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^^^■PL.^^1
:"■•' - ■- f-- 1
SCELTA
DI
CURIOSITÀ LETTERARIE
INEMTE 0 RARE
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IL CANTARE
FIOPJO K iilANCIFlORE
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VINCENZA.) (liKS(UNI
Vox-. I.
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IN ROI/MiXA
} ' R Ec?3' • ROM A G NOLI - D A LL* ACO U A
Vi;i l<»sehi IP'. A.
1 SS'J
AL
Prof. ANGELO SOLERTI
OFFRE
PER LE SUE NOZZE
QUESTO RICORDO
L' AMICO
V, C.
24 APRILE 1889
89455
Smosso e ripreso pìù volto, questo
lavoro lìualnionte («(uaiiti amici ac-
compagneranno d'assenso codesUi
avverbio!) comparisce in pubblico.
Pur troppo non comparisce tutto,
perchè, e me ne dolgo assai, non
mi à venuto fatto di condensarlo
in un volume solo; ma U resto
terrà dietro in breve. Intanto qui
ò trattata la questione principale:
ac il rantare di Florio e liianci-
llore sia anteriore al Filocolo del
Boccaccio, «1 quali rapporti (Corrano
fra lt> >Jiie i-tHÌii&u>m ibUlatie <leJÌa
graziosa Itiggvfiiia. )Aa da «{iwstt)
redsziuui aim :^i polevaau !»enm-
paf^nai'Q I« alR-« 'lue, che utub>
-Hiuo ad tMse aJfiiti; la ^^raca ti lu
spafpraola; perno nu acnio ouco-
può nÙDUzbeameiite anche lii <{uh-
sUi. 'AMTat^geiuiu 1 oompiuntlu le
pracadeati dhooittruiaai «li due va-
(Miti ncwcaion. <;tie ha avuti <:iitii-
pii^ui in 'jUBsti coii'.lt'euiu ^tuiii: Huuis
Ostxoff. tnl Ifmil Uausknucht. J&-
T. ho 'iovui: «iciio im
tarhio ^ '{uaJu mi fenou.
L iiUaUi l' accusa <ìì inJnu-
òoabi, » <:oul'e8au i;he « ii»v>nHa
rifiire il laviir<j 1 131 maudlonbiw
ancb» i^uDsU» p^r aUmidir <leirat
trn!). 'llvnrsi ne jarabboni l'onìllo
d Ut ilispiKizuniu. tnaifgitìre la ^n-
brutu. Mu s'impara uu via. a uidìUi
giuftamaotu fii -Ifittn <:hfl olii m-
<KHuimnu iiu Ultra \nm << ^:fau lo m»-
lari! lii chi In compie. D'altra parte,
io ho voluto svolgere (iistesamoiito
uu argomento di che fra noi si
era aolo toccato, argomento non
privo d' importanza ; e , sospinto
dallo scetticismo che su certe mie
conclusioni, già dianzi eiiunciate,
aveva manifestato tui uomo cosi
degno di stima, com'è Adolfo Ga-
spary. mi sono incaponito a cer-
car di vincere i suoi dubbi, re-
cando le maggiori prove, che sa-
pessi, in favor mìo. Ci sarò riu-
scito? Vedremo,
Vivissime grazie al mio maestro.
prof, rio Kajna, per lo molte cure,
di cui mi fu cortese sempre, mas-
sime nella composizione dì ■T'esto
lavoro,
r'aclovu. 2fi mai-w) 18H0.
INDICE
I.
La leggenda di Fiorio e fìianci fiore.
Opinioni su la origino di eana (pp. 1-5).
Sua diffusione europea (pp. 0-15).
II.
La leggenda di F. e B. in Italia. Al-
lusioni ad essa fin dal sec. XIII (pp. 16-
19). Al tempo del Boccaccio corre nella
tradizione orale (pp. 19-20). Redazioni
italiane, nelle quali è svolta (pp. 20-24).
III.
Da quali fonti fu tratta la principale
delle redazioni italiane, il Filocoloì Opi-
nioni vane (pp. 25-32).
Il c»tM« (li P. • a ni U filmlD. U
ovuoM ilt F. & cìUU utl Otrtaonb
bOMtMfMu |)n6 «Mara idaabfieita •!
«■m nwlKT* < pt>. aS-47 >. Praw .
<kU* ^wJi rMkhk eb» il «ntu* fti ««m-
» Uie. d. Ttn. la
tlf. «-£&). 1« itMali Mai tk fatta <|Mte
««fi». • M i|Mti fli rwpili» • fwfchttetB
a l<IMM<iA>r (fy. »-37v U t«9ia * «ih
ÌHn «f- ii^VMh -^ ■
SN>^£-fi5^€/'i>®^4§§^% 6NSs£^^3M§r^c/?)
I.
Florio e Biancifiore sono forse lo
creature più ìntimamente e finamente
poetiche, che ci offrano le antiche
leggende medievali: insieme nascono
il giorno stesso (1), insieme crescono,
(1) Vedi Floire et B lance fior ^ poèmes
du XIII.* siècl© , publiés par M.
tdélesUnd da Mérll^ Paris, 1856, vv.
160-63, 714 nel I. poema; vv. 225-28,
1534 nel II. Per il piii gentile narratore
de' loro casi, Corrado Fleck, essi nascono
anzi e muoiono nell'ora stessa: vedi K.
Flecky Flore und Blanscheflur, edizione
Sommer^ Quedlinburg und Leipzig, 1846,
vv. 590-91, 7894.
fl ai aiuajio, fuJit'.ìulli, cùbI, oIiq nulla
poasft vincaia U loro aiuuiii, aè iiìSe'
ruiiZA ili focit) o ili furtunu, tié vio-
lonza iiil ìusidiu di oppoaiEiooi dome-
Btiche. È una leggi» d' amoi'^ , ebe U
Kovut'ua, un iato, a ouì &' abbaiido-
iiauo ìuoauAoii, e li i-endv, deboti a
wb, pili torti d'orai fioro coatrasto,
s't che olilac la pieU di tanto adbtto
spouga le ire uduticho, si sposino,
vivano boati e pot«ati gran tempo,
p«r awriiv insieme il giom»
come sonu nati (1).
<1) D<*Ua moE'ifl 'iu'aonU'L -trai purlttui»'
BOlu il FlMk « il jiuuiu gruco.
pnru di uwi («oli a. Haraog, Di* >m-
dtn Sdf/tmltniiiit eon t'Ioit tnii
icfufltir, uoti-. OalU G'.-r<na»>a, 1884^
Helt a, |ip. t>5-£6). uia ù pi-ululjUfi ci
U <.'out«iupoi-itn«lU 'IuUa nitirM corr
spuaJcDta IL ijuelU iletla naisoiia, so m
(t sUta ÌQui^iniitu iaiiip-iuJoutuuiuuWi co
irò iiUL'Ui] fho pnuait I' H«rKig, >U' di
pooU, sia Qu ilolo «oUca >> t^niauue -JoUtti
l«ggsiwl«. \'eUiaiiii> >-tM Mti.-hu in ulLi«<
aUiHo irnuiora V incoili
[Iftl'ticollU
L' origine di quesU leggenda è nn
problema, per quanto tormentato, an-
cora non risoluto, come avviene ii più
spesso di problemi siffatti. Fino al Du
Méril parve che culla di essa dovesse
tenersi la Provenza o la Spagna (1),
BtesM Tristano e Isotta {Lai du Chévre-
feuiltf, vedi CoBBtans, Chrest. de f an-
eim fran^ais, Paris. 1884. p. 81); e al-
l'ora stessa Lanzol et e Iblis adì Lame Ut
di Ulrich voii Zatzikhoven (redi Q. Pa-
ris, Étudcs sur tts Rum. de la Tàble
Ronde, Roniaala, X. 476),
(1) Brnns, Rem. und and. Oedichie
in altplattdeulscher Sprache, pag. 222;
Fanriel, Chanis popul de la Grèee mo-
derne, 1, p. XVIII, 0 Hist. de la Poesie
proetntale , III pp. 459-61 ; Ideler ,
G«»ekiehU dtraltfr. nat. Litfratur, p. 91;
tìèFTlnUBjGftwAir/ite der dculschen Dìrhl.
l*. 463 (non posaamo ciUre dalla 5.*edii.
di quesl' op., che manca olle liibl. locali);
Sornmer, Op.cii.. pp. Vll-Vni; Wehrle,
Slume und Weitsblumc, eine Diehtimg
da dreixehnttn lahrhuad^i» iibcrselil
«ini erfeHrf, Freiburg, 1856, pp. XIX-XK,
XXUlBgg.
^H mentre il Sommor, seguito poi dal
^H Wehrie, da tacita grazia di queste H-
^H gtire, die la fautasia populare quasi
^H^ vezzeggiò co» tutte le squisitezze della
^^L predilezione, da quella certa corri-
^^H Bpoudeoza, eh' è tra esse e i fiori,
^^H nella cui stagione si favoleggia la loro
^^H nascita, e da cui traggono il nome,
^^H dalla loro bellezza incomparabile, dalla
^^M precoce vivacità del loro spirito, da
^^B tutto insomma si sentiva anche in-
^^V dotto a scorgere intime analogie tra i
^^B due fanciulli amanti o gli esseri pii'i
^^H leggiadri e luminosi della mitologia
^^M germanica, le elfe (1). A ben altra
^^M fonte ricondusse invece, poco più tardi,
^^M la nostra storia d' amore il Du Méril,
^H ricollegandola a quel genere di ro-
^H manzi erotici fioriti in Grecia dai pri-
^^M mi secoli cristiani, in cui l'amore
^^M trasformato dalla nuova fede non fu
^^M più accensione efimera dei sensi, ma
^H (1) Sommer, Op. rii.. i>ag. XXXI;
^H Wehrie, Op. cit., pp, XLII sgg.
aspirazione superiore, e la donna, eie-
Tata al livello dell' uomo, divenne sua
unica e costante compagna , l' essere
armonico, io cui egli s'integrò (1).
Ma quale che sia stata la genesi
remota del racconto, ci basti ora dire,
ch'esso fu sommamente caro ai po-
poli d' Europa (2).
(1) Da Merli, Op. cit., pp. C sgg.
Velli ()Uie B. ZuDIÌllnl, I! Fiìor.opo del
Buctaccio. Firenze, 1S79. pp. 5 Bgg.
(2) Vedi Sommer, Op. di., pp. VIl-
XXV; Da MérU, Up. eii, pp. v-iixiix;
Sobwslbacll, Die Verbreitung àer Sag«
non FI. urtd Bl. in der europ. Lit. , Kro-
toschin nnd Oeti-owo, 1800 ( quasi pede-
8tr» riproduiione dello studio del Dn
M^ril); H. Heraog, Op. di., pp. 2-16;
E< HBDsbtiecht, Floris and Blaumhe-
flur, mitteìeniiliiiches Gedickt aus detti
13. lakrhunderi nebst Uitei'ariteher Un-
tertuahung und einem Abriti ùber die
Verbreitung der Sage in der europSischen
Litteralur, Berlin, 1885, pp. 4-88. Poi-
ché gli outori citati lianno trattato asaai
Urgarnente delle rediuioni diverso dalla
Intorno forse il 1160, o poco primo,
elaboro la nostra legenda un ignoto
troverò francese; ma di questa an-
tica rodaiione restò solo il riflesso
ne' frararaenti di un poema baasore-
nano composto circa il 1170 (1). E
cosi piacque in Francia la storia gra-
ziosa de' due fanciulli amanti, cbe i
poeti del paese vollero collegarla alla
grande epopea nazionale, ìmaginando
leggenda di Fiorio diffuaasì presso che
ìu tutta le Idttariiture europee, io debbo
limitarmi, in questa rapida introduzione
ul mio lavoro spedale, a brevissimi conni.
(1) Questi frammenti (Floyris, Trieror
Brucbstiicke) Tennero trovati dallo SellB-
mann e fiitti conoscere dallo Stelnineyer
nella ZeiUchrift fur deuUehes Allerilium,
XXI, 307 ggg. Vedi poi K. Bartseb,
Naehtrdge lum Floj/rii, nella Gitr^auia
XXVI, 04-65. Cfr, A. Blrch-HirschfeW,
VfÒBT die de» Proven^. Troubad. det
XII und XJII lahrhunderls bekanttten
episehen Stoffe, Leipsig, 1878, p, 33; H.
Herwgr, Op. ci';., p. IS; Hausbnecbt,
Op. eit., pp. 4-5, S-tì, 9-ly.
ctio di Bianciiìi
grans piifs, sposa di Pipino , madre
(li Carlomagno (l). Né aolamente ]a
poesia narrativa celebrò i piccoli croi,
n anche la lirica, come si vede dalla
romanza, che svulgt^ il tciUa «lei la-
mento di Fiori», ohe tornato in casa
il ptulrc, dopo molta loiitananita , per
rivedere l'amica, dalla quale non pud
mere diviso, apprendo invece che ella
tf morta (2), Probabilmente nella ro-
ti) Floire tt Blancefim; eilii. Dn Mè-
rli» f. poema, w. 7-12:
Cuu eat àa roi Floire l'enfant
Bt de Bknceflor la vaillant,
De qui Berte aa-gi'aus-piòs fa née;
Puis fa ea Franca coronaéa.
Iterte fu mere Charteniaine,
Qui puis tint et Francc et le Maine.
Vedi Sommer, Op. ni. , pp, XXV sgg. ;
Stm Mèrli f Oji. cit.. pp, svìj-ivìij; tì.
Paria, B'aloire po-ftique de Charlema-
I gru, p. 128, n. 4 ; Hangfcneeht, Op. cit. ,
(2) BartMh, Alifmn
Ttn und Paslonrel/rn, \
ùsiwhen R"tiiii
maiiKa noi abbiamo una reliquia dell(>
estrinsecazioni liriche varie dtjllo stes-
so motivo, e d'altri, che per avven-
tura abbia offerto ÌI racconto di Fio-
rio e Bianoifiore. Contomporanea a
questa rimane un' altra testimonianza
della diffusione, cb' ebbe in Francia
il racconto medesimo, nell' accenno,
che se no trova fatto in un' antica
albata (1). Dobbiamo credere pertanto
che i due poemi su Fiorlo a noi ri-
masti, composti nel secolo successivo,
Xin (3), GÌeno stati preceduti e ac-
(1) Quest'alba è nel cod. atesao, spet-
tante al sec. Xli, che contieue la. ro-
manza testé citala. Vedi Da Kérll, Oji.
<■(■(,, p. XIV. Lefgi l'alba iu Bartsoh,
Chrest. de l' ancien /rancaw*. coli. 245-
248. Un' altra menzione di Bisncifiore,
posteriore perft d'un secolo, troviamo nel
FcAliau de la VieìUte: vedi Un Héril,
Op. cit., p. xiij.
(S) Sono quelli, che abbiamo citati,
editi dal Dn Sérll. 11 primo di essi era
sialo già pubblinilo nel \6i4 da Ema*
ceinpagaati da a
tradiiiome, e da ■& ÌMmn ìaBtmmÉe
della fantasia popoUre e livnuiu
suUa leggenda, dcfla q«
aero oertamcfilA attn
andarono smanite, an
aibilfflentre kr proesdatfl da tme (1).
Miei* Bdker {flarv «m
aUfranj. roman. nafh dtr
abtehrift der Pararr ha-ndaUtrift ic
htrauageg. c<>n !■■, Btfcker* B
lUdiner, ISU).
(1) Che 1-aulon M llnnA» !■
nano tMm Indotto Maa fMte fri
oppanaee cb
tna da'nomi degli eroi, AlsMbqhMr, iRoy-
W*. V«di BiTtfc-BinefeMd, £^ e Ar.
ei'f. Ora, 4 prabatrile dw la fpMa ba»-
o«M da lai adoiMma Cu^ aaa radnfaaa
piti aalìcà ditena daUe dae. eW d Ito-
roiM eooMmlfc VeA MaukaMfet^ 0|p^
àt., p. IO. CcMi aa utioo poata tcdaca^
fiorito nel ncolo XIl, Ulriea *«i Gaim-
bnrg, cbe airceana bIU naiOa I>gi(eada,
L
Oost avveniva sempre; una data
leggenda si propagava per trasmis-
Dominaudo l'eroina Planschi/lùr, adom-
bra Seneca dubbio un orìgiaale fi'ancese,
perche la forma tedesca è rìdetso dì
Bianche fior: ctr. Soinmert Op. cit., pp.
XI-XII; Dn Mèrli, Op. r.f., p. xxviy;
Blrch-HIrBohfeld, loe. di. Il Fleck di-
cliiara di avere tradotto dal fraucese
(vedi yv. 142-45); la stessa dichiarazione
ripete poco appresso l'autore della reda-
ìiione olaiideae, Didenc van Aasenede. E
■ì noti che ambedue, niBnifQgtainente, eb-
bero innanzi un modello francese, che
non 8Ì può identificare nÈ all'uno né al-
l' altro dei poemi arrivali sino a noi
(HauBkaeoht, Op. cit., pp. 10-11). AJ-
treitauto d da dire della poesia bosso-
teilesca lu Fiorìo, e, con anche maggior
ragione, dtjle rodazionì toandìna^e (ibid.
pp. 12. SO-Sl ). Tutte «luesto vei-aiouì ri-
specchiano rìmanaggismeati vari della
primitiva forma, irbe assunse la leggenda,
affini al pi'iino de' poemi pubblicati dal
Da Ktfrn. Anche in Italia fu certo i-o-
nnariuta ed «laborata una fonl« franceae:
orale, eil un poeta la elabo-
rava: dalla prima elaborazione altre,
forse indipendentemente, ae ne for-
mavaDo, e da questo altre ancora. Sì
tratta anche qui del sema gettato in
terreno fertile: il seme diventa al-
bero, da questo vengono nuovi semi,
che a loro volta producono altre
piante, si cho cresce s ai addensa la
foresta. Ma anche sulla foresta dello
leggenda scoppia il turbine, e si pro-
pagano pure in essa gì' incendi : de'
molti alberi restano pochi tronchi so-
litari. È da dire per questo che fu
anzi gran ventura, se delle redazioni
francesi della storia di Florio ce ne
rimasero due.
Pure nella lirica de' trovatori oc-
citanici occorrono allusioni antiche ,
del secolo XII, alla nostra favola, Co-
vedi la mia recensione dello studio citato
di R. Herzo; nel Gioiti, stoi-ico della
Ittt. Hai., IV, pp. 241 Bgg, Cosi pure in
ìipagaiì, <
tcato, la leggenda dovette dapprincipio
penetrare d'oltre Pirenei.
1*ft. K -nuMmnnMr J'ttm-
13
Ne basta: che da una delle roda-
iiioni popolari, le quali, tmtte dal Fi-
locoto o dal poema del Flpck, si sono
sparse in Germania (1), venne un ruc-
corIo czeco (2); onde vediamo che la
leggenda, quasi non paga del dominio
ampllsei
latin i e
ano dei
Con
imo guadagnalo ne' paesi r
germanici, ei stese anche in
territori alavi.
uguale facìlitiì eesa corse il
d' Europa, da! Portogallo
alla Grecia. I trovatori portoghesi ri-
cordano come i loro maestri, i pro-
nmuli, la celebre coppia dc'noslri
e attestano cosi, che nel loro
la leggenda fu conosciuta fino
XIII (3). Al qual tempo
cii-, pp. 13-U.
DelU «toria di
% Germania e' •?bbe pure una re-
dazione obreo-tetlusna: vedi Haasknecht,
Op. di., pp. 19-20,
(3) Dlei, l'eber die trsle flirt. A'unjf-
KiKf Uofpoesic, p. 81 ; Th. Braga» Ma-
Hual da Hiitùria da Litteratum portu-
14
risala' puri- la mniizioop pin antica,
dir BP ne sappi* fatta da ecrìttorì
BpBpnDoli. IiS Gran ronquista de 11-
tramar nomhuindd B^rta, la s|>n«a di
re Pipino, «irvflrtr cho ossa fii fi-
pila é\ Viaria e KaacifiarB. < \m ara-
nko enamnmdc* de qne va cittee bt-
Nar » {\\ I) cIm- basta, erada, a iim>-
fftnuvì oIm poFF lAa ^len 1* *»-
tàìa frena 4«*i
0> IMi «Ik AMT
Kt» «^ «Ni. |i«. ksxi«; ■a»fc»Mk^
15
t'anni pirt tardi in un terzo antere spa-
gDualo(l), Ma una ■«dazione casti^Uana
' della nostra favola non s' incontra gg
non nel cinquecento: voglio alludere al
romanzo di Flores ;/ Blanca/tor, del
quale dirò largamente più innanzi.
La leggenda passò a fiorire anclic
sotta il nostro cielo, ma della fortuna.
ch'ebbe in Italia, toccherò qui appres-
so. Frattanto chiuderò queste rapide
nota suir ampia dilTusionc di essa col
rammentare il poemetto che un ignoto
autore scrisse nel secolo XIV in Gre-
cia (2), propagando per tal modo pure
nell'Oriente una favola, che era or-
mai famosa per tutta Europa da set-
tentrione a mezzogiorno.
(1) Francisco Ynperial {Caacìonero rlf
Batna, p. 204). Vedi D» Mèrli, Op. eil..
p. lUTiij.
(2) Vedi Ch. Gldel, ÈUides sw la !ii-
térature greeq-ue moderne. Imifalions en
grec de nos romana de chcoalerie depuin
le XII siéele. Paria, 1866, pp. 231-835;
B. Nicolai, Geachkhle der neugriechis-
ehen LUemtur, Leipzig, 1876, p. 78.
liÉMIIIIIMhUJMt ^^>k -V I
Tommasino de' Cerutiiari . sorittoro
italiano dì aa poema tedesco, il Wàl-
sche Gasi, composto nel 1216, con-
figlia alle- fanciulle dì leggere, cun
quello di Andromaca, di Enida, di
Penelope, di Euone, di Galiana, dt
Sordamor, Is storia di BiauciUore (1).
C era dunque di sicuro in princìpio
del dugento un italiano (e oc n' eran
probabilmentt! non poulii altri ) che
conosceva questa storia.
Danle ria itaiam, Ravmua, 1882; F.
NoTstl, Dank di Maiano al Adolfo Bor-
gogìwni, Ancona, 1883; L. Volpe Klno-
Upoll, Di Dante da Maìano e di una
rtcenlt monoifrafia del prof. Sorpogiioni,
Napoli, 1883; M., Appendire al Dante
da Maiano; Id. Atifui-a di Dante da Ma-
ìano (foglietto); A. Borgognoal, La Qui-
itione MaianesfXi o Datile da Aùiiaiw .
Cittì di Castello, 188r..
(1) tìerilnUB , Oóschichie dm- dtn-
tfclien Dichlung, 1', 430-31 ; A. €!r«f ,
Appuntì per la atoria del eìeh brettone
m Italia, Giora. et. dolU Lett it., V,
lia-13.
Ed ecco chu più avanti le teeiimo-
nianzs ci ei £aaDu anche meglio esplì-
dte. Il poeta della Intellìgenxa ìma-
^DB, che, insieme a quelle di molti
amanti delle favole classiche e medie-
vali, sicno intagliate suUe pareti di
una fra le splendidiesime aule del pa-
lazzo della Bua donna allegorica !■■
fig^e di Fioro e Blartzifiore :
R non follio chi fu lo 'ntagUadore
La bella Analida e lo boQD Ivmio;
Evi "ntaeliato Fiore e BUnzifinre,
E la bella Isaotta blauzesmano ecc. (1)
Un altro antico poeta, celebrando i
pregi dt'ir amata, afferma;
Né Blaniiflor uè isaotta [o] Morgana
Non elier quanto voi di [liaciinento (2).
(l) St- 75, edi». Gellrìch.
(S) D. Comparettl e À. IPAacou,
Le anticìu Rime volgari secondo la U*.
del eod. vai. 3793. IV. p. 68. Per tro-
vare in questt) cod. il sonetti) non puA
esBere che del Ber. Xlll. o, tutt'al più,
•lei primi anni del XIV,
\9
Ed un altro ancora, che si dipinge
martire d'amore, a^cura
i^e non portò mai tante peu» Florio
quando colai tanto aria in moraorìa
li fn venduta per moneta orta (t).
Inoltre dal Filocolo del Boccaccio
apparisce che di Fiorìo e Biancìfiore
favoleggiava il volgo , ai novellava
nelle (gioconde brigate ohe discorreano
M diporto la divina campagna presso
Napoli, e fino in più pacati convegni,
quale doveva esser quello, in cui raea-
ser Giovanni presso le bene dottine
della chiesa dell'Arcangelo Michele a
Bajano incontrò la seconda volta Maria
d'Aqnino, e n'ebbe invito di comporre
il suo primo romanzo (2).
(1) T> Casini, Rime inedite dei secoli
Xni e Xrv nel Pivpugnatore, Nov.-Die.
1683, p. 340. Trascrìtto nel cod. maglia-
bechinno, di sul quale lo pubblica il C,
ne' primi anni del trecento, il sonetto qui
sopra citato può tenersi composto nel
MC. XIII.
(2) Vedi ZUMblnl, op, cit, p. 15; e
i miei Diui iludi riffuardanli opere mi~
non <ki Boccaccio, Padova. 1882, p, 9.
20
La celebrità della nostra leggenda
si riflette pure in un luogo deW Amo-
rosa vìstonCy ove gli eroi di essa pre-
sentansi nel trionfo d'amore, fra Di-
done e Lancilotto:
Appresso questa (Didono) al mio parar vedea
Tanto contenti Florio e Biancofiore
Quantunque più ciascuno esser pote;i;
Tutto il lor trapassato dolore
V*era dipinto degno di memoria
Pensando al lor perfettissimo amore (1).
Questo per la tradizione orale: quan-
to a composizioni scritte svolgenti la
(1). Gap. XXIX. Biancifiore è i*ecata a
paragone di bellezza , fra altri famosi
esempi , anche in un rispetto , eh' è a p.
."iO, num. 37, delle CantUriie e ballate ecc.
pubbl. dal Carducci (ctV. B. Wlese, A/-
cuìie osservai, alle Canti/, e Ball. piMl.
da G. Carducci, Giorn. St. della lett it
II. 123). Non abbiamo citato il rispetto nel
testo, perchè costituisce una testimonianza
piuttosto tarda: il in.*, magliabechiano-
Btrozz. CI. VII. 1040, in cui si trova, è
della fine del XIV sec. o del principio
del XV.
storia dì Fiopio, l'Italia, so non le obi»!
del valore d?' poemetti francesi e del
poema altotedesco del Fleck, non ne
fu almeuo piiva. Ancor prioia d«I
Fiiocoìo, intomo Florio e Biancifior»
si leggeva una canzone, come prova
un luogo del Corbaccio, nel quale alla
vedova, che v' è sì crudamente tortu-
rata, si b, tra molti altri, por questo
rimprovero; « le sue orazioni e pa-
ternostri sono i romanzi franceschì e
le canzoni latine : ne' quali ella legge
di Lftncelotto e di Ginevra
Lt^e la canzone dello indovinello e
quella di Florio e di Biancofiore e
simili cose assai (1) >. Quosta canzone
(1) Cortmeio. ed'a. Sonzogno di Op. Mi-
Qori del Boctu, KliUiio, ÌS79, pp. DflS-S.
Eneodo il Corhafrio posteriore al Filo-
eolo può aorger« il dubbio che la am-
»tme non sU stata un rirm^imeDlo del-
l'opera boccjLcrescji , ma. un tal dnbUo
fu gik tolto con argomeDlazioDÌ conviii'
centìmime dallo Znmblal fop. dt. p. IT
n. I.) e ilftl Soerllns (Bofforeio '$ Ltben
umd Werhe, p. 497).
82
'ed II oaDtare, che da noi vien pab-
blieat», delibono tenersi, come vedremo,
una sola cosa.
Olti-e alla canzone o cantare, uu
altri) poemetto italiano uarrù Ut nostra
l«ggi*ndu, quello che siili' <i»i ore rf»
Florio rt di Bianvo/iorf mando in-
nanzi, ma non ridussi' a compimento
LodoTÌoo I>olce (I). Dì cjue^to [ieri
(1) Ftt ini|>r««M in Vinojtta per M,
BeAurdinu ila Vitali Vonitiano, nell'uino
M.D.XKXII. È preveduto da boa lettet»
dedicatoria « al Magnifico et Nohiliniiiio
Man^r Ptiilippo Contariiii , GentìUtaomo
venìtìsao- > L'aniora in «jucata dedìo-
torìa diic«, che, (porine. per fradìna aUs
ma donna, oelVetà degli affaiiiiì amorov,
compose codeste Statue, < opera per in-
aaui, p^ molti auiii dal Boci;ai?'.-ìi> adi*
caiitUde et ornate sue prose difusantesht
dmcKtta, ma per troppa Inagbena rìn-
cpDace*ole, et vie più fon» «die legenli
giovani fastiiiioea, t^he di diletti): n cvma
quella e ' ha ìa sé più tosto tona et stile
delta Romana Ci*«Ua che della volgari!.
Per il 'he lei In molte parti feci luìnoru
S6
quando egli serÌTeTa» agli studio». Il
Pu Méril poi vede tra il Fiìocolo e
le due redazioni troveriche manifeste
corrispondenze^ ma ritiene che il Boc-
caccio abbia attinto pure ad altre
fonti. Forse la tonte primitiTa delia
tradixiotte era a lui tornata anche ana
▼olta dall\>rtettte : anzi sriuiiica Tem-
dito firanc^ee che si debba tener conto
di quanto adferma il Boccaccio stesso
nella chiusa del Fffocoto^ che. cioè,
questo romanzo tu tolto dal racconto
di Ilario^ un prete ateniese (iK
Ma delle argomentazioni e della o-
piuioue del Du Méril non fece caso
un altro dotto d' oltp' ^Vlpi, il Le Clerc,
che seguito « come se quegli neppure
avesse mai scritto^ a bandire dogma*
ticameute che nel suo primo romanzo
il Boccaccio tu non altro che un tiaoco
imitatAjre dì truveri francesi (2). Sì
(l) Op. irtt, pp. Ixix-lxTJ, clxxix, .^Ixxay.
{2) Hùft, Litk dt /a /^'roHCtr. XXJIL ìJl;
WIV, 5$l.
corsi, tàC esèie sotto state fonti del
Fiìocoh (l).
Se non chf, io compenso, olla con-
gettura Jol llu Mi'rii Tenne un forte
aiuto dagli stuilì dì un altro chiaro
Bcriltorc, dolio Zombiui , cho procurò
di rendere anche meglio evidente la
grecita originaria della leggenda di
Fiorio 6 del Fiìocoh: ma, insieme,
con felico indagine, ud una ^~& nota
agpunsM testiiuonianxe nuove delta
diAl8Ìon« di' ebbe U Ic^renda tra noi
prin» della oampoeinoBe d«l romamo'
(l)ttJ
li!^«B. it di e &atoaa-Tnvarn, p. 143.
Il ÌMltll. dsl K«a, tron cka il Boc-
Moci> asa Al ìbìIéUm podisM^iw: ebe.
aa'MngoK «pùodi, n^ ora t'ana or»
r altra doli* mrsQui (notasi Ja Clt sup-
pcMm ufae tu abbia ooaoKCÌitti> Catl«lDe,
appuro tuu tona ora smarrita, permet-
ludOH a pÙKW ma dì a|es>«ii««cia e di
nrÌMN, * dì atul>T« lUKwa il rarstkira
e««aUor«iMt mvilinala ifeUe &iati o ifeda
butto Dell' astku pagaaii.
KW. CHM «onfa- 1 Zmùm^ 4
ti ai mT jlm niti^ "3^ '■!
l«eio, ma pervenuto al Boccaccia in
aa ri maneggi amento italiano, o per co-
muQÌcazioDi> orale Hi alcun amico (1).
Il Gaspary invece sì volle accostare
a' BOetenitori dell' opinione contraria ,
e couchiuse un suo studio notando:
« che .... unica font« del Boccaccio
BÌeno Etate lo due versioni francesi
coaservata, non è sicuro; ma non è
stato pi-ovato finora che non lo sia-
no > (2).
Poco appresso, chi scrìve questo
pagine, offrendo un sn^o di sue ri-
cerche sul soletto, affermava resul-
targli che il cantare dì Piorio e Bian-
cofiore apparisce anteriore al Filocolo;
lo dimostrava indipendente' da questo,
e terminava esprimendo l'opinione che
ambedue sieno derivati da una reda-
doae italiana pia larga e piena della
(1) Boec. L. u. W. pp. 497-99.
(2) /( poema italiano tli Florio e Bian-
cofiore , nel G iom. di FU. Romania ,
IV. 7.
leggenda; che quindi non foccia me-
stieri cercare le fonti del Filocolo ne'
poemi francesi o in problematici ro-
manzi greci (1). Cobi si raffermava la
congettura, cui era pervenuto per al-
tre prove non molto prima il Novali,
che aveva pensato fosse il Filocolo
da ricondurre ad una narrazione ita-
liana, 0, più Ètcilmente. latina, ma i-
taliana d'origine (3).
Anche ad un altro studioso, 1' Her-
zog, che venne posto sa questa via
dalle osservazioni dello Zumbini e
pel Koerting, parve che il Boccaccio
abbia potuto trovare le fonti varie
del romanzo uè' racconti su Fiorìo,
che, orali e scritti, correvano in Ita-
lia (3), Da ultimo 1' Hausknecht ai
(1) Due lindi cit, pp. 7-36.
(2) Sulla eompoiiiione del Filoroh, dcI
Giom. di FU. Rom.. IK. fti-65.
(3) Op. tì(. pp. 6-7. L'Eenmg conobbe
tardi il nostro studio, ma poti teoemi!
conto in un'aggisnta al suo dotto lavoro;
vedi p. 91.
32
giovò dei nostro scritto sopra accen-
nato , e accolse la nostra conclu-
sione (1).
Il problema però non ci sembra af-
fatto risoluto (2); onde qui, serena-
mente, senza cedere all'amore di alcun
preconcetto, vogliamo ritentarlo.
IV.
Vedemmo che il Boccaccio non fu
primo in Italia a conoscere la leggenda
di Florio, che già da meglio che un
secolo poeti nostri citavano con altre
delle più famose nel medioevo, e che
al tempo suo , ma prima eh* egli si
accingesse a comporre il Filocolo,
correva , largamente diffusa , sulle
bocche dei nostri volghi: vedemmo
pure eh' ei non fu primo a scriverne,
(1) Op. cit, pp. 21 8gg.
(2) Vedi in proposito Englische Studt'en^
IX, 93-94, ove sono talune buone osserva-
zioni del K51blng.
[ perdlè, come ai deduce da un iuo^o
I dd QtrUuKio. d suo romanzo prece-
I detto ttna canionf di Florio e Bian-
cifiore.
Ora, e giuato chiedere : col tn'mine
ramane. U Boccaccio toUo adom-
hram UD ctimponiiuento lirico, simile,
por esempio, alla romanza fraucese
del secolo XII già rammentata, o svol-
ante un episodio della leggenda , o
si riferì ad una vera composizione
KKiTatìra in versi, ad un cantare? Si
pad erodere, in altre parole , che la
ransùne citali nel Corbaccio fosse
tntt' una cosa col cantare, di che noi
ci Decapiamo?
Questa domanda trae necessaria-
mentd a farne un'altra: alla voc>>
eansone e lecito attrìhoire il secondo
ai^nlflcato, che l'ipotesi vorrebbe?
Certamente: e poBsiamo tosto citare
a favor nostro duo eeompi ellìcacìs-
IsìmL Vedasi infitti come Dante dica
ivmrONi" ii suo Inferno:
^ r ■—
Itiuvo il«l nuatru sorittn sopra accon-
iinli), i' (tucuLstt U noetrB codcIu-
aioD« (1).
Il probloma perA uoii d timbra af-
, fkttu rÌDolutu (3); onde qui, s«ivna-
moalis ««DU cedt>i-tf nll'amure di alcun
pr9«>ii(«ttv , vogtùuDO rìteatarlt),
IV.
YaJvtttuw clw* il Hoeviicciii i
fi-iaut in Itttba n coat>scere ia ìe
di KÌM-i(\ cito già da nutgliii i
ievolv [>ooti uk'sU'i uitavaoo eoa ■
(loUu I^U ÒUlMM Ufi tBudilWYQi ttij
•1 teanp» suo. ma pciaa ek'^ «i
«Mitigsos» a oodipurre l1 FrAvofo,
owwva, lACgwuwM» tfidfasa.. mlfe
bvcoJw dui aoetn vutghi; vodoum»
par* ok' <M KM Al primo a serivonab
(;H| X4ttl ìli pripvtiUt Kng'ite/» jitnAn.
woai <l»l KNUmI..
del teeoh XS p» v
ai rifert *4 MB <
nsmliTB >a reni, me ^ ««■•»«■/ i
■In al Stilili t'iiiHd ( tlui) uomi av«9sero
l«litutIlRH |{iuiiU'ÌM <li «ifcnidcato, « si
o>wf»n4m— w >ii un vulort* lutriitto
Boeeaccia um pocu sopra, nel ìaogo
)t«B«u, «ti cui ai tien disounso. Dt
■an^mttm f. AiUt flvÈtMwi * ; MA «Uo
A ■Min l'wifBi-M.- dha «f mttimlm im^
MM >MM tWg '111 ««I«4MJI ^Kff
Jn« jtto — ngà Jt UWW» WiriB pMM
■»■»■< ot. 11. ^ :«»:
Qie tutta l'oitta e 1 itaao, Ab iato
Oli k aempre; romo n daaeaa Latma,
e lolle e prende l'oiivr tatto;
rome Dante, Jnf. XXVIL 26-?! (lerm
ilocma = lu&ii), 33; XXIX. 88. 91; f
XI, 58. latini gli luliud. e /ii^Mi £i-
(niormn 1' iuliano dice «?DtiiiiMiBCBt«
Dante stesM nel De Vnlf. Elo^iuo; am-
tre il BoecMd* dengn* U nwtj* lis-
giut «OD la esprcnODV Ialino votpart. cbe
«n stalA però omU siM-.h« da Dante fDt
Vittff. El. L. L e. XiX). volpar taiéo
(DedicatorU a PiunmMl» ddU ToWilr.
GoruriKl, Le leti. té. e mtd. éi M.
Giof. Bore., p. 3; e Taeide. XII. »ty
Vedi ancora Veeomemn. V, 2; e P«-
trarea, Trùmfo d'Amort, cap. Il:
Ed egli al suoD
Altri eaeni|tì d danno bUmo per «l>-
/Wmw in reljuifiiie a fntneato ffi-anetM),
cotn« nel pavo ^1 Curbarno. Cori ìa ■■
■onetto atirìboitu ■ C«ee« àasMIeri
V«tt yMT ^WM Mk. Mite «MfK :«.
'<tA fitfe. A, L at — Sii Mi Lm-
i«ft U.U. j& X I-U K . Ii«p: « »
litak ito» t» «Md> k» oMf^ p«^ te
>kfc«>MV<M» ■ik ■■■•■
41
(lice schiettu che debboDo stow «nto
uà sostaozìale rapporto. £■« «oa»
i cantari, i poemi in ttìmn tim, eh»
si rìcantavuo nDe pinac, e ■ hf-
mento popolare lascua idU MMcti»
Alpi o a' oltre Po.
Si noti poi eke a BeetMOB fOM»
la canzone dell' UòimmeÙo: ««a. « ^
avrertjre che por ddrbdnMdk. t
M mte, Boks» laa, cak. *•».
iiuid. e iw«, pp. xy B xxnr. •. T.&
iooUn il GiMon dc-GMian. «Ik. blH»
ztitKhriH fio- rom^ pk. U- aa. s». m.
1. 7.:
PortBM nooTC. /hw>K*r < iMMf.
E amWlette Art ^M fa«L
Por ^mrnti «kÌ* p* artii*. MT.»
ua.MdiKn«t«vl, k»iL»t^ U^tt
Il 1010.
1
un cantare cho ci rceta (1). Jiù solo
qui il Boccaccio accenna a cantari,
(1) Pu pabblicato in soli 12 eeempkrì
dallo Zambrlnl: Lo Indotinelh — no-
vella antica — in ottava rima — non
mai fin qui BUmpaU — Bologna — Tipi
Fava e Oaragnani — 1861. SotUi il ti-
tolo Noeella della fii/lìuula del mercatante
trovoai questo cautui'e pur nel libro Quat-
tro novelle «ecfe, Cosmopoli, MDCCCLXV
(volumetto in 16°, l'V-72, stampato a Bru-
xelle», Imp. de I. H. Briard, rue dee Mì-
uimes, 51, a 100 esemplai'! , per cura di
una rianìone dì bibliofili), ove, nella
HTvertenKa preliminare , sì indicano di
esso due antiche stampe, una di Firenze
verso il 1495, registrata dal Libri, l'ul-
tra senia data e luogo. Lo Zambrlnl dun-
que g' era ingannato stimandosene il pri-
mo editore; ma nelle Opere r^lg. a stampa
MP. Bologna, 1866. egli congetturò l'i-
dentità del cantare da esso pubblicato alla
nocella della figlia del mercatante. Bon
a ragione lo Zambrlnl avverti che l'/ti-
dovinelto richiama a memoria la XXX
novella del Decameron: si pu6 aniti ag-
r.i
ma anche poco più aopra, ove, attri-
buendo alla vedova la millanterJa
< che se uomo stata fosse, l'arebbo
dato il cuore d'avanzar di fortezza
non che Marcobello , ma il bel Ghe-
rardino, che combatte con l'orsa (1)»,
volle alladen? appunto al Cantare del
bel Gherardfno (2); mentre non u
improbabile, che, alcune parole prima,
nominando Febus, egli si sia riferito
al poema di Febusso n Breusso (3).
Possiamo addurre ancora altri ur-
gementi a sostegno della nostra opi-
giuDgerlo sUe noveUo, che il Landau
rsnimenlu (Dit Qu«tlen des Dekaineron*,
162), indicando le fonti del racconto Uoc-
cuccesFo. Vedi sullo attìMo Indovinello:
F. Selml, op. pit., ini. 575-76.
(S) Corbacào, ài. ediz. p. 299.
(3) Vedilo, pubbl. dallo Zftmlirlnl, in
questa Seeltn di mriosild lett/^arie, Dia]>.
LXXIX. Bologna, 1867.
(4) U Febunso e Brtm»<i. Poema ora
per la prima volta pubblicato. — Firou-
M, nella tip. Plutti, 1847.
tiione. Lft vedova lasciva legge, ben
s' ftvrcrta , ì romanzi fraaceschi e
le cannoni latine, come pure la can-
zone dell' Indovinello o quella di Fio-
rio. Queste canzoni non potevano
essere dunque brevi composizioni li-
riche, Be erano da leggere quanto
i romanzi francesi: nò dentro il giro
ungiisto di una lirica si sarebbe
contenuta la storia di Florio e Bian-
cifiore , la quale invece più accon-
ciamente poteva distendersi nell' am-
pio metro proprio de" cantari , l' ot-
tam rima.
E poi non si sa che queste stono
romanzesche si siano svolte nella li-
rica: si sa invece che si svolsero
ne' cantari. Qui si vuol dire, insomma,
che la vedova si ritraeva non giA,
come dava a credere, a sgranare il
rosario, ma a leggero romanzi e no-
velle d* amore o di cavalleria (1).
(t) Della finta devo/ione ilelle dunau,
in altra forma, muove laineutu anche il
FrooIi
•15
Anch' t!Bsa delirava dietro <t quui che
le carte empion di sogni » , e divo-
rava oltre 1 propri testi, cho di co-
storo trattavano, ancora riproduzioni
popolari delle storio romanzesche .
che fiorivano tra noi.
Ma le letture oh' ella cercava non
erano soltanto frivole; si erano un-
ohe oscene: « ella tutta ai stritola
quando legge, Lancclotto, o Tristano,
o alcuno altro con le loro donne nelle
camere segretamente e soli raunarsi :
l quale par vedere
E dono d' adorar mold «embiaDti,
Ma quando in Rhiesa ai ti'oran di piano
Poco ragionan di Dio e di Santi;
Ma: t le galline mìe non buccan grano: •
Dolgonsi delle balie e delle fanti,
E qual dice: < cosi mi fé la gatta: >
G quest' è l' orazion eh' è da lor fatta.
Vedi Contnuio delle Donna, pubbl. dnl
VAncona nel Pfopufinainrn , voi. II.,
1'. II., 43fl, St LXXIV.
ciò che fanno, u che volentieri, come
di loro immagina, così farebbe, ar-
vegnachè ella faccia sì, che di dò
oorta voglia sostiene >, Ora, il can-
tare di Fiorìo e Biancicore 6 osceno?
Non lo possiamo mettere a paro con
la novella dell' lodovinello; ma certo
esBo contiene due episodi, cbe alla
vedova dovevano specialmente gra-
dire: quello, noi quale due fanciulle
procaci, per invito dello zio di Florio,
tentano distrarre costui dal pensiero
dell' amica sua, mostrandogli ciascuna
il suo bel petto bianco, prezioso, e
le mammelle; l'altro, in cui, dopo
lunga e dolorosa separazione, ì due
giovani ritrovansi, quasi per mira-
colo, nella torre dell'ammiraglio, e
s'abbandonano alle amorose ebbrezze.
È inoltre da por mente al fatto
che questa nostra favola non ebbe le
simpatie de' gelosi custodi della mo-
ralo: il 16 aprile 1621 la colpi, con
iillre opero simili, un oditto di cen-
I
sarà del vescovo d'Anversa (1); r
Lodovico Vives, il secolo [irocedente,
l'aveva compresa tra ì libri più fa-
voriti < qiios oranos conscripseruiit.
Iiominas otiosì, male feriali, imperiti,
vitUsque ac spurcitiae dediti; in queis
miror quid delectet, nisi tam Dobis
Qagitia blanilirentur (2) >,
No» ci paro dunque che alla nostra
ipotesi si opponfrano difficoltà gl'avi ;
ma cho il pooraeltti sìa stato com-
posto innanzi il Filocolo ci si fa
manifesto ancho per vie più dirotte.
Abbiamo acceanato in altro luogo
cho prove chiare di ciò escono dal-
l' esame di un antico maDoscritto
contenente il cantare (3): qui torna
necessario ohe questo osarne si faccia.
(1) VsJi Do MórU, op. eit, p. ;x1t, n.
(2) De Christiana femina , 1. I ( da Dn
Mèrli, op, cit., p. iliv, n. 4).
(3) Ihie Studi rit,, pp. H-15. Vedi an-
che F. Selml, op. rit-, pp, 276-70, .lei
quale, B dire il vero, quando scrìasì la
prima TolU su questo «oggetto, non m'ero
accorto.
18
Il coil. Magliabechkiio CI. Vili. 141(i
<• un volume di mediocri dimensioni
( cent. 24 X 16 ), di carte 54 recen-
t«mente numerate, e d presenta ona
dello solite miscellanee risoltaatì dal-
l' accozzo di elementi disparati. I mes.
0 frammenti di ms. qui raccolti sono
propriamente quattro. Si hanno prima
sei carte in pergamena, col titolo:
« Est h'&er Senache », contenenti un
brano del Tolgaristamento dello scrit-
tarello attribuito a Seneca, che fu
opera invece del vescovo Martino Du-
mionse (VI sec), sulle quattro vinti
cardinali (1) (la-&a). Nel margine
inferiore del f. 5a si legge: « Conpi-
m[<m]to di q [ite] sto libro Vai-
na[n]3Ì aìfolglo doue la croce -i-;
poi, d'altra mano (5b-0b), seguono
sentenze e fatterelli. Viene appresso,
di diversa scrittura, un codìcetto car-
taceo {7a-ì8b), che porta in fronte.
(1) Vedi Tenffel, fioHa drlla Utt n>
'«ana, (rad. HA.. II. p. 72.
49
segnato da manu moderna, il tìtolo:
« Gradi di S. Qiroìamo ». Al f. 18 b
a' interrompono i Gradì : indi a que-
sto secondo a' attacca un terzo opu-
scoletto (19a-24b), ove, d' altra ma-
no ancora, trovansi narrate alcune
storielle (Ida), come, ad es., ■ i^i tro-
iano inperadore » . che dA 1' unico
figlio alla vedova rimasta priva del
proprio pei- cngion di quello dell' im-
peratore; che viene lovato di pena
per le preghiere di S. Gregorio ; della
■ meìalrice *, che fa penitenza, <>
cosi via. Nella faccia sncce8BÌTa{19b)
s' incontrano tentativi poetici volgari
nel tetrametro trocaico catalettico su
questi argomenti : della natività di
Cristo, della sua resurrezione ecc.;
a' quali tengono dietro (20 a) brani
degli Evangclìi. Al f. 20b la stessa
mano delle prime pagine membrana-
cee riprendo la sua scrittura secondo
il glA fatto avvertimento, e alle po-
che linee, che compiono il trattatollo
attribuito a Seneca, la seguire detti
50
di fì»oÌafi. Ciò ano al f. 23 b, ove,
(iella stessa mano, si novella: *come
uergilio diflco napoli >; con che si
continua a tutto il f. 24a. ÀI f. 24b
s'ha un computo per trovare il giorno
(li pasqua: in fundo, in uno spazio
rimasto bianco , la mano che ha
scritto il tosto volgaro di Seneca e i
detti de' filosofi, aggiunge alcune linee
sopra Socrate. Viene quarto l' opu-
scolo, che a noi specialmente inte-
ressa, scritto, meno le ultime carte,
e qua e là qualche riga, tutto di una
mano sicurissimamente, dal f. 25 a al
f. B2a. Questo opuscolo è pure car-
taceo. In capo gli si legge: « Mcccxìi'ij
adj XV dagkosto > ; cui seguono ta-
luni appunti di credenza:
« Tonio chesfara alvofjho dat-
dobrando frateìlù chvgino di-
nante soqi'o dei detto aldobran- "-ì
do midedat-e chegli diedj p[sr]
ij cftoròf diformentii
ecc. ecc. ecc. ». Sul v." segue: « Ora
fi tjoglio inseyniarp rno tavola chi-
vaìesf rftrovare dì graie mese e gran-
die del mese fie la pasi/va dirisoressi
del nostro signiore teso cristo e fne
fittta qvesta tavola net 13H e la
l&tera chedìsopra alla rvota e indio-
minciasi cioè. L. andando ad anno
adanno ecc. ecc. », Nel f. successivo
(26 a) lediamo: « Qpesla sie lare-
ffhola chefece donmartino priore di
ehamaliloli p[er] la ijvale '•insegnio
trovare qvando viene la pasqva di
riaoresso e sono disotto edalato iscritti
xj versi i ijraii sono 133 nomi e
ciascltedvno sferjre a rno ano e dìso-
rra aehatvno nome siepferj afxiebo
Ì242 e 1S43 echosi ad tmo a rno i;i
insino al J373 ecc. ». Seguita la re-
gola coDsigtentc in certi Tersi latini
artificioBamente composti: quindi si
soggiunge come, rifacendosi da capo,
la si puBsa applicare a nn nuovo pe-
riodo, dal 137y in avanti: « qvesfa
reghola sie chonpivta nel 1373 anni
e. se rvoffli sapere poi p ir ina[n]si
fitti ricìwminsa da chapo dorè dicie
i
dpv t37S * <àmm m «f»* tari»
wmmn* *rir ifiiiiilk Al ( 46^ »
fondo, altra flguru, e al f. 47.-1, ove
sì compie il poemetto, ancora nuove
figure , fra cui l' agnello con l' asta
crocigcm, simbolo di S. Giovanni Bat-
tista : superiormente alle figure , e
frammezzo ad osse trovansi altre pa-
role della mano solita, in parte ean-
cellate, ctie sono nuovi appunti mer-
cantili: * Quello libro sie di ... ,
(non ai leggo, perchà fu raschiato ciò
che stava scrìtto) edaìo pegnio pferj
T. J rf. iiij di Fior. ecc. » Qui ho
cercato, ma senza Irutto, (gualche data
che ponesse fuor di dubbio l'anno in
cui fu trascritto il poemetto. — Se-
guono tavole di abbaco (47b-50B);
Indi tavole di riduzioni di moneta, ed
altro che tornava buono al possessore
del libro (50a 2.' col. - 52a). In fondo
alla 2." col. del f. 51 b. ai rilevano a
sfento disotto alla cancellatura parole
Vtf^ltra mano, ma sincrona; * questo
Jih-icciuofo e di benedeto di bancho
». Non mi riuscì A' intendere
la terea linea : parrebbe ai s' avesse
1
54
a trovare una data, che, per il caso
nostro, sarebbe assai preziosa; ma
tutti gli sforzi per leggervi sicura-
mente riescono vani. — Sulle tre ul-
time carte non abbiamo più la mano
consueta : vi si vedono memorie di un
mercante, delle quali riferisco qualche
cosa ad esempio, tanto più che dap-
principio comparisce una data molto
opportuna al fine della presente ri-
cerca: (f. 52 b)
[PJesamo la lana
peso libre cinqvata
d tela peso libre X^iX
1 tela peso libre XXX
queste ij tele e libre cinqvanta di
lana porto a tesere iachopo giovan-
nini a di xxiiij dotobre iiiqnaran^
tanove >.
E tosto d* altra mano : « elo iacopo
di 24 dottobre 349 fior[ini] due
dor[o] pa^ai io bancho de miei de-
nari e p[er]o ecc. ecc.
In fondo al f. 53 b una mano rozza
al pari delle altre, diversa caratteri-
55
sticameote par come le aìtre due, Hn
quella chi) scrisse 1' opuscoletto e in
eno il cantare, verga talani versi. Sal-
l" nltimo f. {54 b) ancora altra mano
segnò niioTG note; Tengonu infine di
m&ni diverse, fra cui quella anche
che scrìsse il più di qaest' ultime me-
morie, talani nomi con accanto due
teste : « Oìouan[n]i .fachfipo ecc.
ecc. »
Fermiamoci alla data '349, ossia
1349 . che ci si offre al f. 52 b. Il
poemetto sta dunque tra questi due
termini: 1343-1340; ma esao fu in-
dabbìamento trascrìtto dalla mano me-
desima, che, pochi fogli avaoti, in capo
all' opuscolo, pose la data 1343, e ri-
empì quindi quasi tutte le carte; men-
tre la data 1349 e una semplice nota
accidentale messa li in uno de' fogli
rimasti bianchi da altre persone, in
possesso delle quali era passato il libro.
Manifestamente la trascrìzione dorette
essere fatta molto più vicino al 1343
che al 134fl: fissando come estremi il
L
«Hh «*(■ dHl )Mtt
»^«^9.a»tt X
k
cunelndorebbe che il Boccaccio lurra
la storia di Fiorìo alquanto prima del
poeta di piaxj.a, e cbe qu«ati |n>1£ co-
noscere e utilizzare il Fì/ocoln; ma
invece è chiam che ci sTanza la copra
indiretta di do tosto, il quale rimonta
ben oltre il 1342. Abbiamo a
altrove che a«l nostro ma. 3 p
d' alterazione del poemetto ^ipartsco
(li molto iniiltrato (1): diamo ora e-
sompi dei danni, ch'esso ba patito.
Si veda la chiusa di questa Stanza;
B 1» n poM Loro tanta amore
Cb a posto nome fiorio al nio flglioalu
R a U pulzella a nome bianciafior^
Penhe ■ aaomxgliata al fraacho gligliu
(1) Vadi Bostn Due Studi ecc. cjt,, p.
15. Gii il Sebal nvera scrìtto nello stcaso
proposito: « Se poi si gturd> si Itiogbi
guasti della lezione, alle itoquatore fr«-
qnenli , « ad alcuni arerpelloni di ania-
QUense n liew in persuaaioue che stuiU
di giungere alla mano del trasmtto»
vlliiau (il noatro poemeUo) dovette ps»-
wn per pia altri * (<rp. àL, p. ZK).
k
canptmf il) Bianri/hre.
oppure : canpata ^ Bianci/tore.
Rà a tavola sedea lo dondolio
ina chaminmla
r oste due dolcie amor min hello
3 onde fu ella nai/i
E .f. si dise tn uno ehastellii
Chella meliàa ti ellapeUaia
K poi li fece .(. un donataonia
Cb una cbopa 11 fece donare.
(ff. 41 a - 41 l-f
Qui gli altri mse. e le stampe n
offrono r aneddoto di Fiorìo che in
ano degli albci^hi , a cui sosta nella
ricerca di Bìanciiiore, per distrazione,
urtandovi il coltello, rbmpe il bicchien>
cbo ha sul desco. Le rime però sono
1« stasBe (2); uguale e il principili
(1) Secondo l'ortogralìa moderna: cani-
(2) Ne' primi aei varai: - elio: - ala:
- elio: - ala ecc.; negli nltimi due: -
- enio. Il lesto msgliabechiano t
«3
perche, sebbene in forma nn po' di-
rarsa, erao occorro anche ns' pD<>niotti
francesi e nelle altre reilaziani della
leggenda (1). Qualche canlastori'' l'i
Avr& dimenticato, o lo avrà levato per
sue proprie ragioni : ed invero non sì
trattava di fatto capitale che si avesse
a mantener fisso. li Catto capitale era
che Florio si fermasse a quell'albergo,
e risapesse che vi era passata Bian-
cifiore co' mercanti, in modo che il
suo cammino potesse avere direziono
più sicura: il resto era puramente e-
pisodìco. Se non che nell' aneddoto ae-
(1) Vedi I. poeta, fr., vv. 1100 sgg.
n poem. jv. 3399 tgg.: per le altre re-
dazioni efr. Henoff, op. dt., pp. 4^7.
L'aneddoto manc-a nel Fi/ocolo e nel ro-
manso spagnuolo ; e che maucliì nul
0 eì spiega per dò phe il Boccafrcio
non immagiun che Piorio trovi ricetto
preBK> osti, ma sia accolto e aiutalo d»
personaggi ricchi e ragguanl ovoli : cfr.
, eSi. Moulier . 2 voi, . pji,
127. 131.
E chuiurisu ù penso cba foue ileM
Cbolui in cbui -fi. sTes Uperanu
E tosto ne fu aodata a .B.
E ilìae B ci e venuto lo tuo unkdore.
(f. 45 o)
f^i tratta di Florio elio, nascosto in
una costa di rose, vien coUato ad una
llncstra della tono dolio coutu doQ-
toWo (ove BJancJfìure era stata chiusa
per volerò doli' ammiraglio dì Babi-
lonia) da un'ancella. Pensando che nu
lo tracBBH la stossa Biaucifiore, impa-
sientc, il giovinptto sporgo 11 capo diU
«i8to per vederla; l' nncella alla com-
[laraa inaspettata di una testa umana
sbigottisce, lì grida, ma ^i, prudonto,
alle compagne accorse dissimula la
cagioutt vera del suo sbigottìmeuto, e,
pregata di pìeia dal gioviue smarrito,
lo ricopre di fiorì e lo nasconde. Essa
0Ì6 fìi pcf umor di Bìanciflore, die le
vnra (doreTasi diro neUa redazione
orì^narìa) mamifntttto i) suo amore,
f |K>»eando che ìl gtoviaMIo salito m
■lud modo Klla tonv fotte raeuuiU
V
«;
<I(>l]a Mgaara nu. D 4
•.Uh «.la
mi certo fi sTveTtiv* y
liatliia.iali
» dTintll.. <(>*>•.. MH.
poidtf M alta) hBà
■Keaien et
,„ die l-iaed» k riofator»!»
ilof» anilg aanbW
a ariaiali.
iapt avene eMaectiCi
alaaiala»
HaiKMen, a the anite le)i»|ii
Min, e. d-altn>l>.
li liiimiai
krto. ae' due aitai neii. « «ri
maa. a le atanpe. eoMe
«n**pi>
atasU ad uu <M pai
•«la.k«i.
praaao che tatti, cfciaiA
loia— e»
Inne a qadla <ke aai
afel^^ ^^
lril»fa>i.,«b>l.W.
pU aaliea U eaUf».
«Pi«>-u
Ulaà..p»
d>ep«..el pria» po<a> (»<..
e aeae TenaM aflai m mi— ■ J
ddraaaor a» ab Oli
■a Claria(U
(1) Vrfi r, SOM «,
-P«l. ii^
•ai .an d». laiaw.
■» •«. P^K
k
■ « IHH' <Mi> iv» l'at
.■U».iS.-i.,«».»t1
I
I
<li certi errori nolla rima che, so pos-
soDo essere attribuiti qualche volta a
inesperienza e disattenzioDe del co-
piata, pid spesso indicano che su molte
bocche doveva essere corso il cantai-e,
e da molte mani doveva essere stato
ricopiato, guastandosi più sempre, pri-
ma di venire trascritto nel codice ma-
gliabechiano. \. jit-cseritoroin: charo(l
delle St. conservate, f. 31 a); 2. topi-
eia - leggi Topazia (1) -; gracia: to/-
ma^o - leggi Dalmazia (2) - (3, ivi);
3, gravida: chamera: femetm (6, f.
31 b); 4. fiffluolo: glìglio; rawiffh'e
(8, f. 32 a); 5. mio; mio: desidei-o
ultimi quattro esempì abbiamo rima pari
a quelle che ai offrono pura nelle com-
posizioni de' vecchi poeti (i'art«, dato che,
come altrimenti si vuole, hoq si tratti,
almeno per i sidliani, di mera illusione
prodotta dalla supposta
tirano degli originali bìcuIì
(1) Vedi più inuanii nel
metto Si. 10.
f2) Come sopra.
70
(9, ivi); 6. fare: amore: mandare
(13, f. 32 b); 7. dire: malchometto:
letto (16, f. 33 a); 8. mia: niente:
mia (18, ivi) (1); 9. chomiato: achon-
pagniato : volontieri (19, f. 33 b) (2);
(1) Ecco r intera St:
E sai di che ti pregho vita mia
Dicie .B. allo dongello
Se in altra parte dimori niente
Ispesse volte guarda in queato anello
E sera alegra la persona mia
Quando sarà cholorìto e bello
E se si chanbiase punto lo choloi'e
Per lo mio amore sochorì biancicore.
(2) E .£. lo prende volentieri
E da la chorte prende lo chomiato
E secho vanno dongelli e chavalieri
Da bella gente eli era achonpagniato
Astori e brachi e Mchoni e livorìeri
Per chonfortallo e chandaase volontieri ec.
La rima volontieri si produsse per la vi-
cina rìsonanxa di quella che immedia-
tamente precede, livorieri, la quale fece
dimenticare la men prossima uscita in
71
l 10, pn-ntra: dimessa; eaaa (32, t
|35«) (l); li tomenca: calore: sen-
^tcnzia ^, t 36b); 12. traditore:
\ ineholpà (ivi) (2); 13. taglio : ItìTÙi
I agio perduto - leggi perdut'ò - (40,
I 1 36a); 14. damigella: (ohun) lei;
I donzella (42, ff. 26b-36a): 15. tro-
-rare: marito: alegmre (45, d Stì b) (3);
16. /iiftVo:dato:araturato(4S,f. 37a);
17. feccia : (mona etera -■ piaccia (55,
£ 38a) {4)i 18. imanttìneute: lavorati.-
- alo. Qneato istinti'o tarbiuneato dell'or-
dine dell© rime nolU pressato St. Ibrsf
accadde perchè ai rìpeUvu e n troscrìvcv»
il contare n memorili.
(I) Abbiamo il caw> notato ora: la riiiiu
prtrura per pratua ci rappreaenln l'in-
llnenui dell' altra altemanteai. iti - urti.
(8) Neil' ultimo r. di questa St. ni con-
ttnnn la rima in - ó dd tt. 2. 4. a
(3) ifarito por marilare: nncbe qui o-
P«rA r iufluenxa dell' ultra rima alter-
aaiit«iù, in - ilo.
H)
El padfuue delia nate rende suo saluto
ilelll l'iapuose ckuu alegra lai^ciu
màemi, <Sa, £ 38 il) (1); Ifl. ùt^n-
muitato: ùRJtolorito,' duMuiaUi fC4,
imi Mgtufr: - -ve &' avedetr (C^, f.
Sf hy. SX. poFU : worlfi : àeutrù (CO.
M) <(£»; SE. wk «MA. a^alUtB («!,
'NMS «•• ^!fMW*>*HHlì% «Mk fM« Pi
ivi); 23. vaoa: criatuna: vira |
f. 40s); 24. andare; risciiuilaK : lu-
intffiere (70, ìtì) (1); 25. petto: àoo-
gella: dongella (72. ivi): 2G. Tenduta:
tradita: pentnta (74, C -lOb): 27. at-
hergheria: Bkncifiore (78, t 41 «> (2^
E tutta I& ma genie (ww bena aooru
S« .t toma «a DM choipaodftownto
Dlrenu) che .B. tì sin drntiv
Morta e ^ace nella ■epulioia
QoelU gentile e n'jbilR criaUira.
É evidente cbe arreiiD» uno ^ttriwnMto
della rima moria: probubilineitte il tim-
■crlUore mrk «tabi inganiula dalla <»■-
■■"■»"" di ehomaivlantenio e iifax/ro.
(1)
Da pai cbe voi m avete moru» inamoraiu
Choiue mi protrMli rìaeiiuilare
El ohnur del cborpo m aveb: furalu
Ed ura mi eredi tu blao lugim/irrt.
Qui, le non a' ha nn «emplioe errum
di Kiittora, •*« «cwnbialo il vortm lu-
littffort col aoat. tutìHffhiere.
{2} Per inABOiua della ritn« alherghr-
na, eh' è al V. fidi quatta St. Dtnrvra
r (». f. ^H H
SU. ornsTrter rvfnrrnf^- m?. rrij: 80.
fiaéao : dAor- lì ti):
(UO, f. 46ti\; 8c>. ftinm aùw: ^
llBic (ISl. ixK
ìmAut «imi Al' w imuiuircu ■»■ wn
I
poema a memoria: e puit) in «lui^sUi
caso oonviena ammettere che prìmn
listo sia stato lungamente u larga-
mente ripetuto,
Alleerà 6 da vi^dere ijuaato nellii
trascmiuae mugUab^chiaita sia stata
rispettata la prosodia. È ben poco
frequento il caao ohe in osso sì pre-
sentì illeso il malcapitato endecasil-
labo. Sappiamo bene che non può at-
tenderei rigorusa esattezza metrica in
una rima popolare; sappiamo inoltre
ohe da noi facìlmeoto si gabellano
come sbagliati endecasillabi che tali
non poreano a' nostri antichi poeti:
(|Uellì, ad esempio, che nel primo emi-
stichio, conforme l'uso francese e pro-
venzale, serbano un' atoua soprannu-
meraria (1); ma tutto questo non pud
bastare a pecsuaderci che gravi irre-
golarità non si trovino realmente ne'
(I) Vedi Monsel» nella ctt. niv. 11.
S39; (Ux^ Origini drlla Lìngua poe-
tìea ila!., pp. 13J34.
V iBfc hB' i
C*«r«lirift«i»«p«
XfV a> ^«>*< rOMW « » •ÌMOT' J
K 'tf «Min •<«««'& Mtei « «'a
4" jNMMt. «M M>wit"^Ur-«te 4lnMmA
Versi come questi, ai quali altri
t potrebbero essere aggiunti (1),
riflettono la tendenza do' copiali to-
scani a pareggiare la lingua della po-
esia a quella della prosa (2), e concor-
rono insieme a provare l' alterazione
del testo primitivo del poemetto pro-
dottaei mano mano nello successive
trascrizioni e recitazioni.
Se dunque una copia del cantai'e
(atta tra il 1343 e il 1345 si e
cosi corrotta, a che tempo risalirà la
composizione di esso! Sara possibile
ritenerla come vogliono taluni stu-
diosi (3), posteriore al Filocolo, so
(1) Vedi notti al testo del poemetto,
(2) Cais, op. cit., pp. 127 ugg.
(3) 11 Bartoll {Rie. Europea, Nuovu
;, Anno X, voL XV. p. 470, e 1 primi
due secati della leti, il., p. 562. n.) e il
6upU7 (Giom. di FU. Hom.. IV pp.
1-7) giudicarono che il poemutto aia nul-
rfllti-o rhtì una inetrir'a ridn/iono del I-'i-
i
•d<.v.Mri>
la pQMta popolare rapidamente si gua*
sti, Doa si pii6 credere che nel ^o
sere proceduto dal m/M) poema del popolo.
Per il crìlerìo med^mo aegaì. senza «■-
perio, ropinioue dello SqnarcUSc» il
LUbrUf che diKorreado del ciutUre i>
proposito di quel franimento che gli uv-
Tnane di trovarne nel cod. loled&no, di mi
qokle pabblic6 < il tnct^Ui dei mesi di
Bonreno da Riia » (di questo Seella Diap.
127), lo ebbe a ^udicare anteriore al Fi-
localo sul mero indizio della sua forma
- Il Selnl, op. rit., p. 276.
t quasi t^auio a riteUbn» il <:aii-
ijBfpent dal dugeoto. < Se inoltre, egli
imiiia ni minato la dizione,
un cerio pmfuma di Telnstà incontanente
TI ai fa sentire; e dai Tocaboti, dalle ma-
niere, dai costrutti pare di aver sott' oc-
chio una di quelle lìriche che furono
nKcolte nei due volami contraenti ì poeti
de) primo secolo doUa lingua. Nod è che
lo pretenda di ^udicarla upera del du-
inialn; ma non ardirei ni-ppure di con-
> ■• b Ab niitt ifl
w jÈÈU'^IHmil,! ^U» h»-
Al cantare ed al F^locolo si colle-
gaoo particolarmente dae altre reda-
zioiii della nostra leggenda: ti poema
greco ed il romanzu spagnnolo. Que-
sti racoonti, a' quali s' aceoala il se-
condo poema francese, si accordano
in modo cbe costituiscono un gruppo,
il quale sì stacca dalle altre versioni,
la prima ^'uncese e quelle che le
sotto affini; e si presenta anzi a ta-
luni come un rimaneggiamento, un
secondo cielo della leggenda (1).
n Sommer, non avendo conosciuto
il cantare, non potè rilevarne le ìn-
(I) Sommer, Op. eit.. png. XXV;
Snndmacber, Die alifransOs. und mhd.
Bearbeititng drr Saije boti FI. und BL,
Góttingen, 1872, p. 3; Her»9, Op. di.,
pp. 2 ee^g. ; lUiUknecbt , Op. cit. ,
pp. 3, ai.
ià. éat éiMo tniesoo, olbw « aaa sia-
lOBOr AWW BtnSBOBtU tTUppU StTwt—
iBMWMhi il piMim gnau aST >jp«m é^
1 tBaaM al Sommar
11] OjpL <>L. pp. XMD-XXIV.
I
chi lo Beasse: fii qaeati il Oidel.
il qnalo, n«n contento dì sostenere
l'opinioDd allrai, avanzò anche ond
Ìpot(«t nuova: che, cioè, ti poeta
greco non abbia dilettamente rical-
cato Q Filocolo, ma abbia tradotto
no poema estratto da esso, il nostro
cantare (1).
Pnre a! Wagner parve dapprima
assai probabile che il racconto greco
fosse una imitazione di quello del
Boccaccio: a' ha ragione però di ri-
tenere che più tardi egli si sia ri-
creduto (2).
Lo Zumbiai invece , accogliendo
l'opioioDe del Du MériI, esctnse l' im-
medìota relazione de' due testi, e notò
che, indipendentemente dal filocolo,
il poemetto greco presenta somiglian-
ze con la seconda versione francese,
{!) Op. <■-(.. pp. 835 sgg.
(2) Medieval GrVek Texia , Londun.
IS70, p. XVIII; B. Znmbint, Boa-aaus
f/racee, Uflsscgnn Settim., V. , 345-46.
I» >l^ Wl. «• IM. '.^^
eesere non altro che iuta tndndooe.
DDii io tutto pedissequa, ma nemtna»-
co assai libera, del caaUre (1). Que-
ste [>arole probabi]iiieat« fiorarono
all' HausknecLt , che aceertA l' intui-
sioDe del Gtdel, e preTenne La dimo-
strazioDe nostra, rendendo erideal^ la
dipendenza del poeina greco dall' i-
taliaao (2).
Quanto al romanio spagnnolo, fb
creduto anch' esso ona traduzione del
Filocolo: si veda infatti cbe ne di-
cano il Quadrio e ÌI Mazzachcllt (H),
(1) Dm tl-di àU , p. 16,
(2) Op. di., pp. «. •gg.
(^ S(. e Jloff. d'ogni pQttùx, IV. 442.
Il JCaxzDelieUl rìp«le db cbe ^ià ftvevs
detta il Qnadrle: vedi SrritL d' li., V.
IS35. — AmbeilGc atlribuiti^ono arbitm-
mmeata qnesta iuppoata traduzione del
POowlo a Juao àa Florei: mi di eh? cfr.
anche Hsaikaeekt, Op. tit.. p. 51. il
qmlo perà dt» solo il lecondo degli
terìuori neaninatL
1. Noi II do' poomctti bimeMl dm
giovaol e nobiUuimi apOM, il duca o
di FiL Romanta, IV. Ió9-lfi9), « di
qaella che io partn rìprodoiM, in parta
rìanutiso rHiniknecht, Op. eit, pp.
^^ "SS- L' ^eni;<lfire dnlU M&rciaiw
spotta olla prima delli- àae edizioni ■. 1.
n. d., che troTÙ>nio regintrale dal Bn*
aiAf S£aHU4Ì, SuppUm. I, 500. AucIi'cìk.
a. L D. d., 6 ìa-i. earaU. goL, di 28 ff.
a Zi righe U pag. inlont, Mga. A-XIV
a 14 tr. Milita MgnBtnra. Snllft prìcam
faccia il frontiapizio : h leiaao dna figure
rapprese nlaD ti i doe ìnoAiaorstl, « UMo
à legge il titolo: La hitloria de lo* dot
enamoradoi Flore» et Bianca fior. Al-
l' ÌDlomo un beiliinitio frsfpo. NeUk Ebb-
cìb Begueate (t 1 r.) Uggiamo: Aqui eo-
munfa la hùtoria d» Flore* y Blanea-
flor ji de *f deteeadencia y de tut amo-
ret de quanta lealtad uno «nt)« elUu: y
de gvantoì iralajc/t y pelìgroi paeearoa
<n el liempo de tue amore* lùndo Flore»
mora s BUmcaftor ckittiana. Y de corno
por voluiUad de dia* nneatro lenor *e
couuerlio Fiore* a lo* Hiaadamieaioi dr.
. ^ Ut m
oBnanovf de ìa tMa rtdtmda. — 1524
(carte 40) — Io fine h rìpelata Lt dati
1304, ed A aggiuto il giorno, in cui fn
ftomplu U etuapa, 28 ttorembre.
2) Bùlaria de Bnrìqve fija de dima
OUmt ny de fenaalem: y emp&vdor de
tMutaatinopla. — In fine: Emprimìose
el praettU tratado en la muy m^U et
nuiy Irai ciHdad di> Seuilla potlrero dei
mtt de Setiembre d« mill et quinicntoi
et Mynfe et etneo. — (carta xrxiìj.
n Bnuwt suppone che pur rodiziooo
d«l roawiLio Flore* ■/ Bl. già deacrìcta
aia BtktA btta Terso il ISSO. — La nostm
laggesds è ancora riva Sri il popolo spa-
gnnolo come si vede dalle ristampe mo-
derne del romanzo: Boi potemmo rano-
arome, per eort««a del prot RAjaa, una
di Madrid 18T7. S'intitola: Hittoria de
Flores y Slanea-flor, ju detrendencia ,
antarts y peligros que pafaron por ser
Florei moro y Bianca-Fior cristiana —
Madrid, i877. Dftpaeho, calle de Inanelo,
nù<n.l9. — cuatru pliegua. Precedi; ai titolo
L
Gallizia (1). Cosi nel cantare italiano
meeser Iacopo, .cavaliere di Roma
potente e ricco, e la gioTÌna sua
sposa, Topazia. Nel poemetto fran-
cese manca perù un particolare cb' ò
nella nostra redazione: il voto so-
lenne che fa il signore romano di re-
carsi a s. Giacomo «; se la moglie
potasse ingravidare >; voto che non
fa troppo attendere l'invocato effet-
to (2). Qui dunque il cantare è pros-
una vignetta l'apprcEen tante la fugu di
Florea e Bianca-Fior dalla casa del viceré
d'Egitto: a deatra, appoggiata ail una pa-
rete, si vede una Beala, per cui s" efl«t-
tuò ia fuga: gli amanti stunno nel mex-
xo, in atto dì fuggire: Flores addita a
Bianca-Fior la uave che li attenda: sul
loro capo à la luna falcata. Dieci capì-
toli, in-8. — Sul contenuto di questa
redazione moderna Todi Ìl nostiv artìcolo
Flores y Btancafior nel Giom. di l'HL
Rom., IV. 167-69.
(1) Vedi i TV. 49 Bgg.
(2) Vedi Cantare, St. 2-3:
Un caTalier di Roma anticamente
[iresu ^mr moglie uuei geutìl pulzella,
diverso affatto dalla prima (1). 1^
segue fedelmente, anzi lo tradnee il
1 greco (2); cosi, pure nel Fi-
lo&tti, >e c'era onnù prommu dì
figliaoUnzn (la dusc(b)i>Ì3e estoit «acaia-
te), perche recarsi a b. Oiacomot Mi
par giusta ritenere che a questo strìn-
s il duca un precedente impegno, la
ulsnniU di un Toto. CohI nel 11 poema
fr. «■ avrebbe raltorarione «li un primi-
tivo teeto, che mrglìo ai rìflelierebbe nella
redazione italiana e nello altro, olle la ai
collegaue. È vero perù che si può cro-
dore Tolesaero il duca e la moglie pro-
pmnrai b. Giacomo per ottenere felice il
parto, a s' affrettaasero insieme a ren-
dergli grazie della fecondità flaalmoDle
eoo cessa.
(1) Vedi 1 poema fr. tv. 91 sgg. Seeoado
que«to poema t pellegrini erano padre e
figlia: cosi è pare nelle redazioni affini,
tranne la baaso-tedeBca ( Henwg'; pp.
18-19). Si noti che anche in queste vei--
eioni n accenna ad un voto fatto innanzi
di aceingerd al pellegrinaggior cfr. I
vv. 05-98; Fleck, w. 429-31,
(t) Vv. 1-23:
localo e nel romanxo spagonoio, ore
ai proBCiDda dalle {nnpe dovale kIU
-:;<yOT o-JSév E»:5<r,TÈv 3WI Tptiì(h)x£v -n^ Win)'
:-rTÌpxe Y^ e-ijfsvtxr;, td eE&? xfJiTTaiXdxpaia,
: - -t^txidv xonaÉpiTTS^ sìXiS'^ sdì tiS' ój.tv
: x'ixX*5 Tou :^93*i7rou TiK Tóv -^im àvTr,-y{ti,
-i ìuOAa^ TTK ""' Elf'Of^s* ^À^Y* voi i:apa7Ta(i'vri
yJv Sì' Ó «UTTÌq a'viìp KÌTfq TlSl «TOtVl'iXV
y II «pjO^JU JWtptTTiriTaTO fiwnjv tou tiiJ.ixo'J'Wj
;75v voji^^Mv na(Jpij3i!Ìv 6X-'^ '^P^? "^^ Sesttcttìv
t;* X'P'^ Ssavai otTr^'sw^ iva TEX'JSJTOtifSTTi.
: 5Ì aWp Ti)5 •pjvxtxdij Sia wf 'yij Totxdrr/v x^ptv,
I : T« ^" Ti|« thtsV/tTiw mviXix^v il x-ipri .
' '-. ««vTEj; ei? Tov oixifv to-j^ '/api; |trf<»5-»? kìiivouv
^■jv 8^ iVy ónd^X''*^ anoipTi nX-i]p(i>e£r(j5iv.
: iy^À/i? xarf «ìv aToXiiv e'prfpàffsv ad-r^xa.
. • !T»v et; TÒ edx-nripiov, wadv tou 'LmcùÌ^u,
L
m
ftintjMÌa, affondo eredo , ilo' rispettm
autori, 81 trova ancora, ne' fatti ca-
pitali, la narrazioDe del cantare (1).
n Boccaccio rinzeppa il racconto
d' aggiunte, che, almeno qui nel prin-
cipio, devono ritenersi originali. L'e-
sordio, corno tutti sanno, è infatti un
luogo autobiografico, ael quale, sul-
l'orroe dì Ver^lio, narrata con epica
pompa, sotto velame di allegoria mi-
tologica, r origine della Bignoria an-
gioina in Napoli, il nostro autore si
riduce a parlare di re Roberto e della
Aglia sua naturale Maria d'Aquino,
a raccontare come innamorasse di
costei , e come avvenisse cìi' ella gli
Si confrontino questi versi con quelli
pib sopra riporlAti dal canlArs: è facile
vedera che il poota greco traduce, solo
ooDCedendoai qualclie libertà d'amplili-
caiioae.
(1) Ftìaeolo, ed. Moulior, voi. 1, pp.
lS-15; Flotvt V Blanai/U>r. IT. 1 v. - 5
T. ; Hanakneclit, pp. &S-59.'
desac incarioo di scrivere lu storia Hi
Florio e Bianciflora (1). Invocato
(I) Filotoh, I. 1-8. Vedi noatro Con-
tributo agli Studi mi Bùeeaeeia, pp. 300-
201, Q. 3> ove sullo stesso argomento
BCrivenUDO: < Che (nel Filocolo) l'epopeai
dapprincipio almeno, à tenti, è mani-
festo. OiuDOQe, «t«raa nemica di Roma,
e cagione della sua rovina, come nel-
l'Endde nd Eolo, si presenta al pontA-
fìCQ('),elo eccitu alio scempio di quel-
l'avanzo dì progenie l'umana, che nel-
r ««trema Italia teneva ancora levata
l'aquila antica, do6 della oasa sveva,
cVem il sostegno dell' impero e del ghi-
tiellinisroo. Indi, come gii nel poema di
Vergilio, la saeva lovis eonìux scendo
a" regni di Plutone e chiama Aletto, ac-
cendendola contro gli ultimi Eneadi, So
re Manfredi risponde ad Enea, Cai'lo
la penlrriee . i
upele. fi da noti
di Otm«, repprainla qui I
Ctt. ContribHle, p. 100, a.
^
quindi l'aiuto di Dio, o, soconilo il
nomo pa^no eh' egli preferisce , del
sommo Giove, il Boccaccio ei volg«,
sempre classicamente esuberante e
d'Angiò è Turnu; ma la storia, a ilispetlo
del BoccBCpio, rumpa il parnllelo, poi-
ché ben divens fortuna dal prìnio ebbo
quest' altro Enea a Benevànto. Tutto
questo perchè a Tenga a ben più umile
cosa, a diacorrere dì Roberto d'Aogiò, e
Hpecialment<i della sua figliuola naturalo,
Maria d'Aquino ». — Il Sorlo s'era g'A
accorto di questa imitaiiona, ed nvevH
pensato che il Boccaccio ai fosse proposto
di fare del suo racconta un poema in
prosa, che arìeginrae all'epopea vergi-
liana. Per questo ansi egli esaltò l'opera
boccaccesco, osila cui solenne forma ima-
ginò si nascondessero alti a riposti sunsL
Vedi le sue Letture sopra il Fìlueopo di
G. Baca., in cui fraumeiio a sti'aneize
souo pure osserraziom buone, negli Atti
lUt R. ht. Veneto. Seria HI, 7, pp. 596-
016; 10, pp. 635-673, 753-773; 11,735-
813.
solenne , a' friovani ed alle giovinottp
innamorate, e li invita, citì che pur
(anno uno dei [toeti francesi e 1' ita~
liano (1), a porgere ascolto a' casi
d'amore, che s'accinge a narrare.
Incomincia il racconto, e continua
l'epica intonazione dell'esordio. Spre-
giando rnmlità della materia roman-
lesca e la semplicità delle narrazioni
popolari, fervido ammiratore dell'arto
antica, il Boccaccio si sforza di ele-
(l) Vedi I, poema fr., w. 1-6:
OjM, flignor, tout lì amant
Cil qni d'aroors se vont p(>nant,
Li chevnlier et les pucelea,
Ili damoisol, lea demoÌBe!ea:
Se mon eonte volez c-ntendro
Moalt i poniJK d'amore aprendre.
Cosi il poeta del cantaro toscano n'in-
diri»*» specialmente a chi sia innamo-
rato: vedi nel testo, I St. In questo in-
vito, come pure, io credo, nellu invoca-
iion« di Dio, il Boccaccio si è confor-
malo all'uso d(>' poeti popolari,
ran Topefs pracna »Bm dìgnifà de*
Tffijibo a Stano, e^ Inumila tho
«^ «Tenti, onde ha priadpo Q n-
maaio, pnóedaao carni edeatì. Cba
eoa» d ai presenta snci tutto! L'«-
tm» lotta fra Ko « Satsaa, oaiia,
per oaue i nomi pift graditi a]
ture, fra Gìots e Plntoae. Coeù i
bui, da coi si arolge tstt* b l
di Florio e Kaaciftor«, aoa si pf»-
doflono, al pari che aeQe altre rèda-
«jom della leggenda, come reali aaa-
tìageoze, ma, lo vedremo tosto, come
«fletto di qotìl coDtraEto dirino (1).
Anche nel rìEaciinento boceadcesoo
si comÌDCta dal prllrgrinA^o a s.
Giacomo, che compiono i gioTani spo-
si, da' quali nascerà Bianci£Lir«; se
non che, amplificatore artifidosu, il
Boccaccio DUO sa toccare di esso senza
dilongani a chiarire la ragione Iod-
tanadi tali via^ deroti. Ecco dim-
(I) QKUribMo, L t
qn» eh' egli ha bisogno di rifarsi alle
orìgini del mondo, e, traducendo in
linguaggio pagano il testo biblico, di
riparlare, con retoi'ica magniloquenza,
del conflitto accesosi fra ciclo o in-
ferno dopo la cacciata degli angeli
ribelli, e de' fatti , che ad esso s' an-
nodano: la creazione dell'uomo, la
SUB prima colpa, il bando dalle sedi
boftte; per scendere a dire del ri-
scatto cristiano, della propagazione
apostolica della nuova fede, della pre-
dicazione che ne ha latta s. Giacomo
nell'estremo occidente, del martirio
che questi subì, della erezione di un
tempio nel luogo del suo supplizio ,
de' miracoli eh' ei vi operava, e della
&ma che ne suonava por il mondo (1).
Della quali cose messer Giovanni par-
(1) Fit., 1. 9-12, — Sulla felsa tradizione
cha s. Giacomo apostolo predit^ù in bpa-
gna, vedi quello che scrive il Sorto, oi>.
ciL, Alti wx.. in. 10. 644 sgg.
^Q^ak»^
■•^:rrri
103
" frìcano, disceso del nobilo sangue del
prìmo conquistatore dell' atfrìcana Car-
tagine >. Costui era < ornalÌ99Ìmo dì
be' costumi, e abbondaa te di ricchezze
e di parenti, e già per la sua virtù
prescritto all'ordine militare, e aveva
secondo la nuova legge del figliuol di
Dio una uobilissima giovane romana,
nata della gente Giulia, e Giulia To-
pazia nominata, presa per sua legit-
tima sposa, la quale per la sua gran
bellezza ed infinita bontà era motto
da Ini amata » (1).
È Ctcile scorgere come questo luogo
corrisponda al seguente del Cantare:
Un eavalier di Roma anticamento
prese per moglie una gentil pulzella,
e era molto riphisimo e posonte
d' oro e d' avere e di molte castella.
Diversa la forma, m
toslanza. Infatti nell' n
identica è la
testo e nel-
l'altro il personaggio, che ci viune
presentato, è detto cavaliere; il Boc-
caccio non ai discosta dal poota di
piazza se non per qaesto che in luogo
della parola adopera una ctrconloca>
zione (prescritto all' ordine militare).
Cosi vediamo che in tuttedae i rac-
conti s'accenna alla molta riccheMa del
personaggio stesso, e si narra eh' egli
i condotto in moglie una va^
giovine. La differenza è in cid solo,
che in cambio Jol mesaor Iacopo del
cantare (1) abbiamo un nobile ram-
pollo d' inclita gente romana, degli
Scipionì; e che al nome di Topazia,
comune al gruppo costituito dalle due
redazioni italiane, dalla greca e dalla
spagnnola (2) , sta premesso quello di
(l) Sì noti cbo il nome di Iacopo oc-
in vn certo nnmaro dì stampo
ilei cantare; nei mas. e in talune oduioiiì
non si trova vedi note alla St. 4); come
b puro ignoto al poeta gl'eco,
{%) Cantare, St 10 ; Poema gr, , v. 1 ìì;
Roin. ap., r. 1. y., Haiuklieeht, p- K-
105
Giulia. Variazioni qiiijste, dio si de-
vono certo al lìoccaccio , il quale ,
come si noto, volle darò alla sem-
plice Bua storia pompose forme clas-
siche.
Gli epoBi non hanno figli: onde Le-
lio, ridottosi in una chiesa dedicata
a B. Giacomo, fa voto egli pure, come
meeser Iacopo, di recarsi pellegrino
in Oallizia, se ottenga che la moglie
ingravidi (1).
Pero il racconto boccaccesco con-
tiene duG particolari che mancano
nel poema italiano o nel greco : v' è
indicato il tempo che Lelio e Giulia
Topazia sono rimasti senza figliuoli
(cinque anni) (2); e v' ò narrata
(1) FU, T. 14-15.
, I, 14. — Cinque anni tra-
scorrono pure inutilraeabi dallQ nozxe
tra Thiebaut di Dune M^i't (Dominare)
e la figlia del conto di Poiitia (PontXieu):
vedi Holand et d'Uérlcaolt, Nouvelles
fran;oÌses en pfose dii XIW siècie, Pa-
.un'apparizione notturna dell'invocato
iipostolo , che annunzia a Lelio l' C"
saudimento della fatta preghiera (l).
Sono queste invenzioni del Boccac-
cio; od ebbe egli sott' occhio una
fonte più larga che non sia il can-
taro! Per ora non posBiamo venire
a conoluBÌono alcuna.
Notiamo pure che ci sono corri-
spondenze fìn di parole fra i due teBtì.
Nel roraanzo eì dici! che, fatto il voto
nel tempio dì s. Giacomo, Lelio « tor-
nò al Buo militar pataffio » (2); nel
cantare si nomina il palazzo della
milizia:
ris, 1856, p. 166. Per questa o per altre
«oiniglianze l'HerwtTf op- <^it.. pP- H.
7S-80, imagina che il Boccaccio abbia
.imitato in codesto luogo del buo racconto
la novella fraoctise.- Non mi pare che la
imitazione aia cosi sicura come egli crede.
Vedi ciò che ne ho detUi nel Giom. St.
dilla Leti. Ital., IV. 257.
(1) Fit., I. 15-16.
(2) Fil., I. 15.
I
Deatro ia ftuBa d fb U prami^oiM
■taada «al palano da U nulìzì» (1).
S^arvcrta tattarìa oh» qui sWs?o
Miste naa disoordonu, U qualo cun-
oorre a mostrara T mdJpendoiuii dot
cantare dal romanco: io questo la
promiasìone aTTÌeait, come ve«lt.>mmo,
in una chiesa; in quello d fotta nel
palano della milizia. So il poomii
fosae stato estratto dal romanzo, as-
sai probabilmente vi si ritrovorobbo
la circoslaiua medosima del roto fatto
nella ctjicsa. Ma G*e di più: il palano
della militia ù iadubbiainante quello
8t£Bso, die duDUDieuti della fine del
dogento e de' primi anni del trecoiitu
dicono miViViam e domon seu patatitt
militiarum, che il Villani nomina fa-
UelÌQ delle milùie, dol quale unooru
na avanzo nella torre dell»
(1) St. 3. — Questi! purriapundonia
i il UaBparT (Oiorn. dì
Fii. Itamama. IV- ;t-4).
tniliitf sorgente nel chiostro di a.
Catflrina da Siena, non lunghe at Foro
Tr^ano. (1) Ciclopico colosso medie-
(1), OrefforoTlaSr Gesehkhu der Stadi
Eom im Milleìaller, V. (ffiO sgg. Casuilh
dellemiliiia dii^a il Villani: quwU desi-
gnazione mi fa toiiiare a mente che poche
pB^Qti addietro bì vids come in un luogo
della copia roagliBberhiftoa del cautai-e
^n dotto che Bìandfìore è nata noi ca-
stello denoroinato La meticìa. Si tratta
BQn«a dubbici dal noslro castello, che si
appellava Z^ niilitia,La me/iMa-Realapci-ó
fernid che quel luogo è guasto per le i-o-
gjooi esposte, alle quali può Bf^giungerai
r ouervazioQe che fai' d' un tratto na-
scere Biancifora nel casiello delia milUia,
quindi a Roma, cunti'aBta col dato della
leggenda, accolto pur nel poemetti, che
esui nacque in Ispagua, nel palazzo di re
Felice. Chi riroaueggìA a spiMposito il
piuno n È troppo ricoi'dato che in prin-
cipio del poema si imugìua che La mi-
litia fosse residenza e possesso della fa-
val«, in cui pareva si coatinuasse ii
> superbo di Roma antica, insie-
^■aUa toiTO de' Conti esso gigan-
6U r iatera cittA, risibile
lontano più miglia, come oggi la cu-
pola di a. Pietro: o offriva al popolo
fecondo argomento di favolose isto-
rie. (1) Non (iobbiamo per questo af-
frettarci a credere che la prima re-
dazione italiana della nostra h^ggenda
sia alata elaborata a Roma, e che ri>-
mana sia stata la fonte comune delle
versioni che analizziamo: anche fuori
certo si celebrava tra le meraviglie
più cospicue dalla eterna città it
palazzo delle milizie, detto anche la
milizia (vedi eopra miìitiatn). (2) Era
miglia di Biancicore; e non rammentù
più che costei era nata ben lun(n <ÌB"a
casa patema, in paese struaiero.
(1) GrBfforoTiuH, op. eit, V. 651: Graf,
Roma nella memoria e nelle immagiiia-
tiom del Media Eoo, I. 356.
(2) OrefforortDB {op. ài., V. 651, n. 1.)
reca anche più tai'de l'orme volguii: La-
dunque facile immaginare che il fan.
tastico cavaliere di Roma, esaltato
dal cantastorie come potente e rìceo,
abitasse uno degli edifici più famosi
di quella: intatti il palazzo o castello
delle milizie fu ambito possesso di
case romane tra te più doviziosa e
potenti. (1) Ora si pensi che dalla do>
(1) Fu, ad esempio, degli Anibalili e
ilo'Gaetani, poi anicini degli Aoìbuldi:
vadi flrcyoroiias, op. ni..V. 572, 658, VI
50. n, 4. Tunto ami impoi'tava il possono
del castello che chi n'era signore da «aao
traeva il tìtolo, rome da una foi'male ba-
ronìa: Pietro Gaetani, nipote di Booitacio
Vili, dal 1301, in cui lo comperò da
Riccardo Ani baldi, ai dìsso DomintM iti-
ìieiarum Urbis. Ore^rovInSf ibid. — Al-
trove (VI. 52) il flre«. dice che le Mi-
lìtÌÉ erano il piìi forraidabile costello di
Roma. — Per il terremoto violentiesimo
del 1348. 9 G 10 Settembre, la famo»
torji. ruinfi fino alla metà {Gng., VT.
316).
Ili
si^azioae non bene compresa dì pa-
latio della milizia può essere ve-
nuta r altra eh' ò nd Boccaccio, mi-
Ulare palagio; ma da questa espres-
none così indeterminata non può es-
sere uscita quella indicazione positiva.
Il Boccaccio dunque rinvenne sìjfattn
indicazione, se non nel cantare, in una
foatfi affine ad esso: il cantare per-
ciò non deriva dal romanzo di lui,
Poiché egL non ha inteso che fosse
codesto palagio della milizia ed ha
supposto che in questa forma, che
deve essergli sembrata straua, s' ac-
ceonaase nella sua fonte ad un pala-
gio qualsiasi proprio di cavaliere, mutò
l'espressione in militare palagio. Inol-
tre egli modificò il racconto imagi-
nando, quasi a crescergli solennità,
che il voto sia stato fatto in una chiesa
anzi che nella casa di Lelio.
n romanziere spagnuolo esordisco
ricalcando quasi il cantare: aach'egli
comincia dal presentarci il barone
romano, ricco o potente, che sarà
ili Fcrrai-a, (.■ stavagi alla corte dello
zio, il duca di Milano. Snonava in-
torno la fama della sna rara tioUezza,
tanto che measw Persio se n' accen-
de, e dolìbtìra dì condursi u vederla.
Apprestate perciò due grosse navi, si
inett« in mare con la più onorata
compagnia di sua gente, approda a
Genova, ove gli son fatta liete ac-
cogliensse; indi seguita verso Milano.
11 duca gli viune incontro una gior-
nata dalla citta , e lo ospita con
rogate splendore. Cresce la fiam-
ma del principe al vedere Topacia;
la cliìede in isposa; si conconla il
maritaggio, e si comiiiono intanto le
Eponsaliue tra le feste più alloro.
' Dopo essersi- alquanto trattenuto a
Milano, messur Peraio si congeda per
tornarsene allo zio imperatore, perchè
il romanziere, non contento di avorio
imaginato, come il cantastorie, ricco,
nobile B potante, gli aggiunge il lu-
stro di una tal parentela. Il duca
stosso b' accompagna agli sposi. Da
UaMTtm (ioiipno eoa pcoepoo « r»-
jpào Tittggid ad Ostia. (kmAi é i
dato arvtaa iM Inn arrìTu all' impe-
I nuuiva luto inouataiT a
nDambÌB al ilnua ìe uapitalì onrtesìa
osata al olpuu. SJ tinnii i
un. pa(n « lupwaton» alntavano
insica» l'iMana dtta miUa pia ìtBL—
Um uiBuaia (1).
0^ aiMaì UNI nasounu it^ouU. Pro-
flaaWiiiia amlHdtw ( nun U otarito aula.
oaSk'è imI i»nt&n. ik'1 puoBW gnieo
a aal FUornh) (il ruear!» [Mll<i(;rÌDÌ
a a, GiaeuiBD. w TapacM ì&|fnni(i (S^
IO Viidl li. I *.-«'. -. •nriÉ
(;ì) NvUa :S)w«B<t la lawMMla Ji Fiono
I
NoD BÌ acconna perù ad alcun voto
solenne nel palazzo delta mithìa, od
in qualche chiesa. L' angela dì Dio
appare in sogno due volte alla donna:
U prima annuncia che Dio le noga
Itgliuolanza, pcrchù le ne verrelitie
gran danno; la seconda invece, mcB-
ssggETO di miglior nuova, la raccerta
che il suo voto sarà esaudito (1).
Questa celeste apparizione Tu in-
spirata da quella che al Ittogo cor-
rispondente si vide pur nel Fiìocolof
0 si devo alla fantasia del ri&cìtoro
epagnuolo t Parrebbe più probabile la
Portogallo, nella Catalogna. Io ne cono-
eco la Inazione portoghese (Hardang ,
RomatKtiro porivgi*eì , II. 29 ) , e la
castigliano-catalana (Hllà y Fontanaln,
HomanceriUo OiUUan, p. 'Ì\A). Seconilo
quest'ultima i due spo^ bì sono recati
in pellegrÌD&ggiu non dopo che il cielo
hft fatto loro la grazia chiesta, ma per
pregarlo di conceder loro figliuoli.
(I) Ff. 5 r. - 6 r.; Haudinecht, p. 59.
un
«ooontlii ipiiUHiì. [wrcìiti ira rnnAa{»-
piu-lslulin e l'altra non coire molta
mmiiKliamn (I). D'altro cauto cad«Eta
pmfotlche visioni «rano tra lo ciar|ie
Jallu VDOt^bia rif^ottorla poetica e ro-
uiaiuH^acd; Iti può quindi ritonere che
i nostri scrittori u' abbiano osato in-
iliIH>uiJeuttìm«nto (2).
(t) Noi ^Uueoto a{i(>ari>ioe «. Giacoma,
Bua aula «olla, a a Lulio; nel nimunzo
«p. apparÌM'o ti nHgel tb DiW. duo volto,
u Tupu'ia. hm iNCOiiila rìv«LiuùoQti del-
l'ui^lu di Dio a •jDost' ultima A però
Uloutiu» a quollu litio ia i. «lÙKumu »
Lulio: iu uaboduo i -ma s'aunandu (4m
la gruia uhÌNta (ti acconlala.
Cl> Ita Mttil, |>|>. CM^*-*). — Noi
awtlwiM rilw;iuiu&tu J«l nuotro nmamo
la DarruioiM à «i>iii|>LÌlica(a rOwm. di
m. Itom,. IV. 16»): Quum la parto
lùial* dol rtcfìouio, eh* xl nfacan
alta WMaa >li Canto ■ <li To^iaciai imw
flU» te Uw aii|Mhaiotu ditU'iuig<4o di
ÌUOi S' II» font ^ui U Uauoia lU naa
I
Comunque, per ora basti rii>e(«re
che &a dup principio le quattro ver-
di! noi raffrontate, si oorrlspon-
duno: moniro il poema gl'eco appa-
risce una traduzione del cantare ita-
liano, i due racconti, che più libera-
mente si scostano da questo, con-
tengono pur sempre il nocciuolo co-
mune, il fatto che ritorna in tutto
quattro le versioni, od è il seguente :
un possente signore di Roma non ha
Agli dalla vaga sposa; fa voto di an-
dare in pellegrinaggio a s. Giacomo
di Compostella, se il cielo gli conceda
che la donna ingravidi ; ed ottiene
così la grazia domandata.
Da questo racconto quello di Rosalia
ai distingue per dilTerenze non lievi :
gli aposi, re Austero e la moglie Ro-
giormeute vicina alla aemplicitii del poe-
ntotto italìanol — Ancora; in queaU re-
diuione modornu il voto è latto da Topai-ia
col consenso del marito ; eaaa
dì recara al santn una lampada del '
lon: di 4000 scudi d' oro,
I
119
caaa fanno gt'audi feste. Avendu ve-
duto la promessa ormai compiuta,
prese (il cavaliere romano) la scar-
sella (Ttf (tapaiitiov ) col bordone, come
povero, e vestì l'abito [da pellegrino]
per andare al santuario, tempio di
Iacopo » (1).
Ne' due romanzi il racconto 6 più
largo, e indipendente da questo dei
due poemi. Giulia Topazia, dopo la
promessa e la appoi'izione di s. Gia-
como a Lelio, sento in etì il frutto
desiato, e lo confida al marito, che
n'd lieto senza line, e delibera dì
(1) Vv. 18-23. — Si noti che il poeta
greco ebbe innanzi qualcuna delle i-e-
dazioni del cantare , in cui , io luogo
della tezionu s tuia gente, s'ha l'altra:
tutta la corte; coal egli acriasa che ai
Jànuo grandi ullegrexze nella casa. An-
che il singoL prvie {tXa^tv) la scarsella
ecc. in cambio del pi. presoti, eh' è nel
nutro t«eto, deriva dalla lei. prese eh' &
io UBO de* mas. e in quasi tutto le atant-
l». Vedi note atlu St. 3.
--"''■"— iàlis ^ JM(K 4
•««.3
r Ahw «Hmte EiHÉi
tu .W. I. ifr4)i.~ ^ndte j
ISl
terre e i vassalli (1); e fa che gli sìcno
pi«|iarate < ynixa esclauiuas para el
et otra» para su muger j sondos bor-
dones seguo Iub romerus sueleo lle-
var » (2). — Ecco che in questo ul-
timo pECrtìcolare il romanzo spagnuolo
bì raccosta al poemetto italiano.
Gli sposi dun(|ue s' avviano verso
Qallizia. 11 tluca e la ducheaaa d' Olo-
nuis, nel socondo poema francese,
viaggiano con una scorta di loro frans
homex (3): cosi gli eroi del cantare
menan seco trecento cavalieri (4).
(1) Vedi li. poema fr, vv. 70-74, ove
il duca d'Olanais raci^omaada ad un suo
nipote la sua lerm e i suoi uomini. NelUi
Bapprvfenttu. di ìiosana, p. 373, il Ru,
inoanù il partire , confida il governo
dallo Stato al suo primo consigliere.
(2) F. 6 r. - 6 V.; Hanskneoht, p. 59.
(3) Vv. 62-69. — Noi I poema fr. ( vv.
85 igg.) «i parlu solo, a quanto pare, di
compagnia di pellegrini acc idon tal mente
raccDxiatan per ìslrndu.
(4) Velli St. 4, e note a questa L-d alla
St. preoedeQt«.
123
le del poema greco (1). Ma si può
:hfl essere tentati ad avanzare un'al-
tra ìpoteBÌ, forse più ardita e meno
probabile : che con fin' «utÌiv ìta(
i-Hptav il ptwta abbia voluto alludere,
anzi che a persone, a coso, che real-
mente poco prima trovausì meniio-
nate, ossia alla scarsella ed al bor-
done presi dal cavaliere nel prepa-
rarsi al pellegrinaggio. Allora si di-
rebbe che insieme marito o moglie si
sono posti in via recando seco queste
ed altre cose: e tutto il passo suo-
nerebbe: < come si fu avvisto, che
la promessa uveva avuto compimento,
[il cavaliere] prese la scarsella col
bordone, come povero, e vestì 1' abito
[da pellegrino], per andare al san-
tuario di Iacopo: e insieme [ìi ma-
rito e la donna] fecero viaggio coit
queste ed altre cose ». Certo sì vor-
rebbe man duro e inusato costrutto:
(1) Ve<U ai vv. 2
6M, 1022. 1708.
l, 307. 452, 563, 606.
1U
moi^av nlv c8óv ^épovTS^ TauTa km"
eTspa; ma è pure da riflettere die ci
sta innanzi un testo medievale.
QuoEta seconda spiegazione aareblie
confortata dal fatto clic tosto seiguomi
versi, nei quali si rispecchia la le-
zione di due de" mss, da noi cono-
sciuti, che, a questo luo|^, non pi-o-
sentano oenuo di compagni, che ab-
biano seguito il cavaliere. Uno le^e:
la donna el marito intraro in viugìo
atloi'a se scoDtraro io g-rsadanuagiofl);
r altro :
la dona, ellomo jnsieroemente
allora ÌHchontro in gran diLnaagio(2):
(1) Bibl. Nia. (li Parigi, 1095, ital.,
f. 15 r.
(2) Mb. Aibburnhamiano-laureDEiano
1397-1473, f. SD r. Anche la stampa di
Siena 1606, che sarà descrìtta piii avanti,
deve rìfl«ttsre un taito. che, a quuto
luogo, non oflriva cuiiao di coinpugui,
che seco obbiano avuto i due sposi: in
vsaa è questa lezione:
coiiiiuciurono il santo gron viaggio,
togliendo oro et argento da vantaggio.
e il poeta greco quasi ripete (w.
25-27):
.ri fk Toii «opE'jE^m atpdTiv tO'I t^JiSi
ixaoe ouvEmfrmio-ixv:
»« nel camminare la strada del viag-
gio incontro ostile pionu di danno là
incontrarono *.
PnO darsi cho esen poeta abbia
tradotto o imitato un testo del can-
tare almeno affine a quelli ora citati,
a quindi non abbia fatto conno, in
(juesto punto, di segnaci ctie si eienci
aggitinti agli sposi pellegrinanti. Ove
inveco si preferisca la prima ipotesi,
si può credere elio egli abbia utiliz-
zata noa redazione, in cui, corno. nel
fratomonto toledano (1). si trovassero
(1) Liilforss, op. cit. p. XVi
rouwgo nieniivoDO tresenb) cavalerì
a bianche uriue e convnli destrei'i :
lo marito e le dona introna in lo viagio
alora si ÌDContii' ai t^ran dalmugio.
del cantare stesso, quelli compresi
che ne avean taciuto, menzioiiaaa ì
trecento, che erano con lui (1).
Certo 6 che il poeta greco """
ebbe innanzi una delle edizioni della
1 italiana, in cui la chiusa ^dd la
9 la St. 4 suonano cosi:
B del baron vi conteraggio ,
9 m' ascoltate, ch'andava in viaggio.
r lacobo egli era appellato,
baron di Roma, e di graade leg[iagg:io.
Da incita gente egli era accompagnato:
la donna col marito entrò in viuggio,
per andare all'apostolo beato,
colla compagnia ch'io ti conteraggio,
ch'eletti fur trei^eoto cavalieri,
che montar col barone in su' destrieri.
Vediamo infatti che noi poema gi-o-
co non si incontra il nome del iia-
rone: il che accade pure nei mas. che
) noti, 0 in talune stampe
(1) Vedi St, 6, e note relative. A que-
sto luogo coriispondono Del poema greco
i V¥. 36-3U.
qnBilB I
bmm stato popùÌD alla lom ppegM»-
tm)^ anùamÌÈnàu ni v«m cb« tiwim-
ìanwtfrf fii— Il apponeeliiiiti v pmti
j*4iitÌBiB eoo. bicu a nuiUera ail ^f-
ùMa I« filtts pruDutanunt, al guaiti
oonuwiMaaBtu fn rj«pa«tu. lun* «kmk
pnati s agni loco piaca» > (I).
Cart nalia dii» raiaiioiu iIuUa teg-
mi
OL. L 18.
IS9
geùàk ài Rùsana, gli spora muovono
al peUegrinaggio con segnìto kt-
mato (I).
Invece n«l romaam epagnuolo ve-
diamo che i due pellegrini se ne vanno
scompagnati : < deIJheramoB, dico mes-
cer Persio a' parenti od agli amici
convocati innanìii la partenza, de no
lleoar con nosotros otra compaSia
nLngnna saluo aqif^lla de dios » (2),
Probabilmente il romanziere, corno
forsd il poeta greco, ebbe innanzi una
delle ci.>pie del cantare, in cui, secondo
ciò che sì villo poco eopra, non si fa
motto di compagnia, che abbia se-
guita gli spusi pellegi-inantj , e eulo
si dice:
(I) La Itgenda della rema Ilosana e<
p. 13; La Bappreaentai. di Rotano,
> F. 6 V. Anche ndla redai. raoderau
. i due pellegrioi viu^giuuo
i!•id^ inra
l«àK.fVte
A<^ Mk -A* pw «db ém ■
131
non han cuore di difendersi, e spoi--
^no, tremanti , l' avere. S' accompa-
gnara ad essi un oavaliere francaso,
chs menava la figlia, vedova e in-
cinta, al tempio dell' apostolo, cui
b' era votata per pietà dello sposo
perduto: costui solo resiste, ma i pa-
gani lo uccidono, e traggon seco la
donna (1).
Bai secondo troverò sappiamo qual-
mente re Galoriens d'Almeria, gia-
oesdosi con la sposa , si fosse la-
sciata sfuggire una promeissa, cbe
dovea tornargli amara : quella di
farle presente di uno schiavo cri-
stiano , che le apprendesse il fi'an-
ceeo, Ecco che senza por t«mpo in
meso, ^li si metto in mare, ap-
proda con mille cavalieri in Gal-
lina, e insidia ì pellegrini awian-
tisi a s. Giacomo. Stavano per giiin-
gm-Q al luogo, ov'era posto l'ag-
guato, il duca e la duchessa d'Ole-
I
I
(I) Vt. 55-102.
k
yrnmiìi jMtifRimi ■ s In,
^-^•«l«tfc
I
re soruciuo il nume stesso che gli
attribuisco il I testo francese, e sono
il csntare e i due romanzi: il poeta
greco, infedele per la prima volta alla
sua fonte, lo nomina Filippo (1). Il
n^o di lui e per tutta quattro le
verBÌoni in Ispagua (2). Secoudo il
cantare ed il romanzo spagnnolo, cume
ne' duo poemi Cruncesi e nelle altre
redazioni, egli muovo da' suoi domìni
e inrade un paese , che non gli ap-
partiene (3).
(1) Vedi St. 5 de! eautare; Fihcolo,
r. 20; Ftores y SI. , f. 6 v. ; Hknskneebt,
op. cit, p. 60. Nel poema gr. vedi t. 2^.
In luogo della forma Felù (Felice) ai
incontra qnella di Fenix: vedi, per ea.,
poema del Fleok^ v. 370. CohI nella redaz.
tvedew; mentre n<dla olandese si legge
Fmu»; cfr. Sommer, op, cit., pp. XIX,
XXI; Dn HérU> p. Ixtj, n. I; UBrmg,
p. 82.
(2) LI. ce.
(3) Questo paese ò, nel maggior numero
delle redazioni, la Gallixiu: cfr. Somner,
p[>. 283-84; Hersog, pp. 18-19-
]ioaaa«aiiBa9
!■ CiAtttft, ^Bk oii • ' mtewfc, . '
..«te ^f.-mam4L9iam*
l^i
soggiange che qoeeto ca^ii^iiù il i
I Filippo di ^ngnìi:
L « nel camminare la strada del viag-
■ gio incontro ostile pieno di danno lA
I iocontroroiio : tale danno mosse il re
■ Filippo di Spagna ». Il verso itatianu
lo re Felice si mosse di Spugna
non Tiene tradotte; ma da ciò che
s^ue apparisce evidente che il re si
e spinto in Gallizia sulta strada, cho
couduccva a s. Giacomo (1).
Uaioo fra i rimaoeggiatorl della
leggenda, il Boccaccio, come ni vedi'a
pia sotto, al dato oomuu« della in-
vasione di re Felice ìn terra cristiana
8ostltuIace una invenzione probabil-
mente bus: clie re Felice non irrompe
I procurarle uno Bchiavo cristiano
! Ifl apprenda l' idioma di Francia ;
r questo egli passa in Gallma, ove
fina di poter sorprendere qualche
compagnia di pellegrini cristiani, o
(li tn>var« fra essi un trancese da of-
irire alla regina. Secondo V altro poe-
, il re si Benli spinto a correre e
Ia diserterò la (lallizia da efferato odio
I ■' cristiani ; ma bÌ badi però che pur
Iqui e nelle redazioni alfìni egli ora
I Btito pregato dalla regina, innanzi di
I nooTCra all' impresa , di procurarlo
i gdiiaTa cristiana (1); e che la
Rdunna, che cado prigioniera io sue
i futura madro di Biancifiore,
(1) Vv. 107-110. Per le redaiioni af-
Sai cfr. UeriOff, p- SO. Anche nelle due
itunuuxe dt-, pg. e cast.-catal., si riflette
questa usdaione: pure in esse la acor-
mù «aracina è fatta dipendui'e dal ile-
ndorio della regina di avere una scbiavjt
nùtiaaa.
138
insegna alla regina il francese (I).
Nulla di tutto questo nel cantare e ]
nel poema greco; mentre nelle altre
due nostre redazioni, nel ronianzo
boccaccesco e nello spagnuelo, alla
spedizione pagana sì assegna tutt* al-
tro motivo.
Si noti ancora che nel nostro poe-
metto re Felice non passa in Galli zia
por mare; sia che nella fonte di esso
mancasse cenno di ciò; sia che il can-
tastorie nel riassumerò il racconto
tralasciasse questo particolare; sia che
del racconto stesso gli foBSe giunta,
oralmente, una tradizione imperfetta.
Pur nella nostra rima si rappresenta
il Saracino seguito da grossa compa-
gnia d'armati; ha seco mille cava-
lieri, secondo la lezione pia comu-
ne (2) , come re Galeriens (mil che-
vahers mena o soi) (3); molti, t
(1) V. 138. Cfr. Uerios,
(S) Tedi note alla St. 5.
(3) V. 40.
eondo un'altra lezione, comò re Ff-
e del l poema francese (de che-
valiers ot grani compatgne) (l). Ol-
tre il folto stuolo do' cavalìuri , con-
duce molta gento a piedi:
Lo re Felice si mosse di Spagna,
e cavalcò nn di secretamente
con mille cavalieri In sna conpagna,
e del povol menava al gran gente.
Molti cavalieri o fanti seguono il
re pur secondo il poeta greco, che
Continua a tradurre, o quasi, il can-
tare (2).
Dal passaggio in Gallkia si viene
tosto all' agguato teso a' pellegrini ,
come nel II poema francese , quasi
anche nel cantaro il re non fosse
uscito dal auo stato per allro fino (3),
Fra il nostro o i due testi fran-
140
cesi c'è a questo luogo una mani-
festa corrispondenza.
I. POEBCA. FR.
n re 8* appresta a lasciare la Gallizia
disertata:
. . . s* en Yeut li rois repairìer:
Les nes commanda a chargier,
Puis apela de ses fouriers
Dosqu'a quaituite chevaliers:
€ Esranment >, iàìt il, € vous armez;
Gii autre chargeront assez.
Alez, lassus en ces cJieminSj
Gnitier por reuber pelerins ».
Doni s* en vont di en la montatane;
Gardent aval panni la platine;
Pelerins voient qui montoient
La montaigne que il gaitoienU
Il lor vont scure, s*es assalent... (1)
II. POEBfA FR.
Re Galeriens giunge co* suoi
Desore saint-lasque au perron.
Ilueques a* arma el sablon,
Et quant li rois fu arrivez,
(1) Vv. 75-87.
Set fompaignons a apélex:
Gmter entoie Un chemittg
Por detrober Ut ptlerins (V
Sarraim t
I
1 la montaigne:
Qtiant il voieni nottre eompaigne,
Sore lar eorent lì paien.
Qui atni n' aimererU creiOen,.,. (2)
Cast ARE.
Lo re Felice si mosse di Spagna,
e cavalcò uà di Hecretamenta
con mille cavalieri in sua coDpagaa,
e del pOTol menava si gran gente.
Qiiattdù tiene al posar d' una >nontiii/nii
mtta Tnaiina a l' alba parisenie,
fece guardar U strade e li camini;
vide venir romeri e per^rini,
E lo re eomandò alti pagani,
e a' caBalieri, eh' eran bene armati:
ondale a vedere te aon crialiani;
n prosi a tagliati.
(1) Vv. 41-46.
) Vt. 127-30.
t
Co» gran fvrort ti mMSer li cani
sovra dilli etistiani bal^iati,.,. {})
In tutte tre le redazioni ei tratta
dunque di un agguato che ì Sai-aconi
tendono a pellegrini recantisi al tem-
pio di E. Giacomo, al varco d'una mon-
(1) Ud gruppo di stampe ci presanta
quost' altra lezione, che qui riportiamo
dalla più antica di esse, da qualla del
14S5:
Lo re felice ai mosse della Bpagna,
ot a causilo montb nubitamenta
con mille paualierì in sua compagna;
del popol menb eoa lui una gran gente:
al passar che fecion d'una montagna
lo re felice disse: «tato attenti,
et guardate ben le strade e chamini
doue paasar deon questi pellegi-ioi.
El re felice ilisse agli pagani:
o cUaualieri, andata bene acorti.
et uedete se quegli son crìatiani;
cbe incontanente sieno tagliati e morti.
Con gi'au furore s miasono i cani
sopra de' cristiani cbs oron men forti...
à
' 143
p
tagna, per cni quelli debbono paesnre.
n re stesso pensa e dispone l'agguabi,
facendo a'suoi guardare — ffaUer —
(si noti come ci sìa fino corrispon-
denza di parole) i cammini — le»
1
ehemim — , per i quali si va al
tempio.
n cantare s' accosta al II poema
francese in quanto ha rapida 1' azio-
ne, e tra l' arrivo de' pagani a s. Gia-
como e r assalto a' pellegrini non
1
pone, come notammo, alcun altro fat-
to; ma r incontro del cristiano, sfug-
gito per miracolo a" Saraceni, col duca
d'Olenois, e gli accidenti della lotta M
tra i cavaliorì francesi e gì' infedeli ^|
non si riflettono punto in esso. Il H
cantastorie aruti non accenna clila- H
ramente che i romani abbian venduta ^|
cara la vita o la liberta (1): quosto H
(1) Vedi St. e, 0 note. 1 testi del Can- H
lare, a questo luogo, dicono beo poco; ^|
Con gran fururt.' si mcnser lì cani ^|
sovra detli criationì balegiali: ^|
144
perù va sottinteso. Del loro Signore, di
mewer Iacopo certo Bappìamo da nna
SlADza, che « truva unìcainente nel
frammento toledaso, che a lungo di-
fese sé e la sua donna (1). Egli perisce,
mentre il duca d' Olenois resta pri-
gioniero nelle mani dì re Galerìpn.
In qnesto pure discordano le due ver-
tte ucistro e UtgUar più di dugenlo.
a pochi ne eattpar, eh' tran trteettto.
Con gran furore si mìnono ì cani
sopra da criatiani che «tod mea forti:
uìnteno et tagliarne ben dugmto
et pochi teamparon che eran ttvoento.
(1) UdfoTSS, o[.. ciL, p. XVI:
E questo fe de mtudo lo bel mese
Che lo ra Feliae fece la sconGta;
De quela gente asaj n'olHsi e pria.
SI ch'el barone de la wa dona a triste».
Davanti le; se meae a la dafeea
Con una spada, che asaì n' a qaistn;
Ma a la finita no la potò durar»,
Che lo re Feliee 1p h tuto tagliare.
8Ìoni, perchè la francese presenta un
particolare, che le 6 affatto proprio,
e l'italiana si conforma alla redazione
comune della leggenda (1).
Si vedeva che, tolto il nome di-
verso del re Saracino, il poeta greco
aegae il cantare anche nella parte
del racconto, che ora s'illustra. I
pagani passano per mezzo a monta-
gne (Cant. quando vene al pasar
d'una montaffna); al romper del-
l'alba (Cant. «Ma matina a V aìUi
jiarisen/e) pongono vedette a guar-
dai-o le strette de' monti. Videro pel-
legrini: erano cristiani, di Roma, che
andavano per venerare s. Giacomo:
con esa! viaggiava il barone, che avea
fatto voto . di recarsi in Qaliizia se
la moglie sua avesse concepito (2).
Il l»apone dunque non viaggiava solo;
questo potrebbe indurci a credere elio
in un passo precedente, che ci pjirvo
alquanto oscuro, secondo una ipotosi
(1) HerMgr, p. 19.
(a) Vv. 3S-43.
146
fatta , s' accennasse davvero a com-
pagni , che egli abbia avuti nel pel-
legrinaggio. Ma non à a mcravigUaro
che qui solo si trovi parola de' com-
pagni suoi, perche ciò accade pur noi
testo del contare, che fiaora vedemmo
seguito dal poeta gl'eco: in esso in-
fatti si tace di compagni, che gli si
sieno aggiunti al partire, ma dove si
narra dell' assalto pagano e della
strage menata, ei accenna, ciò che
a' è avvertito anche .più aopra, a' tre-
cento che, secondo altri testi, oran
mossi fin dapprincipio con la coppia
pellegrinante. S' aggiunga che dal
passo greco, come dalla probabile sua
fonte, non si capisce so gli altri pel-
legrini fossero cavalieri dipendenti
dal bai'one (1), secondo vuole la re-
dazione migliore dol cantare.
(1) Vt. 36-39.
ìxu "Show Sia^aivavraq ovApunrou? mXirfpCvavq^^
òXsi vfli àita-yahoiioiv Bwì voi npQaxwfyjoi}v
Tàv aytov Idoitù^, atnàatoì.ov xupt'ov,
I
Scorti i pellegrini, il i
comanda a' suoi di radere so Eìenu
cristiani (Cant. andate a vedere ne
son cristiani}, <?■ se tali sieno, di
far loro ogni maggior danno (Cant.
xe son cristiani, sien pregi e tagliati).
Oli infedeli corrono loro sopra corno
come cani (Cant, con gran
furore si mauser li cani) : e come lupi
li sbranano. Uccisero quasi cento, uo-
mini e donne; i superstiti legarono
con le mani dietro la schiena: fra i
morti fu anche il barone. (1).
Il Boccaccio ricollega le vicende
de' pellegrini alla lotta fra Dio (Gio-
vo) o Satana (Plutone), dalla quale
comincia il suo romanzo, Pio offro
a* mortali armi effi(^aci a difendeTli
dalle tentazioni sataniche; fra queste
e Là tìilero passanti i
Romtuii tutti nobili, cri
che andavuno per vener
apostolo del signora >.
(1) Vi. 40-57.
mini pellegrini,
iani (li fuJtì, tutti
e il santo lacojm
148
armi sono i santi pellegrinaggi: Sa-
tana dunque tanta impedirà cbe si
compiano, o contro Lelio, che moveva
pìamenta al tompio di s, Giacomo,
spinge, a troncargli il cammino o la
vita, re Felice di Spagna.
Egli convoca i ministri infei-nali,
e, rammentato l' origino e le fasi del-
l'eterno couflitto col cielo, Bo^nnge
che tra i mem più sicuri dell' umana
salute sono lo travagliose peregrina-
zioni a lontani templi; che massima-
monte i Romani danno agli altri po-
poli esempio in così fatte imprese;
ch'egli, infine, s'è proposto dì ri-
trarli da esse: perciò comincerà a sfo-
gar r ira sua sopra buon numero di
costoro, che ora si dirìgono al tem-
pio, il quale soi^o noli' strema Espe-
ria. I ministri suoi facciano il simi-
gliante ovunque sentano che si eoo
Romani pellegrinanti a luoghi sa-
cri (1). — Satana voleva riferirsi alla
(1) J^., I. 18-19.
c-.
I
149
compagnia di Lolio, cho in quel men-
tre cumminuva sulla via di s. Gia-
como.
Il Boccaccio dunque pone diretta-
meat^ sulla scena il re dell'inferno,
e ci presenta un coucilio diabolico;
ma del suo Plutone o Satana che si
voglia, egli non si ferma a ritrar la
figura, come avean fatto innanzi a
Ini, terrìbilm<intti , Claudìano (1) o
Dante, e come faranno più tardi il
Tasso 0 il Milton : né descrive l' in-
ferno (2) e i demoni convocati. L'adu-
nata de' diavolÈ nun è invenzione sua.
Qui non li vediamo prorompenti a far
guerra a' celesti come in Claudiano
stesso (3), 0 in atto dì tumultuosa
ribellione contro la volontà divina
(1) De Rapiu Proserpinac, T. 79agg.
(2) .\cceiina solo all' Acheronte nella
frase: e il miserabile re, il cui regno
Acheronte circocila >. Più in ìk (p. 45)
i fiumi di Stìge.
(3) De liaptu Pr.,1.32 Bgg.
^^^^^^^^ ^^^B
^^M corao nd Taagdo ipocrifu dì Nìeo-
^H tMM (2); ma norahi ti qb ancOlo.
^H dogU dei RiU-Oliapo. Coà «M«re-
^H k-, «Omm. «X. . L 1. MaW», Ed.
^H 2. HwtMttsi- nt«. pp. ?» «S-: **-
^B lUto. [883^ L pp. so «ff.); ». «-48
^H e teMtk /&cÌM d> tW-. £«(., ffiap.
^H d da iafcm ,«» pMto.
^M (S> A./:. Vin.aSwt.CA wa «Ha
^H «otnaponOaasa fra U laogo daaUK» •
^H IimUu tu Nii-HieiWK Si noli iati -^Mi
^H Veagilio, aUonbà i jmiMti Ja' cmAi vm-
^^H taau Dito al sw alanno, maianta la
^H CnMV, 1UB.Ì0 !G«M «a' ÙLTenw:
^^H QimU lor tm-Mfeua aoB <t uiwva.
^H OU tP> rwn aaou MVretepurU.
^^M La qual MBU «natta nacur ai trunt.
I
gsti li traviamo in un racconto cli't)
nei bìalagki di Gregorio Magno, ove
si narra che certa volta un ebreo
colto dalla notte in cammino sulla
via Appia', ei ricoverò in un tempio
antico d'Apollo, e qui, appiattato,
paté assistere ad una conventicola di
demoni (I). Ma più ancora il luogo
boccaccesco ci fa rammentare il con-
cilio infernale, ch'ó in principio del
Merlino di Roberto de Borron (2), Si
tratta qna e la di riparare i danni,
che l' inferno pati quando Cristo sceso
a spogliarlo de' giusti morti innanzi
la saa venuta, e 1' uomo, redento, fu
ravviato sulla strada del cielo. (3).
(1) 8. eregorll ecc., Opera. VenotiÌB,
1769, VI. 181-83.
(8) P. Farla, Les Romani de la Table
Ronde. II. 3 B^g.
(3) Uu concilio diabolico s'incontra puro
Di'amma Saci-o italiuno :
cfr, D* Ancona , Origini del Teatro in
Italia, I. 156-57.
15é
Ma in qual modo Plutone impedi-
sce a. Lelio ed a' suui di compiere il
pellegrinaggio? Adopei'ando la qua-
litil, che pili Toleatiori la fantasia
medievale attribuiva al diavulo, aJo-
|>ei-ando la sua perfida astuzia. Ecco
eh' egli 8i trasforma nel cavaliere
che, B nome di re Felice, governava
Marmorina; inforca un cavallo di
spettrale magrezza, e corre difilato ove
quel re stava dilettosamente caccian-
do: gettatoglisi a' piedi narra il mi-
serando caso di Marmorina assalita
da' Romani con notturna sorpresa e
bruciata, ondo egli appena aveva po-
tuto salvarsi ferito per dargli, prima
di morire, il doloroso annuncio. Fi-
nito il parlai-e, finge di cader morto
innanzi il re. Questi s' afii'etta 8 rac-
cogliere un poderoso esercito, a muove
a combattere i presunti assalitori : in-
contrandosi nella compagnia de' pel-
legrini romani, credulo sempi-e al-
l'inganno di Plutone, li attacca, e li
153
. Lelio rimane ucciso ut-Ua
iia(l).
Esempi di dei che plgliuno fvrma
ma ci oi^Do KDche qVi autori
; ma la metamorfosi di Plu-
ì imaginata dal Boccaccio appar-
) Bconflnato du'tramu-
Plaauoti diabolici secondo le credenze
Iciistiana (2).
Dltblu H«it ilo tot IoDgaig«3,
le en fornii humamnt;
Tm jiiTB de mal fkire se poiniie,
. Toccliio poeta francese (3) ;
oi indugiamo ad il-
1 E«oonda verso, perche co-
) trasformaziouì del diavolo
I (1) FU., I. 20-51,
I \^ Un'altra metamorfosi Ai Plutone
Q poco pili lontano nel FUotolo stesso,
les-TO.
I) Dolopaihos , ed. Brnnet et Kod*
• (Paris, 18A0), 12141; B.Schr&-
I Glaube und Aberylaubt in den all-
t. DkhCungen, Erlangea, 1880, p, 07.
154
d tema assai coinuDe nei raci^onU me-
dievali. L' episodio boccaccesco non
fa che riconfermare ciA cbe nell' etA
di mezzo si credeva universalmente,
e credono ancora 1 volghi, che il dia-
volo , per uBare le parole da Dante
poste in bocca a frate Catalano de'
Molavolti,
.. à bugiardo e padre di menzogna fi ) :
cosi l'inganno, di cui fu vittima ro
Felicfl, 0 peggio Lelio co' suoi ro-
mani, b' inquadra in una lungUissima
0 srartata istoria di trappolerie sa-
taniche (2). Per quanto poi (K pa-
gano non abbia che il nome, e in
(1) Inf., XXni. 144.
(2) Rsoiii|)i d' iDganni diabolici vedi in
Sl^ebertl Geinblaee&slB » Chnm., od
ann. 43»; 8. Gre^rlI, Op., ed. eìL
VI. 66-67, 93 ecc. ; lae. ab Àqnls, Ckron.
Imaginis Munàì . Moo. HisL Patriae, SS.
ni. 1417; Chron. Epiteop. Otnabury.,
prMM il Meiboa, itgrum Germ, SS..
II. 214.
I
fa a pezzi. IaUìo rimano ucciso nella
migchia (1).
Esompi di dei che pigliano forma
umana ci offrono anche gli autori
classici; ma la metamorfosi di Plu-
tone imagiaata dal Boccaccio appar-
tiene al novero sconfinato de' tramu-
tamenti diabolici secondo lo credenze
cristiane (2).
Dìttbtea seit de tot leagaìges,
Et bifrt >c tnue tn forine humainne;
Toi jors de mal faìre se poiane,
dice un vecchio poeta francese (3) ;
né occorre che ci indugiamo ad il-
lastrare il secondo verso, perche co-
desto delle trasformazioni del diavolo
(1) Fil., I. 20-51.
(2) Un'altra raetamorfou di Plutone
vedi poco più loulano nel Filocolo ateaao,
I. 68-70.
(3) Doiopathos. ed. Brnnet et Mon*
Ul^«a (Paris, 185G), I2t41; B. Scbrii-
der, Gtaube rnirf Aberglaube in den alt-
front. Diehtuiigm, Erlangeu, 1886, p. 67.
I5fl
Ma in quosUeoù ampia libortA
di rimaneggiamento ìncoDti-iamo perù
qualche dato, che appartiene ad altre
delle redazioni da noi illustratf. Se-
condo il cantare, seguito dal poema
greco, re Fulico scorge primamente ì
pellegrini al passare d' una montagna,
sul far dell' alba : a tal ^'ista ogli
eccita i suoi a piombare sopra di essi.
Cosi, in fondo, nel più complicata rac-
conto boccaccesco, ove pure sul mat-
tino re Felice dall' alto di una mon-
tagna, che gli couveuiva passare,
vede i pellegrini , o comanda a' suoi
cavalieri di scendere ad attaccarli (1).
I due te«ti si corrispondono poi
anche nel fatto che re Felice non com-
pie in essi, come ne' due poemetti
francesi e nelle redazioni affini, alcun
viaggio marittimo por condursi a
combattere i cristiani.
(1) Si confrontino lo SU 5 e 0 del Cant.
con le pp. S8'3I, I voi-, del Filocolo.
157
É ehiaro tuttavia cho il caiitiirt»
nella parte, che ora si analizza, è
indipendente dal Filocolo, la i|uello
e Delle altre versioni s'ha un adom-
bramento (antaatico della realtà sto-
rica: una scorreria di Saraceni in
tenltorio distiano, e lo scompio do'
pellegrini incontrati per via. Non
e' entra dunque affatto il meraviglio-
so, il soprannaturale eh' è nel Filo-
cólo; nò Giove nò Plutono, né Dio
nò Satana. La fantasia erudita di
messer Giovanni dilata la scena, e
feconda un lieve gemae: nella leg-
genda è la soliietta verisimiglianza dt
fatti umaui ; nel romanzo boccaccesco
invece gli accidenti dell' azione umana
altro non sono che effetto della lotta
etema tra cielo ed inforno, lotta che lia
fondamento cristiano, ma si vest« pur
di forme classiclio, si che la contesa
fra Dio e Satana fa rammentare quelle
dei Numi narrate dai poeti greci e
UtiDÌ. Re Felice cosi non è più un
capo feroce di predoni pagani : diventa
J
r in^nuo strunientu dell' ira di !
tana. Egli non prende 1' anni contro
i cristiani per odio alla loro fedo; ma
I>ei' difendere il suo regno da una
creduta invasioni! (1), Anzi la di-
stinidono di cristiani e di siu'aciui nel
) del Boccacciii non à più cosi
netta e precisa come nelle altro re-
dazioni dollu li«ggenda: vediamo in-
fatti che gli unì e gli altri adorano
le divinila dell'Olimpo; e che la steesa
erudizione classica de' discorsi di Le-
lio fiorisco in quelli dol ro Saracino (2).
(1) Vediamo anzi corno egli, coooscialo
che Lelio e i suoi ei'aao innacenli dal-
l' eccidio di Marinorinti, pi-ovi rammarico
di averne fatta strage: cfr. FU. I. 62, 66.
(2) FU., l. 24-27. Re Felice, oltre che
Marte, nomina nell" invocare l'aiuto di-
, Oiove e Oiunoiie; Lelio (p. 43)
prega Giove. Certo s' iotendo che il Gio-
ve, cui si volge 1» prcg'hiera do" cristiani,
6 Dio, ma per queala, sia [iure appiirente,
comunità di culto la dìvei-silà religiosa
i
Ciò che muove costui è ^liuttostii U>r-
de'due popoli non ò più cod manifeata.
Lh Dazioualità do' nemici di Lelia à peri)
indicata qua e là chiaramente: «... già
ionumerabill quantità di saette e d' ap-
punlati dardi erano sopra i Romuni gio-
rani discese, gittate dagli archi di Par-
ità e dall' arabe braccia * (p. 45); «., ..
mescolando le romane ceneri cult' arabiche
non conosciute > (p. &1|. I Saraceni soii
■letti canina genie (p. 46); altrove sono
eRpresuoni come queste: un ardito ara-
bo.... > {p. 43); «... aff'ricaiii bracci *
(p. 50). Quando Lelio s'accorge delU
genia armata, che gli si fa incontro,
sospetta che sieno nemici della sua fedo ,
< perocché noi dimori;Lmo, egli dice, io
quello parti nolle quulì ha più persecu-
tori della nostra novella e santa legg'e.
che qiiaw in niuna altra del mondo »
(p. 33). Vedi pui-e pp. 36. 37. Il Boc-
cacdo imagina che re Felice fosse « ni-
pote d' Atalante sostenitore de' cieli >
(p. 20): ora, poicbò si favoleggiava che
Atlante abitasse uell' Africa di conti-o lu
rore del grande nomn romano (1),
Mostre dunijuc il poenK^to si collega
strettiBsim&mente alle aliro Ti.Tsitini
ed e un fi<lo e immi-diaUi riflesso po-
poUre della |{^:<?nda, il Fìtocoto se
ns staoca affatto, e ]>reseiita i carat-
teri di mi rtmaneggiiimciilu Iett«nirÌo.
P«rò. se sì levi ciA che indabbia-
tnoote epetta alla fantasia ed alla
dottrina del Boccaccio, 1' elemento
suprannatnrale, le reminiscenza clas-
siche , 1« aggiunte fatte nel li)>ero
STol^menlo del racconto , Tediamo
eome il Filocolo s'accordi col cantare
Spagna, si potrebbe ci«dere rhe in que-
sto modo il nostro autore volewe adom-
brare U proTeni«Dta di lui e del lao
popolo dall' -africa setlentrìonole. — L*o-
mdizioiio claaìica, di rui ta efog^o re
Felice, vedi ne) diarorso che gli b posto
in bocca, pp. 2&-2fì: sì confronli anche
il discorw di Lelio, p. 34; l'altro a pp.
36-37 ecc.
(1) FU., I. 66.
I
■
161 '
meglio che con ogni altra versione.
Tuttavìa s' avvertii oha nel romanzo
non BÌ determina ' che fossero trecento
i cavalieri pellegrinanti col BÌgnore
romano, corno nella rima (1); che
inolire, mentre in questa non a'ao-
oonna dove sia avvenuto lo scontro
fc& earacini e romani, nel romanzo
si rileva, spigolando qua e là, cho
esso accadde, Beeondo voleva la ti-a-
diidone comuno della leggenda, non
lontano dal tempio di s. Giacomo (2).
(1) Vedi Fiìoeolo.l. 18, 32, 35. A coloro
che eran partiti da Roma con Lelio ai
aggiungono per 'via altri giovani egual-
mente diretti a s. Giacomo (pp. 32, 35),
(2) Lelio cninmiDaTa ormai da quattro
mesi allorché fu pervenuto al punto, in
cui ro Felice lo attaccò (p. 28). Egli avea
valicati gli Apennioi (p. 28) , era pnsaiito
da Marmorina, posta nll' entrare nel re-
gno di colui (p. 62), vicino a quei monti
(p. 20), ed ora a" atTi-etlava verso b. Gia-
como, eh' ora agli ultimi ronlini del re- '
goo steBSO (p. 62). Quando si vide pro-
li
Ma e' 6 iissai dì pia, porche queste
sarebbero dissomiglianza troppo leg-
ceder i^otttro U gente di re Felice ei tro-
TATA in pEMsa pagano: < perocché, egli
dice a' suoi, noi dimorianio in quelle parti
n«U« qiuli ha più peraecaMn della oosti'a
novella e santa legge, che quasi in ninna
altrs dal mondo > , p. 33. Vedi pnre p.
3G. Cbe la zaffa sia acCBilata in (spagna
à desume anche dal luogo, ove è detto cho
e non solamente i Inpi di Spagna oocii-
paroQO la sventurata volle (dopo la strs^
di Lelio e de'suoi), ma ani-ora quelli
dello strane contrade rt'unero a pascersi
sopra i mortali pasti » (p. 64), Altrove
(li voi., p. 367) si vede che. raccolto
r ossa travate sul campo di battaglia e
lasciatole sotto suflirienta custodia, Fin-
rio e Biancifiore, cavalcando iananii al
loro cammino, > poco distanti tn breve al
dimandato tempio (di ». Giacomo) pei'-
vennero ». La mischia dunque aveva
avuto luogo poco lìiglanle dal tempio.
Non è a dire che il Bocc. qiii abbia at-
tinto a' poemi francesi, perchè egli si
stacca da tutte le oltre versioni imagi-
nando che a. Giacomo fosse dentro 1 con-
fini del regno di Felice.
163
giere: il Boccadcìo nomina la città
di Marmorina, e la imugina soggetta
alla signoria ili ro Felice : anzi nel ae-
guit» fa che buona parte delle cose
che narra ahbia luogo in questa citta.
Il cantastorie invece non la menziona
mai. Si sa poi che Marmorina è Ve-
rona (1); ma ili ciuesto si dira pitì
(1) Sorto, Leu. sui Fil., Atti dei R.
laL Yen., Serie III, 10, pp. 067-73. 753-
73; Rajna, Uggeri il Danae nella L«i-
teral. romanzesco d^ti Italiani, Roma-
nin, in. 49; Norati, Sulla eomposii. del
Filoeolo, Oiorn. di Fil. Rom. , III. 62-65;
SfnlmerOf Sulla eoroiftafia del Filoeolo,
Rivista Minima, XIII, 7 (1883); Graf,
App. per la »i. del ciclo brellone in Ita-
lia. Giara, et. della Lett. it., V, 125-26,
Verona fu detta citlà marmorea. Mar-
mora, Marmorina da' mannorei palagi,
0 dai marmi, che ai cavavano nel suo
territorio, Luoghi del Filocolo, dai quali
apparisoe evidente che la Marmorina del
liuccaccio è Verona: I. 165 (Florio e
L
avanti. Anche qui Hiitii)U<> può sor-
gere r ipotusi cbo il Boccaceio abliia
profittato di una fuul*^ affine al can-
tare, ma non cosi secoamento com-
pendiosa.
Asralioae movendo a saNur BittQCÌRoi'e
prendono U cammino verso la Braa [Pra-
ia], la nodaiima piazza di Verona, ove
sorge l'Arena); 179 (s'indica ancora la
Braa); 289 (Fileno, fuggito di Marrao-
l'ioa, dopo aver veduto « l'uno e l'altro
lite di BacchigliODB, pervenne alle mura
cwtrutte por l' addietro dall' antico An-
tenore, e in quello vide il laoi^ ove il
vecchio corpo con giusto epitaffio si li-
poaava » [Padova] ecc. ecc.; 308 (non
lontano da Marmorina sono i porti, <ìà
dove il Po le Hoe dolci acquo mesoolu
colle salse >); 309 (a'acceiuia ancora alla
vicinanza di Marmorina all' Adrìatico);
350 (le case dì re FeUce sono proasime
all'Adige); II. 5 (da Marmorina Florio
e ì com])agni toccan prima Mantova);
188 (Florio ai diue purtiW < dallo ton-e
che l'Adige riga >).
165
La stori» di Rosana, a i]uesti) luo-
go, uon è molto diseJmile da quella
di Florio. Il re di Cesarea, fiero ne-
mico de' romani, che gli aveaa tolta
la signoria della Cappadocia. coglie i
pellegrini ad un passu difficile, ùvù
s'impegna aspra battaglia, e li fa a
i noti che qui pure vien tesa
un'imboscata a'iiellegrini, eche il loro
duce, re Austero, perisce, come messer
Iacopo e Lelio (1).
Vedemmo che Persio e Topacia
> da Roma scompagnati (2);
nel romanzo spagnuolo non s'accenna
por conseguenza a nessuna battaglia.
La Spagna era quasi tutta de' Morì : il
(1) Race, (li Uos., pp, 13-14; Rappre-
seaL, pp. 374-75.
(2) L'Hanaknecbt, p. 60, nel risa-
scrìve: <.'.... brecban
Panna, Topacia, und ihre beglei-
tung auf nach Spanien >. Credo
che le parole spazieggiate non trovino
rlsoontro neppure nel l«eto seguilo dallo
studiOHo tedesco.
ra crùtiano di Gallida v di Portogal-
lo (t) poguva tributo a Fetide, re Sara-
cino. Costui manda snoi messi per a-
Tere il ti-ibnto consueto; ma il re cri-
«tiono rifiuta di pagiirlo, pei' cui s'ac-
cendo guerra fra i due. Il Saracino,
fatti) vutu ili non risparmiare cristia-
no, che gli accada incontrare, esce
dolio Bue terre cuntru il vassalli) ribel-
l« : invade, veri similmente!, la GalUzio,
cunforme il dato comune della l^igen-
da. S'avverta cerne anche U romanziere
spagnuolu si scosti dal Boccaccio. In-
tanto i nostri due pelU-grinÌ tapioavatio
(tuli' U«pr» cammino : un ^-iorno, fi-aati
dal caldo, sostano a ristorarsi nella
fiMWura di un pratu, presso una footo,
(1) Nel iMtD tp. ora par« vhie una mU
panona cwgaaaa» iwlL* in» primazìe ; oca
oh* loMMV ilua N ilntiuti: 4 liiie In U-
•liirÌA (■« 4 ra? Jn lìolìiia t •!• Partii-
m1 au/t tffua chrìftCuuio^ ^^^t^n càiitto
ttilHilO a E'Wkv . . . >. S oaà aoeb* pift
allorché sopraggiunge 1' antiguardo
pagano. Interrogati se sieno cristiani,
lo aSenoano impaviiii, ondo il cupo
de* Mori fa ucciderò Persio ; ma non
ha cuore di spegnere la donna, cho
gli piace invece di serbare, qual ghiotto
dono da offrire al ro (1).
Anche il romanziero spagnuolo, co-
nie si yede, ba rimaneggiato libera-
mente il racconto: egli infatti asse-
gnò alla iinpreBa aaracina un motivo
che forse, ignorando i:tuelli accennati
nelle altre redazioni, ha imaginato
egli stesso (2^, dietro la tradizione
(1) Ff. 6 T.-7 r,
(2) Nelle già citate romanza portoghese
e CBBi-catalans il oonte Flores è colto
da' sarocini non mentre andava, ma men-
tre tornava da b. Giacomo. Dalla prima
di osse noQ s' accenna a resietenza ilei
conte (HardnnS) op. e 1. cit.):
Deram com o con de Flores
Que vinha da i-omaria:
^mha Ut de Samtiago,
Sarotìago de QalLiza;
delle lotte ebe limgamiaot« si stw
eombotinte nel mo paese fra ro cri-
stiaai e re mori. Ma io fondo rimane
pur sempre it arno essenziale d'una
incursiuno dì ro Felice in OalUzia
per odio a' crìstìam. L' autore 8pa-
gnoolo si allontana dunque dalla for-
ma origtDarìa della leggenda meno
del Boccaccio. Egli non mantenne il
particolare della imboscata tesa dai
pagani a'pelle^ini; ma si noti peni
che anche Persio e Tupacia, non a-
Tendo aTOto aleno sentore dell'ap-
pressarsi degli infedeli, sono da questi
MalATam o conde Flore»,
A cundena vai captila.
La seranda invece adombra codesta
resistenza (KUàr Fontanals, op. e 1.
city.
Vod Venir el curnle Floris | »)U0 viene da romeria,
\ì»ae de pi-egar h Dìos | nue le diese un hijo o hiJL
( Comte PlorU, comte Floris, | tu mtijer aoii cautiva i
I Nn cera rautìva, nò, [ aunque me cueste la -rida *.
Malaron tì corate Floris, | quedik su mojer cautiva.
160
l.sorprosi. MesseF Perfiio non oppone
I resistenza; il die si spiega ripmisundo
Ifibd il rommiziiire lo ha fatto partire
1 compagnia e senz' armi, con la
I BchiaTina soltanto e il bordone dei
l'pellcgrini (I).
3. Uccisole il marito, ì Saracini
I fa'aggon seco la donna innanzi il re:
r questi, al vederla cosi bella e gentile,
[ BÌ rallegra del dono ofibi'togli; indi,
r reduce dall' impresa di Qallizia, la
I presenta alla regina, che so ne com-
(ì) Nel rifacimento moderno del ro-
Buuuo Bpagnuolo i due pellegrini fan
ft viaggio terrestre; ma poi, vinti
EftuicheEzs, montano sopra una na-
T In mure che son eorpi^si dai mori:
Rostro galere di corsari assaltano U
FnsTa, ov'esd trovanà, e una palla moi'»'
B trapassa il petto di Micher Peroio.
B {}ui Biamo forse men discanti dalla roila-
I originaria della leggenda, per la
i.^uale i pellegrini sono appnato assaliti
» veri pi-edoni aaraceai.
piace viramcnl«. In questa parte e
l'acconto il cantare si aceusta al I
poema fì-ancese ed alle versioni bJ&oì.
Testo frascesk,
Au roi Felis l'ont pi'eseiitée,
Et il l'a forment eigardée;
Bien aparpoit a son viaoge
Que eie estoit de haut purage,
Et diat. s' il puot, qu' a la rotnu
Fera preseiil de la meachuie (1).
. . . por sa purt, a la roine
Doae de gaaìug la neachine.
La roine a' en (kit moult liée .. .[i]
Testo ftamìLvo.
daTunti a lo re la presenloro,
a quel presente beUo tene cara.
Lo re quando la vidde si belliaumu
quella criatiaua di terra latina,
bene la tenne por gioia grandiainia;
(1) Vv. 103-108.
(2) Vv. 131-133.
diedek ìa guardia
Naia fu in Itoraa la genti lisi ni a:
apruseotar k fece a la reiiia,
e quand' aparve In bella cristiiina
ella reina beltà (enea cara (I).
n cantare tuttavia ó qui pure più
breve aesai dell'altro redazioni ; quindi
manca d' ogni particolare sul ritorno
di re Felice e de' suoi Del loro paese.
Altrove si narra che essi Bonu sbar-
cati a Napoli, che nella fantastica
geografia di questi vecchi poeti è fatta
capitale di un re di Spagna, od a To-
ledo, che non meno Etranamento si
muta in porto di mare, o, cun veri-
simiglianza senza confronto maggiore,
ad Almeria (2) ; nel cantare invece
il ritomo ó af&itto sottinteso, come si
vede nel passo testé riferito.
(i) St. 8-0.
(2) n troverò del I testo fr. à'ic.e che
il re pagano amoata < a Naples, a la
cita bela > v. 119: vedi pure il poema
del Fleck, v. 498. Cfr. Sommer, ^. 285
Il poema greco soguo l' italiano con
la osata fedeltà (1); mentre senza con-
fronto più ricco si svolge il Filocoìo.
Dopo la battaglia tra la gpnto di iv
Felice e i romani, al calar della sera,
essendosi riavuta da un lungo tra-
murtimeiito, cLo il romanziere fu du-
rare dal principio della zuffa sino a
Wehrle, pp. XXXIII-VI (ove si spiega
Del modo più pei-Hua^vo come Napoli
possa esBersi imoginata capitale di un
regno di Saraceni apagnuoli); Dn ULi'
rll, pp. Ixvj, ci. È il rìman^giatore
olandsM, Diedei'ic van Araeuede, che fa
sbarcare il re Saracino noi porto ili To-
ledo (Sommer; 1. e). Alroeria è indi-
cata inTece dal secondo troverò francese:
V. 165.
(1) Vv. 68-71. Fa già notalo (Henotr,
20. n. '" ) che nel testo greco manca il
passo, ove dovrebbe accennarsi che Ìl re
ha affidata la prigioniera ciistians alla
regina: vedi tv. 72-63. Sarà ancha qui
il eaao dì una lacuna del i
del poemetto 1
I
173
puntai, Oiulìa si aTvede dai
pianti cho tacevano le sue compagao
come le armi de' auoi fossero state
sfortunate. Quasi foi-sennata, ella corre
tra i morti a cercare il corpo del suo
Lelio, e, ritroratolo, si lamenta o
piange, e fa con le compagne riso-
nare di lungo gemito, nella notte, la
funerea valle ; tani-o che il re manda
ano de' sui cavalieri, Ascalione, a
vedere onde movessero quei lamenti :
Ascalione ritrova Giulia, la conforta,
la rassicura, o la persuade a seguirlo
innanzi il re. Costui la accoglie pie-
tosamente, la rianima, e quindi, con-
dottala seco a Siviglia, la presenta e
raccomanda alla regina (1).
Di questi fatti non trovano riscontro
nelle altra versioni se non quelli che
si debbono riguardare come fonda-
mentali, perchè anche qui riesce evi-
dente che il Boccaccio ha con piena
libi'rta rifatto ed arricchito il rac-
(1) FU. I. 53-6D.
174
cooto. Cosi Tediamo che Giulia, la
(juale cerca nottetempo fra i morti,
sili campo di battaglia, il carpo At>\
marito, e sovr' esso, scopertiilo, si
abbandona e si aciùgUo in disperato
pianto, ricorda un'altra dolorosa, che
un poeta caro al Boccaccio rappre-
soDt6 nella stessa condizione: vugliam
dire la Argia di Stazio, vagante del
pari fra le tenebre in traccia del ca-
davere di Polinice (1).
(1) Tehaide, Xll. 280 sgg. — FU., 1.
54: 4 E andando ella per lo (^ampo pian-
gendo, e Bprez7Aiii3o le sue bellezze, molli
corpi morti colle sue inani Tolgea por
trovare il suo misero marito ». T«b. .
XII. 28S-90:
viauque sagaci
Kimutur poaitos, et corpora prona supiaat
Incumbens
Il Boccaccio rìesce però inferioi-e al poeta
imitato: 8Ì confrontino infatti le parole:
( e poiché alla n'eblie molti livolU. e
rìconoaciuto il suo Lelio,
quivi sopr'esao «emiviva piangendo cadde
175
Pare il romanziere spagnuolo narra
che il re Saracino assai pregiò il dono
della bellissima cristiana fattogli dai
suoi ; ed aggiunge che, affidandola ad
un suo cavaliere, tosto la mandò
ecc. ecc. », coi versi 317 sgg. del poema
latino. Nel discorso che indi segue, Giu-
lia rimprovera dapprima il marito per
essersi scostato da* suoi consigli ; ma poi,
pentita quasi, soggiunge : « o iniquo pen-
siero, e sconvenevole volontà, recate la
morte in me, che non Tho meno meri-
tata che costui ecc. » (p. 55). Cosi ordi-
nato e intonato è pure il discorso d' Ar-
gia, che, dopo gli amorosi e sconsolati
rimproveri, esclama (vv. 336-37):
uid queror? ipsa dedi bellum, moestumque rogavi
sa patrem, ut talem nunc te complexa tenerem.
Giulia aveva il volto brutto di sangue
(pp. 54, 58); Antigone, sopraggiungendo,
scorge la cognata (vv. 363-65):
atra sub veste, comisque
[uallentem, et crasso foedatam sanguine vultus.
alla regina, odia citU dì Caòt^ fi
Oriego (l), ovo le fu fatta da i]uella
Vedi deUa slassa T^ide. III. 130-30.
— Oìnlja bacia il cgrpo dì Lelio (pp.
54-^); Argia e Antigone baciano in-
sieme quello di Polinice (vr. 3S5-8S).
Cfr. anche XII, 27-38. — Aacalione dice
a Ginlia (p. 60): < or se doÌ ti roleni-
iDO qui l&eciare, non ti spaienterebbono
gli infiniti spiriti de" morti corpi sparti
por lo piangevole aere? >. SÌ noti rome
Argia TagBBie pel campo (tv, 284-85).
non circuDofusa tremiscens
l'oncilin umbrarum, atque animos sua membra gemenb^
(1) Non Oi/wfa dei Griego^VHi. Morii,
[t. c]j ; HansknecEit, p. 60). Il Du Mèrli,
I. e, riteneva che questo nome dato nella
varuone apagnuola alla capitale dei pre-
doni taracint volene a sostegno dalla sna
ipotesi che la leggenda si fosse formata
in Oriente. Cabota del Griego gli parava
denominazione orientale, come quella ahe
«■sanse Corinto nel medio evo. Caput
Achajae. Se non che il Du Mèrli ha
r ncGoglienza festosa che dicono pur
le altre redazioni (1). Lo epagnuoto
dunque fa eompre come il Boccaccio :
fatto ì conti senza i Dizionari geografici:
ce n' è uno, voccbio ma buono, vhe mi
atteita la reale esiaten»! in lapugna di
Cabepi-et-griego, mentre in altri piii re-
centi macca ogni indìcozioue del luogo.
Vedi Bruttn de la Hartinlère , Le
Grand Dietìonnaire fféoi/raphigue hlslo-
rique et critiqve, T. 2. , Paris, 1768, p.
3: « Cabe^'tl-grùgo, village d' Espagne
daos la TÌeillo CaHUUe. Moralez, Mariana
et Zurìta, laissent incertain, ai c'est dang
ce lieu, ou & Ineesta, bourg voiein, qu' il
Taut cbercher l' aacienne Segobrlga, qae
d* autres clierclient beaucoup :
Segoi've. >
(I) F. 7 V.; HanBkneofat, p. 60. —
Anche nelle romanze portoghese e casti-
gliano- catalana è lieta l' accoglien
la regina mora fa alla prigioniera. Vedi
opp. e II. ce. — Nella redaz. moderna
del rom. ap. , Topacia, divelta dui cada-
Tere dello sposo, ch'è gettato in mai^
Tiene dai conarì presentata al loro re.
178
amplia e modifica liWamente il rac-
conto. Qui infatti egli non ee^ao \a
rimanenti versioni, nelle quali il re
stesso presenta alla moglie la schiava,
tornando dalla spedizione contro i cri-
stiani: ed è naturale, che quando la
donna cade in suo potere, egli non ha
compita, come si narra altrove, ma
appena cominciata la guerra in Gal-
Ikia; del suo ritorno quindi non si
poteva parlai'e cosi presto.
Ora ecco insieme la regina e la
scbiava. Cosi nel 1 poema francese
che nel cantaro vien posta in rilievo
r amicizia confidente strettasi fra le
due donne, di che tace affatto l' altra
redazione oitanica (1). Occorrono tut-
tavia segni chiarissimi che il testo
presso Argel. Costui pregia molto il do-
no, e manda la prigioniera alla regina,
che la rìceTe con vivo segno di aggi'sdi-
inento.
(I) Nel II poema fr., a qneato luogo,
■I narra invece che la duchessa d' Olenoia
^^H italiano non dipende direttamente
^^H dallo straniero: questo si rode aperto
^^F puF dove essi si accoBtaao, senza con-
^H tare che nell' uno si leggono parti-
H^ colapi, che mancano all' altro. Il tro-
verò narra che la rt'gina consente
alla cristiana di guardare la sua fede,
e che da lei apprende il francese; il
t cantastorie, in cambio, sa dirci i nomi
delle due donne (1), de' quali c'im-
porta specialmente il primo, quello
della cristiana (Topazia), perchè, se-
condo già si è notato, ripetendosi
nelle quattjo nostre versioni, vale a
renderne manifesti gì' intimi rapporti.
Le due redazioni si somigliano U dove
rappresentano la schiava intenta a
leggiadre opere mulieri. Mentre è in-
tasa a queste, essa impallidisce, si la-
pletceameote s'ingegnava di campare il
manto, langueoU in prigione, serbando-
gli la miglior parte del cibo, ch'era a
lei assegnato, e raccogliendo le briciola
della mensa del re (vt. S05-18).
(1) St. 10.
bi^w^^^v.
kS»fcHM&.
.^^«ai_ «._.(■)
(ttiv tajs
18]
i le puose H
e standosi e
chella reina
Una tela che Tenne di Dolraam,
di seta e d'oro, che rendea splendore,
daTanti & la criaUana la fa metai-e,
cba molto bel lavorio gapaa tesere.
La crestìana istava pensosa,
e nel ano tìso nono' avea colore,
edicia; lassa che son, dolorosa,
che non mi venne d'una lonza al core?
ch'io fossi morta, di sa venturosa,
quando fu morto '1 mio doke signiorel
Con lui mi moB^ con grande lelizia
per andare a V aposto! di Galizia.
Ella reina disse: donna mia,
per lo mio amore non ti seonfortai'e,
e si mi di' per la tua cortesia,
se tu se'grossu non mello cielare,
eh' io t* iaprometto per la fede mìa,
eh' i' ti ferù servire ed onorare:
or ti conforta, e sta alegramente ;
eredo eh' aremo frutto insiememente (1).
(1) St. 10-12. Nella prima di queste St.
a tela di seta e d' oro ( broc-
catot Haratorl, Ant. Ital. , II. 401) ve-
i
I8S
È questa una scena dotceioea-
te intima 6 vera; ma il nodo che
lega il particolare de' graziuei ricami ,
onda si piace la cristiana , all' altro
dello smarrimento che la coglie in-
tanto che attende ad essi, e de' con-
forti, che la regina adopera a rin-
jraacorla, dev' essersi allentato via
via nei rimaneggiamenti e nella tra-
smissione della favola, cosi che noi
cantare esso non risalti manifesto
come nel poema irancese. Adombrati
in ottave diverse, ì due particolari
anzi furono disgiunti: vi sona infatti
testi del nostro poemetto, nei quali
nula di Dalmazia. Non so che tele cesi
fatte potessero venire di quel paese. Può
darti che U poeta sìa stato condotto a
nominare la Dalmazia dalla necesBiti
delta rima; o che sia accaduta confusione
nella aua testa poco erudita fra l'indu-
■tiùa di quelle tele e l'altra della lana,
onde la Dalmazia, che avea dato il nome
alla famosa tuga dalmaliea, ara stata fio-
k
la stanza, ove s' accenna a' lavori di
Topazia, truvasi fuori luogo, segue
cioè alle due, cui dovrebbe precedere,
a quelle, che ci rappresentano re^na
e schiava strette In fraterno collo-
quio (1).
XjO atesso spostamento ci si offre
nel Fitocolo (2). Dopo non molti
giorni dalla battaglia co' pellegt-ini
romani, re Felice, insieme alla mo-
glie e a Giulia Topazia, da Siviglia
si reca a Marmorìna, eh* egli stupisce
di rivedere intatta, contrariamente a
ciò che gli aveva fatto credere Plu-
tone. Giulia era tutta lacrime e so-
spiri: un giorno, la regina, vedendola
piangere, le rivolge amorevoli parole,
e si studia di riconfortarla. Qui, ove
si sfrondi il luogo degli esempi di
romana fortezza, che quella adduce a
rilevar l' animo dell' afflitta, ci ai ri-
presenta la scena, dì che ora dicem-
(1) Vedi nota alla SL 10.
(2) Pp. 67-68.
ifwtoi^CW
> ì'amen àdim n^ìML, Gì»-
Ba « neqvetk, e, per fmgs^ roda.
tafpaa» di tetri tÌMrC, « eoBe fio-
àa aeU BobfiiMUM tele di dmra» or-
m*gim ilganto >. A queste parale
cmjtpoads il hugo ^ fednto dd
antan, in «ni ri narra, dw la ngiits
£ wta e d'oro, che randa* apleiuiors,
dsFanti A Ia criatiaiu la fé metore,
cb« mollo bei Uvorio mpeK tesara.
Qui dunque U cantare, serbando la
disposizione del racconto eh' 6 nel
po^^mA francese, rifletta, lontanamente,
la redazione prlmìtÌTa della leggenda,
tnuQtre il FUocoh, come talnni testi
tralignati del cantare stesso, a' quali
sopra fu accennato , presenta una
alterazione (li quella.
Nel nostro poemetto il giorno del
parto non 6 Lo stessa che nello due
veroioDÌ francesi e nello altre affini
alla prima: in queste la nascita de'
futuri eroi del racconto avviene di
Pasqua fiorita (Domenica delle pal-
me); nel cantare invece di Pasqua
) (1). Cosi in eSBO
(I) 1 poema fp, vv. 161-64 (per le i-eda-
xioni alRui vedi HenOff, p- 21 ); Il poe-
ma TV. 2S5-S8. Seconda la redazione basso-
tedesca i fanciulli nascono nello etesso
giorno di Pasqua (Sommer, p. Sd6; Dn
Xéril, 1^1 Uerxog, 1. e). Dol Cant.
vedi St. 13-14. — Sul valore di Pasqua
fioiila e Pasqtca rosata c(r. Du Cange,
a. V. Puaclia; Boquefort, Giosi, de la
langue rom., s. v. Pasques-eommeniaubi ;
Dn Mèrli, pp. liiv. n. 2, isris. n. 3,
Isxxiij. n. 1; Llttre, Dici. fr.. a. t. Pd-
que; Laronsge, (Jr. Dici. Univ. ecc. s.
V. Pdqiu. Il Diz. del Godefroj' uon è
ise
manca il rapporto che si avverte net
maggior numero della altro redazioni
fra quello del dì della nascita e i
nomi posti a' due fanciulli , Florio e
Biancifiore (1). D' uno solo di questi
nomi è data spiegazione dal conta-
storie, di quello di Biancifiore, eh' ei
dice nominata così
perchè 8* ELSO migliava al fresco gUglio (2).
Pur nel romanzo boccaccesco le due
donne partoriscono il di stesso: < nel
ginolo ancora olla voce Pdque o Pasque.
Vedanù inoltre i Lessici italiani, e Bajoa,
Rinaldo da Montalbano, Propugnatore,
HI, 323. n. 1. Pasca floria anche in pro-
teiisale, ma in senso indeterminato di
primavera (Ka^nonard, Choix, V. 41,
31fl! Lux. Som., IV. 4<5).
(1) I poema fi., 169-73; Il poema. 131-
36; poema del Flock, 59S-95. Vedi Her-
«Off, 21-28.
(2) St. 15. Mentre il nnme di Biancif.
parve equivalente a ff'glio , va quello di
Fiore, Florio, si volle il senso di rtisa.-
t(r. Dn MérO, ci. □. 1. Vedi pure Wetir)«,
fiocondo giorno, scrive 1' autoro, elet-
to per festa de' cavalieri, essendo Febo
nelle braccia di Castore e Polluce »,
ossia essendo il sole in gemini: par-
toriscono dunque di maggio, come
vnole il cantastorie,
di magia eli' è la rosa in eu la spiaa (1).
Messer Giovanni non profana la
Sua aulica prosa nominando, come un
volgare qualsiasi, la Pasqua rosata:
egli narra che i due fanciulli nacquero
nella festa de' cavalieri. Ma in altro
luogo della rima si dice:
domenica si è pasqua rosata,
che «ara feata per li cavalieri {i
np. cit., p. XLIIl; I. Grimm, Ueber
Ftxtuennamen aus Blunten, Mem. del-
l' Accad. di Berlino 1852, p. 129, o Klein.
Sehrifl. II, 396-97. Sul rapporto tra il
nome de' laDciallì e i fiori parla anche il
Sonni er, xxi-xxzii.
1(1) St 13.
(2) St. 119, — Con tale festa de' cava-
lieri s' intende certe una eour pieniére.
dunque le due iodicaziouL si riferi-
scouo all' identico gioroo , e il Boc-
caccio s' accorda in questo dato non
già co'troTeri IraDcosi, ma col can-
tastorie toscano. Egli pei'ò ci offre
maggior copia di particolari narrando
che le due donne partorirono ad ora
diversa dello stesso giorno: la regina
il mattino, Topazia la sera (1).
una delle briilsnti adanate cavalleresche,
che HTean luogo allo tre Pasque; usaoia,
com' b noU), di lontana orìgine germa-
nico, che si riflette nelle naiTozioni epi-
che e romanieache del Diediuevo iL. dati-
tier, Èp. fr.. T.' 13; V. Paris, Rom. de
la Tabu Ronde, 11. 64).
(l) FU., I. 80. 71, 73. — Topasùa so-
stenne coel grave doglia, dice il Boec,
che « tra V erronea gente ai dubitava non
Lucina sopra i suoi altari stesse con le
mani comprese resistendo al suo p.vto,
0 con divotì fuochi s' ìngogTiavsno
di mitigare la colei ira ecc. > ( p. 71). Ma
essa è liberata da pericolo quando a Oiove
piace por fine a' suoi dolori (ibid.). A' Sa-
Eguale rispondenza mostrano i due
testi italiaui nel fatto che per essi
Topazia muore dopo il pai'k), mentro
nelle versioni francesi e germaniche
aoprawive. Nel Fi/ocoìo la morente
vuole che le sia posta &a le tremanti
braccia la bambina di fresco nata, la
bacia gemendo e lacrimando, e la
raccomanda, poco prima di spirare, a
Glorìzia, la più diletta o Ada delle
ancelle, che con lei, dopo la strage
de' pellegrini, erano cadute ia potere
di re Felice. Qui pure il cantare si
mostra indipendente dal filcolo.
Nel racconto boccaccesco, come nel-
nicaai dunque il Bocc. attribuisce il culto
d«gli dei latini, e li chiama erroiua gente;
ma poi, riterendoai alla crudaiiza di To-
pazia, accenna a Giove. Corto in Giove
qui e' adombra Dìo, che anzi plìi sotto è
chiaramente nominato; questo perù, co-
me ai vide anche pagine addietro, pro-
duce nell' uniforma linguaggio claasico
del nostro autom una curiosa confusione
tra il eulto Saracino e il cristiano.
1
190
la noetra rìroa. è il re medmmo die
impone i nomi a' fanciulli ()): e^
li trae dal giorno, in cai sono nati.
4 nel qoale ogni fiore manifesta la
eua bellezza, e 1 cavalieri simìglian-
temente e le gaie donne si rallegrano
facendo graziosa festa (2) >. Tale epie-
gazione de' due nomi non é la stessa
che si ride nella maggior part« delle
vereioni della nostra leggenda; ma ce
la fa rammentare, mentre quella ac-
cennata nella rima è al tutto diversa.
Se non che i nomi di Fiorio o Bian-
cifiare cola si imaginano tratti dalla
Pasqva fiorita,
scita: il Boccacci
son nati in un gi
iorno della loro na-
invece narra che
omo, che roostram-
mo corrispondente alla Pasqua ro-
(I) Cant., St. 15. Nel I poema &. il
re non pone il nome che al bnciuUo
(V. 173).
(S) Emendai l'errata lezione della stam-
pa Moutier (p. 74) valendomi della vec-
chia stampa del 1503 (Veneda), Lib. I.
cap. slv.
191
Kw&i. Egli danoue non ha BOguita una
^di quelle versioni. Perciò rispunta
P coma assai probabile l'ipotesi che gli
j fosse nota una redazione, affine al
■"Cantare, ma più ricca di esso, nella
T quale restasse qua e la qualche mi-
E glior traccia della narrazione urigi-
. In questa fonte, poichg i fan-
Iciulli certamente vi si dicevan nati
Ila Pentecoste, o di Pasqua rosata,
l-.doT0ra esaere svanito il nesso, che in
r più antichi testi legava i luro nomi
quello della Pasqua fiorita ; ma
r doveva però riflettersi la tradizione
vaga, che dal giorno della nascita i loro
nomi fossero pure, in qualche guisa,
derivati (1).
(l) Ci BOao altra redazioni, nelle quali
i di Fiotto e Bianeifiore non ai
I spiegano dalla Pasqua fiorila : alludo al
olandese , al baasotedesco , allo
LsTodese. Io questi ultimi (si rammenti
■ che nella versione bassotedesca s'imagìna
Ila nascita de' fanciulli non nel giorno di
I Pa«;t<a fiorita, ma nel praprio giorno di
Sempro aguale ò la fedeltà del
poema greco alla rima italiana (1):
Pasqua) i nomi ai riferiscono alla pri-
maTera, come olla dolce stagione dai
fion (Sommer, p. 286; Da Mèrli, pp.
Iv (erroneam. liv), Ixj). Queato motìvo
ha min qualciitì corriapoudenia eoo quello
che trovammo assegnato nei Filoeolo.
(1) Vv, 72-137. — I nomi delle due
donna aoao gli atessi, che vediamo nel
cantare:
(tt. II2-I3J
KaiiXioT^poi è lii tradui. del nome Mi-
gliore dato nel cantare alla regina (St.
10), come altri ha gifi notato (Schwnl*
baeb, op. cit, p. 26; Hanalineolit, op.
cit, p. 42). Vedi ancora vt. 115-21, a
St. 10 per ci& che si i-iTerisce alla tela dì
Dalmazia :
Tuole invece men fuggevole cuuno
t'umunzo spagnuolo (1).
La tela diventa però uq panno non meno
pretioso, del quale la regina vuule clie
■ì vetta Topazia: qui il poeta greco noa
ha bene interpretato il testo, od ha rg-
Into allentar lo bvigtii^ alla sua fantasìa,
tanto da romper la monotonia del tr:i-
durre. La nascita de' fanciulli avviene il
giorno stesso, e di mag-gio, couie nel
cantaiv:
i magiii ch'è la i-osi
(St. 13);
upàTipat £VÉAivv)C7av k'^ ^amXzti)^ oìxov
u. ÒTav po?'av6oiiv xi e'xiTE'(i7touv jiupwSi'ati;.
(vv. 124-25).
Anche nel tjjslo greco Topazia muore
dopo il parto, e il nome di Biancitìore
(IlXaT^taqiWpe) deriva dal giglio, cui
somiglia {vv, 146-47): il poeta non s'av-
vide che in greco spai'ìva il rappoi'to che
invece corre in italiano tra biaricofìore e
(1) Ff. 7 V. — 0 v.; Uausknecbt , pp.
50-0 L
194
La scena tra la regina e Topazia ,
che, unica nel testo francese e nel
cantare, vedemmo sdoppiarsi nel i'V-
locoìo, si triplica in questo romanzo.
Vengono prima gli scorati lamenti
della cristiana, e i confurti della re-
gina (1). Costei chiede alla achiova
di qual paese sia: quella le dA con-
tezza di sé e de' suoi, e del modo
come le avessero ucciso il marito.
Sentendo di che alto grado ella fosse,
la regina le fa recare panni preziosi ;
ma la sventurata preferisce vestir
(1) Nel cantare la ragiaa dice, pi-ocu-
raado di consolar Topazia:
... mi di' per la tua cortesia
eh*
) t' inpromelto per la fnde n.
' ti farò Barrirà ed onorari
E nel rem. ap.: < mas ;o te ruego quc
tu me diga* la verdad que yo te prumelo
por la fp mìa qiio tu seras tratada assi
corno la peraona mia et con tanto amor
te quieiij tener »,
A
195
gramaglia. Un altro d'i sono le duo
raccolte nelle intimo stanze : Topacia,
Tolgendosi alla regina, le dice di sa-
pere come ella fosse incratA, e sog-
giunge che, a darle qualche prova
d'affetto, vorrebbe per il suo parto
preparare una ricca cortina, da or-
narne la sua stanza. La regina, con-
tenta, lo oilre modo di appagare il
gentile desiderio; e dalle mani abili
della ci'istJana esce opera dì tal pre-
gio, che r ugnale non si sarebbe tro-
vata in tutta Spagna (1), Un altro
(1) Topaciti dice di anper < bien obrar
de oro y de x-yìa t; o la regina fa darle
« oro TI 3gda et olandas o leìas burgeeot
ecc. ». Vedemmo già nel cantare:
una tela che venue di Dalmazia,
di »eta e d' oro
daTanti a la cristiana la fé metera ecc.
n romanziere sp. accenna a tele di Bui--
gos, città che in lane e iu tele ebbe giù
floridiasimo commei'cio. — Come fu
compita, la cortina parve la pìii ricca
i
^Girno ancora, mentre stara&D insie-
mc , la risina s' accorge della pre-
gnazza di Tupacia, la inchiede di dd,
e (iQells confideotemeattf le manifesta
il suo stato.
Il parto delle due donne avviene il
primo giorno di penetra florida, (1) lo-
co«a cb« u potoHe vedere : < U r«7na
la ettimaua tanto qui" aingun predo
butana: tt fi* hasla alli le hauia tenido
muf.ho amor, muy mayor le tenia de
alU adelanU *. Qneata ultime parole
fauDO ricordarne altre BÌmìli del FiU>-
eala, uve ilells opere leggiadre di Topa-
zia «i dicu clie « atxano senia fine mul-
tiplimtù r amori! delta rrina, perocché
mollo in simili cosa n dilettODa; onde
eonw V amore altresì V OHore a lei e alle
ma compagne muliiplicare faeea » (I.
(1) \nehe
I due mss. del cantare i
B Fiorio e Itiancifiore sono nati
< (o primo s/iorno àì Pasqua rosata >.
Ma. 1095, fondo ital., Bibl. ìii<z. di Pa-
rigi, f. 16 V.: nu. ashburoham-laureaz.
107
1 die ha senso diverso dalla
pasque fiorii' delle vereioni oitanìche,
poiché ÌDdica uun la domenica delle
palme, ma la pasqua mag^ore, di
riBurrezione (1). Per esser nati « en
(1) A torto il Da Mdril afTerniR che
'PoÈtua florida significa ÌI giorno di Pen-
tecoste (p. Ixxii); egli stesso poco oltre
(p. Ixxi, n.) avverte che già in uno de'
pih antichi romanees (Mala la yisteis,
FranceBea] la Pasqua principale è detta
Pasqua de Flores (Dnruif Rom. gen.,
T. 266). Vedansi infatti i lesa, ep.; anche
Oggi poicua de fiorcs o florida significa
la jMUCua de resurreeeion. Noto che lo
stesso valore ha nel dialetto padovano
paggtm fioria. Pasqua florie è detta ta
Pasqua di maggio, la Pentecoste, ncl-
Y Ugo d' Ahemia, ras, 32 del Seminario
di Padova, f. ^ r. (vedi mio Orìanào nella
CA. de Rai. e ne' poemi del Bojardo e del-
l'Ariosfo, Bologna, 1880, p. 89); ma trat-
tai di esempio isolato, che pur nel Veneto
la Pentecoste si dice pò pelar mente pasqua
roga, come, oltre che in Toscana, in al-
tre regioni d'Italia. Nel Do C«ngre (I. e.)
■• 'WUfe sitpaK. I riunì ttu^ 3
ab •• •• adh i^iadii
■VOàavk'
I
m
f«mpo sembra correre, in cui quella le
si viene quasi preparando. Quando è
presso a finire, Topacia prega la re-
gina, che intanto aveva procurato dì
darle animo ed era atata al suo letto
pietosamente soccorrendola, di farle
recare la bambina, che aveano man-
data a balia: come la vede, rompe in
pianti e le volge amorose e desolate
parole; ìndi la battezza con lo sue
st)>sEe la^ime, e spira fervidamente
raccomandandola alle curo della reg:i-
na (1). Quest'ultima scena ci fa tor-
(1) Redazione moderna del romanzo sp,
Topacia non lavora ad una cortina, ma
compie e unOB pannlos bordadoa de oro
y brocwlo ecc. ». Come nel Filocolo, la
due donne partorlacono ad ora diversit
del medesimo giorno: la regina sul far
dell'alba; Topazia di aera. Anche nella
due romanze, p^, e cost.-cat. . il parto
delU regina e della schiava avviene ii di
stesso; ma qni la prima ha una figUa,
l'iltrB un figlio, che le levatrici si pensano,
ingannevolmente, di acambiare. Nella ro-
aare a mente l' altra consimile, che
b' accennò poco sopra discorrendo del
manza pg. la cristiana battazia la bam-
bina, ch'ella crede HUit, con la suo la-
grime, come nel romnnio spagouolo:
As logrimas de meua olhoi
Te sirvam do agua bemdita.
Il nome eh' essa le pone è di • Branea
Rasa, Branca llor d'Aleiaadria >. Nel-
r altra romanza la sehiava dice che se
fosse nella sua terra battezzerebbe la baro-
bioa * Maria, llor de Castilla ■. Serondo
una variante, la reg'ina chiede alla rri-
Btìana qual nome la parrebbe che fosse
da pori'e al fanciullo, e quella propone
il nome di Floris, che aveva avuto già
il marito EUo:
Comte Floris, Compte Floris. | qu'es einora de mimi
Non à indicato in queste romanza quale
sia stato il giorno del parto : nella pg.
ai accenna alla Paschoa florida, ma per
dire che in quel giorno i mori avean
preso la sorella della cristiana, che era
poi la regina medesima. Di qui innanzi
le romance si distaccano affatto dal rac-
conto di Florio e Biancicore.
I
Filocolo: ma fra le due s' avvertono
segni non lievi di indlpondtiiiza, in
modo che non si può afirettarai a
giudicare che il romanziero spagnuolo
abbia imitato l' italiano.
Rosana incontra presso i pagani,
de' quali ò rimasta prigioniera, la
stessa pietil che Topazia (1). C è però
questa dissomiglianza Ira le due re-
dazioni della favola, che nel racconto
la regina non compie 1' ufficio di si-
gnora generosa e di amica consola-
trice, che le si trova assegnato nella
versione di'ammatica, io corrispon-
denia alla leggenda di Fiorio: queir uf-
ficio è invece attribuito al re ; della re-
gina neramanco si fa motto. Allurcìié
approssima il t«mpo del partorire, un
angelo si presenta iti sogno a Rosana,
o le predico che aiTà indi a poco una
bambina, cui dopo multo pene. sorri-
derà la più gioconda fortuna; e che duo
(1) Del racconto pp. 14-19; dalla rap-
preKDtJu. pp. 37G-83.
L
giorni appresso il parto raggiungerà
nella TÌta beata il marito e i compagni.
Nella rappresentazione, Rosana par-
torisce contemporaneamente alla re-
gina; invece nel racconto, che pure
in questo si accorda meno alla sto-
ria di Florio, la regina dà alla luca
il suo figliuolo alquanti giorni dopo
la moi-te di Rosana. Sentendo che la
vita era prossima a mancarle, coatei
raccomanda al re la sua bambina, e
chiede di poterla battezzare, dandole
il nome di Rosana: il ro consento.
Secondo il racconto, essa fa porgersi
in braccio la funeiulletta, la segna, la
benedice: ciò ricorda le due scene
corrispondenti avvertite già nel fS-
locolo 0 nel romanzo spagiiuolo. Nella
rappresentazione anzi occorre col Filo-
colo un più vicino riscontro, ove Rosa-
na, oltre die al re, raccomanda la figlia
all' unica ancella rimastalo dopo la
strage de' pellegrini : così si vide Topa-
zia confidare la figliuola alle cure di
un' ancella sua, di Olorizìa. R' ag^un-
ga che corno nel romanzo spagnuolo
la regina (1), in questa rappresenta-
zione il re fa interrare in luogo cri-
etiauo la spoglia della morta donna.
4. Per tutte quattro le nosti-e ver-
sioni, i duo fiiDciulli vengono amo-
rosamente allldati alle balie (2). Nulla
I
(1) Topacia almano prega la regina
che il suo corpo aia seppellito in lena
cristiana: f. 9 v.
(2) Cant, St. 14; FU., I. 75; Poema
gr., TV. 138-140; rom. sp-, f. 9 r. — Il
cantaitoue narra che il re prodigiiva a'due
fanciulli le stesse cure, e li faceva vestire
4 ad uno intaglio >. Pur questo lieve
particolare trovìam tradotto nel poema
greco {v, 141). Vedasi come anche nel
Piloeoh si accenni la stessa cosa : quando
i bambini han laaciato il nutrimento delle
balie, e sono venuti a piii Terma eia, il
re, vi ai dice, li (s. > sempre insieme l'eal-
mente vestire ». — Delle cure, onde aon
Iktti segno i noatii piccoli eroi, ai [larla an-
che nella 1 versione francese e ìn oltre alTi-
ni (Herwg, pp- 22-23); ma il racconto,
che ivi ai là, È diverso da quello, che ci
offrono le rt-da^ioni meridionali.
204
è in tna dell* idillio intimo e dolce .
che d presmtAno ti troverò del I t«sto
francfifte e il Fleck, discorrendo della
fanciullezza di Fiorio e BiancLfioi^;
Dalla del fucini cenfid«ite di co-
storo nel Terziere di re Feb'ce, del-
l'ingenuo baciarsi tra gli aspetti leg-
giadri della natora, le piante, i fiorì,
le erbe, e gli ungili trillanti; di qnel-
r amore, per cai la iancinlla è più
cara a Florio che a madre non sia
l'nnioo figlio, per cui an bacio dì
Florio fi soave alt' amica sna quanto
a bocca di poppante Q latte materno;
nulla di quel compenetrarsì inconscio
degli animi loro, che guida 1« mani
infantili sulle tavolette d' aviM-io a
Bcriverfl « letres et vers d' amors » ,
de' fiori come sbocciassero, degli au-
gelli Como gorgheggiassero d' amo-
re (1). Dobbiamo pur troppo rinun-
(1) I poema fr., 337 egg.; Fleek, 756
«gg. Vedi ZnRblni, op. rit.. pp. 34-35. —
A que>ta primavera ds' nostri amanti, sul-
i
ctare a questi voli, e acctiDt«ntarci di
rader terra, per avrertire qui an
luuga, nel quale il cantare si accosta
al I poema fraDceee ed alle redazioni
affini, staccandosi, coma arrìene al-
trove, dal Filocoio. Vediaino infatti
come in questo manchi la scena ca-
ingenua, nella quale Fiorio
il padre, che aveva deliberato
lo alla scuola, di non to-
^ierlo alla sua Biancifiore, e di con-
cedere eh' essa gli sia compagna di
studio (1): questa scena occorre in-
vece nel poemetto popolare, e serve
lazxantÌBÌ raacinllescameate in un gìar^
dine, tà riferisce ftiree un luogo corrotti»-
■imodel Cont, SL 15, in cui ai dice che
Vedi in questo voL p. 58.
(1) Nel Filocoio 11. e.) Fiorio dou ha
bisogno di chiedere al ra che non lo se-
pari dalla piccola amica, perchù spon-
^L taneamante quegli vuole che i duu fan-
^^K CÌulli weno ioaieiue ìati'iilti.
a mostrarci t&nto meglio com' esso
tyad, e ì& sì colleghi alle versioni più
antiche e più pure della leggenda (1).
Superfluo aggiungere che il poeta
greco segue il toscano (2): si noti
piuttosto che la scena stessa si ripete
nel romanzo spagnuolu (3).
I due fanciulli son duuque alla
scuola. Mentre nel romanzo spagnuolo
Florio, per effetto dell' amore, che
tutto lo occupa, neglige lo studio,
seoondo le tre altre versioni, che
s' accordano al gruppo della 1 fìran-
cese e dolio germaniche (4), insieme
(1) Herioff, p. 23.
(2) Vv. 153-176.
(3) F. IO. Nellu redaz. moderna del
l'ora. ?p., a tre anni i due fanciulli sono
dalla regina affidati ad un'aja; come son
fatti più graudicetli, vengono sepai-ati: di
FTorea ha cura un ^o, di Blancaflor un" a-
ja, figliuola di un cristiano rinnegato,
ohe, più cbe ne' lavori mnliebri, la Lstruì-
acD nei misteri della fede cattolica.
(4) Heriog, 1. e.
J
807
all'amica siiu fa mirabili progreBsi.
Lessero tosto 11 salterò, ci dico il
cantastorie, e poi il « libro dell' a-
mor« », 0, secondo un'altra lezione,
« Gridio d'amoi-e > (1), espressioni,
con le quali si designa l'Arte d'amare
(1) St. 17-18. — Nel I toato fr. si dice
che i due l'aaciutli (vt. 225-:ì8)
Livres lisoient paienore.
Ou ooient parli^r d'amors;
En con formont te delìtoìent,
Es auvrea d'umor qu'il trovoient.
Nel poema del Fleck troviamo un' espres-
BÌone eorriapOD dente a quella del nostro
cantare: « diu buoch vun minnen » (v.
713], L'altra legione (< Ovidio d'amore >)
trova riscontro in quella dui testo in
proM islandese, e del poema fìatnming-o.
K anzi noto che in una redimotie del
rBccODto ialande»c, e nel poema di Die-
derìe TU Asseuede ai cita l'opera ovi-
diaus letta du' fanciulli: de arte ■anfindì.
Vedasi Da Mérit, p. xlix; Zumbtnl, U
FU. lUl Bocc, p. 22; Gasparj, Il poema
di FI. e Siancof. , p. 2.
del Sulmontino, opera che fu cosi cara
al medioevo, e realmente veniva letta
e commentata nelle scuole (1). Pari-
menti vediamo nel Filocolo cbe in
breve il maesti-o fece leggere a' fan-
ciulli « il salterò e '1 libro d' Ovi-
dio . (2).
Galeotto fu il libro e cbi lo scrisae,
poasiam dire con Dante. Infatti la
lettura di Clvidiu snaelta fiamme amo-
rose nel cuore dei due fanciulli. Qui
pure il cantare corrisponde alla 1 re-
dazione francese ed alle altre affini (3);
e il poema greco rispecchia il can-
tare (4), Nel Filocolo invece i pio-
coli eroi non innamorano per la im-
(1) 6. Paris, Chrétien Ltgowiis et au-
Ires imilaUurs d'Ooide, Hìat. IJtt de la
Franca, XSIX. 456,
(2) I. 76. — Anche nel testo greco si
nomina il libro dvir amore (w. 181, 183).
(3) Cant.. St. 18; T poema fr-, 229 agg.
Per le altre versioni vedi Henog, p, 23.
(4) Vv. 183-97.
n) FiJ.. I. 77-81. — b qMsts laafo
il BarMcdo iaiU Vcffìtio (fiMtàir, L KR
Hgg.). V«i£ asclM XsMbfHly op. eìt^ p. 31 .
Xdl» TÌrioBe dw Ila n Fdice Ausate 3
■Miiio, che lo oixiip« p«r Tvlonli di V»-
nere, n adombra ratta 1» storia fatana
di Fiorio e Biaocifiore. — Per effetto del
B amoroso, cL« in «sai ha iadnaato
Cupido, i due IknriDlti liguanlaiisi fina-
li l'altro; gli occhi di Fiorio
non n poMooo Buiiore di rimirar Biun-
dfiora (pp. 79, 81). Cosi nella rima:
a Fiorio riguarda Bìanciftore:
di lei non si potea saciare.
■Oli Mi patto ^haàdB m^éU i*
mfl Iona
» dane parte al n (3).
<l) Aseke hI JV. « fin (pp. 81-83>
eh* raaiore fiUnen i ftaciBDacti MI»
«M^; c«l par nal poeta» gr., SM; ed
(■ ttsa ndos. del cantare, da eoi il poeta
grimo haMTtoaienle attmbi (vedi «nL A«b>
hvrnliam.-taiirKai. laOT-UTS, t 22 t,).
Cfr. Hcnof, p. 26, la qna^ '
dofipriroa ì doe (andoUi procedono a
bilniAiiU Iwrti negli «tncli;
quando unore più li accende: ad ro-
tamato epagnuoto dì qaeati dne momenti
non li rifletto eha il lecoDdo.
(i, I poema fr. , 267-68. U Fleek J«-
pliira l' ìmpni'IonHt de' [anciulli, ohe non
)ian lapulo rnlaru l'amor loro, onile il
m n'è Tonato n nonosceau (8S2 *S8-)-
.Vlla novella costui si cruccia fie-
ramcnto. Nel I pi^ma francese, e
aelle affini redazioni, ta regina gli
suggerisce di allontanare il figliuolo,
mundandolo a « dame Sellile », la
sorella sua, moglie al duca di Mon-
torio (1). Anche nel Filocolo e nel
romanzo spagnuolo 6 la r^na, che
consiglia al re turbato di separare
r
Nella II vera. fr. non s'ìiiteode se il re sia-
« accorto da sé stesso, o se da aitai sia alato
DTvei'tìto deirmaamoramento : si dice solo,
bruscamente, che egli ha deciso di separa-
re i fanciulli {263 sgg.). — Can(. St 18:
FU., I. 81-«4i poema gr., 199 sgg.; rora.
ap. 1. e. Nel FU. la cosa procede un po'
dÌTersamente dalla altre redazioni , perchè
il maestro parla anzi che al re, al men-
tore de' due fanciulli, Aacalione , che
quindi, insieme al maestro, pi'eaentasi al
re per riferirgli i chiari iudiiì dell' a-
moni de' toro alunni, È una delle solite
amplificazioni del rimaDcggìamento buc-
(I) Uenog, pp. 23-24.
gli iimamorati , mandando ìl figlie a
Molitorio (1). Nel cantare il re vìeno
(1) Fil, I-, 84-88; rora. ap-, f. 10 v.
— Nel Piloeolo il ro 6 la r^tia trovansi
a discorrer del figlio come per cnso (p.
84); nel I poema fr. invece ìl ro si coa-
dure a posla presso la moglie per aver
consiglio (vT. 2.18-49; Henog, p. 22).
Coà nel rom. ap. , e, come toelo bì nota
plji sopra, nel cantare. — Nel romanzo
boccaccesco re Felice HTrersa la inclina-
zione del figlio, por esser Biancifiore « una
l'Oman» popolaresca ecc. > (p. 86). Lo
Znmblnl) op. cit., pp. 45-46, swertl a
queato punto una contraddizione del Bocc.
sembrandogli manifesto che il re dovesse
conoscere, por ci6 che si trova detto ìn
parecchi altri luoghi, la illustre nobìlti
di BÌBDcifiore. Il SotbU, op. cit. pp.
66^7, difese il romanziere, procurando
di mostrare che ìl re non sapeva inte-
ramente o floguva dì igDorai-e u quale
alta stirpe appartenesse la fanciulla. Ma
non v' ha dubbio che la contraddizione
eeiata, poichd Biancìfiom attesa, conscia
certamente di qual sangue fosse, ìn un
213
a questo partito da sé stesso; ma del
ì al consiglio della mo-
luogo accenna alla sua * qualità vile e
popolaresca > (I. 106). Coma poUva al-
tri bn irai codesta quali tJL parlanilo con
Florio, che poco prima aveva rammen-
tata al padre la discendenza di lei nien-
temeno cbe da Giulio Cesare {p. 98}? Il
re avrebbe potuto dubitare, o finger di
ilabitare che fosse vero ciò clie ai ripe-
teva sulla splendida origine della gio-
vinetta; ma non è logico cbe lutt'a un
tratto egli la affermi, mau più, vile e
popolaresca. E^ti ne rileva anche la con-
dizione servile. Or bene, eran questa e
la diflerenia di fede, lo difflcollà vere da
porre inoanti. Comunque, nel FUorolo il
re si vale di argomenti , che rispondono
a quelli, che trovanai addotti nelle re-
daiioui francesi e germaniche (Rem?*
p, 22; II poema fi-., 370-73) per com-
twttere l'amore di Florio. Di essi, allo
sterno luogo, il cantastorie non fa cenno.
Ecco dunque ancora una prova che il
Boccaccio abbia conoscilito on racconto
piit diffuso e pieno che non aia la breve
rima tofana.
su
glie resta pure iiaa traccia. Avuta
infatti U nuova dell' innamoramoato
di Florio, egli si rivolgo olla regina,
chiedendo :
gootìl dongellit, cbelti par di faret
Certo qui troviamo alterata la ver-
sione primitiva, che le parole poste
in bocca al re:
vogliolo dipartir dalla tàntiua,
dovrebbero rappresentarci anzi che il
seguito del suo discorso, la risposta
della moglie sua (I). Cosi abbiamo
un'altra prova che Ìl Pilocoìa, cui
s' aggiunge qui il romanzo spagnuolo,
debba tratto tratto pìflottere un rac-
conlu migliore a pia ampio del cau-
tMrt>. A. questo rimane invece Mrìt
V imitaiione greca (3).
(1) St. SO. Aoobe Mi il piMBt fr..
£63 tgg. , il ra delibera d* «fr ifi ■Moa
tanara il figtto, nu Mim ptrt ftrw
215
Le quattro versioni perù si rac-
cordano tiisto. Per esse « dame Se-
bile » non esiste: i! giovinetto è man-
dato ad un duca di Montorio, che
tuttavia, al pari di quella, è imagi-
nato stretto consanguineo dal re (1).
Inoltre, Florio non è fatto allonta-
nare con la finzione che, essendo ma-
lato il maestro, gli convenga seguir
gli studi altrove (2); ma col pretesto
che Montorio eia luogo più acconcio
al compimento della sua istruzione (3).
E dacchtì egli non sa staccarsi da
Biancicore, lo si persuade a lasciarla,
(1) Cant. St, 21; FU., I, 90-91; poema
gr., V. 229; rom. sp., f. 10 v. — Nel
cant., St. 79, il duca è detto wo di Fio-
rio; CDBl nel rom. sp., f. 12 v. Qui o'È
un ricordo delle versioni più antiche,
nelle quali e dame Sebile > è imaginatu
na del giovinetto.
(2) Cobi nella I vera, fr., e nel Rac-
conti affini {Reixogf p. 23).
(3) Cant.. St, 21; FU., i, 87, 90-91;
poema gr., w. 224-28; rom. sp.. f. Il'r.
2ie
Etmnlando, non ch'olla debba stare
al letto deUa madre malata (1) (sfr*
coodo queste redazioni costei era mor-
ta da un pezzo), ma a quello della
regina stessa (2). Acche nei racconti
nostri il re vince ogni resistenza del
fi^o, promettendo che in breve maa-
dera Biancicore a raggiungerlo (3).
(1) Vedi 1 Uato (r., e redazioni affini
(àtnùt, ^ S4).
<2) Cant, St 23; FU. 1, 97, 117; poema
^.TV. 249-61; ram. sp., f. II r.
(3) Cant., Fil., ram. sp., II. ce.; |>oe-
ma gr., v. 263. Si veda anche in questo
esempio qnantft somiglianza da fra i no-
stri testi:
Cantare
El padre gli risponde al suo detto.
e dif^ie: la reina atae malata.
e par la fé che porto a Malcoraetlo,
questa malina non a' è ancor levata.
Se non mi cradi, va, pon Diooto a letto,
che tue la trover»! forte cnnbiata:
la tuu madre Usila guaii'ra;
poi Biandftoru ti forò venire.
I
Oli amanti debbono dirsi addio. La
scena della separazinne offre una dello
ppoTe più lìmpide degli stretti rap-
porti, che legano le nostre versioni.
Solo altri due de' rimanegg^iamenti
della leggenda ci presentano ijnesta
Il poeto greco qua^i traduco: « figlio
mio, dice il re, per la nostra fedo n
Macometto, questa notte alla tua madru
venne male, e stamattina ancora non s'è
levata ecc. ». Nel Filoroìo: * SI toslu
come tua madre, la quale alquanto non
sana * stala come tu puoi vedere, avrà
Intei'a aanitji ricuperata, io la ti man-
derò a Monturìo >. Nel rom. sp.: * X&m-
bien Tutvfra madre està enojada. et uo
qui*ere que otra ninguna la sirua sino
bianca flor, et Inego corno la revna eate
buena ■}(> os prometo de os la erobiar a
Montorìo pnra ({Ur os sima. > Nel rifaci'
mento mod. del ramanzo stesso Flovea
nemmeno s'attenta di opporsi al volore
paterno, cbè il re, prima ch*egli fiati,
minaccia, ov'ei rifiuti, di cacciare Blan-
caflor dalla reggia.
S18
•cena, e «ono il poema attotedeeeo (1).
e il n tc«tc francese (2); ma pare
nell' altro [»oeiiis oitaaico e in quello
di Diederic vau Asseiiede occorre un
luogo, in cai si accenna ad essa,
onde poseiam «apporre die fosse ims-
ginata già dalle prime dabtwstioni
della favola (3).
D cantastorie, imitato qni pare dal
poeta greco, ci sbozza nnn scena ra-
pida e semplice. Fiorio, lasciato il
padre, al quale aveva finito per ce-
dere, si accomiata dalla fanciulla, che,
piangendo, lo prega di portar seco
un magico anello, gemmato dì ano
zaffiro, da cui gli verri indìzio, men-
tre Bara lontano, dello statu dì lei.
Ouardido epesKo, ella dice: ee lo ve-
drai lucento, vorrft dire che io san
lieta; se foeco, che mi abbisogna il.
tuo aiuto (4).
(1) Vv. 1051-1:505.
(2) Vv. 279-304.
(3) StTSog, pp. 24-25, 26.
(4) Cant. St 24-26 poema gr., vv.
268-84.
I
21?»
Il dono doU' anello, fornito della
stessa virti), sì ripeto uelle altra duo
versioni, e concorre a mostrarci la
affinità dì tutte quattro. Né' racconti
infatti , a' quali poco sopra si accen-
nò, il ricordo dalla fanciulla dato a
Florio, che sta per abbauduuurla, é
diverso (1),
(1) Cfr. I poema fr., 787-90.
Un grafa a trait de soa grader.
D'argont esloit; raoult Tot chier
Pur Bknceflor qui li dona.
Le darrain jor qu'u lui parla,
Qiiant il en-ala a Muutoii'e ecc.
Co«l nel poema del Fleck, 1321-30, i
due giovani scambiunsi per amoi'oso ri-
cordo i loro stiletti fj/riffel!). Ve<li Som-
ner, p. 292; Hcfiog, pp. 24-25, 26-27.
Nel II poema fr. , 2S3-84, quando Florio
venne a lei per accomiatarsi, Biancicore
atsva intrcci^iando de' suoi capelli per
fame un presenta hU' amico. Vediamo
cbe piti innanzi, allorché Florio ai di-
spone a partii'e per rintrocciai'e Bion-
Semplice e breve è questa scena
anche nel romanzo spagnuolo. Il gio-
vinetto non si congenla dall' amica
tosto dopo il colloquio cui padre: lo
fa il mattino seguente, allorché pre-
aentandoglisi it re co' cavalieri elotti
a fargli compagnia, per invitarlo a
porsi in cammino, egli non vuole ir-
sene senza aver salutata Bianciflore.
Entra perciò nella cameni, ov'olla
stava, e le dico che si intende sepa-
rarlo da lei, ma che non la abban-
donerà mai il suo pensiero. Neanche
qui mancano, naturalmente, soEpirt e
pianti. Bianciflore regala quindi a
Florio l'anello (I).
cifiord. la madre ili costei gli c]it un < lai
longié > de" capelli dalla figlia (v, 1797).
Di questo lai troviam cenno anche ap-
preMofw. 3150, 3327).
(1) F. IS r.; Haiukneelit, p. 61. Nel
moderno rifa«imeDlo del rom. sp. V aneUo,
che Blancatlor dà a Flores, non è dotato
di aJcuaa TÌrtù magica.
231
n Boecaecìo s'indagia hen pH nel
rappcfeaUia codesto cummiato. E^li
imigina ebe, cetaU in luii^ro arani-
du, la &iicÌuUa abbia inteso U> pa-
role che erano state tra re Felice e
il figliuol». Così, com'ella sente co-
stai, allettato dalla promessa che ìl
ftt ffi fece di mandargli la sna Bian-
cifkffe, rispondere che a questo patto
se n'aadra a Montorio, prova il pia
fiero dolore, e, sciolta in lagnino,
«eprimendosi in forma intollerabil-
ntCTte prolissa, retorica e noiosa, de-
plora che r ingenuo non abbia intuito
il vero intendimento del padre. Fio-
rio, che avera ceduto così malvolen-
tieri, al partirsi del re, soprasta al-
quanto pensieroso: assalito tosto dal
pentimento di essersi arreso al dc-
. siderio paterno, ondeggia fra speranze
e timori. Sì leva quindi, e ritrova
Biancifiore ane^ra piangente. La fan-
ciulla sì sfrena a rimproverarlo d'a-
vere consentitti ad abbandonarla * ti-
mida pecora tra la fieritft de' bra-
DI'"'*: !up. ». t^il li riàe.r-iT
rcii*aE)£T]t«; tua «sj d^ a !■?;<
letizis o dì ereotora (I), ;
cooinria tu Q wdiai tarbuc Io ti pngo
che allora lenia nisDO iitdiigìo u vea-
ghi B *«dera. « prenoti che ta aorenl»
il rìgnanli , ogni ora riconiudoti £ imi
che tu U T«dj >. Cosi ael cantare la fko-
dulU àlee:
Piorio, porta questo anello,
elle ci é entra no lafino molto bello.
R aaì di che ti prego, tìU mia,
dieta BÌbdcìSots allo doogello:
w in altra parte lai dimoraria.
Ìap«ne volte guarda io qaesto anello,
H wri alegra la ponona mia
quuiilo «arae colorilo e bello;
M li canlnaae paolo lo cglore.
per lo mio umor socorì BìancìfiorA
che se U padre non attendesse la
promessa, o non la mandasse a luì.
I
Di questo anello il Boccaccio ritease la
lunga storia: Asdrubale lo aveva dato ad
un guerriero cartaginese, Althimede, dal
quale era stato regalata a Scipione afrì-
cano; successi va mente passando dall'uno
all'altro do' diacen denti di quest'ultimo,
ara Tenuto a Lelio, cbo lo aveva poi dato
a Topaua: coBtei, morendo, lo a
a Glorii
e Glori;
i lo a
duto a Biannif)ora(pp. 109-11). Per altri
esempi di questi favolosi trapassi di og-
getti d' alto pregio vedi la storia di l'è
Arturo (P. P«ri§, Rom. (k la T. R. li.
19-2); eZambinl, op. cit.. p. 25. Sì ba-li
che pur nel framniBnto toledano del no-
stro cantare Tupiuia accenna ad un suo
anello meraviglioso, e prega la regina di
darlo, ov'ella muoia, al nascituro suo
figUuolo (Lidforss, op, cit., p. XVII).
< Aio un anelo d'una virtii soprana,
Che a la mia redese lo vovò donare,
Che se morisse, voy me prometati
Che a la mia Une a ley lo donariti'. >
«gli tosto tornasse, che, troppo stando
Renza vederlo, ella eì straderebbe in
lagrime. Detto questo, gli si stringe
al collo tutta in pianto ; e così , Del-
l' abbracciarsi, vince entrambi la com.
moKione, che sì STengono. Al riaTersi.
Florio Tede Bianciflore immola an-
cora: se la reca fra le braccia, n
spia trepidando se le resti segno di
vita : e poiché gli par morta, la ba-
cia piangendo, si laiueota, e fa per
Qccidersi. quando, chinatosi a baciarle
un' altra volta il viso, lo sente caldo
della vita, che tornava, e vede « muo-
vere le palpebre degli occhi, che con
bieco atto riguardavano verso lui > (1).
Biancicore si ridesta; dalla bocca Ii>
sfuggo un sospiroso suono. Allora
< Per Dio, damisela, > dise la regina,
Dime la verità, do me lo zelare;
De questo uoelo, ohe lassi a toa rodeae
Dima la bob virtù e lo su affare. *
(1) Vedi puro Filoftrato, IV. 117-26;
Ninfale Fietolam. IV, 42-47.
Fiorio, rincorato, la riabbraccia, e
tra le lagrime, le volge soavi parole
di conforto (1).
Codesto largo svolgimento della sce-
na si deve all'arte del Boccaccio, o
fu opera di un precedente rimaneg-
giatore della leggenda! Aache nel H
poema francese i due amanti smar-
riscono i sensi nell' accorato abban-
dono d^li ultimi baci:
En baisant ch&Trent pasmé (2);
ma, oltre a «luesto particolare, non
vedo che altro potrebbe esser deri-
vato al Fììocolo da un racconto, in
cui della separazione dei due giovi-
netti si tocca con la brevità, press' a
poco, del poema italiano, del greco,
fi del romanzo spagnuolo. Somigliante
a quella del Boccaccio fu voluta piut-
tosto la descrizione, altrettanto dif-
fusa, che del congedarsi di Fiorio fa
(1) Fiì., I, 100-16.
(2J V. 302.
raOietartil Forse t'han fatto alcun
male il padre tuo e la madre? Ahi-
mè, i^h' io EOQ triste, e nulla di buono
m'aspetto! * — La notte essa avea
fatto un sogno malauguroso: iivea
veduto una coppia amoi-osa di timide
colombe fuggire ilal nido per paura
di nn falco, che, ins^uendole, le
aveva costrette a spartirsi. « Ai, mia
amica, soggiunge Fiorio; io ti spie-
gherò il Bogno: la dolce compagnia
delle colombe rappresenta l'amor no-
stro, ch'io temo abbia a svanii'e por
r avidità del falco. Mio padre, cui
repngna questo grande amore, non
vuole che noi stiamo insieme: il so-
gno si compie: sappi ch'egli mi man-
da tosto a Montorio. » — Ecco come
Biancicore, secondo il Fleck, viene a
eonoscere che si è stabilito di sepa-
rarla dall' amico suo.
Non è necessario che seguiamo a
riassumere ed a sciupare la gentile
ecena descritta dal poeta tedeGCO ;
basti dire che alla novella amara la
228
fanciulla prova tal dolore, che ogni
conforto di Fiorio toma inutile: ella
si volge, con desolata aposti-ofe, a
Dio e ad Amore; ìndi, vinta dall' af-
fanno, si Eviene sul petto del giovine;
anzi pia oltre, dìsperùta, con lo Bti-
Ictto si vibra un colp;), che Fiorio
per ventura disvia. Tramorti meri il
dunque e un tentativu di suicìdio sono
qui, nel racconto del Fleck, come in
Fanello del Boccaccio; ma in forma
cosi diversa, che non si sa scorgere
la somiglianza voluta dall' Herzog in
(lucsto luogo delle due redazioni. Le
luali in questo solo, ci pare, s'in-
contrano, che nell'una e nell' altra
Florio riconforti la smarrita amica,
a le prometta ili non dimenticai-la ,
essendole lontano, e di tornai-c se il
padre fallisca al patto di mandarla a
lui (1): corrispondemia scarsa e vaga.
(I) Fil.. 1, 109, 116; Fleok, vv. 1132-
41; 1860-64; 1281-97; 1313-17. — Nel
PìUxaio (pp. llS-13), nasalità du gelosi
229
forse dipendente dall'aToro i due autori
svolta la identica scena, o spiegabile
con la congettura che quella circo-
stanza e quella promessa costituis-
sero come un dato fondamentale, che
essi abbiano riprodotto da fonti, in que-
sto punto, affini. Si può pertanto rite-
nere che il Boccaccio anche qui abbia
«Tuta innanzi una redazione della fa-
vola men ristretta del cantara, ma
timori, Bianciflore, la mite donzello, mi-
naccia Fioiio, ss mù la dimentichi per
altra donna, in modo cosi llero, da toc-
rara la volgarifa e il oomico (Znmblnt,
Op, cìt., p. 51). Anche nel poema, alto-
tedesco la tanciullu accenna alla pu»i-
bilìtà che Florio abbia altri amori, ma
con qual tono eoave e mesto l Ella rac-
comanda all'amico, che, hh pur gli av-
venga di amare un'altra, non iscordi mai
r amore, che è stato fra essi, a corno in-
sieme Bìen vissuti , e <'he dolce compa-
gnia si sisn fattoi (vv. 1306-11).
230
ad esso Ticina; egli, però, deve non
poco avere aggiunto dì suo (1).
Nel II poema francese, in quello
del Fleck, nel cantare. Del poema
greco, nel romanzo spagnuolo, Florio
se ne va dopo il colloquio con la fan-
ciulla: nel Fiìocolo, al mattino se-
guente (2), Qui il romanzo boccac-
cesco ci offre un luogo delicatameato
vero. Biancicore accompagna l' amico
(1) Questo colloquio di Florio e Bianci-
fiore nel Filocolo può confrootarai eoo
quello di Panfilo a Fiammetta nella Piam
metta, ca.p. 11. Neil' uaa scana e nall' altra
trattosi d'amanti, cbe debbono Hopanirsi.
Di auo molto qui aggiunse, probabilmeate,
anche il Fleck. Vedi Sommer, p. XIIIi
Snudmactaer^ p. 27; ai quali, per ciò
chi> si vide sopra, debbo accostarmi piìi
che non paia r^onveuientc all' HerEOg'.
(2) II poema fr, ». 355; Fleck, w.
1332 Hgg.; Cant-, St 26; poema gr., vv.
285 8^.; rora, sp. f. 12 r.; Filocolo. I.,
11&-I7.
231
> appiè delle scale, « senza far
motto r ano all' altro ». Come l' ebbe
veduto a cavallo, < riguardato lui
con torto occhio, tacita se ne tornd
indietro, e sali sopra la più alta parte
della reale casa, e quivi guardando
dietro a Piorio, stette tanto quanto le
fu possibile di vederla > (1). Anche nel
poema altotedesco Biancicore segue
il gioTtnetto fin 1' ultimo momento :
quando egli piglia le redini per salire
a cavallo, essa gli re^e la staffa,
fin eh' è montato in sella: allora il suo
volto si bagna lutto di pianto. Al
pari di quella del Boccaccio, la Bian-
oifiore del Fleck sale poi sulla torre
del palazzo per seguire degli occhi,
quanto può, l' amico, che a' allonta-
na (2). Questo riscontro dei poema ger-
manico col romanzo nostro, più sicuro
e precìso dell' altro, clie fu poco sopra
Cosi nel cantare (l); e cosi nei Filo-
colo ; < egli pare
inverso la citta, la quale egli mal-
Vedi poema gr. , w. 288-93, ov' è quasi
tradotto questo passo dot cantare. Filo-
colo, 1. 119: « Andavano i suoi (dì Fio-
lio) compari lascÌAodo i volanti uccelli
alle gridanti gme, facendo loro fare in
aria diverse baltogUe. E altri <Ma gran
roraore sollecìtavaDo per terra 1 correnti
cani dietro alla paurose bestie, E coli,
rhi in un modo e chi in un altro, an-
davano prendendo diletto > Pure
nel rom. ap., f. 12 r. , s'accenna a' ca-
valieri, che il re aveva acelti a compa-
gni del figlio. Nel 1 poema fr. ri dice,
pih eenaplica mente, che Piorio lascia la
Tel que convieni a fil de rei
(w. 353-54),
Anche il Fleck allude a compagni che
iegnirano Pioiio nel viaggio (v. 134Ì1].
(I) St. 26. Cfr. poema gr., w. 206-98.
volentieri abbandonava, si rivolgeva
> (1). Altrettanto gentil-
mente nel poema del Fleck :
boi wia dicke Ftóro aich
niu-h riner friuadla umbe surb ! (3)
Codesti particolari furon certo comuni
alla fonte francese del Fleck (3), ed
il quelle, qualunque sia stata, del
Boccaccio ; la quale apparisce qui
pure affine al cantare, che nell' ulti-
mo esempio vediamo corrispondere al
poema germanico ed al romanzo Iioc-
Avvertito della venuta del giovi-
netto (4), il duca di Montorio g\i
(1) I., lltì.
(2) Vt. 1354-55.
(3) Sulla fonte Trancose del Fleck vtilj
Snndinacher, op. dt, , pp. 3-21.
(4) Nel CoDt., St. 27, e ool rum. gp.,
f. 12 r. e V., è il re sUbbo che fa an-
nuDc^iare al duca la venula del tìglio.
Nel Filocolo ai dice solo: < . . . . il duca
Feraroonte, che la irua eenula ar<ea lapiila.
muove incontro con bel seguito di
cavalieri :
coati e baroni v'aodàr per suo amore,
asti e bandisre e bìgordi ispei'taado,
inverso Fiorio con tronbe sonando (1).
Presa' a poco ne! Filocolo: « E
coverti sé e i loro cavalli di sotti-
lisBÌmi e belli drappi di seta, rila-
centi per molto oro, circondati tutti di
risonanti sonagli, con bagordi in mano,
accompagnati da molti stromenti e
varìi, e coronati tutti di diverse fron-
di bagordando, e colla festa grande gli
vennero incontra , facendo risonore
r aere di molti suoni (2) ». Ma nulla
contento molto di quella . . . . > (1., 1 19).
Quanto al poema greco, presenta a que-
sto luogo una lacuna: gli manca la tra-
dnzione ili tutta la St. 27 del cantai-e,
(1) Cant., St 27.
(2) L. e. Nelrom. sp., f. 12 v.: <....
al duqiM mando que todoa los caualleroa
et prìncipales de toda an corte que ia
S36
valeva a vincere 1' iatìma pena di
Fiorio (1). Nella città le accoglienze
furono amorevoli e gioconde : (2) il
duca aveva fatto imbandire un rìccu
desinare, al quale la brigata sedette.
adere^assen pira el reoebimianlo de Flo-
i-es, Como Flores fuesse a vna jornaiìa
de Molitorio, el duque salio ut fueron
se a encontrar a una legna de la (^ìudad
(1) Cant,, St. 28.
E non vale nà giuoco nò aollaccio
cba Fioiio ai potase alegran.
Poema gr., t. 30^ Filoeolo, 1. 119:
« Quando Florio vide questo, sforxata-
mente si cambiò uel viso mostrando al-
legrezza e festa, quella rhe dal tutto tra
di lungi da Ini . . . . > Rom. sp. , f. IS
T. : ■ Perca Flores nìnguna cosa lo
alegraua: antea comò mnvores fiesUa le
hazian, mas le oreacia la trìsteza >.
(2) Fiioeolo, I. 119-20; rom. ap., 1. e.
toBto che furono giunti al palazzo (1).
Questa descriùone del ricevimento
(1) Cant, Si 28:
OinoBOi-ono a Montorio in sul palnerin,
dov'era fatto mi rico desinare:
lo duca BÌlIo prenda per lo braccio,
edicia: figlio, aodemo a deunnre,
che per amor di questi ravalierì
bene dovresti alar cen^a pensieri,
Poema gr., vv. 303-25. Filoeoh , I.
120: < Perviìnne tuIuiKjue Florio con
costoro al groo palagio del duca, e quivi
con tutto quello onore che peiiaara o fare
ai potMie a qualunque Iddio, se alcuno
in terra ne disfen dense, fu Florio da* pili
nobili della teri-a ricevuto. E icavnlrati,
tatti salirono alla gran aata, e quivi per
piccolo spazio riposatisi, pi-eiero l'acqua,
e andarono a mangiare >. Il racconto
spagnuolo qui si stacca un po' dalle altre
veraioni. Per due o tre giorni dall' arriva
di Fiorìo ai cootinuan lo feste {Filoeolo,
1. e. : « E poi per amoro dì Florio molti
^orni solenne mente por la cittft festeg-
giarono») : si fan ■ juatas et Juegos de
it-^»«fe.
■■ ' " ' —
R'ifB'Va-
(floa, a '(a«9to ponto, il eantaetone .
a ripete il poeta greco (li. .inchu il
Boccaccio da JllAbBUuiit <n la unura
a. Mannorina per roostrarm <^u «ibi
» la dolente BluoinlkFn ilupu
i dì ^oFÌa (2) : mik tosto ,
icaAi^AnJlé3<KÀi«K3««d3Tpd$«ap«T^ UtW
elle, più fcwmtmmaìBi m tmfaiGw In
na da'tiUBtri oa», a itt
a lo n Felic*.
Vali note alla St S9.
^ riL. L 120-31. BiuM-ifiorv ^ii>
•gm giorno ali* parte pia alta Jella cusa.
onde vederoai Monlorìo, « fra s^, mi«[m-
naia, dtceTa: < U 6 ìl mìo ilisio • il
nùo bene .. Cfr. FitastnHo, VI. 4, VII,
63, e Proemio al poema, edii. Moutinr,
p. 4. S« aTTeDiTA cìie da quella platea
eeotìase spirare qualche alito lieve, uaaa
Ilo riceveTa con aperto braccia nel putto,
dicendo: 4 quelito lenticella toccfi il min
Florio > Cfr. Son. XV. nelle Hime dol
riracendo il hrsTe tratto, cho con»
tra le dui; terro Ticino (1), d ri-
conduce pressa l' innamorato adole-
scente, e rappresenta le pene, eh' et
soffre nella lontanansa dalla sua
Bo«r., ed. Balclellì. Livorno. 1803; Fi-
lottrato. Proemio, L e, e nel poema V.
70; Texeide, IV. 32. CercaT» i Im^hi della
caaa e delta cilU, ove sì rìeordan di
aver Tednto l' amato giovinette. C(r. Pi-
losiraia, V. 54, ^ Hla lo rammentava
rontionameate. e di lai ngnava. Cfr.
Seraid.. XIH, 104 «gg.; f^amm^m. «d.
Moutier, p. 63. Eaaa Baglig« la tua per-
sona; lascia dlaonlinati i capelli, e non
ha cura dì iodoesare pnÓBaa tmIì. Ctr.
Hermd^ XIH. 31, 33. 39,«>; fWmwMa,
p. 122. e altrore.
(I) Fa.. L laO, ISl, Mi. HMoatorio,
cui ■ tìibriice fl Boccaeno, è qnaUo e^
■1 Mm a fioca dMtaaa da Vanma (Uar-
■orìa^ Vedi &«••, «f. òL . Atti R.
bt v«B.. & m. ». oae-TO; Barati, o|i.
eft., |1. Ifi.
241
diletta (1). Cos'i egli si stacca dal
cantastorie, che non curandosi adatto
di descrivere queste pene, passa su-
bito a narrare come il re cercasse di
tagliere di mezr.Q l' invisa fanciulla; e
si rannoda al filo di qaasì tutte l'al-
tre redazioni (2). Con le quali il suo
racconto offre qui alcuna somiglianza
tanto da reoderci sempre meglio evi-
dente che egli abbia profittato dì una
fonte pili particolareggiata, che non
aia il cantare. Anche uel Filocolo ,
infatti, Fiorio, distratto dal pensien^)
di Biancifiore, neglige gli studi; at-
tende con desiderio ogni giorno cpe-
(1) Fil., I. 121-24.
(2) Vedi I poema fr., 363 sgg-, e Tar-
MODÌ affini (Henog, pp. 31-32). Invece
nel II poema fr. , 359 sgg. , ai laaciu star
Florio, cume nel cantare, e si torna si
rei dello stato d'animo del giotinelto,
mentre è lontano da Binncifiore, bì fa k>-
lo 1
613-18).
i (T,
e dalle versioni, che gli s'accostano (1).
Neppare il romoDziere epagouolo si
stacca da Fìorio tosto dopo averne
narrato l' arrivo presso lo zio come
fa il nostro cantastorie: anch' egli
b' indugia alquanto a dire del suo sog-
giorno a Montorio, e della tristezza
perenne, ohe gli cagioDava il combat-
tuto amore (2), Il suo racconto è
tuttavia indipendente da quello del
(1) Nel FUocolo, ad esempio, ood si
diee che Fiorio fosse posto nella scuola
insieme a fanciulle bellissime, perchè di-
meuticasse Biancìlìore (I poema fr., wv.
363-66; Flecli, y*. 1391-07; Herwff,
le).
(2) Ff. 12 V. _ 13 r. — Nella reda»!.
mCNleraa del rom. sp., Flores ammala
per il dolora d'eser lontano a Bianca-
Sor; tornato alla corte, risana in pocbi
giorni i disgiunto nuovamente da lei, ri-
cade malato, ti suo maestro Mahomod
tenta invano di rilevar l' animo dell' a-
Innno, e di rici'earlo con divertimenti.
ilamtana è mamiaàa. ma^m • n Fé-
«cteta». Ut a. «bj
b E fam b ekW e
►(t^
la M9 iifiBoto ft MiMBn» 4 ■
■■«■ A U aoK beo* *
B jMutavè C1WM ia iHNft^E^
(1) Vw. 305-00: neefc, n; lMO-3;.
Par k *lb« «etaìAni cu-. Marng^ py.
^P Ma (
^" stru^ì
I
I
Ma qui perchè tanta ira? Dello
stru^ìmeoto di Piorìo nel ano esìgtio
il cantastcìrìe culla dice; aè fa quindi
cenno di notiàa che al re ne sia per-
venuta: nel suo racconto manca dun-
que la ragione immediata delle nuove
furie di lui. Il Fi/ocolo e il romanzo
gpBgnuolo ci danno invece pure a
questo luogo nna narrazione piU com-
pleta, ohe a' accosta a quella del I
poema francese, e delle versioni af-
fini (1).
(!) Nel Filocolo (I. 124-25, 120) Fiorio
■tesM chiede di potersene tornare a, casa,
e più persone riferiaeono al re la vita
dolorosa eh' ai conduce ; uel romanzo
■p. (f. 13 r.) è invece il duca medesimo
che Rcrìve al re informandolo dello stato
del figlio, ed invitandolo, per evitar peg-
gio, a mandargli la fanciulla. Anche nella
redazione moderna del rom, sp, il mae-
stro IVIahomad scrive al re che Flores non
può aver pace senza la sua Blancafior,
onde qu^li à delibera di sbarauBrai di
d. liv gli atete ai m
247
e intesa a aottrai're l' innocenta alla
rabbia di lai. Il Boccaccio in quotila
vece per armonizzare questa alle due
scene, in cui la regina compie 1' uf-
cio di sagace consigliera (1), ìma-
gina che ella stessa suggerisca lo
spediente crudele, del quale ora di-
renio: sicché reca meraviglia ch'egli
non si sia accorto della grave con-
traddizione, in cui cadeva, mostran-
dola in nn luogo pietosa, in un at-
iro scellerata (2). Pure nel romanzo
spagnuolo il re sì stringe a colloquio
con la moglie, e, fermo nell'animo
di voler far morire Biancifiore, spe-
rando che, scomparsa, il figlio la di-
menticherebbe , chiede alla regina
che le paia del suo disegno : questa
non inorridisce, ma solo s' affanna a
domandare come possa esser condotta
la cosa in modo che resti occulta.
(1) Filorolo, I. 87-88; 307-308,
(2) Fitocolo, I. 126-127. Cfì-. nostri
WM «dita dil re, al pari che mI II
poeisa francese, nel eantsn e nel
poema greeo (2).
Qn«sU caatnddmoae peioologioa ,
che si maaifeata nella regina, ^pernio
ila eia, che le tuwtre veTeì<iaÌ aoa ae-
gaitaoo ad accompagnarsi bdelmente
a' racconti del primo troTero fran-
fleae e dei rifacitori gemanici; ma
accolfoDo, d' accordo col secAndo tro-
verò, r episodio, a quelli ignoto, del-
l' accusa insidiosamente fatta eoBiro
Biancicore, d' arer rotalo arvelenare
il re, « del duello combattato da
Fiorio per ealrarla dal sopplizio. coi
(1) Rom. ap., t 13 r.
(2) Il poema greco Miotinita ad «nai«
DBS traduione abbactuita fedele del
cantare: cfr. t*. 33S s^.
249
r aveanu condaanata. Cosi il colloquio
secondo di re Felice con la moglie
non precedo tosto, come in que' rac-
conti, alla vendita di Biancifiore ,
consigliata dalla regina, per impedirò
almeno che la sventurata sia uccisa;
ma al tentativo di spacciarsi di lei in
modo ben più violento: perciò qui la
regina apparisce consigliera malvagia
o muta complice, mentre più in la,
dove le nostre versioni si ricongiun-
geranno a' vecchi compagni, rivelerà
il carattere, senza confronto, miglio-
re, che le attribuiscono le redazioni
più antiche o più conformi al testo
originario. Nel II poema francese non
si produce questa stessa contraddi-
zione , percbù re Oaleriens , come
s' accennò poc' anzi, non s' apre mai
con la moglie, e non invoca il suo
aiuto.
Re Felice la chiamare il suo s
scalco, e gli dice:
. . . (tiui'a '1 mio comandamento
di ciò eh' io ti vorò raanìfestare,
cbe fatto »a «uid^ dimoramento:
quando laremo v. tavola a mangiare,
cornandoti per questo sacraineato,
'na galiaa mi mundi avelenata,
che Biuncifioi'a ne sìa incolpata (1).
Come qui nel cantare, è anche nelle
tre ultre nostre veraioni il re stesso
ohe indica al siniscalco qunl modo
s' abbia a tenere perchè liiancifiore
sia creduta rea e perisca per con-
danna di giudici (2). Non è così nel
li poema francese, ove il re lascia
pigliare al Eioiscalco lo spedìenf« che
gli paia più acconcio (3).
(1) Cant., St 3(1.
(S) Il poema greco £ sempre anal Ti-
cino al cantare: Tedi vr. 345 Bg^. Il Ft-
loeolo e il romanzo sp. eono qui, come
da per tutto, pili diffusi e particolareg-
giuti dei due poemi: del primo vedi I.,
127-31; dell'altro, f. 13 r. e v.
(3) Vv. 359 Bgg. Anche nel mod. rifa-
cimento del rom. (i|i. non è il re, ma il
suo < conaejei-o particular », il quale tiene
il luogo del siniscalco, che tcova al fina
voluto da quello il moixo della gallìua
avvelenata.
851
Ma perchè mai costui porge mano
COBI facilmente all' opera nefanda I
Per nativa perfidia e per vik> obbe-
dienza, rispondono insieme il poeta
francese, l' italiano, il greco, o il po-
maiiziere spagnuolo, che ce lo rap-
presentano degno ministro di un ti-
ranno, n Boccaccio invece, eh' è piii
sottìla scrutatore del cuore degli uo-
mini, assomma a queste una ragione
più profonda della sua volonterosa
complicità: egli accenna che il sini-
scalco era stato acceso di Biancifiore,
e che nel suo animo cattivo le ri-
pulse della fanciulla avevano conver-
tito r amore in odio e in desiderio dì
vendetta (1).
Nei cantare, nel poema greco, ne! ro-
manzo spagnuolo quegli appronta una
gallina avvelenata ; nel FUocaìo un
pavone: più genericamente, nel li
poema francese, un « Iarde » (2). Ap-
(1) FiV, I., 127, I3^, 208.
(2) V. 397.
fau-ir-a p:<i t^iiarnamf ix;i<eli« fl Boe-
psllina il psTTO? snpurbù. D pnee&t^
atCj6»c«ti:i 6 uSeri4> &1 re a nomo dì
iBiaociSure: ael Fil'fCoh e «ori U
faaàiilto steeaa efae lo reca aiU u-
Tola nato <1X
Qai è da «rrcrtira che il racconto
boccaccesco H spicca dalle altre i«-
dazioni per essere a questo )uo^
■ingcilarment« ricco d' ornamenti e
di particulari soci propri. È infatti
in giorno della pia aoionne festa che
Biancifinre presenta il pavone: re Fé-
lioo, intorniiito da splendida corto,
oclebravu il di del suo natale. L&
fanciulla entra, meravigliosa di bel-
Ittua, nitlU sala del convito; avanza,
vargUffRando, innanzi i si^ori che
ivi aìecluno; lì Eaiuta, e li invita,
•eoondo il eostume, a £ar vanti al
pavon*. Alla luco nuora della bel-
Uam ÌB«tt«M. e al saono d«Ua voce
il) L, 133.
soave , quelli sì volgono ammirati,
rendono il saluto, e cominciano tosto
a fare i vanti. Re Felice gium che
innanzi che un anno trascorra, le avrA
dato a marito uno de' maggiori ba-
roni del 9U0 regno; seguono gli altri
obbligandosi, con varie promesse, a
festeggiare le sue nozze: Ascalione.
ad esempio, si vanta, benché sin vec-
chio ormai, di misurarsi i^uel giorno
con qualunque cavaliere vorrà affron-
tarlo, di trargli di mano, senza rice-
vere 0 produrre offesa, la spada, e di
porgerla alla Eposa. (1).
Chi abbia qualche famigliarità con
la vita medievale e con le favole ro-
manzesche, che la rispecchiano, sa che
sieno questi voti al pavone; sa che,
al pari di queUi che si usava pro-
nunciare sopra altri non men nobili
pennuti, suU' airone e sul fagiano ,
spettano al vario genere de' vanti che,
seri 0 burleschi, in occasioni diverse.
(I) !,, 137-U
correvauo pronti alle lalibi'a de' ca-
valieri (1). Il pavone, che si portava,
(1) La Carne de S/" Palafej Mém.
sur l' aneietìne Ckeval., vo). XX della
Memorie dell' Arad. Roy. dea Inter, et
Beltes-LeHrea (1753). pp. 636 Bgg., (non
ho pi'eBante l'ed. Nodier, Parigi, 1886,
della iiuale vedi 1, 157-64, li, 95-111);
Ferrarlo, Storia ed anal. d^gli ant. corri.
di cavali.. I, 182-183; Tobler , Plus
(1 parotes ecc., Zeitschrifi fnr roni, Ph.,
IV. 80-85 ; Bajna , Origim dell' Bp.
fr., pp. 404-6; Sjrop -Gorra, St. del-
l' Bp. fr., pp. 119-SO. Il Eajao, «me
sa ogniiDO , ritiene che i vauU cutilI-
lei-eschi rappresenti do la metauoi'fOBÌ
medievale di una usanza che i remoti
pi'ogenito^ de' cavalieri avi'ebber trutta
seco di Germania: vedasi un cenno di
questa aleasa origine de' vanti nello stu-
dio dell'Ampère sulla Cavalleria {M^-
tanges d' hisloire lill. et de Lilléral. , Pa-
ris, 1867, I. 242-3). Il Thnrnersen ,
Eeltommaniiches , pp. 18-20 , rimana
sorpreso dalla somiglianza che collega
specialmente il vanto giullaresco di Tnr-
ne'suntuoai banchetti, yestitu della
eua fulgente maestà, cun T ampia rota
delle piume occhiute, era fra i cibi
pia ricorcati, un vero boccon di si-
guarì (I); la sua carne proclamavaBi
€ la viande ans preus *, come ha detto
laoqueB de Longuyoa, ed ha ripetuto
pÌDO, nel Péter'mage de Cliarlemagne ,
coi cUìs, con le braverie aUrìbuile agli
eroi delle antiche leggende epiche d' Ir-
landa, l'ercib egli chiede: nella seconda
parte del Pélerinage ai riflette la conti-
nuità popolare di una vecchia tradizione
celtica; o s'ha a preferir di credere che
l'incontro sia fortuito? Spunta qui dun-
que un quesito interasaante : eha rapporto
iutisrcede tra i vanti celtici, e i germa-
nici!! da quale di questa due fonti venne
l'us" de' vanti a' Francesi?
(1) La Orante; Hugues Capet ecc.,
Antiens Poètea de la Fr., Vili, p. m;
Gaydon, Anc, Poètos ecc. , VII, pp. 26-7;
A, Heraf} La vit au umpM dis Coura
d" Amow, pp. 248-9; L. «aatler, Ln
ChmalerU, pp. 635, 63(J-7
il cantore delle geate di Ugo Cape-
te (1); e sovr'essa i prodi promct-
tev&n di compiere non so quante au-
daci imprese. Da' voti del pavone s' in-
titola anzi, com' è noto, il lungo poe-
ma che il primo de' roraaozatori testd
accennati ha intrecciato alla saga d'A-
lessandro (2).
La scena dunque che qui ci pre-
senta il Boccaccio è prettamente me-
dievale e cavalleresca; e i particolari,
che in essa occorrono, non sono ìn-
ì pura del nostro autore, ma
(1) Huffues Capei, pp. h, 59 (t. 1121),
Ì5S; La Carne de 8." Falaje, op. cit,
pp. 636-7.
(2) Il poema di lacqnes de Longujon^
/,** VoeuJ! du Paon, è ancora inudito;
«opra di esso e gli altri due poemi, che
gli fecer seguito (Reslur du Paon, For-
fait du Paon) vedi La Crantce, op. cit..
pp. ivij sgg.; V. UejtT , Alexandre le
Grand, li., pp. 822, 208-72. Un lunto
vedine uells Notices et Extraits dcs Mss.
de la Bibl. Sai., V, 118.
rispondono a ciò che ci si oSve in
narrazioni consìmili del tempo, ed era
certo nelle costumanze d' allora. Le
quali volevano che il pavone fosse re-
cato come alto segno di onore, da
Dna donzella, la più vaga che mai
fosse nel luogo, aopra un piatto d' oro
0 d'argento (1). EIcco dunque perchè
il Boccaccio, introducendo nna scena
di vanti, imagina che il nobile uccello
sia porto in giorno di gran festa, per
onorare maggiormente il re (2); e non
da un valletto, come il lardez e la gal-
lina delle oltre versioni, ma, secondo
1" uso, daUa fanciulla più bella e gen-
tile, che nella reggia e a Marmorina
si trovasse (3); ecco ancora perchè
(1) Vedi la Conquisili de Ultramar. L.
11, cap. xLin (Amador de los Klos, Hist.
erti, de la Lit. esp. , V. 51); Hiii/uc.i Ca-
pei, VT, HIT sgg.; La Carne do 8. <«
PaUje^ op. cit.. pp. 637. ^9.
(2) FU.. ]., 134,
(3) Ib, , 130. 13.">.
Come bì scopre che la pietanza of-
ferta al re nasconderà on' insidia al-
Qiùraaai abbia profittato di un altro poe-
ma, nel quale troriaEQO vaati al pavone,
dell' Hugues Capei, poiché probabiime&te
flDesto fa messo insieme qnando egli sta-
ra intorno al sao Filoeolo. drca il 1340
(La fintile, op. ut., p. xxtìj). D'altra
pnrl« è lecito imagìnore che i Voeux du
Paon, con altri poemi e romanzi oitanici,
fonerò nella librerìa degli Aagioìni. o di
altri ugDori napoletani d'orìgine franc»-
M, co' quali measer Giovanni avesse di-
infatti, ae si vede che i libri
francesi costi i uivano , dopo i ktini, il
fondo delle biblioteche prìnciposche, a
Mantova come a Ferrara { Roinonia, IX.
500), pDÒ tenersi che altrettanto fosse
delle biblioteche di quelle bmiglie, al-
meno, che bì erano stanziate nel regno
napoletano insieme agli Angià; che, piìi
particolarmente , i Voetu; du Pam A
trOTBWero nella libreria stessa reale o di
alcnn barone del mezzogiorno, come più
tardi furono in quella di Francesco 1
Gonzaga (ib., 509). Ma è proprio ne-
la sua vita,
clamori. Manifesta apparisce la colpa
cemario pensare che il Bocc. abbia avuto
fra mano i Voeux, a' quali, d'altroude,
egli noD fa alcunu allusioiie! L'usanza
di vantare sul pavone i-isale ben olti'e il
tempo di locqaeH de Loogujon. Intanto
il luogo poco sopra allegalo della Con-
quìila de Vltramar, per il quale l'AnUI*
dor de Ioh RIob (op. e voi. dt.. pp.
47-53) riportò il perduto poema epa-
gnaolo Los Votog del Pavon arni che
al ciclo d' Alessandro, seconda Togliono
i più (Ileknor; Gesch. der sck5n. hit.
■n Spanien, traduz. tedesca del IiiUds^
I. 52), a quella di Carlomagno, senza
però buon fondamento ( MII& j Fon-
tanalsj De la poesia heroico - pop. ca-
aiell., p. 333, n. 1.), mostra come l'uso
di far vanti al pavone si possa incontra-
re anche nel eec. XIII; ma nemmeno a
questo tempo dobbiam fermarci , sa ac-
cogliamo l' opinione cba 1' uso stesso ai
colleghi a riti e consuetudini dei Ger-
mani. Dall' altro canto questa costumane
Ka convivale si protrassi' fln dopo il mezzo
della fanciulla; perciò anche
più
I
del Eecolo XV ( La Carne de 8/^ Fa*
ÌMje, op. cit. , pp. 637 Bgg.), Ora, io uno
spazio di tempo cosi lungo, chi sa quanti
altri raci?ontì, oltre a quelli che aran-
tano, rìSettendo la vita cavollereHca del
medioevo, avraano contenuto scene simìti
a questa che ci offre il Filoeoio. E forse
che il Boccaccio stesso di scene coti fatte,
duraute l' allegro soggiorno di Napoli ,
quando frequentava la reggia angioina,
ed aveva famigliarità co' più cospicui del
paese, non eia stato testimonio 1 1 costami
cavallereschi e francesi colà certamente
non mancavano. — In altri testi italiani
troviamo rammentati vanti di maniera
dirersa. Citeremo le Novelle anCiche, teato
flaalUrn2d,4^*— 15° del testo Blagrf —
( D* Ancona, Le Fonti del Novellino, ne-
gli Studi di crii, e st. leu., pp. 317-18);
e 64' (Meit, Ldim und Werkeder Tr.*,
429); il Caninre di Madontta Eletta im-
peratrice, Livorno, 1880, per noMe So-
ria-Vitali. con prafai!. e note di 0[tttt-
Ttano] Tfnrgionl] T[oxì(ettiJ (Landau,
Dia Quellm d-^s Dekam.^ 135 sgg.). Si.
i
tvpogiuuiti woo tratti a wnlawìaria
al fuoco (1).
Le nostre venùai iigi pot^gmo
un'altra prova dd loro accorda Um-
9 agg.i VAjolfo det Barbieone. «t. ed.
Del Prct«, I. 140; il Mambriano. C. 41.
Se ^ •KK'l Vittoria di Liombrvno, stani -
patn gii dal sec XV (FasMBO, / noceti.
it. in vario, p. 68), ma riva tuttora mila
bocche del po^lo (InbrlaDl^ La Xovti-
la^a /(orenlina. pp. -161-61!); Ìl Rmaido
dal TaMO, C. 9. St. 30 agg. C'4 accora
U po«metto che ha per titolo Fiorttto e
Viano di' Paladini (^aadrlo^ Si. e Rag.
d" ogni poesia, VI. 678; Ferrarlo, op
dt. IV. 28; Xclzl-T<ul, Bibl. dc> ra-
nwui di cavali, il., p. 153; Mdchsaek'
D* Ancona, Diap. 1^7 di qneala SceJla:
p. 21U; Noratt, Dacrit. dì alcune slampe
di poemtUi pop. ilal. ecc., Bibliofilo, Vili,
5, 66); ma non potei vedarlo.
(I) IT poema fr., vv. 429 sgg. ; Caot.
SL, 31 Rgg.; Fìt.. I., 140 agg,; poema
et., TV, 388 agg.; rom. sp.. ff. 13 v. —
U r. { HaDBknecht, 61-02).
263
damentale, che tuttfi quattro si con-
ttappongono al testo francese nel rap-
presentare il modo, per cui si svela
U simulato tradimento: un cane ab-
bocca il cibo velenoso, e di subito
muore (1): in quel testo, invece, vit-
tima dell' assaggio micidiale è un
malcapitato donzello (2). Perù l' accor-
do non si mantiene in ogni punto del
racconto. 11 cantare, al solito, pro-
cede rapido, e addensa ciò che altro-
ve è steso e diffuso. Ecco quel che
vi si compendia in poche stanze: il
re, alla scoperta del delitto, fa sona-
re a parlamento, e accusa pubblica-
mente Bianciflore di aver voluto at-
(1) Cant, St. 31; Fil.. I. 140; poema
gr-, w. 384-87; rora. sp., f. 13 v. Con-
fronUndo il luogo dol Filoeoto con quel-
li citati delle altra redazioni, ai può an-
che qui chiurameiile vedere come ìl Boi>
eacio determini, allarghi, arrìccttisca ciò
che altrove «a fuggevolraante accennato.
(2) Vv. 416, 4S1-28.
tc«carìo ; Ia fucina lua sa con»
naau al r~'^j, e il j>jf-it.s siiioandotA
Tta, orb ti tsiolta ùla bai:<¥Dte: Q
per ti^Uerie oudù di diieciìersi: puì
U trae d'jT' e preparale' il snpplmo.
n p-i^ta greco rip«e, press'* pocù,
qu«M racc--jm>.'. nu ]■-' i*\:!^ i:- tvin-
pie. Per es«npici, il caiilAsicrie ac-
cenna all' oagi-'Scii^s* statu fU Biin-
CiSure chs, inn^mi i baivuLi cooto-
eati dal re, sotto il peao di nt' at-
. . . ndoodo ri gnu tmluBeato,
non ai npe» JMdioer ni smgiuv:
S^ua aver prima detto che sia stata
tratta alla loro presenza (1). Or bene,
ciù ch'egli sottìotende, nel rìtacimaiiW
gr«co si trova pianaiuenttì narrato:
< masduio per la fanciijlla, la meoan
I^ata . . . > (I) Cosi nella rima i
re si querela concisamente:
■ . . be'signiori, io mi lamento
di Qianciflor, che mi volle atoscai'e;
mentre nel tfisto greco ci non s' ap-
paga di 6Ì spiccia conciona (2).
(1) Vv, 399-4(B. Il poeta greco , per
una curiosa disti'BCÌone, fa avveuire l' a-
danata del popolo, chiamato a giudicare
Biancifiore, in Roma (v. 39G).
(2) Cant., St 33; poema gr., vv.
407-28. S" avverW uua certa affinità tra
il discorso che pronuncia il re net poe-
ma greco e quello che gli attrìboìsce Ìl
Boccaccio : cosi nell' uno che nell' altro
egli rammeola Is generosa pietà avuta
di Bianciflore e di sua madi'e, per la
quale, aaà che odio, si aspettava dì rac-
cogliere gratitudine; ed aggiunge ch'e-
gli avrebbe poi voluto maritare alta-
mente k donzella (FiL, l.. 142). Si può
credere che questa rispondenza sia ac-
cidentale; o che il poeta greco abbia
i del cantare, che
Nel Fitocolo ù nel romanzo spa-
gnaolo i due fatti rìlcTanti di questa
parte della favola segaonsi in ordine
inverso da quello che tengono nel
cantare e nel rìmaneggiamanto greco:
vien prima la presura della fanciulla;
poi r adunanza bandita per deliberare
snlla creduta colpa di lei. Differenza
notevole è poi qnesta : cbe nei due ro-
manzi , al pari che nel testo fran-
cese, la fanciulla non compare in-
nanzi il consiglio, come nella rima
toscana e nel poema greco; ciò che
mi sembra più logico. È naturale in-
fatti che il re, secondo si mostra
nella più ampia redazione boccacce-
sca, massimamente s' adoperi perché
Biancìllore non abbia maniera di par-
lare ad alcuno, e dì scusarsi (I): in-
I ristretta di
fosse, a questo luogo,
quelle che potummo co.— ^^. — , r—
che non saprei troppo Tolontieri indur-
rai a ritenere che egli abbia direttamen-
te imitato il Fiiorvto.
(1) FU.. !.. 141, 107.
tendimento, che, del reato, &' accenna
par dal cantaetorìe (1), Gli onesti
giudici vorrebbero anzi, cosi nel Fi-
locolo che nel poema francese, che
la accusata fosse condotta al loro
cospetto (2); ma il re non lo con-
cede, dicendo esser tanto manifesto
il fallo da non tornar necessario si
udisse la confessione di chi lo avea
omesso (3).
A proposito delle quali rispondenze
tra il romanzo boccaccesco e il poe-
ma oitanico, cade in acconcio rile-
varne alcun' altra. I giudici, in tot-
tedue, b' avvedono della mala volontà
(1) St. 34:
Hcalco, cane e ricredente,
tosto la fece metera in pregiooe,
e fecela legare isti'ettaraente
perch' ella doo diceue aua ragione.
12) Poema fr-, tv. 443-47; Fìl., I. ,
144, 174-75.
(3) Poema fr. . w, 448-50; Fif., I.,
<ni I ilfa
i
ormai annotta (l); noi Fihrnh o[ipon-
^no r espresso divieto delle leggi,
che fosse data mortale sentenza in
giorno Bolenn'?: tale era (|iid11o del
natale del re (2). Ed ancora in un
altro punto b' iunontrano i du« rac-
conti ; ueir indicare che BianciJIore fa
presa mentre si trovava presso la re-
gina (3). Non dobbiamo stimare tutr
(1) V». 463-68. Nei rupronti tpin u
OBfollereKhi della Kmni^ia medievola ,
< il tr&moiito ii's\ »oì« •ejfiift in fina ilogli
atti giiulì;tmrì > : cool voleano la \fggi ed
aceadefB in fatte (0. Tamailla, Il diritta
neirtfiea francete, Roma, ISW. p. 29).
P) FU., !.. 145. Noi rom. ip. .•onlln»
che il iappliiì'> abbia luogo tre giorni
dopo la «entenza: f. 14 r.
, [., 145; po«ma fr, . tv. 485
i^g. Nel Filocolo, il ra, pur muglio co-
lorire r inganno , fa imprigionare oon
Btancifiore il nni^o^co e Salpadino, che
qnal di, Mrvendolo del coltello, aveva
smembrato ìl pavone: questi ultimi però
tono tosto iprigioDoti (141).
tarla che il Boccaccio abbia avnto
aott' occhio il poema franceee, parche
vicino alle somiglianze nutate stanno
differenze evidentissime.
Biancicore e presa, come ora si
disse, mentre sta con la regina; ma
nel poema francese, i sergenti che
dal re han l' incarico di trarla al ro-
go, impietositi anch' essi della sorte
immeritata della bella e buona fan-
ciulla, es^uisoon l'ordine a malin-
cuore, e usano con lei dolci modi e
dolci parole (1); nel Filocolo, per
contrario, entrano furiosi, o la tra-
soiiian sorpresa e piangente (2). Inol-
tre, la cattura secondo il testo tro-
verico non avviene immediatamente
dopo che si e scoverto il veleno ne)
Iarde presentato a nome di Bianci-
(1) Vt. 483 sgg.
(2) I., 145. 179. Qui oon eaìsU, chi bea
guardi, la contraddizione che ho creduto
di poter notai's nel mio Contributo agli
Studi sul Socc.. p. 204, n. 1.
i
2T1
flore; si quando oramai il giudizio
i stato pronuaciato, e U rogo cre-
pitava (1), la mattina appreaso. È
doBqae probabile elio ciò che di si-
mile al racconto francese si trova
nel FUoeolo, sia derivato da quella
fonte più larga e ricca del modesto
cantare, alla quale gii più volte s'è
da noi imagìnatu che il Boccaccio ab-
bia attinto.
Illusa dalla cortesia blanda dei
buoni sergenti, la giovinetta, secondo
il poema francese, é ben lungi da
imaginare eli' ei la debban condurre
a morire insieme alla madre, che il
re ha pur comandato gli sia tratta
innanzi, intendendo darla alle fiamme
stosse con la figlia. Crede ella, inge-
nuamente, che il signore voglia mo-
strarla, con paterno compiacimento,
a' suoi baroni, e sì acconcia, perciò,
e s'adorna leggiadramente: poi va,
per measo la folla, verso il re: al ve-
(!) Vv, 469 s
278
darla, così candida e gentile, avviarsi ,
ignara, al suppludo, piangono tutti,
e dolorano inteneriti. Il re steeso al-.
l' aspetto della innocente si spetra, e,
rifatto umano, tra aé lamenta: «ahi-
mè, povera fanciulla, della quale non
è al mondo altra piil bella, le tocca
morire! , . . Ah, maledetto questo a-
more, che mi sforza a cotal tradi-
mento. » Ma, novamente simulando,
con aspra parola le annuncia cho fu
condannata a perire nel fuoco per
aver tentato di levar la vita a lui, al
padre di quel Piorio, ch'ella pur faoaa
sembiante di amare. Avvezza al do-
lore, non sì contorce ella, non im-
preca: cade in ginocchio avanti il
tiranno, teneramente mansueta, e così,
dolce, gli parla: « o re gentile, mai
vennemi in cuore di ingannarvi, di
procacciarvi morte: pur se vi piace
ch'io muoia, eccomi a voi, come a
mio padre. Se volete che mi si uc-
cida, con tanta bontà mi avete nutrita
e cresciuta, fate di me secondo vi
I
■ talenta, come padre del suo figlio-
I lo (1) ». n re, alla dolceaza semplice
di questo parole, la guarda, e non
trova risposta: assai deve odiare in
eb stesso la sua follonial Soprag-
giunge la madre, costernata all' or-
renda nuova; ai precipita a' piedi
del re, glÌGli bacia, e « Re, ella prega,
per la grazia di Dio, per il mio buon
servigio, lasciate la figlia mia; fat«
ch'essa per sempre vada bandita dalie
vostre terre, e bruciate me, date a
me il tormento eh' è per lei ». Ma
il crudo signore sol questo risponde:
€ V una non salverà 1' altra ; morrete
ambedue ». E invano supplicano la
regina, i baroni; invano questi o£<o-
no di ricomprar l' ancella a peso
d' oro : il re giura di spogliare del re-
taggio loro i signori, che ancora chie-
dan grazia per lei : dopo questo giuro
(1) Questa parole fanno rammentAre il
dantesco: • tu ne vealìaU - queste mìsere
u no spoglia *.
non e, naturalmente, più alcuno cho
osi far motto (1). Più oltre s'aggiunge
che il fnoco è già pronto: Biancifiore
prega d'esservi gettata prima por non
mirare lo strazio della madre; o al si-
niscalco chiede clic la lasci morir da
cristiana: cosi, genuflessa, s' abbandona
lungamente alla prece, e, immemore di
sé, implora da Dìo aiuto a' genitori.
Poi si rilava, si segna, e, guardandosi
dietro, scorge la madre sua: al ve-
derla, cede, sopraffatta, alla piena del-
l' affanno, o Bmarrisce 1 sensi. « la-
sciate almeno cb' ella si ridesti » ,
geme la povera donna a' sergenti fret-
tolosi. La coricano quindi sopra un
tappeta, e fanno per lanciarla fram-
mezzo le fiamme, allorché soprarrlva
un cavaliere, che impetuoso si sferra
contro il siniscalco e i camoflci, e
libera la fancialla (2).
(1) Vv. 485-579.
(2) Vv. 743-894.
2-re
Lo nostre versioni nemmen s' ap-
pressano alla cara bellezza di questa
scena, drammatica insieme e soave:
ad solo perchè manchi in esse il per-
sonaggio che (.■fficacemcnte concorre a
crescerne la tensione tragica, la ma-
dre di fiianciiìord (1); sì ancora per-
chè non anima i rifacitori meridionali
quello spiro schietto di poesia, che,
in questa parte, ha mosso vivamente
il troTero. La cui grazia delicata e
spontanea contrasta in ispecie con la
artifìcioBità macchinosa e stucchevole
del Boccaccio.
Qual differenza, per esempio, tra la
Bianciflore del francese e quella del
narratore italiano, ch'è tutta smanie e
retorica! Mentre l' una, campeggiando
serena in un quadro pietoso, va incon-
tro alla morte con aommesaiono dolce
di martire, l'altra, se non fosse stata
impedita dagli stretti legami, < s' a-
Trebbe i biondi capelli dilaniati e
(1) Vedi Herzog, op. cil, p. 29.
i
278
gùutì, e '1 bel visù setoA niona pietà
lacerato con crudeli onghje, strac-
ciandosi i neri drappi significanti La
futora morte .... (I) » E basti
questo, a Bcusa di pio parole. Mi-
^iore, Benza dubbio, nella stia pupu-
lore aemplicitA, e il nostro poemetto,
ove eom nativamente Biancicore sì
lagna, penaando aU'amico suo, che d
lontano, e non sa del pericolo, ch'ella
corre, né può salvarla;
o dmdo mio, che ti itai a Montone,
B gii non ni di questa mischinel)*,
come per te ricevo gran martorio!
Non agio meno che tei venga a dire,
come per te wd menata a morire (2).
(1) Fit., I,, 176. Sulla inferioriti del
Filocolo a talune delle redazioni strauii^re
della leggenda fedì Znmbtnf, op. cit,,
pp, 49-57.
(2) 3t 35. Cf. poema gr., vv. 463 sgg.
(Juà e là diBaeminato, ne' lunghi discorsi,
rho il Borcaecio pone in bocca a Bian-
cifiorc, troviiun (]ualche peuaioro di quusto
277
Tutte quattro poi le nostre T^rsiooi
d staccano dal poema francese po'
tma dissomiglianza di fatto, che per
esse Biancifiore non procede inconscia
al tao fine, ma, imprigionata prima
d' esser tratta al ro^o, sa almeno che
le sovrasta sciagura: dissomiglianza,
che le mostra indipendenti da quel
poema, e raS'erma che qualche par-
lamento, cK è nel cantaro. < E m io po-
tessi questo in alcun modo farlotì ano-
pero ben lo ferei, ma io non posso > {FU .
1. 169), 4 Oimi, dove sono ora tanU amici
tuoi, a quanti solava dì me per amor di
te calare, quando tu c'eri? Or non ce n' ha
egli alcuna il quale tei venisse a direi >
(Ibid.). CanL. St. 35:
non agio msHao che tal venga a dire ecc.
« La morte eh' io vo' a prendere m' 6
ingiustamente data, e tu me ne se' prin-
cjpal cagione > {Ibid., 180). Cuiit. , ìb. :
... per te ricevo gran martorio
. , per te son menata a morire.
tìaìe riepondenza, per cui gli racco-
stammo il Filocolo, non derifa da
imitaziono dirotta cho il Boccaccio
abbia fatto della redazione oitanica.
Chi è il cavaliere eopraggiunto a
flalvar Biancifiore 1 Ci vuol poco a
indovinarlo: è Florio stesso, che del
pericolo sovraEtante all' amica sua
ha saputo per virili dell' anello ma-
gico, eh' essa gli avea dato prima
eh' ei partisse per Montorio. Guar-
dandolo, egli ne vide smarrita la sin-
golare chiai'ezza, e così conobbe cho
Biancifiore avea mestieri di soccorso.
Si procurò subitamente armi e ca-
vallo, e volò in aiuto della fanciulla,
a cui giunse nel punto che già stava
per essero gettata tra le fiamme.
Tale il comune fondo del racconto
nelle nostre versioni (1).
(1) Cant., St. 37-39; poema gr,,
484-&14; FU., I, U6-67, 182-84; t
E Fiorio al s'è meso imanteDeute,
un;» diraorameiito nù tardani^;
a un cavaliei'S. eh' era suo parente,
B cavallo li chiese in prestanza ;
e li preatò uno destrier corente,
e un chiaro isbargo ed elmo e scudo e laa^a,
una spada con dolcie tagliare,
che ben podea secnro cavalcure.
E Fiorio a cavallo fu montato,
e dell! sproni bello rìcbsdea:
inveivo a Blancifìore se n' è andato,
po' che ne era in tanta gelosia:
B quando '1 cavalier giunae a lo prato,
trovò la damigella che pìangea,
ed era preaao dello ftioeo argante,
e per vedere ìstava Dna gran gente.
280
Semplice e breve dnnque, al solito,
la narrazione del cantastorie: il poeta
greco la ripete, alquanto però allar-
gandola e stemperandola. Non s' ap-
paga di così rapidi cenni il Boccaccio,
che invece atende an racconto ampio
e minuto. Egli non si limita a indi-
care nudamente, al modo del cantore
di piazza, che Fiorio aveva dormito,
ma spiega come gli avvenisse di ab-
bandonarsi al sonno (1), e qual vì-
(1) Standosi malinconicamente a pen-
sare di Biancìfiore, poco a poco Florio
fu preso da soave sonno (FU, I., 147-4S).
Pur aeW AmeU) Galeone, vinto da lungo
sforzo di dolorosi peasieri, si addormenta.
ed ha una visione (ed. Moutier , p. 150)
Vedi pure Amorosa Visione, ed. Moutier,
1 cap.; Corbacdo, ed. Sonzoguo, pp. 262-63.
Goal Dante, Vita Nuom, §. TU (p. 26, li ed.
D'A.iioona): «... E ricorsi al s<.>Ungo
luogo d' una mia cameiit. e puoaimi a
pensare di questa eortaassìma; e pensan-
do di lei, mi Bopraggiunse un soave sonno,
nel quale m' apparve una moravigliosa
I
281
sioDe paurosa gli coin{tarìs8e , e pei^
dtó quindi bì deetassa tatto turbato,
a guardasse torto l'aDello, che doveva
eaaer^ «icnro indice dello etato di
Bianci flore. Cosi al Boccaccio vien
fatto di mescere a' dati , che certo
traeva dalla sua fonte, ed han riscon-
tro nel cantare, nnove imilazìooi
da' poeti latini, de' quali era tutta
piena la sua fantasia. Egli narra io-
fotti che Venere sì mostra al dor-
meata Pioriu, e gli sTela ciò che era
stato ordito in danno della sua amica,
gli promette il divino aiuto, e ter-
mina col laaciai^li una spada tem-
prata da Vulcano, e usata da Marte,
per la quale ottorrft vittoria contro
i noi nemici. Del pari Stazio imagina
nella tua Tebaide che a Polisso, in-
stigstrice delle omicide LecmJadi, ap>
parisca di notto Venere, per eccitarla
contro U viril sesso, e le lasci sul
letto una spada (1).
(1) V. 131-40. NeU- Eneide, Vili. 608
*qg., Venere appare al figlio per preaen-
largli te armi apprestategli Ja Vnlcanu.
n cavaliere, cai Fiorio si toI^ per
avere armi e cavallo, non è un suo
parente, come nel cantare, ma il suo
stesso vecchio maestro Àscalioiie, che
dapprima tenta dissaaderla dal pro-
posito arditissimo, ma poi, vedendo
la sua ferma volontà, gli concede le
armi, e studiosamente imparte a lui
novido gii ammaestramenti più ac-
conci a procurargli vittoria. In tutte
le altre redazioni, compreso il teeto
francese, Fiorio va solo a combattere
por Biancifiore; nel Filocolo, ove
tatto b' ingrandisce e si complica, lo
acGompogua Ascalione ; anzi si pi-
glia r incomodo di fargiisi aiutatore
il dio stesso della guerra. Marte, che
per lui, come già per altri eroi, scende
dalla superba sede celeste a mesco-
larsi alle battaglie degli uomini. Con
che sforzo messer Oìovannì tenta ac-
costare all' altezza dell" epopea clas-
sica la modesta novella medievale) (1)
(1) Vedi io proposito Zamblol , op,
cit , pp. 39-40.
Qualche sua vnriante e nge'""*^ "^^
anche il comanzo spagQuulo: ma la
sue dissomiglianze dalla fondamentale
redaaone non sono noteToliseime (1).
É piuttosto degno dì osserraiuoDO an-
che qui il fatto che le nostre versioni
si a^mppina in comune discordanza
dal poema oitanico (2).
(I) Non è nel destarsi sbigottito chs
Piorio volge gli occhi all' anello magii^o;
ma iatando che sta conversando con lo
no duca: è a questo (Cant a un eaea-
liere ch'era suo furente) ch'egli chiede
armi e cavallo, sotto pretesto di volerai
addestrare al combattere. Per via incon-
tra uomini che apprestavano legna pei'
il eupplixio di Bianciflore, e sa da costoro
quale sia il pericolo, di cui lo aveva av-
vertito lo scolorimento dell' anello. Nella
redaz. moderna del rom. sp. Piorìo non
s'avvede che a Biaacifiore sovraata acia-
gnra per alcun mezxo soprannaturale
ma a' 6 informalo da secreto avvìao del-
l'aia dalla fauoiuila.
{2t Vedi w. 613 agg. Anzi tutto d'a-
nello magico, come sappiamo, qui non
In qaal moda salva Piorìo )' amica
Ena? Com'è dei drammi e dei ro-
ti pbtIa: Fiorìo rompe quella sua ipecjs
di confino non perchè in alcun modo ab-
bia svnto Dotizìa che ali' &mic& aua bi»o-
gnaue ainto ; ma perchè non sa pìil
■Uni, redendo clie il padre, «scondo U
promena, non U manda a raggiungerlo.
Per istrada a' imbatte in nn cavaliere,
che, tatto corraccioEO per ciò ch'eraaT-
Tennto, avea lasciata la città; e da coettti
apprende che la innocente fanciulla do-
veva eeaer bruciata. L' ardito giovinetto
gli chiede armi e cavallo. Sì noti che il
gentiluomo :
Floire paroili ert let ia toi (623).
Io non so indurmi a credere col Da
SérD (op. cìt , p. S94) che qui paroiU
tMjuivalga a parente, eh' è nel CaiiL (a
un cavaliere ch'era suo parente): la lo-
cuzione le* la hi, come avverte il Dn
Hrirìl stcMO, parrebbe escludere una tale
spiegazione. È forse avreouto che io I-
talia la voce poroils al volgere per er-
rore in piirifWe f — S'avverta ancora
manzi del tempo nostro, il duello era
la droga piccante de' racconti epici e
cavallereschi del medioevo: chi per-
tanto abbia presente lo schema di
questi racconti, s' aspetta certo che
che pure nel rom, sp, , come testò si vide,
è per via che Fiorio ha notizia che ri vuole
ardere Bìanciftore (Dn Hérll, p. Ixxxìj, □.
3;Her»>S, p. 31); ma il modo ù diverso,
né si può dire che qui il romanziere sp.
imiti il poeta francese. — Vedanai anche
talune rìspondeaze del testo oitanico col
romanzo boccaccesco. Il gentiluomo tentA
sulle prime di rimuovere Fiorio dal pro-
ponimento di accorrere alia difesa dì
Biancifiore (w. 646-48), come tenta A-
Bcalione (FU, !.. 15G); e come questi, gli
osserva eh' È troppo giovine (v. 65fi ; Fil. ,
ib.). Dtiscrivonsi pur qui le armi recate
a Fiorio (vv. 661-76; FU., I., 161-62),
Queste rispondenze sono però vaghe e
lontane, e solo possono giovare a ralfer-
marci nella sohta ipotesi che il Boccac-
cio abbia profittato di una fonie più am-
pia del cantare.
dopo il proceeso venga il duello giu-
diziario, e che Is causa di Bianciflore
sìa decisa a colpi di spada (1). Così
infatti avviene. Fiorìo fende la folla,
narra il cantastorie, airivn sino alla
fanciulla, e, incanito sempre, la raa-
BÌcura, e le cbiede perché il ro l' ha
voluta condannare. Essa gli espone il
fatto, si protesta innocente, e lo pr&-
ga d'aiuto. Il giovinetto allora si
volge al popola, domanda che sì re-
vochi la sentenza, accusa il sinÌBoalco
di tradimento, e lo sfida. I giudici e
notai fanno sospendere il supplizio, e
si recano al re per annunziargli che
si è presentato uu cavaliere a difen-
dere la donzella. Il ro non può op-
porsi, soQza manifesta violenza, alle
consuetudini: fa rimettere in pri^o-
(1) Sul duello giudiziario, e ad illustra-
zione del processo contro Biancifiore, vedi
FfelTer; Die FormaiMten des gotUage-
riehtl. Zieeikampfs, nella Zetlsrhrif fùr
rom. Phiì., IX, 1-74.
ne la fanciulla, e stabilisce per il
mattino appresso la prova deU' armi.
Chiama a so quindi il siniscalco, gli
riferisce l' accaduto, e lo invita a com-
battere: quegli, mìles gìorionus, ac-
cetta baldanzoso il duello. Ecco il
mattino seguente 1' un contro l' altro
t due cavalieri: Fiorio, nemmanco
dirlo, vince ed uccide il siniscalco:
Biancicore 6 salva. Accorasi re Fe-
lice, che si leva piangendo da' balconi,
ond'era stato spettatore dello scontro:
la ùinciulla invece si getta, tutta lacri-
me di contento, a' piedi del suo cam-
pione. Il quale la fu rilevare, la
conduce al ve , e gliela raccomanda
per pietà del figlio suo stesso: indi
si parte, e torna a Montorio (1).
Onesto del cantastorie presenta ri-
spondenze con il racconto del troverò,
ma insieme se ne allontana quanto
basta per produrre la persuasione
che qnello non ne ÒM eUto U fonte
diretta. N«l poema franoese, ad esem-
pio, Fiorio non chi«<de alia donzcUa
per qnal cagione il re 1' abbia fotta
condannare, che egli l'ha già sapo-
to dal paroit incontrato per via (1);
nò si Tolge al popolo accasando
e sfidando il einiscalco. Inoltre , i
giadici e notai non 8ono menzionati ,
giacche, secondo l'uso fendale, qui
non gìadicano e sentenziano magistrati
speciali, ma i nobili raccolti dal re (2).
(l) Vv. ^5-28. Il paroilt racconU:
t Lì roia velt Blancheflor ardoir.
rirBoit le volt ampoisaner;
Ardoir la velt et tormenter. ■
(8) Mentre il poema francese rispeochia
instituti e costumanze fondali, le due ra-
danoni italiane preeentano un misto di
ordiDi feudali e comunali, che cì mostrano
r origine francese del racconto, e l'adat-
taiione all' ambionle italiano.
Questi poi assista alla scena, per cui
non 6 mestieri che alcuno gli si rechi
innanzi a i-appoi-targli eh' è comparso
un ignoto cavaliere a difendere la fan-
ciulla (l). Cosi il siuiscalctj, presente
B 1 re fecie tonare a parlamenlo,
e tuta i puOTOl fecie radunare,
narra il cantastorie (St, 3'J). Curioso è
quatto l'è, questo capo feudale, che chiede
ginaCma, non a'anoi nobili vaMolli, ma al
popolo radunato, come usava db' nostri
Comuni, a Buon di campana, sulla piazza.
chù tale imagina et suscita la frase sonare
a parlamenb) (vedi Bflzueo, Dit. Star.
amminisir., a. v. sonare). Avverti perà a
questo luogo la variante: e ì prìncipi del
popò! te adunare (note alla St. 33).
(I) Il siniscalco, volgendosi al re, dice
(906-8):
4 Avez e^H d' un lechéor
Qui vostre cort a dasjugiée
Et honia vostre inaianiéeì »
Egli dunque iupponeva rbe il re avesse
anch' egli sul luogo a dirigere l'esecu-
zione, non ha bisogno a Eaa volta dì
sapere l' istessa cosa dal re. Né ci si
poi^ egli ia quell'atteggiamento spa-
valdo, che gli attribuisce il cantastorie;
anzi è renitente ad accoglier la prova
del duello per paurosa coscienza della
sua perfidia (1). Lo scontro avvieno lo-
Bto, non il mattino appresso, ed ofirc,
descritto riccamente o vivamente, par-
ticolari e situazioni, che nel cantaro
non si ripetono (2).
Oli altri racconti moridionatì s' ap-
pressano piuttosto alla nostra rima,
che al testo francese: di uno anzi,
del poema greco, dobbiamo dire sen-
z' altro che segaita ad attenersi, pili
veduto l'atto di Ftorìo, che, fatti fuggire
Btniacalco e aergentì, avea salTato da morte
la fanciulla.
(1) Cfr. la St 48 del Cant. co'tv. 92S
tgg. del poema francese.
(?) Poema fr., vv. 945 Bgg.
291
0 Dien Uberamento . alla fonte con-
sueta (1); sì che possiamo restrìngerci
a discorrere del Filocolo e del ro-
manzo spagnuolo.
Nella versione boccaccesca Fiorio ,
raggiunta Bianciflore presso il rogo,
la conforta, e le domanda, come nel
cantare, perchè sia stata condannata
alle fiamme: « giovane damigella,
egli dice, fugga da te ogni paura . .
. . dimmi luale eia la cagiono che il
re t' ha fatta giudicare a £Ì crudele
morte .... » Cant. :
quando lo cavalier fae ^unto ad essa,
■l li dise; dongella, or t'aBicura,
dirai la verità, nou mei cielare;
perchè lo re f il fatta giudig8re!(2)
Domanda questa tanto naturale e ne-
cessaria nel poemetto, quanto forse
inutile nel Filocolo, ove ai narra cho
Florio ogni cosa aveva gi& saputa
(1) Vv. 545-739.
(2) Fil, 1., 189; Caat., St. 40
• F-«^ Affala A.
E.M»ir»irt»f«ttA
■ì la tì-
ém*, Fkna mb fatarne a«tam
(I) KL, L. IWi CnL, Sl <I.
(X> /V^ L, itk; Cult. St. 42.
b
incognito, secondo il suo desiderio!
« D' altra parte, avverte il giovinetto,
io sono strettissimo e caro amico di
Fiorlo, ed ella per amore di lui mi
prega eh' io l' aiuti a difenda nella
ragione : ed io così son presto di faro
fi in ragione e in torti>, contro a qua-
lunque la volesse far morire; peroc-
ché s' altro ne faceBsi, molto alla cara
amistà mi parrehhe fallire, e ogni
uomo mi potrebbe di ciò giastamente
riprendere. > Cant:
E par amor di Piano eh* eli' ama
la mia persona a morto voglio spendere:
ella per lo suo amor mi si rìt^hiama,
ed io per lo suo amor la vo'difendtre,
e del combatere agio voglia e brama
col siniscalco, se la vuol contendere;
Florio, e b'ìo no lo stasa,
) non lo amasse (t),
S^uono avanti altro simili rispon-
denze : cos'i vediamo che pur nella
descrizione del duello il Boccaccio è
(1) ni.. !.. 190-91 ; Cant,, St. 41-
pin vicino al caniastorie che al tro-
verò (1).
Questi riscontri Su tli parole sono
assai notevoli. 11 Gaspary ne bapro
fittato per assodare la sua ipotesi
che il cantaro sta uscito dal Ffloco-
lo: essi gli provano che il poeta di
piazza ha ricopiato il testo boccac-
cesco (2). Noi por ora non ci fer-
miamo a dirne di piti, paghi solo dì
rammentare che in principio di questa
lunga analisi nostra appunto uno di
cosi fatti riscontri (FU. miliiare pa-
lagio; Cant. palazzo de la milizia),
addotto ooQ altri dal tiaspary a so-
stegno della sua opinione, valse in-
vece ad attestarci anche meglio l'in-
dipendenza del cantare dal romanzo
del Boccaccio (3).
Della quale indipendenza ecco qui
(1) FU., l, 198-203; Cant., St. 49-51
(2) Op, cit, pp. 3-5.
(3j Vedi sopra, pp. 100-11.
905
ancora giTsìcIie altro indizio proprio
dove le duo versioni più s'assomi-
gliano. Nel cantare, come sì disse, il
re determina che il duello nbbia luogo
il mattino i
: certo egli ò ragione:
alli meaaggi diso; or vi partiti:,
andato, tì rimetetola in presone;
e poi allo mattino a me venite:
lo cavalier menate a la magione,
i cortesia a lui farete;
poi domattina si corobaterfuino:
qual sia di loro n'ara morte o danno.
Cosi il ra a' giudici o notai. Prea-
s* appoco le stesse cose egli dice nel
Filocolo al siniscalco: « a me pare
l'ora molto alta a, volere combattere, e
te sento oggi molto affannato, e perù
rimangasL per questo giorno la bat-
taglia. Va', e fa' convitare il cava-
liere, e onorarlo inflao al mattino;
poi, quando il sole con più tiepido
lume ritornerà, combatterete, poiché
negare non gli possiamo la batta-
£06
glia > (1). Ma nel Fiìomla la batUglia
non si rimane, che il siniscalco induce
il re a coocedere che si combatta
tosto; mentre nel cantare ^lì accoglie
il termine voluto dal euo signore (S).
Possiamo dunque dire che il canta-
storie abbia ricopiato il FilocoÌQ f
S' avverta che nel mag^or numero
dei poemi francesi contenenti esempi
di duelli giudiziari , accade preci-
samente come nei cantare , che lo
econtro non segua immediato alla
sfida, ma si rimetta al mattino suc-
cessivo (3). Vediamo cosi che questo
offertoci dalla rima nostra è un dato
comune ne' racconti epici e cavalle-
reschi : forse il cantastorie T ha tratto
dalla sua fonte, che pur qui si ma-
nifesterebbe diversa dal superstite te-
sto francese; forse era anche nellk
fonte del Boccaccio, che avrà voluto
I
4
(1) FU., 1„ 194; Cant, St 46.
{2) Fil., 1. e; Cant., St. 47 egg.
(3) Pfeffer, op. cit„ pp. 57, 59-60.
^1 la f(.>ru
^P Bini Bea
I
297
[ìficaria per ritrarre più al vivo
la f(.>ruc(i impazienza di Florio e del
Bini scalco,
Né questa è la sola dissomigli an-
sa che presentino le due versioni
italiane. Nel poemetto si narra che
il siniscalco fa menare la fanciulla
al supplizio; ma poi non si dice ch'e-
gli, fidatissimo complice del re, e
carnefice di Biancifiore, sia rimastu ,
come sarebbe stato logico , su quel
campo scellerato a dirigere la ese-
cuzione; in modo che il re deve poi
chiamarlo, pere h'oi sappia ch'é soprav-
venuto un cavaliere a difendere con-
tro di lui la donzella. Invece nel ro-
manzo del Boccaccio egli reata a in-
vigilare la mala bisogna , come av-
viene pur nel poema francese (1).
Non si può dire tuttavia che il Boc-
caccio abbia profittato di questo poe-
ma, da cui troppo si scosta il suo
racconto: par chiaro piuttosto anche
(l) !.. 181. 187.
polo prDduundownft esnpiOM. Il
■JBÌtBtlep mn é prewato qiaado Pio-
rio Kpnggiiug»,- onde a re, oone
m1 cauiUn e od poema green, lo
ebiania per atugneìai^ la sfida: ì
Ifìadici si recano al re per dirgli
cb'A Tonitto nn caTalisre ignoto a
difendere Biancifiore : «jueg-li trova
cb' 6 gioito gli fÌ conceda il campo,
e intanto comanda bÌs cortesementd
trattato. Il doello doq avviene tosto,
ma dopo due giorni. La descrizione
(I) «. U f. - 16 V
I
290
di esso non o poi conforme a quella
del cantare e del Ftìocolo, si all' al-
tra del poema francese (1); per cui ai
vede come le due versioni , l' Ita-
liana e la oitanica, in questa parte
del romanzo spagnuolo eì sieno con-
fuse. Ci sono inoltre particolari, che
s'incontrano solo nel romanzo (3).
L' episodio del processo e del duello
manca nella storia di Roaana, che in
tiuesto dunque si collega al 1 poema
francese, ed allo affini versioni ger-
maniche. Essa perù corrisponde stret-
tamente anche a' nostri racconti nella
(1) Da Méril, p. IxitiJ,
(2) La modtìi'Da roda/Jona del rem. ip,
in UD punto si stacca dall' antica. Comit
nel poema francase e nel Filoeolo, il ri-
niac^co à presente quando sopravviene
Flores e getta la alida. E){li sterno si
porta ioDanzi il re, che, dietro parero
del suo consiglio, stabilisce il duello per
il giorno successivo . al pari che nel
cantare.
daxfaiw dell* leggeodft di Pkrie, •
pcmude il re • Mpinn i pawnàì
nu « por qodla c^ deU' amor ka«
•'«fvede, ff M min U r& AsU-
neoto è ■«"■^*<« « Parigi
a'mpanr balli e giaNtra e lonùaaniti (^
<l) Racc^ pp. 30-21 ; 1
pp. VO-S8.
(2) RaM^ p. £0: « e lo re e U mna
eoiamidarono all« balie ohe ninna ami-
lagb B*eaM l'uno dall'altro >. Nello «Uno
noconto, ìb., il ro fa porre i due gioTÌ-
netlì a logora insieme apontaaeamente ,
come nel Fìloeulo.
<3) Kapprcaeotax., p. 385.
r
^M fra
^r ou-i
^1 rioo
^f Beta
lì ripreaenu U aooia d'addio
due amanti r RoSOBS DOD d&
all' amico suo alcon snello od shri
rioordi, ma lo pr^gA dì dod partire
esoereì fatto. batt«aare; e, cri-
i«nle rassegnata, la inda<<e ad
acquetarsi dociliesimo al desiderio de!
genitori. Come si vedo, domina in
questa ùivola l' inspiradone religiosa.
5. Florio, dopo il daelb, torna
presso lo zìo. Le versioni meridionali
qui si ricongiungono al 1 poema fran-
che ed alle redazioni affini; ripren-
dono quindi il filo interrotto per la
inserzione dell' episodio, che ora si
fin) di analizzare, al punto st«6so, in
cai lo avevano lasciato; e riprodu-
cono necessariamente la situadone,
che s'aveva innanzi a quello: Fiorio,
quantunque lontano, ama sempre la
sua Biancicore, se ne stragg» aou
pe^io che mai; il re per questo in-
Csrocisce contro la fanciulla, tanto da
volerla spacciare. Cosi, terminato l' e-
pisodio, si ripetono fatti o scene, che
J
ci b' erano offerti prima che eonùti-
ciiiflse. Vedasi, sd esemiMo, nel can-
tare:
St S9
Or torna la cagione a re Pelicie,
e Lucia Utar di Florio innamorata:
B la reina 'Unii: iaparadrìcitt,
lo tuo figliuolo a Mui)U)rio b mondato;
[liancifiora, U (alia meletrìcie,
bm^! iredo ehe F aijùt afaturato;
ma M di Iti non faccio wt%d«Ua,
giantai no» porterò tvroma in Ugla.
St 65
B re Felice dÌcÌO a la r«ina:
io tue iìgliol « ninore imunorato:
novella avute i' n' 6 quMta matina,
nba m'anno fortomente eonsnmitto:
dUtnitti BÌumo per queata bntìna;
ben credo che ci t abia afaturabi;
ma te di Ut non facto tmdella.
giamtù non porterò corona in tetta.
Chi ha mandato lo novelle, cui al-
lude il re ÌD quest' ultima Stanza 1 E
che novello furono?
Tornatosi a Montorio. l'aroo del
racconto ripiomba in quello stato do-
^^
loroeo, in cui era prima dì muovere
fi salvare da morte 1' amica sua.
Lo zio duca pensa di poter guarirlo
dell' amore, che lo travaglia fiera-
mente, Buacitandogli in cuore altre
fiamme : perciò procura eh' ei bì trovi
con due fanciulle belliBsime, le quali
ogni arte osano perchè egli bandisca
il pensiero, che lo fa costantemente
sospiroso e tetro, e, dimenticando
Biancifiore, ceda ali' invito de' loro ab-
handoni procaci. Invano : il giovinetto
supera le insidie abilmente 4«8e alla
sua fedeltà amorosa. Allora il duca
scrive al re che il suo figliuolo, indif-
ferente ad ogni altra fanciulla, ama
sempre Biancifiore, cosi da consumar-
si desiderandola; perciò lo sollecita
a mandargliela a Montorio, se voglia
che ancora egli viva. Di qui le ire
del re, come si vide poco sopra nella
seconda delle Stanze, che abbiam ri-
portate (1).
(1) Cant., St. 58-64; poema gì-,, vv.
740-856.
304
L' episodio della seduzione è proprio
delle versioDì meridionali, e concorra
a provare nel modo più perspicuo il
topo accordo fondamentale: però nel I
poema francoBo e in altri, che gli
sono affini, si rinviene come il ger-
me, onde esso certamente s' è svolto.
Dove consiglia il re dì allontanare
il figlio, confidandolo alle cure della
sorella Sebile, la regina esprìma la
speranza che costei trovi maniera di
fargli abbandonare Biancifiore per
i]nalche altra fanciulla. Cosi si vede
che
Aprendi'e l' eo-muine Sebile
0 Im puMl«s de 1a vile,
SaToir se il l'oublleroit
Et en l'escolo autre amecoit (1),
Diversi sono il modo e l' estensione,
ma quel medesimo 6 l'intendimento
da una porte e dall'altra. Natural-
mente nel testo francese, per esservi
(1) I poema fr.. vv. 319-22. 363-66;
poema del Fleok, vi. 950-55 964-72,
1391-97. Htnog, p. 34.
305
Florio rappresentato come ancora fan-
oinllo, il fatto si porge sotto aspetto
innocentissimo : iuTGCe nelle versioni
meridionali, ove s' imagina che, ormai
capace di imprese cavalleresche, egli
aia crescinto dalla infanzia al flore
della adolescenza, la cosa muta carat-
tere, e le ingenue e piccole compagno
di scuola diventano conscie e impu-
denti seduttrici.
Vediamo ora quali rapporti corrano
fra le nostre versioni. Anzi tutto la
solita osservazione: Il posta greco
ricalca la rima italiana (1). Liberis-
(1) Tratto tratto sarA bene ofliir prove
dell'intima riapondenz^, che lega il poema
greco alla rima italiana.
« 4>Xci)pie, nd6Ev sp/saai; . . ■ . •
(V. 746)
* Onde ven' dì puese si touLano ! >
(CanL, St 58)
Chi fu questa domanda nel poema greco
non 6 il duca, ma 11 maestro di Fìorìo:
deve però tratUrs! di erroi'e . che al v.
763, nellu contiiiuaziune d«llo stesso dia-
lùmu, jier eontrsóu, » mnnve lì 1
ooooio.
lego, Piwki pvla, doohi bì diu ohìarM- ■
mvnÌK, al duu» Lu riapona dal §Jim> f
uMtu « In KttuBii iit^' doli potali :
t(q «^/wrtcsai? '^YtviKat"?, inp5Ì5£v«i5 ^awSDwLn; I
(TT. 7 - -
C/r. CmI. St 68. Più ianfuui (tt. 773-851:
Evpi'cxu 9ud xopóau,
« inoKd tìv leaiiij va xapij. Tdv 9Xti!piov, ► Ti? l^-st,
« xt afni Tirt» OW^J'iv et'? /«pàu orpa^wai tiSi X9[pS:'«v,
5pxsv rj^ xai|ivu ^«vgjsiì, àw8p« voi Tri? "-^ Sifsw. »
it x^p«t? oijTDxptvouTOit JLÌT°" "^"^ Sfloxav 5oT(i>? ■
« tvKfifiX'x TiÌ5. auO^vTn |wii; xat oovcixt^TOpa ji*;,
T^ffov nsXOv 8t«j^|tov xai Tdciiu aa^oXTsiu
x«i' TdfTiiv tip'^w xa( /«piv vai 8G(^tDfi.£v et? outow,
wtxp^ «V i^TOV i^ioe,. vci Y^vi) e|i4^jx(u;i^wo? ,
Ksw' «cà »Tafr^ x«' vai x^p^J xai voi TÌcfrfJ t' "Jwjnri tw,
xai' nmpojn'^w mxpni7|i5i)? va toù? iirigiowii'iTTi.
307
Da poi che a Montorio fu ritornato,
lo duca alilo prende per la roano,
e dicie; figlìuol mio, ove se* tu atatoT
Onde yen' di paeae si lontano t
E Fiorio disse: io mi boo solaciato
inniin giardino presioso e sanai
■tato sono con donne e con donzelle,
reduto son con bello damigelle (1).
La Bcena atesaa ó pur nel Fitoco-
ìo: «... quando il duca il TÌde,
lietamente andandogli incontro, l'ac-
colse, dicendo; o dolce amico, or
dov'è oggi vostra dimora stata, che
veduto non v'abbiamo? Certo noi e-
ravamo tutti in pensiero di voi. A
cai Florio facendo grandiBsIma festa,
disao: io sono stato, e Ascalione con
meco, in uno bellisEÌmo giardino con
donne, e con piacevoli damigelle in
Cfr. Cant. St. 60. E lascio altri esempì,
perchè, volendo addurna molti, sarei co-
stretto a porre 1' uno accanto all' altro
tatti interi i due testi.
(I) St. 58.
a festa tutto questo giorno » (1).
Ma per il Boccaccio, che, snaturando
la leggenda, mira coetantcmentc a fare
del suo protagonista un ei-oe pari
a quelli celebrati da' poeti anti-
chi , prima che al palazzo del duca,
Florio, col suo maostro, sì reca ai
templi di Marte, di Venero e degli
altri dei, che 1' aveano aiutato a sal-
var Biancicore. Così qui abbiamo sa-
crifizi e prodigi affatto pagani, cbo,
manco dirlo, le altre redazioni igno-
rano del tutto (?). Nel cantare, dal
ritorno di Fìorìo si balza repcntina-
(1) I..209.
(2) FU., I., S07-8. Florio e Ascalione
BÌ &Qno disarmare nel tempio di Marte,
o conBacrano l' armi al dio. Vedi eaempt
di armi votata a' numi nell' Eneide, VII.
183, XI. 5-11; Tebalde, II. 725-26. Più
semplicemente, nel cantare, Fiorio 6 fatto
spogliar dell' armi dal duca (St. 59):
Lo duca lo faccn disartnare,
a. cavalieri bello fa servire.
mente ali' episodio
Boccaccio, in cambio, con Isnto tra-
passo mostra come il duca aia stato
condotto a procurare che nel cuore
del giovinetto nuovi amori sotten-
trassero al primo. Soffriva egli tal
pena, che nuli' altro rimaneva, per
guarirlo, se non tentare l' antidoto di
altre fiamme: il romanziere pertanto
s'indugia a descrìverci la lunga tor-
tura amorosa di lui, con una analisi
psicologica, della quale il rozzo canta-
storie non sarebbe stato capace. Certo
ci sono qui lungherie tediose; ma,
fra esse, qualche tratto è vero e f&-
lice (1). Di mozzo a codeste lungherie
però torna facile rilevare come la si-
tuazione fondamentale sia quella stessa
che s' ha al luogo corrispondente nella
I comune redazione della leggenda: il
duca tenta di ricreare lo spìrito ab-
battuto dì Fìorio, e dì dìstrai'lo dal
(i)p,
;
(1) Por es., Fil., I., 215, 223, 225. Vedi
) Contributo, pp. 202-3.
310
penfiiera Ai Biancjfiore; il giovinetto
invece si logora inviiicibilmeDte dietro
a quel pensiero doloroso (1).
A tentare il cuoro dell' innamorato
si el^gono due fanciulle , alle qnall
6 proposto i] partito medeGÌmo nel
cantare o nel Filocolo: il duca pro-
mette che quella di loro che lo &r&
allegrare, avrà Fiorìo per marito (2).
Ed eccoci cosi alla scena della eeda-
KÌone, che, fuggente, scarna, languida
nella rima, lussureggia lieta e pas-
sionata nel romanzo, degnissima della
penna del Boccaccio (3). Fallita la
prova, nel Filocolo il duca non manda
lettere informandone re Felice, ed ao-
certandolo che l' amore, onde è tor-
mentata il figlio, é insuperabile, cotno
accade nel cantare, che anche qui si
mostra indipendente dal testo boo-
ti) Fil., J., 219-22, 238-39, 241-44.
(2) Cfcot., SL 60; FU. I., 228.
(3) FU., T. 229-38. Vedi nontri Due
Sludi, p. 33; Qmiribitto, I. e.
eaccesco, o si collega, in quella vece,
olle altre redazioni. 11 duca, secondo
il racconto boccaccesco, ò abbastanza
avveduto per comprendere che, scri-
vendo al re, avrebbe fatta anche peg-
giore la condizione de' due amanti(l).
Tnttavia pur nel FHocolo al re
giun^ notizia dello stato del figlio.
Non dobbiamo dimenticare che al ro-
manzo boccaccesco han posto mano
cielo a terra, e che a' casi umani vi
sono mescolati gli dei. Poco fa si vide
Marte entrare in un duello giudiziario
ad usanza medievale! Ora, è appunto
una immortale abitatrice dell' Olimpo,
Diana, che si piglia il gusto feroce di
rieocitar l' ira di re Felice contro la
povera Biancifiore, attendendolo un
giorno, eh' egli era a caccia , ad un
(1) Vedasi infatti p. 225: «Essi (il duca
a Ascalione] dubitavano di farlo sentire
ai re, tamendo non egli facease novità
per questo a Bianciflore, e di questa a
Florio US Beguisie peggio >.
312
Turco, por annunziargli che, iatanto
eh' egli GÌ prendeva spensieratamente
quel diletto, il figliuol suo si moriva
per amore (1). Ma perchò tanta celeste
collera contro ì nostri amanti ? N era
stata innocente cagione Biancicore
stessa, allorché, recandosi ad oflrire
sacrifizi agli dei , per essere stata
salvata dal rogo, avea dimenticato di o-
norare al modo stesso ìa divina caccia-
trìce (2). La quale, ardendo vendicarsi,
dapprima avea tentato di straziare e
dividere i due giovani con le furie
della gelosia, come si vede nell' epi-
sodio di Fileno, affatto estraneo alia
leggenda , e liberamente inserito dal
Boccaccio nel suo romanzo (3); poi
(1) FU., I., 305-6.
(2) Fit., 1.. 209, 275.
(3) FU.. I., 244-305. tjucat' episodio
collega all'azione principale', inutUe <iuindi
aoSermarm a illustrarlo. Vedi ciò che
se n' 6 detto nel Qmlributo , pp, 70-73
313
s' è pensata di nuocer loro nel modu
che abbiam detto. Cosi al disopra
de' contrasti umani fcrv« qui pure,
come ne'poemi classici, la lotta de'nu-
mì, che contro a Diana sta, protet-
trice de' due innamorati , la loro dea,
Venere.
Re Felice, al pari che in altra si-
mile scena precedente (1), si riduce,
dopo il celeste avviso, soletto e pen-
soso in una stanza del suo palagio.
Sopravviene la regina, e, vedendo il
suo turbamento, gli domanda quale
ne sia la cagione : s' avvia , per tal
maniera, fra essi quel dialogo, che
trova riscontro nel passo corrispon-
dente delle altro versioni {2). E qui
i due testi bì ricongiungono in una
strettissima somigUanza.
pei' questa fantlDD
r
^^^■1
1
314
esclama il re oel cantare, e nel Filty
colo: « ella .... per dolorosa di-
struzione di noi nacque ». Egli erode
che la fanciulla gli abbia affatturato
il figliuolo:
ben credo che ci l'abia afatnrato;
tana r abbia con virtuose erbe, o con
parole o con alcuna magica arte co-
stretto ». Tanta ira gli ri-
bolle in iwtto che vorrebbe tosto pre-
cipitarsi sulla fanciulla e ucciderla.
E infatti nel cantare egli impugna
una spada:
la tosta aBianciflor volen tagUare;
proposito ch'ei manifesta anche in
altre redazioni (I). Cosi uel Filocoh;
(1) I. fr., 400:
la U rerai le cbief couper.
Vedi pui-e Fleek, 1454. H«rzoK, |>- 32.
4 io le leverò colle proprie mani la
Yita. La mia spada trapasserà il suo
sollecito petto >,
n romanzo spagniiolo si collega qui
pure al nostro gruppo; ma, coma
sempre, ha caratteri aperti di libero
rimaneggiamento (1). Per la spai^-
done del nipote il duca ò in gravi
pensieri, secondo si vede anche nel
Filocolo; quando Piorio arriva, ei
gli si fa incontro , ma , a differenza
delle altre versioni, non gli chiede
donde venga (mas no se cupo de de-
mandar da donde venia): pensa però
a rifocillarlo come nel cantare, e
come nel cantare Florio si schermisce,
adducendo la stanchezza e il hisogno
di riposo, n duca fa tosto venir me-
dici, ohe lo visitino : essi nuli' altro
male gli trovano che «passion de
amor». E qui viene una scena, che
ha riscontro nel Filocolo: il duca,
alla dichiarazione de' medici , si reca
(I) Pf. 16 V. - 17 V.
31(5
nella stanza del giovinetto, e lo coo-
duco ad aprirgli l' animo, a confidar-
gli la sua storia d'amore (1). Il ri-
medio, cui egli risolve di metter ma-
no, è lo stesao delle altre redazioni:
con altri amuri combattere quello ,
che sì crudelmente lo tortura. Le fan-
ciulle seduttrici qui non sodo due, ma
tre : tuttavia nessun vantaggio apporta
qnesto aumento di numero: Florio ri-
mane inaensibile alle arti delle tre,
come già delle due. £l il giovinetto
atesao che prega il duca di scrivere
(1) Del resto, anche nel cantare Florio
confessa dì soffrire per cagione d' amora
(St, 59):
di ber né di mangiar non metto cura;
per Biancilìore vìvo in gran paura.
E in uno de' msa. , ohe noi conosciamo
(1095, fondo it,, B. Naz. di Parigi, £.
23 r.), ci sono due Stanze, ignote agli
altri testi del caotara. in cui h' ha coma
nel Filoealo e nel rom. ep., un dialogo
tra il duca e il nipote, net quale questi
coufessii lu rugiuDe di suo pene.
317 ^^^H
al re: si tratta della solita do ni onda, ^^^^H
comune alle nostja versioni, tranne ^*
il Filocolo, che Biancifiorc sia quanto
più presto mandata a Montorio (1).
Ira e dolore del re al ricfivere il mes-
saggio del duca; egli si stringe a col-
loquio con la regiaa. Questo coUoqnio
e riferito brevemente, in forma in-
diretta: il re non esprime alcun so-
spetto che Florio sia vittima di una
malia (2); vuole poro anche qui far
morire la fanciulla.
(1) Invece noi I poema fi-, e nelle ver-
^K eioni affluì al chiede ul re che licbiami
^M nella sua corte il figlio ( Herse», p- 32) :
^^F ecco dunqao un Altro punto , in cui la
i-edarioni meridionali mostrano il loro
uecordo fondamentale, staccandosi inaiems
dalle altre tutta.
^_ (2| C è pur nel l'ora, sp., più addietro
^K un luogo, in cui il re manifesta il dub-
^H bio che Biancifiore gli abbia stregato il
^M figlio: .... eata chnatiana catiua Blan-
di caflor creo <\ue dane ser algun diablo
^H qu« tiene hechizado a mi liijo Floi-ea,... >
■^ (f.
Buona e accorta iosieme, la regina
campa la vita a Biancifioro, fìvnandu
la TÌolenza dol re, col persuadeteli
che ci era altro modo a liberarsi di
lei: sìa venduta, essa consiglia, a
stranieri mercanti, che la traggano
lontano. Cosi in tutto le Torsioni, fatta
solo eccezione della II francese (1).
La rara concordia però cessa presto,
che nel cantare, quindi anche nel
poema greco, e nel Fiìocolo, la ven-
dita della f^ciulla procede in ma-
niera diversa da quella clic vediamo
nel I dei poemi francesi e negli altri .
ad esso alHnl. Secondo questi, il re
manda al porto con la fanciulla uno
o due borghesi , spertissimi de! traf-
ficare, per offrirla a qualche dovizioso
mei'cante (2). Invece ne' racconti no-
(1) HerBOff* p. 33. Nella II vera. fr.
il ro, seaxEt che piìi nulU sia iabirvenuto
a rattizzare la sua collera, a ad insaputa
della regina, da aè conduca al porto la
donzella, per venderla (vv. 12^1 agg,).
(2) «maog, ib.
3UI
stri, Biancicore non è mandata a ven-
dere: vanno due cavalieri a proporne
l'acquisto a'mercaDtì, i quali, prima
di stringere il patto, vogliono vederla,
e vengono per questo al palazzo del
re (I). Al poema francese s'avvicina
piuttosto il romanzo spagnuolo, ove
il re affida Bìancifiore al suo mag-
(1) Cani., St. 68-77; poema gr., vv.
901-1037; FU., l, 308-14. I nostri rac-
conti si ecOBtano certo dalla redazione
prìmitivB, mutando i borghesi in persone
meno adatte alla bisogna, in cavalieri.
Questi però, nella metamorfo», serbano
qualche cosa de' primi; aon del pari savi
ed inatrutti. I poema fr., tt. 414-16:
... un borgoia
Qui de marcie ealoit moult sages
Et sol parler de mains langages . .
CaoL, Si, 68:
due cavalieri sairi ed inseniatti;
mentre noi Filocolo: « giovani cavalieri
e valorosi > {I. , 308). Pure in questa
minuiia s' intravvodu l' indipendenza del
cantare dal Filocolo.
giardomo e ad un canliere, percb«
U tnfgn teeo e U TendaBo (1).
I rapporti fra i due tati haiitai
ri naalaigono teatfn gli «tsM: ^a»-
•oml^laao umì, ma non pa6 aflfar-
nani die U cantare dipenda dal tae-
eoato boccaceesoo. Di eomnae. per
«ttaofno, han qaeato: ai dice alla gto-
rìaetta che vada a ornarsi cb6 l' amor
ano Bta per tornare: easa t'affiretta,
e rìcomparìaco fìilgonto dì bellezza
ineffabile; ma, ahimé, fu tratta in
inganno pereh« si moetraeae anche
pia Taga dell' uialo a' ffleraanti, e la
rarità meravigliosa dellii merce ab-
(I) F. 18 r. e T. I dne ni«MÌ del n
vendono la fuidulU al porto di Porli-
gttdo. fi il Part-Lu/ai \aA\nto dal Bro-
len de la Martinldre (np. dt-, rv.
Ul54), nulla costa dalla Cat«JogD&. —
La raduione modiii'na del rom. Bp. pre-
senta larìsnti amai Ui'vi: U laiicìiiUa, ad
et. , vi si dice venduiu Don u Corligado,
ma a Tdiubì.
I
I
baglìasse costoro, e U rénd^aso sol-
leciti all' acquieto e liberali nel pat-
to (1). Ntì mancano anche qui riscontri
fin di parole: « noi atamo cavalieri
e messaggi dell' alto re di Spagna »,
dicono nel Filocolo gì' inviati di re
Felice a' mercanti; e nel Cant. :
noi aiam meaagi da Io re Felice (S).
Se non che a questi Bcgni di par-
ticolare accordo son misti indizi non
meno chiari che il cantastorie non
ha ricopiato il romanzo del Boccaccio,
dal quale si stacca non per sole dis-
Bomiglianze, che dipendano dal men
largo BTolgimento che ha nella stia
rima il racconto (3). Vediamo come in
(l)Cant., St. 73; FU., !.. 310-11.
Vedi pure poema gr. , vv. 947-55. Her*
wag, p. 33.
(^ FU.. I,, 309; Cani., St. 71.
(1) È da ripelure 1' osservazione eolita
che il Boccaccio moltìplica i particolari,
onde il «no racconto rìsace, seiua p&rit-
gone, pib ricco del cantare. I due meHÌ
tutte le T^sioDÌ si dica cha U donielU
fa comperata a rìccbissimo prezzo, mi
di re Falice non rec&nsi al porto «olo
QUA «olt>; sono mandali prima m ricer-
care chi RÌsiio ì mercanti, onde (recati,
di che abbian carica la naTtf, perchd la
i^hb non areva saputo dar di ciò à-
cura notina: quÌDdi, poi cbc haa portato al
loro ngnore precise infomiaaioaì, toraano
per proporre il mercato (J^., I. 308-10).
Ancora: il ra «1 mostra Tarso Biancifiore
più bagiordo, ma nn po*men bmtale
cbe nella rima, a Delle altre vergiom ,
procnrando disìmulare dì averla tsd-
duta, e dicendo che, tecoudo il vanto già
fatto al pavone , la aveva maritata ad
uno fra' maggiori baroni del suo r^no,
al quale oro doveva esser condotta {FU.,
I., 312-13). NnlU dì ciò nel cantai*, e
nelle altre redazioni. Cosi aon propri del
Boccaccio i lunghi particolari sul viag-
gio di BÌBndfiore, la descrizione del ano
a&nno sconaolato, il rìcouciliarsi di Dia-
na, a lei dianzi nemica , con la dea ,
che la protaggcva, con Venere, per darle
^nto imi., I. 314-^28).
^^■mB
^^
^^^^^^^^ 323
^^M nel Filocoto non ù determina che cosa
^H ì mercanti abbiano dato in cambio di
^m flBBa, mentre nel cantare ijneata det*^-
^H minazione e* 6, al pari che nelle ver-
^B sioni francesi e nelle altre. « Signore,
^H dichiarano ì mercanti al re, senz'altro
^^1 mercataro, de'nostri tesori prendete
^H quella quantità che a voi piace, che
^H noi non G&premmo a cosi nobile e
^H pre;ùgsa cosa porre pregio alcuno ».
^H Si confronti invece il cantare:
^H E trenta muli d' oro caricati
^H e'fedeQO veaii-e imtmtanenla;
^H mille scudi d'agiurro lavorati
^H ad aquile e a leoni certamente; J
^H astori a bracchi cum falcoa mudati, 1
^V ed una copa d'oro e d'atlento, fl
eh' era dorata atomo a le sue brande ^|
tutta la stona di Troia la grande (1).
■
(1) St. . 74 ; poema gr. , w. 964-69.
1
Ctr. I poema fr., tt. 425 sgg.; Il, vv. ■
1371 8gg.; Fleok, .V. 1540 sgg. Col ■
Fleok e col rimaneggiamento olfiiidene H
il («sto italiano presenta qai maggior 1
somiglianza, che con le versioni francesi 1
J
A ^^ » mot iipiNMa» oft'ia e
i^
dft qaelfi tÈm ntengom il TVinnlo
^làÌA noria di "nvial •
(I) flL. l. 312. Ommv, p. 33.
EbsI (i mercanti) .
sopra tutto
I
dà che preso avera (it re), gli do-
narono ima bellissima coppa d'oro,
nel gambo, e nel pie delta quale con
sottilissimo artificio era tutta la tro-
iana ruina smaltata, cara e per ma-
gisterio e per bellezza motto >. D Boc-
caccio non dice una parola di più.
Ma dove si trova una discordanza
anche più notevole del cantare dal
Filocalo, é nella parte del racconto
che tosto succede a quella ora illu-
strata. Tutta le versiooi fanno viag-
^are Siancifiore co' mercanti fino a
Babilonia; il Boccaccio la fa appro-
dare e rivendere ad Alessandria (1).
Qui pure il cantastorie é d'accordo
con le rcdaziotii straniere, anzi cfao
col Fihcoìo (2). E ciò presso le cor-
ti) HewoK, p. 34.
(2) A quoHtó punto (St T7-78) il cfWi-
tare non mouziooa prerisameate Babi-
lonia; ma da altri luoghi piìi iananxi
si vede chiariBsimo eho ivi & stata ri»on-
iluta BÌBD<^ifiorE!. Noi poema greco non
B&triloais, anche qui. Fiorìo la nggim-
ge. Il paau riferito può tnttana spiegani
cod: il mercante , ttatoseoe , ì prinit
[Ine giorni dopo Tapprodò, entro U as-
327
accanto a!!' altro. Biancìflore, accor-
tasi del tradimento , < incominciò ,
narra messer Giovanni , si forte a
piagnere, che a furza mise pietà ne'
crudeli cuori del re e della reina ».
SI gran lamento Iacea la fiuitìaa,
e nel petto si dava delle mani;
piaugier focea Io re e la ruina (1).
ve, à determìnù ad andarne at Cairo;
scMe quindi ad Alesaandria per aTviarsi
a quella volta, ma per ventura ven-
dette toato la bellissima fanciulla in A-
leaaandria stessa, prima, ancora di met-
tersi in cammino. — Nella redaz. mo-
derna del rom. ap, non si parla che d'A-
letaandria.
0) FU., ì. 314; Cant, St 76. Cfr.
poema gr., w. 1026-99. Qui cade in ac-
conciò notare la eomlglianza eh' fi a que-
sto luogo fra il cantare, e il li poema
fr., TV. 1391 agg.:
Quant Biancheflor se vit vendue,
Pasra6e cliiet, la conlor mue.
Et quant el se fa redreciée,
Demanla boi, molt (ii iriée.
u
94CO meaino
« « liate le reld »' naù^ ai p
Qoaado bOa nda br ki j
Bianciflore dunque vn lontana, bÌ
perde quasi, già nell'ignoto dei mari
I
Ma perchè tanta frettai Bianciflore avea
detto:
< Se Floires puet a tana venir,
Vm venroii tart au repentir >
(vv. 1411-12).
II re, intendenilo i'alluaioDe e la ape-
rama di BUocifiore, ricordando come
poco tempo iananzi uu improTYiao cam-
pione fOBie Mpragin^nto a salvarla, in-
calza t mercHDti (vv. 1414-16). Nel can-
tare la csuaa dì codesto affrettamento
non È espresso. La accenna vagameate
il Boccaccio: * a voi conviene, dice il
re a' mercanti, poiché comperala avete
costei, senza ninno indugio dare le vele
a' venti, aè più in questi paesi dimorare,
no» forse nuoBO accidente addiMnitte
per lo quale il vostro e mio intendi-
mento si turbasse (312) >. — Pur dova nar-
rano lu partenza do' mercnati , il poema
italiano e il francese a' accostano :
Lor engre aachent du gravier,
Et font la voile amont drecìer :
Vont s'en u joie et a baudor
(1421-23).
dal Fiìocolo. DiCatti nella cornane
rodanone i
imagina lo gpedìente,
leggenda, la regina
, che
B i mercatAuti d' aj^ro coraggio
lev&r le vele, e fecer lor riaggio fTT).
(l) RT.. !.. 308,328; Cant, St 80-81.
Vedi I poema fr. 517 agg.; TI. 1430 tgg. ;
ne«k, 1804 agg: Henoff, pp- 34-35.
quando Bìancìlìoro é sparita; mentre
nel
boccaccesco essa penea
I
ad ingannare il figlio, simulando la
mort« della sua amica, fin da prin-
cipio, nella scona stessa, in cui con-
siglia al re di venderla (1), Or bene,
qui la rima si conforma alle v^^ionl
straniere, discordando con esse dal
Filocoio. Del quale non ci ofiJre al-
cuna traccia nemmeno riguardo l' ag-
giunta che fa il Boccaccio all' altrui
racconto, ove dice che, a render piil
compiuto l'inganno, nel sepolcro il
re volle si chiudesse il corpo di una
giovine morta allora, co' vestimenti
medesimi di Biancifiore (2).
Che fa mai Florio intanto che gli
rubano il suo amore? Nel I poema
francese e negli afflai racconti ger-
manici, egli non tarda a lasciar Mon-
torio poi che il padre, sapendo cerne
(1) FU., I., 308,
(2) FU.. I., 328.
non potesse reggere lontano da Bisn-
cifiore, gli ha concesso di ritornarseno
a casa (1), Tre delle nostre redazio-
ni, il cantare, il poema greco, il ro-
manzo spagnuolo , ci dicono invece
ch'egli 8'à affrettato a tornare perchè
l'anello magico pur questa volta, oU
fuBcandosi, gli ha porto indizio che
la Boa amica correva pericolo (2). Il
(1 ) t poema fr., tv. 393. 682*3; Fle^
TT. 1438, 9123-30; Herwgr, pp. 3S, M.
Il I[ poetA t'i*,) |>$r imperfetta remini-
■cenxa dells redaEione primitiva, dice solo
che < Florio torna dalla scuola > (v. 1489),
tacendo che del tornare gli areae data
lìceuia il padre.
(i) Cant,, St. 79; poema grwo, n. 1039-
45; rem. sp.. ff. 18 t. - 19 r. Fra il can-
taPe e il poema gr. e' è qui una qualche
differenza: in quello accade la seconda,
come la prima volta, cbe Fioiio guardi
r anello nel de^^tarù sgomento dopo un
sogno pauroso (cfr. con la St. 79 la 37);
uel testo greco invece, a quanto pare, il
giovinetto ù a caccia con altri signori
r Boooftcoio si scosta da questa ver-
siona, e ci offre novella prova che
quello del cantaetorio non d^iva dal
racconto suo. Dell'anello magico in-
fatti egli non parla, ed assegna al
ritorno di Fiorio tutt" altra enf,''iono,
poiché por lui è il re stesso elio ri-
chiama il figliuolo, mandandogli av-
viso cba subitaneo male ha preso
quando h' avvede che l' anello s' è scolo-
rato. All' effetto prodotto nell' animo di
Fiorio da questo nuovo indizio di sven-
tura, acconoa solo un verso di alcune re-
daiioni dal cantare (v. not« alla St 79):
allor nel viso si cambia a un tratto.
Anche il Boccaccio dice che Fieno < tutto
à cambiò nel viso > (p. 329); ma non si
appaga di una frase; egli descrive il tra-
mortire del giovine, e le sollecitudini di
qoantì erangli intorno per fare che ai
risenUsse. Una descnxione simile è pur
nel poema greco, ma poiché tutto il ri-
manente è diverso, non ci si può vedere
un rìflemo del tosto boccaccesco.
3M
SeriseimameiiW Bìaneìflore, eoe) da
far temere cL'ella fossa per morir-
ne(I).
Florio toma, e chiede tosto dd-
r amica eoa. Dolco scena e questa,
delle più dolci che abbia dod pure
la fevoU nostra, ma tatta la poesìa
dell'antica Francia: così teneram«ot®
e rapidamente drammatica, che dalla
narrativa si svolse nella forma Urica
in qnolla romanza, che addietro s'ebbe
occasione di rammentare (2). La
veraioni francesi e germaniche sono
anche qui più efficaci delle nostre. In
conccesagli dì lasciare il san (sjglio,
e impaziente di rivedere colei, sema
coi non può vivere. Ne chiede, ap-
pena acavalcato, a'genìtori, che sodo
L
(1) Fil., 1., 320. Un po' sembra che
«ornigli at Fiìoeùlo la redaiione mòà. dal
rom. «p., ove, venduta Blaucallor. * pur»
il r» che rìchìnma il figlio: qui però ù
finge malato egli mede»iiiio,
(2) Vedi -«pra, p. 7.
I
impaeciati a rispondere: egli non at-
tende, corre dalla sala nelle camere,
e trovando la madre della fanciulla:
dov' è t' amica mia ì le domanda.
La povera donna avea giurato, per
comando del re, elio non avrebbe ma-
nifestata a Florio la verità (1); an-
ch'essa dunque non sa che rispondere.
« fJon c'è », ella dice. « Dov' éì »
incalza il giovinetto — < Non so »
— « Chiamatela » — « Non so do-
ve » — « Voi mi gabbate. Me la
volete nascondere? » — < No, dav-
vero » — « Per Dio, come ciò ini
fa male ». Ma la disgraziata madre
bì sente troppo straziaro; il pianto'
le si aggroppa alla gola, e chiudo il
dialogo angoscioso dicendo, come 11
re aveva imposto, che Biancifiore era
morta (2).
(1) Vedi I poema fr., w. 653-62; Fleok,
w. 21ia^. Cfr. Cant., St. 81. Nulla di
ci6 nai Filoeolo.
(2) I poema ti-„ tv. 663 sgg. Cfr. Fleok,
V», 2)34 egg.; Herw», p. 35.
Non meno pietosa ó questa sceoa
neir altra redarfone francese. < Madrev
chiede Fiorio, dov'è lamia amica f »
— «Bel figlio, non c'è: è uscita a
diporto >. La duchessa, madre dì
Biancifiore, era presente: a quella pia
menzogna delia regina non sa trat-
tenere le lagrime: Fiorio allora ca-
pisce che lo ingannano. « Madre »,
fa egli, < io ve la affidai : rendetemela,
o qni innanEi a voi mi nceiderò » —
< Lassai » essa esclama, * che fiord,
se io non posso dar vita a qnelli che
maoiono? fì morta, morta per amor
vostro, la donzella Biancifiore » (1),
Bel contrasto è qni tra l' imbarazzo
e il dolore altrui, e la letizia di Florio,
sicuro di ritrovare la sua amica; tra
la perfidia, di cui 6 vìttima ignara,
e la sna fede fanciullesca. Ne'rac-
conti del cantastorie e del Boccac-
cio ( degli altri due diremo poi )
il contrasto quasi manca, perché , in
(1) n fr., vv, 1409 »gg.
virtù dall' anello o per il messaggio
paterno, Florio, già al partirai, ha
cagione di temere che gli sovrasti
sciagura. Toglie ancora effetto alla
scena, nelle due redadoni italiane, il
non esservi quel personaggio , in
cui più violenti si dibattono gli af-
fetti, la madre stessa dì Biancifiore.
Inoltre, nel cantare non c'è la flnema
psicologica dì quelle sospensioni, di
quelle reticenze piene di trepidanza
angosciosa, che vedemmo ne" poemi
francesi :
Fra questo tanpo Florio fu tornato.
10 cavaliere sagio e cunoacienlc,
e imanteoente che fuc dìsmontato,
ai domandò dì lei inprimaraeat« :
che è di quella dal tuo rosato,
che non la vago venire in presantoì
Dìae la madre: dolra mia vita,
Biancifiore è- moi-ta e 8epenita(l).
11 cantare sì avvicina al II testo
francese, ove puro alla madre si volge
(I) St. i
n gioTÌnctta per sapere deQa sua dt
letta, e da lei ne apprende la marte.
Co^ nel FSocolo, Fiorto, appena la
Tède, domanda alla regina « che di
Biancofiore foeae, ae migliorata era,
e come stava, che ^li avanti non la
ai vedeva » (1). Nta qui è nna ìq-
congraeoza curiosa : come poteva Fio-
rio meravigliare dì non vedersi a-
vanti la fanciulla, se il padre gli a-
veva mandato pressantissimo avviso,
ch'ella era per morire! Gli é che il
Boccaccio malamente ha volato manto-
nere quella sorpresa del giovinetto io-
conscio al non vedersi innanzi Bian-
cifiore , cb* è naturale nei poemi
francesi, che si riflette nel cantare,
e doveva essere pare nella fonte
adoperata da lai; ma non sì spiega
più nel racconto, com'egli l'ha ridotto.
Felice, all'incontro, benché si tratti di
simulazione, è quel tacersi della regina
all'inchiesta del figlio, a cui non ri-
(1) 1., 332.
339
siwiide che abbracciandolo e ptangeD-
do. Essa Io mena avanti il re, che, ma-
lauguratamente, pensando dì l'enderlo
meno crudele, affoga in un penoso
predicozzo r annunzio che Biancicore
è morta (1). Anche in questo il can-
tare è indipendente dal Filacolo.
Intesa l' amara novella, Fiorio cade
tramortito. Questo particolare si ri-
presenta nelle vario versioni: anzi
tra il cantare ed il Filocolo l'accordo
giunge fino a darci altri incontri di
parole, simili a quelli che gift furono
notati (2). Riavutosi , il giovinetto
{l)Tb.
(2) Fil., I. 334: ..... e messasi le
mani al petto, dal capo al pie (Fiorio)
tutu, la bella roba squarciò . . . . > Cant.
dal capo al pia bì stradò U gonella
a la giuba del palio rosato.
Fil; ib.: Fiorio risponde al padre: «...
a ora credi con lusinghevoli parole aa-
...» Cant (St. 85):
r mi credi tu, &lso, lusingara.
341
la creduta moile di Biancifiore (1).
Ecco il filo del racconto boccaccesco :
la regina conduce il figliuolo al se-
polcro; egli si sviene al leggere le
parole, che su vi ereoo scritte, si-
gnificanti che ivi giaceva Biancifiore;
poi si lamenta a lungo, e finisce col
trarre, disperato, un coltello, e vi-
brarsi un colpo al petto: la madre
gli arresta il braccio, e a' affretta a
rassicurarlo che Biancifiore non 6
morta. Per farlo certo di cosi ina-
spettata asserzione, si scoperchia la
tomba: Florio vede eh' entro non v'è
chiusa l'amica sita. Dov'è dunque?
egli domanda. Rìtraggonai nel palazzo,
e qui la regina manifesta al figlio
come sia stata tradita e venduta
BianciSope (2).
Si veda ora la versione del can-
tare secondo il testo mogliabechiano.
Ai conforti del padre, Fiorio rispondo
(1) Heriogr» pp. 35
(2) FU., I., 33441.
► (IVI
k MB fi fWW h C«id ItVKl
E poi ri Riw MM0 ad n ealklH
• dwK 4 «Iha per k ^i^b:
par lo kT amor, figtiMlo. or ti eoateta.
E Fiorio diBe: se voi la sapete,
ora la m' inaegniate incontanente,
e pregavi che se l>en mi volele,
che voi mi diciute '1 conveneate,
e se non, già mai non mi rivedrete,
che io m' ucideragio imaotenente :
or lo mi dite: dove c'è andata
in bai co nata 1
Alor dise la madre;
caro figliuolo, noi I
bene aeremo degni
A mala mentre 1' a'
otel V
1 venduta:
10 tradata;
grande avere:
per t«, figliuolo, io ne eon lien pentuta.
I mercatanti chella conperaro,
in vèr del nostro porto la menaro,
Qni ritroviamo alcuni degli ele-
menti poc' anzi accennati nel sunto
della narrazione boccaccesca, che vuol
dire alcuni elementi della sfessa re-
dazione primitiva e fondamentale, a
cui quella nel presente luogo si con-
forma assai bene. Abbiamo cosi il
tentativo di suicidio da parte di
Fiorio, lo scoprimento della tomba.
biiBiiBaMb «» ni m i
iWimimmUrmf
iHmI. b iJutK riillllilii il
aevfmtUan U lonibB per a
Perù non possiamo aacora dire di
avere a pieno reintegrato il testo del
poemetto. La copia maglìabechiana ,
oltre elle scomposta, qui è manchevole:
difatti a un tratto ci presenta la gc«ua
del sepolcro, senza avere accennato, lo
notammo poco fa, che al sepolcro Florio
ai recasse. Così ù nella maggior parte
delle stampe. Ma la lacuna può es-
sere riempita con l' inserirò una Stan-
za che ci offrono tre manoscritti ed
alcune edizioni, per la quale appunto
ai narra, come negli altri rifacimenti
della leggenda, che Fiorio s'è con-
dotto alia tomba, a sfogarvi il dolor
suo con pianti e (juerele (1). Non ò
da creder tuttavia che la Stanza, che
ci par buono introdurre a rifare que-
sto passo del poemetto, sia la stessa,
che qui certo ebbe il testo origmario.
Essa si trova nel luogo dell' altra, che
nel codice magliabechiano si riferisce
allo scoprimento del sepolcro, partico-
(1) Vedi St. 86 sgi?. . e note rolative.
lare che alla redotione dei tre moDo-
Bcrìtti e dolle stampe seguaci rimane af-
fatto ignoto; ed ha con qaella, maSGÙne
in nna dolle duo forme, in cui ci per-
venne, comunanza di rime e dì al-
cuni versi. Perciò , tenuto conto di
questi fatti e di varie confiiderazìonì,
io mi Bontirei tratto a vedere in essa
nulla pia che un rifacimento di quella
Stanta (1).
(l) Poniamo le due Stanze l'una ap-
preeao l'altro;
Cod. Mglb.
Alor si fecie aprir lo munimento,
e da pii itava della sepotCìra,
per vedere la morta nhe v'era enbv;
ma DOQ li pano la gentil figura:
alor li cominfò si gram tamfnio,
r.he piangei-e factea ogni creatura,
e dÌBe: madre, ov*è Biancifiore,
ch'io noiai '1 sinisculco per su arooreì
Bill. Na/. di Par. . f, it. . 1095. f. 26 v.
! sia, risalta chiara l' al-
terazione di questo luogo: con che
Piangendo Bende andò allo monimenlo
posese a piedi della sepoltura
epso ne faeea g-ran lamento
piangere ficea otnne irealura
et dica o druda mìa io uoa te senio
et DOD po»ao vedere la toa figura
se tu bì morta io voglo morire
allato ad ti me voglo sepellire.
Corrisponde a quest' ultima lei. quella
dell' AHiibumham.-laurenz. 1397-1473, f.
34 r. 8 V. Nell'altra forma della St-, ma.
parig., f. it, 1069, f. 126 v.. è comune
eoa quella del eud. mglb. una rima, ed
un verso:
Da pò; andava a quela sepullt
e pianganJo cole mani sa bati
da poj abrazava e basava le
dicendo o B lanci fioro anima i
e pianger fanea ogni creature
e cori piangendo forte dicia
ae tu sey moi-ta io volio mor
e lego inseme mi voy aepeliii
ooMM^ntBOt ffK fatte linlira I
'ihm la date delU copia nul Si^ i
ioilipetidMiti dalle altre t
tre is ifOMle, ad esem^. la ragna
Ron ou trelare a Fìork) la venta
aal taensUi dì Bianctfioire eenca aTisno
^liafto lioeiua al re. nelle due reda-
stoni itelJaae eaaa £a ci6 Uberamente,
di no capo (2). Il Filoeoh, a o^
(I) Vedi topra. pp. 5T-«8.
(S) Ibrrat, p. 35; Fa., I., 210-41;
Cast. , SL 89-90.
è sempre più largo della
modesta rima, non solu per aupliu-
menti, che si debbano direltamento
alla fantasia del Boccaccio , ma per
un maggiore svolgimento, che par
chiaro fossa gi^ nella fonte, ondo il
) ò derivato. Lo Zumbìni a' è
accorto, che nell' apostrofe diretta da
Florio alla Mort«, quando si lamenta
auUa tomba dell'amica, torna il me-
desimo concetto in tre redazioni, il I
poema francese, quello del Fleck, il
romanzo del Boccaccio. Il concetto ò
Innesto: che la morte visita chi non
la desidera, ed è sorda a chi la in-
vooa. Or bene, ha ragione lo Zum-
binì dì non ritenere fortuito ([uesf in-
contro in un concetto punto comune,
anzi ricercato (1). Ma non basta: non è
(1) Znmblnl, op, c.ìt., p. 18. n. 1. E,
del resto, uo concetto dì Boezio; cfr.
De consolatione fihil., L, I,, Metrum I.,
TV. 13 sgg.; e 11 Baeiio proTsozali», vr.
1 17 Bgg. Il Boccaccio se n' É Borrito ancbo
%0
questo, Della parte che ora iUiistrianu),
l'unico luogo, in cai il Filocoìo d
trovi conforme alla Tereiune oit»-
njca ed all' altotedcsca. Riassumendo
jl racconto boccaccesco, abbiamo a«-
c«nnato che alla vista del sepolcro,
ed al leggere le parole, che v'aran 8i>
pra incise, Fiorio si sviene: si noti
ora che lo stesso accade secondo i
racconti del troverò francese e del
altrove: Corbaccio, »d. Sonsogno, p. S60.
Trovai il concetto atasso io ana castiga
ilei Cartageiiat cfr. Ti«knor> I. 347.
ti'ad. tedeeca. — S' avrerta ìaoltra coma
i]UÌ il Boccaccio ai ricordi anche di Danta.
Nella Btaasa apostrofe alla Morte, Fiorio
dice: < Certo tu ei?' alata io parte che
asBere dovi-eati pietosa , . . , » (3381. Ve-
dasi Vita Nuova, %. 23, II ed. D'Ancona,
p. 171:
.... Morte, aasai dolce ti legno:
Tu dèi ornai esser cou gentile,
Poi che tu ee' nella mia donna stata.
V. AH aver pietale, e non disd^no.
1
I
351
Plock (1). l'ui'e, giova, ridirlo, il Fi-
localo, insiome al cantare, tì indipen-
dente, a chiari segni, da'due poomi,
come dalle altre redazioni, che conti-
Eciamo.
Ci si fa dunque, per questa caso,
più persuasiva e sicura l' Ipoteei cho
fonte del Filocolo sia stata una re-
dazione affino al cantare, mu pia ricca
e particolareggiata di esKu.
Come ha inteso che Bianciflore fu
venduta, e tratta lontano, Fiurìo si
racconsola, o delibera tosto andarne
pellegrino a cercarla ppr il mon-
do. Cos'i in tutte le versioni. I gè-
nitori sono costretti a concedergli
r andata; il padro gli da il prezzo
avuto dal mercato della fanciulla; la
madre nn magico anello , che avrà
(1) I poema fr., v».70&-8i Fleok, '
2222-30. Cfr. anche il tosto ingloao, .
Haniknooht, vt, 261-68 ^ Il fr.. i
1527-30.
Tirta di salvarlo dal ferro, dal fuoco,
dall' acqua (t). Il Filatolo e il oca-
tare segaitano a rassomigliarsi, di-
scordando insieme da altre redadonj;
ma, come sempre, ria^st' nltimo nd-
donsa cid che altrove 6 lai;gamieiitfl
esposto; qnello, per contrario, ag-
giunge dol proprio alla tradizione eo-
mane (2).
(1) HerWK, pp. 36, 38. SnirAnetla
ctr. Da ]14rU, p. 42. n. 4.; HmA» tv.
8891-99; poema ingl-, vt. 390-98; CanL,
SL 92; FU., 1-, 352-53. Nel FiL pwù
non si dice che l' iLnoUo salvi aactie dal
ferro ; s'aggiunge invece eh' e»o ha Titti
di rendere graxinao a tutti chi Io porti.
V, un'altra virtù ancora ha per il troraro
franceM e per il Fleck ! ((iiella & pn>-
ciuvre a chi lu possieda il cons^nìmento
d'ogni cosa bramata.
(2) FU., I., 349-50: il re al flgUoolo:
< ma poicbè disposto se' all' andare, b'
(treiidera tutti i tesori che della tua
Biancofiore ricevemmo, e degli altri no-
stri nssù, e quelli porta con toco, e io
^" Bpeeialn
I
I
C e (lui anzi un' aggiunta, che più
Bpecialmento richiama la nostra at-
ogni parte ove la fortuna ti conduce fa'
che cortesemeote e con virtù la tua rao-
gaìfioenM dimostri ». Cant, St. 91:
ciò eh' ella fu venduta e comparata
portarsi teco, & nonn' aver dotauza,
e a tutta ganto doaa e fa krganza,
ed usa cortesia e leanza.
Nel I poema fr, e ne' racconti affini
(w. 956-63; HerBoy, p. 36), ciò che il
re dà a Fiorio del guadagno fatto ven-
dendo la fanciulla, è Bolomentti la cop-
pa preziosa. Secondo i testi medesimi,
Fiorio si pone in via sotto le spoglio di
mercante: invece nel cantaro a nel Fi~
localo, egli è accompagnato da uno stuolo
di cuvalieii. Gasi è pur nel II poema fr. ,
w. 1791-94; dal quale però le due ver-
sioni italiane discordano in altri parti-
colari. Esso, per es., non fa menzione
dell'anello magico: in cambio, la madre dì
Biancifioce dà a Fiorio, come b'ò già accen-
nato più sopra (p. 219 n. 1), un laccio te»-
■Uto de' capelli della figlia {vv, \TSó-\mi\.
■ ulh, «Inra-
,.„.. ,.,..„.. ,, ... .. «Jiw, VWiMoAi
« eia duii; ((mw^ n^jini i-JimpvUt , ùm
phiUj* n da '•nUaf jihHii» in (frM»>
"•'■'■■ ■^!'-" - diro in n"«tra lingua
: <j pjjtM Ih |(I'*'>o>''
in {«'«tra lingtui rnmlt*
, (U- '/.'i/iuuWin*!"!!»*,
' '-)|4 io RW h>
'-•: ioìaiuiaI pr»-
Mala, Mn HI . . . . r (I) Ma U Bue-
0) I., 'SbiJOt. M OM«Hw<t «no btM
■p«gU« «Mv» Florio mkIw In «Itn n-
AuìmI; •' ft già MTCMulo cIm mI I
« ranioai afflai inwrr» tll'ia-
I
(conventi soppressi) (sec XV)i Riccai-diono
1062 (soc. XV) f. 118 r. 2. col.; Riecard.
1022 (sec. XV in.); Bibl. Cornuti, di Ve-
rona, 624 (del 1459). le questi codici, a'
luoghi citati per quelli cho hanno i fogli
numerati, la spiegazione del nome Fi-
loeolo è da /Sto* e colon : la prima
parola ò fatta equivalere mi amore (non
ad amalore , carne nelle stampe meno
antiche, compresa l' ed. Moutier: »edi
aopra); la seconda a fatica. Quest'ultima
ai trova nella forma: colon (in quattro
mss. , in uno de' quali, Ashbumham.-laur.
1213, insieme a colon s'iia colin);cholon
(in cinque mas., due de' quali, C. 5
195, Naz. di Fir., conv. sopp., e Magl-
H. I. HI hanno, insieme a ckolon, cholin;
mentre l'Ashb. laur. 491 presso cholon
scrive chaleo) ; cholom (data dal solo Rice.
1062). 11 Mglb. 11. II. 19 ri dft, codrt, cAo-
linj: U Mglb. II. II. 18 chalon. Delle
stampe antiche conosco quelle del 1503,
1514, 1520: leggono colon, e spiegano
filo» per amore. Ch: per le edizioni del
358
Pofi nella edizione di Venezia 1527 (I).
Costui, non molti mesi innanzi, come
ci apprendo la dedicatoria posta a-
T&nti il racconto, trovandosi a con-
versare presso la signora Camilla
Bontivoglio, moglie di Pirro Gonzaga,
nel lieto palazzo di Gazzuolo (2) ,
Filocolo: F. Zarobrini e A. Bacchi
della Le^at Bibì. boeeacixsca, Prupugn»-
tóre, Vili. P. 1. pp. 465 sgg.; F. Zam>
brini, le Opere Volg. a Si* ecc, , ISIM.
coli. 144 Hgg.
(1) Il PhlIopoBo di mc«8er filoTantiI
BocDMclo, in fino a qui Colsumeute detto
Philooolo, diligentemente dn Messer Tu"
zone Gaetano di Pofl riuieto. In /tnt:
Impresaa in uinegia da me lacobo da
lecco De l'anno 1527 a 6. di settembre.
C&. cit. bibliografie. Qualche cenno in-
torno Tizzone Gaetano redi nello Bcritto:
6. Telndo, Di Titione Gaetano e di un
emetto di Gio. Della Casa, negli Atti'
thirjal. Veneto, T. V. S. VI. Disp. Vili,
pp. 1011-18.
(S) Camilla Bentivoglio era Rglia d'An-
nibale, e Liipola di Giovanni 11 signore
359
aveva intaso fare i peggiori di-
spregi del nostro romanzo. Torna-
tosi di l'i a poco a Venezia, n' ebbe
per avventura fra mano un testo a
penna ottimo, a così antico da parere
scritto in vita stessa dell' autore, leg-
gendo il quale si potè persuadere che
sola cagione de' biasimi dovesse es-
Bore la negligenza di menanti e stam-
patori; perciò gli venne in animo
di Bologna: mori nel 1529 (Lltta, Fa-
tniglie cet. ital., 1. Famiglia Bantivogiio,
Tav. V; V. Fam. GonMgà, Tkv. XV).
Pirro Oonnaga, il marito buo, era della
linea dei duchi di Sabbioneta e pi-iocipi
di Bozzolo, figlio di Gianfra&cesco e di
Antonia de Baili. Aveva avuto in appan-
naggio GazEUolo , S. Martino , OsUauo .
che insieme agli altri beni e feudi gli
flli-ono confiacali da Carlo V , quando ,
luBcìato il servizio di Siiagna, militò pei'
Francia. Perdonato più tardi, non ebbe
che Coraesaggio : vediamo però eh" ei
mori, nel 1529, a Qazzuoto (Utta^ op
cit., V. Fam, Goni., Tav. XV).
(li ripulire il libro mslcapitsto, o ri-
donargli la nativa fisiunoiaia. Ma sì
ea che foseero codeste restitazioni ,
nelle quali i nostri vecchi osavano
ogni arbitrio. L'editore comincia dot
trovare i guasti nel titolo, e meesù-
gli le mani, di Filocolo lo ridaea«
Filopono, perché non gli pareva che
l'errore manifesto della prima fomui
potesse attribnirsi al Boccaccio, ch'era
stato non ignaro di greco; ed aveva
eìcuro convincimento eh' egli avesse
scritto Filopono, « percioche philoe
amatore, et ponos fatica significano,
donde congiungendole resultano ama-
tor di fatica >. Questa prima emen-
dazione non incontrò fortuna. Tre anni
appresso , no altro editore , Marco
Ouazso, soldato o lettorato, quasi con
tono rudemente militare, la impugnò,
giudicando che, caso mai, dovesse
essere più giusto correggere Fflocolo
in Filocopo: «... ponoB vuol dire
fatica et dolore , ma se lo anttore
hauesse voluto dire amatore di fatica,
haurebbe dettu più presto Philocopn
che Philopono, perche PhiloB com'è
detto vuol dire amatore, et copos fa-
tica, et aggiongendo 1' uno all' altro
haurebbe detto philocopo . ...» Il
Guazzo duoque non credeva che l' au-
tore avesse voluto dire amalor di
fatica; è per questo eh' egli conserva
al romanzo U titolo antico: «...
philoE vuol dire amatore, et colos ire,
e non colon come quello ha detto (1),
dunque ponendo philos et cholos in-
sieme dicono amator ire seu ira
amoris come fu la vera intentione
del poeta .... (2) » Ma la vera
(1) Ctr. la epiatola dedicai, dalla cit,
ed. 1587. ove il Tizzone scrive: « Dun-
que ben BBpeua (il Bocc.) che pkilos si-
gnifica amatore et Colon altra cosa ecc.
ecc. > Abbiamo ora veduto che la forma
data da' codici e dalle Tocchie stampa 6
appunto colon.
(2) Il Pkllocolo iì measer eioTaoni
Boccaccio novammle corredo. In fine:
•sMintneate, noa
pire tnttarà ihe
■oìtcts, Ift p*-
wmiaee.BTiMtooe,
ri die per TÌsto:
giorta ^nasaB-
■00 cootnddittare, poiefaèlo «v&mo
abbanlaaan U fona* racipoMO, • pr»-
ferire neUa sUmpa del 1538, qtulU
elle a Guano avers priaio additate,
Filocopo. La qoale «bbe miglior ante
dell'altra, si che qoasì fece diam-
tkare la piA antica, FBocolo. Diaij
Stampalo aelU ìadita Qtta di Vinegia,
appMM (ne) Santo Mo^w ìttUo case nnoaa
Imtìiuaiie, per PnuxwMo di Ali:awnJrc
Biodoni et Mapkeo Pai^iu compagni.
NeUi aoni del Signore 1530 del :
di Mano. Regnante il Sereniasimu Prea-
dpe Meeser Andrea Dritti. — Cfr. la eh.
• bibL Le parole del Ouaiio fnroDO tolta
dall'AvTÌM ch'è innanzi il («sto: < Marco
Ooaaio alli lettori >.
I
quasi , porche invero quest' ultima
i ristette da difendere la aua le-
gittimità contro l'usurpatrice, per
mgdo che in certe edizioni, come la
più recente curata dal Moutier, fra
le due forme avvenisse confusione (1).
(1) Intanto è ancora intitolata Filoeoto
la ediz. giuotina de) 1594, per la quale
ctt. la cit. bibliografe. Ma a p. 1 tro-
viamo: Del FUoeopo di M. Giocinni*
Boccaccio eoe. ecc. ; mentra a p. 379 leg-
gasi Filoeoto, e la spiegazione dal nome
ù data da pkilof e colos. Cosi nel aeguito
del racconto sempre Filocolo. Al modo
alwao nella ediz, 1723, Firenio (Napoli),
b' ha nel titolo Filocopo, sul frontispizio,
e a pag. 1.; poi a p, 290, voi. I., Filo-
eolo, a la apiagaiione da phihs e eolos ;
coma pure in seguito sempre Filoeoto.
La etamga Moutier Ila sul frontispizio
Fitoeolo, poi in capo al teste Filocopo,
che si ripete io cima d' ogni pagina per
tntto il 1 voi., fino alla penultima, per
dar luogo all'altra Ibnuu dallit pag.
1(64
1 vecchi aluiiiosi non sapevano ae-
coneiarsi a credere che il Boccaccio
potesse avere commeEso un grossa
sproposito, e si davano quindi gran
briga per accagionarne chi n'era af-
fatto innocente. Noi invece che ci
governiamo secondo diversi criteri,
e abbiamo alla storia ed alla verità
più geloso rispetto , lasciamo stare
1' errore al suo posto, rilevando co-
m'esflo riconfermi che il Boccaccio,
specialmente da giovine, aveva scai-sa
conoscenza del greco, secondo fì ma-
nifestissimo per altri simili esempi (1);
cìù che agli studi nostri torna assai
più utile degli spedienti pedanteschi
354 (ov' è la spiegai, del noma da philos,
come ai vide, e eolot) in giù, per tntto
U voi. II.
(1) Sulle scarse conoscenze, che del
greco mostra il Bocc. vedi, per racco-
gliere in uaa le ritaz, varie che si po-
trebber fare, una mia nota (1) a pag. 255,
voi, IV.. del Giorn. Si. della Leu. Hai.
ì Iìboo» Gaetano e dì Marco Ga«i-
9 (I), perche serre la sua parte,
' a muarare l' eeteosione della cattura
r del Boccaccio, e di quella della sua
I età. Per il Gasparj il coìos del nostro
I scrittore sarebbe X^^°^> ^ quale ^li
avrebbe attribuito il senso di fatica,
I mentre ba quello di odio, ira. Altri-
I menti pensano il Vitelli ed il Rnina,
80 per notizia cortose fomitaini
\ dall'ultimo. Avvertendo nella scrittura
\ dei codici la somiglianza e il facilis-
I Simo scambio dello Ietterò n e X, i-
ano ambedue che 1' emm! "ia
j uscito di li. Infatti il Boccaccio può
L aver tratto il suo xAoq da an gioii-
I vario, o che altro ai voglia . ove fgìà
> lo ibaglio; oppure può xven;
y «d. 1733, 0. »*■
■m
egli stesso letto malamente xÓiaq pt>r
KÓitoq (1). La soluzione è chiara e
coDTÌQOente, cogì che mi pare si debba
accogliere.
(l)Neir«piBtok a fra Martino da Signo,
eaplicativa delle sue allegorie bacolicha,
il Bocc. accenna ad un libro, da cni ha
tolto i nomi greci usati nelle Eclogha.
ma non dice quale sia. Cfr. Lt tettav
ed. e ined. di M. G. B. ed. Coraolnl , p.
273. — S' è già veduto in una prece-
dente nota che codici e stampe antiche
non danno la forma eolos ma eoìon [eìuh
lon sarà per il uolito uso di i-apprttten-
tare il auono gutturale con eh, gh). Pro-
babilmente cod avrà scritto il Bocc. Che
egli abbia confuso xw>^v con xtfXoq
letto per xdnoq? — Superfluo avvertire
l'errore cb'ò pure nella spiegaiione della
prima parola, end' è composto il nomo
Filoeolo. Il Bocc. spiega fii-oq per amore
anche in principio della Dedicatoria del
Filostrato, se si bada alla ed. Moutìer
(cfr. però CoraxzfnI, op. cit. , p. 9. n.
1.), e nella lettera a fra Mattino da Signa
(Leti. rd. e ined. di M. fl. B. . 1, e).
367
Chiedo venia della digressione, e
riprendo il filo de' mìei raffronti. Nel
poema greco manca ogni cenno del
fìnto sepolcro, e, in conseguenza, an-
che la scena, che si svolge innanzi
a quello: il tentativo di suicidio, la
rivelazione della vendita di Bianci-
core da parte della regina, lo sco-
primento della tomba. Gonfio, di so-
lito, e prolisso, qui ìl poeta greco
stringe in poche parole ciò che nel
cantare é piti largamente esposto.
Florio toma, trova insieme il padre
e la madre, ma non vede la fan-
cinlla: < apprende qnesto cose, si
duole, si lamenta, risponde al pro-
prio padre.... (1)». Nel discorso che
segue vediamo come già egli sappia
che la uncinila era stata vendala e
mandata lontano. Ma in qual modo
(1) Vv. 1048-50. Utteralmaate: « ap
prende queste cose Florio, ai duole m
cuore, lamenta dolorì inaumeravoli, !
duole per la bella ecc. ecc. >.
l'ha saputo! Non si capisco. La re-
^na, che altrove ha f-anta parte, qni
non apre bocca che all' ultimo : essa
dà al figlio, come nelle altre versioni,
r anello che ha la vii-tù di salvare
chi l'abbia ia dito dall'acqua, dal
ferro, dal fuoco. Qua e là perà i so-
liti strettissimi accordi col cantare.
€ Per il mondo tutto, dice Florio, de-
sidero , voglio ricercar Eiancìflore,
per mezzo regni e principati, per tutta
Sai-acini'a, per città e luoghi inco-
gniti, notti e giorni, finché venga
qaello cLo bramo, tlnchò la ottenga:
e se fallisco, e non trovo In fanciulla,
qui più non vengo, né più ritorno ».
Cosi' nel cantare:
e cercaragio la terra elll el mare,
con tutta quanta la Saracinia,
e giamal non credo in qua toniare,
b'ìo non ritruovo la speranza mia;
giamai a voi io non rìtorneraggio,
s'io non rivegio'l suo chiaro Tisag{pa(iy.
(t) Poema gr. vv. 1065-70. Letteral-
mente: « il mondo tutto deiddero, voglio
1
ì
Àncom: in fondo al suo [ii'cdiciizAn
il re fa al 6g:linolo le rac^comanda-
tioni, che sono pure accennate in
questi versi del testo italiano:
e n tutu gente donit o fn Urgnnxo,
ed uaa corteaTa e leanza (1).
n poeta greco non ha dunque ab-
bandonata ni tutto la solita fonte.
Proball il mente egli n' ha avuto in-
nanzi una rodiLzione manchevole; in-
fatti vediamo che, ad eeempio, nel
codice astiburnliiimiamo-luui'custiano ,
più volte citato, nulla è dotto della
erezione dei sepolcro (2). Ma ancho
da se 6 vorìsimilo che il poeta abbia
soppresso, accorciato, oppure amplifi-
cato ed aggiunto (3), osando di mo^;-
riceroarla. re e principi, tutta Sanci-
nia «e, tee. ». Cwit., St. 91.
fi) St. 92. lia purta qui rioMunta del
poema gv. è a' tv. 1040-1209.
(2) Vadi del cit cod, f, 33 v.
(3) Un'aggiunta parrebbe l'esortaxionn
chfl Fierio fa a' cavalieri ddlii euu t^eili.'
370
^iore liberta ohe U consnoto: come '
[>avo puo supporsi ohe il manoscritto
viennese qui presenti una Eìngolare
alterazione dell' opera originale.
Il romanzo s^uigiiuolo non ii menu
remoto dalla Tersiono più comiute e
antica (1), Fiorio torna, e non vede
la fanciulla uscirgli incontro: egli per^
non domanda tosto dì lei. Ne chieda
un giorno che conversava con la re-
gina, la quale gli rispondo eh' ora
morta. Fiorio vuol vederne la sepol-
tura; ma neppur qui s'era provve-
duto ad ingannare il giovinetto con
io apedicnte della tomba; perciò la
regina, impacciata, non ea come pii)
nascondere il vero al Aglio, e ai 5ent«
costret.ta a rivolargli che la fanciulla
era stata venduta. Di fra i mutamenti
traspare, come si vede, la redazione
primitiva. La regina non ha qui la
perchè lo seguaao (w. 1182-1202), Vedi
partì Filocolo, I, 344-47,
(I) Ff. 19 r, - 20 r.
parte modesta, che le trovamino bb-
Begnata nel testo ^eco: essa dA al
figlio il solito anello magico, e quei
consigli ancora, elio invoco il cantaro,
il Filacelo ed il poema greco attri-
buiscono al re, raccomandando a Fio-
rio di essere « muy humilde et libe-
ral; j qwe hallen en ti toda geatileza
et cortesia, et assi seras amado de
todas las gentes que contigo contra-
taran » (1).
(1) La regina dice pure, congedando il
figlio: < ve mucbo en baen bora con la
bendicìoQ de Mahomat >. Nel caat. :
or va, che Macometto si ti Taglia
(Si. 93}.
Il poeta greco pone questa parole in
bocca al re: • va, figlio mìo, figlio, colla
mia benedizione; Maometto in te sem-
pre sia ecc. » (tv. 1 134-35). Nella reda-
Kiono mod. del rom. ap, Fio rio chieda
della sua amica all'aia di lei. che Io ri-
manda al maggiordomo: costiu stretto da
minaccia del giovinetto, conraasa di aver
r
372
Nella storia di Rosatia (1), tr» il
ptì 6 la regina le parti s' invertono :
chi vorrebbe far morire la fanciulla
e quest' ultima, mentre il re n» pro-
pone la vendita a' mercanti. D modo
como"8i stringe il mercato è press' &
poco lo BtoBso che nel cantare, nel
Fiiocolo e nel poema greco. La fan-
cìnlla è pure rlvonduta a Babilonia.
Aulimento toma di Parigi, e, infor-
mato d' ogni cosa, vuole andarne al-
l' inchiesta di Rosana. Un' altra remi-
versione drammatica, ove la regina,
por trattenere il figlio, gli dice cho
Rtìsana è morta. Presso a queste so-
miglianze fondamentali troviamo dif-
ferenze non lievi. Nel racconto, ì ge-
vanduta la Maciulla per ordina dal re.
La ste»aa notte Florio abbandona fui-ti-
Tamente la casa paterna, per corrore in
IraKÓA di Biancicore.
(1) Racconto, pp. S5-18; Rapp., pp.
388-400.
r
I
I
:i7:i
nitori di Aulimonto sauna delle sua
sofferenze amoroeo per mezzo di una
bella francese, che, accesa del gioTÌ-
netto, ha voluto in ([uesta maniera
vendicarsi dello sue ostinate ripulse.
Qui però e' ò forse un' omln-a dello
versioni meridionali del Fiario, ove
si mostra come 1' eroe abbia resì-
stito alla insidie dì alti'e donne. Di-
verso affatto e invece il modo, per
cui Aulimento può sapore cho fu ven-
duta la ianciulla: un amico gliene
manda avviso per lettera. Notevole ó
poi la prova, a cui il Soldano di Bn-
bilonia sottopone le donzelle, ch'egli
compera; prova dissimile interamente
da quella cho vedremo accennata ne"
racconti su Fiorio ; in questa storia di
Rosana, egli ne conosco la verginità
£acendole bere in un nappo fatato, da
cui il vino si verserebbe so non fos-
sero pure (1).
(I) Sul nappo fatato efr. Bajns, Le
Fonti dell' Ori. Fur.. pp. 498 sgg.
dA. Ifa dofc eanfcen «^ ]
toni Km la m: «a imi
agli aotU ad oa a&erK»:
masrigfiudo, agU h Ma rtrsn i
• qaal-
die giorao prima. Fìurio iaieoaiiiieia
eoai ad avere notizie intorno ratnies
•Ita. L' indoDuuii rìproide il cainnuBO,
« csTalca fino ad un porto di mare:
■moaU sii DD «econdo &Iber^ ; andra
qui r oatecea l' infumta che Biaacifiore
ara panata di fresco. Anzi in naato
albergo gli si dice assai più: l'osto.
BUigiaoto 0 Bdkonto, ss, a quanto
■ombra, pprchfì bisogna spie^^v a fan*
tosia i Bottiniesi del cantastorie, che
la fanciulla fa trutta a Babilonia;
quindi egli indirizza il giovinetto, in
codeatA città, al nio comparo Dario
I
375
eh' era puru albergatore. Fiorìo lo
colma dì doni; poi monta aopra nna
nave, 0 bÌ fa condurrò in Egitto. Ap-
proda ad Alessandria; dì qui, senEa
indugio, cavalca alla volta di Babi-
lonia, e, giuntovi, bì reca tosto all'al-
bergo di Dario. Finalmento egli sa
dove proprio sia la sua amica: i mer-
canti l'avevano rivenduta all' ammi-
raglio di Babilonia, in cui potere ella
ora 8Ì trovava (1).
Pur questa parto della «arrazionn
ci mostra chiaro come il cantaro sì
avvicini alle vorsìoni franceei o ger-
maniche, e eia indipendente dal ro-
mauzo del Boccaccio. Ancbo in quellci
Bono ostesse ed osti cho danno a Fio-
rio buono indicazioni Bulla via fattJL
da' mercanti, o sul destino della fan-
ciulla; anche in quelle 6 l'episodio
del vino rovesciato da Florio, distrata
tamente, sul desco, di cui si tuccù iti-
trovo (2); anche in quelle il nostro
(1) St 94-99,
(2) Vedi sopra pp. tSl-05.
il, l ft-. pw. 1019 ^^ i
a «OD tam «w fMfi MBft» n fe. f«.
b BOikaiB te «AU pam «I
maaUm aaCM* * pm riniw al I da' da*
IMI) taKM • aOù nd»., ck« al IL
Qni, ^ WiMpfat gfi è ftbtto igMti to
■'■■Iw cnallmKa p» FIowd • Dfagii.
ah'4 rfiwfftt* Mi □ fr^ ••. IMI «X
ineontriiiniu difft'rona! non lievi, senza
cuntare clie la rima é sempre un pal-
lido e magro sunto rispetto le reda-
Eioni, ricche, vivido, compìuffl, alle
quali s' ò accennato ; ma ò innogabile,
u ogni modo, che essa riflette, yisi-
bilmente, una fonte simile a quelle. Si
confronti in quella vece il Filocolo.
IiaBciamo la peregrinazione di Florio
per mezzo l'Italia fino al cuore della
Toscana, la sua lunga soató a Napoli,
e tutta la parte allcgoricamento au-
tobiografica del romanzo, ove il Boo-
cacoio narra di sé e de' suoi amori
per Fiammetta (1); lasciamo, dicevo,
tutto questo, per ripigliare i raffronti
al punto, in cui Piorio da Napoli ri-
comincia r inchiesta di Biaocifiore (2).
Notiamo prima di tutto che nella co-
(1) FU., II. 5-120. Sopra questa bellis-
tànta parte del Filofolo vedi Zumbini, op.
cit,, pp. 57-65; CreMlnl) Contributo cit.,
pp. 73-82.
(2) FU. li. 120 sgg,
mnae redazione, qitandu si po&« in V
per cercarla, Fìorio non ss oro sia
Rtata condotta la eoa amica, dò che
rende più ardua e insieme più Cant»-
stica e intereesanta l' aTTaitara. Cosi
é pur nel canfAre (1). Net IVoeolOt
per contrario, giA il re aveva sagge-
rito al figlio di cercare i lidi d'AJes-
eandria, poiché 2 ijuclla volta aveano
navigato ì mercanti ; e gli anticbi dei
pagani, dei quali, peregrinando, area
trovato un rovinoEO tempio, negletto in
un selvaggio recesso, e a cnì, dopo
tanto oblio, aveva un istante ridonato
(1) Cfr. n poema fr.. w. 1740-43: Fio-
rili chiede al padre chi Cassero i mercanti,
che avevano comperata Biancif. , e dove
l'aveuaro condotta:
< Certei >. diat lì roie, * gè ne sai. ■
Vedi anche Fleolt, vv, 2584-91. Nel can-
tare aall'alti-o sa dir la. regina al figlio,
te non che i mercanti
in *ér del nostro porto la menaro,
I
i del eulto, gli avoan dato re-
sponso di far Tela per la Sicilia, as-
Bicurando che ivi avi'ebbe raccolte
novelle della sua Bianciflord (1). L'i>
stessa, da cui Fiorio ha avute le pri-
me notizie intorno la fanciulla, si muta
in una donna noLilissima, parente a'
mercanti che traevan quella; Beliaante
in BcUisano, uno do' più cospicui cit-
tadini di Rodi, amico e compagno di
armi di Ascalìone; Dario albergatore
in un gentiluomo d'Alessandria. Bel-
lisono poi non si sta pago all' aver
date nuove prezioso sul viaggio e la
sorte di Biancifiore; per gli obblighi
antichi, ch'egli aveva al padre di lei,
vuole a ogni costo aver parte nell'im-
presa; perciò lascia Rodi con gli o-
spiti suoi, e, seco loro presa terra ad
Alessandria, li conduco presso l'inti-
missimo suo Dario. Del resto, 1' ordito
è quello etesso del cantare, al quale
(1) FU.. I., 350; IL, 7. Cfr. nostro Con-
tributo, p, 73.
f
n poema groco si raccoste qui alla
solita font«. Dissomiglt&nze non man-
tanto che di Beliicano non occorra che
un solo esempio, nel mglb. II. m. 107.11
nome Selisant, applicato a. donna , ho
incontrato nelle Nouc. fran^. rfu XIll'
aiiele, ed. Koland et d'Hérlcanlt^ p. 57.
RiBcontri al caso nostro saranno nel
Cantrib. alla Si. dell' Ep. e del Rom.
medievale, n. VII, del Rajna (vedilo an-
nunziato nella Itomania , nura. 68), ove
b' avranno queste forme : Braimanda e
Braimano & fronte a Braimant; Ago-
tanle e Affurano di contro ad AffotilanL
Si penai anche a Triplani e 7'risluno. —
Notisi qui, che Florio nel Filocolo fa spac-
cia all'ospite Bna di Sicilia, Sisife, come
fratello di Bianci&ore (II. 129-30). Goal nel
I poema fi-., nel Heck e negli altri rac-
conti aiSni, Florio, ci'eduto dalla moglie
di Dario , per la grande somiglianza,
fratello di Biaiicifioro, procura dapprima,
non ben sicuro della fede ile' suoi ospiti,
di paBure per tale: tosto però confessa
il vero (1. fr. t». 1526-37; Fleok, w.
u
(0- -ftmt^ «*i «Mài «Ili» -«MAk. -m
I
gDuolu poi c' è uD ricordo tonue, lon-
tano tifilo versioni precedenti, o più
di quella accolta dal cantastorie, che
delle altre. Florio sosta a un solo al-
Itorgo : qui l' ostessa gli dà conto di
Biancifiore, ma non pei'ché aia stata
colpita dalla somiglianza, ch'era fra
lui e la donzella. Quindi il giovinetto
per mare arriva ad Alessandria, onde,
senza arrostarsi, seguita verso Balii-
lonia. Pervenuto in questa città, smoa-
ta allo case di Dario. Nuli' altro: né
r episodio del vino rovesciato o del
bicchiere infranto, né, por via, pili
larghe informazioni sulla meta dei
mercanti, e il destino di Biancifiore.
La regina già avea detto al figlio che
la fanciulla doveva esser tratta ad
Alessandria; ma perchè Fiorio s'af-
frotti inveoo verso Babilonia, e scon-
Come bI spiega che all' oste sìa al
biato il titolo di re? S'avverta che
vano incceniiTO È detto ^svoS^o^.
ture medievali, presso In qunlo sorse
il Cuiro, elio con ossa, pop la estrema
vicinanza, venne ii formare quasi una
sola immonsa città (1). £ infatti nella
<1) Forllls^r» ffandhìtch rf-n- all^t
Geogr., IT. 782-83; Maspéro, Bist. a'i-
eienne da peuplts d'OnVut.'. pi>. 21, 201.
Cfr. pui'o Giornale tU-gli Brudili t Cu-
rio«p, I, 394, 468, 711; II. 30. 80, 213,
333; ITI, 3^, 358. Citerò alcuni luoghi,
io cui Babilonia e Cuiro sono poste in-
eiemo: Bisloria Belli sacri di Gnirllelino
di TlrOf e<l. Baailaa, 1561, L. XIX, cnp,
xnn, p, 350 ( nella troduz. ital. dì Giu-
seppe Oroloffij Vanezia 1500, p. 506);
Uinirairea à lénualem el deseriptìonn de
la Terre SfiinU', redìgis en frantavi nux
XI.' XII.' el XIli: si-Vles publk's par
H, Miehelant et G. Raynaud — Socii'iù
de V Orient latin — Genùva IttóS, p. 174.
Bernardi de Brcrdenbaeli, Sanetarum
pereffrìnalionum in monlein Si/on , ad
venenmduM Chrhti scpulehrum ecc. ere,
{ DnunKO , Glose. m. et u Lai. , eJ.
llutischel. B. V. Babilonia Aei/ipti); 1
Vi,i,,(ii di ilio, da Sbindarlila, edi^
, n. ir m SE.
illitMKHtMM d- -té dw «t 3
Ionia, et tandem Chajrum >, Ditlam. ,
loc. cit. :
O luca mia, tu che mi sproni e pungi
Per questa strada, diss' io, fammi chiiiro,
Che terra è quella, prima che la giungi.
Due città sono, dime, e fan riparo
Soprii r^uest' acqua, e quella di là noma
Babilonia, l'altra di qua il Caro.
E l'unae l'altra aon maggior che Roma.
Qui ó il rual palagio del Soldano.
Che tutto Egitto signoreggia 6 doma.
Notiamo di passatjv i^he sarà da Icg-
gere : « e quella di là nom' ha > , per
rarti&cìo ben conosciuto della enrlisia
a cagion della rima. L'altro luogo trar-
remo dal 'olume di Viaggi in Teira
Santa ecc. . e proprio da quello, che de-
scrisse Glarglo Guwl, pp. 287-88: «Fra
il Cairo (I Babilonia è una medaBÌma
cosa, che quasi nulla vi tramezza se non
un poco di terreno sodo e disabitato, non
accEL^ato ; e dove più e dove meno il det-
to teri'eno è disabitato. Havvì luogo dove
ha dalle case del C^ro a quelle di Ba-
bilonia, dove una balestrala e dove- due.
P. in tal tiM^o presso che ud miglio
corre U detto Nilo ftllalo a Babilonia.
DftUa |iurle di fuori il Caini e Batrìluata
non sono murati, e suno catuno di per
sé graDdimime città: tioniì i-Iie il C«ira
solo sia luogo circa di X miglia, e largo
1 uno luogo per l'altro naam V migl
Uuliilouia è laoga circa a VI miglia, «4
i*tà quasi come uno scudo, lai'ga dallo
parti del Cairo, o isti-etta e appuntaU
dall'altra parte; ed è larga l'uiiu luogo
p«r r altro quasi tre miglia, sin-bò in
tutto le detta città, cbe sono una mode-
glia e larghe quasi Vili miglia .... B»-
bilonla è la città antica, d'ooile fii Fa-
■■aone. Il Giuro i la t«iTa nuova {atta «
odidcala poi, e secondo il dii-e quasi di
Lutti, e che per veduta si può compran-
dei-o >. Pur nel Cairo d'oggi, nel quale
si sono agglomerate piii città vicine, ri-
mane vestigio della vecchia Babilonia
il quartiere di ÌMxtul: cosi Laronne,
Dict. Univ., *. y. Coire.
(1) St. 101. Al Cairo accenna pare,
come giA B b veduto, il i-omanxioro apa-
Fiurii) unii ]iriici'ilii iiiù in lil li'Alcu-
KiTulriii: pertanto è qui, non a BiiLi-
lonìa, elio si svolge la ciktostrofn del
Filocoto. Così la fanciulla non si tro-
vii ul Cairo, ma nella torro doU'A-
rabo, cho raalmente esisteva, po<;o
lungi Oa Alpssamiria{l); e il signora,
che riia in suo potere, non è, come
nel cautaru, net poema greco, nel i-o-
mnnKo spnffnuolo, l'ammiraglio nel
aonso pia ampio di pignoro supremo
(il cantasturio lu dico anche 11 n?
de' Saracmi) , o , per usare una o-
gnnolo {ff. 18 V. a 20 v.). Por il poema
gr. cfr. V». 1S50, 1256-57, 1287-88!
Cant., SI. lOII;
EU in Aliaanclrlii sono
e Fiocio cavalpfl sui
e ì BaballoniB al su
(1) Bibl. Ambroaiana,
F. 200 Inf. Vodi Fifur.
ari vati.
I Bogiornali ixc.
purtuknu eeyii.
, 328; 11. 111.
I al C S r. è diUB « Im
fior* f e«Hhk
A fV. L, 3»-28; IL. 137-^8. Bfi»-
tmaaste icggen Aknsadria uno 4cgti
ttinmingli del «uklBDa <S BalrilooU: «adì
ciL Vioffj/i <N r«rra 5ini&i, pp. S4, Iftl,
?ir.. Or. pmn iM'ÀIUUr, BeliOicm it
f /h'JP" eoe. tni. pàrthàt Stejf Paris
1810. pp. I8S. 230. — Sopra il Bi^fi-
(ralu di ammiraglio {aj'àb, amir, princi|>o ,
ronuuidnale) cfr. Da Caas«, ■- r. .imir, e
Dlex. Rli/m. M'M». I. 13. ». * Almi-
i' indiponilunzit della rima dal ■■oraaii-
rante. — Parrebbe che anche per mesaer
Giovanni il signora dell' amniìi'aglio di
Aletanodrìa dotasse essere il Soldaao im-
peiiLnta nella Bubiloniu egizia. In un luo-
go perù (FU., L, 327-28) l'ammifaglio
esprime il proposito dì voler procurare
che Binncifiore diventosao principale fra
le mogli del suo re, e cingesse la corona
di Semiramide. Il nostro sorittore dunque
pensava alla Babilonia aaiatica. Ma un
noto verso danteeco, relativo alla famosa
regina ilnf. V. 60) ;
Tenne la terra che '1 soldan corregge,
ititerpretabi , a mio avviso , erronen-
nieule , poterà allettarlo a imaginiiru
elw Seniirauiido avesse retto puiti l' K-
gitto (cfr. Boccaccio , Coni, sopra ia
Comm. di Dante, ed. Moutier. II. 23;
BeneTenntl de Uainb. do Im. , Com.
■tup. D. A. Comoed., ed. Lacaita, I., 107-
99). Si può anche d'edere eh' egli volesse
i-iferirù sotto il nome di Babilonia al
centro aaiatico della potun/.a islamitica.
DivM.dw te rUmm» tmm a» ala
OM ed* I» rio* fi itmiamièt (••«.
fL «k. 0» fihfb mtr9 l'I f I II I BTi»
rwK. BmÌIm. ISfìOi U IT. r. Xlltt p. I-M;
L. VL e. L p. SOO: 0. I
adM «( G'^r. £ r«fa>M> ao^ aer. T>.
B«i« UOl, e. MM «BSi. « <.; 6. B. I.
«■Ohm 4t SsWe^nlx. fìte. mt fa
Ahuw d^ Batyfat. Aeai. Rd*. 4m Imet.
•e BdlM-Uttm. M£& d> lia, T. «I.
Pnisi 1808, f.aSì.Twiaxim»atm0DiM.
gtogtvfin (^ aoatrk £ ■pww eko Ta^
lieaBab£lMM «n nlTEsbatK. e mb la
coated« en Bag^M <«L rewù, ISIl.
e. 140 r-y Ofipvs. pih M^plieeaeMa, ■
psA Mppei-m eh» >«* bcik «mcìaakiBa
d' idee riMa Uipata U MS pea^MQ MI»
BaUlMm ^em all'aUn •aatm. • cte
par nw«o ^ M «««dato £ www—
tao Beaiii iiiiiilii . 06 At. 4'alm pafte,
gli era lacito , pcrdiè mm a*a«a 4ia«B
:«i3
ftjllcpa i>er c'iiì i-lm la scpna dogli
ultimi ovonli della cumtini' l'avuta
una città dell' Ejjitto.
La nuova Biibilonin non oclìssù
l'antica. Questa era, ormai tia secoli,
un cumulo di gigant{<sdie rovino (l);
ma l' influsso del testo biblico o lo
tradiKionì storiche, come pure la \e^
genda formatasi intoruo i casi e lo
I
cittA iotendesse alludere. Del reato, che
la Babilonia d'Egitto esistesse, il Boec,
sapeva i^uanto qualunque suo conterapo-
rnneo: cfr. Decameron, I, 3; 11.7; Com.
sopra la Comm. di D., I. e.; Genealogtae,
ed. Veneuia, 1511, L. II., cap. XIX. c.
18 T. Ad essa egli accenna certo nello
stesso Filocolo, IT. 151, ove al castellano
ilella ton'e dell'Arabo Piorìo finge di
essei-e venula ad ammirare la bellezza di
quella, noi vi.tggiare alla volta di Babi-
(1) 8aint«<Cn>Ix. op. cit, p. 25, Già al
V scc. dell' era cristiana Babilonia, ca-
duta alffttto in rovina, non doveva più
essere contata fra le città dell' Orieulo.
3M
imprrae di AJ(9>8anilm iaafeiloM>. rai-
MTu a mant^nieme vivn o lumtAou
la ricordanza. Accadilo i>ui cbe neSiM
(vmtroda, sn coi er» stata sopcrba-
monte regina, sì st«»d«ss«ro la Awle
o la signoria di Mjiomettu : Bagdait,
la Roma dell' Islam , la città dt!t cn-
Uffi, fu talora confusa con BahiJo-
iiìa (1). I-a quale pev U nuovo pofwlo
eletto, per Ì cristiani, B«guitA a esaere
la ^uida e il centro dt^la fftlsa cre-
ileiiza, come era stata già per l'silticOt
per gli Ebrei. S'immagino quindi che
essa sorgesse capitale ili uu impero
(1) Cfr. peaultima nota. Si ciwdatte
put« cbo Bagdad fosso stata comtmtta «o'
ruderi dì Babilonia: A, Lasor aTarea,
op. cit. t. V. ISabylon; FerrarlJ, eìt, Lex.
Gfoffi-., a. V, Dabylon, Bagdatum-, Salat»-
Crols. op. cit., p. 2»). Si seppo tuttaTÌa
fino dal medioevo che di Bubiloaia avan-
zavano Boltunlo le rovine: cri-, per ea
IkneTenBtl de Bamb. de Imola, op. è
1. e. ; pome anche Sainte.CroIx. op. Hl.
r ^nnicliio, nnzi di lutti) it mondo uiiis-
intiaano; che vi tenesse sua sedo iin
potente o ricco ammiraglio: o la si
onri6 di quanto favoloso Tueraviglie
■eppero suggerire alle fantasie doi
poeti occidentali la fama della sua
prima grandezza od i! fulgore dolla
civiltà araba (1).
(1) Vedi A. Morel-Fatlo. Rech. sur le
texte et les sources du Libro de AlejtaiL-
dre; Romania, IV. 71. Buli>;anx, che in
un notissimo episodio inserito nella Clian-
son de Roland, nppi-oda in Ispagna a soc-
corso di l'è Marsilio, ì: detto atntrail* dì
Babilonia (vr. 2613 s^g., ed Miiller). Dal
&tto {lei'ò ch'egli sal|>a da AlessandHa
(v. 2626), si potrebbe credere elle la sua
Babilonia fosse Vegi%\&. E invero si vedo
pure in un alleo poema, nel Foteo di
Candia, quest'ultima città esser sede del-
l'ammii-aglio di tutti Ì pagani (0. Paris,
, La lift, fi: OH moyen uge , p. 70). Ma
neir /fuori de Bordeaux la Babilonia, al
cui amii-al Carlomogno manda, appoi'Ia-
toi-e di un lerribilo niawwggiu, il pi-ota-
metto cajw il pellt-^rinofTg'o Ji l'iurio
nella I rodatìono frunceso e nollo af-
flnl: per questa iufatti, Bagdad, tm-
muUtta bizzari'amento in porlu di mu-
re, non Alcssundria, é la città n cui
siHU'ca il (fiovincttu, mi Enfrale ba
nomo il fiume, che coito per entro
il vei-ziere dell' ammiraglio (1).
Cosi poi nell' una che ueLl' lUtrn Ba>
bilonia, la torre, in cui Eia chiusa 1' e-
roìna del racconto, si leva tnirabil-
{TOnÌBtB (Anf, PoéL delaFr^ V., tv. 2315
s^.), parrebbe posU in Aua, 8e sorge al
<li Ih del Mar Rosso rìspettu alla Fran-
cia, e se, vìaggiaoilo alla volta dt can.
l'eroe tocca pi-ima GemMlonunp. Ancbe
nei racconti rraoceii en Alessandra, Ba-
bilonia è seggetta ad un amirat IP, !■••
yer, Al^-x. (e Gr. !. SI; II. 189-91).
(1) Herw^. p. 47. Par il nome del
fìunio vedi I jiocma Ir. v. 1749; FlMft,
V. 4444. Noi II poema fr., di lla^dad non
i
3!>7
mOHir U'Ilil I' lufU', al O gL'lcisailUTllc
(juiuclala, lindo ci-esce a milto duinii
IK>r Fioi'ìo Ift difflcolU di riavere l'a-
mica sua. Questo il dato camuuo che
i diversi rimaneggiatorì hanno svolto
variamente secondo le posse della lur
fantasìa. Porciù, accanto alla descri-
siione iussurc^igiaut(> che della città e
della torre offrono i poemi migliori , il
1 francese e 1" alt^tedesco, corro via
povera e sciatta quella che traccia
frettolosamente il nostro cantastorie,
che della sua miserin ha però fidi
cympa;fni i! jioeta greco ed il ruraaii-
ziero spa^uulo (1). Ben altra ala ha
r infi'efpio del Boccaccio, ma anche la
sua descrìziono è men colorita e ricca
elle cjuella dei due poeti stranieri,
dalla quale inoltro, cìit che pii'i im-
porta a noi, si mostra indipendente.
(1) f fr., TV. 1571 agg.i Fleok, w. 4170
Hgg.; poema ingl., vv. 611 egg.; Her»9.
ib. Caiit., St. 104-106; poema gr., w. I2>tì
igg.; rorn. ap,. f. 21 r. e v.
poiché ancho in questo punto uic!Kt*>-r
Giovanni dovettu avere imuuixi ttna
fonte slmili) alia nostra rima (1). Cor-
rono di fhtto tra 1" una o l* altra ver-
sione concordanzo particolai'i : il giai^
dino fiorisce al Borumo della torre (3);
la prava della virpnita suoi lArsi ìm,
mattina; il modo di essn 6 il mcdo-
8Ìmo ne' due raci'unti (3); le donzello
(1) FU. ir. 138-42.
(2) Cant-, St. 105:
E disopra la torre Ji nno gianlino;
/■■|7, ; < Neil» Boromiti dì q«esU Kure i
uno dilettevole giai-dino > (140). Cfr.
(uvece I fi-., 1721 sgg.
(3) Net giardino a uda fontana; m
quMta à leva un albero, perenneni6at«
venie a fiorito:
qual dona vi posase dal tnatjno,
*opi'a li rade ud fior se l' t puli;eUs,
e s' alla foao da uomo adopiiitn.
quell'aqua ì a man tenente è intorbidata.
PiLi « .... qualora l' ammiraglio rool far
prova della verginità d'idcuua giovwM,
■jii'i'liiiiso Simo O'iito (1); upii twtln
r'C);Lin intorno il cnstelto grosso stuoli)
d' armati. Tuttavìa la fonlfl usata [nir
I
egli Dell'ora che le guance dell' aaror»
oomìnciano a divenir vermìglie. pi*eiiile
la eio^'ane, In quale vmil veJt're se è pul-
cella o ni), e menata sotto questo atbei-u,
e quivi per piccolo spazio dimorando, so
questa lì pukella le cada un flore aopi'a
la testa, e l'acqua e più chiara e più
bella esce de' suoi canali, ma ?e questa
forse congiugnimentu d' uomo ha cono-
sciuto, l'acqua ai turba e il fiore non
ca.]e »(U1). Neil fr.,vv. 181 1-3-1, quella
che mostra la virginità è Is prova sola del-
l'acqua: la caduta del fioi*e serve a indi-
rare, tra le donzelTe appare vergini, quale
debba essere eletta sposa dell' ammiraglio.
Vedi anche Flcck, vv. -I4<'>8 sgg,; poema
ingl. vv. 711 Bgg.; HerKog. p. 47.
(1) Questo numero, com'è natui-alc.
L nello redazioni diverse: jeplci'nf sa-
no le fanciulle nel I fr., 1(173; 70 nel
Fluk, 4181-8(1; 44 uel poema ingl., CióO-
60. Tanto più dunque notevole è qui IV-
cordo del Cant. e del l'M.
MU rfmt m
altra imt Tdnidw i
Mft UHla 00» ni tfm BMbÉ» afe»
il amtagK, fo* fMola ^ ■wiiiwi,
non iain M >HwaiK, b ^miém
(I) U MUK Jdbl Bm MM ttHM
4MM> la AammOr: I fr^ lAO-H, UWIr^ifc
fa. tt. Ì3k. U «MUM. * ■>! wn» *«
«Ìw«m: I fr. 1781 : /a. Q. Ma
O) Ad po«n sr- per* i
•Db pnw d^'aotn*: n
ram- «^ L «, ci pwif« (sJììIb fMw
uHw twga» alterata ebu md CasL •
••I FU.: < S alaùnl 6m «pa nfc
nMMM ha iIormIm ^«« Btt b tOR*
«taa atJM m Sor et iMnete «dHr <m
I» (b«iU«: 7 w|N<11a ^m •• <nt|n d »-
Ifm mU cUfft: rt niw I» <■ d ag** lal»
tnrfìa ; b«nwj« tana mbj;t« ». AmJm
imI fleck. *. *tìS, r x^m* difÌMB par>
MlnacnU hmm.
V anuuu'aglio aduna le cento donzelle,
perchè eran parte del tributo, che
ogni ilioci aniii doveva pagare al suo
signora, il re di Baliiloitin (1); in
quello, poiché non v'è fatto dipm-
dore dall'altrui dizione, egli lo rac-
coglie i) custodisco per sé, come nella
comune i>edaziaue della favola. Dalla
quale però il cantastorie si stacca nol-
r accennare alla sorto delle fanciulle.
Egli dico che l' ammiraglio si sollaz-
zava con eese, ed ogni netto ne to-
neva una in braccio, e poi la mari-
tava riccamente (2): mentre le altro
versioni lo papprosentano come assai
meno umano, facendogli eleggere di
tra quello ogni anno la sua sposa, che
poi ordinava fosae uccisa, perchè niun
altro avesse una donna, che gìk fosso
stata sua (3).
(1) FU., II, 137,
(2) St. 78.
P) Hern>9. p. 47. I poema fi', w. 1707-
U; Flook. vv. 4488 agtr.; poema in?!.,
vv. 070-83,
inmlat* Uanettaenia. Che i
ima ft Piano ftrpwantmek
■[tlenitids iirigioiie, en
tiuiM Kw onrcala mu tonta i
Qtwllii iwl& cho Itarìo gji i
«loT«'va procararo di in^miàiminn H 1
crudele o suporbo «ut^iUno rfclla torm ,
ma prìtaa era necessario sfidare ì! pe- 1
rÌPX>lo (li ctuK!re iol-wo a mono da Ini |
neir apltroMarni all' edificio (1).
Tntto avviene secondo l' accorUffiiiDo
Dariu uviiva {Giurato, poiché I^orio no
■ofTuc in ogni porle il consiglio. NoUa
divunui redazioni egli non pone troppo
Usm]>o in mozzo a metterlo ad effetto;
anzi nel cantare, come noi poema greco
«I nel romando «pugnuolo, monta tosto
a cavallo, e s' nft'rctta senz'altro vei-so
In t«rm (2). Non 6 cosi nel Fiìocolo,
~{l) Herwgr'. p. -18. FU., Il, Mì-M-
Uant., SI. IOfl-7; pooms gr.. tv. 1350-61;
rem. «p.. t. 21 v.
(■-') Noi 1 [HHiroa fi-.. T*. 193! ees„ Fio-
l'io HttoD'le Milo il iduIUdo n|i|>resso. Cosi
<
ove luugametite egli stji sospeso fra
(losidprio o tiraoTO, e non g\ì attenuu
quest' intimo contrasto se non il ri-
torno della dolce stafriuue, elio lia la
virtù di raccendopo il foco amoroso (1),
neck, VT. 491fl sgg. Vedi Cani, St. 108;
poemn gr.; yv. 13'ì3-79; l'ora, sp , t. 21 v.
Nel poema gì'. Fiorio volge il discorso
BJ suoi corapagai: « ascolta queste cose
Fiorio , i suoi chiajna , i suoi signoi'i
raduna, sedettero a cousiglìo >. Ci6 non
ha riflcontr'o ne! cantare , ma le parole
cheli giovinetto nvolge a' signori, aun
poi le stosse della St. 108 del Cnnt.
(I) Fi!., II. 144-49. Qui è quel solilo-
quio di Fiorio, che somiglia all' in tersa
disputa tra Saggezza e Amore adombrata
nel I poeni. fr., \v. 1382 sgg., e nel Fleok,
YV. 3750 sgg. Vedi Zninbliil, op. cit., p
19 n. Lo Zamblnl stesso avverte pei-ò
qualche dissoniigUuiza tra il luogo ile'
due poeti e l' altro del Bocc. S' agi^iungn
che il contrasto non b' iosei'l da questo
e da quelli proprio nello stosso punto del
racconto; e si noti ancora che simili ten-
Atm.lHM; Jtt. J»lKBh.3Sn;rat.-.•
v«tolliMrvi^M»to•^kn
. U> nel Cut rÙA a
iloglisi uhi:! t'oroco, the t'I' "l'i stuM
dipinto; ma poi sì racqueta. I tosti
francesi o germanici altri bui a co ne
V ammansarsi del crudolo un pu' a
pietii che gU desta I' aspetto del-
l' adolescente bello e gonfilo , un
po' a certo suo calcolo (l). Dario a-
Tera suggerito a Florio di a])prc8sarsi
alla torre misurandola a guisa d'ar-
chitetto, e di rispondere, ove il ca-
stellano Io avesse infflrpellato, ch'ora
sua idtenziune erigerne una eguale
ad suo paese: a udir ciò, ijuc;:!! lo
per lubito partito preso ila Fiui'iu di se-
guir tosto il conaiglio di Durio; nel P'ìl.
invece, quasi sonxa eh' oì lo vo(;Ua. Cn-
valcando non lungi cluUa torre, egli gr-orgu
ad una finestra una Sigurn di giovino
donna: iniagina che sia Bianciftora, u
Henna poter più contenni'sì, ahbundona lu
redini al cavallo, che lo trasporta fin
gotto a quella.
(I) I fr., vv. 1B35 sgg,; Il fr., 25C7
«g.; Fleck, 4930 sgg. Cfr. ìlenog. p.
51.
dì csUmndo, e €nia pacar neo*-
gli aeaoeU, pw aOeggcfitsli a proprio
natMfgio h bona. Coà ^^nto a»
'eads: Ù rwtHlaan * in
Thor Florio al ^oeo (1). Ke' i
Bottri, Dario am diràa u I
lUU: egli STTcrts Ab H <
« aTorÌMimo, ed ha ifr^tatA p
per il (doco de^t scacchi ; die qaiadì
pobvbbe t<niure molto gtorerate a
Florio proSitani« per renirpll in gra-
zia, e aver modo di gnadagnanene
l'niatu, gaziaoilo la ingorda lirama
d'oro, che lo strD{:^«va; ma non ad-
dita la maDiers di adescarlo a prò-
liorre il giocu (2). Tuttavia rimane
qualche trorcia della versione pia as-
ticB nel cantare e nel poema freeo.
Nemmeno qui Fiorio si reca s mìsn-
(I) Benor, pp. 18. 51.
(3) CaoL, Sl 106-7; peonia gr., rr.
1350-01; Fil.. 11. U3: rom. sp. f 21 ».
rw<? la torro a modo d' infognerò :
iwro, interrogato ilal castellano, ri-
Bpondo:
. . . . i' sono d'oltre 'I msre,
che veni pei' veiler questo castello,
che in verità un alti'o ne vo' far fare
a questa ramìglianza o cosi bello (I).
Se non che a' nostri pìfacltorì è giunta
una tradizione imperfetta. Perciò alla
lor mente non ò chiaro che il mo-
strarsi ricco, fingendo di voler ediS-
care una torre simile a quella me-
ravigliosa, che k'ì serpeva avanti gli
occhi, dovesse bastare a Florio jjer
essere risparmiato dull' avidissimo ca-
stellano. Anzi nel romanzo del Itoc-
caocio, Florio si dice: « un povero
valletto d' oltramare » {'2). Essi per-
tanto hau biso^rno di attribuire la sal-
vezza di lui a quella sua fortunata
(t) St, 110, Cfi-. poonw gi\ vv. 1307-
1407.
ii) II.. 151-
t
L'ftceordo tru lo versioni moridio-
nali contìnun strottìssimo pur noli»
acena del gioco: FioHo lascia vinc«ro
lo ricche poste al coatelluno, o gli
prodiga bisanti anche se é penlente,
tanto che quegli lo invita a desinar
soco il di successivo, nel quale il j^Ìo-
vinetto così sa farlo buo da potergli
aprire il proprio animo, manifestargli
il desiilerio di vodere Biancilìore, e
pregarlo di porgergli aiuto nella ci-
mentosa impresa (1).
Nel poema gr. la seconda mgiotie, il ri-
chiamo tisi falno. non ai accaiinii; invece
nel Pom. sp., f. SI v., à U aula cIiq Fiorio
adduca.
(1) Cant., St. 111-118; poema gr.. vv.
1425-1533; FU.. Il-, 15S-61; rora. ap., f.
22 r. a V. Per la differenxa tra questi e
i ra(!conti rranceai e ^rmanici vedi Her»
ngf pp. 51, 63. Qualche lieve disaumi-
[{lianM è pur tra la nostro versioni: nel
rom. s|). , ad ea. , 6 non al secondo, ma
Il lìono, che Unisce per empirò di
meraviglia e dì cumoioziono ìl caste-
llino, in muDÌera <la fare cli'c^lì si
protesti prontissimo ad ogni servigio
che Fiorìo esiga in ricambio, è qaello
della coppa, comune a tutte le reda-
fil terao giorno che Florio osa conAdani
col casti^Uano. Nel poema gì-., Florio iu-
dace il ceatallano a giurare di serrirlo
ia ciò che gli chieJa (vv. 1489-95). Par-
rebbe che qui ci fosse aperta s^gno d' in-
(lipendenaa, oltre ehe dal Filoeolo (Her*
EOeT; p- 53), anche dal cantare, nel quale,
secondo il testo da noi costituito, di giu-
ramento del castellano non si parla. Vedi
però nella note alla St. 1 19, come la va-
riante del V. 4., giurare pur ffìucart,
spieghi r apparente discordanza. Ci aona
infatli redtuiioni del cantare, nelle quali
ai riflette la più comune versione, che il
castellano, vinto dagli splendidi presenU
di Florio, gli si aia giurato uomo ligio,
prestandogli omaggio (Herxogf p- 51 ; 1
fr., 1985 s^^r., e cosi le rcdni^. affini).
zioni (1). Socondo Irt versiono fonda-
raentale. In coppa d quella stessa eho
i mercanti avoaa datu al l'è compo-
raniìo Biancicore, e quegli aveva poi
ceduta al figliuolo nel partirsi di co-
stui per r inchiesta amorosa. < For^o,
avoa detto il ro, otterrai poi- essa co-
lei che fu per essa vemìuta > (2):
ciù che realraentfi avviene. Ora, meif-
tre nel cantare, nel poema ^Teco, nel
romanzo spagnuolo non si accenna che
la coppa sia quella medesima, il Fi-
ìocoìo riproduce perfettamente la ver-
sione migliore e fun<laineiitnLe ('j).
Questo fatto tanto meglio ci assicura
che il Boccaccio ha rimanet'j;;iata una
(1) Henogr, pp. 51. 53.
(2) [ fr., vv. 960-61.
(3) Cani, St. 115; poema gr., vv. U74-
76; rom. sp. f. 22 v. Vedi FU., II., 156:
«... la bellissima coppa e grande d'oro,
la (]UaIe eoa g'ii altri tesoli Folice re ri-
(covette per premio della giovane Bianco,
fiore dugli uueonici mercatanti . . ■ t.
fniìtadiae, od aacfae pegipo, wcamlu
voffliuno Le redaxioitj fnateà e e«r-
nuuitche, il poro prestato dì sopirlo
rumo nio uomo: ilovera c^ donquo
(I) Col. per M^ nel Fil, che nelle «1-
ti-a venloni morì dio Bali , la coppa, che
Kiurio prosenU al cttstellaiiu. è colina di
lilwinti o d'nltru moneta. Cnnt.;
'na l>el1a ropn li puose ilaTanti,
eh» luta ora piena il' oi-o e bisaiiti;
tSl.,: « .... e quella pìona ili bisantì
d'uro . . . >; poema gr.:
Irtav o'pftuìv 6}.ri_pwr([v. fiiidTtfi -ri SsuxdTTv
i-orn. sp.: • *Dn niuv rifa co|»i ile oro
llcua itv rulibis uilieiiM . . >.
4i;i
slVirZfirsi <i'ì tcoviiru in qiml iiui'ln
potesse rendergli accresiljìli lu socreto
stanze, ovo BJancìfiure tanto gelosa-
mente era custodita (1). Tutte le
redazioni ci offrono <\m lo stesso dato;
Fiopio può raggiunpeve In donzella,
cBseDtlo nascosto, per arte del castol-
lono, in un corbello di fiorì. Ma questo
dato comune svolgono i racconti me-
ridionali in forma affatto ìdv propria.
£ la poRqua rosata, giorno della
festa de' cavalieri (2);
(1) Uerzoff, p. 51. Cant., St. 110;
poema gr., tv. 1534-48; FU. il. 161;
rom. 8f.. f. 22 i,
(3) Vedi sopra p. 187, n. 2. Cant..
Si. 120:
Domenica si è pasqua rosata,
che aerò, festa per li cavalieri.
Poema gr., vv. ltCO-01 :
»' T)" 0T£CÌXt] T(uv xaptaXlapttiJv •
FiL, II, 1C2: « .... di qui a pochi
giorni in queslu purti ccluljra una fusta
Ili
confinino l'uso, fa porre innanzi l'am-
miraglio cestii coline di rose: <[um;Iì
soleva stenderci le mani, pigliarne ria
ciascuna, e poi presentare le ceste
alle donzello, facendole collare alle
(inestre delia torre {!). Fiorio funa-
graadissima, 1& qaile noi chiamiamo de'
cavalieri . . . . > Rom. sp. f. S3 r : < al
domingo es din de pascun llorìda : y en
eata tierra todos los cauaUeros et d&inas
iiquel din aalea muj ataniados .... »
Su pasqua rosata e paseua florida cfi*.
■opra pp. 185, 196.
(!) Cant,, ib. :
prìmiem mente è mestìero che vada
a l' amiroglio le rose e panieri,
e dì ciascuna prende una giumella;
poi U presenta a ciaacuma dongela.
Poema gr., vv. 1568-73:
Ti dive»] fàp j-Jvfli^o'J^tv, p«V5'JV Ta '<i -zd xofivvt
Tov ajujpav toì (p^pvo-jsiv xai'^avouv tix op,ftpdq Toa
X ex TÓv xa^Év xo9fwioy xt sx tà xaC èwa pdiJc*
ojraiov xpEt«^T^ d aprtipa? va nofpti Stai ipiXfav,
5<«i o'X', i'ja '7rop,EÌv3u5iv vai resp-i^i) tsì; f^vM».
XTtTiXiJtràv TfÌ4 >!i6ip,ti^, oi? npénn xai olpit^Gt
41S
si:iH!|o nel iiunioi-e [lìù bollo , che
r ani miniai io comandò fosse offeq'to
alla prediletta delle fanciullo, a Bian-
cifiure. Con tanto desiderio egli caccii!)
la mano per mezzo que' fiori, cho
tirò puro i capelli del giovinetto che
tÌ stava appiattato, tremando,
come la grua ìstà sotto il falcone.
Per sua ventura di nulla s'accorso
r ammiraglio, cosi che la cesta i'u col-
lata su alla toiTO (1). Ancho pei-
I qaesto pralo
I
FU.. II, 162 : «
davanti la torre .
nato e vestito di rnali dra{ipi con gi'an-
dissima compagnia viene, e di ciascuna
ceata prende rose con mano a suo piacere,
e coel com' egli comanda cosi poi si col-
lane sopra la torre . . . . >
(1) Cani, St. 122-23; poema gr. w.
1587-99; FU., Il, 166. Cant.:
. . . come la graa, istà sotto il falcone,
si stava Florio queto e dubitoso ;
apreseatato fue a l' amiraglio ;
or ben si mise Fiorì it gran travaglio.
4)HBto iMUtieofare ik-U'(«Mr la oau
coBala, e MB portata a qMdle tfwo^
umn dalle altre (1).
E ]' ^miraglio pme in veribula
<klle rosa a de' fior, eh' erui DorelU.
e •! ne prese per tal Tolontade,
che a Fìorìo Uro di anoi capelli,
« io non Torei per aoa gran «tade
eaerti istato li dove fu elli . . .
FU.: < Sadoe torto quella (cesta). iIoto
Filocolo timido, come U gru «otto ÌI Ed-
cone, o Li coloraba eotto il rapace apar-
viera, dimorsTa gli porta da*aiiti ....
.... Mise allora 1' ammiraglio le mani
ia quella, e pensaodo a Bisucofiore a cui
mandar l:i doveva, tanto aflettuo«aiaent«
di quelle prese, eh' e' Mondi capelli seco
tii-ò. ma noQ gli vide. Quale allora lu
paura di Filocolo foue io noi crederei sa-
pai-fl né potrei dire; p«rò chi ha punta
il' ingegno il pensi. Egli fu qua» che
passetto agi' immortali aocoli . . . . >
(l)Cnnl..SLl21;poemagr.Tv. 1615-10;
FU.. Il, 166; rom. «p., (. 23 », Poi- queaUi
417
Fiorio dunque aaie, sale tirato su
alla toire: ormai è presso all'amica
sua; impadente, spoii^o il capo dalle
rose credendo che fosso Bianciflore la
donzella chiamata a collare la costa.
Era invece un'altra, che all'apparire
inatteso dì quel capo umano, mise per
paura un acuto grido : accorsero lo
compagne; ma quella, supplicata da
Florio, per subita intuizione immagi-
nando eh' ei fosse l' amante di Bian-
cifiorc, di cui essa era ancella e con-
Sdente, 1* aveva gìA rapidissimamente
ricoperto di fiori ; onde allo accorse,
con pietosa menzogna, risposo che
quel grido le aveva strappato un uc-
ed altre discordanze delle uosti-e verdoni
dalla francesi e germaniche, cfr. Herzo?,
pp. 51-5S, 56. Anche in una nota romani:»
neerl&ndese, Voti Floris *ti Blanchefieiir,
Fiorio à, coma nei nostri racconti, tirato
su (lolla finoatra : cfr. Da Hérll , p.
slv. n. 2; OlSpar;, /' poetna di F. n t!..
pp. 2-3.
Cellino, che, fngg^onda repente dal
cesto, le avea dato nel petto (1).
(1) CuiL St 124-26: poema gr., TT.
1617-41 ; FU., H^ I66-fl7. Dai nostri
racconti parrebbe che Floris eporgone
il capo nel salire, qnand' era ancora a
mezi'arìa (cfr. aache [nii «opra p. 66):
ciò inatti rappreeeotA, come vedremo, la
vignetta, di coi è fregiata parte delle
stampe del cantare.
E Fiorio nella ciesta fae colato
aa a la torre da ana finestra.
Colorìeo istava aparechiata,
0 per tor quelle rose fne richesta ;
a Fiorio n pensò che fosse nn' altra:
bUIì mostrò lo viso colla tasta :
e quando vide si bella craatara,
quella dongella n'ebe gran panra.
Poema gr.: < . . . . ana donzella ....
pronta stava a tirar bq le roso «
Floiio era dentro il corbello; lo hanno
tirato su le ancelle della finestra: parvo
dunque a Florio che fosse Blania£ora ;
solleva la sua Usta, ai mostrò la sna
bccU Lo vede, e si meisviglìA
Chi era costei ? U nomo che lo at-
tribuiscono le redazioni francesi e ger-
r ancella dalla finestra, strillò dal cuore,
grid» come poterà .... » FU.: «...
Filocalo quasi atordilo della paura non
intese chi chiamata sì fotse, ma ferma-
mente si credette da Biancofiore essere
ricevuto: perchò egli già aGlorizIa vicino,
desideroso di veder Biancofiore, si scopei-se
il viso: la qiiiU cosa, quando Glorila il
vide, non riconoscendolo, aubito gitUi un
grandiaBimo strido . . . . > Net rom. sp.,
f. 23 V., invece Gloriata ha già « aca-
bado de subir el cueuano > : ponendo
le mani tra i fiori toccA la testa del
giovinetto (come nelle altre versioni me-
ridionali vedemmo cb' è accaduto all' am-
mirajflio), e per questori sbigottì, e gettò
un grido. Anch'essa finge alle compagna
accorse di essersi impaurita perchè « nn
raysenor .... aalio et diome ea loe
pechOB .... » (CsJit: ■ no ucelletto
che mi die nel petto •). Ben più gn»-
noaamente e naturalmente nelle redazioni
francesi e germaniche, t portatori, per
errore, ami che io quella dì Btancifìore,
420
munictic, e ciucilo di Claris (1). Nutl.i
eopia magliitbMhiuna del nostro can-
tare è detta Coh'i'so, formn che ci
riconduce a Cloriso, Cloris (2). In
depongono il corbello nella stanza dì
un'altra donzella, di Ctarìa Costai e'ap-
preua, tutti allegra, a' bei fiori: ÌI no-
stro eroe imagioa che aia la sua amica,
balza desioso del cesto: Hrpresa, spavento,
grido di Claria. Alla compagne accorae
essa dice che volò da' fiori non nn uc-
celletto, ma una farfalla (1 fr.. vf. 20fi3
Bgg.; n fr., VT. 2766 sgg. ; poema ingl..
V». 8Sr 8gg. ; Hflrxog, p. &2). Nel FlMk,
vv. ?&ìì agg., la bndulla a sbigottifm,
ma non grida (nibt Idte ei-Bchré, 5633),
per la pronte»» del fine Bccorgimanu,
indovinando subitamente che il giovinetto
comparaole d'improvviso fosse l' antico
della eua Bìancifiore ( SnndnuGhcr, op.
cit, pp. 31-33).
(1) Heraos, p 5S.
(3) Vedi nostri Due Studi cìt, p, 19,
n. 1. Coioriso da Cloriso, per l'incomo-
'liljt alla pronuncia toscana del nesso e/.
due altri innnospritfi (il Parip. 1095,
0 r aaliburnham.-laur.) abbiamo Glo-
ritia e GroUcia ; in buon numero
di stampo Gloria ; nel romanzo boc-
caccesco Gloritia, Glorisia : nel ro-
manzo apa^nuolo Glorisia. Da questo
forme si risale a Gloris, che real-
mente s' incontra in ano dei mano-
scritti del I poema firancese (1). S<*
che ai tolse con una frequentisània inser-
zione eufonica: ciò che tanto meglio ri
prova come doìesse esaere già popolare
la noetra novella quandu fu copiata noi
co<). inglb. Clorieo pai da Claris, come
Parino da Puri* ( Calx , Orig. Lintjtta
poel. il., p. 194), senza riguardo al geo
nere diverso.
(I) È il ma. già fatto conoscere dal
Bekker f rontra^isegnato con A dal Dn
Mèrli. Cfr Semmer, op, eit, pp, XXl,
•AZi, a. al v. 5630; Dn Mèrli» pp. Ixviij
(correggi lixviij), 87, n. 1. Ciaecnno in-
tende che la foi'ma Glorttia, Qlorista,
n cui evidentemente si riconduce pure
Grolicia, è la riduzione n desnenza ita:-
1
il cantare fosso stato estratto dal Fi-
hcolo non s'avrebbe in esso ciio l'n-
liana o spagnnoU dì Otoris, come sa-
rebbe Clarissa da Claris. A Gloria m é
certo venuti per Glori(s), che ai ai»
pronunciato non più oaàbiiueaiDiMil«,
alla francese, ma Glori, cui ra a^^nnae,
a ni»do italiano, la desinenza -a. Cfr. CalXy
op. Q I. e. Nel poema gr. il noma
della donzella è diverso: IHjreyrp, (w.
1617, 1631, ie35), da leggere Bfchfl.
U GUel, op. lit., p. 247, n. l, arri-
srhierebbe la congettura che s" avinu
qni il rìHeGso di un nome francoae :
CéciU; ma il nesso |in rlaponde a b,
non a e (cfr. anche Htaskneehtj op.
dt., p. 47. n. 5 ), Forse il poetA greco
ebb« innanzi uno dei tMti del cantare,
in cai il QOiae deli' ancella è omasao.
QneaU) vediamo, per es., nel ms. parìg.
1069 (cfr. note alla St. 124), che an-
che altrove ci ha oflerto qualche speciale
rapporto col poema gr. Si potrebbe quindi
supporre che il poeta Bvease introdotto
da ìA il nome lUne^^iiX, che non corrì-
«ponde a Clarix, Ctoris, Glort's, Colarìaa
-123
nica riduzione Qlorìtia; non lo altro
ilue, Q}loriso e Gloria, Anche da
questa osserv aziono dunque risulta
chiarissima l' indipendenza della rima
dal testo del Boccaccio. Dal quale essa
discorda più nettamento ancora ne!
far comparire la sua Coloriso solo
all' ultimo del racconto, in perfetta
rispondenza alle redazioni francesi o
germaniche, come pui'o alla greca ed
alla spagnuola; mentre Glorizia del
Filocolo è giiì una vecchia nostra
conoscenza. S' è infatti veduto eh' ella
era l' ancella preililetta di Topazia,
dalle cui braccia, poco prima che
questa morisse, aveva raccolta la neo-
nata BianciUore , che poi era stata da
lei amata e vigilata con cuore materno.
Per comando di re Felice, allorchÈ
i mercanti l' avean tratta seco, ella
aveva seguita la fanciulla, dalla quale
ecc. ecc., poiché sappiamo eh' ei qou
reetrìnse a riprodurre nudamente la a
fonte, ma lu rimaneggiò e amplificò.
425
molto simile alla rima, e 1' ha rifog-
giato a modo suo, procurando di ac-
costarlo, quanto potesse, al tipo claE-
gico della anus, della nutrice, cha
i poeti anticlii rappresentano custode,
consigliera , confidente dello donne
giovani (I).
Né cessa qui l' indipendenza del
cantaro dal Filocolo, ma continua ad
apparire manifestissima nella parte
rimanente del racconto. Cosi vcdiam
tosto che in tutte le Tereioni Claria
b' affretta ad annunciai-e a Biancicore
che l'amico suo è penetrato nel ca-
stello, cha è poco lungi da lei : Bian-
cicore dapprima è incredula, e imma-
gina che Claris voglia gabbarla; ma
lH>i sì lascia condur nella stanza, ove
Florio la attendeva trepidante r al ve-
(1) Dal raslo, tipi simili, la ontiico ,
la maitresse duùgne, b' incontrano pui-e
nella poesia romanzesca medisTule: pec'
w., Hiat. titt. de la Fr., XXH. 7B8, 784 ;
Bart§eh, Chrest. fr.*, 165, 35 sg^g.
[
m
doi-si, i due amanti si precipitano l'nno
nelle braccia dell' altra. La rima, comò
il poema greco ed il romanzo epa-
gnuolo. gì conforma alla redazione
comune (1); il Filocolo so ne stacca
atfatto. La Glorizia del Boccaccio pre-
para altrimenti l' incontro de' due
Rovani : essa procura alla fanciulla
la sorpresa dì troTarsi nella nott« il
ano Florio sognato tra le braccia (2).
In cambio pertanto della scena, che
ci offrono le altre redazioni, uè ab-
biamo una tutta propria del Boccaccio,
assai probabilmente introdotta allo
scopo di rammentare a Fiammetta il
notturno ardimento, per cui mosser
Giovanni aveva potuto conquistarsi i
lavori della bellissima donna; abbiamo,
a dire altrimenti, una scena, che in altri
luoghi del nostro autoro troviamo nn-
1
(1) mrtog, p. m. CaQt.,St. 126-128;
poema gr.. v». 1612-85; lom. *p . ff. 23
V. 24 r.
(2) FU., II,. 107-85.
Cora aecennuta o descritta, ocì ha l'orsu
valore di documento autobiografico (1),
(1) Nel Filocoìo stesso {epÌBodio d' IJa-
lagoi), tteiW A.meto, neWAmorosa Visione,
□ella Fiaminella. Cfr. nostro Contì'ibuto,
pp. 80-82, 131 u, 2, 140 n. 1. Vedi tuttavia
una scena simile nel Lancelot du Lae. (P.
P*rl«, Les liom. de la T. fi., IV' 32). —
Seguita però ad easorcì qualche notevole
incontro fra il Cant. e il Filoeoto. lìianci-
flore dice in queat' ultimo, pp. 169-70, che
quel giorno medesimo, in cui Florio era
penetrato nella torre, essa e il suo amiro
eran nati. Cosi nel Cant. l' incontro toro
avviene quel di stesso dì PaaijDa rosata, nel
quale s'è giù veduto eh' eran venuti al
mondo. Rem. sp., f. 23 v. :*.... tal dia
corno este oaBcinios lus dos .... * — Si
noti, d'altra parte, che pur qui il FU. offi-e
un particolare, che concorre a persuaderci
piìt sempre che il Bocc, abbia conosciuta
una fonte piii ampia della rima. Nel 1
poema fr., tv. 2037-40, per conaiglio del
cascellaDo, Florio, dovendo uaacon 1)01*91
nel corbello di rose, 9Ì veste dì rosso:
tn Fiotw « la iaagéU BiasofioM
Ooaè, an la l«»nU solita, Q can-
tastorie: aà pi& dtfftasUDente Ìl poeta
greco, qnaai sempre suo fido seguace,
e il ntoMBÓare spagnnolo (1). Mag-
gior pieiwas ha qui pare la narra-
rne boccaccesca, al pari che quella
del I troTOTo francese e del Flock,
Cosi Del FU. n, ni, 183, rosata d. quel
giorno, la Teste sua.
(I) Poema gf. (tv. 1680-85):
rdt pdSoi rd euYsvtx^, Tei SpoaopMptajUvx
Ei^ Èv xXiu^iv é|j.vruaTOv, ^utòv, J^otYpaftopevov,
n/xpaSia^^aw, xiR'povTat. cipixTonepiiUi^iJiciuouv,
(òaitep xtffuti^ Eli; xd SevBptìv. otlt*)? irEpiEiriacx'nxi
Y'-uxo^iXouw 'evìlSowa, xt e^XXiìXoi? «cr/oXouvToii ■
e'xìi ycip TTÌv e'Yv(i)piff£v d *Xtupioq Tiìv xdptv,
xai |iBTsi Tto'flou Tou «oXio'j EitXiipuKjaw tÌu £pta.
Rolli, sp., r. 24 r.
420
ma giova notare che il Boccaccio nu»
imita questo rodazioni (I). Q Flock.,
distinguendo nettamente l'amore ca-
valleresco dall' amore volgare , dietro
i concetti del tempo suo, avrerttìche
Fiorìo e Bianciflore tntto seppero le
dolcezze amorose, tranne quel gioco,
che solo piace al villano, il quale por
nuli* altro ama la sua donna che por
giacerai con lei (2). Noi Filocoìo in-
(1) I poema fr.. tt. 2195 Bg«.;FlHk,
rv. 6091 Kgg.x FU., U, 161-82. U doc
versioni ctraniere non differiscono dal
FU. e dalle altre redaz. marìdionali «ol-
taalo nella «Oflanza, ma pur n«Ua forma
del racoonto. chi in cae Intlo quaslo e-
piaodio, in eoi Fiorìo penetra dentro la
torre, è di ona leggiadrìa iquiaita (Zb»>
U>Ì, p. 53).
(i) Vv. 6090-103. Vedi anche piìi
•Tanti TV. 7836-40. Anche wA 1 [MMua
fr.. TT. ÌS37-38:
Flwei lì biava H. Blanoedor
Etti n
Selì' altro poMBa tr.. a ■gnanto («re.
e ai tmufi» <*r. 2937-38).
430
vnpft si congiunse il fino amore al
modo stesso, che nelle altre Terrionì
meridionali ; se non che il Booo«oeio,
per snlvaro 1' on««tà degli eroi, fk cbn
prima celebrino il rito sponsalisio io-
nanzi un simulacro di Cupido, secondo
la forma usata noi medioevo, con T a-
neUo dato dallo sposo alla eposa (1^
La felicita de' riconginntì amanti
dura poco, che l' ammiraglio scopre i 1
loro secreto idillio.
Due a dae le donzelle erano scelte
dall' ammiraglio a scrrirto il mat-
tino, quand' egli si levava. Vien la
volta della coppia prȓiktta, Biand-
floi-o e Clai'ice. Costei più lesta della
(1} Fertile, St. del Dir. ital., IO. 853
mgg. Di quL'sta forma di eponaali a' incon-
trano frequenti esempi ne" racconti iJel
medioevo : per non diBcoetarsi dal Boc-
caccio, cfr, Dtcamtì-an, V 4 ; X 8. —
Nel reni, sp., BiancìAore non si conceda
a Fiori» se non dopo ch'agli ba gìurau)
di volerti far cristiano.
compagnH, che i
gione di non esser troppo ft-ettolosa ,
la avverte eh' è tempo di scendere
nella camera del aif^ore. « Va pure »,
le rispondo sonnacchiosa Biancitìore;
« tosto verrò anch' io »: ma invoco si
l'iaddonnenta, e non compai'isce in-
nanzi r ammiraglio. La huona Clai'ice
procura scusarla; « Signore, merco!
tutta notte lesse nel suo libro, pre-
gando che in gioia possiate vivere, sì
che a pena dormì : all' alha si ridesta.
— È ciò vero, Clarice? — Si, o Bi-
fferò; ò vero », fa olla — « Ben
(love amarraj colei che vuole io ahbla
lunga vita». Intenerito r ammiraglio,
s'acconcia a far sonm, pei' quel matti-
no, della adorata fanciulla, che fra
un mcso contava sposare; e concede
ai lasci dormire. Se non che il prc-
fflsto vale un giorno: ma l'altro?
L'indomani Clarice chiama dolcemente
r amica, cho risponde come il di in-
nanzi, mii come il di ìnoanzì rico-
minciano baci ed abbracci , e gli a-
433
isfanm; & aprirò la tineatra, il solo si
i versa entro, o illumina i due dorraenti,
I BbH}ttt insieme bocca n bocca, faccia
\ a faccia. Freme il re di gelosia: pa-
reva una fanciulla la persona giacente
con Biancifloi'e ; perciò è bisogno che
il camerlengo scopra ì petti di ambe-
»due, perché la verità aia paloso. Y*ro-
rompo r ira dell' ammiraglio: vorrebbe
tosto ucciderli entnunbi in un punto :
poi s' avvisa altrimenti : saprà chi sia
colui, ([uindi li ucciderà. Destansi i
giovani : ahimó, la spada ignuda [)endo
sul loro capo! Tutto inUiniloao, o ve-
dono che Bon por morire. * Chi sei
tuì » — grida l' ammiraglio — * per
tutti gli dei che adoro, oggi, vorgo-
Pgnoaamente, morrete ambedue >. Pian-
gono i miseri, a bì guardano pie-
tosamente , e Florio rispondo : « io
sou r amico suo, ella la mia amica :
r ho trovata alfine, dopo averla tanto
lungamente cercata ». Egli domanda
_ cho r ammiraglio non tosto li uccida,
I ma conceda che di loro eia fatto gin-
dizio iiL'lIa sDft corte, innuuù la sua
gentfi. L'aminira^lio li & legare, e bea
custodire ; indi li fa giudicare da' suoi
baroni , che li condannano al rogo.
Tale il racconto nelle redazioni mi-
gliori (1). Nel cantare, nel poema
greco, nel romanzo Bpagnaolo se no
ritrova conio una tradizione impop-
fetta, un'eco lontana. L'ammiraglio
fa chiamare a sé Biancicore; la fld«
ancella di coatti risponde che la ùia-
ctuUa A malata, o non puO levarsi di
letto. Dolente, il signore s'affretta a
ealire alla torre per vederla, e con-
fortarla: così g:li accade di 8orprend««
i due giovani, mentre dormivano nodi
e abbracciati. Trae la spada per notti-
derli; ma tosto pì ponte: perciò li ri-
copre e li lascia stare. Anche qui e?!:
(1) HerioR, pp
Jr. non s'accorda
58-59. Il II poenu
in tntlo nemman qui
oni affini: fedi Her*
I
4^
rivolge a' suoi bai-oni, dai <]i]nli i
duo amanti sono santonziati al fuoco (1).
II racconto del Boccaccio è diverso.
Ij' ammiraglio, pieno di melanconia,
80 ne viono alla torre per ti-ovsr
conforto nel dolco aspetto della bel-
lezza di Bianciflore : 60 non clic, salito
alla camera doUa fanciulla, da cui
poco prima Glorizìa era uscita, Bcrran-
dola di fuori, Bcopro i due giovani
(I) Cant, St. 129-132; i<oenm gr.,
*». 1686-1748; rom. ap,, f. 24 r. o v.
Il rom. Hp, non è eoa) simile al cant.
come il poema gr. L'ammiraglio, al ve-
dere i due giovani insieme, non trae la
epada; ma esco tosUi dalla cameriL poi-
sapere chi mai fosse (juet gallone, e come
fosse entralo colà. Gli dicono ch'era
un cavaliere spagnuolo, e che la madre
sua, dotta delle eette arti, aveva saputo
farlo enti-ar nella torre. L' ammiraglio
fu chiudere in carcere oscuro gli amanti,
e non pronunzia la condanna so non dopo
eh' à passata la pasqua. Di consiglio di
baroni nessun cenno.
rT^iH|
436
f^tacenti insieme. Susina la spiula, ma
Venere, p-xAaà iii mezzo, ri<»vtì il
colpo sopra di sé, e salva i suoi devoti.
L' ammiraglio quindi muta [leiisluni :
«38Cfl dalla camera suiiza dmtare gli
amanti; ma non raccoglie i baroni:
comanda piuttosto c^e sien te^U, e,
cosi nudi, calali dalla finoslra, iwr cui
Florio ora già aalìto, e sìen lonuti
sospesi a mezz' ai-ia, finchù noi sno
animo duri il dubbio a qual pena
debbano essere condannati. Si decide
alfine a giudicarli al rogo (1).
Qui pure è chiaro cho il Boccaccio
non ha attinto ai poemi francesi, o
L'he, d' alti-a parte, il esulare È indì-
liendento dal Filocolo, il quale perù
l'i riflette una fonte men lontana da
qtie^, che da quelli (S).
(1) m, II, 185-88.
(2) Ci stono tMti del c^nt., in cui si
dico come nel F>7.. che l'ammiroeliw fo'
ealare i due giovani in Urrà dal pataxìo
(note alla St 133).
Ecco i iiustrì amanti tratti al sup-
[iliziu. Piangono, non ciascnno per sé,
ma [ter dolore cUe 1* altro debba mo-
i-iro a co^on suo. Florio si rammenta
che r anello datogli dalla madre ha
la TÌrtù dì rendere innocui 1' acqua,
il ferro, il fuoco, e lo offre a Bianci-
fioro; ma la fanciulla non \'uole sai-
varo se per lasciar perire Fiorìo h-a
le fiaramo. Cumo potrebbe infatti un
solo anello camjiai'll tuttedue? I rau-
conli meridionali risolvono questa dif-
ficolta in modo ch'é affatto lor proprio.
Noi I testo francese a ìa quelli , che
più gli sì apprciisano, i nostri ornanti
riHulano a gara 1' anello , appunUi
perchè avrebbe procurato lo scampo
d'uno solo di essi: cosi non 1Ì sulva
alcuna virtù soprannaturale, ma la
stessa forza del loro amaro, che inilucu
i nemici olla pietà ed al perdono (1).
(1) Henoff, p. 59. e
(|UeBt* op. nel Giom. al. della leti, il., IV,
247. Il 11 poema fr. sì stacca intera-
^
Invece secondo la versioni nordlclie, l'a-
nollu può salvuro ambedue gli ninonti.
L' ammiraglio chiede a Fiopio so nella 1
turro gelusamonte gn&nlata, egli sia pe-
netrato per arti negro manticlle: Fiopio
nega, e racconta veracemente come ■
gli sia riuscito di raggiun^ro la sua
Biancicore, Confermano la Bua narra- ,
£ÌOQe la fanciulla stessa e il guardiano
della torre ; ma, non pago di ciò,
V eroe giovinetto s' oflVe ili provami i
la verità col mezzo del duelly. Vin-
cendo, avrebbe riguadagnata per sem-
pre r amica sua, o la libertà ; pu-
dendo, con Biaocìfiore e col guar-
diano sarebbe perito. Ecco dunque
die l'anello, salvando Fiorio, col pi-o-
curargU magicaraent^ vittoria, salva
indii-ettamente anello Bìancifioro (II.
mente a questo punto daUi> altre rernoni:
Henog, p. ^3. 0 mio ecritlo ciL , p. 247
(1) Herzo?, pp- 06-70; mio sci-itW cit..
[jp, 248-49,
.t3U
i nostre abbiamu pura
■ la scena, in cui vogliono i duo giovani
morire e sacrificarsi r uno per l'altro;
ma, dopo il contrasto pietosa, possono
profittare insieme dell'anello, abbrau-
ciandosi in guisa che ad ambo i corpi
se ne stenda la virtù benigna (1).
Il Filocolo però non va in tutto
d'accordo con le altre nostre redazioni,
poichù il Boccaccio non s' accontenta
do' mozzi otTertigli dalla leggenda por
lo scampo degli eroi : egli si giova di
esempi romanseschi, in cui dannati
ingiustamente al fuoco sono salvati
non per magiche virtù, né per com-
passione destata ne' condannatori, ma
per quei soliti meravigliosi cdIjiì di
spada, che i formidabili cavalieri dei
vecchi racconti sapevano menare (2).
(1) Cani, St 133-133; poema gr., v
1749-1803; FU., II,, 188-214; ram. si
e. 24 1.--25 r. Vedi cit. mio. scritto.
(2) Rajntt, Foni'* dell' Or/. Fur., [ip.
r
440
Qui pura sono raccolti iiisieuio i tre
elementi, da' iiuali usci il Filocolo : il
«iato della leggemia, l' imitazione clos-
adolesconli, secondo vuole la commiu
redazÌDDo moridionalo, prot^ggonei dal-
lo fiamme con l' anello, che eatcìule la
sna azione ad ambedue i loro cori'l
pari salvarsi dal fumo, che lì avvol-
ge. Cobi il Boccaccio lascia qualche po'
da fare a'prediletti suoi numi pagani, .
che, invocati, intervengono ad assiste-
re anche questa volta Fiorio e Bian-
cifiore. Venere li difende dui fumo;
Marte eccita alla loro liberaziono i
compagni di Fiorio, dio a colpi ili
spada, e più per 1' opera del dio, rie-
scono a salvare i due giovani (1).
Concorrono iiertanto a camparli ìe
virtù cospìrauli dell' anello, de' numi
e dolio armi. Qui dunque manca 1»
(1) FU., II., 100-211. Cfr. rit, mìo
scrino, p. 24C.
bella scena del cantare, in cui la sorte
de' giovinetti amanti eccita ìntorou
tanta «ouiDiiaoi-aziono da fai- che aolga
all' ammiraglio un coro alto di voci,
supplicanti che sia br concessa grazia.
latrali bendue iitavano abraciatì
quando furoD mesi in lo foco ardente:
la vertii dall'anello gli à acanpati,
che '1 fuoco non gli s'apresa aleuta;
ed eran tanto bianchi e Uiiicati,
che Éicieano pianger tuta genlu:
ulora ai levò uo grido e un romorL':
air, perdonata a lor per nostra amore.
Il figlio stesso dell' ammiraglio ag-
giunge la propria alla preghiera co-
mune, e i giovinetti son tratti dal
rogo, non per furore dì armi libera-
trici e meraviglia di prodigi celesti,
ma per la inanità pietà, che destano.
Chiusa questa, che ò certo bene ac-
concia alla favola gentile, e ci fa ri-
pensare a quella delle redazioni mi-
gliori , di cui pare un rlllesso, pei'
3
fiuaoto pallido o iiidipotto (1). (
accado cho pur sul finirò si riconfer-
mi quella indipendenza dol canlAro
dal i-omanzo boecacceBco, della quolR
Biamu Tenuti via via notando le più
sicuro prove. Tuttavia è Bcmpre ila
erodere cho la versione rifiitbi dal
Boccaccio fosso molto vicina al rac-
conto del cantastorie, percliè tosto
rispuntano fra il romanzo o il poe-
metto le solito particolari Gomi^liaiuc.
Florio, por esempio, interrogato dal-
l' ammiraglio corno gli sia riuscito di
penetrare nella torre, atTerma nel can-
tare:
.... la mia madre sa delle sette arti,
e per suo seuoo i" venui in queste porti.
E noi Fiìocolo : < ammae-
strato dagl' ingegni della mia roadra
, a cui gì' iddìi ciò che seppe
Medea lianno dato a sapere, in quella
forma che Giove con Loda ebbe pia-
(1) HerMs, p. OU.
I
I
oovoli congiugnimenti, mi mutai o in
quella torru vulaì (l) ». Coet
pure è comune all'uno e all' altro rac-
conto italiano la agniziono , per cui
r araminij^lio e Florio si riconoscono
paranti (2).
Quanto poi a' rapporti del cantare
con il poema greco, sono qui olla fino
gii stoasi elio vcdenirao continuamente
nel coi'80 ili questi ralTroiiti. Né, In
fondo, diversa da quoUa del cantasto-
rie d a questo luogo la nurraztoiio
del romanziere spaguuolo (3).
1) Cant., St 138; FU., li., 218.
(2) Cant., St. 139; FU., Il-, 219.
(3) Vedi del poema gv. e del rom. sp.
U. ce. Nel poema gl'eco non è il figlio
dell'ammiraglio che levi con quella degli
altri b voce sua in favore de* giovani,
ma « un cavaliora . . . nobile, valoi'OBo
ecc. * (v. 1789). Non t, questa pei-ò una
variante che bì debba al poeta greco, o
a fonte diversa dal cantare, perchè lu
troviamo pure in taluni testi di queat'ul-
Giocosi t issi me nozze, cclobratfl nella
coite Etessa iIqU' aiii miraglio, cUiadoiin
tìmo, fra i quali ì due rou. parìgìiii e
l' nshbnrnbam. laurex. (vedi note alla SL
138). Anche qui Fìorio attribuisce alia
scìenxa materna l'aver potuto raggiuu-
gere Biuncirioi'e : * mia madre ù Sloeo-
SessfL Dell'arte; l'arte della fllosoHu co-
nosce e posmede; e con l' arte e la sapien-
za della mia madre venni e giunsi den-
tro a quBBtu torre * (tv. 1814-17). Il poeta
greco fa qui come sempre: allatta, Ar-
ricchisco, adorna la rapida e sempUcti
oarnuione del cantafitorie: < . . . tengono
l'anello, bouo gettati eutro il Tuoco da'
sei'genti ; ma apparve l' azione dell* anello;
fug^ il fuoco, si spense, resta iacfficacc;
la fiamma apparve rugiada dall' Onnipo-
tente; — piccoli e grandi hanno gridato
e pregano Dio onnipotente , il grande
che tutto comanda; — dentro il ftioco
stavano, splendevano come la luun; la
fanciulla e Florio come le stelle splen-
dide ecc. ecc. > (vv. 17T7-85), — Nel
rom. sp i due nmnnti nou sono li-alti
■luesta vaga sfeiria d' anioi-e. Nelle vei--
sioai laoridìoiiali le foste sono anche
dal fuoco tanto per la pietà che inapii'ano,
quanto perchè parve all' ammiraglio od
agli altri presenti che in quel portento
dalla loro incolumità tra le fiamme, fosse
• algun gran raiaterio de dios >. Fiorio
non dice di esser capitato colà per la
scienza magica della madre, perchè di
ciò, come vedemmo, l'ammiraglio aveva
già inteao dira precedentemente (f. 24 v.]:
* . . . . dìseroii que voa madre que tenia
labin laa siete artca y que ella le auia
metido alli ». Di riconoscimento di pa-
rentela tra r ammiraglio e Florio il ro-
manziere Hp. non fa cenno alcuno. — Ab-
biamo già detto che nulle reda:. mod,
del rora. ap. i' ultima fuse del racconto
il indipendente dalla solita tradizione.
Florea ottiene di essere ammesso come
paggio al servizio del viceré d' Egitto ,
che. prende ad amarlo singolarmente , e
persino lo conduce seco nel serraglio a,
visitare BlancaHor malata. S'avvia cosi una
■ecreta corrispondenza fra i due amanti,
che riescono a fuggire,
1
più liete, perchè non lo tarba, w9^^^|
nello alti-e, l' annuncio, psrvonuto a ^|
Fiorìo, della morte di re Folico (1). ^|
Ma ì novellatori non bì formano alle- H
nozzo di Fiorio e Bianoifìoro ; ess\ ^M
compiono anche meglio il racconto ^M
aggiungendo che Fiorio a" ó fatto cri- H
el.lano inmemo a tutto il popolo suo, ^M
0 che regnò e visse felici ssimamonto H
con la sua donna : anzi il Flcck sa H
perfino cho egli morì nel giorno, noi- H
r ora , in cui pur Biancilloré, o elio ^M
con ossa , sicoomo la vita intera , ^
oblio comune anche il gopolcro (2).
E Fiorio ritornò di qua da maiv.
nd arivò nella rlolcio Towsna,
e andò in lapangnia, e Tucìe batcgiar^
lo re Felìcìe o la modi-a {lagaDm
L
(1) Hersos, pp. W (alk redM.. qui Cl-
luto aggiungi il poema inglese. v\. l2Sft
«gg.). 64,
(2) Flcck, TV. 7890-95; o p. S n. l
di questo studio,
e tutta la lor genie fé tornai-e
a la fede catolica o cristiana;
poi di Roma fa eletto inparadore:
piit di cieato anni iatb con Biancifioi'it.
È cosi che finisce il cantare, e, diotni
Itti esso, il poema greco (1), Nel Fi-
locolo a nel romanzo spagnuolo b' ar-
riva alla conclusione stessa, ossia alla
convoi-siono dì Fiorio al cattuticìsmo,
al Euo elevamento al trono, che perù,
(1) Vt. 1851-69. Di questi versi basl«ifi
riprodnr gli ultimi:
rivincati Si TTÌ<; X''P*5> tt^? liSovrf^ ixtivr^
-'TTTi'^ovTai. '/pt^Tiava' y'votto» ittipvjjtxit,
.■■■'■: ndq Ì5(5<; tii? Z(iip«4 tot. fuxp^ Tt stai p^Y^^'*
li: Tn'mv Ti^w xsOoXtxilv 'Pco)uif<tw ^;43S^wv.
x' ti 'PùSjti] SiaJtóY*'^" 'PwjMi'oii BoailiiTV.
rrl'J KpE7^'JTip3t■.» ICfl-lV [Ti] 'P<lj|inv Ti Ttill |U';''AV''
it %ì ^MT» TtwT« ttm^to^ ■ '««^wv d vias -
448
si aggiunga jiur quest'alti^ |>rova MI»
indipeii'loiiza della rima dal fitocoh.
non 6 per ti Boccaocio quello il«
Cdaar! : ù da ultimo all' aeccnno inaiti
olla Innga e venturosa vita, che^ dopo
tanti a&nnt, godettero i noitri amanti:
ma non ci s'arriva cosi presto come
nelle due altro redazioni meridionali.
D Boccaccio non si limita mai, come
sappiamo, a nude e rapide indicauoni;
sopra o^i puBto del racconto egli ri
indugia a lungo, moltiplicando cireo-
Btanzo e personaggi, tntto determi-
nando analiticamente. Cosi, anche por
(([testa parte conclusiva del romanzo,
vediamo come ad una sola Staoxa,
r ultima, del cantaro currisponda tolto
il quinto libro del Filocolo.
Florio rimane oaplt« dell'ammira-
glio dieci mosi : al venire della pri^
mavora, la stagione dei fiorì, dei canti
o dei pensieri gentili, risente vivo U
desiderio della patria lontana ; perciò,
in compagaia di Bioncifiure, lascia
AlessRn<lm, o scioglie le volt? verso
I
I
I
449
ato. A Napoli si ferma, u fa
di pros^Dire il cammino ulbi
volta di Marmorìna per via di terra-
fi noto che qui il roKianziere, vago di
rompere con l'artifìzio degli episodi
la monotonia del racconto, insonsco
la storia d' Idalagos, adombramento
allegorico della storia sua medosìma :
e che, non contento a questo, fo ri-
«omparirp sulla scena un porsonnp^'lu,
sotto le cui spoglie gli è piaciuto rap-
presentare aè stesso, quel Galeone, oli»
Florio aveva già incontrato noi primo
Boggiomo a Napoli, n Boccaccio al-
lenta i freni alla fantasia, o Ima-
gina liizzarramente che Cal«o«H ni
jiartA con Florio, o lo m^a fino n
quel poggio cerruto,ovo ambedue fon-
ilano la terra, che fu poi Cortaldu. (I)
Questo gtangere e trattenersi ili Fiorio
in Toscana mi b ripensare ad un vorv^
delia rima :
'ivo nella di>lcie Toacana;
verso, clia rifletto lii nostra li'iidoiua
iid asaìmilarci gli ci'oi ilei jtnciui o
dei romanzi stranieri, i-icollogaiidon« ,
in qualclie modo , al nostro pa«ao Jl
nome e le TtCGadc. Forse il Boccnccio
ha fermato e svolto nel suo romanzo
il vago cenno dei cantastorìe, viUen-
dosone anche per nasconderà nn' altra
volta Botto le apparenze della %iirft-
Eìono fantastica un fiitlo della Boa
vita : il doloroso suo ritomo dalla
cittit di Fiammetta alla casa paterna,
ch6 tal signtfìcato autobiografico li*
probabilmente il viaggio di Calcune
da Napoli a Certaldo (1). — Dalla
Toscana Florio non seguo a risalire
verso Marmorina : l' incitamento di
Glorizia, e più ancora una mirabile vi-
sione, comparsa a Blanciflore, lo indu-
cono a sviarsi per poter visitam Roma,
la patria dot ma^'^iori di sua mo^clic.
(1) Ivi, p. (
451
Meuorc certo M passo dantesco ai>pra
Giustiniano, il Boccaccio imngina cli<<
Aoma fosso allora soggette alla si-
gnoria di questo imperntore, cosi fu-
moso por la grand' opera legislativa
6 la fortuna guerresca (1). La neces-
sità del racconto gli togliova di rimon-
tare alla Roma pagana ; d' nltra partj'
non si sarebbe egli occoncinto a rap-
presentare una Roma troppo divoraa
da quella , che gli splenduva noli' in-
namorata fantasia d' italianu o di oi'ii-
dìto. Naturale quindi elio, non curando
anacronismi, che ne seguivano, o non
e a' avvedendo, (2) egli si rifftcniiBe
(1) A propoulo di GiiutiaUno, aacbo
I il Boccaccio, come Diint«, accenna ali»
J 'tradizione che Urne atate ricondotto bIIb
orlodOMÌa cattolica ds Agapito papa: cfr.
FU., n. 328,334, o Farad. VI. |:J.1M.
col conunanto AtAìo MeutAcdBL
(3) Al Umpo di GiuCiaiano I (KH K>
MMSatliMSO,
ft ijuolla otà, ohe a lui (lurfi rlureta
parere l' aurea dolla Itoioa crìstiana
od imperialo, retta insit^mo dalle dae
somme potestà, concordi nell' amianiit
vaglieggiata dal buo Aliglùeri. Pwr
fìiuBtinìano governava, qnale patrìzio,
il figliuol suo Bellisano (nome, che para
una reminiscenza di Bolieario): accon-
to al patrizio stava il pontclico (1). —
Dapprìma Fiorio ri liene colato por
tema che i parenti di Biancìfiore iion
volessero vendicare sopra di Ini la stin-
ge di Lelio e do' compari-, ma poi gli
avviene di poterei Bcoprire. Un giorno,
nella chiesa di S. Giovanni Lat^rano,
s' incontra in nn prete ateniese, Ilarìa.
Costui, poco a poco, spiega a Fiorio
la dottrina di Cristo, e lo persuade a
lasciare la sua per la fedo cristiana.
come pure non cori-eva Tnao de'peUegri-
naggi A a. Oiacorao. Vedi Laodatlf G.
Bore. ecc. , trad. it , p. 132.
[I) Cfr. la visione comparsa a Bianri-
fiore. Fit. . IL 2ìn, 0 più innansì, 343-<4.
Lo atosso Ilario procura cLo i l'raltìlli
' de] morto Lelio dimontichino la rice-
vuta offesa, 0 smettano ogni pensìoro
' (li Tendcrtta, accogliendo benignamente
figlio dell' offensore. Cosi Fiorio,
Biancifloro, il loro pai'golotto Lelio, o
ì compagni i>osaono essere nella forma
più solenne battezzati dal papa mode-
eimo (1). Dopo di ciò, oasi riprendono
(I) Il Borio, Leti, sopra il FU. ili G.
B. , Atti R. lat. Ven. , S. HI. . voi. 10. ,
pp. 638,643, 0 il LftndKn, op. a 1. e. ,
credono che questa converEÌone romnn-
Kesca riepunda a quella storica di Teu-
domìro, l'è siievo della Spagna, al cat-
tolicesimo , avvenuta nel tempo, che il
Eiocc. assegna all'azione del Filoeolo;
quasi non fosse l'una cLe velo allegorico
dell'altra. Ma il Bocc. non ha fatto che
attenersi alla comune redazione delia
leggenda, che si chiude, appunto come
il suo romanzo, con questa converBÌona
del personaggio principale. La coinei-
den«a puù dunque essere fortuita. — La
conversione di Fiorili fa sparire l'eie-
u
la via (li Mapmorina, accompa^afi da
Ilai'io. Noli' apiiroesoi'si alla citta r
tiva Fiorio manda mt'ssi al padro per
annunziargli la sua venuta, o invitarlo
a lasciare lo suparstizioni idolatriche
per la vera credenza. Non ci vnol
meno dì una spaventosa visiono per
vincerò la riluttanza del vecchio re,
che finisce per essere liattozzato da
Ilario insieme alla rqpna ed a tutto
il popolo. Mn qui non tm termine
ancora la narrniione, poiché il Boc-
caccio, che ntiUa si lascia sfu^iro,
mento mitologico dall'ultima parte Jel
romanzo. CurìoiH) t, cfas «piegando i rili
(Iella sua religione pagana, Piorìo dii^a
che conBbtooo nell'accender fuochi sopra
gU altari dagli dui (II. 308). Or bene,
anche il cristiano Lelio che altro pra-
mette, in principio del racconto, all'oe-
cidentaU dio, a e. Oiacomo, ao non dì
alluminare i suoi altari di devoti fuochi
(I,, 15)1 Vedi quel clic A' dotto Boprn,
455
oltre che de' vivi, s' occupa dei morti.
Sol campo, ove ora avvenuta la strage
di Lelio 6 do' suoi, giacevano iaono-
pati i loro avanzi ; Fiorio e Bianci-
fiore, recatisi in pietoso poUegriDoggiu
a quei luoghi, e al prossimo tempio
di s. Giacomo, li raccolgoDO, e col
corpo di Giulio, esumato a Marmorina,
li compongono in più degne tomho,
presso le ossa dei padri, a Roma. Di
i]Dt un avviso della regina chiama
Fiorio a Cordova per assistere il padre
moribondo. Il romanzo si chiuda lie-
tamente con lo featoper la incorona-
zìono di Florio, succeduto a re Felice,
e con parole che ricordano 1 vorsi
ultimi del cantare : « del giovane
re, il quale con la sua reina Bianco-
flore ne' suoi regni rimass, piacendo
a Dio, poi felicemente consumò i gioi'ni
della sua vita ».
L'Heraog ha voluto accostare questa
parte finale del romanzo boccaccesco
alla chiusa delle versioni scandinave,
deducendono che il Boccacccio, di-
rettamente o ÌD(Iirettamente , i]ebba
arerò utilizzata la font<^ oitAnicA di
quolle versioni (1). A me rum pare
i;lio si possa troppo facilmente coBsen-
tii% con lo studioso tedesco. Ecco in-
tanto ciò olle ai narra no' raceonti
nordici. Florio, dopo essersi trattenuto
presso r ammiraglio dodici ini^i, nn
bel giorno pensa di partire per tor-
nare in patria. Giunge, o apprendo
che i genitori eran morti ; e aceuho
con gran festa, e |iro<:lamato re. Ceèo-
]ira quindi lo nozze con Btancifiom, «
in tre anni ha tre figliuoli. Bianrùfiore.
eh' era francese, propone al marito di
intraprendere con lei un viaggio od
sua paese nativo, p^ visitare la suo
famiglia. Fieno acconsente ; perciò
recunsì a Parigi, ovu soggiornano tre
mesi. Qui Bioncifioro induce lo spoeu
a convertirsi al cristianesimo, dichia-
rando che ei sareblie ritirata alcuni
457
anui in un chiostro, se egli non Et
fosse tatto battozzoi'e ; ma il buon
Piorio bì acconcia al voler della mo-
glie, e riceve il batteBÌmo. Tornano
quindi nel l'egno in compagnia di
Teacovi e preti, e costringono il loro
popolo ad accogliere la fedo dei cri-
sUanL Edificano monasteri, e giunti
a settant' anni, diviso il loro regno ti'a
i figli, ritra^onsi in un convento (1).
Ognuno vedo che i racconti nordici
hanno ben poco di comuno con quello
del Boccaccio. Biancifiore, per esempio,
non costringa nel Filocolo il morite ad
abbracciare 11 cristianesimo, porcile,
oontrarìameute alla redazione fonda-
mentale, noppui'o essa 6 ancora cristia-
na, in modo che anzi è battezzata in-
sieme a Fiorio. Non è poi vero atllittu
che nel romanzo loccaccesco ì due
(1) HsnOK, pp. 70-71. Le
nordiche, onde è tratto questo sud
due: la islandese completa (M), i
\ dese. Cfr. Ueriog, p, 15.
4S8
sposi muovano a Roma da N^j
(ParteDope) a quella gnba tnedeaima
cho nelle versioni scandinava da tre
loogo a Napoli rispondente si dirìgono
a Parigi (1). D punto immediato di
partenza nel Filocolo ò un altru : «
Oertaldo (Calocipe) (2). Anche queeu
concordanza, sforzatament« volata dal-
I* llerzog, sparisce appena si esamini
il t«fito del Boccaccio. Ne son più e-
satte altre ccrrìspondeDEC che l' Hem^
vede in possi precedenti delle eUbora-
Kioni nordiche e del Filocolo. Così in
luelle che in questo, afferma l'Hewog,
il finto sepolcro di Biancifiuro è co-
strutto por diretto comando del re,
non per consiglio della regina. Nnlla
di più errato: il racconto del Boccac-
cio qui e conforma alla più comune
redadone, diverso quindi interamente
(1) Per queaU e le segueoU
rioni, ìaii Herxo;, pp. 72-73.
(■2) FU., W. 292 sgg.
4S0
dai rac(?onti ecandinari (1). L' Hersog
ti^va inoltro che ci sia pieno accordo
tra qneeti racconti o il Filocalo nella
scena del suicidio tentato da Pìorìo in-
nanzi il finto sepolcro. Ma qui non si
tratta, come sarebbe necessario porcliò
avesse serio fondamento l'opiniono dol-
l'Horzog, di un accordo alTalto parti-
colare, porehò la Dairazìono «lei Boc-
caccio in questo punto, ci6 dio ^ì& u
suo luogo fu notato, rispaccJiia la rcda-
Btone primitiva e più semplice; perciò,
oltre le verwoni nonlicho, o, per esaero
meglio esatti, una di questo, la islan-
dese compiuta, ricorda it poema ftltot«-
desco, r olandese d l' inglese (2). Vagho
poi, senza valore , sono taluno rispon-
denze, per le quali 1' Horzog volle ri-
collegare la desiTizione boccaccesca
della lotta fra Ascalione a Ircuscoiiios
. (1) Vedi sopra pp. 330-31, e mia cit.
l'oceos. del lavoro deU'Herwy, p. 259.
(2) Vedi sopra, pp. 340-41. Cfr. Her-
mg, pp. 30-:», 44-4.").
460
u quella dei duelli comltattuti da Fio-
rio nella II vepsìona £raD(:cst> o nello
redazioni nordiche, per salvare so e k
sua amica (I).
Mi pare piuttosto che i dati del
racconto boccaccesco concordino con
quuUi, che sono fuggevolmente accen-
nati dal cantastorie. Si noti bona cliu
così nel romanzo come nella rima, a
differenza dallo altre redazioni, ì ge-
nitori di Florio campano ancora tan-
to da p<jt«r vederi! di nuovo il Aglio,
e da convei'tirai essi pure al cristia-
nesimo.
n Boccaccio ha posto molto del suo,
non v' ha dubbio, in quest' ultima par-
te dei Filocolo ; ma è quasi sicuro che
anche qui egli ha profittato di una
funle maggiore del cantare. Se non si
può dire che egli alibia conosciuta la
tonto medesima dei racconti scandinavi,
ù però degno di attenzione che in nuo-
>
401
Bti occorra un dato. cb'« pare nel
Filocolo : il dato dì Florio che, sovoo-
daodo il desiderio deQa moglie, si reca
nella patria di lei. ti rìcovu il battasi-
uo, e ri[>arte, condutcndo seco aiKtetoli
della DDova fede per convertirò il suo
popolo. È prifbabile assai che l' ÌDConti-o
non sia meramente accidentale , e che
questo tratto fosso pure, diversamentt^
svolto, nella redazione utilizzata dal
Boccaccio. S' aggiunga che iii qualche
altro punto il Filocolo fa peasaro ul
I poema francese ed allo versioni af-
fini. Anche in esso, per esempio l' am-
miraglio tenta cortesemente di tratto-
nor<! r ospite suo, che vuole tornai'!'
nel BQO regno di Spugna ; nuche in
esso, più avanti, Piorio aduiia i suoi
baroni, e li persuado a farsi cri-
stiani (1). Si toi-na dunquo alla solita
(1) Fit., II. 232; I poaina fr., tv.
2801-8; Herwg, pp. 60, 70. — Fit., II.
327; I poema fr., w. 21M5-K.
coaclasiotie ; che U fSlocolo somiglili
strettamente ni cantaro^ ma deve osectv
stato attinto a fonti piil eEteee e par-
ticolareggiate.
n romanziere spa^nuolo, s' « gi&
accennato più volte, fa come il Boc-
caccio : allarga, infiora, an-icchiaoo la
&vola comune. Qui infatti Tediamo
che Florio, pongedatoai daU' ammira-
g;liu i)er desiderio dì rivedere i goni-
tori, non può toccar cos'i presto i lidi
della patria, perdio una di qu^e bus
l'aaohe , che sono tra gli Bpodlenti
abusati da'romansatori, (1) lo gotta,
insìomc a Biaocitioro od n' compagni.
sullo spiaggie di un' isola deaorta.
Stimando che il Hero caso fosse un
castigo del ciclo, rafferma il pro-
posito di farsi cristiano , e sollecita
Biancifloi'o ad implorare l'ùuto di-
vino. Q cielo ascolta le preghiere ,
(1) Rajna, Foni! dell'OH. Fw.,
, poco appresso, una nave, che pas-
tva di lì, li raccoglie, e li rimona
ad AlGBsandria. L' ammiraglio appre-
sta altri legni, o riprendono il mare :
queeta volta un prospero tempo li fa
giungere rapìdamento ai porto di Oai--
tagona. Come nel Filocolo, Fiorio an-
nunzia l'arrivo a'genitori, aggiungendo
che 80 amano riaverlo, debbono farei
cristiani (1). ,Quolli dapprima sì tur-
bano, ma poi, per araoro del figlio,
si convertono, e con essi il loro popolo.
Fiorio succede in breve al padre. Gli
nasce poi un figliuolo (2), al quale
assegnala Spagna, come accade ch'egli
sia eletto imperatore. Poiché la fortuna
o ora così prodiga de' suoi favori a' no-
. corno prima delle suo ire.
. sa che Biancifiore era pronipote
(1) Cfr. FU., li. 352.
) Ha nome Oodorton, secondo il uo-
alro testo, f. S7 v.; nel testo usato dui
Dn Hérllf p- luiiv, o dall' Ha uskneoht,
p. 70, Gordion.
«Icir imiieratoriì di Roma: in mancaiun
di erodo mascolino, snrebbo spettato a
lei il trono dei Cesar! ; ma non ù vo-
leva che soTr'eSBO salisse una donna.
Di qui divisioni o guorro. Soi mm
dopo esaero succeduta al padre, Florio
peusa di rocarsì pollogriuo a Roma
con Biauciliore, al santo gìnbileo. Il
papa raduna i prìncipi e i baroni ro-
mani, e sostiene elio sarebbe pilSto
conceder la corona imperialo allo spo-
so dell' unica erede legittima del-
l'ultimo imperatore. I pnucipt non
b' accordano, onde si rimette il gludt-
zio ad un vecchio cavaliere, micsr
Prospero Coluna, il iguale senteniia
in favore di Fiorio, ondo i duo sposi
finiscono col montare sul soglio impe-
riale, come nel cantare italiano e nel
poema greco (1).
(B) Ff, 25 T. — 2H p, Pur nella reda».
mod. e'ù l'episodio dal naufragio ad nna
isola dMerta, Di qui trae ì due amanti
una nave francese, che li depone in un
465
So cosi lieta chiusa ha la storia di
I Florio, come tonnina quella di Rosa-
Nella inchiesta della &nciulla,
anche Aiilimento è aiutato dall' osU)
(qui 0 uno solo), che l'aveva alber-
gata, e dalla moglie di lui. Costei fa più
assai che nella favola di Fiorio : con
il prett'sto di vendere alle donzelle sor-
rate nel palagio del Boldauo,un drappo
o una cotta di seta, penetra flao a
Rosana, e le annunzia che è giunto a
Bahiionia il fratello suo. Il fratello,
porchò Auliraento ha lo studio stosso
di tenersi colato, che vedemmo aver
Fiorio, 0 si spaccia per fratello dell»
giovinetta (1). Qui pure l' impresa rio-
luogo, da! quale toci^anu Roma. Bianci'
fiore si fa liconoBcei'e da parenti e vas-
salli: Fiorio ai battewa, e sposa quindi
l'unica sua; ma non cinge la corona
imperiale. Questa cbiusii ricorda beo dap-
presso quella del Filocolo.
(1) V«di un rÌBc:onti'0 a ciò nel Fiioeolo
B nel I poonin fr. e radaz. affini : p. 381. .
n. di questo voi.
Bce K bono pw la complicità del guar-
diano dello donKtìlle. Noi raetiouto,
costui è invitalo a degnare didl'oeto,
in modo ohe AuUmonto pud conoscerlo,
0 cattivai'solo; nella rappresentazione,
è Aulimento stesso cJje, seguendo il
cousiglio dell'oste, si reca al guardiano,
mon crudele che nella leggenda di
Florio, e ne sa vinTOi- l' animo con
Inaingho di gnadu^ni e di onori. Man-
ca la scena del gioco degli scaccili,
od Aulimento non entra nel [Jalaz»>
por r inganno dei corbelli di roso.
Guidato e aiutato dal guardiano, egli,
più seinplicemente, rapisco nottotcìmpo
Hosona (1). Inseguito dtdto genti del
Soriano, combatte o vinco, I genitori
suoi, comò nelle redazidU meridranali
della storia dì Fiorio, vodono il suo
ritorno trionfale. Anch' essi, per ao-
(1) La notturna fuga tle'dae ara«nti a
pure nella railoz. mod. del rom. epa-
^nuolo : nta le cìrcoatmiKe sono nfliiMo
divorao-
L^idi-i
467
condarc il desiderio del figlio, abbrac-
ciano il cristianesimo insieme al loro
popolo. Le nozze dei dac amanti chiu-
dono la favola (1).
VI.
Dopo la lunga analisi un po' di sin-
tesi. Cominciamo dal poema greco. I
nostri raffronti pongono ormai fuor
d'ogni dubbio la diretta dipendenza
di questo poema dal cantare. Non si
può dire tuttavia che il poeta greco
abbia fatta mora opera di letterale
traduttore, poiché quasi sempre egli
fiorisce, svolge, stempera il suo te-
sto, 0 in alcuni luoghi rimuta, scor-
cia, aggiungo. La redazione poi del
cantare, eh' egli ha usata, dovette es-
sere , più spesso che ad altre , somi-
gliante a quella che ci offre il gruppo
costituito dai due manoscritti parigi-
(l) Race, pp. 47-69; Kappresent. , pp.
398-414.
468
Ili (1(M(9. WQb, fuiido ital. delkNac.
ili Parigi) o ilall' usliburulismiiuw
laureiiziano (13tì7-U7a). Forse la sua
fonti] fu qua e la più ampia alfiuactu
ilello rtxluzidiii del caularo, dm nuì
IKittiiomo roccogliei'o, op)iure ac<^de
che, prima ancora di accìugersi a ri-
l'are lit rima ituliana, e^'ll avesse gìA
i[Ualcbo roiuinisreiiza dalla fav»la i>er
iiverno letto o intese recitare altre
vm-sìoni. Cosi vediamo che, ti*» i rlfa-
citot'i meridionali, egli solo accctum
(■ho r ammiraglio voleva far sua Spusa
Biancìfiore (1); che tra costei e Fiorlo
sì rinDovuno io nuszc, poi che i
tornati in patria (2); o cbo, fuialmente, i
sono morti insieme, come eran vissuti. 1
(1) L' ammiraglio dìc« (tv. 1730-31)-
z«i Tiìv Ejiiiv aoxoJ-tlfJiv £notx£V ù
5nou Ttietw? sv^i£|oi ìprfiv xupisiv vai »
Pur nello migliori verdoni. I fr. «d 1
;itfini, I* atii mi rullio conta*» tir sua spo** J
Biundfiui^ (HerKO?, \i. l~)
(2) V. I85H. Cfr, Hcr»»?, ]). &
I
i[iialunf|iie modo le mutazioni e le
giunte sono cobi poelie, die non ci
impetliBcono atìatto di ripeterò che il
poema greco altro non tì so non una
traduzione, & volte fedele, a volte un
po' libera, del cantai'e.
Ma come mai un cantare italiano
fu potuto tradurre in greco? Rpeciul-
meiits dal tempo in giti delle crociate,
]' influenm occidentale fu cobi viva in
Grecia, cLe vi si formò da fonti fran-
cesi e italiane una letteratura roman-
Non mi fa mestieri insistere
su questo, perchè sì tratta di cose assai
note agli studiosi, che tosto, per quesfu
richiamo, ripenseranno ai due buo-
ni volurat messi insieme dal Gidel come
contributo olla storia della letteratura
medievale e moderna dei Greci (I). Le
(I) Oldel, É'ittles sur la liti, greajue
[ mod., Paris, 1868; Nowelles Ètudes sur
I la liti, grecque mod.. Paria, 1878. Del
[ eidel proQcUno anche il Klcolal ,
' Gefchichte der neugrifickisdwn Lìl., già
I cit., pp, 75 8gg. . u il ffag'Der, Afid.
I Greeek IVrW, cit., pp. liii «gg.
corti francesi Soreati nei poaseasì tohE
a'flueci Kz&atini. e le oolanle
e ggnoreei diffusero per il conttient*
e le isole greche la luce ddU civilu
caT&Ueresea. Le^, costumanze. Un-
gila, poesia dei nuovi conquistatori
n trapiantano e rìTÌvono nelle t«ra
d* Oriente. 1 Greci stessi, nello
ddla Innga seiiilìtA. 8i sontoa oorao
ringiovanire alle esuberanze di <]ucOa
vita nuova, e diventan ra^ì di n-
mcnti cavallereschi, di tornei, iii Cmte.
Irradiazione della civilU ocàdimtale,
il romanzo d" avventura cosi migra e
fiorisco nella culla dell'epopea classics,
ove i tpoveri fan dimenticare i rapsodi,
il Roman de Troie Y Iliade, Benoit
do Sainte-More Omero. A questo tempii
i poeti greci s'adoperano per Tar co-
noscere nel loro paese 1 romanzi occi-
dentali, ìmitaniloli o tradDcendoli, \^
<1lamo dunqno che la versione greca
del cantare il.-diano fu Fiorìo e Bian-
clfioro si Hcoll^a ,i tutto un ordine
471
•ti l'atti, e rionlnt in unn serie di
testimonianzt', le quali mettono in cliia-
rissìnia luco l' influenza letteroi'in dul-
rOocidenta sulla Grecia del medioevi».
n nostro cantare non e passato di-
rettamente dalla Toscana oltre l'Ionio;
6 assai probabile che l'abbian fatto
conoscere nei loro possessi greci i
Ven«KÌani o i nenovesi (1). Si sa che
L la pensare ;
e ài moneta iioi
0 iltì-Veneiiuni
voluto i
(I) Fra i non pochi italianismi del no-
atro testo greco ce n'è uno, Toi SouxdtTa
(V. \il€j, i dueati, che (
Venaxia: ma questo u
era esclutdvamente proprii
e, d'altra parte, avesse
poeta riferirsi alla mone
pa6 bastar questo indizi
ehe egli fosso di qualche terra od isola
greca, come Corfii, Negroponte, soggetta
a a. Marco. Giacché abbiamo accennato
agli italianismi del nostro poema, eccone
qualche altro esempio; I e altrove xa-
^nXUptq, e cosi il verbo xo^aXXiXEtJEtv;
229 ÌBwI$.31I o'Souxw;; 413 t«1 «o-
n per imaginare
472
dallo Sl^o^Gio del qnattrocf^nto n tutto
il ctn(]iiecento 9Ì ^\óìf« titt perioda,
in cni, come il resto d'Europa. 1&
Grecia si foce anch'essa amminitrìcA
e satellite dell' ItAtia, eli* «ti allora
liei pieno dello splendore letterario e
della sua civiitA : ma il cantaro dovè
(la Oenova o da Venezia trasmiprarc
ìli Oriente pia presto, perehà il poema
greo^, elio da esso fu tratto, manca
della rima, ed è noto che la rima fu
aggiunta ad ornare i versi politici doi
Greci solo dalla metà del secolo XV,
a imitazione appunto della poesia ita-
liana. Il ri mane^g: lamento greco ilol
nostro poemetto potrebbe essere dun-
Xd-nix; 456 e altrove ó njivimo&xo^;
9CÓ oxoOTopia; S68 e altrove xsuna; 1349
e altrove xixaztìtévoq; I8u6 xafi.rté9i*^:
1857 TpoDpurtTO^. L'italianismo, dicu il
tìidel (p. 99 J»l cit. voi. ad Wagrnen.
è froqnanto oe' racconti |)ti|ioluri grcri
dnl sec. XIV in gin.
473
[ i|tie r1<?l trccpnta o àei primi ciii-
' quant'iinni Jel quattrocento (1).
Quanto è agevole la ricercn àMn
foute per il poema greco, altrettanto
L riesce ardua per il roatanzo spagnuolo.
: Olialo impressione rimane, a proposito
di questo problema, dopo 1 ralfronti
del capitolo precedente ì Certo , che
' il roman» spagnuoio sia stretto du
rinculi di intima parentela alle tre
I altro versioni meridionali ; die non
dipenda dal Filocoh, e cbe, più che
I ad ogni altra redazione, nomigli al
(1) eidel, Études ecc.. rol. ilei 1806,
I pp. 65, ~^J1, 233. In questo senso dob-
biamo dunque correggerà la troppo re-
cisa nostra atTermazione, i^he si trovu più
sopra a }). 15. Del resto, anebe il Mullneb^
Grammatik iler griechischcn Vuiyiirspr.,
|i. 82, dice. 8en*'ftlti-o. del aee. XIV il
nostro poema giepo, — Sp^ta invece al
peiiodo, in cui a' OBa la rimn, lo tradu-
zione della Testidi! del Boccaccio; &\péo^
Xai •(d\^Q\ Tf? ■E|liriil«^. stnnipilln a
Venezia nel 1529.
caotaro. Mn <jui cumincifiiio
colta. Ad utia ìmint>diat& dtirivaziùne
dsl romanzo dal nostro poemetto nvn
8i può pensare. Se talvolta ci sono
fra r uno e l' altro riscontri Suo di
parole (1), occoiroao, d' altra part«,
(I) V«di sopra pp. 112, n. 1.; IH. n.
1.; 195, D. 1. Aggiungaai qualche altiv
«sempio: < .... et loa caualleros se vinìe-
ran el vno contra el otro de lan gnu
Tuer^a q«e pareacian leonea . , . > (t IS
r.). Cant, St, 51 :
come due leoni ecalenati
un contro l'altro si coree
feim
La torre del Cairo à ■ labrada de pio-
Jras preciosas » (f. 21 r.), Caut.. SL 104:
e di pietre preciose eli' è merlata.
« En el priiner juego qiw jugm-on gftno
llorea al capitan . ij . mll peaanlee de
oro . (f. 22 r.}, Cant. St. 112:
E Florio lo vinse inmantenenle
al primo Irato ben mille bigìanli.*
S' avvei-ta che i<' b ìa varliuile : dur mila
abbondanti e sicuri ì sogni della loro
Ìndi|iendenza. Ci suril stala dunque
b. (nule alla St.). • Et coma Io vìdo ve-
nir el capitan de la ton-e aaliolo a res-
cabir con mucha alegria » {(. 22 v.).
Cant., St. 115:
. . . FìoHo al caatelaao è litoniBkt;
alegrameute vi fue ricevutu.
La frase, che due volte il l'ao tasto i'i<.'
italiano pone in bocca al ve (St 55, 05):
distrutti BÌanio per qumta fantina,
trova iwoutra puro in duo luoghi dal
Tom. apr. «... que aqiMlla, dice sem-
pre il re, uuia de Mr deatrujcion de la
lej anya y de ni reyno . . . » [f. 11 v.);
« j eUa ci'tìo que ha de sor principio et
Un de la dealruycioa de mia i-cynos et
de ouMlra ley , . . . » (f. 13 r.j.
In principio de' nostri ralTronti ap-
parisce che in noi fosse la persuasione
che il romanziere apagauolo potesse avere
avuto sotto gli occhi, press' a poco quale
noi l'abbiamo, il cantare (vedi pp. 120-
30) ; ma questa persuasione è venuta
comunanza dì fonti, Può bn\ suppc
che nella Spagna sia penetrata una
redaziunu francese identica a simile
a quella, da cui, di rettamente o in-
Oirettament* , sia seoso il cantere.
Da questa foiit^ il romanzo non sani
uscito per ria immediata: infatti, sce-
verando tutto ciò che più verisimil-
niente lo scrittore spagnuolo aggiunse
di suo noi liberissimo rimancggìit-
meiito del raecontfl, se talora il ro-
manzo rispecchia la redazione primi-
tiva più fedelmente e compiutamente
che il cantare, tal' altra ce ne offro
come una reminiscenza lontana, sfu-
mata, alterata. Che l' ipotesi poi f^a
lecita ci mostra il molto che anche
mancsnilu mano niuno che ȓam pm-
ceduti nella nostra analisi comp^rn ti-
vù. Ci duole che 1' aver dovuto, per ta-
luno apeciati ragioni, Bollecttare la staiiipa
(lei primi fo^li, ci ubbia tolto ili foiv
Bconiparire qualunque s^iio di codesta
iucerte;iza.
<T7
essi gii Spagnuoli liaii preso Aa l'u-
manzi franceBi, e, tanto meglio, il noto
passo doìiaOranOsnquìsfa de Ultra~
mar, cLe fu gift rammentato in prin-
cipio dui nostro studio. Tutti sanno,
massime ora ctie le indagluì di Ga-
aton l'aris hanno gottato su ciò nuova
e vivida lace, eUe il corapìlatora della
Conquista ha tratta 1" opora sua da
fonti, eh' orangli vunute d' oltre i l'i-
renei (1): per il caso nostro, e sicu-
ro ohe il luogo, ovo si tocca di Florio
•; Uiancifioro, riflette la tradizione rac-
c^>\la. nel II poema francese {2). L'wu-
(I) Romania, XVII. 513 sgg.
f2) Riferiremo qui l' inteiu passo dulU
Otnquisia: < . . , é esla Berta fu<i bga
da Blancoftor è de Flores, que era rey
do AlmerU, la de Eapùiia, é conquorìó
muy gi'an tierru ea Africa u en Kapunit
pur BU bondad, segun su histoi'ia Io
i^uenta, 6 libnì ni rey de Bìliìloim de mu-
no da SUB enamìgoa, cuandu le dio b, Blan-
cador por ui^jer, por Jukio du nw i:oi'k<.
dorè Bpagnuolo allude a' nostri inna-
morati ed alla loro storia come a
donde oatos amos fuertin Iob inni'ho e-
namoradoB da que jia ointes bablttr. E
despues ijue tomaran ea su tiorra no
bobieron otro hijo ni bija eino ft Berto.
<]ue Tue casiula cou ul )«; Pe[iÌDO , de
FruQcia. quu liizo Iob gi'undus Lechos é
vuD(^i(ì laa muchaa balallaa de qu« lodo
d mondo iiubla > (T.. II, cap. xun, «d.
GujangoSf p. 175, I col.). Dello strallo
rapporta), che è fra questo pas^ e il rac-
conto fatto dal Bacondo troverò franoMU,
s' ora accorto anche il Dn HérlI, p. Ixsix,
n. I. Flores ò re d'Almeria oell'uDO e
noir altro {li fr., v. 2i\; nell'uno a nel-
r altro, agli libera l'ammiraglio di Da-
bìlonia da' suoi namìci, con che pur l'an-
loro «pagnuolo si é Tolnto rifon» al
duello di Fiorio con
loniis de Handres, l' aumacor,
Qni d'AcTonon est sei gnor,
il i[ua]e sopravriane, mentre l'ammira-
glio sla>a per far ginstizia da' due gio-
vinetti da Ini sorproai ioùeme, a inipor-
479
cose, che dovessero essere ben note
a' lettori: « ya oìstes hablar », egli
dice, di Florio e Bianciflore, e de' lor
casi , cho gli basta ricordaro con
rap idi esimo cenno. Con-eva dunque
nella Spagna i! nostro racconto già
dal secolo XHI, e vi si era diffuso
per r ampia irradiazione , che ebbe
Un dappriacipto la letteratura roman-
zesca della Francia. E si badi che
così nella redazione in prosa come
nella romanza, svoltasi dalla leggenda
di Fiorio, o' 6 qualche ricordo delle
I ai a «lìdai'lu. Florio,
(inichò alcuno non osa raccoglie l'è il
guanto, accetta egli la sfida, o uccide il
Tiei-o e superbo nemico dell' ammiraglio.
Il quale gli accorda allora, il miglior
premio, concedendogli a aposa Biancicore
(II fr. , vv. 3079 sgg.). Del II poema fr.
manca la line, ma è ben probabile cho
in essa si accennasse alla nascita dì Berta,
lì si collegaase codi, «^ome nell'altro poe-
ma oìtanico e nello afBni i-edajtioni, U
legi^nnda di Fiorio alla gesta caroUngia.
i frWMKsL S*
U descriuome del dndki tra
il siiiisoako Mi necaaUt
■omlfj^a a igaella, che ci sì otfn nà
U poeto* franeese (1); iiuintre all'ai-
tn> poema d (a ripensaro U DMdo
(«nato Del vatider BianciSon (2).
Della inunzioQe, du; areva l'ammi-
raglio (ti eposare l' eroina della leg-
genda, non ai fa motto nella redaiìoae
pin antica del romanzo spagunolo, ma
vi si accenna per>J nella modenu. La
<iuale s'avvicina ad nno dei poemi
francesi , al II, anche in altri du«
ponti : per ee3& il ptsrsonag^o del du-
ca di Montorio non esiste, e Fktm
non ha col» che la coinpagoia del soo
maestro; — nell' episodio del dneUo,
il Giniscalco e pi-eseiilc, sul eaiapo
ilei «upplinio, iiiando sopraggiun^
Flores a salvare Dlancador, e gii Un-
ii) Vedi eopni, p. 299. Alk oitiu. &ita
ivi, a. l., aggiungi: Havsknciebt, p. >n.
12) Sopì-». |i|>. :il9.2fl.
eia la sfldii (1). Quanto itila r
lappiamo elio pur essa in un luogo
corrisponde alle Torsioni francesi, la
dove, precisamente, la seotTeria ^ei
Mori, eh' è nel principio della nostxa
favola, è fatta dipendere dal desiderio
attribuito alla loro regina, di posse-
dere ana achiava cristiana {2). Tutto
questo dunque ci prova che le ela-
liorazioni spagnuole della log;gcaila
3ro rannodate a fonti fran-
Ma ci si vomì notare che nel ro-
manzo spagnuolo si mostrano, a dir
cosi, gì' indizi geografici di una de-
rivazione italiana: comò nel cantaro
e nel Filocolo, parte dei fatti, che vi
si narrano, svolgesi in Italia, e i ge-
nitori dì Biancicore sono romani, non
&anc«si, e imperatore di Roma, al
modo stesso che nella rima italiano.
(1) Sopra, p. 20y, a. 2, Cfr. nnche p.
250 n. 3.
(2) Sopra, p. 137 n. 1.
Uh rimaneggiaraonto del cantare fatto
•lu un italiano dello provìncie settcn-
ti'ìunali, da qualche poeta u roman-
zatore della corte di Milauo o di ([uellu
di Ferrara{l). Io non trovo punto
nocesaaria l' ipotesi : anche uno spa-
gnuolo poteva discorrspo dell' Italia e
de' suoi prìncipi , tanto più che al
tempo, nel quale molto probabilmente
tu mosso insieme il romanzo, almeno
nella redazione, clie ci fu conservata,
alla tino del quattrocento od al prin-
cipio del cinquecento (2), per le va-
(1) Op. cit., pp, 76-81.
(2) La prima «taitipa d»l rom. sp. à
dui 1512 (UauHkneclit, p. 51). Ecco in-
Untu uua data pi'exiosa pei- determìnai'u
il ttiiapo della eomposi^one del romanzo.
Le urnii da fuoco erano già la ubo: in-
fatti a' ff. 3 V. e 25 v. si accenna al-
l'* ai-tilleria >. U signore di Milano b
detto duca, e d sa che questo titolo fu
concesso a Gian Gal. Visconti il 1395.
Ma questa sarebbe una duta troppo lon-
tana. S'avverta che il signore di Ferrara
Hl^ llpi ■' mi
s auiit auiìuir:!!!
temente al nostro paese. Si può Aan-
«lue fraiicanionto nttribuiro nllo stesau
roman^tiero i|tiella parto dui raccontOi
ohe r Haueknecht vorrebbe invece
conoodere al bud italiano dol setten-
trione.
Giacche poi siamo noi vasto campo
dolio congetture, ce ne vogliamo per-
metteru un' altra. Il cantare po-
trebbo ossure passato in Ispagiia ,
press' a iJOuu in quella forma, chu
noi conosciamo, ed osservi stato li'
berissimamento rimaneggiato; il ri-
maneggiatoro potrò bbe aver sentita
l'intltionza delle versioni di origine
francese, che tioveano correre nella
tradizione orale e noUa poesia po-
polare do! suo paese. Sarebbe av-
venuta i|uasi una contaminazione ,
forse inconscia, della redazione ita-
liana e delle versioni oitaniche as-
similatesi do^'ll Spagnuoli: di questa
contaminazione ci sarebbero i segni e
il riflesso nella redazione, Ao oggi
abbiamo, del romanzo spagnuolo.
486
Anconi: potrebbe puro imaginar^i
(guai so si ,ìt\ I& frtura alU> ipoteeil)
cliu uno apagniiolo, venuto in Italia
al tempo doUc guerre tra Francia e
Spagna, che hanno lungamente stra-
niato ìa ponisola, conoscesse qui un
testo assai alterato del nostro can-
taro, 0 lo rìelaborasso a modo suo,
valendosi della reminiscenza di altre
versioni intese girt in Ispagna (1).
Faeaiamo ora nllc due redazioni ìtn-
liane. VorrA ancora qualcuno, dopo
avere avuta la pazienza di so^itarci
fin qui, condiscendere noli' opinione
del Oaspary, che il cantare sia non
più di una riduzione metrica del Fi-
ìocolof (2). Queet' opinione fu da noi
(1) Foree il romaniiisre spagnuolo ura
di Cabeca-el'Oriega, o del paese inlomu,
poiché ivi pone la capitale di ra Folice,
» la accudei'e multa poi'te dei fatti, che
racconta.
(2) V^ aopra p. T7 n,3; KWUIns,
cit. i-ecens. del voi. dell' llansbnecht
{Engl. StWiiieu . IX, »3-SMf.
romliattulii altrove ; ma il Gnsparr
non s" arrostì (1). Sia pure, egli ali-
menta, che il cantare non a' avricini
solo al Fiiocoìo, o cho segua, proprio
oTo questo so ne tiiscosta. altro ver-
sioni : o perchè il cantastorie, pur ser-
vendosi principalmente He! racconto
boccacceBco, non può aver profittato
di altre fontif La (litflcoltj\ , die piti
vaio a mantener fennn il giudizio del
Gnspary, è questa: ho II cantare non
dipende dal Filocolo, ma e derivato
I inveci! il Filocolo da una fonte iden-
I tica o simile a quella do! cantare, si
[ deve crederò che in tutti i luoglii ,
[ noi <iuali fra T uno e T altro è u^ale
I fin la dizione, il Boccaccio abbia oo-
I piato il suo testo! (3) Ebbene: qual
I nteraviglia cbe pui-e messer Giovanni
r abbia fatto, in alcuni passi di un lungo
I racconto, ciò che agli scrittori del auo
1 tempo non pareva punto un delitto 1
(1) GescXiehte dei-
(2) Ib., p. 637.
. Lii., 11.*^, 649.
IMI, ^iAa*a«
■liiijliil nauMi, fjfc»
I mB» Tiwfifc il Bqw^rr» MB
n bMrtain» neeost^ Bri ^ub al pato
plK^ «pni MIO ««lgM« tttaa* li-
tMiiofll prieologiebe. U fa*** fé M
489
del cantare medesimo con il romanzo
boccaccesco, con i poemi francesi, con
altro versioni, non è sovente riflesso
di immediata derivazione, ma di lon-
tana affinità. Inoltre, se il cantastorie
avesse direttamente utilizzato il Filo-
colo e i poemi francesi, non incon-
treremmo nella rima le alterazioni,
che qua e là vi si avvertono, altera-
zioni, le quali ci fanno risalire ad un
testo del cantare più antico di quello,
che ci si presenta nella copia maglia-
bechiana, e anteriore quindi al Filo-
colo. Già da alcuni anni noi abbiamo
rammentato agli studiosi che in quella
copia si trova della mano stessa, che
ha scritto il poemetto, la preziosa data
1343; (1) ma poiché essa non precede
(1) Studi cit., p. 14. La data fu da noi
rammentata^ perchè prima T aveva fatta
conoscere il Selml^ 1. e. sopra a p. 47
n. 3. Vedi anche Zambrini^ Le Op.
Volg. * (1884), 981.
190
immoilìataniimtt- Il t^tu ilella rima,
jiare al Qaapiu-y si possa ritonoro
cho la rima fosse trascritta anche
dieci anni dopo la data : in dioci anni
un iKwmetto popolare, recitato, rico-
piato, passando di bocca in bocca, di
paew) in paese, da mano a mano, Ita
liene il tunipo di sofl'rire (|uci ^asli,
che noi abbiamo ravvisati ad t«ato
im^^Whiano, o cbo ci aveano of-
forto il migliore argomento jiei- cpe-
(Iltc il cantaro piti antico dui romaniu
lH>ccacci<scu. (1) Ma alla objeziona del
Qaspapy oggi rispondono te nuavo
Dosti-o indagini, por le quali piti Bopra
b' è mostrato che la Irascriziono ma-
^liabscliiana non può i^sor [losteriure
al 1343 che, tutl'al più, di uno o dne
anni, mentre il Filocoìo non fu com-
pito 0 pulfblicato chu nel 1341, o, più
vcrisimilmcuto , nel 1342 (2). Ora,
(1) Getehiehte, I. e.
(9) Vedi BOpra u pp, 48 igg.
potrebbe ammettere ohe in
COBI rapida tempo il teetu del cautaro
bì corrompesse prò fondamento nel mo-
do, che b' ó veduto , e in punti rile-
vantiasimi del racconto ? (1) Tutto
dunque 'dimostra la indipendenza n
la priorità del cantare rispetto al
Filocolo, conclusione questa, chu,
corno ognun vedo , servo uou solo
ad illustrai'e la questione dello fonti
del romanzo del Boccaccio, ma an-
cora a sparger nuova luce sulla
storia del poemetto popoloi'e italiano
■nulla metà prima del trecento, o sul-
} antico dell' ottava nella poesia
narrativa.
Cosi rimane chiaro che la nostra
leggenda fu conosciuta in Italia Un
dal dugento, e che, al tempo sao, il
Boccaccio la seutiva l'ecìtare, o poteva
leggerla in un poemetto fatto per Ìl
popolo. Pertanto egli non aveva bi-
Bogno di ricorrere a versioni straniere
(1) Sopra, a pp. 57 sr».. 214, 341 f%g.
[)ei' trmnie In miihiria {>t'im», cali lii
qaalo plnamaro l' Oliera suit. (1) Ma
a' 6 veduto cho il Filocolo dev' ossoro
stato nttintfì ad una font^ più rìcoa
del inwiesto caiitapi.'. Qaalu sarà ttAUx
questa. foiit«? E il poomotto, n sua
volta, donde sarà venuto? A codosto
<lomando i-ispniulorumi) noi protuimo
capitolo, < pei-chò pioiio son titto lo
carte >, ordit« a questo primo vo'umek
(1) Altra voiU U Guparj sUsso uvea
detto che è beo possibile ebe in fonte dol
Filociilo sia it&lianu {Zcitsehrifl fùr rom.
Ph,, V. 451). Ora, per quanto non b''
paia Bis stato dimoatrato, crede che il
BoccBcciu possa afera usata odi fonte
diversa da'due poemi fianceù (tlwehiehte,
11, Kìl). Cfr. anrbe Bartoll» J preeun.
lif/ Bocc^. pp. 5fi-57.
GIUNTE K CORREZIONI
3. n. I . Aggiungii Wartoji, Hùlori/
of eìtglish Poetnj, od. del
IB40, II. 135.
5. Alla opiniunì alt la orìgine
.ìylla ItìBBeodn Uì F. o B.
iJa Doi brovomenle at-coa-
naW, eì dtìTi) ora aggiun-
i^'etijijuella del prof. Italo
PIìieI, elle osao, con .lUii
miggotti romanzeschi, oi
siti venula di Persia. Cfr,
l'EirticuIo àeWìxAf L'epo-
pea persiana e V epopea
francese nel Medio Eco —
GiuM)tlaLett(M'ai'ia,di To-
rino, XII. 48, I Die. "88,
pp. 380-81.
8. Circa la diffuaione e la cele-
lubrìtà, di chu godeva in
PniDeia In stoiiu di F. e
ri., vedi aDtbc il fabliau
dei deuaj hordeors rìhaui
{VLttuMglonfltec.g énàra l
i'I compiei des Fabliaui;,
\.i.y.
^^^^^It^^^^^^^^^^^^l
^^^^L
1
^^^^1
l.Vedi puw: D*Aac;oiiA, /xi
poesia pop. iial., p. 22;
S. Ferru-i, Bibt. di Mi.
pop. ital., I. 73.
^^^H
l.Cfr. lUm}itìaì,Op.Volg*.
1884, 604-95, ove u 9,1-
ferma esser la iVowrWarfe/-
/a figCimla del mercatante
la sleesB che quella ào\-
V Indovinello.
^^^B > n
2. Oltre il Dn MérU, cfr.
Warton, oj!. e L e; Som*
mcr, op. «t. p. XVI.
^m >
Lu scnttura attribuita k
Seneca, che qui si riu,
fu pubblicata fin dal «ec.
XV: cfr. Zambrlnl, Op.
Volff.*. 1884, 0£fl-30. Cfr.
H. Sachlor, rVocmj.
DmkmTiler. 1. |>, v.
^H *
Su la novella di Ti-ajaoo
ijui acctìunala.efr.JtfoM/t
imtiche, ed. BUgl^ nnin.
LVIIIl D*Aiieoiia, Siud,
iti Criliaa e Storia kll. ,
pp. 330-31 itìrtr, «orna
mila M«m. ecc.. IL 3.
^H
iNol noto zibaldone boc-
495
caccesco della Magliabe-
chiana , ms. II. ii. 327
( cfr. F. Haeii-Leone ,
// zibaldone bocc. della
Mglb,, Giorn. St. della lett.
ìt. , X. 1. 8gg. ), sotto
la rubrìca € De hedifiHis
memorandis urbis rome
secundum fratrem Mar-
Unum », f. 88b, non trovo
alcun cenno, che possa
riferirsi al palazzo della
milizia,
Pag. l H. n. 2. Della romanza qui citata
vedi anche la versione
castigliana: F« Wolf e
C. Hofmann , Prima-
vera y Fior de Romances,
II. 38.
y* 122. Dovevo avvertire che fjie-
T'aiÌT(uv è emendazione
delWagrner; il ms. ha pie-
T'aoTdv, che il Hnllach
corregge in fjieT' auTOu:
ma che senso può darò
anche questa lezione?
» 122-23. A questo luogo, come pure
a p. 370, avrei dovuto
rj^^^^
F^^
«
^V P^g.20.„.
l.Vedi pure: D*AneoM, £«
;>Q«si(i pt>p. >Ia{. , p. £2:
^H
8. Ferrarla Bibl. di tM.
^H|
pop. Hai., \. 73.
H
l.Cfr. Zarobrlnl, Op. Volg.*.
1884. «94-95, ove à ai-
^^B
ferma egaei- la Novella iel-
^H
la figliuola dit merealOMit
^H
tu itesea che quella ilel-
■
H
a. Oltre il Du MiSrU, cfr.
W«rtOD> op. e 1. e; 8oB*
^^H
mer, up. di., p. XVI,
H
La scrittura attribuita a
Seneca, cba qui eì cita.
^H
fu pubblicata fin dal wc
^^H
XV:cfr. ZamUrliiI, 0/..
^H
Volg.'. 1884. 929-30. Cfr.
^^^
fl. Snohicr, /Vomii j.
^^^^^
Dunkmàler, 1. p, v.
^^K
Su la DOvuUa di Tri^aEio
^^^^^H
aMdcfe, ed. Blngl, num.
^^^^^H
LVin^ D*AtlCOU, S(M(fi
^^^^^H
ài Orilica e Storia Utt. .
^^^^^H
pp. 330-31; Unf^RcnKi
^^^^^B
tw(ia mem. ecc.. IL 3.
L
Nel nolo zibaldone hoc-
J
m
6 un fliguiflcato, il pou-
kgrecopotevasen tire una
i ripugDiuiza n tmMri-
) con lettere greche
' fDFnuDdo una voce che
non avrebbe avuto più
nenuQ senso nel grecu
(4>^Xt4): d'altronde il ren-
derlo con eo5«fjto)\), eiÌto-
Xv(5 0 simile, avrebbe aeo-
Ktatotroppolaformagrectt
ilalla orìgìnaria, e prodotto
altri inconveniontì. Di 'lUi
l'uso di «PfXtiww;, nome,
quanto al suono, non mol-
to lontano do Felice. —
discopulo D.' U. Marche-
il poeta greco abbia
inteso: Lo re Felico^mos-
se di Spagna= coat mosse,
cobI operò, tal danno fece
il re Felice di Spagna!
Tra guardare e gailer inten-
diamo che ci sia rinpon-
•ìvnm idL>ologicn. non fo-
nftica. Sappiunio bene che
I&ln
(Hattm ti^dlte ite XT
4«el«,«in. JmMMi, IL
CoodU lUsboUd: etr. aaclw
Ree. yAt. ib* FoM. eit..
tri. 105.
finì wrt piDttoato ds naam-
Brtda, Dna «ec. T
170.11, I. Pad) r.7t.Ca»ara(fe/ Gravo.
213,11. Cfr. f'iloeolo. II. 308, 3E8,
387. Re PeliM iKiB b oo»-
tento ae aoa piando è ^
coro eìte la tpoia M 6-
Rlintrio apporteBera a usa
protnpia delb pifa gl»-
riou. Tiiltniu la C9iv-
Iraji] intoni? avT«r(tU daUo
ZdhUhÌ c'è ■empi'e, iu
non altro per le parole
poste in bocca a Biand-
ftore, che in questa ootu
sono ricordate.
n. La atoriudelleapade celebri,
passate da un personaggio
nll'altro, è comune Del-
l' epopea francese , forse
per tradizione germanica:
R^lna, Oriff. dnir Ep. />-.,
p. 444. n. 4.
n. I, Udb vera scena di vanti
vedi nelle Gfsla Tancredi
prineipis di Baoul dc
Caen^ cap. LXXI, presso
Muratori, Rer. It. SS.
V. 300, o nel Rócueil de.s
Hiìt. de» CroUadet, Hist.
Occid., 111. 657. Vedi in
qitest' ultimo voi. anche
pp. 215-16., testo di Tu-
dabodus imilatìuì et ean-
linuatM.
n. Si ritiene che la Gran Con-
quitta de Ullratnar sìa
stata oonipilala hIIh fine
del sec. XIII., o tutt'al
più nel prineipìi) <iel eec.
XIV (Gayui^S, introd.
nllH sua edizione flella
Gm^itla; Mììk J Fo«>
ta]Uls.Po«»~a htroira-prip.
out. . pag. 337 : H. Pirls,
La Ch- d'Ani, prav. et In
Gr&D Conquista de Ultr-,
Komania, XVII. ^3-24).
Nel Filoeolo re Felice non
puA dar sentenza mortole
in giorno di festa solenne.
Cosi nel romanzo ap. , f,
24 v„ l'ammiraglio aspetta
che !<ÌB passata la Pasqua
iwr giudicare a morte
Flore» e BlancaHor. Cfr.,
[UT aa.. Buon rU' Bi)r-
dtyitM;(Anc. Po^t. rie la
Fr.. V.). .V. 5806-10:
317. u. 2. .\nelie al 1 li v. noi rom.
sp. il rc> dice elle * . . . .
alludili i]cTlajser]qiuilqi«'
501
diablo que nasi le tenin
vencido su fijo Flores...»
Anclie in fondo al rom. ap.,
f. 2Ó r. e V., 31 fa eonfu-
aione tra Alessandria u
Babilonia, e ei nominu
quella per questa.
Mentre io compiva di w ri-
vere questo voi., È com-
parso Tarticolodel Hijiui.
Dall' estratto cito le pp.
17-18, 23, 48.
In altro luogo del Filoeolo,
II. 312. il lìocc, nomina
insieme Babilonia e Semi-
ramide, ma ivi bì tratta
aicuramento dello Babi-
lonia asiatica.
Vedi però a pn^. 480 rome
ancbe il mod. rifacitoro
sp. accenni all'intenzione
dell'ammiraglio di spo-
sare SianciRore: ciù che
qui importava notare era
che di quella intenzione
tace all'atto ìl cantastorie,
o fa motto invece il poeta
gl'eco.
URItATA
UORRICK
P, Un
I.Id luogo del n'f<I>,ni<ip>i»>i
'"""
tl«et(«. Nm, .i lr.ll.
1. aH^rnu! Qi^thU dtr
GerrliM, Onchlchlt dtr
dt^ ùchn..
dml- K»m...
uà «emptan del poeir»
UQ Gunoplnre dol poema,
ahesicoDHrvE...
- 30
... dsUDiL reduioDB iti-
... d» tina rsdiuloiHi iu-
... d>,u7gon.binl . |»l
IÌ>D. della tege«id>...
... d=Uo Ziunbini 0 dei
K«rlioe...
KOB-Iins...
m
(Il
. 37
... dlffloolli...
... dlfllooll*,..
... Ajollb dal Darriooiw...
... AjoirudelBarUociiM...
13
.. poemm di FibuMio 0
tirtuiKi
... pMina di AMitto i
- ■
(8) ... (31 ..^
'!,'.Z-ì.5V„„ì™,
..TTSU'no»tów>,«lw
^y
poltrì...
... che viene lenU di
pene...
in grulli di aiMaf^BlU)
vieMWlWdlpoiUi...
■ 57
a.owrmArilaSI, r^erl.:
flgl-uolo
figliuolo
. U3n
"pp. in. 13" "'
... «dlR. lloutler,ll.,ltT.
IBI
a... rimuiB «olouii vmo
... rìmau «lo un verw,
l-nliimo, (f, 3d»)
1' ulllnw (f. 30(4.
. 75
. Wd
.. /-wre»..-
« *. fa. oroni*!...
.. ti dt lai graadti...
... dt armai qnt tme...
.naTJsr»..
... r)iM Mlanapryio...
.. itomiIfdqMrnfenWi..
* »in
B..
.. j, p<r%i-o. flw 1.0M-
... per ottenero feliM i)
urte...
i,' liti etrti grepl rlporl.;
80." vtrto 'Stòv
-, fligoorEa ftnffiain& ^,
l. ...come noli' Bneids...
I. . . vali noie alla 81. 4),..
."A
*." lUI vtrH greti ripoi-f.
... A da un nn»a\o...
.., «ho In apprenda l'Wio-
Deì loro Signore.
D. I, l." del veni grtei rfpoFt.:
. . B." dermi XptffTta«Oy?
. • t." rana xuofov
pp. 38S-37S.
... ci da an non .
.. eho le appreodoMF
D«T Imo ligiiore...
... OigHAr... eanpA
. . . ooms dinna <
XpitTTiavoiiq
- ISOo. 1 non el di
Bruti (I KM^ al
rìpoaava > { Pulava ]
'collo da' laraQni*'..
BaniBWi p- va, I
• ma. -^ rinpatiBtn. lU, S
■■"■ -/StS;:"!''
• «S Et?
111» . sopTfri^ Tcxpanfsu
S M. 10.13 903 ' n>. lO-n. KB.
twanitu itaoH pv tgogHi DnUolU lUuiw ya ^uw
balli» McUio» ■ [UUBK, naeliiiiH. . ■
t... alt abtn (UcnU II . . «li «UiIh auviU
bSÌ: ... MB dui- iMb: • . i>M ebrl
. 3TS n. 1. in -rtr
. . .. (St. t^"^
. Hill. oneirnHt ilet.ptu-
plet iT Ortmi},
... f. 174, B«nurdl d«
BnjiInBbMli,..
!.■■<(« Vfritgrtel''lpori.-
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forma più wleane b:
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W CORSO DI STAMPA
Slitria Sirlliiiiui d'aDMlmo «nt«re tferMta
dialetto net 8m. XT, pubbtiata « cura
Stkk-vso ViTT'jRid Uonto. (Parte lì.* Stoi
1.11 hi'IU CuuIUa , {poeuetto infidlto ili Ptn
Ali Klenu , it rurn (It Vittmuu^ FinHtNL
Testi Inmiltl di aotiette rlniB TOlgari , ta
III ]wf iJ» ToMiiAa'J Ca81m. V.v|. U
LunienU ntorìel del Braoli XIT, XV e X'
a ijum ili A5T0KI0 Mprtw a LtruoTioi Ftu
ViiliuuH in.
Suitettl 0 Cmoouì di Poeti Veaetl del «pfi
XIV, u nurn ìH Onuow ZidìaTtì-
Fforlo e BluuiQore, pcMmiittn antifl'i bnuaj
n cura ili Vrsanrao <^W&cact. Voi. n.
ItrnMiuUili FronceitOO* La Psit^ a eara
Maoio MWOttRil.
11 N«pol6ro ili Dante. Dooumanti raonilLt da 1
i-'.vioi FniTi fi Coluti!» Ricci
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