vescovo e principe di
Massa un diploma confermativo
di quello che Enrico VI avea spe-
dito a Martino suo antecessore,
ma senza effetto, e nel 1 3 1 5 si
rinnovò la concordia coi pisani me-
diante tregua. La zecca stabilita
nel i3i7 non pare che battesse
moneta. Nel 1323 il magistrato si
componeva di novanta consiglieri,
che eleggevano il gonfaloniere ed
i priori. Nel i33o per le ostilità
coi senesi. Massa che incomincia-
va a decadere, rinnovò i patti di
alleanza con Pisa, sebbene ebbero
corta durata ; ed i fiorentini sup-
plicarono nel i332 Giovanni XXII
ad inlerporsi coi comuni di Pisa
e di Siena che si facevano guerra
MAS 23i
per signoreggiar Massa e le sue ca-
stella. Il Papa nominò delegato
apostolico Francesco Salveslri ve-
scovo di Firenze, ed in suo nome
i fiorentini riceverono in guardia
Massa ed i suoi castelli. Indi nel
i333 venne ordinato a* pisani di
lasciar libera la città e fortezza di
Massa, ed ai senesi di restituire
ai massetani le loro castella e pri-
gioni j e viceversa questi a quelli :
furono inoltre assoluti i sudditi di
ciascuna delle tre città d'ogni pe-
na, e sospesa la confederazione di
Pisa e di Massa per cinque anni.
Il comune di Massa dichiarò che
per tre anni si sarebbe governato
in nome del vescovo di Firenze^
alla cui disposizione i fiorentini po-
sero la città e le castella. Prima di
tal tempo i senesi entrarono a for-
za in Massa, s' impadronirono dei
luoghi forti e fecero nuovi patti
coi massetani, obbligandosi pacifi-
care i cittadini della città vecchia^
con quelli della città nuova.
Intanto Siena comprò in Massa
vari edifizi e vi fabbricò un' impo-
nente fortezza nel 1 336, essendone
stati architetti Agostino ed Agnolo
fratelli e celebri artisti : primo ca-
stellano del nuovo cassero della
città nuova fu Agnolino di Mino
senese, ed il comune si obbligò pa-
gare a quel di Siena annui fiorini
1200, per guardia e difesa del cas-
sero. Sulla fine però del secolo
XIV tanto Siena che Massa do-
vettero soggiacere al duca di Mi-
lano sino al i4o4j progredendo
notabilmente la decadenza della cit-
tà, che nel i4o8 eia ridotta a 4oo
persone ; le condizioni politiche ed
economiche andarono pure dete-
riorando. Sisto IV ed Innocenzo
Vili premurosi di procurare al go-
verno romano V esclusivo commev-
aSa MAS
ciò dell* allume di Tolfa, il cui pro-
dotto doveva impiegarsi contro i
turchi a salvezza della cristianità,
idlminarono l'interdetto al comune
di Massa per aver concesso il per-
messo di vendere le allumiere di
Montione e dell'Accesa state dal ve-
scovo massetano poco innanzi dona-
te alla santa Sede. In mezzo a tali
disposizioni, dopo una serie di spia-
cevoli vicende si arrivò alla metà
del secolo XVI, quando non senza
gran cordoglio de'masselani si vide
avvicinarsi l'ultima ora della re-
pubblica senese, vinta dalle armi di
Carlo V e dai tesori di Cosimo I
duca di Firenze. A questo ultimo
in fatti i massetani per atto pub-
blico del i554 prestarono giura-
mento di fedeltà e di sommissione,
implorando le antiche franchigie.
11 duca invitò dall'estero molte fa-
miglie per domiciliarsi in Massa ;
il suo figlio e successore obbligò il
comune ad alienar parte de'terre-
ni ai privali per ravvivare l'indu-
stria ; ma pure tutto restò paraliz-
zato dall' impedita libertà commer-
ciale, deteriorandosi sempre più la
condizione della maremma senese.
In conseguenza rimasero inefficaci
le disposizioni de' principi della fa-
miglia Medicea, come restarono
senza risultati le provvidenze dei
grand uchi Francesco I e Ferdinan-
do 1, acciò venisse Massa popolata;
ed altrettanto dicasi di Francesco
li, onde il suo figlio Leopoldo I
trovò la città colla sua maremma
in islato desolante. Egli ne miglio-
rò grandemente la condizione, co-
me si disse, ed il regnante Leo-
poldo II con un metodo idraulico
di bonificamento, promette prospe-
ro esito a SI vasta e difficile intra-
presa.
La sede vescovile di Massa Ma-
MAS
rittima successe, come di sopra ab-
biamo detto, a quella di Populonia,
grande e celebre città eirusca , le
cui rovine sono al nord di Piom-
bino , città e porto di Toscana
nella provincia di Pisa, capoluogo
del principato del suo nome. La
diocesi ecclesiastica di Populonia si
novera fra le prime della Toscana
marittima, immediatamente sogget-
ta alla santa Sede. 11 primo o più
antico vescovo di Populonia fu A-
tello, che assistette al concilio te-
nuto da Papa S.Simmaco nel 5or,
nel portico Vaticano detto Pal-
mare. Il secondo fu Fiorenzo che
morì nel 556: gli succedette san
Cerbone africano, il quale fu fat-
to vescovo di Populonia dopo
il martirio di s. Regolo suo pre-
cettore; mori nel SyS, fu tumu-
lato in Populonia e poscia trasfe-
rito nella cattedrale di Massa. S.
Gregorio I scrisse la vita di questo
santo vescovo, ed il martirologio
romano ne fa col Baronio menzio-
ne; egli è patrono della città di
Massa, e di tutta la diocesi. Fu
dopo la morte di s. Cerbone che
i longobardi nella prima invasione
della Toscana litoranea devastaro-
no la città di Populonia, e più tar-
di la sede vescovile venne trasferi-
ta a Massa , poiché sotto i longo-
bardi il territorio di Populonia re-
stò talmente guasto, che non solo
rimase privo del suo vescovo, ma
non vi restò neppure un sacerdote,
onde s. Gregorio I scrisse a Bal-
bino vescovo di Pvoselle affinchè vi
mandasse qualche prete. Secondo
r Ughelli, Italia sacra t. Ili, p.
701, successori a s. Cerbone furo-
no: Massimino del Sgo; Mariniano
che intervenne al concilio di La-
terano nel 649; Sereno che fu a
quello del 680; Ancauro del 7 56;
MAS
Guriperto che fu al conciliò tenu-
to da Eugenio li nell' 826; Odal-
perto deir 853; Paolo dell' 886, che
s^jllo s. rsicolò I fu spedito ai bul-
gari con Formoso poi Papa; Gio-
vanni dell' 87 7; altro Giovanni del
C)/\.5; Enrico che fu al sinodo di
Benedetto Vili nel ioi5;Waltero
che fu a quello di Nicolò 11 del loSg;
Tegrino del 1061; Bernardo del
io66; Guglielmo cui scrisse s. Gre-
gorio \11 nel 1075; Giovanni ve-
scovo di Populonia del io^5; Lo-
renzo del 1 104. Rollando vescovo
di Populonia fu al concilio di Gua-
stalla nel II 06, e nel 11 26 sot-
toscrisse ad una bolla di Onorio
11, col titolo di episcopi Massensis,
e gli successe Alberto vescovo di
Massa nel 11 49» ^^1 ^ questi Gio-
vanni vescovo di Massa del i 1 8g,
fondatore della chiesa di s. Pietro.
Tra i di lui successori nomineremo
i più distinti : Marzocco Caetani
nobile pisano, cappellano d'Inno-
cenzo III del 121 1; Alberto del
1220 sunnominato; Guglielmo del
i23i eletto dal capitolo, e confer-
mato da Gregorio IX. Questo Pa-
pa raccomandò le possessioni del
vescovato populoniense alla custo-
dia e difesa del podestà e comu-
ne di Massa , e pubblicò una co-
stituzione colla quale aboPi la con-
suetudine invalsa di eleggersi il pa-
store della chiesa di Massa dai ca-
nonici uniti ai laici o vicedomini,
dichiarando nel caso che tali con-
suetudini continuassero, che non
sarebbe stata dai Pontefici appro-
vata l'elezione di tali vescovi, liug-
gero Uigugeri nobile senese, fregia-
to di preclare virtù, di cui già par-
lammo; in sua morte il capitolo
elesse successore Filippo arciprete
della cattedrale, confermato da Cle-
mente IV nel 1268. Fr. Galgano
MAS 233
Pagliarelì nobile senese domenica-
no, di singoiar dottrina e probità
di vita, eletto nel i332. Antonio
de Riparia del 1 36 1, in un diplo-
ma che spedi qual internunzio
contro gli eretici valdesi, s'intitolò
Popiiloniae et Massae episcopus.
Giovanni Gabrielli di Pon tremo-
li, dottore insigne e cappellano di
Bonifacio IX, da lui creato nel
1391, legato in Polonia e Litua-
nia, poi traslato a Pisa; gli successe
nel 1 3g4 Nicola Beruti che s' in-
titolò episcopus Populoniensis et
Massanus princeps. Fr. Antonio
generale de' francescani, chiaro in
teologia e benignissimo, del i43o:
cessò verso questo tempo il tito-
lo di principi ne' vescovi di Mas-
sa, tuttavolta poscia vi furono con-
trari esempli. Leonardo Dati no-
bile fiorentino, eruditissimo e lepi-
do poeta, caro a Pio II ( il quale
erigendo Siena in arcivescovato, di-
chiarò suffraganea la sede di Po-
pulonia e Massa, e lo è tuttora ),
Paolo II e Sisto IV, di questi due
fu segretario de' brevi, e fu sepol-
to in s. Maria sopra Minerva di
Roma. Sisto IV nel 1472 gli sosti-
tuì il nipote fr. Bartolomeo delia
Rovere de'«)inori. Girolamo Conti
romano fu fatto vescovo nel i483,
e morì nel i5oo; nel quale anno
Alessandio VI nominò il senese
Ventura Benassai suo tesoriere ge-
nerale, sotto del quale a' 5 marzo
i5oi il Papa onorò di sua pre-
senza Massa, e vi restò alcuni gior-
ni, mantenuto magnificamente dalla
repubblica senese, poiché era redu*
ce con Cesare Borgia dall' aver
sottomesso Piombino al suo domi-
nio. Giulio II per sua morte nel-
l'anno i5ii fece amministratore il
cardinal Alfonso Petrucci; nel 1529
ne fu fatto amministratore il car-
234 MAS
dinal Paolo Cesi; e nel 1538 il
cardinal Alessandro Farnese nipo-
te di Paolo 111, cedendola con ri-
serva nel i547 ^ Kemnidino Maf-
iei poi cardinale. Nel i'>49 fu de-
putato in amministratore il cardi-
nal Michele Sylva, al quale successe
nel i556 Francesco Franchini, ce-
lebre poeta e chiaro per erudizio-
ne, Massat et Populoniae epìsco-
pus. Alberto )3olognelti bolognese,
celebre giureconsulto , fatto nel
i579 da Gregorio XIII e poi ele-
valo al cardinalato. Vincenzo Ca-
sali patrizio bolognese gli successe
nel i583, che ai 28 marzo i586
consagrò solerwiernente la cattedrale,
lodato per egregie virtù : cede la se-
de ad Achille Sergardi nobile senese
che consagrò V altare maggiore del-
la cattedrale in onore di s. Cerbo-
ne. Nel 1601 divenne vescovo A-
lessaiulro Petrucci nobile senese, il
quale restaurò la cattedrale, eresse
dai fondamenti V episcopio, aumen-
tò il clero, e nel i6i5 fu trasferi-
to a Siena. L' Ughelli e i suoi con-
tinuatori terminano la serie dei
vescovi con Nicola Toloraei nobile
senese del 171 5, la quale si legge
continuata nelle annuali JSoLizit di
Roma, e sono i seguenti. 1 7 1 9 d.
Eusebio Ciani camaldolese di Sie-
na. 1770 Pietro Vannucci della dio-
cesi di s. Miniato. 1 795 Francesco
Toll di Livorno. 1B18 Giuseppe
Mancini di Firenze, fatto da Pio
VII, il quale nel concistoro de* 19
dicembre 1825 gli diede per suc-
cessore l'odierno vescovo monsi-
gnor Giuseppe Maria Traversi di
Piligliano diocesi di Soana,già pro-
vicario generale di tal diocesi.
La cattedrale è sacra a Dio sotto
l'invocazione di s. Gerbone vesco-
vo della stessa città , di gotica
slrullura, con battisterio. Il capi-
MAS
tolo non ha dignità, ma e compo-
sto di dieci canonici comprese le
prebende del teologo e del peni-
tenziere, di quattro canonici ono-
rari, ed altrettanti cappellani cu-
rati, e di altri preti e chierici ad-
detti al divino servigio. La cura
delle anime spella al capitolo, e si
esercita da un canonico. L* episco-
pio resta incontro alla cattedrale.
Nella città vi è un'altra chiesa par-
rocchiale senza fonte battesimale, il
convento de' minori osservanti, il
monastero delle monache Clarisse ,
due confraternite, T ospedale e il
seminario. La diocesi è ampia, e
contiene ventisei parrocchie, com-
presa la cattedrale, una cura mili-
tare a Portoferraio, ed una cap-
pellania curala alla marina di Rio.
Le venlisei parrocchie sono sparse
negli undici territorii comunitati-
vi, oltre di Mussa Marittima , di
Piombino, Suvereto, Campigli.!, Sas-
setta , Monteverdi , Gherardesca ,
Portoferraio, Lungone e Rio. Ogni
nuovo vescovo è tassato ne' libri
della camera apostolica in fiorini
3oo, corrispondenti a scudi 3ooo di
rendite.
MASSEI Bartolomeo, Cardinale.
Bartolomeo Massei nobile di Mon-
tepulciano nacque a'2 gennaio i6G3.
La nobile famiglia Massei trasse il
suo principio da altra già nobile
e antichissima in Lucca, denomina-
ta degli Aitanti ; Vanni di Masseo
prestò giuramento di fedeltà nel
i33i a Giovanni re di Boemia, e
fu il primo , che lasciato tal co-
gnome nel 1357 prese quello di
Massei : se ne divise poi la di-
scendenza in due rami, uno dei
quali si stabilì a Lucca, l'altro a
Montepulciano, dando ognuno per-
sonaggi illustri , e tra le donne
fiorì Bianca Teresa , di cui pub-
MAS
blicò nel 17 16 la vita il p. Bo-
iiucci gesuita. Bartolomeo ottenuta
Dell'università di Pisa la laurea
dottorale in jus, trasferitosi in Ro-
ma, mediante reflìcace mediazione
di Pomponio de Vecchi» celebre
avvocato , fu ammesso nella corte
di Gianfrancesco Albani, che crea-
to cardinale , lo fece suo coppiere
e poi maestro di camera, e lo con-
dusse seco per conclavista in con-
clave ove restò eletto Papa col
nome di Clemente XI. Subito lo
nominò cameriere segreto e cop-
piere, conferendogli il priorato di
s. Maria in Via Lata, che gli per-
mutò con un canonicato Liberia-
no, e poi Valicano. Nel 17 12 qua-
le ablegato pontifìcio lo sped'i a
Milano a portar la berretta rossa
al cardinal Cusani vescovo di Pa-
via. Nel 17 14 recandosi alla visi-
ta del santuario di Loreto la gran-
duchessa di Toscana Violante, d'or-
dine pontificio l'incontrò ai confì-
ni dello stato ecclesiastico, e con
ogni ossequio si prestò al suo ser-
vigio. In occasione di recare la ber-
retta in Francia nel 17 15 al car-
dinal Thiard di Bissy, fu incari-
cato dal Papa di gravissimi affari
da trattarsi alla corte di Parigi, il
principale de'quali avea per ogget-
to la bolla Unigenitus ; ma acca-
duta in quel tempo la morte di
Luigi XIV, rimasero interrotte e
sospese tulle le negoziazioni. Intra-
prese il secondo viaggio alla stes-
sa corte per portar la berretta car-
dinalizia al nunzio Bentivoglio ;
in tal congiuntura parimenti ebbe
le slesj'e incumbenze che nella pri-
ma, e trovandosi in Parigi nel 1721
ricevè la notizia di essere stalo fat;
to arcivescovo di Atene m pai li-
bus, nunzio straordinario a <|uella
corte , e maej>tro di camera del
MAS 235
Papa. Ma appena consagralo in
Meaux arcivescovo dal cardinal
Bissy, seppe che Clemente XI era
morto a' 19 marzo, e vide illan-
guidire le sue speranze. Tutta voi la
il successore Innocenzo XIII lo di-
chiarò nunzio ordinario presso quel-
la corona, dove perseverò in tulio
il pontificato di Benedetto XIII, e
molto si affaticò per la pace ed
unione del clero gallicano, e tanto
si adoperò, finche il cardinale di
Noailles si ridusse all'unità della
Chiesa , sottomettendosi al Pon-
tefice, ed accettando la memorata
bolla. Dovette per la nunziatura
soggiacere a spese enormi, e pure
sovente ricusò i pingui benefizi of-
fertigli dal re e dai ministri. Suc-
ceduto a Benedetto XIII nel 1780
Clemente XI 1, lo richiamò a Pvoma,
e mentre era in Marsiglia ricevet-
te l'avviso che a' 2 ottobre di det-
to anno lo avea creato cardinale
prete, e designato legato di Roma-
gna e vescovo d'Ancona. In Ro-
ma ricevette il cappello, e per ti-
tolo la chiesa di s. Agostino. Co-
ni' ebbe preso possesso del vesco-
vato, visitò pili volte la diocesi, a
cui comparti insigni benefizi, e tra
le altre cose restaurò il palazzo
vescovile di città e di campagna.
Disseccò le acque stagnanti nelle
terre della mensa, rendendole frut-
tifere ed innocue. Ornò la cattedra-
le, fece lastricare la piazza maggio-
re di nuove pietre, aprì una nuo-
va stnida, e rese l' ingresso più a-
gevole; stabilì oltinii regolamenti
per la riforma de' costumi, e in-
trodusse nella città le maestre pie.
Frenò la licenza delle cattive fem-
mine, e le rinchiuse in un'abitazio-
ne con rendite pel mantenimento.
Al passaggio delle truppe spagnuo-
le, e alla v vicinarsi della flotta in-
236 M A S
glese, si condusse con tal pruden-
za, che uè Ancona, né le vicine
spioggie soffrirono alcun danno.
Alla fine nel pontificalo di Bene-
detto XIV, al cui conclave era in-
tervenuto, pieno di sante opere re-
se tranquillamenle lo spirilo a Dio
in Ancona a* 20 novembre del
1745, d'anni 83, e fu sepolto nella
cattedrale con semplice iscrizione
ch'erasi da se composta. Per la
benevolenza e l'art'etto che si era
egli acquistato presso tulio il po-
polo anconitano, con la piacevolez-
za de'costumi, e con la soavità del-
le maniere, meritò che gli fosse
decretato a perpetua memoria di
onorCj un monumento da eiigersi
nella sala del palazzo della Ragio-
ne, in cui al dire del Cardelia se
ne vede ancora espressa 1' elegie in
un busto di candido marmo, fre-
giato di elegante iscrizione.
MASSEl Paolo, Cardinale. Pao-
lo Massei nobile di Montepulciano,
nato a*3o settembre 17 12, nipo-
te del precedente cardinale , fatti
regolarcnente i suoi studi, ed ab-
bracciato lo stato ecclesiastico, fu
ammesso in prelatura. Benedetto
XIV lo fece successivamente nel
1744 governatore di Ancona, nel
J749 di Civitavecchia, nel i75i
di Frosinone, e nel 1753 di Viter-
bo. Nel 1758 ottenne la coadiu-
loria di monsignor Casoni chierico
di camera, e lo divenne efl'ettivo
nel 1759 sotto Clemente XII l, dal
quale nel 1762 ebbe la presiden-
za delle zecche, e nel 1766 fu tras-
latato a quella delle strade. Giun-
se nel 1775 ad essere decano dei
chierici di camera, e nel 1778
promosso a commi.ssario generale
delle armi pontificie da Pio VI,
come abbiamo da monsignor Ni-
colai, Delia presidenza delle .strade
MAS
t. IT, p. 148. Lo stesso Papa a'i^
febbraio 178^ lo creò caidinale
dell'ordine de'preti, e poi gli asse-
gnò per titolo la chiesa di s. Ago-
stino. Morì dopo circa quattro mesi
di cardinalato, di anni settantatre, ai
9 giugno, in Roma, e fu esposto e
sepolto nella sua chiesa titolare con
elogio in lapide composto dalMor-
celii, che si legge a p. 275 delle
sue InscripLioiies. Sostenne le men-
tovate cariche con decoro, nell' e-
sercizio delle quali si diportò egre-
giamente, siccome integerrimo, laon-
de lasciò desiderio di sé in tutti i
buoni per l'esimie qualità sue.
Tenne al sacro fonte Francesco
Cancellieri celebre per l'erudizione,
che gli dedicò la quarta edizione
del Saggio di egloghe militari di
Giulio Cesare Cordara, e dal me-
desimo tradotte in latino, Roma
1784. Essendosi il Cancellieri re-
cato col benevolo padrino a vede-
re le carte cinesi che adornavano
varie stanze del palazzo di villa
Valenti, poi Sciarra, presso porta
Pia, ed avendo il Massei per fra-
tello il rettore del collegio cinese
di Napoli, gli propose di farne la
descrizione, che prevedeva gli sa-
rebbe stata gratissima. U Cancel-
lieri vi aderì, e pubblicò poi nel
181 3 in Roma l'opuscolo: Descri-
zio ne delle carte cinesi, ec.
MASSENZIA (s.), vergine e
martire. Nacque in fscozia, e ere-
desi uscita dal sangue reale. Riti-
ratasi in Francia, per mantenere
più agevolmente il voto di virgi-
nità che avea fatto, visse rinchiu-
sa presso il fiume Oise. Si assicu-
ra che fu trucidata da un libal-
do, il quale aveva tentato indarno
di farle rompere il suo voto, e
l'aveva seguita in Francia. 11 suo
culto vigeva nel secolo VH ai pas-
MAS
so dell' Oise, ove si è formala una
piccola città clie porta il nome di
Ponte s. Massenzio, per le di lei re-
liquie die vi sono onorate. La sua
festa si celebra ai 20 di novembre
in Iscozia e nella diocesi di Beauvais;
era celebrata ai 24 d' ottobre in In-
ghilterra e in Irlanda, e in qualche
luogo particolare d'Inghilterra ai 16
d'aprile.
MASSENZIO (s.), abbate. Nac-
que nella città di Agde, e ricevette
al sacro fonte il nome di Adiutore.
I suoi pii genitori lo posero sotto
la guida del santo abbate Severo,
dei cui insegnamenti approfittò per
modo che si avanzò ben presto nelle
\ie della santità. Per sottrarsi agli
applausi degli uomini, si ritirò in un
luogo sconosciuto. In capo a dieci
anni i suoi genitori ed amici aven-
dolo scoperto, lo ricondussero alla
patria; ma egli non vi rimase lungo
tempo. Fuggito di nuovo, andò nel
Poitou, cangiò il suo nome in quel-
lo di Massenzio^ e si mise sotto la
disciplina di un santo abbate no-
mato Agapito. 1 religiosi del mo-
nastero furono presi d' ammirazione
allorché videro 1' amor grande che
portava all' umiltà, alla mortifica-
zione, alla carità; e pel complesso
delle sue virtù lo elessero a loro
superiore. Ad esempio di AgapitOj
rinunziò più presto eh' egli potè,
per rinchiudersi in una cella ap-
partata. 1 monaci non acconsenti-
rono al suo ritiro, se non a con-
dizione eh' egli dovesse continuare
a governarli co' suoi consigli. Morì
circa l'anno 5 1 5, ed è onoralo nel
martirologio romano il giorno 26
di giugno.
MASSERANO o MESSERA-
WO, Massianum o Masseronum.
Principato del Piemonte, con Mas-
sejano piccola città per capitale.
MAS 237
capoluogo di mandamento, posta
in una situazione elevata, con più di
35oo abitanti. A questo principato
con titolo di marchesato, appartenne
Crevacour o Crevacuore, capoluogo
di mandamento sulla riva sinistra
del Sessera, con due miniere di
ferro nei contorni. 11 principato di
IMasserano è situato tra la Ironlie-
ra milanese, ed i ^errilorii di Biel-
la e Vercelli, nella quarta divisio-
ne piemontese o di Novara. Spet-
tò dapprima ai vescovi di Torino,
Vercelli, Asti, Pavia, con altri fen-
di per concessione di alcuni re di
Italia longobardi, incominciando da
Luitprando, non che all'insigne ab-
bazia di ». Benigno di Frulluaria,
quindi appartennero tali feudi al so-
vrano diritto della chiesa romana,
sotto il nome di principato di Mas-
serano e di marchesato dì Crevaco-
re^ per essere questi i principali luo-
ghi di quelle pontifìcie pertinenze.
Si devcavvertire che tanto il princi-
pato che il marchesato appartenne-
ro pure in complesso alla detta chie-
sa di Vercelli, senza però gli accen-
nati titoli, e da essa poi furono
dismembrati ed attribuiti per be-
nemerenza della cattolica religione
al cardinal Lodovico Fieschi ed al
suo fratello Antonio Fieschi, dal
Papa Bonifacio IX, che ne investì
con breve de' 29 maggio 1894 '»
nobilissima famiglia Fieschi o Fie-
sco, dalla q\iale nel pontificato di
Leone X passò per matrimonio o
per adozione ai Ferro di Biella o
Ferreri di Biella, eh' ebbero diversi
cardinali, e ciò fino all' estinzione.
Giulio li decorò queste terre del
titolo di contea. Paolo 111 le di-
chiarò marchesato, e Clemente Vili
le elevò al grado di principato. Nel-
la vita di Gregorio XI II si legge,
ch'egli ricuperò coli' aiuto del duca
238 MAS
di Savoia Emmanuel Filiberto , i
fendi (li Monlafìa e Tigliole vncati
nella diocesi di Asti, e <:;iianlali con
gente armata dalla conlcssa di Stro-
piana che pretendeva aver ragione
sopra di essi, riacquistando pure al-
la chiesa romana Cisterna nel Pie-
monte. Nel i658 a' 24 novembre
la famiglia Fieschi restituì e donò
alla santa Sede il principato di Mas-
serano ed il marchesato di Cre-
vaconr, ed il Papa Alessandro VII
colla costituzione Cum sicut, degli
8 maggio 1659, presso il Bull. Roni.
t. VI, par. V, p. I, accettò e ri-
cevè la restituzione e donazione di
tali dominii. Quindi colla costituzio-
ne Inter^ del primo febbraio 1661,
loco citato p. 127, a tale effelto
ampliò la bolla di s. Pio V_, di non
alienare i beni della chiesa roma-
na. Dipoi avendo Carlo Passio Fer-
reri Fieschi, principe di Masserano
e marchese di Crevacour, venduto
a Vittorio Amedeo II duca di
Savoia il feudo di Masserano e
Crevacour, e quelli di Quirin, Fle-
xia e Rissi senza il permesso del-
la Sede apostolica, Innocenzo XI col-
la costituzione Cum sicut, de* 26
febbraio 1686, BulL Rom. t. Vili,
p. 38 ijdichlaiò nulla ed irrita que-
sta vendila, ideile gravi differenze
insorte tra Clemente XI e la corte
di Torino, anche per la controver-
sia di diversi feudi nel Piemonte
e Monferrato, particolarmente su
Corlanze , Cortanzone , Cisterna,
Montafìa, e badia di s. Benigno,
sui quali il re di Sardegna presu-
meva di avere assoluta sovrani-
tà , fu percosso e posto in car-
cere il procuratore fiscale della
camera apostolica, e furono com-
messi altri eccessi contro la chiesa
di Montanaro, onde il commissario
della santa Sede nel principato di
MAS
Masserano, con edillo affisso alla
chiesa abbnziale, ordinò a lutti i sud-
diti pontificii che ne difendessero i
diritti; però fu con mano armata
laceralo l'editto. In (juesti feiidi e
piccoli villaggi o sieno cantoni che
ne dipendono, solevano i Papi, per
occasione di dilferenza tra quella
gente ed il principe feudatario,
mandare governatori apostolici, l'ul-
timo de' quali fu Gian Carlo An-
tonelli di Velletii, zio materno del
cardinale Stefano Borgia , poi ve-
scovo di Dioclia in partibus, e suf-
fraganeo di quello della propria pa-
tria, che vi andò col solito breve
di governatore, e con altro speciale
d' internunzio e di collettore ge-
nerale degli spogli. Finalmente nel
1741 Benedetto XIV terminò tali
differenze, il quale a mezzo del nun-
zio Merlinì, rimise al duca di Sa-
voia re di Sardegna Carlo Emma-
nuele III un breve apostolico, IH
nona januarii, col quale lo costituì
vicario apostolico in teinporalibus
e perpetuo de'luoghi e de'feudi che
la santa Sede possedeva nel Pie-
monte e Monferrato, nella linea ma-
scolina di primogenito in primoge-
nito, colla clausola dcbitae fìileli-
tatis^ ac de bene eL fideliler exer-
cendo dicù vicarialus offìcium,prae-
stand juranienluni in manihus ss.
et successoribus romanoruni Pon-
tìficum in qualibel niutalione lìneae
a primo seu capite e/usdem lineae,
come già si era convenuto con Cle-
mente XII, dovendo il re ricono-
scersi dipendente alla Sede aposto-
lica coll'annuo censo o tributo di
duemila scudi. 11 re giurò nelle
mani del nunzio, inviò al Papa un
calice d'oro del valore di scudi due-
mila d' argento, con promessa di
fare ogni anno altrettanto, in segno
di riconoscimento al legittimo si-
MAS
j^nore tli delti stali o feudi, e fu
ptintualniente eseguilo sino al de-
clinar del secolo XVIII, in cui i
francesi invasero il Piemonte. 1 feu-
di, secondo il Liher ccnsuum del-
la camera apostolica del 1846, p.
356, sono Cortantii seu Co r (anse-
riif Cortonsoris, Clsternae, Monta-
phiae , Tt'lìolanini , s. Benigni ,
PhelcLi Lomhardonisy Montanari ,
principalus Masserani^ et cotnita-
tus Crepacori , Bosnengì^ Caocini^
Flecchiae, Iìivi\ una cimi eoruui
tei ritoriis. Calicem unum auri va-
loris senior uni bismìlle monetae per
manus. Quindi vi è il conìparuit,
et solini.
MASSILLON Gio. Battista. Uno
de' più gran predicatori del suo se-
colo, nacque ad Hières nella Pro-
venza. Entrò nella congregazione
dell'oratoiio, ove si distinse pe'suoi
talenti, e dedicandosi alla predica-
zione fece conoscere quel genio sin-
golare di cui avealo dotato natu-
ra. Predicò avanti Luigi XIV, che
sebbene restasse malcontento di se
stesso, volle udirlo ogni óne anni,
indi nel 17 17 divenne vescovo di
Clermont, e mori nel 1 742, d' an-
ni sttlantanove. Abbiamo la raccolta
delle sue opere stampate a Parigi
nel 1745» e 1746 in quattordici vo-
lumi. Ciò elio forma il suo carattere,
è la persuasione e V unzione : tulli
i suoi ragionamenti toccano diret-
tamente il cuore, ed ìu tutti i suoi
discorsi apparisce sempre il senti-
mento che commove e intenerisce,
esprimendosi ognora nobilmente. E-
gli particolarmente si distinse sui
grandi oratori ne* sermoni di mo-
rale e negli elogi.
MASSIMI Camillo, Cardinale.
Camillo Massimi de' marchesi di
Arsoli, nobde romano, di antichis-
sima famiglia chiara per le glorio-
MAS 9.39
se gesta de'suoi antenati e de' po-
steriori che in copia vi fiorirono.
Il Panvinio ne' suoi due libri De
gente Maxima^ presso il t. IX del-
lo Spicilegio romano del dottissi-
mo cardinal Mai, scrive che uno
dei Massimi fu cardinale prete crea-
to da s. Fabiano Papa del 2 38,
morto in carcere per la fede di
Cristo ; altro cardinale egli scrive
che fu titolare di s. Pudenziana, e
visse sotto s. Siricio Pontefice del
385 e de' due suoi successori. In-
oltre fra i Massimo, oltre vari
santi e sante, sembra potersi an-
noverare i Papi s. Anastasio I
del 398, e s. Pasquale I del-
1*817. Camillo nacque a'20 luglio
1620, illustre non meno pel can-
dore de' costumi che per la chia-
rezza del sangue. Fu ascritto fin
dalla gioventù tra' prelati , e nel
i65i Innocenzo X Io fece chieri-
co di camera (nel 1^47 ^^'^ S"^
cameriere segreto); nel i653 Io
incaricò della nunziatura di Spagna,
dove incontrò non lievi controver-
sie in materie giurisdizionali col
primo ministro. Avuta da Alessan-
dro VII la commissione di procu-
rare la pace tra i francesi e gli spa-
gnuoli, pel quale oggetto anche il
senato veneto avea spedito in Ma-
drid un ambascialore straordinario,
Camillo o per soverchia fretta, o
per la gloria di aver lui solo con-
chiuso affare si rilevante, senza par-
teciparlo a tale oratore, si fece ar-
bitro d^lla pace, proponendo ai de-
putati di Francia una lega segreta.
Ricusarono i francesi di acconsen-
tire alla proposizione del nunzio,
senza prima farne parte al rap-
presentante veneto, il quale venuto
in cognizione della cosa , avanzò
querele al suo senato contro il nun-
zio, onde la repubblii '
24o MAS
fbrlemenle col Papa. Questi rlclila-
niò il prelato in Roma, e nel suo
pontificalo e in quello di Clemen-
te IX restò inoperoso. Il Battagli-
ni attribuisce il richiamo dalla nun-
ziatura, perchè 1' eccesso della con-
fidenza con Filippo IV avea posto
in diflìdenza la corte pontificia. Il
sacro collegio dopo la morte di Cle-
mente IX lo elesse governatore del
conclave, e Clemente X in esso
creato, subito lo decorò del titolo
di patriarca di Gerusalemme, e lo
fece maestro di camera, e dopo cir-
ca otto mesi, a'22 dicembre 1670,
lo creò cardinale prete, conferen-
dogli per titolo la diaconia di s.
Maria in Domnica elevata per lui
a titolo presbiterale, ritornando po-
scia a diaconia, tranne il tempo in
cui Benedetto XI 11 tornò a dichia-
rarla titolo per assegnarla al suo
favorito cardinale Coscia, per cui
invece eresse in diaconia la chiesa
di s. Maria ad Martyres. Dipoi il
cardinale passò al titolo di s. Ana-
stasia, ricevendo dal Pontefice l'in-
carico di soprintendere alla fab-
brica del sontuoso palazzo Altieri,
e vi riuscì con decoro. Visse il car-
dinale dedito alle lettere, alla pietà,
ed a tutte le virtù e scienze, e
perciò protesse i letterati e gli ar-
tisti, fra' quali si distinse partico-
larmente il Pussino. Praticissimo
degl'interessi de' principi, le storie
de' quali gli si erano rese famiglia-
ri per lo studio fattovi, si distin-
se pure per soavi e dolci ma-
niere . Sopra tutto segnalò il suo
genio nello studio delle antichi-
tà , che lo indusse a rintraccia-
re per ogni parte antichi monu-
menti, per mezzo de' quali potè
formarsi un f^imoso museo; e sic-
come fornito eziandio di cognizioni
in ogni genere di letteratura, la sua
MAS
casa fu l'emporio degli uomini piti
dotti ed eruditi, che negli all'ari
più dillìcili riguardavano i suoi sen-
timenti con venerazione, perchè ra-
re volte riuscivano fallaci, mentre
ponderando egli qualunque questio-
ne yi penetrava a fondo, e colpiva
le diflìcoltà che potevano insorgere,
sapendo applicarvi pronto ed op-
portuno rimedio. Pubblicò alcuni
codici di mirabile antichità, tra i
quali tiene il primo luogo quello
di Virgilio^ che si appella il Vir-
gilio del cardinal Massimi. Egli
pure scopri le celebri pitture an-
tiche nelle terme di Tito, quali
ancora si conservano nel palazzo
Massimo alle Colonne, di sua illu-
stre famiglia. Finalmente avendo
veduto il principio del conclave
d' Innocenzo XI, non potè vederne
il fine, morendo in esso nel 1676
a' 12 settembre, d'anni cinquanta-
sefte, ed ebbe sepoltura nella basi-
lica Lateranense, nella tomba dei
.suoi antenati, senza funebre me-
moria. Giovanni Bartolotti ne scris-
se la vita che pubblicò in Asti
nel 1677.
MASSIMIANOPOLT,/¥^.r//;2m/2o-
polìs. Sede vescovile della seconda
Pamfilia, nell'esarcato d'Asia, sotto
la metropoli di Pirgi, eretta nel
V secolo. Ne furono vescovi Pa.
trizio che intervenne al concilio
Niceno, e Teorebo che sottoscrisse
la lettera de' vescovi della Pamfilia
all'imperatore Leone. Oriens christ.
t. I, p. 1021.
MASSIMIANOPOLI. Sede ve-
scovile della provincia di Rodope,
sotto la metropoli di Traianopoli,
nella diocesi di Tracia , eretta nel
V secolo, e nel IX elevata ad ar-
civescovato onorario . Ne furono
vescovi Ennepio che fu al primo
concilio di Eleso; Sereno che sot-
MAS
toscrisse quello di Calcedonia, e al
decreto sinodico di Gennadio di
Costantinopoli contro i simoniaci;
ed Eustnzio die sedeva al V con-
cilio fra i metropolitani, perchè al-
cuni al sesto secolo attribuiscono
la dignità metropolitica , Oriens
christ. t. I, p. I200.
MASSIMIANOPOLI. Sede ve-
scovile della seconda Tebaide, nel
patriarcato d' Alessandria, sotto la
metropoli di Tolemaide Hermii, e-
retla nel IV secolo, di cui fu ve-
scovo Pacliimo meleziano. Oriens
chiìst. t. Il, p. 6 IO.
MASSIMIANOPOLI. Sede vesco-
vile della provincia d'Arabia, sotto
]u metropoli di Boslra, nel patriar-
cato d'Antiochia^ situata al di là
dal Giordano , di cui fu vescovo
Severo, pel quale Costantino suo
metropolitano sottoscrisse al con-
cilio Calcedonese . Oriens christ.
t. H, p. 867.
MASSIMIANOPOLI o MASSI-
MINIANOPOLI. Sede vescovile del-
la seconda Palestina, sotto la me-
tropoli di Scitopoli j nel patriarcato
di Gerusalemme , eretta nel VI
.secolo. Anticamente si chiamò Ha-
(ìadrimmon o Acladremmon^ da al-
cuni situala diecisetle miglia da
Cesarea Marittima, memorabile per
la morte di Giosia re di Giuda,
ucciso dagli arcieri dell' egiziano
Nicaon, Ne furono vescovi: Massimo;
Paolo che fu al concilio Ni ceno ;
Mega che sottoscrisse nel 5 18 alla
lettera sinodica del patiiarca di
Gerusaleninie Giovanni ; e Donno
che assistette al concilio di Costan-
tinopoli del 586 sotto il patriarca
Menna, ed a quello di Gerusalem-
lue sotto il patriarca Pietro Oriens
christ. t. Ili, pag. 7o3 ; Terzi,
Siria sacra p. 276. Com man vil-
le dice che nel secolo Xll vi fu
VOL. XLIII.
MAS 24r
eretto un arcivescovato dai latini.
Al presente Massimianopoli, Maxi-
ini nianopolilan, è un titolo vescovile
in partibus, sollo l'arcivescovato pu-
re in partibus di Cesarea, che con-
ferisce la santa Sede. Vacato per
morte di Alessandro Cameron , il
Papa Gregorio XVI nel concistoro
de'i5 aprile i833 loconferì a Gae-
tano de Rowaiski della diocesi di
Posnania, facendolo insieme suffra-
ganeo della metropoli di Gnesna^
della cui cattedrale era canonico.
MASSIMILIANO (s), martire.
Fu condannalo alla morte per a-
ver confessato d'esser cristiano, e
ricusato di servire, essendo figlio
d'un soldato romano, secondo che
prescrivevano le leggi dell'impero;
e ciò perchè la professione guerre-
sca, dopo gli ordini emanati da
Diocleziano, era inseparabile dalla
idolatria. Nell'atto ch'egli veniva
condotto al supplizio , esortava i
cristiani a rimaner fedeli al Si-
gnore. Subì il martirio a Tebesta
in Numidia, nel 296, in età di
venlun anni, tre mesi e diciotta
giorni. È onorato a* 1 2 di marzo.
MASSIMILIANO (s.), martire.
f^. BONOSO (s.).
MASSIMILIANO Dormiente .
F. Dormienti (i sette ss.).
MASSIMILIANO, ordine equestre
militare. Questo ordine del merito
militare di Baviera fu istituito da
Massimiliano Giuseppe primo re di
Baviera, il primo gennaio j8o6,
decretando che 1' antica decorazio-
ne militare 1' elevava ad ordine rea-
le per rimunerare i fatti gloriosi
eseguiti per la gloria del servigio
militare; e tal giorno è la fe-
sta dell' ordine, che la celebra so-
lennemente. Il capitolo dell'ordine
del merito militare di Baviera esa-
mina i dirilli degli aspiranti, e li
16
a{i MAS
presenla al re, il quale decide se
ne debbono essere fregiati. L' or-
dine ha diversi privilegi e pensio-
ni, determinandosi il grado nell'at-
to della nomina : il regnante re
Luigi Carlo Augusto, a' 2 f ottobre
i83o aumentò le pensioni con al-
tre otto annue contribuzioni di tre-
cento fiorini. L' ordine si divide in
tre classi, cioè di gran croci, di com-
mendatori e di cavalierij il nume-
i-o de* membri è illimitato, e la
gran croce non possono conseguirla
che i soli generali. La decorazio-
ne consiste in una croce d' oro
smaltata di bianco, sormontata da
una corona : il centro è smaltato
di turchino colle cifre 31. J. K.
del suo fondatore, c\oè Massimilia-
no Giuseppe re, e nel rovescio v'è
l' epigrafe : Firluù prò patria. Il
nastro da cui pende la croce è di
seta nera avente agli orli un rica-
mo turchino e bianco.
MASSIMILIANO, ordine eque-
stre civile. Quest* ordine del meri-
to civile di Baviera fu fondato da
Massimiliano Giuseppe primo re di
Baviera, per ricompensare le per-
sone impiegate nel civile, che aves-
sero reso eminenti servigi allo stato,
che si fossero distinte per patrie
■virtù, e che avessero bene meritato
del pubblico. Fu diviso in quattro
classi, cioè di dodici gran croci_, di
Tentiquattro commendatori^ di cen-
to cavalieri, e di un numero illi-
mitato di decorati della medaglia
d' oro o d' argento. Nella revisio-
ne degli statuti falla agli 8 ottobre
1817, '^ numero de* gran croci fu
fissato a ventiquattro, non compre-
si quelli decorati dell'ordine di s.
Uberto; quello de* commendatori a
quaranta, e quello de' cavalieri a
cento sessanta. Quelli che sono an-
noverati in una delle tre prime
MAS
classi hanno diritto di prendere un
titolo di nobiltà, che trasmeltono
a' loro figli, ed in perpetuo alla fa-
miglia per diritto di primogenitu-
ra: tuttavolta dipoi tal diritto ebbe
delle limitazioni. L' ordine ha un
fondo di pensioni pei figli dei ca-
valieri defunti, ed un decreto del
re che regna, de' 12 ottobre i834,
aumentò le pensioni da 25o a 3oo
fiorini. Nella croce di decorazione
evvi il motto : J^irtus et honorj e
nel rovescio si vede il busto del-
l' effigie del fondatore colla leggen-
da : Max. Joseph rex Bojoariae.
^ MASSI MINO (s.), vescovo d'Aix.
E riguardato come il fondatore di
questa chiesa. Alcuni moderni ne
collocano la missione, ma senza
prove, avanti la fine del primo se-
colo, pretendendo che fosse uno
dei discepoli del Salvatore. S. Si-
donio o Chelidonio fu probabil-
mente suo successore ; e, secondo
la tradizione del paese, è quel me-
desimo nato cieco guarito da Ge-
sù Cristo. Le reliquie di questi san-
ti, come pure quelle di molti al-
tri, si mostrano a s. Massimino,
piccola città a sei leghe d'Aix. Il
monastero che porla il nome del
santo, e che lo diede alla città,
seguiva in antico la regola di san
Benedetto: Carlo II re di Sicilia e
conte di Provenza, che fece riedi-
ficare la chiesti, lo diede ai padri
predicatori nel 1295. S. Massimi-
no è onorato il giorno 8 di giugno.
MASSIMINO (s.), vescovo di
Tre veri. Nato a Poitiers, d' illustre
famiglia, fu educato da s. Agricio
vescovo di Treveri, il quale lo
strinse al servigio della sua chiesa,
e gli conferì gli ordini sacri. Nel-
l'anno 332 successe al suo precet-
tore. Quattr'anni dopo raccolse in
Xi'even s, Atanasio, che vi era sta-
MAS
to rilegalo. Questo sanfo passò qui-
vi due anni, e loda assai ne' suoi
scritti la vigilanza instancabile, Te-
roica fermezza, e la vita esempla-
re del suo albergatore, il quale era
già favoreggiato col dono dei mi-
racoli. Quaudo s. Paolo vescovo di
Costantinopoli fu bandito dairitn-
peratore Costanzo, trovò egli pure
asilo nella città di Treveri, e un
celante difensore in Massimino, che
fu uno dei più illustri propugna-
tori della fede di Nicea, nel conci-
lio tenuto a Sardica Tanno 347-
I suoi consigli impedirono che T im-
peratore Costante fosse sedotto da-
gl' intrighi degli ariani, non lascian-
do passare alcuna occasione in cui
svelarne gli artifizi, ed arrestare i
progressi della loro setta. Dicesi
che morisse nel 349 nel Po'to"> do-
ve era andato a visitare la sua fami-
glia. Fu sepolto presso la città di
Poitiers; ma il suo corpo venne
trasferito in appresso a Treveri, la
qual cerimonia si fece ai 29 mag-
gio, giorno in cui ora si celebra
la sua festa. Neil' 888 vennero sco-
perte le sue relìquie, ch'erano sta-
te nascoste durante le scorrerie dei
normanni; e furono allora onorate
di molti miracoli, de' quali i bol-
landisti ne pubblicarono la relazione.
MASSIMINO (s.), abbate, voi-
garmente chiamato s. Mesmino. Era
nipote di s. Euspicio prete di Ver-
dun, in favore del quale il re Ciò-
doveo fondò nel 5o8 il celebre mo^
nastero di Micy. Nel 5io succedet-
te allo zio nel governo di tal mo-
nastero, e la riputazione di santità
eh' egli godeva gli procacciò gran
numero di discepoli , fra' quali vo-
glionsi annoverare s. Avito, s. Li-
fardo, s. Urbino, s. Calerifo, s. Teo-
demiro, s. Laudomaro ec. Il santo
abbate passò da questa a miglior
MAS 243
vita il i5 dicembre del 520, ed è
nominato in tal giorno nel marti-
rologio romano e in quelli di Fran-
cia. Si custodiscono le sue reliquie
nel monastero di Micy, che appar-
tiene presentemente ai Foglianti, e
che porta da molto tempo il no-
me del santo.
MASSIMINO (s.), martire. V,
Giù VENTINO e Massimino (ss.).
MASSIMO (s.), martire. Asiatico,
mercante di professione e cristiano.
Confessò pubblicamente la sua re-
ligione , mentre l'imperator Decio
aveva ordinato a tutti i cristiani
di adorare gì' idoli. Condotto da-
vanti al proconsolo Ottimo, ed a-
vendo coraggiosamente ricusalo di
piegarsi all'osservanza degli editti
imperiali, fu sottoposto alle batti-
ture, quindi tormentato sopra il ca-
valletto. Ma disperando il procon-
solo di vincere il prode combatti-
tore, ordinò che fosse lapidato per
servire di esempio ai cristiani. Mas-
simo fu tosto consegnato a una ban-
da di satelliti, i quali lo condussero
fuori della città, e lo fecero morire
a colpi di pietra. Ciò avvenne l'an-
no i5o o 25i. E onorato da'greci
il dì i4 maggio, che fu quello del
suo martirio, ed è nominato nel
martirologio romano a'3o di aprile.
MASSIMO E VENERANDO (ss.),
martiri. La nuova leggenda di quo-
ti santi racconta ch'erano fratelli,
e nati a Brescia in Italia; che Mas-
simo fu consacrato vescovo, e Ve-
nerando innalzato al diaconato dal
Papa s. Damaso I del 367, il quale
li mandò ambedue a predicare il van-
gelo agi' infedeli; che essi eseguirono
dapprima questa commissione tra i
barbari che passate le Alpi erano
piombati sulla Lombardia, ma non
ne trassero altro profitto, se non
che r onore di sotferire vari tor-
a44 MAS
menti per Gesù Cristo. Sollrallisi
alla rabbia de' persecutori , abban-
donarono l'Italia e sì recarono nelle
Gallie, accompagnati da due santi
preti, nomati Marco ed Elerio. Pas-
sarono per le città di Auxerre, di
Sens e di Parigi ; e dopo aver fat-
to qualche dimora nel luogo dove
rOise mette nella Senna, continua
rono il loro viaggio alla volta d'E-
Treux. Giunti nel villaggio di Ac-
quigny, furono arrestati da una
truppa di barbari che li decapita-
rono in un'isola vicina. Trentotto
soldati da essi guadagnati a Gesù
Cristo, riportarono eoa loro la coro-
na del martirio. S. Massimo e s. Ve-
nerando sono onorati con molta di-
vozione ad Evreux e a s. Vandril-
)o, ove si venerano alcune loro re-
liquie; e la loro festa si celebra ai
2 5 di maggio.
MASSIMO (s.), martire. F. Ti-
BURzio, Valeriano e Massimo (ss.).
MASSIMO (s.), martire. V, Mo-
SÈ e Massimo (ss.).
MASSIMO (s.), martire, V. Vit-
torino (s.).
MASSIMO (s.), vescovo di Riez.
Nacque a Decomer nella Provenza,
che ora è detto Castel- Redo ne, vi-
cino a Digne. Educato alla virtù,
menava vita ritirata in casa del
padre, consacrando la maggior par-
te del tempo all'orazione, alla let-
tura e a gravi studi. In seguito
dispensò ai poveri i propri beni, e
si ritirò nel monastero di Lerino,
governato da s. Onorato. Eletto
questi arcivescovo d'Arles nel 4^6,
Massimo fu incaricato del reggi-
mento del monastero, che per lui
acquistò nuovo lustro. In capo a
sett'anni fu innalzato alla sede di
Riez nella Provenza, che fu obbli-.
gaio accettare, sebbene la sua u-
miltà vi ripugnasse. Massimo conli-
MAS
nuò a portare il cilicio ed osser-
vare le regole monastiche, per quan-
to glielo poteano permettere le sue
funzioni episcopali. Conservò Io stes-
so amore alla povertà, lo stessa spi-
rito di penitenza e di orazione,
la medesima indifftirenza pel mon-
do, e la medesima umiltà. Ma la
sua pazienza e carità ebbero mag-
giori occasioni di esercitarsi nell'a-
dempimento de' doveri dell' episco-
pale ministero. Si trovò al concilio
di Riez nel 4^9, al primo d' Oran-
ge nel 44'» ^ a quello di Arles nel
454. Mori nel 4^2, ai 27 novem-
bre, giorno sacro alla sua metno-
ria. Il suo corpo è custodito nella
cattedrale di Riez, dedicata alla Bea-
ta Vergine e a s. Massimo.
MASSIMO (s.), vescovo di To-
rino. Poche notizie abbiamo di lui.
Gennadio ci fa sapere che fu uno
de' principali lumi della Chiesa nel
quinto secolo, e che predicò la fede
con zelo indefesso; al qual sublime
ministero erasi apparecchiato con
uno studio profondo delle divine
scritture. Assistette al concilio di
Milano nel 4^i> ed a quello di
Roma nel 4^^>,cui non soprav-
visse di molto. È menzionato nel
martirologio romano a' 25 di giu-
gno. Ci rimane di questo santo ve-
scovo un gran numero di omelie
sopra le principali feste dell'anno,
sopra molti santi, e sopra diversi
soggetti di morale,
MASSIMO (s.), solitario. Disce-
polo di s. Martino di Tours, nel
cui monastero fu allevato , crebbe
più che mai il suo fervore essendo
innalzato al sacerdozio. Lasciò il
suo paese pel desiderio di vivere
sconosciuto, e si ritirò nel mona-
stero dell* Isola Barba, presso Lio-
ne, di' CUI fu poscia eletto abbate.-
Ma poiché era troppo distratto dal-
M A S
le funzioni del suo grarlo, e poiché
le frequenti scorrerie dei barbari
gli erano d' ostacolo a far sussistere
la sua conaunità, rinunziò alla ca-
rica, e partì. alla volta della Tu-
rena. Ritornato in patria , riprese
la sua primitiva maniera di vivere;
ma in progresso di tempo fu costret-
to prendere il governo di un mo-
nastero da lui fondato nella pic-
cola città di Chinon, dove morì
nel quinto secolo, in età assai a-
vanzata. La sua santità fu conte-
stata da miracoli operati prima e
dopo la sua morte. Si custodisce
parte delle sue reliquie a Bar-le-Duc
nella Lorena, dov'è conosciuto sot-
to il nome di s. Mnxe. La sua fe-
sta è indicata nel martirologio ro-
mano a' 20 d' agosto.
MASSIMO (s.), soprannomato ,
dai greci Omologeta o il Confesso-
re. Nacque a Costantinopoli l'anno
58o, di una delle più illustri fami-
glie di questa città , ed occupò la
carica di primo segretario di stato
presso l'imperatore Eraclio. Distin-
to per talenti e virtù, egli abbor-
riva la vanità ed amava la solitu-
dine. Introdottosi nella corte il mo-
nolelismo, temendo che la sua co-
scienza potesse esser posta a peri-
gliosi cimenti, si pose in animo di
rinunziare al suo impiego e di ri-
tirarsi in qualche monastero ; ed
ottenutane a fatica la permissione,
si fece religioso a Grisopoli. Di là
passò in Aliica, mentre Pirro pa-
triarca di Costantinopoli, quivi ri-
fuggito, si sforzava di spargere e di
acciedilare il monotelismo. Il patri-
zio Gregorio governatore d' Africa
volle che Massimo avesse una pub-
blica conferenza con Pirro, la quale
si tenne in Cartagine nel luglio del
645, alla presenza di molti vesco-
vi, del governatore e di altre per-
MAS 245
sone d' alto' aliare. Pirro convinto
abiurò il suo errore, e portò egli
stesso a Roma la sua ritrattazione,
ma essendo poscia ricaduto nell' e-
resia fu scomunicato. S. Massimo
assistette al concilio lateranense che
si tenne nell'ottobre del 649, sotto
il Papa s. Martino I , nel quale il
monotelismo fu condannato con tut-
ti i suoi fautori, come pure il Tipo
(Fe<i?/^ dell' imperatore Costante IL
Morto il Papa, nel 655, s. Massimo
fu arrestato per ordine dell' impera-
tore, col monaco Anastasio suo di-
scepolo, ed un altro Anastasio che
era apocrisario della chiesa romana.
Condotti a Costantinopoli, furono
posti in separate prigioni, ed alcuni
giorni appresso vennero tratti al
palazzo, dove era radunato il sena-
to per giudicarli. Dopo due inter-
rogatorii s. Massimo fu rilegato in
Bizia, Anastasio apocrisario in Se-
limbria, e l'altro Anastasio a Per-
bera, paesi situati nell'estremità del-
l'impero. Furono colà mandati sen-
za provvisioni per vivere, e senza
altre vesti che alcuni cenci, i quali
coprivano appena la loro nudità.
Nel 65^ fu s. Massimo trasferito
al monastero di s. Teodoro di Rega
presso Costantinopoli. Lungo il viag-
gio fu trattato colla più inaudita
barbarie, e giunto a Rega a'i3 di
settembre, i patrizi Epifanio e Troi-
lo, come altresì il vescovo Teodosio,
andarono a trovarlo seguiti da nu-
meroso corteggio, per indurlo a co-
municare con essi ed approvare il
Tipo. Sostenendo costantemente la
dottrina della Chiesa cattolica, ebbe
il santo a soffrire i più indegni trat-
tamenti. Finalmente s. Massimo e
i due Anastasi furono ricondotti a
Costantinopoli, ove radunato contro
di essi un conciliabolo, vennero a-
natemalizzati e consegnali al prefet-
246 MAS
to del pretorio , il quale a tenore
della sentenza, dopo averli fatti fla-
gellare, fece loro tagliare la lingua
e la mano destra , quindi inviolli
in esilio nel paese de' lazzi, nella
Sarmazia europea, verso la palude
Meotide. Ivi giunti agli 8 di giugno
del 662, furono separati l* uno dal-
l' altro. Il monaco Anastasio fu con-
dotto a Suma, ove morì pei tor-
menti sofFerli, a*i4 luglio dello stes-
so anno; l'altro Anastasio gli soprav-
visse non molto, e s. Massimo fu
relegato nel castello di Schemari.
Egli predisse il giorno della sua
morte, da cui fu rapito circa la fine
dell' anno medesimo 662, o al prin-
cipio del susseguente, essendo in età
di ottantadue anni. I greci celebra-
no due feste in suo onore : l' una
a' 21 di gennaio, l'altra a'i3 d'a-
gosto. Baronio e Baillet assegnano
quest'ultimo giorno per quello della
sua morte; ma Falconìo opina che
sia morto a' 2 1 di gennaio , ed ha
per fondamento ciò che dice il Si-
nassario de' greci, cioè che a' 1 3 di
agosto si fece a Costantinopoli la
traslazione delle sue reliquie, le qua-
li erano state portate in questa cit-
tà dal monastero di s. Arsenio, si-
tuato poco lungi dal paese dei laz-
»i, dove il santo era stato dappri-
ma seppeUito. Il martirologio roma-
no lo nomina a* 1 3 agosto co' due
Anastasi. Abbiamo parecchie opere
di s. Massimo, cui il dotto Com-
befis domenicano fece stampare a
Parigi nel 1675. Esse consistono in
commentari mistici o allegorici so-
pra diversi libri della Scrittura; in
cx>mmentari sopra le opere attribui-
te a s. Dionisio l'Areopagita; in
trattati polemici contro i monoteli-
li; in un eccellente ragionamento
ascetico; in massime spirituali prin-
t:ipalmente sopra la caritàj e io al-
MAS
cune lettere. Vi sono parecchie ope*
re di $. Massimo tuttavia inedite.
MASSINI Carlo Ignazio. Filip-
pino della congregazione di Roma,
nacque da comoda famiglia di Ce-
sena a' 16 tJaggio 1702. Fornito di
ingegno pronto e penetrante, di
felice e tenacissima memoria, e di
tutte le necessarie disposizioni agli
studi, questi egregiamente apprese,
massime legali. Recatosi in Roma,
ne partì poi qual uditore del car-
dinal Spinola legalo di Bologna,
e con rara integrità ne funse l'uf-
fìzio. Benché unico maschio di sua
casa, si consagrò allo stato eccle-
siastico, e nel 1734 entrò in Ro-
ma nella congregazione dell' oralo-
riOj ove si segnalò nelle più belle
virtù, e ne divenne uno de'più belli
ornamenti. Versatissimo nella storia
ecclesiastica e nelle scienze sacre,
dotato di vasta erudizione, ci lasciò
eccellenti opere, e morì santamente
nel 1791 d'anni ottantotto, aven-
do molto operato anco per l'altrui
santificazione. Nei suoi libri viene
epilogata la più soda e cristiana
morale ; per tutto vi riluce la pietà
de' sentimenti di cui era vivamen-
te penetrato, e l* inestimabile suo
zelo. Le opere da lui pubblicate
sono: I." Fila del veti. p. Maria-
no Sozzini dell* oratorio di Roma^
Roma 1747- Questa vita era già
stata abbozzata dal cardinal Lean-
dro Colloredo, ed il Massi ni tornò a
pubblicarla con aggiunte, e la F^ita
di Flaminia Papi, dello stesso p.
Sozzini. 2." Fila di Gesù Cristo,
Roma 1759: è una traduzione dal
francese di quella di Tourneaux ,
con osservazioni morali. 3.° Fita
di Gesù Cristo, con appendice di
meditazioni sulla passione, ed istru-
zione per assistere alla messa, Ro-
ma j 761. Fu impressa 1' appen»
MAS
dice a parte con Bre^'c esercizio per
le domeniche e feste del Signore e
di Maria P' ergine. 4-" Raccolta
delle vite de^santi per ciascun gior-
no dell' annOj premessa la vita del
Signore eie feste mobili^ Roma i 763.
5." Raccolta ec. die contiene i' ap-
pendice delle vite de' santi, e la
vita della ss. Vergine, Roma 1767.
La vita della Madonna è del pa-
dre Andrea Micheli fìiijipino che
aiutò il p. Massini nelle due rac-
colte, le quali meritarono di essere
più volte ristampate in Roma, in
Venezia ed altrove. Avendo egli
così compiuta la storia agiografa
del nuovo Testamento con univer-
sale applauso, nel 1786 con eguai
successo corrispose il p. Micheli,
dappoiché puhblicò in Roma : Vite
de' santi dclV antico Testamento^
di cui ben presto se ne replicaro-
no le edizioni.
MASSONI. V. Muratori.
MASTAURA. Sede vescovile del-
la provincia d' A§.ia nell' esarcato
del suo nome, sotto la metropoli
di Efeso, eretta nel V secolo. Tra
j suoi vescovi nomineremo Teodo-
sio che assistette e sottoscrisse al
primo concilio generale d'Efeso^
e al posterioie conciliabolo j Sa-
bazio che fu a quello di Calcedonia;
Teodoro intervenuto al IV genera-
le; e Costantino che fu al secondo
di Nicea. Oriens christ. t. I, p. 7o4-
MASTRICHT o MAESTRICHT,
Trajecliini ad Mosani , o Traje-
cluni supcrius, per distinguerla da
Utrecht, chiamata Trajeclutn infe-
rius. Città vescovile già della pro-
vincia di Limburgo nel regno del
Belgio, e secondo T ultime recenti
convenzioni ora appartiene a quel-
la parie del Lussemburgo ceduta
all'Olanda. E situala sulla riva si-
nistra della Mosa, sei leghe distan-
MAS 247
te da Liegi. Fu una delle più forti
piazze d' Europa, era già la chia-
ve principale delle Provincie Unite,
ed è capoluogo di Limburgo^ di
circondario e di due cantoni. Cin-
ta da colline, è attraversata dal laar,
piccolo affluente della Mosa, da cui
è divisa dal sobborgo Wjck, al
quale comunica col mezzo di un
bellissimo ponte di pietra. E una
delle più forti piazze del regno^ es-
sendo difesa da buonissimi baluardi
e da fosse, da numerosi bastioni e
dal forte s. Pietro posto sopra una
altura, potendo essere i dintorni
inondati. Ben fabbricata, nella gran
piazza vi è il palazzo pubblico, co-
strutto nel i652, bellissimo edifi-
zio. Sono rimarcabili la chiesa di
s. Gervasio, il collegio già de' ge-
suiti, r arsenale, il teatro, il pas-
seggio sui bastioni e lungo la Mo-
sa, diversi benefici e letterari sta-
bilimenti. Il commercio è assai at-
tivo pel porto che ha sulla Mosa.
Il luogo esisteva come città nel IV
secolo, e fu compresa nel regno di
Austrasìa, riconoscendo per molto
tempo l'imperatore per sovrano. I
diversi assedi che sostenne in più
epoche la resero celebre. Cadde in
potere de' duchi di Brabante e dei
vescovi di Liegi al principio del se-
colo XIII. Un vescovo di Liegi la
vendè a Carlo V, indi nel i57g il
duca di Parma la prese e saccheggiò
per gli spagnuoli, ai quali la tolse
Federico principe d'Orange nell'anno
i632, cedendola agli slati genera-
li nel 1648. Luigi XIV la conqui-
stò in tredici giorni di assedio nel
1673, mentre si tenea inespugna-
bile. Attaccata da Guglielmo prin-
cipe di Orange nel 1676, fu ob-
bligato dopo cinquantun giorni di
levarne l'assedio, essendo stata re-
stituita agli olandesi per la pace
248 MAS
di Niiiiega nel 1678. Ripresa dai
francesi nel 1748, fu nell'anno sles-
so ceduta pel trattato d' Aquisgra-
na. Giuseppe li ne rivendicò il pos-
sesso nel 1784, ma l'anno seguen-
te rinunciò ad ogni diritto per nove
milioni e mezzo. I francesi la bom-
bardarono nel 1793, ed obbligati
a levarne V assedio 1' attaccarono di
nuovo nel 1794, prendendola dopo
undici giorni. Riunita alla Francia
nel 1795, divenne il capoluogo del
dipartimento della Musa inferiore ,
finché passò a far parte del regno
de' Paesi Bassi.
La sede vescovile fu eietta nel
498, sotto la metropoli di Colo-
nia, per avervi trasferito quella di
Tongres s. Servato. Tra i suoi ve-
scovi nomineremo s. Amando che
nel 632 si condusse a Roma, e nel-
la basilica vaticana gli apparve s.
Pietro, ordinandogli tornare in Fian-
dra a predicare il vangelo. Nel 65o
gli successe s. R emacio, eh' ebbe a
compagno nelle funzioni del vesco-
vato s. Landoaldo. Dopo di lui fio-
n s. Teodardo, eh' ebbe per suc-
cessore s. Lamberto , che pafi il
martirio nel 708 o 709, pel cui
assassinio s. Uberto trasportò la se-
de a Liegi. II re di Spagna, che
ne avea il dominio principale co-
me duca di Brabante, cedette Maa-
stricht alle Provincie Unite colla pa-
ce di Munster nel 1648. Il vescovo
di Liegi non aveva che il domìnio
utile con una porzione della giu-
stizia; e la religione cattolica e la
protestante furono permesse nel pub-
blico esercizio. I cattolici vi hanno
cinque parrocchie, s. Gervasio, s.
Matteo, Maria Vergine^ s. Pietro,
ed Oud Vivenhoven. Vi sono due
ospedali, due ospizi, e due case del-
le sorelle della carità di s. Vincen-
zo de Paoli.
MAS
MASTROZZI Valentino, Cnnli^
naif. Valentino Mastrozzi nacque di
nobile famiglia in Terni a' 25 lu-
glio 1729. Dopo aver fatto gli studi
ecclesiastici, fu ammesso in prela-
tura e nel principio di sua carrie-
ra venne occupato da Clemente
XI II nell'amministrazione economi-
ca di molti luoghi pii, ed indi da
Clemente XIV fu promosso alla se-
greteria del buon governo, carica
che esercitò con soddisfazione gran-
de della curia, e con indicibile van-
taggio delle comunità dello stato,
alle quali co' suoi provvidi regola-
menti recò il profitto di sgravarle
dai debiti nella somma con«<idci'a-
bile di quattrocento e più mila
scudi. Fatto chierico di camera, e
destinato da Pio VI alla prefettura
dell' annona, si occupò nell' eserci-
zio della medesima con tale fer-
mezza di animo, avvedutezza di
amministrazione, ed utilità di prov-
vedimenti, che si meritò il plauso
universale ed attenne il premio
della porpora. Pio VII nel conci-
storo de' 23 febbraio 1801 lo creò
cardinale prete, e per titolo gli con-
ferì la chiesa di s. Lorenzo in Pa-
ne e Perna, annoverandolo alle con-
gregazioni de' vescovi e regolari,
dell' immunità, delle acque e del
buon governo. Fu protettore della
collegiata di s. Cristina di Gubbio
e di quella di s. Giovanni di Fab-
brica ; della confraternita del ss.
Sagramento nel castello di s. Era-
clio di Fermo, della Madonna del
Carmine di Terni, e della comiuiità
di Fabbrica in Piemonte. In segui-
to di una penosa malattia cronica,
in Roma passò all'altra vita a' i3
di maggio 1809, d'anni ottanta. Il
cadavere fu esposto nella chiesa di
s. Marcello, e ne'funerali gli cantò la
messa il cardinal Alessandro Mal'
MAX
lei, venendo tumulalo in quella sua
lilolare di s. Lorenzo, a norma del-
la sua teslamenfaria disposizione.
Questo integerrimo cardinale d'au-
rei costumi, a testimonianza del suo
zelo per la cattolica religione la-
sciò erede del suo patrimonio il
collegio Urbano di propaganda fi-
at s volle sollevare con un censo
annuo i bisogni delle monache di
s. Giacomo alla Longara, delle qua-
li per molti anni era stato supe-
riore, ed arricchì diverse chiese col-
le sue sacre suppellettili.
MATELICA {Mathelicen). Città
con residenza vescovile dello stato
pontificio, nella delegazione aposto-
lica di iAlacerata, situata nel mezzo
di una valle vasta, fertile e bella,
tra le città di Camerino e di Fa-
briano, distante dieci miglia dalla
prima e sette dalla seconda. E ba-
gnala dal fiumicello, detto impro-
priamente, secondo Acquacolta, s.
Angelo, il quale concorre col Senti -
no a formar l' Esi, ed un tempo
si chiamò Flumeit Matelicaniun.
La sua superfìcie è piana, buone
le principali strade, e mediocri gli
edifizi. Vaga è la piazza, che viene
ornata da una grandiosa fontana.
Tra le molte chiese e caie religio-
se sono osservabili l' antico duomo,
ov' è in venerazione il patrono s.
Adriano , per la cui festa si tiene
importante fiera, e la chiesa di s.
Agostino. Fuori delle mura è il
monastero de' silvestrini. La sua
valle, che gli Apennini attorniano,
è fiorentissirna, e prelibali vini si
raccolgono nel suo territorio. Fino
da remota epoca sono attivati in
Matelica importanti opifìci di lana,
ed i suoi panni hanno con credito
circolalo da per tutto, e sebbene
ora le sue fabbriche non abbiano
più il j)as»ul.o smercio, pure hanno
MAT 249
conseguito notabili miglioramenti
sulla qualità del lavoro. La storia
di Matelica è in gran parte colle-
gala a quella di Camerino : non ce-
de però essa alle altre città mar-»
chiane in antichità, ed al pari del-
le confinanti fu in diversi tempi a
diverse proviiicie ascritta. Ne' tempi
più remoti i nuitilicati si annovera-
rono tra i popoli dell'Umbria nel-
la VI regione d'Italia; poi fu com-
presa, secondo alcuni, nell'antico Pi-
ceno, indi nel ducato di Spoleto. La
Signoreggiarono gli Ottoni, indi fu
compresa nella legazione della Mar-
ca o Marca d' Ancona (noteremo
che circa il ySo incominciò il do-
n)iuio temporale della santa Sede
sull'Umbria e sulla Marca d'An-
cona, come dimostrammo in più
luoghi), poi nel ducato di Cameri-
no, ed ebbe in fine i suoi gover-
natori paiticolari, che vi rendono
tulio» a giustizia, essendovisi anche
neir epoca del regno Italico desti-
nata la giudicatura di pace d' un
cantone. Attualmente ha dipenden-
te la sola comune di s. A natoli a ^
della quale riportammo le notizie
all'articolo Macerata, col casale Pa-
lazzi, oltre il suburbano villaggio
di Castel di Rocca, unito al qiia-
le conta circa ySoo abitanti.
In Matelica sono fioriti non po-
chi uomini illustri, oltre i celebri
e potenti Ottoni, e faremo menzio-
ne dei seguenti. S. Sollecito è tra-
dizione che avesse i natali in Ma-
telica, ov'ebbe chiesa, demolita nel
declinar del secolo XVII I. La bea-
la Mattia del secolo XIII, il cui
cullo immemorabile riconobbe Cle-
mente XIII nel 1765; e l'arcipre-
te Acquacolta storico patrio, di
(juanto concerne la storia, ci diede
due operette. Il beato Gentile dei
minori irancescaui, martirizzalo nel
25o MAX
l35i o i352, su di che vi è una
cilssertuzione del dotto can. Giusep-
pe Antonio Vogel. Filippo Campa-
lìelli fu creato cardinale da Pio VI
nel 1789; nato da Giuseppe e Lau-
ra Finaguerra di famiglie patrizie,
ièce i suoi studi uel collegio Mar-
ziale di Fermo, avvocato concisto-
riale, promotore della fede, canoni-
co vaticano, consultore del s. ofH-
zio, ed esaminatore de' vescovi : il
resto lo dicemmo alla sua biografìa,
e nella cattedrale ne pronunziò l'e-
logio funebre l'avv. Vincenzo Mar-
cellini; nel palazzo pubblico e sul-
la facciata del governativo vi sono
due iscrizioni che ne fanno onora-
la memoria, avendo ancora contri»
builo che alla patria fosse restitui-
to il suo vescovo. Tra i vescovi
fiorirono, Accursio vescovo di Pe-
saro del 1285; fr. Tommaso ago-
stiniano vescovo di Osimo, che in
un ritratto esistente in comune vieu
chiamato cardinale, ma dell' anti-
papa Nicolò V (eletto da Lodovi-
co il Bavaro) del 1828; fr. Corra-
do de' minori vescovo di Bagnorea
del i44^J Astone Paganelli vesco-
vo di Gravina del iSy^; e Gio-
vanni Severini vescovo di Cameri-
no del 1606. Tra i prelati, Cali-
sto Araadei uditore della camera,
l)en accetto a Leone X e Clemen-
te VII, commendatario dell'abbazia
di Roti, vicelegato di Perugia, e
primo arciprete della patria chiesa
collegiata; ebbe a fratello Giam-
battista fisico rinomato ; Vincenzo
Ottoni benemerito governatore di
Loreto; monsignor Venanzio Pier-
santi maestro delle cerimonie di
Benedetto XIV, autore di varie o-
pere liturgiche. Vive monsignor
Giuseppe Santucci Fibbietti, cano-
nico della basilica Lateranense, prer
sidente dell'annona e grascia. Ne-
MAT
gli ordini religiosi fiorirono i gene-
rali de'monaci silvestrini, Atanasio
Arcangeli^ Ferdinando Gattovecchi,
Giacomo Piermattei, ed Atanasio
Staccioli,il quale riuscì rinomatissi-
mo predicatore, e di cui abbiamo al-
cune opere. Inoltre fiorirono sei
ministri provinciali della Marca, mi-
nori osservanti ; e cinque provin-
ciali agostiniani, quattro della Mar-
ca, e il dotto Politi di Romagna :
vive il p. m. Filippo Angelucci at-
tuai generale del medesimo ordine
eremitano di s. Agostino. Egidio
Sernicoli abbate di Montecassino, e
presidente generale de' cassinosi. I
gesuiti Alessandro Pellegrini, con-
fessore del fratello del re di Polo-
nia; Gio. Battista Grassetti e Fran-
cesco Rainaldi ; tutti sono autori di
opere. Fra i distinti cittadini, be-
nemeriti della patria, primeggiaro-
no : Giacobuzio ambasciatore a
Gregorio X ; Francesco Nuzi cele-
bre dottore in legge ; Rinaldo Ma-
nozzini valente giureconsulto ; Car-
lo Paganelli, Camillo Acquacotta,
Domizio Domizi, Cesare Bianchini,
Angelo di ser Francesco di Ange»
lo valente medico, e l'arciprete della
cattedrale Camillo Acquacotta com-
pilatore delle Memorie di Matelicct
raccolte ed ordinate ^ Cincona i838:
opera ricavata principalmente dal
patrio archivio, egregiamente ordi-
nato e disposto dal can. Giuseppe
Antonio Vogel d'Alsazia. Prima di
lui d. Francesco Grifoni pur di
Ma (elica, pubblicò in Foligno nel
1695: Compendio e ristretto della
nobilissima terra di Matelica, Re-
stano inedite e presso la famiglia
Stefanini, le Memorie di Matetica
che ad onore della patria raccolse
nel Grifoni, nel Lili, Compagnoni,
Turchi, Marangoni, ed altri storici
provinciali. Questo lavoro fu pò-
MAX
scia compendialo e miglioralo dal
nobile raalelicano can. Giambatti-
sta Razzanti. Giuseppe Colucci nel
t. VI delle Antichità Picene^ nel
1789 pubblicò in Fermo: Delle
antichità di Mal elica.
\J origine di Matelica è antica e
decorosa, poiché fece parte dell'Um-
bria, non del Piceno come avverte
Acquacotta, rigettando la favola
della pretesa fondazione di Cocco
figlio di Roso re di Rosella, cento
anni circa dopo la fondazione di
Roma. Il Colucci dice che i popoli
matilicati sono noti nell' antichità,
avendone fatta menzione Plinio il
vecchio e Balbo Mensore, laonde
Matilìca vuole che sia il suo veto
nome, riconoscendone la situazione
nel luogo dell' odierna Matelica :
egli ne ripete l'origine dai primi
popolatori del Piceno, i siculi ; la
chiama contermine del Piceno o
dell'Umbria, e ne adduce le ragio-
ni. Parla della sua università e re-
pubblica, che avea i tre solili or-
dini decurionale^ augustale e ple-
beo, con diritto di dare il voto
nella romana tribù Cornelia; ra-
giona de' confini del suo territorio,
della lapida matilicana attribuita ai
privernati falsamente da Ligorio, e
discorre pure di altre lapidi che la
riguardano. Varie opinioni riparla
Acquacotta sull' etimologia del no-
me di Matelica, e conchiude, es-
sere certo che i matelicati furono
popoli umbri, e che umbro in con-
seguenza n'è il nome; ma siccome
la lingua degli umbri perì, non si
può con sicurezza spiegare il nome
di Matelica. Divenuti gli umbri
cittadini romani, dopo la perdita
della loro libertà, le città umbre
si" chiamarono municipi, per cui
Matelica probabilmente lo divenne
neir anno 664 circa di Roma, e
MAT l'^i
89 prima dell'era nostra, e forse
ancora non potendo isfuggire dalia
rajìacità de'romani, perde il proprio
reggimento, l'agro fu diviso in cen-
turie, e distribuito ai soldati vete-
rani ; quindi romani facoltosi com-
prarono da loro vari terreni, e vi
formarono possessioni e ville deli-
ziose, alcuni fondi conservandone
ancora i vocaboli. Dalle rinvenute
iscrizioni del II e III secolo, viene
dimostrato che i romani almeno in
parte occuparono l'agro matelicano.
Tra le iscrizioni celebre è quella
di Caio Arrio Clemente, eh' esiste
nel palazzo priorale, dalla quale si
apprendono tutti gli onori e le
magistrature che fregiarono nei
tempi vetusti i matelicani j egli fu
della tribù Cornelia, e si dubita se
fosse di Matelica, bensì ne fu prò*
lettore e curatore , e magistrato
supremo de'matelicani, cioè duumvi-
ro ed anche censore o quinquennale;
gli fu eretta la statua con delta
iscrizione, e fiori ai tempi di Traia-
no. Si congettura che gli antichi
limiti fossero, verso Camerino il fiu-
me Potenza, indi la sommità del
monte Gemmo, il monte Trifìnio
verso s. Anatolia, confinando pure
cogli attidiani ed i tuficani. Negli
scavi si rinvennero molti monu-
menti antichi, oltre le iscrizioni, mo-
saici, frammenti di marmi, statue e
monete antiche, massime nella cosi
delta terra vecchia. Dai monumenti
religiosi si rileva che tali furono
i matelicani nel paganesimo ; nei
primi tempi della Chiesa ricevettero
il lume della fede, e ben presto
nella ciltà vi fu eretto un vesco-
vato.
I matelicani nel VI secolo pro-
varono i funesti effetti della deplo-
rabile fame, che spopolò l' Italia, e
nelle vicinanze di Matelica avvenne
ari MAT
quindi nel 552 la vittoria di Nar-
sete sui goti invasori, colla morte
del loro re Totila, che si vuole
morisse e fosse sepolto a poca di-
stanza della città, tutto sostenendo
Acquacotta; anzi nel descrivere una
importante tomba rinvenuta lunga
un miglio della città, nel piano dei
Cavalieri, già pian di Tomba, dice
forse poter essere quella del prin-
cipe goto. Su di che si abbia però
presente quanto dicemmo a Gualdo
Tadino. Dopo T estinzione del vesco-
vato, verso il 578, per le crudel-
tà de* longobardi invasori d'Ita-
lia, Matelica incominciò a decadere,
e fino al secolo XI scarse ne sono
le memorie: tuttavolta continuando
ad esistere, ebbe ognora il suo ma-
gistrato, chiamato prima ordo, poi
consoli y ed in seguito ebbe pure i
suoi conti, che ampliando il loro
potere amministrativo, si arroga-
rono principeschi diritti: di que-
sti però se ne ignorano le noti-
zie . Colla scorta di documen-
ti domestici si conosce la for-
ma del governo di Matelica circa
il 1160, il suo territorio, l'esten-
sione della città, i suoi quartieri,
porte, chiese, e statuti della mede-
sima. A detta epoca era governata
Matelica dai consoli, cioè da un col-
legio di nobili, che presiedevano aU
r amministrazione della giustizia,
della polizia, dovendo in molti pim-
ti liconoscere l'autorità de' conti,
quali a queir epoca furono in Ma-
telica il conte Attone, forse ascen^
dente della famiglia de' conti Otto-
ni, e il conte Gualtiero probabil-
mente d' un ramo collaterale della
famiglia dell' altro : Gualtiero pos»
sedeva la maggior parte dell' odier-
no territorio, ed i castelli di Cerre-
to e di Albacina. Tuttavolta la cit»
tu con islenlo avea conservato una
MAT
specie d* indipendenza, cui successe-
ro gare, guerre e pacificazioni fra
delti conti. Enrico VI guadagnato
dalle offerte del conte Attone f(^ce
marciare contro Matelica un corpo
di truppe, che la rovinarono e di-
strussero, a segno da farne andare
dispersi e raminghi tutti i suoi a-
bilanti, siccome meglio diremo. Al-
la fine per altro dovettero i conti
rinunziare alle loro pretensioni e
a poco a poco assoggettarsi a Ma-
telica. Prima che i conti si as-
soggettassero al comune, sembra
che loro appartenessero le monta-
gne e le colline aggiacenti, e che
coi nobili vi avessero torri e ca-
stelli. Il territorio in sostanza re-
stringevasi nelle pianure più vicine
di Mistriano, in quelle verso s. A-
natolia, e nelle altre verso Cerreto.
Nel » 199 il castello di Collamato
si dette a Fabriano, e Matelica nel
1 2 [ f perde anche Cerreto e Ab-
bacina, per cessione dei conti Appi-
liaterra di Guarniero^ e Gentile di
Franco; ciò produsse guerra cru-
dele tra Fabriano e Matelica, che
ebbe però corta durata. Dall'altro
canto i conti Ottoni ceduti aveva-
no alla città i vassalli che loro ap-
partenevano fino a Potenza; verso
il monte di Gemma sino alle mura
di s. Anatolia, tutto spettava ai
conti di s. Maria, forse un ramo
de' conti Ottoni ; essi si sottomisero
ai matelicani nel 12 12; e poscia
loro venderono diritti e castello. I
Bulgarelli signori di Cinzano, e
quelli di Samaregia venderono al
comune la quarta parte del loro
castello, e ad onta di ciò alienaro-
no le selve a s. Anatolia.
I castelli di pertinenza di Mate-
lica erano a quell'epoca. Rocca, 's.
Maria, le due Civitelle, Colferraio,
Casliglioui, llotuado, Campamanli,
MAT
il castello del Piro e delle Pere, s.
Maria de' Galli, torre di Aimone
sul colle di Lupone. II territorio
nel 1279 si divideva ne' quartieri
di Ci vi Iella, Civita e s. Maria ; e
nelle provincie i quartieri rurali
Campamantis, Donorii, Collis Ferra -
rii, et Mistriani. La rinascente città
ebbe per nome Castrimi novum
sancii Adriani^ dalla pieve a lui
sacra ed a s. Bartolomeo, cambia-
mento dato forse per castigo o per
far perire la memoria dell'indipen-
denza e libertà che avea spinto i
matelicani a ribellarsi contro l'impe-
ratore. Dall' essere stata riedificata
Maidica sotto il nome di tal mar-
tire glorioso, si può dedurre che
D*era patrono da tempo remoto. Sul-
le prime il dintorno delle mura fu
ristretto, solo riacquistò l'antica sua
estensione coi quartieri di s. Maria
e di Civitella : i borghi di s. Maria
Maddalena, di s. Eulizio e di Cam-
pamanti che restavano fuori della
citlH, poscia le furono aggiunti. Le
antiche porte si chiamarono Cuoio,
Vecchia, s. Maria, Donorio, Città
e Valle ; porte che perirono quan-
do si comprese nella città i nuovi
sobborghi , solo rimanendo le porte
Cuoio e Vecchia, dove non sono
sobborghi. Non mancarono a Mate-
lica anche nei tempi addietro orna-
menti che l'abbellissero, acquedotti^
cdifìzi, e templi in molto numero
iieir interno ed esterno del paese,
il cui novero Acquacotta riporta a
p. 52, con quello de' monasteri e
conventi. I consigli sul principio si
componevano di soli nobili, e dal
loro numero si eslraevano i consoli;
indi nel 1 248 prevalendo il ghibel-
linismo, venne imitala come altrove
la costituzione delle città libeie lom-
barde e toscane. Si divise il popo-
lo in arti, e ciascun' arte noQiinava
MAT 253
un numero di soggetti che forma-
rono i pubblici consigli ; ed ai con-
siglieri delle arti furono aggiunti
de' consiglieri discendenti da fami-
glie consolari. Finalmente dopo la
rivoluzione del i34o, in cui come
si dirà furono cacciati gli Ottoni
cogli altri ghibellini, si eressero più
di tredici società o compagnie d'ar-
mi, ognuna con capitano, gonfalo-
niere ed insegna, per difendere da
qualunque usurpatore Io stato po-
polare.
Questa costituzione fu modificala
poi dal cardinal Egidio Aibornoz;
e conservandosi le arti, le società, i
consigli, vi furono introdotte le
principali famiglie, e si fecero suc-
cedere i figli ai padri. Gli statuti si
riformarono nel i355, ma gli Ot-
toni si aflalicarono distruggerli per
sostituirvi l'arbitrio della loro vo-
lonlà, solo facendo estrarre da Ri-
naldo Manozzini i vecchi regola-
menti che piacque loro approvare
nel 1 5o8 col titolo di statuto mio-
vOy in parte vigente. Quanto ai si-
gilli del comune, quello del i3ir
era di cera verde in quo imago
ad instar hominis equìlis cum quo-
dani Gonfalone in manu j il secon-
do rappresenta tin leone rampante
con corona in capo, che dicesi ot-
tenesse Matelica da Lodovico il Ba-
varo, perchè ne seguì le parti, onde
poi fu assolta nel i332 da Giovan-
ni XXII. Tornò poscia a ripigliar
1' antico sigillo, eh' era la figura di
un uomo a cavallo, rappresentante
il protettore s. Adriano, avente in
mano la bandiera del pubblico, su
cui dovea essere dipinta l' arma
della città, eh' è una croce bianca
in campo rosso. Circa alla genealo-
gia della famiglia Ottoni, essi la fe-
cero derivare verso il 94^Jj preten-
dendo che Matelica distrutta da Be-
•i^j MAT
rengaiio re d' Italia, OUone 1 la
donasse in proprietà in un al pro-
prio nome e stemma ai loro ante
nati, falso essendone il diploma puì)-
blicnto ancora dal Sansovino nelle
notizie di tal famiglia. Lo stemma
degli Ottoni presenta nella parte in-
feriore uno scacchiere rosso e bian-
co, e nella superiore un' aquila ne-
ra in campo d' oro, che colle ali
distese poggia sullo scacchiero. Cer-
to primo ascendente degli Ottoni fu
Merico conte, indi A Itone conte: la
genealogia la produce Acquacotta
a p. 56.
Dopo che Federico I nel i 1 58,
alla famosa dieta di Roncaglia, di-
chiarò pertinenza del fisco imperia
le tultociò che le comunità soglio-
no possedere per concessione dei
principi, sommo fu il malcontento
degli italiani, che collegali fra loro
il debellarono, onde il Papa Ales-
sandro III rientrò trionfante in Ro-
ma nel I i65; quindi i piceni, sud-
diti antichi della santa Sede, cer-
tamente gli tributarono vassallaggio.
Vuoisi perciò che sollevatisi i ma-
telicani contro i conti ed i parti-
giani degli antipapi, alzassero forti-
ficazioni, e costringessero i nobili vi-
cini unirsi ad essi e sotlotnettersi alla
giurisdizione de'consoli, come fecero
nel II 66 il conte Attone e i suoi
figli Rainaldo, Guarniero e Franco,
riservandosi il conte i castelli di s.
Maria, Castel Rotondo e Civitella,
ed obbligandosi di trattare gli abi-
tanti come i nobili di Camerino
trattavano i loro sudditi. Da que-
st' epoca comincia la serie de' con-
soli, giudici, podestà, vicari, luogo-
tenenti, commissari e governatori
di Matelica, non mai interrotta, che
sino a'nostri giorni l'Acquacolta ri-
porta in fine dell' opera. Di breve
durala fu la dominazione che Fé»
M A T
derico I nuovamente esercitò sidla
provincia, onde i marchigiani e gli
umbri scossone il giogo, esternaro-
no il loro attaccamento e fèdeitù
al Papa; quindi i malelicani si die-
dero di bel nuovo a sistemare la
rinascente repubblica, dopo che tra
il 117/4. e II 76 la città era stata
distrutta da Cristiano arcivescovo
scismatico di Magonza, seguace del-
l'antipapa Pasquale 111 e capitano
di Federico I. Questi pacificatosi
colla santa Sede, nel 11 85 conces-
se ai matelicani amplissimo diplo-
ma, ricevendo la città e gli anti-
chi cittadini sotto la sua protezio^
ne, confermò gì' istromenti stipula-
ti con gli Ottoni, ed altre grazie.
Frattanto Camerino pretese che
tutti i territori» che riconoscevano
l'autorità spirituale de' suoi vesco-
vi, riconoscessero 1' autorità tempo-
rale de' suoi consoli, contro le in*
tenzioni de' Pontefici, che solo ave-
vano raccomandato le derelitte dio-
cesi ai vescovi, come Matelica a
quello di Camerino. La città si
mantenne indipendente e fece al-
leanza nel 1191 con Fabriano, e
poi con Sanseverino, Tolentino e
Montemilone, contro tali pretensio-
ni. Mentre Matelica cercava con le
aderenze di consolidare la sua si-
curezza, insorsero a disturbarla le
intestine discordie de'discendenti del
conte Attone, i quali si collegarono
con Fabriano ed altri luoghi, on-
de ebbero luogo guerre e distru-
zione di castelli . Per colmo di
sventura si mossero contro Mate-
lica i camerinesi, i quali dopo a-
verne saccheggiato il territorio ot-
tennero l'aiuto del duca di Brien-
na luogotenente del defunto Enri-
co VI; e sorpreso il paese lo rovi,
narono, e ne mandarono con Atto-
ne Appilialeira dispersi gli abitanti,
M A T
nella mira d' ingrandirsi coli* esler-
n»inio di Maidica. I miseri fuggia-
schi ricorsero ad Innocenzo Ili, di
cui avevano seguito le parti, rifiu-
tando riconoscere Filippo di Svevia
fratello di Enrico VI ; ed il Papa
scrisse al podestà e popolo di F\i-
briauo e s. Anatolia perchè soccor-
ressero i niatelicani. Nulla questi
ottennero, e vissero raminghi fino
al 1209 in cui trovarono protezio-
ne e difesa da Ottone IV, il qua-
le dopo la sua coronazione in Ro-
ma, accordò loro amplissimo diplo-
ma, con permesso di rifabbricare la
patria, con esenzioni. Ritornati i
matelicani in patria, ripristinarono
il consolato, risarcirono le fortifica-
zioni, e per giustizia costrinsero
Attone all' osservanza de' preceden-
ti patti. A vendicarsene gli Ottoni
venderono Cerreto e Albacina ai
fabrianesi, coi quali Matelica nel
1211 discese ad una solenne con-
cordia per una quiete durevole, con
reciproche cessioni e demarcazione
di confini, stabilendosi pene a chi
violasse il trattato.
A si fausto avvenimento pel co-
mune, successe l'ammissione di al-
cune famiglie forestiere a godere il
diritto di cittadinanza, e per quaian-
ta e più anni si continuò ad aggre-
garne altre. Indi si terminarono le
questioni insorte di Pietro e Ranno,
e nel i2i3 Attone fece la sua som-
missione; dipoi Matelica entrò in
lega con Camerino, Sanseverino e
Montemilone nel 1217, pacifican-
dosi con Cingoli, e poscia confede-
randosi anco con altre città, per la
considerazione che riscuoteva per
l'aumento di potere, e nel i2 25
\enne edificato il monastero delle
monache di s. Maria Maddalena. Non
mollo dopo l'istituzione dell' ordi-
ìiQ francescano fu eiello iu JMulelita
MAX 255
il convento di s. Francesco con
chiesa grandiosa e di buona archi-
tettura, ammirandosi in essa oltre
quaranta dipinti di valenti maestri.
Dopo la pace con Federico II si
era stabilito nella Marca T imme-
diato governo pontificio , che favo-
riva i guelfi, il perchè nel 1287 il
popolo ne profittò col togliere ai
nobili la preponderanza, e certe più
gravose esenzioni : le leggi su ciò
emanate si leggono a p. 78 delle
lodate Memorie del eh. Acquacotta.
I nobili aderirono, aspettando qual-
che cambiamento di regime per
riacquistare i diritti perduti ; in fat-
ti nel 1289 Gregorio IX scomuni-
cando Federico II, questi mandò nella
Marca un esercito sotto il comando
di Enzio suo bastardo, per reprimere
i guelfi, e nel 11^1 era padrone
di tutta la provincia : allora i no-
bili si ricusarono osservare i patti,
ed i popolari ricorsero a Federico li,
restando abolito il consolalo colle
esenzioni. L' adejenza di Matelica
air imperatore disgustò il Papa , e
il successore Innocenzo IV si mo-
strò avverso a cesare. In queste
contingenze i malelicanl elessero un
capitano , magistrato straordinario
che soleva crearsi in tempo di guer-
ra, nella persona di Alberto figlio
di Attone, cui successe Bartolo di
Gentile degli Ottoni; combatterono
in favore di Federico II, cui spedi-
rono ambasciatori, e riconobbero il
suo vicario nella Marca, trovandosi
alla gran battaglia d' Osimo, nella
quale i ghibellini sbaragliarono le
milizie della Chiesa. Però nel 124?
diminuito il credito dell'imperatore,
il cardinal Capocci legalo ricupeix>
tutta la Marca, e Matelica ch'era
ritornata al dominio ponlificio, su-
bito gli prestò aiulo, e con Came-
rino giurò fedeltà alla saula Sede,
2 56 MAX
entrando nella lega guelfa contro
il deposto Federico 11. Innocenzo
IV soddisfatto de* matelicani, nel
i^So spedì ad essi una bolla, in cui
confermò le loro giurisdizioni e di-
ritti, essendo Maff Ileana communitas
dernanium curine speciale ; e con
altra del 12^2 confermò ancora i
privilegi conceduti dai predecessori
e dagl' imperatori_, ed esentò poi il
clero dalle collette e gravezze. Es-
sendo in questo tempo irritati i ma-
telicani contro il vescovo di Ca-
merino, gli distrussero la casa e il
giardino entro Matelica , eh' erano
ov' è il palazzo Ottoni, forse l'an-
tico episcopio, passato in proprietà
de* vescovi camerinesi quando fu
loro raccomandata l'orfana chiesa ;
laonde Innocenzo IV li citò a ren-
der conto del delitto. Non potendo
ì camerinesi imbrigliare i matelica-
ni colla fabbrica di un castello, oc-
cuparongli poi il castello di s. Ma-
ria e fabbricarono Castel Raimondo,
ciò die riprovò Bollando rettore
della Marca. Nel i255 Matelica
acquistò Castel Rotondo dal sud-
detto Bartolo, e la montagna le
Trecche da Rainaldo Lazani , ed
ottenne dai discendenti degli anti-
chi conti formile rinunzia alle go-
dute esenzioni.
Ebbero luogo scorrerie de'came-
rinesi su Matelica nel 12 58, che
trovandosi bisognosa dell'aiuto di
Sanseverino, si obbligò a pagargli
annue 25 lire di Ravenna per la
festa del patrono, e solo se ne sgra-
vò nel i27i.Già nel 1269 esiste-
va in Matelica il convento degli e-
remitani di s. Agostino, la cui chie-
sa di buona architettura fu restau-
rala negli ultimi tempi ed abbelli-
ta, con porta di gusto gotico. Per-
ei vai le Doria vicario e capitano del
re Manfredi, sostenitore de'gbibel-
M/VT
linij trovandosi colle truppe presso
le mura della città, essendo questa
indispettita per una sentenza del
rettore Annibaldeschi , si die aper-
tamente al suo partito, e con esso
si portò ad assalire Camerino, che
fu costretto spedir ambasciatori in
Matelica per implorar la clemenza
de'vincitori e giurare fedeltà a Man-
fredi ; ma per esseve ritornato alla
Chiesa, fu quindi saccheggiato e di-
strutto. I matelicani furono ricom-
pensati da Manfredi col dono del
castello di s. Maria de'Galli, con fa-
coltà di demolirlo, siccome fecero;
ed inutilmente coi suoi capitani ten-
tarono di riprendere Camerino, do-
po il ritorno degli abitanti nel 1262.
Grato il re Manfredi dell'attacca-
mento dei m'atelicani alla sua causa,
confermò tutti i privilegi concessi
da Percivalle; ma vinto da Carlo
I d'Angiò, fu ucciso sul campo nel
1 266 : i guelfi ripresero coraggio,
e i ghibellini furono cacciati o co-
stretti ad accomodarsi al contraria
parlilo. II comune di Matelica in
pena delia ribellione fu tassato dal
cardinal Paltinieri di seimila lire
di Ravenna, che Clemente IV ri-
dusse alla metà, ed altri mali gli
piombarono sopra, perdendo il di-
ritto di eleggersi il podestà , dopo
aver profuso pei ghibellini denaro
e sangue. Nel 127 3 si eresse il pa-
lazzo pubblico con torre detta cam-
panile commanis. Nel 1280 i came-
rinesi, perpetui rivali di Matelica,
s'impossessarono del castello di s.
Maria, e presero d'assalto s. Anatolia.
Si effettuò nel 1286 l'unione delle
benedettine del monastero di s. A-
gala edificato nel 1268, con quelle
del monastero di s. Maria INIadda-
lena; indi nel 1288 fu edificato, ove
esiste, il monastero di s. Maria Nuo-
va per la congiegazione silvestriua,
MAX
<lal dottor Benintendi malelicario, e
r attuale chiesa fu però eretta sul
principio del trascorso secolo, poscia
il monastero fu ridotto a miglior
forma. Nel 1290 già esisteva l'ospe-
dale della chiesa di s. Giovanni ge-
rosolimitano, e nel 1291 si fabbri-
cò il fonte per somministrare entro
il murato le acque necessarie agli
abitanti. Per aver Matelica nel 1292
ritolto il castello di s. Maria ai ca-
inerinesi, questi ne arsero di sde-
gno, e decretarono devastare la cit-
tà, uniti a.Sanginesio ed altri mar-
chigiani. Primieramente ripresero il
castello, eseguirono 1' antico disegno
di edificare un forte sul colle di
Torraimuni nel territorio matelica-
rio ed a suo danno, manomisero a
ferro e fuoco la valle Matelicana,
e strinsero la città di formidabile as-
sedio. Si scosse nel 1293 alla sven-
tura di Matelica Francesco d' Asisi
giudice generale della provincia ,
condannò i camerinesi a demolire
il forte, a restituir l' occupato, al-
l'ammenda dei danni, allo sborso
di cinquemila marche di aigento,
multando pure podestà , capitani e
e consiglieri. I camerinesi non l' a-
scoltarono e continuarono l' assedio,
che gli abitanti sostennero con forti-
ficazioni ; e coir aiuto di Tolentino
e Sanseverino, e con quello d' una
compagnia di ventura , potei ono i
matelicani assalire i camerinesi e i
loro castelli. Il rettore della Marca
P».aimondo scomunicò i camerinesi e
sottopose la loro città all' interdet-
to, e di poi allo sborso di duemila
marche d'argento ed alla consegna
del forte di Torraimuni nel 1 294,
ponendo fine alle ostilità il rettore
Gentile da Sangro, con prendere
in consegna il castello.
Nel 1298 si suscitò in Matelica
Una sommossa, eh' ebbe per conse-
TOl. XLHI.
MAX 257
guenza la multa di cinquemila fio-
rini, per r uccisione d' un chierico;
e nel i3oo Matelica in più modi
fu beneficata dal cardinal Napoleo-
ne Orsini legato, ed ebbe pur be-
nevolo il rettore Rambaldo, che nel
i3o4 l'assolvette da qualunque pena
incorsa e criminalità. Nati fatti per
mai stare in pace i matelicani ed i
camerinesi rinnovarono le ostilità ,
ed i primi danneggiarono in più
modi i secondi, onde furono mul-
tati fortemente da Rambaldo. Solo
a Clemente V, quantunque avesse
stabilito la residenza in Francia ,
pe' suoi inviati apostolici, riuscì nel
1 3o6 pacificarli , ed ebbe luogo la
memoranda concordia tra Cameri-
no, e Sanseverino, Matelica e Fa-
briano, e ne fu stipulato il famoso
trattato riprodotto da Acquacolta at
p. 110. Tuttociò inutilmente, per-
chè Camerino travagliò a trovare
subito un pretesto da rompere la
pace, e solo nel 1 3 1 8 si fece fra i
camerinesi ed i matelicani un armi-
stizio per cinquant' anni , dovendo
restar sospese le liti, segnatamente
pel castello di santa Maria. Acco-
stumata Matelica a seguire il ghibel-
linismo, nel I 3 1 I riabbracciò l'an-
tico partito, e di nuovo si distaccò
dalla soggezione alla Chiesa, coli' u~
nirsi a Speranza conte di Monte-
feltro, capitano della lega delle ter-
re degli amici della Marca ; e con
diverse comuni eospitò ancora a
danno del Pontefice, venendo ascolti
dalle censure due anni dopo. Ma
subito si ribellò di nuovo, si asso-
ciò ad altra lega, e congiurò con-
tro la Chiesa con altre città e luo-
ghi nel i3i5, e tornò all'obbedien-
za mediante multa nel r3i6. Edi-
mero il pentimento de' matelicani ,
passati alcuni mesi sr unirono con
altri paesi a dalitìo del principe, 6
i7
558 MAX
con nitro sborso ottennero nuovo
perdono. Per le gravi ililfercnze in-
sorte tra Giovanni XXII e Lotlo-
■vico il Bavaro, riprese vigore il ghi-
bellinismo : il Papa nel i32o lodò
la fedeltà de'matelicani, i (piali nel
iSaS elessero per protettore il car-
dinal Giovanni di s. Teodoro con
sessanta fiorini per onorario. A tale
epoca già esisteva l'ospedale di s.
Sollecito, nel luogo slesso dell'odier-
no spedale degl'infermi. Nel i3iS
Lodovico il Bavaro arendo creato
l'antipapa Nicolò V, essendo il po-
polo disposto per certe multe alla
ribellione, ne seguì le parti, dicen-
do alcuni storici che il Bavaro di-
chiarò vicario imperiale di Matelica
I^ulgaruccio Ottoni , che saccheggiò
ed arse il territorio di Camerino.
Il Papa ordinò a Gentile Varano
di assediar Matelica, ma invece eb-
be una fiera rotta sotto le mura
dai ghibellini. Dopo essere stata
Matelica nello scisma, nel i33i in-
"viò una deputazione in Avignone a
Giovanni XXII, a confessare i suoi
trascorsi, e il Papa generosamente la
perdonò nel i332, mediante l'istitu-
zione d'un benefizio in s. Bartolo-
meOj e di collocare nella parte più
visibile del campanile un' iscrizione
che ricordasse la ribellione. Nel
1339 riuscendo ai guelfi abbattere
i ghibellini, i matelicani fecero mo-
rire Bulgaruccio e Ranuzio Ottoni,
cacciarono le loro famiglie e ne ro-
vinarono i beni. Allora fa che per
consolidare il governo popolare ven-
nero nel i34o sistemate le plebee
società di sopra rammentale, e ri-
formato il regolamento politico : si
compilò un nuovo statuto, ìa cui
sostanza Acquacolta ci diede a p.
125.
Nuovamente Matelica si alienò
dall'obbedienza del Papa nel 1 344,
MAX
e l'anno appresso si ribellò ad isti-
gazione della famiglia Ottoni, che
avea fatta sempre la sua disgrazia,
poiché i figli dei massacrati Guido
e Corrado erano rientrati in città,
indi i matelicani nel i346 implo-
rarono misericordia dalla Chiesa col-
lo sborso di mille fiorini d'oro. La
fame e la peste accrebbero le scia-
gure prodotte dalla ribellione a Cle-
mente VI, onde i popoli nell'assen-
za dei Papi da Roma e per la de-
bolezza de' loro rettori, si gettarono
fra le braccia delle famiglie più
potenti, e Matelica in quelle degli
Ottoni, che con altri tiranni si strin-
sero in lega coi Visconti di Milano.
Innocenzo VI col nominare nel
i353 legato apostolico a ricuperare
i dominii pontificii il celebre car-
dinal Egidio Albornoz, Matelica si
sottomise subito: allora 1« magistra-
tura avea quattro priori, pi-escelti
dai quattro quartieri , oltre i capi-
tani delle arti ; per sicurezza si sti-
pendiava una cavalleria ed una
guardia civica. Gli Ottoni, decisa-
mente ghibellini, sapevano servire
al tempo e mascherare la loro con-
trarietà ai guelfi : in più circostan-
ze quando si videro in pericolo si
mostrarono rispettosi ai legati apo-
stolici, e fecero mostra di vassallag-
gio alla Chiesa. Per le loro imposture
i matelicani accordarono a Guido
e Corrado copiosi risarcimenti ai
danni ad essi recati, facendo appro-
vare tali estorsioni dal cardinal Al-
bornoz, il quale volle pacificare tutti
i cittadini. I fiorentini più tardi pre^
tesero di essere maltrattati dai go-
vernatori spediti dai Papi in Italia,
e fecero perciò nel i3j5 una lega
contro Gregorio XI, in cui impe-
gnarono quasi tutte le città dello
stato pontificio, in un alla Marca
ed a Matelica che entrò nella lega^
MAT
onde molte famiglie si assentarono
dalla patria per conservarsi obbe-
dienti al Pontefice. Presso Monte-
niilone gli alleati disfecero l'armata
della Cbiesa, e Francesco Ottoni fece
prodigi di valore. La ribellione fu
punita severamente, con confisca di
beni, estremi supplizi ed infamia. Mor-
to Gregorio XI, dopo aver nel 1 377
restituita a Roma la residenza pon-
tificia, gli successe nel 1378 Urbano
VI, che pacificatosi coi fiorentini,
Maidica tornò alla soggezione della
Chiesa. Subito insorse lo scisma del-
l'antipapa Clemente VII, infau-
sta occasione per Matelica di nuo-
ve infedeltà, in cui giacque misera-
mente per due lustri, istituendosi
dopo tale anno la prima confrater-
nita di s. Angelo : quella di s. Gio.
Battista fu eretta nel i385, essendo
la chiesa, negli ultimi anni riedifica-
la, una delle più eleganti, con prodi-
giosa immagine del ss. Crocefisso.
IVel i388 pentiti gli Ottoni ed i
matelicani di avere aderito allo sci-
sma, pel loro sincero pentimento
ottennero da Urbano VI il perdono,
quindi si unirono con altre città e
luoghi divoti alla santa Sede. Ed
eccoci all' epoca in cui Matelica
perdette la libertà e fu sottoposta
a quella famiglia, che avendo eser-
citato su di essa una decisa superio-
rità , ne acquistò il dominio, sul
principio dolce e utile per consolidare
la loro autorità; gli Ottoni accreb-
bero il lanificio, appellato il palladio
della patria, promossero manifattu-
re , abbellirono e fortificarono il
paese; poscia pieno di angarie, di
estorsioni, di dispotismo e d'insop-
portabile tirannia, si trasformò il
loro governo.
Bonifacio IX a' 4 febbraio i3g4
concesse alla famiglia Ottoni la pri-
ma investitura di Maidica, dichia-
MAT 2^9
rantoli vicari della santa Sede.
Alla peste successe la guerra del
padovano conte di Carrara, ad ag-
gravare la Marca, e nel i4o6 i
matelicani furono costretti impu-
gnar le armi contro i camerinesi
ribelli ad Innocenzo VII: nel i4i^
la pestilenza tornò a desolare la
contrada, e nel i4i7 coli' elezione
di Martino V si respirò pace. Sotto
Eugenio IV la Marca fu teatro di
nuove guerre, sostenute in gran
parte da Francesco Sforza che ne
divenne marchese, cui strinsero lega
gli Ottoni ed ebbero parte alle sue
imprese , distinguendosi Francesco
contro Piccinino. Nel i44^ > ma-
telicani saccheggiarono s. Anatolia,
e nel i443 tornarono all' immedia^
ta soggezione del Papa , per aver
questi dichiarato ribelle lo Sforza
e toltagli la Marca. Nella provincia
si recò per commissario Lotto ve-
scovo di Spoleto, col quale Fede-
rico, Ranuzio, Francesco, Gaspare
e Burgaruzio Ottoni , per nome
proprio e della comune di Matelica
fecero un concordato, con capitoli
che leggonsi a p. i44 ^^^ P^^ volte
citato storico patrio. Fu confermato
ai primi il vicariato, alla seconda
accordate diverse cose. Indetto tem-
po s. Giacomo della Marca predicò
in Matelica, ed ottenne culto la Ma-
donna delle Fonticelle, perché parlò
in sua difesa, come si dice. Nell'e-
remo di s. Giacomo, già abitato
dai clareni, mori piamente Federico
Ottoni ov'erasi ritirato, convinto delle
vanità del mondo. Cominciando a
pesare il governo degli Ottoni, nel
1462 nacque una specie di rivolu-
zione, e restarono per patto soli al
governo Antonio ed Alessandro me-
no invisi. A' IO luglio 14^4 a^'ivò
in lettiga Pio II, che infermo con
sei cardinali si recava ad Ancona^
i6o M A T
e sul declinar di questo secolo si
■videro sorgere ad abbellir la città
parecchi edilìzi. Nel i47^ s' inco-
ininciò l' elegante campanile di s.
Maria delia Piazza, oggi cattedrale,
dall'abbate commendatario del mona-
stero di Roti cui spettava la chiesa .
Nel 1481 Alessandro Ottoni restaurò
la porta vecchia, avendo già eretta
quella di Campamanti nel i4^3, e
in ambedue fece porre nell'iscrizio-
ne, domìnus ; esso si occupò anco
in utili divisamenti, e morendo nel
1 486 gli successe il figlio maggiore
di Antonio suo fratello, chiamato
Ranuccio; poiché fu costume degli
Ottoni che non nei propri figli, ma
nel più stretto parente di maggior
età stasse l' azienda domestica. Di
poi gli Ottoni cessarono da tal fra-
terna unione, e nel 14B7 da In-
nocenzo Vili ottennero la confer-
ma del vicariato, e riuscì loro sta-
bilire i confini con Camerino. Ales-
sandro VI spogliò della signoria di
Matelica gli Ottoni, investendone
Giovanni Borgia duca di Nepi : nel-
r ottobre i5o2 perciò il cardinal
Farnese legato della Marca, e Pietro
Perez spagnuolo s'impadronirono di
Matelica e ne mutarono il governo.
Morto Alessandro VI nell'agosto
i5o3, Matelica ritornò sotto l'an-
tico padrone , e Ranuccio si die a
sistemare i pubblici affari , non che
a dividere il patrimonio domestico
fra i suoi fratelli e nipoti, e cora-
nìise leggi statutarie al giureconsul-
to Manozzi ni con patrio amore. Nel
i5o8 gli successe Giovanni figlio di
Alessandro, che a sue spese fece
costruire le pul^bliche loggie, che
tuttora esistono, e pose in regola i
domestici interessi. Fiorirono le ma-
nifatture de' tessuti di lana, l'agri-
coltura e il commercio , e si rego-
larizzarono le strade interne. Questa
MAX
fu r epoca di maggior lustro delKi
casa Ottona, trovandosi imparenta-
ta colle più rispettabili case della
nazione.
Per la smania che avevano gli
Ottoni d' ingrandirsi, sotto Leone X
nel i5i6 Giovanni occupò alcuni
fondi spettanti al deposto duca di
Urbino, ma alla morte del Papa
dovette restituirli. Nel i5i8 di suo
arbitrio Giovanni espulsi dal con-
vento di s. Francesco i minori con-
ventuali, vi sostituì i minori osser-
vanti che r abitano tuttora, i quali
edificarono il torrione nelle mura
castellane che esiste. Nel i520 al
defunto Giovanni successe nella si-
gnoria il fratello Ascanio, il quale
per ampliar 1' orlo contiguo al pa-
lazzo e formarvi giardini a delizi»,
fece demolire il confinante monaste-
ro delle povere di s. Chiara, dopo
averle espulse con calunnia ; dispo-
tismo che destò general malconten-
to contro la casa Ottona, già di-
venuta nemica del pubblico per a-
verne abolita la magistratura, es-
sersi appropriate le gabelle, diverse
terre, ed esercitando vessazioni di
cui n' è piena la storia di Mateli-
ca. Nel i524, per la peste surse
presso le mura l'elegante chiesina
di s. Rocco a spese di fi*. Modesto
Attucci. Frattanto gli Ottoni veden-
dosi invisi, cercarono riguadagnar
l'affetto della patria, colla fonda-
zione di un collegio canonicale di
cui mancava Matelica, godendo solo
del titolo di collegiata la chiesa del-
la pieve de' ss. Bartolomeo e Adria-
no sino dal i452 per concessione
del vescovo di Camerino. Ottenne
nel i529 da Clemente VII che in
vece di essa fosse con autorità a-
postolica elevata a collegiata con
capitolo di otto canonici la chiesa
dì s. Maria della Piazza, die ap-
MAX
pai'leneva all' abbazia di Roti, unen-
dovi i diritti e giurisdizioni di detta
chiesa matrice, che dovea restar par-
rocchia. In vece Ascanio con indul-
to orretizio e surretizio ne fece e-
seguire subito lo sfascio per ingran-
dir la piazza, e rimuovere un edifi-
zio che impediva il prospetto del
suo palazzo, e senza spesa venne ad
acquistare il diritto di nominare i
canonici e guadagnarsi cosi la rico-
noscenza di più cittadini. In appresso
alla nuova chiesa collegiata fu uni-
ta la pia società del ss. Sagramen-
to. Moltiplicatisi gli Ottoni, scoppiò
la discordia nell' interno della fa-
miglia, per la custodia della Rocca
delle Macere, e sulla plenipotenza
dell'economia di famiglia deposi-
tata sul maggior nato; Paolo IH
s'interpose, e nel i536 si pacifica-
rono. Circa questo tempo mori A-
scanio, e nella signoria gli successe
Cesare di Ranuzio, sotto il quale
si fondò nel i54o il convento dei
cappuccini, il cui ordine o riforma
avea avuto origine nell'eremo di
s. Giacomo di Matelica, ove ritira-
tosi fr. Francesco da Cartoccio, vi
si recò fr. Matteo da Bassi, che a-
Tea ideato la riforma, comunican-
dogliela e piegandolo di consiglio.
Fr. Francesco l'eccitò a recarsi da
Clemente VII, che approvata la ri-
forma, fr. Matteo si ricondusse al-
l'amico, il quale fu il primo ad ab-
bracciarla. Cosi ebbe culla in Ma-
telica il novello istituto, trapiantato
poi in Camerino, e dilatato per tut-
to il mondo a bene de' fedeli : di
tuttociò meglio si parlò agli arti-
coli Cappuccini, Fossombrone , e
Francescano ordine. Fr. Francesco
restò nell'eremo, e vi mori pia-
mente, e r eremo fu concesso al
nuovo convento in discorso. Nel
1543 colla morte di Cesare Ottoni
MAT
261
finirono nella famiglia tutte le ap-
parenze di pace, e suscitossi fra i
numerosi individui della medesima
la più aperta discordia : Anton Ma-
ria assunse le redini del governo,
mentre questo era divenuto inviso
anco ai paesi limitrofi.
L'ambizione terminò di rovinare
gli Ottoni, che dopo la morte di
Cesare tutti pretesero alla signoria,
chi come primogenito, chi quale se-
niorCj chi con altre ragioni, tutti
procurando fortificarsi nel proprio
partito con grave danno della pa-
tria, manifestandosi sempre più la
loro condotta licenziosa e tirannica
per confische di beni, uccisioni, ed
asilo che accordavano ai banditi
e sicarii. Nel i545 fu ordita una
congiura contro gli Ottoni, massi-
me per trucidar Alessandro, fra-
tello di Anton Maria, il quale per
la sua più regolare condotta e po-
polarità, volevasi risparmiare. Gli
autori fuggirono, ma Anton Maria
rigorosamente procedette contro il
capitano Claudio Acquacotta, com-
plici e parenti con aperta violenza.
Ricorrendo gli angariati alle supe-
riorità, si scuoprirono le enormità
di Anton Maria, che fuggii, e -ven-
ne dannato a morte dai giudici del
cardinal legato, mentre Ranuccio
Ottoni figlio di Cesare, in nome di
Paolo III s'impadrom della Rocca
delle Macere. Il furore de' mateli-
cani non ebbe piìi ritegno, ed es-
pulsi tutti gh Ottoni, rivendicò il
pubblico le rendile usurpategli, indi
ricorse a Paolo III. Questi destinò
il proprio nipote cardinal Ranuccio
Farnese, per ridonar la pace al pae-
se, onde ebbe luogo nel i547 la
concordia fra la comune e gli Ot-
toni protetti dai Farnesi e dai Va-
rani ; venne restituito al comune il
diritto di formare il consiglio e le
«62 MAT
sue rendite, e fatto governatore del
paese Troilo Ceno da Sanginesio,
ed eletti quattro priori. Ii^'icolò Gin-
tio da s. Angelo in Fontano duo-
:¥o governatore parteggiò pegli Ot-
toni, e Paolo III annullò la senten-
za di morte, e la confìsca de' beni
contro Anton Maria, ripristinandolo
ne' suoi onori. Gli Ottoni ritornali
in armonia tra loro, nel 1 549 ce-
derono il governo di Matetica ai
cardinali Gio. Domenico vescovo di
Ostia, e Uberto di s. Grisogono, che
r avrebbero loro restituito con con-
dizioni : queste furono, che tutti gli
Ottoni avessero diritto al vicariato,
ma r esercizio si affidasse al più
-vecchio, se ne fosse capace. I ma-
tei icani restarono sorpresi in vederli
ripristinati nella signoria, e procu-
rarono cautelare gì' interessi del
pubblico, e che il governatore della
Marca visitasse anche Matelica. Nel-
la sede vacante Alessandro, Pirro
ed Ettore Ottoni fidandosi ne' loro
aderenti, a' 7 dicembre ritornarono
in Matelica; si suonò la campana
a stormo, e Nicolò Acquacotta che
con altri capitanava il popolo, uc-
cise Alessandro odiato pe' suoi ec-
cessi e disonesti portamenti. L'at-
tentato non restò impunito; i più
colpevoli fuggirono, altri furono
castigati dal commissario apostolico
Angelini vescovo di Sutri e Nepi,
che nel i55o in qualche parte rein-
tegrò gli Ottoni nella signoria, pii-
"vando la comune de' suoi beni e
gabelle. Nel i55i Giulio III a' io
gennaio ripristinò nel governo del
paese Anton Maria, e restituì agli
Acquacotta i beni usurpati dopo la
congiura : ammaestrato Anton Ma-
ria del passato, cambiò sistema per
guadagnarsi l' amore de' cittadini;
ma pensò a vendicarsi de' suoi ne-
oaici, non risparmiando i parenti,
MAT
onde la discordia entrò nuovamen-
te in sua casa, ed ebbe ad emulo
Antonio accetto al popolo. Nel i5.^4
venne istituito il monte di pietà, e
si pubblicò una severa prammatica
relativa al lusso delle donne. Por-
tando Anton Maria il dispotismo
all'estremo, nel i559 i matelicani
ricorsero a Paolo IV con 107 cupi
d'accusa, dichiarando che gli Ottoni
erano decaduti dal vicariato pel ti-
rannico regime, e perchè da mezzo
secolo si erano usurpato il censo
dovuto alla camera apostolica in
forza delle investiture. Intanto mori
il Papa, e Anton Maria non respi-
rò che strage e vendetta; ma ai 27
agosto corse in vece pericolo di pe-
rire in un' insurrezione, onde fuggì
con tutti gli Ottoni tranne Anto-
nio, e ricorsero a Roma contro i
matelicani come sediziosi. I citta-
dini produssero altri 90 capi d' ac-
cusa di enormità ed eccessi, onde fu
spedito per commissario in Matelica
Francesco Mercati da Bibbiena a far-
ne processo, del quale ne dà un
sunto r Acquacotta p. 174 e seg.
In esso sono notale le discordie do-
mestiche, le usurpazioni, gli arbitrii,
le segrete uccisioni, le usure, gli a-
dulterii e le più turpi laidezze.
Pio IV nel i56i sostituì al no-
minato commissario, Gio. Battista
Doria governatore di Camerino, ma
la causa andò in lungo per la pro-
tezione alla corte degli Ottoni; quin-
di il Papa con motO'proprio de' 27
agosto i563 li assolvette dalle [)ene
incorse, e nuovamente gl'invesfi del
vicariato, mediante lo sborso di scu-
di diecimila, come assolvette il co-
mune dall'omicidio di Alessandro
Ottoni, e dalla posteriore insurre-
zione, collo sborso di scudi quattro-
mila, e ripristinò il consiglio. Tut*
tociò non ebbe sul momento elicilo
MAT
perchè dispiacque agli Ottoni il dis-
posto ili favore de* matelicani. Frat-
Uinto accadde un omicidio presso
la Rocca delle Macere, che si at-
tribuì ai banditi che tenevano gli
Ottoni nella rocca, laonde di que-
sta famiglia disgustato Pio IV, or-
dinò che si prendesse, e perchè An-
tonio si era opposto colla forza fu
riguardato come ribelle, e nel i564
fu atterrato il forte con giubilo dei
matelicani. Antonio subì la pena
capitale e la confisca de* beni. Il
moto-proprio fu quindi eseguito, e
morì pure Anton Maria. Gli suc-
cesse Pirro, che recatosi in Roma
fece una lagrimevole pittura de'mali
sofiferti dai suoi antenati, e promise
di far un esborso alla camera se gli
venivano restituiti i perduti diritti
sopra Matelica. Esaudì Pio IV le
sue istanze, annullò i bandi e le
sentenze contio gli Ottoni, e rein-
tegrò Pirro nel dominio cogli altri
della famiglia, con condizione di pa-
gare diecimila scudi, e il divieto di
rifabbricare la rocca, riuscendo inu-
tili le suppliche de' matelicani per
restare sotto il governo di s. Chiesa.
Pirro si presentò in Matelica mi-
nacciante vendetta, ed il magistra-
to impaurito gli prestò giuramento
contro il moto-proprio, ma si re-
putò nullo. I matelicani vigorosa-
mente contrastarono agli Ottoni la
signoria, ricorrendo formalmente a
Pio IV, e al successore s. Pio V.
Il governatore di Roma emanò un
monitorio a comparire avanti di lui
Pirro e gli altri Ottoni, e perchè
contumaci furono condannati a mul-
te, confisca ed esilio. Nel 1 566 Pirro
arrestato fu chiuso in Torre di No-
naj ed i matelicani avendo supplica-
to per ritornare sotto l'immediato
regime della santa Sedcj s. Pio V
spedì a Matelica per pacificarla co-
MAT 263
gli Ottoni, il cardinal Albani nel
iSyo, il quak ottenne fii'a le parti
amichevole accomodamento. Dive-
nuto Papa nel 1^72 Gregorio XIII^
gli Ottoni furono ripristinati nel vi«
cariato, previa riconciliazione coi ma-
telicani, che si effettuò dal governa-
tore della Marca Mirto, onde fu giu-
rata concordia tra Pirro, Ottaviano,
Vincenzo e Gio. Maria Ottoni, e la
comunità. Questa nei iSyS formò
un archivio segreto per conservare
gelosamente le più importanti scrit-
ture. Gli Ottoni prevedendo d' in-
felice esito la lotta col pubblico, e
impotenti di ulteriormente portarne
il peso, presero il partito di rinun-
ziar ciò che temevano perdere. A-
vanzarono supplica a Gregorio XI H,
implorando facoltà di vendere al di
lui figlio Giacomo Boncompagno i
diritti che aveano sul paese, e per-
chè il Papa ci convenne, gli cede-
rono nel i5j6 con atto solenne il
vicariato, vendendogli la rocca e
tenuta delle Macere.
Esultò il pubblico per sì fausta
notizia, e spedì un' ambasciata a
Roma per riverire il nuovo padro-»
ne, e ringraziare il Pontefice; ma
la cessione non ebbe più effetto ,
per avere ricusato 1' assenso uno de-
gli Ottoni. Nel 1577 i matelicani
chiamarono i cappuccini nel conven-
to e chiesa della ss. Trinità, per
loro edificati presso le sue mura.
Nel 1578 avendo ommesso gli Ot-
toni pagar alla tesoreria il cano-
ne, cui si erano obbligati nell'in-
vestitura , tanto bastò perchè la
camera apostolica con decreto li di-
chiarasse decaduti dal governo di
Matelica. Indi fu incaricato il go-
vernatore generale della Marca Ni-
colò d'Aragona di prendere possesso
del paese a nome della santa Sede
a' 3 dicembre, che divenne giorno
a64 MAT
fausto e (li gioia pei matelicnni ;
prestarono giuramento di fedeltà ,
scolpirono in pietra il lieto avveni-
mento, ed innalzarono lo stemma
pontificio nel palazzo. Matelica sino
allora governata dai luogotenenti
degli Ottoni, lo fu quindi dai com-
missari pontificii. Non dimenticando
gli Ottoni la loro signoria, non di-
speravano ricuperarla, e andavano
esercitando qualche alto dispotico.
Si misero in capo di provare, che
non dai Papi ma dagli imperatori
erano stati investiti della signoria ,
indi a mezzo di messer Curzio Mor-
roni di Gualdo, forse quello stesso
ch'era stato loro luogotenente, Al-
fonso Ceccarelli supplantò il diplo-
ma di Ottone in principio ram-
mentato; quindi Pietro Ottoni nel
i585 invocò da Sisto V la revisio?
ne della causa contro il comune,
e gli riuscì ottenerla, spacciando
che ricuperato il dominio 1* avreb-
be ceduto a Michele pronipote del
Papa. Domizio Domizii ricorse in
nome de' matelicani a Sisto V, cui
scopri la falsità del diploma, ed il
Papa non permettendo la vendita
di Matelica a Michele, fece comprar
dalla camera la parte del vicariato
che spettava a Gio. Maria Ottoni,
figlio di Anton Maria, ed a Cesa-
rea Varani di lui madre : a Sisto
V si debbono pure i regolamenti ri-
guardanti la magistratura e la ci-
vica amministrazione, compilati dal
visitatore apostolico Ongarese. Pii-
conoscente il comune a Sisto V,
collocò il suo stemma nella vaga
fonte già costruita in piazza, insie-
me a quelli del cardinal camerlengo,
del cardinal Pinelli, e del pubblico.
Tuttavolta lagrimevole conseguenza
dell' accaduto fu uno scisma fra'cit-
tadini, divisi nel partito degli Ot-
toni, e in quello della patria, par
MAT
cifìrjali poi dal governatore di Ma?
cerala Bandini. Rifiorì il commer-
cio con sessanta fabbriche di tessuti
di lana, ma nel i ^go si patì care-
stia ed epidemico morbo, e Clemen-
te Vili provvide agli enormi debiti
contratti dal comune. Sotto la pro-
tezione del giusto e pacifico gover-
no pontificio si aumentò la indur
stria patria, si migliorò il lanificio,
e per lo smercio nel 1601 Clemen-
te Vili concesse la fiera dai 21
settembre a' 4 ottobre, coi privilegi
di quelle di Foligno e Recanati,
indi ridotte nel 16(6 a sei giorni,
incominciandosi a' 16 settembre, gior-
no solenne per la festa del patrono
s. Adriano, trasferita nel seguente
giorno in seguito. La fiera poi del
lunedì dopo la ss. Trinità, si deve
alla confraternita di tal nome ; e
quella detta del Crocefisso del pia-
no, dopo la domenica in Albis, al
1777. Paolo V per compensare il
comune de'novemila scudi co' quali
aveva tacitato le ragioni di altri
Ottoni, gli accordò alcune gabelle,
e nel 1610 in vece de' commissa-
ri stabi h per Matelica ur> gover-
natore di breve, cor^ pieqa gimis-
dizione civile e criminale, indipen-
dente dal governatore generale delU
provincia, così elevando Matelica a
quel rango in cui erano le città più
cospicue dello stalo, ed il primo
preside fu il nobile concittadino An-
tiloco Arcangeli. Per riconoscenza lo
stemma di Paolo V, e quelli dei
cardinali Borghese e di Cosenza,
del concittadino Severini vescovo
diocesano, e del governatore furono
innalzati su tutte le porte pubbli-
che.
Nel 161 5 s'incominciò l'edifi-
cio del monastero delle sacre ver-
gini, intitolato alla ss. Annunziata
ed a s. Adriano, ed il comune si
MAT
occupò dell' ornamento e polizia del
paese. Nel 1622 nella collegiata fab-
bricò l'altare (pare che la cappella
fosse edificata o abbellita dopo il
1 656 per la peste che desolava diver-
se parti dello stato) per collocarvi
la statua della Madonna di Loreto
( forse oggi esiste nell' aula priorale,
perchè nel 1697 ve ne fu dal pidj-
blico sostituita altra di valente scal-
pello ), dono del nobile matelicano
Flaminio Razzanti tesoriere della
Marca : il di lui fratello Ottaviano
nel 164?- instituì in Maidica la
congregazione de' filippini, erigendo
pure casa e chiesa dedicata a s.
Filippo. Però nel i652 Innocenzo
X soppresse il piccolo convento dei
domenicani, dalle cui rendite il co-
mune ritrae annui scudi venticui-
que a vantaggio d'un giovane stu-
dente in Roma : la pia società del
Rosario vi continuò la sua divozio-
ne, e nel 1733 restaurò la chiesa.
Circa il 1667 decadde l'utilissimo
lanifìcio, per 1' introduzione nello
stato di panni esteri, poi rivocata
dal Papa, quindi fatalmente rinno-
vata e vigente. A pubbliche spese
nel 1 7 1 5 si compì 1' elegante chiesa
delle Anime purganti, la cui santa
unione ebbe principio dopo il 1690
pel zelo del cittadino p. Guglielmo
Polidori. Già nel 1705 furono in-
trodotti in Matelica i carmelitani
scalzi , con magnifico convento e
chiesa de' ss. Valentino e Teresa,
con l'eredità Pellegrini rinunciata
dai gesuiti con dolore dei matèli-
cani, perchè dovevano aprirvi un
collegio : i carmelitani cessarono di
esistere nelle vicende de' primi anni
del corrente secolo. L' incendio del
1708 divorò l'importante archivio
capitolare, ove eravi quello della
monastica abbazia di Roti; e nel
^71 3 fu rifusa la campana dellc^
MAT 265
pubblica torre. Per le ubertose mis-
sioni date dai gesuiti nel 1727 ebbe
principio la tenera divozione degli
abitanti verso Maria ss. della Mi-
sericordia, la cui immagine lascia-
rono nella chiesa di s. Maria, e fa-
cendosene copia si collocò in quella
della nobile confraternita del Suf-
fragio. Nel 1737 finì i suoi giorni
in Roma Girolamo Ottoni, ultimo
superstite della famiglia che dominò
la patria, e fu sepolto in s. Maria
in Monticelli : vivente, il comune
r avea onorato con varie distinzio-
ni. Mentre Matelica fioriva felice
sotto il paterno governo pontificio,
implorò ed ottenne l'antico rango
di città, che Benedetto XIV gli re-
stituì col breve Circumspecta ro-
mani Pontìficis ^ de' 16 settembre
1753, presso il Ball. Magn.t.XìX,
pag. 69, accordando al suo magi-
strato l'uso della mazza argentea,
della collana d'oro al gonfaloniere,
e delle auree stole alle toghe se-
natorie; laonde fu eretta nell'aula
comunale marmorea iscrizione di'
gratitudine. Nel 1 764 Clemente XllI
a mezzo della congregazione di con-
sulta diede uno stabile provvedimen-
to al bussolo de' magistrati, col bre-
ve Exponi nohis ; e la comune con
parte dell' eredità Pellegrini fondò
il ginnasio ad istruzione della gio-
ventù, che oltre le scuole elemen-
tari già esistenti, ebbe precettori di
eloquenza, filosofia, teologia dora-
malica e morale. Con autorizzazio-
ne di Pio VI nel 177.5, in luogo
dell'ospedale di s. Biagio eretto dal-
la famiglia Lucarelli, fu eretto l'al-
tro più vasto dove esisteva l' antica
chiesa di s. Sollecito, cui si asse-
gnarono le spettanze delle confra-
ternite di s. Giuseppe, di s. Anto-
nio e del Gonfalone. Rovesciato nel
1797 l'ordine pubblico per la ri-
\olii7Jone repubblicnna , i francesi
s* impadronirono di Maidica, ed eb-
Jjero luogo quelle funestissime vi-
cende, seguite da quelle dell' altra
invasione francese, ritornando nel
i8i5 al pontifìcio regime, essendo
troppo noti i posteriori avvenimenti.
La fede fu propagala in Maidica
iie' primi tempi della Cliiesa, aven-
dola appresa i paesani in Roma
dalla bocca de' ss. Pietro e Paolo e
dai loro primi successori : il Piceno
e 1' Umbria nel secondo secolo era
già tulio pieno di cristiani, accre-
sciuti da quelli che fuggivano le
persecuzioni dalle città più popolose.
In Maidica sino dalla nascente Chie-
sa vi fu eretta la cattedrale vesco-
vile, ed Equizio fu il primo vesco-
vo di cui ci resti notizia, che sotto-
scrisse al concilio tenuto in Roma
liei 4^7) <^3l Papa s. Felice 11 detto
111. Si vuole che il di lui prede-
cessore s. Simplicio indirizzasse ad
Equizio una celebre decretale sulla
divisione dei beni ecclesiastici. Ci ri-
mane la memoria d' un secondo
vescovo per noaie Fiorenzio, che nel
55 1 sottoscrisse a Costantinopoli la
condanna pronunciata dal Pontefice
Vigilio, contro Teodoro vescovo di
Cappadocia, e foi-se ritornò in Ma-
tclica sul fine del 552, dopo aver
sostenuto con Vigilio i diritti della
Chiesa contro Giustiniano I, e con
lui solferto persecuzioni per la giu-
fclizia. Quanto tempo sopravvivesse
Fiorenzio dopo il di lui ritorno, non
lo dice la storia, e nenuneno se a*
vesse successori. Fedi V Ughelli,
halia sacra t. X, p. i3o. Invasa
r Italia dai longobardi, la maggior
})arle delle chiese restarono prive
de' |>astori, per cui dal Papa furono
raccomandate ai vescovi vicini, on
de r epoca dell'estinzione del ve-
itcovato di Matelica si assegna verso
MAX
il nyS, venendo raccomandato al
vescovo di Camerino. Nel secolo
XV HI, considerandosi troppo vasto
il vescovato di Camerino, avendo
già Benedetto XIII dichiarala sede
vescovile Fabriano ed unitala a Ca-
merino, nel modo dello all'articolo
Fabriano, Pio VI staccò da Came-
rino Fabriano e Matelica, e di ambe
le città aeque priiicipatUcr insieme
unite ne fece un vescovato imme-
dialamenle soggetto alla santa Sede:
quindi colla bolla de' 7 luglio 1785
fu Matelica reintegrata al pristino
onore della cattedra episcopale, ed
il primo vescovo Zoppelti fece il
pubblico ingresso in città ai 3i ot-
tobre, e nella solennità d' Ognissanti
celebrò la prima messa pontificale.
A perenne memoria di grato anima,
i matelicani nell' aula del conrnune
eressero nobile monumento che pre-
senta l'immagine di Pio VI con
analoga iscrizione, altra collocandone
nella facciata del palazzo governa-
tivo, nel 1792 da lui restaurato. La
cattedrale con fonte battesimale è
dedicata a Dio, sotto V invocazione
di s. Maria della Piazza, di s. Bar-
tolonteo apostolo, e di s. Adriano
martire, di cui se ne venera il biac-
cio. Il capitolo si compone dell'ar-
ciprete dignità, di tredici canonici
e quattro beneficiati, comprese le
prebende del teologo e del peni-
tenziere, e di altri preti e chierici
addetti al servigio divino, essendo
la cura delle anime affidata al par-
roco. L' episcopio è prossimo alla
cattedrale, oltre la parrocchia della
quale altra ve n' è in città; vi sono
in Matelica tre conventi di religiosi,
due monasteri di monache, ed altri
pii stabilimenti : il vescovo risiede
in Maidica e in Fabriano alterna-
tivamente.
MATENGO Guglielmo, Cardi'
MAX
ndlc. Guglielmo Matengo di Pavia,
arcidiacono di quella chiesa e poi
cistcrciense di Chiamvalle presso Mi-
lano, Adriano IV nel diceaibre i i55
lo creò cardinale diacono di s. Maria
in Via Lata, e dopo Ire anni prete di
s. Pietro in Vincoli, e nel 1176
fatto da Alessandro ]il vescovo di
Porto e s. Rufìina. Adriano IV Io
spedi a Federico I con altri tre
cardinali per legato, ed Alessan-
dro III, alla cui elezione inlerven-
ne con due altri cardinali, l' inviò
in Francia, Inghilterra e Sicilia,
per indurre que' sovrani e regni
alla sua obbedienza, ed abbando-
nare r antipapa Vittore V, e per
la sua robusta eloquenza tutto ot-
tenne. Nel 1175 venne mandato
a Federico 1 coi cardinali di Ostia
e di Porto, per trattare i prelimi-
nari di pace, alla cui conclusione
con esso e col Papa si tiovò in Ve-
nezia ; ma nel conciliabolo tenuto in
Pavia sulla decisione del vero Papa
erasi mostrato neutrale. Nelle con
Iroversie del re d' Inghilterra e di
s. Tommaso da Canlorbery, richie-
sto dal primo con altri cardinali per
giudice (lì rifiutato dal secondo, insie-
me cogli altri, come partigiani del
re. Morì in Monlecassino nel 1177.
MATERA { Matcranm). Città
con residenza arcivescovile del regno
delle due Sicilie, nella provincia di
Basilicata, capoluogo di distretto e
di cantone, sulla riva destra del
Gravina, bagnata dal Canopro, che
va poi a congiungersi col Bradano.
Giace lungo le due valli, ed occu-
pa r altura intermedia. Le sue vie
sono regolari, crescono i moderni
edifici con eleganza, e vi si ammi-
rano vari grandiosi templi. La cit-
tà è antichissima, Guglielmo Brac-
cio di ferro vi fu creato conte del-
la Puglia nel 1043, e nell'epoca
MAX li^j
feudale fu sottoposta ai duchi di
Gravina. Ila una scuola reale di
belle lettere, medicina, diritto ed
agronomia, ed altri stabilimenti ,
con più di dodicimila al)itanli : il
suo distretto si divide in otto can-
toni. Malera o Malcola si dice e-
retta in sede vescovile dai greci nel
IX secolo, e quindi unita a' tempi
di Alessandro II ad Acerenza. In-
nocenzo III per togliere le conte-
stazioni con la metropolitana d* A-
cerenza, malgrado l' opposizione dei
suoi abitanti, die il titolo arcivesco-
vile a Matera, restando unita ad
Acerenza, la quale eretta nel III
secolo, per alcuni anni fu poi sot-
tomessa ad Otranto che avea ab-
bracciato il rito greco sotto Policu-
to patriarca di Costantinopoli, indi
divenne suliraganea di Salerno. Da
Nicolò li fu elevata ìid arcivescovato
nel secolo XI, e l'arcivescovo stabilì
nel XII, la sua residenza a Matera,
quando rovinala la città di Ace-
renza dalle guerre così dispose In-
nocenzo HI. Nel pontificalo di Eu-
genio IV Matera fu ripristinata e
divisa da Acerenza, ma dopo alcuni
anni venne rinnovata 1' unione, ^^
più tardi Clemente Vili nel i^ycj
confermò 1' unione di Matera ad
Acerenza. Finalmente J^io VII nel
1818, colla lettera apostolica Do
iitiliori^ soppresse la sede di Matera,
unendola ad Acerenza in perpetuo.
Quindi revocando V anteriore sop-
pressione ed unione, colla lettera
apostolica Ex mysieriosa per citni
qui sedet , de' 1 5 marzo 1818,
nuovamente eresse V arcivescova-
to di Matera, restando però uni-
to a quello di Acerenza con re-
sidenza a Malera dell' arcivescovo
di Acerenza e Malera. Anticamente
furono sulFraganei di Acerenza i ve-
scovi di Venosa, Melfi, Hapolla, Monlc
!3tr,8 M A T
I*eloso, Potenza, Tursi ed Anglona,
Gravina e Tricarico, la maggior par-
te de' quali soltoposligli da Alessan-
dro II. Al presente A Gerenza e Ma-
tera hanno per sufTraganei i vescovi
di Anglona e Tursi, sedi unite, Po-
tenza, Tricarico e Venosa. F. Ace-
EENZA.
Ecco lo stato di Acerenza e di
Malera secondo rullima proposi-
zione concistoriale, le cui arci-
diocesi unite si estendono per cir-
ca cìnquantaquattro miglia di ter-
ritorio, contenendo più luoghi. La
cattedrale di Acerenza è dedicata
a Dio sotto l'invocazione di s. Ca-
no martire suo vescovo e patrono,
e trovasi in istato rovinoso; quel-
la di Matera è sotto il tìtolo della
Beala Vergine de Bruna, e di s.
Eustachio. Il capitolo di Acerenza
si compone di tre dignità, la pri-
ma delle quali è l'arcidiacono, di
venti canonici, e di cinque man-
sionari partecipanti; quello di Ma-
tera, di tre dignità, essendo la mag-
giore il decano, e di trenta canonici;
in ambedue vi sono le prebende
teologicale e penitenziaria, ed altri
preti e chierici addetti al divino
servigio. In ambedue le cattedrali
vi è il fonte battesimale, e la cura
delle anime si esercita in Acerenza
dalla prima dignità, in Matera dal-
la seconda, ciascuno coadiuvati da
un sacerdote amovibile. Soltanto
Matera ha l'episcopio ed il cimi-
terio. In Acerenza non avvi altra
chiesa parrocchiale, bensì un con-
vento di religiosi, diversi sodalizi
e l'ospedale. In Matera vi sono tre
altre chiese parrocchiali, munite del
battisterio, ed una è anche collegiata
con quindici canonici e la dignità
dell'abbate; tre conventi di religiosi,
altrettanti monasteri di monache,
un conservatorio, confraterni le^ se-
M A T
minarlo di chierici per le due nr-
cidiocesi, e monte di pietà. Ambe-
due le mense unite sono tassate
ne' libri della camera apostolica ad
ogni arcivescovo in fiorini 4o^> ^o''"
rispondenti a circa ^5oo ducati
napoletani, gravati di alcuni oneri.
Ecco la serie de' vescovi ed arci-
vescovi di Acerenza e di Matera,
secondo l' Ughelli, Italia sacra, t.
VII, p. 5 e seg., continuata dalle
annuali Notizie di Roma.
11 primo vescovo di Acerenza
fu Romano che fiorì verso l'anno
3 co, nel pontificato di s. Marcellino,
e governò circa ventinove anni. Ne
furono successori, Monocollo, Pietro,
Silvio, Teodosio, Alore, Stefano I,
Araldo, Berto , Leone I, Lupo, E-
valanio, Azo, Asedeo, Giuseppe, e
Giusto che sottoscrisse nel sinodo
romano del 499 tenuto da Papa
s. Simmaco. Dopo di lui non si
hanno notizie di altri vescovi per
277 anni circa. Leone li, uomo
santissimo, governava verso il 776,
e si recò in pellegrinaggio a Ge-
rusalemme: prima costruì un lem-
pio in onore di s. Cano o Canione,
e vi trasferì il corpo da Atella,
morendo in Africa nel 799 in re-
gione JuUanae, chiaro per miracoli.
Il vescovo Rodolfo gli successe, e
trasportò in Acerenza nella chiesa
di s. Gio. Battista parte del corpo
di s. Liverio martire, che tolse da
^Grumento rovinata dai saraceni.
Gli successero, nell'SSo Leone IH,
Andrea I, Giovanni l, Giovanni II
monaco benedettino, Stefano II tlel
1024, Stefano IH, Stefano IV,
Goderio 1, Goderio II nipote del
precedente, e fu l'ultimo vescovo
di Acerenza. Il primo arcivescovo
è Geraldo, decorato di tal dignità
o da s. Leone IX o da Nicolò II;
inori verso il io()6, e Alessandro
M A T
II vi sostituì Arnoldo cui conferì
il pallio, e morì nel iioi. Pietro
ebbe de'privijegi nel 1106 da Pa-
squale IJ, e visse sino al ii4'2) i»
cui gli successe Durando, indi Ro-
berto al quale Eugenio 111 nel
1 i5i confermò le concessioni di
Pasquale 11. Nel 1178 Alessandro
Ili fece arcivescovo Riccardo che
intervenne al concilio generale di
Laterano III : è rammentato da
Innocenzo III nell' inféudazione di
s. Maria di Matera, che appartene-
va alla mensa della chiesa di A-
cerenza. Pietro del i i84j altro Pie-
tro del 1194» Rainaldo romano
chiaro per letteratura , esperienza
ed eloquenza,, fu consacrato nel
1 ig8 da Innocenzo III, ed assai da
lui stimato morì nel 1200. 11 ca-
pitolo elesse l'arcidiacono Andrea,
confermato da Innocenzo III, il qua-
le per la desolazione in cui era
Acerenza, nel i2o3 eresse di nuo-
vo Matera in sede arcivescovile u-
iiita ad Acerenza con V uso del
pallio, onde in Matera l'arcivesco-
vo fissò la sua residenza, sottoscri-
vendosi e intitolandosi arcivescovo
di Acerenza e Matera. Nel i252
Innocenzo IV creò arcivescovo M.
Anselmo, cui successero: nel 1268
fr. Lorenzo domenicano, cappellano
del cardinal Annibaldi ; nel 1277
Pietro de Archi a eletto per com-
j>romesso dal capitolo i fr. Leonardo
de'minori nel 1284 amministrato-
re ; fr. Gentile Orsini domenicano,
dotto, eloquente e pieno di esperien-
za, del i3oo; d. Guidone cistcr-
ciense amministratore del 1 3o3 ;
fr. Landolfo domenicano del i3o6,
di gran virtù e scienza; fr. Roberto
degnamente gli successe nel 1 3o8;
Pietro traslato da Venosa nel i334;
Giovanni Conlelli dottore in legge
chiarissimo del i343; Bartolomeo
MAT 2G9
Prignanì del i363, Iraslato a Bari
nel 1377, e creato Papa col nome
di Urbano VI nel 1378: Gregorio
XI gli aveva dato in successore
Nicola Acconciamuri.
Insorto contro Urbano VI l'an-
tipapa Clemente VII, questi nel
1879 v'intruse Giacomo de Silve-
stri: nel i38o Urbano VI gli so-
stituì Bisanzio Morelli di Matera,
già suo vicario quando era arcive-
scovo. Tommaso di Bilonto, e Pie-
tro Giovanni Baraballi napoletano
del 1 392 ; fr. Stefano del 1 3^)5 ;
Riccardo di Olevano del 1402 ;
Nicolò Piscicelli napoletano del
1407, ornato d'ogni virtù; MiUi-
fiedo aversano del i4i4j d' singo-
iar prudenza e cognizioni, ma di-
venendo inviso a Gio. Antonio
Orsini conte di Matera, di questa
Eugenio IV ne affidò l'amministra-
zione a Pietro vescovo di Motula
nel 144^1 ^^^^ l'assegnò al di lui
fratello Madio de'minori , e poscia
nel i444 l'i unì nuovamente le due
sedi e le conferì a Marino de Pao-
li, che le restituì all'antico decoro.
Sisto IV nel i47> vi trasferì fr.
Enrico Lungardi domenicano di
Palermo, ottimo pastore, confer-
mando con diploma 1' unione di
Acerenza e Matera. Nel 148 3 di-
venne arcivescovo Vincenzo Pal-
mieri napoletano, lodato per virtù
e benemerito dell' immunità eccle*.
siastica: Leone X nel i5i6 gli die
per successore il nipote Andrea
Matteo Palmieri , che nel i527
Clemente VII creò cardinale, e nel
1528 rassegnò le due chiese al
fratello fr. Francesco de'minori con-
ventuali. A questi nel i53i suc-
cesse Gio. Michele Saraceni che
GiuliolII creò cardinale nel i55i,
e per sua dimissione nel ì55'j il
nipote Sigismondo Saraceni, che
270 MAX
inlervenrte ni concilio di Ti-ento,
Nel i586 Francesco Anlonio Snn-
torio ; nel k^QI Finncesco de
Abiilancda portoghese ; nel i^qB
Scipione de Tel fa lelleiato napo-
letano; nel 1^96 Giovanni Miro
di Barcellona; nel i6o5 Giusep-
pe Rossi aquilano: questi ridus-
se a trenta i canonici di Ma te-
la, ripristinò la dignità di cantore,
ed eresse il seminario. Nel 16 ri
fu fatto arcivescovo fr. Giovanni
tSpilia domenicano, teologo illustre
5pagnnolo ; nel 1621 Fabrizio An-
tinori napoletano d'eccellenti qualità
e prudenza : fece salutari decreti
sinodali, ed a'24 ottobre 1627
consagrò solennemente la cattedrale
di Matera, edificata nel 12^0. Nel
i63o fu promosso all'arcivescovato
il cardinal Domenico Spinola ; nei
iG38 Simeone CaralFa de'duchi di
Roccella, di singolare integrità di
vitn, moderazione e zelo; nel 164B
Gio. Ballista Spinola nipote del cardi-
nale, pastore egregio; nel i665 Vin-
cenzo Lanfranchi traslato da Tri-
venlo; nel 1678 Antonio del Rio
Colminares, trasferito da Gaeta, che
governò lodevolmente; nel 1708
Antonio Maria Brancacci nobile
teatino napoletano; nel [723 fr.
Antonio Giuseppe Maria Positani
di Napoli, traslato da Acerra ; nel
1780 d. Alfonso Mariconda cassi-
nese, tiaslato da Trivenlo; nel 1787
d. Giovanni Rosso teatino di Ca-
po di Monte, traslato da Ugento ;
nel 1788 Francesco Lanfreschi d'I-
schia, traslatoria Gaeta; nel 1754
Anlonio Anlinori dell'Aquila , tras-
lato da Lanciano; gel 1758 d.
Serafino Filingeri cassinese bene-
ventano; nel 1763 d. Nicolò Fi-
lomarino monaco celestino di Na-
poli ; nel 1767 d. Carlo Parlato
de' pii operai napoletano, traslato
MAX
da Potenza; nel 1776 Francesco
Zunica di Lucerà; nel 1797 Ca-
millo Calanco de'marcliesi di Mon-
te Scaglioso napoletano. Per sua
morte il Papa Gregorio XVI nel
concistoro de'fì aprile i835 dichia-
rò arcivescovo di Acerenza e Ma-
tera l'odierno monsignor Antonio
de Macco, nato in Livorno, dimo-
rante nella diocesi di Gaeta, cano-
nico di quella cattedrale, e profes-
sore di quel seminario.
MAXERIALISMO. Dottrina fah
sa ed empia di quelli che osano sos-
tenere che tutto è materiale, che
l'anima non è immortale: il Ber-
gier in due tomi pubblicò: Esame
del materialismOy Venezia 1772.
Materialisti o materiariiy si chia-
marono quegli antichi eretici che
ammettevano una materia eterna,
con cui Iddio avea creato il mon-
do, invece di riconoscere colla sacra
Scrittura che lo avea tratto dal
nulla. Xertulliano combattè i ma-
terialisti nel trattato contro Ermo*
gene.
MAXERNO (s.) , vescovo di
Colonia e di Xreveri. La vita di
questo santo vescovo venne assai
sfigurala dalle favole degli scrittori
di leggende, i quali 1' hanno fatto
discepolo di s. Pietro. È certo che
verso la fine del terzo secolo fu
mandato dalla santa Sede nelle
Gallie con s. Eucario e s. Valerio
a predicarvi il vangelo ; che fu
successivamente vescovo di Colonia
e di Xreveri i e che mori qualche
anno prima del 347. Assistette co-
me vescovo di Colonia ai due con*
cilii che si tennero contro i dona-
tisti, r uno a Roma ai 2 ottobre
del 3i3, e l'altro ad Arles il pri-
mo agosto del 814. L'Alsazia lo
onora come suo apostolo; egli vi
distrusse l'idolatria , e vi fabbricò
MAT
molte cliiese in onore di s. Pietro.
La sua festa si celebra ai i4 di
settembre.
MATILDE Contessa. F. Coiv-
TESSA MaTIT.de, MaNTOVA, LuCCA, 6
s. Gregorio VII.
MATRICOLA. Catalogo, indice,
registro, lista che si tiene per no-
tarvi le persone ch'entrano in qual-
che corpo o società. Degli antichi
cataloghi o indici delle chiese, la cui
origine risale ai primi tempi del
cristianesimo, chiamati Malriciilae
o Tabiilae Ma Incula ri ae, la storia
ecclesiastica fa menzione di due sor-
te di matricole, l' una che conte-
neva la lista dei poveri alimentati
a spese della chiesa, l'altia che con-
teneva la lista degli ecclesiastici e
clero della chiesa medesima, od an-
che di tutta la diocesi. La matri-
cola o il costume di formare il ca-
talogo de' poveri si rinviene nelle
lettere 4^ e 46 di s. Gregorio I, lib.
3, ed in altri monumenti. Questi
poveri erano d' ambo i sessi, spe-
cialmente le vedove ed i pupilli, che
si alimentavano coi beni e rendite
di quella chiesa cui appartenevano:
erano chiamati Matriculani^ e vi-
vevano sotto la cura e sorveglianza
de'rispettivi vescovi, sacerdoti, ed in
Roma dei diaconi, ond' ebbero ori-
gine le Diaconie cardinalìzie [Fedi) j
chiese presso le quali eranvi case,
ospizi ed ospedali pei poveri, le qua-
li case furono pure altrove per ri'
cettare i poveri ed alimentarli: ta-
le casa d' ordinario fabbricata vici*
no alla porta della chiesa, soleva
chiamarsi anche Matricida paupe-
rum. In alctme di queste chiese
i poveri vi esercitavano qualche uf-
fizio manuale, come lo scopai le e il
suonar le campane. MaUicidariae
furono dette le Diaconesse [Fedi)^
le presbileresse e le vedove ali*
MAT 7.71
meniate colle rendile delle chiese.
Non tutti i poveri erano ascritti al
catalogo, e perciò a carico della
chiesa, molli alimentandosi colle e-
lemosine somministrate dai più ric-
chi del popolo crisliano. La matri-
cola delle chiese riguardante il cle-
ro , concerneva V ordinazione del
medesimo, il libero esercizio nelle
chiese del sacro ministero, e il di-
ritto di godere dei beni delle me-
desime. La matricola della diocesi
conteneva i nomi dei ministri del-
la chiesa distribuiti in ordini o
classi. Nel primo ordine era la li-
sta dei sacerdoti ; nel secondo quel-
la dei diaconi ; nel terzo i suddia-
coni ; nel quajto gli accoliti ; nel
quinto gli esoicisti ; nel sesto i let-
toli, e nel settimo gli ostiari; quin-
di erano setle ordini o classi, sette
ranghi o divisioni. Quando restava
vacante qualche piazza, era questa
subito occupata dal ministro che
cuopriva quella che le veniva die-
tro immediatamente : per esempio
il primo diacono rimpiazzava 1' ul-
timo sacerdote, e così degli altri
ministri ; di maniera che a ciascu-
na vacanza facevasi un movimento
progressivo in tutto il catalogo o
indice. Perciò fu detto promovere
agli ordini, per dire spingere alcu-
no in un ordine più elevato, farlo
salire alla classe superiore ^ giacché
non era permesso di saltarne alcu-
na, e facendo diversamente chia-
mavasi farsi ordinare per sallurn^
tranne l'eccezione per gli ordini
minori, per uno de' quali bastava
talvolta di passare, e di esercitarne
le funzioni per molti anni, per po-
ter essere in seguito promosso agli
ordini maggiori. Dice il Macri, che
Malricularii erano chiamati i chie-
rici che registrati in detti cataloghi
ricevevano lo -slipcndio stabilito io-
272 MAX
ro dal vescovo ; e che per la me-
desima Vagione ogni canonico asse-
gnato al servigio di qualche chiesa
per officiarla era chiamato canoni-
cus matricularius.
I cataloghi o indici delle chiese
sono antichissimi , tanto del regi-
stro del clero, che dei poveri, e
dell' albo de' sacri ministri se ne
fa menzione nel concilio generale
di J\icea celebrato nel 325, can. 19,
e nel 5o fra i canoni apostolici.
Dal can. 86 del concilio Milevitano
si apprende l'esistenza di un cata-
logo tutto proprio delle chiese a-
fricane, in cui si scrivevano i no-
mi dei vescovi di ciascuna provin-
cia, onde alla morte del metropo-
litano non nascessero contese sulla
persona da sostituirglisi, essendo leg-
ge che il vescovo seniore ascendesse
a quel grado. JNe'tempi posteriori al
nome Matricida fu attribuita una
più estesa significazione, esprimen-
dosi per essa anche le cose risguar-
danti il clero, come l'ordine di ce-
lebrare ogni settimana i divini of-
fici, e il servigio da prestarsi dai
chierici. I Dittici ecclesiastici (Vedi)
furono cataloghi o sacre tavole pub-
bliche della primitiva Chiesa, chiama-
te tabellaeepiscopales, tabulae sacrae,
catalogiis episcoporiim, mysticae ta-
bulae, ec. Contenevano i nomi degli
offerenti, de' magistrati', personaggi
e sovrani, de' chierici d'ordine su-
periore incominciando dai Papi, dei
battezzali, de' santi, de' martiri, dei
confessori, de* morti nella fede or*
todossa, de'concilii ecumenici; e di-
videvansl in due parti, cioè dei
cristiani vivi e dei morti, insigni o
per santità o per benefizi segnalati
fatti alla Chiesa. L'origine de' ditti-
ci rimonta ai tempi apostolici, ces-
sando nel secolo XII circa, quando
fu stabilito che il manenlo de^ vi'
MAX
vi e de' morti si facesse nella mes-
sa dal sacerdote celebrante in silen-
zio, non però nelle chiese oltramon-
tane : nell'odierna disciplina della
chiesa romana rimane qual monu-
mento degli antichi dittici ecclesia-
stici il doppio memento del ca-
none.
MATRIGA o MEXRACHA. Se^
de arcivescovile della provincia di
Zichia, della quale fu vescovo lati-
no Giovanni de' minori del 1349*
Oriens christ. t. Ili, p. 11 14.
MAXRIMONIO, Matrìmonium ,
Connubium, Conjugium. Unione ma-
ritale dell' uomo e della donna, ed
uno de' sette sagramenti, detto an-
cora Maritaggio, Nozze^ nuptiae. 11
nome di matrimonio, latinamente
matrimoniuni j dev'iva da maire, per-
chè una donna non deve maritarsi
se non che per diventare madre j
ovvero da matris, munus o mwiia^
perchè gli obblighi delle madri so-
no più considerabili nello stato di
matrimonio, che non quelli dei pa-
dri, giacché i figli che ne sono il
frutto, danno sempre maggiori pene
alle madri, dalle quali esigono mag-
giori cure tanto prima, che dopo,
ed in tempo del parto. Il matri-
monio chiamasi anche con/iigiiini ^
nuptiae, nozze, dal verbo nubere,
velare, perchè anticamente le don-
ne maritale portavano un velo sul-
la testa, in segno di modestia, di
pudore e di sommissione ai loro
mariti. I giureconsulti chiamano al-
tresì il matrimonio, consortium, a
motivo dell'intima unione che lega
fra di loro i coniugi, ed i greci lo
chiamavano corona^ perchè il sacer-
dote che celebrava il matrimonio
presso di loro, metteva delle coro*
ne sulla testa dei novelli maritati.
Questo uso ebbe luogo tanto presso
i gentili e gli ebrei^ quanto presse^
MAT
i cristiani della primitiva Chiesa.
Vedi Corona. Si chiama sposo ,
sponsus, quegli che novellamente è
ammogliato ; e sposa, sponsa, nova
ììitpta, la donna maritata di fresco:
dicesi sposalizia e sposalizio, spon-
salia, la solennità dello sposarsi,
sponsalizie. Deve però avvertirsi che
gli sponsali, sponsalia^ si dividono
dai canonisti iji sponsalia de prae-
seiitiy dì è appunto il matrimonio,
e sponsalia de futuro, ossia la pro-
messa valida ed accettata del ma-
trimonio fuluroi e così pure spon-
sus et sponsa possono avere l'una
e l'altra significazione. Il marito,
maritusj vir, è l'uomo che un le-
gittimo legame unisce alla donna
per vivere con essa in consorzio
inseparabilcj procreare figli ricono-
sciuti dalla legge, ed educarli. Il
marito è il protettore di sua mo-
glie, deve perciò difenderla anche
a pericolo della sua vita : egli è il
depositario del di lei onore ; deve
ditènderla innanzi ai tribunali con-
tro qualunque offesa ed accusa, al-
trimenti è reo di colpevole indi-
ferenza, ed è indegno di vivere con
quella. Ha altresì 1' obbligo di far
valere i diritti della moglie, d'impe-
dire il deperimento de'suoi beni, e di
procurare d'aumentarne il valore :
l' unione coniugale però non costi-
tuisce per se sola la comunione de'be-
ni tra marito e moglie, richieden-
dosi uno speciale contratto. La mo-
glie, uxor, conj'ux, è la femmina
congiunta in matrimonio. Fedi Don-
na e Uomo. Coniugi diconsi i mari-
tali perchè portano insieme quasi la
metà del giogo. E gravissimo do-
vere de' coniugi di amarsi fra lo-
ro con un amore singolare, casto,
costante, per cui si serbino inviola-
ta fedeltà, non solo nelle azioni,
ma nei sentimenti ancora e negli
VOL. XLIII.
MAT 273
affetti del cuore, si aiutino scam-
bievolmente e si compatiscano nei
personali difetti, e di buona voglia
portino insieme il giogo delle tri-
bolazioni, che non sogliono mai da
questo stato disgiungersi. Dopo la
promulgazione del vangelo la mo-
glie non è più schiava dell' uomo»
ma è tornata ad esserne la compa-
gna, come lo fu quando Dio la tras-
se dal fianco di lui. La moglie deve
essere sottomessa con amore al ma-
rito, rispettosa e benevola verso i
suoceri, intenta al buon ordine di
famiglia e al buon andamento del-
le cose domestiche. Le amarezze, i
dissapori, le discordie fra i congiun-
ti non sono peccati solamente con-
tro la carità del prossimo, ma con-
tro ancora uno dei più grandi do-
veri dello stato matrimoniale. Ob-
bligazione gravissima de' coniugi è
r amare i figli con amore regolato
dalla fede e carità cristiana, nutrirli
onestamente, custodirli nella salute
corporale, istruirli nella religione e
nella virtù; correggerli proporziona-
tamente, edificarli con buoni esem-
pi, far loro apprendere le scienze e
le arti corrispondenti all'inclinazione
dell'animo e alla condizione delle
famiglie; essendo i figli dati da Dio
in custodia ai coniugi, a' quali ne
dimanderà stretto conto. La madre
durante la gravidanza deve procu-
rare che non succeda nulla di fu-
nesto al suo figlio per propria col-
pa, e deve allattarlo se può. I ge-
nitori devono mantenere l' unio-
ne fra i loro figli, amarli tutti e-
gualmente, e non mai forzare la
loro inclinazione per la scelta di
uno stato. Le pertone maritate de-
vono considerarsi come i padri e
pastori de' loro domestici. Fedi Fa-
migliare.
Il catechismo del concilio di
i8
274 ^lAT
Trento definisce il matrimonio, la
unione coniugale dell' uomo e del-
la donna, che si contrae fra per-
sone, le quali ne sono capaci, ^se-
condo le leggi naturale, divina ed
umana, e che le obbliga a vive-
re inseparabilmente ed in una
perfetta unione V una con V altia.
£ un'unione peichè il matrimonio
consiste propriamente ed essenzial-
mente nel legame coniugale, espres-
so dalla parola unione. E un' unio-
ne coniugale dell' uomo e della
donna nel numero singolare, per e-
scindere cosi la poligamia, o mol-
tiplicazione delle mogli, e la po-
liandria o moltiplicazione de' mari-
ti in un tempo stesso, e per fare
altresì intendere, che le parti con-
traenti devono essere di diverso ses-
so. Final niente è un* unione che
obbliga i contraenti a vivere insepa-
rabilmente l'uno coll'allra fino alla
morte, perchè il legame che unisce
insieme il marito e la moglie, è in-
dissolubile di sua natura. Quanto
all'essenza del matrimonio, insegna
s. Tommaso che bisogna considera-
re il matrimonio sotto tre diversi
aspetti, per rapporto cioè ai tre fi-
ni digerenti che Dio vi si è pro-
posto, che sono la propagazione
perpetua del genere umano ed un
dovere di natura, officiuni naturae;
il bene della società civile, e per
regola le leggi civili ; il bene della
Chiesa, per cui il matrimonio è un
sagramenlo soggetto alle leggi ec-
clesiastiche, le quali aggiungono al
matrimonio, come dovere delia na-
tura, l'essere di sagramento istituito
da Gesù Cristo, e la promessa del-
la grazia necessaria per soffrire con
pazienza le pene del matrimonio, e
per educare cristianamente i Figli
(f^edi). Il matrimonio consideralo
io tal maniera può essere definito,
MAT
I' unione coniugale dell' uomo e
della donna contratta indissolubil-
mente fra persone capaci secondo
le leggi, elevata per istituzione da
Gesù Cristo all'essere di sagramento
per dare ai due coniugi la grazia di
amarsi santamente, di compatirsi e
tollerarsi caritatevolmente, e di e-
ducare i loro figli nella pietà cri-
sliana, oppure un sagramento della
nuova legge che unisce con un no-
do indissolubile un uomo cristiano
con una donna cristiana, e che con-
ferisce loro la grazia necessaria per
santificarsi, e per educare cristiana-
mente i loro figli.
Alcuni eretici pretesero, che il ma-
trimonio consistesse essenzialmente
neir uso del medesimo, ossia nella
consumazione. Il ven. Bellarmino
opina, che la consumazione sia una
parte integrante, benché non essen-
ziale del matrimonio. Altri teologi
sono d' avviso, che questa parte es-
senziale è la tradizione mutua dei
corpi, o la reciproca obbligazione
di prestarsi al dovere coniugale, od
il diritto che hanno i due coniugi
r uno su r altro. Ma sembra che
r essenza del matrimonio, conside-
rato sotto questo aspelto , consista
unicamente nel legame perpetuo ed
indissolubile, che deriva dal consen-
timento reciproco dei contraenti ,
che forma uno stato fisso e per-
manente come il legame perpetuo.
La consumazione e conoscenza car-
nale non costituisce punto l'essenza
del matrimonio. Si legge nella Ge-
nesi cap. 2, 4) che Adamo ed Eva
non si conobbero carnalmente, se
non dopo che furono scacciati dal
paradiso terrestre, sebbene fossero
maritati prima. La Beata Vergine
e s. Giuseppe, i quali restarono
sempre vergini, furono però essi
veramente maritati. Gli sposi che
MAT
si obbligano alla continenza con un
mutuo consentimento, non lasciano
perciò dal contrarre veramente an-
ch'essi. Ne il reciproco consentimen-
to de'coningi, ne la tradizione dei
corpi, ne l'obbligazione di rendere il
dovere coniugale, ne il diritto che
hanno i due coniugi l'uno sulKaltro,
non costituiscono essenzialmente il
matrimonio; perchè il consentimento
reci picco non è che un alto mo-
mentaneo, il quale perciò non può
formare l'essenza di uno stato per-
manente , e perchè la tradizione
de' corpi, l'obbligazione di rendere
il dovere, il diritto mutuo dei con-
iugi, non sono che le conseguenze
del matrimonio, ch'essi suppongono
di già contralto. Moltissimi poi so-
no gli esempi de' coniugi che vis-
sero veigiui, con reciproco consen-
so : ne i iporteremo alcuni. 1 ss. En-
rico I o 11 imperatore, e Cunegonda
imperatrice, per vicendevole patto
tra loro. Quando la gran Contessa
Matilde A bene della Chiesa per con-
siglio di Urbano li si decise a spo-
sare in seconde nozze Volfone V
duca di Baviera, lo fece colla con-
dizione dallo sposo accordata, di vi-
vere insieme vita di perfetta conti-
nenza. La beata Cunegonda regina
di Polonia, nel matrimonio di qua-
rant' anni con Boleslao duca di
Cracovia, conservò illibata la vir-
ginità, e poi si fece monaca di s.
Chiara. La b. Lucia di Narni do-
menicana, nel matrimonio avea con-
servata la virginità, onde Benedetto
XI li gli decretò la messa del co-
mune delle vergini. Moltissimi pure
furono quelli, che volendo vivere
continenti colie loro spose, abbrac-
ciarono lo stato ecclesiastico secola-
re o regolare, e le mogli si fecero
monache, e molti divennero vesco-
vi e santi. Altri nei primi tempi
MAT 27.5
della Chiesa elevati all' episcopato,
vissero colle mogli che avevano già,
come fratelli e sorelle. La beata
Umiltà fondatrice delle vallombro-
sane, dopo aver partorito due figli,
e questi morti, di consenso coi ma-
rito dopo nove anni si separarono:
essa si fece monaca, ed il marito
canonico regolare, e fu il beato Lo-
dovico Caccianeraici. Dopo aver s.
Caterina Fieschi convertito il pes-
simo marito Giuliano Adorno, que«
sti col di lui consenso si fece reli-
gioso del terzo ordine di s. Fran-
cesco, ed essa continuò a vivere
santamente. Nella chiesa greca è di
precetto, che due coniugi cristiani
debbano astenersi dall' uso del ma-
trimonio in tempo di quaresima,
negli altri giorni di digiuno, nelle
soleimità, e quando si dispongono a
partecipare della sacra mensa : nella
chiesa latina non è questo un pre-
cetto, ma un semplice consiglio. Il
marito e la moglie devono recipro-
camente rendersi il dovere coniu-
gale, giusta le parole di s. Paolo:
questo dovere reciproco non è però
illimitato, poiché se l'uso avesse da
alterare la salute o mettere a peri-
colo di morte l'uno de' coniugi,
sono dessi in allora dispensati dal
reciproco dovere come dice s. Tom-
maso. Il marito poi deve avere i
debili riguardi per la moglie, nello
stato di gravidanza , di puerperio
e di lattazione. Ecco 1' elogio che
del maritaggio cristiano fece Ter-
tulliano ne' due libri che indirizzò
a sua moglie prima di farsi prete.
y> La Chiesa approva il contralto ,
l'oblazione lo ratifica, la benedizio-
ne lo suggella, gli angeli lo porta-
no al Padre celeste che lo conlèrraa.
Due persone portano lo stesso gio-
go, elle non sono che una sola car-
ne ed un' anima sola ; si esortano
276 MAT
a TÌcendo alla virtù; pregano, di-
giunano, vanno insieme alla chiesa
e alla racnsa del Signore ; elle non
si tengono niente ascoso 1' una al-
l' altra; visitano i malati, raccolgo-
no senza contrasti delle limosine,
assistono senza interrompi mento al-
l'uffizio divino, cantano insieme i
salmi e gì' inni, e si eccitano reci-
procamente a lodar Dio".
§ I. Dell* insti tuzìone del mairi-
moniO) della materia e sua for-
ma»
Considerandosi il matrimonio co-
me un dovere della natura, o come
un sagramento, il matrimonio come
dovere della natura e contratto na-
turale deve la sua istituzione all'i-
stinto medesimo della natura, il
quale porta gli uomini a moltipli-
carsi in una società legittima, ed alla
volontà del Creatore, il quale for-
mò i due sessi con quella intenzio-
ne, gli unì insieme nella persona
di Adamo e di Eva, li benedì dicen-
do loro : crescete e moltiplicatevi.
11 Pontefice Innocenzo Ili condan-
nò come erronea l'opinione di co-
loro, i quali credevano che gli
uomini si sarebbero moltiplicati sen-
za r uso del matrimonio, qualora
fossero rimasti nello stato d'inno-
cenza : si sarebbero essi adunque
moltiplicati nello stato d' innocenza
coir uso del matrimonio, ma senza
concupiscenza o desiderio della car-
ne. Benché Dio sia l' autore del
matrimonio, come contratto natu-
rale, devesi però dire colla mag-
gior parte de' teologi, che questo
contratto non è stato un vero sa-
gramento, ne sotto la legge di na-
tura, né sotto lalegge scritta, perché
non conferiva egli la grazia, e non
era che una figura assai imper»
M A T
fetta dell' unione di Gesù Cristo col-
la Chiesa. Molti eretici condannaro-
no il matrimonio come cattivo, al-
tri pretesero che non fosse un sa-
gramento della nuova legge. Altri
poi vollero considerarlo come un
semplice contratto civile, dicendo
che tale lo riguardarono i primi
imperatori cristiani. Il matrimonio
é cosa lecita e buona perchè ha Dio
per autore, e per fine la genera-
zione e l'educazione de' figli ; perchè
la propensione della natura ad esso
viene dal Creatore, perchè la Chiesa lo
approva, e perché santissimi perso-
naggi lo contrassero in tutti i tem-
pi. £ un sagramento presso i cri-
stiani, perchè ha tutte le condizio-
ni richieste per un sagramento del
cristianesimo ; è un segno sensibile
che apparisce nel consentimento este-
riore e reciproco dei due coniuj^i
non impediti ; è un segno sacro che
rappresenta 1' unione fìsica di Gesù
Cristo colla Chiesa coli' in(;arnazio-
ne, e la spirituale colla carità; è un
segno che produce la grazia, la qua-
le induce i due coniugi ad amarsi
di un amor casto, a vivere pacifi-
camente, ed a santificarsi in mezzo
ni doveri ed agli incomodi della
famiglia, come lo spiega il concilio
di Trento; é un segno istituito da
Gesù Cristo quando assistette alle
nozze di Cana, e quando diede loro
la sua benedizione ; è un segno isti-
tuito in una maniera permanente.
La Chiesa, dopo Gesù Cristo, ha sem-
pre detestato i matrimoni contratti
senza le sante cerimonie eh' essa
prescrive, dottrina provata a mezzo
della Scrittura, de'padri e de'con-
cilii.
Gesù Cristo si degnò restituire
al matrimonio la perduta sua di-
gnità , mentre presso la maggior
parte degli antichi era ridotto qua-
MAT
si nulla più che uno slato pieno di
corruUela e di scandalo ; e giunse
fino ad innalzare quel consenso le-
gittimo, ovvero quel contratto da
cui ne viene la legittima unione
maritale, al grado sublime di sa-
gramento, per lo che il matrimonio
acquistò un' indole soprannatura-
le, ed una maggior fermezza ^e
indissolubilità. Avendo pertanto Ge-
sù Cristo lasciate le cose di que-
sta specie, siccome erano in avanti
per natura e per divina istituzione,
e Solo aggiunto al consenso mari-
tale il grado, la dignità , la grazia
propria di un vero sagramento, per
incontrastabile conseguenza ne vie-
ne, che il matrimonio de'cristiani è
tutto insieme contratto e sagra-
mento, che l'uno non può distin-
guersi dall' altro. Che il matrimo-
nio sia uno de' sette sagramenti,
sempre è stato creduto universal-
mente, e la Chiesa lo ha definito
come un domma di fed e nel concilio
di Verona del ii84 presieduto da
Lucio IH, e ne'generali ecumenici di
Laterano III, di Costanza, di Fi-
renze e di Trento. A provarlo colle
divine scritture può trarsi sufficien-
te argomento da s. Paolo nell'epi-
stola agli efesii e. V, dove dice del
matrimonio cristiano, sacranicntiun
hoc magnurn est: ego autem dico
in Chris to et in ecclesia j e dove
fa un paragone tra i coniugi da un
Iato, e Gesù Cristo e la sua Chiesa
dall'altro, esortando quelli ad amar-
si r un r altro di quella dilezione
certo soprannaturale con cui Gesù
Cristo amò la Chiesa sua, e rappre-
sentare in sé medesimo la stretta
unione che congiunge Gesù Cristo
istesso alla sua Chiesa. Ma questo
domma cristiano cosi insegnato o
indicalo dall' apostolo delle genti,
riceve molto maggior luce e forza
MAT 277
dall' argomento irrepugnabile della
tradizione universale della Chiesa, e
da quella che ne consiegue della
prescrizione. In fatti s. Cirillo A-
lessandrino, s. Ambrogio , s. Inno-
cenzo I e tanti altri lo dichiarano
precisamente un sagramento; e dal»
la storia ecclesiastica si rileva , che
la Chiesa ha sempre avuta una par-
ie diretta in ciò che al vincolo
matrimoniale appartiene. Se alcun
teologo o canonista parve esprimer-
si quasi dubitando che il matrimo-
nio fosse un vero sagramento, ciò
provenne dal non aver ancora la
Chiesa proposta questa verità come
un articolo di fede, come lo fece
dopo. Della natura de* matrimoni
che si fanno per mezzo d' un pro-
curatore tra persone assenti, i teo-
logi ne parlano differentemente, per
cui quelli che cosi l'hanno contralto
colla benedizione nuziale , devono
reiterare il loro matrimonio in per-
sona avanti il parroco, tale essendo
r uso della chiesa Ialina. Il matri-
monio di due infedeli, i quali rice-
vono in seguito il battesimo, diven-
ta indissolubile e ratificato dalla
Chiesa : si fa però questione se di-
venti senz'altro sagramento, 11 ma-
trimonio come vero sagramento ha
la sua materia e la sua forma, che
però tengono intorno ad esse estre-
mamente divisi fra loro i teologi .
Su questo punto, essendo le scuole
e sentenze de' teologi divise, si può
vedere Benedetto XI V, £>e Syn. dice.
lib. 8, e. 9 ; ed il p. Perrone nella
sua tanto applaudita opera teologi-
ca, ultimo volume, De nialrinionio.
g II. Del ministro del matrimo-
nio, e delle sue ceremonie e so-
Icnnilà.
Anche su questo punto sono di-
Tisi i teologi, poiché la maggior
a^S MAX
pai-te, massime ìq Roma ed in I-
talia, sostengono che i contraenti
sono i ministri del sagramento ; al-
tri dopo Melchior Cano, che i soli
sacerdoti che benedicono il matri-
monio ne sono i ministri : ed i
matrimoni clandestini, che prima
del concilio di Trento erano veri
matrimoni, benché celebrati dai so-
li contraenti senza il sacerdote , do-
po tal concilio sono reputati nulli
jie' luoghi ov' è stato ricevuto. Di-
cesi matrimonio clandestino quello
che si fa di nascosto, segretamente,
senza solennità e senza saputa di
coloro a' quali appartiene la cono-
scenza, e contro la legge, senza la
presenza del curato con due testi-
moni, y. Sposalizio. Il concilio di
Trento ordinò che i parrochi, nel
congiungere i fedeli, dicano le se-
guenti parole : Ego vos in mairi-
monium con/ungo, in nomine Pa-
tris et Fila et Spiritus Sancii. Sono
nulli i matrimoni che non si contrag-
gono alla presenza del parroco o di
un altro sacerdote de licenùa ipsìus
parochi vel ordinariij e di due o tre
testimoni. Sotto il nome di parroco
\iene designato colui che ha giuris-
dizione ordinaria spirituale sopra
i contraenti, il Papa cioè, il Ipro-
prio vescovo, e il sacerdote rettore
della parrocchia. Accaduta la rivo-
luzione di Francia, posto a soqqua-
dro il regno, e proclamata la re-
pubblica, nel 1793 venne in co-
gnizione a Pio VI che la conven-
zione nazionale avea ordinato, che
i matrimoni si facessero davanti
alla municipalità con quattro testi-
moni, in presenza de' quali si do-
vesse fare una semplice dichiarazio-
ne di pura cerimonia, che bastasse
alla validità dì questo sagramento.
Fu il Papa interrogato su questo
punto dal vescovo di Lucon a' 1^
MAX
maggio, ed egli rispose mediante
un breve, colla ris(»luzione de' car-
dinali destinati agli aifari di Fran-
cia, che i fedeli cattolici di quella
nazione, essendo privi di panochi
legittimi, potevano sposarsi in pre-
senza di testimoni cattolici, e poi
presentarsi alla municipalità, per
far la dichiarazione comandata dalla
legge della convenzione, approvan-
do la validità di tali matrimoni,
benché senza l' assistenza del par-
roco. I riprovevoli matrimoni poi,
celebrati in quel tempo di delirio
sotto r albero della libertà, furono
innumerabili.
Quando si considera che il ma-
trimonio é il gran perno sul quale
si raggira tutta V economia della
società, e che da esso il ben essere
di lei principalmente dipende, nou
farà meraviglia il conoscere, che
da tutte le nazioni e in tutti t
tempi siasi voluto che a stabilirlo
v' intervenisse la religione, anche
con cerimonie e solennità. I sacer-
doti de' gentili offrivano alla pre-
senza de'novelli coniugi un sacrifi-
zio, ch'era accompagnato dai voti
del popolo. Presso gli ebrei se non
vi si univano manifeste ed appo-
site religiose cerimonie, era santifi-
cato dalla preghiera del padre di
famiglia e degli astanti, che atti-
ravano sopra la femmina le bene-
dizioni del cielo. Molto pili doveva
essere cosi nella nuova alleanza,
dove Gesù Cristo tutto ha ripieno
delle sue benedizioni e delle sue
grazie. Vi sono però nel sagramen-
to del matrimonio alcune cerimonie
essenziali, ed altre non essenziali.
Le cerimonie essenziali sono il con-
sentimento che le parti si datmo
in presenza del sacerdote che le
benedice; consentimento assoluta-
meute necessario per la validità del
MAX
matrimonio. Le altre cerimonie so-
no quelle che si praticano differen-
temente secondo i differenti paesi,
e la di cui ommissione non rende
nullo il matrimonio : alcune lo pre-
cedono, altre Taccompagnano, altre
lo seguono. Le cerimonie che pre-
cedono il matrimonio sono le pub-
blicazioni che fa il parroco de' con-
traenti pubblicamente, denunziando
il matrimonio che si vuol celebra-
re per tre feste ciascuno de'parrochi
de'futuii sposi nella sua chiesa In-
ter missaruni solemnia^ onde co-
noscere se avvi alcun canonico im-
pedimento di parentela od altro;
gli sponsali cioè la promessa delle
future nozze, i patti, i capitoli, le
convenzioni sulla Dote (Vedi), e
sul trattamento della sposa ; V e-
same e l'istruzione delle persone
che vogliono maritarsi per vive-
re santamente ( il concilio di Mi-
lano del i579 Prescrisse al cura-
lo che non celebrasse il matrimo-
nio di quegli sposi che ignorassero
i primi principii della dottrina cri-
stiana ) ; ed il ricevimento dei due
sagramenti della penitenza e della
s. Eucaristia. Le cerimonie che ac-
compagnano il matrimonio sono in
alcuni paesi, particolarmente in o-
rienle, la corona di fiorì che si
mette in testa alla sposa ; V inter-
rogazione del sacerdote, vestito di
cotta e stola bianca, allo sposo ed
alla sposa, sul consenso per unirsi
in legittimo matrimonio ; T atto
con cui il sacerdote fa mettere la
roano destra dello sposo in quella
della sposa, per cos'i mostrare che
lo sposo dev'essere il primo a ser-
bare la fedeltà che le promette, e
che la sposa dev'essere obbediente
a suo marito, poscia con acqua be-
nedetta aspergendo i coniugi ; la
benedizione dd^' Anello pronubo o
MAT !ì79
nuziale (Vedi) che il sacerdote dà
allo sposo, e che lo sposo mette
poscia nel quarto dito o anulare
della Mano ( Vedi) sinistra della
sua sposa, come simbolo dell'unio-
ne del loro cuore e di mutua di-
lezione, eh' è santamente suggellata
col sigillo dell' anello benedetto, che
impegna reciprocamente i due sposi
ad un'inviolabile fedeltà; la mone-
ta che in alcuni luoghi il sacerdo-
te benedice, e che lo sposo dà alla
sua sposa, per assicurarla che fa-
cendqle dono della sua persona, le
fa altresì il dono di tutte le sue
sostanze, per goderne in comune
con essa . In alcuni paesi il sacer-
dote getta una specie di stola bian-
ca sul collo dei due sposi (questa
cerimonia di stendere un velo sopra
gli sposi nell'atto della benedizione
nuziale praticavasi nella chiesa mi-
lanese fino dai tempi di s. Ambro-
gio, poscia abbandonata), mentre
essi si danno la fede coniugale ; ia
altri, come a Liegi, il sacerdote av-
viluppa colla sua stola le loro ma-
ni ; in alcuni altri mette soltanto
r estremità della stola sulla testa
degli sposi mentre li benedice. Si
celebra il sagrifizio della messa, co-
me si trova nel messale romano,
prò sponso et sponsa, per ottenere
agli sposi le grazie di Gesù Cristo:
in alcuni luoghi gli sposi vanno al-
l' obblazione con un cero bianco iu
mano, per mostrare cosi che devo-
no edificare le loro famiglie eoa
una vita esemplare ; in alcuni altri
luoghi si stende il velo sulla testa
de* due sposi, per insegnar loro che
il pudore deve esser la guida della
loro condotta nello stato santo che
essi scelgono maritandosi . Tutte
queste cerimonie sono derivale da
quelle degli antichi cristiani, i quali
dopo la congiunzione delle destre
a8o MAX
si davano il santo bacio. Il sacer-
dote fa loro l'augurio di pace, ac-
compagnandolo con una esorta-
zione. In Roma ed in altri luo-
ghi la celebrazione del matrimonio
ha luogo nella chiesa parrocchiale
dove abita la sposa^ alla presenza
de* testimoni e parenti degli sposi ;
nella chiesa poi si deve celebrare
come luogo proprio de'sagramenti,
per cui s. Carlo Borromeo ed al-
tri vescovi proibirono che si faccia
fuori di essa, o che almeno gli spo-
si si portino a ricevere la benedi-
zione in chiesa. Finalmente il par-
roco descrive nel libro de'matrimo-
dì i nomi de' coniugati e dei testi-
moni, secondo la formola prescritta
dal rituale romano; sebbene altro
sacerdote delegato da esso o dal-
l' ordinario abbia celebrato il ma-
trimonio. Il concilio di Rouen del
1072 proibì i matrimoni segreti e
nel dopo pranzo, e che gli sposi ri-
ceveranno la benedizione del sacer-
dote a digiuno. Quello di Sens del
iSaS impone prepararsi al matri-
monio colla penitenza e col digiu-
no, e che ninno si mariterà se non
dopo il levar del sole. Il concilio
di Parigi del medesimo anno, vo-
lendo distruggere gli abusi di cele-
brare la messa e la benedizione nu-
ziale subito dopo la mezza notte,
proibì di far la celebrazione avan-
ti giorno e prima del levar del sole.
In diversi articoli del Dizionario
si discorre delle cerimonie e feste
nuziali di diverse nazioni, e lo si
dirà pure a Sposalizio, come di
quelli fatti dai Papi e dai cardinali.
§ III. Della causa efficiente del
matrimonio^ de' suoi effètti e del-
le sue proprietà.
Intendesi per causa efficiente del
matrimonio, quella che produce il
MAX
legame coniugale cioè il matrimo-
nio, che non è altro se non il mu-
tuo cousenlimento col quale i con-
traenti dichiarano con segni o a viva
voce, eh* essi vogliono attualmente
sposarsi, consentimento che deve a-
vere molte condizioni per produrre
un tale elfetto. Le condizioni sono,
che il consenso deve essere ancora
interiore e sincero, altrimenti il
matrimonio è nullo, e peccano gra-
vemente contro la religione, la giu-
stizia e la verità; deve essere inol-
tre reciproco, libero, ed esente da
ogni errore. Il matrimonio, co-
me sagra mento , produce diversi
effetti, oltre l'aumento della grazia
santificante, conferisce, come gli al-
tri sagramenti, la grazia sagramen-
tale sua propria, la(|aale consiste in
certi speciali aiuti soprannaturali ,
che ad intuito del sagramento me-
desimo in tempo opportuno si co-
municano ai coniugali, per adem-
pire rettamente e santamente gli
offici del matrimonio, e sopportare
con virtù e con merito i pesi del
loro stato. Tre sono i beni princi-
pali prodotti dal matrimonio, la
prole, la fedeltà e il sagramento.
Quanto alle proprietà del matrimo-
nio, esse sono la sua unità, la sua
indissolubilità e la sua necessità.
L'unità del matrimonio consiste che
un uomo non può avere che una
sola moglie, e che una donna non
può avere che un solo marito : la
poligamia per conseguenza, ovvero
la pluralità delle mogli o delle con-
cubine, distrugge questa unità. La
poligamia simultanea è quella di
avere molte mogli alla volta; e la
successiva è quella di averne molte
r una dopo l' altra. La più parte
de'teologi, sebbene riconoscano con
s. Tommaso non essere la poligamia
contraria al primario fine del ma-
MAX
trimonio, eh' è la generazione ed
educazione conveniente della prole,
la tengono però contraria al fine
secondario di esso, che è la pacifica
società di unione, tra' coniugi. Circa
alla poligamia simultanea, egli è
certo che la poligamia simultanea
di una donna, quale con proprio
vocabolo dicesi poliandria^ cioè che
avesse molti mariti alla volta, è
proibita dal diritto naturale, perchè
sarebbe essa egualmente contraria
al primo ed al secondo fine del
matrimonio indicati. Sarebbe con-
traria al primo fine, che consiste
nella generazione e nella educazio-
ne, giacche V esperienza prova che
le donne pubbliche sono sterili ; sa-
rebbe altresì contraria all'educazio-
ne de' figli , giacché la poligamia
renderebbe incerto il padre de'figli.
Sarebbe contraria al secondo fine
del matrimonio, eh' è la pacifica so-
cietà coniugale. Dio permise la po-
ligamia agli antichi patriarchi della
legge di natura dopo il diluvio, ed
agli ebrei nella legge scritta, per
moltiplicare la loro stirpe^ perché
erano essi i soli fedeli di que' tem-
pi. Gesù Cristo ristabilì il matri-
monio nello stato della primitiva
sua istituzione, ed ha ordinato che
un uomo avrebbe una sola moglie;
cosi non è permesso al presente, ne
agli ebrei, ne agli infedeli di avere
molte mogli. La Chiesa ha sempre
condannato il disordine intollerabile
di avere i mariti, oltre le mogli, delle
concubine, in qualunque condizione
le tenessero, e ciò riguardò sempre
come un adulterio, quantunque le
leggi dell'impero non fossero tanto
severe. Anticamente il vocabolo con-
cabina (donna che vive illecitamen-
te con un uomo), si adoperò tal-
volta per significare una moglie le-
gittima a cui si dava fede maritale
MAX 281
perpetua, senza dotarla, senza dar-
le il nome e la qualità di sposa,
e senza che i di lei figli fossero am-
messi all' eredità paterna. Preso il
vocabolo di concubina nel senso an-
tico innocente qui sopra esposto, si
è da molti assomigliata si fatta
concubina di chi non ha altra mo-
glie, ai matrimoni di coscienza di
cui si parlerà; erano veramente mo»
gli di chi le sposava, ma non gode-
vano però delle prerogative annesse
a questo stato ; tali erano quelle
che certi principi di Germania spo-
savano colla mano manca, come la
madre di Sofia che fu moglie di
Giorgio I re d' Inghilterra. Vi fu-
rono concubine ad tempiis, chiama-
te dai latini pellices o padrona, le
quali come evidentemente inoneste
furono sempre vietate dalle leggi
ecclesiastiche, sia ai maritati, sia ai
non maritati. Sulle concubine si può
leggere quanto ne dice il p. Char-
don, Storia de' sacramenti ^ parlan-
do di questo del matrimonio, t, IIIj
p. 307 e seg. Per riguardo alla
poligamia successiva, cioè le seconde
nozze e le seguenti, dopo la morte
del primo coniuge, essa fu condan-
nata dai montanisti, dai novaziani,
e da Xertulliano. La Chiesa ha sem-
pre desiderato che i fedeli avessero
la forza di astenersene; ma non le
ha ella giammai universalmente pro-
scritte, né considerate come cattive
in sé stesse, e contrarie al diritto
naturale e divino, ma piuttosto co-
me imperfette e come un segnale
d'incontinenza, per cui in molli luo-
ghi soggettò alla penitenza coloro
i quali passavano alle seconde noz-
ze, come apparisce dal terzo canone
del concilio di Neocesarea, dal XIX
di quello d'Ancira , dal primo di
quello di Laodicea, e dalla lettera
di s. Basilio ad Amfilochio. Dichia-
283 MAT
ìò essa i Bigami (T^dt) irregolari,
e li privò quando passavano u se-
cxinile nozze citila benedizione del
sacerdote, delle eleniosiue e delle
corone che ponevansi sul capo dei
novelli sposi. L'imperatore Basilio
il Macedone dichiarò illecite le ter-
ze nozze e nidle le quarte. L'apo-
stolo s. Paolo permette alla vedo-
va di rimaritarsi, altrcttanlo trovasi
nella tradizione attestata dall' Vili
canone del concilio di iNicea, e
da altri; da san Clemente Ales-
sandrino, da s. Gregorio Nazian-
Zeno, da s. Ambrogio, da s. Gi-
rolamo, da Eugenio IV nel suo de-
creto d' istruzione per gli armeni.
Le seconde nozze in fatti e le se-
guenti non hanno nulla di contra-
rio al primo ed al secondo fine del
matrimonio, che consistono nella
generazione ed educazione dei figli,
e nella pacifica società ed unione dei
coniugi: non hanno elleno per con-
seguenza nulla che sia contrario al
diritto naturale. Dunque si dovranno
spiegare benignamente e ridurre al
loro giusto valore certe espressioni
dei conciìii e de' padri, i quali trat-
tano le seconde e le seguenti nozze
di poligamia , di fornicazione e
punibili ; essi si scagliarono piutto-
sto contro i vizi che le accompa-
gnano talvolta.
Altra proprietà del matrimonio è
l'indissolubilità, il qual vincolo è di
fède quando legittimamente contrat-
to fra cristiani (perchè il matrimo-
nio degl'infedeli può disciogliersi ,
quando l'uno venga alla tède, e l'al-
tro non voglia vivere con esso pa-
cificamente ; deve poi avvertirsi che
il matrimonio semplicemente rato e
non consumato, si può sciogliere pel
■volo solenne di i*eligione). Gesù
Cristo lo ha detto apertamente: Nou
di¥ida TuoiBo quel che Dio ha cou-
MAT
giunto. Lo conferma s. Paolo in piii
luoghi dell« sue epistole, e abba-
stun/.a lo avea mostrato nella cele-
bre comparazione dei coniugi con
Cristo e la Chiesa. I teologi ed i
canonisti distinguono tre sorta di
matrimoni, il legittimo o naturale,
ch'è (juello che si fa validamente
secondo le leggi di natura, ed an-
che a tenore tlelle leggi; il vatwn,
o ratificato, ch'è proprio solo de'cri-
sliatii in cui il contratto naturale è
insieme sacramento ; ed il consu-
mato, consumatiun, il quale per la
conoscenza carnale acquista maggioà*
forza e diventa più indissolubile. Il
matrimonio può essere disciolto quan-
to al legame, o quanto al letto ed
all'abitazione. C disciolto quanto al
legame, quando i coniugi possono
rimaritarsi con altri; è disciolto
quanto al letto, quando non sono
obbligati di soddisfare al dovere del
matrimonio, abbenchè non possano
rimaritarsi con altri; è disciolto
quanto al letto ed all'abitazione, al-
lorché non sono obbligati, né di sod-
disfare al dovere del matrimonio, ne
di convivere insieme sotto il me-
desimo tetto. Molti principi cristia-
ni hanno permesso io Scioglimento
dei matrimoni, anche quanto al le-
game, ne'loro stati; ma (juesti sono
abusi che la Chiesa non ha mai
approvato. Il matrimonio contratto
nell'infedeltà della credenza religio-
sa nou si discioglie nella coitversio-
ne de' due coniugi alla vera lède.
Gli infedeli che si convertono, aven-
do molte uiogli, sono tenuti ad ab-
bandonarle Irainie la prima. Posso-
no essere disciolti i matrimoni de-
gì' infedeli ({uando uno di essi si
converte, e l'altro non vuol più vive-
re con lui; -quaudo il coniuge be-
stemmia Dio per pervertire d cou-
veilito; ti quaudo il coniuge iufe-
MAT
tlele vuol convivere col convertito,
ma robl)ligu a commettere cose pioi-
Lite dalle leggi di Dio. Se un coniu-
ge cade in adulterio , V altro può
lursi religioso. JNel 1706 Clemente
XI scrisse al vescovo di Agen, E-
pisi, et Brev, t. 1, p. 2 54, prescri-
vendogli le regole che doveasi os-
servare ne' malrimoni co' nuovamen-
te convertiti alla fede in quelle par-
ti. Le ragioni generali per scioglie-
re il matrimonio quanto al letto
e al domicilio, sono l'eresia, l'apo-
stasia, la cattiva condotta, la mi-
naccia della vita, la malattia con-
tagiosa, la demenza o follia. Le ra-
gioni particolari per cui i coniugi
possono domandare la separazione di
corpo, sono i cattivi trattamenti, gli
umori incompatibili, la povertà, la
lontananza, l'impiego d'uno de'coniu-
gi, e quelle altre riportate dai trat-
tatisti. La separazione di corpo e
di abitazione ottenuta da una mo-
glie pei cattivi trattamenti del ma-
rito, porta seco (juasi sempre anche
la separazione dei beni, non essen-
do giusto che un marito goda dei
beni di sua moglie, quando egli non
la tratta com'è dovere di un ma-
rito cristiano, f^. Divobzio, ove trat-
tasi quest'argomento ; Martorelli, Er-
rori sul dìvor'zio confutatiy Roma
1792; ed il p. Chardon, Storia
de sacramenti ^ t. Ili, p. 244> ^^^'
Vindissoluhilità de' ìnatriinoni. Quan-
to alla necessità del matrimonio, in
principio del mondo eravi un pre-
cetto natuiale per tutti gli uomini
di ammogliarsi, perchè la natura
indegna ed ordina la moltiplicazio-
ne del genere umano, e questo pre-
cetto durò finche gli uomini furo-
no sullìcientemente moltiplicali. Da
questo tempo in poi egli non ob-
bliga più alcuna pervSona in parti-
colare: uou ha nemmeno obbligalo
MAT 283
gli ebrei. Frova s. Girolamo che il
Celibato [Fedi), non solamente eia
permesso nella legge mosaica, ma
consideravasi altresì come uno stato
più perfetto di (juello del matrimo-
nio. Ciò non pertanto vi sono di-
verse necessità, le quali obbligano
talvolta le persone al matrimonio,
come di stato e di politica, come
quelle di principe ereditario, il quale
per evitare le funeste conseguenze
che affliggerebbero i suoi stati, se egli
morisse senza figli, sarebbe obbli-
gato di ammogliarsi e procurare cosi
ai SUOI sudditi gli eredi della sua
corona. Non obbligano assolutamen-
te al matrimonio la necessità di po-
vertà, e la necessità di debolezza
che impedisce osservare la conti-
nenza.
§ IV. Della necessità del consenso
de' genitori per la validità dei
matrimoni de^ figli di famiglia,
e degV impedimenti del niatrimO'
nio^ e sue dispense ; dell'incesto
e degl'incestuosi.
Tutti i cattolici convengono che
i matrimoni contralti dai figli al-
l'insaputa, o contro la volontà dei
genitori, sono spesse volte proibiti,
ma non già invalidi per diritto na-
turale e divino, e disputano solo se
sieno invalidi per diritto ecclesiasti-
co e civile. La maggior parte dei
teologi negano che tali matrimoni
sieno slati mai dichiarati invalidi
da alcuna legge ecclesiastica; altri
invece sostengono che furono di-
chiarati nulli dalla Chiesa fino al
secolo Xil circa, e citano in loro
favore molte autorità de' padri, i
quali li condannano, e sembrano
annullarli. 1 teologi che sostengono
la prima opinione, rispondono che
siilàtle autorità devono intenderà
284 MAX
relative ai matrimoni illeciti, e tut-
to al più invalidi nel foro esteriore,
e non nel foro interiore della co-
scienza. 11 concilio di Trento dichia-
ra che i matrimoni contralti dai fì-
^li di famiglia senza il consenso dei
loro genitori, non sono nulli, e che
i genitori non possono renderli ne
validi, né invalidi : nulladimeno la
Chiesa di Dio per giustissime cau-
se gli ha sempre detestati e proibiti.
Che i figli di famiglia non contrag-
gano il matrimonio senza il consen-
so de'genitori, è accennato nel quar-
to comandamento di Dio. Sebbene
da quanto abbiamo detto la Chiesa
non ha fatto di ciò un impedimento
dirimente del dissenso ragionevole
de' parenti, li ha riprovati e vietati,
ed i contraenti non potrebbero cer-
tamente lusingarsi di ottenere la
benedizione di Dio. Questa verità é
fondata nelle divine scritture, nelle
quali si suppone sempre che il ma-
trimonio de' figli sia stabilito o ap-
provato dai propri genitori , ed è
una conseguenza di quel rispetto,
onore, divozione, che per legge na-
turale e divina debbono i figli a co-
Joro dai quali hanno ricevuto la
vita : e ciò che dicesi riguardo ai
parenti, intendesi anche rispetto ai
tutori o ad altri, sotto la podestà
de' quali in luogo di parenti si tro-
vano i figli di famiglia. L'antico di-
ritto romano aimuUava i matrimoni
che i figli contraevano a malgrado
de' loro genitori.
Gl'impedimenti canonici non so-
no altro in sostanza che certe cir-
costanze dichiarate dalla competente
autorità, la concorrenza delle quali
nella persona dei contraenti rende
o nullo o illecito il matrimonio. Su-
gi' impedimenti del matrimonio, di-
cono i teologi che un impedimento
del matrimonio è uà ostacolo, che
MAT
impedisce a due persone di con-
giungersi in matrimonio ; ve ne so-
no di due sorla. Gli uni rendo-
no le persone in cui si verifica-
no tali impedimenti, inabili a con-
trarre l'una coU'altra ; di maniera
che se sì maritano tra loro, quel
matrimonio è nullo, echiainansi que-
sti ìinpedinie.nti dirime nlì ; gli altri
fanno si che il loro matrimonio sia
illecito senza essere nullo, ma gra-
vemente si pecca avendo cognizio-
ne dell'impedimento, e si chiamano
impedinienù proibitivi od impeditivi.
La Chiesa ha diritto di stabilire o
di levare certi impedimenti diri-
menti del matrimonio, e questo di-
ritto è appoggiato ad una tradizio-
ne costante, confermala dall'uso fi-
no dal IV secolo. Che l'autorità
competente a stabilire impedimenti
matrimoniali sia la Chiesa, è stato
solennemente deciso dal concilio di
Trento, decisione che venne accet-
tata da tutto il mondo cattolico,
ne altrimenti poteva essere, sempre
che si dichiarò questo punto un
domma di fede. Se alcuno dirà che
la Chiesa non abbia potuto costi-
tuire impedimenti dirimenti il ma-
trimoniOf o che nel costituirli abbia
errato j sia scomunicato. Tale au-
torità si appoggia alle parole di Ge-
sù Cristo, dette a s. Pietro : Tutto
ciò che avrai legato sopra la terra y
sarà legato anche in cieloj e sopra
l'uso costantemente praticato dalla
Chiesa fino dai primi secoli. Rile-
vasi infatti, al dire di alcuni, da
Tertulliano, dai ss. padri Cipriano,
Girolamo, Ambrogio, che al tempo
loro erano proibiti i matrimoni dei
cristiani con gl'infedeli, e che gl'im-
peratori dopo avere abbracciata la
fede, riconobbero e rispettarono que-
sta disciplina fondata sicuramente
sulle parole della sacra Scultura;
MAX
aggiungono i medesimi, che sebbe-
ne di questo impedimento, chiama-
to disparità di culto, non si trovi
una legge ecclesiastica positiva, as-
soluta, pure fino dal memorato se-
colo IV almeno, senza alcuna con-
traddizione si è creduto dirimente
da tutta la Chiesa cattolica. Va
però avvertilo che l'esempio dei
matrimoni proibiti fino dai primi
secoli tra cristiani ed infedeli, prova
la pratica antica della Chiesa di por-
re impedimenti proibitivi, ma non
già dirimenti. Perchè tutti i più
savi teologi e canonisti convengo-
no, che per moltissimi secoli non
fu queir impedimento di disparità
di culto se non proibitivo e non
mai dirimente, e divenne tale so-
lamente dal secolo XII circa in poi,
e ciò neppure per legge scritta, ma
per consuetudine, come si può ve-
dere in Bellarmino, De matrìm.y
e. 25, prop. 3. A prova degli im-
pedimenti dirimenti, rammentasi il
concilio Neocesariense del 3 1 4, che
dichiara irrito il matrimonio ostan-
do l'affinità; il concilio Agatense del
5o6, che dichiara nulli i matri-
moni di affini e consanguinei , e-
zinndio in casi in cui erano per-
messi dalle leggi civili; ed altre si-
mili autorità, che possono vedersi
presso i teologi o canonisti, come
nel continuatore del Tournely p.
Collet, Theol. morciL voi. Vili, De
malrim. e. 8. Ad onta di quanto
ne dicano gli amatori di libertà, cui
ogni obbligazione riesce intollerabi-
le, è ceito che tranne quei pochi
apposti direttamente per l'onore e
il rispetto dovuto a Dio, per esem-
pio il voto solenne e l'ordine sa-
cro, tulli gli altri impedimenti sono
diretti a provvedere al bene dell'u-
mana società. All'oggetto di scuo-
prire questi impedimenti, la Chiesa
MAX a85
ordinò le tre pubblicazioni nelle chie-
se parrocchiali dello sposo e della
sposa, proclamando il matrimonio
che si vuole contrarre, ed ha rila-
sciato alla prudenza del vescovo il
dispensare. Si può consullare l'o-
pera: De episcoponim in disperi-
sntionihus super inatrìmonii ini-
pedimentis potestate , Favcnliae
1789. Siccome gl'impedimenli di-
rimenti non si possono stabilire
che dal sommo Pontelìce, e da un
concilio ecumenico, così la potestà
di dispensare non può competere
se non a questo o a quello per
giusti e gravi motivi. Dicono i teo-
logi ed i canonisti che gl'impedi-
menti dirimenti rendono nullo il
matrimonio, solamente quando lo
precedano, perchè quando fu con-
tratto una volta validamente, non
vi sono più impedimenti che lo pos-
sano annullare. Riporteremo qui
oppresso gl'impedimenti del matri-
monio, spettando ai teologi ed ai
canonisti le distinzioni ed eccezioni.
I." L'impedimento dell'e/rore è di
due sorta, o di sostanza o di qua-
lità, in fatto di matrimonio. L'erro-
re della persona^ quando si crede di
sposare una persona diversa da quella
ch'è presente, e perciò il matrimonio
è nullo; quello della qualità, quan-
do la persona presente, che credevasi
vergine, nobile, o che credevasi molto
comoda e ricca, ed in vece si tro-
va violata, ignobile e priva d'ogni
bene di fortuna, laonde il matri-
monio è nullo quando porla l'er-
rore della persona. Va però nota-
to, che l'errore di qualità non di-
rime per sé, regolarmente parlando,
il matrimonio, ma solo allora quan-
do si rifonde veramente nella sostan-
za, ossia nell'errore di persona.
2.° L'impedimento della condizio-
ne servile d'una persona che si ere-
a8G IMAT
deva Hbcrn, è quello degli Srhi'nvi
(f^rr//) propiiamcnle delti, di quelle
|)Cisone eioè le quali sono talmente
;)lla disposizione del loro padrone,
che vengono considerate rome ibr-
m^nti palle del suo avere, e ne può
«gli quindi disporre come pili gli
piace. Ora però sono validi i ma-
trimoni contratti fra servi , hencliè
contro la volontà del loro padrone, ed
V. valido il matrimonio (rmi uomoli-
|)ero con una serva, purché quegli
da prima non ignorasse la qualità
«iella sposa.
3." L'impedimento del P^olo (Tac-
ili), che se è di semplice castità,
rende il matrimonio criminoso, ma
non lo annulla; il voto «olenne lo
rende nullo e criminoso a un te«n-
po : può una moglie (àr il volo
semplice di castità, per cosi dare a
suo marito il mezzo di farsi sacer-
dote. P^. Religiosi , e Vergini.
4.*' L' impedimenlo di paren-
tela, la quale è o naturale, o spi-
rituale , o legale. La parentela
naturale, che chiamasi anche con-
sanguinilà, è il legame che stringe
fra di loro le persone del medesi-
mo sangue^ cioè quelle che di-
scendono le une dalie altre, ovve-
10 da uno sli[)ite comune. P^i Pa-
BEKTi. E pure impedimento la pa-
renlela , o cognazione spiriliuile ,
]a quale è un legame che si con-
trae coi sagramenli del battesimo
e della confermazione, tra il mi-
nistro del ballesimo da una parte,
ed il bambino battezzato, il padre e
e la madre dall'altra; o fra il padri-
no o la madrina da una parte,
ed il bambino, suo padre e sua
liiadre dall'altra ; egualmente dica-
si della confermazione , quando
liannovi il padrino e la madrina.
V. CoMPARATicc^. Questa parentela
o coguazioue s|>iriluale uun si con-
MAX
trae dal procuratore, ma solamente
da chi Io manda ; si contrae però
anche dal laico , il quale batt» /./a
in caso di necessità. La parentela
legale o propinquilìi di persone na-
sce dall' adozione, la quale è per-
fetta od imperfetta o semplice: l'a-
dozione perfetta mette la persona
adottata sotto la podestà di un pa-
dre adottivo, di maniera che assu-
me il cognome, e diventa suo ere-
de necessario, sia ah intestato^ sia per
testajuento, nel quale caso gli si deve
come a necessario erede assegnare
la quarta legittima di sue sostan-
ze ; neir adozione imperfetta l'adot-
tato diviene solo erede, se il padre
adottivo muore senza far testamen-
to. L' adozione perlètla annulla il
matrimonio tra il padre adottivo e
la sua figlia adottiva; tra i figli legit-
timi naturali del padre adottivo,
che stanno sotto la patria potestà^ e la
persona adottata; fra colui che adot-
ta, e la moglie di colui ch'è adot-
tato, e per la ragione de' simili, tra
colui ch'è adottato, e la moglie di
chi lo adotta. La cognazione legale
imita: i. la paternità naturale, e
quindi dirime il matrimonio tra
l'adottante e l'adottato, e tutti i
discendenti di questo in linea retta
.sotto la patria sua potestà : onde
ciò non vale se l'adottato è donna,
perchè questa non ha in patria po-
testà i suoi figli, e però l'adottante
potrebbe sposare la figlia naturale
legittima della sua figlia adottiva.
2. La fraternità naturale, e quin*
di diriuje il matrimonio tra l'adot-
tato ( uomo o donna ) e i figli na-
turali legittimi ( non però gl'illegit-
timi ) dell' adottante ( uomini e don-
ne ), finché stanno sotto la patria
potestà, cessata la quale per eman-
cipazione o ujortcj cessa pure quel
vincolo. 3. V affinila carnale, e
MAT
«jiiindi dirime il matrinionio tra
radollaiile e la moglie dell' adot-
tato, e ciò in perpeluo, ancorché
si sciolga l'adozione. Queste tre di-
sposizioni di gius canonico le ha a-
dotlate il gius civile, e conservale
come sue, onde come riflette Be-
nedetto XIV, De Syn. diocvs. lib.
9, e. IO, quando in materia di co-
gnazione legale j>oige questione, è
da risolvere secondo lo slesso gius
civile. F. Bastando e Figlio.
5." L'impedimento crìminis che
volgarmente tradotto dicesi del de-
litio, è quello che si contrae quan-
do avvenga adulterio con promes-
sa di futuro matrimonio, inorino
con/uge, su di che pure, come ne-
gli altri impedimenti, i canonisti ed
i teologi fauno molte distinzioni ed
eccezioni.
6." L'impedimeulo della diversità
di religione, di cui parleremo dopo,
dicendo de' matrimoni misti.
7." L'impedimento della violenza,
la quale è assoluta o condizionale,
come di forzato assenso, o di timo-
re grave.
8.° L'impedimento deW ordine,
essendo gli ordini sacri uà impedi-
mento dirimente del matrimonio,
sino dall' epoca del primo concilio
Lateranense del ii23, o sino dal
tempo di s. Paolo, secondo altri; di
ciò si tratta ali' articolo Celibato
e ad altri relativi.
9.** L'impedimento del legame, il
quale nasce da un primo matrimonio,
anche non consumato, e fa sì che le
persone maritale non possano rima-
ritarsi se non quando saranno ve-
dove, perché fino allora sono esse
legale, e non son libere: per lun-
ga clie sia l'assenza di un marito
o di una moglie, ne l'uno ne l'al-
tro possono rimaritarsi senza aver
prima cevlissime prove della mor-
MAT 287
te dell'assente: dice san Basilio,
che le mogli de* soldati meritano
più indulgenza , perchè <i presume
facilmente la loro morte.
IO.** L'impedimento dcW onestà
pubblica, nasce da due sorgenti, che
sono lo sposalizio o promessa di
future nozze, ed il matrimonio che
non è slato consumalo, sia perchè
una delle parti contraenti è morta,
sia perchè abbracciò uno stato re-
ligioso, sia finalmente perchè era
impotente: avvertendo, che i soli
sponsali producono l' impedimento
fino al secondo grado, ed il ma-
trimonio rato fino al quarto.
II." L'impedimento della de-
menza riguarda gì' insensali, i fu-
riosi, coloro che sono imbecilli al
punto di essere incapaci di delibe-
razione e di scelta, sono di diritto
naturale incapaci del sagramento
del matrimonio, il quale richiede
molta libertà. Ciò non pertanto, se
un demente si ammogliasse nel
teuìpo di qualche lucido intervallo,
il suo matrimonio sarebbe valido,
ma sempre pericolosissimo pel ri-
torno della demenza. Quanto ai
sordi ed ai muti, possono venire
ammessi al sagramento del ma-
trimonio, quando la loro men-
te è abbastanza aperta e chia-
ra da poter conoscere l'impegno
che vanno essi a contrarre.
12.° L'impedimento àeWafflailà è
una parentela che contrae una perso-
na coi parenti di quella ch'ebbe se-
co lei un commercio, o legittimo o
proibito, per cui ninno de'due può
sposarsi con alcuno de' congiunti
dell' altro, fino al quarto grado se
il commercio fu legittimo, e fi-
no al secondo se è stato criminoso:
essi soli contraggono reciprocamen-
te l'affinità co' parenti l'uno del-
l'allro. Da ciò viene che il padre
7.88 MAT
etl ii figlio possono rispeltlvamente
sposare la madre e la fìi^lia ; due
fiateili sposano due sorelle, oppure
uno di essi sposa la madre, l'altro
la figlia, e ciò in conseguenza del
principio, che i due coniugi diven-
tano afiìni co' parenti rispellivi l'u-
no dell'altro, ma questi non diven-
gono affini tra loro, o come si e-
sprimono i canonisti affìnilas non
parit affinilalem. Per conoscere in
qua! grado sono fra di loro affini
due persone, bisogna distinguere
Dell' affinità, come nella consangui-
nità, io stipite, la linea ed i gradi;
la linea è retta o collaterale.
i3.** L' impedimento della clan-
destinìtàj proviene dal matrimonio
clandestino che si contrae senza
parroco, e senza un numero suffi-
ciente di testimoni, e ne parlammo
di sopra.
i4" L'impedimento deWimpoteri-
zacioè di quegl'impotenti i quali non
possono consumare il matrimonio,
dividendosi V impotenza in assoluta
o rispettiva, in antecedente o susse-
guente, in perpetua o temporanea:
essa è assoluta, si ciim nulla di-
versi sexus persona copula ìiaberi
queat s rispettiva , si non possit
cuni unay possit cuni alia j è ante-
cedente quando precede la celebra-
zione del matrimonio; susseguente
quando sopraggiunge dopo contratto
il matrimonio stesso ; finalmente è
perpetua quando non può essere
tolta coi rimedi naturali ; tempo-
ranea quando può cessare col tem-
po, o col soccorso della medicina.
Il matrimonio degl'impuberi è nul-
lo di pieno diritto, tranne coloro,
in quibus malilia supplet aelaleni ;
l'età prescritta pel matrimonio e
legittima, è quando l'uomo ha com-
piuto almeno quattordici, altri di-
cono dieciotto anni, e quando la
MAT
donna ha compiuto almeno dodici,
altri dicono quattordici anni, ed ambi
sieno bene istruiti nei donimi prin-
cipali di nostra fede, dovendo essi poi
istruire i loro figliuoli. La vecchiezza
non è nel numero degl'impedimenti
del matrimonio, come non lo è la ste-
rilità per quelli che possono usarlo.
L'età decrepita potrebbe considerarsi
come una specie d' impotenza, tut-
tavia abbiamo esempi di vecchi i
quali ebbero de' figli in età assai
avanzata : i i-amani colla legge Pap-
pia Poppaea, proibirono agli uo-
mini maritarsi dopo 60 anni, e le
donne dopo 5o. Se la Chiesa non
ha proibito ai vecchi di maritarsi,
ha sempre biasimato quelli che lo
hanno fatto : i padri della Chiesa
hanno sovente inveito contro i vec-
chi d' ambo i sessi, facendoli arros-
sire della loro incontinenza; alcuni
di essi hanno trattato tali matrimo-
ni vergognosi concubinati, coperti
col velo del sagramento, che rice-
vono con fini differenti da quelli
propri di esso. I padri del concilio
del Friuli o d' Aquileia, furono di
avviso che gli sposi avessero quasi la
medesima età, poiché la gran disu-
guaglianza di età cagiona sovente
la perdita delle anime, ed è cagio-
ne di gravi disordini. Non si posso-
no maritare gli ermafroditi che par-
tecipano de' due sessi, e gli Eunu-
chi [Vedi). L'impedimento che na-
sce dalla impotenza è indispensabi-
le, perchè è di diritto naturale, co-
me essenzialmente contraria al fine
del matrimonio.
1 5.° L'impedimento del ratto, sii
distingue di due sorta, uno di vio-
lenza, l'altro di seduzione : il primo
si commette quando si conduce via
per forza o con minacce una per-
sona; il secondo quando s'impegna
una persona con artifizio, eoa ca-
MAX
rezze, doni, ce. a sortire dalla casa
paterna, o da qnella in cui deve
essa abitare.
1 6." Gl'impedimenti proihìlwi die
rendono il matrimonio illecito senza
renderlo nullo, erano prima dodici,
in oggi ridotti a soli quattro, i." La
proibizione cbe fa ai futuri con-
iugi un vescovo od ancbe im par-
roco di procedere alla celebrazione
del matrimonio, finche non siasi e-
saminato ciò che merita di esserlo.
2.** Il tempo in cui è proibito di
contrarre matrimonio, cioè dalla
prima domenica àeW Avvento fino al
giorno dell' Epifania, e dal merco-
ledì delle Ceneri fino alla domeni-
ca in Albis inclusivamente ; la pa-
rola inclusiv amente riguarda il gior-
no deir Epijania, e la domenica
dell' ottava di Pasqua. In questi
tempi sono proibite le solennità del-
le nozze, come sarebbe il benedir
le nozze e celebrare i conviti nu-
ziali ; il matrimonio con dispensa
della Chiesa potendosi celebrare in
ogni tempo, e Nicolò V a' i6 mar-
zo i45»2 coronò re di Lombardia
Federico IH, ed a lui e alla sposa
Eleonora die la benedizione nuziale
benché fosse quaresima. 11 tempo
vietato di celebrare le nozze vuoisi
incomincialo dal disposto di s. Libe-
rio Papa del 352. 3." La promessa
che due persone fanno di sposarsi,
essendo giusto che si mantenghi la
fede data, ciò che dicesi sponsalia
e fidanzare, e lo toccammo supe-
riormente. 4° 11 ^oto semplice sia
di castità, sia di entrare in religio-
ne, perchè sebbene non abbia forza
di annullare il matrimonio dove si
contragga, tuttavia è cosa illecita e
peccaminosa il mancare all'obbli-
gazione contralta con Dio median-
te un tal voto. Onde a render le-
VOL. XLIII.
M A T 289
cito il matrimonio vi bisogna la le-
gittima dispensazione.
Le dispense degl' impedimenti di-
rimenti del matrimonio non sono
legittime se non quando sono esse
fondate su giuste cause, le quali sono
di due sorta per rapporto al ma-
trimonio, alcune sono oneste, altie
infamanti. Le prime sono quelle
che si espongono senza disonorare
i supplicanti, le altre sono quelle
che derivano dal peccato, e che
per conseguenza disonorano. Si pos-
sono ridurre a quattordici le cause
legittime delle dispense degl' impe-
dimenti dirimenti del matrimonio,
delle quali undici oneste e tre in-
famanti. Le cause dunque legittime
delle dispense del matrimonio più
comuni sono : i ." La ristrettezza
del luogo di dimora, per cui i con-
traenti non possono trovare se non
uno de' loro parenti che lor conven-
ga in matrimonio. 1." La picco-
lezza de' luoghi qualora i contraen-
ti dimorino in diversi piccoli paesi.
3." La mancanza o tenuità della
dote. 4* ^1 bene della pace, per la
estinzione di un processo, cessazio-
ne d'inimicizia, termine di scandalo,
e conferma di buona intelligenza.
S." L'età avanzala d'una giovane,
la quale non fu mai richiesta in
isposa da alcuno estraneo, compiti
ventiquattro anni. 6." Il pericolo di
morte. 7." 11 timore dell' errore
e della seduzione. 8.° La conser-
vazione de' beni in una famiglia
illustre per conservar l'antico splen-
dore e la sua dignità. 9." 11 ser»
vigio che una casa ha reso e può
rendere alla Chiesa. 10.° Il bisogno
che ha la vedova di sposare un pa-
rente ricco, il quale avrà cura del-
l'educazione de' figli ch'essa ebbe
dal primo marito. \\° Quando
19
ago MAT
un uomo ha qualche ragione di
sposare una sua parente, ex cerlis
rationalibus. i2.° La prima delie
infamanti è il cattivo commercio di
due persone, le quali a motivo di
qualche impedimento non possono
sposarsi insieme. 1 3.° Quando i
futuri coniugi, senza essere giunti
a consumare 1* estremo peccato, vis-
sero ognora in famigliarità disono-
rante. 14" Risguarda i matrimoni
già contratti e che non si possono
rompere senza far torto ai figli e
recare grave scandalo al pubblico.
11 sommo Pontefice può tanto in
genere di matrimonio, come in tut-
to altro, dispensare dalle leggi pu-
ramente ecclesiastiche, per giuste
ragioni, e al modo detto agli arli-
coli Dispensa e Dispense celebdi.
Un vescovo può dispensare da tutti
gì' impedimenti che la sua sede o
persona è in possesso di dispensare
pei concessione pontificia. Quando
un vescovo ha positive ragioni di
dubitare se egli ha o non ha il po-
tere di dispensare in certi casi, si
munisce d'indulto dal Papa o im-
plora la conferma delle sue facoltà.
Vedi Conradi Pyrrhi : Praxis di-
spensationum aposLolicarutn^ Colo-
uiae 1697 ; e gli aiiicoli Dateria
Apostolica, Penitenzieria Aposto-
lica, ed altri analoghi. Il concilio
di Trento dichiarò scomunicati quel-
li che dicono, che le cause concer-
nenti il matrimonio, non apparten-
gono ai giudici ecclesiastici.
Angelo Clavasio minorità, nella sua
Sosnma de' casi di coscienza^ stam-
pata tre anni dopo la sua morte nel
1498 in Norimberga, afferma che
Mattino V avesse dispensato nella
legge de' matrimoni in primo grado,
permettendo che uno sposasse con
matrimonio incestuoso la sorella pro-
pria, per la quale asserzione allega
MAT
s. Antonino, ma falsamente, come
osserva lo Spondano all'anno i4^',
num. 3. Gli eretici moderni fon-
dali sull'autorità del Clavasio, tac-
ciano perciò questo Pontefice come
infratlore de' sagri canoni. 11 Rinal-
di all'anno i43f, num. 2, nega il
fatto, attribuendo questa falsa di-
spensa a qualche falsificatore delle
lettere apostoliche. Migliore strada
però prese il dotto Natale Alessan-
dio, Hislor, eccl. t. XI li, cap. 1,
art. 3, num. 6, p. 8, con queste
parole. « Martinus dispensavit duni-
taxat cum homine, qui foeminam
duxerat, cujus sororem constupia-
verat. Cujus aCQnilatis impedimen-
lum solvere posse Pontificem, cu in
nec juris naturalis sii, nec divini,
omnes theologi et canonici juris
interpretes docent. Quamquam s.
Antoninus, 3 par. Sani. tit. l,cap. II,
testelur ea de re varie Unica docto-
ribus fuisse disceplalum, ideoque
dispensasse Martinum V, quod for-
nicatio esset occulta, et vir ilie tuo-
nasticae professioni, aut longinquae
peregrinationis impar esset, et gra-
via ex. divorilo scandala secuta fuis-
sent. >» Così l' Alessandro, che nel
medesimo luogo lungamente si e-
stende in dimostrare, quanto rigo-
roso e difficile fosse Martino V nel-
la concessione delle dispense. Si può
consultare il Gonzales t. IV, p. 199,
num. 1 I. L* incesto è un delitto che
si commette col commercio carnale
tra le persone che sono parenti o
affi ni fino al grado proibito dalla
Chiesa, ch'è il quarto inclusivamen-
te se si tratta della parentela o del-
l'affinità che si contrae con un le-
gittimo matrimonio, ed il secondo
se si tratta di un commercio cri-
minoso. Avvi r incesto spirituale
che si commette tja persone che
hanno una parentela spirituale, e
MAX
r incesto legale che si cominelle Ira
le persone affini per parenlela legale
o adozione . L'incesto è un de-
litto enorme e contrario alla natura
clie ispira rispetto pei parenti ed
affini: nell'antica legge era punito
colla morte ; è più o meno grave
secondo il grado di farentela. Di-
versi conciiii, come il VI generale
di Coslanlinopoli , il romano del
721, quelli di Verbena del 753,
e di Troyes del 1092, impose-
ro severe penitenze o condannaro-
no i maritaggi degli incestuosi; e
senza dispensa del vescovo chi ha
commesso un incesto pecca se do-
manda il soddisfacimento del do-
vere coniugale. 11 concilio di Piouen
del 1074 decretò, che quello che
per rompere il matrimonio si ac-
cuserà di aver peccato colla parente
di sua moglie, non sarà creduto
sulla parola. S. Basilio tiene per in-
cesto lo sposare due sorelle 1' una
dopo l'altra; e il concilio di Neo-
cesarea summentovato condanna la
donna che sposa due fratelli. 11 con-
cilio di Epaona decretò : non si ri-
ceveianno a penitenza coloro che
avranno coiilralto matrimoni ince-
stuosi, se non si separano ; e tali
sono i matrimoni colla cognata, col-
la matrigna, colla nuora, colla ve-
dova dello zio, colla cugina germa-
na. Sì chiamarono poi incestuosi
alcuni scrittori che furono condan-
nali di errore da Alessandro II nel
io65 in due conciiii lateranensi, i
quali scrittori erronei e male sen-
zienti, coir autorità del codice di
Giustiniano 1, contavano i gradi di
consanguinilà nella stessa guisa che
nelle successioni, cioè per mezzo del
diritto civile e non del canonico ;
dichiarando il Pontefice scomunicati
quelli che avessero osato contrarre
matrimonio ne' gradi proibiti dai
MAX 29T
canoni. Contro l'errore di tali giù
reconsulti scrisse s. Pier Damiani,
Opiisc. t. Ili, p. 89. Vedi Baronio
all'anno io65, n. 18. Gli argo-
menti degli eretici e de' loro segua-
ci furono egregiamente confutali
dal p. Friderich, De consangui ni t.
et qffìnit. quaest. 2 ; e da Gioac-
chino Sandonniui , De matrimonii
impedimento j quod a naturali co-
gnatio ne procedi t ec.Florentiae 175».
Gregorio XVI fu salutarmente par-
co in concedere dispense fra parenti,
onde evitarne e prevenirne possi-
bilmente le funeste conseguenze,
come quello ch'era peritissimo del-
la scienza teologica e canonica sul
matrimonio.
§ V. Del matrimonio di coscienza,
di quello degli eretici e degli e-
brei convertiti, e dei matrimoni
misti tra cattolici ed eretici o
scismatici.
I matrimoni di coscienza sono*
quelli che si tengono segreti fino
alla morte d' una delle due parli,
benché sieno stati celebrati con tut-
te le formalità prescritte dai canoni.
Alla medesima specie appartengono
pure que' matrimoni che si con-
traggono sul fine della vita con don-
ne cui si tenne reo commercio e si
visse seco in libertinaggio, così di-
casi di donne con uomini. Bene-
detto XIV conoscendo gì' inconve-
nienti grandi che possono nascere
dai matrimoni occulti che diconsi
di coscienza, fatti senza le pubbli-
cazioni prescritte dai conciiii Lute-
rà ne use IV e Tridentino, per ovvia-
re quindi ai mali da detti matri-
moni provenienti, stabib colla co-
slituzione Catis \>ohis^ de' 17 noveni-
bre 1741, Bull. Magn. t. XVI,
p. 53, a quali persone e in qual
292 MAX
maniera i vescovi li dovrebbero per-
nieltere, con quali cautele celebrar-
si, e conac sì doveva provvedere alla
sicurezza della prole da tali matri-
moni venuta. L' Andreucci, nel t. Il
de Hierarclda^ nel cap. V, tratta
De matrimonio conscienliae. Fran-
cesco Mazzei scrisse: De matrimo-
nio conscientiae, Romae 1765 e
1771 : il numero XVII delle Effe-
meridi dì Roma 1772, ne dà un
sunto. Il concilio di Elvira nel ter-
zo secolo proibì dare ai gentili del-
le figlie cristiane per non esporle
nel fior dell' età all' adulterio spi-
rituale. Lo stesso dispose circa agli
ebrei ed ai pagani, ed i padri che
trasgrediscono questa proibizione
saranno separati dalla comunione
per cinque anni, ma quelli che da-
ranno le loro figliuole ai sagrifìca-
iori degli idoli non riceveranno la
comunione nemmeno in fine. Il
matrimonio di un cattolico romano
con una donna eretica è valido ,
«quando è contratto nelle forme pre-
scritte dalla Chiesa, ma è illecito. Il
matrimonio di un cattolico con una
infedele è nullo, non già in forza
di una legge formale, ma in forza
di una consuetudine universalmen-
te stabilita, la quale ha forza di
legge. Così dicasi del matrimonio
di un cattolico con una catecumena,
perchè sebbene i catecumeni abbia-
no la fede, non hanno però essi ri-
cevuto il battesimo, il quale è la
porta di tutti gli altri sacramenti.
Il matrimonio di un cattolico con
un'infedele non è contrario al di-
ritto naturale, ne al diritto divino,
perchè i cristiani dei primi secoli
maritavansi spesse volle coi pagani,
egualmente che i più santi perso-
naggi dell' antica legge. Indicammo
già, che un infedele, se dopo di
aver sposato molte donne si con-
M A T
verte al cristianesimo, deve abban-
donarle tutte, tranne solanicntc la
prima. Benedetto XIV a' 4 novem-
bre 1741 colla costituzione Matri-
monia, presso il citato Bull. p. Ti,
prescrisse qual fosse la validità dei
matrimoni celebrati nel Belgio fra
due eretici, o fra un eretico e l'al-
tro de* contraenti cattolico, siccome
ancora di quelli che contraggonsi
da persone che perciò mutano do-
micilio: su di che sono a consul-
tarsi le altre sue costituzioni: Red-
dita snnt, de* 17 settembre 1747»
t. XVIIIj p. 3i3; Pancis ab hinc,
de' 19 marzo 1758; Cam venera-
hilis, t. XIX, p. 27 e 3i. Inoltre
Benedetto XIV provvide ancora ai
matrimoni degli Ebrei [Fedi) con-
vertiti alla fede. Fra le copiose e
saggie provvidenze stabilite da tal
dotto Papa sui matrimoni, siccome
scioglie vansi facilmente in Polonia
per colpa delle curie vescovili, perciò
indirizzò a que' vescovi la costitu-
zione Matrimoniìy agli 1 1 aprile
174», Bull. t. XVI, p. 26, esor-
tandoli a frenare i loro ministri in
cosa sì importante, sulla quale nuo-
vamente prescrisse ad essi, con la
costituzione Nimiani licentiam^ dei
18 maggio 1743, loco citato p. 160,
l'osservanza de' sacri canoni. Indi
essendosi sparsa la voce in quel rea-
me che il Pontefice avesse tolto gli
impedimenti canonici nel matrimo-
nio, in cui uno o tutti due i con-
traenti professassero apeitamente la
eresia. Benedetto XIV colla costi-
tuzione Magna vobis, (lc'29 giugno
1748, Bull. t. XVll, p. 23o, con-
futò questa calunnia, dimostrando
che la Chiesa sempre avea ripugna-
to ai matrimoni tra'cattolici e gli ere-
tici, come dichiarò Urbano Vili con
bolla dei 3o dicembre 1624, e Cle
mente XI con quelle de' 25 giugno
MAT
170G, e 23 luglio 1707, sicché nel
dare la santa Sede la dispensa per
questi matrimoni, sempre mette la
clausola abiurala prima V eresia^ op-
pure purché sicno cattolici. Furono
è vero date alcune volte queste di-
spense tra principi ed altri, colla
clausola, che la prole futura fosse
allevala nella cattolica religione. Po-
co dopo Benedetto XIV scrisse ai
medesimi vescovi la costituzione Ad
tuas, degli 8 agosto 1 'Jj^S, loco citato
p. 292, per ricordar loro ch'essi non
avevano mai avuta dalla santa Sede
la facoltà di dispensare nel secondo
grado di affinità, come taluno avea
fatto, e se pure 1' avessero avuta,
non mai si sarebbe eslesa ai matri-
moni fra gii eretici^ ond' egli li e-
sortò a considerare esattamente le
facoltà loro date, perchè nulla si
facesse che in quelle non si conten-
ga. Aftinché dunque i matrimoni
non fossero facilmente disciolti, Be-
nedetto XIV ne prescrisse e stabilì
opportuni provvedimenti colla co-
stituzione Dei mìscratione^ de' 3 no-
vembre 174^5 Bull. t. XVI, p. 8,
dichiarando in qua! forma, con qual
ordine, e avanti a chi si dovreb-
bero trattare i giudizi delle cause
matrimoniali.
Clemente XIII nel breve Quanto-
pere a connuhiis inter cotìiolicos, et
haereticosy de' 16 novembre 1763,
Bull. Rem. Conlinuatio, quanto sia
in pericolo la religione cattolica nei
matrimoni tra i cattolici e gli ere-
tici. Pio VI colla lettera, No?i pò-
tiam dipartirci dal sentimento uni-
forme de nostri predecessori, de' 1 3
luglio I 782, diretta al cardinal ar-
civescovo di Malines [Vedi), sulla
disciplina della Chiesa di non ap-
provare i matrimoni fra parti am-
ìjcdue eretiche , o se una sola sia
cattolica e l'altra eretica, e mollo
MAT
293
meno quando siavi bisogno di di-
spensa di gradi di parentela, chia-
ma sacrileghi tali matrimoni, e che
specialmente li proibì Clemente XI
nel 17 IO ad un di lui predecesso-
re nella sede di .Malines, qualora
la parte eretica non abiurasse i suoi
errori, pel pericolo della perversio-
ne della pai te cattolica, specialmen-
te se l'eretica sia la donna. Quindi
replicando le parole nel 175© dette
da Benedetto XI Val vescovo di Bre-
slavia su questa materia de' matri-
moni misti, non potere con allo
positivo approvare la concessione
delle dispense fra gli eretici, e fra
questi ed i cattolici, poter però dis-
simulare, aggiungendo che la ponti-
fìcia scienza e tolleranza deve ba-
stare per assicurare la coscienza del
cardinale che avea interpellato su
ciò il Papa, il quale si protestò co-
sì regolarsi per evitare maggiori
danni alla religione cattolica. Incul-
cò Pio VI ai parrochi di ammo-
nire i cattolici per distorli da siffatti
matrimoni illeciti, nondimeno se ciò
riesca inutile, potranno assistervi ma-
terialmente, ma con quelle cautele
che gli prescrisse: i. Che non vi
assista in luogo sacro, né con indu-
mento ecclesiastico, preghiere e be-
nedizione. 2. Che esiga dichiarazio-
ne giurala dal contraente eretico di
permettere all' altro 1' uso libero
della cattolica religione, e di edu-
care in essa tutta la prole nascitura
senza distinzione di sesso j simile giu-
ramento dovrà fare la parte catto-
lica, e di procurare efììcacemenle la
conversione dell' altro contraente
non cattolico; ec. V. Ereticl
Nella Storia di Pio FUI del
dotto e religioso cav. Artaud, me-
ritamente si celebra il breve di quel
Papa sui matrimoni misti, trasmesso
all'arcivescovo di Colonia, ed ai
494 MAX
vescovi di Treveri, di Paderbona e
dì MiiMsler, e con ragione lo chia-
ma capolavoro, perchè riguarda una
delle questioni più difficili, più de-
solanti che siansi discusse dacché i
protestanti si sono da noi separati.
Aggiunge che il cardinal Albani se
gretario di stato pubblicò intorno a
questo soggetto una spiegazione
semplice insieme e molto estesa ,
colla quale propose molti consigli
da seguirsi perchè si possano fedel-
mente e senza pentimento osserva-
re le determinazioni ingiunte, o
per meglio dire concedute dalla
tolleranza del santo Padre. Nulla
eravi di più spinoso quanto la com-
pilazione di una decisione, che aves-
se qualche cosa di formale in mez-
zo alle più severe restrizioni , che
comandasse proibendo, che consen-
tisse comandando, capolavoro am-
mirato dal lodato istorico che re-
se immortale la memoria di Pio
VHI, e che Gregorio XVI conser-
vò per regola delle sue paterne
condiscendenze in questo genere di
discussioni . Ciò non poteva essere
diversamente, poiché Gregorio XVI
da cardinale per ordine di Pio
Vili fu il compilatore del breve
Lilteris alterOy de'2 5 marzo i83o,
riportato a p. 9 de* documenti del-
l' Esposizione sulla deportazione di
monsignor Droste arcivescovo di
Colonia (celebre per la sua eroica
resistenza ai matriaioni misti , per
cui soffi'ì gloriosa prigionia ; ma
Gregorio XVI ne ottenne con de-
coroso modo la liberazione, indi in
Boma r andò a visitare in persona,
ed in morte altamente con allocu-
zione r encocniò in concistoro, di-
cendo avergli destinato il cardina-
lato ), argomento che toccheiemo
air articolo Prussia , ove diremo
come quel re comandò che tutta
MAX
la prole che fosse per nascete dai
matrimoni misti, dovesse senza di-
stinzione di sesso educarsi nella re-
ligione del padre, tranne il solo ca-
so in cui i genitori fossero unanimi
nella religiosa educazione de' figli.
Dichiarò inoltre il re che qualunque
patto cui prima del matrimonio si
desse luogo per simile oggetto dai
promessi sposi, avesse a riguardarsi
come non obbligatorio ; vietando in
pari tempo rigorosamente al clero
di esigere alcuna promessa relativa
all'educazione in discoiso. Negli
Annali delle scienze religiose, sono
riportate molte cose riguardanti
questo importantissimo argomento.
A volerne rammentare alcune, nel
voi. IH, p. 57, evvi un articolo sul-
r opera pubblicata a Berlino nel
1 83 4 : Sopra l'odierno stalo del di-
ritto malrinioniale, in cui si fa ma-
nifesto il deplorabile slato in che è
ridotto attualmente il diritto prote-
stante sul matrimonio, e la necessità
confessata dai protestanti stessi di ri-
tornare su questo punto ai principii
che rendono più stabile l'unione ma-
trimoniale. Quindi nel i838, come
si legge nel voi. Vili, p. 3o5, in Vien-
na si pubblicò ; / matrimoni misti
considerati sotto il punto di vista
cattolico , del dott. Gio. Battista
Kutscher. Opera mirabile in cui
trovasi tutto quello che si può de-
siderare intorno alla gravissima que-
stione concernente i matrimoni mi-
sti, e pone in un luminoso aspetto
le savie determinazioni della Chiesa.
Nel voi. IX, p. 108, si riporta la
condanna de'matrimoni misti fatta
per parte della santa Sede, con
r allocuzione Officii meniores^ della
quale parlammo all' articolo Gre-
gorio XVI. Nel voi. XI, p. 144,
si discorre del libro: / matrimoni
misti fra le cristiane confessioni di
MAX
Àleinagna, esposti storicamente dal
dott. Federico Kunstcniann, Bati-
sbona iSSg. Opera encomiata per-
chè contiene quanto su ciò pensò
e fece il protestantismo e la Chiesa
cattolica , ed in questo contrappo-
sto fa risaltare assai bene la sapien-
za divina, che ha guidato sempre
e sempre guida questa Chiesa uni-
camente vera. Ma su questo argo-
mento de'malrimoni njij«ti, sia per-
ciò che riguarda la storia universa-
le e particolare di tale controver-
sia, sia per la raccolta di lutti i
monumenti che la illustrarono fino
ai nostri dì, non lascia più niente
a desiderare l'opera insigne data
fuori nel 1842 in Ungheria in due
grossi volumi in 8.° dal professore
Agostino Roskovany canonico d'A-
gra, già per altre opere conosciuto
egregio difensore delle sane catto-
liche dottrine. Nel voi. XM, p. 98
di detti Jnnali^ finalmente è ripro-
dotta la lettera pastorale dell' eroico
monsignor Dunin arcivescovo di
Posen e Gnesna, intorno alla que-
stione gravissima de'matrimoni mi-
sti. De'matrimoni misti se ne parla
in diversi articoli del Dizionario^
come di quanto soffrì e fece per essi
Gregorio XVI, ciò che rimarcarono
pure il eh. Manavit, p. 20 della
No li ce sur la vie et le ponti flcat de
Gregoire XVI, Juin 1846; ed il
eh. autore del beli' articolo, Grego-
rio XVI, pubblicato dall' Enciclo-
pedìa italiana, che si stampa in Ve-
nezia, per non diredi altri. Dappoi-
ché nella sua prima enciclica diret-
ta all'episcopato di tutto il mondo,
non solo pose nel suo vero lume
la lega formatasi in Alemagua con-
tro il celibato ecclesiastico, onde i
pastori stassero bene in guardia, ma
riprovò energicamente i matrimoni
misti ; ed in questa gravissima que-
MAT
29
stìone, siccome matrimoni sempre
detestati e riprovati dalla Chiesa cat-
tolica, il gran Pontefice si condusse
con apostolica ed eroica fermezza,
e con conciliativo procedere fin
dove si poteva, essendo tali due
delle sue principali e mirabili carat-
teristiche. Ai 25 giugno 1846 nel-
r accademia di religione cattolica di
Roma, il R.mo p. d. Giuseppe Ricci
consultore generale de'ministri degli
infermi, difese dagli attacchi dei
novatori la dottrina cattolica intor-
no ai matrimoni misti. Pertanto
mostrò col mezzo de' più autentici
documenti istorici, quanta sia stata
in ogni tempo la vigilanza, la pre-
mura e la sapienza della Chiesa per
impedire i matrimoni misti ; o quali
opportunissime condizioni vi appo-
nesse tutte le volte che credea di
permetterli ; parlò della guerra che
per via di siffatti matrimoni non si
è mai cessato di fare alla religione
cattolica; ma nel tempo istesso di-
pinse la costanza e la fermezza con
cui vi si opposero i romani Ponte-
fici, levando la voce contro ogni
sorta di abuso, e discoprendo tutte
le arti degli avversari, che tende-
vano a contaminare la verità : e
qui prese ad analizzare le disposi-
zioni dei Papi Leone XII, Pio VIH,
e Gregorio XVI, le quali riunendo
in se stesse quanto già era stato
precedentemente sancito, nulla più
lasciano a desiderare su tal materia.
Fra i molti autori che scrissero
sul matrimonio, riporteremo i se-
guenti. Hermanni, De natura spon-
saliorunij et divisione. Thym, De
genuina sponsalìuvi depraesenti et
de futuro Azof?o«e. Richterii, De jnre
nuptiarum. Ayreri, De jure connu-
biorum. Schwendendorft'er, De pri"
vilegiis virginum. Meyeri , De sei-'
lo virgiiuun. Molitor, De judice
2()6 MAT
causarum malritnonialiuin. Trium-
phins, De divortio. Miilzer, De in-
solubile vinenliun matrimonii. Net-
tclbladt, Dedotalitìo. Raaoiburg, De
dominio maritali. Barter, De paclis
dolalihiis. Alfano, De vera substan-
tia doti. Francesco Barbaro, Pru-
dentissimi e gravi documenti circa
V elezione della moglie^ Venezia
i543. Bossi, De effectibus contractus
matrimonii, Lugduni i655. Perez,
De sanato matrimonii sacramentOy
ivi 1666. Strykii, Commentatìo de
j,ure mariti in bonis uxoris , et de
jure uxoris in bona mariti, Jenae
1759. Cristoforo Coscia De sponsa-
libus filiorum f amili ae, Romae 1 776;
De separatione tori conjugalis, Ro-
inae 1773. Lanzerini^ De sanato
matrimonio sacramento, Bononiae
1773. Pietro Deodato, Defcnsio Tri-
dentinoruin canonum de Ecclesiae
potestale in dirimenlia matritno-
niuni impedimenta, etc. ; accedit a-
nony mi disse natio, qua contra quos-
dam theologos propugnatur pon-
tificia auctoritas in eodem impedi-
menta, Jerapoli 1786. Emmanuele
Giuseppe Mosquera aicivescovo di
s. Fede di Bogota, Compeiulio delle
dottrine ortodosse intorno alla que-
stione del matrimonio dechierici
maggiori. Versione italiana dallo
spngnuolo per E. M., Roma 1839.
Questa opera iodata assai anche da-
gli Annali delle scienze religiose, fu
compilala allorquando alcune ca-
mere provinciali della repubblica
della Nuova Granata vennero nella
risoluzione di chiedere al congresso
nazionale una legge, in virtù della
quale fosse lecito a' chierici oaag-
giori r ammogliarsi. Questa dotta
opera dissipò le tenebre e i dubbi
di molti, e forse mercè di essa la
camera del senato del congresso na-
zionale rigettò la proposta del ma-
MAT
trimonìo a*i4 marzo 1839, fra gli
applausi universali di tutti gli astan-
ti. Nel voi. XI di detti Annali a
p. 3 1 e seg. , è riportato il giudi-
zio dell'episcopato Granatino, circa
la pretensione di abolire il celibato
sacerdotale, premessa la lettera cir-
colare del zelante encomiato metro-
politano, a ciò incoraggito e am-
monito da Gregorio XVI.
MATRONA , Matrona. Donna
autorevole per età e per nobil-
tà, ovvero donna saggia e virtuosa,
che governa onestamente la sua
famiglia, ed alla quale possono es-
sere fidate delle giovani don/elle.
Melisso appresso Gellio vuole che
la matrona sia così detta a matris
nomine. Matrona si chiama anco-
ra la Levatrice. Delle matrone de-
gli antichi romani e degli antichi
cristiani, se ne parla in diversi
articoli del Dizionario. Airarticolo
Chiesa (Vedi), dicemmo del Matro-
naeum o luogo particolare de'sacri
templi assegnato alle matrone. Ma-
tricuria poi era la matrona , la
quale avea cura della chiesa , pres-
so i greci chiamata Presbiteressa,
e presso i latini Vedova, viduae,
seniores. Tra gli antichi romani,
un' eccellenza di pregi personali
sollevava alcune liberte al grado
di mogli primarie de' loro propri
padroni, e ad essere le matrone e
le signore della casa. V. Donna.
MATTEI Girolamo, Cardinale.
Girolamo Mattei di nobilissima fa-
miglia romana, nacque nel 1 546 da
Alessandro Mattei, ed Emilia Maz-
zatosta dama di assai cospicua e
vetusta nobiltà. I Mattei furono
prima detti Guidoni, poi Papere-
schi, o del Papa , come scrive il
Vendettini, Del senato romano, p.
i58; quindi nel i3oo di Roma-
no j in ultimo di Matteo da un an-
MAX
tenate di questo nome, i di cui di-
scendenti chiamaronsi Maltei. Così
il Panviuio in mss. de gente nobi-
li ssima Matiliaeia^ che si conserva
nell'archivio della casa. Questa il-
lustre ed antica famìglia diede al
sacro collegio otto cardinali, uno
de'quali fu il celebre Papa Innocenzo
li. Girolamo avendo fatto egiegia-
menle isuoi studi, fra le molte scienze
nelle quali si rese eccellente, fino ad
essere in concetto d' uno de' primi
letterati de' suoi tempi, spiccò sin-
goUìrmente nella perizia dell'una e
l'altra legge. Ammesso in prelatu-
ra, successivamente fu fatto chierico
di camera, poi presidente della me-
desima, indi uditore generale pure
della camera. Fedele ed esatto nel
tlisimpegno de^suoi uffizi, in premio
della sua integrità Sisto V a' 1 7 di-
cembre i586 lo creò cardinale dia-
cono, conferendogli per diaconia la
chiesa di s. Adriano. Questa digni-
tà meritamente l'avrebbe consegui-
ta assai prima da Gregorio XIII, se
non fosse stata la valida ed ostina-
ta opposizione del cardinal Luigi
d'Este de' duchi di Ferrara, che a
tutto potere attraversò sempre la
promozione del Mattei. o per aver-
lo questo in certa occasione dispre-
gi;»to, o non riverito conforme al
suo rango. L' Amydenio nelle vite
mss. de' cardinali, ci fa sapere don-
de ebbe origine 1' antipatia concepita
dal d' Este contro il Mattei. Rac-
conla pertanto, che il cardinal d'E-
ste teneva avvinta ad una caténa
un' orsa presso la porta del proprio
palazzo, colla quale scherzando un
fanciullo, la belva ferocemente l'uc-
cise. Saputosi ciò dal Mattei udi-
tore allora della camera, che a-
bitava vicino, e che inutilmente a-
vca avvisato l'Estense perchè la
belva fosso meglio riguardata^ per
MAX 297
autorità della propria carica, la qua-
le dava allora ingerenza in simili
cose di polizia, ordinò che per un
colpo d'archibugio si uccidesse l'or-
sa. Dispiacque all' estremo al cardi-
nal d'Este che senza prevenirlo fosse
tolto di vita un animale che ama-
va, per cui da quel momento mo-
strò costante contrarietà al Mattei,
il quale inutilmente procurò cal-
marne il risentimento. I congiunti
del prelato allora con questo si ri-
volsero al duca di Ferrara, che piti
ragionevole, non solo si mostrò sod-
disfatto, ma riprovando la soverchia
durezza del cardinale, supplicò eoa
vive istanze Sisto V ad annoverare
il Mattei siccome degnissimo al sa-
cro collegio, lo che effettuando il
Pontefice, ne provò estremo dispia-
cere l'Estense, che continuò a guar-
dare di male occhio il Mattei. Que-
sti ottenne inoltre da Sisto V l'ab-
bazia di Nonantola, che fece visitare
da Paolo Grassi vescovo di Zanle
e Cefalonia, e tre volte cioè nel
1592, nel 1596, e nel 1600 vi fece
radunare il sinodo diocesano, le cui
costituzioni furono stampate. Nel-
r ultimo molto operò per dilatare
la divina gloria e per promovere
la salute de' diocesani. In tempo di
carestia alloggiava nel suo palazzo
una quantità di poveri, cui forniva
di tutto r occorrente. Fu nominato
protettore dell' Irlanda e dei mino-
ri osservanti, e da Gregorio XIV,
che ben ne conosceva la prudenza
e saviezza, deputato con altri car-
dinali sugli affari di Francia, ed
eziandio su quelli per la successio-
ne al ducato di Ferrara, a cui il
Mattei giustamente procurò esen-
tarsene. Dipoi Clemente Vili lo de-
putò alla compilazione del settimo
delle decretali. Fondò in Roma il
Collegio Malici (l^ecli), che fu sop-
298 M A T
presso wl »777 ^a Pio VI per o<?-
sersi dimirmile le rendile, e con
quelle superstiti volle il Papa che
si mantenesseio due giovani allo
studio in un collegio di Roma ad
arbilrio del duca Mallei, giacche il
cardinal istitutore nell'assegtiargli le
rendite ne lasciò la cura a' suoi
credi e successori. Decoi*ato della
legazione di Avignone, ne fece in
pieno concistoro generosa rinunzia
per compiacere il cardinal d' Al-
tera ps che la bramava, e che da
l^io IV era stato stabilito legato
perpetuo della stessa città. Interven-
ne a quattro conclavi, dopo i quali
una subitanea morte lo involò in
Roma, ove era celebre pel buon
mime actiuistutosi colle sue sante
o(>erazioni, nel i6o3, d'anni f^j, e
l\ì sepolto nella chiesa di s. Maria
d' Araceli nella sua cappella genti-
lizia dedicata all'apostolo ed evan-
gelista s. Matteo, dove si vede in
nanzi all' altare la sua arma rileva-
ta in metallo, e poi espressa in
ntarmo e fregiata di brevissima i-
sciizione : questa cappella adorna
delle pitture del Muziano, fu eretta
dallo stesso defunto. Fu questo car-
dinale grave, prudente, laborioso,
di specchiata pietà, vero ecclesiasti-
co, nato fatto per reggere e go-
vernare, e noto a tutta l' Europa
per la somma sperienza che avea
nel trattare e conchiudere i più ri-
levanti affari. Tra gli altri ch'ebbe
in sua corte, vi furono Francesco
Fagnano, che in seguito fu segre-
tario della congregazione del conci-
lio, Mario Altieri, e Girolamo Pam-
philj che poi fu caidinale. Il Pe
tramellara afferma, che a guisa di
scintillante hmiiera sparse ovunque
tali raggi di virtù, che nella sua
persona nulla era a desiderarsi per
ri^ontrarvi un perfettissimo e com-
]\T A T
pifo modello della dignità calcinali"
zia. Nel smodo IV sanese è regi-
strala una lettera sopra materie
conciliari del cardinale all'arcive-
scovo di Siena ; questa lettera è
tenuta in molta cstimaziotie da uo-
mini dottissimi, e le prestano fede
quasi ad oracolo. Pre-iso Innocen-
zo X molto si adoperò a vantaggio
del convento di Araceli , e colla
sua autorità e consiglio coadiuvò
il p. Lodovico Mosca nella nuova
forma di governo del suddetto con-
vento, per cui i religiosi a perpe-
tuarne la memoria fecero dipingere
in un arco del loro refettorio il p.
Mosca in atto di render grazie al
cardinale, tenendo il Mosca una
carta in mano nella quale si legge:
Hyeronimo Matlhco romano cardi-
nali franciscanae faniiliae prolecto-
ri oh hanc domum romanae prò-
vincìae reslitutam anno Domìni i ^9 r
pridie cjits diei qui Conceptae Vir-
ginis sacer crai eadeni fami li a hoc
posiiit grati sui animi monumcn-
(um. Tanto riporta il p. Casimiro
da Roma, nelle Mem. stor. del conv.
e chiesa d' Aracoeli, p. 4^'-
MATTEl Gaspare, Cardinale.
Gaspare Mattei nobile romano, dei
duchi di Paganica, |)rimogenito di
sua illustre casa, nacque nel 1587
di Mario Mattei e di Prudenza
Cenci. Egli attese a coltivar lo spi-
rito coir acquisto delle scienze, e
tia le altre della filosofìa e della
giurisprudenza, di cui nell'archigin-
nasio romano riportò la lauiea di
dottore. Comechè poi fra i fratelli
fosse il maggiore, si pensava dai
genitori di accasarlo, ma non es-
sendogli slato consenlito d' impal-
mare quella damigella eh' egli a-
mava, e colla quale desiderava di
sposarsi , deposto quindi ogni pen-
siero di nozze, nel pontificato di
M A T
Poolo V, (li cui era affine, prese
1' abito prelatizio, e fu eletto gover-
natore di parecchie città dello stato
ecclesiastico. Urbano Vili lo desti-
nò pel primo alla vice-legazione di
Urbino, dopo aver il Papa ricupe-
rato quel ducato, ed in mancanza
del legato; nominandolo pure alla
carica di commissario generale in
tutta la Romagna, in tempo di pe-
ste. Sostenuti con decoro questi ed
altri diversi impieghi, consecrato
arcivescovo di Atene, fu inviato
nunzio straordinario in Germania,
dove poi si trattenne col carattere
di nunzio ordinario, con tanta sod-
disfazione del Papa, e piacere di
Ferdinando III imperatore, massime
in que' tempi difiicili e pericolosi,
che in ricompensa del suo merito.
Urbano VITI a' i3 luglio 1643 lo
creò cardinale prete del titolo di s.
Pancrazio, e poi fu fatto prolettore
de' regni di Sicilia e di Polonia
presso la santa Sede, col carico di
n»olte delle primarie congregazioni
alle quali venne ascritto. Nel tempo
ch'era nunzio a Vienna, per ordine
<li Urbano Vili nel 1641 doman-
dò air imperatore, che cedesse al
servigio della santa Sede il proprio
nipote Luigi Mattei romano mar
chese di Bel monte, che siccome u-
no de' primi capitani del suo tempo
era al servigio dell' Austria. Aven-
dolo ottenuto, Uibano Vili lo fece
maestro di campo nelle provincie
dell' Umbria, del Patrimonio e dei
luoghi annessi ; indi gli diede il
comando generale delle armi, e
r impiegò nella guerra contro il du-
ca di Parma Odoardo Farnese, ciò
che pur fece Innocenzo X. Qui no-
teremo che questo Papa avea avu-
to per ava una dama di casa Mat-
tei, la quale fu sorella di questo
Luigi. Ma delle sue gloiiose gesta
MAT 299
e militari fasti, ne tratta la biogra-
fia che ne fece il eh. p. Tommaso
Borgogno de'soroaschi, e stampata
in Roma nel 1842, col ritratto e-
guale a quello che la magistratura
romana gli eresse in Campidoglio
in busto con onorevole iscrizione.
Rilornando al cardinale, caduto
in grave malattia contratta per una
passione di bile in tempo del con-
clave in cui fu eletto Innocenzo X,
si trovò obbligato a soitirne ; e
quantunque risanato vi facesse sol-
lecito ritorno, perseverandovi fino
al suo termine, ciò non pertanto
visse sempre cagionevole e malsa-
no, onde di rado interveniva alle
congregazioni, ai concistori, e ad
ahre pubbliche funzioni. Finalmen-
te nel 1 65o, in età di 63 anni, u-
scì dalle miserie della presente vita,
e fu sepolto nella chiesa di s. Ce-
cilia, al cui titolo era passato, sen-
za alcuna funebre memoria. Luigi
Navarino chierico regolare, compose
un grazioso epigramma in lode del
cardinale, scherzando sul di lui slem-
ma, che ci Vienne riportato dal p.
Annibale Adami gesuita, nella sua
Pallade porporata. Eccone il te-
nore.
Solis Avìs^ solt^m quaeritj cui lu-
mina fig'Tfj
Sol erisj 0 Gasper, Pur pi ir a
lumen erìt:
Te Mere Àquilae, quas armiger
educai Ister;
Arseruntque Tui solus amore
frui.
Romanos hinc, Gennanos trahis
inde volucresj
JYec tamen ulla Tibi est Urbe,
vel Orbe quies.
Non Te Roma capii, non Te Ger-
mania : Aviti s
Fectum Aquilis Codi, Te capii
una Domus.
3oo MAX
MATTEI Obazio, Cardinale. O-
ifizio Malici de' duchi di Pagaiiica,
nacque in Roma dalia fatniglia clic
fìoiiva tra le più cospicue, antiche
e principali, cioè a' i5 marzo 1622
dai duca Lodovico , e da Laura
Frangipani. L'applicazione agli stu-
di e gli esercizi di pietà occuparo-
no interamente la sua prima gio-
vinezza, fin dalla quale mostrato
avendo una forte inclinazione alla
vita ecclesiastica , Innocenzo X volle
che assumesse l'abito prelatizio , e
destinollo al governo delle città di
Orvieto e di Camerino. Fu quindi
richiamato a Rotna per occupare
un posto Ira i votanti di segnatura.
Avvenuta frattanto l'esaltazione al
pontificato di Clemente X, eh' era
strettamente congiiuito di sangue
colla casa Malici, fu deputato verso
il 1670 alla vice-lcgn/.ione d'Avigno-
ne, e dopo due anni ebbe luogo
tra gli uditori di rota, ed avendo
per un tempo notabile esercitato
tale carica con tunia ti' integrità e
dottrina, lo slesso Pontefice gli con-
ferì il rafifgu/udevole uffizio di suo
Maggiordoijio (/""edi), col titolo tli
arcivescovo di Damasco, e volle che
l^erseverasse nell'antico posto di u-
dttore di rota, non però col titolo
di uditore, ma con quello di luogo-
leuenle. Voleva Clemente X pro-
moverlo al cardinalato, quando pre-
venuto dalla morte, non potè elfet-
tuarc il concepito disegno. Il suc-
cessore Innocenzo XI a' 2 settem-
bre 1686 lo creò cardinale prete
col titolo di s. Lorenzo Paneperna,
e lo ascrisse alle primarie congre-
gazioni, dichiarandolo suo pro-mag-
giordomo. Se non che passati ap-
pena dieciselte mesi dalla sua pro-
mozione, la morte Io tolse di vita
in Houia nel 1G88 a' 18 gennaio, in
età di sessaulasei. anni, e fu sepolto
MAX
nella chiesa di s. Krancesco a Ripa,
dove al manco lato della sua cap-
pella gentilizia, delta della Pietà, si
vede alia sua memoria eretto un
magnifico ed elegante avello, col bu-
sto del cardinale espresso al vivo in
candido marmo, sotto di cui Icggcsi
un breve epitafììo, riportato dal Re-
nazzi a p. i4o delle Notizie de mag-
giordomi. Le sue decisioni rotali gli
meritarono che il Mandosio gli das-
se luogo tra i suoi scrittori romani
nella sua Biblioteca. Nella libreria
Altieri fu depositato il suo mss. : Re-
lazione dello staio di Avignone e
della contea P^enaissina, che colà
compilò nella sua vice-legazione.
MAXXEI Luicr, Cardinale. Lui-
gi Mattei nobile romano^ de' duchi
di Giove, nacque a' 17 marzo 1702
(il cui padre iu nel 17 r9 da Cle-
mente XI dichiaralo principe di pri*
nio rango), dopo aver fatto i suoi
studi, nel 1727 fu ammesso in pre-
latura, e Benedetto XIII Io fece su-
bilo ponente del buon governo. Nel
1733 Clemente XII lo destinò giu-
dice della rev. fabbrica di s. Pietro,
della quale basilica fu anche vicario,
mentre nello stesso tempo esercita-
va la carica di uditore del camer-
lengo. Benedetto XIV che di cuo-
re lo amava pe' rari suoi pregi, Io
annoverò nel 1743 tra i chierici di
camera, e poi dopo quattro anni lo
trasferì tra gli uditori di rota, do-
ve per la sua innata affabilità e
gentilezza, divenne la delizia di Ro-
ma, Finalmente volle fregiare i di
lui ineriti colla porpora, creandolo
n' 26 novembre 1753 cardinale pre-
te, col titolo di s. Matteo in Me-
rulana, donde passò all'altro di s.
Maria d' Araceli. Il suo credito lo
fece ascrivere alle primarie congre-
gazioni di Roma, ed ebbe la pio-
tettoria della congregazione carnai-
MAT
(blese. Una immatura morie però
troncò i suoi giorni in Roma a' 3o
gennaio lySS, nell'età di cinquan-
tasei anni, e fu oggetto di lutto u-
ni versale, attese le sublimi sue tìi-
lìi, per le quali potevasi ben a ra-
gione ap|)ellare l'ornamento e il de-
coro del sacro collegio ; laonde Be-
nedetto XIV alla notizia della di
lui morte rispose: abbiamo perdu-
to il nostro successore. Fu esposto
e sepolto nella chiesa del suo titolo
di s. Maria d'Araceli, e tumulato
nella tomba gentilizia, nella cappel-
la di s. Matteo, dove gli pose un
magnifico elogio il cardinal Ales-
sandro Mattei suo nipote.
MATTEI Alessandro, Cardinale.
Alessandro Mattei nobile romano
de* duchi di Giove, nacque in Pio-
ma a' 20 febbraio i744> ^^^ ^^^^
Girolamo e da Caterina Altieri da
lui sposata in seconde nozze, sicco-
me vedovo della Falconieri. Fin da
giovane prese amore ed abitudine
agli esercizi di pietà, terminando be-
ne gli studi. Benedetto XIV nel i 758
gli conferì il priorato di s. Maria
in Abbatissis, e l'abbazia di s. Cro-
ce; poscia Clemente XIII nel 1766
lo nominò canonico di s. Pietro, e
nel 1768 l'ammise in prelatura.
Gli piaceva fin d' allora il catechiz-
zare i fanciulli nelle parrocchie, il
visitare gl'infermi negli ospedali, il
predicare negli oratorii. Sostenne con
esattezza diverse cariche pubbliche,
dappoiché Clemente XIV nel 1770
lo fece ponente di buon governo, e
Pio VI nel 1775 lo dichiarò am-
ministratore dell' abbazia di Farfa,
r ammise tra i prelati della con-
gregazione del concilio per la rela-
zione delle diocesi, e nel 1776 lo
promosse a uditore del camerlengato.
Inoltre Pio VI nel febbraio 1777
lo fece arcivescovo di Ferrara, e
M A T 3o I
poi nel concistoro de' 12 higlio
1779 lo creò e riserbò in petto
cardinale dell' ordine de' preti. Re-
candosi il Papa nel 1782 a Vien-
na, fu ricevuto dall' arcivescovo, e
nel ritorno tenne concistoro a' 22
maggio nella sagrestia della catte-
drale di Ferrara, lo pubblicò caidi-
nale, conferendogli il cappello car-
dinalizio nel concistoro tenuto in I-
mola a' 27 maggio, cui pure asse-
gnò il titolo colla chiesa di s. Bai-
bina che poi commutò con quella
di s. Maria d' Araceli, e le congre-
gazioni cardinalizie. Tutto dicemmo
distesamente in più luoghi, massime
nei voi. XV, p. 211, XXIV, p.
164 e i65, e XXXI V, pag. 89,
del Dizionario. Il suo zelo, la sua
prudenza, e la sua carità nell'eser-
cizio delle funzioni episcopali, gli
conciliarono il rispetto e l'amore
de' suoi diocesani. Tenne sinodi, i-
stituì esercizi spirituali e conferenze
ecclesiastiche, e diede l'esempio del-
la regolarità e della pietà. La ri-
voluzione francese avendo obbligato
molti preti a ritirarsi in Italia, il
cardinale gli accolse in gran nume-
ro, ed eccitò in loro favore la ge-
nerosità del suo clero e degli abi-
tanti. Spesava da sé solo più di
trecento di tali onorevoli proscritti;
e qualunque prete francese che ar-
rivava a Ferrara diveniva l'ogget-
to della sua sollecitudine, anzi giun-
se a scrivere a diversi vescovi di
tal nazione, offrendo loio un asilo.
Intanto nel 1796 i francesi repub-
blicani incominciata 1' occupazione
de' dominii della santa Sede, co-
strinsero Pio VI a cedere le lega-
zioni, con trattato fatto col genera-
le in capo Bonaparte. Quando poi
Wurmser cogli austriaci si mosse al-
la volta di Ferrara, i francesi eb-
bero ordine di ritirarsi, ed il car-
3o2 MAX MAT
tlinale di liprendere il governo del- che descrivemmo ai loro luoghi,
la cillà e sua provincia. Il cardi- e che salvò Roma per assai poco
naie in parte eseguì l'ingiunzione tempo. Il cardinale ne partecipò su-
<lel Papa, ma vedendo poi le cose bilo la notizia al cardinal Busca
cambiate in favore de' francesi, ri- segretario di stato. È da notarsi,
vocò quanto nvea fatto nell'agosto, che per un forte diverbio tra il du-
solo perchè Ferraia non cadesse in ca Braschi nipote del Pap;> ed uno
«lani d' un terzo potentato. Ma de'pienipotenziari, e l'agente Cacault
Bonaparle non la intese così, ed in Tolentino, quest'ultimo che do-
intimò al cardinale recarsi subito vea stendere il trattato, si mostrò
^1 quartier generale di Brescia, irritatissimo, per cui narra il cav.
Giunto il cardinale colà, fu acremen Artaud nella Storia di Pio VIT^
te rimproverato per aver preso mo- che il cardinale pose in opera ogtii
menlaneamente il governo di Ferrara, supplica per frenarne il nocevole ri-
essendo suddito della repubblica, e sentimento, sino a gittarsi in gìnoc-
quindi gli disse che meriterebbe d' es- chioni all' agente. Di questa ingi-
sere moschettato. Prima lo rilegò in nocchiazione con buone ragioni se
Milano, e poi ad intercessione del ne prova V insussistenza da mons.
generale Gouttier lo confinò nella Baldassarri, nella Relazione delle av-
stessa Brescia ; anco il senato vene- versila di Pio P^J, tom. I, p. 247
to s'interessò per la liberazione del e seg., il quale a p. 126 rettifica
cardinale, còsi la municipalità di il racconto del medesimo cavaliere
Ferrara. Altrettanto fece Pio VI a sull'affare di Ferrara, e l'andata
mezzo di Cacault agente della re- del cardinale a Brescia. Ma su que-
pubblica di Roma, e del cav. Aza- sti ed altri argomenti riguardanti
ra ministro di Spagna. Finalmente l'illustre porporato, il di lui cauda-
dopo circa quaranta giorni, Bona- tario e segretario d. Sebastiano Laz-
parte lasciò partire il cardinale per zarioi colle stampe dell' Andreoia
Ferrara. Questo generalissimo dipoi pubblicò nel 1799 ^^ Venezia:
con quei motivi e pretesti che nar- Dettaglio storico di quanto prece-
ramo all'articolo Francia, ed altro* de, accompagnò^ e seguì la pri-
ve, per mandare ad effetto 1' intera gionia in Brescia del signor cardi-
invasione dello stato pontificio, ven- naie Alessandro Mattel arcivescovo
ne fuori con nuove esigenze, fingen- di Ferrara j le' commissioni di pa-
do di scegliere per mediatore il ce ad esso addossate , ec. Opusco-
cardinale, da lui stimato, che all'og- Io veridico ed esatto in quanto alle
getto spedì al Papa, il quale non cose narrate, importante e giovevo-
potè convenirvi. Allora Bonaparle le alla storia di que' tempi. Dopo il
fece marciare i suoi eserciti verso trattato di pace il cardinale rilor-
Roma, per cui vedendo Pio VI nò in Ferrara, mentre il resto dei-
che poco mancava a perdere tutto, lo stato pontifìcio e Roma nel 1798
convenne alla pace di Tolentino o- furono interamente occupati dai
"ve spedì plenipotenziàri per nego- francesi , ed il cardinale privato
ziarla, fra' quali il cardinale siccome dei suoi beni. Deportato Pio VI
bene accetto al generale. Tale trat- in Francia, morì glorioso nell' a-
lato fu sottoscritto a* 19 fcliijraio gosto 1799 Adunatosi il conclave
Ì797, con quelle condizioni dure iu Venezia vi si recò il cardinale, e
MAT
al dire del Baldassani, se avesse
avulo luogo in Roma, Giuseppe
Bonapaite doveva facilitarne l'e-
lezione. Favoreggialo il cardinale
dal cardinale Antonelli sotto - de-
cano del sacro collegio, ogni giorno
ebbe tredici voti, mentre il cardinal
Bellisonii ne avea venlidue, come
del partito del cardinal Braschi.
Diviso il conclave tra questi due
porporati, si pose in campo a dan-
no del cardinal Mattei il narra-
to aneddoto di Cacault, per farlo
comparire debole, e l'appartenere a
principesca famiglia romana^ onde
facilmente il nepotismo sarebbesi po-
sto sul trono. Vuoisi che il cardi-
nale Hertzan che avea le istruzioni
dell' imperatore, promovesse anch'e-
gli l'esaltazione diti cardinal Mattei.
Benché i voti di Bellisomi diminuis-
sero, niuno ne guadagnò il nostro
cardinale, sebbene vi fu chi ram-
mentò al sacro collegio la risposta
eh' egli diede a Bonaparte, quando
minacciò di farlo moschettare, cioè
che bastava che gli concedesse un
quarto d'ora per prepararsi a mo-
rire. Ma Dio che avea stabilito il
cardinal Chiaramonti, questo fu e-
letto col nome di Pio VII, il qua-
le imitò il predecessore nell' amore
e neir estimazione del cardinale. Pri-
mieramente a' 2 aprile 1800 lo fe-
ce amministratore della sua chiesa
di Ferrara, e vescovo suburbicario
di Palestrina, per cui si portò a ri-
siedere in Roma. Nel i8o4 tenne a
Palestrina un sinodo di cui gli atti
furono stampati ; rinnovò gli anti-
chi statuti della diocesi e ne fece
di nuovi. Tale raccolta forma un
volume che nel medesimo anno fu
stampato in Roma. A' 24 agosto
1807 cessò nell'amministrazione di
Ferrara, cui fu dato per arcivesco-
vo Paolo Patrizio Fava Ghislicn.
MaT 3o3
Indi nel 1809 il cardinale passò al
vescovato di Porto e s. R.uffina, e
divenne sotto decano del sacro col-
legio. Divenuto Bonaparte impera-
tore de' francesi, tornò ad invadere
lo stato pontificio, e nel luglio di
detto anno Pio VII e i cardinali
furono portati via prigionieri. Tra
quelli che furono condotti in Pari-
gi, vi fu il nostro porporato; ma
neppur qui fu lasciato tranquillo,
poiché Bonaparte lo privò de' suoi
benefìzi e rendite, e lo mandò in
esilio a Rhelel o Rethel, città del
dipartimento delle Ardenne nella
Sciampagna, perchè non intervenne
alla celebrazione del suo matrimo-
nio. Quei che lo conobbero in
Francia, poterono apprezzare la sua
dolcezza, la sua pietà, e le al-
tre sue belle virtìi. Era continua-
mente applicalo agli esercizi della
religione, ed il frutto della sua ri-
tiratezza fu un libro di divozione
intitolato: Meditazioni delle verità
eterne per fare gli esercizi spi ri tua-
liy secondo il metodo di s. Ignazio,
distribuito in otto giorni, che fece
poi stampare in Roma nel i8i4>
senza porvi il suo nome. Final-
uicute la persecuzione cessò, Napo-
leone Bonaparte fu detronizzato, ed
il Papa col sacro collegio potero-
no ritornare in Roma. All' artico-
lo Ingressi in Roma, nel raccontare
quello trionfale di Pio VII, dicem-
mo eh' era seco lui in carrozza il
cardinale, divenuto decano del sa-
cro collegio ; quindi a' 26 settembre
fa traslatato al vcicovato d' Ostia
e Velletri, ove tenne un sinodo ;
in conseguenza divenne prefetto
della congregazione cerimoniale , e
della rev. fabbrica di s. Pietro quan-
do fu fatto arciprete di quella basi-
lica. Inoltre Pio VII lo fece sUo
pro-datario e gli conferì diverse
3o4 MAX
protettone^ fra le quali quelle del-
l'ordine gerosolimitano, dell'ordine
de' cappuccini, delle città di Maglia-
no, Paleslrina, Terracina, Veroli, di
alcune lene, confraternite, monaste-
ri e pie istituzioni. Oltre delle due
ricordate congregazioni cardinalizie,
fu membro di altre otto delle prin-
cipali, venendo naturalmente consul-
tato in lutti i grandi affari che si
trattarono per la Chiesa universale
e per lo slato pontificio, dopo le
accennate clamorose vicende. L'im-
peratore Francesco I, prima di par-
tire dal soggiorno che fece in Ro-
ma, come decano de' cardinali, gli
conferì la gran croce di s. Stefa-
no, che pure die al senatore di
Roma principe Altieri. Mentre as-
sisteva ai divini offìzi nella basi-
lica vaticana, fu collo da malattia
che dopo sei giorni lo rapì a' vi-
venti verso le ore i8 de'20 aprile
1820, nell'età di 'j^ anni. IS'ella
chiesa di s. Marcello furono cele-
brati i solenni funerali, ove alla
presenza del sacro collegio celebrò
Ja messa il cardinale Emmanuele
de Gregorio. Dalla della chiesa
vennero trasportate privatamente le
sue spogUe mortali all'altra di s.
Maria in Araceli, ove furono tu-
mulate secondo la sua disposizione,
nel sepolcro della cappella gen-
tilizia, eoa onorevole iscrizione che
ricorda i pregi del defunto. JVel
numero 33 del Diario di Ro-
ina 1820, è riportato del cardi-
nale il seguente elogio. « Funesto
a Roma fu il giorno in cui morì il
porporato. Questo insigne personag-
gio, la cui memoria sarà in eterna
benedizione, per le tante virtù del-
le quali in se medesimo fece vedere
il complesso, fu compianto da tutti.
I popoli ai quaU egli ha presieduto
in qualità di metropolitano e di
IVIAT
vescovo, hanno in lui sempre am-
mirato un pastore santo pieno di
zelo per la loro santificazione, e un
amoroso padre ardente di caritù. I
più segnalati tratti di liberalità ver-
so i poveri sono stati continui e
abituali per lui. Al più fervido re-
ligioso spirilo ha egli congiunto il
più attivo trasporto pel sacro cullo
esteriore, e non solo è stato sem-
pre esattissimo alla celebrazione del-
le sacre cerimonie, le quali per le
complicale sue rappresentanze gli
competevano, ma a questo splendi-
do esercizio ha unito ancora fino
agli ultimi giorni di sua vita logo-
ra dalle fatiche e da personali in-
disposizioni, quelli delia visita degli
infermi, d»^!!' amministrazione dei
sagramenti, dell' assistenza a divole
pratiche, quale è quella della Via
Crucis nel Colosseo (del cui sodali-
zio era direttore perpetuo), della
recita del divino uffizio co'religiosi,
specialmente nel coro di Araceli ;
e anche dello spargimento della di-
vina parola nelle congregazioni lai-
cali, le quali lui vantavano per pro-
tettore. Noi tralasciamo l' illibata
amministrazione delle grandi e im-
portantissime cariche ad esso affida-
le, come soggetti da non potersi
esaurire con pochi tratti di penna.
Ha cessalo pertanto di esistere, co-
me un esemplare dell'invitta costan-
za necessaria in angustia di tempi
per quelli che in avvenire saranno
adornati della sacra porpora ; così
un degno sacerdote e prelato, il
quale percorso avendo con massima
lode tulli i gradi che gli fecero
scala al luminosissimo in cui si è
trovalo morendo, è da desiderarsi
che sia imitato da qualunque a-
scritto all'ecclesiastica gerarchia. >»
MATTEI Lorenzo, Cardinale. Lo-
renzo ducaMattei, fratello del pre-
MAX
cedente, e come (jueiio nipote del
cardinal Luigi, nacque in Koma ai
29 maggio 174^- Avendo fatto lo-
devolmente gli studi, e dichiarando
di abbracciare lo stato ecclesiastico.
Clemente XIV nel 1771 Io fece
canonico dell' arcibasilica Jaleranen-
se, e lo fu pel corso di 62 anni.
Tanto affetto pose a quella prima
chiesa dell* orbe cattolico, ' che anco
dopo il quarantennio prosegui a ser -
\irla assiduamente, talché nella giu-
sta compiacenza di vedersi poi fre-
giato della romana porpora, fu glan-
de oltremodo la sua amarezza per
doversi distaccare dall' amata sua
chiesa. Nominalo prete assistente
alla cappella pontificia, divenne pre-
lato. Nella gioventù^ come nell' e-
strema sempre florida vecchiezza,
formò sue delizie delle sacre fun-
zioni, nelle quali spiegò nuovo ar-
dore, quando nel concistoro dei 27
settembre 1822;, Pio VII lo pre-
conizzò patriarca d' Antiochia in
partibits. Vedendosi nominato da
Leone XII all'arcivescovato di Fer-
i*ara, egli ebbe la modestia di ri-
cusarlo, dichiarandosi non più ca-
pace a sostenere tanta mole. Se
egli non funse molte cariche, e-
sercilò bensìi con zelo indefesso quel-
le di cui fu rivestito, tra le quali
fu r ultima la segreteria della sacra
visita generale e straordinaria, aper-
ta da Leone XII per tutte le chiese
e luoghi pii di Roma. In premio
de' suoi meriti, il Pontefice Grego-
rio XVI nel concistoro de' i5 apri-
le i833 lo creò cardinale dell'or-
dine de' preti, e mentre avea sta-
bilito conferirgli il titolo cardina-
lizio in quello de' 29 luglio, la sera
de' 24 di dello mese, poco prima
della mezzanotte , nell* anno ot-
tantesimosesto di sua età, munito
di lutti gli augusti e soavi con-
VOL. XLIIl.
MAX 3o5
forti della Chiesa, spirò nel bacio
del Signore. Per ftide e per costu-
mi csemplarissimo in tutte le epo-
che del viver suo, passò quasi sen-
za avvedersene a quel soggiorno,
ove se ne ottiene immenso pien»io.
Le sue spoglie morlali dopo essere
siale esposte nel suo palazzo, furo-
no trasportale col solilo funebre ap-
paralo nella chiesa di s. Maria di
Araceli, ove pontificò la messa di
requie il cardinal Benedetto Cap-
j)elletti ; e nel giorno seguente fu
sepolto nella cappella gentilizia, ove
si legge di lui una onorevole me-
moria. Tra le sue disposizioni te-
slamenlarie, vi fu quella del dono
d' un quadro dipinto a olio di stu-
j)enda mano fiamminga pel Papa
Gregorio XVI, rappresentante Gesti
Cristo che discaccia i profanatori
del tempio. Siccome nel numero 60
del Diario di Roma, in un articolo
necrologico erasi dello, che con lui si
estingueva una delle antiche e illustri
prosapie romane, che in lunga se-
lie eh generazioni spiccò sempre per
inconcussa probità ispiiala da pro-
fondi sentimenti di religione, cos'i
nel numero 62 fu pubblicata que-
sta protesta. « Allorché fu annun-
ciala la morte della eh. mem. del
cardinale Lorenzo Ma Ilei, si asserì
estinta la famiglia Malici. Viene
ora a porsi in dubbio quesl' asser-
tiva, attesa 1' esistenza di alcuni do-
cumenti dai quali risulterebbe, che
nel vivente signor conte d. Andrea
Malici di Corsica canonico della pa-
triarcale basilica lateranense ( prete
assistente della cappella pontificia)
continua la discendenza mascolina
della sullodala nobilissima romana
famiglia". Avendo noi preso cogni-
zione della discendenza mascolina
della famiglia Malici, non pare che
i Mattei di Corsica abbiano che
20
3oG MAT
fare coi Mattei di Roma. Esamina^
tu quindi r albero genealogico dulia
iuiiiiglia romana e le memorie rlie
ne parlano, non si rinvenne che lo
stipite da cui i Matlei di Corsica
asseriscono discendere, possa aver
ducumenlala relazione tanto con la
ascendenza, che colla discendenza
mascolina. Quindi tulle le pretese
dei secondi sul fìdeconimisso Multei
terminarono colla riportata dichia-
razione, cui uiuno diede risposta.
Col decesso dunque del cardinal Lo-
renzo venne ad estinguersi una delle
più antiche e nobili famiglie ro-
mane, che oltre a secoli avea sem-
pre dato alla Chiesa ed allo stato
uomini insigni in pietà, in dottrina
ed in armi. In tal guisa aprissi la
successione al fidecomnjisso primo-
genitale Mattei, istituito fino dai
iGoo dal cardinal Girolamo. E sic-
come a godeie di questa istituzione
iu mancanza delle linee mascoline
formale dai discendenti Mattei, ve-
uivano chiamati col prescritto or-
dine di successione i maschi delle
femmine Mattei, così messo da parte
ogni ullerior litigio forense, si di-
visero questi di pieno accordo per
alto di liansazioue tutti i beni fì-
decommissari col vincolo sempre di
primogenitura^ coll'obbligo di unire
il cognome e lo stemma Matlei, e
colla reveisabililà della quota di-
visa a quella della famiglia che ri-
manesse air altra superstite per li-
nea mascolina. Questa transazione
con altri articoli risguardanti anche
i titoli e le onorificenze dell' estinta
famiglia, si degnò pienamente am-
mettere ed approvare il Papa Gre-
gorio XVI con suo sovrano chiro-
grafo de' 3o maggio 1839. Della
Villa Malici, e del palazzo Mattei
in Roma parleremo agli articoli
Ville c Palazzi di Roma. Wcl voi.
MAT
XV, p. 3o8 del Dizionario di-
cemmo dell' antico piiviicgio delln
famiglia Multei, di cuslodu-e i ponlt
in tempo ili conclave.
MATTEO (s.), apostolo ed evan-
gelista. PorUiva il nome di Levi
prima della sua conversione, e sem-
bra che prendesse quello di s.
Matteo (che in ebraico signi fif.i
uno eh' h donato , corr»e si direbbe
in Ialino Donalus) dopo che si era
unito a Gesù Crislo. S. Marco lo
dice figlio di Alfeo ; ma a torlo
conchiuderebbesi da ciò esser lui
fratello di s. (iiucumo il Minore.
Pare che fosse galileo di nascila, ed
esercitava la professione di pubbli-
cano, ossia ricevitore delle gabelle.
Gesù Cristo uscito da Gafartiao,
dopo avervi guarito un paralitico,
ammaestrava il popolo che segni-
vaio in folla sulle rive di Genesa-
relh. Vide Matteo eh' era seduto
al suo banco , lo chiamò, ed egli
si pose a seguirlo, abbandonaiìdo
il lucroso suo uffizio. E da creder-
si eh' egli fosse di già preparala
alle impressioni della grazia che lo
chiamava all'apostolato, colla co-
noscenza della persona e della dot-
trina del Salvatore, abitando egli
vicino a Cafarnao, ove Gesù Cri-
sto avea dimorato per qualche tem-
po, e predicalo , e fatto miraceli
non pochi. Dopo la sua conveisione
convitò ili propria casa il Salvato-
re e suoi discepoli ; invitò pure i
suoi amici, massime quelli che eser-
citavano la professione alia quale
egli avea rinunziato, sperando ch«
i colloqui di villi del Salvatore frut-
tassero ad essi !a stessa grazia ch«
ebbe egli. La vocazione di s. Mat-
teo si pone al secondo anno della
predicazione di Gesù Cristo. Di Ik
a poco avendo il Salvatore forma-
to il collegio apostolico, aggrega
MaT
Matteo alla società di quelli ette
voleva fossero i primi fondatori
della sua Chiesa, INella lista degli
apostoli data dagli altri evangelisti,
il stio nome sì trova avanti a quel-
lo di s. Tommaso ; ma egli pone
questo apostolo prima di sé, ed
aggiunge al proprio nome cjuello di
pubblicano. Sappiamo da Eusebio
e da s. Epifanio, che dopo l'Ascen-
sione di Gesù Cristo , s, Matteo
predicò nella Giudea e nelle con-
trade circonvicine, ne se ne discostò
prima della dispersione degli apo-
stoli ; e poco dopo questa disper-
sione egli scrisse il suo evangelio,
pregatone dai giudei convertiti. S.
Epifanio dice, che lo scrisse per co-
mando degli altri apostoli. È certo
che il vangelo di s. Matteo è il
pi imo di tutti; che s. Bartolomeo
lo portò seco nelle Indie, e ve lo
lasciò. S. Matteo entra in una
narrazione più minuta e circostanzia-
ta delle azioni del Salvatore, che
non gli altri evangelisti. Dal quin-
to al quattordicesimo capitolo dif-
ferisce da loro nella maniera di
ordinare i fatti: trascura l'ordine dei
tempi per meglio riunire le istruzio-
ni del divino maestro, e mostrare più
perfettamente il legame che hanno
tra esse. Insiste principalmente sui
precetti morali, e dà la genealogia
di Gesù Cristo, per far vedere il
compimento delle proD)esse, secondo
le quali il Messia doveva uscire
dalla schiatta di Abramo e di Da-
vidde : per la qual cosa propone-
"vasi particolarmente d' indurre i
giudei a credere in esso. L'evan-
gelio di s. Matteo, giusta le testi
monianze degli antichi padri, fu
originariamente scritto in ebreo mo-
derno o in si ro caldeo, ch'era la
lingua che parlavano gli ebrei do-
po la cattività, checché ne dicano
MAT 3o7
in contrario Erasmo , Calvino ed
altri. Secondo s. Girolamo e s.
Agostino, la versione greca fu fat-
ta al tempo degli apostoli, e forse
da alcuno di loro. 11 santo evange-
lista, dopo aver convertito un gian
numero di anime nella Giudea ,
andò a predicare la fede a' popoli
barbari dell'oriente. Clemente Ales-
sandrino riferisce ch'egli era molto
dato all' esercizio della contempla-
zione ; che menava vita austerissi-
ma ; che non mangiava altro che
erbe, radici e frutta selvatiche. S.
Ambrogio dice che Dio gli aprì il
paese de' persiani. Secondo Kufìno
e Socrate egli portò il vangelo in
Etiopia : sotto il nome della quale
non deesi intendere le contrade
orientali e meridionali dell'Asia, co-
me Tillemont e Baillet hanno cre-
duto; ma la parte dell'Etiopia che
confina coH'Egitlo, non già Axu-
Oìa nell'Abissiuia, ove s. Frumenzio
gettò i primi semi della fede. Se-
condo l'opinione comune morì a
Ludi, nel paese di Sennar che fa-
ceva parte dell* antica JNubia. For-
tunato dice che soffrì il martirio a
Naddaver in Etiopia , e Doroteo
racconta che fu seppellito a Jerapo-
li paese dei parti. Le sue reliquie
furono poscia portate nell'occidente;
e da una lettera del Papa Gregorio
VII del 1080 al vescovo di Salerno,
rilevasi che erano in una chiesa di
questa città, dedicata in onore del
santo evangelista. Raffigurandosi gli
evangelisti nei quattro misteriosi ani-
mali descritti da Ezechiello e nel-
l'Apocalisse, s. Matteo, secondo 8.
Agostino, è rappresentato dal leo-
ne, perchè egli spiega hi dignità
reale di Gesù Cristo; ma altri
danno questo simbolo a s Marco,
perchè comincia dalla missione di
s, Giovanni, e dalla sua voce, che
3o8 MAX
grida nel deserto : in tal caso Vani'
male che avea la figura quasi di
uomo dovrà appropriarsi a san
Matteo, che comincia il suo van-
gelo dalla generazione tempora-
le del Salvatore; dandosi il simbo-
lo dell* aquila a s. Giovanni, e
quello del vitello a s. Luca. La
festa dell' evangelista s. Matteo si
celebra il giorno 1 1 di settembre.
Della chiesa di s. Matteo ora esi-
stente in Roma, si parlò nel voi.
XIV, p. 208 del Z)/zio/7flr;zo. Dell'an
lica Chiesa di s. Matteo in Merulana
(Fèdi), ne tenemmo proposito an-
che nel voi. XXXVI, p. 96, di
scorrendo del collegio che vi aven-
no gli agostiniani irlandesi, cui Pio
VII die in compenso , prima la
chiesa e monastero di s. Eusebio
àie Celestini (Fedi), quindi il palaz-
zo e chiesa di s. Maria in Postern-
la de' medesimi. Nella chiesa in
Merulana eranvi i Crociferi (^Fedi)
quando Sisto IV nel i^jS l'unì
alla sagrestia delia chiesa di s. A-
gostino, con obbligo a questa di
mantenervi il culto divino. Nel
i656 Alessandro VII die la chiesa
di s. Matteo agli agostiniani irlan-
desij i quali poi la linunziarono, on-
de il Papa nel 1661 la concesse
agli agostiniani di Perugia in com-
penso del convento di s. Maria No-
vella che essi aveano ceduto alle
monache benedettine. Nel lySg
Clemente XII restituì la chiesa in
Merulana agli agostiniani iilande-
si, ad istanza del re Giacomo HI.
Distrutta nella repubblica francese,
per quante ricerche ho fatte dei
suoi monumenti, ecco ciò che po-
tei sapere. Alcune piccole statue di
marmo furono trasportate alia ba-
silica Lateranense nel chiostro, in-
di in chiesa. Allorché monsignor
Nicolai (u« parla nell' opera sulla
M \ T
Presidenza delle strade t. II, p.
1 52) imbrecciò la via Merulana,
l'area della chiesa e convento l'ac-
quistò la principessa d. Teresa Cae-
tani, la quale negli scavi che vi fece
solo trovò avanzi di ruderi antichi,
sepolture ed ossami.
MATTEO (b.), vescovo di Gir-
genti. Prima della sua promozione
all' episcopato portava il nome di
Matteo di Cimarra. Compagno di
s. Bernardino da Siena , e come
lui religioso francescano, ne imita-
va lo zelo e ne di videa la fatica.
La sua divozione ai santi nomi di
Gesù e di Maria era singolare. A-
vendo fondato in Sicilia parecchi
conventi del suo ordine, si trovava
in quello di Girgenti, quando mor-
to il vescovo di questa città, fu e-
letto a succedergli . Geloso osser-
vatore della disciplina ecclesiastica,
trovò degli oppositori che lo denun-
ziarono al Papa Eugenio IV, il
quale però riconobbe la falsità del-
l'accusa ; ma il servo di Dio prese
da ciò occasione per isgravarsi di
un peso che portava a malincuore.
Rinunziò dunque il vescovato di
Girgenti, rientrò nel chiostro, e
continuò a faticare da semplice re-
ligioso per la salute delle anime
e per la propria santificazione, in-
fìno alla l3eata sua morte, che fu
il 7 febbraio i45ir. La sua festa
è segnata il 2 1 dello stesso mese.
MATTEO Carrara (b.), da
Mantova, domenicano. Uomo chia-
ro per la santità della vita, e per
lo zelo di convertir anime a Dio.
Circa il 1463 si recò a predicare
nella chiesa di s. Giacomo de'pa-
dri predicatori di Soncino, antico
ed illustre castello del territorio
cremonese, ed introdusse fra quei
padri la riforma della congregazione
di Lombardia. Tenerissimo della
M A T
pnssione di Gesù disio, infiammò
dello stesso affetto la giovanetta
Stefana Quinzani (Fedi), che ne
udiva le prediche, e che da lui
guidata alla perfezione, meritò po-
scia i'onor degli aitati col titolo di
l)eata. Il beato Matteo mori a
Vigevano nel i47'> ^d è venerato
dall'ordine domenicano a'7 d'otlo-
hve. Il p. Leandro Alberti ne scris-
se la vita.
MATTEO, Cardinale. Matteo
pisano fu creato cardinale di s. A-
driano nel ii23 da Calisto II, e
morr probabilmente nel pontificato
di Onorio II, alla cui elezione erasi
trovato presente.
MATTEO, Cardinale (b.). Matteo
nacque di nobilissima ed opulenta
famiglia di Reims, e divenne cano-
nico di quella metropolitana in gio-
\anile età. In questa rinunziando
il mondo, si ritirò fra' cluniacensi,
e ne professò la regola nel mona-
stero di 8. Martino dei Campi di
Parigi, di cui poi fu eletto abba-
te. Onorio lì avendone conosciuto
il merito, lo prescelse a compagno
di sue apostoliche fatiche, e nelle
tempora del dicembre 1 ii5 lo creò
cardinale vescovo di Albano. In
questa dignità conservò l'umiltà re-
ligiosa, vestendo principalmente in
privalo r abito del suo ordine, e
conservando anche ne' più ardui e
clamorosi affari viva la aiemoria del-
la divina presenza. Mantenne stret-
ta corrispondenza con s. Bernardo,
col quale si affaticò pel bene della
Chiesa. Quale legato apostolico delle
Gallie presiedè in nome della san-
ta Sede ai concilii di Parigi e di Ca-
talogna, non che a quello di Troyes,
nel quale fu data la regola e l'a-
bito a* cavalieri templari, come ri-
portano i pp. Mabillon e Labbé.
Indi si portò a Kouen per abboc-
MAT 3o9
carsi col re d'Inghilterra sugli af-
fari delle Provincie di Normandia,
e rilevata la necessità di sradi»
care alcuni gravi abusi che vi si
erano introdotti, convocò un sinodo
in detta città, coli' intervento dei
vescovi ed abbati della provincia.
Altro sinodo celebrò in Chalons,
alla presenza di s. Bernardo. Tor-
nato in Italia mentre 1* antipapa
Anacleto II sosteneva lo scisma, ri-
partì per la Francia col legittimo
Innocenzo 11, alla cui elezione avea
contribuito, onde sottrarlo alle vio-
lenze del potente suo avversario.
Si adoperò poscia in modo che,
tranne una piccola porzione della
provincia d' Aquitania, tutta la
Francia, la Spagna , V Inghilterra
e la Germania riconobbero Inno-
cenzo II, prestandogli obbedienza e
sommissione. Lo stesso fece in Ita-
lia al suo ritorno, per il qual fine
in compagnia di s. Bernardo e del
cardinal Guido da Pisa, intraprese
la legazione di Milano e ritirò dal-
lo scisma i cittadini di quella città,
in un ai genovesi ed altri popoli
confinanti. Inviato dal Papa a Mon-
tecassino, depose l' abbate Nicolò,
indegno del grado, ed in suo luo-
go fece eleggere Signoretto prevo-
sto del monastero di Capua, con
che restituì il buon ordine a sì ce-
lebre cenobio. Per ispeciale commis-
sione pontifìcia pronunziò senten-
za di anatema contro Ponzio abba-
te di Clugny e cardinale. Restò
sempre fedele ad Innocenzo II, e
con pericolo di vita lo seguì co-
stantemente ne' suoi viaggi. Consu-
mato da tante fatiche, postosi sopra
il cilizio e la cenere, fece con gran
fervore la professione di fede, rice-
vè i sagramenti, ed avvisato con su-
perno lume dell'ora di sua morte,
cessò santamente di vivere in Pi-
3 r 0 M A T
sa,a*2 5 dicembre ii34 al dire del
Riccy, o II 35 secondo il Ciac-
conio, o meglio nel ii36. Il suo
cadavere fu tumulato nella chiesa
di s. Frediano in magnifico avello,
ove Dio a sua intercessione operò
strepitosi prodigi, onde il suo no-
me venne registrato nel martirolo-
gio benedettino e gallicano. I fatti
piìi memorabili di questo cardina-
le, e le preclare ed eccellenti sue
virtù furono descritte da s. Bernardo
in alciMie sue lettere a Pietro il
Venerabile, che ne compose la vita.
Pubblicò questo cardinale parecchie
opere per lo più ascetiche. Nel
giorno seguente alia sua morte In-
nocenzo li celebrò la messa solen-
ne di requiem in suluagio della
di lui anima. Il Baronio lo tlice
uomo di grande ed ammirabile
santità; s. Bernardo e Pietro il Ve-
nerabile lo chiamano santissimo uo-
mo, angelo di costumi, illustre per
santità e per virtù , polente non
meno nelle opere che nelle parole.
MATTEO, Cardinale, Matteo fu
creato cardinale prete di s. Pietro
in Vincoli, nelle tempora di dicem-
bre II 25 da Onorio li, dopo la
morte del quale, abbandonato In-
nocenzo li, sigillò Q,\ partito dell'an-
tipapa Anacleto li, che fattolo can-
celliere lo annoverò tra i cardina-
li deputali per condursi a Saler-
no, ad oggetto di autenticare l.i
legitti^mità deli' invalida sua elezio-
ne. Mori nella sua ostinazione, sen^
ipa sapersene V anno.
MATTEO, Cardinale. Matteo fu
jcreato cardinale pvele da Eugenio
III nel ii5o, e fatto arciprete
della patriarcale basilica di s. Ma?
ria Maggiore nel i i53, per cui air
r articolo Chiesa di s. Maria Mag-
giore Io registrammo pel primo
arciprete, ed il secondo nel \ i66,
MAT
MATTEO, Cardinale. Matteo nac-
que in Angers, e da Alessandro III
nel dicembre 1178 fu creato prete
cardinale del titolo di s. Marcello,
Trovossi presente alla solenne asso-
luzione data da Lucio III nel 118:»
a Guglielmo re di Scozia, alla cui
elezione avea contribuito, e mor\
nel I i83 o 1 184.
MATTEO, Cardinale. Matteo da
canonico regolare della congrega-
zione di s. Frediano di Lucca, A-
lessandro IH nel dicembre 1178 lo
creò diacono cardinale di s. Maria
Nuova, e mori nel pontiQcato di
Lucio III di cui era stato uno de-
gli elettori,
MATTEO, Cardinale. Matteo fu
da Innocenzo III nel dicembre 1-200
fatto cardinale diacono di s. Teo-
doro, e mori nel 1 206.
MATTEO, Cardinale. Matteo di
Polonia, nato in Cracovia secondo
Cardella, o in Crncow suo castello
nella Pomerania, come avverte il
LNovaes, il quale dichiara eh' è pu-
re il suo cognome; divenuto mae-r
Siro in teologia e rettore dell'uni-
versità di Praga, scrisse un tratta-
to teologico sulla carità, oltre pa-
recchi commentari sopra diversi li-
bri della divina Scrittura, come sul-
la cantica, snlT ecclesiaste, sull' e^
vangelo di s. Matteo, e sull'episto-
la ai romani, registrali dal Torri -
gio. De script, cardinalibiis. L' im-
peratore Roberto lo nominò suo
ambasciatore e cancelliere dell'im-
pero, e nel i4o5 vescovo di Wor*
mazia, chièsa che governò con som^
ma prudenza e pari vantaggio del-
le anime alla su^ cura commesse.
Gregorio XII a' 19 settembre i4'^8
in Siena lo creò cardinale prete <li
8. Ciriaco, e morì in Worms o
Wormazia nel i4'cf> venendo se-r
pollo onorevolfflente nel coro dell?^
MAX
raUedrale. Ne scrisse la vita Cri-
stiano Schoetgenio in lingua tede-
sca, nella sua Pomeriana antica e
vìodt-rna^ par. V, p. 632.
MATTIA (s.), apostolo. Si unì di
l>non* ora al Salvatore, che non la-
sciò mai dal battesimo sino alla di^
lui gloriosa ascensione, e si ritiene
die sia slato uno dei setlanfadue
suoi discepoli. Fu eletto ad occu-
pare il posto del traditore Giuda ;
ma nulla si sa di certo sulle par-
ticolarità delle sue azioni. Si sa
soltanto in generale che dopo ri-
cevuto lo Spirito Santo il dì della
I^entecoste, andò a predicare il van-
gelo di Gesù Cristo, e che consa-
crò il rimanente della sua vita alle
fatiche dell'apostolato. S. Clemente
d'Alessandria riferisce di lui, che
nelle sue istruzioni insisteva massi-
mamente sulla necessità di mortifi-
cale la carne, reprimendo i desi-
deri! della sensualità. I greci pre-
tendono, giusta un* antica tradizio-
ne espressa ne' loro menologi, che
s. IMattia abbia predicato la fede
verso la Cappadocia e le coste del
mar Caspio, aggiungendo che fu
martirizzato nella Colchide, cui dan-
no il nome di Etiopia. I latini ce-
lebrano la sua festa il dj 24 feb-
braio. Una parte di sue reliquie è
custodita neir abbazia di s. Mattia
di Treveri, ed in s. Maria Maggio-
re di Roma : dicono i Bollandisti,
che le reliquie di» s. Maria INIag-
f;iore che si credono dell' a postulo
». Mattia, sieno d'un altro s. Mat-
tia, il quale fu vescovo di Geru-
salemme verso l'anno 120. P'edi
Chiesa di s. Maria Maggiore.
MATTIASA (b.), detta Nazarei
dal nome di suo padre. Fu una
«anta vergine dell' ordine delle eia-
risse, cui Dio trasse a sé colle gra-
fie più abbondanti. Morì nel i5i3
MAX 3 T T
badessa del monastero di s. Mad-
dalena a Camerino nello stato ro-
mano,, dov* era entrala in religione.
F onorata il primo marzo nell'or-
dine di s. Francesco.
MATTUTINO, Malutìnum. Una
delle sette Ore canoniche, prima
parte dell' U/fìzh divino di ciascun
giorno, che si dice alla mattina di
buonissima ora, talvolta a mezza
notte, e talvolta anche alla vigilia,
11 Macri, Not. de\>ocah. eccl., dice
che la voce mattutino deriva da
Matiita che significa l'aurora, e che
viene chiamato anche Noctnrnunif
perchè un tempo si recitava di notte,
e perciò questa parte dell' uffizio
recitata in tal tempo si diceva
notturni ossia vigilie notturne. Ora
poi perchè questi notturni si uniscono
coWe Laudi [P^edi), così si chiamano
mattutini. Osserva il Rinaldi, che il
mattutino rappresenta le adunanze
prescritte dall'Apostolo ai corinti. Co-
minciò l'uso di recitare il mattutino
in Betlemme, come riferisce s. Isido-
ro, De eccl. off. 1. i, e. 2 3. Era ben
conveniente, che nel luogo della
nascita di Cristo cominciassero le
lodi nolturnali, dove gli angeli di
mezza notte furono uditi cantare le
celesti lodi al nato bambino. De-
vesi recitare colle laudi prima della
messa, conforme ordina la rubrica,
la quale il Barbosa, De polest. epi-
scop. par. 2, alleg. 24, "• i5, pen-
sa che non obblighi a peccato mor-
tale, adducendo in suo favore venti
autori, e per la parte contraria die-
cinove, tra' quali i ss. Antonino e
Raimondo, ed i Papi Innocenzo IV
e s. Pio V: il primo di essi scri-
vendo al cardinal Ottone legato in
Cipro, per accomodar le controver-
sie tra i vescovi latini e greci in-
torno all'osservanza de' riti, Ira le
istruzioni che gli diede evvi questa.
3ii MAX
Sacerdotes aittem dicant horas cn-
nonicas more suoj sed tnìssani ce-
lebrare, priusquani offìciuni molli'
timim compleverinty non praesiunant.
li Macri le chiama parole degne di
profonda e attenta considerazione,
pei sacerdoti che con facilità tras-
grediscono questo precetto, per il
quale almeno obbliga sotto pena di
peccato veniale; e di tal negligenza
dovranno renderne strettamente con-
to a Dio. Cenedo cita a favore di
questa opinione trenta gravi autori,
seguito dal vescovo Giordani nei
suoi trattati morali, il mattutino
colle laudi per una giusta causa si
può recitare nei vesperi del giorno
precedente; così s. Tommaso, e la
comune de'dottori; senza una qual-
che causa, fino ai vesperi dello stesso
giorno, troppo notabilmente varia
il tempo. Nel mattutino, ancorché
solennìssimo, mai si adopera pivia-
le, o altro paramento, purché non
vi sia una consuetudine in contra-
rio; solo al tempo della nona le-
zione, che si dice dall' ebdomadario,
esso coi due intuonatori pigliano il
piviale, e continuano le laudi colle
medesime solennità del vespero .
Caerem. episcop. lib. 2, cap. 6 67.
Ma quando officia il vescovo, dice
la nona lezione colla sua cappa or-
dinaria, tranne nella notte di Na-
tale, nella quale si mette il piviale
per dire l'orazione del mattutino.
Caerem. episcop. lib. 2, e. 1 4- Sic-
come nel mattutino del sabbaio, di-
cendosi r uffizio della Beata Vergi-
ne, si lascia il salmo Jubilale, nel
cui luogo si canta Boniim est, per
non replicare lo slesso salmo due
volte, così dovrà osservarsi occor-
rendo la vigilia di Natale in sabbaio
per l'istessa ragione. P'edi il Diclich,
Dizionario sa ero- liturgico, agli arti-
coli mattutino, Mattutino e Ina-
MAX
di solenni, e Mattutini delle tene-
bre.
Nella Cappella pontifìcia [Tedi)
cinque sono i mattutini che vi si
cantano al modo detto in quell' ar-
ticolo, cioè i tre mattutini delle te"
nebre, nel mercoledì, giovedì e ve*
nerdì santo, il mattutino de' morti,
e quello della notte di Natale. Il
Papa v' interviene col Manto o pi-
viale ponlilìcio, ed anticamente col-
la cappa e falda, secondo quanto
descrivemmo ancora ai voi. Vllf,
p. 83 e seg., e XXIIl, p. 9 del
Dizionario. Altri Pontefici si reca-
rono ad assistere al mattutino della
notte di Natale nella basilica di s.
Maria Maggiore, celebrando quindi
pontificalmente la messa nella detta
basilica, come nel 1846 fece il Pa-
pa che regna. Quando il Papa as-
sumeva la cappa ne* mattutini , gli
avvocati concistoriali portavano i'ar-
mellino coperto coi cappucci voltati,
tranne il mattutino de' morti, in cui
r armellino non ha luogo. Nei mat-
tutini i cardinali non rendono ob-
bedienza al Papa: in sua assenza
ne fa le veci, nei mattutini delle
tenebre il cardinal vescovo subur-
bicario più degno, in quello dei mor-
ti il cardinal penitenziere maggio-
re, ed in quello della notte di Na-
tale il cardinal camerlengo o quel
cardinale che per lui canta la messa.
Se il Papa assume la cappa magna,
si veste di falda, amitto, camice,
cingolo e stola. Sopra di tali abiti il
prefetto delle cerimonie coli' aiu-
to degli uditori di rota gli pone
la cappa. Spetta al detto prefetto
coprirlo e scoprirlo di cappuccio.
I due cardinali che lo hanno ve-
stito sino alla stola, non assistono
al trono, non vanno ai suoi lati
nell'accesso, ma lo sieguono, e iaì-
mediatampnle vanno ai loro staljj,
M A T
Andando in cappa il Papa, non Io
precede la croce pontifìcia. Termi-
nato il mattutino della notte di Na-
tale, se il Pontefice vi ha assistito
in cappa, questa depone per pren-
dere il manto o piviale col quale
assiste alla messa. Il Garampi nelle
sue Memorie, p. 3i5, ci dà la dis-
sert. X: Sopra la celebrazione not-
turna de Divini uffìzii [Vedi), e sua
decadenza nel XllI e seguenti se-
coli. Dice pertanto che alla mezza
notte nel XIII secolo assistevano
al mattutino i religiosi ed in ispe-
cie i canonici regolari di Città di
Castello, ed altrettanto osservavasi
in Urbino, Roma, Arezzo, Anagni,
Viterbo, Milano e Parigi. Quindi
tratta del rilassamento di questa
disciplina, essendosi tollerato di re-
citare il mattutino la sera antece-
dente, o la mattina di buon'ora, ri-
serbandosi al più la celebrazione
notturna per alcune solennità mag-
giori. Decaduto l'uso nel XIV e
XV secolo quanto al clero secolare,
il regolare per lungo tempo seguitò
r antico istituto. Avverte poi che
sebbene si recitasse la notte nelle
chiese il divino uffizio, tenevansi
però chiuse le porte, per evitare
qualsisia scandalo , che fosse po-
tuto nascere per l'ingresso promi-
scuo del popolo. Nel concilio Bu-
dense del 1279 si stabili che ai laici
non fosse permesso, in ecclesia vi-
gi'lias facere. Il simile pure si de-
cretò nel concilio di Palenza del
i57.i; nel primo di Milano da s.
Carlo Borromeo; ed avanti di essi,
cioè nel 1280, dal vescovo di Poi-
tiers Goliero.
MATURINO (s.), prete. Nato
nella diocesi di Sens, conobbe fino
dai più teneri anni la vanità degli
idoli, ed abbracciò il cristianesimo.
Appena ebbe aperto gli occhi alla
MAU 3i3
luce del vangelo, abbandonò quanto
possedeva nel mondo, per unirsi u-
nicamente a Gesù Cristo. Innalzato
al sacerdozio, converti un gran nu-
mero d'idolatri, tra i quali furono
suo padre e sua madre. Indi carico
di meriti e di buone opere, mori
poco prima dell' anno 388. Il suo
corpo fu portato a Sens, poi venne
trasferito nel villaggio di Larchant
presso Nemours, ove fu fabbricata
una chiesa in onore del santo. Ivi
si custodisce ancora una parte deU
le sue reliquie : il resto fu abbru-
ciato dagli ugonotti nel i568. La
sua festa si celebra il 9 novembre,
e gli abitanti della provincia del
Gatinese onorano s. Maturino come
loro apostolo e patrono.
MAURA (s. ), vergine. Nacque
a Troyes nella Sciampagna nel nono
secolo. Ottenne colle sue preghiere
il ravvedimento del proprio padre
che conduceva una vita poco cristiana,
e santificò co' suoi esempi il fratello
Eutropio con tutta la sua famiglia,
e Io indusse a distribuire agi' in-
felici la maggior parte de* suoi beni.
Ella divideva il suo tempo tra l'o-
razione e gli esercizi di carità; im-
piegava i suoi lavori a sollievo dei
poveri, o a decoro del culto divino ;
digiunava a pane ed acqua tulli i
mercoledì e venerdì. Fu favorita di
grazie straordinarie, cui la sua u-
railtà faceale nascondere con ogni
cautela; e morì santamente a'2 i set-
tembre deir85o, in età di ventitré
anni. Leggesi il suo nome nel mar-
tirologio gallicano. Le sue reliquie
furono dapprima deposte nella chie-
sa del villaggio che porta il suo
nome, mezza lega lunge da Troyes;
ma la maggior parte fu poi trasfe-
rita nella badia di s. Martino di
Troyes.
MAURICASTRO 0 MAURO CA-
3i4 MAU
STRUM. Sede vescovile dell'Asia, di
Siria neir Armenia, sotto la metro-
poli di Teodosiopoli, nella provin-
cia Osroenn, che al dire del Terzi,
Siria sacra p. 1 38, già esisteva nel
V secolo sulTraganea di detta me-
tropoli. Mauricastro, Maurìca^treiiy
ni presente è un titolo vescovile in
parli bus f sotto l'arcivescovato pure
m partibus ò'ì Teodosiopoli, che con-
ferisce la santa Sede. Il Papa Gre-
gorio XVI nel 1846 lo conferì a
monsignor Annetto Casolani di Mal-
la, che in pari tempo fece vicario
apostolico dell' Africa centrale, vi-
cariato da lui istituito.
MAURIENNE. K S. Giovanni di
Mori ANNA.
MAURILIO (s.), vescovo d' An-
gers. Nacque in Italia, e passò nelle
Gallie per vivervi sconosciuto agli
uoQiini. Si fermò nella Turrena, ove
avealo tratto la rinomanza di s.
Martino; e dopo la morte di quel
santo vescovo, di cui era stato per
qualche tempo discepolo, si ritirò
nell' Angiò. La sua virtù lo fece
presto conoscere e collocare sulla
sede di Angers, che occupò per
Irent'aniii. Mori in età molto avan-
zata verso l'anno 4^7* Egli è no-
minalo a' i3 settembre nel marti-
rologio romano e in quello di
Usuardo,
MAURITIANA. Parte considera-
bile dell* Africa settentrionale, che
si estendeva dalla Numidia sino alia
costa bagnata dall' Oceano, in pro-
gresso divisa, in Cesariense, Tingi-
tana e Silifense. La Mauritiana
sembra essere slata già compresa
sotto il nome di Libia ; ebbe i S(toi
re, i quali scossero il giogo de' car-
taginesi, e fecero ad essi aspra guer-
ra. Nella seconda guerra punica era
divisa fra due sovrani , la Tingi
tona era soggetta a Gala, e la Ce-
MAU
sariense a Sifa.ur, il primo allealo
de'cartaginesi, il secondo de' romani,
A Gala successe il celebre Massi -
nissa; a Siface, Rocco; indi i romani
si collegarono con Massinissa e si
inimicarono con Siface cui tolsero
la Numidia. Poscia i romani dichia-
rarono la guerra a Giugurta nipote
di Massinissa, e lo imprigionarono,
dando i suoi stati al genero Rocco,
e facendo governar la Numidia per
prefetti. Cesare vincitore in Africa,
ridusse la Mauritiana in provincia
romana, dividendo le terre de' mau-
ritani e de'numidi tra' suoi soldati.
Dopo diverse turbolenze e guerre,
Costantino accordò gran privilegi
alle chiese d' Africa. I progressi
delia religione cristiana furono così
rapidi, che al principio del V se-
colo vi si contavano moltissimi ve-
scovi. In seguito Genserico coi van-
•egione; sotto Gm-
dali invase la
stiniano I fu ricuperata, ma a tem-
po di Eraclio tutto il paese si sot-
tomise agli arabi o mori maomet-
tani, essendovi stato tenuto un con-
cilio nella Mauritiana contro i mo-
noteliti nel 646. Regia t. XIV;
Labbé t. V; Arduino t. IlL
Mauritiana Cesariense, fu così
chiamata dal soprannome di Cesare
dato a Claudio. Questa parte della
Mauritiana si estendeva dalla Tin-
gitana, da cui era divisa dal fiume
Malva air ovest, sino all' Ampsaga,
e rinchiusa la maggior parte della
Numidia dai massessilii. Avea Giu-
lia Cesarea per capitale, con ^i
città marittime, e 6 nella Numidia,
ji nelle terre, 29 popoli diversi, e
IO principali montagne. Compren-
de il regno di Algeri, ad eccezione
della provincia di Costantina. Fu
già fiorentissima provincia ecclesia-
stica , con 121 sedi vescovili, e
Giulia Cesarea per metropoli. Mau^
M A U
ritìana Sìtifense, lu cosi chiamala
dalla cillà di Silifi. Divisione della
Maui'itìana adiacente alla Numidia,
confinanfe al nord col Mcdilerra'
lieo j all'est con una linea dell'im-
boccatura dell'Ani psaga sino a Ma»
pciruiamim- Oppi cium , ed all'ovest
colla Mauriliana Cesariense. Aveva
42 o 4^ cillà vescovili, suffrnganea
della metropoli di Sìtifi^ fu floridis-
sima provincia ecclesiastica, e corri-
sponde ad una parte della provin-
cia di Bugia. Fedi Marocco, e
Morcelli, AJrica clirisliana^ non che
Terzi, Sina sacra^ p. 382.
MAURIZIO. Isola dell'Oceano
indiano equinoziale, detta pure di
Plancia, in Africa, assai montuosa,
una delle Mascaregne. È bagnata
da un gran numero di corsi d'acqua,
e da molli laghi, in clima sanissi-
n)0, ma soggetta a terribili uraga-
ni, e commercia de' suoi prodotti
col Madagascar. Gli abitanti in gran
parte discendono dalie antiche no-
bili famiglie di Francia. Fu scoper-
ta nel secolo XVI da d. Fedro Ma-
scharenhas capitano portoghese, che
le die il nome di Ilha do Cernoj
ma i portoghesi considerandola co-
me luogo di riposo, non vi forma-
rono stabilimenti. Nel 1598 l'am-
miraglio olandese Van-Nek avendo
trovala l'isola disabitata, ne prese
possesso e la chiamò Maurizio dal
nome del suo sovrano principe d'O-
range. Gli olandesi la conservarono
per lur)go tempo senza stabilirvisi,
finché nel j64o vi mandarono co-
lonie, ma pei pochi vantaggi che
ne ritraevano, l'abbandonarono nel
1712. Verso questo tempo i fran-
cesi stabiliti nell'isola di Borbone,
vi mandarono de* coloni, e la Fran-
cia nel 1721 se ne impadronì; indi
nel 1734 la colonia sotto il governo
di h^ ì^onrdonnaye cominciò a fare
MAU 3i5
importanti progressi. Divenne il cen-
tro della navigazione francese nelle
Indie orientali, e dopo l'annienta-
mento della potenza francese in
quelle regioni, fu il punto di riu-
nione di que' corsari che per lungo
tempo divennero il terrore del com-
mercio inglese in quelle spiaggie.
Nel 18 IO si arrese agl'inglesi, dopo
ostinatissima resistenza: alla pace
del 18 14 fu ad essi ceduta colle
sue dipendenze, particolarmente Ro-
driguez e le Scichelles. Il Papa Gre-
gorio XVI a mezzo della congre-
gazione di propaganda fide ^ nel
1840 v'istituì un vicariato aposto-
lico, dichiarandovi vicario l'odierno
monsignor Guglielmo Bernardo Col-
lier anglo-benedettino, che ai i4
febbraio fece vescovo in pardbus
di Milevo, il quale esercita anche
i'uflìzio di parroco; ed egli coi mis-
sionari riceve uno stipendio dall'In-
ghilterra. Porto Luigi capitale del-
l'isola, stabilita nel 1822, residenza
del vicario apostolico, ha dipenden-
ti le vicine piccole, ma popolate
isoIelle> ed ha 33,ooo abitanti. In
tutta l'isola si contano 26,000 libe-
ri, quasi lutti cattolici: degli schiavi
moltissimi hanno ricevuto il batte-
simo. La chiesa principale è solida
e ben fabbricata , ma piccola in
proporzione del numero de' cattoli-
ci. Vi sono nell'isola altre nove
chiese parrocchiali. In Porto Luigi
hanno aperto un tempio i prole-
stanti, ed uno stabilimento i meto-
disti ; questi eretici vi si sono in-
trodotti da pochi anni, prima pro-
fessandovisi la sola religione catto-
lica. L' isola ora commercia con
tulli i paesi d'oriente, e con Capo
di Buona Speranza, Mozambico, il
Mare rosso, le Indie e la Cina.
MAURIZIO (s.), martire. Coman-
dava la legione tebaqa, la quale
3i6 MAU
era composta di oltre diecimila uo-
mini tutti cristiani. Questa legione
fu del numero di quelle che Dio-
cleziano fece passare da oriente in
occidente per conìbattere i bagaudi,
«otto il comando di Massimiano
Krculeo che avea associalo all' im-
pero. Essendosi Massimiano accam-
pato ad Octodurum sul Rodano,
ordinò che tutta l'armata dovesse
fare un sagrifizio agi' iddìi per ot-
tenere buon successo alle armi del-
l' impero. La legione tebana si al-
lontanò per andare ad accamparsi
ad Agauno, tre leghe distante, e ri-
cusò di prender parte a quella sa-
crilega cerimonia. Volendo l'impe-
ratore costringerla a tornare al cam-
po generale per farvi l' obblazione
del sagrifizio, la fece decimare due
volte. Tuttavia i soldati della le-
gione eh' erano rimasti ancora in
▼ila, protestarono essere fermi di
tutto soffrire più presto che tradi-
re la loro fede; e Maurizio, Esu-
perio e Candido, loro primi uffi-
ciali, contribuirono non poco a rat-
tenerli in questi generosi sentimenti.
Massimiano, disperando di poter
smuovere la loro costanza, li fece
investire da tutta la sua armata e
trucidar tutti ; mentre essi, lungi
dal fare la minima resistenza, de-
posero le armi, e si lasciarono tran-
quillamente uccidere, confortandosi
gli uni gli altri alla morte. Un
soldato veterano per nome Vittore,
che non era dello stesso corpo, ri-
tiratosi senza voler prender parte
allo spoglio, fu interrogato se an-
ch' egli fosse cristiano, ed avendo
confessalo che lo era, fu trucidato.
<3rso e Vittore, ch'eransi allontana-
^i dalla legione, furono martirizzali
a Solodoro o Soleure, ove se ne
custodiscono le reliquie. Ottavio, Av-
ventizio e Solutore soffrirono a Tori-
MAU
no in quel medesimo tempo : essi
vennero celebrati nei sermoni di 8.
Massimo e nei poemi di Ennodio di
Pavia. Fortunato chiama questi san-
ti la beata legione. 1 Dollandisli met-
tono il martirio della legione tebana
nel 3o3, ed altri storici nel 286. I
corpi di s. Maurizio e de'suoi com-
pagni furono scoperti ad Agauno
molti anni dopo. Allorquando il re
Sigismondo fece riattare il mona-
stero di Agauno (oggidì s. Mauri-
zio) nel 5 1 5, i corpi de'sanli Mau-
rizio, Esuperio, Candido e Vittore,
furono deposti nella chiesa ivi fab-
bricata mercè la liberalità di que-
sto principe. E probabile che i fe-
deli avessero deposto a parte i cor-
pi dei principali uftìziali della le-
gione. Nel i4^9 fmono trovati nel
villaggio di Schoz, eh' è circa due
leghe lungi da Lucerna, duecento
corpi dei compagni di s, Maurizio.
Vi si era fabbricata gran tempo
addietro una cappella, conosciuta
pe'suoi privilegi e per grandi in-
dulgenze. Il p. Chardon gesuita
scrisse la storia dei miracoli opera-
ti per intercessione di s. Maurizio
e de' suoi compagni. Questi santi
martiri sono onorati in molte chie-
se di Francia, di Alemagna, d'Ita-
lia^ di Spagna e di Portogallo. Ce
lebrasi la loro festa il 22 settem-
bre. S. Maurizio è da molti secoli
il principili protettore della casa
reale di Savoia. 11 duca Carlo Em-
manuele quando acconsentì di cedere
a Francesco I re di Francia collega-
to cogli svizzeri e ginevrini, la so-
vranità di Agauno o s. Maurizio,
sthbilì che fossero trasportate a
Torino le reliquie dei martiri della
legione tebana, limitandosi poi alla
metà per le rimostranze degli abi-
tanti. Le reliquie vennero con gran
solennità portate a Torino, e de-
M A U
poste nella callediale in iii>*aic«i
uiagiiìfica d'argento ai i6 gennaio
i58i. Pei canonici ed abl)azia di s.
Maurizio, Fedi li voi. VII, p. t.S'J
del Dizionario^ e Svizzera.
MAURIZIO, Cardinale. Maurizio
'fu fatto cardinale vescovo di Porlo
da Urbano li del io88, quindi
Pasquale II nel i loo, alla cui con-
secrazione trovossi presente, lo di-
chiarò legalo a Intere per portarsi
in Gerusalemme, ad oggetto di sta-
bilire coir autorità della santa Se-
de in quelle provincie, occupate già
per tanti secoli dai barbali, tutto-
ciò che riguardava il buon ordine
e la disciplina ecclesiastica. In pro-
va della segnalata di lui santità,
narrano alcuni storici uno strepi-
toso miracolo operato da Dio a
sua intercessione nella basilica del
s. Sepolcro, dove facendo fervorosa
ed umile orazione, insieme col pa-
triarca Dagoberto o Diamberto, pel
prospero successo delle armi cri-
M A li 3 I 7
sliane, che si trovavano in procin-
to di venire alle mani cogl' infedeli;
a line di vieppiù innammare gli
spiriti e i cuori de' crocesignati a
combattere da valorosi, supplicò il
Signore a volersi degnare di man-
dare dal cielo una miracolosa fiam-
ma, per mezzo della quale si ac-
cendessero le lampade estinte in
quella chiesa, lo che con istupore
e meraviglia essendo succeduto a
vista d' immenso popolo spettatore,
si accrebbe il credito della santità
del legato, e la venerazione Terso
la Sede apostolica tra quei popoli
orientali. Però Alberto Aquense nel-
r opera, Gesla Dei, parlando del
cardinale non fa parola di questo
prodigio, e questo silenzio ha mol-
to peso. Nel ritorno dalla legazione
consagrò nel 1098 l'altare di s.
Ma mete martire nella chiesa di s.
Cecilia di Roma, e piamente morì
nel I io3.
FINE DEL VOLUME QUADRI GESIMOTERZO.
^ 0 0 U H 7
rijn
BX 841 .n67 1840
sncR
Moroni , Gaetano,
1802-1883.
Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica
AFK-9455 (awsk)