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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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e  37^4. 


DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  AI  NOSTRI  GIORNI 
SPECIALMENTE      INTORNO 

AI  PRINCIPATI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILII,  ALLE  FESTE  PIIJ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,.  ALLE  CAPPELLE  PAPALI,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CHE    ALLA    CORTE  E  CURIA  ROMANA    ED  ALLA  FAMIGLIA    PONTIFICIA,  EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MOROJNI  ROMANO 

SECONDO  AIUTANTE  DI  CAMERA 

DI   SUA  SANTITÀ  PIO  IX. 


VOL,  XLIII. 


■'"% 


IN     VENEZIA 

DALLA      l'IFOGRAFIA     EMILIANA 
MDCCCXL  V  li. 


DIZIONARIO 


DI  EIIUDIZIONE 


STO  lUCO-ECC  LE  SI  ASTICA 


n 


MAR 


m; 


ARIA  FRANCESCA  delle  cin- 
que PIAGHE  DI  Gesù'  CmsTo  (beata). 
Nacque  -a  25  marzo  i  7  1 5  in  Napoli, 
e  Francesco  Gallo  e  Barbara  Ba- 
sinsin  ne  furono  i  genitori,  di  me- 
diocre condizione  ambedue,  ma  di 
indole  e  di  costumi  diversi,  poiché 
quanto  era  il  primo  di  natura  dif- 
ficile ed  aspra,  tanto  era  l'altra 
mite  ed  amabile.  Iddio  che  con 
singolari  maraviglie  annunzia  talora 
una  vita  cui  i  miracoli  sono  per 
accompagnare  e  seguire,  non  dub- 
bi segni  ed  insoliti  diede  nel  na- 
scere di  lei.  Nel  battesimo  ebbe  i 
nomi  di  Anna  Maria  Rosa  Nico- 
letta, e  nel  crescere  in  vece  di  pue- 
rili sollazzi  si  dedicava  a  frequenti 
ossequi  verso  Dio  e  la  Beata  Ver- 
gine, con  sorpresa  di  tutti;  quindi 
cominciò  a  disciplinarsi  e  a  non 
mostrare  altro  desiderio  che  di  as- 
sistere alla  messa  ed  altre  eccle- 
siastiche funzioni.  Crescendo  nella 
perfezione,  di  sette  anni  gli  fu  per- 
messo di  partecipare  all'  eucaristica 


MAR 

mensa;  e  sebbene  consacrasse  alla 
preghiera  buona  parte  del  giorno,  si 
applicava  alle  faccende  domestiche, 
e  nel  tessere  nastri  di  seta  intarsiati 
con  oro,  de'quali  teneva  commercio 
il  genitore,  indi  come  le  sorelle  e  la 
madre  si  pose  a  filare  l'oro.  Pas- 
sati i  quindici  anni ,  le  sue  avve- 
nenti fattezze  congiunte  al  candore 
de'suoi  costumi,  allettarono  un  ricco 
giovane  a  domandarla  per  isposa, 
ma  ella  a  fronte  delle  furie  pater- 
ne si  dichiarò  non  conoscere  altro 
sposo  che  Gesù  Cristo,  il  perchè 
agli  8  settembre  lySi  vestì  l'abito 
delle  terziarie  di  s.  Pietro  d'Alcan- 
tara, il  cui  rigido  istituto  scrupolosa- 
mente osservò,  e  prese  il  nome  di 
suor  Maria  Francesca  delle  cinque 
piaghe  .  Si  diede  allo  spirito  di 
contemplazione,  e  tenendo  sempre 
fisso  il  pensiero  nella  passione  di 
Cristo,  incominciò  a  praticare  il  quo- 
tidiano esercizio  della  Fia  Crucis^ 
cadendo  in  deliqui  pel  dolore  e 
pel  pianto  cui  si  abbandonava.  Du- 


6  MAR 

bilancio  il  suo  direttore  spirituale 
ohe  fosse  illusione  quanto  eli  pro- 
digioso le  avveniva,  la  trattò  ru- 
vidamente,  mentre  la  consolava 
Gesù  nel  cuore  e  ne' colloqui,  e 
l'angelo  custode  manifestamente  la 
guidava  nelle  persecuzioni.  Alla 
morte  della  madre,  lo  snaturato 
padre  aumentò  le  sue  vessazioni  e 
strapazzi,  ed  abbandonò  la  casa 
acciò  tutta  fosse  a  peso  della  figlia  ; 
allora  questa  andò  ad  unirsi  a  suor 
Maria  Felice  della  Passione,  e  potè 
respirare  per  alcun  tempo  più  tran- 
quilla vita.  Non  cessando  il  demo- 
nio di  tentare  la  sua  costanza  nel- 
l'esercizio delle  più  eroiche  virtù, 
la  fece  denunziare  quale  maliarda 
all'arcivescovo  di  Napoli  cardinal 
Spinelli,  il  quale  per  esplorarne  lo 
spirito  l'affidò  a  dotto  ed  accorto 
regolatore,  che  principalmente  nella 
pazienza  la  trovò  insuperabile,  cosi 
nell'umiltà  e  nell'obbedienza,  laon- 
de dovette  assicurare  il  cardinale 
dell'eminente  santità  di  lei.  Quindi 
soggiacque  a  nuove  persecuzioni , 
non  solo  del  padre  e  delle  sorelle, 
ma  altresì  nel  chiostro  in  cui  vi- 
vea,  pei*  cui  l'accolse  in  casa  ono- 
ratissima  signora,  ed  intanto  Iddio 
punì  i  di  lei  persecutori,  e  lo  stesso 
padre  usci  di  vita  placidamente  a 
sua  intercessione  ;  con  atroci  sup- 
plizi procurò  alleviargli  le  pene 
del  purgatorio,  siccome  soleva  pra- 
ticare per  le  anime  di  que'  defunti 
che  a  lei  venivano  raccomandati , 
come  quella  ch'era  nella  carità  del 
prossimo  infiammata.  Osservantis- 
sima de' voti  di  povertà  e  castità, 
visse  accattando,  e  nell'innocenza, 
ignorando  le  malizie  umane.  Giam- 
mai trasgredì  le  severissime  regole 
dell!  istituto  alcantarino,  ad  onl<i 
delle  fiere  convulsioni  e  malattie 
cui  andò  soggetta,  flagellando  con- 


MAR 
tìnuamcutc  il  suo  corpo,  che  teneva 
coperto  di  cilizi,  laonde  meritò  più 
celesti  favori.  Fra  questi  devesi  no- 
verare quello  di  conoscere  il  vicino 
tempo  di  sua  morte,  alla  quale  si 
preparò  esemplarmente,  e  baciando 
il  Crocefisso  soavemente  spirò,  in 
Napoli  ai  6  ottobre  1794»  d'anni 
79.  Il  cadavere  nel  dì  seguente 
fu  portato  alla  chiesa  degli  alcan- 
tarini di  s.  Lucia  del  Monte,  ove  ac- 
corse innumerabile  gente  per  baciar- 
ne le  mani  e  le  vesti,  e  riportar- 
ne qualche  reliquia,  ed  ivi  restò 
tumulata  alla  venerazione  dei  suoi 
divoli,  subito  il  popolo  proclaman- 
dola per  santa.  Rifulse  in  ogni  a- 
zione  e  nelle  più  insigni  virtù;  fu 
illustre  per  le  penitenze  a  cui  volon- 
tariamente si  sottomise,  per  la  pro- 
va delle  penose  direzioni  de'  suoi 
confessori,  per  ogni  maniera  d'in- 
fermità, sicché  può  dirsi  che  l'in- 
tiera sua  vita  fu  una  continua  ago- 
nia. Due  volte  la  santa  particola 
andò  a  posarsi  sulla  sua  lingua,  e 
scemando  diverse  volte  nel  calice 
del  celebrante  il  vino  consacrato, 
per  mano  angelica  fu  alle  sue  lab- 
bra apprestato.  Dio  la  glorificò  con. 
prodigi  e  miracoli  che  operò  a  di 
lei  intercessione,  per  lo  che  Pio 
VII  con  decreto  de'  18  maggio 
i8o3  la  dichiarò  venerabile,  e  per- 
mise l'introduzione  della  causa  per 
la  sua  canonizzazione.  Indi  dopo 
aver  subito  la  sua  causa  fino  al 
1824  i  giudizi  preliminari  e  pre- 
paratorii,  il  Papa  Gregorio  XVI  con 
solenne  decreto  de'  1 2  febbraio  1 832 
dichiarò  constare  dell'esercizio  delle 
virtù  praticate  dalla  serva  di  Dio 
in  grado  eroico,  e  con"  altro  de*29 
dicembre  1889  riconobbe  l'eccel- 
lenza di  due  miracoli,  accaduti  iu 
Napoli;  il  primo  fu  una  sanazione 
d'inveterata  ed  assoluta  cecità   ca- 


MAR 

«ionnta  da  oftalmia,    il  secondo  fu 
l'istantanea  e  perielta  sanazione  da 
emioiegia  e  spasmo  cinico  con  per- 
dita   di    moto    e    loquela,    essendo 
stato  postulatole  della  causa  il  cav. 
Luigi  Vagnuzzi.  Finalmente  lo  stes- 
so Gregorio  XVI  ne  fece  celebrare 
la  solenne  beatificazione  a' 12   no- 
vembre   1843    nella    basilica  vati- 
cana.  Nel  medesimo  anno  pei  tipi 
di  propaganda  ^fl?e,  fu    pubblicata 
la     Vita  della    h.  Maria   France- 
sca delle  cinque  plagile  di  G.    C. 
terziaria   professa   alcantarìna,    ed 
aggregata    ai  beni  spirituali   della 
congregazione    de'  chierici  regolari 
somaschi,    scritta    dai    p.    d.  Ber- 
nardo Laviosa  somasco  ;   nuova  edi- 
zione notabilmente  corretta  ed  ac- 
cresciuta dal  p.  d.   Giovanni  Stroz- 
zi canonico  regolare  lateranense.  Il 
p.  d.    Norberto    Palmieri   del  me- 
desimo ordine,  nell'istesso    anno  e 
coi  medesimi    caratteri,  ci  diede  il 
Compendio  della    vita  della  ■  beata 
Maria  Francesca^  ec. 

MARIA  GLORIOSA,  Ordine  e 
(fuestre.   P\  Gaudenti. 

MARIA  ISABELLA,  Ordine  e- 
quesire.  V.  Isabella  la  Cattolica. 
MARIA  LODOVICA  o  Luisa. 
Ordine  equestre  di  cavalieresse  . 
Nel  1765  Carlo  IV  re  di  Spagna  e 
delle  Indie  sposò  la  sua  cugina 
Maria  Luisa  Teresa  di,  Parma, 
prima  che  fosse  assunto  al  trono, 
ciò  che  si  efifettuò  nel  1789  per 
la  morte  del  suo  genitore  Carlo  IH. 
La  regina  Maria  Luisa  appena  il 
consorte  cominciò  a  regnare,  s'in- 
gerì negli  atlari  dello  stato,'  prese 
a  dirigerli,  non  che  a  disporre  a 
suo  piacere  delle  cariche  e  delle 
rendite  della  monarchia.  L'  ascen- 
dente che  prese  poi  sull'animo  del 
real  consorte  l' indusse  a  porre 
l'ammioistrazione  in  mano  di  £m- 


MAR  7 

manuele  Godoy  a  lei  accettissimo, 
ciò  che  produsse  quel  malcontento, 
quelle  sventure  e  quelle  conseguen- 
ze che  la    Spagna  ancora  deplora. 
Di  ciò  avvedendosi  la  stessa  regina, 
onde  accattivarsi  almeno  l'animo  di 
alcuni  della  nobiltà  spagnuola,  nel 
i8o5    istituì    questo   ordine   eque- 
stre   per  le  sole  cavalieresse,   e  gli 
diede  il  nome  di  Maria  Lodovica. 
Per  insegna    e  decorazione  dell'or- 
dine stabilì  una  croce  d'oro  smal- 
tata in  bianco,  avente  negli  angoli 
i  gigli,  stemma    de' Borboni,  e  nel 
centro  il    proprio   ritratto.    Inoltre 
prescrisse  che  la  croce  delle  cava- 
lieresse   sarebbe    portata   in    petto, 
pendente    da    un    nastro    rosso    di 
seta,  con  orli  color  d'arancio.   Con 
questo   ordine   la    regina  insignì    e 
premiò  quelle  dame  di  alto  rango, 
le  quali  ogni    mese    dovessero     vi- 
sitare    un    qualche     ospedale  ,     e 
Far  celebrare  una    messa  per    cia- 
scuna dama  dell'  ordine  nella  loro 
morte,  ed    assistere  alla  medesima. 
Dipoi    quest'ordine    fu    rinnovato 
nel     gennaio     18 16     dalla     regina 
Maria   Isabella  Francesca  principes- 
sa di  Portogallo,  e   moglie    del  re 
Ferdinando  VII  figlio  della  regina 
Maria    Luisa    Teresa     che     ancor 
viveva.  Al   di  lei  ritratto   fu  sosti- 
tuita   sulla    decorazione  l' e/ligie  di 
s.  Ferdinando  HI,    e  nel    rovescio 
la  cifra    della    regina  restauratrice, 
con  l'iscrizione:  Reale  ordine  della 
regina  Maria  Luisa. 

MARIA  LUISA  ISABELLA,  Or- 
dine equestre.  Questo  recente  or- 
dine militare  ed  equestre  fu  isti- 
tuito a'20  giugno  i833  nella  Spa- 
gna, in  memoria  de' servigi  prestati 
alla  primogenita  del  re  Ferdinan- 
do VII,  ora  regnante  Maria  Isa- 
bella II    regina  di  Spagna. 

MARIA  TERESA,  Ordine  eque- 


8  MAR 

stre.  Dopo  cl»e  l'imperatrice  regina 
Maria  Teresa  d'Austria,  figlia  del- 
l'imperatore  Carlo  VI,  per  i  gene- 
rosi aiuti  de'  suoi  sudditi  e  per 
quelli  de' suoi  alleali,  pose  termine 
alla  lunga  e  sanguinosa  guerra 
di  successione  ,  e  che  pel  trattato 
di  Aquisgrana  conchiuso  nel  174^» 
l'impero  germanico  respirò  pace, 
essendo  ella  salita  al  contrastato 
trono  insieme  con  Francesco  1  suo 
sposo,  già  granduca  di  Toscana, 
si  applicò  a  far  prosperare  ne'suoi 
stati  le  arti,  le  lettere  e  le  scien- 
ze, ed  a  beneficare  tutte  le  classi 
de'sudditi.  Quindi  assicuratasi  del- 
l'appoggio della  Francia,  e  fatte 
entrare  ne'suoi  progetti  la  Russia, 
la  Svezia  e  la  Sassonia,  si  volle 
vendicare  della  Prussia  per  averle 
tolta  la  Slesia,  lo  che  produsse  la 
famosa  guerra  de'sette  anni,  soste- 
nuta da  Federico  II  il  Grande. 
Diversi  prosperi  successi  onoraro- 
no le  armi  di  Maria  Teresa,  fra 
i  quali  la  vittoria  dai  collegati  ri- 
portata sotto  il  comando  del  gene- 
ral  Daun  a  Rollin  li  18  giugno 
1757;  la  pace  segnata  a'  16  feb- 
braio 1763  in  Hubertsburg,  ter- 
minò la  terribile  contesa.  L'impe- 
ratrice fino  dal  1756,  epoca  del- 
l'i ncominciaTuento  della  guerra  dei 
sette  anni,  formò  il  disegno  di  fon- 
dare un  ordine  militare  ed  eque- 
stre, indi  Io  stabilì  a'  i3  maggio 
1757,  e  lo  mandò  ad  effetto  dopo 
la  vittoria  di  Rollin,  per  immor- 
talarne il  felice  evento.  L'impera- 
tore Francesco  I  fu  solennemente 
rivestito  della  dignità  di  gran  mae- 
stro dell'ordine,  che  prese  il  nome 
della  fondatrice.  Gli  statuti  pubbli- 
cati a*i2  dicembre  1758,  furono 
poscia  corretti  a'  1 2  dicembre  1 8 1  o 
dall'imperatore  d'Austria  France- 
sco li  stabilendo  che  i  di  lui  suc- 


MAR 

cessori  ne  sarebbero  gran  maestri. 
Quest'ordine  non  m  conferisce  che 
in  premio  di  servigi  militari  sol- 
tanto, non  riguardandosi  per  con» 
seguirlo  uè  la  nobiltà  de'  natali  , 
ne  la  professione  di  fede,  ne  gli 
anni  di  servigio,  uè  la  condizione 
delle  persone.  Il  numero  de'deco- 
rati  è  indeterminato,  ammettendo- 
si tutti  coloro  che  se  ne  resero 
degni.  I  cavalieri  sono  divisi  in 
tre  classi ,  cioè  in  grancrocì,  in 
commendatori,  ed  in  cavalieri  sem- 
plici. Ciascun  cavaliere  il  quale 
non  sia  nobile,  volendo  deve  essere 
ascritto  alla  nobiltà,  in  grado  di 
cavaliere  degli  stati  ereditari  d'Au- 
stria; e  bramandosi,  mediante  la 
tassa  di  spedizione,  a  lui  e  discen- 
denti si  spedisce  il  diploma  di 
cavaliere  degli  stati  ereditari  d'Au^ 
stria  .  L'  ordine  conferisce  otto 
annue  pensioni  di  i5oo  fiorini 
pei  grancroci,  sei  di  800  fiorini 
per  la  classe  dei  commendatori_,  e 
cento  di  600  fiorini  per  la  prima 
divisione  della  classe  de'  cavalieri, 
non  che  cento  di  100  fiorini  per 
la  seconda  divisione  de'  medesimi. 
Le  vedove  dei  cavalieri  pensionati 
o  non  pensionati  ottengono  la 
metà  della  pensione,  a  seconda  del 
grado  portato  dal  loro  defunto 
marito.  La  festa  dell'ordine  è  ai  i5 
d'ottobre,  in  cui  ricorre  quella  di 
s.  Teresa ,  o  nella  domenica  se- 
guente. La  decorazione  dell'ordine 
consiste  in  una  croce  d'oro  smal- 
tata in  bianco  alle  due  estremità; 
nel  centro  vi  è  lo  stemma  di 
casa  d'  Austria,  col  motto  :  Farti- 
tudini,  il  quale  trovasi  pure  sulla 
medaglia  de' grancroci  ,  che  sino 
dal  1765  vennero  aggiunti  dal- 
l'imperatore Giuseppe  II,  figlio  del- 
la fondatrice.  Nel  rovescio  la  croce 
ha  la  cifra  delle  lettere  iniziali  di 


MAR 

MaVia  Teresa,  eircoiidate  dix  una 
gliirlaiida  di  alloro.  La  decorazio- 
ne si  porta  appesa  ad  un  nastro 
listato  dei    colori    bianco    e    rosso. 

MARIAMIA  o  MARIAMME  , 
Mariamne .  Sede  vescovile  della 
seconda  Siria,  sotto  la  metropoli 
di  Apamea,  nella  diocesi  di  An- 
tiochia, eretta  nel  quinto  secolo. 
Alessandro  il  Grande  confermò  la 
sovranità  della  città  a  Geralostra- 
te  re  di  Ai  ad.  La  città,  al  dire 
del  Terzi,  Siria  sacra  p.  102, 
traeva  l'origine  dai  macedoni,  o  dai 
mariandini  popoli  confinanti  colla 
Bitinia,  e  fu  città  fenicia,  grande 
e  facoltosa,  ma  peri  per  le  incur- 
sioni de'saraceni.  Ne  furono  vesco- 
vi greci.  Paolo  che  sottoscrisse  al 
concilio  di  Calcedonia  ;  Magno  che 
sottoscrisse  hi  lettera  del  concilio 
di  sua  provincia  all'imperatore  Leo- 
ne; Ciro  che  sottoscrisse  la  lette- 
ra de'vescovi  della  propria  provin- 
cia a  Giovanni  di  Costantinopoli; 
Eterio  che  assistette  al  concilio  di 
Costantinopoli,  tenuto  sotto  il  pa- 
triarca Menna  neh' anno  536.  O- 
rieiis  Chris t.  toni.  H,  pag.  919. 
Ebbe  ancora  questa  sede  alcuni 
vescovi  latini,  come  rilevasi  dal 
medesimo  p.  Le  Quien,  t.  HI,  p. 
I  194.  Dionigi  mòri  nel  i45o,  e 
Durando  Sapelli  francescano  fu  no- 
minato in  successore  da  Nicolò  \^ 

MARIANA.  Città  vescovile  del- 
l'isola di  Corsica,  presso  la  riva  si- 
nistra e  la  imboccatuia  del  Golo. 
Dà  il  suo  nome  al  cantone  in  cni 
si  trova,  e  il  cui  capoluogo  è  Bor- 
go. Dicesi  che  ripete  la  sua  origi- 
ne dal  console  romano  Mario,  che 
vi  dedusse  una  colonia  romana. 
Dcicchè  fu  rovinata  dai  mussulmani 
d  Africa,  il  vescovo  si  ritirò  in  una 
villa  della  sua  diocesi,  a  destra  di 
detto    fiume ,   sopra   uu   colle ,    e 


MAR  9 

dalla  permanenza  che  poscia  vi  fe- 
cero i  vescovi  successori,  fu  quella 
villa  chiamata  il  Vescovato ,  nome 
che  tuttora  ritiene.  Dopo  però  che 
la  Bastia  divenne  residenza  de'  go- 
vernatori della  Corsica,  i  vescovi 
Mariauensi  nel  iGyS  stabilirono  ia 
residenza  in  quella  città.  In  Ma- 
riana vedesi  ancora  la  sua  chiesa 
antica  cattedrale,  già  magnifica  e 
dedicata  a  s.  Pietro  o  Petreio  ve- 
scovo e  martire  della  città,  ed  ora 
ridotta  in  istato  lagrimevole  :  in  essa 
il  vescovo  prendeva  possesso  della 
sua  dignità.  Il  rimanente  della  città 
non  è  più  che  un  mucchio  di  ro- 
vine. La  sede  eretta  nel  secolo  IV, 
fu  sulFraganea  dell'arcivescovo  di  Ge- 
nova, e  nel  XVI  le  fu  unita  Accia 
sotto  Pio  IV. 

Il  primo  vescovo  di  Mariana  fu 
s.  Petreio  martire,  a  cui  Ugo  Co- 
lonna romano  eresse  il  nominato 
tempio.  Suo  successore  fu  Catano 
o  Catone,  il  quale  sedeva  nel  3i4, 
ed  assistette  al  concilio  di  Arles. 
Leone  personaggio  cospicuo,  degno 
d'ogni  lode,  ebbe  da  s.  Gregorio  I 
una  epistola  che  il  Vitale  riporta, 
in  sacra  Corsica  chronica.  Gli  al- 
tri vescovi  più  meritevoli  di  men- 
zione sono:  Lunergio  o  Aspergio 
del  900  ;  Ottone  Colonna  ,  conse- 
crato  nel  11  18  dall'arcivescovo  di 
Pisa;  Ladio  o  Joaphus,  che  nel 
1179  intervenne  al  concilio  gene- 
rale di  Laterano  III;  gli  successe 
Opizo  Corti nco  nobile  corso,  fallo 
da  Onorio  111  nel  «219;  fr.  Vin- 
cenzo francescano  del  i33i;  fr.  Ni- 
colò ligure  domenicano  del  i3t)6  ; 
Giovanni  Ormessa  del  1390;  Gre- 
gorio Fieschi  nobile  genovese,  fat- 
to amministratore  del  i433,  ([uin- 
di  cardinale  ed  arcivescovo  di  Ge- 
nova ;  Leonardo  Fornari  nobile  ge- 
uovese,  che  morendo  nei   1482  la- 


IO  MAR 

sci^  una  sommo  per  la  riparazione 
di  sua  chiesa.   Meritano  pure   ono- 
i^vole  ricordanza,  fr.  Giulio  de  Is- 
sopo carmelitano,  celebre  predicato- 
re ed  illustre  in    erudizione,   fatto 
vescovo  nel    i494)  c"'  successe  nel 
seguente    anno  Ottaviano  o  Ottavio 
Fornari  nobile  genovese,  chiaro  per 
virtù,  nominalo  da   Alessandro  VI 
chierico  di  cjimera  e  datario;   morì 
nel  i5oo  in  Roma,  e  fu  sepolto  in 
s.   Agostino  in  magnifico  avello.  11 
di  lui   successore  Gio.  Rattisla  Uso- 
dimare,  non  conosciuto  dall' Ughel- 
li,    che    intervenne    nel     i5i2    al 
concilio   generale    di    Laterano    V. 
Indi  fu  vescovo    Gio.  Battista    Ci- 
bo.   Nel     i53i     per    sua    rinunzia 
Clemente  VII   ne  fece  amministra- 
tore il   cardinal  Innocenzo  Cibo,  e 
nel    medesimo  anno   gli  sostituì    il 
nipote   Cesare  Cibo,  poi  nel    i54B 
traslato  a  Torino,  per  cui  Paolo  IH 
fece  vescovo  Ottaviano  Cibo  geno- 
vese come  i  precedenti.   Giulio   III 
fece  vescovo  il    suo  archìatro  Bai- 
duino  Balduini;  e  nell'anno    i554 
deputf)  amministratore    il    cardinal 
Gio.  Battista    Cicada    genovese ,    il 
quale  cetìelte  la  sede  a  Nicolò  Ci- 
cada a'  i3  settembre    i56o,    sotto 
di  cui   Pio  IV  unì  in    perpetuo    a 
Mariana   la  chiesa   vescovile  di  Ac- 
cia (Fedi),  laonde  fu  il  primo  ve- 
scovo  d'  Accia    o    Acci  e  Mariana. 
Della  sede  d'Accia  fu  il  primo  ve- 
scovo Martino,  che  dopo  la   rovina 
cagionata     dai    goti     alia     città  ,  s. 
Gregorio  I   nel    Sgi     lo    Iraslatò  a 
Sagona.  Sino  al   900   non  si  trova- 
no altre   notizie  sui  vescovi  d'Accia, 
e  Nicolò  n'  è  il   primo.    Nominere- 
mo per  distinzione  Imerio  Gnarda- 
lupi   francos<;ano  ,    celebre    teologo  , 
eletto  vescovo  di   Accia    da    Grego- 
rio X  cui  era  prediletto ,    e  inter- 
venne nel    1274  al  concilio  di  Lio- 


MAR 

ne  IT.  Gli  successe  nel  1297  Ben- 
venuto monaco  cistcrciense.  Boni- 
facio IX  per  lo  stato  deplorabile 
della  sede,  ne  affidò  la  cura  al  ve- 
scovo di  Gravina  Francesco  Bonac- 
corsi.  Fr.  Antonio  corso  de'  minori 
osservanti  fu  fatto  vescovo  di  Ac- 
cia da  Martino  V  nel  i4iB>  >1 
quale  nel  i  ^1 1  gli  die  a  successore 
fr.  Anello  o  Agnello  napoletano  car- 
melitano, insigne  teologo.  Indi  nel 
[44 1  'o  divenne  il  corso  fr.  Al- 
bertino de  Casini  domenicano,  che 
l'Oli vensi  vuole  francescano.  Giro- 
lamo Buccaureatus  protonotario  par- 
tecipante di  Sanseverino,  fatto  nel 
i54'>  vescovo  da  Paolo  IH,  non 
che  canonico  di  s.  Pietro  e  vice- 
datario. Giulio  III  nel  1 553  nomi- 
nò vescovo  d'Accia  fr.  Agostino  Sel- 
vaggi nobile  genovese,  domenicano 
illustre  per  dottrina  e  costumi,  tras- 
lato a  Genova  nel  1559.  Pio  IV 
nel  i56o  gli  sostituì  fr.  Giulio  Su- 
perchi  mantovano  dell'  ordine  car- 
melitano, che  nel  r  563  trasferì  alla 
sede  Crapurlanense,  intervenendo  al 
concilio  di  Trento.  Finalmente  dopo 
tale  ultimo  vescovo.  Pio  IV  dichia- 
rò il  suddetto  Nicolò  Cicada  vesco- 
vo di  Mariana,  amministratore  di 
Accia,  che  unì  in  perpetuo  a  Ma- 
riana. 

Morì  Nicolò  nel  1570,  e  Grego- 
rio XI li  fece  vescovo  di  Mariana 
ed  Accia  Gio.  Battista  Centurioni 
nobile  genovese.  Girolamo  del  Poz- 
zo o  Pozzi  della  Spezia  divenne 
vescovo  nel  1599,  sotto  del  quale 
la  chiesa  di  Bastia  dedicata  alla 
Beala  Vergine  Assunta  fu  ampliata 
e  restaurata,  mediante  ancora  la 
somma  lasciata  dal  mentovalo  ve- 
scovo Fornari.  ^fel  1622  Gregorio 
XV  fece  vescovo  Giulio  Pozzi,  mor- 
to nel  1645.  In  suo  luogo  Imio- 
ceuzo  X   pose  sulla  sede  di  Maria- 


MAR 
na  Gio.  Agostino  Marlìaiii  genove- 
se :  fu  consecrato  in  Roma,  celebrò 
il  sinodo,  ed  illustrò  la  diocesi  col 
suo  zelo.  Per  sua  cessione  nel  i656 
divenne  vescovo  Carlo  Fabiizio  Giu- 
stiniani genovese;  nel  1682  Ago- 
stino Fieschi  nobile  genovese  tea- 
tino, dottore  ed  egregio  predicato- 
re ;  nel  1686  Gio.  Carlo  de  Mari 
nobile  genovese,  altro  teatino,  che  ri- 
nunziando nel  1 704,  Clemente  XI  gli 
surrogò  Mario  Emmanuele  Duraz- 
zo,  Iraslato  da  Aleria,  ed  a  questi 
nel  T707  Andrea  della  Rocca  no- 
bile genovese,  abbate  de'  canonici 
regolari  lateranensi.  Con  lui  V  U- 
ghelli  ed  i  suoi  continuatori,  Itrr- 
lìa  snera  t.  IV,  p.  999  e  se^.^  ter- 
minano la  serie  de'  vescovi  di  Ma- 
riana ed  Acci,. la  cui  continuazione 
si  legge  nelle  annuali  Notizie  di 
Roma,  eh' è  ia  seguente.  Clemente 
XI  a*  3  luelio  1720  traslatò  da 
Aleria  alle  sedi  di  Acci  e  Mariana 
in  Corsica,  Agostino  Saluzzi  geno- 
vese. Benedetto  XIV  nel  i  747  fece 
vescovo  Domenico  Saporiti  genove- 
se. Clemente  XIV  nel  1772  vi 
traslatò  da  Sagona  Angelo  Edoar- 
do Stefanini,  nato  in  Bastia  dio- 
cesi di  Mariana.  Pio  VI  fece  ve- 
scovo di  Mariana  ed.  Acci  nel  1775» 
Francesco  Cittadella  della  diocesi 
di  Sagona,  traslato  da  Nebbio  ;  nel 
1782  Pietro  Pineau  Duverdier  del- 
la diocesi  d'Ageii  ;  ed  a'  3o  marzo 
1789  Ignazio  Francesco  de  Joannis 
Verclos  d'Avignone,  che  fu  l'ultimo 
vescovo;  poiché  il  Papa  Pio  VII 
nel  concordato  de'  29  novembre 
1801  soppresse  non  solo  le  sedi 
vescovili  di  Mariana  ed  Accia  o 
Acci,  ma  ancora  quelle  di  Sago- 
na, Nebbio,  Aleria  ed  Aiaccio  nella 
Corsica ,  solo  ripristinando  quella 
di  Aiaccio,  che  quale  unico  vesco- 
vo dell'isola,  sotto  di  lui  passarono 


xMAR  ic 

le  diocesi  di  Mariana  ed  Accia.  V. 
Corsica. 

MARIANA  Giovanni.  Celebre  ge- 
suita, nato  in  Talavera  diocesi  di 
Toledo  in  Ispagna,  studiò  ad  Ai- 
cala  ,  ed  entrò  nella  società  nel 
i554,  all'età  di  diciassette  anni.  Ap- 
prese il  greco,  r  ebraico ,  la  teolo- 
gia, la  storia  sacra  e  profana.  In- 
segnò a  Roma  ed  a  Parigi,  e  mori 
a  Toledo  li  17  febbraio  1624,  do- 
po aver  composto  diverse  opere , 
cioè  :  Hìstoria  de  rebus  Hispanìae ^ 
ristampata  nel  1788  colla  continua- 
zione del  p.  Emmanuele  Mariana  del- 
l'ordine della  redenzione  degli  schia- 
vi. Scolii  sulV antico  e  nuovo  Testa- 
mentOj  Parigi  1620.  De  rege  et  re- 
gis  institutione,  in  tre  libri,  che  fu- 
rono censurati  dalla  facoltà  teolo- 
gica di  Parigi,  quindi  bruciati.  Set- 
te trattati  storici  e  teologici  stam- 
pati a  Colonia  ed  a  Lione  nel  1609. 
Più,  un  curioso  trattato  sui  pesi  e 
misure,  pubblicato  in  Toledo  nel 
1 599,  ed  altre  opere.  Fu  ancora 
lodato  pei  commenti  sulla  Scrit- 
tura. 

MARIANNE  (Marianen).  Città 
con  residenza  vescovile  nell'impero 
del  Brasile,  provincia  di  Minas-Ge- 
raes,  lunge  quattro  leghe  da  Villa- 
Ricca  e  cinquanta  da  Rio-Janeiro. 
Giace  sulla  riva  destra  di  un  pic- 
colo affluente  della  Piranga.  Pic- 
cola ma  bella,  le  sue  slcade  sono 
lastricate,  e  le  nuove  case  ben  fab- 
bricate in  pietra.  Vi  sono  due  piaz- 
ze e  sette  fontane  pubbliche.  Il 
palazzo  vescovile  e  quello  della  cit- 
tà sono  belli  edifizi  ;  la  cattedrale 
è  di  una  costruzione  più  elegante 
che  solida.  Evvi  un  grandissimo  se- 
minario, molte  chiese  ,  vari  con- 
venti e  l'ospedale.  Il  commercio  è 
qui  poco  considerabile,  quantunque 
la  provincia  è  di  un  gran  prodotto 


Il  MAH 

per  la  corona,  inassìtito  [)er  (.|iiai)to 
ricava  dalle  ricche  miniete  d' oro. 
Conta  più  di  7000  abitanti,  la  mag- 
gior parte  de*  quali  travaglia  nelle 
miniere  del  territorio.  Questa  città 
non  era  die  un  borgo,  (piando  Gio- 
vanni V  re  di  Portogallo  essendosi 
ammogliato  con  donna  Marianna 
d'Austria,  le  diede  il  titolo  di  cit- 
tà in  onore  della  sua  sposa,  ed 
ottenne  nel  in ^5  a'  i5  dicembre 
dalla  santa  Sede,  che  l'erigesse  in 
vescovato. 

La  sede  vescovile  dunque  fu  isti- 
tuita da  Benedetto  XIV,  col  di  vi- 
siere il  vasto  territorio  del  vescovo 
del  Rio  di  Gennaro  nello  stesso 
Brasile  ossia  s.  Sebastiano,  median- 
te il  disposto  della  costituzione , 
Candor  lucis  aelernae^  presso  il  suo 
Bull.  t.  II,  p.  i53,  e  dichiarandola 
sufFraganea  dell'arcivescovo  di  s.  Sal- 
vatore nel  Brasile,  di  cui  lo  è  tut- 
tora. Per  primo  vescovo  dichiarò 
fr.  Emmanuele  della  Croce,  trasla- 
tandolo  da  s.  Lodovico  del  Mara- 
gnaiio,  nato  in  4>.  Eulalia  nullius 
(lioecesisj  provincia  di  Portogallo, co- 
me abbiamo  dalle  annuali  Notizie 
di  Roma,  che  riportano  la  seguente 
sene  de'  vescovi  di  Marianne.  Cle- 
mente XIV  nel  1773  fece  secon- 
do vescovo'  Bartolomeo  Emmanuele 
Mendes  dos  Reys,  di  Sercoza  dio- 
cesi di  Coimbra ,  trasferendolo  da 
Macao.  Pio  VI  preconizzò  vescovi, 
nel  1779  fr.  Domenico  dell' Incar- 
nazione Pontevel  domenicano  di  San- 
ta rem  diocesi  di  Lisbona  ;  e  nel 
1797  fr.  Cipriano  di  s.  Giuseppe 
domenicano  di  Lisbona.  Pio  VI[ 
nel  1819  dichiarò  successore  fr. 
Giuseppe  della  ss.  Trinità  minore 
riformato  di  Porto.  Gregorio  XVI 
successivamente  elesse  vescovi ,  nel 
concistoro  de'  17  dicembre  1840, 
Carlo   Pereira    Freire    de    Moui  a , 


MAR 
della  diocesi  di  s.  Salvatore  della 
Buja  ;  e  per  sua  morte  nel  conci- 
sloro  de'  21  gennaio  184+  l'odier- 
no monsignor  Antonio  Ferreira  Vi- 
scoso, della  congregazione  di  s.  Vin- 
cenzo de  Paoli,  di  Peniche  patriar- 
cato di  Lisbona,  lettore  in  teologia, 
già  rettore  e  professore  di  hngue 
nel  seminario  d'Angra  de  Reis.  Am- 
bedue questi  ultimi  vescovi  furono 
nominati  dal  regnante  imperatore 
Pietro  II. 

La  chiesa  cattedrale  è  dedicata 
alla  Beata  Vergine  Maria  assunta 
in  cielo.  11  capitolo  si  cocnpone  di 
quattro  dignità,  la  prima  delle  quali 
è  l'arcidiacono,  di  dieci  canonici , 
senza  le  prebende  teologale  e  pe- 
nitenziaria, di  altrettanti  cappellani 
cantori,  oltre  altri  preti  e  chierici 
addetti  al  divino  servigio.  Nella  cat- 
tedrale avvi  il  fonte  battesimale, 
e  la  cura  d'anime  si  amuiinistra 
da  un  sacerdote,  venerandovisi  una 
reliquia  del  legno  della  ss.  Croce. 
L'episcopio  è  poco  distante  dalla 
cattedrale,  ed  è  unito  al  seminario. 
Nella  città  non  vi  sono  altre  par- 
rocchie, né  monasteri  con  regolari; 
sonovi  bensì  delle  confraternite  ed 
ali  re  pie  istituzioni.  La  diocesi  com- 
prende la  più  gran  parte  della  pro- 
vincia di  Minas  Geraes ,  e  perciò 
contiene  molti  luoghi.  Ad  ogni  nuo- 
vo vescovo  le  tasse  ne'  libri  della 
camera  apostolica  ascendono  a  fio- 
rini centosedici,  proporzionate  alle 
rendite  della  mensa  che  sono  circa 
duemila  quattrocento  scudi  romani. 

MARIANO  e  GIACOMO  (ss.), 
martiri.  Il  primo  era  lettore,  il  se- 
condo diacono,  ambedue  di  santa 
vita,  e  forse  parenti.  Verso  l'anno 
259  si  recarono  insieme  nella  Nu- 
midia,  da  qualche  lontana  provin- 
cia dell'Africa.  Fervendo  colà  la 
persecuzione  mossa  dall'imperatore 


MAR 
Valeriano  contro  i  cristiani,  furono 
nireslali  in  un  luogo  chiamato  Mu- 
guas,  presso   alla  città    di  Cirta,  e 
crudelmente    torturati.    Quindi  fu- 
rono rimessi  in  prigione  con  molti 
altri  cristiani,  dalla  quale  n'  erano 
tratti  ogni  giorno  alcuni  per  essere 
giustiziali.   Nel  numero  di  quelli  che 
ricevettero  per  tal  modo  la  corona 
del  martirio  furono    Agapio  e  Se- 
condino vescovi,  i  quali  sono  ono- 
rati dalla  Chiesa  a* dì  29  d'aprile. 
Vedendo  i  magistrati  che  questi  va- 
lorosi cristiani  erano  fermi  nel  con- 
fessare   la    loro     fede ,    mandarono 
Giacomo  e  Mariano,   con  un  gran 
numero    d'altri  prigionieri,  al    go- 
vernatore della  provincia  eh'  era   a 
Lambese.  Soffersero  assai  durante  il 
cammino,  ch'era  lungo  e  difficile; 
e  come  furono  giunti,  vennero  to- 
sto messi  in  prigione,  ed  ogni  gior- 
no molli  di  loro  erano  fatti  morire. 
Finalmente   schieratili  tutti   in   una 
valle,   furono  derapitali.  Questi  san- 
ti consumarono  il  loro  martirio  nel 
259  o  260,  forse  a' d'i  6  di  mag- 
gio, al  qual  giorno  Irovansi  i  loro 
nomi  neir  antico  calendario  di  Car- 
tagine; ma    gli   autori  latini  ed    il 
martirologio    romano     pongono    la 
loro  festa   a' 3o  d'aprile.   S.   Giaco- 
mo e  s.  Mariano  sono  protettori  di 
Gubbio,  nel  ducalo  d'Urbino,  e  vuoisi 
che  le  loro  reliquie  sieno  nella  cat- 
ttdiale  di  questa   città. 

MAPilAlNO  (s.),  solitario  nel  Ber- 
ry.  Fioriva  nel  sesto  secolo,  e  me- 
nava nella  solitudine  una  vita  mollò 
oscura.  Egli  non  si  nudriva  che  di 
frutti  selvaggi  e  del  mele  che  tro- 
vava ne' boschi,  ne  si  lasciava  ve- 
dere die  in  certi  tempi  dell'anno. 
I\on  essendo  una  volta  comparso, 
com'era  solito,  fu  cercalo  per  tut- 
to, e  finaluìente  fu  trovalo  morto 
sotto  di  un  albero  in  fondo  ad  un 


MAR  i3 

bosco.  11  suo  corpo  Tenne  portato 
al  borgo  d'Evau  o  Esvaon,  nel 
paese  di  Combrailles,  ed  i  miracoli 
da  Dio  operati  alla  sua  tomba  fe- 
cero istituire  una  festa  in  onore  di 
lui.  Nel  martirologio  d' Usuardo  e 
nel  romano  è  menzionato  a'  19  di 
agosto;  ma  in  alcuni  antichi  bre- 
viari di  Bourges  la  sua  festa  è  in- 
dicata a'  19  di  settembre. 

MARIANO  Scoto.  Fu  chiamato 
Scoto  perchè  secondo  alcuni  era 
scozzese,  benché  irlandese  ;  nacque 
nel  1028,  ed  era  parente  del  ven. 
Beda.  Nel  loSs  recossi  in  Geri;na- 
nia,  e  vestì  l'abito  religioso  a  Co- 
lonia nel  I  o58.  Nel  seguente  anno 
si  ritirò  nell'abbazia  di  Fulda ,  ivi 
si  ordinò  prete,  poscia  passò  a  Ma- 
gonza,  ove  morì  d'anni  58  in  gran 
riputazione,  lasciando  una  cronaca 
dalla  nascita  di  Gesìi  Cristo  sino 
al  io83,  che  Dodechino  abbate  di 
s.  Disibodo  nella  diocesi  di  Treveri 
continuò  sino  al  1200.  Si  attribui- 
scono a  Mariano  altre  opere,  come 
Caiciilalio  de  universali  tempore. 
E  annoveralo  fra  gli  autori  che 
scrissero  intorno  alla  favola  della 
papessa  Giovanna^  ma  il  p.  Pagi 
afferma  che  nella  cronaca  dello  Sco- 
to non  è  fatto  alcun  cenno  dì  tal 
ridicola  invenzione.  D'altronde  Vi- 
gnole  asserisce  che  se  ne  fa  memo- 
ria qual  voce  popolare. 

MARIANOPOLl,  Marianopolis. 
Sede  vescovile  dell'Eufrate  sotto  la 
metropoli  di  Jerapoli,  nel  patriar- 
cato di  Antiochia,  eretta  nel  V  se- 
colo. Ne  fu  vescovo  Cosimo,  pel 
quale  s.  Stefano  suo  metropolitano 
sottoscrisse  al  concilio  di  Calcedo- 
nia.    Orìens  christ.  t.  II,  p.  95 1. 

MARIE  (Tre).  Sotto  questo  no- 
me s'intendono  Ire  persone  di  cui 
si  fa  menzione  nel  vangelo,  cioè 
Maria  Maddalena,  Maria  sorella  di 


i4  MAK 

LazKaroj  e  la  peccatrice  di  jVaim  , 
die  sparse  Tungueiito  sui  piedi  di 
Gesù  Cristo  presso  Simone  il  fari- 
seo. Si  cerca  se  queste  sieno  tre 
persone  diverse,  ovvero  se  sia  la 
stessa  indicata  sotto  diversi  carat- 
teri. 11  p.  Calmet  in  una  disserta- 
zione su  tal  soggetto,  dopo  aver 
esposte  le  diverse  opinioni  e  le  pro- 
ve su  cui  i  |3adri ,  i  commentatori, 
i  critici  si  sono  appoggiali,  conchiu- 
de col  giudicare  che  la  questione 
è  ad  un  dipresso  interminabile; 
pure  egli  inclina  all'  opinione  di 
quei  che  distinguono  le  tre  Marie, 
e  quando  si  sta  al  testo  del  van- 
gelo, questa  opinione  sembra  la  più 
probabile.' 

MARINA  (s.),  vergine.  Fiori  nel- 
la Eitinia,  servendo  a  Dio  nello 
stato  monastico  con  straordinario 
fervore.  Ella  è  rinomata  nelle  vite 
de'  padri  del  deserto,  per  la  sua 
umiltà  e  pazienza.  Si  colloca  la 
siw  morte  verso  la  metà  del  secolo 
YIII.  JVel  i23o  le  sue  reliquie  fu- 
rono trasportate  da  Costantinopoli 
a  Venezia,  dove  si  custodivano  in 
una  chiesa  intitolata  del  nome  di 
lei,  la  quale  essendo  stata  tolta  al 
culto  divino,  come  tanti  altri  tem- 
pli di  questa  città,  in  tempo  della 
dominazione  francese ,  le  reliquie 
della  santa  vennero  collocate  nella 
vicina  parrocchiale  di  s.  Maria  For- 
mosa. Nel  martirologio  romano  e 
nel  breviario  nuovo  di  Parigi,  s. 
Marina  è  nominata  a'  i8  di  giu- 
gno. A  Venezia  si  celebra  la  festa 
della  traslazione  delle  sue  reliquie 
a*  17   di   luglio. 

MARINA  o  MARINERIA.  Arte 
del  marinaro.  Si  disse  inoltre  ma- 
rina e  marineria  una  moltitudine 
di  naviganti  in  armata^  e  più  re- 
centemente sull'esempio  di  altre  na- 
zioni si  adottò  d«i  alcuni   il   foca- 


MAR 
bolo  di  marina y  col  quale    si    ab- 
braccia tutto  quello  che  appartiene 
al   servigio  di   mare,  sia   per  la  na- 
vigazione, sia  per  la  costruzione  del- 
le navi,  il  commercio  marittimo  e 
le  forze  marittime.  Nautica  si  chia- 
ma la  scienza  e  l'arte  di  navigare: 
dalla  navigazione  si  riportarono  im- 
mensi  vantaggi  alla  geografia,  alla 
storia,  alle  scienze,  alle  arti,  al  com- 
mercio ed    alle    concjuiste;    quindi 
scuole  di  nautica  e  di  navigazione 
furono  stabilite  in  vari  stati  d'Eu- 
ropa con  felici  successi.  Anche   gli 
italiani  ebbero  anticamente   di  tali 
scuole,  come  furono    i    primi    sino 
dal  XV  secolo  a  formare  carte  nau- 
tiche ,    fiorirono    perciò    scuole    di 
nautica    nelle    principali    città  ma- 
rittime d'Italia,  e  in  alcune  tuttora 
fioriscono.  Ammiraglio  si  appella  il 
comandante  o  capitano  generale  del- 
le armate  di  mare;    vocabolo    che 
vuoisi  derivato    dall'arabo    amir  o 
e/7»r,  che  significa    governatore    di 
piovincia  o  generale  d'esercito,  per 
cui  vuoisi  introdotto  fra  noi    dopo 
i  viaggi  fatti   in  oriente.  I  saraceni 
pei  primi  chiamarono  ammiragli  i 
capitani  delle  loro  flotte ,    e   dopo 
di  essi  i  siciliani   ed  i  genovesi.  In 
Francia    s' incominciò    a    conoscere 
nel    1270.  Gl'inglesi  danno  il  tito- 
lo di  ammiraglio  al  comandante  di 
qualunque  flotta.  Chiamasi  ammi- 
raglia la  nave  del  comandante  ve- 
stito di  questo  titolo  :    ne'  porti    la 
nave  ammiraglia  è  una  vecchia  na- 
ve, per  lo  più  incapace  di  tenere  il 
mare.  Essa  sta    sempre    in    porto, 
tiene  inalberato  lo  stendardo,  chia- 
ma a  bordo  i  capitani    delle    navi 
ch'entrano;  dà  alla  sera  il  segnale 
della  ritirata  col  cannone,  e    rende 
il  saluto  alle  navi  straniere.  Dicesi 
ammiragliato  l'uffizio  o  il  luogo  del 
tribunale  dell'ammirali tà,  cosi  chia- 


MAR 
ruandosi  i  diversi   uffizioli  che  han- 
no ispezione  sugU  affari    della  ma- 
rina. 

Tulli  gli  antichi  scriltori  greci 
e  latini  rappresentano  i  fenicii  come 
i  primi  e  più  celebri  navigatori,  e 
della  loro  destrezza  in  quest'  ar- 
te fanno  prova  i  viaggi  da  essi 
tentati  sino  dai  tempi  più  aulichi 
ai  più  remoti  lidi,  giacche  essi  fe- 
cero più  volte  il  giro  intorno  al- 
l'Africa, e  da  altra  parte  si  spinsero 
fino  al  Baltico.  Pimio  rappresentò 
gli  antichi  franchi  o  germani  come 
ì  popoli  dell'Europa  più  esperti  nel- 
l'arie della  marineria  :  i  loro  vascel- 
li fatti  di  molti  pezzi  di  cuoio  cuciti 
insieme,  o  anche  di  vimini  coperti 
di  cuoio,  non  avevano  né  prora , 
uè  vele,  e  si  avanzavano  soltanto  a 
forza  di  remi.  La  loro  navigazione 
fu  assai  limitata  da  princìpio,  ma 
poco  a  poco  si  arrischiarono  ad 
intraprendere  viaggi  di  più  lungo 
corso,  scorrendo  le  coste  della  Gal- 
lia  e  della  Spagna,  indi  per  lo  stret- 
to di  Gibilterra  penetrarono  nel 
Mediterraneo.  A*  tempi  dell'impe- 
ratore Giustiniano  I  i  franchi  s'im- 
padronirono delia  Provenza,  di  Mar- 
siglia, antica  colonia  de'  focesi,  e  del 
mare  adiacente,  per  cui  si  deduce 
che  verso  l'anno  SSg  i  franchi  già 
possedessero  una  specie  di  marina. 
Tutlavolta  sembra  che  Clodoveo  I 
e  i  suoi  discendenti  trascurassero 
l'arte  della  navigazione,  alla  quale 
pare  che  Carlo  Magno  prestasse 
qualche  attenzione.  Fu  però  ne- 
gletta di  nuovo  tale  arte  dopo  la 
sua  morte,  per  cui  nelle  crociate  i 
francesi  furono  costretti  ricorrere 
ai  veneziani  e  genovesi,  già  possenti 
in  marina,  e  noleggiare  a  prezzo 
enorme  i  loro  vascelli.  In  seguito 
s.  Luigi  IX,  Filippo  III,  e  Filippo 
IV  fecero  grandi  sforzi  per    stabi- 


MAR  1 5 

lire  la  marina  francese ,  che  fece 
salpare  dai  suoi  porti  in  diverse 
epoche  flotte  di  qualche  forza  e 
portata,  e  tentarono  alcune  spedi- 
zioni marittime.  Già  gl'italiani,  spe- 
cialmente i  veneziani,  i  genovesi,  i 
pisani  e  gli  amalfitani ,  come  di- 
ciamo ai  loro  articoli,  si  erano  da 
lungo  tempo  distinti  per  la  loro 
perizia  nella  marineria ,  essendosi 
impadroniti  di  tutto  il  traffico  ma- 
rittimo coU'Asia  e  coli'  Africa ,  ed 
alcuni  persino  in  lontane  terre  pres- 
so il  mar  Nero.  Altresì  i  portoghesi, 
e  ad  esempio  loro  gli  spagnuoli,  si 
erano  pure  segnalati  con  lontane 
navigazioni,  e  i  primi  avevano  ri- 
conosciute tutte  le  coste  dell'Africa, 
scoperte  nuove  isole,  e  trovato  il 
passaggio  delle  Indie  orientali ,  gi- 
rando intorno  all'estremità  dell'A- 
frica; i  secondi  colla  scorta  di  un 
ingegno  italiano,  1' immortale  Cri- 
stoforo Colombo,  spinte  avevano  le 
loro  navigazioni  sino  nell'America, 
e  scoperto  il  nuovo  mondo.  1  fran- 
cesi dopo  Filippo  VI  di  Valois  la- 
sciarono cadere  la  marina  in  uno 
stato  di  languore,  che  durò  sino  a 
Francesco  I,  il  quale  riuscì  a  for- 
mare una  jflolta  di  i5o  grossi  va- 
scelli, e  di  altri  6o  minori.  In  pro- 
gresso la  marina  francese  venne  ri- 
stabilita in  forza  da  Enrico  IV  ;  ma 
intanto  gli  olandesi  e  gì'  inglesi  si 
erano  grandemente  raffi^rzati  nel- 
l'arte di  costruire  i  vascelli,  e  nella 
marineria  si  erano  distinti  per  mol- 
te ardite  navigazioni  e  per  alcune 
scoperte  ;  anzi  le  imprese  de'  pirati 
e  degli  avventurieri  risvegliarono  in 
quelle  nazioni  e  governi  il  gusto 
della  navigazione,  e  lo  studio  d'in- 
grandire e  fortificare  considerabil- 
mente  la  marina.  Sotto  il  regno  di 
Luigi  XIII  il  cardinal  Richelieu  fece 
cQStiuire  molti  vascelli,    fece  espur- 


I  ti  M  A  R 

{^are  tulli  i  porti,  ed  alcuni  ne  for- 
tificò ;  poscia  Luigi  XIV  nel  suo 
liin«o  e  luminoso  regno  portò  la 
marina  francese  a  quel  grado  di 
splendore  che  la  rese  per  qualche 
tempo  formidabile  n  tutta  l'Euro- 
pa. Ma  r  Inghilterra,  la  Spagna  e 
l'Olanda  aveano  una  marina  flori- 
dissima, quando  la  Francia  solo 
possedeva  alcuni  vascelli,  finche  Lui- 
gi XIV  in  breve  tempo  avendo 
fallo  costruire  porti,  arsenali  e  va- 
scelli,  quasi  con  una  specie  d'in- 
canto armò  una  flotta  considerabile, 
che  disputò  agi'  inglesi  l' impero  del 
mare,  fece  chinare  la  bandiera  agli 
ammiragli  spagnuoli  ,  e  bombardò 
Algeri,  ora  in  potere  della  Francia. 
In  Europa  V  Inghilterra,  la  Fran- 
cia^  e  la  Russia  (f^edi)^  sono  po- 
tenze formidabili  anche  in  mare , 
per  le  loro  numerose  flotte  e  per 
le  loro  agguerrite  e  possenti  ma- 
rine. 

In  Itaha  si  diede  il  nome  di 
Flotta  anticamente  ad  una  com- 
pagnia o  unione  di  bastimenti 
mercantili,  i  quali  navigavano  di 
conserva.  Si  diede  poi  il  nome  di 
flotta,  ma  però  abusivamente,  an- 
che ad  una  squadra  o  ad  un'ar- 
mata navale.  I  nostri  antichi  scrit- 
tori non  accennarono  giammai  le 
poderose  flotte  d'Inghilterra,  d'O- 
landa e  di  Portogallo,  se  non  co- 
me portatrici  di  mercanzie.  Nel 
dizionario  francese  delle  Orìgini  si 
definisce  la  flotta  un  numero  con- 
siderabile di  vascelli  che  navigano 
di  conserva,  tanto  pel  traffico,  co- 
me per  la  guerra;  e  si  dice  che 
le  flotte  de'feaicii  sono  le  prime  di 
cui  si  faccia  menzione  nella  storia. 
Si  videro  successivamente  flotte 
nella  Grecia,  nella  Sicilia,  nella 
Sardegna  e  nelle  Gallie.  Ma  i 
fenicii    incoraggiti    dai   loro    gran- 


M  A  R 
diosi  e  continuati  successi,  osarono 
finalmente  passare  lo  stretto  in- 
oggi detto  Gibilterra  (che  per  la 
sua  celebrità,  e  per  essere  in  pos- 
sesso degl'inglesi,  descrivemmo  in 
fine  del  citato  articolo  Inghilter- 
ra), verso  l'anno  i2  5o  avanti  l'era 
volgare,  e  le  loro  flotte  si  estesero 
allora  in  tutto  l'Oceano,  e  si  spin- 
sero a  destra  e  a  sinistra  di  quello 
stretto.  L'esempio  dei  fenicii  diede 
ben  presto  agli  idumei,  agli  ebrei 
ed  ai  siri,  l' idea  di  porre  insieme 
e  di  munire  dei  necessari  attrezzi 
alcune  flotte  mercantili.  Nella  sa- 
cra Scrittura  si  parla  sovente  di 
frequenti  viaggi  che  facevano  le 
grandi  flotte  del  re  Salomone  nel- 
l'Africa, nella  terra  d'Ofir  e  di 
Tarsis,  ma  probabilmente  erano  i 
fenicii  che  le  conducevano,  perchè 
gli  ebrei  non  pare  se  ne  occupassero. 
Il  creatore  della  marina  egiziana 
si  reputa  generalmente  Boccori,  che 
nell'Egitto  regnava  670  anni  a- 
vanti  la  nostra  era.  Sino  a  quell'e- 
poca la  marina  egizia  non  consi- 
steva che  in  poche  barche,  o  an- 
co in  una  specie  di  zattere,  delle 
quali  si  faceva  uso  per  costeggiare 
le  rive  del  golfo  arabico.  Neco  fi- 
glio di  Boccori,  dopo  aver  fatto 
costruire  gran  numero  di  vascelli, 
spedi  dalle  rive  del  mar  Rosso  una 
flotta,  che  seguendo  i  di  lui  ordi- 
ni, fece  il  giro  di  tutta  l'Africa,,  e 
tornò  in  Egitto  rientrando  nel  Me- 
diterraneo per  le  colonne  d'Erco- 
le, o  sia  per  lo  stretto  di  Cadice 
o  di  Gibilterra.  Anche  di  questa 
impresa  però  si  dice  che  furono 
condottieri  i  fenicii,  e  che  fu  com- 
piuto quel  giro  nel  periodo  di  tre . 
anni.  Tucidide  parla  d'una  memo- 
rabile battaglia  navale,  che  si  die- 
de 600  anni  circa  avanti  l'era  vol- 
gare, tra  una  flotta    de'  corinti  ed 


MAR 

nìtra  degli  abitanti  di  Corcira;  e 
cjiieslo  è  il  più  antico  combatti- 
mento navale  di  cui  si  abbia  men- 
zione nella  storia  greca.  L'ampia 
pianma  di  Roma,  detta  ora  prati 
di  Monte  Testaccio,  fu  dai  roma- 
ni chiamata  Navalis  regio,  e  JVa- 
yalia,  dopo  che  vemie  particolar- 
mente destinata  alla  costruzione  e 
custodia  delle  navi,  ed  all'approdo 
delle  barche  che  risalivano  dal 
mare  il  Tevere.  La  contiada  pre- 
se da  ciò  tal  nome  nel  IV  secolo 
di  Roma,  forse  dopo  la  riedifica- 
zione della  città  l'anno  365  avve- 
nuta, ed  allora  fu  dato  il  nome 
di  Navalis  alla  porta  prossima  sul- 
la riva  sinistra  del  Tevere  presso 
l'Aventino.  La  prima  flotta  spedi- 
ta dai  romani  nella  prima  guerra 
punica,  era  composta  di  160  ve- 
le; quello  però  che  sembra  incre- 
dibile è  ch'essi  avevano  impiegato 
soli  sessanta  giorni  nel  tagliare  il 
legname,  e  nel  fabbricare  tutti  quei 
vascelli.  Al  tempo  della  seconda 
guerra,  punica,  al  dire  di  Plinio, 
i  romani  spesero  quaranta  giorni 
per  munire  ed  eqi.iipàggiare  una 
flotta,  e  per  abilitarla  a  scórrere 
sul  mare. 

Già  i  romani  prima  delle  due 
guerre,  puniche,  e  nell'anno  di  Ro- 
ma 4' 6  avevano  rovinato  il  por- 
lo d'  Amo ,  impadronendosi  del- 
la flotta  degli  anziati,  numerosa  di 
venlidue  vascelli;  quindi  seriamen- 
te si  applicarono  allo  stabilimento 
e  al  governo  della  loro  aiarina. 
Laonde  spedirono  poscia  flotte  nu- 
merose su  tutte  le  coste  del  Me- 
diterraneo, nella  Sicilia,  e  nell'A- 
frica contro  i  cartaginesi;  ne  spedi- 
rono nella  Macedonia  contro  il  re  Fi- 
lippo, e  poscia  ancora  contro  Perseo; 
nell'Asia  contro  Antioco;  sulle  co- 
ste   della-  Grecia  contro  gli    etolii; 

VOL.     XLIII. 


MAR  17 

finalmente  su  quelle  dell'Asia  mi- 
nore e  della  Cilicia  contro  Mitri- 
date ed  i  pirati.  Avevano  i  roma- 
ni per  difesa  dei  mari  Adriatico  e 
Tirreno  o  toscana  parte  del  Medi- 
terraneo, due  armate  marittime 
principalissime,  una  nel  porto  Mi- 
sentì  fra  Baia  e  Ischina,  che  servi- 
va per  tutto  il  ponente,  mezzogior- 
no e  tramontana,  l'altra  a  Ravenna 
ohe  serviva  per  tutto  il  levante,  am- 
bedue cosi  ordinate  da  Augusto.  Ser- 
viva quella  del  porto  Miseno,  per 
la  Francia,  Spagna,  Mauritiana, 
Africa  e  per  l'Egitto;  quella  di  Ra- 
venna, il  di  cui  porto  era  assai 
ben  munito,  e  capace  di  duecento- 
cinquanta navi,  serviva  per  l'Epi- 
ro, Ragusi,  Macedonia,  Acaia,  Si- 
cilia j  Cipro,  Arcipelago,  Mare  Mag- 
giore, ed  altre  provincie.  Teneva- 
no similmente  i  romani  due  altre 
armate  minori,  cioè  una  nel  porto 
d'Ostia,  l'altra  nella  Gallia  War- 
bonese  nel  Foro  di  Giulia,  per  cui 
possedevano  ordinariamente  in  di- 
versi luoghi  quattro  armate  con- 
siderabili, oltre  quella  che  stava 
nel  mare  Maggiore  ossia  sopra  Co- 
stantinopohj  dov'era  in  quie' tempi 
un  porto  capace  di  cento  navi,  ia 
cui  a  tempo  di  Gioseffo  istorico 
mantenevano  trentamila  soldati  e 
quaranta  galere.  Nei  fiumi  grossi 
ne  avevano  tre.  I  romani  ,  come; 
meglio  dicemmo  a  Corona  ,  conce- 
devano la  corona  navale  d'oro  a 
col.ui  che  pel  primo  fosse  entrato 
armato  nella  nave  nemica;  la  co- 
rona poi  classica  o  rostrale  si  da- 
va a  quello  che  con  vittoria  aves- 
se vinto  in  mare  il  nemico,  come 
fu  data  a  Marco  Varrone  ed  a 
Marco  Agrippa.  Lduumviri  o  com- 
missari di  marina,  furono  creati 
l'anno  di  Roma  5^i  :  era  loro  cu- 
ra di  far  costruire  ed   equipaggia- 


Èobwvtwi  m^i 


■n 


Ck 


i8  MAR 

re  le  navi.  Si  dislingiirvnno  nelle 
flotte  greche  e  romane  due  diver- 
se specie  di  vascelli,  i  grandi  e  i 
piccoli;  quelle  dne  specie  divide- 
"vansì  ancora  in  biremi,  Iriretìrìi  , 
quadrii'emi  e  qiiinquìremi,  secon- 
do il  numero  degli  ordini  dì  re- 
mi e  dì  rematori  che  vi  si  appli- 
cavano ;  Polibio  pel  primo  descris- 
se !e  nari  de'romani,  che  in  prin- 
cipio abborrirono  la  marina.  Os- 
servano alcuni,  massime  gli  storici 
dell'antica  marina,  che  per  le  na- 
vi da  guerra  si  faceva  usò  piut- 
tosto di  remi  che  non  di  vele,  e 
che  all'opposto  le  navi  mercanti- 
li o  di  trasporto,  sì  facevano  viag- 
giare piuttosto  a  vele  che  non  a 
remi.  Tra  le  flotte  di  cui  si  fa 
menzione  nella  storia  moderna,  la 
più  celebre  dìcesi  quella  che  Fi- 
lippo II  avea  disposto  durante  lo 
spazio  di  tré  anni  nel  Portogallo, 
a  Napoli  e  nella  Sicilia,  affine  di 
detronizzare  la  regina  Elisabetta; 
ma  benché  nominata  V  ìmdncihìle, 
a  suo  luogo  dicemmo  la  funesta  sor- 
te di  essa,  e  come  andò  a  vuoto  la 
spedizione.  Nei  bassi  tempi,  massi- 
me ne'mari  del  Levante,  i  vene- 
ziani, i  pisani,  gli  amalfitani,  ì  ge- 
novesi, Spedirono  assai  numerose 
flotte;  e  le  più  grandi  flotte  o  ar- 
mate navali,  che  si  resero  celebri 
ne*  secoli  XV  e  XVI,  furono  per 
lo  più  formate  o  ingrossate  da  va- 
scelli delle  potenze  italiane. 

Le  barche  più  antiche,  dicono 
alcuni  scrittori,  non  furono  pro- 
babilmente se  non  che  tronchi"  di 
albero  scavati,  o  forse  ancoia  ta- 
vole o  tronchi  d'albero  galleggian- 
ti, su  le  quali  gli  uomini  si  affi- 
darono alle  onde.  Sembra  altresì 
che  molte  nazioni  più  antiche  fa- 
cessero uso  di  battelli  composti  di 
verghe  flessibili,  alle  quali  colléga- 


MAR 
fc  e  coperte  dì  cuoio,  si  dava  la 
forma  d'una  navicella.  Da  princi- 
pio, dicono  altri,  non  sì  adopera- 
vano che  zatfeie  (veicoli  o  carri 
piani  di  legni  collegati  insieme,  che 
vanno  nelle  acque  come  a  nuoto), 
piroghe  (barchette  de*  selvaggi  a- 
mericani  fatte  dì  un  tronco  d'al- 
bero scavato),  o  semplici  barche. 
Le  prime  rozze  barche  non  erano 
se  non  che  schifi  deboli  e  leggeri, 
che  si  condiicevano  a  remi,  chia- 
mandosi ora  schifi  le  più  piccole 
barchette  per  cui  dal  vascello  o 
nave  si  scende  a  terra,  appellate 
pure  lancie.  Alcuni  affermano  che 
le  prime  navicelle  furono  costrut- 
;  te  sul  modello  degli  uccelli  che 
teggonsi  nuotare  al  disopra  delle 
acque,  é  certamente  si  trova  nel- 
le barche  in  generale  qualche  idea 
di  quella  forma,  perchè  tutte  pre- 
sentano una  convessità  al  disotto, 
e  una  convessità  al  disopia  ,  che 
tiene  il  luogo  dello  stomaco  e  del- 
l'addome degli  uccelli,  e  il  collo, 
la  testa  e  il  becco  danno  l'idea 
della  prora  eh*  è  la  parte  dinanzi 
della  nave,  opposto  di  poppa  eh' è 
la  paite  deretana  delle  navi;  co- 
me la  coda  somministra  la  figura 
e  l'idea  della  poppa  col  timone, 
il  quale  è  quel'  legno  mobi-le,  con 
cui  si  governa  il  moto  della  nave, 
e  Serve  di  guida.  Il  moto  altresì 
dei  piedi  degli  uccelli  acquatici  ha 
potuto  facilmente  fornir  l' idea  dei 
remi,  che  a  somiglianza  di  quelli 
de'  palmipedi  si  sono  fatti  più  lar- 
ghi ad  una  delle  estremità.  Inol- 
tre si  prefende  che  Dedalo  in- 
ventasse le  vele,  allorché  tentò  di 
fuggire  dall'isola  di  Greta,  e  che 
col  mezzo  di  quelle  egli  attraver- 
sasse la  flotta  di  Minosse  re  del- 
l'isola,  senza  che  ad  alcuni  riuscis- 
se   arrestarlo .     Si     fecero    ancora 


MAR 

lìarclie  iH  luoio,  e  le  iisaiOTio  certi 
popoli  dell'  Indili,  e  Cesare  le  ordi- 
nò a'suoi  soldati  nella  spedizione 
d' Inghilterra.  I  babilonesi  andava- 
no per  rEulVale  in  barelle  di  euoio 
di  figura  rotonda.  Di  cuoio  e  di  otri 
congiunti  furono  fabbricati  de'pon- 
àì  per  trapassare  le  armate,  e  gli  u- 
sarono  pure  i  romani,  i  quali  ebbe- 
ro il  Collegio  degli  ulriculari ,  che 
erano  persone  che  facevano  le 
barche  e  i  ponti  con  otri  per  ser- 
virsene ne'fìumi  e  nel  mare.  JN'oii 
conoscendosi  chi  pel  primo  abbia 
costruito  navi,  l>isogna  riguardare 
forse  per  la  prima  l'arca  di  Noè, 
di  cui  Dio  stesso  indicò  le  dimen- 
sioni e  diverse  proporzioni,  il  mo- 
do di  costruirla  e  di  renderla  im- 
penetrabile alle  acque.  Si  può  cre- 
dere tuttavia  che  alcune  orli  fos- 
sero già  praticale  dagli  antidilu- 
viani, perchè  Dio  ordinò  a  Noè 
di  fabbricare  quella  nave  di  legni 
levigati,  di  formarvi  diverse  came- 
re, con  finestra  e  tetto:  ciò  fa  ri- 
tenere che  cognizioni  edificatorie  si 
conoscessero.  In  progresso  di  tem- 
po, divenuto  generale  l'uso  delle 
navi  presso  lutti  i  popoli,  «e  ne 
costruirono  di  varie  sorti,  di  varie 
grandezze  e  materie,  e  l'arte  della 
costruzione  navale,  straordinaria- 
mente estesa  e  ingrandita,  giunse 
a  fabbricare  moli  galleggianti,  sor- 
prendenti per  la  loro  grandez- 
za e  solidità,  e  destinate  fin  an- 
che agli  usi  di  guerra.  Sarà  sem- 
pre oggetto  di  meraviglia^  il  con- 
siderare, come  su  barche  si  tras- 
portassero in  Roma,  specialmente 
dall'Egitto,  moli  di  un  peso  straor- 
dinario, come  gli  obelischi  che  tut- 
tora ammiriamo. 

Nave  è  vocabolo  che  significa 
propriamente  ogni  legno  da  navi- 
gare, ma  più  spesso  si    usa    a    si- 


MAR  19 

gnifìcai'e  ì  bastimenti  grandi  che 
hanno  tre  alberi  con  piò  ordini 
di  vele,  per  trasportar  mercanzie 
o  armati  per  servizio  dello  stato 
e  della  guerra;  questa  specie  di 
navi  sono  chiamate  anche  navi 
grosse.  Di  mano  in  mano  che  la 
navigazione  si  eslese  e  diventò  più 
frequente,  si  perfezionò  la  costru- 
zione delle  navij  si  fecero  queste 
di  più  grandi  dimensioni,  è  fu  d'uo- 
po allora  di  maggiore  mano  di 
opera,  e  di  iin  artifizio  maggiore 
per  muoverle  e  per  guidarle.  Non 
si  lardò  a  riconoscere  l'utilità  che 
trarre  potevasi  dal  vento  per  faci- 
litare e  rendere  più  veloce  il  corso 
di  ima  nave,  e  si  trovò  l'arte  di 
valersene  col  mezzo  degli  alberi  o 
antenne  e  delle  vele  :  alcuni  sono 
di  avviso,  che  il  nautilio  papira- 
ceo, detto  dai  naturalisti  argonau- 
ta argo,  e  non  raro  anche  nel 
Mediterraneo,  abbia  dato  il  primo 
r  idea  della  vela  applicabile  alle 
navi,  poiché  quel  testaceo  manda 
fuori  dal  suo  nicchio  una  specie  di 
vela  o  cartilagine  o  membrana, 
la  quale  gonfiata  dal  vento.  Io 
trasporta  rapidamente  a  grandissi- 
me distanze.  Opinano  alcuni  che 
le  navi  de'fenicii  fossero  somiglian- 
ti in  parte  alle  galee,  cioè  navi- 
gassero a  vela  ed  a  remi  ;  facendo 
uso  delle  prime  se  il  vento  era  fa- 
vorevole, e  dei  secondi  durante  le 
calme  e  quando  i  venti  erano  con- 
trari. I  greci  fecero  progressi  nel- 
l'architettura e  nella  costruzione 
navale,  dopo  che  Giasone  fece  co- 
struire' una  nave  che  per  la  sua 
grandezza  e  corredo  superò  tutte 
quelle  che  eransi  fino  allora  vedute, 
all'oggetto  di  penetrare  nella  Col- 
chide  cogli  argonauti,  per  la  con- 
quista del  vello  d'oro.  Presso  i 
ffreci  e    i   romani    vi    furono    due 


30  MAR 

sorta  di  navi,  le  Une  destinale  al 
traflGco,  al  liaspoi^to  delle  mercan- 
zie, de* viveri  e  delle  Iruppe,  e  que- 
ste, cbiamavansi  navi  da  carico, 
naves  oncrariaej  le  altre  alle  sol- 
tanto alla  guerra,  o  adoperate  a 
queir  uso,  dicevansi  lungae  navesy 
naVi  lunghe,  e  questo  nome  si  per- 
petuò in  Italia,  e  si  mantenne  an- 
che ne'  tempi  di  mezzo  e  sin  qua- 
si al  passato  secolo.  Si  pretende 
/òhe  presso  i  romani  queste  navi 
avessero  realmente  un  notabile  pro- 
lungamento, a  disti-nzione  delle  al- 
tre la  cui  forma  avvicina  vasi  alla 
rotonda  o  all'ovale.  Le  navi  d'al- 
tronde erano  aperte  e  senza  pun- 
te; esse  non  ayeano  neppure  alla 
prora  que'rostri  di  bronzo  che  qua- 
lificavano le  navi  da  guerra,  chia- 
mati anco  speroni,  ed  erano  pur 
di  ferro  e  di  rame.  Con  nati  gui- 
dale da  remi  e  vele,  benché  ma - 
Jamenle  costrutte  e  debolmente 
munite,  sì  fecero  tuttavia  lunghis- 
simi viaggi;  gl'italiani  navigatori 
si  spinsero  sino  alle  Indie  orienta- 
li, e  gli  scandinavi  sino  neirAmeri- 
ca*  L'invenzione  della  bussola,  della 
quale  parlammo  all'  articolo  Amal^ 
fi  (Vedi)  ed  altrove,  strumento  che 
serve  a  indicare  la  tramontana,  e  per 
conseguenza  a  ritrovare  i  luoghi 
ove  uno  si  trova,  e  specialmente 
a  dirigere  il  corso  delle  navi,  e 
quella  poscia  delle  artiglierie  por- 
tarono grandissimi  cangiamenti  nel- 
la costruzione  navale,  arrischiando- 
si colta  guida  dell'ago  calamitato 
o  magnetico  i  navigatori  a  piìi 
lunghi  viaggi,  e  renduto  essetìdosi 
necessario  in  appresso  il  rafforzare 
grandemente  i  vascelli,  onde  capa- 
ci fossero  di  sostenere  pesi  assai 
maggiori,  e  l'urto  de'colpi  di  can- 
none; quindi  fiorendo  le  arti  e  le 
scienze,  anche  la  marina  si  ri  uno - 


MAR 
vò  e  riformò  totalmente,  cosicché 
a  grado  a  grado  si  venne  dalle 
epoche  più  remole,  e  dalla  costru- 
zione navale  de'  tempi  antichi,  a 
quella  che  oia  si  adopera  e  si 
ammira.  Nel  passato  secolo  si  è 
stabi  li  la  tra  diveree  nazioni  una 
emulazione  attiva  per  la  migliore 
costruzione  de'vascelli,  dal  che  è 
risultato  un  perfezionamento  che 
altre  volte  si  sarebbe  giudicato  im- 
possibile. Si  narra  che  le  antiche  flot- 
te de're  sassoni  erano  tutte  com- 
poste di  scialuppe,  ora  battelli  al 
servigio  delle  navi,  mosse  da  re- 
mi ;  che  il  celebre  vascello  di  En- 
rico Vili,  che  passava  in  quei 
tempi  per  una  delle  meraviglie  del 
mondo,  sarebbe  per  noi  appena 
un  vascello  di  quarto  ordine;  che 
una  delle  nostre  fregate  (  piccoli 
navilii  da  remi  nell'antico  tempo, 
ora  sono  vascelli  da  guerra  alquan- 
to minori  di  una  nave  da  linea  ) 
di  prima  forza  e  grandezza,  supe- 
riore riuscirebbe  a  tutti  i  migliori 
vascelli  dèir  Inghilterra  che  fab- 
brica vansi  a'  tempi  della  regina 
Elisabetta;  e  finalmente  che  ciascu- 
no de'vascelli  di  74  cannoni  di 
tiuova  costruzione,  è  di  molto  su- 
periore a  quello  ch'erano  i  vascel- 
li di  pi-imo  ordine  nel  secolo  XVI 1. 
Il  nome  poi  di  Èattello  0  navi- 
cello, o  piccola  nave,  v.  for^e  fissai 
più  antico  di  quello  che  comune- 
mente* si  crede,  e  se  ne  fecero  an- 
cora con  macchine  meccaniche  per 
diversi  usi,  ma  la  più  celebre  e 
più  utile  è  quella  de' battelli  a  va- 
pore, motore  divenuto  ogj^i  di  uso 
universale:  sono,  pochi  anni  che  a 
Manchester  si  costruiscono  molti 
bastimenti  di  ferro  destinali  alla 
navigazione  di  lungo  corso;  la  lo- 
ro coslruziono  è  della  massima  sem- 
plicità, e  molti  ne  sono   i  vantag- 


MAPl 
gi.   L'rdea  di  applicare  l'azione  del 
vapore    per  fiir    camminare    delle 
navi,  ha  dovuto  nascere  colle   pri- 
me notizie  dell'esistenza  di    questa 
mirabile  fòrza.  Nel   i663    il    mar- 
chese dì  Vorcester    fece    conoscere 
l'idea  madre  della  macchina  a  va- 
pore, in  un  modo  però  enigmatico. 
Quindi  nel   lySy    Giovanni    Ilulls 
di  Londra  pubblicò  la    descrizione 
di  un  battello    a    vapore    per    far 
rimorchiare    le    navi.    Inutilmente 
pei'    moltissimi   anni    si   cercò    in 
Francia,    neli'  Inghilterra    e    nella 
Scozia    di    effettuare    i    disegni    di 
Ilullsj  ma  sì    bella  ed    utile    con- 
quista era  ri  serbata  al  celebre  mec- 
canico americano   Roberto    Fulton 
della    contea    di    Lancastro    tìellà 
Pensil Vania  ,    il    quale    dimorando 
nel   i8o4   in  Parigi,    Occupato    ad 
arricchire    la    Sua  mente    di    titili 
cognizioni,    e  protetto    da    Living- 
tou  plenipotenziario  degli  Stati  Uniti 
presso  il  governo  di  Francia,  pro- 
seguì il  Suo  disegno  d'impiegare  la 
potenza  prodigiosa    del    vapore  ad 
agevolare  la  navigazione,  con  tutto 
quell'ardore    da  cui    era  animato. 
Nel   r8o5  fece  il  suo  primo  espe- 
rimento con  un  piccolo  battello  di 
cuoio  sulla  Senna,  dopo  di  che  or- 
dinò in  Inghilterra  una  gran  mac- 
china a  vaporò,  e  recossi  in  Ame- 
rica per  far  preparare  le  navi  che 
dovevano    riceverla,    con    perfetta 
riuscita.  La  Spagna  Volle    pure  ri- 
vendicare l'onore    di  avere    inven- 
tato i  battelli  a  vapore,  poiché  nel 
1543  Blasco  di  Garay  capitano  di 
nave,  propose    a    Carlo  V    di    far 
camminare  yna   nave    senza    remi 
e  senza  vele,  ed  essendo  la    prova 
felicemente    riuscita    fu     generosa- 
mente   ricompensato.     Quell'  appa- 
recchio   consisteva    in  una    caldaia 
d'acqua  bollente,  il  cui  vapoi'C  mct- 


MAR  21 

teva  in  movimento  due  ruote  ap- 
plicate sui  fianchi  della  nave.  Do- 
po la  morte  di  Carlo  V,  il  Garay 
non  avendo  pih  trovato  alcun  pro- 
tettore, la  sua  scoperta  rimase  di- 
menticata   durante    alcuni    secoli . 
Aggiungeremo    a  gloria  del   nome 
italiano,  che  il  eh.  Rambelli   nelle 
sue    Lettere    intomo   invenzioni   e 
scoperte  italiane,    a  p.  gS    e  seg., 
parlando  delle  macchine  a  vapore, 
discorre  del  romano  Giovanni  Bran- 
ca, che  nel  1628  pubblicò  in   Ro- 
ma un'  opera,  con  la  quale  tentò  dì 
applicare  in  grande    la  potenza  e- 
spansiva  del  vapore    a  degli  ogget- 
ti utili;  e  del  toscano  Serafino  Ser- 
rati, il  quale   verso  il   1787    fu  il 
primo   non    solo    ad    immaginare, 
ma  eziandio  a  porre  ili  corso  sul- 
l'Arno un   battello  a    vapore,    per 
cui  si  diminuisce  la  gloria  di  HuIIs 
e  dì  Fulton,  non  che  di  Giacomo 
Vatt  che  fu  l'inventore  delle  mac- 
chine a  vapore  in  Inghilterra    nel 
1796.  L'America  pose  in  opera  per 
la  prima  questo  ramo  importante 
d'industria  commerciale;   l'Inghil- 
terra prontamente  imitò  la  sua  ri- 
vale d'oltremare,  e  la  Francia  non 
tardò  a  mettersi  in  relazione    con 
esse.    In  seguito    gli  altri    stati  in 
un  all'Italia  adottarono    le  navi   e 
i  battelli  a  vapore.  Queste  macchia 
ne  che  navigano  in  lutti    i    mari, 
e  che  affrontano  egualmente  i  ven- 
ti e  le  tempeste,  avvincono   gl'im- 
peri e  il  mondo,  e    rendono    ogni 
giorno  le  comunicazioni    più   facih 
e  più    frequenti.    Popola    oggi    il 
Mediterraneo  e  l'Adriatico   una  fa- 
miglia di  battelli  a  vapore  d'ogni 
forza    e     d*  ogni    dimensione,   che 
tagliano  le  acque  in  tutti  i    sensi, 
s'incrociano,  si  passano    da    costa, 
e  come  due  amici   che  s'incontra- 
no sullo  stesso  sentiero^  pur  quasi 


22  MA.R 

YOgliano  stendersi  una  mnno  tra 
loro,  monile  due  legni  a  vele  slu- 
tliano  da  lungi  la  loro  direzione, 
e  come  più  si  avvicinano,  piti  si 
afTalicano  ad  allontanarsi.  Anche  i 
fiumi  sono  popolati  da  legni  a  va> 
pore,  ed  il  Tevere  lo  è  pure. per 
provvidenza  di  Papa  Gregorio  XVI. 
Delle  forze  marittime,  e  delle  cose 
principali  riguardanti  la  marina 
delle  principali  nazioni,  ne  faccia- 
mo menzione  ai  loro  articoli,  laon- 
de qui  solo  ci  permetteremo  alcu- 
ni cenni  sulla  marina   pontificia. 

Incominciato  il  dominio  tempo- 
rale della  Chiesa  romana  nei  primi 
anni  del  secolo  Vili,  in  progresso 
i  Pontefici,  come  si  dice  all'articolo 
Milizie  pontificie  [Vedi),  quali  so- 
vrani dovettero  armarsi  per  difende- 
re i  loro  dominii,  ed-  armare  il  litora- 
le per  difendere  le  coste,  massime  dai 
pirati  e  corsari,  e  talvolta  dai  tur- 
chi. Neir849  s,  Leone  IV  si  portò 
ad  Ostia  con  un  esercito,  e  con 
battaglia  navale  e  terrestre  disper- 
se l'armata  de'  saraceni,  che  volea- 
no  saccheggiare  la  basiUca  vatica- 
na, facendone  molti  prigionieri.  Nel 
secolo  XI  vedendo  Benedetto  Vili 
che  spesso  i  saraceni  assalivano  i 
lidi  dello  stato  della  Chiesa ,  nel 
1016  radunato  copioso  esercito,  li 
attaccò  ne*  mari  di  Toscana,  e  ri- 
j>ortò  compiuta  vittoria.  Negli  anti- 
chi ordini  romani  sono  spesso  no- 
minati i  prefetti  navali.  Il  Moretti, 
De  ritus  dandi presbyterium,  p.  2  1 7, 
parlando  di  quello  che  davasi  ai 
dilungari  dai  Papi,  e  consistente  in 
otto  soldi,  ecco  quanto  dice  sui  pre- 
fetti navali.  »  Apud  Luitprandum 
Ticinensem,  cap.  5,  lib.  3,  Histor. 
ìegalionis  ad.  Nicephorum  Pliocani, 
Delongaristis  ploas  dicitur  ille,  qui 
navigantibus  praeeral  ,  Chartaritis 
(p.  98  Syllabi  advocator.  cotiiisto- 


MAR 

rial.)  quod  est:  Praefcrtus  nava- 
liitni^  f/tti  dicitur  Snngnri  :  in  trxlu 
Ccncii  §seq.  exhihendo,  legit,  (jni  di- 
citur Dilungaris.  Conjiciendum  hiuc 
romanos  dilungnris  laicos  viros  fuis- 
se,  quos  et  Navales  dicerent,  seu 
navnlilms  praesidentes  ".  Neil'  ordine 
del  canonico  Benedetto,  fiorito  nei 
primi  anni  del  secolo  XII,  si  legge 
che  il  Papa  nel  giorno  di  Natale  tor- 
nando in  cavalcala  dalla  ba.silica 
Liberiana  ol  patriarchio,  intorno  al- 
la processione  andavano  i  dirun- 
gari  e  i  due  prefetti  navali,  i  quali 
si  denominavano  anch'essi  con  ba- 
stoni nelle  mani  vestiti  di  piviale 
come  i  giudici.  Nell'elezione  poi 
del  nuovo  Papa,  nella  cavalcata  che 
avea  luogo,  seguivano  i  bandoneri 
coi  dodici  stendardi  rossi ,  i  due 
prefetti  navali  vestiti  di  piviale, 
poi  gli  scrinari  e  gli  avvocati,  come 
narra  Cencio  Camerlengo ,  poscia 
Onorio  III.  Nell'ordine  romano  XII, 
presso  Mabilloti,  Mus.  Ital.  X.\\,\). 
170,  praefecluf!  navali,  qui  dici- 
tur Sangari  ^  avevano  per  presbi- 
terio due  molequini  e  quattro 
soldi.  Nell'anno  1046  per  la  be- 
nedizione di  Clemènte  II,  e  coro- 
nazione di  Enrico  III  e  dell'impe- 
ratrice Agnese,  questa  fu  accom- 
pagnata dal  prefètto  de'  navali  e 
dal  secondicero  de'  giudici.  Nelle 
descrizioni  de'  possessi  de'  l*api  ab- 
biamo: in  quello  del  i  i43  di  Ce- 
lestino II  v'intervenne  praefecli  na^ 
valij  ed  ebbe  il  presbiterio.  In  quel- 
lo del  127  2  di  Gregorio  X,  duo 
praefecti  navales  induti  pluvialihus. 
In  quello  del  i4o6  di  Gregorio  XII, 
praefecti  dande  navales  duo  in  or- 
natissinw  pracferuntur  cultu,  ut  in- 
telligas' eie.  Nel  i5i3  pel  possesso 
di  Leone  X,  ebbero  il  presbiterio, 
praelntl  et  alii  omnes  usqae  ad 
pratfcclos  navales  unum    ducatuui 


MAR 

cL  unum  j'ulhimj  nella  cavalca  fa 
iuceclerono  Uopo  il  sagiisla,  e  pri- 
ma degli  avvocali  concistoriali,  ve- 
stiti di  colla  o  camice  e  piviale  al- 
l'apostolica, cioè  con  il  braccio  drit- 
to scoperto. 

Apprendiamo  dal  eh.  monsignor 
Costantino  Borgia  già  cameriere 
segreto  partecipante  di  Gregoiio 
XVI  e  del  regnante  Pio  IX,  ora 
ponente  di  consulta  ,  nelle  sue 
importanti  Notizie  biografiche  del 
cardinal  Stefano  Borgia  suo  pro- 
zio, che  facendo  questi  delle  corse 
nelle  spiaggi  e  del  Mediterraneo  e 
dell'Adriatico,  avea  raccolto  un  te- 
soro di  cognizioni  per  un'opera  che 
avrebbe  dovuto  veder  la  luce  se  la 
morie  noi  rapiva  prima  di  porvi 
l'ultima  mano ,  e  nel  punto  che 
slava  per  divulgarla.  Il  titolo  di 
quest'  opera  era  :  Istòria  nautica 
de  domimi  pontificii ,  in  due  «vo- 
lumi ,  il  primo  de'  quali  portava 
l'iscrizione  :  La  spiaggia  deW Adria- 
tico; e  l'altro:  La  spiaggia  del  Me- 
diterraneo. Queslo  lavojo  avrebbe 
servito  d'immenso  vantaggio  in  un 
argomento  quanto  rilevante,  altret- 
tanto poco  conosciuto,  poiché  ave- 
va raccolto  dagli  archivi  di  molte 
ciltà  e. comuni  ottocento  documenti 
inedili  relativi  alla  navigazione  degli 
stali  pontificii.  Eugenio  IV  per  di- 
fèndere r  isola  di  E-odi  contro  i 
turchi,  vi  maiidò  alcune  galere  in 
soccorso  ,  come  narra  il  Rinaldi 
all'anno  i434>  ww^"-  20.  Nicolò  V 
per  difendere  Costantinopoli  da 
Maometto  II,  armò  dieci  galere  a 
sue  spese,  ma  vi  perirono  colle  ve- 
nete ed  aragonesi  :  ne  avea  fatto  co- 
mandante l'arcivescovo  di  Ragusi. 
Il  primo  Papa  che  propriamente 
ebbe  la  gloria  di  pone  sul  mare 
una  flotta,  fu  Calisto  111  spagnuo- 
lo.    Eletto    egli    nell'anno    i45j»> 


MAR  23 

e  nel  fermo  intendi  mento  di  far 
guerra  ai  turchi  per  toglier  loro  Co- 
stantinopoli  (Fedi),  da  essi  conqui- 
stato, dopo  aver  eccitato  i  principi 
cristiani  a  prendere  le  armi,  allestì 
un'armata  navale  di  sedici  galere , 
che  spedì  nell'oriente  contro  i  tur- 
chi, sotto  il  comando  del  valoroso 
cardinal  Lodovico  Scarampo  Mez- 
zarota,  col  titolo  di  legato  aposto- 
lico e  generale  della  crociata.  Coa 
questa  flotta  iì  fecero  alcune  con- 
quiste sugli  ottomani,  e  si  difesero 
le  isole  di  Rodi,  di  Cipro,  di  Mi- 
tilene  e  di  Scio  :  abbiamo  una  me- 
daglia colleffigie  di  Calisto  III  ia 
mitra  e  piviale^  e  nel  rovescio  la 
flotta  in  mare  coH'epigrafe  :  hoc  vo- 
VI  DEO,  e  nell'esergo:  ut    fidei  ho- 

STES    PERDEIiEM    ELEXlT    ME.  .Il     dì    IuÌ 

immedialo  successore  Pio  II ,  ere- 
ditandone lo  zelo  per  combattere 
i  turchi  e  frenarne  l'orgoglio,  si  por- 
tò a  Mantova  {Fedi),  vi  tenne  un 
generale  congresso  con  tutti  i  prin- 
cipi cristiani,  e  con  essi  stabilì  la 
crociala  contro  i  nemici  del  nome 
cristiano.  Dopo  aver  fatto  Pio  II 
le  cose  narrate  al  citato  articolo 
Costantinopoli,  nominò  il  suo  pa- 
rente cardinal  Nicolò  Fortiguerri 
generale  delle  galere  pontificie,  che 
il  Papa  avea  fatto  fabbricare  nel 
porto  di  Pisa  coli'  ordine  di  con- 
durle ad  Ancona,  ove  si  portò  Pio 
II  per  sabre  sulle  navi  ed  in  per- 
sona partire  colla  crociata,  per  ani- 
mare in  tal  guisa  tutto  il  mondo, 
è  togliere  ogni  pretesto  a  quelli  che 
pretendessero  di  scusarsene.  Immen- 
so fu  il  concorso  in  Ancona ,  per 
vedere  il  singoiar  spettacolo  d'  un 
Papa  alla  testa  d'una  crociata  na- 
vale, il  quale  fece  incontrare  il  col- 
legato doge  veneto  dalle  sue  galere 
con  cinque  cardinali.  Ma  la  morte 
che  lo  colpì  a'i4  agosto   i4^4;  ^^ 


a4  MAR 

impedì  rcffeltuazione  ;  il  cardinal 
Hoderico  Borgia  nipote  di  Calisto 
HI,  e  poi  anch' egli  Pontefice  A- 
lessandro  VI,  aveva  promesso  per 
questa  crociata  una  galera  tutta 
fabbricata  a  sue  spese.  Giovanni 
Simonetta,  Ber.  gest  Francìsc.  Sfor* 
tiae  lib.  XXX,  presso  il  Muratori, 
Rer.  ital  script,  t.  XXI,  col.  764, 
lasciò  scritto  che  Pio  li  non  sa- 
rebbe mai  andato  in  oriente,  ma 
che  da  Brindisi  sarebbe  tornato  in 
lloma.  Cristoforo  del  Soldo,  nella 
sua  Storia  di  Brescia,  presso  il 
Muratori  t.  XX,  col  900,  afferma 
che  Pio  li  partì  per  Ancona  con 
animo  non  di  portarsi  a. far  la  guer- 
ra ai  turchi,  ma  sì  per  conquistar 
quella  città  che  allettava  una  spe- 
cie di  libertà,  e  poi  darla  ai  fio- 
rentini, come  con  essi  e  col  duca 
di  Milano  avea  concordalo.  L*  uno 
e  l'altro  però  smentisce  chiaramen- 
te il  veridico  e.  contemporaneo  car- 
dinale Ammannati  detto  di  Pavia  , 
che  di  tutto  fu  testimonio  oculare; 
siccome  ancora  Francesco  Fi4elfo  e 
Mayero,  *i  quali  per  rampognale 
questo  Pontefice,  osarono  di  affer- 
inare,  che  non  conveniva  a  Pio  II 
l'essere  comandante  di  questa  ar- 
inata,  mentre,  commessi  dicono,  non 
fu  data  ai  ministri  della  Chiesa 
quella  spada,  cioè  la  podestà  delle 
armi.  La  qual  cosa  quanto  sia  fal- 
sa, tra  gli  altri  lo  dimostra  il  sul- 
lodalo  cardinal*  Borgia  nelle  Meni. 
stor.  di  Benevento^  par.  Il,  p.  2  5, 
e  noi  ih  parecchi  luoghi. 

Anche  Sisto  IV  molto  operò  per 
reprimere  i  formidabili  progiessi  dei 
turchi;  nel  1472  spedì  legato  con- 
tro gli  ottomani  il  cardinal. Olivie- 
ro Caraffa,  il  quale  come  ammi- 
raglio si  condusse  a  combatterli  con 
una  flotta  dì  novantotto  galere, 
sebbene  con  infelice  successo,  come 


MAR 
scrive  il  Chioccarellò  nel  Calalof^o 
dtgli  arcivescovi  di  TiapoU,  p.  288. 
11  Novacs  narra  invece  che  il  car- 
dinale fu  celebi'o  per  perizia  mili- 
tare, laonde  il  Papa  lo  deputò  le- 
galo per  comandar  la  flotta  con- 
tro gì'  infedeli,  concedendo  indul- 
genza ai  ciociati.  Dice  inoltre  che 
la  flotta  si  compose  di  centoquat- 
tro  galere,  fra  le  quali  diecìolto  e- 
rano  della  santa  Sede,  trenta  del 
re  di  Napoli,  e  cinquanlasei  dei  ve- 
neziani. Essendo  le  galere  pontificie 
sul  Tevere  [J^cdi),  vicino  alla  basi- 
lica di  s.  Paoloj  Sisto  IV  dopo  la 
processione  del  Corpus  Domini,  vi 
si  portò  a  benedirle  solennemente 
(  nel  Rituale  ronianum,  vi  è  quello 
sulla  Benedictio  novae  nnvis),  mon- 
tato sulla  galera  capitana,  come 
scrive  il  cardinal  di  Pavia ,  epist. 
449-  Con  questa  armata  fu  presa 
e  saccheggiata .  Smirne.  Sisto  IV  e- 
sentò  Ferdinando  re  di  Napoli  dal 
tributo  dovuto  alla  Chiesa  romana 
per  quel  regno  durante  la  sua  vita, 
coU'obbligo  di  difendere  con  galere 
le  spiaggie  dello  stato  ecclesiastico 
dai  corsari.  Altre  cose  fece  Sisto 
IV  in  favore  del  cristianesimo  per 
difenderlo  dai  turchi,  e  si  propose 
di  fare  un'armata  marittima  di  ven- 
ticinque galere,  per  unirla  alla  na- 
poletana che  dovea  essere  di  qua- 
ranta ;  a  tale  effetto  spedì  a  Ge- 
nova per  legato  il  cardinal  Giam- 
battista Savelli,  perchè  facesse  l'ar- 
mamento navale,  e  per  ottenere  dal 
senato  una  squadra  di  galere  per 
là  ricupera  di  Otranto.  Siccome  la 
marina  pontificia  fli  per  lo  più 
composta  di  galere,  diremo  qualche 
cosa  su  questa  specie  di  legni. 

Galea  o  galera  fu  il  primo  de' ba- 
stimenti latini,  o  forniti  di  vele  la- 
tine, dal  quale  derivavano  gli  altri  di 
questa  specie.  Portava  la  galera  ses- 


MAR 
santa  remi  per  parte,  fra  mezzo  ai 
quali  eiavi  un  passaggio ,  die  si 
cliiauiava  corsìa,  e  serviva  di  co- 
municazione dall' indietro  al  davan- 
ti. Gli  antichi  scrittori  italiani  fe- 
cero sovente  menziono  di  galee  di 
corsari,  di  galere  tunisine,  di  ga- 
leoni e  di  galee  sottili.  1  francesi 
chiamarono  galera  un  vascello  a 
remi  che  avea  ventìcinque  o  trenta 
banchi  da  ciascun  lato,  e  (j.ualtro, 
cinque  o  sei  rematori  a  ciascun 
banco.  Alcuni  ne  fauno  derivare  il 
vocabolo  dal  ìaiìno  galea  che  signi- 
fica elmo,  perchè  dicesi  chxj  i  ro- 
mani ponessero  la  figura  di  un  el- 
mo su  la  prora  delle  loro  triremi, 
alle  quali  si  sono  fatte  succedere  le 
nostre  galee.  Alcuni  prelesero  che 
il  vascello  ammiraglio  della  flotta 
degli  argonauti,  chiamato  Argo,  fos- 
se una  specie  di  galea,  e  fu  la  pri- 
ma "nave  di  (Quella  forma  che  usci 
dai  porti  della  Grecia.  Scaligero 
dice,  che  la  prima  trireme,  ch'egli 
interpreta  per  una  galea  a  tre  pia- 
ni di  rematori,  fu  costruita  a  Co- 
linto.  Marsiglia  ebbe  galee  in  mare 
sino  dai  tempi  di  Carlo  IV.  Cele- 
bri si  resero  in  Italia  per  le  loro 
ardite  e  gloriose  imprese ,  massime 
contro  i  barbareschi,  le  galee  to- 
scane, quelle  de*  cavalieri  di  s.  Ste- 
fano, le  pisane,  genovesi  e  de'  ca- 
valieri gerosolimitani.  In  appresso 
i  veneziani  ne  accrebboo  di  molto 
il  numero,  ne  variarono  la  forma 
e  la  grandezza,  e  queste  galee  for- 
marono la  forza  principale  delle 
armate  navali  adoperate  contro  i 
turchi.  In  Francia  il  generale  co- 
mandante delle  galee  era  uno  dei 
grandi  offiziali  della .  corona  ;  nel 
i528  era  certo  Pregeut  di  Bidou- 
se:  Luigi  Xy  nei  1748  riunì  il 
corpo  delle  galee  a  quello  della 
mariila.  L'uso  assai  aulico,  spccial- 


MAR  25 

niente  in  Italia,  di  mandare  in  ga- 
lera, cioè  condannare  i  malfattori 
al  lavoro  forzato  di  remar  nelle  ga- 
lee, portò  che  il  nome  di  galea 
passò  a  quella  specie  di  pena  o  di 
condanna,  e  galeotti  o  forzati  fu- 
rono chiamati  i  condannali  a  tal 
pena.  La  pena  della  galea  fu  pure 
in  uso  presso  i  greci ,  e  -presso  i 
romani  il  servizio  delle  triremi  fu  ri- 
servato agli  schiavi.  In  Francia  la 
pena  di  galea  non  è  molto  antica, 
ed  incominciò  verso  la  metà  del 
secolo  XVI. 

Di  Alessandro  VI  e  Giulio  II  che 
posero  i  successori  in  istato  di  fi- 
gurar nel  mondo  come  sovrani  an- 
che potenti  nelle  armi,  poco  si  parla 
delle  loro  forze  marittime.  Bensì 
Giulio  II  pubblicò  la  bolla  Ro- 
vianiis  Pontifex  pacis^  de'24  feb- 
braio i5og,  Bull.  Rom.  tom.  Ili, 
par.  I,  p.  3 1  o,  prohibilio  occUpan' 
di  bona  naiifragantia  in  locis  ma- 
ris  S.  R.  E.  Leone  X  ebbe  ga- 
lere armate,  e  nell'anno  1021  or- 
dinò alle  galere  pontificie  di  u- 
nirsi  alla  flotta  di  Carlo  V,  per 
la  guerra  di  Lombardia.  Nel  i5i'2 
fu  eletto  a  successore  Adriano  VI> 
dimorante  allora  nella  Spagna,  che 
avutane  notizia  fece  allestire  delle 
navi,  nominò  capitani ,  radunò  uà 
esercito,  e  ne  fece  generale  il  conte 
d.  Ferdinando  de  Andrada.  In  que- 
sta congiuntura  d.  Ignigo  Velasco 
e  lammiraglio  di  Castiglia  d.  Fre- 
derico  esibirono  al  Papa  quattro 
galere.  Con  gran  seguito  fece  la  na- 
vigazione dalla  Spagna  ad  Ostia  , 
e  fermandovisi  la  flotta,  Adriano 
VI  colla  corte  e  le  milizie  si  portò 
a  s.  Paolo  per  entrare  in  Roma. 
Quando  Clemente  VII  nel  i533  si 
recò  ili  Marsiglia  sulle  galere  fran- 
cesi, all'uso  de'  Papi  antichi  che  nei 
viaggi  si  facevano  precedere    dalla 


:k6  MAE 

ss.  Eucaristia j  questa  nella  piiina 
galera  ol•diu^  che  tii  collocasse.  Pao- 
lo 111  nel  i545  islituV  l'ordiue  dei 
cavalieri  Laiirctani  [P't'di)^  per  di- 
iendere  dai  corsari  Io  «piaggio  della 
Marca  d'Ancona  e  il  gantuario  di 
Loreto:  a  Paolo  III  si  deve  pure 
rereziotuì  deirallro  ordine  militare 
ed  equestre  di  s.  Giorgio  (Vedi) 
in  Ravenna,  per  la  difesa  delle  spiag* 
gie  dell'  Adriatico  contro  i  turchi. 
La  maggior  gloria  del  governo  di 
s.  Pio  V  fu  la  triplice  alleanza  da 
lui  couchiusa  nel  iSy  i  col  re  di  Spa- 
gna e  colla  repubblica  di  Venezia, 
contro  Selim  11  imperatore  de'  tur- 
chi. La  poderosa  flolta  degli  alleati 
che  vinse  la  strepitosa  battaglia  na- 
vale di  Lepanto,  avea  dodici  gale- 
re pontifìcie,  oltre  altre  navi  pic- 
cole e  grandi,  con  mille  cinquecento 
uomini,  di  cui  era  comandante  ge- 
nerale capitano  e  luogotenente  ge- 
nerale della  léga  d.  Marc'  Antonio 
Colonna,  cui  il  Papa  decretò  gli 
onori  del  trionfo  nel  suo  Ingresso 
in  Roma  [Fedi).  Ne  parlammo  anco 
in  altri  luoghi,  coiTve  a  Milìzia  ed  a 
Colonna  Fanìi^lìay  ove  si  disse  della 
colonna  rostrata  d' argento,  offerta 
alla  chiesa  d'Araceli.  11  Catena  nella 
Fila  di  s.  Pio  F,  a  p.  355  e  seg. 
ci  diede  il  nome  delle  galere  e  dei 
capitani  che.  si  trovarono  a  tal  coni* 
battimento  :  quello  delle  galere  pon- 
tificie eccolo.  Fano  capitana.  Vit- 
toria, Grifo4)a,  Pisana,  Fiorenza,  s. 
Maria,  S.  Giovanni,  iioprana,  Pa- 
drona, Serena,  Reina  •  e  Toscana. 
Si  hanno  tre  medaglie  pontilieie 
celebranti  questa  spedizione,  in  cui  s^ 
vede  l'armata  navale  pn  parala  con- 
tro i  turchi,  e  la  medesima  che  gui- 
data dall'angelo  disperde  la  flotta 
turca,  in  due  diverse  rappresentan- 
ze; oltre  ultra  medaglia  per  la  detta 
alleanza,    tutte  cou  motti  allusivi. 


MAR 

Inoltre  s.  Pio  V  conferma  al  le  di 
Spagna  l' indulto  concesso  da  Pio 
IV,  pel  mantenimento  delle  galere 
destinate  alla  guardia  delle  piazze 
marittime  d' Italia.  li  di  lui  sue* 
cessore  Gregorio  XIII ,  all'  ordine 
militare  ed  equestre  de'  ss.  Mauri' 
zio  e  Lazzaro  (Fedi)y  impose  l'ob- 
bligo di  fornire  due  galere  armate, 
ad  ogni  richiesta  della  marina  pon- 
tificia ;  e  per  aver  fortificato  il  li- 
torale dello  stato  ecclesiastico  per 
difenderlo  dai  corsari,  fp  coniata 
dalla  zecca  pontificia  una  medaglia. 
Dopo  avere  Sisto  V  purgato  lo 
stato  pontificio  da'  malviventi,  affi- 
ne di  liberare  dai  corsari  le  spiag- 
gie  del  litorale  ecclesiastico,  fece 
labbricare  dieci  galere  ben  corre- 
date, e  per  dotarle  stabilì  colla  co- 
stituzione la  quanta,  de'23  gennaio 
r588,  un  armuo  assegnamento  di 
scudi  centoduemila  e-  cinquecento, 
ripartiti  alle  seguenti  provincie  sog- 
gette alla  santa  Sède,  e  persone  che 
diremo.  Marca,  Romagna,  Umbiia, 
Bologna  e  popolo  romano,  scudi 
dodicimila  per  cadauno;  altrettaiilo 
le  beneficiali ,  cattedrali  e  chiese 
vescovili  ed  arcivescovili.  Patrimo- 
nio scudi  5874>  Campagna  scudi 
(il 26,  Ancona  e  Fei  :no  snudi  1800 
per  ciascuna,  Ascoli  e  Fano  scu- 
di 12000  per  ciascuna,  Benevento 
scudi  5ooo,  sensali  di  Roma  scudi 
35oo,  ed  oiIicio.de'  revisori  scudi 
4ooo.  Dipoi  nel  i^Hj  istituì  «una 
congregazione  cardinalizia,  chiamala 
nasale,  per  presiedere  alla  fabbrica 
delle  galere  e  alla  marina  pontifi- 
cia, al  modo  detto  nel  vob  XVI, 
pag.  1^6  del  Dizionario.  Nominò 
quindi  prefetto  delle  pontificie  ga- 
lere il  cardinale  Ugo  Verdala  fran- 
cese, gran  maestro  dell'ordine  ge- 
ros<j  limita  no.  Inoltre  Sisto  V  "el 
1590  fece  legalo  delle  poutificic  ga- 


MAR 
Jere  il  cardinal  Domenici  Pinelli  , 
il  quale  si  distinse 'in  vigilanza,  in- 
trepidezza e  valore,  con  aver  da- 
to più  d'una  voltq  la  rolla  9  pa- 
recchi legni  turcheschi.  A  nìeitioiia 
di  (jueste  cinque  galere  nel  i58t:J 
furono  coniate  due  medaglie  ,  ove 
si  vedono  in  niare,  una  coli' epi- 
grafe: FOELix  PRAESIDIUM,  l'altra  col 
l'iscrizione  terra  mari  securitas.  11 
Pontefice  Gregorio  XJV  del  iSgo, 
dichiarò  il  suo  nipote  Francesco 
Sfondrali,  marchese  di  Montafìò, 
governatore  di  Castel  s.  Angelo  e 
generale  delle  galere  pontificie.  Nel 
possesso  che  prese  Leone  XI  nel 
ì  6o5,  dopo  i  camerieri  segreti  sos- 
tenitori dei  cappelli  papali  ,  tra 
buon  numero  di  cavalieri  cavalcò 
il  marchese  Malaspina  generale  del- 
le galere  pontificie^  seguito  dai  ca- 
porioni. 

ÌSAV  Istoria  della  sacra  religio- 
ne gerosolimitana  di  Dal  Pozzo,  t. 
I,  p.  49^',  si  legge  che  Paolo  V 
nel  iGo5,  ad  oggetto  di  accrescere 
le  forze  di  tal  benemerito  ordine, 
e  sgi avare  a  un  tempo  la  camera 
apostolica  di  glossa  spesa,  risolvet- 
te di  commettere  alla  medesima  re- 
ligione il  governo  e  mantenimento 
delle  cinque  galere  pontificie,  nella 
Torma  ch'essa  teneva  te  proprie,  me- 
diante alcuni  patti  e  condiz/oni,  per 
cui  il  cardinal  Bartolomeo  Cesi,  con 
la  consulta  di  alcune  esperte  per- 
sone, fece  distendere  i  dieci  seguenti 
capitoli.  I."  5i  consegneranno  cin- 
que galere  con  gli  schiavi,  forzati, 
artigliere  (di  quelle  della  marina 
j)ontificia  se  ne  parla  a  Mili- 
zia )  ed  altre  munizioni  necessa- 
rie. 2."  Si  daranno  ogni  anno  tutti 
i  condannati  in  galera  dello  stalo 
ecclesiastico  per  mantenimento  di 
esse.  3."  Si  farà  che  abbiano  tutte 
le    eseui^ioui    che    godono    sotto    il 


MAR  27 

Pontefice.  4-  Si  darh  tratta  o  in 
Sicilia  o  nello  stalo  ecclesiastico  per 
il  grauQ  che  consinnano.  5-^  Si  da- 
rìi  un  certo  assegnamento  di  dena- 
ro, da  pagarsi  nel  tempo  che  con- 
verrà. 6.°  Si  concederà  che  porti- 
no lo  stendardo  della  Sede  aposto- 
lica, ogni  volta  che  non  vadino  in 
corso.  7."  Dovranno  le  dette  galc.-re 
tenersi  bene  in  ordine  per  li  sei 
mesi  di  aprile,  maggio,  giugno,  lu- 
glio, agosto  e  settembre.  8.**  Do- 
vrà chi  le  comanderà  lasciarsi  spes- 
so vedere  ne'  mari  della  Chiesa  per 
difendere  la  spiaggia  lomana  dai 
corsari,  ed  almeno  ne'  n)esi  di  giu- 
gno, luglio  e  agoslo  lasciarsi  vedere 
due  volte  in  delti  mari  ed  a  Ci- 
vitavecchia. 9.°  Dovranno  dette  ga- 
lere ad  ogni  richiesta  di  Nostro  Si- 
gnore essere  pronte  per  servirlo  do- 
ve comanderà,  io."  Che  rivolen- 
dole sua  Santità,  si  debhano  ricon- 
segnare, ben  condizionate  con  ciur- 
me e  munizioni,  nello  slato  e  mo- 
do che  si  consegnano.  11  cardinal 
Cesi  comunicò  il  progetto  e  con- 
segnò i  capitoli  al  commendatore 
Mendes  anjbasciatore  tleila  religio- 
ne ,  il  quale  tosto  li  trasmise  al 
gran  maestro  dell'ordine,  e  l'avvertì 
di  molte  cose  essenziali  per  la  di- 
rezione dell'affare;  e  fra  le  altre, 
che  nel  discorrere  col  cardinale  del- 
la quantità  precisa  circa  l'assegna- 
mento del  denaro,  avendogli  asse- 
rito che  la  spesa  delle  galere  della 
religione  ascendeva  un  anno  per 
l'ai  Irò  a  dieciotto  in  venti  nida  scu- 
di per  ciascima,  se  n'era  mostrato 
sorpreso.  E  che  l'assegnamento  do- 
vendp  essere  sopra  la  camera  apo- 
stolica ,  avrebbe  forse  palilo  delle 
difficoltà  nelle  esuzioni.  Fu  il  ne- 
gozio portato  dal  gran  maestro  al 
consiglio,  e  si  deputarono  tre  com- 
missari acciò  col  reggente  della  can- 


a8  M  A  R 

celici  io  esani inassero  e  ponderassero 
bene  ciò  che  conveniva  fare.  Però 
alla  relazione  loro,  considerando 
che 'il  governo  di  delle  galere  ben 
polea  riuscire  di  gr?uido  onore,  ma 
d' allrelUmlo  incomodo  e  aggravio 
all'ordine,  non  fn  stimata  l' olFerta 
né  spediente,  uè  profìcua  ^  per  cui 
Paolo  V  rivocò  il  trattalo.  Urba- 
no VII!  nel  1642,  temendo  qual- 
che invasione  dei  collegati  del  duca 
di  Parma  nelle  parli  marittime  del- 
lo slato  ecclesiastico,  richiese  in  suo 
aiuto  le  galere  dell'ordine  di  Malta. 
J'er  lo  spirito  di  ncuUalità,  l'ordi- 
ne procurò  scusarsi,  allegando  quan- 
to fece  Clemente  VII,  che  nel  sacco 
di  Roma  si  astenne  invocai*  il  soc- 
corso de'  cavalieri,  sebbene  dimo- 
ranti in  Viterbo,  per  non  compro- 
mellerli,  e  che  Paolo  III  collegalo 
con  Carlo  V  contro  i  turchi,  aven- 
do richiesto  all'ordine  che  unisse  le 
sue  alle  galere  pontifìcie,  accettò  le 
scuse .  perche  coi  turchi  andavano 
unite  le  galere  di  Francia.  Urbano 
Vili  non  volle  udire  scuse,  dichia- 
rando non  volersi  servire  delle  ga- 
lere contro  i  principi  cristiani,  Ort^ 
de  la  religione  inviò  tre  galere  a 
Civitavecchia. 

Innocenzo  X  appena  assunto  al 
pontificato  nel  i644>  dichiarò  il 
suo  nipote  Camillo  Pamphilj  gene* 
rale  deiresercito  papale,  il  quale 
fu  il  primo  ad  introdurre  in  Ci- 
vitavecchia la  fabbricazione  delie 
galere,  che  pricua  i  Papi  facevano 
costruire  in  altri  porti  ;  quindi  lo 
creò  cardinale  e  sopraiutendente 
dello  stato  ecclesiastico,  dignità  che 
poi  rinunziò  per  continuare  la  di- 
scendenza nella  sua  famiglia.  Nfcl 
1645  Innocenzo  X  nominò  gene- 
rale delle  pouiifìcie  galere  il  prin- 
cipe d.  Nicolò  Ludovisi,  marito  di 
sua  uipote  d.  Costanza;  il  genera» 


MAR 

luto  delle  galere  Innocenzo  X  glie- 
lo tolse  con  un  breve  apostolico 
nell*  ultima  sua  infermità,  indi 
glielo  restituì  prima  di  morire. 
Innocenzo  X  fece  presidente  delle 
armi,  come  scrivono  Cardella  e 
Novaes,  il  chierico  di  camera  Jaco- 
po Fransoni,  indi  nel  iG54  '^ 
nominò  tesoriere  generale,  colla 
soprintendenza  delle  galere  e  for- 
tezze marittime  dello  stato,  poscia 
anche  prefetto  generale  di  tutte 
le  milizie  e  del  Castel  s.  Angelo. 
Nella  guerra  di  Candia  che  i  ve- 
neti sostenevano  contro  i  turchi, 
Innocenzo  X  prestò  soccorso  col- 
le sue  galere.  Nel  suo  pontifica- 
to, e  nel  1646  fu  ristampata  la 
Relazione  dflla  corte  di  Roma  del 
cav.  Lunadoro.  A  pag.  29,  del  ge- 
nerale- delle  galere  di  sua  Sanlìtàf 
si  legge:  »  Sua  Santità  dichiara  il 
generale  delle  galee  con  suo  breve, 
dandogli  il  solito  giuramento,  come 
danno  tutti  gli  altri  otfiziali  mag- 
giori innanzi  a  monsignor  tesorie- 
re generale ,  con  provvisione  di 
trecento  scudi  al  mese,  ù  soldo 
per  dodici  lancie  spezzate.  Il  ge- 
nerale fa  un  luogotenente  con 
èua  patente  ,  e  gli  fa  dare  di 
provvisione  cento  scudi  al  mese, 
e  soldo  e  razione  per  quattro  lan- 
cie spezzate.  Tutti  i  capitani  di 
galea,  il  capitano  di  fanteria  e 
l'alfiere,  stanno  con  patente  del 
generale,  colle  solite  paghe ,  come 
anche  il  comito  reale  (0  coman- 
dante della  ciurma,  soprintenden- 
te alle  vele  del  tiaviglio),  l'uditore 
e  il  notaro.  Ma  il  provveditore,  il 
pagatore  e  il  padrone  di  galea  vi 
stanno  con  patenti  di  monsignor 
tesoriere  generale ,  come  ancora  il 
nmnizioniere  e  lo  speziale  ;  ogni 
altra  persona,  come  cappellano,  uf- 
fìziali,    soldati ,  barbieri,    marinari, 


.MAR 
cornili,  soUo-comiti,  corniti  di  mez- 
za nia,  piloti,  consiglieri,  dipendono 
immediatamente    dal    generale,     il 
quale  non  ha     facoltà    de  jure  di 
liberare  uomini  dalla  catena,  il  che 
si  spetta  di  fare  alla  congregazione 
della    consulta,  ma    il  generale  al- 
cune volte   lo    fìi    di    fatto  "..  La 
squadra  navale   creata  da  Sisto  V 
in  Civitavecchia,    la  fiibbrica  delle 
galere  incominciata  in  quella  città 
da  Innocenzo    X,  fu    seguita     dal 
bellissimo  arsenale  edificato  dal  suc' 
cessore  Alessandro  VII,  il  cui  pro- 
spetto  si    vede    riportato  in    una 
medaglia  per  ciò  coniala  nel  1660, 
coir  epigrafe    Navale     CenlumceU. 
Nel  i656  la  regina  di  Svezia  Cri- 
stina   si  portò    da  Roma  a  Marsi- 
glia sulle  galere  pontifìcie  di  Ales- 
sandro   Vn.  Questo    Papa  soccor- 
rendo i  veneziani    contro  i  turchi, 
mandò  loro  cinque  galere  pontifìcie, 
comandate    con  titolo  di    generale 
da  fr.  Giovanni  Bichi  priore  gero- 
solimitano di  Capua,  le  quah   col- 
la squadra  di    tal    ordine    si  con- 
. giunsero  nel  canale  di    Scio  all'ar- 
mata-veneta.    Nel   i658     il  Bichi, 
che    comandava    pure    la  squadra 
de'cavàlieri  gerosolimitani,  si  licen- 
ziò dai  veneti  e    prese  la  volta  di 
Italia.  Pervenuto    a  Zante     e  con- 
siderando la  poca   fama  che  ripor- 
tava   da  una     spedizione  di     tanto 
dispendio  per  la  camera  apostolica, 
risolvè  di  tentare  l' impresa  dell'i- 
sola di   s.- Maura,  nido  de'corsarij 
che  con  galeotte  grosse    infestava- 
no i   mari    e    le    spiaggie  d'Italia  ; 
ma  simile  sorpresa     non     riuscì   il 
bramato  esito.  Continuando  la  guer- 
ra di  Candia,  Clemente     IX  tra  i 
soccorsi  che  diede  ai   veneti  conlio 
i  turchi,    nel    1669    mandò  loro  la 
squadra  delle  galere  pontificie,  co- 
mandata dal    fiatello  bali  fr.  Ca- 


MAR  29 

millo  Rospigliosi,  Generale  di  s. 
Chiesa  (Vedi)^  il  quale  spiegò  lo 
stendardo  coli'  immagine  del  ss. 
Crocefisso.  A  Zante  la  squadra  del 
Papa  si  unì  a  quella  dell'ordine 
gerosolim.itano  di  Malta,  ed  a  quel- 
la di  Francia,  incedendo  la  Reale 
pontificia  in  mezzo,  quella  francese 
a.  dritta^  ed  a  sinistra  la  uìaltese. 
Nel  possesso  del  1670  di  Clemen- 
te X  Altieri,  cavalcò  in  mezzo  al 
contestabile  ed  al  proprio  fìglio 
Gaspare  capitanò  generale  e  pre- 
fetto di  Castel  s.  Angelo,  il  prin- 
cipe d.  Angelo  Altieri  capilantu.t 
generalis  trìremium  ponti  fidar  uni  ^ 
seguiti  dal  governatore  di  Roma. 
Nel  i68g  Alessandro  VIII  fece  il 
pronipote  d.  Marco  Ottoboni  ge- 
nerale delle  galere  pontifìcie  e 
governatore  di  Castel  s.  Angelo. 
Divenuto  Pontefice  Innocenzo  XII, 
nel  1692  soppresse  il  generalato 
delle   pontifìcie  galere. 

Anticamente  il-  cardinal   Camer- 
lengo (Fedi)  presiedeva  alla  mari- 
na, pontifìcia,     navigazione  ,   sanità 
marittima,  Porti  e  Consoli  [Vedi) j 
ma.  sulla  marina    ebbe  poi  subor- 
dinata giurisdizione  il  generale  del- 
le    galere.    A  questi    succèsse     il 
preiato   Tesoriere    generale    [Vedi) 
col    titolo    di    prefetto  o    commis- . 
sario    delia    marina.    Clemente  XI 
nell'anno  1706  concesse  ai  cavalieri 
di  Malta,  di  far  celebrare  la  messa 
sulle     loro    galere    e    fregate    sul 
mare  nelle  stesse  navigazioni,    pri- 
vilegio che  si    diceva    già  concesso 
da     Innocenzo     Vili .     Pio    IV    e 
Sisto  IV  avevano  accordato  ai  me- 
desimi cavalieri    l'uso   degli     altari 
portatili,  quando  nelle  loro  annue 
navigazioni  contro  gl'infedeli  giun- 
gevano a  terra.  Sulle  mésse  nauti- 
che  o  di  navigazione  vedasi    Messa. 
Noteremo  che  Benedetto  XIV  non 


3o  M  AH 

solo    concesse    che    nelle    galere  tlì 
Malfn  si  potesse  celebmre  la  messa, 
ma  t'gunl  privilegio  accordò  allo  ga- 
lere pontificie  nell'aprile  i74''>  col- 
la costituzione  Exponiy  presso  il  suo 
Jìullario  t.  I,  p.    162.   Fra   le  me- 
«iaglio  di  Clemente  XI  ve  i/è  una 
ove  si  vede  una  flotta,  allusiva  ai* 
le  pubbliche  preci  fatte  da  lui  pel 
felice  esito  degli  armamenti  de'prin^ 
i.ipi  cristiani.   Inoltre  Clemente  XI 
nel    1709  mandò  a  difendere  Malta 
d.  Federico  Colonna  con    galere  e 
seicento  uomini  5   e  nel  partire  per 
^Marsiglia  la  regina  vedova  di  Polo- 
nia, la  fece  servire  dalle  galere  pon» 
tìficie;   indi  nel  17  i4  l'ambasciatore 
di  Malta  ottenne  dal  Papa  che  in* 
-viasse    per    la    difesa    dell'isola    sei 
galere  armate,  per  cui  il  cav.  Fai» 
conieri  ebbe  Y  incarico  di    reclutai* 
mille  uomini,  ed  il  comando  di  essi. 
Kel    17 16    il    Papa    spedì    alcune 
compagnie  di  corazze  per  guardare 
dai  turchi  le  spiaggie   della    mari* 
na,  ed  i  re  di  Spagna  e  Portogallo 
promisero  validi  soccorsi  per  mare 
contro  il  turco.  Nel  1 719  parti  per 
Napoli  monsignor  Vicentini,  accora* 
pagnato  da    due    galere    pontificie. 
Quando  Benedetto  XII!  nel    1727 
ki  recò  a  Benevento,  per  porto  d'An- 
%o  passò  a  torre  Paola,  ove  s'im- 
barcò in    una    feluca    delle    galere 
pontificie    per    le  Paludi  Pontine, 
approdando  a  Terracina ,  dopo  a- 
ver    scampato    il    pericolo    di    due 
corsari    barbareschi    che    tentarono 
di  predarlo.  Ritornando    nel  1729 
da  Benevento,    trovò    a    Terracina 
le  galere  pontificie,    e  con  tre    fé* 
luche  si  portò  fino  alle  Case  nuove. 
Le  scorrerie  de'  pirati    barbareschi 
sopra  le  spiagge    dello    stato    eccle- 
siastico, costrinsero  nel    1749    Be- 
nedetto XIV  a  fare    le    siìe  rimo- 
stranze air  imperatore  Francesco  I, 


1^1  A  R 
pel  ti*ntiato  di  pace  da  lui  conchiu- 
so colle  potenze  africane,  come  pre 
giiulizievole  al  commercio  e  alla 
sicurezza  de'  suoi  sudditi  e  di  tutfa 
l'Italia,  per  l'ammissione  accordatji 
ai  legni  barbareschi  ne*  porli  della 
Toscana.  Non  essendo  slate  le  sue 
doglianze  attese ,  tutte  le  potenze 
italiane  si  tiH3varono  costrette  ar- 
marsi contro  i  pirati.  Nel  1746  fu 
coniata  una    medaglia  coli' epigrafe 

AUCTO     TERRA     MARIOUE    COMMERCIO  , 

con  Nettuno  sul  carro  tratto  ckii 
cavalli"  marini,  col  tridente  nella  de- 
stra, che  in  mezzo  al  mare  felicita 
la  navigazione  dei  vascelli  ,  onde 
celebrar  le  cure  di  Benedetto  XIV. 
Abbiamo  due  medaglie  di  Clemen- 
te XIII  col  porto  di  Civitavecchia, 
Con  nuove  fabbriche  e  galere >  l'al- 
tra rappresentante  il  Papa  che 
arriva  a  Civitavecchia ,  ove  nel 
mare  si  vedono  le  navi  pontifi- 
cie. Nell'anno  XIX  del  pontificato 
di  Pio  VI  fu  coniata  una  meda- 
glia ove  vedesi  una  flotta  naufraga- 
re, allusiva  a  quella  francese  spe- 
dita contro  gli  stati  della  Chiesa,  e 
sconfìtta  dagli  anglo-napoletani. 

Nella  Relazione  della  carie  di  Ro- 
;n^del  cav.  Lunadoro,  accresciuta  dal 
Zaccaria,  edizione  romana  del  i774> 
si  dice  che  un  prelato  chierico  di 
camera  era  prefetto  di  Castel  s.  An- 
gelo, e  soleva  essere  ancora  dichia- 
rato commissario  del  mare ,  dac- 
ché Benedetto  XIV  al  tesoriere  tol- 
se la  cura  sul  medesimo,  e  perciò 
soprintendeva  alle  fortezze  e  alle 
torri  delle  spiaggie  marittime,  alle 
navi  e  galere  pontificie ,  regolate 
daf  comandanti,  capitani  ed  nffi- 
ziali  da  lui  dipendenti.  Il  Villelti, 
Pratica  della  cuna  romana,  dell 'e - 
dizionedi  Roma  i8i5,  t.  II,  p.  197, 
tratta  del  consolato  di  Ancona  in 
c]ucslo  modo»   I  mercanti  d'Ancona 


MAR 
tra  di  loro  e  con  chiunque  altro , 
nelle  cause  concernenti   la    merca- 
tura, COSI  nella  prima,  che  in  ul- 
teriore istanza,    in    vigore    di    una 
bolla  dì  Clemente  Vili  del    i594, 
e  dì  un  suo  breve  del    i595,  han- 
no   per    loro    privato   tribunale   il 
consolato  di  quella  città,    formato 
da  tre  consoli  che  in  ogni  anno  si 
mutano.  Procede  ancora  privativa- 
mente nelle    provvisioni    da    pren* 
dei  si  su  quelle  navi,  che  incontrar 
potessero  il  perìcolo  dì  naufragare, 
V.  nelle  cause  in   qualunque    modo 
su  ciò  insorgenti,  come  si  ha  dalle 
conferme,  ampliazionì     e  dichiara- 
zioni   di    questa    giurisdizione    del 
consolato,    emanate   da  Paolo    V, 
Gregorio  XV,   Urbano    Vili,    Cle- 
mente XII,  e  Benedetto  XIV.    Di* 
poi  Pio  VI  con  breve  de*  5  marzo 
1777    dichiarò     ed    ampliò  questa 
privativa  giurisdizione    delle   cause 
dì  mer.catura",  di   naufragi  e  di  lai: 
limenti,  contro  qualunque  specie  di 
privilegiati   e  patentati.    Tengono  i 
consoli  in  certi    giórni    della    setti» 
mana   l'udienza  ordinaria,  è  si  trat- 
tano le  cause  avanti   di    loro    col* 
ristesse   metodo  che  si  tiene    dagli 
altri   giudici  ordinari.  E  se  si  trat- 
tasse di  qualche  articolo  legale  assu- 
mono un  dottore  dì  legge  pel  volo 
legale.  Questi  però  lo  promulga  sen* 
za    servare  tela    giudiziaria,    e    del 
tutto  strigiudizialmente.  L'assessore 
si  concede  anche  per  richiesta  delle 
parti  a    loro     spese  ,     e  la  persona 
deputata  in    assessore  può  allegarsi 
sospetta   dentro  sei     giorni     a     die 
depiUationis.    Nell'istesso     consolato 
vi    sono    giudici   di    appellazioni,  i 
quali 'si   estraggono  a  sorte  dal  ce- 
to di   tutta   l'unifeisità  de'mercanti, 
ed  anche  questi  all'opportunità  as- 
sumono l'assessore,  come  sì  è  detto: 
allreltuuto    si    pratica    in  caso    di 


MAR  3t 

ulteriore  appellazione.  Questa  ap- 
pellazione in  certe  c<iuse  compete 
solamente  in  devolutivo,  cioè  dove 
si  tratta,  di  CvSccuzione  d'istromenti 
pubblici,  pagamento  di  lettere  di 
cambio,  ed  in  qualunque  altra  ma- 
teria, non  eccedente  gli  scudi  qua- 
ranta. Dai  gixìdicatì  dì  dettò  con- 
solalo, non  può  ricorrersi  se  non 
all'uditore  del  Papa.  Nel  consolato 
di  Civitavecchia ,  dice  il  Villetli , 
che  in  sostanza  si  pratica  quanto 
si  è  detto  per  quello  d'Ancona. 

Nel  medesimo  libro  del  Villetti, 
p.   84,  l^cl  commif^sario   del  mare, 
o  sìa  prefetto  di  Castel  s.  A  rìselo  ^ 
si  legge  quanto  Segue.   Il  tribunale 
del  commissario  del  mare  richiede 
qualche    Spiegazione    più     specifica. 
Égli  ha  giurisdizione  economica  so- 
pra le  torri  e    fortezze    marittime, 
e  sopra   le  galere  e  navi  pontificie. 
Presiede   inoltre  al  governo  econo- 
mico di    Castel  s.   Angelo    (Fedi)  ^ 
ed  il  di   lui  uditore  esercita  in  stia 
vece  la  giurisdizione  contenziosa  nel- 
le cause  di    sua    pertinenza.    Sono 
isoggetti  a  questo  tribunale   gli    uf- 
fiziali,  soldati  ed  altri  ministri  del- 
l'attuale servigio  di  detto  castello  j 
come  sono  i  bombardieri  e  gli  aiu- 
tanti, a   tenore  delle    limitazioni    e 
riforme    espresse    nelle    costituzioni 
d'Innocenzo  XII,  e  particolarnrente 
di  Benedetto  XIV,  come    si    legge 
nel  Bull.  t.  I,  p.   56,  §  21,  e  delle 
successive  ampliazionì    espresse    nel 
motu-proprio  di  Clemente  XIII  dei 
26   maggio  1762,  riportato    nell'e- 
ditto pubblicato  nel    1-763  dal  pi e- 
fetto  di  Castello   di  quel  tempo.  Nel 
motu  proprio  si    dispone  che    tutti 
quelli  appartenenti   al  detto  castel- 
lo, godessero  il   privilegio  del   foro 
in  tutte  le  cause,  quali  doveva  co- 
noscere e  decidere   il  detto  prelato 
prefetto,  rimossa  ogni  appellazione, 


Sa  MAR 

purché  non  sia  slato  rinunziato  al 
privilegio,  e  prescrisse  che  i  patentati 
i\'ì  Castello  fossero  240  compresi  i 
giubilati.  Il  commissariato  (lei  mare 
sotto  il  pontificato  di  Pio  VI  fu  uni- 
to- ni  tesoriera  lo;  posteriormente  fu 
di  nuovo  separato,  e  nel  detto  an- 
no 181 5  si  esercitava  provvisoria- 
mente insieme  col  commissariato 
delle  armi  da  monsignor  Sanseve- 
rino  chierico  di  camera  e  presiden- 
te delle  strade.  Ci  avverte  il  Man- 
zi, Dello  stato  della  .città  e  porto 
di  Civitavecchia^  p.  4^,  che  in  quel- 
le acque  la  marina  pontifìcia  avea 
negli  ultimi  anni  del  secolo  passato 
galere  e  fregate;  ma  quando  poi 
venne  la  guerra  di  Francia,  il  na- 
"viglio  pontificio  composto  ed  equi- 
paggialo di"  sudditi  pontificii,  fu 
preso  dai  fi-ancesi  e  condotto  nella 
spedizione  di  Egitto,  per  cui  si  può 
dire  che  finisse  allora  la  marina 
pontificia,  perchè  il  naviglio  non 
più  tornò,  e  le  ciurme  perirono. 

Pio  VH,  nella  costituzione.  Post 
diuturnaSf  al  §  5  tit.  de  jurisd.  tri- 
bunal, civ.^  relativamente  ai  miHlari 
dispose  che  non  godrebbero  alcun 
privilegio  di  foro  privativo  nelle 
cause  civiJi,  come  avea  disposto  Be- 
nedetto XIV,  ma  dovranno  solo 
godere  il  privilegio  di  non  poter 
andare  soggetti  ad  alcuna  esecu- 
zione, senza  che  V  exequatur  sia 
sottoscritto  dal  loro  legittimo  su- 
periore; ma  questo  exequatur  però 
non  è  necessario,  qualora  l' esecu- 
zione si  faccia  sopra  degli  stabili.  ^e\ 
1802  pervennero  in  detto  porto  di 
Civitavecchia  due  brick  nominati 
l'uno  s.  Pietro,  l'altro  s.  Paolo,  che 
Napoleone  primo  console  della  re- 
pubblica francese  mandò  in  dono 
a  Pio  VII.  Nella  poppa  era  vi  l'ef- 
figie del  Papa  e  degli  apostoli  con 
un  motto  a  ciascuno  allusivo.  Den- 


MAR 

Irò  .la  camera  del  coraandanlc  del 
brick  s.  Pietro  era  vi  un  quadro  ad 
olio  rappresentante  l'autorità  data 
da  Gesìi  Cristo  al  principe  degli 
apostoli;  e  nell'altro  legno  il  qua- 
dro esprimeva  la  caduta  di  Saulo 
o  conversione  di  s.  Paolo.  Nel  pon- 
tificato di  Pio  VII  la  soprinten- 
denza sulla  marina  pontificia  fu 
data  alla  congregazione  militare  ed 
al  prelato  assessore,  essendone  pre- 
sidente il  cardinal  segretario  di  sta- 
to. Nel  voi.  I,  p.  333.  della  Rac- 
colta delle  leggi  di  pubblica  ammi- 
nistrazione,  riportandosi  il  regola- 
mento provvisorio  di  commercio  e- 
manato  da  Pio  VII  nel  .1821  per 
organo  del  cardinal  Consalvi,  a  p. 
364  e  seg.  vi  è  il  lil>.  Il  del  com- 
mercio marittimo  diviso  in  quat- 
tordici titoli,  i."  Delle  navi  e  de- 
gli ùltri  bastimenti  di  mare.  2.°  Del 
sequestro,  ossia  esecuzione,  e  della 
vendita  de'  bastimenti.  3.°  Dei  pro- 
prietari del  bastimento .  4°  ^^ 
capitano.  5."  Dell'arrolamento  e  dei 
salari  de*  marinari  e  della  gente 
d'equipaggio.  6."  Dei  contratti  di 
noleggio  o  locazione  di  bastimento, 
e  dei  noli.  7."  Delle  polizze  di  ca- 
rico. 8."  Del  nolo.  9.°  Dei  contraili 
di  cambio  marittimo  ossia  alla  gros- 
sa. IO.*"  Delle  assicurazioni,  cioè  del 
contratto  di  assicurazione,  della  sua 
forma  e  del  suo- oggetto;  degli  ob- 
blighi dell'assicuratore  e  dell' assi- 
^curato  ,  e  dell'abbandono.  1 1."  Del- 
le avarie.  12.°  Del  getto  e  del  con- 
tributo. 1 3.**  Della  prescrizione,  i  4." 
Motivi  d'inammissibilità  di  azione. 
Nel  pontificato  di  Pio  VII  non 
essendovi  più  le  galere  pontificie, 
allora  e  successivamente  i  luoghi 
di  condanna  per  «1'  opera  pubblica 
e  per  la  galera  furono  destinati  il 
Castel  s.  Angelo  e  Tedifizio  fabbri- 
cato nel    1705  da  Clemente  XI  per 


MAR 
ampliare  i  granai  dell'  annona  nWc 
terme  Diocleziane,  Sebbene  il  codice 
criminale  dislingua  l'opera  pubbli- 
ca dalla  galera,  ed  infligga  quella 
lino  ai  cinque  anni,  e  questa  per 
un  maggior  tempo  ed  a  vita,  ciò 
non  pertanto  in  fatto  le  due  pene 
sono  una  medesima  cosa,  tranne  la 
lunghezzjt  del  tempo.  Il  bagno  di 
Caste)  s.  Angelo  può  contenere  200 
individui  i  quello  alle  terme  5oo. 
Le  altre  galere  dello  slato  o  bagni 
sono  a  Civitavecchia  nella  darsena, 
in  Ancona,  a  Spoleto  nella  rocca, 
a  Narni,  a  Porto  d'Anzo  ed  a  Ter- 
racina  ;  altri  luoghi  di  detenzione 
sono  in  Imola,  Paliano ,  ec.  Alle 
terme  sotto  Leone  XII  v'erano  state 
le  donne  condannate  di  s.  Michele; 
nell'anno  i83i  fu  aperta  la  casa 
di  detenzione  per  gli  uomini.  I 
forzati  sono  scortati  da  una  spe- 
cie di  soldatesca  detta  guardaciur- 
n\e,  ai  pubblici  lavori  della  città  : 
alcuni  lavorano  nei  bagni,  così  ne- 
gli altri  luoghi  di  detenzione  nello 
slato  pontificio.  E  regola  di  man- 
dare fuori  a  lavorare  solo  quelli 
che  hanno  una  condanna  sotto  i  die- 
ci anni,  e  ritenere  gli  altri  nel  ba- 
gno per  più  sicura  custodia.  I  bagni 
sono  sorvegliati  dai  capo  custodi 
e  dai  custodi.  Ciascun  bagno  ha 
un  ispettore.  Monsignor  tesorieie 
che  ha  la  suprema  presidenza  dei 
luoghi  di  pena,  ha  fra  le  sue  fa- 
coltà quella  di  diminuire  la  pena 
di  tre  mesi,  la  quale  usa  in  pre- 
mio della  buona  condotta  nel  tem- 
po della  prigionia.  I  castighi  che 
si  adoperano  sono  la  privazione  del 
lavoro,  la  più  stretta  reclusione  nel- 
la camera  di  disciplina,  le  battitu- 
re, il  pane  ed  acqua,  e  per  le  più 
gravi  mancanze  procedesi  a  forma 
di  legge  dal  tribunale  del  Campi- 
doglio, cui  è  data  la  giurisdizione* 

VOL.    XLUI. 


MAR  33 

Tutti  i  forzati  o  galeotti  hanno  la 
catena  eh*  è  fermala  ad  ambedue 
le  gambe,  del  peso  di  circa  libbre 
quattro  e  mezza  ;  quando  mancano 
sedici  mesi  al  termine  della  pena, 
essa  si  toglie  da  una  gamba,  e  to- 
gliesi  ancor  dall'  altra  quando  re- 
stano soli  tre  mesi  all'uscita.  I  con- 
dannati in  vita  tengono  oltre  la 
detta  Catena  altra  che  non  gli  per- 
mette discostarsi  dal  loro  luogo  che 
quattro  passi.  -Nello  slato  pontiilcio 
il  trattamento  degl'  infelici  condan- 
nati è  più  umano  che  altrove',  e 
molte  sono  le  pratiche  religiose  che 
si  esercitano  nei  bagni.  V.  Carce- 
ri DI  Roma,  e  Governatore,  in  cui 
si  parla  della  visita  graziosa  de'  car- 
cerati. All'articolo  Milizia  pontifi- 
cia, oltre  molte  notizie  riguardan- 
ti la  marina  papale,  dicemmo  pu- 
re come  nel  1817  furono  stabiliti 
ne'porti  di  Ancona  e  Civitavecchia 
de*  l^gni  chiamati  scorridore  e 
guardacosie  doganalij  per  vegliare 
sul  contrabbando  de'  due  litorali. 
Sotto  Gregorio  XVI  nel  1841 
la  marina  pontifìcia  fece  quella  spe- 
dizione comandata  dal  capitano  A- 
lessandro  Cialdi,  di  cui  tenemmo 
proposito  all'articolo  Egitto  (Vedi)^ 
e  furono  nel  1842  introdotti  col- 
r  opera  dello  stesso  Cialdi  nel  Te- 
vere, come  diremo  a  quell'articolo, 
cinque  navigli  a  vapore,  che  il  Papa 
onorò  usare  in  breve  tragitto.  Allor- 
ché poi  nel  maggio  i835  erasi  re- 
cato a  Civitavecchia,  città  e  porto 
come  quelle  di  Ancona  e  Terraci- 
na  da  lui  beneficale  in  tanti  mo- 
di (solo  qui  ricorderemo  che  ad 
Ancona  fece  erigere  l'arsenale  ma- 
rillimo,  il  bastione  Gregoriano,  e 
restaurò  la  fortezza;  a  Terracina 
fece  costruire  il  nuovo  porlo  e  ca- 
nale, da  lui  visitata  come  Ancona), 
salì  sul  ballello  a  vapore  il  Fraii- 
3 


34  MAR 

Cesco  I  di  regia  bandiera    napole- 
tana, non  che  suiraltio  haltcllo  a 
vapore  ii  Sully   di  regia  bandiera 
francese;  come  ancora  volle  ascen- 
dere la  golcUa  pontifìcia  il  a.  Pie- 
tro. In  allro  giorno  il  Papa  s'im- 
barcò sul  ballello  a  vapore  il  Me- 
diterraneo dì  regia  bandiera    fran- 
cese, comandato  dal  capitano  Uai- 
mond,    per   visitare    le    saline    di 
Corneto:  il  capitano  ne  riportò  te- 
stimonianze  onorevoli,  e  poi  rimi- 
se al  Pontefice  due  quadretti  rap- 
presentanti il  vapore,  e  la  gita  fat- 
ta con  esso.   Ritornando    Gregorio 
XVI  nel  settembre   1842  in  Givi- 
tavecchia  per  osservare  le  grandio- 
se lavorazioni  da  lui  ordinate  nel- 
le fortificazioni  del  porlo,   dell'an- 
temurale e  scogliera,  non    che  del 
lazzaretto,    oltre    V  ingrandimento 
della  città,    montò    sul  brick  pon- 
tificio il    s.   Pietro    comandato   dal 
capitano  Reali.  Questo  legno  era  la 
mentovala  goletta  costruita  nell'ar- 
senale di  Civitavecchia,  ed  il  re  di 
Sardegna  lo  fece  ridurre    a  brick, 
condonandone  al  Papa  una  parte  di 
spesa  del  lavoro.  Il  Papa  a  bordo 
di  tale  legno  usci  dal    porto,  e  vi 
rientrò  dopo  un  tragUto    di    circa 
cinque  miglia,  fatto  con  molto  suo 
piacere.  Rientrato  in  porto  salì  sul 
vapore  da  guerra  francese  il  Dan- 
te, comandalo  ad  interim   dal  pri- 
mo tenente  M.r  Bardon:    il    santo 
Padre  fu  ricevuto  con  segni  di  ve- 
ra divozione,  donando  a  tale  uffi- 
ziale  una    grossa  medaglia    d' oro, 
agli  altri  ufHziali  medaglie    di  ar- 
gento, all'equipaggio  corone  bene- 
dette e  5oo  franchi.  Quanto  ai  due 
brick  regalati  da  Napoleone  a  Pio 
VII,  uno  dalla   camera    apostolica 
fu  venduto  ad  un  genovese,  l'altro 
venne  disfatto. 

Nei  tempi  trascorsi  la  santa  Se- 


MAR 

de  ebbe,  come    abbiamo    narrato , 
ima     marina     militare    molto    più 
numerosa  di  quella  che  ora  esiste, 
dappoiché   le  circostanze  di    quelle 
epoche  esigevano  che  a   tutela  del- 
le sue  coste  avesse  il   modo  di  re- 
spingere gli  attacchi  delle    potenze 
barbaresche;  cambiate  poi  le  cose, 
il   governo  pontifìcio  nella  sua  sa- 
viezza credendo  bene  di  limitare  le 
forze  militari  ni  puro  necessario  ha 
ridottola  sua  marina  militare  a  due 
soli    legni  da  guerra,  quanti    sono 
puramente    necessari     pel     decoro 
della  sovranità,  e  quindi  nell'ordi- 
ne del  giorno    29  dicembre    i834 
sé  ne    può    vedere    il  dettaglio.    I 
legni  da  guerra  sono,  il    suddetto 
brick,  chiamato  s.  Pietro^    ed  una 
barca  cannoniera,  chiamata   s.  Be- 
nedctlo.  Il  quadro  della  marina  mili- 
tare pontifìcia  nel  i834  ^  riportato 
nel  voi.  II  della  citata  Raccolta  di 
tale  anno.  Nel  medesimo  volume  vi 
sono:  la  tariffa    del  soldo    mensile 
dei  militari    della  marina    ponlifì- 
cia,  e  la  tariffa  della  ritenuta  della 
quota  del    soldo,    che    rilasciano    i 
militari   della  marina  allorché  sono 
in  punizione.  Nel  voi.  I  del    i835 
riproducendosi  l'ordine  della  segre- 
teria per  gli  affari  di    stato  inter- 
ni, in  seguito  della  definitiva  con- 
centrazione   di    un    solo    ministero 
delle  due    aziende  del    ramo    sani- 
tario e    della  polizia     de' porti,    si 
parla  delle    cure    del    governo  di- 
rette a  stabilire  una  cassa    di  sus- 
sidio a  favore    de' marinari    invali- 
di ;  delle  regole  sulle  carte  ed   at- 
ti relativamente  ai  bastimenti  dello 
stato  pontificio  che  sono  in  corso; 
delle  disposizioni  intorno    il  perso- 
nale della,  marina  mercantile  ;   dei 
requisiti  occorrenti  ai  marinari  per 
ottenere    le    lettere    di    comando; 
della  forinola    del    giuramento   di 


MAR 

h>(U'lfìi,  (la  prestarsi  dai  capitani  o 
paioni  quando  ricevono  le  lettere 
di  comando  ;  delle  disposizioni  sul- 
la marina  da  pesca,  e  delle  pro- 
pine competenti  agli  officiali  ma- 
rittimi. 

il  dì.    cav.    Angelo   Galli  com- 
putista generale  della  camera  apo- 
stolica nel  1 840  pubblicò    gli   utilis- 
simi  Cenni  economici  statistici  stillo 
stato  pontificio,  e  parlando  a  p.  5o  e 
33o  della  marina  pontificia,  ne  da- 
remo   un'indicazione.    La    marina 
potrebbe  anzi  dovrebbe    essere  un 
articolo  importante  pel  commercio 
de' sudditi   pontificii,  per  due  ragio- 
ni :    i.°   perchè  siamo  fiancheggiati 
da  due  mari,   cioè    dal  Mediterra- 
neo, che  oltre     i  porti    di    Civita- 
vecchia e  d'Anzio,    ha    per  mezzo 
del    fiume    Tevere    comunicazione 
diretta  colla    capitale,  e    mediante 
il     porto -canale    di    Badino    serve 
al    commercio    delle    provincie    di 
Prosinone    e    di    Velletri    (quanto 
esso  viene   immensamente    aumen- 
tato   dal  suddetto    porto  e    canale 
di    Terracina^  lo  diremo  a  quell'ar- 
ticolo); e  dall'Adriatico,    che  dopo 
il  porto  d'Ancona,  e  diversi  porti- 
canali    lungo  il    litorale,    comuni- 
ca   colla  legazione    dal  Ponte  La- 
goscuro;    1"  perchè    abbiamo    un 
commercio  attivo  e  passivo  di  cir- 
ca  venti  milioni  di  scudi  all'anno,  e 
questo  segue  quasi    totalmente    per 
la  via  di  mare.  Nulladimeno  pochi 
sono  i  bastimenti  nazionali  in  gui- 
sa, che  mancando  pure    al  piccolo 
cabotaggio,    anche  questo  si   clfet- 
tua  in  gran  parte  dai    napoletani, 
toscani    e    sardi  ;    lo    stesso    dicasi 
della  pesca,  che  viene  in  gran  par- 
te esercitata  dagli  esteri    con   legni 
esteri.   INello  slato  dimostrativo  dei 
legni   marittimi    esistenti    nei    lito- 
rali dello  stato  poulificio,   loro  nu- 


MAR  ^^ 

mi,   portata  e  valore,  nelle  catego- 
rie di  gran  corso   sono    enumerali 
quattordici   tra  navi,  brick,  brigan- 
tini, polacche,  scooncr,  godette,  cu- 
ther.   In    quelle    delle    mentovale 
qualità  di   legni,  con  più  i  trabac- 
coli,  per  lungo  corso,  numero  no- 
vantatre. In  quelle   di   piccolo   ca- 
botaggio, cioè  trabaccoli,   pieicghi  e 
paranze,  numero  centoquarantotlo. 
Per  la  pesca,  come    paranze,    ba- 
ragozzi,    schiletti ,   sciabiche    e    ni- 
chesse,  numero  quattrocento  oltan 
tono.    Nelle  categorie    poi     de'  ter- 
rieri   ed    alibbi ,    o    sia  burchiel- 
le,  piate     e    barcaccie,   quallrocen- 
tonovantotto.    Va    notato    die    nel 
Mediterraneo  esistono  legni  di  altre 
denominazioni,  cioè  sciabecchi,  bo- 
vi, mistichi,    tarlane,    martigavi    e 
lagheri.  Nell'Adriatico^    e    segnata- 
mente in  Ancona,  ove  il  commer- 
cio è  più  attivo,  esistono    dei  bri- 
gantini a  vela  quadra,  come  pure 
dei  glossi   Irabaccoli  a  poppa  qua- 
dra.  Tulli  questi  legni   però    sono 
compresi  nelle  quantità  suddescritle. 
In  altro  fatato  dei   legni    marittimi 
nel    1838,    nell'unico    circondario 
del  Mediterraneo,  sono    registrati  , 
22   per  la  navigazione  a   lungo  cor- 
so,  17  pel  piccolo  cabotaggio,    loG 
per  la    pesca,    24    barche   terriere 
ed  alibbi.    Nel    primo    circondario 
dell'Adriatico  legni   2   per  la  navi- 
gazione di  lungo  corso,  2  5  pel  pic- 
colo cabotaggio,    1  19  per  la  pescaj 
237   barche  terriere  ed  alibbi.   Nel 
secondo  circondario    dell'  Adriatico 
legni    14    per    la     navigazione    di 
gran  corso,     49  P^^'  quella  di  lun- 
go corso,  38  per  piccolo    cabotag- 
gio,   IO  per  la  pesca,    i23    barche 
terriere  ed  alibbi.    Nel    terzo    cir- 
condario legni  20   per    la  naviga- 
zione di  lungo  corso,  68  pel    pic- 
colo   cabotaggio,    9.4^    per  la    pe- 


36  MAR 

8ca,    1 14    barche   terriere    ed    a- 

libbf. 

Nelle  asservaztoni  poi  sullo  ma- 
rina, il  Iodato  scrittore  dice  che 
il  ramo  di  commercio  costituito 
dalia  marina  sì  vede  non  poco  pre- 
terito e  negletto.  Dal  bilancio  di 
commercio  quindi  risulta ,  che  fr«i 
ciò  ch'entra  e  ciò  che  sorte  abbia- 
mo un  movimento  di  circa  dieci - 
novB  milioni  di  scudi,  avuto  a  cal- 
colo il  contrabbando,  e  che  questo 
viene  e  va  nella  massima  parte  per 
la  via  di  mare  ;  quindi  il  prezzo 
di  trasporlo  delle  merci  che  costi- 
tuiscono il  movimento,  anche  ri- 
tenendolo ragguaglialamente  ad  un 
ventesimo  del  valore^  suppone  un 
traffico  di  circa  un  milione.  Di  que- 
sto non  mollo  ài  partecipa  sull'A- 
driatico, ove  pure  esistono  basti- 
menti di  bandiera  nazionale,  e  mol- 
to meno  sul  Mediterraneo  per  la 
quasi  nullità  de'  bastimenti  stessi  : 
non  essendo  questi  sufficienti  al  bi- 
sogno, tutto  il  rimanente  si  effet- 
tua dagli  esteri.  Dal  riportato  stato 
emerge,  che  nella  spiaggia  del  Me* 
diterraneo,  lunga  miglia  i5'j,  esi- 
stono 169  legni  nazionali;  ed  in 
quella  dell'Adriatico,  lunga  miglia 
198,  se  ne  veggono  io65:  s'in* 
tende  à  quell'epoca.  Nell'Adriatico 
dunque  allora  esistevano  propor- 
zionatamente il  quintuplo  di  quelli 
esistenti  nel  Mediterraneo  j  propor* 
zione  che  regge  se  si  ha  riguardo 
tanto  ai  legni  mercantili,  quanto 
ai  pescarecci.  La  grande  spropor- 
zione del  commercio  marittimo  tra 
le  due  spiagge  si  fa  derivare  dal 
non  inclinare  al  commercio  marit* 
limo  le  popolazioni  delle  Provin- 
cie mediterranee,  e  dall'aria  malsa- 
na delle  spiaggie,  che  allontana  gli 
equipaggi  nell'estate.  Molti  vantag- 
gi si  avrebbero  se    si    dilatasse    la 


MAR 
marina  pescareccia,  che  ora  lasci.t 
libem  ai  napoletani  la  pescagione 
in  tutta  la  spiaggia  del  Mediterra- 
neo, ed  a  quei  dì  Chioggia  gran 
parte  di  quella  dell'Adriatico,  e 
specialmente  dal  Po  al  Cesenatico. 
Ne  6i  creda  indilTerente  questo  ra- 
mo d' industria,  perche  si  calcola 
il  pi'odolto  più  di  un  milione  di 
scudi,  per  cui  chiamò  V  attenzione 
di  Leone  XII.  Monsignor  Nicolai 
opinò,  che  l'ampliazione  della  ma- 
rina potrebbe  cooperare  al  ripo- 
polamento delle  campagne  sul  Me- 
diterraneo, formandosi  delle  colo- 
nie di  pescatori.  Il  eh.  Calindri , 
nel  Saggio  statistico  storico  dello 
stato  pontificio^  parlò  di  quanto  ri- 
guarda la  marina  pontificia,  e  i 
mari  lambenti  lo  stato,  le  cui  acque 
Sono  continuamente  solcate  da  le- 
gni da  guerra,  mercantili ,  pesca- 
recci e  da  trasporto,  a  p.  87  e  seg, 

e  648. 

Le  leggi  marittime,  massime  del 
commercio,  nacquero  dalle  celebri 
leggi  Roditi  formatesi  nell'isola  di 
Rodi  in  Asia,  la  quale  tanto  si  di- 
stinse pei  Suoi  Saggi  regolamenti, 
per  la  perizia  delle  cose  nautiche, 
e  per  la  soggezione  ai  corsari,  che 
Secondo  Aulo  Gellio,  tutte  le  na- 
zioni del  mondo  adottarono  queste 
leggi,  dove  non  si  opponevano  ai 
loro  usi  marittimi,  e  divennero  il 
codice  marittimo  del  mondo.  Ne 
parla  il  Martinetti,  Codice  de' do- 
veri p.  44?^  ^^^  commercio  marit- 
timOf  al  modo  che  dicemmo  al  ci- 
tato articolo  Consoli  Pontifici r  (ove 
Sonovi  notizie  analoghe  a  questo 
argomento,  e  si  dice  che  sogliono 
ottenere  qualche  grado  onorario 
della  marina  pontificia  dalla  pre- 
sidenza delle  armi  per  mezzo  della 
segreteria  di  stato  ),  riportando  le 
opere  di    diversi    trattatisti,    coaie 


MAH 

pure  sui  daveri  dfegM  ammiragli 
ed  altri  magistrati  navaR.  Nelle  Ef- 
femeridi letterarie  di  Rama  &i  trat- 
ta di  varie  opere  riguardanti  la 
marina.  In  quelle  del  1778,  p.  33^: 
De  /lire  naufragii,  di  Pietro  Ra- 
nucci,  Lucca  177B.  In  quelle  del 
177^,  p.  i3  e  2I^  Del  sequestro 
dc^  bastimenti  neutralij  di  M.  Hul> 
ner,  Genova  1778.  In  quelle  del 
1780,  pag.  98  e  log:  Storia  del 
commercio  e  della  navigazione  dal 
principio  del  mondo  a*  giorni  no- 
stri, di  Michele  de  Jorio,  Napoli 
1778.  In  quelle  del  1785,  pag.  86: 
Quale  h  stato  l'influsso  delle  leg- 
gi marittime  dei  rodiani  sulla  ma- 
rina de"  greci  e  dei  romani ,  e  quale 
V  influsso  della  marina  sulla  po- 
tenza di  questi  due  popoli,  di  Pa- 
storel,  Parigi  1784.  In  quelle  del 
17B5,  p.  218:  Delle  assicurazioni 
marittime,  di  Baldasseroni,  Firen- 
ze 1786.  Oltre  acquali  abbiamo: 
Stanislao  Bechi,  Istoria  dell'ori- 
gine e  progressi  della  nautica  an- 
tica, Firenze  1785.  Federico  Ot- 
tone Menchenio,  Bibliotheca  oiro- 
rum  militia  aquae,  ac  scriptis  il- 
lustrium,  Lipsiaé  1734.  0.  Henr. 
Goezii,  Dissertalio  historicó  littera- 
ria  de  eruditis,  qui  vel  dquis  pe- 
rierunt,  vel  divinitus  liberati  jfue- 
runt,  Lubecae  1715.  Joannes  Schef- 
feri  ,  De  militia  navali  veterum , 
TJrbsaliae  i654.  Scriptores  de  jure 
nautico  et  mariiimoj  Halae  l'j^ù. 
Si  chiamarono  poi  corsali  o  corsa- 
ri non  solo  i  ladroni  del  mare,  ma 
anche  quelli  che  avevano  facoltà 
legittime  di  armare  legni  in  corso, 
contro  i  nemici  della  santa  fede  e 
del  suo  principe,  e  ciò  sotto  certe 
leggi,  ordini  e  patti,  che  però  con 
miglior  vocabolo  Sogliono  chidmarsi 
armatori.  Che  gli  antichi  non  si 
vergognarono  di  fare  la  professione 


MAR  37 

di  qorsaro,  lo  gravò  il  p.  Meno- 
chio  nelle  Sluore  par.  IV,  cent.  54- 
In  questo  argomento  si  ha  tra  le 
altre  opere:  Sam.  Frederico  Wil- 
lembergio,  Disput.  de  excursioni" 
bus  maritimis.  Sedani  171 1.  Tra- 
ctatus  de  eo  quod  justXim  est  circa 
excursiones  maritimas,  multis  ac- 
cessionibus  auctus,  Sedani  1728  e 
1735.  Conrado  MoW'iOf  De /ure  pì- 
ratarum  disputaiio,  Traj.  ad  Rhe- 
nura  1737.  Nella  conclusione  che 
dovette  fare  monsignor  Andrea  Ma- 
lia Frattini  come  avvocato  conci- 
storiale, trattò  questo  argomento  che 
pubblicò  Colle  stampe:  Dissertatio 
ad  legem  I  codicis  de  naviada- 
fiis  seu  naucleriSj  etc.  Romae  1837. 
Eruditamente  discorse  dell'origine 
della  navigazione,  e  principalmente 
del  suo  commerciò  e  vantaggi  im- 
mensi che  ne  derivarono,  non  che 
di  que'principi  ó  nautici  che  di 
éiisd  si  lesero  benemeriti  e  celebri; 
della  navigazione  de'fenicii,  ebrei, 
cartaginesi,  greci,  romani,  e  de're- 
lativi  magistrati  e  leggi  emanate 
massimamente  dagli  antichi  romani; 
dei  collegi  de*  Naupegariorum  seu 
Navicularìorunt  fabbricatóri  di  navi 
(di  cui  si  hanno  lapidi  in  Pesaro 
e  Verona,  essendovi  nel  museo  ca- 
pitolino una  lapide  contenente  il 
catalogò  d'un  collegio  dì  navicellai 
ostiensi  ).  Celebrò  le  leggi  e  prov- 
videnze emanate  dai  Papi  per  la 
navigazione,  incrementò  é  prospe- 
rità del  commercio,  é  di  questo 
quelli  che  ne  furono  piò  beneme- 
riti, segnatamente  Piò  IV,  Grego- 
rio XIII,  Sisto  V,  Clemente  Vili, 
Clemente  X,  Clemente  XI  ^  Bene- 
detto XIV,  Pio  VI,  Piò  VII  é  Gre- 
gorio XVI,  del  quale  in  «ingoiar 
modo  giustamente  ne  rilevò  le  ma^ 
gnanime  utilissime  provvidenze. 
MARINI  Carlo,  Cardinale.  Car- 


38  MAR 

Jo  Maiiiìi  genoTCiC,  ma  nulo  in 
Ruma  in  occasione  che  i  suoi  iiu- 
hili  genitori  facevano  il  via^^Ji^io 
dell'Italia,  dopo  aver  applicato  agli 
hludi  nell'università  di  Torino,  e 
scorse  le  provincie  più  celebri  di 
Eui'opa,  si  trasferì  a  Roma  pei 
impiegarsi  in  servigio  della  Chiesa, 
e  siccome  abbondava  di  denaro, 
ebbe  agio  di  comprare  nel  ponti- 
ficato di  Innocenzo  XI  un  chierica* 
to  di  camera,  allora  venale.  Nel 
pontificato  di  Alessandro  Vili  com- 
prò parimenti  l'altro  ufficio  di  udi- 
tore della  camera,  in  cui  fu  la- 
nciato per  grazia  speciale  da  Inno- 
cenzo XII,  (juaudo  abolendo  la 
vendita  degli  impieghi ,  restituì  ai 
compratori  le  somme  sborsale  j>er 
J'acquisto.  Clemente  XI  dichiarato- 
lo suo  maestro  di  camera,  poscia 
a'a9  maggio  lyiS  lo  creò  cardi- 
nale diacono  di  s.  Maiia  in  Aqui- 
ro,  divenendolo  poi  di  santa  Ma- 
ria in  Via  Lata  e  primo  diacono. 
Lo  ascrisse  alle  congregazioni  dei 
vescovi  e  regolari,  dell'immunità, 
della  consulta,  ed  altre.  Benedetto 

XIII  colla  prefettura  de*  riti  gli 
coufèrì  la  legazione  di  Ravenna, 
provincia  che  resse  con  incorrotta 
giustizia,  per  cui  Clemente  XII  lo 
confermò  per  altro  triennio.  Be- 
nedetto XIV  gli  assegnò  quella 
di  Urbino,  di  cui  prima  di  andar- 
ne al  possesso,  essendosi  nel  1747 
per  suo  diporto  condotto  alla  pa- 
tria, vi  lasciò  la  vita  d'anni  80, 
dopo  essere  stato  presente  ai  con- 
clavi d'Innocenzo  XIII,  Benedetto 
XI II,  Clemente    XII,  e    Benedetto 

XIV  che  coronò.  Fu  sepolt^j  nel- 
la chiesa  della  ss.  Annnuziata  dei 
minori  osservanti  detta  del  Vastato. 
INel  suo  testamento  lasciò  cento- 
mila scudi  da  impiegarsi  in  usi 
pii ,  parie  in  Genova  e  parte    in 


M  A  ri 

Roma:  avendo  destmalo  Roncdello 
XIV  suo  erede  fiduciario,  questi 
colla  massima  prontezza  e  religione 
ne  adempì  i  voleri  e  le  pie  in- 
tenzioni. 

MARINO  (s.),  martire.  Eva  ol- 
fìziale  a  Cesarea  in  Palestina,  rag- 
guardevole per  probità  e  per  ric- 
chezze. Avendo  chiesto  un  posto 
di  centurione  eh'  era  vacante,  un 
suo  competitore  accusollo  d'  esser 
eristiano.  Chiamato  dal  governato- 
re, detto  Acheo,  confessò  Marino 
la  sua  fede  ;  il  perchè  Acheo  non 
gli  accordò  che  tre  ore  da  delibe- 
rare, se  morire  o  abiurare  la  sua 
religione.  Egli  non  ismentì  la  sua 
fede,  e  fu  condannato  al  taglio 
della  testa.  Ciò  avvenne  verso  l'an- 
no 273.  II  martirologio  romano 
ne   fa  menzione  ai   3   di   marzo. 

MARINO  (s.),  diacono.  Dicevi 
che  lavorasse  da  muratore  nella 
riedificazione  delle  mura  di  Rimi- 
ni ;  ma  avendo  Iddio  fatto  cono- 
scere la  sua  santità,  fu  da  s.  Gau- 
denzio vescovo  di  Brescia  ordinato 
diacono.  Ritiratosi  in  una  capannuc- 
cia  che  coslrusse  in  mezzo  ai  bo- 
schi sul  monte  Titano,  a  dieci 
miglia  da  Ri  in  ini,  visse  parecchi 
anni  da  romito,  e  mori  sul  finire 
del  quarto  secolo.  Sulla  cima  di 
esso  monte  fu  poscia  fabbricata 
una  città  che  prese  il  nome  del 
santo,  ed  è  la  piccola  repubblica  di 
s.  Marino  {P^edi).]\\  si  venerano  con 
gran  divozione  le  di  lui  reliquie  : 
è  onorato  anche  a  Pavia,  a  Riini- 
ni  e  in  molte  altre  diocesi  d'Ita- 
lia, celebrandosi  la  sua  festa  a'4  ^i- 
seltembre. 

MARINO  I,  Papa.  K  Martino 
li   e  Madtiivo   III    Papi. 

MAlUiNO,  Cardinale.  Marino 
cardinale  prete  di  s.  Sabina,  fiorì  nel 
pontificato  di  s.  Gregorio  llldel  73 1, 


r 


MAR  MAR  39 
MARINO,    Cardinale.    Marino  dirìgendola  da  Roma    ad  Albano; 
cardinale  prete  del  titolo  de'ss,  XII  dappoiché     autecedeulemente     per 
x\ postoli,  viveva    sotto    s.  Gregorio  questa  città     passava   la  strada  po- 
lli  eletto  nel    781.  stale    dirigendosi    a    Vellctri,  e  di 

MARINO,  Cardinale.  Maiino  si  là  a  Terraciua  girando  intorno  alle 
fmva  sottoscritto  al  concilio  di  s.  pendici  de'  monti  Lepini.  Un  pro- 
Paolo  I,  tenuto  nel  761,  in  qUe-  fondo  acquedotto  di  mirabile  co- 
sto modo:  Marino  umile  prete  del-  struzione,  esteso  quasi  tre  miglia 
la  S.  R.  C.  del  titolo  di  8.  Lorenzo  circa,  vi  reca  principalmente  dai 
in  DamasQ.  colli   Algidi  quella  abbondante  co- 

MaRINO,   Cardinale.  V.  Mar-  pia  d'acqua  potabile    che  il  vasto 

Tiiro  11  Papa.  linfeo   conserva    sotterra,  onde    si 

MARINO,  Marinutn,  Cìltà  dello  alimentano  le  varie  sue  fonti,  do- 
stato  pontifìcio,  comarca  di  Roma,  pò  di  aver  fatto  di  sé  bella  mo- 
diocesi  del  cardinal  vescova  sub-  stra  nella  piazza  in  apposita  fon- 
urbicario  di  Albano.  Giace  su  a-  tana,  venendo  ivi  pure  attinta  dal- 
mena  collina,  dodici  miglia  lunge  la  popolazione.  Tutti  quelli  che 
da  Roma,  avente  a  mezzogiorno  •  hanno  veduto  le  nominate  prò- 
ed  a  settentrione  due  vaili,  lo  che  fondissime  forme  ,  per  la  loro 
rende  più  pregevole  la  salubrità  struttura  le  ritengono  opera  degli 
dell'aria  che  vi  si  respira.  Il  suolo  antichi  romani.  Marino  già  feudo 
del  territorio  è  fertilissimo,  e  dal-  dell'antica  e  polente  famiglia  Fran- 
la  misura  censuaria  del  i833  è  di  gipani,  passò  quindi  in  dominio 
rubbia  1933.  Vi  prosperano  albe-  di  quella  degli  Orsini,  e  stabilmen- 
ri  e  frutti  d'ogni  specie,  vino  gè»  te  nell'  altra  romana  e  nobilissima 
«eroso,  cereali,  non  che  gli  orti  casa  Colonna  ,  che  vi  esercitò  la 
ed  ogni  specie  di  erbaggi,  pei  di-  giurisdizione  baronale  sino  al  1816, 
versi  rivi  d'acqua  che  vi  scorrono,  in  cui  atteso  il  motuproprio  di 
Nel  medesimo  territorio  sono  due  Pio  VII,  il  contestabile  d.  Filippo 
cave  di  pietre  di  molto  uso,  cioè  Colonna,  a  cui  apparteneva  il  mag- 
di  peperino  e  di  macigno,  ed  una  giorasco  di  detta  famiglia,  rinun- 
sorgente  di  acqua  minerale.  Di  zio  ai  diritti  feudali.  Dopo  quindi- 
molli  opifizi  di  carta,  ferro,  ra-  ci  anni  che  n'era  priva,  il  Papa 
me  e  cuoi  che  vi  si  ricordano,  più  Gregorio  XVI  nel  i83i  gli  re- 
non  vi  sono  ora  che  vari  mulini  stiluì  il  governatore  che  tuttora 
da  grano,  da  olio,  una  fabbrica  vi  risiede.  Sempre  benefico  coi 
di  sapone,  ed  altre  fabbriche  ne  marinesi,  considerando  quel  glorio - 
accrescono  il  traffico  industriale,  so  Pontefice  la  loro  costante  di- 
Due  fiere  vi  si  tengono,  l'una  dal  vozione  e  fedéltìi  alla  Sede  aposto- 
10  al  i3  giugno,  detta  di  s.  Bar-  lica,  le  affettuose  dimostrazioni  so- 
uaba,  e  l'altra  dal  io  al  16  di-  lenni  di  sincera  venerazione  ed 
cembre  con  molta  affluenza  special-  attaccamento  date  alla  sua  sacra 
mente  di  negozianti  di  tele  e  sto-  persona  in  molti  incontri  ;  che 
viglie.  Tuttavolta  Marino  molto  Marino  cospicua  terra  popolosa  di 
perde  dopo  che  Pio  VI  diseccan-  più  di  sei  mila  abitanti  occupa 
do  le  Paludi  Pontine,  riaprì  la  l'antica  Firenlumj  che  fu  illustre 
via   Appia  per    andare    a     Napoli,  municipio  romano,  che  vi  fiorirono 


4o  MAR 

illustri  luiiili,  cheli  suo  soggiorno 
è  deiiziosu,  piacevole  la  sitiiuzìoiie 
posta  in  mezzo  ad  ameni  e  nolVili 
tlinlorni,  dccoiuta  di  edifìzi,  di 
chiese,  case  religiose,  collegio,  o- 
spedale,  e  di  altri  particolaii  pregi, 
col  breve  In  more  insti tutoqne  Ro- 
inanorum  Ponlijìciim ,  emanalo  ai 
3  luglio  i835,  presso  la  Raccolta 
lìdie  leggi,  voi.  Il,  p.  i  del  i835, 
Gregorio  XVl  elevò  Marino  al 
grado  di  cìlià,  con  le  donsuete 
prerogative  e  privilegi. 

Tosta  questa  città  soprft  un  ripia- 
no della  falda  dipendente  dalla  cre- 
sta di  Albalonga,in  ùria  purissima, 
donde  si  gode  l'ampia  veduta  della 
canìpagna  romana,  è  ben  flibbri- 
cala.  La  strada  del  corso  con  re- 
golari edifizi,  anche  del  secolo  XVI, 
la  piazza  ed  il  duomo  sono  degni, 
come  il  palazzo  baronale,  di  par- 
ticolare menzione.  La  vecchia  ter- 
ra degli  Orsini  6  de'Colonnesi  con- 
serva gli  avanzi  del  suo  reciuto  e 
qualche  torre  rotonda  del  secolo  XV, 
sulle  quali  ancora  sono  gli  stemmi 
de*  Colonnesi  che  lo  innalzarono, 
come  in  quella  piccola  rotonda  e 
merlata,  chiusa  nella  parte  Inferio* 
re  da  piccole  case,  e  posta  a  ma- 
no manca  quasi  sul  cominciar  la 
via  del  corso.  Incontro  si  vede  il 
«palazzo  edificato  con  ornati  di  mo- 
saici tuttora  visibili,  dal  cardinal  Ca- 
stagna, poscia  nel  i  ^90  Papa  Urbano 
VII.  Dà  il  corso  in  una  piazza,  in 
mezzo  alla  quale  eia  memorata  fon- 
tana decorata  da  una  colonna  0  da 
quattro  turchi  o  mori  di  marmo, 
colle  mani  avvinte  di  dietro,  stem- 
ma de'  Colonnesi ,  sebbene  costrui- 
ta nel  i632  a  tutte  spese  del  co* 
mune,  il  quale  pure  ha  sempre 
spurgato  e  mantenuto  l'acquedotto. 
La  chiesa  principale  abbazialtì  col* 
jegiata    e   parrocchiale  è   dedicala 


MAR 

air  apostolo  s,  Barnaba  protettore 
della  città,  grandlosQ  edifizlo  di  ec- 
cellente architettura,  eretto  dai  fon- 
damenti con  maestosa  e  regolare 
facciata  dal  cardinal  Girolamo  Co- 
lonna vescovo  di  Frascati,  IV  du- 
ca di  Marino,  il  cui  mausoleo  è 
nell'interno  con  pregiati  ornamenti 
di  scoltura,  sebbene  egli  è  sepolto 
nella  basìlica  Lateranense,  secondo 
il  Cardella,  e  in  detta  chiesa  al  di- 
re del  Piazza.  Dichiarò  la  chie- 
sa giuspatronato  di  Sua  famiglia, 
ed  in  morte  le  lasciò  tutta  la 
sua  ricca  e  sacra  suppellettile.  Qui 
noteremo ,  che  il  cardinale  non 
la  dotò  di  entrate ,  ma  per  l*  e- 
sercizio  del  divino  culto  provvi- 
dero le  pie  lascile  de*  marinesi,  ed 
il  ricavato  delle  sepolture;  e  che 
le  nobili  suppellettili  di  cui  è  ora 
fornita  la  chiesa  provengono  da 
elargizioni  del  comune,  e  da  di  vo- 
ti benefattori  marinesi.  Abbiamo 
dal  can.  Etnmanuele  Lucidi,  Me* 
morie  istoriche  dell! Ariccia  p.  228, 
che  i  primi  fondamenti  furono 
gettati  a*  io  giugno  1640,  e  fu 
compita  nel  i65o:  certo  è  che  fu 
aperta  nel  1662.  Le  sue  campane 
hanno  un  bellissimo  suono.  11  sot- 
terraneo è  ampio  e  luminoso.  Nel 
1747  la  casa  Colonna,  che  ne  è 
patrona,  fece  il  nuovo  coro  d'inver- 
no pel  capitolo,  con  stalli  di  noce 
all'intorno,  e  nobile  altare  di  mar- 
mo ì  e  da  ultimo  il  principe  d. 
Aspreno  fece  rinnovare  il  pavi- 
mento* Il  quadro  deiraltare  mag- 
giore^  rappresentante  il  santo  ti- 
tolare, è  di  scuola  guercinesca,  di- 
stinguendosi per  la  forza  del  co- 
lorito e  del  chiaro  scuro-  Sull'al- 
tare della  crociera  poi  a  mano  si- 
nistra di  chi  entra  é  un  quadrò 
del  Guercìno  stesso^  rappresentante 
il  martirio  di  s,   Bartolomeo  apQ% 


]yiAR 

slolo,  pìtlui*^  ^i  gran    merito  pri- 
gliiai^  e  di  gran  pastO)>ìtì!i  nnassinuì 
nelle  figure  dei  ^anto,  ma  pregiu- 
dicata dal  restauri,  Nell'altrq  alta-r 
ve    della   prociera     èì    venera    un 
antico  Crocefisso.     Questa  chiesa  è 
fregiata    di    un   capitolo   con    ob- 
baie  mitrato,  il  quale  gode  il  pri- 
vilegio di  pontificare  nelle  feste  di 
prima  classe,  ed  ha  la  cura  d'ani- 
me.  I  canonici    sono    dodici,  ed  i 
beneficiati    sei,    con    l'obbligo  del- 
l'ufficiatura   quotidiana  alternativa. 
I  canonici  hanno  l'onorificenza  d'in- 
dossare la  cappa  magna.    Il  Piazza, 
Gerarchia  cardinalizia    pag.  297, 
stampata  neliyoS,  dice    che    allo- 
ra i  canonici  erano   sei,  e    che   la 
prima    dignità    dell'arciprete   nella 
cura  di  anime  avea  due  coadiutori 
perpetui,     per     le     due    parrocchie 
soppresse    ed  unite  alla  collegiata  ; 
e  che   Urbano  Vili,  il  quale  eresse 
la  chiesa  in  collegiata  nel  i643,  pri- 
ma che  fosse  compito  l'edifizio,  col- 
la costituzione,  Excelsa  merita  san- 
cloruni,  accordò  all'abbate  la  cappa 
magna,  ed  ai  canonici  l'abito  cora- 
le. Benedetto  XIV  concesse  all'ab- 
bate l'uso  de'  pontificali,  ed  ai  ca- 
nonici   il  rocchetto    e    la  mozzelta 
piionaz/a ,  di    che  se  ne    conserva 
memoria  in  marmo  nel  coro,  che  il 
Papa    vide    nel    174^-     Leone  XII 
poi   insigui  i    canonici  della  cappa 
maglia,  con    breve    dei    12  agosto 
1828,    ove    si    legge    di    Marino 
quest'elogio:   Ob  eoruni  in  adversis 
rt'troactorum  teniporuni    vicissìludì^ 
nibus  erga    ipswn   et  Sedem  apo- 
^lolicani    probatant  fidelitateiii    ac 
devotioneni.    Finalmente    Gregorio 
XVI  nel   1843    con  breve    de' 17 
novembre  concesse  alTabbale  e  ca- 
nonici   r  uso    del    (iollaré    di  Seta 
paonazza.  Le  altre    chiese  sono  le 
seguenti, 


VAR  4i 

Chiesa,  (fella    fs.  Trinità,    della 
congregazione    de*  dottrinari,    Ele- 
gante fabbrica    con    annesso  colle- 
gio,   eretta   nel  secolo  XVIIj  nella 
quale    furono    introdotti   nel  prin- 
cipio di    tal  secolo  i    chierici  rego- 
lari minori  dal  contestabile  Fabri- 
zio Colonna,    perchè     servissero  di 
aiuto  spirituale  e  d' istruzione  agli 
abitanti  ;  ma  la  prima    fondazione 
fu  opera  del  sacerdote  Pietro  Gini, 
il  quale    lasciò    quanto    possedeva 
ai   delti  religiosi.     Sull'altare  mag- 
giore si  venera  per    quadro    la  ss. 
Trinità,    meraviglioso    dipinto    di 
Guido  Reni,  che    il    Bellori  stima 
il  suo  miglior  lavoro,  non  così    il 
Nibby,  fatto     genialmente  con  pia 
applicazione,  per    soddisfare  le  di- 
vote   istanze    del    detto    sacerdote 
Gini,  pel  solo    compenso  di  pochi 
barili  di  vino,  come  si  ha  per  tra- 
dizione; quindi  il  sacerdote  lo  donò 
ai    chierici  regolari    minori.  Il  di- 
pinto  rappresenta  il  Padre  Eterno 
che  tiene  sulle    ginocchia  il  Figlio 
immolato,  e  nel  petto  lo  Spirito  San- 
to fiammeggiante.  Narra  il    Piazza 
come  fu  ivi  collocato  in  bella  cap- 
pella* il  ss.    Crocefisso    miracolosis- 
simo,    il     quale  prima  rilrovavasi 
in  una  nicchia    cavata  nel     masso 
di  peperino  nella   via  del  Fontani- 
le poco  distante    dalla    città.  Ope- 
rando la  sacra  immagine  molti  pro- 
digi, e  fra   gli  altri     di  aver  fatto 
rompere  i   ceppi  due  volte,  ad  uno 
calunniato  di  delitto,  volendosi  to- 
gliere dal     luogo  oscuro,  e  riporla 
nella  chiesa,  a'i4  giugno   1687  se 
ne    fece  la  traslazione  con  solenne 
processione  per  opera  dei  Colonne- 
si,  e  coll'intervento  dei  cardinali  Co- 
lonna   e  Santacroce,  della  famiglia 
Colonna,  di    altri    personaggi    ro- 
nmni,  di  tutta  la    popolazione  ma- 
ìiuèsCf  onde  immenso  fu  il  concorso 


4»  M  A  R 

del  popolo.  Il  Papa  Gregorio  XVI 
nel  i835  donò  l;i  chiesa  ed  il  colle- 
gballa  città,  collocandovi  i  Dottrina' 
ri  (f^edì)y  jicciò  nel  medesimo  locale 
aprissero  un  collegio,  siccome  fe- 
cero con  successo  lodevole  e  van- 
taggioso. Il  comune  lo  ingrandì 
ed  abbellì,  ed  a  memoria  del  se- 
gnalato benefìzio  eresse  al  Ponte- 
lìce  due  marmoree  iscrizioni:  ven* 
ne  destinato  per  primo  rettore 
del  medesimo  d.  Raimondo  Cesa» 
retti.  Chiesa  dì  san  Domenico^ 
delle  monache  domenicane  det- 
te gavotte,  con  monastero  eret- 
to con  bolla  di  Clemente  X,  de- 
gli 8  maggio.  1675,  di  strettis- 
sima osservanza.  Apprendiamo  dal 
Piazza,  che  fabbricò  la  chiesa  e 
il  monastero  suor  Maria  Isabel- 
la Colonna,  monaca  del  mona- 
stero domenicano  de'ss.  Domeni- 
co e  Sisto  di  Roma,  che  ne  fu 
pure  la  fondatrice  :  la  chiesa  è  di 
gaia  architettura,  e  di  bei  marmi 
rivestila.  Chiesa  di  s.  Maria  delle 
Gr^ie,  degli  agostiniani,  detta  an* 
ticamente  del  Gonfalone,  perchè 
della  compagnia  di  tal  nome  ivi 
eretta;  a'i3  aprile  i58o  fu  (Cedu- 
to convento  e  chiesa  a  detti  reli- 
giosi*: merita  menzione  il  quadro 
di  s.  Rocco,  che  dicesi  del  Dome- 
nichino  o  dello  Spagnoletto.  Ivi 
venerasi  una  divotissima  immagine 
di  antica  divozione  della  Beata 
Vergine,  la  quale  prima  si  chia- 
mò del  Gonfalone,  come  apparisce 
dal  modo  in  cui  è  effigiata,  cioè  col 
manto  in  ambo  i  lati  aperto,  in 
atto  di  ricevere  sotto  di  esso  e  suo 
patrocinio  i  fratelli  e  sorelle  del- 
la detta  compagnia  del  Gonfalone. 
Dipoi  si  chiamò  delle  Grazie  per 
la  copia  di  quelle  concesse  à  chi 
ricorse  alla  sua  mediazione.  Della 
chiesa  e  convento    furono    correli- 


M  A  R 
giosi,  benefattori,  e  chiari  in  lette- 
re ed  esemplarità  di  vita:  Grego- 
rio Boezio,  Agostino  Ronacci  ma- 
rinese,  ed  Agostino  Usardi  romano. 
Siccome  al  modo  che  dicemmo 
all'articolo  Confraternite  (Fedi)^  di 
queste  in  Roma  la  prima  fu  quella 
del  Gonfalone,  dopo  la  quale  furono 
fondate  le  altre,  e  che  la  romana 
derivi  e  sia  stata  eretta  dopo  la 
marinese,  come  scrive  il  Piazza,  e 
come  sostengono  parecchi  marinesi, 
ne  faremo  breve  digressione,  impor- 
tando il  conoscersi  la  vera  origine 
delle  confraternite  della  metropoli 
del  cristianesimo.  Essi  pertanto  di- 
cono che  si  ha  per  antica  e  costante 
tradizione  che  S.Bonaventura  gene- 
rale de*  francescani^  poi  cardinale  e 
dottore  di  s.  Chiesa,  dimorando  nel 
1260  in  Albano,  si  recasse  sovente  a 
Marino  a  visitare  un'antica  imma- 
gine della  Beata  Vergine  in  una 
cappella  ora  diruta  j  che  sta  fra 
il  bosco  Ferentino  e  le  pietraie  di 
Marino.  Questa  tradizione  si  avva- 
lora dal  fiumicello  0  rivo  d'acqua 
chiamato  Marrana  che  lì  vicino 
Scorre,  chiamato  con  più  antico  vo- 
cabolo Marrana  di  Bonaventura^ 
diverso  però  dall'altro  rivo  Mar- 
rana  che  scorre  a  settentrione  da 
Marino  a  Roma.  In  una  di  quelle 
visite,  S.  Bonaventura ,  meditando 
il  modo  acciò  i  secolari  con  par- 
ticolar  ossequio  onorassero  la  Ma- 
dre di  Dio,  credette  che  gradito  le 
riuscirebbe  il  redimere  dalle  mani 
degl'  infedeli  i  cristiani  fatti  schia- 
vi, l'erezione  di  ospedali,  l'accom- 
pagnare i  defunti  alla  sepoltura  e 
suffragarne  le  anime;  vide  in  visio- 
ne che  molti  angeli  in  candide  ve- 
sti Stavano  riverenti  intorno  alla 
sacra  immagine,  é  dopo  aver  egli 
orato  avanti  la  medesima  ,  rivolse 
!  suoi  passi  a  Marino,  ed  incontrò 


MAR 

alcuni  fanciulli  marinesi  ,  con  ca- 
inicietle  in  luogo  di  cotte  sui  loro 
ubiti,  die  imitando  le  processioni 
del  clero,  cantavano  laudi  spirituali. 
Allora  il  santo  si  unì  con  essi ,  e 
con  loro  s' inviò  all'  antica  chiesa 
di  s.  Lucia,  di  gotica  bellissima 
struttura,  di  marmi,  pitture  e  mo- 
saici adorna  (  forse  perciò,  e  stando 
alla  memorata  tradizione,  Vaerei- 
confraternita  del  Gonfalone  {Vedi) 
di  Roma  eresse  la  propria  chiesa 
sotto  r  invocazione  della  medesima 
s.  Lucia  )  ;  ivi  giunto  encomiando 
lo  zelo  di  que'  giovinetti ,  invitò  i 
signori  di  Marino  ad  unirsi  insie- 
me per  l'efletto  di  tali  opere  pie, 
ad  imitazione  del  terzo  ordine  se- 
colare di  s.  Francesco.  Il  che  fatto 
e  data  forma  all'abito,  se  ne  di- 
vulgò ne*  luoghi  vicini  la  fama,  on« 
de  poi  volendo  due  canonici  di  s. 
Vitale  uniti  a  dodici  gentiluon)ini 
romani  praticare  simili  opere  pie, 
si  diressero  ad  un  Irate  domenica- 
no, il  quale  venuto  in  cognizione 
di  quanto  era  stato  da  s.  Ronaven- 
tura  operato  in  Marino,  a  lui  li 
rimise,  ed  il  santo  a  foggia  del 
sodalizio  marinese  quello  di  R^oma 
eresse  col  titolo  di  raccomandati 
di  Maria j  che  si  cangiò  nel  1 354 
111  quello  di  Gonfalone.  Ottenutasi 
poi  dal  sodalizio  di  Marino  la  bol- 
la pontificia  di  canonica  erezione  e 
di  conferma,  questa  in  argomento 
di  primazia  si  riteneva  originalmen- 
te nell'archivio  dell'oratorio  di  Ma- 
rino, con  l'altra  bolla  di  Vixoìo  V 
del  novembre  1607,  come  dichiara 
Girolamo  Fazza  allora  priore,  in 
una  ricevuta  di  consegna  fattagli 
dal  suo  antecessore  Riondi,  esistente 
nel  libro  dell'arciconfraternita,  de'3o 
novembre  1647.  1  suddetti  marinesi 
oltre  la  costante  tradizione  in  favo- 
e  della  primazia  suH'arcicofjfraltr- 


M  A  R  43 

nita    del    Gonfalone    alla    romana, 
producono  le  seguenti  ragioni  e  pro- 
ve,   i."    L'antichità    degli    oratorii 
del  sodalizio  in  Marino,  poiché  do- 
po la  rovina  di  quello    ove    orava 
il   santo,  ne  furono  edificati  succes- 
sivamente tre  altri;  cioè  nel    bor- 
go fuori  di  porta  Romana,    ceduto 
agli  agostiniani ,    come  si  è  detto , 
ora  chiesa  di  s.  Maria  delle  Grazie, 
con  istromento  che  si  conserva  ;  vi- 
cino alla  chiesa  di  s.  Lucia,  ancora 
esistente  come  il    precedente ,    indi 
abbandonato  quando  fu    interdetta 
la  chiesa  ;  l'attuale  presso  la  chiesa 
collegiata ,    eretto    con  architettura 
del    cav.     Girolamo    Fontana    nel 
1698.   2."  Diversi  autori  asserisco- 
no l'antichità  e  la  primazia  dell'ar- 
ciconfraternita del  Gonfalone  di  Ma- 
rino, e  fra  gli  altri    il    francescano 
fr.  Flaminio  da  Latera,  che  dice  che 
vari  autori  l'affermano,  ed   il  citato 
Piazza.   3."  L'avere    l' arciconfrater- 
nita  fondato  le    altre    confraternite 
filiali   della   Carità   e  del  ss.  Sagra- 
mento  in  Marino  prima  del  i5oo, 
col  riservarsi  diversi  diritti,    e  fra 
gli   altri   quello  del  feretro,  conser- 
vatole dal  cardinal   Giustiniani  ve- 
scovo d'Albano.  4-°    Ad    onta    che 
ne'  saccheggi  ed  incendi  e  nelle  pe- 
stilenze sieno    periti    i    più    antichi 
libri  dell'arciconfraternita,     non   o- 
stanle  nei  superstiti  del  cinquecento 
s'incontrano  alcune    memorie   delhi 
primazia  e  dei  diplomi  che  si  danno 
in   antico  latino,   mentre  la  romana 
li    concede    in    volgare.    1    diplomi 
marinesi  dicono  così  :    Nos  praesi^ 
dcs    ven.    archiconf.    vexiWferoriun 
Mareni   sub    ins^ocationc    Deiparat 
dp.  Mercede  primiun  a  s.  Bonaven- 
tura fundataej  e  nel  fine:  Oramus 
itaquc  univerias  urbis  et   orbis  ar- 
chiconf.^ confrat.y  sodali tia,  congrc 
gatiofiesj  pioscjue  uniones^  ut  se  in 


44  MAR 

talem  t'eri  pia  nt  et   agnoscnnt.    Tali 
diplomi  soiiQ  ricevuti  da  per  tutto, 
ed  I  confrati  marinesi  indossano  Ta- 
bilo  in  qualunque  godalir.io.  S.''  Nel 
passato  secolo ,    nel    trasporto    clic 
venne   ftilto  della   Madonna  del  di- 
vino amore  (di  cui  parlammo    nel 
voi.  XVII,  p.    i8  del    Dizionario) j 
quantun(|ue  vi  fosse  l'arciconfratcr- 
iiita  di  Roma,  quella  di  Marino  eb- 
be la  precedenza,  ed  altrettanto  si 
pratica  ogni  anno   santo  (il  nume- 
ro 77  del  Diario  di  Roma   iSi5 
lo    confermo),     quando    il     sodali- 
zio  portasi    in    Roma.    Nel    1799 
in    un    discarico    dato    al     governo 
d'allora,  e  portante  la  data    24  ot- 
tobre, non  solo  si  conferma  la  pri- 
mazia,  ma  si  dice  che   avendo    ri- 
portato il  sodalizio  dalla    pietà  dei 
li'deli    molte    donazioni    di    slabili , 
((uindi  divenuto  ricco  di  rendite,  se 
ne  spogliò  per  erigere  un  convento 
agli  agostiniani  con  congruo    asse- 
gnamento, non  che  per  erigere  tre 
compagnie  filiali  sotto  1*  invocazione 
del  ss.  Sagraniento,  già  del  ss.  Cor- 
pò  di  Cristo,  del  Crocefisso  o  buo- 
na morte,  e  delle  Àiiinie  del  purga- 
torio.  Finalmente  è  da     rimarcarsi, 
che  nel  1887  gli  vSteSsi  confrati  della 
romana  confessarono    ai    marinesi , 
come  questi  aflfermano,  la  primazia, 
e  nel    i^^g  recandosi  a  Marino  per 
la  festa    de*  principi    degli    apostoli 
sette  confrati  del  Gonfalone  di   Ro- 
ma, iiconoscendo  là  primazia    ma- 
rinese,  si   vestirono  de*  loro    abili  , 
otffciarono  coi   confrati    di    Marino 
nel   loro  oratorio,  offrirono  all'alta- 
re sei  Ix'lli  ceri,  e  visitarono  i  luo- 
ghi dei  tre  più  antichi  oratorii.  Che 
i  confrati  del  Gonfalone  furono  in 
origine  chiamati  crociferi,  lo  dicem- 
mo altrove.   H  sodalizio    si    occupa 
della  redenzione  degli  schiavi,  nell'a- 
iulare  i  carcerati,  ucl  propagare  la 


MAR 

divozione  delk  Beata  Vergine,  uf- 
fiziandq  in  tutte  le  fe^te  annuali 
oltre  le  proprie  che  sono  molte,  e 
nel  pacificare  le  persone  che  si  so- 
no  inimicate. 

Il  cardinal  Marit)  Matte»  protet- 
tore della  città  lo  è  pure  dell'arci- 
confraternita  del  Gonfalone:  mentre 
della  confraternita  della  Carità 
sotto  l' invocazione  di  Gesù,  Ma- 
ria, Giuseppe,  Antonio  di  Pado- 
va, e  anime  purganti,  dal  i845 
n'è  protettore  il  cardinal  Adriano 
Fieschi.  Questo  sodalizio  della  Ca- 
rità gode  i  medesimi  privilegi  di 
([uelli  della  Morte  e  Gesù  Maria  di 
Roma,  associa  i  cadaveri  di  quelli 
morti  in  campagna ,  ed  i  poveri 
gratis,  facendo  loro  un  competente 
funere  con  messa  e  uffizio;  man- 
tiene l'ospedale  per  gì'  infermi  (  o- 
spedale  ch'esisteva  a' tempi  del  Piaz- 
za, che  lo  disse  canonicamente  e- 
fetto,  verso  la  porta  che  conduce 
in  Roma,  con  sei  stanze,  donde  gli 
ammalati  si  mandavano  in  Roma); 
suffraga  i  defunti  con  uffìzio  una 
volta  il  mese,  ed  in  novembre  nella 
commemorazione  de'  fedeli  defunti 
per  sedici  giorni;  facendo  ogni  an- 
no in  tal  tempo  nel  cimiterio  del- 
l'insigne chiesa  collegiata  la  rap- 
presentazione con  scenari  dipinti  e 
figure  dì  cera  al  naturale,  dispen- 
sando incisioni  e  spiegazione  dei 
fatti,  oltre  la  celebrazione  di  gran 
numero  di  messe.  Nel  i845  rap- 
presentò il  fatto,  quando  s.  Anto- 
nio di  Padova  chiama  in  testimo- 
nio l'ucciso  a  giustificare  V  inno- 
cenza del  padre.  Nel  1846  poi  per 
rappresentazione  si  figurò  la  regina 
Saba,  che  si  porta  a  visitare  il  re  Salo- 
mone. Lo  stesso  sodalizio  della  Cari- 
tà in  delta  commemorazione  fa  nel 
duomo  o  collegiata  una  solenne  es- 
posizione   con  grandiosa    macchina. 


MAR 
paratura  e  sorprendente  luminarla, 
inoltre  celebra  sontuosamente  la  fè- 
sta a  s.  Antonio  di  Padova,  inter- 
Tiene  a  tutte  le  processioni,  ed  es- 
sendo unite  ad  essa  le  sorelle  della 
carità  di  s.  Vincenzo  de  Paoli,  fa 
continue  elemosine  ai  poveri  ed  in- 
ferrai anco  nelle  proprie  case.  11 
Piazza  a  pag.  299  parlando  del- 
le chiese  di  Marino,  alcune  delle 
quali  non  più  esistenti ,  dice  che 
nella  collegiata  vi  furono  canoni- 
camente erette  quattro  compagnie, 
vale  a  dire  :  del  ss.  Sagramento  ag- 
gregata all'arciconfraternita  della  Mi* 
nerva  di  Koma;  del  ss.  Crocefisso-, 
del  Gonfalone;  della  Carità;  e  del 
Rosario  che  mantiene  di  cera  e  sup* 
pelletlili  sacre  l'altare  di  esso  in 
detta  chiesa,  e  lo  recita  nei  giorni 
destinati. 

Quanto  al  novero  delle  altre  chie- 
se eccolo.  S.  Rocco^  chiesa  od  ora- 
torio rurale  sulla  strada  di  Grotta- 
ferrata.  S.  Maria  dell'  Orto  detta 
deWAcqua  santa,  sulla  strada  verso 
Albano,  di  ragione  del  capitolo,  e- 
retta  colle  limosine  de'  fedeli ,  ove 
sotto  l'altare  sorge  un'  acqua  che 
bevono  con  divozione  gl'infermi,  ed 
opera  prodigiose  guarigioni,  essen- 
do in  gran  venerazione  la  sacra  im- 
magine della  Madonna  scolpita  nel 
peperino,  scendendosi  nel  santua- 
rio per  una  scala  di  34  gradini 
praticata  nel  masso  di  detta  pie- 
tra albana  nerastra.  Non  è  poi  vero 
che  tale  acqua  sia  la  Ferentina.  Nel 
1819  la  chiesuola  fu  decorata  d'un 
prospetto  esterno  tutto  di  peperini, 
lodata  architettura  di  Matteo  Lo- 
vatti,  essendo  semplice  e  bella,  ed 
avendo  l'aspetto  di  antichità  e  se- 
rietà che  piace.  S.  Antonio  di  Pa- 
dova, chiesa  eretta  per  decreto  del 
cardinal  Pallotla  nella  sua  visita , 
dirimpetto    alle    carceri ,  per  cele- 


MAR  4> 

brarvi  la  messa  a  comodo  de'  car- 
cerali. S.  Maria  della  Natività,  chic  - 
sa  rurale  posta  sulla  strada  verso 
Roma,  edificata  «lel  1641  da  Giu- 
lio Ciliano  protonotario  fipostolico. 
S.  Giovanni  Evangelista  e  s.  Fran- 
cesco, cappella  pubblica  (àbbricula 
vicino  ai  molini  del  couumkì  per 
legato  delia  famiglia  Mnjoni.  S.  An- 
tonio di  Padova,  situata  sulla  strar 
da  Romana,  eretta  da  Bartolomeo 
Santo  pad  re.  iS'.  Girolamo  delle  Frat- 
toccjiie,  eretta  per  comodo  degli  a- 
gricoltori  dalla  casa  Colonna.  SS. 
Crocefisso,  vicino  alla  via  Appia, 
della  famiglia  Marioli.  Nel  territo- 
rio di  Marino  vi  è  la  chiesa  e  il 
convento  de'  minori  osservanti  di 
s.  Maria  della  Neve  di  Palazzola, 
ove  al  dire  del  p.  Kyrcher  fu  già 
Albalonga.  Del  luogo,  della  chie- 
sa e  convento  tenemmo  proposito 
all'articolo  Albano,  e  ne  parlammo 
ancora  agli  articoli  Lazio  e  Castel 
Gandolfo.  Per  la  celebrità  del  silo, 
oltre  quanto  dicemmo  ai  citati  arr 
ticoli,  principalmente  in  quello  di 
Albano,  ed  in  quello  di  Lazio  par- 
lando di  Lavinio  ed  Albalonga , 
qui  aggiungeremo  alcune  altre  no- 
tizie. 

11  convento  e  la  chiesa  di  s.  Ma- 
ria di  Palazzola,  nel  i449  ^'^l^be- 
ro  i  minori  osservanti,  dai  monaci 
certosini,  con  quelle  condizioni  ri- 
portate dal  p.  Casimiro  da  R.oma, 
Mem.  istor.  p.  227,  della  chiesa  e 
del  convento  di  s.  Maria  di  Pa- 
lazzola. Esso  fu  onoralo  piti  volte 
dai  Pontefici,  cardinali  ed  altri  per- 
sonaggi. Si  sa  di  certo  che  vi  fu- 
rono Pioli,  e  Sisto  IV  francesca- 
no nel  settembre  i47^-  Per  la  sua 
amenità  e  scaturigini  di  acque  ab- 
bondanti e  freschissime ,  non  che 
termali,  ora  deviate,  vi  furono  fatte 
piscine  e  vivai ,    laonde    nel  secolo 


I 


J[6  MAR 

XV  si  tpnne  in  conto  di  delizia.  Il 
celebre  caidinale  Isidoro  di  Tessa - 
Ionica,  morto  in  Roma  nel  r463  , 
nmava  il  riliramento  di  Palazzo!», 
ed  amava  sovente  desinare  nella 
stagione  estiva  in  uno  degli  spechi  o 
caverne  piftoriclic,  die  si  vedono 
a  destra  del  convento,  vestite  di 
edera  e  di  musco  con  sorgenti  di 
acqua  limpida,  oggi  inondata  e  pri- 
va degli  ornameiìti  boscarecci,  che 
dal  cardinale  erasi  fatto  un  deli' 
zioso  triclinio  di  estate.  Si  vuole  che 
tali  caverne  abbiano  tornito  i  mate* 
riali  ad  Albalonga,  poscia  luoghi 
di  orrido  carcere,  ed  in  tempo  dei 
romani  prima  un  ergastolo  e  po- 
scia un  amenissimo  ninfeo.  Il  cai' 
dinal  Girolamo  Colonna  otteime  da 
Urbano  VII!  (il  quale  lo  dichiarò 
prolettore  del  convento  mentre  vi 
dimoravano  i  pp.  riformati,  che  vi 
restarono  dal  1626  al  1640)  l'in- 
vestitura di  un  terreno,  e  vi  formò 
una  villetta,  edificando  un  casino 
nella  ripa  che  sovrasta  il  convento 
e  la  rupe,  che  è  alquanto  fragile 
e  soggetta  ad  improvvisi  scoscendi- 
menti, l'ultimo  de'  quali  avvenne 
nel  1826,  che  per  qualche  tempo 
troncò  le  comunicazioni  fra  Albano 
e  Palazzola.  Alessandro  VII  si  recò 
al  convento  de*  francescani  agli  i  i 
maggio  i656,  dopo  essere  sialo  al 
palazzo  del  cardinal  Colonna;  visitò 
la  chiesa,  passeggiò  pel  chiostro  e 
per  l'orto,  e  fu  trattato  di  rinfresco. 
Clemente  XI  due  volte  vi  si  trasferì 
come  il  detto  predecessore  da  Castel 
Gandolfo:  la  prima  fu  ai  ^3  giù* 
gno  171  I,  e  dopo  aver  celebrato 
la  messa  nell'altare  maggiore,  am- 
mise al  bacio  del  piede  i  religiosi 
nella  cappella  di  s.  Diego  situata 
nel  chiostro,  assistito  dai  cardinali 
Paolucci  vescovo  diocesano,  e  Goz- 
zadioi  ;  l'altra  fu  a'  1 8  giugno  1  7  1 3^ 


MAR 

in  cui  dopo  la  celebrazione  della 
messa  volle  visitare  la  chiesa  di  s. 
Angelo  coll'annesso  romitorio  fab- 
bricato fin  dal  i63G.  Benedetto  XIV 
da  Castel  Gandolfo  si  trasferì  a  que- 
sto convento  a'  28  ottobre  I74'  • 
orò  in  chiesa  ov'  era  esposto  il  ss. 
Sagramento,  indi  ammise  al  bacio 
del  piede  i  religiosi,  e  permise  che 
entrasse  nel  convento  la  contesta- 
bilcssa  Colonna.  Nel  1829  nel  mese 
di  ottobre  vi  si  recò  a  passare  al- 
cuni giorni  il  cardinal  d.  Mauro 
Cappellari  col  p.  abbate  d.  Am- 
brogio Bianchi  ora  cardinale,  volen- 
do sempre  mangiare  nel  refettorio 
coi  frati;  ed  io  ebbi  l'onore,  come  in 
lutti  i  luoghi  sì  nel  cardinalato  che 
nel  pontificato,  di  seguirlo  e  di- 
morarvi. Divenuto  Papa  Gregorio 
XVI,  nell'ottobre  i83i  vi  ritornò 
colla  corte,  di  cui  io  feci  parte;  vi- 
sitò la  chiesa  e  il  convento,  am- 
mettendo con  somma  affabilità  a 
discorso  ed  al  bacio  del  piede  l'e- 
sultante religiosa  famiglia,  rammen- 
tando la  cortese  ospitalità  ricevuta 
due  anni  prima.  Ecco  come  il  p. 
Casimiro  da  Roma  descrive  la  chie- 
sa a  p.  242  e  seg.  Incomincia  dal 
riferire  le  parole  di  Pio  II,  che  nei 
suoi  Comnienlari  descrisse  il  luogo. 
Ecclesia  est  vetiisU  opens^  non  ma^ 
^na^  uno  contenta  fornice ,  cujus  w- 
atibuluni  ntarmoreis  nitet  columnis. 
Nell'altare  maggiore  vi  è  il  quadro 
rappresentante  la  Beata  Vergine  , 
coi  ss.  Francesco  d'Asisi  ed  Anto- 
nio di  Padova,  di  buona  maniera. 
Verso  la  fine  del  secolo  XVII  fu- 
rono fabbricati  due  altari  quasi  nel 
mezzo  della  chiesa;  e  a  mano  dritta 
della  porta  fu  collocata  ed  ornala 
con  pietre  la  croce  di  metallo,  tolta 
dalla  porla  santa  di  s.  Giovanni  \n 
Laterano,  che  nel  i65o  avea  aperta 
pel  giubileo  universale    il   cardutai 


MAR  MAH  47 
GirolamoColonnacoincarcipiele.il  l'ordine,  che  vi  si  portassero  a  di - 
convento  fu  restaurato  a  spese  del  porto.  Questa  chiesa  è  filiale  del 
p.  fi'.  Giuseppe  Maria  di  Fonseca  duomo  di  Marino,  e  soggetta  col 
da  Evora,  detto  il  Por/og/zp.?mo,  prò-  convento  alla  giurisdizione  parroc- 
curalore  e  commissario  generale  dei  chiale  di  s.  Barnaba,  per  cui  i  re« 
minori  osservanti,  che  morì  vesco-  ligiosi  sono  tenuti  ad  intervenire 
vo  di  Oporto  o  Porto  in  Porto-  alle  principali  processioni  che  si 
gallo,  del  qual  regno  fu  ministro  fanno  in  Marino,  e  da  questa  città, 
plenipotenziario  in  Roma  pel  re  ove  d'ordinario  scelgono  il  sindaco 
Giovanni  V  (che  alcuni  chiamano  apostolico,  ricevono  le  maggiori  li- 
suo  genitore).  Oltre  a  ciò  il  p.  da  mosine  per  la  loro  sussistenza, 
Evora  nel  lySgabhein  con  diversi  Finalmente  in  Marino  vi  sono, 
ornamenti  la  chiesa  ,  e  particolar-  una  casa  religiosa  per  l'educazione 
mente  con  quattro  altari  di  mar-  delle  fanciulle,  e  un  pubblico  ospe- 
mo  e  colla  balaustrata  di  bardiglio  dale  pegli  infermi.  Altro  edifizio 
innailzi  al  maggiore.  Questo  illustre  poi  ragguardevole  è  il  palazzo  ba- 
personaggio  lo  celebramnìo  in  più  ronale  dei  Colonna,  magnifico  fab- 
luoghi,  come  all'articolo  Bibliote-  bricato  non  condotto  a  fine.  Ave- 
CA  Akacelitana  da  lui  grandemente  va  nel  mezzo  una  gran  torre  qua- 
aumentata,  lo  che  pur  notammo  ai  dra,  che  venne  però  mozzata.  Nei 
"voi.  XII,  p.  g8 ,  e  XXYI,  p.  147  saloni  vi  sono  molti  quadri  im[X)r- 
del  Dizionario;  oltre  di  aver  ope-  tanti  pei  soggetti  che  rappresenta- 
rato  molti  miglioramenti  nel  con-  no ,  poiché  i  migliori  furono  ai 
tiguo  convento,  essendo  stato  gè-  giorni  nostri  trasportati  ad  accre- 
neroso  e  benefico  con  molti  di  quelli  scere  la  preziosa  galleria  del  pa- 
della provincia  romana,  ed  avendo  lazzo  Colonna  di  Roma,  ove  pure 
concorso  al  collocamento  della  statua  vennero  collocati  i  più  scelli  dei 
di  s.  Francesco  d'Asisi  nella  basi»  palazzi  baronali  di  Genazzano  e 
lica  vaficana.  Nella  chiesa  di  Pa*  Paliano  [Fedi).  JVella  gran  sala  al 
lazzola  vi  sono  pitture  del  Masucci,  primo  piano  vi  è  la  pregevole  e 
in  una  rappresentandosi  s.  Giusep-  interessante  intera  serie  delle  effìgie 
pe  col  bambino  Gesù^  nell'altra  i  di  tutti  i  sommi  Pontefici  da  s. 
genitori  della  Madre  di  Dio.  Un  Pietro  al  regnante  Pio  IX,  dipinti 
altro  celebre  pittore,  Ippolito  Scon-  in  tela  in  tanti  quadri  colla  test» 
Zani  bolognese,  sepolto  in  mezzo  al  naturale,  tanto  più  preziosa  do- 
della  chiesa,  colorì  nel  convento  tra  pò  T  incendio  dell'antica  basilica  di 
le  altre  cose  due  camere  ed  una  s.  Paolo,  che  nelle  pareti  avea  in 
sala.  Nel  t.  XIV  del  Bull.  Rom.  ritratti  la  cronologia  de*  Papi.  Nel- 
p.  23 1,  si  legge  il  breve  Exponi  la  gran  sala  al  secondo  piano  vi 
nohis,  di  Clemente  Xll,  de' 9  apri-  sono  molti  quadri  di  vario  argo- 
le  lySS,  dal  quale  si  rileva,  che  mento^  la  maggior  parte  rappresen- 
il  p.  da  Evora  spese  più  di  ottan-  tanti  ritraiti  d' illustri  Colonnesi. 
tamila  scudi  pel  convento  e  chiesa  Rammenteremo  quel  dipinto  del 
di  Palazzola,  e  si  ordina  che  dopo  cavallo  tutto  bianco,  che  dicesi  del- 
la di  lui  morte  le  ampliale  abita-  la  razza  dei  Colonna,  il  quale  ba 
zioni  non  dovessero  servire  che  sì  lunghi  e  ricca  la  criniera  del  collo 
per   alloggiarvi    i    benefattori   del-  e  la  coda,  che  quella  strascina  per 


48  MAR 

terra,  e  questa  lunga  drca  tre  can- 
ne, è  sostenuta  da  due  valletti  ric- 
camente vestiti ,  mentre  un  terzo 
tiene  le  briglie  di  si  meraviglioso 
e  bellissimo  cavallo.  Vi  sono  inol- 
tre nel  palazzo  antiche  suppellettili, 
ed  apparati  ricchissimi  de*  Colon- 
nesi.  In  Marino  vi  è  l'amena  villa 
Bel  PoggiOy  già  dei  Colonnesi ,  ed 
ora  della  nobile  famiglia  de'  conti 
di  Marsciano,  con  elegante  palazzine, 
bei  viali  e  giardini,  ed  ombrosi  bo- 
schetti. La  contessa  Marianna  Mar- 
sciano  ultimamente  fece  ristaurare 
ed  abbellire  il  casino,  sotto  la  di- 
rezione dell'architetto  Luigi  Ago- 
stini. 

In  Marino  fiorirono  uomini  e 
donne  illustri.  Primieramente  si 
vuole  che  l'antica  e  nobile  fami- 
glia Crescenzi  appartenesse  al  mu- 
nicipio di  Marino,  e  si  desume  da 
una  lapide  sepolcrale  scritta  in  gre- 
co ma  latinizzata ,  che  esiste  nel 
palazzo  del  comune,  rinvenuta  nel- 
la tenuta  di  Monte  Crescenzo ,  la 
quale  di  rubbi  cento  apparteneva 
al  comune,  indi  incamerata,  ora  è 
proprietà  libera  dei  Colonna.  Tra 
i  celebri  personaggi  di  questa  pro- 
sapia che  videro  la  luce  in  Mari- 
no, nomineremo  Vittoria  Colonna 
che  celebrammo  nel  voi.  XIV,  p. 
287  e  288  del  Dizionarioy  nata  nel 
1490  da  Fabrizio  Colonna  e  da 
Agnese  di  Montefeltro,  e  morta  in 
Roma  nel  iS^f.  Da  ultimo  il  prin- 
cipe d.  Alessandro  Torlonia ,  per 
cura  del  eh.  cav.  Pietro  Ercole  Vis- 
conti, ne  fece  pubblicare  con  più 
corretta  e  magnifica  edizione  le  sue 
rime  e  la  vita,  ed  a  suo  onore  fe- 
ce coniare  una  bellissima  meda- 
glia, mentre  nella  protomoteca  di 
Campidoglio  il  busto  marmoreo  di 
Vittoria  fu  collocato  con  benepla- 
cito   di    Gregorio    XVI    tra  quelli 


MAR 

degli  italiani  illustri.  Altro  Colon- 
ncso  nato  in  Marino  fu  Prospero 
de'  duchi  di  Sonnino,  che  ivi  vide 
la  Incedei  giorno  nel  1673,  creato 
cardinale  da  Clemente  XII,  e  morto 
in  Roma  nel  I74'5-  Altie  persone 
illustri  di  Marino  sono:  suor  Ma- 
ria Costanza  Biondi  fondatrice  delle 
monache  oblate  di  Albano.  Suor 
Claudia  de  Angelii  fondatrice  delle 
monachelle  di  Anagni  :  è  dubbio  se 
nascesse  propriamente  in  Marino, 
certo  è  che  marinesi  furono  i  ge- 
nitori. Bernardina  Cioglia  e  Bar- 
bara Costantini,  ambedue  morte  in 
odore  di  santità,  avendo  Dio  con- 
cesso grazie  a  loro  intercessione.  I 
nominati  religiosi  Boezio  e  Bonac- 
ci.  Do'menico  Gagliardi  dottore  fi- 
sico, che  pubblicò  alcune  opere,  e 
servi  quattro  Pontefici,  Alessandro 
Vili  che  lo  ascrisse  alla  nobiltà  ro- 
mana. Clemente  XI,  Benedetto  XIII, 
e  Benedetto  XIV  :  però  il  Mari- 
ni non  ne  fa  menzione  ne' suoi 
Archiatri.  Nicola  Gagliardi  vesco- 
vo di  Alatri.  Giacomo  Carissimi, 
celebre  compositore  del  Misere- 
re  che  si  cantò  nella  basilica  va- 
ticana. Giuseppe  Ercole  maestro 
di  cappella  nella  corte  austriaca. 
Due  fratelli  Falconi,  uno  maestro 
di  cappella  nella  corte  di  Spagna, 
l'altro  in  quella  di  Portogallo.  Ca- 
nestri e  de  Cesaris  si  distinsero  nel- 
la pittura.  Il  cav.  Mocchi  valente 
scultore,  fu  chiamato  alla  corte  di 
Baviera  :  nella  crociera  della  colle- 
giata edificò  un  bellissimo  altare 
con  colonne  di  marmo  colorato  ed 
altri  ornati.  Anticamente  molti  ma- 
rinesi si  distinsero  nelle  armi,  e  da 
ultimo  certo  Rovina  morì  mentre 
era  al  servigio  della  Russia  col  gra- 
do di  colonnello.  Maria  Domenica 
Fumasoni,  oltre  essere  poetessa,  si 
dice  che  fu  discopritrice  della  fila- 


MAR 

tura  (leir  amianto  (  del  quale  in- 
combustibile ne  pailanìmo  al  voi. 
XXVI 11,  p.  19  del  Dizionario) f  di 
die,  secondo  il  eli.  I^aggi,  fece  espe- 
rimento nell'accademia  de' Lincei 
nel  1806,  presenti  i  rinomati  pro- 
fessori Scalpellini,  Brocchi  e  Mori- 
cbini  che  assai  la  lodarono:  suo  fi- 
glio è  il  notaro  Francesco  Fuma- 
soni  Biondi,  lodalo  poeta  che  con 
mirabile  facilità  improvvisa  versi 
su  d'ogni  argomento.  Altro  vivente 
illustre  è  Giuseppe  Mercuri  inven- 
tore dell'  incisione  in  acciaio,  nella 
quale  divenne  sì  celebre  ,  che  fu 
fatto  direttore  dell'accademia  delle 
belle  arti  nel  Belgio.  Vanno  enco- 
miati i  filantropi  patrii  Francesco 
e  Mauro  fratelli  Giani ,  per  aver 
istituito  cinque  posti  gratuiti  e  per- 
petui neir  ospizio  apostolico  di  s. 
Michele  di  Roma,  due  per  maschi 
e  tre  per  femmine ,  con  pubblici 
istromenti  de'  i/^  gennaio  i833,  e 
25  luglio  1839  per  gli  atti  del  Sol- 
dini notaro  in  Marino,  avendo  de- 
ferito la  nomina  dopo  la  loro  mor- 
te al  magistrato  e  segretario  prò 
tempore  del  comune  di  Marino.  I 
medesimi  benemeriti  fratelli  fon- 
darono pure  sei  mezzi  posti  per 
convittori  nel  collegio  di  Marino  , 
oltre  diverse  altre  opere  pie,  per  le 
quali  hanno  disposto  l'intiero  loro 
patrimonio. 

Non  vi  sono  sicuri  argomenti 
per  dichiarare  il  famoso  console 
Mario  qual  fondatore  di  Marino,  ne 
memoria  si  ha  di  alcuna  villa  sua 
nel  recinto,  sebbene  talora  sia  stato 
latinizzato  col  nome  di  f^illa  Mariij 
tutlavolla  diremo  ciò  che  opinaro- 
no gli  archeologi.  Il  p.  Kircker  nel 
riferire  che  non  avea  la  terra  il 
titolo  di  città,  aggiunge  che  per 
l'ampiezza  dell'area,  per  l'eleganza 
de' templi,  per  l'  amenità    de'  giar- 

VOI..     XLIII. 


M  A  R  49 

dìni,  e  per  lo  splendore  de'  palaz- 
zi, gareggiava  colle  più  illustri  città 
latine.  Nelle  sue  vicinanze,  Murena, 
Lucullo,  Cicerone,  Ponzio  e  tanti 
altri  personaggi  illustri  di  Roma  , 
dimorarono  nelle  ville  o  delizio- 
se case  di  campagna,  delle  quali 
tuttora  V*  ha  copia.  Di  alcune  ne 
parlammo  agli  articoli  Grott afer- 
rata e  Frascati,  abbazia  e  città 
celebri  che  gli  sono  vicine,  succe- 
dute all'antico  Tuscolo.  Abbiamo 
dal  Piazza  che  presso  l'odierno  Ma- 
rino fosse  la  villa  di  Caio  Marino, 
sulle  cui  rovine  probabilmente  fu 
edificato,  ovvero  nel  luogo  ove  sur- 
sero  i  famosi  giardini  di  Lucio  Mu- 
rena ,  onde  il  luogo  anticamente 
venne  chiamato  Mariano^  come  lo 
appellò  Pio  II  ne*  suoi  Commentari 
lib.  II,  compilati  dopo  aver  per- 
corso i  circostanti  luoghi  e  Mari- 
no stesso.  Dice  ancora,  che  alcuni 
affermarono  giungesse  sino  a  Ma- 
rino la  magnifica  e  vastissima  villa 
di  Lucullo,  ciò  deducendo  dai  rot- 
tami di  statue,  di  colonne,  di  ca- 
pitelli e  di  altre  memorie  che  si 
rinvennero  ne'  campi.  Nel  sito  o 
valle  detto  le  Fratlocchie  e  dal 
volgo  Torre  del  re  Paolo,  già  villa 
deliziosa  de'  Colonnesi,  di  cui  molto 
si  dilettò  Alessandro  VII  mentre 
villeggiava  in  Castel  Gandolfo  ,  fu 
un  tempo  la  villa  dell'  imperatore 
Claudio,  in  un  al  tempio  a  lui  de- 
dicato. Amante  l'augusto  della  so- 
litudine, in  essa  di  frequente  riti- 
ravasi  con  Tito  Livio,  e  siccome 
dotto  nella  lingua  greca  ed  ammi- 
ratore di  Omero,  a  lui  si  attribuisce 
l'erezione  di  quella  tavola  di  marmo 
con  elegante  bassorilievo,  che  si  disse 
opera  di  Archelao  di  Apollonio,  in 
cui  erano  rappresentate  le  piti  se- 
gnalate azioni  di  quell'  insigne  prxì- 
ta,  che  nel  declinar  del  secolo  XVH 

4 


So  MAR 

fu  rinveniiln  presso  le  Frnlloccliic, 
indi  illustrata  dal  prelato  Marcello 
Sevcrali,  dapprima  collocata  nel  mu* 
seo  valicano,  poi  in  quello  di  Londra, 
e  meglio  conosciuta  sotto  il  nome 
di  j4poteosi  (V Omero.  Di  questa 
scoltura  ne  parlarono  ancora  Rey- 
nolds e  Winkelmann  :  dallo  stile 
del  monumento  si  volle  ccngcllu» 
rare  che  1*  artefice  vivesse  al  tem- 
po de'Cesari.  Avendo  fatto  ricerche 
su  tale  monumento,  venni  a  conosce* 
re  che  due  di  Omero  ne  furono  tro- 
vati alle  Frattocchie,  appartenenti 
all'antica  Bovilla,  di  cui  tra  gli  altri 
tratta  anche  il  Nibby  nell'opera  che 
qui  ricorderemo.  Che  il  primo  fu 
posseduto  da  Arcangelo  Spagna  an- 
tiquario romano ,  dalle  cui  mani 
passò  nel  museo  Roccia  ed  in  se- 
guito dagli  eredi  di  questa  fami- 
glia fu  dato  in  dono  a  Clemente 
XIII,  che  lo  fece  collocare  nel  mu- 
seo capitolino  ;  certo  è  che  nell'/zi- 
dicazione  di  esso  dell'  attuale  suo 
direttore  l'egregio  Alessandro  To- 
fanelli,  a  p.  7 1  si  legge  :  l'Omero  « 
simile  a  quello  che  si  trovava  in  bas- 
sorilievo nella  sua  apoteosi  già  in  ca- 
sa Colonna;  ed  aggiungo  che  questo 
monumento,  eh' è  il  secondo  di 
quelli  in  discorso,  fu  probabilmente 
quello  passato  nel  museo  di  Lon- 
dra, essendo  pur  certo  che  nel  mu- 
seo valicano  mai  esistette  1*  apo- 
teosi di  Omero.  Nel  territorio  ma- 
rinese  e  presso  le  Frattocchie  era 
situala  l'antica  città  di  Boville  :  ne- 
gli ultimi  scavi  fatti  si  sono  ritro- 
vale le  fondamenta  dell'anfiteatro 
Covillcnse.  Di  greco  scalpello  fu 
pure  la  bella  statua  di  Diana ,  ri- 
trovata in  detti  luoghi.  Il  tempio 
di  Giove  Cimino  sorgeva  al  nord- 
ovest sull'eminenza,  che  dicesi  tut- 
tora Colle  Cimino.  Fra  gli  antichi 
monumenti   sono   a   rimarcarsi   le 


MAR 

costruzioni  della  via  Appia  e  della 
via  Trionfale,  die  guidava  al  Mon- 
te Albano.  Che  sotto  Marino  vi  fu 
il  Castel  di  Paolo,  ne  fa  fede  il  p. 
Sciommari ,  Note  ed  ossen'azioni 
p.  1 97,  dicendo  che  al  suo  tempo 
(pubblicò  l'opera  nel  1728)  se  ne 
vedevano  ancora  le  vestigia. 

Il  eh.  Nibby,  Analisi  de  dintor- 
ni di  Roma,  l.  Il,  p.  3i5  e  seg., 
tratta  di  Marino,  che  chiama  Ca- 
strimoeniuniy  scrivendo  quanto  qui 
riportiamo.  Plinio  nomina  tra  le 
colonie  del  Lazio  esistenti  ai  suoi 
giorni  i  Castrinioenienses ,  colonia 
che  direbbesi  derivata  d'd  Moenien- 
ses  o  Munienses  primitivi,  che  poi 
enumera  fra  i  LIII  popoli  del  La- 
zio, che  perirono  senza  lasciar  ve- 
stigia. L'autore  del  trattalo  De  co- 
loniis  mostra  eh'  era  un  oppiduni 
che  per  la  legge  di  Siila  fu  mutii- 
to,  il  cui  territorio  prima  era  sta- 
to tenuto  per  occupazione,  e  poscia 
fu  da  Nerone  assegnato  ai  tribuni 
ed  ai  soldati.  Non  si  pub  pertanto 
porre  in  dubbio  la  esistenza  di  un 
luogo  di  questo  nome,  il  quale  d'al- 
tronde è  ricordato  ancora  in  mol« 
te  lapidi,  che  ne  determinano  la 
ortografia  vera  in  Castri- moenium, 
come  in  Castrinioenienses  quella 
del  popolo.  Il  luogo  avea  il  suo 
principe,  i  suoi  patroni  e  decurio- 
ni, come  altre  colonie  e  municipi, 
e  fioriva  ancora  sotto  Antonino  Pio, 
come  dalle  iscrizioni  riportate  dal 
Grulero  e  dal  Fabrelti.  Soggiunge 
il  Nibby,  queste  lapidi  furono  rinve- 
nute tulle  presso  Marino  (fi  a  le  quel- 
li rimarchevole  in  favore  del  Castri- 
menio  è  quella  ritrovata  dj  recente 
nella  vigna  poco  distante  da  Mari- 
no, da  Innocenzo  Soldini  proprieta- 
rio di  essa  ed  attuale  zelante  segreta- 
rio del  comune),  e  per  conseguenza 
ivi  la  colonia  in  discorso  dee  collo* 


MAR 

rni-si,  tanfo  più  che  il  Mto  di  Marino 
[>cl  suo  isolamento  si  annunzia  per 
quello  di  una  città  antica.  Con 
questo  il  cliiaro  scrittore  vorrebbe 
escludere  1'  opinione  del  dotto  p. 
Volpi  che  ritenne  CaslromoenUtm  o 
Cnstrimoniiim  essere  il  campo  di 
pretoriani  stabilito  nel  sito  dell'  o- 
dierno  Albano,  come  noi  pure  di- 
cemmo altrove.  Quando  penò  si 
estinguesse  tal  colonia  dopo  Anto- 
nino è  incerto,  come  incerta  pure 
è  l'epoca  in  che  per  la  prima  vol- 
ta il  nome  di  Marino  si  dasse  ai 
luogo  della  città  odierna.  Vero  è 
che  Anastasio  bibliotecario  nella  vi- 
ta di  s.  Silvestro  I,  parlando  della 
chiesa  o  basilica  di  S.Giovanni  Batti- 
sta edificata  da  Costantino  in  Albano, 
dice  che  fra  i  doni  che  le  assegnò 
vi  fu  quello  di  un  possessio  Ma- 
rinasi che  rendeva  5o  soldi;  ma 
quel  nome  non  è  -sicuro,  poiché  in 
altri  testi  diversamente  si  legge 
Jìlaritanas,  Marianam  e  Mariana. 
I)a  molte  carte  de'lempi  bassi  ripor- 
tate negli  annali  camaldolesi,  e  da 
altre  esistenti  negli  archivi  privati, 
al  dire  del  Nibby,  sembra  potersi 
stabilire,  che  nei  secoli  X  e  XI 
tutta  la  falda  settentrionale  del 
monte  fra  le  vie  Appia  e  Latina 
•si  dicesse  Moreni  (  perchè  alcuni  vo- 
gliono che  tal  nome  derivi  dalla 
famiglia  Morena  che  possedeva  la 
delta  falda  del  monte  ),  e  questo 
nome  egli  crede  poter  aver  data 
origine  a  quello  eh*  ebbe  la  terra, 
die  poscia  tbrmossi  sul  sito  dell'an- 
tico Caslrimoenium,  il  quale  dap- 
prima 3Ioreni,  poi  MarenOy  ed  in 
fine  Marino  e  Marini  si  disse. 

Dicemmo  di  sopra  che  Marino 
occupa  il  sito  dell'antica  città  di 
Fircntiinìy  poiché  anco  i  marinesi 
ritengono  che  sulle  rovine  di  Fi- 
rtnto  si  ergesse   Marino.    Ne  parla 


MAR  Si 

Tito  Livio,  Dionifio,  Plinio,  Fé» 
sto,  ed  il  p  Rirckcr  principalnien- 
te  nella  sua  celebre  opera:  Latium 
vcius  et  novum  cap.  VII,  in  cui 
lo  chiama  col  nome  di  Marenus 
svu  Ferentanum.  Che  Marino  a- 
vessc  origine  da  Firento  lo  asseri- 
sce anche  il  più  volte  citato  Piaz- 
za a  p.  295  e  seg.  Il  p.  Volpi, 
Pietas  Latium  profanum^  asserisce 
che  dopo  la  distruzione  di  Firento, 
da  Caio  Mario  fosse  fabbricato  Ma- 
rino cui  diede  il  nome.  Il  Rion- 
do pure  scrisse  che  Marino  ripete 
r  orgine  da  una  villa  del  famoso  con- 
sole Caio  Mario,  chiamala  Maria- 
na. Il  rivo  Ferentum  apiicl  caput 
/Iquae^  conserva  tuttavia  il  suo 
vocabolo,  essendo  ancora  nelle  vi- 
cinanze di  Marino,  Capo  d'acqua, 
ed  il  bosco  o  Selva  Ferenlina 
già  sacra  alla  dea  Feronia:  que- 
sto famoso  bosco  resta  a  piedi  del 
paese,  a  destra  della  strada  che 
conduce  a  Castel  Gandolfo,  passa- 
to la  chiesa  d'  Acquasanta  ed  il 
pubblico  lavatoio  o  fontanile,  in 
una  convalle  che  si  dilunga  ver- 
so oriente,  amenissima  perchè  tut- 
ta ombrala  da  alberi,  irrigata  dal* 
le  scarse  e  limpide  acque  del  gros- 
so ruscello,  già  Caput  Aefuac  Fé- 
rentinae^  che  si  vede  tra  intrica* 
tissimi  cespugli.  Firento  non  si 
deve  confondere  con  Ferentino  de- 
gli ernici,  e  siccome  in  prova  ci- 
tummo  a  quell'articolo  il  Nibby, 
qui  appresso  ne  riferiremo  il  pa- 
rere, come  luogo  e  curia  celebra- 
tissima  pei  pubblici  comizi  ed 
assemblee  che  vi  tennero  i  popoli 
latini,  massimamente  dopo  la  ro- 
vina di  Albalonga  capitale  del 
Lazio,  per  tener  a  freno  i  romani, 
per  discutere  gli  affari  più  impor- 
tanti dello  stato,  segnare  federa- 
zioni   e  trattati ,    e  per    altre  me- 


5a  MAR 

morie  storiche  che  accenneremo;  le 
quali  diete  e  parlamenti  nazionali 
si  convocavano  sotto  la  protezione 
di  Giove  Laziale,  con  molte  ceri- 
monie e  riti,  dopo  aver  celebrato 
le  Ferie  Latine  (Vedi)  sul  monte 
Albano  o  Laziale  ,  oggi  Monte 
Cavo,  denominazione  presa  verso 
il  XIII  secolo.  Noteremo  però,  che 
tale  tempio  fu  eretto  da  Tarquinìo 
il  Superbo,  per  decreto  fatto  nel 
concilio  tenuto  nel  bosco  Ferentino, 
qual  monumento  della  giurata  con- 
federazione in  cui  quarantaselte 
città  latine  riconobbero  il  primato 
de'romani  nella  lega,  dopo  aver 
perduto  Turno  Erdonio,  uomo  forte 
e  sdegnoso  della  preminenza  del 
tiranno  romano;  tempio  che  dovea 
servire  agli  annuali  sagrifizì  delle 
ferie  latine,  si  pei  romani,  che  pei 
latini  e  volsci.  Vi  si  teneva  ancora 
mercato,  ed  un  sagrifizio  in  comu- 
ne si  faceva  distribuendo  le  carni 
immolate  ai  legati  di  ciascun  po- 
polo che  vi  concorreva  ;  e  perchè 
quei  di  Laurento  ne  furono  prete- 
riti neir  anno  di  Roma  5^5  ,  si 
dovettero  fare  delle  espiazioni,  di 
che  facemmo  parola  al  vol.XXXVII, 
p.  222  e  223  del  Dizionario.  Le 
feste  o  ferie  latine  da  principio 
durarono  un  sol  giorno,  ma  quan- 
do Furio  Camillo  ristabilì  in  Ro- 
ma la  concordia  tra  la  plebe  e 
il  patriziato,  si  fecero  durare  fino 
a  quattro.  Compito  il  sacrifizio  ed 
il  pranzo  federale,  il  popolo  ban- 
chettando esso  pure  e  mascheran- 
dosi si  abbandonava  interamente 
all'allegrezza.  Le  città  che  vi  con- 
correvano solevano  celebrare  que- 
ste ferie  prima  d'incominciare  una 
guerra,  e  Lucio  Paolo  Emilio  a- 
vanti  di  partire  per  la  Macedonia 
contro  di  Perseo  le  convocò,  il 
quale  uso  durò   fino  al  IV  secolo 


MAR 

di  nostro  era,  vietando  rimpcralo- 
re  Teodosio  I  il  falso  cullo  a 
Giove  Laziale. 

Scrive  pertanto  il  Nibby,  che  a 
pie  di  Marino  verso  oriente,  fra 
questa  città  ed  Albalonga ,  s' in- 
forca una  convalle  solinga  ,  om- 
breggiala da  un  bosco,  che  chia- 
mano il  Parco  di  Colonna,  luo- 
go celebre  nella  storia  latina,  come 
quello  ch'era  destinato  a  tenere  le 
assemblee  nazionali  durante  la  in- 
dipendenza del  Lazio  negli  alfnri 
più  importanti  della  confederazio- 
ne, e  del  quale  col  nome  di  Fé- 
rentinum,  Lucits  Ferentinacy  Ca- 
put Aquae  Ferentinae,  fanno  men- 
zione Dionisio  e  Livio.  Il  primo 
di  essi  mostra  come  avendo  Tulio 
Ostilio  terzo  re  di  Roma  ,  dopo 
la  distruzione  di  Albalonga,  mes- 
sa fuori  la  pretensione  di  essere 
succeduto  ancora  nella  primazia 
che  questa  esercitava  sulle  oltre 
terre  latine ,  queste  convocarono 
la  dieta  nazionale  in  Ferentino, 
decretarono  di  non  sottomettersi,  ed 
elessero  per  duci  colla  facoltà  del- 
la pace  e  della  guerra,  Anco  Pu- 
blicio  Corano,  e  Spurio  Vecilio 
Laviniate  (essendone  stata  conse- 
guenza 5  che  i  romani  ebbero  il 
primato  nella  confederazione  latina). 
Di  nuovo  ivi  si  radunarono  ai 
tempi  di  Tarquinio  Prisco  quinto 
re  di  Roma,  onde  porre  argine 
alle  conquiste  che  faceva.  Dionisio 
narra  ancora  a  lungo  la  dieta  ivi 
tenuta  a'  tempi  di  Tarquinio  il 
Superbo  settimo  ed  ultimo  re  di 
Roma  (che  strinse  alleanza  con 
tutti  i  popoli  del  Lazio,  facendosi 
dichiarare  capitano  generale,  e  ri- 
cevette dai  latini  giuramento  di 
essere  riposto  sul  trono,  a  cagione 
della  grande  autorità  che  esercita- 
va sopra  di  essi,   in  riguardo  al  suo 


MAR 

genero  Ottavio  Mamilio  Tusculano 
<ii  somma  stima  presso  tutti  i  po- 
poli del  Lazio  ),  ed  i  fatti  che  l*  ac- 
compagnarono, seguiti  dalla  morte 
ivi  data,  apud  Caput  Jquae,  a 
Turno  Erdonio  deputato  aricino 
(  perchè  si  opponeva  a  Tarquinio  ), 
pei  maneggi  infami  e  false  accuse 
di  quel  audele  principe.  Dopo  la 
espulsione  da  Roma  di  Tarquinio, 
vi  tennei-o  generale  adunanza  i  la- 
lini  l'anno  254  ^^  Roma,  nella 
quale  si  decise  di  mover  guerra 
ai  romani,  onde  rimettere  Tarqui- 
nio sul  tiono.  Altre  diete  gene- 
rali vi  tennero  i  latini  due  anni 
dopo  nell'assedio  di  Fidene,  per 
consultare  intorno  ad  esso,  e  final- 
mente l'anno  258,  poco  prima 
della  battaglia  al  lago  Regiilo 
(perduta  dai  latini,  che  furono  co- 
stretti giurare  perpetua  pace  ai 
romani).  Dionisio  e  Livio  ricor- 
dandogli stessi  fatti,  cioè  la  morte 
di  Turno  Erdonio,  e  la  lega  lati- 
na per  ristabilire  i  Tarquinii  , 
chiamano  il  luogo  dell'adunanza 
Lucus  Ferentinacy  e  Caput  aquae 
Fcrentinae  quello  del  supplizio  di 
Turno,  e  di  nuovo  Caput  Feren- 
unum  quello  dell'adunanza.  Livio 
stesso  poi  rammenta  ,  come  l'anno 
4o2  di  Roma,  cioè  poco  prima 
delfultima  lega  latina,  vi  tennero 
l'ultima  dieta.  Da  tutti  questi  pas- 
si insieme  uniti  apparisce,  che  ta- 
li diete  si  tennero  successivamen- 
te dalla  distruzione  di  Albalonga 
fino  all'ultima  lega  latina,  cioè 
durante  tutto  il  tempo  dell'  indi- 
pendenza de'latini  da  Roma  ;  che 
si  tenevano  in  un  bosco  sacro 
alla  dea  indigena,  detta  Ferenlinay 
la  quale  probabilmente  è  identica 
coWn  Feronia  de' sabini,  tjtrusci  e 
volsci  ;  che  questo  luco  o  bosco 
^iucro  conteucva    uua    sorgente  cci" 


MAR  53 

put  aquacy  nella  quale  fu  gittato 
ferito  ed  annegato  Turno  Erdonio, 
vittima  delle  trame  di  Tarquinio 
che  lo  fece  comparire  orditore  di 
congiure,  con  un  graticcio  pieno 
di  sassi,  poiché  le  acque  del  ru- 
scello non  bastavano  ad  affogarlo: 
d'altronde  è  noto  che  questo  era 
sotto  il  monte  Albano.  Queste  cir- 
costanze riunisconsi  nel  bosco  so- 
praindicato, sotto  Marino,  ch'è  un 
luogo  de'  più  interessanti  e  de'più 
pittoreschi  de'  contorni  di  Roma , 
dove  nel  parco  Colonna  ,  circa 
mezzo  miglio  entro  la  convalle,  si 
vede  ancora  il  Caput  Aquacy  che 
non  presentando  una  profondità 
sufficiente  per  annegare,  forzò  a 
gittare  sopra  Turno  un  graticcio 
e  sassi  per  farlo  morire. 

A  quanto  riportammo  del  Nib- 
by  in  difesa  di  Marino,  contro  le 
assertive  del  p.  Cialino  in  favore 
di  Ferentino  di  Campagna  e  a  dan- 
no del  nostro  FirenLum  latino,  che 
per  contrastare  l' autorità  del  p. 
Rircker  addusse  quella  dell'Alberti, 
aggiungeremo  alcune  prove  e  ri- 
flessi. Convien  dunque  dire  che 
l'Alberti  non  abbia  bene  letto  il 
p.  Kircker,  né  Livio,  né  Dionisio, 
né  Pompeo  Festo ,  né  Plutarco , 
poiché  il  p.  Kircker  indica  la  vera 
situazione  dell'antico  bosco  e  tor- 
rente Ferentino,  ov'era  l'antica  cu- 
ria delle  ferie  latine,  colla  testimo- 
nianza di  Pompeo  Festo,  che  lo 
dice  situato  alle  radici  del  monte 
Albano  con  queste  parole  :  PopulL 
latini  ad  Caput  Ferentiiiae^  quod 
est  sub  monte  Albano  Consilia  init" 
rej  e  sotto  tal  monte  appunto  sono 
il  bosco  e  torrente  Ferentino  che 
abbiamo  descritto.  Livio  racconta, 
che  Tarquinio  quando  fece  morire 
Turno,  avendo  convocato  il  conci- 
lio fercutiao  in  dieni  certuni^  erano 


54  MAR 

quei  principi  sul  far  del  giorno  in> 
tervenuti  lutti,  mentre  Tarquialo 
rimase  per  quasi  tutto  il  giorno  in 
Roma;  ma  poco  prima  della  cadu- 
la  del  sole  v'intervenne,  sed  pau- 
lo  antequnni  sol  occiileret  venti.  Po- 
^va  dunque  egli  starsene  tutto  il 
^1  a  Roma  e  poi  giungere  verso 
roccaso  a  Ferentino  di  Campagna, 
ch'è  circa  cinquanta  miglia  lonta- 
no dalla  metropoli,  e  non  piuttosto 
al  mentovato  bosco  sotto  Marino  , 
che  come  dicemmo  n'è  appena  di- 
stante dodici  miglia?  Dionisio  poi, 
oltre  che  conviene  con  Livio,  di 
più  asserisce,  che  Alba  fu  edificata 
da  Ascauio  inter  montem  et  laciim 
dfutl  acjuas  Ferentinas.  Plutarco 
lìnalmente  nella  vita  di  Romolo  ci 
assicura,  ch'egli  dopo  la  pestilenza 
purificò  con  lustrazioni  la  città,  ed 
istituì  i  sacrifizi  alla  porla  Feren- 
tina,  che  secondo  il  costume  ro- 
mano dovea  essere  volta  verso  la 
parte  ond'era  venuto  il  male ,  co- 
me face  va  si  nell' intimar  la  guerra, 
^n  che  vibravasi  lo  strale  verso  il 
paese  nemico ,  e  in  questo  caso 
verso  Laurento,  per  le  offese  del 
quale  credevasi  essere  avvenuto  il 
flagello;  ed  è  perciò  che  la  porta 
Ferenti na  dovea  essere  certamente 
l'Asinaria  o  la  Capena  che  mette- 
vano alle  vie  Latina  ed  Appia  ,  o 
fra  esse,  e  non  la  Maggiore  o  quella 
or  detta  di  s.  Lorenzo,  che  sono 
pur  le  vie  Labicana  e  Prenestina, 
per  cui  si  va  a  Ferentino  di  Cam- 
pagna. Che  la  porta  romana  Fe- 
rentina  fosse  nella  direzione  del  ce* 
lebre  luco  di  Ferenlina  presso  Ma- 
rino, per  cui  ne  prese  il  nome,  lo 
dichiara  il  lodato  Nibby,  Roma  nel 
i838,  pari.  I,  antica,  p.  209.  I  no- 
mi finalmente  e  conservati  di  Mon- 
te  Perento  e  di  Capo  d'Acqua,  e 
di  Bosco  sacro  Ferentino   e  Colle 


MAR 
Perento,  die  hanno  ancora  i  luo* 
ghi  presso  Marino,  smentiscono  c- 
gualmente  la  contraria  assertiva.  A 
ciò  per  ultimo  si  aggiunga  le  ra* 
gioni  del  centro  del  Lazio  ov'ù 
Marino,  del  tempio  di  Giove  La- 
ziale avanti  cui  dignitosamente  do- 
veansi  fare  i  conciiii  o  adunanze , 
cioè  corani  Numine,  e  le  vicinan- 
ze di  Albalonga,  Roma,  Tuscolo, 
A  riccia,  Preneste  e  Velletri  che  e- 
rano  le  dominanti  latine.  Anche  il 
Piazza,  nel  dire  che  questo  luogo 
si  chiamò  anticamente  Ferentino , 
curia  celebre  de'romani  e  de*  lati- 
ni, per  le  famose  acque  ferenline, 
alle  quali  la  superstizione  de'  geu' 
tili  prestavano  culto,  lo  dichiara 
espressamente  diverso  da  Ferentino 
negli  ernici.  Ed  il  Nicolai,  De  bo- 
nificamenti delle  terre  Pontine,  ci- 
tando l'autorità  del  cardinal  Cor- 
radini,  autore  del  Pietas  Latiuni, 
proseguito  dal  p.  Volpi,  afierma  che 
il  nostro  Ferentino  è  diverso  dal- 
l'ernico ,  come  situato  nel  monte 
Albano  e  presso  la  macchia  Faiola. 
Va  notato  che  il  celebre  Oplaco, 
che  combattè  a  singoiar  tenzone 
con  Pirro,  era  originario  di  Firen- 
to,  come  afierma  Plutarco  nella  vita 
di  Pirro. 

Distrutta  la  città  di  Ferento  o 
Firento,  surse  l'odierno  Marino.  Ri- 
cevette il  lume  della  fede  proba- 
bilmente da  s.  Pietro,  da  s.  Paolo 
o  dai  loro  discepoli,  poiché  nel  vi- 
ci  no  Tuscolo  o  Frascati  la  pro- 
mulgarono tali  apostoli,  principal- 
mente il  primo.  In  Albano  fu  il 
medesimo  s.  Pietro  o  almeno  il  suo 
discepolo  e  successore  s.  Clemente 
L  In  Ariccia  i  medesimi  principi 
degli  apostoli  o  i  loro  priiiii  disce- 
poli propagarono  il  vangelo.  Dun- 
que alcuno  de'  medesimi  certamen- 
te lo  avrauuo  bandito    iu    Marino 


MAR 

ne'  primi  tempi  deUa  Chiesa ,  per 
cui  ben  presto  sujsero  templi  al 
vero  Dio ,  primi  de'  quali  furono 
quelli  sotto  l'invocazione  di  s.  Gio- 
vanni e  di  s.  Lucia.  I  goti  che  vi 
fermarono  stanza,  con  marmi  e  co- 
lonne del  demolilo  tempio  di  Dia- 
na Aricina,  e  colle  macerie  di  al- 
tri edifìzi  diroccati,  costrussero  quat- 
tro torri ,  una  delle  quali  ancora 
esistente,  ed  ornarono  le  due  anti- 
che chiese  parrocchiali  di  s.  Gio- 
vanni e  di  s.  Lucia  di  Marino,  che 
mostrano  il  gusto  del  tempo  negli 
avanzi  che  esistono,  essendo  ora 
soppresse.  Su  di  che  va  letto  quan- 
to riporta  il  Lucidi,  Meni.  stor. 
dell' Ariccia  p.  228.  Nelle  civili  guer- 
re  i  baroni  romani  piti  volte  si 
trincerarono  in  Marino,  siccome  si- 
to elevato,  ed  ebbero  luogo  fre- 
quenti fatti  d' orme  e  triste  rap- 
presaglie. In  progresso  di  tempo 
divenne  feudo  de' polenti  Conti  Tu* 
sculani,  e  passò  quindi  ai  Frangi- 
pane. Nel  1265  vi  si  ritirò  Rai- 
natdo  Orsini,  e  vi  si  difese  contro 
Eurico  senatore  di  Roma.  Questo 
Enrico  fu  forse  il  figlio  del  re  di 
Castiglia,  che  nel  1267  era  sena- 
tore di  Roma,  secondo  il  Pompilj 
Olivieri,  //  senato  romano,  p.  219. 
Era  dunque  a  quell'  epoca  Marino 
già  un  castello  fortificalo  ed  appar- 
teneva agli  Orsini,  che  lo  ritenne- 
ro almeno  in  parte  fino  al  secolo 
XV ,  meno  diversi  intervalli ,  poi- 
ché lo  dominarono  ancora  un  ca- 
valier  Gianni,  e  l'ultimo  de'Frangi- 
pane  che  donò  ì  suoi  diritti  ai  mo- 
nasteri di  Grottaferrata  e  di  s.  Sa- 
bina di  Roma.  Nel  i3o2  ivi  stava 
Sciarra  Colonna,  allorché  Filippo 
IV  il  Bello  re  di  Francia  apri  con 
lui  trattative  contro  Bonifacio  VI  IL 
Mentre  signoreggiava  Roma  l' au- 
dacissimo. Cola  di  Rienzo   trìbuQO, 


MAR  55 

questa  terra  degli  Orsini  attrasse  a 
sé  r  occhio  di  quel  nemico  de'  no- 
bili romani,  o  nel  i347  Oiordano 
Orsini  da  lui  bandito  da  Roma  ivi 
andò  a  ritirarsi,  e  raccolta  molta 
gente  uscì  in  campagna ,  e  dopo 
aver  messo  a  ferro  e  a  fuoco  i  din- 
torni di  Roma,  di  nuovo  si  ritirò 
in  Marino  suo  dominio.  Altri  nar- 
rano, che  dopo  la  famosa  rotta  che 
il  tribuno  dio  ai  signori  romani 
contro  di  lui  ribellati,  sulla  porta 
s.  Lorenzo,  molti  baroni  si  rifu- 
giarono a  Marino,  in  cui  li  difesero 
Giordano  e  Rinaldo  Orsini,  che  si 
vogliono  nativi  della  terra,  per  cui 
Giordano  si  diede  in  seguito  a  tra- 
vagliare lungamente  le  terre  vicino 
a  Roma ,  finché  i  romani  venuti 
ad  assalirlo  lo  costrinsero  a  con- 
chiudere con  loro  la  pace.  Tali 
guerre  civili  nel  secolo  XIV  furono 
frequenti,  stante  l'assenza  de'  Papi 
residenti  in  Avignone.  Portatosi  Gre- 
gorio XI  in  Roma,  vi  mori  nel 
1378,  e  fu  eletto  in  successore  Ur- 
bano VI,  contro  di  cui  insorse  l'an- 
tipapa Clemente  VII.  Ambedue  po- 
sero in  piedi  un  esercito  per  di- 
fendere le  loro  ragioni ,  essendo 
quello  di  Urbano  VI  forte  delle 
truppe  imperiali  ed  italiche,  sotto 
il  comando  del  celebre  capitano  Albe- 
rico conte  di  Barbiano.  I  dintorni  di 
Marino  furono  il  teatro  della  batta- 
glia fra  le  due  armale.  All'ardore 
di  Alberico  resistè  invano  il  furo- 
re de'  guasconi  guidati  da  Bernar- 
do de  la  Sale,  e  sebbene  il  subal- 
terno capitano  Galeazzo  Pepoli  pie- 
gasse incontro  a  Montjoye  o  Mon- 
zoja,  nipote  dell'antipapa,  co'  suoi 
bretoni ,  sicché  questi  tene  vasi  ia 
punto  la  vittoria,  ma  sopraggiun- 
se in  tempo  Alberico  già  vincito- 
re, che  strettolo  lo  privò  d'ogni 
scampo.  I  soldati  quasi  tutti  peri- 


fiS  MAR 

rono,  i  duci  e  il  generale  resta* 
lono  prigioni  a'  28  aprile  1379. 
Sembra  che  Giordano  Orsini  par- 
teggiasse per  l' antipapa  Clemente 
VII ,  poiché  questi  a'  a  dicembre 
1378  avea  emanato  un  breve  a 
suo  favore,  come  signore  di  Mari- 
no, investendolo  del  dominio  di 
IVemi  e  Genzano ,  ed  altre  terre, 
alcuni  a  quell'anno  assegnano  il 
mentovato  assedio  di  Marino  fatto 
dai  romani,  e  il  successivo  accordo. 
Nel  i4oo,  per  volontaria  dedi- 
zione, Marino  si  diede  al  Pontefice 
I^onifacio  IX.  In  quest'anno  le  mi- 
lizie marinesi,  sotto  la  condotta  del 
capitano  Pietro  Paparelli,  liberaro- 
no il  popolo  di  Genzano  (al  quale 
articolo  avendo  ciò  narrato,  chia- 
mammo Pietro  Passarello  nobile 
napoletano,  capitano  di  Marino  per 
Ja  Chiesa  romana)  dalle  sevizie  di 
Jjuccìo  o  Bruto  Savelli,  e  di  Nicolò 
Colonna,  per  essere  ricorsi  i  gen- 
zanesi  all'autorità  di  Bonifacio  IX. 
IVel  pontificalo  di  Martino  V  Co- 
Jonna,  eletto  nel  i4i7>  Marino  di- 
venne proprietà  dei  Colonnesi  per 
donazione  di  quel  Papa,  il  quale 
nel  giugno  14^4  l'onorò  di  sua 
j)resenza.  Dipoi  Marino  fu  dichia- 
rato ducato  in  favore  de'  Colonne- 
si.  È  nota  la  guerra  che  dopo  la 
morte  di  Martino  V  insoi^se  .  fra  i 
Colonnesi  ed  Eugenio  IV  suo  im- 
mediato successore.  Questi  a*  18  di- 
cembre 143 1  fulminò  una  bolla 
contro  il  cardinal  Prospero  Colon- 
na che  privò  de'  benefìzi,  a  moti- 
vo di  ribellione,  giacché  invece  di 
fare  restituire  alla  Chiesa  i  castel- 
li e  le  fortezze  occupale  dalle  genti 
di  Antonio  Colonna  ,  al  contrario 
le  avea  animate  co'  suoi  scritti  a 
non  renderle,  ed  avea  disposto  a 
danno  di  Roma  il  castello  di  Ma- 
vino,  a  lui    lasciato    in    testamento 


MAR 
da  Papa  Martino  V.  Pertanto  nel 
1436  fu  Marino  assalito,    preso    e 
disfatto  dall'arcivescovo  di  Pisa  (giu- 
liano Ricci  legato  di  Eugenio    IV. 
Ritornò  poscia    in    potere   dei  Co- 
lonnesi nel  i447>per  volere  di  Nico- 
lò V,  i  quali  lo  riedificarono ,  e  vi 
si   fortificarono  nella  guerra    insor- 
ta sotto  Sisto  IV,  nella  quale  i  ma- 
rinesi  fecero  una  scorreria  fin  den- 
tro Roma  a' 3o  maggio  1482,  por- 
tando via  un  tal  Pietro  Savo  ma- 
cellaio. Nello  slesso  anno    ai    5  di 
giugno  eutrovvi  il    duca    di    Cala- 
bria figlio  del  re  di  Napoli,  anch'es- 
so in  guerra  con  Sisto    IV,    e    vi 
alloggiò  ;  ma  pochi  mesi  dopo,  per 
la   vittoria    riportata    dalle    milizie 
pontificie  a'  2  r  agosto  vicino  a  Vel- 
letri,  Marino  fu  fbi-zato  ad  arren- 
dersi alle  genti  del  Papa  a'  24  a- 
gosto.  Nell'accordo  seguito  nel  i483. 
Marino  fu  restituito  da  Sisto  IV  ai 
Colonnesi;    ma  l' anno  seguente  ai 
26  di  giugno  fu    preso    ad    istiga- 
zione di  Lucii  Antonio    di    s.    Ge- 
mini, dal  contestabile  delle   truppe 
di  Sisto  IV ,    Andrea    da   Norcia , 
meno  la  rocca  che  continuò  a  di- 
fendersi; indi    gli    fu    restituito  da 
Innocenzo   VIII,    eletto    a'  29  ago- 
sto.  Nel    i5oi    Alessandro   VI   ma- 
ledi   i  Colonnesi  collegali  col  re  di 
Napoli,  il  quale  empiamente   chia- 
mava i   turchi  allo   sterminio    d'I- 
talia ;    laonde    i    Colonnesi    per  la 
gravissima  sentenza  cederono  al  Pa- 
pa le  loro  signorie,  mentre    i  loro 
partitanti    vennero    oppressi     dagli 
Orsini   loro    perpetui    emuli.    Ales- 
sandro VI   a*  17    luglio    parti    da 
Roma  col  suo  esercito,  dopo    aver 
stabilito  col  senato  romano  di  spia- 
nar Marino;  egli  soggiogò    Sermo- 
neta  ed  altri  luoghi  de'  Colonnesi, 
e    Cesare    Borgia    duca    Valentino 
colle  milizie  francesi  adeguò  al  suo- 


MAR 
Io  Marino^  Morto  nell'agosto  i5o3 
Alessantlio  VI,  il  successore  Giulio 
JI  richiamò  dall'esilio  i  Colonnesi, 
restituì  ad  essi  le  loro  terre,  e  li  pa- 
cificò cogli  Orsini.  Nel  pontificato 
di  Giulio  II,  Fabrizio  Colonna  ai 
17  luglio  i5i2  animosamente  con- 
dusse da  Roma  a  Marino  il  duca 
Alfonso  d'Aragona,  il  quale  corre- 
va rischio  di  essere  carcerato  per 
ordine  del  Papa.  Questi  credendosi 
morto  a'  17  agosto  i5i2,  Pompeo 
Colonna  incitò  il  popolo  romano  a 
ricuperate  l'antica  libertà.  Fabrizio 
restò  nel  castello  di  Marino  sino  ai 
20  febbraio  i5i3,  giorno  della  ve- 
ra  morte  di   Giulio  II. 

Dall'Eschinardi  e  dal  Theuli  si  ha, 
t;he  Marino  sotto  ClemeiJte  VII  fu 
bruciato.  Ad  onta  che  (juel  Papa 
avesse  ricolmalo  di  benefizi  gli  ir- 
requieti Colonnesi ,  si  unirono  essi 
nel  i526  cogli  imperiali  per  im- 
padronirsi del  palazzo  vaticano,  che 
saccheggiarono,  ed  avrebbero  ucciso 
il  Papa,  come  dicemmo  altrove,  se 
non  si  rifugiava  in  Castel  s.  An- 
gelo. Non  andò  guari  che  i  Colon- 
nesi furono  puniti  colle  censure  ec- 
clesiastiche, narrando  il  Borgia,  Sto- 
ria di  Vellctrl  p.  4^6,  che  il  Pa- 
pa ordinò  ai  velletrani  la  demoli- 
zione delle  terre  de'  Colonnesi,  ciò 
che  fecero  incominciando  da  Ma- 
rino, che  smantellarono  e  brucian- 
dolo distrussero ,  spettando  allora 
ad  Ascanio  Colonna  domicello  ro- 
mano. Riavutosi  appena,  fu  messo 
a  fiamme  e  fuoco  dal  generale  O- 
bigny,  poiché  Prospero  Colonna, 
abbandonata  la  parte  francese,  si 
l'eco  in  Napoli  a  combattere  m  van- 
taggio degli  aragonesi.  Nuove  pe- 
ripezie gravitarono  sui  Colonnesi 
sotto  Paolo  HI,  massime  conti o  gli 
slati  di  Ascanio,  che  Luigi  Farne- 
se conquistò  con  diccicuila  uomini. 


MAR  Sj 

Il  successore  Giulio  III  fu  benigno 
con  casa  Colonna,  che  ricuperò  col- 
le armi  i  suoi  dominii.  Ma  nel 
pontificato  di  Paolo  IV,  Ascanio 
Colonna  si  trovò  in  nuovi  guai, 
perchè  cadde  in  sospetto  agli  spa- 
gnuoli,  ed  il  suo  figlio  Marc'Auto- 
nio  gli  tolse  i  suoi  stati,  sebbene 
poi  dovesse  fuggire  il  risentimento 
del  Papa  per  essersi  miito  colla 
Spagna  nella  guerra  che  si  faceva 
ne'  luoghi  intorno  a  Roma.  Egli 
fu  l'ultimo  de'  Colonnesi  scomuni- 
cato dal  Papa,  perchè  Paolo  IV  e- 
tnanò  le  censure  ecclesiastiche,  e  gli 
confiscò  i  beni,  che  diede  a' suoi 
parenti  Carafa;  per  cui  quando  il 
Pontefice  nella  sua  rettitudine  punì 
i  suoi  nipoti,  esiliò  il  cardinal  Car- 
lo Carafa  nel  feudo  di  Marino , 
donde  passò  a   Civita  Lavinia.  Pio 

IV  s'imparentò  coi  Colonnesi,  re- 
stituì loro  i  feudi,  e  li  assolvette, 
onde  Marino  fu  dagli  antichi  suoi 
signori  restaurato.  Il  Papa    s.    Pio 

V  nella  celebre  guerra  navale  con- 
tro i  turchi,  nominò  generale  delia 
flotta  pontificia  Marc'  Antonio  Co- 
lonna ,  che  coi  collegati  veneti  e 
spagnuoli  riportò  la  famosa  vitto- 
ria di  Lepanto,  nella  quale  brava- 
mente militarono  anche  i  marinesi, 
i  quali  tuttora  mostrano  uno  scu- 
do ed  uno  stendardo,  trofei  della 
parte  ch'ebbero  alla  vittoria.  Nello 
scudo,  che  trovasi  nella  sagrestia  di 
s.  Barnaba,  vi  è  questa  iscrizione  : 
Triuinphale  hoc  inarirwnsis  laililis 
clypeuni  auspiciis  Pii  V  Pont.  Max. 
sub  Marco  Antonio  Colunvia  su- 
premo duce  cantra  Solinianuiii  tur- 
carwn  iyrannuni  ad  Enchinades 
strenuissime  durtanlis  ad  ornamcn- 
tum  Donius  Dei,  et  sacri  belli  pe- 
renne monunieutum.  La  descrizione 
del  trionfo  che  s.  Pio  V  decretò  a 
Marc' Antonio,    la   riportammo  aN 


56  MAR 

l'nrllcolo  TpronEssi  ix  Roma,  Nel 
pontificato  (li  Urbano  Vili  inco- 
minciando i  Piipi  a  recarsi  nlln  pon- 
tificia villeggiatura  di  Castel  Gandol- 
fo,  venne  da  loro  spesso  onoralo 
di  presenza  e  di  benefìzi  Marino , 
o  pel  primo  da  Urbano  Vili.  Que« 
sto  Papa  avendo  unito  in  detto  ca- 
stello in  matrimonio,  a*  a4  ottobre 
1627,  il  suo  pronipote  d.  Taddeo 
Barberini,  con  d.  Anna  figlia  del 
contestabile  d.  Filippo  Colonna^  le 
nozze  furono  celebrate  privatamen- 
te in  Marino,  luogo  del  contesta- 
bile, dove  Urbano  Vili  si  ritrovò 
con  grandissimo  gusto  e  piacere, 
come  riferisce  il  contemporaneo  dia- 
rista Gigli.  Per  l'amenità  ed  aria 
salubre  di  Marino,  nel  secolo  XVII 
l'requenti  furono  gli  accessi  di  per- 
sonaggi che  vi  si  recarono  a  vil- 
leggiare ,  tra'  quali  nomineremo  i 
prelati  Ludovisi  e  Pamphilj,  il  pri- 
mo predecessore  di  Urbano  Vili 
col  nome  di  Gregorio  XV ,  il  se- 
condo successore  col  nome  d'Inno- 
cenzo X.  Essendo  i  due  prelati  a- 
micissimi,  per  convalescenza  il  Pam- 
philj si  recò  a  Marino,  e  Ludovisi 
si  portò  Q  trovarlo,  restando  con  lui 
del  tempo. 

.  L'anno  i656  fu  a  Marino  fatale, 
avendo  il  contagio  menomato  per 
due  terzi  la  popolazione.  Alessan- 
dro VII  che  regnò  dal  i655  al 
1667,  frequentando  la  villeggiatura 
di  Castel  Gandolfo ,  si  dilettò  di 
portarsi  spesso  a  Marino;  altret- 
tanto si  dica  di  altri,  e  specialmen- 
te di  Clemente  XI  che  regiK)  dal 
1700  al  1721.  Continuando  Bene- 
detto XIII  a  ritenere  la  sua  anti- 
ca sede  di  Benevento,  volle  portarsi 
a  visitarla  nel  1727  e  nel  1729. 
Nella  seconda  volta  partì  da  Roma 
lunedì  27  marzo  col  suo  seguilo 
di  treutasei   persoiic,  e    pernottò  a 


MAR 

Marino,  dopo  aver  visitato  la  chiesa 
collegiata  ,  avendo  preso  alloggio 
nel  convento  degli  agostiniani.  Il 
contestabile  Colonna  l'avea  incon- 
trato alle  Frattocchie,  luogo  in  cui 
ì  Colonnesi  solevano  ricevere  i  Pa- 
pi che  si  conducevano  a  Castel  Gan- 
dolfo o  ad  Albano,  facendo  sempre 
lauti  rinfreschi,  i  quali  ebbero  luo- 
go pure  in  questa  circostanza.  Be- 
nedetto XIII  nel  seguente  giorno 
partì  da  Marino  ad  ore  quindici , 
proseguendo  il  suo  viaggio  per  Ci- 
sterna ,  altra  stazione  di  fermata. 
Benedetto  XIV  si  giovò  molto  delia 
villeggiatura  di  Castel  Gandolfo , 
nel  maggio,  giugno  ed  ottobre,  cioè 
due  volte  all'anno,  per  cui  spesso 
si  portò  in  Marino,  e  noteremo  al- 
cune delle  sue  visite.  Con  tre  mute 
e  le  guardie  vi  si  recò  lunedì  gior- 
no 9  giugno  174»  ;  visitò  la  col- 
legiata ed  il  palazzo  del  contesta - 
bile,  ricevuto  dal  medesimo ,  che 
fece  godere  alla  famiglia  nobile  e 
generoso  rinfresco.  Vi  ritornò  per 
la  festa  di  s.  Barnaba  agli  1 1  giu- 
gno, ricevuto  alla  carrozza  dal  con- 
testabile, governatore  e  pubblici 
rappresentanti.  Entrò  nella  chiesa 
collegiata  incontrato  dall'abbate  e 
dal  capitolo,  ed  orò  all'altare  del 
ss.  Sagramento^  e  poi  all'alta- 
re maggiore,  in  cui  era  esposta  la 
reliquia  di  buona  parte  del  braccio 
del  santo  apostolo,  in  mezzo  al 
canto  dell'  Ecce  sacerdos  niagnus. 
L'abbate  ed  i  canonici  gli  presen- 
tarono un  nobilissimo  fiore  d' ar- 
gento frammischiato  di  varie  spi- 
ghe d'oro.  Trasfeiitosi  quindi  in  sa- 
grestia, ivi  in  sedia  con  dossello, 
posata  sopra  un  gradino ,  coperta 
da  ricco  manto,  ammise  al  bacio 
del  piede  il  capitolo,  il  governato- 
re, il  magistrato,  e  la  nobile  fami- 
glia Colonuit.  Pas:iato  indi  al  casi- 


MAR 

lìo  del  conlcslabile,  vi  liovb  il  cai  • 
(linai  Acqnaviva^  e  fu  dispensalo 
uiagnifìco  rinfresco.  Nella  villeggia- 
tura di  ottobre  1741,  ai  "xa  si  recò 
nelle  ore  pomeridiane  a  Marino,  e 
vi  ritornò  in  quelle  del  28;  prima 
di  giungervi  smontò  a  passeggiare 
vicino  alla  villa  del  contestabile, 
delta  il  Parco,  ed  arrivato  in  Marino 
giunse  nell'altra  di  Bel  Poggio.  Nel- 
l'ottobre 1 74'^>  io  un  dopopranzo, 
Benedetto  XIV  si  recò  a  Marino, 
e  dopo  aver  visitato  il  ss.  Croce- 
fìsso  nella  chiesa  de'  chierici  mi- 
nori, si  trasferì  nella  villa  Bel  Pog- 
gio del  contestabile,  ricevuto  dalle 
contestabilesse  ;  nel  dì  seguente  i 
niarinesi  Gagliardi  gli  mandarono 
due  bacili  di  pere  angeliche.  Nel 
giugno  1747  Benedetto  XIV  per 
la  festa  di  s.  Barnaba  andò  a  Ma- 
rino, e  nella  collegiata  ebbe  il  so- 
lito ricevimento:  V  Ecce  sacerdos 
magnus  fu  cantato  con  molti  stro- 
menti.  Visitalo  il  ss.  Sagramento 
all'  alture  del  Rosario,  passò  a  ce- 
lebrare la  messa  nel  maggiore  , 
ed  in  sagrestia  il  contestabile  die 
cospicuo  rinfresco  di  cioccolate  e 
gelati.  Indi  il  Papa,  passò  alla  chiesa 
dei  chierici  minori,  ricevuto  dal  pa- 
dre generale  e  dalla  religiosa  fami- 
glia, in  un  al  commendatore  Em- 
manuele  Pereira  de  Sampajo  mini- 
stro di  Portogallo,  che  dovea  rice- 
vere in  quel  giorno  il  Papa  nel 
l'apparta  mento  da  lui  fabbricato  nel 
contiguo  collegio,  e  magnificamente 
perciò  addobbato.  Nel  coro  mentre 
orava  si  fecero  vaghissime  sinfonie. 
Poscia  passato  nell*  appartamento, 
lesse  l'iscrizione  marmorea  eretta 
per  celebrare  T avvenimento,  colla 
data  ///  idus  jiinias,  sotto  la  sua 
effigie  scolpita  in  un  medaglione.  Il 
Papa  pranzò  in  una  camera  assi- 
stito dal  commendatore,  e  riposò  nel- 


MAR  59 

le  camere  del  p.  generale  Nella  gal- 
leria desinarono  i  due  cardinali  Va- 
lenti e  Colonna  di  compagnia  del 
Pontefice,  il  contestabile  ed  i  pri' 
mari  della  corte  j  gli  altri  mangia- 
rono nel  casino  della  villa  Del  Pog- 
gio. Tutto  fu  splendido  e  decoroso. 
Benedetto  XIV  passeggiò  nel  giar- 
dino, mentre  facevasi  la  corsa  dei 
cavalli;  ed  il  commendatore  fatto 
dispensare  altro  rinfresco,  presentò 
al  santo  Padre  una  ricca  pianeta 
di  lama  d'oro  rossa,  ricamata  d'oro 
con  fiori  al  naturale,  con  cui  avea 
celebrato,  ed  una  coperta  dell*  In- 
die tessuta  d'oio  e  fiorata,  che  avea 
servito  al  suo  letto;  cose  somma 
mente  gradite  dal  Papa  ,  che  col 
commendatore  recossi  nella  conti- 
gua villa  Bel  Poggio  a  cammina- 
re per  quei  viali.  Nel  giugno  174^, 
dalla  consueta  villeggiatura  di  Ca 
stel  Gaudoifo,  Benedetto  XIV  per 
la  festa  di  s.  Barnaba  si  portò  u 
Marino,  ricevuto  dal  contestabile 
ed  altri  sum mentovati,  che  in  sa- 
grestia gli  baciarono  il  piede,  pre- 
sentando al  Papa  la  cioccolata  e 
i  gelati  il  contestabile  coi  figli:  pri- 
ma di  partire  da  Marino,  il  Papa 
visitò  l'appartamento  del  commen- 
datore Sampajo.  Nel  giugno  17^1 
Benedetto  XIV  andò  a  venerare  il 
ss.  Crocefisso  in  Marino ,  ricevuto 
dal  generale  de'  chierici  minori  e 
dagli  altri  padri  graduati  ;  indi  vol- 
le osservare  una  nuova  fabbrica 
fatta  dal  p.  generale  degli  agosti- 
niani. Per  la  festa  di  s.  Barnaba 
tornò  a  Marino,  e  ad  orare  avanti 
il  ss.  Crocefisso.  Nel  1755  Bene- 
delio  XIV  onorò  altresì  di  sua  pre- 
senza Marino,  per  la  festa  di  dello 
santo  suo  proiettore.  Noteremo,  che 
quando  i  Colonuesi  ricevevano  alle 
Frattocchie  i  Papi  che  reeavansi  a  Ca- 
stel Gaudoifo,  solevuuo  quindi  man- 


6o  MAR 

dar  loro  leguli  di  squisili  comme- 
stibili. Siccome  le  descritte  visite  di 
Benedetto  XIV  a  Marino,  e  quelle 
che  audiamo  a  riportare  de'  suoi 
successori  lo  prendiamo  dai  Diavi 
di  Roniay  ai  relativi  numeri  delle 
diverse  epoche  se  uè  può  leggere 
il  dettaglio.  All'articolo  poi  Castel 
Gandolfo  notammo  le  pontifìcie 
villeggiature,  e  da  esse  facilmente 
si  potrà  conoscere  le  visite  fatte 
dai  Papi  a  Marino;  su  di  che  C  per 
Gregorio  XVI  si  potrà  consultare 
l'articolo  Villeggiatura  de'  Ponte- 
fici. Benedetto  XIV  rifece  la  stra- 
da che  dal  giardino  di  Castel  Gan- 
dollo  conduce  a  Marino  ;  altrettan- 
to rifece  Gregorio  XVI.  Inoltre  i 
Pontefìci  visitarono  Marino  molle 
delle  volte  che  recaronsi  a  Grotta- 
ferrata  e  Frascati^  dovendolo  tra- 
versare ;  ed  a  quegli  articoli  notam- 
mo chi  furono  tali  PdVitefìci,  e 
quando  ciò  fecero. 

Clemente  Xlll  egualmente  mol- 
to si  piacque  della  villeggiatura  di 
Castel  Gandolfo,  in  conseguenza 
diverse  volte  fu  a  Marino,  e  per 
la  prima  volta  nelle  ore  pomeri- 
diane degli  li  giugno  1759  (poi- 
ché, come  Benedetto  XIV,  faceva 
la  villeggiatura  per  maggio,  giu- 
gno ed  ottobre  ),  per  la  festa  di  s. 
Bainaba;  dopo  aver  fatto  oraz,ione 
nella  collegiata,  in  sagrestia  am- 
mise al  bacio  del  piede  il  capitolo 
e  il  magistrato.  Indi  passò  nella 
chiesa  de 'chierici  minori  a  venera- 
re il  ss.  Crocefìsso,  ricevuto  dal 
p.  generale  e  da  quello  degli  ago- 
stiniani, che  ammise  con  altri  al 
bacio  del  piede  in  sagrestia ,  ove 
gli  fu  presentata  una  di  vota  im- 
magine, con  un  fiore  nobilmente 
lavorato.  Soleva  inoltre  Clemente 
XIII  visitare  Marino  quando  il 
sabbaio  andava    ad    assistere    alle 


MAR 
litanir  della  chiesa  abbazialc  di 
Grò  Ita  ferra  la:  le  sue  villeggiature 
dopo  il  1 765  non  più  le  fece.  An- 
che Clemente  XIV  fece  delle  gite 
a  Marino,  essendo  incominciate  le 
sue  villeggiature  di  Castel  Gandol- 
fo, dal  settembre  1769.  Ai  19  ot- 
tobre 1771  portatosi  a  Marino, 
fu  ricevuto  alla  chiesa  de' chierici 
minori  dal  p.  proposto  e  da  al- 
tri padri,  e  venerò  il  ss.  Crocefis- 
so: le  sue  villeggiature  finirono  nel 
1773.  Pio  VI  non  foce  villeggia- 
tura in  Castel  Gandolfo,  perchè 
ogni  anno  andò  a  Terracina  per 
osservare  il  progresso  de'grandiosi 
lavori  delle  paludi  Pontine.  Diver- 
se villeggiature  bensì  vi  fece  il 
successore  Pio  VII,  ma  prima  dob- 
biamo dire,  come  nelle  vicende  po- 
litiche e  deliri  repubblicani,  che 
resero  infelicemente  famoso  il  se- 
colo XVII,  Mariuo  nel  1798  fu 
piazza  d'arme  difesa  da  due  can- 
noni tolti  da  Castel  Gandolfo;  ma 
a*  19  agosto  1799  solfri  il  sac- 
cheggio dei  napoletani,  e  nel  se- 
guente anno  vi  si  tennero  acquar- 
tierati più  reggimenti  di  quella  na- 
zione. Nella  seconda  invasione  fran- 
cese, come  lo  era  stato  Pio  VI,  fu 
deportato  ancora  Pio  VII,  laonde 
dal  1809  al  18 14  Marino  diven- 
ne capoluogo  di  cantone  del  go- 
verno invasore.  Quanto  alle  villeg- 
giature di  Castel  Gandolfo  di  Pio 
VII,  non  contando  la  brevissima 
del  1802,  la  prima  fu  nell'ottobre 
i8o3,  in  cui  onorò  di  sua  presen- 
za Marino,  come  pur  fece  nel 
i8o4  e  i8o5  (massime  a'  17  ot- 
tobre che  si  recò  a  Frascati)  ;  e 
dopo  il  suo  glorioso  ritorno  nel 
181 4,  18 15  (particolartnente  ai 
22  ottobre),  1816  e  1817,  nelle 
quali  circostanze  più  volte  audò  a 
Marino,   festeggiato    dai    marincsi, 


MAR 
orò  nelle  loro  chiese,  e  vi  ricevet- 
te   la  benedizione   col    ss.    Sagra- 
n)ento  decorosamente  esposto. 

Leone XII  e  Pio  Vili  non  fecero 
villeggiature  a  Castel  Gandolfo;  mol- 
te ne  fece  il  Papa  Gregorio  XVI, 
come  molte  furono  le  volte  clie 
partendo  da  tale  luogo  visitò  Ma- 
rino, da  lui  in  particolar  modo 
amato  e  affettuosamente  benedet- 
to, anche  per  le  molteplici,  costan- 
ti e  solenni  festevoli  dimostrazioni 
dategli  dai  morinesi,  tutte  le  volte 
che  onorò  di  sua  presenza  il  bel 
paese  da  lui  elevato  al  grado  di 
città.  Lungo  sarebbe  il  riferire  i 
variati  modi  religiosi  con  cui  i 
tripudianti  marinesi  celebravano  la 
sua  venuta  o  passaggio  per  Mari- 
no, con  edificante  e  religioso  giu- 
bilo, presentando  spesso  lo  spetta- 
colo della  loro  selva  illumina- 
ta. Accennerò  le  cose  principali, 
mentre  dalle  epoche  che  ripor- 
teremo, nt' Diari  di  Roma  e  nelle 
Notizie  del  giorno,  se  non  l'intero 
dettaglio,  se  ne  può  ricavare  le 
più  rimarcabili  nozioni,  molte  del- 
le quali  furono  in  Castel  Gandol- 
fo, per  incarico  de' prelati  mag- 
giordomi, da  me  descritte  we*  Dia- 
ri mentovati.  Distinguendosi  i  ma- 
rinesi per  un  particolare  attac- 
camento alla  santa  Sede  ,  e  di 
singoiar  divozione  verso  i  som- 
mi Pontefici,  sembrerà  esagerato 
quanto  indicherò  ,  che  però  vi- 
dero ogni  volta  gli  abitanti  dei 
luoghi  convicini,  ì  miei  concitta- 
dini romani,  e  forastieri  di  ogni 
condizione,  che  vi  si  recavano  ap- 
poMtaroente,  ed  io  ne  fui  costante- 
mente testimonio  ammiratore.  Sem- 
pre il  Papa  fu  ricevuto  dal  capitolo 
colle  insegne  corali  con  alla  lesta 
l'abbate,  dal  governatore  e  dal 
magistrato  municipale  in   abito  di 


MAR  6i 

formalità:  da  loro  accompagnato 
soleva  percorrere  la  strada  del  cor- 
so a  piedi  per  recarsi  alla  colle- 
giata, essendo  la  via  coperta  di 
verdure  e  fiori,  le  finestre  e  i 
balconi  ornati  di  drappi,  prece- 
dendo la  banda  filarmonica,  cui 
facevano  giulivo  eco  tutte  le  cam- 
pane e  il  continuo  fragore  de'mor- 
tari.  Nella  chiesa  trovava  sempre 
esposto  con  sontuosa  macchina  e 
sfarzo  di  cera  il  ss.  Sagramento, 
con  il  quale  riceveva  la  benedizio- 
ne, dopo  il  canto  àeW  Ecce  sacer- 
dos  magniis  e  del  Tantum  ergo. 
Dipoi  il  Papa  ammetteva  il  clero 
e  i  magistrati  in  sagrestia  al  ba- 
cio del  piede,  accogliendo  pure 
con  giovialità  altre  persone;  la- 
sciando ogni  volta  copiose  liraosi- 
ne  ai  poveri,  ricevendo  benigna- 
mente le  suppliche  che  gli  veni- 
vano presentate,  molti  riportandone 
grazie  e  beneficenze. 

Agli  8  ottobre  i83r  Gregorio 
XVI  per  la  prima  volta  fu  a  Ma- 
rino (vi  era  pure  stato  da  abbate 
camaldolese, eda cardinale  mi  ci  con- 
dusse), ricevuto  alla  porta  della  col- 
legiata dall'ab.  Giuseppe  Maria  Seve- 
ra, che  nel  1887  fece  vescovo  di 
Città  della  Pie^e  [Vedi),  dal  ca- 
pitolo e  dal  magistrato,  passando 
poi  a  Grottaferrata  tra  gli  evviva 
e  il  tripudio  de'marinesi,  e  lo  spa- 
ro de'  mortari  e  suono  di  tutte  le 
campane.  A*  i3  ottobre  ritornò  a 
Marino,  avendo  seco  in  carrozza  il 
cardinal  Pacca:  nella  collegiata  ri- 
cevè la  benedizione  col  santissimo 
Sagramento  magnificamente  espo- 
sto, da  monsignor  Soglia  ora  car- 
dinale, in  quell'epoca  elemosiniere; 
in  sagrestia  il  Papa  ammise  al 
bacio  del  piede  il  capitolo,  il 
magistrato  ed  altre  persone,  ciò 
che  fece  ogni  volta  che  si    recò  a 


G2  Mivn 

lilarino,  e    partì    tra    le    vivissime 
ncclamnzioiii  di    immenso    popolo. 
Ai    i4  ottobre  Gregorio  XVI    re- 
candosi   all'eremo    de' eamaldolesi 
di  Frascati,  traversò  Marino,  e  nel 
ritorno  trovò  eretti  due  piccoli  ar- 
tlii   trionfali,     parate  e    illuminate 
tutte  le  finestre,  e  da  lutti   festeg- 
giato. Tanto  nell'andata    a  Castel 
Gandolfo  che  nel    ritorno    in  Ro- 
ma, i  marinesi  colla    banda    filar- 
monica e  lo  sparo  de*  mortari,    si 
trovarono  nella    via   Appia  al  con- 
fine del  territorio  di  Marino  a   fa- 
re omaggio  al  Pontefice,  e  quest(j 
lo  rinnovarono    sempre    in    simili 
occasioni,  con  gradimento  del  Pa- 
pa. Come  ancora  tutte  le  volte  che 
fu  a  Castel  Gandolfo,  dopo   l'arri- 
■vo  e  prima  della  partenza,  le  de- 
putazioni del    capitolo  e   del   ma- 
gistrato civico   ivi  recaronsi  a  pre- 
sentare i  sensi  di  fedeltà  e  di  di- 
vozione del  clero  e    popolo    mari- 
nese,  venendo  tutte  le  volte  accol- 
te con  paterna  effusione.  Nel  i832 
Gregorio  XVI    felicitò    Marino   di 
sua  presenza  a*  4  ottobre,  riceven- 
do i  soliti  ossequi  e  la    dimostra- 
zione di  un  arco  trionfale  di    ben 
inleso  disegno,  sovrastalo  dal  pon- 
tificio slemma.  Volle  onorare    Ta- 
Lilazione  del  cardinal   Mario  Mal- 
ici nella  villa  di    Bel  Poggio j    col 
quale  si  recò  alla  chiesa  collegiata 
a  piedi.  Nelle  oi"e  pomeridiane  poi 
del   6,  il  Papa    col  solito    treno  e 
nobile  accompagnamento  visitò    la 
*:hiesa  e  il   monastero  delle  mona- 
the  domenicane,    le  quali    consolò 
<on  benigne  parole  e  coH'apostoli- 
ca   benedizione.   Indi  passò  a  Grot- 
taferrata,  e  nel  ritorno  traversan- 
do Marino,  in  più  lieti  modi  i  ma- 
rinesi ne  celebrarono  il   passaggio. 
A*  IO  detto,  reduce   dall'eremo  di 
Frtìscali,  i    marinesi    presentarono 


MAH 
uno  spettacolo  tenero,  comraovcn 
te  e  singolare,  poiché  oltre    l'ere 
zinne  di  altro    arco    trionfale    con 
paratura  ed    iscrizione,    vollero  il- 
luminare con  ceri  di  non  comune 
grandezza    tutta    la    lunga    strada 
che  traversa    il   bosco  o     macchia 
del    parco,    che    sostenevano    essi 
medesimi  da  ambo  i  lati  tra  spes- 
se fiaccole  sino  al  confine  del  ter- 
ritorio. Penetralo    il    santo    Padre 
da    tante    cordiali     dimostrazioni  , 
traversò  a  piedi  Marino,  e  in  com- 
pagnia   del  cardinal    Malici    visitò 
la  chiesa    della    d*  Acqua    santa, 
tra    le    più    ingenue    acclamazioni 
di  gioia.   Ai    i5  il   Papa   si   recò  a 
piedi  da  Castel  Gandolfo  a    detta 
chiesa,  ivi  orò  ed  osservò  la   pro- 
digiosa acqua  che  vi  scaturisce,  ac- 
correndo subito  il  clero  e    popolo 
a  festeggiarlo.  Ai    i6  dello    stesso 
ottobre  nelle  ore  pomeridiane  Gre- 
gorio XVI  andò  a  Marino,    visitò 
la  chiesa  de*chierici   minori,   e  ri- 
cevè la  benedizione  col  ss.  Sagra- 
mento,    indi    in    sagrestia    ammise 
al  bacio  del  piede  i  religiosi.    Po- 
scia   coi     cardinali    Odescalchi    e 
Malici  a  piedi  passò  alla  villeggia- 
tura del  secondo    in    Bel    Poggio, 
ove  fu  servito  di  rinfresco  ;  e  par- 
tendo da  Marino  gli  vennero  tri- 
butati i  consueti  ossequi.   Nel  i833 
Gregorio  XVI   da  Castel    Gandol- 
fo agli    I  I    ottobre,    nelle    ore  po- 
meridiane si  recò  a  Marino,    rice- 
vuto  con    vivissimo    rispetto,    pas* 
sando    sotto  un  arco    trionfale    di 
verzura  col  suo  stemma  ed    iscri- 
zione. Visitò   la    chiesa    collegiata, 
ricevendo  in  sagrestia    gli    ossequi 
del     capitolo,    del    governatore     e 
della  magistratura    comunale ,    ed 
i  cardinali  Lambruschini  e  Malici 
trovaronsi  presenti  alle  tripudian- 
ti  dimostrazioni  de' marinesi.  Sab- 


MAR 
bato  ,  giorno  1 2  dello ,  cìi  ritor- 
no da  Grotta  ferrala,  i  marinesi 
illunainarono  a  cera  la  macchia  al 
Papa,  che  disceso  dalla  carrozza 
visitò  la  chiesa  della  Beata  Ver- 
gine di  Acqua  santa,  ricevendo 
dal  popolo  plausi  infiniti.  Ai  i5 
ripassando  per  Marino,  provenien- 
te dall'eretuo  de*  camaldolesi  di 
Frascati,  il  cuore  del  santo  Padre 
rimase  intenerito  per  le  nuove  af- 
fettuose feste  dei  marinesi,  i  qua- 
li non  solo  con  ceri,  torcie  e  fiac- 
cole illuminarono  la  macchia,  ma 
con  molti  fuochi  e  luminarie  de- 
corarono il  rimanente  della  stra» 
da ,  restandone  sorpreso  e  com- 
mosso il  cardinal  Zurla ,  che  da 
Castel  Gandolfo  volle  incontrare  il 
Pontefice  ;  le  giida  di  gioia ,  il 
suono  della  banda  e  di  tutte  le 
campane,  e  il  fi  agore  di  molti 
mortari,  al  solito  dierono  un  ca- 
rattere imponente  e  religioso  allo 
spettacolo. 

Nel  1834  Gregorio  XVI  agli 
1 1  ottobre  con  entusiasmo  fu  ac- 
colto dai  marinesi,  che  aveano  e- 
retlo  un  arco  trionfale  di  elegan- 
te disegno  e  proporzioni  architet- 
toniche, formato  di  verzure,  ed 
ornato  in  più  modi,  col  pontificio 
stemma,  relativa  iscrizione,  e  colle 
figure  delle  quattro  virtù  cardina- 
li. Ricevuto  dai  pubblici  rappre- 
sentanti in  abito,  e  dal  cardi- 
nal Mattei,  dopo  visitala  la  col- 
legiata, onorò  la  villeggiatura  di 
Btl  Poggio  del  porporato,  tra- 
passando quindi  a  piedi  l'esultan- 
te Marino.  Ai  i4  detto,  di  ritor- 
no dalla  villa  Montalto  del  colle- 
gio Urbano  e  da  Grottaferralaj 
Gregorio  XVI  fu  fiesteggiato  dalla 
generale  illuminazione  e  dagli  evvi- 
va de'marinesi,  che  assordavano  l'a- 
tia;  la  giubilante  popolazione  (ece 


MAR  63 

altrettanto  a*  18  ottobre  nel  ritor- 
no che  fece  il  supremo  Gerarca 
dall'eremo  di  Frascati,  e  con  un 
entusiasmo  che  non  si  può  descri- 
vere, poiché  la  strada  principale 
era  illunnnala  da  lampadari  di 
cristallo  con  candele  di  cera,  ed  i 
balconi  erano  pieni  di  lumi.  Il 
pontificio  stemma  trasparente  coni 
distico  decorava  da  vicino  il  sud- 
detto arco  trionfale:  gran  numero 
di  vasti  fuochi  artifiziali  illumina- 
vano la  collina  su  cui  erano  incen- 
diati; il  bosco  era  rischiarato  da 
fiaccole,  ed  i  marinesi  con  grossi 
ceri  e  torcie  accese  precedendo  e 
seguendo  la  carrozza,  accompagna- 
rono il  Papa  sino  a  Castel  Gan- 
dolfo. Nell'ottobre  i835  brevissima 
fu  la  villeggiatura  di  Castel  Gan- 
dolfo, laonde  una  sola  volta  Gre- 
gorio XVI  visitò  Marino,  lieto  di 
essere  divenuto  città  per  sua  bene- 
ficenza. Breve  pure  fu  quella  del 
i836,  tuttavolta  il  Papa  consolò 
i  marinesi  della  sempre  grata  sua 
presenza  nel  dopopranzo  del  20 
ottobre.  La  strada  del  corso  fu 
abbellita  di  fiori  disposti  in  vari 
disegni,  rappresentanti  lo  stemma 
papale,  indicando  un'  iscrizione  le 
virtù  e  le  beneficenze  del  glorio- 
so Pontefice,  che  fermossi  a  con- 
templarne con  compiacenza  l'amo- 
revole lavoro.  Ricchissima  di  lumi 
fu  la  macchina  in  cui  si  espose  il 
Venerabile  nella  collegiata,  ed  ac- 
compagnato dal  capitolo,  dal  ma- 
gistrato governativo  e  municipale, 
e  dai  cardinali  Odescalchi  e  Mat- 
tei benemerito  protettore  delia  cit- 
tàj  Gregorio  XVI  recossi  al  col- 
legio de'pp.  dottrinari,  ricevuto  dal 
p.  Glauda  generale  e  suoi  religio- 
si; ed  ivi  come  in  altre  circostan- 
ze, la  municipalità  fece  servire  mi 
nobile  rinfresco.  Nell'atto  della  par- 


64  MAR 

tenta  in  riconoscente  civica  magi- 
stratura fece  scuoprire  la  marmo- 
rea lapide,  con  altra  eretta  dal  co- 
mune stesso,  che  attesta  la  suddet- 
ta donazione  del  locale  ai  marine- 
si,  ed  affidato  ai  detti  padri  ad  uti- 
Jità  religiosa  e  letteraria  de'ma- 
linesi,  i  quali  accompagnarono  il 
munifico  covrano  sino  al  fontanile, 
fra  replicati  vivacissimi  applausi, 
innalzando  nel  tempo  stesso  vari 
globi  areostatici  a  compimento  del 
loro  filiale  tripudio.  Ai  2r  poi  di 
detto  mese,  Gregorio  XVI  reduce 
dall'eremo  di  Frascati  e  da  Grot- 
taferrata,  la  commozione  de'mari- 
nesi  non  potè  trattenersi  ;  tutto  fu 
gaudio,  giubilo  e  festa  ;  splendide 
luminarie,  vaghi  fuochi  d'artifizio, 
il  bosco  divenuto  giorno  per  le 
fiaccole  e  globi  trasparenti  a  di- 
versi colori,  la  gioia  dipinta  su  tut- 
ti i  volti,  presentò  una  tenera  sce- 
na che  potè  sorprendere  ed  ammi- 
rarsi, non  descriversi.  Nel  iSSy  e 
nel  i838  il  Papa  non  si  recò  a 
Marino. 

Gregorio  XVI  a'y  ottobre  iSSg 
da  Roma  si  mosse  per  l'eremo  di 
Frascati,  e  traversando  nelle  ore 
vespertine  Marino,  per  recarsi  alla 
Ijreve  villeggiatura  di  Castel  Gan- 
dolfo,  fu  dai  marinesi  festeggiato 
colle  solite  solenni  dimostrazioni  di 
affetto .  Dipoi  nelle  ore  pomeri- 
diane degli  8  si  trasferì  in  questa 
città,  visitando  egualmente  la  col- 
legiata e  le  monache  domenicane, 
rinnovandogli  il  popolo  le  feste  fat- 
tegli nel  giorno  avanti:  nel  seguen- 
te si  restituì  in  Roma.  Nel  1840 
il  Papa  passò  a  Castel  Gandolfo 
a'  16  luglio,  e  vi  restò  fino  a*  17 
di  settembre.  In  questo  lungo  spa- 
7.Ì0  di  tempo  ripetute  volte  recos- 
si a  Marino,  sempre  ricolmato  di 
giubilanti    e    splendide    accoglien- 


M  A  R 
se,  spesso  facendo  passeggiale  sino 
al  fontanile.  Da  questo  solendo  il 
P.ipa  fermarsi  a  mirare  dal  basso 
la  città,  pel  punto  pittoresco  che 
presenta,  animato  dal  folto  popolo 
che  in  iscaglioni  l'applaudiva  tra  lo 
sparo  dei  niortari,  0  quindi  bene- 
dirla, mosse  il  valente  paesista  cav. 
Pacelli  sino  dal  i834  il  tutto  a 
rappresentare  in  un  quadro,  che 
presentato  al  santo  Padre  e  tro- 
vatolo mirabile,  l'accettò  collocan- 
dolo nella  sua  particolare  galleria. 
Sono  poi  memorabili  i  giorni  i  1 
agosto  ed  1 1  settembre,  per  quan- 
to in  essi  fecero  i  marinesi  a  Gre- 
gorio XVI.  Nel  primo  il  Papa  tra- 
versò la  città,  visitando  la  collegiata 
per  recarsi  a  Grotta  ferrata;  nel  secon- 
do fece  altrettanto,  in  occasione  che 
fu  a  Frascati  per  visitare  la  regi- 
na Maria  Cristina  vedova  di  Sar- 
degna, donde  passò  all'  eremo  dei 
camaldolesi.  Pel  trionfante  viaggio 
fatto  nell'autunno  1841  da  Grego- 
rio XVI  al  santuario  di  Loreto  e 
a  diverse  provincie,  non  ebbe  luo- 
go la  villeggiatura  di  Castel  Gan- 
dolfo. Nel  iS^i  vi  si  recò  a'3  ot- 
tobre, e  tornò  in  Roma  agli  8.  Vi- 
sitando Marino  ai  6  di  detto  mese, 
i  marinesi  gareggiarono  con  liete  e 
divote  dimostrazioni,  nelle  quali 
sempre  studiarono  distinguersi  con 
nuove  feste.  Dal  numero  86  del 
Diario  di  Roma  si  rileva  che  il 
Papa  percorse  a  piedi  la  strada  del 
corso  tra  le  salve  de'mortari  e  la 
gioia  del  popolo;  che  così  andò 
alla  cattedrale  e  al  nuovo  collegio, 
mentre  passando  per  la  piazza  di 
s.  Lucia,  vagheggiò  un  obelisco  di 
nuova  invenzione,  che  rasscmbra- 
va  un  granito  orientale,  sebbene 
lavorato  con  legumi  a  vari  colori, 
nel  cui  piedistallo  eravi  lo  stem- 
ma pontificio    in   un  lato,  e    negli 


MAR 
altri   le  iscrizioni    che    riporta    tal 
Diario.  Dalla    loggia  del    collegio, 
come  altra  volta,  benedì  il    popo- 
lo. Ivi    si    dice  pure,    come    nella 
seguente   maj-tina   il  suo    passaggio 
per  Marino,  onde  recarsi  all'eremo 
di  Frascati,  fu    festeggiato ,    e  nel 
ritorno  oltre  le  solite  dimostrazio- 
ni, il    più  sorprendente    spettacolo 
fu  quello  dell'  illuminazione  del  bo- 
sco,    vedendosi     come  in    tutte  le 
altre     volte ,     sugli  alberi,    gruppi 
di  fanciulli,   e    nelle    diverse    som- 
mità delle  colline  che    ciicondano 
la  vallata,  un   numero    grande    di 
persone    con    candele    accese ,    che 
rendevano     un     gaio     simmetrico 
splendore,  quindi  in   diversi    punti 
di  esse  colline  sorgevano  fuochi  ar- 
tificiali   frammischiati    a    replicate 
batterie  e    al    fragore    de'mortari. 
Il   Papa    percorse  a    piedi  la    via, 
la  piazza  e    la    discesa,    preceduto 
da  quantità  di  torcie  portate    dai 
convittori  di  detto  collegio,  e  segui- 
to dal    clero  e    dalle    autorità    del 
luogo.   Sorprendente  poi   fu  il   ve- 
dere ogni   volta  gli  alberi  che  fan- 
no spalliera  alla  discesa  della  cit- 
tà verso  il  fontanile,  popolati  di  fan- 
ciulli e  giovanetti,  che  ad  esempio 
de'  loro  padri  alzavano  voci  di  lie- 
tissime acclamazioni,  agitando   i  ra- 
mi e  le  fronde,  cosa    che  riusciva 
ognora  grata  al  benigno  Pontefice, 
restando  sempre  commosso  il    suo 
animo  paterno    dall' esultanza    co- 
stante e  religiosa  di  questi  abitanti. 
Il  simile  questi  rinnovarono  a  Gre- 
gorio XVI  nel  1843,  quando  dalla 
villeggiatura    si   portò    o    traversò 
Marino,  essendo    arrivato    al    Ca- 
stello a*  2   ottobre  e  partito  ai  9. 
La  villeggiatura  del    i844    f"  ^^^ 
primo  settembre  al   7   ottobre  :  ai 
3  di  questo  mese  il  Papa  si   recò 
a  Marino,  ricevuto    dal  capitolo  e 

VOL.     XLIII. 


MAR  G^T 

magistrature,  e  dai  cardinali  Osti- 
ni vescovo  diocesano.  Malici  ve- 
scovo di  Frascati,  e  da  monsignor 
Lucciardi  presidente  della  Cornar- 
ca.  Visitata  la  collegiata  e  il  col- 
legio de'dottrinari,  tra  l'esultan/n 
del  popolo  fece  ritorno  alla  sua 
residenza.  Nel  di  seguente  traver- 
sò la  città  per  recarsi  all'eremo 
de'  camaldolesi  di  Frascati  ed  a 
Grottaferrata,  e  tra  le  solenni  di- 
mostrazioni de'  marinesi,  nomine- 
remo il  bellissimo  e  grandioso  ar- 
co di  verdura ,  decorato  di  du(! 
archi  minori,  di  pilastri  con  basi 
e  capitelli,  d'iscrizioni  celebranti  i 
fasti  del  Pontefice,  il  cui  stemma 
sovrastava  l'arco  maggiore,  nello 
cui  nicchie  due  fontane  gittavano 
vino.  Le  iscrizioni  erano  quattro, 
ed  una  di  esse  parlava  dell'arco 
cos'i  innalzato.  Per  le  gite  a  Ti- 
voli, a  Monte  Rotondo  ed  a  Ca- 
stel Porziano,  Gregorio  XVI  non 
si  recò  nel  184^  alla  villeggiatura 
di  Castel  Gandolfo.  Finalmente  nel 
Supplemento  al  numero  49  *^^'^ 
Diario  di  Roma  1846  si  legge  il 
profondo  dolore  provato  dai  ma- 
rinesi per  la  morte  del  Pontefice, 
non  che  i  solenni  funerali  celebra- 
ti nel  duomo,  e  le  iscrizioni  in  tal 
circostanza  dettate. 

MARINO  o  SANMARINO  . 
Repubblica  d'Italia  nello  stato  pon- 
tifìcio, sotto  la  protezione  della  san- 
ta Sede,  situata  nella  legazione  a- 
postolica  di  Forlì  ossia  in  Romagna, 
o  meglio  nella  Romagnola,  che  fu 
detta  Pentapoli  mediterranea,  con- 
finante coll'altra  legazione  di  Urbino 
e  Pesaro,  nella  diocesi  di  Montefdtro 
(Fe^i),  posta  a  mezzogiorno  di  Ri- 
mino, e  lunge  da  essa  dieci  miglia. 
Ha  due  leghe  di  lunghezza  dal- 
l' est  all'  ovest,  sopra  una  lega  e 
mezza  di  larghezza,  e  circa  tre  le? 
5 


Gr>  MAR 

glie  di  superfìcie.  Il  territorio  non 
consiste  che  in  una  montagna  sco 
scesa,  chiamala  sino  dal  secolo  de- 
cimo I^lons  Tkamis,  che  ha  36o 
tese  di   elevazione,  e  nei  castelli  e 


MAH 
ni    clie  lo  sOìIdamento    di    esso    e 
vicini,    si    del)- 


degli 


altri  monti 
ba  altrihuirc  a  vnicaniche  crnzio- 
ni.  Le  acrjne  minerali  di  Sanmari- 
no  o  sia  acque  della  \jalle,   non  so- 


villaggi  che  ne  dipendono,  essendo  no  propriamente  nello   stalo  della 

i     princit)ali     Faelano     (  da     altri  repubblica,  ma  per  la  conginnV-io- 

chiamalo  Forilano     e  Fcntrano),  ne  delle  medesime  al  detto    terri- 

Serravallc,    Cawle,    Busiirnnno    e  torio,  e  per    l'ospitalità  che    rice- 

Fiorentinò:  n'è  la  capitale  la  città  vono  i     molti  forastieri  di     distin- 

di  s.  Marino^    posta    sopra    detta  zione  che   da  ogni   parte  si   recano 

montagna,  e  di  cui  faremo  cenno  in  alla  città  di  Sanmarino    nella  sla- 

fìne  di  questo  articolo.  Altri  dico-  gione  del  passaggio    di    tali  acque, 

no  che  il   territorio  è  di  diciasset-  per  approfittarne,  gli   fece  dare  in 

le  miglia  quadrate,  con  circa  7600  ogni   tempo  il  nome    di    acque  di 

abitanti    repubblicani  .     Il     fiume  s.  Marino^  che  presso   il  volgo  di 

Marecclìia  bagna  da  due  Iati   qnc-  Romagna  chiamansi  anche    acque 

sto  isolato  monte,  di  cui  dal  nord-  della    Fallcy  per  la    posizione   del 

ovest,  al  sud  est  estendesi   il   limgo  luogo  donde  scaturiscono.    Il    per- 

dorso,     rendendosi     accessibile    da  che  il    dotto  arciprete    Luigi  Nai- 

quella  sola  parte,  ove    piìi  placidi  di   bibliotecario  di    Rimino,   dedicò 

spirano  i  venti,  mentre  dall'altra  il  al     supremo    consiglio    dell'eccelsa 

sasso  perpendicolarmente  tagliato  op-  repubblica  di   Sanmarmo    ii    libro 

pone  opportuna   barriera   alle   nor-  intitolato  :     Direzione    storica    per 

diche  bufere,  e  dona  il   pregio    al  coloro    che   si  portano  alle    acque 

purissimo  clima  di  una  dolce  lem-  minerali  di  s.  Marino  o  sia  acque 


peratura.  Il  fiumicello  Amarano, 
discendendo  dalle  cime  feretrane, 
bagna  più  da  vicino  il  suo  terri- 
torio, ed  un  torrente  vi  fluisce  pu- 
re, che     porta     notabili    acque  in 


della  Falle j  Pùmino  1823,  per  gli 
Albertini.  Prima  di  lui  nel  '792 
il  dottor  Naidi  pubblicò  in  Bolo- 
gna l'opuscolo  :  Delle  acque  medi- 
cìnali  dette  volgarmente  di  s.  Ma- 


tributo  al  Marecchia.  Il  monte  rino.  I  principali  prodotti  del  ter- 
si'chiamò  Titano  dai  piti  remoli  ri  torio  sono  vino  eccellente,  olio 
tempi,  e  si  compone  di  un  tufo  comune,  fruita  e  seta;  e  vi  si  al- 
calcareo  arenoso,  che  posa  su  ba-  leva  un  sufficiente  numero  di  be- 
se  d'argilla.    Vi  si  trovano    molte  stiame. 

conchiglie  incastrate,  e  sonovi  pu-  Il  potere  esecutivo  della  repub- 
re  concrezioni  alabastrine,  e  gessi  blica  è  confidato  a  due  individui, 
di  varia  specie  surrogabili  ai  mar-  che  dapprima  ebbero  nome  di  con- 
mi  col  polimento  di  che  sono  su-  soliy  poscia  di  difensori,  ed  ora  di 
scèttivi .  Vi  è  copia  di  manga-  capitani  reggenti  o  gonfalonieri. 
nese,  e  tracce  considerabili  del-  Uno  di  essi  si  sceglie  fra  i  cittadini, 
l'esistenza  di  carbon  fossile,  del  ed  altro  fra  gli  abitanti  del  conta- 
quale  però  non  si  è  mai  tenta-  do.  La  durata  della  loro  autorità 
to  di  trarre  profitto.  Pei  fie-  è  di  sei  mesi,  quindi  si  rinnovano, 
quenti  filoni  di  zolfo  che  s'incon-  ed  entrano  in  carica  nel  primo  di 
Irano  pel  monte,  opinarono    alcu-  aprile    e  nel    primo  di  ottobre,  il 


MAR 

c:oipo     legislativo     era    formato   nei 
piiiiìordi  dell'inteia  popolazione,  il 
reggimento  dello   quale    chiamavasi 
/arringo  o    consiglio  universale.  In 
progresso  si     stabilirono  de'consigli 
di    maggiore    o     minor  numero  di 
individui,  ed  attualmente   sono  ses- 
santa i  consiglieri;  composto  essen- 
do il  consiglio    o    senato    di    Tenti 
nobili,  di   venti  cittadini,  e  di  ven- 
ti  paesani   possidenti,  come  si  crede 
il  meglio.   Vi  è  poi  un  perraanenle 
consiglio,     di    dodici    individui    clie 
viene  ogni  anno    rimosso     per  due 
terzi,     e    preso  dal     detto  consiglio 
o  senato  ;    non  esercita   verun    po- 
tere giudiziario,   ma    dà  il  suo  vo- 
to consultivo     alla     reggenza    negli 
affari     di   maggior     rilevanza.     Dai 
giudicati    poi  del  commissario    ap- 
pellasi   al  consiglio    principe^     cb'è 
cjuello  composto  di     sessanta    indi- 
vidui.   Nelle     semestrali     assemblee 
nazionali ,    ciascun    cittadino  ha     il 
diritto  di  petizione  al  supremo  ma- 
gistrato,   e    queste  adunanze    chia- 
manfiì  V  Arringo.  Un  podestà  è  chia- 
mato dall'estero  a  rendere  giustizia, 
e  viene  in  ogni   triennio  nominato 
da!    consiglio    generale  ,    non    può 
essere  rieletto    che  una  sola  volta, 
ed    è    assistito  da    un    procuratore 
generale  e  da    un  cancelliere.  Tut- 
ti  i   cittadini    atti    alle     armi    sono 
difensori    nati   della   patria    e    delle 
leggi.  Due    segretari   di  stato,  cioè 
i   due  capitani,  sono  incaricati   uno 
pegli  affari  interni,  T  altro  per     gli 
affari  esterni     della  repubblica  ,  le 
cui    rendite    superano     annui  scudi 


seimila  ;    formandosi   le  tru 


ppe 


di 


sessanta  uomini,  divisi  in  due  guar- 
die pei  due  capitani.  Il  governo  si 
è  sempre  mantenuto  nei  giusti  ri- 
guardi di  non  essere  incomodo  ai 
vicini,  ne  punto  gravoso  ai  propri 
cittadini,  limitando  le  imposte    in 


M  A  R  6y 

proporzione  de'pubblici  bisogni;  né 
si  deve  lacere,  come  dice  il  Fea, 
che  la  repubblica  ha  anco  esistilo 
ed  esiste  per  grazia  e  favore  de*som- 
mi   Pontefici. 

Quello  scrittore,  nell'opera  di  cui 
andiamo  a  parlare,  combatte  il  titolo 
di  slato  assoluto,  e  fa  osservare  che 
formando  esso  parte  de'dominii  del- 
la santa   Sede,  non  possono  i  Papi 
concedere    porzione    o    frammento 
dello  stato  della  Chiesa  romana  in 
assoluta  proprietà,  pei     giuramenti 
che  fanno;    e  che  la  Sede  aposto- 
lica nel    concederla     in   feudo    con 
mero  e  misto  impero,  proprio  dei 
feudi,    accordò  l'utile  non  il  domi- 
nio diretto.  Raccoglitore  imparziale 
di  erudizioni    riporterò    gli     opina- 
namenti  del     Fea    e    del     Delfico, 
senza     parteggiare    per    alcuno    di 
essi,    poiché    sembra    che    ambedue 
con  troppo  calore  e  zelo  abbiano  vo- 
luto   sostenere  il  loro  assunto,  che 
talvolta  partecipò  di  animosità  e  di 
spinta  prevenzione.  Questa  ristjetlii 
società,  per  molti  rapporti  singolare, 
formò    l'attenzione    .degli  storici    e 
de'  filosofi     indagatori.     GÌ'  inglesi 
Macpherson,     Addisson  ,  Adams    e 
Gillies,    il     faentino  Zuccoli     ed    il 
cesenate  Chiaramonti  ne  parlarono 
ai  nostri     giorni     in  diverso  ,     ma 
sempre  onorevole  senso,  ed  il  pri- 
mo   vi  ravvisò    una   perfetta  rasso- 
miglianza cogli  antichi   modelli  del- 
le repubbliche    greche.    Taluno  vi 
ravvisò  pure  il   tipo  di    que'dome- 
stici  governi,  ond'  era    beata  l'Ita- 
lia innanzi  alla   romana  dominazio- 
ne^ e  che  insieme  confederati  com- 
ponevano le  gloriose  nazioni  sicule, 
umbie,    elrusche,  sabine  ed    altre. 
La   jepubblica    venne  in  più  fama 
dopo  che  il  nestore  de*  letterati  na- 
poletani,    il    cav.     don    Melchiorre 
Delfico    cittadino     della    medesima, 


G8  .       MAR 

con  filosofica  storia  la  fece  me- 
glio conoscere,  rendendo  parziali 
omaggi  di  riconoscenza  a  questa  sua 
patria  di  adozione,  però  lascia  mio 
non  solo  q  desiderare  la  venera- 
zione che  si  deve  alla  santa  Sede 
e  suoi  ministri,  e  una  pii^  castigata 
riservatezza  nelle  ffiaterie  di  eccle- 
siastico diritto,  ma  eziandio  più  cri- 
tica e  verità  istorica  ,  onde  il  suo 
contegno  fu  disapprovato  dai  saggi 
e  dai  letterati  giusti  ed  imparziali. 
E  s'egli  colla  sua  penna  valse  ad 
eternare  l'onore  della  cittadinanza 
dai  sanmarinesi  ricevuta,  immenso 
però  è  il  novero  di  quelli  che  tro- 
varono sempre  in  questo  suolo  acco  " 
glienza  ospitale,  ed  ove  talora  i  me- 
riti e  le  virtù  si  videro  sfoggiare, 
quindi  nacque  gara  nella  repubblica, 
anche  per  dilatare  i  suoi  rapporti, 
di  Conferire  l'onorata  cittadinanza, 
e  chi  la  riceveva  andava  ben  con- 
tento dello  appartenervi,  per  di- 
versi motivi  e  ragioni. 

La  repubblica  ha  un  cardinale 
per  protettore  pressò  la  santa  Se- 
de ,  ed  un  incaricato  d'  affari  in 
Roma ,  per  antico  costume.  Per- 
tanto si  legge  nel  numero  16  del 
Diario  di  Roma  del  1816,  che  la 
repubblica  aveva  scelto  per  pro- 
tettore il  cardinal  Antonio  Dugna- 
ni  sotto  decano  del  sacro  collegio, 
e  che  avea  sostituito  al  defunto 
celebre  e  dotto  monsignor  Gaeta- 
no Marini  ^  l'avvocato  conte  Ales- 
sandro Savorellì  cameriere  d'ono- 
re di  Pio  VII,  ambedue  di  fami- 
glie ascritte  alla  cittadinanza  no- 
bile della  stessa  repubblica.  Nel  nu- 
mero 34  del  Diario  i83i  si  dice 
come  il  conte  Alessandio  Savorelli 
incaricato  della  repubblica  di  San- 
marino,  ebbe  l'onore  di  presenta- 
re al  Papa  Gregorio  XVI  la  let- 
tera gratulatoria  di  questo  gover- 


MAR 

no,  pel  suo  fausto  avvenimento  al 
trono  pontificio  ,  unendo  in  voce 
.  le  espressioni  della  più  ferma  di- 
vozione della  repubblica  verso  la 
Sede  apostolica,  consci*  va  la  sempre 
dai  più  remoti  secoli,  non  ostante 
le  vicende  da  cui  è  stata  spesso 
circondata,  e  dalle  quali  ha  saputo 
mantenersi  in  ogni  tempo  illesa. 
Il  Pontefice  rispose  colle  più  gen- 
tili parole  di  benevolenza,  assicu- 
rando che  pari  a  quella  de'glorio- 
si  suoi  predecessori  sarà  la  sua 
protezione  per  si  pacifico  governo. 
L'incaricato  passò  quindi  ad  osse- 
quiare il  cardinal  Bernetti  pro-se- 
gretario di  stato,  che  gli  fece  la 
più  cortese  accoglienza.  Finalmente 
nel  numero  69  del  Diario  del 
1846,  si  riporta  come  il  marchese 
Alessandro  Muti-Papazzuni  già  Sa- 
vorelli, colonnello  delle  guardie  ed 
incaricato  di  affari  della  repubblica 
di  Sanmarino,  avendo  ricevute  le 
lettere  del  suo  governo  che  lo  con- 
fermarono in  tal  quahfica  presso 
il  regnante  Pontefice  Pio  IX,  fu  da 
lui  ammesso  all'  udienza,  che  con 
singoiar  bontà  rispose  ai  sentimenti 
di  divozione  espressi  dall'incaricato 
per  parte  dello  stesso  governo, 
assicurandolo  che  come  ì  suoi  pre- 
decessori, cosi  egli  avrà  partico- 
lare protezione  per  la  repubblica. 
Passò  quindi  l'incaricato  dal  car- 
dinal Gizzi  segretario  di  stato ,  a 
cui  presentò  le  più  vive  congra- 
tulazioni dell'eccelsa  reggenza  san- 
marinese,  perchè  fosse  stato  eleva- 
to dalla  legazione  di  Forh  a  tal 
suprema  dignità ,  ed  il  porporato 
ricambiò  sì  falle  nianifeslazioni  col- 
la più  grata  e  gentile  accoglienza. 
Al  presente  protettore  della  repub- 
blica di  Sanmarino  presso  la  santa 
Sede  è  il  cardinal  Vincenzo  Mac- 
chi sotto-decano  del  sacro  collegio. 


I 


MAR 

In  Milano   nel    i8o4  nella  tipo- 
grafia     Sonzogno     si     pubblicarono 
ie    Memorie    storiche    della  repub- 
blica di    ».    Marino    raccolte    dal 
cav.    Melchiorre    Delfico    cittadino 
della   medesima.    Questa    edizione 
in  foglio    dedicala    dall'  autore    al 
general  consiglio  principe  della  re- 
pubblica, ed  ai  capitani  reggenti   la 
medesima  ,  nel    1842  iix  riprodot- 
ta in  dodicesimo  con  tavola  analiti- 
ca   e    cronologica,  dalla    tipografia 
elvetica  di  Capolago.    JXella  prefìi- 
zione  l'istorico  dichiara   che  l'avea 
pieceduto Matteo  Valli,  che  nel  i633 
coi  tipi  di  Padova  diede  l'opuscolo: 
Dell'origine  e   governo    della    re- 
pubblica di    s.    Marino,   breve  re- 
lazione di  Matteo   Valli  segretario 
e  cittadino  di  essa  repubblica.  Ri- 
produssero i  suoi  racconti   il  Linda, 
il  Bisaccioni  ed  il  Baudrand.  Quin- 
di  protesta    che    il    primo  che    ne 
scrisse  con  critica  ed  accuratezza  fu 
il  dotto  arciprete  Giambattista  Ma- 
rini, nell'opera  intitolata  ;    Ragioni 
della    città    di    s.  Leo    detta    già 
Montefeltro,  ec. ,  Pesaro    1758.     Il 
dotto    avvocato    don     Carlo    Pea 
pubblicò  in  Roma    coi  tipi  came- 
rali   nel     1834  l'opera  intitolata: 
Jl  diritto  sovrano    della  santa  Se- 
de sopra  le  valli  di  Coniacchio  e 
sopra  la  repubblica    di  s.  Marino 
difeso.    Questo  scrittore  incomincia 
nella    prefazione     a   protestare    che 
parlandosi    oggidì    tanto  di  sovra- 
nità assoluta     ed     indipendenza  to- 
tale di   Sanmarino,    che  vuol  farsi 
considerare     quale  potenza     estera, 
coi   principii  del    diritto,  colla  sto- 
ria    e   con  documenti     diplomatici 
dichiara,  che  questa     repubblica  e 
suo  territorio    è  sempre  stata  una 
minima    frazione    delio  stalo  della 
Chiesa,  nel  quale    è    inclusa;  che  i 
sommi  Pontefici  sempre  ne  hanno 


MAR  69 

disposto  come  hanno  stimato  nelle 
circostanze;    ne    hanno  dilatato  il 
territorio;  le  hanno  accordato  mol- 
ti privilegi  ed  esenzioni,  che  gior- 
nalmente sì  godono  ;  e  hanno  per- 
messo ai  sanmarinesi  di  continua- 
re a  governarsi     da  loro  con  par- 
ticolari statuti,    approvali   e  rifor- 
mati   a    quando     a     quando    dai 
Pontefici  e  loro  legati,  a  modo  di 
feudo,  e  feudo  è  slato  Sempre  di- 
chiarato 6  chiamato  dai  medesimi 
Pontefici.  Aggiunge,    che  da  qual- 
che  anno    si    ode    e    si    legge    in 
qualche    libro    le    parole    libertà , 
indipendenza    e  sovranità    assoluta; 
per  mostrare  poi  qual  sia  tale  liber- 
tà, quando  essa    fu    restituita  nel 
1740  da    Clemente    Xli  agli  abi- 
tatori   di    Sanmarino,    riportò    la 
parte  essenziale   di    quelle  innova:^ 
zioni,  anche  acciò  se  ne  abbia  una 
giusta  idea,    vedendo    nei    libri  di 
alcuni  autori  mal  prevenuti  comu- 
nemente alterate  le  cose   a  danno 
della    verità     e    della  giustizia  ,  e 
della    esatta    condotta    del    legato 
cardinal  Alberoni*  Per  avere  insie- 
me   una  storia    imparziale   e   più 
compita  della    repubblica,  suo  ter- 
ritorio è  forma  di  governo,  il  Fea 
v'  inserì  la    porzione    della    storia 
di  Matteo  Valli    l'elativa,  è  la  re- 
lazione del  Salmon,    correggendole 
e    supplendole  ,    facendo    così    in 
succinto  una    storia    critica  diplo- 
matica   di  Sanmarino.  Termina  la 
prefazione  coli'  avvertire    che    più 
di  tutto  la  conservazione  della  re- 
pubblica   si  deve    all'attaccamento 
degli    abitanti    al    loro  patrono    s. 
Marino,   alla    loro  località    isolata 
sopra  un  alto    inonte  alpestre ,  al- 
la   forma    popolare    del    governo, 
che  lega  ed  obbliga  ogni  individuo 
alla  libertà  ;  mentre    che  sotto  al- 
tro   reggimeulo  perirebbe  la  liber- 


70  MAR 

là  e  la  popolazione,  ninno  po- 
tendo avervi  iuteres!>e  ne  politico 
né  economico  di  assumersene  il 
peso  con  lucro  cessante  e  danno 
emergente,  in  un  tenitoiio  che  si 
mantiene  bastantemente  Tettile  u 
forza  di  attività  ed  industria  re- 
golarmente continuata.  Laonde,  di- 
ce il  Fea,  conviene  confessare  che 
fu  provvida  e  savia  risoluzione  di 
demente  XII,  di  rimettere  le  cose 
nel  pristino  stato  di  libertà,  con 
qualche  altra  provvidenza  che  si 
legge  nel  di  lui  Sommario  j  il  tut- 
to per  altro  basato  sulla  pruden- 
te condotta  e  dipendenza  della 
santa  Sede,  che  sempre  i  sanma- 
rinesi  hanno  protestato  di  profes- 
sare sì  nobili  che  plebei  ;  ricordan- 
do per  ultimo ,  che  ì  Papi  hanno 
accordati  e  mantenuti  i  tanti  fa- 
vori e  privilegi  agli  abitanti  natu- 
rali, per  la  loro  più  comoda  sus- 
sistenza, non  per  rifugio  a  fora- 
s.lieri  molesti  ed  a  banditi.  Quale 
stima  poi  meriti  in  fatto  di  vera- 
cità istorica  e  critica  la  Relazione 
del  citato  Valli,  si  legga  il  Fea 
che  ne  rimarca  l'esagerazioni  a  p. 
67.  Il  Salmon  poi  nell'opera:  Lo 
stalo  presente  di  tutti  i  paesi  e 
popoli  del  mondo j  ec,  stampata  in 
Venezia  nel  1757,  voi.  XXI,  cap.  4? 
p.  49o>  C'  diede  la  Relazione  della 
repubblica  di  s.  Marino.  Il  Fea  a 
pag.  83,  parlando  del  Delfico,  dice 
che  ne  compilò  una  nuova  storia 
panegirica  in  tono  trionfale ,  per 
encomiare  quella  ch'egU  si  era  scel- 
ta per  nuova  patria  libera;  ma  che 
l'ardente  encomiaste  non  ha  riflettu- 
to che  se  è  cresciuta  la  libertà  di  scri- 
vere a  capriccio,  è  pure  molto  miglio- 
rata l'arte  critica,  la  diplomatica 
e  la  storica,  e  soprattutto  si  sono 
schiarite  le  controversie  intorno  al 
dominio  temporale  della  Chiesa  1*0- 


M  A  I\ 
mana  ;  e  secondo  tutti  i  canoni 
di  bene  scrivere  ci  vogliono  pezze 
(li  appoggio,  documenti  autentici 
id  idonei,  non  frasi  ,  non  decla- 
mazioni enfatiche  ed  iraconde.  11 
Delfico  all'opposto,  secondo  lui,  ca- 
ricò d'ingiurie  molti  Pontefici,  tac- 
que molte  carte,  narrò  molte  cose 
a  modo  suo,  sempre  ad  onore  di 
Sanmarino;  virulente  cor^tro  la  ge- 
rarchia ecclesiastica,  insultò  tutti  i 
Papi,  i  cardinali  e  gli  scrittori  a- 
pologisti  delle  ragioni  e  diritti 
della  Sede  apostolica,  tacendo  mol- 
te cose  riguardanti  il  cardinal  Al- 
beroni  e  Clemente  XII.  Lungi  dal 
portare  giudizio  sopra  i  due  sto- 
rici, ripeto,  nai  limiterò  a  compen- 
diarne le  asserzioni,  lasciiindone  ai, 
critici  ed  ai  savi  l'  imparziale  giu- 
dizio. 

La  regione  del  Titano  si  tro- 
vò anticamente  compresa  nella  De- 
capoli  o  nella  Penlapoli  Montana, 
e  nella  divisione  de'contadi,  benché 
a  ninno  appartenesse,  si  considerò, 
come  compresa  in  quello  detto  di 
Monlefeltro.  Benché  il  Monte  Titano 
elevi  altieramente  la  sua  cresta  fra  le 
nuvole,  e  presenti  in  un  Virslissitno 
orizzonte  il  più  vago  e  maestoso 
spettacolo  visuale,  pure  sarebbe 
forse  senza  gloria  e  senza  fama,  se 
un  uomo  proveniente  dalla  Dal- 
n)azia  non  avesse  prescelto  ([ueste 
alpestri  balze  pel  suo  prediletto 
soggiorno.  Tale  fu  quel  Marino  ve- 
nuto o  mandato  in  Rimino  dopo 
la  metà  del  IV  secolo;  ed  essen- 
do muratore  di  mestiere,  o  condan- 
nato a  farlo,  ebbe  perciò  occasione 
di  recarsi  sul  Titano  pieno  di 
materiali  pei  suoi  lavori.  Potè  al- 
lora conoscere  che  il  luogo  non 
era  meno  utile  per  occuparsi  nel- 
Tarte  moratoria,  che  atto  a  sot- 
trarsi dalle  ingiurie   della  pcrsecu- 


MAR 

7Ìcik;  religiosa  ,  di  cui  era  a  quel- 
l'epoca segno  ii  cullo  callolico, 
o  proprio  ad  essere  un  soggiorno 
lilìero  e  tranquillo  per  esercitarvi 
nel'  silenzio  e  nella  solitudine  gli 
ulfizi  delia  cristiana  pietà.  Ma  co- 
n»e  spesso  avviene  che  dagli  ere- 
iTu  ancora  vola  la  fama  delle  vir- 
tù e  del  vero  merito,  non  vi  re- 
stò occulto  quello  di  Marino  ;  ed 
li  buon  vescovo  di  Rinvino  s.  Gau- 
denzio lo  volle  per  ministro  e  coo- 
peratore nella  difesa  del  culto  e 
nella  propagazione  della  fede.  Eb- 
be egli  per  socio  un  tal  Leone, 
(ii  cui  eguali  furono  i  principi! 
e  l'emigrazione,  promosso  poi  alla 
cattedra  Feretrana,  mentre  Marino 
si  contentò  restare  fra  i  ministri 
del  cullo  semplice  levita;  e  l'u- 
no e  l'altro,  forse  stanchi  de'lor- 
bidi  feroci  e  de'  tm vagli  che  in 
Rimino  si  offrivano,  come  nelle 
vicine  contrade  ,  cercarono  luoghi 
più  coniiicenti  a  persone  abituate 
alle  opere  ed  al  diletto  della 
tranquilla  solitudine.  Marino  quin- 
di rimontò  le  sue  balze,  e  sempre 
occupato  negli  eserci/i  di  pietà  e 
di  umanità,  egualmente  che  nei  la- 
vori necessari  alla  sussistenza ,  non 
potè  allontanare  dalla  sua  angusta 
dicuora  ne  i  soci  de'suoi  travagli, 
uè  i  fedeli  che  si  accostavano  a 
lui,  o  per  ricevere  i  rudimenti  del- 
la morale  e  della  credenza,  o  atti- 
rati dall'esempio  e  dalla  sua  dif- 
fusiva carità.  Narra  la  tradizione 
inoltre,  che  Marino  tagliò  nello 
scoglio  la  sua  casa,  il  suo  letto,  il 
suo  orticino  ;  e  pei  miracoli  da 
Dio  operati  a  sua  intercessione,  e 
per  le  buone  sue  opere,  ebbe  da 
pie  persone  in  dono  il  territorio 
del  Monte  Titano,  di  cui  divenne 
proprietario,  ed  il  Titano  incomin- 
ciò ad  avere  i  suoi   propri   abitato- 


MAR  7t 

ri.  L'uomo  pio  e  religioso ,  di- 
venuto quasi  rettore  del  piccolo 
circondario,  pensò  naturalmente  a 
mantenere  i  suoi  soci  nei  princi- 
pii  e  sentimenti  che  li  avea  riuni- 
ti, e  nel  culto  che  n*era  l' espres- 
sione ;  ed  al  suo  eremo  aggiunse 
una  chiesuola,  che  ierv\  di  primo 
punto  di  riunione  ai  fedeli  e 
membri  del  piccolo  nascente  cor- 
po sociale  ,  cui  morendo  lasciò 
ricordi  di  pace,  di  buoni  costumi 
e  di  libertà,  come  esprimesi  il 
Delfico,  conservati  in  perpetuo  re- 
taggio dalla  successiva  popolazione. 
Le  più  antiche  memorie  dei 
primi  abitatori  e  delle  prime  abi- 
txizioni  sulla  vetta  del  Titano,  è 
vero  che  si  sono  espresse  colle 
parole  di  monaci  e  monastero,  ma 
indicanti  più  lo  stato,  che  la  con- 
dizione degl'individui  e  del  loro 
admiamento.  Tultavolla,  al  dire 
del  citato  istorico,  il  monaco  Eu- 
gippio  fiorito  nel  monastero  di  s. 
Severino  in  san  Leo,  ed  autore 
della  vita  di  s.  Severino,  fiorito 
fra  il  V  e  VI  secolo,  lasciò  scrit- 
to di  aver  veduta  e  letta  la  vita 
di  un  tal  Basilico  o  Basilicio  mona- 
co del  Monte  Titano,  uno  dei 
più  antichi  successori  di  Marino, 
che  poi  finì  i  suoi  giorni  nella 
Lucania.  Gli  atti  poi  della  vita  dì 
Marino  si  leggono  nei  Bollandisli, 
Jc(a  sancì,  ntens.  stptemhris  t.  If, 
p.  2i8,  i  quali  però  restarono 
malcontenti  dell'  autore  di  essi , 
per  gli  episodi  drammatici  e  cose 
favolose  che  v'  introdusse .  Le 
favolose  narrazioni  del  Valli  sul- 
l'origine miracolosa  di  Sanmarino, 
le  storielle  de'  BoHandisti  discus- 
se a'4  settembre,  le  combattè  più 
parlitamente  l'autore  anonimo  de 
(pi scopata  Ferttrano  ,  contro  il 
(juale  si  diffuse    Giambattista    Ma- 


72  MAR  MAR 
lini,  ragionamlo  intorno  ai  docu-  di  abbati  e  di  monaci  alcima  vol- 
incnti  dell'  operato  dai  Pontefici,  ta  furono  designali  gli  ecclesiuslici 
Si  può  vedere  anche  l'Ughelli  t.  che  vi  presiedevano  ed  orticìavano. 
JI,  coi.  854,  edizione  del  Coleti,  In  fatti  successivamente  tal  chiesa 
che  riporta  la  storia  deirinvenzione  divenne  la  parrocchiale  e  prese  il 
del  corpo  di  s.  Murino  a'  4  otto-  titolo  di  pieve,  corno  l'abbate  prese 
hre  1596  in  una  grotta  dentro  ((uello  di  prete  o  di  rettore.  Quali 
la  sua  chiesa  in  Sanmarino.  Si  intanto  fossero  gli  scarsi  progressi 
vuole  che  i  primi  alti  veridi-  della  popolazione  titanica ,  non  è 
ci  della  vita  del  santo  andassero  facile  il  riferirlo  »  nella  scarsezza 
smarriti ,  mentre  la  di  lui  fama  anzi  mancanza  di  documenti  di 
essendosi  propagata  in  Italia,  ivi  quel  tempo.  Abbiamo  da  Anasta- 
gli  eiano  stati  eretti  de*  templi,  sio  Bibliotecario,  in  Vita  Stephani 
come  in  Pavia,  edificato  nell*  Vili  //  detto  IH,  che  questi  avendo  nel 
«ecolo.  Non  sembra  vero ,  dice  il  7^5  ricorso  all'  aiuto  di  Pipino 
Delfico  e  cosi  il  Fea,  che  in  quel-  contro  Astolfo  re  de'  longobardi, 
la  chiesa  vi  riponesse  le  sue  reli-  ch'erasi  impadronito  daìV  Esarcato 
quie  Astolfo  re  de'longobardi,  pri-  (Vedi)  _,  il  quale  per  spontanea 
vandone  il  Titano,  mentre  pare  dedizione  de'popoli  era  già  sotto 
))rovato  ch'egli  mai  si  accostasse  la  protezione  della  santa  Sede,  e 
a  questo  monte  allorché  invase  faceva  strage  nella  provincia  ro- 
i'Esi» reato  :  in  favore  di  Pavia  pe-  mana  suo  dominio  temporale,  il 
rò  scrisse  Giovanni  Gualla,  nel  suo  principe  francese  obbligò  Astolfo 
santuario  delle  reliquie  di  quella  a  restituire  alla  Chiesa  romana 
città,  stampato  in  latino,  lib.  V,  le  occupate  terre,  e  ve  ne  aggiun- 
fol.  5S  ;  e  Stefano  Beneventano  se  altre  in  dono,  come  l'Esarcato, 
cittadino  pavese,  nella  descrizione  per  ampliare  il  principato  del 
delle  memorie  sacre  di  quella  chic-  sommo  Pontefice,  fra  le  quali  San- 
sa. Marino  venendo  acclamato  per  marino,  Castelluni  s.  Marini^  Mon- 
santo dalla  popolare  divozione  ,  tefeltro,  Rimino  ec.  :  altrettanto  ri- 
qual  primo  autore  della  pacifica  portano  il  cardinal  Baronio,  An- 
aggregazione  sociale  fondata  sul  naL  t.  IX,  anno  755,  fol.  229  ; 
Titano,  questo  dal  di  lui  nome  ed  il  Cenni,  Codex  Carpi,  t.  I, 
prese  in  vece  la  denominazione  che  p.   62  e  seg. 

porta  di  s.  Manno  o  Sanmarino.  A  questa  donazione  ripugna  il 
11  Butler  registra  questo  santo  ai  Delfico,  quanto  a  Sanmarino,  per- 
4  settembre  ,  dice  eh'  è  onorato  che  il  Titano  ancora  non  avea 
anche  a  Pavia  ,  a  Rimino  e  in  preso  questo  nome,  e  perchè  non 
molte  diocesi  d'  Italia,  ma  le  due  esisteva  allora  un  luogo  fortifi- 
vite  che  abbiano  di  lui  non  meri-  calo,  castnwif  che  portasse  il  no- 
tano fede.  11  monastero  rammen-  me  di  Sanmarino  >  dicendolo  le 
tato  da  Eugippio,  non  si  credè  diverse  copie  della  donazione  di 
popolato  da  uomini  che  vi  menasse-  Pipino  j  or  san  Marino,  or  san 
ro  vita  regolare,  ma  piuttosto  una  Mariano,  or  san  Martino.  Che  ai- 
chiesa  destinata  alla  riunione  dei  lora  sul  monte  Titano  sussistesse 
fedeli,  che  in  quei  tempi  talora  una  popolazione  con  chiesa  prov- 
Momiuavasi  chiesa,  qoxùq  coi  nomi  veduta  dì  molti  fondi,  provenienti 


MAR 
dalla    prima    fondazione,  ed  ?iccre- 
sciuli  a  poco  a    poco  dall'oblazione 
(leTedeli,  si  prova  da  un  autentico 
documenlo  del    secolo  IX,  dal  gìu^ 
dicalo  o  placito  feretrano  di    Gio- 
vanni abbate  e  tcscovo  di  Monte-» 
lèltro,  ficclesiae  Feretranae,   contro 
Deltone     vescovo   di  Rimino,  dato 
in  favore  di    Stefano    parroco,  ed 
in  cui  Stefano    preshyicr  et  ahhas 
s.  Marini  è  cliiamato,  essendo  Orso 
tinca  (li   Montefeltro  nominato  pu- 
re   nel    placito.     Quantunque     nel 
territorio     o     provincia      feretrana 
lusse  compreso  il   distretto  di  San- 
marino    che   si     trovava    nella  dio- 
cesi feretrana,    osserva    il   Delfico 
die  né  dal  placito,  ne  da  altri  do- 
cumenti si  rileva    che  la    giurisdi- 
zione politica    de'  duchi    e    poscia 
ile'conti    di    Montefeltro    si    esten- 
desse   su    questo     monte    e    su  le 
6ue    appendici.    Narra     in  vece     il 
Fea  a  p.   68,    che  per  le  accurate 
ricerche     ordinate    nel     1660     da 
Alessandro      VII  ,     venne    provato 
che  Sanmarino  col  suo  territorio  è 
.-.empie  stato  sotto  il  dominio  del- 
lu   santa  Sede,   la   quale,  come  sua 
proprietà,  incastrata  la  repubblica 
nello  stato,   lo  avea  sempre  soste- 
nuto e    difeso    nelle     guerre    civili 
italiane,  e  T  avea     favorita    di  po- 
ter  continuare    in    certo   modo  da 
<jualche  secolo  a  governarsi  da  se, 
come  quasi   tutte  le    città  d'Italia, 
però  con    certe  date  regole  econo- 
miche e  giudiziarie  ripetutevi  ogni 
tanto,    in    modo    di  feudo  ;    e  che 
contro  tali    diritti    di    sovranità  e 
dominio     diretto     non     valeva     un 
supposto  o  preteso  lunghissimo  pos* 
sesso  e    prescrizione  alcuna,  ripor- 
tandone alcune  prove,  che  si  cou- 
.scivano    nella  biblioteca    Chigiana, 
dj  cui  il  Fea  era  bibliotecario.  G. 
ili,  68,  li,  63. 


MAR  75 

Nel  secolo  X  pel  bisogno  di 
cangiar  la  maniera  di  vìvere  spar- 
samente nelle  campagne,  riunire 
e  concentrare  le  lontane  abitazioni, 
e  fornirle  di  mura  e  fortificazioni, 
gli  abitatori  del  Titano  provando 
come  gli  altri  tal  bisogno,  si  vuole 
che  vi  soddisfacessero  più  facilmen- 
te, perchè  la  natura  avea  in  gran 
parte  provveduto  alla  loro  custodia, 
e  facili  erano  i  modi  di  completarla. 
Quindi  si  congettura  che  divenuto 
castello  servisse  di  primo  ricovero 
a  Berengario  li  imperatore  e  re 
d'Italia,  ed  a  parte  della  sua  gente, 
allorché  sulla  metà  di  tal  secolo 
dovè  fuggire  dalle  armi  vittoriose 
di   Ottone    I;    trovandosi    in  data 

26  settembre  gSi  un  diploma  di 
Berengario  W^  aclum  in  plebem  s. 
Marini.  Nella  donazione  che  fece 
l'imperatore  Ottone  I  nel  962  ad 
Uldarico    conte    di    Carpegna    di 

27  o  28  castella  o  terre,  fra  gli 
altri  sono  nominati  questi  :  Et 
inter  Jliwìos  Concavi  et  Marichium, 
Serrav alluni,  sanctus  Marimis,  et 
oppiduni  Montìs  Feretri;  ecco  un 
altro  esempio  contro  il  Delfico 
sulla  denominazione  del  luogo  , 
secondochè  rileva  il  Fea.  Nel  se- 
colo seguente,  in  una  bolla  di  O- 
norio  li  del  11 26,  riportala  dal- 
rUghelli,  Italia  sacra  t  II,  col. 
933  (della  prima  edizione,  e  col. 
845  della  seconda),  in  cui  si  con- 
fermano le  chiese  della  diocesi  di 
Montefeltro,  con  particolare  indi- 
cazione si  nomina  la  pieve  di  s. 
Marino  colla  qualifica  di  castello: 
Plebem  s.  Marini  cuni  Castello, 
che  certamente  avrà  avuto  un 
grado  di  consistenza  civica  e  di 
fòrza.  Avverte  il  Fea  a  p.  70,  che 
Onorio  11  con  tal  bolla  confermò 
il  dominio  utile  del  Castellò  di  s. 
Marino    alla  chiesa    e   vescovo  di 


74  MAR 

Montefelli'o,  e  ciica  il  fine  di  essu 
sì  l*fg}^c>  •s<3rA'W  in  omnibus  Roma- 
nae  Kcclesìae  juslilin  et  re\>erenùa. 
Osserva  inoltre  il  Fea,  che  i  Ponte- 
Iclìci  o  tulli  gli  scrittori  gcULnalineii- 
le,  prima  da  due  secoli,  sempre  di- 
cono castello,  terra,  gli  uoiniid  di 
s.  Marino,  uè  mai  città,  né  re- 
jmbblicay  e  terra  dice  pure  lo  sta- 
tuto. Ad  esempio  delle  altre  città 
e  castelli  d'Italia  clic  proclamarono 
i  santi  tutelari,  questo  popolo  de- 
corò la  poi'ta  maggiore  della  chie- 
sa coH'epigrafe  :  Mva  Marino  Pa- 
trono et  Libertatis  Auctori  D.  C. 
S.  P.  Crescendo  la  popolazione 
senti  il  bisogno  d'in|»randire  il  suo 
piccolo  territorio,  quindi  comprò 
dai  confinanti  signori  di  Carpegna 
tlelle  terre  colle  loro  giurisdizioni, 
e  col  monastero  di  s.  Gregorio 
in  Concii  coni[>letarono  l'acquisto, 
prendendo  dal  medesimo  a  livello 
cjuelle  terre,  sulle  quali  dai  conti 
«li  Carpegna  acquistavano  la  giuris- 
diziorte  e  tutti  i  diritti  signorili: 
gli  acquisti  fatti  dal  sindaco  di  San- 
inariuo,  furono  il  castello  di  Pen- 
na rossa  e  la  metà  di  quello  di 
Gasoli,  del  quale  dipoi  se  ne  com- 
pì r  acquieto.  Altri  se  ne  fecero 
dai  conti  di  Montefellro ,  convali- 
dati dalla  perpetua  amicizia  di 
quella  famiglia  colla  repubblica  di 
^^anniaiino.  Ecco  come  con  lenti 
passi  progredendo  ,  la  piccola  so- 
cietà stabiliva  una  forza  propor- 
zionata alla  sua  piccolezza  ,  e  si 
lòrmava  quella  base  che  dovea 
garantirne  la  durata,  come  si  espri- 
me il  Delfico.  La  popolazione  eb- 
be rapporti  continui  con  le  fa- 
iai|:;lieFeltria  de' duchi  di  Urbino, 
e  Malatesta  de'  signori  di  Rimino. 
Finche  la  popolazione  del  Titano 
(u  di  pochi  individui,  e  d'una  for- 
za  disunita    ed    iudetermlaala ,    e 


MAR 

quindi  invalida  ad  agire  e  resi- 
stere, potè  facilmente  essere  neglet- 
ta e  trascurata  daf»li  uomini  domi- 
nati dall'ambizione  ed  avidi  del 
potere  ;  om  quando  colla  estensione 
de' suoi  confini,  coli'  accrescimento 
della  popolazione  ,  e  colla  valida 
fortificazione  annunziò  un  grado 
di  forza  e  dì  resistenza  sostermte 
dal  coraggio,  gli  sguardi  dell'am- 
bizione e  dell'orgoglio  non  furono 
più  indiflerenti  per  questo  scoglio, 
e  Yolontieri  vi  si  sarebbero  ada- 
giati, se  avessero  potuto  espellerne 
la  libertà  natia,  come  dichiara  il 
Delfico. 

Aumentata  la  popolazione  con 
abitaziorw  di  cui  si  formò  il  bor- 
go, eslesi  i  confini,,  e  fortificato  il 
luogo  di  residenza  del  governo  ,  si 
propagò  la  fama  dell'  inaccessibili- 
tà ed  inespugnabilità  del  castello 
o  rocca  nel  secolo  XII;  mentre  gli 
italiani  per  la  debolezza  del  gover- 
no imperiale  scossero  il  giogo  stra- 
niero ,  dopo  la  pace  di  Costanza 
ogni  luogo  volle  assumere  le  for- 
me repubblicane,  eleggendo  i  con- 
soli, benché  la  pretesa  libertà  fu 
effimera  e  tumultuaria ,  perchè  le 
piccole  società  furono  presto  assor- 
bite dalle  più  potenti,  e  i  magi- 
strati politici  abusando  del  potere 
si  trasformarono  in  dominanti,  ciò 
non  accadde  sul  Titano,  perchè  cre- 
sciuto il  popolo  neir  indipendenza, 
col  suo  naturale  andamento  non 
ebbe  bisogno  di  farsi  imitatore  del- 
le nuove  repubbliche  insorte,  libe- 
randolo la  sua  situazione  dal  par- 
tecipare al  movimento  ed  al  gene- 
rale scompiglio  d'Italia.  Questo  po- 
polo avea  già  le  sue  leggi  e  le  sue 
forme  governative.  I  suoi  supremi 
magistrati,  intitolati  pur  essi  con- 
soli, al  numero  di  due  o  tre,  adem- 
pivano ai  doveri  del  potere  esecu- 


MAU 

livo  e  dei  giudiziario,  mentre  il 
potere  legislativo  risiedeva  presso  il 
popolo,  rappresentato  dai  capi  delle 
famiglie.  Ma  se  potè  salvarsi  da 
tale  sconvolgimento,  racconta  il  Del- 
fico ,  non  andò  Sunmarino  esente 
dall'insania  de'  parliti  guelfi  e  ghi- 
U'llim\  che  per  lnnghissin»o  tempo 
perturbarono  anche  la  vetta  del 
tranquillo  Titano,  riuscendo  fune- 
sta alia  repubblica,  perchè  oltre  la 
discordia  civile  da  cui  fu  lacerata, 
fu  successiva  cagione  che  nella  con- 
trarietà de'  partiti  i  vicini  prepo- 
tenti ne  volessero  profittare,  come 
i  signori  di  Carpegna ,  i  vescovi 
feretrani,  la  città  di  Rimino  o  i 
suoi  Malatesta,  e  pegii  antichi  di- 
ritti i  ministri  pontificii.  Si  crede 
che  Ugolino  di  Monlefeltro  vesco- 
vo feretrano  e  fanatico  ghibellino, 
quale  lo  dipinge  il  Delfico,  come 
gli  altri  di  sua  famiglia,  gittasse  i 
primi  semi  di  zizzania  nella  popo- 
lazione titanica,  per  estendere  so- 
pra di  essa  il  dominio  temporale 
della  sua  chiesa,  e  come  dice  il 
Delfico,  vantando  pretese  signorili 
su  questo  territorio.  JVota  il  Fea  , 
a  p.  70,  che  si  giustifica  iJ  posses- 
so di  Sanmarino,  avuto  dal  vesco- 
vo di  Montcleltro,  e  massime  nella 
persona  del  vescovo  Ugolino  ,  dal 
contenuto  d'un  istromento  che  si 
trova  nel  pubblico  archivio  di  Ver- 
rucchio,  stipulato  a'  12  settembre 
1243.  Nei  libri  poi  di  contralti  o 
enfiteusi  del  medesimo  vescovo,  a  p. 
2,  sta  pur  oggi  notato  di  carattere 
antico  ;  Plebatus  s.  Marini  liabtt 
ecclesias  X.  In  dirlo  Plebatu  est 
Terra  s.  Marini,  ex  qua  dictus  e- 
fjiscopus  Feretranus  habet,  et  con- 
sucvit  ha  bere  conde/nnationes ,  et 
rolligcre  decinias  ab  hominibus.  È 
tradizione,  e  si  ha  per  sicuro,  dice 
il  Fea,  che  gli   uomini  di  Sauu)ari- 


MAR 


75 


no  si  comprassero  per  loro  le  ra- 
gioni di  detto  vescovo;  che  dove- 
vano essere  il  jus-  delle  prime  istan- 
ze delle  cause^  pei  prezzo  già  ac- 
cordato coi  riniinesi.  Quanto  ai 
partiti  guelfi  e  ghibellini  ,  il  Fea 
con  opportuna  osservazione  fatta  dal 
Rotta,  non  conviene  che  l'elemento 
di  tali  fazioni  potesse  aver  luogo  in 
Sanmarino  per  la  sua  piccolezza,  e 
per  i  componenti  l'amministrazio- 
ne. Aggiunge  in  nota  che  il  Ro- 
scoe,  nella  Fila  di  Lorenzo  de'  Me- 
dici y  t.  I,  p.  4>  scrive  che  nel  pri- 
mo tempo  si  dicevano  guelfi  quelli 
che  sostenevano  le  parli  del  Papa 
contro  i  ghibellini  aderenti  agi'  im- 
peratori; ma  che  nei  tempi  suc- 
cessivi, guelfo  si  chiamò  quello  che 
in  qualche  popolare  commozione 
sposava  la  causa  del  popolo.  E  ve- 
rissimo, dice  il  Fea,  che  ogni  cit- 
tà e  paese  intendeva  (àr  la  causa 
piopria  per  la  libertà  e  indipen- 
denza una  dall'  altra  ;  ma  sem- 
pre si  protestavano  dipendenti  sud- 
dite del  Papa,  di  sostenere  le  sue 
parti,  o  a  lui  ricorrevano  per  aiuto, 
e  spesso  a  lui  si  sottomettevano  in- 
teramente per  finire  le  discordie 
interne  :  le  Storie  di  Bologna  di 
Gaspare  Rombaci,  ne  danno  conti- 
nui esempi. 

Legata  la  casa  di  Monlefeltro 
per  gratitudine  al  partito  impe- 
riale, e  vedendo  V  imperatore  Fe- 
derico 11  guerreggiare  in  questi 
monti  coi  ghibellini,  contro  il  Pa- 
pa e  i  suoi  guelfi,  non  potendo  re- 
sture indifferente,  secondo  il  Delfi- 
co, Ugolino  eccitò  lentusiasmo  dei 
sanmarinesi  pel  ghibellinismo.  Ma 
colpito  Federico  H  nel  concilio  ge- 
nerale I  di  Lione  dai^li  anatemi 
del  Pontefice  Innocenzo  IV,  lo  fu 
pure  il  vescovo  Ugolino  partitante, 
e  con  esso  il  comune   di  Sanmari- 


76  MAR 

no  comlaiiualo  uU'inleiUcllo.  Que- 
sto durò  (.lai  l'Jtl?  ^^"^  ^'  '^•49> 
quniidu  in  Perugia  i  conti  di  Mon- 
tef«.'llro,  Ugolino,  i  sanmarinesi  ed 
altri  ftii'ono  ribenedelti  e  re!>lituiti 
alla  coinunione  cattolica.  Non  nu- 
dò giiaii  che  i  ganmarinesi  cogli 
altri  obliarono  le  scomuniche  della 
Chiesa,  ed  essendo  da  loro  bandi- 
ta la  cojicordia,  provarono  in  con- 
segui-n/a  gli  stessi  mali  ond'erano 
afllilto  le  altre  città  italiane.  Il  par- 
tilo dominante  in  questa  terra  fu 
sempre  quello  de'  ghibellini,  soste- 
nuto dai  vicini  baroni,  e  più  de- 
bole essendo  <|uello  de'  guelli ,  si 
trovarono  perciò  questi  quasi  sem- 
[)re  fuoruscili  o  banditi  dalla  pa- 
tria; finché  l'autorità  di  Filippo  ar- 
civescovo di  Ravenna,  se  non  (ine  al- 
meno pose  tregua  tra  le  due  tremen- 
de e  accanite  fazioni.  Considerando  il 
prelato  Sanmariiio  come  luogo  li- 
bero e  indipendente,  quindi  njcno 
soggetto  air  influenza  de'  polenti  , 
nel  12^2  vi  tenne  un  congresso 
per  pacificar  le  parti  che  in  lui 
eransi  compromesse,  ma  non  potè 
ottenere  che  un  armistizio  nel  ge- 
neral consiglio  tenuto  nella  chics.l 
di  questa  pieve,  perchè  l'adunanza 
fu  qtiasi  tutta  formata  dai  ghibel- 
lini. 

I  sanmarinesi  col  loro  vescovo 
Ugolino  tornarono  al  ghibellinismo, 
dimorando  egli  con  loro,  avendo 
fissata  la  sua  residenza  in  San  ma- 
rino ;  ma  il  Papa  lo  depose  dalla 
dignità,  e  sostituì  Giovanni  nella 
cattedra  feretrana,  che  per  essere 
entralo  in  comunione  con  Sanma- 
rino  neir  acquisto  , che  il  comune 
fiece  della  metà  del  castello  o  del 
monte  di  Casole,  ovvero  ratifica  di 
quello  fatto  anteriormente ,  imitò 
l'esempio  del  predecessore  Ugolino 
nella    cessioue    de'  diritti    di    passo 


MAR 
che  avea  fatto  Guidone  da  Cerre- 
to. Nel  medesimo  anno  ia53  i  po- 
chi uomini  del  restante  territorio 
di  Casole,  spontaneamente  si  uni- 
rono con  quelli  di  Sanmarino ,  fi- 
cendo^i  loro  perpetui  castellani  ed 
abitatori  ;  cosi  il  conmne  sanma- 
rinese  potè  dare  una  maggiore  es- 
tensione al  suo  territorio ,  e  nel 
suddetto  anno  si  trova  già  men- 
zione dei  primi  statuti  (dell'origi- 
ne de'  quali  parlammo  all'articolo 
Comuìvita'  o  Comune  )  di  Sanmai  i- 
no,  che  sicuramente  debbono  esse- 
re tra  i  più  antichi  d'  Italia.  Nel 
1277  Rodolfo  d' Absburgo  re  dei 
romani  confermò  al  Papa  Nicolò 
III  le  donazioni  fatte  dagl'  impe- 
ratori suoi  predecessori,  compresa 
la  Romagna,  onde  poi  il  comune 
sanmarinese  Solfrj  dei  distiu'bi  nel 
possesso  della  sua  libertà  ed  indi- 
pendenza, e  dalle  pretensioni  dei 
vescovi  feretrani,  onde  si  conferma- 
rono nel  partilo  ghibellino  ,  come 
pretende  il  Delfico  che  usa  tali  e- 
spressioni.  I  vescovi  feretrani  aven- 
do in  Sanmarino  la  loro  casa  nel 
luogo  ìi  pili  fortificato,  cioè  nel  gi- 
rone del  monte  della  Guaita ,  il 
Comune  cedetle  loro  in  vece  altre 
case  in  luogo  di  quella.  Costuman- 
dosi in  quei  tempi  tenere  i  gene- 
rali parlamenti 'ne'  capoluoghi,  tal- 
volta Sanmarino  intervetuìe  a  quelli 
tenuti  dal  podestà  di  Montefeltro 
o  delle  terre  della  chiesa  feretra- 
na, contribuendo  prestazioni  e  col- 
lette imposte  dal  geneial  parlamen- 
to o  dal  podestà  delle  medesime; 
secondo  il  Delfico  non  dev|&  trarse- 
ne  argomento  di  giurisdizione  o 
dipendenza,  poiché  il  presentarsi 
alle  assemblee  era  pel  sostegno  del  - 
la  causa  comune,  tanto  piìi  ch'es- 
scuilo  il  comune  sanmaiinese  ad- 
detto al  ghibellinismo,  d  quale  era 


MAR 
quasi  genernlmente  il  partito  fere- 
trano,  non  poteva  fare  a  meno  <li 
coalizzarsi  coi  suoi  simili.  Come 
ghibellino,  il  comune  aderiva  a 
Guido  di  Montefeltro  cnpoparle  di 
tal  partilo,  ma  i  discordi  citta- 
dini seguivano  Io  stendardo  guel- 
fo sotto  quello  di  Mala  lesta,  men- 
tre i  parenti  d'ambedue  parteggia- 
vano per  le  opposte  fazioni.  Dopo 
molte  vicende  Guido  scomunicalo 
da  Martino  IV  e  sconfitto  dal  suo 
rettore  di  Romagna  d'Apia  (delle 
gesta  del  quale  trattammo  all'ar- 
ticolo Forlì),  già  da  lui  vinto, 
portatosi  in  Sanmarino,  questo  luo- 
go divenne  quasi  il  nido  e  il  pro- 
pugnacolo de'ghibellinisti,  e  vi  si  ri- 
parò pure  Parcitade  ministro  per 
l'imperatore  debellalo  dal  Malate- 
sta.  Parcitade  passò  in  Venezia,  e 
Guido  si  fece  francescano  in  An- 
cona. L'attaccamento  del  comune 
per  Guido  strinse  la  piti  amiche- 
vole corrispondenza  colla  famiglia 
di  Montefeltro  de'  signori  di  Ur- 
bino, e  sotto  sì  valente  capitano  i 
sanmarinesi  appresero  meglio  il  me- 
stiere delle  armi.  Della  costante 
confederazione  colla  casa  Feltria  si- 
no all'estinzione  della  famiglia,  ve 
n'è  pubblico  monumento  sulla  por- 
ta maggiore  della  città  di  Sanma- 
rino, dove  si  vedono  a  paro  collo- 
cate di  antica  scoltura  l'arma  di 
Sanmarino,  cioè  le  tre  torri  colle 
penne,  e  quella  più  antica  de'  conti 
di  Urbino  e  della  città  medesima , 
cioè  un'aquila  ardita  colle  ali  spie- 
gate, la  quale  si  vede  ripetula  in 
altri  luoghi  ancora. 

Dopo  la  pace  generale  di  Ro- 
magna, in  cui  fu  escluso  il  conta- 
do di  Montefeltro  ,  ma  non  pare 
Sanmarino,  il  Delfico  racconta  che 
inviando  la  santa  Sede  i  magistrati 
supremi  io  Romagna,  Teodorico  vi- 


MAR  77 

cario  nel  contado  di  Montefélho 
d'ildebrandino  vescovo  d'Arezzo  e 
rettore  della  provincia  di  Roma- 
gna, intimò  alla  comunità  di  San- 
marino di  pagar  la  contribuzione 
dei  soldo  pel  suo  salario.  I  sanma- 
rinesi ricusando  di  pagare,  a  c.i- 
gione  della  loro  libertà,  si  compro 
mise  la  causa  nel  giureconsulto  Pa 
lamede  de  Herri,  giudice  di  Rimi- 
no; e  Teodorico  liconosciut.a  la 
giustizia  delia  negativa  de'  san- 
marinesi, si  recò  egli  slesso  a  San- 
marino a  pubblicar  la  sentenza  del- 
la loro  assoluzione  ed  esenzione , 
perchè  liberi  ed  esenti  da  qualun- 
que esteriore  superiorità.  Non  andò 
guaii  che  nel  1^-96  pretese  somi- 
glianti a  quelle  di  Teodorico  af- 
facciarono i  podestà  feietrani,  per 
cui  i  sanmarinesi  ricorsero  al  Pa- 
pa Bonifacio  VIIT,  il  quale  com- 
mise la  causa  ad  Uguccione  di  Ver- 
celli suo  cappellano,  e  a  Teodorico 
suo  camerlengo ,  giudici  dei  snero 
palazzo,  e  questi  subdelegarono  Ra- 
nieri abbate  del  vicino  monastero 
di  s.  Anastasio.  Si  difesero  i  san- 
marinesi dinanzi  al  giudice ,  con 
esame  di  testimoni  da  loro  prodot- 
ti, i  quali  concordemente  deposero 
che  il  comune  avea  sempre  goduto 
per  costante  tradizione  della  libertà 
fino  dai  tempi  de  santo  fondatore. 
Renchè  non  siavi  documento  co- 
me terminò  la  disputa  coi  podestà 
di  Montefeltro,  si  ritiene  dal  Del- 
fico che  il  giudicato  dell'abbate  di 
s.  Anastasio  fosse  coerente  alla  giu- 
stizia ed  al  precedente  giudicato. 
Nel  i3oo  per  l'altra  pace  generale 
di  Romagna,  potè  re!«puare  calma 
anco  Montefeltro,  o  a  meglio  di- 
re sospensione  di  ostilità.  Nel  con- 
gresso, che  seguì  in  s.  Leo  per  la 
pacificazione  di  Montefeltro ,  con 
l'intervento  anche  del    comune  di 


7«  MAR 

Sjìiìtìinrino,  in  cui  il  vescovo  iWr- 
Irano  Uhnlo  rinuncia  a  tulle  le 
liti  e  queslinni  mosse  contro  ni  del 
to  comune,  sì  nella  cnrin  romana, 
cl»e  plesso  i  delegati  della  mede- 
sima, ma  con  n  lei  me  clausole  ed 
il  pagamento  di  mille  lire  per  tran- 
sazione, in  cui  dovette  concorrere  an- 
che Sanniarino.  Verso  questo  tem- 
po fn  compilato  il  secondo  statuto, 
ove  non  più  consoli,  ma  capitani 
e  difensore  sono  nominati  ,  tenen- 
dosi però  ferme  le  attribuzioni  con- 
solari ai  nuovi  magistrati.  Vennero 
dunque  aboliti  i  nomi  di  difensori 
del  popolo^  cui  si  sosliluirono  i  àiie 
capitani,  quindi  ebbe  luogo  il  giu- 
ramento prestato  dai  magistrati  ad 
onore  e  stabilimento  del  castello  di 
San  marino,  senza  commemorazione 
di  superiori  rapporti.  Nel  i3o3 
comparvero  in  Sanmarino  alcuni 
individui  in  qualità  di  audiascialori 
della  chiesa  feretrana,  i  quali  dan- 
do sospetto  d'essere  emissari  guelfi, 
ftnono  imprigionati  da  alcuni  piti 
ardili  ghibellini:  la  comime  li  punì 
col  banilo,  poiché  per  eccesso  di 
7.elo  avevano  violato  il  diritto  delle 
genti,  ad  onta  che  non  sembras- 
sero ingiusti  del  tutto  i  loro  so- 
spetti. 

Nuovi  acquisti  di  fondi  pubblici 
fece  il  comune  che  in  questo  tem- 
po fece  edificare  la  sua  casa,  che 
fu  il  primo  palazzo  pubblico,  dive- 
nendo sempre  più  il  luogo  impor- 
tante e  castello  fortissimo,  perciò 
vagheggiato  dai  guelfi,  ed  in  ispe- 
cie  dai  Malatesta.  Uberto  vescovo 
di  Montefellro  adontato  dell'albon- 
to  fatto  ai  suoi  ambasciatori,  mosse 
guerra  ai  sanmarinesi,  che  pugnan- 
do prosperamente,  gli  conquistaro- 
no Montemaggio,  Tausana  ,  Mon- 
tefotongo,  ed  altre  feretrane  castel- 
la, disprezzando  le    scomuniche  di 


M  A  lì 

cui  li  fulminò,  e  quelle  ancora  del 
successore  Benvenuto.  Con  questo 
poi  si  pacificarono  a'  iG  settembre 
iS^o,  restituirono  i  castelli  occu- 
pali, e  furono  assolti  dalle  censu- 
re. Malijfrado  questo  trattato,  si  ri- 
mase sempre  nell'incertezza  dei  van- 
tati diritti  della  chiesa  feretrana,  al 
uìodo  di  esprimersi  del  Delfico,  Gli 
uomini  di  Busiijnano  domandarono 
la  castellanza,  ossia  l'unione  loro  co! 
comune  di  Sanmarino,  che  venuta 
ad  essi  concessa;  protestando  però 
di  non  voler  essere  soggetti  a  quei 
diritti  che  pretendessero  sui  sanma- 
rinesi il  vescovo  feretrano  o  di  s. 
Leo.  Racconta  il  F'ea,  a  p.  yr,  che 
ritrovandt)si  la  chiesa  di  Montefel- 
tro  in  pacifico  possesso  della  giu- 
risdizione su  Sanmarino,  ne  fu  spo- 
gliata da  Federico  1  conte  di  Mon- 
tefellro. Però  Papa  Giovanni  XX.I1, 
con  breve  dato  da  Avignone  nel 
i3i8,  ordinò  al  rettore  di  Roma- 
gna perchè  operasse  in  modo,  che 
il  castello  di  Sanmarino  spettante 
al  vescovo  di  Montefeltro,  fosse  ri- 
lascialo e  restituito  a  quel  vescovo, 
siccome  ne  eseguì  la  consegna,  proiit 
in  libro  secret,  e/'usdem  Pontijicis 
fol.  139.  Nel  i32r  il  vescovo  Ben- 
venuto vedendosi  impotente  di  di- 
fendere il  castello  di  vSanmarino  dal- 
l'ingordigia e  pretese  del  suddetto 
Federico  I,  ricorse  al  medesimo  Papa 
Giovanni  XXII,  chiedendogli  licenza 
di  poter  vendere  o  permutale  le  giu- 
risdizioni e  diritti  della  chiesa  fere- 
trana sopra  il  castello  o  rocca  del- 
la Penna  di  Sanmarino,  e  cederli 
alla  città  di  Rimino,  vale  a  dire 
ai  Malatesta,  allegando  per  motivo 
la  potenza  di  Federico  I  da  Mon- 
tefellro ,  che  occupava  il  castello, 
per  cui  ni  un  reddito  o  poco  pote- 
va trarne  la  sua  chiesa.  Giovanni 
XXll  però  con  suo    breve    ordinò 


MAR 

nd  Almerico  di  Castrolnce  rolloie 
di  Romagna  e  poi  cardinale,  d'in- 
formarsi del  vantaggio  di  tal  per- 
muta per  la  cljiesa  feretrana,  e  ve- 
rificar l'esposto,  poiché  non  era  ve- 
ro che  il  vescovo  avesse  invaso  il 
costello  e  la  rocca  di  Sanmarino, 
dichiarandosi  signora  del  comune  la 
sede  feretrana  ;  il  perchè  poi,  secon- 
do il  Delfico,  il  contratto  non  ebbe 
luogo,  dovendolo  acquistare  i  rimi- 
ncsi  per  quatlordicimila  lire  di  bo- 
lognini,  rcservatis  jiirihus  .sonctae 
romana  Ecclesìae,  secondo  la  pre 
scrizione  di  Giovanni  XXII  su  Pen- 
vae  s.  Marmi.  1  sanmarinesi  per 
l'uccisione  avvenuta  in  una  sedi- 
zione di  Federico  I  conte  di  Ur- 
bino, rimasti  privi  di  appoggi ,  a 
mezzo  del  loro  sindaco  fecero  pace 
coi  Malatesta  di  Piimino,  confede- 
randosi pure  colla  ciltà  ;  e  Speran- 
za da  Monte  feltro,  zio  e  cugino  del 
defunto,  si  rifugiò  in  Saumaiino, 
ricuperando  poi  gli  slati  felUeschi 
coir  aiuto  de' sanmarinesi  ,  sempre 
attaccati  all'amica  famiglia  Fellria. 
Per  aver  favorito  i  sanmarinesi  il 
morto  conte  Federico  I,  dichiarato 
dalia  santa  Sede  ribelle  ed  eretico, 
furono  pur  essi  tenuti  per  suoi  fau- 
tori ed  eretici,  e  perciò  incorsi  nel- 
le sentenze  d'interdetto  e  scomu- 
nica; il  perchè  Giovanni  XXH  con 
breve  del  5  agosto  i39,3  auloiizzò 
il  suddetto  rettore  Almerico,  me- 
diante ammenda  e  cauzione,  che  li 
assolvesse  da  ogni  censura  e  pena , 
dovendo  ritornare  alla  divozione  e 
fedeltà  della  Chiesa.  11  dotto  car- 
dinal Garampi  riminese,  che  fu  pre- 
fetto degli  archivi  pontificii  vali- 
cano e  di  Castel  s.  Angelo,  nelle 
Memorie  istor.  p.  5'?^.,  riferisce  che 
Sanmarino  fu  già  della  chiesa  di 
Monlefeltro,  dalla  quale  fu  vendu- 
to nel   i323  al  comune  di  Rimiui 


IVI  A  a  'ji) 

per  quattoi'dicimila  lire  ravennati  , 
con  istromcnto  prodotto  dal  Cle- 
menlini,  Rac.  istor.  de'  Malatcsla 
t.  Il,  p.  9j  e  che  la  facoltà  data 
per  la  fletta  vendita  al  rettore  Al- 
merico da  Giovanni  XXII ,  appa- 
risce da  una  sua  lettera  in  data 
d'Avignone  il  novembre  i37,2, 
Rcg.  secr.  anni  VII,  p.  i3^;  indi 
avverte  che  tal  somma  equivaleva 
a  6364  fiorini  d'oro,  presso  a  poco 
del  peso  e  lega  de'  nostri  zecchini. 
Aggiunge,  che  poco  durò  il  castello 
di  Sanmarino  in  mano  de'  riminesi, 
raccogliendosi  dai  libri  della  caoie- 
ra  apostolica  di  Urbano  V  eletto 
nel  136?,  che  pagava  ogni  anno 
alla  medesima  lii-e  (^5,  soldi  6,  de- 
nari 9  per  le  Tall'c.  Il  caidinal 
Anglico  Giimoardi,  fratello  di  detlo 
Papa,  ci  assiema,  che  nel  iSyr 
pagava  anche  le  fimantcrie  (di  cui 
parlammo  all'articolo  Dogane), 
riconosceva  la  santa  Sede  ne'  par- 
lamenti, e  obbediva  al  vicariato  di 
Montefellro.  Martmo  V  nel  i4i**^ 
concesse  a  Giovanni  della  Serra  da 
Gubbio  tutti  i  proventi  che  la  ca- 
mera apostolica  allora  riscuoteva  in 
Sanmarino,  lib.  I  de  Cur.  p.  207; 
ma  in  appresso  dichiara  il  Garampi 
che  non  ne  trovò  più  menzione.  Sog- 
giunge il  Fea  a  p.  j^,<ihe  se  non 
fossero  stali  i  sanmarinesi  sudditi 
della  santa  Sede,  Giovanni  XXII 
nella  bolla  de'  3  agosto  1  828^  pe»' 
quella  adesione  e  sottomissione  al 
Malatesta  signore  di  Rimini,  non 
gli   avrebbe  nominati   rcbelles. 

Nel  i332  i  sanmarinesi  vennero 
a  convenzione  con  Rimino  per  le 
collette  arretrate  imposte  sui  loto 
beni  nell'agro  riminese,  mediante  lo 
sborso  di  cinquecento  lire.  Nel  i^38 
per  evitare  qualunque  sorpresa  o 
tradimento,  con  legge  fu  stabilito 
non  far  accostare  alla  terra  perso- 


8o  MAR 

ne  nobili  e  polenti  ;  tuttavolta  nel 
dello  anno  si  recò  a  Sanmarino  U- 
bellino  da  Carraia  signore  di  Pa- 
dova, mosso  a  far  guerra  contro  i 
Malatesta  di  Rimino,  come  amico 
dei  Feltrii.  A  quest'epoca  il  ve- 
scovo Benvenuto,  esule  dalla  pro- 
pria sede,  si  abbandonò  alla  gene- 
rosità de'sanmarinesi,  come  dice  il 
Delfico,  ricercandone  l'ospitalità,  e  ne 
ebbe  la  più  lusinghiera  accoglienza, 
malgrado  le  precedenti  inimicizie , 
e  vi  lasciò  poi  le  spoglie  mortali 
nel  i35o.  Similnjente  a  tale  epo- 
ca Benedetto  XH  restituì  al  grem- 
bo della  Chiesa  i  santnarinesi,  col 
solo  mezzo  delle  spirituali  e  formo- 
lari  purgazioni.  Fu  fondato  l'ospe- 
dale di  s.  Maria,  e  disposta  la  fon- 
dazione del  convento  dell'ordine  dei 
servi  di  Maria,  di  s.  Maria  in  Val- 
dragone,  per  testamentaria  disposi- 
zione di  messer  Gambalesti.  A  Ben- 
venuto successe  nel  vescovato  Car- 
lo Peruzzi;  e  siccome  la  città  di  s. 
Leo,  solita  residenza  episcopale,  era 
ancora  occupata  dai  Feltreschi  ghi- 
bellini, i  quali  estendevano  il  loro 
potere  sopia  quasi  tutta  la  diocesi, 
quindi  forse  non  trovò  altro  ripa- 
ro che  nei  soli  uomini  liberi  che 
allora  avesse  questa  regione,  por- 
tandosi a  risiedere  in  Sanmarino, 
dando  al  comune  in  affitto  tutti   i 


diritti 


,  esazioni  e    pigioni 


che 


mensa  vescovile  possedeva  nel  ter- 
ritorio. A*  4  aprile  i353  solenne- 
mente si  pubblicarono  i  nuovi  sta- 
tuti, correggendo  o  modificando  gli 
anteriori,  rendendoli  analoghi  alle 
circostanze.  Frattanto  Innocenzo  VI 
nel  1 354  mandò  nello  stato  eccle- 
siastico per  legato  il  celebre  cardi- 
nal Egidio  Albornoz,  per  debella- 
re quelli  che  ne  avevano  usurpato 
le  signorie.  Rapidamente  ricuperò 
le  terre  della  Chiesa ,  lasciò    tran- 


MAR 
qullli  i  sanmarincsi ,  e  solo  vello 
che  la  loro  fortezza  non  fosse  cu 
stodita  da  armi  Feltresche,  fincht; 
la  Chiesa  non  si  fosse  assicurala 
della  fedeltà  de'  signori  di  Urbino 
e  di  Rimino:  aggiunge  il  Delfico  chr* 
si  arrogò  la  custodia  della  terra  di 
Sanmarino  in  un  trattato  coi  conti 
di  Montefeltro,  ma  probabilmente 
la  custodia  della  rocca  sarà  rimasta 
a  disposizione  del  comune  stesso,  co- 
sì scrivendo  quello  storico;  laonde 
il  Fea  dichiara,  che  invece  i  san- 
marincsi ricorsero  poi  al  medesi- 
mo legato  per  provare  i  loro  pri- 
vilegi avuti  dalla  stessa  Sede  apo- 
stolica, farli  confermare  ed  esten- 
dere, confessandone  in  certo  modo 
la  dipendenza.  Eppure,  aggiunge  in- 
oltre lo  stesso  Fea,  da  taluno  si  volle 
poi  chiamare  Roma  e  la  santa  Sede, 
rispetto  a  Sanmarino,  potenza  este- 
ra; mentre  dalla  beneficenza  de'Papi 
i  sanmarinesi  ottennero  anche  il 
privilegio  di  eleggersi  i  capitani  e  gli 
altri  offiziali,  colla  facoltà  ad  essi 
capitani  annessa  di  giudicarli  e  reg- 
gerli. Nel  i358  i  sanmarinesi  pre- 
sero in  affitto  dal  vescovo  Peruzzi 
le  rendite  di  tutta  la  sua  diocesi  per 
cinquecento  fiorini.  Indi  il  cardinale 
Albornoz  pei  crediti  che  avea  col 
vescovo,  ordinò  ai  sanmarinesi  che 
a  lui  si  pagasse  quanto  restavano 
debitori  per  l'affitto,  minacciando 
di  scomunica  il  comune,  il  quale 
invocando  l'intercessione  dei  Fel- 
trii, ottenne  dilazione.  Successe  una 
contesa  di  rinnovate  pretensioni  in- 
torno all'  indipendenza  e  libertà 
di  Sanmarino,  che  recò  in  dubbio 
Giberto  da  Correggio  rettore  di 
Romagna;  ma  non  tardò  a  per- 
suadersi del  vero,  e  fece  dipoi  ta- 
cere Giovanni  Levalossi  podestà  di 
Montefeltro,  che  resuscitava  le  stes- 
se controversie,    volendo   obbligare 


MAR 
il  comune  a  rendere  ragione  della 
sua  inobbedienza  alla  Chiesa  ro- 
mana, per  averne  assunto  la  signo- 
ria, e  per  accettare  in  capitani  e  vi- 
cari i  mandati  dai  conti  di  Urbi- 
no cui  prestavano  aiuto.  Con  sen- 
tenza de'  25  agosto  i36o,  Leva- 
lossi  riconobbe  l'indipendenza  di 
Sanmariuo,  stando  al  narralo  del 
Delfico. 

Nel  1 36 1  i  religiosi  di  s.  Fran- 
cesco dal  remoto  e  selvatico  luogo 
ove  si  trovavano,  esposti  perciò 
ai  disturbi  delle  guerre,  a  van- 
taggio ancora  de'  fedeli  si  trasfe- 
rirono vicino  al  castello.  Ebbe  luo- 
go nel  1 36G  la  pace  de*  sanraari- 
nesi  coi  Malatesta  di  Rimino,  e 
furono  costretti  per  non  provocar 
lo  sdegno  del  cardinal  Albornoz, 
a  sussidiare  l'esercito  pontificio  con- 
tro i  Feltreschi,  e  concorrere  alla 
rovina  di  s.  Leo,  per  la  cui  cadu- 
ta i  Feltreschi  se  ne  risentirono  as- 
sai. Il  vescovo  Peruzzi  nel  1367 
operò  presso  il  cardinal  Androino 
Albert  legato,  per  essere  riconosciu- 
to signore  di  quasi  tutto  il  Monte- 
feltro  in  un  a  Sanmarino  :  fu  inten- 
tata lite  formale,  che  i  sanmari- 
nesi  sostennero  con  somma  fatica, 
ma  il  legalo  fece  loro  giustizia,  ri- 
gettando la  domanda  del  vescovo, 
e  riconoscendo  immune  il  territo- 
rio repubblicano.  Allora  il  vesco- 
vo rinunziò  solennemente  a  tutte 
le  azioni  mosse  contro  i  diritti  e 
l'indipendenza  di  Sanmarino,  ed 
ottenne  dal  comune  la  pace  ;  anzi 
nell'alto  della  visita  pastorale  di- 
chiarò che  quanto  era  per  fare  do- 
lesse ritenersi  innocuo  a  ledere 
qualunque  diritto  de'  sanmarinesr, 
i  quali  in  questo  tempo  godevano 
pieno  esercizio  di  autorità  nel  ter- 
ritorio, il  potere  giudiziario  eser- 
citandosi dai  capitani,  perchè  nori 

VOL.     XLIII. 


MAR  Si 

vollero  per  più  secoli  podestà  fo- 
rastiet'i,  i  quali  sovente  furono  di 
gran  pregiudizio  alla  libertà  delle 
città  d'Italia;  quindi  emanavano 
leggi  e  sentenze  capitali,  che  pub- 
blicavansi  nel  general  consiglio  po- 
polare. Reggendo  intanto  la  Ro- 
magna il,  cardinal  Anglico  Gri- 
moardi,  quale  legato  del  fratello 
Urbano  V,  nel  general  parlamen- 
to  tenuto  in  Urbino  stabili  le  ta- 
glie o  imposte  per  la  guerra,  nel- 
la quale  ebbero  parte'  -anco  i  san- 
marinesi,  e  come  loro  amico  pre- 
se particolar  cura  delle  loro  cose, 
ed  acquietò  le  differenze  insorte 
colla  terra  ora  città  di  s.  Arcan- 
gelo. Altra  solenne  testimonianza  di 
questo  libero  stato,  la  reseli  cardi- 
nal Anglico  divenuto  vicario  gene- 
rale pontificio  in  Italia  nelle  eccle- 
siastiche terre,  quando  ne  formò 
un  esatto  censimento  nel  1371  col 
cardinal  Stagno  legato  di  Roma- 
gna, come  l'interpreta  il  Delfico; 
ma  invece  il  Fea  a  p.  72  rimar- 
ca che  nella  detta  descrizione  dei 
luoghi  dello  stato  ecclesiastico,  ri- 
portandone il  testo  intero,  è  na- 
talo in  modo  particolare  il  castel- 
lo di  s.  Marino,  come  uno  del  vi- 
cafìato  di  Montefeltro,  cui  obbedi- 
vano gli  uomini  di  Sanmarino,  am- 
ministrandovi la  giustizia  elicile  e 
eliminale  due  celpitani  da  loro  e- 
letti.  Il  dotto  Giambattista  Mari- 
ni ,  Saggio  di  ragioni  dèlia  città 
di  s.  Leo  poi  Montefeltro^  a  pag. 
jS  e  seg.,  dà  intera  la  descrizione 
del  vicariato  di  Montefeltro  ne'me- 
si  di  ottobre  e  novembre,  d'ordine 
del  cardinal  Anglico,  estralta  dal- 
l'originale dell'archivio  vaticano., 
Quanto  alle  furiianlerie  o  collet»- 
te  per  la  guerra,  6ome  le  chia- 
ma il  Delfico^,  secondo  tale  scritto^ 
rC)  si  |)agavaiìo  dai  «sanmarinesr  cól 
6 


gì  MAR 

reslo  della  provincia  del  Monlofcl 
Irò  con  cui.  era  comune  la  difesa , 
lua  senza  pregiudizio  della  loro  au- 
tonomia, cioè  del  diritto  di  gover- 
narsi colle  proprie    leggi,     escluso 
ogni  dominio  straniero;  perciò  essi, 
al  dir  di  lui,  andavano  ai    parla- 
menti. Continuando  il  cardinal  An- 
glico la  guerra  contro  i    Feltreschi 
già  espulsi  da  Urbino,  ebbe  com- 
passione di  alcuni   individui    della 
famiglia,  mentre  i  sanmarinesi  do- 
veano  continuare  a   prestar    i   loro 
sussidii    nell'esercito  della    Chiesa, 
contro  gli  antichi  amici.  Il  cardi- 
nal Stagno  mostrò  stima  e   bene- 
volenza   pei    sanmarinesi,    e    con- 
cesse ad  essi  libera  tratta    delle  lo- 
ro entrate  e  rendite  dal  contado. 
Ad  istigazione  del  vescovo    Pe- 
ruzzi  e  del  podestà  di  Montefeltro 
Bartolomeo  da  Brescia,   nel    1875 
Giacomo     Pelizzano     sanmarinese 
si  ricopri  di  obbrobrio,  perchè  se- 
dusse vari  complici  a  danno  della 
patria,  onde  per  la  congiura  se  ne 
dovea    consegnare    il    reggimento 
colla  fortezza  al  vescovo.    Per  av- 
ventura si  discoprì  il    tradimento, 
Giacomo  fu  impiccato,  e  gli    altri 
puniti  proporzionatamente.    Intan- 
to il  conte   Antonio    di    Montefel- 
tro   rientrò    in    possesso    del    suo 
contado  e   della  città    di    Urbino; 
reintegrò  subito  di  sua  amicizia  i 
sanmarinesi,  continuandosi  la  guer- 
ra coi  Malatesta,  che  restata    sos- 
pesa   nel   i38i   riarse   nel     iSgo. 
In  questo  anno  per  la  disfatta  sof- 
ferta dai  Malatesta  per   opera  dei 
bolognesi,  si  trovarono   costretti  a 
ripararsi  in  Sanmarino,  e  fecero  un 
contratto  cogli  abitanti  pel  sale  di 
Cervia    di  cui   abbisognavano.    A 
premura  di  Bonifacio  IX    si  con- 
chiuse la  pace  nel  iSgi   tra  i  Ma- 
latesta e  il  conte  Antonio  d'Urbi - 


MAR 
no,  per  cui  si  rese  piìi  durevole 
col  primo  la  concordia  de'sntima- 
rinesi.  11  vescovo  di  Montefeltro 
Benedetto  pe'suoi  talenti  giunse  al- 
le cari»  he  di  tesoriere  e  rettore 
pontificio  di  Romagna,  e  propose 
a  Bonifacio  IX  la  riunione  della 
signoria  temporale  di  Sanmarino 
nei  vescovi  feretrani,  onde  spe- 
gnervi gli  antichi  odi  e  inimicizie; 
ma  sebbene  il  Papa,  come  si  espri- 
me il  Delfico,  temporaneamente  vi 
acconsentisse,  concedendo  in  un 
suo  breve  la  plenaria  giurisdizione 
sui  sanmarinesi,  derogando  ad  ogni 
atto,  diploma  o  privilegio,  tutta- 
volta  la  minaccia  non  si  mandò 
ad  effetto  che  nominalmente,  es- 
sendosi mantenute  colle  patrie  leg- 
gi le  magistrature  ;  indi  i  conti  di 
Urbino  allontanarono  ancor  que- 
sto turbine  colla  loro  opportuna 
interposizione,  calmando  il  risenti- 
mento del  Pontefice.  Il  Fea  a  p. 
73  riporta  un  brano  della  bolla 
di  concessione,  data  in  Roma  a' 5 
maggio  1398,  ove  parlando  Bo- 
nifacio IX  dei  sanmarinesi  abitan- 
ti del  castello  di  Sanmarino,  que- 
sto lo  chiama,  ad  nos  et  roma' 
nani  Ecclesiam  pieno  jure  perii- 
nentis.  E  con  altre  lettere  aposto- 
Hche  sotto  la  stessa  data  dirette 
Universitati  et  massariis  Castri  s. 
Marini  feretranae  dioecesisy  coman- 
dò loro  che  riconoscessero  Bene- 
detto in  rettore  a  beneplacito  del- 
la Sede  apostolica,  e  l'obbedissero, 
altrimenti  sarebbero  considerati  ri- 
belli. Al  che  il  Fea  aggiunge,  che 
nel  i636  quasi  tutte  le  case,  orti 
e  siti  ch'erano  in  Sanmarino,  era- 
no date  in  enfiteusi  e  si  atteneva- 
no al  vescovo,  e  ne  pigliavano 
rinvestitura  pagandone  il  canone. 
Già  fino  dal  1396  si  compirono 
le  fortifìcazioui  nel  luogo  dello  la 


i 


MAR 

Fratta  j  colla  chinsma  della  Frat- 
ta, due  delle  tre  punte  Titaniche, 
dette  Monte  della  Guaita  e  Mon- 
te della  Cesta  o  Gista  rimasero 
fortificate:  né  erasi  trascurato  cor- 
redare di  molti  lavori  il  luogo 
chiamato  il  Cantone.  Sanmarinodiè 
aiuto  di  gente  e  denaro  a  Giovanni 
Ordeladì  signore  di  Forlì,  e  fece 
doni  al  conte  Antonio  di  Urbino  per 
le  nozze  del  figlio.  Nel  secolo  XV 
lo  slato  politico  fu  meno  torbido  e 
retrogrado,  malgrado  i  disastri  por- 
tati dai  resti  del  ghibellinismo  e 
di  quelli  degli  altri  stati  italiani  ; 
si  conservarono  le  uìigliori  leggi, 
si  accrebbero  le  forze  ed  aumen- 
tossi  la  popolazione.  Nello  scisma 
di  Benedetto  XIII  antipapa,  Gre- 
gorio XII  nel  i4o8  si  recò  dai 
suoi  amici  Malatesta  in  Rimino, 
ed  i  sanmarinesi  si  regolarono  se- 
condo i  consigli  di  Guido  Antonio 
di  Urbino,  indi  nel  i4i5  riceve- 
rono distinte  onoiificeuze  dai  vari 
signori  di  Romagna.  Non  si  lascia- 
rono però  indurre  da  Carlo  Ma- 
latesta ad  impegnarsi  in  una  guer- 
ra col  famoso  Braccio  da  Monto- 
ne, che  vinto  Carlo  entrò  in  guer- 
ra col  conte  Guido,  e  progettò  sor- 
prendere i  sanmarinesi  che  colla 
vigilanza  il  delusero,  e  poscia  si 
tranquillarono  pel  trattato  di  pa- 
ce tra  Braccio  e  il  conte.  Nel 
\^ii  se  ne  fece  altro  de' sanma- 
rinesi col  Malatesta,  mentre  il  con- 
te Guido  continuamente  dava  lo- 
ro testimonianze  di  affetto,  che  mai 
sempre  furono  corrisposte.  Non  in 
detto  anno,  come  scrive  il  Delfi- 
co, ma  nel  1426  Martino  V  coii 
sua  bolla  degli  8  luglio  coticesse 
ai  sanmarinesi  il  privilegio  delle 
seconde  istanze^  osia  la  facoltà  di 
nominare  giudici  di  appello,  essendo 
^lercio   a   lui    ricorso    il    comune, 


MAR  83 

per  il  che  derogò  espressamente 
allo  statuto  della  Romagna.  Nel 
principio  della  bolla  si  legge:  Di- 
lectìs  filiis,  universitati  ttnac  no- 
strae  s.  Marini  Feretranae  dioecc- 
f}i s  univcrsorwn  supplicati onihus  in- 
clinati^ vohis  a  primis  sententiìs 
hiifusnwdi  ad  diios  probos  viros 
idoncos  per  vos  prò  tempore  ad 
hoc  eligendoSf  et  deputandos  ap- 
pellare liceat.  Restava  adunque  la 
terza  istanza  alla  corte  generale 
di  Romagna,  e  libero,  secondo  il 
diritto  canonico,  il  ricorso  al  Pa« 
pa,  e  non  impedirlo  e  denegarlo 
con  condanne  e  confiscazioni,  co- 
me segui  con  esempli  che  produ- 
ce il  Fea.  11  citato  Marini  a  pag. 
19  riferisce,  oltre  all'ordinato  e 
riservato  accesso  al  general  parla 
mento,  la  riserva  che  si  legge  in 
due  consimili  brevi  di  Bonifazio 
IX  a  favore  dei  Malatesta  sotto 
gli  anni  iSgo  e  iBgg.  Cuìus  la- 
mem  omnium ^  et  singularutii  ap- 
pellationum,  ^c  nullitatum  qua- 
rumlibet  lani  criminaliuni ,  quam 
cìviliuniy  et  alia  quaelibet  superio' 
ritatis  fura  nohis,  et  successorihus 
nostris,  et  legatis^  ac  rectoribus 
provinciarum  nostrarum  Roman- 
diolac,  Marchiae  AnconitanaCj  et 
Massae  Trabariae^  qui  sunt,  et 
erunt  prò  tempore^  et  specialitev 
retinemus,  ac  elìani  reservamus. 
Con  ciò  Bonifacio  IX  e  Martino  V 
vollero  da  Saumarino  un  atto  di 
obbedienza  e  di  soggezione  al  di- 
retto e  sovrano  dominio  della  Se- 
de apostolica.  Qui  cade  in  accon- 
cio •  il  riflettere  col  Fea^  che  lo 
statuto,  per  attestato  di  monsignor 
Enriquez,  nome  caro  ai  sanmari- 
nesi, come  vedremo,  non  porta 
approvazione  di  alcun  Papa,  ma 
soltanto  per  reclores  provi nciae  Ro- 
mandìolae  in    ìpsa  provincia    prò 


84  MAR 

sancta  romana  Ecclesia  deputatusj 
prova  insieme  questa^  non  sola- 
mente di  sudditanza  alla  santa  Se- 
de, ma  di  soggezione  al  suo  lega- 
to di  Romagna.  Anche  in  tempo 
di  pace  Sanmarino  fece  esercitare 
i  cittadini  alla  milizia  sotto  il  con- 
te Guido  od  altri  condottieri.  Per 
la  morte  di  Martino  V  nel  i43i 
ad  insinuazione  del  conte  i  san- 
marinesi  si  posero  in  difesa,  per 
le  guerre  che  si  temevano.  Scop- 
piò nel  1438  quella  dei  Feltre- 
schi  e  dei  Malatesta,  e  pei  primi 
parteggiò  Sanmarino,  finché  Ni- 
colò Piccinino  pacificò  gli  animi; 
e  per  le  nozze  di  Federico  figlio 
del  conte  Guido,  furono  invitati  i 
deputati  del  comune. 

Dal  conte  Guido  nel    i44o    T" 
concessa  esenzione    d'ogni    colletta 
e  peso  straordinario  sulle  terre  pos- 
sedute dai  sanmarinesi  sul  Monte- 
feltro;  ma   nella  guerra  che  il  con- 
te di  nuovo    irruppe    coi    Malate- 
sta,  tardi  vi  presero  parte  i    san- 
marinesi, buona  essendo  la  corris- 
pondenza col  giovane  Federico  di 
Urbino.    A  mediazione    del    conte 
Alessandro  Sforza    signore    di  Pe- 
saro, nel   i44^    l"  fatta    la    pace, 
in  seguito  della  quale   Sigismondo 
Malatesta  accordò  l'  esenzione  del- 
le collette  pei  beni    posseduti    dai 
sanmarinesi  nello  stato  di  Rimino; 
e  nelle  nozze    di   Violante    sorella 
di  Federico,   con   Novello    Malate- 
sta fratello  di  Sigismondo,    fu  in- 
vitato Sanmarino.  Nel  i44i    »  san- 
marinesi ritenendo  insufficienti    le 
fortificazioni  della  Guaita,  sommi- 
tà del  Titano  la  più  elevata,  della 
sua  torre  e  girone  munito  di  tre  tor- 
ricelle,  ottennero  dal  conte  Guido 
per  dirigere  i  nuovi  ripari  Ghiber- 
to  dall'Agnelld,  e  maestro  Giovanni 
di  Como  ingegnere.  Alla  morte  del 


MAR 
conte  Guido  gli  successe    il    figlio 
Oddo  Antonio,  amicissimo  anch'es- 
so de'  sanmarinesi,  e  pei  suoi  aiuti 
questi  si  ripararono  dalle  minacce 
di  Sigismondo.    Per  abuso    di  po- 
tere fu  ucciso  Oddo,   cui  successe 
il  conte  Federico,    che    fu  anch' e- 
gli  amico  e  come  padre  della  pic- 
cola repubblica,  e  poco  dopo  guer- 
reggiò  coi  Malatesta  che  nel  i449 
ricominciarono  a  molestare    i  san-» 
marinesi,  i  quali   inviarono  a  Spo- 
leto un'ambasceria  per    ossequiare 
il  Papa  Nicolò  V.   Sigismondo  con- 
tinuando le  sue  mene  per  corrom- 
pere i  cittadini,    il    principale  dei 
traditori  fu  giustiziato.  Il  re  di  Na- 
poli   Alfonso  d'Aragona    e  Pio    II 
avendo  stabilito  muovere  guerra  a 
Sigismondo,  invitarono  anche  i  san- 
marinesi,  per  cui  si  fece  a'9  otto- 
bre   i45'8  trattato  di  alleanza  tra  la 
comunità  ed  il  re.  Eccitali  da  que- 
sti  a  rompere    la    guerra,    i    san- 
marinesi nominarono    un  consiglio 
di  dodici  preposti  per  le  cose  del- 
la guerra  e  della  pace;    ma  Sigis- 
mondo fortemente  incalzato   si  re- 
cò a  Mantova  da  Pio  li,  ed  otten- 
ne   la    pace    nel    14%    co»    certi 
patti,  ricevendo  Sanmarino  in  com- 
penso il  castello  di  Fiorentino.  Ad 
onta  di  ciò,  Sigismondo  riprese  le 
armi,  e  i  sanmarinesi  ne   avverti- 
rono il  duca    d'Urbino    Federico, 
e  Pio  II  con  breve  de*  So  dicem- 
bre  1461   l'invitò  a  dare  addosso 
con  tutte  le  forze  all'iniquo  Sigis- 
mondo;   quindi    a' 2 1     settembre 
1 462  fu  conchiuso  un  trattato    fra 
il  comune  di  Sanmarino,  e  il  car- 
dinal di  Teano  ossia    Fortiguerra 
pel  Papa,  con  cui  venne  stipulato 
che  per  premio  della  guerra  avreb- 
bero   i    sanmarinesi    la     corte    di 
Fiorentino,  e  i  castelli  di  Mongiar- 
dino  e  SciTavsiile  colle  loro   corti. 


MAR 

Nell'anno  seguente  i  sanmarinesi 
attaccarono  e  conquistarono  le  terre 
loro  specialmente  assegnate  da  Pio 
li,  ed  ottennero  anche  per  dedizio- 
ne il  castello  di  Faetano  ;  quindi  il 
Papa  col  breve  de'26  giugno  i463 
confermò  al  comune  il  dominio 
di  Fiorentino,  Serra  valle,  Mongiar- 
dino  e  Faelano. 

Tullociò  racconta  il  Delfico;  ci 
avverte  però  il  Fea,  che  Pio  II, 
sotto  il  27  giugno  dell'anno  i463 
usò  una  straordinaria  liberalità  co- 
gli uomini  e  comunità  di  Sanmari- 
no,  prò  comi  tatù  nostrae  terme  s. 
Marini^  accrescendo  la  loro  giuris- 
dizione, ristretta  allora  nel  sem- 
plice castello  e  due  ville,  con  as- 
segnar loro  in  feudo  e  governo 
quattro  castelli,  i  quali  furono  in 
quel  tempo  levati  a  Ferdinando 
Malatesta  signore  di  Rimino,  senza 
ritorno  e  ricognizione  alcuna  di 
canone  dovuto  alla  camera  aposto- 
lica, e  questi  furono  Serravalle, 
Feretrano  o  Faetano,  Mongiardino 
e  Fiorentino.  Tutto  seguì  per  o- 
pera  e  favore  del  cardinal  Forti- 
guerra  e  del  duca  Federico,  sotto 
la  prolezione  del  quale  e  suoi  suc- 
cessori si  erano  posti  i  sanmari- 
nesi, per  sottrarsi,  come  fecero,  a 
slato  libero,  dalla  immediata  giuris- 
dizione dello  stato  ecclesiastico.  Nel- 
la donazione  Pio  11  con  bolla  che 
riporta  il  Fea  a  p.  i6r,  vi  espres- 
se l'obbligo  a  Sanmarino  di  non 
poter  mai  distruggere  il  castello 
di  Serravalle,  sotto  pena  di  mille 
ducati  d'oro,  da  pagarsi  alla  came- 
ra apostolica,  ed  obbligo  di  rifab- 
bricarlo; oltre  il  titolo  di  feudo 
usato  nella  bolla,  con  tal  clausola 
vi  fu  pure  riserva  di  dominio.  Il 
Pelfico  ripiglia  la  sua  storia  col 
dirci  che  per  l'acquisto  di  Sena- 
valle  insorsero  differenze  col  vesco- 


vi A  R  85 

vo  Sessa  luogotenente  di  Fano,  ap- 
pianate per  interposizione  di  Fe- 
derico, mentre  Sigismondo,  privato 
di  quasi  tutti  i  suoi  stati,  fu  neces- 
sitato a  chiedere  umilmente  la  pa- 
ce, ed  i  sanmarinesi  andarono  lie- 
ti di  non  doverlo  più  temere. 
Era  allora  il  castello  di  Serravalle 
abbastanza  forte,  e  popolato  anche 
di  qualche  famiglia  agiata,  fra  le 
quali  quella  de'Bertoldi,  da  cui  era 
uscito  un  Giovanni  o  Giacomo, 
prima  vescovo  di  Fermo,  poi  di 
Fano,  già  francescano  dottissimo 
in  Sanmarino,  e  autore  d'un  com- 
mento su  Dante:  nacque  in  Ser- 
ravalle, nell'anno  1870  o  i374, 
allora  nel  contado  di  s.  Arcan- 
gelo ,  ed  intervenne  al  concilio 
di  Costanza.  Il  dotto  monsignor 
Marino  Marini  attuale  prefetto  de- 
gli archivi  vaticani,  nelle  Memo-- 
rie  di  sanC arcangelo  sua  patria, 
p.  124,  parlando  di  tale  insigne 
prelato  riprese  il  continuatore  del- 
la storia  del  Delfico,  perchè  lo  in- 
serì nel  novero  degli  uomini  illustri 
della  repubblica,  mentre  appartie- 
ne al  vicariato  di  s.  Arcangelo,  cui 
dipendeva  Serravalle  quando  fiorì. 
Richiedendo  Forlì  nel  1464  un 
soccorso  di  cento  fanti,  gli  fu  con- 
cesso, essendo  sempre  più  in  fama 
il  valore  guerriero  de'titanici.  Do- 
po la  morte  di  Sigismondo  Mala- 
testa,  Roberto  suo  figlio,  a  dispet- 
to di  Paolo  II  volle  ristabilirsi  sul 
soglio  de' suoi  avi,  e  trovò  prote- 
zione nel  duca  Federico,  nel  re  di 
Napoli,  nel  duca  di  Milano,  e  nei 
fiorentini;  dice  il  Delfico  che  il 
Papa  procurò  d' interessare  i  san- 
marinesi al  suo  partito,  ma  essi 
non  vollero  discostarsi  dal  Feltrio, 
ed  i  fiorentini  scrissero  lettere  o- 
norevoli  alla  repubblica,  e  gli  al- 
tri confederati  si  mostrarono    con- 


86 


MAR 


tenti  di  sua  alleanza.  A'  3o  agosto 
1470  •"  Vergiano  successe  la  bat- 
taglia ti  a  l'esercito  punti  ficio,  e 
<|ueUo  de'collegali  comandalo  da 
Federico  a  prò  di  Roberto,  in  cui 
i  papalini  furono  sconfìtti  ;  allora 
si  rinnovò  la  lega  contro  Paolo  II, 
ì\  quale  mentre  stava  per  venire 
ad  un  trattalo  la  morte  ne  impe- 
dì il  compimento,  ed  ebbe  a  sue* 
cessore  Sisto  IV.  Roberto  avendo 
riconquistato  molle  terre,  sposò  la 
figlia  del  duca  d'Urbino,  venendo 
invitato  alle  nozze  il  comune  san- 
marinese,  che  vi  mandò  i  suoi  am- 
basciatori con  donativi.  Sisto  IV 
intanto  volendo  meglio  stringere 
l'amicizia  col  duca  di  Urbino,  con- 
chiuse il  matrimonio  della  figliuo- 
la Giovanna  per  darla  in  isposa  a 
Giovanni  della  Rovere  suo  nipote, 
e  fratello  del  cardinal  Giuliano  poi 
Giulio  II;  poscia  per  l'estinzione 
della  linea  maschile  de' Fel treschi, 
passò  lo  ^tato  d'Urbino  alla  fami- 
j^lia  Rovcresca.  La  peste  afflisse 
pure  il  cacume  del  Titano,  e  nel 
campo  di  Polesine  ferrarese  ne 
mon  Federico  nel  14B2,  e  gli  suc- 
cesse il  figlio  Guidobaldo,  che  si 
mostrò  egualmente  amico  e  protet- 
tore di  Sanmarino,  il  quale  tro- 
vavasi  in  buona  corrispondenza  coi 
Mala  testa  a  quell'epoca,  a  cagione 
probabilmente  delle  memorate  noz- 
ze; Nel  1491  si  risolvè  dal  comu- 
ne la  riforma  del  suo  statuto,  se- 
condo i  particolari  rapporti  con- 
tralti colla  società;  e  trovandosi 
con  più  esteso  territorio  in  un  mag- 
gior vigore  nella  sua  indipenden- 
za, prese  questo  piccolo  stalo  il 
titolo  di  repubblica,  e  ne  manife- 
stò più  decisamente  il  carattere, 
come  afferma  il  Delfico.  Fu  tolta 
nel  giuramento  civico  l'antica  clau- 
sola riservaliva  nelle    guerre,   cioè 


MAR 
di  prender  l'armi  contro  chiun<|ue, 
tranne  contro    la    romana   Chiesaj 
così  riportando  (jnello  scrittore.  Nel 
nuovo  statuto,  a  tener  lontana  <|ua- 
lunque  influenza  straniera,  s'impo- 
se pena  capitale,  e  generale  confi- 
sca a  chiunque  invocasse  estera  si- 
gnoria, per  cui   si    turbasse   lo  sta- 
to e  la  perpetua     libertà  suh.   Per 
rendere  poi   più   obbiobrioso    l'ul- 
timo   supplizio   de' traditori,  attac- 
cati alla  coda   d'asino  si  volle  fos- 
sero strascinati    all'ultimo  supplizio. 
Fu  pure  ad    oggetto  di   politica  si- 
ciuezza    proibito  sotto    pena    capi- 
tale il  vendere  ad  alcun   potente  o 
signore  le  abitazioni    dentro  la  ter- 
ra ,     e     di    non     ammettere    nella 
medesima  forastieri    di    cattiva     fa- 
ma, ciò  che  non    sempre  fu  osser- 
valo;   e  con  altre    buone    leggi  la 
repubblica    pensò  a    consolidarsi    e 
stabilire  una  favorevole   opinione. 

Alla  venuta  di  Carlo  Vili  in  I- 
talia  per  togliere  il  regno  di  Na- 
poli alla  casa  d'Aragona,  questa 
soccorsero  i  sanmarinesi;  le  dilFe^ 
renze  con  Pandolfo  Malatesla,  fu- 
rono appianate  dal  duca  di  Urbi- 
no, inoli  la  rcj)ubblica  concesse  al 
signore  di  Pesaro  il  richiesto  aiuto 
di  fanti.  Eletto  nel  i49^  Alessan- 
dro VI,  Cesare  Borgia  suo  figlio 
duca  Valentino,  incomineifmdo  ad 
occupar' varie  città  di  Romagna, 
pose  in  seria  apprensione  i  sanma- 
rinesi. Questi  non  solo  nel  secolo 
XV  avevano  consolidato  maggior- 
mente la  loro  indipendenza,  al  dir 
del  Delfico,  ma  ebbero  uomini  insi- 
gni che  fiorirono  nelle  armi  e  nelle 
lettere,  fra 'qua  li  il  francescano  Gio- 
vanni Enrico  de  Tonsi  vescovo  di 
Fano,  illustratore  del  poema  di  Dan- 
te ;  l'altro  francescano  Giovanni  dei 
Pili,  autore  di  un  riputato  com- 
ntcutario  sulla  morale;  fr.  Martiuo 


MAR 
Madroni  vescovo  di  Sebaste  mino- 
re conventuale;  Giovanni  della  Pen- 
na  rettore  nello  studio  di  Padova; 
Calcigni,  Belluzzi,  Lunaidini  ed  al- 
tri sostennero  il  decoro  ed  i  diritti 
della  patria  in  molte  ambascerie  e 
negoziazioni  importanti.  Nel    i497 
Alessandro  VI  con  suo  breve    de- 
putò il  governatore  di  Cesena  ret- 
tore di  Romagna ,  giudice    per    le 
differenze  che  vertevano  per  causa 
de' confini  tra  la  comunità  di  Ver- 
rucchio    e    questa    di    Sanmarino  ; 
cani  potestà  te    cogendi    et    co m pel- 
tendi  iitramque  partem  sub   poenis 
iam  spìntitalibuSj  quam  temporali' 
bus  ad  parendum  judicato  :   segno 
indubitato  di  supremo  dominio  li- 
beramente esercitato,  e  non  d'indi- 
pendenza libera,  scrive  il  Fea.  Tra- 
dito il  duca  Guidobaldo  da  Cesare 
Borgia,  i  sanmarincsi  lo  avvertirono 
del  pericolo  che  gli  sovrastava,  on- 
de fu  costretto  ripararsi  negli  stali 
veneti.  Vedendosi  la  repubblica  mi- 
nacciata d'imminente  rovina,  trattò 
di   darsi  alla  possente  repubblica  di 
Venezia  per  non    cadere    nelle    ti- 
ranniche zanne  del   duca    Valenti- 
no :  il  senato  veneto  confortò  i  san- 
uiarinesi  con    buone    speranze,  ma 
non  volle  accettare  la  loro    sogge- 
zione; dice  il  Fea,  certamente,  per- 
chè non  ignorava  il    supremo    do- 
minio della  santa  Sede  ,    o   per  la 
sua    tenuità.   Guidobaldo    ritornato 
ne'  suoi  stati  (ma  pel  trattato  col 
Borgia  gli  furono  soltanto    lasciale 
alcune  fortezze),  procuiò  giovare  i 
sanmarinesi  col   ritenerne  la  prote- 
zione ;  ma  inutilmente    perchè  nel 
i5oi    la  repubblica  soggiacque   al- 
la tirannide  dell'ambizioso  duca  Va- 
lentino e  de'  suoi  magistrati.   Tut- 
lavolta    neir  anno    stesso    tornò  al 
governo  legittimo  de'  suoi  capitani, 
perchè  al  primo  tumulto   eccitato 


MAR  S7 

nello  stato  d'Urbino,  i  sanmarinesi 
discacciarono  il  presidio  ed  i  magi- 
strati dell'invasore.  Non  tutti  però 
i  castelli  di  nuovo  acquisto  della 
repubblica  le  furono  fedeli,  poiché 
Serravalle  non  espulse  i  magistrati 
del  tiranno,  ma  poi  pentendosene 
a  poco  a  poco  ritornò  alla  divozio* 
ne  della  repubblica.  Frattanto  que- 
sta proseguì  nell'impresa  vigorosa- 
mente contra  il  Borgia ,  inviando 
gente  all'esercito  de'  collegati,  e  fa- 
cendo quanto  si  poteva  pel  bene 
altrui  e  per  la  propria  conserva- 
zione. Proseguendo  la  guerra,  morì 
nell'agosto  i5o3  Alessandro  VI,  e 
la  potenza  del  figlio  crollò  in  un 
punto.  Giulio  II  divenuto  Papa  ncl- 
r  istesso  anno,  nemico  de'  lirannetti 
usurpatori  delle  terre  della  Chiesa, 
infuriò  per  la  vendita  di  Rimina 
fatta  da  Pandolfo  ai  veneti,  coi  quali 
i  sanmarinesi  erano  in  amichevoli 
relazioni,  benché  tale  acquisto  gli 
ispirò  gravi  timori  e  dubbiezze. 

Essendo  morto  Guidobaldo  ultima 
duca  d'Urbino  della  famiglia  Feltria,. 
grande  ne  fu  il  lutto  ed  il  dolore 
de'  sanmarinesi  per  l'estinzione  di 
sì  amata  casa.  Gli  successe  nel  du- 
cato Francesco  Maria  della  Rovere, 
come  figlio  di  Giovanna  Feltria  (e 
nipote  di  Giulio  II),  il  quale  ere- 
dito  anche  i  sentimenti  di  amici- 
zia e  protezione  per  Sanmarino^ 
Quindi  il  gran  Pontefice  incomin- 
ciò la  guerra  contro  gì'  invasori , 
mentre  alcuni  scrittori  ne  lacera- 
rono poi  ingiustamente  la  fama , 
come  violento,  guerriero  e  nemico 
di  pace  ;  ma  se  avessero  imparzial-i 
mente  ben  considerato,  come  con- 
fessa lo  stesso  Delfico,  che  Giulio 
lì  incominciò  con  una  guerra  giu- 
sta, e  che  le  sue  mire  furono  la 
difesa  della  santa  Sede,  la  disti u- 
ziofie  de'tÌFanni,  e  il  discacciaracuta 


8«  MAR 

degli  slranieri  dall'Italia,  sarebbe- 
ro slati  più  ragionevoli  ne*  loro  giù* 
HÌ7>ì.  Nel  i5o9  si  sparse  voce  trat- 
tarsi un  accordo  tra  il  Papa  ed 
i  veneti ,  e  che  questi,  già  padro- 
ni di  Vcrrucchio,  si  sarebbero  e- 
sicsi  ,  ed  avrebbero  occupato  il 
territorio,  se  tale  accordo  non  si 
fòsse  conchiuso.  I  sanmarinesi  che 
a  cagione  dell'  alleanza  col  nipote 
infeudalo  della  Sede  apostolica  ,  e- 
rano  costretti  a  concorrere  alla  guer- 
ra, esposero  le  loro  agitazioni  al 
l*apa,  richiedendolo  di  aiuto  o  pro- 
tezione, e  Giidio  li  scrisse  un  bre- 
ve in  cui  gli  esortò  a  confidare  nel 
suo  impegno  per  la  protezione  della 
loro  libertà,  sotto  il  patrocinio  della 
santa  romana  Chiesa,  di  che  furo- 
no lietissimi  e  contenti,  per  vedere 
assicurata  l' indipendenza  dello  sta- 
to da  un  sommo  Pontefice  e  da 
un  sovrano  che  amava  stabilire  il 
dominì'o  temporale  della  Sede  apo- 
stolica su  basi  più  solide.  Per  l'alta 
protezione  che  su  Sanmarino  erasi 
riservata  la  santa  Sede,  nel  conce- 
dere r  infeudazione  del  Montefeltrq 
ai  Feltreschi  e  Rovereschi,  ecco  co- 
me il  Papa  si  espresse  nel  breve. 
Jtaque  hortamur  ul  fovO^  et  ma- 
stio animo  siiis  ,  considerelìsque , 
nihil  dulcius,  atque  utilius  esse  li- 
herlatCy  et  protectione  sanctae  ro- 
manae  Ecdesiae^  m  qua  vos  hacte- 
nus  conservavimusy  conservaturique 
sumus.  Cosi  il  Fea.  Sempre  Giulio 
II  si  mostrò  col  nipote  benevolo 
colla  repubblica,  e  quando  il  se- 
condo richiese  alla  repubblica  che 
ritenesse  i  riminesi  dimoranti  in  es- 
sa, essendo  ciò  contrario  all'indi- 
pendenza ed  onestà,  la  repubblica 
fece  una  dignitosa  negativa.  Nel 
i5i3  divenne  Papa  Leone  X,  il 
quale  scomunicando  il  duca  d'  Ur- 
bino^ gli    tolse  Ip  stato  e  lo  d|ec)e 


MAR 
al  proprio  nipote  Giuliano  de  Me^ 
dici.  1  sanmarinesi  procurarono  a- 
iiilare  Francesco  Maria,  e  gli  offri- 
rono oro  inutilmente.  Incominciala 
la  guerra.  Giuliano  mori  dalle  fe- 
rite riportate,  laonde  Leone  X  di- 
chiarò duca  d'Urbino  il  nipote  Lo- 
renzo, il  quale  colle  milizie  papali 
occupò  tutto  il  Monlefeltro,  tranne 
s.  Leo  ;  ed  i  sanmarinesi  per  non 
perdersi  inutilmente,  cercata  la  sua 
amicizia  l'ottennero,  ciò  che  lodò 
il  Pontefice,  avendogli  spedito  la  re- 
pubblica per  ambasciatore  il  padre 
maestro  Giuliano  Pasini  cittadina 
sanmarinese  e  celebre  oratore.  Que- 
sta buona  corrispondenza  co«lò  ca- 
ra alla  repubblica,  perchè  tutti  i 
condottieri  dell'  esercito  pontificio 
sembravano  aver  preso  Sanmarino 
pel  deposito  o  magazzino  generale 
dell'armala,  richiedendo  ogni  gior- 
no vettovaglie  e  munizioni  ;  crebbe 
l'incomodo  dopo  la  presa  di  Pesa- 
ro, e  quando  l'armata  passò  all'as- 
sedio di  s.  Leo  che  cadde  forse  per 
tradimento,  gli  esuli  trovarono  nel- 
la repubblica  asilo,  a  fronte  che 
ne  li  voleva  esclusi  il  vincitore,  dal 
quale  anzi  implorò  clemenza.  Il  Pa- 
pa alle  preghiere  de'  sanmarinesi 
solo  offri  ai  ganleesi  l' assoluzione 
dalla  scomunica.  Intanto  Francesco 
Maria  ritornò  con  un  esercito  col- 
lettizio per  ricuperare  lo  stato,  onde 
la  repubblica  si  trovò  combattuta 
da  contrarie  istanze  ed  affetti ,  per 
cui  Lorenzo  entrò  in  sospetto.  Cor- 
rotto l'esercito  collettizio,  France- 
sco Maria  fu  costretto  a  capitolare 
e  andare  in  esilio,  riservando  solo 
l'assicurazione  de'  sudditi,  l'artiglie- 
rie e  la  biblioteca.  Morto  Lorenzo, 
Leone  X  riunì  il  ducato  d'Urbino 
allo  stato  della  Chiesa ,  daqdo  s. 
Leo  e  il  Montefeltro  ai  fiorentini. 
Nel   i5:?i,  per  morte  di    Leone 


MAR 

X,  sollo  Adriano  VI,  Francesco 
Maria  rientrò  in  possesso  del  du- 
cuto, ad  eccezione  delle  terre  occu- 
pate dai  fiorentini,  come  ricuperò 
Kimino  Pandolfo  Malatesta  che  su- 
Jjjto  invitò  i  saniiiarinesi  ad  esser- 
gli amici,  sebbene  durò  poco  il  suo 
dominio.  Divenuto  Papa  nel  iSiS 
Clemente  VII  Medici,  i  perturba- 
menti d'Italia  accrescendosi,  ben- 
fchè  questo  piccolo  stato  non  pren- 
desse direttamente  alcuna  parte  , 
pure  trovandosi  in  mezzo  a  varie 
dominazioni,  com'erano  il  duca  di 
Urbino,  i  ministri  ponliOcii  di  Ro- 
magna ed  i  fiorentini  di  s.  Leo , 
non  potè  rimanere  del  tutto  esente 
dai  generali  disturbi.  La  repul)bli- 
ca  si  governò  egregiamente,  del  che 
ne  fu  commendata  dal  Guicciardi- 
ni e  da  Giacomo  di  lui  fratello,  il 
primo  presidente  di  Romagna,  il 
secondo  suo  vicario.  Nel  i5ij  le 
castella  del  Montefeltro  furono  dai 
fiorentini  restituite  a  Francesco  Ma- 
ria, che  quale  collegalo  del  Papa, 
seguendo  sempre  le  sue  parti  i  san- 
marinesi,  dovettero  dare  sussidii  ed 
aiuto  alle  fortezze  ed  alle  armi  pon- 
tificie, continuando  nel  loro  pru- 
dente contegno  alieno  da  ambizio- 
ne. Restò  illeso  Sanmarino  dal  bru- 
tale esercito  imperiale  ispanico,  che 
a'  6  maggio  prese  Roma  che  or- 
ribilmente saccheggiò,  Nel  i53i 
fondossi  il  torrione  di  Porta  della 
ripa,  indi  a  poco  fu  compiuta  la 
rocca  del  Monte  della  Cesta^.  o 
circondata  di  opere  la  torre,  la 
quale  si  vuole  già  preesistesse  e 
formasse  colle  torri  del  Monte  del- 
la Guaita  e  del  Monte  Cucco, 
estrema  e  minor  punta  Titanica,  la 
caratteristica  della  repubblica.  Mori 
nel  i538  Francesco  Maria,  e  gli 
successe  il  figlio  Guidobaldo  II  della 


MAR  89 

del  padre  verso  i  sanmarinesi.  Nel 
pontificato  di  Paolo  III,  a' 4  gi'^- 
gno  1542,  mentre  erasi  senza  so- 
spetti di  guerra,  Fabiano  del  Mon- 
te, nipote  del  cardinale  poi  Giulio 
III,  si  mosse  dal  castello  di  Rimino 
col  castellano  di  quella  rocca  e  con 
5oo  fanti  e  parecchi  cavalli  levati  da 
Bologna,  per  sorprendere  la  rocca  e 
città  di  Sanmarino;  ma  il  tentativo 
fu  sventato,  poiché  in  un  istante 
furono  tutti  in  arme  ,  partendone 
adontato  l'aggressore.  Altri  dicono 
che  lo  scampo  de'  sanmarinesi  de- 
vesi  attribuire  perchè  fu  scoperto 
il  trattato,  e  pegli  aiuti  del  duca 
d'Urbino;  e  presso  i  Bollandisti,  ai 
4  settembre,  il  fatto  si  racconta  al- 
quanto diversamente  per  l'oggetto. 
Mostrarono  interesse  per  la  salvezza 
di  Sanmarino,  oltre  il  duca  di  Ur- 
bino, Cosimo  I  duca  di  Firenze,  i 
ministri  dell'imperatore  Carlo  V, 
ed  anco  il  Papa,  restando  dubbia  la 
causa  motrice  dell'attentato.  Inoltre, 
racconta  il  Delfico,  che  un  invialo 
dell'ambasciatore  imperiale  in  Pio- 
ma,  si  recò  a  Sanmarino,  olTri  pri- 
vilegi alla  repubblica,  che  senza  far 
molto  di  essi  ringraziò.  In  questo 
tempo  Guidobaldo  II  ristabilì  nella 
repubblica  la  calma,  alterala  da 
feroci  inimicizie  cittadine ,  e  parte- 
cipandole gli  sponsali  con  Vittoria 
Farnese,  i  sanmarinesi  gli  donaro- 
no una  gran  coppa  d'argento  do- 
rato, con  una  leggenda  che  atte- 
stava la  loro  libertà:  Liherlas  per- 
petua rei  public  ae  sancii  Marini. 

Per  le  pretensioni  dei  ministri  e 
tesorieri  del  Papa  in  Piomagna,  che 
volevano  estendere  sul  territorio  e 
cittadini  le  contribuzioni  imposte 
pei  pubblici  bisogni,  la  repubblica 
ricorse  a  Paolo  HI,  il  quale  avendo 
esaminate  le  ragioni  de'sanmaiinesi, 


Rovere,  ereditando  anche   l'aifetto     dice  il  Delfico    che    riconobbe  con 


cjo  MAR 

breve  nposlolico  rimmcmoral)ilc  e 
perpetua  libertà  della  repubblica,  e 
l' iiumunità  ed  esenzione  da  qua- 
lunque imposta  propria  a'  sudditi 
della  Chiesa,  ed  ordin^  n  tutti  gli 
oflìziali  della  medesima,  che  mai 
più  ardissero  far  simili  tentativi,  con 
pena  di  scomunica,  esentando  inol- 
tre i  sanmarìnesi  dallaumento  del 
prezzo  del  sale.  Da  altro  tentativo 
nel  i549  dovette  la  repubblica  di- 
fendersi ,  tramato  proditoriamente 
da  Leonardo  Pio,  divenuto  signo- 
re di  Verrucchio,  onde  sorpren- 
dere la  repubblica  a  tradimento; 
ma  fu  sventato  colla  vigilanza  e 
pronto  aiuto  di  Guidobaldo  II,  col 
quale  i  sanmarinesi  rinnovarono 
confederazione  ed  amicizia,  facendo 
quindi  una  legge,  che  non  si  con- 
siderassero come  amici  della  patria 
i  cittadini  ricorrenti  al  duca  senza 
la  pubblica  approvazione,  onde  te- 
nersi in  guardia.  Nel  i55o  il  fìi- 
iiioso  archi  letto  militare  Giambat- 
tista Bell  uzzi  di  Sanmarino,  e  il 
capitano  Nicolò  Pellicano  mandato 
dal  duca  d'Urbino,  [)roposero  altre 
fortificazioni  alla  totale  difesa  del 
luogo,  onde  si  completò  la  cinta, 
si  costruì  il  bastione  della  porta 
s.  Francesco,  e  si  migliorarono  le 
mura,  le  quali  nella  parte  dt  fronte 
hanno  cinque  torrioni.  Nello  stesso 
anno  fu  eletto  Giulio  III,  e  nel 
i555  Paolo  IV,  a  cui  ricorse  con- 
tro la  repubblica  uno  sconsigliato 
cittadino,  ed  il  Papa  fece  citare  i  ca- 
pitani a  renderne  ragione  avanti  di 
lui^  che  non  ebbe  però  spiacevoli 
conseguenze,  e  il  duca  d'Uibino  ot- 
tenne  grazia   pel  licorrente. 

Trovandosi  la  repubbhca  alquan- 
to degradata  pei  dispendi  solferti 
e  per  la  tra>curanza  delle  leggi , 
come  per  gli  abusi  del  potere,  quin- 
di   incominciai  ono    'usuirczioni    ed 


MAR 

innovazioni  di  cui  profittarono  i 
cattivi.  Non  giovò  restringere  il  con- 
siglio al  numero  costituzionale  di 
sessanta,  né  giovarono  altri  prov- 
vedi meiìti,  uno  de'  quali  fu  la  no- 
mina nel  i566  del  duca  d'Urbino 
in  primo  consigliere,  ciò  che  durò 
ne' successori  fino  all'estinzione  della 
famiglia.  Guidobaldo  II  morendo 
nel  i574,  gli  successe  il  figlio  Fran- 
cesco Maria  11,  dotto  assai  e  reli- 
gioso ,  che  si  mostrò  egualmente 
propizio  ai  sanmarinesi,  rinnovando 
nel  i58o  il  trattato  di  confedera- 
zione colla  repubblica.  In  seguito 
si  venne  alla  risoluzione  di  rifor- 
mare gli  statuti,  onde  riparare  ad 
un  manifesto  rilassamento  nei  sen- 
timenti di  patria,  si  nominarono  i 
correttori,  cui  si  aggiunsero  altri, 
ma  inutilmente.  La  miseria  nel  i59i 
divenne  pubblica  per  la  carestia , 
vendendosi  il  frumento  ventidue 
scudi  d'oro  la  soma  :  tanta  era  la 
deficienza  dello  stato,  che  alle  istan- 
ze per  la  nomina  d'  un  pletore  o 
podestà  per  l'amniinistrazione  della 
giustizia,  a  cui  protestavansi  inabili 
i  capitani,  si  rispose  dal  consiglio 
negativamente  per  mancanza  di 
mezzi.  L' insensibilità  de'  cittadini 
giunse  al  segno,  che  spesso  i  con- 
sigli si  adunavano  inutilmente  per 
mancanza  del  numero  stabilito  dalia 
legge.  Per  la  tiascuranza  poi  dei 
correttori  eletti  alla  riforma  dello 
stato,  si  dovè  dar  forza  di  legge 
ad  una  privata  collezione  di  leggi 
antiche  patrie  fatta  da  Camillo  Bu- 
nelli.  Sotto  Sisto  V  gli  ecclesiastici 
di  Sanmarino  dimoranti  nella  dio- 
cesi di  Montefeltro,  furono  obbli- 
gati dal  clero  feretrano  a  concoi - 
lere  alla  tassa  delle  galere  imposte 
sopra  tutto  il  clero  dello  stato  ec- 
clesiastico da  quel  Papa,  cioè  pel 
maulcnimtuto  delle  galere  d'Ance- 


MAR 

Ha  e  Civitavecchia.  Nel  i5»99  coiii- 
pari  il  nuovo  glatulo  riformato,  ma 
in  peggio  :  fu  perciò  gran  ventura 
per  la  repubblica  ,  che  nello  slato 
politico  di  generale  inditferenza,  non 
ricevè  urlo  alcuno ,  cbe  avrebbe 
potuto  agevolmente    rovesciarla. 

Alle  molte  famiglie  antiche  restate 
estinte,  fiorirono  invece  la  Cionini, 
la  Maggi,  la  Tosinj,  la  Maccioni, 
la  Biondi  oggi  Begni.  Alla  decaden- 
za delle  prime  si  deve  forse  attri- 
buire il  raffreddamento  de'  palrii 
sentimenti,  i  quali  non  si  possono 
acquistare  in  breve  tempo;  fu  pu- 
re sventura  che  molli  cittadini,  e 
senza  dubbio  i  più  colti,  si  trova- 
rono per  lo  più  fuori  dello  stato 
in  onorevoli  impieghi ,  tali  furono 
specialmente  Francesco  e  Camillo 
Bonclli,  già  del  consiglio,  e  succes- 
sivamente impiegalo  ed  occupato 
decorosamente  fuori  della  patria  ; 
così  Francesco  Belluzzi  consigliere 
del  duca  di  Urbino,  il  cav.  Ippo- 
lito Gombertini  magistrato  in  vari 
luoghi,  Giidiano  Pasini  sullodato, 
amico  del  Bembo  e  lavorilo  di  Cle- 
mente VII,  Costantino  Bonelli  ve- 
scovo di  Città  di  Castello,  Simone 
relliccieri  pubblico  professore  di  me- 
dicina in  Padova,  Giuliano  Corbelli, 
Agostino  Belluzzi  ,  e  finalmente  il 
nominato  Giambattista  Belluzzi,  uno 
de'più  bravi  architetti  di  quel  secolo 
nell'architettura  militare,  in  cui  in 
opere  insigni  l'impiegò  Cosimo  I; 
né  fu  men  degno  il  figlio  Gian  An- 
drea per  politici  e  nnlitari  tulenti. 
Si  potrebbe  aggiungere  il  sommo 
architetto  Bramante  Lazzari,  che  il 
contemporaneo  Saba  Castiglioni  di- 
ce di  Penne  di  Sanniarino,  per- 
chè il  Titano  degli  antichi  fu  pu- 
re denominato  Penne,  vocabolo  con 
cui  gli  antichi  chiamarono  le  som- 
mità dei    monti   che  più  menlisco- 


MAB  91 

no  le  creste.  11  Titano  si  ve- 
de da  lungi  per  le  sue  alte  cre- 
ste, guarnite  ciascuna  da  una  tor- 
re più  o  meno  fortificata,  con  una 
penna  sulla  sommità  in  vece  di 
l)anderuola;  ed  in  tal  modo  rap- 
presentasi lo  stemma  della  repub- 
blica, colla  parola  Libertà:  le  tre 
alte  creste  sono  le  Tette  dei  tre 
monti  Guaita,  Gista  o  Cesta,  e  Cuc- 
co. Nella  degradazione  dello  stato 
non  volle  esso  restare  indietro  nel 
vano  progresso  del  titolarlo,  quin- 
di il  consiglio  generale  si  qualificò 
d'illustre  e  (\' illustrissinio ,  prenden- 
do ragionevolmente  il  titolo  di  prin- 
cipe,  ed  i  capitani  ,  già  magnifici 
ed  onorandi^  pur  di  simili  titoli  del 
consiglio  furono  onorati,  trovandosi 
molte  intestazioni  de'  consigli,  Jllu^ 
stri  et  generali  Consilio  alniae  rei- 
puhlicae  illustris  libertatis  tcrrofi 
sanati  Marini.  Il  duca  d' Urbino 
già  avea  preso  il  titolo  di  altezza. 
Nel  medesimo  secolo  XVI  s'in- 
cominciò ad  ambire  l'onorarla  cit- 
tadinanza di  questa  repubblica  :  il 
governo  era  solito  accordarla  ad  al- 
cuni, 0  per  merito,  o  per  gratitu- 
dine, o  per  rapporti  d'amicizia,  o 
a  pelizione  de*  duchi  d'Urbino;  ma 
sovente  ancora  accadde,  che  si  de- 
siderasse questo  distintivo  per  avere 
un  luogo  di  sicurezza  che  potesse 
essere  l'  asilo  dell'  innocenza  ed  il 
rifugio  nell'oppressione,  sebbene  i» 
progresso  su  ciò  in  vece  vi  furono 
non  pochi  e  gravi  abusi.  Conosciutasi 
la  itnprovvidenza  de'  nuovi  statuti, 
nel  i6o2  si  propose  iu  coniglio  di 
rimpiistarli  ;  ed  il  duca  Francesco 
Maria  11,  prevedendo  di  morir  sen- 
za prole,  pensò  ad  appoggiare  la 
protezione  de'  sanmarinesi  da  lui 
tenuta,  alla  santa  Sede,  per  cui  spe- 
dì ambasciata  alla  repubblica ,  che 
gli  mandò  deputali  per  tratlare  la 


97.  M  A  R 

cosa.  Pertanto   i  sanmarinesi  invia- 
rono a  Roma  Malatesta   de*  Mala- 
tesli  per  procuratore  loro,    a    Cle- 
nicnle    Vili,  supplicandolo    che  in 
mancanza  del  duca,  si  degnasse  di 
accettare  la  repubblica  e  gli  uomi- 
ni di  Sanmarino  sotto  la  protezio- 
ne della  Chiesa  romana  e  de'  som- 
mi  Pontefici  in   perpetuo  (come  a- 
vevano     fatto  Pio  li,    Giulio    II  e 
Leone  X),  offrendo  essi  di  stare  e 
di  essere  ai  romani  Pontefici  e  alla 
Sede  apostolica    sempre  ed  in  pcr- 
j)etuo   riverenti  sudditi  e  fedeli,  sal- 
va la  loro  libertà.  Laonde,  narra  il 
Fea,  Clemente  Vili   a  mezzo  d'un 
suo  chirografo  degli  1 1  aprile  i6o3, 
diretto    al    nipote    cardinal    Pietro 
Aldobrandini  camerlengo,  accettan- 
do  volontieri  il  patrocinio  di   San- 
marino anco  per    la  Chiesa    e    pei 
suoi  successori,  ne  fu  stipulato  istro- 
inento,  che  il  general  consiglio  dei 
24  maggio  ratificò  e  pubblicò. 

Osserva  il  Fea  a  p.  yS,  che  il  fon- 
damento nel  quale  i  sanmarinesi 
appoggiarono  la  libertà  del  loro  go- 
verno, lo  deducono  dall' istromento 
di  prolezione  di  Clemente  Vili,  ro- 
gato in  Roma  a'  20  aprile  i6o3, 
ove  si  dice  che  la  terra  era  sem- 
pre stata  in  libertà  dal  1220  in 
qua  ;  parole  espresse  dagli  stessi 
sanmarinesi  nel  proprio  mandato  di 
procura  :  giurarono  però  di  essere 
fedeli  alla  santa  Chiesa  e  sommo 
Pontefice,  ed  aver  sempre  ainicos 
sanctac  rornanae  Ecclesicie  prò  a- 
micisj  et  inimicos  prò  ininiicis.  Av- 
verte inoltre  il  Fea ,  che  il  Papa 
permise  ai  sanmarinesi  il  libero  go- 
verno rispetto  al  narrato,  ma  non 
già  il  dominio,  e  che  gli  uomini 
di  Sanmarino  non  hanno  mai  tras- 
curato le  occasioni  de'  propri  van- 
taggi, per  costituirsi  in  dominio  li- 
bero; e  c|ie  in  fine  si  può  credere 


M  A  R 
ancora,  che  le  loro  pretensioni  sie- 
no  sempre  state  patrocinate  a  dan- 
no della  Sede  apostolica,  prima  dai 
conti  di    Montefcltro    stati    sempre 
poco  bene  alletti  alla  medesima  san- 
ta  Sede,  e  poi  dai   duchi  d'Urbino 
prolettori  di  Sanmarino,  i  quali  pe- 
rò essendo  feudatari  della  santa  Se- 
de, non  si   verifica    la  costaijte   as- 
soluta indipendenza  della  repubbli- 
ca. Che  i  duchi  comandassero  non 
quai  semplici  protettori  i  sanmari- 
nesi, si  rileva  da  alcuni  ordini  da 
essi  emanati  dal    i546  al    1620,  e 
riprodotti  da!  Fea  a  p.  100  e  seg., 
osservando  che  il  duca   non  toglie- 
va loro  il  gius  di  governarsi    e  di 
far    quelle    funzioni     giurisdizionali 
che  loro    competevano    per    antica 
consuetudine,  ma  come  suole  il  so- 
vrano sopra  i  vassalli,  stabiliva  il  mo- 
do e  i  confini  della  giurisdizione  e  di 
quell'esercizio;  per  cui  il  Fea  conchiu- 
de, dovrà  dunque  la  protezione  della 
santa  Sede  essere  da  meno  di  quella 
dei  duchi  d'Urbino,  considerati  qua- 
li semplici  protettori  di  Sanmarino? 
Inoltre  Clemente  Vili   concesse  con 
breve  ai  sanmarinesi  la  libera  estra- 
zione delle  grascicj  mentre   coli'  i- 
stromento  era    stata  loro  accordata 
la   facoltà    d*  acquistar    beni    stabili 
nello  stato  ecclesiastico,    di    racco- 
glierne i  fruiti,  e  trasportarli  libe- 
ramente a  Sanmarino,  e  d' istituire 
ed  aprire  un  banco;  il  perchè  i  san- 
marinesi promisero  ancora  di  difen- 
dere l'onore  ,    stato  e  diritti  della 
sant^  romana   Chiesa    e  Sede  apo- 
stolica. Da  tuttociò  non    pare   che 
Sanmarino  collo  stipulato  istromen- 
to conseguisse  la  sua  assoluta  indi- 
pendenza e  sovranità  indipendente, 
siccome  si  legge  nel  Fea. 

Per  la  nascita  del  principe  Federi- 
co, per  gioia  i  sanmarinesi  spedirono 
al  duca  d'Urbino  un^  porpposa  and^ 


MAR 
Lasceria.  Nel  1621  fu  nominata  una 
commissione  per  rivedere  e  rifor- 
mare lo  statuto,  senza  risultato;  e  per 
la  morte  del  principe  Federico , 
accaduta  nel  1623,  il  padre  cadde 
in  grave  tristezza  ,  e  determinò  di 
restituire  alla  santa,  Sede  il  ducato 
che  teneva  in  feudo,  facendone  do- 
nazione iiiter  vii'os,  per  cui  Urba- 
no Vili  nel  1626  fece  prendere 
possesso  dello  stato,  e  fti  ad  istanza 
dello  stesso  duca  spedito  un  pre- 
lato pel  governo,  che  fu  Bcrlinghie- 
10  Gessi,  ma  con  patente  dello  stes- 
so duca.  Nella  cessione  dello  slato 
di  Urbino  la  repubblica  ottenne 
dallo  slesso  Pontefice  nel  1627  la 
rinnovazione  delle  condizioni  del- 
l'istromento  della  protezione  e  con- 
servazione, stipulata  con  Clemente 
Vili;  stipulando  che  la  libertà, 
giurisdizione,  mero  e  misto  impero, 
e  governo  proprio  della  repubblica 
fossero  salvi.  D'anni  ottantadue  mo- 
rì nel  i63i  Francesco  Maria  II, 
ed  Urbano  Vili  conferì  la  sua  di- 
gnità di  prefetto  di  Roma  al  pro- 
prio pronipote  d.  Taddeo  Barberi- 
ni. La  repubblica  passò  effettiva- 
mente colla  sua  libertà  sotto  la 
protezione  della  Sede  apostolica,  più 
utile  senza  paragone  di  quella  du- 
cale, ed  i  Pontefici  si  compiacquero 
di  confermare  e  riconoscere  il  suo 
libero  stato,  come  già  avevano  fatto 
gl'illustri  predecessori  Pio  II,  Giu- 
lio II,  Leone  X  e  Paolo  III,  ed 
inoltre  vollero  con  nuove  grazie 
comprovare  la  lealtà  de'  loro  senli- 
menti,  accordando  ai  cittadini  di 
Sanmarino  il  diritto  di  poter  es- 
Irarre  e  ricondurre  nel  loro  terri- 
torio, senza  dazio  alcuno,  le  entra- 
te provenienti  dai  propri  beni  nello 
slato  della  Chiesa,  anco  per  gli  ac- 
quisti che  avessero  potuto  fare  in 
avvenire,  esentandoli  altresì  dal  pe- 


M  A  R  93 

so  detto  della  cinquina.  Così  la  re- 
pubblica restò  nel  pacifico  possesso 
della  sua  libertà,  gelosatnente  e  qua- 
si per  prodigio  per  tanti  secoli  con- 
servala, solo  momenlanecunente  per- 
turbata dalle  pretensioni  di  un  ve- 
scovo feretrano,  stando  a  quanto 
volle  scrivere  il  Delfico.  Il  Valli 
che  terminò  la  sua  relazione  nel 
1 633,  si  compiace  che  la  repubbli- 
ca sia  restata  sotto  la  santissima 
protezione  di  santa  Chiesa  e  del 
sommo  Pontefice  romano^  e  vi  sta- 
rà perpetuamente  j  loda  Urbano 
Vili  da  cui  fu  arricchita  di  molte 
grazie  e  privilegi;  ed  avendo  in  cie- 
lo ed  in  terra  persone  sante  che 
la  proteggono,  non  potrà  mai  ca- 
der in  animo  ad  alcuno  di  farle 
nocumento  e  dispiacere;  ma  in  ri- 
guardo del  sommo  Pontefice  protei^ 
tore,  la  cui  potestà,  autorità  e  giu- 
risdizione cede  solo  a  quella  di  Dio, 
non  sarà  alcuno  che  non  le  porti 
rispetto,  conoscendo  massiinamenle 
meritarlo  per  l'obbedienza  e  fedeltà 
sua  verso  la  santa  Chiesa  ed  il 
sommo  Pontefice  romano.  Con  que- 
ste parole  il  Valli  termina  la  sua 
slorica  narrazione  di  Sanmarino, 
come  non  tralasciò  di  rimarcare  il 
Fea. 

Osservando  la  repubblica  che  sem- 
pre pili  in  Italia  si  avanzava  la  pre- 
giudizievole costumanza  delle  com- 
mendatizie negli  affari  pubblici  e 
di  giustizia,  le  condannò  e  proibì. 
Nel  1639  si  concesse  dispensa  del- 
l'età a  due  eletti  capitani,  contro 
il  loro  desiderio  ,  per  mancanza 
probabilmente  di  persone  atte  alle 
cariche;  vani  poi  ed  infruttuosi 
furono  i  provvedimenti  per  costrin- 
gere i  consiglieri  ad  intervenire  ai 
consigli,  i  quali  nel  i652  si  ri- 
dussero dal  numero  di  sessanta  a 
quello  di  quarantacinque  consigi ie- 


94 


RiAK 


ri.  Indi  si  volle  provvedere  all'am- 
uiinistrazione  della  gìiislì/ia  collo 
staMiire  un  podestà,  sempre  fore- 
stiere, ma  allora  si  Irascurò  In  pub- 
blica istruzione,  tanto  necessaria  al 
ben  vivere  civile^  massime  ad  una 
piccola  repubblica  democratica,  ciò 
che  produsse  il  degradamento  del 
paese.  Innocenzo  X  accordò  che 
gli  uomini  e  cittadini  di  Sanuia* 
rino,  possidenti  nello  stato  ponti- 
ficio, debbano  essere  considerati 
come  cittadini  del  luogo  ove  ri- 
siedono, e  che  posseder  potessero, 
nel  pagamento  delle  collette;  piti, 
esentò  i  sanmarinesi  dal  pagamento 
delle  cinquine.  Invalso  nella  repub- 
blica il  pericoloso  abuso  di  accettare 
ulla  cieca  e  senza  distinzione  gli 
esuli  e  delinquenti  in  gran  numero, 
nel  1654  per  correggerlo  si  fece 
un  rigoroso  bando  per  discacciare 
lutti  i  ricovrati,  e  moderare  l'ospi- 
talità per  l'avvenire  ed  i  salvacon- 
dotti, giacché  la  morale  ne  avea 
inteso  grave  pregiudizio.  Anche  in 
Sanmarino  s'introdusse  la  distinzio- 
ne, però  di  nome,  tra  le  famiglie 
nobili  e  le  altre,  venendo  ampol- 
losamente qualiOcati  i  capitani  : 
Regnandbus  in  illustrissima  Rei- 
pub  lica  illustrissinìis  D.  D.  ca- 
pilaneis  Claudio  Bellutio,  et  Pau- 
lo Antonio  Honofrio  nobilibus  san- 
marinensibus.  Furono  ancora  nu- 
merose famiglie  forestiere,  princi- 
palmente dello  stato  pontifìcio  , 
aggregate  nel  secolo  XVII  tra  le 
famiglie  nobili  di  Sanmarino.  Nel- 
la scarsezza  de'  mezzi  d'  istruzione 
pure  si  distinsero  in  detto  secolo, 
monsignor  Valeiio Maccioni  vescovo 
di  Marocco  e  vicario  apostolico  nel- 
la Sassonia  inferiore;  monsignor  A- 
iessandro  Belluzzi;  Matteo  Valli  che 
pel  primo  pubblicò  la  relazio- 
ne islorico-pohtica  di  sua  patria:  a- 


M/Vll 
mico  di  Gabriele  Naudeo  e  segreta- 
rio della  repubblica  e  letterato,    fu 
pure  autore  di  alcuni  consigli  scritti 
con  semplicità. 

Indeboliti  i  principii  costituzio- 
nali, nella  degradazione  de'  senti- 
menti, ne  soiTrì  ancora  la  ricchez- 
za pubblica  e  la  popolazione.  Le 
guerre  che  devnslarono  1'  Italia 
dal  principio  fin  quasi  alla  me- 
tà del  secolo  XVIII,  incomincian- 
do da  quelle  per  la  successio- 
ne alla  monarchia  spagnuola,  la- 
sciarono immune  la  repubblica,  che 
per  altro  andò  soggetta  ad  in- 
terne alterazioni,  essendone  stata 
la  più  potente  cagione  la  riduzione 
del  consiglio ,  che  dal  numero  di 
sessanta  fu  ristretto  a  quaranta 
consiglieri.  Se  i  sommi  Pontefici 
dopo  che  il  feudo  d'  Urbino  nel 
1624  si  devolvette  alla  santa  Se- 
de, cessando  la  protettoria  di  San- 
marino di  que'  duchi ,  e  suben- 
trando quella  della  Sede  apostolica, 
non  credettero  di  esercitare  alme- 
no lo  stesso  identico  diritto  di 
protezione  de*  duchi  d'Urbino,  non 
ne  hanno  però  perdalo  il  diritto, 
né  hanno  dubitato  di  poterlo  eser- 
citare e  praticare,  come  al  tempo 
di  Clemente  XI  nel  1701,  per  bi- 
sogno di  accantonamenti  di  truppe 
straniere,  per  la  battitura  delle 
marine,  e  somiglianti  bisogni;  che 
anzi  nel  1 7  1 8  a'  4  aprile,  in  ca- 
mera apostolica  avanti  monsignor 
Colonna  giudice  deputato,  fu  deter- 
minato, che  dagli  ecclesiastici  tutti 
di  Sanmarino  si  pagasse  la  stessa 
tassa  delle  galere,  che  non  si  pa- 
gava  se  non  dagli  ecclesiastici  del- 
lo stato  pontifìcio.  Ta»Uo  sostie- 
ne e  riferisce  il  Fea.  Un  grave 
pericolo  che  minacciò  i'  esistenza 
della  repubblica,  e  che  andiamo  a 
narrare,  ravvivò  gli  animi,  che  ri* 


M  A  II 
scossi  dal  lungo  errore  e  profonde» 
letargo,  posero  ogni  potere  per  ri- 
stabilirsi nell'antico  slato  e  nei  pri- 
mieri sentimenti  :  per  isterica  im- 
parzialità riporteremo  il  diverso  mo- 
do come  l'avvenimento  fu  narrato. 
11  cardinal  Giulio  Alberoni  piacen- 
tino fu  da  Clemente  XII  spedito 
in  Romagna  per  legato  apostolico. 
Alcuni  sanmarinesi  rei  di  prigione, 
ed  altri  malcontenti  del  governa- 
mento  e  degli  arbitrii  de'capi  del- 
la repubblica,  ricorsero  alla  prote- 
zione del  cardinal  Alberoni,  invo- 
cando altresì  sul  loro  paese  il  pa- 
terno governo  delia  santa  Sede. 
Il  cardinale  domandò  al  governo 
democratico  la  remissione  di  tali 
rei  come  patentati  del  santuario  di 
Loreto,  che  allora  concedeva  pa- 
tenti immunitarie  ,  esonerando  i 
patentati  dalie  giurisdizioni  altrui. 
Non  riconoscendo  la  repubblica  sif- 
fatti privilegi,  dichiarò  al  cardina- 
le opporsi  alle  leggi  la  sua  richie- 
sta, il  quale  scrisse  a  Roma  pro- 
ponendo che  gli  fosse  accordato  il 
diritto  di  rappresaglia.  Il  Novaes, 
nella  vita  di  Clemente  XII,  narra 
che  più  volte  alcuni  sanmarinesi 
erano  ricorsi  al  Papa  per  assogget- 
tarsi al  suo  dominio,  che  sulle 
prime  non  rispondendo ,  quando 
lo  supplicarono  a  mezzo  del  cardi- 
nale, fece  a  questi  rispondere  che 
si  portasse  ai  confini  della  repub- 
blica, ed  ivi  prudentemente  atten- 
desse quelli  che  volontariamente 
venissero  a  ratificare  le  loro  sup- 
pliche, e  se  la  migliore  e  maggior 
parte  della  popolazione  fosse  real- 
mente bramosa  di  sottomettersi  al 
dominio  pontificio  ,  allora  si  avan- 
zasse a  prendere  possesso  del  ter- 
ritorio, altrimenti  ritornasse  subito 
a  Ravenna.  Tanto  bastò  al  cardi- 
nale ,    impaziente    d'  impadronirsi 


MAR  95 

della  repubblica  ,  per  portarsi  con 
buon  numero  di  gente  armata 
nel  territorio,  e  senza  attendere 
quanto  gli  era  stato  insinuato,  en- 
trò a  forza  in  Sanmarino  ni/^.  ot- 
tobre, vi  pose  il  governatore,  e 
prescrisse  diverse  leggi,  malgrado 
che  molti  ricusarono  prestare  il 
richiesto  giuramento  di  sudditanza 
alla  Sede  apostolica.  I  sanmarinesi 
ricorsero  a  Clemente  XII,  mani- 
festandogli le  violenze  usate  dal 
cardinale,  ed  il  Papa  alieno  dalle 
usurpazioni,  riprovò  pubblicamen- 
te la  condotta  del  legato  e  dis- 
approvò il  giuramento  esatto.  Sicco- 
me poi  alcuni  del  popolo  erano  con- 
tenti restare  sotto  il  dominio  della 
Chiesa,  quindi  Clemente  XII  mandò 
a  Sanmarino  il  governatore  di  Ma- 
cerata Enrico  Enriquez  poi  cardi- 
nale, prelato  di  somma  prudenza 
ed  integrità  ,  incaricandolo  qual 
commissario  apostolico  e  delegato, 
di  ricevere  i  voti  liberi  e  spontanei 
dei  sanmarinesi,  con  facoltà  di 
annullare  gli  atti  precedenti ,  se 
contrari  alle  rette  intenzioni  del 
Pontefice.  Conosciutasi  dal  prelato 
la  libera  volontà  del  consiglio,  del 
cleio  e  dei  capi  della  repubblica, 
nella  maggior  parte  costanti  nel- 
l'antica libertà,  questa  interamente 
restituì  loro,  confermando  i  privi- 
legi concessi  dai  Papi,  ed  in  ispe- 
eie  di  Martino  V,  di  Eugenio  IV, 
di  Pioli  (che  avea  confermalo  il 
possesso  di  Serra  valle,  di  Faetano 
ed  altri  luoghi ,  salvo  il  supremo 
dominio  della  santa  Sede),  di  Leo- 
ne X  e  di  Clemente  Vili.  Il 
tutto  confermò  Clemente  XII,  re- 
stituendo alla  repubblica  la  sua 
piena  libertà  con  sua  gloria,  non 
però  del  cardinal  Alberoni,  il  qua- 
le pubblicò  a  sua  difesa  un  mani- 
feslOj  di  cui   restò  assai    disgustato 


96  MAR 

il  Ponlcfice  ,  anche  per  aver  at- 
taccato i  suoi  ministri,  e  divulgate 
le  lettere  scrittegli  dal  cardinal 
Firrao  segretario  di  stalo.  Fin  qui 
il  Novaes. 

Però  lo  storico  di  Sanmarìno 
riferisce  che  il  cardinal  Alberoni, 
senza  attendere  riscontri  da  Roma 
suir  invocata  rappresaglia,  arrestò 
alcuni  innocenti  gentiluomini  san- 
marinesi  che  per  affari  trovavansi 
in  Romagna,  impedì  le  tratte  e  i 
passi  alle  vettovaglie,  e  fece  circon- 
dare i  conOni  del  territorio  dai 
suoi  armati;  che  quindi  rappresen- 
tò al  vecchio  Pontefice  che  a  be- 
ne della  Chiesa  e  dello  stato  conve- 
niva riunire  la  repubblica,  che  di- 
pinse co'piìineri  colori,  alla  papa- 
le dominazione,  per  ridurla  alle 
vie  della  salute  e  della  quiete,  an- 
co per  le  future  contingenze  se 
un  principe  straniero  se  ne  fosse 
impadronito,  e  per  terminare  fra  i 
cittadini  le  continue  dissensioni  ed 
inimicizie;  che  il  cardinale  con  false 
carte  rappresentò  al  Papa  e  al 
sacro  collegio  una  spontanea  de- 
dizione del  popolo,  cose  tutte  che 
indussero  il  cardinal  segretario  di 
stato  a  persuadere  Clemente  XII 
a  convenirvi  con  bolla  però  circo- 
scritta da  cautelate  condizioni,  dal 
porporato  non  curate,  eccedendone 
i  limiti,  invece  di  verificar  prima 
il  volere  de'  cittadini.  Accompa- 
gnato il  cardinale  da  milizie  ,  con 
alcuni  traditori  della  patria,  entrò 
nel  territorio;  e  dopo  pochi  applau- 
si che  fece  Serravalle  al  Papa ,  en- 
trò ancora  in  Sanmarino,  occupò 
le  porte  della  città  per  mezzo  dei 
contadini  d'  un  castello  sedotti  , 
con  sorpresa  de*  cittadini  ,  parte 
de'quali  si  allontanarono,  che  ben 
presto  ne  conobbero  le  intenzioni- 
Nella  maggior    chietra    dedicata  al 


MAR 
santo  patrono,  il  cardinale  convoca) 
i  cittadini  perche  giurassero  sog- 
gezione. Si  ricusarono  il  capitano 
Giangi,  Giuseppe  Onofri,  Girolamo 
Gozi,  onde  il  cardinale  proruppe 
in  iraconde  espressioni,  che  poi 
sfogò  con  ordinare  carcerazioni  e 
saccheggi,  e  gli  altri  per  evitarti 
scandali  e  disturbi  sagrificarono 
alle  circostanze,  prestando  giura- 
mento di  fedeltà  ed  obbedienza 
alla  Sede  apostolica  condizionata- 
mente. Ricorsi  i  sanmarinesi  a  Ro- 
ma, il  Papa  e  i  cardinali  restaro- 
no sorpresi  e  meravigliati  dalla 
narrazione  delle  prepotenze  del  le- 
gato, e  dopo  le  relazioni  del  pre- 
lato Enriquez,  Clemente  XII  ripa- 
rando air  ingiustizia  le  disapprovò^ 
e  restituì  alla  repubblica  le  sue 
antiche  forme  di  governo,  dopo 
un  interiegno  di  circa  tre  mesi  e 
mezzo  ;  e  nel  giorno  5  febbraio 
1740,  sacro  alla  vergine  s.  Agataj 
fu  la  repubblica  integralmente  ri- 
costituita, colla  più  pura  gioia  e 
liete  feste  de* sanmarinesi ,  che  le 
rinnovano  tuttora  nell'anniversario 
di  tal  giorno.  Benedetto  XIV  a- 
vendo  fatto  legato  di  Bologna  il 
cardinal  Alberoni  ,  questi  allora 
pubblicò  un  Manifesto  islorico- 
critico- apologetico  della  conquista 
del  Titano,  ma  venne  vittoriosa- 
mente confutato  per  decoro  della 
santa  Sede  e  di  Clemente  XII, 
dal  nipote  di  questi  cardinal  Neri 
Maria  Corsini,  con  una  Memoria 
corredata  d'irrefragabili  documenti, 
secondo  il  Delfico.  Finalmente  i  san- 
marinesi vollero  manifestare  esterni 
sensi  di  gratitudine  alla  memoria  di 
Clemente  XII,  con  un  marmoreo 
busto  ed  iscrizione  che  fu  decre- 
tala ed  eseguita,  mentre  il  commis- 
sario Enriquez  {  ciò  che  tace  '\\ 
Delfico,  anzi    confonde    col    busta 


M  A  R 

che  non  nomina)  assicurò  il  cardi- 
Dal  Firrao  che  la  statua  di  Cle- 
iDenle  XI 1  eretta  nel  palazzo  pub- 
blico dal  cardinal  Aiberoni,  ivi  re- 
sterà in  perpetuo,  giusta  il  suo 
decreto,  e  l'obbligazione  giurata  fatta 
da'consiglieri,  poscia  solo  si  cambiò 
r  iscrizione,  come  notò  il  Fea.  Se 
per  tale  avvenimento  la  repubblica 
risorse  in  certo  modo  dall'oblio, 
profittò  anche  della  sventura,  ri- 
stabilendo i  pubblici  sentimenti  sul 
■vero  amore  della  patria.  Il  gene- 
ral consiglio  fu  rimesso  nella  sua 
integrità,  restituito  il  decoro  ai 
pubblici  funzionari,  e  riprese  le 
abitudini  repubblicane  ed  il  rispet- 
to alle  leggi;  le  private  gare  ces- 
sarono, e  rinacque  la  stima  e  l'o- 
pinione favorevole  per  la  repubbli- 
ca, laonde  diverse  illustri  famiglie 
d'Italia  desiderarono  di  essere  a- 
scritte  alla  sua  nobile  cittadinanza, 
la  quale  fu  con  piacere  accordata, 
tutto  osservando  il  Deifico  nella 
sua   nanativa. 

Ma  quanto  all'  occupazione  di 
Sanmarino  eseguita  dal  cardinal  Ai- 
beroni, questi  il  Fea  difende  prin- 
cipalmente col  sommario  a  p.  122 
e  seg. ,  in  cui  ne  riporta  i  docu- 
menti, e  pel  primo  il  breve  Inter 
prnecipitas,  di  Clemente  XII  al 
cardinale;  la  copia  della  lettera 
del  cardinal  Firrao  segretario  di 
slato  al  cardinal  Aiberoni  legato 
di  Romagna,  in  cui  gli  dice  con- 
venire di  aver  la  terra  di  Sanma- 
rino con  maneggio  non  per  via  di 
forza,  riportando  soscrizioni  da  quel- 
li che  desiderano  darsi  alla  santa 
Sede,  promettendo  esenzioni  e  pri- 
vilegi ;  la  copia  di  lettera  del  le- 
gato al  segretario  di  stato  de'  17 
ottobre  1739  da  Sanmarino,  in 
cui  narra  le  acclamazioni  ricevute 
a  Serravalle  dal  parroco,  e  da  più 

VOL.    XLIII. 


MAR  97 

di  trecento  uomini  che  Io  accompa- 
gnarono al  borgo  di  Sanmarino, 
donde  dopo  i  rogiti  passò  a  San- 
marino stesso  inerme,  senza  solda- 
ti e  sbirraglia,  perchè  la  dedizione 
fosse  volontaria  ,  compiacendosi  di 
poter  disfare  un  nido  che  poteva 
col  tempo  essere  fatale  allo  slato 
ecclesiastico.  La  lettera  del  legato, 
di  Sanmarino  2  i  ottobre,  al  segre- 
tario di  stato,  notificandogli  esser- 
si a  lui  presentati  i  capi  più  rag- 
guardevoli e  più  accreditali  del 
luogo,  per  riformar  gli  statuti  sì  pel 
civile,  che  pel  criminale  ed  econo- 
mico. La  copia  di  lettera  scritta 
a'  28  ottobre  1789  dal  gonfalo- 
niere e  conservatori  della  città  di 
Sanmarino  al  cardinal  Aiberoni 
legato  di  Romagna  e  delegato  apo- 
stolico, in  cui  si  dice  che  aduna- 
tisi per  la  prima  volta  dopo  l'ob- 
bedienza prestata  alla  santa  Sede, 
e  dopo  aver  ricevuto  e  posto  al 
possesso  di  governatore  il  dottor 
Fogli,  dal  cardinale  a  ciò  desti- 
nato, era  obbligo  loro  e  di  tutto 
il  popolo  rassegnarsi  umilissimi  sud- 
diti di  sua  Beatitudine,  e  implo- 
rare la  conferma  de'  privilegi,  ri- 
servandosi far  simile  atto  diretta- 
mente con  sua  Santità,  facendo  al 
cardinale  ringraziamenti  ed  osse- 
qui per  la  carità  e  moderazione 
usata.  Il  breve  Cum  diu  vìultiim- 
que ,  de'  21  dicembre  1739,  dì 
Clemente  XIT,  col  quale  destinò 
monsignor  Enriquez  visitatore  e 
delegato  apostolico  nella  terra  di 
Sanmarino  e  suoi  annessi,  per  prov- 
vedere ai  bisogni  di  que'  popoli, 
e  successivamente  restituirli  al- 
la primiera  libertà  .  In  questa 
breve,  come  in  quello  diretto  al 
cardinal  Aiberoni,  si  vede  come 
i  Papi  non  hanno  mai  dubitato  del 
supremo  dominio  della  santa  Sede 
7 


98  MAR 

sopra  Sanraarino,  in  vigore  del  qua- 
le egli  agì  in  quella  occasione  con 
plenipotenza,  ne  i  sanmarinosi  op- 
posero rilievi  alla  loro  imlipoii- 
denza,  anzi  implorarono  e  gratìi- 
rono  r  aiuto  pontificio;  laonde  fu 
allora,  come  riflelle  il  Fea,  fìssalo 
uno  stato  inalterabile,  coll'obbligo 
di  ricorrere  alla  santa  Sede  in  o- 
gni  occorrenza,  quindi  incoerente 
l'asserto  che  non  conoscono  il  Pa- 
pa se  non  che  per  una  potenza 
estera,  la  quale  non  ha  alcun  di- 
ritto su  di  loro.  Gli  altri  docu- 
menti sono.  L'istruzione  di  quanto 
doveva  fare  il  prelato  Enriquez 
nella  commissione  alìfìdatngli,  e  la 
lettera  del  segretario  di  stato  ai 
capitani  di  Sanmarino,  accompagna- 
toria del  prelato  per  ristabilir  la 
pace  e  la  quiete.  La  lettera  del 
cardinal  Firrao  a  tale  prelato,  e 
quella  di  questi  responsiva  de'20 
gennaio  1740;  con  altre  del  me- 
desimo porporato  allo  stesso  En- 
riquez per  conoscere  se  vere  le 
decantate  angarie  ed  oppressioni 
del  popolo,  prima  che  \i  giunges- 
se il  cardinal  Alberoni  ,  perchè 
istallasse  prima  di  partire  il  nuovo 
governo  di  Sanmarino,  e  ripristi- 
nasse in  libertà  l'antico  governo. 
La  lettera  de'  capitani  della  re- 
pubblica di  Sanmarino,  in  data  6 
febbraio  ì'J^o,  di  ringraziamento 
per  aver  cooperato  alla  ricupera 
della  primiera  libertà.  La  lettera 
del  commissario  Enriquez  al  car- 
dinal Firrao,  in  cui  significa  aver 
ricevuto  dal  consiglio  de' sessanta 
i  giuramenti  e  promesse  in  iscrit- 
to di  tutti  i  consiglieri  sopra  il 
rispetto  dovuto  olla  santa  Sede,  a 
cui  prwativamente  dovranno  ri- 
correre  per  aiuto  e  favore  in  tulli 
i  bisogni  sì  interni  che  esterni  di 
questo  pubblico;  e  di  aver  pubbli- 


Ai  APx 
calo  i  decreti  ligunrdanli  vari 
provvedimenti,  restituendo  quindi 
il  pubblico  nella  primiera  libertà 
per  le  facoltà  conferitegli  dal  bre- 
ve apostolico  ,  onde  il  consiglio 
volle  che  il  prelato  gli  proponesse 
il  commissario  o  sia  giudice  ordi- 
nario, ed  il  cancelliere,  dopo  che 
si  recò  coi  sanmariuesi  nella  chie- 
sa maggiore  a  rendere  grazie  a 
Dio,  con  voci  dì  riconoscenza  ver- 
so Clemente  XIL  La  lettera  del 
prelato  al  magistrato  di  Sanmari- 
no, pei  ringraziamenti  che  aveagli 
fatto  nella  reintegrazione  della  re- 
pubblica,  de'  17  febbraio  I740' 
Lettera  del  medesimo  al  cardinal 
Firrao,  in  cui  afferma  che  il  suo 
decreto  di  reintegrazione  è  relativo 
al  pontificio  breve,  dove  per  ben 
tre  volte  si  enuncia  l'alto  dominio 
o  sia  sovranità  della  santa  Sede 
su  Sanmarino,  del  qual  breve,  co- 
me di  tutti  gli  atti  fatti,  erano  re- 
slate  copie  autentiche  nel  pubblico 
archivio  sanmarinese  ;  e  che  di 
più,  tutti  i  consiglieri  eratisi  obbli- 
gati con  giuramento  di  ricoirere 
privativamente  alla  santa  vSede  in 
tutti  i  bisogni  SI  interni  che  ester- 
ni del  pubblico ,  per  aiuto  e  fa- 
vore, e  di  mandare  per  l'archivio 
vaticano  tutte  le  copie  in  auten- 
tica forma  relative  alla  sovranità 
pontificia  ,  estratte  dagli  archi- 
vi di  Sanmarino,  di  Verrucchio  e 
della  Penna.  Il  decreto  de' 9  feb- 
braio 1740  del  prelato  visitatore 
e  delegato  apostolico,  reintegrante 
i  sanmariuesi  al  primiero  slato,  di 
|il)ertà.  L'alio  solenne  col  quale 
la  comunità  di  Sanmarino  nel 
1464  ^>  obbligò  di  non  distrug- 
gere Serravalle.  Il  diploma  del 
duca  Valentino ,  da  cui  si  racco- 
glie che  Sanmarino  e  Serravalle 
erano  a  lui  soggetti  come  fendala- 


MAR 

rli  lidia  Cliiesa.  L'annotazione  eli 
un  erudito  apologista ,  in  cui  si 
dice  che  il  duca  Valentino  nel 
i5o2  occupò  Sanniarino  come  mém- 
l)io  del  Monte  Feltro  ,  e  parte 
dello  stato  dtl  duca  Guidobaldo. 
]1  breve  Jiilìnniiim  ordinis  del 
)5i7,  di  Leone  X,  col  quale  prese 
sotto  la  sua  protezione  gli  uomini  di 
Sanmarino.  Documento  sulla  pro- 
lezione clie  prese  su  Sanmarino 
Guidobaldo  11  nel  i549-  Concbiu- 
de  il  Fca  il  suo  sommario  con  di- 
chiara re,  cbe  la  commissione  accor- 
data al  cardinal  Alberoni  di  rice- 
vere la  libera  dedizione  dei  san- 
marinesi  per  la  santa  Sede,  era 
giusta  e  insieme  piudente ,  nella 
supposizione  in  cui  fu  data  ;  quin- 
di riporta  la  bolla  di  Martino  V, 
Sìncerae  dcvotionìs  affectus^  colla 
quale  accordò  il  giudice  per  le 
seconde  istanze  ;  e  la  bolla  di  Pio 
11,  Evidentia  verae  pdelilaiis,  del 
i4f>3,  per  l'investitura  di  Serra- 
valle  e  degli  altri  castelli,  data  al- 
la  terra  di   Sanmarino. 

11  Salmon  che  pubblicò  la  sua  o- 
pera  nel  i  757,  narra  che  a  quell'epo- 
ca la  città  di  Sanmarino  da  un  lato 
era  cinta  di  mura,  dall'altro  difesa 
da  un  orribile  precipizio,  sopra  il 
quale  erano  tre  castelli  o  fortezze 
in  poca  distanza  fra  loro;  che 
conteneva  nel  isuo  circuito  cinque 
cbiese,  e  quattro  conventi  o  mo- 
nasteri; che  nel  borgo  a  pie  del 
monte  ogni  settimana  tenevasi  mer- 
cato, e  quattro  fiere  ogni  anno,  e 
nella  maggioive  di  s.  Bartolomeo 
tutti  i  cittadini  si  vedevano  in  ar- 
mi; che  il  popolo  onesto  e  dabbe- 
ne, vivendo  in  mezzo  agli  slati  della 
Chiesa,  viveva  altresì  sotto  la  pro- 
tezione pontificia,  e  quasi  diremo 
in  potere  del  Papa,  che  volendo 
potrebbe  con  poca    fatica  dar  fine 


MAR  ^^         9*9 

alla   di  lui    indipendenza,  cwn'  egli 
si  esprime;     ed  aggiunge,     cti' essa 
non  nasce   tanto  dall'eccellenza  del 
governo  con  cui  si  regge,    quanto 
dalla  povertà  e    freddezza    del   pae- 
se.  Aggiunge  che    sull'altare    mag- 
giore della    chiesa   principale  vedo- 
vasi  la  statua   di  s.  Marino  tenen- 
te in   mano    una     montagna  coro- 
nata   da   tre   castella,  che  sono  ap- 
punto    r   arma     della     repubblica. 
Passa  a    narrare  la  storia  del  car- 
dinale   Alberoni  ,     seguendo    quelli 
che  fecero  comparire  odiosa  la  sua 
spedizione,  e  più   la  di  lui  condot- 
ta,   parlando     pure     della    risposta 
dei  sanmarinesi  al  ragguaglio  stam- 
pato    in     Ravenna     dal    cardinale. 
Nel    1786   il  cardinale  Valenti    le- 
gato di    Romagna    assunse  la  pro- 
tezione  di   un   tal    avv.  Diasi  com- 
missario della    repubblica,  accusato 
di  gravi   mancamenti  al  suo  impiego, 
e  che  per    isfuggire  il  giudizio  della 
repubblica    t  rasi  appellato  a  Roma, 
adducendo    il  suo  privilegio  chieri- 
cale,   o   meglio'    si     vollero  tutelare 
i   diritti   dell'immunità  ecclesiastica. 
L'urto   crebbe  a  segiìo,  che  in  Ro- 
magna   fu  bandita    ogui  estrazione 
di  generi  ed  ogni  comunicazione  con 
Sanmarino,  che    in  certo  modo  fu 
bloccato  sei  mesi;   ma  Pio  VI,  co- 
nosciute le   ragioni     de'sanmarinesi, 
richiamò   il   legato,  fece  riaprire  le 
comunicazioni,   e    lasciò  in     libertà 
i   sindacatori   di    sentenziare. 

La  fine  del  secolo  XVIII,  tanfo 
fatale  ai  politici  rapporti  dell'  Ita- 
lia, cangiò  anche  in  parte,  ma  tran- 
quillamente, i  rapporti  geogralìco- 
politici  della  repubblica.  Dal  tro- 
varsi intieramente  contenuta  nello 
slato  della  Chiesa  ,  si  vide  quasi 
intieramente  collocata  in  mezzo  ad 
una  nuova  repubblica,  e  successiva- 
mente aver  da  un  fianco  l'aulico  vi- 


loo       ,  MAR 

cÌDo^t^  «l^iraltio  il  moderno.  Il  con- 
taggjfgvoluìjionàrio  si  fece  pur  sen- 
tiivp^  l^g'ermenle    in   qualche    rao- 
mento,  ma  l'ordine  fu  presto  rista- 
bilito. Mentre  il  generale  Napoleo- 
ne Bonaparte  nel  1797  continuava 
ad    invadere    V  Italia    colle  armate 
francesi  repubblicane,  dal  quartieie 
generale  di  Modena  mandò    il   ce- 
lebre scienziato  Monge  a  visitare  in 
nome  suo  e  della  repubblica  fran- 
cese i  sanmarinesi,  e  proferir   loro 
amicizia  e  fratellanza.  Monge  arri- 
vò a  Sanmarino   a' 12    febbraio,    e 
fece  un  discorso  degno  di  lui,  della 
nazione,  e  di  chi  lo  mandava.    Le 
generose  offerte  dell'  estensione    del 
territorio,  della  piccola  artiglieria  e 
delle  derrate,  furono  accettate  o  ri- 
fiutate  con    ragionevoli    distinzioni. 
Hicusato  l'aumento  del    territorio  , 
temendo  che  in  alcun  cangiamento 
potesse  restare  in  pericolo    la    pa- 
tria, i  sanmarinesi  accettarono  Tof^ 
ferta  delle  armi,  non  mai  però  ef- 
fettuata, le  sussistenze    e    i    favori 
relativi  alla  finanza.  Nelle  sue  guer- 
re d' Italia  Napoleone  ebbe  il  per- 
messo di  far  transitare  le  sue  trup- 
pe nel  territorio    sanmarinese.    La 
libertà  e  indipendenza  salvata  sulla 
vetta  del  Titano,  vi  ricevè  gli  omaggi 
della  nazione  che  faceva  allora  tre- 
pidare l'Europa  :  Alessandro  il  Mace- 
done rispettò  nelle  sue  conquiste  la 
libertà  di  Pindinisso;  il  nuovo  Ales- 
sandro (cosi  lo  storico  di  Sanmari- 
no qualifica  Napoleone)  rispettò  il 
Titano,    e    gli    stese  la  sua  destra 
benefica.  Pindinisso;  piccola  città  o 
castello   degli    eleulero-cilicii ,    col- 
locato su  d'un  altissimo  monte,  mu- 
nitissimo  ed  inespugnabile,  benché 
posto  fra  bellicose  nazioni  ed  am- 
biziosi principi,  restò  sempre    libe- 
ro   e   mai    da    alcuno    soggiogalo . 
Alessandro  passandogli  appresso  da 


MAR 
conquistatore,  rispettò  la  sua  pace  e 
libertà,    e  Cicerone  sospirò  invano 
sul  nome  di  Pindinisso    per    farne 
un  titolo  al  suo  trionfo.  Dall'anzi- 
detta epoca  tutto  fu    tranquillo  in 
Sanmarino,  ed    a  quella    della    re- 
pubblica italiana,   la  nuova  repub- 
blica   e    il    supremo    rettore    della 
medesima  Napoleone,  confermarono 
con  solenne  trattato  un  sistema  di 
amicizia  e  di  beneficenza  ,  essendo 
compresa  nel  dipartimento  del  Ru- 
bicone.    Il     trattato    di    fratellanza 
creata  da  Napoleone    colla    repub- 
blica nel    1802,  con  bollettino  delle 
leggi  della  repubblica  italiana  num. 
i5,  presso  il  eh.  Coppi  anno  1802, 
num.   34,  si   può  leggere.    In  que- 
sto tempo    fiori    benemerito    dell^ 
patria,  e  ben   accetto  a  Napoleone, 
Antonio    Onofri.    Neil'  impero  ,    e 
nel    ritorno    di    Pio    VII    sul    tro- 
no   pontificale,    la   repubblica    nul- 
la ebbe    a    soffrire,  contenta  della 
sua  mediocrità  e  della  pontifìcia  pa- 
terna protezione,  riconoscendo  quel 
Papa  la  sua  indipendenza  nel  rior- 
dinamento delle  pubbliche  cose.  Il 
cav.  d'Artaud  nella  Storia  del  Pon- 
tefice Leone  XI I^  t.  I,  p.  197  e  seg. 
narra  come  per  alcune    dissensioni 
particolari,    alcuni  bramarono  che 
il  territorio    della  repubblica   si  u- 
nisse  allo  stato  pontifìcio,  mentre  il 
numero  maggiore  voleva  conserva- 
re r  indipendenza  ;  come  alcuni  di- 
plomatici vi  presero  parte,  della  il- 
luminata moderazione  di  Leone  XII, 
che  difende  in  un  al   cardinal    se- 
gretario   di    stato    della     Somaglia 
piacentino  e  figlioccio  del    cardinal 
Alberoni  ,    narrando    inoltre  ,   che 
nel     1824     il     marchese    Antonio 
Onofri    deputato    del    governo ,  fu 
dal  santo  Padre    ammesso  ad  osse 
quiarlo  per  congratularsi  dell'assun- 
zione  al    pontificato    (il  busto    di 


MAR 

tal  diplomatico  concittadino  è  nel 
palazzo  del  governo);  dice  in  fi- 
ne die  nella  guerra  dell'  ultima 
rivoluzione  di  Napoli  il  conte  Fri- 
iTiont  generalissimo  dell'esercito  au- 
striaco^ chiese  ed  ottenne  il  per- 
messo dalla  repubblica  di  passar 
coll'esercito  nel  suo  territorio ,  ed 
una  parte  della  popolazione  discese 
dal  monte  per  vedere  il  difìlamen- 
lo  dell'esercito,  che  a  venti  soldati 
della  repubblica  rese  gli  onori  mi- 
litari. Pio  VIIJ,  Gregorio  XVI,  e 
il  regnante  Pio  IX  riconobbero  la 
repubblica  sanmarinese  ;  e  questa 
nelle  politiche  vicende  del  i83i  e 
nelle  successive  si  contenne  saggia- 
mente. 

La  città  di  Sanmarino,  un  tem- 
po detta  la  Penna  di  s.  Marino, 
capitale  della  repubblica,  è  posta 
orizzontalmente  nel  versante  monte 
del  Titano,  cinta  di  mura ,  leg- 
gendosi il  molto  Libertas  nelle  sue 
porte.  Nel  tempio  maggiore  anti- 
chissimo, ed  a  più  vaga  e  maesto- 
sa forma  modernamente  ridotto 
dall'architetto  Antonio  Serra  bolo- 
gnese, si  venera  qual  promulgtore 
del  vangelo  e  fondatore  della  libertà 
s.  Marino.  Questo  tempio  è  insigni- 
to del  titolo  di  collegiata,  ed  è  uffi- 
ciato dai  canonici,  essendovi  la  di- 
gnità dell'arciprete.  Vi  sono  sette 
altari,  nel  maggiore  ammirandosi 
nell'ara  massima  la  statua  di  san 
Marino  in  marmo  del  valente  Ada- 
mo Tadolini  (che  scolpì  pure  il 
monumento  del  diplomatico  Onofri 
colla  figura  della  repubblica  che 
piange  s\  egregio  concittadino),  il 
quale  dopo  il  i834  l'esegui  secon- 
do il  disegno  datogli.  L'interno 
della  chiesa  è  ornato  assai ,  con 
eccellente  organo  ,  distinguendosi 
ira'  quadri  la  Madonna  di  Loreto 
del  Guercino,    ed  un    s.    Sebastia- 


MAR  loi 

no.  Vi  si  tengono  anche  1  pub- 
blici consigli,  vi  si  presta  il  giura- 
mento civico  dai  magistrati ,  e  si 
riguarda  come  il  palladio  della  san- 
marinese libertà.  A'  3  di  settembre 
vi  si  celebra  pomposamente  la  fe- 
sta del  santo  titolare,  che  può  dirsi 
nazionale,  poiché  vi  risuonano  gl'in- 
ni spiranti  amor  di  patria  ,  e  de- 
voti alla  celestiale  protezione.  Nel- 
la Fisita  triennale,  che  il  p.  Ci- 
valli  fece  ne'  conventi  de'  minori 
conventuali  nel  declinar  del  secolo 
XVI,  e  pubblicata  dal  Colucci,  An- 
tichità Picene  t.  XXV,  p.  2o3,  dice 
di  aver  veduto  il  sepolcro  ed  il  letto 
del  santo,  di  pietra  viva,  avente  vici- 
no una  gran  tomba  o  arca  pure  di 
pietra  viva,  nella  quale  giacevano  i 
signori  che  avevano  donato  l'altissi- 
mo Monte  Titano  a  s.  Marino;  e 
che  la  chiesa  era  allora  coperta  di 
coppi  fatti  di  pietra  per  mano  del 
santo,  cosa  bella  a  vedersi.  Indi  sog- 
giunge che  i  minori  conventuali 
vi  ebbero  un  convento,  la  cui  chie- 
sa fu  consecrata  nei  i254;  nel 
convento  vi  fiorirono  il  b.  Dome- 
nico, il  b.  Pietro  da  Monte  del- 
l'Olmo, ed  il  b.  Graziano,  i  corpi 
de'  quali  è  opinione  che  sieno  stati 
trasferiti  nella  chiesa  di  s.  Marino. 
Del  secondo  convento  e  chiesa  esi- 
stenti al  tempo  della  sua  visita , 
l'erezione  della  prima  risaliva  al 
i36i.  Nell'altare  maggiore  era  vi 
un  quadro  dipinto  da  Girolamo  da 
Corognola,  vicino  ad  esso  il  sepol- 
cro di  un  signore  di  Carpegna  ,  e 
presso  la  sacrestia  quello  del  san- 
marinese Madronio  vescovo  di  Se- 
baste sunnominato.  Illustrò  questo 
convento  l'altro  minor  conventuale 
pur  rammentato  vescovo  Bertoldi. 
11  palazzo  del  governo  edificato 
nei  primi  del  secolo  XIV  adorna. 
la  piazza  principale,    ed  altre  con- 


102  MAR 

venienti  fabbriche  si  ravvisano  Fra 
le  private  abitazioni.  In  ([uella  del 
celebre  insigne  archeologo  cav.  Bar- 
tolomeo Borghesi  di  Savignano  , 
solo  per  elezione  e  cittadinanza 
sanmarinese,  si  ammira  il  suo  mu- 
seo numismatico  ricco  di  circa  qua- 
rantamila medaglie,  molte  delle 
quali  rarissime.  La  istruzione  pub- 
blica risplendeva  a'  nostri  giorni 
nel  collegio  Belluzzi,  ove  si  col- 
tivavano i  buoni  studi  con  ec- 
cellenti professori;  ma  da  qualche 
tempo  il  collegio  è  chiuso.  Vi  è 
una  casa  religiosa  di  francescani , 
e  vicino  alle  mura  della  città  un 
convento  di  cappuccini,  che  si  me- 
ritarono sempre,  per  la  loro  edifi- 
cante pietà,  il  rispetto  e  la  venera- 
zione di  tutta  la  repubblica.  Egual- 
mente rispettabile  per  cristiane  vir- 
tù si  reputa  il  monastero  delle 
monache  di  s.  Chiara,  situato  entro 
il  paese,  ove  di  continuo  accorro- 
no molte  pie  donzelle  delle  più  di- 
stinte famiglie  di  Romagna  per  far- 
"vi  religiosa  professione.  Al  disopra 
della  città  vedesi  sull'alto  della  ru- 
pe la  rocca  della  Guaita  ,  e  nella 
pendice  occidentale  fu  costruito , 
dopo  l'aumento  della  popolazione, 
il  così  detto  Mercatale  o  Borgo. 
Ivi  si  tengono  quattro  fiere  annua- 
li, essendo  le  principali,  quella  del 
giorno  di  san  Bartolomeo,  e  quel- 
la per  la  festa  della  Natività  di 
Maria  Vergine  :  avvi  inoltre  in 
ogni  mercoledì  cospicuo  mercato. 
Il  piccolo  territorio  è  fertile,  ma 
soprattutto  sono  stimati  i  vini  cru- 
di, che  nell'estate  ottimamente  si 
conservano  nelle  grotte.  Nell'urba- 
no recinto  e  nel  borgo  gli  abitanti 
superano  i  quattromila,  compresi 
nel  novero  di  quelli  di  tutto  il  ter- 
l'itorio  di  sopra  riportato. 

Menti  e  mi  giunsero  da  Venezia,  gli 


MAR 
ultimi  stamponi  di  questo  artico- 
lo, sono  veniito  a  conoscere,  senza 
poterne  profittare,  una  terza  edi- 
zione del  Delfico,  fatta  in  Firen/.e 
nel  1843  con  aggiunte;  più  il  Qua- 
dro storicO'Slalisiico  della  serenis' 
sinict  repidìblica  di  Sdiimarino^  del 
capitano  della  mtdesiaia,  il  eh.  cav. 
Oreste  Biizzi  aretino;  opera  eru- 
dita ed  impollante,  pubblicata  nel 
184*^  in  Firenze.  Inoltre  questo 
riputato  scrittore,  nell' applaudito 
Giornale  militare  italiano^  di  cui 
è  direttore  il  eh.  cav.  F.  Glierardi 
Dragomanni,  ci  ha  dato  un  bel- 
l'articolo sulle  fortificazioni  di  San- 
mariiio,  con  la  veduta  e  pianta 
delle  medesime,  coi  n.  4^  e  52. 

MARIO  o  MAIO  (s.),  abbate. 
Nato  in  Orleans ,  lasciò  il  mon- 
do per  abbracciare  la  vita  mona- 
stica, e  fu  eletto  abbate  della  Val- 
Benois,  nella  diocesi  di  Sisteron, 
sotto  il  regno  di  Gondebaldo  re 
di  Borgogna,  che  morì  nel  5o9. 
Egli  avea  una  gran  divozione  a  s. 
Dionigi  di  Parigi  e  a  s.  Martino 
di  Tours,  laonde  imprese  un  pere- 
grinaggio  al  loro  sepolcro.  Ogni 
quaresima  procurava  d'  imitare  il 
digiuno  del  Salvatore  ,  passando 
quel  tempo  nel  fondo  d'  una  fo- 
resta. Morì  nel  S^5.  Essi^ndo  sta- 
ta dipoi  rovinata  dai  barbari  la 
badia  della  Val-Benois,  si  trasferì 
il  suo  coipo  a  B^orcalquier,  ove  fij 
fabbricata  una  chiesa  in  suo  onore, 
la  quale  è  collegiata,  e  prende  il 
nome  di  cattedrale  di  Sisleron.  Ivi 
si  celebra  anche  oggidì  la  festa 
della  sua  traslazione  il  27  gen- 
naio. 

MARIO  MERCATORE.  Origi- 
nario d'  Africa,  che  tenne  un  ran- 
go assai  distinto  fra  i  difensori  dti 
misteri  della  grazia  e  dell'  incarna- 
ziouCj  nel  secolo  V.  Nel  4  '  7    cir-. 


MAR 
ca  era  in  Roma  o  nelle  vicinanze, 
tjiiando  Giuliano  e  gli  altri  capi 
dei  pelagiani  disputavano  contro 
]<i  grazia  di  Gesù  Cristo  ;  egli  ne 
prese  la  difesa,  e  compose  un'ope- 
ra che  mandò  a  s.  Agostino  pie- 
gandolo di  esaminarla  ,  come  fece 
d'una  seconda,  e  si  dubita  che  sie- 
iio  giunte  sino  a  noi:  forse  una  è 
VHypognósticon,  stampalo  nelT  ap- 
pendice del  t.  X  di  s.  Agostino. 
Questo  padre  dice  che  Mercatore 
\i  combatteva  i  pelagiani  con  molti 
passi  della  Scrittura.  Una  terza  ope- 
ja  furono  piccole  note  sulle  opere 
di  Giuliano.  Essendo  nel  ^i  i  a  Co- 
stantinopoli, compose  una  memoria 
in  greco,  che  poi  tradusse  in  latino, 
contro Celestio,  eia  presentò  all'impe- 
ratore Teodosio  li.  Dopo  la  morie  di 
s.  Agostino  intraprese  a  confutare 
i  due  libri  che  Giuliano  avea  scritto 
contro  quel  santo  dottore,  e  tradusse 
un  simbolo,  che  viene  attribuito  a 
Teodoro  di  Mopsuesto  maestro  di 
Giuliano,  già  condannato  dal  con- 
cilio di  Efeso;  tradusse  altresì  al- 
cune omelie  di  Nestorio,  ed  alcune 
lettere  a  lui  scritte;  la  VI  sessione 
del  concilio  efesino,  e  molte  cose 
di  s.  Cirillo,  ed  altre  di  altri.  Mer- 
catore dimostrò  in  tutte  le  occa- 
sioni un  gran  zelo  per  la  purezza 
della  dottrina  della  Chiesa,  senza  te- 
mere i  cattivi  Irallamenti  de' suoi 
avversari.  Fu  in  conseguenza  di 
queste  memorie,  che  i  pelagiani  fu- 
rono scacciali  da  Costantinopoli  e 
da  Efeso,  e  traducendo  dal  greco 
in  latino  gli  anatemi  di  Nestorio  lo 
rese  l'orrore  dell'occidente,  come  lo 
era  dell'oriente.  Abbiamo  Ire  edi- 
zioni delle  sue  opere,  di  Parigi  e 
di  Brussclles  dell'anno  i6y3,  e 
di  Baluzio  che  nel  1 684  ''*  P^l^- 
blicò  a  Parigi,  più  completa  e 
comoda.  11  titolo   di   venerabile  che 


MAR  io3 

fu  dato  a  Mercatore  dimostra  che 
era  laico. 

MARIS  (s.),  martire.  Era  un  si- 
gnoie  persiano,  il  quale  dopo  avere 
abbracciato  la  fede  di  Gesù  Cristo 
con  Marta  sua  moglie  e  i  due  suoi 
figli  Audi  face  ed  Abaco,  dispen- 
sò i  suoi  beni  ai  poveri  dietro  l'e- 
sempio dei  primi  cristiani  di  Ge- 
rusalemme. Recatosi  a  Roma  colla 
sua  famiglia  per  visitare  le  tombe 
degli  apostoli  circa  l'anno  270, 
mentre  Aureliano  perseguitava  i 
cristiani,  si  prendevano  cura  di  rac- 
cogliere le  ceneri  dei  martiri,  e  le 
seppellivano  con  divozione.  Avver- 
tito di  ciò  il  governatore  Marcia- 
no, li  fece  pigliare  e  li  condannò 
lutti  e  quattro  alla  morte,  dòpo 
aver  messo  a  prova  la  loro  costan- 
za con  diversi  supplizi.  A  Maris  ed 
a'  suoi  figli  fu  troncata  la  testa,  e 
Marta  fu  annegala.  I  loro  corpi 
furono  sepolti  qualche  miglio  lon- 
tano da  Roma,  e  quivi  poi  venne- 
ro portati  sotto  il  pontificato  di 
Pasquale  I,  e  deposti  nella  chiesa 
di  s.  Adriano,  in  cui  si  scopersero 
nel  iSgo.  I  loro  nomi  sono  cele- 
bri nei  martirologi  dei  latini  e  nel 
sugramentario  di  s.  Gregorio  I,  e  se 
ne  celebra  la  memoria  a'  ig  di 
gennaio. 

MARI  STI.  Congregazione  di  sa*, 
cerdoti  missionari  sotto  l'  invoca- 
zione della  Beata  Vergine  Maria, 
onde  i  membri  sono  chiamali  Ma- 
•risii.  Fu  istituita  in  Francia,  cioè  in 
Lione  ed  in  Belley;  è  un'unione 
di  sacerdoti  secolari  che  sotto  certe 
regole  vivono  insieme,  e  dopo  un 
dato  tempo  della  dimora  fatta  nel 
collegio  o  seminario  dei  mentovati 
luoghi ,  vengono  spediti  alle  mis- 
sioni. La  società  dei  raaristi  inco- 
minciò e  ripete  la  sua  origine  da 
diversi    aluuui     dei    seminario    di 


io4  MAR 

Lione,  ì  quali  essendo  divenuti  sa- 
cerdoti, si  dispersero  nella  diocesi  di 
Lione  che  allora  comprendeva  an- 
che quella  di  Belley.  Dopo  diverse 
peripezie  tennero  una  prima  riu- 
nione generale  a  guisa  di  capitolo 
per  eleggersi  un  primo  superiore 
generale,  il  quale  fu  il  p.  Collin. 
Monsignor  Gio.  Paolo  Gastox  de 
Pins  arcivescovo  d'Amasia  ed  am- 
ministratore di  Lione,  diede  l'ap- 
provazione diocesana  all'istituto  dei 
maristi  nella  sua  origine.  Le  con- 
gregazioni dei  maristi  di  Lione  e 
di  Belley  sono  presso  a  poco  eguali 
nell'istituto  e  nello  scopo  al  ce- 
lebre e  benemerito  seminario  delle 
missioni  estere  eretto  in  Parigi  fin 
da  molti  anni  addietro,  il  qual  semi- 
nario ha  dato  e  dà  rispettabilissimi 
soggetti  alle  sante  missioni,  che  in 
un  modo  più  singolare  si  distin- 
guono nei  vicariati  apostolici  della 
Cina  e  regni  adiacenti,  ed  in  altre 
missioni,  non  che  per  dottrina  e 
per  santità,  avendo  dati  pili  mar- 
tiri alla  Chiesa,  massime  nell'ultima 
persecuzione  della  Cocincina.  Il  se- 
minario dei  maristi  di  Lione,  seb- 
bene sia  molto  recente  la  sua  isli- 
tuzione,  pure  conta  già  un  vescovo 
vicario  apostolico  della  Melanesia  e 
Micronesia  martirizzalo  per  la  fede, 
cioè  monsignor  Giovanni  Battista 
Epalle,  fatto  da  Gregorio  XVI  ve- 
scovo di  Sionne  in  parùbus,  con- 
sacrato in  Roma  dal  cardinal  Fran- 
soni  prefetto  della  congregazione  di 
propaganda  fide  nel  luglio  i844- 
Dal  medesimo  seminario  di  Lione 
è  uscito  pure  fra  i  suoi  alunni 
monsignor  Gio.  Battista  Pompallier, 
fatto  vescovo  di  Marronea  in  par- 
tibus,  e  vicario  apostolico  nell'  O- 
ceania  occidentale  sino  dal  i836, 
dal  medesimo  Gregorio  XVI;  il  qua- 
le   prelato    è    il   primo    vescovo    e 


MAR 

vicario  apostolico  eh'  è  penetralo 
nell'Oceania,  ed  ha  fallo  un  gran 
bene,  avendo  Iddio  benedetto  le 
sue  fatiche  e  sudori  con  aver  con- 
vertito alla  nostra  santa  religione 
molti  di  quei  barbari.  Nel  1846  si 
recò  in  Roma,  e  nel  settembre  si 
umiliò  al  regnante  Pontefice  Pio 
IX.  A  questi  missionari  maristi  , 
dalla  sacra  congregazione  di  pro- 
paganda fide  verranno  quanto  pri- 
ma affidsile  altre  missioni,  per  es- 
sere i  medesimi  eccellenti  operai. 
Attualmenle  la  società  e  congrega- 
zione di  Maria  detta  de' maristi,  sta 
nelle  missioni  di  Valparaiso  nella 
America,  ed  in  quelle  dell'Oceania 
occidentale. 

MARITO.    F.  xMatrimonio. 

MARMARICA.  Sede  vescovile  del 
patriarcato  d'Alessandria  nella  Li- 
cia inferiore,  provincia  conosciuta 
ancora  col  nome  di  Libia  Marma- 
rica,  eretta  nel  V  secolo.  Thronas 
suo  vescovo  fu  condannato  pel  suo 
attaccamento  all'arianesimo,  essen- 
do stato  ordinato  dai  meleziaiii. 
Oiiens  cìirìst.  t.  II,  p.  638.  Siria 
sacra  p.   882. 

MARNANO  (s.  ),  vescovo.  Am- 
maestrò Oswaldo  e  Oswi,  principi 
di  Nortun»bria,  nelle  verità  del  cri- 
stianesimo ;  e  morì  nella  provincia 
di  Anandale  nel  620.  Veneravasi 
la  sua  testa  a  M(i^ravia,  e  vi  era 
portata  in  processione.  Celebrasi  la 
sua  festa  il  2  di  ifnarzo,  ed  è  ti- 
tolare della  chieda  di  Aberkerdure 
sulla  Duverna,  la  quale  era  assai 
frequentata  per  le  di  lui  reliquie  che 
vi  si  custodivano. 

MAROCCO  o  MAROKOS.  Im- 
pero  del  nord-ovest  dell'Africa,  il 
più  occidentale  de'quattro  stati  della 
Barbaria.  Confina  al  nord  col  Me- 
diterraneo e  lo  stretto  di  Gibil- 
terra ,    all'  ovest   coir  Atlantico ,    al 


MAR 
sud  e  al  sud  est  col  Sahara,  ed 
air  est  coir  Algeria.  La  sua  super- 
fìcie è  di  circa  24,600  legiie,  ed  è 
attraversalo  dal  grande  Atlante,  che 
\i  mostra  le  sue  sommità  più  alte 
coperte  di  neve  perpetua,  riunen- 
dolo alcune  piccole  rcimiflcazioni  al 
piccolo. Atlante.  Ingenerale  si  vanta 
la  fertilità  di  quest'impero,  però 
essa  è  limitata  ai  luoghi  irrigati, 
essendo  generalmente  i  terreni  tra 
r  Atlante  e  il  mare.  Il  clima  è  de- 
lizioso e  sano,  e  quantunque  la 
colhvazione  sia  negletta,  la  fecon- 
dità del  suolo  in  generale  fa  s\ 
che  i  prodotti  crescono  con  vigore 
e  straordinaria  abbondanza.  Le  fo- 
reste vedonsi  popolale  di  utili  al- 
beri, nudrendo  la  contrada  co- 
piosa quantità  di  bestiame.  Vi  sono 
miniere  di  ferro,  rame,  stagno,  ec. 
La  industriasi  riduce  alla  fàbbrica 
di  oggetti  di  necessità,  e  di  alcuni 
articoli  di  commercio;  le  più  im- 
portanti manifatture  sono  quelle  del 
marocchino  rosso  e  giallo,  assai  sti- 
mato e  del  quale  scrupolosamente 
si  conserva  il  segreto  della  fabbri - 
cazione}  si  fanno  pure  alcune  stoffe 
di  seta  e  lana,  e  nella  provincia  di 
Fez  una  gran  quantità  di  berretti 
di  lana  rossa,  in  uso  per  tutta  la 
Barba  ria.  L' impero  di  Marocco  si 
divide  in  cinque  provincie,  che  sono 
Fez  e  Marocco,  sul  versatolo  ma- 
litlimo,  tSusa  sui  versatoi  del  gran- 
de Atlante,  e  Draha  e  Tafilet,  sul 
versatoio  sud-est.  I  geograQ  non 
convengono  nell' assegnare  la  popo- 
la/ione di  questo  impeio,  poiché 
chi  la  fa  ascendere  a  quattordici 
milioni,  e  chi  a  cinque  o  sei  mi- 
lioni, e  sono  arabi,  berberi,  mori, 
andalusi,  buccari,  ebrei  e  franclii, 
nonché  i  zingari.  Gli  arabi  vivono 
la  maggior  parte  sotto  tende,  in 
mezzo  ai  pascoli;  i  berberi  o  bre- 


MAR  loj 

beri,  i  più  antichi  abitatori  del 
])aese,  si  dividono  in  due  nazioni 
distinte,  cioè  quella  de' berberi  pro- 
priamente detti  che  abitano  1'  At- 
lante dalla  parte  orientale,  e  quella 
dei  chilluhi  sparsa  nelle  montagne 
delle  Provincie  di  Tafilet  e  di  Su- 
sa;  queste  due  nazioni  si  dividono 
in  tribù,  come  quella  dei  cabaili  o 
cabili,  nella  provincia  di  Fez,  e 
quella  degli  amazighi  o  chilluhi 
in  quella  di  Susa.  La  maggior  parte 
dei  berberi  si  dedica  alia  coltiva- 
zione e  alla  pastorizia,  e  professano 
un  maomettismo  corrotto,  avendo 
ogni  tribù  un  capo.  I  mori  discen- 
dono da  un  miscuglio  di  antichi 
mauritani  e  numidi  coi  fenicii,  ro- 
mani ed  arabi.  Gli  andalusi  di' 
scendono  dagli  arabi  scacciati  dalla 
Spagna.  I  buccari  sono  negri  com- 
prali nella  Guinea,  che  formano 
una  casta  militare.  Gli  ebrei,  i  cui 
antenati  furono  la  maggior  parte 
scacciati  dal  Portogallo  e  dalia 
Spagna,  si  occupano  dei  rami  cont- 
merciali  e  manifatturieri.  I  franchi 
sono  in  piccolo  numero,  abitanti 
nelle  città  di  commercio.  I  zingari 
seducono  la  credulità  del  popolac- 
cio, vendendogli  filtri  e  sortilegi. 
In  questo  paese  i  poeti  dell'  anti- 
chità posero  il  favoloso  giardino 
delle  Esperidi,  non  più  guardato  da 
un  drago,  ma  da  tigri  con  umana 
faccia. 

I  marocchini,  come  tutti  gli  altri 
maomettani,  sono  poco  comunica- 
tivi, e  non  si  vedono  che  nei  luo- 
ghi pubblici;  hanno  un  contegno 
grave  e  silenzioso,  e  l'orgoglio  na- 
zionale fa  loro  disprezzare  gli  altri 
popoli,  specialmente  i  cristiani:  nel- 
le città  la  reclusione  delle  donne  è 
delle  più  rigide;  quelle  degli  arabi 
erranti  e  dei  berberi  sono  assog- 
gettate ai  più  duri  lavori.  Il  popola 


io6  MAR 

è  indolente  ,  poco  intelligenle,  cu- 
pido ed  avido  dei  regali.  In  ge- 
iiernle ,  strello  osservatore  della 
Jegge  niussidmana,  pratica  però  cer- 
te cerimonie  religiose  straniere  a 
questa  legge,  come  quella  di  por- 
tare ogni  venerdì  le  provvigioni 
sulle  tombe  dei  parenti  o  degli 
amici,  cerimonie  a  cui  i  marabuti 
assistono  recitando  delle  preghiere. 
1  marocobini  riguardano  i  pellegrini 
che  ritornano  dalla  Mecca  come  san- 
ti. La  condizione  degli  schiavi  cri- 
stiani presso  questo  popolo  crudele 
ed  inumano  é  orribile.  Il  governo 
di  Marocco  è  forse  il  più  dispotico 
e  barbaro  eh'  esista  sulla  terra  ; 
l'imperatore  che  prende  il  titolo  di 
sultano  o  di  Ralifat-allah  (luogo- 
tenente di  Dio),  non  ha  per  legge 
che  la  sua  volontà.  Non  evvi  di- 
vano, muftì  o  capo  di  religione  che 
possa,  come  in  Turchia,  contrariare 
le  sue  delerminazioni;  da  sé  solo 
decide  della  vita  e  de'  beni  de'suoi 
sùdditi,  bastando  ai  suoi  ministri  il 
saper  scrivere;  però  non  può  en- 
trare neir interno  delle  famiglie,  e 
più  ancora  nei  santuari  dei  dervis, 
che  servono  spesso  di  asilo  invio- 
labile all'innocente  perseguitato,  al 
colpevole,  ed  anco  ai  ribelli;  è  al- 
tresì obbligato  rendere  la  giustizia 
in  persona  ovunque  risieda;  le  sue 
udienze  hanno  luogo  due  volte  la 
settimana,  e  lutti  i  suoi  sudditi, 
come  ancora  gli  stranieri,  vi  possono 
essere  ammessi.  La  corte  del  so- 
vrano è  composta  di  un  effendi  o 
letterato,  eh' è  il  visir,  d'un  ciatn 
bellano  con  aggiunti  pel  servigio 
dell'imperatore  fuori  del  serraglio, 
e  di  un  cadì  eunuco  pel  servigio 
interno;  vi  sono  inoltre  tre  maestri 
di  cerimonie,  e  molti  uffiziali  del 
j>alazzo  incaricati  delle  scuderie  im- 
periali ,  dell'  equipaggio    di    caccia, 


M  A  R 
della  cucina,  ec;  tre  ministri  sono 
alla  testa  dell'  armata,  della  marin.i 
e  delle  finanze;  i  governaloi'i  ilelle 
provineie  e  delle  città,  che  portano 
il  titolo  di  bey,  pascià  o  kaid , 
riuniscono  i  poteri  militari,  ammi- 
nistrativi e  giudiziarii;  però  nelle 
città  principali  vi  sono  cadì  o  giu- 
dici indipendenti,  che  sono  inve- 
stiti di  una  grande  autorità.  Oj^ì- 
pressi  e  vessali  dal  sovrano  e  dai 
cortigiani,  tutti  questi  governatori 
o  giudici  opprimono  e  vessano  a  vi- 
cenda i  loro  dipendenti.  Il  soldato 
non  ha  uniforme,  ritenendosi  l'ar- 
mata per  un  ammasso  di  predatori, 
di  cui  si  serve  il  sovrano  per  la 
riscossione  delle  imposte  arretrate, 
e  trista  la  provincia  che  ne  speri- 
menta r  indisciplinatezza.  Quando 
un  ministro  si  è  arricchito,  non 
manca  il  sovrano  con  qualche  pre- 
testo di  spogliarlo.  L'impero,  come 
tutti  gli  altri  dispotici,  è  soggetto 
a  grandi  rivoluzioni  ,  ninna  classe 
essendo  impegnata  a  sostenere  il 
sovrano,  e  la  stessa  guardia  di  ne- 
gri mercenari  del  sovrano ,  fu  a 
questo  spesso  funesta  detronizzan- 
dolo per  altro  che  gli  dia  maggior 
salario.  Il  primo  alto  che  fa  il  no- 
vello sovrano  del  suo  potere  è  quel- 
lo comunemente  di  ordinare  che  i 
suoi  competitori  siano  strangolali, 
benché  parenti  e  fratelli. 

L' impero  di  Marocco  compren- 
de una  piccola  porzione  nella  Mau- 
rìliana  Cesariciisej  e  tutta  la  Mail' 
ritiana  Tangilaiia  o  Tingitana.  Que- 
sta grande  contrada  soggiacque  alle 
medesime  rivoluzioni  del  restante 
dell'Africa  settentrionale,  finché  se 
ne  impadronirono  i  romani.  Sotto 
il  loro  impero  vi  sparse  il  lume 
della  fede  l'apostolo  s.  Simone,  e  vi 
si  fondarono  diverse  sedi  vescovili; 
e  pili  tardi  anche  in  Marocco  (Fé* 


MAR 

di),  cillà  capitale  di  questo  impe- 
ro, ed  in  Tanger  o  Tingis  [Vtdt) 
capitale  della  Muuriliana  Taugita- 
iia.  Dai  romani  la  regione  passò 
successi  va  niente  nel  dominio  de'xan- 
dalj,  e  da  questi  ai  gieci  nel  VI 
secolo  sotto  il  regno  di  Giustinia- 
no 1.  Sotto  quello  di  Eraclio,  pri- 
ma della  metà  del  secolo  VII  ,  i 
califi  già  dominatori  della  Siria  e 
dell'Egitto,  non  tardarono  di  sot- 
tometterla, col  mezzo  de'  loro  luo- 
gotenenti, che  vi  f'ojidarono  molti 
slati  indipendenti.  Queste  diverse 
dinastie  arabe  si  disputarono  lun- 
gamente le  loro  conquiste ,  ed  in 
fine  un  rifortnatore  della  religione 
mussulmana  chiamato  Abu  alFin  , 
uscito  dal  deserto  nel  secolo  XI  , 
acquistò  una  sì  grande  riputazione 
di  santità,  che  tutte  le  vicine  tri- 
bù si  accolsero  sotto  la  sua  ban- 
diera :  i\ì  esso  il  capo  della  dina- 
stia degli  Ahnoravidi  o  Morabiti  o 
Lumptuni,  ch\^stesero  il  loro  do- 
minio in  tutta  la  Barbaria,  ed  an- 
che sulla  Spagna.  11  vasto  in>pero 
formatosi,  ricevetle  il  nome  di  Mo- 
grab  o  dell'  Ovest;  nel  secolo  se- 
guente questo  grande  impero  fu 
conquistato  da  nuovi  settatori,  gli 
Almoliadi,  il  cui  sovrano  porta- 
va il  titolo  di  emir-al  mumeinon, 
ed  anche  di  calilfo.  Abbiamo  dal- 
l'annalista Rinaldi,  che  nel  1212 
Alfonso  IX  re  di  Castiglia  avendo 
■\into  in  battaglia  Miramomelino  o 
Mumillino  re  di  Marocco^  mandò 
le  sue  spoglie  a  Roma  al  Papa  In- 
nocenzo ili,  fra  le  quali  la  di  lui 
lancia,  ed  uno  stendardo  tessuto 
d'oro,  che  furono  collocati  in  sito 
eminente  nella  chiesa  di  s.  Pietro, 
*e  siccome  il  principe  maomettano 
erasi  vantato  che  avrebbe  collocato 
il  proprio  stendardo  nella  sommità 
della  basilica    vaticana,    si    adempì 


MAR  107 

in  ben  altro  modo.  Nello  stesso 
tempo  cinque  discepoli  di  s.  Fran- 
cesco d'Asisi  frati  minori,  Bernar- 
do o  Berardo  da  Calvi  diocesi  di 
Narni,  Pietro  da  Saufireminiano  di 
Toscana,  Accursio,  Adiuto  ed  Ot- 
tone, mandati  dal  loro  padie  fon- 
datore dell'ordine  a  predicale  il 
vangelo  ai  maomettani  dell'occiden- 
te, cominciarono  la  loro  missione 
dai  mori  di  Siviglia.  Questi  infe- 
deli fecero  loro  sollrire  ujolte  asprez- 
ze, e  infine  gli  scacciarono  dal  loro 
paese.  Da  questo  passarono  al  re* 
gno  di  Marocco ,  e  pel  loro  zelo 
furono  scacciati  anche  di  là  ;  ma 
essi  lungi  dal  rimoversi  dal  loro  di- 
segno, vi  ritornarono  sperando  che 
il  lume  della  fede  ci  avesse  a  tro- 
vare almeno  qualche  cuore  pieghe- 
vole; in  vece  furono  due  volte  sì 
aspiamente  battuti  con  verghe,  che 
loro  rimasero  scoperte  le  coste.  In- 
di il  giudice  fece  versar  sulle  loro 
piaghe  olio  bollente  ed  aceto ,  e 
tiascinarli  sopra  frantumi  di  rotte 
stoviglie.  Poscia  il  re  di  Marocco 
se  li  fece  condurre  innanzi,  e  colla 
scimitarra  ad  ognuno  tagliò  la  le- 
sta a'  16  gennaio  1220.  Si  trasfe- 
rirono i  loro  corpi  in  Coimbra,  e 
Sisto  IV  nel  14B1  li  pose  nel  ca- 
talogo de' santi.  Nel  1221  in  Ceu- 
la  nella  Mauritiana  Nangitana,  a'io 
ottobre  furono  dai  maomettani  mar- 
tirizzati i  frati  minori  Daniele  To- 
scano, Angelo,  Samuele,  Donolo  o 
Donno.  Leone;  Ugolino  e  Nicolò, 
de'qdali  Leone  X  nel  i5i6  appro- 
vò il   culto  di   martiri. 

Nel  secolo  XllI  gli  Almokadi  ili 
continuo  assaliti  da  molti  rivali,  fu- 
rono obbligati  di  cedere  i  regni  di 
Fez  e  di  Marocco  ai  M eriniti  ;  que- 
sta nuova  dinastia,  più  gelosa  di 
conservarsi  in  dominio,  che  di  ren- 
derlo maggiore,  non  pensò  a  rista- 


io8  IVIAR 

bilire  il  gruiitle  impero  di  Mogiab. 
Infine  nel  1 54?  uno  scerilVo  di- 
scendente  da  Maometto,  cliiamato 
Muley  Aly,  pose  nn  termine  alla 
dominazione  dei  Meliniti:  devoto, 
\irlnoso  e  costantemente  occupalo 
delia  felicità  de'  suoi  popoli,  mori 
universalmente  compianto  nel  1664. 
1  suoi  successoli ,  che  ancora  re- 
gnano in  questa  contrada,  non  mol- 
to imitarono  il  suo  esempio.  Si  sa 
poi  che  gli  spagnuoli  ed  i  porlo* 
ghesi,  appena  ebbero  liberato  i  lo- 
ro paesi  dai  mori,  portarono  la 
loro  guerra  in  Africa.  I  portoghesi 
che  vi  fecero  maggiori  conquiste 
incominciarono  i  loro  attacchi  nel 
14» 5,  colla  presa  di  Ceiita  (Fedi), 
sede  vescovile  (di  cui  ora  n'  è  ve- 
scovo monsignor  Giovanni  Barragan- 
y-Vera  dell'  ordine  di  s,  Giacomo 
della  Spada  di  Leon,  fatto  da  Gre- 
gorio XVI  a'  1 5  marzo  1 840  ),  e 
nel  i5o8  regnavano  sull'intiera 
costa  sino  a  Mogador;  così  non  fu- 
rono giammai  tranquilli  nei  loro 
possessi,  e  i  vantaggi  che  ne  ri- 
traevano coprivano  appena  le  spese 
inseparabili  di  im  continuo  stato 
di  guerra.  D.  Sebastiano  piissimo 
re  tli  Portogallo,  pensando  che  l'in- 
terno del  paese  gli  sarebbe  di  una 
piti  grande  olili  là,  e  che  vi  avreb- 
be propagato  la  religione  cattolica  , 
di  cui  era  zelante,  ne  intraprese  la 
conquista.  Il  Papa  Gregorio  XIII 
temendo  la  dinicoltà  della  riuscita 
procurò  distorlo,  ma  invece  da  lui 
pregato  dovette  condiscendere  ed 
accordargli  il  soccorso  di  i5o,ooo 
scudi  sopra  i  beni  ecclesiastici ,  ed 
altri  aiuti  gli  concesse.  Ma  il  re 
Sebastiano  con  un  imprudente  va- 
lore vi  perì  con  tutta  la  sua  ar- 
mata nel  1578,  in  una  battaglia 
che  diede  nelle  pianure  di  Alcazar, 
e  a  poco  a    poco  gli    europei    fu- 


M  A  R 
rono  scacciali  da  lutti  i  porti  che 
occupavano.  Gli  spagnuoli  vi  con' 
servano  ancora  le  piazze  di  Ceuta, 
Penoii  di  Velez,  Albucemas  e  Me- 
lilla,  da  dove  gì' imperatori  di  Ma- 
rocco tentarono  invano  di  scacciarli, 
specialmente  nel  1774.  Nel  secolo 
XVII  esisteva  una  missione  con 
prefetto  nel  regno  di  Marocco,  e 
nel  t.  I  dell'  Appendix  p.  2  1 5  del 
BidL.  de  prop.  fide,  si  legge  il  breve 
Ex  debito,  de' 3  novembre  1637, 
con  cui  Urbano  Vili  concede  al 
prefetto  della  missione  la  facoltà 
di  ricevere  i  testamenti  e  codicilli 
de' cristiani  schiavi  nel  regno.  Lui- 
gi XIV  ebbe  sovente  motivo  di  far 
la  guerra  agli  stati  barbareschi,  le 
cui  piraterie  inquietavano  il  com- 
mercio francese  nel  Mediterraneo. 
Nel  1669  dopo  alcune  ostilità  nel- 
le quali  i  legni  marocchini  avevano 
avuto  la  peggio,  l'imperatore  man- 
dò a  Luigi  XIV  in  ambasciatore  a 
Parigi  AbdallaliBen-Aischa  ammi- 
raglio di  Sale,  che  vi  fu  trattato  a 
spese  dello  stato  magnificamente, 
ed  il  16  febbraio  fu  nelle  carrozze 
di  corte  condotto  a  Versailles  al- 
l'udienza reale;  quattordici  suoi  servi 
lo  precedettero  a  cavallo.  Offrì  l'am- 
basciatore a  Luigi  XIV  alcuni  pre- 
senti in  nome  del  suo  padrone , 
cioè  una  sella  ricamata  in  una 
pelle  di  tigre,  ed  un  gran  numero 
di  pelli  di  altri  curiosi  animali;  ma 
r  ambasciatore  partì  dalla  Francia 
senza  aver  nulla  conchiuso,  benché 
dotato  di   molto  spirito. 

Gran  contentezza  provò  il  Pon- 
tefice Clemente  XII  nel  vedersi  in 
Roma  a'suoi  piedi,  nel  1733,  Mu- 
lei-Abdar-R.ahman,  nipote  del  re  di 
Marocco,  che  volendo  togliere  il 
regno  allo  zio  fu  imprigionato;  ma 
fuggito  in  Ispagna,  recossi  all'alma 
città  per  abiurare  gli  errori  del  mao* 


MAR 
melfisiiio  ed  abliracciare  la  callolica 
religione.  Dopo   di  essere  in  questa 
stalo  bene   istruito,  a' 16  marzo  fu 
dal  nipote  del   Papa  cardinal  Gua- 
dagni vicario  di  Roma,  solennemen- 
te battezzato  in  s.  Pietro  coi  nomi 
di  Lorenzo  Bartolomeo  ,   tenuto  al 
sacro  fonte  dall'allro  nipote  del  Pon- 
tefice principe  d.  Bartolomeo  Corsini 
in  nome  dello  zio,  per  cui   il  primo 
nome  era  quello  avuto  da   lui    nel 
battesimo.   Clemente  XII  assegnò  al 
principe  africano  una    pensione    di 
cento  scudi  al  mese,  che  egli  godè 
con    esempi  a  rissi  ma     condotta    sino 
agli    II    febbraio    1789  in  cui  pia- 
niente  morì,  restando  sepolto  in  un 
deposito     che     gli    eresse     lo     spa- 
gnuolo  cardinal  Belluga    con    ono- 
revole   iscrizione  ,    nella   chiesa    di 
s.  Andrea  delle  Fratte,  da  un  lato 
della   porlicella.   Lo  stesso  Clemen. 
te  XII   col  breve    Niiper  prò  par- 
te^  de'22   agosto     1738,     presso    il 
citalo    Bull.    tom.    Il,    pag.   244, 
confermò  il  decieto    della    congre- 
gazione di  propaganda  fide^     sopra 
le    facoltà    concesso    al    p.    prefetto 
apostolico  de'  minori    scalzi    di    s. 
Francesco,  delle  missioni  di  Mequi- 
nez nel  regno  di  Marocco,    e  sul- 
l'istituzione di  un  procuratore  delle 
medesime   missioni    nel    castello    di 
Matrili  diocesi  di   Toledo. 

Dal  primo  marzo  1799  esiste  fra 
la  Spagna  e  Maiocco  un  trattato  di 
commercio  e  d'amicizia,  in  virtù  del 
qjiale  queste  potenze  godono  reci- 
procamente del  diritto  di  avere  dei 
possessi  nei  due  stali,  senza  che  la 
diversità  della  religione  e  de'coslu- 
mi  vi  apporti  pregiudizio.  Nel  181 5 
scoppiò  in  Marocco  una  sedizione 
che  fu  soffocata  a  slento;  trenta- 
mila uomini  perdettero  la  vita  in 
una  sola  battaglia.  Si  può  consul- 
tare Straberg,  Specchio   geografico 


MAR  109 

e  stclislico  dell'impero  dì  Marocco^ 
Genova    1834.   Da  ultimo  la  Fran- 
cia  avendo    fatto    energiche    rimo- 
stranze all'attuale  imperatore  di  Ma- 
rocco pegli  aiuti  che    dava    al     fa- 
moso Abdel  Kadei',  di  cui  parlam- 
mo all'articolo  Mano  a  selle    diUt 
(Vedi),  pei  gravi  danni  che  ad  essa 
recava  nei  suoi  possedimenti    d'  A- 
frica    neir  Algeria,    i    due    governi 
con   reciproca  soddisfazione  si  sono 
pacificati,  avendo  il  marocchino  con- 
disceso ai  desiderii  del  francese.  Tut- 
tavolla  si  rileva  dalle  ultime  noti- 
zie che  Abdel  Kader  per  la  simpa- 
tia   che    trovava    in    diverse    tribù 
dell'impero,  e  per  la  debolezza  del 
governo,   vi  si  comportava  non  al- 
tri nienti   che  se  fosse  stalo   in  casa 
propria.   In  quasi  tutta  la  Baibaria 
Abdel-Kader  esercitava  più  influen- 
za e  più  potenza  reale,   che  non  il 
sultano  o  imperatore,    procedendo 
come  quasi   le  di   tutti  i  marabutti 
del   paese  ;  anzi  il   porto  di  Tetuaii 
era  divenuto  il  principal  punto  per 
cui    AbdebKader    e    i    suoi  agenti 
comunicavano  con    Gibilterra,  ove 
egli  avea  corrispondenti   per    aiuto 
di  denari  ed  armi.  Negli   ultimi  del 
1846    la    Francia  spedì  un'amba- 
sciata all'imperatore    di    Maiocco, 
nella   stessa  capitale  del  suo  impe- 
ro, dove  si  dice  nessuno  ha  pene- 
trato ancora  in  un  modo  officiale, 
gli  ambasciatori  essendosi  per  l'ad- 
dielro  arrestati    a    F'ez  ed  a    Me- 
quinez.    Dicono    alcuni     che    nel- 
l'impero di  Marocco  vi  siano  con- 
venti    o     ospizi  di     missionari    re- 
ligiosi a  Marocco,  Mogador,  Tan- 
ger  e  Mequinez,  esposti   per  altro  a 
vessazioni.  Certo  è  che  lo  stato  della 
prefettura  apostolica  della  missione 
di  Marocco  è  il  seguente.  La  pre- 
fettura è  diretta  da  religiosi  france- 
scani della  riforma  di  s.  Pietro  d'Ai- 


I  !•  MAR 

rnntarn  delb  provincia  di  s.  Diego 
di  Spagna.  Il  ministro  provinciale 
lì'  è  il  prefeUo ,  che  vi  spedisce  i 
ìcligiosi  dello  stesso  ordine  e  pro- 
vincia per  un  decennio,  e  vi  tiene 
ììtì  vice-prefello,  die  rei  1837  vi 
lii  fatto  il  p.  Gitiseppe  Paronollin. 
Terminato  l'ufTicio  di  provinciale  , 
il  successore  eletto  chiede  le  flicollà 
di  prefetto  alia  congregazione  di 
propaganda  fide^  ed  il  permesso  di 
potervi  spedire  missionari.  Le  vi- 
cende politiche  della  Spagna  ,  la 
soppressione  dì  que'  conventi ,  de- 
vono avere  resa  peggiore  la  condi- 
r.ione  di  questa  missione,  cui  i  re 
di  Spagna  solevano  sovvenire  con 
limosine,  non  essendo  la  missione 
a  carico  di  detta  congregazione  quan- 
to al  mantenimento.  Un  missiona- 
rio chiamò  il  luogo,  la  regione  di 
Tìtarfe.  Piccola  è  la  cristianità,  es- 
sendo di  circa  trecento  ;  ed  i  luoghi 
delle  missioni  sono  Marocco,  Fez, 
Mequinez,  Felun ,  Tanger  e  Te- 
tnan.  Vi  sono  due  chiese,  ed  il  ve- 
scovo di  Centri  suole  deputare  un 
sacerdote  per  amministrar  la  cresi- 
ma ai   cattolici. 

MAROCCO  o  MAROCHIUM. 
Ci  Ita  vescovile  della  Barba  ria  iti  A- 
frica,  capitale  dell'impero  di  Ma- 
rocco e  della  provincia  del  suo  no- 
me, ed  ordinaria  residenza  dell'im- 
peratore, posta  in  una  deliziosa  e 
fertile  pianura  ,  abbellita  da  ben 
ordinati  gruppi  di  arboscelli,  e  ba- 
£;nnta  da  vari  ruscelli,  che  discen- 
dono dall'Atlante  e  la  rendono  più 
fimena  e  pittoresca,  presso  la  riva 
sinistra  del  Tensif.  È  cinta  di  muia 
altissime,  assai  grosse,  con  calce  e 
.sabbia  mescolata  con  terra  grassa, 
rhe  forma  un  cemento  durissimo , 
fiancheggiale  da  torri  con  baloardi 
interni,  e  precedute  da  una  larga 
fossa  esterna  ;  in  questo  circuito  di 


MAR 
circa    tre    leghe    sonovl    numerose 
rovine,  grandi   giardini  e  vasti  ter- 
reni.  U  palazzo    imperiale    che    in 
forma   di   cittadella  domina  la  città, 
ne  occupa   la   maggior  parte    verso 
il  sud-est,  e  le  sue   mura    possono 
avere  circa    una  lega    di    circonfe- 
renza ;  è  questo  un'unione    di   pa- 
diglioni e  di   corpi   di  case  fran)mi- 
schiati   di   cortili,  piazze  e  giardini, 
dominati  dalla   torre    della    grande 
e  bella   moschea   eretta  da    Muley- 
Abdallah.   1   padiglioni    abitati   dal- 
l'imperatore  portano  i   nomi    delle 
principali   città   dell'impero;  gli  al- 
tri  edifizi   sono  occupati    dai    gran 
dignitari,  dagli   eunuchi   e  dalle  o- 
dalische.     Nel    circuito    del    palazzo 
stanno  anche  l'arsenale,    il   vecchio 
castello  omadarassa,    i    vasti    ma- 
gazzini  a  grani   dei  sovrani,  gli  an- 
tichi  magazzini   a  biade,  che    sono 
fatti  a  Tolto,  e  dove  sono  rinchiusi 
gli  schiavi  cristiani,  un  mercato  per 
le  derrate,  ec.  La   parte  di  Maroc- 
co  che  si    chiama   Al-Kaiserah   ha 
pure  un  circuito   particolare,    eh' è 
quasi  di   mezza   lega;  essa  sta  fra  il 
palazzo  ed  il  restante  della    città  ; 
quindi  si   vede  mi  mercato  ben  for- 
nito, e   molte  case  rovinose,    ed    è 
questa  parte  popolala  da  mercanti 
mori  ed  ebrei  ;  questi  ultimi    sono 
rinchiusi  ogni   sera  nel    loro    sepa- 
ralo quartiere.  Marocco    ha    molte 
piazze  e  mercati,  che  come  le  stra* 
de   non   sono  lastricate  ;  l' interno  è 
triste,  perchè   le  case,  di   un  appar- 
tamento solo  quasi   tutte,  hanno  di 
rado  le  finestre  sulle  strade;   le  in- 
ferriate del   maggior  numero  guar- 
dano una  corte    interna  che    d' or- 
dinario vedesi   adorna  di   una    fon- 
tana^  la   quale  rinfresca    l'atmosfè- 
ra   e  serve  alle    abluzioni    ordinate 
dal  Corano.     Gli    accessi   delle  case 
de'  cittadini  più  illustri  sono  sem- 


MAR 
pre  formntl  tli  viottoli  stretti  e  tor- 
tuosi, onde  potersi  agevolmente  di- 
fendere nelle  commozioni  popolari 
o  nelle  frequenti  guerre  intestine. 
Fra  le  moschee  di  Marocco,  se  ne 
distinguono  sei  grandi;  le  più  no- 
tevoli sono  quelle  dette  Kautoubia, 
Muezzin,  e  Bonious  veramente  ma- 
gnifica, e  quella  che  sfa  nel  circui- 
to del  palazzo,  fabbricata  da  Abdul- 
lìiumen  secondo  re  di  Marocco,  e 
che  suo  figlio  Jacob  Almanzor  ab- 
belb  con  molte  pietre  di  pregio , 
che  fece  trasportar  dalla  Spagna , 
insieme  colle  porte  della  chiesa  mag- 
giore di  Siviglia,  coperte  di  pezzi 
di  bronzo  di  ammirabile  lavoro  ; 
portava  sulla  cima  della  sua  torre 
quattro  palle  di  rame  ricoperte  d'o- 
ro, di  una  graduata  grossezza,  e  che 
pesavano  unite  1200  libbre:  quan- 
timque  la  superstizione  le  credesse 
incantate,  pure  verso  il  i54o  Mu- 
ley  Hamet  non  temette  di  fiule  le- 
vare. Marocco  ha  un  serbatoio  di 
acqua  in  cui  si  riuniscono  un'infi- 
nità di  sotterranei  acquedotti  che 
lutti  conducono  le  acque  dall'Atlan- 
te, le  cui  nevose  sommità  rinfre- 
scano l'atmosfera,  e  l'aria  vi  è  sa- 
na. Gli  abitanti  sono  sucidi ,  e  le 
loro  case  piene  d'  insetti  incomodi 
e  velenosi;  ascendono  a  circa  3o,ooo, 
che  nei  tempi  prosperosi  della  città 
si  fecero  arrivare  quasi  a  700,000, 
perchè  le  guerre  sanguinose  e  le 
fiere  pestilenze  la  spopolarono.  Ma- 
rocco ha  nove  porte,  che  in  alili 
tempi  erano    ventiquattro. 

Marocco  si  crede  da  alcuni  che 
corrisponda  all'antica  Bocomun- Hc' 
menun,  ove  eravi  un  vescovato  pri- 
ma del  dominio  de'  mori.  Secondo 
l'opinione  coimme  fu  fondata  nel 
io52,  o  4^4  dell'egira,  da  Abu-al- 
Fin  primo  re  degli  Almoravidi  o 
Lomptuni,  e  videsi  pvoul^ mente  e- 


MAR  MI 

retta  ed  abbellita  di  tuttociò  che 
l'oigoglio  e  la  voluttà  fecero  im- 
maginare di  più  comodo  e  magni- 
fico. Nel  secolo  di  Ali-Ben-Yussuf 
suo  figlio  essa  godeva  della  mag- 
gior prosperità,  assicurando  molli 
autori  che  la  sua  popolazione  ascen- 
deva allora  a  circa  un  milione  di 
abitanti  ;  egli  è  fuor  di  dubbio,  che 
se  anche  questo  numero  si  vuole 
esageralo,  pure  la  sua  superficie  in-» 
dica  essere  stata  popolatissima.  De- 
ve la  sua  decadenza  alle  rivoluzio- 
ni di  cui  fu  spesso  il  teatro  ,  alla 
tirannia  dei  sanguinari  suoi  capi, 
alla  peste  del  1678  che  costò  al- 
l'impero tre  o  quattro  milioni  di 
abitanti,  a  quella  del  1799  che  ne 
fece  perire  quasi  tremila  al  giorno, 
alla  devastazione  ed  alla  carnifìci- 
na  che  ne  fece  Muley  Elyezid  ,  al- 
lorché la  prese  d'assalto,  ed  infine 
alla  non  perenne  dimora  del  sovra- 
no e  della  sua  corte.  Al  presente 
Marocco,  Marochie/i,  è  un  titolo  ve'* 
scovile  in  partìbus  che  conferisce 
la  santa  Sede.  Alessandro  VII  lo 
conferì  a  Valerio  Maccioni  san- 
marinese,  vicario  apostolico  del- 
la Sassonia  inferiore  e  commissa- 
rio della  santa  Sede  ne'  ducati  di 
Brunswick  e  nelle  provi ncie  con- 
vicine. Ne  furono  ultimi  a  portar- 
lo, il  suffiaganeo  di  Breslavia  Car- 
lo Alok  o  Aulock,  fatto  da  Leone 
XII;  e  monsignor  Maria  Nicola  Sil- 
vestri Guillon  prete  di  Parigi ,  a 
cui  glielo  conferì  Gregorio  XVI  nel 
concistoro  de' 1 7   dicembre    i832. 

MARONE  (s.),  abbate.  Viveva 
ritirato  sopra  un  monte  non  lun- 
gi dalla  città  di  Ciio,  e  nell'anno 
4o5  fu  per  la  sua  santità  innal- 
del  sacerdozio, 
consumava  giorni  e  botti 
mliere  nella  preghiera  :  era  usato 
di  pregare  in  piedi  ,  e    sólo  nella 


zato    alla    dignità 
Egli 


Ili  MAR 

vecchiaia  concedeva  alcun  allevia- 
nienlQ  al  suo  corpo,  appoggiando- 
si ad  un  biistone.  Diceva  poche 
cose  a  coloro  che  andavano  a  vi- 
silarlo,  per  non  inlerrotnpere  la 
sua  contemplazione  ;  tuttavia  acco- 
gli'evali  con  molta  bontà,  e  con- 
fortavali  a  rimanere  con  lui.  Iddio 
guiderdonò  le  sue  flitiche  con  ab- 
J)()ndevoli  grazie,  e  col  potere  di 
guarire  ogni  sorta  d'uifermità.  Eb- 
be un  gran  numero  di  discepoli, , 
e  fondò  parecchi  monasteri  nella 
Siria.  San  Gio.  Crisostomo  avealo 
in  sì  grande  riputazione,  che  gli 
scrisse  da  Cucuso,  ov'  era  esiliato, 
per  raccomandarsi  alle  di  lui  pre- 
ghiere. Morì  verso  l'anno  4^3;  ed 
il  suo  corpo  fu  trasportato  in  un 
borgo  vicino,  ove  venne  edificata 
una  gran  chiesa  sopra  la  sua  tom- 
ba. I  greci  l'onorano  a'i4  ^'  feb- 
braio ;  ma  i  maroniti  ne  celebra- 
no la  lèsta  ai  19  dello  stesso  mese. 
V.  Maroniti. 

MARONEA  o  MARRONEA. 
Maronia,  Marogna.  Sede  vescovile 
della  provincia  di  Rodope,  sotto  la 
metropoli  di  Traianopoli,  nella  dio- 
cesi ed  esarcato  di  Tracia,  situata 
airiruboccatura  del  fiume  Nesto 
vicino  al  mare  Egeo.  Fu  eretta  in 
vescovato  nel  V  secolo,  in  arcive- 
scovato onorario  nel  VI,  e  secondo 
Coramanville  nel  IX,  e  nel  XV  gli 
venne  unito  quello  di  Traianopoli 
dacché  questa  città  fu  distrutta,  pas- 
sando l'arcivescovo  a  risiedere  in 
IVIaronea.  Al  presente  Maronea  o 
Marogna  è  un  borgo  della  Turchia 
europea  nella  Romelia,  sangiacato 
presso  l'Arcipelago,  /l  primo  ve- 
scovo di  Maronea  fu  Alessandro 
che  sottoscrisse  la  lettera  del  conci- 
lio di  Sardica  alle  chiese;  gli  suc- 
cesse Timoteo,  che  Palladio  pose  nel 
numero  de' vescovi  esiliati  per  aver 


MAR 

sostenuta  la    causa  di    s.   Giovanni 
Crisostomo.   Quanto    agli    altri   ve- 
scovi   fino    a   Gabriele  II,  il    quale 
sedeva  nel  172  i,   ne  tratta  il  p.  Le 
Quieu,  Orieiis  chrìxt.  t.  I,  p.   i  196. 
Attualmente    Maronea,  Marroneay 
seu  Marionen,  sotto  l'  arcivescovato 
in  partibus  di  Traianopoli,  è  un  ti- 
tolo  vescovile  in  partibus  che  con- 
ferisce  la   santa   Sede,  e  [>er  ultimo 
lo    portarono    Giuseppe  Mora,    per 
morte  del  quale  Gregorio  XVI   nel 
concistoro    de' 3     settembre     i83i 
die   in   successore  monsignor  Nicola 
Ferrarelli    romano,    professore    del 
testo  canonico  nell'  università  roma- 
na, che  poi  fece  canonico  Liberia- 
no e  segretario  della  congregazione 
della  visita  apostolica.  Quindi  a' 1 3 
maggio    i836  fece   vescovo    di  Ma- 
ronea ,  e    primo  vicario    apostolico 
dell'Oceania    occidentale    l'odierno 
monsignor  Giovanni  Battista   Pom- 
pallier  della    congregazione  de'  ma- 
risti. 

MARONI  Cristoforo,  Cardina- 
le. Cristoforo  Maroni  romano,  che 
in  uu  diario  ritrovato  dal  Mura- 
tori nella  biblioteca  dei  duchi  di 
Massa  si  chiama  Manoni,  chiaro 
per  lo  splendore  delle  virtù,  fu  da 
Bonifacio  IX  a'  18  dicembre  1389 
creato  cardinale  prete  del  titolo  di 
s.  Ciriaco,  vescovo  d' Isernia,  arci- 
prete della  basilica  vaticana,  ed  ab- 
bate commendatario  del  monastero 
de' ss.  Bonifacio  ed  Alessio  sull'A- 
ventino, il  quale  fu  dal  detto  Papa 
incorporato  a  detta  basilica  ;  ben- 
ché ciò  non  ebbe  effetto  che  dopo 
la  morte  del  cardinale  avvenuta  in 
Pioma  nel  i4o4>  ^opo  essere  inter- 
venuto all'elezione  d'Innocenzo  VH, 
venendo  sepolto  in  s.  Pietro  nella 
cappella  di  s.  Gregorio ,  o  presso 
quella  di  s.  Tommaso,  in  una  tom- 
ba di  marmo  adorna  di  sacre  im- 


I 


MAR 

magini  e  della  statua  del  cardina- 
le, o  fregiata  di  un  nobile  epi tallio 
in  versi,  rovinata  poi  nel  i^j^in 
occasione  di  rifabbricarsi  la  nuova 
basilica.  Bonifacio  IX  ebbe  in  tan- 
to pregio  questo  cardinale,  che  in- 
sieme col  cardinal  Francesco  Car- 
bone e  Bartolomeo  Carafa  priore 
gerosolimitano  di  Roma,  lo  destinò 
arbitro  in  una  gelosa  causa,  che 
quel  Papa  avea  con  Paolo  Savelli 
barone  romano,  riguardante  alcu- 
ni castelli,  che  dal  cardinal  Maro- 
ni  fu  aggiustata  con  soddisfazione 
d'ambe  le  parti. 

MARONITE,  Monache.   F.  Ma- 
roniti. 

MARONITI,  Monaci.    F.    Ma- 
roniti. 

MARONITI     o    MARRONITI, 
Maronitae.  Popoli  della  Turchia  a- 
siatica  nella  Siria,    abitanti  princi- 
palmente   il  paese    di  Kesroano    o 
Kesrauan,  coperto  di  ramificazioni 
del  Monte  Libano  (  Vedi)  nel  sud 
del  pascialatico  di    Tripoli,    e    go- 
vernati da  un  ecnir,  che   comanda 
anche  ai  drusi.  La  famiglia  dell'e- 
mir  prima  era  turca   maomettana, 
dipoi  si  fece  cattolica  :    al  presente 
non  è  più   al    comando    della    re- 
gione, ed  il  Libano  è  governato  da 
un   pascià  turco.  I  maroniti  sono  lo- 
dati per  ospitalità  generosa,  essendo 
l*  agricoltura  la  principale  loro   oc- 
cupazione. Questo    popolo   fu    così 
chiamato  dal  V  secolo,  dai  monaci 
maroniti  che  riconoscono  per  fonda- 
tore e  padre  il  santo    abbate  Ma- 
rone,    il    culto    del    quale    difesero 
dalle  altrui  calunnie  Teodoreto,  s. 
Giovanni     Crisostomo  ,    Benedetto 
XIV,  ed  altri.  È    la    caratteristica 
de'  maroniti     trovarsi     la    nazione 
tutta  unita  al  capo  della  Chiesa  cat- 
tolica, e  costituire    una    bella  por- 
zione della  vigna  del  Signore.  Ciò 

VCL.     XLIII. 


MAR  ii3 

che  que«ta  nazione  è    al    presente, 
lo     Ui     ancora     ne*  secoli    trascorsi. 
Oppressa  dagl'  infedeli,  perseguita- 
ta dagli  scismatici ,   insidiata    dagli 
eretici,  si  conservò  pura  nella  fede, 
come  rosa  fra  le  spine,   senza  mai 
allontanarsi  di  un    passo    dall'apo- 
stolico   ossequio   e  dalle     cattoliche 
verità.    Questa   è  la  più  numerosa 
delle  nazioni   orientali  cattoliche,  e 
più  delle  altre  nel  rito  si  avvicina 
al  latino.   Usa  il  calendario   grego- 
riano,    e    con.sacra   in    azimo    nel 
sacrifizio  della  messa,  quale  possono 
dire  anche   più  sacerdoti,  che  uniti 
intorno    all'  altare     portando     una 
semplice  stola  assistono  il  celebran- 
te che  fa  ad  essi  la  comunione  :   i 
secolari    in   coro  assistono   agli  uf- 
fizi divini,  sì  di    giorno  che  di  not- 
te. Lasciarono  la    disciplina    greca 
quanto  alla  messa  de'  presanlifìcati 
nel  venerdì  santo.   Anche  la  forma 
degli    abiti    sacri    non    dissomiglia 
da  quella  dei  latini.   In  quanto  pe- 
rò al  matrimonio,  il  clero  secolare 
segue  la  disciplina  degli  altri  orien- 
tali.  Ai  sacerdoti  semplici,  e  molto 
più  ai  diaconi  e  suddiaconi,   è  per- 
messo avanti  che  ricevano  l'ordine 
sacro  il    prendere    moglie.    Il    sa- 
ceidote    maronita    procuratore    del 
patriarca    di    questa  nazione,    resi- 
dente in  Roma,  al  presente  è  mon- 
signor Nicola   Murad  maronita,  na- 
to nel  Monte  Libano  nel    1797,    e 
dal  Papa  Gregorio    XVI    fatto  ar- 
civescovo di   Laodicea    in   pattibiis 
a' 5  novembre  i843.  Il  vescovo  sud- 
detto, e  gli   altri  vescovi    maroniti 
che  si   trovassero    in  Roma    hanno 
luogo  nella  cappella    pontificia    tra 
i  vescovi  orientali,  e  nelle  cappelle 
ordinarie  assumono  un  mantello   o 
ampio    piviale    di    drappo    di    seta 
paonazza,  portando   intorno  al  collo 
e  cucita  sul  piviale   una    specie   di 
8 


ii4  MAR 

mozzetta   o    stola    di    seta     bianca 
con  ricami  d'oro.  Quando    tutti   i 
vescovi  nelle  pontificie  funzioni  as- 
sumono gli  abiti    sacri,    altrettanlo 
fa  il  vescovo  maronita,  che   secotj. 
do   il   costume    orientale    si    lascia 
crescere  la  barba.  U   vescovo    ma- 
ronita usa  l'anello    e  la  croce  pet- 
torale, non  che  il  bacolo  pastorale 
sovrastato  dalla   croce.    I    maroniti 
non  si  scuoprono  il  capo  entrando 
in  chiesa,  neppure  durante  la  mes- 
sa, né  quando  si  canta  V  uffizio  in 
coro,  poiché  nel  loro  paese  hanno 
sempre  la  testa  coperta  d'una  ber- 
retta ornata  d'una  fascia  bianca,  o 
nera  rigata  di  bianco  o  di  qualche 
altro  colore;  ma    quando    si  legge 
il    vangelo ,    o    si    fa    l' ostensione 
delle  specie    sagramentali    si    scuo- 
prono la    testa,    e   si    pongono  ge- 
nuflessi per  dimostrare  il  loro  an- 
nientamento avanti  Dio.  I  maroniti 
non  digiunano  nelle    quattro    tem- 
pora, né  nelle  vigilie  de' santi,  ma 
incominciano  la  loro  quaresima  al- 
la domenica  di    quinquagesima,    e 
digiunano  per   sette    settimane,  ec- 
cettuati i  sabbati  ed  i  giorni  festi- 
vi .    Nei    mercoledì    e    venerdì    di 
tutto  l'anno  essi  non  mangiano  né 
carni,  né  ova,  e  non   prendono  al- 
cuu  cibo  prima  del  mezzo  giorno. 
Si  astengono  altresì  dalle   carni    e 
dai  latticinii  venti  giorni  prima  di 
Natale,    quattordici    giorni    prima 
della  festa  del  principe    degli  apo- 
stoli, ed  altrettanti  prima  dell'  As' 
sunzione.  Oltre    l'olflzio    ordinario 
de' santi,  i  maroniti  hanno  un  of- 
fizio  propiio,  assai    lungo,    per    la 
quaresima  ;  nelle  cui  tre  prime  set- 
timane tutto  l'offizio  è  del  digiuno; 
nella  quarta  e  quinta  dei  miracoli 
di  Gesù;  nella  sesta  della  festa  del- 
la  palma  ;  nella  settima  della  pas- 
sione. Quanto  ai   riti   de' maroniti 


MAR 
ai  rispettivi  luoghi  non  manchiamo 
parlarne,  e  della  liturgia  loro  ne 
trattammo  nel  voi.  XXXIX,  p. 
5o  del  Dizionario.  La  gerarchia 
ecclesiastica  de'maroniti  si  compone 
d'un  patriarca,  di  sette  arcivesco- 
vi, di  alcuni  vescovi,  di  circa  cin- 
quecento preti  secolari,  di  circa 
mille  seicento  monaci,  de'quali  sei- 
cento e  più  sacerdoti  che  seguono 
la  regola  di  s.  Antonio  in  tre  di- 
stinte congregazioni,  olire  le  mona- 
che ,  ed  hanno  collegi  ed  ospizi 
nazionali.  Nel  voi.  Il,  p.  lyS  del 
Dizionario  si  parlò  del  paliiarcato 
antiocheno  de'  maroniti,  della  sua 
origine,  del  clero,  dell'  elezione  del 
patriarca,  della  residenza  di  esso 
nel  Monte  Libano  presso  il  mona- 
stero di  Canobin  o  Rauubin;  co- 
me il  Papa  lo  approva  a  mezzo 
della  congregazione  di  propaganda 
fide  ;  dei  monaci  e  delle  monache, 
e  che  i  cattolici  maroniti  superano 
i  centocinquantamila,  sebbene  alcu- 
ni li  fanno  giungere  a  duecento  cin- 
quantamila, ed  altri  al  doppio.  Fe- 
di il  Terzi,  Siria  sacra  p.  3o6  : 
della  nazione  maronita^  ed  il  p. 
Le    Quien,     Oriens    christ.    t.    HI, 

p.  46. 

La  nazione  maronita  non  da  Gio- 
vanni Marone  abbate  eretico,  che 
visse  nei  primi  anni  del  VII  secolo 
sotto  l'imperatore  Maurizio,  come 
con  altri  scrisse  Guglielmo  arcive- 
scovo di  Tiro,  De  beli.  sac.  Ilb. 
22,  e.  8  ;  ma  ripete  l'origine  da 
un  pili  antico  Marone  santo  ana- 
coreta rinomatissimo  nel  Libano 
e  in  tutta  la  Scria,  padre  e  mae- 
stro di  molti  santi  uomini,  che 
fiorì  sul  finir  del  IV  secolo  regnan- 
do l'imperatore  Arcadio  (di  altro 
s.  Marone  probabilmente  romano, 
primo  martire  ed  apostolo  del  Pi- 
ceno, ne  parlammo  all'articolo  Ma- 


MAR 

CERATA,  Iraltando  di  Chùtanova  di 
cui  è  patrono).  Esaltò  la  di  lui  vir- 
tù Teodoreto    suo    conletiiporaneo; 
la   conitneiidaroiio   i    padri   del  con- 
cilio di   Calcedonia  ;  e"  s.   Giovanni 
Crisosloino,  die  pur   visse  al  di  lui 
tempo,  e  lume  della    chiesa  orien- 
tale,  neUa   lellera    36    lodò    le  sue 
eroiche  virtù,  raccomandandosi  alle 
vsue  orazioni.   JNon  nien  chiara  me 
moria  se   ne  ha  registrata  presso  s. 
Basilio    e  presso  s,   Girolamo.    Nel 
menologio  greco,  non  che  nel  marti- 
rologio romano  è  annoverato  tra'san- 
li,  e  della   sua   virtù  e   miracoli  ne 
scrisse  con  eleganza   il   p.  Rosveido. 
Benedetto  ^IV   colla  lettera    Inter 
rae/f/Y/,  de' 2 8  settembre  lySS,  pres- 
so il  9>no  Bull.  t.  IV,  p.  i3i,  dopo 
aver  gravemente  biasimato   la  con- 
dotta di  Cirillo  patriarca    de' greci 
nielchitì,  per  avere  in  odio  de'ma- 
roniti   tacciato  di    eresia  s.  Marone 
loro  padre,  e  lacerale  le  di  lui  im- 
magini; e  dopo    di    avere    in  essa 
enconwata  la    di    lui    santità,    con- 
chiude essere  stata    sempre    mente 
della  Sede  apostolica,  e  sentenza  di 
tutti  gli   uomini  eruditi   doversi  at- • 
Uibuire  a  Marone  gli  onori  di  san- 
to.  Anzi  nel  Bull,  de   propaganda 
fide,  Jppendix    t.   Il,    p.     io 6,    si 
legge    il    breve    dello    slesso  Papa, 
Jnclyta  maronilaruni  de  orlhodoxa 
fide,  emanato    a'  i2   agosto     1744» 
col  quale  concesse    indulgenza   per- 
petua  in   tulle  le  chiese    de'  maro- 
niti, nella  festa  di  s.  Marone  abbate 
a' 9    lebbraio.    Narra    Massimo   ve- 
scovo di    Cipro,   che  Marone  fondò 
molli   monasteri   nella   Siria,  i  quali 
poi  divennero  seunnari   donde   de- 
rivarono alla  Chiosa  soggetti  insigni 
per  santità   e  dottrina,  e   negli  alti 
del     concilio    11     di     Costantinopoli 

t  rinomati.   Celebre  fra  lutti  fu  quel- 


MAR  ii5 

moria  sua  eretto  nell'impero  di 
Marciano,  dal  quale  poi  uscirono 
trecentocinquanta  valorosi  che  per 
la  fede  ortodossa  sparsero  il  san 
gue  sotto  Severo  ed  Anastasio  im- 
peratori, registrati  nel  martirologio 
romano  a'Si  luglio.  Venerabile  non 
meno  fu  quello  fondato  in  Costan- 
tinopoli, i  cui  monaci  propugnaro- 
no la  fede  ortodossa  de' loro  ante- 
nati contro  Nestorio  e  Giacomo 
Baradeo  capo  della  setta  de'  seve- 
riani  ;  laonde  ad  imitazione  degli 
eustaziani  difensori  del  concilio  ni- 
ceno,  cognomi naronsi   Maroniti. 

Da    questa    fede    apostolica    una 
volta   abbracciata,  la  nazione   maro- 
nita non  ha  giammai  deviato  punto, 
com'è   chiaro  per  irrefragabili  mo- 
numenti ;  anzi    la  conservò  sempre 
e  in  ogni  luogo,  come  la  conserva 
tuttora,  sana,   pura,  illibata,  e  con 
tale    uniformità    di     sentimento    in 
ogni    suo    individuo,    che    sebbene  ^ 
questi  furono    e  sieno  numerosissi- 
mi, ed  altronde  circondati  per  ogni 
parte  da  infedeli,    eretici   e  scismati- 
ci, pure  non  furono  mai  suscitate  fra 
loro    questioni   intorno    alla    fede; 
ne    furono  mai    disuniti    per    isci- 
sma,  ne  v'ebbe  giammai    parte    di 
essi    che  macchiasse  la   purità  del- 
la    cattolica     dottrina,  come    altre- 
sì osservò  costante  l'uniformità  del- 
la disciplina.    Non  si   deve  attende- 
re a  ciò  che  da  alcuno  incautamen- 
te si   è  detto,  che  la  nazione   ma- 
ronita fu   una  volta  infetta  di  mo- 
notelismo,    mentre     tale    asserzione 
viene  da  reputati  storici    e   da  do- 
cumenti pontificii  apertamente  con- 
futata. Fra  gli  altri  scrisse    su    tal 
proposito  il  professore  di  storia  ec- 
ilesiastica  nell'università  romana  d. 
Gio.   Battista  Palma    nel    t.  II,    p. 
i38  e  seg.  delle  applaudite  Prtìfe/f^c^. 
hist.  eccL,  ove    chiaramente   dimo- 


ii6  MAR 

stro»    che    tanto    Mosheim,  quan- 
to gli  altri  s'ingannnrono  a  gran  par- 
tito nel  pretendere  che  questa  na- 
zione abbracciò  nna  volta  gli  erro- 
ri di  quella  setta  ereticale,  allegan- 
do, come  essi  fanno,  per  unico  fon- 
damentale   motivo  ,    essere    questi 
chiamati  Mardaiti  per  indicare  che 
una  volta   tralignarono    dalla    fede 
circa   il   domma   cattolico    opposto 
alla  monotelitica  eresia.  Ma  è  certis- 
simo, dice    il  prelodato    scrittore  , 
che  questo  soprannome  fu  una  volta 
dato  ai  maroniti,  non  perchè  ia  loro 
fede  fosse  venuta  meno,  ma  perche 
ribellaronsi  a  Costantino  III  Pogo- 
nato  dopo  la  metà  del  secolo  VII, 
che  non  prendeva  cura  di  difendere 
le  loro  terre  dalle  incursioni   de 'sa- 
raceni   che    avevano   già    occupato 
Damasco,  fatta  una  grandissima  stra- 
ge, e  depredati  tutti  que'contorni;  ed 
avendo  finalmente  scacciato  da  tutto 
il  Libano,  insieme  ai  saraceni,  tut- 
ti gli  eretici    che  ivi  si  trovarono, 
e  ciò  in  seguito  di  un  decreto  dai 
vescovi  per  conservazion   della  vera 
fede  emanato,  in  vigore  di  cui  ve- 
niva   interdetto    ad    ogni    infedele 
eretico  rabitare  in  quel   celeber  ri» 
mo  monte,  come  leggesi  nella  cro- 
naca de' maroniti)  laonde  questi  fu- 
rono con  voce  siriaca  o  araba   ap- 
pellati Mardaiti^  che  vuol  dire  ri- 
belli f  ciò  che  dimostra  ad  evidenza 
Fausto  Nairone  dotto   maronita ,  e 
professore  di  lingua  siriaca  nel!'  uni- 
versità romana,  nella  Dissertatio  de 
orìg.  noni,  ac  relig.  31aronitarunt, 
Romae   1679.    Questa    fu    Tunica 
ragione,  dice  il  p.   Pagi    nella    sua 
critica  agli  annali  del  Barouio,  al- 
l'anno 635,  n.°   i3j  per  cui  i  ma- 
i-onili  furono  dagli  eretici  per  odio 
chiamati  Mardaiti  In  fatti,  osserva 
il  citato  Nairone,  non  si  legge  mai 
nelle  storie  questo  nome  Mardaiti 


MAR 
prima  dell'impero  del  Pogonalo^  ne 
dopo  die  i    maroniti  tornarono  al- 
l'obbedienrii   YcviO   r  imperatore  di 
oriente.  Il  che  diinosira  non  essere 
questo  nome  proprio  della  nazione 
maronita,  oppure  non  essere  la  me- 
desima cosa  il  dire  maroniti   o  mar- 
daiti. Riporta  di  più  il   dotto  Pal- 
ma nel  citalo   luogo ,    per  rigettar 
({iiesta    calunnia,  l'argomento    ad- 
dotto fra  gli  altri  dall'eruditissimo 
e    delle    cose    orientali     peritissimo 
Giuseppe  Assernani,   Dibliollu  orietit. 
pag.  293,  t»  I,  ove  riflette  che  gli 
antichissimi  calendari  maronitici  of- 
frono un  argomento     evidentissimo 
per  convincere,  aver  essi  avuto  sem- 
pre in  orrore  la  setta  de'monolelitij 
imperocché  in    que*  calendari  viene 
celebrala  la  memoria  del  sesto  sino- 
do  generale  tenuto   per  condannar 
questa  setta  coi  suoi  errori,  ed  inol- 
tre   contengonsi  in  que'libri  vetusti 
monumenti  ecclesiastici  della  chiesa 
maronitica,  cioè  quasi  tutti  que' san- 
ti  che  hanno  grandemente  resistilo 
al  monotelismo,  come  i  ss.    Sofro- 
nio  vescovo  di  Gerusalemme,    An- 
drea cronografo,  Massimo  martire, 
e  Martino  I  sommo  Pontefice.  Mentre 
in  questi  stessi  calendari  non  si   fa 
alcuna  menzione  di  alcuno  di  quei 
che  favorirono  il  monotelitico  erro- 
re, come  nota  1'  Assernani. 

La  credenza  dei  maroniti  non 
andò  giammai  disgiunta  da  una  in- 
dissolubile unione,  dal  profondo  ri- 
spetto ed  intera  soggezione  dovuta 
alla  Chiesa  romana,  madre  e  mae- 
stra di  tutte  le  chiese.  Perchè  es- 
sendo questa  nazione  oltremodo  cre- 
sciuta, e  fatta  padrona  della  Siria  e 
Fenicia,  come  narrano  Teofane,  Cc- 
dreno  ed  altri,  e  determinandosi  a 
(are  elezione  di  un  particolare  pa- 
triarca, yi^o  scy  come  dice  Benedetto 
Xiy  nella  sua  allocuzione  recitala 


]\JAR 
nel  concistoro  de'  iS  luglio  1744? 
ab  ea  contagìono  (monothelitarum 
scilicet  haei-esis  in  patriaicatum  on- 
lioclienum  gi-assautis)  ìntegros  ser- 
varent  (il  che  avvenne  verso  1*  an- 
no 68 (]  o  687  nella  persona  di 
».  Giovanni  JVIarone,  uno  dei  tno- 
naci  del  santo  anacoreta  Marone)  ; 
furono  subilo  umiliati  gli  atti  del- 
l'elezione  al  Papa  8.  Sergio  I  di 
Antiochia,  dal  quale  si  ottenne  la 
conferma  e  il  pallio  per  il  nuovo 
patriarca .  Uno  squarcio  analogo 
della  memorata  allocuzione  si  ri- 
porta nel  voi.  XII,  p.  96,  degli 
annali  delle  scienze  religioso^  ove 
ii  legge  un  bellissimo  articolo  in 
difesa  della  cattolicità  de' maroniti, 
contro  la  gazzetta  piemontese  de'28 
agosto  1840.  Il  quale  alto  di  som- 
missione della  nazione  al  romano 
Pontefice  s.  Sergio  1,  o  di  ricono- 
scenza del  di  luì  primato  di  giurij»- 
dizioue  sopra  tutta  quanta  la  Chie- 
sa, non  solo  in  quella  elezione  del 
primo  patriarca  maronita,  ma  fino 
ai  giorni  nostri  fu  Senza  interru- 
zione veruna  costantemente  conti- 
nuato. Che  so  la  nazione  maronita, 
come  vedremo,  rimiovò  in  appres- 
so gli  atti  della  sua  unione  colla 
santa  Sede,  ciò  non  è  prova  che  la 
fede  di  quella  nazione  in  avanti 
mancasse,  ma  bensì  di  divozione, 
di  atlaccamento  e  di  riverenza 
verso  il  centro  della  cattolica  unità. 
ì^éV  appendi xi.  1,  p.  i  del  Bull,  de 
prop.  fide  è  riprodotta  la  costitu- 
zione d'Innocenzo  III,  7  nonas 
jannarii  1207,  Quia  divina Sapien- 
tia,  colla  quale  concesse  molli  fa- 
vorì al  patriarca,  arcivescovi  e  ve- 
scovi maroniti;  Fenerahilibus  fia- 
trihiis  Hieremiae  patriarchae^  sive 
primati j  archiepìscopis^  et  episcopisj 
et  dilectis  filiis  pnoribus,  clero ,  et 
popido  maronilano.  Alcuni  patriar- 


MAR  117 

chi  aggiunseix)  al  loro  nome  pro- 
prio quello  di  Pietro,  in  onore  del 
principe  degh  apostoli,  eh'  ebbe 
la  sua  prima  sede  in  Antiochia. 
Giacomo  dì  Vitry  vescovo  di  To- 
lemaide,  e  contemporaneo,  attesta 
che  il  patriarca  de*  maroniti  si  re- 
cò nel  I2r5  in  Ptoma  al  concilio 
generale  di  Laterano  IV  (Ved^)^  ce- 
lebrato da  Innocenzo  HI,  al  qual 
articolo  dicemmo  che  si  chiamava 
Giona. 

Il  patriarca  de'maroniti  fu  in  se- 
guito dichiarato  patriarca  antio- 
cheno da  molti  Papi,  e  princi- 
palmente allorquando  la  città  d'An- 
tiochia fatta  preda  del  fiero  Ban- 
decar  soldano  d'Egitto,  il  rimanen- 
te del  clero  e  popolo  fedele,  che 
sino  allora  era  governato  da  Elia 
di  nazione  latino ,  succeduto  a  Rai- 
nero  Tanno  i243  ,  si  ritirò  nel  Li- 
bano abitato  dai  maroniti.  Simo- 
ne che  in  quel  tempo  reggeva  con 
titolo  di  patriarca  la  nazione,  accolta 
avendo  amorevolmente  la  smarrita 
gregge,  e  ricevutala  con  quella  af- 
fezione e  dolcezza,  che  i  maroniti 
usarono  mai  sempre  e  fino  al  pre- 
sente, sia  riguardo  ai  latini,  non 
meno  che  alle  altre  nazioni  che 
ricoverarono  appresso  di  essi  (dap- 
poiché non  solo  accordarono  loro 
lino  al  presente  terreni  gratuiti,  co- 
me consta  da  molti  istromenti,  ma 
prestarono  anco  ad  essi  il  più  del- 
le volle  aiuti  necessari  all'edifizio 
dei  pii  luoghi  ove  ora  trovansi  ri- 
coverati), e  scritto  avendo  al  Ponte- 
fice Alessandro  IV  per  ragguagliar- 
lo dello  stato  di  quella  cristianità 
ossequiosa  e  obbediente  alla  santa 
Sede  apostolica,  ne  ottenne  in  ri- 
sposta nel  12540  poco  dopo  il  ti- 
tolo di  patriarca  d'Antiochia,  co- 
me pronunziò  nella  nominata  allo- 
cuzione Benedetto  XIV,  e  come  an- 


ii8  MAR 

Cora  nella  di  lui  vita  afferma  il 
Novaes,  tliflicile  essendo  che  Antio- 
chia tornasse  al  suo  antico  spleiì- 
dorè,  e  che  ripristinata  la  sede  pa- 
triarcale vi  potesse  risalire  un  pa- 
store latino.  Il  medesimo  titolo  col- 
le insegne  patriarcali  della  chiesa 
Antiochena  fu  dato  da  Eugenio  IV 
al  patriarca  David  nel  i438:  nel 
concilio  generale  che  quel  Papa  ce- 
lebrò, in  Ferrara  e  terminò  in  Fi- 
renze, v'  intervenne  un  procuratore 
o  vicario  del  patriarca  antiocheno: 
nella  vita  di  detto  Papa  si  dice, 
che  nel  i44^  spedì  nel  regno  di 
Cipro  ed  isola  di  Rodi  Andrea  ar- 
civescovo Colocense,  per  richiamare 
al  grembo  della  Chiesa  alcuni  orien- 
tali, fra 'quali  diversi  maroniti,  ciò 
che  pur  fece  Nicolò  V  nel  i4Ì7 
a  mezzo  di  Andrea  arcivescovo  di 
Nicosia,  per  restaurare  la  disciplina 
ecclesiastica.  Inoltre  Nicolò  V  scris- 
se un  breve,  ed  un  altro  Calisto 
III  che  nel  1 455 gli  successe,  al  pa- 
triarca Giacomo  Pietro,  chiaman- 
dolo ambedue  patriarca  antiocheno. 
Similmente  Leone  X  nel  i5r4  con 
ispecial  breve  raccomandò  alla  pie- 
tà del  patriarca  Simone  tutti  i  cat- 
tolici dispersi  nell'oriente;  veramen- 
te il  Novaes  dice  che  il  Papa  spe- 
dì un  legato  apostolico  ai  maroni- 
ti per  la  disciplina  ecclesiastica.  Lo 
conferma  l'annalista  Rinaldi,  poi- 
ché all'anno  i5i4,  n.°  87,  raccon- 
ta che  Leone  X  mandò  al  patriarca 
Furaroche  figlio  di  Mobaret,  per 
nunzi  alcuni  frati  minori  con  lette- 
re apostoliche,  per  sempre  più  am- 
maestrarlo nelle  verità  cattoliche, 
per  informarsi  come  eleggevasi  il 
patriarca,  che  riti  usassero  e  qual 
forma  usassero  ne'sagramenti.  Rice- 
vette il  patriar-ca  con  somma  vene- 
razione e  gioia  le  lettere  pontificie, 
e  secondo  l'uso  de*  maroniti  se  le 


M  A  R 
pose  sul  capo;  (jiiindi  nella  lettera 
responsiva  assicurò  il  Pontefice,  che 
i  riti  erano  corrispondenti  ai  latini, 
e  che  solo  per  ignoranza  avea  er- 
rato nel  fare  il  crisma,  mescolan- 
dovi diversi  aromati,  secondo  l'u- 
sanza degli  antichi  armi-ni.  Leone 
X  rispose  al  patriarca  doversi  il 
crisma  fare  solo  con  olio  e  balsamo; 
e  gì' insegnò  non  doversi  aspettare 
il  quarantesimo  giorno  degl'infanti 
per  battezzarli,  mentre  ne  moriva- 
no molti  senza  essere  rigenerati 
in  Cristo;  con  quali  parole  si  do- 
vesse consagiare  il  Corpo  di  Cristo; 
che  riti  si  dovessero  osservare  nel- 
I' ordinazione  de' chierici  ;  e  molte 
cose  riguardanti  i  sacramenti  della 
penitenza  e  del  matrimonio,  il  pa- 
radiso e  il  purgatorio;  lo  Spirito 
Santo  procedere  dal  Padre  e  dal 
Figliuolo  come  da  un  sol  principio; 
sul  ricevere  l'Eucaristia  nella  Pas- 
qua, e  sul  primato  delta  Chiesa  ro- 
mana. Il  patriarca  ricevette  il  tut- 
to come  oracoli,  e  spedì  in  Roaia 
nunzi  a  prestar  obbedienza  alla  san- 
ta Sede,  e  co' suoi  si  unì  insieme 
al  concilio  Lateranense  V  celcbia- 
to  da  Leone  X.  In  fatti  il  Rinal- 
di stesso  all'anno  i5i6,  n."  5,  rac- 
conta che  nella  X  sessione  i  nunzi 
del  patriarca  presentarono  al  Papa 
le  loro  lettere  di  ringraziamento  , 
protestando  che  avrebbe  eseguilo 
tutti  gl'insegnamenti  ricevuti,  e  di 
osservare  co'  suoi  popoli  la  fede 
cattolica,  i  riti  della  Chiesa  roma- 
na, ed  in  nome  dello  stesso  patriar- 
ca baciarono  i  piedi  al  Pontefice, 
gli  prestarono  obbedienza,  e  giura- 
rono fedeltà. 

Clemente  VII  e  Pio  IV  conces- 
sero molti  privilegi  al  patriarca  dei 
maroniti,  ed  il  secondo  nella  bolla 
f^enerabileni  frairem^  kal.  septem- 
bris  i562,  diretta  al  patriarca,  pres- 


MAR 
so  il  Bull,   de  prop.  fide,  Append. 
t.   I,  p.  4^;    dopo    aver    lodato    la 
nazione  per  la  sua  costante  catto- 
licità, compaiCi  al   patriarca    la   fa- 
coltà di  assolvere  eretici,  scismatici 
e  apostali  di  qualunque  nazione  se 
ritornassero    alla    Chiesa.     Essendo 
patriarca    de'  maroniti    Michele    di 
Citaraiva,  questi  spedì  due  oratori 
a   Gregorio  XI  l'I   a    prestargli    ob- 
bedienza, ed  a   mostrargli  le  lettere 
d'Innocenzo  III  in   testimonio  del- 
l'antica  loro  unione  alla  Chiesa  oc- 
cidentale.  Il  Papa   li    ricevette    con 
straordinaria  benignità,  confermò  le 
preminenze  del  patriarca ,    di    che 
gli  oratori  lo  aveano    supplicato,  e 
Il   rimandò  alla  patria    con    buona 
somma  di  denaro,  donativi,    e  con 
l'accompagno  de'  gesuiti   Gio.    Bat- 
tista Eliano  e   Giovanni   Bruni,  pe- 
riti nella  lingua  araba,   come  visi- 
tatori  apostolici;    i    quali    ritornati 
in  Roma   riferirono  che  tranne  al- 
cun errore  involontario    e  non  co- 
nosciuto, alcune  vestigia    degli    er- 
rori di  Dioscoro  in  alcuni  libri,  e 
qualche  abuso  ne'  sacramenti  ed  in 
alcune  altre  cose,  che  essi  corres- 
sero in  due    sinodi    radunati  a  tal 
uopo,   la  fede  era  ortodossa,  sj  del 
patriarca   e  nove  vescovi,  che  della 
nazione;   laonde  Gregorio    XIII    si 
applicò  con   più   parlicolar  cura  al 
vantaggio  di   questa  cristianità.   In- 
fatti nel   i583  fondò  in  Roma  un  o- 
spizio  e  spedale  ove  fossero  ricevuti 
benignamente  i   maroniti  che   sole- 
\ansi   portare  a    visitar    la    tonìba 
de'  ss.   Pietro  e  Paolo,  coll'aulorità 
della    bolla    Salvatoris    nostri^    id. 
januarii,   presso  la  citata  Appendix 
pag.  82.   Considerando  poi    quanta 
maggiore  utilità   potea    ritrarre    la 
nazione  se    l' ospizio   Io  convertisse 
in  collegio,  per  istruirvi-ed  educarvi 
la  gioventù  ch'era  per  abbracciare 


MAR  119 

lo  stato  ecclesiastico,  nel  i5i84  l'e- 
resse in  collegio  e  l'affidò  ai  gesuiti. 
Vi  si  potevano  mantenere  quindici 
alunni,  poiché  le  rendite  a  poco  a 
poco  ascesero,  a  scudi  1700  :  a  tem- 
po di  Alessandro  VII  i  collegiali, 
come  gli  alunni  del  collegio  Urba- 
no, furono  assoggettati  al  giura- 
mento. Il  collegio  fiorì  perchè  vi 
uscirono  molti  dotti  che  recarono 
grande  splendore  alla  letteratura 
orientale,  fra'  quali  nomineremo  A- 
bramo  Ecchellense,  i  monsignori 
Giuseppe,  Stefano  Evodio  e  Luigi 
Assemani ,  de'  quali  i  primi  due 
hanno  scritto  egregie  opere  sull'an- 
tichità ecclesiastica,  ed  il  terzo  in- 
torno alle  cerimonie  della  Chiesa. 
Del  Collegio  de  maroniti  trattam- 
mo nel  voi.  XIV,  p.  i44  e  i^5 
del  Dizionario.  Questo  collegio  fu 
chiuso  nella  prima  invasione  fran- 
cese al  termine  del  secolo  XVIII  ; 
nella  seconda  perdette  la  casa  e  la 
chiesa  convertita  ad  uso  profano. 
Da  quell'epoca  gli  alunni  furono 
educati  dai  sacerdoti  della  missione 
di  s.  Vincenzo  di  Paoli  fino  al  1822. 
Allora  passarono  per  convenzione 
al  Collegio  Urbano  (Fedi),  al  quale 
si  pagano  gli  alimenti  dal  cardinal 
protettore,  che  in  oggi  è  il  cardinal 
Giacomo  Filippo  Fransoni  come 
prefetto  della  congregazione  di  pro- 
paganda fide,  e  presso  del  medesi- 
mo rimane  l'amministrazione  delle 
superstiti  rendite.  Da  ultimo  gU  a- 
lunni   maroniti  erano  cinque. 

Clemente  Vili  nel  i5g6  spedì 
ai  maroniti  per  nunzi  i  gesui- 
ti Girolamo  Dandini  e  Giovanni 
Bi  uni,  che  sentivano  uniformità  di 
dommi  colla  santa  Sede.  Giunti 
al  Monte  Libano,  nel  pontificio  no- 
me consegnarono  buon  sussidio  di 
denaro.  Calici  d'  argento^  libri  di 
pietà    e    di    materie    ecclesiastiche. 


130  MAR 

arredi   sacrì^  ed  al  patriarca  un  li- 
bro pontificale.    Ritornati    i    nunzi 
apostolici  in  Roma ,  il  p.  Dondini 
pubblicò  la  Relazione  de' suoi  viag- 
gi,   la    quale    poi    fu  da  Riccardo 
Simon  tradotta  in  francese  con  al- 
cune   note    curiosissime    quanto  al 
testo.  Paolo    V    ancora    scrisse    ai 
maroniti  ,    ed    encomiandoli    disse 
che  quale  roseto  fioriva  fra  le  spi- 
ne. Eziandìo  Urbano  Vili  ricolmò 
di    lodi   i   maroniti,    e    mandò    in 
dono  al    patriarca   ricche    e   nobili 
suppellettili  sacre.  Dopo  l' istituzio- 
ne mirabile  della  sacra   Congrega-^ 
zione  di  propaganda  fide  (Fedi), 
la  medesima  pensò    di    fondare    e 
mantenere  o  sue  «pese    tre    scuole 
nel  Monte  Libano    e    nella    Siria, 
per    l'educazione  ed  istruzione  del 
clero  della  nazione  maronitica  ;  ta- 
le pio  disegno  però  non  potè  mai 
mandarsi  ad  efletto,  essendo  discor- 
di fra  loro    il  patriarca   ed    i    ve- 
scovi neir  assegnare  i  luoghi   dove 
dovevano  stabilirsi  le  scuole  in  di- 
scorso.   Nell'anno    i635   venne   a 
morto  in  Roma    1'  abbate  Vittorio 
Sciadah  maronita,    che  avea  pas- 
sato molti  anni  in  Ravenna,  e  la- 
sciò i  suoi  beni    per     fondare     in 
questa  città  un  collegio  per  la  sua 
nazione.    Piacque    quel  testamento 
alla    congregazione  di  propaganda, 
e  per  affrettare  l'apertura  di  que- 
sta   pia    fondazione    aggiunse    del 
suo  quattrocento  scudi  ,   e    vi   ap- 
plicò quaranta  luoghi  di    monti  ri- 
sultanti dall'  eredità     del     cardinal 
Ubaldmi.  Cresciute  essendo  le  ren- 
dite del    collegio,  la  congregazione 
volle  accresciuti  anche  quattro  po- 
sti gratuiti  per  gli  alunni    maroni- 
ti, due    de*  quali    dovevano    pren- 
dersi da  Cipro  e  due    dalla  Soria. 
Ciò  avvenne  nel  1647,  e  nell'anno 
seguente  Innocenzo   X  Ip    dichiarò 


MAR 

collegio  ponliflcHo,  perchè  la  mapj- 
gior  parte    de'  beni     proveniva  da 
propaganda ,   col    breve    Quoniani 
dwinae  honitatis ,  emanato  a'G  lu- 
glio. L'esperienza  non  tardò  a  far 
conoscere,  che    da  questo  pio  sta- 
bilimento non  si  poteva  sperare  il 
fruito  desideralo;  perciò  nel  i663 
fu  decretata  la    sua    traslazione  in 
Roma,  da  incorporarsi    con  quello 
della  stessa     nazione.  Quindi  Ales- 
sandro    VII  col    breve     Romanus 
PontifeXf  de'22  ottobre   i665,  /ép- 
pendix  l.  I,  p.   286,  e  Bull.   Rom. 
t.  VI,  par.   VI,  p.  36,  lo   soppresse 
dando  la    commissione  al    cardinal 
Celio  Piccolomini  legato  di  Raven- 
na, di  venderne    le  possessioni,  che 
comprò  Pandolfi   Fantuzzi  per  scu- 
di 6200,    i  quali  con  sessantaselte 
luoghi  di  monti  si  presero  in  am- 
ministrazione   dalla   congregazione, 
la    quale    dispose    che    a    seconda 
delle    rendite  si  aumentasse  il  nu- 
mero degli  alunni   del  collegio  ma- 
ronita di  Roma,  cedendogli  le  ren- 
dite stesse. 

Nel  pontificato  di  Clemente  XI 
insorsero  tra  il  patriarca  Pietro 
Giacomo  e  la  nazione  maronita 
gravi  dissensioni.  Il  Papa  scrisse 
loro  il  suo  gran  cordoglio,  ne  lodò 
l'antica  fede,  e  gli  esorlò  caldamen- 
te alla  concordia.  A  questo  fine  col 
carattere  di  ablegato  apostolico 
spedì  al  Monto  Libano  Gabriele 
Eva  abbate  di  s.  Maura  della  con- 
gregazione riformata  di  8.  Antonio, 
imponendogli,  che  non  potendo 
esso  araichevolmenla  comporre  le 
discordie,  il  patriarca  intimasse  un 
concilio  provinciale  ,  in  cui  fossero 
con  giusto  ordine  esaminate  e  de- 
cise le  differenze,  e  principalmen- 
te quelle  insorte  fra  i  vescovi  di 
Damasco  e  .di  Beri  lo;  alla  parte 
poi  che  al  giudizio  soccombesse  del 


MAR 

concìlio,  il  Pontefìco  riservò  la  facol- 
tà di  poter  vicorierc  alla  carila  Se- 
de. Riconosciuto  innocente  il  patriar- 
ca, pei'  tale  lo  riconobbe  puro  Cle^ 
mente    XI,  ed    ordinò   ai  maroniti 
che    gli     prestassero    piena     obbe- 
dienza.   Su     questo     punto     \anno 
letti  i  tre  brevi     emanati   da  quel 
Pupa:     Etsi    quotquoty  de'29  gen- 
naio   1721  ;  Ex  romani,  del  primo 
febbraio;  e  Curii  sicuty  de' 12  mar- 
zo, presso  VAppendìx  t.    I,  p.  4?^» 
478    e    479'    Informato    Clemente 
XII  nel    1736    per  lettere    del   pa- 
triarca de'  maroniti     Giuseppe  Pie- 
tro Gazeno,    che     nella  nazione  e- 
ransi  introdotti    abusi  nell'ecclesia- 
stica disciplina,  per  mettervi    ripa- 
ro spedi  suo  legato  apostolico  nella 
Siria  monsignor     Giuseppe  Simone 
Asseraani,    primo  custode   della  bi- 
blioteca   vaticana^     prelato     dome- 
stico e    canonico    di    s.     Pietro,  il 
quale  convocò  un  concilio  naziona- 
le nella     chiesa    del    monastero  di 
Loasia  dell'  ordine   di     s.   Antonio, 
dedicata  all'Immacolata  Concezione 
di  Maria.   V'intervenne    il    patriar- 
ca, quattordici  arcivescovi  e  vescovi, 
e  fra  i  primi  quelli  di  Damasco  ed 
Aleppo,  due    abbati   regolari,  molli 
missionari  di  varie  religioni ,   e  di- 
versi   principi   e  magnati  della   na- 
zione. Ne  fece  l'apertura  il  p.  For- 
mage  gesuita  ai  3o  settembre,  con 
un    discorso     che     si    aggirò     sullo 
scopo    salutare  del    concilio,  la  ri- 
forma cioè  di  alcuni  abusi.   Si  ten- 
nero otto     sessioni,  «elle    quali    si 
fecero    molti     regolamenti    per    la 
riforma  di  detti  abusi,  i  principali 
de'cjuali  erano  i  seguenti,     i.  L'u- 
sanza, giusta    la     quale     i    vescovi 
maroniti  avevano    vicine  delle    re- 
ligiose, la  casa  delie  quali  non   era 
separata  da  quella   de'vescovi  stes- 
si, se   non   che  da    una  porta     di 


MAR  i-ii 

comunicazione.  I  religiosi  ne  ave- 
vano pure  nel  lecinto  de'loro  mo- 
nasteri. 3.*^'  11  patriarca  erasi  arro- 
gato il  diritto  esclusivo  dì  fare 
gli  oli  santi,  e  di  distribuirli  ai  ve- 
scovi ed  ai  parrochi  a  prezzo  di 
oro.  3."  Erano  pure  vendute  le 
dispense  di  matrimonio.  4-°  H  ss. 
Sagramento  non  conservavasi  d'or- 
dinario che  nelle  chiese  de*  religio- 
si. 5."  1  preti  ammogliati  passa- 
vano a  seconde  nozze.  6."  Le  chie- 
se mancavano  di  ornamenti,  ed  i 
poveri  di  soccorsi.  7.°  I  maroniti 
di  Berrea  o  Aleppo  non  celebra- 
vano il  divino  ofijzio  che  in  lingua 
araba  da  dieci  o  dodici  anni  in 
poi,  invece  di  celebrarlo  in  lingua 
siriaca ,  secondo  1*  antica  costu- 
manza. 

Appena  divenuto  Pontefice  Be- 
nedetto XIV,  dopo  che  la  congre- 
gazione di  propaganda  fide  ebbe 
esaminati  i  decreti  del  suddetto  si- 
nodo, trovatili  il  Papa  corrispon- 
denti alle  istruzioni  date  dalla  san- 
ta Sede  al  suo  legato,  gli  appiovò 
col  breve  Singularis  romanoruni 
Pontificum  j  del  primo  settembre 
1741,  presso  il  Bull.  3if7gii.  t. 
XVI,  p.  4^}  e  nel  Bull,  de  prop. 
t.  Ili,  p.  3.  Indi  col  breve  Apo- 
stolica praedecessoruiiiy  de'i4  leb- 
braio  1742,  loco  citalo  p.  6^  del 
Bull.  Magn.,  e  p.  12  del  Bull,  de 
prop.j  Benedetto  XIV  lodò  nuo- 
vamente i  decreti  del  sinodo;  a- 
brogò  la  contribuzione  che  davasi 
al  patriarca  per  la  distribuzione 
degli  oli  santi,  e  perchè  il  prela- 
to non  restasse  privo  de'  necessari 
alimenti ,  stabilì  che  la  congrega- 
zione di  propngantla  imponesse  ai 
vescovi  una  tassa,  cos\  ai  monaste- 
ri, la  quale  gli  sarebbe  data  ogni 
anno  a  titolo  di  sussidio  nella  do- 
menica fra  l'ottava  della  festa  del- 


171  MAR 

r   Assntitr».  Inoltre    prescrìsse    che 
nella  nazione  fosse  una  chiesa  pa- 
triarcale con    olio    vescovi ,    in  vere 
di  sedici    ch'erano  prinaa,  ai  quali 
assegnò  i   limiti  delle  diocesi,  stabi- 
lendovi  Aleppo   o   Benea,    Tripoli, 
Itotra,  Eliopoli,  Damasco ,    Berilo, 
Tiro  e  Cipro.   Nella   morte  del  pa- 
triarca  Giuseppe   Pietro,  divisi    fra 
loro  d'opinione  i   vescovi  maroniti, 
alcuni  elessero    per  patriarca    Elia 
arcivescovo   Arceiise,  e  gli    altri    in 
minor  numero    Tobia    arcivescovo 
«Il   Neapolosia.   Ambedue  si  appel- 
larono a  Benedetto  XIV,  e  ne  do- 
mandarono    il     pallio;   ma    il    Pa- 
pa dichiarò  nulla   l'eiezione  di    en- 
U-ambi,  riservandola  alla   santa  Se- 
de col   breve    Qiiod   non  fiumana, 
de*  I  3   marzo  i  743,  Bull.  Magn.  p. 
1 46,  Bull,  de  prop.   p.  76.   In  luo- 
go   di  detti    arcivescovi    Benedetto 
XIV   nominò  patriarca  Simone  E- 
vodio  arcivescovo  di   Damasco,  col 
liieve    Niiper   ad  nos,    dato   a*  16 
marzo    ìj^^,   BtdL  Maga.  p.  i47, 
Bull,  de  prop.  p.  79,  ordinando  alla 
iMzione    maronita,    che    con    rive- 
l'enza  e  sommissione   lo  ricevessero. 
}*er  lo  stesso    fine  Benedetto   XIV 
col  disposto  del  breve    Nuper    ad 
scdandas,    di    detto  giorno,    Bull. 
Mngn.  p.  i5o,  Bull,  de  prop.  p.  87, 
deputò  ablegato  apostolico  ai   ma- 
roniti  il   p.  Jacopo    da  Lucca    mi- 
nore osservante,   visitatore    e  com- 
n»issario  del  santo  Sepolcro,  ch'egli 
raccomandò    a   molti    vescovi    me- 
diante il   breve   Magna,  non  minn.v, 
emanato   nel  predetto  giorno,  Bull. 
Magn.  p.  i52,  Bull,  de  prop.  p.  91. 
Il   nuovo    patriarca    Simone     Evo- 
dio,  fatta  la  consueta  professione  di 
i\(\e,   supplicò    pel    pallio    patriar- 
cale,    che  il   Papa   gli    mandò  ac- 
compagnato dal  breve,  Literas  fra- 
ternitalis,    degli     i  i    agosto     1 744» 


MAR 
Bull.  3fagn.  pag.  207,  Bull  de 
prop.  p.  1  -29.  Nello  stesso  giorno 
indirizzò  agli  arcivescovi  e  vescovi 
maroniti  il  breve  Exìmìi  erga  a- 
postolicani,  presso  il  Bidl.  Magn. 
p.  20S,  Bull,  de  prop.  pag.  i3i. 
Estinto  lo  scisma  de' due  patriar- 
chi. Benedetto  XIV  dichiarò  com- 
missario apostolico  il  p.  Desiderio 
de'minori  osservanti,  presidente  del 
convento  del  s.  Sepolcro,  col  bre- 
ve Ne/w'ni  sane,  de'  20  luglio  1746» 
e  ne  prevenne  il  patriarca  Simone 
col  breve  DUecto  filio,  dato  in  det- 
to giorno,  nel  quale  ne  diresse  al- 
tro. Non  pos.sunius,  agli  arcive- 
scovi e  vescovi  maroniti,  quali  bre- 
vi sono  riportati  nell'  Appendix 
t.  Il  del  Btdl.  de  prop.  p.  11 5, 
118,  120,  onde  riordinare  le  cose, 
e  mandare  ad  effetto  i  decreti  del 
si  nodo. 

Essendo  morto  il  patriarca  Si- 
mone a'  12  febbraio  del  1756,  gli 
arcivescovi  e  vescovi  maroniti,  ai 
28  dello  stesso  mese  elessero  con- 
cordemente in  successore  Tobia 
Pietro  Gazeno  arcivescovo  di  Ci- 
pro, leggendosi  nel  citato  tom.  Il 
Appendix  p,  2o3  e  seg.  gli  atti 
di  tale  elezione,  la  lettela  di  obbe- 
dienza del  nuovo  patriarca  a  Be- 
nedetto XTV  de'  20  marzo,  la  let- 
tera del  medesimo  alla  congrega- 
zione di  propaganda  ,  la  lettera 
degli  arcivescovi  e  vescovi  allo 
st<^sso  Papa,  il  decreto  della  con- 
gregazione di  approvazione,  la  pro- 
posizione e  allocuzione  detta  in 
concistoro  a' 27  marzo  1757  dal 
Pontefice,  l'istanza  del  patriarca 
pel  pallio,  e  il  ringraziamento  che 
fece  di  tal  concessione  il  prelato 
Giuseppe  Simone  Assemani  .  Il 
pallio  fu  dal  Papa  accompagnalo 
dal  breve  Ex  venerahilem,  de' 3o 
aprile  17^7,   presso  il    Bull.  Magn, 


MAR 
t.  XIX,  p.    ^^76,  ed  in  mi  protestò 
di   non    trascurale  occasione    alcu- 
na di     far  conoscere    l'anriore    suo 
verso  questa    nazione.    Nel    tempo 
stesso    col     breve    Non    possninus^ 
loco  citato  p.    277,  esortò  i   vesco- 
vi  maroniti  a   prestare  esatta  obbe- 
dienza al  nuovo    patriarca,  e  lodò 
grandemente  col  breve  Qitam  prae- 
claram,  loco  citato  p.  278,  la  co- 
stanza della  fede  de'  magnati   della 
nazione,  e  la   riverenza  con  che  lo 
avevano    ricevuto.    Clemente    XIII 
nel    concistoro    de'  6    aprile    1767, 
coirallocuzione    Tristem    haud,   si- 
gnificò ai  cardinali  che  per   morte 
del  patriarca  Tobia  Pietro,  era  stato 
eletto  successore  Giuseppe    Stefano 
arcivescovo  di  Berito,  cui  concesse 
il   pallio,  come  si    legge    nel    Bull, 
de  prop.  t.  IV,  p.    Ili,  mentre  a 
p.    112  si  riporta  il  breve   Quam- 
quam prò,  de'22  agosto   1767,  dello 
stesso  Clemente  XIII,  diretto   al  pa- 
triarca  Giuseppe  Pietro    de    Stefa- 
nis,  riguardante    la    disciplina   pre- 
scritta dal  sinodo  Libanese  pel  clero 
de'  maroniti.  Pio  VI    a'  17    luglio 
1779,  ^^^  breve  Dedimus  ad  vos^ 
presso  VAppendix  t.   II,  p.    259,  e- 
sortò  il  clero  ed    il  popolo    maro- 
nita alla  concordia  ;  quindi  nel  1780 
il  primo  luglio  scrisse  il  breve  Non 
possumus,   presso  V  Jppendìx  t,  li, 
p.   261,  all'emiro    Giuseppe    Sciab 
principe  del   Monte  Libano,  perchè 
accogliesse  bene  Pietro  de  Moretta 
delegato  apostolico  destinato  a  com- 
porre le  questioni  insorte  tra  i  maro- 
niti; quindi  a'20  ottobre  1788  scris- 
se ancora  il  bieve  Iterum  ad  vos^ 
presso  il  Bull,  de  prop.  t.  IV,  p.  194. 
Inoltre  Pio  VI  con  breve  stampato 
in   latino  e  siriaco  condannò  e  di- 
chiarò illusa  e   visionaria,  non  che 
falsa   la   santità  di  Endie  o  sia  An- 
na Agemi   monaca    del    monastero 


MAR  123 

di  "Bechorche  nel  Chesronno ,  pre- 
tesa fondatrice  nel  Monte  Libano 
dell'istituto  monastico  del  ss.  Cuor 
di  Gesù,  e  della  confraternita.  E 
siccome  il  vescovo  Germano  Dieb, 
ingannato  dalla  falsa  monaca,  avea 
propagato  i  suoi  errori  in  noateria 
di  fede,  così  il  Papa  lo  sospese  per 
sei  mesi  dalla  giurisdizione  vesco- 
vile (nel  qual  tempo  fu  deputato 
all'esercizio  della  patriarcale  Miche- 
le Gazeno  vescovo  di  Cesarea  ) , 
e  l'obbligò  a  fare  la  ritrattazio- 
ne. Per  una  simile,  ma  volonta- 
ria ritrattazione,  fatta  nel  1784 
da  Giuseppe  Pietro  de  Stefanis  pa- 
triarca de'  maroniti,  ed  umiliata  al 
Papa  a*  28  marzo,  il  medesimo  non 
tardò  a  dimostrare  la  paterna  gioia 
che  aveva  provato,  dirigendo  a  que- 
sto fine  un  suo  tenerissimo  breve 
agli  arcivescovi,  vescovi,  magnati  e 
popolo  della  nazione  maronita.  Nel 
medesimo  volume  àtW Jppendìx  a 
p.  279  e  seg.  sonovi  il  detto  breve 
Massimum  nohis  atlulere  gaudiuni, 
de'  28  settembre,  che  comprende 
ancora  la  ritrattazione  e  gli  analo- 
ghi decreti  della  congregazione  di 
propaganda,  e  quelli  deli'  ablegato 
apostolico  Moretta.  Olire  a  ciò  nel- 
listesso  t.  11  deli'  Jppendi'x  a  p. 
226  e  seg.  vi  è  l'allocuzione  pro- 
nunziata da  Pio  VI  a'  27  giugno 
1796,  in  cui  annunziando  la  mor- 
te del  patriarca  Michele  Fadel  , 
partecipò  al  sacro  collegio  l'elezio- 
ne seguita  del  successore  nella  per- 
sona di  Filippo  Pietro  Gemaiel  ar- 
civescovo di  Cipro,  nel  monastero 
di  s.  Maria  di  Bekorke;  vi  si  legge 
altresì  la  lettera  del  patriarca  al 
Papa,  quella  alla  congregazione  di 
propaganda,  la  lettera  degli  elettori 
a  Pio  VI,  il  decreto  di  conferma 
della  congregazione  nominata,  l' i- 
slanza  del  procuratore   p.    Arsenio 


1 24  MAR 

Cardadii  monaco  auloniano  pel  pnl- 
lio,  ed  il  suo  ringrazittinento  dopo 
averlo  conseguilo.  Nello  t^tcsso  l. 
IV,  p.  247  o  seg.  sono  riportali 
gli  alti  del  concistoro  24  luglio 
1797,  in  cui  fu  confernialo  in  pa- 
triarca antiocheno  de' maroniti  Giu- 
seppe Pietro  Thian  già  vicario  del 
patriarca  defunto,  quelli  della  sua 
elezione,  conferma  e  concessione  del 
pallio  di  Pio  VI,  il  quale  fu  do- 
mandalo dal  p.  Luigi  Belaibel  de- 
legato dall'  eletto  ,  facendo  il  rin- 
graziamento l'agente  Antonio  As* 
semani. 

Pio    VII     col    breve    Explorn- 
tiim  (ibi  rritj  degli  8  ottobre  1808, 
raccomandò    all'emiro    13iscir  prìn- 
cipe   de*  maroniti  ,    la    disposizio- 
ne testamentaria  fatta  a  favore  del 
monastero  di  s.  Maria    Liberatrice 
di  Cliesroano  dal  patriarca  de*  siri 
Ignazio  Giarve  ;    il    breve   si  legge 
nel  t.  IV,    Bull,    de   prop.  fide  p. 
347.  Ivi  a  p.  349  e  seg.  sono  ri- 
prodotti gli  atti  del  concistoro  dei 
19  dicembre    181 4,  riguardanti  la 
rinunzia    del    patriarcato   fatta    da 
Giuseppe  Pietro  Thian  a  Pio  VII 
nel    monastero    di    s.    Giuseppe  di 
^Vintura,  sino  dagli  8  giugno  1809, 
e  r  elezione  in  successore    dì    Gio* 
vaimi  Dolci  vescovo  Acrense,  o  sia 
di  Tolemaide,  con  tutte  le  consue* 
le  lettere,  insieme  a  quella  del  vi- 
cario apostolico  Luigi  GandoUi.  Es- 
sendo il  Papa   nel    mese    seguente 
deportato  da  Roma,  non  potè  farne 
la  conferma^  laonde    ritornalo    nel 
1814  ^'^^  ^^^  sede,  in  detto  con- 
cistoro, a  tenore   del    decreto  con- 
fermatorio  di  propaganda,  con  ap- 
posita allocuzione   lo   confermò,    e 
ad  istanza  del  procuratore    p.   Ar- 
senio Cardachi    concesse    il    pallio. 
A   p.   365  e  seg.   poi  del   medesimo 
tomo  souo  i  brevi  di  Pio  VII,   In 


MAR  \ 

coffiniufìi,  del  primo  novembre  1 8  iG, 
di  congratulaziono,    et    te    tollendis 
prorsus  agìt  monasten'is  duplìcibusj 
Multa  perfusi\  de'  1 5  febbraio  1817, 
in     lodo    Illustj'ì    ac    potentissimo 
Scicilk  Bescir  Gemblat,  per  la  be- 
nevolenza con  cui  riguardava  i  ma- 
roniti; M^a://«o/;rtrem?^w,  dello  ster- 
go giorno,  diretto   Illustri    ac   po- 
tentissimo Emiro  Bescir  Sciehat,  sul- 
lo   stesso  argomento,    in    occasione 
che  il   p.  Giuseppe    Assemani    de- 
fìnìtore  della  congregazione  aleppi"- 
na  di  Monte  Libano,    a  questo  da 
Roma  fece  ritorno.  Finalmente  nel 
medesimo  tomo  a  p.  376  si  legge 
il  breve  di  Pio  VII,  Quod  de  con- 
stand ohsequio,  de'3o  maggio  18 19, 
col  quale  confermò  il  sinodo  tenu- 
to dal  patriarca  e  vescovi  maroniti, 
servatis  nonnullis    avtìculis    a  s.  e. 
de  propaganda  fide  praescriptisj 
et  praesertini  decretum    prohat  de 
duplicibus  monaster.  abolendis.  Leo- 
ne XII  nel  concistoro    de*  3    mag- 
gio   1824    confermò    l'elezione,  e 
concesse  il  pallio  al   patriarca    an- 
tiocheno Giuseppe    Pietro  Habaisci 
vescovo  di  Tripoli  (che  non  aven- 
do   quarant'anni ,    e    mancandogli 
qualche  voto,  fu  dalla  salila    Sede 
sanata    ogni     irregolarità),,  essendo 
morto  il  patriarca  Dolci;  l'elezione 
era  seguita  a' 25  maggio  1823  nel 
monastero  di  s.  Maria  di  Kannubina 
o  Canubina.  Tutti  gli  atti  sono  nel 
t.  V,  p.  I  e  seg.  in  un  alla  lettera  di 
Luigi  Gandollì  vescovo  Icosiense  e 
vicario  apostolico  liiernpolitano  os- 
sia di   Gerapoli,    ed  alla   domanda 
del  pallio  e  successiva    orazione  di 
ringraziamento,  del  p.  abbate    Ba- 
silio Dursun    monaco   armeno    an- 
toniano.    Al    mentovato    patriarca, 
Gregorio  XVI  a'  24  dicembre  i83i 
diresse  il  breve,  Suinmis  saepCj  Ball, 
de  prop.  t.  V,  p.  73,  incaricandolo 


MAR 
di  esaiT)ir>are  |e  veitefize  insorte  tra 
Imxiivescovo  di  Hicrapoli  Paolo  A- 
ititin,  il  clero  ed  il  popolo,   pren- 
dendo intanto  egli  l'amministrazio» 
ne  di  quella  chiesa,    finché    1* arci- 
vescovo  nel  Monte  Lihano    si    ibs« 
se  purgato    dalle  accuse.   Nello  stes^ 
so  tomo  a  pag»    124  ^'*  ^  '^  breve 
Fraternitalis  ^//<7r?,  emanato  da  Gre- 
gorio XVr  n' 6    settembre    i835, 
sulla  questione    del    patronato    del 
monastero  di  $.  Artemio:  a  p.  224 
inoltre  evvi  il  breve  Quuni  dilectus 
filiils^  che  Gregorio  XVI  scrisse  al 
patriarca    Habaisci    a*  16    febbraio 
1841  *   pel  ritorno  al  Monte  Liba- 
no   del  p,    Nicola    Murad,  incarica- 
lo di  procurare    aiuti    ai    maroniti 
a  cagiono  delle  vicende  di    guerra. 
Negli  ultimi  tempi  la  nazione  ha 
sofferto  gravi  mah   dai  drusi^  e  dai 
turchi  con  essi  segretamente  colle- 
gati   per    la    rovina    de'  maroniti  , 
poiché  caduto   il  dominio  degli  egi' 
y.iani,  si  accese  la  guerra    fra  i  drusì 
ed  i  maroniti.  Trionfando   i  primi, 
il  generale  turco  consigliò  la  deposi- 
zione delle  armi,  ed  i  maroniti  pre- 
standovi fede  le  deposero.  Ma  allora 
i    drusi    gli  assalirono  e    ne    fecero 
strage,  devastando  campi,  case,  chie- 
se, monasteri,  villaggi  e  città.    In- 
vitali i  principi  cristiani  a  prestare 
protezione  ai  perseguitati  maroniti^ 
la  promisero,  ma  con   poco  effetto. 
Il  patriarca  spedì  a    Coslanlinopoli 
il  p.  Nicola  Murad,  per    Iregua    e 
pace; quindi  da  Roma,  da  Parigi  e 
i\fìi     Vienna     furono     spedili    gene- 
rosi sussidi    ai   maioniti    per    alle-, 
viar  tanti    mali.    Ultimamente    nel 
settembre   1846  è  stata  fondata  a 
Parigi  i'  opera  di  s.  Maria  del  Li- 
banOj  per  istabiiire  in  quella  capi- 
tale un  collegio    destinato    a    daje 
ad  alcuni  giovani  cattolici  maroniti 
ima  educazione  gratuita  che  li  pon- 


MAR  125 

ga  in  istato  di  riportare  nella  loro 
patria  i  lumi  delle  scienze,  delle 
lettere  e  dello  arti;  olt«e  di  che  que- 
sta fondazione  intende  a  vegliare 
permanentemente  gì'  interessi  delle 
popolazioni  cattoliche  del  Libano. 
Finalmenle  il  Papa  Gregorio  XVI 
nel  concistoro  de'  19  gennaio  1846, 
preconizzò  l'attuale  patriarca  d'An- 
tiochia de' maroniti  monsignor  Giu- 
seppe Gazeno,  già  arcivescovo  di 
Damasco,  coH'allocuzione  Ob  mor- 
kni  antiocheni  patn'archae  ^  e  gli 
concesse  il  pallio  a  petizione  óeì 
suo  procuratore  monsignor  Nicola 
Murad  arcivescovo  di  Laodicea.  Nel- 
la proposizione  concistoriale  si  legge 
che  la  chiesa  patriarcale,  esistente 
presso  il  monastero  di  Kannubina, 
é  dedicata  alla  Beata  Vergine  as- 
sunta in  cielo,  buono  edifizio;  che 
il  patriarca  ha  nove  suffraga  nei,  tra 
ftrcivescovi  e  vescovi  ;  che  in  detta 
chiesa  la  cura  d' anime  si  esercita 
dall'arciprete,  essendovi  il  fonte  bat- 
tesimale, e  molte  reliquie  in  gran 
venerazione;  che  nello  stesso  mo- 
nastero vi  è  un  decente  patriarchio, 
e  che  i  fruiti  della  mensa  tassati 
ne*  libri  della  camera  apostolica  a- 
scendono  a  circa  scudi  quattromila. 

Patriarcato  antiocheno  c/e'  maroniti. 

Antiochia  (Vedi)  fu  già  la  sede 
de'  patriarchi  de'  maroniti ,  il  pri- 
mo de'  quali  fu  s.  Giovanni  Ma- 
rone.  Oggi  la  residenza  patriarcale 
è  nel  monastero  di  Kannubin  in 
una  valle  del  Monte  Libano  :  que- 
sto monastero  chiamalo  ancora  Co- 
nobia  e  Cannubina  lo  lece  fabbri- 
care in  onore  della  Beala  Vergine 
alle  falde  del  Monte  Libano  l'im- 
peratore Teodosio  1  verso  la  fine 
del  IV  secolo.  Dapprima  fu  un  sem- 
plice vescovato,  ma  Giovanni  Algi- 


ia6 


MAR 


geo  patriarca  de'  maroniti  aven- 
dovi stabilita  la  sua  sede  verso  il 
i44^  divenne  patriarcale.  Alzaber 
Bardine  soldano  d'Egitto  esentò  da 
ogni  imposizione  questo  monastero^ 
e  fece  incidere  sopra  una  tavola  di 
rame  in  grossi  caratteri  tale  esen- 
zione acciò  niuno  l'ignorasse.  Il  pa- 
triarca avea  prima  la  sua  sede  nel 
monastero  di  Capharhai.  Egli  sten- 
de la  sua  giurisdizione  sopra  tutti 
i  nazionali  dell'  Asia  e  dell'Egitto, 
non  però  su  quelli  del  patriarcato 
di  Costantinopoli.  Nel  patriarcato  si 
trovano  3 20  chiese  e  oratorii.  Le 
piccole  città  di  Eden  e  di  Zgorta 
già  vescovato,  dipendono  dal  pa- 
triarca, senza  far  parte  oggi  di  al- 
cuna diocesi  ;  e  possono  conside- 
rarsi come  una  sola  città,  passan- 
do gli  abitanti  a  vicenda  da  un 
luogo  all'altro;  la  chiesa  pari'oc- 
chiale  è  sotto  l'invocazione  di  s. 
Giorgio.  Come  si  disse  in  principio, 
si  trovano  nel  patriarcato  circa  sa- 
cerdoti secolari  5oo,  regolari  600  , 
nello  stato  di  monaci  laici  1000. 
Monsignor  Gabriele  Nars  vescovo  di 
Nazareth  è  giudice  pei  cattolici  nel 
Monte  Libano.  Vi  sono  tre  collegi 
patriarcali,  cioè:  i.°  di  Ain-varca, 
fondato  in  un  monastero  di  s.  An- 
tonio abbate  nel  1789  dal  patriar- 
ca Stefani,  di  giuspatronato  di  que- 
sta famiglia,  e  n'è  rettore  monsi- 
gnor Giuseppe  Rezq  vescovo  di  Ti- 
ro; 2.**  di  Marone  Rumiè,  fondato 
dal  patriarca  Dolci,  di  giuspatrona- 
to della  famiglia  Safìr,  erezione  che 
fu  confermata  nel  1 8  r  9  dalla  con- 
gregazione di  propaganda;  3."  di  s. 
Abdà,  eretto  dal  patriarca  Habaisci, 
già  monastero  di  monache.  In  Zgor- 
ta esiste  una  scuola  fondata  nel  1734 
da  Pietro  Benedetti  e  da  Giorgio 
vescovo  di  Eden,  prima  ch'entras- 
sero nella  compagnia  di  Gesù.  Di* 


MAR 
verse  stamperie,   casa    di    noviziato 
per  le  missioni,   monasteri    di  mo- 
naci, oltre  le   tre  congregazioni    di 
cui  parleremo  ;  diecinove  collegi  dio- 
cesani, oltre  quello  di    Antura,    di 
piena  autorità  del  patriarca.  Il  col- 
legio di  s.  Giorgio,  tolto    dall'auto- 
rità del  patriarca  e  del  vescovo  dio- 
cesjmo,  è  posto  sotto  la   protezione 
della  congregazione  di  propaganda, 
e  per   essa    ne    esercita    la  cura  il 
delegato  apostolico,  ed  è  giuspatro- 
nato della  famiglia  Benedetti.    No- 
teremo che  al  presente  delegato  a- 
postolico  nel  Monte  Libano    e  vi- 
cario apostolico  pei   latini  nel  vica- 
riato d' A  leppo,  è  monsignor  Fran- 
cesco Villardel  de'  minori  osservan- 
ti, arcivescovo  di  Filippi  in  partìbits^ 
fatto  da  Gregorio  XVI  agli  8  mar- 
zo   1839.  Esiste  in  Antura  un  mo- 
nastero   di   salesiane ,    di  circa    5o 
monache,  delle  nazioni    maronita, 
melchita  e  soriana.  Il  patriarca  nel 
giovedì  santo  consacra  gli  olii  santi, 
e  ne  fa  distribuzione.  Al  medesimo 
a  titolo  di  sussidio  caritativo    tutti 
i  parrochi  e  superiori  de' monasteri, 
nella  domenica  tra  l'ottava  dell'As- 
sunta presentano  una  piccola  som- 
ma di  denaro.  Il  patriarca  oltre  le 
decime  ha  le  sue    rendile    partico- 
lari, e  prima  di  ricevere    il    pallio 
viene  annoverato    tra  i  patiiarchi  : 
dovrebbe  ogni  triennio  convocare  il 
sinodo  per  la  direzione  del  suo  po- 
polo; non   può  accrescere  le  diocesi 
oltre    le    otto    stabilite    dal    sinodo 
nazionale  del   1736,  approvalo  dalia 
Sede  apostolica,  essendo  nei    tempi 
antichi   molte  di  più;  il  sinodo  (is- 
sò anco  i  limiti  delle  diocesi,  ciò  che 
pur  fecero  altri  posteriori. 

Berìlo  o  Bayrut  (Fedì),  arcive- 
scovato con  città  e  porto  di  mare, 
di  cui  è  arcivescovo  monsignor  K;>- 
rara.  La  sua  giurisdizione  si  esien- 


MAR 

de  ad  Alrnatan  ,  Ginrd  ,  Ghorh  , 
Sciuhar  ed  Almaten  fino  al  ponte 
del  giudice  detto  Addamur.  Il  con» 
vento  di  s.  Giovanni  Quiaitala  fu 
riabilito  per  residenza  dell'arcive- 
scovo, ma  non  essendo  abitabile, 
l'ordinario  si  procura  altrove  il  do- 
micilio. Tra   l'arcivescovo    e    il  su* 


pei 


iore     de'  gesuiti    Cu   sottoscritta 


una'convenzione  per  conservare  per- 
fetta concordia ,  indi  trasmessa  al 
delegato  apostolico  a'  23  settembre 
i84k 

Tripoli  [Vedi)^  arcivescovato  i\\ 
cui  è  arcivescovo  monsignor  Paolo 
Musa,  e  stende  la  sua  giurisdizione 
da  Tripoli  e  Zuaja,  ad  Acca,  Na- 
bjas,  Ranad,  Tartus'',  Gabala  e 
Lattachia  fino  ai  termini  della  dio- 
cesi di  Aleppo.  Si  stava  terminan- 
do la  fabbrica  pel  seminario,  e  pro- 
babilmente ora  la  residenza  arci- 
vescovile sarà  fissata  in  qualche  vil- 
laggio che  ha  acquistato  questa  dio- 
cesi. Essa  è  stata  accresciuta  di  un- 
dici villaggi  tolti  a  quella  di  Ga- 
bala o  Gibail  e  Botra  dal  patriar- 
ca e  dal  delegato  apostolico  nel 
1840  autorizzali  dalla  congrega- 
zione di  propaganda.  I  biblici  han- 
no fatti  grandi  ma  inutili  sforzi  per 
istabilirsi  fra  i  maroniti,  spargen- 
do bibbie  tradotte  in  siro,  caldai- 
co ed  ebraico.  Un  maronita  che 
per  dispensa  pontificia  era  entiato 
nella  compagnia  di  Gesù,  celebrò 
talvolta  in  rito  siriaco  e  caldaico, 
per  istruire  gli  alunni  nazionali.  So- 
levano comunicare  i  fanciulli  dopo 
il  battesimo ,  ma  abbandonarono 
questa  consuetudine. 

Cabala  o  Gihbe  o  Gibail  ^  e 
Botra  o  Bostra  (Fedi) ,  vescova- 
to che  ha  in  amministrazione  il  pa- 
triarca, il  quale  vi  tiene  un  vica- 
rio. La  sua  giurisdizione  abbiac- 
ciava  Azura,  Deir,  Elahmar,  Geb- 


MAR  17.7 

bet,  Besciarra  ed  altri  luoghi.  In 
ogni  villaggio  vi  sono  scuole:  la 
residenza  vescovile  è  nel  monastero 
di  s.  Giovanni  Marone  in  Kafarheji, 
nel  quale  s'istruisce  la  gioventù  che 
si  dedica  al  culto  divino,  potendo 
gli  alunni  essere  trenta.  Per  la  dio- 
cesi vi  sono  sparsi  altri  sei  mona- 
steri. Questa  era  la  diocesi  più  ric- 
ca, ciò  che  indusse  la  congregazio- 
ne di  propaganda  a  dismembrarla 
di  alcuni  villaggi  fticoltosi,  e  sotto- 
porli a  quella  di  Tiipoli  ch'era  la 
più  povera  delle  chiese  de'  maro- 
niti. 

Berrea  o  Aleppo  (  Vedi),  glan- 
de città  della  Siria  ,  arcivescovato 
di  cui  è  arcivescovo  monsignor  Pao- 
lo Arutin.  La  sua  giurisdizione  com- 
prende la  città  ed  i  suoi  dintorni. 
La  casa  vescovile  é  presso  la  chiesa 
di  s.  Elia. 

Damasco  [Vedi),  grande  città 
della  Siria,  arcivescovato  di  cui  è 
arcivescovo  monsignor  N.  L'  ar- 
cidiocesi  oltre  Damasco  contiene 
una  metà  di  Gazir,  di  cui  è  ca- 
poluogo Ayeltun,  Baschinta  ,  Zug- 
Arab  e  Zabugha.  La  residenza  del- 
l' ordinario  fu  stabilita  nel  con- 
vento di  s.  Antonio  Bogalà  di  gius- 
patronato;  non  permettendosi  però 
dalla  famiglia  patrona,  risiedeva  nel 
convento  di  s.  Mosè  \\ì  Baluna,  an- 
che questo  di  giuspatronato.  Morti 
tutti  i  patroni,  gli  eredi  ne  esclu- 
sero il  vescovo,  che  restò  senza  re- 
sidenza. 

Enopoli  o  Balhek  {  Vedi),  ar- 
civescovato di  cui  è  arcivescovo 
monsignor  Antonio  Gazeno.  Con- 
tiene la  sua  giurisdizione  i  terri- 
torii  di  Baalbah  e  di  Fouh  nei 
confini  di  Giobeil,  e  la  metà  della 
regione  di  Gazir .  La  residenza 
arcivescovile  era  fissata  nel  con- 
vento di  s.  Giorgio  di  Raifuni.   In- 


128  MAR 

sorse  lite  tra  ìv.  due  fumigiie  De- 
nedetti,  edAhu  Causo  Gazeno,  per 
diritto  di  patronalo,  il  perdio  nel 
j832  fu  risoluto  clie  la  sede  del 
vescovo  fosse  fissata  dentro  i  limi- 
li della  diocesi. 

Sidone f  o  Sur  o  Tiro  (Vedi\ 
arcivescovati  uniti,  de'quali  ò  arci- 
vescovo monsignor  Abdellah  J5e- 
sleni.  Comprende  le  diocesi  di  que- 
ste città,  ed  inoltre  Alscius,  Ba* 
gali,  la  valle  Firn  e  suoi  contorni 
dal  fiume  Damur  fino  a  Gerusalem- 
me, che  pare  spetti  al  patriarca* 
Tiro  o  Sur,  e  Sidone  apparteneva- 
no al  patriarca,  perciò  non  vi  fu 
fissata  la  residenza    pel  vescovo. 

Cipro  (^Fedi)y  arcivescovalo  che 
ha  per  capitale  Nicosia  (Fedi). 
Iv'tì  arcivescovo  monsignor  Giusep- 
pe Giahgiah.  I  luoghi  ove  si  tro- 
vano maroniti  sono  Carmacili,  Mar- 
chi, Cambili,  s.  Marina,  Carpascia 
ed  Assomatos.  Vi  sono  sei  chiese 
nuove  ó  restaurate,  e  due  in  co- 
struzione. Questa  diocesi  ha  nel 
Kesroano,  Bacfaia  e  Bet-Sciabab, 
ed  i  paesi  vicini  fino  al  ponte  di 
Berito.  Vi  sono  i  monaci  di  s. 
Antonio  detti  di  s.  Elia.  Il  colle- 
gio di  Cornat  e  Scihuan  è  desti- 
nato per  la  lesidenza  dell'ordinario, 
mentre  per  l'istruzione  del  clero  è 
il  collegio  di  Mari  Giovanni  Zaerit. 

Ordine  monastico  deniaroniii. 

Uno  è  l'ordine  monastico  della 
nazione  maronita,  é  segue  la  rego- 
la di  s.  Antonio  abbate.  Fino  al 
1 757  era  diviso  in  due  congre- 
gazioni, cioè  in  quella  di  s.  Isaia, 
ed  in  quella  detta  comunemente 
di  s.  Eliseo  o  di  s.  Antonio  abbate. 
Il  p.  Bonanni  nel  Catalogo  degli 
ordini  rcZ/gzW,  pubblicato  nel  pon- 
tificato   di    Clemente     XI,  par.   I, 


MAR 
pag.  XCII,  paria  del  monacxj  di  s. 
Antonio  nella  Siria,  e  ce  ne  dà 
lu  figura.  Egli  dice,  che  nella  Si- 
ria, massime  nel  Monte  Libano  e 
contorni,  vi  sono  monasteri  di  mo- 
naci cattolici  della  nazione  de'ma- 
roniti,  osservando  alcune  regole 
ricevute  per  tradizione ,  e  credute 
conformi  ai  costumi' di  s.  Antonio 
che  venerano  come  loro  istitutore. 
Si  astenevano  continuamente  dal- 
la carne,  celebravano  ogni  anno 
quattro  digiuni  lunghi,  cioù  quel 
li  dell'  avvento  ,  della  quaresima  , 
quello  di  quindici  giorni  avanti  la 
festa  de'ss.  Pietro  e  Paolo,  e  quel- 
lo di  quattordici  avanti  la  festa 
dell'Assunta.  Recitavano  dopo  la 
mezza  notte  il  mattutino  e  poi 
tutte  le  altre  ore  canoniche  in  lin- 
gua siriaca.  Alcuni  di  essi  più 
telanti  stabilirono  altre  regole,  qua- 
li osservavano  con  vita  comune, 
professando  pubblicamente  i  tre 
voti  religiosi,  ed  eleggendo  un  su- 
periore pel  governo  del  monastero. 
Tultociò  era  stato  approvato  dal 
patriarca  de'  maroniti  Stefano  Al- 
doense  di  Eden,  ed  allora,  dice  il 
p.  Bonanni,  procuravano  la  confer- 
ma della  santa  Sede.  Vestono  di 
nero  con  sottana  cinta  con  fascia 
di  cuoio  nero,  e  ad  essa  e  unito 
un  piccolo  e  tondo  cappuccio  . 
sopra  tal  veste  ne  aggiungono 
un'altra  sciolta  ed  aperta  nella  parte 
anteriore.  Aggiunge  che  tuttociò 
riferì  il  p.  Gabriele  maronita,  mo- 
naco venuto  a  Roma  per  impe- 
trar la  conferma  delle  costituzioni 
stabilite.  Queste  infatti  approvò 
Clemente  XII  a*  3[  marzo  1732, 
cioè  quelle  della  congregazione  di 
s.  Eliseo  o  s.  Antonio,  col  breve 
Aposlolalns  officium,  che  si  legge 
nel  Bull.  liom.  t.  XIII,  p.  2  2  3,  e 
nel  Ball,  de  prop.Jide,  Appendix 


MAR 

t.  II,  p.  47-  Laonde  nel  1785  si 
pubblicarono  in  Roma  con  questo 
titolo  :  Regulae  et  conslitiitìoncs  mo- 
naclìorum  syronun  maronitarum. 
Dipoi  lo  stesso  Clemente  XII  ai 
1 7  gennaio  1 740,  col  breve  Mise- 
ricordiaruni  Pater,  approvò  le  co- 
stituzioni della  congregazione  di  s. 
Isaia.  11  breve  è  riportato  nel  Bull. 
Rom.  t.  XIV,  p.  4oo  ,  e  nel  Bull, 
de  prop.  p.  309  e  seg.,  ove  sono 
ancora  riportati  in  cinque  parti, 
e  per  intero  le  costituzioni.  Que- 
ste erano  state  pubblicate  in  Ro- 
ma nel  174^  con  questo  titolo: 
Regulae  et  constituliones  monacho* 
rum  maronitarum.  Divisa  dunque 
la  congregazione  de'  monaci  di  s. 
Antonio  maroniti^  nelle  due  con- 
gregazioni di  s.  Isaia,  e  di  s.  E- 
liseo  o  s.  Antonio,  questa  seconda 
era  composta  di  monaci  di  Aleppo 
delti  aleppini,  e  di  monaci  mon- 
tagnoli perchè  del  Monte  Libano, 
delti  haladitì.  Accadde  però  per 
questa  seconda  congregazione  ,  che 
nel  1754  radunati  i  graduati  in 
un  capitolo  generale  per  la  scelta 
del  superiore,  poiché  i  monaci  di 
Aleppo  solevano  avere  in  qualche 
disprezzo  quelli  della  montagna, 
cioè  di  Monte  Libano,  si  ruppe  la 
pace  e  la  carità  vicendevole,  in  mo- 
do che  non  fu  più  possibile  di 
riunirli. 

Per  porre  un  termine  a  tanti 
mali  convenne  alla  congregazione 
di  propaganda  fide  approvare  la 
divisione  de'medesimì,  tanto  consi- 
gliata dal  patriarca  e  dai  vescovi 
della  Siria.  Fu  pertanto  conferma- 
ta la  separazione  delle  due  con- 
gregazioni come  oggi  esistono,  una 
degli  Aleppini,  l'altra  dei  Libanesi 
di  s.  Antonio  abbate,  a  b  ala  diti  j 
da  Clemente  XIV  col  breve  Ex 
injunclo  nobis,  de' 19   luglio    177O; 

VOL.     XTJIf. 


MAR  1Ì9 

presso  il  Bull,  de  prop.  t.  IV,  p. 
126.  Però  in  Roma  presentemen- 
te non  vi  sono  aleppini,  ma  solo 
vi  risiede  il  procuratore  genera- 
le àe  maroniti  libanesi  di  s.  An- 
tonio abbate,  il  cui  nome  si  legge 
nelle  annuali  Notizie  di  Roma,  ove 
si  legge  pure  il  nome  dei  due  ge- 
nerali delle  congregazioni.  Nell'o- 
spizio de'  maroniti  aleppini,  an- 
che quand'  eravi  il  loro  procura- 
tore, vi  abitava  il  procuratore  ge- 
nerale de'monaci  libanesi  come  o- 
spite,  pagando  una  dozzina  compe- 
tente pel  vitto,  ed  ora  vi  è  me- 
diante convenzione.  La  congrega- 
zione di  s.  Isaia  ha  quattordici 
monasteri,  cioè  di  s.  Antonio  Ba- 
habda  studentato,  di  s.  Rocco,  dì 
s.  Pietro  Elcatin,  di  s.  Elia  Gie- 
zin,  di  s.  Giovanni  Elealhet,  de 
Mar  Domizio  Rumiè,  di  Mar  Isa- 
in,  di  Mar  Simone  Ain  Elcubiè, 
di  Mar  Abda  Elmusciamur,  di  Mar 
Elias  Altelias,  di  Mar  Giorgio  Ancari 
di  Mar  Elias  Gazir,  di  Mar  Adnà 
e  di  Mar  Sergio  Eden.  La  con- 
gregazione Aleppina  è  ristretta  a 
quattro  monasteri  e  due  ospizi  , 
cioè  di  s.  Maria  di  Luaizè,  di  s. 
Pietro  Cartiara  Eltim  ,  di  s.  Elia 
Sciaueja,  e  di  s.  Eliseo;  un  ospi- 
zio è  in  Roma»  l'altro  in  Deir-Elca- 
maz.  La  terza  congregazione  è  quel- 
la òe  Libanesi  o  montagnoli  ò  ba- 
Inditi,  ha  diecinove  monasteri  in 
Siria  ed  uno  in  Cipro  5  due  ne 
dirige  di  monache,  cioè  dì  s.  Ma- 
ria de'soccorsì,  e  di  Mar  Elias  Er- 
ras;  oltre  quindici  collegi  sparsi 
per  l'istruzione  della  gioventù,  l 
monasteri  e  i  collegi  sono  di  s. 
Antonio  Cosajo  ,  di  s.  Antonio 
Hùbi  di  i.  Maria  Maisuh,  di  s. 
Cipriaho  Casifano  studentato,  di  s. 
Giorgio  Quatobà,  di  s.  Marone  El- 
giddidj  di  Mar  Abda  Moad^  di  Mar 
9 


i3o  MAR 

Giuseppe    Borghi ,    di    Mai-    Silvio 
Maschilità  ,    di    s.  Miiria    Tamisci, 
di  s.  Antonio  EInahechè,  di  s.  Mi- 
chele Bonabil ,    di    s.    Marone  Bir- 
sanìù,    di    Mar    Musa      Etiope,   di 
Mar  Elia  Elcasalemije,  di   Mar  An- 
tonio   Sir,  di  Mar  Giovanni  Risci- 
niajà,  di  s.  Giorgio  Einaiimé,  di  s. 
Maria  Maseimusei,  di   Mar  Elia   in 
Cipro;   inoltre  ospizi  in  Berito,     in 
Tripoli,  in  Bolra,  in  Giobil,  in  Si- 
done, in  Zhale,  in  DeirElqumner. 
I  monaci  di    questa    congregazione 
sono    mille  :     fanno    quattro    voli 
solenni,  di  obbedienza,  di  castità,  di 
povertà  e  di  umiltà,  e  li  rinnovano 
ogni  anno  nella  festa  del  loro  pa^ 
triarca    s.    Antonio.     La  loro    vita 
può  dirsi    attiva    e    contemplativa. 
La    maggior    parte    di     essi    nello 
stato  laicale ,  come  gli  antichi  mo- 
naci   dell'occidente,  si  occupa  nella 
coltura  de' campi,  per     rilrarne  il 
necessario   sostentamento.    1    sacer- 
doti   frequentano    il    coro    cinq.ue 
volte    al    giorno  ;     attendono  agli 
studi  per  la  propria     ed    altrui  i 
struzione,  e  si  portano  alle  missio- 
ni   ad    ogni    cenno     del    patriarca 
e  degli  ordinari,  senza    il  consenso 
de*  quali  sono    alieni  dal  prendere 
in  cura    delle  anime,    e  in  ispecie 
delle  monache  del  proprio  istituto. 
]   monaci  maroniti  di  s.   Antonio 
abbate    del    Libano     desideravano 
possedere     in     R.oma    un    ospizio  , 
dove    potessero    alcuni     trattenersi 
per   la  necessaria  istruzione,  per  il 
che  si  rivolsero  al    cardinal  Sacri- 
pante prefetto  di  propaganda.  Que- 
sti   portò    le    loro    istanze    a    Cle- 
mente XI,  il  quale  acconsentì  alla 
richiesta  e    rimise  l'affare  a    pro- 
paganda.   Vennero    in    Roma  due 
monaci,  e  loro  si  accordò  nel   1707 
la  casa  ed  orto  vicino  a  s.  Giovanni 
in  Laterano,  presso  la    Chiesa  dei 


MAR 
ss.    Marcellino     e    Pietro    (^edi)^ 
che  si  diede  loro  ad  uflìziare.  Vi  si 
dovevano    istruire     quattro    o    sei 
novizi    nelle    facoltà  teologiche,  per 
renderli   abili  alla    predicazione  fra 
i   loro  nazionali.  Fu  aperto  lo  stu- 
dio   ed  approvate   le    regole,  ed  a 
fronte  dell'aria    malsana,  i   monaci 
vi     dimorarono   sino  al    i743.   Al- 
lora   Benedetto  XIV,  già  titolare  di 
detta     chiesa ,    la    riedificò    per     il 
monastero    delle    carmelitane,  ed  i 
monaci   dovendone  partire,  sotto  la 
direzione  del   cardinal  Petra  acqui- 
starono casa  ed  orto   plesso  s.  Pie- 
tro in  Vincoli,  ov'era  la  villa  Mat- 
tei  de'duchi  di  Paganica,  ed  ivi  e- 
dificarono  un  oratorio  o  chiesa  sot- 
to l'invocazione  di  s.  Antonio  abba- 
te. Nella    divisione  de'monaci   que- 
st'ospizio   toccò    agli  aleppini,     che 
vi  tengono    un  procuratore.    Mon- 
signor   Eva  maronita,     venuto    in 
Roma  nel  principio  della  fondazio- 
ne di  questo    ospizio  ,  fece  istanza 
di     rimanere    in    Roma  per  ordi- 
nare i     suoi    nazionali,    come  sole- 
vano fare    i  vescovi    greci    ed  ar- 
uìeni.    Questa    istanza  non    venne 
ammessa,     poiché    essendo    soliti  i 
maroniti     ammogliarsi    secondo    la 
disciplina  orientale  prima  di  ascen- 
dere   al  sacerdozio,    si  voleva    che 
prima    si    portassero    alla     patria, 
dove  contratto     il   matrimonio  po- 
tevano gli  alunni    ricevere  gli  ordi- 
ni sacri  dal  patriarca  e  dai  rispet- 
tivi ordinari.    A'  17   gennaio  nella 
chiesa  di  detto    ospizio    si  celebra 
la  festa  di  s.  Antonio  abbate. 

Monache  maronite. 

Le  monache  maronite  di  stret- 
ta osservanza  hanno  sette  mona- 
steri, e  sono  dirette  dai  preti  che 
professano  la  regola  scritta    da  un 


MAK 

antico  vescovo  di  A  leppo;  esse  som- 
mano a  circa  duecento.  Col  con- 
senso del  patriarca,  e  se  la  mag- 
gior parte  di  esse  non  si  oppone, 
possono  passare  da  uno  in  un  al- 
tro monastero.  Altri  due  monaste- 
ri sono  governati  dai  monaci  ba- 
laditi,  i  quali  però  neirintrapren* 
derne  la  cura,  devono  essere  auto- 
rizzati dall'ordinario.  I  cooservato- 
rii  sono  quattro  per  le  divote.  Ol- 
tre a  ciò  vi  è  un  gran  numero  di 
monache,  che  sono  sotto  l'obbe- 
dienza de' vescovi  rispettivi.  Abbia- 
mo accennato  di  sopra  i  monaste- 
ri doppi,  qui  dunque  ne  daremo 
dichiarazione.  Da  antichissimo  tem- 
po i  monaci  e  le  monache  aveano 
comune  il  vitto,  comune  l'abita/Jone, 
comuni  gli  alti  di  pietà  e  di  ricreazio- 
ne. Questi  che  avrebbero  dovuto  es- 
•sere  di  salutevole  esempio  al  popolo, 
coabitando  cosi  erano  l'ammirazio- 
ne. Io  scandalo,  la  favola  de'cattolici 
e  degl'infedeli.  Nel  17  io  il  patriar- 
ca Giacomo  procurò  venire  alla 
.separazione  dei  due  sessi,  giacché 
il  suo  antecessore  avea  fulminata 
la  scomunica  a  quel  monaco,  che 
o  monache  o  altre  donne  ammet- 
tesse nel  suo  monastero.  Ma  nien- 
te ottenne  il  suo  ecclesiastico  ze- 
lante rigore,  che  non  mancavano 
ne  religiosi,  uè  vescovi  sostenitori 
di  questa  corruttela.  Nel  lySS  il 
patriarca  Gazeno  e  tre  ordinari 
mostrarono  maggior  impegno  per 
estiipare  cosidàtte  coabilazioni  e 
convitti.  Questo  fu  uno  de' motivi 
per  convocare  il  sinodo  nazionale 
del  1786  nel  Libano.  Per  togliere 
questo  abuso,  causa  di  tanti  mali, 
per  ordine  della  congregazione  di 
propaganda  si  sottoscrissero  agli  at- 
ti del  sinodo,  ma  senza  l' effetto 
desideralo.  Poiché  il  patriarca  fa- 
talmente mutalo  divisamenlo,  ordì- 


MAR  i3i 

nò  che  niun  cangiamento  sì  ope- 
rasse al  convitto  e  coabitazione  dei 
monaci  e  monache;  ed  inutili  per 
riparare  al  disordine  riuscirono  le 
minaccio  della  congregazione  di 
propaganda,  e  i  provvedimenti  di 
altri  sinodi.  Il  male  giunse  fino 
agli  ultimi  anni  del  pontificato  di 
Pio  VII,  il  quale  mise  la  falce  al- 
la radice;  moltissimo  ottenne,  giac- 
che furono  assegnati  ai  monaci 
ed  alle  monache  distinti  e  separa- 
ti monasteri  lontani  gli  uni  dagli 
altri  ;  ma  l'opera  non  fu  pienamen- 
te coronata,  e  nel  i836  nel  mo- 
nastero di  s.  Elia  in  Gezir  coabi- 
tavano monaci  e  monache,  onde  la 
congregazione  di  propaganda  tornò 
a  rinnovare  l'inibizione.  Nelle  costi- 
tuzioni approvate  da  Clemente  XII 
nel  1 740,  nella  parte  II,  il  capo 
XIV  tratta  de  nionìalibus.  Bene- 
detto XIV  colla  costituzione,  Ad 
stipi  tmam,  de'4  gennaio  i  74^5  pres- 
so il  Bull,  de  prop.y  Appendix  t. 
II,  p.  160,  abob  la  congregazione 
delle  religiose  sotto  l'  invocazione 
del  ss.  Cuore  di  Gesù,  istituita  da 
Anna  Agemi,  e  le  trasferì  ad  altri 
monasteri,  proibendo  i  libri  che 
spacciavano  la  pretesa  santità  e  i 
falsi  miracoli  della  fondatrice,  di 
cui   parlammo  di  sopra. 

MARONOPOLI.  Sede  vescovile 
della  provincia  di  Macedonia,  sot- 
to la  metropoli  di  Amida,  nella 
diocesi  e  patriarcato  d'Antiochia,  e- 
retta  nel  IV  secolo.  N'era  vescovo 
Eusebio,  quando  Simone  suo  me- 
tropolitano sottoscrisse  ,  eziandio 
per  tutti  gli  altri  vescovi  assenti 
della  provincia,  al  concilio  di  Cal- 
cedonia.  Orìens  chrisLA.Wy  p.  1007. 

MARQUEMONT  Dionisio  Si- 
mone, Cardinale.  Dionisio  Simone 
o  Simeone  di  Marquemont,  nato 
in  Parigi,  dove  fece  con  grande  ri- 


i3i  MAH 

putazioue  i  suoi  studi,  e  ne  ripor- 
tò assai  giovane  la  laurea  di  dot- 
tore, condottosi  a  Roma  coli' am- 
basciatore Perron,  essendo  poi  que- 
sto ritornato  in  Francia,  egli  d'or- 
dine del  re  rimase  in  Roma,  ac- 
ciò co' suoi  consigli  giovasse  il  du- 
ca di  Luxembourg  ambasciatore  di 
obbedienza  al  Ponlellce.  Prima  di 
questa  incombenza  aveva  ottenuto 
il  posto  di  cameriere  del  Pontefi* 
ce,  allorquando  nel  i6o4  fu  am- 
messo tra  gli  uditori  di  rota,  e 
deputato  a  far  le  veci  dell'amba- 
sciatore assente  da  Roma,  per  trat- 
tare gli  affari  del  regno  presso  la 
santa  Sede;  lo  che  eseguì  con  tan- 
ta soddisfazione  del  suo  sovrano, 
che  in  seguito  diede  ordine  a' suoi 
ambasciatori  in  Roma,  che  non 
dovessero  conchiudere  il  menomò 
affare  senza  l'oracolo  del  prelato. 
Esercitando  l'uditorato  di  rota,  eb- 
be ordine  da  Enrico  IV  di  trasfe* 
rirsì  in  Firenze  per  dar  principio 
ai  trattati  del  suo  matrimonio  con 
Maria  de'Medici,  che  felicemente 
rimase  conchiuso.  Da  Luigi  XUI 
m  ricompensa  de'suoi  meriti  fu 
nominato  all'arcivescovato  di  Lione, 
che  gli  fu  conferito  da  Paolo  V 
nel  1612.  Governò  parecchi  anni 
col  titolo  di  amministratore  la  dio- 
cesi d'Autun  vacata  per  morte  di 
Pietro  Saunier.  Consacrò  in  Roma 
nel  1620,  nella  chiesa  di  s.  Luigia 
il  celebre  annalista  Spondano  in 
vescovo  di  Pamiers.  Due  volte  si 
trasferì  in  Roma  ambasciatore  di 
Luigi  XIII,  cioè  nel  161 7  e  nel 
1622.  Avendo  perorato  innanzi  il 
monarca  nel  i6i4  i"  un'assemblea 
del  clero,  ottenne  fra  i  vescovi  ivi 
radunati  il  primo  posto,  vivamen- 
te contrastatogli  dall'arcivescovo  di 
Tours.  Visitò  con  diligenza  e  sol- 
lecitudine la    sua  arcidiocesi,    oltre 


MAR 
le  contee  di  Bresse  e  di  Borgognfft, 
predicando  per  tutlo  il  vangelo  al 
popolo.  Introdusse  in  Lione  un 
gran  numero  di  ordini  regolari  di 
ambo  i  sessi,  e  vi  fondò  diel.iselte 
luoghi  pii.  Spedito  oratore  del  pro" 
prio  sovrano  alla  santa  Sede  per 
affari  di  gravi  conseguenze,  ad  istan- 
za del  medesimo,  Uibano  Vili  ai 
19  gennaio  1626  lo  creò  cardina- 
le prete  del  titolo  delia  ss.  Trinilìi 
al  Monte  Pincio,  e  venne  ascritto 
alle  congregazioni  del  s.  offizio,  di 
propaganda  e  del  concilio.  Passa- 
ti appena  otto  mesi,  morì  in  Ro- 
ma in  detto  anno,  d'anni  cinquan- 
taquattro,  e  fu  sepolto  nel  suo  ti- 
tolo, al  manco  lato,  ove  fu  erelto' 
il  suo  busto,  con  illustre  e  giusta 
elogio.  Ad  una  costante  vita  im- 
macolata, unì  eccellente  erudizione 
e  profonda  dottrina.  In  cinque  deter- 
minati giorni  della  settimana  os- 
servò rigoroso  digiuno,  essendo  sem- 
pre astinente  dal  vino.  Sospirava 
di  ritornare  alla  sua  chiesa  di  cui 
fu  acerrimo  difensore.  Il  Papa  al- 
l'annunzio della  vicina  sua  morte, 
non  potè  contenere  le  lagrime,  di- 
cendo che  temeva  volere  il  Signo- 
re castigare  la  sua  chiesa  colla  per- 
dita di  un  tanto  cardinale,  pel  qua- 
le avea  particolare  slima  e  venera- 
zione s.  Francesco  di  Sales.  Le  sue 
suppellettili  di  molto  valore^  le  la- 
sciò allo  spedale  di  Lione.  Insigne- 
mente pio,  divotissimo  del  suo  re, 
savio,  prudente  e  zelante  nel  trat- 
tamento de'negozi  più  ardui,  sem- 
pre favorì  la  Chiesa  e  il  sovrano, 
studiandosi  di  mantenere  con  per- 
fetto equilibrio  i  diritti  e  le  loro 
ragioni. 

MARRA  ce  I  IppoiiTo.  Lucchese, 
e  chierico  regolare  della  Madre  dt 
Dio,  fiorito  verso  il  i65o,  del  qua- 
le abbiamo  una  raccolta  inlilolala; 


MAR 

Bihlìotcc(j.  Mariana ,  disposta  in 
oicliiie  olfabelico,  e  divisa  in  due 
parti,  in  cui  si  trovano  tutti  gli 
autori  che  scissero  su  Maria  Verr 
gine,  col  catalogo  delle  loro  ope- 
re, Roma  1648  in  due  tomi,  pel 
Caballi.  Egli  è  pure  autore  della 
Porpora  Mariana^  cioè  de' Papi, 
cardine  li,  prelati,  imperatori,  re  e 
principi  che  furono  particolarmen- 
te di  voti  di  Maria  Vergine,  in  mol- 
ti volumi,  Roma  i654  P^'  ^^i"* 
nabò. 

MARRAMA  URO  Landolfo,  Car- 
dinale. Landolfo  Marraroauro  napo- 
letano, nel  iSyS  da  Urbano  VI 
fu  fatto  arcivescovo  di  Bari,  chie- 
sa ch'egli  teneva  nell'assunzione  al 
pontificato,  contrastatagli  però  dal- 
la regina  Giovanna  I  fautrice  del- 
l'antipapa Clemente  VII,  per  cui 
neppure  fu  consecrato.  11  Papa  pe- 
rò nel  dicembre  i38i  Io  creò  car- 
dinale diacono  di  s.  Nicola  in  car- 
cere. Poco  dopo  parteggiando  pel 
re  di  Napoli  Carlo  III',  nel  i384 
come  reo  di  lesa  maestà  fu  da  Ur- 
bano VI  deposto  dalla  porpora  e 
dall'  arcivescovato.  Ma  Bonifacio  IX 
eletto  nel  1889,  non  solo  Io  rico- 
nobbe per  cardinale,  ma  lo  spedi 
con  amplissime  facoltà  in  Roma- 
gna e  Toscana,  per  aggiustare  e 
comporre  le  controversie  che  allo- 
ra bollivano  Ira  i  Malatesta  a  ca- 
gione del  ducato  di  Urbino^  alle 
quali  con  somma  prudenza  e  de- 
strezza pose  fine  con  immensa  glo- 
ria del  suo  nome,  e  compiacenza 
del  Pontefice  ch'era  stato  prega- 
lo per  ai'bitro.  Lo  stesso  ese- 
guì in  Sicilia  e  nel  regno  di  Na- 
poli, che  agitato  e  sconvolto  dalle 
sedizioni  e  fiere  inimicizie  insorte 
tra  il  re  Ladislao  e  i  baroni  del 
reame,  per  opera  di  lui  fu  resti- 
tuito a   perfetta  tranquillità.  Inno- 


MAR  i33 

cenzo  VI  lo  deputò  legato  di   Pe- 
rugia, ove  si    diportò   egregiamen- 
te. Abbandonato  Gregorio  XIl   in- 
tervenne al  concilio  di  Pisa,  in  cui 
riportò  infinite  lodi,  come   inviato 
in  Germania  ad  invitare   i    prelati 
e  principi  della  nazione  al  concilio; 
tanto  era    prudente    e   savio,    non 
che  attivo  al  maneggio  degli  affari 
i  più  gelosi.    Giovanni  XXIII    col 
carattere  di  legato  Io    spedì  ai    re 
di   Leone,  Castiglia,  Granata,    Na- 
varra  ed   Aragona,    ed    a    tutta  la 
Spagna,  per  eccitarli  a  concorrere 
dal  canto    loro  all'estinzione    dello 
scisma,  che  dal    1378    turbava    la 
Chiesa,  ed  al  concilio  di  Costanza, 
con  amplissime  facoltà   di    venir  a 
tjattato  di  concordia    coli' antipapa 
Benedetto  XIII,  e  di  procurare  e- 
ziandio    la    conversione    dei     mao- 
mettani,   possessori    del    regno    di 
Granata.     Di    queste     commissioni, 
per     r  ostinazione    de'  partiti,    niu- 
na     ebbe    buon  esito .     Intervenne 
a  quattro  conclavi  e  al  concilio  di 
Costanza,  e  in    ogni    occasione    fe- 
ce  risplendere    la  sua     virtù,  inte- 
grità e  prudenza.  Finalmente    pie- 
no di  meriti  morì  in  Costanza  nel 
i4i5,  e  fu  sepolto  nella  chiesa  dei 
domenicani. 

MARSAGLIA.  Luogo  della  dio- 
cesi di  Parma  in  Italia,  ove  One- 
sto arcivescovo  di  Ravenna  tenne 
un  concilio  nel  973,  conciliuni  Mar- 
salicnse,  per  mettere  d' accordo  il 
vescovo  di  Bologna  e  quello  di  Par- 
ma eh'  erano  tra  loro  in  disputa  a 
motivo  di  alcune  terre  che  ambe- 
due pretendevano  appartenere  alla 
propria  diocesi.  Regia  t.  XXV  ;  Lab- 
bé  t.  IX;   Arduino  t.  VI. 

MARSCIA.  Vescovato  armeno, 
sotto  il  cattolico  di  Sis.  Gregorio  suo 
vescovo  assistè  ai  concilii  di  Sise  di 
kà^X^di.  Qriens cìirist.  1. 1,  p.   i437» 


i34  MAR 

MARSCIAC.   V.  Marcuc. 

MARSI  Amawzio,  Cardinale.  A- 
roanzio  della  nobilissima  prosapia 
de'  conti  di  Mar'si,  nato  nella  Ter- 
ra di  Lavoro,  cardinale  diacono, 
intervenne  e  sottoscrisse  al  concilio 
tenuto  in  Laterano  da  Nicolò  li  nel 
1059. 

MARSI  EPIFANI  Desiderio  , 
Cardinale.   V.  Vittore  III  Papa. 

MARSI  Oderisio,  Cardinale.  O- 
derisio  de'  conti  di  Marsi  fino  dal- 
l'adolescenza abbandonato  il  secolo 
e  vestilo  l'abito  monastico  in  Mon- 
tecassino,  si  acquistò  in  breve  tal 
credito  per  l'esemplarità  de'  costu- 
mi e  per  la  perizia  in  ogni  genere 
di  scienza  e  di  sacra  e  profana  let- 
teratura, che  sparsasene  la  fama  , 
da  Nicolò  II  che  portatosi  a  quel 
celebre  cenobio  potè  per  se  stesso 
ammirarne  la  virtù  e  la  dottrina  (il 
Ferlone  lo  dice  cieato  cardinale  da 
Vittore  HI,  ma  con  ninna  proba- 
bilità), nel  1059  fu  creato  cardi- 
nale diacono  di  s.  Agata,  e  poi  da 
Urbano  II  passato  nell'  ordine  dei 
preti  col  titolo  di  s.  Marcello,  o  di 
s.  Ciriaco  alle  Terme  secondo  Pie- 
tro Diacono.  Nello  stesso  tempo  fu 
fatto  il  primo  ottobre  1087  abbate 
di  Montecassino,  carico  che  accettò 
ripugnante,  e  sostenne  diecinove  an- 
ni con  credito  di  rara  umiltà,  pru- 
denza e  discrezione  ;  egli  fu  eletto 
abbate  in  questo  modo.  Essendo 
gravemente  infermo  Vittore  HI,  si 
fece  portare  in  letto  nel  capitolo 
de'  monaci,  confortandoli  ad  eleg- 
gersi un  nuovo  e  degno  abbate.  I 
monaci  concordemente  convennero 
nella  persona  del  cardinale,  ed  il 
Papa  di  buon  grado  ne  approvò 
l'elezione.  In  tempo  del  suo  gover- 
no segui  l'invenzione  dei  corpi  dei 
«s.  Benedetto  e  Scolastica.  La  fama 
di  sue  virtù  lo  rese  caro  ad  Alei»sio 


MAR 

Comneiio  imperatole  d*  oriente,  il 
quale  l'onorò  di  sua  auiicizia,  di 
sue  lettere,  e  di  rari  e  preziosi  do- 
ni per  lui  e  [lel  monastero;  anzi 
Enrico  IV  nemico  della  Chiesa,  fu 
protettore  ed  amico  del  cardinale 
e  del  suo  monastero.  Morì  in  que- 
sto nel  I  io5  dopo  quarantasei  anni 
di  cardinalato,  e  fu  sepolto  nella 
chiesa  di  s.  Benedetto.  Il  suo  nome 
si  legge  registrato  col  titolo  di  bea- 
to nel  martirologio  benedettino  agli 

I  I  dicembre.  Pietro  Diacono  di  lui 
tesse  breve  e  significante  elogio,  di- 
cendolo grande  per  umiltà,  rispet- 
tabile per  prudenza,  insigne  per  pu- 
dicizia, e  sublime  per  il  lume  di- 
vino di  cui  era  ripieno. 

MARSI  Teodino,  Cardinale.  V. 
Sawseverino   Teodino,    Cardinale.. 

MARSI  Giovanni,  Cardinale. 
Giovanni  de*  conti  di  Marsi,  da  Ur- 
bano II  fu  creato  cardinale  vesco- 
vo Tusculano  e  vicario  di  Roma  , 
benché  altri  dicano  da  Pasquale  II. 
Si  trovò  presente  al  concilio  tenu- 
to da  questo  Papa  a  Guastalla  nel 
1106,    ed    a    quello  di   Roma  del 

II  12  per  derogare  al  privilegio 
delle  investiture  accordato  per  vio- 
lenza da  Pasquale  II  ad  Enrico  V. 
Fatto  da  esso  prigione,  gli  riuscì 
fuggire  dalla  basilica  vaticana  in 
abito  di  villano,  insieme  con  Leone 
cardinal  d'Ostia.  Trovandosi  libero, 
con  forte  ed  eloquente  discorso  in- 
fiammò gli  animi  del  popolo  a  sos- 
tenere con  vigore  la  causa  della 
giustizia  e  delia  religione,  ed  a  ven- 
dicare l'enorme  attentato  commesso 
contro  la  sacra  persona  del  Ponte- 
fice, non  meno  che  contro  il  sacro 
collegio,  come  infatti  avvenne  con 
glande  strage  dell'esercito  imperiale, 
e  dello  stesso  Enrico  V,  che  sbal- 
zato da  cavallo  e  ferito  in  faccia, 
poco    mancò    che    non    vi   restasse 


MAR 
morto.  Tuttavolta  Pasquale  II  gli 
scrisse  alcune  lettere  risentile,  do- 
lendosi di  lui  e  degli  altri  cardi- 
nali e  vescovi  rimasti  in  Roma,  che 
uuiti  insieme  con  decreto  aveano 
condannato  il  suo  operato  nella  pri- 
gionia di  Sabina  per  la  violenza 
dell' imperatore ,  avendo  avuto  il 
coraggio  di  spedirgli  copia  del  de- 
creto.  S' ignora   quando    morisse. 

MAKSl  Leone,  Cardinale.  Leo- 
ne de'  Marsi  vestì  la  cocolla  mo- 
nastica in  Montecassino,  e  per  la 
sua  eloquenza  e  dottrina  fu  da 
Urbano  li  nel  1088  creato  cardi- 
nale diacono.  Scrisse  a  nome  del 
Papa  parecchie  lettere  e  ne  formò 
un  esatto  registro,  e  secondo  il 
Ciacconio  morì  nel  pontificato  di 
Urbano  II,  ma  probabilmente  dopo 
di  lui,  come  riflette  il  Baronio.  Il 
fliacconio  crede  che  questo  Leone 
sia  quel  Leone  cardinal  diacono  di 
s.  Vito,  che  per  volere  di  Pasquale 
11  prestò  il  giuramento  delle  iuve-» 
stiture  ecclesiastiche  ad  Enrico  V. 
Altri  lo  vorrebbero  fatto  cardinale 
da  tal  Papa;  e  però  affatto  diverso 
da  Leone  de'  Marsi  vescovo  d'Ostia 
che  fiorì  tra  i  cardinali  di  Pasqua- 
le II. 

MARSI  Leone,  Cardinale.  Leo- 
ne de'  conti  di  Marsi ,  così  detto 
dalla  sua  patria  nella  Campagna  os- 
sia Terra  d»  Lavoro,  offerto  a  Dio 
fin  da  fanciullo  nel  monastero  di 
Montecassino,  vestito  l'abito  religio- 
so di  quattordici  anni ,  si  distinse 
tra  gli  altri  così  per  l'esercizio  del- 
le virtù,  come  per  l'ardore  nel  col- 
tivare gli  studi.  Fu  quindi  fatto 
bibliotecario  e  decano  di  quel  fa- 
moso cenobio,  e  poi  vescovo  di  Ses- 
sa nel  regno  di  Napoli,  secondo  il 
Rellaimino,  di  che  tacciono  Pietro 
Diacono  e  l'Ughelli  .  Vittore  III  o 
meglio    Pasquale    11     del     1099  lo 


MAR  i35 

creò  cardinal  vescovo  d' Ostia  e 
Velletri  nel  iior,  avvertendo  il 
Cardella  non  sussistere  che  solo  nel 
I  r  5o  le  due  chiese  sieno  state  go- 
vernate da  un  solo  pastore.  Accolse 
Enrico  V  nell'ingresso  che  fece  in 
Roma;  ma  dopo  il  sacrilego  di  lui 
misfatto  contro  Pasquale  II,  invo- 
latosi per  allora  sotto  mentile  spo- 
glie da  Roma,  sollevò  poscia  i  ro- 
mani. Intervenne  con  Pasquale  IT 
nel  I  1 06  al  concilio  di  Guastalla, 
e  nel  e  112  a  quello  di  Laterano. 
D'ordine  del  cardinal  Oderisio  scris- 
se la  storia  di  Montecassino,  da  s. 
Benedetto  fino  all'abbate  Desiderio 
poi  Vittore  111.  Questa  storia:  Chro- 
nica  monasterii  Casinensrs,  fu  stam- 
pata in  Venezia  nel  i5i3  e  po- 
scia in  Parigi,  e  finalmente  nel 
1616  per  opera  di  Matteo  Laure- 
to monaco  cassinese  che  la  illustrò 
con  erudite  note  assai  critiche  ;  ciò 
non  pertanto  tali  edizioni  coll'ori- 
ginale  che  si  conserva  in  Monte- 
cassino,  non  sono  esenti  di  gravi  e 
frequenti  errori.  Scrisse  ancora  il 
cardinale  alcuni  sermoni  e  vite  dei 
santi.  A'  i5  ottobre  i  i  12  consagrò 
solennemente  l'altare  maggiore  di  s. 
Lorenzo  in  Lucina  di  Roma^  e  mo- 
rì nel  maggio  i  1 1 5  con  gran  fama 
di  santità. 

MARSI  Oderisio,  Cardinale.  O- 
derisio  de'  conti  di  Marsi,  della 
provincia  di  Terra  di  Lavoro,  mo- 
naco cassinese,  e  poi  abbate  di  s. 
Giovanni  in  Venere  nel  territorio 
e  diocesi  di  Lanciano,  per  la  san- 
tità di  sua  vita,  congiunta  ad  una 
rara  dottrina,  da  Alessandro  HI 
nel  I  i63  fu  creato  cardinale,  e  morì 
nel  I  177.  Il  p.  Gattula  sostiene  che 
traesse  origine  dalla  nobile  famiglia 
Palearia,  e  che  vivesse  nel  cardi- 
nalato quarantadue  anni,  in  prova 
di  che  allega  un  privilegio  lui   vi- 


i36  MAR 

venie  accordalo  da  Enrico  VI  al 
stio  monastero,  che  governò  qua- 
ruittanove  anni. 

MARSI  Stefano,  Cardinale.  V. 
Sanseverino  Stefano,   Cardinale. 

MARSI  (Marsoruni).  Ciltà  ve- 
scovile del  regno  delle  due  Sicilie 
nella  provincia  dell*  Abruzzo  ulte- 
riore secondo,  l'antica  Valeria  >  giù 
capitale  dei  Marsi  detti  anco  Fa- 
leHy  che  abitavano  presso  la  riva 
orientale  del  lago  di  Fucino,  ora 
Jago  di  Celano,  nell'Apennino.  In  ge- 
nerale comprende vansi  sotto  un  tal 
nome  i  veslini,  i  peligni,  i  marru- 
cini  ed  i  frentani.  Si  crede  comu- 
nemente che  i  marsi  avessero  i  ve- 
slini al  nord,  i  peligni  ed  i  sanniti 
all'est,  il  Lazio  al  sud,  ed  i  sabini 
all'ovest.  Marrubiiini  si  chiamò  an- 
cora questa  capitale,  e  per  distin- 
guerla da  Marsico  Niiovo^  si  de- 
nomina ancora  Marsico  Vecchio  o 
y etere.  Le  sue  rovine  nell'Abruzzo 
ulteriore,  appresso  il  castello  s.  Be- 
nedetto, offrono  un'arena  e  le  trac- 
cie  di  un  vasto  anfiteatro:  le  acque 
di  Fucino  la  ingoiarono,  e  vuoisi 
che  prendesse  il  suo  nome  da  un  re 
Marrone  compagno  di  Marsia  re 
de*  lidii  ;  Mairuvio  divenne  capo  e 
metropoli  della  provincia  Marsica- 
na.  Gli  antichi  danno  a'marsi  un'o- 
rigine favolosa,  ma  si  dicono  orion- 
ili  dai  sabini.  Il  paese  dei  marsi, 
celebratissimo  nelle  storie  per  la 
sua  antichità  e  distinte  memorie  il- 
lustri, in  progresso  di  tempo  fu 
appellato  col  nome  di  provincia  di 
Valeria  o  Marsicana ,  ed  annove- 
rata tra  le  XVII  provincie  d'Italia, 
secondo  la  divisione  fatta  sotto  A- 
driano  imperatore.  Dipoi  prese  il 
come  di  Abruzzo  e  comprese  città 
e  popoli  rinomati.  Tra  le  prime  vi 
fu  la  città  di  Marsia  capitale  della 
legione,  poi  sommersa  nel  suddef- 


MAR 
lo  la2;o  di  Fucino,  che  si  crede  il 
cratere  di  un  antico  vulcano.  Al- 
tri dicono  che  in  una  violenta  inon- 
dazione fu  rovinata  la  ciltà  di  Ar- 
chippe  eretta  da  Marsia  re  dei  li- 
dii. Di  questo  lago  si  vedono  an- 
cora i  superbi  avanzi  del  suo  ac- 
({uedotto  lungo  35oo  passi,  fallo 
costruire  attraverso  il  monte  Sal- 
viano  per  prevenire  le  inondazioni: 
il  lavoro  incomincialo  sotto  Cesare, 
fu  compito  dall'  imperatore  Clau- 
dio, e  nello  spazio  di  circa  undici 
anni  occupò   trentamila    schiavi. 

I  popoli  marsicani  dominarono 
varie  celebri  ciltà  dell'Abruzzo,  e 
fra  le  altre  Forconio,  Amiterno  , 
Aquila,  Valve,  Chieli,  Penna, 
't'eramo  ed  Ascoli  di  Satriano . 
Anzi  credono  alcuni  che  i  marsi,  po- 
poli della  Germania,  sieno  pro- 
venienti dai  marsi  d'Italia  (Fedi), 
da  dove  furono,  dicesi,  scacciali  da 
Pompeo.  Delle  guerre  diverse  dei 
marsi,  di  quelle  di  Annibale,  lieila 
guerra  marsicana  detta  sociale,  ne 
parlammo  a  detto  articolo,  a  quello 
di  Lazio,  ed  altrove.  Celebre  e  po- 
tente fu  la  casa  degli  antichi  gran 
conti  de'Marsi^  discendenti  da  Car- 
lo Magno  per  Berardo  suo  affine , 
come  figlio  di  Pipino  il  giovane 
e  nipote  di  Bernardo  re  d'  Italia  : 
molti  personaggi  illustri  ne  deri- 
varono, de'  quali  trattarono  Leone 
Ostiense  e  l'Ammirato.  Lodovico  II 
imperatore  elevò  il  gastaldato  di 
Marsi  in  contea,  tolta  già  al  du- 
cato di  Spoleto,  di  cui  era  dive- 
nuta soggetta.  Altri  dicono  che  i 
conti  di  Marsi  originarono  da  Tras- 
mondo III  duca  di  Spoleto ,  per 
cui  i  Trasmondi  portano  il  titolo 
di  conti  di  Marsi,  mentre  gli  Sfor- 
za-Cesarini  hanno  l'altro  di  duchi 
di  Marsi.  Su  di  che  si  può  leggere 
i'  importante  ed  eredito  libro  inti- 


MAR 

telato:  Compendio  storico-genealo- 
gico della  patrizia  famiglia  Tras- 
mondoj  Pionia  i832.  Il  paese  dei 
marsi  apparleiine  al  dominio  tem- 
porale della  santa  Sede,  per  cui 
l'imperatore  Ottone  I  nel  962  ne 
confermò  la  proprietà  e  rinnovò  la 
donazione  al  Papa  Giovanni  XII, 
con  diploma  scritto  a  lettere  d'  o- 
ro,  che  a'  tempi  del  Baronio  si  ser- 
bava nell'archivio  di  Castel  s.  An- 
gelo. Tanto  affermano  il  Borgia  , 
Memor.  stor.  t.  I,  p.  94j  chiamando 
anche  lui  Marsi  città  del  ducalo 
di  Spoleto,  e  Pietro  Antonio  Cor- 
signani  nella  sua  Reggia  Marsica- 
na,  Napoli  17  38.  In  questa  opera 
esso  parla  delle  memorie  topografi- 
co storiche  di  varie  colonie  e  città 
antiche  e  moderne  della  provincia 
de'  Marsi  e  di  Valeria,  compresa 
nell'antico  Lazio  e  negli  Abruzzi , 
colla  descrizione  delle  loro  chiese 
e  immagini  miracolose;  e  delle  vi- 
te de'  santi  cogli  uomini  illustri,  e 
la  serie  de'  vescovi  marsicani.  Dai 
marsi  uscirono  valorosi  guerrieri , 
santi,  il  Papa  s.  Bonifacio  IV,  molti 
cardinali,  dotti  ed  altri  illustri  per- 
sonaggi. 

La  sede  vescovile  vi  fu  eretta 
ne'  primi  tempi  della  Chiesa  sotto 
la  provincia  della  metropoli  di  Chic- 
li, ma  immediatamente  soggetta  al- 
la santa  Sede.  Il  primo  vescovo  di 
Marsico  si  dice  s.  Marco  di  Gali- 
lea, eletto  dal  principe  degli  apo- 
stoli a  predicar  la  fede  ai  marsi  ed 
agli  equicoli,  e  martirizzato  essen- 
do vescovo  di  A  ti  no.  e  poi  forse 
anco  di  Rieli^  come  scrive  il  Mari- 
ni vescovo  di  tal  città.  Il  secondo 
vescovo  è  s.  Ruffino,  che  soffrì  il 
martirio  verso  l'anno  240;  il  terzo 
Giovanni  che  intervenne  al  costi- 
tuto del  Papa  Vigilio  nel  ^^^  ;  il 
quarto    Luminoso    che    sottoscrisse 


MAR  i37 

al  concilio  di  Laterano  nel  649 
adunato  da  s.  Martino  I.  Lidue- 
rito  intervenne  al  concilio  sotto  s. 
Leone  IV  ;  Rottario  del  968  si  tro- 
vò presente  ad  una  sentenza  ema- 
nala dall'imperatore  Ottone  I  in 
favore  della  chiesa  di  s.  Maria  A- 
piniaci.  Gli  successe  Alberico  figlio 
di  Berardo  III  conte  di  Marsi  nel 
970,  d'infelice  memoria:  dopo  di 
lui  s'intruse  nella  sede  il  suo  figlio 
spurio  Guinisio  nel  994.  Nel  io'56 
dalla  chiesa  di  Chieti  vi  fu  trasla- 
tato  Actio  de'  conti  di  Marsi  ,  cui 
Vittore  II  die  per  successore  Pan- 
dolfo,  sotto  del  quale  Stefano  X 
nel  1057,  essendo  in  Montecassino, 
reintegrò  la  sede  vescovile  dell'  in- 
fera diocesi  eh'  era  stata  divisa  in 
due  parti  da  Benedetto  IX  che  vi 
avea  stabilito  due  chiese.  Indi  fu- 
rono vescovi  Andrea  ,  e  Sigenulfb 
intruso  dall'antipapa  Clemente  III, 
che  governò  sino  al  i  106  per  die- 
cisette anni.  Nel  pontificato  di  Pa- 
squale II  fu  fatto  vescovo  nel  i  i  io 
s.  Berardo  de'  conti  di  Marsi  car- 
dinale di  s.  Angelo  in  Pescheria  , 
poi  del  titolo  di  s,  Grisogono:  a 
di  lui  istanza  quel  Papa  con  bolla 
del  iri5  confermò  i  confini,  i  te- 
nimenti  e  le  ragioni  delle  chiese  e 
della  diocesi  Marsicana,  con  distin- 
ta menzione  di  tutte  le  sue  parti, 
sua  ampiezza  e.  giurisdizione  ,  poi- 
ché anticamente  i  vescovi  di  Marsi, 
oltre  il  temporale  ebbero  ampio 
dominio  spirituale,  immediatamen- 
te soggetti  al  sommo  Pontefice.  La 
bolla  Sicut  injusta  si  legge  nell'U- 
ghelli,  in  un  alla  vita  del  beato 
cardinale.  Egli  coli' assistenza  del 
preposto  di  Celano  e  de' capitolari, 
fulminò  scomunica  contro  il  conte 
d'Albe  usurpatore  de'  beni  ecclesia- 
stici. Fino  al  II  So  non  si  trova 
altro  vescovo  che  Bernardo,   a  ca- 


1 38  M  A  Pv 

gioiK!  (lei  gravissimi  litigi  dei  nn- 
ncinici  della  catledrale  di  s.  Savina 
e  di  s  Giovanili  BiUtisla  di  Cela- 
no, per  cui  vi  prese  energica  prov- 
videnza Eugenio  IH,  massime  sulla 
consagrazione  deirolio  santo.  Altro 
Piernardo  era  vescovo  nel  i  178,  in 
favore  del  quale  il  re  Guglielmo  II 
emanò  sentenza  contro  Oddone  di 
Celano  invasore  de'  beni  della  chie- 
sa. Zaccaria  fu  al  concilio  generale 
del  I  l'jcf  Laleranense  III,  ed  ebbe 
lite  con  Gentile  di  Palearia  per  la 
chiesa  di  s.  Bartolomeo  d'Avezza- 
no,  che  per  mandato  regio  fu  se* 
data.  Tra  i  di  lui  successori  note- 
remo i  piti  distinti,  riportandone 
la  serie  l'Ughelli,  Italia  sacra  t.  I, 
p.   882. 

Nicola  di  Celano  prevosto  della 
chiesa  di  s.  Giovanni,  eletto  vesco- 
vo nel  1^54,  fu  confermato  da 
Innocenzo  IV.  Giacouio  canonico 
della  cattedrale  di  s.  Savina,  essen- 
do stato  eletto  dal  capitolo  senza 
l'intervento  di  quello  di  s.  Giovan- 
ni Battista  di  Celano,  questo  pro- 
testò, di  lesione  al  privilegio  che 
concedeva  doversi  eleggere  il  ve- 
scovo nella  loro  chiesa,  e  perciò  di 
nullità  all'elezione.  Per  questa  lun- 
ga lite  Gregorio  X  deputò  ad  esa- 
minarla il  cardinal  Matteo  Orsini, 
liionde  passati  dieci  anni  Onorio 
IV  confermò  reiezione  di  Giaco- 
mo, col  voto  di  diversi  cardinali, 
dichiarando  però  che  per  l'avveni- 
re non  s'intendesse  pregiudicato  il 
rapitolo  celanese.  La  chiesa  di  s. 
Giovanni  Battista  di  Celano ,  già 
luiUiiis^  fu  eretta  in  Celano  vecchio 
nell'anno  1264  o  1:274  ^^^  beato 
Giovanni  da  Foligno,  sópra  amenis- 
simo  colle,  e  divenne  patrono  del 
luogo.  Tanta  fu  la  venerazione  ver- 
so tale  tempio,  che  in  progresso  fu 
eretto  (in   uu  all'altra  chiesa  di    s. 


M  A  R 
Giovanni  Evangelista,  pure  edificata 
dal  beato  (xiovnnni  )  in  cattedrale 
col  titolo  di  nulliu!},  e  giurisdizio- 
ne su  nove  terre ,  il  cui  prevosto 
fu  decorato  di  mitra  e  bacolo  e 
giurisdizione  episcopale ,  dovendo 
intervenire  alT elezione  de'  vescovi 
marsicani,  che  talora  si  fece  in  que- 
sta chiesa.  Per  questa  ragione  ac- 
cadero  in  vari  tempi  non  pochi  li- 
tigi tra  i  canonici  di  Celano,  cioè 
del  capitolo  delle  due  chiese  de'  ss. 
Giovanni  Battista  ed  Evangelista  , 
con  quelli  di  s.  Savina.  La  calte- 
dralità  di  Celano  terminò  nel  1  5()2 
dopo  lunga  questione  tra  il  vesco- 
vo Matteo  Colli  e  il  capitolo  cela- 
nese, che  fu  deciso  dover  essere 
soggetto  al  vescovo  marsicano.  La 
controversia  tuttavia  non  terminò, 
ma  la  chiesa  di  s.  Giovanni  Batti- 
sta restò  collegiata  insigne  e  pritna- 
ria  della  diocesi.  Noteremo  che  l'an- 
tico Celano  fu  colonia  de'  romani 
e  città,,  e  si  chiamò  capo  de  Mar- 
si,  ed  un  tempo  spettò  al  dominio 
della  Chiesa  romana,  con  Soia  ed 
Arpino,  per  cui  Martino  V  e  Ni- 
colò V  concessero  esenzioni  al  co- 
mune pel  mantenimento  di  sua  for- 
tezza ;  e  fu  signoreggiato  come  feu- 
do dai  Cibo,  dai  Piccolomini,  dai 
Savelli,  e  dai  Cesarmi  Bobadilla. 

Nel  1295  Bonifacio  Vili  cassata 
la  postulazione  del  capitolo  per 
Alessandi'o  de  Ponti,  invece  elesse 
Giacomo  Busce  domenicano.  Gia- 
como de  Militibus  romano ,  cano- 
nico d'Ostia  e  cappellano  pontifì- 
cio, nel  i363  divenne  vescovo.  Pie* 
tro  fatto  da  Urbano  VI  nel  1 38o, 
vicario  della  basilica  Liberiana,  ade- 
rì poi  all'antipapa  Clemente  VII  : 
qtjesti  nel  1 38o  fece  p«ir  vescovo 
Giuliano  de'  minori,  che  dopo  lun- 
ga contestazione  fu  deposto  nel 
1409  da   Alessandro  V,  ed  ebbe  il 


IVI  A  R 
piloralo  (li  Colle  Martio  per  vive- 
re, finché  Martino  V  lo  trasferì 
alle  chiesa  Cnpritanense.  Angelo 
Maccafani  nobilissimo  nnarsicano , 
chiaro  in  giurisprudenza,  Eugenio 
IV  nel  1446  lo  l^cce  vescovo,  e 
meritò  di  essere  tesoriere  generale 
della  Marca  Anconitana  ,  luogote- 
nente e  governatore  di  Fano,  mor- 
to in  Macerata  nel  i47<^j  ^  sepol- 
to nella  cattedrale.  Francesco,  Ga- 
briele, Giacomo  e  Gio.  Dionisio 
Maccafani,  successivamente  furono 
vescovi,  e  Clemente  VII  nel  i53'^ 
conferì  la  sede  a  Marcello  Crescenzi 
nobile  romano,  che  Paolo  III  creò 
cardinale  nel  [5^2.  Per  sua  ces- 
sione nel  1 546  fu  fatto  vescovo 
Michele  Fran/ino  Governatore  di 
Roma,  di  cui  parliamo  nella  serie 
di  quelli.  Giaoìbattista  Milanesi  no- 
bile fiorentino,  eletto  nel  i562,  si 
recò  ài  concilio  di  Trento;  gli  suc- 
cesse nel  iSyt)  Matteo  Colli  na- 
poletano, sotto  del  quale  la  sede  di 
Valeria  o  Marsi,  dal  luogo  di  s. 
Benedetto  fu  trasferita  da  Grego- 
rio XI II  in  Pescina  ,  il  perchè  è 
indispensabile  la  scmiente  digressio- 
ne. Il  castello  di  s.  Benedetto  eb- 
be tal  nome  dalla  rinomata  chiesa 
di  questo  titolo.  È  costante  opi- 
ni<uie  degli  scrittori  che  ivi  esistesse 
l'antica  città  Prateria  compresa  nel- 
l'antico Lazio,  che  diede  il  nome 
alla  contrada.  Sì  vuole  fondata  dal- 
la celebre  matrona  Valeria  iìglia 
dell'imperatore  Diocleziano ,  e  che. 
vi  dimorasse  qualche  tempo,  ovve- 
ro da  M.  Valerio  Massimo  console 
romano  nell'anno  147  di  Pioma  , 
dopo  aver  soggiogato  i  marsi.  Per 
la  sua  magnificenza,  nobiltà  e  pie 
gì,  dopo  Marruvio  fu  capo  e  me- 
tropoli della  provincia ,  con  avere 
avuto  il  collegio,  il  senato,  V  anfi- 
teatro ed   il   maestrato  assai  nume- 


MAR  l'io 

roso;  ne  restò  qualche  avanzo  di 
sue  rovine,  e  della  diroccala  città 
presso  la  chiesa  di  s.  Benedetto , 
dopo  essere  stata  talvolta  visitala 
dagl'imperatori  che  vi  fabbricaro- 
no sontuosi  villaggi,  tra'  quali  la 
celebre  villa  di  Nerone,  e  fu  rino- 
mato il  vico  Valerio.  La  provincia 
di  Valeria  contenne  nel  suo  domi- 
nio, Tivoli,  Carsoli,  Rieti,  Forco- 
nio,  Amiterno  e  Marsi  col  lago  di 
Fucino.  La  città  fu  diroccala  dai 
goti  e  longobardi,  e  in  parte  dalle 
ncque  di  Fucino,  ed  allora  la  pro- 
vincia prese  il  nome  di  Marsicana. 
Dopo  la  predicazione  del  vange- 
lo fu  quivi  stabilita  la  cattedrale  di 
s.  Savina  o  Sabina,  denominata  la 
chiesa  Marsicana  o  de  Marsi,  cioè 
poco  lungi  dal  sito  di  Valeria,  e 
la  chiesa  di  s.  Benedetto,  già  ca- 
sa di  s.  Bonifacio  IV  del  608  di 
Valeria  (al  cui  tempo  vuoisi  che 
esistesse  la  città)  da  lui  convertita 
in  monastero  a  benefizio  della 
patria,  come  fu  pure  di  qualche 
celebrità  la  chiesa  e  monastero 
di  Maria  Adergine,  abitato  da  s. 
Equizio  abbate,  che  alcuni  voglio- 
no rovinalo  prima  dell'  eccidio  di 
Valeria  nel  /[Si  per  la  persecuzio- 
ne de'vandali  devastatori  della  pro- 
vincia. Restaurato  poi  il  mona- 
stero ,  Dio  comandò  al  santo  ab- 
bate di  predicare  il  vangelo  ai 
marsi,  i  quali  trovandosi  meschia- 
ti  co'  nemici  della  Chiesa ,  si  e- 
rano  corrotti  ne'  costumi.  11  mo- 
nastero dai  benedettini  passò  per 
breve  tempo  al  governo  de'cister- 
ciensi,  da'  quali  passò  in  commen- 
da a' chierici  secolari  col  titolo  di 
abbate.  Anticamente  vi  risiedevano 
gli  abbati  benedettini,  detti  anche 
preposti,  facendosi  menzione  del- 
l' abbazia  dai  più  rinomati  sci  il- 
tori,  come  ricca    di  rendite    e  ter- 


I  |o  MAR 

liloiii  a   tempo  de'  monaci.  II  pri- 

niu  abbate    commendatario  di  cui 
si  trovi   menzione  è  del   l'^jS,  cioè 
JXicolò  Giacomo  Ciucumello;   sotto 
l'abbate   commendatario  Gio.  Pietro 
Tomassetli    di    Pescina,    nel    1668 
fu   restaurata  la  chiesa.  Quanto  al- 
J*anti("a  chiesa  di    s.  Savina  già  cat- 
tedrale  de'  marsi     e    della    città  di 
Pesci na,   ove  fu    trasportata   la  cat- 
tedrale e  la  sede   del  vescovo,  nel- 
la provincia    di    Abruzzo   Ulteriore 
secondo,  col  Corsigiiani   riportiamo 
le   seguenti     notizie.    La    cattedrale 
di  s.  Savina,  benché    s.   Marco   sia 
stato     il   prillo     vescovo     de' mar- 
si   verso    l'anno    4^>     ^    benché    a 
quell'epoca    la    fede    cattolica    fosse 
per     lui    già    stabilita    in    Valeria, 
chiesa    de'marsi,    non    poteva  esse- 
re    a   queir  epoca     eretta  ,     perché 
Ja  santa    moglie    del    senatore   Pu- 
dente    fu    in    Roma    battezzata     da 
s.     l^aolo  ,  patì  il    martirio     a'  29 
agosto    o    3     settembre     dell'  anno 
122,     verso    il     qual     tempo     tal 
chiesa     può     avere     avuto    la     sua 
prima    origine  in  Valeria,   divenen- 
do    la     matrice    chiesa    dei     mar- 
si.    In  progresso  di    tempo    l'ediQ- 
zio     fu     ingrandito   ed  ornato,  an- 
che per  òpera    dei    conti    di    Mar- 
si,  ed    in   particolare  del  gran   Be^ 
Tardo;  e    Pasquale  II   gli  confermò 
il  dominio  su  tutte  le  chiese  della 
diocesi,  come    abbiamo     già  detto. 
In   questa    chiesa    furono     sepolti   i 
vescovi,  e  presso   le  sue   mura  esi- 
steva il   palazzo  vescovile,  ove  i  car 
nonici  con    altri     preti     vissero  in 
vita  comune  col  vescovo.  La  chie- 
sa era  a   tre  navate  con   marmi  fi-> 
rissimi,  con    bassorilievi    e    pitture 
alla    gotica,  per    cui   molte     pietre 
lavorate  furono    trasportate  a  Pe-r 
scina,  cadendo  in   rovina  il   tempio 
e  l'episcopio.   Imperocché,  diroccq- 


MAR 
ta  Valeria,  rimase  la  chiesa  in  so- 
litaria campagna,  soggetta  a  deso- 
lazione ed  alle    ruberie    de'masna- 
dieri,    onde   i  vescovi  si   trovarono 
esposti    a  non  pochi    disagi,  così  i 
canonici.  Questi  avendo  col  vescovo 
Matteo  Colli     ricorso  nel    i58o  al 
Pdpa    Gregorio    XIII,    egli  trasferì 
l'antica  cattedrale  di  s.  Savina  nel 
tempio  di  Maria  Vergine  delle  Gra- 
zie, già  sotto  il  titolo  della  Madon- 
na  della  Neve,    con    bolla    In  su- 
prema dignitatisj  kal.  januarii.  Tut« 
tavolta  la  cattedrale  nuova  non  fu 
compila  che  nel    iSgS  sotto  il  ve- 
scovo Peietti,  con    ornati,  portici, 
tre    navale,   trono  del    vescovo  ed 
ampio  coro,   con  l'altare  maggiore 
lavoralo    di     marmo  mischio,  con 
cappelle,   alcune  delle  quali  abbel- 
lite,   essendo    in    complesso  edifizio 
maestoso.     Sbagliò    il   Baudrand     e 
chi   Io    seguì,    in  attribuire  a    Cle- 
mente   Vili     questo    trasferimento 
della  sede  vescovile  di    santa    Sa- 
vina   a  Pescina,    città     posta  sulla 
destra  riva    della.   Giovencola,  che 
entra  nel  lago     di  Fucino  metten- 
do foce    nel    suo    lembo  orientale, 
capoluogo    di    cantone,    che   conta 
tra    i  suoi    uomini  illustri    il  cele- 
bre cardinal  Giulio  Mazzarini.  Pe- 
scina per  tale    onore    da   terra  di- 
venne citlà,  e  fu    così  chiamata  o 
dal  fiume  che    alle    radici  dell' A- 
pennino  sotto  le  scorre,  oppure  dal 
rivo  deli'  antica    chiesa    di    s.    Ma- 
ria in    Apeniace,    essendo    baronia 
sotto  la  contea  di   Celano. 

Il  suddetto  vescovo  Matteo  Colli 
difese  con  fortezza  e  zelo  le  ragio- 
ni di  sua  chiesa,  e  soggiacque  al 
carcere  di  Castel  s.  Angelo  di  Ro- 
ma, ma  ne  uscì  innocente,  morendo 
in  della  città  nel  1596,  e  fu  sepolto 
nella  chiesa  di  s.  Lorenzo  in  Lu- 
giua,   leggendosi  nella  iscrizipqe  se 


MAR 
polcrale,che  fu  benemerllo  della  cat- 
tedrale, del  seminano,  deUVpiscopio 
e  di  diversi  monasteri.  Gli  successe 
Bartolomeo  Pereftì,  sotto  del  qua- 
le Clemente  Vili  dichiarò  catte- 
drale s.  Maria  delle  Giazie  di  Pe- 
scina,  appena  ridotta  a  tale,  e  vi 
trasferì  il  capitolo.  Muzio  Colonna 
lomano  fu  falto  vescovo  nel  i63o, 
e  fu  pio  pastore  ;  per  sua  morie 
nel  i632  lo  divenne  Lorenzo  Mas- 
simi romano,  canonico  della  ba- 
silica laleranense.  Nel  1646  fu 
promosso  a  questa  chiesa  Gio.  Pao- 
lo Caccia,  che  introdusse  la  vita 
comune  nelle  monache  di  s.  Chia- 
ra, ed  incominciò  la  fondazione 
delle  scuole  pie,  mediante  il  pin- 
gue legato  di  Lelio  Tomasselli,  per 
cui  insorse  lite  tra  gli  scolopi  ed  i 
silvestrini,  monaci  dimoranti  presso 
la  loro  chiesa  di  s.  Antonio  abbate. 
Antonio  o  Ascanio  de  Gasperis  di 
Veroli,  secondo  collaterale  di  Cam- 
pidoglio, eletto  da  Innocenzo  X 
nel  i65o,  compose  le  vertenze 
sulla  precedenza  della  prima  col- 
legiata, celebrò  il  sinodo,  e  fu  Io- 
dato per  scienza  e  soavi  qualità  ', 
nel  1664  gli  successe  Diego  Petra 
de'baroni  di  Sangro:  anch'  egli  ce- 
lebrò il  sinodo,  nel  1671  pose  la 
prima  pietra  alla  chiesa  di  s.  Giu- 
seppe delle  scuole  picj  e  nel  1680 
fu  traslato  all'arcivescovato  di  Sor- 
rento. L'  ultimo  vescovo  registrato 
dai  continuatori  dell'  Ughelli  fu 
Francesco  Bernardino  Corradini  no- 
bile di  Fabriano,  padre  de'poveri 
ed  ottimo  pastore:  il  seminario 
trasportato  dal  monastero  de'  sil- 
vestrini vicino  alla  cattedrale  nel 
1 58o  dal  vescovo  Colli,  restaurato 
nel  1664  dal  vescovo  Petra,  fu 
accresciuto  soltanto  dal  vescovo  Cor- 
radini, e  perfezionato  nel  1720 
dal    successore    Muzio    de'  Vecchi. 


MAR  i4i 

La  successione  de*  vescovi  di  Marsi 
si  legge  nelle  annuali  Notizie  di 
Eoiha  :  ne  riporteremo  gli  ultimi. 
1760  Benedetto  Mattci  di  Avezza- 
no  diocesi  di  Marsi.  1776  Fran- 
cesco Vincenzo  Lajczza  di  Napoli. 
1797  Giuseppe  Bolognese  di  Chie- 
ti.  i8o5  Giovanni  Camillo  Rossi 
di  Avellino.  1818  Francesco  Sa- 
verio Durini  abbate  della  congrega- 
zione celestina,  nato  in  Chi  eli,  poi 
Iraslato  ad  A  versa.  1824  Giu- 
seppe Segna  di  Poggio  Ginoifo 
diocesi  di  Marsico.  Il  Papa  Gre- 
gorio XVI  nel  concistoro  de' 19 
giugno  1843  fece  vescovo  l'odier- 
no monsignor  Michelangelo  Sorren- 
tino della  terra  di  s.  Gio.  a  Pire 
diocesi  di  Policaslro  ,  della  pri- 
ma arciprete,  della  seconda  ca- 
nonico. 

La  cattedrale  di  Marsi  esistente 
in  Pescina  ,  dedicata  alla  Beata 
Vergine  delle  Grazie,  è  soggetta 
immediatamente  alla  Sede  aposto- 
lica. Il  capitolo  si  compone  della 
dignità  dell'arciprete,  di  dieci  ca- 
nonici, comprese  le  prebende  del 
teologo  e  del  penitenziere,  di  due 
mansionari  o  benefiziati,  e  di  altri 
preti  e  chierici  addetti  al  servizio 
divino.  La  cura  di  anime  della 
cattedrale,  ov'è  il  fonte  battesima- 
le, appartiene  al  capitolo,  che  la 
fa  esercitare  da  un  canonico.  Tra 
le  reliquie  che  si  venerano  nella 
cattedrale,  nomineremo  un  brac- 
cio di  s.  Savina  o  Sabina  patro- 
na di  tutta  la  diocesi  ;  ed  il  capo 
di  s.  Berardo  o  Bernardo  vescovo 
della  medesima,  il  cui  corpo  dal- 
l'antica cattedrale  di  s.  Savina,  nel 
i58o  fu  trasferito  alla  chiesa  di 
s.  Berardo,  posta  nella  cima  del 
monte  della  città ,  e  rifabbricata 
dal  vescovo  de' Vecchi,  mentre  il 
suo  successore  Dragonetli  nel  1727 


i4i  MAH 

vi  fece  ediiicare  una  (.appella  . 
L'episcopio  è  prossimo  alla  cat- 
tedrale; fu  eretto  dal  vescovo  Col- 
li dopo  la  traslazione  della  resi- 
denza episcopale  in  Pescina,  re- 
staura to  ed  abbellito  dai  vescovi 
de  Gnspe»  is ,  Corradini  ed  altri. 
Olire  la  catltdrale  in  Pescina  non 
vi  è  altra  chiesa  parrocchiale;  ben- 
sì vi  è  un  convento  di  religiosi 
ed  un  uiOiiaslero  di  monache,  quat- 
tro confraternite,  più  dotazioni  per 
le  poverezitelle,  due  ospedali  e  se- 
minario con  alunni.  Ampia  è  la 
diocesi  e  contenente  più  di  sessan- 
ta luoghi.  La  mensa  ad  ogni  nuo- 
To  vescovo  è  tassata  ne'libri  delia 
camera  apostolica  in  fiorini  cento, 
corrispondenti  alle  rendite  d'annui 
scudi  tremila  non  deductis  ouC' 
rihu.i. 

MaRSICO  nuovo  {Marsicm). 
Città  con  residenza  vescovile  del 
regno  delle  due  Sicilie,  nella  pro- 
vincia di  Basilicata,  distretto  sulla 
laida  orientale  del  Monte  della 
Maddalena,  presso  la  sorgente  del 
fiume  Acri,  al  piede  deli'Apennino, 
i  cui  popoli  chiamaronsi  marsici, 
come  noia  il  Corsignani  nella  Reg- 
gia Ma rs icona j  perché  presero  il 
nome  da  questa  città  edificata  dal 
possente  Rinaldo  figlio  del  conte 
de'Marsi,  quand'egli  si  ritirò  nella 
provincia  di  Salerno  presso  alla 
medesima  Basilicata.  Marsico  Nuo- 
"vo  fu  contea  ed  ebbe  i  suoi  conti, 
avendola  signobeggiala  per  molto 
tempo  la  nobile  famiglia  Sanseve- 
rino.  Siccome  l'antico  vescovato  di 
Grumento  venne  unito  a  Marsico 
Nuovo,  ne  daremo  un  cenno  come 
de'suoi  vescovi.  Grumento ,  Gru- 
nieniuni  o  Agiomento ,  città  della 
Magna  Grecia,  nella  Lucania,  ver- 
so il  golfo  di  Taranto ,  e  fra  À- 
bellinuni    Marsicum    ed    Iltraclea 


M  A  II 
o  Eraclea.  Tito  Sempronio  vi  ri- 
portò una  vittoria  sopra  Hanon, 
al  detto  di  Tito  Livio.  Parlano 
pure  di  Grumento,  Tolomeo,  Pli- 
nio ed  Antonino.  Si  crede  essere 
più  antica  di  qualche  altra  città 
del  paese,  la  cui  origine  non  ri- 
sale che  all'  epoca  romana  :  i  sa- 
raceni la  rovinarono.  Grumento  di- 
venne sede  vescovile  nel  secolo  IVj 
e  fu  irrigata  dal  sangue  di  s.  La- 
beijio  o  Laverio  suo  patrono.  Sem- 
pronio Alone  è  il  primo  vescovo 
conosciuto  di  Grumento ,  ordinato 
dal  Pontefice  8.  Damaso  I  nel 
370.  Giuliano  Patoraa  è  il  secondo, 
cui  scrisse  nel  58o  Pelagio  li 
per  trasferirlo  alla  chiesa  Marcel- 
liense,  richiesto  dal  clero  e  dal 
popolo.  11  terzo  fu  Rodolfo  Alano, 
uomo  magnifico  e  degnissimo,  al 
cui  tempo  la  chiesa  fiorì  pel  san- 
gue glorioso  de*  martiri.  L'  Ughelli 
neir  Italia  sacra  incomincia  la 
serie  dei  vescovi  di  Marsico  Nuo- 
vo con  quelli  di  Grumento,  e  ne 
tratta  nel  t.  VII,  p.  485,  e  X,  p. 
Ili  e  284,  riportando  pure  le 
gesta  di  s.  Laverio  martire ,  che 
predicò  la  fede  in  Grumento  e  ri- 
portò presso  tal  città  la  palmu 
del  martirio  nel  3 12,  5  kal.  de- 
cembris  :  il  suo  corpo  fu  deposto 
nella  chiesa  a  lui  intitolata,  ma 
quando  fu  devastata  la  città,  par- 
te se  ne  trasportò  nella  cattedrale 
di  Acerenza,  e  parte  in  quella  di 
Satriano.  Commanville  dice  che 
Grumento  fu  unito  a  Marsico  Nuo- 
vo nel  VI  secolo,  ed  altri  defini- 
tivamente nel  1260  circa.  A  Giu- 
liano di  patria  grumentino,  che 
accrebbe  il  lustro  di  sua  chiesa  , 
r Ughelli  pone  per  successore  Tu- 
der  o  Tuderisìo  che  si  sottoscrisse 
Marsicensis  ecclesiae  episcopns^  nel 
decreto  con    cui    s.  Leone  lY  nel- 


1*853  conilannò  Anastasio  cardi- 
nale prete  ;  questo  è  il  primo  dei 
vescovi  Marsicani  seu  Mnvsicenses^ 
anch'essi  sufFraganei  dell'arcivesco- 
vo di   Salerno. 

S'ignora  quando  vivesse  Ori- 
ni al  do  vescovo  Marsìccìisis^  notato 
dopo  Tuderisìo,  sotto  di  cui  ebbe 
luogo  la  traslazione  dejle  reliquie 
di  s.  Gennaro  vescovo  di  Cartagi- 
ne. Dopo  circa  duecento  anni  si 
trova  Gisolfo  marsicensìs  episcopus, 
sotto  del  quale  nel  1089  ^^^'' 
nianno  donò  a  Rado  abbate  di  s. 
Stefano  di  Marsico,  le  chiese  di  s. 
Nicola  e  di  s.  Caterina  colle  loro 
pertinenze.  Nel  1095  mori  GisoHb, 
e  subito  gli  successe  Giovanni  mo- 
naco cassinese,  Marsicensìs  et  Gru- 
ìnenliiiae  ecclesiae  si  sottoscrisse  ad 
un  privilegio  concesso  a  Pietro  ab- 
bate della  Cava  per  l'erezione 
della  chiesa  di  s.  'Giacomo  de 
lUtrgentia  ;  nei  monumenti  di  tale 
abbazia  sembra  che  Giovanni  fosse 
fregiato  della  dignità  cardinalizia.  Al- 
tro Giovanni  pur  cassinese  gli  suc- 
cesse; quindi  fiori  Leone  che  tal- 
ora si  chiamò  vescovo  di  Marsico 
e  talora  di  Grumento  :  nel  i  xiZ 
fu  uno  de'deputali  che  Calisto  II 
incaricò  per  esaminare  i  miracoli 
di  s.  Gerardo  vescovo  di  Potenza, 
Posentini  Grumentinus  item  appel- 
lalur.  Enrico  fu  vescovo  sotto  O- 
norio  II,  nel  di  cui  lem  pò  nel  i  1 3  i 
fu  fabbricata  la  chiesa  cattedrale 
sotto  il  titolo  della  Beata  Vergine 
e  di  s.  Giorgio  martire,  trasferen- 
dovisi  la  cattedra  episcopale  eh'  e- 
ra  nella  basilica  di  s.  Angelo.  Tra 
i  suoi  successori  noteremo  quelli  che 
si  distinsero,  Giovanni  a  cui  Sil- 
vestro conte  di  Marsico  fece  pie 
donazioni  nel  i  i5o  e  nel  i  1 52  ; 
intervenne  nel  1179  al  concilio 
ticucralc  Lalcraiiense  III   tenuto  da 


MAH  i43 

Alessandro   III,  e  nel  suo  vescovato 
Guglielmo    altro  conte   di  Marsico 
edificò    la    chiesa    in     onore    di  s. 
Tommaso  di  Cantorbery,  nella  qua- 
le Giovenale    prete    sotto    la   rego- 
la   di    sani'  Agostino    fu    costituito 
priore  immediatamente  soggetto  al- 
la santa  Sede,  alla  quale  chiesa  fe- 
cero donazioni  altri  conti    di  Mar- 
sico. Nel    1 1  88    essendo   vescovo  il 
medesimo     Giovanni,     Bartolomeo 
signore  del  castello  di  Marsico  vec- 
chio, con  Mariella  sua  moglie,  do- 
narono all'abbate  di  s.  Stefano  di 
Marsico  la  chiesa  di  s.  Maria.   An- 
selmo famoso    per  le    sue    profezie 
sui  Pontefici,  che   furono  pubblica- 
le dopo  Bonifacio  Vili,  contempo- 
raneo dell'abbate  Gioachino  fonda- 
tore della    congregazione    Florense, 
visse  dopo  il  1210.  Dal  1^39  va- 
cò la  sede  sino    a    fr.  B.inaldo  do- 
menicano siculo,  fatto  vescovo  sotto 
Clemente  IV,  traslato  a  Messina  da 
Gregorio  X  nel    1273,  chiaro   per 
egregie  qualità.   Gli  successe  l'altro 
domeyicano    fr.    Reginaldo    da    Pi- 
perno  discepolo  di  s.  Tommaso  di 
Aquino.  Essendo  vescovo  Giovanni 
de  Vetere  Mattei    salernitano,    nel 
1293   Tommaso    Sanseverino    con- 
te   di    Marsico  (il  quale  confermò 
i  privilegi  della  chiesa  e   monastero 
di  s.  Tommaso,     che   dagli  agosti- 
niani  passò  in   proprietà  delle  mo- 
nache benedettine,    alle  quali  con- 
cessero privilegi  vari  conti    di  Mar- 
sico), fece  edificare  la   torre  campa- 
naria nella  cattedrale.  Clemente  VI 
nel  i349  quivi  trasferì  da  Tricarico 
il     vescovo  Rogerio,  al  cui   tempo 
il  conte  Tommaso,   figlio  dell'altro 
di  simile  nome,  fondò  il  monastero 
pei    celestini    presso    la  città,     che 
dipoi   soppresse    Innocenzo  X,    con- 
cedendolo   colle     rendite    al     semi- 
nario. 


i44  1^1  A  R 

Giacomo  Capndnin  di  Potenza, 
vivente  il  vescovo  Tommaso  fatto 
tale  da  Urbano  VI,  l'antipapa  Be- 
nedetto XI II  ve  lo  intruse,  e  mo- 
rì nel  i4oo.  Pietro  Ilperino  o 
Alperino,  di  antica  e  nobile  fa- 
miglia romana ,  celebre  teologo 
domenicano  e  maestro  del  sacro 
palazzo,  fu  anch  egli  nominato  ve- 
scovo da  Urbano  VI,  ma  cacciato 
dalla  sede  dai  vescovi  intrusi,  moi 
lì  in  Roma  nel  i383,  e  fu  se- 
polto presso  il  campanile  di  s. 
Maria  sopra  Minerva,  al  convento 
della  quale  era  appartenuto,  in 
nobile  monumento,  poi  trasportato 
nella  cappella  della  ss.  Annunziata. 
Fr.  Nardello  da  Gaeta  de'minori, 
nel  i4oo  nominato  vescovo  da 
Bonifacio  IX,  governò  egregiamen- 
te, e  morì  nel  pontificato  di  Eu- 
genio IV.  Fr.  Antonio  de  Medi- 
ci di  Firenze ,  dotto  religioso  dei 
minori  francescani,  eletto  nel  i4^4> 
morì  nel  medesimo  anno:  gli  suc- 
cesse Fabrizio  Guarna  salernitano, 
ed  a  questi  nel  i494  Ottaviano 
Caracciolo  di  Napoli,  illustre  per 
la  sua  nascita ,  per  la  sua  pietà, 
e  per  la  sua  erudizione ,  morto 
nel  i535,  e  sepolto  in  cattedrale 
nel  sepolcro  dei  vescovi  da  lui  re- 
staurato, nella  cappella  de' santi 
Cosma  e  Damiano  .  Il  successore 
Vincenzo  Bocca  ferri  nobile  bolo- 
gnese abbate  olivétano,  insigne  in 
prudenza,  morì  in  Roma  nel  se* 
guente  anno,  e  fu  sepolto  nella 
chiesa  dell'ordine.  Paolo  III  nel 
i54i  creò  vescovo  Marzio  de'Medici 
nobile  fiorentino,  che  intervenendo 
al  concilio  di  Trento  si  fece  ammi- 
rare per  l'erudizione  ,  e  morì  nel 
1573  in  Venezia,  ove  risiedeva 
quale  ambasciatóre  di  Cosimo  I 
granduca  di  Toscana,  venendo  se- 
polto in     s.    Maria    dell'Orto.      Gli 


MAR 
successo  suo  nipote  Angelo  de' Mar- 
zi Medici,  decano  della  metropo- 
litana di  Fiienzc.  Fr.  Antonio  Fe- 
ra toscano,  gran  teologo  e  vicario 
generale  apostolico  de'  conventuali, 
Gregorio  XIII  nel  i5S/\.  lo  pro- 
mosse al  vescovato  ,  che  rinunziò 
nel  1600,  anno  in  cui  morì,  (ili 
fu  sostituito  Ascanio  Parisi  di  Mo- 
literno  diocesi  di  Marsico ,  morto 
in  patria  nel  1614.  Fr.  Timoteo 
Casello  domenicano,  napoletano  di 
Guardia,  fu  eletto  dopo  il  prece- 
dente; aumentò  le  rendite  della 
mensa,  ornò  ed  ingrandì  la  cat- 
tedrale che  arricchì  con  insigni  re- 
lifjuie  ricevute  in  dono  dal  l*apa  , 
fu  colla  voce  e  coli' esempio  mo- 
dello di  virtù  al  popolo  ,  e  meri- 
tò che  dopo  la  sua  morte  accadu- 
ta nel  1639  ,  il  successore  ed  i 
canonici  gli  erigessero  nella  catte- 
drale un  marmoreo  monumento. 
Fr.  Giuseppe  Cianti  nobile  roma- 
no, dell'ordine  de'predicatori,  eru- 
dito nella  lingua  ebraica,  dotto  nel- 
le scienze.  Urbano  Vili  nel  1640 
lo  fece  vescovo.  Con  invitto  animo 
sostenne  la  lunga  lite  che  si  agi- 
tava in  rota  contro  l'arciprete  dt 
Saponaria ,  e  ne  riportò  vittoria, 
con  che  il  vescovo  di  Marsico 
rientrò  nella  sua  giurisdizione  sul 
medesimo  e  clero .  Celebrò  nel 
1643  il  sinodo  che  fu  stampato) 
riedificò  dai  fondamenti  la  catte- 
drale ,  l'ampliò  ed  ornò;  eresse 
nell'episcopio  il  seminario  e  l'ar- 
chivio vescovile  ;  restaurò  nella 
chiesa  di  s.  Maria  sopra  Minerva 
il  sepolcro  de'suoi  maggiori  ;  inol* 
tre  in  Roma  col  fratello  Ignazio, 
pur  domenicano  e  vescovo  di  s. 
Angelo  de'Lombardi,  restaurò  ed 
abbellì  la  cappella  di  s.  Domenico 
in  s.  Sabina;  rinunziò  la  sede  nel 
t656  per    dedicarsi    in    Roma   a 


MAR 

tratlurre  l'opera  del  dottore  s.  Tom- 
maso contro  i  gentili,  oltre  altri 
scritti  che  lasciò. 

Alessandro  VII  gli  sostituì  Ange- 
lo Pineri  di  Montefiascone,  ornato 
di  molte  virtù ,  al  quale  successe 
nel  1671  Gio.  Battista  Falvi  dei 
baroni  di  Giulianello,  canonico  di 
IVlartorano  e  di  Cosenza,  stimato 
da  diversi  cardinali;  dopo  l'eserci- 
zio di  diverse  dignità  ecclesiasti- 
che. Clemente  X  lo  elevò  a  que- 
sta chiesa;  ne  fu  benemerentissi- 
mo, accrebbe  le  rendite  del  semi- 
nario che  ingrandì,  fu  zelante  del- 
la disciplina  ecclesiastica  e  dei  sa- 
cri studi,  soccorse  i  poveri  nella 
carestia  ;  pel  terremoto  del  1673 
diede  esempli  di  edificante  peni- 
tenza; dotò  le  zitelle,  aiutò  le  ve- 
dove, distribuendo  ai  bisognosi  le 
sue  vesti  e  suppellettili;  e  moren- 
do in  Vigiano  nel  i676,fu  tumu- 
lato in  onorevole  sepolcro,  tra  il 
lutto  e  il  pianto  di  tutti  i  dioce- 
sani. Domenico  Lucchetti  della  dio- 
cesi di  Tricarico,  arcidiacono  di 
Marsico,  ne  divenne  vescovo  nel 
1686,  succedendogli  nel  17 io,  do- 
po tre  anni  di  sede  vacante^  Do- 
nato Ansani  nobile  di  Ariano,  ed 
arciprete  di  quella  cattedrale,  con 
esso  terminando  la  serie  de'  vesco- 
vi di  Marsico  i  continuatori  del- 
l'Ughelli.  In  quella  che  si  legge 
nelle  annuali  Nolizie  di  Roma , 
sono  gli  ultimi  i  seguenti.  1766 
Andrea  Tortosa  di  JNocera  de' Pa- 
gani. 1771  Carlo  Nicodemi  di  Pen- 
ta diocesi  di  Salerno.  1792  Ber- 
nardo della  Torre  di  Capo  di 
Monte  arcidiocesi  di  Napoli.  1797 
Paolo  Garzillo  di  Solofra  arcidio- 
cesi di  Salerno.  Pio  VII  nel  1818 
colla  lettera  apostolica  De  lUiliori  do- 
vìinicae,  V  kal.  julii,  nel  riordina- 
mento delle  diocesi  del  regno  delle 

VOL.    XLIII. 


MAR  i4^ 

due  Sicilie,  unì  la  diocesi  e  il  ve- 
scovato di  Potenza  (Fedi)  a  questo 
di  Marsico  Nuovo,  indi  confermò 
Marsico  Nuovo  suffraganeo  della 
metropoli  di  Salerno,  e  Potenza  m 
suffraganeo  dell'arcivescovo  di  A- 
cerenza.  Lo  stesso  Papa  fece  primo 
vescovo  di  Marsico  Nuovo  e  Po- 
tenza unite,  nel  concistoro  de'  2 1 
febbraio  1820,  Giuseppe  BotticelU 
de'minimi  paololti  di  Sora,  al  qua- 
le die  in  successore  in  quello  dei 
29  aprile  1822  Ignazio  Marolda 
della  congregazione  del  ss.  Reden- 
tore, nato  in  Muro,  cui  successe 
r  odierno  vescovo  monsignor  Mi- 
chelangelo Pieramieo,  di  s.  An- 
gelo diocesi  di  Penne,  fatto  da 
Gregorio  XVI  nel  concistoro  dei 
12  febbraio    i838. 

La  cattedrale,  nuovo  edificio  splen- 
dido, perchè  un  incendio  distrusse 
l'antica,  è  sacra  all'Assunzione  di 
Maria  Vergine.  11  capitolo  si  com- 
pone di  tre  dignità ,  prima  delle 
quali  è  l'arcidiacono,  di  dodici  ca- 
nonici e  di  diversi  mansionari  o 
ebdomadari,  oltre  altri  preti  e  chie- 
rici addetti  al  divino  servigio.  Nel- 
la cattedrale  vi  è  il  fonte  battesi- 
male colla  cura  d'  anime  ,  di  cui 
ha  l'amministrazione  il  primicerio, 
seconda  dignità  del  capitolo ,  coa- 
diuvato da  un  prete  economo.  L'e- 
piscopio è  prossimo  alla  cattedrale, 
anch'esso  riedificato  dopo  l'incendio. 
Oltre  detta  chiesa,  nella  città  vi  so- 
no altre  quattro  chiese  parrocchiali 
è  munite  del  battisterio.  Vi  sona 
inoltre  due  conventi  di  religiosi  ed 
un  monastero  di  monache,  diverse 
confraternite,  l'ospedale  ed  il  semi-, 
nario.  Le  due  diocesi  unite  si  esten- 
dono a  circa  novantacinque  miglia 
di  territorio,  e  contengono  quindici-, 
luoghi.  Ogni  vescovo  è  tassato  nei 
libri  della  camera  apostolica  in  fio- 
10 


i46  MAR 

lini  208,  coirìspondenli  alla  rendi- 
la (ìi  circa  2000  ducati  napoletani, 
publicis  dtduclìs  ouerihiis. 

MARSIGLIA  (Marsiticn).  Cwxìx 
con  residenza  vescovile,  la  più  ric- 
ca, mercantile  e  popolata  del  mez- 
zodì della  Francia  ,  nella  Pro- 
Tenza,  ora  capoluogo  del  diparti- 
mento delle  Bocche  del  Rodano, 
di  circondario  e  di  cantone,  distan- 
te I  98  leghe  da  Parigi.  E  situata 
sopra  una  rada  del  mare  Mediter- 
raneo, alla  costa  nord- est  del  golfo 
di  Lione ,  un  poco  al  nord  della 
iroboccalura  dell  Huveaune.  Tnoltie 
Marsiglia  è  capoluogo  dell'  ottava 
divisione  militare,  e  del  sindacato 
marittimo,  sede  de*  tribunali  di  pri- 
ma istanza  e  di  commercio.  Vi  so- 
no direzioni  delle  contribuzioni  di- 
rette e  indirette,  dei  demani  e  do- 
gane, una  conservazione  delle  ipo- 
teche, una  camera  ed  una  borsa, 
un  consiglio  di  periti,  un  sindaca- 
to marittimo,  un  commissario  ge- 
nerale, un  tesoriere  di  marina,  ed 
un  ingegnere  de*  ponti  ed  argini , 
incaricato  de*  lavori  del  porto.  Mar- 
siglia è  cinta  di  colline,  delle  quali 
la  più  alta  è  quella  della  Madon- 
na della  Guardia,  verso  il  mezzodì, 
su  cui  evvi  un  forte;  all'ovest  si 
trova  il  mare  col  porto.  Presso  ed 
all'ovest  di  questo  ultimo,  vi  è  la 
cala  della  Fontana  del  re,  e  al  nord- 
ovest di  questa  quella  del  Faro:  al 
nord-est  dell'ingresso  del  porto  si 
osservano  le  cale  dell'  Ourse,  della 
Jolietle  e  del  Lazzaretto  rimarca- 
bilissimo. Il  porto,  di  figura  ovale, 
si  prolunga  nell'interno  della  città, 
dall'est  all'ovest,  sopra  una  lunghez- 
za di  5oo  tese  ed  una  larghezza 
di  circa  200  ;  V  ingresso  è  rinchiu- 
so fra  due  roccie,  sulle  quali  s'in- 
nalzarono al  nord  il  forte  s.  Gio- 
Tanni,  e  al  sud  quello  di  s.  Nico- 


MAR 

la,  che  più  considerabile  del  primo 
domina  altresì  una  parte  della  cit- 
tà ;  è  diflìcile  e  non  permette  il 
passaggio  che  ad  una  sola  nave  per 
volta.  Questo  porto  è  sicurissimo, 
e  può  contenere  circa  1200  navi- 
gli; le  fregate  sono  i  legni  da  guer- 
ra i  più  grandi  che  vi  possono  en- 
trare ;  è  soggetto  ad  essere  colma- 
to dalle  alluvioni  e  dal  fango  delle 
vicine  colline,  staccato  dalle  piog- 
gie;  varie  macchine  sono  di  conti- 
nuo impiegale  al  suo  nettamento. 
Sul  lato  nord  del  porto  evvi  lo 
stabilimento  sanitario  ;  un  canale 
cinto  di  magazzini  della  dogana  è 
praticato  sul  lato  meridionale.  In- 
dipendentemente da  questo  porto, 
se  ne  fece  di  recente  un  altro  chia- 
mato Dieudonné,  nella  rada,  fra  le 
isole  ben  fortificale  di  Ralonneau 
e  di  Pomèguc;  i  vascelli  di  linea 
possono  ancorarvisi  con  sicurezza, 
e  serve  anche  di  luogo  di  ([uaran- 
lena  ai  navigli.  Avanti  della  rada 
si  trova  l'isola  d'if,  roccia  ben  co- 
perta di  batterie,  ove  stanno  le  tor- 
ri e  gli  edifizi  che  servono  di  pri- 
gione di  stato.  Il  lazz^uetto  sta  sul- 
la costa  a  200  passi  nord  dalla  cit- 
tà, ed  è  uno  de'  più  beili  dell'Eu- 
ropa ;  si  eresse  pure  nell'isola  Ra- 
lonneau un  ospedale  per  gl'indi- 
vidui la  cui  salute  è  sospetta.  Di- 
scendenti i  marsigliesi  dai  focesi,  i 
quali  tracciarono  pei  primi  la  via 
del  golfo  Adriatico  e  del  mare  Tir- 
reno, i  marsigliesi  non  hanno  mai 
smentito  la  loro  origine;  ma  sem- 
pre rivolsero  tutte  le  loro  viste  al 
commercio,  e  questo  coronando  le 
loro  fatiche,  fu  sem^n'e  la  sorgente 
della  loro  prosperità,  del  qual  com- 
mercio passirmo  a  da  ine  un  cenno 
istorico,  limitandoci  all'era  cri- 
stiana. 

Fino  dal  secondo  secolo  le  sala- 


MAR 

gioni  della  provincia  godevano  già 
ni)  soiniuo  credito  ;  e  Plinio  il  vec- 
chio scrisse,  che  i  pesci  preparati 
in  Mursigiia,  e  specialmente  le  sar- 
de, erano  ricercale  ed  in  molto  pre- 
gio presso  i  romani.  Secondo  s.  Gre- 
gorio di  Tours^  questa  città  era  nel 
VI  secolo  il  luogo  di  deposito  or- 
dinario delle  merci  della  nazione 
francese,  e  di  quelle  che  si  tras- 
portavano dall'estero.  Era  pure  in 
questo  porlo  che  sbarcavasi  il  vino 
di  Gaza  ,  cosi  rinomato  presso  i 
galli.  Abbiamo  dallo  storico  Egi- 
nardo,  genero  e  segretario  di  Carlo 
Magno,  che  nell*  B3o  i  negozianti 
stabiliti  in  Marsiglia  importavano 
già  dall'Egitto  le  spezie  dell'  Indie 
ed  i  profumi  di  Arabia;  ne  trae- 
vano anche  dello  zucchero  e  della 
seta,  portata  dalle  caravane  dell'A- 
sia ;  ma  questa  ultima  merce  era 
di  estremo  lusso,  e  le  sole  spose 
novelle  facevano  uso  di  un  abito 
di  seta,  la  cui  fattura  costava  cin- 
que soldi.  I  cuoi,  le  pelle  conciate, 
gli  olii  divennero  in  appresso  gli 
oggetti  più  importanti  del  commer- 
cio di  Marsiglia.  È  noto  abbastan- 
za il  conto  in  cui  teneasi  il  sapone 
ivi  fabbricato,  il  quale  forma  an- 
che oggidì  uno  de'  più  considere- 
voli rami  della  sua  industria,  e  se 
ne  fa  smercio  quasi  per  tutte  le 
piazze  mercantili  d'Europa.  All'e- 
poca delle  prime  ciociate,  nel  de- 
clinar de!  secolo  XI  e  nei  primi 
tempi  del  XI 1,  i  marsigliesi  el3bero 
specialmente  il  merito  di  provve- 
dere a  tutto  quello  che  poteva  oc- 
correre nel  tragitto  del  mare  alle 
schiere  cristiane  de*  crociati  j  ed  et» 
tennero  perciò  in  Siria  diverse  con- 
cessioni, e  l'esenzione  di  tutti  i  dazi 
sulle  mercanzie  che  importavansi 
co'  loro  navigli.  La  concia  delle 
pelli   fu   già  per  Marsiglia  di  som- 


mah  ì47 

mo  profitto,  e  l'Italia  e  la  Spagna 
specialmente  ne  facevano  vistosi  ac- 
quisti ;   ma  il  dazio  gravoso   che  ftt 
imposto  a  questa   merce  nel  1760, 
diminuì  moltissimo  siffatto  commer- 
cio.  Nel    1187   il  conte  di  Monfer- 
rato concesse    a'  marsigliesi    il    di- 
ritto di  commerciare  con  Tiro  fran- 
chi da  ogni  imposta.  Nel    14^3  do- 
po la  morte  della  regina  Giovanna 
li,  mentre  Marsiglia  era  sottoposta 
a   tutti  gli  orrori  della  guerra  sotto 
Alfonso  V   re  d'Aragona  e  di  Sici- 
lia, le  repubbliche  di  Genova  e  di 
Venezia    s' impadronirono    in    gran 
parte  delle  relazioni  commerciali  di 
Marsiglia  col  levante  ;  ma  ben  pre- 
sto sotto    il    regno    di  Renato  tali 
perdite  furono  riparate.  Questo  prin- 
cipe stabilì  saggi   regolamenti,    che 
prepararono  un'era  novella  di  pro- 
sperità,  portata  al  più   alto    grado 
dalle  franchigie  accordate  nel  1669 
da  Luigi  XIV,  che  dichiarò  il  porto 
franco.  Qiiesla    prosperità    non    fu 
interrotta  che  nel  1790:  in  tale  epo- 
ca Marsiglia  ebbe  a  soffrire  in  cau- 
sa di  sospensione  generale  del  com- 
mercio, e  specialmente    dalla  legge 
emanata  il    i3  dicembre  1 794,  che 
«soppresse  interamente  la   franchigia 
accordata  nel    1669,  ch'era  già  sta- 
ta di    mollo  modificata   dalla    ante- 
cedente legge  «."agosto  1791,  con- 
seguenze solile  delle  rivoluzioni.  Nel- 
le lunghe  guerre  sotto  l'impero  mi- 
litare,  Marsiglia  andò  del    tutto  in 
decadenza  ;  e   la    sua    popolazione  , 
ch'erasi    ripristinata  dopo    la    pe.«>le 
del    1720,  ("lì   di  liuovo    e  così   ra- 
pidamente diminuita,  che  rimasero 
perfino  alcune  contrade    del    tutto 
spopolate.  La  pace  vi  ricondusse  gli 
abitanti   e  le  ricchezze;    il  governo 
s'impegnò  a  favorire  questo  ritorno 
dell'attività    del    commercio  ,  ed  il 
porlo  in  di   nuovo  dichiaralo  fran- 


i4S  MAR 

co  a'  3  ottobre  1814.  La  legge  del 
16  dicembre   18 16  restituì  al  por- 
to le  sue  antiche  franchigie,  ed  ac- 
cordò una  piena   libertà  alla  di  lui 
navigazione.  Con  tali  provvide  dis- 
posizioni, Marsiglia  si  è  ben  presto 
innalzata  ad  un  grado    di    ricchez- 
za, la  cui  base  è  un  commercio  spe- 
ciale che  non  le  si  può  contendere. 
Solo  gran  porto  francese  sul  Medi- 
terraneo, Marsiglia  ha  una  posizio- 
ne unica  incontro  le  corti  spagnuo- 
le,  italiche,  greche,  levantine,  asia- 
tiche ed  africane.  Né  a  queste  con- 
trade limita  essa  le    sue    commer- 
ciali relazioni  ;    ma    non    lascia    di 
estenderle  col  mar  Nero ,  col  Bal- 
tico e  coiringhilterra  ;  le  sue  navi 
si     spediscono    alle    grandi    Indie  ; 
sono  in  comunicazione  con  gli   Stati 
Uniti  e  colle  Antille;  infine  le  sue 
spedizioni    per    l'America    del  sud 
dimostrano  ch'essa  intende  il  valore 
commerciale  nel  senso  più  esteso. 
Marsiglia  è  ancora  una  piazza  di 
guerra,  e  vi  si  vedono  alcuni  avanzi 
di  un'antica  muraglia  con  bastioni. 
Si  divide  in  vecchia  e /nuova  città: 
)a  seconda  è  bellissima.    La  prima 
situata  all'ovest,  eretta  in    anfitea- 
tro, in   parte  sopra  alture,  ha  per 
limiti  il  porto,    il    gran  corso,    la 
strada  d'Aix  ed  altre,    tutte  bene 
irrigate  da  acque  sane  ed    abbon- 
danti. Questa  porzione  di  Marsiglia 
ha  il  vantaggio  di  non  essere  mai 
esposta  ai  venti    impetuosi    che    si 
fanno  sentire'*  nella  città  nuova ,  e 
dove  si  è  altresì    più    difesi    dagli 
ardori  dell'estate.  Non  manca  né  di 
piazze,  ne  di  fontane,  né  di  passeg- 
gi ;  la  piazza  nuova  è  la  più  gran- 
de e  regolare,  e  quanto  ai  passeg- 
gi, quello  della  Torretta,  chiamato 
pure  la  Spianala  ,  è  il  più   bello, 
perchè  vi  si  gode  di  una    prospet- 
tiva variata  e  bellissima,  che  si  e- 


MAR 
stende  sul  mare,  la  campagna,  ed 
una  parte  della  città  nuova.  Il  ba- 
luardo delle  Dame  è  assai  ameno, 
essendolo  egualmente  le  strade  lun- 
go l'acqua,  che  sono  soprattutto  nel- 
r  inverno    la  porzione  la  più    fre- 
quentata di  Marsiglia.  La  città  nuo- 
va, che  forma  circa  i  due  terzi   di 
Marsiglia,  è  percorsa  dal  nord   al- 
l'est da  una  lunga    e    bella  strada 
che  dalla  piazza  della  porla  d'Aix, 
va  in   linea  retta    alla    piazza    Ca- 
stellana ,    sotto    i    nomi    di    strada 
d'Aix,  grande  corso,  corso  di  s.  Lui- 
gi, strada  di  Roma    e    gran    cam- 
mino di  Roma  ;  dall'alto  della  stra- 
da d'Aix    la    vista    n'è    maestosa. 
Questo  viale  è  ancora  abbellito  dal- 
l'arco trionfale  eretto  sulla    piazza 
d'Aix  in  onore  di  monsieiu'  il  Del- 
fino, da  due  belle  fontane  costruite 
sul  gran  corso,  e  da  un'altra  fon- 
tana con  sopra  un  superbo  obelisco. 
Tutte  le  strade  di  questa  parte  di 
Marsiglia  sono    belle    e    adorne  di 
bellissime  case  ;  dall'alto  della  stra- 
da Canabière  si  scopre  il  porto  co- 
perto di  navigli,  e  chiuso  all'estre- 
mità occidentale  da  colline  che  non 
permettono  di   vedere  da  qual  lato 
tì  penetri  il  mare.  Il  canale  situa- 
to sulla   parte  sud  del  porto  è  cinto 
da  belle  spiaggie,  da  case  regolari 
e  da  magazzini  la  cui  architettura 
è  semplice  ma  soda;    un  poco  più 
superiormente  del  canale,  e  dal  Iato 
stesso  stanno  i  cantieri    di    costru- 
zione: in  vicinanza    si   racconciano 
i  vascelli.  Le  piazze,  in  minor  nu- 
mero che  nella  città  vecchia,  sono 
più  spaziose,  regolari  e  meglio  or- 
nate, ricordandosi   la    piazza    Reale 
colla  fontana  di  s.  F'ereoI,  cinta  da 
una  doppia  linea  di   maronai  delle 
Indie,  quelle  di  s.  Vittore,  del  gran 
teatro,  e  di   s.  MicheFe  ove  si  dan- 
no alcune  volte  pubblici  spettacoli. 


MAR 

I  passeggi  nel  circuito  e  fuori  della 
città  sono  numerosissimi ,  mollo 
frequentata  essendo  la  strada  che 
conduce  al  giardino  botanico  ;  il 
corso  Borbone  che  termina  al- 
la montagna  dello  stesso  nome  , 
un  tempo  roccia  nuda  ,  ed  ora 
piantata  d'  arbusti  ,  intersecata  da 
strade  e  laberinti,  con  una  colon- 
na di  granilo;  infine  i  bastioni  che 
con  ^ari  nomi  si  estendono  dalla 
montagna  di  Borbone  sino  alla  por- 
la d'Aix.  Le  acque  delle  fontane 
in  questa  parte  della  città  sono  suf- 
ficienti al  bisogno  ;  le  acque  di  Mar- 
siglia vengono  da  Huveaune,  e  da 
molte  sorgenti  particolari  che  ali- 
mentano alcune  fontane.  Un  gran- 
de acquedotto  quasi  interamente 
sotterraneo,  e  che  ha  tre  incili  sul- 
l'Huveaune  ed  uno  sul  Jarret,  è  lun- 
go 7828  metri,  oltre  altri  piccoli 
acquedotti.  Il  clima  di  Marsiglia  è 
sanissimo,  quantun(|ue  sia  la  sua 
temperatura  assai  alta. 

Questa  città  non  rinchiude  al- 
cun avanzo  di  antichi  monumenti; 
Mi  si  trovarono  soltanto  negli  scavi 
fatti,  statue,  urne,  medaglie  ed  una 
specie  di  obelisco  di  7  a  8  piedi 
d'altezza,  e  che  si  crede  essere  il 
gnomone  di  Pitea.  Ultimamente  si 
scopri  un  sotterraneo,  opera  roma- 
na e  benissimo  conservata,  che  scor- 
re tutta  la  lunghezza  del  porto. 
Questo  fece  nascere  l'idea  della  co- 
struzione di  un  Tunnel  non  infe- 
riore a  quello  di  Londra  (  Fedì). 
Da  gran  tempo  l'ingresso  e  l'uscita 
di  quel  passeggio  sottomarino  era- 
no cliiusi  :  fu  l'ingegnere  Talon  che 
osò  tentare  quell'ignoto  e  pericolo- 
so tragitto  in  numerosa  compagnia. 
Non  reca  meraviglia  che  gli  anti- 
chi romani  costruissero  un'  opera 
sotterranea  a  Marsiglia,  mentre  pas- 
sarono per  lo  spazio  di  Ire  miglia 


MAR  149 

e  mezzo  sotto  al  monte  Salviano 
per  asciugare  il  lago  di  Fucino,  e 
meramente  per  facilitare  l'accesso 
ad  una  villa,  forse  di  Lucullo,  tra- 
forarono per  lo  spazio  di  un  mi- 
glio il  colle  di  Posilipo.  La  catte- 
drale di  Marsiglia,  posta  nella  città 
vecchia,  una  delle  più  antiche  di 
Francia,  dicesi  eretta  sulle  rovine 
del  tempio  di  Diana.  11  palazzo 
pubblico  costrutto  da  Puget ,  è  il 
più  bell'edilizio  della  città  ;  la  fac- 
ciata sul  porto  vedesi  adorna  di 
bellissimi  rilievi  in  marmo  bianco; 
vi  si  vede  la  statua  di  Pietro  Ba- 
yon,  che  uccise  il  console  Casaux, 
capo  di  quelli  della  lega,  e  due  bei 
quadri  del  marsigliese  Serre ,  rap- 
presentanti le  stragi  della  peste  di 
questa  città  ;  la  borsa  è  nel  pian 
terreno  di  questo  edilìzio.  Si  distin- 
guono pur  anco  l'osservatorio,  la  pe- 
scheria nuova  eseguita  da  Puget , 
il  nuovo  mercato  a  32  colonne 
d'ordine  toscano,  i  due  teatri  e 
soprattutto  il  grande,  il  palazzo  del- 
la prefettura,  la  dogana,  i  magaz- 
zini pubblici,  e  la  colonna  innalza- 
ta nel  1822,  in  memoria  dei  soc- 
corsi ottenuti  dal  Papa  Clemente 
XI  durante  la  peste.  Si  legge  nella 
di  lui  vita  del  Novaes,  che  nel  1720 
avendo  una  nave  proveniente  da 
Seyde  introdotta  in  Marsiglia  la  pe- 
stilenza ,  Clemente  XI  compassio- 
nando la  miseria  del  popolo,  man- 
dò al  vescovo  duemila  rubbia  di 
grano  (e  mille  ad  Avignone),  per- 
chè gratuitamente  lo  distribuisse  ai 
bisognosi  ;  onde  il  magistrato  civi- 
co di  Marsiglia  in  segno  di  grati- 
tudine, nel  1726  eresse  nel  palaz- 
zo pubblico  una  onorevole  iscrizio- 
ne. Tanto  fu  orribile  la  strage,  che 
fece  perire  da  4^  a  5o,ooo  abi- 
tanti ;  l'eroismo  del  vescovo  di  Mar- 
siglia Bclsunce,  che  in  mezzo  a  tutti 


i5o  MAR 

i  pericoli  non  cess?»  di  prodigare  le 
sue  cure  agii  appestati ,  ha  lascia- 
to una  memoria  in  perenne  bene- 
dizione, solo  oUuscntH  dalla  contra- 
rietà che  mostrò  alla  bolla  Unige- 
nittis  di  Clemente  XI  che  lo  aveva 
fallo  vescovo.  Oltre  le  chiese  e  par- 
rocchie cattoliche,  ed  una  chiesa 
de*  Mele ìùli- greci  (f^edi),  in  Marsi- 
glia vi  è  una  chiesa  concistoriale 
riformata ,  una  sinagoga  concisto- 
riale, parecchi  ospedali,  l'arsenale, 
]a  zecca  (lettere  M  ed  A  intrec- 
ciale), una  gran  corderia,  un  mon- 
te di  pietà,  una  cassa  di  risparmio 
e  di  prevedimento,  dei  bagni  a  va- 
pore e  di  sabbia  saturata  di  sai 
marino  buoni  pei  reumatismi  :  le 
strade  sono  bene  illuminate  dal 
1785.  Marsiglia  è  rinomata  per  le 
sua  fabbriche,  massime  di  sapone, 
di  coltelleria,  di  damaschi  di  gran- 
de bellezza,  e  meglio  di  quelli  di 
Siria,  e  di  altre  cose  ;  vi  si  tiene 
una  fiera  di  quindici  giorni  il  3 1 
agosto. 

Mai-siglia  possiede  una  rinomata 
accademia  di  scienze,  belle  lettere 
ed  arti,  stabilita  sino  dal  1726, 
molte  società  di  agricoltura,  di  me- 
dicina, di  carità  materna ,  di  mo- 
llale cristiana,  di  beneficenza.  Un 
collegio  reale,  una  scuola  seconda- 
ria di  medicina,  una  di  mutuo  in- 
segnamento, scuole  di  disegno  li- 
neare, di  navigazione,  di  commer- 
cio e  di  musica  ;  un  corso  gratuito 
di  geometria  e  di  meccanica  appli- 
cate alle  arti,  un  istituto  di  sordi- 
muti  ,  una  biblioteca  pubblica  di 
60,000  volumi,  un  museo  di  qua- 
dri, un  gabinetto  di  storia  natura- 
le, un  giardino  botanico,  ed  un 
giardino  reale  di  botanica  e  di  na- 
turalizzazione. La  città  produsse 
tanto  nei  tempi  antichi,  che  nei  mo- 
derni, molti  uomini  celebri,  ma  no- 


MAR 
mineremo  i  primari.  Il  celebre  Pi* 
tea  astronomo,  gootuetra  e  lettera- 
to, vivente  al  tempo  di  Alessandro 
il  Grande  ;  Eutimene  navigatore;  i 
medici  Demostene  e  Crinas;  fra  i 
moderni  Onorato  d'  Urfé ,  ameno 
scrittore;  Dumarsais  grammatico; 
i  sacri  oratori  Mascarou  e  Massil- 
lon  ;  il  poeta  Pellegrin;  il  viaggia- 
tore, matematico  e  botanico  Carlo 
Plumier;  lo  storico  di  Marsiglia  An- 
tonio Rulli  ;  il  viaggiatore  ed  eru- 
dito orientalista  cav.  d'  Arvieux  ; 
l'astronomo  e  botanista  p.  Peuillée; 
il  letterato  Lantier;  lo  scultore,  pit- 
tore ed  architetto  Pietro  Puget;  il 
generale  Gardanne,  ed  altri.  Il  poe- 
ta Petiouio  nacvjue  ne'  dintorni  di 
Marsiglia,  la  quale  conta  circa 
120,000  abitanti,  l  marsigliesi  so- 
no laboriosi,  inteliigtuiti,  franchi  e 
probi,  ed  amano  con  passione  la 
musica,  la  danza  ed  il  teatro.  La 
letteratura  fiorì  un  tempo  assai  piìi 
che  al  presente^  in  cui  il  commer- 
cio e  la  navigazione  attraggono  ogni 
cosa.  Il  territorio  di  Marsiglia  è' 
secco  in  generale,  rinchiudendo  le 
montagne  molte  cave  di  marmo.  E 
irrigato  dall'  Iluveaune,  dal  Jarret 
e  dalla  Plombières,  piccole  riviere. 
Fu  fondata  Marsiglia  sotto  il  re- 
gno di  Tarquinib  il  vecchio,  verso 
l'anno  600  prima  di  Gesù  Cristo, 
e  perciò  la  più  antica  città  di  Fran- 
cia, e  sembra  dovere  la  sua  origine 
da  una  colonia  greca  di  focesi,  po- 
poli della  Ionia  asiatica,  che  abban- 
donò il  suo  sterile  paese,  onde  cer- 
carne uno  più  fertile.  In  progresso 
essa  ricevette  tutta  la  [lopolazione 
della  Focea,  che  abbandonò  in  mas- 
sa la  propria  patria  ,  e  si  1  ifugg» 
nelle  Gallie  per  sottrarsi  dalla  ti- 
rannia di  Arpago  o  Arpale,  gene- 
rale di  Ciro,  e  da  questo  invialo 
governatore  nel  conquistato   paese. 


MAR 

F(t  in  origine  nominata  Massalìaj 
rhe  i  latini  pronunziarono  Massiliay 
«    da  cui  poscia    cliinmossi    Marsi- 
glia e  dai  francesi  Marseille.  Quasi 
dalla  sua  origine  divenne  una  delle 
più  grandi  e  eoaìuiercianti  città  del- 
l'occidente.  Essa   formò    ben    tosto 
una   repubblica  simile  a  quelle  delle 
fitta  greche,  che  diveime  florida  pel 
suo  traffico,  e  rinomata  per  la  sag- 
gezza delle  sue  leggi,  e   per    la  ci- 
viltà, di   cui  sparse  tosto  i  benefizi 
sulle   rive  del   Mediterraneo  e  nelle 
Gallie.   Pub  ^vantarsi    Marsiglia    di 
aver  formato  una  delle  tre  più  fa- 
mose accademie  del  mondo,    e    di 
aver  perciò  diviso  l'onore  con  Ro- 
di  ed    Alene,  meritando  da  Cicero- 
ne di  essere  chiamata  V /4!ene  delle 
Gallie^  e  da  Plinio  magislra  s  indio - 
rum.  Quivi  venivasi  da  ogni  parte 
per  apprendere   l'eloquenza,  la  filo* 
sofia  e  le    belle   arti,    mandandovi 
spesso  i  romani  i   loro  figli   per    i- 
struirsi.   I   naturali  del  paese,    invi- 
diosi della   felicità  e  della  licchezza 
che  acquistarono  i    marsigliesi ,    a- 
vendoli  spesso  faticali    con    sempre 
move  ostilità,  li  costiinsero  a  fare 
alleanza  col    popolo    romano,  che 
fece  guerra  ai  salii    loro    più    pos- 
senti nemici  ed  oppressori.  1  roma- 
ni non  ebbero  giammai  amici    più 
fedeli   e  generosi,   lo  che  dimostra- 
rono specialmente  allorché  abbrac- 
ciarono gì'  interessi   della  repubbli- 
ca contro  Cesare.  Il  potere  de'  mar- 
sigliesi e  le  forze  loro  erano    assai 
considerabili,  talché  sostennero    di- 
verse guerre  contro  i  gaulesi,  i   li- 
guri, i  cartaginesi    ed    altri  popoli 
nemici  de*  romani,  avendo  la  loro 
alleanza  con  essi,  si  può    dire    oc- 
casionata  la  conquista  della    Gallia 
Transalpina,  apiendone  le  porle  ai 
tonquistatori.  Marsiglia   rimase  per 
lungo  tempo  alleala  dei    romani  e 


MAR  i5i 

resisfelle  a  Giulio  Cesare,  che  vo- 
lea  forzarla  ad  abbracciar  il  suo 
partito  contro  Pompeo ,  e  non  si 
arrese  se  non  dopo  aver  sostenuto 
lungo  e  terribile  assedio.  Sotto  ì 
romani  Marsiglia  perdette  la  sua 
potenza  politica,  ma  conservando  la 
sua  libertà,  rivaleggiò,  mediante  il 
suo  esteso  commercio,  con  A  lessati-^ 
dria  e  Costantinopoli,  ed  appunto 
occupandosi  soltanto  ad  ammassare 
delle  ricchezze,  abbandonossi  a  pia- 
ceri di  ogni  genere,  talché  i  costu- 
mi dei  marsigliesi  passarono  allora 
in  proverbio,  onde  disegnar  quelli 
di  gente  perduta  nel  lusso,  nella 
mollezza  e  nello  stravizzo.  Non  ces- 
sarono però  di  coltivare  le  scienze, 
come  lo  aveano  fatto  in  preceden* 
za,  lasciando  il  loro  antico  linguag* 
gio  pel  latino,  e  da  essi  può  dirsi 
essersi  i  galli  spogliati  della  loro 
nativa  barbarie,  apprendendo  dai 
marsigliesi  la  scrittura,  che  non  lar- 
darono a  spargere  fra  i  popoli  vi- 
cini. 

Roma  e  l' Italia  soggiogate  nel 
V  secolo  dagli  eruli,  Marsiglia  cad- 
de in  potere  di  Enrico  re  de'  vi- 
sigoti e  di  suo  figlio  Alarico,  dopo 
la  morte  del  quale  Teodorico  re 
degli  ostrogoti  s'impadronì  di  que- 
sta città  e  del  paese  vicino.  I  suoi 
successori  la  cedettero  nell'impero 
di  Giustiniano  I  ai  re  franchi  Me- 
rovingi, che  ne  furono  padroni  sino 
a  Carlo  Martello.  Allora  il  duca 
Moroote  se  ne  impadronì,  sotto  la 
protezione  dc^  saraceni,  ma  però  es- 
sendo vivamente  pressato  dai  fran- 
tesi, egli  si  salvò  per  mare,  e  Mar- 
siglia obbedì  a  Carlo  Magno  ed  ai 
Carlovingi,  poscia  ai  re  di  Borgo- 
gna, e  finalmente  ai  conti  d'Arias. 
Sotto  il  regno  di  Luigi  il  Cieco,  e 
sotto  il  governo  di  Ugo  conte  di 
Arles,  i  saraceni  che  si  erano   sta-. 


i52  MAR 

biliti  e  fortificati  sulle    coste    della 
Provenza,  rovinaroixo  tulle  le  città 
marittime,  e  specialmente  Marsiglia. 
Ebbe  la  fortuna  di  ristabilirsi  sot- 
to il  regno  di  Corrado  il  Pacifico. 
I   suoi  governatori,  che  chiaraavansi 
visconti  o  duchi,  se  ne    rendettero 
padroni  assoluti    sulla  fine    del    X 
secolo.    Guglielmo,    che    mon    nel 
ioo4,  fu  il  suo  primo  visconte  pro- 
prietario.  Ugo  Godofrudo,  uno  dei 
suoi  discendenti,  lasciò  la    sua  vis- 
contea da  dividersi  egualmente  fra 
i  suoi  cinque  figli.   Allora  i   marsi- 
gliesi   acquistarono    insensibilmente 
le  porzioni  degli  uni  e  degli  altri,  e 
tornarono  a  governarsi  repubblica- 
namente nel  1226,   ma  non  godet- 
tero per  lungo  tempo  di   tale  van- 
taggio.  Carlo  d'Angiò  fratello  di  s. 
Luigi  IX,  essendo   conte    di    Pro- 
venza, fece  marciare  un'aràiata  con- 
ti*o  di  essa,  e  se  ne  impadronì  nel 
f25i,  o    secondo    altri    nel    1262. 
Nel  secolo  seguente  dopo  che  Cle- 
mente V  stabilì  in  Provenza  ed  in 
Avignone    la    residenza    pontifìcia , 
Urbano  V  già  abbate  di  s.   Vitto- 
re di  Marsiglia  (ove  si    dice    rice- 
vesse l'avviso  di  sua  elezione,  ben- 
ché non  fregiato  della  dignità  car- 
dinalizia, altri  dicono  in    Firenze) 
risolvette  dr  restituirla  a  Roma  sua 
legittima  sede. nel    iSGy,  partendo 
d'Avignone  a'  3o  aprile,  accompa- 
gnato   da    diverse    galere     italiane. 
Approdato  in  Marsiglia  albergò  nel 
suo  antico  monastero  di  s.  Vittore, 
ove  a' 12  maggio  creò  cardinale  Gu- 
glielmo   di    Agrifoglio ,    nipote  dei 
cardinale  dello  stesso  nome,  da  cui 
principalmente  ripeteva   la    sua    e- 
saltazione.   A'  19  maggio    parti    da 
Marsiglia,  con  una  flotta  dì  venti- 
tré galere   ed  altri  bastimenti,  che 
Giovanna  I  regina  di  Napoli  e  con- 
tessa di  Provenza,  coi  veneti j  geno- 


MAR 
vesi  e  pisani  gli  avea  magnificamen- 
te somministrati.  Mentii  dimorava 
Urbano  V  a  Roma,  non  cessando  le 
guerre  tra  i  francesi  e  gl'inglesi,   né 
quelle  tra  gli  aragonesi    ed    i    na- 
varresi ,    per    sopirle   determinò  di 
ritornare  in  Provenza,  le  cui  deli- 
zie erano  amate  dai  cardinali.  A' 5 
settembre    iSyo   Urbano    V    s'im- 
barcò   a    Corneto ,    con    una  bella 
squadra  di  diverse  nazioni,  appro- 
dò   in    Marsiglia    a'  16  setteuibre, 
quindi  a'  24  arrivò    in    Avignone, 
ove    morì    a'  19    dicembre    vestito 
dell'antico  suo  abito  cluniacense.  Il 
cadavere  fu  deposto  nella  cattedrale, 
e  nel  seguente  anno    fu    trasferito 
nella  chiesa  di  s.  Vittore   di  Mar- 
siglia, facendolo  il  successore    Gie- 
gorio  XI  accompagnare  da  sei  car- 
dinali. Ivi  gli   fu    eretto    un    mar- 
moreo monumento,  fatto  nel    mo- 
do di  architettuia  che    più    allora 
si   pregiava    di    gusto    gotico ,    con 
staluine  e  ornamenti  in  mezzo,  che 
riuscì  opera  accurata    e  splendida, 
ed  ove  Dio  a  sua   intercessione    o- 
però  diversi  miracoli,   venerandolo 
alcuni   per  santo. 

Gregorio  XI   volendo    anch'  egli 
stabilmente   ridonare    a    Roma    la 
papale    residenza ,    partì     da    Avi- 
gnone   a'  IO  o    i3    settembre    del- 
l'anno   1876  con    tutti   i  cardinali, 
tranne  sei,  e  giunto  a  Marsiglia  vi 
soggiornò  dodici    giorni.    Ivi    s'im- 
barcò a'  12  ottobre  in  una  nume- 
rosa flotta,  e  giunse    a    Roma  nel 
gennaio    1377,    morendovi   nel  se- 
guente anno.  F'u  eletto  Urbano  Vf, 
ma  insorse  l'antipapa  Clemente  VII, 
per  opera  de'  cardinali  francesi  che 
sospiravano    il  soggiorno  di  Proven- 
za, che  recandosi    in    Avignone    fu 
cagione  del  grande    scisma  d'  occi- 
dente, seguendone  le  parti  la  Fran- 
cia. Morto  l'antipapa  nel  iSg^,  g^i 


M  A  R 
successe  nella  (lilsa  dignità  Bcne- 
dello  XI il,  il  quale  con  inganno 
mostrò  nei  pontificati  di  Bonifacio 
IX  ed  Innocenzo  VII,  di  convenire 
all'estinzione  del  lagrimevole  scisma, 
vedendosi  abbandonato  dai  francesi 
ed  altri  popoli,  onde  diversi  di  essi 
tornarono  colla  Francia  alla  sua 
obbedienza.  Al  tempo  di  Bonifacio 
IX  in  Marsiglia  apparecchiò  inve- 
ce l'antipapa  un'armala  per  tra- 
gittare in  Italia  alla  sua  oppressio- 
ne, ed  agli  8  novembre  i4o3  si 
portò  egli  stesso  a  Marsiglia,  e  sul 
principio  di  dicembre  a  Tarascona. 
Dopo  avervi  dato  incominciamento 
all'anno  i4o4j  passò  a  continuarlo 
in  Marsiglia,  ove  a'  9  maggio  creò 
anticardinali  Cbalant  e  de  Salva  , 
come  dicemmo  nel  voi.  Ili,  p.  228 
del  Dizionario.  Nel  i4o5  l'antipa- 
pa si  trasferì  a  Genova,  ma  per 
la  peste  fece  ritorno  in  Marsiglia; 
ed  in  lloma  nel  1406,  per  morte 
d'Innocenzo  VII,  fu  eletto  Grego- 
rio XII.  Questi  nei  primi  dell'anno 
seguente  spedì  i  suoi  nunzi  a  Mar- 
siglia, per  invitare  Benedetto  XI li 
a  rinunziar  con  lui  il  pontificato 
che  esercitava  nella  sua  obbedien- 
za, e  si  fece  un  accordo  per  abboc- 
carsi, che  però  non  ebl)e  effetto 
per  la  solita  perfidia  del  pseudo- 
papa ,  il  quale  scomunicò  quelli 
che  si  separavano  dalla  sua  obl)e- 
dienza,  ciò  che  fece  quando  Carlo 
VI  re  di  Francia  gli  mandò  am- 
basciatori in  Marsiglia  per  invitarlo 
a  rinunziare,  e  minacciarlo  che  i 
francesi  lo  avrebbero  abl>andonato 
siccome  fecero  ;  laonde  l' antipapa 
fuggì  a  Perpignano,  poi  a  l'anisco- 
la,  ove  morì  deposto  e  scomuni- 
cato dai  concilii  di  Pisa  e  di  Co- 
stanza. Non  molto  dopo.  Alfonso 
V  re  d' Aragona  prese  Marsiglia 
nel    1423,  la    saccheggiò  e  vi    mise 


MAR 


3 


fuoco,  guerreggiando  contro  Lodo- 
vico III  conte  di  Provenza.  Luigi 
XI  re  di  Francia  nel  1482  riunì 
Marsiglia  alla  corona,  e  le  concesse 
grandi   privilegi. 

Il  Papa  Cleuiente  VII  a' 9  set- 
tembre i533  partì  da  Roma  per 
Pisa,  ove  montato  sulle  galere  fran- 
cesi, nella  prima  delle  quali  lo  pre- 
cedeva la  ss.  Eucaristia  all'uso  dei 
Papi  che  viaggiano  ,  tragittò  a 
Marsiglia  per  trattare  col  re  Fran- 
cesco I  della  riduzione  di  Enrico 
VIII  al  Cuttolicismo,  e  per  dare  a 
suo  figlio  duca  d'Orleans,  poi  En- 
rico II,  la  sua  nipote  Caterina  dei 
Medici  d'anni  tredici,  che  seco  con- 
duceva, accompagnato  da  buon  nu- 
mero di  cardinali,  e  da  molta  no- 
biltà. Si  trovarono  a  riceverlo  nel- 
la città  il  re,  la  regina  coi  loro 
tre  figli,  ed  appena  giunse  in  por- 
to, fu  salutato  da  trecento  colpi 
di  cannone.  Il  Papa  albergò  in  un 
palazzo  superbamente  disposto  nel- 
l'abbazia di  s.  Vittore.  A'  4  olt<^* 
bre  fece  a  cavallo  il  suo  magnifi- 
co ingresso  vestito  pontificalmente. 
Lo  seguivano  dodici  cardinali  pu- 
re a  cavallo,  e  similmente  distan- 
te da  essi  alquanto  la  novella  spo- 
sa con  gran  seguito  di  dame  e  di 
cavaheri.  Come  se  il  re  volesse 
lasciare  il  Pontefice  signore  di 
Marsiglia,  uscì  da  una  porta  del- 
la cittàj  in  tempo  clie  Clemente 
V^II  entrava  per  l'altra,  come  nar- 
ra il  Ferlone,  De  viaggi  de  Ponte' 
fici,  p.  3oo.  Abitava  anco  il  re  un 
magnifico  palazzo,  e  nel  dì  seguen- 
te fece  anch'egli  la  sua  solenne 
entrata  in  Marsiglia,  e  si  portò  con 
tutta  la  sua  corte  a  visitare  Cle- 
mente VII,  che  lo  attendeva  assiso 
in  trono.  Francesco  I  si  abbassò 
per  baciargli  i  piedi,  ma  il  Papa 
alzatosi  lo  sollevò.    Dipoi   Cleuieu- 


1^4  MAR 

te  VII  fece  la  ceremonia  dello  spo- 
salizio, e  contro  la  consuetudi- 
ne de' suoi  predecessori,  che  non 
solevano  assidersi  a  mensa  con 
donne,  desinò  coll.i  regina.  In  se- 
guilo il  Papa  tenne  diverse  con- 
ferenze col  re,  ed  a'  7  novembre 
creò  in  Marsiglia  quattro  cardina- 
li, cioè  Veneur  gran  limosi  nie- 
re  del  rf,  Odetto  di  Coligny  d'an- 
ni undici,  iMiibedue  ad  istanza  di 
Francesco  I,  Languy  vescovo  di  Ma- 
con, e  Ohamber  abbate  di  Corbio 
e  pareuie  di  Caterina  de  Medici. 
Dimorando  in  Marsiglia,  Clemen- 
te VII  ebbe  il  dispiacere  di  sentirsi 
dicliinrare  da^^ii  inviati  di  Enrico 
Vili,  che  qutjsli  appellavasi  al  fu- 
turo concilK).  S'imbarcò  il  Papa 
in  Ma»  sigila  a' i  2  novembre^  ed  ai 
10  dicembre  rientrò  in  Roma. 
Francesco  1  aumentò  a  Marsiglia 
le  sue  fortificazioni,  dopo  la  sua 
bella  difesa  contro  le  truppe  del 
suo  illustre  emulo  Carlo  V,  co- 
mandate dal  cardinal  di  Borbone, 
nel  i536  agli  r  i  settembre.  A- 
vendo  gli  abitanti  nel  secolo  se- 
guente tentato  ima  rivolta,  Luigi 
XIV  nel  suo  viaggio  in  Provenza 
tolse  a  Marsiglia  una  parte  de'suoi 
ìMimerosi  privilegi,  e  fece  costrui- 
re i  forti  che  difendono  il  porlo 
e  dominano  la  città.  Questa  mol- 
to soffri  durante  la  rivoluzione, 
per  la  privazione  del  suo  comtner- 
cio.  Una  truppa  di  uomini  entu- 
siasti e  sanguinari,  o  piuttosto  un'or- 
da di  tigri  in  figura  umana  uscì 
dal  suo  seno,  e  ben  tosto  ingros 
sala  da  un  popolaccio  sfrenato,  si 
diresse  sopra  a  Parigi,  nel  1 792, 
ove  in  mezzo  alla  canzone  di  san- 
gue, delta  da  loro  la  marsigliese^ 
\i  cagionò  una  parte  dei  torbidi 
del  mese  di  agosto  di  quell'  anno^ 
e    vi    commise    quegli    orrori    che 


MAR 
saranno  sempre  troppo  filinosi  nel- 
le pagine  della  storia.  Nel  179'^ 
Marsiglia  abbracciò  il  partito  dei 
girondini  contro  la  fazione  delta 
della  montagna,  allora  trionfante; 
ma  la  sua  sedizione  fu  prontamen- 
te calmala,  più  tioll'astuzia  che  col- 
la   forza. 

La  chiesa  di  Marsiglia,  secondo 
la  tradizione  di  Provenza,  fu  fon- 
data da  s.  Lazzaro,  il  quale  fu 
ristiscitato  da  Gesù  Cristo.  Questa 
tradizione  dice  che  i  giudei  scac- 
ciarono da  Gerusalemme  Lnzzaro, 
con  Marta  e  Maria  Maddalena  sue 
sorelle,  Marcella  loro  fantesca,  san 
Massimino,  s.  Ccdoino  che  credesi 
il  cieco  nalo,  e  (iiuseppe  d'Ari- 
malea,  discepoli  di  Gesù  Cristo  ; 
che  li  cacciarono  in  una  nave  sen- 
za timone,  senza  vele  e  senza  re- 
mi, in  balia  del  mare;  ma  che  la 
provvidenza  avendoli  sostenuti,  ap- 
prodarono felicemente  a  Marsiglia; 
che  si  separarono  per  andare  a 
predicare  il  vangelo  nella  Proven- 
za; che  s.  Maria  Maddalena  ri  ti  rossi 
nel  deserto  di  s.  Bai  ma  (vSainte-Bau- 
me),  e  che  s.  Lazzaro  fermossi  a  Mar- 
siglia di  cui  fu  il  primo  vescovo. 
Ignorasi  quali  sieno  stati  i  suoi 
successori  pel  decorso  di  duecento 
e  più  anni.  In  Marsiglia  si  vene- 
rano le  reliquie  di  s.  Maria  Mad- 
dalena, ed  il  Novaes  nella  vita  di 
Urbano  Vili,  dice  che  questo  Pa- 
pa mandò  in  Marsiglia  un'arca  di 
porfido^  ornata  di  statue  di  bron- 
zOj  per  collocarvi  le  ceneri  della 
santa  penitente.  Commanville  dice 
che  la  sede  vescovile  vi  fu  eretta 
nel  HI  secolo,  ma  da  quanto  ab- 
biamo detto  si  deve  piuttosto  at- 
tribuire al  primo;  che  appartenne 
alla  seconda  Viennese  nell'esarcato 
de'gauli,  e  che  il  suo  prelato  pre- 
tendeva   ai    diritti     metropolitaui 


MAR 
della  seconda  Viennese  in  pregiu- 
dizio (lell'aicivescovo  d'Aix,  ciò  die 
gli  fu  accordalo  dal  concilio  di 
Torino  del  3q^  ;  ma  che  i  santi 
Pontefici  Bonifacio  l  e  Leone  l 
cassarono  questa  ordinanza^  e  gli 
restituirono  il  titolo  di  vescovo  suf- 
fraganeo  di  Arles.  Noteremo  che  s. 
Celestino  I,  con  lettera  ai  vescov'i 
delle  Galiie,  raffrenò  gli  eretici  se- 
mipelagiani  passati  dall'Africa  in 
Marsiglia,  i  quali  screditavano  la 
dottrina  di  s.  Agostino  intorno  al- 
la predestinazione  e  alla  grazia. 
Prima  di  questo  tempo  e  verso  la 
fine  del  terzo  secolo  grandemente 
illustrò  la  chiesa  di  Marsiglia  san 
Vittore  di  Marsiglia  martire.  L'im- 
peratore Massimiano _,  colle  mani 
ancor  fumanti  del  sangue  dei  mar- 
tirij  che  avea  versato  nelle  vaiie 
parli  delle  Gallie,  venne  a  Marsi- 
glia dov'era  una  chiesa  numerosa 
e  fiorente.  Il  suo  arrivo  riempi  di 
spavento  lutti  i  fedeli  che  la  com- 
poneano,  in  mezzo  alla  quale  co- 
sternazione generale,  Vittore  uftì- 
ziale  cristiano  esortò  i  suoi  fratel- 
li a  disprezzare  la  morle^  per  cui 
fu  accusato  ai  prefetti  Asterio  ed 
Eutichio,  é  l'imperatore  lo  fece 
perire  tra  i  tormenti  e  decapitale, 
come  fece  morire  Alessandro,  Lon- 
gino e  Feliciano  da  Vittore  conver- 
tili. Nel  V  secolo  Cassiano  fabbricò 
presso  la  tomba  di  s.  Vittore  un 
monastero  che  ricevette  poi  la  re- 
gola di  s.  Benedetto,  e  fu  secola- 
rizzalo nel  1739  da  Clemente XIF, 
e  di  cui  ce  ne  permetteremo  un  cen- 
no. Le  reliquie  di  s.  Vittore  si  vene- 
rano nella  chiesa  a  lui  sacra,  eh' è 
una  delle  più  antiche  della  Fran- 
cia, e  delle  più  ricche  in  monu- 
menti di  santi  che  hanno  resi  chia- 
ri i  primi  tempi  del  cristianesimo. 
Una  porzione   ne  fu    trasportata  a 


MA  R  T  )^ 

Pnrigi,  nel  luogo  ove  fu  poi  fondalo 
un  monastero  reale  di  canonici  re- 
golari, di  cui  parlijmmo  nel  voi.  VII, 
p,  264  del  Dizionario;  abbazia 
celebre  che  produsse  grandi  uomi- 
ni, tra' quali  Uiijone  e  Riccardo  di 
s.  Vittore.  F.  Gnllìa  rhn'st.  t.  VII. 
L'antica  abbazia  dell'ordine  di 
s.  Benedetto  di  s.  Vittore  di  Mar- 
siglia, situala  vicino  al  porto  della 
città,  da  cui  era  sepaiata  da  un. 
recinto  in  forma  di  fortezza,  fu 
fondata  nel  4^9  in  onore  di  san 
Pietro  e  di  s.  Vittore,  da  Giovan- 
ni Cassiano  sacerdote  della  chiesa 
di  Marsiglia,  conosciuto  per  le  sue 
conferenze  e  per  le  sue  istituzioni 
monastiche.  Divenne  imo  de' più 
illustri  monasteri  di  Francia,  eoa 
due  chiese,  l'una  superiore  e  l'al- 
tra sotterranea,  con  una  cappella 
in  questa  ultima  ove  veneravasi  \ìi 
Beata  Vergine,  vicino  alla  quale 
nella  piccola  grotta  si  crede  fosse 
la  prima  cappella  delle  Gallie,  ia 
cui  sia  stala  celebrata  la  messa. 
Oltre  a  questo  monastero,  Cassia- 
no ne  fondò  un  altro  per  le  don- 
ne, e  pretendesi  che  nel  primo 
abbia  avuto  in  seguito  più  di  cin- 
quemila monaci  sotto  la  sua  di- 
sciplina che  avea  egli  veduto  prati- 
carsi nei  monasteri  di  Egitto.  L'ab- 
bazia fu  più  volte  rovinata  nelle 
guerre,  e  primieramente  dai  visi- 
goti che  s'impadronirono  di  Mar- 
siglia neL  4^4)  ^  c^3'  normanni 
nel  secolo  IX:  i  religiosi  vivevano 
in  es»;a  con  tanta  regolarità,  che 
chiamavasi  la  poila  del  paradiso. 
Porta vansi  da  tutte  le  parti  a  cer- 
care quei  santi  uomini  per  rifor- 
mare le  altre  abbazie,  e  pel  corso 
di  più  di  un  secolo  e  mezzo  mol- 
te case  religiose  si  sottomisero  al- 
l'abbazia di  s.  Vittore.  Nel  secolo 
XI  essendo  ridotta  con  soli  cinque 


i7G  MAR 

religiosi,  (»iii5lieln»u  conle  di  Mar- 
siglia iivenclola  riparala  nciraiitio 
Looo,  la  comuni  là  diventò  assai 
numerosa,  la  disciplina  monastica 
vi  rifiorì,  e  la  casa  venne  in  se- 
i^nilo  arricchita  dalie  pie  donazio- 
ni di  molle  persone.  Recandosi 
lìenedetlo  IX  nel  io4o  in  Pro- 
venza, ai  i5  ottobre  assistette  alla 
tionsagrazione  della  chiesa  di  nuo- 
vo riedificala  di  s.  Yillore,  alla 
j)resenza  de' conti  di  Provenza,  e 
di  Guglielmo  0  Fulcone  visconti  di 
Marsiglia,  il  Papa  s.  Leone  IX 
l' esentò  dalla  giurisdizione  del  ve- 
scovo, e  la  sottomise  immediata- 
mente alla  santa  Sede;  e  s.  Gre- 
gorio VII  le  accordò  gii  stessi  pri- 
vilegi di  cui  godeva  quella  di  Clu- 
gny.  Poco  dopo  i  religiosi  si  rilas- 
sarono dalla  purezza  della  regola, 
e  per  rimediare  agli  abusi  v'  in- 
tervenne la  podestà  ecclesiastica  e 
secolare,  e  luiono  obbligati  i  mo- 
naci a  sottomettervisi  nel  lyoq. 
Tra  i  prelati  che  l'abbazia  die  al- 
la Chiesa,  vi  fu  Urbano  V  suo 
abbate,  che  l'onorò  della  preioga- 
liva  di  capo  di  congregazione,  in- 
di ne  confermò  i  privilegi,  ciò  che 
fJecero  altri  Papi,  i  re  di  Francia, 
l'imperatore  Carlo  IV,  e  Renalo 
ù'Angiò  conle  di  Provenza.  L'ab- 
bazia ebbe  titolo  di  capo  d'ordine 
e  di  congregazione,  avendo  avuto 
anticamente  sotto  la  sua  dipenden- 
za una  gran  cpionlilk  cU  abbazie 
e  di  monasteri,  alcune  delle  quali 
Ru'ono  erette  iq  vescovato.  Non  so- 
lamente ve  n'erano  in  Francia, 
ma  pure  nella  Spagna,  in  Sarde- 
gna, nel  Genovesato,  in  Toscana, 
nella  contea  di  Nizza  e  in  quella 
d'Avignone,  i  cui  superiori  o  de- 
putati erano  obbligati  intervenire 
ogni  anno  ai  capitoli  generali.  Di- 
poi l'abbazia  fu  secolarizzata  e  cam- 


MAR 

l)iala   in  collegiata.   Gallia  Christia- 
na t.   I. 

Dopo  s.  Lazzaro  non  s'incontra- 
no altri  vescovi,  sino  ad  Oresio  che 
fu  vescovo  di  Marsiglia  nel  prin- 
cipio del  IV  secolo;  assistette  e 
sottoscrisse  al  celebre  concilio  di 
Arles  nel  3  14.  Prcculo,  di  cui  san 
Girolamo,  epist,  4  ad  Rustie.^  par- 
la come  di  un  prelato  santo  e  dot- 
tissimo, fu  al  concilio  d' Aquileia 
nel  38  r,  ed  a  quello  di  Torino 
nel  397.  Successori  furono:  Vennio 
amico  di  s.  Rustico,  che  sedeva 
nel  4^8,  ed  intervenne  al  concilio 
d'Arles  nel  4^*-  Eustasio  o  Eu- 
stachio del  470*  Creco  contempo- 
raneo ed  amico  di  Sidonio  Apol- 
linare del  47^-  S-  Onorato  dal 
475  fino  al  496  circa,  amicissimo 
del  Papa  s.  Gelasio  J.  Eraeterio 
sottoscrisse  al  concilio  di  Arles  nel 
554.  S.  Teodoro  dal  5^5  al  594. 
Sereno  noto  per  le  lettere  scritte- 
gli da  s.  Gregorio  I,  la  prima  delle 
quali  è  del  595,  e  l'ultima  del  600. 
Dopo  tal  vescovo  evvi  una  lacuna 
in  tutto  ciò  che  riguarda  la  chie- 
sa di  Marsiglia,  di  cento  quaran- 
ta anni  circa.  Le  frequenti  incursio- 
ni che  i  saraceni  facevano  in  Fran- 
cia, e  principalmente  sulle  coste 
della  Provenza,  fecero  forse  resta- 
re vacante  questa  sede  per  tutto 
quel  tristissimo  tempo.  Adalone  o 
Adalongo  era  vescovo  di  Marsiglia 
nel  739,  cui  succedette  s.  Mauron- 
to  o  Maronto  abbate  di  s.  Vitto- 
re, che  mori  nell'ottobre  dell' 804. 
Troppo  lungo  sarebbe  il  voler  dar 
qui  tutta  la  serie  de'  vescovi  di 
Maisiglia  da  quest'epoca  sino  ai 
nostri  tempi:  potrassi  leggerla  nel- 
la Gallia  christ.  l.  L  Noteremo 
soltanto  alcuni  distinti  italiani  che 
ne  occuparono  la  sede,  e  gli  ulti- 
mi   vescovi.     Prima    però    faremo 


MAR 
menzione  di  due  concilii  temili  in 
Marsiglia,  cioè  nel  iio3  riguar- 
dante i  privilegi  dell'abbazia  di 
Cluny,  e  del  i363.  Marlene,  The- 
saur.  t.  IV,  e  Gallia  christ.  t.  I, 
p.  358.  Inoltre  il  Lenglet  registra 
il  concilio  di  Marsiglia  del  973  so- 
pra le  differenze  di  molti  vescovi 
italiani.  I  vescovi  italiani  sono:  Ni- 
cola Bramanio  nobile  napoletano, 
dal  1447  ^^  i4^7-  Innocenzo  Ci- 
bo genovese,  cardinale  de' ss.  Cos- 
ma e  Damiano,  arcivescovo  di  Ge- 
nova, camerlengo  di  s.  Chiesa,  ar- 
civescovo di  Torino  nel  i5i7, 
cambiò  questa  chiesa  con  quella 
di  Marsiglia  nello  stesso  anno,  e 
morì  in  Roma  nel  i53o.  Gio.  Bat- 
tista Cibo  vescovo  dal  i53o  al 
i55o.  Giacomo  Torricelli  toscano, 
de'  frati  minori  ,  confessore  della 
regina  Maria  de  Medici,  vescovo 
di  Marsiglia  dal  i6o4  «'il  1618. 
Furono  poi  ultimi  vescovi  :  Enrico 
Saverio  di  Belsunce  de  Perigueux, 
fallo  vescovo  nel  17  io:  gli  succes- 
se nel  1755  Gio.  Battista  de  Bei- 
Joy  di  Morangles  diocesi  di  Belley, 
traslato  da  Glandeve,  poi  nel  i8o3 
a'  17  gennaio  da  Pio  VII  creato 
cardinale.  Avendo  questo  Papa  pel 
concordato  del  1 80  r  soppresso  la 
sede  di  Marsiglia,  rinunziò  al  ve- 
scovato, e  fu  promosso  a' IO  apri- 
le 1802  all'arcivescovato  di  Pari- 
gi. Per  supplire  al  brevissimo  cen- 
no di  sua  biografia,  aggiungeremo 
qui  alcune  sue  notizie,  anche  ri- 
guardanti questa  diocesi,  cui  ridonò 
la  quiete,  e  governò  lungamente. 

Gio.  Battista  Belloy  nacque  da 
antica  famiglia,  che  dato  avea  allo 
slato  militari  di  un  merito  distinto 
ed  eiiandio  uffiziali  generali.  Fino 
dai  principii  della  sua  vita  eccle- 
siastica, in  eletto  vicaiio  generale, 
officiale,  ed  arcidiacono  di  Beauvais: 


MAR  i57 

mostrò  in  tutti  i  detti  tjfficii  quel- 
lo spirito  di  dolcezza  e  di  mode- 
razione,  che  mantenne  nel  rima- 
nente della  lunga  mortale  sua  cor- 
sa. Divenuto  vescovo  di  Glandeve 
nel  1751,  fu  deputato  alla  famosa 
assemblea  del  clero  nel  i'j55,  do*- 
ve  tenne  le  parti  de'prelali  mode*- 
rati,  i  quali  si  chiamavano  Jeuil'- 
lants  perchè  avevano  a  loro  capo 
il  cardinale  de  la  Rochefoucault, 
ministro  della  Jfuille,  o  collazione 
de'benefìzi,  per  opposizione  a'  pre- 
lati eccessivamente  zelanti,  che  ve- 
nivano chiamati  teatini^  per  allu- 
sione all'antico  vescovo  di  Mirepoix 
ch'era  stato  di  quella  congregazione, 
e  di  cui  seguivano  essi  i  principii. 
Essendo  moito  nel  tempo  dell'as- 
semblea de  Belsunce,  vecchio  ve- 
scovo di  Marsiglia,  rispettalo  quan- 
to alla  lodala  sua  condotta  nella 
peste,  il  cui  zelo  però  erroneamen- 
te esacerbato  dalla  celebre  bolla 
JJnìgenitus  di  Clemente  XI,  pro- 
dotto avea  grandi  turbolenze  nel 
vescovato,  la  corte  pose  gli  occhi 
sopra  Belloy  per  surrogarlo  al 
defunto  ,  reputandolo  il  prelato 
più  capace  per  la  prudenza  e  mo- 
derazione a  tornare  in  pace  la  sua 
diocesi,  e  Benedetto  XIV  vi  con- 
venne. Non  furono  punto  vane  le 
concepite  speranze,  poiché  egli  sep- 
pe con  fermezza  ed  equità  conte- 
nere i  parliti  nel  dovere,  con  quel- 
la saggezza  con  cui  dirigeva  tulta 
la  sua  amministrazione,  facendosi 
amare  da  ognuno  per  la  dolcezza 
e  soavità  de'snoi  costumi,  di  ma- 
niera che  non  andò  guari  che  vide 
succedere  la  calma  alle  tempeste, 
che  infierito  aveano  nella  sua  dio- 
cesi sotto  il  precedente  governa- 
mento.  La  rivoluzione  lo  tolse  al 
proprio  gregge,  ritirandosi  a  Cham- 
bly,  piccola     città   vicina     al  luogo 


i58  MAR 

cìi  sua  nascita ,  ed  ivi    passo  tutto 
il    tempo    della     livolutione,   senza 
essere  esposto  a  pericoli  gravi.  Al- 
l'epoca del     concordalo ,  il     primo 
fu  a  sflcrifìcare  il    suo  titolo  onde 
facilitarne  la   conclusione.  Tale   e- 
sempio  del  decano  dei   vescovi  fran- 
cesij  per  l'eia  ed  anzianità  del  ve- 
scovato, influì  grandemente,  attras- 
se sopra  di   lui  tulli  gli  sguardi,  e 
facendo  ricordare    le     sue  piegiate 
qualità,  lo  fece    altresì  considerare 
come  il  prelato    in  tutta  la   Fran- 
cia, die    in  quelle    circostanze  me 
glio  convenisse    alla    sede  della  ca 
pitale  ;  e    di  fatto    venne  ad     essa 
innalzato,  e    nel    seguente  anno  al 
cardinalato.  Pio  "VII    gli  mandò  il 
berrettino    rosso    per    d.     Lorenzo 
ile'principi  Giustiniani  sua  guardia 
nobile,  e    la    berretta     cardinalizia 
per    monsignor   Giorgio  Doria    poi 
c:ardinale.    Kecatosi  poi  a  Parigi   il 
Papa  ,    ivi    gli    conferì  il    cappello, 
il  titolo  (che  per  mezzo  di  Mazio 
(Vedi)^  poi  cardinale  fece  restaura- 
le ed  abbellire),  e  l'anello  cardinali- 
zio, annoverandolo    alle    congrega- 
y.ioni  detriti,  della  visita  apostolica, 
e  de*  vescovi  e  regolari.  I    costumi 
patriarcali  che  sempre  conservò  in 
.sì  eminenti  dignità,  la  saviezza  del 
suo  governo,  la  maestà  nell'eserci- 
zio del    suo    ministero ,    lo  fecero 
da   tutti    rispettare.    Avea  ricevuto 
dalla  natura  complessione  robusta, 
che  seppe  conservare    con   vita  re- 
golatissima,    dimodoché    giunse  al- 
l'età di  quasi  cent'anni,  senza  sof 
frire  ninna    delle    infetinità    della 
vecchiezza.  Un  reuma  catari  ale    fu 
la    sua    prima    malattia ,    che    non 
gl'irapedì    di    conservare    sanissima 
Ja  mente  fino  due  ore  prima  della 
sua  morte,  che  avvenne  a' io  giu- 
gno   1808.    L'imperatore  Napoleo- 
ne, nel  permettere  per  grazia  spe- 


INIAR 
ciale  che  fosse  sepolto  nella  tomba 
dei  suoi  predecessori  ,  ordinò  che 
gli  fosse  innalzato  un  monumento, 
come  attestato  della  singoiar  sua 
considerazione  per  le  di  lui  virtù 
episcopali. 

All'epoca  della    so[)pressione  del 
vescovato  di   Marsiglia,  si  contava- 
no quindici    o  sedici  case  religiose 
d'uomini ,  ed  altrettante  di  donne, 
non    compresi    i    due     collegi     dei 
padri    dell'  oratorio     e    dei    gesuiti, 
ed     il    seminario     pei     preti     della 
missione   di   Francia   fondati     da  s. 
Vincenzo  de  Paoli.   Il    vescovo  ave- 
va  una   rendila  di    trentamila  lire, 
e   pagava  settecento  fiorini   di   lassa 
pei-  le  sue    holle.    Ritornata  la  fa- 
miglia Borbone  al   trono  degli    avi 
suoi,   la  sede  vescovile  di  Marsiglia 
venne   ristabilita    da    Pio    VII  nel 
i3i7)    in  conseguenza  del    concor- 
dato   conchiuso  con    Luigi  XVI 11, 
e  dipoi   nel  concistoro  de' 16  mag- 
gio   1823  ne  preconizzò  per  nuovo 
vescovo,  dichiarandolo  però  suffra- 
ganeo  della  metropoli  d'  Aix,  Carlo 
Fortunato  de  Mazenod  di  Aix.  Per 
libera    dimissione    di    esso,   Grego- 
rio XVI   nel   concistoro  de'2   otto- 
bre   1837   vi   traslatò    da   Icosia  in 
partibus  V  odierno    vescovo    monsi- 
gnor Carlo    Giuseppe    Eugenio  de 
Mazenod.   La  chiesa  cattedrale,  sol- 
ato l'invocazione  di  s.  Maria  Maggio- 
re, è     di    gotica    ed    ottima  strut- 
tura.   Il     capitolo    si     compone     di 
otto     canonici  ,     compresi     il    gran 
cantore,   il  penitenziere    ed    il  teo- 
logo; di  diversi  canonici  onorari,  e 
di   chierici    detti    pueri   de    choro. 
?^^el!a  cattedrale  vi   è  il  fonte  bat- 
tesimale, e  la  cura  d'anime,  che  si 
esercita     dal     canonico     orciprele  . 
]Von  lungi  da  essa   vi  è  l'episcopio 
ampio    e    decente.  Vi  sono  inoltre 
nella  clllà  dodici  chiese  parrocchiali 


M  A  R 
munite  del  ballislerio ,  compresa 
quella  de'greci- uniti  ;  avvi  ailresi 
una  casa  dei  pieli  della  missione 
di  Pioveuza  e  Marsiglia,  alcuni 
monasteri  di  religiose ,  coqae  le 
cappuccine,  le  Clarisse,  le  adoratri- 
ci  perpetue  del  ss.  Sagramento,  le 
sorelle  spedaliere,  le  sorelle  del  ri- 
tiro, e  le  salesiane;  diverse  con- 
fralernile,,  ospedale,  seminario  gran- 
de e  piccolo,  e  monte  di  pietà.  La 
diocesi  di  Marsiglia  comprende  il 
suo  distretto,  cinquanta  succursali 
e  tredici  vicariati.  Ad  ogni  nuovo 
vescovo  la  mensa  è  lassata  nei  libri 
della  camera  apostolica  in  870 
fiorini. 

MARTA  (s.).  Dimorava  in  Be- 
fania con  Lazzaro  suo  fratello,  e 
con  sua  sorella  Maria  [Vedi)  j  e 
la  sua  casa  fu  parecchie  volle  ono- 
rata dalia  presenza  del  Salvatore. 
Marta  adempiva  con  molta  gioia 
e  sollecitudine  a  tutti  i  doveri  di 
ospitalità  verso  il  Salvatore,  allor- 
ché esso  recavasi  ad  albergare  pres- 
so di  lei,  mentre  Maria  stavasi 
seduta  ai  di  lui  piedi  per  ascol- 
tare la  sua  divina  parola.  Perciò 
Marta  si  lagnò  una  volta  che  sua 
sorella  non  venisse  a  darle  mano; 
ma  Gesù  le  rispose  che  Maria  avea 
scella  la  parte  migliore.  Marta  an- 
dò ad  incon tiare  il  Salvatore,  al- 
lorché recossi  iu  Betania  per  re- 
suscitarvi Lazzaro  ;  ed  accompagna- 
tolo dove  questi  era  stato  sepolto, 
insieme  con  Maria  e  molti  ebrei 
fu  testimonio  del  prodigio.  Poco 
tempo  dopo ,  e  sei  giorni  prima 
della  pasqua,  essendo  Gesù  venu- 
to a  Betania ,  cenò  in  casa  di  Si- 
mone il  Lebbroso.  Lazzaro  era  a 
tavola  con  lui,  e  Marta  lo  serviva; 
mentre  Maria ,  preso  un  vasello 
pieno  di  eccellenti  profumi,  lo  spar- 
se sui  di  lui  piedi,  e  glieli  asciugò 


MAR  iSg 

co*  suoi  capelli.  Dopo  questo  fatto 
il  vangelo  non  parla  più  né  di  Laz- 
zaro, né  delle  sue  sorelle,  l  pro- 
venzali ritengono,  che  scacciata 
questa  famiglia  dai  giudei,  si  riti- 
rasse a  Marsiglia.  iXel  secolo  Xlll 
si  credette  aver  scoperto  le  reliquie 
di  queste  sante  :  quelle  di  s.  Ma- 
ria nel  luogo  detto  presentemente 
s.  Massimino,  e  quelle  di  s.  Marta 
a  Tarascoua  sul  Rodano  :  si  assi- 
cura che  furono  contemporanea- 
mente trovali  diversi  monumenti 
che  attestarono  rautenticità  di  que- 
ste reliquie.  Le  prime  si  custodi- 
scono nella  chiesa  di  s.  Massimino, 
fondata  da  Carlo  d'Angiò  nel  luo- 
go dove  erano  state  trovale,  e  la 
parte  principale  di  esse  fu  nel  1660 
chiusa  in  un'  urna  di  porfido,  re- 
galala da  Urbano  Vili,  e  colloca- 
ta sull'altare  maggiore.  Quelle  di 
s.  Marta  giacciono  in  una  bella 
cappella  sotterranea  nella  cattedrale 
di  Tarascona,  che  dedicata  in  suo 
onore:  il  suo  capo  si  conserva  in  uu 
magnifico  busto  d'argento  dorato, 
dono  di  Luigi  XI.  La  Chiesa  onora 
questa  santa,  insien)e  con  s.  Laz- 
zaro e  s.  Maria  il  giorno  29  i\\ 
luglio. 

MARTA  (s.),  martire.  F.  Maris 
(s.). 

MARTA  (s.),  S.  Marthae.  Cit- 
tà con  residenza  vescovile  neh'  A- 
merica  meridionale ,  della  Colom- 
bia, nella  repubblica  della  Nuova 
Granala,  capoluogo  della  provincia 
dello  stesso  nome,  sulla  baia  delia 
Magdalena,  formala  dal  mare  delle 
Antille,  lungi  170  leghe  da  s.  Fe- 
de di  Bogota.  Le  case  hanno  po- 
che finestre  a  cagione  del  calore  , 
che  di  rado  è  al  disotto  di  25"  75'. 
l  venti  violenti  di  sud-ovest  vi  sof- 
fiano regolarmente  in  dicembre  e 
gennaio,  e  riempiono  le  case  di  una 


iGo  MAR 

sabbia  bianca  finissima  ;  vi  sono 
pure  in  grandissiuìti  nnmcm  gl'iii- 
tf>inotli  inselli.  Il  porto  è  grande, 
comodo  ,  attornialo  da  ogni  lato, 
eccettuato  all'ovest,  da  alte  mon- 
tagne, e  difeso  da  opere  fortissi- 
me ;  nel  mezzo  del  canale  evvi 
il  Morrò ^  roccia  sormontata  da 
un  castello,  cbe  domina  l'ingresso 
i\v\  porlo.  11  commercio  è  ben  me- 
no importante  cbe  un  tempo;  tut- 
tavia le  sue  relazioni  con  Carla- 
gena,  da  cui  è  distante  4^  'cghe, 
sono  ancora  assai  estese.  Conta  più 
di  5ooo  abilanl).  Nella  ferlilissi- 
iiia  pianura  circonvicina  vi  si  col- 
tivano molte  piante  ortensi  e  del- 
le frutta  :  al  di  là  stanno  dei  bo- 
scbi,  che  abbondano  di  serpenti. 
La  costa  della  provincia  è  piena 
di'pesce;  un  tempo  fu  assai  lu- 
crosa la  pesca  di  perle,  e  ne  dà 
ancora  delle  bellissime.  Questa  cit- 
tà fu  fondata  nel  1 554  ^^  ^'" 
inenes  Quesada ,  cbe  ne  fece  un 
luogo  di  deposito  ;  fu  ridotta  in 
cenere  nel  1596  da  sir  Francesco 
Drake.  Durante  la  guerra  dell'in- 
dipendenza ne  fu  disputato  il  pos- 
sesso con  molto  accanimento,  per 
cui    soffrì    assai. 

La  sede  vescovile  di  s.  Marta  o  s. 
Martha,  secondo  Commanvilie  fu  e- 
relta  nel  i535,  e  secondo  il  Novaes 
nel  1577  da  Gregorio  XIII,  che  la 
dichiarò  suffiaganea  dell'arcivesco- 
vo di  s.  Fede  di  Bogota,  di  cui 
lo  è  ancora.  Gli  ultimi  suoi  vesco- 
vi, quali  si  leggono  nelle  annuali 
Notizie  di  Roma,  sono  i  seguenti. 
1740  Giuseppe  Me  la  rea  da  Soler- 
yano.  1743  Gio.  JXielo  Polo  del- 
l'Aquila, nato  in  Popayan.  174^ 
Giuseppe  Saverio  de  Arauz  di  Qui- 
to,  1755  Nicola  Gii  Martinez  di 
Kecuenco  diocesi  di  Cuenca.  1764 
Fr.  Agostino  Comacho   domenica- 


MAR 
no,  di  Funsa  diocesi  di  s.  Fede. 
1771  Francesco  Saverio  Calbo,  di 
Avexar  diocesi  di  Osma.  1775 
Francesco  Navarro  di  Carlagcna 
nelle  Indie  occidentali.  1790  An- 
selmo Giuseppe  de  Traga,  di  Car- 
tagena  stessa.  1795  Giuseppe  A- 
lessandro  de  Eques-y-Villamar,  di 
Alaiisi  diocesi  di  Quito.  1798  Fr. 
Diego  de  s.  Maria  minore  osser- 
vante, di  Jaen.  i8o4  Michele  San- 
cliez  Zerrudo  de'minori  osservan- 
ti, di  Besar  diocesi  di  Placencia. 
18  17  Antonio  Gomez  Polanco  dei 
minori  osservanti,  di  Città  di  Pia- 
ta ;  1827  Giuseppe  Mariano  Kste- 
ves  fatto  vescovo  da  Leone  XH. 
Nel  concistoro  del  primo  febbraio 
i836,  per  la  morte  del  preceden- 
te, Gregorio  XVI  dichiarò  vesco- 
vo l'attuale  monsignor  Luigi  Giu- 
seppe Serrano  di  Mompoz  diocesi 
di  Cartagena,  già  arcidiacono  del- 
la cattedrale,  e  vicario  generale  del 
predecessore. 

La  cattedrale  è  sacra  a  Dio  , 
sotto  r  invocazione  di  s.  Anna  ma- 
dre di  Maria  Vergine,  edifizio  di 
elegante  struttura.  Il  capitolo  si 
compone    di     quattro    dignità,    la 


magg 


iore  delle  quali    è  il  decano, 


di  un  canonicato  cui  è  unita  la 
prebenda  del  penitenziere,  di  alcuni 
beneficiati,  cappellani  ed  altri  preti 
e  chierici  addetti  al  divino  servizio. 
Nella  cattedrale  tra  le  sacre  reliquie 
si  venera  parte  d' una  spina  che 
servì  nella  passione  di  Gesù  Cri- 
sto. Vi  è  il  fonte  battesimale  colla 
cura  d'anime,  quale  si  esercita  dal 
parroco  chiamato  rettore,  a  cui  pre- 
sta aiuto  un  sacerdote.  L'episcopio 
non  esiste,  ed  il  vescovo  abita  in 
una  casa  prossima  alla  cattedrale. 
Nella  città  vi  è  un'altra  chiesa  par- 
rocchiale^  muijita  del  battislerio, 
un  convento    di    religiosi,    alcuni 


M  A  R 
sodalizi,  senìinario  con  alunni,  ccl 
ospedale.  La  diocesi  è  amplissima, 
contiene  sellantacinque  chiese  par- 
rocchiali, più  luoghi  e  castelli,  a- 
vendone  regolarizzata  V  estensione 
Gregorio  XVI.  Ogni  nuovo  vesco- 
vo è  lassato  ne'  libri  della  carne- 
ra  apostolica  in  fiorini  33,  cor- 
rispondenti alle  rendile  del  mede- 
simo consistenti  in  scudi  ottomila. 
MARTA,  MARTANA  o  MAR- 
TULA.  Antica  città  vescovile  d'Ita- 
lia nell'Umbria  distrutta,  chiamala 
prima  Marlis  Ficus,  a  motivo  di 
un  tempio  dedicato  a  Marte,  che 
vedevasi  in  quel  luogo  o  nei  din- 
torni. In  oggi  il  luogo,  occupato 
già  dalla  città  di  Marta,  detta  an- 
che Mortulanam  inter  Tudertum 
ac  CarsulaSy  è  dello  s.  Maria  in 
Pantano.  S.  Bricio  o  Brlzio  l'apo- 
stolo dell'  Umbria,  e  s.  Felice  di 
cui  si  celebra  la  festa  il  3o  otto- 
bre, erano  siali  vescovi  di  Maria 
come  si  legge  neh'  Ughelli,  Italia 
sacra  t.  X,  p.  1 29.  Nel  1 77 1  fu 
pubblicalo  in  Roma  il  libro:  Fi- 
te  de  santi  della  città  di  Maria- 
na, e  beati  della  terra  di  Massa 
ìieWUmhriaj  con  un  discorso  sto- 
rico.  V,  Todi. 

MARTELLI  Francesco,  Car- 
dinale. Francesco  Martelli  patrizio 
e  canonico  fiorentino,  trasferitosi  a 
Roma,  ammesso  appena  da  Ales- 
sandro VII  nel  numero  de'prelati, 
mostrò  i  suoi  talenti  nella  savia 
condotta  che  tenne  nel  governo 
delle  pontificie  città,  nella  vicele- 
gazione di  Ferrara  e  nella  congre- 
gazione del  buon  governo^  tra  i  cui 
ponenti  fu  annoveralo  da  Clemen- 
te IX.  Spedito  quindi  da  Clemen- 
te X  nunzio  alla  corte  di  Polo- 
nia, per  secondare  le  intenzioni  del 
Papa,  eccitò  quel  sovrano  alla 
guerra  contro  il  turco,  a    cui    in- 

VOL.     XLUI. 


MAR  i6r 

dusse  pure  l' imperatore  e  il  so- 
vrano delle  Russie.  Richiamalo  in 
Roma,  fu  da  Innocenzo  XI  fat- 
to segretario  dell'immunità,  pre- 
mio scarso  alla  sua  virtù  e  meri- 
ti, lullavolla  tollerò  pazientemente 
per  parecchi  anni  la  sua  avversa 
fortuna.  Innocenzo  Xll  mosso  di 
lui  a  compassione,  lo  promosse  a 
segretario  di  consulta,  col  titolo  di 
patriarca  di  Gerusalemme.  Final- 
mente Clemente  XI  ai  17  maggio 
1706  Jo  creò  cardinale  prete  di 
s.  Eusebio,  e  lo  ascrisse  alle  con- 
gregazioni del  concilio,  dell'immu- 
nità, della  consulla  e  de'riti.  Mori 
in  Roma  nel  i  7  i  7  d'  anni  ollan- 
laqualtro,  e  fu  sepolto  in  s.  Ago- 
slino  presso  alla  porla  maggiore 
della  chiesa,  con  lapide  fregiata  del- 
le insegne  cardinalizie  e  del  suo 
nome. 

MARTELLO,  Malleus.  Stru- 
mento per  uso  di  battere  e  di 
picchiare,  che  è  di  più  sorte.  Le 
sue  parti  sono  tre:  l'occhio,  che  è 
un  foro  o  una  apertura  per  lo  più 
nel  mezzo  di  esso,  dove  si  ferma 
il  manico;  la  bocca,  che  è  quella 
parte  con  che  si  batte  per  piano; 
e  la  penna,  ch'è  la  parte  stiaccia- 
la, che  dicesi  taglia,  ed  è  opposta 
alla  bocca,  e  questa  assume  diver- 
se figure  e  forme,  secondo  l'uso  a 
cui  è  destinato  il  martello.  Deve 
essere  stato  inventalo  sino  dal  prin- 
cipio della  società,  poiché  appar- 
tiene ai  primi  bisogni  dell'  uo- 
mo, laonde  gli  antichi  ne  fecero  ri- 
salire l'invenzione  sino  ai  tempi 
più  remoli.  Il  Papa  adopera  il 
martello  d' argento  nella  solenne 
apertura  della  porta  santa  nella 
basilica  vaticana  per  l'incomincia- 
mento  dell'anno  santo  dell'univer- 
sale giubileo.  Contemporaneamen- 
te adoperano  il  martello  per  l'a- 
1 1 


iGi  MAR 

pei-tura  delle  porte  sante  delle  ba- 
siliche di  s.  GioTanni,  di  s.  Pao- 
lo e  di  s.  Maria  Maggiore  i  car- 
dinali legati  a  ciò  deputati.  Vedi 
Anno  santo,  Porte  sante,  ed  il 
voi.  Vili,  p.  200  e  seg.  del  Dìzìo- 
narioy  dove  si  descrive  la  funzio- 
ne. Talvolta  i  Papi  donarono  tal 
martello  a  qualche  sovrano,  sovra- 
na o  principe  reale,  come  fece 
Leone  XII  che  lo  regalò  alla  du. 
chessa  di  Angouléme  figlia  di  Lui- 
gi XVI,  come  raccontarama  ai  vo- 
lumi XXVII,  p.  142,  e  XXXVIII, 
p.  65  del  Dizionario.  Al  volume 
XXXVII,  p.  286  dicemmo  che  il 
martello  fu  una  delle  insegne  dei 
legati  apostohci.  Dei  colpi  di  mar- 
tello che  si  danno  nel  porre  nei 
fondamenti  la  prima  pietra,  ne  fa- 
cemmo   parola    all'articolo    Mala- 

MOCCO. 

MARTENE  Edmondo.  Monaco 
benedettino  della  congregazione  di 
s.  Mauro,  nacque  a  s.  Giovanni 
di  Losne,  piccola  città  della  dioce- 
si di  Langres,  nel  i654;  vestì  l'a- 
bito di  s.  Benedetto  nel  167F,  e 
fece  professione  nell'anno  seguente 
nell'abbazia  di  s.  Remigio  di  Reims. 
Egli  si  distinse  nella  sua  congre- 
gazione per  la  indefessa  applica- 
zione allo  studio  e  per  le  accura- 
te sue  indagini  letterarie,  e  mori 
di  apoplesia  il  20  giugno  1789 
d'anni  otlantacinque,  nell'abbazia 
di  s.  Germano  ai  Prati  in  Parigi, 
dopo  di  avere  arricchito  la  chiesa 
e  la  repubblica  letteraria  di  un 
gran  numero  di  opere.  La  prim.-i, 
che  è  un  Commentario  latino  sul- 
la regola  di  s.  Benedetto,  fu  stam- 
pata nel  1690:  esso  è  letterale, 
morale  ed  istorico^  perchè  spiega 
la  regola  coU'autorità  degli  anti- 
chi scrittori,  colla  dottiina  de'san- 
ti  padri,  e    colla    pratica    costante 


M  A  R 
de'  primi  religiosi,  e  vi  sono  fram- 
miste molte  dissertazioTii  di    diffe- 
renti  materie.  Pubblicò    nell'anno 
stesso  a  Lione  un'opera  latina   pie- 
na di  ricerche  concernenti  gli   an- 
tichi riti  de'monaci  :     De  antiqui^ 
monachoriim  rìtibusj  e  la    vita  di 
Claudio  Martin,  a  Tours  nel  1697. 
Nell'anno  seguente  die  alla  luce  le 
Massime    spirituali    dello     stesso 
Claudio,  a  Rouen;  ed  ivi  nel  1700 
l'opera,  De  antiquis  Ecclesiae    ri- 
tibus  circa  sacramenta,  ed  un  ter- 
zo    volume    nel    1702.     E  questa 
per    giudizio     degli    intelligenti    il 
miglior  scritto    che    sia    comparso 
sopra     questo     argomento.     II  suo 
trattato,   De  antiqua  Ecclesiae  di- 
sciplina in  celehrandis  divinis  offl- 
ciisj    fu  pubblicato     nel     1706    a 
Lione,  e    riscosse    elogi    eguali    al 
precedente.  I   Trattati  sui   riti   ec- 
clesiastici e    monastici    furono    ri- 
stampati con  aggiunte  e    correzio- 
ni in    Milano    colla    data    di   An- 
versa; cioè  i  trattati  de'riti   eccle- 
siastici nel    1736,   ed  i  trattati  sui 
riti  monastici  nel  1788.  Egli  pub- 
blicò   a  Parigi    sotto    il   titolo    di 
Thesaurus  no\^us  anecdotorum^  cin- 
que volumi  in  foglio  con  documen- 
ti tolti  dagli  archivi  e  dalle  biblio- 
teche di  Francia,  per  servire    alla 
ristampa  della    Gallia    Christiana. 
Fece  pure  ristampare    nella    città 
stessa  un'altra  raccolta  da  lui   pub- 
blicata    nel     1700,    col     titolo    di 
Collectio  nova  scriplorum    et   mo- 
numentoruni    moralium,   historico- 
rum  et  dogmaticorum  ad  res  mo- 
nasticasy  ecclesiasticas  et  politicas 
illustraìidas.  Nel    1717   pubblicò  a 
Parigi,   unitamente  al  p.  Durando, 
la  descrizione    del   viaggio  da    essi 
fatto  insieme  in   Francia,  col    tito- 
lo  di    Viaggio  letterario  di  due  re- 
ligiosi della  congregazione  di  san 


I 


MAR 

Mauro;  e  nel  1724  collo  stes- 
so titolo,  la  relazione  di  un  viag- 
gio (la  lui  fatto  in  Germania  do- 
po quello  di  Francia.  Il  frutto  di 
questo  secondo  viaggio  fu  una  nuo- 
va collezione  di  nove  volumi,  1724* 
1733,  col  titolo:  Velerum  seri- 
ptoriim,  et  monumenlorum  hìslo- 
ricoriun  et  dogmaticorum  amplis- 
sima colleclìo.  Le  due  suindicate 
collezioni  contengono  un  gran  nu- 
mero di  documenti  singolari,  fram- 
menti di  concilii  e  di  cronache, 
fondazioni  di  chiese,  lettere  di  mol- 
li principi,  di  Papi,  di  vescovi,  at- 
ti, formole,  ordinanze,  ec.  Nel  1730 
die  alla  luce:  Impetialis  stahiilen- 
SIS  mouaslerii  fura  propugnata 
adversus  iniquas  disceptationes  I- 
gnatii  Roderici  de  ahbatihus  et 
orìgines  stahulensis  et  malhunda- 
rìensis  monasterii  vindice  domno 
Edniundo  Marlenne.  Questa  ope- 
ra che  contiene  moltissime  disser- 
tazioni sopra  diversi  punti  di  sto- 
ria, di  disciplina  e  di  diplomatica, 
è  una  risposta  ai  religiosi  dell'ab- 
bazia di  Mal  medi,  per  la  difesa  con- 
tro quella  di  Stavelo,  che  aveano 
pubblicato  a  Wurtzbourg  nel  17*28 
un  volume  intitolato  :  Ignatii  Rode- 
rici disceptationes  de  abbatibus^  ori- 
gine^ primaeva,  et  Jwdierna  consti' 
tiUione  abbatiarum  inter  se  unita- 
rum  nialbundariensis  et  stabulen- 
sisj  ec.  Martene  ebbe  pure  parte 
nella  nuova  edizione  dello  Spici- 
legio del  padre  d.  Luca  Achery, 
pubblicata  nel  1743  a  Parigi.  A- 
vendo  poi  ottenuto  i  mss.  lasciati 
dal  p.  Mabillon,  pel  VI  tomo  de- 
gli annali  benedettini,  egli  li  ri- 
vide, fece  ad  essi  molte  giunte  e 
correzioni,  e  pubblicolli  a  Parigi 
nel  1739  con  una  prefazione.  Si 
occupava  per  pubblicare  i  tomi 
degli  atti  de' santi    dell'ordine    di 


MAR  i63 

s.  Benedetto,  in  continuazione  del- 
la raccolta  del  p.  Achery  e  del  p. 
Mabillon,  e  sperava  in  seguilo  pub- 
blicar la  raccolta  della  vita  e  let- 
tere di  s,  Tommaso  di  Cantorbery, 
quando  cessò  di  vivere.  Lasciò  mss. 
alcune  memorie  per  servire  alla 
storia  della  congregazione  di  san 
Mauro  e  dell'abbazia  di  Marmou- 
tier.  Il  p.  Martene  univa  mirabil- 
mente la  penitenza  allo  studio, 
trovando  il  tempo  in  mezzo  ai 
suoi  immensi  lavori  di  assistere  a 
tutti  gli  uffizi  si  di  giorno  che  di 
notte,  ed  aggiungendo  nuove  au- 
sterità a  quelle  della  sua  regola. 
I  dotti,  da  cui  era  stimato  ed  a- 
malo,  ammiravano  in  lui  la  sem- 
plicità de'costumi  del  pari  che  la 
vasta  dottrina,  essendo  le  sue  ope- 
re abbondanti  di  curiose  investi- 
gazioni tolte  da  libri  e  da  monu- 
menti  rari  e  poco  conosciuti. 

MARTIANOPOLI,  Martianopo- 
lis.  SeL\e  vescovile  nell'Asia  mino- 
re, esarcato  di  Dacia,  che  si  cre- 
de Pressa u  città  di  Bulgaria,  ver- 
so il  Danubio  e  il  Ponte  Eusino. 
I  bulgari  ne  fecero  la  capitale  del 
loro  regno,  prima  di  Tarnobia. 
La  sede  vescovile  fu  eretta  nel  V 
secolo,  quindi  divenne  arcivescovi- 
le e  fu  trasferita  a  Tarnobia.  Al 
presente  Martianopoli,  Martianopo- 
litan,  è  un  titolo  arcivescovile  m 
partìbus  che  conferisce  la  santa 
Sede. 

MARTINA  (s.),  vergine  e  mar- 
tire. Uscita  da  una  delle  più  illu- 
stri famiglie  di  Roma,  ivi  suggellò 
la  fede  collo  spargimento  del  pro- 
pizio sangue  nel  terzo  secolo.  Anti- 
chissimo è  il  suo  culto  in  Roma: 
fino  dai  tempi  di  s.  Gregorio  I 
Magno,  i  fedeli  visitavano  con  par- 
ticolar  divozione  la  cappella  con- 
.sacrata  alla  sua  memoria.  Alessan- 


i64  MAR 

tiro  IV  nel  i7.56  dedicò  in  Roma 
'  lina  chiesa  al  suo  nome;  Sisto  V 
la  diede  all'insigne  Accademia  di 
s.  Luca  (Fedi),  e  nel  i634  si  fe- 
ce la  Iraslfìzione  delle  sue  reliquie, 
trovate  sotto  i  rottami  dell*  antica 
sua  chiesa.  Urbano  Vili  ne  fece 
allora  fabbricare  una  assai  magni- 
fica in  onore  della  santa,  e  ne  pò* 
se  l'ofiizio  nel  breviario  romano, 
del  quale  egli  stesso  compose  gii 
inni,  sotto  il  giorno  3o  gennaio. 
Santa  Martina  è  una  delle  protet- 
trici della  chiesa  di  Romaj  ed  è 
nominata  eziandio  nei  martirologi 
di  AdonCj  di   Usuardo,  ec. 

MARTINI  BUONTEMPI  An- 
drea, Cardinale,  F.  Buontempi 
Andrea,   Cardinale. 

MARTINI  o  MARTINS  Anto- 
nio, Cardinale.  Antonio  Martini 
o  Martins  de  Chaves,  nato  nel 
castello  delle  Acque  Flavie  in  Por- 
togallo, o  come  vogliono  altri  in 
Porlo,  di  onesti  genitori ,  chiaro 
per  lettere  ed  integrità  di  costumi, 
ottenne  un  ricco  beneficio  nella 
metropolitana  di  Lisbona,  e  poi 
la  dignità  di  decano  d'  Evora  ; 
venne  quindi  promosso  a  vescovo 
di  Porto.  Ardeva  in  quel  tempo 
sanguinosa  guerra  tra  Giovanni  I 
re  di  Portogallo  e  il  re  di  Ara- 
gona, per  cui  quelle  regioni  erano 
bersaglio  della  licenza  soldatesca^ 
senza  rispettare  nemmeno  le  cose 
sacre.  Martino  V  intimò  pertanto 
ai  vescovi  portoghesi  di  adunarsi 
in  sinodo  a  Braga  per  rimediare 
a  tanti  mali,  come  fecero  con  op- 
portuni decieti.  In  quell'assemblea 
spiccò  singolarmente  la  saviezza 
e  dottrina  di  Antonio,  onde  il 
nuovo  re  di  Portogallo  Odoardo, 
dovendo  mandare  il  suo  nipote 
Alfonso  al  concilio  di  Basilea  per 
ambasciatore,  gli  destinò  per  corn- 


ivi A  R 
pagiio  questo  prelato,    incarionndo- 
lo  ancora  di   trattare  con    iiujK'gno 
e    conchiudere    la    pace  tra     Carlo 
VII   re  di   Francia,  quello  d'Inghil- 
terra, e  il  duca  di  Borgogna,  coinè 
poi  nel    1445   f"  seguito   in    Arras. 
Insorta    tra     i     padri     basilcesi     la 
controversia  sul  luogo  di  celebrare 
il  concilio     per    la     riunione    della 
chiesa  greca  colla   latina,  essi  desti- 
narono    Pietro     vescovo  di   Digne, 
e     il   nostro     Antonio  col  carattere 
di  legati  a   Costantinopoli,   per  in- 
vitare   l'imperatore    e    il    patriarca 
al  concilio.   Giunti  a  Bologna,  fu- 
rono    accolti    da   Eugenio   IV  con 
benignità  e  cortesia,  e     portatisi   a 
Venezia,  a'  3  settembre    14^7   col 
vescovo  di  Coron  Cristoforo  Gare- 
tone,    legato    apostolico,    partirono 
per  Costantinopoli,  ove  la  loro  mis- 
sione ebbe  felicissimo  successo.  Tra- 
sferito il  concilio  da  Ferrara  a  Fi- 
renze,  vi  si  trovò  ancoia   Antonio, 
che  insieme  cogli    altri   padri   sot- 
toscrisse le  sue  ecumeniche  dellni- 
zioni  ;  quindi    in    riguardo  a   tanti 
meriti  Eugenio  IV  a' 18    dicembre 
1439  lo    creò  cardinale  prete     del 
titolo  di  s.  Grisogono,  ed  arciprete 
della    basilica    lateranense   che    ri- 
colmò di  benefìzi,  fra'  quali    un  ec- 
cellente   organo.     Donò     ancora     a 
quel  capitolo  la  tenuta  Trigoria  di 
rubbia  4^^  wé\a  Campagna  roma- 
na fuori  della   porta     Ostiense.   In- 
tervenne al  conclave    di   Nicolò   V, 
e  fondò  in  Roma  la  chiesa  nazio- 
nale di  s.  Antonio  o  Antonino  dei 
portoghesi,  coli*  annesso    ospedale, 
in    cui    accogliere    si  dovessero  gli 
infermi  e  pellegrini  portoghesi.  Do- 
po tante  e  sì    preclare  opere   mori 
nel    i447>  '"  ^'^^  decrepita,  a  Ro- 
ma,   venendo    sepolto    nella    delta 
basilica,    in  una   tomba  che  prima 
della  riedificazione  della  chiesa  era 


MAR 
la  più  nobile  e  sontuosa,  ed  al 
presente  trovasi  nel  mezzo  del 
primo  pilastro  sotto  la  navata  si- 
nistra, dove  giace  la  statua  del 
cardinale  vestito  in  abiti  pontifica- 
li sopra  l'urna  sepolcrale ,  in  cui 
vedosi  scolpita  una  semplice  iscri- 
zione. Il  Novaes,  suo  connaziona- 
le, nega  che  fosse  stalo  arciprete 
lateranense,  e  dice  che  dalle  be- 
neficenze da  lui  fatte  alla  basilica 
provenne  tale  errore. 

MARTINI  Bartolomeo,  Cardi- 
naie.  Bartolomeo  Martini  spagnuo- 
lo  di  Valenza,  nel  147^  Sisto  IV 
lo  fece  vescovo  di  Segovia.  Celebrò 
nel  i4B5  il  sinodo  nella  catte- 
drale di  Segovia,  e  fu  commen- 
dalo il  suo  zelo  per  provvedere 
ai  bisogni  de'  popoli  alla  sua  ciua 
commessi.  Alessandro  VI  lo  nonji- 
nò  nel  140*^  prefetto  del  palazzo 
pontificio,  nel  i494  "laestro  della 
cappella  papale;  indi  a'  19  feb- 
braio «496  'o  creò  cardinale  prete 
di  s.  Agata  alla  Suburra,  che  da 
semplice  diaconia  il  Papa  dichiarò 
per  allora  titolo;  poscia  nel  i497 
lo  deputò  amministratore  della  chie- 
sa di  Bagnorea.  Morì  in  Roma  jiì 
■2^  aprile  nel  i5oo,  o  nel  i5o8 
secondo  lUghclli^  dopo  lunga  ma- 
lattia (della  quale  parla  il  Marini, 
Archiatri  t,  1,  p.  256),  per  cui  ai 
3i  marzo  dell'anno  precedente  nel- 
la cappella  pontificia,  ultima  a  che 
ili  presente,  sedette  in  fine  del  ban- 
co dei  cardinali  vescovi  e  preti  in 
luogo  non  suo,  senza  neppure  ren- 
dere la  solila  obbedienza  al  Pon- 
tefice. 11  suo  cadavere  fu  sepolto 
nella  basilica  vaticana  in  tomba 
di    marmo,  col  suo  nome. 

MARTINIANA  Carlo  Giuseppe 
Filippo,  Cardinale.  Carlo  Giuseppe 
Fdippo  de  Martiniana  nobile  pie- 
monltse,  nacque    in    Torino    a' 19 


MAR  i65 

giugno  1724.  Avendo  fatto  egre- 
giamente gli  studi  ecclesiastici,  di- 
venne direttore  di  spirito  della  re- 
gia università  di  Torino,  e  meritò 
col  tempo  che  Benedetto  XIY  ai 
19  h^lio  1757  lo  facesse  vescovo  di 
s,  Giovanni  di  Maurienne  ,  e  per 
le  sue  virtù  e  beneficenze  fatte  al- 
la diocesi,  come  zelante  pastore, 
Pio  VI  nel  concistoro  del  primo 
giugno  177B  lo  creò  cardinale 
dell'ordine  de'  preti  ,  ed  in  quello 
de' 12  luglio  1779  lo  traslatò  alla 
chiesa  di  Vercelli.  La  berretta  car- 
dinalizia gliela  rimise  a  mezzo 
di  monsignor  Cavalchina  Allor- 
quando Pio  VI  fu  deportato  pri- 
gioniero in  Francia,  ed  essendo 
giunto  ai  23  apiile  1799  nella 
piccola  città  di  Crescentino  nella 
diocesi  di  Vercelli ,  alloggiò  nella 
casa  de' preti  dell'oratorio;  ivi  si 
recò  subito  il  cardinale  per  osse- 
quiarvi l'infelice  Pontefice,  e  n'eb- 
be breve  ma  benigna  udienza. 
Questo  fu  r  ultimo  cardinale  che 
Pio  VI  vide,  essendo  morto  nel- 
l'agosto di  detto  anno.  La  città 
di  Venezia  fu  destinata  per  la  cC' 
lebrazione  del  conclave,  ed  a  que- 
sto si  recò  il  cardinale,  mentre 
l'eletto  Pio  VII  nel  concistoro  te- 
nuto nel  monastero  di  s.  Giorgo 
a'2  aprile  1800,  gli  conferì  il  cap- 
pello cardinalizio,  che  nella  sera 
gli  portò  colle  consuete  formalità 
monsignor  Ginnasi  cameriere  se- 
greto. 11  Papa  di  poi  gli  assegnò 
per  titolo  quello  ch'egli  teneva  nel 
cardinalato,  cioè  la  chiesa  di  san 
Calisto,  annoverandolo  alle  con- 
gregazioni dell'immunità,  dei  ri- 
ti, delle  indulgenze  e  sacre  reli- 
quie, e  dell'indice.  Beneficò  anco- 
ra la  chiesa  di  Vercelli ,  e  ne  fu 
benemerito,  singolarmente  nelle  fre- 
quenti laboriosibsime     visite  ;    colle 


k 


i66  MAR 

lettere  pastorali  ripiene  di  celeste 
unzione  ed  ecclesiastica  eloquenza  ; 
coi  decreti  spiranti  soavità  ,  doU 
cezza  e  zelo  ;  colla  predicazione 
assidua  della  parola  di  Dio  ;  colla 
religiosa  amministrazione  de't.agra- 
menti  ;  colla  misericordia  e  gene- 
rosità coi  poveri;  colla  beneficenza 
e  carità  cogl'  infermi  ,  che  sovente 
consolava;  avendo  esercitato  ezian- 
dio tali  virtù  e  sollecitudini  epi- 
scopali colla  diocesi  di  Maurieune 
ne'  ventidue  anni  che  la  governò. 
Mori  in  Vercelli  a*  7  dicembre 
1802  assai  compianto,  nell'età  di 
settantanove  anni,  e  fu  sepolto  in 
quella  cattedrale. 

MARTINIANO  Dormeente  (s.). 
V.  Dormienti  (i  sette  ss.). 

MARTINIANO  (s),  martire.  ^. 
Processo  e  Martiniano  (ss). 

MARTINIANO  (s.)  ,  eremita. 
Nato  a  Cesarea,  nella  Palestina, 
sotto  r  impero  di  Costanzo,  si  ri- 
tirò in  età  di  dieciott'auni  in  una 
solitudine  vicina,  ove  esercitossi 
nella  pratica  di  tutte  le  cristiane 
virtù.  In  breve  pervenne  a  emi- 
nente santità  ;  e  la  fama  dei  mi- 
racoli che  Dio  operava  per  suo 
mezzo,  rese  celebre  il  suo  nome. 
Avea  passato  in  questa  solitudine 
venticinque  anni,  allorché  Dio  per- 
mise che  la  sua  virtù  fosse  messa 
alla  prova.  Una  meretrice  di  Ce- 
sarea, nomata  Zoe,  recossi  di  sera 
alla  cella  del  santo,  infìngendosi 
una  povera  persona  che  avesse 
smarrito  la  via  nel  deserto,  e  che 
correva  rischio  di  perire  se  non 
le  avesse  dato  ricovero.  Accolta 
per  compassione  da  Martiniano , 
la  mattina  appresso  gli  si  presen- 
tò riccamente  abbigliata,  offeren- 
dogli la  sua  persona  e  le  sue  for- 
tune, aggiungendo  altre  cose  che 
quasi  io  persuasero.    Siccome    eru 


MAR 
presso  l'ora  che  molte  persone  ve- 
nivano a  ricevere  i  suoi  consigli 
e  la  sua  benedizione,  fecesi  loro 
incontro  con  pensiero  di  accomia- 
tarle; ma  preso  da  salutare  ri  mor- 
di mento,  ritornato  alla  sua  cella, 
accese  un  gran  fuoco  ed  in  esso 
vi  cacciò  i  piedi.  Le  grida  ch'egli 
mandava  per  lo  smisurato  dolore, 
fecero  accorrere  la  donna,  la  qua- 
le lo  trovò  disteso  sul  suolo,  e 
che  piangendo  diceva  :  »  Come  sos- 
terrò io  il  fuoco  dell'  inferno,  se 
questo  soffrire  non  posso?  "  Zoe 
spaventata  si  converti  anch'essa,  e 
andò  a  passare  il  resto  di  sua  vi- 
ta fra  le  austerità  della  più  rigi- 
da penitenza  nel  monastero  di  s. 
Paola  a  Betlemme.  Quando  Mar- 
tiniano potè  camminare,  si  ritirò 
sopra  uno  scoglio  da  ogni  parte 
circondato  dal  mare,  ove  passò  sei 
anni,  esposto  all'  intemperie  dell'a- 
ria, senza  mai  veder  alcuno,  tranne 
un  barcaiuolo  che  due  volte  l'anno 
recavagli  dell'  acqua,  del  pane,  e 
dei  rami  di  palmizio  da  lavorare. 
Essendosi  poscia  un  vascello,  spin- 
to dalla  burrasca,  rotto  contro  lo 
scoglio,  il  santo  cede  il  luogo  a 
una  donzella  che  ivi  avventurosa- 
mente salvossi  coll'aiuto  di  lui  ;  e 
gittatosi  in  mare,  afferrò  il  lido. 
Poiché  ebbe  errato  d'uno  in  altro 
deserto,  pervenne  da  ultimo  in 
Atene,  ove  usci  di  vita  sul  comin- 
ciar del  quinto  secolo,  in  età  for- 
se di  cinquunt'anui.  Il  suo  nome 
non  trovasi  nel  martirologio  ro- 
mano, ma  sì  bene  ne*  Menci  dei 
greci.  Era  onorato  in  particolar 
modo  nell'oriente  e  soprattutto  a 
Costantinopoli,  e  la  sua  fèsta  é  se- 
gnata   il    1 3   febbraio. 

MARTI i^O  (s.),  celebre  vescovo 
di  Tours.  Nacque  a  Sabaria,  città 
della  Pauuouia,  nell'anno  3 16,  giù- 


MAR 

sta  s.  Gregorio  ili  Toiirs;  ma  Gi- 
rolamo da  Prato  mette  la  sua  na- 
scila sei  anni  [jriina.  Ricevette  la 
prima  educiizione  a  Pavia,  essen- 
dosi colà  ritirali  i  suoi  genitori,  i 
t|(iali  erano  idolatri.  Malgrado  di 
essi  ei  frequentava  la  chiesa,  ed  in 
età  di  dieci  anni  implorò  d'essere 
ammesso  nel  numero  de'  catecu- 
meni ,  e  vi  ili  accolto.  Un  decre- 
to dell'imperatore  che  obbligava! 
tìgli  degli  uiìì/.iali  e  soldati  vete- 
rani a  portare  le  armi,  lo  costrin- 
se a  seguire  quella  professione  , 
giacché  suo  padre  era  tribuno  dei 
soldati.  Entrato  dunque  in  età  di 
quindici  anni  nella  cavalleria,  egli 
seppe  preservarsi  dai  vizi  che  pur 
troppo  predominano  nella  milizia, 
ed  appalesò  le  più  belle  virtì:i.  Un 
giorno  tagliò  la  sua  Ccifjpa  (Fe- 
di) per  metà,  e  una  porzione  la 
diede  ad  un  povero  nudo  che  gia- 
ceva alla  porta  d'Amiens  nel  più 
crudo  inverno.  Della  cappa  o  man- 
tello di  s.  Martino  si  formò  uno 
stendardo  o  Bandiera  (  Fedì  ), 
che  venne  usata  dall'esercito  dei 
re  di  Francia,  e  diede  (irigine  ai 
nomi  di  Cappella  e  Cappellano 
(  Fedi  ),  col  primo  dicendosi  il 
luogo  ove  si  custodiva,  e  col  se- 
condo i  custodi.  Di  dieciolt'an- 
ni  ricevette  il  battesimo ,  e  due 
anni  appresso  ottenne  il  conge- 
<lo .  Secondo  Girolamo  da  Pra- 
to ,  egli  militò  assai  più  lunga- 
mente, e  non  si  ritirò  che  sotto 
Giidiano,  il  quale  fu  levato  alla 
dignità  di  cesare,  ed  ebbe  nel  355 
il  comajido  delle  Gallie.  Martino 
si  pose  sotto  la  disciplina  di  s. 
Ilario  vescovo  di  Poiliers,  che  lo 
fece  esorcista,  non  avendo  potuto 
vincere  la  sua  umiltà  per  ordi- 
narlo diacono.  Desiderando  rivede- 
Jc  i     j,uoi   iieiiituii,     si   reco     nella 


MAR  167 

Pannonia.  Convelli  sua  madre  e 
molte  altre  persone  ;  ma  non  po- 
tè indurre  suo  padre  ad  uscire  dal- 
le tenebre  dell'  idolatria  Trovan- 
dosi neir  Illiria  combattè  gli  aria- 
ni cori  molto  zelo,  e  questi  eretici 
la  maltrattarono  e  lo  cacciarono 
dal  paese.  Arrivalo  in  Italia  intese 
che  gli  stessi  eretici  teneano  op- 
pressa la  chiesa  delle  Gallie  ed 
aveano  fatto  esiliare  s.  Ilario;  per- 
ciò si  scelse  un  ritiro  presso  Mi- 
lano, e  cominciò  a  condurre  vita 
nionastica.  Aussenzio  vescovo  aria- 
no lo  scacciò  da  quel  ritiro;  laon- 
de si  rifugiò  in  una  piccola  isola 
detta  Gallinaria,  sulla  costiera  del- 
la Liguria,  presso  Albenga,  insie- 
me con  un  virtuoso  prete,  di  cui 
avea  fatto  la  conoscenza.  Ivi  am- 
bedue menarono  i  loro  giorni  in 
grande  astinenza,  non  pascendosi 
che  di  radici  e  d'erbe  selvatiche. 
Avendo  inteso  nel  36o  cbe  s.  Ila- 
rio tornava  alia  sua  sede,  nana  il 
Butler  che  andò  a  ritrovarlo  . 
S.  Ilario  gli  donò  un  piccolo  ter- 
reno distante  due  leghe  da  Poi- 
liers, ove  Marlino  fondò  il  mo- 
naslero  di  Ligugey,  Locociagum, 
che  pare  sia  stato  il  primo  fab- 
bricato nelle  Gallie.  Nel  871  o 
375,  Martino  per  la  fama  di  sua 
santità  e  de' suoi  miracoli  venne 
eletto  vescovo  di  Tours.  Egli  nul- 
la mutò  nella  sua  foggia  di  vive- 
re :  alloggiò  in  una  celletta  vicina 
alla  sua  chiesa;  e  siccome  quivi 
era  disturbato  dalle  frequenti  visi- 
te che  riceveva,  rilirossi  in  un 
monastero  fatto  fabbricare  nelle 
vicinanze  della  città,  cioè  la  cele- 
bre abbazia  di  Marmoutier,  che 
fu  ritiro  di  santi  ed  un  seminario 
di  eccellenti  vescovi.  Questo  sem- 
bra istituito  prima  di  quello  di 
Ligugey,   come  dicemmo  a  Moìsa- 


i68  MAR 

co,  ove  celebrammo  il  santo  per 
uno  de'  primi  introduttori  della 
vita  monastica  in  occidente,  mas- 
sime nelle  Gallie  ed  in  Milano  ; 
così  pure  a  Monaca  lo'  dicemmo 
uno  de' primari  istitutori  de'  mo- 
nasteri delle  reIif»iose.  Tuttoché  s. 
Martino  amasse  il  ritiro,  non  era 
per  questo  meno  diligente  nell'e- 
sercizio del  suo  ministero.  Era  a 
lui  serbato  distruggere  interamen- 
te r  idolatria  nella  diocesi  di  Tours 
e  nelle  altre  contrade  delle  Gallie. 
Recatosi  alla  corte  di  Valentinia- 
no,  ch'era  allora  nelle  Gallie,  que- 
sto imperatore  proibì  di  lasciarlo 
entrare;  ma  dopo  sette  giorni  di 
preghiera  e  di  penitenza  il  santo 
vescovo  si  presentò  nuovamente 
al  palazzo  imperiale,  ed  entratovi 
senza  nessun  ostacolo,  giunse  sino 
all'imperatore.  Questi  vedendolo  si 
mise  in  forte  collera  contro  quelli 
che  l'aveano  lasciato  entrare;  se 
non  che  d' improvviso,  tocco  di 
venerazione  pel  santo  vescovo,  lo 
abbracciò  e  gli  accordò  quanto  do- 
mandava.; gli  diede  poi  molte  u- 
dienze,  e  lo  ammise  sovente  alla  sua 
mensa,  offerendogli  ancora  molli 
regali,  che  il  santo  ricusò.  Ritor- 
nato s.  Martino  alla  sua  diocesi, 
fece  abbattere  i  templi  degl'  idoli, 
e  schiantare  molti  alberi  che  i  pa- 
gani riguardavano  come  sacri,  e 
vi  fabbricò  chiese  e  monasteri.  Il 
suo  zelo  lo  espose  in  parecchie  oc- 
casioni al  rischio  di  perdere  la  vi- 
ta, che  più  volle  campò  miraco- 
losamente. Sulpizio  Severo  raccon- 
ta molti  miracoli  operati  da  Dio 
per  mezzo  di  questo  santo,  ed  ag- 
giunge ch'ebbe  anche  il  dono  del- 
la profezia,  e  fu  favorito  di  assai 
rivelazioni  e  visioni.  Nel  386  si 
recò  a  Tre  veri  dall'  imperatore 
Massimo  a  chieder  grazia  per  mol- 


MAR 

te  persone  ch'erano  state  condan- 
nate a  morte  per  aver  tenuto  le 
parli  di  Graziano.  Massimo  ebbe 
a  sommo  onore  di  avere  Martino 
alla  propria  mensa,  ove  il  santo 
dopo  aver  bevuto  passò  la  coppa 
al  sacerdote  che  preferì  all'  impe- 
ratore ritenendolo  più  degno  di  lui; 
fu  pure  convitato  dall'  imperatrice 
che  lo  volle  servire  a  tavola  ella 
medesima.  Dopo  avere  invano  procu- 
rato d'impedire  il  supplizio  de'pri- 
scillianisti,  ebbe  la  condiscendenza 
di  comunicare  con  llacio  e  cogli 
altri  vescovi  che  mal  a  proposito  a- 
vevano  promosso  tale  supplizio;  ma 
egli  ciò  léce  per  salvare  ad  altri  la 
vita.  Rimproverando  a  se  stesso  la 
sua  debolezza,  partì  da  Treveri; 
giunto  ad  un  bosco,  ch'era  lungi  due 
leghe  dalla  città  presso  Andetanna  , 
oggidì  Echternach,  si  mise  ad  o- 
rare,  e  venne  confortato  da  un 
angelo,  il  quale  gli  disse  che  avea 
ragione  di  dolersi  della  sua  con- 
discendenza, ma  che  la  rendea  scu- 
sabile la  carità  che  ve  lo  avea 
mosso .  Giunto  a  Tours,  vi  fu  ac- 
colto dal  popolo  come  un  angelo 
tutelare.  Benché  assai  avanti  ne- 
gli anni,  non  iscemò  punto  le  sue 
austerità,  né  le  sue  apostoliche  fa- 
tiche. Morì  tra  le  braccia  de'  suoi 
discepoli,  nella  parrocchia  di  Can- 
de  posta  nell'estremità  della  sua 
diocesi,  ov'  erasi  recato  per  com- 
porre una  contesa  insorta  tra  il 
clero.  L'opinione  più  probabile  è 
che  morisse  ai  6  o  1 1  novembre 
del  4c>o.  Il  suo  corpo  fu  traspor- 
tato a  Tours,  a  .seicento  passi  dal- 
la città,  ove  .sorse  una  città  par- 
ticolare detta  Marlinopoli,  poi  Ca- 
stel novo,  ed  in  seguito  congiunta 
a  Tours.  S.  trizio  suo  successore 
Io  fece  onorevolmente  trasferire  in 
una  basilica  poco  lungi  di   là,  e  vi 


MAR 

innalzò  la  sua  tomba.  Questa  ba- 
silica fu  dapprima  dedicata  a  santo 
Stefano;  ma  il  nome  di  s.  Marti- 
lino  non  tardò  a  prevalere  tra  i 
fedeli  che  venivano  da  tutte  le 
parti  per  venerare  questo  celebre 
taumaturgo.  S.  Perpetuo  sesto  ve- 
scovo di  Tours  la  tece  rifabbrica- 
re più  vasta  :  tu  poi  saccheggiata 
dai»li  ui^onolti,  che  bruciarono  le 
reliquie  del  santo.  Si  potè  non- 
ostante salvare  un  osso  del  braccio 
e  parte  del  crauio,  che  sono  colà 
rimasti  :  si  conservano  pure  in  al- 
tre chiese  alcune  piccole  porzioni 
delle  sue  reliquie,  distiibuite  pri- 
ma di  quell'avvenimento.  S.  Mar- 
tino è  appellato  gloria  delle  Gallio 
e  lunje  della  Chiesa  d'occidente, 
e  credesi  uno  de'primi  che  furono 
onorati  con  pubblico  cullo,  tutto- 
ché non  fossero  stati  coronali  del 
martirio,  al  modo  dello  all'artico- 
lo Martire,  ove  facemmo  parola 
della  notissima  ricreazione  che  ha 
luogo  per  la  sua  festa,  la  quale  si 
celebra  agli    i  i    di   novembre. 

Martino  (s.),  arcivescovo  di 
Braga.  Oriundo  della  Pannonia, 
si  rese  esperto  nelle  scienze,  e  fe- 
ce un  pellegrinaggio  per  visitare  i 
luoghi  santi  della  Palestina.  Pas- 
sato poscia  in  Galizia,  ove  gli  sve- 
vi,  infetti  dell'eresia  ariana,  avea- 
no  stabilito  il  loro  dominio,  vi 
ammaestrò  nella  fede  Teodomiro, 
dopo  averlo  guarito  dalla  lebbra,  e 
ricondusse  colle  sue  prediche  questa 
parie  della  Spagna  all'unità  cattoli- 
ca. Fabbricò  verso  l'anno  56o  molti 
monasteri^  il  principale  de' quali 
fu  quello  di  Duma,  vicino  a  Bra- 
ga, di  cui  assunse  egli  stesso  il 
governo,  1  vescovi  della  provincia 
io  eressero  in  vescovato,  ed  in- 
nalzarono alla  nuova  sede  Marti- 
,uo  nel  ^iò'].  1  re  degli  svevi  vol- 


MaR  169 

lero  che  esso  fosse  il  vescovo  del- 
la loro  corte.  Egli  continuò  la  sua 
prima  maniera  di  vita,  e  governò 
sempre  i  suoi  religiosi  con  perfet- 
ta regolarità.  Fu  poi  elevato  alla 
sede  di  Braga  metropolitana  di 
tutta  la  Galizia,  o  delle  chiese  di 
Svevia  in  Ispagna.  Venne  lisguar- 
dato  come  uno  dei  piìi  brillanti 
lumi  della  chiesa  di  Spagna,  e  dei 
più  begli  ornamenti  dello  stato 
monastico.  Morì  a'  20  marzo  del 
58o,  ed  è  onorato  in  tal  giorno. 
11  suo  corpo  fu  trasportato  da  Du- 
ma a  Braga  nel  1606.  Lasciò  una 
Collezione  di  ottantaquaUro  cano- 
ni ;  una  Forinola  di  vi  la  onesta , 
o  trattato  delle  quattro  virtù  car- 
dinali j  un  libro  intitolato  Dei  co- 
stami  ;  ed  alcuni  altri  scritti,  fra 
i  c|uali  una  raccolta  di  sentenze 
dei  solitari  d'Egitto. 

MARTINO  ed  EUTROPIO  (ss.), 
abbati.  Il  primo  fu  discepolo  di  s. 
Martino  di  Tours,  e  si  formò  al- 
le pratiche  della  perfezione  evan- 
gelica nel  monastero  di  Marmou- 
tier.  Ritiratosi  di  poi  nella  Santon- 
gia,  fabbricò  un  monastero  a  Sain- 
tes,  e  ne  fu  abbate.  S.  Eutropio, 
uno  de'  suoi  più  celebri  discepoli, 
gli  successe.  S.  Martino  fioriva  nel 
quarto  e  nel  quinto  secolo.  Igno- 
rasi l'anno  di  sua  morte;  ma  è  pro- 
babile che  sia  avvenuta  il  7  di- 
cembre, giorno  in  cui  è  nominato 
nei  mai'lirologi.  Quello  di  Francia 
indica  nello  stesso  di  la  festa  dì 
s.  Eutropio,  successore  di  s.  Mar- 
tino. 

MARTINO  (s.),  abbate,  chiama- 
lo eziandio  s.  Martino  il  Solo. 
Nacque  a  Nantes  in  Bretagna  cir- 
ca l'anno  S^y,  e  compiuti  gli  stu- 
di, abbracciò  lo  slato  ecclesiastico. 
Felice  suo  vescovo  l'oidinò  diaco- 
ni, e  gli  diede  il  carico  di  predi- 


T70  MAR 

Ciii"e  il   vangelo  agi'  idolatri   di  Er- 
badilla,  ciltà    distante     due    leghe 
<)alla  Loira,  dalla  parte  del  Poitou; 
ma   le  sue    fatiche     vi    produssero 
poco  frutto,  e  non  furono    corris- 
poste che  con   ischerni.    Inabissata 
poi  la  città  dalle  acque,    il    santo 
^e  ne  allontanò;   fece  diversi  viag- 
gi in  Europa,  e  visitò     le    tombe 
dei  martiri.  Ritornato   in  Bretagna, 
fabbricò  un  piccolo  romitorio,  do- 
ve parecchie  persone  pie    vennero 
a   porsi  sosto   la  sua  guida.   Quin- 
di  per   alloggiare  i    suoi    discepoli 
edificò  un   monastero  nella  foresta 
di  Vertave,  ora  Vertou,  a  due  le- 
ghe da   Nantes,  e  vi   pose  una  re- 
gola    tratta     dalle     massime    degli 
antichi   padri.   Altri  due  monasteri 
fece  edificare,    uno    per    uomini  e 
l'altro  per  donne.   Mon  circa  l'an- 
i»<»  60  I,  a*  24  d'ottobre;  ed   in  tal 
giorno  è  onorato,   il  suo  corpo  fu 
trasportato  a    s.   Jouin,    dove  più 
non  si   trova;   lo  che  si  attribuisce 
ai   guasti  degli   ugonotti.   S.  Mirti- 
no di  cui  palla  Gregorio  di  Tours 
nel  suo  libro   DclLi  gloria  de  coti- 
fasori,  è  diverso  dal    prelodato,  e 
fu   abbate    di    Saintes. 

MARTINO  I  (s),  Papa  LXXVl. 
l'ebbe  per  padre  F  abrizio ,  uomo 
ricco  e  nobile  di  Todi,  città  ve- 
' scovile  dello  stato  ecclesiastico,  il 
quale  nulla  trascurò  per  procurar- 
gli i  migliori  maestri  per  istruirlo. 
Coiisagratosi  allo  stato  ecclesiastico, 
fu  ammesso  nel  clero  di  Roma, 
e  già  legato  in  Costantinopoli ,  fu 
eletto  Pontefice  a*5  luglio  del  649, 
e  consecrato  senza  aspettare  1*  a- 
busivo  consenso  deirim[)eratore  di 
Oliente,  come  sembra  dall'essere 
poi  accusato  di  aver  preso  il  pon- 
tificato irregolarmente  e  senza 
legge,  coni'  egli  stesso  scrisse  in 
uuu    sua    lettera,   cpiu.     i5,  presso 


MAR 

il  Libbé  ,  Condì,  t.  VI,  p.  (\^. 
11  monotelismo  dominando  sempre 
in  oriente,  era  combatuto  a  Ro- 
ma ;  il  Papa  seguendo  i  principii 
de'  suoi  predecessori,  nello  stesso 
anno  649  tenne  un  concilio  di 
centocintiue  vescovi  nella  basilica 
lateraneuse,  la  cui  autorità  fu  sì 
grande,  che  dopo  i  cinque  concilii 
generali  fu  inserito  nella  professio- 
ne di  fede,  solita  farsi  dai  Papi, 
siccome  si  ha  dal  lib.  diurnus  Ro- 
man. Pont.  cap.  2,  tit.  9,  p.  26. 
In  esso  condannò  tutte  le  eresie, 
ed  in  ispecie  gli  errori  de'monote- 
liti,  co'Ioro  fautori,  Teodoro  vesco- 
vo Faranitano,  Giro  vescovo  Ales- 
sandrino, Sergio ,  Pirro  e  Paolo 
successivamente  patriarchi  costanti- 
nopolitani, coir  Ectesi  di  Eraclio, 
ed  il  Tipo  di  Costante  II  impera- 
tore. I  discorsi  pronunziati  dal 
Papa  nel  concilio,  in  cui  egli  lu- 
minosamente spiegò  tutte  le  diver- 
se opinioni,  danno  un'alta  idea  del 
suo  sapere  ed  eloquenza.  Gli  atti 
del  concilio  furono  mandati  in  tut- 
te le  chiese  di  Egitto  e  di  oriente, 
in  cui  le  concjuiste  de'mussulmani 
accrescevano  i  mali  cagionati  dalle 
eresie.  Essendo  il  Tipo  un  editto 
di  Costante  II,  questi  se  ne  tenne 
olfeso,  ed  incitato  dalle  lagnanze 
del  patriarca  Paolo,  affidò  all'esar- 
ca di  Ravenna  Olimpo  la  sua 
vendetta.  L'esarca  dapprima  dise- 
gnò di  attentare  alla  vita  del 
Papa^  nel  momento  della  comu- 
nione ;  ma  sentendosi  colpito  da 
terrore  e  da  rimorsi,  non  ebbe 
forza  di  commettere  tale  delitto, 
e  per  vergogna  e  disperazione  par- 
tì da  Roma  e  dall'Italia,  ed  in  Si- 
cilia fu  ucciso  combattendo  co'  sa- 
raceni. L'imperatore  mandò  un  altro 
esarca,  Teodoro  Calliopa  ,  che  si  as- 
sunse di  arrestare  il  Pontefice,  e   di 


M  A  Pt 
condurlo  a  Costantinopoli.  Principiò 
accusandolo  che  nascosto  avesse 
delle  armi  per  difendersi,  raa  riuscì 
facile  a  Martino  I  di  giustificarsi. 
Allora  co*  suoi  soldati  si  presentò 
in  Boma,  e  trovò  il  Papa  prostra- 
to avanti  la  porta  della  basilica 
lateranense .  I  soldati  entrarono 
nell'interno,  ruppero  le  candele,  e 
posero  in  iscompiglio  il  santuario. 
li  clero  protestò  solenneniente  del- 
l'innocenza e  purità  della  fede  del 
suo  capo;  ma  il  Pontefice  si  diede 
nelle  loro  mani  senza  resistenza, 
e  non  ostante  le  grida  del  popolo 
fu  condotto  fuori  della  città,  di 
cui  furono  chiuse  le  porle,  a'  19 
giugno  6.>3.  Il  suo  viaggio  fu  lun- 
go e  doloroso,  senza  riguardi  agli 
incomodi  che  lo  facevano  molto 
soffrire,  mentre  con  soli  sei  servi 
imbarcato  sul  Tevere,  giunto  a 
Porto,  di  là  lo  trassero  a  Miseno. 
Poiché  ebbe  traversato  la  Calabria, 
andò  errando  alcun  tempo  per 
varie  isole  jonie  ;  si  fermò  un  anno 
a  Nasso,  in  cui  finalmente  gli  ven- 
ne permesso  di  sbarcare  dal  va- 
scello, che  fino  allora  gli  avea  ser- 
vito di  prigione  ordinaria. 

Frattanto  l'imperatore  gli  avea 
fatto  dare  in  Pioma  un  successore, 
nella  persona  di  s.  Eugenio  I  (P'ef/i) 
agli  8  settembre  654-  Arrivò  s. 
Martino  I  a  Costantinopoli  a' 17 
settembre  di  tale  anno.  Durante  il 
suo  soggiorno  a  JNasso  ricevè  dei 
soccorsi  da  tutti  i  fedeli  che  deplo- 
ravano il  suo  infortunio,  mentre  le 
sue  guardie  rubavano  tutto,  mal- 
trattando chi  li  recava.  Prima  di  en- 
trare in  Costantinopoli ,  era  egli  sta- 
lo annunziato  a  Costante  li;  tutta- 
voita  fu  lasciato  nel  porto  entro  il 
vascello,  coricato  su  di  uno  stramaz- 
Z.O,  tormentalo  dalla  golia,  ed  espo- 
sto   agli  insulti    di   tulli  ijucili  che 


MAR  171 

vollero  appressarglisi.  Verso  sera 
fu  tratto  dalla  barca  nella  prigio- 
ne Prandearia,  in  cui  dimorò  tre 
mesi,  senza  parlare  a  persona.  Jl 
suo  processo  incominciò  a*  i5  di- 
cembre, onde  il  Papa  comparve 
avanti  il  sacellario  Bucoleone,  por- 
tato su  d'una  sedia,  non  potendosi 
reggere  in  piedi  pei  gravi  disagi  sof- 
ferti, tuttavia  assolutamente  il  mini- 
stro volle  che  si  alzasse  in  piedi.  Ven- 
ne accusato  il  santo  Padre  che  co- 
spirato avesse  con  Olimpo,  il  quale 
Io  volea  privar  di  vita.  Si  produs- 
sero contro  lui  venli  testimoni  su- 
bornali, tratti  dalla  più  vile  pleba- 
glia e  brutale  soldatesca;  fu  inter- 
rogalo il  Papa  in  modo  insultante 
e  feroce,  ed  egli  rispondeva  in 
Ialino  alle  domande  in  greco,  per 
un  interprete.  Il  sacellario  andò  in 
furore  perchè  le  risposte  del  Papa 
lo  imbarazzavano;  stanco  poi  del- 
l'indegna scena,  si  ritirò  per  far- 
ne rapporto  all'  imperatore.  Si  fe- 
ce uscire  Martino  1  dalla  camera 
del  consiglio,  e  fu  posto  su  di  una 
terrazza,  perchè  essere  potesse  ve- 
duto dalla  corte  e  dal  popolo. 
Comparve  quindi  il  sacellario,  ri- 
coprì il  Papa  di  oltraggi  qual  reo 
di  lesa  maestà,  e  gli  fece  straccia- 
re il  mantello  e  rompere  la  cor- 
reggia de'suoi  calzari,  indi  lo  con- 
segnò al  prefetto  con  ordine  di 
farlo  in  pezzi.  Venti  voci  al  più 
gridarono  anatema,  tutti  gli  altri 
astanti  restarono  silenziosi  e  me- 
lanconici ,  chinando  la  testa  per 
dolore,  commossi  dal  veder  così 
berteggiata  la  maestà  pontifìcia.  I 
manigoldi  s'  impadronirono  allora 
di  lui,  gli  tolsero  il  pallio  e  le  in- 
segne pontifìcie,  lo  spogliarono  del- 
le rimanenti  sue  vesti,  né  gli  la- 
sciarono che  una  tonaca  senza  cin- 
tura, che  lacera  tu  anch'essa  ne  due 


lyi  MAH 

lati,  gli  si  vedeva  nudo  il  corpo. 
Gli  misero  al  collo  un  istromeuto 
o  collare  di  ferro  ,  in  lai  guisa 
tiasciiiandolo  dal  palnzzo  in  mezzo 
alla  città  col  carceriere,  come  con- 
dannato a  morie  ,  precedendolo 
quello  colla  mannaia  o  spada  con 
cui  doveva  essere  decapilato.  Fu 
poscia  condotto  carico  di  catene 
nel  pretorio,  e  di  là  venne  gi Italo 
nella  prigione  di  Diomede  con  de- 
gli assassini,  scorticandosi  le  gambe 
neir  ascendere  gli  alti  scalini.  Sem- 
l)rava  vicino  a  spirare,  onde  cadde 
rifinito  dal  rigido  freddo  ;  fu  rial- 
zato e  messo  incatenato  su  d'una 
panca.  Due  donne,  preposte  alla 
cura  della  prigione  ,  ne  presero 
compassione  lo  posero  in  letto,  e 
fecero  il  possibile  per  riscaldarlo  ; 
ed  il  Papa  restò  sino  a  sera  senza 
parlare. 

L'eunuco  Gregorio  prefetto  del- 
la città  gli  mandò  alcuni  alimenti, 
facendogli  concepire  qualche  spe- 
ranza; e  Martino  J,  desiderando  il 
martirio,  restò  afflitto  da  tali  at- 
lenzioni.  Nondimeno  gli  vennero 
tolti  i  ferri,  e  gì'  indegni  tratta- 
menti eroicamente  da  lui  solfei  ti 
mossero  molti  a  compassione,  fra  i 
quali  il  patriarca  Paolo  moiiotelita, 
forse  pei  rimorsi  di  coscienza.  Es- 
sendo il  Papa  moribondo,  l'impe- 
t'atore  andò  a  visitarlo,  e  non  po- 
tè dissimulare  il  suo  rammarico. 
Dopo  essere  stato  più  di  tre  mesi 
in  prigione,  a'  fo  marzo  65'^)  gii 
iu  annunziato  di  essere  rilegato  a 
Clicrson  nella  Tauride,  che  il  No- 
vaes  chiama  Crimea  nella  Tracia. 
Diede  il  bacio  di  pace  e  uiì  com- 
movente addio  a  chi  locircondava, 
e  venne  imbarcato  segretamente  ai 
26  dello  stesso  mese,  arrivando  ai 
ì5  maggio  al  luogo  dell'esilio, 
doade    domandò    soccorso    a'  suoi. 


MAR 

essendo  privo  nella  carestia  delle 
cose  piì»  necessarie  al  vitto,  pregan- 
do Dio  pc'  suoi  fratelli  di  Roma  e 
per  chi  reggeva  allora  la  Chiesa. 
Passati  ivi  quattro  mesi  in  conti- 
nui patimenti,  modello  d'invinci- 
bile fermezza,  morì  ai  i6  settem- 
bre 655,  dopo  il  governo  di  cin- 
que anni,  due  mesi  e  tre  giorni, 
computato  dalla  sua  elezione  sino 
a  quella  di  Eugenio  l,  la  quale  egli 
approvò;  e  da  quando  era  stalo  crea- 
to Papa,  sei  anni,  due  mesi  e  d(-»di- 
ci  giorni.  Con  due  ordinazioni  nel 
dicembre  creò  33  vescovi,  5  o  i  i 
preti,  e  5  diaconi,  il  suo  corpo  fu 
poi  trasferito  in  Roma  nella  Chie- 
sa di  s.  Martino  a  Monti  (Vedi), 
ove  fu  riposto  a' 12  novembre,  che 
però  in  tal  giorno  si  celebra  la  sua 
festa,  mentre  i  greci  la  celebra - 
)io  il  giorno  della  sua  morte,  e 
[)iìi  solennemente  ai  i3  aprile.  E- 
gli  lasciò  dieciotto  lettere  scritte 
di  uno  stile  nobile  e  fermo,  che 
si  leggono  nella  Biblioteca  de  pa- 
dri, e  nel  citato  Labbe'.  La  santa 
Sede  vacò,  dall'assenza  di  s.  Mar- 
lino  I,  fino  all'elezione  di  s.  Eu- 
genio I,  un  anno,  due  mesi  e  venti 
giorni. 

MARTINO  II  o  MARINO  I, 
Papa  CXI.  Dovrebbe  veramente 
chiamarsi  Marino  I,  ma  perchè  la 
similitudine  del  nome  die  motivo 
a  confondersi  con  Martino,  in  guisa 
che  il  IV  ed  il  V  furono  poi  chia- 
mati Martini,  come  osserva  il  Pa- 
pe brodi  io,  ìli  Propylaeo  p.  i^i, 
u.  5,  ed  il  Pagi  ad  an.  882,  n.  10, 
così  viene  chiamato  Martino  li,  ts 
sendo  la  medesima  persona  di  Ma- 
rino I.  Nacque  in  Montefiascone , 
città  vescovde  dello  stato  della  Chie- 
sa, ed  ebbe  per  padre  Palombo. 
Divenne  prete,  diacono  e  cardinale 
legalo    tre    volte    a    Costantinopoli 


MAR 
nella  causa  di  Fozio,  per  parte  di 
s.  Nicolò  I  ncll'86G,  e  nella  Bul- 
garia con  Formoso;  sotto  Adriano 
il  nell' 868,  pel  concilio  generale 
di  Coslanlinopoli  IV;  e  neir88i 
nel  pontificalo  di  Giovanni  Vili  , 
per  la  causa  di  Fozio.  Questo  ul- 
timo Pontefice,  essendo  già  insigni- 
to della  dignità  vescovile,  lo  man- 
dò in  Napoli  ad  assolvere  dalla  sco- 
munica il  vescovo  Anastasio,  se  ri- 
vocava  la  lega  fatta  co'  saraceni, 
i^ieno  di  meriti  fu  eletto  Papa  ai 
'23  dicembre  882.  Scomunicò  nuo- 
vamente Fozio,  e  restituì  Formoso 
alla  cliiesa  di  Porto  ,  da  cui  era 
stato  deposto,  permettendogli  inol- 
tre di  poter  ritornare  in  Roma  con- 
tro il  giuramento  fatto.  Il  Cardel- 
la  registra  tre  cardinali  da  lui  crea- 
li. Governò  la  Chiesa  un  anno  e 
due  mesi;  e  morì  a'  2  3  febbraio 
tlcir884 ,  colla  riputazione  di  un 
nomo  illuminalo  e  di  gran  pietà. 
Fu  sepolto  in  Vaticano.  Vacò  la 
Sede  apostolica   sei  giorni. 

MARTINO  III  o  MARINO  II, 
l^apa  GXXXil.  Romano,  fu  eletto 
Pontefice  prima  de'  4  febbraio  o 
forse  a'  12  gennaio  del  943.  Scris- 
se al  vescovo  di  Capua  Sivone,  pres- 
so Leone  Ostiense,  in  Chron.  lib.  i, 
cap.  S^,  rinfacciandolo  d'ignorante 
de' canoni,  d'imperito  nelle  lette- 
re, di  familiare  de'  secolmi,  e  di 
temerario  trasgressore,  perchè  avea 
dato,  contro  le  leggi  divino  ed  u- 
mane,  ad  un  suo  diacono  in  be- 
nefizio la  chiesa  di  s.  Angelo,  che 
il  suo  predecessore  avea  concesso 
a'  monaci  benedettini  per  fabbri- 
carvi un  monastero.  Gli  ordinò 
pertanto  di  restituire  i»'  monaci  la 
detta  chiesa;  che  fosse  fabbricalo 
il  monastero,  il  quale  non  sareb- 
be da  lui,  né  dai  suoi  successori  in- 
quietalo, ma    resterebbe    perpctua- 


MAR  173 

mente  soggetto  al  monastero  de' be- 
nedettini ch'era  in  Capua  ;  e  che 
il  suddetto  diacono  restasse  separa- 
to da  ogni  comunicazione  degli  uf- 
fizi ecclesiastici  dal  vescovo,  al  qua- 
le minacciò  la  sospensione  del  gra- 
do sacerdotale  e  la  scomunica ,  se 
non  obbedisse  prontamente.  Marti- 
no III,  secondo  il  Cardella,  creò  tre 
cardinali,  avendo  governato  laCliie- 
sa  tre  anni,  sei  mesi  e  qiiatlcrdici 
giorni.  Si  rese  molto  lodevole  nel 
rifoimare  la  disciplina  ecclesiastica, 
nel  ristorare  le  chiese,  nel  solleva- 
re i  poveri,  e  nel  couiporre  le  dis- 
cordie tra  i  principi  cristiani.  Morì 
nel  mese  di  giugno  del  946,  e  tu 
sepolto  nel  Valicano.  S'igiiura  (juan- 
lo  vacasse  la  sede,  ma  probabilmen- 
te due  o  tre  giorni. 

MARTINO  JV,  Papa  CXCVII. 
Simone  di  Rrie  o  Brion,  o  Mom- 
pizio,  nato  da  una  nobilissima  fa- 
miglia a  Mompincè  o  Montpensier 
nella  Turrena ,  ovvero  nella  Brie 
in  Francia,  o  in  Montpilloi  castello 
della  provincia  di  Sciampagna  dio- 
cesi di  Sens;  uomo  per  dottrina, 
grandezza  di  animo  e  santità  di 
vita  chiarissimo,  prima  beneficiato 
della  chiesa  di  Rouen ,  e  poi  teso- 
riere e  canonico  nella  chiesa  di  s. 
Martino  di  Tours,  per  cui  alcuni 
lo  credettero  turonese  di  patria, 
indi  giiardasigilli  di  s.  Luigi  IX.  li 
Papa  Urbano  IV  lo  dichiarò  cap- 
pellano pontificio,  ossia  uditore  di 
rota,  indi  eletto  vescovo  di  Puy 
non  seppe  determinarsi  ad  accetta- 
re. Siffatta  rinunzia ,  suggerita  dai 
sentimenti  di  sincera  umiltà,  uìosse 
detto  Pontefice  a  crearlo  cardinale 
prete  del  titolo  di  s.  Cecilia,  in  Vi- 
terbo nel  dicembre  1262  o  i263. 
Clemente  IV  lo  destinò  legalo  in 
Francia  a  Carlo  d' Angiò  conte  di 
Provenza,  e  fratello  del  mentovalo 


1 74  ^^  ^  ^ 

re  di  Fradicia,  per  invitarlo  a  poi-- 
taisi  in  Italia  contro  Manfredi  u- 
surpatore  e  tiranno  di  Sicilia ,  che 
-attese  le  sue  violenze  e  concussio- 
ni era  divenuto  insoffribile,  ed  of- 
frirgliene la  corona.  Nella  sua  le- 
gazione celebrò  diversi  concilii  pro- 
vincialij  ne'  quali  oltre  all'aver  pre- 
scritto una  costante  riforma  agli  ec- 
clesiastici, ritrovandosi  in  Noget , 
stabilì  alcune  savie  leggi  pel  buon 
ordine  dell'università  di  Parigi,  ne 
confermò  i  privilegi,  e  stabilì  il  mo- 
do e  il  cerimoniale  per  l' elezione 
del  rettore  della  medesima.  Aven- 
do il  re  di  Francia  Filippo  III  an- 
nullata la  legge  che  vietava  i  giuo- 
chi di  asta  e  spada,  ne*  quali  spar- 
gendosi molto  sangue  la  festa  si 
cangiava  in  lutto,  Nicolò  III  con 
sue  lettere  non  mancò  rampognar- 
ne il  legato ,  per  l' eccessiva  sua 
connivenza,  e  gì  impose  che  pro- 
mulgasse sentenza  di  scomunica  con- 
tro chiunque  avesse  avuto  la  te- 
merità di  esporre  la  propria  vita 
a  cimento  in  quegl'  illeciti  giuochi. 
Già  erasi  trovato  presente  al  con- 
cilio generale  di  Lione  II  celebra- 
to da  Gregorio  X  (per  la  cui  ele- 
zione fu  uno  dei  sei  cardinali  in 
cui  si  compromise  il  sacro  collegio), 
dopo  il  quale  per  di  lui  ordine  re- 
stò in  Francia  a  motivo  di  rista- 
bilire la  sacra  guerra  della  Pale- 
stina. Fu  allora  che  si  studiò  con 
zelo  e  minacce  di  distogliere  Filip- 
po III  dal  muovere  guerra  ad  Al- 
fonso X  re  di  Castiglia,  e  celebrò 
un  concilio  in  Bourges  nel  1276. 
Richiamalo  a  Roma  da  Nicolò  III, 
per  sua  niorte  entrò  in  Conclave 
(Vedi)^  in  Viterbo  _,  ove  dopo  sei 
mesi  di  sede  vacante,  fu  eletto  con- 
cordemente Papa  a'  21  febbraio 
1281,  ma  con  tanta  di  lui  reni- 
lenza  ,    che  ricusando   di  assumere 


MAR 
le  insegne  pontifìcie,  i  cardinali  ac- 
cesi dì  salito  zelo  gli  strapparono 
di  dosso  le  vesti  cardinalizie,  e  gli 
misero  per  forza  le  papali  ,  come 
scrive  Tolomeo  da  Lucca.  Prese  il 
nome  di  Martino  IV  (terminando 
con  lui  la  confusione  del  nome  di 
Marino),  in  memoria  della  chiesa 
di  cui  era  stato  canonico,  e  si  fece 
coronare  a'  2  3  marzo  in  Orvieto, 
perchè  in  Viterbo  eravi  l'interdet- 
to per  cagione  dell'arresto  fatto  nel 
conclave,  ad  istigazione  di  Riccar- 
do Annibaldi  che  n'era  custode, 
de'  due  cardinali  Matteo  e  Giorda- 
no Orsini. 

Il  popolo  romano  per  terminar 
le  discordie  insorte  in  sede  vacan- 
te, in  cui  i  potenti  Annibaldi  ed 
Orsini  avevano  ciascuno  creato  il 
senatore  di  Roma,  onde  n'erano 
avvenute  orribili  stragi  e  sangui- 
nosi tumulti,  diede  a  Martino  IV, 
come  ad  un  privato,  la  dignità  di 
senatore  di  Roma,  la  quale  egli  le- 
stituì  a  Carlo  d'Angiò  1  re  di  Sicili.i, 
cui  l'avea  tolta  Nicolò  III.  Dimoran- 
do in  Orvieto  fece  l'unica  sua  pro- 
mozione di  sette  cardinali,  fra'quali 
uno  fu  poi  Bonifacio  Vili;  sco- 
municò r  imperatore  Micìiele  Pa- 
leologo  per  aver  mancato  alla  pro- 
messa unione  colla  Chiesa  romana, 
e  ricusò  riceverne  gli  ambasciatori. 
Nel  1282  scomunicò  ancora  in  Vi- 
terbo gli  autori  della  famosa  con- 
giura de'  vespri  siciliani ,  che  ster- 
minò tutti  i  francesi  in  Sicilia;  e 
dopo  di  essere  stato  alcun  tempo 
in  Roma,  egual  sentenza  fulminò  in 
Montefiascone  (ove  edificò  il  palazzo 
e  la  fortezza,  e  l'abitò)  contro  Pie- 
tro III  re  d'Aragona  complice  della 
medesima,  e  invasore  della  Sicilia;  lo 
depose  dcd  regno,  scomunicando  chi 
l'obbedisse,  e  pubblicando  l' indul- 
genza   della    crociata    a    ^chiunque 


I 


ÌM  A  R 
confro  di  Ini  combattesse  ;  quindi 
(Inndo  il  regno  d'Aragona  al  di  lui 
nipote  Carlo  di  Valois ,  figlio  ili 
Filippo  III  re  di  Francia  ,  ordinò 
ni  vescovi  francesi  che  perciò  gli 
paga<;.sero  le  decime  ;  come  le  co- 
mandò agli  italiani  in  favore  di 
Carlo  I  contro  lo  stesso  Pietro  III, 
Frattanto  morì  Carlo  I  a'  7  gen- 
naio I  ?. 8 'ì,  lasciando  prigioniero  de- 
gli aragonesi  in  Catalogna  il  figlio 
(  arlo  li,  e  il  figlio  di  questi  Carlo 
Martello  inetto  per  l'età  al  gover- 
no, per  cvii  il  Papa  come  supremo 
signore  del  regno,  vi  pose  auìuii- 
nistratori ,  confermando  nella  reg- 
genza il  conte  d'Artois,  e  dandogli 
per  compagno  il  cardinal  Geraldo 
di  Parma  legato.  Nell'istesso  anno 
Martino  IV  fu  costretto  uscir  da 
Orvieto  per  l' insolenza  del  gover- 
natore Ranieri,  v.  non  polendo  ri- 
tirarsi in  Roma  per  le  discordie  che 
•vi  erano,  passò  a  Perugia.  A'  1^ 
marzo  vi  celebrò  la  messa  di  Pa- 
squa, ed  appena  ebbe  desinato  si 
ammalò  gravemenle,  e  morì  a'  -28 
Tenendo  il  29  marzo  del  laSo, 
per  aver  mangiato  con  eccesso  le 
anguille,  che  molto  gli  piacevano. 
Fu  sepolto  nel  duomo  di  Perugia 
coir  abito  de'  frali  minori,  da  lui 
amati  sopra  gii  altri  religiosi;  e 
sebbene  ordinò  al  cardinal  Saveilì 
che  gli  successe,  che  il  cadavere  fos- 
se trasferito  in  Asisi  nella  loro  chie- 
sa, ciò  non  fu  eseguito.  Governò 
quattro  anni  ,  un  mese ,  ed  otto 
giorni.  Fu  magnifico,  di  gran  petto 
nelle  cose  della  Chiesa,  dotto  e  pru- 
dente, ornato  di  molte  virtù,  e  tal- 
mente staccalo  dai  parenti,  che  por- 
tandosi un  fratello  a  rallegrarsi  con 
lui  del  pontificato,  egli  avendogli 
somministrato  una  moderata  som- 
ma per  le  spese  del  viaggio,  lo  ri- 
mandò a  casa  dicendogli,  che  i  be- 


MAR  175 

ni  che  avea  come  Papa  erano  della 
Chiesa  e  non  suoi  per  poterle  dis- 
porre. Alcuni  Io  tacciano  di  essersi 
mostralo  troppo  appassionato  del 
connazionale  Carlo  1  ,  per  mezzo 
del  quale  dicesi  era  stato  esallato, 
e  si  lasciava  governare;  ma  i  mi- 
racoli che  Dio  operò  al  suo  sepol- 
cro, e  ne'  (jnali  fiorì  dipoi,  per  cui 
alcuni  lo  venerarono  per  santo,  mo- 
sliano  abbastanza  di  non  aver  egli 
ecceduti  i  termini  della  giustizia. 
Vacò  la    santa   5?ede  tre  giorni. 

MARTINO  Y,  Papa  CCXYI. 
Ottone  o  Oddone  della  nobilissi- 
ma famiglia  Colonna,  una  delle  pri- 
me di  Roma,  nacque  nel  1 365  in 
Genazzano  [Fedi),  altri  dicono  in 
Roma,  allri  in  s.  Vito,  terra  non 
lungi  da  Palestrina,  da  Agapito 
Colonna.  Si  fece  amare  e  insieme 
ammirare  dai  propri  concitladini, 
per  la  integrità,  sapienza,  dolcezza, 
affabilità  e  modestia  del  suo  ca- 
rattercj  congiunta  a  tale  eminen- 
za di  letterarie  cognizioni,  che  non 
vi  aveva  scienza^  in  cui  non  fosse 
eccellente.  Sopra  tutto  fece  mirabili 
progressi  in  quella  del  diritto  ca- 
nonico, che  apprese  nell'università 
di  Perugia.  Da  Urbano  Vi  fu  a- 
scrilto  tra  i  referendari  ed  i  prò- 
tonotari,  e  nominato  amministrato- 
re di  Palestrina.  Bonifacio  IX  Io 
fece  uditore  di  rota,  e  nunzio  apo' 
stolico  per  l'Italia  ed  altrove.  Com- 
pite con  suo  gran  decoro  e  pari 
vantaggio  della  Sede  apostolica  nove 
legazioni,  fu  da  Innocenzo  Vili 
a' I  2  giugno  i4o5  creato  cardinr.l 
diacono  di  s.  Giorgio  in  Velabro. 
vicario  di  Roma  ed  arciprete  deb 
la  basilica  Lateranense.  Neli.fjugo 
di  tanti  DiK^ri ,  anziché  scemarsi, 
siccome  sapiente,  andò  crescendosi 
in  lui  la  liberalità,  la  piacevolezza 
e  la  benignità  ;    onde    a  chiunque 


176  MAR 

ridiicslo  Io  avesse,  prestava  di 
buon  grndu  V  opera  sua  con  tali 
j^eniili  maniere,  e  con  traili  così 
obbliganli  ,  che  si  cattivò  l'alletto 
e  la  sii  ma  tli  tulli,  tenendosi  per 
quanU)  il  poteva  lontano  dai  pub- 
blici all'ari.  Si  oianlenue  fedele  a 
Gregorio  XII,  finche  non  si  dovè 
portare  al  concilio  di  Pisa  ,  ove 
seguì  l'elezione  di  Alessandro  V  ; 
couìe  pure  intervenne  in  Bologna 
a  quella  di  Giovanni  XXI II.  Que- 
sti gli  die  l'amministrazione  «della 
provincia  del  Patrimonio  di  s.  Pie- 
tro, del  ducato  di  Spoleto,  e  delle 
città  di  Perugia,  di  Todi,  di  Or- 
vieto, di  Terni  e  di  Amelia  col 
titolo  di  legato,  ne'quali  impieghi 
si  condusse  sempre  con  mi  i-abile 
prudenza.  L*  Ughelli  dice  che  fu 
fatto  vescovo  di  Urbino  nel  i38o. 
P^inalmente  essendo  nel  vigore  del- 
la salute  e  di  circa  5o  anni,  nel 
concilio  di  Costanza  (Fedi)  agli 
li  novembre  i4i7»  coi  voti  con- 
cordi di  tutte  le  nazioni  fu  eletto 
Papa,  e  ricorrendo  in  quel  giorno 
la  festa  di  s.  Martino  vescovo, 
prese  il  nome  di  Martino  V,  po- 
nendo fine  al  gran  scisma  d'occi- 
dente. Anche  il  Baluzio  narra  la 
maniera  di  sua  elezione  ^  Misceli. 
lib.  Ili,  p.  90.  Avendo  ai  12  e 
i3  di  detto  mese  ricevulo  gli  or- 
dini del  diaconato  e  del  sacerdozio 
dal  cardinal  Broignac  decano,  a'i4 
fu  con  sagrato  vescovo  j  ed  a'  2  r 
che  cadde  di  domenica  fu  solenne- 
menle  coronalo  con  quella  pompa 
che  dicemmo  a  detto  articolo,  ad- 
destrandogli il  cavallo  nella  caval- 
cata Sigismondo  re  de'  romani , 
e  il  marchese  di  Brandeburgo  , 
ed  emanò  tosto  le  regole  della  can- 
celleria apostolica.  Presiedette  alle 
quattro  ultime  sessioni  del  conci- 
lio, in  una  delle  quali  rivocò  tut- 


M  A  11 
le  le  grazie  concedute  dopo  Gre* 
f^orio  XII  fino  a  quel  tempo,  or-» 
dinando  che  le  chiese  e  i  benefizi 
ritornassero  al  njedesimo  stalo  in 
cui  erano  prinui  di  Urbano  VI, 
ed  emanò  quelle  altre  provviden- 
ze narrate  al  citato  articolo;  indi 
comandò  la    riforma  del  clero. 

Adoperandosi  egregiamente  Ladis- 
lao re  di  Polonia  per  l'unione  della 
chiesa  greca  colla  romana,  Marlino 
V  con  sue  lettere  lo  ringraziò  ; 
gli  confermò  i  privilegi  de'  suoi 
predecessori,  e  lo  dichiavò  vicario 
della  Chiesa  romana  ne'  suoi  stati. 
Avendo  Giovanni  re  di  Portogallo 
impreso  la  guerra  contro  i  sarace- 
ni, il  Papa  invitò  i  principi  a  soc- 
correrlo, e  fece  bandire  la  crociata. 
Indi  per  essersi  impadronito  di 
Madera,  e  scoperto  il  Capo  di 
Buona  Speranza  e  l'Indie  orienta- 
li, Martino  V  per  legittimargliene 
il  possesso,  pel  progresso  del  van- 
gelo, concesse  ai  re  di  Portogallo 
tutte  le  terre  che  avessero  scoperto 
dall'imboccatura  del  Mar  Nero  al- 
l'estremità delle  Indie.  Da  Costan- 
za il  Papa  s'incamminò  per  l'Ita- 
lia ,  accompagnato  da  dodici  car- 
dinali ,  e  per  Sciaffusa  e  Berna 
giunse  a  Ginevra ,  ove  riconob- 
be per  cardinali  molti  di  quel- 
li dell'  antipapa  Benedetto  XI 11. 
Indi  passò  a  Susa,  Torino,  Pavia, 
Milano,  Brescia  ,  Mantova  e  Fer- 
rara, s'avviò  per  la  Romagna,  e 
per  Forlì  giunse  in  Firenze  a'  26 
febbraio  14^9  >  avendo  declinato 
da  Bologna  allora  occupata  da 
Antonio  Benlivoglio.  Mentre  dimo- 
rava in  Cebenes,  Martino  V  seb- 
bene fosse  difficile  nella  concessione 
delle  dispense ,  pure  dispensò  nel 
grado  di  affinità  Giovanni  conte 
di  Foix  per  sposare  la  cognata. 
Eresse  in     arcivescovile     la    chiesa 


MAH 
(\ì  Firenze,  e  confermò  la  canoniz- 
zazione di  s.  Brigida,  avendo  in- 
caricato il  cardinal  Fonseca  di  so- 
pire le  guerre  civili  di  Castiglia. 
In  Firenz-e  attese  a  liberare  lo  sta- 
to della  Chiesa  dall'oppressione  dei 
tiranni  che  Taveano  occupato,  ri- 
cuperando Civitavecchia ,  Ostia  e 
Castel  s.  Angelo  dalla  regina  Gio- 
vanna II  ;  come  riebbe  alla  sua 
obbedienza  altre  terre  della  santa 
Sede.  Ricuperò  ancora  Terni  ed 
Orvieto,  ma  dovette  contentarsi  che 
Braccio  da  Montone  fosse  vicario 
di  Perugia,  Assisi,  Jesi,  Todi ,  e 
di  qualche  altro  luogo.  Essendo 
fuggito  dalla  sua  prigione  il  depo- 
sto Giovanni  XXIII {Vedi)^  si  por- 
tò in  Firenze  ad  implorar  miseri- 
cordia da  Martino  V,  il  quale  lo 
accolse  amorevolmente,  lo  creò  car- 
dinal vescovo  di  Frascati,  e  decano 
del  sacro  collegio.  Fece  gonfalonie- 
re della  Chiesa  Francesco  Sforza^ 
affidandogli  le  milizie  pontificie.  Ol- 
tre quanto  abbiamo  detto  a  Firen- 
ze, sulla  dimora  fattavi  da  Marti- 
no V,  qui  aggiungeremo,  che  per- 
nottò nella  villa  detta  ora  Torre 
presso  la  terra  di  s.  Casciano.  Vo- 
lendo quindi  compiacere  i  romani^ 
pel  Sanese  si  portò  in  Roma  a'28 
Settembre  14^0,  alloggiando  nel 
monastero  della  Madonna  del  Po- 
polo, donde  a'3o  dello  stesso  mese 
si  trasferì  in  mezzo  alle  acclama- 
zioni del  festeggiante  popolo  al 
Vaticano,  e  quivi  dimorò  sino  al 
i4^7j  in  cui  andò  nell'abitazione 
di  sua  famiglia,  presso  ss.  Apo- 
stoli, fabbricandovi  di  nuovo  un 
sontuóso  palazzo.  Trovò  Roma  squal- 
lida e  desolala,  ma  per  lui  risor- 
se all'  antico  suo  splendore.  Mi- 
lìacciata  da  Braccio,  fu  il  Papa  a- 
ìutalo  da  Giovanna  II,  al  che  al- 
tra volta    crasi   rM:usala.    Lo  SR)f- 

tOI..     XLII^. 


MAR  Ì77 

za  ,  Lodovico  Colonna,  Luigi  da 
Sanseverino,  e  Nicolò  da  Tolentino 
furono  capitani  per  la  Chiesa.  Brac- 
cio restò  ucciso,  onde  Perugia,  A- 
sisi  e  gli  altri  luoghi  da  lui  occu- 
pati ritornarono  al  pieno  dominio 
pontificio.  Nella  vittoria  ancora  Mar- 
tino V  die  saggi  di  rbansuetudine,  sa» 
pendo  a  tempo  perdonare,  per  cui 
molte  città  gli  si  dierono  spontanea- 
mente, e  fra  esse  Bologna.  I  Ma- 
latesta  egualmente  gli  restituirono 
Osimo,  Cervia,  Fano,  Pergola  e 
Senigallia.  Essendosi  propagata  di 
nuovo  per  l'Italia  l'eresia  de'fra- 
ticelli  chiamati  dell*  opinione  ,  il 
Papa  deputò  due  cardinali  per 
castigarli;  indi  nel  14^2  con  in- 
defessa fatica  si  applicò  a  reprime- 
re in  Boemia  i  funesti  progressi 
degli  ussiti.  A  terminare  le  guerre 
tra  i  re  di  Frància  e  d'Inghilterra 
spedì  a  pacificarli  il  cardinal  b. 
Nicolò  Albergati.  In  sequela  dei 
decreti  del  concilio  di  Costanza 
promulgò  la  celebrazione  del  con- 
cilio generale  che  si  aprì  in  Pa- 
via nel  14^3,  indi  per  la  peste 
lo  trasferì  a  Siena,  e  per  le  guer- 
re d'Europa  in  Basilea,  destinandovi 
legato  a  Intere  il  celebre  cardinal 
Giuliano  Cesarini,  acciò  lo  presie- 
desse in  suo  nome.  Nel  142 3  ce- 
lebrò Martino  V  YAnno  santo  quin- 
to [Vedi):  che  realmente  lo  cele- 
brasse, lo  prova  anche  il  Zaccaria, 
Storia  letter.  t.  II,  p.  9<    e  seg. 

Giovanna  li  avendo  adottato  per 
figlio  Alfonso  V  re  d'  Aragona,  e 
poi  essendo  di  lui  malcontenta  ,  gli 
sostituì  Lodovico  d'Angiò,  che  difen- 
deva il  Papa,  il  quale  nel  \^i^  ne 
approvò  l'adozione,  e  confermò  la 
regina  ne!  possesso  dèi  regno,  che 
g^ià  avèa  fatto  coronare  dal  cardi- 
nal Moi'ósini.  Nel  detto  anno  proi- 
bì ai  cardinali  di  essere  prolettori 
12 


178  MAR 

di  re  o  principi  .  Con  diligenti 
premure  nel  i4^5  si  adoperò  Mar- 
lino  V  per  eslingueie  lo  scisma 
che  in  Aragona  sosteneva  demen- 
ta Pili  antipapa  (Pedi)y  e  vi 
riuscì  poi  al  modo  detto  in  qnel- 
TartìcolO)  come  ancora  si  adoperò 
per  togliere  molti  abusi  introdotti 
nella  cristianità,  massime  in  Cor- 
sica. A' 26  marzo  14^5  colla  co- 
stituzione Sedis  ApostolicaCy  cano- 
nizzò s.  Sebaldo  eremila,  e  beati- 
ficò Nicolò  vescovo  Licopense,  Bri- 
aiulfo  Tescovo  Scadense ,  ed  In- 
grida  domenicana  ;  canonizzò  an- 
cora s.  Monica  madre  di  s.  Ago- 
slino.  Siccome  Alfonso  V  pubbli- 
co  un  editto  pernicioso  all'  immu- 
nità ecclesiastica,  il  Papa  nel  i4^6 
citò  il  re  a  presentarsi  in  Roma 
dentro  Io  spazio  di  121  giorni  a 
renderne  conto,  e  nel  medesimo  an- 
no die  ai  monaci  girolamini  il 
monastero  e  chiesa  de'ss.  Bonifacio 
ed  Alessio.  Nel  14^7  Martino  V 
prese  energiche  misure  contro  il 
Portogallo,  in  cui  del  pari  era 
gravemente  lesa  V  immunità  delle 
chiese.  Nel  14^9  delìuilivatneute 
il  Papa  si  pacificò  col  re  Alfonso 
V,  ed  ordinò  contro  i  labori  li  che 
la  festa  del  Corpus  Domini  si  ce- 
lebrasse ancora  nelle  terre  inter- 
dette ;  nello  stesso  tempo  riprese 
l'arcivescovo  di  Gantorbery,  perchè 
avea  istituito  una  specie  di  Giu- 
bileo. In  quest*  anno  Martino  V 
passò  in  Ferentino  i  mesi  di  lu- 
glio, agosto  e  settembre.  In  tre 
promozioni  creò  quattordici  cardi- 
nali, e  mentre  nel  i43i  si  applica- 
va col  più  indefesso  zelo  nell'estin- 
guere  le  eresie  che  rovinavano  la 
Boemia,  la  Slesia  e  la  Misnia,  mo- 
rì in  Roma  di  apoplesia  a' 19  ve- 
nendo il  20  febbraio  d'  anni  63, 
coU'oltimo  governo  di  tr«?dici  anni, 


MAR 
tre  mesi  e  dieci  o  dodici  gior- 
ni, compianto  da  tutto  il  popolo 
ne'funcrali.  Fu  sepolto  in  un  su- 
perbo sepolcro  di  bronzo,  in  mezzo 
alla  basilica  lalerauense,  avanti  le 
teste  de'  ss.  Pietro  e  Paolo  ,  che 
coU'epitalIìo  riporta  inciso  l'Oldoi* 
ni,  Addii,  ad  Ciacconium  t.  11, 
p.  83o.  Estinse  l'orrendo  e  lungo 
scisma,  pacificò  l'afflilta  Italia,  re- 
staurò la  desolata  Roma  con  edi- 
fizi,  e  meritò  il  titolo  di  padre 
della  patria  e  felicità  de' suoi  lem- 
piy  lasciando  la  sua  memoria  in 
eterna  benedizione,  poiché  il  giu- 
dizio del  cieco  popolo  può  fallire, 
non  così  quello  de'secoli.  Fu  Mar- 
tino V  grand'uomo  dabbene  e  di 
stato,  e  desideralo  dopo  morto 
anco  da  quelli  che  vivente  l'odia- 
rono. Era  egli  dolalo  di  grande 
erudizione  ,  affabilità  ,  prudenza, 
consiglio,  e  di  ottimi  costumi:  la 
bontà  di  lui  non  fu  meno  che  la 
giustizia.  Nel  promuovere  i  sogget- 
ti ai  benefizi  ecclesiastici  era  se- 
vero indagatore  del  merito .  Nalaie 
Alessandro  afferma  ,  che  fu  diffi- 
cile ad  accordare  dispense,  comu 
diciamo  all'  articolo  Matrimonio 
§  IV.  Fra  tutte  le  sue  virtù  spic- 
cò la  costanza  ne'  casi  avversi,  e 
ne  diede  principalmente  la  prova 
nella  perdita  dei  fratelli.  Di  che 
e  di  quanto  fece  alla  sua  nume- 
rosa famiglia  Colonna  (F'edi)y  che 
assai  amò  ed  arricchì  in  più  modi, 
lo  dicemmo  a  qtiell'articolo.  NeJa 
zecca  pontificia  abbiamo  quattro 
medaglie  di  lui  colla  sua  effigie,  cou 
allusioni  alla  sua  elezione  e  corona- 
zione, restauri  delie  basiliche  di 
Roma,  e  del  nuovo  portico  che 
fece  alla  Vaticana  ,  ed  alla  cele- 
brazione del  giubileo.  La  storia  di 
questo  memorabile  pontificato  fu 
pubblicata  da    uu  codice    oiss.  dei 


MAR 
Papebrocìiio  nel  suo  Conni,  Chron. 
hìst.  par.  Ili,  p.  112.  La  vita  cH 
Martino  V.  da  un  codice  vatica- 
no è  presso  il  Muratori  negli  Script, 
rer.  imi.  t.  Ili,  par.  II,  p.  SSy  e 
H59.  Vi  è  ancoia  di  Francesco 
Ci  rocco,  Vita  di  Martino  V  Co- 
lonna Noni.  Pont.,  Foligno  i638; 
di  Gio.  Rivadella,  VElogiuni  Mar- 
tini V  et  aliorum  XIII  Ponlif. 
(ch'ebbero  il  nome  di  V),  Romae 
i58i;  e  di  Felice  Contelori,  Vita 
Martini  V^  Romae  1641.  Vacò  la 
santa  Chiesa    undici  giorni. 

MARTINO,  Cardinale.  Martino 
o  Marino  prete  cardinale,  si  trova 
sottoscritto  nel  decreto  ingiustamen- 
te emanato  da  Stefano  VI  detto 
VII  neir8g6,  contro  il  cadavere  di 
Papa   Formoso. 

MARTINO,  Cardinale.  Martino 
cardinale  di  s.  Sabina,  fiori  sotto 
Benedetto  IX  che  tenne  il  pontifi- 
cato dal    io33  al   io44- 

MARTINO  Bertrando,  Cardi- 
nale. Bertrando  da  s.  Martino  nato 
in  Arles,  essendo  preposto  nella  chie- 
sa di  sua  patria,  fu  flitto  vescovo 
di  Frejus  ;  nata  però  discordia  tra 
gli  elettori,  venne  nel  1264  trasfe- 
rito alla  chiesa  d'Avignone ,  e  nel 
1*266  passò  all'arcivescovato  d'Ar- 
les,  di  cui  non  potè  subito  pren- 
dere possesso,  per  la  lite  promos- 
sa dalla  nomina  fatta  dai  compro- 
missari. Si  crede  che  rinunziasse  il 
vescovato  di  Valence  nel  Delfìnato, 
in  luogo  di  cui  si  vuole  che  alla 
fine  ottenesse  il  possesso  della  chie- 
sa Arelatense,  della  quale  nel  1269 
ottenne  il  pallio  da  Clemente  IV, 
con  facoltà  di  farsi  precedere  dalla 
croce  per  tutta  la  provincia  d' Ar- 
les. Gregorio  X  nel  settembre  o  di- 
cembre 1273  lo  creò  cardinale  ve- 
scovo di  Sabina  ;  intervenne  alle 
prime  sessioni  del  concilio  generale 


MAR  179 

che  quel    Papa    celebrò    in    Lione, 
ed   ivi  morì   nel    1270. 

MARTINUSIO  Giorgio,  Cardi- 
nale. Giorgio  Martinusio  così  detto 
dal  cognome  della  propria  madre, 
ma  veramente  della  famiglia  Wise- 
nowiski,  quanto  nobile  altrettanto 
scarsa  di  beni  di  fortuna ,  venne 
alla  luce  nella  rocca  di  Namiesaz, 
presso  al  fiume  Tibisco  nella  Croa- 
zia. Annoiato  del  mondo ,  di  cui 
nell'età  giovanile  avea  provato  le 
peripezie,  professò  nel  i5o8  nel- 
l'ordine di  s.  Paolo  primo  eremi- 
ta, quantunque  alcuno  lo  dice  mo- 
naco olivetano.  Essendo  superiore 
del  celebre  monastero  di  Cestoco- 
niano  nella  Polonia,  contrasse  stret- 
ta amicizia  con  Giovanni  re  d'Un- 
gheria, che  dalle  armi  di  Ferdinan* 
do  I  arciduca  d'  Austria  era  stato 
costretto  a  ritirarsi  in  Polonia.  Ad 
istanza  di  quel  principe,  più  volte 
si  recò  in  Ungheria ,  per  eccitare 
i  magnati  del  regno  a  richiamar 
l'esule  sovrano,  come  in  fatti  fu  da 
essi  coraggiosamente  eseguito;  anzi 
dicesi  che  ottenesse  da  Solimano 
II,  di  cui  il  re  erasi  fatto  tributa- 
rio, d'intronizzarlo  di  nuovo.  In 
ricompensa  il  re  lo  nominò  nel 
i534  al  vescovato  di  Varadino,  e 
dichiaratolo  suo  intimo  consigliere 
gli  conferì  la  prefettura  d«l  regio 
erario,  ed  in  sua  morte  lo  lasciò 
colla  regina  Isabella  tutore  dell'u- 
nico figlio  Giorgio  ^  bambino  di 
undici  giorni,  non  che  amministra- 
tore e  governatore  del  regno,  sino 
all'  età  maggiore  del  figlio.  Inco- 
minciò ad  altercare  colla  regina , 
perchè  vecchio  valoroso,  avvezzo  a 
comandare,  e  per  la  sua  accortezza 
ed  imprese  divenuto  celebre,  usava 
maniere  dispotiche.  La  regina,  don- 
na di  valore,  per  materna  gelosia 
o  femminile    vanità,    infastidita    di 


I 


i8o  MAR 

questo  procedere,  si  ridusse  infiire 
a  cliiamar  contro  di  lui  Solima' 
no  II)  qillil  macchinatore  della  mor- 
te del  figlio  e  confederato  dell'Au- 
stria. Per  la  tardanza  dell'  aiuto 
tindiesco,  polè  Martinusio  riconci- 
liarsi colla  regina,  e  sbaragliare  in 
Tari  conflitti  i  turchi.  Disgustato  di 
nuovo  colla  regina,  temendo  non 
poter  resistere  ai  turchi,  ricorse  al- 
l'aiuto deir arciduca,  che  aspirò  ad 
impadronirsi  anche  della  Transil Va- 
nia. La  regina  nel  i55i  dovè  ce- 
dere quello  stalo  e  ritirarsi  nel  ca- 
stello di  Oppien  nella  Slesia.  L'ar- 
ciduca itominò  subito  il  prelato  ar- 
civescovo di  Slrigonia,  e  pregò  Giu- 
lio III  a  crearla  cardinale,  come 
fece  ai  12  ottobre  i55i  ,  e  per 
maggior  distinzione  gli  trasmise  il 
cappello  cardinalizio,  con  facoltà  di 
usare  le  vesti  rosse,  interdette  ai 
monaci.  Pel  comando  delle  truppe, 
che  pretendeva  il  cardinale,  contro 
Castaldi  generale  dell'  esercito  au- 
striaco, questi  risolvette  di  ucciderlo, 
ricolmandolo  di  calunnie  presso  Fer- 
dinando, fino  a  far  credere  che 
avesse  intelligenza  col  turco,  per  cui 
strappò  da  lui  l'ordine  di  prende- 
re misure  di  sicurezza.  Laonde  nel 
dicembre  i55i  in  Winlz  diversi 
sicari  l'assassinarono  in  un  luogo  di 
delizie,  nell'età  di  settanl'anni,  do- 
po due  mesi  di  cardinalato,  restan- 
do il  cadavere  insepolto  per  venti 
giorni,  e  solo  nel  marzo  ebbe  se- 
poltura nella  chiesa  di  s.  Michele 
d'Albareale.  Il  Berc^stel  dice  in 
"vece,  che  fu  trasportato  a  Wisem- 
bourg  con  grande  onore,  e  sepolto 
a  lato  del  famoso  Unniade,  rlove 
alla  sua  memoria  fu  eretto  un  son- 
tuoso mausoleo;  e  che  tra  le  carte 
non  fu  trovata  cosa  che  pregi udi- 
Ciisse  alla  sua  fedeltà  e  probità.  In 
seguilo  i  complici  del    misfatto  su- 


MaR 

crilcgo,  in  breve  funestamente  ief^ 
minarono  di  vivere,  o  sul  patibolo 
come  narra  il  Cardella,  che  osser- 
va essersi  gli  unghcri  ribellati  a 
Ferdinando.  Pervenuta  in  Roma  la 
notizia  di  sì  violenta  morte,  il  Pa- 
pa pati  gravissimo  rammarico;  ne 
die  parte  in  concistoro  ai  cardina- 
li, e  fece  citare  l'  arciduca  a  giu- 
stificarsi, e  che  poi  scomunicò.  Fin- 
che visse  Martinusio,  l' eresia  non 
potè  penetrare  in  Ungheria.  La 
sua  vita  fu  scritta  da  Giovanni 
Marnavizio;  in  Parigi  ne  fu  stam- 
pala la  storia  nel  i'/t5  in  france- 
se, da  Antonio  Bechet  canonico  di 
Uzes,  col  titolo  di  Storia  del  mi' 
nìstevo  del  cardinal  Giorgio  Marti- 
nusio. 

MARTIRE,  Martyr.  Quegli  ch'è 
od  è  slato  martirizzato.  Il  nome  di 
martire  è  un  nome  greco,  che  si- 
gnifica propriamente  testimonio j  e 
si  dà  per  eccellenza  a  tutti  quelli 
che  soffrono  la  morte  per  fare  te- 
stimonianza delle  verità  evangeliche. 
Si  distinguono  i  martiri  in  designa- 
ti, in  consumati  o  coronati,  ed  in 
verificati.  I  martiri  designati  sono 
quelli  che  furono  condannati  a  mor-' 
te,  ma  la  di  cui  sentenza  non  fu 
eseguita.  I  martiri  consumati  o  co- 
ronati sono  quelli  che  spirarono  fra 
i  tormenti,  o  poco  dopo  per  la 
violenza  de'  tormenti  sofferti.  Di- 
coosi  martiri  verificati  quelli  che  la 
Chiesa,  dopo  un  esame  canonico, 
propone  alla  venerazione  de'  fedeh. 
Fu  pure  un  tempo  dato  il  nome 
di  martiri  a'confessori  che  avevano 
soCferto  l'esilio,  o  qualche  supplizio 
per  Gesù  Cristo,  benché  non  vi 
avessero  perduta  la  vita,  e  ciò^  im- 
propriamente, giacche  non  si  pos- 
sono veramente  dir  martiri  se  non 
quelli,  i  quali  muoiono  effettiva- 
mente   nei    tormcnli^  o    in  i>eguito 


MAR  MAR  i8i 
per  la  violenza  dei  tormenti  stessi,  morie  per  annor  della  fede;  che 
o  che  per  lo  meno  ne  sarebbero  soflra  pazientemente  la  morte  per 
morti,  se  Dio  non  li  avesse  preser-  una  causa  divina,  non  per  alcun 
■vati  dalla  morte  per  un  miracolo  umano  motivo,  come  sarebbe  quel- 
delia  sua  onnipotenza.  /^.  Confes-  lo  di  render  celebre  il  proprio 
soRE  DELLA  FEDE.  Quanto  alle  cause  nome.  Non  sono  martiri  quelli 
che  fanno  il  martire,  non  è  la  pe-  che  affrettano  il  termine  della 
na  soltanto,  ma  ancora  la  causa  loro  vita  a  forza  di  penitenze;  né 
per  la  quale  si  soffie;  e  queste  quelli  che  prevengono  i  tiranni, 
cause  che  fanno  il  martire  riguar-  dandosi  da  sé  stessi  la  morte,  a 
dano  o  la  persona  stessa  del  mar-  meno  ch'essi  non  lo  facciano  per 
tire,  o  quella  del  tiranno.  Non  vi  divina  ispirazione;  né  quelli  che 
ha  che  una  causa  che  faccia  il  muoiono  servendo  ammalati  con- 
martire, e  che  riguardi  la  persona  tagiosi,  tranne  il  caso  in  cui  sia- 
slessa  del  martire,  cioè  la  fede  delle  no  stati  condannati  a  quel  servizio 
cose  che  bisogna  credere  o  fare,  dai  persecutori  in  odio  della  fede. 
Perchè  un  uomo  sia  ritenuto  mar-  Se  il  martire  è  catecumeno  egli  à 
tire  è  quindi  necessario  ch'egli  dia  tenuto  a  ricevere  il  battesimo  d'ac- 
la  sua  vita  ,  o  per  qualche  verità  qua  se  lo  può  ;  se  é  battezzato  e 
speculativa  della  religione  cristia-  colpevole  di  alcun  peccato  deve 
pa,  come  sono  gli  articoli  di  fé-  confessarsi,  se  vi  è  un  confessore; 
de ,  o  per  qualche  verità  pra-  deve  pure  ricevere  la  s.  Eucaristia, 
tica,  come  sono  gli  atti  delle  vir-  perchè  il  martirio  non  esenta  da 
tu  cristiane.  Dal  che  proviene  che  questi  obblighi  in  articolo  di  mor- 
non  sarebbe  martire  colui  che  mo-  te.  La  viriti  invincibile  de'martiri 
risse  o  per  un'  opinione  pia,  ma  dimostra  la  verità  della  religione 
non  defìnita  dalla  Chiesa,  o  per  cattolica.  I  cristiani  furono  somma- 
un'opinione  falsa  che  fosse  creduta  mente  solleciti  di  visitarli  e  con- 
vera per  un'invincibile  ignoranza,  forlarli  nelle  prigioni  ove  ricevevano 
p  per  una  verità  conosciuta  per  l'Eucaristia.  Furono  i  martiri  gran- 
mezzo  dei  lumi  della  ragione,  a  demente  pietosi  verso  i  caduti,  che 
meno  che  essa  non  fosse  relativa  raccouìandavano  a' vescovi  con  quel- 
e  preliminare  alla  fede,  come  Tesi-  le  lettere  di  cui  parlammo  nel 
stenza  di  un  Dio,  il  che  forma  un  voi.  XXXVIII,  p.  i33  del  Dizio- 
dubbio  fra  i  teologi,  o  per  una  uario.  Prima  di  consumare  il  mar- 
verità  conosciuta  per  mezzo  di  una  tirio  solevano  immediatamente  pre- 
rivelazione particolare.  Non  vi  ha  mettere  l'orazione:  dovendo  essere 
parimente  che  una  causa  che  fac-  decollati  ,  ricevevano  genuflessi  il 
eia  il  martire,  e  che  riguardi  la  colpo  micidiale,  indi  i  cristiani  ne 
persona  del  tiranno;  l'odio  cioè  imbalsamavano  i  loro  cadaveri,  e 
della  (aie  o  di  una  buona  azione  ne  raccoglievano  premurosamente 
prescritta  dalla  fede  di  Gesù  Cri-  il  sangue.  Nel  giudizio  universale 
sto,  sia  il  tiranno  infedele,  eretico,  i  martiri  saranno  giudici  insieme 
scismatico  o  cattolico.  Delle  dispo-  con  Gesù  Cristo.  Il  coraggio  col 
sizioni  necessarie  al  martire,  la  quale  i  martiri  eroicamente  sofFri- 
prima  essenziale  ad  un  martire  rono  inauditi  tormenti,  derivava  dal 
adulto,  è  l'accettazione  libera  della  loro  amove  per  Gesù  Cristo  :  sup> 


iSi 


MAR 


plizi ,  prigioni  e  patimenti  noti 
smossero  la  loro  costanza  mirabile, 
e  meritarono  coi  loro  trionfi  di 
essere  intimamente  uniti  a  Dio  in 
cielo,  godendo  tutta  la  pienezza 
della  gloria.  La  sapienza  deTiloso- 
fi  e  l'eloquenza  degli  oratori  ri- 
inase  confusa  allo  spettacolo  stra- 
ordinario delie  pugne  gloiiose  dei 
martiri  :  i  giudici  ed  i  tiranni  fu- 
rono compresi  da  allo  stupore  al- 
la veduta  della  fede,  del  coraggio, 
e  delia  contentezza  di  questi  santi 
atleti.  Tutti  quelli  che  furono  te- 
stimoni di  veduta  della  virtù  dei 
martiri ,  o  fossero  gentili  o  eretici, 
confessarono  che  la  virtù  de'mar- 
tiri  era  evidentemente  soprannatu- 
rale.    F.    Martirio. 

Gloriose  primizie  de'  martiri  del- 
la Chiesa  furono  i  ss.  Innocenli 
(Vedi),  nella  quale,  disse  s.  Ago- 
stino, spuntarono  a  guisa  dì  sole 
nel  rigido  inverno  dell' infedeltà, 
e  furono  prima  del  tempo  della  bri- 
na della  persecuzione,  come  gemme 
allor  nascenti,  colti  e  involati,  e  per- 
ciò chiamati  primi  fiori  de  martiri. 
Verso  ia  fine  poi  dell'anno  in  cui 
fu  crocefisso  Gesù  Cristo  re  dei 
martiri  e  fondatore  della  Chiesa,  pel 
primo  soffi  1  glorioso  martirio  in 
Gerusalemme  il  diacono  s.  Stefa- 
no, perciò  chiamato  protomartire. 
Nell'anno  69,  nella  prima  delle  die- 
ci persecuzioni  della  Chiesa  più  in- 
signi, patirono  glorioso  martirio  i 
principi  degli  apostoli  ss.  Pietro  e 
Paolo,  in  Roma  capo  di  tutto  il  mon- 
do, stabilendovi  la  religione  cristia- 
na. Furono  ancora  dette  primizie 
dei  martiri,  quelli  che  patirono  in 
Roma  sotto  Nerone,  pei*  cagione  del- 
l' incendio  :  in  Roma  fiorirono  in 
seguito  innumeiabili  martiri,  e  so- 
levano avvisare  d  Pontefice  di  quan- 
to loro   succedeva.  R  terzo   succes- 


MAR 
sore    di    s.  Pietro,     Papa    s.  Cle- 
mente 1  del  93,    istituì    in  Roma 
sette  notari,  per  raccogliere  gli  at- 
ti dei  martiri   e  registrarli   nei  fasti 

0  dìttici  delle  chiese,  ond'  ebbero 
principio  i  Martirologi  (Vedi),  e 
trassero  origine  i  Protonotari  apo- 
stolici (Vedi)  (di  quello  per  regi- 
strar gli  atti  dei  martiri  della  con- 
gregazione di  propagandacele,  ne 
parlammo  al  voi.  XVI,  pag.  2,54 
del  Dizionario^  e  di  essa  fu  proto- 
martire s.  Fedele  da  Sigmaringa). 

1  vescovi  usarono  grandissima  cau- 
tela nel  registrare  nelle  sacre  tavo- 
le i  martiri,  anche  in  lempo  delle 
persecuzioni;  ed  il  Papa  s.  Antero 
patì  il  martirio  nel  288  per  ricer- 
care con  diligenza  e  riporre  negli 
archivi  delle  chiese  gli  atti  de'mar- 
tiri,  raccolti  fedelmente  dai  notari, 
cui  il  Pontefice  s.  Fabiano  aggiun- 
se sette  suddiaconi  perchè  gli  as- 
sistessero in  opera  così  pia  ed  im- 
portante, e  agli  uni  e  agli  altri 
aggiunse  pure  sette  diaconi,  acciò 
invigilassero  a  tale  uflìzio,  perchè 
gli  atti  fossero  scritti  in  disteso,  e 
non  già  con  abbreviature.  Della 
moltitudine  de'martiri  che  partico- 
larmente fiorirono  ne'primi  quattro 
secoli  delia  Chiesa,  si  può  vedere 
il  Zaccaria j  Storia  lett,  t.  II,  pag. 
4i  I  ,  e  r  articolo  Persecuzioni  , 
non  che  quello  de'  ss.  Martiri, 
ove  di  molti  si  fa  menzione,  cò- 
me delle  loro  diverse  denominazio- 
ni, sotto  cui  la  Chiesa  li  onora  col- 
lettivamente. Il  solo  cimiterio  di  s. 
Calisto  I  Papa  del  221,  fu  arricchito 
di  centosettantaquattromila  corpi  di 
martiri,  e  di  quarantasei  Pontefici, 
onde  si  potrà  argomentare  in  pro- 
porzione, quanti  ne  contennero  i 
quaranta  e  più  altri  Cimiteri  o 
Catacombe  di  Roma  (Vedi).  I  ss. 
Prudenzio    e    Paolino    dicono    chu 


MAR 

Tina  moltitudine  innumerabile  tli 
altri  martiri  furono  sepolti  nella 
«Ietta  catacomba  di  Calisto;  altii 
dissero  che  il  numero  n' era  infi- 
nito. Osservano  i  critici,  che  non 
bisogna  immaginarsi  che  tutti  quel- 
li i  quali  si  seppellivano  nelle  ca- 
tacombe fossero  martiri,  perocché 
le  catacombe  erano  il  cimiterio  di 
tutti  i  cristiani,  come  hanno  pro- 
vato Onofrio  Panvinio,  lib.  de  Coe- 
meieriiSf  cri;  Scacco,  De  notis  et 
si'gnis  sancii tatìs,  sec.  9  (di  che 
parleremo  all'  articolo  Martirio  ); 
Benedetto  XIV,  Z>e  canoniz.  t.  IV, 
par.  II,  e.  26,  n.  6,  e  come  Io  mo- 
stra la  sola  ispezione  delle  tombe. 
Se  vi  furono  messi  in  progresso 
di  tempo  i  corpi  di  alcuni  pagani, 
essi  non  erano  accompagnati  da 
contrassegni  che  indichino  martirio. 
INe' cimiteri  talvolta  si  rinvennero 
i  corpi  di  alcuni  martiri  con  meda- 
glie o  monete  di  quegli  imperatori 
gentili,  sotto  i  quali  avevano  sofferto 
il  martirio.  11  Papa  s.  Felice  I  del 
5.72  confermò  l'uso  antico  di  ce- 
lebrare le  messe  sui  sepolcri  dei 
martiri,  chiamati  memorie  (  per  le 
iscrizioni  e  segni  del  martirio,  e 
per  le  ossa  de' medesimi  martiri 
ivi  riposte,  come  affermano  Schel- 
slrate  e  Vittorelli),  ovvero  che  si 
mettessero  sotto  gli  altari  le  loro 
reliquie,  per  cui  alcuni  vogliono 
derivata  la  consuetudine  di  consa- 
grare gli  Altari  (Fedi)  colle  re- 
liquie de'martiri.  S.  Eutichiano 
eletto  Pontefice  nel  275,  seppellii 
colle  sue  mani  più  di  trecento 
quarantadue  martiri,  e  ordinò  che 
niuno  di  loio  fosse  seppellito  senza 
Colohio  {Vedi),  o  dalmatica  di  co- 
lor rosso,  essendo  prima  sepolti  coi 
lini  bianchi  aspersi  del  loro  san- 
gue. 

Il  più  delle    volle,    nelle    angii- 


MAR  i83 

slie  e  nel  fervore  delle  persecu- 
zioni ,  trovandosi  appena  tempo 
di  seppellire  i  corpi  de'martiri,  si 
soleva  frettolosamente  segnarne  sol- 
tanto il  numero,  senza  notarne  i 
nomi;  quindi  affinchè  per  questa 
mancanza  di  nome  le  loro  reli- 
quie non  rimanessero  inonorate  e 
prive  del  debito  culto,  come  notò 
il  p.  Mabilloo,  De  cidtu  sanclorunt 
ignolorum,  num.  211,  s'introdusse 
l'uso  di  battezzare  questi  corpi  a- 
iionimi,  con  nomi  appellativi,  che 
loro  potessero  conveniie,  e  che  ve- 
nissero ad  esprimere  la  loro  virtù, 
i  tormenti  da  loro  sofferti,  ed  i 
trionfi  da  loro  riportati.  Ognuno 
sa  che  nella  persecuzione  di  Dio- 
cleziano e  di  Massimiano,  ignoran- 
dosi il  nome  di  un  martire  com- 
pagno del  b.  Felice,  gli  fu  imposto 
il  nome  di  Adaucto.  I  trecento  mar- 
tiri dell'Africa,  che  patirono  al  tem- 
po di  s.  Cipriano  nel  258,  furono 
decoiati  del  titolo  di  Massa  Can- 
dida. Alle  reliquie  che  si  è  cre- 
duto appartenere,  non  meno  ai 
compagni  di  s.  Orsola,  che  ai  sol- 
dati della  legione  Tehea,  sono  stati 
assegnati  de' nomi  adattati  e  con- 
venienti alla  loro  fortezza.  Nell'in- 
venzione del  corpo  di  s.  Agostino  di 
Cantorbery,  essendosi  trovato  uni- 
to ad  esso  un  altro  coipo  anoni- 
mo, spirante  soavissimo  odore,  gli 
fu  imposto  il  nome  di  Deo  notua. 
Essendosi  pertanto  abbracciata  que- 
sta antica  disciplina,  alle  sacre  spoglie 
dei  santi  martiri  ignoti,  che  si  vanno 
scavando  nelle  catacombe  e  ne'cimi- 
teri  y  si  continua  imporre  i  no- 
mi di  Adeodato,  Candido,  Felice, 
Giusto,  Pio,  Vittore,  Vittoria  e  si- 
mili, come  dichiara  il  Boldelti  e.  29, 
e  perciò  sogliono  volgarmente  chia- 
marsi santi  battezzali  ,  dicendosi 
di   nome  proprio    quelli  che    risul- 


1 84  MAR 

ftnno  dalle  Kipidi  ed  iscrizioni  che 
«i  trovano  presso  le  loro  ossa.  Lo 
Cliiesa  lascia  ai  vescovi  clic  auten- 
tichino i  corpi  e  le  reliquie  de'inar- 
tiri,  e  impongano  loro  un  nome,  su 
di  che  si  può  leggere  il  decreto 
della  congregazione  de*  riti,  23  giu- 
gno 1670,  e  Benedetto  XIV,  De 
ss.  canon,  lib.  4»  pa»'-  2,  cap.  28, 
n.  1 5.  K  Reliquie.  Da  queste  tal- 
volta USCI  olio  od  altro  umore 
miracoloso  .  Talvolta  i  cristiani 
in  pericolo  di  qualche  guerra  q 
di  qualche  furto  nascosero  i  cor- 
pi de'santi  martiri,  e  poi  resta- 
rono in  dimenticanza,  o  per  mor- 
te di  chi  li  avevq  nascosti,  o  pey 
altre  eventualità. 

Nelle  feste  de'martirì  si  faceva- 
no dai  cristiani  solenni  e  pubblici 
Conviti  (  Fedi  )  chiamati  Agape 
(Fedi)j  ma  degenerate  in  crapule 
ed  ubbriachezze,  furono  abolite  ip 
progresso  di  tempo.  Grande  fu  il 
concorso  de'  fedeli  a  celebrare  le 
feste  de' martiri  ne' luoghi  ove  ri- 
posavano i  loro  corpi,  i  quali  fab- 
bricandovisi  delle  abitazioni,  a  po- 
co a  poco  divennero  terre,  castel- 
li e  città;  come  pure  tante  fiere 
e  mercati  in  molti  luoghi  ebbero 
origine  dalle  feste  de'  martiri.  Al- 
l'articolo Festa  dicemmo  che  si 
incominciò  sino  dal  principio  del 
cristianesimo  a  celebrar  le  feste 
de'  martiri,  ed  il  modo  (  dicendosi 
in  fine  delle  lettere  festive),  e  per- 
chè chiamasi  il  giorno  del  loro 
martirio  natale^  per  essere  con  es- 
so rinati  a  vita  immortale  ed  eter- 
na. Trattandosi  de'santi,  il  termi- 
ne di  natale  il  più  delle  volte  si- 
gnifica il  giorno  nel  quale  moren- 
do in  terra  rinacquero  in  cielo, 
ma  venne  pure  usato  per  indica- 
re solennità  .  Benedetto  XIV,  De 
fanoniz.,  insegua  che  la  Chiesa  non 


MAR 

riconobbe  per    martiri    (juclli    che 
si  presentavano  spontaneamente  da 
loro    stessi    ai    tiranni  ;     pure    non 
pochi  si  scontrano  ha'vcri   martiri, 
che  ultroneamente  incontrarono  la 
morte,  siccome  spinti  da    un    par- 
ticolare impulso    dello  Spirilo  San- 
to, ed  ebbero  talvolta  un  espresso 
avviso  da  Dio    di    esporsi  al   mar- 
tirio.   Alcuni    furono    chiamati  bis 
martyreSj  ed  anche  marlyres    tri- 
plicati ^    perchè    due    o    tre    vol- 
te   restarono     esposti     ai     tormen- 
ti .    Narra   san    Prudenzio,    fiorito 
dopo  la  metà  del    IV    secolo,    clic 
alle  feste  de'martiri    particolari,  che 
il  popolo  celebrava    al    suo   tempo, 
tutta  la  città    di  Roma    e    Itì  pro- 
vincie  vicine    venivano  ad    adorare 
Iddio  alle  loro  tombe,  ed  a  baciar  le 
loro  reliquie;  nel  suo  inno  sopra  s. 
Lorenzo    parla  delie  tombe  de'mar- 
tiri anonimi.    Dal  costume  di  pre- 
gare entrando  nelle  tombe  de'mar- 
tiri e  di  baciarle,  è  venuta  l'espres- 
sione di  visitare  le  loro    liminti,  q 
soglie,  la  quale  è  stata  specialmen- 
te consagrala   per  le  tombe   de' ss. 
Pietro  e  Paolo.    F.  Lìmina  Aposto- 

LORUM. 

Come  s'  incominciò  a  prpsta- 
ve  ai  martiri  solenne  culto  ,  so- 
no a  vedersi  gli  articoli  Canoniz- 
zazione e  Chiesa.  Mcmoriae  mar- 
Lyrum  furono  anticamente  chia- 
mate le  chiese  dedicate  ai  san  ti 
martiri,  solendosi  deporre  le  loro 
reliquie  in  quella  parte  che  si 
chiama  Confessione  {Fedi).  Abbia- 
mo da  Eusebio^,  che  l' imperatore 
Costantino  e  sua  madre  Elena, 
con  somma  magnificenza  e  di- 
spendio eressero  in  Gerusalemme 
uno  splendido  tempio  chiamato  Mar- 
tyrion,  perchè  consagi*ato  a  mag- 
gior gloria  del  capo  de'  martiri 
Gesù  Cristo,    essendosi    poi    questa 


MAR 
sfessa  denominazione  attribuita,  co- 
me dicemmo,  anco  alle  chiese  erette 
in  onore  de*  martiri.  Nei  primi  tre 
secoli  della  Chiesa  già  si    prestava 
il  cullo  ai  martiri  ;  e  quello  degli 
altri  .^anti  non  martiri  si  vuole  in- 
cominciato nel    IV    secolo:    allora 
non  era  necessaria  per  la  canoniz- 
zazione de'  martiri     1'  approvazione 
de' miracoli,     bastando    sol     quella 
che  avessero  dato  la  loro  vita  nel- 
la confessione  della    fede,    e    nella 
^comunione  della  Chiesa  cattolica;  e 
jyrima  di  essere  venerati    si    dove- 
vano approvare   dai  primati    delle 
Provincie  colla  consulta  de'Ioro  ve- 
scovi.   Siccome    ne' secoli    anteriori 
non  celebravansi   le  glorie  de'santi, 
ove  mancasse  il  martirio;  quindi  è 
che  nel  secolo  IV  e  seguenti,  pro- 
curarono gli  scrittori  di  riconoscere 
ne'  santi  uomini,  celebri  per   le  il- 
lustri ed  eroiche  azioni,    la    somi- 
glianza ed    il    merito    de' martiri. 
Così  intendevano  perchè  fu    attri- 
buito a  s.  Martino  vescovo  di  Tours, 
che  dopo  i  martiri  prima  degli  al- 
tri ha  ottenuto  l'officio  proprio  ne- 
gli antichi  libri  ecclesiastici.  Soleu- 
nizzavasi  la  festa  di    questo    santo 
confessore  ancor  con  l'ottava  ;  e  vi 
e  chi  sostiene  essere  stato  questo  il 
primo  de'  santi    confessori,  almeno 
in  occidente,  a  di  cui  onore  sieno 
slate  erette    chiese  ed    altari,    che 
prima  non  ergevansi    che  in  ono- 
re   e  sopra  le  ossa  de'martiri,  co- 
me dimostra  il  p.  Anselmo  Costa- 
doni,  nella    Dissertazione    sull'ori- 
gine della  jcstevolc  ricreazione  nel- 
la giornata  degli  i  i  novembre^  det- 
ta di  s.  Martino,  nel  t.  XXI    de- 
gli opuscoli  del   p.  Calogerà.  Il  p. 
Cosladoni  adottò  le  riflessioni  fatte 
dal    p.  Trombelli,    De    cullu  san- 
ctorum   t.   Il,  dis.   VI,    e.    1 4,    "el 
quale  ha    recato  le  ragioni  perchè 


MAR  .85; 

la  giocondità   degli     1 1    novembre 
per  la  festa  di  s.   Martino    sia    un 
avanzo  di  rito  gentilesco,   come  le 
allegrezze  del  primo  di    n) aggio  e 
di  agosto,   ed  ancora    nel    restante 
dei  due  mesi,  che  dai   cristiani  fu- 
rono continuate.    ^".  Mese.  Dice  il 
Macri  che    fu    chiamala    Martina- 
lia  la  festa  di  detto  santo,  perchè 
in   tal  giorno  la  plebe  dissoluta  be- 
ve   indiscretamente    il  vino  nuovo, 
con  grande  offesa    del    santo,    che 
fu    astinentissimo.     Si    può    anche 
leggere  il  Carmeli,    Storia  di  vari 
costumi  t.  II,  pag.  79,  della    festa 
detta     di     san     Martino.     Samuele 
Schmidt ,    Martinalia     scolastica . 
Quod  L.  i688.Joh.   Christ.  From- 
raanni,  De  Ansere  Martiniano,  Li- 
psiae    1720.  Parimenti    si    conosce 
perchè  fra     i  primi  confessori    che 
ebbero  culto,    si  trovano   gli    ana- 
coreti,    poiché     furono     reputati  a 
guisa     di    martiri,  come    apparisce 
dal   prologo  della  vita  di  s.  Paco- 
mio.   Il  Nazianzeno  chiama  marti- 
re s.   Basilio;    il   Crisostomo,    Eu- 
stazio  Antiocheno.   Il  titolo  di  con- 
fessore prima  significava    un    vero 
martire  di  sangue,  e  poi  fu  adat- 
tato ai  martiri  di  volontà,  e  a  co- 
loro che  osservarono  e  difesero  la 
legge    evangelica.    Parecchi    dotti 
hanno  osservato,  che  nel  VII,  VII! 
e  IX  secolo,  si  è  sovente  attribui- 
to il   titolo  di   martire,   non  solo  a 
chi  era  ucciso  per  la  fede,  ma    e- 
ziandio  a  chi  era  sacrificato  ingiu- 
stamente e   senza  causa  dai  proprii 
nemici  .     Per    rilevare    la    fiducia 
de'  primi  fedeli  all'  intercessione  dei 
martiri,  sì  può  leggere  s.  Agostino 
nel  tratt.  84  in  Joan.;  e  nel  ser- 
mone ^V\,de  verhis  Apostoli ^  so^- 
giunge:  Infuria  est  enim  prò  mar- 
tyre  orare,  cujus  debemus  orationi- 
bus  cominendari.    Perciò  nelle  loro 


i86  MAR 

feste,  preventivamente  alla  messa, 
leggevansi  gli  atti  del  loro  marti- 
rio; giacché  le  lezioni  delle  sacre 
scrilUirc  Facevausi  nel  decorso  del- 
lo stesso  divin  sacrifizio,  prima  di 
licenziare  i  catecumeni.  Vedi  Co- 
in  une  de^  mar  tiri j  nel  Diz.  lilurg. 
tii  Diclich. 

Nella  persecuzione  della  Chiesa, 
cominciata  circa  il  3o2  da  Dio- 
cleziano, la  più  fiera  di  tutte  le 
altre,  e  che  durò  per  dieci  anni, 
si  contarono  in  un  sol  mese  circa 
diecisellemila  martiri.  Dodwel scrit- 
tore protestante  pretese  di  mostra- 
re non  esservi  stalo  che  un  pic- 
colo numero  di  martiri;  nella  qua- 
le opinione  egli  fu  solidamente  con- 
futalo da  Ruinarl,  il  quale  ha  di- 
mostrato nella  celebre  sua  opera, 
che  il  catalogo  de' martiri  non  era 
stalo  aumentato  ;  perchè  quantun- 
que il  tempo  e  la  malizia  de'  per- 
secutori abbiatìo  distrutti  un  gran 
numero  de'Ioro  atti,  molti  però  fu- 
i-ono  conservati,  i  quali  sono  d'una 
autorità  incontrastabile,  senza  par- 
lare di  quanto  ne  insegna  la  tra- 
dizione e  le  opere  de'padri,  essen- 
do noto  con  quanta  cura  si  racco- 
glievano e  conservavano  antica- 
mente gli  atti  de'patimenti  e  del- 
la morte  de' martiri,  quindi  con 
moltissima  cautela  si  pubblicava- 
no. Molti  ne  alterarono  per  mali- 
zia gli  eretici,  e  molti  per  indi- 
screzione alcuni  cattolici  ;  si  man- 
davano a  tutte  le  chiese,  e  si  Ira- 
diicevano  nelle  lingue  volgari.  F. 
Leggenda.  Nel  692  il  sinodo  Qui- 
nisesto  celebrato  in  Costantinopoli, 
col  canone  63  provvide  contro  le 
leggende  e  storie  false  de*  martiri. 
Eusebio  autore  della  vita  di  Co- 
stantino, dice  ch'era  stato  stabilito 
da  una  legge  di  quell'  imperatore, 
che  i  beni    de'marliri,  se    non    a- 


MAR 

vesserò  lasciato  eredi,  ricadessero 
alle  chiese.  Pel  celebre  decreto  di 
s.  Gelasio  I  Papa  del  49^»  piesso 
Graziano,  dist.  i5,  cap.  Sancia  ro- 
mana  ecclesia,  3,  pare  che  in  Ro- 
ma comechè  si  ricevessero  gli  at- 
ti de*  santi  martiri,  ad  ogni  modo 
ne  fosse  vietata  la  lezione  nelle 
pubbliche  adunanze;  ma  siccome 
spiega  il  Mabillon,  Disquisit.  de 
cursu  Gallicano  §  i,  questo  va 
inteso  per  la  sola  chiesa  Lateranen- 
se,  e  per  gli  atti  di  que'  martiri, 
gli  autori  de'  quali  erano  ignoti, 
essendosi  così  prudentemente  or- 
dinato per  non  dar  luogo  ad  al- 
cuni alti  di  martiri  finti  dagli  ere- 
tici. Questi  e  gli  scismatici  pre- 
tendono di  vantare  un  gran  nu- 
mero di  martìri,  ma  inutilmente, 
giacché  è  impossibile  eh'  essi  gioi- 
scano di  questo  privilegio,  sia  che 
muoiano  per  sostenere  i  loro  erro- 
ri,  com'è  incontestabile,  sia  che 
muoiano  per  la  difesa  di  alcuni 
articoli  di  fede  che  hanno  comu- 
ni coi  cattolici,  giacche  anco  in 
questa  supposizione  essi  non  han- 
no la  vera  fede  di  questi  articoli, 
non  essendone  la  credenza  appog- 
giata alla  prima  verità  eh'  è  Dio, 
ed  alla  infallibile  autorità  della 
Chiesa.  F.  Benedetto  XIV,  i9e  sen>. 
Dei  beat.  lib.  i,  cap.  a,  e  lib.  3, 
cap.    ir,    12  e  20. 

Si  possono  dividere  in  molte 
classi  gli  atti  sinceri  de'marliri  , 
e  collocare  nella  prima  quelli  che 
si  chiamano  proconsolari  o  presi- 
diali ^  i  quali  altro  non  erano 
che  interrogalorii  stesi  nelle  for- 
me giudiziarie  da  notari  paga- 
ni, in  presenza  de'  proconsoli  o 
de' presidenti  che  facevano  il  pro- 
cesso a'martiri.  Tali  atti  conserva- 
vansi  nelle  pubbliche  cancellerie, 
ed  è    da  queste  che  i    cristiani    li 


MAR 
cstraevano  a  forza  d'oro  per  tra- 
scriverli ,  benché  i  gentili  furo- 
no sempre  impegnatissirui,  che  i 
cristiani  non  li  avessero,  e  Diocle- 
ziano ordinò  che  si  bruciassero,  in 
un  ai  sacri  libri,  siccome  comandò 
ancora  Galerio.  Gli  atti  proconso- 
lari, e  que* cristiani  che  esercita- 
vano r  uffizio  di  notali  presso  i 
tribunali  de'genlili,  servirono  mol- 
to a  raccogliere  gli  atti  sinceri  dei 
martiri,  ed  i  cristiani  s' intromet- 
tevano alcune  volte  negli  esami 
che  si  facevano  dai  gentili,  onde 
testimoniare  quanto  operavasi  so- 
pra de*  martiri.  Devono  essere  col- 
locali nella  seconda  classe  gli  atti 
composti  dagli  stessi  marti li,  quan- 
do n'ebbero  l'opportunità,  e  nei 
quali  essi  descrivevano  tiittociò  che 
avevano  sofferto  per  la  fede  uni- 
tamente ai  compagni  delle  loro  pe- 
ne. La  terza  classe  contiene  gli 
alti  che  i  cristiani  presenti  alle  u- 
dienze  scrivevano  nel  tempo  stesso 
in  cui  i  cancellieri  o  i  testimoni 
dei  combattimenti  de'martiri  sten 
devano  subito  dopo  i  loro  trion- 
fi. La  quarta  classe  contiene  gli  at- 
ti che  furono  immediatamente  ri- 
cavati da  quegli  originali,  da'quali 
furono  tolte  le  formole  noiose  del- 
la [trocedura  giudiziaria,  aggiun- 
gendovi qualche  volta  alcune  ri- 
flessioni, non  che  alcuni  ornamen- 
ti di  eloquenza.  La  quinta  classe 
comprende  gli  alti  che  non  furo- 
no tolti  dalle  pubbliche  cancellerie, 
ne  composti  nello  stesso  modo  de-, 
gli  altri,  ma  che  si  trovano  ne'li- 
bri  degli  autori  ecclesiastici,  i  qua- 
li nei  tempi  tranquilli  della  Chiesa 
hanno  narrato  la  storia  di  quei 
martiri  nelle  omelie,  nei  panegiri- 
ci, inni  ed  altre  opere,  sia  che 
fosse  pervenuta  a  loro  cognizione 
per  il  canale  delle  tradizioni j  o  per 


MAR  187 

quello  delle  memorie.  Tutti  questi 
atti  erano  matinamenle  esaminati, 
e  dopo  un  siffatto  esame  che  ap- 
parteneva ai  vescovi,  ciascuno  nella 
sua  diocesi,  venivano  pubblicamen- 
te letti  nella  chiesa  con  molta  edi- 
ficazione. Gli  Jui  sinceri  de  pri- 
mi martiri  della  Chiesa  cattolicay 
i  quali  diedero  la  loro  vita  per 
la  fede  di  Gesù  Cristo  nei  primi 
secoli  della  Chiesa,  ossia  proces- 
si verbali  di  quello  che  i  giu- 
dici ed  imperatori  dicevano,  do- 
mandavano, e  sentenze  ch'essi  da- 
vano ne'  loro  tribunali  o  nello  stes- 
so patibolo  a'  martiri,  e  risposte 
di  ^|uesfi  a  quelli  ed  ai  manigoldi 
die  li  tormentavano,  furono  pub- 
blicati dal  dotto  e  pio  benedetti- 
no p.  Teodorico  Ruinart,  e  tradot- 
ti in  italiano  da  Francesco  Maria 
Luchini,  Roma  1777,  ed  in  ca- 
stigliano,  Madrid  18445  accresciuti 
di  molti  altri  santi  martiri  spa- 
gnuoli,  ed  illustrati  con  la  tradu- 
zione del  Libro  de  tormenti  de'  ss., 
mrnliri,  opera  assai  rara  e  curiosa 
scritta  in  italiano  e  poscia  in  Ia- 
lino da   d.    Antonio   G.dloni. 

Il  Papa  s.  Gregorio  1  del  590 
due  abusi  tolse  e  riprovò,  di  sep- 
pellire i  morti  nelle  chiese,  e  di 
fabbricar  queste  ov'erano  stati  sot- 
terrali cadaveri  ;  pel  pericolo  di 
confondere  le  ossa  profane,  colle 
reliquie  dei  martiri.  Gli  antichi  cii- 
stiani  molto  ambirono  di  farsi  sep- 
pellire presso  le  sacre  spogli»  dei 
martiri,  per  godere  il  salutare  e 
benefico  influsso  della  loro  vici- 
nanza. Monsignor  Maiini  illustra 
egregiamente  questo  punto  ne  Pa- 
piri diplomatici  p.  99 ,  per  com- 
provare la  speranza ,  eh'  ebbei  o 
sempre  i  fedeli  di  essere  aiutati  dal- 
la intercessione  di  que'santi,  pressa 
i  quali  si  erano  latti  lutuulare  ;  a  p. 


88 


M  A  R 


a83  poi  rileva  la  permissione  di  sep- 
pellirsi entro  le  chiese,  negli  atri, 
ne*  portici  e  nelle  adiacenze.  Nel 
608  a'iS  agosto  s.  Bonifacio  IV 
consacrò  alla  Beata  Vergine  e  a 
tutti  i  santi  martiri  il  famoso 
Pantheon,  che  prese  quindi  il  nome 
di  Chiesa,  di  s.  Maria  ad  Marty- 
res  (P'edi),  ed  ivi  quel  Papa  ri- 
pose vent'olto  carra  di  corpi  presi 
dai  cimiteri  di  Roma.  I  manichei 
ed  altri  eretici  condannarono  le  fe- 
ste dei  martiri ,  nelle  quali  erano 
slate  convertite  ([uelle  de'gentili.  I 
martiri  furono  quelli  che  preferi- 
rono la  morte  a  consegnare  i  libri 
sacri  ai  gentili ,  e  se  ne  contano 
un  numero  infinito,  celebrandone 
la  Chiesa  la  memoria.  Pretendendo 
1*  imperatore  Foca  ,  che  fossero 
tenuti  martiri  i  soldati  che  mori- 
vano combattendo  contro  gl'infede- 
li, fu  represso  dal  vescovo  di  Co- 
stantinopoli e  da  altri  vescovi,  ai 
quali  egli  ne  fece  richiesta,  valen- 
dosi essi  principalmente  dell'auto- 
rità di  s.  Basilio ,  ed  allegando  il 
canone  penitenziale  fatto  pei  solda- 
ti che  in  guerra  uccidevano  gli 
avversari,  il  quale  dispone  che  non 
si  dasse  loro  la  comunione,  se  pri- 
ma non  facevano  penitenza.  Su  que- 
sto punto  si  può  consultare  la 
lettera  XXXVlll  del  Sarnelli  , 
Lelt.  eccl.  t.  V,  p.  75,  ove  parla 
de'soldati  CrocexJ guati  (Fedi).  Non 
furono  riconosciuti  per  martiri  quel- 
li che  si  esponevano  col  distrug- 
gere i  templi  e  con  spezzare  gli 
idoli.  Dei  simboli  de'martiri  se  ne 
tratta  agli  analoghi  articoli,  come 
Corona,  la  quale  di  metallo  pre- 
7.ÌOS0  o  di  lauro  o  di  Fiori,  si 
attaccava  ai  loro  sepolcri,  oó  ivi 
si  scolpiva  significando  le  vitto- 
rie da  loro  riportale:  le  ampolle 
del  sangue  trovate  prèsso    i   mar- 


MAR 
tiri  non  fecero  dubitare  del  loro 
martirio.  Fu  pure  segno  dei  mar- 
tiri anche  la  Palma  (Fedi),  seb- 
bene talvolta  tali  segni  furono  co- 
muni ai  semplici  cristiani,  come 
si  dirà  parlando  de*  loro  sepolcri. 
Nella  basilica  vaticana,  come  di- 
cemmo a  Chiesa  di  s.  Pietro  in 
f^alicano,  si  venera  la  coltre  con 
la  quale  i  martiri  erano  coperti 
quando  si  portavano  a  seppellire 
nella  basilica,  e  si  espone  ogni 
anno  con  musica  dopo  il  vespero 
dell'Ascensione,  e  si  leva  pur  so- 
lennemente il  primo  di  agosto  do- 
po vespero,  in  cui  sì  fa  un  discor- 
so sopra  la  provvidenza,  e  nel 
tempo  che  vi  sta  esposta  vi  è  gran 
concorso  di  popolo,  e  si  acquista 
r  indulgenza.  All'  articolo  Citta* 
Leonina  si  disse  che  la  porta 
Trionfale  fu  detta  santa,  via  sacra, 
via  de'mar  tiri,  et  carraria  sancta, 
pel  gran  numero  de*martiri  che  si 
conducevano  per  essa  al  circo  ed 
orti  di  Nerone,  per  esservi  marti- 
rizzati. Dell'  era  Alessandrina  di 
Diocleziano  o  de'martiri,  ne  par- 
lammo al  voi.  XXII,  p.  i4  del 
Dizionario.  Del  cavaliere  detto  dei 
ss.  martiri  Cosma  e  Damiano,  ne 
tratta  il  p.  Bonanni,  Catalogo  de- 
gli ordini  mililari  ed  equestri,  p.  77. 
MARTIRI  (ss).  Oltre  tutti  i  san- 
ti martiri,  de' quali,  colla  scorta 
del  p.  Butler,  abbiamo  succinta- 
mente riportale  le  notizie  in  que- 
sto Dizionario^  sotto  i  loro  propii 
nomi,  infinito  è  il  numero  di  quel- 
li che  suggellarono  la  loro  fede  col 
sagrifizio  della  propria  vita,  e  che 
la  Chiesa  onora  collettivamente  in 
diversi  giorni,  ancorché  di  molli 
di  essi  non  ne  sia  stato  tramanda- 
to il  nome.  Nel  martirologio  roma- 
no sono  menzionati  innumei abili 
martiri,  distinti  col  nome    delle  cit- 


MAR 

t?i  e  regioni  in  cui  riportarono  la 
gloriosa  palmato  coH'incìicazione del- 
la causa  del  loro  sagrifìcio.  Ai  sin* 
goli  articoli  di  esse  città  e  regioni 
tenemmo  proposito  di  quei  valo- 
rosi atleti  di  Cristo,  che  vi  porta- 
rono il  lume  della  fede,  e  la  re- 
sero feconda  col  proprio  sangue. 
Qui  faremo  cenno  in  ordine  cro- 
nologico di  quelli  che  il  Eutler  ri- 
porta, distinti  come  sopra,  ai  ri- 
spettivi giorni  delle  loro  feste. 

Martiri  di  Roma.  Uno   spaven- 
tevole incendio  si  appiccò  alla  cit- 
tà di  Roma    l'anno    64  di  Cristo, 
che  durò  per  nove  giorni  continui, 
e  che  incenerì  tre  interi  rioni,  re- 
cando ad  altri  sette  gravissimo  dan- 
no, onde  quattro  soli   ne  rimasero 
illesi.  Accusato  Nerone  dal   popolo 
quale  autore  di  questo   disastro,  ne 
rovesciò  la  colpa  sopra  i    cristiani. 
Essi  adunque  fuiono  presi  da  tut- 
te le  parti,  e  trattati    come    vitti- 
me del   pubblico  abborrimenlo.  In- 
sultavasi  al  loro  supplizio    ed    alla 
morte,    e    venivano    offerti    come 
spettacolo  al  popolo    per    divertir- 
lo. Alcuni,  dice  Tacito,  furono  ve- 
stiti di  pelli    di   bestie,    ed    esposti 
ai  cani  furiosi  che  li  fecero  in  bra- 
ni, altri  o    furono    posti    in    croce 
od  arsi  in    tempo    di   notte,    come 
per  servire  di  torcie.    Si    legge  in 
alcuni  scrittori  pagani  che  Nerone 
martirizzava    i  fedeli,    indicati    col- 
l'empio  nome  di  maghi^  nella  più 
orribile  maniera;    che    dopo    aver 
fatto  intonacare  i  lor  corpi  di   ce- 
ra, di  pece  e  d'altre  materie  com- 
bustibili, ordinò  che  vi  fosse  appic- 
cato il  fuoco,  e  che  durante  il  lo- 
ro supplizio  fossero  costretti  a  sta- 
re diritti  per    mezzo    di    un    palo 
appuntato,  confìtto  a    ciascuno    di 
loro  sotto  il  mento.  Tacito  aggiun- 
ge che  i    giardini   dell'  imperatore 


MAR  189 

furono  il  teatro  di  questa  orribile 
scena.  Il  martirologio  romano  fa 
nel  giorno  24  gi"gno  una  genera- 
le ricordanza  de'cristiani  che  peri- 
rono in  questa  occasione,  e  che  fu- 
rono le  primizie  di  quella  innume- 
rabile schiera  di  martiri_,  che  la 
chiesa  di  Roma  mandò    in  cielo. 

Martiri  Massilani.  11  ven.  Reda 
ha  fatto  menzione  di  questi  santi 
martiri,  il  nome  de'  quali  trovasi 
ne' più  antichi  calendari;  ed  ab- 
biamo un  discorso  di  s.  Agostino, 
che  fu  recitato  il  giorno  della  lo- 
ro solennità.  Essi  patirono  in  A- 
frica  ;  e  pare  che  il  nome  di  Mas^ 
silani  sia  loro  venuto  da  Massila, 
ovvero  dal  paese  vicino,  che  si  e- 
stendeva  lungo  le  coste  del  mare. 
Se  ne  fa  la  commemorazione  il 
giorno  9  d'oprile. 

Martiri  di  Creta.  Dopo  la  pub- 
blicazione dell'editto  di  Decio  con- 
tro i  cristiani,  si  versò  il  sangue 
da  tutte  le  parti,  e  specialmente 
nell'  isola  di  Creta  o  di  Candia  fu- 
rono trattati  colla  maggior  crudel- 
tà. Tra' principali  che  soifersero  al- 
lora si  noverano  Teodulo,  Satur- 
nino, Euporo,  Gelasio,  Euniciano, 
Zotico,  Cleomene,  Agatopio,  Basi- 
lide  ed  EvaristOj  volgarmente  chia- 
mati i  dieci  martiri  di  Creta  :  i 
tre  primi  erano  di  Cortina  metro- 
poli dell'isola,  e  gli  altri  pure  cre- 
tesi di  vari  luoghi.  Poiché  furono 
presi,  soffersero  mille  oltraggi  e 
diverse  torture;  poscia  condotti  di- 
nanzi al  governatore,  residente  a 
Cortina,  venne  loro  intimato  di  sa- 
grificare  a  Giove.  Fermi  nella  lo- 
ro fede,  risposero  che  non  poteva- 
no offerir  sagrifìcio  ad  idoli,  fran- 
camente dimostrando  la  vanità  di 
essi.  Il  giudice  non  potendo  nega- 
re, né  confutare  i  fatti  allegati,  non 
seguì  più  che  gli  stimoli    del   suo 


ic)o  MAH 

fulgore,  etl  il  popolo  egualmente 
trasportato  ila  rabbia,  avrebbe  fat- 
to in  per.zi  fpie'confcssori,  se  ho» 
fosse  slato  ritenuto.  Eculei,  unghie 
di  ferro,  bastoni  aguzzati  ,  fruste 
annate  di  piombo,  e  quanto  la  più 
spieiata  barbarie  potè  inventare, 
tulio  fu  |K)slo  in  opera  per  abbat- 
tere la  loro  costanza  ;  ilncbè  il  giu- 
dice, disperando  di  vincerli,  lì  fece 
decapitare.  I  crisliani  portarono  via 
segretamente  i  loro  corpi  ;  poscia 
si  trasferirono  a  Roma  le  loro  re- 
liquie. I  greci  ed  i  latini  celebra- 
no la  festa  di  questi  dieci  santi 
martiri  a' 23  dicembre,  giorno  in 
cui  riportarono  la  palma,  corren- 
do   l'anno   2  5o. 

Martiri  d' litica.  Durante  là  per- 
secuzione di  Valeriano,  il  quale 
diede  il  guasto  alla  Chiesa  neiran- 
no  7,58,  il  proconsolo  d'Africa  ven- 
ne da  Cartagine  ad  Utica,  e  fece 
comparire  dinanzi  a  se  lutti  i  cri- 
sliani guardali  nelle  prigioni  di 
questa  città,  e  che,  secondo  s.  Ago- 
slino,  erano  in  numero  di  cento- 
cinquantatre. Egli  ordinò  di  ac- 
cendere il  fuoco  in  un  forno  da 
calce,  vicino  al  quale  fu  posto  un 
altare  con  sale  e  col  fegato  di  un 
maiale,  per  farne  offerta  agl'idoli; 
e  propose  ai  cristiani  la  scelta,  o 
di  sagrificare,  o  di  essere  precipi- 
tati in  quel  forno.  Tulli  preferi- 
rono la  morte,  e  furono  consuma- 
ti insieme  nella  fornace.  I  fedeli 
raccolsero  le  loro  ceneri,  e  siccome 
formavano  una  massa  mescolata 
di  calce,  furono  chiamale  la  Massa 
candida^  col  qual  nome  si  distin- 
guono questi  santi  martiri,  la  cui 
memoria  è  onorata  a'  24  d'agosto. 

Martiri  della  pestilenza  d' Ales- 
sandria. Nell'orribile  pestilenza  che 
desolò  la  cillà  di  Alessandria  ne- 
gli anni    261     a    aiGS ,    i    ciisliaui 


MAR 

che  duranti  le  persecuzioni  di  Tfd' 
ciò,  (}i  Gallo  e  di  Valeriano  erano 
stali  coslretli  a  nascondersi,  e  non 
aveano  potuto  offrire  i  santi  misteri 
se  non  in  prigioni  o  luoghi  sotter- 
ranei, accorsero  coraggiosamente  in 
servigio  degli  appestati,  esponendo 
la  propria  vita  per  recar  ad  essi 
aiuto  e  conforto,  e  per  render  loro 
gli  ultimi  ufììzi.  Molli  tra  questi 
veri  discepoli  di  Gesù  Cristo  rima- 
sero vittime  della  loro  carità;  ma 
essi  lasciavano  morendo  dei  fedeli 
imitatori  del  loro  zelo,  i  quali  pu- 
re morendo,  altri  entravano  in  loro 
luogo.  »  In  questa  guisa  (  narra  s. 
Dionigi  vescovo  d'Alessandria)  i  più 
dei  nostri  fratelli,  i  più  santi  de'  no- 
stri preli,  de'nostri  diaconi,  ed  anche 
dei  nostri  laici,  hanno  compiuto  il 
corso  di  loro  vita;  ed  è  indubita- 
bile che  questa  maniera  di  morte 
non  sia  in  nulla  dal  martirio  di- 
versa ".  Il  martirologio  romano  di- 
ce che  i  cristiani  morti  in  servigio 
degli  appestati  d'  Alessandria,  sono 
onorati  come  martiri,  per  una  co- 
stumanza introdotta  dalla  pietà  dui 
fedeli;  e  ne  fa  la  commemorazione 
il  giorno  28  di   febbraio. 

Martiri  de  libri  santi.  Avendo 
r  imperator  Diocleziano  fatto  un 
editto  nell'anno  3o3,  col  quale  or- 
dinava di  dar  alle  fìamtne  quanti 
esemplari  poteansi  rinti'acciare  delle 
nostre  divine  Scritture,  i  magistrali 
delle  diverse  provincie  adoperarono 
i  supplizi  per  isforzare  i  cristiani  a 
consegnarli  ad  essi.  Ma  ve  n'  ebbe 
un  gran  numero  che  preferirono 
di  esporre  i  loro  corpi  ai  tormenti 
e  alla  morte,  anziché  contribuire 
alla  sacrilega  distruzione  di  questo 
monumento  della  nostra  religione. 
La  Chiesa  li  onora  il  giorno  2  di 
gennaio  sotto  il  titolo  di  martiri 
dei  libri  suuli. 


MAR 

Martìri  di  Saragozza.  Sotto  Ba- 
ciano, uno  de'  più  ciudeli  minislri 
della  persecuzione  accesa  da  Dio- 
cleziano, governatore  di  quella  par- 
te di  Spagna  che  comprende  oggi- 
di  l'Aragona,  la  Catalogna  ed  il 
regno  di  Valenza,  diciolto  confessori 
furono  martirizzati  in  uno  stesso 
dì  a  Saragozza,  l' anno  3o4.  Giu- 
sta Prudenzio  si  chiamavano:  Ot- 
tato,  Luperco,  Marziale,  Successo, 
Urbano,  Quintiliano,  Giulio,  Pu- 
blio, Frontone,  Felice,  Ceciliano, 
Evozio,  Primitivo,  Apodemo ,  ed 
altri  quattro  col  nome  di  Saturni* 
no.  Caio  e  Cremenzio,  i  quali  era- 
no stali  tormentati  a  un  tempo, 
non  morirono  che  dopo  una  secon- 
da prova.  Al  trionfo  di  tutti  questi 
martiri,  Prudenzio  aggiunge  quello 
d'  una  vergine  chiamata  Encralide 
(  Fedi).  Nell'anno  iSSq  si  scoper- 
sero a  Saragozza  le  reliquie  di  tulli 
questi  santi  martiri,  i  quali  sono 
menzionati  nel  martirologio  roma- 
no a'    1 6. d'apri  le. 

Marlin  del  Ponto.  Parecchi  cri* 
stiani  riportarono  nel  Ponto,  sotto 
Diocleziano,  la  corona  del  martirio. 
Agli  uni  si  foracchiarono  le  dita 
con  canne  puntute;  agli  altri  si 
abbruciarono  le  coscie  e  diverse 
parti  del  corpo  con  piombo  lique- 
fatto ;  al  restante  si  fecero  tutte 
quelle  svariate  sorta  di  tormenti, 
che  la  più  raffinata  crudeltà  seppe 
inventare.  Questi  santi  martiri  sono 
onorati  il  5  febbraio. 

Martiri  di  Sebaste.  Questi,  in 
numero  di  quaranta,  soffrirono  in 
Sebaste,  città  della  piccola  Arme- 
nia, sotto  r  imperatore  Licinio,  nel 
3 IO.  Erano  di  diversi  paesi,  ma 
tutti  arrolati  nello  stesso  corpo  di 
milizia,  tutti  giovani,  di  bella  per- 
sona, coraggiosi,  chiari  pei  loro  fat- 
ti guerrescbi.  Leggesi  in  s.  Gregorio 


MAR  191 

di  Nissa  ed  in  Procopio,  ch'essi 
facevano  porte  della  legione  fulmi" 
nante^  cosi  celebre  per  la  miraco- 
losa pioggia  ottenuta  dal  cielo,  sot- 
to r  imperatore  Marco  Aurelio.  A- 
\endo  Agricola  governatore  della 
provincia  pubblicato  all'  armata  un 
editto  di  Licinio,  che  ordinnva  a  tutti 
di  dover  sacrificare  agl'idoli,  questi 
quaranta  cristiani  si  presentarono 
confessando  coraggiosamente  la  loro 
fede,  e  protestando  che  nessun  sup- 
plizio varrebbe  a  far  sì  che  la  tra- 
dissero. Il  governatore  dopo  aver 
tentato  di  guadagnarli  con  dolci 
modi,  comandò  che  fossero  sferzati, 
e  straziati  i  loro  fianchi  con  un- 
gine di  ferro;  e  dopo  ciò  furono 
cacciali  in  prigione  carichi  di  ca- 
tene. Finalmente  immaginò  un  ge- 
nere di  supplizio  lento  e  tormen- 
toso :  essendo  la  stagione  assai  ri- 
gida, ordinò  che  fossero  esposti  nu- 
di tutta  una  notte  sopra  uno  sta- 
gno agghiacciato,  e  per  tentarli  fece 
preparare  ivi  appresso  un  bagno 
caldo,  per  quelli  che  si  risolvessero 
di  sagrifìcare.  Uno  di  essi  si  lasciò 
vincere  dalle  lusinghe  de'  pagani, 
ed  abbandonato  il  suo  posto,  andò 
a  gittarsi  nel  bagno  caldo,  nel 
quale  appena  entrato  spirò.  lu 
quel  momento  una  delie  guardie 
vide  degli  spiriti  celesti  che  scen- 
dendo dal  cielo  distribuivano  delie 
ricompense  a  que'  generosi  soldati, 
eccettuato  quello  che  avea  così  vil- 
mente tradito  Ja  sua  fede.  Tocca 
la  guardia  da  questa  visione,  si  con- 
verti air  istante  ;  e  toltisi  gli  abili 
di  dosso,  andò  ad  unirsi  agli  altri 
trentanove  martiri^  gridando  ch'era 
cristiano  commessi.  Fallo  giorno,  il 
giudice  comandò  che  fossero  posti 
sopra  carri  e  giltati  nel  fuoco.  Es- 
si erano  già  tutti  morti  o  stavano 
per    morire,  tranne    il   più  giovane 


ìiji  MAR 

(cliiamato  Melilone  negli  alti  dei 
santi  martìri  ),  il  quale  essendo  sta- 
to trovalo  ancor  vigoroso,  fu  la- 
scialo indietro,  sperando  che  si  po- 
tesse cambiare.  Ma  la  sua  madre 
ch'era  presente,  lo  esortò  a  perse- 
verare, ed  ella  medesima  lo  pose 
sul  carro  cogli  altri  martiri ,  e  lo 
accompagnò  sino  al  rogo.  Poscia  che 
i  corpi  de'  santi  martiri  furono  ab- 
bruciati, gittaronsi  le  loro  ceneri  nel 
fiume  :  ne  rimase  però  una  parte 
ai  cristiani,  che  le  involarono  o 
comperaronle  a  prezzo  d' argento, 
e  che  furono  feconde  di  molti  pro- 
digi. La  memoria  di  questi  qua- 
ranta martiri  si  celebra  il  giorno 
IO  di  marzo. 

Martiri  dell'  Acliahene.  Neil'  an- 
no quinto  della  grande  persecuzione 
di  Persia,  essendo  il  re  Sapore  a 
Seleucia,  fece  arrestare  nel  vicinato 
centoventi  cristiani,  fra*  quali  eranvi 
nove  vergini  consecrate  al  Signore, 
molti  preti  e  diaconi  o  chierici.  Es- 
si rimasero  per  ben  sei  mesi  in  fe- 
tide prigioni,  ove  sovente  soffrirono 
crudeli  torture,  confessando  costan- 
temente la  fede  di  Gesù  Cristo,  e 
rifiutando  di  prestare  al  sole  le  a- 
dorazioni  che  il  re  esigeva.  Furono 
quindi  tutti  decapitati  a  Seleucia  il 
d'i  6  della  luna  d'aprile,  che  cor- 
rispondeva al  giorno  1 1  di  questo 
mese,  nelT  anno  344-  Jazdundotla, 
ricca  e  virtuosa  donna,  che  aveali 
nudrili,  visitati  e  confortali,  fece 
con  precauzione  seppellire  i  loro 
corpi,  i  quali  furono  sotterrati  a 
cinque  a  cinque  in  un  luogo  molto 
lungi  dalla  città.  Questi  centoventi 
martiri  sono  nominati  nel  martiro* 
logio  romano  il  giorno  6  d'aprile. 

Martiri  di  Raita  e  del  Sinai  * 
Quaranta  romiti  del  monte  Sinai, 
nel  numero  de' quali  erano  s.  Isaia 
e  s.  Saba^  furono    martirizzali  da* 


MAR 

gli  arali  nell'anno  SyS.  Nello  stes- 
so anno  i  blemmii,  popolo  barbaro 
di  Etiopia,  sgozzarono  parecchi  so- 
litari di  Ralla  :  tra  questi  eran  pri- 
mari l'abbate  Paolo;  Mosò ,  che 
colla  sua  predicazione  e  co' suoi  mi- 
racoli avea  convertito  gì*  ismaeliti 
di  Faran  ;  e  Psaes  che  passava  per 
un  prodigio  di  austerità.  Nel  quinto 
secolo  i  saraceni  trucidarono  pa- 
recchi altri  solitari  del  monte  Sinai. 
V  avea  tra  loro  un  fanciullo  di 
quattordici  anni,  la  vita  del  qualtì 
era  uno  specchiato  modello  di  per- 
fezione evangelica.  Avendolo  i  bar- 
bari minacciato  d'ucciderlo,  se  nort 
iscopriva  il  luogo  ove  i  vecchi  solita- 
ri s' eran  nascosti,  egli  coraggiosa- 
mente rispose  che  avrebbe  data  mil- 
le volte  la  vita,  piuttosto  che  tra- 
dire i  suoi  padri.  I  .«saraceni  sde- 
gnati di  sua  risposta,  lo  misero 
barbaramente  a  morte.  Tutti  que- 
sti santi  martiri  sono  onorati  a*i4 
di  gennaio. 

Martiri  d'  Alessandria.  Il  pa- 
triarca Teofilo,  del  Sg:*,  avendo 
ottenuto  dair  imperatore  Teodosio 
un  antico  tempio  di  Bacco  per  far- 
ne una  chiesa,  vi  scorperse  delle 
volte  sotterranee  piene  di  figure,  le 
quali  fece  portare  per  la  città,  af- 
finchè tutta  la  gente  conoscesse  la 
stranezza  del  culto  cui  ess«  servi- 
vano. I  pagani  sommamente  sde- 
gnati da  cotesto  tratto  che  feriva 
la  loro  religione,  assalirono  r  cri- 
stiani per  le  contrade,  e  ne  truci- 
darono molti  j  dopo  di  che  si  ripa- 
rarono nel  tempio  di  Serapide,  qua- 
si in  una  citladella.  Di  là  facevano 
molte  sortite,  nelle  quaU  prendeva^ 
no  parecchi  cristiani,  menava  ni  i  se- 
co loro  nel  tempio,  e  H  costringe- 
vano a  sagrifìcare,  mettendo  a  mor- 
te quelli  che  non  volevano  rinne- 
gale la  fede,  dopo  averli  posti  alle 


MAR 

pili  crudeli  torture.  Saputasi  dal- 
l'imperatore questa  sedizione,  man- 
dò ordine  in  Alessandria  di  spianare 
tutti  i  templi  degl'idoli  che  vi  erano. 
Appena  i  pagani  intesero  V  editto, 
abbandonarono  disperali  il  tempio 
e  la  città  ;  ed  i  cristiani  spezzaro- 
no r  idolo  di  Serapide,  gittandone 
al  fuoco  i /rammenti.  Sulle  rovine 
del  tempio  di  Serapide  si  eressero 
due  chiese,  e  i  metalli  che  ivi  si 
trovarono  furono  consacrati  al  cul- 
to del  vero  Dio.  Dopo  questo  trion- 
fo molti  idolatri  aprirono  gli  occhi, 
ed  abiurando  le  loro  superstizioni^ 
abbracciarono  la  religione  cristiana. 
11  martirologio  romano  fa  comme- 
morazione a'iy  di  marzo,  di  que- 
gl'  invitti  cristiani  che  perdettero  la 
Tita  in  tale  circostanza,  a  gloria 
della  religione. 

Martiri  d' Italia.  Impadronitisi  i 
longobardi,  verso  la  metà  del  sesto 
secolo,  della  parte  settentrionale  di 
Italia,  portando  dappertutto  la  de- 
solazione e  il  saccheggio,  tentarono 
perfino  di     togliere  la  fede  a  quel- 
li   che    spogliato  aveano  dei    beni. 
La  persecuzione  cominciò  da    qua- 
ranta   contadini,    ai    quali    essi  co- 
mandarono di  mangiare    carni   sa- 
crificate  ai    loro  idoli  ;    ma    questi 
fedelissimi  servi  di  Gesù  Cristo,  a- 
vendo  ricusato  di  obbedire,  furono 
spietatamente  trucidali  verso   l' an- 
no 579.  Gli  stessi  barbari  volevano 
costringere  un'  altra  brigata  di  pri- 
gionieri ad   adorare    una    testa    di 
capra,  favorito   loro   nume;  e  non 
avendoli    potuti   a    ciò    indurre,    li 
uccisero.  Si  crede  che  questi    santi 
martiri    fossero    ben    quattrocento. 
Se  ne  onora  la  memoria  il  giorno 
2  di  marzo. 

Martiri  di  Gorciim  in  Olanda. 
Diciannove  fra  religiosi  e  preti  se- 
colari, dopo  aver  solferlo  molti  cat- 

VOL.    XLIII. 


MAR  195 

tivi  trattamenti  dai   calvinisti,    che 
li   aveano  arrestali  a  Gorcum,    fu- 
rono appiccati  a   Bril    il    9    luglio 
1072,  in  odio  della    religione   cat- 
tolica. Erano  in  questo  numero  un- 
dici recolletti,  cioè:  Nicola  Pie  guar- 
diano di   Gorcum,  uomo   di    santa 
vita,  in  età  di    trent'anni,  celebre 
pei  frutti  che  avea  riportato  la  sua 
predicazione  ;  Girolamo  di  Werden, 
vicario  dello  stesso  convento  ;  Teo- 
dorico di   Embden ,    nativo    di.A- 
morfort;  JXicasio    Johnson    del  vil- 
laggio   di    Heze  ;    Wilad    nato    in 
Danimarca  ;  Goffredo  di  Merveille; 
Antonio   di    Werden;    Antonio    di 
Hornaire;  Francesco  Rodes,  nato  a 
Bruxelles  ;  Pietro  di  Asca,    e    Cor- 
nelio di  Dorestale,  ambedue  fratelli 
conversi.  Gli  altri  martiri  erano  un 
domenicano  della  provincia  di   Co- 
lonia, Giovanni  di  nome,  e  curato 
di  Hornaire;  un  canonico  regolare  di 
s.  Agostino,  uomo  assai  vecchio,  per 
nome  Giovanni  Oosterwican,  diret- 
tore di  un  convento  di  religiose  del 
suo  ordine  a  Gorcum;  Adriano  di 
Hilvarenbeck  premonstralesedi  Mid- 
leburgo,  che  governava  una  parroc- 
chia   di    un    villaggio    di    Munster 
presso  la   Mosa,  e   Giacomo  Lacop 
religioso  dello  stesso  ordine  e  dello 
stesso  monastero,  che  serviva  in  una 
parrocchia  vicina  a  Munster.  Final- 
mente tre  curati    e  un  prete  seco- 
lare. Il  primo  di  questi  curati  era 
Leonardo   Wechel,  il  quale   studiò 
a  Lovanio,  e  divenne  famoso  e  ri- 
spettato in  teologia  ;  resse  con  som- 
ma pietà,  zelo  e  dottrina  una  par- 
rocchia a  Gorcum,  e    spese   le  sue 
entrate  a  sollievo   àe  poveri  e  de- 
gl'  infermi.    Il    secondo    era  iNicolò 
Poppel,  parimenti   curato    di  Gor- 
cum, non    inferiore    al    precedente 
nello  zelo  per  la  salute  delle  anime, 
sebbene  d' ingegno  non  sì   elevato, 
i3 


194  MAR 

Il  terzo  era  Goffredo  Dunen,  nato 
a  Goicum,  il  quale  dopo  essere  sta- 
to rettore  dell' unitersità  di  Parigi, 
dove  avea  studiato  e  insegnato,  di- 
venne curato  in  Olanda  presso  il 
territorio  francese,  alla  qual  cura 
rinunziò  per  ritirarsi  in  patria.  Il 
prete  era  Andrea  di  Walter,  già 
curato  a  Heinort  presso  Dort.  Que- 
sti furono  tutti  dichiarati  martiri  e 
beatificati  da  Clemente  X  nel  1674. 
I  Bollandisti  pubblicarono  la  rela- 
zione di  molti  miracoli  operati  ad 
intercessione  di  essi,  ja  quale  fu 
mandata  a  Roma  per  la  compila» 
zione  del  processo  della  loro  bea- 
tificazione. La  maggior  parte  delle 
loro  reliquie  è  custodita  nella  chiesa 
dei  francescani  a  Bruxelles,  dove 
furono  segretamente  recate  da  Bill. 
La  loro  festa  si  celebra  a'  9  lu- 
glio. 

Martiri  del    Giappone.  L'impe- 
ro del   Giappone    (Fedi)    era    im- 
merso nelle  più  dense  tenebre  del 
paganesimo,  allorché    s.  Francesco 
Saverio    (Fedi)    vi    pervenne     nel 
i549  a  predicare   il  vangelo.   Me- 
raviglioso   fu     il  frutto    delle    sue 
predicazioni  ;    intere    provincie    ri- 
cevettero   per     lui    il     lume    della 
vera  fede,  1'  anno    i582   i  re  d'A- 
rima,  di  Bungo,  e  di  Omura  man- 
darono un'ambasceria  a  Papa  Gre- 
gorio XI 11,  e  cinque  anni  appresso 
si  contavano  nel  Giappone  duecen- 
tomila cristiani.  Ma  nel   i588  l'or- 
goglioso imperatore    Cambacundo- 
no  ordinò  a   tutti  i  missionari  ge- 
.suiti  di   uscire  dai  suoi  stati    nello 
spazio  di  sei    mesi.  Malgrado  que- 
sto   comandamento    molti    di    essi 
rimasero  nel  Giappone,  e  travestiti 
continuarono    esert:itare    il  lor  mi- 
nistero.  La    persecuzione    essendosi 
ridestata  nel  1592,  una  gran  mol- 
titudine   di    giapponesi    convertiti 


MAR 

furono  martirizzati.    Nel    i^t^-j   no- 
ve missionari,    per    ordine  dell'im- 
peratore Taycosama   furono    croce- 
fissi    sopra    un     monte    vicino    a 
Nangasacki;  de'quali  sei  erano  fran- 
cescani, ed   aveano    per    loro    capo 
il   p.  Piei-  Battista  commissario  del- 
l'ordine, nato  in  Avila  nella  Spagna, 
e  gli   altri  Ire  erano  gesuiti  (ne  fa- 
cemmo menzione  nel  voi.  XXX,  p, 
127  del  Dizionario).  Uno  fra  questi, 
per  nome  Paolo  Miki,  disceso  da  una 
onorevole  famiglia  del  Giappone,  a- 
vea  sortito  dalla  natura  grande  atti- 
tudine alla  predicazione.  Altri  giap- 
ponesi   convertiti    furono    con    essi 
martirizzati,  essendo  in  tutti  in  nu- 
mero di  ventisei,  fra  i  quali  tre  fan- 
ciulli, che  quantunque  in  tenera  età, 
soffiirono    con    gioia  e    coraggio  i 
più  crudeli   tormenti.  Ventiquattro 
di     questi     generosi    atleti     furono 
condotti  a    Meaco,    perchè  si  moz- 
zassero loro  le  orecchie  ed  il  naso; 
ma    il    rigore    di     questa    sentenza 
venne  mitigato,  essendosi  loro  tron- 
cata solo    una    parte    dell'orecchia 
sinistra.   Si    condussero     poscia     di 
città  in  città    colle    guance    insan- 
guinate,   per    intimorire     gli     altri 
cristiani  ;  quindi  annodati  sopra  cro- 
ci c«n  corde     e  catene,  e  con  col- 
lari di  ferro  alla   gola  ,    a  tutti  in 
un    colpo    i     carnefici    trapassaro- 
no   il    costato    colle  lancie.   Il  san- 
gue   e     le     vestimenla     di     questi 
martiri,  raccolte  dai   cristiani,  ope- 
rarono   col    solo    contatto    grandi 
miracoli.  Urbano  Vili  li  annoverò 
fra  i  santi,  e  la  Chiesa  nel   giorno 
5  febbraio    celebra     il    loro    trion- 
fo: questa   fu  la    prima    causa  dei 
martiri  trattata  dalla  congregazione 
de' riti.   Dopo  la  morte  dell'impera- 
tor  Taycosama,  i  gesuiti  ricomparve- 
ro nel  Giappone,  e  vi  convertirono 
quarantamila    anime    nel    1599,  e 


MAR  MAR                   195: 
pù  di   trentamila  neirnnno  seguen-  parte    gesuiti,     spinti  da     religioso 
te,   avvegnaché     essi     non     fossero  fervore  ,  approdarono  in  un  porlo 
pih  di  cento.    Fecero    a   un  tempo  del  Giappone,  ad  onta  della   proiln- 
fabbricare    cinquanta  chiese,  ove  i  zione    dell' iujperatore  ;  ma  la  pre- 
fedeli si  radunavano.  Cubosama  nei  cauzione    di    travestirsi    non    riuscì 
1602   rinnovò    gli    editti    ch'erano  loro  a  bene   grnn   tempo,  perocché 
slati  precedentemente  pubblicati  con-  furono  scoperti  e  condannati  ad  una 
tro    i     cristiani.     Molti     giapponesi  morte  crudele.  Fu  perciò  che  il  Giap- 
ch'eransi   ridotti  a  Dio,  furono  de-  pone  ha  riempito  il    cielo    d'un  im- 
capitati,   alcuni  crocefissi,  altri  ab-  menso  numero    di  martiri,  de'quali 
bruciali.    La    persecuzione  divenne  non  avvi  ancora  che  i  ventisei  pri- 
ancora    più  sanguinosa     nel    i6i4>  mi  che    siano    onorali  d'  un  culto 
perocché  si    usarono  le  più  orribi-  pubblico,  come  si  disse.    Benedetto 
li   torture  per  sforzate  i  seguaci  dì  XIV  ha  inserito   i    loro    nomi   nel 
Gesù    Cristo  a    rinnegare  la    fede;  martirologio  romano, 
ma   una   innumerevole    moltitudine  Martìri  della  Cina.  Dopo  i  mar- 
di  questi   la    confessarono  costante-  tiri  del  Giappone,  riferisce  il  Bu- 
rnente fino  alla  morte.  Xogun,  sue-  ller  le  notizie  di  quelli  della    Cina 
ceduto  nel    1616  a   Cubosama  suo  o   China  (Vedi),  e  di  parecchi  ze- 
padre,  lo  superò  di  gran  lunga  in  tanti     e    distinti     missionari     ch'ivi 
crudeltà,    non    essendovi    specie  di  travagliarono  per  propagare  la  fe- 
barbarie  ch'egli   non   usasse  contro  de  cristiana.    La    morte    impedì  s. 
i    cristiani  ,    e    massime     contro    i  Francesco    Saverio  di  condurre  ad 
missionari.     Il     più     ragguardevole  effetto  V  ardente    suo    desiderio    di 
di   questi     ultimi    fu     il     p.     Carlo  predicar     nella     Cina    la     fede  ;    e 
Spinola,  nobile    genovese,  gesuita,  non  fu    che    qualche    tempo  dopo 
che  pel  desiderio  di  versare  il  san-  che  i    missionari     trovarono  modo 
gue  per  la     fede,  quivi   recossi  nel  di  entrare  in     questo  impero,  me- 
j6o2,    e     con     zelo     indefesso    ed  scolandosi    fra' mercanti    portoghesi 
ammirabile  dolcezza   ridusse  a  Dio  dimoranti    a     Macao,  che     aveano 
una   gran  moltitudine  d'anime,  me-  ottenuto     il     pe»'messo     di     andare 
nando    eziandio    austerissima   vita,  due  volte  Tanno  alla  fiera  di  Can- 
Incarcerato  ad    Omura,  patì   i   più  ton.   Uno  di  questi  fu  il  p.   Matteo 
inumani   trattamenti ,    e  poi   venne  Ricci,  gesuita  romano,  eccellentissi- 
condannalo  al   fuoco.  Fu  giustiziato  rao     matematico  ^    il     quale    dopo 
a   Nangasacki  con  altri  quarantano-  diversi  viaggi    fatti    a  Canton,  nel 
ve    cristiani,  de'quali    nove    erano  r583  ottenne    dal    governatore  li- 
gesuiti,    quattro    francescani    e  sei  cenza  di    dimorarvi    con    due  altri 
domenicani  ;  laici  i  rimanenti.  Ven-  gesuiti.    Mercé     la  sua     scienza,  di 
ticinque  furono  abbruciati,    gli    al-  cui    i    cinesi    sono     assai     amatori, 
tri   decapitati.     Il    p.    Spinola  per-  egli  si  procacciò  un  buon  numero 
mase  immobile  e  cogli   occhi   sem-  di  amici    e    di    ammiratori;    della 
pre  rivolti  al  cielo ,  finché  arse  le  qual  cosa  approfittando    a   vantag- 
corde  con     cui     era   legalo,     cadde  gio  della    religione,     ridusse  a  Dio 
nel   fuoco,  ove  spirò  il   2  settembre  alquanti  cinesi ,    e    fondò    una  se- 
162*2,  in  età  di  cinquant'otto  anni,  conda     istituzione    pei     gesuiti     in 
Molti    altri  cristiani,    la     maggior  Nankin.     Recatosi     a     Pekin     nel 


196  MAR 

1600,    con   alcuni    doni    curiosi  si 
cattivò  il  patrocinio  dell'imperatore, 
e    se    ne    servi    per    diffondere    la 
luce    dell'evangelio,  la    quale  illu- 
minò    una    gran     moltitudine    di 
cinesi,    non    che  ufficiali    di  corte, 
che  tutti    entrarono    nella    religio- 
ne  di    Cristo.    Fra    questi  ufficiali 
era  Paolo  Sin,  ch'eletto  dipoi  pri- 
mo ministro,  favoreggiò   la  cristia- 
na religione  in  guisa    che  a  Xan- 
kai  sua  patria ,  nella    provincia  di 
Nankin,     vi  furono    da    quaranta- 
mila persone  che  la    seguivano.  Il 
padre    Martiaez,    gesuita    chinese, 
venne  crudelmente    a    più    riprese 
battuto  per    avere    convertito    un 
famoso    dottore,  e    morì  in  mez- 
zo ai    tormenti.  Il    p.    Ricci    poi 
morì  nel     161 7,  dopo    avere    co- 
stantemente goduto    il  favore    del- 
l'imperatore Vanlio.   Il   p.  Adamo 
Schall,    gesuita    di    Colonia,    fecesi 
conoscere  ed  apprezzare  dall'impe- 
ratore Zonchi,  ed  assai  Io  stimava 
il  di  lui  successore  Chunchi,  prin- 
cipe tartaro ,  e    capo  della    nuova 
dinastia.     Ma    dopo    la    morte    di 
questo  principe,  cinque  mandarini 
furono  condannati  a  morte  per  non 
aver    voluto    rinnegare  la  fede  di 
Cristo;  ed  il  p.  Schall   ebbe  pure 
la  stessa  condanna,  se  non  che  mo- 
rì durante    la    dilazione    ch'eragli 
slata  accordata.   I  domenicani,    se- 
condo il  p.  Touron,  entrarono  pure 
nella  Cina    nel    i556,  ove  predica- 
rono profittevolmente  il  vangelo,  e 
gettarono  le  fondamenta  della  gran 
chiesa  di    Fokien    nel    i63i,  dopo 
aver    convertito     una    grandissima 
parte  degli  abitatori  di  questa  pro- 
vincia.   Quattro    sacerdoti   di  que- 
st'  ordine    furono    martirizzati    nel 
1647,  ^^  ^'  i^  gennaio  dell' anno 
seguente,  dopo  crudelissime  torture, 
venne  mozzata  la  testa  ad  un  altro, 


MAR 
per  nome  Francesco  da  Capillas,  del 
convento  di  Valladolid^  ch'era  stalo 
l'apostolo    della    città    di    Fogan. 
Entrato  al    maneggio    dell'  impero 
il  giovane  Cambi,    figlio    Chunchi, 
pose  fine  alla  persecuzione;  e    nel 
1671    avendo  permesso   che    si    a- 
prissero  le  chiese    dei    cristiani,    vi 
ebbero    più    di    ventimila    persone 
che  si  fecero    battezzare.    I  succes- 
sori di  Cambi    non    furono    meno 
favorevoli  ai  cristiani,    la    cui  reli- 
gione   faceva    ogni    giorno    nuovi 
proseliti,  e    cohtinuò  ad  essere  pa- 
lesemente  protetta  fin  sotto  il  re- 
gno di  Kang-hi.    Ma   Yong-tching 
che  ad  esso  successe  esiliò  i  missio  - 
nari  dalle  città  principali,  ritenen  - 
do  tuttavia  nel  suo  palazzo,  col  ti  - 
tolo  di  mandarini,   i  coltivatori  del  • 
la  pittura,  delle  matematiche  e  del- 
le altre   arti  liberali.  Il    successore 
Rien-long    ridestò    la    più  violenta 
persecuzione.    Un    gran  numero  di 
fedeli  soffrirono  i  più  orribili    tor- 
menti, piuttosto  che    far    cosa    che 
fosse  contraria  alla    legge    di    Dio. 
Molti,  morirono  ne' supplizi  o  nelle 
prigioni  ;  un  vescovo  e  sei  preti  fu- 
rono   martirizzati.    Il  p.  Sanz,  do- 
menicano spagnuolo,  arrivato  nella 
Cina    l'anno  I7i5,   ivi  affaticò  con 
grandissimo  zelo  duranti  i  quindi- 
ci anni,    in    cui    la    congregazione 
di  propaganda  lo  nominò  vescovo 
di  Mauricastro ,    venendo    dipoi  e- 
letto    vicario  apostolico  della  pro- 
vincia   di  Fokien.  Avendo  l'impe- 
ratore    esiliato     i     missionari     nel 
1782^  il  p.  Sanz    ri  ti  rossi    a  Ma- 
cao, ma  ritornò  nella  provincia  di 
Fokien  nel   1738,  ove  fondò  chie- 
se ,  e    ricevette  i    voti    di    moltis- 
sime   vergini  che    consacraronsi    a 
Dio.     11    viceré    adirato  contro    il 
padre    Sanz    pel     felice     progres- 
so   della    religione    cristiana ,    lo 


MAR 

fece  prendere  con  altri  quattro 
domenicani  :  il  Tescovo  venne  de- 
capitato ii  26  maggio  1747»  g'> 
altri  furono  strozzati  il  28  ottobre 
1748,  nella  prigione  ove  aveano 
grandemente  sofferto.  Questi  quat- 
tro domenicani  erano:  Francesce 
Serran  d'  anni  cinquantadue,  che 
avea  affaticato  diecinov'anni  in  qua- 
lità di  missionario  nella  Cina  ,  e 
che  durante  la  sua  incarcerazione 
era  stato  nominato  vescovo  di  Tipasa 
da  Benedetto  XIV;  Gioachino  Roio, 
in  età  d'  anni  cinquantasei,  de'quali 
aveane  consumati  trentalre  nella 
Cina  ;  Giovanni  Alcober  ,  i«  età 
d'anni  quarantadue,  e  missionario 
da  diciotto  ;  Francesco  Diaz,  d'anni 
trentatre,  de'quali  aveane  spesi  nove 
nelle  funzioni  dell'apostolato.  Anche 
il  p.  Giuseppe  d'Attemis  ^  gesuita 
italiano,  ed  ii  p.  Antonio  Giuseppe 
Henriquez,  gesuita  portoghese,  fu- 
rono arrestali  nel  mese  di  dicembre 
1  747,  e  dopo  iterati  tormenti  stran- 
golali in  prigione  il  12  settembre 
dell'  anno  successivo.  Il  fuoco  della 
persecuzione  si  accese  anche  nel  re- 
gno di  Tonchin  al  SHd-ovesl  della 
Cina,  ove  si  atterrarono  cinquanta 
chiese,  e  si  fecero  patire  diversi 
supplizi  a  quelli  che  di  recente  eran- 
si  convertiti.  Il  p.  Francesco  Gii 
di  Federico,  ed  il  p.  Matteo  Alfonso 
Leziniana,  domenicani,  riportarono 
la  corona  del  martirio.  II  primo  di 
questi,  arrivalo  a  Tonchin  nel  1735, 
trovò  più  di  ventimila  cristiani  nella 
parte  occidentale  di  questo  regno , 
battezzati  dai  missionari  del  suo 
ordine,  e  colla  più  grande  solleci- 
tudine si  diede  a  coltivare  questa 
vigna  novella;  ma  nel  1737  fu 
preso  da  un  bonzo,  e  condannato 
alla  morte.  Il  suo  supplizio  fu  lun- 
go tempo  differito:  nel  carcere  fu 
trattalo  con  amore  e  premura,  gli 


MAR  197 

si  permise  di  celebrare  alcune  volte 
la  messa,  e  gli  si  avrebbe  conser- 
vata la  vita,  purché  avesse  dichia- 
rato di  non  essere  venuto  a  Ton- 
chin che  in  qualità  di  mercante  ; 
ma  egli  non  volle  acconsentire  a 
questa  menzogna.  Il  p.  Leziniana, 
dopo  avere  per  dieci  anni  trava- 
gliato nelle  missioni  del  Tonchin, 
fu  arrestato  mentre  celebrava  la 
messa,  nel  1 743  ;  e  nel  mese  di 
maggio  dell'  anno  appresso  venne 
condotto  nella  slessa  prigione  del 
p.  Gii.  Finalmente  nulla  avendo 
potuto  smuovere  la  costanza  di  que- 
sti due  missionari  desiderosi  del 
martirio,  furono  decapitati  a' 22 
gennaio    1744* 

Qui  il  Butler  fa  onorevole  men- 
zione del  p.  Giuseppe  Anchieta  e 
del  p.  Pietro  Claver,  gesuiti.  Il  pri- 
mo, nato  nelle  Canarie,  mori  nel 
Brasile  a' 9  giugno  1597,  d'anni 
sessantaquattro,  de'quali  ne  avea 
spesi  gran  parte  nelle  fatiche  di  sue 
missioni,  avendo  convertito  i  selvag- 
gi del  Brasile  in  America,  ch'eran 
venuti  in  potere  de'  portoghesi.  Il 
p.  Claver,  nativo  della  Catalogna, 
si  portò  con  alquanti  altri  missio- 
nari nel  16 IO  in  America,  per 
predicare  la  fede  a  Cartagena  e 
nelle  provincie  vicine.  La  sua  ca- 
rità per  que*  sciagurati  negri  che 
gemevano  sotto  la  doppia  schiavitù 
del  demonio  e  degli  uomini ,  fu 
ammirabile.  Egli  attese  con  instan- 
cabile ardore  alla  conversione  de- 
gl'  infedeli  e  dei  cattivi  cristiani. 
Iddio  benedisse  le  sue  fatiche,  e  lo 
favorì  del  dono  di  far  miracoli. 
Morì  r  8  settembre  i654,  in  età 
forse  di  settantadue  anni,  in  odore 
di  santità.  11  Papa  Benedetto  XIV 
confermò  nel  1 747  il  decreto  della 
congregazione  de*  riti,  comprovante 
l'eroiche   virtù  di  qucslo  venerabile 


ìi)S  MAR 

iDissioncti'io.  Airailicolo  Cina  o 
China,  e  nelle  opere  ivi  citate,  non 
che  a  quelli  di  Indie  Orientali  , 
Missionari  ,  Missioni  Pontificie  , 
Missioni  straniere  ,  ec,  si  posso- 
no leggere  ulteriori  notizie  sul- 
lo stato  delle  missioni  iu  quell'iin- 
pero  e  regni  adiacenti,  e  delle  per- 
secuzioni che  vi  infierirono  nel  cor- 
rente secolo. 

MARTIRIO  (s.),  martire.  F.  Si- 
suvnio  (s.). 

MARTIRIO/ /l/^/'/yrza/7i.  Tor- 
mento che  si  patisce  neiressere  mar- 
tirizzato, il  sopportare  i  tormenti  o 
la  morte  per  la  religione  cristiana. 
Il  martirio  tiene  luogo  di  battesimo 
d'acqua  negli  adulti  non  battezzati, 
scancellando  in  essi  il  peccato  ori- 
ginale ed  i  peccati  attuali  quanto 
alla  colpa  ed  alla  pena  temporale 
ed  eterna,  sia  che  egli  produca  i 
suoi  elFetti  per  la  sua  propria  virtù, 
et  ex  opere  operato^  sia  che  li  pro- 
duca per  mezzo  della  caritèi  del 
paziente,  et  ex  opere  operanùs, 
V.  Battesimo  e  Martiri.  Si  può 
desiderare  il  martirio,  ma  non  è 
permesso  il  procurarselo  suscitando 
i  persecutori,  perchè  ciò  sarebbe  uno 
spingerli  al  delitto,  il  che  non  è 
lecito;  ne  darselo  da  sé  stesso,  pre- 
venendo i  carnefici,  a  meno  che 
non  siasi  a  ciò  determinato  da  un 
particolare  impulso  dello  Spirito 
Santo.  Avvi  soltanto  l'obbligo  di 
soffrirlo  sotto  pena  di  dannazione, 
allorché  non  é  possibile  di  dispensar- 
sene senza  commettere  un  peccato 
mortale,  e  quando  si  è  interrogato 
intorno  alla  religione,  sia  pubblica- 
mente e  giuridicamente,  sia  anche 
in  particolare,  ed  in  circostanze  nelle 
quali  sì  potrebbe  astenersi  dal  ri- 
àpondei-e  sulla  propria  religione  sen- 
za che  ne  derivi  alcuno  scandalo.  Il 
martirio  tu    desiderio    ardentissimo 


M  A  W 
dei  primi  cristiani,  e  fu  chiamalo 
battesimo  massimo:  venne  impu- 
gnato dai  valeuliniani,  dai  gnostici 
e  da  altri  eretici  ;  contro  i  secomli 
scrisse  Tertulliano,  De  bona  mar- 
tyriii  Origene  scrisse  ancora  un  li- 
bro in  lode  del  martirio,  ed  assai 
bramò  di  sostenerlo.  Il  Romagnosi 
attribuisce  al  solo  fanatismo  il  la- 
sciarsi uccidere  per  mantenere  la 
propria  religione ,  e  riprende  la 
politica  intollerante  perchè  s'oppo- 
ne al  fanatismo.  All'incontro  il  cal- 
tolicismo  insegna,  che  i  suoi  segua- 
ci, che  si  lasciarono  uccidere  da'  ti- 
ranni!^ per  la  confessione  della  fede, 
noi  fecero  per  fanatismo,  e  invece 
di  fanatici  lì  chiama  martiri,  e  gli 
onora  sugli  altari  .  Tale  dottri- 
na del  Romagnosi  è  dunque  in 
contraddizione  diretta  col  cattoli- 
ci smo. 

Martirio  fu  chiamato  l'altare  e- 
retto  sopra  il  sepolcro  de'  martiri, 
e  le  stesse  chiese.  Il  martirio  or- 
dinariamente avea  luogo  fuori  del- 
la città,  perchè  fu  costume  de'greci 
e  romani  di  far  eseguire  le  sen- 
tenze di  morte  fuori  della  città,  af- 
finchè dall'  aspetto  delle  pene  e 
dall'effusione  del  sangue  non  re- 
stassero pollute  le  immagini  delle 
false  divinità  da  loro  adorate.  Mas- 
senzio concesse  a  quelli  che  aveva- 
no subito  il  martirio  di  poter  es- 
sere seppelliti  dentro  di  Roma,  co- 
me afferma  il  Rinaldi  all'anno  3o9, 
n.  4-  Prodigiosa  fu  la  moltiplicità 
dei  supplizi,  coi  quali  sono  stati 
straziati  e  condotti  al  martirio,  al- 
l'ultimo scempio  gl'intrepidi  e  va- 
lorosi campioni  di  nostra  fede  nelle 
ferocissime  persecuzioni  da  loro  sof- 
ferte. Molti  di  essi  furono  sepolti 
vivi,  altri  spirarono  sopra  i  patiboli, 
sulle  ruote  e  sopra  ì  cavallelli.  Al- 
tri furono  straziati  sopra  gli  eculei, 


MAR 
traforati  nelle  viscere  con  acutissi- 
mi legni,  e  tagliati  pei  mezzo  delle 
seghe.  Altri  vennero  tormentati  con 
cardi  ed  unghie  di  ferro,  e  da  cen- 
to altri  stromenti,  inventati  dalla 
barbara  crudeltà  de'persecutori.  Al- 
tri generi  di  martirio  furono  le  sof- 
focazioni  nelle  acque  del  mare,  dei 
laghi,  de' fiumi  e  de' pozzi  ;  la  cro- 
cefìssione,  la  lapidazione,  lo  stran- 
golamento, la  flagellazione,  la  fusti- 
gazione; il  gettito  ne' precipizi  e 
nelle  cloache,  la  divorazione  di  be- 
stie feroci,  l'immersione  nell'acqua  o 
olio  bollente  e  nelle  caldaie  di  solfo 
e  di  pece,  nelle  fornaci  di  calcina  e 
iie'termari;  l'adustione  con  fiaccole 
ardenti,  l'arrostamento  sulle  lamine 
e  graticole  infuocate;  gii  avvelena- 
menti con  bevande  mortifere;  l'in- 
cisione ignominiosa  delle  stimmate, 
perfino  ne' volti,  come  usavasi  con 
la  ciurmaglia  e  con  gli  schiavi;  Te- 
scoriazione,  la  sete,  lo  slento  e  lo 
squallore  delle  prigioni  più  fetide 
ed  oscure;  lo  strascinamento  e  lo 
strazio  per  mezzo  de' tori  o  de' ca- 
valli; la  condanna  allo  scavo  de'me- 
talli  nelle  miniere  o  alla  costruzio- 
ne delle  fabbriche;  la  terebrazione 
o  perforazione  delle  tempie  con  i 
chiodi;  la  chiusura  entro  l'arche 
piene  di  acutissimi  coltelli;  il  cru- 
cifragio,  il  vivicomburio  ne' roghi, 
genere  di  morte  decretata  dalle  leg- 
gi romane  pei  rei  di  vile  condizio- 
ne, pei  servi  e  pei  plebei,  fra  i  qua- 
li erano  per  lo  più  tenuti  i  cri- 
stiani fino  dai  tempi  di  Nerone,  che 
li  condannò,  in  usuni  nocturni  lu- 
minisi ad  ardere  come  altrettante 
fiaccole  per  le  strade  ;  la  saettazioue 
ad  un  palo;  le  cervellieie  infuoca- 
te; la  sospensione  pei  capelli,  con 
le  mani  e  i  piedi  traforati,  e  con 
le  pietre  le  più  pesanti  attaccate 
ad  essi  ;  la   recisione    della    lingua, 


MAR  199 

delle  mani  e  de' piedi;  la  frattura 
delle  mandibole,  l'abbaciamento,  e 
finalmente  il  taglio  della  testa  col- 
la mannaia,  colla  scimitarra,  col- 
r  accetta  e  colla  spada  :  per  rap- 
presentare poi  la  decapitazione  dei 
martiri  ,  derivò  V  idea  di  figu- 
rare nelle  pitture  antiche  e  nei 
bassirilievi  vari  santi,  che  reggono 
la  propria  testa  nelle  loro  mani. 
F.  tutto  il  cap.  VI,  t.  Il,  p.  287 
De  costumi  de  primitivi  cristiani  del 
p.   Mamachi. 

Di  ciascuno  de'tormenti  descritti 
c'istruisce  il  libro  trionfale  De  nior- 
tibus  persecutorum  attribuito  a  Lat- 
tanzio. Abbiamo  ancora  il  libro 
più  volte  stampato  del  p.  Antonio 
Gallonio  dell'oratorio,  De  ss.  mar- 
tyrum  cruciatibus,  o  coll'altro  ti- 
tolo, degl'  Islromenti  di  martirio 
usati  dai  gentili j  cui  si  deve  unire 
il  Lìbrum  brevis  addillo  di  Pau- 
lo wich  Lucich.  Ivi  sono  descritti 
ad  uno  ad  uno  ed  effigiati  an- 
cora i  vari  generi  de'  tormenti 
onde  furono  ne'lunghi  tempi  delle 
persecuzioni  martirizzati  i  fedeli, 
nello  stesso  modo  con  cui  sono 
dipinti  intorno  alle  mura  della 
chiesa  di  s.  Stefano  rotondo  al 
Celio.  Su  di  che  può  vedersi  la 
digressione  che  il  Piazza  a  p.  744 
àeW Enierologio  ^  fa  sulle  diversità 
delle  pene  e  atroci  supplizi  dei 
martiri  espressi  ed  esposti  per  ri- 
svegliamento della  Mg  agli  occhi 
e  alia  venerazione  de'fedeli  in  detta 
chiesa.  Dei  segni  del  martirio  ne 
parlammo  in  vari  luoghi;  del  mo- 
nogramma di  Cristo  (Fedi)  ,  a 
quell'articolo  ed  a  Monogramma  ; 
come  furono  segni  la  palma ,  la 
colomba  come  presagio  del  mar- 
tirio, l'iscrizione  o  lapide  sepolcra- 
le con  individuali  particolarità,  e 
certissimo    il   vaso     di    sangue    che 


200  MAR  MAR 
i  fedeli  ebbero  gran  premura  di  giorni  si  ommette.  V.  Diclich , 
raccogliere,  aftìnc  di  collocarlo  en-  Dizionario  liturgico^  articolo  Mar- 
Irò  ampolle  presso  o  ne'  sepolcri  tirologìo.  Anticamente  i  marliro- 
de'niartiri,  mediante  sponga  la  qua-  logi  si  leggevano  o  nel  capitolo 
le  talvolta  intrisa  di  sangue  fu  tro-  o  nel  coro,  o  terminata  l'ora  di 
▼ala  nei  vasi  slessi:  questi  vasi  di  prima,  o  innanzi  il  detto  versetto, 
vetro  dipinti,  ordinariamente  gli  e  ciò  facevasi  dal  pulpito,  e  nelle 
scrittori  di  archeologia  cristiana  ,  comunità  religiose  leggevasi  ancor 
li  chiamano  ampolle  del  sangue,  dopo  cena;  uso  però  non  anteriore 
Si  costumò  apporsi  indifferente-  al  secolo  XI  o  XII,  e  nei  primi 
mente  non  meno  ai  sepolcri  dei  secoli  se  ne  faceva  lettura  nelle 
santi  martiri  ,  che  a  quelli  dei  pubbliche  religiose  adunanze,  onde 
semplici  cristiani,  gli  altri  simboli  servisse  a  glorificare  Iddio,  onora- 
de'segni  di  croce,  del  faro,  delle  re  i  santi,  edificare  i  fedeli.  Oggi 
fiamme,  delle  fenici,  deiragnelio,  i  martirologi  contengono  i  nomi 
de'pavoni,  delle  colombe,  del  pe-  di  tutti  i  santi,  ancorché  non 
sce,  dell'ancora,  dell'ellera,  dell'ai-  martiri,  ed  ai  sommi  Pontefici  spel- 
lerò, delle  viti  ,  delle  uve,  delle  ta  registrarli  nel  martirologio  . 
melagranate,  di  uno  o  più  cavalli,  Marlirologista  chiamasi  l'autore  e 
di  cuori  trafitti  di  spine,  o  sem-  scrittore  d'  un  martirologio  .  Il 
plici,  de*  vestigi  di  piedi  umani,  p.  Ruinart  nella  prefazione  degli 
di  pettini,  di  cerchietti ,  di  trian-  Atti  sinceri  de'martiri,  parlando 
goletti,  di  quadratelli,  di  tridenti,  <jel  come  e  da  chi  composti,  e  in 
spiegati  dal  p.  Costadqni  nella  qual  pregio  debbonsi  avere  i  mar- 
Dissertazione  sopra  il  pesce^  come  tirologi,  dice  che  questi  ed  i  Me- 
simbolo  di  Gesù  Cristo^  nel  t.  nologi  e  Menei  sono  un'  opera 
XII  degli  opuscoli  del  p.  Caloge-  tratta  dai  registri  e  dai  calendari 
rà..  Il  p.  Ignazio  Potenza  nelle  delle  chiese  particolari.  Furono  que- 
Nolizie  di  s.  Augustale  martirCy  a  sii  lavoro  de'  vescovi  e  di  altri 
p.  5i  tratta  de'  segni  e  de'simboli  minori  ecclesiastici  autorevolissimi, 
che  i  primi  cristiani  ponevano  nel-  e  sommamente  gelosi  di  non  aite- 
le lapidi  sepolcrali,  e  ciò  che  in-  rare  in  niente  la  verità:  quanto 
tendevano  con  .  essi  significare.  essi  scrissero  ne'  martirologi,  tutto 
MARTIROLOGIO,  Martyrolo-  il  trassero  da  monumenti  a  loro 
giiini.  Lista,  nota  o  catalogo  dei  tempi  reputatissimi;  non  si  nega  però 
martiri ,  storia  o  leggendario  dei  che  abbiano  potuto  pigliare  qual- 
martiri.  Queste  sorte  di  raccolte  che  abbaglio.  I  soli  libri  delle  san- 
per  ordinano  non  contengono  che  te  Scritture  hanno  questo  privile- 
il  nome,  luogo,  giorno,  genere  del  gio  di  contenere  in  ogni  loro  par- 
martirio  di  ciascun  santo.  Come  te  semplicemente  una  inalterabile 
ve  ne  sono  per  ciascun  giorno  verità  ;  questi  nei  non  tolgono  ai 
dell'  anno ,  è  uso  stabilito  nella  martirologi  il  pregio  sommo  in 
chiesa  romana  di  leggere  ogni  che  si  debbono  avere.  Tutti  i  mar- 
giorno  a  prima  la  lista  de' santi  tirologi  convengono  in  rappresen- 
onorati  in  quel  giorno,  innanzi  al  tarci  un  numero  innumerevole  di 
versetto  Preliosa^  eccettuato  il  tri-  eroi  cristiani  coronati  del  martirio 
duo    innanzi    Pasqua  y    nei    quali  nelle  persecuzioni  de' primi  tre  se- 


MAR 
coli  della  Chiesa.  Dodwello  si  sbri- 
ga da  questo  argomento,  col  dire 
che  tutti  i  martirologi  sono  zi- 
baldoni inconsiderati ,  e  pieni  di 
fole  e  di  tradizioni  falsissime  del 
▼olgo  credulo  e  grossolano.  Egli 
però  non  reca  niente  in  prova  di 
questa  sì  acerba  e  irreligiosa  cen- 
sura, e  veramente  niente  non  avea 
onde  giustificarsi  anche  neil'appa- 
ren/a.  Egli  stesso  assaissime  volte 
fa  uso  delTautorità  de'martirologi  : 
il  romano  è  usato  ne'divini  uffizi 
da  tutti  i  cattolici  di  rito  latino  , 
ed  anche  i  protestanti  generalmente 
lo  hanno  in  gran  pregio  ;  e  nello 
stesso  pregio  a  proporzione  sono 
più  altri  martirologi,  da' nomi  dei 
loro  collettori  diversamente  deno- 
minati. L*uso  di  stendere  i  marti- 
rologi fu  tolto  dai  pagani,  che 
scrivevano  il  nome  de'  loro  eroi 
nei  fasti  per  tramandare  alla  po- 
sterità r  esempio  delle  azioni  ma- 
gnanime. Dalle  notizie  raccolte  in- 
torno ai  martiri  si  formarono  pri- 
ma i  calendari,  quindi  i  martirolo- 
gi: i  calendari  riferiscono  i  nomi 
dei  santi  ed  i  giorni  della  loro 
ricorrenza;  i  martirologi  Umì  men- 
zione della  patria,  delle  gesta  prin- 
cipali de'martiri,  della  specie,  luo- 
go e  tempo  del  martirio;  i  calen- 
dari rammentano  solo  le  festività 
di  ciascuna  chiesa  in  particolare,  i 
martirologi  ricordano  quelli  anco- 
ra di  tutte  quasi  le  chiese.  Dona- 
ta la  pace  alla  Chiesa,  nei  marti- 
rologi ai  nomi  e  gesta  de'martiri 
si  aggiunsero  anche  quelli  de'santi 
confessori.  Se  l'origine  de'calendari 
debba  rimontare  o  no  ai  tempi 
apostolici  si  controverte  fra  gli  e- 
ruditi;  pare  che  si  possa  ammette- 
re quanto  ai  registri  che  ciascuna 
chiesa  teneva  in  particolare,  e  il 
d'Achery  prova  non  esser  vene  sta- 


ivi AR  20  1 

to  alcuno  prima  dei  tempi  di  Eu- 
sebio e  di  s.  Girolamo  ,  i  quali 
ne  sono  pure  riconosciuti  pei  primi 
autori;  raccogliesi  però  dal  ven.  Be- 
da  che  s.  Girolamo  trasportò  nel 
latino  idioma  il  martirologio  di  Eu- 
sebio, e  vi  fece  delle  aggiunte,  per 
cui  incominciò  a  correre  sotto  il  no- 
me di  s.  Girolamo. 

L'origine  de'martirologi,  secondo 
Baronio,  derivò  dal  Papa  s.  Cle- 
mente I,  eletto  l'anno  93,  nell'isti- 
tuire  ed  introdurre  l'uso  di  racco- 
gliere gU  atti  de'  Martiri  [Vedi) 
per  mezzo  di  sette  notari  distri- 
buiti in  altrettante  regioni,  secondo 
la  divisione  ecclesiastica  di  Roma 
fatta  dai  Pontefici,  ovvero  furono 
assegnate  due  regioni  a  ciascuno, 
su  di  che  sono  a  consultarsi  il 
Baronio,  De  Martyrologio  ci,  ed 
il  Bianchini  ne'prolegomeni  ad  A- 
nastasium  t.  11,  p.  i38.  Questo 
impegno  di  raccogliere  gli  atti  dei 
martiri ,  non  poteva  non  essere 
principalmente  della  chiesa  romana, 
ma  l'esempio  di  questa  dovea  ben 
presto  stendersi  ancora  alle  altre, 
come  rilevasi  dalla  prima  lettera 
decretale  di  s.  Fabiano  Papa^  eoa 
la  quale  consigliò  i  vescovi  di  se- 
guire anche  in  ciò  la  chiesa  ro- 
mana con  esattezza  «  diligenza. 
E  quanto  fossero  docili  i  vescovi 
alle  voci  del  supremo  pastore,  lo 
dimostrano  Eusebio  ,  Dionisio  e 
Natale  Alessandro,  su  quanto  ri- 
feriscono delle  chiese  di  Smirne, 
di  Vienna  ,  di  Lione  ,  di  Gerusa- 
lemme e  di  Cappfidocia.  Tuttavol- 
ta  osserva  il  Novaes  nella  vita 
di  s.  Clemente  I,  ch'è  sentimento 
de'più  illuminali  uomini  di  lettere, 
che  i  martirologi,  nella  forma  che 
quasi  gli  abbiamo  oggidì,  non  sal- 
gano più  in  alto  che  al  VI  secolo, 
e  che  s.  Gelasio    1    Papa  del  49^ 


aoi  M  A  R 

già  avenll  ridotti  a  quel  buon  or- 
dine in  cui  si  trovano,  ancorché 
sia  certo,  che  facevasì  lungo  tem- 
po prima  nien/ione  de' santi  in 
qualclie  parte  deli'ufìfìzio  della  Chie- 
sa. S.  Giegorio  I  del  Sqo  fu  poi 
il  primo  che  introdusse  l'uso  di 
leggerli  a  prima.  Veggasi  M.  di 
Hennilly,  Storia  di  Spagna^  t.  I, 
prefaz.  cap.  2.  Si  deve  avvertire 
che  quanto  riguarda  1'  ordinazione 
dell'uffizio  e  della  messa  ,  sull'e- 
patte,  sui  cicli  ,  sulle  lunazioni, 
come  ancora  le  indicazioni  delle 
calende,  delle  none ,  degli  idi,  le 
lettere  domenicali^  i  prìncipii  delle 
stagioni,  il  corso  del  sole  pei  segni 
del  zodiaco,  le  festività  principali 
del  Signore,  della  Vergine,  de'san- 
ti  patroni  di  città  e  diocesi,  le 
vigilie,  le  ottave,  le  chiese  ove  si 
facevano  le  stazioni,  i  tempi  del 
digiuno,  e  molte  altre  cose  che  o- 
rasi  trovano  scritte  ne'martirologi, 
non  ispettava  tutto  questo  ai  mar- 
tirologi, ma  ad  altri  libri  chiamati 
Calendari^  Evangelari  e  Sagramen.' 
tari.  Inoltre  noteremo ,  che  non 
tutte  le  chiese  sono  state  concordi 
a  ricordare  nei  loro  martirologi 
i  santi  nel  medesimo  giorno;  e  i 
luoghi  diversi  ai  quali  i  martiro- 
logi riportano  qualche  santo,  non 
sono  sempre  indizi  della  loro  di- 
versità. 

Il  Donati,  De'dittici  degli  anti- 
chi, cap.  XVIII,  dell'origine  dei 
cartendari  e  de'  martirologi,  questi 
prova  originati  dai  Dittici  {^ì^edi). 
Pertanto  egli  dice  che  si  ha  giu- 
sto fondamento  a  credere,  che  dal- 
l'uso de' sacri  dittici  sieno  deiivati 
nella  Chiesa  i  Calendari  (f^edi),  e 
tutti  gli  altri  martirologi  ecclesia- 
stici, così  ancora  i  menologi,  e  gli 
aghiologi  o  santilogi  de'  monaci  : 
fra  gli   altri  l'osservarono    Scalige- 


MAR 
ro,  Renaiidot,  e  Fiorentini  ove 
tratla  della  primiera  origine  dei 
martirologi  in  una  dotta  prelimi- 
nare ammonizione  al  martirologio 
occidentale.  Veramente  dai  dittici 
in  cui  erano  notati  i  martiri  tras- 
sero l'origine  i  calendari,,  e  da 
questi  i  martirologi  assai  più  re- 
centi nelle  chiese;  e  dai  dittici  dei 
santi  ne  derivarono  i  loro  aghio- 
logi,  o  Leggende,  (Fedi),  essendo 
più  antico  il  dittico  di  qualunrpie 
calendario,  e  il  calendario  di  qual- 
siasi martirologio.  Ne'dittici  pone- 
vasi  il  solo  nome  del  martire  o 
del  santo,  come  vedesi  da  quei 
pochi  che  ci  sono  rimasti  ;  ma  nei 
calendari  oltre  il  nome  segna  vasi 
anche  il  giorno  della  morte  o  quel- 
lo in  cui  ogni  anno  se  ne  solen- 
nizza la  festa  ;  come  fra  gli  altri 
vedesi  ne'  calendari  di  Roma  e  di 
Cartagine  riportati  dal  Bucherio, nei 
commentari  al  canone  pasquale,  eda 
altri.  Ne'martirologi  poi  notavasi  di 
più  la  qualità  del  martirio,  il  tem- 
po, il  luogo  e  il  giudice,  e  può  os- 
servarsi, per  tacer  di  altri,  in  quel- 
li di  Beda  e  di  Adone.  Poiché 
non  si  debbono  confondere  i  calen- 
dari co'  martirologi,  essendo  quelli 
da  questi  molto  differenti,  giacché 
ciascuna  chiesa  avea  bensì  il  suo 
propiio  calendario,  ma  poche  fu- 
rono quelle  che  avessero  un  par- 
ticolare martirologio;  e  infatti,  a- 
vrndone  scritto  uno  nel  IX  secolo 
Usnardo,  di  esso  si  servì  per  mol- 
to tempo  la  chiesa  romana  e  mol- 
te altre,  perchè  i  martirologi,  al 
dir  di  Valesio  e  di  Pagi,  non  ri- 
guardavano un  solo  luogo,  ma  tut- 
ta la  Chiesa  in  generale,  e  conte- 
nevano per  dir  così  i  martiri  e  i 
confessori  di  tutto  il  mondo  cat- 
tolico, tratti  da  più  e  diversi  ca- 
lendari.  In  progresso  di  tempo,  nei 


MAR 
marlirologi  specialmente  de'mona- 
ci,  s'incominciò  a  notarsi  ancora 
i  nomi  di  que' defuntij  ch'erano 
soliti  di  pone  ne'loro  obituari  o 
necrologi,  e  talvolta  vi  fu  unita  la 
regola  del  loro  ordine  ;  e  però  da 
essi  il  martirologio  fu  chiamalo  o- 
hituario  o  necrologio.  I  raenoiogi 
de'greci  e  di  tutti  gli  altri  cristia- 
ni orientali  ripetono  l'origine  dai 
dittici  loro;  mentre  insegna  l'Alla- 
zio,  altro  non  essere  i  menologi, 
che  que' cataloghi  che  i  latini  de- 
nominano martirologi  o  calendari, 
molto  più  ampli  però  de'  nostri, 
riferendovi  in  ristretto  la  vita  dei 
santi  fissata  a  quel  giorno,  in  cui 
da  essi  si  fa  menzione,  ovvero  di 
quelli  de*  quali  non  hanno  l'isto- 
ria, e  solo  ne  fanno  la  comme- 
morazione. Ne'menologi  de'greci  si 
leggono  molti  santi  che  fiorirono 
nella  chiesa  occidentale,  laddove 
in  quelli  degli  altri  orientali,  po- 
chi o  quasi  niuni  santi  si  riscon- 
trano, che  fioriti  sieno  fuori  delle 
loro  chiese. 

Provato  l'uso  antichissimo  dei 
martirologi  de'  santi,  e  che  ne  fu- 
rono raccolti  molti,  il  primo  è 
quello  che  dicesi  di  Eusebio  e  di 
s.  Girolamo,  o  perchè  essi  ne  sia- 
no effettivamente  gli  autori,  o  per- 
chè sia  stato  ad  essi  attribuito  : 
Cassiodoro  lo  cita  nel  VI  secolo, 
e  Beda  nel  VII.  Ve  ne  sono  due 
sorte  di  copie,  le  une  intere  e  le 
altre  compendiale:  delle  intere  tre 
vennero  pubblicate;  quella  di  Esler- 
nach  che  passa  per  la  più  antica 
e  che  fu  scritta  nel  728  dal  mo- 
naco Lorenzo,  secondo  l'ordine  di 
s.  Villebrordo  primo  vescovo  di 
Utrecht;  quella  di  Gorbia,  e  quel- 
la di  s.  Vandrillo.  Credesi  che  di 
questo  mai'tirologio  di  s.  Girolamo 
si  facesse  uso  in  Roma  nel  VI  se- 


MAR  2o3 

colo,  come  rilevasi  dalla  lettera  di 
Gregorio  I  ad  Eulogio  di  Alessan- 
dria, lib,  7,  episL  29;  ed  è  al- 
tresì probabilissimo,  che  il  piccio- 
lo martirologio  mandato  da  R.oma 
ad  Aquileia  dal  Papa,  e  stampalo 
da  Roseveyd  sotto  il  nome  di  an- 
tico romano,  sia  l'antico  martirolo- 
gio romano,  11  martirologio  del  ven. 
Reda  fu  scritto  verso  il  780,  ed 
anmenlato  poscia  da  Floro  verso 
rSSg.  È  difficile  di  distinguere  in 
esso  ciò  ch'è  di  Beda,  da  ciò  che 
è  di  Floro,  e  per  fare  questa  di- 
stinzione il  p.  Sollier  crede  sia  d'uo- 
po servirsi  del  piccolo  martirologio 
che  Beda  avea  scritto  in  versi. 
Wandelberto  monaco  di  Prom , 
nella  diocesi  di  Treveri,  scrisse  un 
martirologio  nell'  848,  attenendosi 
principalmente  a  Floro,  martirolo- 
gio che  pubblicò  Molan  nella  sua 
prima  edizione  d'  Usuardo  e  di 
Achery  nel  t.  V  del  suo  Specile- 
gio.  Rabano  arcivescovo  di  Ma^ 
gonza  compose  verso  l'anno  845» 
un  martirologio,  ch'è  una  aggiunta 
a  quelli  di  Beda  e  di  Floro.  Il 
martirologio  di  Wolkero,  sopran- 
nominalo il  piccolo  Balbo,  mona- 
co di  s.  Gallo,  fu  scritto  verso 
l'anno  8g4;  è  una  compilazione  di 
molti  altri;  Enrico  Canisio  lo  pub- 
blicò dal  primo  gennaio  fino  al  26 
ottobre  inclusi  va  mente,  il  resto  non 
si  è  potuto  rinvenire.  11  martiro- 
logio di  Adone,  ch'è  una  compila- 
zione del  romano  e  di  qiiello  di 
Beda  aumentalo  da  Floro,  fu  scrit- 
to l'anno  858.  11  marlirologio  di 
Usuardo  monaco  di  s.  Germano  ai 
Prati,  fu  scritto  nell'SyS,  e  dedi- 
cato non  a  Carlo  Magno,  come 
hanno  opinato  Tritentio  e  molti 
altri,  ma  a  Carlo  il  Calvo  che  nel- 
l'HyS  occupava  il  trono  imperiale, 
Usuardo  lo  compose  sopra  un  esém* 


2o4  MAR 

piare  d'Adone    che    portava    falsa- 
mente il  titolo  di  quello  di  Floro. 
Ji  martirologio    di    Nevelone,    mo- 
naco di  Gorbia,  scrilto  verso  l'an- 
no  1089,  non  è  propriamente  che 
un  compendio  di  quello  di  Adone, 
colle  aggiunte  di  alcuni  santi  prin- 
cipalmente   delle     vicinanze    d'A- 
mìens.  Trovatasi  mss.  nella  biblio- 
teca di  s.  Pietro  di  Gorbia,  e  non 
fu  ancora  stampato.   Quando   Dit- 
maro,  vescovo  di    Mersburgo    nel- 
la Misnia,  parla  del  suo    martiro- 
logio,  egli  intende    di    parlare    di 
un    esemplare    del   martirologio  da 
lui    posseduto,    e  non  di  un   mar- 
tirologio   da     lui    composto,  ed   è 
quindi   mal    a  proposito    che  alcu- 
ni scrittori  gliene  attribuiscono  uno. 
Il  padre    Kirker    nel    suo    prodro- 
mo parla    di    un   martirologio   dei 
copti  posseduto  dai  maroniti  in  Ro- 
ma.  Vi    sono  martirologi    di    chie- 
se particolari,  come  quello  del  mo- 
nastero di  s.  Savino,  pubblicato  dal 
Saussay  vescovo  di  Toul  alla    fine 
del  l.  Il  del  martirologio  di  Fran- 
cia; quello  di  s.  Lorenzo  di  Bour- 
ges,  al3bazia  de'benedettini,  ec;  ma 
i   tre  primi  martirologi  di  cui  qui 
abbiamo  parlato,  sono  come  le  sor- 
genti    e  gli  originali     di  tutti    gli 
altri,  i  quali   non    sono    che  copie 
aumentate  di  quelli.  Gli  eretici  han- 
no fatto  dei   martirologi    che    con- 
tengono i  nomi  de'Ioro  pretesi  san- 
ti, i  quali  non  hanno  principio  che 
da    Giovanni     Wiclefo    morto     nel 
1387,  o  da  Giovanni  Huss  morto 
nel    i4i5. 

Jl  martirologio  romano  è  stato 
sempre  in  uso  nella  chiesa  romana, 
per  testimonianza  di  s.  Gregorio  I, 
ep.  29,  ma  è  incerto  se  debba 
altrettanto  dirsi  di  quello  di  s.  Gi- 
rolamo, o  quello  di  Beda  :  della 
i>Qla  basilica  vaticana,  dice  Beuedct- 


MAR 
to  XIV,  Decanoniz,   1.    4»   P-    2» 
e.    17,  n.  a  ,   che    suum  qaoddam 
habtbat   martyrologìurn,    quod  ho' 
die.  edam  in  archivio  capitali  con- 
servatur.  Gregorio    XUI    nel    1^82 
compì  la  correzione  del  calendario 
romano,  cui  andò  unita  nel    i584 
ancor  quella    del    martirologio    ro- 
mano, per  negligenza  de' copisti    e 
degli    stampatori    in    molti    luoghi 
difettoso    e  scorretto,  ordinando  ai 
vescovi,  e  superiori    regolari    e  se- 
colari, che  nel  dirsi  in  coro  il  di- 
vino uffizio,  adoperino  soltanto  tale 
martirologio,  mediante  la  costituzio- 
ne,    Emendalo  jam    KalendariOy 
de*  14    gennaio    i584.    Già    Pietro 
Oalesini  protonotario  apostolico  mi- 
lanese aveva  procurato   una  nuova 
edizione  del    martirologio   romano, 
la  quale    non    venne    approvata    a 
motivo  della  prolissità,  e  della  ne- 
gligenza dell'autore    nelle  citazioni, 
e  per    la    confusione    che    fa    delle 
persone  e    de'  nomi  de'  luoghi.    Fu 
stampato  nel    1578    in    Milano   ed 
in  Venezia,  con  questo  titolo  :  Mar- 
tyrologium  s.  Rom.  Eccl.  usui  in  sin- 
gulos  anni  dies    accornodalum    ad 
ss.  Palreni  Gregorium  XIII  etc.  an- 
notaiiones  ìtem    ntultiplici    antiqui- 
talis  ecclesiasticae  doctrinae  cumu- 
lataci ad  onine  lolus   marlyrologii 
explicandi  rationem,  ec.  Il  cardinal 
Cesare  Baronie  fece  delle    note    al 
martirologio  romano,  e  fece   istan- 
za a  Sisto  V  che  monsignor  Luigi 
Torres  poi  cardinale  con  altri  pre- 
lati rivedessero  tali  sue   annotazio- 
ni;   quindi  in  Roma  nel  i586  pub- 
blicò:    Tractatio    de    mariyrologìo 
romano  praeniissa  ejusdem    edilio- 
ni.  Dipoi  nel     i63o    coi    tipi    vati- 
cani e  nuove  annotazioni,  in  foglio 
fu  pubblicato:    Martyrologium    ro- 
manuni     Gregorii    XIII  jassu    e- 
ditum  et  Urbani  FUI  aucioritate 


p 


MAR 
recognilum^  accesserunl  notaliones 
atque  tractatìo  de  marlyrologio  ro- 
mano autore  Caesare  Baronio.  Il 
re  di  Portogallo  Giovanni  V  ordi- 
nò al  suo  ministro  in  Roma,  che 
di  concerto  con  Benedetto  XIV  fa- 
cesse slampare  il  maitirologio  ri- 
dotto in  volgare.  Non  poteva  pre- 
sentarsi più  bel  campo  alla  vasta 
e  profonda  erudizione  del  Papa, 
ond'  egli  dopo  averci  faticato  con 
felice  successo,  lo  fece  pubblicare 
colle  stampe  vaticane  e  nuove  cor- 
rezioni, mediante  il  disposto  della 
costituzione  Postcjuam  intelleximus^ 
del  primo  luglio  1748»  presso  il 
suo  Bull.  l.  II,  p.  43 1.  Nel  pon- 
tificato di  Pio  VII  e  nel  1806  nel- 
la stamperia  dell'ospizio  apostolico 
uscì  alla  luce:  Martirologio  roma- 
no dato  in  luce  per  ordine  di 
Gregorio  XIII,  e  riconosciuto  col- 
V  autorità  di  Urbano  Vili,  Cle- 
mente X  e  Benedetto  XIV,  aggiun- 
ti i  nomi  de*  santi  e  beati  piìi 
recenti.  Un'  edizione  perfetta  e 
completa  del  martirologio  romano 
è  quella  de' tipografi  Salviucci  , 
Roma  184^.  Marlyrologìi  romani 
Gregorii  XIII  Jussu  editi.  Urbani 
Vili  et  Clementi s  X  auctorìlale 
re  cogniti,  ac  deinde  anno  1749 
Benedicli  XIV  labori  et  studio  an- 
eti et  castigati,  editio  novissima 
SS.  D.  N.  Gregorii  XVI  Pont, 
Max.  auspice  et  patrono,  in  qua 
sanctorum  et  beatorum  exlant  elo- 
gia prò  ordinibus  etiam  regularibus 
a  sac.  rit.  congr.  ad  haec  usque 
tempora  adprobata.  I  detti  tipo- 
grafi avendo  anco  in  vista  gli  or- 
dini religiosi,  si  dierono  ogni  pre- 
mura per  annettere  il  martirologio 
particolare  di  ciascuna  corporazione 
religiosa.  Quanto  alle  notizie  bi- 
bliografiche de'  martirologi,  molle 
se  ne  leggono  a  p.  95  e  seg.  del- 


MAR  2o5 

la  Dissert.  epist.  delle  ss.  Simplicia 
ed  Orsa,   di  Cancellieri. 

MARTIROPOLI  o  MARTIRIO, 
Marlyropolis.    Città    vescovile    del- 
l'Asia neir  Armenia,  situata  sul  fiu- 
me   Oba  o    Ninfèo ,    distante    240 
stadi  da  Amida,  e  quindici   miglia 
dal  Tigri,  perciò  detta   anche  Ta- 
grila.  11  nome    di    Martiropoli    le 
fu  dato,  a  quanto  dicesi,  nel  V  se- 
colo, perchè   furono   quivi   traspor- 
tate le  ossa    ed  allre    reliquie    dei 
martiri,  che  avevano  sparso  il  loro 
sangue  per  la  fede  di  Gesù  Cristo, 
a  tempo    di    Sapore   e    Varano  re 
di   Persia,  I  suoi    abitanti    la  chia- 
mavano Mai-Ferakin,    o    Meia  Fa- 
rekin,  da    cui  ne    derivò    il    nome 
di    Maipheracta.     11    Terzi,    Siria- 
sacra    pag.    i35,    dice    che    Marti- 
ropoli   o  città   di    Marte    fu    rino- 
mata   per    un    celebre    tempio  sa- 
cro a  quel  falso  nume.    La    di   lei 
fortezza    fu    mirabile    a    segno  che 
qual  termine    dell'  impero    romano 
potè  validamente  opporsi  alle  inva- 
sioni   de' confinanti    parti    e    persi. 
11   suo  munitissimo  castello     [xx  es- 
pugnato   da   Commentriolo  capita- 
no dell'imperatore  Maurizio.  E   un 
vescovato  della  provincia  di   Meso- 
potamia,  nel  patriarcato  d'Antiochia, 
sotto     la    metropoli     di    Amida    o 
Diarbekir:  quello  di  Tacrit  o  Ta- 
grid  gli  era  unito  nel  V  secolo;  i 
nestoriani  ed  i  giacchiti  vi  ebbero 
ancor  essi    i    loro    vescovi.    Il    pri- 
mo vescovo  di  Martiropoli   o  Mai- 
Ferakin  fu  s.  Maruta,    che  sedeva 
al  tempo  d' Isdegerdo  re   di  Persia, 
ed  occu possi  assaissimo  per  la  pro- 
pagazione della  fede  in  Persia  :  as- 
sistette al  secondo  concilio  generale, 
ed  a  quello    che    si  tenne    in    An- 
tiochia nel   382  contro  l'  eresia  dei 
messaliani.  Si  uni  agli  avversari  di 
s.    Gio.   Crisostomo,  ma  avendo  co- 


7.o6  MAR 

nosciuta  la  loro  malafede,  li  abbati- 
tloiiò  subito  per  seguir  il  partilo 
del  santo.  Intervenne  pure  al  con- 
cilio di  Seleucia,  e  vi  compilò  ven- 
ti e  più  canoni  sulla  disciplina. 
La  raccolta  degli  atti  de'  fedeli  che 
soffrirono  durante  la  grande  per- 
secuzione di  Sapore  re  di  Persia,  è 
opera  di  s.  Maruta,  la  cui  memoria 
i  greci  ed  i  latini  onorano  a'  4 
dicembre.  Furono  suoi  successori 
in  questa  sede,  Zebenno  o  Zeberino 
che  assistette  e  sottoscrisse  al  con- 
cilio di  Calcedonia;  N.  uno  de*  ve- 
scovi di  Macedonia,  che  scrissero 
all'imperatole  Leone  sull'assassinio 
di  s.  Protero  d'Alessandria  ;  Gior- 
gio cbe  n'era  vescovo  a  tempo  di 
Filippico  Bardane  imperatore,  che 
scrisse  in  favore  del  concilio  di  Cal- 
cedonia ai  monaci  giacobiti  di  s. 
Matteo;  Basilio  che  assistette  al  con- 
cilio pel  ristabilimento  di  Fozio;  e 
Mandiano  già  vescovo  di  Marda. 
Oriens  christ.  t.  II,  p.  99B.  I  ve- 
scovi nestoriani  di  Martiropoli  so- 
no: Jaballaba,  innalzato  poi  alla  di- 
gnità di  cattolico  ;  Michele  vescovo 
ancora  d'Amida;  Giovanni,  e  Jesu 
Dei»ha.  Oricns  christ  t.  II,  p.  i32i. 
I  vescovi  giacobiti  di  Martiropoli 
sono  :  Atanasio  I,  poi  patriarca  nel 
io5r;  Atanasio  li  del  ii^i,  cui 
successe  nel  1169  Ignazio  I,  morto 
nel  1182;  in  tale  anno  divenne 
vescovo  Ignazio  II  ;  Giacomo  Seve- 
ro, autore  di  molli  scritti,  morì  nel 
i23i;  Giovanni  del  I253;  Malco 
^el  1293;  N.  del  i365.  Oriens 
christ.  l.  IT,  p.  i449-  Martiria  o 
Martiropoli ,  Marfyropolilan,  è  un 
titolo  vescovile  in  partìhus  dell'Ar- 
menia minore,  sotto  l'arcivescovato 
pure  in  partìbus  d'  Amido ,  che 
conferisce  la  santa  Sede. 

MARTORANO,     Mariuranum. 
Città  vescovile  del   regno  delle  due 


M  A  R 

Sicilie,  nella  provincia  delia  Cola- 
l)ria  ulteriore  seconda,  distretto  di 
Catanzaro,  capoluogo  di  cantone, 
sulle  falde  del  monte  Goliero.  Nelle 
sue  vicinanze  verso  greco  stanno  le 
rovine  dell'  antica  Manierlium  o 
Martoranum  nel  Bruzio ,  verso  la 
sorgente  del  Metauro ,  ed  al  prin- 
cipio della  foresta  Bruziann,  il  cui 
nome  vuoisi  derivato  da  Maniera , 
che  in  lingua  del  paese  significa  ti 
Dio  Marte.  La  cattedrale  è  dedica- 
ta alla  Beata  Vergine  Assunta  in 
cielo,  componendosi  l'antico  capi- 
tolo delle  dignità  del  decano,  del- 
l'arcidiacono, del  cantore  e  del  te- 
soriere; di  otto  canonici,  e  di  sei 
cappellani  istituiti  dal  cardinal  Pier- 
benedetti.  La  sede  vescovile  fu  e- 
retta  nel  VII  secolo,  e  primo  ve- 
scovo ne  fu  Reparato,  che  assistet- 
te al  concilio  Lateranense  del  649; 
il  secondo  fu  Opportuno,  interve- 
nuto al  concilio  romano  del  721  ;  il 
terzo  Donino  che  sottoscrisse  al  con- 
cilio del  761  tenuto  da  s.  Paolo  1; 
Teodosio  fu  al  concilio  romano  del- 
l'826,  Teodoro  a  quello  dell' 853, 
FJorio  a  quelli  dell'  869  e  879, 
de'  quali  nomineremo  i  successo- 
ri più  distinti.  Ridolfo  del  1090 
edificò  la  chiesa  de'  ss.  Clerico  e 
Luca  abbati  ;  Michele  del  i  r  70;  Fi- 
lippo di  antica  e  chiara  famiglia 
de  Malera  di  Cosenza,  colto  nelle 
scienze  ecclesiastiche,  gli  successe  nel 
122  1  ;  Tommaso  eletto  nel  i252 
da  Innocenzo  IV,  dotto  e  stimabile 
abbate  cislerciense  di  s.  Stefano  del 
Bosco  ;  Rinaldo  d'  Aquino  ,  perito 
in  giurisprudenza,  fu  eletto  dal  ca- 
pitolo e  nel  i255>  confermato  da 
Alessandro  IV;  Adamo  eletto  a 
concorrenza  di  altro,  Giovanni  XXII 
lo  approvò  nel  i320;  Senatore  di 
Martorano  oriondo  di  famiglia  da 
Cosenza,  morì  nel   i349;  ^*'  ^'*" 


MAR 
corno  Castelli  de'  minori,  traslalo 
nel  I Sgoda  Bonifacio  IX  a  Nica- 
stiOi  Martino  del  i45'i,  traslato  a 
Cotrone  nel  i463  ;  gli  successe  An- 
gelo greco  di  Calabria,  eccellente 
dottore  in  jus,  ambasciatore  del  re 
di  Napoli  a  Pio  II,  poeta  illustre, 
ed  eruditissimo.  Angelo  Pappacoda 
fatto  vescovo  nel  i497  da  Alessan- 
dro VI,  peritissimo  nelle  lettere  gre- 
che e  latine:  gli  successe  nel  iSSy 
Giacomo  Antonio  Ferduzi  anconi- 
tano, ministro  generale  de'  minori 
conventuali ,  sommo  teologo.  Per 
sua  morte,  nel  i56o  Pio  IV  fece 
vescovo  Tolomeo  Galli ,  che  nel 
1362  trasferì  a  Siponto,  e  nel  i565 
creò  cardinale,  sostituendovi  degna- 
mente Girolamo  Federici  milanese. 
3Vel  1369  gli  successe  fr.  Gregorio 
Croce  spagnuolo,  dotto  domenicano 
d' incolpabile  vita,  che  per  voler 
correggere  i  cattivi  ecclesiastici,  mo- 
ri forse  di  veleno  nel  i^yy:  in 
sua  vece  Gregorio  XIII  vi  elesse 
Mariano  Pierbenedelti,  consagrato 
dal  cardinal  Perelti  che  divenuto 
Sisto  V  lo  creò  cardinale  nel  iSSg, 
benemerentissimo  vescovo  come  si 
può  vedere  alla  sua  biografia  ;  gli 
successe  nel  1 586  il  nipote  Rober- 
to, traslato  a  Nocera  nel  iSg?,.  Fran- 
cesco Monaco  patrizio  di  Cosenza  , 
lodato  per  dottrina  e  morale,  fatto 
vescovo  da  Clemente  Vili  nel  i^gS, 
governò  35  anni.  Urbano  Vili  nel 
1627  gli  sostituì  Luca  Cellesi  di 
Pistoia,  ornato  di  molle  virtù,  che 
rifabbricò  la  cattedrale  e  l'episcopio 
dal  terremoto  rovinate,  e  moili  «lel 
1661.  Giacomo  Pala  mei  la  della 
diocesi  di  Policaslro,  nominato  ve- 
scovo nel  1667  ,  compi  magnifica- 
mente la  cattedrale,  ed  a  Scilliano 
nel  silo  detto  Diano  edificò  un  no- 
bile luogo  per  amena  villeggiatura 
de'  vescovi,  presso  la  chiesa  parroc- 


MAR  207 

chiale  che  eresse  in  collegiata.  L'U- 
ghelli  ed  i  suoi  continuatori,  Ita- 
lia sacra,  lom.  IX,  pag.  270, 
terminano  la  serie  de'  vescovi  di 
Martorano  con  Pietro  Antonio  Pie- 
trasanta,  barnabita  milanese,  fallo 
nell'anno  17  18  ;  ed  il  proseguimen- 
to si  trova  nelle  annuali  Notizie  di 
E  orna.  Ne  furono  gli  ultimi  fr.  Ber- 
nardino de  Bernardis  paolotto  di 
Fuscaldo  ,  fatto  da  Benedetto  XiV 
nel  1743;  Nicolò  Spedalieri  della 
diocesi  di  Squillace,  crealo  nel  1  758 
da  Clemente  XIII  ;  fr.  Giacomo  Ma 
ria  de  Tarsia  paolotto  di  Cosenza, 
eletto  da  Clemente  XIV  nel  1770; 
dopo  lunga  sede  vacante,  Pio  VI 
preconizzò  nel  1 792  in  successore 
Francesco  Antonio  Grillo  de' con- 
ventuali di  Gerace,  che  fu  1'  ultimo 
vescovo.  Trovandosi  la  diocesi  suf- 
fraganea  della  metropoli  di  Cosen- 
za, e  dopo  altra  notabile  sede  vacan- 
te, Pio  VII  nella  circoscrizione  del- 
le diocesi  di  Sicilia,  colla  lettera 
De  ulilìori,  V  kal.  julii  1818,  sop- 
presse la  sede  vescovile  di  Marto- 
rano, e  r  uni  in  perpetuo  a  Nica- 
stro  {Fedi). 

MARU  o  MERA.  Città  vescovile 
del  Rorasan  in  Persia  ,  situata  sul 
fiume  Morcab ,  grande  e  ben  fab- 
brìcataj  e  dicesi  che  già  superò  tulle 
le  altre  città  della  regione.  La  re- 
ligione cristiana  essendo  slata  an- 
nunziata nel  Korasan  regnando  il 
re  Sapore,  Maru  diventò  in  segui- 
lo metropoli  e  provincia  ecclesia- 
stica della  diocesi  de' caldei,  avente 
per  sulTiaganei  i  vescovati  di  Dair- 
Ilannes,  di  Damadutha,  di  Daabar- 
sanaia  e  di  Saichasa.  Ne  furono  ve- 
scovi, Bar-Codsaba,  che  predicò  il 
vangelo  nel  Rorasan  ;  Davide  I  me- 
tropolitano di  Maru  nel  52o;  Teo- 
doro del  540;  Davide  II  del  55o; 
Elia  considerato  come  santo ,  assi- 


2o8  MAR 

stette  al  cattolico  Jesuiab  III  ;  Giu- 
seppe I  del  778,  rinunziò  al  distia- 
iiesitno  e  fuggì  presso  i  saraceni  ; 
Giovanni  ordinato  nell'  860  ;  Giu- 
seppe 11  assistette  all'elezione  del 
cattolico  Giovanni  IV  dei  900; 
Ebedjesu;  Giorgio  Alsnkani,  e  gli 
altri  registrati  nell'  Oriens  chiist. 
t.  II,  p.    1261. 

MARUTA  (s.),  vescovo  di  Ta- 
grita  o  Martiropoli  nella  Mesopota- 
mia,  uno  de'  piti  illustri  dottori  del- 
la chiesa  siriaca.  Compose  gli  atti 
de*  martiri  che  soffersero  nella  per- 
secuzione di  Sapore  dall'  anno  34o 
al  38o  ;  parte  della  quale  ope- 
ra ritrovò  e  pubblicò  l' Assemani. 
Compose  eziandio  degl'inni  in  ono- 
re de'  martiri,  e  sopra  parecchi  al- 
tri argomenti,  che  vennero  inseriti 
con  quelli  di  s.  Efrem  nell'officio 
caldaico.  Raccolse  le  reliquie  di 
molti  martiri  della  Persia,  e  le  di- 
stribuì nell'impero  romano.  Nel  4'  i 
fece  un  viaggio  a  Costantinopoli  per 
indurre  l' imperatore  Arcadio  a  rac- 
comandare i  cristiani  ad  Isdegerdo 
re  di  Persia  :  nulla  avendo  potu- 
to concludere,  vi  ritornò  l'anno  ap- 
presso. Teodosio  il  Giovane,  suc- 
cessore di  Arcadio ,  onorò  il  santo 
vescovo  della  sua  confidenza ,  e  lo 
mandò  due  volte  in  uffizio  di  am- 
basciatore nella  Persia,  per  istabili- 
re  una  solida  pace  fra  i  due  impe- 
ri. Isdegerdo  fece  grande  stima  di 
s.  Maruta,  massime  dopo  essere  sta- 
lo guarito  per  le  sue  orazioni  da 
una  malattia,  ed  aver  scoperto  l'im- 
posture de'magi;  laonde  lo  autoriz- 
zò a  fondar  delle  chiese.  S.  Maruta 
tenne  due  sinodi  a  Ctesifone  :  nel 
secondo,  tenuto  l'anno  4'4>  ^^  ^^^' 
dannato  l'arianesimo,  e  si  fecero 
delle  savie  regole  per  la  disciplina. 
Ritornò  aHa  sua  sede  assai  attem- 
pato, portando  seco  molte  reliquie 


MAR 
di  martiri  che  depositò  nella  sua 
chiesa,  per  cui  la  città  prese  il  no- 
me di  Martiropoli.  Egli  morì  in- 
nanzi la  metà  del  quinto  secolo,  e 
fu  sepolto  nella  sua  chiesa.  Il  suo 
corpo  fu  trasportato  in  Egitto  du- 
ranti le  incursioni  degli  arabi  e 
de'persiani,  e  si  conserva  nel  mo- 
nastero della  Madonna,  nel  deserto 
di  Sceti,  abitato  da  monaci  siri.  1 
cofti  di  Egitto  onorano  s.  Maruta 
a' 19  febbraio;  i  siri  ed  i  melchiti 
a'  6  dello  stesso  mese  ;  i  greci  e  i 
latini  a' 4  dicembre.  L'opera  prin- 
cipale di  questo  padre  è  una  litur- 
gia siro-caldaica,  la  quale  è  ancora 
usata  in  certi  dì  dai  maroniti.  Nel- 
la biblioteca  vaticana  conservasi  un 
mss.  in  siriaco  d'  un  suo  commen- 
tario sopra  il  vangelo  di  s.  Matteo. 
Ebedjesus  fa  menzione  di  un'  isto- 
ria del  concilio  di  Nicea,  i  cui  ca- 
noni erano  stati  recali  in  siriaco 
da  s.   Maruta. 

MAUZATO  Anselmo,  Cardina- 
le. Anselmo  Marzato  di  Sorren- 
to, ma  nato  in  Monopoli  in  occa- 
sione che  suo  padre  era  governato- 
re di  quella  città,  in  cui  accasatosi 
vi  avea  fissato  il  soggiorno.  Dotato 
di  eccellenti  prerogative,  non  meno 
d'animo  che  di  corpo,  disprezzale 
onorevoli  nozze ,  alle  quali  veniva 
invitato  da  una  donzella  di  sua  pa- 
tria ricca  e  nobile,  determinò  di 
consagrarsi  a  Dio  nella  religione 
de'  cappuccini,  e  datosi  all'  esercizio 
della  predicazione,  per  la  quale  non 
mancavagli  alcuna  di  quelle  doti  e 
qualità,  che  conducono  a  formare 
un  perfetto  oratore,  vi  riuscì  famo- 
so ed  eccellente.  Dopo  aver  predi- 
cato ne' principali  pulpiti  d' Itaha 
e  delle  Gallie,  fu  deputato  a  pre- 
dicare avanti  al  Papa  ed  ai  cardi- 
nali, con  loro  infinita  soddisfazione, 
onde    Clemente   VIII    soleva    chia- 


IVI  A  U 
Iti  urlo  Paolo  redivivo  e  tromba  ce- 
leste.  Nel  viaggio  che  fece  il  Pon- 
tefice a  Fcrraia,  Anselmo  lo  seguì, 
ma  a  tenore  della  tegola  di  s.  Fran- 
cesco sempre  a  piedi.  Avanzato  al- 
'  le  prime  cariche  di  sua  religione, 
ti2ologo  del  s.  ofTizio  e  del  cardinal 
Aldobrandino  legalo  a  latere  di 
Francia,  e  poi  eletto  nel  i59g 
procuratore  generale  dell'ordine,  in- 
di Clemente  Vili  a' 9  giugno  i6o4 
lo  creò  cardinale  prete  di  s.  Pie- 
Ilo  in  Montorio,  e  venne  denomi- 
tialo  il  cardinal  di  Monopoli.  Al- 
lo splendore  della  dignità  seppe 
unire  rumiltà  e  la  modestia  de' cap- 
puccini, di  cui  non  lasciò  mai  l'abito 
e  ne  osservò  esattamente  l'istituto, 
alzandosi  a  mezza  notte  per  salmeg- 
giare, adempiendo  i  digiuni  pre- 
scritti dalla  regola,  e  ne'  venerdì 
e  sabbati  si  pasceva  di  pane  ed 
acqua.  L*  Aniidenio  con  calunnia 
lo  disse  crapulone,  mentre  era  par- 
chissimo nel  cibo,  come  lo  celebra- 
rono diversi  storici.  Generoso  coi 
poveri,  liberale  verso  tutti  e  pieno 
di  compassione,  visitava  i  suoi  ser- 
vi infermi  ;  e  per  la  rigidezza  e  pu- 
rità del  corpo  e  dello  spirito,  fu 
detto  il  secondo  s.  Francesco.  Virtù 
così  specchiata,  non  andò  esente  da 
imposture  e  falsità  iuTentate  dai 
malevoli  invidiosi  della  sua  gloria  , 
tentando  offuscarla  ,  accusandolo 
persino  al  s.  ofTizio,  che  piedicando 
in  Francia  avesse  proferite  alcune 
proposizioni  ereticali.  Chi  però  ne 
fu  r  autore  ne  pagò  anche  in  que- 
sto mondo  la  pena  con  una  ignomi- 
niosa fine,  a  cui  dall'  umana  giu- 
stizia fu  condannato  a  morte  per 
altri  dcliltf.  Conoscendo  il  Marzalo 
che  alle  calunnie  taluno  fatalmente 
vi  credeva,  ne  concepì  tal  coidogiioj 
che  morì  d' anni  G4  nel  convento 
di  Frascati  nel  1607,  dopo  38  me- 

VOI.     XLIII. 


M  A  Pi  xogf 

si  di  carditialato.  Trasferito  a  Ro- 
ma, ebbe  sepoltura  nella  chiesa  del 
suo  titolo,  senza  alcuna  memoria. 
Ne  fanno  elogio  il  Baltaglini,  i  con 
tinuatori  del  Ciacconio,  ed  altri.  In- 
tervenne ai  cotìclavi  di  Leone  XI 
e  di  Paolo  V. 

MARZIALE  (s.),  vescovo  di  Li- 
moges.  Fu  utio  di  que'celebri  mis- 
sionari, a  detta  di  s.  Gregorio  di 
Tours,  i  quali  essendo  stali  mau- 
dati  da  Roma  con  s.  Dionigi  di 
Parigi  circa  la  metà  del  terzo  se- 
colo, predicarono  il  vangelo  nelle 
Gallie.  Egli  fermò  la  sua  sede  a 
Limoges,  e  ne  fu  il  primo  vescovo. 
Le  sue  fatiche  apostoliche  operaro- 
no la  conversione  di  gran  numero 
d' idolatri.  La  sua  tomba  fu  illu- 
strala da  molti  prodigi;  e  molli  ne 
furon  fatti  eziandio  in  Virtù  delle 
sue  reliquie.  Leggesi  il  suo  nome 
Begli  antichi  martirologi  il  giorno 
3o  di  giugno.    V.  Limoges. 

MARZIALE  (s.  ),  martire.  V. 
Fàusto,  Gennaro  e   Marziale  (ss.). 

MARZIALE  Ugo  ,  Cardinale. 
Ugo  di  s.  Marziale,  così  detto  dal 
castello  ove  nacque  nella  diocesi  di 
Toul,  nella  provincia  d'Aquitaniu; 
dottore  in  entrambe  le  leggi,  e  pre- 
posto di  Douay,  venne  incaricato 
di  portarsi  col  carattere  di  nunzio 
in  Sicilia  nel  i352,  per  islabilire 
una  perfetta  concordia  fra  Lodovi- 
co i  re  d'  Ungheria,  e  Giovanna  I 
regina  di  Napoli,  nella  quale  lega- 
zione ebbe  a  compagno  Guglielmo 
arcivescovo  di  Braga.  Innocenzo  VI 
a'  17  settembre  del  i36t  lo  creò 
cardinale  diacono,  sebbene  assente; 
poi  ebbe  per  diaconia  la  chiesa  di 
s.  Marra  in  Portico,  e  fu  fallo  ar- 
ci[»rcte  della  basilica  di  .'^.  Pietro. 
Intervenne  al  conclave  per  Urbano 
V,  e  lo  tìeguì  da  Avignone  in  Ita- 
lia, noft  a  quello  di  Gregorio    XI, 

>4 


aio  MAS 

che  partendo  da  Avignone  lo  lasciò 
ni  governo  di  quello  stalo,  e  mo- 
rendo in  Roma  noniinollo  suo  esecu- 
tore testamentario.  Benché  non  fosse 
presente  all'elezione  di  Urbano  VI, 
aderì  al  partito  dell'  insorto  anti- 
papa Clemente  VII  ;  mori  nello 
scisma  in  Avignone  nel  i4o3,  e  fu 
sepolto  nella  chiesa  de' celestini  al 
ponte  di  Sorga. 

MARZIO  (  s.  ),  abbate.  Nato  in 
Alvergna  verso  l' anno  44^,  diede 
a  conoscere  fin  dalla  sua  giovinezza 
grandissimo  zelo  pel  servigio  di  Dio, 
e  per  gli  esercizi  della  penitenza. 
In  età  di  circa  cent'anni  si  ritirò 
sopra  una  montagna  poco  lungc  da 
Clermont,  ove  si  unirono  a  lui  al- 
quanti discepoli,  i  quali  viveano  co- 
m'esso  delle  limosi  ne  de' fedeli.  Au- 
mentatasi la  comunità,  edificò  un 
monastero  più  regolare,  in  cui  vis- 
se oltre  sessant'anni  in  applicazio- 
ne continua  a  tutti  i  suoi  doveri. 
La  sua  eminente  santità  lo  fece  giu- 
dicar degno  del  sacerdozio.  Iddio 
r  onorò  del  dono  dei  miracoli  ;  e 
fra  quelli  cui  tornò  la  salute  in 
una  maniera  soprannaturale,  si  an- 
novera Fiorenzo  padre  di  s.  Gre- 
gorio di  Tours.  Morì  verso  Tanno 
525,  ovvero  53o,  e  fu  seppellito 
nella  cappella  del  suo  monastero. 
Onorasi  in  Alvergna  il  dì  i3  aprile. 

MASAMIG.  Sede  vescovile  della 
diocesi  de'caldei,  sotto  la  metropoli 
di  Bassora,  di  cui  ne  fu  vescovo 
Abramo,  che  sedeva  sotto  il  cat- 
tolico Jesuiab  III.  Oriens  christ. 
ì.   II,  p.    1260. 

MASCA  Pandolfo,  Cardinale. 
Pandolfo  Masca  pisano,  distinto  col 
titolo  di  maestro,  fatto  suddiacono 
del  palazzo  apostolico  da  Calisto  II, 
in  premio  di  sua  esimia  virtù,  nel 
dicembre  1  182  Lucio  III  lo  creò 
cardinale  prete  de' ss.  XII  Apostoli. 


MAS 
D*  ordine  di  Celestino  III  si  du- 
vette  recare  a  Genova  nel  1  196 
col  carattere  di  legato  pontificio, 
per  quietare  le  civili  discordie  in- 
sorte tra  i  genovesi  ed  i  pisani.  In- 
nocenzo III  nel  I  198  lo  spedì  le- 
galo in  Toscana,  in  compagnia  del 
cardinal  Bernardo^  per  dichiarar 
nulli  ed  invalidi  alcuni  patti  stipu- 
Iati  tra  parecchie  città  della  To- 
scana, senza  il  consenso  della  santa 
Sede,  che  avea  diritto  su  quel  du- 
cato. Scrisse  le  vite  di  alcuni  Popi, 
o  a  meglio  dire  fece  delle  aggiunte 
alla  cronaca  creduta  del  Pontefice 
s.  Damaso  I,  secondo  il  Ciacconio 
e  rOudiu.  Queste  vite  sono  ripor- 
tate dal  Muratori  nel  t.  Ili,  Script, 
rer.  Italie,  par.  I,  p.  3 04  e  seg. 
Il  Mansi  però  ha  dimostrato  che 
Pandolfo  scrittore  delle  vite  de'Pa- 
pì  è  diverso  dal  cardinale,  e  il 
Cardella  vi  conviene.  Compose  al- 
tresì una  storia  riguardante  le  im- 
prese e  le  preclare  azioni  de' suoi 
concittadini,  la  quale  non  ha  mai 
veduto  la  pubblica  luce.  Si  trovò 
presente  alla  canonizzazione  di  s. 
Giovanni  Gualberto,  ed  ai  comizi  di 
quattro  Papi,  morendo  in  gran  ri- 
putazione ed  in  età  decrepita  cir- 
ca il  1202,  essendo  primo  dell'or- 
dine de' preti.  L*  Einsengreno  scrisse 
di  lui,  che  fu  dottore  in  sacra  Scrit- 
tura, oratore  eloquente,  peritissimo 
nell'arte  di  perorare,  storico  cclo- 
bratissimo,  e  talmente  versalo  in 
teologia,  che  a  niuno  la  cedeva  in 
tal   facoltà. 

MASCHERA,  Oscillum,  Perso- 
nay  Larva.  Faccia  0  testa  finta  di 
carta  pesta,  di  tela  cerata  e  dipin- 
ta, di  cera  o  di  cosa  simile.  Co- 
pertura con  un  naso  e  con  due 
occhi  che  mcttesi  sulla  faccia  per 
trasfrrmarsi,  siccome  dicesi  anche 
della  persona  stessa  che  si   trasfoi> 


MAS 
ma.  La   maschera  si  usa   principal- 
mente in  tempo  di  carnevale.  Tra- 
vestimento di  varie  foggie^  contraf- 
fazione di  abiti    e    di    costumi,   ed 
anche  di  favella  di    varie    persone 
e  nazioni.    Chiamasi    in    latino    la 
maschera  persona    per    doppio    si- 
gnificato :   il  primo  è  a  personando, 
secondo  Gellio,  lib.  5,  cap.  7.  Nani 
caput,  et  OS  cooperimento  personae 
tectum  undique^  luiaque  tantum  vo- 
cis   emittendae    via   apertum:  quo- 
lìiam    nec    voga^    nec    diffusa    est, 
in  unum  tantum  modo  exitum  coar- 
ctal  voceniy  et  magis  claros^  cano- 
rosque  sonitus  facit.   Ob   eam  cau- 
sani   persona  dieta    est,    o,    littera 
propter  vocahuli  forniam  produciio- 
ne.  Secondo  questa    etimologia  era 
il    costume    de'  gentili    tanto    latini 
ijuanlo  greci,  che  nella  morte    dei 
nobili     usavano    i    trombetti    ed    i 
suonatori  di   flauto,    e    costumavasi 
particolarmente  in  Roma,  dove  so- 
navano in  tale  occasione  maschera- 
ti. Dicesi  ancora  la  maschera   per- 
sona   dal     figurare    con    essa,    rap- 
presentare e    fingere    alcun    perso- 
naggio; onde  da  Seneca    fu    detta 
Personata  felici tas ,  la  felicità  non 
vera  ma  simularla,  quasi    dica  ma- 
schera di  felicità.  Marziale   chiamò 
maschera  i   tinti   capelli,  e   masche- 
ra del  capo    fu    detta  la   parrucca. 
L' invenzione  della  maschera  si  at- 
tribuisce agli  egiziani,  propagata  da 
Orfeo  ne' greci,  e  da  questi  passata 
ai  romani,  e  dall'  Italia  in  Germa- 
nia, e  diffusa  per  tutto  il    mondo. 
Le  maschere  del  teatro  debbono  la 
loro  origine  all'arte  dell'imitazione. 
Non  fu  da    principio    se    non    che 
tingendosi    o  imbrattandosi  il  volto^ 
che  i  primi  attori  si  mascherarono. 
Tespi  poeta    tragico    greco    ed    at- 
toi^,  fu  il    piioio   che    bruttandosi 
il  viso  di  feccia  di  vino,  scorse  coi 


MAS  2 1  ! 

suoi  compagni   i  borghi   e  i  villaggi 
con    quella    follia    avventurosa.    In 
appresso  si  pensò    a    fabbricare  al- 
cuna specie  di    maschere,    che    di™ 
cevansi  fatte  colle  foglie  di  una  pian?* 
ta  nominata    arction,  alla  quale  si 
fa''  corrispondere  la  nostra  bardana 
grande    o  maggiore,    detta   tuttora 
arction  lappa.   Allorché    il  poema 
drammatico  acquistato    ebbe    tutte 
le  sue  parti,   gli    attori    trovaronsi 
forzati  a   rappresentare    personaggi 
in  diversi  generi,    di  diverse  età  e 
di  diverso  sesso,  e  quindi  si  videro 
obbligati  a  cercare   qualche    mezzo 
per  cambiare  ad  un  tratto  di   for- 
ma   e    di    figura .    Fu    dunque   in 
quella  occasione,  che  secondo  alcuni 
comparvero  le  maschere  di  diverse 
sorte,  le    quali    oltre    i    lineamenti 
del  viso,  rappresentavano  ancora  la 
barba,  i  capelli,  le  orecchie,  e  tal- 
volta   fino    gli    abbigliamenti    delle 
teste  femminili.  Non    è    facile  pre- 
cisare chi  fosse  l*  inventore  di  quel- 
le maschere,  e  si  attribuisce  al  poe- 
ta  Cherilo  contemporaneo  di  Tcspi^ 
ad  Eschilo    che    almeno    ne    estese 
l'uso  e  l'applicazione,  al  poeta  Fri- 
nico  ch'espose  pel  primo  nel  teatro 
una    maschera    da    donna .    Ptoscio 
Gallo  poi   fu  il  primo  che  mostrossi 
con   una   maschera  sul  viso  nel  tea- 
tro di  Roma,  alGne  di    nascondere 
la  deformità   de'suoi  occhi  ch'erano 
biutlamente  loschi. 

La  forma,  come  pure  la  materia 
di  queste  maschere  non  fu  sempre 
eguale.  Le  prime  non  erano  for- 
male se  non  che  di  foglie  o  di 
corlcccie  d' alberi;  in  appresso  se 
ne  fabbricarono  di  cuoio,  foderate 
di  tela  o  di  qualche  altro  tessuto, 
ma  come  facilmente  perdevano  le 
loro  forme  e  i  loro  lineamenti,  si 
introdusse  la  pratica  di  farle  inte- 
ramente di  legno.  Il  greco    Giulio 


212  MAS 

Polluce  nel  lib.  IV    del  suo   Ono- 
mastico dislingue  Ire  specie  di  ma- 
schere sceniche,  le  cornicile,  le  tra- 
giche e  le  satiriche,  poiché    la  sa- 
tira entrava    allora    tra  le  rappre* 
sentazioni    drammatiche.    In    gene- 
rale la  forma   delle   maschere  por- 
tava   al    ridicolo,    e    consisteva    in 
quello  che  noi    chiamiamo    carica- 
tura ;  le  maschere    tragiche  erano 
formate    in    modo    da    ispirare    la 
compassione  o   il   terrore;   le   ma- 
schere satiriche  presentavano  esseri 
immaginari,  come  satiri,  fauni,  ci- 
clopi   e    simili,   aventi    un    aspetto 
piacevole,  con    lineamenti    regolari. 
Nelle  maschere  antiche  l'ampiezza 
della  bocca  era  frequentissima,  affin- 
chè più  facilmente  uscisse  la  voce  de- 
gli attori,  e  non  solo  coprivano  la 
faccia,  ma  tutto  il  capo.  Oltre  le  ma- 
schere sceniche,  i  greci  conoscevano 
altre  tre  specie  di  maschere  distinte 
con  tre  differenti  nomi,  i  quali  [>erò 
in    appresso    furono    adoperati    in- 
differentemente   per    indicare   qua- 
lunque sorte  di    maschere.   Le  più 
comuni  e  naturali  chiamavansi  prò- 
sopopeìe;  meno  comuni  erano  quel- 
le degli  altri  due  generi,  dette  mor- 
molycheia    e   gorgoneia:    le   prime 
servivano  a  figurar  le  ombie  o  le 
anime  de'  morti,  e  avevano  sempre 
qualche    cosa    di    spaventevole;  le 
altre  erano  fatte  anch'  esse    per    i- 
spirare  terrore,  e  non  rappresentava- 
no che  figure  spaventevoli,  come  le 
Gorgoni,    le    Furie    e    cose   simili. 
Altra    specie    di    maschere    furono 
quelle  inventate  da  Ermone,  dette 
hermoneìa,    e    di    due    sorte ,    cioè 
calve  sul    davanti    con    barba  ben 
fornita,  con  sguardo  aspro  e  corruc- 
ciato, e  semplicemente    colla    testa 
rasa    e  la  barba  foltissima.  Fra  le 
maschere  comiche    alcune  avevano 
doppio  il  viso,  forse  perchè  TaUore 


MAS 
volgendosi  or  ila  una  parte,  or  daf-» 
r  altra,  mostrasse  sempre  quel  la(a 
della  maschera    che   conveniva  alla 
sua  situazione  attuale,  in  quelle  sce- 
ne, in  cui     necessario   diventava  il 
cambiamento  improvviso.  F.  Fran- 
cesco Ficoroni,  Le  mascìiere  sceniche 
e  le  figure  comiche   ci'  antichi   ro- 
manif  Roma    1736.  Inoltre  le  ma- 
scheie   furono   dagli    antichi    usate 
frequentemente  nelle   cerimonie  re- 
ligiose, e   specialmente    nelle    feste 
di  Bacco,  e  di  molte  altre  divinità, 
conie  in  quelle  di  Minerva,  di  Ci- 
bele,  d' Iside  ;  nelle  feste  di  Cerere, 
di    Strema ,    nelle    saturnali,    nelle 
lupercali.  Venerando  i  pagani  Iside 
qual  madre  degli  Dei,   nell'entrare 
di  primavera  ne  celebravano  solen- 
nemente la  festa  i  romani,  andando 
mascherati,    ed    avendo    libertà   di 
rappi'csentare  chiunque  avessero  vo- 
luto, eziandio    i    magistrali,    e   con 
tanta   naturalezza   che    i    finti    dai 
veri  non  si  distinguevano.    In  una 
di  queste  mascherate,  certo  Mater- 
no mascherato  da  alabardiere  tentò 
di  uccidere  Comodo,  per  impadro- 
nirsi   dell'  impero.     Si  faceva     uso 
altresì  delle  maschere    ne'  trionfi , 
nelle  pompe  pubbliche,  talvolta  nei 
banchetti    e  fors'  anche  ne'funerali, 
giacché,  come  si  avvertì,  i  suonatori 
di  flauti  edi  tromhelte sonavano  ma- 
scherati. Era  eziandio  uso  antico  dei 
pagani  mascherarsi  il  piimodi  genna- 
io, e  prendere  la  figura  di  certi  ani- 
mali, come  di  vacca,  di    cervo,  ec. 
S.  Massimo  vescovo  di  Torino,  nel 
sermone  ch'egli  lece  nel  primo  del- 
l' anno  4^9  circa,  sgridò   assai  co- 
loro che    secoiìdo    la    superstizione 
de'  gentili  si    tramutavano    in   cose 
oltremodo    sconce     e    contraffatte , 
perchè  gli  uomini   non  solo  si  tras- 
formavano   in    donne,    ma    in    di- 
verse maniere    d' aiumali,    aiwi   dì 


MAS 

mostri.  TI  concilio  di  Atixerre  del 
585  probi  ai  cristiani  d' imitare 
tale  cos5tume;  ed  un  antico  canone 
penitenziale  romano  impone  tre 
anni  di  penitenza  a  chi  avesse  da- 
to questo  scandalo,  su  di  che  può 
vedersi  le  noie  del  p.  Menard  sul 
Sa  grame  ntario  di  s.  Gregorio  1, 
p.    252. 

La  legge  di  Mosc  proibiva    alle 
donne   vestirsi    da    uomo,    ed    agli 
uomini  prendere  gli  abili  da   don- 
na, perchè  quest'era  un'abbomìna- 
zione  innanzi  a  Dio,  come  si  legge 
nel   Deuteronomio  e.   22,  i,  5.  Os- 
servano i  commentatori  che  presso 
i  pagani  i  sacerdoti    di    Venere  in 
certe    cerimonie    si     vestivano    da 
donne,  e  che  per  sacrificare  a  Mar- 
te le    donne  prendevano    gli    abiti 
e   le   armi    da    uomo  ;    dunque  la 
legge    proibì    ai    giudei    una    delle 
superstizioni  dell'idolatria.  Gli  stes- 
si    autori    profani    rimarcano    che 
queste    sorte    di    maschere    aveano 
sempre  per  iscopo  il  più  materiale 
libertinaggio.   Si  sa  pur  troppo  che 
presso  noi,  come  altrove,  quei  che 
si    mascherano    per    trovarsi    nelle 
notturne  radunianze,  lo    fanno    per 
godere  sotto  la  maschera  quella  li- 
bertà, che  non  avrebbero  co^iaggio 
di  prendersi  a  faccia  scoperta.  Di- 
cono   i    moralisti    che    l' uso    delle 
maschere  diviene    illecito    in   molte 
circostanze,  come    nei    divertimenti 
di  carnevale    ed  altri  simili,  essen- 
done conseguenza  ordinaria  il  pec- 
calo.   Quanto    agli    ecclesiastici    ed 
ai, religiosi,  che  si  mascherano  per 
allegria  e  divertimento,  è  opinione 
di  alcuni   moralisti  che  non  si  pos- 
sano   scusare    di    peccato    morlale, 
come    lo    prova    solidamente    il  p. 
Concina  domenicano  veneto,  in  u- 
na  dissertazione  su  questo  argomen- 
to stampata    in    Roma    nel     1752, 


MAS  2i3 

tanto  per  la  santità  dello  slato  chle- 
ricale,   quanto    per    gli    statuti    dei 
sinodi,  che  proibiscono  siffatto  abu- 
so sotto  pena  di  scomunica  incorsa 
pel  solo  fatto,  e  per  la  testimonian- 
za  de' casisti  anche  i  più.  rilasciati, 
come  Diana,  Bonacina    e   Sanchez. 
Del  paganesimo   resta   una  delle 
traccie    nelle    ferie    carnevalesche; 
e  quanto  al  tempo,  siccome  i    ro- 
mani   antichi    si    mascheravano  al- 
l' incominciar   di    primavera,    quasi 
presso  a  quel   tempo  ora   incomin- 
cia   il    carnevale    in    Roma  :    della 
faceta  e  notissima  maschera  napole- 
tana del  Pulcinella,  il  Cancellieri  ri- 
portò alcune  erudizioni  a  p.    4^  ^ 
44  ('elle  sue    Notizie   della  venuta 
in  Roma  dei  re  di  Danimarca,  ec. 
I   ss.  Ambrogio,  Agostino,  Pier  Gri- 
sologo  { il  quale  inveì  contro  i  cri- 
stiani   che    nel    primo    di    gennaio 
con  maschere  prendevano  la  forma 
degli  Dei  de' gentili),  e  fra'greci  s. 
Gio.  Crisostomo,     riprovarono    nei 
cristiani  l'abuso  di  mascherarsi,  ed 
altrettanto  fece  s.  Carlo    Borromeo, 
Jet.  eccl.   Mediol.  p.  7,  e.   7.  Tut- 
ta volta   in    progresso    di    tempo  le 
maschere  si  sono  straordinariamen- 
te aumentate,  moltiplicate  e  modi- 
ficale in  varie  forme  ne'tempi  mo- 
derni, massime  dopo  l'introduzione 
de^Daili  in    maschera,    antichissinù 
però  in   Italia,    ed    in    Francia  in- 
trodotti sotto  Luigi   XIV,  nel  qual 
tempo  sussistevano  le  maschere  dal- 
l' Italia     introdotte     nel     regno    di 
Francesco    I,    cioè    le    maschere  di 
velluto  nero  foderate  di   pelle,  che 
le  donne  usavano  per  conservar  la 
pelle  o  per  una  specie  di  modestia 
per  essere  meno   esposte    alla  vista 
del  pubblico,  e  da  esse  derivarono 
in   Italia  quelle  che  coprivano  sol- 
tanto la  metà  del   volto.   Di  siffatte 
maschere    conservatrici    della    pelle 


4i4  MAS 

e  del  coloic  ilei   viso,  di  rijxii'O  al 
vento  ed  al  sole,  se   ne  attribuisce 
r  invenzione   a    Poppea    moglie    di 
Nerone,  che  inventò  pure  altri  mez- 
zi per  conservare    la    bellezza  fem- 
minile. Nel    possesso  preso  da  Cle- 
mente XI   nel     1701  ,  la  regina  di 
Polonia  Maria    Clementina  si  recò 
a  vedere  la    cavalcata    nel   palazzo 
nuovo    de'  conservatori    sotto    bal- 
dacchino, e    finché    non    comparve 
il  Papa  avea    tenuta    la    maschera 
di  velluto.  Delle  maschere    e  delle 
mascherate  ne  parlammo  in  diversi 
articoli  del  Dizionario  ;  ed  oltre  gli 
articoli     Befana    ed     Epifania  ,   si 
possono    vedere    Giuochi    nel    voi. 
XXXI,  p.    176,   177,   178  e    187, 
ove  si  disse  del   carnevale    e  delle 
corse    de'  cavalli  ;    Festa    nel    voi. 
XXIV,  p.  21 3,  223,   224  e  225, 
in  cui  si  parlò  delle  bizzarre  e  cla- 
morose feste  dei  re  della  fava,  del- 
la   festa    degli    asini,    e    delia    festa 
dei  pazzi  ;  e  principalmente  nel  voi. 
X,  a  Carnevale^  ove  si  trattò  de'sa- 
turnali,  baccanali,  ed  altre  gozzovi- 
glie   e    dissolutezze    degli    antichi  ; 
delle  feste  di  Bacco,  di   Cerere,  di 
«Strenia,  delle    lupercali,    di    quelle 
de*  pazzi  e  degli  asini  in  cui  avea- 
no  luogo  mascherale  bizzarre  e  li- 
cenziose ;    dell'  uso    delle    maschere 
e  di  quelle  che  aveano  luogo  nelle 
caleode  di  gennaio,  ed  altre  diver- 
se mascherate,  non  che  di    quanto 
fece  la  Chiesa     nel  tollerarle,   pro- 
movendo al  tempo  stesso  molti  eser- 
cizi di  pietà.     Finalmente  nel    me- 
desimo volume   evvi    Carnevale  di 
BoMA ,     brillantissimo    e     giocondo 
spettacolo,  come  si  celebrava  anti- 
camente, delle  mascherate  e    corse 
di  cavalli  che  hanno  luogo  oggidì, 
e  dellij  sospensione  delle  maschere. 
MASCHIE VOHUM.   Sede  vesco- 
vile  armena    Sotto    il    cattolico    di 


MAS 

Sis,  di  cui  fu  vescovo  Tarasio  che 
assistette  al  concilio  di  Sis.  Oricns 
christ.  l.   I,  p.    1437. 

MASCIARTUM.  Sede  vescovile 
armena  sotto  il  cattolico  di  Sis, 
il  cui  vescovo  Vertano  intervenne 
al  concilio  di  Sis.  Oriens  christ, 
t.  I,  p.    1437. 

MA  SCIO  Girolamo,  Cardinale. 
F,  Nicolò  IV,  Papa. 

MASSA    di   carrara   {  Mus- 
sta  ).   Città  con  residenza   vescovile 
nel  ducato  di  Modena  presso  la  ri- 
va sinistra  del     Frigido,  in  una  a- 
mena  pianura,  capitale  del    ducato 
di    Massa-Carrara.    I    due    paesi  di 
Massa  e  di  Carrara  sono  compresi 
nella  Toscana  occidentale,    e  costi- 
tuirono altre  volte  due    vicarie  se- 
parate, dipendenti   talora  da  un  sol 
governo,    tale    altra     dominate    da 
padrona  parziali  sotto  titolo  diver- 
so ;  poiché  Massn   in  origine  fu  do- 
minata dai   marchesi,  e  perciò    de- 
nominata   Massa    del    Marchese  j 
nel    i568  fu    eretta   in    principato, 
e  nel    i663  in  ducato.  Al    contra- 
rio Carrara  intorno  al  mille  fu  da- 
gli    imperatori    concessa    e    quindi 
confermata  in  feudo  col  suo  terri^ 
torio  ai   vescovi  di   Lun»  ;   più  tar- 
di  fu  dominata   or    dai    pisani,    or 
dai    lucchesi,  talvolta  dai    Visconti 
di   Milano,  finché  ceduta    ai    Cam- 
pofregosi  di  Genova,    fu    da  questi 
eretta    in    signoria.    Acquistata  poi 
dai   marchesi  Cibo  o    Cybo    Maia- 
spina  di  Massa,    fu    dichiarala    ca- 
poluogo di  marchesato,  poi  di  prin- 
cipato, finche  sotto    Francesco    IV 
duca  di   Modena,    Carrara  fu  con- 
teu)plata     come     un     solo     ducato 
con  quello   di    Massa,    per    quanto 
questa   ultima  città    serva    di    resi- 
denza   alle    primarie    autorità    go- 
veinalive,    giuridiche,     politiche,  fi- 
nanziarie e  militari.  Essendo    (lonii» 


MAS 
lìiitrice  di  Massa  e  Carraia  Maria 
Beatrice,  moglie  di  Feidiuando  ar- 
ciduca d'Austria,  figlio  dell'impe- 
ratore Francesco  I,  ultimo  rampol- 
lo delle  case  Este  e  CiboMalaspi- 
iia,  nel  1796  al  declinar  del  seco- 
lo passato  e  nei  primi  del  corrente 
la  guerra  dei  francesi  fece  cambiare 
aspetto  politico  agli  stati  di  Massa  e 
Carrara,  che  furono  uniti  alla  re- 
pubblica Cisalpina,  ed  alla  prefet- 
tura del  dipartimento  del  Crostolo, 
poscia  passarono  sotto  il  regno  ita- 
lico al  dipartimento  delle  Alpi  A- 
puane  ;  finalmente  per  decreto  dei 
3o  marzo  i8o6  il  paese  di  Massa 
e  Carrara  fu  eretto  iu  feudo  im- 
periale da  Napoleone,  coll'assegnar- 
ne  r  amministrazione  governativa 
alla  principessa  di  Lucca  Elisa  di 
lui  sorella.  Questa  dopo  aver  fat- 
to di  Massa  e  Carrara  una  sotto- 
prefettura,  dopo  aver  messo  il  nuo- 
vo feudo  imperiale  a  parità  di  re- 
gime con  quello  di  Lucca,  e  dopo 
aver  destinato  per  le  villeggiature 
il  palazzo  de' ducili  di  Massa  a  sua 
abitazione,  decretò  che  il  tempio 
maggiore  de'massesi  si  distruggesse 
dai  fondamenti  per  avere  piti  vasta 
piazza  avanti  il  palazzo,  e  più  li- 
bera visuale  verso  il  tramonto.  Co- 
sì la  chiesa  più  moderna,  più  va- 
sta, la  meglio  architettata  ed  or- 
nata di  Massa  sparì  in  poche  set- 
li  uta  ne,  senza  che  la  città  guada- 
gnasse nulla  dalla  momentanea  re- 
sidenza dc'uuovi  principi.  Nel  1809 
Napoleone  conferì  al  suo  gran  giu- 
dice Regnier  il  titolo  di  duca  di 
Massa- Carrara.  Alla  ripristinazione 
delle  cose  politiche,  nei  trattato  di 
Vienna  de' 9  giugno  i8i5,  il  du- 
cato di  Massa  e  Carrara  fu  resti- 
tuito, alla  sua  naturale  sovrana  Ma- 
ria lìealrice,  la  quale  ordinò  l' u- 
tilibsuno   e  dispendioso  catasto   del 


MAS  2i5 

ducato  di  Massa  e  Carrara  nel 
1820,  che  pose  in  attività  nel  1824. 
Morta  la  duchessa  a'  i4  novembre 
1829,  il  ducato  passò  al  figlio  Fran- 
cesco IV  duca  di  Modena,  arciduca 
d'Austria  e  suo  primogenito.  Le 
memorie  storiche  d'illustri  scrittori 
e  d' uomini  insigni  del  ducato  di 
Massa  e  Carrara  in  Lunigiaua,  si 
leggono  nel  voi.  I,  p.  i5i  e  seg. 
delle  Mem.  storiche,  di  Limigiana, 
di  Emmanuele  Cerini.  Questi  cenni 
sono  per  quanto  spetta  al  ducato 
di  Massa  e  Carrara,  ora  prima  di 
parlare  della  città  di  Massa,  pre- 
metteremo alcune  notizie  sulla  cit- 
tà di  Carrara.  F'.  Modena,  e  Cibo 
Famiglia. 

C^/T^r^,  capoluogo  di  comunità 
e  di  principato,  trovasi  alle  base 
occidentale  dell'  Alpe  Apuana,  e 
nel  fondo  della  valle  solcata  dal 
piccolo  fiume  Avenza,  quattro  mi- 
glia distante  dal  suo  litorale,  sot- 
to quei  monti  inesausti  di  candido 
marmo,  per  cui  Carrara  ebbe  ori- 
gine e  celebrità.  In  fatti  l'etimolo- 
gia di  questa  Carrara ,  Carraria, 
piuttostochè  dalla  strada  Carrarec- 
cia sterrata,  sembra  cosa  più  ana- 
loga derivarla  dalle  sue  cave,  che 
Carrariae  appellavano  gli  scrittori 
de'  tempi  barbari.  L'origine  di  Car- 
rara risale  all'epoca  delle  prime  la- 
vorazioni delle  lapidicine  di  Limi 
[P^edi),  come  il  punto  più  centrale 
delle  cave,  il  luogo  di  maggior  riu- 
nione e  domicilio  di  lavoranti,  di 
amministratori  o  altri  impiegali 
del  fisco  imperiale,  per  conto  di 
cui  si  scavavano  e  si  amministrava- 
no nei  primi  secoli  dell'  impero  ro- 
mano le  cave  dei  monti  di  Luni. 
E  incerto  se  i  manni  lunensi  di 
Carrara  furono  adoperati  dagli  e- 
liuschi  o  dai  liguri  che  occuparono 
per  lungo  tempo  il  paese  fra  {Wv- 


DìG  MAS 

pò  e  la  Magra.  ScI)bcno  gli  scrit- 
Ipri  del  secolo  di  Angusto  non  fac- 
cia do  parola  della  scoperta  del  bian- 
co ordinario  e  del  marmo  turchi- 
no venato  o  bardiglio  che  scavasi 
d«i  tempo  imnìemorabile  nei  monti 
di  Carrara,  pine  da  Strabone  si 
ha  la  conferma  che  n'  suoi  tempi 
si  rejiavano  dalle  hmensi  lapidicine 
grandissime  tavole,  colonne  è  mas- 
si marmorei  per  faine  squisiti  la- 
vori che  ammiravansi  in  Roma  e 
in  altre  qilta  d'Italia.  Che  il  luogo 
di  Carrara  sino  dai  primi  tempi 
dell'impero  fo^se  abitato  da  varie 
classi  di  qrtisti  formanti  probabil- 
inente  collegi,  e  forse  con  decurio- 
ni^ ne  danno  argomento  per  cre- 
derlo il  lusso  introdotto  nella  capi- 
tale del  mondo  sino  dai  tempi  di 
Mamurra,  che  volle  l'atrio  del  suo 
palazzo  adorno  di  colonne  di  mar- 
ino lunense;  e  lo  attestano  le  ma- 
gnificenze di  Augusto  che  cangiò 
Iloma  di  laterizia  in  marmorea,  /V 
ciò  si  aggiunga,  che  a  ciascuna  spe- 
cie di  lavoro  di  marmo  erano  an- 
che a  quell'età  destinati  diversi  ar- 
tefici, scufptores,  mnrmorarii,  lapi- 
(larii^  (jiiadraianiy  musaru\  cluira- 
itcr'n  ec.  Il  marmo  candido  finissi- 
jno  statuario  delle  cave  lunensi,  fu 
al  dir  di  Plinio  scoperto  poco  pri- 
ma di  sua  età  ;  la  quale  scoperta 
fece  diqienticare  agli  scultori  venuti 
in  Italia  dalla  Grecia  il  loro  fami- 
gerato marmo  pario  o  paro  e  quel- 
lo pentelico,  di  cui  sino  allora  a- 
veano  gli  statuari  qijasi  esclusiva- 
mente fatto  uso.  Sotto  il  monte 
Sagro  esistono  le  più  doviziose  ca- 
ve. Le  principali  qualità  dei  mar- 
mi di  Carrara  sono  gli  statuari  fini 
bianchi-avorio,  gli  oi'dinari  bianchi 
di  qualsivoglia  grandezza,  gli  sla- 
stuari  salini,  gli  ordinari  di  tin- 
ta   bianca  cerulea,  i  veriali  bardi- 


ci AS 

gli  fiorili,  i  bianco-venali  e  barr 
digli  venati  e  macchiati  di  pao- 
nazzo. 

F'ra  gli  cdifizi   e  monninenti  piìi 
rimarchevoli  di  Carrara,  cvvi  il  pa» 
lazzo  del  principe,  ove  nel    181 5  vi 
fu   trasferita   1*  accademia  delle  bel- 
le arti  eretta  da   Maria  Teresa,  cui 
nel    1769  aveva  assegnato  un  nuo- 
vo edifizio,   avendola    arricchila  di 
eccellenti  esemplari  la  duchessa  Ma- 
ria   Beatrice.    La    chiesa   collegiata 
insigne  di  s.   Andrea  fu    fabbricata 
npl    XIII    secolo,    quindi    adornata 
di  sculture    nel  XV,  pregevoli  per 
lo  studio  dell'arte;    il    capitolo    si 
compone    delle    dignità    del  prepo- 
sto, del    primicerio    e    dell'  arcidia- 
cono, con  quattordici  canonici,  eser- 
citando   il     preposto     l'incarico    di 
pievano  e  di   vicario  foraneo  sopra 
il  clero  e  popoli   della  comunità  di 
Carrara.  Esistono  altri  edifizi  sacri, 
e    tutti    copiosi    di    marmi,    fra    i 
quali    si  distingue  per  ricchezza  c|i 
pietran^i  stranieri,  il    tempio    della 
xMadonna  delle   Grazie;    per   buon 
di  seguo,  e  per  un  eccellente  dipin- 
to quello    di    s.    Giacomo    annesso 
allo  spedale,  e  l*  altro  di  s.    Fran- 
cesco de'  minor  osservanti.   Le  due 
piazze,  varie  strade,  e    alcune    ahi- 
tazioni  private  sono  adorne  di  fon- 
ti di   acqua    potabile  :    una    d' esse 
situala  nella  piazza   A  Iberica  scatu- 
risce dal  piedestallo  di   una    stallia 
colossale    che    il    pt)polo    carrarese 
innalzò  all'  ultima  sua  sovrana  Ma- 
ria Beatrice  figlia   unica  dell'ultimo 
rampollo  di  due    sovrane    famiglie 
italiane,  e   madre  di  Francesco  IV. 
Non    mancano    a    Carrara    decenli 
palazzi  di   marmo,  ne    buone    ahi 
ta/ioni ,  non   proporzionate  però  a 
(|uesto  paese  di  artisti,  in  mezzo  al 
più   ricco    e  più  celebre  emporio  di 
marmi,  per  cui  si  conleojplano  dai 


I 


MAS 

forastieri  le  montagne  di  esso;  es- 
sendo poi  le  numerose  officine,  lic- 
clie  di  lavori  di  statuaria,  e  di  or- 
nato. Carrara  è  madie  di  uomini 
distinti  in  varia  sfera,  fra'  quali  si 
innaÌ7arono  in  grido  nel  secolo 
XVI,  Danese  Catimeo  poeta  e  scul- 
tore; Francesco  Moscliino  scultore 
e  ornatista  insigne;  Francesco  e 
Agostino  Caiamecch,  artisti  che  la- 
sciarono opeie  celebrate  in  Messina; 
Pietro  Tacca  scolare  il  più  valente 
di  Gio.  Bologna  ;  e  Antonio  Guidi 
cognato  di  Tacca,  scultore  e  inge- 
gnere. Appartengono  al  secolo  XVII 
Ferdinando  Tacca,  degno  figlio  di 
Pietro;  Giuliano  Finelli,  scultore  in 
marmi  e  in  bronzi  ;  Andrea  Bol- 
gi  ;  Francesco  e  Gio.  Battista  Ba- 
ratta. Nel  secolo  XVIII  il  ven. 
Gio.  Francesco  Tenderini  vescovo 
di  Civita'Castellana ,  insigne  per 
cristiane  virtù  ;  Cybei,  due  Fran- 
zoni  ;  ma  tutti  cedono  per  fama 
di  sapere  a  tre  grand' uomini  del 
secolo  XIX,  i  quali  ebbero  culla 
in  Carrara,  cioè  Carlo  Finelli,  cav. 
Pietro  Tenerani  scultori  insigni,  e 
Pellegrino  Rossi  commendatore,  pa- 
ri di  Francia,  e  ambasciatore  di 
Francia  presso  i  Pontefici  Grego- 
rio XVI  e  Pio  IX.  In  Avenza  vi 
è  r  arcipretura  di  s.  Andrea,  in  Be- 
dizzano  quella  di  s.  Genesio,  in 
Fossola  e  Moneta  quella  di  s.  Gio. 
Battista,  ed  in  Gragnana  e  Noceto 
r  altra  di  s.  Michele  ;  oltre  a  ciò 
nella  diocesi  sotto  la  comunità  e 
principato  di  Carrara  vi  sono  altre 
sette  chiese  rettoriali.  Il  clima  di 
Carrara  e  di  tutto  il  territorio  ge- 
neralmente è  temperato ,  di  aria 
elastica,  pura,  e  tale  che  imprime 
all'individuo  un  carattere  vivace, 
intraprendente,  generoso. 

Dall'  accrescimento    e    floridezza 
commerciale  de'inarmi  lunensi,  scm- 


MAS 


2  17 


bra  certo  che  l'origine  di    Cai  rara 
si     debba     ritenere    contemporanea 
alle  suaccennate  lavorazioni  ;  ma   la 
di   lei  sorte  affievolì,  e    quasi   restò 
spenta  con   la   fortuna  di    lloma,  e 
con  la   rovina  del  suo  impero.  For- 
se (jualche  sollievo  potè  risentire  la 
contrada  dal  genio  di  Teodorico  re 
de' goti:  quindi  seguirono  circa  sei 
secoli   di    tenebre,    durante    il  qual 
tempo    dubitano  gli  storici    che  vi 
sia  monumento  marmoreo,  che  pos- 
sa dirsi  uscito  allora    dalle  viscere 
dei   monti   di  Carrara.  Era  il  pae- 
se in  abbandono,  quando  gl'impera- 
tori  Carolingi  lo  donarono  ai  vesco- 
vi e  conti  di  Luni,  e  Ottone  I   nel 
g63  confermò  loro  la  corte  di  Car- 
rara  Nuova,  e  piti  larga  donazione 
fu  fatta  a  que'  prelati    da  Federico 
I   nel    I  1 85,  e    da    Enrico    V  l    nel 
ifC)!,  comprese  le    cave    carrai'esi. 
Divenuta  la  sede  di  Luni  pericolo- 
sa ad  abitarsi    per    cagione  de'  pi- 
rati, e  di   mal'  aria,  i    vescovi    pas- 
sarono   a    risiedere    in    Carrara,    e 
vi  erano  nel  998.  Tre  secoli  prima 
nelle  vicinanze  di    Carrara    si   riti- 
rò s.   Ceccardo  martire  della   chie- 
sa  hmense,  patrono  principale  della 
città    e  distretto  di    Carrara,  nella 
cui  collegiata  si    venerano    con     fi 
ducia  le  sue    reliquie,   ed    ove    nei 
ii37   convivevano  preti  col  pieva- 
no.  Gottifredo   II   vescovo  di    Luni 
e  Sarzana   nel   i  i5r  stando  in  Car- 
rara  fece  solenne  cessione  della  pie- 
ve medesima    di    s.    Andrea,    e  di 
tutte  le  sue  parrocchie  suffraganee, 
giurisdizioni,  decime    e    beni,  a  f^i- 
vore  del  priore  della  chiesa  de'ca- 
nonici     lateranensi    di    s.  Frediano 
di  Lucca.  Da    quell'epoca    in    poi 
sino  al  secolo    XVI 11    la    pieve    di 
Carrara  fu  considerata  qual  chiesa 
nidlius  clìocesis,  governata  dal  dello 
priore  con  tutti  i  diritti    abbaziuli. 


2i8  MAS 

^[el  Icmpo  che  i  carraresi  furono 
lìi-essochè  esentali  cUillu  potestà  spi- 
rituale de' vescovi  di  Luni,  a  poco  a 
poco  si  emancipò  ancora  dalla  loro 
potestà  teujporale  per  costituirsi  e 
reggersi  a  comune  :  tale  già  era  di 
fatto  quando  i  suoi  rappresentanti 
ottennero  dal  loro  antico  signore 
il  terreno  per  edificare  la  borgata 
di  Avenza  per  comodo  de'carrettie- 
ri  e  marinari  destinati  al  trasporto 
de'marmij  ora  grosso  borgo  e  ca- 
stello. Nel  I202  in  un  compromes- 
so fra  il  vescovo  di  Luni  e  i  mar- 
chesi Malaspina,  intervennero  co- 
me garanti  i  consoli  e  i  militi  del 
comune  di  Carrara,  segno  evidente 
del  suo  governo  municipale.  Indi 
Carrara  soggiacque  al  dominio  dei 
pisani,  che  s'impossessarono  degli 
antichi  feudi  de' vescovi  e  conti  di 
Luni;  ed  ai  pisani  dovè  la  riattiva- 
zione delle  sue  lapidicine  promossa 
dall'  innalzamento  della  magnifica 
primaziale,  e  dalle  opere  stupende 
scolpite  da  Nicolò  Pisano  e  dai  nume- 
rosi suoi  allievi;  e  fu  altresì  durante 
il  loro  dominio,  che  i  carraresi  co- 
minciarono a  edificare  con  disegno 
gotico- italico  il  piti  bel  tempio  del 
medio  evo  eh' esista  in  Lunigiana. 
Alla  signoria  della  repubblica  di 
risa  iu  questa  contrada  subentra- 
rono altri  potentati  per  la  foiza 
delle  armi,  o  per  quella  dell'  oro. 
Caslruccio  signore  di  Lucca  la  con- 
([tiislò  nel  i322,  enei  1829  fu  com- 
prata dagli  Spinola  genovesi  ;  indi 
nel  i33o  e  i335  l' acquistarono 
Rossi  signore  di  Parma,  e  Mastino 
della  Scala  tiranno  di  Verona.  Nel 
1 343  fu  occupata  da  Luchino  Vis- 
conti, i  cui  successori  diverse  vol- 
te vi  ebbero  dominio,  anzi  Berna- 
bò la  destinò  per  spillatico  a  Re- 
gina Scaligeri  sua  moglie.  Nel  iSB') 
i  carraresi  riconobbero  per  signore 


MAS 
Ciò.  Galeazzo  Visconti,  che  accor- 
dò loro  onorevoli  condizioni,  fra  le 
quali  di  non  cederla  ad  altro  co- 
mune, di  nominare  per  vicari  per- 
sone ghibelline,  di  abolire  le  pre- 
stazioni personali ,  di  lasciare  al 
comune  le  gabelle  sul  commercio 
de'  marmi,  e  di  reggersi  coi  pro- 
pri statuti. 

Nel  i4o2  diventò  signore  di 
Carrara  Gabriele  Maria  Visconti, 
figlio  del  precedente,  ma  la  prese 
in  consegna  e  in  pegno  il  capitano 
Giovanni  Colonna,  per  26,47^  ^^^' 
rini  di  paghe  arretrate:  il  paese 
saldò  il  credito  ,  e  nel  14^4  '^ 
suo  vicariato  fu  consegnato  a  Pao- 
lo Guinigi  signore  di  Lucca,  previo 
lo  sborso  al  Colonnese  di  i5,ooo 
fiorini  d'oro  fatto  dai  lucchesi.  Nel 
1428  fu  presa  ai  lucchesi  dal 
marchese  di  Fosdinovo  Malaspina, 
e  un  anno  dopo  per  conto  dei 
primi  r  occupò  Nicolò  Piccinino. 
Indi  nel  i4^7  ^^  ritolse  ai  luc- 
chesi pei  fiorentini  Francesco  Sfor- 
za, che  nel  i44'  '^  restituì  ai  Vis- 
conti. Estinto  Filippo  Maria,  ulti- 
mo di  essi,  i  dinasti  limitrofi  Tom- 
maso Cainpofregoso  signore  di 
Sarzana^  e  il  marchese  Malaspina 
si  disputarono  il  possesso  di  Carra- 
ra e  suo  vicariato,  finché  nel  i44^ 
fu  aggiudicata  la  signoria  di  Car- 
rara a  Spinetta  Fregoso,  indi  al 
suo  figlio  naturale  Antonielto  sotto 
l'iniluenza  dei  miliuiesi.  Nel  147^ 
Giacomo  Malaspina  marchese  ài 
Massa  cede  ad  Antonielto  le  sue 
terre  di  s.  Nazzario  presso  Pavia, 
oltre  5ooo  scudi  d'oro,  e  ne  rice- 
vè in  permuta  la  signoria  di  Car- 
rara, con  tutla  la  sua  valle.  In- 
sorto contrasto  nel  i4B3  tra  i  suoi 
due  figli  Alberico  e  Francesco,  il 
secondo  s'impadronì  di  Carrara,  che 
poi  restituì  nel    i4^4    ^'^  gennaio 


MAS 
i)  lialt'llo.  Mancato  Alberico  nel 
i5i9  senza  successione  maschile, 
I  suoi  stali  di  Massa  e  Carrara 
passarono  sotto  la  reggenza  di  sua 
figlia  Ricciarda,  la  quale  riaiasta 
vedova' nel  i520  di  Scipione  Fie- 
sco,  passò  in  seconde  nozze  col 
conte  Lorenzo  Cibo  o  Cybo,  nipo- 
te per  padre  d'Innocenzo  Vili,  e 
di  Leone  X  per  via  di  madre. 
Nacquero  da  questo  matrimonio, 
Giulio  che  nel  i548  terminò  con 
tragico  fine  la  vita  nel  castello  di 
Milano,  e  Alberico  che  fu  il  primo 
dinasta  della  casa  Cibo-Malaspina, 
subentralo  al  governo  dopo  la 
morte  della  madre  nel  i553,  di- 
chiarato principe  di  Massa  e  mar- 
chese di  Cairara  con  diploma  del- 
l'imperatore Massimiliano  II,  de'aS 
agosto  i568.  Deve  Carrara  a  que- 
sto valoroso  principe  la  costruzione 
ed  estensione  delle  sue  mura  ur- 
bane ;  quella  di  una  vasta  piazza 
che  porla  il  suo  nom.e  ;  alcune 
delle  sue  pubbliche  fonti  che  l'a- 
dornano ;  r  erezione  del  palazzo 
sovrano,  oggi  sede  delle  belle  arti  ; 
1  suoi  statuti  municipali,  che  so- 
no tuttora  di  norma  alla  giurispru- 
denza di  questa  città;  una  conven- 
zione generosa  che  stabili  coi  mae- 
stri dell'arte  statuaria  e  cogli  scar- 
pellini ,  nel  di  cui  ruolo  è  notato, 
che  nel  1570  erano  fuori  della 
patria  5oo  fra  scultori  e  altri 
lavoranti  di  marmo.  Alberico  11 
bisnipote  del  primo  Alberico  no- 
minato, poco  dopo  salito  sul  so- 
glio avito,  nel  1663  ottenne  dal- 
l'imperatore Leopoldo  I  l'elevazione 
di  Carrara  in  principato.  L'ultimo 
principe  di  <(uesta  dinastia  fu  Al- 
dcrano  che  lasciò  lo  stato  a  Ma- 
ria Teresa  sua  primogenita,  la  qua- 
le anche  dopo  maritala  nel  174^ 
ad  Ercole  Rinaldo  d'Esle  piincipe 


MAS  2  r  9 

ereditario  di  Modena,  esercitò  sul 
paese  piena  sovranità,  la  quale 
passò  nell'unica  sua  figlia  Maria 
Beatrice  erede  eziandio  dello  slato 
di  Modena  e  di  Massa  ,  quindi 
nei  duchi  di  Modena .  Ora  ritor- 
niamo a   parlare  di   Massa. 

Massa  fu  denominata  Massa  da- 
cnlcy  Massa  lunense  ,  e  Massa 
Cybeay  città  che  fu  per  più  secoli 
la  residenza  de*  suoi  principi,  ora 
di  un  governatore  ducale,  sede  di 
un  nuovo  vescovato  ,  capoluogo 
tli  tribunale  di  prima  e  seconda 
istanza  civile  e  criminale,  e  di  co- 
munità. Sono  due  Masse  ,  l'antico 
castello  detto  Massa  vecchia,  si- 
tuato sopra  un  poggetto  isolato,  che 
ha  alle  sue  spalle  il  monte  di  Vn- 
riana,  e  dal  lato  di  levante  greco 
la  sottoposta  città  di  Massa  nuo- 
va o  Cyhea^  dove  già  fu  lui  bor- 
go appellalo  Bagnaia.  La  popola- 
zione e  i  principali  edifizi  pnl)bli- 
ci  e  privali  esistono  in  Massa 
nuova  ,  la  quale  risiede  alle  falde 
occidentali  del  colle  di  Massa 
vecchia j  in  pianura  disposta  a  gui- 
sa di  cornice  o  margine  della  lar- 
ghezza di  un  miglio  in  ciica,  la 
quale  costituisce  lo  zoccolo  me- 
ridionale dell'  Alpe  massese.  Non 
solo  la  duchessa  Maria  Beatrice 
eresse  un  magnifico  ponte ,  dopo 
caduto  il  nuovo  appena  terminato, 
per  attraversare  il  fiume  Frigido, 
di  marmo  donato  e  trasportato 
sul  luogo  dai  carraresi,  che  gratui- 
tamente lo  lavorarono;  ma  ad  og- 
getto di  procurare  alla  città  mag- 
gior decoro,  e  provvederla  di  una 
quantità  più  copiosa  di  pubbliche 
i'onli  di  acqua  [«olabile,  di  che 
sono  ricchi  i  colli  superiori,  negli 
ultimi  anni  del  suo  governo  ft;ce 
costruire  un  acquedotto  per  con- 
tlurre  una  ricca  sebbene  umile  ibn- 


a2u  MAS 

te  fìiio  al  centro  della  piazza 
ducale,  cui  fa  bella  aziona  una 
(iiipÙce  fila  di  piante  d'aranci  di 
Portogallo.  La  medesima  duchessa 
compì  a  benefìzio  dell'  umanità 
languente  un  comodo  spedale,  e- 
retto  nel  già  convento  degli  ago- 
fitiniani  della  Madonna  del  Monte. 
Volendo  procurare  alla  gioventù 
ottima  educazione  morale  e  reli- 
giosa, vi  chiamò  i  barnabiti,  e  lo« 

10  concesse  decoroso  sostentamento 
€  la  soppressa  casa  religiosa  dei 
serviti  nel  sobborgo  di  Massa;  ma 
al  presente  non  vi  sono  più.  E 
ilifcsa  da  un  castello  ,  ed  ha  stra- 
de larghe  e  ben  lastricate,  e  case 
in     generale  benissimo     fabbricate, 

11  palazzo  icdifìcato  con  marmo  di 
Carrara,  antica  residenza  sovrana, 
è  bellissimo,  come  i  suoi  giardini. 
Fra  gli  edifìzi  addetti  al  governo 
inassese  Francesco  IV  fece  erigere 
a  difesa  del  litorale  diversi  forti- 
ni con  batteria ,  nuove  case  doga- 
nali al  confine,  ed  un  palazzo  pres- 
so la  piazza  ducale ,  destinato  per 
r  uffizio  generale  delle  finanze.  Vi 
sono  parecchi  stabilimenti  lettera- 
ri, artistici  e  di  beneficenza.  Il  suo 
traffico  maggiore  consiste  nei  lavo- 
ri del  bel  marmo  bianco  statuario, 
proveniente  dalle  vicine  montagne 
di  Carrara.  Massa  oltre  la  cliiesa 
di  s.  Pietro  contava  quattro  mona- 
steri di  religiosi,  due  di  monaclie, 
ed  uno  di  terziarie.  Gli  agostinia- 
ni e  i  serviti  furono  soppressi  nel 
secolo  passalo,  i  minori  osservanti 
nel  principio  del  corrente,  e  la  lo- 
ro chiesa,  poco  dopo  sostituita  alla 
collegiata,  serve  attualmente  di  cat- 
Itìdrale.  Neil'  istessa  circostanza  ven- 
nero soppressi  i  cappuccini  poi  ri- 
pristinali al  ritorno  della  duchessa 
MaVia  Beatrice.  Anche  le  monache 
Clarisse    e    le  terziarie    francescane 


MAS 
in  Massa  vecchia  fm*ono  espulse  dai 
loro  monasteri  sotto  la  republ)lica 
Cisalpina.  Restò  esente  da  tante  di- 
struzioni il  conservatorio  delle  sa- 
lesiane in  s.  Maria  delle  Grazie,  il 
(piale  si  conserva  tuttora  in  ima 
amenissima  posizione  sopra  il  col- 
lctto a  cavaliere  della  città. 

La  città  di  Massa  diede  una  se- 
rie di  uomini  illustri  per  valore, 
per  politica  e  per  dottrina.  Fra  i 
molti  ci  limiteremo  a  ricordare  il 
marchese  Alberico  I  .  il  di  lui  zio 
cardinal  Innocenzo  Cibo,  il  cardi- 
nal Alderano  Cibo  decano  del  sa- 
cro collegio,  ed  altri  porporati  di 
tal  famiglia,  di  cui  trattammo  alle 
loro  biografie.  Furono  valenti  ca- 
pitani ,  Michele  Diana  Paleologo , 
e  Gaspare  Venturini.  Fra  i  politi- 
ci più  riputati  sono  a  rammentar- 
si due  principi  di  casa  Cibo,  Albe- 
rico I  e  il  cardinal  Irmocenzo  sud- 
delti  :  a  quesli  anteriore  per  età 
fu  Nicola  de'  nobili  Cattanei ,  e  di 
poco  posteriore  Giulio  Brunetti  se- 
gretario di  s.  Carlo  Borromeo,  e 
antenato  di  altro  più  famoso  mini- 
stro vivente.  Fra  i  doUi,  Perseo  Cat- 
taneo, Carrara  lo  reclama  per  suo; 
Antonio  Venturini  fu  valente  medica 
e  distinto  professore  d'  anatomia.  In 
toga  si  distinsero  l'uditore  Cosimo 
Farsetti,  il  suo  parente  Andrea  Far- 
setti ,  Vincenzo  Cattaui  ,  Giuseppe 
Guerra  gesuita  ,  e  Gio.  Francesco 
della  Rocca.  Fra  gli  artisti,  Felice 
Palma,  e  Giacomo  Antonio  Ponza- 
nelli  scidtori  ,  Agostino  Ghirlanda 
pittore,  e  Pier  Alessandro  Gugliel- 
mi celebre  maestro  di  musica  nel 
secolo  XV III.  In  questo  fiorirono, 
l'improvvisatore  poeta  latino  Gioac- 
chino Salvioni,  e  l'abbate  Gaspare 
Jacopelti,  il  (piale  rianimò  1'  acca- 
demia delle  lettere  delta  de'  de- 
reli'Uìj    che    nel  principio  del    se- 


MAS 
colo  presente  cambiò  il  nome  in 
quello  di  Accademia  delle  Alpi 
Apuane^  finche  per  sovrana  appro- 
■vazione  nel  i8i4  fu  rigenerata  sot- 
to il  titolo  di  Rinnovati.  La  posi- 
zione di  Massa,  la  bontà  e  tempe- 
ratura del  suo  clima,  l'ampiezza 
delle  sue  strade  e  piazze,  il  decen- 
te suo  fabbricato ,  la  maestà  dei 
monti  che  si  alzano  .alle  sue  spalle, 
e  le  squisite  produzioni  del  suolo, 
tutto  sembra  concorrere  a  gara  per 
dare  a  questa  città  un  aspetto  pit- 
torico, una  fisonomia  incantatrice, 
alla  vista  delle  sue  deliziose  colli- 
ne, ai  di  cui  piedi  scorrono  spu- 
manti le  limpide  acque  del  Fggi- 
do,  del  mare,  e  del  promontorio 
ed  isole  del  golfo  di  Luni,  ed  ame- 
nissima  celebrò  questa  città  il  Pe- 
trarca. 

L' origine  di  Massa  è  incerta;  il 
primo  monumento  di  sua  esisten- 
za è  un  documento  dell' 882,  in 
cui  si  fa  menzione  del  luogo,  ubi 
dicitur  Massa  prope  Frigido.  L'al- 
tro è  un  diploma  del  963,  in  cui 
Ottone  I  concesse  a  Adalberto  ve- 
scovo di  Luni,  per  la  sua  mensa, 
la  quarta  pt^rle  di  Massa  colle  sue 
dipendenze.  Probabilmente  dopo  il 
secolo  IX,  il  poggio  isolato  di  Mas- 
sa vecchia  offri  una  specie  di  ri- 
fugio ad  una  porzione  degli  abi- 
tanti di  Luni,  costretti  di  fuggire 
da  una  patria  stata  frequenti  vol- 
te assalita  e  saccheggiata  dai  pira- 
ti di  terra  e  di  mare,  a  seguo  ta- 
le, che  le  sue  campagne  già  ferti- 
li ed  amenissime,  converlironsi  in 
deserti  e  pestilenziali  lagune.  In 
fatti  è  tradizione  del  paese ,  che 
un  antichissimo  Crocefisso  e  una 
campana  esistenti  o  almeno  esisti- 
ti in  Massa  vecchia^  fossero  di  que- 
gli oggetti  sacri  che  i  cittadini  di 
Luni  seco  trasportarono  con  le  lo- 


MAS  221 

IO  divinità  tutelari  allorché    si    ri- 
fugiarono nel  colle    di  Massa   mo- 
derna. Nel   li 85  Federico  1    con- 
fermò ai  vescovi  di  Luni  il  luogo 
di  Massa,    ma   siccome    nel    1164 
uvea  dato  l'investitura  della  cj^uar- 
ta  parte  di  Massa  lunense  al  mar- 
chese Obizzo  Malaspina,  ai  discen- 
denti   di    questo,    Federico    II     la 
convalidò,    e  ciò    perchè   sino    dal 
secolo  XI   avea  acquistato  diritti  di 
proprietà  sul  paese  il   marchese  O- 
berto  l    conte  del    palazzo    sotto  i 
due  primi  Ottoni,  stipite   dei    Pal- 
lavicini, degli  Estensi,  dei  Malaspi- 
na, e  dei  marchesi  Bianchi  di  Mas- 
sa.   Dalla    famiglia    Malaspina,   una 
delle    pili    antiche  d'Italia,    alcuni 
fanno  discendere   la    gran   conlessa 
Matilde.    Si  divise  in    più  rami,  la 
più   memorabile  delle  quali  divisio- 
ni   è  quella  de'due   fratelli  Corrado 
e   Opizzino   o    Obizzo,    che    anche 
variarono  l'arma,  ritenendo  il  pri- 
mo Tarma  antica  d'uno  spino  sec- 
co, usando  l'altro  lo  spino  con  fo- 
glie e  fiori  ;  i  duchi  di  Massa  fu- 
rono del  ramo  di   Obizzo.    I    pri- 
mi   marchesi    di    Massa,  nipoti  dei 
figli     di     Alberto   Rufo    discenden- 
te   di   Oberto    I,     furono     Andrea 
e    Guglielmo    marchesi     di     Palio- 
di  nella     Liguria  ;     il    secondo    di- 
venne   anco     giudice    di     Cagliari , 
dominando    il     primo    nella    Mas- 
sa lunense.   Figliuoli  d'Andrea  nei 
marchesati    di    Massa,    di    Livorno 
e  di  Corsica,   più  di  diritto  che  di 
fatto,  furono  Guglielmo  ed  Alber- 
to, che    verso  la  metà    del    secolo 
XIII  vivevano  in  Pisa  quasi  come 
privati,  mentre  al  dominio  di  Mas- 
sa, dopo  la  morte  di    Andrea    era 
sottentrata     la    nipote     donnicella 
Benedetta,  come  figlia    di  Gugliel- 
mo, e  ciò  risulta  da    un    atto   del 
1218,  per     imprcstito    fàltoij;li  dal 


112  MAS 

(lomiinc  (li  Lucca,  iIiihIo  per  c.Tti- 
zionc  la  rocca  di  Massa:  tal  mar- 
chesana morì  nel  i2  33,  tlopo  di 
essersi  col  consorte  giudice  d'  Ar- 
borea, assof^gellati  per  sé  e  per  i 
loro  stati  della  Sardegna  al  Pon- 
tefice Onorio  III,  ciò  che  Benedet- 
ta avea  rinnovato  nel  1224  con 
(giuramento  nelle  mani  del  dele- 
galo apostolico.  Forse  una  simile 
sottomissione  era  stata  fatta  da 
Guglielmo  di  lei  padre  pel  mar- 
chesato di  Massa,  o  almeno  lo  dà 
a  congetturare  il  giuramento  pre- 
stato nel  1234  dal  nobii  uomo 
Orlandino  Porcaresi  al  Papa  Gre- 
gorio iX,  innanzi  di  prendere  pos- 
sesso della  rocca  di  Massa  per  te- 
nersi a  beneplacito  pontificio.  Qiie- 
.sta  sottomissione  pertanto  di  Mas- 
sa, richiartia  l'epoca  delle  verten- 
te tra  Gregorio  IX  e  !a  repubbli- 
ca di  Lucca  per  la  Gaifii^naiia 
(Fedi).  Mentre  Orlaiitlo  conlinjia- 
va  a  tener  la  rocca  per  tal  Pupa, 
Agnese  sorella  di  Benedetta  con- 
fermò Bartolomeo  di  Pagano  in 
visconte  di  Massa.  Adelasia  figlia 
d'Agnese,  signora  dei  giudicati  di 
Gallura  e  Torres,  impalmò  En- 
zo figlio  naturale  di  Federico  II, 
il  quale  per  lui  erigendo  in  regno 
Ja  Sardegna,  lo  investi  ancora  del 
marchesato  di  Massa,  di  Lunigia- 
iia,  V^ersilia  e  Garfagnana,  benché 
l'imperatore  ciò  facesse  contro  il 
giuramento  prestalo  a  Gregorio  IX. 
Posteriormente  Federico  li  conces- 
se ai  lucchesi  queste  ultime  con- 
trade. 

Nel  1265  prcvaicrìdo  i  ghibelli- 
ni, Guido  vicario  pel  re  Manfredi, 
altro  naturale  di  Federico  II,  po- 
.<ie  presidio  nei  castello  di  Massa, 
che  ricuperarono  i  lucchesi  nel 
1266,  facendo  indi  demolirne  la 
leccai  e  per  essi  sino  al    128^  go- 


MAS 

vernò  la  vicaria  di  Massa   il    mar- 
chese Bartolomeo,  divenendo  intan- 
to polenti  in  Massa  i   Caltani   no- 
bili di   Vallecchia.    Emico  VI    nel 
1192     tutlavolla     aveva    concesso 
Massa  ai   pisani,  ciò  che  fu  confer- 
mato nel    1209    ^^  Ottone  IV,    e 
nel    1220  da  Federico  II,  e  ritor- 
nò in  potere  de'  pisani    per  opera 
di  Enrico  VII,    laonde   nel     i3i5 
obbediva  al  loro  capitano  Uguccio- 
ne  della   Faggiuola.  Dipoi  s' impa- 
dronì di    Massa  Castruccio  signore 
di  Lucca,    e    Lodovico    il    Bavaro 
nel    i324    gli    concesse    la  vicaria 
di   Lunigiana  compresa   Massa.   Vc- 
nulp  in  Italia  Giovanni  re  di  Boe- 
mia,  tolse     Massa  ai    lucchesi,  cui 
l'avea  restituita  Lodovico,  e  aHìdò 
la  rocca  già  da    Castruccio   rifatta 
piti  grandiosa  e  più  bella,  ad  An- 
selmo Nelli  capitano    fiorentino,  il 
quale  nel  i336  la  consegnò  a  Ma- 
stino della    Scala,    cui    il  re    Gio- 
vanni   avea     venduto    il    Lucchese. 
Nel     1342  i    pisani    governando    i 
lucchesi,  presidiarono  Massa,  e  ne 
furono    espulsi    nel    1 343    e   1 344 
da      Luchino    Visconti    signore    di 
Milano,  solo   tornandovi  al  posses- 
so    nel     i34'^,    confermandogliene- 
r  investitura    nel    i355    l'impera- 
tore Carlo  IV  ;.  mentre  pochi  gior- 
ni prima  altrettanto  avea  fatto  coi 
nipoti  del  marchese  Spinetta  Mala- 
spina  ,    pel    diploma    concesso    nel 
1164  fla  Federico   I  al  loro  ante- 
nato Obizzo,    e  per  quello  dato  ai 
di  lui  discendenti    da    Federico  II 
nel  1220.  Continuò  bensì   Massa  a 
obbedire  ai  pisani,  almeno    sino  al 
1369  per  tutto    il    tempo    che    si- 
gnoreggiarono Lucca.  Nel  1  399  do- 
po che    Pisa    erasi    assoggettata    a 
Gio.  Galeazzo  duca    di    Milano,    il 
castello  di   Massa  colle  sue  ville    e 
terrilorioj   fu  dall'imperatore  Veiv 


iMAS 
ceslao  accordalo  in  feudo  al  celebre 
giureconsulto  Pietro  Lante  nobile 
pisano,  avvocato  nella  curia  roma- 
na, in  compenso  de'servigi  prestali  : 
non  si  hanno  documenti  che  ciò 
avesse  effetto,  e  nel  i4oo  Massa 
continuava  a  dipendere  da  Lucca, 
che  nel  14^7  ne  fece  demarcare 
i  confini.  Nel  i43o  la  contrada  fu 
invasa  da  Nicolò  Piccinino  pel  du- 
ca di  Milano ,  e  venne  in  potere 
de' fiorentini  nel  14^7  pe^  conte 
Francesco  Sforza,  e  la  signoria  di 
Firenze  accordò  ai  massesi  favore- 
voli condizioni.  Quindi  i  fiorentini 
amici  del  marchese  di  Fosdinovo 
Antonio  Alberico  Malaspina  ,  paci- 
ficatisi nel  i44^  coi  lucchesi,  sotto 
pretesto  d'  una  sommossa,  consiglia- 
rono il  popolo  di  Massa  e  della  sua 
vicaria,  a  volersi  eleggere  per  si- 
gnore e  sottomettersi  con  favore- 
voli capitoli  al  governo  di  detto 
marchese,  e  ne  fu  giurata  la  con- 
venzione in  pubblico  parlamento 
agli  8  dicembre,  per  volontaria  de- 
dizione de*  massesi;  onde  il  mar- 
chese entrò  al  governo  di  Massa, 
sue  ville  e  distretto  nel    i44^- 

Dopo  la  morte  del  marchese  An- 
tonio, nel  i44^  successe  il  marche- 
se Giacomo  suo  figlio,  che  nel  147^ 
ingrandì  il  perimetro  del  suo  do- 
minio colla  vicaria  di  Carrara,  me- 
diante acquisto  fattone:  edificò  la 
chiesa  di  s.  Francesco  con  V  annes- 
so convento,'  convertita  la  prima 
attualmente  in  cattedrale,  e  l'altra 
riedificato  per  servire  di  semina- 
rio vescovile.  Mancò  Giacomo  nel 
1481,  lasciando  due  figli:  al  pri- 
mogenito Alberico  li  toccò  il  do- 
minio di  Massa  e  Carrara,  al  fra- 
tello Francesco  il  marchesato  di 
Albissola  in  Lomellina.  Questi  mal- 
contento, con  Agostino  Fregoso  si- 
gnore di  Sarzana^  prese  nel  i4<^3 


MAS  223 

le  rocche  di  Moneta  e  di  Avenza, 
mentre  Alberico  li  difese  con  va- 
lore quella  di  Massa,  e  potè  ricon- 
quistar le  altre.  Venuto  in  Lom- 
bardia Carlo  Vili  redi  Francia  nel 
i494>  Francesco  l'indusse  a  cac- 
ciar da  Massa  il  fratello,  che  morì 
senza  successione  nel  i5iq,  amico 
costante  di  Michelangelo  Buonar- 
roti. L'  unica  figlia  Ricciarda  en- 
trò colla  madre  Lucrezia  d'Este  al 
governo  di  Massa  e  Carrara,  e  nel 
i520  si  sposò  in  seconde  nozze  con 
Lorenzo  Cibo  genovese  nipote  d' In- 
nocenzo Vili,  e  dell'allora  vivente 
Leone  X,  entrando  così  lo  stalo  di 
Massa  e  Carrara  nell'  illustre  casa 
Cibo,  che  aggiunse  perciò  al  cogno- 
me quello  di  Malaspina.  Piicciarda 
volle  ritener  sola  la  sovranità,  a 
fronte  del  disposto  di  Carlo  V,  che 
riuscì  far  annullare..  Lorenzo  dis- 
gustato si  ritirò  in  una  sua  pos- 
sessione e  villa  d'  Agnano,  presso 
Pisa,  e  vi  morì  nel  1 549  ^'  ^""^ 
49.  Lasciò  due  figli,  Giulio  e  Al- 
berico amato  dalla  madre,  la  qua- 
le non  permettendo  al  primogenito 
di  regnare^  per  congiure  fu  deca- 
pitato d'ordine  di  Carlo  V  nel  r54B 
in  Milano  ,  rimproverando  gì'  isto- 
rici a  Ricciarda  poco  amore  pel 
marito  e  pel  suo  primogenito.  Mor-^ 
la  nel  i553,  gli  successe  Alberico 
I  Cibo-Malaspina  secondogenito,  da 
lei  istituito  erede  universale.,  e  so- 
lennemente si  fece  riconoscere  per 
signore  dai  suoi  sudditi  ;  indi  nel 
i554  ottenne  da  Carlo  V  il  diplo- 
ma d'investitura  de'feudi  imperiali 
di  Massa  e  Carrara.  Una  delie  pri- 
me cure  di  questo  principe  fu  di- 
retta all'abbellimento  materiale  del;- 
le  due  piccole  capitali,  e  nel  dare 
ai  suoi  popoli  buone  leggi.  Fino 
allora  Massa  vecchia  poteva  dirsi 
un  aggregato  di  case  sotto  la  rocca 


224  M  A  S 

(lei  suo  nome,  cui  so{»giaceva  ii 
lM)rgo  (li  Dagujiia.  Alberico  I  fece 
circondnic  di  mura  la  citlà  nuovo, 
che  fthhellì  di  giardini,  di  puhMi- 
che  fonfi,  e  di  un  vasto  palazzo  per 
residenza  principesca  ;  ed  il  borgo 
sotto  il  castello  di  Massa  prese  il 
nome  di  Massa  Cybea  o  Massa 
nuova,  a  distinzione  della  vecchia 
rimasta  in  poggio.  Nel  i558  die 
principio  alle  mura-  di  Carrara, 
quindi  nel  iSSg  l' imperatore  Fer- 
dinando I  accordò  al  marchese  e 
successori  il  privilegio  della  zeccn, 
mentre  Massimiliano  li  con  diplo- 
ma del  i568  (pialificò  Massa  ca- 
pitale di  principato,  e  Carrara  ca- 
poluogo di  marchesato.  Abbiamo 
da  Guid'  Anionio  Zannetti  :  Delle 
zecche,  nella  Lunigiana  della  fami- 
glia Malaspina^  dissertazione ^  Bo- 
logna 1789.  Alberico  I  alleggeriva 
il  peso  delle  cure  politiche  col 
piacevole  studio  delle  lettere,  e  col 
consorzio  de'  dotti  :  riuscì  discreto 
poeta    e  sagace  critico. 

Nel  1620  l'imperatore  Ferdinan- 
do U  dichiarò  Massa  città,  e  mo- 
rendo Alberico  I  nel  1623  gli  suc- 
cesse il  nipote  Carlo  I,  figlio  di  Al- 
derano  suo  primogenito  che  l'avea 
preceduto  nel  sepolcro,  principe  pie- 
no di  sentimenti  generosi,  e  di  a- 
more  per  la  gloria  militare ,  che 
morì  nel  1606.  Carlo  I  coltivò  le 
scienze,  favorì  i  letterali,  ottenne  da 
Urbano  Vili  nel  1629  ^^^  ^'^^^•^ 
eretta  la  pieve  di  Massa  in  collegia- 
ta insigne  con  una  dignità  abbazia- 
le,  e  r  uso  de'  pontificali.  Cessò  di 
vivere  nel  1662 ,  succedendogli  il 
primogenito  Alberico  II,  il  quale 
dopo  aver  ottenuto  come  il  prede- 
cessore l'investitura  imperiale,  Leo- 
poldo I  nel  i663  dichiarò  Massa 
capoluogo  di  ducato,  e  Carrara  di 
marchesato.  Mostrossi    Alberico    U 


MAS 

protettore  de'  letterati  e  degli  df- 
tisti,  ed  ideò  la  fabbrica  della 
cappella  de'  depositi  annessa  alla 
chiesa  di  s.  Francesco  di  Massa,  per 
riunirvi  i  defunti  dell.»  sua  làmiglia 
Morto  nel  1690,  salV  sul  trono  il 
primogenito  Carlo  11,  il  quale  su- 
bito pose  ad  elfelto  l'idea  del  ge- 
nitore con  edificare  la  memorata 
cappella.  Cessando  di  vivere  nel 
1710,  gli  successe  il  primogenito  Al- 
berico III,  che  ottenne  l' investitura 
dall'  imperatore  Carlo  VI ,  e  morì 
nella  villa  di  Agnano  presso  Pisit 
nel  I  715,  senza  successione  e  dispo- 
sizione testamentaria.  Il  perchè  Al- 
derano  terzogenito  di  Carlo  II,  dopo 
aver  fatto  una  transazione  col  fratel- 
lo maggiore  Camillo,  che  avea  ab- 
bracciato lo  stato  ecclesiastico,  e  nel 
1  729  fu  creato  cardinale,  divenne  si- 
gnore di  Massa  e  di  Carrara.  Aldera- 
no  pieno  di  vivacità,  amante  del  lus- 
so e  de'divertimenti,si  trovò  costret- 
to alienare  molli  beni,  e  per  man- 
canza di  prole  maschile  per  vistosal 
somma  voleva  cedere  i  suoi  domi- 
iiii  feudali  alla  repubblica  di  Geno- 
va. Scopertosi  il  maneggio  da  Car- 
lo VI,  poco  mancò  ad  essere  espul- 
so da  Massa  e  Carrara.  Morì  nel 
1731  lasciando  tre  figlie,  e  la  mng- 
giore  Maria  Teresa  erede  universa- 
le, eh*  essendo  minorenne  dichiarò 
reggenti  Riccia rda  Gonzaga  sua  ma- 
glie, e  il  cardinal  Cibo  suo  fratello, 
L'  altra  figlia  Marianna  Metilde 
Cibo  Malaspina,  sposò  nel  1748 
il  principe  d.  Orazio  Albani  pro- 
nipote di  Clemente  XI  :  la  terza  ih 
glia  divenne  duchessa  di  PopoH  in 
Napoli.  Nel  1741  già  Maria  Te- 
resa avea  sposato  il  principe  Ercole 
Rinaldo  figlio  ed  erede  di  Francesco 
III  duca  di  Modena,  e  nel  1744  ^^' 
tenne  dall'  irnpeiatore  Francesco  i 
V  invesiitura  del  ducalo    di    Mass» 


MAS  MAS                   ii5 

€  del  principato  di  Carrarn.  Il  si  opposero  all'  effettuazione  del  me- 
suo  genio  benefico  fondò  in  Mas-  ditato  progetto,  il  quale  fu  rimesso 
sa  un  comodo  spedale  nel  conven-  in  campo  dalla  degna  figlia  dopo 
to  degli  agostiniani  ,  poi  compito  la  sua  ripristinazione,  nel  pontifi- 
dalla  figlia  Maria  Beatrice,  ed  isti-  cato  di  Pio  VII.  Allora  l'affare  fu 
tuì  r  accademia  delle  belle  arti  a  ripreso  a  disamina,  e  fu  dal  Papa 
lustro  del  paese.  La  detta  unica  fi-  eretta  Massa  in  vescovato ,  e  nella 
glia  fu  l'erede  dello  stato  di  Massa  bolla  Singularis  Romanorum  Poh- 
e  Carrara,  e  delle  virtù  della  ma-  tificum^  la  dichiarò  suffraganea  di 
dre,  la  cui  morte  accadde  in  Reg-  Pisa.  Tuttavolta  fu  Leone  XII  che 
gio  nel  1790.  Fino  dal  1771  la  diènei  182.3  compimento  alle  istan- 
duchessa  Maria  Beatrice  avea  spo-  ze  della  duchessa  Maria  Beatrice  e 
salo  l'arciduca  Ferdinando  d' Au-  dall'arciduca  Francesco  IV  di  lei 
stria,  figlio  dell'  imperatore  France-  figlio,  i  quali  videro  esauditi  i  loro 
SCO  I,  e  dell'imperatrice  Maria  Te-  religiosi  voti.  La  bolla  pontificia  di 
resa;  ed  appena  restò  Jibera  domi-  Leone  XII  dichiarò  la  chiesa  ma- 
natrice,  rivolse  il  suo  pensiero  al  trice  di  Massa  ed  il  nuovo  vesco- 
vantaggio  de' sudditi  che  visitò  di  vato  suffraganeo  delK  arcivescovo  di 
persona,  per  mostrarsi  madre  he-  Pisa;  prescrisse  i  limiti  della  dioce- 
nefìca  e  protettrice.  Sotto  di  lei  si  che  nel  i833  conteneva  i5o 
i  francesi  invasero  Massa  e  Carra-  parrocchie,  e  quasi  tutte  con  fonte 
ra  al  modo  detto  di  sopra ,  e  solo  battesimale,  compresivi  due  insigni 
ne  fu  reintegrata  nel  181 5.  Morì  in  collegiate,  oltre  varie  chiese  cappel- 
Vienna  nel  1829,  e  gli  successe  lanie  succursali.  Una  porzione  delle 
nel  ducato  il  suo  figlio  France-  chiese  parrocchiali  assegnate  alla 
SCO  IV  arciduca  d'Austria  duca  di  cattedra  di  Massa,  furono  stacca- 
Modena.  Il  figlio  di  questi,  regnan-  te  dall' arcidiocesi  lucchese,  il  re- 
te duca  Francesco  V,  di  recente  stante  da  quella  di  Luni-Sarzana. 
ha  provveduto  la  maggiore  e  mi-  Nella  Lunigiana,  compreso  Carrara, 
gliore  parte  della  pianura  di  Mas-  nella  Garfagnana  alta  e  nella  Gar- 
sa  d'un  canale  irrigatorio,  per  far  fagnana  bassa,  sono  situate  le  par- 
vegetare  i  seminati  e  prosperare  le  rocchie  della  diocesi.  Francesco  IV 
produzioni  del  terreno  nell'  estiva  diede  compimento  al  seminario  di 
stagione.  Massa,  dopo  averne  eretto  un  altro 
La  sede  vescovile  si  voleva  eri-  in  Castelnuovo  nella  Garfagnana 
gere  dalla  duchessa  Maria  Teresa,  bassa,  a  beneficio  de'  suoi  sudditi 
per  cui  ottenne  nel  1757  dall' im-  garfagnani.  Il  primo  vescovo  di  Mas- 
peratore  Francesco  I,  la  facoltà  di  sa  di  Carrara  fu  monsignor  Fran- 
assegnare  per  la  mensa  1200  fio-  cesco  Zoppi  di  Cannobio  diocesi  di 
rini  sopra  i  beni  feudali.  Ne  fece  Milano,  fatto  da  Leone  XII  nel  con- 
ia domanda  la  duchessa  a  Clemen-  cistoro  de'i7  novembre  1823.  Per 
te  XI II,  e  questi  gli  rispose  col  sua  libera  dimissione  ,  Gregorio 
breve  Egregìum  tuitm,  de'  i4  gen-  XVI  nel  concistoro  de'  i5  aprile 
naie  1766,  Bull.  Rom.  Continua-  i833  lo  trasferì  al  vescovato  i/i 
tio,  t.  HI,  p.  i56,  che  avea  dato  partìhus  di  Gena,  e  poi  in  quella 
ad  esaminare  la  richiesta  a  uomini  de'23  giugno  i834  preconizzò  l'o- 
prudenli.  Ma  circostanze  impreviste  dierno  vescovo  monsignor    France- 

VOL.    XLIU.  i5 


aa6  MAS 

SCO  Strani  ili  Dibiana  diocesi  dì  Reg- 
gio, della  (jiial  calledrale  fu  arci- 
prele,  vicario  generale  e  capitolare. 
La  cattedrale  di  Massa  è  un  ottimo 
edifìcio  con  battisterio,  sacro  a  Dio, 
sotto  r  invocazione  de'  ss.  Pietro  e 
Paolo,  e  s.  Francesco  d' Asisi.  Il 
capitolo  si  compone  della  dignità 
dcir  arciprete,  di  dodici  canonici  , 
comprese  le  prebende  del  teologo 
e  penitenziere,  di  cinque  mansiotia- 
ri,  e  di  altri  preti  e  chierici  addet- 
ti al  servizio  divino.  La  cura  delle 
anime  è  afBdata  al  detto  arciprete. 
L*  episcopio  è  un  buon  palazzo ,  e 
resta  non  molto  distante  dalla  cat- 
tedrale. Nella  città  non  vi  sono  al* 
tre  chiese  parrocchiali ,  bensì  nei 
suburbi;  avvi  due  conventi  di  religio- 
si, un  monastero  di  monache,  quattro 
confraternite  ,  ospedale  ,  seminario  , 
ed  altri  pii  stabilimenti.  Il  collegio 
de'gesuiti  fu  aperto  nel  i844'  ^g"* 
nuovo  vescovo  è  tassato  ne'libri  del- 
la camera  apostolica  in  fiorini  3oo, 
corrispondenti  alle  rendite  delia 
mensa  che  sono  duemila  scudi  ro- 
mani, esenti  da  qualunque  peso. 

MASSA  LUBRENSE,  o  MASSA 
DI  SORRENTO.  Città  vescovile 
del  regno  delle  due  Sicilie ,  nella 
provincia  di  Napoli,  è  piccola  e  si- 
tuata in  fondo  di  angusto  accesso 
marittimo,  pei  molti  scogli  che  lo 
circondano.  E  distante  per  due  le- 
ghe da  Sorrento,  ed  altrettanto  al 
nord  dal  Capo  Campanella,  che  ter- 
mina la  costa  orientale  dei  golfo 
di  Napoli,  ed  incomincia  l'occiden- 
tale del  golfo  di  Salerno.  È  capo- 
luogo di  cantone,  risalendo  la  sua 
origine  al  secolo  XVI,  essendo  sta- 
ta fabbricala  sulle  rovine  di  Lobra 
o  Lubia  città  vescovile  deW'Xl  se- 
colo, sotto  la  metropoli  di  Sorren- 
to, rovinala  da'  saraceni.  La  catte- 
drale    dedicata    ali'  Aununziazione 


MAS 
della  Beata  Vergine,  aveva  il  capì- 
tolo composto  delle  dignità  dell'ar- 
cidiacono, del  priniirerio  e  del  canto- 
re, di  dodici  canonici  e  di  due  ebdo- 
madari ,  essendone  principal  patro- 
no   s.    Costanzo.    Il  primo   vescovo 

Lubrcnsis  fu  N il  quale  venne 

trasferito  alla  chiesa  di  Lucerà  dal 
Papa  Onorio  III  nel  1220,  e  ,fu 
nominato  in  sua  vece  fr.  Pietro  re- 
ligioso nobile  di  Sorrento,  della  fa- 
miglia Ursa,  del  1289.  Il  terzo  ve- 
scovo è  Francesco,  traslato  da  Cle- 
mente V  ad  Ascoli  di  Satriano  nel 
i3ii.  Fra  i  vescovi  più  benemeri- 
ti nomineremo  i  seguenti.  Magesio 
o  Magnesio  domenicano,  che  lunga- 
mente governò  la  chiesa,  indi  tras- 
lato a  Trani  nel  i34*^  da  Clemen- 
te VI,  il  quale  gli  sostituì  l'altro 
domenicano  fr.  Paolo  Zucca  ri  fio- 
rentino, dotto  e  rispettabile.  Euge- 
nio IV  nel  1434  f'sce  vescovo  Ba- 
dino, sotto  il  quale  Ferdinando  I  re 
di  Napoli,  essendo  Massa  diruta,  la 
riedificò  poco  lungi  dal  suo  primo 
luogo.  Nel  vescovato  di  Pietro  Mar- 
chesi del  i52i,  gli  agostiniani  eb- 
bero la  chiesa  di  s.  Maria  della 
Misericordia;  a  questo  successe  Gi- 
rolamo delia  nobile  famiglia  Bor- 
gia ,  eh'  eresse  e  dotò  la  cappella 
dell'adorazione  de' Magi.  Nel  i54'J» 
rassegnò  la  sede  al  parente  Gio. 
Battista  Borgia  che  morì  nel  i56o, 
dopo  il  qual  tempo  Massa  soggiac- 
que alle  devastazioni  de'  turchi.  U 
successore  Andrea  Belloni  di  Mes- 
sina era  decano  di  quella  cattedra- 
le, intervenne  al  concilio  di  Tren- 
to, e  permise  che  in  luogo  dell'an- 
tico e  diroccato  tempio  di  s.  Ma- 
ria di  Lobra,  il  comune  ne  costruis- 
se altro  nel  sito  detto  Capitiello: 
Et  euni  suo  tempore  sola  aeclts 
cathedralis  loti  dioecesi  sacramenta 
minisiraret,  alias  paroecias  consti* 


MAS 
/?//>,  ut  suarum  ovium  commocìo  fa- 
cerei  satìs,  quarum  a  siimmo  Pon- 
ti fice  Pio  V  confirmationem  obli- 
nuit  anno  i^GG.  Gio.  Battista  Pal- 
ina concesse  la  chiesa  de' ss.  Proces- 
so e  Marliiiiano  ai  rainicni  di  s. 
Francesco  di  Paola,  che  riedificò  la 
famiglia  Lipariilori;  e  permise  che 
si  restaurasse  1'  antica  cattedrale  di 
s.  Maria  di  Lobra  de'  minori  os- 
servanti. A'tempi  del  successore  Lo- 
renzo Asprelia,  nel  1600  furono  in- 
trodotti i  gesuiti  in  Massa  che  vi 
eressero  il  collegio.  Fr.  Maurizio 
Centini  celebiò  due  utilissimi  sino- 
di nel  16266  nel  1629;  fu  tra- 
sferito a  Mileto,  ed  ebbe  nel  i633 
in  successore  Alessandro  Gallo  na- 
poletano, che  adunò  il  sinodo  nel 
1642.  Celebre  fu  il  vescovo  Gio. 
Vincenzo  de'  Giuli  napoletano,  per 
dottrina,  nobiltà,  pietà  e  zelo,  che 
devoto  di  s.  Cataldo  vescovo,  altro 
patrono  della  città,  collocò  il  suo 
braccio  in  una  nobile  statua  fatta 
del  proprio,  e  la  pose  nella  sua 
cappella,  ove  volle  essere  sepolto. 
Clemente  X  fece  vescovo  Francesco 
Maria  Neri  di  Tivoli,  che  celebrò 
il  sinodo  nel  1675,  e  pose  la  pri- 
ma pietra  al  monastero  di  s.  Te- 
resa. Degnamente  occupò  il  suo 
luogo  nel  1678  Francesco  Neri 
napoletano,  che  Innocenzo  XI  vo- 
leva creare  cardinale  se  la  morte 
noi  rapiva,  sostituendogli  nel  i685 
Gio.  Ballista  Nepeta  propugnatore 
dell'  immunità  ecclesiastica  ,  zelato- 
re dell'  onore  di  Dio,  ed  ornato  di 
scienza  ;  abbellì  la  cappella  di  s. 
Cataldo,  celebrò  il  sinodo,  restaurò 
l'episcopio  rovinato  dal  terremoto, 
e  morì  nel  1701.  Giacomo  Maria 
de  Rossi  napoletano  gli  successe,  re- 
staurò la  chiesa  dell'  Annunziata,  e 
fu  vigilantissimo  pastore,  e  l'ultimo 
della  serie  che  si   legge  nelTUghel- 


MAS  227 

li,  Ttalia  sacra  t.  VI,  p.  643,  con- 
tinuata coi  seguenti  dalle  annuali 
Notizie  dì  Roma.  1738  Andrea 
Schiani  d'Ischia.  1746  Liborio  Pi- 
sani napoletano.  1 7^7  Giuseppe 
Bellotti  napoletano.  1792  Pio  VI 
fece  Angelo  Vassalli  napoletano,  del- 
la congregazione  di  Monte  Vergi- 
ne, che  fu  l'ultimo  vescovo.  Dopo 
lunga  sede  vacante,  Pio  VII  colla 
lettera  apostolica  De  utiliorìy  nel 
1818  soppresse  la  sede  vescovile  di 
Massa  Lubrense,  ed  in  perpetuo 
r  unì  a  quella  arcivescovile  di  Sor- 
rento (Fedi). 

MASSA  MARITTIMA  (Massan). 
Città  con  residenza  vescovile  nel 
granducato  di  Toscana,  situata  fra 
la  valle  della  Cornia  e  la  valleco- 
la  della  Pecora,  già  capoluogo  di 
una  piccola  repubblica ,  ora  di  un 
vicariato  regio  con  una  cancelleria 
comunitativa ,  la  quale  abbraccia 
anche  la  comunità  di  Rocca-Stra- 
da e  di  Gavorrano,  nella  Ruota 
e  compartimento  di  Grosseto ,  os- 
sia provincia  inferiore  del  Senese. 
Risiede  presso  la  cima  meridionale 
di  un  poggio,  da  tre  parti,  meno 
che  da  greco,  isolato.  Si  apre  da- 
vanti a  lei  dal  lato  di  ostro  libec- 
cio, spaziosa  la  vista  del  mare,  men- 
tre dalla  parte  di  greco,  il  poggio 
su  cui  riposa  la  città  si  accoda  me- 
diante avvallamento  ad  uno  sprone 
di  quelli  di  Praia,  Montieri  e  Ger- 
falco,  i  quali  costituiscono  il  nodo 
donde  si  schiudono  quattro  valli. 
Conta  un  grandioso  e  ben  prov- 
visto spedale,  eretto  in  vece  di  al- 
tri meschini  da  Leopoldo  I,  aumen- 
tato da  Ferdinando  III ,  e  miglio- 
rato da  Leopoldo  II.  Vi  sono  scuo- 
le ed  altri  stabilimenti  di  pubbli- 
ca istruzione.  Meritano  menzione  le 
mura  della  città  nuova  ,  la  torre 
dell'  orologio,  il  palazzo  del  comu- 


328  MAS 

ne,  l'arditissimo  arco  del  cassero 
sul  Monteregio,  che  unisce  la  città 
Tecchia  alla  nuova,  ceduto  ai  [sene- 
si dai  vescovi  per  costruirvi  la  roc- 
ca nel  punto  più  prominente  della 
città  alla,  convertita  da  Leopoldo  I 
ad  uso  di  ospedale;  e  quando  nel 
1877  ^'  governo  di  Siena  permise 
al  comune  rifabbricar  le  mura,  av- 
vertì che  non  si  pregiudicasse  il 
cassero.  La  cattedrale  di  s.  Gerbo- 
ne fu  riedificata  dalla  comunità  nel 
J225,  nel  qual  anno  il  vescovo 
Alberto  ed  il  clero  cederono  al  co- 
mune i  diritti  baronali  ed  i  beni 
allodiali.  Questo  duomo  restò  com- 
pilo nel  principio  del  seguente  se- 
colo, e  poi  restaurato  nel  i4B3  ed 
in  altri  tempi.  11  tempio  è  tutto 
costruito  di  travertino  squadrato, 
circondato  intorno  da  mezze  colon- 
nine. Ha  una  bella  facciata  con  le 
caratteristiche  architettoniche  del  se- 
colo XIII;  nell'interno  è  diviso  in 
tre  corpi  con  archi  a  tutto  sesto  sor- 
retti da  colonne  di  pietra  ;  la  cupola 
che  si  alza  nella  crociata,  pare  lavoro 
del  secolo  XV,  così  quello  della  vi- 
cina torre  campanaria,  come  l'alta- 
re maggiore,  tutto  di  marmi  fini, 
sotto  la  cui  mensa  sono  le  ceneri 
del  santo  vescovo  Gerbone,  dentro 
un'arca  di  marmo  bianco  storiata 
a  quadri  di  alto  rilievo,  scolpita  nel 
i323  da  Goro  di  Gregorio  senese. 
Di  data  anteriore  e  di  mano  meno 
valente  è  la  scultura  della  vasca 
pel  fonte  battesimale  posta  a  pie 
della  chiesa,  opera  fatta  nel  1262 
da  Giroldo  da  Lugano  ;  il  tempiet- 
to che  sta  in  mezzo  alla  vasca ,  è 
lavoro  del  1467.  A  pie  di  tal  fon- 
te si  vede  un  bel  sarcofago  antico 
con  sculture  siavboliche  rappresen- 
tanti la  separazione  dell'anima  dal 
corpo.  Fra  i  quadri  di  merito,  vi 
è  i' Adamo  ed    Eva    di    Francesco 


MAS 
Vanni,  nella  cappella  presso  l'or- 
gano. Il  vasto  tempio  di  s.  Pietro 
all'Orto  in  città  nuova  fu  edificalo 
nel  1197,  indi  ampliato  dai  romi- 
tani  agostiniani,  a  cui  fu  ceduto 
nel  secolo  XI li,  quando  nel  1269 
vi  fondarono  il  convento,  ora  abi- 
tato dai  minori  osservanti,  ivi  tra- 
sferiti dall'  antico  convento  di  s. 
Francesco  fuori  di  Massa,  per  ri- 
durre questo  ad  uso  di  seminario. 
L'altare  dell'Annunziata  ha  il  qua- 
dro dipinto  da  Empoli,  e  quello  di 
s.  Michele  lo  colorì  Rutilio  Manet- 
ti,  autore  pure  del  dipinto  all'alta- 
re della  Visitazione;  in  quello  di  s. 
Sebastiano  il  quadro  è  di  Pacchia- 
rotto.  Fiorirono  principalmente  in 
Massa,  s.  Bernardino  detto  da  Sie- 
na, nato  da  madre  massese,  nel  luo- 
go o^e  i  francescani  eressero  un 
ospizio;  il  b.  Felice  Tancredi,  disce- 
polo di  s.  Gaterina,  e  di  fr.  Anto- 
nio generale  francescano,  delegato 
di  Martino  V  a  Gostanlinopoli,  e 
poi  vescovo  di  Massa  ove  morì  nel 
1435,  ed  altri   uomini  illustri. 

Le  acque  de*  pozzi  e  delle  pub- 
bliche fonti  sono  copiose  di  tarta- 
ro, essendoché  la  crosta  esteriore 
del  poggio,  su  cui  siede  la  città,  con- 
siste di  banchi  altissimi  di  traverti- 
no sovrapposti  alla  roccia  calcarea 
cavernosa  ;  infatti  di  pietra  tibur- 
tina  sono  costruite  le  principali 
fabbriche  pubbliche  e  private  della 
città,  11  territorio  presenta  fenome- 
ni singolari,  e  tali  da  esercitare  i 
fisici,  i  mineralogisti  ed  i  geologi 
piti  dotti,  venendo  perciò  chiamata 
la  città  il  Frielberg  dell'  Italia.  Vo- 
lendo il  granduca  Francesco  li 
provvedere  allo  spopolamento  delia 
città  e  territorio  rnassetano,  vi  man- 
dò una  colonia  degli  antichi  suddi- 
ti di  Lorena  ;  ma  questa  non  vi 
trovò  sorte  migliore  di  quella  delle 


MAS 
altre  cliiamale  dal  Bresciano  e  dal 
Friuli  sotto  Cosimo  I,  solo  restan- 
dovi due  famiglie  lorenesi,  a  cagio- 
ne del  clima  insalubre  e  per  un 
terzo  dell'  anno  pestilenziale.  Furo- 
no però  più  efllcaci  e  riuscirono  al 
desiderato  intento  le  misure  di  Leo- 
poldo I,  preordinate  a  favore  spe- 
cialmente di  Massa  Marittima  e  dei 
suoi  castelli,  massime  col  far  spari- 
re i  ristagni  d' acque  terrestri ,  e 
col  più  libero  scolo  a  quelle  della 
Ronna  e  delle  Veiielle,  sebbene  non 
si  ottenessero  felici  risultati  dalle 
operazioni  idrauliche,  intraprese  a 
benefizio  della  maremma  di  Massa. 
Lo  slato  fisico  del  bacino  masseta- 
no,  a  partire  dal  promontorio  di  Po- 
pulonia  sino  a  quello  di  Troia,  era 
andato  fino  ai  giorni  nostri  deterio- 
rando a  danno  degli  abitanti,  oppo- 
nendosi la  natura  agli  sforzi  fatti  per 
eliminar  le  putride  esalazioni  delle 
acque  stagnanti  lungo  i  litorali,  e 
la  mal' aria.  Ma  il  regnante  Leo- 
poldo II  è  intento  a  provvedere  a 
SI  funesti  pregiudizi,  die  recano  le 
maremme  massetane,  forse  appli- 
candovi quanto  fece  per  quelle  di 
Grosseto.  L'agricoltura  nei  contorni 
di  Massa  è  in  progresso,  e  pei  ten- 
tativi fatti  per  riattivare  gli  scavi 
e  l'industrie  metallurgiche  nel  Mas- 
setano,  è  da  sperarsi  che  Massa  col 
tempo  migliorerà  di  condizione,  tan^ 
lo  rapporto  al  clima,  e  perchè  po- 
trà ancora  divenire  centro  di  mol- 
te industrie,  e  il  magazzino  minera- 
logico della  Toscana  ;  poiché  Massa 
per  le  sue  miniere  di  rame  e  di 
argento  ebbe  l' epiteto  di  Metalli- 
fera, ed  è  anche  nota  pel  suo  ter- 
reno carbonifero,  che  abbonda  nel 
territorio. 

Massa  Marittima  fu  anco  chiama- 
ta Massa  di  Maremma,  Massa  Ve- 
terneuse  e  Massa    Metallifera.    Nel 


MAS  229 

terzo  secolo  dell'era  cristiana  già 
in  Toscana  esisteva,  secondo  alcuni, 
il  paese  di  Massa  Feternense,  ma 
non  si  prova  con  monumenti,  mol- 
ti luoghi  essendo  esistiti  nel  V 
secolo  col  nome  di  Massa.  Se  però 
non  è  certo  che  in  Massa  Maritti- 
ma sin  dall' 842  fosse  traslatata  la 
sede  vescovile  di  Populonia,  e  che 
Massa  prendesse  d'allora  in  poi  il 
titolo  di  città ,  si  può  credere  per 
altro  che  già  lo  fosse  nel  principio 
deli' XI  secolo,  tostochè  allora  la 
chiesa  di  s.  Gerbone  di  Massa  ser- 
viva di  cattedrale  ai  vescovi  popu- 
loniensi ,  conservando  però  la  dio- 
cesi r  antico  nome  di  Populonia, 
come  risulta  da  documenti  e  da 
una  bolla  del  1075  di  s.  Gregorio 
VII,  con  la  quale  dichiarò  la  dio- 
cesi sotto  r  immediata  protezione 
della  Sede  apostolica,  in  occasione 
di  confermare  gli  antichi  confini 
diocesani.  Però  già  nel  i  1 1 5  erasi 
introdotto  l'uso  d'intitolare  3IaS' 
sano  o  Massese  il  vescovo  di  Po- 
pulonia, e  nel  secolo  XI  Massa  Ma- 
rittima era  divenuta  residenza  dei 
suoi  vescovi,  i  quali  in  vari  tempi 
ottennero  dagli  imperatori  privilegi 
e  onorificenze,  qualificandoli  signori 
di  varie  castella  e  miniere  del  con- 
tado, come  anche  principi  della  stes- 
sa città  di  Massa;  ed  Enrico  VI 
nel  iig4  fece  restituire  a  Martino 
vescovo  Massano  la  città  di  Massa 
col  suo  distretto  e  il  castello ,  già 
episcopio  di  Monte  Regis,  con  tutti  i 
diritti  principeschi^  de'quali  era  slato 
poco  innanzi  spogliato  da  alcuni  mi- 
nistri dello  stesso  imperatore.  Il  ve- 
scovo Alberto  che  gli  successe  ven- 
tisei anni  dopo,  pei  gravi  debiti  di  sua 
mensa,  fu  costretto  non  solo  di  op- 
pignorare il  suo  castello  di  Valli 
presso  Follonica,  ma  ancora  di  qua- 
lificarsi debitore  insieme  ai  consoli 


23o  MAS 

di  Masso  per  267  marche  di  ar- 
gento ad  una  società  di  negozianti. 
Nel  1206  il  comune  prese  per  con- 
testabile con  2  5  cavalleggieri  arma* 
ti  Guerrino  di  Neri  da  Montepul- 
ciano; e  nel  1214  si  trova  il  pri- 
mo podestà  di  Massa  Rolandino  di 
Galiana.  Nel  1216  già  per  decre- 
to pontifìcio  la  diocesi  era  divenu- 
ta sufFraganea  di  Pisa,  colla  quale 
città  Alberto  si  collegò  per  aiuti  , 
cedendo  in  perpetuo  al  comune  una 
tassa  da  riscuotersi  sui  massetani,  1 
quali  avrebbongli  giurato  fedeltà 
e  obbedienza,  con  altre  condizioni. 
Nel  12  25  il  detto  vescovo  col  ca- 
pitolo assolvettero  dal  giuramento 
di  fedeltà  tutti  i  cittadini  masseta- 
ni,  liberandoli  dalle  pigioni  di  pro- 
prietà della  mensa,  rinunziando  le 
ragioni  e  la  proprietà  al  comune  , 
tranne  le  miniere  di  argento.  L'e- 
mancipazione de'masselani  dai  loro 
antichi  signori  venne  contraccambia- 
ta dai  rappresentanti  del  popolQ, 
con  promettere  di  non  esiger  dazi 
sui  beni  della  mensa,  conservare  il 
giuspati'onato  dei  vescovi  e  del  cle- 
ro sulle  chiese,  il  pagamento  delle 
decime  qualora  il  comune  volesse 
edificar  la  città  nel  poggio  detto 
Certopiano ,  lasciando  in  tal  caso 
alla  mensa  e  al  clero  alcuni  fondi 
e  uno  spazio  sufficiente  di  terreno 
per  fabbricarvi  la  cattedrale  e  il 
cimiterio,  e  sborsarono  al  vescovo 
e  al  capitolo  600  lire  pisane.  Cosi 
il  comune  ricomprò  dal  suo  signo- 
re la  propria  libertà,  si  emancipò 
da  ogni  vassallaggio  verso  il  vesco- 
vo ,  talché  può  dirsi  che  da  quel- 
r  atto  ebbe  origine  la  repubblica 
massetana. 

La  città  andò  poi  aumentando 
di  popolazione,  e  si  pose  opera  a 
costruire  la  città  nuova  e  ad  innal- 
zare una  più    grandiosa    cattedrale. 


MAS 

Poco  dopo  si  fabbricò  la  città  nuo- 
va nel  poggio  superiore  di  Massa, 
insieme  con  una  rocca ,  che  prese 
il  nome  di  Torre  dell'  Oriolo,  da 
non  equivocarsi  col  castello  di  Mon- 
te Regis,  stato  per  lungo  tempo  la 
residenza  de'  suoi  vescovi ,  innanzi 
di  ridurlo  a  cassero;  la  rocca  ha 
un'iscrizione  coli' anno  122B  in  cui 
s'incominciò  l'erezione.  Nel  1226 
la  città,  per  assicurarsi  la  libertà, 
si  pose  sotto  la  protezione  della 
repubblica  pisana,  venuta  poi  in 
qualche  potenza  procurò  allearsi 
con  Siena  e  colle  altre  repubbliche 
vicine,  e  siccome  i  pisani  erano  ghi- 
bellini, fu  Massa  minacciata  d'in- 
terdetto da  Innocenzo  IV.  Tali  mi- 
nacce vennero  realizzate  dal  suo  ve- 
scovo Ruggero  ;  al  quale  interdetto 
aggiunse  maggior  gravità  un  breve 
di  Alessandro  IV  del  12  55,  perchè 
il  popolo  erasi  impossessato  delle 
rendite  della  mensa  vescovile,  fra  le 
quali  le  miniere  di  argento,  il  castello 
o  palazzo  di  Monteregio,  i  feudi  vesco- 
vili dell'Accesa,  di  Monte  s.  Lorenzo, 
della  Marsiliana,  di  Valli,  di  Porto 
Baratto,  ec.  Le  censure  ben  presto 
furono  sanate,  ed  il  vescovo  ritor- 
nò alla  sede.  La  città  prosperava 
per  la  riedificazione  della  cattedra- 
le, avvenuta  a  quel  tempo,  della 
gran  vasca  del  battisterio ,  e  della 
pubblica  fonte  nella  piazza  mag- 
giore; e  le  milizie  presero  paite  al- 
la ricupera  di  Grosseto  sotto  il 
vicario  di  Manfredi,  ed  alla  glo- 
riosa giornata  di  Montaperto.  Do- 
po la  morte  di  Manfredi  il  gover- 
no di  Massa  divenne  guelfo,  a  ciò 
costretto  da  questo  partito;  indi 
soggiacque  alle  conseguenze  del- 
le fazioni  ,  poco  giovando  la  me- 
diazione dei  senesi,  potenti  essen- 
do i  conti  Pannocchieschi ,  i  To- 
dini  ed    altri     magnati     ghibellini 


MAS 

del  conloclo.  Nell'anno  1278  il 
vescovo  Kolando  ricevè  dal  sindaco 
il  giuramento  di  obbedien7a  al- 
ia sua  chiesa,  assolvendo  il  po- 
polo dtdl'inlerdetto  per  le  ingiurie 
l'atte  alle  possessioni  della  mensa. 
Quindi  si  aumentò  il  potere  della 
repubblica,  col  riunire  al  suo  di- 
stretto diversi  castelli  che  avea  sog- 
giogato; e  ad  onta  di  non  poche 
turbolenze  sali  in  istato  di  ricchez- 
za e  di  prosperità  al  declinar  del 
secolo  XIII,  compiendo  Tacquisto 
di  PrloDterotondo,  e  liberando  per 
comprile  il  territorio  da  molti  ba- 
roni ;  ed  essendo  allora  le  miniere 
di  qualche  entità,  aveano  magistra- 
ti. Venne  ancora  edificato  il  pa- 
lazzo del  comune  o  degli  anziani 
sulla  piazza  del  duomo,  e  si  pro- 
seguì r  iuigrandimento  della  città 
vecchia  colla  città  nuova.  Nel  1807 
si  rinnovò  il  trattato  di  amicizia 
ed  alleanza  con  Siena,  la  quale 
spediva  a  Massa  il  capitano,  seb- 
bene si  governasse  il  comune  in 
proprio  nome  ;  ciò  indispose  Pisa 
ove  nel  i3i3  Enrico  VII  rilasciò 
a  Giovanni  vescovo  e  principe  di 
Massa  un  diploma  confermativo 
di  quello  che  Enrico  VI  avea  spe- 
dito a  Martino  suo  antecessore, 
ma  senza  effetto,  e  nel  1 3 1 5  si 
rinnovò  la  concordia  coi  pisani  me- 
diante tregua.  La  zecca  stabilita 
nel  i3i7  non  pare  che  battesse 
moneta.  Nel  1323  il  magistrato  si 
componeva  di  novanta  consiglieri, 
che  eleggevano  il  gonfaloniere  ed 
i  priori.  Nel  i33o  per  le  ostilità 
coi  senesi.  Massa  che  incomincia- 
va a  decadere,  rinnovò  i  patti  di 
alleanza  con  Pisa,  sebbene  ebbero 
corta  durata  ;  ed  i  fiorentini  sup- 
plicarono nel  i332  Giovanni  XXII 
ad  inlerporsi  coi  comuni  di  Pisa 
e  di  Siena  che  si  facevano  guerra 


MAS  23i 

per  signoreggiar  Massa  e  le  sue  ca- 
stella. Il  Papa  nominò  delegato 
apostolico  Francesco  Salveslri  ve- 
scovo di  Firenze,  ed  in  suo  nome 
i  fiorentini  riceverono  in  guardia 
Massa  ed  i  suoi  castelli.  Indi  nel 
i333  venne  ordinato  a*  pisani  di 
lasciar  libera  la  città  e  fortezza  di 
Massa,  ed  ai  senesi  di  restituire 
ai  massetani  le  loro  castella  e  pri- 
gioni j  e  viceversa  questi  a  quelli  : 
furono  inoltre  assoluti  i  sudditi  di 
ciascuna  delle  tre  città  d'ogni  pe- 
na, e  sospesa  la  confederazione  di 
Pisa  e  di  Massa  per  cinque  anni. 
Il  comune  di  Massa  dichiarò  che 
per  tre  anni  si  sarebbe  governato 
in  nome  del  vescovo  di  Firenze^ 
alla  cui  disposizione  i  fiorentini  po- 
sero la  città  e  le  castella.  Prima  di 
tal  tempo  i  senesi  entrarono  a  for- 
za in  Massa,  s'  impadronirono  dei 
luoghi  forti  e  fecero  nuovi  patti 
coi  massetani,  obbligandosi  pacifi- 
care i  cittadini  della  città  vecchia^ 
con  quelli  della  città  nuova. 

Intanto  Siena  comprò  in  Massa 
vari  edifizi  e  vi  fabbricò  un'  impo- 
nente fortezza  nel  1 336,  essendone 
stati  architetti  Agostino  ed  Agnolo 
fratelli  e  celebri  artisti  :  primo  ca- 
stellano del  nuovo  cassero  della 
città  nuova  fu  Agnolino  di  Mino 
senese,  ed  il  comune  si  obbligò  pa- 
gare a  quel  di  Siena  annui  fiorini 
1200,  per  guardia  e  difesa  del  cas- 
sero. Sulla  fine  però  del  secolo 
XIV  tanto  Siena  che  Massa  do- 
vettero soggiacere  al  duca  di  Mi- 
lano sino  al  i4o4j  progredendo 
notabilmente  la  decadenza  della  cit- 
tà, che  nel  i4o8  eia  ridotta  a  4oo 
persone  ;  le  condizioni  politiche  ed 
economiche  andarono  pure  dete- 
riorando. Sisto  IV  ed  Innocenzo 
Vili  premurosi  di  procurare  al  go- 
verno romano  V  esclusivo  commev- 


aSa  MAS 

ciò  dell*  allume  di  Tolfa,  il  cui  pro- 
dotto doveva  impiegarsi  contro  i 
turchi  a  salvezza  della  cristianità, 
idlminarono  l'interdetto  al  comune 
di  Massa  per  aver  concesso  il  per- 
messo di  vendere  le  allumiere  di 
Montione  e  dell'Accesa  state  dal  ve- 
scovo massetano  poco  innanzi  dona- 
te alla  santa  Sede.  In  mezzo  a  tali 
disposizioni,  dopo  una  serie  di  spia- 
cevoli vicende  si  arrivò  alla  metà 
del  secolo  XVI,  quando  non  senza 
gran  cordoglio  de'masselani  si  vide 
avvicinarsi  l'ultima  ora  della  re- 
pubblica senese,  vinta  dalle  armi  di 
Carlo  V  e  dai  tesori  di  Cosimo  I 
duca  di  Firenze.  A  questo  ultimo 
in  fatti  i  massetani  per  atto  pub- 
blico del  i554  prestarono  giura- 
mento di  fedeltà  e  di  sommissione, 
implorando  le  antiche  franchigie. 
11  duca  invitò  dall'estero  molte  fa- 
miglie per  domiciliarsi  in  Massa  ; 
il  suo  figlio  e  successore  obbligò  il 
comune  ad  alienar  parte  de'terre- 
ni  ai  privali  per  ravvivare  l'indu- 
stria ;  ma  pure  tutto  restò  paraliz- 
zato dall'  impedita  libertà  commer- 
ciale, deteriorandosi  sempre  più  la 
condizione  della  maremma  senese. 
In  conseguenza  rimasero  inefficaci 
le  disposizioni  de'  principi  della  fa- 
miglia Medicea,  come  restarono 
senza  risultati  le  provvidenze  dei 
grand uchi  Francesco  I  e  Ferdinan- 
do 1,  acciò  venisse  Massa  popolata; 
ed  altrettanto  dicasi  di  Francesco 
li,  onde  il  suo  figlio  Leopoldo  I 
trovò  la  città  colla  sua  maremma 
in  islato  desolante.  Egli  ne  miglio- 
rò grandemente  la  condizione,  co- 
me si  disse,  ed  il  regnante  Leo- 
poldo II  con  un  metodo  idraulico 
di  bonificamento,  promette  prospe- 
ro esito  a  SI  vasta  e  difficile  intra- 
presa. 

La  sede  vescovile  di  Massa  Ma- 


MAS 
rittima  successe,  come  di  sopra  ab- 
biamo detto,  a  quella  di  Populonia, 
grande  e  celebre  città  eirusca  ,  le 
cui  rovine  sono  al  nord  di  Piom- 
bino ,  città  e  porto  di  Toscana 
nella  provincia  di  Pisa,  capoluogo 
del  principato  del  suo  nome.  La 
diocesi  ecclesiastica  di  Populonia  si 
novera  fra  le  prime  della  Toscana 
marittima,  immediatamente  sogget- 
ta alla  santa  Sede.  11  primo  o  più 
antico  vescovo  di  Populonia  fu  A- 
tello,  che  assistette  al  concilio  te- 
nuto da  Papa  S.Simmaco  nel  5or, 
nel  portico  Vaticano  detto  Pal- 
mare. Il  secondo  fu  Fiorenzo  che 
morì  nel  556:  gli  succedette  san 
Cerbone  africano,  il  quale  fu  fat- 
to vescovo  di  Populonia  dopo 
il  martirio  di  s.  Regolo  suo  pre- 
cettore; mori  nel  SyS,  fu  tumu- 
lato in  Populonia  e  poscia  trasfe- 
rito nella  cattedrale  di  Massa.  S. 
Gregorio  I  scrisse  la  vita  di  questo 
santo  vescovo,  ed  il  martirologio 
romano  ne  fa  col  Baronio  menzio- 
ne; egli  è  patrono  della  città  di 
Massa,  e  di  tutta  la  diocesi.  Fu 
dopo  la  morte  di  s.  Cerbone  che 
i  longobardi  nella  prima  invasione 
della  Toscana  litoranea  devastaro- 
no la  città  di  Populonia,  e  più  tar- 
di la  sede  vescovile  venne  trasferi- 
ta a  Massa ,  poiché  sotto  i  longo- 
bardi il  territorio  di  Populonia  re- 
stò talmente  guasto,  che  non  solo 
rimase  privo  del  suo  vescovo,  ma 
non  vi  restò  neppure  un  sacerdote, 
onde  s.  Gregorio  I  scrisse  a  Bal- 
bino vescovo  di  Pvoselle  affinchè  vi 
mandasse  qualche  prete.  Secondo 
r  Ughelli,  Italia  sacra  t.  Ili,  p. 
701,  successori  a  s.  Cerbone  furo- 
no: Massimino  del  Sgo;  Mariniano 
che  intervenne  al  concilio  di  La- 
terano  nel  649;  Sereno  che  fu  a 
quello  del  680;  Ancauro  del  7 56; 


MAS 

Guriperto  che  fu  al  conciliò  tenu- 
to da  Eugenio  li  nell'  826;  Odal- 
perto  deir  853;  Paolo  dell'  886,  che 
s^jllo  s.  rsicolò  I  fu  spedito  ai  bul- 
gari con  Formoso  poi  Papa;  Gio- 
vanni dell' 87  7;  altro  Giovanni  del 
C)/\.5;  Enrico  che  fu  al  sinodo  di 
Benedetto  Vili  nel  ioi5;Waltero 
che  fu  a  quello  di  Nicolò  11  del  loSg; 
Tegrino  del  1061;  Bernardo  del 
io66;  Guglielmo  cui  scrisse  s.  Gre- 
gorio \11  nel  1075;  Giovanni  ve- 
scovo di  Populonia  del  io^5;  Lo- 
renzo del  1  104.  Rollando  vescovo 
di  Populonia  fu  al  concilio  di  Gua- 
stalla nel  II 06,  e  nel  11 26  sot- 
toscrisse ad  una  bolla  di  Onorio 
11,  col  titolo  di  episcopi  Massensis, 
e  gli  successe  Alberto  vescovo  di 
Massa  nel  11 49»  ^^1  ^  questi  Gio- 
vanni vescovo  di  Massa  del  i  1 8g, 
fondatore  della  chiesa  di  s.  Pietro. 
Tra  i  di  lui  successori  nomineremo 
i  più  distinti  :  Marzocco  Caetani 
nobile  pisano,  cappellano  d'Inno- 
cenzo III  del  121 1;  Alberto  del 
1220  sunnominato;  Guglielmo  del 
i23i  eletto  dal  capitolo,  e  confer- 
mato da  Gregorio  IX.  Questo  Pa- 
pa raccomandò  le  possessioni  del 
vescovato  populoniense  alla  custo- 
dia e  difesa  del  podestà  e  comu- 
ne di  Massa ,  e  pubblicò  una  co- 
stituzione colla  quale  aboPi  la  con- 
suetudine invalsa  di  eleggersi  il  pa- 
store della  chiesa  di  Massa  dai  ca- 
nonici uniti  ai  laici  o  vicedomini, 
dichiarando  nel  caso  che  tali  con- 
suetudini continuassero,  che  non 
sarebbe  stata  dai  Pontefici  appro- 
vata l'elezione  di  tali  vescovi,  liug- 
gero  Uigugeri  nobile  senese,  fregia- 
to di  preclare  virtù,  di  cui  già  par- 
lammo; in  sua  morte  il  capitolo 
elesse  successore  Filippo  arciprete 
della  cattedrale,  confermato  da  Cle- 
mente IV  nel  1268.  Fr.    Galgano 


MAS  233 

Pagliarelì  nobile  senese  domenica- 
no, di  singoiar  dottrina  e  probità 
di  vita,  eletto  nel  i332.  Antonio 
de  Riparia  del  1 36 1,  in  un  diplo- 
ma che  spedi  qual  internunzio 
contro  gli  eretici  valdesi,  s'intitolò 
Popiiloniae  et  Massae  episcopus. 

Giovanni  Gabrielli  di  Pon tremo- 
li, dottore  insigne  e  cappellano  di 
Bonifacio  IX,  da  lui  creato  nel 
1391,  legato  in  Polonia  e  Litua- 
nia, poi  traslato  a  Pisa;  gli  successe 
nel  1 3g4  Nicola  Beruti  che  s' in- 
titolò episcopus  Populoniensis  et 
Massanus  princeps.  Fr.  Antonio 
generale  de' francescani,  chiaro  in 
teologia  e  benignissimo,  del  i43o: 
cessò  verso  questo  tempo  il  tito- 
lo di  principi  ne'  vescovi  di  Mas- 
sa, tuttavolta  poscia  vi  furono  con- 
trari esempli.  Leonardo  Dati  no- 
bile fiorentino,  eruditissimo  e  lepi- 
do poeta,  caro  a  Pio  II  (  il  quale 
erigendo  Siena  in  arcivescovato,  di- 
chiarò suffraganea  la  sede  di  Po- 
pulonia e  Massa,  e  lo  è  tuttora  ), 
Paolo  II  e  Sisto  IV,  di  questi  due 
fu  segretario  de'  brevi,  e  fu  sepol- 
to in  s.  Maria  sopra  Minerva  di 
Roma.  Sisto  IV  nel  1472  gli  sosti- 
tuì il  nipote  fr.  Bartolomeo  delia 
Rovere  de'«)inori.  Girolamo  Conti 
romano  fu  fatto  vescovo  nel  i483, 
e  morì  nel  i5oo;  nel  quale  anno 
Alessandio  VI  nominò  il  senese 
Ventura  Benassai  suo  tesoriere  ge- 
nerale, sotto  del  quale  a' 5  marzo 
i5oi  il  Papa  onorò  di  sua  pre- 
senza Massa,  e  vi  restò  alcuni  gior- 
ni, mantenuto  magnificamente  dalla 
repubblica  senese,  poiché  era  redu* 
ce  con  Cesare  Borgia  dall'  aver 
sottomesso  Piombino  al  suo  domi- 
nio. Giulio  II  per  sua  morte  nel- 
l'anno i5ii  fece  amministratore  il 
cardinal  Alfonso  Petrucci;  nel  1529 
ne  fu  fatto  amministratore  il  car- 


234  MAS 

dinal    Paolo    Cesi;  e   nel    1538   il 
cardinal  Alessandro  Farnese  nipo- 
te di  Paolo   111,  cedendola  con  ri- 
serva nel    i547  ^  Kemnidino  Maf- 
iei  poi   cardinale.  Nel    i'>49  fu  de- 
putato in  amministratore  il  cardi- 
nal Michele  Sylva,  al  quale  successe 
nel   i556  Francesco  Franchini,  ce- 
lebre poeta  e  chiaro  per  erudizio- 
ne, Massat  et  Populoniae   epìsco- 
pus.  Alberto  )3olognelti  bolognese, 
celebre     giureconsulto ,     fatto     nel 
i579  da  Gregorio  XIII  e  poi  ele- 
valo al  cardinalato.    Vincenzo  Ca- 
sali  patrizio  bolognese  gli    successe 
nel   i583,  che  ai  28  marzo    i586 
consagrò  solerwiernente  la  cattedrale, 
lodato  per  egregie  virtù  :  cede  la  se- 
de ad  Achille  Sergardi  nobile  senese 
che  consagrò  V  altare  maggiore  del- 
la cattedrale  in  onore  di  s.  Cerbo- 
ne.  Nel    1601   divenne  vescovo  A- 
lessaiulro  Petrucci  nobile  senese,  il 
quale  restaurò  la  cattedrale,  eresse 
dai  fondamenti  V  episcopio,  aumen- 
tò il  clero,  e  nel  i6i5  fu  trasferi- 
to a  Siena.  L' Ughelli  e  i  suoi  con- 
tinuatori    terminano    la    serie    dei 
vescovi   con  Nicola  Toloraei   nobile 
senese  del  171 5,   la  quale  si   legge 
continuata  nelle  annuali  JSoLizit  di 
Roma,  e  sono  i  seguenti.  1 7  1 9  d. 
Eusebio  Ciani  camaldolese  di   Sie- 
na. 1770  Pietro  Vannucci  della  dio- 
cesi di  s.  Miniato.  1 795  Francesco 
Toll    di    Livorno.    1B18    Giuseppe 
Mancini    di  Firenze,    fatto  da    Pio 
VII,  il  quale  nel  concistoro  de*  19 
dicembre   1825  gli  diede  per  suc- 
cessore    l'odierno    vescovo    monsi- 
gnor Giuseppe  Maria    Traversi  di 
Piligliano  diocesi  di  Soana,già  pro- 
vicario  generale  di  tal  diocesi. 

La  cattedrale  è  sacra  a  Dio  sotto 
l'invocazione  di  s.  Gerbone  vesco- 
vo della  stessa  città ,  di  gotica 
slrullura,  con  battisterio.    Il    capi- 


MAS 

tolo  non  ha  dignità,  ma  e  compo- 
sto di  dieci  canonici  comprese  le 
prebende  del  teologo  e  del  peni- 
tenziere, di  quattro  canonici  ono- 
rari, ed  altrettanti  cappellani  cu- 
rati, e  di  altri  preti  e  chierici  ad- 
detti al  divino  servigio.  La  cura 
delle  anime  spella  al  capitolo,  e  si 
esercita  da  un  canonico.  L*  episco- 
pio resta  incontro  alla  cattedrale. 
Nella  città  vi  è  un'altra  chiesa  par- 
rocchiale senza  fonte  battesimale,  il 
convento  de' minori  osservanti,  il 
monastero  delle  monache  Clarisse , 
due  confraternite,  T  ospedale  e  il 
seminario.  La  diocesi  è  ampia,  e 
contiene  ventisei  parrocchie,  com- 
presa la  cattedrale,  una  cura  mili- 
tare a  Portoferraio,  ed  una  cap- 
pellania  curala  alla  marina  di  Rio. 
Le  venlisei  parrocchie  sono  sparse 
negli  undici  territorii  comunitati- 
vi,  oltre  di  Mussa  Marittima ,  di 
Piombino,  Suvereto,  Campigli.!,  Sas- 
setta ,  Monteverdi  ,  Gherardesca  , 
Portoferraio,  Lungone  e  Rio.  Ogni 
nuovo  vescovo  è  tassato  ne' libri 
della  camera  apostolica  in  fiorini 
3oo,  corrispondenti  a  scudi  3ooo  di 
rendite. 

MASSEI  Bartolomeo,  Cardinale. 
Bartolomeo  Massei  nobile  di  Mon- 
tepulciano nacque  a'2  gennaio  i6G3. 
La  nobile  famiglia  Massei  trasse  il 
suo  principio  da  altra  già  nobile 
e  antichissima  in  Lucca,  denomina- 
ta degli  Aitanti  ;  Vanni  di  Masseo 
prestò  giuramento  di  fedeltà  nel 
i33i  a  Giovanni  re  di  Boemia,  e 
fu  il  primo ,  che  lasciato  tal  co- 
gnome nel  1357  prese  quello  di 
Massei  :  se  ne  divise  poi  la  di- 
scendenza in  due  rami,  uno  dei 
quali  si  stabilì  a  Lucca,  l'altro  a 
Montepulciano,  dando  ognuno  per- 
sonaggi illustri  ,  e  tra  le  donne 
fiorì  Bianca    Teresa  ,   di  cui  pub- 


MAS 
blicò  nel     17 16    la    vita    il  p.  Bo- 
iiucci  gesuita.  Bartolomeo  ottenuta 
Dell'università     di    Pisa    la     laurea 
dottorale  in  jus,  trasferitosi  in  Ro- 
ma, mediante   reflìcace  mediazione 
di    Pomponio     de  Vecchi»    celebre 
avvocato ,    fu  ammesso    nella  corte 
di  Gianfrancesco   Albani,  che  crea- 
to cardinale ,  lo  fece    suo  coppiere 
e  poi  maestro  di  camera,  e  lo  con- 
dusse  seco    per  conclavista  in   con- 
clave   ove  restò     eletto     Papa    col 
nome  di    Clemente    XI.    Subito  lo 
nominò  cameriere    segreto    e    cop- 
piere,   conferendogli    il  priorato  di 
s.   Maria  in  Via  Lata,  che  gli   per- 
mutò   con  un    canonicato    Liberia- 
no, e  poi  Valicano.  Nel  17  12   qua- 
le   ablegato    pontifìcio    lo     sped'i  a 
Milano  a  portar    la  berretta    rossa 
al  cardinal  Cusani  vescovo    di   Pa- 
via. Nel    17 14  recandosi  alla    visi- 
ta del  santuario  di  Loreto  la  gran- 
duchessa di  Toscana  Violante,  d'or- 
dine pontificio   l'incontrò    ai  confì- 
ni  dello    stato  ecclesiastico,    e    con 
ogni  ossequio  si   prestò  al  suo  ser- 
vigio. In  occasione  di  recare  la  ber- 
retta  in   Francia   nel    17 15   al   car- 
dinal Thiard  di  Bissy,    fu    incari- 
cato  dal   Papa  di  gravissimi    affari 
da  trattarsi  alla  corte  di   Parigi,   il 
principale  de'quali  avea  per  ogget- 
to la  bolla     Unigenitus  ;    ma    acca- 
duta in    quel  tempo    la    morte    di 
Luigi  XIV,  rimasero    interrotte    e 
sospese  tulle  le  negoziazioni.   Intra- 
prese il  secondo  viaggio     alla  stes- 
sa corte  per  portar  la  berretta  car- 
dinalizia    al     nunzio     Bentivoglio  ; 
in  tal  congiuntura   parimenti    ebbe 
le  slesj'e  incumbenze  che    nella  pri- 
ma, e  trovandosi  in  Parigi  nel  1721 
ricevè  la   notizia  di  essere  stalo  fat; 
to  arcivescovo    di   Atene    m  pai  li- 
bus,  nunzio  straordinario  a    <|uella 
corte ,    e    maej>tro    di  camera    del 


MAS  235 

Papa.     Ma    appena    consagralo    in 
Meaux     arcivescovo     dal     cardinal 
Bissy,  seppe   che  Clemente  XI  era 
morto  a'  19  marzo,    e    vide    illan- 
guidire le  sue  speranze.    Tutta  voi  la 
il  successore  Innocenzo  XIII   lo  di- 
chiarò nunzio  ordinario  presso  quel- 
la corona,  dove  perseverò  in  tulio 
il  pontificato  di  Benedetto  XIII,  e 
molto    si  affaticò    per    la    pace    ed 
unione  del  clero  gallicano,  e  tanto 
si  adoperò,  finche   il    cardinale   di 
Noailles    si  ridusse    all'unità    della 
Chiesa  ,    sottomettendosi     al    Pon- 
tefice, ed  accettando    la   memorata 
bolla.  Dovette    per    la    nunziatura 
soggiacere  a  spese  enormi,    e  pure 
sovente  ricusò  i  pingui  benefizi  of- 
fertigli  dal  re  e  dai  ministri.  Suc- 
ceduto a  Benedetto  XIII  nel  1780 
Clemente  XI 1,  lo  richiamò  a  Pvoma, 
e  mentre  era  in  Marsiglia    ricevet- 
te l'avviso  che  a' 2  ottobre  di  det- 
to anno    lo    avea    creato    cardinale 
prete,  e  designato  legato  di  Roma- 
gna e    vescovo  d'Ancona.    In    Ro- 
ma ricevette  il  cappello,  e  per   ti- 
tolo la  chiesa    di    s.   Agostino.  Co- 
ni' ebbe  preso  possesso    del     vesco- 
vato, visitò  pili  volte   la  diocesi,  a 
cui  comparti   insigni  benefizi,  e  tra 
le    altre    cose    restaurò    il    palazzo 
vescovile  di  città    e    di    campagna. 
Disseccò  le    acque    stagnanti     nelle 
terre  della  mensa,  rendendole  frut- 
tifere ed  innocue.  Ornò  la  cattedra- 
le, fece  lastricare  la  piazza  maggio- 
re di   nuove  pietre,  aprì  una  nuo- 
va stnida,  e  rese  l' ingresso  più  a- 
gevole;    stabilì    oltinii     regolamenti 
per  la    riforma    de' costumi,    e    in- 
trodusse nella  città   le  maestre  pie. 
Frenò  la  licenza  delle  cattive  fem- 
mine, e  le  rinchiuse  in  un'abitazio- 
ne con   rendite    pel   mantenimento. 
Al   passaggio   delle   truppe  spagnuo- 
le,  e  alla v vicinarsi  della  flotta    in- 


236  M  A  S 

glese,  si  condusse  con    tal   pruden- 
za, che  uè  Ancona,    né    le    vicine 
spioggie     soffrirono     alcun    danno. 
Alla  fine   nel  pontificalo    di    Bene- 
detto XIV,  al  cui  conclave  era  in- 
tervenuto, pieno  di  sante  opere  re- 
se tranquillamenle  lo  spirilo  a  Dio 
in     Ancona     a*  20     novembre     del 
1745,  d'anni  83,  e  fu  sepolto  nella 
cattedrale    con     semplice    iscrizione 
ch'erasi     da  se    composta.     Per    la 
benevolenza  e  l'art'etto    che    si    era 
egli  acquistato  presso  tulio    il    po- 
polo anconitano,  con  la  piacevolez- 
za de'costumi,  e  con  la  soavità  del- 
le   maniere,    meritò   che     gli    fosse 
decretato    a  perpetua    memoria    di 
onorCj  un  monumento  da    eiigersi 
nella  sala  del  palazzo  della  Ragio- 
ne,   in  cui    al  dire  del  Cardelia  se 
ne  vede  ancora  espressa  1' elegie  in 
un  busto    di  candido  marmo,    fre- 
giato di  elegante  iscrizione. 

MASSEl  Paolo,  Cardinale.  Pao- 
lo Massei  nobile  di  Montepulciano, 
nato  a*3o  settembre  17 12,  nipo- 
te del  precedente  cardinale  ,  fatti 
regolarcnente  i  suoi  studi,  ed  ab- 
bracciato lo  stato  ecclesiastico,  fu 
ammesso  in  prelatura.  Benedetto 
XIV  lo  fece  successivamente  nel 
1744  governatore  di  Ancona,  nel 
J749  di  Civitavecchia,  nel  i75i 
di  Frosinone,  e  nel  1753  di  Viter- 
bo. Nel  1758  ottenne  la  coadiu- 
loria  di  monsignor  Casoni  chierico 
di  camera,  e  lo  divenne  efl'ettivo 
nel  1759  sotto  Clemente  XII l,  dal 
quale  nel  1762  ebbe  la  presiden- 
za delle  zecche,  e  nel  1766  fu  tras- 
latato  a  quella  delle  strade.  Giun- 
se nel  1775  ad  essere  decano  dei 
chierici  di  camera,  e  nel  1778 
promosso  a  commi.ssario  generale 
delle  armi  pontificie  da  Pio  VI, 
come  abbiamo  da  monsignor  Ni- 
colai, Delia  presidenza  delle  .strade 


MAS 

t.  IT,  p.  148.  Lo  stesso  Papa  a'i^ 
febbraio     178^     lo     creò    caidinale 
dell'ordine  de'preti,  e  poi  gli  asse- 
gnò  per  titolo  la  chiesa  di  s.  Ago- 
stino. Morì  dopo  circa  quattro  mesi 
di  cardinalato,  di  anni  settantatre,  ai 
9  giugno,  in  Roma,  e  fu  esposto   e 
sepolto  nella  sua  chiesa  titolare  con 
elogio  in  lapide  composto  dalMor- 
celii,  che  si   legge  a   p.  275    delle 
sue  InscripLioiies.  Sostenne  le  men- 
tovate cariche    con  decoro,    nell'  e- 
sercizio  delle  quali  si  diportò   egre- 
giamente, siccome  integerrimo,  laon- 
de lasciò  desiderio  di  sé  in  tutti   i 
buoni     per     l'esimie    qualità    sue. 
Tenne     al     sacro    fonte    Francesco 
Cancellieri  celebre  per  l'erudizione, 
che  gli  dedicò    la    quarta    edizione 
del  Saggio  di  egloghe    militari    di 
Giulio   Cesare  Cordara,  e  dal  me- 
desimo   tradotte    in   latino,    Roma 
1784.  Essendosi    il  Cancellieri    re- 
cato col  benevolo  padrino  a  vede- 
re le  carte  cinesi    che   adornavano 
varie  stanze    del    palazzo    di    villa 
Valenti,    poi   Sciarra,    presso    porta 
Pia,  ed    avendo  il  Massei  per  fra- 
tello   il  rettore  del  collegio  cinese 
di  Napoli,  gli  propose  di    farne  la 
descrizione,    che  prevedeva    gli    sa- 
rebbe stata    gratissima.    U    Cancel- 
lieri vi  aderì,  e    pubblicò    poi    nel 
181 3   in  Roma  l'opuscolo:  Descri- 
zio  ne  delle  carte  cinesi,  ec. 

MASSENZIA  (s.),  vergine  e 
martire.  Nacque  in  fscozia,  e  ere- 
desi  uscita  dal  sangue  reale.  Riti- 
ratasi in  Francia,  per  mantenere 
più  agevolmente  il  voto  di  virgi- 
nità che  avea  fatto,  visse  rinchiu- 
sa presso  il  fiume  Oise.  Si  assicu- 
ra che  fu  trucidata  da  un  libal- 
do,  il  quale  aveva  tentato  indarno 
di  farle  rompere  il  suo  voto,  e 
l'aveva  seguita  in  Francia.  11  suo 
culto  vigeva  nel  secolo  VH  ai  pas- 


MAS 

so  dell'  Oise,  ove  si  è  formala  una 
piccola  città  clie  porta  il  nome  di 
Ponte  s.  Massenzio,  per  le  di  lei  re- 
liquie die  vi  sono  onorate.  La  sua 
festa  si  celebra  ai  20  di  novembre 
in  Iscozia  e  nella  diocesi  di  Beauvais; 
era  celebrata  ai  24  d' ottobre  in  In- 
ghilterra e  in  Irlanda,  e  in  qualche 
luogo  particolare  d'Inghilterra  ai  16 
d'aprile. 

MASSENZIO  (s.),  abbate.  Nac- 
que nella  città  di  Agde,  e  ricevette 
al  sacro  fonte  il  nome  di  Adiutore. 
I  suoi  pii  genitori  lo  posero  sotto 
la  guida  del  santo  abbate  Severo, 
dei  cui  insegnamenti  approfittò  per 
modo  che  si  avanzò  ben  presto  nelle 
\ie  della  santità.  Per  sottrarsi  agli 
applausi  degli  uomini, si  ritirò  in  un 
luogo  sconosciuto.  In  capo  a  dieci 
anni  i  suoi  genitori  ed  amici  aven- 
dolo scoperto,  lo  ricondussero  alla 
patria;  ma  egli  non  vi  rimase  lungo 
tempo.  Fuggito  di  nuovo,  andò  nel 
Poitou,  cangiò  il  suo  nome  in  quel- 
lo di  Massenzio^  e  si  mise  sotto  la 
disciplina  di  un  santo  abbate  no- 
mato Agapito.  1  religiosi  del  mo- 
nastero furono  presi  d'  ammirazione 
allorché  videro  1'  amor  grande  che 
portava  all'  umiltà,  alla  mortifica- 
zione, alla  carità;  e  pel  complesso 
delle  sue  virtù  lo  elessero  a  loro 
superiore.  Ad  esempio  di  AgapitOj 
rinunziò  più  presto  eh'  egli  potè, 
per  rinchiudersi  in  una  cella  ap- 
partata. 1  monaci  non  acconsenti- 
rono al  suo  ritiro,  se  non  a  con- 
dizione eh'  egli  dovesse  continuare 
a  governarli  co' suoi  consigli.  Morì 
circa  l'anno  5 1 5,  ed  è  onoralo  nel 
martirologio  romano  il  giorno  26 
di  giugno. 

MASSERANO  o  MESSERA- 
WO,  Massianum  o  Masseronum. 
Principato  del  Piemonte,  con  Mas- 
sejano    piccola    città    per    capitale. 


MAS  237 

capoluogo  di  mandamento,  posta 
in  una  situazione  elevata,  con  più  di 
35oo  abitanti.  A  questo  principato 
con  titolo  di  marchesato,  appartenne 
Crevacour  o  Crevacuore,  capoluogo 
di  mandamento  sulla  riva  sinistra 
del  Sessera,  con  due  miniere  di 
ferro  nei  contorni.  11  principato  di 
IMasserano  è  situato  tra  la  Ironlie- 
ra  milanese,  ed  i  ^errilorii  di  Biel- 
la e  Vercelli,  nella  quarta  divisio- 
ne piemontese  o  di  Novara.  Spet- 
tò dapprima  ai  vescovi  di  Torino, 
Vercelli,  Asti,  Pavia,  con  altri  fen- 
di per  concessione  di  alcuni  re  di 
Italia  longobardi,  incominciando  da 
Luitprando,  non  che  all'insigne  ab- 
bazia di  ».  Benigno  di  Frulluaria, 
quindi  appartennero  tali  feudi  al  so- 
vrano diritto  della  chiesa  romana, 
sotto  il  nome  di  principato  di  Mas- 
serano  e  di  marchesato  dì  Crevaco- 
re^  per  essere  questi  i  principali  luo- 
ghi di  quelle  pontifìcie  pertinenze. 
Si  devcavvertire  che  tanto  il  princi- 
pato che  il  marchesato  appartenne- 
ro pure  in  complesso  alla  detta  chie- 
sa di  Vercelli,  senza  però  gli  accen- 
nati titoli,  e  da  essa  poi  furono 
dismembrati  ed  attribuiti  per  be- 
nemerenza della  cattolica  religione 
al  cardinal  Lodovico  Fieschi  ed  al 
suo  fratello  Antonio  Fieschi,  dal 
Papa  Bonifacio  IX,  che  ne  investì 
con  breve  de' 29  maggio  1894  '» 
nobilissima  famiglia  Fieschi  o  Fie- 
sco,  dalla  q\iale  nel  pontificato  di 
Leone  X  passò  per  matrimonio  o 
per  adozione  ai  Ferro  di  Biella  o 
Ferreri  di  Biella,  eh'  ebbero  diversi 
cardinali,  e  ciò  fino  all'  estinzione. 
Giulio  li  decorò  queste  terre  del 
titolo  di  contea.  Paolo  111  le  di- 
chiarò marchesato,  e  Clemente  Vili 
le  elevò  al  grado  di  principato.  Nel- 
la vita  di  Gregorio  XI II  si  legge, 
ch'egli  ricuperò  coli' aiuto  del  duca 


238  MAS 

di  Savoia    Emmanuel  Filiberto ,  i 
fendi  (li   Monlafìa  e  Tigliole   vncati 
nella  diocesi  di  Asti,  e  <:;iianlali  con 
gente  armata  dalla  conlcssa  di  Stro- 
piana  che  pretendeva  aver  ragione 
sopra  di  essi,  riacquistando  pure  al- 
la chiesa   romana  Cisterna  nel  Pie- 
monte. Nel    i658  a' 24  novembre 
la  famiglia  Fieschi  restituì  e  donò 
alla  santa  Sede  il  principato  di  Mas- 
serano    ed  il    marchesato    di    Cre- 
vaconr,  ed  il  Papa    Alessandro  VII 
colla  costituzione    Cum  sicut,  degli 
8  maggio  1659,  presso  il  Bull.  Roni. 
t.   VI,  par.   V,  p.    I,  accettò  e   ri- 
cevè la   restituzione  e  donazione  di 
tali  dominii.  Quindi  colla  costituzio- 
ne Inter^  del  primo  febbraio  1661, 
loco  citato  p.     127,  a    tale    effelto 
ampliò  la  bolla  di  s.  Pio  V_,  di  non 
alienare  i  beni  della  chiesa  roma- 
na. Dipoi  avendo  Carlo  Passio  Fer- 
reri  Fieschi,  principe  di  Masserano 
e  marchese  di  Crevacour,  venduto 
a    Vittorio    Amedeo    II     duca    di 
Savoia    il  feudo    di    Masserano    e 
Crevacour,  e  quelli  di  Quirin,  Fle- 
xia    e    Rissi  senza    il   permesso  del- 
la Sede  apostolica,  Innocenzo  XI  col- 
la   costituzione    Cum    sicut,  de*  26 
febbraio  1686,  BulL  Rom.   t.  Vili, 
p.  38  ijdichlaiò  nulla  ed  irrita  que- 
sta vendila,   ideile    gravi  differenze 
insorte  tra  Clemente  XI  e  la  corte 
di  Torino,  anche  per  la  controver- 
sia di  diversi   feudi    nel    Piemonte 
e   Monferrato,    particolarmente    su 
Corlanze ,     Cortanzone ,     Cisterna, 
Montafìa,  e    badia    di    s.  Benigno, 
sui  quali  il  re  di  Sardegna  presu- 
meva   di    avere    assoluta    sovrani- 
tà ,     fu  percosso  e    posto    in     car- 
cere   il    procuratore     fiscale     della 
camera    apostolica,    e  furono   com- 
messi  altri  eccessi  contro  la  chiesa 
di  Montanaro,  onde  il  commissario 
della  santa  Sede    nel  principato  di 


MAS 
Masserano,    con    edillo  affisso    alla 
chiesa  abbnziale,  ordinò  a  lutti  i  sud- 
diti   pontificii  che  ne    difendessero  i 
diritti;   però   fu  con   mano  armata 
laceralo   l'editto.   In   (juesti   feiidi  e 
piccoli   villaggi  o  sieno  cantoni  che 
ne  dipendono,  solevano  i  Papi,  per 
occasione  di    dilferenza    tra    quella 
gente     ed    il     principe    feudatario, 
mandare  governatori  apostolici,  l'ul- 
timo de' quali  fu    Gian   Carlo  An- 
tonelli   di  Velletii,  zio  materno  del 
cardinale  Stefano    Borgia ,    poi  ve- 
scovo di  Dioclia  in  partibus,  e  suf- 
fraganeo  di  quello  della  propria  pa- 
tria, che   vi  andò    col  solito  breve 
di  governatore,  e  con  altro  speciale 
d'  internunzio    e    di    collettore  ge- 
nerale degli  spogli.  Finalmente  nel 
1741    Benedetto   XIV   terminò  tali 
differenze,  il  quale  a  mezzo  del  nun- 
zio Merlinì,  rimise    al  duca  di  Sa- 
voia re  di   Sardegna  Carlo  Emma- 
nuele  III   un    breve  apostolico,   IH 
nona  januarii,  col  quale  lo  costituì 
vicario  apostolico    in  teinporalibus 
e  perpetuo  de'luoghi  e  de'feudi  che 
la  santa    Sede  possedeva    nel    Pie- 
monte e  Monferrato,  nella  linea  ma- 
scolina di  primogenito   in  primoge- 
nito, colla  clausola    dcbitae   fìileli- 
tatis^  ac  de  bene  eL  fideliler  exer- 
cendo  dicù  vicarialus  offìcium,prae- 
stand  juranienluni    in  manihus  ss. 
et    successoribus  romanoruni  Pon- 
tìficum  in  qualibel  niutalione  lìneae 
a  primo  seu  capite  e/usdem  lineae, 
come  già  si  era  convenuto  con  Cle- 
mente XII,  dovendo    il  re  ricono- 
scersi dipendente  alla  Sede  aposto- 
lica coll'annuo  censo  o  tributo  di 
duemila     scudi.  11    re    giurò  nelle 
mani  del  nunzio,  inviò  al  Papa  un 
calice  d'oro  del  valore  di  scudi  due- 
mila d' argento,  con    promessa    di 
fare  ogni  anno  altrettanto,  in  segno 
di  riconoscimento   al    legittimo  si- 


MAS 
j^nore  tli  delti  stali  o  feudi,  e  fu 
ptintualniente  eseguilo  sino  al  de- 
clinar del  secolo  XVIII,  in  cui  i 
francesi  invasero  il  Piemonte.  1  feu- 
di, secondo  il  Liher  ccnsuum  del- 
la camera  apostolica  del  1846,  p. 
356,  sono  Cortantii  seu  Co r (anse- 
riif  Cortonsoris,  Clsternae,  Monta- 
phiae  ,  Tt'lìolanini  ,  s.  Benigni  , 
PhelcLi  Lomhardonisy  Montanari , 
principalus  Masserani^  et  cotnita- 
tus  Crepacori  ,  Bosnengì^  Caocini^ 
Flecchiae,  Iìivi\  una  cimi  eoruui 
tei  ritoriis.  Calicem  unum  auri  va- 
loris  senior  uni  bismìlle  monetae  per 
manus.  Quindi  vi  è  il  conìparuit, 
et  solini. 

MASSILLON  Gio.  Battista.  Uno 
de'  più  gran  predicatori  del  suo  se- 
colo, nacque  ad  Hières  nella  Pro- 
venza. Entrò  nella  congregazione 
dell'oratoiio,  ove  si  distinse  pe'suoi 
talenti,  e  dedicandosi  alla  predica- 
zione fece  conoscere  quel  genio  sin- 
golare di  cui  avealo  dotato  natu- 
ra. Predicò  avanti  Luigi  XIV,  che 
sebbene  restasse  malcontento  di  se 
stesso,  volle  udirlo  ogni  óne  anni, 
indi  nel  17  17  divenne  vescovo  di 
Clermont,  e  mori  nel  1 742,  d' an- 
ni sttlantanove.  Abbiamo  la  raccolta 
delle  sue  opere  stampate  a  Parigi 
nel  1745»  e  1746  in  quattordici  vo- 
lumi. Ciò  elio  forma  il  suo  carattere, 
è  la  persuasione  e  V  unzione  :  tulli 
i  suoi  ragionamenti  toccano  diret- 
tamente il  cuore,  ed  ìu  tutti  i  suoi 
discorsi  apparisce  sempre  il  senti- 
mento che  commove  e  intenerisce, 
esprimendosi  ognora  nobilmente.  E- 
gli  particolarmente  si  distinse  sui 
grandi  oratori  ne*  sermoni  di  mo- 
rale e  negli  elogi. 

MASSIMI  Camillo,  Cardinale. 
Camillo  Massimi  de'  marchesi  di 
Arsoli,  nobde  romano,  di  antichis- 
sima famiglia  chiara  per  le  glorio- 


MAS  9.39 

se  gesta  de'suoi  antenati  e  de' po- 
steriori che  in  copia  vi  fiorirono. 
Il  Panvinio  ne' suoi  due  libri  De 
gente  Maxima^  presso  il  t.  IX  del- 
lo Spicilegio  romano  del  dottissi- 
mo cardinal  Mai,  scrive  che  uno 
dei  Massimi  fu  cardinale  prete  crea- 
to da  s.  Fabiano  Papa  del  2  38, 
morto  in  carcere  per  la  fede  di 
Cristo  ;  altro  cardinale  egli  scrive 
che  fu  titolare  di  s.  Pudenziana,  e 
visse  sotto  s.  Siricio  Pontefice  del 
385  e  de' due  suoi  successori.  In- 
oltre fra  i  Massimo,  oltre  vari 
santi  e  sante,  sembra  potersi  an- 
noverare i  Papi  s.  Anastasio  I 
del  398,  e  s.  Pasquale  I  del- 
1*817.  Camillo  nacque  a'20  luglio 
1620,  illustre  non  meno  pel  can- 
dore de'  costumi  che  per  la  chia- 
rezza del  sangue.  Fu  ascritto  fin 
dalla  gioventù  tra'  prelati ,  e  nel 
i65i  Innocenzo  X  Io  fece  chieri- 
co di  camera  (nel  1^47  ^^'^  S"^ 
cameriere  segreto);  nel  i653  Io 
incaricò  della  nunziatura  di  Spagna, 
dove  incontrò  non  lievi  controver- 
sie in  materie  giurisdizionali  col 
primo  ministro.  Avuta  da  Alessan- 
dro VII  la  commissione  di  procu- 
rare la  pace  tra  i  francesi  e  gli  spa- 
gnuoli,  pel  quale  oggetto  anche  il 
senato  veneto  avea  spedito  in  Ma- 
drid un  ambascialore  straordinario, 
Camillo  o  per  soverchia  fretta,  o 
per  la  gloria  di  aver  lui  solo  con- 
chiuso affare  si  rilevante,  senza  par- 
teciparlo a  tale  oratore,  si  fece  ar- 
bitro d^lla  pace,  proponendo  ai  de- 
putati di  Francia  una  lega  segreta. 
Ricusarono  i  francesi  di  acconsen- 
tire alla  proposizione  del  nunzio, 
senza  prima  farne  parte  al  rap- 
presentante veneto,  il  quale  venuto 
in  cognizione  della  cosa ,  avanzò 
querele  al  suo  senato  contro  il  nun- 
zio, onde  la  repubblii  ' 


24o  MAS 

fbrlemenle  col  Papa.  Questi  rlclila- 
niò  il  prelato  in  Roma,  e  nel  suo 
pontificalo  e  in  quello  di  Clemen- 
te IX  restò  inoperoso.  Il  Battagli- 
ni  attribuisce  il  richiamo  dalla  nun- 
ziatura, perchè  1' eccesso  della  con- 
fidenza con  Filippo  IV  avea  posto 
in  diflìdenza  la  corte  pontificia.  Il 
sacro  collegio  dopo  la  morte  di  Cle- 
mente IX  lo  elesse  governatore  del 
conclave,  e  Clemente  X  in  esso 
creato,  subito  lo  decorò  del  titolo 
di  patriarca  di  Gerusalemme,  e  lo 
fece  maestro  di  camera,  e  dopo  cir- 
ca otto  mesi,  a'22  dicembre  1670, 
lo  creò  cardinale  prete,  conferen- 
dogli per  titolo  la  diaconia  di  s. 
Maria  in  Domnica  elevata  per  lui 
a  titolo  presbiterale,  ritornando  po- 
scia a  diaconia,  tranne  il  tempo  in 
cui  Benedetto  XI 11  tornò  a  dichia- 
rarla titolo  per  assegnarla  al  suo 
favorito  cardinale  Coscia,  per  cui 
invece  eresse  in  diaconia  la  chiesa 
di  s.  Maria  ad  Martyres.  Dipoi  il 
cardinale  passò  al  titolo  di  s.  Ana- 
stasia, ricevendo  dal  Pontefice  l'in- 
carico di  soprintendere  alla  fab- 
brica del  sontuoso  palazzo  Altieri, 
e  vi  riuscì  con  decoro.  Visse  il  car- 
dinale dedito  alle  lettere,  alla  pietà, 
ed  a  tutte  le  virtù  e  scienze,  e 
perciò  protesse  i  letterati  e  gli  ar- 
tisti, fra' quali  si  distinse  partico- 
larmente il  Pussino.  Praticissimo 
degl'interessi  de'  principi,  le  storie 
de' quali  gli  si  erano  rese  famiglia- 
ri per  lo  studio  fattovi,  si  distin- 
se pure  per  soavi  e  dolci  ma- 
niere .  Sopra  tutto  segnalò  il  suo 
genio  nello  studio  delle  antichi- 
tà ,  che  lo  indusse  a  rintraccia- 
re per  ogni  parte  antichi  monu- 
menti, per  mezzo  de'  quali  potè 
formarsi  un  f^imoso  museo;  e  sic- 
come fornito  eziandio  di  cognizioni 
in  ogni  genere  di  letteratura,  la  sua 


MAS 

casa  fu  l'emporio  degli  uomini  piti 
dotti  ed  eruditi,  che  negli  all'ari 
più  dillìcili  riguardavano  i  suoi  sen- 
timenti con  venerazione,  perchè  ra- 
re volte  riuscivano  fallaci,  mentre 
ponderando  egli  qualunque  questio- 
ne yi  penetrava  a  fondo,  e  colpiva 
le  diflìcoltà  che  potevano  insorgere, 
sapendo  applicarvi  pronto  ed  op- 
portuno rimedio.  Pubblicò  alcuni 
codici  di  mirabile  antichità,  tra  i 
quali  tiene  il  primo  luogo  quello 
di  Virgilio^  che  si  appella  il  Vir- 
gilio del  cardinal  Massimi.  Egli 
pure  scopri  le  celebri  pitture  an- 
tiche nelle  terme  di  Tito,  quali 
ancora  si  conservano  nel  palazzo 
Massimo  alle  Colonne,  di  sua  illu- 
stre famiglia.  Finalmente  avendo 
veduto  il  principio  del  conclave 
d' Innocenzo  XI,  non  potè  vederne 
il  fine,  morendo  in  esso  nel  1676 
a' 12  settembre,  d'anni  cinquanta- 
sefte,  ed  ebbe  sepoltura  nella  basi- 
lica Lateranense,  nella  tomba  dei 
.suoi  antenati,  senza  funebre  me- 
moria. Giovanni  Bartolotti  ne  scris- 
se la  vita  che  pubblicò  in  Asti 
nel    1677. 

MASSIMIANOPOLT,/¥^.r//;2m/2o- 
polìs.  Sede  vescovile  della  seconda 
Pamfilia,  nell'esarcato  d'Asia,  sotto 
la    metropoli   di     Pirgi,    eretta  nel 

V  secolo.  Ne  furono  vescovi  Pa. 
trizio  che  intervenne  al  concilio 
Niceno,  e  Teorebo  che  sottoscrisse 
la  lettera  de' vescovi  della  Pamfilia 
all'imperatore  Leone.  Oriens  christ. 

t.    I,    p.     1021. 

MASSIMIANOPOLI.  Sede  ve- 
scovile della  provincia  di  Rodope, 
sotto  la  metropoli  di  Traianopoli, 
nella  diocesi  di    Tracia  ,  eretta  nel 

V  secolo,  e  nel  IX  elevata  ad  ar- 
civescovato onorario .  Ne  furono 
vescovi  Ennepio  che  fu  al  primo 
concilio  di  Eleso;  Sereno    che  sot- 


MAS 
toscrisse  quello  di  Calcedonia,  e  al 
decreto  sinodico  di  Gennadio  di 
Costantinopoli  contro  i  simoniaci; 
ed  Eustnzio  die  sedeva  al  V  con- 
cilio fra  i  metropolitani,  perchè  al- 
cuni al  sesto  secolo  attribuiscono 
la  dignità  metropolitica  ,  Oriens 
christ.  t.  I,  p.    I200. 

MASSIMIANOPOLI.  Sede  ve- 
scovile della  seconda  Tebaide,  nel 
patriarcato  d'  Alessandria,  sotto  la 
metropoli  di  Tolemaide  Hermii,  e- 
retla  nel  IV  secolo,  di  cui  fu  ve- 
scovo Pacliimo  meleziano.  Oriens 
chiìst.   t.   Il,  p.  6 IO. 

MASSIMIANOPOLI.  Sede  vesco- 
vile della  provincia  d'Arabia,  sotto 
]u  metropoli  di  Boslra,  nel  patriar- 
cato d'Antiochia^  situata  al  di  là 
dal  Giordano ,  di  cui  fu  vescovo 
Severo,  pel  quale  Costantino  suo 
metropolitano  sottoscrisse  al  con- 
cilio Calcedonese  .  Oriens  christ. 
t.  H,  p.  867. 

MASSIMIANOPOLI    o   MASSI- 
MINIANOPOLI.  Sede  vescovile  del- 
la seconda  Palestina,    sotto    la   me- 
tropoli di   Scitopoli  j  nel  patriarcato 
di   Gerusalemme  ,     eretta     nel    VI 
.secolo.  Anticamente  si  chiamò  Ha- 
(ìadrimmon  o  Acladremmon^  da  al- 
cuni   situala     diecisetle     miglia     da 
Cesarea  Marittima,  memorabile   per 
la  morte    di    Giosia    re    di  Giuda, 
ucciso    dagli     arcieri     dell'  egiziano 
Nicaon,  Ne  furono  vescovi:  Massimo; 
Paolo    che    fu    al    concilio  Ni  ceno  ; 
Mega  che  sottoscrisse  nel   5 18   alla 
lettera     sinodica    del     patiiarca     di 
Gerusaleninie    Giovanni  ;   e    Donno 
che  assistette  al   concilio  di   Costan- 
tinopoli  del     586  sotto  il   patriarca 
Menna,  ed   a  quello  di   Gerusalem- 
lue  sotto  il  patriarca  Pietro     Oriens 
christ.    t.    Ili,     pag.     7o3  ;     Terzi, 
Siria  sacra     p.    276.    Com  man  vil- 
le dice  che  nel    secolo    Xll  vi    fu 

VOL.     XLIII. 


MAS  24r 

eretto  un  arcivescovato  dai  latini. 
Al  presente  Massimianopoli,  Maxi- 
ini  nianopolilan,  è  un  titolo  vescovile 
in  partibus,  sollo  l'arcivescovato  pu- 
re in  partibus  di  Cesarea,  che  con- 
ferisce la  santa  Sede.  Vacato  per 
morte  di  Alessandro  Cameron ,  il 
Papa  Gregorio  XVI  nel  concistoro 
de'i5  aprile  i833  loconferì  a  Gae- 
tano de  Rowaiski  della  diocesi  di 
Posnania,  facendolo  insieme  suffra- 
ganeo  della  metropoli  di  Gnesna^ 
della  cui  cattedrale  era  canonico. 
MASSIMILIANO  (s),  martire. 
Fu  condannalo  alla  morte  per  a- 
ver  confessato  d'esser  cristiano,  e 
ricusato  di  servire,  essendo  figlio 
d'un  soldato  romano,  secondo  che 
prescrivevano  le  leggi  dell'impero; 
e  ciò  perchè  la  professione  guerre- 
sca, dopo  gli  ordini  emanati  da 
Diocleziano,  era  inseparabile  dalla 
idolatria.  Nell'atto  ch'egli  veniva 
condotto  al  supplizio ,  esortava  i 
cristiani  a  rimaner  fedeli  al  Si- 
gnore. Subì  il  martirio  a  Tebesta 
in  Numidia,  nel  296,  in  età  di 
venlun  anni,  tre  mesi  e  diciotta 
giorni.  È  onorato  a*  1 2  di  marzo. 
MASSIMILIANO  (s.),  martire. 
f^.    BONOSO   (s.). 

MASSIMILIANO     Dormiente  . 
F.  Dormienti  (i  sette  ss.). 

MASSIMILIANO,  ordine  equestre 
militare.  Questo  ordine  del  merito 
militare  di  Baviera  fu  istituito  da 
Massimiliano  Giuseppe  primo  re  di 
Baviera,  il  primo  gennaio  j8o6, 
decretando  che  1'  antica  decorazio- 
ne militare  1'  elevava  ad  ordine  rea- 
le per  rimunerare  i  fatti  gloriosi 
eseguiti  per  la  gloria  del  servigio 
militare;  e  tal  giorno  è  la  fe- 
sta dell'  ordine,  che  la  celebra  so- 
lennemente. Il  capitolo  dell'ordine 
del  merito  militare  di  Baviera  esa- 
mina i  dirilli  degli  aspiranti,  e  li 
16 


a{i  MAS 

presenla  al  re,  il  quale  decide  se 
ne  debbono  essere  fregiati.  L'  or- 
dine ha  diversi  privilegi  e  pensio- 
ni, determinandosi  il  grado  nell'at- 
to della  nomina  :  il  regnante  re 
Luigi  Carlo  Augusto,  a'  2  f  ottobre 
i83o  aumentò  le  pensioni  con  al- 
tre otto  annue  contribuzioni  di  tre- 
cento fiorini.  L'  ordine  si  divide  in 
tre  classi,  cioè  di  gran  croci,  di  com- 
mendatori e  di  cavalierij  il  nume- 
i-o  de*  membri  è  illimitato,  e  la 
gran  croce  non  possono  conseguirla 
che  i  soli  generali.  La  decorazio- 
ne consiste  in  una  croce  d'  oro 
smaltata  di  bianco,  sormontata  da 
una  corona  :  il  centro  è  smaltato 
di  turchino  colle  cifre  31.  J.  K. 
del  suo  fondatore,  c\oè Massimilia- 
no Giuseppe  re,  e  nel  rovescio  v'è 
l' epigrafe  :  Firluù  prò  patria.  Il 
nastro  da  cui  pende  la  croce  è  di 
seta  nera  avente  agli  orli  un  rica- 
mo turchino  e  bianco. 

MASSIMILIANO,  ordine  eque- 
stre civile.  Quest*  ordine  del  meri- 
to civile  di  Baviera  fu  fondato  da 
Massimiliano  Giuseppe  primo  re  di 
Baviera,  per  ricompensare  le  per- 
sone impiegate  nel  civile,  che  aves- 
sero  reso  eminenti  servigi  allo  stato, 
che  si  fossero  distinte  per  patrie 
■virtù,  e  che  avessero  bene  meritato 
del  pubblico.  Fu  diviso  in  quattro 
classi,  cioè  di  dodici  gran  croci_,  di 
Tentiquattro  commendatori^  di  cen- 
to cavalieri,  e  di  un  numero  illi- 
mitato di  decorati  della  medaglia 
d' oro  o  d' argento.  Nella  revisio- 
ne degli  statuti  falla  agli  8  ottobre 
1817,  '^  numero  de*  gran  croci  fu 
fissato  a  ventiquattro,  non  compre- 
si quelli  decorati  dell'ordine  di  s. 
Uberto;  quello  de*  commendatori  a 
quaranta,  e  quello  de'  cavalieri  a 
cento  sessanta.  Quelli  che  sono  an- 
noverati in    una   delle    tre    prime 


MAS 
classi  hanno  diritto  di  prendere  un 
titolo  di  nobiltà,  che  trasmeltono 
a'  loro  figli,  ed  in  perpetuo  alla  fa- 
miglia per  diritto  di  primogenitu- 
ra: tuttavolta  dipoi  tal  diritto  ebbe 
delle  limitazioni.  L'  ordine  ha  un 
fondo  di  pensioni  pei  figli  dei  ca- 
valieri defunti,  ed  un  decreto  del 
re  che  regna,  de'  12  ottobre  i834, 
aumentò  le  pensioni  da  25o  a  3oo 
fiorini.  Nella  croce  di  decorazione 
evvi  il  motto  :  J^irtus  et  honorj  e 
nel  rovescio  si  vede  il  busto  del- 
l' effigie  del  fondatore  colla  leggen- 
da :  Max.  Joseph  rex  Bojoariae. 
^  MASSI  MINO  (s.),  vescovo  d'Aix. 
E  riguardato  come  il  fondatore  di 
questa  chiesa.  Alcuni  moderni  ne 
collocano  la  missione,  ma  senza 
prove,  avanti  la  fine  del  primo  se- 
colo, pretendendo  che  fosse  uno 
dei  discepoli  del  Salvatore.  S.  Si- 
donio  o  Chelidonio  fu  probabil- 
mente suo  successore  ;  e,  secondo 
la  tradizione  del  paese,  è  quel  me- 
desimo nato  cieco  guarito  da  Ge- 
sù Cristo.  Le  reliquie  di  questi  san- 
ti, come  pure  quelle  di  molti  al- 
tri, si  mostrano  a  s.  Massimino, 
piccola  città  a  sei  leghe  d'Aix.  Il 
monastero  che  porla  il  nome  del 
santo,  e  che  lo  diede  alla  città, 
seguiva  in  antico  la  regola  di  san 
Benedetto:  Carlo  II  re  di  Sicilia  e 
conte  di  Provenza,  che  fece  riedi- 
ficare la  chiesti,  lo  diede  ai  padri 
predicatori  nel  1295.  S.  Massimi- 
no è  onorato  il  giorno  8  di  giugno. 
MASSIMINO  (s.),  vescovo  di 
Tre  veri.  Nato  a  Poitiers,  d' illustre 
famiglia,  fu  educato  da  s.  Agricio 
vescovo  di  Treveri,  il  quale  lo 
strinse  al  servigio  della  sua  chiesa, 
e  gli  conferì  gli  ordini  sacri.  Nel- 
l'anno 332  successe  al  suo  precet- 
tore. Quattr'anni  dopo  raccolse  in 
Xi'even  s,  Atanasio,  che  vi  era  sta- 


MAS 

to  rilegalo.  Questo  sanfo  passò  qui- 
vi due  anni,  e  loda  assai  ne' suoi 
scritti  la  vigilanza  instancabile,  Te- 
roica  fermezza,  e  la  vita  esempla- 
re del  suo  albergatore,  il  quale  era 
già  favoreggiato  col  dono  dei  mi- 
racoli. Quaudo  s.  Paolo  vescovo  di 
Costantinopoli  fu  bandito  dairitn- 
peratore  Costanzo,  trovò  egli  pure 
asilo  nella  città  di  Treveri,  e  un 
celante  difensore  in  Massimino,  che 
fu  uno  dei  più  illustri  propugna- 
tori della  fede  di  Nicea,  nel  conci- 
lio tenuto  a  Sardica  Tanno  347- 
I  suoi  consigli  impedirono  che  T im- 
peratore Costante  fosse  sedotto  da- 
gl'  intrighi  degli  ariani,  non  lascian- 
do passare  alcuna  occasione  in  cui 
svelarne  gli  artifizi,  ed  arrestare  i 
progressi  della  loro  setta.  Dicesi 
che  morisse  nel  349  nel  Po'to">  do- 
ve era  andato  a  visitare  la  sua  fami- 
glia. Fu  sepolto  presso  la  città  di 
Poitiers;  ma  il  suo  corpo  venne 
trasferito  in  appresso  a  Treveri,  la 
qual  cerimonia  si  fece  ai  29  mag- 
gio, giorno  in  cui  ora  si  celebra 
la  sua  festa.  Neil' 888  vennero  sco- 
perte le  sue  relìquie,  ch'erano  sta- 
te nascoste  durante  le  scorrerie  dei 
normanni;  e  furono  allora  onorate 
di  molti  miracoli,  de'  quali  i  bol- 
landisti  ne  pubblicarono  la  relazione. 
MASSIMINO  (s.),  abbate,  voi- 
garmente  chiamato  s.  Mesmino.  Era 
nipote  di  s.  Euspicio  prete  di  Ver- 
dun, in  favore  del  quale  il  re  Ciò- 
doveo  fondò  nel  5o8  il  celebre  mo^ 
nastero  di  Micy.  Nel  5io  succedet- 
te allo  zio  nel  governo  di  tal  mo- 
nastero, e  la  riputazione  di  santità 
eh'  egli  godeva  gli  procacciò  gran 
numero  di  discepoli ,  fra'  quali  vo- 
glionsi  annoverare  s.  Avito,  s.  Li- 
fardo,  s.  Urbino,  s.  Calerifo,  s.  Teo- 
demiro,  s.  Laudomaro  ec.  Il  santo 
abbate    passò  da  questa    a   miglior 


MAS  243 

vita  il  i5  dicembre  del  520,  ed  è 
nominato  in  tal  giorno  nel  marti- 
rologio romano  e  in  quelli  di  Fran- 
cia. Si  custodiscono  le  sue  reliquie 
nel  monastero  di  Micy,  che  appar- 
tiene presentemente  ai  Foglianti,  e 
che  porta  da  molto  tempo  il  no- 
me del  santo. 

MASSIMINO    (s.),    martire.  V, 
Giù  VENTINO  e  Massimino  (ss.). 

MASSIMO  (s.),  martire.  Asiatico, 
mercante  di  professione  e  cristiano. 
Confessò  pubblicamente  la  sua  re- 
ligione ,  mentre  l'imperator  Decio 
aveva  ordinato  a  tutti  i  cristiani 
di  adorare  gì'  idoli.  Condotto  da- 
vanti al  proconsolo  Ottimo,  ed  a- 
vendo  coraggiosamente  ricusalo  di 
piegarsi  all'osservanza  degli  editti 
imperiali,  fu  sottoposto  alle  batti- 
ture, quindi  tormentato  sopra  il  ca- 
valletto. Ma  disperando  il  procon- 
solo di  vincere  il  prode  combatti- 
tore, ordinò  che  fosse  lapidato  per 
servire  di  esempio  ai  cristiani.  Mas- 
simo fu  tosto  consegnato  a  una  ban- 
da di  satelliti,  i  quali  lo  condussero 
fuori  della  città,  e  lo  fecero  morire 
a  colpi  di  pietra.  Ciò  avvenne  l'an- 
no i5o  o  25i.  E  onorato  da'greci 
il  dì  i4  maggio,  che  fu  quello  del 
suo  martirio,  ed  è  nominato  nel 
martirologio  romano  a'3o  di  aprile. 
MASSIMO  E  VENERANDO  (ss.), 
martiri.  La  nuova  leggenda  di  quo- 
ti santi  racconta  ch'erano  fratelli, 
e  nati  a  Brescia  in  Italia;  che  Mas- 
simo fu  consacrato  vescovo,  e  Ve- 
nerando innalzato  al  diaconato  dal 
Papa  s.  Damaso  I  del  367,  il  quale 
li  mandò  ambedue  a  predicare  il  van- 
gelo agi'  infedeli;  che  essi  eseguirono 
dapprima  questa  commissione  tra  i 
barbari  che  passate  le  Alpi  erano 
piombati  sulla  Lombardia,  ma  non 
ne  trassero  altro  profitto,  se  non 
che    r  onore   di   sotferire  vari  tor- 


a44  MAS 

menti  per  Gesù  Cristo.  Sollrallisi 
alla  rabbia  de' persecutori ,  abban- 
donarono l'Italia  e  sì  recarono  nelle 
Gallie,  accompagnati  da  due  santi 
preti,  nomati  Marco  ed  Elerio.  Pas- 
sarono per  le  città  di  Auxerre,  di 
Sens  e  di  Parigi  ;  e  dopo  aver  fat- 
to qualche  dimora  nel  luogo  dove 
rOise  mette  nella  Senna,  continua 
rono  il  loro  viaggio  alla  volta  d'E- 
Treux.  Giunti  nel  villaggio  di  Ac- 
quigny,  furono  arrestati  da  una 
truppa  di  barbari  che  li  decapita- 
rono in  un'isola  vicina.  Trentotto 
soldati  da  essi  guadagnati  a  Gesù 
Cristo,  riportarono  eoa  loro  la  coro- 
na del  martirio.  S.  Massimo  e  s.  Ve- 
nerando sono  onorati  con  molta  di- 
vozione ad  Evreux  e  a  s.  Vandril- 
)o,  ove  si  venerano  alcune  loro  re- 
liquie; e  la  loro  festa  si  celebra  ai 
2  5  di  maggio. 

MASSIMO  (s.),  martire.  F.  Ti- 
BURzio,  Valeriano  e  Massimo  (ss.). 

MASSIMO  (s.),  martire.  V,  Mo- 
SÈ  e  Massimo  (ss.). 

MASSIMO  (s.),  martire,  V.  Vit- 
torino (s.). 

MASSIMO  (s.),  vescovo  di  Riez. 
Nacque  a  Decomer  nella  Provenza, 
che  ora  è  detto  Castel- Redo  ne,  vi- 
cino a  Digne.  Educato  alla  virtù, 
menava  vita  ritirata  in  casa  del 
padre,  consacrando  la  maggior  par- 
te del  tempo  all'orazione,  alla  let- 
tura e  a  gravi  studi.  In  seguito 
dispensò  ai  poveri  i  propri  beni,  e 
si  ritirò  nel  monastero  di  Lerino, 
governato  da  s.  Onorato.  Eletto 
questi  arcivescovo  d'Arles  nel  4^6, 
Massimo  fu  incaricato  del  reggi- 
mento del  monastero,  che  per  lui 
acquistò  nuovo  lustro.  In  capo  a 
sett'anni  fu  innalzato  alla  sede  di 
Riez  nella  Provenza,  che  fu  obbli-. 
gaio  accettare,  sebbene  la  sua  u- 
miltà  vi  ripugnasse.  Massimo  conli- 


MAS 
nuò  a  portare  il  cilicio  ed  osser- 
vare le  regole  monastiche,  per  quan- 
to glielo  poteano  permettere  le  sue 
funzioni  episcopali.  Conservò  Io  stes- 
so amore  alla  povertà,  lo  stessa  spi- 
rito di  penitenza  e  di  orazione, 
la  medesima  indifftirenza  pel  mon- 
do, e  la  medesima  umiltà.  Ma  la 
sua  pazienza  e  carità  ebbero  mag- 
giori occasioni  di  esercitarsi  nell'a- 
dempimento de'  doveri  dell'  episco- 
pale ministero.  Si  trovò  al  concilio 
di  Riez  nel  4^9,  al  primo  d'  Oran- 
ge  nel  44'»  ^  a  quello  di  Arles  nel 
454.  Mori  nel  4^2,  ai  27  novem- 
bre, giorno  sacro  alla  sua  metno- 
ria.  Il  suo  corpo  è  custodito  nella 
cattedrale  di  Riez,  dedicata  alla  Bea- 
ta Vergine  e  a  s.   Massimo. 

MASSIMO  (s.),  vescovo  di  To- 
rino. Poche  notizie  abbiamo  di  lui. 
Gennadio  ci  fa  sapere  che  fu  uno 
de'  principali  lumi  della  Chiesa  nel 
quinto  secolo,  e  che  predicò  la  fede 
con  zelo  indefesso;  al  qual  sublime 
ministero  erasi  apparecchiato  con 
uno  studio  profondo  delle  divine 
scritture.  Assistette  al  concilio  di 
Milano  nel  4^i>  ed  a  quello  di 
Roma  nel  4^^>,cui  non  soprav- 
visse di  molto.  È  menzionato  nel 
martirologio  romano  a'  25  di  giu- 
gno. Ci  rimane  di  questo  santo  ve- 
scovo un  gran  numero  di  omelie 
sopra  le  principali  feste  dell'anno, 
sopra  molti  santi,  e  sopra  diversi 
soggetti  di   morale, 

MASSIMO  (s.),  solitario.  Disce- 
polo di  s.  Martino  di  Tours,  nel 
cui  monastero  fu  allevato ,  crebbe 
più  che  mai  il  suo  fervore  essendo 
innalzato  al  sacerdozio.  Lasciò  il 
suo  paese  pel  desiderio  di  vivere 
sconosciuto,  e  si  ritirò  nel  mona- 
stero dell*  Isola  Barba,  presso  Lio- 
ne, di'  CUI  fu  poscia  eletto  abbate.- 
Ma   poiché  era  troppo  distratto  dal- 


M  A  S 
le  funzioni  del  suo  grarlo,  e  poiché 
le  frequenti  scorrerie  dei  barbari 
gli  erano  d'  ostacolo  a  far  sussistere 
la  sua  conaunità,  rinunziò  alla  ca- 
rica, e  partì. alla  volta  della  Tu- 
rena.  Ritornato  in  patria ,  riprese 
la  sua  primitiva  maniera  di  vivere; 
ma  in  progresso  di  tempo  fu  costret- 
to prendere  il  governo  di  un  mo- 
nastero da  lui  fondato  nella  pic- 
cola città  di  Chinon,  dove  morì 
nel  quinto  secolo,  in  età  assai  a- 
vanzata.  La  sua  santità  fu  conte- 
stata da  miracoli  operati  prima  e 
dopo  la  sua  morte.  Si  custodisce 
parte  delle  sue  reliquie  a  Bar-le-Duc 
nella  Lorena,  dov'è  conosciuto  sot- 
to il  nome  di  s.  Mnxe.  La  sua  fe- 
sta è  indicata  nel  martirologio  ro- 
mano  a'  20   d'  agosto. 

MASSIMO  (s.),  soprannomato , 
dai  greci  Omologeta  o  il  Confesso- 
re. Nacque  a  Costantinopoli  l'anno 
58o,  di  una  delle  più  illustri  fami- 
glie di  questa  città ,  ed  occupò  la 
carica  di  primo  segretario  di  stato 
presso  l'imperatore  Eraclio.  Distin- 
to per  talenti  e  virtù,  egli  abbor- 
riva  la  vanità  ed  amava  la  solitu- 
dine. Introdottosi  nella  corte  il  mo- 
nolelismo,  temendo  che  la  sua  co- 
scienza potesse  esser  posta  a  peri- 
gliosi cimenti,  si  pose  in  animo  di 
rinunziare  al  suo  impiego  e  di  ri- 
tirarsi in  qualche  monastero  ;  ed 
ottenutane  a  fatica  la  permissione, 
si  fece  religioso  a  Grisopoli.  Di  là 
passò  in  Aliica,  mentre  Pirro  pa- 
triarca di  Costantinopoli,  quivi  ri- 
fuggito, si  sforzava  di  spargere  e  di 
acciedilare  il  monotelismo.  Il  patri- 
zio Gregorio  governatore  d'  Africa 
volle  che  Massimo  avesse  una  pub- 
blica conferenza  con  Pirro,  la  quale 
si  tenne  in  Cartagine  nel  luglio  del 
645,  alla  presenza  di  molti  vesco- 
vi, del  governatore  e  di  altre  per- 


MAS  245 

sone  d' alto'  aliare.  Pirro  convinto 
abiurò  il  suo  errore,  e  portò  egli 
stesso  a  Roma  la  sua  ritrattazione, 
ma  essendo  poscia  ricaduto  nell'  e- 
resia  fu  scomunicato.  S.  Massimo 
assistette  al  concilio  lateranense  che 
si  tenne  nell'ottobre  del  649,  sotto 
il  Papa  s.  Martino  I ,  nel  quale  il 
monotelismo  fu  condannato  con  tut- 
ti i  suoi  fautori,  come  pure  il  Tipo 
(Fe<i?/^  dell' imperatore  Costante  IL 
Morto  il  Papa,  nel  655,  s.  Massimo 
fu  arrestato  per  ordine  dell'  impera- 
tore, col  monaco  Anastasio  suo  di- 
scepolo, ed  un  altro  Anastasio  che 
era  apocrisario  della  chiesa  romana. 
Condotti  a  Costantinopoli,  furono 
posti  in  separate  prigioni,  ed  alcuni 
giorni  appresso  vennero  tratti  al 
palazzo,  dove  era  radunato  il  sena- 
to per  giudicarli.  Dopo  due  inter- 
rogatorii  s.  Massimo  fu  rilegato  in 
Bizia,  Anastasio  apocrisario  in  Se- 
limbria,  e  l'altro  Anastasio  a  Per- 
bera,  paesi  situati  nell'estremità  del- 
l'impero. Furono  colà  mandati  sen- 
za provvisioni  per  vivere,  e  senza 
altre  vesti  che  alcuni  cenci,  i  quali 
coprivano  appena  la  loro  nudità. 
Nel  65^  fu  s.  Massimo  trasferito 
al  monastero  di  s.  Teodoro  di  Rega 
presso  Costantinopoli.  Lungo  il  viag- 
gio fu  trattato  colla  più  inaudita 
barbarie,  e  giunto  a  Rega  a'i3  di 
settembre,  i  patrizi  Epifanio  e  Troi- 
lo,  come  altresì  il  vescovo  Teodosio, 
andarono  a  trovarlo  seguiti  da  nu- 
meroso corteggio,  per  indurlo  a  co- 
municare con  essi  ed  approvare  il 
Tipo.  Sostenendo  costantemente  la 
dottrina  della  Chiesa  cattolica,  ebbe 
il  santo  a  soffrire  i  più  indegni  trat- 
tamenti. Finalmente  s.  Massimo  e 
i  due  Anastasi  furono  ricondotti  a 
Costantinopoli,  ove  radunato  contro 
di  essi  un  conciliabolo,  vennero  a- 
natemalizzati  e  consegnali  al  prefet- 


246  MAS 

to  del  pretorio  ,  il  quale  a  tenore 
della  sentenza,  dopo  averli  fatti  fla- 
gellare, fece  loro  tagliare  la  lingua 
e  la  mano  destra ,  quindi  inviolli 
in  esilio  nel  paese  de'  lazzi,  nella 
Sarmazia  europea,  verso  la  palude 
Meotide.  Ivi  giunti  agli  8  di  giugno 
del  662,  furono  separati  l*  uno  dal- 
l' altro.  Il  monaco  Anastasio  fu  con- 
dotto a  Suma,  ove  morì  pei  tor- 
menti sofFerli,  a*i4  luglio  dello  stes- 
so anno;  l'altro  Anastasio  gli  soprav- 
visse non  molto,  e  s.  Massimo  fu 
relegato  nel  castello  di  Schemari. 
Egli  predisse  il  giorno  della  sua 
morte,  da  cui  fu  rapito  circa  la  fine 
dell'  anno  medesimo  662,  o  al  prin- 
cipio del  susseguente,  essendo  in  età 
di  ottantadue  anni.  I  greci  celebra- 
no due  feste  in  suo  onore  :  l' una 
a' 21  di  gennaio,  l'altra  a'i3  d'a- 
gosto. Baronio  e  Baillet  assegnano 
quest'ultimo  giorno  per  quello  della 
sua  morte;  ma  Falconìo  opina  che 
sia  morto  a'  2 1  di  gennaio ,  ed  ha 
per  fondamento  ciò  che  dice  il  Si- 
nassario  de'  greci,  cioè  che  a'  1 3  di 
agosto  si  fece  a  Costantinopoli  la 
traslazione  delle  sue  reliquie,  le  qua- 
li erano  state  portate  in  questa  cit- 
tà dal  monastero  di  s.  Arsenio,  si- 
tuato poco  lungi  dal  paese  dei  laz- 
»i,  dove  il  santo  era  stato  dappri- 
ma seppeUito.  Il  martirologio  roma- 
no lo  nomina  a*  1 3  agosto  co'  due 
Anastasi.  Abbiamo  parecchie  opere 
di  s.  Massimo,  cui  il  dotto  Com- 
befis  domenicano  fece  stampare  a 
Parigi  nel  1675.  Esse  consistono  in 
commentari  mistici  o  allegorici  so- 
pra diversi  libri  della  Scrittura;  in 
cx>mmentari  sopra  le  opere  attribui- 
te a  s.  Dionisio  l'Areopagita;  in 
trattati  polemici  contro  i  monoteli- 
li;  in  un  eccellente  ragionamento 
ascetico;  in  massime  spirituali  prin- 
t:ipalmente  sopra  la  caritàj  e  io  al- 


MAS 

cune  lettere.  Vi  sono  parecchie  ope* 
re  di  $.  Massimo  tuttavia  inedite. 

MASSINI  Carlo  Ignazio.  Filip- 
pino della  congregazione  di  Roma, 
nacque  da  comoda  famiglia  di  Ce- 
sena a' 16  tJaggio  1702.  Fornito  di 
ingegno  pronto  e  penetrante,  di 
felice  e  tenacissima  memoria,  e  di 
tutte  le  necessarie  disposizioni  agli 
studi,  questi  egregiamente  apprese, 
massime  legali.  Recatosi  in  Roma, 
ne  partì  poi  qual  uditore  del  car- 
dinal Spinola  legalo  di  Bologna, 
e  con  rara  integrità  ne  funse  l'uf- 
fìzio. Benché  unico  maschio  di  sua 
casa,  si  consagrò  allo  stato  eccle- 
siastico, e  nel  1734  entrò  in  Ro- 
ma  nella  congregazione  dell'  oralo- 
riOj  ove  si  segnalò  nelle  più  belle 
virtù,  e  ne  divenne  uno  de'più  belli 
ornamenti.  Versatissimo  nella  storia 
ecclesiastica  e  nelle  scienze  sacre, 
dotato  di  vasta  erudizione,  ci  lasciò 
eccellenti  opere,  e  morì  santamente 
nel  1791  d'anni  ottantotto,  aven- 
do molto  operato  anco  per  l'altrui 
santificazione.  Nei  suoi  libri  viene 
epilogata  la  più  soda  e  cristiana 
morale  ;  per  tutto  vi  riluce  la  pietà 
de'  sentimenti  di  cui  era  vivamen- 
te penetrato,  e  l*  inestimabile  suo 
zelo.  Le  opere  da  lui  pubblicate 
sono:  I."  Fila  del  veti.  p.  Maria- 
no Sozzini  dell*  oratorio  di  Roma^ 
Roma  1747-  Questa  vita  era  già 
stata  abbozzata  dal  cardinal  Lean- 
dro Colloredo,  ed  il  Massi  ni  tornò  a 
pubblicarla  con  aggiunte,  e  la  F^ita 
di  Flaminia  Papi,  dello  stesso  p. 
Sozzini.  2."  Fila  di  Gesù  Cristo, 
Roma  1759:  è  una  traduzione  dal 
francese  di  quella  di  Tourneaux , 
con  osservazioni  morali.  3.°  Fita 
di  Gesù  Cristo,  con  appendice  di 
meditazioni  sulla  passione,  ed  istru- 
zione per  assistere  alla  messa,  Ro- 
ma   j 761.  Fu    impressa    1'  appen» 


MAS 
dice  a  parte  con  Bre^'c  esercizio  per 
le  domeniche  e  feste  del  Signore  e 
di  Maria  P' ergine.  4-"  Raccolta 
delle  vite  de^santi  per  ciascun  gior- 
no dell'  annOj  premessa  la  vita  del 
Signore  eie  feste  mobili^  Roma  i  763. 
5."  Raccolta  ec.  die  contiene  i'  ap- 
pendice delle  vite  de'  santi,  e  la 
vita  della  ss.  Vergine,  Roma  1767. 
La  vita  della  Madonna  è  del  pa- 
dre Andrea  Micheli  fìiijipino  che 
aiutò  il  p.  Massini  nelle  due  rac- 
colte, le  quali  meritarono  di  essere 
più  volte  ristampate  in  Roma,  in 
Venezia  ed  altrove.  Avendo  egli 
così  compiuta  la  storia  agiografa 
del  nuovo  Testamento  con  univer- 
sale applauso,  nel  1786  con  eguai 
successo  corrispose  il  p.  Micheli, 
dappoiché  puhblicò  in  Roma  :  Vite 
de'  santi  dclV  antico  Testamento^ 
di  cui  ben  presto  se  ne  replicaro- 
no le  edizioni. 

MASSONI.   V.  Muratori. 

MASTAURA.  Sede  vescovile  del- 
la  provincia  d'  A§.ia  nell'  esarcato 
del  suo  nome,  sotto  la  metropoli 
di  Efeso,  eretta  nel  V  secolo.  Tra 
j  suoi  vescovi  nomineremo  Teodo- 
sio che  assistette  e  sottoscrisse  al 
primo  concilio  generale  d'Efeso^ 
e  al  posterioie  conciliabolo  j  Sa- 
bazio  che  fu  a  quello  di  Calcedonia; 
Teodoro  intervenuto  al  IV  genera- 
le; e  Costantino  che  fu  al  secondo 
di   Nicea.  Oriens  christ.   t.  I,  p.  7o4- 

MASTRICHT  o  MAESTRICHT, 
Trajecliini  ad  Mosani ,  o  Traje- 
cluni  supcrius,  per  distinguerla  da 
Utrecht,  chiamata  Trajeclutn  infe- 
rius.  Città  vescovile  già  della  pro- 
vincia di  Limburgo  nel  regno  del 
Belgio,  e  secondo  T  ultime  recenti 
convenzioni  ora  appartiene  a  quel- 
la parie  del  Lussemburgo  ceduta 
all'Olanda.  E  situala  sulla  riva  si- 
nistra della   Mosa,  sei  leghe  distan- 


MAS  247 

te  da  Liegi.  Fu  una  delle  più  forti 
piazze  d' Europa,    era  già   la  chia- 
ve principale  delle  Provincie  Unite, 
ed    è    capoluogo    di  Limburgo^  di 
circondario  e  di  due  cantoni.  Cin- 
ta da  colline,  è  attraversata  dal  laar, 
piccolo  affluente  della  Mosa,  da  cui 
è  divisa    dal    sobborgo  Wjck,    al 
quale  comunica   col  mezzo    di    un 
bellissimo  ponte    di  pietra.  E  una 
delle  più  forti  piazze  del  regno^  es- 
sendo difesa  da  buonissimi  baluardi 
e  da  fosse,  da  numerosi  bastioni  e 
dal  forte  s.  Pietro  posto  sopra  una 
altura,  potendo    essere    i    dintorni 
inondati.  Ben  fabbricata,  nella  gran 
piazza  vi  è  il  palazzo  pubblico,  co- 
strutto nel   i652,    bellissimo  edifi- 
zio.  Sono  rimarcabili   la    chiesa  di 
s.   Gervasio,  il    collegio  già  de' ge- 
suiti, r  arsenale,   il    teatro,    il  pas- 
seggio sui  bastioni  e  lungo  la  Mo- 
sa, diversi  benefici  e    letterari  sta- 
bilimenti. Il  commercio  è  assai  at- 
tivo pel  porto  che    ha  sulla  Mosa. 
Il  luogo  esisteva  come  città  nel  IV 
secolo,  e  fu  compresa  nel  regno  di 
Austrasìa,    riconoscendo    per  molto 
tempo  l'imperatore   per  sovrano.  I 
diversi  assedi   che    sostenne    in   più 
epoche  la  resero  celebre.   Cadde  in 
potere  de'  duchi  di  Brabante  e  dei 
vescovi  di  Liegi  al  principio  del  se- 
colo XIII.   Un   vescovo  di  Liegi  la 
vendè  a  Carlo  V,  indi  nel  i57g  il 
duca  di  Parma  la  prese  e  saccheggiò 
per    gli  spagnuoli,  ai  quali  la  tolse 
Federico  principe  d'Orange  nell'anno 
i632,  cedendola    agli    slati  genera- 
li nel  1648.  Luigi  XIV  la  conqui- 
stò in  tredici   giorni  di  assedio  nel 
1673,  mentre  si   tenea    inespugna- 
bile.  Attaccata  da  Guglielmo  prin- 
cipe   di  Orange  nel   1676,    fu  ob- 
bligato dopo  cinquantun    giorni  di 
levarne  l'assedio,  essendo    stata    re- 
stituita   agli  olandesi    per    la   pace 


248  MAS 

di  Niiiiega  nel  1678.  Ripresa  dai 
francesi  nel  1748,  fu  nell'anno  sles- 
so ceduta  pel  trattato  d'  Aquisgra- 
na.  Giuseppe  li  ne  rivendicò  il  pos- 
sesso nel  1784,  ma  l'anno  seguen- 
te rinunciò  ad  ogni  diritto  per  nove 
milioni  e  mezzo.  I  francesi  la  bom- 
bardarono nel  1793,  ed  obbligati 
a  levarne  V  assedio  1'  attaccarono  di 
nuovo  nel  1794,  prendendola  dopo 
undici  giorni.  Riunita  alla  Francia 
nel  1795,  divenne  il  capoluogo  del 
dipartimento  della  Musa  inferiore  , 
finché  passò  a  far  parte  del  regno 
de'  Paesi  Bassi. 

La  sede  vescovile  fu  eietta  nel 
498,  sotto  la  metropoli  di  Colo- 
nia, per  avervi  trasferito  quella  di 
Tongres  s.  Servato.  Tra  i  suoi  ve- 
scovi nomineremo  s.  Amando  che 
nel  632  si  condusse  a  Roma,  e  nel- 
la basilica  vaticana  gli  apparve  s. 
Pietro,  ordinandogli  tornare  in  Fian- 
dra a  predicare  il  vangelo.  Nel  65o 
gli  successe  s.  R emacio,  eh'  ebbe  a 
compagno  nelle  funzioni  del  vesco- 
vato s.  Landoaldo.  Dopo  di  lui  fio- 
n  s.  Teodardo,  eh'  ebbe  per  suc- 
cessore s.  Lamberto ,  che  pafi  il 
martirio  nel  708  o  709,  pel  cui 
assassinio  s.  Uberto  trasportò  la  se- 
de a  Liegi.  II  re  di  Spagna,  che 
ne  avea  il  dominio  principale  co- 
me duca  di  Brabante,  cedette  Maa- 
stricht alle  Provincie  Unite  colla  pa- 
ce di  Munster  nel  1648.  Il  vescovo 
di  Liegi  non  aveva  che  il  domìnio 
utile  con  una  porzione  della  giu- 
stizia; e  la  religione  cattolica  e  la 
protestante  furono  permesse  nel  pub- 
blico esercizio.  I  cattolici  vi  hanno 
cinque  parrocchie,  s.  Gervasio,  s. 
Matteo,  Maria  Vergine^  s.  Pietro, 
ed  Oud  Vivenhoven.  Vi  sono  due 
ospedali,  due  ospizi,  e  due  case  del- 
le sorelle  della  carità  di  s.  Vincen- 
zo de  Paoli. 


MAS 
MASTROZZI  Valentino,  Cnnli^ 
naif.  Valentino  Mastrozzi  nacque  di 
nobile  famiglia    in  Terni  a'  25    lu- 
glio 1729.   Dopo  aver  fatto  gli  studi 
ecclesiastici,    fu    ammesso    in    prela- 
tura   e    nel  principio  di  sua  carrie- 
ra    venne    occupato    da     Clemente 
XI II   nell'amministrazione  economi- 
ca di   molti  luoghi   pii,  ed  indi    da 
Clemente  XIV  fu  promosso  alla  se- 
greteria   del    buon    governo,  carica 
che  esercitò  con  soddisfazione  gran- 
de della  curia,  e  con   indicibile  van- 
taggio   delle    comunità  dello    stato, 
alle  quali   co'  suoi    provvidi   regola- 
menti  recò   il  profitto    di    sgravarle 
dai   debiti     nella  somma    con«<idci'a- 
bile    di    quattrocento     e    più     mila 
scudi.    Fatto  chierico  di    camera,  e 
destinato  da  Pio  VI   alla   prefettura 
dell'  annona,  si  occupò  nell'  eserci- 
zio   della    medesima    con    tale    fer- 
mezza    di    animo,     avvedutezza     di 
amministrazione,  ed   utilità  di  prov- 
vedimenti, che    si   meritò  il   plauso 
universale     ed    attenne     il    premio 
della    porpora.   Pio    VII  nel    conci- 
storo de' 23   febbraio    1801    lo  creò 
cardinale  prete,  e  per  titolo  gli  con- 
ferì  la  chiesa  di  s.   Lorenzo   in  Pa- 
ne e  Perna,  annoverandolo  alle  con- 
gregazioni    de'   vescovi    e     regolari, 
dell'  immunità,    delle    acque     e    del 
buon  governo.   Fu     protettore   della 
collegiata  di  s.    Cristina    di   Gubbio 
e  di  quella  di   s.  Giovanni    di    Fab- 
brica ;    della     confraternita    del     ss. 
Sagramento  nel  castello  di    s.   Era- 
clio   di  Fermo,  della    Madonna  del 
Carmine  di  Terni,  e  della   comiuiità 
di  Fabbrica  in   Piemonte.  In  segui- 
to di   una  penosa    malattia   cronica, 
in   Roma   passò  all'altra    vita  a'  i3 
di    maggio    1809,   d'anni  ottanta.    Il 
cadavere   fu   esposto   nella    chiesa   di 
s.  Marcello,  e  ne'funerali  gli  cantò  la 
messa    il  cardinal   Alessandro    Mal' 


MAX 

lei,  venendo  tumulalo  in  quella  sua 
lilolare  di  s.  Lorenzo,  a  norma  del- 
la sua  teslamenfaria  disposizione. 
Questo  integerrimo  cardinale  d'au- 
rei costumi,  a  testimonianza  del  suo 
zelo  per  la  cattolica  religione  la- 
sciò erede  del  suo  patrimonio  il 
collegio  Urbano  di  propaganda  fi- 
at s  volle  sollevare  con  un  censo 
annuo  i  bisogni  delle  monache  di 
s.  Giacomo  alla  Longara,  delle  qua- 
li per  molti  anni  era  stato  supe- 
riore, ed  arricchì  diverse  chiese  col- 
le sue  sacre  suppellettili. 

MATELICA  {Mathelicen).  Città 
con  residenza  vescovile  dello  stato 
pontificio,  nella  delegazione  aposto- 
lica di  iAlacerata,  situata  nel  mezzo 
di  una  valle  vasta,  fertile  e  bella, 
tra  le  città  di  Camerino  e  di  Fa- 
briano, distante  dieci  miglia  dalla 
prima  e  sette  dalla  seconda.  E  ba- 
gnala dal  fiumicello,  detto  impro- 
priamente, secondo  Acquacolta,  s. 
Angelo,  il  quale  concorre  col  Senti - 
no  a  formar  l' Esi,  ed  un  tempo 
si  chiamò  Flumeit  Matelicaniun. 
La  sua  superfìcie  è  piana,  buone 
le  principali  strade,  e  mediocri  gli 
edifizi.  Vaga  è  la  piazza,  che  viene 
ornata  da  una  grandiosa  fontana. 
Tra  le  molte  chiese  e  caie  religio- 
se sono  osservabili  l'  antico  duomo, 
ov'  è  in  venerazione  il  patrono  s. 
Adriano ,  per  la  cui  festa  si  tiene 
importante  fiera,  e  la  chiesa  di  s. 
Agostino.  Fuori  delle  mura  è  il 
monastero  de'  silvestrini.  La  sua 
valle,  che  gli  Apennini  attorniano, 
è  fiorentissirna,  e  prelibali  vini  si 
raccolgono  nel  suo  territorio.  Fino 
da  remota  epoca  sono  attivati  in 
Matelica  importanti  opifìci  di  lana, 
ed  i  suoi  panni  hanno  con  credito 
circolalo  da  per  tutto,  e  sebbene 
ora  le  sue  fabbriche  non  abbiano 
più  il   j)as»ul.o   smercio,   pure   hanno 


MAT  249 

conseguito  notabili  miglioramenti 
sulla  qualità  del  lavoro.  La  storia 
di  Matelica  è  in  gran  parte  colle- 
gala a  quella  di  Camerino  :  non  ce- 
de però  essa  alle  altre  città  mar-» 
chiane  in  antichità,  ed  al  pari  del- 
le confinanti  fu  in  diversi  tempi  a 
diverse  proviiicie  ascritta.  Ne' tempi 
più  remoti  i  nuitilicati  si  annovera- 
rono tra  i  popoli  dell'Umbria  nel- 
la VI  regione  d'Italia;  poi  fu  com- 
presa, secondo  alcuni,  nell'antico  Pi- 
ceno, indi  nel  ducato  di  Spoleto.  La 
Signoreggiarono  gli  Ottoni,  indi  fu 
compresa  nella  legazione  della  Mar- 
ca o  Marca  d' Ancona  (noteremo 
che  circa  il  ySo  incominciò  il  do- 
n)iuio  temporale  della  santa  Sede 
sull'Umbria  e  sulla  Marca  d'An- 
cona, come  dimostrammo  in  più 
luoghi),  poi  nel  ducato  di  Cameri- 
no, ed  ebbe  in  fine  i  suoi  gover- 
natori paiticolari,  che  vi  rendono 
tulio» a  giustizia,  essendovisi  anche 
neir  epoca  del  regno  Italico  desti- 
nata la  giudicatura  di  pace  d'  un 
cantone.  Attualmente  ha  dipenden- 
te la  sola  comune  di  s.  A  natoli  a  ^ 
della  quale  riportammo  le  notizie 
all'articolo  Macerata,  col  casale  Pa- 
lazzi, oltre  il  suburbano  villaggio 
di  Castel  di  Rocca,  unito  al  qiia- 
le  conta  circa   ySoo  abitanti. 

In  Matelica  sono  fioriti  non  po- 
chi uomini  illustri,  oltre  i  celebri 
e  potenti  Ottoni,  e  faremo  menzio- 
ne dei  seguenti.  S.  Sollecito  è  tra- 
dizione che  avesse  i  natali  in  Ma- 
telica, ov'ebbe  chiesa,  demolita  nel 
declinar  del  secolo  XVII I.  La  bea- 
la Mattia  del  secolo  XIII,  il  cui 
cullo  immemorabile  riconobbe  Cle- 
mente XIII  nel  1765;  e  l'arcipre- 
te Acquacolta  storico  patrio,  di 
(juanto  concerne  la  storia,  ci  diede 
due  operette.  Il  beato  Gentile  dei 
minori   irancescaui,   martirizzalo  nel 


25o  MAX 

l35i  o  i352,  su  di  che  vi  è  una 
cilssertuzione  del  dotto  can.  Giusep- 
pe Antonio  Vogel.  Filippo  Campa- 
lìelli  fu  creato  cardinale  da  Pio  VI 
nel  1789;  nato  da  Giuseppe  e  Lau- 
ra Finaguerra  di  famiglie  patrizie, 
ièce  i  suoi  studi  uel  collegio  Mar- 
ziale di  Fermo,  avvocato  concisto- 
riale, promotore  della  fede,  canoni- 
co vaticano,  consultore  del  s.  ofH- 
zio,  ed  esaminatore  de'  vescovi  :  il 
resto  lo  dicemmo  alla  sua  biografìa, 
e  nella  cattedrale  ne  pronunziò  l'e- 
logio funebre  l'avv.  Vincenzo  Mar- 
cellini;  nel  palazzo  pubblico  e  sul- 
la facciata  del  governativo  vi  sono 
due  iscrizioni  che  ne  fanno  onora- 
la memoria,  avendo  ancora  contri» 
builo  che  alla  patria  fosse  restitui- 
to il  suo  vescovo.  Tra  i  vescovi 
fiorirono,  Accursio  vescovo  di  Pe- 
saro del  1285;  fr.  Tommaso  ago- 
stiniano vescovo  di  Osimo,  che  in 
un  ritratto  esistente  in  comune  vieu 
chiamato  cardinale,  ma  dell'  anti- 
papa Nicolò  V  (eletto  da  Lodovi- 
co il  Bavaro)  del  1828;  fr.  Corra- 
do de'  minori  vescovo  di  Bagnorea 
del  i44^J  Astone  Paganelli  vesco- 
vo di  Gravina  del  iSy^;  e  Gio- 
vanni Severini  vescovo  di  Cameri- 
no del  1606.  Tra  i  prelati,  Cali- 
sto Araadei  uditore  della  camera, 
l)en  accetto  a  Leone  X  e  Clemen- 
te VII,  commendatario  dell'abbazia 
di  Roti,  vicelegato  di  Perugia,  e 
primo  arciprete  della  patria  chiesa 
collegiata;  ebbe  a  fratello  Giam- 
battista fisico  rinomato  ;  Vincenzo 
Ottoni  benemerito  governatore  di 
Loreto;  monsignor  Venanzio  Pier- 
santi  maestro  delle  cerimonie  di 
Benedetto  XIV,  autore  di  varie  o- 
pere  liturgiche.  Vive  monsignor 
Giuseppe  Santucci  Fibbietti,  cano- 
nico della  basilica  Lateranense,  prer 
sidente  dell'annona  e   grascia.  Ne- 


MAT 

gli  ordini  religiosi  fiorirono  i  gene- 
rali de'monaci  silvestrini,  Atanasio 
Arcangeli^  Ferdinando  Gattovecchi, 
Giacomo  Piermattei,  ed  Atanasio 
Staccioli,il  quale  riuscì  rinomatissi- 
mo predicatore,  e  di  cui  abbiamo  al- 
cune opere.  Inoltre  fiorirono  sei 
ministri  provinciali  della  Marca,  mi- 
nori osservanti  ;  e  cinque  provin- 
ciali agostiniani,  quattro  della  Mar- 
ca, e  il  dotto  Politi  di  Romagna  : 
vive  il  p.  m.  Filippo  Angelucci  at- 
tuai generale  del  medesimo  ordine 
eremitano  di  s.  Agostino.  Egidio 
Sernicoli  abbate  di  Montecassino,  e 
presidente  generale  de'  cassinosi.  I 
gesuiti  Alessandro  Pellegrini,  con- 
fessore del  fratello  del  re  di  Polo- 
nia; Gio.  Battista  Grassetti  e  Fran- 
cesco Rainaldi  ;  tutti  sono  autori  di 
opere.  Fra  i  distinti  cittadini,  be- 
nemeriti della  patria,  primeggiaro- 
no :  Giacobuzio  ambasciatore  a 
Gregorio  X  ;  Francesco  Nuzi  cele- 
bre dottore  in  legge  ;  Rinaldo  Ma- 
nozzini  valente  giureconsulto  ;  Car- 
lo Paganelli,  Camillo  Acquacotta, 
Domizio  Domizi,  Cesare  Bianchini, 
Angelo  di  ser  Francesco  di  Ange» 
lo  valente  medico,  e  l'arciprete  della 
cattedrale  Camillo  Acquacotta  com- 
pilatore delle  Memorie  di  Matelicct 
raccolte  ed  ordinate ^  Cincona  i838: 
opera  ricavata  principalmente  dal 
patrio  archivio,  egregiamente  ordi- 
nato e  disposto  dal  can.  Giuseppe 
Antonio  Vogel  d'Alsazia.  Prima  di 
lui  d.  Francesco  Grifoni  pur  di 
Ma  (elica,  pubblicò  in  Foligno  nel 
1695:  Compendio  e  ristretto  della 
nobilissima  terra  di  Matelica,  Re- 
stano inedite  e  presso  la  famiglia 
Stefanini,  le  Memorie  di  Matetica 
che  ad  onore  della  patria  raccolse 
nel  Grifoni,  nel  Lili,  Compagnoni, 
Turchi,  Marangoni,  ed  altri  storici 
provinciali.    Questo    lavoro    fu    pò- 


MAX 

scia  compendialo  e  miglioralo  dal 
nobile  raalelicano  can.  Giambatti- 
sta Razzanti.  Giuseppe  Colucci  nel 
t.  VI  delle  Antichità  Picene^  nel 
1789  pubblicò  in  Fermo:  Delle 
antichità  di  Mal  elica. 

\J  origine  di  Matelica  è  antica  e 
decorosa,  poiché  fece  parte  dell'Um- 
bria, non  del  Piceno  come  avverte 
Acquacotta,  rigettando  la  favola 
della  pretesa  fondazione  di  Cocco 
figlio  di  Roso  re  di  Rosella,  cento 
anni  circa  dopo  la  fondazione  di 
Roma.  Il  Colucci  dice  che  i  popoli 
matilicati  sono  noti  nell'  antichità, 
avendone  fatta  menzione  Plinio  il 
vecchio  e  Balbo  Mensore,  laonde 
Matilìca  vuole  che  sia  il  suo  veto 
nome,  riconoscendone  la  situazione 
nel  luogo  dell'  odierna  Matelica  : 
egli  ne  ripete  l'origine  dai  primi 
popolatori  del  Piceno,  i  siculi  ;  la 
chiama  contermine  del  Piceno  o 
dell'Umbria,  e  ne  adduce  le  ragio- 
ni. Parla  della  sua  università  e  re- 
pubblica, che  avea  i  tre  solili  or- 
dini decurionale^  augustale  e  ple- 
beo, con  diritto  di  dare  il  voto 
nella  romana  tribù  Cornelia;  ra- 
giona de'  confini  del  suo  territorio, 
della  lapida  matilicana  attribuita  ai 
privernati  falsamente  da  Ligorio,  e 
discorre  pure  di  altre  lapidi  che  la 
riguardano.  Varie  opinioni  riparla 
Acquacotta  sull'  etimologia  del  no- 
me di  Matelica,  e  conchiude,  es- 
sere certo  che  i  matelicati  furono 
popoli  umbri,  e  che  umbro  in  con- 
seguenza n'è  il  nome;  ma  siccome 
la  lingua  degli  umbri  perì,  non  si 
può  con  sicurezza  spiegare  il  nome 
di  Matelica.  Divenuti  gli  umbri 
cittadini  romani,  dopo  la  perdita 
della  loro  libertà,  le  città  umbre 
si"  chiamarono  municipi,  per  cui 
Matelica  probabilmente  lo  divenne 
neir  anno    664   circa    di   Roma,    e 


MAT  l'^i 

89  prima  dell'era  nostra,  e  forse 
ancora  non  potendo  isfuggire  dalia 
rajìacità  de'romani,  perde  il  proprio 
reggimento,  l'agro  fu  diviso  in  cen- 
turie, e  distribuito  ai  soldati  vete- 
rani ;  quindi  romani  facoltosi  com- 
prarono da  loro  vari  terreni,  e  vi 
formarono  possessioni  e  ville  deli- 
ziose, alcuni  fondi  conservandone 
ancora  i  vocaboli.  Dalle  rinvenute 
iscrizioni  del  II  e  III  secolo,  viene 
dimostrato  che  i  romani  almeno  in 
parte  occuparono  l'agro  matelicano. 
Tra  le  iscrizioni  celebre  è  quella 
di  Caio  Arrio  Clemente,  eh'  esiste 
nel  palazzo  priorale,  dalla  quale  si 
apprendono  tutti  gli  onori  e  le 
magistrature  che  fregiarono  nei 
tempi  vetusti  i  matelicani  j  egli  fu 
della  tribù  Cornelia,  e  si  dubita  se 
fosse  di  Matelica,  bensì  ne  fu  prò* 
lettore  e  curatore  ,  e  magistrato 
supremo  de'matelicani,  cioè  duumvi- 
ro ed  anche  censore  o  quinquennale; 
gli  fu  eretta  la  statua  con  delta 
iscrizione,  e  fiori  ai  tempi  di  Traia- 
no. Si  congettura  che  gli  antichi 
limiti  fossero,  verso  Camerino  il  fiu- 
me Potenza,  indi  la  sommità  del 
monte  Gemmo,  il  monte  Trifìnio 
verso  s.  Anatolia,  confinando  pure 
cogli  attidiani  ed  i  tuficani.  Negli 
scavi  si  rinvennero  molti  monu- 
menti antichi,  oltre  le  iscrizioni,  mo- 
saici,  frammenti  di  marmi,  statue  e 
monete  antiche,  massime  nella  cosi 
delta  terra  vecchia.  Dai  monumenti 
religiosi  si  rileva  che  tali  furono 
i  matelicani  nel  paganesimo  ;  nei 
primi  tempi  della  Chiesa  ricevettero 
il  lume  della  fede,  e  ben  presto 
nella  ciltà  vi  fu  eretto  un  vesco- 
vato. 

I  matelicani  nel  VI  secolo  pro- 
varono i  funesti  effetti  della  deplo- 
rabile fame,  che  spopolò  l'  Italia,  e 
nelle  vicinanze  di  Matelica  avvenne 


ari  MAT 

quindi  nel  552  la  vittoria  di  Nar- 
sete  sui  goti  invasori,  colla  morte 
del  loro  re  Totila,  che  si  vuole 
morisse  e  fosse  sepolto  a  poca  di- 
stanza della  città,  tutto  sostenendo 
Acquacotta;  anzi  nel  descrivere  una 
importante  tomba  rinvenuta  lunga 
un  miglio  della  città,  nel  piano  dei 
Cavalieri,  già  pian  di  Tomba,  dice 
forse  poter  essere  quella  del  prin- 
cipe goto.  Su  di  che  si  abbia  però 
presente  quanto  dicemmo  a  Gualdo 
Tadino.  Dopo  T  estinzione  del  vesco- 
vato, verso  il  578,  per  le  crudel- 
tà de*  longobardi  invasori  d'Ita- 
lia, Matelica  incominciò  a  decadere, 
e  fino  al  secolo  XI  scarse  ne  sono 
le  memorie:  tuttavolta  continuando 
ad  esistere,  ebbe  ognora  il  suo  ma- 
gistrato, chiamato  prima  ordo,  poi 
consoli y  ed  in  seguito  ebbe  pure  i 
suoi  conti,  che  ampliando  il  loro 
potere  amministrativo,  si  arroga- 
rono principeschi  diritti:  di  que- 
sti però  se  ne  ignorano  le  noti- 
zie .  Colla  scorta  di  documen- 
ti domestici  si  conosce  la  for- 
ma del  governo  di  Matelica  circa 
il  1160,  il  suo  territorio,  l'esten- 
sione della  città,  i  suoi  quartieri, 
porte,  chiese,  e  statuti  della  mede- 
sima. A  detta  epoca  era  governata 
Matelica  dai  consoli,  cioè  da  un  col- 
legio di  nobili,  che  presiedevano  aU 
r  amministrazione  della  giustizia, 
della  polizia,  dovendo  in  molti  pim- 
ti  liconoscere  l'autorità  de' conti, 
quali  a  queir  epoca  furono  in  Ma- 
telica il  conte  Attone,  forse  ascen^ 
dente  della  famiglia  de' conti  Otto- 
ni, e  il  conte  Gualtiero  probabil- 
mente d' un  ramo  collaterale  della 
famiglia  dell'  altro  :  Gualtiero  pos» 
sedeva  la  maggior  parte  dell'  odier- 
no territorio,  ed  i  castelli  di  Cerre- 
to e  di  Albacina.  Tuttavolta  la  cit» 
tu  con  islenlo  avea  conservato  una 


MAT 

specie  d*  indipendenza,  cui  successe- 
ro gare,  guerre  e  pacificazioni  fra 
delti  conti.  Enrico  VI  guadagnato 
dalle  offerte  del  conte  Attone  f(^ce 
marciare  contro  Matelica  un  corpo 
di  truppe,  che  la  rovinarono  e  di- 
strussero, a  segno  da  farne  andare 
dispersi  e  raminghi  tutti  i  suoi  a- 
bilanti,  siccome  meglio  diremo.  Al- 
la fine  per  altro  dovettero  i  conti 
rinunziare  alle  loro  pretensioni  e 
a  poco  a  poco  assoggettarsi  a  Ma- 
telica. Prima  che  i  conti  si  as- 
soggettassero al  comune,  sembra 
che  loro  appartenessero  le  monta- 
gne e  le  colline  aggiacenti,  e  che 
coi  nobili  vi  avessero  torri  e  ca- 
stelli. Il  territorio  in  sostanza  re- 
stringevasi  nelle  pianure  più  vicine 
di  Mistriano,  in  quelle  verso  s.  A- 
natolia,  e  nelle  altre  verso  Cerreto. 
Nel  »  199  il  castello  di  Collamato 
si  dette  a  Fabriano,  e  Matelica  nel 
1 2  [  f  perde  anche  Cerreto  e  Ab- 
bacina, per  cessione  dei  conti  Appi- 
liaterra  di  Guarniero^  e  Gentile  di 
Franco;  ciò  produsse  guerra  cru- 
dele tra  Fabriano  e  Matelica,  che 
ebbe  però  corta  durata.  Dall'altro 
canto  i  conti  Ottoni  ceduti  aveva- 
no alla  città  i  vassalli  che  loro  ap- 
partenevano fino  a  Potenza;  verso 
il  monte  di  Gemma  sino  alle  mura 
di  s.  Anatolia,  tutto  spettava  ai 
conti  di  s.  Maria,  forse  un  ramo 
de' conti  Ottoni  ;  essi  si  sottomisero 
ai  matelicani  nel  12 12;  e  poscia 
loro  venderono  diritti  e  castello.  I 
Bulgarelli  signori  di  Cinzano,  e 
quelli  di  Samaregia  venderono  al 
comune  la  quarta  parte  del  loro 
castello,  e  ad  onta  di  ciò  alienaro- 
no le  selve  a  s.   Anatolia. 

I  castelli  di  pertinenza  di  Mate- 
lica erano  a  quell'epoca.  Rocca, 's. 
Maria,  le  due  Civitelle,  Colferraio, 
Casliglioui,    llotuado,  Campamanli, 


MAT 

il  castello  del  Piro  e  delle  Pere,  s. 
Maria  de'  Galli,  torre  di  Aimone 
sul  colle  di  Lupone.  II  territorio 
nel  1279  si  divideva  ne' quartieri 
di  Ci  vi  Iella,  Civita  e  s.  Maria  ;  e 
nelle  provincie  i  quartieri  rurali 
Campamantis,  Donorii,  Collis  Ferra - 
rii,  et  Mistriani.  La  rinascente  città 
ebbe  per  nome  Castrimi  novum 
sancii  Adriani^  dalla  pieve  a  lui 
sacra  ed  a  s.  Bartolomeo,  cambia- 
mento dato  forse  per  castigo  o  per 
far  perire  la  memoria  dell'indipen- 
denza e  libertà  che  avea  spinto  i 
matelicani  a  ribellarsi  contro  l'impe- 
ratore. Dall'  essere  stata  riedificata 
Maidica  sotto  il  nome  di  tal  mar- 
tire glorioso,  si  può  dedurre  che 
D*era  patrono  da  tempo  remoto.  Sul- 
le prime  il  dintorno  delle  mura  fu 
ristretto,  solo  riacquistò  l'antica  sua 
estensione  coi  quartieri  di  s.  Maria 
e  di  Civitella  :  i  borghi  di  s.  Maria 
Maddalena,  di  s.  Eulizio  e  di  Cam- 
pamanti  che  restavano  fuori  della 
citlH,  poscia  le  furono  aggiunti.  Le 
antiche  porte  si  chiamarono  Cuoio, 
Vecchia,  s.  Maria,  Donorio,  Città 
e  Valle  ;  porte  che  perirono  quan- 
do si  comprese  nella  città  i  nuovi 
sobborghi ,  solo  rimanendo  le  porte 
Cuoio  e  Vecchia,  dove  non  sono 
sobborghi.  Non  mancarono  a  Mate- 
lica  anche  nei  tempi  addietro  orna- 
menti che  l'abbellissero,  acquedotti^ 
cdifìzi,  e  templi  in  molto  numero 
iieir  interno  ed  esterno  del  paese, 
il  cui  novero  Acquacotta  riporta  a 
p.  52,  con  quello  de' monasteri  e 
conventi.  I  consigli  sul  principio  si 
componevano  di  soli  nobili,  e  dal 
loro  numero  si  eslraevano  i  consoli; 
indi  nel  1  248  prevalendo  il  ghibel- 
linismo, venne  imitala  come  altrove 
la  costituzione  delle  città  libeie  lom- 
barde e  toscane.  Si  divise  il  popo- 
lo in  arti,  e  ciascun' arte  noQiinava 


MAT  253 

un  numero  di  soggetti  che  forma- 
rono i  pubblici  consigli  ;  ed  ai  con- 
siglieri delle  arti  furono  aggiunti 
de'  consiglieri  discendenti  da  fami- 
glie consolari.  Finalmente  dopo  la 
rivoluzione  del  i34o,  in  cui  come 
si  dirà  furono  cacciati  gli  Ottoni 
cogli  altri  ghibellini,  si  eressero  più 
di  tredici  società  o  compagnie  d'ar- 
mi, ognuna  con  capitano,  gonfalo- 
niere ed  insegna,  per  difendere  da 
qualunque  usurpatore  Io  stato  po- 
polare. 

Questa  costituzione  fu  modificala 
poi  dal  cardinal  Egidio  Aibornoz; 
e  conservandosi  le  arti,  le  società,  i 
consigli,  vi  furono  introdotte  le 
principali  famiglie,  e  si  fecero  suc- 
cedere i  figli  ai  padri.  Gli  statuti  si 
riformarono  nel  i355,  ma  gli  Ot- 
toni si  aflalicarono  distruggerli  per 
sostituirvi  l'arbitrio  della  loro  vo- 
lonlà,  solo  facendo  estrarre  da  Ri- 
naldo Manozzini  i  vecchi  regola- 
menti che  piacque  loro  approvare 
nel  1 5o8  col  titolo  di  statuto  mio- 
vOy  in  parte  vigente.  Quanto  ai  si- 
gilli del  comune,  quello  del  i3ir 
era  di  cera  verde  in  quo  imago 
ad  instar  hominis  equìlis  cum  quo- 
dani  Gonfalone  in  manu  j  il  secon- 
do rappresenta  tin  leone  rampante 
con  corona  in  capo,  che  dicesi  ot- 
tenesse Matelica  da  Lodovico  il  Ba- 
varo,  perchè  ne  seguì  le  parti,  onde 
poi  fu  assolta  nel  i332  da  Giovan- 
ni XXII.  Tornò  poscia  a  ripigliar 
1'  antico  sigillo,  eh'  era  la  figura  di 
un  uomo  a  cavallo,  rappresentante 
il  protettore  s.  Adriano,  avente  in 
mano  la  bandiera  del  pubblico,  su 
cui  dovea  essere  dipinta  l'  arma 
della  città,  eh'  è  una  croce  bianca 
in  campo  rosso.  Circa  alla  genealo- 
gia della  famiglia  Ottoni,  essi  la  fe- 
cero derivare  verso  il  94^Jj  preten- 
dendo che  Matelica  distrutta  da  Be- 


•i^j  MAT 

rengaiio  re  d' Italia,  OUone  1  la 
donasse  in  proprietà  in  un  al  pro- 
prio nome  e  stemma  ai  loro  ante 
nati,  falso  essendone  il  diploma  puì)- 
blicnto  ancora  dal  Sansovino  nelle 
notizie  di  tal  famiglia.  Lo  stemma 
degli  Ottoni  presenta  nella  parte  in- 
feriore uno  scacchiere  rosso  e  bian- 
co, e  nella  superiore  un'  aquila  ne- 
ra in  campo  d' oro,  che  colle  ali 
distese  poggia  sullo  scacchiero.  Cer- 
to primo  ascendente  degli  Ottoni  fu 
Merico  conte,  indi  A  Itone  conte:  la 
genealogia  la  produce  Acquacotta 
a  p.   56. 

Dopo  che  Federico  I  nel  i  1 58, 
alla  famosa  dieta  di  Roncaglia,  di- 
chiarò pertinenza  del  fisco  imperia 
le  tultociò  che  le  comunità  soglio- 
no possedere  per  concessione  dei 
principi,  sommo  fu  il  malcontento 
degli  italiani,  che  collegali  fra  loro 
il  debellarono,  onde  il  Papa  Ales- 
sandro III  rientrò  trionfante  in  Ro- 
ma nel  I  i65;  quindi  i  piceni,  sud- 
diti antichi  della  santa  Sede,  cer- 
tamente gli  tributarono  vassallaggio. 
Vuoisi  perciò  che  sollevatisi  i  ma- 
telicani  contro  i  conti  ed  i  parti- 
giani degli  antipapi,  alzassero  forti- 
ficazioni, e  costringessero  i  nobili  vi- 
cini unirsi  ad  essi  e  sotlotnettersi  alla 
giurisdizione  de'consoli,  come  fecero 
nel  II 66  il  conte  Attone  e  i  suoi 
figli  Rainaldo,  Guarniero  e  Franco, 
riservandosi  il  conte  i  castelli  di  s. 
Maria,  Castel  Rotondo  e  Civitella, 
ed  obbligandosi  di  trattare  gli  abi- 
tanti come  i  nobili  di  Camerino 
trattavano  i  loro  sudditi.  Da  que- 
st'  epoca  comincia  la  serie  de'  con- 
soli, giudici,  podestà,  vicari,  luogo- 
tenenti, commissari  e  governatori 
di  Matelica,  non  mai  interrotta,  che 
sino  a'nostri  giorni  l'Acquacolta  ri- 
porta in  fine  dell'  opera.  Di  breve 
durala  fu  la  dominazione    che  Fé» 


M  A  T 

derico  I  nuovamente  esercitò  sidla 
provincia,  onde  i  marchigiani  e  gli 
umbri  scossone  il  giogo,  esternaro- 
no il  loro  attaccamento  e  fèdeitù 
al  Papa;  quindi  i  malelicani  si  die- 
dero di  bel  nuovo  a  sistemare  la 
rinascente  repubblica,  dopo  che  tra 
il  117/4.  e  II 76  la  città  era  stata 
distrutta  da  Cristiano  arcivescovo 
scismatico  di  Magonza,  seguace  del- 
l'antipapa  Pasquale  111  e  capitano 
di  Federico  I.  Questi  pacificatosi 
colla  santa  Sede,  nel  11 85  conces- 
se ai  matelicani  amplissimo  diplo- 
ma, ricevendo  la  città  e  gli  anti- 
chi cittadini  sotto  la  sua  protezio^ 
ne,  confermò  gì'  istromenti  stipula- 
ti con  gli  Ottoni,  ed  altre  grazie. 
Frattanto  Camerino  pretese  che 
tutti  i  territori»  che  riconoscevano 
l'autorità  spirituale  de' suoi  vesco- 
vi, riconoscessero  1'  autorità  tempo- 
rale de'  suoi  consoli,  contro  le  in* 
tenzioni  de'  Pontefici,  che  solo  ave- 
vano raccomandato  le  derelitte  dio- 
cesi ai  vescovi,  come  Matelica  a 
quello  di  Camerino.  La  città  si 
mantenne  indipendente  e  fece  al- 
leanza nel  1191  con  Fabriano,  e 
poi  con  Sanseverino,  Tolentino  e 
Montemilone,  contro  tali  pretensio- 
ni. Mentre  Matelica  cercava  con  le 
aderenze  di  consolidare  la  sua  si- 
curezza, insorsero  a  disturbarla  le 
intestine  discordie  de'discendenti  del 
conte  Attone,  i  quali  si  collegarono 
con  Fabriano  ed  altri  luoghi,  on- 
de ebbero  luogo  guerre  e  distru- 
zione di  castelli .  Per  colmo  di 
sventura  si  mossero  contro  Mate- 
lica i  camerinesi,  i  quali  dopo  a- 
verne  saccheggiato  il  territorio  ot- 
tennero l'aiuto  del  duca  di  Brien- 
na  luogotenente  del  defunto  Enri- 
co VI;  e  sorpreso  il  paese  lo  rovi, 
narono,  e  ne  mandarono  con  Atto- 
ne Appilialeira  dispersi  gli  abitanti, 


M  A  T 
nella  mira  d'  ingrandirsi  coli*  esler- 
n»inio  di  Maidica.  I  miseri  fuggia- 
schi ricorsero  ad  Innocenzo  Ili,  di 
cui  avevano  seguito  le  parti,  rifiu- 
tando riconoscere  Filippo  di  Svevia 
fratello  di  Enrico  VI  ;  ed  il  Papa 
scrisse  al  podestà  e  popolo  di  F\i- 
briauo  e  s.  Anatolia  perchè  soccor- 
ressero i  niatelicani.  Nulla  questi 
ottennero,  e  vissero  raminghi  fino 
al  1209  in  cui  trovarono  protezio- 
ne e  difesa  da  Ottone  IV,  il  qua- 
le dopo  la  sua  coronazione  in  Ro- 
ma, accordò  loro  amplissimo  diplo- 
ma, con  permesso  di  rifabbricare  la 
patria,  con  esenzioni.  Ritornati  i 
matelicani  in  patria,  ripristinarono 
il  consolato,  risarcirono  le  fortifica- 
zioni, e  per  giustizia  costrinsero 
Attone  all'  osservanza  de'  preceden- 
ti patti.  A  vendicarsene  gli  Ottoni 
venderono  Cerreto  e  Albacina  ai 
fabrianesi,  coi  quali  Matelica  nel 
1211  discese  ad  una  solenne  con- 
cordia per  una  quiete  durevole,  con 
reciproche  cessioni  e  demarcazione 
di  confini,  stabilendosi  pene  a  chi 
violasse  il  trattato. 

A  si  fausto  avvenimento  pel  co- 
mune, successe  l'ammissione  di  al- 
cune famiglie  forestiere  a  godere  il 
diritto  di  cittadinanza,  e  per  quaian- 
ta  e  più  anni  si  continuò  ad  aggre- 
garne altre.  Indi  si  terminarono  le 
questioni  insorte  di  Pietro  e  Ranno, 
e  nel  i2i3  Attone  fece  la  sua  som- 
missione; dipoi  Matelica  entrò  in 
lega  con  Camerino,  Sanseverino  e 
Montemilone  nel  1217,  pacifican- 
dosi con  Cingoli,  e  poscia  confede- 
randosi anco  con  altre  città,  per  la 
considerazione  che  riscuoteva  per 
l'aumento  di  potere,  e  nel  i2  25 
\enne  edificato  il  monastero  delle 
monache  di  s.  Maria  Maddalena.  Non 
mollo  dopo  l'istituzione  dell'  ordi- 
ìiQ  francescano  fu  eiello  iu  JMulelita 


MAX  255 

il  convento  di  s.  Francesco  con 
chiesa  grandiosa  e  di  buona  archi- 
tettura, ammirandosi  in  essa  oltre 
quaranta  dipinti  di  valenti  maestri. 
Dopo  la  pace  con  Federico  II  si 
era  stabilito  nella  Marca  T  imme- 
diato governo  pontificio ,  che  favo- 
riva i  guelfi,  il  perchè  nel  1287  il 
popolo  ne  profittò  col  togliere  ai 
nobili  la  preponderanza,  e  certe  più 
gravose  esenzioni  :  le  leggi  su  ciò 
emanate  si  leggono  a  p.  78  delle 
lodate  Memorie  del  eh.  Acquacotta. 
I  nobili  aderirono,  aspettando  qual- 
che cambiamento  di  regime  per 
riacquistare  i  diritti  perduti  ;  in  fat- 
ti nel  1289  Gregorio  IX  scomuni- 
cando Federico  II, questi  mandò  nella 
Marca  un  esercito  sotto  il  comando 
di  Enzio  suo  bastardo,  per  reprimere 
i  guelfi,  e  nel  11^1  era  padrone 
di  tutta  la  provincia  :  allora  i  no- 
bili si  ricusarono  osservare  i  patti, 
ed  i  popolari  ricorsero  a  Federico  li, 
restando  abolito  il  consolalo  colle 
esenzioni.  L' adejenza  di  Matelica 
air  imperatore  disgustò  il  Papa ,  e 
il  successore  Innocenzo  IV  si  mo- 
strò avverso  a  cesare.  In  queste 
contingenze  i  malelicanl  elessero  un 
capitano ,  magistrato  straordinario 
che  soleva  crearsi  in  tempo  di  guer- 
ra, nella  persona  di  Alberto  figlio 
di  Attone,  cui  successe  Bartolo  di 
Gentile  degli  Ottoni;  combatterono 
in  favore  di  Federico  II,  cui  spedi- 
rono ambasciatori,  e  riconobbero  il 
suo  vicario  nella  Marca,  trovandosi 
alla  gran  battaglia  d' Osimo,  nella 
quale  i  ghibellini  sbaragliarono  le 
milizie  della  Chiesa.  Però  nel  124? 
diminuito  il  credito  dell'imperatore, 
il  cardinal  Capocci  legalo  ricupeix> 
tutta  la  Marca,  e  Matelica  ch'era 
ritornata  al  dominio  ponlificio,  su- 
bito gli  prestò  aiulo,  e  con  Came- 
rino giurò  fedeltà  alla  saula    Sede, 


2  56  MAX 

entrando  nella  lega  guelfa  contro 
il  deposto  Federico  11.  Innocenzo 
IV     soddisfatto     de*  matelicani,  nel 

i^So  spedì  ad  essi  una  bolla,  in  cui 
confermò  le  loro  giurisdizioni  e  di- 
ritti, essendo  Maff Ileana  communitas 
dernanium  curine  speciale  ;  e  con 
altra  del  12^2  confermò  ancora  i 
privilegi  conceduti  dai  predecessori 
e  dagl'  imperatori_,  ed  esentò  poi  il 
clero  dalle  collette  e  gravezze.  Es- 
sendo in  questo  tempo  irritati  i  ma- 
telicani contro  il  vescovo  di  Ca- 
merino, gli  distrussero  la  casa  e  il 
giardino  entro  Matelica  ,  eh'  erano 
ov' è  il  palazzo  Ottoni,  forse  l'an- 
tico episcopio,  passato  in  proprietà 
de*  vescovi  camerinesi  quando  fu 
loro  raccomandata  l'orfana  chiesa  ; 
laonde  Innocenzo  IV  li  citò  a  ren- 
der conto  del  delitto.  Non  potendo 
ì  camerinesi  imbrigliare  i  matelica- 
ni colla  fabbrica  di  un  castello,  oc- 
cuparongli  poi  il  castello  di  s.  Ma- 
ria e  fabbricarono  Castel  Raimondo, 
ciò  die  riprovò  Bollando  rettore 
della  Marca.  Nel  i255  Matelica 
acquistò  Castel  Rotondo  dal  sud- 
detto Bartolo,  e  la  montagna  le 
Trecche  da  Rainaldo  Lazani  ,  ed 
ottenne  dai  discendenti  degli  anti- 
chi conti  formile  rinunzia  alle  go- 
dute esenzioni. 

Ebbero  luogo  scorrerie  de'came- 
rinesi  su  Matelica  nel  12  58,  che 
trovandosi  bisognosa  dell'aiuto  di 
Sanseverino,  si  obbligò  a  pagargli 
annue  25  lire  di  Ravenna  per  la 
festa  del  patrono,  e  solo  se  ne  sgra- 
vò nel  i27i.Già  nel  1269  esiste- 
va in  Matelica  il  convento  degli  e- 
remitani  di  s.  Agostino,  la  cui  chie- 
sa di  buona  architettura  fu  restau- 
rala negli  ultimi  tempi  ed  abbelli- 
ta, con  porta  di  gusto  gotico.  Per- 
ei vai  le  Doria  vicario  e  capitano  del 
re  Manfredi,  sostenitore  de'gbibel- 


M/VT 

linij  trovandosi  colle  truppe  presso 
le  mura  della  città,  essendo  questa 
indispettita  per  una  sentenza  del 
rettore  Annibaldeschi ,  si  die  aper- 
tamente al  suo  partito,  e  con  esso 
si  portò  ad  assalire  Camerino,  che 
fu  costretto  spedir  ambasciatori  in 
Matelica  per  implorar  la  clemenza 
de'vincitori  e  giurare  fedeltà  a  Man- 
fredi ;  ma  per  esseve  ritornato  alla 
Chiesa,  fu  quindi  saccheggiato  e  di- 
strutto. I  matelicani  furono  ricom- 
pensati da  Manfredi  col  dono  del 
castello  di  s.  Maria  de'Galli,  con  fa- 
coltà di  demolirlo,  siccome  fecero; 
ed  inutilmente  coi  suoi  capitani  ten- 
tarono di  riprendere  Camerino,  do- 
po il  ritorno  degli  abitanti  nel  1262. 
Grato  il  re  Manfredi  dell'attacca- 
mento dei  m'atelicani  alla  sua  causa, 
confermò  tutti  i  privilegi  concessi 
da  Percivalle;  ma  vinto  da  Carlo 
I  d'Angiò,  fu  ucciso  sul  campo  nel 
1  266  :  i  guelfi  ripresero  coraggio, 
e  i  ghibellini  furono  cacciati  o  co- 
stretti ad  accomodarsi  al  contraria 
parlilo.  II  comune  di  Matelica  in 
pena  delia  ribellione  fu  tassato  dal 
cardinal  Paltinieri  di  seimila  lire 
di  Ravenna,  che  Clemente  IV  ri- 
dusse alla  metà,  ed  altri  mali  gli 
piombarono  sopra,  perdendo  il  di- 
ritto di  eleggersi  il  podestà ,  dopo 
aver  profuso  pei  ghibellini  denaro 
e  sangue.  Nel  127 3  si  eresse  il  pa- 
lazzo pubblico  con  torre  detta  cam- 
panile commanis.  Nel  1280  i  came- 
rinesi, perpetui  rivali  di  Matelica, 
s'impossessarono  del  castello  di  s. 
Maria,  e  presero  d'assalto  s.  Anatolia. 
Si  effettuò  nel  1286  l'unione  delle 
benedettine  del  monastero  di  s.  A- 
gala  edificato  nel  1268,  con  quelle 
del  monastero  di  s.  Maria  INIadda- 
lena;  indi  nel  1288  fu  edificato,  ove 
esiste,  il  monastero  di  s.  Maria  Nuo- 
va  per  la  congiegazione  silvestriua, 


MAX 
<lal  dottor  Benintendi  malelicario,  e 
r  attuale  chiesa  fu  però  eretta  sul 
principio  del  trascorso  secolo,  poscia 
il  monastero  fu  ridotto  a  miglior 
forma.  Nel  1290  già  esisteva  l'ospe- 
dale della  chiesa  di  s.  Giovanni  ge- 
rosolimitano, e  nel  1291  si  fabbri- 
cò il  fonte  per  somministrare  entro 
il  murato  le  acque  necessarie  agli 
abitanti.  Per  aver  Matelica  nel  1292 
ritolto  il  castello  di  s.  Maria  ai  ca- 
inerinesi,  questi  ne  arsero  di  sde- 
gno, e  decretarono  devastare  la  cit- 
tà, uniti  a.Sanginesio  ed  altri  mar- 
chigiani. Primieramente  ripresero  il 
castello,  eseguirono  1'  antico  disegno 
di  edificare  un  forte  sul  colle  di 
Torraimuni  nel  territorio  matelica- 
rio  ed  a  suo  danno,  manomisero  a 
ferro  e  fuoco  la  valle  Matelicana, 
e  strinsero  la  città  di  formidabile  as- 
sedio. Si  scosse  nel  1293  alla  sven- 
tura di  Matelica  Francesco  d' Asisi 
giudice  generale  della  provincia  , 
condannò  i  camerinesi  a  demolire 
il  forte,  a  restituir  l' occupato,  al- 
l'ammenda  dei  danni,  allo  sborso 
di  cinquemila  marche  di  aigento, 
multando  pure  podestà  ,  capitani  e 
e  consiglieri.  I  camerinesi  non  l' a- 
scoltarono  e  continuarono  l' assedio, 
che  gli  abitanti  sostennero  con  forti- 
ficazioni ;  e  coir  aiuto  di  Tolentino 
e  Sanseverino,  e  con  quello  d'  una 
compagnia  di  ventura  ,  potei  ono  i 
matelicani  assalire  i  camerinesi  e  i 
loro  castelli.  Il  rettore  della  Marca 
P».aimondo  scomunicò  i  camerinesi  e 
sottopose  la  loro  città  all'  interdet- 
to, e  di  poi  allo  sborso  di  duemila 
marche  d'argento  ed  alla  consegna 
del  forte  di  Torraimuni  nel  1 294, 
ponendo  fine  alle  ostilità  il  rettore 
Gentile  da  Sangro,  con  prendere 
in  consegna  il  castello. 

Nel    1298  si  suscitò    in    Matelica 
Una  sommossa,  eh'  ebbe  per  conse- 

TOl.     XLHI. 


MAX  257 

guenza  la  multa  di  cinquemila  fio- 
rini, per  r  uccisione  d'  un  chierico; 
e  nel  i3oo  Matelica  in  più  modi 
fu  beneficata  dal  cardinal  Napoleo- 
ne Orsini  legato,  ed  ebbe  pur  be- 
nevolo il  rettore  Rambaldo,  che  nel 
i3o4  l'assolvette  da  qualunque  pena 
incorsa  e  criminalità.  Nati  fatti  per 
mai  stare  in  pace  i  matelicani  ed  i 
camerinesi  rinnovarono  le  ostilità , 
ed  i  primi  danneggiarono  in  più 
modi  i  secondi,  onde  furono  mul- 
tati fortemente  da  Rambaldo.  Solo 
a  Clemente  V,  quantunque  avesse 
stabilito  la  residenza  in  Francia  , 
pe'  suoi  inviati  apostolici,  riuscì  nel 
1 3o6  pacificarli ,  ed  ebbe  luogo  la 
memoranda  concordia  tra  Cameri- 
no, e  Sanseverino,  Matelica  e  Fa- 
briano, e  ne  fu  stipulato  il  famoso 
trattato  riprodotto  da  Acquacolta  at 
p.  110.  Tuttociò  inutilmente,  per- 
chè Camerino  travagliò  a  trovare 
subito  un  pretesto  da  rompere  la 
pace,  e  solo  nel  1 3 1 8  si  fece  fra  i 
camerinesi  ed  i  matelicani  un  armi- 
stizio per  cinquant' anni ,  dovendo 
restar  sospese  le  liti,  segnatamente 
pel  castello  di  santa  Maria.  Acco- 
stumata Matelica  a  seguire  il  ghibel- 
linismo, nel  I  3 1  I  riabbracciò  l'an- 
tico partito,  e  di  nuovo  si  distaccò 
dalla  soggezione  alla  Chiesa,  coli'  u~ 
nirsi  a  Speranza  conte  di  Monte- 
feltro,  capitano  della  lega  delle  ter- 
re degli  amici  della  Marca  ;  e  con 
diverse  comuni  eospitò  ancora  a 
danno  del  Pontefice,  venendo  ascolti 
dalle  censure  due  anni  dopo.  Ma 
subito  si  ribellò  di  nuovo,  si  asso- 
ciò ad  altra  lega,  e  congiurò  con- 
tro la  Chiesa  con  altre  città  e  luo- 
ghi nel  i3i5,  e  tornò  all'obbedien- 
za mediante  multa  nel  r3i6.  Edi- 
mero  il  pentimento  de'  matelicani  , 
passati  alcuni  mesi  sr  unirono  con 
altri  paesi  a  dalitìo  del  principe,  6 
i7 


558  MAX 

con  nitro  sborso  ottennero  nuovo 
perdono.  Per  le  gravi  ililfercnze  in- 
sorte tra  Giovanni  XXII  e  Lotlo- 
■vico  il  Bavaro,  riprese  vigore  il  ghi- 
bellinismo :  il  Papa  nel  i32o  lodò 
la  fedeltà  de'matelicani,  i  (piali  nel 
iSaS  elessero  per  protettore  il  car- 
dinal Giovanni  di  s.  Teodoro  con 
sessanta  fiorini  per  onorario.  A  tale 
epoca  già  esisteva  l'ospedale  di  s. 
Sollecito,  nel  luogo  slesso  dell'odier- 
no spedale  degl'infermi.  Nel  i3iS 
Lodovico  il  Bavaro  arendo  creato 
l'antipapa  Nicolò  V,  essendo  il  po- 
polo disposto  per  certe  multe  alla 
ribellione,  ne  seguì  le  parti,  dicen- 
do alcuni  storici  che  il  Bavaro  di- 
chiarò vicario  imperiale  di  Matelica 
I^ulgaruccio  Ottoni ,  che  saccheggiò 
ed  arse  il  territorio  di  Camerino. 
Il  Papa  ordinò  a  Gentile  Varano 
di  assediar  Matelica,  ma  invece  eb- 
be una  fiera  rotta  sotto  le  mura 
dai  ghibellini.  Dopo  essere  stata 
Matelica  nello  scisma,  nel  i33i  in- 
"viò  una  deputazione  in  Avignone  a 
Giovanni  XXII,  a  confessare  i  suoi 
trascorsi,  e  il  Papa  generosamente  la 
perdonò  nel  i332,  mediante  l'istitu- 
zione d'un  benefizio  in  s.  Bartolo- 
meOj  e  di  collocare  nella  parte  più 
visibile  del  campanile  un'  iscrizione 
che  ricordasse  la  ribellione.  Nel 
1339  riuscendo  ai  guelfi  abbattere 
i  ghibellini,  i  matelicani  fecero  mo- 
rire Bulgaruccio  e  Ranuzio  Ottoni, 
cacciarono  le  loro  famiglie  e  ne  ro- 
vinarono i  beni.  Allora  fa  che  per 
consolidare  il  governo  popolare  ven- 
nero nel  i34o  sistemate  le  plebee 
società  di  sopra  rammentale,  e  ri- 
formato il  regolamento  politico  :  si 
compilò  un  nuovo  statuto,  ìa  cui 
sostanza    Acquacolta    ci  diede  a  p. 

125. 

Nuovamente    Matelica    si    alienò 
dall'obbedienza  del  Papa  nel  1  344, 


MAX 
e  l'anno  appresso  si  ribellò  ad  isti- 
gazione   della  famiglia   Ottoni,    che 
avea  fatta  sempre  la  sua  disgrazia, 
poiché  i  figli  dei  massacrati  Guido 
e  Corrado    erano  rientrati  in  città, 
indi  i  matelicani  nel    i346    implo- 
rarono misericordia  dalla  Chiesa  col- 
lo sborso  di  mille  fiorini  d'oro.   La 
fame  e  la  peste  accrebbero  le  scia- 
gure prodotte  dalla  ribellione  a  Cle- 
mente VI,  onde  i  popoli  nell'assen- 
za dei  Papi  da  Roma  e  per  la  de- 
bolezza de'  loro  rettori,  si  gettarono 
fra    le    braccia    delle    famiglie   più 
potenti,   e  Matelica  in  quelle    degli 
Ottoni,  che  con  altri  tiranni  si  strin- 
sero in  lega  coi  Visconti  di  Milano. 
Innocenzo    VI    col     nominare     nel 
i353  legato  apostolico  a  ricuperare 
i  dominii    pontificii  il    celebre   car- 
dinal Egidio  Albornoz,   Matelica  si 
sottomise  subito:  allora  1«  magistra- 
tura   avea  quattro  priori,    pi-escelti 
dai  quattro  quartieri ,  oltre  i  capi- 
tani  delle  arti  ;  per  sicurezza  si  sti- 
pendiava    una    cavalleria    ed    una 
guardia  civica.  Gli  Ottoni,    decisa- 
mente   ghibellini,  sapevano    servire 
al  tempo  e  mascherare  la  loro  con- 
trarietà ai  guelfi  :  in  più  circostan- 
ze quando  si  videro  in    pericolo  si 
mostrarono  rispettosi  ai  legati  apo- 
stolici, e  fecero  mostra  di   vassallag- 
gio alla  Chiesa.  Per  le  loro  imposture 
i  matelicani    accordarono    a   Guido 
e  Corrado    copiosi    risarcimenti    ai 
danni  ad  essi  recati,  facendo  appro- 
vare tali  estorsioni  dal  cardinal  Al- 
bornoz, il  quale  volle  pacificare  tutti 
i  cittadini.  I  fiorentini  più  tardi  pre^ 
tesero  di  essere  maltrattati  dai  go- 
vernatori spediti  dai  Papi  in  Italia, 
e  fecero  perciò  nel    i3j5  una  lega 
contro  Gregorio  XI,   in   cui    impe- 
gnarono   quasi    tutte  le   città  dello 
stato  pontificio,  in    un    alla    Marca 
ed  a  Matelica  che  entrò  nella  lega^ 


MAT 

onde  molte  famiglie  si    assentarono 
dalla  patria  per    conservarsi  obbe- 
dienti al  Pontefice.    Presso  Monte- 
niilone  gli  alleati  disfecero  l'armata 
della  Cbiesa,  e  Francesco  Ottoni  fece 
prodigi  di  valore.    La  ribellione  fu 
punita  severamente,  con  confisca  di 
beni,  estremi  supplizi  ed  infamia.  Mor- 
to Gregorio  XI,  dopo  aver  nel    1 377 
restituita  a  Roma  la  residenza  pon- 
tificia, gli  successe  nel  1378  Urbano 
VI,  che  pacificatosi    coi    fiorentini, 
Maidica  tornò  alla  soggezione  della 
Chiesa.  Subito  insorse  lo  scisma  del- 
l'antipapa    Clemente    VII,    infau- 
sta occasione  per  Matelica  di  nuo- 
ve infedeltà,  in  cui  giacque  misera- 
mente per    due    lustri,    istituendosi 
dopo  tale  anno  la  prima  confrater- 
nita  di  s.    Angelo  :  quella  di  s.  Gio. 
Battista   fu  eretta  nel  i385,  essendo 
la  chiesa,  negli  ultimi  anni    riedifica- 
la, una  delle  più  eleganti,  con  prodi- 
giosa   immagine    del  ss.   Crocefisso. 
IVel    i388  pentiti    gli    Ottoni    ed  i 
matelicani  di  avere  aderito  allo  sci- 
sma, pel    loro    sincero    pentimento 
ottennero  da  Urbano  VI  il  perdono, 
quindi  si  unirono  con  altre  città  e 
luoghi  divoti  alla   santa    Sede.    Ed 
eccoci    all'  epoca    in     cui     Matelica 
perdette  la  libertà  e  fu    sottoposta 
a  quella  famiglia,  che  avendo  eser- 
citato su  di  essa  una  decisa  superio- 
rità ,    ne  acquistò    il    dominio,  sul 
principio  dolce  e  utile  per  consolidare 
la  loro  autorità;  gli  Ottoni  accreb- 
bero il  lanificio,  appellato  il  palladio 
della  patria,  promossero  manifattu- 
re ,    abbellirono    e    fortificarono    il 
paese;  poscia  pieno  di  angarie,  di 
estorsioni,  di  dispotismo  e  d'insop- 
portabile tirannia,    si    trasformò    il 
loro  governo. 

Bonifacio  IX  a' 4  febbraio  i3g4 
concesse  alla  famiglia  Ottoni  la  pri- 
ma investitura  di  Maidica,  dichia- 


MAT  2^9 

rantoli     vicari    della    santa    Sede. 
Alla    peste    successe    la   guerra  del 
padovano  conte  di  Carrara,  ad  ag- 
gravare   la    Marca,  e    nel   i4o6  i 
matelicani    furono    costretti    impu- 
gnar le  armi    contro    i    camerinesi 
ribelli  ad  Innocenzo  VII:  nel  i4i^ 
la    pestilenza    tornò    a    desolare  la 
contrada,  e  nel    i4i7  coli' elezione 
di  Martino  V  si  respirò  pace.  Sotto 
Eugenio  IV  la  Marca  fu  teatro  di 
nuove    guerre,    sostenute    in    gran 
parte  da  Francesco    Sforza  che  ne 
divenne  marchese,  cui  strinsero  lega 
gli  Ottoni  ed  ebbero  parte  alle  sue 
imprese ,    distinguendosi    Francesco 
contro  Piccinino.    Nel    i44^  >  ma- 
telicani saccheggiarono   s.  Anatolia, 
e  nel  i443  tornarono  all' immedia^ 
ta  soggezione  del  Papa ,   per    aver 
questi  dichiarato   ribelle    lo   Sforza 
e  toltagli  la  Marca.  Nella  provincia 
si  recò  per   commissario  Lotto  ve- 
scovo di  Spoleto,    col  quale  Fede- 
rico, Ranuzio,  Francesco,  Gaspare 
e    Burgaruzio    Ottoni ,     per    nome 
proprio  e  della  comune  di  Matelica 
fecero  un  concordato,  con    capitoli 
che  leggonsi  a  p.  i44  ^^^  P^^  volte 
citato  storico  patrio.  Fu  confermato 
ai  primi  il  vicariato,   alla   seconda 
accordate  diverse  cose.  Indetto  tem- 
po s.  Giacomo  della  Marca   predicò 
in  Matelica,  ed  ottenne  culto   la  Ma- 
donna delle  Fonticelle,  perché  parlò 
in  sua  difesa,  come  si  dice.  Nell'e- 
remo di    s.    Giacomo,  già    abitato 
dai  clareni,  mori  piamente  Federico 
Ottoni  ov'erasi  ritirato,  convinto  delle 
vanità  del  mondo.    Cominciando  a 
pesare  il  governo  degli  Ottoni,  nel 
1462  nacque  una  specie  di  rivolu- 
zione, e  restarono  per  patto  soli  al 
governo  Antonio  ed  Alessandro  me- 
no invisi.  A' IO  luglio  14^4  a^'ivò 
in  lettiga  Pio  II,  che    infermo  con 
sei  cardinali  si  recava    ad  Ancona^ 


i6o  M  A  T 

e  sul  declinar  di  questo  secolo  si 
■videro  sorgere  ad  abbellir  la  città 
parecchi  edilìzi.  Nel  i47^  s' inco- 
ininciò  l' elegante  campanile  di  s. 
Maria  delia  Piazza,  oggi  cattedrale, 
dall'abbate  commendatario  del  mona- 
stero di  Roti  cui  spettava  la  chiesa  . 
Nel  1481  Alessandro  Ottoni  restaurò 
la  porta  vecchia,  avendo  già  eretta 
quella  di  Campamanti  nel  i4^3,  e 
in  ambedue  fece  porre  nell'iscrizio- 
ne, domìnus  ;  esso  si  occupò  anco 
in  utili  divisamenti,  e  morendo  nel 
1 486  gli  successe  il  figlio  maggiore 
di  Antonio  suo  fratello,  chiamato 
Ranuccio;  poiché  fu  costume  degli 
Ottoni  che  non  nei  propri  figli,  ma 
nel  più  stretto  parente  di  maggior 
età  stasse  l' azienda  domestica.  Di 
poi  gli  Ottoni  cessarono  da  tal  fra- 
terna unione,  e  nel  14B7  da  In- 
nocenzo Vili  ottennero  la  confer- 
ma del  vicariato,  e  riuscì  loro  sta- 
bilire i  confini  con  Camerino.  Ales- 
sandro VI  spogliò  della  signoria  di 
Matelica  gli  Ottoni,  investendone 
Giovanni  Borgia  duca  di  Nepi  :  nel- 
r  ottobre  i5o2  perciò  il  cardinal 
Farnese  legato  della  Marca,  e  Pietro 
Perez  spagnuolo  s'impadronirono  di 
Matelica  e  ne  mutarono  il  governo. 
Morto  Alessandro  VI  nell'agosto 
i5o3,  Matelica  ritornò  sotto  l'an- 
tico padrone ,  e  Ranuccio  si  die  a 
sistemare  i  pubblici  affari ,  non  che 
a  dividere  il  patrimonio  domestico 
fra  i  suoi  fratelli  e  nipoti,  e  cora- 
nìise  leggi  statutarie  al  giureconsul- 
to Manozzi  ni  con  patrio  amore.  Nel 
i5o8  gli  successe  Giovanni  figlio  di 
Alessandro,  che  a  sue  spese  fece 
costruire  le  pul^bliche  loggie,  che 
tuttora  esistono,  e  pose  in  regola  i 
domestici  interessi.  Fiorirono  le  ma- 
nifatture de' tessuti  di  lana,  l'agri- 
coltura e  il  commercio ,  e  si  rego- 
larizzarono le  strade  interne.  Questa 


MAX 

fu  r  epoca  di  maggior  lustro  delKi 
casa  Ottona,  trovandosi  imparenta- 
ta colle  più  rispettabili  case  della 
nazione. 

Per  la  smania  che  avevano  gli 
Ottoni  d' ingrandirsi,  sotto  Leone  X 
nel  i5i6  Giovanni  occupò  alcuni 
fondi  spettanti  al  deposto  duca  di 
Urbino,  ma  alla  morte  del  Papa 
dovette  restituirli.  Nel  i5i8  di  suo 
arbitrio  Giovanni  espulsi  dal  con- 
vento di  s.  Francesco  i  minori  con- 
ventuali, vi  sostituì  i  minori  osser- 
vanti che  r  abitano  tuttora,  i  quali 
edificarono  il  torrione  nelle  mura 
castellane  che  esiste.  Nel  i520  al 
defunto  Giovanni  successe  nella  si- 
gnoria il  fratello  Ascanio,  il  quale 
per  ampliar  1'  orlo  contiguo  al  pa- 
lazzo e  formarvi  giardini  a  delizi», 
fece  demolire  il  confinante  monaste- 
ro delle  povere  di  s.  Chiara,  dopo 
averle  espulse  con  calunnia  ;  dispo- 
tismo che  destò  general  malconten- 
to contro  la  casa  Ottona,  già  di- 
venuta nemica  del  pubblico  per  a- 
verne  abolita  la  magistratura,  es- 
sersi appropriate  le  gabelle,  diverse 
terre,  ed  esercitando  vessazioni  di 
cui  n'  è  piena  la  storia  di  Mateli- 
ca. Nel  i524,  per  la  peste  surse 
presso  le  mura  l'elegante  chiesina 
di  s.  Rocco  a  spese  di  fi*.  Modesto 
Attucci.  Frattanto  gli  Ottoni  veden- 
dosi invisi,  cercarono  riguadagnar 
l'affetto  della  patria,  colla  fonda- 
zione di  un  collegio  canonicale  di 
cui  mancava  Matelica,  godendo  solo 
del  titolo  di  collegiata  la  chiesa  del- 
la pieve  de'  ss.  Bartolomeo  e  Adria- 
no sino  dal  i452  per  concessione 
del  vescovo  di  Camerino.  Ottenne 
nel  i529  da  Clemente  VII  che  in 
vece  di  essa  fosse  con  autorità  a- 
postolica  elevata  a  collegiata  con 
capitolo  di  otto  canonici  la  chiesa 
dì  s.  Maria   della    Piazza,    die  ap- 


MAX 
pai'leneva  all'  abbazia  di  Roti,  unen- 
dovi i  diritti  e  giurisdizioni  di  detta 
chiesa  matrice,  che  dovea  restar  par- 
rocchia. In  vece  Ascanio  con  indul- 
to orretizio  e  surretizio  ne  fece  e- 
seguire  subito  lo  sfascio  per  ingran- 
dir la  piazza,  e  rimuovere  un  edifi- 
zio  che  impediva  il  prospetto  del 
suo  palazzo,  e  senza  spesa  venne  ad 
acquistare  il  diritto  di  nominare  i 
canonici  e  guadagnarsi  cosi  la  rico- 
noscenza di  più  cittadini.  In  appresso 
alla  nuova  chiesa  collegiata  fu  uni- 
ta la  pia  società  del  ss.  Sagramen- 
to.  Moltiplicatisi  gli  Ottoni,  scoppiò 
la  discordia  nell'  interno  della  fa- 
miglia, per  la  custodia  della  Rocca 
delle  Macere,  e  sulla  plenipotenza 
dell'economia  di  famiglia  deposi- 
tata sul  maggior  nato;  Paolo  IH 
s'interpose,  e  nel  i536  si  pacifica- 
rono.  Circa  questo  tempo  mori  A- 
scanio,  e  nella  signoria  gli  successe 
Cesare  di  Ranuzio,  sotto  il  quale 
si  fondò  nel  i54o  il  convento  dei 
cappuccini,  il  cui  ordine  o  riforma 
avea  avuto  origine  nell'eremo  di 
s.  Giacomo  di  Matelica,  ove  ritira- 
tosi fr.  Francesco  da  Cartoccio,  vi 
si  recò  fr.  Matteo  da  Bassi,  che  a- 
Tea  ideato  la  riforma,  comunican- 
dogliela e  piegandolo  di  consiglio. 
Fr.  Francesco  l'eccitò  a  recarsi  da 
Clemente  VII,  che  approvata  la  ri- 
forma, fr.  Matteo  si  ricondusse  al- 
l'amico, il  quale  fu  il  primo  ad  ab- 
bracciarla. Cosi  ebbe  culla  in  Ma- 
telica il  novello  istituto,  trapiantato 
poi  in  Camerino,  e  dilatato  per  tut- 
to il  mondo  a  bene  de'  fedeli  :  di 
tuttociò  meglio  si  parlò  agli  arti- 
coli Cappuccini,  Fossombrone  ,  e 
Francescano  ordine.  Fr.  Francesco 
restò  nell'eremo,  e  vi  mori  pia- 
mente, e  r  eremo  fu  concesso  al 
nuovo  convento  in  discorso.  Nel 
1543  colla  morte  di  Cesare  Ottoni 


MAT 


261 


finirono  nella  famiglia  tutte  le  ap- 
parenze di  pace,  e  suscitossi  fra  i 
numerosi  individui  della  medesima 
la  più  aperta  discordia  :  Anton  Ma- 
ria assunse  le  redini  del  governo, 
mentre  questo  era  divenuto  inviso 
anco  ai  paesi  limitrofi. 

L'ambizione  terminò  di  rovinare 
gli  Ottoni,  che  dopo  la  morte  di 
Cesare  tutti  pretesero  alla  signoria, 
chi  come  primogenito,  chi  quale  se- 
niorCj  chi  con  altre  ragioni,  tutti 
procurando  fortificarsi  nel  proprio 
partito  con  grave  danno  della  pa- 
tria, manifestandosi  sempre  più  la 
loro  condotta  licenziosa  e  tirannica 
per  confische  di  beni,  uccisioni,  ed 
asilo  che  accordavano  ai  banditi 
e  sicarii.  Nel  i545  fu  ordita  una 
congiura  contro  gli  Ottoni,  massi- 
me per  trucidar  Alessandro,  fra- 
tello di  Anton  Maria,  il  quale  per 
la  sua  più  regolare  condotta  e  po- 
polarità, volevasi  risparmiare.  Gli 
autori  fuggirono,  ma  Anton  Maria 
rigorosamente  procedette  contro  il 
capitano  Claudio  Acquacotta,  com- 
plici e  parenti  con  aperta  violenza. 
Ricorrendo  gli  angariati  alle  supe- 
riorità, si  scuoprirono  le  enormità 
di  Anton  Maria,  che  fuggii,  e  -ven- 
ne dannato  a  morte  dai  giudici  del 
cardinal  legato,  mentre  Ranuccio 
Ottoni  figlio  di  Cesare,  in  nome  di 
Paolo  III  s'impadrom  della  Rocca 
delle  Macere.  Il  furore  de'  mateli- 
cani  non  ebbe  piìi  ritegno,  ed  es- 
pulsi tutti  gh  Ottoni,  rivendicò  il 
pubblico  le  rendile  usurpategli,  indi 
ricorse  a  Paolo  III.  Questi  destinò 
il  proprio  nipote  cardinal  Ranuccio 
Farnese,  per  ridonar  la  pace  al  pae- 
se, onde  ebbe  luogo  nel  i547  la 
concordia  fra  la  comune  e  gli  Ot- 
toni protetti  dai  Farnesi  e  dai  Va- 
rani ;  venne  restituito  al  comune  il 
diritto  di  formare  il  consiglio  e  le 


«62  MAT 

sue  rendite,  e  fatto  governatore  del 
paese  Troilo  Ceno  da  Sanginesio, 
ed  eletti  quattro  priori.  Ii^'icolò  Gin- 
tio  da  s.  Angelo  in  Fontano  duo- 
:¥o  governatore  parteggiò  pegli  Ot- 
toni, e  Paolo  III  annullò  la  senten- 
za di  morte,  e  la  confìsca  de'  beni 
contro  Anton  Maria,  ripristinandolo 
ne'  suoi  onori.  Gli  Ottoni  ritornali 
in  armonia  tra  loro,  nel  1 549  ce- 
derono  il  governo  di  Matetica  ai 
cardinali  Gio.  Domenico  vescovo  di 
Ostia,  e  Uberto  di  s.  Grisogono,  che 
r  avrebbero  loro  restituito  con  con- 
dizioni :  queste  furono,  che  tutti  gli 
Ottoni  avessero  diritto  al  vicariato, 
ma  r  esercizio  si  affidasse  al  più 
-vecchio,  se  ne  fosse  capace.  I  ma- 
tei  icani  restarono  sorpresi  in  vederli 
ripristinati  nella  signoria,  e  procu- 
rarono cautelare  gì'  interessi  del 
pubblico,  e  che  il  governatore  della 
Marca  visitasse  anche  Matelica.  Nel- 
la sede  vacante  Alessandro,  Pirro 
ed  Ettore  Ottoni  fidandosi  ne'  loro 
aderenti,  a'  7  dicembre  ritornarono 
in  Matelica;  si  suonò  la  campana 
a  stormo,  e  Nicolò  Acquacotta  che 
con  altri  capitanava  il  popolo,  uc- 
cise Alessandro  odiato  pe'  suoi  ec- 
cessi e  disonesti  portamenti.  L'at- 
tentato non  restò  impunito;  i  più 
colpevoli  fuggirono,  altri  furono 
castigati  dal  commissario  apostolico 
Angelini  vescovo  di  Sutri  e  Nepi, 
che  nel  i55o  in  qualche  parte  rein- 
tegrò gli  Ottoni  nella  signoria,  pii- 
"vando  la  comune  de'  suoi  beni  e 
gabelle.  Nel  i55i  Giulio  III  a' io 
gennaio  ripristinò  nel  governo  del 
paese  Anton  Maria,  e  restituì  agli 
Acquacotta  i  beni  usurpati  dopo  la 
congiura  :  ammaestrato  Anton  Ma- 
ria del  passato,  cambiò  sistema  per 
guadagnarsi  l'  amore  de'  cittadini; 
ma  pensò  a  vendicarsi  de'  suoi  ne- 
oaici,  non    risparmiando  i    parenti, 


MAT 

onde  la  discordia  entrò  nuovamen- 
te in  sua  casa,  ed  ebbe  ad  emulo 
Antonio  accetto  al  popolo.  Nel  i5.^4 
venne  istituito  il  monte  di  pietà,  e 
si  pubblicò  una  severa  prammatica 
relativa  al  lusso  delle  donne.  Por- 
tando Anton  Maria  il  dispotismo 
all'estremo,  nel  i559  i  matelicani 
ricorsero  a  Paolo  IV  con  107  cupi 
d'accusa,  dichiarando  che  gli  Ottoni 
erano  decaduti  dal  vicariato  pel  ti- 
rannico regime,  e  perchè  da  mezzo 
secolo  si  erano  usurpato  il  censo 
dovuto  alla  camera  apostolica  in 
forza  delle  investiture.  Intanto  mori 
il  Papa,  e  Anton  Maria  non  respi- 
rò che  strage  e  vendetta;  ma  ai  27 
agosto  corse  in  vece  pericolo  di  pe- 
rire in  un'  insurrezione,  onde  fuggì 
con  tutti  gli  Ottoni  tranne  Anto- 
nio, e  ricorsero  a  Roma  contro  i 
matelicani  come  sediziosi.  I  citta- 
dini produssero  altri  90  capi  d'  ac- 
cusa di  enormità  ed  eccessi,  onde  fu 
spedito  per  commissario  in  Matelica 
Francesco  Mercati  da  Bibbiena  a  far- 
ne processo,  del  quale  ne  dà  un 
sunto  r  Acquacotta  p.  174  e  seg. 
In  esso  sono  notale  le  discordie  do- 
mestiche, le  usurpazioni,  gli  arbitrii, 
le  segrete  uccisioni,  le  usure,  gli  a- 
dulterii  e  le  più  turpi    laidezze. 

Pio  IV  nel  i56i  sostituì  al  no- 
minato commissario,  Gio.  Battista 
Doria  governatore  di  Camerino,  ma 
la  causa  andò  in  lungo  per  la  pro- 
tezione alla  corte  degli  Ottoni;  quin- 
di il  Papa  con  motO'proprio  de'  27 
agosto  i563  li  assolvette  dalle  [)ene 
incorse,  e  nuovamente  gl'invesfi  del 
vicariato,  mediante  lo  sborso  di  scu- 
di diecimila,  come  assolvette  il  co- 
mune dall'omicidio  di  Alessandro 
Ottoni,  e  dalla  posteriore  insurre- 
zione,  collo  sborso  di  scudi  quattro- 
mila, e  ripristinò  il  consiglio.  Tut* 
tociò  non  ebbe  sul  momento  elicilo 


MAT 

perchè  dispiacque  agli  Ottoni  il  dis- 
posto ili  favore  de*  matelicani.  Frat- 
Uinto  accadde  un  omicidio  presso 
la  Rocca  delle  Macere,  che  si  at- 
tribuì ai  banditi  che  tenevano  gli 
Ottoni  nella  rocca,  laonde  di  que- 
sta famiglia  disgustato  Pio  IV,  or- 
dinò che  si  prendesse,  e  perchè  An- 
tonio si  era  opposto  colla  forza  fu 
riguardato  come  ribelle,  e  nel  i564 
fu  atterrato  il  forte  con  giubilo  dei 
matelicani.  Antonio  subì  la  pena 
capitale  e  la  confisca  de*  beni.  Il 
moto-proprio  fu  quindi  eseguito,  e 
morì  pure  Anton  Maria.  Gli  suc- 
cesse Pirro,  che  recatosi  in  Roma 
fece  una  lagrimevole  pittura  de'mali 
sofiferti  dai  suoi  antenati,  e  promise 
di  far  un  esborso  alla  camera  se  gli 
venivano  restituiti  i  perduti  diritti 
sopra  Matelica.  Esaudì  Pio  IV  le 
sue  istanze,  annullò  i  bandi  e  le 
sentenze  contio  gli  Ottoni,  e  rein- 
tegrò Pirro  nel  dominio  cogli  altri 
della  famiglia,  con  condizione  di  pa- 
gare diecimila  scudi,  e  il  divieto  di 
rifabbricare  la  rocca,  riuscendo  inu- 
tili le  suppliche  de'  matelicani  per 
restare  sotto  il  governo  di  s.  Chiesa. 
Pirro  si  presentò  in  Matelica  mi- 
nacciante vendetta,  ed  il  magistra- 
to impaurito  gli  prestò  giuramento 
contro  il  moto-proprio,  ma  si  re- 
putò nullo.  I  matelicani  vigorosa- 
mente contrastarono  agli  Ottoni  la 
signoria,  ricorrendo  formalmente  a 
Pio  IV,  e  al  successore  s.  Pio  V. 
Il  governatore  di  Roma  emanò  un 
monitorio  a  comparire  avanti  di  lui 
Pirro  e  gli  altri  Ottoni,  e  perchè 
contumaci  furono  condannati  a  mul- 
te, confisca  ed  esilio.  Nel  1 566  Pirro 
arrestato  fu  chiuso  in  Torre  di  No- 
naj  ed  i  matelicani  avendo  supplica- 
to per  ritornare  sotto  l'immediato 
regime  della  santa  Sedcj  s.  Pio  V 
spedì  a  Matelica  per  pacificarla  co- 


MAT  263 

gli  Ottoni,  il  cardinal  Albani  nel 
iSyo,  il  quak  ottenne  fii'a  le  parti 
amichevole  accomodamento.  Dive- 
nuto Papa  nel  1^72  Gregorio  XIII^ 
gli  Ottoni  furono  ripristinati  nel  vi« 
cariato,  previa  riconciliazione  coi  ma- 
telicani, che  si  effettuò  dal  governa- 
tore della  Marca  Mirto,  onde  fu  giu- 
rata concordia  tra  Pirro,  Ottaviano, 
Vincenzo  e  Gio.  Maria  Ottoni,  e  la 
comunità.  Questa  nei  iSyS  formò 
un  archivio  segreto  per  conservare 
gelosamente  le  più  importanti  scrit- 
ture. Gli  Ottoni  prevedendo  d' in- 
felice esito  la  lotta  col  pubblico,  e 
impotenti  di  ulteriormente  portarne 
il  peso,  presero  il  partito  di  rinun- 
ziar  ciò  che  temevano  perdere.  A- 
vanzarono  supplica  a  Gregorio  XI H, 
implorando  facoltà  di  vendere  al  di 
lui  figlio  Giacomo  Boncompagno  i 
diritti  che  aveano  sul  paese,  e  per- 
chè il  Papa  ci  convenne,  gli  cede- 
rono  nel  i5j6  con  atto  solenne  il 
vicariato,  vendendogli  la  rocca  e 
tenuta  delle  Macere. 

Esultò  il  pubblico  per  sì  fausta 
notizia,  e  spedì  un'  ambasciata  a 
Roma  per  riverire  il  nuovo  padro-» 
ne,  e  ringraziare  il  Pontefice;  ma 
la  cessione  non  ebbe  più  effetto , 
per  avere  ricusato  1'  assenso  uno  de- 
gli Ottoni.  Nel  1577  i  matelicani 
chiamarono  i  cappuccini  nel  conven- 
to e  chiesa  della  ss.  Trinità,  per 
loro  edificati  presso  le  sue  mura. 
Nel  1578  avendo  ommesso  gli  Ot- 
toni pagar  alla  tesoreria  il  cano- 
ne, cui  si  erano  obbligati  nell'in- 
vestitura ,  tanto  bastò  perchè  la 
camera  apostolica  con  decreto  li  di- 
chiarasse decaduti  dal  governo  di 
Matelica.  Indi  fu  incaricato  il  go- 
vernatore generale  della  Marca  Ni- 
colò d'Aragona  di  prendere  possesso 
del  paese  a  nome  della  santa  Sede 
a'  3  dicembre,  che   divenne  giorno 


a64  MAT 

fausto  e  (li  gioia  pei  matelicnni  ; 
prestarono  giuramento  di  fedeltà , 
scolpirono  in  pietra  il  lieto  avveni- 
mento, ed  innalzarono  lo  stemma 
pontificio  nel  palazzo.  Matelica  sino 
allora  governata  dai  luogotenenti 
degli  Ottoni,  lo  fu  quindi  dai  com- 
missari pontificii.  Non  dimenticando 
gli  Ottoni  la  loro  signoria,  non  di- 
speravano ricuperarla,  e  andavano 
esercitando  qualche  alto  dispotico. 
Si  misero  in  capo  di  provare,  che 
non  dai  Papi  ma  dagli  imperatori 
erano  stati  investiti  della  signoria  , 
indi  a  mezzo  di  messer  Curzio  Mor- 
roni  di  Gualdo,  forse  quello  stesso 
ch'era  stato  loro  luogotenente,  Al- 
fonso Ceccarelli  supplantò  il  diplo- 
ma di  Ottone  in  principio  ram- 
mentato; quindi  Pietro  Ottoni  nel 
i585  invocò  da  Sisto  V  la  revisio? 
ne  della  causa  contro  il  comune, 
e  gli  riuscì  ottenerla,  spacciando 
che  ricuperato  il  dominio  1*  avreb- 
be ceduto  a  Michele  pronipote  del 
Papa.  Domizio  Domizii  ricorse  in 
nome  de'  matelicani  a  Sisto  V,  cui 
scopri  la  falsità  del  diploma,  ed  il 
Papa  non  permettendo  la  vendita 
di  Matelica  a  Michele,  fece  comprar 
dalla  camera  la  parte  del  vicariato 
che  spettava  a  Gio.  Maria  Ottoni, 
figlio  di  Anton  Maria,  ed  a  Cesa- 
rea Varani  di  lui  madre  :  a  Sisto 
V  si  debbono  pure  i  regolamenti  ri- 
guardanti la  magistratura  e  la  ci- 
vica amministrazione,  compilati  dal 
visitatore  apostolico  Ongarese.  Pii- 
conoscente  il  comune  a  Sisto  V, 
collocò  il  suo  stemma  nella  vaga 
fonte  già  costruita  in  piazza,  insie- 
me a  quelli  del  cardinal  camerlengo, 
del  cardinal  Pinelli,  e  del  pubblico. 
Tuttavolta  lagrimevole  conseguenza 
dell'  accaduto  fu  uno  scisma  fra'cit- 
tadini,  divisi  nel  partito  degli  Ot- 
toni, e  in  quello    della  patria,  par 


MAT 

cifìrjali  poi  dal  governatore  di  Ma? 
cerala  Bandini.  Rifiorì  il  commer- 
cio con  sessanta  fabbriche  di  tessuti 
di  lana,  ma  nel  i ^go  si  patì  care- 
stia ed  epidemico  morbo,  e  Clemen- 
te Vili  provvide  agli  enormi  debiti 
contratti  dal  comune.  Sotto  la  pro- 
tezione del  giusto  e  pacifico  gover- 
no pontificio  si  aumentò  la  indur 
stria  patria,  si  migliorò  il  lanificio, 
e  per  lo  smercio  nel  1601  Clemen- 
te Vili  concesse  la  fiera  dai  21 
settembre  a'  4  ottobre,  coi  privilegi 
di  quelle  di  Foligno  e  Recanati, 
indi  ridotte  nel  16(6  a  sei  giorni, 
incominciandosi  a' 16 settembre,  gior- 
no solenne  per  la  festa  del  patrono 
s.  Adriano,  trasferita  nel  seguente 
giorno  in  seguito.  La  fiera  poi  del 
lunedì  dopo  la  ss.  Trinità,  si  deve 
alla  confraternita  di  tal  nome  ;  e 
quella  detta  del  Crocefisso  del  pia- 
no, dopo  la  domenica  in  Albis,  al 
1777.  Paolo  V  per  compensare  il 
comune  de'novemila  scudi  co'  quali 
aveva  tacitato  le  ragioni  di  altri 
Ottoni,  gli  accordò  alcune  gabelle, 
e  nel  1610  in  vece  de' commissa- 
ri stabi h  per  Matelica  ur>  gover- 
natore di  breve,  cor^  pieqa  gimis- 
dizione  civile  e  criminale,  indipen- 
dente dal  governatore  generale  delU 
provincia,  così  elevando  Matelica  a 
quel  rango  in  cui  erano  le  città  più 
cospicue  dello  stalo,  ed  il  primo 
preside  fu  il  nobile  concittadino  An- 
tiloco Arcangeli.  Per  riconoscenza  lo 
stemma  di  Paolo  V,  e  quelli  dei 
cardinali  Borghese  e  di  Cosenza, 
del  concittadino  Severini  vescovo 
diocesano,  e  del  governatore  furono 
innalzati  su  tutte  le  porte  pubbli- 
che. 

Nel  161 5  s'incominciò  l'edifi- 
cio del  monastero  delle  sacre  ver- 
gini, intitolato  alla  ss.  Annunziata 
ed  a   s.    Adriano,    ed    il  comune  si 


MAT 

occupò  dell'  ornamento  e  polizia  del 
paese.  Nel  1622  nella  collegiata  fab- 
bricò l'altare  (pare  che  la  cappella 
fosse  edificata  o  abbellita  dopo  il 
1 656  per  la  peste  che  desolava  diver- 
se parti  dello  stato)  per  collocarvi 
la  statua  della  Madonna  di  Loreto 
(  forse  oggi  esiste  nell'  aula  priorale, 
perchè  nel  1697  ve  ne  fu  dal  pidj- 
blico  sostituita  altra  di  valente  scal- 
pello ),  dono  del  nobile  matelicano 
Flaminio  Razzanti  tesoriere  della 
Marca  :  il  di  lui  fratello  Ottaviano 
nel  164?-  instituì  in  Maidica  la 
congregazione  de' filippini,  erigendo 
pure  casa  e  chiesa  dedicata  a  s. 
Filippo.  Però  nel  i652  Innocenzo 
X  soppresse  il  piccolo  convento  dei 
domenicani,  dalle  cui  rendite  il  co- 
mune ritrae  annui  scudi  venticui- 
que  a  vantaggio  d'un  giovane  stu- 
dente in  Roma  :  la  pia  società  del 
Rosario  vi  continuò  la  sua  divozio- 
ne, e  nel  1733  restaurò  la  chiesa. 
Circa  il  1667  decadde  l'utilissimo 
lanifìcio,  per  1'  introduzione  nello 
stato  di  panni  esteri,  poi  rivocata 
dal  Papa,  quindi  fatalmente  rinno- 
vata e  vigente.  A  pubbliche  spese 
nel  1 7  1 5  si  compì  1'  elegante  chiesa 
delle  Anime  purganti,  la  cui  santa 
unione  ebbe  principio  dopo  il  1690 
pel  zelo  del  cittadino  p.  Guglielmo 
Polidori.  Già  nel  1705  furono  in- 
trodotti in  Matelica  i  carmelitani 
scalzi  ,  con  magnifico  convento  e 
chiesa  de'  ss.  Valentino  e  Teresa, 
con  l'eredità  Pellegrini  rinunciata 
dai  gesuiti  con  dolore  dei  matèli- 
cani,  perchè  dovevano  aprirvi  un 
collegio  :  i  carmelitani  cessarono  di 
esistere  nelle  vicende  de'  primi  anni 
del  corrente  secolo.  L' incendio  del 
1708  divorò  l'importante  archivio 
capitolare,  ove  eravi  quello  della 
monastica  abbazia  di  Roti;  e  nel 
^71 3  fu    rifusa  la    campana    dellc^ 


MAT  265 

pubblica  torre.  Per  le  ubertose  mis- 
sioni date  dai  gesuiti  nel  1727  ebbe 
principio  la  tenera  divozione  degli 
abitanti  verso  Maria  ss.  della  Mi- 
sericordia, la  cui  immagine  lascia- 
rono nella  chiesa  di  s.  Maria,  e  fa- 
cendosene copia  si  collocò  in  quella 
della  nobile  confraternita  del  Suf- 
fragio. Nel  1737  finì  i  suoi  giorni 
in  Roma  Girolamo  Ottoni,  ultimo 
superstite  della  famiglia  che  dominò 
la  patria,  e  fu  sepolto  in  s.  Maria 
in  Monticelli  :  vivente,  il  comune 
r  avea  onorato  con  varie  distinzio- 
ni. Mentre  Matelica  fioriva  felice 
sotto  il  paterno  governo  pontificio, 
implorò  ed  ottenne  l'antico  rango 
di  città,  che  Benedetto  XIV  gli  re- 
stituì col  breve  Circumspecta  ro- 
mani Pontìficis  ^  de'  16  settembre 
1753,  presso  il  Ball.  Magn.t.XìX, 
pag.  69,  accordando  al  suo  magi- 
strato l'uso  della  mazza  argentea, 
della  collana  d'oro  al  gonfaloniere, 
e  delle  auree  stole  alle  toghe  se- 
natorie; laonde  fu  eretta  nell'aula 
comunale  marmorea  iscrizione  di' 
gratitudine.  Nel  1 764  Clemente  XllI 
a  mezzo  della  congregazione  di  con- 
sulta diede  uno  stabile  provvedimen- 
to al  bussolo  de' magistrati,  col  bre- 
ve Exponi  nohis  ;  e  la  comune  con 
parte  dell'  eredità  Pellegrini  fondò 
il  ginnasio  ad  istruzione  della  gio- 
ventù, che  oltre  le  scuole  elemen- 
tari già  esistenti,  ebbe  precettori  di 
eloquenza,  filosofia,  teologia  dora- 
malica  e  morale.  Con  autorizzazio- 
ne di  Pio  VI  nel  177.5,  in  luogo 
dell'ospedale  di  s.  Biagio  eretto  dal- 
la famiglia  Lucarelli,  fu  eretto  l'al- 
tro più  vasto  dove  esisteva  l'  antica 
chiesa  di  s.  Sollecito,  cui  si  asse- 
gnarono le  spettanze  delle  confra- 
ternite di  s.  Giuseppe,  di  s.  Anto- 
nio e  del  Gonfalone.  Rovesciato  nel 
1797   l'ordine    pubblico  per  la  ri- 


\olii7Jone  repubblicnna ,  i  francesi 
s*  impadronirono  di  Maidica,  ed  eb- 
Jjero  luogo  quelle  funestissime  vi- 
cende, seguite  da  quelle  dell'  altra 
invasione  francese,  ritornando  nel 
i8i5  al  pontifìcio  regime,  essendo 
troppo  noti  i  posteriori  avvenimenti. 
La  fede  fu  propagala  in  Maidica 
iie'  primi  tempi  della  Cliiesa,  aven- 
dola appresa  i  paesani  in  Roma 
dalla  bocca  de'  ss.  Pietro  e  Paolo  e 
dai  loro  primi  successori  :  il  Piceno 
e  1'  Umbria  nel  secondo  secolo  era 
già  tulio  pieno  di  cristiani,  accre- 
sciuti da  quelli  che  fuggivano  le 
persecuzioni  dalle  città  più  popolose. 
In  Maidica  sino  dalla  nascente  Chie- 
sa vi  fu  eretta  la  cattedrale  vesco- 
vile, ed  Equizio  fu  il  primo  vesco- 
vo di  cui  ci  resti  notizia,  che  sotto- 
scrisse al  concilio  tenuto  in  Roma 
liei  4^7)  <^3l  Papa  s.  Felice  11  detto 
111.  Si  vuole  che  il  di  lui  prede- 
cessore s.  Simplicio  indirizzasse  ad 
Equizio  una  celebre  decretale  sulla 
divisione  dei  beni  ecclesiastici.  Ci  ri- 
mane la  memoria  d'  un  secondo 
vescovo  per  noaie  Fiorenzio,  che  nel 
55 1  sottoscrisse  a  Costantinopoli  la 
condanna  pronunciata  dal  Pontefice 
Vigilio,  contro  Teodoro  vescovo  di 
Cappadocia,  e  foi-se  ritornò  in  Ma- 
tclica  sul  fine  del  552,  dopo  aver 
sostenuto  con  Vigilio  i  diritti  della 
Chiesa  contro  Giustiniano  I,  e  con 
lui  solferto  persecuzioni  per  la  giu- 
fclizia.  Quanto  tempo  sopravvivesse 
Fiorenzio  dopo  il  di  lui  ritorno,  non 
lo  dice  la  storia,  e  nenuneno  se  a* 
vesse  successori.  Fedi  V  Ughelli, 
halia  sacra  t.  X,  p.  i3o.  Invasa 
r  Italia  dai  longobardi,  la  maggior 
})arle  delle  chiese  restarono  prive 
de'  |>astori,  per  cui  dal  Papa  furono 
raccomandate  ai  vescovi  vicini,  on 
de  r  epoca  dell'estinzione  del  ve- 
itcovato  di  Matelica  si  assegna  verso 


MAX 

il  nyS,  venendo  raccomandato  al 
vescovo  di  Camerino.  Nel  secolo 
XV  HI,  considerandosi  troppo  vasto 
il  vescovato  di  Camerino,  avendo 
già  Benedetto  XIII  dichiarala  sede 
vescovile  Fabriano  ed  unitala  a  Ca- 
merino, nel  modo  dello  all'articolo 
Fabriano,  Pio  VI  staccò  da  Came- 
rino Fabriano  e  Matelica,  e  di  ambe 
le  città  aeque  priiicipatUcr  insieme 
unite  ne  fece  un  vescovato  imme- 
dialamenle  soggetto  alla  santa  Sede: 
quindi  colla  bolla  de' 7  luglio  1785 
fu  Matelica  reintegrata  al  pristino 
onore  della  cattedra  episcopale,  ed 
il  primo  vescovo  Zoppelti  fece  il 
pubblico  ingresso  in  città  ai  3i  ot- 
tobre, e  nella  solennità  d'  Ognissanti 
celebrò  la  prima  messa  pontificale. 
A  perenne  memoria  di  grato  anima, 
i  matelicani  nell'  aula  del  conrnune 
eressero  nobile  monumento  che  pre- 
senta l'immagine  di  Pio  VI  con 
analoga  iscrizione,  altra  collocandone 
nella  facciata  del  palazzo  governa- 
tivo, nel  1792  da  lui  restaurato.  La 
cattedrale  con  fonte  battesimale  è 
dedicata  a  Dio,  sotto  V  invocazione 
di  s.  Maria  della  Piazza,  di  s.  Bar- 
tolonteo  apostolo,  e  di  s.  Adriano 
martire,  di  cui  se  ne  venera  il  biac- 
cio.  Il  capitolo  si  compone  dell'ar- 
ciprete dignità,  di  tredici  canonici 
e  quattro  beneficiati,  comprese  le 
prebende  del  teologo  e  del  peni- 
tenziere, e  di  altri  preti  e  chierici 
addetti  al  servigio  divino,  essendo 
la  cura  delle  anime  affidata  al  par- 
roco. L' episcopio  è  prossimo  alla 
cattedrale,  oltre  la  parrocchia  della 
quale  altra  ve  n'  è  in  città;  vi  sono 
in  Matelica  tre  conventi  di  religiosi, 
due  monasteri  di  monache,  ed  altri 
pii  stabilimenti  :  il  vescovo  risiede 
in  Maidica  e  in  Fabriano  alterna- 
tivamente. 

MATENGO    Guglielmo,    Cardi' 


MAX 

ndlc.  Guglielmo  Matengo  di  Pavia, 
arcidiacono  di  quella  chiesa  e  poi 
cistcrciense  di  Chiamvalle  presso  Mi- 
lano, Adriano  IV  nel  diceaibre  i  i55 
lo  creò  cardinale  diacono  di  s.  Maria 
in  Via  Lata,  e  dopo  Ire  anni  prete  di 
s.  Pietro  in  Vincoli,  e  nel  1176 
fatto  da  Alessandro  ]il  vescovo  di 
Porto  e  s.  Rufìina.  Adriano  IV  Io 
spedi  a  Federico  I  con  altri  tre 
cardinali  per  legato,  ed  Alessan- 
dro III,  alla  cui  elezione  inlerven- 
ne  con  due  altri  cardinali,  l' inviò 
in  Francia,  Inghilterra  e  Sicilia, 
per  indurre  que' sovrani  e  regni 
alla  sua  obbedienza,  ed  abbando- 
nare r  antipapa  Vittore  V,  e  per 
la  sua  robusta  eloquenza  tutto  ot- 
tenne. Nel  1175  venne  mandato 
a  Federico  1  coi  cardinali  di  Ostia 
e  di  Porto,  per  trattare  i  prelimi- 
nari di  pace,  alla  cui  conclusione 
con  esso  e  col  Papa  si  tiovò  in  Ve- 
nezia ;  ma  nel  conciliabolo  tenuto  in 
Pavia  sulla  decisione  del  vero  Papa 
erasi  mostrato  neutrale.  Nelle  con 
Iroversie  del  re  d' Inghilterra  e  di 
s.  Tommaso  da  Canlorbery,  richie- 
sto dal  primo  con  altri  cardinali  per 
giudice  (lì  rifiutato  dal  secondo,  insie- 
me cogli  altri,  come  partigiani  del 
re.  Morì  in  Monlecassino  nel  1177. 
MATERA  {  Matcranm).  Città 
con  residenza  arcivescovile  del  regno 
delle  due  Sicilie,  nella  provincia  di 
Basilicata,  capoluogo  di  distretto  e 
di  cantone,  sulla  riva  destra  del 
Gravina,  bagnata  dal  Canopro,  che 
va  poi  a  congiungersi  col  Bradano. 
Giace  lungo  le  due  valli,  ed  occu- 
pa r  altura  intermedia.  Le  sue  vie 
sono  regolari,  crescono  i  moderni 
edifici  con  eleganza,  e  vi  si  ammi- 
rano vari  grandiosi  templi.  La  cit- 
tà è  antichissima,  Guglielmo  Brac- 
cio di  ferro  vi  fu  creato  conte  del- 
la  Puglia  nel     1043,  e    nell'epoca 


MAX  li^j 

feudale  fu  sottoposta  ai  duchi  di 
Gravina.  Ila  una  scuola  reale  di 
belle  lettere,  medicina,  diritto  ed 
agronomia,  ed  altri  stabilimenti  , 
con  più  di  dodicimila  al)itanli  :  il 
suo  distretto  si  divide  in  otto  can- 
toni. Malera  o  Malcola  si  dice  e- 
retta  in  sede  vescovile  dai  greci  nel 
IX  secolo,  e  quindi  unita  a'  tempi 
di  Alessandro  II  ad  Acerenza.  In- 
nocenzo III  per  togliere  le  conte- 
stazioni con  la  metropolitana  d*  A- 
cerenza,  malgrado  l'  opposizione  dei 
suoi  abitanti,  die  il  titolo  arcivesco- 
vile a  Matera,  restando  unita  ad 
Acerenza,  la  quale  eretta  nel  III 
secolo,  per  alcuni  anni  fu  poi  sot- 
tomessa ad  Otranto  che  avea  ab- 
bracciato il  rito  greco  sotto  Policu- 
to  patriarca  di  Costantinopoli,  indi 
divenne  suliraganea  di  Salerno.  Da 
Nicolò  li  fu  elevata  ìid  arcivescovato 
nel  secolo  XI,  e  l'arcivescovo  stabilì 
nel  XII,  la  sua  residenza  a  Matera, 
quando  rovinala  la  città  di  Ace- 
renza dalle  guerre  così  dispose  In- 
nocenzo HI.  Nel  pontificalo  di  Eu- 
genio IV  Matera  fu  ripristinata  e 
divisa  da  Acerenza,  ma  dopo  alcuni 
anni  venne  rinnovata  1'  unione,  ^^ 
più  tardi  Clemente  Vili  nel  i^ycj 
confermò  1'  unione  di  Matera  ad 
Acerenza.  Finalmente  J^io  VII  nel 
1818,  colla  lettera  apostolica  Do 
iitiliori^  soppresse  la  sede  di  Matera, 
unendola  ad  Acerenza  in  perpetuo. 
Quindi  revocando  V  anteriore  sop- 
pressione ed  unione,  colla  lettera 
apostolica  Ex  mysieriosa  per  citni 
qui  sedet  ,  de'  1 5  marzo  1818, 
nuovamente  eresse  V  arcivescova- 
to di  Matera,  restando  però  uni- 
to a  quello  di  Acerenza  con  re- 
sidenza a  Malera  dell'  arcivescovo 
di  Acerenza  e  Malera.  Anticamente 
furono  sulFraganei  di  Acerenza  i  ve- 
scovi di  Venosa,  Melfi,  Hapolla,  Monlc 


!3tr,8  M  A  T 

I*eloso,  Potenza,  Tursi  ed  Anglona, 
Gravina  e  Tricarico,  la  maggior  par- 
te de' quali  soltoposligli  da  Alessan- 
dro II.  Al  presente  A  Gerenza  e  Ma- 
tera  hanno  per  sufTraganei  i  vescovi 
di  Anglona  e  Tursi,  sedi  unite,  Po- 
tenza, Tricarico  e   Venosa.   F.  Ace- 

EENZA. 

Ecco  lo  stato  di  Acerenza  e  di 
Malera  secondo  rullima  proposi- 
zione concistoriale,  le  cui  arci- 
diocesi  unite  si  estendono  per  cir- 
ca cìnquantaquattro  miglia  di  ter- 
ritorio, contenendo  più  luoghi.  La 
cattedrale  di  Acerenza  è  dedicata 
a  Dio  sotto  l'invocazione  di  s.  Ca- 
no  martire  suo  vescovo  e  patrono, 
e  trovasi  in  istato  rovinoso;  quel- 
la di  Matera  è  sotto  il  tìtolo  della 
Beala  Vergine  de  Bruna,  e  di  s. 
Eustachio.  Il  capitolo  di  Acerenza 
si  compone  di  tre  dignità,  la  pri- 
ma delle  quali  è  l'arcidiacono,  di 
venti  canonici,  e  di  cinque  man- 
sionari partecipanti;  quello  di  Ma- 
tera, di  tre  dignità,  essendo  la  mag- 
giore il  decano,  e  di  trenta  canonici; 
in  ambedue  vi  sono  le  prebende 
teologicale  e  penitenziaria,  ed  altri 
preti  e  chierici  addetti  al  divino 
servigio.  In  ambedue  le  cattedrali 
vi  è  il  fonte  battesimale,  e  la  cura 
delle  anime  si  esercita  in  Acerenza 
dalla  prima  dignità,  in  Matera  dal- 
la seconda,  ciascuno  coadiuvati  da 
un  sacerdote  amovibile.  Soltanto 
Matera  ha  l'episcopio  ed  il  cimi- 
terio.  In  Acerenza  non  avvi  altra 
chiesa  parrocchiale,  bensì  un  con- 
vento di  religiosi,  diversi  sodalizi 
e  l'ospedale.  In  Matera  vi  sono  tre 
altre  chiese  parrocchiali,  munite  del 
battisterio,  ed  una  è  anche  collegiata 
con  quindici  canonici  e  la  dignità 
dell'abbate;  tre  conventi  di  religiosi, 
altrettanti  monasteri  di  monache, 
un   conservatorio,  confraterni le^    se- 


M  A  T 

minarlo  di  chierici  per  le  due  nr- 
cidiocesi,  e  monte  di  pietà.  Ambe- 
due le  mense  unite  sono  tassate 
ne'  libri  della  camera  apostolica  ad 
ogni  arcivescovo  in  fiorini  4o^>  ^o''" 
rispondenti  a  circa  ^5oo  ducati 
napoletani,  gravati  di  alcuni  oneri. 
Ecco  la  serie  de' vescovi  ed  arci- 
vescovi di  Acerenza  e  di  Matera, 
secondo  l' Ughelli,  Italia  sacra,  t. 
VII,  p.  5  e  seg.,  continuata  dalle 
annuali    Notizie  di  Roma. 

11  primo  vescovo  di  Acerenza 
fu  Romano  che  fiorì  verso  l'anno 
3 co,  nel  pontificato  di  s.  Marcellino, 
e  governò  circa  ventinove  anni.  Ne 
furono  successori,  Monocollo,  Pietro, 
Silvio,  Teodosio,  Alore,  Stefano  I, 
Araldo,  Berto ,  Leone  I,  Lupo,  E- 
valanio,  Azo,  Asedeo,  Giuseppe,  e 
Giusto  che  sottoscrisse  nel  sinodo 
romano  del  499  tenuto  da  Papa 
s.  Simmaco.  Dopo  di  lui  non  si 
hanno  notizie  di  altri  vescovi  per 
277  anni  circa.  Leone  li,  uomo 
santissimo,  governava  verso  il  776, 
e  si  recò  in  pellegrinaggio  a  Ge- 
rusalemme: prima  costruì  un  lem- 
pio  in  onore  di  s.  Cano  o  Canione, 
e  vi  trasferì  il  corpo  da  Atella, 
morendo  in  Africa  nel  799  in  re- 
gione JuUanae,  chiaro  per  miracoli. 
Il  vescovo  Rodolfo  gli  successe,  e 
trasportò  in  Acerenza  nella  chiesa 
di  s.  Gio.  Battista  parte  del  corpo 
di  s.  Liverio  martire,  che  tolse  da 
^Grumento  rovinata  dai  saraceni. 
Gli  successero,  nell'SSo  Leone  IH, 
Andrea  I,  Giovanni  l,  Giovanni  II 
monaco  benedettino,  Stefano  II  tlel 
1024,  Stefano  IH,  Stefano  IV, 
Goderio  1,  Goderio  II  nipote  del 
precedente,  e  fu  l'ultimo  vescovo 
di  Acerenza.  Il  primo  arcivescovo 
è  Geraldo,  decorato  di  tal  dignità 
o  da  s.  Leone  IX  o  da  Nicolò  II; 
inori   verso    il     io()6,  e  Alessandro 


M  A  T 

II  vi  sostituì  Arnoldo  cui  conferì 
il  pallio,  e  morì  nel  iioi.  Pietro 
ebbe  de'privijegi  nel  1106  da  Pa- 
squale IJ,  e  visse  sino  al  ii4'2)  i» 
cui  gli  successe  Durando,  indi  Ro- 
berto al  quale  Eugenio  111  nel 
1  i5i  confermò  le  concessioni  di 
Pasquale  11.  Nel  1178  Alessandro 
Ili  fece  arcivescovo  Riccardo  che 
intervenne  al  concilio  generale  di 
Laterano  III  :  è  rammentato  da 
Innocenzo  III  nell'  inféudazione  di 
s.  Maria  di  Matera,  che  appartene- 
va alla  mensa  della  chiesa  di  A- 
cerenza.  Pietro  del  i  i84j  altro  Pie- 
tro del  1194»  Rainaldo  romano 
chiaro  per  letteratura ,  esperienza 
ed  eloquenza,,  fu  consacrato  nel 
1  ig8  da  Innocenzo  III,  ed  assai  da 
lui  stimato  morì  nel  1200.  11  ca- 
pitolo elesse  l'arcidiacono  Andrea, 
confermato  da  Innocenzo  III,  il  qua- 
le per  la  desolazione  in  cui  era 
Acerenza,  nel  i2o3  eresse  di  nuo- 
vo Matera  in  sede  arcivescovile  u- 
iiita  ad  Acerenza  con  V  uso  del 
pallio,  onde  in  Matera  l'arcivesco- 
vo fissò  la  sua  residenza,  sottoscri- 
vendosi e  intitolandosi  arcivescovo 
di  Acerenza  e  Matera.  Nel  i252 
Innocenzo  IV  creò  arcivescovo  M. 
Anselmo,  cui  successero:  nel  1268 
fr.  Lorenzo  domenicano,  cappellano 
del  cardinal  Annibaldi  ;  nel  1277 
Pietro  de  Archi  a  eletto  per  com- 
j>romesso  dal  capitolo  i  fr.  Leonardo 
de'minori  nel  1284  amministrato- 
re ;  fr.  Gentile  Orsini  domenicano, 
dotto,  eloquente  e  pieno  di  esperien- 
za, del  i3oo;  d.  Guidone  cistcr- 
ciense amministratore  del  1 3o3  ; 
fr.  Landolfo  domenicano  del  i3o6, 
di  gran  virtù  e  scienza;  fr.  Roberto 
degnamente  gli  successe  nel  1 3o8; 
Pietro  traslato  da  Venosa  nel  i334; 
Giovanni  Conlelli  dottore  in  legge 
chiarissimo  del    i343;  Bartolomeo 


MAT  2G9 

Prignanì  del  i363,  Iraslato  a  Bari 
nel  1377,  e  creato  Papa  col  nome 
di  Urbano  VI  nel  1378:  Gregorio 
XI  gli  aveva  dato  in  successore 
Nicola  Acconciamuri. 

Insorto  contro  Urbano  VI  l'an- 
tipapa Clemente  VII,  questi  nel 
1879  v'intruse  Giacomo  de  Silve- 
stri: nel  i38o  Urbano  VI  gli  so- 
stituì Bisanzio  Morelli  di  Matera, 
già  suo  vicario  quando  era  arcive- 
scovo. Tommaso  di  Bilonto,  e  Pie- 
tro Giovanni  Baraballi  napoletano 
del  1 392  ;  fr.  Stefano  del  1 3^)5  ; 
Riccardo  di  Olevano  del  1402  ; 
Nicolò  Piscicelli  napoletano  del 
1407,  ornato  d'ogni  virtù;  MiUi- 
fiedo  aversano  del  i4i4j  d'  singo- 
iar prudenza  e  cognizioni,  ma  di- 
venendo inviso  a  Gio.  Antonio 
Orsini  conte  di  Matera,  di  questa 
Eugenio  IV  ne  affidò  l'amministra- 
zione a  Pietro  vescovo  di  Motula 
nel  144^1  ^^^^  l'assegnò  al  di  lui 
fratello  Madio  de'minori ,  e  poscia 
nel  i444  l'i  unì  nuovamente  le  due 
sedi  e  le  conferì  a  Marino  de  Pao- 
li, che  le  restituì  all'antico  decoro. 
Sisto  IV  nel  i47>  vi  trasferì  fr. 
Enrico  Lungardi  domenicano  di 
Palermo,  ottimo  pastore,  confer- 
mando con  diploma  1'  unione  di 
Acerenza  e  Matera.  Nel  148 3  di- 
venne arcivescovo  Vincenzo  Pal- 
mieri napoletano,  lodato  per  virtù 
e  benemerito  dell'  immunità  eccle*. 
siastica:  Leone  X  nel  i5i6  gli  die 
per  successore  il  nipote  Andrea 
Matteo  Palmieri  ,  che  nel  i527 
Clemente  VII  creò  cardinale,  e  nel 
1528  rassegnò  le  due  chiese  al 
fratello  fr.  Francesco  de'minori  con- 
ventuali. A  questi  nel  i53i  suc- 
cesse Gio.  Michele  Saraceni  che 
GiuliolII  creò  cardinale  nel  i55i, 
e  per  sua  dimissione  nel  ì55'j  il 
nipote    Sigismondo    Saraceni,     che 


270  MAX 

inlervenrte  ni  concilio  di  Ti-ento, 
Nel  i586  Francesco  Anlonio  Snn- 
torio  ;  nel  k^QI  Finncesco  de 
Abiilancda  portoghese  ;  nel  i^qB 
Scipione  de  Tel  fa  lelleiato  napo- 
letano; nel  1^96  Giovanni  Miro 
di  Barcellona;  nel  i6o5  Giusep- 
pe Rossi  aquilano:  questi  ridus- 
se a  trenta  i  canonici  di  Ma  te- 
la, ripristinò  la  dignità  di  cantore, 
ed  eresse  il  seminario.  Nel  16 ri 
fu  fatto  arcivescovo  fr.  Giovanni 
tSpilia  domenicano,  teologo  illustre 
5pagnnolo  ;  nel  1621  Fabrizio  An- 
tinori  napoletano  d'eccellenti  qualità 
e  prudenza  :  fece  salutari  decreti 
sinodali,  ed  a'24  ottobre  1627 
consagrò  solennemente  la  cattedrale 
di  Matera,  edificata  nel  12^0.  Nel 
i63o  fu  promosso  all'arcivescovato 
il  cardinal  Domenico  Spinola  ;  nei 
iG38  Simeone  CaralFa  de'duchi  di 
Roccella,  di  singolare  integrità  di 
vitn,  moderazione  e  zelo;  nel  164B 
Gio.  Ballista  Spinola  nipote  del  cardi- 
nale, pastore  egregio;  nel  i665  Vin- 
cenzo Lanfranchi  traslato  da  Tri- 
venlo;  nel  1678  Antonio  del  Rio 
Colminares,  trasferito  da  Gaeta,  che 
governò  lodevolmente;  nel  1708 
Antonio  Maria  Brancacci  nobile 
teatino  napoletano;  nel  [723  fr. 
Antonio  Giuseppe  Maria  Positani 
di  Napoli,  traslato  da  Acerra  ;  nel 
1780  d.  Alfonso  Mariconda  cassi- 
nese,  tiaslato  da  Trivenlo;  nel  1787 
d.  Giovanni  Rosso  teatino  di  Ca- 
po di  Monte,  traslato  da  Ugento  ; 
nel  1788  Francesco  Lanfreschi  d'I- 
schia, traslatoria  Gaeta;  nel  1754 
Anlonio  Anlinori  dell'Aquila  ,  tras- 
lato da  Lanciano;  gel  1758  d. 
Serafino  Filingeri  cassinese  bene- 
ventano; nel  1763  d.  Nicolò  Fi- 
lomarino monaco  celestino  di  Na- 
poli ;  nel  1767  d.  Carlo  Parlato 
de'  pii    operai    napoletano,  traslato 


MAX 
da  Potenza;  nel  1776  Francesco 
Zunica  di  Lucerà;  nel  1797  Ca- 
millo Calanco  de'marcliesi  di  Mon- 
te Scaglioso  napoletano.  Per  sua 
morte  il  Papa  Gregorio  XVI  nel 
concistoro  de'fì  aprile  i835  dichia- 
rò arcivescovo  di  Acerenza  e  Ma- 
tera l'odierno  monsignor  Antonio 
de  Macco,  nato  in  Livorno,  dimo- 
rante nella  diocesi  di  Gaeta,  cano- 
nico di  quella  cattedrale,  e  profes- 
sore di  quel  seminario. 

MAXERIALISMO.  Dottrina  fah 
sa  ed  empia  di  quelli  che  osano  sos- 
tenere che  tutto  è  materiale,  che 
l'anima  non  è  immortale:  il  Ber- 
gier  in  due  tomi  pubblicò:  Esame 
del  materialismOy  Venezia  1772. 
Materialisti  o  materiariiy  si  chia- 
marono quegli  antichi  eretici  che 
ammettevano  una  materia  eterna, 
con  cui  Iddio  avea  creato  il  mon- 
do, invece  di  riconoscere  colla  sacra 
Scrittura  che  lo  avea  tratto  dal 
nulla.  Xertulliano  combattè  i  ma- 
terialisti nel  trattato  contro  Ermo* 
gene. 

MAXERNO  (s.)  ,  vescovo  di 
Colonia  e  di  Xreveri.  La  vita  di 
questo  santo  vescovo  venne  assai 
sfigurala  dalle  favole  degli  scrittori 
di  leggende,  i  quali  1'  hanno  fatto 
discepolo  di  s.  Pietro.  È  certo  che 
verso  la  fine  del  terzo  secolo  fu 
mandato  dalla  santa  Sede  nelle 
Gallie  con  s.  Eucario  e  s.  Valerio 
a  predicarvi  il  vangelo  ;  che  fu 
successivamente  vescovo  di  Colonia 
e  di  Xreveri  i  e  che  mori  qualche 
anno  prima  del  347.  Assistette  co- 
me vescovo  di  Colonia  ai  due  con* 
cilii  che  si  tennero  contro  i  dona- 
tisti, r  uno  a  Roma  ai  2  ottobre 
del  3i3,  e  l'altro  ad  Arles  il  pri- 
mo agosto  del  814.  L'Alsazia  lo 
onora  come  suo  apostolo;  egli  vi 
distrusse  l'idolatria ,    e  vi    fabbricò 


MAT 
molte  cliiese  in  onore  di  s.  Pietro. 
La  sua   festa  si     celebra  ai      i4  di 
settembre. 

MATILDE  Contessa.     F.    Coiv- 

TESSA    MaTIT.de,    MaNTOVA,    LuCCA,    6 

s.  Gregorio  VII. 

MATRICOLA.  Catalogo,  indice, 
registro,  lista  che  si  tiene  per  no- 
tarvi le  persone  ch'entrano  in  qual- 
che corpo  o  società.  Degli  antichi 
cataloghi  o  indici  delle  chiese,  la  cui 
origine  risale  ai  primi  tempi  del 
cristianesimo,  chiamati  Malriciilae 
o  Tabiilae  Ma  Incula  ri ae,  la  storia 
ecclesiastica  fa  menzione  di  due  sor- 
te di  matricole,  l' una  che  conte- 
neva la  lista  dei  poveri  alimentati 
a  spese  della  chiesa,  l'altia  che  con- 
teneva la  lista  degli  ecclesiastici  e 
clero  della  chiesa  medesima,  od  an- 
che di  tutta  la  diocesi.  La  matri- 
cola o  il  costume  di  formare  il  ca- 
talogo de'  poveri  si  rinviene  nelle 
lettere  4^  e  46  di  s.  Gregorio  I,  lib. 
3,  ed  in  altri  monumenti.  Questi 
poveri  erano  d' ambo  i  sessi,  spe- 
cialmente le  vedove  ed  i  pupilli,  che 
si  alimentavano  coi  beni  e  rendite 
di  quella  chiesa  cui  appartenevano: 
erano  chiamati  Matriculani^  e  vi- 
vevano sotto  la  cura  e  sorveglianza 
de'rispettivi  vescovi,  sacerdoti,  ed  in 
Roma  dei  diaconi,  ond' ebbero  ori- 
gine le  Diaconie  cardinalìzie  [Fedi) j 
chiese  presso  le  quali  eranvi  case, 
ospizi  ed  ospedali  pei  poveri,  le  qua- 
li case  furono  pure  altrove  per  ri' 
cettare  i  poveri  ed  alimentarli:  ta- 
le casa  d' ordinario  fabbricata  vici* 
no  alla  porta  della  chiesa,  soleva 
chiamarsi  anche  Matricida  paupe- 
rum.  In  alctme  di  queste  chiese 
i  poveri  vi  esercitavano  qualche  uf- 
fizio manuale,  come  lo  scopai  le  e  il 
suonar  le  campane.  MaUicidariae 
furono  dette  le  Diaconesse  [Fedi)^ 
le    presbileresse    e    le    vedove    ali* 


MAT  7.71 

meniate  colle    rendile  delle   chiese. 
Non   tutti  i   poveri  erano  ascritti  al 
catalogo,     e     perciò     a  carico  della 
chiesa,  molli  alimentandosi  colle  e- 
lemosine  somministrate  dai   più  ric- 
chi del  popolo  crisliano.  La   matri- 
cola delle  chiese  riguardante  il  cle- 
ro ,    concerneva     V  ordinazione    del 
medesimo,  il    libero    esercizio  nelle 
chiese  del  sacro    ministero,  e  il  di- 
ritto di  godere    dei   beni   delle   me- 
desime.   La  matricola  della    diocesi 
conteneva  i  nomi  dei  ministri   del- 
la    chiesa  distribuiti    in     ordini     o 
classi.   Nel  primo  ordine    era  la  li- 
sta dei  sacerdoti  ;   nel  secondo  quel- 
la dei  diaconi  ;   nel  terzo   i    suddia- 
coni ;  nel    quajto  gli    accoliti  ;    nel 
quinto  gli  esoicisti  ;  nel   sesto  i  let- 
toli, e  nel  settimo  gli  ostiari;  quin- 
di erano  setle  ordini  o  classi,  sette 
ranghi  o  divisioni.  Quando  restava 
vacante  qualche  piazza,  era  questa 
subito    occupata    dal   ministro    che 
cuopriva  quella  che    le  veniva  die- 
tro immediatamente  :   per    esempio 
il  primo  diacono  rimpiazzava  1'  ul- 
timo   sacerdote,    e   così    degli  altri 
ministri  ;  di  maniera  che  a  ciascu- 
na  vacanza   facevasi   un   movimento 
progressivo   in    tutto    il    catalogo    o 
indice.  Perciò    fu  detto    promovere 
agli   ordini,  per  dire  spingere  alcu- 
no in   un  ordine  più  elevato,  farlo 
salire  alla  classe  superiore  ^  giacché 
non  era  permesso  di  saltarne  alcu- 
na,   e    facendo    diversamente  chia- 
mavasi    farsi    ordinare  per    sallurn^ 
tranne    l'eccezione    per    gli    ordini 
minori,   per    uno  de'  quali    bastava 
talvolta   di  passare,  e  di  esercitarne 
le  funzioni   per  molti  anni,  per  po- 
ter essere  in  seguito  promosso  agli 
ordini  maggiori.  Dice  il  Macri,  che 
Malricularii  erano  chiamati  i  chie- 
rici che  registrati   in  detti  cataloghi 
ricevevano  lo -slipcndio  stabilito  io- 


272  MAX 

ro  dal  vescovo  ;  e  che  per  la  me- 
desima Vagione  ogni  canonico  asse- 
gnato al  servigio  di  qualche  chiesa 
per  officiarla  era  chiamato  canoni- 
cus  matricularius. 

I  cataloghi  o  indici  delle  chiese 
sono  antichissimi  ,  tanto  del  regi- 
stro del  clero,  che  dei  poveri,  e 
dell'  albo  de'  sacri  ministri  se  ne 
fa  menzione  nel  concilio  generale 
di  J\icea  celebrato  nel  325,  can.  19, 
e  nel  5o  fra  i  canoni  apostolici. 
Dal  can.  86  del  concilio  Milevitano 
si  apprende  l'esistenza  di  un  cata- 
logo tutto  proprio  delle  chiese  a- 
fricane,  in  cui  si  scrivevano  i  no- 
mi dei  vescovi  di  ciascuna  provin- 
cia, onde  alla  morte  del  metropo- 
litano non  nascessero  contese  sulla 
persona  da  sostituirglisi,  essendo  leg- 
ge che  il  vescovo  seniore  ascendesse 
a  quel  grado.  JNe'tempi  posteriori  al 
nome  Matricida  fu  attribuita  una 
più  estesa  significazione,  esprimen- 
dosi per  essa  anche  le  cose  risguar- 
danti  il  clero,  come  l'ordine  di  ce- 
lebrare ogni  settimana  i  divini  of- 
fici, e  il  servigio  da  prestarsi  dai 
chierici.  I  Dittici  ecclesiastici  (Vedi) 
furono  cataloghi  o  sacre  tavole  pub- 
bliche della  primitiva  Chiesa,  chiama- 
te tabellaeepiscopales,  tabulae  sacrae, 
catalogiis  episcoporiim,  mysticae  ta- 
bulae, ec.  Contenevano  i  nomi  degli 
offerenti,  de'  magistrati',  personaggi 
e  sovrani,  de' chierici  d'ordine  su- 
periore incominciando  dai  Papi,  dei 
battezzali,  de'  santi,  de'  martiri,  dei 
confessori,  de*  morti  nella  fede  or* 
todossa,  de'concilii  ecumenici;  e  di- 
videvansl  in  due  parti,  cioè  dei 
cristiani  vivi  e  dei  morti,  insigni  o 
per  santità  o  per  benefizi  segnalati 
fatti  alla  Chiesa.  L'origine  de' ditti- 
ci rimonta  ai  tempi  apostolici,  ces- 
sando nel  secolo  XII  circa,  quando 
fu  stabilito  che   il  manenlo  de^  vi' 


MAX 
vi  e  de' morti  si  facesse  nella  mes- 
sa dal  sacerdote  celebrante  in  silen- 
zio, non  però  nelle  chiese  oltramon- 
tane :  nell'odierna  disciplina  della 
chiesa  romana  rimane  qual  monu- 
mento degli  antichi  dittici  ecclesia- 
stici il  doppio  memento  del  ca- 
none. 

MATRIGA  o  MEXRACHA.  Se^ 
de  arcivescovile  della  provincia  di 
Zichia,  della  quale  fu  vescovo  lati- 
no Giovanni  de' minori  del  1349* 
Oriens  christ.  t.   Ili,  p.    11  14. 

MAXRIMONIO,  Matrìmonium  , 
Connubium,  Conjugium.  Unione  ma- 
ritale dell'  uomo  e  della  donna,  ed 
uno  de'  sette  sagramenti,  detto  an- 
cora Maritaggio,  Nozze^  nuptiae.  11 
nome  di  matrimonio,  latinamente 
matrimoniuni j dev'iva  da  maire,  per- 
chè una  donna  non  deve  maritarsi 
se  non  che  per  diventare  madre  j 
ovvero  da  matris,  munus  o  mwiia^ 
perchè  gli  obblighi  delle  madri  so- 
no più  considerabili  nello  stato  di 
matrimonio,  che  non  quelli  dei  pa- 
dri, giacché  i  figli  che  ne  sono  il 
frutto,  danno  sempre  maggiori  pene 
alle  madri,  dalle  quali  esigono  mag- 
giori cure  tanto  prima,  che  dopo, 
ed  in  tempo  del  parto.  Il  matri- 
monio chiamasi  anche  con/iigiiini  ^ 
nuptiae,  nozze,  dal  verbo  nubere, 
velare,  perchè  anticamente  le  don- 
ne maritale  portavano  un  velo  sul- 
la testa,  in  segno  di  modestia,  di 
pudore  e  di  sommissione  ai  loro 
mariti.  I  giureconsulti  chiamano  al- 
tresì il  matrimonio,  consortium,  a 
motivo  dell'intima  unione  che  lega 
fra  di  loro  i  coniugi,  ed  i  greci  lo 
chiamavano  corona^  perchè  il  sacer- 
dote che  celebrava  il  matrimonio 
presso  di  loro,  metteva  delle  coro* 
ne  sulla  testa  dei  novelli  maritati. 
Questo  uso  ebbe  luogo  tanto  presso 
i  gentili  e  gli  ebrei^  quanto  presse^ 


MAT 
i    cristiani    della    primitiva    Chiesa. 
Vedi    Corona.    Si    chiama     sposo , 
sponsus,  quegli  che  novellamente  è 
ammogliato  ;  e  sposa,  sponsa,  nova 
ììitpta,  la  donna  maritata  di  fresco: 
dicesi  sposalizia    e  sposalizio,  spon- 
salia,    la    solennità    dello    sposarsi, 
sponsalizie.   Deve  però  avvertirsi  che 
gli   sponsali,   sponsalia^    si  dividono 
dai  canonisti  iji  sponsalia  de  prae- 
seiitiy  dì  è  appunto  il  matrimonio, 
e  sponsalia  de  futuro,  ossia  la  pro- 
messa  valida  ed  accettata    del  ma- 
trimonio fuluroi  e  così  pure   spon- 
sus et    sponsa  possono  avere  l'una 
e    l'altra    significazione.    Il    marito, 
maritusj  vir,   è  l'uomo  che    un  le- 
gittimo   legame    unisce    alla  donna 
per    vivere    con    essa    in    consorzio 
inseparabilcj  procreare  figli    ricono- 
sciuti   dalla    legge,    ed    educarli.    Il 
marito  è  il  protettore   di  sua    mo- 
glie,   deve  perciò    difenderla    anche 
a   pericolo  della  sua   vita  :  egli  è  il 
depositario    del  di  lei    onore  ;  deve 
ditènderla  innanzi  ai  tribunali  con- 
tro qualunque  offesa  ed  accusa,  al- 
trimenti   è  reo    di    colpevole   indi- 
ferenza,  ed  è  indegno  di  vivere  con 
quella.  Ha  altresì    1'  obbligo   di  far 
valere  i  diritti  della  moglie,  d'impe- 
dire il  deperimento  de'suoi  beni,  e  di 
procurare  d'aumentarne    il  valore  : 
l' unione  coniugale  però    non  costi- 
tuisce per  se  sola  la  comunione  de'be- 
ni  tra  marito  e  moglie,  richieden- 
dosi uno  speciale  contratto.  La  mo- 
glie,   uxor,  conj'ux,  è    la    femmina 
congiunta  in  matrimonio.  Fedi  Don- 
na e  Uomo.  Coniugi  diconsi  i  mari- 
tali perchè  portano  insieme  quasi  la 
metà  del  giogo.    E  gravissimo  do- 
vere   de'  coniugi    di  amarsi  fra  lo- 
ro con    un  amore  singolare,    casto, 
costante,  per  cui  si  serbino  inviola- 
ta   fedeltà,  non    solo    nelle    azioni, 
ma  nei    sentimenti  ancora    e   negli 

VOL.    XLIII. 


MAT  273 

affetti    del  cuore,    si  aiutino   scam- 
bievolmente e  si    compatiscano  nei 
personali  difetti,  e  di  buona  voglia 
portino  insieme  il    giogo  delle  tri- 
bolazioni, che  non  sogliono  mai  da 
questo    stato  disgiungersi.    Dopo  la 
promulgazione  del  vangelo    la  mo- 
glie non  è  più  schiava  dell'  uomo» 
ma  è  tornata  ad  esserne  la  compa- 
gna, come  lo  fu  quando  Dio  la  tras- 
se dal  fianco  di  lui.  La  moglie  deve 
essere  sottomessa  con  amore  al  ma- 
rito, rispettosa  e    benevola    verso  i 
suoceri,  intenta    al   buon    ordine  di 
famiglia  e  al  buon  andamento  del- 
le cose  domestiche.  Le  amarezze,  i 
dissapori,  le  discordie  fra  i  congiun- 
ti non  sono  peccati  solamente  con- 
tro la  carità  del  prossimo,   ma  con- 
tro ancora  uno  dei  più  grandi  do- 
veri dello  stato  matrimoniale.  Ob- 
bligazione   gravissima  de' coniugi  è 
r  amare  i  figli  con  amore  regolato 
dalla  fede  e  carità  cristiana,  nutrirli 
onestamente,  custodirli  nella  salute 
corporale,  istruirli  nella  religione  e 
nella  virtù;  correggerli  proporziona- 
tamente, edificarli  con  buoni  esem- 
pi, far  loro  apprendere  le  scienze  e 
le  arti  corrispondenti  all'inclinazione 
dell'animo    e  alla    condizione  delle 
famiglie;  essendo  i  figli  dati  da  Dio 
in  custodia    ai    coniugi,  a'  quali    ne 
dimanderà  stretto  conto.  La  madre 
durante  la  gravidanza  deve  procu- 
rare che  non  succeda  nulla    di  fu- 
nesto al  suo   figlio  per  propria  col- 
pa, e  deve  allattarlo   se  può.  I  ge- 
nitori    devono    mantenere     l'  unio- 
ne fra  i  loro  figli,  amarli   tutti    e- 
gualmente,    e   non   mai  forzare    la 
loro  inclinazione    per    la  scelta    di 
uno  stato.  Le  pertone  maritate  de- 
vono considerarsi    come    i    padri  e 
pastori    de'  loro  domestici.  Fedi  Fa- 
migliare. 

Il    catechismo    del    concilio    di 
i8 


274  ^lAT 

Trento  definisce  il  matrimonio,  la 
unione  coniugale  dell'  uomo  e  del- 
la donna,  che  si  contrae  fra  per- 
sone, le  quali  ne  sono  capaci,  ^se- 
condo le  leggi  naturale,  divina  ed 
umana,  e  che  le  obbliga  a  vive- 
re inseparabilmente  ed  in  una 
perfetta  unione  V  una  con  V  altia. 
£  un'unione  peichè  il  matrimonio 
consiste  propriamente  ed  essenzial- 
mente nel  legame  coniugale,  espres- 
so dalla  parola  unione.  E  un'  unio- 
ne coniugale  dell'  uomo  e  della 
donna  nel  numero  singolare,  per  e- 
scindere  cosi  la  poligamia,  o  mol- 
tiplicazione delle  mogli,  e  la  po- 
liandria o  moltiplicazione  de'  mari- 
ti in  un  tempo  stesso,  e  per  fare 
altresì  intendere,  che  le  parti  con- 
traenti devono  essere  di  diverso  ses- 
so. Final  niente  è  un*  unione  che 
obbliga  i  contraenti  a  vivere  insepa- 
rabilmente l'uno  coll'allra  fino  alla 
morte,  perchè  il  legame  che  unisce 
insieme  il  marito  e  la  moglie,  è  in- 
dissolubile di  sua  natura.  Quanto 
all'essenza  del  matrimonio,  insegna 
s.  Tommaso  che  bisogna  considera- 
re il  matrimonio  sotto  tre  diversi 
aspetti,  per  rapporto  cioè  ai  tre  fi- 
ni digerenti  che  Dio  vi  si  è  pro- 
posto, che  sono  la  propagazione 
perpetua  del  genere  umano  ed  un 
dovere  di  natura,  officiuni  naturae; 
il  bene  della  società  civile,  e  per 
regola  le  leggi  civili  ;  il  bene  della 
Chiesa,  per  cui  il  matrimonio  è  un 
sagramenlo  soggetto  alle  leggi  ec- 
clesiastiche, le  quali  aggiungono  al 
matrimonio,  come  dovere  delia  na- 
tura, l'essere  di  sagramento  istituito 
da  Gesù  Cristo,  e  la  promessa  del- 
la grazia  necessaria  per  soffrire  con 
pazienza  le  pene  del  matrimonio,  e 
per  educare  cristianamente  i  Figli 
(f^edi).  Il  matrimonio  consideralo 
io  tal  maniera  può    essere  definito, 


MAT 
I'  unione  coniugale  dell'  uomo  e 
della  donna  contratta  indissolubil- 
mente fra  persone  capaci  secondo 
le  leggi,  elevata  per  istituzione  da 
Gesù  Cristo  all'essere  di  sagramento 
per  dare  ai  due  coniugi  la  grazia  di 
amarsi  santamente,  di  compatirsi  e 
tollerarsi  caritatevolmente,  e  di  e- 
ducare  i  loro  figli  nella  pietà  cri- 
sliana,  oppure  un  sagramento  della 
nuova  legge  che  unisce  con  un  no- 
do indissolubile  un  uomo  cristiano 
con  una  donna  cristiana,  e  che  con- 
ferisce loro  la  grazia  necessaria  per 
santificarsi,  e  per  educare  cristiana- 
mente i  loro  figli. 

Alcuni  eretici  pretesero,  che  il  ma- 
trimonio consistesse  essenzialmente 
neir  uso  del  medesimo,  ossia  nella 
consumazione.  Il  ven.  Bellarmino 
opina,  che  la  consumazione  sia  una 
parte  integrante,  benché  non  essen- 
ziale del  matrimonio.  Altri  teologi 
sono  d' avviso,  che  questa  parte  es- 
senziale è  la  tradizione  mutua  dei 
corpi,  o  la  reciproca  obbligazione 
di  prestarsi  al  dovere  coniugale,  od 
il  diritto  che  hanno  i  due  coniugi 
r  uno  su  r  altro.  Ma  sembra  che 
r  essenza  del  matrimonio,  conside- 
rato sotto  questo  aspelto ,  consista 
unicamente  nel  legame  perpetuo  ed 
indissolubile,  che  deriva  dal  consen- 
timento reciproco  dei  contraenti  , 
che  forma  uno  stato  fisso  e  per- 
manente come  il  legame  perpetuo. 
La  consumazione  e  conoscenza  car- 
nale non  costituisce  punto  l'essenza 
del  matrimonio.  Si  legge  nella  Ge- 
nesi cap.  2,  4)  che  Adamo  ed  Eva 
non  si  conobbero  carnalmente,  se 
non  dopo  che  furono  scacciati  dal 
paradiso  terrestre,  sebbene  fossero 
maritati  prima.  La  Beata  Vergine 
e  s.  Giuseppe,  i  quali  restarono 
sempre  vergini,  furono  però  essi 
veramente  maritati.    Gli  sposi  che 


MAT 

si  obbligano  alla  continenza  con  un 
mutuo  consentimento,  non  lasciano 
perciò  dal  contrarre  veramente  an- 
ch'essi. Ne  il  reciproco  consentimen- 
to de'coningi,  ne  la  tradizione  dei 
corpi,  ne  l'obbligazione  di  rendere  il 
dovere  coniugale,  ne  il  diritto  che 
hanno  i  due  coniugi  l'uno  sulKaltro, 
non  costituiscono  essenzialmente  il 
matrimonio;  perchè  il  consentimento 
reci picco  non  è  che  un  alto  mo- 
mentaneo, il  quale  perciò  non  può 
formare  l'essenza  di  uno  stato  per- 
manente ,  e  perchè  la  tradizione 
de' corpi,  l'obbligazione  di  rendere 
il  dovere,  il  diritto  mutuo  dei  con- 
iugi, non  sono  che  le  conseguenze 
del  matrimonio,  ch'essi  suppongono 
di  già  contralto.  Moltissimi  poi  so- 
no gli  esempi  de'  coniugi  che  vis- 
sero veigiui,  con  reciproco  consen- 
so :  ne  i  iporteremo  alcuni.  1  ss.  En- 
rico I  o  11  imperatore,  e  Cunegonda 
imperatrice,  per  vicendevole  patto 
tra  loro.  Quando  la  gran  Contessa 
Matilde  A  bene  della  Chiesa  per  con- 
siglio di  Urbano  li  si  decise  a  spo- 
sare in  seconde  nozze  Volfone  V 
duca  di  Baviera,  lo  fece  colla  con- 
dizione dallo  sposo  accordata,  di  vi- 
vere insieme  vita  di  perfetta  conti- 
nenza. La  beata  Cunegonda  regina 
di  Polonia,  nel  matrimonio  di  qua- 
rant'  anni  con  Boleslao  duca  di 
Cracovia,  conservò  illibata  la  vir- 
ginità, e  poi  si  fece  monaca  di  s. 
Chiara.  La  b.  Lucia  di  Narni  do- 
menicana, nel  matrimonio  avea  con- 
servata la  virginità,  onde  Benedetto 
XI li  gli  decretò  la  messa  del  co- 
mune delle  vergini.  Moltissimi  pure 
furono  quelli,  che  volendo  vivere 
continenti  colie  loro  spose,  abbrac- 
ciarono lo  stato  ecclesiastico  secola- 
re o  regolare,  e  le  mogli  si  fecero 
monache,  e  molti  divennero  vesco- 
vi e  santi.  Altri    nei    primi    tempi 


MAT  27.5 

della  Chiesa  elevati  all'  episcopato, 
vissero  colle  mogli  che  avevano  già, 
come  fratelli  e  sorelle.  La  beata 
Umiltà  fondatrice  delle  vallombro- 
sane,  dopo  aver  partorito  due  figli, 
e  questi  morti,  di  consenso  coi  ma- 
rito dopo  nove  anni  si  separarono: 
essa  si  fece  monaca,  ed  il  marito 
canonico  regolare,  e  fu  il  beato  Lo- 
dovico Caccianeraici.  Dopo  aver  s. 
Caterina  Fieschi  convertito  il  pes- 
simo marito  Giuliano  Adorno,  que« 
sti  col  di  lui  consenso  si  fece  reli- 
gioso del  terzo  ordine  di  s.  Fran- 
cesco, ed  essa  continuò  a  vivere 
santamente.  Nella  chiesa  greca  è  di 
precetto,  che  due  coniugi  cristiani 
debbano  astenersi  dall'  uso  del  ma- 
trimonio in  tempo  di  quaresima, 
negli  altri  giorni  di  digiuno,  nelle 
soleimità,  e  quando  si  dispongono  a 
partecipare  della  sacra  mensa  :  nella 
chiesa  latina  non  è  questo  un  pre- 
cetto, ma  un  semplice  consiglio.  Il 
marito  e  la  moglie  devono  recipro- 
camente rendersi  il  dovere  coniu- 
gale, giusta  le  parole  di  s.  Paolo: 
questo  dovere  reciproco  non  è  però 
illimitato,  poiché  se  l'uso  avesse  da 
alterare  la  salute  o  mettere  a  peri- 
colo di  morte  l'uno  de' coniugi, 
sono  dessi  in  allora  dispensati  dal 
reciproco  dovere  come  dice  s.  Tom- 
maso. Il  marito  poi  deve  avere  i 
debili  riguardi  per  la  moglie,  nello 
stato  di  gravidanza  ,  di  puerperio 
e  di  lattazione.  Ecco  1'  elogio  che 
del  maritaggio  cristiano  fece  Ter- 
tulliano ne'  due  libri  che  indirizzò 
a  sua  moglie  prima  di  farsi  prete. 
y>  La  Chiesa  approva  il  contralto , 
l'oblazione  lo  ratifica,  la  benedizio- 
ne lo  suggella,  gli  angeli  lo  porta- 
no al  Padre  celeste  che  lo  conlèrraa. 
Due  persone  portano  lo  stesso  gio- 
go, elle  non  sono  che  una  sola  car- 
ne   ed  un'  anima  sola  ;  si    esortano 


276  MAT 

a  TÌcendo  alla  virtù;  pregano,  di- 
giunano, vanno  insieme  alla  chiesa 
e  alla  racnsa  del  Signore  ;  elle  non 
si  tengono  niente  ascoso  1'  una  al- 
l' altra;  visitano  i  malati,  raccolgo- 
no senza  contrasti  delle  limosine, 
assistono  senza  interrompi  mento  al- 
l'uffizio  divino,  cantano  insieme  i 
salmi  e  gì'  inni,  e  si  eccitano  reci- 
procamente a  lodar  Dio". 

§  I.  Dell*  insti tuzìone  del  mairi- 
moniO)  della  materia  e  sua  for- 
ma» 

Considerandosi  il  matrimonio  co- 
me un  dovere  della  natura,  o  come 
un  sagramento,  il  matrimonio  come 
dovere  della  natura  e  contratto  na- 
turale deve  la  sua  istituzione  all'i- 
stinto medesimo  della  natura,  il 
quale  porta  gli  uomini  a  moltipli- 
carsi in  una  società  legittima,  ed  alla 
volontà  del  Creatore,  il  quale  for- 
mò i  due  sessi  con  quella  intenzio- 
ne, gli  unì  insieme  nella  persona 
di  Adamo  e  di  Eva,  li  benedì  dicen- 
do loro  :  crescete  e  moltiplicatevi. 
11  Pontefice  Innocenzo  Ili  condan- 
nò come  erronea  l'opinione  di  co- 
loro,  i  quali  credevano  che  gli 
uomini  si  sarebbero  moltiplicati  sen- 
za r  uso  del  matrimonio,  qualora 
fossero  rimasti  nello  stato  d'inno- 
cenza :  si  sarebbero  essi  adunque 
moltiplicati  nello  stato  d' innocenza 
coir  uso  del  matrimonio,  ma  senza 
concupiscenza  o  desiderio  della  car- 
ne. Benché  Dio  sia  l' autore  del 
matrimonio,  come  contratto  natu- 
rale, devesi  però  dire  colla  mag- 
gior parte  de'  teologi,  che  questo 
contratto  non  è  stato  un  vero  sa- 
gramento, ne  sotto  la  legge  di  na- 
tura, né  sotto  lalegge  scritta,  perché 
non  conferiva  egli  la  grazia,  e  non 
era  che    una  figura     assai    imper» 


M  A  T 
fetta  dell'  unione  di  Gesù  Cristo  col- 
la Chiesa.  Molti  eretici  condannaro- 
no il  matrimonio  come  cattivo,  al- 
tri pretesero  che  non  fosse  un  sa- 
gramento della  nuova  legge.  Altri 
poi  vollero  considerarlo  come  un 
semplice  contratto  civile,  dicendo 
che  tale  lo  riguardarono  i  primi 
imperatori  cristiani.  Il  matrimonio 
é  cosa  lecita  e  buona  perchè  ha  Dio 
per  autore,  e  per  fine  la  genera- 
zione e  l'educazione  de'  figli  ;  perchè 
la  propensione  della  natura  ad  esso 
viene  dal  Creatore,  perchè  la  Chiesa  lo 
approva,  e  perché  santissimi  perso- 
naggi lo  contrassero  in  tutti  i  tem- 
pi. £  un  sagramento  presso  i  cri- 
stiani, perchè  ha  tutte  le  condizio- 
ni richieste  per  un  sagramento  del 
cristianesimo  ;  è  un  segno  sensibile 
che  apparisce  nel  consentimento  este- 
riore e  reciproco  dei  due  coniuj^i 
non  impediti  ;  è  un  segno  sacro  che 
rappresenta  1'  unione  fìsica  di  Gesù 
Cristo  colla  Chiesa  coli'  in(;arnazio- 
ne,  e  la  spirituale  colla  carità;  è  un 
segno  che  produce  la  grazia,  la  qua- 
le induce  i  due  coniugi  ad  amarsi 
di  un  amor  casto,  a  vivere  pacifi- 
camente, ed  a  santificarsi  in  mezzo 
ni  doveri  ed  agli  incomodi  della 
famiglia,  come  lo  spiega  il  concilio 
di  Trento;  é  un  segno  istituito  da 
Gesù  Cristo  quando  assistette  alle 
nozze  di  Cana,  e  quando  diede  loro 
la  sua  benedizione  ;  è  un  segno  isti- 
tuito in  una  maniera  permanente. 
La  Chiesa, dopo  Gesù  Cristo,  ha  sem- 
pre detestato  i  matrimoni  contratti 
senza  le  sante  cerimonie  eh'  essa 
prescrive,  dottrina  provata  a  mezzo 
della  Scrittura,  de'padri  e  de'con- 
cilii. 

Gesù  Cristo  si  degnò  restituire 
al  matrimonio  la  perduta  sua  di- 
gnità ,  mentre  presso  la  maggior 
parte  degli  antichi   era  ridotto  qua- 


MAT 

si  nulla  più  che  uno  slato  pieno  di 
corruUela  e  di  scandalo  ;  e  giunse 
fino  ad  innalzare  quel  consenso  le- 
gittimo, ovvero  quel  contratto  da 
cui  ne  viene  la  legittima  unione 
maritale,  al  grado  sublime  di  sa- 
gramento,  per  lo  che  il  matrimonio 
acquistò  un'  indole  soprannatura- 
le, ed  una  maggior  fermezza  ^e 
indissolubilità.  Avendo  pertanto  Ge- 
sù Cristo  lasciate  le  cose  di  que- 
sta specie,  siccome  erano  in  avanti 
per  natura  e  per  divina  istituzione, 
e  Solo  aggiunto  al  consenso  mari- 
tale il  grado,  la  dignità ,  la  grazia 
propria  di  un  vero  sagramento,  per 
incontrastabile  conseguenza  ne  vie- 
ne, che  il  matrimonio  de'cristiani  è 
tutto  insieme  contratto  e  sagra- 
mento, che  l'uno  non  può  distin- 
guersi dall'  altro.  Che  il  matrimo- 
nio sia  uno  de' sette  sagramenti, 
sempre  è  stato  creduto  universal- 
mente, e  la  Chiesa  lo  ha  definito 
come  un  domma  di  fed  e  nel  concilio 
di  Verona  del  ii84  presieduto  da 
Lucio  IH,  e  ne'generali  ecumenici  di 
Laterano  III,  di  Costanza,  di  Fi- 
renze e  di  Trento.  A  provarlo  colle 
divine  scritture  può  trarsi  sufficien- 
te argomento  da  s.  Paolo  nell'epi- 
stola agli  efesii  e.  V,  dove  dice  del 
matrimonio  cristiano,  sacranicntiun 
hoc  magnurn  est:  ego  autem  dico 
in  Chris to  et  in  ecclesia  j  e  dove 
fa  un  paragone  tra  i  coniugi  da  un 
Iato,  e  Gesù  Cristo  e  la  sua  Chiesa 
dall'altro,  esortando  quelli  ad  amar- 
si r  un  r  altro  di  quella  dilezione 
certo  soprannaturale  con  cui  Gesù 
Cristo  amò  la  Chiesa  sua,  e  rappre- 
sentare in  sé  medesimo  la  stretta 
unione  che  congiunge  Gesù  Cristo 
istesso  alla  sua  Chiesa.  Ma  questo 
domma  cristiano  cosi  insegnato  o 
indicalo  dall'  apostolo  delle  genti, 
riceve  molto  maggior  luce  e  forza 


MAT  277 

dall'  argomento  irrepugnabile  della 
tradizione  universale  della  Chiesa,  e 
da  quella  che  ne  consiegue  della 
prescrizione.  In  fatti  s.  Cirillo  A- 
lessandrino,  s.  Ambrogio ,  s.  Inno- 
cenzo I  e  tanti  altri  lo  dichiarano 
precisamente  un  sagramento;  e  dal» 
la  storia  ecclesiastica  si  rileva  ,  che 
la  Chiesa  ha  sempre  avuta  una  par- 
ie diretta  in  ciò  che  al  vincolo 
matrimoniale  appartiene.  Se  alcun 
teologo  o  canonista  parve  esprimer- 
si quasi  dubitando  che  il  matrimo- 
nio fosse  un  vero  sagramento,  ciò 
provenne  dal  non  aver  ancora  la 
Chiesa  proposta  questa  verità  come 
un  articolo  di  fede,  come  lo  fece 
dopo.  Della  natura  de*  matrimoni 
che  si  fanno  per  mezzo  d'  un  pro- 
curatore tra  persone  assenti,  i  teo- 
logi ne  parlano  differentemente,  per 
cui  quelli  che  cosi  l'hanno  contralto 
colla  benedizione  nuziale ,  devono 
reiterare  il  loro  matrimonio  in  per- 
sona avanti  il  parroco,  tale  essendo 
r  uso  della  chiesa  Ialina.  Il  matri- 
monio di  due  infedeli,  i  quali  rice- 
vono in  seguito  il  battesimo,  diven- 
ta indissolubile  e  ratificato  dalla 
Chiesa  :  si  fa  però  questione  se  di- 
venti senz'altro  sagramento,  11  ma- 
trimonio come  vero  sagramento  ha 
la  sua  materia  e  la  sua  forma,  che 
però  tengono  intorno  ad  esse  estre- 
mamente divisi  fra  loro  i  teologi . 
Su  questo  punto,  essendo  le  scuole 
e  sentenze  de'  teologi  divise,  si  può 
vedere  Benedetto  XI V,  £>e  Syn.  dice. 
lib.  8,  e.  9  ;  ed  il  p.  Perrone  nella 
sua  tanto  applaudita  opera  teologi- 
ca, ultimo  volume,  De  nialrinionio. 

g  II.  Del  ministro  del  matrimo- 
nio,  e  delle  sue  ceremonie  e  so- 
Icnnilà. 

Anche  su  questo  punto  sono  di- 
Tisi  i   teologi,    poiché    la    maggior 


a^S  MAX 

pai-te,  massime  ìq  Roma    ed  in  I- 
talia,    sostengono    che    i  contraenti 
sono  i  ministri  del  sagramento  ;  al- 
tri dopo  Melchior  Cano,   che  i   soli 
sacerdoti  che  benedicono    il   matri- 
monio   ne    sono    i    ministri  :    ed    i 
matrimoni  clandestini,    che    prima 
del  concilio    di  Trento   erano  veri 
matrimoni,  benché  celebrati  dai  so- 
li contraenti  senza  il  sacerdote  ,  do- 
po tal  concilio  sono    reputati   nulli 
jie'  luoghi  ov'  è  stato    ricevuto.  Di- 
cesi matrimonio   clandestino  quello 
che  si  fa  di  nascosto,  segretamente, 
senza  solennità   e    senza    saputa  di 
coloro  a' quali  appartiene    la  cono- 
scenza, e  contro  la  legge,  senza  la 
presenza  del  curato  con    due  testi- 
moni,  y.  Sposalizio.   Il  concilio  di 
Trento    ordinò  che  i   parrochi,  nel 
congiungere  i  fedeli,  dicano    le    se- 
guenti parole  :  Ego  vos  in    mairi- 
monium  con/ungo,  in    nomine  Pa- 
tris  et  Fila  et  Spiritus  Sancii.  Sono 
nulli  i  matrimoni  che  non  si  contrag- 
gono alla  presenza  del  parroco   o  di 
un  altro  sacerdote  de  licenùa  ipsìus 
parochi  vel  ordinariij  e  di  due  o  tre 
testimoni.  Sotto  il  nome  di  parroco 
\iene  designato  colui  che  ha  giuris- 
dizione    ordinaria    spirituale    sopra 
i  contraenti,  il  Papa   cioè,    il  Ipro- 
prio  vescovo,  e  il  sacerdote  rettore 
della  parrocchia.   Accaduta  la  rivo- 
luzione di   Francia,  posto  a  soqqua- 
dro il  regno,  e    proclamata    la  re- 
pubblica, nel     1793    venne    in  co- 
gnizione a  Pio  VI  che  la    conven- 
zione nazionale  avea  ordinato,  che 
i    matrimoni    si    facessero    davanti 
alla  municipalità  con  quattro  testi- 
moni, in  presenza  de'  quali    si  do- 
vesse fare  una  semplice  dichiarazio- 
ne di   pura  cerimonia,  che  bastasse 
alla   validità  dì  questo  sagramento. 
Fu  il  Papa  interrogato    su    questo 
punto  dal  vescovo   di  Lucon  a'  1^ 


MAX 

maggio,  ed  egli  rispose  mediante 
un  breve,  colla  ris(»luzione  de' car- 
dinali destinati  agli  aifari  di  Fran- 
cia, che  i  fedeli  cattolici  di  quella 
nazione,  essendo  privi  di  panochi 
legittimi,  potevano  sposarsi  in  pre- 
senza di  testimoni  cattolici,  e  poi 
presentarsi  alla  municipalità,  per 
far  la  dichiarazione  comandata  dalla 
legge  della  convenzione,  approvan- 
do la  validità  di  tali  matrimoni, 
benché  senza  l'  assistenza  del  par- 
roco. I  riprovevoli  matrimoni  poi, 
celebrati  in  quel  tempo  di  delirio 
sotto  r  albero  della  libertà,  furono 
innumerabili. 

Quando  si  considera  che  il  ma- 
trimonio é  il  gran  perno  sul  quale 
si  raggira  tutta  V  economia  della 
società,  e  che  da  esso  il  ben  essere 
di  lei  principalmente  dipende,  nou 
farà  meraviglia  il  conoscere,  che 
da  tutte  le  nazioni  e  in  tutti  t 
tempi  siasi  voluto  che  a  stabilirlo 
v'  intervenisse  la  religione,  anche 
con  cerimonie  e  solennità.  I  sacer- 
doti de' gentili  offrivano  alla  pre- 
senza de'novelli  coniugi  un  sacrifi- 
zio, ch'era  accompagnato  dai  voti 
del  popolo.  Presso  gli  ebrei  se  non 
vi  si  univano  manifeste  ed  appo- 
site religiose  cerimonie,  era  santifi- 
cato dalla  preghiera  del  padre  di 
famiglia  e  degli  astanti,  che  atti- 
ravano sopra  la  femmina  le  bene- 
dizioni del  cielo.  Molto  pili  doveva 
essere  cosi  nella  nuova  alleanza, 
dove  Gesù  Cristo  tutto  ha  ripieno 
delle  sue  benedizioni  e  delle  sue 
grazie.  Vi  sono  però  nel  sagramen- 
to del  matrimonio  alcune  cerimonie 
essenziali,  ed  altre  non  essenziali. 
Le  cerimonie  essenziali  sono  il  con- 
sentimento che  le  parti  si  datmo 
in  presenza  del  sacerdote  che  le 
benedice;  consentimento  assoluta- 
meute  necessario  per  la  validità  del 


MAX 

matrimonio.  Le  altre  cerimonie  so- 
no quelle  che  si  praticano  differen- 
temente secondo  i  differenti  paesi, 
e  la  di  cui  ommissione  non  rende 
nullo  il  matrimonio  :  alcune  lo  pre- 
cedono, altre  Taccompagnano,  altre 
lo  seguono.  Le  cerimonie  che  pre- 
cedono il  matrimonio  sono  le  pub- 
blicazioni che  fa  il  parroco  de'  con- 
traenti pubblicamente,  denunziando 
il  matrimonio  che  si  vuol  celebra- 
re per  tre  feste  ciascuno  de'parrochi 
de'futuii  sposi  nella  sua  chiesa  In- 
ter missaruni  solemnia^  onde  co- 
noscere se  avvi  alcun  canonico  im- 
pedimento di  parentela  od  altro; 
gli  sponsali  cioè  la  promessa  delle 
future  nozze,  i  patti,  i  capitoli,  le 
convenzioni  sulla  Dote  (Vedi),  e 
sul  trattamento  della  sposa  ;  V  e- 
same  e  l'istruzione  delle  persone 
che  vogliono  maritarsi  per  vive- 
re santamente  (  il  concilio  di  Mi- 
lano del  i579  Prescrisse  al  cura- 
lo che  non  celebrasse  il  matrimo- 
nio di  quegli  sposi  che  ignorassero 
i  primi  principii  della  dottrina  cri- 
stiana )  ;  ed  il  ricevimento  dei  due 
sagramenti  della  penitenza  e  della 
s.  Eucaristia.  Le  cerimonie  che  ac- 
compagnano il  matrimonio  sono  in 
alcuni  paesi,  particolarmente  in  o- 
rienle,  la  corona  di  fiorì  che  si 
mette  in  testa  alla  sposa  ;  V  inter- 
rogazione del  sacerdote,  vestito  di 
cotta  e  stola  bianca,  allo  sposo  ed 
alla  sposa,  sul  consenso  per  unirsi 
in  legittimo  matrimonio  ;  T  atto 
con  cui  il  sacerdote  fa  mettere  la 
roano  destra  dello  sposo  in  quella 
della  sposa,  per  cos'i  mostrare  che 
lo  sposo  dev'essere  il  primo  a  ser- 
bare la  fedeltà  che  le  promette,  e 
che  la  sposa  dev'essere  obbediente 
a  suo  marito,  poscia  con  acqua  be- 
nedetta aspergendo  i  coniugi  ;  la 
benedizione   dd^'  Anello  pronubo  o 


MAT  !ì79 

nuziale  (Vedi)  che  il  sacerdote  dà 
allo  sposo,  e  che  lo  sposo  mette 
poscia  nel  quarto  dito  o  anulare 
della  Mano  (  Vedi)  sinistra  della 
sua  sposa,  come  simbolo  dell'unio- 
ne del  loro  cuore  e  di  mutua  di- 
lezione, eh'  è  santamente  suggellata 
col  sigillo  dell'  anello  benedetto,  che 
impegna  reciprocamente  i  due  sposi 
ad  un'inviolabile  fedeltà;  la  mone- 
ta che  in  alcuni  luoghi  il  sacerdo- 
te benedice,  e  che  lo  sposo  dà  alla 
sua  sposa,  per  assicurarla  che  fa- 
cendqle  dono  della  sua  persona,  le 
fa  altresì  il  dono  di  tutte  le  sue 
sostanze,  per  goderne  in  comune 
con  essa .  In  alcuni  paesi  il  sacer- 
dote getta  una  specie  di  stola  bian- 
ca sul  collo  dei  due  sposi  (questa 
cerimonia  di  stendere  un  velo  sopra 
gli  sposi  nell'atto  della  benedizione 
nuziale  praticavasi  nella  chiesa  mi- 
lanese fino  dai  tempi  di  s.  Ambro- 
gio, poscia  abbandonata),  mentre 
essi  si  danno  la  fede  coniugale  ;  ia 
altri,  come  a  Liegi,  il  sacerdote  av- 
viluppa colla  sua  stola  le  loro  ma- 
ni ;  in  alcuni  altri  mette  soltanto 
r  estremità  della  stola  sulla  testa 
degli  sposi  mentre  li  benedice.  Si 
celebra  il  sagrifizio  della  messa,  co- 
me si  trova  nel  messale  romano, 
prò  sponso  et  sponsa,  per  ottenere 
agli  sposi  le  grazie  di  Gesù  Cristo: 
in  alcuni  luoghi  gli  sposi  vanno  al- 
l' obblazione  con  un  cero  bianco  iu 
mano,  per  mostrare  cosi  che  devo- 
no edificare  le  loro  famiglie  eoa 
una  vita  esemplare  ;  in  alcuni  altri 
luoghi  si  stende  il  velo  sulla  testa 
de*  due  sposi,  per  insegnar  loro  che 
il  pudore  deve  esser  la  guida  della 
loro  condotta  nello  stato  santo  che 
essi  scelgono  maritandosi  .  Tutte 
queste  cerimonie  sono  derivale  da 
quelle  degli  antichi  cristiani,  i  quali 
dopo  la    congiunzione    delle   destre 


a8o  MAX 

si  davano  il  santo  bacio.  Il  sacer- 
dote fa  loro  l'augurio  di  pace,  ac- 
compagnandolo con  una  esorta- 
zione. In  Roma  ed  in  altri  luo- 
ghi la  celebrazione  del  matrimonio 
ha  luogo  nella  chiesa  parrocchiale 
dove  abita  la  sposa^  alla  presenza 
de*  testimoni  e  parenti  degli  sposi  ; 
nella  chiesa  poi  si  deve  celebrare 
come  luogo  proprio  de'sagramenti, 
per  cui  s.  Carlo  Borromeo  ed  al- 
tri vescovi  proibirono  che  si  faccia 
fuori  di  essa,  o  che  almeno  gli  spo- 
si si  portino  a  ricevere  la  benedi- 
zione in  chiesa.  Finalmente  il  par- 
roco descrive  nel  libro  de'matrimo- 
dì  i  nomi  de' coniugati  e  dei  testi- 
moni, secondo  la  formola  prescritta 
dal  rituale  romano;  sebbene  altro 
sacerdote  delegato  da  esso  o  dal- 
l' ordinario  abbia  celebrato  il  ma- 
trimonio. Il  concilio  di  Rouen  del 
1072  proibì  i  matrimoni  segreti  e 
nel  dopo  pranzo,  e  che  gli  sposi  ri- 
ceveranno la  benedizione  del  sacer- 
dote a  digiuno.  Quello  di  Sens  del 
iSaS  impone  prepararsi  al  matri- 
monio colla  penitenza  e  col  digiu- 
no, e  che  ninno  si  mariterà  se  non 
dopo  il  levar  del  sole.  Il  concilio 
di  Parigi  del  medesimo  anno,  vo- 
lendo distruggere  gli  abusi  di  cele- 
brare la  messa  e  la  benedizione  nu- 
ziale subito  dopo  la  mezza  notte, 
proibì  di  far  la  celebrazione  avan- 
ti giorno  e  prima  del  levar  del  sole. 
In  diversi  articoli  del  Dizionario 
si  discorre  delle  cerimonie  e  feste 
nuziali  di  diverse  nazioni,  e  lo  si 
dirà  pure  a  Sposalizio,  come  di 
quelli  fatti  dai  Papi  e  dai  cardinali. 

§  III.  Della  causa  efficiente  del 
matrimonio^  de'  suoi  effètti  e  del- 
le sue  proprietà. 

Intendesi  per  causa  efficiente  del 
matrimonio,  quella  che   produce  il 


MAX 

legame  coniugale  cioè  il  matrimo- 
nio, che  non  è  altro  se  non  il  mu- 
tuo cousenlimento  col  quale  i  con- 
traenti dichiarano  con  segni  o  a  viva 
voce,  eh*  essi  vogliono  attualmente 
sposarsi,  consentimento  che  deve  a- 
vere  molte  condizioni  per  produrre 
un  tale  elfetto.  Le  condizioni  sono, 
che  il  consenso  deve  essere  ancora 
interiore  e  sincero,  altrimenti  il 
matrimonio  è  nullo,  e  peccano  gra- 
vemente contro  la  religione,  la  giu- 
stizia e  la  verità;  deve  essere  inol- 
tre reciproco,  libero,  ed  esente  da 
ogni  errore.  Il  matrimonio,  co- 
me sagra  mento  ,  produce  diversi 
effetti,  oltre  l'aumento  della  grazia 
santificante,  conferisce,  come  gli  al- 
tri sagramenti,  la  grazia  sagramen- 
tale  sua  propria,  la(|aale  consiste  in 
certi  speciali  aiuti  soprannaturali  , 
che  ad  intuito  del  sagramento  me- 
desimo in  tempo  opportuno  si  co- 
municano ai  coniugali,  per  adem- 
pire rettamente  e  santamente  gli 
offici  del  matrimonio,  e  sopportare 
con  virtù  e  con  merito  i  pesi  del 
loro  stato.  Tre  sono  i  beni  princi- 
pali prodotti  dal  matrimonio,  la 
prole,  la  fedeltà  e  il  sagramento. 
Quanto  alle  proprietà  del  matrimo- 
nio, esse  sono  la  sua  unità,  la  sua 
indissolubilità  e  la  sua  necessità. 
L'unità  del  matrimonio  consiste  che 
un  uomo  non  può  avere  che  una 
sola  moglie,  e  che  una  donna  non 
può  avere  che  un  solo  marito  :  la 
poligamia  per  conseguenza,  ovvero 
la  pluralità  delle  mogli  o  delle  con- 
cubine, distrugge  questa  unità.  La 
poligamia  simultanea  è  quella  di 
avere  molte  mogli  alla  volta;  e  la 
successiva  è  quella  di  averne  molte 
r  una  dopo  l' altra.  La  più  parte 
de'teologi,  sebbene  riconoscano  con 
s.  Tommaso  non  essere  la  poligamia 
contraria  al  primario  fine  del    ma- 


MAX 

trimonio,    eh' è    la    generazione    ed 
educazione  conveniente  della   prole, 
la   tengono    però    contraria    al  fine 
secondario  di  esso,  che  è  la  pacifica 
società  di   unione,  tra' coniugi.  Circa 
alla    poligamia    simultanea,    egli    è 
certo  che    la    poligamia  simultanea 
di  una    donna,   quale    con   proprio 
vocabolo  dicesi  poliandria^  cioè  che 
avesse    molti    mariti    alla    volta,    è 
proibita  dal  diritto  naturale,  perchè 
sarebbe   essa    egualmente   contraria 
al  primo    ed    al    secondo    fine    del 
matrimonio   indicati.    Sarebbe   con- 
traria al    primo  fine,    che    consiste 
nella  generazione  e   nella  educazio- 
ne, giacche  V  esperienza    prova  che 
le  donne  pubbliche  sono  sterili  ;  sa- 
rebbe altresì  contraria  all'educazio- 
ne   de'  figli ,    giacché    la    poligamia 
renderebbe  incerto  il  padre  de'figli. 
Sarebbe  contraria  al    secondo    fine 
del  matrimonio,  eh' è  la  pacifica  so- 
cietà coniugale.  Dio  permise  la  po- 
ligamia agli  antichi  patriarchi  della 
legge  di  natura  dopo  il  diluvio,  ed 
agli    ebrei    nella    legge  scritta,    per 
moltiplicare   la    loro    stirpe^  perché 
erano  essi  i  soli  fedeli  di  que' tem- 
pi.   Gesù   Cristo   ristabilì   il  matri- 
monio  nello    stato    della    primitiva 
sua  istituzione,  ed  ha  ordinato  che 
un  uomo  avrebbe  una  sola  moglie; 
cosi  non  è  permesso  al  presente,  ne 
agli  ebrei,  ne  agli  infedeli  di  avere 
molte  mogli.  La  Chiesa  ha  sempre 
condannato  il  disordine  intollerabile 
di  avere  i  mariti,  oltre  le  mogli,  delle 
concubine,  in  qualunque  condizione 
le  tenessero,  e  ciò  riguardò  sempre 
come   un  adulterio,    quantunque  le 
leggi  dell'impero  non  fossero  tanto 
severe.  Anticamente  il  vocabolo  con- 
cabina  (donna  che  vive  illecitamen- 
te con  un  uomo),  si  adoperò    tal- 
volta per  significare  una  moglie  le- 
gittima a  cui  si  dava  fede  maritale 


MAX  281 

perpetua,  senza  dotarla,  senza  dar- 
le il  nome  e    la    qualità    di    sposa, 
e  senza  che  i  di  lei  figli  fossero  am- 
messi all'  eredità  paterna.     Preso  il 
vocabolo  di  concubina  nel  senso  an- 
tico innocente  qui  sopra  esposto,  si 
è    da    molti    assomigliata    si    fatta 
concubina  di  chi  non  ha  altra  mo- 
glie, ai  matrimoni   di   coscienza    di 
cui  si  parlerà;  erano  veramente  mo» 
gli  di  chi  le  sposava,  ma   non  gode- 
vano però  delle  prerogative  annesse 
a    questo   stato  ;    tali  erano    quelle 
che  certi   principi  di  Germania  spo- 
savano colla  mano  manca,  come  la 
madre  di  Sofia    che   fu    moglie    di 
Giorgio  I  re  d' Inghilterra.  Vi    fu- 
rono concubine  ad  tempiis,  chiama- 
te dai  latini  pellices  o  padrona,  le 
quali  come  evidentemente    inoneste 
furono    sempre    vietate    dalle    leggi 
ecclesiastiche,  sia  ai  maritati,  sia   ai 
non  maritati.  Sulle  concubine  si  può 
leggere  quanto  ne  dice  il  p.  Char- 
don,  Storia  de'  sacramenti ^  parlan- 
do di  questo  del  matrimonio,  t,  IIIj 
p.   307    e   seg.    Per    riguardo    alla 
poligamia  successiva,  cioè  le  seconde 
nozze  e  le  seguenti,  dopo  la  morte 
del  primo  coniuge,  essa  fu   condan- 
nata dai  montanisti,  dai  novaziani, 
e  da  Xertulliano.  La  Chiesa  ha  sem- 
pre desiderato  che  i  fedeli  avessero 
la  forza  di  astenersene;  ma  non  le 
ha  ella  giammai  universalmente  pro- 
scritte, né  considerate  come  cattive 
in  sé  stesse,    e  contrarie  al    diritto 
naturale  e  divino,  ma  piuttosto  co- 
me imperfette  e   come   un    segnale 
d'incontinenza,  per  cui  in  molli  luo- 
ghi soggettò    alla   penitenza    coloro 
i  quali  passavano  alle  seconde  noz- 
ze, come  apparisce  dal  terzo  canone 
del  concilio  di  Neocesarea,  dal  XIX 
di  quello  d'Ancira  ,    dal  primo  di 
quello  di  Laodicea,  e  dalla   lettera 
di  s.  Basilio  ad  Amfilochio.  Dichia- 


283  MAT 

ìò  essa  i  Bigami  (T^dt)  irregolari, 
e  li  privò  quando   passavano  u   se- 
cxinile    nozze    citila    benedizione  del 
sacerdote,    delle    eleniosiue    e    delle 
corone  che   ponevansi    sul  capo  dei 
novelli  sposi.  L'imperatore    Basilio 
il  Macedone  dichiarò  illecite  le  ter- 
ze nozze  e  nidle  le  quarte.    L'apo- 
stolo   s.  Paolo  permette  alla  vedo- 
va di  rimaritarsi,  altrcttanlo  trovasi 
nella   tradizione    attestata   dall' Vili 
canone    del    concilio    di     iNicea,    e 
da  altri;   da    san    Clemente     Ales- 
sandrino,   da    s.    Gregorio    Nazian- 
Zeno,  da  s.  Ambrogio,    da    s.     Gi- 
rolamo, da  Eugenio  IV  nel  suo  de- 
creto d' istruzione    per    gli    armeni. 
Le  seconde  nozze    in  fatti    e  le  se- 
guenti non  hanno  nulla  di  contra- 
rio al  primo  ed  al  secondo  fine  del 
matrimonio,    che    consistono    nella 
generazione  ed  educazione  dei  figli, 
e  nella  pacifica  società  ed  unione  dei 
coniugi:   non   hanno  elleno  per  con- 
seguenza nulla  che  sia  contrario  al 
diritto  naturale.  Dunque  si  dovranno 
spiegare  benignamente  e  ridurre  al 
loro  giusto  valore  certe    espressioni 
dei  conciìii  e  de'  padri,   i  quali   trat- 
tano le  seconde  e  le  seguenti  nozze 
di     poligamia  ,     di    fornicazione    e 
punibili  ;  essi  si  scagliarono    piutto- 
sto contro  i    vizi    che    le    accompa- 
gnano talvolta. 

Altra  proprietà  del  matrimonio  è 
l'indissolubilità,  il  qual  vincolo  è  di 
fède  quando  legittimamente  contrat- 
to fra  cristiani  (perchè  il  matrimo- 
nio degl'infedeli  può  disciogliersi , 
quando  l'uno  venga  alla  tède,  e  l'al- 
tro non  voglia  vivere  con  esso  pa- 
cificamente ;  deve  poi  avvertirsi  che 
il  matrimonio  semplicemente  rato  e 
non  consumato,  si  può  sciogliere  pel 
■volo  solenne  di  i*eligione).  Gesù 
Cristo  lo  ha  detto  apertamente:  Nou 
di¥ida  TuoiBo  quel  che  Dio  ha  cou- 


MAT 

giunto.  Lo  conferma  s.  Paolo  in  piii 
luoghi   dell«   sue  epistole,    e    abba- 
stun/.a    lo  avea    mostrato   nella  cele- 
bre  comparazione  dei    coniugi    con 
Cristo  e  la   Chiesa.   I    teologi    ed    i 
canonisti    distinguono    tre    sorta    di 
matrimoni,  il   legittimo  o    naturale, 
ch'è  (juello  che    si    fa    validamente 
secondo   le  leggi   di   natura,  ed  an- 
che a   tenore  tlelle    leggi;  il  vatwn, 
o  ratificato,  ch'è  proprio  solo  de'cri- 
sliatii  in  cui  il  contratto  naturale    è 
insieme     sacramento  ;    ed    il  consu- 
mato, consumatiun,  il  quale  per  la 
conoscenza  carnale  acquista  maggioà* 
forza  e  diventa  più  indissolubile.  Il 
matrimonio  può  essere  disciolto  quan- 
to al   legame,  o  quanto  al  letto  ed 
all'abitazione.    C   disciolto  quanto  al 
legame,  quando  i   coniugi     possono 
rimaritarsi    con     altri;    è     disciolto 
quanto  al  letto,  quando    non    sono 
obbligati  di  soddisfare  al  dovere  del 
matrimonio,  abbenchè  non  possano 
rimaritarsi    con    altri;    è    disciolto 
quanto  al  letto  ed  all'abitazione,  al- 
lorché non  sono  obbligati,  né  di  sod- 
disfare al  dovere  del  matrimonio,  ne 
di  convivere  insieme    sotto    il    me- 
desimo tetto.  Molti   principi  cristia- 
ni  hanno  permesso  io  Scioglimento 
dei  matrimoni,  anche  quanto  al  le- 
game, ne'loro  stati;  ma  (juesti  sono 
abusi    che    la    Chiesa    non    ha   mai 
approvato.   Il   matrimonio  contratto 
nell'infedeltà  della  credenza  religio- 
sa  nou  si  discioglie  nella  coitversio- 
ne  de'  due  coniugi  alla    vera    lède. 
Gli   infedeli  che  si  convertono,  aven- 
do  molte   uiogli,  sono  tenuti  ad  ab- 
bandonarle  Irainie   la  prima.  Posso- 
no essere  disciolti   i   matrimoni    de- 
gì'  infedeli  ({uando    uno    di    essi    si 
converte,  e  l'altro  non  vuol  più  vive- 
re con  lui;  -quaudo  il  coniuge    be- 
stemmia Dio  per  pervertire  d  cou- 
veilito;  ti  quaudo    il  coniuge   iufe- 


MAT 

tlele  vuol  convivere  col    convertito, 
ma  robl)ligu  a  commettere  cose  pioi- 
Lite  dalle  leggi  di  Dio.  Se  un  coniu- 
ge cade  in  adulterio ,    V  altro    può 
lursi   religioso.   JNel    1706   Clemente 
XI    scrisse  al   vescovo  di   Agen,   E- 
pisi,  et   Brev,   t.  1,  p.   2  54,  prescri- 
vendogli  le  regole    che  doveasi    os- 
servare ne'  malrimoni  co'  nuovamen- 
te convertiti  alla  fede  in  quelle  par- 
ti. Le  ragioni  generali  per  scioglie- 
re   il    matrimonio  quanto    al    letto 
e  al  domicilio,  sono  l'eresia,   l'apo- 
stasia,  la   cattiva   condotta,   la    mi- 
naccia della    vita,  la    malattia    con- 
tagiosa,  la   demenza  o  follia.   Le  ra- 
gioni particolari  per  cui    i    coniugi 
possono  domandare  la  separazione  di 
corpo,  sono  i  cattivi  trattamenti,  gli 
umori  incompatibili,  la  povertà,  la 
lontananza,  l'impiego  d'uno  de'coniu- 
gi,  e  quelle  altre  riportate  dai  trat- 
tatisti. La  separazione  di    corpo    e 
di  abitazione  ottenuta  da  una  mo- 
glie pei  cattivi   trattamenti  del  ma- 
rito, porta  seco  (juasi  sempre  anche 
la  separazione  dei  beni,  non  essen- 
do giusto  che  un   marito  goda    dei 
beni  di  sua  moglie,  quando  egli  non 
la  tratta  com'è  dovere  di    un    ma- 
rito cristiano,  f^.  Divobzio,  ove  trat- 
tasi quest'argomento  ;  Martorelli,  Er- 
rori  sul    dìvor'zio    confutatiy    Roma 
1792;    ed    il     p.    Chardon,    Storia 
de  sacramenti ^  t.   Ili,  p.  244>  ^^^' 
Vindissoluhilità  de'  ìnatriinoni.  Quan- 
to alla   necessità  del  matrimonio,  in 
principio   del   mondo  eravi   un  pre- 
cetto natuiale  per  tutti   gli   uomini 
di  ammogliarsi,    perchè    la    natura 
indegna  ed  ordina   la  moltiplicazio- 
ne del  genere  umano,  e  questo  pre- 
cetto durò  finche  gli  uomini  furo- 
no sullìcientemente  moltiplicali.  Da 
questo  tempo  in  poi   egli    non  ob- 
bliga più  alcuna   pervSona  in  parti- 
colare: uou  ha  nemmeno  obbligalo 


MAT  283 

gli  ebrei.   Frova   s.   Girolamo  che  il 
Celibato  [Fedi),   non  solamente  eia 
permesso    nella   legge    mosaica,   ma 
consideravasi  altresì  come  uno  stato 
più  perfetto  di  (juello  del  matrimo- 
nio. Ciò  non     pertanto  vi  sono  di- 
verse necessità,  le    quali    obbligano 
talvolta   le  persone  al  matrimonio, 
come  di   stato  e    di    politica,    come 
quelle  di  principe  ereditario,  il  quale 
per  evitare  le  funeste    conseguenze 
che  affliggerebbero  i  suoi  stati,  se  egli 
morisse  senza  figli,    sarebbe    obbli- 
gato di  ammogliarsi  e  procurare  cosi 
ai  SUOI   sudditi   gli  eredi    della    sua 
corona.  Non  obbligano  assolutamen- 
te al  matrimonio  la  necessità  di  po- 
vertà, e    la    necessità   di    debolezza 
che    impedisce    osservare    la  conti- 
nenza. 

§  IV.  Della  necessità  del  consenso 
de'  genitori  per  la  validità  dei 
matrimoni  de^  figli  di  famiglia, 
e  degV  impedimenti  del  niatrimO' 
nio^  e  sue  dispense  ;  dell'incesto 
e  degl'incestuosi. 

Tutti  i  cattolici  convengono  che 
i  matrimoni  contralti  dai  figli  al- 
l'insaputa, o  contro  la  volontà  dei 
genitori,  sono  spesse  volte  proibiti, 
ma  non  già  invalidi  per  diritto  na- 
turale e  divino,  e  disputano  solo  se 
sieno  invalidi  per  diritto  ecclesiasti- 
co e  civile.  La  maggior  parte  dei 
teologi  negano  che  tali  matrimoni 
sieno  slati  mai  dichiarati  invalidi 
da  alcuna  legge  ecclesiastica;  altri 
invece  sostengono  che  furono  di- 
chiarati nulli  dalla  Chiesa  fino  al 
secolo  Xil  circa,  e  citano  in  loro 
favore  molte  autorità  de'  padri,  i 
quali  li  condannano,  e  sembrano 
annullarli.  1  teologi  che  sostengono 
la  prima  opinione,  rispondono  che 
siilàtle   autorità    devono    intenderà 


284  MAX 

relative  ai  matrimoni  illeciti,  e  tut- 
to al  più  invalidi  nel  foro  esteriore, 
e  non   nel  foro  interiore    della    co- 
scienza. 11  concilio  di  Trento  dichia- 
ra che  i  matrimoni  contralti  dai  fì- 
^li  di  famiglia  senza  il  consenso  dei 
loro  genitori,  non  sono  nulli,  e  che 
i  genitori   non  possono  renderli  ne 
validi,  né  invalidi  :  nulladimeno  la 
Chiesa   di   Dio  per  giustissime  cau- 
se gli  ha  sempre  detestati  e  proibiti. 
Che  i  figli  di  famiglia  non  contrag- 
gano il  matrimonio  senza  il  consen- 
so de'genitori,  è  accennato  nel  quar- 
to comandamento  di  Dio.  Sebbene 
da  quanto  abbiamo  detto  la  Chiesa 
non  ha  fatto  di  ciò  un  impedimento 
dirimente   del  dissenso    ragionevole 
de'  parenti,  li  ha  riprovati  e  vietati, 
ed  i  contraenti  non  potrebbero  cer- 
tamente   lusingarsi    di    ottenere    la 
benedizione  di   Dio.  Questa  verità  é 
fondata   nelle  divine  scritture,  nelle 
quali  si  suppone  sempre  che  il  ma- 
trimonio de'  figli  sia  stabilito  o  ap- 
provato dai  propri    genitori ,    ed  è 
una  conseguenza  di    quel    rispetto, 
onore,  divozione,  che  per  legge  na- 
turale e  divina  debbono  i  figli  a  co- 
Joro    dai    quali    hanno   ricevuto   la 
vita  :  e  ciò  che    dicesi    riguardo  ai 
parenti,  intendesi  anche  rispetto  ai 
tutori    o  ad  altri,  sotto  la  podestà 
de'  quali  in  luogo  di  parenti  si  tro- 
vano i  figli  di  famiglia.  L'antico  di- 
ritto romano  aimuUava  i  matrimoni 
che  i  figli  contraevano  a  malgrado 
de'  loro  genitori. 

Gl'impedimenti  canonici  non  so- 
no altro  in  sostanza  che  certe  cir- 
costanze dichiarate  dalla  competente 
autorità,  la  concorrenza  delle  quali 
nella  persona  dei  contraenti  rende 
o  nullo  o  illecito  il  matrimonio.  Su- 
gi' impedimenti  del  matrimonio,  di- 
cono i  teologi  che  un  impedimento 
del  matrimonio  è  uà  ostacolo,  che 


MAT 

impedisce  a  due  persone  di  con- 
giungersi in  matrimonio  ;  ve  ne  so- 
no di  due  sorla.  Gli  uni  rendo- 
no le  persone  in  cui  si  verifica- 
no tali  impedimenti,  inabili  a  con- 
trarre l'una  coU'altra  ;  di  maniera 
che  se  sì  maritano  tra  loro,  quel 
matrimonio  è  nullo,  echiainansi  que- 
sti ìinpedinie.nti  dirime nlì  ;  gli  altri 
fanno  si  che  il  loro  matrimonio  sia 
illecito  senza  essere  nullo,  ma  gra- 
vemente si  pecca  avendo  cognizio- 
ne dell'impedimento,  e  si  chiamano 
impedinienù  proibitivi  od  impeditivi. 
La  Chiesa  ha  diritto  di  stabilire  o 
di  levare  certi  impedimenti  diri- 
menti del  matrimonio,  e  questo  di- 
ritto è  appoggiato  ad  una  tradizio- 
ne costante,  confermala  dall'uso  fi- 
no dal  IV  secolo.  Che  l'autorità 
competente  a  stabilire  impedimenti 
matrimoniali  sia  la  Chiesa,  è  stato 
solennemente  deciso  dal  concilio  di 
Trento,  decisione  che  venne  accet- 
tata da  tutto  il  mondo  cattolico, 
ne  altrimenti  poteva  essere,  sempre 
che  si  dichiarò  questo  punto  un 
domma  di  fede.  Se  alcuno  dirà  che 
la  Chiesa  non  abbia  potuto  costi- 
tuire impedimenti  dirimenti  il  ma- 
trimoniOf  o  che  nel  costituirli  abbia 
errato j  sia  scomunicato.  Tale  au- 
torità si  appoggia  alle  parole  di  Ge- 
sù Cristo,  dette  a  s.  Pietro  :  Tutto 
ciò  che  avrai  legato  sopra  la  terra y 
sarà  legato  anche  in  cieloj  e  sopra 
l'uso  costantemente  praticato  dalla 
Chiesa  fino  dai  primi  secoli.  Rile- 
vasi infatti,  al  dire  di  alcuni,  da 
Tertulliano,  dai  ss.  padri  Cipriano, 
Girolamo,  Ambrogio,  che  al  tempo 
loro  erano  proibiti  i  matrimoni  dei 
cristiani  con  gl'infedeli,  e  che  gl'im- 
peratori dopo  avere  abbracciata  la 
fede,  riconobbero  e  rispettarono  que- 
sta disciplina  fondata  sicuramente 
sulle  parole  della    sacra  Scultura; 


MAX 
aggiungono  i  medesimi,  che  sebbe- 
ne di  questo  impedimento,  chiama- 
to disparità  di  culto,  non  si  trovi 
una  legge  ecclesiastica  positiva,  as- 
soluta, pure  fino  dal  memorato  se- 
colo IV  almeno,  senza  alcuna  con- 
traddizione si  è  creduto  dirimente 
da  tutta  la  Chiesa  cattolica.  Va 
però  avvertilo  che  l'esempio  dei 
matrimoni  proibiti  fino  dai  primi 
secoli  tra  cristiani  ed  infedeli,  prova 
la  pratica  antica  della  Chiesa  di  por- 
re impedimenti  proibitivi,  ma  non 
già  dirimenti.  Perchè  tutti  i  più 
savi  teologi  e  canonisti  convengo- 
no, che  per  moltissimi  secoli  non 
fu  queir  impedimento  di  disparità 
di  culto  se  non  proibitivo  e  non 
mai  dirimente,  e  divenne  tale  so- 
lamente dal  secolo  XII  circa  in  poi, 
e  ciò  neppure  per  legge  scritta,  ma 
per  consuetudine,  come  si  può  ve- 
dere in  Bellarmino,  De  matrìm.y 
e.  25,  prop.  3.  A  prova  degli  im- 
pedimenti dirimenti,  rammentasi  il 
concilio  Neocesariense  del  3  1 4,  che 
dichiara  irrito  il  matrimonio  ostan- 
do l'affinità;  il  concilio  Agatense  del 
5o6,  che  dichiara  nulli  i  matri- 
moni di  affini  e  consanguinei ,  e- 
zinndio  in  casi  in  cui  erano  per- 
messi dalle  leggi  civili;  ed  altre  si- 
mili autorità,  che  possono  vedersi 
presso  i  teologi  o  canonisti,  come 
nel  continuatore  del  Tournely  p. 
Collet,  Theol.  morciL  voi.  Vili,  De 
malrim.  e.  8.  Ad  onta  di  quanto 
ne  dicano  gli  amatori  di  libertà,  cui 
ogni  obbligazione  riesce  intollerabi- 
le, è  ceito  che  tranne  quei  pochi 
apposti  direttamente  per  l'onore  e 
il  rispetto  dovuto  a  Dio,  per  esem- 
pio il  voto  solenne  e  l'ordine  sa- 
cro, tulli  gli  altri  impedimenti  sono 
diretti  a  provvedere  al  bene  dell'u- 
mana società.  All'oggetto  di  scuo- 
prire  questi  impedimenti,  la  Chiesa 


MAX  a85 

ordinò  le  tre  pubblicazioni  nelle  chie- 
se parrocchiali  dello  sposo  e  della 
sposa,  proclamando  il  matrimonio 
che  si  vuole  contrarre,  ed  ha  rila- 
sciato alla  prudenza  del  vescovo  il 
dispensare.  Si  può  consullare  l'o- 
pera: De  episcoponim  in  disperi- 
sntionihus  super  inatrìmonii  ini- 
pedimentis  potestate  ,  Favcnliae 
1789.  Siccome  gl'impedimenli  di- 
rimenti non  si  possono  stabilire 
che  dal  sommo  Pontelìce,  e  da  un 
concilio  ecumenico,  così  la  potestà 
di  dispensare  non  può  competere 
se  non  a  questo  o  a  quello  per 
giusti  e  gravi  motivi.  Dicono  i  teo- 
logi ed  i  canonisti  che  gl'impedi- 
menti dirimenti  rendono  nullo  il 
matrimonio,  solamente  quando  lo 
precedano,  perchè  quando  fu  con- 
tratto una  volta  validamente,  non 
vi  sono  più  impedimenti  che  lo  pos- 
sano annullare.  Riporteremo  qui 
oppresso  gl'impedimenti  del  matri- 
monio, spettando  ai  teologi  ed  ai 
canonisti   le  distinzioni  ed  eccezioni. 

I."  L'impedimento  dell'e/rore  è  di 
due  sorta,  o  di  sostanza  o  di  qua- 
lità, in  fatto  di  matrimonio.  L'erro- 
re della  persona^  quando  si  crede  di 
sposare  una  persona  diversa  da  quella 
ch'è  presente,  e  perciò  il  matrimonio 
è  nullo;  quello  della  qualità,  quan- 
do la  persona  presente,  che  credevasi 
vergine,  nobile,  o  che  credevasi  molto 
comoda  e  ricca,  ed  in  vece  si  tro- 
va violata,  ignobile  e  priva  d'ogni 
bene  di  fortuna,  laonde  il  matri- 
monio è  nullo  quando  porla  l'er- 
rore della  persona.  Va  però  nota- 
to, che  l'errore  di  qualità  non  di- 
rime per  sé,  regolarmente  parlando, 
il  matrimonio,  ma  solo  allora  quan- 
do si  rifonde  veramente  nella  sostan- 
za, ossia  nell'errore  di  persona. 

2.°  L'impedimento  della  condizio- 
ne servile  d'una  persona  che  si  ere- 


a8G  IMAT 

deva  Hbcrn,  è  quello  degli  Srhi'nvi 
(f^rr//)  propiiamcnle  delti,  di  quelle 
|)Cisone  eioè  le  quali  sono  talmente 
;)lla  disposizione  del  loro  padrone, 
che  vengono  considerate  rome  ibr- 
m^nti  palle  del  suo  avere,  e  ne  può 
«gli  quindi  disporre  come  pili  gli 
piace.  Ora  però  sono  validi  i  ma- 
trimoni contratti  fra  servi ,  hencliè 
contro  la  volontà  del  loro  padrone, ed 
V.  valido  il  matrimonio  (rmi  uomoli- 
|)ero  con  una  serva,  purché  quegli 
da  prima  non  ignorasse  la  qualità 
«iella  sposa. 

3."  L'impedimento  del  P^olo  (Tac- 
ili), che  se  è  di  semplice  castità, 
rende  il  matrimonio  criminoso,  ma 
non  lo  annulla;  il  voto  «olenne  lo 
rende  nullo  e  criminoso  a  un  te«n- 
po  :  può  una  moglie  (àr  il  volo 
semplice  di  castità,  per  cosi  dare  a 
suo  marito  il  mezzo  di  farsi  sacer- 
dote.   P^.  Religiosi  ,  e  Vergini. 

4.*'  L'  impedimenlo  di  paren- 
tela, la  quale  è  o  naturale,  o  spi- 
rituale ,  o  legale.  La  parentela 
naturale,  che  chiamasi  anche  con- 
sanguinilà,  è  il  legame  che  stringe 
fra  di  loro  le  persone  del  medesi- 
mo sangue^  cioè  quelle  che  di- 
scendono le  une  dalie  altre,  ovve- 
10  da  uno  sli[)ite  comune.  P^i  Pa- 
BEKTi.  E  pure  impedimento  la  pa- 
renlela ,  o  cognazione  spiriliuile , 
]a  quale  è  un  legame  che  si  con- 
trae coi  sagramenli  del  battesimo 
e  della  confermazione,  tra  il  mi- 
nistro del  ballesimo  da  una  parte, 
ed  il  bambino  battezzato,  il  padre  e 
e  la  madre  dall'altra;  o  fra  il  padri- 
no o  la  madrina  da  una  parte, 
ed  il  bambino,  suo  padre  e  sua 
liiadre  dall'altra  ;  egualmente  dica- 
si della  confermazione  ,  quando 
liannovi  il  padrino  e  la  madrina. 
V.  CoMPARATicc^.  Questa  parentela 
o  coguazioue  s|>iriluale  uun  si  con- 


MAX 
trae  dal  procuratore,  ma  solamente 
da  chi   Io  manda  ;  si    contrae  però 
anche  dal   laico  ,  il  quale    batt» /./a 
in   caso   di    necessità.     La    parentela 
legale  o  propinquilìi   di   persone  na- 
sce dall'  adozione,  la  quale    è    per- 
fetta od  imperfetta  o  semplice:   l'a- 
dozione perfetta   mette    la    persona 
adottata  sotto   la   podestà  di  un  pa- 
dre adottivo,  di  maniera  che  assu- 
me il  cognome,  e  diventa  suo  ere- 
de necessario,  sia  ah  intestato^  sia  per 
testajuento,  nel  quale  caso  gli  si  deve 
come  a   necessario    erede    assegnare 
la  quarta   legittima    di  sue    sostan- 
ze ;  neir  adozione  imperfetta   l'adot- 
tato diviene  solo  erede,  se  il  padre 
adottivo   muore  senza  far  testamen- 
to.  L' adozione   perlètla    annulla    il 
matrimonio   tra    il  padre  adottivo  e 
la  sua  figlia  adottiva;  tra  i  figli  legit- 
timi   naturali    del    padre    adottivo, 
che  stanno  sotto  la  patria  potestà^  e  la 
persona  adottata;  fra  colui  che  adot- 
ta, e  la  moglie  di  colui  ch'è  adot- 
tato, e  per  la   ragione  de'  simili,  tra 
colui  ch'è  adottato,  e  la  moglie  di 
chi  lo  adotta.  La  cognazione  legale 
imita:    i.  la  paternità  naturale,    e 
quindi    dirime    il    matrimonio    tra 
l'adottante    e    l'adottato,  e  tutti   i 
discendenti  di  questo  in  linea   retta 
.sotto  la   patria    sua    potestà  :    onde 
ciò  non  vale  se  l'adottato  è  donna, 
perchè  questa  non  ha  in  patria  po- 
testà i  suoi  figli,  e  però  l'adottante 
potrebbe  sposare  la  figlia    naturale 
legittima    della  sua    figlia  adottiva. 
2.    La  fraternità  naturale,  e  quin* 
di  diriuje  il  matrimonio  tra  l'adot- 
tato (  uomo  o  donna  )  e  i  figli  na- 
turali legittimi  (  non  però  gl'illegit- 
timi )  dell'  adottante  (  uomini  e  don- 
ne ),  finché    stanno  sotto  la    patria 
potestà,  cessata  la  quale  per  eman- 
cipazione o  ujortcj  cessa   pure  quel 
vincolo.    3.    V  affinila   carnale,   e 


MAT 
«jiiindi  dirime  il  matrinionio  tra 
radollaiile  e  la  moglie  dell' adot- 
tato, e  ciò  in  perpeluo,  ancorché 
si  sciolga  l'adozione.  Queste  tre  di- 
sposizioni di  gius  canonico  le  ha  a- 
dotlate  il  gius  civile,  e  conservale 
come  sue,  onde  come  riflette  Be- 
nedetto XIV,  De  Syn.  diocvs.  lib. 
9,  e.  IO,  quando  in  materia  di  co- 
gnazione legale  j>oige  questione,  è 
da  risolvere  secondo  lo  slesso  gius 
civile.    F.  Bastando    e    Figlio. 

5."  L'impedimento  crìminis  che 
volgarmente  tradotto  dicesi  del  de- 
litio,  è  quello  che  si  contrae  quan- 
do avvenga  adulterio  con  promes- 
sa di  futuro  matrimonio,  inorino 
con/uge,  su  di  che  pure,  come  ne- 
gli altri  impedimenti,  i  canonisti  ed 
i  teologi  fauno  molte  distinzioni  ed 
eccezioni. 

6."  L'impedimeulo  della  diversità 
di  religione,  di  cui  parleremo  dopo, 
dicendo  de'  matrimoni  misti. 

7."  L'impedimento  della  violenza, 
la  quale  è  assoluta  o  condizionale, 
come  di  forzato  assenso,  o  di  timo- 
re grave. 

8.°  L'impedimento  deW  ordine, 
essendo  gli  ordini  sacri  uà  impedi- 
mento dirimente  del  matrimonio, 
sino  dall'  epoca  del  primo  concilio 
Lateranense  del  ii23,  o  sino  dal 
tempo  di  s.  Paolo,  secondo  altri;  di 
ciò  si  tratta  ali'  articolo  Celibato 
e  ad  altri  relativi. 

9.**  L'impedimento  del  legame,  il 
quale  nasce  da  un  primo  matrimonio, 
anche  non  consumato,  e  fa  sì  che  le 
persone  maritale  non  possano  rima- 
ritarsi se  non  quando  saranno  ve- 
dove, perché  fino  allora  sono  esse 
legale,  e  non  son  libere:  per  lun- 
ga clie  sia  l'assenza  di  un  marito 
o  di  una  moglie,  ne  l'uno  ne  l'al- 
tro possono  rimaritarsi  senza  aver 
prima  cevlissime  prove    della  mor- 


MAT  287 

te  dell'assente:  dice  san  Basilio, 
che  le  mogli  de*  soldati  meritano 
più  indulgenza ,  perchè  <i  presume 
facilmente  la  loro  morte. 

IO.**  L'impedimento  dcW  onestà 
pubblica,  nasce  da  due  sorgenti,  che 
sono  lo  sposalizio  o  promessa  di 
future  nozze,  ed  il  matrimonio  che 
non  è  slato  consumalo,  sia  perchè 
una  delle  parti  contraenti  è  morta, 
sia  perchè  abbracciò  uno  stato  re- 
ligioso, sia  finalmente  perchè  era 
impotente:  avvertendo,  che  i  soli 
sponsali  producono  l' impedimento 
fino  al  secondo  grado,  ed  il  ma- 
trimonio rato  fino  al  quarto. 

II."  L'impedimento  della  de- 
menza  riguarda  gì'  insensali,  i  fu- 
riosi, coloro  che  sono  imbecilli  al 
punto  di  essere  incapaci  di  delibe- 
razione e  di  scelta,  sono  di  diritto 
naturale  incapaci  del  sagramento 
del  matrimonio,  il  quale  richiede 
molta  libertà.  Ciò  non  pertanto,  se 
un  demente  si  ammogliasse  nel 
teuìpo  di  qualche  lucido  intervallo, 
il  suo  matrimonio  sarebbe  valido, 
ma  sempre  pericolosissimo  pel  ri- 
torno della  demenza.  Quanto  ai 
sordi  ed  ai  muti,  possono  venire 
ammessi  al  sagramento  del  ma- 
trimonio, quando  la  loro  men- 
te è  abbastanza  aperta  e  chia- 
ra da  poter  conoscere  l'impegno 
che  vanno  essi  a  contrarre. 

12.°  L'impedimento  àeWafflailà  è 
una  parentela  che  contrae  una  perso- 
na coi  parenti  di  quella  ch'ebbe  se- 
co lei  un  commercio,  o  legittimo  o 
proibito,  per  cui  ninno  de'due  può 
sposarsi  con  alcuno  de'  congiunti 
dell'  altro,  fino  al  quarto  grado  se 
il  commercio  fu  legittimo,  e  fi- 
no al  secondo  se  è  stato  criminoso: 
essi  soli  contraggono  reciprocamen- 
te l'affinità  co' parenti  l'uno  del- 
l'allro.  Da  ciò  viene    che    il    padre 


7.88  MAT 

etl  ii  figlio  possono  rispeltlvamente 
sposare  la  madre  e  la  fìi^lia  ;  due 
fiateili  sposano  due  sorelle,  oppure 
uno  di  essi  sposa  la  madre,  l'altro 
la  figlia,  e  ciò  in  conseguenza  del 
principio,  che  i  due  coniugi  diven- 
tano afiìni  co' parenti  rispellivi  l'u- 
no dell'altro,  ma  questi  non  diven- 
gono affini  tra  loro,  o  come  si  e- 
sprimono  i  canonisti  affìnilas  non 
parit  affinilalem.  Per  conoscere  in 
qua!  grado  sono  fra  di  loro  affini 
due  persone,  bisogna  distinguere 
Dell' affinità,  come  nella  consangui- 
nità,  io  stipite,  la  linea  ed  i  gradi; 
la    linea  è  retta  o  collaterale. 

i3.**  L' impedimento  della  clan- 
destinìtàj  proviene  dal  matrimonio 
clandestino  che  si  contrae  senza 
parroco,  e  senza  un  numero  suffi- 
ciente di  testimoni,  e  ne  parlammo 
di  sopra. 

i4"  L'impedimento  deWimpoteri- 
zacioè  di  quegl'impotenti  i  quali  non 
possono  consumare  il  matrimonio, 
dividendosi  V  impotenza  in  assoluta 
o  rispettiva,  in  antecedente  o  susse- 
guente, in  perpetua  o  temporanea: 
essa  è  assoluta,  si  ciim  nulla  di- 
versi sexus  persona  copula  ìiaberi 
queat  s  rispettiva  ,  si  non  possit 
cuni  unay  possit  cuni  alia  j  è  ante- 
cedente quando  precede  la  celebra- 
zione del  matrimonio;  susseguente 
quando  sopraggiunge  dopo  contratto 
il  matrimonio  stesso  ;  finalmente  è 
perpetua  quando  non  può  essere 
tolta  coi  rimedi  naturali  ;  tempo- 
ranea quando  può  cessare  col  tem- 
po, o  col  soccorso  della  medicina. 
Il  matrimonio  degl'impuberi  è  nul- 
lo di  pieno  diritto,  tranne  coloro, 
in  quibus  malilia  supplet  aelaleni  ; 
l'età  prescritta  pel  matrimonio  e 
legittima,  è  quando  l'uomo  ha  com- 
piuto almeno  quattordici,  altri  di- 
cono   dieciotto  anni,   e   quando    la 


MAT 

donna  ha  compiuto  almeno  dodici, 
altri  dicono  quattordici  anni,  ed  ambi 
sieno  bene  istruiti  nei  donimi  prin- 
cipali di  nostra  fede,  dovendo  essi  poi 
istruire  i  loro  figliuoli.  La  vecchiezza 
non  è  nel  numero  degl'impedimenti 
del  matrimonio,  come  non  lo  è  la  ste- 
rilità per  quelli   che  possono  usarlo. 
L'età  decrepita  potrebbe  considerarsi 
come  una  specie  d' impotenza,  tut- 
tavia  abbiamo    esempi  di    vecchi  i 
quali    ebbero  de'  figli    in    età    assai 
avanzata  :  i  i-amani  colla  legge  Pap- 
pia    Poppaea,    proibirono  agli    uo- 
mini maritarsi  dopo  60    anni,  e  le 
donne   dopo  5o.    Se  la  Chiesa   non 
ha  proibito  ai    vecchi  di    maritarsi, 
ha  sempre  biasimato  quelli    che  lo 
hanno    fatto  :    i  padri    della  Chiesa 
hanno  sovente  inveito  contro  i  vec- 
chi d'  ambo  i  sessi,  facendoli  arros- 
sire della  loro  incontinenza;  alcuni 
di  essi  hanno  trattato  tali   matrimo- 
ni    vergognosi    concubinati,    coperti 
col    velo  del    sagramento,  che   rice- 
vono   con    fini    differenti    da    quelli 
propri  di  esso.   I   padri  del  concilio 
del  Friuli    o  d'  Aquileia,  furono  di 
avviso  che  gli  sposi  avessero  quasi  la 
medesima  età,  poiché  la  gran  disu- 
guaglianza   di   età   cagiona    sovente 
la  perdita  delle  anime,  ed    è  cagio- 
ne di  gravi  disordini.  Non  si  posso- 
no maritare  gli  ermafroditi  che  par- 
tecipano de'  due   sessi,  e  gli  Eunu- 
chi [Vedi).  L'impedimento  che  na- 
sce dalla  impotenza  è  indispensabi- 
le, perchè  è  di  diritto  naturale,  co- 
me essenzialmente  contraria  al  fine 
del  matrimonio. 

1 5.°  L'impedimento  del  ratto,  sii 
distingue  di  due  sorta,  uno  di  vio- 
lenza, l'altro  di  seduzione  :  il  primo 
si  commette  quando  si  conduce  via 
per  forza  o  con  minacce  una  per- 
sona; il  secondo  quando  s'impegna 
una  persona  con  artifizio,  eoa   ca- 


MAX 
rezze,  doni,  ce.  a  sortire  dalla  casa 
paterna,    o  da  qnella    in    cui    deve 
essa  abitare. 

1 6."  Gl'impedimenti  proihìlwi  die 
rendono  il  matrimonio  illecito  senza 
renderlo  nullo,  erano  prima  dodici, 
in  oggi  ridotti  a  soli  quattro,    i."  La 
proibizione    cbe     fa  ai     futuri  con- 
iugi  un   vescovo  od  ancbe  im  par- 
roco di  procedere  alla  celebrazione 
del  matrimonio,  finche  non  siasi  e- 
saminato  ciò  che  merita  di  esserlo. 
2.**  Il    tempo   in  cui    è  proibito    di 
contrarre     matrimonio,     cioè    dalla 
prima  domenica  àeW Avvento  fino  al 
giorno  dell'  Epifania,  e  dal  merco- 
ledì delle   Ceneri  fino  alla  domeni- 
ca in  Albis  inclusivamente  ;  la    pa- 
rola inclusiv amente  riguarda  il  gior- 
no   deir  Epijania,    e    la    domenica 
dell'  ottava    di    Pasqua.    In    questi 
tempi  sono  proibite  le  solennità  del- 
le  nozze,  come    sarebbe    il  benedir 
le  nozze  e    celebrare  i  conviti    nu- 
ziali ;    il    matrimonio    con    dispensa 
della  Chiesa  potendosi    celebrare  in 
ogni  tempo,  e  Nicolò  V  a'  i6  mar- 
zo   i45»2  coronò    re  di    Lombardia 
Federico  IH,  ed  a  lui  e  alla  sposa 
Eleonora  die  la  benedizione  nuziale 
benché    fosse    quaresima.   11    tempo 
vietato  di  celebrare   le  nozze  vuoisi 
incomincialo  dal  disposto  di  s.  Libe- 
rio Papa  del  352.   3."  La  promessa 
che    due  persone  fanno  di  sposarsi, 
essendo  giusto  che  si  mantenghi   la 
fede  data,    ciò  che  dicesi  sponsalia 
e    fidanzare,    e  lo  toccammo    supe- 
riormente. 4°  11    ^oto  semplice  sia 
di  castità,  sia  di  entrare  in  religio- 
ne, perchè  sebbene  non  abbia  forza 
di  annullare  il  matrimonio  dove  si 
contragga,  tuttavia  è  cosa  illecita   e 
peccaminosa    il    mancare  all'obbli- 
gazione contralta  con  Dio   median- 
te un  tal  voto.  Onde  a  render  le- 

VOL.    XLIII. 


M  A  T  289 

cito  il  matrimonio  vi  bisogna   la  le- 
gittima dispensazione. 

Le  dispense  degl'  impedimenti  di- 
rimenti del    matrimonio  non    sono 
legittime  se  non    quando  sono  esse 
fondate  su  giuste  cause,  le  quali  sono 
di   due  sorta   per    rapporto  al   ma- 
trimonio, alcune  sono  oneste,  altie 
infamanti.    Le    prime    sono    quelle 
che  si  espongono    senza  disonorare 
i  supplicanti,   le    altre    sono  quelle 
che    derivano    dal     peccato,    e    che 
per  conseguenza  disonorano.  Si  pos- 
sono ridurre  a  quattordici   le  cause 
legittime  delle  dispense  degl'  impe- 
dimenti dirimenti    del  matrimonio, 
delle  quali    undici   oneste  e  tre  in- 
famanti. Le  cause  dunque  legittime 
delle  dispense  del    matrimonio    più 
comuni    sono  :     i ."    La    ristrettezza 
del   luogo  di  dimora,  per  cui   i  con- 
traenti non  possono  trovare  se  non 
uno  de'  loro  parenti  che  lor  conven- 
ga in    matrimonio.    1."   La    picco- 
lezza de'  luoghi  qualora  i  contraen- 
ti  dimorino  in  diversi   piccoli  paesi. 
3."   La    mancanza  o    tenuità    della 
dote.  4*     ^1  bene  della   pace,  per  la 
estinzione  di   un  processo,  cessazio- 
ne d'inimicizia,  termine  di  scandalo, 
e  conferma  di    buona    intelligenza. 
S."  L'età    avanzala  d'una  giovane, 
la  quale  non    fu    mai    richiesta  in 
isposa   da   alcuno    estraneo,  compiti 
ventiquattro  anni.    6."  Il  pericolo  di 
morte.    7."     11    timore     dell'  errore 
e    della    seduzione.    8.°    La  conser- 
vazione   de'  beni    in    una    famiglia 
illustre  per  conservar  l'antico  splen- 
dore e  la    sua    dignità.    9."  11  ser» 
vigio  che  una  casa    ha    reso   e   può 
rendere  alla  Chiesa.    10.°  Il  bisogno 
che  ha  la  vedova  di  sposare  un  pa- 
rente ricco,  il  quale  avrà  cura  del- 
l'educazione   de' figli    ch'essa  ebbe 
dal    primo     marito.     \\°    Quando 
19 


ago  MAT 

un  uomo  ha  qualche  ragione  di 
sposare  una  sua  parente,  ex  cerlis 
rationalibus.  i2.°  La  prima  delie 
infamanti  è  il  cattivo  commercio  di 
due  persone,  le  quali  a  motivo  di 
qualche  impedimento  non  possono 
sposarsi  insieme.  1 3.°  Quando  i 
futuri  coniugi,  senza  essere  giunti 
a  consumare  1*  estremo  peccato,  vis- 
sero ognora  in  famigliarità  disono- 
rante. 14"  Risguarda  i  matrimoni 
già  contratti  e  che  non  si  possono 
rompere  senza  far  torto  ai  figli  e 
recare  grave  scandalo  al  pubblico. 
11  sommo  Pontefice  può  tanto  in 
genere  di  matrimonio,  come  in  tut- 
to altro,  dispensare  dalle  leggi  pu- 
ramente ecclesiastiche,  per  giuste 
ragioni,  e  al  modo  detto  agli  arli- 
coli  Dispensa  e  Dispense  celebdi. 
Un  vescovo  può  dispensare  da  tutti 
gì'  impedimenti  che  la  sua  sede  o 
persona  è  in  possesso  di  dispensare 
pei  concessione  pontificia.  Quando 
un  vescovo  ha  positive  ragioni  di 
dubitare  se  egli  ha  o  non  ha  il  po- 
tere di  dispensare  in  certi  casi,  si 
munisce  d'indulto  dal  Papa  o  im- 
plora la  conferma  delle  sue  facoltà. 
Vedi  Conradi  Pyrrhi  :  Praxis  di- 
spensationum  aposLolicarutn^  Colo- 
uiae  1697  ;  e  gli  aiiicoli  Dateria 
Apostolica,  Penitenzieria  Aposto- 
lica, ed  altri  analoghi.  Il  concilio 
di  Trento  dichiarò  scomunicati  quel- 
li che  dicono,  che  le  cause  concer- 
nenti il  matrimonio,  non  apparten- 
gono ai   giudici   ecclesiastici. 

Angelo Clavasio  minorità,  nella  sua 
Sosnma  de' casi  di  coscienza^  stam- 
pata tre  anni  dopo  la  sua  morte  nel 
1498  in  Norimberga,  afferma  che 
Mattino  V  avesse  dispensato  nella 
legge  de'  matrimoni  in  primo  grado, 
permettendo  che  uno  sposasse  con 
matrimonio  incestuoso  la  sorella  pro- 
pria, per  la  quale  asserzione  allega 


MAT 

s.  Antonino,  ma  falsamente,  come 
osserva  lo  Spondano  all'anno  i4^', 
num.  3.  Gli  eretici  moderni  fon- 
dali sull'autorità  del  Clavasio,  tac- 
ciano perciò  questo  Pontefice  come 
infratlore  de' sagri  canoni.  11  Rinal- 
di all'anno  i43f,  num.  2,  nega  il 
fatto,  attribuendo  questa  falsa  di- 
spensa a  qualche  falsificatore  delle 
lettere  apostoliche.  Migliore  strada 
però  prese  il  dotto  Natale  Alessan- 
dio,  Hislor,  eccl.  t.  XI li,  cap.  1, 
art.  3,  num.  6,  p.  8,  con  queste 
parole.  «  Martinus  dispensavit  duni- 
taxat  cum  homine,  qui  foeminam 
duxerat,  cujus  sororem  constupia- 
verat.  Cujus  aCQnilatis  impedimen- 
lum  solvere  posse  Pontificem,  cu  in 
nec  juris  naturalis  sii,  nec  divini, 
omnes  theologi  et  canonici  juris 
interpretes  docent.  Quamquam  s. 
Antoninus,  3  par.  Sani.  tit.  l,cap.  II, 
testelur  ea  de  re  varie  Unica  docto- 
ribus  fuisse  disceplalum,  ideoque 
dispensasse  Martinum  V,  quod  for- 
nicatio  esset  occulta,  et  vir  ilie  tuo- 
nasticae  professioni,  aut  longinquae 
peregrinationis  impar  esset,  et  gra- 
via  ex.  divorilo  scandala  secuta  fuis- 
sent.  >»  Così  l' Alessandro,  che  nel 
medesimo  luogo  lungamente  si  e- 
stende  in  dimostrare,  quanto  rigo- 
roso e  difficile  fosse  Martino  V  nel- 
la concessione  delle  dispense.  Si  può 
consultare  il  Gonzales  t.  IV,  p.  199, 
num.  1  I.  L*  incesto  è  un  delitto  che 
si  commette  col  commercio  carnale 
tra  le  persone  che  sono  parenti  o 
affi  ni  fino  al  grado  proibito  dalla 
Chiesa,  ch'è  il  quarto  inclusivamen- 
te  se  si  tratta  della  parentela  o  del- 
l'affinità  che  si  contrae  con  un  le- 
gittimo matrimonio,  ed  il  secondo 
se  si  tratta  di  un  commercio  cri- 
minoso. Avvi  r  incesto  spirituale 
che  si  commette  tja  persone  che 
hanno  una    parentela    spirituale,  e 


MAX 

r  incesto  legale  che  si  cominelle  Ira 
le  persone  affini  per  parenlela  legale 
o    adozione  .    L'incesto     è  un  de- 
litto enorme  e  contrario  alla  natura 
clie  ispira    rispetto   pei    parenti  ed 
affini:  nell'antica    legge  era  punito 
colla  morte  ;  è    più  o  meno  grave 
secondo  il  grado  di    farentela.  Di- 
versi conciiii,  come  il    VI  generale 
di     Coslanlinopoli ,   il    romano    del 
721,  quelli  di    Verbena    del    753, 
e  di    Troyes    del     1092,     impose- 
ro severe  penitenze  o  condannaro- 
no  i  maritaggi  degli   incestuosi;    e 
senza  dispensa    del  vescovo  chi  ha 
commesso   un   incesto  pecca  se  do- 
manda   il    soddisfacimento    del  do- 
vere coniugale.  11  concilio   di  Piouen 
del    1074  decretò,   che    quello    che 
per  rompere    il    matrimonio  si  ac- 
cuserà di  aver  peccato  colla  parente 
di  sua    moglie,    non    sarà    creduto 
sulla  parola.  S.  Basilio   tiene  per  in- 
cesto lo  sposare    due    sorelle  1'  una 
dopo  l'altra;  e  il    concilio  di   Neo- 
cesarea summentovato  condanna  la 
donna  che  sposa  due   fratelli.  11  con- 
cilio di  Epaona  decretò  :  non  si  ri- 
ceveianno  a  penitenza    coloro     che 
avranno  coiilralto  matrimoni   ince- 
stuosi, se  non    si    separano  ;  e    tali 
sono  i  matrimoni  colla  cognata,  col- 
la matrigna,  colla    nuora,  colla  ve- 
dova dello  zio,  colla  cugina  germa- 
na.   Sì    chiamarono    poi    incestuosi 
alcuni  scrittori  che  furono  condan- 
nali di  errore  da  Alessandro  II  nel 
io65  in  due  conciiii    lateranensi,  i 
quali  scrittori    erronei  e  male  sen- 
zienti, coir  autorità    del    codice    di 
Giustiniano  1,  contavano  i  gradi  di 
consanguinilà  nella  stessa  guisa  che 
nelle  successioni,  cioè  per  mezzo  del 
diritto  civile  e    non    del    canonico  ; 
dichiarando  il  Pontefice  scomunicati 
quelli  che  avessero  osato  contrarre 
matrimonio    ne'  gradi    proibiti    dai 


MAX  29T 

canoni.  Contro  l'errore  di  tali  giù 
reconsulti  scrisse  s.  Pier  Damiani, 
Opiisc.  t.  Ili,  p.  89.  Vedi  Baronio 
all'anno  io65,  n.  18.  Gli  argo- 
menti degli  eretici  e  de' loro  segua- 
ci furono  egregiamente  confutali 
dal  p.  Friderich,  De  consangui  ni  t. 
et  qffìnit.  quaest.  2  ;  e  da  Gioac- 
chino Sandonniui  ,  De  matrimonii 
impedimento j  quod  a  naturali  co- 
gnatio ne  procedi t  ec.Florentiae  175». 
Gregorio  XVI  fu  salutarmente  par- 
co in  concedere  dispense  fra  parenti, 
onde  evitarne  e  prevenirne  possi- 
bilmente le  funeste  conseguenze, 
come  quello  ch'era  peritissimo  del- 
la scienza  teologica  e  canonica  sul 
matrimonio. 

§  V.  Del  matrimonio  di  coscienza, 
di  quello  degli  eretici  e  degli  e- 
brei  convertiti,  e  dei  matrimoni 
misti  tra  cattolici  ed  eretici  o 
scismatici. 

I    matrimoni     di    coscienza    sono* 
quelli   che  si    tengono    segreti    fino 
alla   morte  d'  una    delle  due  parli, 
benché  sieno  stati  celebrati  con  tut- 
te le  formalità  prescritte  dai  canoni. 
Alla  medesima  specie  appartengono 
pure    que'  matrimoni    che    si    con- 
traggono sul  fine  della  vita  con  don- 
ne cui  si  tenne  reo  commercio  e  si 
visse  seco  in  libertinaggio,    così  di- 
casi   di    donne    con    uomini.   Bene- 
detto XIV  conoscendo    gì'  inconve- 
nienti grandi  che    possono    nascere 
dai   matrimoni    occulti  che    diconsi 
di   coscienza,   fatti    senza    le  pubbli- 
cazioni  prescritte  dai  conciiii   Lute- 
rà ne  use  IV  e  Tridentino,  per  ovvia- 
re quindi   ai   mali    da    detti    matri- 
moni  provenienti,    stabib    colla  co- 
slituzione  Catis  \>ohis^  de'  17  noveni- 
bre    1741,   Bull.   Magn.    t.    XVI, 
p.  53,  a  quali    persone  e    in    qual 


292  MAX 

maniera  i  vescovi  li  dovrebbero  per- 
nieltere,  con  quali  cautele  celebrar- 
si, e  conac  sì  doveva  provvedere  alla 
sicurezza  della   prole  da  tali  matri- 
moni venuta.   L' Andreucci,  nel  t.  Il 
de  Hierarclda^    nel  cap.    V,  tratta 
De  matrimonio    conscienliae.  Fran- 
cesco Mazzei  scrisse:    De  matrimo- 
nio   conscientiae,   Romae     1765   e 
1771  :  il  numero  XVII  delle  Effe- 
meridi dì  Roma    1772,    ne   dà  un 
sunto.   Il  concilio  di  Elvira  nel  ter- 
zo secolo  proibì  dare  ai  gentili  del- 
le figlie  cristiane    per    non    esporle 
nel  fior   dell'  età  all'  adulterio   spi- 
rituale. Lo  stesso  dispose  circa  agli 
ebrei  ed  ai  pagani,  ed  i  padri  che 
trasgrediscono     questa     proibizione 
saranno    separati    dalla    comunione 
per  cinque  anni,  ma  quelli  che  da- 
ranno le  loro  figliuole  ai  sagrifìca- 
iori  degli  idoli  non  riceveranno  la 
comunione    nemmeno     in    fine.    Il 
matrimonio  di  un  cattolico  romano 
con  una    donna    eretica    è    valido , 
«quando  è  contratto  nelle  forme  pre- 
scritte dalla  Chiesa,  ma  è  illecito.  Il 
matrimonio  di  un  cattolico  con  una 
infedele  è    nullo,    non  già  in  forza 
di   una  legge  formale,  ma  in   forza 
di  una  consuetudine  universalmen- 
te stabilita,  la    quale    ha    forza    di 
legge.  Così    dicasi    del    matrimonio 
di  un  cattolico  con  una  catecumena, 
perchè  sebbene  i  catecumeni  abbia- 
no la  fede,  non  hanno  però  essi  ri- 
cevuto il  battesimo,    il    quale  è  la 
porta  di  tutti  gli   altri  sacramenti. 
Il  matrimonio    di  un  cattolico  con 
un'infedele  non  è   contrario  al  di- 
ritto naturale,  ne  al  diritto  divino, 
perchè  i  cristiani    dei    primi    secoli 
maritavansi  spesse  volle  coi  pagani, 
egualmente   che  i  più   santi  perso- 
naggi dell'  antica  legge.  Indicammo 
già,  che    un    infedele,    se    dopo  di 
aver  sposato    molte   donne    si  con- 


M  A  T 

verte  al  cristianesimo,  deve  abban- 
donarle tutte,    tranne  solanicntc  la 
prima.  Benedetto  XIV  a' 4  novem- 
bre   1741    colla  costituzione  Matri- 
monia, presso  il  citato  Bull.  p.  Ti, 
prescrisse  qual  fosse    la  validità  dei 
matrimoni  celebrati  nel  Belgio    fra 
due  eretici,  o  fra  un  eretico  e  l'al- 
tro de*  contraenti  cattolico,  siccome 
ancora    di  quelli    che    contraggonsi 
da   persone  che  perciò  mutano  do- 
micilio: su    di    che    sono  a  consul- 
tarsi le  altre  sue  costituzioni:  Red- 
dita  snnt,  de*  17  settembre    1747» 
t.  XVIIIj  p.  3i3;  Pancis  ab  hinc, 
de'  19  marzo    1758;    Cam    venera- 
hilis,  t.    XIX,  p.   27  e    3i.  Inoltre 
Benedetto  XIV  provvide  ancora  ai 
matrimoni  degli  Ebrei  [Fedi)  con- 
vertiti alla  fede.    Fra    le  copiose  e 
saggie  provvidenze  stabilite    da  tal 
dotto  Papa  sui   matrimoni,  siccome 
scioglie vansi    facilmente  in    Polonia 
per  colpa  delle  curie  vescovili,  perciò 
indirizzò   a  que'  vescovi    la  costitu- 
zione   Matrimoniìy  agli     1 1     aprile 
174»,  Bull.    t.  XVI,    p.   26,   esor- 
tandoli a   frenare  i  loro  ministri  in 
cosa  sì  importante,  sulla  quale  nuo- 
vamente prescrisse  ad    essi,  con  la 
costituzione  Nimiani    licentiam^  dei 
18  maggio  1743,  loco  citato  p.  160, 
l'osservanza    de' sacri    canoni.    Indi 
essendosi  sparsa  la  voce  in  quel  rea- 
me che  il  Pontefice  avesse  tolto  gli 
impedimenti  canonici  nel  matrimo- 
nio, in  cui  uno  o  tutti  due  i  con- 
traenti professassero  apeitamente  la 
eresia.  Benedetto    XIV    colla  costi- 
tuzione Magna  vobis,  (lc'29  giugno 
1748,  Bull.  t.  XVll,  p.   23o,  con- 
futò questa  calunnia,    dimostrando 
che  la  Chiesa  sempre  avea  ripugna- 
to ai  matrimoni  tra'cattolici  e  gli  ere- 
tici, come  dichiarò  Urbano  Vili  con 
bolla  dei  3o  dicembre   1624,  e  Cle 
mente  XI  con  quelle  de' 25  giugno 


MAT 

170G,  e  23  luglio  1707,  sicché  nel 
dare  la  santa  Sede  la  dispensa  per 
questi  matrimoni,  sempre  mette  la 
clausola  abiurala  prima  V eresia^  op- 
pure purché  sicno  cattolici.  Furono 
è  vero  date  alcune  volte  queste  di- 
spense tra  principi  ed  altri,  colla 
clausola,  che  la  prole  futura  fosse 
allevala  nella  cattolica  religione.  Po- 
co dopo  Benedetto  XIV  scrisse  ai 
medesimi  vescovi  la  costituzione  Ad 
tuas,  degli  8  agosto  1  'Jj^S,  loco  citato 
p.  292,  per  ricordar  loro  ch'essi  non 
avevano  mai  avuta  dalla  santa  Sede 
la  facoltà  di  dispensare  nel  secondo 
grado  di  affinità,  come  taluno  avea 
fatto,  e  se  pure  1'  avessero  avuta, 
non  mai  si  sarebbe  eslesa  ai  matri- 
moni fra  gii  eretici^  ond' egli  li  e- 
sortò  a  considerare  esattamente  le 
facoltà  loro  date,  perchè  nulla  si 
facesse  che  in  quelle  non  si  conten- 
ga. Aftinché  dunque  i  matrimoni 
non  fossero  facilmente  disciolti,  Be- 
nedetto XIV  ne  prescrisse  e  stabilì 
opportuni  provvedimenti  colla  co- 
stituzione Dei  mìscratione^  de'  3  no- 
vembre 174^5  Bull.  t.  XVI,  p.  8, 
dichiarando  in  qua!  forma,  con  qual 
ordine,  e  avanti  a  chi  si  dovreb- 
bero trattare  i  giudizi  delle  cause 
matrimoniali. 

Clemente  XIII  nel  breve  Quanto- 
pere  a  connuhiis  inter  cotìiolicos,  et 
haereticosy  de' 16  novembre  1763, 
Bull.  Rem.  Conlinuatio,  quanto  sia 
in  pericolo  la  religione  cattolica  nei 
matrimoni  tra  i  cattolici  e  gli  ere- 
tici. Pio  VI  colla  lettera,  No?i  pò- 
tiam  dipartirci  dal  sentimento  uni- 
forme de  nostri  predecessori,  de'  1 3 
luglio  I  782,  diretta  al  cardinal  ar- 
civescovo di  Malines  [Vedi),  sulla 
disciplina  della  Chiesa  di  non  ap- 
provare i  matrimoni  fra  parti  am- 
ìjcdue  eretiche ,  o  se  una  sola  sia 
cattolica  e  l'altra  eretica,  e  mollo 


MAT 


293 


meno  quando  siavi  bisogno  di  di- 
spensa di  gradi  di  parentela,  chia- 
ma sacrileghi  tali  matrimoni,  e  che 
specialmente  li  proibì  Clemente  XI 
nel  17  IO  ad  un  di  lui  predecesso- 
re nella  sede  di  .Malines,  qualora 
la  parte  eretica  non  abiurasse  i  suoi 
errori,  pel  pericolo  della  perversio- 
ne della  pai  te  cattolica,  specialmen- 
te se  l'eretica  sia  la  donna.  Quindi 
replicando  le  parole  nel  175©  dette 
da  Benedetto XI Val  vescovo  di  Bre- 
slavia  su  questa  materia  de'  matri- 
moni misti,  non  potere  con  allo 
positivo  approvare  la  concessione 
delle  dispense  fra  gli  eretici,  e  fra 
questi  ed  i  cattolici,  poter  però  dis- 
simulare, aggiungendo  che  la  ponti- 
fìcia scienza  e  tolleranza  deve  ba- 
stare per  assicurare  la  coscienza  del 
cardinale  che  avea  interpellato  su 
ciò  il  Papa,  il  quale  si  protestò  co- 
sì regolarsi  per  evitare  maggiori 
danni  alla  religione  cattolica.  Incul- 
cò Pio  VI  ai  parrochi  di  ammo- 
nire i  cattolici  per  distorli  da  siffatti 
matrimoni  illeciti,  nondimeno  se  ciò 
riesca  inutile,  potranno  assistervi  ma- 
terialmente, ma  con  quelle  cautele 
che  gli  prescrisse:  i.  Che  non  vi 
assista  in  luogo  sacro,  né  con  indu- 
mento ecclesiastico,  preghiere  e  be- 
nedizione. 2.  Che  esiga  dichiarazio- 
ne giurala  dal  contraente  eretico  di 
permettere  all'  altro  1'  uso  libero 
della  cattolica  religione,  e  di  edu- 
care in  essa  tutta  la  prole  nascitura 
senza  distinzione  di  sesso  j  simile  giu- 
ramento dovrà  fare  la  parte  catto- 
lica, e  di  procurare  efììcacemenle  la 
conversione  dell'  altro  contraente 
non  cattolico;   ec.    V.  Ereticl 

Nella  Storia  di  Pio  FUI  del 
dotto  e  religioso  cav.  Artaud,  me- 
ritamente si  celebra  il  breve  di  quel 
Papa  sui  matrimoni  misti,  trasmesso 
all'arcivescovo    di    Colonia,    ed    ai 


494  MAX 

vescovi  di  Treveri,  di  Paderbona  e 
dì  MiiMsler,  e  con  ragione  lo  chia- 
ma capolavoro,  perchè  riguarda  una 
delle  questioni  più  difficili,  più  de- 
solanti che  siansi  discusse  dacché  i 
protestanti  si  sono  da  noi  separati. 
Aggiunge  che  il  cardinal  Albani  se 
gretario  di  stato  pubblicò  intorno  a 
questo  soggetto  una  spiegazione 
semplice  insieme  e  molto  estesa , 
colla  quale  propose  molti  consigli 
da  seguirsi  perchè  si  possano  fedel- 
mente e  senza  pentimento  osserva- 
re le  determinazioni  ingiunte,  o 
per  meglio  dire  concedute  dalla 
tolleranza  del  santo  Padre.  Nulla 
eravi  di  più  spinoso  quanto  la  com- 
pilazione di  una  decisione,  che  aves- 
se qualche  cosa  di  formale  in  mez- 
zo alle  più  severe  restrizioni ,  che 
comandasse  proibendo,  che  consen- 
tisse comandando,  capolavoro  am- 
mirato dal  lodato  istorico  che  re- 
se immortale  la  memoria  di  Pio 
VHI,  e  che  Gregorio  XVI  conser- 
vò per  regola  delle  sue  paterne 
condiscendenze  in  questo  genere  di 
discussioni .  Ciò  non  poteva  essere 
diversamente,  poiché  Gregorio  XVI 
da  cardinale  per  ordine  di  Pio 
Vili  fu  il  compilatore  del  breve 
Lilteris  alterOy  de'2  5  marzo  i83o, 
riportato  a  p.  9  de*  documenti  del- 
l' Esposizione  sulla  deportazione  di 
monsignor  Droste  arcivescovo  di 
Colonia  (celebre  per  la  sua  eroica 
resistenza  ai  matriaioni  misti  ,  per 
cui  soffi'ì  gloriosa  prigionia  ;  ma 
Gregorio  XVI  ne  ottenne  con  de- 
coroso modo  la  liberazione,  indi  in 
Boma  r  andò  a  visitare  in  persona, 
ed  in  morte  altamente  con  allocu- 
zione r  encocniò  in  concistoro,  di- 
cendo avergli  destinato  il  cardina- 
lato ),  argomento  che  toccheiemo 
air  articolo  Prussia  ,  ove  diremo 
come    quel    re    comandò  che  tutta 


MAX 
la  prole  che  fosse  per  nascete  dai 
matrimoni  misti,  dovesse  senza  di- 
stinzione di  sesso  educarsi  nella  re- 
ligione del  padre,  tranne  il  solo  ca- 
so in  cui  i  genitori  fossero  unanimi 
nella  religiosa  educazione  de' figli. 
Dichiarò  inoltre  il  re  che  qualunque 
patto  cui  prima  del  matrimonio  si 
desse  luogo  per  simile  oggetto  dai 
promessi  sposi,  avesse  a  riguardarsi 
come  non  obbligatorio  ;  vietando  in 
pari  tempo  rigorosamente  al  clero 
di  esigere  alcuna  promessa  relativa 
all'educazione  in  discoiso.  Negli 
Annali  delle  scienze  religiose,  sono 
riportate  molte  cose  riguardanti 
questo  importantissimo  argomento. 
A  volerne  rammentare  alcune,  nel 
voi.  IH,  p.  57,  evvi  un  articolo  sul- 
r  opera  pubblicata  a  Berlino  nel 
1 83  4  :  Sopra  l'odierno  stalo  del  di- 
ritto malrinioniale,  in  cui  si  fa  ma- 
nifesto il  deplorabile  slato  in  che  è 
ridotto  attualmente  il  diritto  prote- 
stante sul  matrimonio,  e  la  necessità 
confessata  dai  protestanti  stessi  di  ri- 
tornare su  questo  punto  ai  principii 
che  rendono  più  stabile  l'unione  ma- 
trimoniale. Quindi  nel  i838,  come 
si  legge  nel  voi.  Vili,  p.  3o5,  in  Vien- 
na si  pubblicò  ;  /  matrimoni  misti 
considerati  sotto  il  punto  di  vista 
cattolico  ,  del  dott.  Gio.  Battista 
Kutscher.  Opera  mirabile  in  cui 
trovasi  tutto  quello  che  si  può  de- 
siderare intorno  alla  gravissima  que- 
stione concernente  i  matrimoni  mi- 
sti, e  pone  in  un  luminoso  aspetto 
le  savie  determinazioni  della  Chiesa. 
Nel  voi.  IX,  p.  108,  si  riporta  la 
condanna  de'matrimoni  misti  fatta 
per  parte  della  santa  Sede,  con 
r  allocuzione  Officii  meniores^  della 
quale  parlammo  all'  articolo  Gre- 
gorio XVI.  Nel  voi.  XI,  p.  144, 
si  discorre  del  libro:  /  matrimoni 
misti  fra  le  cristiane  confessioni  di 


MAX 
Àleinagna,  esposti  storicamente  dal 
dott.  Federico  Kunstcniann,  Bati- 
sbona  iSSg.  Opera  encomiata  per- 
chè contiene  quanto  su  ciò  pensò 
e  fece  il  protestantismo  e  la  Chiesa 
cattolica ,  ed  in  questo  contrappo- 
sto fa  risaltare  assai  bene  la  sapien- 
za divina,  che  ha  guidato  sempre 
e  sempre  guida  questa  Chiesa  uni- 
camente vera.  Ma  su  questo  argo- 
mento de'malrimoni  njij«ti,  sia  per- 
ciò che  riguarda  la  storia  universa- 
le e  particolare  di  tale  controver- 
sia, sia  per  la  raccolta  di  lutti  i 
monumenti  che  la  illustrarono  fino 
ai  nostri  dì,  non  lascia  più  niente 
a  desiderare  l'opera  insigne  data 
fuori  nel  1842  in  Ungheria  in  due 
grossi  volumi  in  8.°  dal  professore 
Agostino  Roskovany  canonico  d'A- 
gra, già  per  altre  opere  conosciuto 
egregio  difensore  delle  sane  catto- 
liche dottrine.  Nel  voi.  XM,  p.  98 
di  detti  Jnnali^  finalmente  è  ripro- 
dotta la  lettera  pastorale  dell'  eroico 
monsignor  Dunin  arcivescovo  di 
Posen  e  Gnesna,  intorno  alla  que- 
stione gravissima  de'matrimoni  mi- 
sti. De'matrimoni  misti  se  ne  parla 
in  diversi  articoli  del  Dizionario^ 
come  di  quanto  soffrì  e  fece  per  essi 
Gregorio  XVI,  ciò  che  rimarcarono 
pure  il  eh.  Manavit,  p.  20  della 
No  li  ce  sur  la  vie  et  le  ponti flcat  de 
Gregoire  XVI,  Juin  1846;  ed  il 
eh.  autore  del  beli'  articolo,  Grego- 
rio XVI,  pubblicato  dall'  Enciclo- 
pedìa italiana,  che  si  stampa  in  Ve- 
nezia, per  non  diredi  altri.  Dappoi- 
ché nella  sua  prima  enciclica  diret- 
ta all'episcopato  di  tutto  il  mondo, 
non  solo  pose  nel  suo  vero  lume 
la  lega  formatasi  in  Alemagua  con- 
tro il  celibato  ecclesiastico,  onde  i 
pastori  stassero  bene  in  guardia,  ma 
riprovò  energicamente  i  matrimoni 
misti  ;  ed  in  questa  gravissima  que- 


MAT 


29 


stìone,  siccome  matrimoni  sempre 
detestati  e  riprovati  dalla  Chiesa  cat- 
tolica, il  gran  Pontefice  si  condusse 
con  apostolica  ed  eroica  fermezza, 
e  con  conciliativo  procedere  fin 
dove  si  poteva,  essendo  tali  due 
delle  sue  principali  e  mirabili  carat- 
teristiche. Ai  25  giugno  1846  nel- 
r  accademia  di  religione  cattolica  di 
Roma,  il  R.mo  p.  d.  Giuseppe  Ricci 
consultore  generale  de'ministri  degli 
infermi,  difese  dagli  attacchi  dei 
novatori  la  dottrina  cattolica  intor- 
no ai  matrimoni  misti.  Pertanto 
mostrò  col  mezzo  de'  più  autentici 
documenti  istorici,  quanta  sia  stata 
in  ogni  tempo  la  vigilanza,  la  pre- 
mura e  la  sapienza  della  Chiesa  per 
impedire  i  matrimoni  misti  ;  o  quali 
opportunissime  condizioni  vi  appo- 
nesse tutte  le  volte  che  credea  di 
permetterli  ;  parlò  della  guerra  che 
per  via  di  siffatti  matrimoni  non  si 
è  mai  cessato  di  fare  alla  religione 
cattolica;  ma  nel  tempo  istesso  di- 
pinse la  costanza  e  la  fermezza  con 
cui  vi  si  opposero  i  romani  Ponte- 
fici, levando  la  voce  contro  ogni 
sorta  di  abuso,  e  discoprendo  tutte 
le  arti  degli  avversari,  che  tende- 
vano a  contaminare  la  verità  :  e 
qui  prese  ad  analizzare  le  disposi- 
zioni dei  Papi  Leone  XII,  Pio  VIH, 
e  Gregorio  XVI,  le  quali  riunendo 
in  se  stesse  quanto  già  era  stato 
precedentemente  sancito,  nulla  più 
lasciano  a  desiderare  su  tal  materia. 
Fra  i  molti  autori  che  scrissero 
sul  matrimonio,  riporteremo  i  se- 
guenti. Hermanni,  De  natura  spon- 
saliorunij  et  divisione.  Thym,  De 
genuina  sponsalìuvi  depraesenti  et 
de  futuro  Azof?o«e.  Richterii,  De  jnre 
nuptiarum.  Ayreri,  De  jure  connu- 
biorum.  Schwendendorft'er,  De  pri" 
vilegiis  virginum.  Meyeri ,  De  sei-' 
lo    virgiiuun.    Molitor,    De  judice 


2()6  MAT 

causarum  malritnonialiuin.  Trium- 
phins,  De  divortio.  Miilzer,  De  in- 
solubile vinenliun  matrimonii.  Net- 
tclbladt,  Dedotalitìo.  Raaoiburg,  De 
dominio  maritali.  Barter,  De  paclis 
dolalihiis.  Alfano,  De  vera  substan- 
tia doti.  Francesco  Barbaro,  Pru- 
dentissimi  e  gravi  documenti  circa 
V  elezione  della  moglie^  Venezia 
i543.  Bossi,  De  effectibus  contractus 
matrimonii,  Lugduni  i655.  Perez, 
De  sanato  matrimonii  sacramentOy 
ivi  1666.  Strykii,  Commentatìo  de 
j,ure  mariti  in  bonis  uxoris  ,  et  de 
jure  uxoris  in  bona  mariti,  Jenae 
1759.  Cristoforo  Coscia  De  sponsa- 
libus  filiorum  f amili ae,  Romae 1 776; 
De  separatione  tori  conjugalis,  Ro- 
inae  1773.  Lanzerini^  De  sanato 
matrimonio  sacramento,  Bononiae 
1773.  Pietro  Deodato,  Defcnsio  Tri- 
dentinoruin  canonum  de  Ecclesiae 
potestale  in  dirimenlia  matritno- 
niuni  impedimenta,  etc.  ;  accedit  a- 
nony  mi  disse  natio,  qua  contra  quos- 
dam  theologos  propugnatur  pon- 
tificia auctoritas  in  eodem  impedi- 
menta,  Jerapoli  1786.  Emmanuele 
Giuseppe  Mosquera  aicivescovo  di 
s.  Fede  di  Bogota,  Compeiulio  delle 
dottrine  ortodosse  intorno  alla  que- 
stione del  matrimonio  dechierici 
maggiori.  Versione  italiana  dallo 
spngnuolo  per  E.  M.,  Roma  1839. 
Questa  opera  iodata  assai  anche  da- 
gli Annali  delle  scienze  religiose,  fu 
compilala  allorquando  alcune  ca- 
mere provinciali  della  repubblica 
della  Nuova  Granata  vennero  nella 
risoluzione  di  chiedere  al  congresso 
nazionale  una  legge,  in  virtù  della 
quale  fosse  lecito  a'  chierici  oaag- 
giori  r  ammogliarsi.  Questa  dotta 
opera  dissipò  le  tenebre  e  i  dubbi 
di  molti,  e  forse  mercè  di  essa  la 
camera  del  senato  del  congresso  na- 
zionale rigettò  la  proposta  del  ma- 


MAT 

trimonìo  a*i4  marzo  1839,  fra  gli 
applausi  universali  di  tutti  gli  astan- 
ti. Nel  voi.  XI  di  detti  Annali  a 
p.  3 1  e  seg. ,  è  riportato  il  giudi- 
zio dell'episcopato  Granatino,  circa 
la  pretensione  di  abolire  il  celibato 
sacerdotale,  premessa  la  lettera  cir- 
colare del  zelante  encomiato  metro- 
politano, a  ciò  incoraggito  e  am- 
monito da  Gregorio  XVI. 

MATRONA  ,  Matrona.  Donna 
autorevole  per  età  e  per  nobil- 
tà, ovvero  donna  saggia  e  virtuosa, 
che  governa  onestamente  la  sua 
famiglia,  ed  alla  quale  possono  es- 
sere fidate  delle  giovani  don/elle. 
Melisso  appresso  Gellio  vuole  che 
la  matrona  sia  così  detta  a  matris 
nomine.  Matrona  si  chiama  anco- 
ra la  Levatrice.  Delle  matrone  de- 
gli antichi  romani  e  degli  antichi 
cristiani,  se  ne  parla  in  diversi 
articoli  del  Dizionario.  Airarticolo 
Chiesa  (Vedi),  dicemmo  del  Matro- 
naeum  o  luogo  particolare  de'sacri 
templi  assegnato  alle  matrone.  Ma- 
tricuria  poi  era  la  matrona  ,  la 
quale  avea  cura  della  chiesa ,  pres- 
so i  greci  chiamata  Presbiteressa, 
e  presso  i  latini  Vedova,  viduae, 
seniores.  Tra  gli  antichi  romani, 
un'  eccellenza  di  pregi  personali 
sollevava  alcune  liberte  al  grado 
di  mogli  primarie  de'  loro  propri 
padroni,  e  ad  essere  le  matrone  e 
le  signore  della  casa.   V.  Donna. 

MATTEI  Girolamo,  Cardinale. 
Girolamo  Mattei  di  nobilissima  fa- 
miglia romana,  nacque  nel  1  546  da 
Alessandro  Mattei,  ed  Emilia  Maz- 
zatosta  dama  di  assai  cospicua  e 
vetusta  nobiltà.  I  Mattei  furono 
prima  detti  Guidoni,  poi  Papere- 
schi,  o  del  Papa  ,  come  scrive  il 
Vendettini,  Del  senato  romano,  p. 
i58;  quindi  nel  i3oo  di  Roma- 
no j  in   ultimo  di  Matteo  da  un  an- 


MAX 

tenate  di  questo  nome,  i  di  cui  di- 
scendenti chiamaronsi  Maltei.  Così 
il  Panviuio  in  mss.  de  gente  nobi- 
li ssima  Matiliaeia^  che  si  conserva 
nell'archivio  della  casa.  Questa  il- 
lustre ed  antica  famìglia  diede  al 
sacro  collegio  otto  cardinali,  uno 
de'quali  fu  il  celebre  Papa  Innocenzo 
li.  Girolamo  avendo  fatto  egiegia- 
menle  isuoi  studi,  fra  le  molte  scienze 
nelle  quali  si  rese  eccellente,  fino  ad 
essere  in  concetto  d'  uno  de'  primi 
letterati  de'  suoi  tempi,  spiccò  sin- 
goUìrmente  nella  perizia  dell'una  e 
l'altra  legge.  Ammesso  in  prelatu- 
ra, successivamente  fu  fatto  chierico 
di  camera,  poi  presidente  della  me- 
desima, indi  uditore  generale  pure 
della  camera.  Fedele  ed  esatto  nel 
tlisimpegno  de^suoi  uffizi,  in  premio 
della  sua  integrità  Sisto  V  a' 1 7  di- 
cembre i586  lo  creò  cardinale  dia- 
cono, conferendogli  per  diaconia  la 
chiesa  di  s.  Adriano.  Questa  digni- 
tà meritamente  l'avrebbe  consegui- 
ta assai  prima  da  Gregorio  XIII,  se 
non  fosse  stata  la  valida  ed  ostina- 
ta opposizione  del  cardinal  Luigi 
d'Este  de' duchi  di  Ferrara,  che  a 
tutto  potere  attraversò  sempre  la 
promozione  del  Mattei.  o  per  aver- 
lo questo  in  certa  occasione  dispre- 
gi;»to,  o  non  riverito  conforme  al 
suo  rango.  L'  Amydenio  nelle  vite 
mss.  de'  cardinali,  ci  fa  sapere  don- 
de ebbe  origine  1'  antipatia  concepita 
dal  d' Este  contro  il  Mattei.  Rac- 
conla  pertanto,  che  il  cardinal  d'E- 
ste teneva  avvinta  ad  una  caténa 
un'  orsa  presso  la  porta  del  proprio 
palazzo,  colla  quale  scherzando  un 
fanciullo,  la  belva  ferocemente  l'uc- 
cise. Saputosi  ciò  dal  Mattei  udi- 
tore allora  della  camera,  che  a- 
bitava  vicino,  e  che  inutilmente  a- 
vca  avvisato  l'Estense  perchè  la 
belva  fosso    meglio   riguardata^  per 


MAX  297 

autorità  della  propria  carica,  la  qua- 
le dava  allora  ingerenza  in  simili 
cose  di  polizia,  ordinò  che  per  un 
colpo  d'archibugio  si  uccidesse  l'or- 
sa. Dispiacque  all'  estremo  al  cardi- 
nal d'Este  che  senza  prevenirlo  fosse 
tolto  di  vita  un  animale  che  ama- 
va, per  cui  da  quel  momento  mo- 
strò costante  contrarietà  al  Mattei, 
il  quale  inutilmente  procurò  cal- 
marne il  risentimento.  I  congiunti 
del  prelato  allora  con  questo  si  ri- 
volsero al  duca  di  Ferrara,  che  piti 
ragionevole,  non  solo  si  mostrò  sod- 
disfatto, ma  riprovando  la  soverchia 
durezza  del  cardinale,  supplicò  eoa 
vive  istanze  Sisto  V  ad  annoverare 
il  Mattei  siccome  degnissimo  al  sa- 
cro collegio,  lo  che  effettuando  il 
Pontefice,  ne  provò  estremo  dispia- 
cere l'Estense,  che  continuò  a  guar- 
dare di  male  occhio  il  Mattei.  Que- 
sti ottenne  inoltre  da  Sisto  V  l'ab- 
bazia di  Nonantola,  che  fece  visitare 
da  Paolo  Grassi  vescovo  di  Zanle 
e  Cefalonia,  e  tre  volte  cioè  nel 
1592,  nel  1596,  e  nel  1600  vi  fece 
radunare  il  sinodo  diocesano,  le  cui 
costituzioni  furono  stampate.  Nel- 
r  ultimo  molto  operò  per  dilatare 
la  divina  gloria  e  per  promovere 
la  salute  de'  diocesani.  In  tempo  di 
carestia  alloggiava  nel  suo  palazzo 
una  quantità  di  poveri,  cui  forniva 
di  tutto  r  occorrente.  Fu  nominato 
protettore  dell'  Irlanda  e  dei  mino- 
ri osservanti,  e  da  Gregorio  XIV, 
che  ben  ne  conosceva  la  prudenza 
e  saviezza,  deputato  con  altri  car- 
dinali sugli  affari  di  Francia,  ed 
eziandio  su  quelli  per  la  successio- 
ne al  ducato  di  Ferrara,  a  cui  il 
Mattei  giustamente  procurò  esen- 
tarsene. Dipoi  Clemente  Vili  lo  de- 
putò alla  compilazione  del  settimo 
delle  decretali.  Fondò  in  Roma  il 
Collegio  Malici  (l^ecli),  che  fu  sop- 


298  M  A  T 

presso  wl  »777  ^a  Pio  VI  per  o<?- 
sersi  dimirmile  le  rendile,  e  con 
quelle  superstiti  volle  il  Papa  che 
si  mantenesseio  due  giovani  allo 
studio  in  un  collegio  di  Roma  ad 
arbilrio  del  duca  Mallei,  giacche  il 
cardinal  istitutore  nell'assegtiargli  le 
rendite  ne  lasciò  la  cura  a'  suoi 
credi  e  successori.  Decoi*ato  della 
legazione  di  Avignone,  ne  fece  in 
pieno  concistoro  generosa  rinunzia 
per  compiacere  il  cardinal  d'  Al- 
tera ps  che  la  bramava,  e  che  da 
l^io  IV  era  stato  stabilito  legato 
perpetuo  della  stessa  città.  Interven- 
ne a  quattro  conclavi,  dopo  i  quali 
una  subitanea  morte  lo  involò  in 
Roma,  ove  era  celebre  pel  buon 
mime  actiuistutosi  colle  sue  sante 
o(>erazioni,  nel  i6o3,  d'anni  f^j,  e 
l\ì  sepolto  nella  chiesa  di  s.  Maria 
d'  Araceli  nella  sua  cappella  genti- 
lizia dedicata  all'apostolo  ed  evan- 
gelista s.  Matteo,  dove  si  vede  in 
nanzi  all'  altare  la  sua  arma  rileva- 
ta in  metallo,  e  poi  espressa  in 
ntarmo  e  fregiata  di  brevissima  i- 
sciizione  :  questa  cappella  adorna 
delle  pitture  del  Muziano,  fu  eretta 
dallo  stesso  defunto.  Fu  questo  car- 
dinale grave,  prudente,  laborioso, 
di  specchiata  pietà,  vero  ecclesiasti- 
co, nato  fatto  per  reggere  e  go- 
vernare, e  noto  a  tutta  l' Europa 
per  la  somma  sperienza  che  avea 
nel  trattare  e  conchiudere  i  più  ri- 
levanti affari.  Tra  gli  altri  ch'ebbe 
in  sua  corte,  vi  furono  Francesco 
Fagnano,  che  in  seguito  fu  segre- 
tario della  congregazione  del  conci- 
lio, Mario  Altieri,  e  Girolamo  Pam- 
philj  che  poi  fu  caidinale.  Il  Pe 
tramellara  afferma,  che  a  guisa  di 
scintillante  hmiiera  sparse  ovunque 
tali  raggi  di  virtù,  che  nella  sua 
persona  nulla  era  a  desiderarsi  per 
ri^ontrarvi  un  perfettissimo  e  com- 


]\T  A  T 
pifo  modello  della  dignità  calcinali" 
zia.  Nel  smodo  IV  sanese  è  regi- 
strala una  lettera  sopra  materie 
conciliari  del  cardinale  all'arcive- 
scovo di  Siena  ;  questa  lettera  è 
tenuta  in  molta  cstimaziotie  da  uo- 
mini dottissimi,  e  le  prestano  fede 
quasi  ad  oracolo.  Pre-iso  Innocen- 
zo X  molto  si  adoperò  a  vantaggio 
del  convento  di  Araceli  ,  e  colla 
sua  autorità  e  consiglio  coadiuvò 
il  p.  Lodovico  Mosca  nella  nuova 
forma  di  governo  del  suddetto  con- 
vento, per  cui  i  religiosi  a  perpe- 
tuarne la  memoria  fecero  dipingere 
in  un  arco  del  loro  refettorio  il  p. 
Mosca  in  atto  di  render  grazie  al 
cardinale,  tenendo  il  Mosca  una 
carta  in  mano  nella  quale  si  legge: 
Hyeronimo  Matlhco  romano  cardi- 
nali franciscanae  faniiliae  prolecto- 
ri  oh  hanc  domum  romanae  prò- 
vincìae  reslitutam  anno  Domìni  i  ^9  r 
pridie  cjits  diei  qui  Conceptae  Vir- 
ginis  sacer  crai  eadeni  fami  li  a  hoc 
posiiit  grati  sui  animi  monumcn- 
(um.  Tanto  riporta  il  p.  Casimiro 
da  Roma,  nelle  Mem.  stor.  del  conv. 
e  chiesa  d'  Aracoeli,  p.   4^'- 

MATTEl  Gaspare,  Cardinale. 
Gaspare  Mattei  nobile  romano,  dei 
duchi  di  Paganica,  |)rimogenito  di 
sua  illustre  casa,  nacque  nel  1587 
di  Mario  Mattei  e  di  Prudenza 
Cenci.  Egli  attese  a  coltivar  lo  spi- 
rito coir  acquisto  delle  scienze,  e 
tia  le  altre  della  filosofìa  e  della 
giurisprudenza,  di  cui  nell'archigin- 
nasio romano  riportò  la  lauiea  di 
dottore.  Comechè  poi  fra  i  fratelli 
fosse  il  maggiore,  si  pensava  dai 
genitori  di  accasarlo,  ma  non  es- 
sendogli slato  consenlito  d'  impal- 
mare quella  damigella  eh'  egli  a- 
mava,  e  colla  quale  desiderava  di 
sposarsi  ,  deposto  quindi  ogni  pen- 
siero di    nozze,    nel    pontificato    di 


M  A  T 
Poolo  V,  (li  cui  era  affine,  prese 
1'  abito  prelatizio,  e  fu  eletto  gover- 
natore di  parecchie  città  dello  stato 
ecclesiastico.  Urbano  Vili  lo  desti- 
nò pel  primo  alla  vice-legazione  di 
Urbino,  dopo  aver  il  Papa  ricupe- 
rato quel  ducato,  ed  in  mancanza 
del  legato;  nominandolo  pure  alla 
carica  di  commissario  generale  in 
tutta  la  Romagna,  in  tempo  di  pe- 
ste. Sostenuti  con  decoro  questi  ed 
altri  diversi  impieghi,  consecrato 
arcivescovo  di  Atene,  fu  inviato 
nunzio  straordinario  in  Germania, 
dove  poi  si  trattenne  col  carattere 
di  nunzio  ordinario,  con  tanta  sod- 
disfazione del  Papa,  e  piacere  di 
Ferdinando  III  imperatore,  massime 
in  que'  tempi  difiicili  e  pericolosi, 
che  in  ricompensa  del  suo  merito. 
Urbano  VITI  a'  i3  luglio  1643  lo 
creò  cardinale  prete  del  titolo  di  s. 
Pancrazio,  e  poi  fu  fatto  prolettore 
de'  regni  di  Sicilia  e  di  Polonia 
presso  la  santa  Sede,  col  carico  di 
n»olte  delle  primarie  congregazioni 
alle  quali  venne  ascritto.  Nel  tempo 
ch'era  nunzio  a  Vienna,  per  ordine 
<li  Urbano  Vili  nel  1641  doman- 
dò air  imperatore,  che  cedesse  al 
servigio  della  santa  Sede  il  proprio 
nipote  Luigi  Mattei  romano  mar 
chese  di  Bel  monte,  che  siccome  u- 
no  de'  primi  capitani  del  suo  tempo 
era  al  servigio  dell'  Austria.  Aven- 
dolo ottenuto,  Uibano  Vili  lo  fece 
maestro  di  campo  nelle  provincie 
dell'  Umbria,  del  Patrimonio  e  dei 
luoghi  annessi  ;  indi  gli  diede  il 
comando  generale  delle  armi,  e 
r  impiegò  nella  guerra  contro  il  du- 
ca di  Parma  Odoardo  Farnese,  ciò 
che  pur  fece  Innocenzo  X.  Qui  no- 
teremo che  questo  Papa  avea  avu- 
to per  ava  una  dama  di  casa  Mat- 
tei, la  quale  fu  sorella  di  questo 
Luigi.  Ma  delle  sue    gloiiose    gesta 


MAT  299 

e  militari  fasti,  ne  tratta  la  biogra- 
fia che  ne  fece  il  eh.  p.  Tommaso 
Borgogno  de'soroaschi,  e  stampata 
in  Roma  nel  1842,  col  ritratto  e- 
guale  a  quello  che  la  magistratura 
romana  gli  eresse  in  Campidoglio 
in  busto  con  onorevole  iscrizione. 
Rilornando  al  cardinale,  caduto 
in  grave  malattia  contratta  per  una 
passione  di  bile  in  tempo  del  con- 
clave in  cui  fu  eletto  Innocenzo  X, 
si  trovò  obbligato  a  soitirne  ;  e 
quantunque  risanato  vi  facesse  sol- 
lecito ritorno,  perseverandovi  fino 
al  suo  termine,  ciò  non  pertanto 
visse  sempre  cagionevole  e  malsa- 
no, onde  di  rado  interveniva  alle 
congregazioni,  ai  concistori,  e  ad 
ahre  pubbliche  funzioni.  Finalmen- 
te nel  1 65o,  in  età  di  63  anni,  u- 
scì  dalle  miserie  della  presente  vita, 
e  fu  sepolto  nella  chiesa  di  s.  Ce- 
cilia, al  cui  titolo  era  passato,  sen- 
za alcuna  funebre  memoria.  Luigi 
Navarino  chierico  regolare,  compose 
un  grazioso  epigramma  in  lode  del 
cardinale,  scherzando  sul  di  lui  slem- 
ma, che  ci  Vienne  riportato  dal  p. 
Annibale  Adami  gesuita,  nella  sua 
Pallade  porporata.  Eccone  il  te- 
nore. 

Solis  Avìs^  solt^m  quaeritj  cui  lu- 
mina fig'Tfj 
Sol  erisj  0    Gasper,    Pur  pi  ir  a 

lumen  erìt: 
Te  Mere  Àquilae,  quas  armiger 

educai  Ister; 
Arseruntque   Tui   solus  amore 

frui. 
Romanos  hinc,   Gennanos  trahis 

inde  volucresj 
JYec  tamen  ulla  Tibi  est  Urbe, 

vel  Orbe  quies. 
Non  Te  Roma  capii,  non  Te  Ger- 

mania  :    Aviti s 
Fectum  Aquilis  Codi,  Te  capii 

una  Domus. 


3oo  MAX 

MATTEI  Obazio,  Cardinale.  O- 
ifizio  Malici  de'  duchi  di  Pagaiiica, 
nacque  in  Roma  dalia  fatniglia  clic 
fìoiiva  tra   le  più  cospicue,  antiche 
e  principali,  cioè  a'  i5  marzo   1622 
dai    duca    Lodovico ,    e    da    Laura 
Frangipani.  L'applicazione  agli  stu- 
di e  gli  esercizi  di  pietà    occuparo- 
no interamente  la   sua    prima    gio- 
vinezza,   fin    dalla    quale    mostrato 
avendo  una    forte    inclinazione    alla 
vita  ecclesiastica ,  Innocenzo  X  volle 
che  assumesse  l'abito    prelatizio ,    e 
destinollo  al  governo  delle  città  di 
Orvieto  e  di  Camerino.   Fu  quindi 
richiamato  a    Rotna     per    occupare 
un  posto  Ira  i  votanti  di  segnatura. 
Avvenuta   frattanto   l'esaltazione    al 
pontificato    di  Clemente  X,    eh'  era 
strettamente    congiiuito    di     sangue 
colla  casa    Malici,  fu  deputato  verso 
il  1670  alla  vice-lcgn/.ione  d'Avigno- 
ne, e  dopo    due    anni    ebbe    luogo 
tra  gli   uditori  di   rota,    ed    avendo 
per    un     tempo     notabile    esercitato 
tale  carica   con    tunia    ti' integrità   e 
dottrina,   lo  slesso  Pontefice  gli  con- 
ferì   il    rafifgu/udevole   uffizio    di   suo 
Maggiordoijio  (/""edi),  col    titolo  tli 
arcivescovo  di  Damasco,  e  volle  che 
l^erseverasse  nell'antico  posto  di   u- 
dttore  di   rota,  non  però    col    titolo 
di   uditore,  ma  con  quello  di  luogo- 
leuenle.   Voleva    Clemente    X    pro- 
moverlo al  cardinalato,  quando  pre- 
venuto dalla  morte,  non  potè  elfet- 
tuarc  il  concepito  disegno.    Il   suc- 
cessore  Innocenzo  XI    a'  2    settem- 
bre   1686   lo    creò    cardinale    prete 
col   titolo  di   s.   Lorenzo  Paneperna, 
e  lo  ascrisse  alle    primarie    congre- 
gazioni, dichiarandolo  suo  pro-mag- 
giordomo.  Se  non    che    passati    ap- 
pena dieciselte   mesi  dalla  sua    pro- 
mozione, la   morte  Io  tolse    di    vita 
in  Houia  nel  1G88  a' 18  gennaio,  in 
età  di  sessaulasei.  anni,  e  fu  sepolto 


MAX 

nella  chiesa  di  s.  Krancesco  a  Ripa, 
dove  al  manco  lato  della  sua  cap- 
pella gentilizia,  delta  della  Pietà,  si 
vede  alia  sua  memoria  eretto  un 
magnifico  ed  elegante  avello,  col  bu- 
sto del  cardinale  espresso  al  vivo  in 
candido  marmo,  sotto  di  cui  Icggcsi 
un  breve  epitafììo,  riportato  dal  Re- 
nazzi  a  p.  i4o  delle  Notizie  de  mag- 
giordomi. Le  sue  decisioni  rotali  gli 
meritarono  che  il  Mandosio  gli  das- 
se  luogo  tra  i  suoi  scrittori  romani 
nella  sua  Biblioteca.  Nella  libreria 
Altieri  fu  depositato  il  suo  mss.  :  Re- 
lazione dello  staio  di  Avignone  e 
della  contea  P^enaissina,  che  colà 
compilò  nella  sua   vice-legazione. 

MAXXEI  Luicr,  Cardinale.  Lui- 
gi Mattei  nobile  romano^  de' duchi 
di  Giove,  nacque  a'  17  marzo  1702 
(il  cui  padre  iu  nel  17  r9  da  Cle- 
mente XI  dichiaralo  principe  di  pri* 
nio  rango),  dopo  aver  fatto  i  suoi 
studi,  nel  1727  fu  ammesso  in  pre- 
latura, e  Benedetto  XIII  Io  fece  su- 
bilo ponente  del  buon  governo.  Nel 
1733  Clemente  XII  lo  destinò  giu- 
dice della  rev.  fabbrica  di  s.  Pietro, 
della  quale  basilica  fu  anche  vicario, 
mentre  nello  stesso  tempo  esercita- 
va la  carica  di  uditore  del  camer- 
lengo. Benedetto  XIV  che  di  cuo- 
re lo  amava  pe'  rari  suoi  pregi,  Io 
annoverò  nel  1743  tra  i  chierici  di 
camera,  e  poi  dopo  quattro  anni  lo 
trasferì  tra  gli  uditori  di  rota,  do- 
ve per  la  sua  innata  affabilità  e 
gentilezza,  divenne  la  delizia  di  Ro- 
ma, Finalmente  volle  fregiare  i  di 
lui  ineriti  colla  porpora,  creandolo 
n' 26  novembre  1753  cardinale  pre- 
te, col  titolo  di  s.  Matteo  in  Me- 
rulana,  donde  passò  all'altro  di  s. 
Maria  d'  Araceli.  Il  suo  credito  lo 
fece  ascrivere  alle  primarie  congre- 
gazioni di  Roma,  ed  ebbe  la  pio- 
tettoria  della  congregazione  carnai- 


MAT 

(blese.  Una  immatura  morie  però 
troncò  i  suoi  giorni  in  Roma  a'  3o 
gennaio  lySS,  nell'età  di  cinquan- 
tasei anni,  e  fu  oggetto  di  lutto  u- 
ni versale,  attese  le  sublimi  sue  tìi- 
lìi,  per  le  quali  potevasi  ben  a  ra- 
gione ap|)ellare  l'ornamento  e  il  de- 
coro del  sacro  collegio  ;  laonde  Be- 
nedetto XIV  alla  notizia  della  di 
lui  morte  rispose:  abbiamo  perdu- 
to il  nostro  successore.  Fu  esposto 
e  sepolto  nella  chiesa  del  suo  titolo 
di  s.  Maria  d'Araceli,  e  tumulato 
nella  tomba  gentilizia,  nella  cappel- 
la di  s.  Matteo,  dove  gli  pose  un 
magnifico  elogio  il  cardinal  Ales- 
sandro Mattei    suo  nipote. 

MATTEI  Alessandro,  Cardinale. 
Alessandro  Mattei  nobile  romano 
de*  duchi  di  Giove,  nacque  in  Pio- 
ma  a' 20  febbraio  i744>  ^^^  ^^^^ 
Girolamo  e  da  Caterina  Altieri  da 
lui  sposata  in  seconde  nozze,  sicco- 
me vedovo  della  Falconieri.  Fin  da 
giovane  prese  amore  ed  abitudine 
agli  esercizi  di  pietà,  terminando  be- 
ne gli  studi.  Benedetto  XIV  nel  i  758 
gli  conferì  il  priorato  di  s.  Maria 
in  Abbatissis,  e  l'abbazia  di  s.  Cro- 
ce; poscia  Clemente  XIII  nel  1766 
lo  nominò  canonico  di  s.  Pietro,  e 
nel  1768  l'ammise  in  prelatura. 
Gli  piaceva  fin  d'  allora  il  catechiz- 
zare i  fanciulli  nelle  parrocchie,  il 
visitare  gl'infermi  negli  ospedali,  il 
predicare  negli  oratorii.  Sostenne  con 
esattezza  diverse  cariche  pubbliche, 
dappoiché  Clemente  XIV  nel  1770 
lo  fece  ponente  di  buon  governo,  e 
Pio  VI  nel  1775  lo  dichiarò  am- 
ministratore dell'  abbazia  di  Farfa, 
r  ammise  tra  i  prelati  della  con- 
gregazione del  concilio  per  la  rela- 
zione delle  diocesi,  e  nel  1776  lo 
promosse  a  uditore  del  camerlengato. 
Inoltre  Pio  VI  nel  febbraio  1777 
lo     fece    arcivescovo    di  Ferrara,    e 


M  A  T  3o  I 

poi  nel  concistoro  de'  12  higlio 
1779  lo  creò  e  riserbò  in  petto 
cardinale  dell'  ordine  de'  preti.  Re- 
candosi il  Papa  nel  1782  a  Vien- 
na, fu  ricevuto  dall'  arcivescovo,  e 
nel  ritorno  tenne  concistoro  a'  22 
maggio  nella  sagrestia  della  catte- 
drale di  Ferrara,  lo  pubblicò  caidi- 
nale,  conferendogli  il  cappello  car- 
dinalizio nel  concistoro  tenuto  in  I- 
mola  a'  27  maggio,  cui  pure  asse- 
gnò il  titolo  colla  chiesa  di  s.  Bai- 
bina  che  poi  commutò  con  quella 
di  s.  Maria  d'  Araceli,  e  le  congre- 
gazioni cardinalizie.  Tutto  dicemmo 
distesamente  in  più  luoghi,  massime 
nei  voi.  XV,  p.  211,  XXIV,  p. 
164  e  i65,  e  XXXI V,  pag.  89, 
del  Dizionario.  Il  suo  zelo,  la  sua 
prudenza,  e  la  sua  carità  nell'eser- 
cizio delle  funzioni  episcopali,  gli 
conciliarono  il  rispetto  e  l'amore 
de' suoi  diocesani.  Tenne  sinodi,  i- 
stituì  esercizi  spirituali  e  conferenze 
ecclesiastiche,  e  diede  l'esempio  del- 
la regolarità  e  della  pietà.  La  ri- 
voluzione francese  avendo  obbligato 
molti  preti  a  ritirarsi  in  Italia,  il 
cardinale  gli  accolse  in  gran  nume- 
ro, ed  eccitò  in  loro  favore  la  ge- 
nerosità del  suo  clero  e  degli  abi- 
tanti. Spesava  da  sé  solo  più  di 
trecento  di  tali  onorevoli  proscritti; 
e  qualunque  prete  francese  che  ar- 
rivava a  Ferrara  diveniva  l'ogget- 
to della  sua  sollecitudine,  anzi  giun- 
se a  scrivere  a  diversi  vescovi  di 
tal  nazione,  offrendo  loio  un  asilo. 
Intanto  nel  1796  i  francesi  repub- 
blicani incominciata  1'  occupazione 
de'  dominii  della  santa  Sede,  co- 
strinsero Pio  VI  a  cedere  le  lega- 
zioni, con  trattato  fatto  col  genera- 
le in  capo  Bonaparte.  Quando  poi 
Wurmser  cogli  austriaci  si  mosse  al- 
la volta  di  Ferrara,  i  francesi  eb- 
bero ordine  di  ritirarsi,    ed  il  car- 


3o2                    MAX  MAT 

tlinale  di  liprendere  il  governo  del-  che  descrivemmo  ai  loro  luoghi, 
la  cillà  e  sua  provincia.  Il  cardi-  e  che  salvò  Roma  per  assai  poco 
naie  in  parte  eseguì  l'ingiunzione  tempo.  Il  cardinale  ne  partecipò  su- 
<lel  Papa,  ma  vedendo  poi  le  cose  bilo  la  notizia  al  cardinal  Busca 
cambiate  in  favore  de'  francesi,  ri-  segretario  di  stato.  È  da  notarsi, 
vocò  quanto  nvea  fatto  nell'agosto,  che  per  un  forte  diverbio  tra  il  du- 
solo  perchè  Ferraia  non  cadesse  in  ca  Braschi  nipote  del  Pap;>  ed  uno 
«lani  d'  un  terzo  potentato.  Ma  de'pienipotenziari,  e  l'agente  Cacault 
Bonaparle  non  la  intese  così,  ed  in  Tolentino,  quest'ultimo  che  do- 
intimò  al  cardinale  recarsi  subito  vea  stendere  il  trattato,  si  mostrò 
^1  quartier  generale  di  Brescia,  irritatissimo,  per  cui  narra  il  cav. 
Giunto  il  cardinale  colà,  fu  acremen  Artaud  nella  Storia  di  Pio  VIT^ 
te  rimproverato  per  aver  preso  mo-  che  il  cardinale  pose  in  opera  ogtii 
menlaneamente  il  governo  di  Ferrara,  supplica  per  frenarne  il  nocevole  ri- 
essendo suddito  della  repubblica,  e  sentimento,  sino  a  gittarsi  in  gìnoc- 
quindi  gli  disse  che  meriterebbe  d'  es-  chioni  all'  agente.  Di  questa  ingi- 
sere  moschettato.  Prima  lo  rilegò  in  nocchiazione  con  buone  ragioni  se 
Milano,  e  poi  ad  intercessione  del  ne  prova  V  insussistenza  da  mons. 
generale  Gouttier  lo  confinò  nella  Baldassarri,  nella  Relazione  delle  av- 
stessa  Brescia  ;  anco  il  senato  vene-  versila  di  Pio  P^J,  tom.  I,  p.  247 
to  s'interessò  per  la  liberazione  del  e  seg.,  il  quale  a  p.  126  rettifica 
cardinale,  còsi  la  municipalità  di  il  racconto  del  medesimo  cavaliere 
Ferrara.  Altrettanto  fece  Pio  VI  a  sull'affare  di  Ferrara,  e  l'andata 
mezzo  di  Cacault  agente  della  re-  del  cardinale  a  Brescia.  Ma  su  que- 
pubblica  di  Roma,  e  del  cav.  Aza-  sti  ed  altri  argomenti  riguardanti 
ra  ministro  di  Spagna.  Finalmente  l'illustre  porporato,  il  di  lui  cauda- 
dopo  circa  quaranta  giorni,  Bona-  tario  e  segretario  d.  Sebastiano  Laz- 
parte  lasciò  partire  il  cardinale  per  zarioi  colle  stampe  dell'  Andreoia 
Ferrara.  Questo  generalissimo  dipoi  pubblicò  nel  1799  ^^  Venezia: 
con  quei  motivi  e  pretesti  che  nar-  Dettaglio  storico  di  quanto  prece- 
ramo  all'articolo  Francia,  ed  altro*  de,  accompagnò^  e  seguì  la  pri- 
ve, per  mandare  ad  effetto  1'  intera  gionia  in  Brescia  del  signor  cardi- 
invasione  dello  stato  pontificio,  ven-  naie  Alessandro  Mattel  arcivescovo 
ne  fuori  con  nuove  esigenze,  fingen-  di  Ferrara  j  le'  commissioni  di  pa- 
do  di  scegliere  per  mediatore  il  ce  ad  esso  addossate ,  ec.  Opusco- 
cardinale,  da  lui  stimato,  che  all'og-  Io  veridico  ed  esatto  in  quanto  alle 
getto  spedì  al  Papa,  il  quale  non  cose  narrate,  importante  e  giovevo- 
potè  convenirvi.  Allora  Bonaparle  le  alla  storia  di  que'  tempi.  Dopo  il 
fece  marciare  i  suoi  eserciti  verso  trattato  di  pace  il  cardinale  rilor- 
Roma,  per  cui  vedendo  Pio  VI  nò  in  Ferrara,  mentre  il  resto  dei- 
che  poco  mancava  a  perdere  tutto,  lo  stato  pontifìcio  e  Roma  nel  1798 
convenne  alla  pace  di  Tolentino  o-  furono  interamente  occupati  dai 
"ve  spedì  plenipotenziàri  per  nego-  francesi  ,  ed  il  cardinale  privato 
ziarla,  fra'  quali  il  cardinale  siccome  dei  suoi  beni.  Deportato  Pio  VI 
bene  accetto  al  generale.  Tale  trat-  in  Francia,  morì  glorioso  nell'  a- 
lato  fu  sottoscritto  a*  19  fcliijraio  gosto  1799  Adunatosi  il  conclave 
Ì797,    con    quelle    condizioni  dure  iu  Venezia  vi  si  recò  il  cardinale,  e 


MAT 

al    dire  del  Baldassani,    se    avesse 
avulo    luogo    in    Roma,     Giuseppe 
Bonapaite     doveva    facilitarne     l'e- 
lezione.    Favoreggialo     il    cardinale 
dal    cardinale     Antonelli    sotto  -  de- 
cano del  sacro  collegio,  ogni  giorno 
ebbe  tredici  voti,  mentre  il  cardinal 
Bellisonii     ne  avea   venlidue,    come 
del    partito    del    cardinal     Braschi. 
Diviso  il    conclave  tra    questi    due 
porporati,  si    pose  in  campo  a  dan- 
no   del    cardinal     Mattei    il    narra- 
to   aneddoto    di  Cacault,    per  farlo 
comparire  debole,  e   l'appartenere  a 
principesca    famiglia  romana^    onde 
facilmente  il  nepotismo  sarebbesi  po- 
sto sul  trono.    Vuoisi  che  il  cardi- 
nale Hertzan  che  avea  le  istruzioni 
dell'  imperatore,  promovesse  anch'e- 
gli  l'esaltazione  diti  cardinal    Mattei. 
Benché  i  voti  di  Bellisomi  diminuis- 
sero,  niuno    ne  guadagnò  il  nostro 
cardinale,    sebbene  vi    fu  chi    ram- 
mentò al  sacro    collegio  la  risposta 
eh'  egli  diede  a  Bonaparte,  quando 
minacciò  di  farlo  moschettare,  cioè 
che  bastava  che  gli    concedesse  un 
quarto  d'ora  per  prepararsi  a  mo- 
rire. Ma  Dio    che  avea    stabilito   il 
cardinal  Chiaramonti,  questo  fu   e- 
letto  col  nome  di  Pio  VII,  il  qua- 
le imitò  il  predecessore  nell'  amore 
e  neir  estimazione  del  cardinale.  Pri- 
mieramente a' 2   aprile    1800   lo  fe- 
ce amministratore  della    sua  chiesa 
di  Ferrara,  e  vescovo  suburbicario 
di  Palestrina,  per  cui  si  portò  a  ri- 
siedere in  Roma.  Nel  i8o4  tenne   a 
Palestrina  un  sinodo  di  cui  gli  atti 
furono  stampati  ;  rinnovò   gli  anti- 
chi statuti    della  diocesi    e  ne  fece 
di   nuovi.    Tale  raccolta    forma   un 
volume  che  nel  medesimo  anno  fu 
stampato    in    Roma.    A'  24    agosto 
1807   cessò  nell'amministrazione  di 
Ferrara,  cui  fu  dato  per  arcivesco- 
vo   Paolo  Patrizio   Fava    Ghislicn. 


MaT  3o3 

Indi  nel  1809  il  cardinale  passò  al 
vescovato  di  Porto  e  s.  R.uffina,  e 
divenne  sotto  decano  del  sacro  col- 
legio. Divenuto  Bonaparte  impera- 
tore de' francesi,  tornò  ad  invadere 
lo  stato  pontificio,  e  nel  luglio  di 
detto  anno  Pio  VII  e  i  cardinali 
furono  portati  via  prigionieri.  Tra 
quelli  che  furono  condotti  in  Pari- 
gi, vi  fu  il  nostro  porporato;  ma 
neppur  qui  fu  lasciato  tranquillo, 
poiché  Bonaparte  lo  privò  de' suoi 
benefìzi  e  rendite,  e  lo  mandò  in 
esilio  a  Rhelel  o  Rethel,  città  del 
dipartimento  delle  Ardenne  nella 
Sciampagna,  perchè  non  intervenne 
alla  celebrazione  del  suo  matrimo- 
nio. Quei  che  lo  conobbero  in 
Francia,  poterono  apprezzare  la  sua 
dolcezza,  la  sua  pietà,  e  le  al- 
tre sue  belle  virtìi.  Era  continua- 
mente applicalo  agli  esercizi  della 
religione,  ed  il  frutto  della  sua  ri- 
tiratezza fu  un  libro  di  divozione 
intitolato:  Meditazioni  delle  verità 
eterne  per  fare  gli  esercizi  spi  ri  tua- 
liy  secondo  il  metodo  di  s.  Ignazio, 
distribuito  in  otto  giorni,  che  fece 
poi  stampare  in  Roma  nel  i8i4> 
senza  porvi  il  suo  nome.  Final- 
uicute  la  persecuzione  cessò,  Napo- 
leone Bonaparte  fu  detronizzato,  ed 
il  Papa  col  sacro  collegio  potero- 
no ritornare  in  Roma.  All'  artico- 
lo Ingressi  in  Roma,  nel  raccontare 
quello  trionfale  di  Pio  VII,  dicem- 
mo eh'  era  seco  lui  in  carrozza  il 
cardinale,  divenuto  decano  del  sa- 
cro collegio  ;  quindi  a'  26  settembre 
fa  traslatato  al  vcicovato  d' Ostia 
e  Velletri,  ove  tenne  un  sinodo  ; 
in  conseguenza  divenne  prefetto 
della  congregazione  cerimoniale ,  e 
della  rev.  fabbrica  di  s.  Pietro  quan- 
do fu  fatto  arciprete  di  quella  basi- 
lica. Inoltre  Pio  VII  lo  fece  sUo 
pro-datario    e    gli    conferì    diverse 


3o4  MAX 

protettone^  fra  le  quali  quelle  del- 
l'ordine  gerosolimitano,  dell'ordine 
de'  cappuccini,  delle  città  di  Maglia- 
no,  Paleslrina,  Terracina,  Veroli,  di 
alcune  lene,  confraternite,  monaste- 
ri e  pie  istituzioni.  Oltre  delle  due 
ricordate  congregazioni  cardinalizie, 
fu  membro  di  altre  otto  delle  prin- 
cipali,  venendo  naturalmente  consul- 
tato in  lutti  i  grandi  affari  che  si 
trattarono  per  la  Chiesa  universale 
e  per  lo  slato  pontificio,  dopo  le 
accennate  clamorose  vicende.  L'im- 
peratore Francesco  I,  prima  di  par- 
tire dal  soggiorno  che  fece  in  Ro- 
ma, come  decano  de'  cardinali,  gli 
conferì  la  gran  croce  di  s.  Stefa- 
no, che  pure  die  al  senatore  di 
Roma  principe  Altieri.  Mentre  as- 
sisteva ai  divini  offìzi  nella  basi- 
lica vaticana,  fu  collo  da  malattia 
che  dopo  sei  giorni  lo  rapì  a'  vi- 
venti verso  le  ore  i8  de'20  aprile 
1820,  nell'età  di  'j^  anni.  IS'ella 
chiesa  di  s.  Marcello  furono  cele- 
brati i  solenni  funerali,  ove  alla 
presenza  del  sacro  collegio  celebrò 
Ja  messa  il  cardinale  Emmanuele 
de  Gregorio.  Dalla  della  chiesa 
vennero  trasportate  privatamente  le 
sue  spogUe  mortali  all'altra  di  s. 
Maria  in  Araceli,  ove  furono  tu- 
mulate secondo  la  sua  disposizione, 
nel  sepolcro  della  cappella  gen- 
tilizia, eoa  onorevole  iscrizione  che 
ricorda  i  pregi  del  defunto.  JVel 
numero  33  del  Diario  di  Ro- 
ina  1820,  è  riportato  del  cardi- 
nale il  seguente  elogio.  «  Funesto 
a  Roma  fu  il  giorno  in  cui  morì  il 
porporato.  Questo  insigne  personag- 
gio, la  cui  memoria  sarà  in  eterna 
benedizione,  per  le  tante  virtù  del- 
le quali  in  se  medesimo  fece  vedere 
il  complesso,  fu  compianto  da  tutti. 
I  popoli  ai  quaU  egli  ha  presieduto 
in    qualità    di     metropolitano    e  di 


IVIAT 
vescovo,  hanno  in  lui  sempre  am- 
mirato un  pastore  santo  pieno  di 
zelo  per  la  loro  santificazione,  e  un 
amoroso  padre  ardente  di  caritù.  I 
più  segnalati  tratti  di  liberalità  ver- 
so i  poveri  sono  stati  continui  e 
abituali  per  lui.  Al  più  fervido  re- 
ligioso spirilo  ha  egli  congiunto  il 
più  attivo  trasporto  pel  sacro  cullo 
esteriore,  e  non  solo  è  stato  sem- 
pre esattissimo  alla  celebrazione  del- 
le sacre  cerimonie,  le  quali  per  le 
complicale  sue  rappresentanze  gli 
competevano,  ma  a  questo  splendi- 
do esercizio  ha  unito  ancora  fino 
agli  ultimi  giorni  di  sua  vita  logo- 
ra dalle  fatiche  e  da  personali  in- 
disposizioni, quelli  delia  visita  degli 
infermi,  d»^!!'  amministrazione  dei 
sagramenti,  dell'  assistenza  a  divole 
pratiche,  quale  è  quella  della  Via 
Crucis  nel  Colosseo  (del  cui  sodali- 
zio era  direttore  perpetuo),  della 
recita  del  divino  uffizio  co'religiosi, 
specialmente  nel  coro  di  Araceli  ; 
e  anche  dello  spargimento  della  di- 
vina parola  nelle  congregazioni  lai- 
cali, le  quali  lui  vantavano  per  pro- 
tettore. Noi  tralasciamo  l' illibata 
amministrazione  delle  grandi  e  im- 
portantissime cariche  ad  esso  affida- 
le, come  soggetti  da  non  potersi 
esaurire  con  pochi  tratti  di  penna. 
Ha  cessalo  pertanto  di  esistere,  co- 
me un  esemplare  dell'invitta  costan- 
za necessaria  in  angustia  di  tempi 
per  quelli  che  in  avvenire  saranno 
adornati  della  sacra  porpora  ;  così 
un  degno  sacerdote  e  prelato,  il 
quale  percorso  avendo  con  massima 
lode  tulli  i  gradi  che  gli  fecero 
scala  al  luminosissimo  in  cui  si  è 
trovalo  morendo,  è  da  desiderarsi 
che  sia  imitato  da  qualunque  a- 
scritto  all'ecclesiastica  gerarchia.  >» 

MATTEI  Lorenzo,  Cardinale.  Lo- 
renzo ducaMattei,  fratello  del  pre- 


MAX 
cedente,    e    come  (jueiio  nipote  del 
cardinal   Luigi,  nacque  in  Koma  ai 
29  maggio    174^-   Avendo  fatto  lo- 
devolmente gli  studi,  e  dichiarando 
di  abbracciare  lo  stato   ecclesiastico. 
Clemente    XIV    nel    1771    Io    fece 
canonico  dell'  arcibasilica   Jaleranen- 
se,   e  lo    fu  pel   corso  di     62   anni. 
Tanto  affetto    pose  a  quella  prima 
chiesa  dell*  orbe  cattolico,  '  che   anco 
dopo  il  quarantennio  prosegui  a  ser  - 
\irla  assiduamente,   talché  nella  giu- 
sta compiacenza  di    vedersi   poi   fre- 
giato della  romana  porpora,  fu  glan- 
de oltremodo  la  sua     amarezza   per 
doversi    distaccare    dall'  amata    sua 
chiesa.    Nominalo    prete     assistente 
alla  cappella  pontificia,  divenne  pre- 
lato. Nella  gioventù^    come   nell'  e- 
strema     sempre    florida    vecchiezza, 
formò  sue  delizie    delle    sacre  fun- 
zioni, nelle  quali    spiegò  nuovo  ar- 
dore, quando  nel   concistoro  dei  27 
settembre    1822;,    Pio    VII     lo  pre- 
conizzò    patriarca     d'  Antiochia    in 
partibits.     Vedendosi    nominato  da 
Leone  XII  all'arcivescovato  di  Fer- 
i*ara,  egli  ebbe  la    modestia  di    ri- 
cusarlo, dichiarandosi    non  più  ca- 
pace   a    sostenere    tanta    mole.    Se 
egli     non    funse    molte    cariche,  e- 
sercilò  bensìi  con  zelo  indefesso  quel- 
le di  cui  fu  rivestito,    tra  le  quali 
fu  r  ultima  la  segreteria  della  sacra 
visita  generale  e  straordinaria,  aper- 
ta da  Leone  XII  per   tutte  le  chiese 
e  luoghi  pii  di    Roma.  In    premio 
de'  suoi  meriti,  il  Pontefice  Grego- 
rio XVI  nel  concistoro  de'  i5  apri- 
le  i833  lo  creò   cardinale  dell'or- 
dine de'  preti,  e    mentre   avea  sta- 
bilito conferirgli  il    titolo    cardina- 
lizio in  quello  de'  29  luglio,  la  sera 
de'  24  di  dello    mese,  poco    prima 
della    mezzanotte ,    nell*  anno    ot- 
tantesimosesto   di    sua  età,  munito 
di   lutti    gli    augusti    e    soavi  con- 

VOL.     XLIIl. 


MAX  3o5 

forti  della  Chiesa,  spirò  nel  bacio 
del  Signore.  Per  ftide  e  per  costu- 
mi csemplarissimo  in  tutte  le  epo- 
che del  viver  suo,  passò  quasi  sen- 
za avvedersene  a  quel  soggiorno, 
ove  se  ne  ottiene  immenso  pien»io. 
Le  sue  spoglie  morlali  dopo  essere 
siale  esposte  nel  suo  palazzo,  furo- 
no trasportale  col  solilo  funebre  ap- 
paralo nella  chiesa  di  s.  Maria  di 
Araceli,  ove  pontificò  la  messa  di 
requie  il  cardinal  Benedetto  Cap- 
j)elletti  ;  e  nel  giorno  seguente  fu 
sepolto  nella  cappella  gentilizia,  ove 
si  legge  di  lui  una  onorevole  me- 
moria. Tra  le  sue  disposizioni  te- 
slamenlarie,  vi  fu  quella  del  dono 
d'  un  quadro  dipinto  a  olio  di  stu- 
j)enda  mano  fiamminga  pel  Papa 
Gregorio  XVI,  rappresentante  Gesti 
Cristo  che  discaccia  i  profanatori 
del  tempio.  Siccome  nel  numero  60 
del  Diario  di  Roma,  in  un  articolo 
necrologico  erasi  dello, che  con  lui  si 
estingueva  una  delle  antiche  e  illustri 
prosapie  romane,  che  in  lunga  se- 
lie  eh  generazioni  spiccò  sempre  per 
inconcussa  probità  ispiiala  da  pro- 
fondi sentimenti  di  religione,  cos'i 
nel  numero  62  fu  pubblicata  que- 
sta protesta.  «  Allorché  fu  annun- 
ciala la  morte  della  eh.  mem.  del 
cardinale  Lorenzo  Ma  Ilei,  si  asserì 
estinta  la  famiglia  Malici.  Viene 
ora  a  porsi  in  dubbio  quesl'  asser- 
tiva, attesa  1'  esistenza  di  alcuni  do- 
cumenti dai  quali  risulterebbe,  che 
nel  vivente  signor  conte  d.  Andrea 
Malici  di  Corsica  canonico  della  pa- 
triarcale basilica  lateranense  (  prete 
assistente  della  cappella  pontificia) 
continua  la  discendenza  mascolina 
della  sullodala  nobilissima  romana 
famiglia".  Avendo  noi  preso  cogni- 
zione della  discendenza  mascolina 
della  famiglia  Malici,  non  pare  che 
i  Mattei  di  Corsica  abbiano  che 
20 


3oG  MAT 

fare  coi  Mattei  di  Roma.  Esamina^ 
tu  quindi  r  albero  genealogico  dulia 
iuiiiiglia  romana  e  le  memorie  rlie 
ne  parlano,  non  si  rinvenne  che  lo 
stipite  da  cui  i  Matlei  di  Corsica 
asseriscono  discendere,  possa  aver 
ducumenlala  relazione  tanto  con  la 
ascendenza,  che  colla  discendenza 
mascolina.  Quindi  tulle  le  pretese 
dei  secondi  sul  fìdeconimisso  Multei 
terminarono  colla  riportata  dichia- 
razione, cui  uiuno  diede  risposta. 
Col  decesso  dunque  del  cardinal  Lo- 
renzo venne  ad  estinguersi  una  delle 
più  antiche  e  nobili  famiglie  ro- 
mane, che  oltre  a  secoli  avea  sem- 
pre dato  alla  Chiesa  ed  allo  stato 
uomini  insigni  in  pietà,  in  dottrina 
ed  in  armi.  In  tal  guisa  aprissi  la 
successione  al  fidecomnjisso  primo- 
genitale Mattei,  istituito  fino  dai 
iGoo  dal  cardinal  Girolamo.  E  sic- 
come a  godeie  di  questa  istituzione 
iu  mancanza  delle  linee  mascoline 
formale  dai  discendenti  Mattei,  ve- 
uivano  chiamati  col  prescritto  or- 
dine di  successione  i  maschi  delle 
femmine  Mattei,  così  messo  da  parte 
ogni  ullerior  litigio  forense,  si  di- 
visero questi  di  pieno  accordo  per 
alto  di  liansazioue  tutti  i  beni  fì- 
decommissari  col  vincolo  sempre  di 
primogenitura^  coll'obbligo  di  unire 
il  cognome  e  lo  stemma  Matlei,  e 
colla  reveisabililà  della  quota  di- 
visa a  quella  della  famiglia  che  ri- 
manesse air  altra  superstite  per  li- 
nea mascolina.  Questa  transazione 
con  altri  articoli  risguardanti  anche 
i  titoli  e  le  onorificenze  dell'  estinta 
famiglia,  si  degnò  pienamente  am- 
mettere ed  approvare  il  Papa  Gre- 
gorio XVI  con  suo  sovrano  chiro- 
grafo de' 3o  maggio  1839.  Della 
Villa  Malici,  e  del  palazzo  Mattei 
in  Roma  parleremo  agli  articoli 
Ville  c  Palazzi  di  Roma.  Wcl   voi. 


MAT 

XV,  p.  3o8  del  Dizionario  di- 
cemmo dell'  antico  piiviicgio  delln 
famiglia  Multei,  di  cuslodu-e  i  ponlt 
in  tempo  ili   conclave. 

MATTEO  (s.),  apostolo  ed  evan- 
gelista. PorUiva  il  nome  di  Levi 
prima  della  sua  conversione,  e  sem- 
bra che  prendesse  quello  di  s. 
Matteo  (che  in  ebraico  signi fif.i 
uno  eh'  h  donato  ,  corr»e  si  direbbe 
in  Ialino  Donalus)  dopo  che  si  era 
unito  a  Gesù  Crislo.  S.  Marco  lo 
dice  figlio  di  Alfeo  ;  ma  a  torlo 
conchiuderebbesi  da  ciò  esser  lui 
fratello  di  s.  (iiucumo  il  Minore. 
Pare  che  fosse  galileo  di  nascila,  ed 
esercitava  la  professione  di  pubbli- 
cano, ossia  ricevitore  delle  gabelle. 
Gesù  Cristo  uscito  da  Gafartiao, 
dopo  avervi  guarito  un  paralitico, 
ammaestrava  il  popolo  che  segni- 
vaio  in  folla  sulle  rive  di  Genesa- 
relh.  Vide  Matteo  eh'  era  seduto 
al  suo  banco ,  lo  chiamò,  ed  egli 
si  pose  a  seguirlo,  abbandonaiìdo 
il  lucroso  suo  uffizio.  E  da  creder- 
si eh'  egli  fosse  di  già  preparala 
alle  impressioni  della  grazia  che  lo 
chiamava  all'apostolato,  colla  co- 
noscenza della  persona  e  della  dot- 
trina del  Salvatore,  abitando  egli 
vicino  a  Cafarnao,  ove  Gesù  Cri- 
sto avea  dimorato  per  qualche  tem- 
po, e  predicalo  ,  e  fatto  miraceli 
non  pochi.  Dopo  la  sua  conveisione 
convitò  ili  propria  casa  il  Salvato- 
re e  suoi  discepoli  ;  invitò  pure  i 
suoi  amici,  massime  quelli  che  eser- 
citavano la  professione  alia  quale 
egli  avea  rinunziato,  sperando  ch« 
i  colloqui  di  villi  del  Salvatore  frut- 
tassero ad  essi  !a  stessa  grazia  ch« 
ebbe  egli.  La  vocazione  di  s.  Mat- 
teo si  pone  al  secondo  anno  della 
predicazione  di  Gesù  Cristo.  Di  Ik 
a  poco  avendo  il  Salvatore  forma- 
to il    collegio    apostolico,     aggrega 


MaT 

Matteo    alla    società    di    quelli  ette 
voleva    fossero     i     primi    fondatori 
della  sua    Chiesa,  INella    lista    degli 
apostoli  data  dagli  altri  evangelisti, 
il  stio  nome  sì   trova  avanti  a  quel- 
lo di  s.    Tommaso  ;    ma    egli  pone 
questo     apostolo     prima     di  sé,  ed 
aggiunge  al  proprio  nome  cjuello  di 
pubblicano.    Sappiamo  da    Eusebio 
e  da  s.   Epifanio,  che  dopo  l'Ascen- 
sione di     Gesù  Cristo  ,     s,    Matteo 
predicò  nella  Giudea  e     nelle  con- 
trade circonvicine,  ne  se  ne  discostò 
prima  della    dispersione   degli  apo- 
stoli ;  e    poco    dopo  questa  disper- 
sione egli    scrisse    il  suo  evangelio, 
pregatone  dai  giudei    convertiti.  S. 
Epifanio  dice,  che  lo  scrisse  per  co- 
mando degli  altri  apostoli.  È    certo 
che  il     vangelo  di  s.  Matteo    è    il 
pi  imo  di  tutti;  che    s.  Bartolomeo 
lo  portò  seco  nelle    Indie,  e  ve  lo 
lasciò.     S.     Matteo    entra     in    una 
narrazione  più  minuta  e  circostanzia- 
ta delle    azioni  del    Salvatore,  che 
non  gli  altri  evangelisti.  Dal  quin- 
to al  quattordicesimo    capitolo   dif- 
ferisce   da     loro  nella    maniera    di 
ordinare  i  fatti:  trascura  l'ordine  dei 
tempi  per  meglio  riunire  le  istruzio- 
ni del  divino  maestro,  e  mostrare  più 
perfettamente  il  legame  che  hanno 
tra    esse.  Insiste  principalmente  sui 
precetti  morali,    e  dà  la  genealogia 
di    Gesù  Cristo,   per  far    vedere   il 
compimento  delle  proD)esse,  secondo 
le    quali    il     Messia    doveva    uscire 
dalla  schiatta  di   Abramo  e  di  Da- 
vidde  :  per    la  qual  cosa     propone- 
"vasi     particolarmente    d'  indurre    i 
giudei  a  credere    in  esso.    L'evan- 
gelio di  s.   Matteo,    giusta   le  testi 
monianze    degli    antichi   padri,     fu 
originariamente  scritto  in  ebreo  mo- 
derno   o   in    si ro  caldeo,  ch'era     la 
lingua  che  parlavano  gli  ebrei   do- 
po la  cattività,    checché  ne  dicano 


MAT  3o7 

in  contrario    Erasmo ,     Calvino   ed 
altri.    Secondo     s.    Girolamo    e    s. 
Agostino,  la  versione  greca  fu  fat- 
ta al  tempo  degli  apostoli,  e  forse 
da  alcuno  di  loro.   11  santo  evange- 
lista, dopo  aver  convertito  un  gian 
numero    di    anime    nella    Giudea , 
andò  a  predicare   la    fede  a'  popoli 
barbari  dell'oriente.  Clemente  Ales- 
sandrino riferisce  ch'egli  era  molto 
dato  all'  esercizio    della  contempla- 
zione ;  che  menava    vita    austerissi- 
ma  ;  che    non     mangiava  altro  che 
erbe,  radici  e  frutta    selvatiche.  S. 
Ambrogio  dice  che  Dio  gli  aprì  il 
paese    de' persiani.    Secondo  Kufìno 
e  Socrate  egli  portò   il     vangelo  in 
Etiopia  :  sotto  il   nome  della  quale 
non     deesi     intendere    le     contrade 
orientali  e  meridionali  dell'Asia,  co- 
me Tillemont  e  Baillet  hanno  cre- 
duto; ma  la  parte  dell'Etiopia  che 
confina  coH'Egitlo,     non  già    Axu- 
Oìa  nell'Abissiuia,  ove  s.  Frumenzio 
gettò  i   primi    semi    della    fede.   Se- 
condo    l'opinione    comune     morì  a 
Ludi,   nel   paese  di  Sennar  che  fa- 
ceva parte  dell*  antica  JNubia.  For- 
tunato dice  che  soffrì  il    martirio  a 
Naddaver    in    Etiopia  ,    e    Doroteo 
racconta  che  fu  seppellito  a  Jerapo- 
li     paese  dei  parti.    Le  sue  reliquie 
furono  poscia  portate  nell'occidente; 
e  da  una   lettera  del  Papa  Gregorio 
VII  del  1080  al  vescovo  di  Salerno, 
rilevasi  che  erano  in  una  chiesa  di 
questa  città,  dedicata   in  onore  del 
santo  evangelista.  Raffigurandosi  gli 
evangelisti  nei  quattro  misteriosi  ani- 
mali descritti  da  Ezechiello   e    nel- 
l'Apocalisse, s.    Matteo,    secondo   8. 
Agostino,    è  rappresentato  dal  leo- 
ne,   perchè    egli  spiega     hi    dignità 
reale    di     Gesù    Cristo;     ma    altri 
danno    questo    simbolo  a  s    Marco, 
perchè    comincia    dalla  missione     di 
s,    Giovanni,  e  dalla  sua  voce,  che 


3o8  MAX 

grida  nel  deserto  :  in  tal  caso  Vani' 
male  che  avea    la  figura  quasi  di 
uomo    dovrà     appropriarsi    a    san 
Matteo,  che    comincia    il  suo    van- 
gelo   dalla    generazione     tempora- 
le del  Salvatore;  dandosi  il   simbo- 
lo  dell*  aquila     a     s.     Giovanni,     e 
quello    del    vitello    a  s.     Luca.   La 
festa  dell'  evangelista    s.  Matteo    si 
celebra  il  giorno    1 1    di  settembre. 
Della  chiesa  di    s.  Matteo   ora  esi- 
stente   in  Roma,   si  parlò  nel    voi. 
XIV,  p.  208  del Z)/zio/7flr;zo. Dell'an 
lica  Chiesa  di  s.  Matteo  in  Merulana 
(Fèdi),  ne  tenemmo  proposito  an- 
che   nel  voi.    XXXVI,    p.  96,    di 
scorrendo  del  collegio  che  vi  aven- 
no  gli  agostiniani  irlandesi,  cui  Pio 
VII    die    in    compenso ,    prima    la 
chiesa    e  monastero    di  s.    Eusebio 
àie  Celestini  (Fedi),  quindi  il  palaz- 
zo e  chiesa  di  s.  Maria  in  Postern- 
la    de'  medesimi.    Nella    chiesa     in 
Merulana  eranvi  i  Crociferi  (^Fedi) 
quando    Sisto  IV    nel   i^jS    l'unì 
alla  sagrestia    delia  chiesa  di  s.   A- 
gostino,    con    obbligo    a    questa  di 
mantenervi    il    culto    divino.     Nel 
i656  Alessandro  VII  die  la  chiesa 
di  s.  Matteo  agli  agostiniani  irlan- 
desij  i  quali  poi  la  linunziarono,  on- 
de il    Papa    nel   1661    la    concesse 
agli  agostiniani  di  Perugia  in  com- 
penso del  convento  di  s.  Maria  No- 
vella   che  essi    aveano  ceduto    alle 
monache    benedettine.     Nel     lySg 
Clemente  XII    restituì  la  chiesa  in 
Merulana    agli    agostiniani  iilande- 
si,  ad  istanza  del    re  Giacomo  HI. 
Distrutta  nella  repubblica  francese, 
per   quante    ricerche    ho    fatte  dei 
suoi  monumenti,  ecco    ciò  che  po- 
tei sapere.  Alcune  piccole  statue  di 
marmo  furono  trasportate  alia  ba- 
silica Lateranense  nel  chiostro,   in- 
di   in    chiesa.    Allorché    monsignor 
Nicolai    (u«  parla    nell'  opera  sulla 


M  \  T 
Presidenza  delle  strade  t.  II,  p. 
1 52)  imbrecciò  la  via  Merulana, 
l'area  della  chiesa  e  convento  l'ac- 
quistò la  principessa  d.  Teresa  Cae- 
tani,  la  quale  negli  scavi  che  vi  fece 
solo  trovò  avanzi  di  ruderi  antichi, 
sepolture  ed  ossami. 

MATTEO  (b.),  vescovo  di  Gir- 
genti.  Prima  della  sua  promozione 
all'  episcopato  portava  il  nome  di 
Matteo  di  Cimarra.  Compagno  di 
s.  Bernardino  da  Siena  ,  e  come 
lui  religioso  francescano,  ne  imita- 
va lo  zelo  e  ne  di  videa  la  fatica. 
La  sua  divozione  ai  santi  nomi  di 
Gesù  e  di  Maria  era  singolare.  A- 
vendo  fondato  in  Sicilia  parecchi 
conventi  del  suo  ordine,  si  trovava 
in  quello  di  Girgenti,  quando  mor- 
to il  vescovo  di  questa  città,  fu  e- 
letto  a  succedergli .  Geloso  osser- 
vatore della  disciplina  ecclesiastica, 
trovò  degli  oppositori  che  lo  denun- 
ziarono al  Papa  Eugenio  IV,  il 
quale  però  riconobbe  la  falsità  del- 
l'accusa ;  ma  il  servo  di  Dio  prese 
da  ciò  occasione  per  isgravarsi  di 
un  peso  che  portava  a  malincuore. 
Rinunziò  dunque  il  vescovato  di 
Girgenti,  rientrò  nel  chiostro,  e 
continuò  a  faticare  da  semplice  re- 
ligioso per  la  salute  delle  anime 
e  per  la  propria  santificazione,  in- 
fìno  alla  l3eata  sua  morte,  che  fu 
il  7  febbraio  i45ir.  La  sua  festa 
è  segnata  il   2 1   dello  stesso  mese. 

MATTEO  Carrara  (b.),  da 
Mantova,  domenicano.  Uomo  chia- 
ro per  la  santità  della  vita,  e  per 
lo  zelo  di  convertir  anime  a  Dio. 
Circa  il  1463  si  recò  a  predicare 
nella  chiesa  di  s.  Giacomo  de'pa- 
dri  predicatori  di  Soncino,  antico 
ed  illustre  castello  del  territorio 
cremonese,  ed  introdusse  fra  quei 
padri  la  riforma  della  congregazione 
di    Lombardia.    Tenerissimo    della 


M  A  T 
pnssione  di  Gesù  disio,  infiammò 
dello  stesso  affetto  la  giovanetta 
Stefana  Quinzani  (Fedi),  che  ne 
udiva  le  prediche,  e  che  da  lui 
guidata  alla  perfezione,  meritò  po- 
scia i'onor  degli  aitati  col  titolo  di 
l)eata.  Il  beato  Matteo  mori  a 
Vigevano  nel  i47'>  ^d  è  venerato 
dall'ordine  domenicano  a'7  d'otlo- 
hve.  Il  p.  Leandro  Alberti  ne  scris- 
se la  vita. 

MATTEO,  Cardinale.  Matteo 
pisano  fu  creato  cardinale  di  s.  A- 
driano  nel  ii23  da  Calisto  II,  e 
morr  probabilmente  nel  pontificato 
di  Onorio  II,  alla  cui  elezione  erasi 
trovato  presente. 

MATTEO,  Cardinale  (b.).  Matteo 
nacque  di  nobilissima  ed  opulenta 
famiglia  di  Reims,  e  divenne  cano- 
nico di  quella  metropolitana  in  gio- 
\anile  età.  In  questa  rinunziando 
il  mondo,  si  ritirò  fra'  cluniacensi, 
e  ne  professò  la  regola  nel  mona- 
stero di  8.  Martino  dei  Campi  di 
Parigi,  di  cui  poi  fu  eletto  abba- 
te. Onorio  lì  avendone  conosciuto 
il  merito,  lo  prescelse  a  compagno 
di  sue  apostoliche  fatiche,  e  nelle 
tempora  del  dicembre  1  ii5  lo  creò 
cardinale  vescovo  di  Albano.  In 
questa  dignità  conservò  l'umiltà  re- 
ligiosa, vestendo  principalmente  in 
privalo  r  abito  del  suo  ordine,  e 
conservando  anche  ne'  più  ardui  e 
clamorosi  affari  viva  la  aiemoria  del- 
la divina  presenza.  Mantenne  stret- 
ta corrispondenza  con  s.  Bernardo, 
col  quale  si  affaticò  pel  bene  della 
Chiesa.  Quale  legato  apostolico  delle 
Gallie  presiedè  in  nome  della  san- 
ta Sede  ai  concilii  di  Parigi  e  di  Ca- 
talogna, non  che  a  quello  di  Troyes, 
nel  quale  fu  data  la  regola  e  l'a- 
bito a*  cavalieri  templari,  come  ri- 
portano i  pp.  Mabillon  e  Labbé. 
Indi  si  portò  a    Kouen  per  abboc- 


MAT  3o9 

carsi  col  re  d'Inghilterra  sugli  af- 
fari delle  Provincie  di  Normandia, 
e  rilevata  la  necessità  di  sradi» 
care  alcuni  gravi  abusi  che  vi  si 
erano  introdotti,  convocò  un  sinodo 
in  detta  città,  coli'  intervento  dei 
vescovi  ed  abbati  della  provincia. 
Altro  sinodo  celebrò  in  Chalons, 
alla  presenza  di  s.  Bernardo.  Tor- 
nato in  Italia  mentre  1*  antipapa 
Anacleto  II  sosteneva  lo  scisma,  ri- 
partì per  la  Francia  col  legittimo 
Innocenzo  11,  alla  cui  elezione  avea 
contribuito,  onde  sottrarlo  alle  vio- 
lenze del  potente  suo  avversario. 
Si  adoperò  poscia  in  modo  che, 
tranne  una  piccola  porzione  della 
provincia  d'  Aquitania,  tutta  la 
Francia,  la  Spagna  ,  V  Inghilterra 
e  la  Germania  riconobbero  Inno- 
cenzo II,  prestandogli  obbedienza  e 
sommissione.  Lo  stesso  fece  in  Ita- 
lia al  suo  ritorno,  per  il  qual  fine 
in  compagnia  di  s.  Bernardo  e  del 
cardinal  Guido  da  Pisa,  intraprese 
la  legazione  di  Milano  e  ritirò  dal- 
lo scisma  i  cittadini  di  quella  città, 
in  un  ai  genovesi  ed  altri  popoli 
confinanti.  Inviato  dal  Papa  a  Mon- 
tecassino,  depose  l' abbate  Nicolò, 
indegno  del  grado,  ed  in  suo  luo- 
go fece  eleggere  Signoretto  prevo- 
sto del  monastero  di  Capua,  con 
che  restituì  il  buon  ordine  a  sì  ce- 
lebre cenobio.  Per  ispeciale  commis- 
sione pontifìcia  pronunziò  senten- 
za di  anatema  contro  Ponzio  abba- 
te di  Clugny  e  cardinale.  Restò 
sempre  fedele  ad  Innocenzo  II,  e 
con  pericolo  di  vita  lo  seguì  co- 
stantemente ne' suoi  viaggi.  Consu- 
mato da  tante  fatiche,  postosi  sopra 
il  cilizio  e  la  cenere,  fece  con  gran 
fervore  la  professione  di  fede,  rice- 
vè i  sagramenti,  ed  avvisato  con  su- 
perno lume  dell'ora  di  sua  morte, 
cessò  santamente    di    vivere  in    Pi- 


3  r  0  M  A  T 

sa,a*2  5  dicembre  ii34  al  dire  del 
Riccy,   o     II 35    secondo    il    Ciac- 
conio,  o  meglio  nel    ii36.  Il    suo 
cadavere    fu  tumulato    nella  chiesa 
di  s.  Frediano  in  magnifico  avello, 
ove  Dio  a  sua    intercessione  operò 
strepitosi  prodigi,    onde  il    suo  no- 
me  venne  registrato  nel  martirolo- 
gio  benedettino  e  gallicano.  I  fatti 
piìi  memorabili  di  questo  cardina- 
le, e  le  preclare    ed    eccellenti  sue 
virtù  furono  descritte  da  s.  Bernardo 
in    alciMie    sue    lettere  a    Pietro  il 
Venerabile,  che  ne  compose  la  vita. 
Pubblicò  questo  cardinale  parecchie 
opere    per    lo     più    ascetiche.    Nel 
giorno  seguente  alia  sua  morte  In- 
nocenzo li  celebrò  la    messa  solen- 
ne  di    requiem    in    suluagio    della 
di    lui    anima.   Il    Baronio    lo    tlice 
uomo     di    grande    ed    ammirabile 
santità;  s.  Bernardo  e  Pietro  il  Ve- 
nerabile lo  chiamano  santissimo  uo- 
mo, angelo  di  costumi,  illustre  per 
santità    e    per    virtù ,    polente    non 
meno  nelle  opere  che  nelle  parole. 

MATTEO,  Cardinale,  Matteo  fu 
creato  cardinale  prete  di  s.  Pietro 
in  Vincoli,  nelle  tempora  di  dicem- 
bre II 25  da  Onorio  li,  dopo  la 
morte  del  quale,  abbandonato  In- 
nocenzo li,  sigillò  Q,\  partito  dell'an- 
tipapa Anacleto  li,  che  fattolo  can- 
celliere lo  annoverò  tra  i  cardina- 
li deputali  per  condursi  a  Saler- 
no, ad  oggetto  di  autenticare  l.i 
legitti^mità  deli'  invalida  sua  elezio- 
ne. Mori  nella  sua  ostinazione,  sen^ 
ipa  sapersene  V  anno. 

MATTEO,  Cardinale.  Matteo  fu 
jcreato  cardinale  pvele  da  Eugenio 
III  nel  ii5o,  e  fatto  arciprete 
della  patriarcale  basilica  di  s.  Ma? 
ria  Maggiore  nel  i  i53,  per  cui  air 
r  articolo  Chiesa  di  s.  Maria  Mag- 
giore Io  registrammo  pel  primo 
arciprete,  ed  il   secondo  nel  \  i66, 


MAT 
MATTEO,  Cardinale.  Matteo  nac- 
que in  Angers,  e  da  Alessandro  III 
nel  dicembre  1178  fu  creato  prete 
cardinale  del  titolo  di  s.  Marcello, 
Trovossi  presente  alla  solenne  asso- 
luzione data  da  Lucio  III  nel  118:» 
a  Guglielmo  re  di  Scozia,  alla  cui 
elezione  avea  contribuito,  e  mor\ 
nel   I  i83  o   1 184. 

MATTEO,  Cardinale.  Matteo  da 
canonico  regolare  della  congrega- 
zione  di  s.  Frediano  di  Lucca,  A- 
lessandro  IH  nel  dicembre  1178  lo 
creò  diacono  cardinale  di  s.  Maria 
Nuova,  e  mori  nel  pontiQcato  di 
Lucio  III  di  cui  era  stato  uno  de- 
gli elettori, 

MATTEO,  Cardinale.  Matteo  fu 
da  Innocenzo  III  nel  dicembre  1-200 
fatto  cardinale  diacono  di  s.  Teo- 
doro, e  mori   nel    1 206. 

MATTEO,  Cardinale.  Matteo  di 
Polonia,  nato  in  Cracovia  secondo 
Cardella,  o  in  Crncow  suo  castello 
nella  Pomerania,  come  avverte  il 
LNovaes,  il  quale  dichiara  eh' è  pu- 
re il  suo  cognome;  divenuto  mae-r 
Siro  in  teologia  e  rettore  dell'uni- 
versità di  Praga,  scrisse  un  tratta- 
to teologico  sulla  carità,  oltre  pa- 
recchi commentari  sopra  diversi  li- 
bri della  divina  Scrittura,  come  sul- 
la cantica,  snlT  ecclesiaste,  sull'  e^ 
vangelo  di  s.  Matteo,  e  sull'episto- 
la ai  romani,  registrali  dal  Torri - 
gio.  De  script,  cardinalibiis.  L' im- 
peratore Roberto  lo  nominò  suo 
ambasciatore  e  cancelliere  dell'im- 
pero, e  nel  i4o5  vescovo  di  Wor* 
mazia,  chièsa  che  governò  con  som^ 
ma  prudenza  e  pari  vantaggio  del- 
le anime  alla  su^  cura  commesse. 
Gregorio  XII  a'  19  settembre  i4'^8 
in  Siena  lo  creò  cardinale  prete  <li 
8.  Ciriaco,  e  morì  in  Worms  o 
Wormazia  nel  i4'cf>  venendo  se-r 
pollo  onorevolfflente  nel  coro  dell?^ 


MAX 

raUedrale.  Ne  scrisse  la  vita  Cri- 
stiano Schoetgenio  in  lingua  tede- 
sca, nella  sua  Pomeriana  antica  e 
vìodt-rna^  par.  V,   p.  632. 

MATTIA  (s.),  apostolo.  Si  unì  di 
l>non*  ora  al  Salvatore,  che  non  la- 
sciò mai  dal  battesimo  sino  alla  di^ 
lui  gloriosa  ascensione,  e  si  ritiene 
die  sia  slato  uno  dei  setlanfadue 
suoi  discepoli.  Fu  eletto  ad  occu- 
pare il  posto  del  traditore  Giuda  ; 
ma  nulla  si  sa  di  certo  sulle  par- 
ticolarità delle  sue  azioni.  Si  sa 
soltanto  in  generale  che  dopo  ri- 
cevuto lo  Spirito  Santo  il  dì  della 
I^entecoste,  andò  a  predicare  il  van- 
gelo di  Gesù  Cristo,  e  che  consa- 
crò il  rimanente  della  sua  vita  alle 
fatiche  dell'apostolato.  S.  Clemente 
d'Alessandria  riferisce  di  lui,  che 
nelle  sue  istruzioni  insisteva  massi- 
mamente sulla  necessità  di  mortifi- 
cale la  carne,  reprimendo  i  desi- 
deri! della  sensualità.  I  greci  pre- 
tendono, giusta  un*  antica  tradizio- 
ne espressa  ne'  loro  menologi,  che 
s.  IMattia  abbia  predicato  la  fede 
verso  la  Cappadocia  e  le  coste  del 
mar  Caspio,  aggiungendo  che  fu 
martirizzato  nella  Colchide,  cui  dan- 
no il  nome  di  Etiopia.  I  latini  ce- 
lebrano la  sua  festa  il  dj  24  feb- 
braio. Una  parte  di  sue  reliquie  è 
custodita  neir  abbazia  di  s.  Mattia 
di  Treveri,  ed  in  s.  Maria  Maggio- 
re di  Roma  :  dicono  i  Bollandisti, 
che  le  reliquie  di»  s.  Maria  INIag- 
f;iore  che  si  credono  dell'  a  postulo 
».  Mattia,  sieno  d'un  altro  s.  Mat- 
tia, il  quale  fu  vescovo  di  Geru- 
salemme verso  l'anno  120.  P'edi 
Chiesa  di  s.  Maria  Maggiore. 

MATTIASA  (b.),  detta  Nazarei 
dal  nome  di  suo  padre.  Fu  una 
«anta  vergine  dell'  ordine  delle  eia- 
risse,  cui  Dio  trasse  a  sé  colle  gra- 
fie più  abbondanti.  Morì  nel    i5i3 


MAX  3  T  T 

badessa  del  monastero  di  s.  Mad- 
dalena a  Camerino  nello  stato  ro- 
mano,, dov*  era  entrala  in  religione. 
F  onorata  il  primo  marzo  nell'or- 
dine di  s.   Francesco. 

MATTUTINO,  Malutìnum.  Una 
delle    sette    Ore    canoniche,    prima 
parte  dell'  U/fìzh  divino  di  ciascun 
giorno,  che  si  dice  alla   mattina  di 
buonissima  ora,    talvolta    a    mezza 
notte,  e  talvolta  anche  alla  vigilia, 
11   Macri,  Not.  de\>ocah.  eccl.,  dice 
che  la    voce    mattutino    deriva    da 
Matiita  che  significa  l'aurora,  e  che 
viene  chiamato  anche    Noctnrnunif 
perchè  un  tempo  si  recitava  di  notte, 
e    perciò    questa    parte    dell'  uffizio 
recitata     in     tal    tempo     si    diceva 
notturni  ossia  vigilie  notturne.  Ora 
poi  perchè  questi  notturni  si  uniscono 
coWe  Laudi  [P^edi),  così  si  chiamano 
mattutini.  Osserva  il  Rinaldi,  che  il 
mattutino    rappresenta  le  adunanze 
prescritte  dall'Apostolo  ai  corinti.  Co- 
minciò l'uso  di  recitare  il  mattutino 
in  Betlemme,  come  riferisce  s.  Isido- 
ro, De  eccl.  off.  1.  i,  e.  2  3.  Era  ben 
conveniente,    che    nel    luogo    della 
nascita    di    Cristo    cominciassero  le 
lodi  nolturnali,    dove  gli  angeli  di 
mezza  notte  furono  uditi  cantare  le 
celesti  lodi    al    nato  bambino.   De- 
vesi  recitare  colle  laudi  prima  della 
messa,  conforme  ordina  la  rubrica, 
la  quale  il  Barbosa,  De  polest.  epi- 
scop.  par.   2,  alleg.  24,  "•  i5,  pen- 
sa che  non  obblighi  a  peccato  mor- 
tale, adducendo  in  suo  favore  venti 
autori,  e  per  la  parte  contraria  die- 
cinove, tra'  quali  i  ss.   Antonino    e 
Raimondo,  ed  i  Papi  Innocenzo  IV 
e  s.  Pio  V:    il  primo   di  essi  scri- 
vendo al  cardinal   Ottone  legato  in 
Cipro,  per  accomodar  le  controver- 
sie tra  i  vescovi  latini    e  greci  in- 
torno all'osservanza  de' riti,   Ira   le 
istruzioni  che  gli  diede  evvi  questa. 


3ii  MAX 

Sacerdotes  aittem  dicant  horas  cn- 
nonicas  more  suoj  sed  tnìssani  ce- 
lebrare, priusquani  offìciuni  molli' 
timim  compleverinty  non  praesiunant. 
li  Macri  le  chiama  parole  degne  di 
profonda  e  attenta  considerazione, 
pei  sacerdoti  che  con  facilità  tras- 
grediscono questo  precetto,  per  il 
quale  almeno  obbliga  sotto  pena  di 
peccato  veniale;  e  di  tal  negligenza 
dovranno  renderne  strettamente  con- 
to a  Dio.  Cenedo  cita  a  favore  di 
questa  opinione  trenta  gravi  autori, 
seguito  dal  vescovo  Giordani  nei 
suoi  trattati  morali,  il  mattutino 
colle  laudi  per  una  giusta  causa  si 
può  recitare  nei  vesperi  del  giorno 
precedente;  così  s.  Tommaso,  e  la 
comune  de'dottori;  senza  una  qual- 
che causa,  fino  ai  vesperi  dello  stesso 
giorno,  troppo  notabilmente  varia 
il  tempo.  Nel  mattutino,  ancorché 
solennìssimo,  mai  si  adopera  pivia- 
le, o  altro  paramento,  purché  non 
vi  sia  una  consuetudine  in  contra- 
rio; solo  al  tempo  della  nona  le- 
zione, che  si  dice  dall'  ebdomadario, 
esso  coi  due  intuonatori  pigliano  il 
piviale,  e  continuano  le  laudi  colle 
medesime  solennità  del  vespero . 
Caerem.  episcop.  lib.  2,  cap.  6  67. 
Ma  quando  officia  il  vescovo,  dice 
la  nona  lezione  colla  sua  cappa  or- 
dinaria, tranne  nella  notte  di  Na- 
tale, nella  quale  si  mette  il  piviale 
per  dire  l'orazione  del  mattutino. 
Caerem.  episcop.  lib.  2,  e.  1 4- Sic- 
come nel  mattutino  del  sabbaio,  di- 
cendosi r  uffizio  della  Beata  Vergi- 
ne, si  lascia  il  salmo  Jubilale,  nel 
cui  luogo  si  canta  Boniim  est,  per 
non  replicare  lo  slesso  salmo  due 
volte,  così  dovrà  osservarsi  occor- 
rendo la  vigilia  di  Natale  in  sabbaio 
per  l'istessa  ragione.  P'edi  il  Diclich, 
Dizionario  sa  ero- liturgico,  agli  arti- 
coli   mattutino,    Mattutino    e    Ina- 


MAX 

di  solenni,  e  Mattutini  delle    tene- 
bre. 

Nella  Cappella  pontifìcia  [Tedi) 
cinque  sono  i  mattutini  che  vi  si 
cantano  al  modo  detto  in  quell'  ar- 
ticolo, cioè  i  tre  mattutini  delle  te" 
nebre,  nel  mercoledì,  giovedì  e  ve* 
nerdì  santo,  il  mattutino  de'  morti, 
e  quello  della  notte  di  Natale.  Il 
Papa  v'  interviene  col  Manto  o  pi- 
viale ponlilìcio,  ed  anticamente  col- 
la cappa  e  falda,  secondo  quanto 
descrivemmo  ancora  ai  voi.  Vllf, 
p.  83  e  seg.,  e  XXIIl,  p.  9  del 
Dizionario.  Altri  Pontefici  si  reca- 
rono ad  assistere  al  mattutino  della 
notte  di  Natale  nella  basilica  di  s. 
Maria  Maggiore,  celebrando  quindi 
pontificalmente  la  messa  nella  detta 
basilica,  come  nel  1846  fece  il  Pa- 
pa che  regna.  Quando  il  Papa  as- 
sumeva la  cappa  ne*  mattutini ,  gli 
avvocati  concistoriali  portavano  i'ar- 
mellino  coperto  coi  cappucci  voltati, 
tranne  il  mattutino  de' morti,  in  cui 
r  armellino  non  ha  luogo.  Nei  mat- 
tutini i  cardinali  non  rendono  ob- 
bedienza al  Papa:  in  sua  assenza 
ne  fa  le  veci,  nei  mattutini  delle 
tenebre  il  cardinal  vescovo  subur- 
bicario  più  degno,  in  quello  dei  mor- 
ti il  cardinal  penitenziere  maggio- 
re, ed  in  quello  della  notte  di  Na- 
tale il  cardinal  camerlengo  o  quel 
cardinale  che  per  lui  canta  la  messa. 
Se  il  Papa  assume  la  cappa  magna, 
si  veste  di  falda,  amitto,  camice, 
cingolo  e  stola.  Sopra  di  tali  abiti  il 
prefetto  delle  cerimonie  coli'  aiu- 
to degli  uditori  di  rota  gli  pone 
la  cappa.  Spetta  al  detto  prefetto 
coprirlo  e  scoprirlo  di  cappuccio. 
I  due  cardinali  che  lo  hanno  ve- 
stito sino  alla  stola,  non  assistono 
al  trono,  non  vanno  ai  suoi  lati 
nell'accesso,  ma  lo  sieguono,  e  iaì- 
mediatampnle    vanno  ai  loro  staljj, 


M  A  T 
Andando  in  cappa  il  Papa,  non  Io 
precede  la  croce  pontifìcia.  Termi- 
nato il  mattutino  della  notte  di  Na- 
tale, se  il  Pontefice  vi  ha  assistito 
in  cappa,  questa  depone  per  pren- 
dere il  manto  o  piviale  col  quale 
assiste  alla  messa.  Il  Garampi  nelle 
sue  Memorie,  p.  3i5,  ci  dà  la  dis- 
sert.  X:  Sopra  la  celebrazione  not- 
turna de  Divini  uffìzii  [Vedi),  e  sua 
decadenza  nel  XllI  e  seguenti  se- 
coli. Dice  pertanto  che  alla  mezza 
notte  nel  XIII  secolo  assistevano 
al  mattutino  i  religiosi  ed  in  ispe- 
cie  i  canonici  regolari  di  Città  di 
Castello,  ed  altrettanto  osservavasi 
in  Urbino,  Roma,  Arezzo,  Anagni, 
Viterbo,  Milano  e  Parigi.  Quindi 
tratta  del  rilassamento  di  questa 
disciplina,  essendosi  tollerato  di  re- 
citare il  mattutino  la  sera  antece- 
dente, o  la  mattina  di  buon'ora,  ri- 
serbandosi al  più  la  celebrazione 
notturna  per  alcune  solennità  mag- 
giori. Decaduto  l'uso  nel  XIV  e 
XV  secolo  quanto  al  clero  secolare, 
il  regolare  per  lungo  tempo  seguitò 
r  antico  istituto.  Avverte  poi  che 
sebbene  si  recitasse  la  notte  nelle 
chiese  il  divino  uffizio,  tenevansi 
però  chiuse  le  porte,  per  evitare 
qualsisia  scandalo  ,  che  fosse  po- 
tuto nascere  per  l'ingresso  promi- 
scuo del  popolo.  Nel  concilio  Bu- 
dense  del  1279  si  stabili  che  ai  laici 
non  fosse  permesso,  in  ecclesia  vi- 
gi'lias  facere.  Il  simile  pure  si  de- 
cretò nel  concilio  di  Palenza  del 
i57.i;  nel  primo  di  Milano  da  s. 
Carlo  Borromeo;  ed  avanti  di  essi, 
cioè  nel  1280,  dal  vescovo  di  Poi- 
tiers  Goliero. 

MATURINO  (s.),  prete.  Nato 
nella  diocesi  di  Sens,  conobbe  fino 
dai  più  teneri  anni  la  vanità  degli 
idoli,  ed  abbracciò  il  cristianesimo. 
Appena  ebbe  aperto    gli  occhi  alla 


MAU  3i3 

luce  del  vangelo,  abbandonò  quanto 
possedeva  nel  mondo,  per  unirsi  u- 
nicamente  a  Gesù  Cristo.  Innalzato 
al  sacerdozio,  converti  un  gran  nu- 
mero d'idolatri,  tra  i  quali  furono 
suo  padre  e  sua  madre.  Indi  carico 
di  meriti  e  di  buone  opere,  mori 
poco  prima  dell'  anno  388.  Il  suo 
corpo  fu  portato  a  Sens,  poi  venne 
trasferito  nel  villaggio  di  Larchant 
presso  Nemours,  ove  fu  fabbricata 
una  chiesa  in  onore  del  santo.  Ivi 
si  custodisce  ancora  una  parte  deU 
le  sue  reliquie  :  il  resto  fu  abbru- 
ciato dagli  ugonotti  nel  i568.  La 
sua  festa  si  celebra  il  9  novembre, 
e  gli  abitanti  della  provincia  del 
Gatinese  onorano  s.  Maturino  come 
loro  apostolo  e  patrono. 

MAURA  (s.  ),  vergine.  Nacque 
a  Troyes  nella  Sciampagna  nel  nono 
secolo.  Ottenne  colle  sue  preghiere 
il  ravvedimento  del  proprio  padre 
che  conduceva  una  vita  poco  cristiana, 
e  santificò  co' suoi  esempi  il  fratello 
Eutropio  con  tutta  la  sua  famiglia, 
e  Io  indusse  a  distribuire  agi'  in- 
felici la  maggior  parte  de*  suoi  beni. 
Ella  divideva  il  suo  tempo  tra  l'o- 
razione e  gli  esercizi  di  carità;  im- 
piegava i  suoi  lavori  a  sollievo  dei 
poveri,  o  a  decoro  del  culto  divino  ; 
digiunava  a  pane  ed  acqua  tulli  i 
mercoledì  e  venerdì.  Fu  favorita  di 
grazie  straordinarie,  cui  la  sua  u- 
railtà  faceale  nascondere  con  ogni 
cautela;  e  morì  santamente  a'2  i  set- 
tembre deir85o,  in  età  di  ventitré 
anni.  Leggesi  il  suo  nome  nel  mar- 
tirologio gallicano.  Le  sue  reliquie 
furono  dapprima  deposte  nella  chie- 
sa del  villaggio  che  porta  il  suo 
nome,  mezza  lega  lunge  da  Troyes; 
ma  la  maggior  parte  fu  poi  trasfe- 
rita nella  badia  di  s.  Martino  di 
Troyes. 

MAURICASTRO  0  MAURO  CA- 


3i4  MAU 

STRUM.  Sede  vescovile  dell'Asia,  di 
Siria  neir  Armenia,  sotto  la  metro- 
poli di  Teodosiopoli,  nella  provin- 
cia Osroenn,  che  al  dire  del  Terzi, 
Siria  sacra  p.  1 38,  già  esisteva  nel 
V  secolo  sulTraganea  di  detta  me- 
tropoli. Mauricastro,  Maurìca^treiiy 
ni  presente  è  un  titolo  vescovile  in 
parli  bus  f  sotto  l'arcivescovato  pure 
m  partibus  ò'ì  Teodosiopoli,  che  con- 
ferisce la  santa  Sede.  Il  Papa  Gre- 
gorio XVI  nel  1846  lo  conferì  a 
monsignor  Annetto  Casolani  di  Mal- 
la,  che  in  pari  tempo  fece  vicario 
apostolico  dell'  Africa  centrale,  vi- 
cariato da  lui  istituito. 

MAURIENNE.  K  S.  Giovanni  di 
Mori  ANNA. 

MAURILIO  (s.),  vescovo  d' An- 
gers.  Nacque  in  Italia,  e  passò  nelle 
Gallie  per  vivervi  sconosciuto  agli 
uoQiini.  Si  fermò  nella  Turrena,  ove 
avealo  tratto  la  rinomanza  di  s. 
Martino;  e  dopo  la  morte  di  quel 
santo  vescovo,  di  cui  era  stato  per 
qualche  tempo  discepolo,  si  ritirò 
nell'  Angiò.  La  sua  virtù  lo  fece 
presto  conoscere  e  collocare  sulla 
sede  di  Angers,  che  occupò  per 
Irent'aniii.  Mori  in  età  molto  avan- 
zata verso  l'anno  4^7*  Egli  è  no- 
minalo a'  i3  settembre  nel  marti- 
rologio romano  e  in  quello  di 
Usuardo, 

MAURITIANA.  Parte  considera- 
bile dell*  Africa  settentrionale,  che 
si  estendeva  dalla  Numidia  sino  alia 
costa  bagnata  dall'  Oceano,  in  pro- 
gresso divisa,  in  Cesariense,  Tingi- 
tana e  Silifense.  La  Mauritiana 
sembra  essere  slata  già  compresa 
sotto  il  nome  di  Libia  ;  ebbe  i  S(toi 
re,  i  quali  scossero  il  giogo  de' car- 
taginesi, e  fecero  ad  essi  aspra  guer- 
ra. Nella  seconda  guerra  punica  era 
divisa  fra  due  sovrani  ,  la  Tingi 
tona  era  soggetta  a  Gala,  e  la  Ce- 


MAU 
sariense  a  Sifa.ur,  il  primo  allealo 
de'cartaginesi,  il  secondo  de'  romani, 
A  Gala  successe  il  celebre  Massi - 
nissa;  a  Siface,  Rocco;  indi  i  romani 
si  collegarono  con  Massinissa  e  si 
inimicarono  con  Siface  cui  tolsero 
la  Numidia.  Poscia  i  romani  dichia- 
rarono la  guerra  a  Giugurta  nipote 
di  Massinissa,  e  lo  imprigionarono, 
dando  i  suoi  stati  al  genero  Rocco, 
e  facendo  governar  la  Numidia  per 
prefetti.  Cesare  vincitore  in  Africa, 
ridusse  la  Mauritiana  in  provincia 
romana,  dividendo  le  terre  de'  mau- 
ritani  e  de'numidi  tra' suoi  soldati. 
Dopo  diverse  turbolenze  e  guerre, 
Costantino  accordò  gran  privilegi 
alle  chiese  d'  Africa.  I  progressi 
delia  religione  cristiana  furono  così 
rapidi,  che  al  principio  del  V  se- 
colo vi  si  contavano  moltissimi  ve- 


scovi.  In  seguito  Genserico  coi  van- 
•egione;  sotto  Gm- 


dali  invase  la 
stiniano  I  fu  ricuperata,  ma  a  tem- 
po di  Eraclio  tutto  il  paese  si  sot- 
tomise agli  arabi  o  mori  maomet- 
tani, essendovi  stato  tenuto  un  con- 
cilio nella  Mauritiana  contro  i  mo- 
noteliti  nel  646.  Regia  t.  XIV; 
Labbé  t.   V;  Arduino  t.   IlL 

Mauritiana  Cesariense,  fu  così 
chiamata  dal  soprannome  di  Cesare 
dato  a  Claudio.  Questa  parte  della 
Mauritiana  si  estendeva  dalla  Tin- 
gitana, da  cui  era  divisa  dal  fiume 
Malva  air  ovest,  sino  all' Ampsaga, 
e  rinchiusa  la  maggior  parte  della 
Numidia  dai  massessilii.  Avea  Giu- 
lia Cesarea  per  capitale,  con  ^i 
città  marittime,  e  6  nella  Numidia, 
ji  nelle  terre,  29  popoli  diversi,  e 
IO  principali  montagne.  Compren- 
de il  regno  di  Algeri,  ad  eccezione 
della  provincia  di  Costantina.  Fu 
già  fiorentissima  provincia  ecclesia- 
stica ,  con  121  sedi  vescovili,  e 
Giulia  Cesarea  per  metropoli.  Mau^ 


M  A  U 

ritìana  Sìtifense,  lu  cosi  chiamala 
dalla  cillà  di  Silifi.  Divisione  della 
Maui'itìana  adiacente  alla  Numidia, 
confinanfe  al  nord  col  Mcdilerra' 
lieo  j  all'est  con  una  linea  dell'im- 
boccatura dell'Ani psaga  sino  a  Ma» 
pciruiamim- Oppi  cium  ,  ed  all'ovest 
colla  Mauriliana  Cesariense.  Aveva 
42  o  4^  cillà  vescovili,  suffrnganea 
della  metropoli  di  Sìtifi^  fu  floridis- 
sima provincia  ecclesiastica,  e  corri- 
sponde ad  una  parte  della  provin- 
cia di  Bugia.  Fedi  Marocco,  e 
Morcelli,  AJrica  clirisliana^  non  che 
Terzi,  Sina  sacra^  p.   382. 

MAURIZIO.  Isola  dell'Oceano 
indiano  equinoziale,  detta  pure  di 
Plancia,  in  Africa,  assai  montuosa, 
una  delle  Mascaregne.  È  bagnata 
da  un  gran  numero  di  corsi  d'acqua, 
e  da  molli  laghi,  in  clima  sanissi- 
n)0,  ma  soggetta  a  terribili  uraga- 
ni, e  commercia  de'  suoi  prodotti 
col  Madagascar.  Gli  abitanti  in  gran 
parte  discendono  dalie  antiche  no- 
bili famiglie  di  Francia.  Fu  scoper- 
ta nel  secolo  XVI  da  d.  Fedro  Ma- 
scharenhas  capitano  portoghese,  che 
le  die  il  nome  di  Ilha  do  Cernoj 
ma  i  portoghesi  considerandola  co- 
me luogo  di  riposo,  non  vi  forma- 
rono stabilimenti.  Nel  1598  l'am- 
miraglio olandese  Van-Nek  avendo 
trovala  l'isola  disabitata,  ne  prese 
possesso  e  la  chiamò  Maurizio  dal 
nome  del  suo  sovrano  principe  d'O- 
range.  Gli  olandesi  la  conservarono 
per  lur)go  tempo  senza  stabilirvisi, 
finché  nel  j64o  vi  mandarono  co- 
lonie, ma  pei  pochi  vantaggi  che 
ne  ritraevano,  l'abbandonarono  nel 
1712.  Verso  questo  tempo  i  fran- 
cesi stabiliti  nell'isola  di  Borbone, 
vi  mandarono  de*  coloni,  e  la  Fran- 
cia nel  1721  se  ne  impadronì;  indi 
nel  1734  la  colonia  sotto  il  governo 
di  h^  ì^onrdonnaye  cominciò  a  fare 


MAU  3i5 

importanti  progressi.  Divenne  il  cen- 
tro della  navigazione  francese  nelle 
Indie  orientali,  e  dopo  l'annienta- 
mento della  potenza  francese  in 
quelle  regioni,  fu  il  punto  di  riu- 
nione di  que' corsari  che  per  lungo 
tempo  divennero  il  terrore  del  com- 
mercio inglese  in  quelle  spiaggie. 
Nel  18  IO  si  arrese  agl'inglesi,  dopo 
ostinatissima  resistenza:  alla  pace 
del  18 14  fu  ad  essi  ceduta  colle 
sue  dipendenze,  particolarmente  Ro- 
driguez  e  le  Scichelles.  Il  Papa  Gre- 
gorio XVI  a  mezzo  della  congre- 
gazione di  propaganda  fide  ^  nel 
1840  v'istituì  un  vicariato  aposto- 
lico, dichiarandovi  vicario  l'odierno 
monsignor  Guglielmo  Bernardo  Col- 
lier anglo-benedettino,  che  ai  i4 
febbraio  fece  vescovo  in  pardbus 
di  Milevo,  il  quale  esercita  anche 
i'uflìzio  di  parroco;  ed  egli  coi  mis- 
sionari riceve  uno  stipendio  dall'In- 
ghilterra. Porto  Luigi  capitale  del- 
l'isola, stabilita  nel  1822,  residenza 
del  vicario  apostolico,  ha  dipenden- 
ti le  vicine  piccole,  ma  popolate 
isoIelle>  ed  ha  33,ooo  abitanti.  In 
tutta  l'isola  si  contano  26,000  libe- 
ri, quasi  lutti  cattolici:  degli  schiavi 
moltissimi  hanno  ricevuto  il  batte- 
simo. La  chiesa  principale  è  solida 
e  ben  fabbricata ,  ma  piccola  in 
proporzione  del  numero  de' cattoli- 
ci. Vi  sono  nell'isola  altre  nove 
chiese  parrocchiali.  In  Porto  Luigi 
hanno  aperto  un  tempio  i  prole- 
stanti,  ed  uno  stabilimento  i  meto- 
disti ;  questi  eretici  vi  si  sono  in- 
trodotti da  pochi  anni,  prima  pro- 
fessandovisi  la  sola  religione  catto- 
lica. L'  isola  ora  commercia  con 
tulli  i  paesi  d'oriente,  e  con  Capo 
di  Buona  Speranza,  Mozambico,  il 
Mare  rosso,  le    Indie  e   la  Cina. 

MAURIZIO  (s.),  martire.  Coman- 
dava   la  legione    tebaqa,   la   quale 


3i6  MAU 

era  composta  di  oltre  diecimila  uo- 
mini tutti    cristiani.  Questa  legione 
fu  del  numero   di  quelle   che  Dio- 
cleziano   fece  passare   da  oriente  in 
occidente  per  conìbattere  i  bagaudi, 
«otto    il    comando    di    Massimiano 
Krculeo  che  avea  associalo  all'  im- 
pero. Essendosi  Massimiano  accam- 
pato   ad    Octodurum    sul  Rodano, 
ordinò  che    tutta  l'armata    dovesse 
fare  un  sagrifizio    agi' iddìi  per  ot- 
tenere buon  successo  alle  armi  del- 
l' impero.  La  legione    tebana  si  al- 
lontanò per   andare  ad    accamparsi 
ad  Agauno,  tre  leghe  distante,  e  ri- 
cusò di   prender  parte  a  quella  sa- 
crilega cerimonia.  Volendo  l'impe- 
ratore costringerla  a  tornare  al  cam- 
po generale    per  farvi    l' obblazione 
del  sagrifizio,  la  fece  decimare  due 
volte.    Tuttavia    i  soldati  della    le- 
gione    eh'  erano   rimasti    ancora  in 
▼ila,  protestarono    essere    fermi    di 
tutto  soffrire  più    presto  che  tradi- 
re la  loro    fede;    e  Maurizio,   Esu- 
perio  e    Candido,  loro    primi    uffi- 
ciali, contribuirono  non  poco  a  rat- 
tenerli  in  questi  generosi  sentimenti. 
Massimiano,    disperando     di     poter 
smuovere    la    loro  costanza,  li    fece 
investire  da  tutta  la  sua  armata  e 
trucidar    tutti  ;    mentre    essi,    lungi 
dal   fare    la  minima    resistenza,  de- 
posero le  armi,  e  si  lasciarono  tran- 
quillamente uccidere,  confortandosi 
gli    uni    gli     altri    alla    morte.    Un 
soldato  veterano  per  nome  Vittore, 
che  non  era  dello  stesso  corpo,  ri- 
tiratosi   senza    voler  prender  parte 
allo  spoglio,  fu    interrogato  se    an- 
ch' egli    fosse    cristiano,  ed    avendo 
confessalo  che  lo  era,  fu  trucidato. 
<3rso  e  Vittore,  ch'eransi  allontana- 
^i   dalla   legione,  furono  martirizzali 
a    Solodoro    o    Soleure,  ove    se  ne 
custodiscono  le  reliquie.  Ottavio,  Av- 
ventizio e  Solutore  soffrirono  a  Tori- 


MAU 

no  in  quel  medesimo  tempo  :  essi 
vennero  celebrati  nei  sermoni  di  8. 
Massimo  e  nei  poemi  di  Ennodio  di 
Pavia.  Fortunato  chiama  questi  san- 
ti la  beata  legione.  1  Dollandisli  met- 
tono il  martirio  della  legione  tebana 
nel  3o3,  ed  altri  storici  nel  286.  I 
corpi  di  s.  Maurizio  e  de'suoi  com- 
pagni furono  scoperti  ad  Agauno 
molti  anni  dopo.  Allorquando  il  re 
Sigismondo  fece  riattare  il  mona- 
stero di  Agauno  (oggidì  s.  Mauri- 
zio) nel  5 1 5,  i  corpi  de'sanli  Mau- 
rizio, Esuperio,  Candido  e  Vittore, 
furono  deposti  nella  chiesa  ivi  fab- 
bricata mercè  la  liberalità  di  que- 
sto principe.  E  probabile  che  i  fe- 
deli avessero  deposto  a  parte  i  cor- 
pi dei  principali  uftìziali  della  le- 
gione. Nel  i4^9  fmono  trovati  nel 
villaggio  di  Schoz,  eh'  è  circa  due 
leghe  lungi  da  Lucerna,  duecento 
corpi  dei  compagni  di  s,  Maurizio. 
Vi  si  era  fabbricata  gran  tempo 
addietro  una  cappella,  conosciuta 
pe'suoi  privilegi  e  per  grandi  in- 
dulgenze. Il  p.  Chardon  gesuita 
scrisse  la  storia  dei  miracoli  opera- 
ti per  intercessione  di  s.  Maurizio 
e  de'  suoi  compagni.  Questi  santi 
martiri  sono  onorati  in  molte  chie- 
se di  Francia,  di  Alemagna,  d'Ita- 
lia^ di  Spagna  e  di  Portogallo.  Ce 
lebrasi  la  loro  festa  il  22  settem- 
bre. S.  Maurizio  è  da  molti  secoli 
il  principili  protettore  della  casa 
reale  di  Savoia.  11  duca  Carlo  Em- 
manuele  quando  acconsentì  di  cedere 
a  Francesco  I  re  di  Francia  collega- 
to cogli  svizzeri  e  ginevrini,  la  so- 
vranità di  Agauno  o  s.  Maurizio, 
sthbilì  che  fossero  trasportate  a 
Torino  le  reliquie  dei  martiri  della 
legione  tebana,  limitandosi  poi  alla 
metà  per  le  rimostranze  degli  abi- 
tanti. Le  reliquie  vennero  con  gran 
solennità    portate    a  Torino,  e   de- 


M  A  U 

poste  nella  callediale  in  iii>*aic«i 
uiagiiìfica  d'argento  ai  i6  gennaio 
i58i.  Pei  canonici  ed  abl)azia  di  s. 
Maurizio,  Fedi  li  voi.  VII,  p.  t.S'J 
del   Dizionario^  e  Svizzera. 

MAURIZIO,  Cardinale.  Maurizio 
'fu  fatto  cardinale  vescovo  di  Porlo 
da  Urbano  li  del  io88,  quindi 
Pasquale  II  nel  i  loo,  alla  cui  con- 
secrazione  trovossi  presente,  lo  di- 
chiarò legalo  a  Intere  per  portarsi 
in  Gerusalemme,  ad  oggetto  di  sta- 
bilire coir  autorità  della  santa  Se- 
de in  quelle  provincie,  occupate  già 
per  tanti  secoli  dai  barbali,  tutto- 
ciò  che  riguardava  il  buon  ordine 
e  la  disciplina  ecclesiastica.  In  pro- 
va della  segnalata  di  lui  santità, 
narrano  alcuni  storici  uno  strepi- 
toso miracolo  operato  da  Dio  a 
sua  intercessione  nella  basilica  del 
s.  Sepolcro,  dove  facendo  fervorosa 
ed  umile  orazione,  insieme  col  pa- 
triarca Dagoberto  o  Diamberto,  pel 
prospero    successo    delle  armi    cri- 


M  A  li  3  I  7 

sliane,  che  si  trovavano  in  procin- 
to di  venire  alle  mani  cogl' infedeli; 
a  line  di  vieppiù  innammare  gli 
spiriti  e  i  cuori  de'  crocesignati  a 
combattere  da  valorosi,  supplicò  il 
Signore  a  volersi  degnare  di  man- 
dare dal  cielo  una  miracolosa  fiam- 
ma, per  mezzo  della  quale  si  ac- 
cendessero le  lampade  estinte  in 
quella  chiesa,  lo  che  con  istupore 
e  meraviglia  essendo  succeduto  a 
vista  d' immenso  popolo  spettatore, 
si  accrebbe  il  credito  della  santità 
del  legato,  e  la  venerazione  Terso 
la  Sede  apostolica  tra  quei  popoli 
orientali.  Però  Alberto  Aquense  nel- 
r  opera,  Gesla  Dei,  parlando  del 
cardinale  non  fa  parola  di  questo 
prodigio,  e  questo  silenzio  ha  mol- 
to peso.  Nel  ritorno  dalla  legazione 
consagrò  nel  1098  l'altare  di  s. 
Ma  mete  martire  nella  chiesa  di  s. 
Cecilia  di  Roma,  e  piamente  morì 
nel  I  io3. 


FINE    DEL      VOLUME    QUADRI GESIMOTERZO. 


^  0  0  U  H  7 


rijn 


BX  841  .n67  1840 

sncR 

Moroni ,  Gaetano, 

1802-1883. 
Dizionario  di  erudizione 

storico-ecclesiastica 
AFK-9455  (awsk)