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Full text of "Il cantare di Fiorio e Biancifiore"

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SCELTA 

DI 

CURIOSITÀ  LETTERARIE 

INEMTE  0  RARE 

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IL  CANTARE 


FIOPJO  K  iilANCIFlORE 


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VINCENZA.)  (liKS(UNI 


Vox-.    I. 


j^ry. 


Ki^mm: 


IN  ROI/MiXA 

}  '  R  Ec?3'  •   ROM  A  G  NOLI  -  D  A  LL*  ACO  U  A 
Vi;i    l<»sehi    IP'.    A. 

1  SS'J 


AL 


Prof.  ANGELO  SOLERTI 


OFFRE 


PER  LE  SUE  NOZZE 


QUESTO  RICORDO 


L'  AMICO 


V,   C. 


24     APRILE    1889 


89455 


Smosso  e  ripreso  pìù  volto,  questo 
lavoro  lìualnionte  («(uaiiti  amici  ac- 
compagneranno d'assenso  codesUi 
avverbio!)  comparisce  in  pubblico. 
Pur  troppo  non  comparisce  tutto, 
perchè,  e  me  ne  dolgo  assai,  non 
mi  à  venuto  fatto  di  condensarlo 
in  un  volume  solo;  ma  U  resto 
terrà  dietro  in  breve.  Intanto  qui 
ò  trattata  la  questione  principale: 
ac  il  rantare  di  Florio  e  liianci- 
llore  sia  anteriore  al  Filocolo  del 
Boccaccio,  «1  quali  rapporti  (Corrano 


fra  lt>  >Jiie  i-tHÌii&u>m  ibUlatie  <leJÌa 
graziosa  Itiggvfiiia.  )Aa  da  «{iwstt) 
redsziuui  aim  :^i  polevaau  !»enm- 
paf^nai'Q  I«  alR-«  'lue,  che  utub> 
-Hiuo  ad  tMse  aJfiiti;  la  ^^raca  ti  lu 
spafpraola;  perno  nu  acnio  ouco- 
può  nÙDUzbeameiite  anche  lii  <{uh- 
sUi.  'AMTat^geiuiu  1  oompiuntlu  le 
pracadeati  dhooittruiaai  «li  due  va- 
(Miti  ncwcaion.  <;tie  ha  avuti  <:iitii- 
pii^ui  in  'jUBsti  coii'.lt'euiu  ^tuiii:  Huuis 
Ostxoff.  tnl  Ifmil  Uausknucht.  J&- 
T.  ho  'iovui:  «iciio  im 

tarhio  ^  '{uaJu  mi  fenou. 

L  iiUaUi  l' accusa  <ìì  inJnu- 
òoabi,  »  <:oul'e8au  i;he  «  ii»v>nHa 
rifiire  il  laviir<j  1 131  maudlonbiw 
ancb»  i^uDsU»  p^r  aUmidir  <leirat 
trn!). 'llvnrsi  ne  jarabboni  l'onìllo 
d  Ut  ilispiKizuniu.  tnaifgitìre  la  ^n- 
brutu.  Mu  s'impara  uu  via.  a  uidìUi 
giuftamaotu  fii  -Ifittn  <:hfl  olii  m- 
<KHuimnu  iiu  Ultra  \nm  <<  ^:fau  lo  m»- 


lari!  lii  chi  In  compie.  D'altra  parte, 
io  ho  voluto  svolgere  (iistesamoiito 
uu  argomento  di  che  fra  noi  si 
era  aolo  toccato,  argomento  non 
privo  d'  importanza  ;  e ,  sospinto 
dallo  scetticismo  che  su  certe  mie 
conclusioni,  già  dianzi  eiiunciate, 
aveva  manifestato  tui  uomo  cosi 
degno  di  stima,  com'è  Adolfo  Ga- 
spary.  mi  sono  incaponito  a  cer- 
car di  vincere  i  suoi  dubbi,  re- 
cando le  maggiori  prove,  che  sa- 
pessi, in  favor  mìo.  Ci  sarò  riu- 
scito? Vedremo, 

Vivissime  grazie  al  mio  maestro. 
prof,  rio  Kajna,  per  lo  molte  cure, 
di  cui  mi  fu  cortese  sempre,  mas- 
sime nella  composizione  dì  ■T'esto 
lavoro, 

r'aclovu.  2fi  mai-w)  18H0. 


INDICE 


I. 


La  leggenda  di  Fiorio  e  fìianci fiore. 
Opinioni  su  la  origino  di  eana  (pp.  1-5). 
Sua  diffusione  europea  (pp.  0-15). 


II. 


La  leggenda  di  F.  e  B.  in  Italia.  Al- 
lusioni ad  essa  fin  dal  sec.  XIII  (pp.  16- 
19).  Al  tempo  del  Boccaccio  corre  nella 
tradizione  orale  (pp.  19-20).  Redazioni 
italiane,  nelle  quali  è  svolta  (pp.  20-24). 


III. 


Da  quali  fonti  fu  tratta  la  principale 
delle  redazioni  italiane,  il  Filocoloì  Opi- 
nioni vane  (pp.  25-32). 


Il  c»tM«  (li  P.  •  a  ni  U  filmlD.  U 
ovuoM  ilt  F.  &  cìUU  utl  Otrtaonb 
bOMtMfMu  |)n6  «Mara  idaabfieita  •! 
«■m  nwlKT*  <  pt>.  aS-47  >.  Praw . 
<kU*  ^wJi  rMkhk  eb»  il  «ntu*  fti  ««m- 


»  Uie.  d.  Ttn.  la 

tlf.  «-£&).  1«  itMali  Mai  tk  fatta  <|Mte 
««fi».  •  M  i|Mti  fli  rwpili»  •  fwfchttetB 
a  l<IMM<iA>r  (fy.  »-37v   U  t«9ia  *  «ih 


ÌHn  «f-  ii^VMh  -^  ■ 


SN>^£-fi5^€/'i>®^4§§^%  6NSs£^^3M§r^c/?) 


I. 


Florio  e  Biancifiore  sono  forse  lo 
creature  più  ìntimamente  e  finamente 
poetiche,  che  ci  offrano  le  antiche 
leggende  medievali:  insieme  nascono 
il  giorno  stesso  (1),  insieme  crescono, 


(1)  Vedi  Floire  et  B  lance  fior  ^   poèmes 

du  XIII.*  siècl© ,  publiés par  M. 

tdélesUnd  da  Mérll^  Paris,  1856,  vv. 
160-63,  714  nel  I.  poema;  vv.  225-28, 
1534  nel  II.  Per  il  piii  gentile  narratore 
de'  loro  casi,  Corrado  Fleck,  essi  nascono 
anzi  e  muoiono  nell'ora  stessa:  vedi  K. 
Flecky  Flore  und  Blanscheflur,  edizione 
Sommer^  Quedlinburg  und  Leipzig,  1846, 
vv.  590-91,  7894. 


fl  ai  aiuajio,  fuJit'.ìulli,  cùbI,  oIiq  nulla 
poasft  vincaia  U  loro  aiuuiii,  aè  iiìSe' 
ruiiZA  ili  focit)  o  ili  furtunu,  tié  vio- 
lonza  iiil  ìusidiu  di  oppoaiEiooi  dome- 
Btiche.  È  una  leggi»  d' amoi'^ ,  ebe  U 
Kovut'ua,  un  iato,  a  ouì  &'  abbaiido- 
iiauo  ìuoauAoii,  e  li  i-endv,  deboti  a 
wb,  pili  torti  d'orai  fioro  coatrasto, 
s't  che  olilac  la  pieU  di  tanto  adbtto 
spouga  le  ire  uduticho,  si  sposino, 
vivano  boati  e  pot«ati  gran  tempo, 
p«r  awriiv  insieme  il  giom» 
come  sonu  nati  (1). 

<1)  D<*Ua  moE'ifl  'iu'aonU'L  -trai  purlttui»' 
BOlu  il  FlMk  «  il  jiuuiu  gruco. 
pnru  di  uwi  («oli  a.  Haraog,  Di*  >m- 
dtn   Sdf/tmltniiiit    eon  t'Ioit   tnii 
icfufltir,    uoti-.    OalU    G'.-r<na»>a,    1884^ 
Helt  a,  |ip.  t>5-£6).  uia  ù  pi-ululjUfi  ci 
U  <.'out«iupoi-itn«lU   'IuUa    nitirM  corr 
spuaJcDta  IL  ijuelU  iletla  naisoiia,  so  m 
(t  sUta  ÌQui^iniitu  iaiiip-iuJoutuuiuuWi  co 
irò  iiUL'Ui]    fho    pnuait    I'  H«rKig,   >U'  di 
pooU,  sia  Qu  ilolo  «oUca  >>  t^niauue  -JoUtti 
l«ggsiwl«.    \'eUiaiiii>    >-tM   Mti.-hu   in    ulLi«< 
aUiHo    irnuiora    V incoili 

[Iftl'ticollU 


L'  origine  di  quesU  leggenda  è  nn 
problema,  per  quanto  tormentato,  an- 
cora non  risoluto,  come  avviene  ii  più 
spesso  di  problemi  siffatti.  Fino  al  Du 
Méril  parve  che  culla  di  essa  dovesse 
tenersi  la  Provenza  o  la  Spagna  (1), 


BtesM  Tristano  e  Isotta  {Lai  du  Chévre- 
feuiltf,  vedi  CoBBtans,  Chrest.  de  f  an- 
eim  fran^ais,  Paris.  1884.  p.  81);  e  al- 
l'ora stessa  Lanzol  et  e  Iblis  adì  Lame  Ut 
di  Ulrich  voii  Zatzikhoven  (redi  Q.  Pa- 
ris, Étudcs  sur  tts  Rum.  de  la  Tàble 
Ronde,  Roniaala,  X.  476), 

(1)  Brnns,  Rem.  und  and.  Oedichie 
in  altplattdeulscher  Sprache,  pag.  222; 
Fanriel,  Chanis  popul  de  la  Grèee  mo- 
derne, 1,  p.  XVIII,  0  Hist.  de  la  Poesie 
proetntale ,  III  pp.  459-61  ;  Ideler  , 
G«»ekiehU  dtraltfr.  nat.  Litfratur,  p.  91; 
tìèFTlnUBjGftwAir/ite  der  dculschen  Dìrhl. 
l*.  463  (non  posaamo  ciUre  dalla  5.*edii. 
di  quesl'  op.,  che  manca  olle  liibl.  locali); 
Sornmer,  Op.cii..  pp.  Vll-Vni;  Wehrle, 
Slume  und  Weitsblumc,  eine  Diehtimg 
da  dreixehnttn  lahrhuad^i»  iibcrselil 
«ini  erfeHrf, Freiburg,  1856,  pp.  XIX-XK, 
XXUlBgg. 


^H                                  mentre  il  Sommor,   seguito   poi   dal 
^H                                  Wehrie,  da  tacita  grazia  di  queste  H- 
^H                                      gtire,   die  la  fautasia  populare    quasi 
^H^                                     vezzeggiò  co»  tutte  le  squisitezze  della 
^^L                                predilezione,  da   quella   certa   corri- 
^^H                                   Bpoudeoza,  eh' è    tra    esse    e    i   fiori, 
^^H                                nella  cui  stagione  si  favoleggia  la  loro 
^^H                                nascita,  e  da  cui   traggono  il  nome, 
^^H                                   dalla  loro  bellezza  incomparabile,  dalla 
^^M                               precoce  vivacità  del  loro  spirito,  da 
^^B                               tutto  insomma   si  sentiva  anche   in- 
^^V                                dotto  a  scorgere  intime  analogie  tra  i 
^^B                                 due  fanciulli  amanti  o   gli  esseri  pii'i 
^^H                                     leggiadri   e    luminosi    della  mitologia 
^^M                                germanica,  le   elfe  (1).  A  ben   altra 
^^M                                    fonte  ricondusse  invece,  poco  più  tardi, 
^^M                                 la  nostra  storia  d' amore  il  Du  Méril, 
^H                                 ricollegandola   a  quel  genere  di  ro- 
^H                                 manzi  erotici  fioriti  in  Grecia  dai  pri- 
^^M                                mi   secoli   cristiani,   in   cui   l'amore 
^^M                                trasformato  dalla  nuova   fede  non  fu 
^^M                                più  accensione  efimera  dei  sensi,  ma 

^H                                        (1)   Sommer,    Op.    rii..   i>ag.   XXXI; 
^H                                 Wehrie,  Op.  cit.,  pp,  XLII  sgg. 

aspirazione  superiore,  e  la  donna,  eie- 
Tata  al  livello  dell'  uomo,  divenne  sua 
unica  e  costante  compagna ,  l' essere 
armonico,  io  cui  egli  s'integrò  (1). 

Ma  quale  che  sia  stata  la  genesi 
remota  del  racconto,  ci  basti  ora  dire, 
ch'esso  fu  sommamente  caro  ai  po- 
poli d' Europa  (2). 

(1)  Da  Merli,  Op.  cit.,  pp.  C  sgg. 
Velli  ()Uie  B.  ZuDIÌllnl,  I!  Fiìor.opo  del 
Buctaccio.  Firenze,  1S79.  pp.  5  Bgg. 

(2)  Vedi  Sommer,  Op.  di.,  pp.  VIl- 
XXV;  Da  MérU,  Up.  eii,  pp.  v-iixiix; 
Sobwslbacll,  Die  Verbreitung  àer  Sag« 
non  FI.  urtd  Bl.  in  der  europ.  Lit. ,  Kro- 
toschin  nnd  Oeti-owo,  1800  (  quasi  pede- 
8tr»  riproduiione  dello  studio  del  Dn 
M^ril);  H.  Heraog,  Op.  di.,  pp.  2-16; 
E<  HBDsbtiecht,  Floris  and  Blaumhe- 
flur,  mitteìeniiliiiches  Gedickt  aus  detti 
13.  lakrhunderi  nebst  Uitei'ariteher  Un- 
tertuahung  und  einem  Abriti  ùber  die 
Verbreitung  der  Sage  in  der  europSischen 
Litteralur,  Berlin,  1885,  pp.  4-88.  Poi- 
ché gli  outori  citati  lianno  trattato  asaai 
Urgarnente   delle    rediuioni  diverso  dalla 


Intorno  forse  il  1160,  o  poco  primo, 
elaboro  la  nostra  legenda  un  ignoto 
troverò  francese;  ma  di  questa  an- 
tica rodaiione  restò  solo  il  riflesso 
ne'  frararaenti  di  un  poema  baasore- 
nano  composto  circa  il  1170  (1).  E 
cosi  piacque  in  Francia  la  storia  gra- 
ziosa de' due  fanciulli  amanti,  cbe  i 
poeti  del  paese  vollero  collegarla  alla 
grande  epopea  nazionale,  ìmaginando 


leggenda  di  Fiorio  diffuaasì  presso  che 
ìu  tutta  le  Idttariiture  europee,  io  debbo 
limitarmi,  in  questa  rapida  introduzione 
ul  mio  lavoro  spedale,  a  brevissimi  conni. 
(1)  Questi  frammenti  (Floyris,  Trieror 
Brucbstiicke)  Tennero  trovati  dallo  SellB- 
mann  e  fiitti  conoscere  dallo  Stelnineyer 
nella  ZeiUchrift  fur  deuUehes  Allerilium, 
XXI,  307  ggg.  Vedi  poi  K.  Bartseb, 
Naehtrdge  lum  Floj/rii,  nella  Gitr^auia 
XXVI,  04-65.  Cfr,  A.  Blrch-HirschfeW, 
VfÒBT  die  de»  Proven^.  Troubad.  det 
XII  und  XJII  lahrhunderls  bekanttten 
episehen  Stoffe,  Leipsig,  1878,  p,  33;  H. 
Herwgr,  Op.  ci';.,  p.  IS;  Hausbnecbt, 
Op.  eit.,  pp.  4-5,  S-tì,  9-ly. 


ctio  di  Bianciiìi 
grans  piifs,  sposa  di   Pipino ,   madre 
(li   Carlomagno  (l).  Né    aolamente   ]a 
poesia  narrativa  celebrò  i  piccoli  croi, 
n  anche  la  lirica,  come  si  vede  dalla 
romanza,  che  svulgt^  il  tciUa  «lei  la- 
mento di  Fiori»,  ohe  tornato  in   casa 
il  ptulrc,  dopo  molta  loiitananita ,  per 
rivedere  l'amica,  dalla  quale  non  pud 
mere  diviso,  apprendo  invece  che  ella 
tf  morta  (2),  Probabilmente  nella  ro- 
ti) Floire  tt  Blancefim;  eilii.  Dn  Mè- 
rli» f.  poema,  w.  7-12: 
Cuu  eat  àa  roi  Floire  l'enfant 
Bt  de  Bknceflor  la  vaillant, 
De  qui  Berte  aa-gi'aus-piòs  fa  née; 
Puis  fa  ea  Franca  coronaéa. 
Iterte  fu  mere  Charteniaine, 
Qui  puis  tint  et  Francc  et  le  Maine. 
Vedi  Sommer,  Op.  ni. ,  pp,  XXV  sgg.  ; 
Stm  Mèrli  f  Oji.  cit..  pp,   svìj-ivìij;  tì. 
Paria,  B'aloire  po-ftique   de    Charlema- 
I   gru,  p.  128,  n.  4  ;  Hangfcneeht,  Op.  cit. , 


(2)  BartMh,  Alifmn 

Ttn  und  Paslonrel/rn,  \ 


ùsiwhen  R"tiiii 


maiiKa  noi  abbiamo  una  reliquia  dell(> 
estrinsecazioni  liriche  varie  dtjllo  stes- 
so motivo,  e  d'altri,  che  per  avven- 
tura abbia  offerto  ÌI  racconto  di  Fio- 
rio  e  Bianoifiore.  Contomporanea  a 
questa  rimane  un'  altra  testimonianza 
della  diffusione,  cb'  ebbe  in  Francia 
il  racconto  medesimo,  nell'  accenno, 
che  se  no  trova  fatto  in  un'  antica 
albata  (1).  Dobbiamo  credere  pertanto 
che  i  due  poemi  su  Fiorlo  a  noi  ri- 
masti, composti  nel  secolo  successivo, 
Xin  (3),  GÌeno  stati   preceduti  e  ac- 

(1)  Quest'alba  è  nel  cod.  atesao,  spet- 
tante al  sec.  Xli,  che  contieue  la.  ro- 
manza  testé  citala.  Vedi  Da  Kérll,  Oji. 
<■(■(,,  p.  XIV.  Lefgi  l'alba  iu  Bartsoh, 
Chrest.  de  l' ancien  /rancaw*.  coli.  245- 
248.  Un'  altra  menzione  di  Bisncifiore, 
posteriore  perft  d'un  secolo,  troviamo  nel 
FcAliau  de  la  VieìUte:  vedi  Un  Héril, 
Op.  cit.,  p.  xiij. 

(S)  Sono  quelli,  che  abbiamo  citati, 
editi  dal  Dn  Sérll.  11  primo  di  essi  era 
sialo  già    pubblinilo   nel  \6i4  da   Ema* 


ceinpagaati  da   a 

tradiiiome,  e  da  ■&  ÌMmn  ìaBtmmÉe 

della    fantasia   popoUre  e    livnuiu 

suUa  leggenda,  dcfla  q« 

aero  oertamcfilA  attn 

andarono  smanite,  an 


aibilfflentre  kr  proesdatfl  da  tme  (1). 


Miei*  Bdker  {flarv  «m 

aUfranj.  roman.  nafh  dtr 
abtehrift  der  Pararr  ha-ndaUtrift  ic 
htrauageg.  c<>n  !■■,  Btfcker*  B 
lUdiner,  ISU). 

(1)  Che   1-aulon  M  llnnA»  !■ 
nano  tMm  Indotto  Maa  fMte   fri 


oppanaee  cb 
tna  da'nomi  degli  eroi,  AlsMbqhMr,  iRoy- 
W*.  V«di  BiTtfc-BinefeMd,  £^  e  Ar. 
ei'f.  Ora,  4  prabatrile  dw  la  fpMa  ba»- 
o«M  da  lai  adoiMma  Cu^  aaa  radnfaaa 
piti  aalìcà  ditena  daUe  dae.  eW  d  Ito- 
roiM  eooMmlfc  VeA  MaukaMfet^  0|p^ 
àt.,  p.  IO.  CcMi  aa  utioo  poata  tcdaca^ 
fiorito  nel  ncolo  XIl,  Ulriea  *«i  Gaim- 
bnrg,  cbe  airceana  bIU  naiOa  I>gi(eada, 


L 


Oost   avveniva    sempre;   una   data 
leggenda  si   propagava   per   trasmis- 


Dominaudo  l'eroina  Planschi/lùr,  adom- 
bra  Seneca  dubbio  un  orìgiaale  fi'ancese, 
perche  la  forma  tedesca  è  rìdetso  dì 
Bianche  fior:  ctr.  Soinmert  Op.  cit.,  pp. 
XI-XII;  Dn  Mèrli,  Op.  r.f.,  p.  xxviy; 
Blrch-HIrBohfeld,  loe.  di.  Il  Fleck  di- 
cliiara  di  avere  tradotto  dal  fraucese 
(vedi  yv.  142-45);  la  stessa  dichiarazione 
ripete  poco  appresso  l'autore  della  reda- 
ìiione  olaiideae,  Didenc  van  Aasenede.  E 
■ì  noti  che  ambedue,  niBnifQgtainente,  eb- 
bero innanzi  un  modello  francese,  che 
non  8Ì  può  identificare  nÈ  all'uno  né  al- 
l' altro  dei  poemi  arrivali  sino  a  noi 
(HauBkaeoht,  Op.  cit.,  pp.  10-11).  AJ- 
treitauto  d  da  dire  della  poesia  bosso- 
teilesca  lu  Fiorìo,  e,  con  anche  maggior 
ragione,  dtjle  rodazionì  toandìna^e  (ibid. 
pp.  12.  SO-Sl  ).  Tutte  «luesto  vei-aiouì  ri- 
specchiano rìmanaggismeati  vari  della 
primitiva  forma,  irbe  assunse  la  leggenda, 
affini  al  pi'iino  de'  poemi  pubblicati  dal 
Da  Ktfrn.  Anche  in  Italia  fu  certo  i-o- 
nnariuta  ed  «laborata  una  fonl«  franceae: 


orale,  eil  un  poeta  la  elabo- 
rava: dalla  prima  elaborazione  altre, 
forse  indipendentemente,  ae  ne  for- 
mavaDo,  e  da  questo  altre  ancora.  Sì 
tratta  anche  qui  del  sema  gettato  in 
terreno  fertile:  il  seme  diventa  al- 
bero, da  questo  vengono  nuovi  semi, 
che  a  loro  volta  producono  altre 
piante,  si  cho  cresce  s  ai  addensa  la 
foresta.  Ma  anche  sulla  foresta  dello 
leggenda  scoppia  il  turbine,  e  si  pro- 
pagano pure  in  essa  gì'  incendi  :  de' 
molti  alberi  restano  pochi  tronchi  so- 
litari. È  da  dire  per  questo  che  fu 
anzi  gran  ventura,  se  delle  redazioni 
francesi  della  storia  di  Florio  ce  ne 
rimasero  due. 

Pure  nella  lirica  de'  trovatori  oc- 
citanici occorrono  allusioni  antiche , 
del  secolo  XII,  alla  nostra  favola,  Co- 


vedi  la  mia  recensione  dello  studio  citato 
di  R.  Herzo;  nel  Gioiti,  stoi-ico  della 
Ittt.  Hai.,  IV,  pp.  241  Bgg,  Cosi  pure  in 
ìipagaiì,    < 

tcato,  la  leggenda  dovette  dapprincipio 
penetrare  d'oltre  Pirenei. 


1*ft.  K  -nuMmnnMr    J'ttm- 


13 
Ne  basta:  che  da  una  delle  roda- 
iiioni  popolari,  le  quali,  tmtte  dal  Fi- 
locoto  o  dal  poema  del  Flpck,  si  sono 
sparse  in  Germania  (1),  venne  un  ruc- 
corIo  czeco  (2);  onde  vediamo  che  la 
leggenda,  quasi  non  paga  del  dominio 


ampllsei 

latin  i  e 

ano  dei 

Con 


imo  guadagnalo  ne' paesi  r 
germanici,  ei  stese   anche  in 
territori  alavi. 

uguale    facìlitiì   eesa  corse   il 
d' Europa,  da!  Portogallo 
alla  Grecia.  I  trovatori  portoghesi  ri- 
cordano come  i  loro  maestri,  i  pro- 
nmuli,  la   celebre   coppia   dc'noslri 
e  attestano  cosi,  che  nel  loro 
la  leggenda   fu   conosciuta  fino 
XIII  (3).  Al   qual   tempo 

cii-,  pp.  13-U. 
DelU   «toria    di 
%  Germania  e'  •?bbe  pure  una  re- 
dazione obreo-tetlusna:  vedi  Haasknecht, 
Op.  di.,  pp.  19-20, 

(3)  Dlei,  l'eber  die  trsle  flirt.  A'unjf- 
KiKf  Uofpoesic,  p.  81  ;  Th.  Braga»  Ma- 
Hual  da  Hiitùria  da  Litteratum  portu- 


14 
risala'  puri-  la  mniizioop  pin  antica, 
dir  BP  ne  sappi*  fatta  da  ecrìttorì 
BpBpnDoli.  IiS  Gran  ronquista  de  11- 
tramar  nomhuindd  B^rta,  la  s|>n«a  di 
re  Pipino,  «irvflrtr  cho  ossa  fii  fi- 
pila  é\  Viaria  e  KaacifiarB.  <  \m  ara- 
nko  enamnmdc*  de  qne  va  cittee  bt- 
Nar  »  {\\  I)  cIm-  basta,  erada,  a  iim>- 
fftnuvì  oIm  poFF  lAa  ^len  1*  *»- 
tàìa  frena  4«*i 


0>  IMi  «Ik    AMT 
Kt»  «^  «Ni.  |i«.  ksxi«;  ■a»fc»Mk^ 


15 
t'anni  pirt  tardi  in  un  terzo  antere  spa- 
gDualo(l),  Ma  una  ■«dazione  casti^Uana 
'  della  nostra  favola  non  s' incontra  gg 
non  nel  cinquecento:  voglio  alludere  al 
romanzo  di  Flores  ;/  Blanca/tor,  del 
quale  dirò  largamente  più  innanzi. 

La  leggenda  passò  a  fiorire  anclic 
sotta  il  nostro  cielo,  ma  della  fortuna. 
ch'ebbe  in  Italia,  toccherò  qui  appres- 
so. Frattanto  chiuderò  queste  rapide 
nota  suir  ampia  dilTusionc  di  essa  col 
rammentare  il  poemetto  che  un  ignoto 
autore  scrisse  nel  secolo  XIV  in  Gre- 
cia (2),  propagando  per  tal  modo  pure 
nell'Oriente  una  favola,  che  era  or- 
mai famosa  per  tutta  Europa  da  set- 
tentrione a  mezzogiorno. 


(1)  Francisco  Ynperial  {Caacìonero  rlf 
Batna,  p.  204).  Vedi  D»  Mèrli,  Op.  eil.. 

p.  lUTiij. 

(2)  Vedi  Ch.  Gldel,  ÈUides  sw  la  !ii- 
térature  greeq-ue  moderne.  Imifalions  en 
grec  de  nos  romana  de  chcoalerie  depuin 
le  XII  siéele.  Paria,  1866,  pp.  231-835; 
B.  Nicolai,  Geachkhle  der  neugriechis- 
ehen  LUemtur,  Leipzig,  1876,  p.  78. 


liÉMIIIIIMhUJMt      ^^>k   -V    I 


Tommasino  de'  Cerutiiari .  sorittoro 
italiano  dì  aa  poema  tedesco,  il  Wàl- 
sche  Gasi,  composto  nel  1216,  con- 
figlia alle-  fanciulle  dì  leggere,  cun 
quello  di  Andromaca,  di  Enida,  di 
Penelope,  di  Euone,  di  Galiana,  dt 
Sordamor,  Is  storia  di  BiauciUore  (1). 
C  era  dunque  di  sicuro  in  princìpio 
del  dugento  un  italiano  (e  oc  n'  eran 
probabilmentt!  non  poulii  altri  )  che 
conosceva  questa  storia. 

Danle  ria  itaiam,  Ravmua,  1882;  F. 
NoTstl,  Dank  di  Maiano  al  Adolfo  Bor- 
gogìwni,  Ancona,  1883;  L.  Volpe  Klno- 
Upoll,  Di  Dante  da  Maìano  e  di  una 
rtcenlt  monoifrafia  del  prof.  Sorpogiioni, 
Napoli,  1883;  M.,  Appendire  al  Dante 
da  Maiano;  Id.  Atifui-a  di  Dante  da  Ma- 
ìano (foglietto);  A.  Borgognoal,  La  Qui- 
itione  MaianesfXi  o  Datile  da  Aùiiaiw . 
Cittì  di  Castello,  188r.. 

(1)  tìerilnUB  ,  Oóschichie  dm-  dtn- 
tfclien  Dichlung,  1',  430-31  ;  A.  €!r«f , 
Appuntì  per  la  atoria  del  eìeh  brettone 
m  Italia,  Giora.  et.  dolU  Lett   it.,   V, 

lia-13. 


Ed  ecco  chu  più  avanti  le  teeiimo- 
nianzs  ci  ei  £aaDu  anche  meglio  esplì- 
dte.  Il  poeta  della  Intellìgenxa  ìma- 
^DB,  che,  insieme  a  quelle  di  molti 
amanti  delle  favole  classiche  e  medie- 
vali,  sicno  intagliate   suUe  pareti  di 
una  fra  le  splendidiesime  aule  del  pa- 
lazzo della    Bua    donna    allegorica    !■■ 
fig^e  di  Fioro  e  Blartzifiore  : 
R  non  follio  chi  fu  lo  'ntagUadore 
La  bella  Analida  e  lo  boQD  Ivmio; 
Evi  "ntaeliato  Fiore  e  BUnzifinre, 
E  la  bella  Isaotta  blauzesmano  ecc.  (1) 

Un  altro  antico  poeta,  celebrando  i 
pregi  dt'ir  amata,  afferma; 

Né  Blaniiflor  uè  isaotta  [o]  Morgana 
Non  elier  quanto  voi  di  [liaciinento  (2). 


(l)  St-  75,  edi».  Gellrìch. 

(S)  D.  Comparettl  e  À.  IPAacou, 

Le  anticìu  Rime  volgari  secondo  la  U*. 
del  eod.  vai.  3793.  IV.  p.  68.  Per  tro- 
vare in  questt)  cod.  il  sonetti)  non  puA 
esBere  che  del  Ber.  Xlll.  o,  tutt'al  più, 
•lei  primi  anni  del  XIV, 


\9 
Ed  un  altro  ancora,  che  si  dipinge 
martire  d'amore,  a^cura 
i^e  non  portò  mai  tante  peu»  Florio 
quando  colai  tanto  aria  in  moraorìa 
li  fn  venduta  per  moneta  orta  (t). 
Inoltre  dal  Filocolo   del  Boccaccio 
apparisce  che  di  Fiorìo   e  Biancìfiore 
favoleggiava   il   volgo ,    ai    novellava 
nelle  (gioconde  brigate  ohe  discorreano 
M  diporto  la  divina  campagna  presso 
Napoli,  e  fino  in  più  pacati  convegni, 
quale  doveva  esser  quello,  in  cui  raea- 
ser    Giovanni    presso    le    bene  dottine 
della  chiesa  dell'Arcangelo  Michele  a 
Bajano  incontrò  la  seconda  volta  Maria 
d'Aqnino,  e  n'ebbe  invito  di  comporre 
il  suo  primo  romanzo  (2). 

(1)  T>  Casini,  Rime  inedite  dei  secoli 
Xni  e  Xrv  nel  Pivpugnatore,  Nov.-Die. 
1683,  p.  340.  Trascrìtto  nel  cod.  maglia- 
bechinno,  di  sul  quale  lo  pubblica  il  C, 
ne'  primi  anni  del  trecento,  il  sonetto  qui 
sopra  citato  può  tenersi  composto  nel 
MC.   XIII. 

(2)  Vedi  ZUMblnl,  op,  cit,  p.  15;  e 
i  miei  Diui  iludi  riffuardanli  opere  mi~ 
non  <ki  Boccaccio,  Padova.  1882,  p,  9. 


20 

La  celebrità  della  nostra  leggenda 
si  riflette  pure  in  un  luogo  deW Amo- 
rosa vìstonCy  ove  gli  eroi  di  essa  pre- 
sentansi  nel  trionfo  d'amore,  fra  Di- 
done  e  Lancilotto: 

Appresso  questa  (Didono)  al  mio  parar  vedea 
Tanto  contenti  Florio  e  Biancofiore 
Quantunque  più  ciascuno  esser  pote;i; 

Tutto  il  lor  trapassato  dolore 
V*era  dipinto  degno  di  memoria 
Pensando  al  lor  perfettissimo  amore  (1). 

Questo  per  la  tradizione  orale:  quan- 
to a  composizioni  scritte  svolgenti  la 


(1).  Gap.  XXIX.  Biancifiore  è  i*ecata  a 
paragone  di  bellezza  ,  fra  altri  famosi 
esempi ,  anche  in  un  rispetto ,  eh'  è  a  p. 
."iO,  num.  37,  delle  CantUriie  e  ballate  ecc. 
pubbl.  dal  Carducci  (ctV.  B.  Wlese,  A/- 
cuìie  osservai,  alle  Canti/,  e  Ball.  piMl. 
da  G.  Carducci,  Giorn.  St.  della  lett  it 
II.  123).  Non  abbiamo  citato  il  rispetto  nel 
testo,  perchè  costituisce  una  testimonianza 
piuttosto  tarda:  il  in.*,  magliabechiano- 
Btrozz.  CI.  VII.  1040,  in  cui  si  trova,  è 
della  fine  del  XIV  sec.  o  del  principio 
del  XV. 


storia  dì  Fiopio,  l'Italia,  so  non  le  obi»! 
del  valore  d?'  poemetti  francesi  e  del 
poema  altotedesco  del  Fleck,  non  ne 
fu  almeuo  piiva.  Ancor  prioia  d«I 
Fiiocoìo,  intomo  Florio  e  Biancifior» 
si  leggeva  una  canzone,  come  prova 
un  luogo  del  Corbaccio,  nel  quale  alla 
vedova,  che  v'  è  sì  crudamente  tortu- 
rata,  si  b,  tra  molti  altri,  por  questo 
rimprovero;  «  le  sue  orazioni  e  pa- 
ternostri sono  i  romanzi  franceschì  e 
le  canzoni  latine  :  ne'  quali  ella  legge 

di  Lftncelotto  e  di  Ginevra 

Lt^e  la  canzone  dello  indovinello  e 
quella  di  Florio  e  di  Biancofiore  e 
simili  cose  assai  (1)  >.  Quosta  canzone 


(1)  Cortmeio.  ed'a.  Sonzogno  di  Op.  Mi- 
Qori  del  Boctu,  KliUiio,  ÌS79,  pp.  DflS-S. 
Eneodo  il  Corhafrio  posteriore  al  Filo- 
eolo  può  aorger«  il  dubbio  che  la  am- 
»tme  non  sU  stata  un  rirm^imeDlo  del- 
l'opera boccjLcrescji ,  ma.  un  tal  dnbUo 
fu  gik  tolto  con  argomeDlazioDÌ  conviii' 
centìmime  dallo  Znmblal  fop.  dt.  p.  IT 
n.  I.)  e  ilftl  Soerllns  (Bofforeio  '$  Ltben 
umd  Werhe,  p.  497). 


82 

'ed  II  oaDtare,  che  da  noi  vien  pab- 
blieat»,  delibono  tenersi,  come  vedremo, 
una  sola  cosa. 

Olti-e  alla  canzone  o  cantare,  uu 
altri)  poemetto  italiano  uarrù  Ut  nostra 
l«ggi*ndu,  quello  che  siili' <i»i ore  rf» 
Florio  rt  di  Bianvo/iorf  mando  in- 
nanzi, ma  non  ridussi'  a  compimento 
LodoTÌoo  I>olce  (I).   Dì  cjue^to   [ieri 

(1)  Ftt  ini|>r««M  in  Vinojtta  per  M, 
BeAurdinu  ila  Vitali  Vonitiano,  nell'uino 
M.D.XKXII.  È  preveduto  da  boa  lettet» 
dedicatoria  «  al  Magnifico  et  Nohiliniiiio 
Man^r  Ptiilippo  Contariiii ,  GentìUtaomo 
venìtìsao-  >  L'aniora  in  «jucata  dedìo- 
torìa  diic«,  che,  (porine.  per  fradìna  aUs 
ma  donna,  oelVetà  degli  affaiiiiì  amorov, 
compose  codeste  Statue,  <  opera  per  in- 
aaui,  p^  molti  auiii  dal  Boci;ai?'.-ìi>  adi* 
caiitUde  et  ornate  sue  prose  difusantesht 
dmcKtta,  ma  per  troppa  Inagbena  rìn- 
cpDace*ole,  et  vie  più  fon»  «die  legenli 
giovani  fastiiiioea,  t^he  di  diletti):  n  cvma 
quella  e '  ha  ìa  sé  più  tosto  tona  et  stile 
delta  Romana  Ci*«Ua  che  della  volgari!. 
Per  il  'he  lei  In  molte  parti  feci  luìnoru 


S6 

quando  egli  serÌTeTa»  agli  studio».  Il 
Pu  Méril  poi  vede  tra  il  Fiìocolo  e 
le  due  redazioni  troveriche  manifeste 
corrispondenze^  ma  ritiene  che  il  Boc- 
caccio abbia  attinto  pure  ad  altre 
fonti.  Forse  la  tonte  primitiTa  delia 
tradixiotte  era  a  lui  tornata  anche  ana 
▼olta  dall\>rtettte  :  anzi  sriuiiica  Tem- 
dito  firanc^ee  che  si  debba  tener  conto 
di  quanto  adferma  il  Boccaccio  stesso 
nella  chiusa  del  Fffocoto^  che.  cioè, 
questo  romanzo  tu  tolto  dal  racconto 
di  Ilario^  un  prete  ateniese  (iK 

Ma  delle  argomentazioni  e  della  o- 
piuioue  del  Du  Méril  non  fece  caso 
un  altro  dotto  d' oltp'  ^Vlpi,  il  Le  Clerc, 
che  seguito  «  come  se  quegli  neppure 
avesse  mai  scritto^  a  bandire  dogma* 
ticameute  che  nel  suo  primo  romanzo 
il  Boccaccio  tu  non  altro  che  un  tiaoco 
imitatAjre   dì   truveri    francesi  (2).  Sì 

(l)  Op.  irtt,  pp.  Ixix-lxTJ,  clxxix,  .^Ixxay. 
{2)  Hùft,  Litk  dt  /a  /^'roHCtr.  XXJIL  ìJl; 
WIV,  5$l. 


corsi,  tàC  esèie    sotto  state  fonti  del 
Fiìocoh  (l). 

Se  non  chf,  io  compenso,  olla  con- 
gettura Jol  llu  Mi'rii  Tenne  un  forte 
aiuto  dagli  stuilì  dì  un  altro  chiaro 
Bcriltorc,  dolio  Zombiui ,  cho  procurò 
di  rendere  anche  meglio  evidente  la 
grecita  originaria  della  leggenda  di 
Fiorio  6  del  Fiìocoh:  ma,  insieme, 
con  felico  indagine,  ud  una  ^~&  nota 
agpunsM  testiiuonianxe  nuove  delta 
diAl8Ìon«  di'  ebbe  U  Ic^renda  tra  noi 
prin»  della  oampoeinoBe  d«l  romamo' 


(l)ttJ 

li!^«B.  it  di  e  &atoaa-Tnvarn,  p.  143. 
Il  ÌMltll.  dsl  K«a,  tron  cka  il  Boc- 
Moci>  asa  Al  ìbìIéUm  podisM^iw:  ebe. 
aa'MngoK  «pùodi,  n^  ora  t'ana  or» 
r  altra  doli*  mrsQui  (notasi  Ja  Clt  sup- 
pcMm  ufae  tu  abbia  ooaoKCÌitti>  Catl«lDe, 
appuro  tuu  tona  ora  smarrita,  permet- 
ludOH  a  pÙKW  ma  dì  a|es>«ii««cia  e  di 
nrÌMN,  *  dì  atul>T«  lUKwa  il  rarstkira 
e««aUor«iMt  mvilinala  ifeUe  &iati  o  ifeda 
butto  Dell' astku  pagaaii. 


KW.  CHM  «onfa- 1  Zmùm^  4 


ti  ai  mT  jlm   niti^     "3^  '■! 


l«eio,  ma  pervenuto  al  Boccaccia  in 
aa  ri  maneggi  amento  italiano,  o  per  co- 
muQÌcazioDi>  orale  Hi  alcun  amico  (1). 

Il  Gaspary  invece  sì  volle  accostare 
a'  BOetenitori  dell'  opinione  contraria , 
e  couchiuse  un  suo  studio  notando: 
«  che  ....  unica  font«  del  Boccaccio 
BÌeno  Etate  lo  due  versioni  francesi 
coaservata,  non  è  sicuro;  ma  non  è 
stato  pi-ovato  finora  che  non  lo  sia- 
no >  (2). 

Poco  appresso,  chi  scrìve  questo 
pagine,  offrendo  un  sn^o  di  sue  ri- 
cerche sul  soletto,  affermava  resul- 
targli che  il  cantare  dì  Piorio  e  Bian- 
cofiore apparisce  anteriore  al  Filocolo; 
lo  dimostrava  indipendente' da  questo, 
e  terminava  esprimendo  l'opinione  che 
ambedue  sieno  derivati  da  una  reda- 
doae  italiana  pia  larga  e  piena  della 


(1)  Boec.  L.  u.   W.  pp.  497-99. 

(2)  /(  poema  italiano  tli  Florio  e  Bian- 
cofiore ,  nel  G  iom.  di  FU.  Romania , 
IV.  7. 


leggenda;  che  quindi  non  foccia  me- 
stieri cercare  le  fonti  del  Filocolo  ne' 
poemi  francesi  o  in  problematici  ro- 
manzi greci  (1).  Cobi  si  raffermava  la 
congettura,  cui  era  pervenuto  per  al- 
tre prove  non  molto  prima  il  Novali, 
che  aveva  pensato  fosse  il  Filocolo 
da  ricondurre  ad  una  narrazione  ita- 
liana, 0,  più  Ètcilmente.  latina,  ma  i- 
taliana  d'origine  (3). 

Anche  ad  un  altro  studioso,  1'  Her- 
zog,  che  venne  posto  sa  questa  via 
dalle  osservazioni  dello  Zumbini  e 
pel  Koerting,  parve  che  il  Boccaccio 
abbia  potuto  trovare  le  fonti  varie 
del  romanzo  uè' racconti  su  Fiorìo, 
che,  orali  e  scritti,  correvano  in  Ita- 
lia  (3),    Da   ultimo   1'  Hausknecht  ai 

(1)  Due  lindi  cit,  pp.  7-36. 

(2)  Sulla  eompoiiiione  del  Filoroh,  dcI 
Giom.  di  FU.  Rom..  IK.  fti-65. 

(3)  Op.  tì(.  pp.  6-7.  L'Eenmg  conobbe 
tardi  il  nostro  studio,  ma  poti  teoemi! 
conto  in  un'aggisnta  al  suo  dotto  lavoro; 
vedi  p.  91. 


32 

giovò  dei  nostro  scritto  sopra  accen- 
nato ,  e  accolse  la  nostra  conclu- 
sione (1). 

Il  problema  però  non  ci  sembra  af- 
fatto risoluto  (2);  onde  qui,  serena- 
mente, senza  cedere  all'amore  di  alcun 
preconcetto,  vogliamo  ritentarlo. 


IV. 


Vedemmo  che  il  Boccaccio  non  fu 
primo  in  Italia  a  conoscere  la  leggenda 
di  Florio,  che  già  da  meglio  che  un 
secolo  poeti  nostri  citavano  con  altre 
delle  più  famose  nel  medioevo,  e  che 
al  tempo  suo ,  ma  prima  eh*  egli  si 
accingesse  a  comporre  il  Filocolo, 
correva ,  largamente  diffusa ,  sulle 
bocche  dei  nostri  volghi:  vedemmo 
pure  eh'  ei  non  fu  primo  a  scriverne, 


(1)  Op.  cit,  pp.  21  8gg. 

(2)  Vedi  in  proposito  Englische  Studt'en^ 
IX,  93-94,  ove  sono  talune  buone  osserva- 
zioni del  K51blng. 


[  perdlè,  come  ai  deduce    da  un    iuo^o 
I  dd  QtrUuKio.  d  suo  romanzo  prece- 
I  detto  ttna  canionf  di  Florio  e  Bian- 
cifiore. 

Ora,  e  giuato  chiedere  :  col  tn'mine 
ramane.  U  Boccaccio  toUo  adom- 
hram  UD  ctimponiiuento  lirico,  simile, 
por  esempio,  alla  romanza  fraucese 
del  secolo  XII  già  rammentata,  o  svol- 
ante un  episodio  della  leggenda ,  o 
si  riferì  ad  una  vera  composizione 
KKiTatìra  in  versi,  ad  un  cantare?  Si 
pad  erodere,  in  altre  parole ,  che  la 
ransùne  citali  nel  Corbaccio  fosse 
tntt'  una  cosa  col  cantare,  di  che  noi 
ci  Decapiamo? 

Questa  domanda  trae  necessaria- 
mentd  a  farne  un'altra:  alla  voc>> 
eansone  e  lecito  attrìhoire  il  secondo 
ai^nlflcato,  che  l'ipotesi  vorrebbe? 
Certamente:  e  poBsiamo  tosto  citare 
a  favor  nostro  duo   eeompi   ellìcacìs- 

IsìmL  Vedasi  infitti  come  Dante  dica 
ivmrONi"  ii  suo  Inferno: 
^       r ■— 


Itiuvo  il«l  nuatru  sorittn  sopra  accon- 
iinli),  i'  (tucuLstt  U  noetrB  codcIu- 
aioD«  (1). 

Il  probloma  perA  uoii  d  timbra  af- 
,  fkttu  rÌDolutu  (3);  onde  qui,  s«ivna- 
moalis  ««DU  cedt>i-tf  nll'amure  di  alcun 
pr9«>ii(«ttv ,  vogtùuDO  rìteatarlt), 

IV. 


YaJvtttuw  clw*  il  Hoeviicciii  i 
fi-iaut  in  Itttba  n  coat>scere  ia  ìe 
di  KÌM-i(\  cito  già  da  nutgliii  i 
ievolv  [>ooti  uk'sU'i  uitavaoo  eoa  ■ 

(loUu  I^U    ÒUlMM   Ufi   tBudilWYQi  ttij 

•1  teanp»  suo.  ma  pciaa  ek'^  «i 
«Mitigsos»  a  oodipurre  l1  FrAvofo, 
owwva,  lACgwuwM»  tfidfasa..  mlfe 
bvcoJw  dui  aoetn  vutghi;  vodoum» 
par*  ok'  <M  KM  Al  primo  a  serivonab 


(;H|  X4ttl  ìli  pripvtiUt  Kng'ite/»  jitnAn. 
woai  <l»l  KNUmI.. 


del  teeoh  XS  p»  v 

ai  rifert  *4  MB  < 

nsmliTB  >a  reni,  me  ^  ««■•»«■/  i 


■In  al  Stilili  t'iiiHd  (  tlui)  uomi  av«9sero 
l«litutIlRH  |{iuiiU'ÌM  <li  «ifcnidcato,  «  si 
o>wf»n4m— w   >ii  un   vulort*  lutriitto 


Boeeaccia  um  pocu  sopra,  nel  ìaogo 
)t«B«u,   «ti    cui   ai    tien   disounso.    Dt 


■an^mttm  f.  AiUt  flvÈtMwi   *  ;  MA  «Uo 


A  ■Min    l'wifBi-M.-  dha  «f  mttimlm  im^ 


MM  >MM  tWg '111   ««I«4MJI  ^Kff 

Jn«  jtto   — ngà  Jt   UWW»   WiriB   pMM 


■»■»■<  ot.  11.  ^  :«»: 


Qie  tutta  l'oitta  e  1  itaao,  Ab  iato 
Oli  k  aempre;  romo  n  daaeaa  Latma, 
e  lolle  e  prende  l'oiivr  tatto; 

rome  Dante,  Jnf.  XXVIL  26-?!  (lerm 
ilocma  =  lu&ii),  33;  XXIX.  88.  91;  f 
XI,  58.  latini  gli  luliud.  e  /ii^Mi  £i- 
(niormn  1'  iuliano  dice  «?DtiiiiMiBCBt« 
Dante  stesM  nel  De  Vnlf.  Elo^iuo;  am- 
tre  il  BoecMd*  dengn*  U  nwtj*  lis- 
giut  «OD  la  esprcnODV  Ialino  votpart.  cbe 
«n  stalA  però  omU  siM-.h«  da  Dante  fDt 
Vittff.  El.  L.  L  e.  XiX).  volpar  taiéo 
(DedicatorU  a  PiunmMl»  ddU  ToWilr. 
GoruriKl,  Le  leti.  té.  e  mtd.  éi  M. 
Giof.  Bore.,  p.  3;  e  Taeide.  XII.  »ty 
Vedi  ancora  Veeomemn.  V,  2;  e  P«- 
trarea,    Trùmfo  d'Amort,  cap.  Il: 


Ed  egli  al  suoD 

Altri  eaeni|tì  d  danno  bUmo  per  «l>- 
/Wmw  in  reljuifiiie  a  fntneato  ffi-anetM), 
cotn«  nel  pavo  ^1  Curbarno.  Cori  ìa  ■■ 
■onetto    atirìboitu    ■   C«ee«    àasMIeri 


V«tt  yMT  ^WM  Mk.  Mite  «MfK  :«. 

'<tA  fitfe.  A,  L  at  —  Sii  Mi  Lm- 
i«ft  U.U.  j&  X  I-U  K  .  Ii«p:  «  » 

litak  ito»  t»  «Md>  k»  oMf^  p«^  te 


>kfc«>MV<M»  ■ik  ■■■•■ 


41 

(lice  schiettu  che  debboDo  stow  «nto 

uà  sostaozìale  rapporto.   £■«   «oa» 

i  cantari,  i  poemi  in  ttìmn  tim,  eh» 

si  rìcantavuo  nDe  pinac,  e  ■  hf- 

mento  popolare  lascua  idU  MMcti» 

Alpi  o  a'  oltre  Po. 

Si  noti  poi  eke  a  BeetMOB  fOM» 

la  canzone  dell'  UòimmeÙo:  ««a.  «  ^ 

avrertjre  che  por  ddrbdnMdk.  t 

M  mte,  Boks»  laa,  cak.  *•». 

iiuid.  e  iw«,  pp.  xy  B  xxnr.  •.  T.& 

iooUn  il  GiMon  dc-GMian.  «Ik.  blH» 

ztitKhriH  fio-  rom^  pk.  U-  aa.  s».  m. 

1.  7.: 

PortBM  nooTC.  /hw>K*r  <  iMMf. 

E  amWlette  Art  ^M  fa«L 

Por  ^mrnti  «kÌ*  p*  artii*.  MT.» 

ua.MdiKn«t«vl,  k»iL»t^  U^tt 

Il    1010. 

1 


un  cantare  cho   ci   rceta  (1).  Jiù  solo 
qui  il   Boccaccio   accenna  a   cantari, 


(1)  Pu  pabblicato  in  soli  12  eeempkrì 
dallo  Zambrlnl:  Lo  Indotinelh  —  no- 
vella antica  —  in  ottava  rima  —  non 
mai  fin  qui  BUmpaU  —  Bologna  —  Tipi 
Fava  e  Oaragnani  —  1861.  SotUi  il  ti- 
tolo Noeella  della  fii/lìuula  del  mercatante 
trovoai  questo  cautui'e  pur  nel  libro  Quat- 
tro novelle  «ecfe,  Cosmopoli,  MDCCCLXV 
(volumetto  in  16°,  l'V-72,  stampato  a  Bru- 
xelle»,  Imp.  de  I.  H.  Briard,  rue  dee  Mì- 
uimes,  51,  a  100  esemplai'! ,  per  cura  di 
una  rianìone  dì  bibliofili),  ove,  nella 
HTvertenKa  preliminare ,  sì  indicano  di 
esso  due  antiche  stampe,  una  di  Firenze 
verso  il  1495,  registrata  dal  Libri,  l'ul- 
tra senia  data  e  luogo.  Lo  Zambrlnl  dun- 
que g'  era  ingannato  stimandosene  il  pri- 
mo editore;  ma  nelle  Opere  r^lg.  a  stampa 
MP.  Bologna,  1866.  egli  congetturò  l'i- 
dentità del  cantare  da  esso  pubblicato  alla 
nocella  della  figlia  del  mercatante.  Bon 
a  ragione  lo  Zambrlnl  avverti  che  l'/ti- 
dovinelto  richiama  a  memoria  la  XXX 
novella  del  Decameron:  si   pu6   aniti  ag- 


r.i 

ma  anche  poco  più  aopra,  ove,  attri- 
buendo alla  vedova  la  millanterJa 
<  che  se  uomo  stata  fosse,  l'arebbo 
dato  il  cuore  d'avanzar  di  fortezza 
non  che  Marcobello ,  ma  il  bel  Ghe- 
rardino,  che  combatte  con  l'orsa  (1)», 
volle  alladen?  appunto  al  Cantare  del 
bel  Gherardfno  (2);  mentre  non  u 
improbabile,  che,  alcune  parole  prima, 
nominando  Febus,  egli  si  sia  riferito 
al  poema  di  Febusso  n  Breusso  (3). 
Possiamo  addurre  ancora  altri  ur- 
gementi  a  sostegno  della  nostra  opi- 


giuDgerlo   sUe    noveUo,  che  il   Landau 

rsnimenlu  (Dit  Qu«tlen  des  Dekaineron*, 
162),  indicando  le  fonti  del  racconto  Uoc- 
cuccesFo.   Vedi   sullo   attìMo   Indovinello: 
F.  Selml,  op.  pit.,  ini.  575-76. 
(S)  Corbacào,  ài.  ediz.  p.  299. 

(3)  Vedilo,  pubbl.  dallo  Zftmlirlnl,  in 
questa  Seeltn  di  mriosild  lett/^arie,  Dia]>. 
LXXIX.  Bologna,  1867. 

(4)  U  Febunso  e  Brtm»<i.  Poema  ora 
per  la  prima  volta  pubblicato.  —  Firou- 
M,  nella  tip.  Plutti,  1847. 


tiione.  Lft  vedova  lasciva  legge,  ben 
s'  ftvrcrta ,  ì  romanzi  fraaceschi  e 
le  cannoni  latine,  come  pure  la  can- 
zone dell'  Indovinello  o  quella  di  Fio- 
rio.  Queste  canzoni  non  potevano 
essere  dunque  brevi  composizioni  li- 
riche, Be  erano  da  leggere  quanto 
i  romanzi  francesi:  nò  dentro  il  giro 
ungiisto  di  una  lirica  si  sarebbe 
contenuta  la  storia  di  Florio  e  Bian- 
cifiore ,  la  quale  invece  più  accon- 
ciamente poteva  distendersi  nell'  am- 
pio metro  proprio  de"  cantari ,  l' ot- 
tam  rima. 

E  poi  non  si  sa  che  queste  stono 
romanzesche  si  siano  svolte  nella  li- 
rica: si  sa  invece  che  si  svolsero 
ne'  cantari.  Qui  si  vuol  dire,  insomma, 
che  la  vedova  si  ritraeva  non  giA, 
come  dava  a  credere,  a  sgranare  il 
rosario,  ma  a  leggero  romanzi  e  no- 
velle  d*  amore   o   di   cavalleria   (1). 

(t)  Della  finta  devo/ione  ilelle  dunau, 
in  altra  forma,  muove  laineutu  anche  il 
FrooIi 


•15 
Anch'  t!Bsa  delirava  dietro  <t  quui  che 
le  carte  empion  di  sogni  » ,  e  divo- 
rava oltre  1  propri  testi,  cho  di  co- 
storo trattavano,  ancora  riproduzioni 
popolari  delle  storio  romanzesche  . 
che  fiorivano  tra  noi. 

Ma  le  letture  oh'  ella  cercava  non 
erano  soltanto  frivole;  si  erano  un- 
ohe  oscene:  «  ella  tutta  ai  stritola 
quando  legge,  Lancclotto,  o  Tristano, 
o  alcuno  altro  con  le  loro  donne  nelle 
camere  segretamente  e  soli  raunarsi  : 
l  quale  par    vedere 


E  dono  d'  adorar  mold  «embiaDti, 
Ma  quando  in  Rhiesa  ai  ti'oran  di  piano 
Poco  ragionan  di  Dio  e  di  Santi; 
Ma:  t  le  galline  mìe  non  buccan  grano:  • 
Dolgonsi  delle  balie  e  delle  fanti, 
E  qual  dice:  <  cosi  mi  fé  la  gatta:  > 
G  quest'  è  l' orazion  eh'  è  da  lor  fatta. 

Vedi  Contnuio  delle  Donna,  pubbl.  dnl 
VAncona  nel  Pfopufinainrn ,  voi.  II., 
1'.  II.,  43fl,  St  LXXIV. 


ciò  che  fanno,  u  che  volentieri,  come 
di  loro  immagina,  così  farebbe,  ar- 
vegnachè  ella  faccia  sì,  che  di  dò 
oorta  voglia  sostiene  >,  Ora,  il  can- 
tare di  Fiorìo  e  Biancicore  6  osceno? 
Non  lo  possiamo  mettere  a  paro  con 
la  novella  dell' lodovinello;  ma  certo 
esBo  contiene  due  episodi,  cbe  alla 
vedova  dovevano  specialmente  gra- 
dire: quello,  noi  quale  due  fanciulle 
procaci,  per  invito  dello  zio  di  Florio, 
tentano  distrarre  costui  dal  pensiero 
dell'  amica  sua,  mostrandogli  ciascuna 
il  suo  bel  petto  bianco,  prezioso,  e 
le  mammelle;  l'altro,  in  cui,  dopo 
lunga  e  dolorosa  separazione,  ì  due 
giovani  ritrovansi,  quasi  per  mira- 
colo, nella  torre  dell'ammiraglio,  e 
s'abbandonano  alle  amorose  ebbrezze. 
È  inoltre  da  por  mente  al  fatto 
che  questa  nostra  favola  non  ebbe  le 
simpatie  de' gelosi  custodi  della  mo- 
ralo:  il  16  aprile  1621  la  colpi,  con 
iillre  opero  simili,  un  oditto  di  cen- 


I 


sarà  del  vescovo  d'Anversa  (1);  r 
Lodovico  Vives,  il  secolo  [irocedente, 
l'aveva  compresa  tra  ì  libri  più  fa- 
voriti <  qiios  oranos  conscripseruiit. 
Iiominas  otiosì,  male  feriali,  imperiti, 
vitUsque  ac  spurcitiae  dediti;  in  queis 
miror  quid  delectet,  nisi  tam  Dobis 
Qagitia  blanilirentur  (2)  >, 

No»  ci  paro  dunque  che  alla  nostra 
ipotesi  si  opponfrano  difficoltà  gl'avi  ; 
ma  cho  il  pooraeltti  sìa  stato  com- 
posto innanzi  il  Filocolo  ci  si  fa 
manifesto  ancho  per  vie  più  dirotte. 
Abbiamo  acceanato  in  altro  luogo 
cho  prove  chiare  di  ciò  escono  dal- 
l' esame  di  un  antico  maDoscritto 
contenente  il  cantare  (3):  qui  torna 
necessario  ohe  questo  osarne  si  faccia. 

(1)  VsJi  Do  MórU,  op.  eit,  p.  ;x1t,  n. 

(2)  De  Christiana  femina ,  1.  I  (  da  Dn 
Mèrli,  op,  cit.,  p.  iliv,  n.  4). 

(3)  Ihie  Studi  rit,,  pp.  H-15.  Vedi  an- 
che F.  Selml,  op.  rit-,  pp,  276-70,  .lei 
quale,  B  dire  il  vero,  quando  scrìasì  la 
prima  TolU  su  questo  «oggetto,  non  m'ero 
accorto. 


18 

Il  coil.  Magliabechkiio  CI.  Vili.  141(i 
<•  un  volume  di  mediocri  dimensioni 
(  cent.  24  X  16  ),  di  carte  54  recen- 
t«mente  numerate,  e  d  presenta  ona 
dello  solite  miscellanee  risoltaatì  dal- 
l' accozzo  di  elementi  disparati.  I  mes. 
0  frammenti  di  ms.  qui  raccolti  sono 
propriamente  quattro.  Si  hanno  prima 
sei  carte  in  pergamena,  col  titolo: 
«  Est  h'&er  Senache  »,  contenenti  un 
brano  del  Tolgaristamento  dello  scrit- 
tarello  attribuito  a  Seneca,  che  fu 
opera  invece  del  vescovo  Martino  Du- 
mionse  (VI  sec),  sulle  quattro  vinti 
cardinali  (1)  (la-&a).  Nel  margine 
inferiore  del  f.  5a  si  legge:  «  Conpi- 
m[<m]to  di  q [ite] sto  libro  Vai- 
na[n]3Ì  aìfolglo  doue  la  croce  -i-; 
poi,  d'altra  mano  (5b-0b),  seguono 
sentenze  e  fatterelli.  Viene  appresso, 
di  diversa  scrittura,  un  codìcetto  car- 
taceo {7a-ì8b),  che  porta  in  fronte. 


(1)  Vedi  Tenffel,  fioHa  drlla  Utt  n> 
'«ana,   (rad.  HA..  II.  p.  72. 


49 
segnato  da  manu  moderna,  il  tìtolo: 
«  Gradi  di  S.  Qiroìamo  ».  Al  f.  18  b 
a'  interrompono  i  Gradì  :  indi  a  que- 
sto secondo  a'  attacca  un  terzo  opu- 
scoletto  (19a-24b),  ove,  d' altra  ma- 
no ancora,  trovansi  narrate  alcune 
storielle  (Ida),  come,  ad  es.,  ■  i^i  tro- 
iano inperadore  » .  che  dA  1'  unico 
figlio  alla  vedova  rimasta  priva  del 
proprio  pei-  cngion  di  quello  dell'  im- 
peratore; che  viene  lovato  di  pena 
per  le  preghiere  di  S.  Gregorio  ;  della 
■  meìalrice  *,  che  fa  penitenza,  <> 
cosi  via.  Nella  faccia  sncce8BÌTa{19b) 
s' incontrano  tentativi  poetici  volgari 
nel  tetrametro  trocaico  catalettico  su 
questi  argomenti  :  della  natività  di 
Cristo,  della  sua  resurrezione  ecc.; 
a' quali  tengono  dietro  (20  a)  brani 
degli  Evangclìi.  Al  f.  20b  la  stessa 
mano  delle  prime  pagine  membrana- 
cee riprendo  la  sua  scrittura  secondo 
il  glA  fatto  avvertimento,  e  alle  po- 
che linee,  che  compiono  il  trattatollo 
attribuito  a  Seneca,  la  seguire  detti 


50 

di  fì»oÌafi.  Ciò  ano  al  f.  23 b,  ove, 
(iella  stessa  mano,  si  novella:  *come 
uergilio  diflco  napoli  >;  con  che  si 
continua  a  tutto  il  f.  24a.  ÀI  f.  24b 
s'ha  un  computo  per  trovare  il  giorno 
(li  pasqua:  in  fundo,  in  uno  spazio 
rimasto  bianco ,  la  mano  che  ha 
scritto  il  tosto  volgaro  di  Seneca  e  i 
detti  de'  filosofi,  aggiunge  alcune  linee 
sopra  Socrate.  Viene  quarto  l' opu- 
scolo, che  a  noi  specialmente  inte- 
ressa, scritto,  meno  le  ultime  carte, 
e  qua  e  là  qualche  riga,  tutto  di  una 
mano  sicurissimamente,  dal  f.  25  a  al 
f.  B2a.  Questo  opuscolo  è  pure  car- 
taceo. In  capo  gli  si  legge:  «  Mcccxìi'ij 
adj  XV  dagkosto  >  ;  cui  seguono  ta- 
luni appunti  di  credenza: 

«  Tonio  chesfara  alvofjho  dat- 
dobrando   frateìlù   chvgino   di- 
nante soqi'o  dei  detto  aldobran-  "-ì 
do  midedat-e  chegli  diedj  p[sr] 
ij  cftoròf  diformentii 
ecc.  ecc.  ecc.  ».  Sul  v."  segue:  «  Ora 
fi  tjoglio  inseyniarp  rno  tavola  chi- 


vaìesf  rftrovare  dì  graie  mese  e  gran- 
die  del  mese  fie  la  pasi/va  dirisoressi 
del  nostro  signiore  teso  cristo  e  fne 
fittta  qvesta  tavola  net  13H  e  la 
l&tera  chedìsopra  alla  rvota  e  indio- 
minciasi  cioè.  L.  andando  ad  anno 
adanno  ecc.  ecc.  »,  Nel  f.  successivo 
(26 a)  lediamo:  «  Qpesla  sie  lare- 
ffhola  chefece  donmartino  priore  di 
ehamaliloli  p[er]  la  ijvale  '•insegnio 
trovare  qvando  viene  la  pasqva  di 
riaoresso  e  sono  disotto  edalato  iscritti 
xj  versi  i  ijraii  sono  133  nomi  e 
ciascltedvno  sferjre  a  rno  ano  e  dìso- 
rra  aehatvno  nome  siepferj  afxiebo 
Ì242  e  1S43  echosi  ad  tmo  a  rno  i;i 
insino  al  J373  ecc.  ».  Seguita  la  re- 
gola coDsigtentc  in  certi  Tersi  latini 
artificioBamente  composti:  quindi  si 
soggiunge  come,  rifacendosi  da  capo, 
la  si  puBsa  applicare  a  nn  nuovo  pe- 
riodo, dal  137y  in  avanti:  «  qvesfa 
reghola  sie  chonpivta  nel  1373  anni 
e.  se  rvoffli  sapere  poi  p ir  ina[n]si 
fitti  ricìwminsa  da  chapo  dorè  dicie 


i 


dpv  t37S  *  <àmm  m  «f»*   tari» 


wmmn*  *rir  ifiiiiilk  Al  (  46^  » 


fondo,  altra  flguru,  e  al  f.  47.-1,  ove 
sì  compie  il  poemetto,  ancora  nuove 
figure ,  fra  cui  l' agnello  con  l' asta 
crocigcm,  simbolo  di  S.  Giovanni  Bat- 
tista :  superiormente  alle  figure ,  e 
frammezzo  ad  osse  trovansi  altre  pa- 
role della  mano  solita,  in  parte  ean- 
cellate,  ctie  sono  nuovi  appunti  mer- 
cantili: *  Quello  libro  sie  di  ...  , 
(non  ai  leggo,  perchà  fu  raschiato  ciò 
che  stava  scrìtto)  edaìo  pegnio  pferj 
T.  J  rf.  iiij  di  Fior.  ecc.  »  Qui  ho 
cercato,  ma  senza  Irutto,  (gualche  data 
che  ponesse  fuor  di  dubbio  l'anno  in 
cui  fu  trascritto  il  poemetto.  —  Se- 
guono tavole  di  abbaco  (47b-50B); 
Indi  tavole  di  riduzioni  di  moneta,  ed 
altro  che  tornava  buono  al  possessore 
del  libro  (50a  2.'  col.  -  52a).  In  fondo 
alla  2."  col.  del  f.  51  b.  ai  rilevano  a 
sfento  disotto  alla  cancellatura  parole 
Vtf^ltra  mano,  ma  sincrona;  *  questo 
Jih-icciuofo  e  di  benedeto  di  bancho 

».   Non  mi  riuscì  A'  intendere 

la  terea  linea  :  parrebbe  ai   s'  avesse 


1 


54 

a  trovare  una  data,  che,  per  il   caso 
nostro,   sarebbe  assai  preziosa;    ma 
tutti  gli  sforzi  per  leggervi  sicura- 
mente riescono  vani.  —  Sulle  tre  ul- 
time carte  non  abbiamo  più  la  mano 
consueta  :  vi  si  vedono  memorie  di  un 
mercante,  delle  quali  riferisco  qualche 
cosa  ad  esempio,  tanto  più  che  dap- 
principio comparisce  una  data  molto 
opportuna  al  fine   della  presente  ri- 
cerca: (f.  52  b) 
[PJesamo  la  lana 
peso  libre  cinqvata 
d  tela  peso  libre  X^iX 
1  tela  peso  libre  XXX 
queste  ij  tele  e   libre  cinqvanta  di 
lana  porto  a  tesere  iachopo  giovan- 
nini  a  di  xxiiij   dotobre  iiiqnaran^ 
tanove  >. 

E  tosto  d*  altra  mano  :  «  elo  iacopo 
di  24  dottobre  349  fior[ini]  due 
dor[o]  pa^ai  io  bancho  de  miei  de- 
nari  e  p[er]o  ecc.  ecc. 

In  fondo  al  f.  53  b  una  mano  rozza 
al  pari  delle  altre,  diversa  caratteri- 


55 

sticameote  par  come  le  aìtre  due,  Hn 
quella  chi)  scrisse  1'  opuscoletto  e  in 
eno  il  cantare,  verga  talani  versi.  Sal- 
l"  nltimo  f.  {54  b)  ancora  altra  mano 
segnò  niioTG  note;  Tengonu  infine  di 
m&ni  diverse,  fra  cui  quella  anche 
che  scrìsse  il  più  di  qaest'  ultime  me- 
morie, talani  nomi  con  accanto  due 
teste  :  «  Oìouan[n]i  .fachfipo  ecc. 
ecc.  » 

Fermiamoci  alla  data  '349,  ossia 
1349 .  che  ci  si  offre  al  f.  52  b.  Il 
poemetto  sta  dunque  tra  questi  due 
termini:  1343-1340;  ma  esao  fu  in- 
dabbìamento  trascrìtto  dalla  mano  me- 
desima, che,  pochi  fogli  avaoti,  in  capo 
all'  opuscolo,  pose  la  data  1343,  e  ri- 
empì quindi  quasi  tutte  le  carte;  men- 
tre la  data  1349  e  una  semplice  nota 
accidentale  messa  li  in  uno  de'  fogli 
rimasti  bianchi  da  altre  persone,  in 
possesso  delle  quali  era  passato  il  libro. 
Manifestamente  la  trascrìzione  dorette 
essere  fatta  molto  più  vicino  al  1343 
che  al  134fl:  fissando  come  estremi  il 


L 


«Hh  «*(■  dHl  )Mtt 


»^«^9.a»tt  X 


k 


cunelndorebbe  che  il  Boccaccio  lurra 
la  storia  di  Fiorìo  alquanto  prima  del 
poeta  di  piaxj.a,  e  cbe  qu«ati  |n>1£  co- 
noscere e  utilizzare  il  Fì/ocoln;  ma 
invece  è  chiam  che  ci  sTanza  la  copra 
indiretta  di  do  tosto,  il  quale  rimonta 
ben  oltre  il  1342.  Abbiamo  a 
altrove  che  a«l  nostro  ma.  3  p 
d' alterazione  del  poemetto  ^ipartsco 
(li  molto  iniiltrato  (1):  diamo  ora  e- 
sompi  dei  danni,  ch'esso  ba  patito. 

Si  veda  la  chiusa  di  questa  Stanza; 
B  1»  n  poM  Loro  tanta  amore 
Cb  a  posto  nome  fiorio  al  nio  flglioalu 
R  a  U  pulzella  a  nome  bianciafior^ 
Penhe  ■  aaomxgliata  al  fraacho  gligliu 

(1)  Vadi  Bostn  Due  Studi  ecc.  cjt,,  p. 
15.  Gii  il  Sebal  nvera  scrìtto  nello  stcaso 
proposito:  «  Se  poi  si  gturd>  si  Itiogbi 
guasti  della  lezione,  alle  itoquatore  fr«- 
qnenli ,  «  ad  alcuni  arerpelloni  di  ania- 
QUense  n  liew  in  persuaaioue  che  stuiU 
di  giungere  alla  mano  del  trasmtto» 
vlliiau  (il  noatro  poemeUo)  dovette  ps»- 
wn  per   pia   altri  *  (<rp.  àL,  p.  ZK). 


k 


canptmf  il)  Bianri/hre. 

oppure  :  canpata  ^  Bianci/tore. 

Rà  a  tavola  sedea  lo  dondolio 

ina  chaminmla 
r  oste  due  dolcie  amor  min  hello 
3  onde  fu  ella  nai/i 
E  .f.  si  dise  tn  uno  ehastellii 
Chella  meliàa  ti  ellapeUaia 
K  poi  li  fece  .(.  un  donataonia 
Cb  una  cbopa  11  fece  donare. 

(ff.  41   a  -  41   l-f 

Qui  gli  altri  mse.  e  le  stampe  n 
offrono  r  aneddoto  di  Fiorìo  che  in 
ano  degli  albci^hi ,  a  cui  sosta  nella 
ricerca  di  Bìanciiiore,  per  distrazione, 
urtandovi  il  coltello,  rbmpe  il  bicchien> 
cbo  ha  sul  desco.  Le  rime  però  sono 
1«  stasBe  (2);    uguale   e  il   principili 


(1)  Secondo  l'ortogralìa  moderna:  cani- 

(2)  Ne'  primi  aei  varai:  -  elio:  -  ala: 
-  elio:  -  ala  ecc.;  negli  nltimi   due:  - 

-  enio.  Il  lesto   msgliabechiano  t 


«3 
perche,  sebbene  in  forma  nn  po'  di- 
rarsa,  erao  occorro  anche  ns'  pD<>niotti 
francesi  e  nelle  altre  reilaziani  della 
leggenda  (1).  Qualche  canlastori''  l'i 
Avr&  dimenticato,  o  lo  avrà  levato  per 
sue  proprie  ragioni  :  ed  invero  non  sì 
trattava  di  fatto  capitale  che  si  avesse 
a  mantener  fisso.  li  Catto  capitale  era 
che  Florio  si  fermasse  a  quell'albergo, 
e  risapesse  che  vi  era  passata  Bian- 
cifiore  co'  mercanti,  in  modo  che  il 
suo  cammino  potesse  avere  direziono 
più  sicura:  il  resto  era  puramente  e- 
pisodìco.  Se  non  che  nell'  aneddoto  ae- 


(1)  Vedi  I.  poeta,  fr.,  vv.  1100  sgg. 
n  poem.  jv.  3399  tgg.:  per  le  altre  re- 
dazioni efr.  Henoff,  op.  dt.,  pp.  4^7. 
L'aneddoto  manc-a  nel  Fi/ocolo  e  nel  ro- 
manso  spagnuolo  ;  e  che  maucliì  nul 
0  eì  spiega  per  dò  phe  il  Boccafrcio 
non  immagiun  che  Piorio  trovi  ricetto 
preBK>  osti,  ma  sia  accolto  e  aiutalo  d» 
personaggi  ricchi  e  ragguanl ovoli  :  cfr. 
,  eSi.  Moulier  .  2  voi,  .  pji, 
127.  131. 


E  chuiurisu  ù  penso  cba  foue  ileM 

Cbolui  in  cbui  -fi.  sTes  Uperanu 

E  tosto  ne  fu  aodata  a  .B. 

E  ilìae  B  ci  e  venuto  lo  tuo  unkdore. 
(f.  45  o) 

f^i  tratta  di  Florio  elio,  nascosto  in 
una  costa  di  rose,  vien  coUato  ad  una 
llncstra  della  tono  dolio  coutu  doQ- 
toWo  (ove  BJancJfìure  era  stata  chiusa 
per  volerò  doli'  ammiraglio  dì  Babi- 
lonia) da  un'ancella.  Pensando  che  nu 
lo  tracBBH  la  stossa  Biaucifiore,  impa- 
sientc,  il  giovinptto  sporgo  11  capo  diU 
«i8to  per  vederla;  l' nncella  alla  com- 
[laraa  inaspettata  di  una  testa  umana 
sbigottisce,  lì  grida,  ma  ^i,  prudonto, 
alle  compagne  accorse  dissimula  la 
cagioutt  vera  del  suo  sbigottìmeuto,  e, 
pregata  di  pìeia  dal  gioviue  smarrito, 
lo  ricopre  di  fiorì  e  lo  nasconde.  Essa 
0Ì6  fìi  pcf  umor  di  Bìanciflore,  die  le 
vnra  (doreTasi  diro  neUa  redazione 
orì^narìa)  mamifntttto  i)  suo  amore, 
f  |K>»eando  che  ìl  gtoviaMIo  salito  m 
■lud  modo  Klla  tonv   fotte  raeuuiU 


V 

«; 

<I(>l]a  Mgaara  nu.  D  4 

•.Uh  «.la 

mi  certo  fi  sTveTtiv*  y 

liatliia.iali 

»  dTintll..  <(>*>•..  MH. 

poidtf  M  alta)  hBà 

■Keaien  et 

,„  die  l-iaed»  k  riofator»!» 

ilof»  anilg  aanbW 

a  ariaiali. 

iapt  avene  eMaectiCi 

alaaiala» 

HaiKMen,  a  the  anite  le)i»|ii 

Min,  e.  d-altn>l>. 

li  liiimiai 

krto.  ae'  due  aitai  neii.  «  «ri 

maa.  a  le  atanpe.  eoMe 

«n**pi> 

atasU  ad  uu  <M  pai 

•«la.k«i. 

praaao  che  tatti,  cfciaiA 

loia—  e» 

Inne  a  qadla  <ke  aai 

afel^^  ^^ 

lril»fa>i.,«b>l.W. 

pU  aaliea  U  eaUf». 

«Pi«>-u 

Ulaà..p» 

d>ep«..el  pria»  po<a>  (»<.. 

e  aeae  TenaM  aflai  m  mi— ■  J 

ddraaaor  a»  ab  Oli 

■a  Claria(U 

(1)  Vrfi  r,  SOM  «, 

-P«l.  ii^ 

•ai  .an  d».  laiaw. 

■»  •«.  P^K 

k 


■  «  IHH'  <Mi>  iv»  l'at 


.■U».iS.-i.,«».»t1 


I 

I 


<li  certi  errori  nolla  rima  che,  so  pos- 
soDo  essere  attribuiti  qualche  volta  a 
inesperienza  e  disattenzioDe  del  co- 
piata, pid  spesso  indicano  che  su  molte 
bocche  doveva  essere  corso  il  cantai-e, 
e  da  molte  mani  doveva  essere  stato 
ricopiato,  guastandosi  più  sempre,  pri- 
ma di  venire  trascritto  nel  codice  ma- 
gliabechiano.  \. jit-cseritoroin:  charo(l 
delle  St.  conservate,  f.  31  a);  2.  topi- 
eia  -  leggi  Topazia  (1) -;  gracia:  to/- 
ma^o  -  leggi  Dalmazia  (2)  -  (3,  ivi); 
3,  gravida:  chamera:  femetm  (6,  f. 
31  b);  4.  fiffluolo:  glìglio;  rawiffh'e 
(8,   f.  32 a);   5.   mio;  mio:  desidei-o 


ultimi  quattro  esempì  abbiamo  rima  pari 
a  quelle  che  ai  offrono  pura  nelle  com- 
posizioni de' vecchi  poeti  (i'art«,  dato  che, 
come  altrimenti  si  vuole,  hoq  si  tratti, 
almeno  per  i  sidliani,  di  mera  illusione 
prodotta  dalla  supposta 
tirano  degli  originali  bìcuIì 

(1)  Vedi  più  inuanii  nel 
metto  Si.  10. 

f2)  Come  sopra. 


70 

(9,  ivi);  6.  fare:  amore:  mandare 
(13,  f.  32 b);  7.  dire:  malchometto: 
letto  (16,  f.  33 a);  8.  mia:  niente: 
mia  (18,  ivi)  (1);  9.  chomiato:  achon- 
pagniato  :  volontieri  (19,  f.  33  b)  (2); 


(1)  Ecco  r  intera  St: 

E  sai  di  che  ti  pregho  vita  mia 

Dicie  .B.  allo  dongello 

Se  in  altra  parte  dimori  niente 

Ispesse  volte  guarda  in  queato  anello 

E  sera  alegra  la  persona  mia 

Quando  sarà  cholorìto  e  bello 

E  se  si  chanbiase  punto  lo  choloi'e 

Per  lo  mio  amore  sochorì  biancicore. 

(2)  E  .£.  lo  prende  volentieri 

E  da  la  chorte  prende  lo  chomiato 
E  secho  vanno  dongelli  e  chavalieri 
Da  bella  gente  eli  era  achonpagniato 
Astori  e  brachi  e  Mchoni  e  livorìeri 
Per  chonfortallo  e  chandaase  volontieri  ec. 

La  rima  volontieri  si  produsse  per  la  vi- 
cina rìsonanxa  di  quella  che  immedia- 
tamente precede,  livorieri,  la  quale  fece 
dimenticare   la   men   prossima  uscita  in 


71 

l  10,  pn-ntra:  dimessa;  eaaa  (32,  t 
|35«)  (l);  li  tomenca:  calore:  sen- 
^tcnzia  ^,  t  36b);  12.  traditore: 
\  ineholpà  (ivi)  (2);  13.  taglio  :  ItìTÙi 
I  agio  perduto  -  leggi  perdut'ò  -  (40, 
I  1  36a);  14.  damigella:  (ohun)  lei; 
I  donzella  (42,  ff.  26b-36a):   15.  tro- 

-rare:  marito:  alegmre  (45,  d  Stì  b)  (3); 

16. /iiftVo:dato:araturato(4S,f.  37a); 

17.  feccia  :  (mona  etera  -■  piaccia  (55, 

£  38a)  {4)i  18.  imanttìneute:  lavorati.- 


-  alo.  Qneato  istinti'o  tarbiuneato  dell'or- 
dine  dell©  rime  nolU  pressato  St.  Ibrsf 
accadde  perchè  ai  rìpeUvu  e  n  troscrìvcv» 
il  contare  n  memorili. 

(I)  Abbiamo  il  caw>  notato  ora:  la  riiiiu 
prtrura  per  pratua  ci  rappreaenln  l'in- 
llnenui  dell'  altra  altemanteai.  iti  -  urti. 

(8)  Neil'  ultimo  r.  di  questa  St.  ni  con- 
ttnnn  la  rima  in  -  ó  dd  tt.  2.  4.  a 

(3)  ifarito  por  marilare:  nncbe  qui  o- 
P«rA  r  iufluenxa  dell'  ultra  rima  alter- 
aaiit«iù,  in  -  ilo. 

H) 
El  padfuue  delia  nate  rende  suo  saluto 
ilelll  l'iapuose  ckuu  alegra  lai^ciu 


màemi,  <Sa,  £  38  il)  (1);  Ifl.  ùt^n- 
muitato:   ùRJtolorito,'    duMuiaUi    fC4, 

imi  Mgtufr:  -  -ve  &' avedetr  (C^,  f. 
Sf  hy.  SX.  poFU  :  worlfi  :  àeutrù  (CO. 
M)  <(£»;  SE.  wk  «MA.  a^alUtB  («!, 


'NMS  «••  ^!fMW*>*HHlì%  «Mk  fM«  Pi 


ivi);  23.  vaoa:  criatuna:  vira  | 
f.  40s);  24.  andare;  risciiuilaK :  lu- 
intffiere  (70,  ìtì)  (1);  25.  petto:  àoo- 
gella:  dongella  (72.  ivi):  2G.  Tenduta: 
tradita:  pentnta  (74,  C  -lOb):  27.  at- 
hergheria:  Bkncifiore  (78,  t  41  «>  (2^ 


E  tutta  I&  ma  genie  (ww  bena  aooru 
S«  .t  toma  «a  DM  choipaodftownto 
Dlrenu)  che  .B.  tì  sin  drntiv 
Morta  e  ^ace  nella  ■epulioia 
QoelU  gentile  e  n'jbilR  criaUira. 

É  evidente  cbe  arreiiD»  uno  ^ttriwnMto 
della  rima  moria:  probubilineitte  il  tim- 
■crlUore  mrk  «tabi  inganiula  dalla  <»■- 
■■"■»""  di  ehomaivlantenio  e  iifax/ro. 

(1) 

Da  pai  cbe  voi  m  avete  moru»  inamoraiu 
Choiue  mi  protrMli  rìaeiiuilare 
El  ohnur  del  cborpo  m   aveb:  furalu 
Ed  ura  mi  eredi  tu  blao  lugim/irrt. 

Qui,  le  non  a'  ha  nn  «emplioe  errum 
di  Kiittora,  •*«  «cwnbialo  il  vortm  lu- 
littffort  col  aoat.  tutìHffhiere. 

{2}  Per  inABOiua  della  ritn«  alherghr- 
na,  eh'  è  al  V.  fidi  quatta   St.   Dtnrvra 


r  (».  f.  ^H  H 
SU.  ornsTrter  rvfnrrnf^-  m?.  rrij:  80. 
fiaéao  :  dAor-  lì  ti): 

(UO,  f.  46ti\;  8c>.  ftinm    aùw:  ^ 
llBic  (ISl.  ixK 


ìmAut    «imi    Al'    w    imuiuircu  ■»■  wn 


I 


poema  a  memoria:  e  puit)  in  «lui^sUi 
caso  oonviena  ammettere  che  prìmn 
listo  sia  stato  lungamente  u  larga- 
mente ripetuto, 

Alleerà  6  da  vi^dere  ijuaato  nellii 
trascmiuae  mugUab^chiaita  sia  stata 
rispettata  la  prosodia.  È  ben  poco 
frequento  il  caao  ohe  in  osso  sì  pre- 
sentì illeso  il  malcapitato  endecasil- 
labo. Sappiamo  bene  che  non  può  at- 
tenderei rigorusa  esattezza  metrica  in 
una  rima  popolare;  sappiamo  inoltre 
ohe  da  noi  facìlmeoto  si  gabellano 
come  sbagliati  endecasillabi  che  tali 
non  poreano  a'  nostri  antichi  poeti: 
(|Uellì,  ad  esempio,  che  nel  primo  emi- 
stichio, conforme  l'uso  francese  e  pro- 
venzale, serbano  un'  atoua  soprannu- 
meraria (1);  ma  tutto  questo  non  pud 
bastare  a  pecsuaderci  che  gravi  irre- 
golarità non  si  trovino  realmente  ne' 


(I)  Vedi  Monsel»  nella  ctt.  niv.  11. 
S39;  (Ux^  Origini  drlla  Lìngua  poe- 
tìea  ila!.,  pp.   13J34. 


V  iBfc  hB'  i 


C*«r«lirift«i»«p« 


XfV  a>  ^«>*<  rOMW  «  »  •ÌMOT' J 


K 'tf  «Min •<«««'&  Mtei  «  «'a 


4"  jNMMt.  «M  M>wit"^Ur-«te  4lnMmA 


Versi  come  questi,  ai  quali  altri 
t  potrebbero  essere  aggiunti  (1), 
riflettono  la  tendenza  do'  copiali  to- 
scani a  pareggiare  la  lingua  della  po- 
esia a  quella  della  prosa  (2),  e  concor- 
rono insieme  a  provare  l' alterazione 
del  testo  primitivo  del  poemetto  pro- 
dottaei  mano  mano  nello  successive 
trascrizioni  e  recitazioni. 

Se  dunque  una  copia  del  cantai'e 
(atta  tra  il  1343  e  il  1345  si  e 
cosi  corrotta,  a  che  tempo  risalirà  la 
composizione  di  esso!  Sara  possibile 
ritenerla  come  vogliono  taluni  stu- 
diosi (3),   posteriore    al    Filocolo,   so 


(1)  Vedi  notti  al  testo  del   poemetto, 

(2)  Cais,  op.  cit.,  pp.  127  ugg. 

(3)  11  Bartoll  {Rie.  Europea,  Nuovu 
;,  Anno  X,  voL  XV.  p.  470,  e  1  primi 

due  secati  della  leti,  il.,  p.  562.  n.)  e  il 
6upU7  (Giom.  di  FU.  Hom..  IV  pp. 
1-7)  giudicarono  che  il  poemutto  aia  nul- 
rfllti-o  rhtì  una  inetrir'a  ridn/iono  del  I-'i- 


i 


•d<.v.Mri> 


la  pQMta  popolare  rapidamente  si  gua* 
sti,  Doa  si  pii6  credere  che  nel  ^o 


sere  proceduto  dal  m/M)  poema  del  popolo. 
Per  il  crìlerìo  med^mo  aegaì.  senza  «■- 
perio,  ropinioue  dello  SqnarcUSc»  il 
LUbrUf  che  diKorreado  del  ciutUre  i> 
proposito  di  quel  franimento  che  gli  uv- 
Tnane  di  trovarne  nel  cod.  loled&no,  di  mi 
qokle  pabblic6  <  il  tnct^Ui  dei  mesi  di 
Bonreno  da  Riia  »  (di  questo  Seella  Diap. 
127),  lo  ebbe  a  ^udicare  anteriore  al  Fi- 
localo  sul  mero  indizio  della  sua  forma 
-  Il  Selnl,  op.  rit.,  p.  276. 
t  quasi  t^auio  a  riteUbn»  il  <:aii- 
ijBfpent  dal  dugeoto.  <  Se  inoltre,  egli 
imiiia  ni  minato  la  dizione, 
un  cerio  pmfuma  di  Telnstà  incontanente 
TI  ai  fa  sentire;  e  dai  Tocaboti,  dalle  ma- 
niere, dai  costrutti  pare  di  aver  sott'  oc- 
chio una  di  quelle  lìriche  che  furono 
nKcolte  nei  due  volami  contraenti  ì  poeti 
de)  primo  secolo  doUa  lingua.  Nod  è  che 
lo  pretenda  di  ^udicarla  upera  del  du- 
inialn;  ma   non   ardirei    ni-ppure  di  con- 


>  ■•  b  Ab       niitt  ifl 


w  jÈÈU'^IHmil,!  ^U»  h»- 


Al  cantare  ed  al  F^locolo  si  colle- 
gaoo  particolarmente  dae  altre  reda- 
zioiii  della  nostra  leggenda:  ti  poema 
greco  ed  il  romanzu  spagnnolo.  Que- 
sti racoonti,  a'  quali  s'  aceoala  il  se- 
condo poema  francese,  si  accordano 
in  modo  cbe  costituiscono  un  gruppo, 
il  quale  sì  stacca  dalle  altre  versioni, 
la  prima  ^'uncese  e  quelle  che  le 
sotto  affini;  e  si  presenta  anzi  a  ta- 
luni come  un  rimaneggiamento,  un 
secondo  cielo  della  leggenda  (1). 

n  Sommer,  non  avendo  conosciuto 
il  cantare,  non  potè  rilevarne  le  ìn- 


(I)  Sommer,  Op.  eit..  png.  XXV; 
Snndmacber,  Die  alifransOs.  und  mhd. 
Bearbeititng  drr  Saije  boti  FI.  und  BL, 
Góttingen,  1872,  p.  3;  Her»9,  Op.  di., 
pp.  2  ee^g.  ;  lUiUknecbt  ,  Op.  cit.  , 
pp.  3,  ai. 


ià.  éat  éiMo  tniesoo,  olbw  «  aaa  sia- 

lOBOr  AWW  BtnSBOBtU    tTUppU    StTwt— 

iBMWMhi  il  piMim  gnau  aST  >jp«m  é^ 
1  tBaaM   al    Sommar 


11]  OjpL  <>L.  pp.  XMD-XXIV. 


I 


chi  lo  Beasse:  fii  qaeati  il  Oidel. 
il  qnalo,  n«n  contento  dì  sostenere 
l'opinioDd  allrai,  avanzò  anche  ond 
Ìpot(«t  nuova:  che,  cioè,  ti  poeta 
greco  non  abbia  dilettamente  rical- 
cato Q  Filocolo,  ma  abbia  tradotto 
no  poema  estratto  da  esso,  il  nostro 
cantare  (1). 

Pnre  a!  Wagner  parve  dapprima 
assai  probabile  che  il  racconto  greco 
fosse  una  imitazione  di  quello  del 
Boccaccio:  a' ha  ragione  però  di  ri- 
tenere che  più  tardi  egli  si  sia  ri- 
creduto (2). 

Lo  Zumbiai  invece ,  accogliendo 
l'opioioDe  del  Du  MériI,  esctnse  l' im- 
medìota  relazione  de'  due  testi,  e  notò 
che,  indipendentemente  dal  filocolo, 
il  poemetto  greco  presenta  somiglian- 
ze con  la  seconda   versione  francese, 


{!)  Op.  <■-(..  pp.  835  sgg. 

(2)  Medieval  GrVek  Texia ,  Londun. 
IS70,  p.  XVIII;  B.  Znmbint,  Boa-aaus 
f/racee,  Uflsscgnn  Settim.,  V. ,  345-46. 


I»  >l^  Wl.    «•  IM.  '.^^ 


eesere  non  altro  che  iuta  tndndooe. 
DDii  io  tutto  pedissequa,  ma  nemtna»- 
co  assai  libera,  del  caaUre  (1).  Que- 
ste [>arole  probabi]iiieat«  fiorarono 
all'  HausknecLt ,  che  aceertA  l' intui- 
sioDe  del  Gtdel,  e  preTenne  La  dimo- 
strazioDe  nostra,  rendendo  erideal^  la 
dipendenza  del  poeina  greco  dall' i- 
taliaao  (2). 

Quanto  al  romanio  spagnnolo,  fb 
creduto  anch'  esso  ona  traduzione  del 
Filocolo:  si  veda  infatti  cbe  ne  di- 
cano il  Quadrio  e  ÌI  Mazzachcllt  (H), 


(1)  Dm  tl-di  àU ,  p.  16, 

(2)  Op.  di.,  pp.  «.  •gg. 

(^  S(.  e  Jloff.  d'ogni  pQttùx,  IV.  442. 
Il  JCaxzDelieUl  rìp«le  db  cbe  ^ià  ftvevs 
detta  il  Qnadrle:  vedi  SrritL  d' li.,  V. 
IS35.  —  AmbeilGc  atlribuiti^ono  arbitm- 
mmeata  qnesta  iuppoata  traduzione  del 
POowlo  a  Juao  àa  Florei:  mi  di  eh?  cfr. 
anche  Hsaikaeekt,  Op.  tit..  p.  51.  il 
qmlo  perà  dt»  solo  il  lecondo  degli 
terìuori  neaninatL 


1.  Noi  II  do'  poomctti  bimeMl  dm 
giovaol  e  nobiUuimi  apOM,  il  duca  o 


di  FiL  Romanta,  IV.  Ió9-lfi9),  «  di 
qaella  che  io  partn  rìprodoiM,  in  parta 
rìanutiso  rHiniknecht,  Op.  eit,  pp. 
^^  "SS-  L'  ^eni;<lfire  dnlU  M&rciaiw 
spotta  olla  prima  delli-  àae  edizioni  ■.  1. 
n.  d.,  che  troTÙ>nio  regintrale  dal  Bn* 
aiAf  S£aHU4Ì,  SuppUm.  I,  500.  AucIi'cìk. 
a.  L  D.  d.,  6  ìa-i.  earaU.  goL,  di  28  ff. 
a  Zi  righe  U  pag.  inlont,  Mga.  A-XIV 
a  14  tr.  Milita  MgnBtnra.  Snllft  prìcam 
faccia  il  frontiapizio  :  h  leiaao  dna  figure 
rapprese  nlaD  ti  i  doe  ìnoAiaorstl,  «  UMo 
à  legge  il  titolo:  La  hitloria  de  lo*  dot 
enamoradoi  Flore»  et  Bianca  fior.  Al- 
l' ÌDlomo  un  beiliinitio  frsfpo.  NeUk  Ebb- 
cìb  Begueate  (t  1  r.)  Uggiamo:  Aqui  eo- 
munfa  la  hùtoria  d»  Flore*  y  Blanea- 
flor  ji  de  *f  deteeadencia  y  de  tut  amo- 
ret  de  quanta  lealtad  uno  «nt)«  elUu:  y 
de  gvantoì  iralajc/t  y  pelìgroi  paeearoa 
<n  el  liempo  de  tue  amore*  lùndo  Flore» 
mora  s  BUmcaftor  ckittiana.  Y  de  corno 
por  voluiUad  de  dia*  nneatro  lenor  *e 
couuerlio  Fiore*  a  lo*   Hiaadamieaioi  dr. 


.  ^  Ut  m 


oBnanovf  de  ìa  tMa  rtdtmda.  —  1524 
(carte  40)  —  Io  fine  h  rìpelata  Lt  dati 
1304,  ed  A  aggiuto  il  giorno,  in  cui  fn 
ftomplu  U  etuapa,  28  ttorembre. 

2)  Bùlaria  de  Bnrìqve  fija  de  dima 
OUmt  ny  de  fenaalem:  y  emp&vdor  de 
tMutaatinopla.  —  In  fine:  Emprimìose 
el  praettU  tratado  en  la  muy  m^U  et 
nuiy  Irai  ciHdad  di>  Seuilla  potlrero  dei 
mtt  de  Setiembre  d«  mill  et  quinicntoi 
et  Mynfe  et  etneo.  —  (carta  xrxiìj. 

n  Bnuwt  suppone  che  pur  rodiziooo 
d«l  roawiLio  Flore*  ■/  Bl.  già  deacrìcta 
aia  BtktA  btta  Terso  il  ISSO.  —  La  nostm 
laggesds  è  ancora  riva  Sri  il  popolo  spa- 
gnnolo  come  si  vede  dalle  ristampe  mo- 
derne del  romanzo:  Boi  potemmo  rano- 
arome,  per  eort««a  del  prot  RAjaa,  una 
di  Madrid  18T7.  S'intitola:  Hittoria  de 
Flores  y  Slanea-flor,  ju  detrendencia  , 
antarts  y  peligros  que  pafaron  por  ser 
Florei  moro  y  Bianca-Fior  cristiana  — 
Madrid,  i877.  Dftpaeho,  calle  de  Inanelo, 
nù<n.l9. — cuatru  pliegua.  Precedi;  ai  titolo 


L 


Gallizia  (1).  Cosi  nel  cantare  italiano 
meeser  Iacopo,  .cavaliere  di  Roma 
potente  e  ricco,  e  la  gioTÌna  sua 
sposa,  Topazia.  Nel  poemetto  fran- 
cese manca  perù  un  particolare  cb'  ò 
nella  nostra  redazione:  il  voto  so- 
lenne che  fa  il  signore  romano  di  re- 
carsi a  s.  Giacomo  «;  se  la  moglie 
potasse  ingravidare  >;  voto  che  non 
fa  troppo  attendere  l'invocato  effet- 
to (2).  Qui  dunque  il  cantare  è  pros- 


una  vignetta  l'apprcEen  tante  la  fugu  di 
Florea  e  Bianca-Fior  dalla  casa  del  viceré 
d'Egitto:  a  deatra,  appoggiata  ail  una  pa- 
rete, si  vede  una  Beala,  per  cui  s"  efl«t- 
tuò  ia  fuga:  gli  amanti  stunno  nel  mex- 
xo,  in  atto  dì  fuggire:  Flores  addita  a 
Bianca-Fior  la  uave  che  li  attenda:  sul 
loro  capo  à  la  luna  falcata.  Dieci  capì- 
toli, in-8.  —  Sul  contenuto  di  questa 
redazione  moderna  Todi  Ìl  nostiv  artìcolo 
Flores  y  Btancafior  nel  Giom.  di  l'HL 
Rom.,  IV.  167-69. 

(1)  Vedi  i  TV.  49  Bgg. 

(2)  Vedi  Cantare,  St.  2-3: 

Un  caTalier  di  Roma  anticamente 
[iresu  ^mr  moglie  uuei  geutìl  pulzella, 


diverso  affatto  dalla  prima  (1).  1^ 
segue  fedelmente,  anzi  lo  tradnee  il 
1  greco  (2);  cosi,  pure  nel  Fi- 


lo&tti,  >e  c'era  onnù  prommu  dì 
figliaoUnzn  (la  dusc(b)i>Ì3e  estoit  «acaia- 
te),  perche  recarsi  a  b.  Oiacomot  Mi 
par  giusta  ritenere  che  a  questo  strìn- 
s  il  duca  un  precedente  impegno,  la 
ulsnniU  di  un  Toto.  CohI  nel  11  poema 
fr.  «■  avrebbe  raltorarione  «li  un  primi- 
tivo teeto,  che  mrglìo  ai  rìflelierebbe  nella 
redazione  italiana  e  nello  altro,  olle  la  ai 
collegaue.  È  vero  perù  che  si  può  cro- 
dore  Tolesaero  il  duca  e  la  moglie  pro- 
pmnrai  b.  Giacomo  per  ottenere  felice  il 
parto,  a  s' affrettaasero  insieme  a  ren- 
dergli grazie  della  fecondità  flaalmoDle 
eoo  cessa. 

(1)  Vedi  1  poema  fr.  tv.  91  sgg.  Seeoado 
que«to  poema  t  pellegrini  erano  padre  e 
figlia:  cosi  è  pare  nelle  redazioni  affini, 
tranne  la  baaso-tedeBca  (  Henwg';  pp. 
18-19).  Si  noti  che  anche  in  queste  vei-- 
eioni  n  accenna  ad  un  voto  fatto  innanzi 
di  aceingerd  al  pellegrinaggior  cfr.  I 
vv.  05-98;  Fleck,  w.  429-31, 

(t)  Vv.  1-23: 


localo  e  nel  romanxo  spagonoio,  ore 
ai  proBCiDda  dalle  {nnpe  dovale  kIU 


-:;<yOT  o-JSév  E»:5<r,TÈv  3WI  Tptiì(h)x£v  -n^  Win)' 
:-rTÌpxe  Y^  e-ijfsvtxr;,  td  eE&?  xfJiTTaiXdxpaia, 

:  -  -t^txidv  xonaÉpiTTS^  sìXiS'^  sdì  tiS'  ój.tv 
:  x'ixX*5  Tou  :^93*i7rou  TiK  Tóv  -^im  àvTr,-y{ti, 
-i  ìuOAa^  TTK  ""'  Elf'Of^s*  ^À^Y*  voi  i:apa7Ta(i'vri 

yJv  Sì'  Ó  «UTTÌq  a'viìp  KÌTfq  TlSl  «TOtVl'iXV 

y  II  «pjO^JU  JWtptTTiriTaTO  fiwnjv  tou  tiiJ.ixo'J'Wj 

;75v  voji^^Mv  na(Jpij3i!Ìv  6X-'^  '^P^?  "^^  Sesttcttìv 

t;*  X'P'^  Ssavai  otTr^'sw^  iva  TEX'JSJTOtifSTTi. 

:  5Ì  aWp  Ti)5  •pjvxtxdij  Sia  wf  'yij  Totxdrr/v  x^ptv, 

I  :  T«  ^"  Ti|«  thtsV/tTiw  mviXix^v  il  x-ipri . 
'  '-.  ««vTEj;  ei?  Tov  oixifv  to-j^  '/api;  |trf<»5-»?  kìiivouv 
^■jv  8^  iVy  ónd^X''*^  anoipTi  nX-i]p(i>e£r(j5iv. 

:  iy^À/i?  xarf  «ìv  aToXiiv  e'prfpàffsv  ad-r^xa. 
.  •  !T»v  et;  TÒ  edx-nripiov,  wadv  tou  'LmcùÌ^u, 


L 


m 

ftintjMÌa,  affondo  eredo ,  ilo'  rispettm 
autori,  81  trova  ancora,  ne' fatti  ca- 
pitali, la  narrazioDe  del  cantare  (1). 

n  Boccaccio  rinzeppa  il  racconto 
d' aggiunte,  che,  almeno  qui  nel  prin- 
cipio, devono  ritenersi  originali.  L'e- 
sordio, corno  tutti  sanno,  è  infatti  un 
luogo  autobiografico,  ael  quale,  sul- 
l'orroe  dì  Ver^lio,  narrata  con  epica 
pompa,  sotto  velame  di  allegoria  mi- 
tologica, r  origine  della  Bignoria  an- 
gioina in  Napoli,  il  nostro  autore  si 
riduce  a  parlare  di  re  Roberto  e  della 
Aglia  sua  naturale  Maria  d'Aquino, 
a  raccontare  come  innamorasse  di 
costei ,  e  come  avvenisse  cìi'  ella  gli 


Si  confrontino  questi  versi  con  quelli 
pib  sopra  riporlAti  dal  canlArs:  è  facile 
vedera  che  il  poota  greco  traduce,  solo 
ooDCedendoai  qualclie  libertà  d'amplili- 
caiioae. 

(1)  Ftìaeolo,  ed.  Moulior,  voi.  1,  pp. 
lS-15;  Flotvt  V  Blanai/U>r.  IT.  1  v.  -  5 
T.  ;  Hanakneclit,  pp.  &S-59.' 


desac  incarioo  di  scrivere  lu  storia  Hi 
Florio    e    Bianciflora    (1).    Invocato 


(I)  Filotoh,  I.  1-8.  Vedi  noatro  Con- 
tributo agli  Studi  mi  Bùeeaeeia,  pp.  300- 
201,  Q.  3>  ove  sullo  stesso  argomento 
BCrivenUDO:  <  Che  (nel  Filocolo)  l'epopeai 
dapprincipio  almeno,  à  tenti,  è  mani- 
festo. OiuDOQe,  «t«raa  nemica  di  Roma, 
e  cagione  della  sua  rovina,  come  nel- 
l'Endde  nd  Eolo,  si  presenta  al  pontA- 
fìCQ('),elo  eccitu  alio  scempio  di  quel- 
l'avanzo dì  progenie  l'umana,  che  nel- 
r  ««trema  Italia  teneva  ancora  levata 
l'aquila  antica,  do6  della  oasa  sveva, 
cVem  il  sostegno  dell'  impero  e  del  ghi- 
tiellinisroo.  Indi,  come  gii  nel  poema  di 
Vergilio,  la  saeva  lovis  eonìux  scendo 
a"  regni  di  Plutone  e  chiama  Aletto,  ac- 
cendendola contro  gli  ultimi  Eneadi,  So 
re  Manfredi   risponde    ad    Enea,   Cai'lo 


la  penlrriee .  i 


upele.  fi  da  noti 
di  Otm«,  repprainla  qui  I 
Ctt.  ContribHle,  p.  100,  a. 


^ 


quindi  l'aiuto  di  Dio,  o,  soconilo  il 
nomo  pa^no  eh'  egli  preferisce ,  del 
sommo  Giove,  il  Boccaccio  ei  volg«, 
sempre    classicamente    esuberante    e 


d'Angiò  è  Turnu;  ma  la  storia,  a  ilispetlo 
del  BoccBCpio,  rumpa  il  parnllelo,  poi- 
ché ben  divens  fortuna  dal  prìnio  ebbo 
quest'  altro  Enea  a  Benevànto.  Tutto 
questo  perchè  a  Tenga  a  ben  più  umile 
cosa,  a  diacorrere  dì  Roberto  d'Aogiò,  e 
Hpecialment<i  della  sua  figliuola  naturalo, 
Maria  d'Aquino  ».  —  Il  Sorlo  s'era  g'A 
accorto  di  questa  imitaiiona,  ed  nvevH 
pensato  che  il  Boccaccio  ai  fosse  proposto 
di  fare  del  suo  racconta  un  poema  in 
prosa,  che  arìeginrae  all'epopea  vergi- 
liana.  Per  questo  ansi  egli  esaltò  l'opera 
boccaccesco,  osila  cui  solenne  forma  ima- 
ginò  si  nascondessero  alti  a  riposti  sunsL 
Vedi  le  sue  Letture  sopra  il  Fìlueopo  di 
G.  Baca.,  in  cui  fraumeiio  a  sti'aneize 
souo  pure  osserraziom  buone,  negli  Atti 
lUt  R.  ht.  Veneto.  Seria  HI,  7,  pp.  596- 
016;  10,  pp.  635-673,  753-773;  11,735- 
813. 


solenne ,  a'  friovani  ed  alle  giovinottp 
innamorate,  e  li  invita,  citì  che  pur 
(anno  uno  dei  [toeti  francesi  e  1'  ita~ 
liano  (1),  a  porgere  ascolto  a' casi 
d'amore,  che  s'accinge  a  narrare. 
Incomincia  il  racconto,  e  continua 
l'epica  intonazione  dell'esordio.  Spre- 
giando rnmlità  della  materia  roman- 
lesca  e  la  semplicità  delle  narrazioni 
popolari,  fervido  ammiratore  dell'arto 
antica,  il  Boccaccio  si  sforza  di  ele- 


(l)  Vedi  I, poema  fr.,  w.   1-6: 
OjM,  flignor,  tout  lì  amant 
Cil  qni  d'aroors  se  vont  p(>nant, 
Li  chevnlier  et  les  pucelea, 
Ili  damoisol,  lea  demoÌBe!ea: 
Se  mon  eonte  volez  c-ntendro 
Moalt  i  poniJK  d'amore  aprendre. 
Cosi  il  poeta  del  cantaro  toscano  n'in- 
diri»*»  specialmente  a  chi  sia  innamo- 
rato: vedi  nel  testo,  I  St.  In  questo  in- 
vito, come  pure,  io  credo,  nellu  invoca- 
iion«  di  Dio,  il   Boccaccio   si   è   confor- 
malo all'uso  d(>' poeti  popolari, 


ran  Topefs  pracna  »Bm  dìgnifà  de* 


Tffijibo  a  Stano,  e^  Inumila  tho 
«^  «Tenti,  onde  ha  priadpo  Q  n- 
maaio,  pnóedaao  carni  edeatì.  Cba 
eoa»  d  ai  presenta  snci  tutto!  L'«- 
tm»  lotta  fra  Ko  «  Satsaa,  oaiia, 
per  oaue  i  nomi  pift  graditi  a] 
ture,  fra  Gìots  e  Plntoae.  Coeù  i 
bui,  da  coi  si  arolge  tstt*  b  l 
di  Florio  e  Kaaciftor«,  aoa  si  pf»- 
doflono,  al  pari  che  aeQe  altre  rèda- 
«jom  della  leggenda,  come  reali  aaa- 
tìageoze,  ma,  lo  vedremo  tosto,  come 
«fletto  di  qotìl  coDtraEto  dirino  (1). 

Anche  nel  rìEaciinento  boceadcesoo 
si  comÌDCta  dal  prllrgrinA^o  a  s. 
Giacomo,  che  compiono  i  gioTani  spo- 
si, da' quali  nascerà  Bianci£Lir«;  se 
non  che,  amplificatore  artifidosu,  il 
Boccaccio  DUO  sa  toccare  di  esso  senza 
dilongani  a  chiarire  la  ragione  Iod- 
tanadi  tali  via^  deroti.  Ecco  dim- 


(I)  QKUribMo,  L  t 


qn»  eh'  egli  ha  bisogno  di  rifarsi  alle 
orìgini  del  mondo,  e,  traducendo  in 
linguaggio  pagano  il  testo  biblico,  di 
riparlare,  con  retoi'ica  magniloquenza, 
del  conflitto  accesosi  fra  ciclo  o  in- 
ferno dopo  la  cacciata  degli  angeli 
ribelli,  e  de'  fatti ,  che  ad  esso  s' an- 
nodano: la  creazione  dell'uomo,  la 
SUB  prima  colpa,  il  bando  dalle  sedi 
boftte;  per  scendere  a  dire  del  ri- 
scatto cristiano,  della  propagazione 
apostolica  della  nuova  fede,  della  pre- 
dicazione che  ne  ha  latta  s.  Giacomo 
nell'estremo  occidente,  del  martirio 
che  questi  subì,  della  erezione  di  un 
tempio  nel  luogo  del  suo  supplizio , 
de'  miracoli  eh'  ei  vi  operava,  e  della 
&ma  che  ne  suonava  por  il  mondo  (1). 
Della  quali  cose  messer  Giovanni  par- 


(1)  Fit.,  1. 9-12,  —  Sulla  felsa  tradizione 
cha  s.  Giacomo  apostolo  predit^ù  in  bpa- 
gna,  vedi  quello  che  scrive  il  Sorto,  oi>. 
ciL,  Alti  wx..  in.  10.  644  sgg. 


^Q^ak»^ 


■•^:rrri 


103 

"  frìcano,  disceso  del  nobilo  sangue  del 
prìmo  conquistatore  dell' atfrìcana  Car- 
tagine >.  Costui  era  <  ornalÌ99Ìmo  dì 
be' costumi,  e  abbondaa te  di  ricchezze 
e  di  parenti,  e  già  per  la  sua  virtù 
prescritto  all'ordine  militare,  e  aveva 
secondo  la  nuova  legge  del  figliuol  di 
Dio  una  uobilissima  giovane  romana, 
nata  della  gente  Giulia,  e  Giulia  To- 
pazia nominata,  presa  per  sua  legit- 
tima sposa,  la  quale  per  la  sua  gran 
bellezza  ed  infinita  bontà  era  motto 
da  Ini  amata  »  (1). 

È  Ctcile  scorgere  come  questo  luogo 
corrisponda  al  seguente  del  Cantare: 

Un  eavalier  di  Roma  anticamento 
prese  per  moglie  una  gentil  pulzella, 
e  era  molto  riphisimo  e  posonte 
d' oro  e  d' avere  e  di  molte  castella. 


Diversa  la  forma,  m 
toslanza.  Infatti   nell'  n 


identica  è  la 
testo  e  nel- 


l'altro  il  personaggio,  che  ci  viune 
presentato,  è  detto  cavaliere;  il  Boc- 
caccio non  ai  discosta  dal  poota  di 
piazza  se  non  per  qaesto  che  in  luogo 
della  parola  adopera  una  ctrconloca> 
zione  (prescritto  all'  ordine  militare). 
Cosi  vediamo  che  in  tuttedae  i  rac- 
conti s'accenna  alla  molta  riccheMa  del 
personaggio  stesso,  e  si  narra  eh'  egli 
i  condotto  in  moglie  una  va^ 
giovine.  La  differenza  è  in  cid  solo, 
che  in  cambio  Jol  mesaor  Iacopo  del 
cantare  (1)  abbiamo  un  nobile  ram- 
pollo d' inclita  gente  romana,  degli 
Scipionì;  e  che  al  nome  di  Topazia, 
comune  al  gruppo  costituito  dalle  due 
redazioni  italiane,  dalla  greca  e  dalla 
spagnnola  (2) ,  sta  premesso  quello  di 

(l)  Sì  noti  cbo  il  nome  di  Iacopo  oc- 
in  vn  certo  nnmaro  dì  stampo 
ilei  cantare;  nei  mas.  e  in  talune  oduioiiì 
non  si  trova  vedi  note  alla  St.  4);  come 
b  puro  ignoto  al  poeta  gl'eco, 

{%)  Cantare,  St  10  ;  Poema  gr, ,  v.  1  ìì; 
Roin.  ap.,  r.  1.  y.,  Haiuklieeht,  p-  K- 


105 
Giulia.  Variazioni  qiiijste,  dio  si  de- 
vono certo  al  lìoccaccio ,  il  quale , 
come  si  noto,  volle  darò  alla  sem- 
plice Bua  storia  pompose  forme  clas- 
siche. 

Gli  epoBi  non  hanno  figli:  onde  Le- 
lio, ridottosi  in  una  chiesa  dedicata 
a  B.  Giacomo,  fa  voto  egli  pure,  come 
meeser  Iacopo,  di  recarsi  pellegrino 
in  Oallizia,  se  ottenga  che  la  moglie 
ingravidi  (1). 

Pero  il  racconto  boccaccesco  con- 
tiene duG  particolari  che  mancano 
nel  poema  italiano  o  nel  greco  :  v'  è 
indicato  il  tempo  che  Lelio  e  Giulia 
Topazia  sono  rimasti  senza  figliuoli 
(cinque    anni)    (2);   e   v'  ò    narrata 


(1)  FU,  T.  14-15. 

,  I,  14.  —  Cinque  anni  tra- 
scorrono pure  inutilraeabi  dallQ  nozxe 
tra  Thiebaut  di  Dune  M^i't  (Dominare) 
e  la  figlia  del  conto  di  Poiitia  (PontXieu): 
vedi  Holand  et  d'Uérlcaolt,  Nouvelles 
fran;oÌses  en  pfose  dii  XIW  siècie,  Pa- 


.un'apparizione  notturna  dell'invocato 
iipostolo ,  che  annunzia  a  Lelio  l' C" 
saudimento  della  fatta   preghiera  (l). 

Sono  queste  invenzioni  del  Boccac- 
cio; od  ebbe  egli  sott'  occhio  una 
fonte  più  larga  che  non  sia  il  can- 
taro! Per  ora  non  posBiamo  venire 
a  conoluBÌono  alcuna. 

Notiamo  pure  che  ci  sono  corri- 
spondenze fìn  di  parole  fra  i  due  teBtì. 
Nel  roraanzo  eì  dici!  che,  fatto  il  voto 
nel  tempio  dì  s.  Giacomo,  Lelio  «  tor- 
nò al  Buo  militar  pataffio  »  (2);  nel 
cantare  si  nomina  il  palazzo  della 
milizia: 

ris,  1856,  p.  166.  Per  questa  o  per  altre 
«oiniglianze  l'HerwtTf  op-  <^it..  pP-  H. 
7S-80,  imagina  che  il  Boccaccio  abbia 
.imitato  in  codesto  luogo  del  buo  racconto 
la  novella  fraoctise.-  Non  mi  pare  che  la 
imitazione  aia  cosi  sicura  come  egli  crede. 
Vedi  ciò  che  ne  ho  detUi  nel  Giom.  St. 
dilla  Leti.  Ital.,  IV.  257. 

(1)  Fit.,  I.  15-16. 

(2)  Fil.,  I.  15. 


I 


Deatro  ia  ftuBa  d  fb  U  prami^oiM 
■taada  «al  palano  da  U  nulìzì»  (1). 

S^arvcrta  tattarìa  oh»  qui  sWs?o 
Miste  naa  disoordonu,  U  qualo  cun- 
oorre  a  mostrara  T  mdJpendoiuii  dot 
cantare  dal  romanco:  io  questo  la 
promiasìone  aTTÌeait,  come  ve«lt.>mmo, 
in  una  chiesa;  in  quello  d  fotta  nel 
palano  della  milizia.  So  il  poomii 
fosae  stato  estratto  dal  romanzo,  as- 
sai probabilmente  vi  si  ritrovorobbo 
la  circoslaiua  medosima  del  roto  fatto 
nella  ctjicsa.  Ma  G*e  di  più:  il  palano 
della  militia  ù  iadubbiainante  quello 
8t£Bso,  die  duDUDieuti  della  fine  del 
dogento  e  de' primi  anni  del  trecoiitu 
dicono  miViViam  e  domon  seu  patatitt 
militiarum,  che  il  Villani  nomina  fa- 
UelÌQ  delle  milùie,  dol  quale  unooru 
na  avanzo  nella   torre  dell» 


(1)  St.  3.    —    Questi!    purriapundonia 
i  il  UaBparT  (Oiorn.  dì 
Fii.  Itamama.  IV-  ;t-4). 


tniliitf  sorgente  nel  chiostro  di  a. 
Catflrina  da  Siena,  non  lunghe  at  Foro 
Tr^ano.  (1)  Ciclopico  colosso  medie- 


(1),  OrefforoTlaSr  Gesehkhu  der  Stadi 
Eom  im  Milleìaller,  V.  (ffiO  sgg.  Casuilh 
dellemiliiia  dii^a  il  Villani:  quwU  desi- 
gnazione  mi  fa  toiiiare  a  mente  che  poche 
pB^Qti  addietro  bì  vids  come  in  un  luogo 
della  copia  roagliBberhiftoa  del  cautai-e 
^n  dotto  che  Bìandfìore  è  nata  noi  ca- 
stello denoroinato  La  meticìa.  Si  tratta 
BQn«a  dubbici  dal  noslro  castello,  che  si 
appellava  Z^  niilitia,La  me/iMa-Realapci-ó 
fernid  che  quel  luogo  è  guasto  per  le  i-o- 
gjooi  esposte,  alle  quali  può  Bf^giungerai 
r  ouervazioQe  che  fai'  d' un  tratto  na- 
scere Biancifora  nel  casiello  delia  milUia, 
quindi  a  Roma,  cunti'aBta  col  dato  della 
leggenda,  accolto  pur  nel  poemetti,  che 
esui  nacque  in  Ispagua,  nel  palazzo  di  re 
Felice.  Chi  riroaueggìA  a  spiMposito  il 
piuno  n  È  troppo  ricoi'dato  che  in  prin- 
cipio del  poema  si  imugìua  che  La  mi- 
litia  fosse  residenza  e  possesso   della  fa- 


val«,  in  cui  pareva  si  coatinuasse  ii 
>  superbo  di  Roma  antica,  insie- 
^■aUa  toiTO  de'  Conti  esso  gigan- 
6U  r  iatera  cittA,  risibile 
lontano  più  miglia,  come  oggi  la  cu- 
pola di  a.  Pietro:  o  offriva  al  popolo 
fecondo  argomento  di  favolose  isto- 
rie. (1)  Non  (iobbiamo  per  questo  af- 
frettarci a  credere  che  la  prima  re- 
dazione italiana  della  nostra  h^ggenda 
sia  alata  elaborata  a  Roma,  e  che  ri>- 
mana  sia  stata  la  fonte  comune  delle 
versioni  che  analizziamo:  anche  fuori 
certo  si  celebrava  tra  le  meraviglie 
più  cospicue  dalla  eterna  città  it 
palazzo  delle  milizie,  detto  anche  la 
milizia  (vedi  eopra  miìitiatn).  (2)  Era 


miglia  di  Biancicore;  e  non  rammentù 
più  che  costei  era  nata  ben  lun(n  <ÌB"a 
casa  patema,  in  paese  struaiero. 

(1)  GrBfforoTiuH,  op.  eit,  V.  651:  Graf, 
Roma  nella  memoria  e  nelle  immagiiia- 
tiom  del  Media  Eoo,  I.  356. 

(2)  OrefforortDB  {op.  ài.,  V.  651,  n.  1.) 
reca  anche  più  tai'de  l'orme  volguii:  La- 


dunque  facile  immaginare  che  il  fan. 
tastico  cavaliere  di  Roma,  esaltato 
dal  cantastorie  come  potente  e  rìceo, 
abitasse  uno  degli  edifici  più  famosi 
di  quella:  intatti  il  palazzo  o  castello 
delle  milizie  fu  ambito  possesso  di 
case  romane  tra  te  più  doviziosa  e 
potenti.  (1)  Ora  si  pensi  che  dalla  do> 


(1)  Fu,  ad  esempio,  degli  Anibalili  e 
ilo'Gaetani,  poi  anicini  degli  Aoìbuldi: 
vadi  flrcyoroiias,  op.  ni..V.  572,  658,  VI 
50.  n,  4.  Tunto  ami  impoi'tava  il  possono 
del  castello  che  chi  n'era  signore  da  «aao 
traeva  il  tìtolo,  rome  da  una  foi'male  ba- 
ronìa: Pietro  Gaetani,  nipote  di  Booitacio 
Vili,  dal  1301,  in  cui  lo  comperò  da 
Riccardo  Ani  baldi,  ai  dìsso  DomintM  iti- 
ìieiarum  Urbis.  Ore^rovInSf  ibid.  —  Al- 
trove (VI.  52)  il  flre«.  dice  che  le  Mi- 
lìtÌÉ  erano  il  piìi  forraidabile  costello  di 
Roma.  —  Per  il  terremoto  violentiesimo 
del  1348.  9  G  10  Settembre,  la  famo» 
torji.  ruinfi  fino  alla  metà  {Gng.,  VT. 
316). 


Ili 

si^azioae  non  bene  compresa  dì  pa- 
latio  della  milizia  può  essere  ve- 
nuta r  altra  eh'  ò  nd  Boccaccio,  mi- 
Ulare  palagio;  ma  da  questa  espres- 
none  così  indeterminata  non  può  es- 
sere uscita  quella  indicazione  positiva. 
Il  Boccaccio  dunque  rinvenne  sìjfattn 
indicazione,  se  non  nel  cantare,  in  una 
foatfi  affine  ad  esso:  il  cantare  per- 
ciò non  deriva  dal  romanzo  di  lui, 
Poiché  egL  non  ha  inteso  che  fosse 
codesto  palagio  della  milizia  ed  ha 
supposto  che  in  questa  forma,  che 
deve  essergli  sembrata  straua,  s' ac- 
ceonaase  nella  sua  fonte  ad  un  pala- 
gio qualsiasi  proprio  di  cavaliere,  mutò 
l'espressione  in  militare  palagio.  Inol- 
tre egli  modificò  il  racconto  imagi- 
nando,  quasi  a  crescergli  solennità, 
che  il  voto  sia  stato  fatto  in  una  chiesa 
anzi  che  nella  casa  di  Lelio. 

n  romanziere  spagnuolo  esordisco 
ricalcando  quasi  il  cantare:  aach'egli 
comincia  dal  presentarci  il  barone 
romano,   ricco  o   potente,   che   sarà 


ili  Fcrrai-a,  (.■  stavagi  alla  corte  dello 
zio,  il  duca  di  Milano.  Snonava  in- 
torno la  fama  della  sna  rara  tioUezza, 
tanto  che  measw  Persio  se  n'  accen- 
de, e  dolìbtìra  dì  condursi  u  vederla. 
Apprestate  perciò  due  grosse  navi,  si 
inett«  in  mare  con  la  più  onorata 
compagnia  di  sua  gente,  approda  a 
Genova,  ove  gli  son  fatta  liete  ac- 
cogliensse;  indi  seguita  verso  Milano. 
11  duca  gli  viune  incontro  una  gior- 
nata dalla  citta ,  e  lo  ospita  con 
rogate  splendore.  Cresce  la  fiam- 
ma del  principe  al  vedere  Topacia; 
la  cliìede  in  isposa;  si  conconla  il 
maritaggio,  e  si  comiiiono  intanto  le 
Eponsaliue  tra  le  feste  più  alloro. 
'  Dopo  essersi-  alquanto  trattenuto  a 
Milano,  messur  Peraio  si  congeda  per 
tornarsene  allo  zio  imperatore,  perchè 
il  romanziere,  non  contento  di  avorio 
imaginato,  come  il  cantastorie,  ricco, 
nobile  B  potante,  gli  aggiunge  il  lu- 
stro di  una  tal  parentela.  Il  duca 
stosso    b'  accompagna   agli    sposi.   Da 


UaMTtm  (ioiipno  eoa  pcoepoo  «  r»- 
jpào  Tittggid  ad  Ostia.  (kmAi  é  i 
dato  arvtaa  iM  Inn  arrìTu  all'  impe- 
I  nuuiva  luto  inouataiT  a 
nDambÌB  al  ilnua  ìe  uapitalì  onrtesìa 
osata  al  olpuu.  SJ  tinnii  i 


un.  pa(n  «  lupwaton»  alntavano 
insica»  l'iMana  dtta  miUa  pia  ìtBL— 
Um  uiBuaia  (1). 


0^  aiMaì  UNI  nasounu  it^ouU.  Pro- 
flaaWiiiia  amlHdtw  (  nun  U  otarito  aula. 
oaSk'è  imI  i»nt&n.  ik'1  puoBW  gnieo 
a  aal  FUornh)  (il  ruear!»  [Mll<i(;rÌDÌ 
a  a,  GiaeuiBD.  w  TapacM  ì&|fnni(i  (S^ 


IO  Viidl  li.  I   *.-«'.   -.  •nriÉ 
(;ì)  NvUa  :S)w«B<t  la  lawMMla  Ji  Fiono 


I 


NoD  BÌ  acconna  perù  ad  alcun  voto 
solenne  nel  palazzo  delta  mithìa,  od 
in  qualche  chiesa.  L' angela  dì  Dio 
appare  in  sogno  due  volte  alla  donna: 
U  prima  annuncia  che  Dio  le  noga 
Itgliuolanza,  pcrchù  le  ne  verrelitie 
gran  danno;  la  seconda  invece,  mcB- 
ssggETO  di  miglior  nuova,  la  raccerta 
che  il  suo  voto  sarà  esaudito  (1). 

Questa  celeste  apparizione  Tu  in- 
spirata da  quella  che  al  Ittogo  cor- 
rispondente si  vide  pur  nel  Fiìocolof 
0  si  devo  alla  fantasia  del  ri&cìtoro 
epagnuolo  t  Parrebbe  più  probabile  la 


Portogallo,  nella  Catalogna.  Io  ne  cono- 
eco  la  Inazione  portoghese  (Hardang , 
RomatKtiro  porivgi*eì  ,  II.  29  ) ,  e  la 
castigliano-catalana  (Hllà  y  Fontanaln, 
HomanceriUo  OiUUan,  p.  'Ì\A).  Seconilo 
quest'ultima  i  due  spo^  bì  sono  recati 
in  pellegrÌD&ggiu  non  dopo  che  il  cielo 
hft  fatto  loro  la  grazia  chiesta,  ma  per 
pregarlo  di  conceder  loro  figliuoli. 
(I)  Ff.  5  r.  -  6  r.;  Haudinecht,  p.  59. 


un 

«ooontlii  ipiiUHiì.  [wrcìiti  ira  rnnAa{»- 
piu-lslulin  e  l'altra  non  coire  molta 
mmiiKliamn  (I).  D'altro  cauto  cad«Eta 
pmfotlche  visioni  «rano  tra  lo  ciar|ie 
Jallu  VDOt^bia  rif^ottorla  poetica  e  ro- 
uiaiuH^acd;  Iti  può  quindi  ritonere  che 
i  nostri  scrittori  u'  abbiano  osato  in- 
iliIH>uiJeuttìm«nto  (2). 

(t)  Noi  ^Uueoto  a{i(>ari>ioe  «.  Giacoma, 
Bua  aula  «olla,  a  a  Lulio;  nel  nimunzo 
«p.  apparÌM'o  ti  nHgel  tb  DiW.  duo  volto, 
u  Tupu'ia.  hm  iNCOiiila  rìv«LiuùoQti  del- 
l'ui^lu  di  Dio  a  •jDost' ultima  A  però 
Uloutiu»  a  quollu  litio  ia  i.  «lÙKumu  » 
Lulio:  iu  uaboduo  i  -ma  s'aunandu  (4m 
la  gruia  uhÌNta  (ti  acconlala. 

Cl>  Ita  Mttil,  |>|>.  CM^*-*).  —  Noi 
awtlwiM  rilw;iuiu&tu  J«l  nuotro  nmamo 
la  DarruioiM  à  «i>iii|>LÌlica(a  rOwm.  di 
m.  Itom,.  IV.  16»):  Quum  la  parto 
lùial*  dol  rtcfìouio,  eh*  xl  nfacan 
alta  WMaa  >li  Canto  ■  <li  To^iaciai  imw 
flU»  te  Uw  aii|Mhaiotu  ditU'iuig<4o  di 
ÌUOi  S' II»  font  ^ui  U  Uauoia  lU  naa 


I 


Comunque,  per  ora  basti  rii>e(«re 
che  &a  dup principio  le  quattro  ver- 
di! noi  raffrontate,  si  oorrlspon- 
duno:  moniro  il  poema  gl'eco  appa- 
risce una  traduzione  del  cantare  ita- 
liano, i  due  racconti,  che  più  libera- 
mente si  scostano  da  questo,  con- 
tengono pur  sempre  il  nocciuolo  co- 
mune, il  fatto  che  ritorna  in  tutto 
quattro  le  versioni,  od  è  il  seguente  : 
un  possente  signore  di  Roma  non  ha 
Agli  dalla  vaga  sposa;  fa  voto  di  an- 
dare in  pellegrinaggio  a  s.  Giacomo 
di  Compostella,  se  il  cielo  gli  conceda 
che  la  donna  ingravidi  ;  ed  ottiene 
così  la  grazia  domandata. 

Da  questo  racconto  quello  di  Rosalia 
ai  distingue  per  dilTerenze  non  lievi  : 
gli  aposi,  re  Austero  e  la  moglie  Ro- 


giormeute  vicina  alla  aemplicitii  del  poe- 
ntotto  italìanol  —  Ancora;  in  queaU  re- 
diuione  modornu  il  voto  è  latto  da  Topai-ia 
col  consenso  del  marito  ;  eaaa 
dì  recara  al  santn  una  lampada  del  ' 
lon:  di  4000  scudi  d' oro, 


I 


119 
caaa  fanno  gt'audi  feste.  Avendu  ve- 
duto la  promessa  ormai  compiuta, 
prese  (il  cavaliere  romano)  la  scar- 
sella (Ttf  (tapaiitiov  )  col  bordone,  come 
povero,  e  vestì  l'abito  [da  pellegrino] 
per  andare  al  santuario,  tempio  di 
Iacopo  »  (1). 

Ne'  due  romanzi  il  racconto  6  più 
largo,  e  indipendente  da  questo  dei 
due  poemi.  Giulia  Topazia,  dopo  la 
promessa  e  la  appoi'izione  di  s.  Gia- 
como a  Lelio,  sento  in  etì  il  frutto 
desiato,  e  lo  confida  al  marito,  che 
n'd  lieto   senza   line,  e  delibera   dì 

(1)  Vv.  18-23.  —  Si  noti  che  il  poeta 
greco  ebbe  innanzi  qualcuna  delle  i-e- 
dazioni  del  cantare ,  in  cui ,  io  luogo 
della  tezionu  s  tuia  gente,  s'ha  l'altra: 
tutta  la  corte;  coal  egli  acriasa  che  ai 
Jànuo  grandi  ullegrexze  nella  casa.  An- 
che il  singoL  prvie  {tXa^tv)  la  scarsella 
ecc.  in  cambio  del  pi.  presoti,  eh' è  nel 
nutro  t«eto,  deriva  dalla  lei.  prese  eh'  & 
io  UBO  de*  mas.  e  in  quasi  tutto  le  atant- 
l».  Vedi  note  atlu  St.  3. 


--"''■"—      iàlis    ^      JM(K  4 


•««.3 


r  Ahw  «Hmte  EiHÉi 


tu  .W.  I.  ifr4)i.~  ^ndte  j 


ISl 
terre  e  i  vassalli  (1);  e  fa  che  gli  sìcno 
pi«|iarate  <  ynixa  esclauiuas  para  el 
et  otra»  para  su  muger  j  sondos  bor- 
dones  seguo  Iub  romerus  sueleo  lle- 
var  »  (2).  —  Ecco  che  in  questo  ul- 
timo pECrtìcolare  il  romanzo  spagnuolo 
bì  raccosta  al  poemetto  italiano. 

Gli  sposi  dun(|ue  s' avviano  verso 
Qallizia.  11  tluca  e  la  ducheaaa  d' Olo- 
nuis,  nel  socondo  poema  francese, 
viaggiano  con  una  scorta  di  loro  frans 
homex  (3):  cosi  gli  eroi  del  cantare 
menan   seco    trecento    cavalieri   (4). 


(1)  Vedi  li.  poema  fr,  vv.  70-74,  ove 
il  duca  d'Olanais  raci^omaada  ad  un  suo 
nipote  la  sua  lerm  e  i  suoi  uomini.  NelUi 
Bapprvfenttu.  di  ìiosana,  p.  373,  il  Ru, 
inoanù  il  partire ,  confida  il  governo 
dallo  Stato  al  suo  primo  consigliere. 

(2)  F.  6  r.  -  6  V.;  Hanskneoht,  p.   59. 

(3)  Vv.  62-69.  —  Noi  I  poema  fr.  (  vv. 
85  igg.)  «i  parlu  solo,  a  quanto  pare,  di 
compagnia  di  pellegrini  acc  idon  tal  mente 
raccDxiatan  per  ìslrndu. 

(4)  Velli  St.  4,  e  note  a  questa  L-d  alla 
St.  preoedeQt«. 


123 
le  del  poema  greco  (1).  Ma  si  può 
:hfl  essere  tentati  ad  avanzare  un'al- 
tra ìpoteBÌ,  forse  più  ardita  e  meno 
probabile  :  che  con  fin'  «utÌiv  ìta( 
i-Hptav  il  ptwta  abbia  voluto  alludere, 
anzi  che  a  persone,  a  coso,  che  real- 
mente poco  prima  trovausì  meniio- 
nate,  ossia  alla  scarsella  ed  al  bor- 
done presi  dal  cavaliere  nel  prepa- 
rarsi al  pellegrinaggio.  Allora  si  di- 
rebbe che  insieme  marito  o  moglie  si 
sono  posti  in  via  recando  seco  queste 
ed  altre  cose:  e  tutto  il  passo  suo- 
nerebbe: <  come  si  fu  avvisto,  che 
la  promessa  uveva  avuto  compimento, 
[il  cavaliere]  prese  la  scarsella  col 
bordone,  come  povero,  e  vestì  1'  abito 
[da  pellegrino],  per  andare  al  san- 
tuario di  Iacopo:  e  insieme  [ìi  ma- 
rito e  la  donna]  fecero  viaggio  coit 
queste  ed  altre  cose  ».  Certo  sì  vor- 
rebbe man  duro  e  inusato  costrutto: 


(1)  Ve<U  ai  vv.  2 
6M,  1022.  1708. 


l,  307.  452,  563,  606. 


1U 

moi^av  nlv  c8óv  ^épovTS^  TauTa  km" 
eTspa;  ma  è  pure  da  riflettere  die  ci 
sta  innanzi  un  testo  medievale. 

QuoEta  seconda  spiegazione  aareblie 
confortata  dal  fatto  clic  tosto  seiguomi 
versi,  nei  quali  si  rispecchia  la  le- 
zione di    due   de"  mss,    da   noi  cono- 
sciuti, che,  a  questo  luo|^,  non  pi-o- 
sentano  oenuo  di  compagni,  che  ab- 
biano seguito  il  cavaliere.  Uno  le^e: 
la  donna  el  marito  intraro  in  viugìo 
atloi'a se scoDtraro  io  g-rsadanuagiofl); 
r  altro  : 
la  dona,  ellomo  jnsieroemente 
allora  ÌHchontro  in  gran  diLnaagio(2): 

(1)  Bibl.  Nia.  (li   Parigi,    1095,  ital., 
f.  15  r. 

(2)  Mb.     Aibburnhamiano-laureDEiano 
1397-1473,  f.  SD  r.  Anche  la  stampa  di 

Siena  1606,  che  sarà  descrìtta  piii  avanti, 
deve  rìfl«ttsre  un  taito.  che,  a  quuto 
luogo,  non  oflriva  cuiiao  di  coinpugui, 
che  seco  obbiano  avuto  i  due  sposi:  in 
vsaa  è  questa  lezione: 
coiiiiuciurono  il  santo  gron  viaggio, 
togliendo  oro  et  argento  da  vantaggio. 


e  il  poeta  greco   quasi   ripete   (w. 
25-27): 

.ri  fk  Toii  «opE'jE^m  atpdTiv  tO'I  t^JiSi 

ixaoe  ouvEmfrmio-ixv: 

»«  nel  camminare  la  strada  del  viag- 
gio incontro  ostile  pionu  di  danno  là 
incontrarono  *. 
PnO  darsi  cho  esen  poeta  abbia 
tradotto  o  imitato  un  testo  del  can- 
tare almeno  affine  a  quelli  ora  citati, 
a  quindi  non  abbia  fatto  conno,  in 
(juesto  punto,  di  segnaci  ctie  si  eienci 
aggitinti  agli  sposi  pellegrinanti.  Ove 
inveco  si  preferisca  la  prima  ipotesi, 
si  può  credere  elio  egli  abbia  utiliz- 
zata noa  redazione,  in  cui,  corno. nel 
fratomonto  toledano  (1).  si  trovassero 

(1)  Liilforss,  op.  cit.  p.  XVi 
rouwgo  nieniivoDO  tresenb)  cavalerì 
a  bianche  uriue  e  convnli  destrei'i  : 
lo  marito  e  le  dona  introna  in  lo  viagio 
alora  si  ÌDContii'  ai  t^ran  dalmugio. 


del  cantare  stesso,  quelli  compresi 
che  ne  avean  taciuto,  menzioiiaaa  ì 
trecento,  che  erano  con  lui  (1). 

Certo   6   che   il   poeta   greco    """ 

ebbe  innanzi  una  delle  edizioni  della 

1  italiana,  in  cui  la  chiusa  ^dd la 

9  la  St.  4  suonano  cosi: 

B  del  baron  vi  conteraggio , 

9  m' ascoltate,  ch'andava  in  viaggio. 

r  lacobo  egli  era  appellato, 
baron  di  Roma,  e  di  graade  leg[iagg:io. 
Da  incita  gente  egli  era  accompagnato: 
la  donna  col  marito  entrò  in  viuggio, 
per  andare  all'apostolo  beato, 
colla  compagnia  ch'io  ti  conteraggio, 
ch'eletti  fur  trei^eoto  cavalieri, 
che  montar  col  barone  in  su'  destrieri. 
Vediamo  infatti  che  noi  poema  gi-o- 
co  non  si  incontra  il  nome  del   iia- 
rone:  il  che  accade  pure  nei  mas.  che 
)  noti,  0  in  talune  stampe 


(1)  Vedi  St,  6,  e  note  relative.  A  que- 
sto luogo  coriispondono  Del  poema  greco 
i  V¥.  36-3U. 


qnBilB  I 


bmm  stato  popùÌD  alla  lom  ppegM»- 
tm)^  anùamÌÈnàu  ni  v«m  cb«  tiwim- 
ìanwtfrf  fii— Il  apponeeliiiiti  v  pmti 
j*4iitÌBiB  eoo.  bicu  a  nuiUera  ail  ^f- 
ùMa  I«  filtts  pruDutanunt,  al  guaiti 
oonuwiMaaBtu  fn  rj«pa«tu.  lun*  «kmk 
pnati  s  agni  loco  piaca»  >  (I). 
Cart  nalia  dii»  raiaiioiu  iIuUa  teg- 


mi 


OL.  L  18. 


IS9 
geùàk  ài  Rùsana,  gli  spora   muovono 
al   peUegrinaggio    con    segnìto    kt- 
mato  (I). 

Invece  n«l  romaam  epagnuolo  ve- 
diamo che  i  due  pellegrini  se  ne  vanno 
scompagnati  :  <  deIJheramoB,  dico  mes- 
cer Persio  a'  parenti  od  agli  amici 
convocati  innanìii  la  partenza,  de  no 
lleoar  con  nosotros  otra  compaSia 
nLngnna  saluo  aqif^lla  de  dios  »  (2), 
Probabilmente  il  romanziere,  corno 
forsd  il  poeta  greco,  ebbe  innanzi  una 
delle  ci.>pie  del  cantare,  in  cui,  secondo 
ciò  che  sì  villo  poco  eopra,  non  si  fa 
motto  di  compagnia,  che  abbia  se- 
guita gli  spusi  pellegi-inantj ,  e  eulo 
si  dice: 


(I)  La  Itgenda  della  rema  Ilosana  e< 
p.  13;  La  Bappreaentai.   di  Rotano, 


>  F.  6  V.  Anche  ndla  redai.  raoderau 
.   i   due    pellegrioi   viu^giuuo 


i!•id^  inra 


l«àK.fVte 


A<^  Mk  -A*  pw  «db  ém  ■ 


131 
non  han  cuore  di  difendersi,  e  spoi-- 
^no,  tremanti ,  l' avere.  S' accompa- 
gnara  ad  essi  un  oavaliere  francaso, 
chs  menava  la  figlia,  vedova  e  in- 
cinta, al  tempio  dell'  apostolo,  cui 
b'  era  votata  per  pietà  dello  sposo 
perduto:  costui  solo  resiste,  ma  i  pa- 
gani lo  uccidono,  e  traggon  seco  la 
donna  (1). 

Bai  secondo  troverò  sappiamo  qual- 
mente re  Galoriens  d'Almeria,  gia- 
oesdosi  con  la  sposa ,  si  fosse  la- 
sciata sfuggire  una  promeissa,  cbe 
dovea  tornargli  amara  :  quella  di 
farle  presente  di  uno  schiavo  cri- 
stiano  ,  che  le  apprendesse  il  fi'an- 
ceeo,  Ecco  che  senza  por  t«mpo  in 
meso,  ^li  si  metto  in  mare,  ap- 
proda con  mille  cavalieri  in  Gal- 
lina, e  insidia  ì  pellegrini  awian- 
tisi  a  s.  Giacomo.  Stavano  per  giiin- 
gm-Q  al  luogo,  ov'era  posto  l'ag- 
guato, il  duca  e  la  duchessa  d'Ole- 


I 
I 


(I)  Vt.  55-102. 


k 


yrnmiìi    jMtifRimi  ■    s    In, 


^-^•«l«tfc 


I 


re  soruciuo  il  nume  stesso  che  gli 
attribuisco  il  I  testo  francese,  e  sono 
il  csntare  e  i  due  romanzi:  il  poeta 
greco,  infedele  per  la  prima  volta  alla 
sua  fonte,  lo  nomina  Filippo  (1).  Il 
n^o  di  lui  e  per  tutta  quattro  le 
verBÌoni  in  Ispagua  (2).  Secoudo  il 
cantare  ed  il  romanzo  spagnnolo,  cume 
ne'  duo  poemi  Cruncesi  e  nelle  altre 
redazioni,  egli  muovo  da'  suoi  domìni 
e  inrade  un  paese ,  che  non  gli  ap- 
partiene (3). 

(1)  Vedi  St.  5  de!  eautare;  Fihcolo, 
r.  20;  Ftores  y  SI. ,  f.  6  v.  ;  Hknskneebt, 
op.  cit,  p.  60.  Nel  poema  gr.  vedi  t.  2^. 
In  luogo  della  forma  Felù  (Felice)  ai 
incontra  qnella  di  Fenix:  vedi,  per  ea., 
poema  del  Fleok^  v.  370.  CohI  nella  redaz. 
tvedew;  mentre  n<dla  olandese  si  legge 
Fmu»;  cfr.  Sommer,  op,  cit.,  pp.  XIX, 
XXI;  Dn  HérU>  p.  Ixtj,  n.  I;  UBrmg, 
p.  82. 

(2)  LI.  ce. 

(3)  Questo  paese  ò,  nel  maggior  numero 
delle  redazioni,  la  Gallixiu:  cfr.  Somner, 
p[>.  283-84;  Hersog,  pp.  18-19- 


]ioaaa«aiiBa9 


!■  CiAtttft,  ^Bk  oii   •  '  mtewfc, .  ' 


..«te  ^f.-mam4L9iam* 


l^i 


soggiange  che  qoeeto  ca^ii^iiù   il  i 

I  Filippo  di  ^ngnìi: 

L  «  nel  camminare  la  strada  del  viag- 
■  gio  incontro  ostile  pieno  di  danno  lA 
I  iocontroroiio  :  tale  danno  mosse  il  re 
■  Filippo  di  Spagna  ».  Il  verso  itatianu 
lo  re  Felice  si  mosse  di  Spugna 
non  Tiene  tradotte;  ma  da  ciò  che 
s^ue  apparisce  evidente  che  il  re  si 
e  spinto  in  Gallizia  sulta  strada,  cho 
couduccva  a  s.  Giacomo  (1). 

Uaioo  fra  i  rimaoeggiatorl  della 
leggenda,  il  Boccaccio,  come  ni  vedi'a 
pia  sotto,  al  dato  oomuu«  della  in- 
vasione di  re  Felice  ìn  terra  cristiana 
8ostltuIace  una  invenzione  probabil- 
mente bus:  clie  re  Felice  non  irrompe 


I  procurarle  uno    Bchiavo   cristiano 

!  Ifl  apprenda  l' idioma  di  Francia  ; 

r  questo  egli  passa  in  Gallma,  ove 

fina  di  poter  sorprendere  qualche 

compagnia  di  pellegrini   cristiani,  o 

(li  tn>var«  fra  essi  un  trancese  da  of- 

irire  alla  regina.  Secondo  V  altro  poe- 

,  il  re  si  Benli  spinto  a  correre  e 

Ia  diserterò  la  (lallizia  da  efferato  odio 

I  ■' cristiani  ;  ma  bÌ  badi  però  che  pur 

Iqui  e  nelle  redazioni   alfìni   egli  ora 

I  Btito  pregato  dalla  regina,  innanzi  di 

I  nooTCra  all'  impresa ,    di    procurarlo 

i  gdiiaTa  cristiana  (1);  e    che   la 

Rdunna,  che  cado  prigioniera  io  sue 

i  futura  madro  di  Biancifiore, 


(1)  Vv.  107-110.  Per  le  redaiioni  af- 
Sai  cfr.  UeriOff,  p-  SO.  Anche  nelle  due 
itunuuxe  dt-,  pg.  e  cast.-catal.,  si  riflette 
questa  usdaione:  pure  in  esse  la  acor- 
mù  «aracina  è  fatta  dipendui'e  dal  ile- 
ndorio  della  regina  di  avere  una  scbiavjt 
nùtiaaa. 


138 

insegna  alla  regina  il  francese  (I). 
Nulla  di  tutto  questo  nel  cantare  e  ] 
nel  poema  greco;  mentre  nelle  altre 
due  nostre  redazioni,  nel  ronianzo 
boccaccesco  e  nello  spagnuelo,  alla 
spedizione  pagana  sì  assegna  tutt*  al- 
tro motivo. 

Si  noti  ancora  che  nel  nostro  poe- 
metto re  Felice  non  passa  in  Galli  zia 
por  mare;  sia  che  nella  fonte  di  esso 
mancasse  cenno  di  ciò;  sia  che  il  can- 
tastorie nel  riassumerò  il  racconto 
tralasciasse  questo  particolare;  sia  che 
del  racconto  stesso  gli  foBSe  giunta, 
oralmente,  una  tradizione  imperfetta. 

Pur  nella  nostra  rima  si  rappresenta 
il  Saracino  seguito  da  grossa  compa- 
gnia d'armati;  ha  seco  mille  cava- 
lieri, secondo  la  lezione  pia  comu- 
ne (2) ,  come  re  Galeriens  (mil  che- 
vahers  mena  o  soi)  (3);  molti,   t 


(1)  V.  138.  Cfr.  Uerios, 
(S)  Tedi  note  alla  St.  5. 
(3)  V.  40. 


eondo  un'altra  lezione,  comò  re  Ff- 
e  del  l   poema  francese   (de  che- 
valiers  ot  grani  compatgne)  (l).  Ol- 
tre il  folto  stuolo  do'  cavalìuri ,  con- 
duce molta  gento  a  piedi: 
Lo  re  Felice  si  mosse  di  Spagna, 
e  cavalcò  nn  di  secretamente 

con  mille  cavalieri  In  sna  conpagna, 
e  del  povol  menava  al  gran  gente. 

Molti  cavalieri  o  fanti  seguono  il 
re  pur  secondo  il  poeta  greco,  che 
Continua  a  tradurre,  o  quasi,  il  can- 
tare (2). 

Dal  passaggio  in  Gallkia  si  viene 
tosto  all'  agguato  teso  a'  pellegrini , 
come  nel  II  poema  francese ,  quasi 
anche  nel  cantaro  il  re  non  fosse 
uscito  dal  auo  stato  per  allro  fino  (3), 

Fra  il  nostro  o  i   due  testi   fran- 


140 
cesi  c'è  a  questo  luogo  una  mani- 
festa corrispondenza. 

I.  POEBCA.  FR. 

n  re  8*  appresta  a  lasciare  la  Gallizia 
disertata: 

. . .  s*  en  Yeut  li  rois  repairìer: 
Les  nes  commanda  a  chargier, 
Puis  apela  de  ses  fouriers 
Dosqu'a  quaituite  chevaliers: 
€  Esranment  >,  iàìt  il,  €  vous  armez; 
Gii  autre  chargeront  assez. 
Alez,  lassus  en  ces  cJieminSj 
Gnitier  por  reuber  pelerins  ». 
Doni  s*  en  vont  di  en  la  montatane; 
Gardent  aval  panni  la  platine; 
Pelerins  voient  qui  montoient 
La  montaigne  que  il  gaitoienU 
Il  lor  vont  scure,  s*es  assalent...  (1) 

II.  POEBfA  FR. 

Re  Galeriens  giunge  co*  suoi 

Desore  saint-lasque  au  perron. 
Ilueques  a*  arma  el  sablon, 
Et  quant  li  rois  fu  arrivez, 


(1)  Vv.  75-87. 


Set  fompaignons  a  apélex: 
Gmter  entoie  Un  chemittg 
Por  detrober  Ut  ptlerins  (V 


Sarraim  t 


I 


1  la  montaigne: 
Qtiant  il  voieni  nottre  eompaigne, 
Sore  lar  eorent  lì  paien. 
Qui  atni  n'  aimererU  creiOen,.,.  (2) 

Cast  ARE. 
Lo  re  Felice  si  mosse  di  Spagna, 
e  cavalcò  uà  di  Hecretamenta 
con  mille  cavalieri  in  sua  coDpagaa, 
e  del  pOTol  menava  si  gran  gente. 
Qiiattdù  tiene  al  posar  d' una  >nontiii/nii 
mtta  Tnaiina  a  l' alba  parisenie, 
fece  guardar  U  strade  e  li  camini; 
vide  venir  romeri  e  per^rini, 

E  lo  re  eomandò  alti  pagani, 

e  a'  caBalieri,  eh'  eran  bene  armati: 

ondale  a  vedere  te  aon  crialiani; 

n  prosi  a  tagliati. 


(1)  Vv.  41-46. 
)  Vt.  127-30. 


t 


Co»  gran  fvrort  ti  mMSer  li  cani 
sovra  dilli  etistiani  bal^iati,.,.  {}) 

In  tutte  tre  le  redazioni  ei  tratta 
dunque  di  un  agguato  che  ì  Sai-aconi 
tendono  a  pellegrini  recantisi  al  tem- 
pio di  E.  Giacomo, al  varco  d'una  mon- 


(1)  Ud  gruppo  di  stampe  ci   presanta 
quost' altra   lezione,  che   qui   riportiamo 
dalla  più  antica   di   esse,   da   qualla   del 
14S5: 
Lo  re  felice  ai  mosse  della  Bpagna, 
ot  a  causilo  montb  nubitamenta 
con  mille  paualierì  in  sua  compagna; 
del  popol  menb  eoa  lui  una  gran  gente: 
al  passar  che  fecion  d'una  montagna 
lo  re  felice  disse:  «tato  attenti, 
et  guardate  ben  le  strade  e  chamini 
doue  paasar  deon  questi  pellegi-ioi. 
El  re  felice  ilisse  agli  pagani: 
o  cUaualieri,  andata  bene  acorti. 
et  uedete  se  quegli  son  crìatiani; 
cbe  incontanente  sieno  tagliati  e  morti. 
Con  gi'au  furore  s  miasono  i  cani 
sopra  de'  cristiani  cbs  oron  men  forti... 


à 


'                                                          143 

p 

tagna,  per  cni  quelli  debbono  paesnre. 

n  re  stesso  pensa  e  dispone  l'agguabi, 

facendo  a'suoi  guardare  — ffaUer  — 

(si  noti  come  ci  sìa  fino  corrispon- 

denza di  parole)   i   cammini  —  le» 

1 

ehemim  — ,   per  i  quali  si    va    al 
tempio. 

n  cantare   s' accosta  al  II   poema 

francese  in  quanto  ha  rapida  1'  azio- 

ne, e  tra  l' arrivo  de'  pagani  a  s.  Gia- 

como  e   r  assalto   a'  pellegrini    non 

1 

pone,  come  notammo,  alcun  altro  fat- 

to; ma  r  incontro  del  cristiano,  sfug- 

gito per  miracolo  a"  Saraceni,  col  duca 

d'Olenois,  e  gli  accidenti  della  lotta                                        M 

tra  i  cavaliorì  francesi  e  gì'  infedeli                                        ^| 

non  si   riflettono  punto   in   esso.   Il                                        H 

cantastorie   aruti   non   accenna  clila-                                        H 

ramente  che  i  romani  abbian  venduta                                        ^| 

cara  la  vita  o  la  liberta  (1):  quosto                                        H 

(1)  Vedi  St.  e,  0  note.  1  testi  del  Can-                                            H 

lare,  a  questo  luogo,  dicono  beo  poco;                                               ^| 

Con  gran  fururt.'  si  mcnser  lì  cani                                                   ^| 

sovra  detli  criationì  balegiali:                                                                  ^| 

144 

perù  va  sottinteso.  Del  loro  Signore,  di 
mewer  Iacopo  certo  Bappìamo  da  nna 
SlADza,  che  «  truva  unìcainente  nel 
frammento  toledaso,  che  a  lungo  di- 
fese sé  e  la  sua  donna  (1).  Egli  perisce, 
mentre  il  duca  d' Olenois  resta  pri- 
gioniero nelle  mani  dì  re  Galerìpn. 
In  qnesto  pure  discordano  le  due  ver- 


tte  ucistro  e  UtgUar  più  di  dugenlo. 
a  pochi  ne  eattpar,  eh'  tran  trteettto. 
Con  gran  furore  si  mìnono  ì  cani 
sopra  da  criatiani  che  «tod  mea  forti: 
uìnteno  et  tagliarne  ben  dugmto 
et  pochi  teamparon  che  eran  ttvoento. 

(1)  UdfoTSS,  o[..  ciL,  p.  XVI: 

E  questo  fe  de  mtudo  lo  bel  mese 
Che  lo  ra  Feliae  fece  la  sconGta; 
De  quela  gente  asaj  n'olHsi  e  pria. 
SI  ch'el  barone  de  la  wa  dona  a  triste». 
Davanti  le;  se  meae  a  la  dafeea 
Con  una  spada,  che  asaì  n'  a  qaistn; 
Ma  a  la  finita  no  la  potò  durar», 
Che  lo  re  Feliee  1p  h  tuto  tagliare. 


8Ìoni,  perchè  la  francese  presenta  un 
particolare,  che  le  6  affatto  proprio, 
e  l'italiana  si  conforma  alla  redazione 
comune  della  leggenda  (1). 

Si  vedeva  che,  tolto  il  nome  di- 
verso del  re  Saracino,  il  poeta  greco 
aegae  il  cantare  anche  nella  parte 
del  racconto,  che  ora  s'illustra.  I 
pagani  passano  per  mezzo  a  monta- 
gne (Cant.  quando  vene  al  pasar 
d'una  montaffna);  al  romper  del- 
l'alba (Cant.  «Ma  matina  a  V  aìUi 
jiarisen/e)  pongono  vedette  a  guar- 
dai-o  le  strette  de'  monti.  Videro  pel- 
legrini: erano  cristiani,  di  Roma,  che 
andavano  per  venerare  s.  Giacomo: 
con  esa!  viaggiava  il  barone,  che  avea 
fatto  voto .  di  recarsi  in  Qaliizia  se 
la  moglie  sua  avesse  concepito  (2). 
Il  l»apone  dunque  non  viaggiava  solo; 
questo  potrebbe  indurci  a  credere  elio 
in  un  passo  precedente,  che  ci  pjirvo 
alquanto  oscuro,  secondo  una  ipotosi 

(1)  HerMgr,  p.  19. 
(a)  Vv.  3S-43. 


146 
fatta ,  s' accennasse  davvero  a  com- 
pagni ,  che  egli  abbia  avuti  nel  pel- 
legrinaggio. Ma  non  à  a  mcravigUaro 
che  qui  solo  si  trovi  parola  de' com- 
pagni suoi,  perche  ciò  accade  pur  noi 
testo  del  contare,  che  fiaora  vedemmo 
seguito  dal  poeta  gl'eco:  in  esso  in- 
fatti si  tace  di  compagni,  che  gli  si 
sieno  aggiunti  al  partire,  ma  dove  si 
narra  dell'  assalto  pagano  e  della 
strage  menata,  ei  accenna,  ciò  che 
a'  è  avvertito  anche  .più  aopra,  a'  tre- 
cento che,  secondo  altri  testi,  oran 
mossi  fin  dapprincipio  con  la  coppia 
pellegrinante.  S'  aggiunga  che  dal 
passo  greco,  come  dalla  probabile  sua 
fonte,  non  si  capisce  so  gli  altri  pel- 
legrini fossero  cavalieri  dipendenti 
dal  bai'one  (1),  secondo  vuole  la  re- 
dazione migliore  dol  cantare. 


(1)  Vt.  36-39. 
ìxu  "Show  Sia^aivavraq  ovApunrou?  mXirfpCvavq^^ 

òXsi  vfli  àita-yahoiioiv  Bwì  voi  npQaxwfyjoi}v 
Tàv  aytov  Idoitù^,  atnàatoì.ov  xupt'ov, 


I 


Scorti  i  pellegrini,  il  i 
comanda  a'  suoi  di  radere  so  Eìenu 
cristiani  (Cant.  andate  a  vedere  ne 
son  cristiani},  <?■  se  tali  sieno,  di 
far  loro  ogni  maggior  danno  (Cant. 
xe  son  cristiani,  sien  pregi  e  tagliati). 
Oli  infedeli  corrono  loro  sopra  corno 
come  cani  (Cant,  con  gran 
furore  si  mauser  li  cani)  :  e  come  lupi 
li  sbranano.  Uccisero  quasi  cento,  uo- 
mini e  donne;  i  superstiti  legarono 
con  le  mani  dietro  la  schiena:  fra  i 
morti  fu  anche  il  barone.  (1). 

Il  Boccaccio  ricollega  le  vicende 
de'  pellegrini  alla  lotta  fra  Dio  (Gio- 
vo) o  Satana  (Plutone),  dalla  quale 
comincia  il  suo  romanzo,  Pio  offro 
a*  mortali  armi  effi(^aci  a  difendeTli 
dalle  tentazioni  sataniche;  fra  queste 


e  Là  tìilero  passanti  i 
Romtuii  tutti  nobili,  cri 
che  andavuno  per  vener 
apostolo  del  signora  >. 
(1)  Vi.  40-57. 


mini  pellegrini, 
iani  (li  fuJtì,  tutti 
e  il  santo  lacojm 


148 
armi  sono  i  santi  pellegrinaggi:  Sa- 
tana dunque  tanta  impedirà  cbe  si 
compiano,  o  contro  Lelio,  che  moveva 
pìamenta  al  tompio  di  s,  Giacomo, 
spinge,  a  troncargli  il  cammino  o  la 
vita,  re  Felice  di  Spagna. 

Egli  convoca  i  ministri  infei-nali, 
e,  rammentato  l' origino  e  le  fasi  del- 
l'eterno  couflitto  col  cielo,  Bo^nnge 
che  tra  i  mem  più  sicuri  dell'  umana 
salute  sono  lo  travagliose  peregrina- 
zioni a  lontani  templi;  che  massima- 
monte  i  Romani  danno  agli  altri  po- 
poli esempio  in  così  fatte  imprese; 
ch'egli,  infine,  s'è  proposto  dì  ri- 
trarli  da  esse:  perciò  comincerà  a  sfo- 
gar r  ira  sua  sopra  buon  numero  di 
costoro,  che  ora  si  dirìgono  al  tem- 
pio, il  quale  soi^o  noli'  strema  Espe- 
ria. I  ministri  suoi  facciano  il  simi- 
gliante  ovunque  sentano  che  si  eoo 
Romani  pellegrinanti  a  luoghi  sa- 
cri (1).  —  Satana  voleva  riferirsi  alla 


(1)  J^.,  I.  18-19. 


c-. 


I 


149 

compagnia  di  Lolio,  cho  in  quel  men- 
tre cumminuva  sulla  via  di  s.  Gia- 
como. 

Il  Boccaccio  dunque  pone  diretta- 
meat^  sulla  scena  il  re  dell'inferno, 
e  ci  presenta  un  coucilio  diabolico; 
ma  del  suo  Plutone  o  Satana  che  si 
voglia,  egli  non  si  ferma  a  ritrar  la 
figura,  come  avean  fatto  innanzi  a 
Ini,  terrìbilm<intti ,  Claudìano  (1)  o 
Dante,  e  come  faranno  più  tardi  il 
Tasso  0  il  Milton  :  né  descrive  l' in- 
ferno (2)  e  i  demoni  convocati.  L'adu- 
nata de'  diavolÈ  nun  è  invenzione  sua. 
Qui  non  li  vediamo  prorompenti  a  far 
guerra  a'  celesti  come  in  Claudiano 
stesso  (3),  0  in  atto  dì  tumultuosa 
ribellione    contro   la   volontà    divina 


(1)  De  Rapiu  Proserpinac,  T.  79agg. 

(2)  .\cceiina  solo  all'  Acheronte  nella 
frase:  e  il  miserabile  re,  il  cui  regno 
Acheronte  circocila  >.  Più  in  ìk  (p.  45) 

i  fiumi  di  Stìge. 

(3)  De  liaptu  Pr.,1.32  Bgg. 


^^^^^^^^                                 ^^^B 

^^M                               corao  nd   Taagdo  ipocrifu  dì  Nìeo- 

^H                                tMM  (2);  ma  norahi  ti  qb  ancOlo. 

^H                             dogU  dei  RiU-Oliapo.  Coà  «M«re- 

^H                                k-,  «Omm.  «X.  .  L  1.  MaW»,  Ed. 

^H                         2.  HwtMttsi-  nt«.  pp.  ?»  «S-:  **- 

^B                                    lUto.  [883^  L  pp.  so  «ff.);  ».  «-48 

^H                                    e  teMtk  /&cÌM  d>    tW-.  £«(.,  ffiap. 

^H                                d  da  iafcm  ,«»  pMto. 

^M                                    (S>  A./:.  Vin.aSwt.CA  wa  «Ha 

^H                                 «otnaponOaasa  fra  U  laogo  daaUK»  • 

^H                                      IimUu   tu    Nii-HieiWK  Si   noli   iati   -^Mi 

^H                                      Veagilio,  aUonbà  i  jmiMti  Ja'  cmAi  vm- 

^^H                                          taau  Dito    al  sw  alanno,   maianta   la 

^H                                              CnMV,  1UB.Ì0  !G«M  «a'  ÙLTenw: 

^^H                                        QimU  lor  tm-Mfeua  aoB  <t  uiwva. 

^H                                        OU  tP>  rwn  aaou  MVretepurU. 

^^M                                        La  qual  MBU  «natta  nacur  ai  trunt. 

I 


gsti  li  traviamo  in  un  racconto  cli't) 
nei  bìalagki  di  Gregorio  Magno,  ove 
si  narra  che  certa  volta  un  ebreo 
colto  dalla  notte  in  cammino  sulla 
via  Appia',  ei  ricoverò  in  un  tempio 
antico  d'Apollo,  e  qui,  appiattato, 
paté  assistere  ad  una  conventicola  di 
demoni  (I).  Ma  più  ancora  il  luogo 
boccaccesco  ci  fa  rammentare  il  con- 
cilio infernale,  ch'ó  in  principio  del 
Merlino  di  Roberto  de  Borron  (2),  Si 
tratta  qna  e  la  di  riparare  i  danni, 
che  l' inferno  pati  quando  Cristo  sceso 
a  spogliarlo  de'  giusti  morti  innanzi 
la  saa  venuta,  e  1'  uomo,  redento,  fu 
ravviato   sulla   strada  del  cielo.  (3). 


(1)  8.  eregorll  ecc.,  Opera.  VenotiÌB, 
1769,  VI.  181-83. 

(8)  P.  Farla,  Les  Romani  de  la  Table 
Ronde.  II.  3  B^g. 

(3)  Uu  concilio  diabolico  s'incontra  puro 
Di'amma  Saci-o  italiuno  : 
cfr,  D*  Ancona ,  Origini  del  Teatro  in 
Italia,  I.  156-57. 


15é 

Ma  in  qual  modo  Plutone  impedi- 
sce a.  Lelio  ed  a'  suui  di  compiere  il 
pellegrinaggio?  Adopei'ando  la  qua- 
litil,  che  pili  Toleatiori  la  fantasia 
medievale  attribuiva  al  diavulo,  aJo- 
|>ei-ando  la  sua  perfida  astuzia.  Ecco 
eh'  egli  8i  trasforma  nel  cavaliere 
che,  B  nome  di  re  Felice,  governava 
Marmorina;  inforca  un  cavallo  di 
spettrale  magrezza,  e  corre  difilato  ove 
quel  re  stava  dilettosamente  caccian- 
do: gettatoglisi  a'  piedi  narra  il  mi- 
serando caso  di  Marmorina  assalita 
da'  Romani  con  notturna  sorpresa  e 
bruciata,  ondo  egli  appena  aveva  po- 
tuto salvarsi  ferito  per  dargli,  prima 
di  morire,  il  doloroso  annuncio.  Fi- 
nito il  parlai-e,  finge  di  cader  morto 
innanzi  il  re.  Questi  s' afii'etta  8  rac- 
cogliere un  poderoso  esercito,  a  muove 
a  combattere  i  presunti  assalitori  :  in- 
contrandosi nella  compagnia  de'  pel- 
legrini romani,  credulo  sempi-e  al- 
l'inganno di  Plutone,  li  attacca,  e  li 


153 
.  Lelio  rimane  ucciso  ut-Ua 
iia(l). 

Esempi  di  dei  che  plgliuno  fvrma 
ma  ci  oi^Do  KDche  qVi  autori 
;  ma  la  metamorfosi  di  Plu- 
ì  imaginata  dal  Boccaccio  appar- 
)  Bconflnato  du'tramu- 
Plaauoti  diabolici  secondo  le  credenze 
Iciistiana  (2). 

Dltblu  H«it  ilo  tot  IoDgaig«3, 

le  en  fornii  humamnt; 
Tm  jiiTB  de  mal  fkire  se  poiniie, 

.  Toccliio  poeta  francese  (3)  ; 

oi  indugiamo   ad   il- 

1  E«oonda  verso,  perche  co- 

)  trasformaziouì  del  diavolo 


I  (1)  FU.,  I.  20-51, 

I  \^  Un'altra   metamorfosi    Ai    Plutone 
Q  poco  pili  lontano  nel  FUotolo  stesso, 

les-TO. 

I)  Dolopaihos ,  ed.  Brnnet  et  Kod* 
•  (Paris,  18A0),  12141;  B.Schr&- 
I  Glaube  und  Aberylaubt  in  den  all- 
t.  DkhCungen,  Erlangea,  1880,  p,  07. 


154 
d  tema  assai  coinuDe  nei  raci^onU  me- 
dievali. L'  episodio  boccaccesco  non 
fa  che  riconfermare  ciA  cbe  nell'  etA 
di  mezzo  si  credeva  universalmente, 
e  credono  ancora  1  volghi,  che  il  dia- 
volo ,  per  uBare  le  parole  da  Dante 
poste  in  bocca  a  frate  Catalano  de' 
Molavolti, 

..  à  bugiardo  e  padre  di  menzogna  fi  )  : 
cosi  l'inganno,  di  cui  fu  vittima  ro 
Felicfl,  0  peggio  Lelio  co' suoi  ro- 
mani, b'  inquadra  in  una  lungUissima 
0  srartata  istoria  di  trappolerie  sa- 
taniche (2).  Per  quanto  poi  (K  pa- 
gano non  abbia   che  il  nome,  e  in 

(1)  Inf.,  XXni.  144. 

(2)  Rsoiii|)i  d' iDganni  diabolici  vedi  in 
Sl^ebertl  Geinblaee&slB  »  Chnm.,  od 
ann.  43»;  8.  Gre^rlI,  Op.,  ed.  eìL 
VI.  66-67,  93  ecc.  ;  lae.  ab  Àqnls,  Ckron. 
Imaginis  Munàì .  Moo.  HisL  Patriae,  SS. 
ni.  1417;  Chron.  Epiteop.  Otnabury., 
prMM  il  Meiboa,  itgrum  Germ,  SS.. 
II.  214. 


I 


fa  a  pezzi.  IaUìo  rimano  ucciso  nella 
migchia  (1). 

Esompi  di  dei  che  pigliano  forma 
umana  ci  offrono  anche  gli  autori 
classici;  ma  la  metamorfosi  di  Plu- 
tone imagiaata  dal  Boccaccio  appar- 
tiene al  novero  sconfinato  de' tramu- 
tamenti diabolici  secondo  lo  credenze 
cristiane  (2). 

Dìttbtea  seit  de  tot  leagaìges, 

Et  bifrt  >c  tnue  tn  forine   humainne; 

Toi  jors  de  mal  faìre  se  poiane, 
dice  un  vecchio    poeta   francese  (3)  ; 
né  occorre  che  ci  indugiamo   ad  il- 
lastrare  il  secondo  verso,  perche  co- 
desto delle  trasformazioni  del  diavolo 


(1)  Fil.,  I.  20-51. 

(2)  Un'altra  raetamorfou  di  Plutone 
vedi  poco  più  loulano  nel  Filocolo  ateaao, 
I.  68-70. 

(3)  Doiopathos.  ed.  Brnnet  et  Mon* 
Ul^«a  (Paris,  185G),  I2t41;  B.  Scbrii- 
der,  Gtaube  rnirf  Aberglaube  in  den  alt- 
front.  Diehtuiigm,  Erlangeu,  1886,  p.  67. 


I5fl 

Ma  in  quosUeoù  ampia  libortA 
di  rimaneggiamento  ìncoDti-iamo  perù 
qualche  dato,  che  appartiene  ad  altre 
delle  redazioni  da  noi  illustratf.  Se- 
condo il  cantare,  seguito  dal  poema 
greco,  re  Fulico  scorge  primamente  ì 
pellegrini  al  passare  d'  una  montagna, 
sul  far  dell'  alba  :  a  tal  ^'ista  ogli 
eccita  i  suoi  a  piombare  sopra  di  essi. 
Cosi,  in  fondo,  nel  più  complicata  rac- 
conto boccaccesco,  ove  pure  sul  mat- 
tino re  Felice  dall'  alto  di  una  mon- 
tagna, che  gli  couveuiva  passare, 
vede  i  pellegrini ,  o  comanda  a'  suoi 
cavalieri  di  scendere  ad  attaccarli  (1). 

I  due  te«ti  si  corrispondono  poi 
anche  nel  fatto  che  re  Felice  non  com- 
pie in  essi,  come  ne' due  poemetti 
francesi  e  nelle  redazioni  affini,  alcun 
viaggio  marittimo  por  condursi  a 
combattere  i  cristiani. 


(1)  Si  confrontino  lo  SU  5  e  0  del  Cant. 
con  le  pp.  S8'3I,  I  voi-,  del  Filocolo. 


157 
É  ehiaro  tuttavia  cho  il  caiitiirt» 
nella  parte,  che  ora  si  analizza,  è 
indipendente  dal  Filocolo,  la  i|uello 
e  Delle  altre  versioni  s'ha  un  adom- 
bramento (antaatico  della  realtà  sto- 
rica: una  scorreria  di  Saraceni  in 
tenltorio  distiano,  e  lo  scompio  do' 
pellegrini  incontrati  per  via.  Non 
e'  entra  dunque  affatto  il  meraviglio- 
so, il  soprannaturale  eh' è  nel  Filo- 
cólo; nò  Giove  nò  Plutono,  né  Dio 
nò  Satana.  La  fantasia  erudita  di 
messer  Giovanni  dilata  la  scena,  e 
feconda  un  lieve  gemae:  nella  leg- 
genda è  la  soliietta  verisimiglianza  dt 
fatti  umaui  ;  nel  romanzo  boccaccesco 
invece  gli  accidenti  dell'  azione  umana 
altro  non  sono  che  effetto  della  lotta 
etema  tra  cielo  ed  inforno,  lotta  che  lia 
fondamento  cristiano,  ma  si  vest«  pur 
di  forme  classiclio,  si  che  la  contesa 
fra  Dio  e  Satana  fa  rammentare  quelle 
dei  Numi  narrate  dai  poeti  greci  e 
UtiDÌ.  Re  Felice  cosi  non  è  più  un 
capo  feroce  di  predoni  pagani  :  diventa 


J 


r  in^nuo  strunientu  dell'  ira  di  ! 
tana.  Egli  non  prende  1'  anni  contro 
i  cristiani  per  odio  alla  loro  fedo;  ma 
I>ei'  difendere  il  suo  regno  da  una 
creduta  invasioni!  (1),  Anzi  la  di- 
stinidono  di  cristiani  e  di  siu'aciui  nel 
)  del  Boccacciii  non  à  più  cosi 
netta  e  precisa  come  nelle  altro  re- 
dazioni dollu  li«ggenda:  vediamo  in- 
fatti che  gli  unì  e  gli  altri  adorano 
le  divinila  dell'Olimpo;  e  che  la  steesa 
erudizione  classica  de' discorsi  di  Le- 
lio fiorisco  in  quelli  dol  ro  Saracino  (2). 


(1)  Vediamo  anzi  corno  egli,  coooscialo 
che  Lelio  e  i  suoi  ei'aao  innacenli  dal- 
l' eccidio  di  Marinorinti,  pi-ovi  rammarico 
di  averne  fatta  strage:  cfr.  FU.  I.  62,  66. 

(2)  FU.,  l.  24-27.  Re  Felice,  oltre  che 
Marte,  nomina  nell"  invocare  l'aiuto  di- 

,  Oiove  e  Oiunoiie;  Lelio  (p.  43) 
prega  Giove.  Certo  s' iotendo  che  il  Gio- 
ve, cui  si  volge  1»  prcg'hiera  do"  cristiani, 
6  Dio,  ma  per  queala,  sia  [iure  appiirente, 
comunità  di  culto  la  dìvei-silà    religiosa 


i 


Ciò  che  muove  costui  è  ^liuttostii  U>r- 


de'due  popoli  non  ò  più  cod  manifeata. 
Lh  Dazioualità  do' nemici  di  Lelia  à  peri) 
indicata  qua  e  là  chiaramente:  «...  già 
ionumerabill  quantità  di  saette  e  d'  ap- 
punlati  dardi  erano  sopra  i  Romuni  gio- 
rani  discese,  gittate  dagli  archi  di  Par- 
ità e  dall'  arabe  braccia  *  (p.  45);  «., .. 
mescolando  le  romane  ceneri  cult'  arabiche 
non  conosciute  >  (p.  &1|.  I  Saraceni  soii 
■letti  canina  genie  (p.  46);  altrove  sono 
eRpresuoni  come  queste:  un  ardito  ara- 
bo.... >  {p.  43);  «...  aff'ricaiii  bracci  * 
(p.  50).  Quando  Lelio  s'accorge  delU 
genia  armata,  che  gli  si  fa  incontro, 
sospetta  che  sieno  nemici  della  sua  fedo  , 
<  perocché  noi  dimori;Lmo,  egli  dice,  io 
quello  parti  nolle  quulì  ha  più  persecu- 
tori della  nostra  novella  e  santa  legg'e. 
che  qiiaw  in  niuna  altra  del  mondo  » 
(p.  33).  Vedi  pui-e  pp.  36.  37.  Il  Boc- 
cacdo  imagina  che  re  Felice  fosse  «  ni- 
pote d' Atalante  sostenitore  de'  cieli  > 
(p.  20):  ora,  poicbò  si  favoleggiava  che 
Atlante  abitasse  uell'  Africa  di  conti-o  lu 


rore  del  grande  nomn  romano  (1), 
Mostre  dunijuc  il  poenK^to  si  collega 
strettiBsim&mente  alle  aliro  Ti.Tsitini 
ed  e  un  fi<lo  e  immi-diaUi  riflesso  po- 
poUre  della  |{^:<?nda,  il  Fìtocoto  se 
ns  staoca  affatto,  e  ]>reseiita  i  carat- 
teri di  mi  rtmaneggiiimciilu  Iett«nirÌo. 
P«rò.  se  sì  levi  ciA  che  indabbia- 
tnoote  epetta  alla  fantasia  ed  alla 
dottrina  del  Boccaccio,  1'  elemento 
suprannatnrale,  le  reminiscenza  clas- 
siche ,  1«  aggiunte  fatte  nel  li)>ero 
STol^menlo  del  racconto  ,  Tediamo 
eome  il  Filocolo  s'accordi  col  cantare 


Spagna,  si  potrebbe  ci«dere  rhe  in  que- 
sto modo  il  nostro  autore  volewe  adom- 
brare U  proTeni«Dta  di  lui  e  del  lao 
popolo  dall' -africa  setlentrìonole.  — L*o- 
mdizioiio  claaìica,  di  rui  ta  efog^o  re 
Felice,  vedi  ne)  diarorso  che  gli  b  posto 
in  bocca,  pp.  2&-2fì:  sì  confronli  anche 
il  discorw  di  Lelio,  p.  34;  l'altro  a  pp. 
36-37  ecc. 
(1)  FU.,  I.  66. 


I 

■ 


161  ' 
meglio  che  con  ogni  altra  versione. 
Tuttavìa  s' avvertii  oha  nel  romanzo 
non  BÌ  determina  '  che  fossero  trecento 
i  cavalieri  pellegrinanti  col  BÌgnore 
romano,  corno  nella  rima  (1);  che 
inolire,  mentre  in  questa  non  a'ao- 
oonna  dove  sia  avvenuto  lo  scontro 
fc&  earacini  e  romani,  nel  romanzo 
si  rileva,  spigolando  qua  e  là,  cho 
esso  accadde,  Beeondo  voleva  la  ti-a- 
diidone  comuno  della  leggenda,  non 
lontano  dal  tempio  di  s.  Giacomo  (2). 

(1)  Vedi  Fiìoeolo.l.  18,  32,  35.  A  coloro 
che  eran  partiti  da  Roma  con  Lelio  ai 
aggiungono  per  'via  altri  giovani  egual- 
mente diretti  a  s.  Giacomo  (pp.  32,  35), 

(2)  Lelio  cninmiDaTa  ormai  da  quattro 
mesi  allorché  fu  pervenuto  al  punto,  in 
cui  ro  Felice  lo  attaccò  (p.  28).  Egli  avea 
valicati  gli  Apennioi  (p.  28) ,  era  pnsaiito 
da  Marmorina,  posta  nll'  entrare  nel  re- 
gno di  colui  (p.  62),  vicino  a  quei  monti 
(p.  20),  ed  ora  a" atTi-etlava  verso  b.  Gia- 
como, eh'  ora  agli  ultimi  ronlini  del  re-  ' 
goo  steBSO  (p.  62).  Quando  si  vide  pro- 
li 


Ma  e'  6  iissai  dì  pia,  porche  queste 
sarebbero  dissomiglianza  troppo  leg- 

ceder  i^otttro  U  gente  di  re  Felice  ei  tro- 
TATA  in  pEMsa  pagano:  <  perocché,  egli 
dice  a' suoi,  noi  dimorianio  in  quelle  parti 
n«U«  qiuli  ha  più  peraecaMn  della  oosti'a 
novella  e  santa  legge,  che  quasi  in  ninna 
altrs  dal  mondo  > ,  p.  33.  Vedi  pnre  p. 
3G.  Cbe  la  zaffa  sia  acCBilata  in  (spagna 
à  desume  anche  dal  luogo,  ove  è  detto  cho 
e  non  solamente  i  Inpi  di  Spagna  oocii- 
paroQO  la  sventurata  volle  (dopo  la  strs^ 
di  Lelio  e  de'suoi),  ma  ani-ora  quelli 
dello  strane  contrade  rt'unero  a  pascersi 
sopra  i  mortali  pasti  »  (p.  64),  Altrove 
(li  voi.,  p.  367)  si  vede  che.  raccolto 
r  ossa  travate  sul  campo  di  battaglia  e 
lasciatole  sotto  suflirienta  custodia,  Fin- 
rio  e  Biancifiore,  cavalcando  iananii  al 
loro  cammino,  >  poco  distanti  tn  breve  al 
dimandato  tempio  (di  ».  Giacomo)  pei'- 
vennero  ».  La  mischia  dunque  aveva 
avuto  luogo  poco  lìiglanle  dal  tempio. 
Non  è  a  dire  che  il  Bocc.  qiii  abbia  at- 
tinto a' poemi  francesi,  perchè  egli  si 
stacca  da  tutte  le  oltre  versioni  imagi- 
nando  che  a.  Giacomo  fosse  dentro  1  con- 
fini del  regno  di  Felice. 


163 
giere:  il  Boccadcìo  nomina  la  città 
di  Marmorina,  e  la  imugina  soggetta 
alla  signoria  ili  ro  Felice  :  anzi  nel  ae- 
guit»  fa  che  buona  parte  delle  cose 
che  narra  ahbia  luogo  in  questa  citta. 
Il  cantastorie  invece  non  la  menziona 
mai.  Si  sa  poi  che  Marmorina  è  Ve- 
rona (1);  ma   ili    ciuesto  si  dira  pitì 


(1)  Sorto,  Leu.  sui  Fil.,  Atti  dei  R. 
laL  Yen.,  Serie  III,  10,  pp.  067-73.  753- 
73;  Rajna,  Uggeri  il  Danae  nella  L«i- 
teral.  romanzesco  d^ti  Italiani,  Roma- 
nin,  in.  49;  Norati,  Sulla  eomposii.  del 
Filoeolo,  Oiorn.  di  Fil.  Rom. ,  III.  62-65; 
SfnlmerOf  Sulla  eoroiftafia  del  Filoeolo, 
Rivista  Minima,  XIII,  7  (1883);  Graf, 
App.  per  la  »i.  del  ciclo  brellone  in  Ita- 
lia. Giara,  et.  della  Lett.  it.,  V,  125-26, 
Verona  fu  detta  citlà  marmorea.  Mar- 
mora,  Marmorina  da' mannorei  palagi, 
0  dai  marmi,  che  ai  cavavano  nel  suo 
territorio,  Luoghi  del  Filocolo,  dai  quali 
apparisoe  evidente  che  la  Marmorina  del 
liuccaccio   è    Verona:    I.    165   (Florio  e 


L 


avanti.  Anche  qui  Hiitii)U<>  può  sor- 
gere r  ipotusi  cbo  il  Boccaceio  abliia 
profittato  di  una  fuul*^  affine  al  can- 
tare, ma  non  cosi  secoamento  com- 
pendiosa. 


Asralioae  movendo  a  saNur  BittQCÌRoi'e 
prendono  U  cammino  verso  la  Braa  [Pra- 
ia], la  nodaiima  piazza  di  Verona,  ove 
sorge  l'Arena);  179  (s'indica  ancora  la 
Braa);  289  (Fileno,  fuggito  di  Marrao- 
l'ioa,  dopo  aver  veduto  «  l'uno  e  l'altro 
lite  di  BacchigliODB,  pervenne  alle  mura 
cwtrutte  por  l' addietro  dall'  antico  An- 
tenore, e  in  quello  vide  il  laoi^  ove  il 
vecchio  corpo  con  giusto  epitaffio  si  li- 
poaava  »  [Padova]  ecc.  ecc.;  308  (non 
lontano  da  Marmorina  sono  i  porti,  <ìà 
dove  il  Po  le  Hoe  dolci  acquo  mesoolu 
colle  salse  >);  309  (a'acceiuia  ancora  alla 
vicinanza  di  Marmorina  all' Adrìatico); 
350  (le  case  dì  re  FeUce  sono  proasime 
all'Adige);  II.  5  (da  Marmorina  Florio 
e  ì  com])agni  toccan  prima  Mantova); 
188  (Florio  ai  diue  purtiW  <  dallo  ton-e 
che  l'Adige  riga  >). 


165 

La  stori»  di  Rosana,  a  i]uesti)  luo- 
go, uon  è  molto  diseJmile  da  quella 
di  Florio.  Il  re  di  Cesarea,  fiero  ne- 
mico de'  romani,  che  gli  aveaa  tolta 
la  signoria  della  Cappadocia.  coglie  i 
pellegrini  ad  un  passu  difficile,  ùvù 
s'impegna  aspra  battaglia,  e  li  fa  a 
i  noti  che  qui  pure  vien  tesa 
un'imboscata  a'iiellegrini,  eche  il  loro 
duce,  re  Austero,  perisce,  come  messer 
Iacopo  e  Lelio  (1). 

Vedemmo  che  Persio  e  Topacia 
>  da  Roma  scompagnati  (2); 
nel  romanzo  spagnuolo  non  s'accenna 
por  conseguenza  a  nessuna  battaglia. 
La  Spagna  era  quasi  tutta  de'  Morì  :  il 

(1)  Race,  (li  Uos.,  pp,  13-14;  Rappre- 
seaL,  pp.  374-75. 

(2)  L'Hanaknecbt,  p.  60,  nel   risa- 
scrìve:  <.'....  brecban 

Panna,    Topacia,   und    ihre    beglei- 

tung    auf   nach   Spanien >.  Credo 

che  le  parole  spazieggiate  non  trovino 
rlsoontro  neppure  nel  l«eto  seguilo  dallo 
studiOHo  tedesco. 


ra  crùtiano  di  Gallida  v  di  Portogal- 
lo (t)  poguva  tributo  a  Fetide,  re  Sara- 
cino. Costui  manda  snoi  messi  per  a- 
Tere  il  ti-ibnto  consueto;  ma  il  re  cri- 
«tiono  rifiuta  di  pagiirlo,  pei'  cui  s'ac- 
cendo guerra  fra  i  due.  Il  Saracino, 
fatti)  vutu  ili  non  risparmiare  cristia- 
no, che  gli  accada  incontrare,  esce 
dolio  Bue  terre  cuntru  il  vassalli)  ribel- 
l«  :  invade,  veri  similmente!,  la  GalUzio, 
cunforme  il  dato  comune  della  l^igen- 
da.  S'avverta  cerne  anche  U  romanziere 
spagnuolu  si  scosti  dal  Boccaccio.  In- 
tanto i  nostri  due  pelU-grinÌ  tapioavatio 
(tuli'  U«pr»  cammino  :  un  ^-iorno,  fi-aati 
dal  caldo,  sostano  a  ristorarsi  nella 
fiMWura  di  un  pratu,  presso  una  footo, 


(1)  Nel  iMtD  tp.  ora  par«  vhie  una  mU 
panona  cwgaaaa»  iwlL*  in»  primazìe  ;  oca 
oh*  loMMV  ilua  N  ilntiuti:  4  liiie  In  U- 
•liirÌA  (■«  4  ra?  Jn  lìolìiia  t  •!•  Partii- 
m1  au/t  tffua  chrìftCuuio^  ^^^t^n  càiitto 
ttilHilO  a  E'Wkv . . .  >.  S  oaà  aoeb*  pift 


allorché  sopraggiunge  1'  antiguardo 
pagano.  Interrogati  se  sieno  cristiani, 
lo  aSenoano  impaviiii,  ondo  il  cupo 
de*  Mori  fa  ucciderò  Persio  ;  ma  non 
ha  cuore  di  spegnere  la  donna,  cho 
gli  piace  invece  di  serbare,  qual  ghiotto 
dono  da  offrire  al  ro  (1). 

Anche  il  romanziero  spagnuolo,  co- 
nie  si  yede,  ba  rimaneggiato  libera- 
mente il  racconto:  egli  infatti  asse- 
gnò alla  iinpreBa  aaracina  un  motivo 
che  forse,  ignorando  i:tuelli  accennati 
nelle  altre  redazioni,  ha  imaginato 
egli  stesso  (2^,  dietro  la  tradizione 

(1)  Ff.  6  T.-7  r, 

(2)  Nelle  già  citate  romanza  portoghese 
e  CBBi-catalans  il  oonte  Flores  è  colto 
da'  sarocini  non  mentre  andava,  ma  men- 
tre tornava  da  b.  Giacomo.  Dalla  prima 
di  osse  noQ  s' accenna  a  resietenza  ilei 
conte  (HardnnS)  op.  e  1.  cit.): 

Deram  com  o  con  de  Flores 
Que  vinha  da  i-omaria: 
^mha  Ut  de  Samtiago, 
Sarotìago  de  QalLiza; 


delle  lotte  ebe  limgamiaot«  si  stw 
eombotinte  nel  mo  paese  fra  ro  cri- 
stiaai  e  re  mori.  Ma  io  fondo  rimane 
pur  sempre  it  arno  essenziale  d'una 
incursiuno  dì  ro  Felice  in  OalUzia 
per  odio  a'  crìstìam.  L' autore  8pa- 
gnoolo  si  allontana  dunque  dalla  for- 
ma origtDarìa  della  leggenda  meno 
del  Boccaccio.  Egli  non  mantenne  il 
particolare  della  imboscata  tesa  dai 
pagani  a'pelle^ini;  ma  si  noti  peni 
che  anche  Persio  e  Tupacia,  non  a- 
Tendo  aTOto  aleno  sentore  dell'ap- 
pressarsi degli  infedeli,  sono  da  questi 


MalATam  o  conde  Flore», 
A  cundena  vai  captila. 
La    seranda    invece    adombra  codesta 
resistenza   (KUàr  Fontanals,  op.  e  1. 

city. 

Vod  Venir  el  curnle  Floris  |  »)U0  viene  da  romeria, 

\ì»ae  de  pi-egar  h  Dìos  |  nue  le  diese  un  hijo  o  hiJL 

(  Comte  PlorU,  comte  Floris,  |  tu  mtijer  aoii  cautiva  i 

I  Nn  cera  rautìva,  nò,  [  aunque  me  cueste  la  -rida  *. 

Malaron  tì  corate  Floris,  |  quedik  su  mojer  cautiva. 


160 

l.sorprosi.  MesseF  Perfiio  non  oppone 
I  resistenza;  il  die  si  spiega  ripmisundo 
Ifibd  il  rommiziiire  lo  ha  fatto  partire 
1  compagnia  e  senz'  armi,  con  la 
I  BchiaTina  soltanto  e  il  bordone  dei 
l'pellcgrini  (I). 

3.  Uccisole  il  marito,  ì  Saracini 
I  fa'aggon  seco  la  donna  innanzi  il  re: 
r  questi,  al  vederla  cosi  bella  e  gentile, 
[  BÌ  rallegra  del  dono  ofibi'togli;  indi, 
r  reduce  dall'  impresa  di  Qallizia,  la 
I  presenta  alla  regina,  che  so  ne  com- 


(ì)  Nel  rifacimento  moderno  del  ro- 
Buuuo  Bpagnuolo  i  due  pellegrini  fan 
ft  viaggio  terrestre;  ma  poi,  vinti 
EftuicheEzs,  montano  sopra  una  na- 
T In  mure  che  son  eorpi^si  dai  mori: 
Rostro  galere  di  corsari  assaltano  U 
FnsTa,  ov'esd  trovanà,  e  una  palla  moi'»' 
B  trapassa  il  petto  di  Micher  Peroio. 
B  {}ui  Biamo  forse  men  discanti  dalla  roila- 
I  originaria  della  leggenda,  per  la 
i.^uale  i  pellegrini  sono  appnato  assaliti 
»  veri  pi-edoni  aaraceai. 


piace  viramcnl«.  In  questa  parte  e 
l'acconto   il  cantare   si  aceusta   al   I 
poema  fì-ancese  ed  alle  versioni  bJ&oì. 

Testo  frascesk, 

Au  roi  Felis  l'ont  pi'eseiitée, 
Et  il  l'a  forment  eigardée; 
Bien  aparpoit  a  son  viaoge 
Que  eie  estoit  de  haut  purage, 
Et  diat.  s' il  puot,  qu'  a  la  rotnu 
Fera  preseiil  de  la  meachuie  (1). 

.  .  .  por  sa  purt,  a  la  roine 
Doae  de  gaaìug  la  neachine. 
La  roine  a' en  (kit  moult  liée ..  .[i] 

Testo  ftamìLvo. 


daTunti  a  lo  re  la  presenloro, 
a  quel  presente  beUo  tene  cara. 

Lo  re  quando  la  vidde  si  belliaumu 
quella  criatiaua  di  terra  latina, 
bene  la  tenne  por  gioia  grandiainia; 


(1)  Vv.  103-108. 

(2)  Vv.  131-133. 


diedek  ìa  guardia 

Naia  fu  in  Itoraa  la  genti  lisi  ni  a: 

apruseotar  k  fece  a  la  reiiia, 

e  quand'  aparve  In  bella  cristiiina 

ella  reina  beltà  (enea  cara  (I). 

n  cantare  tuttavia  ó  qui  pure  più 
breve  aesai  dell'altro  redazioni  ;  quindi 
manca  d'  ogni  particolare  sul  ritorno 
di  re  Felice  e  de'  suoi  Del  loro  paese. 
Altrove  si  narra  che  essi  Bonu  sbar- 
cati a  Napoli,  che  nella  fantastica 
geografia  di  questi  vecchi  poeti  è  fatta 
capitale  di  un  re  di  Spagna,  od  a  To- 
ledo, che  non  meno  Etranamento  si 
muta  in  porto  di  mare,  o,  cun  veri- 
simiglianza  senza  confronto  maggiore, 
ad  Almeria  (2)  ;  nel  cantare  invece 
il  ritomo  ó  af&itto  sottinteso,  come  si 
vede  nel  passo  testé  riferito. 


(i)  St.  8-0. 

(2)  n  troverò  del  I  testo  fr.  à'ic.e  che 
il  re  pagano  amoata  <  a  Naples,  a  la 
cita  bela  >  v.  119:  vedi  pure  il  poema 
del  Fleck,  v.  498.  Cfr.  Sommer,  ^.  285 


Il  poema  greco  soguo  l' italiano  con 
la  osata  fedeltà  (1);  mentre  senza  con- 
fronto più  ricco  si  svolge  il  Filocoìo. 
Dopo  la  battaglia  tra  la  gpnto  di  iv 
Felice  e  i  romani,  al  calar  della  sera, 
essendosi  riavuta  da  un  lungo  tra- 
murtimeiito,  cLo  il  romanziere  fu  du- 
rare dal  principio   della  zuffa  sino  a 


Wehrle,  pp.  XXXIII-VI  (ove  si  spiega 
Del  modo  più  pei-Hua^vo  come  Napoli 
possa  esBersi  imoginata  capitale  di  un 
regno  di  Saraceni  apagnuoli);  Dn  ULi' 
rll,  pp.  Ixvj,  ci.  È  il  rìman^giatore 
olandsM,  Diedei'ic  van  Araeuede,  che  fa 
sbarcare  il  re  Saracino  noi  porto  ili  To- 
ledo (Sommer;  1.  e).  Alroeria  è  indi- 
cata inTece  dal  secondo  troverò  francese: 
V.   165. 

(1)  Vv.  68-71.  Fa  già  notalo  (Henotr, 
20.  n.  '"  )  che  nel  testo  greco  manca  il 
passo,  ove  dovrebbe  accennarsi  che  Ìl  re 
ha  affidata  la  prigioniera  ciistians  alla 
regina:  vedi  tv.  72-63.  Sarà  ancha  qui 
il  eaao  dì  una  lacuna  del  i 
del  poemetto  1 


I 


173 
puntai,  Oiulìa  si  aTvede  dai 
pianti  cho  tacevano  le  sue  compagao 
come  le  armi  de'  auoi  fossero  state 
sfortunate.  Quasi  foi-sennata,  ella  corre 
tra  i  morti  a  cercare  il  corpo  del  suo 
Lelio,  e,  ritroratolo,  si  lamenta  o 
piange,  e  fa  con  le  compagne  riso- 
nare di  lungo  gemito,  nella  notte,  la 
funerea  valle  ;  tani-o  che  il  re  manda 
ano  de' sui  cavalieri,  Ascalione,  a 
vedere  onde  movessero  quei  lamenti  : 
Ascalione  ritrova  Giulia,  la  conforta, 
la  rassicura,  o  la  persuade  a  seguirlo 
innanzi  il  re.  Costui  la  accoglie  pie- 
tosamente, la  rianima,  e  quindi,  con- 
dottala seco  a  Siviglia,  la  presenta  e 
raccomanda  alla  regina  (1). 

Di  questi  fatti  non  trovano  riscontro 
nelle  altra  versioni  se  non  quelli  che 
si  debbono  riguardare  come  fonda- 
mentali, perchè  anche  qui  riesce  evi- 
dente che  il  Boccaccio  ha  con  piena 
libi'rta   rifatto  ed   arricchito   il  rac- 


(1)  FU.  I.  53-6D. 


174 

cooto.  Cosi  Tediamo  che  Giulia,  la 
(juale  cerca  nottetempo  fra  i  morti, 
sili  campo  di  battaglia,  il  carpo  At>\ 
marito,  e  sovr'  esso,  scopertiilo,  si 
abbandona  e  si  aciùgUo  in  disperato 
pianto,  ricorda  un'altra  dolorosa,  che 
un  poeta  caro  al  Boccaccio  rappre- 
soDt6  nella  stessa  condizione:  vugliam 
dire  la  Argia  di  Stazio,  vagante  del 
pari  fra  le  tenebre  in  traccia  del  ca- 
davere di  Polinice  (1). 


(1)  Tehaide,  Xll.  280  sgg.  —  FU.,  1. 
54:  4  E  andando  ella  per  lo  (^ampo  pian- 
gendo, e  Bprez7Aiii3o  le  sue  bellezze,  molli 
corpi  morti  colle  sue    inani  Tolgea  por 

trovare  il  suo  misero  marito ».  T«b. . 

XII.  28S-90: 

viauque  sagaci 

Kimutur  poaitos,  et  corpora  prona  supiaat 

Incumbens 

Il  Boccaccio  rìesce  però  inferioi-e  al  poeta 
imitato:  8Ì  confrontino  infatti  le  parole: 
(  e  poiché  alla   n'eblie    molti   livolU.    e 

rìconoaciuto il  suo  Lelio, 

quivi  sopr'esao  «emiviva  piangendo  cadde 


175 

Pare  il  romanziere  spagnuolo  narra 
che  il  re  Saracino  assai  pregiò  il  dono 
della  bellissima  cristiana  fattogli  dai 
suoi  ;  ed  aggiunge  che,  affidandola  ad 
un  suo    cavaliere,    tosto    la    mandò 


ecc.  ecc.  »,  coi  versi  317  sgg.  del  poema 
latino.  Nel  discorso  che  indi  segue,  Giu- 
lia rimprovera  dapprima  il  marito  per 
essersi  scostato  da*  suoi  consigli  ;  ma  poi, 
pentita  quasi,  soggiunge  :  «  o  iniquo  pen- 
siero, e  sconvenevole  volontà,  recate  la 
morte  in  me,  che  non  Tho  meno  meri- 
tata che  costui  ecc.  »  (p.  55).  Cosi  ordi- 
nato e  intonato  è  pure  il  discorso  d' Ar- 
gia, che,  dopo  gli  amorosi  e  sconsolati 
rimproveri,  esclama  (vv.  336-37): 

uid  queror?  ipsa  dedi  bellum,  moestumque  rogavi 
sa  patrem,  ut  talem  nunc  te  complexa  tenerem. 

Giulia  aveva  il  volto  brutto  di  sangue 
(pp.  54,  58);  Antigone,  sopraggiungendo, 
scorge  la  cognata  (vv.  363-65): 

atra  sub  veste,  comisque 
[uallentem,  et  crasso  foedatam  sanguine  vultus. 


alla  regina,  odia  citU  dì  Caòt^  fi 
Oriego  (l),  ovo  le  fu  fatta  da  i]uella 


Vedi  deUa  slassa  T^ide.  III.  130-30. 
—  Oìnlja  bacia  il  cgrpo  dì  Lelio  (pp. 
54-^);  Argia  e  Antigone  baciano  in- 
sieme quello  di  Polinice  (vr.  3S5-8S). 
Cfr.  anche  XII,  27-38.  —  Aacalione  dice 
a  Ginlia  (p.  60):  <  or  se  doÌ  ti  roleni- 
iDO  qui  l&eciare,  non  ti  spaienterebbono 
gli  infiniti  spiriti  de"  morti  corpi  sparti 
por  lo  piangevole  aere?  >.  SÌ  noti  rome 
Argia  TagBBie  pel  campo  (tv,  284-85). 


non  circuDofusa  tremiscens 

l'oncilin  umbrarum,  atque  animos  sua  membra  gemenb^ 

(1)  Non  Oi/wfa  dei  Griego^VHi.  Morii, 
[t.  c]j  ;  HansknecEit,  p.  60).  Il  Du  Mèrli, 
I.  e,  riteneva  che  questo  nome  dato  nella 
varuone  apagnuola  alla  capitale  dei  pre- 
doni taracint  volene  a  sostegno  dalla  sna 
ipotesi  che  la  leggenda  si  fosse  formata 
in  Oriente.  Cabota  del  Griego  gli  parava 
denominazione  orientale,  come  quella  ahe 
«■sanse  Corinto  nel  medio  evo.  Caput 
Achajae.    Se    non  che   il    Du    Mèrli   ha 


r  ncGoglienza  festosa  che  dicono  pur 
le  altre  redazioni  (1).  Lo  epagnuoto 
dunque  fa  eompre  come  il  Boccaccio  : 


fatto  ì  conti  senza  i  Dizionari  geografici: 
ce  n'  è  uno,  voccbio  ma  buono,  vhe  mi 
atteita  la  reale  esiaten»!  in  lapugna  di 
Cabepi-et-griego,  mentre  in  altri  piii  re- 
centi macca  ogni  indìcozioue  del  luogo. 
Vedi  Bruttn  de  la  Hartinlère ,  Le 
Grand  Dietìonnaire  fféoi/raphigue  hlslo- 
rique  et  critiqve,  T.  2. ,  Paris,  1768,  p. 
3:  «  Cabe^'tl-grùgo,  village  d' Espagne 
daos  la  TÌeillo  CaHUUe.  Moralez,  Mariana 
et  Zurìta,  laissent  incertain,  ai  c'est  dang 
ce  lieu,  ou  &  Ineesta,  bourg  voiein,  qu'  il 
Taut  cbercher  l' aacienne  Segobrlga,  qae 
d*  autres  clierclient  beaucoup  : 
Segoi've.  > 

(I)  F.  7  V.;  HanBkneofat,  p.  60.  — 
Anche  nelle  romanze  portoghese  e  casti- 
gliano- catalana  è  lieta  l' accoglien 
la  regina  mora  fa  alla  prigioniera.  Vedi 
opp.  e  II.  ce.  —  Nella  redaz.  moderna 
del  rom.  ap. ,  Topacia,  divelta  dui  cada- 
Tere  dello  sposo,  ch'è  gettato  in  mai^ 
Tiene  dai  conarì  presentata  al  loro  re. 


178 

amplia  e  modifica  liWamente  il  rac- 
conto. Qui  infatti  egli  non  ee^ao  \a 
rimanenti  versioni,  nelle  quali  il  re 
stesso  presenta  alla  moglie  la  schiava, 
tornando  dalla  spedizione  contro  i  cri- 
stiani: ed  è  naturale,  che  quando  la 
donna  cade  in  suo  potere,  egli  non  ha 
compita,  come  si  narra  altrove,  ma 
appena  cominciata  la  guerra  in  Gal- 
Ikia;  del  suo  ritorno  quindi  non  si 
poteva  parlai'e  cosi  presto. 

Ora  ecco  insieme  la  regina  e  la 
scbiava.  Cosi  nel  1  poema  francese 
che  nel  cantaro  vien  posta  in  rilievo 
r  amicizia  confidente  strettasi  fra  le 
due  donne,  di  che  tace  affatto  l' altra 
redazione  oitanica  (1).  Occorrono  tut- 
tavia segni  chiarissimi   che  il  testo 

presso  Argel.  Costui  pregia  molto  il  do- 
no, e  manda  la  prigioniera  alla  regina, 
che  la  rìceTe  con  vivo  segno  di  aggi'sdi- 
inento. 

(I)  Nel  II  poema  fr.,  a  qneato  luogo, 
■I  narra  invece  che  la  duchessa  d' Olenoia 


^^H    italiano    non    dipende     direttamente 
^^H     dallo  straniero:  questo  si  rode  aperto 
^^F       puF  dove  essi  si  accoBtaao,  senza  con- 
^H        tare  che  nell'  uno  si   leggono   parti- 
H^        colapi,  che  mancano  all'  altro.  Il  tro- 
verò  narra   che   la   rt'gina   consente 
alla  cristiana  di  guardare  la  sua  fede, 
e  che  da  lei  apprende  il  francese;  il 

t  cantastorie,  in  cambio,  sa  dirci  i  nomi 
delle  due  donne  (1),  de' quali  c'im- 
porta specialmente  il  primo,  quello 
della  cristiana  (Topazia),  perchè,  se- 
condo già  si  è  notato,  ripetendosi 
nelle  quattjo  nostre  versioni,  vale  a 
renderne  manifesti  gì'  intimi  rapporti. 
Le  due  redazioni  si  somigliano  U  dove 
rappresentano  la  schiava  intenta  a 
leggiadre  opere  mulieri.  Mentre  è  in- 
tasa a  queste,  essa  impallidisce,  si  la- 

pletceameote  s'ingegnava  di  campare  il 
manto,  langueoU  in  prigione,  serbando- 
gli la  miglior  parte  del  cibo,  ch'era  a 
lei  assegnato,  e  raccogliendo  le  briciola 
della  mensa  del  re  (vt.  S05-18). 
(1)  St.  10. 


bi^w^^^v. 


kS»fcHM&. 


.^^«ai_  «._.(■) 


(ttiv  tajs 


18] 


i  le  puose  H 


e  standosi  e 

chella  reina 

Una  tela  che  Tenne  di  Dolraam, 

di  seta  e  d'oro,  che  rendea  splendore, 

daTanti  &  la  criaUana  la  fa  metai-e, 

cba  molto  bel  lavorio  gapaa  tesere. 

La  crestìana  istava  pensosa, 
e  nel  ano  tìso  nono'  avea  colore, 
edicia;  lassa  che  son,  dolorosa, 
che  non  mi  venne  d'una  lonza  al  core? 
ch'io  fossi  morta,  di  sa  venturosa, 
quando  fu  morto  '1  mio  doke  signiorel 
Con  lui  mi  moB^  con  grande  lelizia 
per  andare  a  V  aposto!  di  Galizia. 

Ella  reina  disse:  donna  mia, 
per  lo  mio  amore  non  ti  seonfortai'e, 
e  si  mi  di' per  la  tua  cortesia, 
se  tu  se'grossu  non  mello  cielare, 
eh'  io  t*  iaprometto  per  la  fede  mìa, 
eh'  i'  ti  ferù  servire  ed  onorare: 
or  ti  conforta,  e  sta  alegramente  ; 
eredo  eh' aremo  frutto  insiememente  (1). 


(1)  St.  10-12.  Nella  prima  di  queste  St. 
a  tela  di  seta  e  d' oro  (  broc- 
catot  Haratorl,  Ant.  Ital. ,  II.  401)  ve- 


i 


I8S 

È  questa  una  scena  dotceioea- 
te  intima  6  vera;  ma  il  nodo  che 
lega  il  particolare  de'  graziuei  ricami , 
onda  si  piace  la  cristiana ,  all'  altro 
dello  smarrimento  che  la  coglie  in- 
tanto che  attende  ad  essi,  e  de' con- 
forti, che  la  regina  adopera  a  rin- 
jraacorla,  dev'  essersi  allentato  via 
via  nei  rimaneggiamenti  e  nella  tra- 
smissione della  favola,  cosi  che  noi 
cantare  esso  non  risalti  manifesto 
come  nel  poema  irancese.  Adombrati 
in  ottave  diverse,  ì  due  particolari 
anzi  furono  disgiunti:  vi  sona  infatti 
testi  del  nostro   poemetto,   nei  quali 


nula  di  Dalmazia.  Non  so  che  tele  cesi 
fatte  potessero  venire  di  quel  paese.  Può 
darti  che  U  poeta  sìa  stato  condotto  a 
nominare  la  Dalmazia  dalla  necesBiti 
delta  rima;  o  che  sia  accaduta  confusione 
nella  aua  testa  poco  erudita  fra  l'indu- 
■tiùa  di  quelle  tele  e  l'altra  della  lana, 
onde  la  Dalmazia,  che  avea  dato  il  nome 
alla  famosa  tuga  dalmaliea,  ara  stata  fio- 


k 


la  stanza,  ove  s'  accenna  a'  lavori  di 
Topazia,  truvasi  fuori  luogo,  segue 
cioè  alle  due,  cui  dovrebbe  precedere, 
a  quelle,  che  ci  rappresentano  re^na 
e  schiava  strette  In  fraterno  collo- 
quio (1). 

XjO  atesso  spostamento  ci  si  offre 
nel  Fitocolo  (2).  Dopo  non  molti 
giorni  dalla  battaglia  co'  pellegt-ini 
romani,  re  Felice,  insieme  alla  mo- 
glie e  a  Giulia  Topazia,  da  Siviglia 
si  reca  a  Marmorìna,  eh*  egli  stupisce 
di  rivedere  intatta,  contrariamente  a 
ciò  che  gli  aveva  fatto  credere  Plu- 
tone. Giulia  era  tutta  lacrime  e  so- 
spiri: un  giorno,  la  regina,  vedendola 
piangere,  le  rivolge  amorevoli  parole, 
e  si  studia  di  riconfortarla.  Qui,  ove 
si  sfrondi  il  luogo  degli  esempi  di 
romana  fortezza,  che  quella  adduce  a 
rilevar  l' animo  dell'  afflitta,  ci  ai  ri- 
presenta  la  scena,  dì  che  ora  dicem- 


(1)  Vedi  nota  alla  SL  10. 

(2)  Pp.  67-68. 


ifwtoi^CW 


>  ì'amen  àdim  n^ìML,  Gì»- 
Ba  «  neqvetk,  e,  per  fmgs^  roda. 
tafpaa»  di  tetri  tÌMrC,  «  eoBe  fio- 


àa  aeU  BobfiiMUM  tele  di  dmra»  or- 
m*gim  ilganto  >.  A  queste  parale 
cmjtpoads  il  hugo  ^  fednto  dd 
antan,  in  «ni  ri  narra,  dw  la  ngiits 


£  wta  e  d'oro,  che  randa*  apleiuiors, 

dsFanti  A  Ia  criatiaiu  la  fé  metore, 

cb«  mollo  bei  Uvorio  mpeK  tesara. 

Qui  dunque  U  cantare,  serbando  la 

disposizione   del    racconto    eh'  6    nel 

po^^mA  francese,  rifletta,  lontanamente, 

la  redazione  prlmìtÌTa  della  leggenda, 

tnuQtre  il  FUocoh,  come  talnni  testi 


tralignati  del  cantare  stesso,  a' quali 
sopra  fu  accennato ,  presenta  una 
alterazione  (li  quella. 

Nel  nostro  poemetto  il  giorno  del 
parto  non  6  Lo  stessa  che  nello  due 
veroioDÌ  francesi  e  nello  altre  affini 
alla  prima:  in  queste  la  nascita  de' 
futuri  eroi  del  racconto  avviene  di 
Pasqua  fiorita  (Domenica  delle  pal- 
me); nel  cantare  invece  di  Pasqua 
)  (1).  Cosi  in  eSBO 


(I)  1  poema  fp,  vv.  161-64  (per  le  i-eda- 
xioni  alRui  vedi  HenOff,  p-  21  );  Il  poe- 
ma TV.  2S5-S8.  Seconda  la  redazione  basso- 
tedesca  i  fanciulli  nascono  nello  etesso 
giorno  di  Pasqua  (Sommer,  p.  Sd6;  Dn 
Xéril,  1^1  Uerxog,  1.  e).  Dol  Cant. 
vedi  St.  13-14.  —  Sul  valore  di  Pasqua 
fioiila  e  Pasqtca  rosata  c(r.  Du  Cange, 
a.  V.  Puaclia;  Boquefort,  Giosi,  de  la 
langue  rom.,  s.  v.  Pasques-eommeniaubi ; 
Dn  Mèrli,  pp.  liiv.  n.  2,  isris.  n.  3, 
Isxxiij.  n.  1;  Llttre,  Dici.  fr..  a.  t.  Pd- 
que;  Laronsge,  (Jr.  Dici.  Univ.  ecc.  s. 
V.  Pdqiu.  Il   Diz.   del  Godefroj'   uon  è 


ise 

manca  il  rapporto  che  si  avverte  net 
maggior  numero  della  altro  redazioni 
fra  quello  del  dì  della  nascita  e  i 
nomi  posti  a'  due  fanciulli ,  Florio  e 
Biancifiore  (1).  D'  uno  solo  di  questi 
nomi  è  data  spiegazione  dal  conta- 
storie, di  quello  di  Biancifiore,  eh'  ei 
dice  nominata  così 
perchè  8*  ELSO  migliava  al  fresco  gUglio  (2). 
Pur  nel  romanzo  boccaccesco  le  due 
donne  partoriscono  il  di  stesso:  <  nel 

ginolo  ancora  olla  voce  Pdque  o  Pasque. 
Vedanù  inoltre  i  Lessici  italiani,  e  Bajoa, 
Rinaldo  da  Montalbano,  Propugnatore, 
HI,  323.  n.  1.  Pasca  floria  anche  in  pro- 
teiisale,  ma  in  senso  indeterminato  di 
primavera  (Ka^nonard,  Choix,  V.  41, 
31fl!  Lux.  Som.,  IV.  4<5). 

(1)  I  poema  fi.,  169-73;  Il  poema.  131- 
36;  poema  del  Flock,  59S-95.  Vedi  Her- 
«Off,  21-28. 

(2)  St.  15.  Mentre  il  nnme  di  Biancif. 
parve  equivalente  a  ff'glio ,  va  quello  di 
Fiore,  Florio,  si  volle  il  senso  di  rtisa.- 
t(r.  Dn  MérO,  ci.  □.  1.  Vedi  pure  Wetir)«, 


fiocondo  giorno,  scrive  1'  autoro,  elet- 
to per  festa  de'  cavalieri,  essendo  Febo 
nelle  braccia  di  Castore  e  Polluce  », 
ossia  essendo  il  sole  in  gemini:  par- 
toriscono dunque  di  maggio,  come 
vnole  il  cantastorie, 

di  magia  eli'  è  la  rosa  in  eu  la  spiaa  (1). 

Messer  Giovanni  non  profana  la 
Sua  aulica  prosa  nominando,  come  un 
volgare  qualsiasi,  la  Pasqua  rosata: 
egli  narra  che  i  due  fanciulli  nacquero 
nella  festa  de'  cavalieri.  Ma  in  altro 
luogo  della  rima  si  dice: 

domenica  si  è  pasqua  rosata, 
che  «ara  feata  per  li  cavalieri  {i 

np.  cit.,  p.  XLIIl;  I.  Grimm,  Ueber 
Ftxtuennamen  aus  Blunten,  Mem.  del- 
l' Accad.  di  Berlino  1852,  p.  129,  o  Klein. 
Sehrifl.  II,  396-97.  Sul  rapporto  tra  il 
nome  de'  laDciallì  e  i  fiori  parla  anche  il 
Sonni  er,  xxi-xxzii. 

1(1)  St  13. 
(2)  St.  119,  —  Con  tale  festa  de' cava- 
lieri s' intende  certe  una  eour  pieniére. 


dunque  le  due  iodicaziouL  si  riferi- 
scouo  all'  identico  gioroo ,  e  il  Boc- 
caccio s' accorda  in  questo  dato  non 
già  co'troTeri  IraDcosi,  ma  col  can- 
tastorie toscano.  Egli  pei'ò  ci  offre 
maggior  copia  di  particolari  narrando 
che  le  due  donne  partorirono  ad  ora 
diversa  dello  stesso  giorno:  la  regina 
il  mattino,  Topazia  la  sera  (1). 

una  delle  briilsnti  adanate  cavalleresche, 
che  HTean  luogo  allo  tre  Pasque;  usaoia, 
com'  b  noU),  di  lontana  orìgine  germa- 
nico, che  si  riflette  nelle  naiTozioni  epi- 
che e  romanieache  del  Diediuevo  iL.  dati- 
tier,  Èp.  fr..  T.'  13;  V.  Paris,  Rom.  de 
la  Tabu  Ronde,  11.  64). 

(l)  FU.,  I.  80.  71,  73.  —  Topasùa  so- 
stenne coel  grave  doglia,  dice  il  Boec, 
che  «  tra  V  erronea  gente  ai  dubitava  non 
Lucina  sopra  i  suoi  altari  stesse  con  le 
mani  comprese  resistendo  al  suo    p.vto, 

0  con  divotì  fuochi  s' ìngogTiavsno 

di  mitigare  la  colei  ira  ecc.  >  (  p.  71).  Ma 
essa  è  liberata  da  pericolo  quando  a  Oiove 
piace  por  fine  a' suoi  dolori  (ibid.).  A'  Sa- 


Eguale  rispondenza  mostrano  i  due 
testi  italiaui  nel  fatto  che  per  essi 
Topazia  muore  dopo  il  pai'k),  mentro 
nelle  versioni  francesi  e  germaniche 
aoprawive.  Nel  Fi/ocoìo  la  morente 
vuole  che  le  sia  posta  &a  le  tremanti 
braccia  la  bambina  di  fresco  nata,  la 
bacia  gemendo  e  lacrimando,  e  la 
raccomanda,  poco  prima  di  spirare,  a 
Glorìzia,  la  più  diletta  o  Ada  delle 
ancelle,  che  con  lei,  dopo  la  strage 
de' pellegrini,  erano  cadute  ia  potere 
di  re  Felice.  Qui  pure  il  cantare  si 
mostra  indipendente  dal  filcolo. 

Nel  racconto  boccaccesco,  come  nel- 


nicaai  dunque  il  Bocc.  attribuisce  il  culto 
d«gli  dei  latini,  e  li  chiama  erroiua  gente; 
ma  poi,  riterendoai  alla  crudaiiza  di  To- 
pazia, accenna  a  Giove.  Corto  in  Giove 
qui  e'  adombra  Dìo,  che  anzi  plìi  sotto  è 
chiaramente  nominato;  questo  perù,  co- 
me ai  vide  anche  pagine  addietro,  pro- 
duce nell'  uniforma  linguaggio  claasico 
del  nostro  autom  una  curiosa  confusione 
tra  il  eulto  Saracino  e  il  cristiano. 


1 


190 

la  noetra  rìroa.  è  il  re  medmmo  die 
impone  i  nomi  a'  fanciulli  ()):  e^ 
li  trae  dal  giorno,  in  cai  sono  nati. 
4  nel  qoale  ogni  fiore  manifesta  la 
eua  bellezza,  e  1  cavalieri  simìglian- 
temente  e  le  gaie  donne  si  rallegrano 
facendo  graziosa  festa  (2)  >.  Tale  epie- 
gazione  de'  due  nomi  non  é  la  stessa 
che  si  ride  nella  maggior  part«  delle 
vereioni  della  nostra  leggenda;  ma  ce 
la  fa  rammentare,  mentre  quella  ac- 
cennata nella  rima  è  al  tutto  diversa. 
Se  non  che  i  nomi  di  Fiorio  o  Bian- 
cifiare  cola  si  imaginano  tratti  dalla 


Pasqva  fiorita, 
scita:   il    Boccacci 
son  nati  in  un  gi 


iorno  della  loro  na- 

invece  narra  che 

omo,  che  roostram- 


mo  corrispondente  alla  Pasqua  ro- 


(I)  Cant.,  St.  15.  Nel  I  poema  &.  il 
re  non  pone  il  nome  che  al  bnciuUo 
(V.  173). 

(S)  Emendai  l'errata  lezione  della  stam- 
pa Moutier  (p.  74)  valendomi  della  vec- 
chia stampa  del  1503  (Veneda),  Lib.  I. 
cap.  slv. 


191 

Kw&i.  Egli  danoue  non  ha  BOguita  una 

^di    quelle   versioni.    Perciò    rispunta 

P  coma  assai  probabile  l'ipotesi  che  gli 

j  fosse   nota   una  redazione,  affine  al 

■"Cantare,  ma  più  ricca  di  esso,  nella 

T  quale  restasse  qua  e  la  qualche  mi- 

E  glior  traccia  della  narrazione   urigi- 

.  In  questa  fonte,  poichg  i  fan- 

Iciulli  certamente  vi  si   dicevan   nati 

Ila  Pentecoste,  o  di   Pasqua  rosata, 

l-.doT0ra  esaere  svanito  il  nesso,  che  in 

r  più  antichi  testi   legava  i  luro  nomi 

quello    della    Pasqua    fiorita  ;    ma 

r  doveva  però  riflettersi   la   tradizione 

vaga,  che  dal  giorno  della  nascita  i  loro 

nomi  fossero  pure,  in  qualche  guisa, 

derivati  (1). 


(l)  Ci  BOao  altra  redazioni,  nelle  quali 
i  di  Fiotto  e  Bianeifiore  non  ai 
I  spiegano  dalla  Pasqua  fiorila  :  alludo  al 
olandese ,  al  baasotedesco ,  allo 
LsTodese.  Io  questi  ultimi  (si  rammenti 
■  che  nella  versione  bassotedesca  s'imagìna 
Ila  nascita  de' fanciulli  non  nel  giorno  di 
I  Pa«;t<a  fiorita,  ma  nel  praprio  giorno  di 


Sempro    aguale  ò   la    fedeltà    del 
poema  greco  alla  rima  italiana  (1): 


Pasqua)  i  nomi  ai  riferiscono  alla  pri- 

maTera,  come  olla  dolce  stagione  dai 
fion  (Sommer,  p.  286;  Da  Mèrli,  pp. 

Iv  (erroneam.  liv),  Ixj).  Queato  motìvo 
ha  min  qualciitì  corriapoudenia  eoo  quello 
che  trovammo  assegnato  nei  Filoeolo. 

(1)  Vv,  72-137.  —  I  nomi  delle  due 
donna  aoao  gli  atessi,  che  vediamo  nel 
cantare: 

(tt.  II2-I3J 

KaiiXioT^poi  è  lii  tradui.  del  nome  Mi- 
gliore dato  nel  cantare  alla  regina  (St. 
10),  come  altri  ha  gifi  notato  (Schwnl* 
baeb,  op.  cit,  p.  26;  Hanalineolit,  op. 
cit,  p.  42).  Vedi  ancora  vt.  115-21,  a 
St.  10  per  ci&  che  si  i-iTerisce  alla  tela  dì 
Dalmazia  : 


Tuole  invece  men  fuggevole  cuuno 
t'umunzo  spagnuolo  (1). 


La  tela  diventa  però  uq  panno  non  meno 
pretioso,  del  quale  la  regina  vuule  clie 
■ì  vetta  Topazia:  qui  il  poeta  greco  noa 
ha  bene  interpretato  il  testo,  od  ha  rg- 
Into  allentar  lo  bvigtii^  alla  sua  fantasìa, 
tanto  da  romper  la  monotonia  del  tr:i- 
durre.  La  nascita  de' fanciulli  avviene  il 
giorno  stesso,  e  di  mag-gio,  couie  nel 
cantaiv: 


i  magiii  ch'è  la  i-osi 


(St.  13); 
upàTipat  £VÉAivv)C7av  k'^  ^amXzti)^  oìxov 

u.  ÒTav  po?'av6oiiv  xi  e'xiTE'(i7touv  jiupwSi'ati;. 
(vv.  124-25). 
Anche  nel  tjjslo  greco  Topazia  muore 
dopo  il  parto,  e  il  nome  di  Biancitìore 
(IlXaT^taqiWpe)  deriva  dal  giglio,  cui 
somiglia  {vv,  146-47):  il  poeta  non  s'av- 
vide che  in  greco  spai'ìva  il  rappoi'to  che 
invece  corre  in  italiano  tra  biaricofìore  e 

(1)  Ff.  7  V.  —  0  v.;  Uausknecbt ,  pp. 
50-0  L 


194 

La  scena  tra  la  regina  e  Topazia , 
che,  unica  nel  testo  francese  e  nel 
cantare,  vedemmo  sdoppiarsi  nel  i'V- 
locoìo,  si  triplica  in  questo  romanzo. 
Vengono  prima  gli  scorati  lamenti 
della  cristiana,  e  i  confurti  della  re- 
gina (1).  Costei  chiede  alla  achiova 
di  qual  paese  sia:  quella  le  dA  con- 
tezza di  sé  e  de' suoi,  e  del  modo 
come  le  avessero  ucciso  il  marito. 
Sentendo  di  che  alto  grado  ella  fosse, 
la  regina  le  fa  recare  panni  preziosi  ; 
ma    la   sventurata   preferisce    vestir 


(1)  Nel  cantare  la  ragiaa  dice,  pi-ocu- 
raado  di  consolar  Topazia: 

...  mi  di'  per  la  tua  cortesia 


eh* 


)  t' inpromelto  per  la  fnde  n. 
'  ti  farò  Barrirà  ed  onorari 


E  nel  rem.  ap.:  <  mas  ;o  te  ruego  quc 

tu  me  diga*  la  verdad  que  yo  te  prumelo 
por  la  fp  mìa  qiio  tu  seras  tratada  assi 
corno  la  peraona  mia  et  con  tanto  amor 
te  quieiij  tener  », 


A 


195 
gramaglia.  Un  altro  d'i  sono  le  duo 

raccolte  nelle  intimo  stanze  :  Topacia, 
Tolgendosi  alla  regina,  le  dice  di  sa- 
pere come  ella  fosse  incratA,  e  sog- 
giunge che,  a  darle  qualche  prova 
d'affetto,  vorrebbe  per  il  suo  parto 
preparare  una  ricca  cortina,  da  or- 
narne la  sua  stanza.  La  regina,  con- 
tenta, lo  oilre  modo  di  appagare  il 
gentile  desiderio;  e  dalle  mani  abili 
della  ci'istJana  esce  opera  dì  tal  pre- 
gio, che  r  ugnale  non  si  sarebbe  tro- 
vata in   tutta  Spagna  (1),  Un  altro 


(1)  Topaciti  dice  di  anper  <  bien  obrar 
de  oro  y  de  x-yìa  t;  o  la  regina  fa  darle 
«  oro  TI  3gda  et  olandas  o  leìas  burgeeot 
ecc.  ».  Vedemmo  già  nel  cantare: 

una  tela  che  venue  di  Dalmazia, 

di  »eta  e  d' oro 

daTanti  a  la  cristiana  la  fé  metera  ecc. 
n  romanziere  sp.  accenna  a  tele  di  Bui-- 
gos,  città  che  in  lane  e  iu  tele  ebbe  giù 
floridiasimo     commei'cio.    —    Come    fu 
compita,  la  cortina   parve  la  pìii  ricca 


i 


^Girno  ancora,  mentre  stara&D  insie- 
mc ,  la  risina  s'  accorge  della  pre- 
gnazza  di  Tupacia,  la  inchiede  di  dd, 
e  (iQells  confideotemeattf  le  manifesta 
il  suo  stato. 

Il  parto  delle  due  donne  avviene  il 
primo  giorno  di  penetra  florida,  (1)  lo- 

co«a  cb«  u  potoHe  vedere  :  <  U  r«7na 
la  ettimaua  tanto  qui"  aingun  predo 
butana:  tt  fi*  hasla  alli  le  hauia  tenido 
muf.ho  amor,  muy  mayor  le  tenia  de 
alU  adelanU  *.  Qneata  ultime  parole 
fauDO  ricordarne  altre  BÌmìli  del  FiU>- 
eala,  uve  ilells  opere  leggiadre  di  Topa- 
zia «i  dicu  clie  «  atxano  senia  fine  mul- 
tiplimtù  r  amori!  delta  rrina,  perocché 
mollo  in  simili  cosa  n  dilettODa;  onde 
eonw  V  amore  altresì  V  OHore  a  lei  e  alle 
ma  compagne  muliiplicare  faeea   »    (I. 


(1)  \nehe 


I  due  mss.  del  cantare   i 


B  Fiorio  e  Itiancifiore  sono  nati 
<  (o  primo  s/iorno  àì  Pasqua  rosata  >. 
Ma.  1095,  fondo  ital.,  Bibl.  ìii<z.  di  Pa- 
rigi, f.  16  V.:  nu.  ashburoham-laureaz. 


107 
1  die  ha  senso  diverso  dalla 
pasque  fiorii'  delle  vereioni  oitanìche, 
poiché  ÌDdica  uun  la  domenica  delle 
palme,  ma  la  pasqua  mag^ore,  di 
riBurrezione  (1).  Per  esser  nati  «  en 


(1)  A  torto  il  Da  Mdril  afTerniR  che 
'PoÈtua  florida  significa  ÌI  giorno  di  Pen- 
tecoste (p.  Ixxii);  egli  stesso  poco  oltre 
(p.  Ixxi,  n.)  avverte  che  già  in  uno  de' 
pih  antichi  romanees  (Mala  la  yisteis, 
FranceBea]  la  Pasqua  principale  è  detta 
Pasqua  de  Flores  (Dnruif  Rom.  gen., 
T.  266).  Vedansi  infatti  i  lesa,  ep.;  anche 
Oggi  poicua  de  fiorcs  o  florida  significa 
la  jMUCua  de  resurreeeion.  Noto  che  lo 
stesso  valore  ha  nel  dialetto  padovano 
paggtm  fioria.  Pasqua  florie  è  detta  ta 
Pasqua  di  maggio,  la  Pentecoste,  ncl- 
Y  Ugo  d'  Ahemia,  ras,  32  del  Seminario 
di  Padova,  f.  ^  r.  (vedi  mio  Orìanào  nella 
CA.  de  Rai.  e  ne'  poemi  del  Bojardo  e  del- 
l'Ariosfo,  Bologna,  1880,  p.  89);  ma  trat- 
tai di  esempio  isolato,  che  pur  nel  Veneto 
la  Pentecoste  si  dice  pò  pelar  mente  pasqua 
roga,  come,  oltre  che  in  Toscana,  in  al- 
tre regioni  d'Italia.  Nel  Do  C«ngre  (I.  e.) 


■•  'WUfe  sitpaK.  I  riunì  ttu^  3 


ab  ••  ••  adh  i^iadii 


■VOàavk' 


I 


m 

f«mpo  sembra  correre,  in  cui  quella  le 
si  viene  quasi  preparando.  Quando  è 
presso  a  finire,  Topacia  prega  la  re- 
gina, che  intanto  aveva  procurato  dì 
darle  animo  ed  era  atata  al  suo  letto 
pietosamente  soccorrendola,  di  farle 
recare  la  bambina,  che  aveano  man- 
data a  balia:  come  la  vede,  rompe  in 
pianti  e  le  volge  amorose  e  desolate 
parole;  ìndi  la  battezza  con  lo  sue 
st)>sEe  la^ime,  e  spira  fervidamente 
raccomandandola  alle  curo  della  reg:i- 
na  (1).  Quest'ultima  scena  ci  fa  tor- 


(1)  Redazione  moderna  del  romanzo  sp, 
Topacia  non  lavora  ad  una  cortina,  ma 
compie  e  unOB  pannlos  bordadoa  de  oro 
y  brocwlo  ecc.  ».  Come  nel  Filocolo,  la 
due  donne  partorlacono  ad  ora  diversit 
del  medesimo  giorno:  la  regina  sul  far 
dell'alba;  Topazia  di  aera.  Anche  nella 
due  romanze,  p^,  e  cost.-cat. .  il  parto 
delU  regina  e  della  schiava  avviene  ii  di 
stesso;  ma  qni  la  prima  ha  una  figUa, 
l'iltrB  un  figlio,  che  le  levatrici  si  pensano, 
ingannevolmente,  di  acambiare.  Nella  ro- 


aare  a  mente  l'  altra  consimile,  che 
b'  accennò  poco  sopra  discorrendo  del 


manza  pg.  la  cristiana  battazia  la  bam- 
bina, ch'ella   crede  HUit,   con  la  suo  la- 
grime, come  nel  romnnio  spagouolo: 
As  logrimas  de  meua  olhoi 
Te  sirvam  do  agua  bemdita. 
Il  nome  eh'  essa  le  pone  è  di  •  Branea 
Rasa,  Branca   llor  d'Aleiaadria  >.  Nel- 
r  altra  romanza   la   sehiava   dice   che   se 
fosse  nella  sua  terra  battezzerebbe  la  baro- 
bioa  *  Maria,  llor  de  Castilla  ■.  Serondo 
una  variante,  la  reg'ina    chiede  alla  rri- 
Btìana  qual  nome  la   parrebbe   che   fosse 
da  pori'e  al   fanciullo,  e  quella   propone 
il  nome  di  Floris,  che  aveva  avuto  già 
il  marito  EUo: 
Comte  Floris, Compte  Floris.  |  qu'es einora  de  mimi 
Non  à  indicato  in  queste  romanza  quale 
sia  stato  il  giorno   del  parto  :  nella  pg. 
ai  accenna  alla  Paschoa  florida,  ma   per 
dire  che  in   quel   giorno  i  mori  avean 
preso  la  sorella  della  cristiana,  che  era 
poi  la  regina  medesima.   Di   qui   innanzi 
le  romance  si  distaccano  affatto  dal  rac- 
conto di  Florio  e  Biancicore. 


I 


Filocolo:  ma  fra  le  due  s'  avvertono 
segni  non  lievi  di  indlpondtiiiza,  in 
modo  che  non  si  può  afirettarai  a 
giudicare  che  il  romanziero  spagnuolo 
abbia  imitato  l' italiano. 

Rosana  incontra  presso  i  pagani, 
de'  quali  ò  rimasta  prigioniera,  la 
stessa  pietil  che  Topazia  (1).  C  è  però 
questa  dissomiglianza  Ira  le  due  re- 
dazioni della  favola,  che  nel  racconto 
la  regina  non  compie  1'  ufficio  di  si- 
gnora generosa  e  di  amica  consola- 
trice, che  le  si  trova  assegnato  nella 
versione  di'ammatica,  io  corrispon- 
denia  alla  leggenda  di  Fiorio:  queir  uf- 
ficio è  invece  attribuito  al  re  ;  della  re- 
gina neramanco  si  fa  motto.  Allurcìié 
approssima  il  t«mpo  del  partorire,  un 
angelo  si  presenta  iti  sogno  a  Rosana, 
o  le  predico  che  aiTà  indi  a  poco  una 
bambina,  cui  dopo  multo  pene. sorri- 
derà la  più  gioconda  fortuna;  e  che  duo 


(1)  Del  racconto  pp.  14-19;  dalla  rap- 
preKDtJu.  pp.  37G-83. 


L 


giorni  appresso  il  parto  raggiungerà 
nella  TÌta  beata  il  marito  e  i  compagni. 
Nella  rappresentazione,  Rosana  par- 
torisce contemporaneamente  alla  re- 
gina; invece  nel  racconto,  che  pure 
in  questo  si  accorda  meno  alla  sto- 
ria di  Florio,  la  regina  dà  alla  luca 
il  suo  figliuolo  alquanti  giorni  dopo 
la  moi-te  di  Rosana.  Sentendo  che  la 
vita  era  prossima  a  mancarle,  coatei 
raccomanda  al  re  la  sua  bambina,  e 
chiede  di  poterla  battezzare,  dandole 
il  nome  di  Rosana:  il  ro  consento. 
Secondo  il  racconto,  essa  fa  porgersi 
in  braccio  la  funeiulletta,  la  segna,  la 
benedice:  ciò  ricorda  le  due  scene 
corrispondenti  avvertite  già  nel  fS- 
locolo  0  nel  romanzo  spagiiuolo.  Nella 
rappresentazione  anzi  occorre  col  Filo- 
colo un  più  vicino  riscontro,  ove  Rosa- 
na, oltre  die  al  re,  raccomanda  la  figlia 
all'  unica  ancella  rimastalo  dopo  la 
strage  de' pellegrini  :  così  si  vide  Topa- 
zia confidare  la  figliuola  alle  cure  di 
un'  ancella  sua,  di  Olorizìa.  R'  ag^un- 
ga  che  corno  nel  romanzo  spagnuolo 


la  regina  (1),  in  questa  rappresenta- 
zione il  re  fa  interrare  in  luogo  cri- 
etiauo  la  spoglia  della  morta  donna. 

4.  Per  tutte  quattro  le  nosti-e  ver- 
sioni, i  duo  fiiDciulli  vengono  amo- 
rosamente allldati  alle  balie  (2).  Nulla 


I 


(1)  Topacia  almano  prega  la  regina 
che  il  suo  corpo  aia  seppellito  in  lena 
cristiana:  f.  9  v. 

(2)  Cant,  St.  14;  FU.,  I.  75;  Poema 
gr.,  TV.  138-140;  rom.  sp-,  f.  9  r.  —  Il 
cantaitoue  narra  che  il  re  prodigiiva  a'due 
fanciulli  le  stesse  cure,  e  li  faceva  vestire 
4  ad  uno  intaglio  >.  Pur  questo  lieve 
particolare  trovìam  tradotto  nel  poema 
greco  {v,  141).  Vedasi  come  anche  nel 
Piloeoh  si  accenni  la  stessa  cosa  :  quando 
i  bambini  han  laaciato  il  nutrimento  delle 
balie,  e  sono  venuti  a  piii  Terma  eia,  il 
re,  vi  ai  dice,  li  (s.  >  sempre  insieme  l'eal- 
mente  vestire  ».  —  Delle  cure,  onde  aon 
Iktti  segno  i  noatii  piccoli  eroi,  ai  [larla  an- 
che nella  1  versione  francese  e  ìn  oltre  alTi- 
ni  (Herwg,  pp-  22-23);  ma  il  racconto, 
che  ivi  ai  là,  È  diverso  da  quello,  che  ci 
offrono  le  rt-da^ioni  meridionali. 


204 

è  in  tna  dell*  idillio  intimo  e  dolce . 
che  d  presmtAno  ti  troverò  del  I  t«sto 
francfifte  e  il  Fleck,  discorrendo  della 
fanciullezza  di  Fiorio  e  BiancLfioi^; 
Dalla  del  fucini  cenfid«ite  di  co- 
storo nel  Terziere  di  re  Feb'ce,  del- 
l'ingenuo  baciarsi  tra  gli  aspetti  leg- 
giadri della  natora,  le  piante,  i  fiorì, 
le  erbe,  e  gli  ungili  trillanti;  di  qnel- 
r  amore,  per  cai  la  iancinlla  è  più 
cara  a  Florio  che  a  madre  non  sia 
l'nnioo  figlio,  per  cui  an  bacio  dì 
Florio  fi  soave  alt'  amica  sna  quanto 
a  bocca  di  poppante  Q  latte  materno; 
nulla  di  quel  compenetrarsì  inconscio 
degli  animi  loro,  che  guida  1«  mani 
infantili  sulle  tavolette  d'  aviM-io  a 
Bcriverfl  «  letres  et  vers  d' amors  » , 
de'  fiori  come  sbocciassero,  degli  au- 
gelli Como  gorgheggiassero  d' amo- 
re (1).  Dobbiamo  pur  troppo  rinun- 


(1)  I  poema  fr.,  337  egg.;  Fleek,  756 
«gg.  Vedi  ZnRblni,  op.  rit..  pp.  34-35.  — 
A  que>ta  primavera  ds' nostri  amanti,  sul- 


i 


ctare  a  questi  voli,  e  acctiDt«ntarci  di 
rader  terra,  per  avrertire  qui  an 
luuga,  nel  quale  il  cantare  si  accosta 
al  I  poema  fraDceee  ed  alle  redazioni 
affini,  staccandosi,  coma  arrìene  al- 
trove, dal  Filocoio.  Vediaino  infatti 
come  in  questo  manchi  la  scena  ca- 
ingenua,  nella  quale  Fiorio 
il  padre,  che  aveva  deliberato 
lo  alla  scuola,  di  non  to- 
^ierlo  alla  sua  Biancifiore,  e  di  con- 
cedere eh'  essa  gli  sia  compagna  di 
studio  (1):  questa  scena  occorre  in- 
vece nel  poemetto   popolare,  e  serve 


lazxantÌBÌ  raacinllescameate  in  un  gìar^ 
dine,  tà  riferisce  ftiree  un  luogo  corrotti»- 
■imodel  Cont,  SL  15,  in  cui  ai  dice  che 


Vedi  in  questo  voL   p.  58. 

(1)  Nel  Filocoio  11.  e.)  Fiorio  dou  ha 
bisogno  di  chiedere  al  ra  che  non  lo  se- 
pari dalla  piccola  amica,  perchù   spon- 

^L       taneamante  quegli  vuole   che  i  duu  fan- 

^^K       CÌulli  weno   ioaieiue  ìati'iilti. 


a  mostrarci  t&nto  meglio  com'  esso 
tyad,  e  ì&  sì  colleghi  alle  versioni  più 
antiche  e  più  pure  della  leggenda  (1). 
Superfluo  aggiungere  che  il  poeta 
greco  segue  il  toscano  (2):  si  noti 
piuttosto  che  la  scena  stessa  si  ripete 
nel  romanzo  spagnuolu  (3). 

I  due  fanciulli  son  duuque  alla 
scuola.  Mentre  nel  romanzo  spagnuolo 
Florio,  per  effetto  dell'  amore,  che 
tutto  lo  occupa,  neglige  lo  studio, 
seoondo  le  tre  altre  versioni,  che 
s' accordano  al  gruppo  della  1  fìran- 
cese  e  dolio  germaniche  (4),  insieme 

(1)  Herioff,  p.  23. 

(2)  Vv.  153-176. 

(3)  F.  IO.  Nellu  redaz.  moderna  del 
l'ora.  ?p.,  a  tre  anni  i  due  fanciulli  sono 
dalla  regina  affidati  ad  un'aja;  come  son 
fatti  più  graudicetli,  vengono  sepai-ati:  di 
FTorea  ha  cura  un  ^o,  di  Blancaflor  un"  a- 
ja,  figliuola  di  un  cristiano  rinnegato, 
ohe,  più  cbe  ne'  lavori  mnliebri,  la  Lstruì- 
acD  nei  misteri  della  fede  cattolica. 

(4)  Heriog,  1.  e. 


J 


807 
all'amica  siiu  fa  mirabili  progreBsi. 
Lessero  tosto  11  salterò,  ci  dico  il 
cantastorie,  e  poi  il  «  libro  dell' a- 
mor«  »,  0,  secondo  un'altra  lezione, 
«  Gridio  d'amoi-e  >  (1),  espressioni, 
con  le  quali  si  designa  l'Arte  d'amare 

(1)  St.  17-18.  —  Nel  I  toato  fr.  si  dice 
che  i  due  l'aaciutli  (vt.  225-:ì8) 

Livres  lisoient  paienore. 
Ou  ooient  parli^r  d'amors; 
En  con  formont  te  delìtoìent, 
Es  auvrea  d'umor  qu'il  trovoient. 
Nel  poema  del  Fleck  troviamo  un'  espres- 

BÌone  eorriapOD dente  a  quella  del  nostro 
cantare:  «  diu  buoch  vun  minnen  »  (v. 
713],  L'altra  legione  (<  Ovidio  d'amore  >) 
trova  riscontro  in  quella  dui  testo  in 
proM  islandese,  e  del  poema  fìatnming-o. 
K  anzi  noto  che  in  una  redimotie  del 
rBccODto  ialande»c,  e  nel  poema  di  Die- 
derìe  TU  Asseuede  ai  cita  l'opera  ovi- 
diaus  letta  du' fanciulli:  de  arte  ■anfindì. 
Vedasi  Da  Mérit,  p.  xlix;  Zumbtnl,  U 
FU.  lUl  Bocc,  p.  22;  Gasparj,  Il  poema 
di  FI.  e  Siancof. ,  p.  2. 


del  Sulmontino,  opera  che  fu  cosi  cara 
al  medioevo,  e  realmente  veniva  letta 
e  commentata  nelle  scuole  (1).  Pari- 
menti vediamo  nel  Filocolo  cbe  in 
breve  il  maesti-o  fece  leggere  a'  fan- 
ciulli «  il  salterò  e  '1  libro  d'  Ovi- 
dio  .  (2). 

Galeotto  fu  il  libro  e  cbi  lo  scrisae, 
poasiam  dire  con  Dante.  Infatti  la 
lettura  di  Clvidiu  snaelta  fiamme  amo- 
rose nel  cuore  dei  due  fanciulli.  Qui 
pure  il  cantare  corrisponde  alla  1  re- 
dazione francese  ed  alle  altre  affini  (3); 
e  il  poema  greco  rispecchia  il  can- 
tare (4),  Nel  Filocolo  invece  i  pio- 
coli  eroi  non  innamorano  per  la  im- 

(1)  6.  Paris,  Chrétien  Ltgowiis  et  au- 
Ires  imilaUurs  d'Ooide,  Hìat.  IJtt  de  la 
Franca,  XSIX.  456, 

(2)  I.  76.  —  Anche  nel  testo  greco  si 
nomina  il  libro  dvir  amore  (w.  181,  183). 

(3)  Cant..  St.  18;  T  poema  fr-,  229  agg. 
Per  le  altre  versioni  vedi  Henog,  p,  23. 

(4)  Vv.  183-97. 


n)  FiJ..  I.  77-81.  —  b  qMsts  laafo 
il  BarMcdo  iaiU  Vcffìtio  (fiMtàir,  L  KR 
Hgg.).  V«i£  asclM  XsMbfHly  op.  eìt^  p.  31 . 
Xdl»  TÌrioBe  dw  Ila  n  Fdice  Ausate  3 
■Miiio,  che  lo  oixiip«  p«r  Tvlonli  di  V»- 
nere,  n  adombra  ratta  1»  storia  fatana 
di  Fiorio  e  Biaocifiore.  —  Per  effetto  del 
B  amoroso,  cL«  in  «sai  ha  iadnaato 
Cupido,  i  due  IknriDlti  liguanlaiisi  fina- 
li l'altro;  gli  occhi  di  Fiorio 
non  n  poMooo  Buiiore  di  rimirar  Biun- 
dfiora  (pp.  79,  81).  Cosi  nella  rima: 

a  Fiorio  riguarda  Bìanciftore: 
di  lei  non  si  potea  saciare. 


■Oli  Mi  patto  ^haàdB  m^éU  i* 

mfl  Iona 

»  dane  parte  al  n  (3). 


<l)  Aseke  hI  JV.  «  fin  (pp.  81-83> 
eh*  raaiore  fiUnen  i  ftaciBDacti  MI» 
«M^;  c«l  par  nal  poeta»  gr.,  SM;  ed 
(■  ttsa  ndos.  del  cantare,  da  eoi  il  poeta 
grimo  haMTtoaienle  attmbi  (vedi  «nL  A«b> 
hvrnliam.-taiirKai.  laOT-UTS,  t  22  t,). 
Cfr.  Hcnof,  p.  26,  la  qna^  ' 
dofipriroa  ì  doe  (andoUi  procedono  a 
bilniAiiU  Iwrti  negli  «tncli; 
quando  unore  più  li  accende:  ad  ro- 
tamato  epagnuoto  dì  qaeati  dne  momenti 
non  li  rifletto  eha  il  lecoDdo. 

(i,  I  poema  fr. ,  267-68.  U  Fleek  J«- 
pliira  l' ìmpni'IonHt  de'  [anciulli,  ohe  non 
)ian  lapulo  rnlaru  l'amor  loro,  onile  il 
m  n'è  Tonato  n  nonosceau  (8S2  *S8-)- 


.Vlla  novella  costui  si  cruccia  fie- 
ramcnto.  Nel  I  pi^ma  francese,  e 
aelle  affini  redazioni,  ta  regina  gli 
suggerisce  di  allontanare  il  figliuolo, 
mundandolo  a  «  dame  Sellile  »,  la 
sorella  sua,  moglie  al  duca  di  Mon- 
torio  (1).  Anche  nel  Filocolo  e  nel 
romanzo  spagnuolo  6  la  r^na,  che 
consiglia  al   re   turbato   di   separare 


r 


Nella  II  vera.  fr.  non  s'ìiiteode  se  il  re  sia- 
«  accorto  da  sé  stesso,  o  se  da  aitai  sia  alato 
DTvei'tìto  deirmaamoramento  :  si  dice  solo, 
bruscamente,  che  egli  ha  deciso  di  separa- 
re i  fanciulli  {263  sgg.).  —  Can(.  St  18: 
FU.,  I.  81-«4i  poema  gr.,  199  sgg.;  rora. 
ap.  1.  e.  Nel  FU.  la  cosa  procede  un  po' 
dÌTersamente  dalla  altre  redazioni ,  perchè 
il  maestro  parla  anzi  che  al  re,  al  men- 
tore de'  due  fanciulli,  Aacalione ,  che 
quindi,  insieme  al  maestro,  pi'eaentasi  al 
re  per  riferirgli  i  chiari  iudiiì  dell'  a- 
moni  de' toro  alunni,  È  una  delle  solite 
amplificazioni  del  rimaDcggìamento  buc- 


(I)  Uenog,  pp.  23-24. 


gli  iimamorati ,  mandando  ìl  figlie  a 
Molitorio  (1).  Nel  cantare  il  re  vìeno 


(1)  Fil,  I-,  84-88;  rora.  ap-,  f.  10  v. 
—  Nel  Piloeolo  il  ro  6  la  r^tia  trovansi 
a  discorrer  del  figlio  come  per  cnso  (p. 
84);  nel  I  poema  fr.  invece  ìl  ro  si  coa- 
dure  a  posla  presso  la  moglie  per  aver 
consiglio  (vT.  2.18-49;  Henog,  p.  22). 
Coà  nel  rom.  ap. ,  e,  come  toelo  bì  nota 
plji  sopra,  nel  cantare.  —  Nel  romanzo 
boccaccesco  re  Felice  HTrersa  la  inclina- 
zione del  figlio,  por  esser  Biancifiore  «  una 
l'Oman»  popolaresca  ecc.  >  (p.  86).  Lo 
Znmblnl)  op.  cit.,  pp.  45-46,  swertl  a 
queato  punto  una  contraddizione  del  Bocc. 
sembrandogli  manifesto  che  il  re  dovesse 
conoscere,  por  ci6  che  si  trova  detto  ìn 
parecchi  altri  luoghi,  la  illustre  nobìlti 
di  BÌBDcifiore.  Il  SotbU,  op.  cit.  pp. 
66^7,  difese  il  romanziere,  procurando 
di  mostrare  che  ìl  re  non  sapeva  inte- 
ramente o  floguva  dì  igDorai-e  u  quale 
alta  stirpe  appartenesse  la  fanciulla.  Ma 
non  v'  ha  dubbio  che  la  contraddizione 
eeiata,  poichd  Biancìfiom  attesa,  conscia 
certamente  di  qual  sangue  fosse,  ìn  un 


213 
a  questo  partito  da  sé  stesso;  ma  del 
ì  al  consiglio  della  mo- 


luogo  accenna  alla  sua  *  qualità  vile  e 
popolaresca  >  (I.  106).  Coma  poUva  al- 
tri bn  irai  codesta  quali  tJL  parlanilo  con 
Florio,  che  poco  prima  aveva  rammen- 
tata al  padre  la  discendenza  di  lei  nien- 
temeno cbe  da  Giulio  Cesare  {p.  98}?  Il 
re  avrebbe  potuto  dubitare,  o  finger  di 
ilabitare  che  fosse  vero  ciò  clie  ai  ripe- 
teva sulla  splendida  origine  della  gio- 
vinetta; ma  non  è  logico  cbe  lutt'a  un 
tratto  egli  la  affermi,  mau  più,  vile  e 
popolaresca.  E^ti  ne  rileva  anche  la  con- 
dizione servile.  Or  bene,  eran  questa  e 
la  diflerenia  di  fede,  lo  difflcollà  vere  da 
porre  inoanti.  Comunque,  nel  FUorolo  il 
re  si  vale  di  argomenti ,  che  rispondono 
a  quelli,  che  trovanai  addotti  nelle  re- 
daiioui  francesi  e  germaniche  (Rem?* 
p,  22;  II  poema  fi-.,  370-73)  per  com- 
twttere  l'amore  di  Florio.  Di  essi,  allo 
sterno  luogo,  il  cantastorie  non  fa  cenno. 
Ecco  dunque  ancora  una  prova  che  il 
Boccaccio  abbia  conoscilito  on  racconto 
piit  diffuso  e  pieno  che  non  aia  la  breve 
rima  tofana. 


su 

glie  resta  pure  iiaa  traccia.  Avuta 
infatti  U  nuova  dell'  innamoramoato 
di  Florio,  egli  si  rivolgo  olla  regina, 
chiedendo  : 

gootìl  dongellit,  cbelti  par  di  faret 
Certo  qui  troviamo  alterata  la  ver- 
sione primitiva,  che  le   parole  poste 
in  bocca  al  re: 

vogliolo  dipartir  dalla  tàntiua, 
dovrebbero  rappresentarci  anzi  che  il 
seguito  del  suo  discorso,  la  risposta 
della  moglie  sua  (I).  Cosi  abbiamo 
un'altra  prova  che  Ìl  Pilocoìa,  cui 
s'  aggiunge  qui  il  romanzo  spagnuolo, 
debba  tratto  tratto  pìflottere  un  rac- 
conlu  migliore  a  pia  ampio  del  cau- 
tMrt>.  A.  questo  rimane  invece  Mrìt 
V  imitaiione  greca  (3). 


(1)  St.  SO.  Aoobe  Mi  il  piMBt  fr.. 
£63  tgg. ,  il  ra  delibera  d*  «fr  ifi  ■Moa 
tanara  il  figtto,  nu  Mim  ptrt  ftrw 


215 
Le  quattro  versioni  perù  si  rac- 
cordano tiisto.  Per  esse  «  dame  Se- 
bile  »  non  esiste:  i!  giovinetto  è  man- 
dato ad  un  duca  di  Montorio,  che 
tuttavia,  al  pari  di  quella,  è  imagi- 
nato  stretto  consanguineo  dal  re  (1). 
Inoltre,  Florio  non  è  fatto  allonta- 
nare con  la  finzione  che,  essendo  ma- 
lato il  maestro,  gli  convenga  seguir 
gli  studi  altrove  (2);  ma  col  pretesto 
che  Montorio  eia  luogo  più  acconcio 
al  compimento  della  sua  istruzione  (3). 
E  dacchtì  egli  non  sa  staccarsi  da 
Biancicore,  lo  si  persuade  a  lasciarla, 

(1)  Cant.  St,  21;  FU.,  I,  90-91;  poema 
gr.,  V.  229;  rom.  sp.,  f.  10  v.  —  Nel 
cant.,  St.  79,  il  duca  è  detto  wo  di  Fio- 
rio;  CDBl  nel  rom.  sp.,  f.  12  v.  Qui  o'È 
un  ricordo  delle  versioni  più  antiche, 
nelle  quali  e  dame  Sebile  >  è  imaginatu 
na  del  giovinetto. 

(2)  Cobi  nella  I  vera,  fr.,  e  nel  Rac- 
conti affini  {Reixogf  p.  23). 

(3)  Cant..  St,  21;  FU.,  i,  87,  90-91; 
poema  gr.,  w.  224-28;  rom.  sp..  f.  Il'r. 


2ie 

Etmnlando,  non  ch'olla  debba  stare 
al  letto  deUa  madre  malata  (1)  (sfr* 
coodo  queste  redazioni  costei  era  mor- 
ta da  un  pezzo),  ma  a  quello  della 
regina  stessa  (2).  Acche  nei  racconti 
nostri  il  re  vince  ogni  resistenza  del 
fi^o,  promettendo  che  in  breve  maa- 
dera  Biancicore  a  raggiungerlo  (3). 

(1)  Vedi  1  Uato  (r.,  e  redazioni   affini 

(àtnùt,  ^  S4). 

<2)  Cant,  St  23;  FU.  1,  97,  117;  poema 
^.TV.  249-61;  ram.  sp.,  f.  II  r. 

(3)  Cant.,  Fil.,  ram.  sp.,  II.  ce.;  |>oe- 
ma  gr.,  v.  263.  Si  veda  anche  in  questo 
esempio  qnantft  somiglianza  da  fra  i  no- 
stri testi: 

Cantare 

El  padre  gli  risponde  al  suo  detto. 

e  dif^ie:  la  reina  atae  malata. 

e  par  la  fé  che  porto  a  Malcoraetlo, 

questa  malina  non  a'  è  ancor  levata. 

Se  non  mi  cradi,  va,  pon  Diooto  a  letto, 

che  tue  la  trover»!  forte  cnnbiata: 

la  tuu  madre  Usila  guaii'ra; 

poi  Biandftoru  ti  forò  venire. 


I 


Oli  amanti  debbono  dirsi  addio.  La 
scena  della  separazinne  offre  una  dello 
ppoTe  più  lìmpide  degli  stretti  rap- 
porti, che  legano  le  nostre  versioni. 
Solo  altri  due  de'  rimanegg^iamenti 
della  leggenda  ci  presentano    ijnesta 


Il  poeto  greco  qua^i  traduco:  «  figlio 
mio,  dice  il  re,  per  la  nostra  fedo  n 
Macometto,  questa  notte  alla  tua  madru 
venne  male,  e  stamattina  ancora  non  s'è 
levata  ecc.  ».  Nel  Filoroìo:  *  SI  toslu 
come  tua  madre,  la  quale  alquanto  non 
sana  *  stala  come  tu  puoi  vedere,  avrà 
Intei'a  aanitji  ricuperata,  io  la  ti  man- 
derò a  Monturìo  >.  Nel  rom.  sp.:  *  X&m- 
bien  Tutvfra  madre  està  enojada.  et  uo 
qui*ere  que  otra  ninguna  la  sirua  sino 
bianca  flor,  et  Inego  corno  la  revna  eate 
buena  ■}(>  os  prometo  de  os  la  erobiar  a 
Montorìo  pnra  ({Ur  os  sima.  >  Nel  rifaci' 
mento  mod.  del  ramanzo  stesso  Flovea 
nemmeno  s'attenta  di  opporsi  al  volore 
paterno,  cbè  il  re,  prima  ch*egli  fiati, 
minaccia,  ov'ei  rifiuti,  di  cacciare  Blan- 
caflor  dalla  reggia. 


S18 
•cena,  e  «ono  il  poema  attotedeeeo  (1). 
e  il  n  tc«tc  francese  (2);  ma  pare 
nell'  altro  [»oeiiis  oitaaico  e  in  quello 
di  Diederic  vau  Asseiiede  occorre  un 
luogo,  in  cai  si  accenna  ad  essa, 
onde  poseiam  «apporre  die  fosse  ims- 
ginata  già  dalle  prime  dabtwstioni 
della  favola  (3). 

D  cantastorie,  imitato  qni  pare  dal 
poeta  greco,  ci  sbozza  nnn  scena  ra- 
pida e  semplice.  Fiorio,  lasciato  il 
padre,  al  quale  aveva  finito  per  ce- 
dere, si  accomiata  dalla  fanciulla,  che, 
piangendo,  lo  prega  di  portar  seco 
un  magico  anello,  gemmato  dì  ano 
zaffiro,  da  cui  gli  verri  indìzio,  men- 
tre Bara  lontano,  dello  statu  dì  lei. 
Ouardido  epesKo,  ella  dice:  ee  lo  ve- 
drai lucento,  vorrft  dire  che  io  san 
lieta;  se  foeco,  che  mi  abbisogna  il. 
tuo  aiuto  (4). 

(1)  Vv.  1051-1:505. 

(2)  Vv.  279-304. 

(3)  StTSog,  pp.  24-25,  26. 

(4)  Cant.  St  24-26  poema  gr.,  vv. 
268-84. 


I 


21?» 

Il  dono  doU' anello,  fornito  della 
stessa  virti),  sì  ripeto  uelle  altra  duo 
versioni,  e  concorre  a  mostrarci  la 
affinità  dì  tutte  quattro.  Né'  racconti 
infatti ,  a'  quali  poco  sopra  si  accen- 
nò, il  ricordo  dalla  fanciulla  dato  a 
Florio,  che  sta  per  abbauduuurla,  é 
diverso  (1), 


(1)  Cfr.  I  poema  fr.,  787-90. 

Un  grafa  a  trait  de  soa  grader. 
D'argont  esloit;  raoult  Tot  chier 
Pur  Bknceflor  qui  li  dona. 
Le  darrain  jor  qu'u  lui  parla, 
Qiiant  il  en-ala  a  Muutoii'e  ecc. 
Co«l  nel  poema  del   Fleck,    1321-30,  i 
due  giovani  scambiunsi  per  amoi'oso  ri- 
cordo i  loro  stiletti  fj/riffel!).  Ve<li  Som- 
ner,  p.  292;  Hcfiog,  pp.  24-25,  26-27. 
Nel  II  poema  fr. ,  2S3-84,  quando  Florio 
venne  a  lei  per  accomiatarsi,  Biancicore 
atsva    intrcci^iando    de'  suoi   capelli    per 
fame   un    presenta   hU'  amico.    Vediamo 
cbe  piti  innanzi,  allorché  Florio  ai  di- 
spone a  partii'e  per  rintrocciai'e  Bion- 


Semplice  e  breve  è  questa  scena 
anche  nel  romanzo  spagnuolo.  Il  gio- 
vinetto non  si  congenla  dall'  amica 
tosto  dopo  il  colloquio  cui  padre:  lo 
fa  il  mattino  seguente,  allorché  pre- 
aentandoglisi  it  re  co' cavalieri  elotti 
a  fargli  compagnia,  per  invitarlo  a 
porsi  in  cammino,  egli  non  vuole  ir- 
sene senza  aver  salutata  Bianciflore. 
Entra  perciò  nella  cameni,  ov'olla 
stava,  e  le  dico  che  si  intende  sepa- 
rarlo da  lei,  ma  che  non  la  abban- 
donerà mai  il  suo  pensiero.  Neanche 
qui  mancano,  naturalmente,  soEpirt  e 
pianti.  Bianciflore  regala  quindi  a 
Florio  l'anello  (I). 


cifiord.  la  madre  ili  costei  gli  c]it  un  <  lai 
longié  >  de"  capelli  dalla  figlia  (v,  1797). 
Di  questo  lai  troviam  cenno  anche  ap- 
preMofw.  3150,  3327). 

(1)  F.  IS  r.;  Haiukneelit,  p.  61.  Nel 
moderno  rifa«imeDlo  del  rom.  sp.  V  aneUo, 
che  Blancatlor  dà  a  Flores,  non  è  dotato 
di  aJcuaa  TÌrtù  magica. 


231 
n  Boecaecìo  s'indagia  hen  pH  nel 
rappcfeaUia  codesto  cummiato.  E^li 
imigina  ebe,  cetaU  in  luii^ro  arani- 
du,  la  &iicÌuUa  abbia  inteso  U>  pa- 
role che  erano  state  tra  re  Felice  e 
il  figliuol».  Così,  com'ella  sente  co- 
stai, allettato  dalla  promessa  che  ìl 
ftt  ffi  fece  di  mandargli  la  sna  Bian- 
cifkffe,  rispondere  che  a  questo  patto 
se  n'aadra  a  Montorio,  prova  il  pia 
fiero  dolore,  e,  sciolta  in  lagnino, 
«eprimendosi  in  forma  intollerabil- 
ntCTte  prolissa,  retorica  e  noiosa,  de- 
plora che  r  ingenuo  non  abbia  intuito 
il  vero  intendimento  del  padre.  Fio- 
rio,  che  avera  ceduto  così  malvolen- 
tieri, al  partirsi  del  re,  soprasta  al- 
quanto pensieroso:  assalito  tosto  dal 
pentimento  di  essersi  arreso  al  dc- 
.  siderio  paterno,  ondeggia  fra  speranze 
e  timori.  Sì  leva  quindi,  e  ritrova 
Biancifiore  ane^ra  piangente.  La  fan- 
ciulla sì  sfrena  a  rimproverarlo  d'a- 
vere consentitti  ad  abbandonarla  *  ti- 
mida pecora   tra  la   fieritft   de'  bra- 


DI'"'*:    !up.    ».    t^il   li    riàe.r-iT 

rcii*aE)£T]t«;  tua  «sj  d^  a    !■?;< 
letizis  o  dì  ereotora  (I),   ; 


cooinria  tu  Q  wdiai  tarbuc  Io  ti  pngo 
che  allora  lenia  nisDO  iitdiigìo  u  vea- 
ghi  B  *«dera.  «  prenoti  che  ta  aorenl» 
il  rìgnanli ,  ogni  ora  riconiudoti  £  imi 
che  tu  U  T«dj  >.  Cosi  ael  cantare  la  fko- 
dulU  àlee: 

Piorio,  porta  questo  anello, 

elle  ci  é  entra  no  lafino  molto  bello. 
R  aaì  di  che  ti  prego,  tìU  mia, 
dieta  BÌbdcìSots  allo  doogello: 
w  in  altra  parte  lai  dimoraria. 
Ìap«ne  volte  guarda  io  qaesto  anello, 
H  wri  alegra  la  ponona  mia 
quuiilo  «arae  colorilo  e  bello; 
M  li  canlnaae   paolo  lo  cglore. 
per  lo  mio  umor  socorì  BìancìfiorA 


che   se   U   padre   non    attendesse    la 
promessa,  o  non  la  mandasse  a  luì. 


I 


Di  questo  anello  il  Boccaccio  ritease  la 
lunga  storia:  Asdrubale  lo  aveva  dato  ad 
un  guerriero  cartaginese,  Althimede,  dal 
quale  era  stato  regalata  a  Scipione  afrì- 
cano;  successi  va  mente  passando  dall'uno 
all'altro  do' diacen denti  di  quest'ultimo, 
ara  Tenuto  a  Lelio,  cbo  lo  aveva  poi  dato 
a  Topaua:  coBtei,  morendo,  lo  a 


a  Glorii 


e  Glori; 


i  lo  a 


duto  a  Biannif)ora(pp.  109-11).  Per  altri 
esempi  di  questi  favolosi  trapassi  di  og- 
getti d' alto  pregio   vedi   la   storia   di   l'è 
Arturo  (P.  P«ri§,  Rom.  (k  la  T.  R.  li. 
19-2);  eZambinl,  op.  cit..  p.  25.  Sì  ba-li 
che  pur  nel  framniBnto  toledano  del  no- 
stro cantare  Tupiuia  accenna  ad  un  suo 
anello  meraviglioso,  e  prega  la  regina  di 
darlo,  ov'ella  muoia,    al    nascituro   suo 
figUuolo  (Lidforss,  op,  cit.,   p.  XVII). 
<  Aio  un  anelo  d'una  virtii  soprana, 
Che  a  la  mia  redese  lo  vovò  donare, 
Che  se  morisse,  voy  me  prometati 
Che  a  la  mia  Une  a  ley  lo  donariti'.  > 


«gli  tosto  tornasse,  che,  troppo  stando 
Renza  vederlo,  ella  eì  straderebbe  in 
lagrime.  Detto  questo,  gli  si  stringe 
al  collo  tutta  in  pianto  ;  e  così ,  Del- 
l' abbracciarsi,  vince  entrambi  la  com. 
moKione,  che  sì  STengono.  Al  riaTersi. 
Florio  Tede  Bianciflore  immola  an- 
cora: se  la  reca  fra  le  braccia,  n 
spia  trepidando  se  le  resti  segno  di 
vita  :  e  poiché  gli  par  morta,  la  ba- 
cia piangendo,  si  laiueota,  e  fa  per 
Qccidersi.  quando,  chinatosi  a  baciarle 
un'  altra  volta  il  viso,  lo  sente  caldo 
della  vita,  che  tornava,  e  vede  «  muo- 
vere le  palpebre  degli  occhi,  che  con 
bieco  atto  riguardavano  verso  lui  >  (1). 
Biancicore  si  ridesta;  dalla  bocca  Ii> 
sfuggo    un    sospiroso    suono.    Allora 


<  Per  Dio,  damisela,  >  dise  la  regina, 
Dime  la  verità,  do  me  lo  zelare; 
De  questo  uoelo,  ohe  lassi  a  toa  rodeae 
Dima  la  bob  virtù  e  lo  su  affare.  * 

(1)  Vedi  puro  Filoftrato,  IV.  117-26; 
Ninfale  Fietolam.  IV,  42-47. 


Fiorio,  rincorato,  la  riabbraccia,  e 
tra  le  lagrime,  le  volge  soavi  parole 
di  conforto  (1). 

Codesto  largo  svolgimento  della  sce- 
na si  deve  all'arte  del  Boccaccio,  o 
fu  opera  di  un  precedente  rimaneg- 
giatore della  leggenda!  Aache  nel  H 
poema  francese  i  due  amanti  smar- 
riscono  i  sensi  nell'  accorato  abban- 
dono d^li  ultimi  baci: 

En  baisant  ch&Trent  pasmé  (2); 

ma,  oltre  a  «luesto  particolare,  non 
vedo  che  altro  potrebbe  esser  deri- 
vato al  Fììocolo  da  un  racconto,  in 
cui  della  separazione  dei  due  giovi- 
netti si  tocca  con  la  brevità,  press' a 
poco,  del  poema  italiano,  del  greco, 
fi  del  romanzo  spagnuolo.  Somigliante 
a  quella  del  Boccaccio  fu  voluta  piut- 
tosto la  descrizione,  altrettanto  dif- 
fusa, che  del  congedarsi  di  Fiorio  fa 


(1)  Fiì.,  I,  100-16. 
(2J  V.  302. 


raOietartil  Forse  t'han  fatto  alcun 
male  il  padre  tuo  e  la  madre?  Ahi- 
mè, i^h'  io  EOQ  triste,  e  nulla  di  buono 
m'aspetto!  *  —  La  notte  essa  avea 
fatto  un  sogno  malauguroso:  iivea 
veduto  una  coppia  amoi-osa  di  timide 
colombe  fuggire  ilal  nido  per  paura 
di  nn  falco,  che,  ins^uendole,  le 
aveva  costrette  a  spartirsi.  «  Ai,  mia 
amica,  soggiunge  Fiorio;  io  ti  spie- 
gherò il  Bogno:  la  dolce  compagnia 
delle  colombe  rappresenta  l'amor  no- 
stro, ch'io  temo  abbia  a  svanii'e  por 
r  avidità  del  falco.  Mio  padre,  cui 
repngna  questo  grande  amore,  non 
vuole  che  noi  stiamo  insieme:  il  so- 
gno si  compie:  sappi  ch'egli  mi  man- 
da tosto  a  Montorio.  »  —  Ecco  come 
Biancicore,  secondo  il  Fleck,  viene  a 
eonoscere  che  si  è  stabilito  di  sepa- 
rarla dall'  amico  suo. 

Non  è  necessario  che  seguiamo  a 
riassumere  ed  a  sciupare  la  gentile 
ecena  descritta  dal  poeta  tedeGCO  ; 
basti  dire  che  alla  novella  amara  la 


228 
fanciulla  prova  tal  dolore,  che  ogni 
conforto  di  Fiorio  toma  inutile:  ella 
si  volge,  con  desolata  aposti-ofe,  a 
Dio  e  ad  Amore;  ìndi,  vinta  dall' af- 
fanno, si  Eviene  sul  petto  del  giovine; 
anzi  pia  oltre,  dìsperùta,  con  lo  Bti- 
Ictto  si  vibra  un  colp;),  che  Fiorio 
per  ventura  disvia.  Tramorti  meri  il 
dunque  e  un  tentativu  di  suicìdio  sono 
qui,  nel  racconto  del  Fleck,  come  in 
Fanello  del  Boccaccio;  ma  in  forma 
cosi  diversa,  che  non  si  sa  scorgere 
la  somiglianza  voluta  dall' Herzog  in 
(lucsto  luogo  delle  due  redazioni.  Le 
luali  in  questo  solo,  ci  pare,  s'in- 
contrano, che  nell'una  e  nell' altra 
Florio  riconforti  la  smarrita  amica, 
a  le  prometta  ili  non  dimenticai-la , 
essendole  lontano,  e  di  tornai-c  se  il 
padre  fallisca  al  patto  di  mandarla  a 
lui  (1):  corrispondemia  scarsa  e  vaga. 


(I)  Fil..  1,  109,  116;  Fleok,  vv.  1132- 
41;  1860-64;  1281-97;  1313-17. —  Nel 
PìUxaio  (pp.  llS-13),  nasalità  du  gelosi 


229 

forse  dipendente  dall'aToro  i  due  autori 
svolta  la  identica  scena,  o  spiegabile 
con  la  congettura  che  quella  circo- 
stanza e  quella  promessa  costituis- 
sero come  un  dato  fondamentale,  che 
essi  abbiano  riprodotto  da  fonti,  in  que- 
sto punto,  affini.  Si  può  pertanto  rite- 
nere che  il  Boccaccio  anche  qui  abbia 
«Tuta  innanzi  una  redazione  della  fa- 
vola men  ristretta  del  cantara,  ma 


timori,  Bianciflore,  la  mite  donzello,  mi- 
naccia Fioiio,  ss  mù  la  dimentichi  per 
altra  donna,  in  modo  cosi  llero,  da  toc- 
rara  la  volgarifa  e  il  oomico  (Znmblnt, 
Op,  cìt.,  p.  51).  Anche  nel  poema,  alto- 
tedesco  la  tanciullu  accenna  alla  pu»i- 
bilìtà  che  Florio  abbia  altri  amori,  ma 
con  qual  tono  eoave  e  mesto  l  Ella  rac- 
comanda all'amico,  che,  hh  pur  gli  av- 
venga di  amare  un'altra,  non  iscordi  mai 
r  amore,  che  è  stato  fra  essi,  a  corno  in- 
sieme Bìen  vissuti ,  e  <'he  dolce  compa- 
gnia si  sisn  fattoi  (vv.  1306-11). 


230 

ad  esso  Ticina;  egli,  però,  deve  non 
poco  avere  aggiunto  dì  suo  (1). 

Nel  II  poema  francese,  in  quello 
del  Fleck,  nel  cantare.  Del  poema 
greco,  nel  romanzo  spagnuolo,  Florio 
se  ne  va  dopo  il  colloquio  con  la  fan- 
ciulla: nel  Fiìocolo,  al  mattino  se- 
guente (2),  Qui  il  romanzo  boccac- 
cesco ci  offre  un  luogo  delicatameato 
vero.  Biancicore  accompagna  l' amico 


(1)  Questo  colloquio  di  Florio  e  Bianci- 
fiore  nel  Filocolo  può  confrootarai  eoo 
quello  di  Panfilo  a  Fiammetta  nella  Piam 
metta,  ca.p.  11.  Neil'  uaa  scana  e  nall'  altra 
trattosi  d'amanti,  cbe  debbono  Hopanirsi. 
Di  auo  molto  qui  aggiunse,  probabilmeate, 
anche  il  Fleck.  Vedi  Sommer,  p.  XIIIi 
Snudmactaer^  p.  27;  ai  quali,  per  ciò 
chi>  si  vide  sopra,  debbo  accostarmi  piìi 
che  non  paia  r^onveuientc  all'  HerEOg'. 

(2)  II  poema  fr,  ».  355;  Fleck,  w. 
1332  Hgg.;  Cant-,  St  26;  poema  gr.,  vv. 
285  8^.;  rora,  sp.  f.  12  r.;  Filocolo.  I., 
11&-I7. 


231 
>  appiè  delle  scale,  «  senza  far 
motto  r  ano  all'  altro  ».  Come  l' ebbe 
veduto  a  cavallo,  <  riguardato  lui 
con  torto  occhio,  tacita  se  ne  tornd 
indietro,  e  sali  sopra  la  più  alta  parte 
della  reale  casa,  e  quivi  guardando 
dietro  a  Piorio,  stette  tanto  quanto  le 
fu  possibile  di  vederla  >  (1).  Anche  nel 
poema  altotedesco  Biancicore  segue 
il  gioTtnetto  fin  1'  ultimo  momento  : 
quando  egli  piglia  le  redini  per  salire 
a  cavallo,  essa  gli  re^e  la  staffa, 
fin  eh'  è  montato  in  sella:  allora  il  suo 
volto  si  bagna  lutto  di  pianto.  Al 
pari  di  quella  del  Boccaccio,  la  Bian- 
oifiore  del  Fleck  sale  poi  sulla  torre 
del  palazzo  per  seguire  degli  occhi, 
quanto  può,  l' amico,  che  a'  allonta- 
na (2). Questo  riscontro  dei  poema  ger- 
manico col  romanzo  nostro,  più  sicuro 
e  precìso  dell'  altro,  clie  fu  poco  sopra 


Cosi  nel  cantare  (l);  e  cosi  nei  Filo- 
colo  ;   < egli pare 

inverso  la  citta,  la  quale  egli  mal- 


Vedi  poema  gr. ,  w.  288-93,  ov'  è  quasi 
tradotto  questo  passo  dot  cantare.  Filo- 
colo, 1.  119:  «  Andavano  i  suoi  (dì  Fio- 
lio)  compari  lascÌAodo  i  volanti  uccelli 
alle  gridanti  gme,  facendo  loro  fare  in 
aria  diverse  baltogUe.  E  altri  <Ma  gran 
roraore  sollecìtavaDo  per  terra  1  correnti 
cani  dietro  alla  paurose  bestie,  E  coli, 
rhi  in  un  modo  e  chi  in  un  altro,  an- 
davano prendendo  diletto >  Pure 

nel  rom.  ap.,  f.  12  r. ,  s'accenna  a' ca- 
valieri, che  il  re  aveva  acelti  a  compa- 
gni del  figlio.  Nel  1  poema  fr.  ri  dice, 
pih  eenaplica mente,  che   Piorio   lascia   la 

Tel  que  convieni  a  fil  de  rei 
(w.  353-54), 

Anche  il  Fleck  allude  a  compagni  che 
iegnirano  Pioiio  nel  viaggio  (v.  134Ì1]. 
(I)  St.  26.  Cfr.  poema  gr.,  w.  206-98. 


volentieri  abbandonava,  si  rivolgeva 
>  (1).  Altrettanto  gentil- 
mente nel  poema  del  Fleck  : 

boi  wia  dicke  Ftóro  aich 

niu-h  riner  friuadla  umbe  surb  !  (3) 

Codesti  particolari  furon  certo  comuni 
alla  fonte  francese  del  Fleck  (3),  ed 
il  quelle,  qualunque  sia  stata,  del 
Boccaccio  ;  la  quale  apparisce  qui 
pure  affine  al  cantare,  che  nell'  ulti- 
mo esempio  vediamo  corrispondere  al 
poema  germanico  ed  al  romanzo  Iioc- 


Avvertito  della  venuta  del  giovi- 
netto  (4),    il   duca  di   Montorio  g\i 

(1)  I.,  lltì. 

(2)  Vt.  1354-55. 

(3)  Sulla  fonte  Trancose  del  Fleck  vtilj 
Snndinacher,  op.  dt, ,  pp.  3-21. 

(4)  Nel  CoDt.,  St.  27,  e  ool  rum.  gp., 
f.  12  r.  e  V.,  è  il  re  sUbbo  che  fa  an- 
nuDc^iare  al  duca  la  venula  del  tìglio. 
Nel  Filocolo  ai  dice  solo:  <  .  .  .  .  il  duca 
Feraroonte,  che  la  irua  eenula  ar<ea  lapiila. 


muove  incontro  con  bel  seguito  di 
cavalieri  : 

coati  e  baroni  v'aodàr  per  suo  amore, 
asti  e  bandisre  e  bìgordi  ispei'taado, 
inverso  Fiorio  con  tronbe  sonando  (1). 

Presa'  a  poco  ne!  Filocolo:  « E 

coverti  sé  e  i  loro  cavalli  di  sotti- 
lisBÌmi  e  belli  drappi  di  seta,  rila- 
centi  per  molto  oro,  circondati  tutti  di 
risonanti  sonagli,  con  bagordi  in  mano, 
accompagnati  da  molti  stromenti  e 
varìi,  e  coronati  tutti  di  diverse  fron- 
di  bagordando,  e  colla  festa  grande  gli 
vennero  incontra ,  facendo  risonore 
r  aere  di  molti  suoni  (2)  ».  Ma  nulla 


contento  molto  di  quella  . . . .  >  (1.,  1 19). 
Quanto  al  poema  greco,  presenta  a  que- 
sto luogo  una  lacuna:  gli  manca  la  tra- 
dnzione  ili  tutta  la  St.  27  del  cantai-e, 

(1)  Cant.,  St  27. 

(2)  L.  e.  Nelrom.  sp.,  f.  12  v.:  <.... 
al  duqiM  mando  que  todoa  los  caualleroa 
et  prìncipales  de  toda  an  corte  que  ia 


S36 

valeva  a  vincere  1'  iatìma  pena  di 
Fiorio  (1).  Nella  città  le  accoglienze 
furono  amorevoli  e  gioconde  :  (2)  il 
duca  aveva  fatto  imbandire  un  rìccu 
desinare,  al  quale  la  brigata  sedette. 


adere^assen  pira  el  reoebimianlo  de  Flo- 

i-es,  Como  Flores  fuesse  a  vna  jornaiìa 
de  Molitorio,  el  duque  salio  ut  fueron 
se  a  encontrar  a  una  legna  de  la  (^ìudad 

(1)  Cant,,  St.  28. 

E  non  vale  nà  giuoco  nò  aollaccio 
cba  Fioiio  ai  potase  alegran. 

Poema  gr.,  t.  30^  Filoeolo,  1.  119: 
«  Quando  Florio  vide  questo,  sforxata- 
mente  si  cambiò  uel  viso  mostrando  al- 
legrezza e  festa,  quella  rhe  dal  tutto  tra 
di  lungi  da  Ini  .  .  .  .  >  Rom.  sp. ,  f.  IS 
T. :  ■  Perca  Flores  nìnguna  cosa  lo 
alegraua:  antea  comò  mnvores  fiesUa  le 
hazian,  mas  le  oreacia  la  trìsteza  >. 

(2)  Fiioeolo,  I.  119-20;  rom.  ap.,  1.  e. 


toBto  che  furono  giunti  al  palazzo  (1). 
Questa    descriùone    del    ricevimento 


(1)  Cant,  Si  28: 

OinoBOi-ono  a  Montorio  in  sul  palnerin, 
dov'era  fatto  mi  rico  desinare: 
lo  duca  BÌlIo  prenda  per  lo  braccio, 
edicia:  figlio,  aodemo  a  deunnre, 
che  per  amor  di  questi  ravalierì 
bene  dovresti  alar  cen^a  pensieri, 
Poema   gr.,  vv.  303-25.    Filoeoh ,    I. 
120:    <    Perviìnne   tuIuiKjue    Florio    con 
costoro  al  groo  palagio  del  duca,  e  quivi 
con  tutto  quello  onore  che  peiiaara  o  fare 
ai  potMie  a  qualunque  Iddio,   se  alcuno 
in  terra  ne  disfen dense,  fu  Florio  da*  pili 
nobili  della  teri-a  ricevuto.  E  icavnlrati, 
tatti  salirono  alla  gran  aata,  e  quivi  per 
piccolo  spazio  riposatisi,  pi-eiero  l'acqua, 
e  andarono  a  mangiare   >.    Il    racconto 
spagnuolo  qui  si  stacca  un  po'  dalle  altre 
veraioni.  Per  due  o  tre  giorni  dall'  arriva 
di  Fiorìo  ai  cootinuan  lo  feste  {Filoeolo, 
1.  e.  :  «  E  poi  per  amoro  dì  Florio  molti 
^orni  solenne  mente  por  la  cittft  festeg- 
giarono») :  si  fan   ■  juatas  et  Juegos   de 


it-^»«fe. 


■■  '  " '  — 


R'ifB'Va- 


(floa,  a  '(a«9to  ponto,  il  eantaetone . 
a  ripete  il  poeta  greco  (li.  .inchu  il 
Boccaccio  da  JllAbBUuiit  <n  la  unura 
a.  Mannorina  per  roostrarm  <^u  «ibi 
»  la  dolente  BluoinlkFn  ilupu 
i  dì  ^oFÌa  (2)  :    mik  tosto , 


icaAi^AnJlé3<KÀi«K3««d3Tpd$«ap«T^  UtW 
elle,  più  fcwmtmmaìBi  m  tmfaiGw  In 
na  da'tiUBtri  oa»,  a  itt 

a  lo  n  Felic*. 

Vali  note  alla  St  S9. 

^  riL.  L  120-31.  BiuM-ifiorv  ^ii> 
•gm  giorno  ali*  parte  pia  alta  Jella  cusa. 
onde  vederoai  Monlorìo,  «  fra  s^,  mi«[m- 
naia,  dtceTa:  <  U  6  ìl  mìo  ilisio  •  il 
nùo  bene  ..  Cfr.  FitastnHo,  VI.  4,  VII, 
63,  e  Proemio  al  poema,  edii.  Moutinr, 
p.  4.  S«  aTTeDiTA  cìie  da  quella  platea 
eeotìase  spirare  qualche  alito    lieve,  uaaa 

Ilo  riceveTa  con  aperto  braccia  nel  putto, 
dicendo:  4  quelito  lenticella  toccfi  il  min 
Florio  >  Cfr.  Son.  XV.  nelle  Hime  dol 


riracendo  il  hrsTe  tratto,  cho  con» 
tra  le  dui;  terro  Ticino  (1),  d  ri- 
conduce pressa  l' innamorato  adole- 
scente, e  rappresenta  le  pene,  eh' et 
soffre    nella     lontanansa     dalla     sua 


Bo«r.,  ed.  Balclellì.  Livorno.  1803;  Fi- 
lottrato.  Proemio,  L  e,  e  nel  poema  V. 
70;  Texeide,  IV.  32.  CercaT»  i  Im^hi  della 
caaa  e  delta  cilU,  ove  sì  rìeordan  di 
aver  Tednto  l' amato  giovinette.  C(r.  Pi- 
losiraia,  V.  54,  ^  Hla  lo  rammentava 
rontionameate.  e  di  lai  ngnava.  Cfr. 
Seraid..  XIH,  104  «gg.;  f^amm^m.  «d. 
Moutier,  p.  63.  Eaaa  Baglig«  la  tua  per- 
sona; lascia  dlaonlinati  i  capelli,  e  non 
ha  cura  dì  iodoesare  pnÓBaa  tmIì.  Ctr. 
Hermd^  XIH.  31,  33.  39,«>;  fWmwMa, 
p.  122.  e  altrore. 

(I)  Fa..  L  laO,  ISl,  Mi.  HMoatorio, 
cui  ■  tìibriice  fl  Boccaeno,  è  qnaUo  e^ 
■1  Mm  a  fioca  dMtaaa  da  Vanma  (Uar- 
■orìa^  Vedi  &«••,  «f.  òL .  Atti  R. 

bt  v«B..  &  m.  ».  oae-TO;  Barati,  o|i. 

eft.,  |1.  Ifi. 


241 
diletta  (1).  Cos'i  egli  si  stacca  dal 
cantastorie,  che  non  curandosi  adatto 
di  descrivere  queste  pene,  passa  su- 
bito a  narrare  come  il  re  cercasse  di 
tagliere  di  mezr.Q  l' invisa  fanciulla;  e 
si  rannoda  al  filo  di  qaasì  tutte  l'al- 
tre redazioni  (2).  Con  le  quali  il  suo 
racconto  offre  qui  alcuna  somiglianza 
tanto  da  reoderci  sempre  meglio  evi- 
dente che  egli  abbia  profittato  dì  una 
fonte  pili  particolareggiata,  che  non 
aia  il  cantare.  Anche  uel  Filocolo , 
infatti,  Fiorio,  distratto  dal  pensien^) 
di  Biancifiore,  neglige  gli  studi;  at- 
tende con  desiderio  ogni  giorno  cpe- 


(1)  Fil.,  I.  121-24. 

(2)  Vedi  I  poema  fr.,  363  sgg-,  e  Tar- 
MODÌ  affini  (Henog,  pp.  31-32).  Invece 
nel  II  poema  fr. ,  359  sgg. ,  ai  laaciu  star 
Florio,  cume  nel  cantare,  e  si  torna  si 
rei  dello  stato  d'animo  del  giotinelto, 
mentre  è  lontano  da  Binncifiore,  bì  fa  k>- 


lo   1 
613-18). 


i    (T, 


e  dalle  versioni,  che  gli  s'accostano  (1). 
Neppare  il  romoDziere  epagouolo  si 
stacca  da  Fìorio  tosto  dopo  averne 
narrato  l' arrivo  presso  lo  zio  come 
fa  il  nostro  cantastorie:  anch'  egli 
b'  indugia  alquanto  a  dire  del  suo  sog- 
giorno a  Montorio,  e  della  tristezza 
perenne,  ohe  gli  cagioDava  il  combat- 
tuto amore  (2),  Il  suo  racconto  è 
tuttavia  indipendente  da   quello   del 


(1)  Nel  FUocolo,  ad  esempio,  ood  si 
diee  che  Fiorio  fosse  posto  nella  scuola 
insieme  a  fanciulle  bellissime,  perchè  di- 
meuticasse  Biancìlìore  (I  poema  fr.,  wv. 
363-66;  Flecli,  y*.  1391-07;  Herwff, 
le). 

(2)  Ff.  12  V.  _  13  r.  —  Nella  reda»!. 
mCNleraa  del  rom.  sp.,  Flores  ammala 
per  il  dolora  d'eser  lontano  a  Bianca- 
Sor;  tornato  alla  corte,  risana  in  pocbi 
giorni  i  disgiunto  nuovamente  da  lei,  ri- 
cade malato,  ti  suo  maestro  Mahomod 
tenta  invano  di  rilevar  l' animo  dell'  a- 
Innno,  e  di  rici'earlo  con  divertimenti. 


ilamtana  è  mamiaàa.  ma^m  •  n  Fé- 


«cteta».  Ut  a.  «bj 


b  E  fam  b  ekW  e 


►(t^ 


la  M9  iifiBoto  ft  MiMBn»  4  ■ 


■■«■  A  U  aoK  beo*  * 


B  jMutavè  C1WM  ia  iHNft^E^ 


(1)  Vw.  305-00:    neefc,  n;  lMO-3;. 
Par  k  *lb«   «etaìAni  cu-.    Marng^  py. 


^P         Ma  ( 
^"       stru^ì 

I 

I 


Ma  qui  perchè  tanta  ira?  Dello 
stru^ìmeoto  di  Piorìo  nel  ano  esìgtio 
il  cantastcìrìe  culla  dice;  aè  fa  quindi 
cenno  di  notiàa  che  al  re  ne  sia  per- 
venuta: nel  suo  racconto  manca  dun- 
que la  ragione  immediata  delle  nuove 
furie  di  lui.  Il  Fi/ocolo  e  il  romanzo 
gpBgnuolo  ci  danno  invece  pure  a 
questo  luogo  nna  narrazione  piU  com- 
pleta, ohe  a'  accosta  a  quella  del  I 
poema  francese,  e  delle  versioni  af- 
fini (1). 

(!)  Nel  Filocolo  (I.  124-25,  120)  Fiorio 
■tesM  chiede  di  potersene  tornare  a,  casa, 
e  più  persone  riferiaeono  al  re  la  vita 
dolorosa  eh'  ai  conduce  ;  uel  romanzo 
■p.  (f.  13  r.)  è  invece  il  duca  medesimo 
che  Rcrìve  al  re  informandolo  dello  stato 
del  figlio,  ed  invitandolo,  per  evitar  peg- 
gio, a  mandargli  la  fanciulla.  Anche  nella 
redazione  moderna  del  rom,  sp,  il  mae- 
stro IVIahomad  scrive  al  re  che  Flores  non 
può  aver  pace  senza  la  sua  Blancafior, 
onde  qu^li  à  delibera  di  sbarauBrai  di 


d.  liv  gli  atete  ai  m 


247 
e  intesa  a  aottrai're  l' innocenta  alla 
rabbia  di  lai.  Il  Boccaccio  in  quotila 
vece  per  armonizzare  questa  alle  due 
scene,  in  cui  la  regina  compie  1' uf- 
cio  di  sagace  consigliera  (1),  ìma- 
gina  che  ella  stessa  suggerisca  lo 
spediente  crudele,  del  quale  ora  di- 
renio:  sicché  reca  meraviglia  ch'egli 
non  si  sia  accorto  della  grave  con- 
traddizione, in  cui  cadeva,  mostran- 
dola in  nn  luogo  pietosa,  in  un  at- 
iro scellerata  (2).  Pure  nel  romanzo 
spagnuolo  il  re  sì  stringe  a  colloquio 
con  la  moglie,  e,  fermo  nell'animo 
di  voler  far  morire  Biancifiore,  spe- 
rando che,  scomparsa,  il  figlio  la  di- 
menticherebbe ,  chiede  alla  regina 
che  le  paia  del  suo  disegno  :  questa 
non  inorridisce,  ma  solo  s' affanna  a 
domandare  come  possa  esser  condotta 
la  cosa  in   modo   che  resti   occulta. 


(1)  Filorolo,  I.  87-88;  307-308, 

(2)  Fitocolo,  I.  126-127.  Cfì-.  nostri 


WM  «dita  dil  re,  al  pari  che  mI  II 
poeisa  francese,  nel  eantsn  e  nel 
poema  greeo  (2). 

Qn«sU  caatnddmoae  peioologioa , 
che  si  maaifeata  nella  regina,  ^pernio 
ila  eia,  che  le  tuwtre  veTeì<iaÌ  aoa  ae- 
gaitaoo  ad  accompagnarsi  bdelmente 
a'  racconti  del  primo  troTero  fran- 
fleae  e  dei  rifacitori  gemanici;  ma 
accolfoDo,  d' accordo  col  secAndo  tro- 
verò, r  episodio,  a  quelli  ignoto,  del- 
l' accusa  insidiosamente  fatta  eoBiro 
Biancicore,  d'  arer  rotalo  arvelenare 
il  re,  «  del  duello  combattato  da 
Fiorio  per  ealrarla  dal  sopplizio.  coi 


(1)  Rom.  ap.,  t  13  r. 

(2)  Il  poema  greco  Miotinita  ad  «nai« 
DBS  traduione  abbactuita  fedele  del 
cantare:  cfr.  t*.  33S  s^. 


249 

r  aveanu  condaanata.  Cosi  il  colloquio 
secondo  di  re  Felice  con  la  moglie 
non  precedo  tosto,  come  in  que'  rac- 
conti, alla  vendita  di  Biancifiore , 
consigliata  dalla  regina,  per  impedirò 
almeno  che  la  sventurata  sia  uccisa; 
ma  al  tentativo  di  spacciarsi  di  lei  in 
modo  ben  più  violento:  perciò  qui  la 
regina  apparisce  consigliera  malvagia 
o  muta  complice,  mentre  più  in  la, 
dove  le  nostre  versioni  si  ricongiun- 
geranno a' vecchi  compagni,  rivelerà 
il  carattere,  senza  confronto,  miglio- 
re, che  le  attribuiscono  le  redazioni 
più  antiche  o  più  conformi  al  testo 
originario.  Nel  II  poema  francese  non 
si  produce  questa  stessa  contraddi- 
zione ,  percbù  re  Oaleriens ,  come 
s' accennò  poc'  anzi,  non  s' apre  mai 
con  la  moglie,  e  non  invoca  il  suo 
aiuto. 


Re  Felice  la  chiamare  il  suo  s 
scalco,  e  gli  dice: 
.  .  .  (tiui'a  '1  mio  comandamento 
di  ciò  eh'  io  ti  vorò  raanìfestare, 


cbe  fatto  »a  «uid^  dimoramento: 

quando  laremo  v.  tavola  a  mangiare, 
cornandoti  per  questo  sacraineato, 
'na  galiaa  mi  mundi  avelenata, 
che  Biuncifioi'a  ne  sìa  incolpata  (1). 
Come  qui  nel  cantare,  è  anche  nelle 
tre  ultre  nostre  veraioni  il  re  stesso 
ohe  indica  al   siniscalco   qunl   modo 
s' abbia  a  tenere   perchè   liiancifiore 
sia  creduta  rea  e  perisca  per   con- 
danna di  giudici  (2).  Non  è  così    nel 
li  poema  francese,   ove  il  re  lascia 
pigliare  al  Eioiscalco  lo  spedìenf«  che 
gli  paia  più  acconcio  (3). 

(1)  Cant.,  St  3(1. 

(S)  Il  poema  greco  £  sempre  anal  Ti- 
cino al  cantare:  Tedi  vr.  345  Bg^.  Il  Ft- 
loeolo  e  il  romanzo  sp.  eono  qui,  come 
da  per  tutto,  pili  diffusi  e  particolareg- 
giuti  dei  due  poemi:  del  primo  vedi  I., 
127-31;  dell'altro,  f.  13  r.  e  v. 

(3)  Vv.  359  Bgg.  Anche  nel  mod.  rifa- 
cimento del  rom.  (i|i.  non  è  il  re,  ma  il 
suo  <  conaejei-o  particular  »,  il  quale  tiene 
il  luogo  del  siniscalco,  che  tcova  al  fina 
voluto  da  quello  il  moixo  della  gallìua 
avvelenata. 


851 
Ma  perchè  mai  costui  porge  mano 
COBI  facilmente  all'  opera  nefanda  I 
Per  nativa  perfidia  e  per  vik>  obbe- 
dienza, rispondono  insieme  il  poeta 
francese,  l' italiano,  il  greco,  o  il  po- 
maiiziere  spagnuolo,  che  ce  lo  rap- 
presentano degno  ministro  di  un  ti- 
ranno, n  Boccaccio  invece,  eh' è  piii 
sottìla  scrutatore  del  cuore  degli  uo- 
mini, assomma  a  queste  una  ragione 
più  profonda  della  sua  volonterosa 
complicità:  egli  accenna  che  il  sini- 
scalco era  stato  acceso  di  Biancifiore, 
e  che  nel  suo  animo  cattivo  le  ri- 
pulse della  fanciulla  avevano  conver- 
tito r  amore  in  odio  e  in  desiderio  dì 
vendetta  (1). 

Nei  cantare,  nel  poema  greco,  ne!  ro- 
manzo spagnuolo  quegli  appronta  una 
gallina  avvelenata  ;  nel  FUocaìo  un 
pavone:  più  genericamente,  nel  li 
poema  francese,  un  «  Iarde  »  (2).  Ap- 


(1)  FiV,  I.,  127,  I3^,  208. 

(2)  V.  397. 


fau-ir-a  p:<i  t^iiarnamf  ix;i<eli«  fl  Boe- 

psllina  il  psTTO?  snpurbù.  D  pnee&t^ 
atCj6»c«ti:i  6  uSeri4>  &1  re  a  nomo  dì 
iBiaociSure:  ael  Fil'fCoh  e  «ori  U 
faaàiilto  steeaa  efae  lo  reca  aiU  u- 
Tola  nato  <1X 

Qai  è  da  «rrcrtira  che  il  racconto 
boccaccesco  H  spicca  dalle  altre  i«- 
dazioni  per  essere  a  questo  )uo^ 
■ingcilarment«  ricco  d'  ornamenti  e 
di  particulari  soci  propri.  È  infatti 
in  giorno  della  pia  aoionne  festa  che 
Biancifinre  presenta  il  pavone:  re  Fé- 
lioo,  intorniiito  da  splendida  corto, 
oclebravu  il  di  del  suo  natale.  L& 
fanciulla  entra,  meravigliosa  di  bel- 
Ittua,  nitlU  sala  del  convito;  avanza, 
vargUffRando,  innanzi  i  si^ori  che 
ivi  aìecluno;  lì  Eaiuta,  e  li  invita, 
•eoondo  il  eostume,  a  £ar  vanti  al 
pavon*.  Alla  luco  nuora  della  bel- 
Uam  ÌB«tt«M.  e  al  saono  d«Ua  voce 


il)  L,  133. 


soave ,  quelli  sì  volgono  ammirati, 
rendono  il  saluto,  e  cominciano  tosto 
a  fare  i  vanti.  Re  Felice  gium  che 
innanzi  che  un  anno  trascorra,  le  avrA 
dato  a  marito  uno  de'  maggiori  ba- 
roni del  9U0  regno;  seguono  gli  altri 
obbligandosi,  con  varie  promesse,  a 
festeggiare  le  sue  nozze:  Ascalione. 
ad  esempio,  si  vanta,  benché  sin  vec- 
chio ormai,  di  misurarsi  i^uel  giorno 
con  qualunque  cavaliere  vorrà  affron- 
tarlo, di  trargli  di  mano,  senza  rice- 
vere 0  produrre  offesa,  la  spada,  e  di 
porgerla  alla  Eposa.  (1). 

Chi  abbia  qualche  famigliarità  con 
la  vita  medievale  e  con  le  favole  ro- 
manzesche, che  la  rispecchiano,  sa  che 
sieno  questi  voti  al  pavone;  sa  che, 
al  pari  di  queUi  che  si  usava  pro- 
nunciare sopra  altri  non  men  nobili 
pennuti,  suU'  airone  e  sul  fagiano , 
spettano  al  vario  genere  de'  vanti  che, 
seri  0  burleschi,  in  occasioni  diverse. 


(I)  !,,  137-U 


correvauo  pronti   alle  lalibi'a  de'  ca- 
valieri (1).  Il  pavone,  che  si  portava, 


(1)  La  Carne  de  S/"  Palafej  Mém. 
sur  l' aneietìne  Ckeval.,  vo).  XX  della 
Memorie  dell'  Arad.  Roy.  dea  Inter,  et 
Beltes-LeHrea  (1753).  pp.  636  Bgg.,  (non 
ho  pi'eBante  l'ed.  Nodier,  Parigi,  1886, 
della  iiuale  vedi  1,  157-64,  li,  95-111); 
Ferrarlo,  Storia  ed  anal.  d^gli  ant.  corri. 
di  cavali..  I,  182-183;  Tobler ,  Plus 
(1  parotes  ecc.,  Zeitschrifi  fnr  roni,  Ph., 
IV.  80-85  ;  Bajna ,  Origim  dell'  Bp. 
fr.,  pp.  404-6;  Sjrop -Gorra,  St.  del- 
l' Bp.  fr.,  pp.  119-SO.  Il  Eajao,  «me 
sa  ogniiDO ,  ritiene  che  i  vauU  cutilI- 
lei-eschi  rappresenti  do  la  metauoi'fOBÌ 
medievale  di  una  usanza  che  i  remoti 
pi'ogenito^  de'  cavalieri  avi'ebber  trutta 
seco  di  Germania:  vedasi  un  cenno  di 
questa  aleasa  origine  de'  vanti  nello  stu- 
dio dell'Ampère  sulla  Cavalleria  {M^- 
tanges  d'  hisloire  lill.  et  de  Lilléral. ,  Pa- 
ris, 1867,  I.  242-3).  Il  Thnrnersen , 
Eeltommaniiches ,  pp.  18-20  ,  rimana 
sorpreso  dalla  somiglianza  che  collega 
specialmente  il  vanto  giullaresco  di  Tnr- 


ne'suntuoai  banchetti,  yestitu  della 
eua  fulgente  maestà,  cun  T  ampia  rota 
delle  piume  occhiute,  era  fra  i  cibi 
pia  ricorcati,  un  vero  boccon  di  si- 
guarì  (I);  la  sua  carne  proclamavaBi 
€  la  viande  ans  preus  *,  come  ha  detto 
laoqueB  de  Longuyoa,  ed  ha  ripetuto 


pÌDO,  nel  Péter'mage  de  Cliarlemagne , 
coi  cUìs,  con  le  braverie  aUrìbuile  agli 
eroi  delle  antiche  leggende  epiche  d' Ir- 
landa, l'ercib  egli  chiede:  nella  seconda 
parte  del  Pélerinage  ai  riflette  la  conti- 
nuità popolare  di  una  vecchia  tradizione 
celtica;  o  s'ha  a  preferir  di  credere  che 
l'incontro  sia  fortuito?  Spunta  qui  dun- 
que un  quesito  interasaante  :  eha  rapporto 
iutisrcede  tra  i  vanti  celtici,  e  i  germa- 
nici!! da  quale  di  questa  due  fonti  venne 
l'us"  de' vanti  a' Francesi? 

(1)  La  Orante;  Hugues  Capet  ecc., 
Antiens  Poètea  de  la  Fr.,  Vili,  p.  m; 
Gaydon,  Anc,  Poètos  ecc. ,  VII,  pp.  26-7; 
A,  Heraf}  La  vit  au  umpM  dis  Coura 
d"  Amow,  pp.  248-9;  L.  «aatler,  Ln 
ChmalerU,  pp.  635,  63(J-7 


il  cantore  delle  geate  di  Ugo  Cape- 
te (1);  e  sovr'essa  i  prodi  promct- 
tev&n  di  compiere  non  so  quante  au- 
daci imprese.  Da'  voti  del  pavone  s' in- 
titola anzi,  com'  è  noto,  il  lungo  poe- 
ma che  il  primo  de'  roraaozatori  testd 
accennati  ha  intrecciato  alla  saga  d'A- 
lessandro (2). 

La  scena  dunque  che  qui  ci  pre- 
senta il  Boccaccio  è  prettamente  me- 
dievale e  cavalleresca;  e  i  particolari, 
che  in  essa  occorrono,  non  sono  ìn- 
ì  pura  del  nostro  autore,  ma 


(1)  Huffues  Capei,  pp.  h,  59  (t.  1121), 
Ì5S;  La  Carne  de  8."  Falaje,  op.  cit, 

pp.  636-7. 

(2)  Il  poema  di  lacqnes  de  Longujon^ 
/,**  VoeuJ!  du  Paon,  è  ancora  inudito; 
«opra  di  esso  e  gli  altri  due  poemi,  che 
gli  fecer  seguito  (Reslur  du  Paon,  For- 
fait du  Paon)  vedi  La  Crantce,  op.  cit.. 
pp.  ivij  sgg.;  V.  UejtT ,  Alexandre  le 
Grand,  li.,  pp.  822,  208-72.  Un  lunto 
vedine  uells  Notices  et  Extraits  dcs  Mss. 
de  la  Bibl.  Sai.,  V,   118. 


rispondono  a  ciò  che  ci  si  oSve  in 
narrazioni  consìmili  del  tempo,  ed  era 
certo  nelle  costumanze  d'  allora.  Le 
quali  volevano  che  il  pavone  fosse  re- 
cato come  alto  segno  di  onore,  da 
Dna  donzella,  la  più  vaga  che  mai 
fosse  nel  luogo,  aopra  un  piatto  d'  oro 
0  d'argento  (1).  EIcco  dunque  perchè 
il  Boccaccio,  introducendo  nna  scena 
di  vanti,  imagina  che  il  nobile  uccello 
sia  porto  in  giorno  di  gran  festa,  per 
onorare  maggiormente  il  re  (2);  e  non 
da  un  valletto,  come  il  lardez  e  la  gal- 
lina delle  oltre  versioni,  ma,  secondo 
1"  uso,  daUa  fanciulla  più  bella  e  gen- 
tile, che  nella  reggia  e  a  Marmorina 
si  trovasse  (3);  ecco  ancora  perchè 


(1)  Vedi  la  Conquisili  de  Ultramar.  L. 
11,  cap.  xLin  (Amador  de  los  Klos,  Hist. 
erti,  de  la  Lit.  esp. ,  V.  51);  Hiii/uc.i  Ca- 
pei, VT,  HIT  sgg.;  La  Carne  do  8.  <« 
PaUje^  op.  cit..  pp.  637.  ^9. 

(2)  FU..  ].,  134, 

(3)  Ib, ,  130.  13.">. 


Come  bì  scopre  che  la  pietanza  of- 
ferta al  re  nasconderà  on'  insidia  al- 


Qiùraaai  abbia  profittato  di  un  altro  poe- 
ma, nel  quale  troriaEQO  vaati  al  pavone, 
dell'  Hugues  Capei,  poiché  probabiime&te 
flDesto  fa  messo  insieme  qnando  egli  sta- 
ra intorno  al  sao  Filoeolo.  drca  il  1340 
(La  fintile,  op.  ut.,  p.  xxtìj).  D'altra 
pnrl«  è  lecito  imagìnore  che  i  Voeux  du 
Paon,  con  altri  poemi  e  romanzi  oitanici, 
fonerò  nella  librerìa  degli  Aagioìni.  o  di 
altri  ugDori  napoletani  d'orìgine  franc»- 
M,  co' quali  measer  Giovanni  avesse  di- 
infatti, ae  si  vede  che  i  libri 
francesi  costi i uivano ,  dopo  i  ktini,  il 
fondo  delle  biblioteche  prìnciposche,  a 
Mantova  come  a  Ferrara  { Roinonia,  IX. 
500),  pDÒ  tenersi  che  altrettanto  fosse 
delle  biblioteche  di  quelle  bmiglie,  al- 
meno, che  bì  erano  stanziate  nel  regno 
napoletano  insieme  agli  Angià;  che,  piìi 
particolarmente ,  i  Voetu;  du  Pam  A 
trOTBWero  nella  libreria  stessa  reale  o  di 
alcnn  barone  del  mezzogiorno,  come  più 
tardi  furono  in  quella  di  Francesco  1 
Gonzaga   (ib.,  509).  Ma  è  proprio  ne- 


la  sua  vita, 

clamori.  Manifesta  apparisce  la  colpa 

cemario  pensare  che  il  Bocc.  abbia  avuto 
fra  mano  i  Voeux,  a' quali,  d'altroude, 
egli  noD  fa  alcunu  allusioiie!  L'usanza 
di  vantare  sul  pavone  i-isale  ben  olti'e  il 
tempo  di  locqaeH  de  Loogujon.  Intanto 
il  luogo  poco  sopra  allegalo  della  Con- 
quìila  de  Vltramar,  per  il  quale  l'AnUI* 
dor  de  Ioh  RIob  (op.  e  voi.  dt..  pp. 
47-53)  riportò  il  perduto  poema  epa- 
gnaolo  Los  Votog  del  Pavon  arni  che 
al  ciclo  d'  Alessandro,  seconda  Togliono 
i  più  (Ileknor;  Gesch.  der  sck5n.  hit. 
■n  Spanien,  traduz.  tedesca  del  IiiUds^ 
I.  52),  a  quella  di  Carlomagno,  senza 
però  buon  fondamento  (  MII&  j  Fon- 
tanalsj  De  la  poesia  heroico  -  pop.  ca- 
aiell.,  p.  333,  n.  1.),  mostra  come  l'uso 
di  far  vanti  al  pavone  si  possa  incontra- 
re anche  nel  eec.  XIII;  ma  nemmeno  a 
questo  tempo  dobbiam  fermarci ,  sa  ac- 
cogliamo l' opinione  cba  1'  uso  stesso  ai 
colleghi  a  riti  e  consuetudini  dei  Ger- 
mani. Dall'  altro  canto  questa  costumane 
Ka  convivale  si  protrassi'  fln  dopo  il  mezzo 


della    fanciulla;    perciò    anche 


più 


I 


del  Eecolo  XV  (  La  Carne  de  8/^  Fa* 

ÌMje,  op.  cit. ,  pp.  637  Bgg.),  Ora,  io  uno 
spazio  di  tempo  cosi  lungo,  chi  sa  quanti 
altri  raci?ontì,  oltre  a  quelli  che  aran- 
tano,  rìSettendo  la  vita  cavollereHca  del 
medioevo,  avraano  contenuto  scene  simìti 
a  questa  che  ci  offre  il  Filoeoio.  E  forse 
che  il  Boccaccio  stesso  di  scene  coti  fatte, 
duraute  l' allegro  soggiorno  di  Napoli , 
quando  frequentava  la  reggia  angioina, 
ed  aveva  famigliarità  co'  più  cospicui  del 
paese,  non  eia  stato  testimonio  1 1  costami 
cavallereschi  e  francesi  colà  certamente 
non  mancavano.  —  In  altri  testi  italiani 
troviamo  rammentati  vanti  di  maniera 
dirersa.  Citeremo  le  Novelle  anCiche,  teato 
flaalUrn2d,4^*—  15°  del  testo  Blagrf  — 
(  D*  Ancona,  Le  Fonti  del  Novellino,  ne- 
gli Studi  di  crii,  e  st.  leu.,  pp.  317-18); 
e  64'  (Meit,  Ldim  und  Werkeder  Tr.*, 
429);  il  Caninre  di  Madontta  Eletta  im- 
peratrice, Livorno,  1880,  per  noMe  So- 
ria-Vitali.  con  prafai!.  e  note  di  0[tttt- 
Ttano]  Tfnrgionl]  T[oxì(ettiJ  (Landau, 
Dia  Quellm  d-^s  Dekam.^   135  sgg.).  Si. 


i 


tvpogiuuiti  woo  tratti  a  wnlawìaria 
al  fuoco  (1). 

Le    nostre   venùai    iigi    pot^gmo 
un'altra  prova  dd  loro  accorda  Um- 


9  agg.i  VAjolfo  det  Barbieone.  «t.  ed. 
Del  Prct«,  I.  140;  il  Mambriano.  C.  41. 
Se  ^  •KK'l  Vittoria  di  Liombrvno,  stani  - 
patn  gii  dal  sec  XV  (FasMBO,  /  noceti. 
it.  in  vario,  p.  68),  ma  riva  tuttora  mila 
bocche  del  po^lo  (InbrlaDl^  La  Xovti- 
la^a  /(orenlina.  pp.  -161-61!);  Ìl  Rmaido 
dal  TaMO,  C.  9.  St.  30  agg.  C'4  accora 
U  po«metto  che  ha  per  titolo  Fiorttto  e 
Viano  di'  Paladini  (^aadrlo^  Si.  e  Rag. 
d"  ogni  poesia,  VI.  678;  Ferrarlo,  op 
dt.  IV.  28;  Xclzl-T<ul,  Bibl.  dc>  ra- 
nwui  di  cavali,  il.,  p.  153;  Mdchsaek' 
D*  Ancona,  Diap.  1^7  di  qneala  SceJla: 
p.  21U;  Noratt,  Dacrit.  dì  alcune  slampe 
di  poemtUi  pop.  ilal.  ecc.,  Bibliofilo,  Vili, 
5,  66);  ma  non  potei  vedarlo. 

(I)  IT  poema  fr.,  vv.  429  sgg.  ;  Caot. 
SL,  31  Rgg.;  Fìt..  I.,  140  agg,;  poema 
et.,  TV,  388  agg.;  rom.  sp..  ff.  13  v.  — 
U  r.  { HaDBknecht,  61-02). 


263 
damentale,  che  tuttfi  quattro  si  con- 
ttappongono  al  testo  francese  nel  rap- 
presentare il  modo,  per  cui  si  svela 
U  simulato  tradimento:  un  cane  ab- 
bocca il  cibo  velenoso,  e  di  subito 
muore  (1):  in  quel  testo,  invece,  vit- 
tima dell'  assaggio  micidiale  è  un 
malcapitato  donzello  (2).  Perù  l'  accor- 
do non  si  mantiene  in  ogni  punto  del 
racconto.  11  cantare,  al  solito,  pro- 
cede rapido,  e  addensa  ciò  che  altro- 
ve è  steso  e  diffuso.  Ecco  quel  che 
vi  si  compendia  in  poche  stanze:  il 
re,  alla  scoperta  del  delitto,  fa  sona- 
re a  parlamento,  e  accusa  pubblica- 
mente Bianciflore  di  aver  voluto  at- 


(1)  Cant,  St.  31;  Fil..  I.  140;  poema 
gr-,  w.  384-87;  rora.  sp.,  f.  13  v.  Con- 
fronUndo  il  luogo  dol  Filoeoto  con  quel- 
li citati  delle  altra  redazioni,  ai  può  an- 
che qui  chiurameiile  vedere  come  ìl  Boi> 
eacio  determini,  allarghi,  arrìccttisca  ciò 
che  altrove  «a  fuggevolraante  accennato. 

(2)  Vv.  416,  4S1-28. 


tc«carìo  ;  Ia  fucina  lua  sa  con» 

naau  al  r~'^j,  e  il  j>jf-it.s  siiioandotA 
Tta,  orb  ti  tsiolta  ùla  bai:<¥Dte:  Q 

per  ti^Uerie  oudù  di  diieciìersi:  puì 
U  trae  d'jT'  e  preparale'  il  snpplmo. 
n  p-i^ta  greco  rip«e,  press'*  pocù, 
qu«M  racc--jm>.'.  nu  ]■-'  i*\:!^  i:-  tvin- 
pie.  Per  es«npici,  il  caiilAsicrie  ac- 
cenna all'  oagi-'Scii^s*  statu  fU  Biin- 
CiSure  chs,  inn^mi  i  baivuLi  cooto- 
eati  dal  re,  sotto  il  peao  di   nt'  at- 


.  .  .  ndoodo  ri  gnu  tmluBeato, 
non  ai  npe»  JMdioer  ni  smgiuv: 

S^ua  aver  prima  detto  che  sia  stata 
tratta  alla  loro  presenza  (1).  Or  bene, 
ciù  ch'egli  sottìotende,  nel  rìtacimaiiW 
gr«co  si  trova  pianaiuenttì  narrato: 
<  masduio  per  la  fanciijlla,  la  meoan 


I^ata  .  .  .  >  (I)  Cosi  nella  rima   i 
re  si  querela  concisamente: 

■  .  .  be'signiori,  io  mi  lamento 

di  Qianciflor,  che  mi  volle  atoscai'e; 

mentre  nel  tfisto  greco  ci  non  s' ap- 
paga di  6Ì  spiccia  conciona  (2). 


(1)  Vv,  399-4(B.  Il  poeta  greco ,  per 
una  curiosa  disti'BCÌone,  fa  avveuire  l' a- 
danata  del  popolo,  chiamato  a  giudicare 
Biancifiore,  in  Roma  (v.  39G). 

(2)  Cant.,  St  33;  poema  gr.,  vv. 
407-28.  S"  avverW  uua  certa  affinità  tra 
il  discorso  che  pronuncia  il  re  net  poe- 
ma greco  e  quello  che  gli  attrìboìsce  Ìl 
Boccaccio  :  cosi  nell'  uno  che  nell'  altro 
egli  rammeola  Is  generosa  pietà  avuta 
di  Bianciflore  e  di  sua  madi'e,  per  la 
quale,  aaà  che  odio,  si  aspettava  dì  rac- 
cogliere gratitudine;  ed  aggiunge  ch'e- 
gli avrebbe  poi  voluto  maritare  alta- 
mente k  donzella  (FiL,  l..  142).  Si  può 
credere  che  questa  rispondenza  sia  ac- 
cidentale;   o   che   il    poeta  greco  abbia 

i   del  cantare,   che 


Nel  Fitocolo  ù  nel  romanzo  spa- 
gnaolo  i  due  fatti  rìlcTanti  di  questa 
parte  della  favola  segaonsi  in  ordine 
inverso  da  quello  che  tengono  nel 
cantare  e  nel  rìmaneggiamanto  greco: 
vien  prima  la  presura  della  fanciulla; 
poi  r  adunanza  bandita  per  deliberare 
snlla  creduta  colpa  di  lei.  Differenza 
notevole  è  poi  qnesta  :  cbe  nei  due  ro- 
manzi ,  al  pari  che  nel  testo  fran- 
cese, la  fanciulla  non  compare  in- 
nanzi il  consiglio,  come  nella  rima 
toscana  e  nel  poema  greco;  ciò  che 
mi  sembra  più  logico.  È  naturale  in- 
fatti che  il  re,  secondo  si  mostra 
nella  più  ampia  redazione  boccacce- 
sca, massimamente  s'  adoperi  perché 
Biancìllore  non  abbia  maniera  di  par- 
lare ad  alcuno,  e  dì  scusarsi  (I):  in- 

I   ristretta   di 


fosse,  a  questo  luogo, 
quelle  che  potummo  co.— ^^.    — ,  r— 
che  non  saprei  troppo  Tolontieri  indur- 
rai a  ritenere  che  egli  abbia  direttamen- 
te imitato  il  Fiiorvto. 
(1)  FU..  !..   141,   107. 


tendimento,  che,  del  reato,  &'  accenna 
par  dal  cantaetorìe  (1),  Gli  onesti 
giudici  vorrebbero  anzi,  cosi  nel  Fi- 
locolo che  nel  poema  francese,  che 
la  accusata  fosse  condotta  al  loro 
cospetto  (2);  ma  il  re  non  lo  con- 
cede, dicendo  esser  tanto  manifesto 
il  fallo  da  non  tornar  necessario  si 
udisse  la  confessione  di  chi  lo  avea 
omesso  (3). 

A  proposito  delle  quali  rispondenze 
tra  il  romanzo  boccaccesco  e  il  poe- 
ma oitanico,  cade  in  acconcio  rile- 
varne alcun' altra.  I  giudici,  in  tot- 
tedue,  b'  avvedono  della  mala  volontà 


(1)  St.  34: 

Hcalco,  cane  e  ricredente, 
tosto  la  fece  metera  in  pregiooe, 
e  fecela  legare  isti'ettaraente 
perch'  ella  doo  diceue  aua  ragione. 
12)  Poema  fr-,   tv.  443-47;   Fìl.,    I. , 
144,  174-75. 
(3)  Poema  fr. .  w,    448-50;   Fif.,    I., 


<ni  I  ilfa 


i 


ormai  annotta  (l);  noi  Fihrnh  o[ipon- 
^no  r  espresso  divieto  delle  leggi, 
che  fosse  data  mortale  sentenza  in 
giorno  Bolenn'?:  tale  era  (|iid11o  del 
natale  del  re  (2).  Ed  ancora  in  un 
altro  punto  b'  iunontrano  i  du«  rac- 
conti ;  ueir  indicare  che  BianciJIore  fa 
presa  mentre  si  trovava  presso  la  re- 
gina (3).  Non  dobbiamo  stimare  tutr 


(1)  V».  463-68.  Nei  rupronti  tpin  u 
OBfollereKhi  della  Kmni^ia  medievola , 
<  il  tr&moiito  ii's\  »oì«  •ejfiift  in  fina  ilogli 
atti  giiulì;tmrì  >  :  cool  voleano  la  \fggi  ed 
aceadefB  in  fatte  (0.  Tamailla,  Il  diritta 
neirtfiea  francete,  Roma,  ISW.  p.  29). 

P)  FU.,  !..  145.  Noi  rom.  ip.  .•onlln» 
che  il  iappliiì'>  abbia  luogo  tre  giorni 
dopo  la  «entenza:  f.  14  r. 

,  [.,  145;  po«ma  fr, .  tv.  485 
i^g.  Nel  Filocolo,  il  ra,  pur  muglio  co- 
lorire r  inganno ,  fa  imprigionare  oon 
Btancifiore  il  nni^o^co  e  Salpadino,  che 
qnal  di,  Mrvendolo  del  coltello,  aveva 
smembrato  ìl  pavone:  questi  ultimi  però 
tono  tosto  iprigioDoti  (141). 


tarla  che  il  Boccaccio  abbia  avnto 
aott'  occhio  il  poema  franceee,  parche 
vicino  alle  somiglianze  nutate  stanno 
differenze  evidentissime. 

Biancicore  e  presa,  come  ora  si 
disse,  mentre  sta  con  la  regina;  ma 
nel  poema  francese,  i  sergenti  che 
dal  re  han  l' incarico  di  trarla  al  ro- 
go, impietositi  anch'  essi  della  sorte 
immeritata  della  bella  e  buona  fan- 
ciulla, es^uisoon  l'ordine  a  malin- 
cuore, e  usano  con  lei  dolci  modi  e 
dolci  parole  (1);  nel  Filocolo,  per 
contrario,  entrano  furiosi,  o  la  tra- 
soiiian  sorpresa  e  piangente  (2).  Inol- 
tre, la  cattura  secondo  il  testo  tro- 
verico  non  avviene  immediatamente 
dopo  che  si  e  scoverto  il  veleno  ne) 
Iarde  presentato  a  nome  di  Bianci- 


(1)  Vt.  483  sgg. 

(2)  I.,  145.  179.  Qui  oon  eaìsU,  chi  bea 
guardi,  la  contraddizione  che  ho  creduto 
di  poter  notai's  nel  mio  Contributo  agli 
Studi  sul  Socc..  p.  204,  n.  1. 


i 


2T1 
flore;  si   quando  oramai   il   giudizio 

i  stato  pronuaciato,  e  U  rogo  cre- 
pitava (1),  la  mattina  appreaso.  È 
doBqae  probabile  elio  ciò  che  di  si- 
mile al  racconto  francese  si  trova 
nel  FUoeolo,  sia  derivato  da  quella 
fonte  più  larga  e  ricca  del  modesto 
cantare,  alla  quale  gii  più  volte  s'è 
da  noi  imagìnatu  che  il  Boccaccio  ab- 
bia attinto. 

Illusa  dalla  cortesia  blanda  dei 
buoni  sergenti,  la  giovinetta,  secondo 
il  poema  francese,  é  ben  lungi  da 
imaginare  eli'  ei  la  debban  condurre 
a  morire  insieme  alla  madre,  che  il 
re  ha  pur  comandato  gli  sia  tratta 
innanzi,  intendendo  darla  alle  fiamme 
stosse  con  la  figlia.  Crede  ella,  inge- 
nuamente, che  il  signore  voglia  mo- 
strarla, con  paterno  compiacimento, 
a' suoi  baroni,  e  sì  acconcia,  perciò, 
e  s'adorna  leggiadramente:  poi  va, 
per  measo  la  folla,  verso  il  re:  al  ve- 


(!)  Vv,  469  s 


278 
darla,  così  candida  e  gentile,  avviarsi , 
ignara,  al  suppludo,  piangono  tutti, 
e  dolorano  inteneriti.  Il  re  steeso  al-. 
l' aspetto  della  innocente  si  spetra,  e, 
rifatto  umano,  tra  aé  lamenta:  «ahi- 
mè, povera  fanciulla,  della  quale  non 
è  al  mondo  altra  piil  bella,  le  tocca 
morire! , . .  Ah,  maledetto  questo  a- 
more,  che  mi  sforza  a  cotal  tradi- 
mento. »  Ma,  novamente  simulando, 
con  aspra  parola  le  annuncia  cho  fu 
condannata  a  perire  nel  fuoco  per 
aver  tentato  di  levar  la  vita  a  lui,  al 
padre  di  quel  Piorio,  ch'ella  pur  faoaa 
sembiante  di  amare.  Avvezza  al  do- 
lore, non  sì  contorce  ella,  non  im- 
preca: cade  in  ginocchio  avanti  il 
tiranno,  teneramente  mansueta,  e  così, 
dolce,  gli  parla:  «  o  re  gentile,  mai 
vennemi  in  cuore  di  ingannarvi,  di 
procacciarvi  morte:  pur  se  vi  piace 
ch'io  muoia,  eccomi  a  voi,  come  a 
mio  padre.  Se  volete  che  mi  si  uc- 
cida, con  tanta  bontà  mi  avete  nutrita 
e  cresciuta,    fate  di   me   secondo  vi 


I 


■  talenta,  come  padre  del  suo  figlio- 
I  lo  (1)  ».  n  re,  alla  dolceaza  semplice 
di  questo  parole,  la  guarda,  e  non 
trova  risposta:  assai  deve  odiare  in 
eb  stesso  la  sua  follonial  Soprag- 
giunge la  madre,  costernata  all'  or- 
renda nuova;  ai  precipita  a' piedi 
del  re,  glÌGli  bacia,  e  «  Re,  ella  prega, 
per  la  grazia  di  Dio,  per  il  mio  buon 
servigio,  lasciate  la  figlia  mia;  fat« 
ch'essa  per  sempre  vada  bandita  dalie 
vostre  terre,  e  bruciate  me,  date  a 
me  il  tormento  eh'  è  per  lei  ».  Ma 
il  crudo  signore  sol  questo  risponde: 
€  V  una  non  salverà  1'  altra  ;  morrete 
ambedue  ».  E  invano  supplicano  la 
regina,  i  baroni;  invano  questi  o£<o- 
no  di  ricomprar  l' ancella  a  peso 
d' oro  :  il  re  giura  di  spogliare  del  re- 
taggio loro  i  signori,  che  ancora  chie- 
dan  grazia  per  lei  :  dopo  questo  giuro 


(1)  Questa  parole  fanno  rammentAre  il 
dantesco:  •  tu  ne  vealìaU  -  queste  mìsere 
u   no  spoglia  *. 


non  e,  naturalmente,  più  alcuno  cho 
osi  far  motto  (1).  Più  oltre  s'aggiunge 
che  il  fnoco  è  già  pronto:  Biancifiore 
prega  d'esservi  gettata  prima  por  non 
mirare  lo  strazio  della  madre;  o  al  si- 
niscalco chiede  clic  la  lasci  morir  da 
cristiana:  cosi,  genuflessa,  s' abbandona 
lungamente  alla  prece,  e,  immemore  di 
sé,  implora  da  Dìo  aiuto  a'  genitori. 
Poi  si  rilava,  si  segna,  e,  guardandosi 
dietro,  scorge  la  madre  sua:  al  ve- 
derla, cede,  sopraffatta,  alla  piena  del- 
l' affanno,  o  Bmarrisce  1  sensi.  «  la- 
sciate almeno  cb'  ella  si  ridesti  » , 
geme  la  povera  donna  a'  sergenti  fret- 
tolosi. La  coricano  quindi  sopra  un 
tappeta,  e  fanno  per  lanciarla  fram- 
mezzo le  fiamme,  allorché  soprarrlva 
un  cavaliere,  che  impetuoso  si  sferra 
contro  il  siniscalco  e  i  camoflci,  e 
libera  la  fancialla  (2). 


(1)  Vv.  485-579. 

(2)  Vv.  743-894. 


2-re 

Lo  nostre  versioni  nemmen  s'  ap- 
pressano alla  cara  bellezza  di  questa 
scena,  drammatica  insieme  e  soave: 
ad  solo  perchè  manchi  in  esse  il  per- 
sonaggio che  (.■fficacemcnte  concorre  a 
crescerne  la  tensione  tragica,  la  ma- 
dre di  fiianciiìord  (1);  sì  ancora  per- 
chè non  anima  i  rifacitori  meridionali 
quello  spiro  schietto  di  poesia,  che, 
in  questa  parte,  ha  mosso  vivamente 
il  troTero.  La  cui  grazia  delicata  e 
spontanea  contrasta  in  ispecie  con  la 
artifìcioBità  macchinosa  e  stucchevole 
del  Boccaccio. 

Qual  differenza,  per  esempio,  tra  la 
Bianciflore  del  francese  e  quella  del 
narratore  italiano,  ch'è  tutta  smanie  e 
retorica!  Mentre  l' una,  campeggiando 
serena  in  un  quadro  pietoso,  va  incon- 
tro alla  morte  con  aommesaiono  dolce 
di  martire,  l'altra,  se  non  fosse  stata 
impedita  dagli  stretti  legami,  <  s' a- 
Trebbe   i  biondi     capelli   dilaniati    e 


(1)  Vedi  Herzog,  op.  cil,  p.  29. 


i 


278 
gùutì,  e  '1  bel  visù  setoA  niona  pietà 
lacerato  con  crudeli  onghje,  strac- 
ciandosi  i  neri  drappi  significanti  La 
futora  morte  ....  (I)  »  E  basti 
questo,  a  Bcusa  di  pio  parole.  Mi- 
^iore,  Benza  dubbio,  nella  stia  pupu- 
lore  aemplicitA,  e  il  nostro  poemetto, 
ove  eom  nativamente  Biancicore  sì 
lagna,  penaando  aU'amico  suo,  che  d 
lontano,  e  non  sa  del  pericolo,  ch'ella 
corre,  né  può  salvarla; 

o  dmdo  mio,  che  ti  itai  a  Montone, 
B  gii  non  ni  di  questa  mischinel)*, 
come  per  te  ricevo  gran  martorio! 
Non  agio  meno  che  tei  venga  a  dire, 
come  per  te  wd  menata  a  morire  (2). 


(1)  Fit.,  I,,  176.  Sulla  inferioriti  del 
Filocolo  a  talune  delle  redazioni  strauii^re 
della  leggenda  fedì  Znmbtnf,  op.  cit,, 
pp,  49-57. 

(2)  3t  35.  Cf.  poema  gr.,  vv.  463  sgg. 
(Juà  e  là  diBaeminato,  ne' lunghi  discorsi, 
rho  il  Borcaecio  pone  in  bocca  a  Bian- 
cifiorc,  troviiun  (]ualche  peuaioro  di  quusto 


277 
Tutte  quattro  poi  le  nostre  T^rsiooi 
d  staccano  dal  poema  francese  po' 
tma  dissomiglianza  di  fatto,  che  per 
esse  Biancifiore  non  procede  inconscia 
al  tao  fine,  ma,  imprigionata  prima 
d' esser  tratta  al  ro^o,  sa  almeno  che 
le  sovrasta  sciagura:  dissomiglianza, 
che  le  mostra  indipendenti  da  quel 
poema,  e  raS'erma  che  qualche  par- 


lamento, cK  è  nel  cantaro.  <  E  m  io  po- 
tessi questo  in  alcun  modo  farlotì  ano- 
pero  ben  lo  ferei,  ma  io  non  posso  >  {FU . 
1.  169),  4  Oimi,  dove  sono  ora  tanU  amici 
tuoi,  a  quanti  solava  dì  me  per  amor  di 
te  calare,  quando  tu  c'eri?  Or  non  ce  n'  ha 
egli  alcuna  il  quale  tei  venisse  a  direi  > 
(Ibid.).  CanL.  St.  35: 
non  agio  msHao  che  tal  venga  a  dire  ecc. 
«  La  morte  eh'  io  vo'  a  prendere  m'  6 
ingiustamente  data,  e  tu  me  ne  se'  prin- 
cjpal  cagione  >  {Ibid.,  180).  Cuiit. ,  ìb.  : 
...   per  te  ricevo  gran  martorio 

.  ,  per  te  son  menata  a  morire. 


tìaìe  riepondenza,  per  cui  gli  racco- 
stammo il  Filocolo,  non  derifa  da 
imitaziono  dirotta  cho  il  Boccaccio 
abbia  fatto  della  redazione  oitanica. 

Chi  è  il  cavaliere  eopraggiunto  a 
flalvar  Biancifiore  1  Ci  vuol  poco  a 
indovinarlo:  è  Florio  stesso,  che  del 
pericolo  sovraEtante  all'  amica  sua 
ha  saputo  per  virili  dell'  anello  ma- 
gico, eh'  essa  gli  avea  dato  prima 
eh'  ei  partisse  per  Montorio.  Guar- 
dandolo, egli  ne  vide  smarrita  la  sin- 
golare chiai'ezza,  e  così  conobbe  cho 
Biancifiore  avea  mestieri  di  soccorso. 
Si  procurò  subitamente  armi  e  ca- 
vallo, e  volò  in  aiuto  della  fanciulla, 
a  cui  giunse  nel  punto  che  già  stava 
per  essero  gettata  tra  le  fiamme. 
Tale  il  comune  fondo  del  racconto 
nelle  nostre  versioni  (1). 


(1)  Cant.,  St.  37-39;   poema  gr,, 
484-&14;  FU.,  I,  U6-67,  182-84;  t 


E  Fiorio  al  s'è  meso  imanteDeute, 
un;»  diraorameiito  nù  tardani^; 
a  un  cavaliei'S.  eh'  era  suo  parente, 

B  cavallo  li  chiese  in  prestanza  ; 
e  li  preatò  uno  destrier  corente, 
e  un  chiaro  isbargo  ed  elmo  e  scudo  e  laa^a, 
una  spada  con  dolcie  tagliare, 
che  ben  podea  secnro  cavalcure. 

E  Fiorio  a  cavallo  fu  montato, 
e  dell!  sproni  bello  rìcbsdea: 
inveivo  a  Blancifìore  se  n'  è  andato, 
po' che  ne  era  in  tanta  gelosia: 
B  quando  '1  cavalier  giunae  a  lo  prato, 
trovò  la  damigella  che  pìangea, 
ed  era  preaao  dello  ftioeo  argante, 
e  per  vedere  ìstava  Dna  gran  gente. 


280 

Semplice  e  breve  dnnque,  al  solito, 
la  narrazione  del  cantastorie:  il  poeta 
greco  la  ripete,  alquanto  però  allar- 
gandola e  stemperandola.  Non  s' ap- 
paga di  così  rapidi  cenni  il  Boccaccio, 
che  invece  atende  an  racconto  ampio 
e  minuto.  Egli  non  si  limita  a  indi- 
care nudamente,  al  modo  del  cantore 
di  piazza,  che  Fiorio  aveva  dormito, 
ma  spiega  come  gli  avvenisse  di  ab- 
bandonarsi al  sonno  (1),  e   qual  vì- 


(1)  Standosi  malinconicamente  a  pen- 
sare di  Biancìfiore,  poco  a  poco  Florio 
fu  preso  da  soave  sonno  (FU,  I.,  147-4S). 
Pur  aeW  AmeU)  Galeone,  vinto  da  lungo 
sforzo  di  dolorosi  peasieri,  si  addormenta. 
ed  ha  una  visione  (ed.  Moutier ,  p.  150) 
Vedi  pure  Amorosa  Visione,  ed.  Moutier, 
1  cap.;  Corbacdo,  ed.  Sonzoguo,  pp.  262-63. 
Goal  Dante,  Vita  Nuom,  §.  TU  (p.  26,  li  ed. 
D'A.iioona):  «...  E  ricorsi  al  s<.>Ungo 
luogo  d'  una  mia  cameiit.  e  puoaimi  a 
pensare  di  questa  eortaassìma;  e  pensan- 
do di  lei,  mi  Bopraggiunse  un  soave  sonno, 
nel    quale   m' apparve   una  moravigliosa 


I 


281 

sioDe  paurosa  gli  coin{tarìs8e ,  e  pei^ 
dtó  quindi  bì  deetassa  tatto  turbato, 
a  guardasse  torto  l'aDello,  che  doveva 
eaaer^  «icnro  indice  dello  etato  di 
Bianci flore.  Cosi  al  Boccaccio  vien 
fatto  di  mescere  a'  dati ,  che  certo 
traeva  dalla  sua  fonte,  ed  han  riscon- 
tro nel  cantare,  nnove  imilazìooi 
da' poeti  latini,  de' quali  era  tutta 
piena  la  sua  fantasia.  Egli  narra  io- 
fotti  che  Venere  sì  mostra  al  dor- 
meata  Pioriu,  e  gli  sTela  ciò  che  era 
stato  ordito  in  danno  della  sua  amica, 
gli  promette  il  divino  aiuto,  e  ter- 
mina col  laaciai^li  una  spada  tem- 
prata da  Vulcano,  e  usata  da  Marte, 
per  la  quale  ottorrft  vittoria  contro 
i  noi  nemici.  Del  pari  Stazio  imagina 
nella  tua  Tebaide  che  a  Polisso,  in- 
stigstrice  delle  omicide  LecmJadi,  ap> 
parisca  di  notto  Venere,  per  eccitarla 
contro  U  viril  sesso,  e  le  lasci  sul 
letto  una  spada  (1). 

(1)  V.  131-40.  NeU-  Eneide,  Vili.  608 
*qg.,  Venere  appare  al  figlio  per  preaen- 
largli  te  armi  apprestategli   Ja  Vnlcanu. 


n  cavaliere,  cai  Fiorio  si  toI^  per 
avere  armi  e  cavallo,  non  è  un  suo 
parente,  come  nel  cantare,  ma  il  suo 
stesso  vecchio  maestro  Àscalioiie,  che 
dapprima  tenta  dissaaderla  dal  pro- 
posito arditissimo,  ma  poi,  vedendo 
la  sua  ferma  volontà,  gli  concede  le 
armi,  e  studiosamente  imparte  a  lui 
novido  gii  ammaestramenti  più  ac- 
conci a  procurargli  vittoria.  In  tutte 
le  altre  redazioni,  compreso  il  teeto 
francese,  Fiorio  va  solo  a  combattere 
por  Biancifiore;  nel  Filocolo,  ove 
tatto  b'  ingrandisce  e  si  complica,  lo 
acGompogua  Ascalione  ;  anzi  si  pi- 
glia r  incomodo  di  fargiisi  aiutatore 
il  dio  stesso  della  guerra.  Marte,  che 
per  lui,  come  già  per  altri  eroi,  scende 
dalla  superba  sede  celeste  a  mesco- 
larsi alle  battaglie  degli  uomini.  Con 
che  sforzo  messer  Oìovannì  tenta  ac- 
costare all'  altezza  dell"  epopea  clas- 
sica la  modesta  novella  medievale)  (1) 

(1)  Vedi  io  proposito  Zamblol ,  op, 
cit ,  pp.  39-40. 


Qualche  sua  vnriante  e  nge'""*^  "^^ 
anche  il  comanzo  spagQuulo:  ma  la 
sue  dissomiglianze  dalla  fondamentale 
redaaone  non  sono  noteToliseime  (1). 
É  piuttosto  degno  dì  osserraiuoDO  an- 
che qui  il  fatto  che  le  nostre  versioni 
si  a^mppina  in  comune  discordanza 
dal  poema  oitanico  (2). 


(I)  Non  è  nel  destarsi  sbigottito  chs 
Piorio  volge  gli  occhi  all'  anello  magii^o; 
ma  iatando  che  sta  conversando  con  lo 
no  duca:  è  a  questo  (Cant  a  un  eaea- 
liere  ch'era  suo  furente)  ch'egli  chiede 
armi  e  cavallo,  sotto  pretesto  di  volerai 
addestrare  al  combattere.  Per  via  incon- 
tra uomini  che  apprestavano  legna  pei' 
il  eupplixio  di  Bianciflore,  e  sa  da  costoro 
quale  sia  il  pericolo,  di  cui  lo  aveva  av- 
vertito lo  scolorimento  dell'  anello.  Nella 
redaz.  moderna  del  rom.  sp.  Piorìo  non 
s'avvede  che  a  Biaacifiore  sovraata  acia- 
gnra  per  alcun  mezxo  soprannaturale 
ma  a'  6  informalo  da  secreto  avvìao  del- 
l'aia  dalla  fauoiuila. 

{2t  Vedi  w.  613  agg.  Anzi  tutto  d'a- 
nello   magico,    come  sappiamo,  qui  non 


In  qaal  moda  salva  Piorìo  )'  amica 
Ena?   Com'è  dei   drammi   e  dei  ro- 


ti pbtIa:  Fiorìo  rompe  quella  sua  ipecjs 
di  confino  non  perchè  in  alcun  modo  ab- 
bia svnto  Dotizìa  che  ali'  &mic&  aua  bi»o- 
gnaue  ainto  ;  ma  perchè  non  sa  pìil 
■Uni,  redendo  clie  il  padre,  «scondo  U 
promena,  non  U  manda  a  raggiungerlo. 
Per  istrada  a'  imbatte  in  nn  cavaliere, 
che,  tatto  corraccioEO  per  ciò  ch'eraaT- 
Tennto,  avea  lasciata  la  città;  e  da  coettti 
apprende  che  la  innocente  fanciulla  do- 
veva eeaer  bruciata.  L' ardito  giovinetto 
gli  chiede  armi  e  cavallo.  Sì  noti  che  il 
gentiluomo  : 

Floire  paroili  ert  let  ia  toi  (623). 
Io  non  so  indurmi  a  credere  col  Da 
SérD  (op.  cìt ,  p.  S94)  che  qui  paroiU 
tMjuivalga  a  parente,  eh'  è  nel  CaiiL  (a 
un  cavaliere  ch'era  suo  parente):  la  lo- 
cuzione le*  la  hi,  come  avverte  il  Dn 
Hrirìl  stcMO,  parrebbe  escludere  una  tale 
spiegazione.  È  forse  avreouto  che  io  I- 
talia  la  voce  poroils  al  volgere  per  er- 
rore  in  piirifWe f  —  S'avverta   ancora 


manzi  del  tempo  nostro,  il  duello  era 
la  droga  piccante  de'  racconti  epici  e 
cavallereschi  del  medioevo:  chi  per- 
tanto abbia  presente  lo  schema  di 
questi  racconti,  s' aspetta   certo   che 


che  pure  nel  rom,  sp, ,  come  testò  si  vide, 
è  per  via  che  Fiorio  ha  notizia  che  ri  vuole 
ardere  Bìanciftore  (Dn  Hérll,  p.  Ixxxìj,  □. 
3;Her»>S,  p.  31);  ma  il  modo  ù  diverso, 
né  si  può  dire  che  qui  il  romanziere  sp. 
imiti  il  poeta  francese.  —  Vedanai  anche 
talune  rìspondeaze  del  testo  oitanico  col 
romanzo  boccaccesco.  Il  gentiluomo  tentA 
sulle  prime  di  rimuovere  Fiorio  dal  pro- 
ponimento di  accorrere  alia  difesa  dì 
Biancifiore  (w.  646-48),  come  tenta  A- 
Bcalione  (FU,  !..  15G);  e  come  questi,  gli 
osserva  eh'  È  troppo  giovine  (v.  65fi  ;  Fil. , 
ib.).  Dtiscrivonsi  pur  qui  le  armi  recate 
a  Fiorio  (vv.  661-76;  FU.,  I.,  161-62), 
Queste  rispondenze  sono  però  vaghe  e 
lontane,  e  solo  possono  giovare  a  ralfer- 
marci  nella  sohta  ipotesi  che  il  Boccac- 
cio abbia  profittato  di  una  fonie  più  am- 
pia del  cantare. 


dopo  il  proceeso  venga  il  duello  giu- 
diziario, e  che  Is  causa  di  Bianciflore 
sìa  decisa  a  colpi  di  spada  (1).  Così 
infatti  avviene.  Fiorìo  fende  la  folla, 
narra  il  cantastorie,  airivn  sino  alla 
fanciulla,  e,  incanito  sempre,  la  raa- 
BÌcura,  e  le  cbiede  perché  il  ro  l' ha 
voluta  condannare.  Essa  gli  espone  il 
fatto,  si  protesta  innocente,  e  lo  pr&- 
ga  d'aiuto.  Il  giovinetto  allora  si 
volge  al  popola,  domanda  che  sì  re- 
vochi la  sentenza,  accusa  il  sinÌBoalco 
di  tradimento,  e  lo  sfida.  I  giudici  e 
notai  fanno  sospendere  il  supplizio,  e 
si  recano  al  re  per  annunziargli  che 
si  è  presentato  uu  cavaliere  a  difen- 
dere la  donzella.  Il  ro  non  può  op- 
porsi, soQza  manifesta  violenza,  alle 
consuetudini:  fa  rimettere  in  pri^o- 


(1)  Sul  duello  giudiziario,  e  ad  illustra- 
zione del  processo  contro  Biancifiore,  vedi 
FfelTer;  Die  FormaiMten  des  gotUage- 
riehtl.  Zieeikampfs,  nella  Zetlsrhrif  fùr 
rom.  Phiì.,  IX,   1-74. 


ne  la  fanciulla,  e  stabilisce  per  il 
mattino  appresso  la  prova  deU'  armi. 
Chiama  a  so  quindi  il  siniscalco,  gli 
riferisce  l' accaduto,  e  lo  invita  a  com- 
battere: quegli,  mìles  gìorionus,  ac- 
cetta baldanzoso  il  duello.  Ecco  il 
mattino  seguente  1'  un  contro  l' altro 
t  due  cavalieri:  Fiorio,  nemmanco 
dirlo,  vince  ed  uccide  il  siniscalco: 
Biancicore  6  salva.  Accorasi  re  Fe- 
lice, che  si  leva  piangendo  da'  balconi, 
ond'era  stato  spettatore  dello  scontro: 
la  ùinciulla  invece  si  getta,  tutta  lacri- 
me di  contento,  a'  piedi  del  suo  cam- 
pione. Il  quale  la  fu  rilevare,  la 
conduce  al  ve ,  e  gliela  raccomanda 
per  pietà  del  figlio  suo  stesso:  indi 
si  parte,  e  torna  a  Montorio  (1). 

Onesto  del  cantastorie  presenta  ri- 
spondenze con  il  racconto  del  troverò, 
ma  insieme  se  ne  allontana  quanto 
basta    per    produrre    la    persuasione 


che  qnello  non  ne  ÒM  eUto  U  fonte 
diretta.  N«l  poema  franoese,  ad  esem- 
pio, Fiorio  non  chi«<de  alia  donzcUa 
per  qnal  cagione  il  re  1'  abbia  fotta 
condannare,  che  egli  l'ha  già  sapo- 
to  dal  paroit  incontrato  per  via  (1); 
nò  si  Tolge  al  popolo  accasando 
e  sfidando  il  einiscalco.  Inoltre  ,  i 
giadici  e  notai  non  8ono  menzionati , 
giacche,  secondo  l'uso  fendale,  qui 
non  gìadicano  e  sentenziano  magistrati 
speciali,  ma  i  nobili  raccolti  dal  re  (2). 


(l)  Vv.  ^5-28.  Il  paroilt  racconU: 

t  Lì  roia  velt  Blancheflor  ardoir. 
rirBoit  le  volt  ampoisaner; 
Ardoir  la  velt  et  tormenter.  ■ 

(8)  Mentre  il  poema  francese  rispeochia 
instituti  e  costumanze  fondali,  le  due  ra- 
danoni  italiane  preeentano  un  misto  di 
ordiDi  feudali  e  comunali,  che  cì  mostrano 
r  origine  francese  del  racconto,  e  l'adat- 
taiione  all'  ambionle  italiano. 


Questi  poi  assista  alla  scena,  per  cui 
non  6  mestieri  che  alcuno  gli  si  rechi 
innanzi  a  i-appoi-targli  eh'  è  comparso 
un  ignoto  cavaliere  a  difendere  la  fan- 
ciulla (l).  Cosi  il  siuiscalctj,  presente 


B  1  re  fecie  tonare  a  parlamenlo, 
e  tuta  i  puOTOl  fecie  radunare, 

narra  il  cantastorie  (St,  3'J).  Curioso  è 
quatto  l'è,  questo  capo  feudale,  che  chiede 
ginaCma,  non  a'anoi  nobili  vaMolli,  ma  al 
popolo  radunato,  come  usava  db' nostri 
Comuni,  a  Buon  di  campana,  sulla  piazza. 
chù  tale  imagina  et  suscita  la  frase  sonare 
a  parlamenb)  (vedi  Bflzueo,  Dit.  Star. 
amminisir.,  a.  v.  sonare).  Avverti  perà  a 
questo  luogo  la  variante:  e  ì  prìncipi  del 
popò!  te  adunare  (note  alla  St.  33). 

(I)  Il  siniscalco,  volgendosi  al  re,  dice 
(906-8): 

4  Avez  e^H  d'  un  lechéor 
Qui  vostre  cort  a  dasjugiée 
Et  honia  vostre  inaianiéeì  » 

Egli  dunque  iupponeva  rbe  il  re  avesse 


anch' egli  sul  luogo  a  dirigere  l'esecu- 
zione, non  ha  bisogno  a  Eaa  volta  dì 
sapere  l' istessa  cosa  dal  re.  Né  ci  si 
poi^  egli  ia  quell'atteggiamento  spa- 
valdo, che  gli  attribuisce  il  cantastorie; 
anzi  è  renitente  ad  accoglier  la  prova 
del  duello  per  paurosa  coscienza  della 
sua  perfidia  (1).  Lo  scontro  avvieno  lo- 
Bto,  non  il  mattino  appresso,  ed  ofirc, 
descritto  riccamente  o  vivamente,  par- 
ticolari e  situazioni,  che  nel  cantaro 
non  si  ripetono  (2). 

Oli  altri  racconti  moridionatì  s' ap- 
pressano piuttosto  alla  nostra  rima, 
che  al  testo  francese:  di  uno  anzi, 
del  poema  greco,  dobbiamo  dire  sen- 
z' altro  che  segaita  ad  attenersi,  pili 


veduto  l'atto  di  Ftorìo,  che,  fatti  fuggire 
Btniacalco  e  aergentì,  avea  salTato  da  morte 
la  fanciulla. 

(1)  Cfr.  la  St  48  del  Cant.  co'tv.  92S 
tgg.  del  poema  francese. 

(?)  Poema  fr.,  vv.  945  Bgg. 


291 
0  Dien  Uberamento .  alla  fonte   con- 
sueta (1);  sì  che  possiamo  restrìngerci 
a  discorrere  del  Filocolo    e   del   ro- 
manzo spagnuolo. 

Nella    versione    boccaccesca    Fiorio , 

raggiunta  Bianciflore   presso  il  rogo, 

la  conforta,  e  le  domanda,  come   nel 

cantare,  perchè  sia  stata  condannata 

alle   fiamme:    «  giovane   damigella, 

egli  dice,  fugga  da  te  ogni  paura  .  . 

.  .  dimmi  luale  eia  la  cagiono  che  il 

re  t' ha  fatta  giudicare  a   £Ì  crudele 

morte  ....  »  Cant.  : 

quando  lo  cavalier  fae  ^unto  ad  essa, 

■l  li  dise;  dongella,  or  t'aBicura, 

dirai  la  verità,  nou  mei  cielare; 

perchè  lo  re  f  il  fatta  giudig8re!(2) 

Domanda  questa  tanto  naturale  e  ne- 
cessaria nel  poemetto,  quanto  forse 
inutile  nel  Filocolo,  ove  ai  narra  cho 
Florio  ogni  cosa    aveva    gi&   saputa 


(1)  Vv.  545-739. 

(2)  Fil,  1.,  189;  Caat.,  St.  40 


•  F-«^  Affala  A. 


E.M»ir»irt»f«ttA 


■ì  la  tì- 
ém*,   Fkna   mb  fatarne   a«tam 


(I)  KL,  L.  IWi  CnL,  Sl  <I. 
(X>  /V^  L,  itk;  Cult.  St.  42. 


b 


incognito,  secondo  il  suo  desiderio! 
«  D' altra  parte,  avverte  il  giovinetto, 
io  sono  strettissimo  e  caro  amico  di 
Fiorlo,  ed  ella  per  amore  di  lui  mi 
prega  eh'  io  l' aiuti  a  difenda  nella 
ragione  :  ed  io  così  son  presto  di  faro 
fi  in  ragione  e  in  torti>,  contro  a  qua- 
lunque la  volesse  far  morire;  peroc- 
ché s' altro  ne  faceBsi,  molto  alla  cara 
amistà  mi  parrehhe  fallire,  e  ogni 
uomo  mi  potrebbe  di  ciò  giastamente 
riprendere.  >  Cant: 

E  par  amor  di  Piano  eh*  eli' ama 
la  mia  persona  a  morto  voglio  spendere: 
ella  per  lo  suo  amor  mi  si  rìt^hiama, 
ed  io  per  lo  suo  amor  la  vo'difendtre, 
e  del  combatere  agio  voglia  e  brama 
col  siniscalco,  se  la  vuol  contendere; 
Florio,  e  b'ìo  no  lo  stasa, 

)  non  lo  amasse (t), 

S^uono  avanti  altro  simili  rispon- 
denze :  cos'i  vediamo  che  pur  nella 
descrizione  del  duello  il    Boccaccio  è 


(1)  ni..  !..  190-91  ;  Cant,,  St.  41- 


pin  vicino  al  caniastorie  che  al  tro- 
verò (1). 

Questi  riscontri  Su  tli  parole  sono 
assai  notevoli.  11  Gaspary  ne  bapro 
fittato  per  assodare  la  sua  ipotesi 
che  il  cantaro  sta  uscito  dal  Ffloco- 
lo:  essi  gli  provano  che  il  poeta  di 
piazza  ha  ricopiato  il  testo  boccac- 
cesco (2).  Noi  por  ora  non  ci  fer- 
miamo a  dirne  di  piti,  paghi  solo  dì 
rammentare  che  in  principio  di  questa 
lunga  analisi  nostra  appunto  uno  di 
cosi  fatti  riscontri  (FU.  miliiare  pa- 
lagio; Cant.  palazzo  de  la  milizia), 
addotto  ooQ  altri  dal  tiaspary  a  so- 
stegno della  sua  opinione,  valse  in- 
vece ad  attestarci  anche  meglio  l'in- 
dipendenza del  cantare  dal  romanzo 
del  Boccaccio  (3). 

Della  quale  indipendenza  ecco  qui 


(1)  FU.,  l,  198-203;  Cant.,  St.  49-51 

(2)  Op,  cit,  pp.  3-5. 

(3j  Vedi  sopra,  pp.  100-11. 


905 

ancora  giTsìcIie  altro  indizio  proprio 
dove  le  duo  versioni  più  s'assomi- 
gliano. Nel  cantare,  come  sì  disse,  il 
re  determina  che  il  duello  nbbia  luogo 
il  mattino  i 


:  certo  egli  ò  ragione: 
alli  meaaggi  diso;  or  vi  partiti:, 
andato,  tì  rimetetola  in  presone; 
e  poi  allo  mattino  a  me  venite: 
lo  cavalier  menate  a  la  magione, 

i  cortesia  a  lui  farete; 
poi  domattina  si  corobaterfuino: 
qual  sia  di  loro  n'ara  morte  o  danno. 

Cosi  il  ra  a'  giudici  o  notai.  Prea- 
s*  appoco  le  stesse  cose  egli  dice  nel 
Filocolo  al  siniscalco:  «  a  me  pare 
l'ora  molto  alta  a,  volere  combattere,  e 
te  sento  oggi  molto  affannato,  e  perù 
rimangasL  per  questo  giorno  la  bat- 
taglia. Va',  e  fa'  convitare  il  cava- 
liere, e  onorarlo  inflao  al  mattino; 
poi,  quando  il  sole  con  più  tiepido 
lume  ritornerà,  combatterete,  poiché 
negare   non   gli    possiamo  la  batta- 


£06 


glia  >  (1).  Ma  nel  Fiìomla  la  batUglia 
non  si  rimane,  che  il  siniscalco  induce 
il  re  a  coocedere  che  si  combatta 
tosto;  mentre  nel  cantare  ^lì  accoglie 
il  termine  voluto  dal  euo  signore  (S). 
Possiamo  dunque  dire  che  il  canta- 
storie abbia  ricopiato  il  FilocoÌQ  f 
S' avverta  che  nel  mag^or  numero 
dei  poemi  francesi  contenenti  esempi 
di  duelli  giudiziari ,  accade  preci- 
samente come  nei  cantare ,  che  lo 
econtro  non  segua  immediato  alla 
sfida,  ma  si  rimetta  al  mattino  suc- 
cessivo (3).  Vediamo  cosi  che  questo 
offertoci  dalla  rima  nostra  è  un  dato 
comune  ne'  racconti  epici  e  cavalle- 
reschi :  forse  il  cantastorie  T  ha  tratto 
dalla  sua  fonte,  che  pur  qui  si  ma- 
nifesterebbe diversa  dal  superstite  te- 
sto francese;  forse  era  anche  nellk 
fonte  del  Boccaccio,  che  avrà  voluto 


I 

4 


(1)  FU.,  1„  194;  Cant,  St  46. 
{2)  Fil.,  1.  e;  Cant.,  St.  47  egg. 
(3)  Pfeffer,  op.  cit„  pp.  57,  59-60. 


^1        la  f(.>ru 
^P        Bini  Bea 

I 


297 
[ìficaria  per  ritrarre  più   al  vivo 
la  f(.>ruc(i  impazienza  di  Florio    e  del 
Bini  scalco, 

Né  questa  è  la  sola  dissomigli  an- 
sa che  presentino  le  due  versioni 
italiane.  Nel  poemetto  si  narra  che 
il  siniscalco  fa  menare  la  fanciulla 
al  supplizio;  ma  poi  non  si  dice  ch'e- 
gli, fidatissimo  complice  del  re,  e 
carnefice  di  Biancifiore,  sia  rimastu , 
come  sarebbe  stato  logico ,  su  quel 
campo  scellerato  a  dirigere  la  ese- 
cuzione; in  modo  che  il  re  deve  poi 
chiamarlo,  pere h'oi  sappia  ch'é  soprav- 
venuto un  cavaliere  a  difendere  con- 
tro di  lui  la  donzella.  Invece  nel  ro- 
manzo del  Boccaccio  egli  reata  a  in- 
vigilare la  mala  bisogna ,  come  av- 
viene pur  nel  poema  francese  (1). 
Non  si  può  dire  tuttavia  che  il  Boc- 
caccio abbia  profittato  di  questo  poe- 
ma, da  cui  troppo  si  scosta  il  suo 
racconto:  par  chiaro  piuttosto  anche 


(l)  !..  181.  187. 


polo  prDduundownft  esnpiOM.  Il 
■JBÌtBtlep  mn  é  prewato  qiaado  Pio- 
rio  Kpnggiiug»,-  onde  a  re,  oone 
m1  cauiUn  e  od  poema  green,  lo 
ebiania  per  atugneìai^  la  sfida:  ì 
Ifìadici  si  recano  al  re  per  dirgli 
cb'A  Tonitto  nn  caTalisre  ignoto  a 
difendere  Biancifiore  :  «jueg-li  trova 
cb'  6  gioito  gli  fÌ  conceda  il  campo, 
e  intanto  comanda  bÌs  cortesementd 
trattato.  Il  doello  doq  avviene  tosto, 
ma  dopo  due  giorni.  La  descrizione 


(I)  «.  U  f.  -  16  V 


I 


290 
di  esso  non  o  poi  conforme  a  quella 
del  cantare  e  del  Ftìocolo,  si  all'  al- 
tra del  poema  francese  (1);  per  cui  ai 
vede  come  le  due  versioni ,  l' Ita- 
liana e  la  oitanica,  in  questa  parte 
del  romanzo  spagnuolo  eì  sieno  con- 
fuse. Ci  sono  inoltre  particolari,  che 
s'incontrano  solo  nel  romanzo  (3). 

L' episodio  del  processo  e  del  duello 
manca  nella  storia  di  Roaana,  che  in 
tiuesto  dunque  si  collega  al  1  poema 
francese,  ed  allo  affini  versioni  ger- 
maniche. Essa  perù  corrisponde  stret- 
tamente anche  a'  nostri  racconti  nella 


(1)  Da  Méril,  p.  IxitiJ, 

(2)  La  modtìi'Da  roda/Jona  del  rem.  ip, 
in  UD  punto  si  stacca  dall'  antica.  Comit 
nel  poema  francase  e  nel  Filoeolo,  il  ri- 
niac^co  à  presente  quando  sopravviene 
Flores  e  getta  la  alida.  E){li  sterno  si 
porta  ioDanzi  il  re,  che,  dietro  parero 
del  suo  consiglio,  stabilisce  il  duello  per 
il  giorno  successivo .  al  pari  che  nel 
cantare. 


daxfaiw  dell*  leggeodft  di  Pkrie,  • 
pcmude  il  re  •  Mpinn  i  pawnàì 
nu  «  por  qodla  c^  deU'  amor  ka« 
•'«fvede,  ff  M  min  U  r&  AsU- 
neoto  è  ■«"■^*<«  «  Parigi 
a'mpanr  balli  e  giaNtra  e  lonùaaniti  (^ 


<l)  Racc^  pp.  30-21  ;  1 

pp.  VO-S8. 

(2)  RaM^  p.  £0:  «  e  lo  re  e  U  mna 
eoiamidarono  all«  balie  ohe  ninna  ami- 
lagb  B*eaM  l'uno  dall'altro  >.  Nello  «Uno 
noconto,  ìb.,  il  ro  fa  porre  i  due  gioTÌ- 
netlì  a  logora  insieme  apontaaeamente , 
come  nel  Fìloeulo. 

<3)  Kapprcaeotax.,  p.  385. 


r 

^M        fra 

^r    ou-i 

^1         rioo 
^f  Beta 


lì  ripreaenu  U  aooia  d'addio 

due     amanti  r     RoSOBS     DOD    d& 

all'  amico  suo  alcon  snello  od  shri 
rioordi,  ma  lo  pr^gA  dì  dod  partire 
esoereì  fatto.  batt«aare;  e,  cri- 
i«nle  rassegnata,  la  inda<<e  ad 
acquetarsi  dociliesimo  al  desiderio  de! 
genitori.  Come  si  vedo,  domina  in 
questa  ùivola  l' inspiradone  religiosa. 

5.  Florio,  dopo  il  daelb,  torna 
presso  lo  zìo.  Le  versioni  meridionali 
qui  si  ricongiungono  al  1  poema  fran- 
che ed  alle  redazioni  affini;  ripren- 
dono quindi  il  filo  interrotto  per  la 
inserzione  dell'  episodio,  che  ora  si 
fin)  di  analizzare,  al  punto  st«6so,  in 
cai  lo  avevano  lasciato;  e  riprodu- 
cono necessariamente  la  situadone, 
che  s'aveva  innanzi  a  quello:  Fiorio, 
quantunque  lontano,  ama  sempre  la 
sua  Biancicore,  se  ne  stragg»  aou 
pe^io  che  mai;  il  re  per  questo  in- 
Csrocisce  contro  la  fanciulla,  tanto  da 
volerla  spacciare.  Cosi,  terminato  l' e- 
pisodio,  si  ripetono  fatti  o  scene,  che 


J 


ci  b'  erano  offerti  prima  che  eonùti- 
ciiiflse.  Vedasi,  sd  esemiMo,  nel  can- 
tare: 

St  S9 
Or  torna  la  cagione  a  re  Pelicie, 
e  Lucia  Utar  di  Florio  innamorata: 
B  la  reina  'Unii:  iaparadrìcitt, 
lo  tuo  figliuolo  a  Mui)U)rio  b  mondato; 
[liancifiora,  U  (alia  meletrìcie, 
bm^!  iredo  ehe  F  aijùt  afaturato; 
ma  M  di  Iti  non  faccio  wt%d«Ua, 
giantai  no»  porterò  tvroma  in  Ugla. 

St  65 
B  re  Felice  dÌcÌO  a  la  r«ina: 
io  tue  iìgliol  «  ninore  imunorato: 
novella  avute  i'  n'  6  quMta  matina, 
nba  m'anno  fortomente  eonsnmitto: 
dUtnitti  BÌumo  per  queata  bntìna; 
ben  credo  che  ci  t  abia  afaturabi; 
ma  te  di  Ut  non  facto  tmdella. 
giamtù  non  porterò  corona  in  tetta. 

Chi  ha  mandato  lo  novelle,  cui  al- 
lude il  re  ÌD  quest'  ultima  Stanza  1  E 
che  novello  furono? 

Tornatosi  a  Montorio.  l'aroo  del 
racconto  ripiomba  in  quello  stato  do- 


^^ 


loroeo,  in  cui  era  prima  dì  muovere 
fi  salvare  da  morte  1'  amica  sua. 
Lo  zio  duca  pensa  di  poter  guarirlo 
dell'  amore,  che  lo  travaglia  fiera- 
mente, Buacitandogli  in  cuore  altre 
fiamme  :  perciò  procura  eh'  ei  bì  trovi 
con  due  fanciulle  belliBsime,  le  quali 
ogni  arte  osano  perchè  egli  bandisca 
il  pensiero,  che  lo  fa  costantemente 
sospiroso  e  tetro,  e,  dimenticando 
Biancifiore,  ceda  ali'  invito  de'  loro  ab- 
handoni  procaci.  Invano  :  il  giovinetto 
supera  le  insidie  abilmente  4«8e  alla 
sua  fedeltà  amorosa.  Allora  il  duca 
scrive  al  re  che  il  suo  figliuolo,  indif- 
ferente ad  ogni  altra  fanciulla,  ama 
sempre  Biancifiore,  cosi  da  consumar- 
si desiderandola;  perciò  lo  sollecita 
a  mandargliela  a  Montorio,  se  voglia 
che  ancora  egli  viva.  Di  qui  le  ire 
del  re,  come  si  vide  poco  sopra  nella 
seconda  delle  Stanze,  che  abbiam  ri- 
portate (1). 

(1)  Cant.,  St.  58-64;    poema  gì-,,   vv. 
740-856. 


304 

L' episodio  della  seduzione  è  proprio 
delle  versioDì  meridionali,  e  concorra 
a  provare  nel  modo  più  perspicuo  il 
topo  accordo  fondamentale:  però  nel  I 
poema  francoBo  e  in  altri,  che  gli 
sono  affini,  si  rinviene  come  il  ger- 
me, onde  esso  certamente  s' è  svolto. 
Dove  consiglia  il  re  dì  allontanare 
il  figlio,  confidandolo  alle  cure  della 
sorella  Sebile,  la  regina  esprìma  la 
speranza  che  costei  trovi  maniera  di 
fargli  abbandonare  Biancifiore  per 
i]nalche  altra  fanciulla.  Cosi  si  vede 
che 

Aprendi'e  l' eo-muine  Sebile 
0  Im  puMl«s  de  1a  vile, 
SaToir  se  il  l'oublleroit 
Et  en  l'escolo  autre  amecoit  (1), 

Diversi  sono  il  modo  e  l' estensione, 
ma  quel  medesimo  6  l'intendimento 
da  una  porte  e  dall'altra.  Natural- 
mente nel  testo  francese,  per  esservi 


(1)  I  poema  fr..  vv.  319-22.  363-66; 
poema  del  Fleok,  vi.  950-55  964-72, 
1391-97.  Htnog,  p.  34. 


305 
Florio  rappresentato  come  ancora  fan- 
oinllo,  il  fatto  si  porge  sotto  aspetto 
innocentissimo  :  iuTGCe  nelle  versioni 
meridionali,  ove  s' imagina  che,  ormai 
capace  di  imprese  cavalleresche,  egli 
aia  crescinto  dalla  infanzia  al  flore 
della  adolescenza,  la  cosa  muta  carat- 
tere, e  le  ingenue  e  piccole  compagno 
di  scuola  diventano  conscie  e  impu- 
denti seduttrici. 

Vediamo  ora  quali  rapporti  corrano 
fra  le  nostre  versioni.  Anzi  tutto  la 
solita  osservazione:  Il  posta  greco 
ricalca  la    rima   italiana  (1).  Liberis- 


(1)  Tratto  tratto  sarA  bene  ofliir  prove 
dell'intima  riapondenz^,  che  lega  il  poema 
greco  alla  rima  italiana. 

«  4>Xci)pie,  nd6Ev  sp/saai;  .  .  ■  .  • 
(V.  746) 

*  Onde  ven'  dì  puese  si  touLano  !  > 
(CanL,  St  58) 

Chi  fu  questa  domanda  nel  poema  greco 
non  6  il  duca,  ma  11  maestro  di  Fìorìo: 
deve  però  tratUrs!  di  erroi'e .  che  al  v. 
763,  nellu  contiiiuaziune  d«llo  stesso  dia- 


lùmu,  jier  eontrsóu,  »  mnnve  lì  1 
ooooio. 


lego,  Piwki  pvla,  doohi  bì  diu  ohìarM-  ■ 
mvnÌK,  al  duu»  Lu  riapona  dal  §Jim>  f 
uMtu  «  In  KttuBii  iit^'  doli  potali  : 

t(q  «^/wrtcsai?  '^YtviKat"?,  inp5Ì5£v«i5  ^awSDwLn;  I 

(TT.  7      -  - 
C/r.  CmI.  St  68.  Più  ianfuui  (tt.  773-851: 
Evpi'cxu  9ud  xopóau, 

«  inoKd  tìv  leaiiij  va  xapij.  Tdv  9Xti!piov,  ►  Ti?  l^-st, 
«  xt  afni  Tirt»  OW^J'iv  et'?  /«pàu  orpa^wai  tiSi  X9[pS:'«v, 
5pxsv  rj^  xai|ivu  ^«vgjsiì,  àw8p«  voi  Tri?  "-^  Sifsw.  » 
it  x^p«t?  oijTDxptvouTOit  JLÌT°"  "^"^  Sfloxav  5oT(i>?  ■ 
«  tvKfifiX'x  TiÌ5.  auO^vTn  |wii;  xat  oovcixt^TOpa  ji*;, 
T^ffov  nsXOv  8t«j^|tov  xai  Tdciiu  aa^oXTsiu 
x«i'  TdfTiiv  tip'^w  xa(  /«piv  vai  8G(^tDfi.£v  et?  outow, 
wtxp^  «V  i^TOV  i^ioe,.  vci  Y^vi)  e|i4^jx(u;i^wo? , 
Ksw'  «cà  »Tafr^  x«'  vai  x^p^J  xai  voi  TÌcfrfJ  t'  "Jwjnri  tw, 
xai'  nmpojn'^w  mxpni7|i5i)?  va  toù?  iirigiowii'iTTi. 


307 

Da  poi  che  a  Montorio  fu  ritornato, 
lo  duca  alilo  prende  per  la  roano, 
e  dicie;  figlìuol  mio,  ove  se*  tu  atatoT 
Onde  yen'  di  paeae  si  lontano  t 
E  Fiorio  disse:  io  mi  boo  solaciato 
inniin  giardino  presioso  e  sanai 
■tato  sono  con  donne  e  con  donzelle, 
reduto  son  con  bello  damigelle  (1). 

La  Bcena  atesaa  ó  pur  nel  Fitoco- 
ìo:  «...  quando  il  duca  il  TÌde, 
lietamente  andandogli  incontro,  l'ac- 
colse, dicendo;  o  dolce  amico,  or 
dov'è  oggi  vostra  dimora  stata,  che 
veduto  non  v'abbiamo?  Certo  noi  e- 
ravamo  tutti  in  pensiero  di  voi.  A 
cai  Florio  facendo  grandiBsIma  festa, 
disao:  io  sono  stato,  e  Ascalione  con 
meco,  in  uno  bellisEÌmo  giardino  con 
donne,  e  con  piacevoli  damigelle  in 

Cfr.  Cant.  St.  60.  E  lascio  altri  esempì, 
perchè,  volendo  addurna  molti,  sarei  co- 
stretto a  porre  1'  uno  accanto  all'  altro 
tatti  interi  i  due  testi. 

(I)  St.  58. 


a  festa  tutto  questo  giorno  »  (1). 
Ma  per  il  Boccaccio,  che,  snaturando 
la  leggenda,  mira  coetantcmentc  a  fare 
del  suo  protagonista  un  ei-oe  pari 
a  quelli  celebrati  da'  poeti  anti- 
chi ,  prima  che  al  palazzo  del  duca, 
Florio,  col  suo  maostro,  sì  reca  ai 
templi  di  Marte,  di  Venero  e  degli 
altri  dei,  che  1'  aveano  aiutato  a  sal- 
var Biancicore.  Così  qui  abbiamo  sa- 
crifizi e  prodigi  affatto  pagani,  cbo, 
manco  dirlo,  le  altre  redazioni  igno- 
rano del  tutto  (?).  Nel  cantare,  dal 
ritorno  di  Fìorìo  si  balza  repcntina- 


(1)  I..209. 

(2)  FU.,  I.,  S07-8.  Florio  e  Ascalione 
BÌ  &Qno  disarmare  nel  tempio  di  Marte, 
o  conBacrano  l' armi  al  dio.  Vedi  eaempt 
di  armi  votata  a'  numi  nell'  Eneide,  VII. 
183,  XI.  5-11;  Tebalde,  II.  725-26.  Più 
semplicemente,  nel  cantare,  Fiorio  6  fatto 
spogliar  dell'  armi  dal  duca  (St.  59): 

Lo  duca  lo  faccn  disartnare, 
a.  cavalieri  bello  fa  servire. 


mente  ali'  episodio 
Boccaccio,  in  cambio,  con  Isnto  tra- 
passo mostra  come  il  duca  aia  stato 
condotto  a  procurare  che  nel  cuore 
del  giovinetto  nuovi  amori  sotten- 
trassero al  primo.  Soffriva  egli  tal 
pena,  che  nuli' altro  rimaneva,  per 
guarirlo,  se  non  tentare  l' antidoto  di 
altre  fiamme:  il  romanziere  pertanto 
s'indugia  a  descrìverci  la  lunga  tor- 
tura amorosa  di  lui,  con  una  analisi 
psicologica,  della  quale  il  rozzo  canta- 
storie non  sarebbe  stato  capace.  Certo 
ci  sono  qui  lungherie  tediose;  ma, 
fra  esse,  qualche  tratto  è  vero  e  f&- 
lice  (1).  Di  mozzo  a  codeste  lungherie 
però  torna  facile  rilevare  come  la  si- 
tuazione fondamentale  sia  quella  stessa 
che  s' ha  al  luogo  corrispondente  nella 

I comune  redazione  della  leggenda:  il 
duca  tenta  di  ricreare  lo  spìrito  ab- 
battuto dì  Fìorio,  e  dì  dìstrai'lo  dal 
(i)p, 
; 


(1)  Por  es.,  Fil.,  I.,  215,  223,  225.  Vedi 
)  Contributo,  pp.  202-3. 


310 
penfiiera  Ai  Biancjfiore;  il  giovinetto 
invece  si  logora  inviiicibilmeDte  dietro 
a  quel  pensiero  doloroso  (1). 

A  tentare  il  cuoro  dell'  innamorato 
si  el^gono  due  fanciulle ,  alle  qnall 
6  proposto  i]  partito  medeGÌmo  nel 
cantare  o  nel  Filocolo:  il  duca  pro- 
mette che  quella  di  loro  che  lo  &r& 
allegrare,  avrà  Fiorìo  per  marito  (2). 
Ed  eccoci  cosi  alla  scena  della  eeda- 
KÌone,  che,  fuggente,  scarna,  languida 
nella  rima,  lussureggia  lieta  e  pas- 
sionata nel  romanzo,  degnissima  della 
penna  del  Boccaccio  (3).  Fallita  la 
prova,  nel  Filocolo  il  duca  non  manda 
lettere  informandone  re  Felice,  ed  ao- 
certandolo  che  l' amore,  onde  è  tor- 
mentata il  figlio,  é  insuperabile,  cotno 
accade  nel  cantare,  che  anche  qui  si 
mostra  indipendente   dal   testo   boo- 


ti) Fil.,  J.,  219-22,  238-39,  241-44. 

(2)  Cfcot.,  SL  60;  FU.  I.,  228. 

(3)  FU.,    T.  229-38.    Vedi  nontri    Due 
Sludi,  p.  33;  Qmiribitto,  I.  e. 


eaccesco,  o  si  collega,  in  quella  vece, 
olle  altre  redazioni.  11  duca,  secondo 
il  racconto  boccaccesco,  ò  abbastanza 
avveduto  per  comprendere  che,  scri- 
vendo al  re,  avrebbe  fatta  anche  peg- 
giore la  condizione  de' due  amanti(l). 
Tnttavia  pur  nel  FHocolo  al  re 
giun^  notizia  dello  stato  del  figlio. 
Non  dobbiamo  dimenticare  che  al  ro- 
manzo boccaccesco  han  posto  mano 
cielo  a  terra,  e  che  a'  casi  umani  vi 
sono  mescolati  gli  dei.  Poco  fa  si  vide 
Marte  entrare  in  un  duello  giudiziario 
ad  usanza  medievale!  Ora,  è  appunto 
una  immortale  abitatrice  dell'  Olimpo, 
Diana,  che  si  piglia  il  gusto  feroce  di 
rieocitar  l' ira  di  re  Felice  contro  la 
povera  Biancifiore,  attendendolo  un 
giorno,  eh'  egli  era  a  caccia ,   ad   un 


(1)  Vedasi  infatti  p.  225:  «Essi  (il  duca 
a  Ascalione]  dubitavano  di  farlo  sentire 
ai  re,  tamendo  non  egli  facease  novità 
per  questo  a  Bianciflore,  e  di  questa  a 
Florio  US  Beguisie  peggio  >. 


312 

Turco,  por  annunziargli  che,  iatanto 
eh'  egli  GÌ  prendeva  spensieratamente 
quel  diletto,  il  figliuol  suo  si  moriva 
per  amore  (1).  Ma  perchò  tanta  celeste 
collera  contro  ì  nostri  amanti  ?  N  era 
stata  innocente  cagione  Biancicore 
stessa,  allorché,  recandosi  ad  oflrire 
sacrifizi  agli  dei ,  per  essere  stata 
salvata  dal  rogo,  avea  dimenticato  di  o- 
norare  al  modo  stesso  ìa  divina  caccia- 
trìce  (2).  La  quale,  ardendo  vendicarsi, 
dapprima  avea  tentato  di  straziare  e 
dividere  i  due  giovani  con  le  furie 
della  gelosia,  come  si  vede  nell'  epi- 
sodio di  Fileno,  affatto  estraneo  alia 
leggenda ,  e  liberamente  inserito  dal 
Boccaccio   nel   suo    romanzo  (3);  poi 


(1)  FU.,  I.,  305-6. 

(2)  Fit.,  1..  209,  275. 

(3)  FU..    I.,   244-305.    tjucat'  episodio 


collega  all'azione  principale',  inutUe  <iuindi 
aoSermarm  a  illustrarlo.  Vedi  ciò  che 
se  n'  6  detto  nel    Qmlributo ,  pp,  70-73 


313 

s'  è  pensata  di  nuocer  loro  nel  modu 
che  abbiam  detto.  Cosi  al  disopra 
de'  contrasti  umani  fcrv«  qui  pure, 
come  ne'poemi  classici,  la  lotta  de'nu- 
mì,  che  contro  a  Diana  sta,  protet- 
trice de'  due  innamorati ,  la  loro  dea, 
Venere. 

Re  Felice,  al  pari  che  in  altra  si- 
mile  scena  precedente  (1),  si  riduce, 
dopo  il  celeste  avviso,  soletto  e  pen- 
soso in  una  stanza  del  suo  palagio. 
Sopravviene  la  regina,  e,  vedendo  il 
suo  turbamento,  gli  domanda  quale 
ne  sia  la  cagione  :  s' avvia ,  per  tal 
maniera,  fra  essi  quel  dialogo,  che 
trova  riscontro  nel  passo  corrispon- 
dente delle  altro  versioni  {2).  E  qui 
i  due  testi  bì  ricongiungono  in  una 
strettissima  somigUanza. 


pei'  questa  fantlDD 


r 

^^^■1 

1 

314 
esclama  il  re  oel  cantare,  e  nel  Filty 
colo:  «  ella  ....  per   dolorosa   di- 
struzione di  noi  nacque  ».  Egli  erode 
che  la  fanciulla  gli  abbia  affatturato 
il  figliuolo: 

ben  credo  che  ci  l'abia  afatnrato; 

tana  r  abbia  con  virtuose  erbe,  o  con 
parole  o  con  alcuna  magica  arte  co- 
stretto   ».  Tanta   ira   gli  ri- 
bolle in  iwtto  che  vorrebbe  tosto  pre- 
cipitarsi  sulla   fanciulla  e  ucciderla. 
E  infatti  nel  cantare    egli    impugna 
una  spada: 

la  tosta  aBianciflor  volen  tagUare; 

proposito    ch'ei   manifesta   anche   in 
altre  redazioni  (I).  Cosi  uel  Filocoh; 

(1)  I.  fr.,  400: 

la  U  rerai  le  cbief  couper. 
Vedi  pui-e  Fleek,  1454.  H«rzoK,  |>-  32. 

4  io  le  leverò  colle  proprie  mani  la 
Yita.  La  mia  spada  trapasserà  il  suo 
sollecito  petto  >, 

n  romanzo  spagniiolo  si  collega  qui 
pure  al  nostro  gruppo;  ma,  coma 
sempre,  ha  caratteri  aperti  di  libero 
rimaneggiamento  (1).  Per  la  spai^- 
done  del  nipote  il  duca  ò  in  gravi 
pensieri,  secondo  si  vede  anche  nel 
Filocolo;  quando  Piorio  arriva,  ei 
gli  si  fa  incontro ,  ma ,  a  differenza 
delle  altre  versioni,  non  gli  chiede 
donde  venga  (mas  no  se  cupo  de  de- 
mandar da  donde  venia):  pensa  però 
a  rifocillarlo  come  nel  cantare,  e 
come  nel  cantare  Florio  si  schermisce, 
adducendo  la  stanchezza  e  il  hisogno 
di  riposo,  n  duca  fa  tosto  venir  me- 
dici, ohe  lo  visitino  :  essi  nuli'  altro 
male  gli  trovano  che  «passion  de 
amor».  E  qui  viene  una  scena,  che 
ha  riscontro  nel  Filocolo:  il  duca, 
alla  dichiarazione  de'  medici ,  si  reca 


(I)  Pf.  16  V.  -  17  V. 


31(5 
nella  stanza  del  giovinetto,  e  lo  coo- 
duco  ad  aprirgli  l' animo,  a  confidar- 
gli la  sua  storia  d'amore  (1).  Il  ri- 
medio, cui  egli  risolve  di  metter  ma- 
no, è  lo  stesao  delle  altre  redazioni: 
con  altri  amuri  combattere  quello , 
che  sì  crudelmente  lo  tortura.  Le  fan- 
ciulle seduttrici  qui  non  sodo  due,  ma 
tre  :  tuttavia  nessun  vantaggio  apporta 
qnesto  aumento  di  numero:  Florio  ri- 
mane inaensibile  alle  arti  delle  tre, 
come  già  delle  due.  £l  il  giovinetto 
atesao  che  prega  il  duca   di   scrivere 

(1)  Del  resto,  anche  nel  cantare  Florio 
confessa  dì  soffrire  per  cagione  d' amora 
(St,  59): 

di  ber  né  di  mangiar  non  metto  cura; 

per  Biancilìore  vìvo  in  gran  paura. 
E  in  uno  de'  msa. ,  ohe  noi  conosciamo 
(1095,  fondo  it,,  B.  Naz.  di  Parigi,  £. 
23  r.),  ci  sono  due  Stanze,  ignote  agli 
altri  testi  del  caotara.  in  cui  h'  ha  coma 
nel  Filoealo  e  nel  rom.  ep.,  un  dialogo 
tra  il  duca  e  il  nipote,  net  quale  questi 
coufessii  lu  rugiuDe  di  suo  pene. 


317                              ^^^H 
al  re:  si  tratta  della  solita  do  ni  onda,                         ^^^^H 
comune  alle  nostja   versioni,   tranne                           ^* 
il  Filocolo,  che  Biancifiorc  sia  quanto 
più  presto  mandata  a   Montorio  (1). 
Ira  e  dolore  del  re  al  ricfivere  il  mes- 
saggio del  duca;  egli  si  stringe  a  col- 
loquio con  la  regiaa.  Questo  coUoqnio 
e  riferito  brevemente,   in  forma  in- 
diretta: il  re  non  esprime  alcun   so- 
spetto che  Florio  sia  vittima  di  una 
malia  (2);  vuole  poro  anche  qui   far 
morire  la  fanciulla. 

(1)  Invece  noi  I  poema  fi-,  e  nelle  ver- 
^K      eioni  affluì  al  chiede  ul  re  che  licbiami 
^M      nella  sua  corte  il  figlio  (  Herse»,  p-  32)  : 
^^F       ecco  dunqao  un  Altro   punto ,   in   cui    la 
i-edarioni   meridionali    mostrano   il    loro 
uecordo  fondamentale,  staccandosi  inaiems 
dalle  altre  tutta. 
^_           (2|  C  è  pur  nel  l'ora,  sp.,  più  addietro 
^K      un  luogo,  in  cui  il  re  manifesta  il  dub- 
^H      bio  che  Biancifiore  gli  abbia  stregato  il 
^M       figlio:  ....  eata  chnatiana  catiua  Blan- 
di     caflor  creo    <\ue  dane  ser  algun  diablo 
^H     qu«  tiene  hechizado  a  mi  liijo  Floi-ea,...  > 
■^     (f. 

Buona  e  accorta  iosieme,  la  regina 
campa  la  vita  a  Biancifioro,  fìvnandu 
la  TÌolenza  dol  re,  col  persuadeteli 
che  ci  era  altro  modo  a  liberarsi  di 
lei:  sìa  venduta,  essa  consiglia,  a 
stranieri  mercanti,  che  la  traggano 
lontano.  Cosi  in  tutto  le  Torsioni,  fatta 
solo  eccezione  della  II  francese  (1). 
La  rara  concordia  però  cessa  presto, 
che  nel  cantare,  quindi  anche  nel 
poema  greco,  e  nel  Fiìocolo,  la  ven- 
dita della  f^ciulla  procede  in  ma- 
niera diversa  da  quella  clic  vediamo 
nel  I  dei  poemi  francesi  e  negli  altri  . 
ad  esso  alHnl.  Secondo  questi,  il  re 
manda  al  porto  con  la  fanciulla  uno 
o  due  borghesi ,  spertissimi  de!  traf- 
ficare, per  offrirla  a  qualche  dovizioso 
mei'cante  (2).  Invece  ne'  racconti  no- 

(1)  HerBOff*  p.  33.  Nella  II  vera.  fr. 
il  ro,  seaxEt  che  piìi  nulU  sia  iabirvenuto 
a  rattizzare  la  sua  collera,  a  ad  insaputa 
della  regina,  da  aè  conduca  al  porto  la 
donzella,  per  venderla  (vv.  12^1  agg,). 

(2)  «maog,  ib. 


3UI 
stri,  Biancicore  non  è  mandata  a  ven- 
dere: vanno  due  cavalieri  a  proporne 
l'acquisto  a'mercaDtì,  i  quali,  prima 
di  stringere  il  patto,  vogliono  vederla, 
e  vengono  per  questo  al  palazzo  del 
re  (I).  Al  poema  francese  s'avvicina 
piuttosto  il  romanzo  spagnuolo,  ove 
il  re  affida  Bìancifiore  al  suo   mag- 

(1)  Cani.,  St.  68-77;  poema  gr.,  vv. 
901-1037;  FU.,  l,  308-14.  I  nostri  rac- 
conti si  ecOBtano  certo  dalla  redazione 
prìmitivB,  mutando  i  borghesi  in  persone 
meno  adatte  alla  bisogna,  in  cavalieri. 
Questi  però,  nella  metamorfo»,  serbano 
qualche  cosa  de' primi;  aon  del  pari  savi 
ed  inatrutti.  I  poema  fr.,  tt.   414-16: 

...  un  borgoia 

Qui  de  marcie  ealoit  moult  sages 

Et  sol  parler  de  mains  langages  .  . 
CaoL,  Si,  68: 

due  cavalieri  sairi  ed  inseniatti; 
mentre  noi  Filocolo:  «  giovani  cavalieri 
e   valorosi  >  {I. ,  308).    Pure  in  questa 
minuiia  s' intravvodu  l' indipendenza  del 
cantare  dal  Filocolo. 


giardomo  e   ad  un  canliere,  percb« 
U  tnfgn  teeo  e  U  TendaBo  (1). 

I  rapporti  fra  i  due  tati  haiitai 
ri  naalaigono  teatfn  gli  «tsM:  ^a»- 
•oml^laao  umì,  ma  non  pa6  aflfar- 
nani  die  U  cantare  dipenda  dal  tae- 
eoato  boccaceesoo.  Di  eomnae.  per 
«ttaofno,  han  qaeato:  ai  dice  alla  gto- 
rìaetta  che  vada  a  ornarsi  cb6  l' amor 
ano  Bta  per  tornare:  easa  t'affiretta, 
e  rìcomparìaco  fìilgonto  dì  bellezza 
ineffabile;  ma,  ahimé,  fu  tratta  in 
inganno  pereh«  si  moetraeae  anche 
pia  Taga  dell'  uialo  a'  ffleraanti,  e  la 
rarità  meravigliosa  dellii   merce  ab- 


(I)  F.  18  r.  e  T.  I  dne  ni«MÌ  del  n 
vendono  la  fuidulU  al  porto  di  Porli- 
gttdo.  fi  il  Part-Lu/ai  \aA\nto  dal  Bro- 
len  de  la  Martinldre  (np.  dt-,  rv. 
Ul54),  nulla  costa  dalla  Cat«JogD&.  — 
La  raduione  modiii'na  del  rom.  Bp.  pre- 
senta larìsnti  amai  Ui'vi:  U  laiicìiiUa,  ad 
et. ,  vi  si  dice  venduiu  Don  u  Corligado, 
ma  a  Tdiubì. 


I 
I 


baglìasse  costoro,  e  U  rénd^aso  sol- 
leciti all'  acquieto  e  liberali  nel  pat- 
to  (1).  Ntì  mancano  anche  qui  riscontri 
fin  di  parole:  «  noi  atamo  cavalieri 
e  messaggi  dell'  alto  re  di  Spagna  », 
dicono  nel  Filocolo  gì'  inviati  di  re 
Felice  a' mercanti;  e  nel  Cant. : 

noi  aiam  meaagi  da  Io  re  Felice  (S). 

Se  non  che  a  questi  Bcgni  di  par- 
ticolare accordo  son  misti  indizi  non 
meno  chiari  che  il  cantastorie  non 
ha  ricopiato  il  romanzo  del  Boccaccio, 
dal  quale  si  stacca  non  per  sole  dis- 
Bomiglianze,  che  dipendano  dal  men 
largo  BTolgimento  che  ha  nella  stia 
rima  il  racconto  (3).  Vediamo  come  in 

(l)Cant.,  St.  73;  FU.,  !..  310-11. 
Vedi  pure  poema  gr. ,  vv.  947-55.  Her* 
wag,  p.  33. 

(^  FU..  I,,  309;  Cani.,  St.  71. 

(1)  È  da  ripelure  1' osservazione  eolita 
che  il  Boccaccio  moltìplica  i  particolari, 
onde  il  «no  racconto  rìsace,  seiua  p&rit- 
gone,  pib  ricco  del  cantare.  I  due  meHÌ 


tutte  le  T^sioDÌ  si  dica  cha  U  donielU 
fa  comperata  a  rìccbissimo  prezzo,  mi 


di  re  Falice  non  rec&nsi  al  porto  «olo 
QUA  «olt>;  sono  mandali  prima  m  ricer- 
care chi  RÌsiio  ì  mercanti,  onde  (recati, 
di  che  abbian  carica  la  naTtf,  perchd  la 
i^hb  non  areva  saputo  dar  di  ciò  à- 
cura  notina:  quÌDdi,  poi  cbc  haa  portato  al 
loro  ngnore  precise  infomiaaioaì,  toraano 
per  proporre  il  mercato  (J^.,  I.  308-10). 
Ancora:  il  ra  «1  mostra  Tarso  Biancifiore 
più  bagiordo,  ma  nn  po*men  bmtale 
cbe  nella  rima,  a  Delle  altre  vergiom , 
procnrando  disìmulare  dì  averla  tsd- 
duta,  e  dicendo  che,  tecoudo  il  vanto  già 
fatto  al  pavone  ,  la  aveva  maritata  ad 
uno  fra'  maggiori  baroni  del  suo  r^no, 
al  quale  oro  doveva  esser  condotta  {FU., 
I.,  312-13).  NnlU  dì  ciò  nel  cantai*,  e 
nelle  altre  redazioni.  Cosi  aon  propri  del 
Boccaccio  i  lunghi  particolari  sul  viag- 
gio di  BÌBndfiore,  la  descrizione  del  ano 
a&nno  sconaolato,  il  rìcouciliarsi  di  Dia- 
na,  a  lei  dianzi  nemica ,  con  la  dea , 
che  la  protaggcva,  con  Venere,  per  darle 
^nto  imi.,  I.  314-^28). 


^^■mB 

^^ 

^^^^^^^^                                  323 

^^M    nel  Filocoto  non  ù  determina  che  cosa 

^H     ì  mercanti  abbiano  dato  in  cambio  di 

^m      flBBa,  mentre  nel  cantare  ijneata  det*^- 

^H       minazione  e*  6,  al  pari  che  nelle  ver- 

^B      sioni  francesi  e  nelle  altre.  «  Signore, 

^H     dichiarano  ì  mercanti  al  re,  senz'altro 

^^1     mercataro,  de'nostri  tesori   prendete 

^H     quella  quantità  che  a  voi  piace,  che 

^H     noi   non  G&premmo  a  cosi  nobile   e 

^H     pre;ùgsa  cosa  porre  pregio   alcuno  ». 

^H     Si  confronti  invece  il  cantare: 

^H          E  trenta  muli  d' oro  caricati 

^H          e'fedeQO  veaii-e  imtmtanenla; 

^H           mille  scudi  d'agiurro  lavorati 

^H         ad  aquile  e  a  leoni  certamente;                                                      J 

^H         astori  a  bracchi  cum  falcoa  mudati,                                               1 

^V          ed  una  copa  d'oro  e  d'atlento,                                                      fl 

eh'  era  dorata  atomo  a  le  sue  brande                                              ^| 

tutta  la  stona  di  Troia  la  grande  (1). 

■ 

(1)  St. .  74  ;   poema  gr. ,   w.  964-69. 

1 

Ctr.  I  poema  fr.,    tt.  425  sgg.;  Il,  vv.                                            ■ 

1371    8gg.;    Fleok,    .V.    1540  sgg.    Col                                           ■ 

Fleok  e  col   rimaneggiamento  olfiiidene                                           H 

il    («sto   italiano   presenta  qai   maggior                                            1 

somiglianza,  che  con  le  versioni  francesi                                            1 

J 

A  ^^  »  mot  iipiNMa»  oft'ia  e 


i^ 


dft  qaelfi  tÈm  ntengom  il   TVinnlo 


^làÌA   noria  di  "nvial  • 


(I)  flL.  l.  312.  Ommv,  p.  33. 


EbsI  (i  mercanti)  . 


sopra  tutto 


I 


dà  che  preso  avera  (it  re),  gli  do- 
narono ima  bellissima  coppa  d'oro, 
nel  gambo,  e  nel  pie  delta  quale  con 
sottilissimo  artificio  era  tutta  la  tro- 
iana ruina  smaltata,  cara  e  per  ma- 
gisterio  e  per  bellezza  motto  >.  D  Boc- 
caccio non  dice  una  parola  di  più. 

Ma  dove  si  trova  una  discordanza 
anche  più  notevole  del  cantare  dal 
Filocalo,  é  nella  parte  del  racconto 
che  tosto  succede  a  quella  ora  illu- 
strata. Tutta  le  versiooi  fanno  viag- 
^are  Siancifiore  co'  mercanti  fino  a 
Babilonia;  il  Boccaccio  la  fa  appro- 
dare e  rivendere  ad  Alessandria  (1). 
Qui  pure  il  cantastorie  é  d'accordo 
con  le  rcdaziotii  straniere,  anzi  cfao 
col  Fihcoìo  (2).  E  ciò  presso  le  cor- 


ti) HewoK,  p.  34. 

(2)  A  quoHtó  punto  (St  T7-78)  il  cfWi- 
tare  non  mouziooa  prerisameate  Babi- 
lonia; ma  da  altri  luoghi  piìi  iananxi 
si  vede  chiariBsimo  eho  ivi  &  stata  ri»on- 
iluta  BÌBD<^ifiorE!.  Noi    poema  greco  non 


B&triloais,  anche  qui.  Fiorìo  la  nggim- 
ge.  Il  paau  riferito  può  tnttana  spiegani 
cod:  il  mercante ,  ttatoseoe ,  ì  prinit 
[Ine  giorni  dopo  Tapprodò,  entro  U  as- 


327 

accanto  a!!' altro.   Biancìflore,  accor- 
tasi  del    tradimento ,   <  incominciò , 
narra  messer   Giovanni ,   si   forte   a 
piagnere,  che  a  furza  mise  pietà  ne' 
crudeli  cuori  del  re  e  della  reina  ». 
SI  gran  lamento  Iacea  la  fiuitìaa, 
e  nel  petto  si  dava  delle  mani; 
piaugier  focea  Io  re  e  la  ruina  (1). 

ve,  à  determìnù  ad  andarne  at  Cairo; 
scMe  quindi  ad  Alesaandria  per  aTviarsi 
a  quella  volta,  ma  per  ventura  ven- 
dette toato  la  bellissima  fanciulla  in  A- 
leaaandria  stessa,  prima,  ancora  di  met- 
tersi in  cammino.  —  Nella  redaz.  mo- 
derna del  rom.  ap,  non  si  parla  che  d'A- 
letaandria. 

0)  FU.,  ì.  314;  Cant,  St  76.  Cfr. 
poema  gr.,  w.  1026-99.  Qui  cade  in  ac- 
conciò notare  la  eomlglianza  eh' fi  a  que- 
sto luogo  fra  il  cantare,  e  il  li  poema 
fr.,  TV.  1391  agg.: 

Quant  Biancheflor  se  vit  vendue, 
Pasra6e  cliiet,  la  conlor  mue. 
Et  quant  el  se  fa  redreciée, 
Demanla  boi,  molt  (ii  iriée. 


u 


94CO    meaino 


«  «  liate  le  reld  »'  naù^  ai  p 


Qoaado  bOa  nda  br  ki  j 


Bianciflore  dunque  vn  lontana,  bÌ 
perde  quasi,  già  nell'ignoto  dei  mari 


I 


Ma  perchè  tanta  frettai  Bianciflore  avea 
detto: 

<  Se  Floires  puet  a  tana  venir, 
Vm  venroii  tart  au  repentir  > 

(vv.  1411-12). 
II  re,  intendenilo   i'alluaioDe  e  la  ape- 
rama    di   BUocifiore,  ricordando    come 
poco  tempo  iananzi  uu  improTYiao  cam- 
pione fOBie  Mpragin^nto  a  salvarla,  in- 
calza t  mercHDti  (vv.   1414-16).  Nel  can- 
tare  la    csuaa   dì    codesto    affrettamento 
non    È   espresso.  La  accenna  vagameate 
il  Boccaccio:  *  a  voi  conviene,  dice  il 
re  a'  mercanti,   poiché  comperala  avete 
costei,  senza  ninno  indugio  dare  le  vele 
a'  venti,  aè  più  in  questi  paesi  dimorare, 
no»   forse   nuoBO    accidente    addiMnitte 
per   lo   quale   il   vostro   e  mio  intendi- 
mento si  turbasse  (312)  >.  —  Pur  dova  nar- 
rano  lu  partenza  do'  mercnati ,  il  poema 
italiano  e  il  francese  a' accostano  : 
Lor  engre  aachent  du  gravier, 
Et  font  la  voile  amont  drecìer  : 
Vont  s'en  u  joie  et  a  baudor 
(1421-23). 


dal    Fiìocolo.   DiCatti    nella    cornane 

rodanone  i 

imagina  lo  gpedìente, 


leggenda,  la   regina 
,  che 


B  i  mercatAuti  d' aj^ro  coraggio 
lev&r  le  vele,  e  fecer  lor  riaggio  fTT). 
(l)  RT..  !..  308,328;  Cant,  St  80-81. 

Vedi  I  poema  fr.  517  agg.;  TI.  1430  tgg.  ; 

ne«k,  1804  agg:  Henoff,  pp-  34-35. 


quando  Bìancìlìoro  é  sparita;  mentre 


nel 


boccaccesco   essa  penea 


I 


ad  ingannare  il  figlio,  simulando  la 
mort«  della  sua  amica,  fin  da  prin- 
cipio, nella  scona  stessa,  in  cui  con- 
siglia al  re  di  venderla  (1),  Or  bene, 
qui  la  rima  si  conforma  alle  v^^ionl 
straniere,  discordando  con  esse  dal 
Filocoio.  Del  quale  non  ci  ofiJre  al- 
cuna traccia  nemmeno  riguardo  l' ag- 
giunta che  fa  il  Boccaccio  all'  altrui 
racconto,  ove  dice  che,  a  render  piil 
compiuto  l'inganno,  nel  sepolcro  il 
re  volle  si  chiudesse  il  corpo  di  una 
giovine  morta  allora,  co' vestimenti 
medesimi  di  Biancifiore  (2). 

Che  fa  mai  Florio  intanto  che  gli 
rubano  il  suo  amore?  Nel  I  poema 
francese  e  negli  afflai  racconti  ger- 
manici, egli  non  tarda  a  lasciar  Mon- 
torio  poi  che  il  padre,  sapendo  cerne 


(1)  FU.,  I.,  308, 

(2)  FU..  I.,  328. 


non  potesse  reggere  lontano  da  Bisn- 
cifiore,  gli  ha  concesso  di  ritornarseno 
a  casa  (1),  Tre  delle  nostre  redazio- 
ni, il  cantare,  il  poema  greco,  il  ro- 
manzo spagnuolo ,  ci  dicono  invece 
ch'egli  8'à  affrettato  a  tornare  perchè 
l'anello  magico  pur  questa  volta,  oU 
fuBcandosi,  gli  ha  porto  indizio  che 
la  Boa  amica  correva  pericolo  (2).  Il 


(1  )  t  poema  fr.,  tv.  393.  682*3;  Fle^ 
TT.  1438,  9123-30;  Herwgr,  pp.  3S,  M. 
Il  I[  poetA  t'i*,)  |>$r  imperfetta  remini- 
■cenxa  dells  redaEione  primitiva,  dice  solo 
che  <  Florio  torna  dalla  scuola  >  (v.  1489), 
tacendo  che  del  tornare  gli  areae  data 
lìceuia  il  padre. 

(i)  Cant,,  St.  79;  poema  grwo,  n.  1039- 
45;  rem.  sp..  ff.  18  t.  -  19  r.  Fra  il  can- 
taPe  e  il  poema  gr.  e'  è  qui  una  qualche 
differenza:  in  quello  accade  la  seconda, 
come  la  prima  volta,  cbe  Fioiio  guardi 
r  anello  nel  de^^tarù  sgomento  dopo  un 
sogno  pauroso  (cfr.  con  la  St.  79  la  37); 
uel  testo  greco  invece,  a  quanto  pare,  il 
giovinetto  ù  a  caccia  con  altri  signori 


r  Boooftcoio  si  scosta  da  questa  ver- 
siona,  e  ci  offre  novella  prova  che 
quello  del  cantaetorio  non  d^iva  dal 
racconto  suo.  Dell'anello  magico  in- 
fatti egli  non  parla,  ed  assegna  al 
ritorno  di  Fiorio  tutt"  altra  enf,''iono, 
poiché  por  lui  è  il  re  stesso  elio  ri- 
chiama il  figliuolo,  mandandogli  av- 
viso  cba  subitaneo    male    ha    preso 


quando  h'  avvede  che  l' anello  s'  è  scolo- 
rato. All'  effetto  prodotto  nell'  animo  di 
Fiorio  da  questo  nuovo  indizio  di  sven- 
tura, acconoa  solo  un  verso  di  alcune  re- 
daiioni  dal  cantare  (v.  not«  alla  St  79): 

allor  nel  viso  si  cambia  a  un  tratto. 
Anche  il  Boccaccio  dice  che  Fieno  <  tutto 
à  cambiò  nel  viso  >  (p.  329);  ma  non  si 
appaga  di  una  frase;  egli  descrive  il  tra- 
mortire  del  giovine,  e  le  sollecitudini  di 
qoantì  erangli  intorno  per  fare  che  ai 
risenUsse.  Una  descnxione  simile  è  pur 
nel  poema  greco,  ma  poiché  tutto  il  ri- 
manente è  diverso,  non  ci  si  può  vedere 
un  rìflemo  del  tosto  boccaccesco. 


3M 

SeriseimameiiW   Bìaneìflore,  eoe)   da 
far  temere  cL'ella  fossa  per  morir- 
ne(I). 

Florio  toma,  e   chiede   tosto   dd- 
r  amica  eoa.  Dolco  scena  e  questa, 
delle  più   dolci  che  abbia  dod   pure 
la  fevoU  nostra,  ma  tatta  la  poesìa 
dell'antica  Francia:  così  teneram«ot® 
e  rapidamente  drammatica,  che  dalla 
narrativa  si  svolse  nella  forma  Urica 
in  qnolla  romanza,  che  addietro  s'ebbe 
occasione    di    rammentare     (2).    La 
veraioni  francesi  e   germaniche  sono 
anche  qui  più  efficaci  delle  nostre.  In 

conccesagli  dì  lasciare  il  san  (sjglio, 
e  impaziente  di  rivedere  colei,   sema 
coi  non  può  vivere.  Ne   chiede,  ap- 
pena acavalcato,  a'genìtori,  che  sodo 

L 

(1)  Fil.,  1.,  320.    Un  po'  sembra  che 
«ornigli  at  Fiìoeùlo  la  redaiione  mòà.  dal 
rom.  «p.,  ove,  venduta  Blaucallor.  *  pur» 
il  r»  che  rìchìnma  il  figlio:  qui  però  ù 
finge  malato  egli  mede»iiiio, 

(2)  Vedi  -«pra,  p.  7. 

I 


impaeciati  a  rispondere:  egli  non  at- 
tende, corre  dalla  sala  nelle  camere, 
e  trovando  la  madre  della  fanciulla: 
dov'  è  t'  amica  mia  ì  le  domanda. 
La  povera  donna  avea  giurato,  per 
comando  del  re,  elio  non  avrebbe  ma- 
nifestata a  Florio  la  verità  (1);  an- 
ch'essa dunque  non  sa  che  rispondere. 
«  fJon  c'è  »,  ella  dice.  «  Dov'  éì  » 
incalza  il  giovinetto  —  <  Non  so  » 
—  «  Chiamatela  »  —  «  Non  so  do- 
ve »  —  «  Voi  mi  gabbate.  Me  la 
volete  nascondere?  »  —  <  No,  dav- 
vero »  —  «  Per  Dio,  come  ciò  ini 
fa  male  ».  Ma  la  disgraziata  madre 
bì  sente  troppo  straziaro;  il  pianto' 
le  si  aggroppa  alla  gola,  e  chiudo  il 
dialogo  angoscioso  dicendo,  come  11 
re  aveva  imposto,  che  Biancifiore  era 
morta  (2). 

(1)  Vedi  I  poema  fr.,  w.  653-62;  Fleok, 
w.  21ia^.  Cfr.  Cant.,  St.  81.  Nulla  di 
ci6  nai  Filoeolo. 

(2)  I  poema  ti-„  tv.  663  sgg.  Cfr.  Fleok, 
V»,  2)34  egg.;  Herw»,  p.  35. 


Non  meno  pietosa  ó  questa  sceoa 

neir  altra  redarfone  francese.  <  Madrev 
chiede  Fiorio,  dov'è  lamia  amica  f  » 
—  «Bel  figlio,  non  c'è:  è  uscita  a 
diporto  >.  La  duchessa,  madre  dì 
Biancifiore,  era  presente:  a  quella  pia 
menzogna  delia  regina  non  sa  trat- 
tenere le  lagrime:  Fiorio  allora  ca- 
pisce che  lo  ingannano.  «  Madre  », 
fa  egli,  <  io  ve  la  affidai  :  rendetemela, 
o  qni  innanEi  a  voi  mi  nceiderò  »  — 
<  Lassai  »  essa  esclama,  *  che  fiord, 
se  io  non  posso  dar  vita  a  qnelli  che 
maoiono?  fì  morta,  morta  per  amor 
vostro,  la  donzella  Biancifiore  »  (1), 

Bel  contrasto  è  qni  tra  l' imbarazzo 
e  il  dolore  altrui,  e  la  letizia  di  Florio, 
sicuro  di  ritrovare  la  sua  amica;  tra 
la  perfidia,  di  cui  6  vìttima  ignara, 
e  la  sna  fede  fanciullesca.  Ne'rac- 
conti  del  cantastorie  e  del  Boccac- 
cio (  degli  altri  due  diremo  poi  ) 
il  contrasto  quasi  manca,  perché ,  in 

(1)  n  fr.,  vv,   1409  »gg. 


virtù  dall'  anello  o  per  il  messaggio 
paterno,  Florio,  già  al  partirai,  ha 
cagione  di  temere  che  gli  sovrasti 
sciagura.  Toglie  ancora  effetto  alla 
scena,  nelle  due  redadoni  italiane,  il 
non  esservi  quel  personaggio ,  in 
cui  più  violenti  si  dibattono  gli  af- 
fetti, la  madre  stessa  dì  Biancifiore. 
Inoltre,  nel  cantare  non  c'è  la  flnema 
psicologica  dì  quelle  sospensioni,  di 
quelle  reticenze  piene  di  trepidanza 
angosciosa,  che  vedemmo  ne"  poemi 
francesi  : 

Fra  questo  tanpo  Florio  fu  tornato. 

10  cavaliere  sagio  e  cunoacienlc, 

e  imanteoente  che  fuc  dìsmontato, 
ai  domandò  dì  lei  inprimaraeat«  : 
che  è  di  quella  dal  tuo  rosato, 
che  non  la  vago  venire  in  presantoì 
Dìae  la  madre:  dolra  mia  vita, 
Biancifiore  è- moi-ta  e  8epenita(l). 

11  cantare  sì   avvicina  al  II  testo 
francese,  ove  puro  alla  madre  si  volge 


(I)  St.  i 


n  gioTÌnctta  per  sapere  deQa  sua  dt 
letta,  e  da  lei  ne  apprende  la  marte. 
Co^  nel  FSocolo,  Fiorto,  appena  la 
Tède,  domanda  alla  regina  «  che  di 
Biancofiore  foeae,  ae  migliorata  era, 
e  come  stava,  che  ^li  avanti  non  la 
ai  vedeva  »  (1).  Nta  qui  è  nna  ìq- 
congraeoza  curiosa  :  come  poteva  Fio- 
rio  meravigliare  dì  non  vedersi  a- 
vanti  la  fanciulla,  se  il  padre  gli  a- 
veva  mandato  pressantissimo  avviso, 
ch'ella  era  per  morire!  Gli  é  che  il 
Boccaccio  malamente  ha  volato  manto- 
nere  quella  sorpresa  del  giovinetto  io- 
conscio  al  non  vedersi  innanzi  Bian- 
cifiore ,  cb*  è  naturale  nei  poemi 
francesi,  che  si  riflette  nel  cantare, 
e  doveva  essere  pare  nella  fonte 
adoperata  da  lai;  ma  non  sì  spiega 
più  nel  racconto,  com'egli  l'ha  ridotto. 
Felice,  all'incontro,  benché  si  tratti  di 
simulazione,  è  quel  tacersi  della  regina 
all'inchiesta  del  figlio,  a  cui  non  ri- 


(1)  1.,  332. 


339 

siwiide  che  abbracciandolo  e  ptangeD- 
do.  Essa  Io  mena  avanti  il  re,  che,  ma- 
lauguratamente, pensando  dì  l'enderlo 
meno  crudele,  affoga  in  un  penoso 
predicozzo  r  annunzio  che  Biancicore 
è  morta  (1).  Anche  in  questo  il  can- 
tare è  indipendente  dal  Filacolo. 

Intesa  l' amara  novella,  Fiorio  cade 
tramortito.  Questo  particolare  si  ri- 
presenta nelle  vario  versioni:  anzi 
tra  il  cantare  ed  il  Filocolo  l'accordo 
giunge  fino  a  darci  altri  incontri  di 
parole,  simili  a  quelli  che  gift  furono 
notati    (2).    Riavutosi ,   il    giovinetto 


{l)Tb. 

(2)  Fil.,  I.  334:  .....  e  messasi  le 
mani  al  petto,  dal  capo  al  pie  (Fiorio) 
tutu,  la  bella  roba  squarciò  .  .  . .  >  Cant. 


dal  capo  al  pia  bì  stradò  U  gonella 
a  la  giuba  del  palio  rosato. 
Fil;  ib.:  Fiorio  risponde  al  padre:  «... 
a  ora  credi  con  lusinghevoli  parole  aa- 
...»  Cant  (St.  85): 
r  mi  credi  tu,  &lso,  lusingara. 


341 

la  creduta  moile  di  Biancifiore  (1). 
Ecco  il  filo  del  racconto  boccaccesco  : 
la  regina  conduce  il  figliuolo  al  se- 
polcro;  egli  si  sviene  al  leggere  le 
parole,  che  su  vi  ereoo  scritte,  si- 
gnificanti che  ivi  giaceva  Biancifiore; 
poi  si  lamenta  a  lungo,  e  finisce  col 
trarre,  disperato,  un  coltello,  e  vi- 
brarsi un  colpo  al  petto:  la  madre 
gli  arresta  il  braccio,  e  a' affretta  a 
rassicurarlo  che  Biancifiore  non  6 
morta.  Per  farlo  certo  di  cosi  ina- 
spettata asserzione,  si  scoperchia  la 
tomba:  Florio  vede  eh'  entro  non  v'è 
chiusa  l'amica  sita.  Dov'è  dunque? 
egli  domanda.  Rìtraggonai  nel  palazzo, 
e  qui  la  regina  manifesta  al  figlio 
come  sia  stata  tradita  e  venduta 
BianciSope  (2). 

Si  veda  ora  la  versione  del  can- 
tare secondo  il  testo  mogliabechiano. 
Ai  conforti  del  padre,  Fiorio  rispondo 


(1)  Heriogr»  pp.  35 

(2)  FU.,  I.,  33441. 


►  (IVI 


k  MB  fi  fWW  h  C«id  ItVKl 


E  poi  ri  Riw  MM0  ad  n  ealklH 
•  dwK  4  «Iha  per  k  ^i^b: 


par  lo  kT  amor,  figtiMlo.  or  ti  eoateta. 


E  Fiorio  diBe:  se  voi  la  sapete, 
ora  la  m' inaegniate  incontanente, 
e  pregavi  che  se  l>en  mi  volele, 
che  voi  mi  diciute  '1  conveneate, 
e  se  non,  già  mai  non  mi  rivedrete, 
che  io  m' ucideragio  imaotenente  : 
or  lo  mi  dite:  dove  c'è  andata 
in  bai  co  nata  1 


Alor  dise  la  madre; 
caro  figliuolo,  noi  I 
bene  aeremo  degni 
A  mala  mentre  1'  a' 


otel  V 


1  venduta: 


10  tradata; 

grande  avere: 
per  t«,  figliuolo,  io  ne  eon  lien  pentuta. 
I  mercatanti  chella  conperaro, 
in  vèr  del  nostro  porto  la  menaro, 

Qni  ritroviamo  alcuni  degli  ele- 
menti poc'  anzi  accennati  nel  sunto 
della  narrazione  boccaccesca,  che  vuol 
dire  alcuni  elementi  della  sfessa  re- 
dazione primitiva  e  fondamentale,  a 
cui  quella  nel  presente  luogo  si  con- 
forma assai  bene.  Abbiamo  cosi  il 
tentativo  di  suicidio  da  parte  di 
Fiorio,  lo  scoprimento  della  tomba. 


biiBiiBaMb  «»  ni  m  i 


iWimimmUrmf 


iHmI.  b  iJutK  riillllilii  il 


aevfmtUan  U  lonibB  per  a 


Perù  non  possiamo  aacora  dire  di 
avere  a  pieno  reintegrato  il  testo  del 
poemetto.  La  copia  maglìabechiana , 
oltre  elle  scomposta,  qui  è  manchevole: 
difatti  a  un  tratto  ci  presenta  la  gc«ua 
del  sepolcro,  senza  avere  accennato,  lo 
notammo  poco  fa,  che  al  sepolcro  Florio 
ai  recasse.  Così  ù  nella  maggior  parte 
delle  stampe.  Ma  la  lacuna  può  es- 
sere riempita  con  l' inserirò  una  Stan- 
za che  ci  offrono  tre  manoscritti  ed 
alcune  edizioni,  per  la  quale  appunto 
ai  narra,  come  negli  altri  rifacimenti 
della  leggenda,  che  Fiorio  s'è  con- 
dotto alia  tomba,  a  sfogarvi  il  dolor 
suo  con  pianti  e  (juerele  (1).  Non  ò 
da  creder  tuttavia  che  la  Stanza,  che 
ci  par  buono  introdurre  a  rifare  que- 
sto passo  del  poemetto,  sia  la  stessa, 
che  qui  certo  ebbe  il  testo  origmario. 
Essa  si  trova  nel  luogo  dell'  altra,  che 
nel  codice  magliabechiano  si  riferisce 
allo  scoprimento  del  sepolcro,  partico- 


(1)  Vedi  St.  86  sgi?. .  e  note  rolative. 


lare  che  alla  redotione  dei  tre  moDo- 
Bcrìtti  e  dolle  stampe  seguaci  rimane  af- 
fatto ignoto;  ed  ha  con  qaella,  maSGÙne 
in  nna  dolle  duo  forme,  in  cui  ci  per- 
venne, comunanza  di  rime  e  dì  al- 
cuni versi.  Perciò ,  tenuto  conto  di 
questi  fatti  e  di  varie  confiiderazìonì, 
io  mi  Bontirei  tratto  a  vedere  in  essa 
nulla  pia  che  un  rifacimento  di  quella 
Stanta  (1). 


(l)  Poniamo  le  due  Stanze  l'una  ap- 
preeao  l'altro; 

Cod.  Mglb. 

Alor  si  fecie  aprir  lo  munimento, 
e  da  pii  itava  della  sepotCìra, 
per  vedere  la  morta  nhe  v'era  enbv; 
ma  DOQ  li  pano  la  gentil  figura: 
alor  li  cominfò  si  gram  tamfnio, 
r.he  piangei-e  factea  ogni  creatura, 
e  dÌBe:  madre,  ov*è  Biancifiore, 
ch'io  noiai  '1  sinisculco  per  su  arooreì 

Bill.  Na/.  di  Par. .  f,  it. .  1095.  f.  26  v. 


!  sia,  risalta  chiara  l' al- 
terazione  di   questo  luogo:  con  che 


Piangendo  Bende  andò  allo  monimenlo 
posese  a  piedi  della  sepoltura 
epso  ne  faeea  g-ran  lamento 
piangere  ficea  otnne  irealura 
et  dica  o  druda  mìa  io  uoa  te  senio 
et  DOD  po»ao  vedere  la  toa  figura 
se  tu  bì  morta  io  voglo  morire 
allato  ad  ti  me  voglo  sepellire. 

Corrisponde  a  quest'  ultima  lei.  quella 
dell' AHiibumham.-laurenz.  1397-1473,  f. 
34  r.  8  V.  Nell'altra  forma  della  St-,  ma. 
parig.,  f.  it,  1069,  f.  126  v..  è  comune 
eoa  quella  del  eud.  mglb.  una  rima,  ed 
un  verso: 


Da  pò;  andava  a  quela  sepullt 
e  pianganJo  cole  mani  sa  bati 
da  poj  abrazava  e  basava  le 
dicendo  o  B  lanci  fioro  anima  i 
e  pianger  fanea  ogni  creature 
e  cori  piangendo  forte  dicia 
ae  tu  sey  moi-ta  io  volio  mor 
e  lego  inseme  mi  voy  aepeliii 


ooMM^ntBOt   ffK    fatte  linlira  I 
'ihm  la  date  delU  copia  nul  Si^  i 


ioilipetidMiti  dalle  altre  t 
tre  is  ifOMle,  ad  esem^.  la  ragna 
Ron  ou  trelare  a  Fìork)  la  venta 
aal  taensUi  dì  Bianctfioire  eenca  aTisno 
^liafto  lioeiua  al  re.  nelle  due  reda- 
stoni  itelJaae  eaaa  £a  ci6  Uberamente, 
di  no  capo  (2).  Il   Filoeoh,  a  o^ 


(I)  Vedi  topra.  pp.  5T-«8. 
(S)  Ibrrat,   p.  35;   Fa.,  I.,   210-41; 
Cast. ,  SL  89-90. 


è  sempre  più  largo  della 
modesta  rima,  non  solu  per  aupliu- 
menti,  che  si  debbano  direltamento 
alla  fantasia  del  Boccaccio ,  ma  per 
un  maggiore  svolgimento,  che  par 
chiaro  fossa  gi^  nella   fonte,  ondo  il 

)  ò  derivato.  Lo  Zumbìni  a'  è 
accorto,  che  nell'  apostrofe  diretta  da 
Florio  alla  Mort«,  quando  si  lamenta 
auUa  tomba  dell'amica,  torna  il  me- 
desimo concetto  in  tre  redazioni,  il  I 
poema  francese,  quello  del  Fleck,  il 
romanzo  del  Boccaccio.  Il  concetto  ò 
Innesto:  che  la  morte  visita  chi  non 
la  desidera,  ed  è  sorda  a  chi  la  in- 
vooa.  Or  bene,  ha  ragione  lo  Zum- 
binì  dì  non  ritenere  fortuito  ([uesf  in- 
contro in  un  concetto  punto  comune, 
anzi  ricercato  (1).  Ma  non  basta:  non  è 


(1)  Znmblnl,  op,  c.ìt.,  p.  18.  n.  1.  E, 
del  resto,  uo  concetto  dì  Boezio;  cfr. 
De  consolatione  fihil.,  L,  I,,  Metrum  I., 
TV.  13  sgg.;  e  11  Baeiio  proTsozali»,  vr. 
1 17  Bgg.  Il  Boccaccio  se  n'  É  Borrito  ancbo 


%0 
questo,  Della  parte  che  ora  iUiistrianu), 
l'unico  luogo,  in  cai  il  Filocoìo  d 
trovi  conforme  alla  Tereiune  oit»- 
njca  ed  all'  altotedcsca.  Riassumendo 
jl  racconto  boccaccesco,  abbiamo  a«- 
c«nnato  che  alla  vista  del  sepolcro, 
ed  al  leggere  le  parole,  che  v'aran  8i> 
pra  incise,  Fiorio  si  sviene:  si  noti 
ora  che  lo  stesso  accade  secondo  i 
racconti   del  troverò  francese  e   del 


altrove:  Corbaccio,  »d.  Sonsogno,  p.  S60. 
Trovai  il  concetto  atasso  io  ana  castiga 
ilei  Cartageiiat   cfr.  Ti«knor>  I.  347. 

ti'ad.  tedeeca.  —  S' avrerta  ìaoltra   coma 
i]UÌ  il  Boccaccio  ai  ricordi  anche  di  Danta. 
Nella  Btaasa  apostrofe  alla  Morte,  Fiorio 
dice:  <  Certo    tu   ei?' alata   io   parte   che 
asBere  dovi-eati  pietosa  ,  .  .  ,  »  (3381.  Ve- 
dasi  Vita  Nuova,  %.  23,  II  ed.  D'Ancona, 
p.  171: 
....  Morte,  aasai  dolce  ti  legno: 
Tu  dèi  ornai  esser  cou  gentile, 
Poi  che  tu  ee'  nella  mia  donna  stata. 
V.  AH  aver  pietale,  e  non  disd^no. 


1 


I 


351 
Plock  (1).  l'ui'e,  giova,  ridirlo,  il  Fi- 
localo,  insiome  al  cantare,  tì  indipen- 
dente, a  chiari  segni,  da'due  poomi, 
come  dalle  altre  redazioni,  che  conti- 
Eciamo. 

Ci  si  fa  dunque,  per  questa  caso, 
più  persuasiva  e  sicura  l' Ipoteei  cho 
fonte  del  Filocolo  sia  stata  una  re- 
dazione affino  al  cantare,  mu  pia  ricca 
e  particolareggiata  di  esKu. 

Come  ha  inteso  che  Bianciflore  fu 
venduta,  e  tratta  lontano,  Fiurìo  si 
racconsola,  o  delibera  tosto  andarne 
pellegrino  a  cercarla  ppr  il  mon- 
do. Cos'i  in  tutte  le  versioni.  I  gè- 
nitori  sono  costretti  a  concedergli 
r  andata;  il  padro  gli  da  il  prezzo 
avuto  dal  mercato  della  fanciulla;  la 
madre   nn   magico   anello ,  che  avrà 


(1)  I  poema  fr.,  v».70&-8i  Fleok,  ' 
2222-30.  Cfr.  anche  il  tosto  ingloao,  . 
Haniknooht,  vt,  261-68 ^  Il  fr..  i 
1527-30. 


Tirta  di  salvarlo  dal  ferro,  dal  fuoco, 
dall'  acqua  (t).  Il  Filatolo  e  il  oca- 
tare  segaitano  a  rassomigliarsi,  di- 
scordando insieme  da  altre  redadonj; 
ma,  come  sempre,  ria^st'  nltimo  nd- 
donsa  cid  che  altrove  6  lai;gamieiitfl 
esposto;  qnello,  per  contrario,  ag- 
giunge dol  proprio  alla  tradizione  eo- 
mane  (2). 


(1)  HerWK,  pp.  36,  38.  SnirAnetla 
ctr.  Da  ]14rU,  p.  42.  n.  4.;  HmA»  tv. 

8891-99;  poema  ingl-,  vt.  390-98;  CanL, 
SL  92;  FU.,  1-,  352-53.  Nel  FiL  pwù 
non  si  dice  che  l' iLnoUo  salvi  aactie  dal 
ferro  ;  s'aggiunge  invece  eh'  e»o  ha  Titti 
di  rendere  graxinao  a  tutti  chi  Io  porti. 
V,  un'altra  virtù  ancora  ha  per  il  troraro 
franceM  e  per  il  Fleck  !  ((iiella  &  pn>- 
ciuvre  a  chi  lu  possieda  il  cons^nìmento 
d'ogni  cosa  bramata. 

(2)  FU.,  I.,  349-50:  il  re  al  flgUoolo: 
<  ma  poicbè  disposto  se'  all'  andare,  b' 
(treiidera  tutti  i  tesori  che  della  tua 
Biancofiore  ricevemmo,  e  degli  altri  no- 
stri nssù,  e  quelli  porta  con    toco,  e   io 


^"      Bpeeialn 


I 


I 


C  e  (lui  anzi  un'  aggiunta,  che  più 

Bpecialmento  richiama  la  nostra  at- 

ogni  parte  ove  la  fortuna  ti  conduce  fa' 
che  cortesemeote  e  con  virtù  la  tua  rao- 
gaìfioenM  dimostri  ».  Cant,  St.  91: 
ciò  eh'  ella  fu  venduta  e  comparata 
portarsi  teco,  &  nonn'  aver  dotauza, 
e  a  tutta  ganto  doaa  e  fa  krganza, 
ed  usa  cortesia  e  leanza. 
Nel  I   poema  fr,  e  ne'  racconti  affini 
(w.  956-63;  HerBoy,  p.  36),  ciò  che  il 
re  dà  a  Fiorio  del  guadagno   fatto  ven- 
dendo la  fanciulla,  è  Bolomentti  la  cop- 
pa preziosa.    Secondo   i    testi  medesimi, 
Fiorio  si  pone  in  via  sotto  le  spoglio  di 
mercante:  invece  nel  cantaro  a  nel  Fi~ 
localo,  egli  è  accompagnato  da  uno  stuolo 
di  cuvalieii.  Gasi  è  pur  nel  II  poema  fr. , 
w.   1791-94;  dal  quale  però  le  due  ver- 
sioni italiane  discordano   in   altri   parti- 
colari. Esso,  per  es.,    non  fa  menzione 
dell'anello  magico:  in  cambio,  la  madre  dì 
Biancifioce  dà  a  Fiorio,  come  b'ò  già  accen- 
nato più  sopra  (p.  219  n.  1),  un  laccio  te»- 
■Uto  de' capelli  della  figlia  {vv,  \TSó-\mi\. 


■  ulh,  «Inra- 

,.„..   ,.,..„..  ,,  ...  ..  «Jiw,   VWiMoAi 

«  eia  duii;   ((mw^   n^jini   i-JimpvUt ,  ùm 

phiUj*   n  da   '•nUaf  jihHii»  in  (frM»> 

"•'■'■■  ■^!'-"   -    diro   in   n"«tra  lingua 

:  <j  pjjtM  Ih  |(I'*'>o>'' 

in  {«'«tra  lingtui  rnmlt* 

,  (U-  '/.'i/iuuWin*!"!!»*, 

'  '-)|4  io  RW  h> 

'-•:  ioìaiuiaI  pr»- 

Mala,  Mn  HI  .  .  .  .  r  (I)  Ma  U  Bue- 

0)  I.,  'SbiJOt.  M  OM«Hw<t  «no  btM 
■p«gU«  «Mv»  Florio  mkIw  In  «Itn  n- 
AuìmI;  •'  ft  già  MTCMulo  cIm  mI  I 
«  ranioai  afflai  inwrr»  tll'ia- 


I 


(conventi  soppressi)  (sec  XV)i  Riccai-diono 
1062  (soc.  XV)  f.  118  r.  2.  col.;  Riecard. 
1022  (sec.  XV  in.);  Bibl.  Cornuti,  di  Ve- 
rona, 624  (del  1459).  le  questi  codici,  a' 
luoghi  citati  per  quelli  cho  hanno  i  fogli 
numerati,  la  spiegazione  del  nome  Fi- 
loeolo  è  da  /Sto*  e  colon  :  la  prima 
parola  ò  fatta  equivalere  mi  amore  (non 
ad  amalore ,  carne  nelle  stampe  meno 
antiche,  compresa  l' ed.  Moutier:  »edi 
aopra);  la  seconda  a  fatica.  Quest'ultima 
ai  trova  nella  forma:  colon  (in  quattro 
mss. ,  in  uno  de'  quali,  Ashbumham.-laur. 
1213,  insieme  a  colon  s'iia  colin);cholon 
(in  cinque  mas.,  due  de'  quali,  C.  5 
195,  Naz.  di  Fir.,  conv.  sopp.,  e  Magl- 
H.  I.  HI  hanno,  insieme  a  ckolon,  cholin; 
mentre  l'Ashb.  laur.  491  presso  cholon 
scrive  chaleo)  ;  cholom  (data  dal  solo  Rice. 
1062).  11  Mglb.  11.  II.  19  ri  dft,  codrt,  cAo- 
linj:  U  Mglb.  II.  II.  18  chalon.  Delle 
stampe  antiche  conosco  quelle  del  1503, 
1514,  1520:  leggono  colon,  e  spiegano 
filo»  per  amore.  Ch:  per  le  edizioni  del 


358 
Pofi  nella  edizione  di  Venezia  1527  (I). 
Costui,  non  molti  mesi  innanzi,  come 
ci  apprendo  la  dedicatoria  posta  a- 
T&nti  il  racconto,  trovandosi  a  con- 
versare presso  la  signora  Camilla 
Bontivoglio,  moglie  di  Pirro  Gonzaga, 
nel    lieto    palazzo    di    Gazzuolo    (2)  , 


Filocolo:  F.  Zarobrini  e  A.  Bacchi 
della  Le^at  Bibì.  boeeacixsca,  Prupugn»- 
tóre,  Vili.  P.  1.  pp.  465  sgg.;  F.  Zam> 
brini,  le  Opere  Volg.  a  Si*  ecc, ,  ISIM. 
coli.  144  Hgg. 

(1)  Il  PhlIopoBo  di  mc«8er  filoTantiI 
BocDMclo,  in  fino  a  qui  Colsumeute  detto 
Philooolo,  diligentemente  dn  Messer  Tu" 
zone  Gaetano  di  Pofl  riuieto.  In  /tnt: 
Impresaa  in  uinegia  da  me  lacobo  da 
lecco  De  l'anno  1527  a  6.  di  settembre. 
C&.  cit.  bibliografie.  Qualche  cenno  in- 
torno Tizzone  Gaetano  redi  nello  Bcritto: 
6.  Telndo,  Di  Titione  Gaetano  e  di  un 
emetto  di  Gio.  Della  Casa,  negli  Atti' 
thirjal.  Veneto,  T.  V.  S.  VI.  Disp.  Vili, 
pp.  1011-18. 

(S)  Camilla  Bentivoglio  era  Rglia  d'An- 
nibale, e  Liipola  di   Giovanni   11  signore 


359 

aveva  intaso  fare  i  peggiori  di- 
spregi del  nostro  romanzo.  Torna- 
tosi di  l'i  a  poco  a  Venezia,  n'  ebbe 
per  avventura  fra  mano  un  testo  a 
penna  ottimo,  a  così  antico  da  parere 
scritto  in  vita  stessa  dell'  autore,  leg- 
gendo il  quale  si  potè  persuadere  che 
sola  cagione  de'  biasimi  dovesse  es- 
Bore  la  negligenza  di  menanti  e  stam- 
patori;   perciò   gli   venne    in   animo 

di  Bologna:  mori  nel   1529  (Lltta,  Fa- 

tniglie  cet.  ital.,  1.  Famiglia  Bantivogiio, 
Tav.  V;  V.  Fam.  GonMgà,  Tkv.  XV). 
Pirro  Oonnaga,  il  marito  buo,  era  della 
linea  dei  duchi  di  Sabbioneta  e  pi-iocipi 
di  Bozzolo,  figlio  di  Gianfra&cesco  e  di 
Antonia  de  Baili.  Aveva  avuto  in  appan- 
naggio GazEUolo ,  S.  Martino  ,  OsUauo  . 
che  insieme  agli  altri  beni  e  feudi  gli 
flli-ono  confiacali  da  Carlo  V  ,  quando , 
luBcìato  il  servizio  di  Siiagna,  militò  pei' 
Francia.  Perdonato  più  tardi,  non  ebbe 
che  Coraesaggio  :  vediamo  però  eh"  ei 
mori,  nel  1529,  a  Qazzuoto  (Utta^  op 
cit.,  V.  Fam,  Goni.,  Tav.  XV). 


(li  ripulire  il  libro  mslcapitsto,  o  ri- 
donargli la  nativa  fisiunoiaia.  Ma  sì 
ea  che  foseero  codeste  restitazioni , 
nelle  quali  i  nostri  vecchi  osavano 
ogni  arbitrio.  L'editore  comincia  dot 
trovare  i  guasti  nel  titolo,  e  meesù- 
gli  le  mani,  di  Filocolo  lo  ridaea« 
Filopono,  perché  non  gli  pareva  che 
l'errore  manifesto  della  prima  fomui 
potesse  attribnirsi  al  Boccaccio,  ch'era 
stato  non  ignaro  di  greco;  ed  aveva 
eìcuro  convincimento  eh'  egli  avesse 
scritto  Filopono,  «  percioche  philoe 
amatore,  et  ponos  fatica  significano, 
donde  congiungendole  resultano  ama- 
tor  di  fatica  >.  Questa  prima  emen- 
dazione non  incontrò  fortuna.  Tre  anni 
appresso ,  no  altro  editore ,  Marco 
Ouazso,  soldato  o  lettorato,  quasi  con 
tono  rudemente  militare,  la  impugnò, 
giudicando  che,  caso  mai,  dovesse 
essere  più  giusto  correggere  Fflocolo 
in  Filocopo:  «...  ponoB  vuol  dire 
fatica  et  dolore ,  ma  se  lo  anttore 
hauesse  voluto  dire  amatore  di  fatica, 


haurebbe  dettu  più  presto  Philocopn 
che  Philopono,  perche  PhiloB  com'è 
detto  vuol  dire  amatore,  et  copos  fa- 
tica, et  aggiongendo  1'  uno  all'  altro 
haurebbe  detto  philocopo  .  ...»  Il 
Guazzo  duoque  non  credeva  che  l' au- 
tore avesse  voluto  dire  amalor  di 
fatica;  è  per  questo  eh'  egli  conserva 
al  romanzo  U  titolo  antico:  «... 
philoE  vuol  dire  amatore,  et  colos  ire, 
e  non  colon  come  quello  ha  detto  (1), 
dunque  ponendo  philos  et  cholos  in- 
sieme dicono  amator  ire  seu  ira 
amoris  come  fu  la  vera  intentione 
del   poeta  ....  (2)  »    Ma   la   vera 


(1)  Ctr.  la  epiatola  dedicai,  dalla  cit, 
ed.  1587.  ove  il  Tizzone  scrive:  «  Dun- 
que ben  BBpeua  (il  Bocc.)  che  pkilos  si- 
gnifica amatore  et  Colon  altra  cosa  ecc. 
ecc.  >  Abbiamo  ora  veduto  che  la  forma 
data  da'  codici  e  dalle  Tocchie  stampa  6 
appunto  colon. 

(2)  Il  Pkllocolo  iì  measer  eioTaoni 
Boccaccio  novammle   corredo.   In   fine: 


•sMintneate,  noa 
pire  tnttarà  ihe 


■oìtcts,  Ift  p*- 

wmiaee.BTiMtooe, 
ri  die  per  TÌsto: 
giorta  ^nasaB- 


■00  cootnddittare,  poiefaèlo  «v&mo 
abbanlaaan  U  fona*  racipoMO,  •  pr»- 
ferire  neUa  sUmpa  del  1538,  qtulU 
elle  a  Guano  avers  priaio  additate, 
Filocopo.  La  qoale  «bbe  miglior  ante 
dell'altra,  si  che  qoasì  fece  diam- 
tkare  la  piA  antica,  FBocolo.  Diaij 


Stampalo  aelU  ìadita  Qtta  di  Vinegia, 
appMM  (ne)  Santo  Mo^w  ìttUo  case  nnoaa 
Imtìiuaiie,  per  PnuxwMo  di  Ali:awnJrc 
Biodoni  et  Mapkeo  Pai^iu  compagni. 
NeUi  aoni  del  Signore  1530  del  : 
di  Mano.  Regnante  il  Sereniasimu  Prea- 
dpe  Meeser  Andrea  Dritti.  —  Cfr.  la  eh. 
•  bibL  Le  parole  del  Ouaiio  fnroDO  tolta 
dall'AvTÌM  ch'è  innanzi  il  («sto:  <  Marco 
Ooaaio  alli  lettori  >. 


I 


quasi ,  porche  invero  quest'  ultima 
i  ristette  da  difendere  la  aua  le- 
gittimità contro  l'usurpatrice,  per 
mgdo  che  in  certe  edizioni,  come  la 
più  recente  curata  dal  Moutier,  fra 
le  due  forme  avvenisse  confusione  (1). 


(1)  Intanto  è  ancora  intitolata  Filoeoto 
la  ediz.  giuotina  de)  1594,  per  la  quale 
ctt.  la  cit.  bibliografe.  Ma  a  p.  1  tro- 
viamo: Del  FUoeopo  di  M.  Giocinni* 
Boccaccio  eoe.  ecc.  ;  mentra  a  p.  379  leg- 
gasi Filoeoto,  e  la  spiegazione  dal  nome 
ù  data  da  pkilof  e  colos.  Cosi  nel  aeguito 
del  racconto  sempre  Filocolo.  Al  modo 
alwao  nella  ediz,  1723,  Firenio  (Napoli), 
b'  ha  nel  titolo  Filocopo,  sul  frontispizio, 
e  a  pag.  1.;  poi  a  p,  290,  voi.  I.,  Filo- 
eolo,  a  la  apiagaiione  da  phihs  e  eolos  ; 
coma  pure  in  seguito  sempre  Filoeoto. 
La  etamga  Moutier  Ila  sul  frontispizio 
Fitoeolo,  poi  in  capo  al  teste  Filocopo, 
che  si  ripete  io  cima  d' ogni  pagina  per 
tntto  il  1  voi.,  fino  alla  penultima,  per 
dar    luogo    all'altra    Ibnuu    dallit     pag. 


1(64 

1  vecchi  aluiiiosi  non  sapevano  ae- 
coneiarsi  a  credere  che  il  Boccaccio 
potesse  avere  commeEso  un  grossa 
sproposito,  e  si  davano  quindi  gran 
briga  per  accagionarne  chi  n'era  af- 
fatto innocente.  Noi  invece  che  ci 
governiamo  secondo  diversi  criteri, 
e  abbiamo  alla  storia  ed  alla  verità 
più  geloso  rispetto ,  lasciamo  stare 
1'  errore  al  suo  posto,  rilevando  co- 
m'esflo  riconfermi  che  il  Boccaccio, 
specialmente  da  giovine,  aveva  scai-sa 
conoscenza  del  greco,  secondo  fì  ma- 
nifestissimo per  altri  simili  esempi  (1); 
cìù  che  agli  studi  nostri  torna  assai 
più  utile  degli  spedienti   pedanteschi 


354  (ov'  è  la  spiegai,  del  noma  da  philos, 
come  ai  vide,  e  eolot)  in  giù,  per  tntto 
U  voi.  II. 

(1)  Sulle  scarse  conoscenze,  che  del 
greco  mostra  il  Bocc.  vedi,  per  racco- 
gliere in  uaa  le  ritaz,  varie  che  si  po- 
trebber  fare,  una  mia  nota  (1)  a  pag.  255, 
voi,  IV..  del  Giorn.  Si.  della  Leu.  Hai. 


ì  Iìboo»  Gaetano  e  dì  Marco  Ga«i- 
9  (I),  perche  serre  la  sua  parte, 
'  a  muarare  l' eeteosione  della  cattura 
r  del  Boccaccio,  e  di  quella  della  sua 
I  età.  Per  il  Gasparj  il  coìos  del  nostro 
I  scrittore  sarebbe  X^^°^>  ^  quale  ^li 
avrebbe  attribuito  il  senso  di  fatica, 
I  mentre  ba  quello  di  odio,  ira.  Altri- 
I  menti  pensano  il  Vitelli  ed  il  Rnina, 
80  per  notizia  cortose  fomitaini 
\  dall'ultimo.  Avvertendo  nella  scrittura 
\  dei  codici  la  somiglianza  e  il  facilis- 
I  Simo  scambio  dello  Ietterò  n  e  X,  i- 
ano  ambedue  che  1'  emm!  "ia 
j  uscito  di  li.  Infatti  il  Boccaccio  può 
L  aver  tratto  il  suo  xAoq  da  an  gioii- 
I  vario,  o  che  altro  ai  voglia .  ove  fgìà 
>  lo  ibaglio;  oppure  può   xven; 


y  «d.  1733,  0.  »*■ 


■m 

egli  stesso  letto  malamente  xÓiaq  pt>r 
KÓitoq  (1).  La  soluzione  è  chiara  e 
coDTÌQOente,  cogì  che  mi  pare  si  debba 
accogliere. 


(l)Neir«piBtok  a  fra  Martino  da  Signo, 
eaplicativa  delle  sue  allegorie  bacolicha, 
il  Bocc.  accenna  ad  un  libro,  da  cni  ha 
tolto  i  nomi  greci  usati  nelle  Eclogha. 
ma  non  dice  quale  sia.  Cfr.  Lt  tettav 
ed.  e  ined.  di  M.  G.  B.  ed.  Coraolnl  ,  p. 
273.  —  S' è  già  veduto  in  una  prece- 
dente nota  che  codici  e  stampe  antiche 
non  danno  la  forma  eolos  ma  eoìon  [eìuh 
lon  sarà  per  il  uolito  uso  di  i-apprttten- 
tare  il  auono  gutturale  con  eh,  gh).  Pro- 
babilmente cod  avrà  scritto  il  Bocc.  Che 
egli  abbia  confuso  xw>^v  con  xtfXoq 
letto  per  xdnoq?  —  Superfluo  avvertire 
l'errore  cb'ò  pure  nella  spiegaiione  della 
prima  parola,  end'  è  composto  il  nomo 
Filoeolo.  Il  Bocc.  spiega  fii-oq  per  amore 
anche  in  principio  della  Dedicatoria  del 
Filostrato,  se  si  bada  alla  ed.  Moutìer 
(cfr.  però  CoraxzfnI,  op.  cit. ,  p.  9.  n. 
1.),  e  nella  lettera  a  fra  Mattino  da  Signa 
(Leti.  rd.  e  ined.  di  M.  fl.  B. .  1,  e). 


367 

Chiedo  venia  della  digressione,  e 
riprendo  il  filo  de'  mìei  raffronti.  Nel 
poema  greco  manca  ogni  cenno  del 
fìnto  sepolcro,  e,  in  conseguenza,  an- 
che la  scena,  che  si  svolge  innanzi 
a  quello:  il  tentativo  di  suicidio,  la 
rivelazione  della  vendita  di  Bianci- 
core da  parte  della  regina,  lo  sco- 
primento della  tomba.  Gonfio,  di  so- 
lito, e  prolisso,  qui  ìl  poeta  greco 
stringe  in  poche  parole  ciò  che  nel 
cantare  é  piti  largamente  esposto. 
Florio  toma,  trova  insieme  il  padre 
e  la  madre,  ma  non  vede  la  fan- 
cinlla:  <  apprende  qnesto  cose,  si 
duole,  si  lamenta,  risponde  al  pro- 
prio padre....  (1)».  Nel  discorso  che 
segue  vediamo  come  già  egli  sappia 
che  la  uncinila  era  stata  vendala  e 
mandata  lontano.  Ma  in   qual   modo 


(1)  Vv.  1048-50.  Utteralmaate:  «  ap 
prende  queste  cose  Florio,  ai  duole  m 
cuore,  lamenta  dolorì  inaumeravoli,  ! 
duole  per  la  bella  ecc.  ecc.  >. 


l'ha  saputo!  Non  si   capisco.  La  re- 
^na,  che  altrove  ha  f-anta  parte,  qni 
non  apre  bocca  che  all'  ultimo  :  essa 
dà  al  figlio,  come  nelle  altre  versioni, 
r  anello  che   ha  la  vii-tù  di   salvare 
chi  l'abbia  ia   dito  dall'acqua,  dal 
ferro,  dal  fuoco.  Qua  e  là  perà  i  so- 
liti  strettissimi  accordi   col   cantare. 
€  Per  il  mondo  tutto,  dice  Florio,  de- 
sidero ,    voglio    ricercar    Eiancìflore, 
per  mezzo  regni  e  principati,  per  tutta 
Sai-acini'a,  per   città   e   luoghi    inco- 
gniti, notti    e   giorni,   finché   venga 
qaello  cLo  bramo,  tlnchò  la  ottenga: 
e  se  fallisco,  e  non  trovo  In  fanciulla, 
qui  più  non  vengo,  né  più  ritorno  ». 
Cosi'  nel  cantare: 
e  cercaragio  la  terra  elll  el  mare, 
con  tutta  quanta  la  Saracinia, 
e  giamal  non  credo  in  qua  toniare, 
b'ìo  non  ritruovo  la  speranza  mia; 
giamai  a  voi  io  non  rìtorneraggio, 
s'io  non  rivegio'l  suo  chiaro  Tisag{pa(iy. 

(t)  Poema  gr.  vv.   1065-70.   Letteral- 
mente: «  il  mondo  tutto  deiddero,  voglio 


1 

ì 


Àncom:  in  fondo  al  suo  [ii'cdiciizAn 
il  re  fa  al  6g:linolo  le  rac^comanda- 
tioni,  che  sono  pure  accennate  in 
questi  versi  del  testo  italiano: 

e  n  tutu  gente  donit  o  fn  Urgnnxo, 

ed  uaa  corteaTa  e  leanza  (1). 

n  poeta  greco  non  ha  dunque  ab- 
bandonata ni  tutto  la  solita  fonte. 
Proball  il  mente  egli  n'  ha  avuto  in- 
nanzi una  rodiLzione  manchevole;  in- 
fatti vediamo  che,  ad  eeempio,  nel 
codice  astiburnliiimiamo-luui'custiano , 
più  volte  citato,  nulla  è  dotto  della 
erezione  dei  sepolcro  (2).  Ma  ancho 
da  se  6  vorìsimilo  che  il  poeta  abbia 
soppresso,  accorciato,  oppure  amplifi- 
cato ed  aggiunto  (3),  osando  di  mo^;- 

riceroarla.  re  e    principi,   tutta    Sanci- 
nia  «e,  tee.  ».  Cwit.,  St.  91. 

fi)  St.  92.  lia  purta  qui  rioMunta  del 
poema  gv.  è  a' tv.  1040-1209. 

(2)  Vadi  del  cit  cod,  f,  33  v. 

(3)  Un'aggiunta  parrebbe  l'esortaxionn 
chfl  Fierio  fa  a'  cavalieri  ddlii  euu  t^eili.' 


370 

^iore  liberta  ohe  U   consnoto:  come   ' 
[>avo  puo  supporsi  ohe  il  manoscritto 
viennese  qui  presenti   una   Eìngolare 
alterazione  dell'  opera  originale. 

Il  romanzo  s^uigiiuolo  non  ii  menu 
remoto  dalla  Tersiono  più  comiute  e 
antica  (1),  Fiorio  torna,  e  non  vede 
la  fanciulla  uscirgli  incontro:  egli  per^ 
non  domanda  tosto  dì  lei.  Ne  chieda 
un  giorno  che  conversava  con  la  re- 
gina, la  quale  gli  rispondo  eh'  ora 
morta.  Fiorio  vuol  vederne  la  sepol- 
tura; ma  neppur  qui  s'era  provve- 
duto ad  ingannare  il  giovinetto  con 
io  apedicnte  della  tomba;  perciò  la 
regina,  impacciata,  non  ea  come  pii) 
nascondere  il  vero  al  Aglio,  e  ai  5ent« 
costret.ta  a  rivolargli  che  la  fanciulla 
era  stata  venduta.  Di  fra  i  mutamenti 
traspare,  come  si  vede,  la  redazione 
primitiva.  La  regina  non   ha  qui   la 


perchè  lo  seguaao  (w.  1182-1202),  Vedi 
partì  Filocolo,  I,  344-47, 
(I)  Ff.  19  r,  -  20  r. 


parte  modesta,  che  le  trovamino  bb- 
Begnata  nel  testo  ^eco:  essa  dA  al 
figlio  il  solito  anello  magico,  e  quei 
consigli  ancora,  elio  invoco  il  cantaro, 
il  Filacelo  ed  il  poema  greco  attri- 
buiscono al  re,  raccomandando  a  Fio- 
rio  di  essere  «  muy  humilde  et  libe- 
ral; j  qwe  hallen  en  ti  toda  geatileza 
et  cortesia,  et  assi  seras  amado  de 
todas  las  gentes  que  contigo  contra- 
taran  »  (1). 


(1)  La  regina  dice  pure,  congedando  il 
figlio:  <  ve  mucbo  en  baen  bora  con  la 
bendicìoQ  de  Mahomat  >.  Nel  caat.  : 

or  va,  che  Macometto  si  ti  Taglia 
(Si.  93}. 
Il  poeta  greco  pone  questa  parole  in 
bocca  al  re:  •  va,  figlio  mìo,  figlio,  colla 
mia  benedizione;  Maometto  in  te  sem- 
pre sia  ecc.  »  (tv.  1 134-35).  Nella  reda- 
Kiono  mod.  del  rom.  ap,  Fio  rio  chieda 
della  sua  amica  all'aia  di  lei.  che  Io  ri- 
manda al  maggiordomo:  costiu  stretto  da 
minaccia  del  giovinetto,  conraasa  di  aver 


r 

372 

Nella  storia  di  Rosatia  (1),   tr»  il 
ptì  6  la  regina  le   parti   s' invertono  : 
chi  vorrebbe  far  morire  la   fanciulla 
e  quest'  ultima,  mentre  il  re  n»  pro- 
pone la  vendita  a'  mercanti.  D  modo 
como"8i  stringe  il  mercato  è  press' & 
poco  lo   BtoBso  che   nel   cantare,  nel 
Fiiocolo  e  nel  poema  greco.  La  fan- 
cìnlla  è  pure  rlvonduta   a  Babilonia. 
Aulimento  toma  di  Parigi,  e,  infor- 
mato d'  ogni  cosa,  vuole  andarne  al- 
l' inchiesta  di  Rosana.  Un'  altra  remi- 
versione  drammatica,  ove  la  regina, 
por  trattenere  il  figlio,  gli  dice  cho 
Rtìsana  è  morta.  Presso  a  queste  so- 
miglianze fondamentali  troviamo  dif- 
ferenze non  lievi.  Nel  racconto,  ì  ge- 

vanduta  la  Maciulla  per  ordina  dal  re. 
La  ste»aa  notte  Florio  abbandona  fui-ti- 
Tamente  la  casa  paterna,  per  corrore  in 
IraKÓA  di  Biancicore. 

(1)  Racconto,  pp.  S5-18;  Rapp.,   pp. 
388-400. 

r 


I 


I 


:i7:i 

nitori  di  Aulimonto  sauna  delle  sua 
sofferenze  amoroeo  per  mezzo  di  una 
bella  francese,  che,  accesa  del  gioTÌ- 
netto,  ha  voluto  in  ([uesta  maniera 
vendicarsi  dello  sue  ostinate  ripulse. 
Qui  però  e'  ò  forse  un'  omln-a  dello 
versioni  meridionali  del  Fiario,  ove 
si  mostra  come  1'  eroe  abbia  resì- 
stito alla  insidie  dì  alti'e  donne.  Di- 
verso affatto  e  invece  il  modo,  per 
cui  Aulimento  può  sapore  cho  fu  ven- 
duta la  ianciulla:  un  amico  gliene 
manda  avviso  per  lettera.  Notevole  ó 
poi  la  prova,  a  cui  il  Soldano  di  Bn- 
bilonia  sottopone  le  donzelle,  ch'egli 
compera;  prova  dissimile  interamente 
da  quella  cho  vedremo  accennata  ne" 
racconti  su  Fiorio  ;  in  questa  storia  di 
Rosana,  egli  ne  conosco  la  verginità 
£acendole  bere  in  un  nappo  fatato,  da 
cui  il  vino  si  verserebbe  so  non  fos- 
sero pure  (1). 


(I)  Sul  nappo   fatato  efr.  Bajns,   Le 
Fonti  dell'  Ori.  Fur..  pp.  498  sgg. 


dA.  Ifa  dofc  eanfcen  «^  ] 

toni  Km  la  m:  «a  imi 


agli  aotU  ad  oa  a&erK»: 

masrigfiudo,  agU  h  Ma  rtrsn  i 

•  qaal- 

die  giorao  prima.  Fìurio  iaieoaiiiieia 
eoai  ad  avere  notizie  intorno  ratnies 
•Ita.  L' indoDuuii  rìproide  il  cainnuBO, 
«  csTalca  fino  ad  un  porto  di  mare: 
■moaU  sii  DD  «econdo  &Iber^  ;  andra 
qui  r  oatecea  l' infumta  che  Biaacifiore 
ara  panata  di  fresco.  Anzi  in  naato 
albergo  gli  si  dice  assai  più:  l'osto. 
BUigiaoto  0  Bdkonto,  ss,  a  quanto 
■ombra,  pprchfì  bisogna  spie^^v  a  fan* 
tosia  i  Bottiniesi  del  cantastorie,  che 
la  fanciulla  fa  trutta  a  Babilonia; 
quindi  egli  indirizza  il  giovinetto,  in 
codeatA  città,  al  nio  comparo   Dario 


I 


375 

eh'  era  puru  albergatore.  Fiorìo  lo 
colma  dì  doni;  poi  monta  aopra  nna 
nave,  0  bÌ  fa  condurrò  in  Egitto.  Ap- 
proda ad  Alessandria;  dì  qui,  senEa 
indugio,  cavalca  alla  volta  di  Babi- 
lonia, e,  giuntovi,  bì  reca  tosto  all'al- 
bergo di  Dario.  Finalmento  egli  sa 
dove  proprio  sia  la  sua  amica:  i  mer- 
canti l'avevano  rivenduta  all' ammi- 
raglio di  Babilonia,  in  cui  potere  ella 
ora  8Ì  trovava  (1). 

Pur  questa  parto  della  «arrazionn 
ci  mostra  chiaro  come  il  cantaro  sì 
avvicini  alle  vorsìoni  franceei  o  ger- 
maniche, e  eia  indipendente  dal  ro- 
mauzo  del  Boccaccio.  Ancbo  in  quellci 
Bono  ostesse  ed  osti  cho  danno  a  Fio- 
rio  buono  indicazioni  Bulla  via  fattJL 
da'  mercanti,  o  sul  destino  della  fan- 
ciulla; anche  in  quelle  6  l'episodio 
del  vino  rovesciato  da  Florio,  distrata 
tamente,  sul  desco,  di  cui  si  tuccù  iti- 
trovo  (2);   anche  in  quelle  il   nostro 

(1)  St  94-99, 

(2)  Vedi  sopra  pp.  tSl-05. 


il,  l  ft-.  pw.  1019  ^^  i 


a  «OD  tam  «w  fMfi  MBft»  n  fe.  f«. 


b  BOikaiB  te  «AU  pam  «I 


maaUm  aaCM*  *  pm  riniw  al  I  da'  da* 
IMI)  taKM  •  aOù  nd».,  ck«  al  IL 
Qni,  ^  WiMpfat  gfi  è  ftbtto  igMti  to 
■'■■Iw  cnallmKa  p»  FIowd  •  Dfagii. 
ah'4  rfiwfftt*  Mi  □  fr^  ••.  IMI  «X 


ineontriiiniu  difft'rona!  non  lievi,  senza 
cuntare  clie  la  rima  é  sempre  un  pal- 
lido e  magro  sunto  rispetto  le  reda- 
Eioni,  ricche,  vivido,  compìuffl,  alle 
quali  s'  ò  accennato  ;  ma  ò  innogabile, 
u  ogni  modo,  che  essa  riflette,  yisi- 
bilmente,  una  fonte  simile  a  quelle.  Si 
confronti  in  quella  vece  il  Filocolo. 
IiaBciamo  la  peregrinazione  di  Florio 
per  mezzo  l'Italia  fino  al  cuore  della 
Toscana,  la  sua  lunga  soató  a  Napoli, 
e  tutta  la  parte  allcgoricamento  au- 
tobiografica del  romanzo,  ove  il  Boo- 
cacoio  narra  di  sé  e  de'  suoi  amori 
per  Fiammetta  (1);  lasciamo,  dicevo, 
tutto  questo,  per  ripigliare  i  raffronti 
al  punto,  in  cui  Piorio  da  Napoli  ri- 
comincia r  inchiesta  di  Biaocifiore  (2). 
Notiamo  prima  di  tutto  che  nella  co- 

(1)  FU.,  II.  5-120.  Sopra  questa  bellis- 
tànta  parte  del  Filofolo  vedi  Zumbini,  op. 
cit,,  pp.  57-65;  CreMlnl)  Contributo  cit., 
pp.  73-82. 

(2)  FU.  li.  120  sgg, 


mnae  redazione,  qitandu  si  po&«  in  V 
per  cercarla,  Fìorio  non  ss  oro  sia 
Rtata  condotta  la  eoa  amica,  dò  che 
rende  più  ardua  e  insieme  più  Cant»- 
stica  e  intereesanta  l' aTTaitara.  Cosi 
é  pur  nel  canfAre  (1).  Net  IVoeolOt 
per  contrario,  giA  il  re  aveva  sagge- 
rito  al  figlio  di  cercare  i  lidi  d'AJes- 
eandria,  poiché  2  ijuclla  volta  aveano 
navigato  ì  mercanti  ;  e  gli  anticbi  dei 
pagani,  dei  quali,  peregrinando,  area 
trovato  un  rovinoEO  tempio,  negletto  in 
un  selvaggio  recesso,  e  a  cnì,  dopo 
tanto  oblio,  aveva  un  istante  ridonato 

(1)  Cfr.  n  poema  fr..  w.  1740-43:  Fio- 
rili chiede  al  padre  chi  Cassero  i  mercanti, 
che  avevano  comperata  Biancif. ,  e  dove 
l'aveuaro  condotta: 

<  Certei  >.  diat  lì  roie,  *  gè  ne  sai.  ■ 
Vedi  anche  Fleolt,  vv,  2584-91.  Nel  can- 
tare aall'alti-o  sa  dir  la.  regina  al  figlio, 
te  non  che  i  mercanti 

in  *ér  del  nostro  porto  la  menaro, 


I 


i  del  eulto,  gli  avoan  dato  re- 
sponso di  far  Tela  per  la  Sicilia,  as- 
Bicurando  che  ivi  avi'ebbe  raccolte 
novelle  della  sua  Bianciflord  (1).  L'i> 
stessa,  da  cui  Fiorio  ha  avute  le  pri- 
me notizie  intorno  la  fanciulla,  si  muta 
in  una  donna  noLilissima,  parente  a' 
mercanti  che  traevan  quella;  Beliaante 
in  BcUisano,  uno  do'  più  cospicui  cit- 
tadini di  Rodi,  amico  e  compagno  di 
armi  di  Ascalìone;  Dario  albergatore 
in  un  gentiluomo  d'Alessandria.  Bel- 
lisono  poi  non  si  sta  pago  all'  aver 
date  nuove  prezioso  sul  viaggio  e  la 
sorte  di  Biancifiore;  per  gli  obblighi 
antichi,  ch'egli  aveva  al  padre  di  lei, 
vuole  a  ogni  costo  aver  parte  nell'im- 
presa; perciò  lascia  Rodi  con  gli  o- 
spiti  suoi,  e,  seco  loro  presa  terra  ad 
Alessandria,  li  conduco  presso  l'inti- 
missimo  suo  Dario.  Del  resto,  1'  ordito 
è  quello  etesso  del  cantare,   al   quale 

(1)  FU..  I.,  350;  IL,  7.  Cfr.  nostro  Con- 
tributo, p,  73. 


f 


n  poema  groco  si  raccoste  qui  alla 
solita  font«.  Dissomiglt&nze  non  man- 


tanto  che  di  Beliicano  non  occorra  che 
un  solo  esempio,  nel  mglb.  II.  m.  107.11 
nome  Selisant,  applicato  a.  donna ,  ho 
incontrato  nelle  Nouc.  fran^.  rfu  XIll' 
aiiele,  ed.  Koland  et  d'Hérlcanlt^  p.  57. 
RiBcontri  al  caso  nostro  saranno  nel 
Cantrib.  alla  Si.  dell'  Ep.  e  del  Rom. 
medievale,  n.  VII,  del  Rajna  (vedilo  an- 
nunziato nella  Itomania ,  nura.  68),  ove 
b'  avranno  queste  forme  :  Braimanda  e 
Braimano  &  fronte  a  Braimant;  Ago- 
tanle  e  Affurano  di  contro  ad  AffotilanL 
Si  penai  anche  a  Triplani  e  7'risluno.  — 
Notisi  qui,  che  Florio  nel  Filocolo  fa  spac- 
cia all'ospite  Bna  di  Sicilia,  Sisife,  come 
fratello  di  Bianci&ore  (II.  129-30).  Goal  nel 
I  poema  fi-.,  nel  Heck  e  negli  altri  rac- 
conti aiSni,  Florio,  ci'eduto  dalla  moglie 
di  Dario ,  per  la  grande  somiglianza, 
fratello  di  Biaiicifioro,  procura  dapprima, 
non  ben  sicuro  della  fede  ile'  suoi  ospiti, 
di  paBure  per  tale:  tosto  però  confessa 
il  vero   (1.  fr.  t».  1526-37;  Fleok,   w. 


u 


(0-  -ftmt^  «*i  «Mài  «Ili»  -«MAk.  -m 


I 


gDuolu  poi  c'  è  uD  ricordo  tonue,  lon- 
tano tifilo  versioni  precedenti,  o  più 
di  quella  accolta  dal  cantastorie,  che 
delle  altre.  Florio  sosta  a  un  solo  al- 
Itorgo  :  qui  l' ostessa  gli  dà  conto  di 
Biancifiore,  ma  non  pei'ché  aia  stata 
colpita  dalla  somiglianza,  ch'era  fra 
lui  e  la  donzella.  Quindi  il  giovinetto 
per  mare  arriva  ad  Alessandria,  onde, 
senza  arrostarsi,  seguita  verso  Balii- 
lonia.  Pervenuto  in  questa  città,  smoa- 
ta  allo  case  di  Dario.  Nuli'  altro:  né 
r  episodio  del  vino  rovesciato  o  del 
bicchiere  infranto,  né,  por  via,  pili 
larghe  informazioni  sulla  meta  dei 
mercanti,  e  il  destino  di  Biancifiore. 
La  regina  già  avea  detto  al  figlio  che 
la  fanciulla  doveva  esser  tratta  ad 
Alessandria;  ma  perchè  Fiorio  s'af- 
frotti  inveoo  verso  Babilonia,  e  scon- 


Come  bI  spiega  che  all'  oste  sìa  al 
biato  il  titolo  di  re?  S'avverta  che 
vano  incceniiTO  È  detto  ^svoS^o^. 


ture  medievali,  presso  In  qunlo  sorse 
il  Cuiro,  elio  con  ossa,  pop  la  estrema 
vicinanza,  venne  ii  formare  quasi  una 
sola  immonsa  città  (1).  £  infatti  nella 


<1)  Forllls^r»  ffandhìtch  rf-n-  all^t 
Geogr.,  IT.  782-83;  Maspéro,  Bist.  a'i- 
eienne  da  peuplts  d'OnVut.'.  pi>.  21,  201. 
Cfr.  pui'o  Giornale  tU-gli  Brudili  t  Cu- 
rio«p,  I,  394,  468,  711;  II.  30.  80,  213, 
333;  ITI,  3^,  358.  Citerò  alcuni  luoghi, 
io  cui  Babilonia  e  Cuiro  sono  poste  in- 
eiemo:  Bisloria  Belli  sacri  di  Gnirllelino 
di  TlrOf  e<l.  Baailaa,  1561,  L.  XIX,  cnp, 
xnn,  p,  350  (  nella  troduz.  ital.  dì  Giu- 
seppe Oroloffij  Vanezia  1500,  p.  506); 
Uinirairea  à  lénualem  el  deseriptìonn  de 
la  Terre  SfiinU',  redìgis  en  frantavi  nux 
XI.'  XII.'  el  XIli:  si-Vles  publk's  par 
H,  Miehelant  et  G.  Raynaud  —  Socii'iù 
de  V  Orient  latin  —  Genùva  IttóS,  p.  174. 
Bernardi  de  Brcrdenbaeli,  Sanetarum 
pereffrìnalionum  in  monlein  Si/on ,  ad 
venenmduM  Chrhti  scpulehrum  ecc.  ere, 
{ DnunKO  ,  Glose.  m.  et  u  Lai.  ,  eJ. 
llutischel.  B.  V.  Babilonia  Aei/ipti);  1 
Vi,i,,(ii  di    ilio,   da  Sbindarlila,  edi^ 


,  n.  ir  m  SE. 


illitMKHtMM    d-  -té  dw  «t   3 


Ionia,   et    tandem   Chajrum  >,  Ditlam. , 

loc.  cit.  : 

O  luca  mia,  tu  che  mi  sproni  e  pungi 

Per  questa  strada,  diss'  io,  fammi  chiiiro, 

Che  terra  è  quella,  prima  che  la  giungi. 

Due  città  sono,  dime,  e  fan  riparo 

Soprii  r^uest' acqua,  e  quella  di    là  noma 

Babilonia,  l'altra  di  qua  il  Caro. 

E  l'unae  l'altra  aon  maggior  che  Roma. 

Qui  ó  il  rual  palagio  del  Soldano. 

Che  tutto  Egitto  signoreggia  6  doma. 

Notiamo  di  passatjv  i^he  sarà  da  Icg- 
gere  :  «  e  quella  di  là  nom'  ha  > ,  per 
rarti&cìo  ben  conosciuto  della  enrlisia 
a  cagion  della  rima.  L'altro  luogo  trar- 
remo dal  'olume  di  Viaggi  in  Teira 
Santa  ecc. .  e  proprio  da  quello,  che  de- 
scrisse Glarglo  Guwl,  pp.  287-88:  «Fra 
il  Cairo  (I  Babilonia  è  una  medaBÌma 
cosa,  che  quasi  nulla  vi  tramezza  se  non 
un  poco  di  terreno  sodo  e  disabitato,  non 
accEL^ato  ;  e  dove  più  e  dove  meno  il  det- 
to teri'eno  è  disabitato.  Havvì  luogo  dove 
ha  dalle  case  del  C^ro  a  quelle  di  Ba- 
bilonia, dove  una  balestrala  e  dove-  due. 


P.  in  tal  tiM^o  presso  che  ud  miglio 
corre  U  detto  Nilo  ftllalo  a  Babilonia. 
DftUa  |iurle  di  fuori  il  Caini  e  Batrìluata 
non  sono  murati,  e  suno  catuno  di  per 
sé  graDdimime  città:  tioniì  i-Iie  il  C«ira 
solo  sia  luogo  circa  di  X  miglia,  e  largo 
1  uno  luogo  per  l'altro  naam  V  migl 
Uuliilouia  è  laoga  circa  a  VI  miglia,  «4 
i*tà  quasi  come  uno  scudo,  lai'ga  dallo 
parti  del  Cairo,  o  isti-etta  e  appuntaU 
dall'altra  parte;  ed  è  larga  l'uiiu  luogo 
p«r  r  altro  quasi  tre  miglia,  sin-bò  in 
tutto  le  detta  città,  cbe  sono  una  mode- 
glia  e  larghe  quasi  Vili  miglia ....  B»- 
bilonla  è  la  città  antica,  d'ooile  fii  Fa- 
■■aone.  Il  Giuro  i  la  t«iTa  nuova  {atta  « 
odidcala  poi,  e  secondo  il  dii-e  quasi  di 
Lutti,  e  che  per  veduta  si  può  compran- 
dei-o  >.  Pur  nel  Cairo  d'oggi,  nel  quale 
si  sono  agglomerate  piii  città  vicine,  ri- 
mane vestigio  della  vecchia  Babilonia 
il  quartiere  di  ÌMxtul:  cosi  Laronne, 
Dict.  Univ.,  *.  y.  Coire. 

(1)  St.    101.    Al    Cairo   accenna  pare, 
come  giA  B  b  veduto,  il  i-omanxioro  apa- 


Fiurii)  unii  ]iriici'ilii  iiiù  in  lil  li'Alcu- 
KiTulriii:  pertanto  è  qui,  non  a  BiiLi- 
lonìa,  elio  si  svolge  la  ciktostrofn  del 
Filocoto.  Così  la  fanciulla  non  si  tro- 
vii  ul  Cairo,  ma  nella  torro  doU'A- 
rabo,  cho  raalmente  esisteva,  po<;o 
lungi  Oa  Alpssamiria{l);  e  il  signora, 
che  riia  in  suo  potere,  non  è,  come 
nel  cautaru,  net  poema  greco,  nel  i-o- 
mnnKo  spnffnuolo,  l'ammiraglio  nel 
aonso  pia  ampio  di  pignoro  supremo 
(il  cantasturio  lu  dico  anche  11  n? 
de'  Saracmi) ,  o ,  per  usare    una   o- 


gnnolo  {ff.  18  V.  a  20  v.).  Por  il  poema 
gr.  cfr.  V».  1S50,  1256-57,  1287-88! 


Cant.,  SI.  lOII; 

EU  in  Aliaanclrlii  sono 

e  Fiocio  cavalpfl  sui 

e  ì  BaballoniB  al  su 

(1)  Bibl.  Ambroaiana, 

F.  200  Inf.  Vodi  Fifur. 


ari  vati. 

I  Bogiornali  ixc. 
purtuknu  eeyii. 
,  328;  11.  111. 


I  al  C  S  r.  è  diUB  «  Im 


fior*  f  e«Hhk 

A  fV.  L,  3»-28;  IL.  137-^8.  Bfi»- 
tmaaste  icggen  Aknsadria  uno  4cgti 
ttinmingli  del  «uklBDa  <S  BalrilooU:  «adì 
ciL  Vioffj/i  <N  r«rra  5ini&i,  pp.  S4,  Iftl, 
?ir..  Or.  pmn  iM'ÀIUUr,  BeliOicm  it 
f  /h'JP"  eoe.  tni.  pàrthàt  Stejf  Paris 
1810.  pp.  I8S.  230.  —  Sopra  il  Bi^fi- 
(ralu  di  ammiraglio  {aj'àb,  amir,  princi|>o , 
ronuuidnale)  cfr.  Da  Caas«,  ■-  r.  .imir,  e 
Dlex.  Rli/m.   M'M».  I.  13.  ».   *    Almi- 


i'  indiponilunzit  della  rima  dal  ■■oraaii- 


rante.  —  Parrebbe  che  anche  per  mesaer 
Giovanni  il  signora  dell'  amniìi'aglio  di 
Aletanodrìa  dotasse  essere  il  Soldaao  im- 
peiiLnta  nella  Bubiloniu  egizia.  In  un  luo- 
go perù  (FU.,  L,  327-28)  l'ammifaglio 
esprime  il  proposito  dì  voler  procurare 
che  Binncifiore  diventosao  principale  fra 
le  mogli  del  suo  re,  e  cingesse  la  corona 
di  Semiramide.  Il  nostro  sorittore  dunque 
pensava  alla  Babilonia  aaiatica.  Ma  un 
noto  verso  danteeco,  relativo  alla  famosa 
regina  ilnf.  V.  60)  ; 
Tenne  la  terra  che  '1  soldan  corregge, 
ititerpretabi  ,  a  mio  avviso ,  erronen- 
nieule  ,  poterà  allettarlo  a  imaginiiru 
elw  Seniirauiido  avesse  retto  puiti  l' K- 
gitto  (cfr.  Boccaccio ,  Coni,  sopra  ia 
Comm.  di  Dante,  ed.  Moutier.  II.  23; 
BeneTenntl  de  Uainb.  do  Im. ,  Com. 
■tup.  D.  A.  Comoed.,  ed.  Lacaita,  I.,  107- 
99).  Si  può  anche  d'edere  eh'  egli  volesse 
i-iferirù  sotto  il  nome  di  Babilonia  al 
centro  aaiatico   della    potun/.a   islamitica. 


DivM.dw  te  rUmm»  tmm  a»  ala 
OM  ed*  I»  rio*  fi  itmiamièt  (••«. 
fL  «k.  0»  fihfb  mtr9  l'I  f  I  II  I  BTi» 
rwK.  BmÌIm.  ISfìOi  U  IT.  r.  Xlltt  p.  I-M; 
L.  VL  e.  L  p.  SOO:  0.  I 


adM  «(  G'^r.  £  r«fa>M>  ao^  aer.  T>. 
B«i«  UOl,  e.  MM  «BSi.  «  <.;  6.  B.  I. 
«■Ohm  4t  SsWe^nlx.  fìte.  mt  fa 
Ahuw  d^  Batyfat.  Aeai.  Rd*.  4m  Imet. 
•e  BdlM-Uttm.  M£&  d>  lia,  T.  «I. 
Pnisi  1808,  f.aSì.Twiaxim»atm0DiM. 
gtogtvfin  (^  aoatrk  £  ■pww  eko  Ta^ 
lieaBab£lMM  «n  nlTEsbatK.  e  mb  la 
coated«  en  Bag^M  <«L  rewù,  ISIl. 
e.  140  r-y  Ofipvs.  pih  M^plieeaeMa,  ■ 
psA  Mppei-m  eh»  >«*  bcik  «mcìaakiBa 
d' idee  riMa  Uipata  U  MS  pea^MQ  MI» 
BaUlMm  ^em  all'aUn  •aatm.  •  cte 
par  nw«o  ^  M  «««dato  £  www— 
tao  Beaiii  iiiiiilii .  06  At.  4'alm  pafte, 
gli  era  lacito ,  pcrdiè  mm  a*a«a  4ia«B 


:«i3 

ftjllcpa  i>er  c'iiì  i-lm  la  scpna  dogli 
ultimi  ovonli  della  cumtini'  l'avuta 
una  città  dell' Ejjitto. 

La  nuova  Biibilonin  non  oclìssù 
l'antica.  Questa  era,  ormai  tia  secoli, 
un  cumulo  di  gigant{<sdie  rovino  (l); 
ma  l' influsso  del  testo  biblico  o  lo 
tradiKionì  storiche,  come  pure  la  \e^ 
genda  formatasi    intoruo  i    casi    e  lo 


I 


cittA  iotendesse  alludere.  Del  reato,  che 
la  Babilonia  d'Egitto  esistesse,  il  Boec, 
sapeva  i^uanto  qualunque  suo  conterapo- 
rnneo:  cfr.  Decameron,  I,  3;  11.7;  Com. 
sopra  la  Comm.  di  D.,  I.  e.;  Genealogtae, 
ed.  Veneuia,  1511,  L.  II.,  cap.  XIX.  c. 
18  T.  Ad  essa  egli  accenna  certo  nello 
stesso  Filocolo,  IT.  151,  ove  al  castellano 
ilella  ton'e  dell'Arabo  Piorìo  finge  di 
essei-e  venula  ad  ammirare  la  bellezza  di 
quella,  noi  vi.tggiare  alla  volta  di  Babi- 

(1)  8aint«<Cn>Ix.  op.  cit,  p.  25,  Già  al 
V  scc.  dell'  era  cristiana  Babilonia,  ca- 
duta alffttto  in  rovina,  non  doveva  più 
essere  contata  fra  le  città  dell'  Orieulo. 


3M 

imprrae  di  AJ(9>8anilm  iaafeiloM>.  rai- 
MTu  a  mant^nieme  vivn  o  lumtAou 
la  ricordanza.  Accadilo  i>ui  cbe  neSiM 
(vmtroda,  sn  coi  er»  stata  sopcrba- 
monte  regina,  sì  st«»d«ss«ro  la  Awle 
o  la  signoria  di  Mjiomettu  :  Bagdait, 
la  Roma  dell'  Islam ,  la  città  dt!t  cn- 
Uffi,  fu  talora  confusa  con  BahiJo- 
iiìa  (1).  I-a  quale  pev  U  nuovo  pofwlo 
eletto,  per  Ì  cristiani,  B«guitA  a  esaere 
la  ^uida  e  il  centro  dt^la  fftlsa  cre- 
ileiiza,  come  era  stata  già  per  l'silticOt 
per  gli  Ebrei.  S'immagino  quindi  che 
essa  sorgesse  capitale   ili    uu    impero 


(1)  Cfr.  peaultima  nota.  Si  ciwdatte 
put«  cbo  Bagdad  fosso  stata  comtmtta  «o' 
ruderi  dì  Babilonia:  A,  Lasor  aTarea, 
op.  cit.  t.  V.  ISabylon;  FerrarlJ,  eìt,  Lex. 
Gfoffi-.,  a.  V,  Dabylon,  Bagdatum-,  Salat»- 
Crols.  op.  cit.,  p.  2»).  Si  seppo  tuttaTÌa 
fino  dal  medioevo  che  di  Bubiloaia  avan- 
zavano Boltunlo  le  rovine:  cri-,  per  ea 
IkneTenBtl  de  Bamb.  de  Imola,  op.  è 
1.  e.  ;  pome  anche  Sainte.CroIx.  op.  Hl. 


r  ^nnicliio,  nnzi  di  lutti)  it  mondo  uiiis- 
intiaano;  che  vi  tenesse  sua  sedo  iin 
potente  o  ricco  ammiraglio:  o  la  si 
onri6  di  quanto  favoloso  Tueraviglie 
■eppero  suggerire  alle  fantasie  doi 
poeti  occidentali  la  fama  della  sua 
prima  grandezza  od  i!  fulgore  dolla 
civiltà  araba  (1). 


(1)  Vedi  A.  Morel-Fatlo.  Rech.  sur  le 
texte  et  les  sources  du  Libro  de  AlejtaiL- 
dre;  Romania,  IV.  71.  Buli>;anx,  che  in 
un  notissimo  episodio  inserito  nella  Clian- 
son  de  Roland,  nppi-oda  in  Ispagna  a  soc- 
corso di  l'è  Marsilio,  ì:  detto  atntrail*  dì 
Babilonia  (vr.  2613  s^g.,  ed  Miiller).  Dal 
&tto  {lei'ò  ch'egli  sal|>a  da  AlessandHa 
(v.  2626),  si  potrebbe  credere  elle  la  sua 
Babilonia  fosse  Vegi%\&.  E  invero  si  vedo 
pure  in  un  alleo  poema,  nel  Foteo  di 
Candia,  quest'ultima  città  esser  sede  del- 
l'ammii-aglio  di  tutti  Ì  pagani  (0.  Paris, 
,  La  lift,  fi:  OH  moyen  uge ,  p.  70).  Ma 
neir  /fuori  de  Bordeaux  la  Babilonia,  al 
cui  amii-al  Carlomogno  manda,  appoi'Ia- 
toi-e  di  un  lerribilo  niawwggiu,  il  pi-ota- 


metto  cajw  il  pellt-^rinofTg'o  Ji  l'iurio 
nella  I  rodatìono  frunceso  e  nollo  af- 
flnl:  per  questa  iufatti,  Bagdad,  tm- 
muUtta  bizzari'amento  in  porlu  di  mu- 
re, non  Alcssundria,  é  la  città  n  cui 
siHU'ca  il  (fiovincttu,  mi  Enfrale  ba 
nomo  il  fiume,  che  coito  per  entro 
il  vei-ziere  dell' ammiraglio  (1). 

Cosi  poi  nell'  una  che  ueLl'  lUtrn  Ba> 
bilonia,  la  torre,  in  cui  Eia  chiusa  1'  e- 
roìna  del  racconto,  si  leva  tnirabil- 


{TOnÌBtB  (Anf,  PoéL  delaFr^  V.,  tv.  2315 
s^.),  parrebbe  posU  in  Aua,  8e  sorge  al 
<li  Ih  del  Mar  Rosso  rìspettu  alla  Fran- 
cia, e  se,  vìaggiaoilo  alla  volta  dt  can. 
l'eroe  tocca  pi-ima  GemMlonunp.  Ancbe 
nei  racconti  rraoceii  en  Alessandra,  Ba- 
bilonia è  seggetta  ad  un  amirat  IP,  !■•• 
yer,  Al^-x.  (e  Gr.  !.  SI;  II.  189-91). 

(1)  Herw^.  p.  47.  Par  il  nome  del 
fìunio  vedi  I  jiocma  Ir.  v.  1749;  FlMft, 
V.  4444.  Noi  II  poema  fr.,  di  lla^dad  non 


i 


3!>7 

mOHir    U'Ilil   I'    lufU',   al  O  gL'lcisailUTllc 

(juiuclala,  lindo  ci-esce  a  milto  duinii 
IK>r  Fioi'ìo  Ift  difflcolU  di  riavere  l'a- 
mica sua.  Questo  il  dato  camuuo  che 
i  diversi  rimaneggiatorì  hanno  svolto 
variamente  secondo  le  posse  della  lur 
fantasìa.  Porciù,  accanto  alla  descri- 
siione  iussurc^igiaut(>  che  della  città  e 
della  torre  offrono  i  poemi  migliori ,  il 
1  francese  e  1"  alt^tedesco,  corro  via 
povera  e  sciatta  quella  che  traccia 
frettolosamente  il  nostro  cantastorie, 
che  della  sua  miserin  ha  però  fidi 
cympa;fni  i!  jioeta  greco  ed  il  ruraaii- 
ziero  spa^uulo  (1).  Ben  altra  ala  ha 
r  infi'efpio  del  Boccaccio,  ma  anche  la 
sua  descrìziono  è  men  colorita  e  ricca 
elle  cjuella  dei  due  poeti  stranieri, 
dalla  quale  inoltro,  cìit  che  pii'i  im- 
porta a  noi,  si  mostra  indipendente. 


(1)  f  fr.,  TV.  1571  agg.i  Fleok,  w.  4170 
Hgg.;  poema  ingl.,  vv.  611  egg.;  Her»9. 
ib.  Caiit.,  St.  104-106;  poema  gr.,  w.  I2>tì 
igg.;  rorn.  ap,.  f.  21  r.  e  v. 


poiché  ancho  in  questo  punto  uic!Kt*>-r 
Giovanni  dovettu  avere  imuuixi  ttna 
fonte  slmili)  alia  nostra  rima  (1).  Cor- 
rono di  fhtto  tra  1"  una  o  l*  altra  ver- 
sione concordanzo  particolai'i  :  il  giai^ 
dino  fiorisce  al  Borumo  della  torre  (3); 
la  prava  della  virpnita  suoi  lArsi  ìm, 
mattina;  il  modo  di  essn  6  il  mcdo- 
8Ìmo  ne' due  raci'unti  (3);  le  donzello 

(1)  FU.  ir.  138-42. 

(2)  Cant-,  St.  105: 

E  disopra  la  torre  Ji  nno  gianlino; 
/■■|7,  ;  <  Neil»  Boromiti  dì  q«esU   Kure  i 

uno  dilettevole  giai-dino >  (140).  Cfr. 

(uvece  I  fi-.,  1721  sgg. 

(3)  Net  giardino  a  uda  fontana;  m 
quMta  à  leva  un  albero,  perenneni6at« 
venie  a  fiorito: 

qual  dona  vi  posase  dal  tnatjno, 
*opi'a  li  rade  ud  fior  se  l' t  puli;eUs, 
e  s' alla  foao  da  uomo  adopiiitn. 
quell'aqua  ì  a  man  tenente  è  intorbidata. 
PiLi  «  ....  qualora  l' ammiraglio  rool  far 
prova  della  verginità  d'idcuua   giovwM, 


■jii'i'liiiiso  Simo  O'iito  (1);  upii  twtln 
r'C);Lin  intorno  il  cnstelto  grosso  stuoli) 
d' armati.  Tuttavìa  la  fonlfl  usata  [nir 


I 


egli  Dell'ora  che  le  guance  dell' aaror» 
oomìnciano  a  divenir  vermìglie.  pi*eiiile 
la  eio^'ane,  In  quale  vmil  veJt're  se  è  pul- 
cella  o  ni),  e  menata  sotto  questo  atbei-u, 
e  quivi  per  piccolo  spazio  dimorando,  so 
questa  lì  pukella  le  cada  un  flore  aopi'a 
la  testa,  e  l'acqua  e  più  chiara  e  più 
bella  esce  de'  suoi  canali,  ma  ?e  questa 
forse  congiugnimentu  d' uomo  ha  cono- 
sciuto, l'acqua  ai  turba  e  il  fiore  non 
ca.]e  »(U1).  Neil  fr.,vv.  181 1-3-1,  quella 
che  mostra  la  virginità  è  Is  prova  sola  del- 
l'acqua:  la  caduta  del  fioi*e  serve  a  indi- 
rare,  tra  le  donzelTe  appare  vergini,  quale 
debba  essere  eletta  sposa  dell'  ammiraglio. 
Vedi  anche  Flcck,  vv.  -I4<'>8  sgg,;  poema 
ingl.  vv.  711  Bgg.;  HerKog.  p.  47. 

(1)  Questo  numero,  com'è  natui-alc. 
L  nello  redazioni  diverse:  jeplci'nf  sa- 
no le  fanciulle  nel  I  fr.,  1(173;  70  nel 
Fluk,  4181-8(1;  44  uel  poema  ingl.,  CióO- 
60.  Tanto  più  dunque  notevole  è  qui  IV- 
cordo  del  Cant.  e  del  l'M. 


MU  rfmt  m 
altra  imt  Tdnidw  i 

Mft  UHla  00»  ni  tfm  BMbÉ»  afe» 
il  amtagK,  fo*  fMola  ^  ■wiiiwi, 
non  iain  M  >HwaiK,    b  ^miém 

(I)  U    MUK    Jdbl   Bm    MM    ttHM 

4MM>  la  AammOr:  I  fr^  lAO-H,  UWIr^ifc 
fa.  tt.  Ì3k.  U  «MUM.  *  ■>!  wn»  *« 
«Ìw«m:  I  fr.  1781  :  /a.  Q.  Ma 

O)  Ad  po«n  sr-  per*  i 
•Db  pnw  d^'aotn*:  n 
ram-  «^  L  «,  ci  pwif«  (sJììIb  fMw 
uHw  twga»  alterata  ebu  md  CasL  • 
••I  FU.:  <  S  alaùnl  6m  «pa  nfc 
nMMM  ha  iIormIm  ^««  Btt  b  tOR* 
«taa  atJM  m  Sor  et  iMnete  «dHr  <m 
I»  (b«iU«:  7  w|N<11a  ^m  ••  <nt|n  d  »- 
Ifm  mU  cUfft:  rt  niw  I»  <■  d  ag**  lal» 
tnrfìa  ;  b«nwj«  tana  mbj;t«  ».  AmJm 
imI  fleck.  *.  *tìS,  r  x^m*  difÌMB  par> 
MlnacnU  hmm. 


V  anuuu'aglio  aduna  le  cento  donzelle, 
perchè  eran  parte  del  tributo,  che 
ogni  ilioci  aniii  doveva  pagare  al  suo 
signora,  il  re  di  Baliiloitin  (1);  in 
quello,  poiché  non  v'è  fatto  dipm- 
dore  dall'altrui  dizione,  egli  lo  rac- 
coglie i)  custodisco  per  sé,  come  nella 
comune  i>edaziaue  della  favola.  Dalla 
quale  però  il  cantastorie  si  stacca  nol- 
r  accennare  alla  sorto  delle  fanciulle. 
Egli  dico  che  l' ammiraglio  si  sollaz- 
zava con  eese,  ed  ogni  netto  ne  to- 
neva  una  in  braccio,  e  poi  la  mari- 
tava riccamente  (2):  mentre  le  altro 
versioni  lo  papprosentano  come  assai 
meno  umano,  facendogli  eleggere  di 
tra  quello  ogni  anno  la  sua  sposa,  che 
poi  ordinava  fosae  uccisa,  perchè  niun 
altro  avesse  una  donna,  che  gìk  fosso 
stata  sua  (3). 

(1)  FU.,  II,  137, 

(2)  St.  78. 

P)  Hern>9.  p.  47.  I  poema  fi',  w.  1707- 
U;  Flook.  vv.  4488  agtr.;  poema  in?!., 
vv.  070-83, 


inmlat*  Uanettaenia.  Che  i 
ima  ft  Piano  ftrpwantmek 

■[tlenitids  iirigioiie,  en 

tiuiM  Kw  onrcala  mu  tonta  i 

Qtwllii  iwl&  cho  Itarìo  gji  i 

«loT«'va  procararo  di  in^miàiminn   H  1 

crudele  o  suporbo  «ut^iUno  rfclla  torm   , 

ma  prìtaa  era  necessario  sfidare  ì!  pe-  1 

rÌPX>lo  (li  ctuK!re  iol-wo  a  mono  da  Ini   | 

neir  apltroMarni  all' edificio  (1). 

Tntto  avviene  secondo  l' accorUffiiiDo 
Dariu  uviiva  {Giurato,  poiché  I^orio  no 
■ofTuc  in  ogni  porle  il  consiglio.  NoUa 
divunui  redazioni  egli  non  pone  troppo 
Usm]>o  in  mozzo  a  metterlo  ad  effetto; 
anzi  nel  cantare,  come  noi  poema  greco 
«I  nel  romando  «pugnuolo,  monta  tosto 
a  cavallo,  e  s' nft'rctta  senz'altro  vei-so 
In  t«rm  (2).  Non  6  cosi  nel  Fiìocolo, 

~{l)  Herwgr'.  p.  -18.  FU.,  Il,  Mì-M- 
Uant.,  SI.  IOfl-7;  pooms  gr..  tv.  1350-61; 
rem.  «p..  t.  21  v. 

(■-')  Noi  1  [HHiroa  fi-..  T*.  193!  ees„  Fio- 
l'io  HttoD'le  Milo  il  iduIUdo  n|i|>resso.  Cosi 


< 


ove  luugametite  egli  stji  sospeso  fra 
(losidprio  o  tiraoTO,  e  non  g\ì  attenuu 
quest'  intimo  contrasto  se  non  il  ri- 
torno della  dolce  stafriuue,  elio  lia  la 
virtù  di  raccendopo  il  foco  amoroso  (1), 


neck,  VT.  491fl  sgg.  Vedi  Cani,  St.  108; 
poemn  gr.;  yv.  13'ì3-79;  l'ora,  sp  ,  t.  21  v. 
Nel  poema  gì'.  Fiorio  volge  il  discorso 
BJ  suoi  corapagai:  «  ascolta  queste  cose 
Fiorio ,  i  suoi  chiajna ,  i  suoi  signoi'i 
raduna,  sedettero  a  cousiglìo  >.  Ci6  non 
ha  riflcontr'o  ne!  cantare ,  ma  le  parole 
cheli  giovinetto  nvolge  a' signori,  aun 
poi  le  stosse  della  St.  108  del  Cnnt. 

(I)  Fi!.,  II.  144-49.  Qui  è  quel  solilo- 
quio di  Fiorio,  che  somiglia  all' in  tersa 
disputa  tra  Saggezza  e  Amore  adombrata 
nel  I  poeni.  fr.,  \v.  1382  sgg.,  e  nel  Fleok, 
YV.  3750  sgg.  Vedi  Zninbliil,  op.  cit.,  p 
19  n.  Lo  Zamblnl  stesso  avverte  pei-ò 
qualche  dissoniigUuiza  tra  il  luogo  ile' 
due  poeti  e  l' altro  del  Bocc.  S'  agi^iungn 
che  il  contrasto  non  b'  iosei'l  da  questo 
e  da  quelli  proprio  nello  stosso  punto  del 
racconto;  e  si  noti  ancora  che  simili  ten- 


Atm.lHM;  Jtt.  J»lKBh.3Sn;rat.-.• 


v«tolliMrvi^M»to•^kn 


.  U>  nel  Cut    rÙA  a 


iloglisi  uhi:!  t'oroco,  the  t'I'  "l'i  stuM 
dipinto;  ma  poi  sì  racqueta.  I  tosti 
francesi  o  germanici  altri  bui  a  co  ne 
V  ammansarsi  del  crudolo  un  pu'  a 
pietii  che  gU  desta  I'  aspetto  del- 
l' adolescente  bello  e  gonfilo  ,  un 
po'  a  certo  suo  calcolo  (l).  Dario  a- 
Tera  suggerito  a  Florio  di  a])prc8sarsi 
alla  torre  misurandola  a  guisa  d'ar- 
chitetto, e  di  rispondere,  ove  il  ca- 
stellano Io  avesse  infflrpellato,  ch'ora 
sua  idtenziune  erigerne  una  eguale 
ad  suo  paese:  a  udir  ciò,   ijuc;:!!  lo 


per  lubito  partito  preso  ila  Fiui'iu  di  se- 
guir tosto  il  conaiglio  di  Durio;  nel  P'ìl. 
invece,  quasi  sonxa  eh'  oì  lo  vo(;Ua.  Cn- 
valcando  non  lungi  cluUa  torre,  egli  gr-orgu 
ad  una  finestra  una  Sigurn  di  giovino 
donna:  iniagina  che  sia  Bianciftora,  u 
Henna  poter  più  contenni'sì,  ahbundona  lu 
redini  al  cavallo,  che  lo  trasporta  fin 
gotto  a  quella. 

(I)  I  fr.,  vv.  1B35  sgg,;  Il  fr.,  25C7 
«g.;  Fleck,  4930  sgg.  Cfr.  ìlenog.  p. 
51. 


dì  csUmndo,  e  €nia  pacar  neo*- 
gli  aeaoeU,  pw  aOeggcfitsli  a  proprio 
natMfgio  h  bona.  Coà  ^^nto  a» 
'eads:  Ù  rwtHlaan  *  in 
Thor  Florio  al  ^oeo  (1).  Ke'  i 
Bottri,  Dario  am  diràa  u  I 
lUU:  egli  STTcrts  Ab  H  < 
«  aTorÌMimo,  ed  ha  ifr^tatA  p 
per  il  (doco  de^t  scacchi  ;  die  qaiadì 
pobvbbe  t<niure  molto  gtorerate  a 
Florio  proSitani«  per  renirpll  in  gra- 
zia, e  aver  modo  di  gnadagnanene 
l'niatu,  gaziaoilo  la  ingorda  lirama 
d'oro,  che  lo  strD{:^«va;  ma  non  ad- 
dita la  maDiers  di  adescarlo  a  prò- 
liorre  il  giocu  (2).  Tuttavia  rimane 
qualche  trorcia  della  versione  pia  as- 
ticB  nel  cantare  e  nel  poema  freeo. 
Nemmeno  qui  Fiorio  si  reca  s  mìsn- 


(I)  Benor,  pp.  18.  51. 
(3)  CaoL,   Sl    106-7;  peonia  gr.,    rr. 
1350-01;  Fil..  11.  U3:  rom.  sp.  f  21  ». 


rw<?  la  torro  a  modo  d' infognerò  : 
iwro,  interrogato  ilal  castellano,  ri- 
Bpondo: 

.  .  .  .  i'  sono  d'oltre  'I  msre, 
che  veni  pei'  veiler  questo  castello, 
che  in  verità  un  alti'o  ne  vo'  far  fare 
a  questa  ramìglianza  o  cosi  bello  (I). 

Se  non  che  a'  nostri  pìfacltorì  è  giunta 
una  tradizione  imperfetta.  Perciò  alla 
lor  mente  non  ò  chiaro  che  il  mo- 
strarsi ricco,  fingendo  di  voler  ediS- 
care  una  torre  simile  a  quella  me- 
ravigliosa, che  k'ì  serpeva  avanti  gli 
occhi,  dovesse  bastare  a  Florio  jjer 
essere  risparmiato  dull' avidissimo  ca- 
stellano. Anzi  nel  romanzo  del  Itoc- 
caocio,  Florio  si  dice:  «  un  povero 
valletto  d'  oltramare  »  {'2).  Essi  per- 
tanto hau  biso^rno  di  attribuire  la  sal- 
vezza di  lui   a  quella  sua   fortunata 

(t)  St,  110,  Cfi-.  poonw  gi\  vv.    1307- 

1407. 
ii)  II..  151- 


t 


L'ftceordo  tru  lo  versioni  moridio- 
nali  contìnun  strottìssimo  pur  noli» 
acena  del  gioco:  FioHo  lascia  vinc«ro 
lo  ricche  poste  al  coatelluno,  o  gli 
prodiga  bisanti  anche  se  é  penlente, 
tanto  che  quegli  lo  invita  a  desinar 
soco  il  di  successivo,  nel  quale  il  j^Ìo- 
vinetto  così  sa  farlo  buo  da  potergli 
aprire  il  proprio  animo,  manifestargli 
il  desiilerio  di  vodere  Biancilìore,  e 
pregarlo  di  porgergli  aiuto  nella  ci- 
mentosa impresa  (1). 


Nel  poema  gr.  la  seconda  mgiotie,  il  ri- 
chiamo tisi  falno.  non  ai  accaiinii;  invece 
nel  Pom.  sp.,  f.  SI  v.,  à  U  aula  cIiq  Fiorio 
adduca. 

(1)  Cant.,  St.  111-118;  poema  gr..  vv. 
1425-1533;  FU..  Il-,  15S-61;  rora.  ap.,  f. 
22  r.  a  V.  Per  la  differenxa  tra  questi  e 
i  ra(!conti  rranceai  e  ^rmanici  vedi  Her» 
ngf  pp.  51,  63.  Qualche  lieve  disaumi- 
[{lianM  è  pur  tra  la  nostro  versioni:  nel 
rom.   s|). ,    ad  ea. ,   6  non  al  secondo,  ma 


Il  lìono,  che  Unisce  per  empirò  di 
meraviglia  e  dì  cumoioziono  ìl  caste- 
llino, in  muDÌera  <la  fare  cli'c^lì  si 
protesti  prontissimo  ad  ogni  servigio 
che  Fiorìo  esiga  in  ricambio,  è  qaello 
della  coppa,  comune  a  tutte  le  reda- 


fil  terao  giorno  che  Florio  osa  conAdani 

col  casti^Uano.  Nel  poema  gì-.,  Florio  iu- 
dace  il  ceatallano  a  giurare  di  serrirlo 
ia  ciò  che  gli  chieJa  (vv.  1489-95).  Par- 
rebbe che  qui  ci  fosse  aperta  s^gno  d' in- 
(lipendenaa,  oltre  ehe  dal  Filoeolo  (Her* 
EOeT;  p-  53),  anche  dal  cantare,  nel  quale, 
secondo  il  testo  da  noi  costituito,  di  giu- 
ramento del  castellano  non  si  parla.  Vedi 
però  nella  note  alla  St.  1 19,  come  la  va- 
riante del  V.  4.,  giurare  pur  ffìucart, 
spieghi  r  apparente  discordanza.  Ci  aona 
infatli  redtuiioni  del  cantare,  nelle  quali 
ai  riflette  la  più  comune  versione,  che  il 
castellano,  vinto  dagli  splendidi  presenU 
di  Florio,  gli  si  aia  giurato  uomo  ligio, 
prestandogli  omaggio  (Herxogf  p-  51  ;  1 
fr.,   1985  s^^r.,  e  cosi  le  rcdni^.  affini). 


zioni  (1).  Socondo  Irt  versiono  fonda- 
raentale.  In  coppa  d  quella  stessa  eho 
i  mercanti  avoaa  datu  al  l'è  compo- 
raniìo  Biancicore,  e  quegli  aveva  poi 
ceduta  al  figliuolo  nel  partirsi  di  co- 
stui per  r  inchiesta  amorosa.  <  For^o, 
avoa  detto  il  ro,  otterrai  poi-  essa  co- 
lei che  fu  per  essa  vemìuta  >  (2): 
ciù  che  realraentfi  avviene.  Ora,  meif- 
tre  nel  cantare,  nel  poema  ^Teco,  nel 
romanzo  spagnuolo  non  si  accenna  che 
la  coppa  sia  quella  medesima,  il  Fi- 
ìocoìo  riproduce  perfettamente  la  ver- 
sione migliore  e  fun<laineiitnLe  ('j). 
Questo  fatto  tanto  meglio  ci  assicura 
che  il  Boccaccio  ha  rimanet'j;;iata  una 


(1)  Henogr,  pp.  51.  53. 

(2)  [  fr.,  vv.  960-61. 

(3)  Cani,  St.  115;  poema  gr.,  vv.  U74- 
76;  rom.  sp.  f.  22  v.  Vedi  FU.,  II.,  156: 
«...  la  bellissima  coppa  e  grande  d'oro, 
la  (]UaIe  eoa  g'ii  altri  tesoli  Folice  re  ri- 
(covette  per  premio  della  giovane  Bianco, 
fiore  dugli  uueonici  mercatanti  .  .  ■  t. 


fniìtadiae,  od  aacfae  pegipo,  wcamlu 
voffliuno  Le  redaxioitj  fnateà  e  e«r- 
nuuitche,  il  poro  prestato  dì  sopirlo 
rumo  nio  uomo:  ilovera  c^  donquo 


(I)  Col.  per  M^  nel  Fil,  che  nelle  «1- 
ti-a  venloni  morì  dio  Bali ,  la  coppa,  che 
Kiurio  prosenU  al  cttstellaiiu.  è  colina  di 

lilwinti  o  d'nltru  moneta.  Cnnt.; 
'na  l>el1a  ropn  li  puose  ilaTanti, 
eh»  luta  ora  piena  il'  oi-o  e  bisaiiti; 

tSl.,:   «  ....  e  quella  pìona  ili  bisantì 

d'uro  .  .  .  >;  poema  gr.: 

Irtav  o'pftuìv  6}.ri_pwr([v.  fiiidTtfi  -ri  SsuxdTTv 
i-orn.   sp.:    •   *Dn  niuv  rifa   co|»i  ile  oro 
llcua  itv  rulibis  uilieiiM  .      .  >. 


4i;i 

slVirZfirsi  <i'ì  tcoviiru  in  qiml  iiui'ln 
potesse  rendergli  accresiljìli  lu  socreto 
stanze,  ovo  BJancìfiure  tanto  gelosa- 
mente era  custodita  (1).  Tutte  le 
redazioni  ci  offrono  <\m  lo  stesso  dato; 
Fiopio  può  raggiunpeve  In  donzella, 
cBseDtlo  nascosto,  per  arte  del  castol- 
lono,  in  un  corbello  di  fiorì.  Ma  questo 
dato  comune  svolgono  i  racconti  me- 
ridionali in  forma  affatto  ìdv  propria. 
£  la  poRqua  rosata,  giorno  della 
festa  de'   cavalieri   (2); 


(1)  Uerzoff,  p.  51.  Cant.,  St.  110; 
poema  gr.,  tv.  1534-48;  FU.  il.  161; 
rom.  8f..  f.  22  i, 

(3)  Vedi  sopra  p.  187,  n.  2.  Cant.. 
Si.   120: 

Domenica  si  è  pasqua  rosata, 
che  aerò,  festa  per  li  cavalieri. 
Poema  gr.,  vv.     ltCO-01  : 

»'  T)"  0T£CÌXt]  T(uv  xaptaXlapttiJv  • 

FiL,  II,    1C2:    «  ....  di    qui    a    pochi 
giorni  in  queslu  purti    ccluljra  una  fusta 


Ili 

confinino  l'uso,  fa  porre  innanzi  l'am- 
miraglio cestii  coline  di  rose:  <[um;Iì 
soleva  stenderci  le  mani,  pigliarne  ria 
ciascuna,  e  poi  presentare  le  ceste 
alle  donzello,  facendole  collare  alle 
(inestre  delia  torre  {!).  Fiorio  funa- 


graadissima,  1&  qaile  noi  chiamiamo  de' 
cavalieri  .  .  .  .  >  Rom.  sp.  f.  S3  r  :  <  al 
domingo  es  din  de  pascun  llorìda  :  y  en 
eata  tierra  todos  los  cauaUeros  et  d&inas 
iiquel  din  aalea  muj  ataniados  ....  » 
Su  pasqua    rosata  e  paseua  florida  cfi*. 
■opra  pp.   185,  196. 
(!)  Cant,,  ib.  : 
prìmiem  mente  è  mestìero  che  vada 
a  l' amiroglio  le  rose  e  panieri, 
e  dì  ciascuna  prende  una  giumella; 
poi  U  presenta  a  ciaacuma  dongela. 
Poema  gr.,  vv.  1568-73: 
Ti  dive»]  fàp  j-Jvfli^o'J^tv,  p«V5'JV  Ta  '<i  -zd  xofivvt 
Tov  ajujpav  toì  (p^pvo-jsiv  xai'^avouv  tix  op,ftpdq  Toa 
X  ex  TÓv  xa^Év  xo9fwioy  xt  sx  tà  xaC  èwa  pdiJc* 
ojraiov  xpEt«^T^  d  aprtipa?  va  nofpti  Stai  ipiXfav, 
5<«i  o'X',  i'ja  '7rop,EÌv3u5iv  vai  resp-i^i)  tsì;  f^vM». 
XTtTiXiJtràv  TfÌ4  >!i6ip,ti^,  oi? npénn  xai  olpit^Gt 


41S 

si:iH!|o  nel  iiunioi-e  [lìù  bollo  ,  che 
r  ani  miniai  io  comandò  fosse  offeq'to 
alla  prediletta  delle  fanciullo,  a  Bian- 
cifiure.  Con  tanto  desiderio  egli  caccii!) 
la  mano  per  mezzo  que'  fiori,  cho 
tirò  puro  i  capelli  del  giovinetto  che 
tÌ  stava  appiattato,  tremando, 

come  la  grua  ìstà  sotto  il  falcone. 

Per  sua  ventura  di  nulla  s'accorso 
r  ammiraglio,  cosi  che  la  cesta  i'u  col- 
lata  su   alla    toiTO  (1).   Ancho    pei- 


I   qaesto  pralo 


I 


FU..  II,  162  :  « 
davanti  la  torre  . 
nato  e  vestito  di  rnali  dra{ipi  con  gi'an- 
dissima  compagnia  viene,  e  di  ciascuna 
ceata  prende  rose  con  mano  a  suo  piacere, 
e  coel  com'  egli  comanda  cosi  poi  si  col- 
lane sopra  la  torre  .  .  .  .  > 

(1)  Cani,  St.  122-23;  poema  gr.    w. 
1587-99;  FU.,  Il,  166.  Cant.: 

. . .  come  la  graa,  istà  sotto  il  falcone, 

si  stava  Florio  queto  e  dubitoso  ; 

apreseatato  fue  a  l' amiraglio  ; 

or  ben  si  mise  Fiorì  it  gran  travaglio. 


4)HBto  iMUtieofare  ik-U'(«Mr  la  oau 
coBala,  e  MB  portata  a  qMdle  tfwo^ 


umn  dalle  altre  (1). 


E  ]'  ^miraglio  pme  in  veribula 
<klle  rosa  a  de'  fior,  eh'  erui  DorelU. 
e  •!  ne  prese  per  tal  Tolontade, 
che  a  Fìorìo  Uro  di  anoi  capelli, 
«  io  non  Torei  per  aoa  gran  «tade 
eaerti  istato  li  dove  fu  elli  .  .  . 
FU.:  <  Sadoe  torto  quella   (cesta).  iIoto 
Filocolo  timido,  come  U  gru  «otto  ÌI  Ed- 
cone,  o  Li  coloraba  eotto  il  rapace  apar- 
viera,  dimorsTa  gli    porta  da*aiiti  .... 
....  Mise  allora  1'  ammiraglio  le  mani 
ia  quella,  e  pensaodo  a  Bisucofiore  a  cui 
mandar  l:i  doveva,  tanto  aflettuo«aiaent« 
di  quelle  prese,  eh'  e'  Mondi  capelli  seco 
tii-ò.  ma  noQ  gli  vide.  Quale  allora  lu 
paura  di  Filocolo  foue  io  noi  crederei  sa- 
pai-fl  né  potrei  dire;  p«rò   chi  ha   punta 
il'  ingegno  il  pensi.  Egli  fu  qua»   che 
passetto  agi'  immortali  aocoli  .  .  .  .  > 

(l)Cnnl..SLl21;poemagr.Tv.  1615-10; 
FU..  Il,  166;  rom.  «p.,  (.  23  »,  Poi-  queaUi 


417 
Fiorio  dunque  aaie,  sale  tirato  su 
alla  toire:  ormai  è  presso  all'amica 
sua;  impadente,  spoii^o  il  capo  dalle 
rose  credendo  che  fosso  Bianciflore  la 
donzella  chiamata  a  collare  la  costa. 
Era  invece  un'altra,  che  all'apparire 
inatteso  dì  quel  capo  umano,  mise  per 
paura  un  acuto  grido  :  accorsero  lo 
compagne;  ma  quella,  supplicata  da 
Florio,  per  subita  intuizione  immagi- 
nando eh'  ei  fosse  l' amante  di  Bian- 
cifiorc,  di  cui  essa  era  ancella  e  con- 
Sdente,  1*  aveva  gìA  rapidissimamente 
ricoperto  di  fiori  ;  onde  allo  accorse, 
con  pietosa  menzogna,  risposo  che 
quel  grido  le  aveva  strappato  un  uc- 


ed  altre  discordanze  delle  uosti-e  verdoni 
dalla  francesi  e  germaniche,  cfr.  Herzo?, 
pp.  51-5S,  56.  Anche  in  una  nota  romani:» 
neerl&ndese,  Voti  Floris  *ti  Blanchefieiir, 
Fiorio  à,  coma  nei  nostri  racconti,  tirato 
su  (lolla  finoatra  :  cfr.  Da  Hérll ,  p. 
slv.  n.  2;  OlSpar;,  /'  poetna  di  F.  n  t!.. 
pp.  2-3. 


Cellino,    che,    fngg^onda    repente   dal 
cesto,  le  avea  dato  nel  petto  (1). 


(1)  CuiL  St  124-26:  poema  gr.,  TT. 
1617-41  ;  FU.,  H^  I66-fl7.  Dai  nostri 
racconti  parrebbe  che  Floris  eporgone 
il  capo  nel  salire,  qnand'  era  ancora  a 
mezi'arìa  (cfr.  aache  [nii  «opra  p.  66): 
ciò  inatti  rappreeeotA,  come  vedremo,  la 
vignetta,  di  coi  è  fregiata  parte  delle 
stampe  del  cantare. 

E  Fiorio  nella  ciesta  fae  colato 
aa  a  la  torre  da  ana  finestra. 
Colorìeo  istava  aparechiata, 
0  per  tor  quelle  rose  fne  richesta  ; 
a  Fiorio  n  pensò  che  fosse  nn' altra: 
bUIì  mostrò  lo  viso  colla  tasta  : 
e  quando  vide  si  bella  craatara, 
quella  dongella  n'ebe  gran  panra. 
Poema  gr.:  <  .  .  .  .  ana  donzella  .... 

pronta  stava  a  tirar  bq  le  roso « 

Floiio  era  dentro  il  corbello;  lo  hanno 
tirato  su  le  ancelle  della  finestra:  parvo 
dunque  a  Florio  che  fosse  Blania£ora  ; 
solleva  la  sua  Usta,  ai  mostrò  la  sna 
bccU Lo  vede,  e  si  meisviglìA 


Chi  era  costei  ?  U  nomo  che  lo  at- 
tribuiscono le  redazioni  francesi  e  ger- 

r  ancella  dalla  finestra,  strillò  dal  cuore, 
grid»  come  poterà  ....  »  FU.:  «... 
Filocalo  quasi  atordilo  della  paura  non 
intese  chi  chiamata  sì  fotse,  ma  ferma- 
mente si  credette  da  Biancofiore  essere 
ricevuto:  perchò  egli  già  aGlorizIa  vicino, 
desideroso  di  veder  Biancofiore,  si  scopei-se 
il  viso:  la  qiiiU  cosa,  quando  Glorila  il 
vide,  non  riconoscendolo,  aubito  gitUi  un 
grandiaBimo  strido  .  . .  .  >  Net  rom.  sp., 
f.  23  V.,  invece  Gloriata  ha  già  «  aca- 
bado  de  subir  el  cueuano  >  :  ponendo 
le  mani  tra  i  fiori  toccA  la  testa  del 
giovinetto  (come  nelle  altre  versioni  me- 
ridionali vedemmo  cb'  è  accaduto  all'  am- 
mirajflio),  e  per  questori  sbigottì,  e  gettò 
un  grido.  Anch'essa  finge  alle  compagna 
accorse  di  essersi  impaurita  perchè  «  nn 
raysenor  ....  aalio  et  diome  ea  loe 
pechOB  ....  »  (CsJit:  ■  no    ucelletto 

che  mi  die  nel  petto  •).  Ben  più  gn»- 

noaamente  e  naturalmente  nelle  redazioni 
francesi  e  germaniche,  t  portatori,  per 
errore,  ami  che  io  quella  dì  Btancifìore, 


420 
munictic,  e  ciucilo  di  Claris  (1).  Nutl.i 
eopia  magliitbMhiuna  del  nostro  can- 
tare è  detta    Coh'i'so,    formn  che  ci 
riconduce   a    Cloriso,    Cloris   (2).  In 


depongono  il  corbello  nella  stanza  dì 
un'altra  donzella,  di  Ctarìa  Costai  e'ap- 
preua,  tutti  allegra,  a'  bei  fiori:  ÌI  no- 
stro eroe  imagioa  che  aia  la  sua  amica, 
balza  desioso  del  cesto:  Hrpresa,  spavento, 
grido  di  Claria.  Alla  compagne  accorae 
essa  dice  che  volò  da'  fiori  non  nn  uc- 
celletto, ma  una  farfalla  (1  fr..  vf.  20fi3 
Bgg.;  n  fr.,  VT.  2766  sgg.  ;  poema  ingl.. 
V».  8Sr  8gg.  ;  Hflrxog,  p.  &2).  Nel  FlMk, 
vv.  ?&ìì  agg.,  la  bndulla  a  sbigottifm, 
ma  non  grida  (nibt  Idte  ei-Bchré,  5633), 
per  la  pronte»»  del  fine  Bccorgimanu, 
indovinando  subitamente  che  il  giovinetto 
comparaole  d'improvviso  fosse  l' antico 
della  eua  Bìancifiore  (  SnndnuGhcr,  op. 
cit,  pp.  31-33). 

(1)  Heraos,  p  5S. 

(3)  Vedi  nostri  Due  Studi  cìt,  p,  19, 
n.  1.  Coioriso  da  Cloriso,  per  l'incomo- 
'liljt  alla  pronuncia  toscana  del  nesso  e/. 


due  altri  innnospritfi  (il  Parip.  1095, 
0  r  aaliburnham.-laur.)  abbiamo  Glo- 
ritia  e  GroUcia  ;  in  buon  numero 
di  stampo  Gloria  ;  nel  romanzo  boc- 
caccesco Gloritia,  Glorisia  :  nel  ro- 
manzo apa^nuolo  Glorisia.  Da  questo 
forme  si  risale  a  Gloris,  che  real- 
mente s' incontra  in  ano  dei  mano- 
scritti   del   I  poema  firancese  (1).  S<* 


che  ai  tolse  con  una  frequentisània  inser- 
zione eufonica:  ciò  che  tanto  meglio  ri 
prova  come  doìesse  esaere  già  popolare 
la  noetra  novella  quandu  fu  copiata  noi 
co<).  inglb.  Clorieo  pai  da  Claris,  come 
Parino  da  Puri*  (  Calx ,  Orig.  Lintjtta 
poel.  il.,  p.  194),  senza  riguardo  al  geo 
nere  diverso. 

(I)  È  il  ma.  già  fatto  conoscere  dal 
Bekker  f  rontra^isegnato  con  A  dal  Dn 
Mèrli.  Cfr  Semmer,  op,  eit,  pp,  XXl, 
•AZi,  a.  al  v.  5630;  Dn  Mèrli»  pp.  Ixviij 
(correggi  lixviij),  87,  n.  1.  Ciaecnno  in- 
tende che  la  foi'ma  Glorttia,  Qlorista, 
n  cui  evidentemente  si  riconduce  pure 
Grolicia,  è  la  riduzione  n  desnenza  ita:- 


1 


il  cantare  fosso  stato  estratto  dal  Fi- 
hcolo  non  s'avrebbe  in  esso  ciio  l'n- 


liana  o  spagnnoU  dì  Otoris,  come  sa- 
rebbe Clarissa  da  Claris.  A  Gloria  m  é 
certo  venuti  per  Glori(s),  che  ai  ai» 
pronunciato  non  più  oaàbiiueaiDiMil«, 
alla  francese,  ma  Glori,  cui  ra  a^^nnae, 
a  ni»do  italiano,  la  desinenza  -a.  Cfr.  CalXy 
op.  Q  I.  e.  Nel  poema  gr.  il  noma 
della  donzella  è  diverso:  IHjreyrp,  (w. 
1617,  1631,  ie35),  da  leggere  Bfchfl. 
U  GUel,  op.  lit.,  p.  247,  n.  l,  arri- 
srhierebbe  la  congettura  che  s"  avinu 
qni  il  rìHeGso  di  un  nome  francoae  : 
CéciU;  ma  il  nesso  |in  rlaponde  a  b, 
non  a  e  (cfr.  anche  Htaskneehtj  op. 
dt.,  p.  47.  n.  5  ),  Forse  il  poetA  greco 
ebb«  innanzi  uno  dei  tMti  del  cantare, 
in  cai  il  QOiae  deli'  ancella  è  omasao. 
QneaU)  vediamo,  per  es.,  nel  ms.  parìg. 
1069  (cfr.  note  alla  St.  124),  che  an- 
che altrove  ci  ha  oflerto  qualche  speciale 
rapporto  col  poema  gr.  Si  potrebbe  quindi 
supporre  che  il  poeta  Bvease  introdotto 
da  ìA  il  nome  lUne^^iiX,  che  non  corrì- 
«ponde  a  Clarix,   Ctoris,   Glort's,   Colarìaa 


-123 

nica  riduzione  Qlorìtia;  non  lo  altro 
ilue,  Q}loriso  e  Gloria,  Anche  da 
questa  osserv aziono  dunque  risulta 
chiarissima  l' indipendenza  della  rima 
dal  testo  del  Boccaccio.  Dal  quale  essa 
discorda  più  nettamento  ancora  ne! 
far  comparire  la  sua  Coloriso  solo 
all'  ultimo  del  racconto,  in  perfetta 
rispondenza  alle  redazioni  francesi  o 
germaniche,  come  pui'o  alla  greca  ed 
alla  spagnuola;  mentre  Glorizia  del 
Filocolo  è  giiì  una  vecchia  nostra 
conoscenza.  S' è  infatti  veduto  eh'  ella 
era  l' ancella  preililetta  di  Topazia, 
dalle  cui  braccia,  poco  prima  che 
questa  morisse,  aveva  raccolta  la  neo- 
nata BianciUore  ,  che  poi  era  stata  da 
lei  amata  e  vigilata  con  cuore  materno. 
Per  comando  di  re  Felice,  allorchÈ 
i  mercanti  l' avean  tratta  seco,  ella 
aveva  seguita  la  fanciulla,  dalla  quale 


ecc.  ecc.,  poiché  sappiamo  eh'  ei  qou 
reetrìnse  a  riprodurre  nudamente  la  a 
fonte,  ma  lu  rimaneggiò  e  amplificò. 


425 

molto  simile  alla  rima,  e  1'  ha  rifog- 
giato a  modo  suo,  procurando  di  ac- 
costarlo, quanto  potesse,  al  tipo  claE- 
gico  della  anus,  della  nutrice,  cha 
i  poeti  anticlii  rappresentano  custode, 
consigliera  ,  confidente  dello  donne 
giovani  (I). 

Né  cessa  qui  l' indipendenza  del 
cantaro  dal  Filocolo,  ma  continua  ad 
apparire  manifestissima  nella  parte 
rimanente  del  racconto.  Cosi  vcdiam 
tosto  che  in  tutte  le  Tereioni  Claria 
b'  affretta  ad  annunciai-e  a  Biancicore 
che  l'amico  suo  è  penetrato  nel  ca- 
stello, cha  è  poco  lungi  da  lei  :  Bian- 
cicore dapprima  è  incredula,  e  imma- 
gina che  Claris  voglia  gabbarla;  ma 
lH>i  sì  lascia  condur  nella  stanza,  ove 
Florio  la  attendeva  trepidante  r  al  ve- 


(1)  Dal  raslo,  tipi  simili,  la  ontiico , 
la  maitresse  duùgne,  b'  incontrano  pui-e 
nella  poesia  romanzesca  medisTule:  pec' 
w.,  Hiat.  titt.  de  la  Fr.,  XXH.  7B8,  784  ; 
Bart§eh,  Chrest.  fr.*,  165,  35  sg^g. 


[ 

m 

doi-si,  i  due  amanti  si  precipitano  l'nno 
nelle  braccia  dell'  altra.  La  rima,  comò 
il  poema   greco   ed  il    romanzo  epa- 
gnuolo.    gì    conforma    alla    redazione 
comune  (1);  il  Filocolo  so  ne  stacca 
atfatto.  La  Glorizia  del  Boccaccio  pre- 
para   altrimenti    l' incontro   de'    due 
Rovani  :    essa   procura  alla  fanciulla 
la  sorpresa  dì   troTarsi  nella  nott«  il 
ano  Florio  sognato  tra  le  braccia  (2). 
In  cambio  pertanto  della  scena,  che 
ci  offrono   le  altre   redazioni,  uè  ab- 
biamo una  tutta  propria  del  Boccaccio, 
assai    probabilmente    introdotta    allo 
scopo  di  rammentare  a  Fiammetta  il 
notturno  ardimento,   per    cui  mosser 
Giovanni  aveva  potuto  conquistarsi  i 
lavori  della  bellissima  donna;  abbiamo, 
a  dire  altrimenti,  una  scena,  che  in  altri 
luoghi  del  nostro  autoro  troviamo  nn- 

1 

(1)  mrtog,  p.  m.  CaQt.,St.  126-128; 
poema  gr..  v».  1612-85;  lom.  *p .  ff.  23 
V.  24  r. 

(2)  FU.,  II,. 107-85. 

Cora  aecennuta  o  descritta,  ocì  ha  l'orsu 
valore  di  documento  autobiografico  (1), 


(1)  Nel  Filocoìo  stesso  {epÌBodio  d' IJa- 
lagoi),  tteiW A.meto,  neWAmorosa  Visione, 
□ella  Fiaminella.  Cfr.  nostro  Contì'ibuto, 
pp.  80-82, 131  u,  2, 140  n.  1.  Vedi  tuttavia 
una  scena  simile  nel  Lancelot  du  Lae.  (P. 
P*rl«,  Les  liom.  de  la  T.  fi.,  IV'  32).  — 
Seguita  però  ad  easorcì  qualche  notevole 
incontro  fra  il  Cant.  e  il  Filoeoto.  lìianci- 
flore  dice  in  queat'  ultimo,  pp.  169-70,  che 
quel  giorno  medesimo,  in  cui  Florio  era 
penetrato  nella  torre,  essa  e  il  suo  amiro 
eran  nati.  Cosi  nel  Cant.  l' incontro  toro 
avviene  quel  di  stesso  dì  PaaijDa  rosata,  nel 
quale  s'è  giù  veduto  eh' eran  venuti  al 
mondo.  Rem.  sp.,  f.  23  v.  :*....  tal  dia 
corno  este  oaBcinios  lus  dos  ....  *  —  Si 
noti,  d'altra  parte,  che  pur  qui  il  FU.  offi-e 
un  particolare,  che  concorre  a  persuaderci 
piìt  sempre  che  il  Bocc,  abbia  conosciuta 
una  fonte  piii  ampia  della  rima.  Nel  1 
poema  fr.,  tv.  2037-40,  per  conaiglio  del 
cascellaDo,  Florio,  dovendo  uaacon  1)01*91 
nel  corbello  di  rose,  9Ì  veste  dì   rosso: 


tn  Fiotw  «  la  iaagéU  BiasofioM 

Ooaè,  an  la  l«»nU  solita,  Q  can- 
tastorie: aà  pi&  dtfftasUDente  Ìl  poeta 
greco,  qnaai  sempre  suo  fido  seguace, 
e  il  ntoMBÓare  spagnnolo  (1).  Mag- 
gior pieiwas  ha  qui  pare  la  narra- 
rne boccaccesca,  al  pari  che  quella 
del  I  troTOTo  francese   e   del  Flock, 


Cosi  Del  FU.  n,  ni,  183,  rosata  d.  quel 

giorno,  la  Teste  sua. 
(I)  Poema  gf.  (tv.  1680-85): 
rdt  pdSoi  rd  euYsvtx^,  Tei  SpoaopMptajUvx 
Ei^  Èv  xXiu^iv  é|j.vruaTOv,  ^utòv,  J^otYpaftopevov, 
n/xpaSia^^aw,  xiR'povTat.  cipixTonepiiUi^iJiciuouv, 
(òaitep  xtffuti^  Eli;  xd  SevBptìv.  otlt*)?  irEpiEiriacx'nxi 
Y'-uxo^iXouw  'evìlSowa,  xt  e^XXiìXoi?  «cr/oXouvToii  ■ 
e'xìi  ycip  TTÌv  e'Yv(i)piff£v  d  *Xtupioq  Tiìv  xdptv, 
xai  |iBTsi  Tto'flou  Tou  «oXio'j  EitXiipuKjaw  tÌu  £pta. 

Rolli,  sp.,  r.  24  r. 


420 

ma  giova  notare  che  il  Boccaccio  nu» 
imita  questo  rodazioni  (I).  Q  Flock., 
distinguendo  nettamente  l'amore  ca- 
valleresco dall'  amore  volgare ,  dietro 
i  concetti  del  tempo  suo,  avrerttìche 
Fiorìo  e  Bianciflore  tntto  seppero  le 
dolcezze  amorose,  tranne  quel  gioco, 
che  solo  piace  al  villano,  il  quale  por 
nuli*  altro  ama  la  sua  donna  che  por 
giacerai  con  lei  (2).  Noi  Filocoìo  in- 


(1)  I  poema  fr..  tt.  2195  Bg«.;FlHk, 
rv.  6091  Kgg.x  FU.,  U,  161-82.  U  doc 
versioni  ctraniere  non  differiscono  dal 
FU.  e  dalle  altre  redaz.  marìdionali  «ol- 
taalo  nella  «Oflanza,  ma  pur  n«Ua  forma 
del  racoonto.  chi  in  cae  Intlo  quaslo  e- 
piaodio,  in  eoi  Fiorìo  penetra  dentro  la 
torre,  è  di  ona  leggiadrìa  iquiaita  (Zb»> 
U>Ì,  p.  53). 

(i)  Vv.  6090-103.  Vedi  anche  piìi 
•Tanti  TV.  7836-40.  Anche  wA  1  [MMua 
fr..  TT.  ÌS37-38: 

Flwei  lì  biava  H.  Blanoedor 

Etti  n 


Selì'  altro    poMBa    tr..    a    ■gnanto    («re. 
e  ai  tmufi»  <*r.  2937-38). 


430 

vnpft  si  congiunse  il  fino  amore  al 
modo  stesso,  che  nelle  altre  Terrionì 
meridionali  ;  se  non  che  il  Booo«oeio, 
per  snlvaro  1'  on««tà  degli  eroi,  fk  cbn 
prima  celebrino  il  rito  sponsalisio  io- 
nanzi  un  simulacro  di  Cupido,  secondo 
la  forma  usata  noi  medioevo,  con  T  a- 
neUo  dato  dallo  sposo  alla    eposa  (1^ 

La  felicita  de'  riconginntì  amanti 
dura  poco,  che  l' ammiraglio  scopre  i  1 
loro  secreto  idillio. 

Due  a  dae  le  donzelle  erano  scelte 
dall'  ammiraglio  a  scrrirto  il  mat- 
tino, quand'  egli  si  levava.  Vien  la 
volta  della  coppia  prȓiktta,  Biand- 
floi-o  e  Clai'ice.  Costei  più  lesta  della 


(1}  Fertile,  St.  del  Dir.  ital.,  IO.  853 

mgg.  Di  quL'sta  forma  di  eponaali  a'  incon- 
trano frequenti  esempi  ne"  racconti  iJel 
medioevo  :  per  non  diBcoetarsi  dal  Boc- 
caccio, cfr,  Dtcamtì-an,  V  4  ;  X  8.  — 
Nel  reni,  sp.,  BiancìAore  non  si  conceda 
a  Fiori»  se  non  dopo  ch'agli  ba  gìurau) 
di  volerti  far  cristiano. 


compagnH,  che  i 

gione  di  non  esser  troppo  ft-ettolosa  , 
la  avverte  eh'  è  tempo  di  scendere 
nella  camera  del  aif^ore.  «  Va  pure  », 
le  rispondo  sonnacchiosa  Biancitìore; 
«  tosto  verrò  anch'  io  »:  ma  invoco  si 
l'iaddonnenta,  e  non  compai'isce  in- 
nanzi r  ammiraglio.  La  huona  Clai'ice 
procura  scusarla;  «  Signore,  merco! 
tutta  notte  lesse  nel  suo  libro,  pre- 
gando che  in  gioia  possiate  vivere,  sì 
che  a  pena  dormì  :  all'  alha  si  ridesta. 
—  È  ciò  vero,  Clarice?  —  Si,  o  Bi- 
fferò; ò  vero  »,  fa  olla  —  «  Ben 
(love  amarraj  colei  che  vuole  io  ahbla 
lunga  vita».  Intenerito  r  ammiraglio, 
s'acconcia  a  far  sonm,  pei'  quel  matti- 
no, della  adorata  fanciulla,  che  fra 
un  mcso  contava  sposare;  e  concede 
ai  lasci  dormire.  Se  non  che  il  prc- 
fflsto  vale  un  giorno:  ma  l'altro? 
L'indomani  Clarice  chiama  dolcemente 
r  amica,  cho  risponde  come  il  di  in- 
nanzi, mii  come  il  di  ìnoanzì  rico- 
minciano baci  ed  abbracci ,   e  gli  a- 


433 
isfanm;  &  aprirò  la  tineatra,  il  solo  si 
i  versa  entro,  o  illumina  i  due  dorraenti, 
I  BbH}ttt  insieme   bocca  n  bocca,  faccia 
\  a  faccia.  Freme  il  re  di  gelosia:  pa- 
reva una  fanciulla  la  persona  giacente 
con  Biancifloi'e  ;  perciò  è  bisogno  che 
il  camerlengo  scopra  ì  petti  di  ambe- 

»due,  perché  la  verità  aia  paloso.  Y*ro- 
rompo  r  ira  dell'  ammiraglio:  vorrebbe 
tosto  ucciderli  entnunbi  in  un  punto  : 
poi  s'  avvisa  altrimenti  :  saprà  chi  sia 
colui,  ([uindi  li  ucciderà.  Destansi  i 
giovani  :  ahimó,  la  spada  ignuda  [)endo 
sul  loro  capo!  Tutto  inUiniloao,  o  ve- 
dono che  Bon  por  morire.  *  Chi  sei 
tuì  »  —  grida  l' ammiraglio  —  *  per 
tutti  gli  dei  che  adoro,  oggi,  vorgo- 

Pgnoaamente,  morrete  ambedue  >.  Pian- 
gono i  miseri,  a  bì  guardano  pie- 
tosamente ,  e  Florio  rispondo  :  «  io 
sou  r  amico  suo,  ella  la  mia  amica  : 
r  ho  trovata  alfine,  dopo  averla  tanto 
lungamente  cercata  ».  Egli  domanda 
_  cho  r  ammiraglio  non  tosto  li  uccida, 
I  ma  conceda  che  di  loro  eia  fatto  gin- 


dizio  iiL'lIa  sDft  corte,  innuuù  la  sua 
gentfi.  L'aminira^lio  li  &  legare,  e  bea 
custodire  ;  indi  li  fa  giudicare  da'  suoi 
baroni ,  che  li  condannano  al  rogo. 
Tale  il  racconto  nelle  redazioni  mi- 
gliori (1).  Nel  cantare,  nel  poema 
greco,  nel  romanzo  Bpagnaolo  se  no 
ritrova  conio  una  tradizione  impop- 
fetta,  un'eco  lontana.  L'ammiraglio 
fa  chiamare  a  sé  Biancicore;  la  fld« 
ancella  di  coatti  risponde  che  la  ùia- 
ctuUa  A  malata,  o  non  puO  levarsi  di 
letto.  Dolente,  il  signore  s'affretta  a 
ealire  alla  torre  per  vederla,  e  con- 
fortarla: così  g:li  accade  di  8orprend«« 
i  due  giovani,  mentre  dormivano  nodi 
e  abbracciati.  Trae  la  spada  per  notti- 
derli;  ma  tosto  pì  ponte:  perciò  li  ri- 
copre e  li  lascia  stare.  Anche  qui  e?!: 


(1)  HerioR,   pp 

Jr.  non  s'accorda 


58-59.  Il  II  poenu 
in  tntlo  nemman  qui 
oni  affini:  fedi  Her* 


I 


4^ 

rivolge  a'  suoi  bai-oni,  dai  <]i]nli  i 
duo  amanti  sono  santonziati  al  fuoco  (1). 
II  racconto  del  Boccaccio  è  diverso. 
Ij'  ammiraglio,  pieno  di  melanconia, 
80  ne  viono  alla  torre  per  ti-ovsr 
conforto  nel  dolco  aspetto  della  bel- 
lezza di  Bianciflore  :  60  non  clic,  salito 
alla  camera  doUa  fanciulla,  da  cui 
poco  prima  Glorizìa  era  uscita,  Bcrran- 
dola  di   fuori,  Bcopro  i   due  giovani 


(I)  Cant,  St.  129-132;  i<oenm  gr., 
*».  1686-1748;  rom.  ap,,  f.  24  r.  o  v. 
Il  rom.  Hp,  non  è  eoa)  simile  al  cant. 
come  il  poema  gr.  L'ammiraglio,  al  ve- 
dere  i  due  giovani  insieme,  non  trae  la 
epada;  ma  esco  tosUi  dalla  cameriL  poi- 
sapere  chi  mai  fosse  (juet  gallone,  e  come 
fosse  entralo  colà.  Gli  dicono  ch'era 
un  cavaliere  spagnuolo,  e  che  la  madre 
sua,  dotta  delle  eette  arti,  aveva  saputo 
farlo  enti-ar  nella  torre.  L' ammiraglio 
fu  chiudere  in  carcere  oscuro  gli  amanti, 
e  non  pronunzia  la  condanna  so  non  dopo 
eh'  à  passata  la  pasqua.  Di  consiglio  di 
baroni  nessun  cenno. 


rT^iH| 

436 
f^tacenti  insieme.  Susina  la  spiula,  ma 
Venere,   p-xAaà   iii   mezzo,    ri<»vtì  il 
colpo  sopra  di  sé,  e  salva  i  suoi  devoti. 
L' ammiraglio  quindi  muta  [leiisluni  : 
«38Cfl  dalla  camera  suiiza  dmtare  gli 
amanti;  ma  non  raccoglie  i   baroni: 
comanda  piuttosto  c^e  sien  te^U,  e, 
cosi  nudi,  calali  dalla  finoslra,  iwr  cui 
Florio  ora  già  aalìto,  e   sìen   lonuti 
sospesi  a   mezz' ai-ia,   finchù  noi  sno 
animo   duri   il   dubbio   a   qual  pena 
debbano  essere  condannati.  Si  decide 
alfine  a  giudicarli  al  rogo  (1). 

Qui  pure  è  chiaro  cho  il  Boccaccio 
non  ha  attinto  ai  poemi   francesi,  o 
L'he,  d' alti-a  parte,  il  esulare  È  indì- 
liendento  dal    Filocolo,   il   quale  perù 
l'i  riflette  una  fonte  men  lontana  da 
qtie^,  che  da  quelli  (S). 

(1)  m,  II,  185-88. 

(2)  Ci  stono   tMti    del  c^nt.,   in  cui  si 
dico  come  nel  F>7..  che  l'ammiroeliw  fo' 
ealare  i  due  giovani  in  Urrà  dal  pataxìo 
(note  alla  St  133). 

Ecco  i  iiustrì  amanti  tratti  al  sup- 
[iliziu.  Piangono,  non  ciascnno  per  sé, 
ma  [ter  dolore  cUe  1*  altro  debba  mo- 
i-iro  a  co^on  suo.  Florio  si  rammenta 
che  r  anello  datogli  dalla  madre  ha 
la  TÌrtù  dì  rendere  innocui  1'  acqua, 
il  ferro,  il  fuoco,  e  lo  offre  a  Bianci- 
fioro;  ma  la  fanciulla  non  \'uole  sai- 
varo  se  per  lasciar  perire  Fiorìo  h-a 
le  fiaramo.  Cumo  potrebbe  infatti  un 
solo  anello  camjiai'll  tuttedue?  I  rau- 
conli  meridionali  risolvono  questa  dif- 
ficolta in  modo  ch'é  affatto  lor  proprio. 
Noi  I  testo  francese  a  ìa  quelli ,  che 
più  gli  sì  apprciisano,  i  nostri  ornanti 
riHulano  a  gara  1'  anello ,  appunUi 
perchè  avrebbe  procurato  lo  scampo 
d'uno  solo  di  essi:  cosi  non  1Ì  sulva 
alcuna  virtù  soprannaturale,  ma  la 
stessa  forza  del  loro  amaro,  che  inilucu 
i  nemici  olla  pietà  ed  al  perdono  (1). 


(1)  Henoff,  p.  59.  e 
(|UeBt*  op.  nel  Giom.  al.  della  leti,  il.,  IV, 
247.  Il   11   poema  fr.  sì   stacca    intera- 


^ 


Invece  secondo  la  versioni  nordlclie,  l'a- 
nollu  può  salvuro  ambedue  gli  ninonti. 
L' ammiraglio  chiede  a  Fiopio  so  nella  1 
turro  gelusamonte  gn&nlata,  egli  sia  pe- 
netrato per  arti  negro  manticlle:  Fiopio 
nega,  e  racconta  veracemente  come   ■ 
gli  sia  riuscito  di  raggiun^ro  la  sua 
Biancicore,   Confermano  la  Bua  narra-   , 
£ÌOQe  la  fanciulla  stessa  e  il  guardiano 
della   torre  ;   ma,   non   pago   di   ciò, 
V  eroe  giovinetto  s'  oflVe  ili   provami   i 
la  verità  col  mezzo   del  duelly.  Vin- 
cendo, avrebbe  riguadagnata  per  sem- 
pre r  amica  sua,   o   la  libertà  ;   pu- 
dendo,   con   Biaocìfiore   e  col  guar- 
diano   sarebbe    perito.    Ecco   dunque 
die  l'anello,  salvando  Fiorio,  col  pi-o- 
curargU  magicaraent^  vittoria,  salva 
indii-ettamente  anello  Bìancifioro  (II. 


mente  a  questo  punto  daUi>  altre  rernoni: 
Henog,  p.  ^3.  0  mio  ecritlo  ciL ,  p.  247 


(1)  Herzo?,  pp-  06-70;  mio  sci-itW  cit.. 
[jp,  248-49, 


.t3U 
i  nostre  abbiamu  pura 
■  la  scena,  in  cui  vogliono  i  duo  giovani 
morire  e  sacrificarsi  r  uno  per  l'altro; 
ma,  dopo  il  contrasto  pietosa,  possono 
profittare  insieme  dell'anello,  abbrau- 
ciandosi  in  guisa  che  ad  ambo  i  corpi 
se  ne  stenda  la  virtù  benigna  (1). 

Il  Filocolo  però  non  va  in  tutto 
d'accordo  con  le  altre  nostre  redazioni, 
poichù  il  Boccaccio  non  s' accontenta 
do'  mozzi  otTertigli  dalla  leggenda  por 
lo  scampo  degli  eroi  :  egli  si  giova  di 
esempi  romanseschi,  in  cui  dannati 
ingiustamente  al  fuoco  sono  salvati 
non  per  magiche  virtù,  né  per  com- 
passione destata  ne'  condannatori,  ma 
per  quei  soliti  meravigliosi  cdIjiì  di 
spada,  che  i  formidabili  cavalieri  dei 
vecchi  racconti  sapevano  menare  (2). 


(1)  Cani,  St  133-133;  poema  gr.,  v 
1749-1803;  FU.,  II,,  188-214;  ram.  si 
e.  24  1.--25  r.  Vedi  cit.  mio.  scritto. 


(2)  Rajntt,   Foni'*  dell' Or/.  Fur.,  [ip. 


r 

440 
Qui  pura  sono  raccolti  iiisieuio  i  tre 
elementi,  da'  iiuali  usci  il  Filocolo  :  il 
«iato  della  leggemia,  l' imitazione  clos- 

adolesconli,  secondo  vuole  la  commiu 
redazÌDDo  moridionalo,  prot^ggonei  dal- 
lo fiamme  con  l' anello,  che  eatcìule  la 
sna  azione  ad  ambedue  i  loro  cori'l 

pari  salvarsi  dal  fumo,  che  lì  avvol- 
ge. Cobi  il  Boccaccio  lascia  qualche  po' 
da  fare  a'prediletti  suoi  numi  pagani,           . 
che,  invocati,  intervengono  ad  assiste- 
re anche  questa  volta  Fiorio  e  Bian- 
cifiore.  Venere   li   difende  dui  fumo; 
Marte   eccita   alla  loro  liberaziono  i 
compagni   di  Fiorio,   dio  a  colpi   ili 
spada,  e  più  per  1'  opera  del  dio,  rie- 
scono  a   salvare   i   due   giovani  (1). 
Concorrono    iiertanto   a   camparli    ìe 
virtù  cospìrauli  dell'  anello,  de'  numi 
e  dolio   armi.   Qui   dunque  manca  1» 

(1)  FU.,    II.,    100-211.    Cfr.    rit,    mìo 
scrino,  p.  24C. 

bella  scena  del  cantare,  in  cui  la  sorte 
de'  giovinetti  amanti  eccita  ìntorou 
tanta  «ouiDiiaoi-aziono  da  fai-  che  aolga 
all'  ammiraglio  un  coro  alto  di  voci, 
supplicanti  che  sia  br  concessa  grazia. 

latrali bendue  iitavano  abraciatì 
quando  furoD  mesi  in  lo  foco  ardente: 
la  vertii  dall'anello  gli  à  acanpati, 
che  '1  fuoco  non  gli  s'apresa  aleuta; 
ed  eran  tanto  bianchi  e  Uiiicati, 
che  Éicieano  pianger  tuta  genlu: 
ulora  ai  levò  uo  grido  e  un  romorL': 
air,  perdonata  a  lor  per  nostra  amore. 

Il  figlio  stesso  dell'  ammiraglio  ag- 
giunge la  propria  alla  preghiera  co- 
mune, e  i  giovinetti  son  tratti  dal 
rogo,  non  per  furore  dì  armi  libera- 
trici e  meraviglia  di  prodigi  celesti, 
ma  per  la  inanità  pietà,  che  destano. 
Chiusa  questa,  che  ò  certo  bene  ac- 
concia alla  favola  gentile,  e  ci  fa  ri- 
pensare a  quella  delle  redazioni  mi- 
gliori ,  di    cui    pare    un    rlllesso,  pei' 


3 


fiuaoto  pallido  o  iiidipotto  (1).  ( 
accado  cho  pur  sul  finirò  si  riconfer- 
mi quella  indipendenza  dol  canlAro 
dal  i-omanzo  boecacceBco,  della  quolR 
Biamu  Tenuti  via  via  notando  le  più 
sicuro  prove.  Tuttavia  è  Bcmpre  ila 
erodere  cho  la  versione  rifiitbi  dal 
Boccaccio  fosso  molto  vicina  al  rac- 
conto del  cantastorie,  percliè  tosto 
rispuntano  fra  il  romanzo  o  il  poe- 
metto le  solito  particolari  Gomi^liaiuc. 
Florio,  por  esempio,  interrogato  dal- 
l' ammiraglio  corno  gli  sia  riuscito  di 
penetrare  nella  torre,  atTerma  nel  can- 
tare: 

....  la  mia  madre  sa  delle  sette  arti, 
e  per  suo  seuoo  i"  venui  in  queste  porti. 

E  noi  Fiìocolo  :  < ammae- 
strato dagl'  ingegni   della  mia  roadra 

,  a  cui  gì'  iddìi  ciò  che  seppe 

Medea  lianno  dato  a  sapere,  in  quella 
forma  che  Giove  con  Loda  ebbe  pia- 


(1)  HerMs,  p.  OU. 


I 
I 


oovoli  congiugnimenti,  mi  mutai  o  in 

quella  torru  vulaì (l)  ».  Coet 

pure  è  comune  all'uno  e  all'  altro  rac- 
conto italiano  la  agniziono ,  per  cui 
r  araminij^lio  e  Florio  si  riconoscono 
paranti  (2). 

Quanto  poi  a'  rapporti  del  cantare 
con  il  poema  greco,  sono  qui  olla  fino 
gii  stoasi  elio  vcdenirao  continuamente 
nel  coi'80  ili  questi  ralTroiiti.  Né,  In 
fondo,  diversa  da  quoUa  del  cantasto- 
rie d  a  questo  luogo  la  nurraztoiio 
del  romanziere  spaguuolo  (3). 


1)  Cant.,  St  138;  FU.,  li.,  218. 

(2)  Cant.,  St.  139;  FU.,  Il-,  219. 

(3)  Vedi  del  poema  gv.  e  del  rom.  sp. 
U.  ce.  Nel  poema  gl'eco  non  è  il  figlio 
dell'ammiraglio  che  levi  con  quella  degli 
altri  b  voce  sua  in  favore  de* giovani, 
ma  «  un  cavaliora  .  .  .  nobile,  valoi'OBo 
ecc.  *  (v.  1789).  Non  t,  questa  pei-ò  una 
variante  che  bì  debba  al  poeta  greco,  o 
a  fonte  diversa  dal  cantare,  perchè  lu 
troviamo  pure  in  taluni  testi  di  queat'ul- 


Giocosi  t  issi  me  nozze,  cclobratfl  nella 
coite  Etessa  iIqU'  aiii miraglio,  cUiadoiin 


tìmo,  fra  i  quali  ì  due  rou.  parìgìiii  e 
l' nshbnrnbam.  laurex.  (vedi  note  alla  SL 
138).  Anche  qui  Fìorio  attribuisce  alia 
scìenxa  materna  l'aver  potuto  raggiuu- 
gere  Biuncirioi'e  :  *  mia  madre  ù  Sloeo- 
SessfL  Dell'arte;  l'arte  della  fllosoHu  co- 
nosce e  posmede;  e  con  l' arte  e  la  sapien- 
za della  mia  madre  venni  e  giunsi  den- 
tro a  quBBtu  torre  *  (tv.  1814-17).  Il  poeta 
greco  fa  qui  come  sempre:  allatta,  Ar- 
ricchisco, adorna  la  rapida  e  sempUcti 
oarnuione  del  cantafitorie:  <  . .  .  tengono 
l'anello,  bouo  gettati  eutro  il  Tuoco  da' 
sei'genti  ;  ma  apparve  l' azione  dell*  anello; 
fug^  il  fuoco,  si  spense,  resta  iacfficacc; 
la  fiamma  apparve  rugiada  dall'  Onnipo- 
tente; —  piccoli  e  grandi  hanno  gridato 
e  pregano  Dio  onnipotente  ,  il  grande 
che  tutto  comanda;  —  dentro  il  ftioco 
stavano,  splendevano  come  la  luun;  la 
fanciulla  e  Florio  come  le  stelle  splen- 
dide ecc.  ecc.  >  (vv.  17T7-85),  —  Nel 
rom.  sp     i    due   nmnnti    nou   sono   li-alti 


■luesta  vaga  sfeiria  d' anioi-e.  Nelle  vei-- 
sioai  laoridìoiiali  le   foste  sono  anche 


dal  fuoco  tanto  per  la  pietà  che  inapii'ano, 
quanto  perchè  parve  all'  ammiraglio  od 
agli  altri  presenti  che  in  quel  portento 
dalla  loro  incolumità  tra  le  fiamme,  fosse 

•  algun  gran  raiaterio  de  dios  >.  Fiorio 
non  dice  di  esser  capitato  colà  per  la 
scienza  magica  della  madre,  perchè  di 
ciò,  come  vedemmo,  l'ammiraglio  aveva 
già  inteao  dira  precedentemente  (f.  24  v.]: 

*  . . . .  dìseroii  que  voa  madre  que  tenia 
labin  laa  siete  artca  y  que  ella  le  auia 
metido  alli  ».  Di  riconoscimento  di  pa- 
rentela tra  r  ammiraglio  e  Florio  il  ro- 
manziere Hp.  non  fa  cenno  alcuno.  —  Ab- 
biamo già  detto  che  nulle  reda:.  mod, 
del  rora.  ap.  i'  ultima  fuse  del  racconto 
il  indipendente  dalla  solita  tradizione. 
Florea  ottiene  di  essere  ammesso  come 
paggio  al  servizio  del  viceré  d' Egitto , 
che.  prende  ad  amarlo  singolarmente ,  e 
persino  lo  conduce  seco  nel  serraglio  a, 
visitare  BlancaHor  malata.  S'avvia  cosi  una 
■ecreta  corrispondenza  fra  i  due  amanti, 
che  riescono  a  fuggire, 


1 

più  liete,  perchè   non  lo  tarba,  w9^^^| 
nello  alti-e,  l' annuncio,   psrvonuto  a     ^| 
Fiorìo,  della  morte   di   re  Folico  (1).       ^| 
Ma  ì  novellatori  non  bì  formano  alle-       H 
nozzo  di    Fiorio   e   Bianoifìoro  ;   ess\       ^M 
compiono   anche    meglio   il   racconto       ^M 
aggiungendo  che  Fiorio  a"  ó  fatto  cri-       H 
el.lano  inmemo  a  tutto  il  popolo  suo,       ^M 
0  che  regnò  e   visse  felici  ssimamonto       H 
con  la   sua   donna  :  anzi  il  Flcck  sa      H 
perfino  cho  egli  morì  nel  giorno,  noi-      H 
r  ora ,  in   cui   pur  Biancilloré,  o  elio      ^M 
con   ossa  ,    sicoomo   la  vita    intera ,       ^ 
oblio  comune  anche  il  gopolcro  (2). 

E  Fiorio  ritornò  di  qua  da  maiv. 
nd  arivò  nella  rlolcio  Towsna, 
e  andò  in  lapangnia,  e  Tucìe  batcgiar^ 
lo  re  Felìcìe  o  la  modi-a  {lagaDm 

L 

(1)  Hersos,  pp.  W  (alk  redM..  qui  Cl- 
luto  aggiungi  il  poema  inglese.  v\.  l2Sft 

«gg.).  64, 

(2)  Flcck,  TV.  7890-95;  o  p.  S  n.  l 
di  questo  studio, 

e  tutta  la  lor  genie  fé  tornai-e 
a  la  fede  catolica  o  cristiana; 
poi  di  Roma  fa  eletto  inparadore: 
piit  di  cieato  anni  iatb  con  Biancifioi'it. 

È  cosi  che  finisce  il  cantare,  e,  diotni 
Itti  esso,  il  poema  greco  (1),  Nel  Fi- 
locolo a  nel  romanzo  spagnuolo  b'  ar- 
riva alla  conclusione  stessa,  ossia  alla 
convoi-siono  dì  Fiorio  al  cattuticìsmo, 
al  Euo  elevamento  al  trono,  che  perù, 


(1)  Vt.  1851-69.  Di  questi  versi  basl«ifi 
riprodnr  gli  ultimi: 

rivincati  Si  TTÌ<;  X''P*5>  tt^?  liSovrf^  ixtivr^ 

-'TTTi'^ovTai.  '/pt^Tiava'  y'votto»  ittipvjjtxit, 
.■■■'■:  ndq  Ì5(5<;  tii?  Z(iip«4  tot.  fuxp^  Tt  stai  p^Y^^'* 
li:  Tn'mv  Ti^w  xsOoXtxilv  'Pco)uif<tw  ^;43S^wv. 
x'  ti  'PùSjti]  SiaJtóY*'^"  'PwjMi'oii  BoailiiTV. 

rrl'J  KpE7^'JTip3t■.»  ICfl-lV  [Ti]  'P<lj|inv  Ti  Ttill  |U';''AV'' 

it  %ì  ^MT»  TtwT«  ttm^to^  ■  '««^wv  d  vias  - 


448 

si  aggiunga  jiur  quest'alti^  |>rova  MI» 
indipeii'loiiza  della  rima  dal  fitocoh. 
non  6  per  ti  Boccaocio  quello  il« 
Cdaar!  :  ù  da  ultimo  all'  aeccnno  inaiti 
olla  Innga  e  venturosa  vita,  che^  dopo 
tanti  a&nnt,  godettero  i  noitri  amanti: 
ma  non  ci  s'arriva  cosi  presto  come 
nelle  due  altro  redazioni  meridionali. 
D  Boccaccio  non  si  limita  mai,  come 
sappiamo,  a  nude  e  rapide  indicauoni; 
sopra  o^i  puBto  del  racconto  egli  ri 
indugia  a  lungo,  moltiplicando  cireo- 
Btanzo  e  personaggi,  tntto  determi- 
nando analiticamente.  Cosi,  anche  por 
(([testa  parte  conclusiva  del  romanzo, 
vediamo  come  ad  una  sola  Staoxa, 
r  ultima,  del  cantaro  currisponda  tolto 
il  quinto  libro  del  Filocolo. 

Florio  rimane  oaplt«  dell'ammira- 
glio dieci  mosi  :  al  venire  della  pri^ 
mavora,  la  stagione  dei  fiorì,  dei  canti 
o  dei  pensieri  gentili,  risente  vivo  U 
desiderio  della  patria  lontana  ;  perciò, 
in  compagaia  di  Bioncifiure,  lascia 
AlessRn<lm,   o   scioglie  le  volt?  verso 


I 

I 

I 


449 
ato.  A  Napoli  si  ferma,  u  fa 
di  pros^Dire  il  cammino  ulbi 
volta  di  Marmorìna  per  via  di  terra- 
fi  noto  che  qui  il  roKianziere,  vago  di 
rompere  con  l'artifìzio  degli  episodi 
la  monotonia  del  racconto,  insonsco 
la  storia  d' Idalagos,  adombramento 
allegorico  della  storia  sua  medosìma  : 
e  che,  non  contento  a  questo,  fo  ri- 
«omparirp  sulla  scena  un  porsonnp^'lu, 
sotto  le  cui  spoglie  gli  è  piaciuto  rap- 
presentare aè  stesso,  quel  Galeone,  oli» 
Florio  aveva  già  incontrato  noi  primo 
Boggiomo  a  Napoli,  n  Boccaccio  al- 
lenta i  freni  alla  fantasia,  o  Ima- 
gina  liizzarramente  che  Cal«o«H  ni 
jiartA  con  Florio,  o  lo  m^a  fino  n 
quel  poggio  cerruto,ovo  ambedue  fon- 
ilano  la  terra,  che  fu  poi  Cortaldu.  (I) 
Questo  gtangere  e  trattenersi  ili  Fiorio 
in  Toscana  mi  b  ripensare  ad  un  vorv^ 
delia  rima  : 


'ivo  nella  di>lcie  Toacana; 


verso,  clia  rifletto  lii  nostra  li'iidoiua 
iid  asaìmilarci  gli  ci'oi  ilei  jtnciui  o 
dei  romanzi  stranieri,  i-icollogaiidon« , 
in  qualclie  modo ,  al  nostro  pa«ao  Jl 
nome  e  le  TtCGadc.  Forse  il  Boccnccio 
ha  fermato  e  svolto  nel  suo  romanzo 
il  vago  cenno  dei  cantastorìe,  viUen- 
dosone  anche  per  nasconderà  nn'  altra 
volta  Botto  le  apparenze  della  %iirft- 
Eìono  fantastica  un  fiitlo  della  Boa 
vita  :  il  doloroso  suo  ritomo  dalla 
cittit  di  Fiammetta  alla  casa  paterna, 
ch6  tal  signtfìcato  autobiografico  li* 
probabilmente  il  viaggio  di  Calcune 
da  Napoli  a  Certaldo  (1).  —  Dalla 
Toscana  Florio  non  seguo  a  risalire 
verso  Marmorina  :  l' incitamento  di 
Glorizia,  e  più  ancora  una  mirabile  vi- 
sione, comparsa  a  Blanciflore,  lo  indu- 
cono a  sviarsi  per  poter  visitam  Roma, 
la  patria  dot  ma^'^iori  di  sua  mo^clic. 


(1)  Ivi,  p.  ( 


451 

Meuorc  certo  M  passo  dantesco  ai>pra 
Giustiniano,  il  Boccaccio  imngina  cli<< 
Aoma  fosso  allora  soggette  alla  si- 
gnoria di  questo  imperntore,  cosi  fu- 
moso por  la  grand'  opera  legislativa 
6  la  fortuna  guerresca  (1).  La  neces- 
sità del  racconto  gli  togliova  di  rimon- 
tare alla  Roma  pagana  ;  d' nltra  partj' 
non  si  sarebbe  egli  occoncinto  a  rap- 
presentare una  Roma  troppo  divoraa 
da  quella ,  che  gli  splenduva  noli'  in- 
namorata fantasia  d'  italianu  o  di  oi'ii- 
dìto.  Naturale  quindi  elio,  non  curando 
anacronismi,  che  ne  seguivano,  o  non 
e  a'  avvedendo,  (2)  egli  si  rifftcniiBe 


(1)  A  propoulo  di   GiiutiaUno,  aacbo 

I  il  Boccaccio,  come   Diint«,  accenna  ali» 

J  'tradizione  che  Urne  atate  ricondotto  bIIb 

orlodOMÌa  cattolica  ds  Agapito  papa:  cfr. 

FU.,    n.    328,334,    o    Farad.    VI.   |:J.1M. 

col  conunanto  AtAìo  MeutAcdBL 

(3)  Al  Umpo  di  GiuCiaiano  I  (KH  K> 

MMSatliMSO, 


ft  ijuolla  otà,  ohe  a  lui  (lurfi  rlureta 
parere  l' aurea  dolla  Itoioa  crìstiana 
od  imperialo,  retta  insit^mo  dalle  dae 
somme  potestà,  concordi  nell'  amianiit 
vaglieggiata  dal  buo  Aliglùeri.  Pwr 
fìiuBtinìano  governava,  qnale  patrìzio, 
il  figliuol  suo  Bellisano  (nome,  che  para 
una  reminiscenza  di  Bolieario):  accon- 
to al  patrizio  stava  il  pontclico  (1).  — 
Dapprìma  Fiorio  ri  liene  colato  por 
tema  che  i  parenti  di  Biancìfiore  iion 
volessero  vendicare  sopra  di  Ini  la  stin- 
ge di  Lelio  e  do'  compari-,  ma  poi  gli 
avviene  di  poterei  Bcoprire.  Un  giorno, 
nella  chiesa  di  S.  Giovanni  Lat^rano, 
s' incontra  in  nn  prete  ateniese,  Ilarìa. 
Costui,  poco  a  poco,  spiega  a  Fiorio 
la  dottrina  di  Cristo,  e  lo  persuade  a 
lasciare  la  sua  per  la  fedo  cristiana. 


come  pure  non  cori-eva  Tnao  de'peUegri- 
naggi  A  a.  Oiacorao.  Vedi  Laodatlf  G. 
Bore.  ecc. ,  trad.  it ,  p.  132. 

[I)  Cfr.  la  visione  comparsa  a  Bianri- 
fiore.  Fit. .  IL  2ìn,  0  più  innansì,  343-<4. 


Lo  atosso  Ilario  procura  cLo  i  l'raltìlli 
'  de]  morto  Lelio  dimontichino  la  rice- 
vuta offesa,  0  smettano  ogni  pensìoro 
'  (li  Tendcrtta,  accogliendo  benignamente 
figlio  dell'  offensore.  Cosi  Fiorio, 
Biancifloro,  il  loro  pai'golotto  Lelio,  o 
ì  compagni  i>osaono  essere  nella  forma 
più  solenne  battezzati  dal  papa  mode- 
eimo  (1).  Dopo  di  ciò,  oasi  riprendono 


(I)  Il  Borio,  Leti,  sopra  il  FU.  ili  G. 
B. ,  Atti  R.  lat.  Ven. ,  S.  HI. .  voi.  10. , 
pp.  638,643,  0  il  LftndKn,  op.  a  1.  e. , 
credono  che  questa  converEÌone  romnn- 
Kesca  riepunda  a  quella  storica  di  Teu- 
domìro,  l'è  siievo  della  Spagna,  al  cat- 
tolicesimo ,  avvenuta  nel  tempo,  che  il 
Eiocc.  assegna  all'azione  del  Filoeolo; 
quasi  non  fosse  l'una  cLe  velo  allegorico 
dell'altra.  Ma  il  Bocc.  non  ha  fatto  che 
attenersi  alla  comune  redazione  delia 
leggenda,  che  si  chiude,  appunto  come 
il  suo  romanzo,  con  questa  converBÌona 
del  personaggio  principale.  La  coinei- 
den«a  puù  dunque  essere  fortuita.  —  La 
conversione  di  Fiorili    fa   sparire   l'eie- 


u 


la  via  (li  Mapmorina,  accompa^afi  da 
Ilai'io.  Noli'  apiiroesoi'si  alla  citta  r 
tiva  Fiorio  manda  mt'ssi  al  padro  per 
annunziargli  la  sua  venuta,  o  invitarlo 
a  lasciare  lo  suparstizioni  idolatriche 
per  la  vera  credenza.  Non  ci  vnol 
meno  dì  una  spaventosa  visiono  per 
vincerò  la  riluttanza  del  vecchio  re, 
che  finisce  per  essere  liattozzato  da 
Ilario  insieme  alla  rqpna  ed  a  tutto 
il  popolo.  Mn  qui  non  tm  termine 
ancora  la  narrniione,  poiché  il  Boc- 
caccio, che   ntiUa   si   lascia  sfu^iro, 


mento  mitologico  dall'ultima  parte  Jel 
romanzo.  CurìoiH)  t,  cfas  «piegando  i  rili 
(Iella  sua  religione  pagana,  Piorìo  dii^a 
che  conBbtooo  nell'accender  fuochi  sopra 
gU  altari  dagli  dui  (II.  308).  Or  bene, 
anche  il  cristiano  Lelio  che  altro  pra- 
mette,  in  principio  del  racconto,  all'oe- 
cidentaU  dio,  a  e.  Oiacomo,  ao  non  dì 
alluminare  i  suoi  altari  di  devoti  fuochi 
(I,,   15)1  Vedi  quel  clic  A'    dotto   Boprn, 


455 

oltre  che  de'  vivi,  s'  occupa  dei  morti. 
Sol  campo,  ove  ora  avvenuta  la  strage 
di  Lelio  6  do'  suoi,  giacevano  iaono- 
pati  i  loro  avanzi  ;  Fiorio  e  Bianci- 
fiore,  recatisi  in  pietoso  poUegriDoggiu 
a  quei  luoghi,  e  al  prossimo  tempio 
di  s.  Giacomo,  li  raccolgoDO,  e  col 
corpo  di  Giulio,  esumato  a  Marmorina, 
li  compongono  in  più  degne  tomho, 
presso  le  ossa  dei  padri,  a  Roma.  Di 
i]Dt  un  avviso  della  regina  chiama 
Fiorio  a  Cordova  per  assistere  il  padre 
moribondo.  Il  romanzo  si  chiuda  lie- 
tamente con  lo  featoper  la  incorona- 
zìono  di  Florio,  succeduto  a  re  Felice, 
e  con   parole   che   ricordano   1  vorsi 

ultimi  del  cantare  :  « del  giovane 

re,  il  quale  con  la  sua  reina  Bianco- 
flore  ne'  suoi  regni  rimass,  piacendo 
a  Dio,  poi  felicemente  consumò  i  gioi'ni 
della  sua  vita  ». 

L'Heraog  ha  voluto  accostare  questa 
parte  finale  del  romanzo  boccaccesco 
alla  chiusa  delle  versioni  scandinave, 
deducendono    che  il  Boccacccio,   di- 


rettamente  o  ÌD(Iirettamente ,  i]ebba 
arerò  utilizzata  la  font<^  oitAnicA  di 
quolle  versioni  (1).  A  me  rum  pare 
i;lio  si  possa  troppo  facilmente  coBsen- 
tii%  con  lo  studioso  tedesco.  Ecco  in- 
tanto ciò  olle  ai  narra  no'  raceonti 
nordici.  Florio,  dopo  essersi  trattenuto 
presso  r  ammiraglio  dodici  ini^i,  nn 
bel  giorno  pensa  di  partire  per  tor- 
nare in  patria.  Giunge,  o  apprendo 
che  i  genitori  eran  morti  ;  e  aceuho 
con  gran  festa,  e  |iro<:lamato  re.  Ceèo- 
]ira  quindi  lo  nozze  con  Btancifiom,  « 
in  tre  anni  ha  tre  figliuoli.  Bianrùfiore. 
eh'  era  francese,  propone  al  marito  di 
intraprendere  con  lei  un  viaggio  od 
sua  paese  nativo,  p^  visitare  la  suo 
famiglia.  Fieno  acconsente  ;  perciò 
recunsì  a  Parigi,  ovu  soggiornano  tre 
mesi.  Qui  Bioncifioro  induce  lo  spoeu 
a  convertirsi  al  cristianesimo,  dichia- 
rando che  ei   sareblie   ritirata  alcuni 


457 

anui  in  un  chiostro,  se  egli  non  Et 
fosse  tatto  battozzoi'e  ;  ma  il  buon 
Piorio  bì  acconcia  al  voler  della  mo- 
glie, e  riceve  il  batteBÌmo.  Tornano 
quindi  nel  l'egno  in  compagnia  di 
Teacovi  e  preti,  e  costringono  il  loro 
popolo  ad  accogliere  la  fedo  dei  cri- 
sUanL  Edificano  monasteri,  e  giunti 
a  settant'  anni,  diviso  il  loro  regno  ti'a 
i  figli,  ritra^onsi  in  un  convento  (1). 
Ognuno  vedo  che  i  racconti  nordici 
hanno  ben  poco  di  comuno  con  quello 
del  Boccaccio.  Biancifiore,  per  esempio, 
non  costringa  nel  Filocolo  il  morite  ad 
abbracciare  11  cristianesimo,  porcile, 
oontrarìameute  alla  redazione  fonda- 
mentale, noppui'o  essa  6  ancora  cristia- 
na, in  modo  che  anzi  è  battezzata  in- 
sieme a  Fiorio.  Non  è  poi  vero  atllittu 
che  nel  romanzo   loccaccesco   ì   due 


(1)  HsnOK,   pp.    70-71.    Le 
nordiche,  onde  è  tratto  questo  sud 
due:  la  islandese  completa  (M),  i 
\  dese.  Cfr.  Ueriog,  p,  15. 


4S8 
sposi  muovano  a  Roma  da  N^j 
(ParteDope)  a  quella  gnba  tnedeaima 
cho  nelle  versioni  scandinava  da  tre 
loogo  a  Napoli  rispondente  si  dirìgono 
a  Parigi  (1).  D  punto  immediato  di 
partenza  nel  Filocolo  ò  un  altru  :  « 
Oertaldo  (Calocipe)  (2).  Anche  queeu 
concordanza,  sforzatament«  volata  dal- 
I*  llerzog,  sparisce  appena  si  esamini 
il  t«fito  del  Boccaccio.  Ne  son  più  e- 
satte  altre  ccrrìspondeDEC  che  l' Hem^ 
vede  in  possi  precedenti  delle  eUbora- 
Kioni  nordiche  e  del  Filocolo.  Così  in 
luelle  che  in  questo,  afferma  l'Hewog, 
il  finto  sepolcro  di  Biancifiuro  è  co- 
strutto por  diretto  comando  del  re, 
non  per  consiglio  della  regina.  Nnlla 
di  più  errato:  il  racconto  del  Boccac- 
cio qui  e  conforma  alla  più  comune 
redadone,  diverso  quindi  interamente 


(1)  Per  queaU  e    le   segueoU 
rioni,  ìaii  Herxo;,  pp.  72-73. 
(■2)  FU.,  W.  292  sgg. 


4S0 

dai  rac(?onti  ecandinari  (1).  L' Hersog 
ti^va  inoltro  che  ci  sia  pieno  accordo 
tra  qneeti  racconti  o  il  Filocalo  nella 
scena  del  suicidio  tentato  da  Pìorìo  in- 
nanzi il  finto  sepolcro.  Ma  qui  non  si 
tratta,  come  sarebbe  necessario  porcliò 
avesse  serio  fondamento  l'opiniono  dol- 
l'Horzog,  di  un  accordo  alTalto  parti- 
colare, porehò  la  Dairazìono  «lei  Boc- 
caccio in  questo  punto,  ci6  dio  ^ì&  u 
suo  luogo  fu  notato,  rispaccJiia  la  rcda- 
Btone  primitiva  e  più  semplice;  perciò, 
oltre  le  verwoni  nonlicho,  o,  per  esaero 
meglio  esatti,  una  di  questo,  la  islan- 
dese compiuta,  ricorda  it  poema  ftltot«- 
desco,  r  olandese  d  l' inglese  (2).  Vagho 
poi,  senza  valore ,  sono  taluno  rispon- 
denze, per  le  quali  1'  Horzog  volle  ri- 
collegare la  desiTizione  boccaccesca 
della  lotta  fra  Ascalione  a  Ircuscoiiios 


.    (1)  Vedi  sopra  pp.  330-31,  e   mia  cit. 
l'oceos.  del  lavoro  deU'Herwy,  p.  259. 
(2)  Vedi  sopra,  pp.  340-41.  Cfr.  Her- 
mg,  pp.  30-:»,  44-4."). 


460 

u  quella  dei  duelli  comltattuti  da  Fio- 
rio  nella  II  vepsìona  £raD(:cst>  o  nello 
redazioni  nordiche,  per  salvare  so  e  k 
sua  amica  (I). 

Mi  pare  piuttosto  che  i  dati  del 
racconto  boccaccesco  concordino  con 
quuUi,  che  sono  fuggevolmente  accen- 
nati dal  cantastorie.  Si  noti  bona  cliu 
così  nel  romanzo  come  nella  rima,  a 
differenza  dallo  altre  redazioni,  ì  ge- 
nitori di  Florio  campano  ancora  tan- 
to da  p<jt«r  vederi!  di  nuovo  il  Aglio, 
e  da  convei'tirai  essi  pure  al  cristia- 
nesimo. 

n  Boccaccio  ha  posto  molto  del  suo, 
non  v'  ha  dubbio,  in  quest'  ultima  par- 
te dei  Filocolo  ;  ma  è  quasi  sicuro  che 
anche  qui  egli  ha  profittato  di  una 
funle  maggiore  del  cantare.  Se  non  si 
può  dire  che  egli  alibia  conosciuta  la 
tonto  medesima  dei  racconti  scandinavi, 
ù  però  degno  di  attenzione  che  in  nuo- 


> 


401 

Bti  occorra  un  dato.  cb'«  pare  nel 
Filocolo  :  il  dato  dì  Florio  che,  sovoo- 
daodo  il  desiderio  deQa  moglie,  si  reca 
nella  patria  di  lei.  ti  rìcovu  il  battasi- 
uo,  e  ri[>arte,  condutcndo  seco  aiKtetoli 
della  DDova  fede  per  convertirò  il  suo 
popolo.  È  prifbabile  assai  che  l' ÌDConti-o 
non  sia  meramente  accidentale ,  e  che 
questo  tratto  fosso  pure,  diversamentt^ 
svolto,  nella  redazione  utilizzata  dal 
Boccaccio.  S' aggiunga  che  iii  qualche 
altro  punto  il  Filocolo  fa  peasaro  ul 
I  poema  francese  ed  allo  versioni  af- 
fini. Anche  in  esso,  per  esempio  l' am- 
miraglio tenta  cortesemente  di  tratto- 
nor<!  r  ospite  suo,  che  vuole  tornai'!' 
nel  BQO  regno  di  Spugna  ;  nuche  in 
esso,  più  avanti,  Piorio  aduiia  i  suoi 
baroni,  e  li  persuado  a  farsi  cri- 
stiani (1).  Si  toi-na  dunquo  alla  solita 


(1)  Fit.,  II.  232;  I  poaina  fr.,  tv. 
2801-8;  Herwg,  pp.  60,  70.  —  Fit.,  II. 
327;  I  poema  fr.,  w.  21M5-K. 


coaclasiotie  ;  che  U  fSlocolo  somiglili 
strettamente  ni  cantaro^  ma  deve  osectv 
stato  attinto  a  fonti  piil  eEteee  e  par- 
ticolareggiate. 

n  romanziere  spa^nuolo,  s'  «  gi& 
accennato  più  volte,  fa  come  il  Boc- 
caccio :  allarga,  infiora,  an-icchiaoo  la 
&vola  comune.  Qui  infatti  Tediamo 
che  Florio,  pongedatoai  daU'  ammira- 
g;liu  i)er  desiderio  dì  rivedere  i  goni- 
tori,  non  può  toccar  cos'i  presto  i  lidi 
della  patria,  perdio  una  di  qu^e  bus 
l'aaohe ,  che  sono  tra  gli  Bpodlenti 
abusati  da'romansatori,  (1)  lo  gotta, 
insìomc  a  Biaocitioro  od  n' compagni. 
sullo  spiaggie  di  un'  isola  deaorta. 
Stimando  che  il  Hero  caso  fosse  un 
castigo  del  ciclo,  rafferma  il  pro- 
posito di  farsi  cristiano ,  e  sollecita 
Biancifloi'o  ad  implorare  l'ùuto  di- 
vino.  Q    cielo   ascolta   le    preghiere , 


(1)  Rajna,    Foni!  dell'OH.  Fw., 


,  poco  appresso,  una  nave,  che  pas- 
tva  di  lì,  li  raccoglie,  e  li  rimona 
ad  AlGBsandria.  L' ammiraglio  appre- 
sta altri  legni,  o  riprendono  il  mare  : 
queeta  volta  un  prospero  tempo  li  fa 
giungere  rapìdamento  ai  porto  di  Oai-- 
tagona.  Come  nel  Filocolo,  Fiorio  an- 
nunzia l'arrivo  a'genitori,  aggiungendo 
che  80  amano  riaverlo,  debbono  farei 
cristiani  (1).  ,Quolli  dapprima  sì  tur- 
bano, ma  poi,  per  araoro  del  figlio, 
si  convertono,  e  con  essi  il  loro  popolo. 
Fiorio  succede  in  breve  al  padre.  Gli 
nasce  poi  un  figliuolo  (2),  al  quale 
assegnala  Spagna,  come  accade  ch'egli 
sia  eletto  imperatore.  Poiché  la  fortuna 
o  ora  così  prodiga  de'  suoi  favori  a'  no- 
.  corno  prima  delle  suo  ire. 
.  sa   che  Biancifiore  era  pronipote 


(1)  Cfr.  FU.,  li.  352. 
)  Ha  nome  Oodorton,  secondo  il  uo- 
alro  testo,  f.  S7  v.;   nel    testo    usato   dui 
Dn  Hérllf  p-  luiiv,  o  dall' Ha  uskneoht, 
p.  70,  Gordion. 


«Icir  imiieratoriì  di  Roma:  in  mancaiun 
di  erodo  mascolino,  snrebbo  spettato  a 
lei  il  trono  dei  Cesar!  ;  ma  non  ù  vo- 
leva che  soTr'eSBO  salisse  una  donna. 
Di  qui  divisioni  o  guorro.  Soi  mm 
dopo  esaero  succeduta  al  padre,  Florio 
peusa  di  rocarsì  pollogriuo  a  Roma 
con  Biauciliore,  al  santo  gìnbileo.  Il 
papa  raduna  i  prìncipi  e  i  baroni  ro- 
mani, e  sostiene  elio  sarebbe  pilSto 
conceder  la  corona  imperialo  allo  spo- 
so dell'  unica  erede  legittima  del- 
l'ultimo  imperatore.  I  pnucipt  non 
b'  accordano,  onde  si  rimette  il  gludt- 
zio  ad  un  vecchio  cavaliere,  micsr 
Prospero  Coluna,  il  iguale  senteniia 
in  favore  di  Fiorio,  ondo  i  duo  sposi 
finiscono  col  montare  sul  soglio  impe- 
riale, come  nel  cantare  italiano  e  nel 
poema  greco  (1). 


(B)  Ff,  25  T.  —  2H  p,  Pur  nella  reda». 
mod.  e'ù  l'episodio  dal  naufragio  ad  nna 
isola  dMerta,  Di  qui  trae  ì  due  amanti 
una  nave  francese,  che  li  depone  in   un 


465 

So  cosi  lieta  chiusa  ha  la  storia  di 
I  Florio,  come  tonnina  quella  di  Rosa- 
Nella  inchiesta  della  &nciulla, 
anche  Aiilimento  è  aiutato  dall'  osU) 
(qui  0  uno  solo),  che  l'aveva  alber- 
gata, e  dalla  moglie  di  lui.  Costei  fa  più 
assai  che  nella  favola  di  Fiorio  :  con 
il  prett'sto  di  vendere  alle  donzelle  sor- 
rate  nel  palagio  del  Boldauo,un  drappo 
o  una  cotta  di  seta,  penetra  flao  a 
Rosana,  e  le  annunzia  che  è  giunto  a 
Bahiionia  il  fratello  suo.  Il  fratello, 
porchò  Auliraento  ha  lo  studio  stosso 
di  tenersi  colato,  che  vedemmo  aver 
Fiorio,  0  si  spaccia  per  fratello  dell» 
giovinetta  (1).  Qui  pure  l' impresa  rio- 
luogo,  da!  quale  toci^anu  Roma.  Bianci' 
fiore  si  fa  liconoBcei'e  da  parenti  e  vas- 
salli: Fiorio  ai  battewa,  e  sposa  quindi 
l'unica  sua;  ma  non  cinge  la  corona 
imperiale.  Questa  cbiusii  ricorda  beo  dap- 
presso quella  del  Filocolo. 

(1)  V«di  un  rÌBc:onti'0  a  ciò  nel  Fiioeolo 
B  nel  I  poonin  fr.  e  radaz.  affini  :  p.  381.  . 
n.  di  questo  voi. 


Bce  K  bono  pw  la  complicità  del  guar- 
diano dello  donKtìlle.  Noi  raetiouto, 
costui  è  invitalo  a  degnare  didl'oeto, 
in  modo  ohe  AuUmonto  pud  conoscerlo, 
0  cattivai'solo;  nella  rappresentazione, 
è  Aulimento  stesso  cJje,  seguendo  il 
cousiglio  dell'oste,  si  reca  al  guardiano, 
mon  crudele  che  nella  leggenda  di 
Florio,  e  ne  sa  vinTOi-  l' animo  con 
Inaingho  di  gnadu^ni  e  di  onori.  Man- 
ca la  scena  del  gioco  degli  scaccili, 
od  Aulimento  non  entra  nel  [Jalaz»> 
por  r  inganno  dei  corbelli  di  roso. 
Guidato  e  aiutato  dal  guardiano,  egli, 
più  seinplicemente,  rapisco  nottotcìmpo 
Hosona  (1).  Inseguito  dtdto  genti  del 
Soriano,  combatte  o  vinco,  I  genitori 
suoi,  comò  nelle  redazidU  meridranali 
della  storia  dì  Fiorio,  vodono  il  suo 
ritorno  trionfale.   Anch'  essi,  per  ao- 


(1)  La  notturna  fuga  tle'dae  ara«nti  a 
pure  nella  railoz.  mod.  del  rom.  epa- 
^nuolo  :  nta  le  cìrcoatmiKe  sono   nfliiMo 

divorao- 


L^idi-i 


467 

condarc  il  desiderio  del  figlio,  abbrac- 
ciano il  cristianesimo  insieme  al  loro 
popolo.  Le  nozze  dei  dac  amanti  chiu- 
dono la  favola  (1). 

VI. 


Dopo  la  lunga  analisi  un  po'  di  sin- 
tesi. Cominciamo  dal  poema  greco.  I 
nostri  raffronti  pongono  ormai  fuor 
d'ogni  dubbio  la  diretta  dipendenza 
di  questo  poema  dal  cantare.  Non  si 
può  dire  tuttavia  che  il  poeta  greco 
abbia  fatta  mora  opera  di  letterale 
traduttore,  poiché  quasi  sempre  egli 
fiorisce,  svolge,  stempera  il  suo  te- 
sto, 0  in  alcuni  luoghi  rimuta,  scor- 
cia, aggiungo.  La  redazione  poi  del 
cantare,  eh'  egli  ha  usata,  dovette  es- 
sere ,  più  spesso  che  ad  altre ,  somi- 
gliante a  quella  che  ci  offre  il  gruppo 
costituito  dai  due  manoscritti  parigi- 


(l)  Race,  pp.  47-69;  Kappresent. ,  pp. 
398-414. 


468 

Ili  (1(M(9.  WQb,  fuiido  ital.  delkNac. 
ili  Parigi)  o  ilall'  usliburulismiiuw 
laureiiziano  (13tì7-U7a).  Forse  la  sua 
fonti]  fu  qua  e  la  più  ampia  alfiuactu 
ilello  rtxluzidiii  del  caularo,  dm  nuì 
IKittiiomo  roccogliei'o,  op)iure  ac<^de 
che,  prima  ancora  di  accìugersi  a  ri- 
l'are  lit  rima  ituliana,  e^'ll  avesse  gìA 
i[Ualcbo  roiuinisreiiza  dalla  fav»la  i>er 
iiverno  letto  o  intese  recitare  altre 
vm-sìoni.  Cosi  vediamo  che,  ti*»  i  rlfa- 
citot'i  meridionali,  egli  solo  accctum 
(■ho  r  ammiraglio  voleva  far  sua  Spusa 
Biancìfiore  (1);  che  tra  costei  e  Fiorlo 
sì  rinDovuno  io  nuszc,  poi  che  i 
tornati  in  patria  (2);  o  cbo,  fuialmente,  i 
sono  morti  insieme,  come  eran  vissuti.  1 


(1)  L'  ammiraglio  dìc«  (tv.  1730-31)- 
z«i  Tiìv  Ejiiiv  aoxoJ-tlfJiv  £notx£V  ù 
5nou  Ttietw?  sv^i£|oi  ìprfiv  xupisiv  vai  » 

Pur  nello   migliori  verdoni.  I  fr.  «d  1 

;itfini,  I*  atii  mi  rullio  conta*»  tir  sua  spo**  J 
Biundfiui^  (HerKO?,  \i.  l~) 

(2)  V.  I85H.  Cfr,  Hcr»»?,  ]).  & 


I 


i[iialunf|iie  modo  le  mutazioni  e  le 
giunte  sono  cobi  poelie,  die  non  ci 
impetliBcono  atìatto  di  ripeterò  che  il 
poema  greco  altro  non  tì  so  non  una 
traduzione,  &  volte  fedele,  a  volte  un 
po'  libera,  del  cantai'e. 

Ma  come  mai  un  cantare  italiano 
fu  potuto  tradurre  in  greco?  Rpeciul- 
meiits  dal  tempo  in  giti  delle  crociate, 
]'  influenm  occidentale  fu  cobi  viva  in 
Grecia,  cLe  vi  si  formò  da  fonti  fran- 
cesi e  italiane  una  letteratura  roman- 
Non  mi  fa  mestieri  insistere 
su  questo,  perchè  sì  tratta  di  cose  assai 
note  agli  studiosi,  che  tosto,  per  quesfu 
richiamo,  ripenseranno  ai  due  buo- 
ni volurat  messi  insieme  dal  Gidel  come 
contributo  olla  storia  della  letteratura 
medievale  e  moderna  dei  Greci  (I).  Le 

(I)  Oldel,  É'ittles  sur  la  liti,  greajue 
[  mod.,  Paris,  1868;  Nowelles  Ètudes  sur 
I  la  liti,  grecque  mod..  Paria,  1878.  Del 
[  eidel  proQcUno  anche  il  Klcolal  , 
'  Gefchichte  der  neugrifickisdwn  Lìl.,  già 
I  cit.,  pp,  75  8gg. .  u  il  ffag'Der,  Afid. 
I  Greeek  IVrW,  cit.,  pp.  liii  «gg. 


corti  francesi  Soreati  nei  poaseasì  tohE 
a'flueci  Kz&atini.  e  le  oolanle 
e  ggnoreei  diffusero  per  il  conttient* 
e  le  isole  greche  la  luce  ddU  civilu 
caT&Ueresea.  Le^,  costumanze.  Un- 
gila, poesia  dei  nuovi  conquistatori 
n  trapiantano  e  rìTÌvono  nelle  t«ra 
d*  Oriente.  1  Greci  stessi,  nello 
ddla  Innga  seiiilìtA.  8i  sontoa  oorao 
ringiovanire  alle  esuberanze  di  <]ucOa 
vita  nuova,  e  diventan  ra^ì  di  n- 
mcnti  cavallereschi,  di  tornei,  iii  Cmte. 
Irradiazione  della  civilU  ocàdimtale, 
il  romanzo  d"  avventura  cosi  migra  e 
fiorisco  nella  culla  dell'epopea  classics, 
ove  i  tpoveri  fan  dimenticare  i  rapsodi, 
il  Roman  de  Troie  Y  Iliade,  Benoit 
do  Sainte-More  Omero.  A  questo  tempii 
i  poeti  greci  s'adoperano  per  Tar  co- 
noscere nel  loro  paese  1  romanzi  occi- 
dentali, ìmitaniloli  o  tradDcendoli,  \^ 
<1lamo  dunqno  che  la  versione  greca 
del  cantare  il.-diano  fu  Fiorìo  e  Bian- 
clfioro  si  Hcoll^a  ,i  tutto  un    ordine 


471 
•ti  l'atti,  e  rionlnt  in  unn  serie  di 
testimonianzt',  le  quali  mettono  in  cliia- 
rissìnia  luco  l' influenza  letteroi'in  dul- 
rOocidenta  sulla  Grecia  del  medioevi». 
n  nostro  cantare  non  e  passato  di- 
rettamente dalla  Toscana  oltre  l'Ionio; 
6  assai  probabile  che  l'abbian  fatto 
conoscere  nei  loro  possessi  greci  i 
Ven«KÌani  o  i  nenovesi  (1).  Si  sa  che 


L  la  pensare  ; 
e  ài  moneta  iioi 
0  iltì-Veneiiuni 
voluto  i 


(I)  Fra  i  non  pochi  italianismi  del  no- 
atro  testo  greco  ce  n'è  uno,  Toi  SouxdtTa 
(V.  \il€j,  i  dueati,  che  ( 
Venaxia:  ma  questo  u 
era  esclutdvamente  proprii 
e,  d'altra  parte,  avesse 
poeta  riferirsi  alla  mone 
pa6  bastar  questo  indizi 
ehe  egli  fosso  di  qualche  terra  od  isola 
greca,  come  Corfii,  Negroponte,  soggetta 
a  a.  Marco.  Giacché  abbiamo  accennato 
agli  italianismi  del  nostro  poema,  eccone 
qualche  altro  esempio;  I  e  altrove  xa- 
^nXUptq,  e  cosi  il  verbo  xo^aXXiXEtJEtv; 
229  ÌBwI$.31I  o'Souxw;;  413  t«1  «o- 


n  per  imaginare 


472 

dallo  Sl^o^Gio  del  qnattrocf^nto  n  tutto 
il  ctn(]iiecento  9Ì  ^\óìf«  titt  perioda, 
in  cni,  come  il  resto  d'Europa.  1& 
Grecia  si  foce  anch'essa  amminitrìcA 
e  satellite  dell' ItAtia,  eli*  «ti  allora 
liei  pieno  dello  splendore  letterario  e 
della  sua  civiitA  :  ma  il  cantaro  dovè 
(la  Oenova  o  da  Venezia  trasmiprarc 
ìli  Oriente  pia  presto,  perehà  il  poema 
greo^,  elio  da  esso  fu  tratto,  manca 
della  rima,  ed  è  noto  che  la  rima  fu 
aggiunta  ad  ornare  i  versi  politici  doi 
Greci  solo  dalla  metà  del  secolo  XV, 
a  imitazione  appunto  della  poesia  ita- 
liana. Il  ri  mane^g:  lamento  greco  ilol 
nostro  poemetto  potrebbe  essere  dun- 


Xd-nix;  456  e  altrove  ó  njivimo&xo^; 
9CÓ  oxoOTopia;  S68  e  altrove  xsuna;  1349 
e  altrove  xixaztìtévoq;  I8u6  xafi.rté9i*^: 
1857  TpoDpurtTO^.  L'italianismo,  dicu  il 
tìidel  (p.  99  J»l  cit.  voi.  ad  Wagrnen. 
è  froqnanto  oe'  racconti  |)ti|ioluri  grcri 
dnl  sec.  XIV  in  gin. 


473 

[  i|tie    r1<?l    trccpnta    o   àei    primi    ciii- 
'  quant'iinni  Jel  quattrocento  (1). 

Quanto  è  agevole  la  ricercn  àMn 

foute  per  il  poema  greco,  altrettanto 
L  riesce  ardua  per  il  roatanzo  spagnuolo. 
:   Olialo  impressione  rimane,  a  proposito 

di  questo  problema,  dopo  1   ralfronti 

del  capitolo  precedente  ì  Certo ,  che 
'  il  roman»  spagnuoio  sia  stretto  du 

rinculi  di  intima  parentela  alle  tre 
I  altro  versioni   meridionali  ;   die   non 

dipenda  dal  Filocoh,  e  cbe,  più  che 
I  ad   ogni   altra   redazione,  nomigli  al 


(1)  eidel,  Études  ecc..  rol.  ilei  1806, 
I  pp.  65,  ~^J1,  233.  In  questo  senso  dob- 
biamo dunque  correggerà  la  troppo  re- 
cisa nostra  atTermazione,  i^he  si  trovu  più 
sopra  a  }).  15.  Del  resto,  anebe  il  Mullneb^ 
Grammatik  iler  griechischcn  Vuiyiirspr., 
|i.  82,  dice.  8en*'ftlti-o.  del  aee.  XIV  il 
nostro  poema  giepo,  —  Sp^ta  invece  al 
peiiodo,  in  cui  a'  OBa  la  rimn,  lo  tradu- 
zione della  Testidi!  del  Boccaccio;  &\péo^ 
Xai  •(d\^Q\  Tf?  ■E|liriil«^.  stnnipilln  a 
Venezia  nel  1529. 


caotaro.  Mn  <jui  cumincifiiio 
colta.  Ad  utia  ìmint>diat&  dtirivaziùne 
dsl  romanzo  dal  nostro  poemetto  nvn 
8i  può  pensare.  Se  talvolta  ci  sono 
fra  r  uno  e  l' altro  riscontri  Suo  di 
parole  (1),  occoiroao,  d'  altra  part«, 


(I)  V«di  sopra  pp.  112,  n.  1.;  IH.  n. 
1.;  195,  D.  1.  Aggiungaai  qualche  altiv 
«sempio:  <  ....  et  loa  caualleros  se  vinìe- 
ran  el  vno  contra  el  otro  de  lan  gnu 
Tuer^a  q«e  pareacian  leonea  .  ,  .  >  (t  IS 
r.).  Cant,  St,  51  : 


come  due  leoni  ecalenati 
un  contro  l'altro  si  coree 


feim 


La  torre  del  Cairo  à  ■  labrada  de  pio- 
Jras  preciosas  »  (f.  21   r.),  Caut..  SL  104: 

e  di  pietre  preciose  eli'  è  merlata. 

«  En  el  priiner  juego  qiw  jugm-on  gftno 

llorea    al    capitan    .  ij   .   mll  peaanlee  de 

oro  .  (f.  22  r.},  Cant.  St.  112: 

E  Florio  lo  vinse  inmantenenle 

al  primo  Irato  ben  mille  bigìanli.* 

S' avvei-ta  che  i<'  b  ìa  varliuile  :  dur  mila 


abbondanti  e  sicuri  ì  sogni  della  loro 
Ìndi|iendenza.    Ci    suril    stala   dunque 


b.  (nule  alla  St.).  •  Et  coma  Io  vìdo  ve- 
nir el  capitan  de  la  ton-e  aaliolo  a  res- 
cabir  con  mucha  alegria  »  {(.  22  v.). 
Cant.,  St.  115: 

.  .  .  FìoHo  al  caatelaao  è  litoniBkt; 
alegrameute  vi  fue  ricevutu. 
La  frase,  che  due  volte  il  l'ao tasto i'i<.' 
italiano  pone  in  bocca  al  ve  (St  55,  05): 

distrutti  BÌanio  per  qumta  fantina, 
trova  iwoutra  puro  in  duo  luoghi  dal 
Tom.  apr.  «...  que  aqiMlla,  dice  sem- 
pre il  re,  uuia  de  Mr  deatrujcion  de  la 
lej  anya  y  de  ni  reyno  .  .  .  »  [f.  11  v.); 
«  j  eUa  ci'tìo  que  ha  de  sor  principio  et 
Un  de  la  dealruycioa  de  mia  i-cynos  et 
de  ouMlra  ley  ,  .  .  .  »  (f.  13  r.j. 

In  principio  de'  nostri  ralTronti  ap- 
parisce che  in  noi  fosse  la  persuasione 
che  il  romanziere  apagauolo  potesse  avere 
avuto  sotto  gli  occhi,  press'  a  poco  quale 
noi  l'abbiamo,  il  cantare  (vedi  pp.  120- 
30)  ;    ma   questa    persuasione    è    venuta 


comunanza  dì  fonti,  Può  bn\  suppc 
che  nella  Spagna  sia  penetrata  una 
redaziunu  francese  identica  a  simile 
a  quella,  da  cui,  di  rettamente  o  in- 
Oirettament* ,  sia  seoso  il  cantere. 
Da  questa  foiit^  il  romanzo  non  sani 
uscito  per  ria  immediata:  infatti,  sce- 
verando tutto  ciò  che  più  verisimil- 
niente  lo  scrittore  spagnuolo  aggiunse 
di  suo  noi  liberissimo  rimancggìit- 
meiito  del  raecontfl,  se  talora  il  ro- 
manzo rispecchia  la  redazione  primi- 
tiva più  fedelmente  e  compiutamente 
che  il  cantare,  tal'  altra  ce  ne  offro 
come  una  reminiscenza  lontana,  sfu- 
mata, alterata.  Che  l' ipotesi  poi  f^a 
lecita  ci  mostra  il   molto  che  anche 


mancsnilu  mano  niuno  che  ȓam  pm- 
ceduti  nella  nostra  analisi  comp^rn ti- 
vù. Ci  duole  che  1'  aver  dovuto,  per  ta- 
luno apeciati  ragioni,  Bollecttare  la  staiiipa 
(lei  primi  fo^li,  ci  ubbia  tolto  ili  foiv 
Bconiparire  qualunque  s^iio  di  codesta 
iucerte;iza. 


<T7 

essi  gii  Spagnuoli  liaii  preso  Aa  l'u- 
manzi  franceBi,  e,  tanto  meglio,  il  noto 
passo  doìiaOranOsnquìsfa  de  Ultra~ 
mar,  cLe  fu  gift  rammentato  in  prin- 
cipio dui  nostro  studio.  Tutti  sanno, 
massime  ora  ctie  le  indagluì  di  Ga- 
aton  l'aris  hanno  gottato  su  ciò  nuova 
e  vivida  lace,  eUe  il  corapìlatora  della 
Conquista  ha  tratta  1"  opora  sua  da 
fonti,  eh'  orangli  vunute  d'  oltre  i  l'i- 
renei  (1):  per  il  caso  nostro,  e  sicu- 
ro ohe  il  luogo,  ovo  si  tocca  di  Florio 
•;  Uiancifioro,  riflette  la  tradizione  rac- 
c^>\la.  nel  II  poema  francese  {2).  L'wu- 


(I)  Romania,  XVII.  513   sgg. 

f2)  Riferiremo  qui  l' inteiu  passo  dulU 
Otnquisia:  <  .  .  ,  é  esla  Berta  fu<i  bga 
da  Blancoftor  è  de  Flores,  que  era  rey 
do  AlmerU,  la  de  Eapùiia,  é  conquorìó 
muy  gi'an  tierru  ea  Africa  u  en  Kapunit 
pur  BU  bondad,  segun  su  histoi'ia  Io 
i^uenta,  6  libnì  ni  rey  de  Bìliìloim  de  mu- 
no  da  SUB  enamìgoa,  cuandu  le  dio  b,  Blan- 
cador  por  ui^jer,  por  Jukio  du  nw  i:oi'k<. 


dorè  Bpagnuolo  allude  a' nostri  inna- 
morati  ed   alla   loro   storia  come  a 

donde  oatos  amos  fuertin  Iob  inni'ho  e- 
namoradoB  da  que  jia  ointes  bablttr.  E 
despues  ijue  tomaran  ea  su  tiorra  no 
bobieron  otro  hijo  ni  bija  eino  ft  Berto. 
<]ue  Tue  casiula  cou  ul  )«;  Pe[iÌDO ,  de 
FruQcia.  quu  liizo  Iob  gi'undus  Lechos  é 
vuD(^i(ì  laa  muchaa  balallaa  de  qu«  lodo 
d  mondo  iiubla  >  (T..  II,  cap.  xun,  «d. 
GujangoSf  p.  175,  I  col.).  Dello  strallo 
rapporta),  che  è  fra  questo  pas^  e  il  rac- 
conto fatto  dal  Bacondo  troverò  franoMU, 
s' ora  accorto  anche  il  Dn  HérlI,  p.  Ixsix, 
n.  I.  Flores  ò  re  d'Almeria  oell'uDO  e 
noir altro  {li  fr.,  v.  2i\;  nell'uno  a  nel- 
r altro,  agli  libera  l'ammiraglio  di  Da- 
bìlonia  da'  suoi  namìci,  con  che  pur  l'an- 
loro  «pagnuolo  si  é  Tolnto  rifon»  al 
duello  di  Fiorio  con 

loniis  de  Handres,  l' aumacor, 
Qni  d'AcTonon  est  sei  gnor, 
il  i[ua]e  sopravriane,  mentre  l'ammira- 
glio sla>a  per  far  ginstizia  da'  due  gio- 
vinetti da  Ini  sorproai  ioùeme,  a  inipor- 


479 
cose,  che   dovessero  essere  ben  note 
a' lettori:  «  ya  oìstes  hablar  »,  egli 

dice,  di  Florio  e  Bianciflore,  e  de'  lor 
casi  ,  cho  gli  basta  ricordaro  con 
rap  idi  esimo  cenno.  Con-eva  dunque 
nella  Spagna  i!  nostro  racconto  già 
dal  secolo  XHI,  e  vi  si  era  diffuso 
per  r  ampia  irradiazione ,  che  ebbe 
Un  dappriacipto  la  letteratura  roman- 
zesca della  Francia.  E  si  badi  che 
così  nella  redazione  in  prosa  come 
nella  romanza,  svoltasi  dalla  leggenda 
di  Fiorio,  o'  6   qualche  ricordo  delle 


I  ai  a  «lìdai'lu.  Florio, 
(inichò  alcuno  non  osa  raccoglie  l'è  il 
guanto,  accetta  egli  la  sfida,  o  uccide  il 
Tiei-o  e  superbo  nemico  dell' ammiraglio. 
Il  quale  gli  accorda  allora,  il  miglior 
premio,  concedendogli  a  aposa  Biancicore 
(II  fr. ,  vv.  3079  sgg.).  Del  II  poema  fr. 
manca  la  line,  ma  è  ben  probabile  cho 
in  essa  si  accennasse  alla  nascita  dì  Berta, 
lì  si  collegaase  codi,  «^ome  nell'altro  poe- 
ma  oìtanico  e  nello  afBni  i-edajtioni,  U 
legi^nnda  di  Fiorio  alla  gesta  caroUngia. 


i    frWMKsL   S* 

U  descriuome  del  dndki  tra 
il  siiiisoako  Mi  necaaUt 
■omlfj^a  a  igaella,  che  ci  sì  otfn  nà 
U  poeto*  franeese  (1);  iiuintre  all'ai- 
tn>  poema  d  (a  ripensaro  U  DMdo 
(«nato  Del  vatider  BianciSon  (2). 
Della  inunzioQe,  du;  areva  l'ammi- 
raglio (ti  eposare  l' eroina  della  leg- 
genda, non  ai  fa  motto  nella  redaiìoae 
pin  antica  del  romanzo  spagunolo,  ma 
vi  si  accenna  per>J  nella  modenu.  La 
<iuale  s'avvicina  ad  nno  dei  poemi 
francesi ,  al  II,  anche  in  altri  du« 
ponti  :  per  ee3&  il  ptsrsonag^o  del  du- 
ca di  Montorio  non  esiste,  e  Fktm 
non  ha  col»  che  la  coinpagoia  del  soo 
maestro;  —  nell' episodio  del  dneUo, 
il  Giniscalco  e  pi-eseiilc,  sul  eaiapo 
ilei  «upplinio,  iiiando  sopraggiun^ 
Flores  a  salvare  Dlancador,  e  gii  Un- 


ii) Vedi  eopni,  p.  299.  Alk  oitiu.  &ita 
ivi,  a.  l.,  aggiungi:  Havsknciebt,  p.  >n. 
12)  Sopì-».  |i|>.  :il9.2fl. 


eia  la  sfldii  (1).  Quanto  itila  r 
lappiamo  elio  pur  essa  in  un  luogo 
corrisponde  alle  Torsioni  francesi,  la 
dove,  precisamente,  la  seotTeria  ^ei 
Mori,  eh' è  nel  principio  della  nostxa 
favola,  è  fatta  dipendere  dal  desiderio 
attribuito  alla  loro  regina,  di  posse- 
dere ana  achiava  cristiana  {2).  Tutto 
questo  dunque  ci  prova  che  le  ela- 
liorazioni  spagnuole  della  log;gcaila 
3ro  rannodate  a  fonti  fran- 


Ma  ci  si  vomì  notare  che  nel  ro- 
manzo spagnuolo  si  mostrano,  a  dir 
cosi,  gì'  indizi  geografici  di  una  de- 
rivazione italiana:  comò  nel  cantaro 
e  nel  Filocolo,  parte  dei  fatti,  che  vi 
si  narrano,  svolgesi  in  Italia,  e  i  ge- 
nitori dì  Biancicore  sono  romani,  non 
&anc«si,  e  imperatore  di  Roma,  al 
modo  stesso  che  nella  rima  italiano. 


(1)  Sopra,   p.  20y,  a.  2,   Cfr.  nnche  p. 
250  n.  3. 

(2)  Sopra,  p.  137    n.  1. 


Uh  rimaneggiaraonto  del  cantare  fatto 
•lu  un  italiano  dello  provìncie  settcn- 
ti'ìunali,  da  qualche  poeta  u  roman- 
zatore  della  corte  di  Milauo  o  di  ([uellu 
di  Ferrara{l).  Io  non  trovo  punto 
nocesaaria  l' ipotesi  :  anche  uno  spa- 
gnuolo  poteva  discorrspo  dell'  Italia  e 
de'  suoi  prìncipi ,  tanto  più  che  al 
tempo,  nel  quale  molto  probabilmente 
tu  mosso  insieme  il  romanzo,  almeno 
nella  redazione,  clie  ci  fu  conservata, 
alla  tino  del  quattrocento  od  al  prin- 
cipio del  cinquecento  (2),  per  le  va- 


(1)  Op.  cit.,  pp,  76-81. 

(2)  La  prima  «taitipa  d»l  rom.  sp.  à 
dui  1512  (UauHkneclit,  p.  51).  Ecco  in- 
Untu  uua  data  pi'exiosa  pei-  determìnai'u 
il  ttiiapo  della  eomposi^one  del  romanzo. 
Le  urnii  da  fuoco  erano  già  la  ubo:  in- 
fatti a'  ff.  3  V.  e  25  v.  si  accenna  al- 
l'* ai-tilleria  >.  U  signore  di  Milano  b 
detto  duca,  e  d  sa  che  questo  titolo  fu 
concesso  a  Gian  Gal.  Visconti  il  1395. 
Ma  questa  sarebbe  una  duta  troppo  lon- 
tana. S'avverta  che  il  signore  di  Ferrara 


Hl^  llpi  ■'    mi 


s   auiit    auiìuir:!!! 


temente  al  nostro  paese.  Si  può  Aan- 
«lue  fraiicanionto  nttribuiro  nllo  stesau 
roman^tiero  i|tiella  parto  dui  raccontOi 
ohe  r  Haueknecht  vorrebbe  invece 
conoodere  al  bud  italiano  dol  setten- 
trione. 

Giacche  poi  siamo  noi  vasto  campo 
dolio  congetture,  ce  ne  vogliamo  per- 
metteru  un'  altra.  Il  cantare  po- 
trebbo  ossure  passato  in  Ispagiia , 
press' a  iJOuu  in  quella  forma,  chu 
noi  conosciamo,  ed  osservi  stato  li' 
berissimamento  rimaneggiato;  il  ri- 
maneggiatoro  potrò bbe  aver  sentita 
l'intltionza  delle  versioni  di  origine 
francese,  che  tioveano  correre  nella 
tradizione  orale  e  noUa  poesia  po- 
polare do!  suo  paese.  Sarebbe  av- 
venuta i|uasi  una  contaminazione , 
forse  inconscia,  della  redazione  ita- 
liana e  delle  versioni  oitaniche  as- 
similatesi do^'ll  Spagnuoli:  di  questa 
contaminazione  ci  sarebbero  i  segni  e 
il  riflesso  nella  redazione,  Ao  oggi 
abbiamo,  del  romanzo  spagnuolo. 


486 

Anconi:  potrebbe  puro  imaginar^i 
(guai  so  si  ,ìt\  I&  frtura  alU>  ipoteeil) 
cliu  uno  apagniiolo,  venuto  in  Italia 
al  tempo  doUc  guerre  tra  Francia  e 
Spagna,  che  hanno  lungamente  stra- 
niato ìa  ponisola,  conoscesse  qui  un 
testo  assai  alterato  del  nostro  can- 
taro, 0  lo  rìelaborasso  a  modo  suo, 
valendosi  della  reminiscenza  di  altre 
versioni  intese  girt  in  Ispagna  (1). 

Faeaiamo  ora  nllc  due  redazioni  ìtn- 
liane.  VorrA  ancora  qualcuno,  dopo 
avere  avuta  la  pazienza  di  so^itarci 
fin  qui,  condiscendere  noli'  opinione 
del  Oaspary,  che  il  cantare  sia  non 
più  di  una  riduzione  metrica  del  Fi- 
ìocolof  (2).  Queet' opinione  fu  da  noi 

(1)  Foree  il  romaniiisre  spagnuolo  ura 
di  Cabeca-el'Oriega,  o  del  paese  inlomu, 
poiché  ivi  pone  la  capitale  di  ra  Folice, 
»  la  accudei'e  multa  poi'te  dei    fatti,  che 
racconta. 

(2)  V^   aopra    p.  T7  n,3;  KWUIns, 
cit.  i-ecens.    del    voi.   dell'  llansbnecht 
{Engl.    StWiiieu  .  IX,  »3-SMf. 

romliattulii   altrove  ;    ma  il   Gnsparr 
non  s"  arrostì  (1).  Sia  pure,  egli  ali- 
menta, che  il  cantare  non  a'  avricini 
solo  al  Fiiocoìo,  o  cho  segua,  proprio 
oTo  questo  so  ne  tiiscosta.  altro  ver- 
sioni :  o  perchè  il  cantastorie,  pur  ser- 
vendosi   principalmente   He!  racconto 
boccacceBco,  non    può   aver   profittato 
di  altre  fontif  La  (litflcoltj\ ,  die  piti 
vaio  a  mantener  fennn  il  giudizio  del 
Gnspary,  è  questa:  ho  II  cantare  non 
dipende  dal  Filocolo,    ma   e   derivato 
I  inveci!  il  Filocolo  da  una  fonte  iden- 
I  tica  o  simile  a  quella  do!  cantare,  si 
[  deve  crederò  che  in   tutti   i   luoglii , 
[  noi  <iuali  fra  T  uno  e  T  altro  è  u^ale 
I  fin  la  dizione,  il  Boccaccio  abbia  oo- 
I  piato  il  suo  testo!  (3)   Ebbene:  qual 
I  nteraviglia  cbe  pui-e  messer  Giovanni 
r  abbia  fatto,  in  alcuni  passi  di  un  lungo 
I  racconto,  ciò  che  agli  scrittori  del  auo 
1  tempo  non  pareva  punto   un  delitto  1 


(1)  GescXiehte  dei- 

(2)  Ib.,  p.  637. 


.  Lii.,   11.*^,  649. 


IMI,  ^iAa*a« 


■liiijliil  nauMi,  fjfc» 


I  mB»  Tiwfifc  il  Bqw^rr»  MB 


n  bMrtain»  neeost^  Bri  ^ub  al  pato 
plK^  «pni  MIO  ««lgM«  tttaa*  li- 
tMiiofll  prieologiebe.    U   fa***  fé  M 


489 

del  cantare  medesimo  con  il  romanzo 
boccaccesco,  con  i  poemi  francesi,  con 
altro  versioni,  non  è  sovente  riflesso 
di  immediata  derivazione,  ma  di  lon- 
tana affinità.  Inoltre,  se  il  cantastorie 
avesse  direttamente  utilizzato  il  Filo- 
colo  e  i  poemi  francesi,  non  incon- 
treremmo nella  rima  le  alterazioni, 
che  qua  e  là  vi  si  avvertono,  altera- 
zioni, le  quali  ci  fanno  risalire  ad  un 
testo  del  cantare  più  antico  di  quello, 
che  ci  si  presenta  nella  copia  maglia- 
bechiana,  e  anteriore  quindi  al  Filo- 
colo. Già  da  alcuni  anni  noi  abbiamo 
rammentato  agli  studiosi  che  in  quella 
copia  si  trova  della  mano  stessa,  che 
ha  scritto  il  poemetto,  la  preziosa  data 
1343;  (1)  ma  poiché  essa  non  precede 


(1)  Studi  cit.,  p.  14.  La  data  fu  da  noi 
rammentata^  perchè  prima  T  aveva  fatta 
conoscere  il  Selml^  1.  e.  sopra  a  p.  47 
n.   3.    Vedi   anche    Zambrini^   Le    Op. 

Volg.  *  (1884),  981. 


190 
immoilìataniimtt-  Il  t^tu  ilella  rima, 
jiare  al  Qaapiu-y  si  possa  ritonoro 
cho  la  rima  fosse  trascritta  anche 
dieci  anni  dopo  la  data  :  in  dioci  anni 
un  iKwmetto  popolare,  recitato,  rico- 
piato, passando  di  bocca  in  bocca,  di 
paew)  in  paese,  da  mano  a  mano,  Ita 
liene  il  tunipo  di  sofl'rire  (|uci  ^asli, 
che  noi  abbiamo  ravvisati  ad  t«ato 
im^^Whiano,  o  cbo  ci  aveano  of- 
forto  il  migliore  argomento  jiei-  cpe- 
(Iltc  il  cantaro  piti  antico  dui  romaniu 
lH>ccacci<scu.  (1)  Ma  alla  objeziona  del 
Qaspapy  oggi  rispondono  te  nuavo 
Dosti-o  indagini,  por  le  quali  piti  Bopra 
b'  è  mostrato  che  la  Irascriziono  ma- 
^liabscliiana  non  può  i^sor  [losteriure 
al  1343  che,  tutl'al  più,  di  uno  o  dne 
anni,  mentre  il  Filocoìo  non  fu  com- 
pito 0  pulfblicato  chu  nel  1341,  o,  più 
vcrisimilmcuto ,   nel    1342  (2).   Ora, 


(1)  Getehiehte,  I.  e. 

(9)  Vedi  BOpra  u  pp,  48  igg. 


potrebbe  ammettere  ohe  in 

COBI  rapida  tempo  il  teetu  del  cautaro 
bì  corrompesse  prò  fondamento  nel  mo- 
do, che  b'  ó  veduto ,  e  in  punti  rile- 
vantiasimi  del  racconto  ?  (1)  Tutto 
dunque  'dimostra  la  indipendenza  n 
la  priorità  del  cantare  rispetto  al 
Filocolo,  conclusione  questa,  chu, 
corno  ognun  vedo  ,  servo  uou  solo 
ad  illustrai'e  la  questione  dello  fonti 
del  romanzo  del  Boccaccio,  ma  an- 
cora a  sparger  nuova  luce  sulla 
storia  del  poemetto  popoloi'e  italiano 
■nulla  metà  prima  del  trecento,  o  sul- 
}  antico  dell'  ottava  nella  poesia 
narrativa. 

Cosi  rimane  chiaro  che  la  nostra 
leggenda  fu  conosciuta  in  Italia  Un 
dal  dugento,  e  che,  al  tempo  sao,  il 
Boccaccio  la  seutiva  l'ecìtare,  o  poteva 
leggerla  in  un  poemetto  fatto  per  Ìl 
popolo.  Pertanto  egli  non  aveva  bi- 
Bogno  di  ricorrere  a  versioni  straniere 


(1)  Sopra,  a  pp.  57  sr»..  214,  341  f%g. 


[)ei'  trmnie  In  miihiria  {>t'im»,  cali  lii 
qaalo  plnamaro  l' Oliera  suit.  (1)  Ma 
a'  6  veduto  cho  il  Filocolo  dev'  ossoro 
stato  nttintfì  ad  una  font^  più  rìcoa 
del  inwiesto  caiitapi.'.  Qaalu  sarà  ttAUx 
questa.  foiit«?  E  il  poomotto,  n  sua 
volta,  donde  sarà  venuto?  A  codosto 
<lomando  i-ispniulorumi)  noi  protuimo 
capitolo,  <  pei-chò  pioiio  son  titto  lo 
carte  >,  ordit«  a  questo  primo  vo'umek 


(1)  Altra  voiU  U  Guparj  sUsso  uvea 
detto  che  è  beo  possibile  ebe  in  fonte  dol 
Filociilo  sia  it&lianu  {Zcitsehrifl  fùr  rom. 
Ph,,  V.  451).  Ora,  per  quanto  non  b'' 
paia  Bis  stato  dimoatrato,  crede  che  il 
BoccBcciu  possa  afera  usata  odi  fonte 
diversa  da'due  poemi  fianceù  (tlwehiehte, 
11,  Kìl).  Cfr.  anrbe  Bartoll»  J  preeun. 
lif/  Bocc^.  pp.  5fi-57. 


GIUNTE  K  CORREZIONI 

3.  n.  I .  Aggiungii  Wartoji,  Hùlori/ 
of  eìtglish  Poetnj,  od.  del 
IB40,  II.   135. 

5.  Alla  opiniunì  alt  la  orìgine 

.ìylla  ItìBBeodn  Uì  F.  o  B. 
iJa  Doi  brovomenle  at-coa- 
naW,  eì  dtìTi)  ora  aggiun- 
i^'etijijuella del  prof.  Italo 
PIìieI,  elle  osao,  con  .lUii 
miggotti  romanzeschi,  oi 
siti  venula  di  Persia.  Cfr, 
l'EirticuIo  àeWìxAf  L'epo- 
pea persiana  e  V  epopea 
francese  nel  Medio  Eco  — 
GiuM)tlaLett(M'ai'ia,di  To- 
rino, XII.  48,  I  Die.  "88, 
pp.  380-81. 

8.  Circa  la  diffuaione  e  la  cele- 
lubrìtà,  di  chu  godeva  in 
PniDeia  In  stoiiu  di  F.  e 
ri.,  vedi  aDtbc  il  fabliau 
dei  deuaj  hordeors  rìhaui 
{VLttuMglonfltec.g  énàra  l 
i'I  compiei  des  Fabliaui;, 

\.i.y. 


^^^^^It^^^^^^^^^^^^l 

^^^^L 

1 

^^^^1 

l.Vedi  puw:  D*Aac;oiiA,  /xi 

poesia  pop.  iial.,  p.  22; 

S.  Ferru-i,  Bibt.  di  Mi. 

pop.  ital.,  I.  73. 

^^^H 

l.Cfr.  lUm}itìaì,Op.Volg*. 

1884,  604-95,  ove  u  9,1- 

ferma  esser  la  iVowrWarfe/- 

/a  figCimla  del  mercatante 

la  sleesB  che   quella  ào\- 

V  Indovinello. 

^^^B                              >           n 

2.  Oltre   il    Dn   MérU,   cfr. 

Warton,  oj!.  e  L  e;  Som* 

mcr,  op.  «t.  p.  XVI. 

^m                          > 

Lu   scnttura    attribuita   k 

Seneca,  che  qui  si  riu, 

fu  pubblicata  fin  dal  «ec. 

XV:  cfr.  Zambrlnl,  Op. 

Volff.*.  1884,  0£fl-30.  Cfr. 

H.    Sachlor,    rVocmj. 

DmkmTiler.  1.  |>,  v. 

^H                      * 

Su   la  novella  di   Ti-ajaoo 

ijui  acctìunala.efr.JtfoM/t 

imtiche,  ed.  BUgl^  nnin. 

LVIIIl  D*Aiieoiia,  Siud, 

iti  Criliaa   e   Storia  kll. , 

pp.  330-31  itìrtr,  «orna 

mila  M«m.  ecc..  IL  3. 

^H 

iNol     noto    zibaldone    boc- 

495 

caccesco  della  Magliabe- 
chiana ,  ms.  II.  ii.  327 
(  cfr.  F.  Haeii-Leone  , 
//  zibaldone  bocc.  della 
Mglb,,  Giorn.  St.  della  lett. 
ìt.  ,  X.  1.  8gg.  ),  sotto 
la  rubrìca  €  De  hedifiHis 
memorandis  urbis  rome 
secundum  fratrem  Mar- 
Unum  »,  f.  88b,  non  trovo 
alcun  cenno,  che  possa 
riferirsi  al  palazzo  della 
milizia, 
Pag.  l  H.  n.  2.  Della   romanza   qui    citata 

vedi  anche  la  versione 
castigliana:  F«  Wolf  e 
C.  Hofmann  ,  Prima- 
vera  y  Fior  de  Romances, 
II.  38. 

y*  122.  Dovevo  avvertire  che  fjie- 
T'aiÌT(uv  è  emendazione 
delWagrner;  il  ms.  ha  pie- 
T'aoTdv,  che  il  Hnllach 
corregge  in  fjieT'  auTOu: 
ma  che  senso  può  darò 
anche  questa  lezione? 

»  122-23.  A  questo  luogo,  come  pure 
a  p.  370,   avrei    dovuto 


rj^^^^ 

F^^ 

« 

^V                                     P^g.20.„. 

l.Vedi  pure:  D*AneoM,  £« 

;>Q«si(i  pt>p.   >Ia{. ,   p.  £2: 

^H 

8.  Ferrarla  Bibl.  di  tM. 

^H| 

pop.  Hai.,  \.  73. 

H 

l.Cfr.  Zarobrlnl,  Op.  Volg.*. 

1884.  «94-95,  ove  à  ai- 

^^B 

ferma  egaei-  la  Novella  iel- 

^H 

la  figliuola  dit  merealOMit 

^H 

tu  itesea  che  quella  ilel- 

■ 

H 

a.  Oltre   il    Du   MiSrU,    cfr. 

W«rtOD>  op.  e  1.  e;  8oB* 

^^H 

mer,  up.  di.,  p.  XVI, 

H 

La  scrittura    attribuita    a 

Seneca,  cba  qui  eì  cita. 

^H 

fu  pubblicata  fin  dal  wc 

^^H 

XV:cfr.  ZamUrliiI,  0/.. 

^H 

Volg.'.  1884.  929-30.  Cfr. 

^^^ 

fl.    Snohicr,     /Vomii  j. 

^^^^^ 

Dunkmàler,  1.  p,  v. 

^^K 

Su   la  DOvuUa  di   Tri^aEio 

^^^^^H 

aMdcfe,  ed.  Blngl,  num. 

^^^^^H 

LVin^  D*AtlCOU,  S(M(fi 

^^^^^H 

ài  Orilica   e   Storia  Utt. . 

^^^^^H 

pp.  330-31;  Unf^RcnKi 

^^^^^B 

tw(ia  mem.  ecc..  IL  3. 

L 

Nel     nolo    zibaldone   hoc- 

J 

m 

6  un  fliguiflcato,  il  pou- 
kgrecopotevasen tire  una 
i  ripugDiuiza  n  tmMri- 
)  con  lettere  greche 
'  fDFnuDdo  una  voce  che 
non  avrebbe  avuto  più 
nenuQ  senso  nel  grecu 
(4>^Xt4):  d'altronde  il  ren- 
derlo con  eo5«fjto)\),  eiÌto- 
Xv(5  0  simile,  avrebbe  aeo- 
Ktatotroppolaformagrectt 
ilalla  orìgìnaria,  e  prodotto 
altri  inconveniontì.  Di  'lUi 
l'uso  di  «PfXtiww;,  nome, 
quanto  al  suono,  non  mol- 
to lontano  do  Felice.  — 


discopulo  D.'  U.  Marche- 

il  poeta  greco  abbia 
inteso:  Lo  re  Felico^mos- 
se  di  Spagna= coat  mosse, 
cobI  operò,  tal  danno  fece 
il  re  Felice  di  Spagna! 
Tra  guardare  e  gailer  inten- 
diamo che  ci  sia  rinpon- 
•ìvnm  idL>ologicn.  non  fo- 
nftica.  Sappiunio  bene  che 


I&ln 


(Hattm  ti^dlte  ite  XT 
4«el«,«in.  JmMMi,  IL 

CoodU  lUsboUd:  etr.  aaclw 

Ree.  yAt.  ib*  FoM.  eit.. 
tri.  105. 
finì  wrt  piDttoato  ds  naam- 


Brtda,  Dna  «ec.  T 
170.11,  I.  Pad)  r.7t.Ca»ara(fe/ Gravo. 
213,11.  Cfr.  f'iloeolo.  II.  308,  3E8, 
387.  Re  PeliM  iKiB  b  oo»- 
tento  ae  aoa  piando  è  ^ 
coro  eìte  la  tpoia  M  6- 
Rlintrio  apporteBera  a  usa 
protnpia  delb  pifa  gl»- 
riou.  Tiiltniu  la  C9iv- 
Iraji]  intoni?  avT«r(tU  daUo 


ZdhUhÌ  c'è  ■empi'e,  iu 
non  altro  per  le  parole 
poste  in  bocca  a  Biand- 
ftore,  che  in  questa  ootu 
sono  ricordate. 

n.  La  atoriudelleapade  celebri, 
passate  da  un  personaggio 
nll'altro,  è  comune  Del- 
l' epopea  francese ,  forse 
per  tradizione  germanica: 
R^lna,  Oriff.  dnir  Ep.  />-., 
p.  444.  n.  4. 

n.  I,  Udb  vera  scena  di  vanti 
vedi  nelle  Gfsla  Tancredi 
prineipis  di  Baoul  dc 
Caen^  cap.  LXXI,  presso 
Muratori,  Rer.  It.  SS. 
V.  300,  o  nel  Rócueil  de.s 
Hiìt.  de»  CroUadet,  Hist. 
Occid.,  111.  657.  Vedi  in 
qitest'  ultimo  voi.  anche 
pp.  215-16.,  testo  di  Tu- 
dabodus  imilatìuì  et  ean- 
linuatM. 

n.  Si  ritiene  che  la  Gran  Con- 
quitta  de  Ullratnar  sìa 
stata  oonipilala  hIIh  fine 
del  sec.  XIII.,  o  tutt'al 


più  nel  prineipìi)  <iel  eec. 
XIV  (Gayui^S,  introd. 
nllH  sua  edizione  flella 
Gm^itla;  Mììk  J  Fo«> 
ta]Uls.Po«»~a  htroira-prip. 
out. .  pag.  337  :  H.  Pirls, 
La  Ch-  d'Ani,  prav.  et  In 
Gr&D  Conquista  de  Ultr-, 
Komania,  XVII.  ^3-24). 
Nel  Filoeolo  re  Felice  non 
puA  dar  sentenza  mortole 
in  giorno  di  festa  solenne. 
Cosi  nel  romanzo  ap. ,  f, 
24  v„  l'ammiraglio  aspetta 
che  !<ÌB  passata  la  Pasqua 
iwr  giudicare  a  morte 
Flore»  e  BlancaHor.  Cfr., 
[UT  aa..  Buon  rU'  Bi)r- 
dtyitM;(Anc.  Po^t.  rie  la 
Fr..  V.).  .V.  5806-10: 


317.  u.  2.  .\nelie  al  1  li  v.  noi  rom. 
sp.  il  rc>  dice  elle  *  .  . .  . 
alludili  i]cTlajser]qiuilqi«' 


501 

diablo    que   nasi   le   tenin 
vencido  su  fijo  Flores...» 

Anclie  in  fondo  al  rom.  ap., 
f.  2Ó  r.  e  V.,  31  fa  eonfu- 
aione  tra  Alessandria  u 
Babilonia,  e  ei  nominu 
quella  per  questa. 

Mentre  io  compiva  di  w ri- 
vere  questo  voi.,  È  com- 
parso Tarticolodel  Hijiui. 
Dall' estratto  cito  le  pp. 
17-18,  23,  48. 

In  altro  luogo  del  Filoeolo, 
II.  312.  il  lìocc,  nomina 
insieme  Babilonia  e  Semi- 
ramide, ma  ivi  bì  tratta 
aicuramento  dello  Babi- 
lonia asiatica. 

Vedi  però  a  pn^.  480  rome 
ancbe  il  mod.  rifacitoro 
sp.  accenni  all'intenzione 
dell'ammiraglio  di  spo- 
sare SianciRore:  ciù  che 
qui  importava  notare  era 
che  di  quella  intenzione 
tace  all'atto  ìl  cantastorie, 
o  fa  motto  invece  il  poeta 
gl'eco. 


URItATA 

UORRICK 

P,    Un 

I.Id  luogo  del  n'f<I>,ni<ip>i»>i 

'""" 

tl«et(«.   Nm,  .i  lr.ll. 

1.  aH^rnu!  Qi^thU  dtr 

GerrliM,  Onchlchlt  dtr 

dt^  ùchn.. 

dml-  K»m... 

uà  «emptan  del  poeir» 

UQ  Gunoplnre  dol  poema, 

ahesicoDHrvE... 

-    30 

...  dsUDiL  reduioDB  iti- 

...  d»  tina  rsdiuloiHi  iu- 

...   d>,u7gon.binl  .  |»l 

IÌ>D.  della  tege«id>... 

...  d=Uo  Ziunbini  0  dei 

K«rlioe... 

KOB-Iins... 

m 

(Il 

.    37 

...  dlffloolli... 

...  dlfllooll*,.. 

...  Ajollb  dal  Darriooiw... 

...  AjoirudelBarUociiM... 

13 

..     poemm  di   FibuMio  0 
tirtuiKi 

...  pMina  di  AMitto  i 

-     ■ 

(8)  ...  (31  ..^ 

'!,'.Z-ì.5V„„ì™, 

..TTSU'no»tów>,«lw 

^y 

poltrì... 
...   che   viene    lenU  di 

pene... 

in  grulli  di  aiMaf^BlU) 
vieMWlWdlpoiUi... 

■    57 

a.owrmArilaSI,  r^erl.: 

flgl-uolo 

figliuolo 

.    U3n 

"pp.  in.  13"  "' 

...  «dlR.  lloutler,ll.,ltT. 
IBI 

a...  rimuiB  «olouii  vmo 

...  rìmau  «lo  un  verw, 

l-nliimo,  (f,  3d») 

1'  ulllnw  (f.  30(4. 

.    75 

.    Wd 

..  /-wre»..- 

«  *.  fa.  oroni*!... 

..   ti  dt  lai  graadti... 

...  dt  armai  qnt  tme... 

.naTJsr».. 

...  r)iM  Mlanapryio... 
..   itomiIfdqMrnfenWi.. 

*   »in 

B.. 

..  j,  p<r%i-o.  flw  1.0M- 

...  per  ottenero  feliM  i) 
urte... 

i,' liti  etrti  grepl  rlporl.; 

80."  vtrto  'Stòv 

-,  fligoorEa  ftnffiain&  ^, 
l.  ...come  noli'  Bneids... 

I. .  .  vali  noie  alla  81.  4),.. 


."A 


*."  lUI  vtrH greti  ripoi-f. 

...  A  da  un  nn»a\o... 
..,  «ho  In  apprenda  l'Wio- 

Deì  loro  Signore. 


D.  I,  l."  del  veni  grtei  rfpoFt.: 

.   .  B."  dermi  XptffTta«Oy? 
.  •  t."  rana  xuofov 


pp.    38S-37S. 

...  ci  da  an  non     . 
..  eho  le  appreodoMF 

D«T  Imo  ligiiore... 

...  OigHAr...  eanpA 
. . .  ooms  dinna  < 

XpitTTiavoiiq 


-  ISOo.  1 non  el  di 


Bruti  (I  KM^  al 


rìpoaava  >    {  Pulava  ] 

'collo  da'  laraQni*'.. 
BaniBWi  p-  va,  I 


•  ma.      -^  rinpatiBtn.  lU,  S 


■■"■  -/StS;:"!'' 


•     «S  Et? 

111»    .    sopTfri^  Tcxpanfsu 

S  M.  10.13  903  '  n>.  lO-n.  KB. 

twanitu  itaoH  pv  tgogHi  DnUolU  lUuiw  ya  ^uw 
balli»  McUio»  ■  [UUBK,  naeliiiiH. .  ■ 

t...     alt   abtn  (UcnU  II  .    .  «li  «UiIh   auviU 
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. .    ..  (St.  t^"^ 
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plet  iT  Ortmi}, 
...  f.  174,  B«nurdl  d« 

BnjiInBbMli,.. 
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forma  più  wleane  b: 


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W  CORSO  DI  STAMPA 


Slitria  Sirlliiiiui  d'aDMlmo  «nt«re  tferMta 
dialetto  net  8m.  XT,  pubbtiata  «  cura 
Stkk-vso  ViTT'jRid  Uonto.  (Parte  lì.*  Stoi 

1.11  hi'IU  CuuIUa ,  {poeuetto  infidlto  ili  Ptn 
Ali  Klenu ,  it  rurn  (It  Vittmuu^  FinHtNL 

Testi  Inmiltl  di  aotiette  rlniB  TOlgari ,  ta 
III  ]wf  iJ»  ToMiiAa'J  Ca81m.  V.v|.  U 

LunienU  ntorìel  del  Braoli  XIT,  XV  e  X' 
a  ijum  ili  A5T0KI0  Mprtw  a  LtruoTioi  Ftu 
ViiliuuH  in. 

Suitettl  0  Cmoouì  di  Poeti  Veaetl  del  «pfi 

XIV,  u  nurn  ìH  Onuow  ZidìaTtì- 

Fforlo  e  BluuiQore,  pcMmiittn  antifl'i  bnuaj 
n  cura  ili  Vrsanrao  <^W&cact.  Voi.  n. 

ItrnMiuUili  FronceitOO*  La  Psit^  a  eara 
Maoio  MWOttRil. 

11  N«pol6ro  ili  Dante.  Dooumanti  raonilLt  da  1 
i-'.vioi  FniTi  fi  Coluti!»  Ricci 


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