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Full text of "La religione del secolo xix"

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^^■^^^■^- -----  ■ 

'    Cfjeologttal  ^tijool 

HARVARD    TJNIVBKSITT. 


LA  RELIGIONE  DEL  SECOLO  XIX 


LA 


RELIGIONE 

DEL  SECOLO  XIX 

^AUSONIO    FRANCHI 

SECONDA  EDIZIONE       /  A^  ^^^ . 
con  molle  corrcziooi  ed  agginnlci        l  1>  S^J  ^ 


Voi.  I. 


;-i«ITY  U{ 

'IBliA. 

i^UNlV' 

LOSANNA 

1860 

PREFAZIONE 


La  prima  edizione  della  presente  operetta  su 
la  Religione  del  secolo  XIX  venne  la  prima  volta 
in  luce  nel  1853,  un  anno  dopo  la  publicazione 
dell'altra  su  la  Filosofìa  delle  sctwle  italiane y 
con  r intento  di  svolgere  sotto  un  altro  aspetto 
lo  stesso  principio.  Movendo  da  questo  fatto,  che 
le  due  facultà  costitutive  dell'uomo  sono  il  sen- 
limento  e  la  ragione,  io  ne  avea  dedutlo  che  i 
due  caratteri  essenziali  e  supremi  della  civiltà 
s^ono  la  religione  e  la  filosofìa.  Ho  quindi  rivolto 
io  sguardo  all'Italia;  e  cercalo,  s'ella  professi 
ana  religione  conforme  al  sentimento,  ed  una 
filosofia  consentanea  alla  ragione.  Ma  ho  trovalo, 
che  la  sua  filosofìa  officiale  è  la  scolastica,  ne- 
gazione della  scienza;  e  la  sua  religione  pubiica 
il  catolicismo,  negazione  della  libertà.  Ora  la 
scienza  e  la  libertà  sono  i  due  poli  delle  nazioni 
moderne;  poiché  nell'una  s'incarna  la  ragione, 
e  neir altra  il  sentimento:  dunque  l'Italia  non 
può  educarsi  alla  scienza,  né  conquistare  la  li* 


6 

berla,  se  non  rinuncia  alle  dollrine  fìfosoflche  e 
religiose  del  medio  evo,  che  l'incatenano  ancora. 

Questa  tesi  mi  parve  la  più  utile  e  la  più  im- 
portante, eh'  io  potessi  prefiggermi  a  scopo  de' 
miei  studj.  E  come  è  divisa  per  sé  in  due  parli, 
così  l'ho  trattata  in  due  libri  distinti.  Nella  Fi- 
losofia mi  sono  studiato  di  mostrare  l'impossi- 
bilità d'accordar  il  catolicismo  con  la  ragione;  e 
nella  Religione  ho  inteso  provare  Timpossibilità  di 
conciliar  insieme  il  catolicismo  con  la  liberlà.  In 
quella  ho  considerato  qual  rappresentante  della 
filosofia  catolica  il  professore  Berlini,  ed  ho  con- 
futato i  suoi  argumenti;  in  questa  io  considero 
qual  campione  del  liberalismo  catolico  il  conte  di 
Montalembert,  e  combatto  le  sue  asserzioni. 

Farmi  così  d'aver  compiuta,  nel  senso  nega- 
tivo, la  soluzione  dell'arduo  problema,  che  tor- 
mentò in  ogni  età  li  animi  passionati  del  vero  o 
del  bene:  quale  sia  il  rapporto  della  filosofia  con 
la  religione,  della  scienza  con  la  fede.  A  chi  non 
son  noli  i  tentativi,  in  cui  si  travagliarono  scrit- 
tori d'ogni  fatta  e  d'ogni  scuola,  per  istabilire 
una  relazione  di  armonia  e  di  buon  accordo  fra 
l'una  e  l'altra^?  E  sono  anch'io  vissuto  lungo 
tempo  in  questa  illusione!  Ma  le  illusioni  della 
fantasia  non  possono  sostenere  la  luce  del  libera 
esame;  onde  m'avvidi  alla  fine,  che  meco  stesso 
io  vagheggiava  la  costruzione  dell'  impossibile  e 
la  realtà  del  contradittorio.  Perocché  fra  la  ra- 
gione e  l'autorità,  fra  la.  filosofia  e  la  religione 
non  può  correre  9ltrp  rapporto  che  di  subordi* 
nazione:  due  principi,  supremi  entrambi,  assoluti. 


7- 

e  paralleli,  repugnanp  cosi  nell'  ordine  deir  c$i- 
sieoze,  carne  in  quello  delle  idee.  Convien  adun- 
(fue  subordinare  o  la  ragione  alla  fede,  o  la  fede 
alla  ragione.  Il  primo  partito  è  quello  d'ogni  re- 
ligione soyranalurale  o  positiva;  il  secondo,  quello 
d'ogoi  flIoftoHa  naturale  o  razionale.  Laonde  nel 
cuQtrasto  della  ragione  con  la  fede  non  si  tratta 
^ìk  di  conciliazione,  ma  di  supremazia:  trattasi 
di  confidare  alT-una  o  ali'  altra  il  governo  della 
vita.  Ora  un  sovranaluralismo  qualsiasi  non  può 
piiidar  legete  e  norma  ne  alia  vita  intellettuale, 
che  è  la  scieaza;  né  alla  vita  sociale,  che  è  la  li- 
cerla. Non  alla  scienza;  perchè,,  coqfìe  ho  provalo 
già  contro  fìetiini,  la  ragione  lo  ha  convinto  d'as- 
sordo: non  alla  libertà;  perchè,  come  dimostro 
qui  contro  Montalembert,  lo  ha  sentenziato  di 
deipolismo. 

Io  non  ignoro^  che  il  genere  dì  studj,  a  cui 
ho  consacrato  questi  ed  altri  miei  scritti,  dispiace 
a  coloro,  e  non  sono  pochi,  i  quali  hanno  in  or- 
rore tutte  le  controversie  filosofiche  e  religiose. 
Tacìo  di  quelli  che  le  disprezzano  come  oziose 
ed  inutili  agTinleressi  della  vita:  chi  è  indilfercnte 
alia  verità  ed  all'errore,  al  bene  ed  al  male,  chi 
ripone  tutta  la  felicità  nel  ventre  e  nel  denaro, 
parmi  un  essere  così  degradato,  così  abjetto,  ch'io 
lo  stimo  indegno  del  nome  d'uomo,  indegno  di 
qualunque  risposta. 

Ma  v'ha  p^ur  di  quelli, fra  li  stessi  liberali,  che 
le  biasimano  come  pericolose  e  nocive  alla  patria , 
perchè,  a  loro  avviso,  dividono  li  animi,  e  quindi 
le  forze;  e  perchè  devono  st^guire,  e  non  prece- 


8 

dere  la  rivoluzione.  —  Io  però  confesso  franca- 
mente, che  queste  ragioni  non  valgono  punto  a 
persuadermi.  E  che?  Ai  mali  della  patria  sarà  dun- 
que ottimo  ed  efficace  rimedio  il  silenzio?  Por- 
sechè,  tacendo  la  stampa,  non  s'agitano  le  idee 
nelle  menti,  non  fremono  le  passioni  nei  cuori? 
Ah  !  le  dissensioni  non  provengono  già  dalla  pa- 
rola, ma  dal  pensiero.  Accordiamo  prima  li  ani- 
mi, ed  avremo  tosto  concordi  le  voci,  unite  le 
braccia,  congiunte  le  forze.  £  per  associare  li  ani- 
mi in  uno  stesso  pensiero,  Tunica  via  non  è  ap- 
punto la  discussione?  La  discussione,  dove  pa- 
blica  e  dove  privata,  in  questi  intervalli  di  calma 
che  i  tempi  ne  concedono,  può  farsi  a  parole;  ma 
nei  giorni  della  tempesta  dovrebbe  farsi  con  l'ar- 
mi, e  finirebbe  nel  sangue. 

Ammetto  io  pure,  che  molte  questioni  più  par- 
ticolari hanno  a  risolversi,  non  prima,  sibben  dopo 
della  rivoluzione,  o  piuttosto  dalla  rivoluzione 
stessa;  ma  molte  altre  più  generali  esigono  una 
soluzione  anticipata;  perchè  una  rivoluzione  senza 
un  simbolo  di  fede  commune,  che  determini  i 
principi  fondamentali  da  mettere  in  atto  e  da  tra- 
durre in  instituzioni,  non  riuscirebbe  che  ad  una 
sommossa;  e  nei  governi  muterebbe  forse  le  per- 
sone, non  il  sistema.  Or  in  un  sistema  di  rinova- 
mento  politico  e  sociale  non  tiene  forse  il  primo 
luogo  la  religione?  0  che  altro  è  la  religione,  se 
non  la  legge  universale  e  popolare  de^a  vita  uma- 
na, cosi  per  rispetto  all'indivìduo,  quanto  e  più 
per  rispetto  alla  nazione?  No,  la  cagion  prima  e 
originaria  delle  sventure  d'Italia  non  è  propria- 


mente  io  slranicro,  non  il  papato,  non  il  gesui- 
tismo; è  l'ignoranza.  Una  rivoluzione  basterà  ben 
ad  infrenare  i  preti,  a  cacciare  li  austriaci;  ma 
non  basta  per  sé  a  rigenerare  l'Italia:  e  se  avanti 
non  è  penetrata  la  luce  nelle  coscienze  e  negl'in- 
lellelli,  se  la  ragione  non  ha  emancipato  già  le 
idee  e  le  credenze,  noi  ricadremo  bentosto  nelle 
coodizìont  di  prima.  La  vita  esterna  dei  popoli, 
rome  degl'individui,  non  è  che  l'espressione  o 
la  manifestazione  della  loro  vita  interiore.  L'I- 
talia dunque  non  può  divenir  libera ,  se  gl'Ita- 
liani non  conoscono,  non  sentono  i  principi  ^* 
ìibertìi\  se  continuano  a  sostenere,  a  professare  le 
dottrine  della  servitù.  Pertanto  il  pericolo  non 
isià  nel  disputare  di  religione  e  di  filosofla,  ma 
sia  tutto  nel  credere  ad  una  filosoOa  o  ad  una 
religione,  che  non  sia  vera;  poiché  la  verità  è 
Tunica  genitrice  della  libertà.  E,  deh'!  non  get- 
uamoci  più  negli  abissi  dell'ignoto;  non  trasci- 
fìiamo  più,  il  popolo  ad  occhi  chiusi  nel  turbine 
(li  una  rivoluzione  politica,  se  li  animi  non  sono 
?ià  svincolati  dal  giogo  d'una  fede  cheaccieca  la 
ra.ffione,  e  di  un'autorità  che  perverte  la  coscienza. 
Dovremo  noi  dunque  rimettere  la  liberazione 
«ritalia  (Ino  aldi  che  ogni  italiano  sia  un  filosofo? 
K  pretenderemo  di  sconfigere  quando  che  sia  li 
eserciti  dei  nostri  interni  ed  esterni  nemici  a  colpi 
Ji  sillogismo?  —  Nd,  le  conseguenze  iegitìme  del 
nostro  principio  non  corrono  fino  a  sì  puerili,  sì 
ridicole  utopie.  Come  la  natura  dell'uomo  è  com- 
t»lessa,  e  consta  di  due  serie  di  funzioni:  le  une 
materiali,  e  le  altre  morali,  isempre  distinte,  ma 


Id 

non  mai  separatele  necessarie egnalmenle ambe- 
due alla  sua  esistenza  ;  così  il  progresso  deli'  U- 
manità  s'efìTcllua  mediante  il  concorso  di  due  or- 
dini di  forz^e:  materiali  le  une,  morali  le  altre, 
differenti  bensì  tra  loro,  ma  indivisibili  e  neces- 
sarie  del  pari  al  suo  avanzamento.  E  come  nella 
vita  deir individuo  le  funzioni  materiati  van  su- 
bordinate alle  morali,  perchè  queste  hanno  ragion 
di  fine  verso  di  quella;  ^osì  nella  vita  dell'Uma- 
nità lo  forze  materiali  devono  servire  allemor0lÌ9 
perchè  quelle  hanno  ragion  di  mezzo  verso  di 
queste. 

Ma,  d'altra  parte,  grazie  aMa  connessione  in- 
trinseca e  connaturata  delle  one  eon  le  altre,  la 
vita  umana,  così  individusiie  come  sociale,  non 
può  mai  tanto  concentrarsi  in  queste  da  passarsi 
di  quelle,  e  viceversa.  Sarebbe  dunque  follia  si 
il  presumere  ài  spiritualizzare  talmente  l'Uma- 
nità da  sottrarla  alle  condizioni  del  suo  organi- 
smo; e  si  il  pretendere  di  talmente  materializ- 
zarla da  farle  smarrire  la  dignità  della  sua  co- 
scienza. La  legge  dell'educazione  per  li  individui 
e  del  progresso  per  le  nazioni  consiste  adunque^ 
non  già  nel  segregare  le  forze  materialidalle  mo- 
rali, perchè  le  une  compiano  il  loro  sviluppo  prima 
0  senza  delle  altre;  ma  bensì  nel  coordinarie  in 
guisa  che  queste  e  quelle  concorrano,  secondo  la 
propria  natura  ed  efficacia,  all'opera  dell'educa- 
zione e  del  progresso.  Nel  qual  compito  è  per  sé 
manifesto,  che  alle  forze  morali  spetta  la  dire- 
zione, alle  materiali  l'esecuzione  del  lavoro  com-- 
mune;  e  che  per  ciò  appunta,  siccome  dicevamo 


It 

lesléy  l'emancipazione  civile  e  politica  delle  na- 
ziooi  non  può  effettuarst  se  non  in  seguito  alla 
loro  emancipazione  intellettuale  e  religiosa. 

Amnaettendo  però  quest'ordine  di  successione 
Del  progresso  deirUmanità,  io  sono  ben  lontano 
dall'inlendere,  che  l'opera  del  senno  possa  e  debba 
compiersi  senza  l'opera  della  mano;  ovvero,  o\ìe 
UD  popola  non  abbia  da  pensar  a  scuotere  con  le 
armi  il  giogo  di  una  dominazione  iniqua,  tirane 
nica,  se  non  dopo  che  lutti  e  singoli  Tindividai, 
ond'è  conQposto,  siano  dottori  in  democrazia  e 
professori  di  razionalismo.  A  questo  patto,  il 
ffloodo  sarebbe  rimasto  perpetuamente  nella  sua 
infanzia,  e  li  nomini  errerebbero  ancora  per  le 
selve  in  cerca  delle  ghiande,  se  pur  è  vero  che 
le  ghiande  abbiano  loro  somministrato  il  prima 
alimento,  e  le  selve  il  primo  ricovero.  Un  con- 
senso matematicamente  unanime  e  universale» 
Don  dirò  che  in  astratto  non  sia  pof»sibile  sopra 
ifron  punto,  ma  certo  non  ebbe  mai  luogo  in 
realtà,  né  è  probabile  che  l'abbia  per  chi  sa  quanti 
secoli  ancora:  e  nondimeno  il  progresso  è  venuta 
e  vien  sempre  attuandosi  in  tanti  ordini  d' ideo 
ed'instituzioni.  Ed  in  qual  modo? 

Nel  genio  solingo  di  qualche  riformatore  inco- 
mincia dapprima  a  germogliare  il  concetto  del- 
l'innovazione;  alcune  menti  elette,  alcuni  cuori 
generosi  se  l' appropriano,  lo  cullivano,  lo  com- 
municaoo  a  poco  a  poco,  dove  in  segreto,  dove 
all'aperta,  ad  amici,  a  discepoli,  a  confratelli,  a 
compatrioti;  e  quando  esso  è  divenuto  fede  com* 
mane  d'un  numero  di  proseliti  via  via  maggiore» 


12 

allora  entra  arditamente  in  lutta  cóntro  il  vecchio 
sistema ,  combatte  con  la  forza  delle  ragioni  per 
guadagnarsi  l'assenso  dei  più  autorevoli  fra  il  ceto 
culto,  finché,  sentendo  di  avere  il  sopravento  e 
d'essere  alla  testa  della  publica  opinione,  ricorre, 
se  è  d'uopo,  alla  forza  delle  armi  per  riportare  la 
sua  vittoria  definitiva  su  i  partigiani  armati  e  in- 
correggibili della  reazione,  e  per  ottenere  libero 
il  campo  delle  applicazioni  e  delle  riforme,  mercè 
le  quali  soltanto  può  trapassare  dalle  idee  nei  fatti, 
dalla  speculazione  nella  pratica,  dalla  coscienza 
dell'individuo  nell'ordinamento  della  società-. 

Verrà  egli  un  giorno,  che  i  popoli  andranno 
immuni  dalla  terribile  necessità  di  avvalorare  la 
verità  delle  dottrine  con  la  potenza  dei  cannoni, 
e  che  all'Umanità  sarà  dato  di  procedere  libera- 
mente nel  suo  cammino,  senza  incontrare  più  osta- 
coli da  non  potersi  altrimenti  abbattere  che  per 
via  della  guerra*?  —  Io  lo  spero  e  lo  'credo  fer- 
mamente; ma  quel  giorno  desideratissimo,  —  oh! 
potessi  ingannarmi  l  —  è  ancora  lontano,  lontano. 
Quaranta  secoli  di  storia  non  mi  permettono  d'ab- 
bandonarmi ad  illusioni,  che  per  nobili  e  sublimi 
che  siano,  sarebbero  pur  sempre  illusioni,  e  sem- 
pre finirebbero  con  disinganni  dolorosi  e  perico- 
losi; giacché  per  lo  più  il  disinganno  è  la  porta 
della  disperazione. 

Primo  canone  del  razionalismo  si  è  di  guar- 
dare le  cose  nella  loro  realtà.  La  natura  è  così 
fatta,  perchè  è  fatta  così;  ed  è  vano  mettere  alla 
tortura  il  nostro  povero  cervello  per  rifarla  di 
pianta  a  nostro  gusto.  Poiché  dunque  è  una  legge 


u 

fatale  deli' Umanità  (almanco  finora),  che  all'at- 
tuazione ultima  de'  suoi  progressi  morali  non  ar< 
rivi  mai  se  non  co'l  concorso  delle  forze  materiali 
ed  a  traverso  li  orrori  delle  guerre  e  delle  batta- 
glie; è  debito  nostro,  non  già  di  sbracciarci  inu- 
tilmente ed  insensatamente  contro  la  legge  della 
natura,  ma  bensì  di  rivolgere  tutti  i  nostri  studj 
e  i  nostri  sforzi  ad  attenuarne  i  pericoli  e  i  danni, 
ad  aumentarne  i  frutti  e  i  benefìzj.  Le  guerre  sono 
nella  vita  delle  nazioni  ciò  che  son  le  crisi  nella 
vita  degli  individui;  e  come,  rispetto  a  queste^ 
Tofficio  del  medico  consiste,  non  già  nel  contra- 
stare pazzamente  ai  corso  della  natura,  ma  nel 
secondarla,  nel  coadjuvarla  destramente,  sì  che 
requilibrio  e  l'armonia  delle  sue  funzioni  si  ri- 
stabiliscano il  meglio  ed  il  più  tosto  possibile; 
così,  rispetto  a  quelle,  tocca  al  savio  ed  al  pa>- 
iriota,  non  di  opporsi  ciecamente  alia  fatalità  della 
guerra,  ma  di  contribuire  a  renderne  più  giuste 
le  cagioni,  più  utili  li  effetti,  più  breve  la  durata, 
meno  frequente  il  ritorno. 

Ed  ecco  perchè  e  come  io  esortava  sì  calda- 
mente i  promotori  di  rivoluzioni  a  rammentarsi, 
che  r  opera  delle  forze  materiali  è  destinata  ad 
andar  dietro,  e  non  avanti  all'opera  delle  forze 
morali;  che  le  calamità  della  guerra  non  sono  ac- 
cettabili, se  non  in  quanto  servono  al  trionfo  della 
giustizia  ;  e  che  la  giustizia  non  può  imporsi  con 
le  armi  ai  pocbi  reluttantì,  se  non  dopo  che  s'Iia 
guadagnato  l'assenso  e  il  culto  dei  molti  con  Le 

ragioni 
La  redenzione  d'Italia  percorre  la  stessa  via, 


14 

per  cui  6i  sono  operale  tuUe  le  grandi  riforme 
sociali.  Prima  fn  un  apostolato,  e  poi  una  rivo- 
luzione. E  i  tentativi  di  rivoluzione  e  di  guerra 
caddero  a  vuoto  più  volte,  perchè  Topera  dell'a- 
postolato era  appena  incominciala,  non  che  com- 
piuta. Ma  intanto  si  proseguiva  con  piiì  ardore 
a  destare,  a  difTundere  il  sentimenlo  di  naziona- 
lità, di  patria,  d'indipendenza,  di  libertà;  ad  au- 
mentare il  numero,,  tanto  degli  apostoli  quanto 
dei  credenti:  si  ritentò  quindi  la  prova,  e  si  fece 
un  gran  passo  avanti.  Rimettiamoci  dunque  all'o- 
pera più  animosi,  più  fidenti  e  costanti  che  mai; 
e  non  andrà  guari  che  la  causa  italiana  avrà  pie- 
namente trionfato. 

Mi  rimane  a  dire  dei  miglioramenli,  che  ho 
procuralo  d'introdurre  in  questa  ristampa;  cioè 
delle  molte  correzioni  ed  aggiunte,  per  cui  andrà 
differenziata  dalla  prima  edizione. 

Delle  aggiunte,  quelle  che  intendono  solo  a 
chiarir  meglio  qualche  punto  particolare  del  testo 
primitivo,  verranno  o  inserite  nel  testo  mede- 
simo, 0  ridutte  in  forma  di  Noie  a  loro  luogo; 
quelle  altre,  invece,  che  mirano  a  trattare  un  tema 
nuovo  0  a  ribattere*  nuove  objezioni,  saranno  rac- 
colte in  un'Appendice  alla  fine  dell'opera. 

Quanto  poi  alle  correzioni,  molte  riguardano 
la  proprietà  e  la  purezza  della  lingua;  altre  hanno 
per  iscopo  di  dare  maggior  chiarezza  o  rilievo  a 
certe  idee,  maggior  precisione  o  rigore  a  certe 
formule;  altre  infine  son  fatte  per  temperane  l'a- 
cerbità del  linguaggio,  che  avevo  adoperata  qua 


e  ià  contro  kìcanì  scriUorì  nel  primo  impeto  dello 
sdegno  soscildto  in  me  dalle  loro  impertinenze. 
ÀI  qual  proposilo,  chieggo  licenza  ai  lettori  di 
rendere  brevemente  ragione  dei  /alto  mio. 

Coloro,  che  mi  rimproverarono  d'avere  quali- 
ficalo in  termini  troppo  severi,  anzi  ingiuriosi,  il 
procedere  di  certi  autori  italiani  e  stranieri,  non 
hanno  fatto  due  avvertenze,  le  quali  avrebbero 
potuto  in  grandissima  parte  ^iuslifidarmi.  —  La 
prima,  che  quei  giudizj  concernevano  autori  vi- 
genti, ai  quali  tornava  assai  facile  difendersi  o 
discolparsi,  qualora  si  fossero  creduti  offesi  ed 
o/(raggìati.  Dovunque  mi  è  occorso  di  censurare 
nomini,  cbe  appartengono  al  pacifico  regno  della 
storia,  né  possono  più  assumere  le  proprie  difese, 
io  non  bo  mai  adoperato  un  termine  solo,  ch'ec- 
cedesse i  riguardi  dovuti  alla  memoria  de'  trapas- 
sali. Fra  le  tante  specie  di  viltà  io  non  ne  cono- 
sco altra  peggiore  che  quella  di  certi  critici,  i 
(foali  sono  conigli  co'  i  vivi,  e  leoni  co'  i  morti. 
—  La  seconda,  che  non  ho  mai  rivolto  accuse 
^Tramite  a  nessuno;  e  le  qualificazioni  severe,  che 
ho  osate,  hanno  sempre  il  loro  fondamento  nella 
qualità  del  detto  o  deiratto  degli  scrittori,  a  cui 
vengono  applicate.  Come  possono  dunque  tacciarsi 
d'ingiarie,  se  prima  non  si  dimostrino  o  apocrifi 
i  documenti  che  allego,  o  falbci  le  conclusioni 
che  ne  ricavo?  Quelli  scrittori  insultavano  al  ge- 
nio, denigravano  In  virtù,  calunniavano  la  sven- 
tura, mentivano  alla  verità  conosciuta:  io  ne  in- 
feriva, cb' erano  dunque  insolenti  e  maldicenti, 
calnnniatori  ed  impostori.  Dov'è  l'ingiuria?  Chi 


1« 

manca  di  rispeUo  agli  altri,  dod  perde  forse  il 
diritto  di  essere  rispettato?  E  quei  pusilli^  che  si 
mostravano  scandalizzali  della  mia  audacia  a  rim- 
beccare certi  barbassori,  non  avrebbero  fatto  me- 
glio a  gridare  contro  l'impudenza  de'  rei,  anziché 
contro  la  severità  del  censore?  0  qual  anima  one- 
sta e  gentile  potrà  leggere  le  enormezze  del  conte 
di  Montalembert  e  del  P.  Ventura,  di  tanti  ve- 
scovi e  di  tanti  papi,  senza  confessare  ch'io  avrei 
avuto  ben  ragione  di  castigarle  in  termini  assai 
più  duri  ed  acerbi? 

E  nondimeno^  parecchie  correzioni  ebbi  da  fare 
anche  sotto  questo  rispetto.  Qualcuna  mi  era  im- 
posta dal  principio  medesimo,  di  cui  ho  fatto  un» 
regola  a  me  stesso.  Perocché  neir intervallo  fra 
la  prima  e  la  seconda  edizione  son  morti  alcuni 
degli  scrittori,  che  più  mi  avevano  irritato  co' 
lorooUraggi  ad  uomini  salutati  dall'opinione  pu- 
blica  d' Europa  grandi  ed  immortali.  Ora  certe 
frasi,  che  si  potevano  adoperare  benissimo  senza 
scrupolo  nel  vivo  delia  lutta,  non  sono  più  lecite 
dinanzi  ad  una  tomba.  Io  arrossirei  di  me  stesso, 
se  non  avessi  la  coscienza  di  questo  dovere,  cho 
altri  può  credere  atto  di  generosità,  ma  ch'io  re- 
puto atto  di  giustizia.  E  se  alla  ristampa  di  que- 
sto mio  scritto  seguiterà,  come  io  confìdo,  quella 
d'alcuni  altri,  non  mancherò  di  sicuro  alla  legge, 
che  mi  ho  prefissa:  il  pane  sepullo  mi  parve  sem- 
pre uno  de'  sentimenti,  che  più  onorino  il  cuore 
umano. 

Qualcun'a-ltra  correzione,  per  ultimo,  mi  è  cm- 
sigliala  dalla  temperanza,  eh' è  fruito  naturale  del 


n 

tempo  e  deiresperìeoza;  In  sette  aDoi  sHmparaoo 
e  si  disimparano  taniè  cosel  si  smettono  tanti 
pregiudizi  I  si  calmano  tante  pjassioni  t  si  acqui- 
stano tante  ideet  si  appurano  tanti  fatti!  si  guar- 
dano li  uomini  e  li  eventi  con  qccbio  tanto  di- 
irerso,  che  il  dod  aver  oggi  nulla  da  mutare  nelle 
parole  proferite  allora,  sarebbe  indizio  d'averi^ 
speso  inutilmente  il  proprio  t^mpo;  d'avere,  non** 
vissuto,  ma  vegetato;  sarebbe  prova,  non  dì  co- 
stanza, ma  d'inerzja;  sarebbe,  boo  un  titolo  di 
merito,  ma  un  capo  d'accusa. Ohi  lasciamo  ii  vanto 
dell'immutabilità  a  quei  disgraziati,  che  si  cre- 
dono semidei,  laddove  son  forse  a  mala  pena  semi- 
QominL  II  più  nobile  attributo  dell'Umanità  è  la 
sua  attitudine  a  perfezionarsi:  ma  di  qua!  perfe- 
zionamento sarebbe  n^ai  capace  chi  si  ostinasse 
a  rilare  sempre  ciò  che  ha  fatto  e  sempre  ridire 
ciò  che  ha  detto  nm  volta?  Vi  sarebbe  su  'l  se* 
rio  da  disputare,  a  qual  regno  della  natura  ap- 
partenga un  simàle  individuo. 

Lo  ripeto  adunque,  senz'ombra  né  di  vanità, 
oè  di  rossore:  un'esperienza  di  sette  anni  mi  ha 
persuaso  ad  essere  più  cauto  nel  condannare  e  più 
indulgente  nell' assolvere;  men  corrivo  a  scam- 
biar l'errore  con  la  colpa,  l'aberrazione  dell'in- 
teJletto  con  la  malvagità  del  cuore.  Quante  cose, 
che  mi  parevano  un  tempo  segni  evidenti,  pal- 
pabili di  mala  fede  e  di  reità,  non  mi  sembrano 
più  oggi,  dopo  tanti  disinganni,  titoli  sufficienti 
'dà  escludere  la  possibilità  della  buona  fedQ  e  del- 
l'ioDocenza  !  E  dìi  sa  quante  altre,  da  me  tenute 
ancora  per  inescusabili,  mi  appariranno  un  d'i  de- 
I.  2 


18 

gnissime  di  compatimento  e  4*assoluzionet  Vero 
è,  che  la  piega  airindulgenzd  ci  espone  al  peri^ 
colo  di  trattare  li  ingannatori  da  ingannali  :  ma 
con  la  piega  al  rigorismo  non'  si  corre  forse  il  ri- 
schio di  fare  dell'ingannato  nn  ingannatore?  E 
rischio  per  rischio,  non  vai  meglio  avventurarsi 
a  scusare  un  reo,  che  a  condannare  un  inno- 
cente? 

Laonde  io  ho  raddoppiato  di  cura  e  diligenza 
per  non  uscir  mai  fuori  dei  limiti  della  critica  let- 
teraria, né  assumere  il  tono  della  censura  mo- 
rale; ed  ho  cancellalo  di  htion  grado  alcuni  epi- 
teli, che  potevano  offendere  meno  l'ingegno  che 
la  coscienza  degli  avversar}. 

Con  tutte  queste  correzioni  però,  il  libro  ri- 
mane sustanzialmente  lo  stesso,  non  solo  quanto 
al  fondo  della  dottrina,  ma  eziandio  quanto  alla 
forma  dell'esposizione;  giacché  volessi  pure  mu- 
tarlo, io  non  potrei.  Troppo  sovente  si  contun- 
dono due  cose,  tra  le  quali  corre  tuttavia  un  di- 
vario essenziale,  infinito:  cioè  combattere  un  er- 
rore con  energia ,  ed  offendere  con  ingiurìe  nn 
autore.  Se  questo  è  colpa,  quello  é  dovere.  Il  ri- 
spetto all'errore  può  chiamarsi  virtù  da  coloro 
che  sono  al  vero  timidi  jmicì;  ma  non  certo  da 
quanti  l'amano  e  l'adorano  con  religiosa  osser- 
vanza. E  per  me  la  causa  del  vero  va  innanzi  a 
tutto  ed  a  tutti;  né  sapreij  né  pur  sapendo  vor- 
rei direnderla  a  forza  di  scuse  e  di  complimenti. 
Quando  si  trovano  alle  prese  Terrore  e  la  verità, 
io  veggo  su  'I  campo,  non  persone,  ma  idee;  e 
per  decidermi  a  seguire  Puna  o  l'altra  parte,  io 


19 

non  domando  il  nome  delle  prime,  ma  esamino 
il  valore  delle  seconde.  Dove  parmj  di  ravvisare 
la  bandiera  della  verità,  quivi  è  il  mio  posto;  e 
ne  timore  d'avversarj,  né  affetto  d'amici  potrà  mai 
farmelo  disertare,  lo  sono  ben  lontano  dal  presu- 
mere, che  il  debole  soccorso  della  mia  parola  ba- 
sti ad  assicurare  il  trionfo  della  causa,  a  cui  mi 
son  dedicalo;  ma  s'ella  dee  tra  le  mie  mani  ve- 
nir meno,  sarà  per  difetto  d'ingegno  e  di  dottrina, 
e  non  mai  per  fiacchezza  d'animo  e  di  cuore.  Che 
dunque  un  po'  di  forza  e  di  calore  animi'ii  mio 
stile,  io  non  me  ne  posso  emendare,  né  pentire; 
poiché  non  è  effetto  dell'arte,  ma  del  convinci- 
mento. E  quell'ingegni,  a  cui  è  vita  lo  studio  e 
religione  la  scienza,  mi  perdoneranno,  se  io  non 
son  dì  coloro  che  per  difendere  la  verità  si  pro- 
strano ginocchioni  dinanzi  all'errore. 

Milano,  agosto  1860. 


LA 


lUGIONE  DEL  SECOLO  XIX 


CAPITOLO  PRIMO 


•  TATO    DELLA    4|UEflT10HB 


Qual  è  il  carattere  religioso  del  secolo  XIX? —  A 
^esta  domanda  fanno  risposte  assai  diverse  i  parti- 
S'^ni  del  diversi  sistemi.  Il  secolo  nostro  è  eminen- 
teiBente  religioso,  van  gridando  1  catoiici;  l'Europa 
^alla  grande  unità  della  chiesa;  il  protestantismo 
Smorto;  il  razionalismo  è  mefibondo;  F Lneredulità 
^  è  più  di  moda.  Fino  a  Londra  e^è  un  cardinale 
arcivescovo,  e  si  fabrica  una  «uova  chiesa  per  i  ca- 
•ofei;  un'altra  si  è  già  £abricata  perfino  a  Ginevra; 
l«rfino  in  Prussia  i  gesuiti  fanno  le  loro  missioni,  e 
'Itre  missioni  si  fanno  p»  tutta  la  Germania.  In  Fran- 
^'^  poi,  nella  patria  di  Voltaire,  nell'officina  dell'En- 
^l<)pedla,  nel  gran  teatro  della  rivoluzione,  è  mira- 
^^  il  risurgimento  del  catcdieismo:  ivi  è  catoli- 
ym  il  governo,  catolico  rinsegnamefito,  catolico 
'Creilo,  catolica  la  polizia  ;  ivi  si  restaurano  le  chiese, 
"'  <tecorano  i  frati  e  le  monache,  s'aumenta  lo  sli- 
l*ndio  ai  vescovi,  si  tengono  concilj,  s'adora  il  papa  : 


22 

insomma  torniamo  a' bei  tempi  deìla  fede  antica,  U 
catolicismo  ba  trionfato. 

Ma  i  protestanti  non  l'intendono  così.  Il  nostro  se- 
colo certamente  è  religioso,  dicono  essi  ;  ma  in  senso 
ben  diverso  da  quello  che  pretendono  i  eatolici.  La 
Riforma  di  Lutero  si  va  compiendo  adesso,  e  la  ro- 
vina estrema  del  catolicismo  è  imminente.  Tutta  l'Eu- 
ropa è  piena  di  Bibbie,  e  dir  pastori  che  le  commen- 
tano al  popolo;  il  popolo  abbandona  la  chiesa  di 
Roma,  e  si  converte  alla  jiura  fede  deir Evangelio; 
si  converte  T Irlanda,  si  converte  T Austria,, si  con- 
verte r  Italia  ;  in  breve  si  convertirà  pure  la  Erancia. 
Questa,  per  il  protestantismo,  è  Tetà  dell'oro;  la  fede 
e  la  grazia  di  Gesù  Cristo  ha  trionfato.  —  Chi  di  loro 
ha  dunque  ragione:  i  catoliei^o  i  protestanti?  Ed  il 
secolo  XIX  corre  al  papa,  o  a  Lutero? 

Né  all'uno,  nò  all'altro,  soggiungono  in  folla  scrit- 
tori e  pensatori  d'ogni  maniera:  la  fede  sopranatu- 
rale oggimai  è  riconosciuta  una  favola;  la  Riforma 
ha  vissuto  abbastanza,  il  Papato  anche  troppo;  sono 
instituzionl  decrepite,  non  hanno  più  filo  di  vita.  La 
ragione  è  entrata  finalmente  nel  pieno  possesso  del- 
luomo  e  della  società;  e  il  Dio  del  secolo  nostro  è 
la  scienza.  Il  cristianesimo  ha  dunque  terminata  la 
sua  missione;  da  pochi  ignoranti  o  ipocriti  infuori, 
non  ha  più  credenti.  I  credenti,  li  apostoli,  i  martiri 
sono  con  noi;  sono  tutti  coloro  che  lavorano  e  sof- 
frono per  la  scoperta  del  vero,  il  progresso  del  sa- 
pere, l'investigazione  della  natura,  il  riordinamento 
della  società;  coloro  che  alla  rivelazione  della  Bibbia 
han  sostituito  la  ragione,  al  eulto  di  Dio  la  morale, 
al  prete  la  patria,  alla  chiesa  l'Umanità.  Ecco  la  fedei 
dell'Europa  moderna;  e  se  finora  non  sono  scomparse^ 
le  altre  religioni  rivelate,  gli  è  perchè  si  colleganoj 
tutte  con  la  forza  bruta  de'  governi,  e  s' appoggiano! 
ancora  su  l'ignoranza  e  la  miseria  delle  plebi.  Ma  ìm 


23 

signoria  (Ielle  mentì  e  de'  cuori  non  è  più  in  loro  po- 
tere: al  primo  grido  di  libertà,  che  si  levi  nel  mondo, 
tottò  è  finito.—  E  questa  opinione  de'  razionalisti  è 
dia  vera,  o  tìkàì 
Tal  è  la  questione,  che  pigliamo  ad  esaminare:  que- 
^  DOD  solamente  grave  per  sé  stessa,  e  degna 
d'iBo  stadio  accurato  e  profondo,  ipa  piena  d'impor- 
tanza e  d'interesse  particolare  a' di  nostri,  in  cui  — 
^\  potrebbe  più  dubitarne?  -—  essa  preoccupa  tutti 
li  studiosi  e  prevale  a  tutti  li  altrj  problemi.  La  re- 
li^  è  oggidì  il  pensiero  che  assedia  le  menti ,  è 
^  rara  che  agita  le  coscienze,  è  il  discorso  di  tutti, 
<1^  prete  ai  soldato,  dalla  matrona  al  fanciullo,  dal 
Bttteifiatico  air  artigiano.  Ciascuno  crede  al  trionfo 
<fci proprio  simbolo;  ciascuno  grida  alla  morte  del 
^lo  altrui:  rimane  a  vedere  chi  s'apponga,  e  chi 
^ifiganni.  Io  lasoerò  al  lettore  proferire  il  giudizio, 
^  che  avrà  tenuto  dietro  alla  discussione,  con  cui 
iBi  prometto  di  risolvere  il  problema.  L'ho  studiato 
^  medesimo  con  tutta  la  diligenza  e  la  severità, 
^  coi  sono  capace;  ho  indagato  di  buona  fede  e* con 
Spassionato  la  verità;  sono  persuaso  d'averla 
^fovita;  e  quando  pure  io  m'illudessi,  la  mia  parola 
^^  almeno,  io  spero,  l'occasione  ad  altri  di  far 
^noseere  il  vero,  e  mi  t^rò  sempre  fortunato  di  po^ 
^  imparare, 

\  la  prima  cosa,  fissiam  bene  lo  stato  della  que^ 
^.  La  ^oale  s'intende  ristretta  alla  parte  più  ci- 
^del  globo,  cioè  all'Europa  e  ad  alcune  regioni 
^'America;  polche  tutta  la  controversia  si  dibatte 
'■^  il  crlstlanestmo  e  hi  ftlosofla;  onde  quel  luoghi, 
^eiHm  ha  penetrato  ancora  o  non  ha  attecchito 
Indottrina  della  Bibbia  e  dell'Evangelio,  sono  fuori 
^1  causa.  Anche  la  condizione  del  tempo  vuol  essere 
"Mnita.  Il  secolo  XIX,  ginnto  poco  oltre  ai  me^^o 


24 

del  suo  corso,  comprende  già' tre  p^odi  distinti,  dia- 
scuno  de*quali  per  FinKlnenfi»,  cb'esercitò'  su  l'anda- 
mento della  civiltà,  yale  un  sec<Ho  da  sé  solo:  1M5, 
1830,  1848  sono  tre  date,  che  segnano  nella  perpetua 
serie  degli  umani  progressi  altretante  ^epoche  della 
storia  moderna.  Ora  dai  grand!  rivolgimenti  del  48  in- 
comincia un  periodo  novello  del  nostro  secolo,  che 
ha  pure  le  sue  prerogative,  le  sue  tendenze ,  le  sue 
opinioni,  i  suoi  bisogni,  in  somma  un  carattere  suo 
proprio;  ed  è  questo  precisamente  11  periodo,  a  cui 
^  riferiscono  le  odierne  questioni.  Adopero  dunque 
l'espressione  di  secolo  XIX  nel  più  stretto  significato 
di  tempo  presente,  o  di  epoca  contemporanea. 

E  non  solamente  quanto  al  luoghi  ed  ai  tempi,  nra 
eziandio  quanto  ai  sistemi  la  questione  dev'essere  cir- 
coscritta; altrimenti  riuscirebbe  Insolubile.  E^parml 
evidente,  che  le  sole  dottrine,  fra.  cui  si  può  discutepe 
della  supremazia  in  Europa,  si  riducano  a  due  :  cristia- 
nesimo e  razionalismo.  Il  cristianesimo  si  suddivide  in 
una  moltitudine  di  sètte,  più  o  men  numerose  e  diver- 
genti, ma  le  possono  ridursi  a  due  sole:  catolicismo, 
che  è  la  più  estesa,  compatta,  e  disciplinata;  e  pro- 
testantismo, che  abbraccia  tutte  le  altre  coiismui^onl, 
qualunque  sia  il  loro  simbolo  particolare.  Se  non  che 
i  termini  estremi  ed  opposti,  fra  cui  propriamente  si 
agita  la  questione,  sono  il  catolicismo  ed  11  raziona- 
lismo, il  primo  dei  quali  rappresenta  il  principio  d'au- 
torità, ed  il  secondo  il  principio  di  libertà:  quello  si 
fonda  su  i  dogmi  d'una  rivekzlone  divin§,  e  questo 
su  le  idee  della  ragion  naturale:  l'uno  crede  a  Dio, 
e  l'altro  all'Umanità.  Per  lo  contrario,  il  protestan- 
tismo è  un  termine  medio  fra  què'  due  estremi,  e  non 
ri  offre  netta  e  precisa  conformità  o  opposizione  né 
con  l'uno,  né  con  l'altro:  ritiene  qualche  oosa  delle 
dottrine  catoliche,  ed  in  qualche  altra  s'avvicina 
alle  dottrine  razionali;  sicché,  nel  caso  nostro,  esso 


2o 
non  può  «vere  che  unlmportanza  secondaria,,  ed  un 
\aiore  affatto  relativo  ed  accessorio.  Laonde  noi  di- 
scDteremo  4la  prima  la  questione  ne'  suoi  termini  for- 
mali ed  assoluti:  catolicismo,  o  razionalismo;  e  dalle 
coQclusionl,  a  cui  la  logica  e  la  storia  ne  guideranno, 
trarremo  poscia  le  norme  da  giudicare  con  sicurezza 
ed  imparzialità  il  sistema  protestante* 

k  procedei»  con  ordine  e  chiarezza  conviene  sta- 
bilire due  punti: 

ÌJ*  Quali  sono  1  caratteri,  che  ad  una  dottrina  o 
ad  un  culto  danno  Timpronta  di  religione  per  un'  e- 
poca  data? 

V  Questi  caratteri,  nell'attuale  periodo  del  se- 
colo XIX,  in  Europa,  convengono  al  catolicismo  o 
2i  raziiHìalismo? 

Dalla  prima  indagine  noi  dobbiamo  dedurre  il  cri- 
terio generale  e  le  segolo  positive  per  risolvere  con 
certezza  apodittica  la  seconda  questione. 


CAPITOLO  SECONDO 


CABATTBKI    DI    UNA    KR|.l«IOMB 


I  limiti,  entro  cui  abbiamo  circoscritto  lo  stato 
della  questione  che  ci  proponiamo  d'esaminare,  de- 
terminano pure  il  senso,  in  cui  dobbiamo  prendere 
la  religione  e.  stabilirne  i  caratteri.  Perocché  ad  in- 
dagare le  doti  0  proprietà  che  di  una  dottrina  fanno  la 
religione  di  un'epoca,  è  evidente  che  s'ha  da  consi- 
derare la  dottrina  medesima,  non  in  sé  stessa  e  nei 
suoi  attributi  essenziali,  intrinseci,  assoluti,  ma  nelle 
sue  relazioni  con  la  società,  e  nelle  funzioni  ch'essa 
esercita  su  la  vita  intellettuale  e  morale,  civile  e 
politica  delle  nazioni. 

Quindi  i  varj  significati,  in  cui  suole  più  commu- 
nemente  adoperarsi,  massime  dai  teologi,  la  parola 
Religione,  non  fanno  punto  al  caso  nostro.  Per  noi, 
essa  non  è,  come  l'interpretano  d'ordinario  li  etimo- 
logisti teologanti,  il  legame  che  stringe  l'uomo  a 
Dio  ed  alle  sue  leggi.  Non  é,  come  pretendono  i  teologi 
dogmatici,  la  conoscenza  di  Dio  e  del  culto  a  lui  dovuto. 
Non  è,  come  vogliono  i  teologi  moralisti,  l'osservanza 
stessa  del  culto  che  Dio  esìge  dalle  sue  creature. 


27 

Non  è  iofine,  come  in  generale  rintendono  i  sovrana- 
toralisti,  il  sistema  delie  leggi  ctie  regolano  i  rap* 
porti  fondamentali  e  universali  dell'uomo  con  i  suoi 
simili,  con  l'universo,  e  con  Dio;  sistema  che  implica  : 
teoricamente,  un  concetto  determinato  e  positivo  su 
la  natura  e  li  attributi  di  Dio,  la  formazione  ed  il 
governo  del  mondo,  l'orìgine,  l'essenza,  ed  il  fìne  ul- 
timo delFuomo;  e  praticamente,  una  serie  di  atti  in- 
terni e  di  offìcj  esteriori  per  adempiere  i  doveri,  che 
ha  ciascuno  verso  Dìo  e  la  società. 

Si  tratta  qui  della  religione  sotto  un  rispetto  più 
generico  insieme  e  più  reale;  si  tratta,  non  della  ve- 
rità de' suoi  dogmi,  della  bontà  de' suoi  precetti,  della 
credibilità  de' suoi  miracoli  e  de' suoi  misteri,  ma  uni-* 
camente  della  sua  autorità  su  le  menti,  della  sua  ef- 
àcada  su  i  cuori,  della  sua  influenza  nella  vita  del 
popoli.  Laonde,  in  luogo  di  mettere  a  confronto  i 
sistemi  di  teologia,  di  cosmologia,  di  antropologia, 
e  di  morale,  che  professano  rispettivamente  i  cato- 
liei  ed  i  razionalisti,  per  decidere  qual  di  essi  me- 
riti la  preferenza;  dobbiamo  all'incontro  instituire  il 
pangone  fra  l'impero  rispettivo  ch'esercitano  cotesti 
sistemi  su  la  società  moderna,  per  determinare  qual 
di  essi  costituisca  veramente  la  religione  del  secolo 
nostro. 

Or  bene,  la  misura  dell'influenza  generale  di  una 
dottrina  nella  vita  dei  popoli  dee  risultare  evidente-^ 
ffleote  dalla  somma  delle  3ue  influenze  particolari  nelle 
Tarie  funzioni  della  vita  individuale  e  sociale  del- 
Foomo.  E  queste  funzioni ,  come  accanavamo  su  '1 
prineipio  del  capitolo,  possono  ridursi  a  quattro  capi  : 

Le  intellettuali,  nell'ordine  del  pensiero  e  della  co-^ 
QQscenza; 

Le  morali,  nell'ordine  della  volontà  e  delVafletlo  ; 

Le  civili,  nell'ordine  delle  relazioni  dei  cittadini 
fra  loro; 


S8 

Le  politiche,  ttell'oFdine  delle  rels^ionl  dei  cittadini 
con  lo>  Stato,  e  di  ciascuno  Stalo  con  Vi  altri. 

Ecco  pertanta  i  caratteri  essenziali,  di  cui  ha  da 
essere  fornita  una  dottrina  per  aver  titolo  e  valore 
di  religione  in  rispetto  ad  un'epoca  data. 

I.  ^eir ordine  del  pensiero  e»  delk  conoscenza,  la 
religione  dev'essere  il  criterio  della  verità.  —  li  che 
non  significa  già  ch'dla  abbia  da  essere  un' enfciclo^ 
pedia  a  rigore  di  ternfini  o  una  scienza  compita  e 
perfetta  dell'Assoluto:  che  allora  (piai  dottrina  avrebbe 
mai  potuto  in  passato  o  polirebbe  mai  in  avvenire 
Intitolarsi  rerigione?  S^nliìca  bensì,  che  a  lei  spetta 
di  sua  natura  il  primo  e  supremo  officio  nella  dire- 
zione  delle  menti  e  nello  studio  del  vero.  La  serie  dei 
principi,  clie  costituiscono  la  religione  dì  un  indivì- 
duo 0  di  una  società,  no»^  va  subordinata  ad  alcuna 
altra  serie  di  cognizioni,  ma  vuole  subordinate  a  sé 
tutte  le  altre.  L'uomo  non  può  fare  di  una  dottrina 
la  sua  religione,  se  non  a  patto  di  sottomettere  ad 
essa  pienamente  il  proprio  intelletto.  L'elemento  vi- 
tale, organico,  per  così  dire,  della  religione  è  la  kd^; 
e  la  fede  in  una  dottrina  esclude  non  solamente  ogni 
dubìo  intorno  alla  sua  verità,  ma  eziandio  ogni  di- 
pendenza della  sua  verità  dalla  verità  di  qualsiasi 
altro  principio.  Quindi  ciò  che  credesi  con  fede  reli- 
giosa, dee  credersi  prima  e  sopra  di  tutto;  dee  ri- 
guardarsi come  legi&hzione  del  pensiero,  come  disci- 
plina della  ragione,  come  norma  della  scienza,  11 
insegnamenti  delia  qtmle  in  tanto  sono  reri  e  certi, 
in  quanto  s'accordano  co  '1  principio  religioso,  in 
tanto  falsi  e  riprovevoli,  in  quanto  se  ne  dipartono. 
Ecco  in  qual  senso  la  religione  è  il  criterio  delta  ve- 
rità. Chi  la  professa,  la  tiene  di  necessità  per  la  forma 
assoluta  ed  autentica  del  vero;  a  lei  assuggetta  il 
proprio  giudizio^  a  lei  mira  sempre  come  ad  un  faro 


8» 
ùiMièiie  nel  corso  de'proprj  ragiooafflenti;  dì  lei  si 
vale  come  di  mìsara  iodefetlibìle  neirappcezzare  ogni 
DToéDlU)  ddr ingegno  limano.  Senza  dì  ciò,  U  con- 
cetto stetso  di  religione  verrebbe  meno,  e  non  avrdd)e 
pia  eoetmito. 

E  questo  carattere  della  dotlriina  religiosa  appa- 
rìsce  vie  più  esseniìale  e  Icmdametttale  ove  trattisi 
di  una  dc^lrìna,  che  si  ipcetenda  sonrranatttrale,  rive- 
lata. Insomma  prettamente  divina.  Allora  essa  parla 
Ih  nome  di  I>io;»ma  che  Dio  sarebbe  «quello,  a  cui 
datasse  legge  il  senno  umano?  £  <|ual  efficacia,  qual 
autorità  avrebbe  la  eua  panda,  quando  stésse  aH'uomo 
il  diclùacarla  verace  o  menzognera,  reale  o  £avdosa? 
^i  è  io  arbìtrio  ddl'uomò  accettar  quella  religione 
erìfiutaria;  ma  accettata  Che  raU>ia,  non  è  .più  in 
suo  arbitoio  di  fame  la  critica:  il  dogma  diventa 
per  lui  la  lonnola  assoluta  della  verità,  perchè  è 
i'espnssaìime  «tessa  del  pensiero  di  Dio;  diventa  la 
k^  eterna  delle  sue  idee  e  delle  sue  credenze,  per-, 
che  rlvda  il  concetto  della  Ragione  su^nziale  ed 
immfsale,  che  è  la  m^te  slessa  dì  Dio. 

0  primo  carattere  adunque,  onde  noi  dovremo 
«gumentare  se  la  rdigione  del  secolo  nostro  sk  il 
catolicismo  o  il  razionalismo,  sarà  questo:  esaminare 
quale  dei  due  sìa  professato  dalla  società  moderna 
come  eriterio  ultimo  del  vero. 

n.  Nell'ordine  della  volontà  e  deiraffietto,  la  reli- 
glooe  dev'essere  la  legge  deitla  coscienza.  ^  rPeroc- 
chè  dessa  sta  moralmente  al  tiene,  come  speculativa- 
mente  al  vero;  e  domina  tasto  il  cuore  co -suoi  pre- 
cetti quanto  l'intelleiHo  co' suoi  pfincìpj.  Anzi  forse 
più  ancora  quello  che  questo;  poiché  l'eficacia  della 
rellglcme  si  misura  più  e  meglio  dagli  atti  dhe  dal 
roDcetti;  è  più  pratica  che  teoretica,  più  morale  che 
doUrinale.  11  sistema,  di  cui  l'uamo  fa  la  sua  reli- 


30 

gione,  è  duaque  per  lui  non  sólo  il  criterio  per  di" 
scernere  il  i^ero  dal  falso,  ma  altresì  la  regola  per 
distinguere  il  bene  dal  male.  È  desso  che  guida  la 
volontà  a  praticar  l'uno  e  fugir  Taltro;  desso  che 
governa  li  affetti,  che  modera  le  passioni,  che  inspira, 
indirizza,  conforta  la  coscienza.  L'uomo  adunque  in 
tanto  professa  una  religione,  in  quanto  uniforma  alle 
sue  leggi  i  proprj  atti  morali  ;  giacché  un  principio  non 
divien  religione^  se  non  appunto  perchè  scende  dalla 
mente  nel  cuore,  e  riverbera  dal  cuore  nelle  azioni. 
Ed  anche  questo  carattere  della  dottrina  religiosa 
acquista  maggior  evidenza  e  rigore,  qualor  sì  appli^ 
chi  ad  una  religione  positiva  o  rivelata.  Chi  se  ne 
fa  seguace  non  è  più  lìbero  dì  seguire  il  lume  na- 
turale, che  lo  inspira  e  lo  dirige;  né  il  sentimento 
spontaneo,  che  l'attrae  e  lo  commuove;  sua  prima 
ed  ultima  legge  è  la  volontà  di  Dio.  Questa  volontà 
medesima  costituisce,  per  lui,  tutta  la  differenza  che 
passa  fra  il  bene  ed  il  male;  bene  è  ciò,  che  Dio  co- 
manda; male  ciò,  che  Dio  proibisce;  e  si  dee  far  Tuno 
e  fugir  l'altro,  non  in  virtù  d'una  legge  naturale  del^ 
l'Umanità,  la  quale  rimanga  indipendente  affatto  da 
ogni  arbitrio  di  chi  che  sia;  ma  in  forza  di  un  or- 
dine pienamente  libero  di  Dio.  Non  v'ha  dunque  una 
differenza  essenziale  e  razionale  fra  il  vizio  e  la  virtù; 
né  può  la  coscienza  trovare  in  sé  medesima  il  prin- 
cipio morale,  che  la  guidi  a  questa  e  la  preservi  da 
quello:  è  un  principio,  che  dee  rintracciarsi  nel  de- 
creto volontano  e  positivo  di  Dio;  decreto  registrato 
in  una  rivelazione  particolare  e  sovranaturale»  che 
impone  all'  uomo  il  codice  de'  suoi  doveri.  E  que- 
sto codice  egli  deve  ammetterlo  ed  osservarlo,  tal 
quale  è,  semplicemente  ed  intieramente,  finché  pro- 
fessa la  religione  che  lo  ha  promulgato  e  sancito. 
Qualora  ei  volesse  farne  l'esame  e  la  censura,  ricc- 
\'endo  solo  quelle  leggi  che  la  sua  ragione  appro>- 


31 
nssR,  e  rigettando  ^lielte  altre  a  cui  la  non  sapesse 
Éeoonciarsì  ;  allora  l'uomo  si  fareb])e  giudice  dì  Dio; 
citerebbe  al  tribunale  della  propria  coscienza  la  sua 
religione;  riconoscerebbe  cosi  una  legge,  un  princi- 
pio morale,  anteriore  e  superiore  al  suo  volare,  cioè 
BTrebbe  con  quell'atto  stesso  rinunciato  alia  religione, 
rbe  dìcea  di  venerare  come  divina.  Non  havvi  dun^ 
(pie  alcuna  vìa  di  mezzo:  se  la  religione  non  detta 
la  legge  alla  coscienza,  è  nulla^ 

Ed  ecco  il  secondo  carattere,  onde  potreìtoo  giudi* 
pare  del  valore  religioso,  che  oggidì  compete  nella 
stima  dei  popoli  alla  dottrina  cristiana  e  alla  razio- 
nale: vedere  da  qual  delle  due  la  coscienza  del  se-" 
colo  attinga  la  legge  morale  della  vita. 

U\.  Nell'ordine  delle  instituzioni  civili,  la  religione 
dev'essere  la  regola  del  progresso.  -—È questo  un  co- 
rollario de^principj  stabiliti.  E  per  fermo,  le  institu- 
zioni che  reggono  una  società,  non  possono  esser  al- 
tro che  lordinamento  pratico  e  lo  sviluppo  effettuale 
della  scienza  che  elabora  le  idee,  6  della  morale  che 
dirìge  il  affetti  delle  persone  associate;  poiché  le  idee 
e  lì  affetti  sono  i  due  elementi,  da  cui  risulta  la  vita 
propriamente  umana.  Se  dunque  la  religione  presiede 
alla  scienza  ed  alla  morale,  presiede  eziandio  per  ne- 
ressità  alle  instituzioni  civili,  le  quali  però  dovranno 
sempre  rispondere  allo  spirito  religioso  dei  tempi, 
onde  s'informa  tutto  il  diritto  sociale.  Ma  questo  di- 
ritto, immutabile  ed  eterno  ne' suoi  principi  ideali, 
viene  tuttavia  svolgendosi  a  mano  a  mano  che  l'uomo 
ne  dà  una  teorica  più  esatta,  e  ne  fa  un'applicazione 
più  fruttuosa;  ondo  nasce  quel  modificarsi  vìa  via 
delle  forme  di  governo  e  delle  varie  leggi,  con  cui 
è  ordinata  la  iamiglia,  la  proprietà,  T  educazione,  la 
fcinstizia,  secondo  il  grado  di  cultura,  che  la  società 
viene  raggiungendo  con  l'andare  de  secoli,  In  quo- 


32 

sta  trasformazione  successiva  e  perfezionativa  coosf- 
ste  il  progresso:  dunque  il  progresso  di  un'epoca  do- 
vrà misurarsi  con  la  regola  stessa,  che  governa  la 
ragione  e  la  coscienza  dell'uomo,  cioè  la  religione.  E 
dall'indole  propria  dei  sistemi  d'economia,  di  giuris- 
prudenza, d'insegnamento,  che  prevalgono  ndla  so- 
cietà moderna,  si  potj^à  indurre  a  buon  diritto,  sotto 
l'impero  di  qual  religione  essa  proceda  nel  suo  t^mr- 
mino:  se  obedisca  agli  oracoli  della  Bibbia  o  ai  det- 
tami della  ragione,  se  all'autorità  del  papa  o  all'in- 
spirazione della  coscienza. 

Quindi  abbiamo  11  terzo  carattere  da  giudi(^are,  se 
lì  cristianesimo  o  il  razionalismo  debba  dirsi  la  re^ 
ligione  del  nostro  tempo:  cercare  qual  dei  due  for- 
nisca oggidì  ai  popoli  la  regola  del  progresso  civile. 

IV.  Nell'ordine  delle  relazioni  politiche,  la  religione 
dev'essere  la  norma  del  diritto  publico.  —  Anche 
questa  è  una  conseguenza  de'principj  antecedenti.  Il 
contegno,  che  tiene  un  popolo  verso  i  suoi  gover- 
nanti, 0  una  nazione  verso  di  un'altra,  risponde  per 
necessità  alle  sue  condizioni  intellettuali,  morali,  e 
civili.  Se  dunque  la  scienza,  l'etica,  e  la  cultura  del 
popoli  rappresentano  la  loro  dottrina  religiosa,  do- 
vrà pur  la  loro  politica  ritrarre  la  loro  religione.  La 
politica,  considerata  in  generale,  è  per  le  nazioni 
quello  che  èia  morale  per  l'individui;  questa  deter- 
mina le  leggi  della  vita  privala;  e  quella,  le  leggi 
della  vita  publica^  Ora  nella  vita  publica,  più  ancora 
che  nella  privata,  dee  rivelarsi  ciò  ohe  i  popoli  credono 
e  sanno;  devono  incarnarsi  i  pensieri  della  loro  mente 
e  li  affetti  del  loro  cuore.  Tanto  è  vero,  ch'essf  hanno 
sempre  confuso  in  uno  que'due  sentimenti  misteriosi, 
ma  potentissimi:  Dio  e  patria;  ed  Itan  foggiato o  la 
patria  ad  imagine  e  slmigllanza  del  loro  Dio,  o  Dio 
a  slmigllanza  ed  imagine  della  lor  patria. 


33 
Né  mi  sì  opponga  la  distinzione  vulgare,  che  altro 
è  la  polìtica,  ed  altro  la  religione;  e  che  l'una  può, 
anzi  deve  non  immischiarsi  punto  nelle  cose  dell'al- 
tra.—Codesta  distinzione  vale  bensì  per  i  popoli  ed 
i  tempi,  in  cui  è  morta  la  fede  nella  rivelazione  di- 
vina, e  non  è  ancora  instaurata  la  fede  nella  ragione 
nmana;  ma  non  ha  senso  alcuno  per  le  coscienze  ope- 
rosamente devote  alla  legge  catollca  o  alla  legge  ra- 
zionale. Perocché  una  dottrina,  rivelata  o  naturale 
che  sia,  non  adempie  l'officio  di  religione,  se  .non  è 
la  regina  di  lutto  l'uomo,  individuo  e  società.  È  dessa 
fhe  ne  Illumina  la  mente,  ne  signoreggia  il  cuore, 
ne  alimenta  la  vita,  ne  modera  le  azioni,  private  e 
pobliche,  individuali  e  nazionali  ;  onde  li  separare  la 
politica  dalla  religione  sarebbe  allora  così  ragione- 
vole, come  il  dire  agli  Stati:  operate  sen?a  criterio 
di  verità,  né  legge  di  coscienza,  né  titolo  di  diritto. 
Sarebbe  dunque  un  suicidio  morale;  suicidio  im[K)s- 
sihiie  agi' Individui,  e  tanto  più  alle  società,  nelle 
quali  la  legge  o  Tinstinto  naturale  di  conservazione 
è  assai  più  prepotente  ed  ineluttàbile. 

Di  qui  però  noi  ricaviamo  il  quarto  carattere,  per 
nii  potremo  dlscernere,  se  il  cristianesimo  o  il  ra- 
zionalismo sia  la  religione  del  secolo  presente:  inda- 
gare da  quale  dei  due  proceda  la  norma  del  diritto 
pablico  delle  nazioni. 

Questi  prìncipi  non  possono  impugnarsi  da  veruno, 
rhe  ami  e  cerchi  di  buona  fede  la  verità.  Perciocché, 
ia  primo  luogo,  la  questione  che  abbiamo  per  le  mani 
riasdrebbe  affatto  insolubile,  se  non  avessimo  pre- 
stabilito i  caratteri  fondamentali  e  costitutivi  dell'in- 
anità, che  ricerchiamo.  Ciascuno  giudicherebbe  del 
«j*olo  nostro  dal  suo  punto  di  prospettiva  parziale: 
'^hi  vedrebbe  da  per  tutto  catol lei,  chi  protestanti  ;  e 
1**  aflermazloni  dell'uno  varrebbero  né  più  uè  meiio 
I.  3 


34 

che  le  negazioni  dell'altro.  È  dunque  necessario  dì 
fissare  prima  d'ogni  cosa  un  termine  dì  confronto,  a 
cui  debba  rimettersi,  come  a  giudice  supremo,  la  de- 
cisione; e  questo  termine  evidentemente  non  può  es- 
ser altro  che  un  principio  o  una  formula  generale, 
la  qual  determini  che  cosa  sia  la  religione  di  un'e- 
poca data,  cioè  quali  caratteri  e  quali  funzioni  le  ap- 
partengano in  seno  all'Umanità.  Or  analizzando  bene 
l'efficacia  che  compete  essenzialmente  alla  religione, 
si  fa  manifesto,  ch'essa  implica  le  quattro  proprietà 
da  noi  già  enumerate;  poiché  una  dottrina,  sì  sovrana- 
lurale  o  rivelata,  e  sì  razionale  od  umana,  non  me- 
riterebbe giammai  l'augusto  titolo  di  religione,  se  al 
suoi  tempi  non  fosse  criterio  della  verità,  legge  della 
coscienza,  regola  del  progresso,  e  norma  del  diritto 
nazionale.  E,  oltre  la  ragione,  ce  lo  dimostra  pure  la 
storia.  Potrei  citare  le  testimonianze  dell'  antichità , 
che  sovrabondano  all'uopo;  e  senza  ricorrere  ai  do- 
cumenti, ancor  incerti  ed  oscuri  per  molte  parti,  del- 
l'India, della  China,  della  Persia,  dell'Egitto,  potrei 
verificare  codesta  formula  nella  storia  abbastanza  nota 
di  due  popoli  famosi,  l'ebreo  e  l'arabo.  I  quali,  Del- 
l'epoca  della   loro  floridezza  che  cosa  sono?  Sono 
l'attuazione  o  l'incarnazione  vivente,  parlante  del  pro- 
prio codice  religioso;  il  primo  del  Pentateuco,  il  se- 
condo del  Corano.  Ma  basterà  ch'io  rammenti  un'e- 
poca più  vicina  e  più  confacente  al  nostro  subjetto. 
Parlo  del  secondo  periodo  del  medio  evo,  quando  il 
catolicismo,  giunto  all'apice  della  sua  potenza,  regnava 
senza  contrasto  su  quasi  tutta  l'Europa.  Che  spetta- 
colo ci  presenta  la  storia  dal  secolo  XI  al  XIV  ? 

Per  rispetto  al  pensiero  e  alla  conoscenza,  è  la 
chiesa  che  parla  in  nome  di  Dio,  e  insegna  le  verità 
da  credere  e  svela  li  errori  da  riprovare.  Regina 
dell'umano  sapere  è  la  teologia,  dinanzi  a  cui  le  al- 
tre scienze  non  sono  che  umili  e  timide  ancelle.  Essa 


35 

fornisce  loro  i  piinclpj,  (issa  i  limili,  prescrive  il  me- 
todo, e  prefige  la  meta.  Se  qualche  genio  Indocile 
presume  di  scuotere  il  giogo  duro  e  servile,  la  teo- 
logia lo  denuncia  e  io  condanna  ;  i  popoli  ne  conce- 
piscono orrore,  e  l'abbandonano;  i  priacipi  s'armano 
contro  di  lui,  lo  perseguitano,  lo  bandiscono,  lo  tol- 
gon  di  mezzo.  Rogero  Bacone  vorrebbe  creare  la 
scienza  della  natura:  ma  nella  scienza  trova  molte 
verità,  che  dispiaciono  alla  chiesa;  la  quale  usando 
del  suo  diritto,  dichiara  che  sono  errori;  e  tutta  la 
cristianità,  tranne  forse  qualche  amico  o  discepolo 
segreto  di  queir  ingegno  prematuro,  fa  eco  ai  teo- 
logi, grida  alla  magìa,  invoca  li  esorcismi,  e  continua 
ad  osservare  la  natura  con  rocchio,  non  della  ragione, 
ma  della  Bibbia.  Abelardo  getta  le  basi  di  una  re- 
staurazione della  filosofìa;  ma  non  place  alla  chiesa, 
la  quale  condanna  lui  e  le  sue  dottrine;  e  la  sen- 
tenza di  Roma  divien  legge  in  tutte  le  scuole  di  Eu- 
ropa. Wlclef  rivolge  i  suoi  studj  al  diritto  ecclesia- 
stico e  civile,  e  comincia  a  scoprire  alcuni  elementi 
del  gran  principio  di  libertà  ;Hna  i  vescovi  e  i  papi 
decidono  che  egli  è  in  errore,  e  TEuropa  se'l  crede* 
Così  avviene  delle  dottrine  degli  Albigesi,  dei  Val- 
desi, e  d'ogni  altra  scuola  o  setta  che  si  diparta 
ibi  catolicismo.  La  chiesa  dice:  questa  è  la  verità, 
qoello  Terrore;  ed  i  popoli  cristiani  ascoltano  doclK 
nente  la  lezione,  la  ripetono,  l'imparano,  e  la  pro^ 
bsano  come  loro  propria  credenza. 

Lo  stesso  spettacolo  ci  si  offre  neirordine  morale, 
U  chiesa  annunzia ,  che  è  opera  buona  e  meritoria 
U  strage  dei  saraceni  ;  e  l'Europa  si  precipita  in  Asia^ 
t  la  mette  a  ferro  ed  a  fuoco  per  piacere  a  Dio-  L'e- 
resia viene  dal  pontefice  dichiarata  ribellione  e  sce- 
kìrateoa;  e  basta,  perchè  l'assassinio  e  lo  sterminio 
degli  eretici  si  compia  In  nome  di  Dio ,  ed  in  osse^ 
q«no  alla  religione.  Le  pratiche  del  mislìcìsmo  per 


36 

sentenza  della  chiesa  sono  la  via  del  paradiso;  ed 
ecco  tutta  la  cristianità  sostituire  alla  virtù  la  pre- 
ghiera, all'onestà  la  mortificazione,  alla  giustizia  l'e- 
lemosina, al  lavoro  il  pellegrinaggio.  La  santità  si  mi- 
sura co'l  numero  dei  salmi  recitati,  delle  genufles- 
sioni, delle  indulgenze,  dei  digiuni,  dei  flagelli,  delle 
penitenze;  la  moralità  publica  consiste  nelle  proces- 
sioni, nei  misteri,  nelle  ricchezze  del  tempio,  nel  lusso 
del  clero,  nella  moltitudine  del  conventi.  I  popoli  po- 
stergano i  dettami  della  coscienza  agli  insegnamenti 
del  prete. 

Né  altrimenti  avviene  delle  ìnstiluzioni  civili.  Dalla 
lutta  della  civiltà  latina  con  la  barbarie  germanica, 
TEuropa  era  uscita  feudale;  ma  la  chiesa  volea  ser- 
virsi del  feudalismo  per  istru mento  ad  aumentare  le 
forze  e  le  ricchezze  proprie.  Ora  lo  combatte  con  le 
armi  del  popolo,  e  favorisce  i  Communi;  ora  lo  as- 
sale col  potere  dei  principi,  ed  ajuta  le  monarchie. 
Poi,  siccome  essa  vuole  il  feudalismo  docile  e  sug- 
getto,  sì,  ma  non  abbattuto  e  distrutto,  lo  difendo 
contro  1  popoli  e  contro  i  re;  si  fa  anch'essa  feudale. 
Dove  può  usare  la  forza,  usurpa;  dove  torna  meglio 
la  frode,  inganna;  tutta  la  libertà,  ch'essa  concede 
tìgli  Stati,  al  feudi,  ed  ai  Communi,  si  riduce  a  que- 
sto: cooperare  all' incremento  della  chiesa.  E  le  ìn- 
stituzioni  adattate  allo  scopo  non  mancano.  La  chiesa 
ie  crea;  crea  l'inquisizione,  inventa  li  ordini  de'fraii 
mendicanti,  costituisce  le  università,  sposa  il  pasto- 
rale alla  spada  :  tutto  il  progresso  dr  que'  tempi  con- 
siste nell'ampi iazione  de' suoi  privilegj. 

E  il  diritto  politico  che  cos'è?  È  l'arbitrio  del  papa. 
Tre  nomi  compendiano  in  sé  tutta  la  vita  nazionale 
dell'epoca;  Gregorio  VII,  Innocenzo  III;  e  Bonifa- 
cio Vili.  È  la  chiesa,  che  distribuisce  provincie  e 
reami,  che  consacra  e  depone  l'imperatori,  che  som- 
muove e  raffrena  i  popoli.  E  i  poj)oll  non  riconoscono 


37 

allro  diritto  publlco,  che  1  suoi  cànoni,  le  sue  scom- 
muoiche,  ì  suoi  interessi.  Così  il  catolicismo  può  ve- 
ramente reputarsi  la  religione  del  medio  evo  ;  poiché 
in  tatti  li  ordini  della  vita  è  desso  la  legge  suprema 
degrindìvidui  e  delle  nazioni. 

Dovrei  ora  far  l'applicazione  di  questi  t)ri nei pj  al- 
l'esame dello  stato  religioso  del  nostro  secolo;  dovrei 
mostrare,  come  oggidì  non  è  più  la  scienza  che  vada 
alla  scuola  della  Bibbia  e  della  chiesa,  ma  è  anzi  la 
chiesa  che  dee  lambiccarsi  il  cervello  per  conciliare 
la  Bibbia  con  la  scienza;  come  non  è  più  la  società 
che  apprenda  la  morale  dal  clero,  ma  invece  è  il  clero 
che  dee  conformarsi  alle  leggi  della  publica  opinione  ; 
come  il  progresso  civile  non  segue  più  la  disciplina 
della  chiesa ,  ma  la  precede  e  la  trascina  ;  come  in- 
line la  politica  non  obedisce  più  ai  decreti  della  cu- 
ria di  Roma,  ma  le  comanda  e  la  governa.  Dovrei 
quindi  arrivare  a  concludere  direttamente,  che  il  ca- 
tolicismo non  è  più  la  religione  del  secolo  XIX.  Io 
però  confido  di  poter  conseguire  l'intento  medesimo 
per  4ina  via  più  indiretta,  ma  forse  meno  ingrata  ed 
inamena,  prendendo  a  fare  una  breve  critica  del  fa- 
moso libro,  che  venne  di  recente  publicato  su  questa 
materia  da  un  famigerato  campione  del  catolicismo  (1). 

'Il  Dea  iniéréls  ealhnlirjves  au  XIX  siede,  par  le  comte  Db 
SojfTALBMBERT,  Villi  cles  quaraiilc  de  l'Académie  francaise.  Pa- 
ris, 1;>J2  (sei'lcojbre). 


'    CAPITOLO  TERZO 


cbitehio  nci.iQioso  di  jaoynfAfAsmnvmt 


Lo  scritto  del  conte  di  Montalemhert,  uno  dei  qua-' 
vanta  dell*  Acadeinta  francese,  può  dividersi  in  due 
partì.  Nella  prima  ei  vuole  dimostrare  il  trionfo  del 
catolicismo  nell'età  nostra;  e  nella  seconda  cerca  di 
provare,  che  11  governo  liberale  e  rappresentativo  si 
confa  oggidì  meglio  d'ogni  altro  all'indole  del  cato- 
licismo. Di  questa  ragioneremo  poi  ;  per  ora  restrin- 
giamoci a  quella. 

Già  l'Europa  conosceva  il  conte  di  Montalembert 
come  il  paladino  più  audace  ed  insolente  dei  gesuiti, 
e  il  partigiano  più  aperto  e  feroce  della  guerra  ci- 
vile in  Isvizzera.  L'Italia  sopratutto  già  lo  conosceva 
come  il  più  accanito  fautore  e  il  più  bugiardo  apo- 
logista della  spedizione  dei  Francesi  contro  la  RQpu- 
blica  Romana.  Oh  I  l'Italia  rammenta,  e  l'ha  sculpito 
in  cuore,  che  quel  furioso  catolico  l'ha  insultata  pu- 
blicamente  dalla  tribuna,  lanciando  calunnie  e  vitu- 
)ieri  su  '1  più  grande  e  più  nobile  de' suoi  popoli:  il 
Romano.  Ma  nell'ultimo  libello  il  conte  ha  sui)erato 
^è  stesso;  né  io  so  d'alcun  avvocato,  che  patrocinando 


39 

ma  cansa  iniqua  e  tirsperata,  abbia  mal  maneggiato 
con  tanto  dì  disinvoltura  il  sofisma. 

A  chiarire  la  prima  parte  del  suo  assunto  gli  fa- 
cca  mestieri  determinare,  come  ho  dianzi  avvertito, 
m  principio,  un  criterio,  da  cui  si  dovesse  dedurre' 
Tincremento  o  la  decadenza  di  una  religione;  indi 
farne  T applicazione  al  catolicismo;  e  poi  trarne  la 
conclusione-  Così  prescrìvea  la  logica  del  senso  com- 
mnne;  ma  la  logica  degl'interessi  catolici  che  ha  mai 
da  fare  con  esso?  Il  conte,  che  si  diletta  d'arte  ora- 
toria, badò  a  delìneare  un  bel  quadro  storico  reli- 
gioso alla  sua  maniera;  e  nient'altro.  Non  è'un  pro- 
blema ch'egli  prende  a  risolvere,  o  una  ricerca  che 
»i  mette  a  fare;  è  un  panegirico  a  tema  obligato,  o 
Famplificazione  retorica  dì  un  sogno  del  suo  partito. 
Quindi  non  attendetevi  da  lui  prove  d'alcuna  sorta,  né 
storiche,  né  razionali;  che  la  storia  eì  l'ijiventa,  e  la 
ragione  el  Tabomina  come  nemica  di  Dio  e  della  chie- 
sa. Ecco  perchè  egli  ha  giurato  un  odio  eterno  ai  fi- 
losofl  ed  alla  filosofia:  gli  piace  di  ragionare  a  suo 
Biodo;  e  lo  stile,  che  gli  va  meglio  a  sangue,  si  è 
queUo  degli  oracoli.  In  vece  adunque  di  giudicare  le 
«adizioni  religiose  dì  un  popolo  o  di  un  secolo  con 
in  criterio  generale,  che  ne  facesse  degnamente  ap- 
prezzare la  vita  e  l'energia  scientifica,  morale,  civile 
«  politica  delle  suo  credenze,  Montalembert  ricorre 
'irespedienle  diegV interessi,  e  conchiude  alla  prospe- 
rità 0  alla  declinazione  del  catolicismo  in  un  dato 
l«<se,  secondo  che  v'incontrano  lieta  o  avversa  for- 
tana  i  suoi  affari.  Oh  vergognai  E  costui  si  vanta 
'^tolico?  E  il  gran  'partito  catolico  di  Francia  rico- 
n»ce  costui  per  uno  de' suol  capi?  E  tutta  la  santa. 
''hìesa  catolica  applaude  a  costui,  come  ad  uno  de' 

^'lol  p\u  valenti  e  generosi  difensori? Povera 

^I  Convien  dire,  che  sia  morta  e  ben  morta  dav- 
^^ro,  poiché  i  suoi  slessi  apostoli  non  sanno  più  che 


4a  ' 

oosa  sia,  e  ti^  haftnò  sraarrtta  la  coscienza  e  la  me- 
moria fino  al  punto  dì  scambiare  un  sistema  religioso 
con  una  questione  commerciale!  —  Ahi  signor  conte, 
rinteressi  del  vostro  negozio  van  rifiorendo?  Me  ne 
congratulo  infinitamente  con  voi,  co  '1  vostro  capitale, 
con  la  vostra  rendita,  e  con  la  vostra  bottega:  vuol 
dire,  che  possedete  ancora  di  forti  somme,  con  cui 
riuscite  a  vendere  e  comprare  secondo  il  bisogno,  e 
non  vi  mancano  li  avventori.  Ma  questi  conti  non 
avete  da  aggiustarli  con  noi;  leson  focendeda  trat- 
tarsi alla  banca  o  alla  borsa  insieme  con  11  usuraj  ^ 
vostri  amici  e  patroni.  Tra  noi  si  discorre  di  fede  e 
di  religione;  e  voi  ci  parlate  d'mrere^^i?  Finora,  che 
io  sapia,  nessun  Incredulo,  nessun  ateo  s'arrischiò 
mai  di  lanciare  in  faccia  al  catolicismo  un  insulto 
COSI  atroce,  che  lo  spegnerebbe  del  carattere  di  reli- 
gione, e  ridurrebbe  tutta  la  sua  grandezza  alla  mi- 
sura degl'interessi.  Finora  tutti  coloro,  che  hanno 
letto  una  storia,  credevano  che  Tetà  d'oro  del  cri- 
stianesimo fossero  1  primi  secoli  della  sua  esistenza  ^ 
quando  la  fede  traducevasi  in  entusiasmo,  la  carità 
in  eroismo,  il  culto  in  martirio,  l'Evangelio  In  ispi- 
ri to  e  vita  della  società  dei  fedeli;  quando  per  la 
chiesa  il  Cristo  era  verità,  scienza,  legge,  morale, 
potere,  tesoro,  ogni  cosa.  E  pure  a  quei  di  Yinteressi 
della  religione  appajono  tutt'altro  che  floridi  e  pro- 
sperosi 1  Le  potenze  della  terra  congiurate  a  suo  danno  ; 
nemiche  le  autorità,  nemiche  le  scuole,  nemiche  le 
armi,  nemiche  le  ricchezze;  derisi  i  proseliti,  persegui- 
tati, puniti  come  malfattori;  la  novella  credenza  nu- 
trita solo  di  sacrifìzj,  di  lacrime,  di  dolori,  e  di  san- 
,  gue.  Voi  dunque,  signor  academico,  voi  avete  sco- 
perto una  nuova  teorica  cristiana  :  non  è  più  la  fede 
che  importa  al  catolicismo,  sono  Yinteressi,  La  fede  ! 
oh!  di  codesta  anticaglia  voi  non  sajietc  che  farne. 
Salvi  che  s'eno  V  interessi,  salva  cioè  la  cassa  e  la 


41 

bandiera,  salvi  i  lìoderì  e  i  LeneQzj,  talvo  il  titolo 
e  il  grado,  salve  le  ceremouie  e  le  livree,  la  vostra 
religione  è  sicura,  è  soddisfatta,  e  può  intonare  a  sé. 
stessa  il  cantico  del  trionfo.  Che  i  popoli  la  detestino, 
i  dotti  la  combattano,  i  letterati  la  beffeggino,  e  fino 
le  donne,  i  ragazzi,  e  le  plebi  se  ne  ridano,  poco 
v'importa:  la  vostra  religione  non  bada  punto  alle 
credenze  dei  |)opoli,  non  al. cuore  dei  dotti,  nò  dei 
letterati,  né  delle  donne,  né  dèi  fanciulli,  né  dello 
plebi:  ridano  o  piangano,  rispettino  o  bestemino, 
imioo  od  abori'ano,  poco  v'importa.  tJna  àola  cosa  vi 
sia  a  cuore,  una  sola  1  che  il  governo  tuteli  i  vostri 
interessi;  e  voi  trionfate  11 ... . 

Io  non  so  che  cosa  pensi  di  questa  vostra  scoperta 
il  clero  catolico;  e  per  l'onore  deirUmanità  io  desi- 
dero, che  levi  Un  grido  d'orrore  contro  di  un  mate- 
rialismo così  mostruoso  (l).  Posso  accertarvi  però, 

(!;  Qui  devo  confessare  di  essermi  ingannalo;  io  aveva 
Iroppo  buona  opinione  del  parlilo  calolico.  Ko,  mi  locca  di 
rendergli  per  forza  questa  lesUmonianza  d'obbrot)rio,  non  ò 
sono  dal  suo  seno  alcun  giìdo  d^orrore  e  di  esecrazione  con- 
iro  il  IbrpC  malerialismo,  a  cui  il  signor  Monlalemberl  ha  ri- 
dalla la  religione  della  sua  chiesa.  Il  suo  libro  venne  anzi 
acrollo  con  plauso  e  levato  a  cielo  da  tutta  la  slamp.i  del 
suo  partilo,  quasi  come  un  nuovo  Evangelio.  Due  voci  sol- 
tanto, a  mia  sapula,  non  vollero  far  eco  puramente  e  scm- 
pUccmenie  a  quel  coro  d'applausi  insensati;  e  temperarono 
(Ton  po' di  critica  la  lode,  che  pur  non  mancarono  di  lar- 
gire al  loro  corifeo.  E  sono  VÙnivers  di  Parigi  e  la  Civillà 
C'itoìica  di  Roma,  i  due  interpreti  più  Ingilimi  ed  autorevoli 
del  catolicismo  papale;  ai  quali  il  libro  di  Monlalemberl  do- 
leva andar  poco  a  sangue,  non  ^ià  per  amor  della  fede,  ma, 
(«r  odio  della  libertà. 

Io  non  ho  lello  la  diatriba  ùeWUnivers;  ma  da  quanto  ne 
riferlrouo  i  giornali  di  quel  tempo  era  manifesto,  ch'esso  tro- 
vava da  ridire  ncir  opera  del  suo  antico  patrono,  perchè  in 
toigo  di  predicare  r assolutismo  in  nome  di  Dio,  raccomau- 


42 

che  fra  quanti  filosofi  materialisti  esìstellero  mal  ccf 
esistono  ancora,  voi  non  ne  trovereste  un  solo,  il 
quale  non  si  vergognasse  della  vostra  compagnia,  e 
non  vi  respingesse  da  sé  come  un'ighominia  dell'in- 
lelletto  e  del  cuore  umano.  Perciocché  questi  filosofir 
che  voi  maledite  senza  conoscerli,  revocheranno  bensì 
In.  dubio,  e  forse  negheranno  le  vostre  assurde  dot- 
trine su  la  natura  degli  spiriti,  terrestri  o  celesti  che 

dava  una  colai  libertà  in  nome  delta  chiesa  ;  onde  lo  avrebbe 
celebrato  a  piena  gola,  se  avesse  difeso  il  diritto  divino  della 
tirannide,  quand'anche  fosse  stato  a  cento  doppj  più  infcsto> 
alla  dignità  e  air  idealità  della  religione. 

Ho  bensì  veduto  la  crtlica  della  Civiità  eatoliea,  chevenne- 
In  luce  nei  N.*  68  e  69  (  Serie  $.*,  voL  I  ) ,  qvand*  era  gi^ 
solto  i  torchi  la  prima  edizione  del  mio  libro.  E  dal  titolo- 
stesso  de*  suoi  articoli:  Di  una  apologia  catoUea  degli  ordini 
rappreieìitativi,  apparisce  come  e  perchè  il  critico  gesuita^ 
fosse  mal  soddisfatto  dell'opera  di  Montalembert.  Per  la  Ci- 
villa  eatolica  li  ordini  rappresentativi  sono  la  quintessenza 
della  rivoluzione,  in  quanto  che  van  naturalmente  di  conserva 
con  le  libertà  politiche  e  civili,  che  sono  il  fondamento  del  di- 
ritto publico  moderno;  onde  quaiitlcando  il  libro  per  un' apo- 
logia  degli  ordini  rappresentativi,  essa  dà  chiaramente  a  di- 
vedere che  io  disapprova  e  lo  biasima,  non  in  quanto  cor- 
rompe la  fede,  ma  in  quanto  esalta  la  libertà.  Quindi  essa 
appunta  di  equivoci  {ed  ove  non  si  trattasse  di  un  tanto  con- 
fratello, altro  che  equivoci!)  quei  principi  di  Montalembert 
(e  più  innanzi  occorrerà  anche  a  me  di  riferirli  e  confutarli), 
che  il  governo  della  chiesa  è  temperato,  e  che  la  religione  ha 
bisogno  di  libertà;  prova  assai  bene  (e  lo  proverò  meglio- 
anchMo  a  suo  luogo),  che  al  catolicismo  non  giova  la  libertà 
dei  governi  rappresentativi;  che  intorno  all'alleanza  della 
chiesa  co'l  potere  assoluto,  le  dottrine  di  Montalembert  sone* 
disdette  dalle  encicliche  di- papa  Gregorio,  eco.:  tutte  censure^ 
che  lungi  dal  ribattere  Taccusa  ch'io  muovo  al  signor  Mon- 
talembert di  convertire  la  religione  m  una  bottega  ^  la  co»- 
fermano  anzi  sfacciatamente  rigettandone  la  colpa  su  tutta  fa 
chiesi. 


43 
Steno;  ma  non  prostituirebbero  giammai  una  verllà 
0  una  credenza  nel  fango  óegi' interessi  ;  né  mai  la 
proclamerebbero  più  o  meno  certa  e  fiorente,  secondo 
il  più  o  meno  di  favore,  che  le  prestano  i  governi. 
E  noi,  signor  conte,  noi  razionalisti,  panteisti,  atei, 
rome  meglio  vi  piace,  noi,  vedete,  crediamo  al  trionfo 
delia  nostra  religione,  che  è  la  religione  della  verità, 
della  giustizia,  della  scienza,  della  natura,  non  a  ca- 
gione de^suoi  interessi  più  prosperi  di  giorno  in  giorno 
—  la  questione  degli  interessi  noi  la  lasciamo  a'  ban- 
rhicri  —  ma  per  questo  s«)lo  ed  unico  motivo,  ch'essa 
è  vera  e  giusta,  e  conforme  alla  legge  scientifica  e 
naturale  dell'Umanità.  Assicurato  questo  punto,  la 
Destra  fede  è  invincibile,  e  trionferà.  Se  un  po' prima 
0  un  po' dopo,  la  è  questione  di  tempo;  ma  il  tempo 
è  iedde,  e  compirà  l'opera  sua.  Degl'interessi  non  ci 
cariamo  più  che  tanto;  poiché  é  l'idea* che  impera 
sn  Ilnteressi,  non  già  questi  su  quella.  E  quand'an- 
che voi  co' vostri  degni  patroni  e  satelliti  riusciste, 
non  solo  a  danneggiare,  ma  a  rovinare  affatto  T in- 
teressi della  nostra  causa;  quando  giungeste  a  chiu- 
derci dentro  un  cerchio  di  ferro,  e  ad  inchiodare  cia- 
scuno di  noi  fra  un  gendarme  ed  un  gesuita;  la  no- 
stra fède  sarebbe  sempre  la  stessa,  sempre  viva  ed 
ardente,  sempre  salda  e  sicura  allo  stesso  modo.  C'im- 
porrete silendo?  Ma  surgerannO  a  milllaja  e  milliaja  - 
)e  lingue,  che  vi  grideranno  su'l  viso  :  Imbecilli  1  La 
verità  è  una  forza,  che  in  breve  spezza  le  spade  ;  la 
^ostizìa  è  un'arma,  che  presto  rompe  i  cannoni.  Avete 
bruciato  su  '1  rogo  i  nostri  padri,  e  credevate  sepolta 
ia  quelle  ceneri  la  loro  parola:  stolti!  La  loro  pa- 
mb  ha  minato  la  vostra  autorità,  e  trionfa.  Arri- 
^%te  pure  a  comprimere  nei  nostri  petti  la  fede,  che 
rinfiamma;  arrivaste  ad  impedire,  che  la  presente 
generazione  l'abbracci  e  la  professi  con  publico  culto  ; 
«  che  per  ciò?  La  nostra  fede  abbaitela  bentosto 


44 

voi  ed  i  vostri  poteri,  e  nella  nuava  generazione  trioni- 
fera  (l). 

Ma  lasciarlo  il  linguaggio  della  fede;  che  il  calo- 
licisQìo  non  l'intende  più.  Parliamo  dunque  de' suoi 
interessi;  e  vediamo,  se  almeno  in  materia  dì  afTarl 
Montàlembert  cagioni  a  dovere.  Iln  vizio  fondamen- 
tale, come  ho  teste  osservalo,  guasta  lutto  il  suo  di- 
scorso, e  gli  dà  il  tono  di  una  vana  declamazione: 
dico  la  mancanza  di  un  concetto,  di  una  teorica,  di 
un  criterio  generale,  in  somma,  senza  di  cui  ne  pure 
lo  stato  degl'interessi  di  unìnstituzlone  o  di  una  so- 
cietà qualunque  si  può  definire.  Tal  è  il  processo, 
che  la  logica  gli  prescriveva  in  una  discussione  di 
questa  fatta:  stabilire  in  prima,  quali  sleno  1  carat- 


(1)  Questa  credenza  vieQ  confermata  eziandio  da  una  testi-* 
monianza,  ctieruon  è  certo  sospetta:  •  Noi  lasciamo  (è  un  ge^ 
»  suila  elle  parla  a  nome  do'  suoi)  noi  lasciamo  che  i  pretesi 
N  rigeneratori  deiritaiia  e  del  mondo  faciano  esclusiro  mo- 
»  nopolio  dell' altuosità  e  delia  solerzia,  in  quanto  essi  per 
»  questa  parlo  la  pensano  ben  altrimenii  di  noi,  e  si  appon- 
B  gono  a  maraviglia.  E  cbe  significa,  se  11  elei  vi  salvi,  quella 
»  fede  nella  idea,  alla  qual  fede  sono  assiduamente  esortati 
ff  dai  loro  corifei,  e  che  forma  quasi  la  loro  tèssera  e  la  loro 
»  divisa?  Significa  questo  appunto  che  diciam  noi:  flncliè  a 
»  qualunque  ristorazione  sopravivono  onorati  (e  sopravissero 
»  onoralissimi  finora  a  tutte)  alcuni  concetti  anlireUgiosi  e 
»  anlisociall,  essi  presto  o  tardi  verranno  a  galla  un'altra 
»  volla,  e  i  partigiani  loro  si  avvedranno  che  non  indarno  vi 
»  ehhero  fede.  Però  essi  ve  l'hanno  piena  e  saldissima,  fa- 
A  ccndo  ogni  opera,  né  ricusandosi  ad  alcun  sacrifizio  per 
»  mantener  vivo,  come  dicono,  il  fuoco  sacro  dell'opinione. 
»  Finché  questo  mantiensi  desto  almeno  noi  principi,  le  con- 
s  soguenze  ne  saran  tirate  presto  o  tardi,  ma  infallibilmente  : 
•  se  il  conato  non  riesce  una  volta,  proverà  uo* altra;  né  vi 
V  è  forza  umana  cho  basti'  a  trattenerne  il  corso»  essendo 
»  pure  verissimo  che  la  logica  è  più  potente  dei  cannoni.  » 
{La  Civiltà  catolicat  voi.  IX,  ptng..  13.) 


io 
Ieri  degl'interessi  dì  una  religione;  e  poscia  dimo- 
strare, che  quei  caralleri  competono  al  catolicismo. 
Ma  il  conte  academico  ha  in  uggia  la  logica  perfino 
nelle  questioni  d'interessi  1  Mi  è  forza  pertanto  di  se- 
guitarlo ne' suoi  ghiribizzi,  saltando  con  lui  di  palo 
in  frasca,  e  raccogliendo  i  suol  principj  a  mano  a 
mano  che  il  bisogno  della  sua  causa  glieli  caverà 
dalla  penna. 

Per  provare  il  trionfo  presente  del  catolicismo,  egli 
passa  in  rassegna  le  varie  contrade  d'Europa,  e  In- 
comincia dalla  povera  Polonia.  Tristo  principio!  Colà 
11  trionfo  della  chiesa  catolica  si  riduce  ad  una  lon- 
tana speranza;  ècco  tutto:  Egli  è  impossìbile  di  ri^ 
mnciare  alla  speranza  d'un  miglior  avvenire,  e  di 
credere  la  Polonia  morta  per  sempre,  in  un  secolo 
che  ha  veduto  rinascere  la  Grecia  e  V  Irlanda  (1).  È 
già  molto  per  un  Montalembert,  ma  non  basta  ;  e  sV 
gli  non  fosse  da  buon  catolico  abituato  a  postergare 
la  lealtà  e  la  buona  fede  ?igV Interessi  della  setta, 
avrebbe  dovuto  confessare,  che  In  quel  paese  infelice 
il  catolicismo  venne  ferito  a  morte,  non  dal  doloroso 
abbandono,  di  cui  fu  vittima  per  parte  delle  altre  na- 
zioni sorelle  (2);  non  dallo  spirito  rivoluzionarlo,  con 
nii  non  ha  abjurato  2ìiìcotb.  ogni  solidarietà  (3);  ma 
<ibbene  dalla  viltà  e  dal  tradimento  dì  un  papa.  Per 
la  Polonia  il  catolicismo  cessò  di  essere  la  sua  rell^ 
gion  nazionale  II  di  H  giugno  1832  (4),  In  cui  Gre- 

(I)  Il  est  jmpossible  de  rcnoncer  à  Tespoir  d'un  avenir 
meWìeUT,  et  de  croire  la  Poìogne  morie  à  jamais,  dans  un 
iióela  qui  a  va  renattre  la  Grece  et  ririande  (pag.  ii). 

(t)  Vlctiroe  da  plus  donloureux  abandon  (pag.  10). 

(3)  Abjurer  loule  solidarité  avec  respril  révolulionnaire 
(l«B.  iO). 

ii)  Breve  Cum  primum  ad  anres  ai  vescovi  di  ^Polonia  per 
incolcare  la  massima  della  chiesa  catolica  su  la  sommissione 
Alla  potestà  temporale  nell'ordine  civile. 


46 

gorio  XYI  scagliò  l' anatema  contro  di  una  rivolu- 
zione, che  aveva  inalzalo  lo  stendardo  di  Maria  Ver- 
gine; e  contro  di  un  popolo,  che  affrontava  lieto  e 
volonteroso  la  morte  per  sottrarsi  dal  giogo  di  una 
autorità  scismatica,  e  riaquìstare  la  libertà  della  sua 
coscienza  e  della  sua  fede.  Montalembert  dovea  dun- 
que rivolgere  tutto  il  furore  della  sua  eloquenza  con- 
tro di  quella  chiesa,  che  aggiungendo  Tinsulto  airi- 
nìquità,  non  seppe  mandare  altro  conforto  ad  una 
nazione  martirizzata  fuorché  questo  solo:  Te  Thal 
meritato;  soffri  e  taci  in  pena  de' tuoi  peccati:  obe- 
discie  rispella  il  tuo  carnefice:  è  suo  diritto,  e  tuo 
dovere!....  Certo,  spero  anch'io  che  la  magnanima 
Polonia  risurgerà  ;  ma  non  risurgerà  se  non  in  quanto 
avrà  finalmente  imparalo  dalla  sventura,  che  cosa  sìa 
quel  catolicismo,  a  cui  s'era  mostrala  per  tanti  se- 
coli, a  prezzo  di  tanti  sacrifici,  cosi  devota  ;  e  sonata 
l'ora  della  riscossa,  non  insurgerà  più  in  nome  di  un 
l)ontefice  o  di  una  Madonna,  ma  bensì  in  nome  del 
proprio  diritto,  della  giustizia,  e  dell'Umanità. 

Passiamo  alla  Svizzera,  dove  il  catolico  sguardo  di 
Montalembert  scorge  pure  molti  argumenti  di  deso- 
lazione (l).  Volete  dunque  sapere,  come  stiano  V  in- 
teressi del  catolicismo  in  quella  libera  terra  d'Elve- 
zia? Udite,  registrate,  calculate,  e  poi  fatemi  il  bi- 
lancio. Una  rivoluzione  atea  vi  domina  in  permanenza  ; 
i7  sacrilegio  vi  regna  da  padrone;  i  monasteri  scom- 
pajono;  una  tirannia  bestiale  imperversa  contro  di 
un  clero,  a  cui  non  si  può  rimproverare  altro  che  la 
sua  troppo  grande  rassegnazione.  Lucerna,  ed  i  Can^ 
toni  primitivi  son  divenuti  la  preda  dello  spirito  del 
male  (2).  E  l'Europa  intiera  conosce  benissimo  la 

(l)  La  Sulsse  est,  après  la  Pologne,  le  pays  où  le  regard 
du  calholique  apercoit  le  plus  de  sujels de  désolalion  (pag.  ti). 

(9)  Ce  que  le  despotisme  scliismatiqne  a  accompU  sur  les 
rlves  rtii  Onìéper  ci  do  la  Vistale,  la  révoluiion  alhéo  est  en 


47 

Iroppo  grande  rassegnazione  dì  quel  clero,  il  quale 
ne  diede  e  ne  dà  tiiUavia  prove  così  solenni  e  lu^^ 
inloose.  Il  conte  ha  ragione;  tutto  sta  ad  intendersi 
i%l  sìgniCcato  della  parola.  Perciocché  egli  è  da  sa- 
pere, che  il  dizioDario  di  cui  fa  uso  non  è  quello 
^ell'Academla  di  Francia,  sì  bene  quello  delia  com- 
|KigDia  di  Gesù.  Or-a,  secondo  la  bella  ed  evangelica 
delinizione  del  reverendi  padri,  rassegnazione  vuol 
dire  appello  perpetuo  alla  violenza,  alla  ribellione, 
alle  discordie  civili  ;  guerra  aperta  ed  accanita  con- 
tro le  leggi,  le  instltuzioni,  e  le  libertà  della  patria; 
congiura  permanente  ed  implacabile  a  fine  di  pro- 
vocare un'invasione  degli  stranieri.  E  per  verità,  in 
qaesto  senso,  confesso  volentieri,  che  la  rassegnazione 
dì  quel  clero  catolico  è  grandissima,  pur  troppo  1 

FiQ  qui  l'aspetto  della  Svizzera  non  è,  come  ve- 
dete, molto  favorevole  ai  uego'zj  del  catolfcìsmo;  il 
quadro  però  non  è  ancora  finito,  e  ci  rimane  un  po' 
di  spazio  per  una  scena  più  consolante.  È  la  rivin- 
cita della  partita;  osservate:  La  metropoli  del  cahi- 
nimo,'  Ginevra,  ha  veduto  fremendo  a  ricomparire  il 
(oloUcismo  nelle  sue  mura  (l).  Sublime  quel  frémis- 
mt,  non  è  vero?  Se  il  libro  del  piissimo  conte  ca- 
[Mtasse  mai  i)er  le  mani  a  qualche  indiano  o  giappo- 
nese, costui  correrebbe  subito  ad  imaginare,  che  la 
povera  Ginevra,  dopo  essere  stata  vinta,  prostrata, 
ÌQcateoata  dal  papa,  avesse  dovuto  assistere  all'in- 
)^iQDe  del  catolicismo,  senza  potergli  opporre  alcuna 

inio  de  rimiter  aa  pied  du  Saint-Golhard  et  da  Grand  Saint- 
Bffnard.  Le  sacrilège  y  règne  eu  matrre;  les  monastères  dis- 
Pinissent  un  &  un  ;  une  tyrannle  brutale  y  est  exercée  sur 
•0  clergé,  acquei  on  ne  peut  reprocher  que  sa  trop  grande 
ré^isaation  (pag.  il  ).  Lucerne  et  les  Cantons  primiUfs  soni 
^enos  poiir  un  teinps  la  proie  de  Tesprit  du  mal  (pqg.iS). 
'Ij  En  revanche,  la  mélropole  du  calvlnisme»  Genève,  a  vu 
•••i f ri'missanl  le  catholicisme  rcparailrc  dans  ses  murs(pag.i2). 


resistenza,  né  chUidergli  in  faccia  le  porte;  presso  n 
poco  siccome  una  madre,  che  legata  i  piedi  e  le  aia  ni 
si  vedesse  a  violare  sotto  i  proprj  occhi  una  figlia, 
delizia  del  suo  cuore.  Bla  noi ,  che  non  siamo  co  Vi 
lontani  d?i  Ginevra,  sapìatn  bene  che  il  frémissant  dì 
Montalembert  è  una  di  quelle  figure  retoriche,  di  cui 
si  dilettano  solo  1  declamatori.  Ginevra  lasciò  entrare 
nelle  sue  mura  il  catolicismo,  perchè  meno  cieca  ed 
ostinata  dì  Roma  cedette  ormai  allo  spirito  di  libertà, 
che  è  lo  spirito  dell'era  moderna;  perchè  riconobbe 
quanto  sia  iniqua  ed  empia  la  vloienza,  che  un  go^ 
verno  esercita  su  le  coscienze  de'  suoi  cittadtai  ;  per- 
chè alla  luce  della  scienza  e  della  filosofia  ha  pur  co- 
minciato a  sentire  i  diritti  naturali  ed  Inviolabili  della 
ragione,  ed  a  persuadersi  che  la  più  abominevole  ed 
Infame  delle  tirannidi  è  quella,  che  Invoca  il  nome 
di  Dio.  Se  v'ha  un  trionfo  in  questo  avvenimento, 
egli  è  tutto  nostro;  polche  è  un  trionfo  della  libertà 
su'l  despotismo,  della  ragione  su  la  teologia,  del  dì- 
ritto  su  la  forza. 

Quello  poi  che  vi  han  guadagnato  l'interessi  calo- 
liei  ,  non  è  gran  cosa  davvero  :  qualche  giornale  e 
due  chiese  {!)!  Del  resto,  ìa  fonie  des  fidèles  sì  ri- 
duce a  poche  centinaia,  e  si  compone  per  la  massi- 
ma parte  di  catollci  degli  altri  cantoni  e  A\  emigrati 
stranieri.  Ma,  signor  conte,  se  la  metropoli  del  calvi- 
nismo aperse  le  porte  alla  vostra  chiesa,  perchè  la 
metropoli  del  catolicismo  non  dischiude  le  sue  alla 
Riforma?  Perchè  questo  contrasto  fra  una  metropoli 
e  l'altra?  Voi  gridate  sempre,  che  la  Riforma  è  er- 
rore ed  il  catolicismo  verità;  come  va  dunque  che 

(i)  Saint  Francois  de  Sales  n'eAl  pas  óié  moins  élonné  qne 
Tlióodore  de  Dèze,  si  on  leur  avait  annoiicé,  qiie  deuK  siècics 
après  eux  it  y  aurait  dans  la  ville  de  Calvin  uno  presse  ca^ 
lùolique,  qu'on  y  vcrrail  deux  églisos  calholiqnes,  et  qu'elles 
seraicnt  trop  petiles  pour  conlcnir  la  foule  dos  lidòles  (paj;.  ì%). 


19 

r  errore  non  ha  paura  della  verilà,  e  la  verità  ha 
jttara  delFerrore?  Ginevra  non  teme  Roma,  e  Roma 
paventa  Ginevra?  Vorreste  dirci  percliè?  Intanto  un 
perchè  ve  !1  dirò  io;  perchè  quel  giorno,  in  cui  il  papa 
ammettesse  piena  ed  intera  la  libertà  di  coscienza  6 
di  culto,  non  troverebbe  più  cento  catolici  in  tutti 
i  suol  Stati  I E  se  no  1  credete,  smentitemi  :  fate  d'in- 
darre  O  vostro  papa  a  tentare  la  prova  ;  e  poi  vedremo. 

Eccoci  ora  air  Italia  ed' alla  Spagna.  Così  almeno 
e!  annunzia  Montalembert  su  '1  principio  di  questo  pa- 
ragrafo, citanda  in  termini  espressi  le  due  penisole 
del  mezzogiorno  d'Europa^  V  Italia  e  la  Spagna  (1); 
e  seguitando  per  due  periodi  a  favellar  in  plurale 
dello  stato  deplorabile,  in  cui  è  caduta  la  religione 
catoiica;  stato  ch'ei  predice  dover  tuttavia  peggio- 
rare, polche  le  due  traviate  penisole  non  hanno  an- 
cora percorso  tutto  il  cerchio  deW errore ,  né  compiu- 
tamente traversata  l'espiazione  delV abbassamento  (2). 
Ancora  qualche  trionfo  di  questo  genere  :  ed  il  cato- 
ficismo  bisognerà  andarlo  a  cercare,  chi  ne  bramasse 
novelle,  nell'altro  mondo! 

Pare  fin  qui  non  ci  sarebbe  gran  male:  rimane  a 
vedersi  il  rovescio  della  medaglia;  giacché  il  conte, 
esperto  nel  gioco,  non  si  sgomenta  di  una  prima  per- 
dila,  e  confida  assai  nella  rivincita,  E  la  rivincita 
Don  tarda,  è  vero;  ma  solamente  per  la  Spagnai  E 
f09iimew),  quanti  sintomi  rassicuranti  e  consolanti  in 
hpagna  (3)  1  Cornei  e  della  povera  Italia,  signor  aca- 

# 

(1)  L68  deus  péainsQles  da  midi  de  T^arope»  ritalie  et 
risMiie  (pagr.  i5). 

(S)  N'oDt  pomi  encore  fNircoam  tont  le  cercle  de  rerrenr, 
•*<mt  point  encore  complèlemeot  traversò  rexpialion  de  i'a- 
taissemeot  (pag.  U)- 

\Z)  Et  cepeodant,  que  de  symptóoies  rassnrants  et  codso- 
«BU  ea  Espagne  1  (pag.  13). 

1.  4 


So 

demìco,  non  ci  dite  altro  ?  Che  l'abbiate  dimenticata, 
non  è  possibile  ;  dapprima,  perchè  Ivi  stesso  ne  face- 
vate largumeuto  del  vostro  discorso;  e  poi,  perchè 
sì  tratta  della  sede  medesima  del  catolicismo,  di  quel- 
ritalia,  che  appunto  in  grazia  del  papa  voi  reputate 
un  feudo  della  santa  chiesa.  Se  dunque  non  aggiun- 
gete altre  per  conto  dellltalia,  egli  è  perchè  non  avete 
da  aggiungere  propriamente  nulla.  Ohi  benedetto  il 
vostro  silenzio  1  Esso,  vedete,  ne  dice  tanto  da  con- 
futare senza  replica  il  vostro  libello.  E  voi  non  ve 
ne  siete  accorto?  Dovete  provare,  che  oggi  il  cato- 
licismo risurge  fiorente  e  glorioso  ;  e  lo  provate  con 
questo  bel  documento,  ch'egli  è  già  moribondo  e 
presto  sarà  morto  del  tutto  nella  sua  terra  natale? 
Dovete  persuaderci,  che  l'interessi  del  catolicismo 
hanno  profittato  delle  crisi  della  società  moderna  (l); 
e  ne  allegate  in  prova  questo  magnìfico  avvenimento, 
ch'essi  nella  patria  stessa  del  papato  sono  andati  in 
rovina?  E  pure  l'Italia  era  la  terra  classica  e  privi- 
legiata dei  preti  e  dei  frati;  in  Italia  il  catolicismo 
godeva  della  prerogativa  di  religione  unica  dello  Stato  ; 
aveva  pronto  e  devoto  al  suo  servizio  il  braccio  dei 
princìpi  e  dei  magistrati,  degli  eserciti  e  delle  polizie  ;  a' 
suoi  avversar]  usava  rispondere  con  li  argiimenti  del 
carnefice;  era  sicuro  di  vincere  in  qualunque  lutta,  che 
avesse  impegnata  ;  non  avea  da  temere  la  ragione , 
educata  da* gesuiti  all'ignoranza;  né  la  cosciènza,  fetta 
schiava  dei  pregìudizj  ;  nò  la  parola,  strozzata  in  gola 
a' cittadini;  né  la  stampa,  data  in  custodia  a' reviso- 
ri ;  né  la  tribuna,  muta  da  lungo  tempo  e  soppressa  ; 
né  la  concorrenza  d'altri  culti,  tutti  proscritti  dai  co- 
dici sotto  pene  spaventose.  In  Italia  pertanto  la  morte 
del  catolìòismo  non  può  dirsi  violenta,  immatura,  ap- 
parente; poiché  nessuna  forza  estrinseca  potè  mai 

(1)  Te  caiholhMsmc  seni  a   prolìlé  dcs  Criscs  do  la  socic-lJ 


u 

scendere  ia  campo  contro  di  luì  per  assalirlo*  Egli 
era  Tunica  forza  viva  e  libera  in  ogni  ordine  della 
società;  egli  sovrano  assoluto  delle  anime  e  dei  corpi, 
delle  scuole  e  delle  chiese,  delle  dignità  e  delle  su- 
stanze,  delle  ricompense  e  delle  pene.  Ed  è  morto? 
Danque  la  sua  morte  è  tutta  naturale;  è  semplice 
effetto  della  sua  decrepitezza;  è  conseguenza  neces- 
^ria  di  quello  sfinimento,  in  cui  cade  e  perisce  ogni 
organismo,  fisico  o  morale  che  sia,  allorché  il  tempo 
ne  ha  ritirato  a  poco  a  poco  li  elementi  dell'energia 
vitale.  E  siete  voi,  un  Montalembert ,  che  ne  suona 
)  agonia  e  ne  registra  d'avanzo  Tatto  mortuale?  Dun- 
que il  fatteti  dev'  essere  più  chiaro  e  lampante  che  il 
^le  di  pien  meriggio;  polche  neppure  il  fanatismo 
di  un  Montalembert  —  è  tutto  dire  l  —  non  ha  po- 
iBlo  trovare  un  pretesto,  un  sofisma,  un  cavillo  qua- 
lunque, da  potervi  su  fabricare  almeno  T  ombra  di 
uuillosioDel  Ohi  grazie  di  nuovo,  signor  academico, 
d'averci  fornito  una  testimonianza  così  preziosa  e  de- 
cbiva.  Ora  sì,  che  il  fallimento -della  chiesa  catolìca 
iu  Italia  non  soffre  più  dubìo:  ne  sono  testimonj,  non 
più  solamente  i  razionalisti,  l'increduli,  i  demagoghi, 
sente  interessata  a  travedere,  e  quindi  sospetta;  ma  i 
violici:  più,  i  gesuiti:  più  ancora,  il  fiore  stesso  del 
(^tolicismo  e  del  gesuitismo,  che  è  il  conte  di  Mon- 
talembert. E  ci  basta.  Una  religione,  che  muore  di 
^pitezza  in  casa  propria,  non  può  certamente  du- 
fir  a  vivere  in  casa  altrui  ;  e  se  il  catolicismo  pe- 
(Hce  una  volta  in  Italia ,  è  finito  per  sempre  e  da- 
(ertutlo. 

^è  si  creda  che  lopinione  di  Montalembert  sia  un 
wpriccio  del  suo  balzano  cervello;  perocché  dessa 
^nm  fedelmente  il  giudizio  della  chiesa,  la  quale 
^oafessa  e  proclama  ad  alte  grida,  che  il  suo  potere 
^*  penisola  è  rovinato.  Sentite  li  otto  vescovi  della 


provincia  ecclesiastica  di  Genova  t  «  Che  i  lempi  cor- 
»  rano  pericolosi  per  chiunque  voglia  tenersi  saldo 
»  nella  fede  avita  e  continuar  nella  pratica  di  sua 
»  religione,  chi  può  dissimularlo?  Per  una  parte  ve- 
»  diam  pur  troppo  in  molti  indebolito  all'estremo  il 
»  sentimento  religioso  e  morale;  per  Taltra,  più  non 
»  è  lecito  dubitare  che  siavi  un  partito,  il  quale  s'af- 
»  fatica  a  tutta  possa  per  istrappare  dal  cuore  de'po- 
»  poli  la  fede  catolicà.  —  E  daprima,  se  mai  vi  fosse 
»  chi  non  sapesse  ravvisare  l'anzidetto  scadimento, 
»  noi  il  pregheremmo  a  spiegarci  in  altra  guisa  quella 
»  stupida  insensibilità  e  quella  mortale  indifferenza, 
»  con  cui  da  sì  gran  numero  di  persone  odonsi  le 
»  orrende  empietà  e  le  atroci  bestemie,  che  larga- 
x>  mente  si  spandono  in  mezzo  a  noi.  Noi  il  preghe- 
»  remmo  ancora  a  darci  altra  ragione  di  quella  por- 
»  tentosa  apatia,  che  tanti  e  tanti  mostrano  sotto  i 
»  colpi  de' divini  flagelli;  e  di  quella  vertigine,  che 
»  fa  dar  fede  a  calunnie  non  che  dalla  religione,  an- 
»  che  dal  buon  senso  mostrate  sacrileghe  e  grosso- 
»  lane.  La  cosa  parla  da  sé  :  succede  così,  perchè  la 
}»  religione  nel  fondo  dei  cuori  è  o  moribonda  o  morta. 
»  Basta  aver  occhi  perchè  restiam  persuasi  di  tal  ve- 
»  rità.  Non  vediam  noi  apertamente  violati  i  giorni 
»  santi  da  prevaricatori  senza  numero?  Men  fre- 
n  quentati  o  profanati  i  sacri  templi? Trasandate  od 
»  abusate  le  pratiche  religiose?  Derisi,  vilipesi,  anzi 
»  bistrattati  i  ministri  del  Signore?  Postergale  le  di- 
»  vino  ed  ecclesiastiche  leggi?  Vero  è,  che  al  mondo 
»  furono  ognora  e  saranno  sempre  mai  degfì  scan-4 
»  dalì  ;  ma  non  parca  da  aspettarsi,  che  in  paese  ca^ 
»  tolico  giungessero  questi  all'eccesso,  a  cui  li  veg- 
li giamo.  Nelle  altre  età  un  avanzo  almeno  di  vere-j 
»  condia  costringeva  il  perverso  a  coprir  d'un  vela 
»  ì  suoi  delitti,  a  fin  di  sottrarsi  alla  censura  del  pu4 
»  bllco.  Ma  di  presente  per  essersi  rotto  ogni  fr^nl 


S3 

*  lo  scandalo  trionfa,  e  mostrasi  dapertutto  a  visiera 
»  alzata.  —  Né  vi  crediate,  che  simili  disordini  stiano 
»  ristretti  alle  grandi  metropoli,  ove  si  aduna  la  fec^ 
j»  eia  d'ogni  nequizia.  No,  che  sì  fatta  perversità  di 
»  errori  e  dì  costumi  inyade  le  minori  città ,  e  fin 
»  anco  le  borgate  ed  i  più  oscuri  villaggi  (1).  d 

Udite  monsignor  Fransoni,  arcivescovo  di  Torino: 
«  0  noi  felici,  se  queste  parole  (cioèy  il  primo  articolo  ^ 
j*  dello  Statuto  di  Carlo  Alberto)  da  tutti  si  avessero 

*  di  continuo  presenti,  e  se  ne  facesse  la  regola  delle 
»  proprie  azioni;  che  in  allora  né  stamperebbesi  li- 

>  Dea,  né  udirebbesi  motto  men  riverente  alla  reti- 
»  gione.  Ma  ohimè  I  che  pur  troppo  da  qualche  tempo 
»  costretti  slamo  a  vedere  l'opposto,  e  pare  anzi  che 

>  tutto  siasi  scatenato  rinferno  per  assaltare,  e,  se 
»  fosse  possibile,  distruggere  dai  fondamenti  la  reli- 
^  ligìone  catolica.  Sì,  fa  spavento  il  vedere  quanto 
«  mai  sgraziatamente  si  accrebbe  il  numero  di  coloro, 
»  che  non  contenti  di  avvolgersi  essi  soli  nel  lezzo 
»  d'ogni  iniquità,  vorrebbbn  corrompere  tutta  l'u- 
»  mana  generazione;  e  quindi,  stretti  fra  loro  in  em- 
»  pio  consiglio,  apertamente  dichiarano  guerra  alla 
»  chiesa,  e  a  strapparle  dal  seno  i  fedeli  suoi  figli 
»  non  hanno  ribrezzo  d'appigliarsi  ai  mezzi  più  in- 

*  fami,  afifastellando  insulti  e  calunnie,  e  bestemlando 
Ji  perfino  quanto  v'ha  di  più  sacro  (2).  » 

Udite  monsignor  Ferrari,  vicario  generale  capitolare 
dell'arcivescovato  di  Genova;  «  È  tanta  la  tristizia 
»  dei  tempi,  in  cui  ci  tocca  di  vivere,  che  non  fu 

*  nuli  la  maggiore.  Sembrano  quei  tempi  pericolosi, 

*  che  l'apostolo  S,  Paolo  prenunzlava  al  suo  Timo- 

>  teo  dover  sopravenire  negli  ultimi  giorni,  —  Im- 

(l)  Lettera  pastorale  dei  vescovi  della  provincia  ecch" 
tiasliea^di  Genova,  data  da  Savona,  2i  ottobre  1849. 
{ì)Uttera  pastorale  data  in  Pianezza,  4  marzo  <8&0. 


»  perocché  un  turbine  spaventoso  d'assurde  opinioni 
»  e  di  mostruosi  sistemi  si  è  levato  dalle  caverne  in- 
»  fernali,  il  quale,  infuriando  con  inaudita  violenza 
»  sopra  la  terra,  sconvolse  prima  e  devastò  altre  na- 
»  zioni,  ed  ora  minaccia  la  nostra  del  più  orrendo 
»  sterminio.  L'impeto  e  la  foga  di  esso  dove  flagellò, 
^)  e  dove  inaridì  la  bella  vigna  di  Gesù  Cristo  sì  fat- 
.  »  tamente,  che  divenne  o  avara  di  frutti  o  affatto 
»  isterilita.  E  già  da  qualche  tempo  ha  incomincialo'" 
»  anche  tra  noi  a  imperversar  per  modo,  che  se  Id- 
»  dio,  nella  sua  grande  misericordia,  non  alza  Ton- 
»  nipotente  sua  voce  ad  infrenare  i  venti  e  a  calmar 
»  le  tempeste,  la  nostra  più  preziosa  e  ricca  posses- 
»  sione  sarebbe  in  breve  devastata,  e  non  rimarreb- 
»  bero  altri  cristiani  se  non  quelli  che  si  sentissero 
»  l'eroismo  dei  martiri  (1).  » 

Ascollate  i  cinque  Vescovi  della  provincia  ecclesia- 
stica dì  Savoja:  «  Bisogna  pur  dunque  riconoscerlo  : 
»  certamente  l'incredulità  sviluppandosi  tra  noi  in 
»  modo  inquietante,  aumenta  a  vista,  inalbera  alta 
»  la  sua  bandiera,  i  suoi  partigiani  son  pieni  d'ar- 
»  dorè  e  d'attività.  È  pur  doloroso  il  dirlo;  i  loro 
«  successi  sono  spaventosi.  La  nostra  Savoja,  finora 
»  sì  pura  ne'  suoi  costumi,  sì  ortodossa  nelle  sue  dot- 
»  trine,  sì  piena  di  risiietto  per  le  leggi  di  Dio,  la 
»  nostra  Savoja  ebbe  pure  a  soffrire  gravi  colpì,  da(^- 
»  che  queste  scuole  d'incredulità  e  di  scostumatezza 
»  piantarono  in  mezzo  a  lei  la  loro  catedra.  È  ìmpos- 
»  sibilo  dì  non  riconoscerlo  ;  i  giorni  del  Signore  non 
»  sono  più  rispettati,  né  consacrati  esclusivamente  al 
))  grande  affare  della  salute;  la  parola  del  pastori  non 
»  è  più  ricevuta  con  la  stessa  docilità.  —  Donde  tanti 
»  mali?  Da'dubj,  che  Tincredulità  semina  da  lungo 
»  tempo  fra  li  uomini  ;  essi  indeboliscono  la  fede»  di- 


ti) Lettera  pastorale  data  in  Geaiova,  30  genajo  1850. 


53 

»  minuiscoDO  il  timore  di  Dio,  rompono  le  molle  della 
»  coscienza,  distruggono  a  poco  a  poco  il  rispetto 

*  che  i  fedeli  avevano  per  la  chiesa  e  pe'suoi  mì- 
»  Distri,  volgono  tutti  i  pensieri  dell'uomo  verso  Tin- 
»  leressi  materiali,  e  gli  fanno  perdere  di  vista  quelli 
»  dell'eternità  (1).  » 

Ascoltate  1  sette  vescovi  della  provincia  ecclesia- 
stica di  Firenze,  riuniti  in  concilio  provinciale  ;  i  quali 
rivolgendosi  al  ministro  dell'interno,  dicono  che  «  sen- 
»  tono  il  dovere  di  aprire  l'animo  addolorato  pe'  tanti 
»  mali  e  per  le  gravi  sciagure ,  che  in  questi  nostri 

>  tristissimi  giorni  minacciano  la  nostra  santissima 
»  religione  ed  il  benessere  del  civile  consorzio.  Una 
»  mano  d'uomini  scaltri,  arditi,  operosi,  pertinaci  nel 
»  satanico  proponimento  di  spegner  nei  popoli  la  pura 
»  luce  della  vera  credenza  e  di  promuovere  la  de- 
»  pravazione  del  costume,  facendo  il  più  detestabile 
1»  abuso  di  quella  stampa,  cui  largiva  il  governo  un'one- 
»  sta  libertà,  non  ce^ssa  di  versare  a  piena  mano  il 
»  veleno  mortifero  di  erronee  e  sovvertitrici  dottrine, 

>  che  conila  più  fina  malizia  e  non  di  rado  con  la 

*  più  svergognata  impudenza  pe  '1  mezzo  di  esecrandi 
»  volumi,  di  libercoli,  e  di  foglietti,  nel  quali  tanti 
5  sono  e  così  sacrileghi  i  vituperi  e  le  contumelie,  che 
'  si  avventano  alla  ecclesiastica  gerarchia  ed  all'au- 
'  gusto  di  lei  capo  il  romano  pontefice,  tale  e  tanto 
'  il  discredito  che  vuole  insinuarsi  in  tutte  le  classi 
'  contro  ogni  legitima  autorità,  tale  il  disprezzo  di 

*  ogni  più  santo  principio,  da  ispirare  in  ogni  cuore, 

*  che  non  sia  affatto  chiuso  ai  sentimenti  religiosi 
»  e  morali,  un  grave  timore  per  le  sorti  della  presente, 
»  e  più  ancora  della  futura  generazione  (2).  » 

(1)  Lettera  pastorale  data  il  33  settembre  -1859. 
(?)  Indirizzo  a  5,  E,  il  Ministro  dell'Interno,  dato  i  i  ^i- 
rnze,  90  giugno  1S50. 


56  f 

Ascoltate  li  otto  vescovi  della  provincia  ecclesia- 
stica di  Lombardia,  uniti  in  conferenza  privata  a  Mi- 
lano: ((  Dei  travagli,  ai  quali  il  Signore  ci  ha  ser- 
»  bati  in  questi  ultimi  tempi,  quello  torna  amaris- 
»  Simo  al  nostro  cuore,  di  vedere  inondate  queste 
»  nostre  contrade  da  un  torrente  di  libri  e  di  gior- 
»  nali  d'ogni  maniera,  che  o  gettano  il  disprezzo  so- 
»  pra  quanto  di  più  caro  deve  avere  il  cristiano,  o 
»  volgono  in  ridicolo  le  cose  più  sante,  o  insidiano 
»  alla  purità  della  cristiana  morale  e  persino  all'in- 
»  tegrità  della  nostra  santissima  fede.  —  Ci  duole  il 
»  dirlo:  forse  per  prova  della  nostra  costanza  nella 
»  fede,  forse  per  castigo  dei  nostri  trascorsi,  11  Sl- 
»  gnore  ha  permesso  che  \  opera  loro  non  fosse  del 
»  tutto  vana;  mentre  in  alcune  famiglie  catojiche 
»  non  solo  delle  città,  ma  delle  borgate  e  dei  vii- 
»  laggi  le  Bibbie  dei  protestanti  corrono  impunemente 
»  nelle  mani  persino  delle  donne  e  dei  giovinetti.  E 
»  il  male  crebbe  sì  innanzi  da  farne  temere  che  ta- 
»  luni  del  nostro  clero  abbiano  mancato  o  di  vigi- 
»  lanza  nel  prevenire  il  pericolo  delle  loro  pecore 
»  e  dei  loro  penitenti,  o  di  sollecitudine  neirinstruire 
»  i  fedeli  su  le  sante  leggi  della  chiesa,  o  di  fer- 
»  mezza  nel  correggere  e  riprendere  rindocili  e  ioobe- 
»  dienti.  Il  nostro  cuore  è  ricolmo  d'amarezza  al 
»  vedere  disconosciute  e  calpeste  le  salutari  prolbi- 
»  zioni  della  chiesa  da  molti,  che  le  si  professano 
»  figliuoli  (1).  » 

Ascoltate  per  ultimo  la  voce  infallibile  del  papa: 
«  Siam  costretti  a  deplorare,  che  molti  eziandio  tra 
»  il  popolo  sieno  stati  cosi  miseramente  ingannati, 
»  che  chiudendo  le  orecchie  alle  nostre  voci  ed  av* 
»  visi,  le  abbiano  poi  schiuse  alle  fallaci  dottrine  di 

• 

(l)  IfUera  pastorale  ai  paroehi  ed  al  clero,  data  in  Mi*] 
lano,  10  dicembre  1850. 


17 

dcanl  maestri.  —  Non  ignorale  quale  guerra  si 
facia  nella  slessa  Itafia  ancora  alla  religione  no- 
stra sanlisslma,  e  con  quali  fro^i  ed  arlifizj  i  ter- 
ribili nemici  della  religione  medesima  e  della  so- 
cietà si  adoperino  per  allontanare  li  animi  special- 
mente inesperti  dalla  santità  della  fede  e  della  sana 
dottrina,  e  sommergerli  nei  vorticosi  fluiti  della 
incredulità,  e  sospingerli  ai  più  gravi  misfatti (1)* 
-  Voi  ben  sapete  e  vedete  interne  con  noi ,  con 
quanta  perversità  abbiano  teste  invalso  certi  per- 
dati nemici  della  verità,  della  giustizia,  e  di  qua- 
lunque onestà,  i  quali  si  sforzano  difundere  per 
ogni  parte  tra  i  popoli  fedeli  d'Italia  una  sfrenata 
licenza  di  pensare,  di  parlare,  e  di  osare  quanto 
v'abbia  di  empio,  e  machinaho  di  crollare  neirila- 
lia  medesima,  e,  se  potesse  loro  venir  mai  fatto, 
rovesciare  da' fondamenti  la  catolica  religione.  — 
E  quantunque  di  poi  la  stessa  città  di  Roma  e  le 
altre  provinole  dello  Stato  pontificio  sieno  state , 
la  Dio  mercè,  per  le  armi  delle  nazioni  catoliche 
restituite  al  civile  nostro  governo,  e  sia  cessato 
altresì  li  tumulto  delle  guerre  negli  altri  paesi  di 
ItaTia,  tuttavolta  quei  malvagi  nemici  di  Dio  e  de- 
gli uomini  non  defletterò  né  desistono  dall'  em- 
pia loro  intrapresa  (2).  —  Per  dovere  del  supremo 
nastro  apostolico  «linistèro,  non  possiamo  a  meno 
&  parlarvi  di  ciò,  che  Uavaglia,  opprime,  e  stra- 
na il  cuor  nostro.  Sapete  già  la  terribile  ed  ine- 
wrabile  guerra  suscitala  fra  la  luce  e  le  tenebre, 
fa  la  verità  e  l'errore,  fra  il  vizio  e  la  virtù,  fra 
Belial  e  Cristo  ;  né  ignorate,  con  quali  arti  e  ma- 
dunazloni  nefande  i  nemici  di  Dio  e  della  società 

(I)  Alloeuzione  tenuta  nel  eoneisloro  segreto  in  Gaei» 
ft  50  apriif  1849.  , 

'?)  LeUera  eneiclica  agli  arcivescovi  e  veicovi  d*Uaha, 
*»^a  i'«  Portici  presso  Napoli,  %  dicembre  ls4i). 


ss 

»  SI  sforzino  i^er  attaccare  ed  abbattere  V  interessi 
»  di  nostra  religione;  svellere  dalle  radici  il.gQrme 
»  di  ogni  cristiana  virtù  ;  propagare  ovunque  la  sfre- 
»  nata  ed  empia  licenza  di  pensare  e  di  vìvere  ;  con 
»  ogni  sorla  di  perversi  e  perniciosi  errori  corrom- 
»  pere  la  mente  e  il  cuore  della  moltitudine  special- 
»  mente  imperita,  e  dell'incauta  gioventù;  concul- 
»  care  i  diritti  divini  ed  umani,  e,  se  fosse  possibile, 
»  rovesciare  dalle  fondamenta  la  chiesa  catolica ,  ed 
»  espugnare  la  catedra  santa  di  Pietro.  Ed  ognuno 
»  vede  quali  mali,  non  senaa  grave  dolore  dell'animo 
»  nostro,  per  opera  del  potere  delle  tenebre  afiligano 
»  e  travaglino  Tovile  di  Cristo  a  noi  affidato  (l),  — > 
»  Siccome  poi  voi  non  ignorate  l'acerrima  guerra,  che 
»  da  ogni  parte  sì  combatte  contro  la  chiesa  cato- 
»  lica,  così  vi  faciamo  animo  ed  eccitiamo  quanto 
»  più  n'  è  dato  la  vostra  specchiata  pietà,  perchè  oi>- 
»  poniate  con  sempre  maggiore  studio  e  virtù  un 
»  saldo  muro  a  difesa  della  casa  d'Israello.  E  la  vo- 
»  stra  sapienza  ottimamente  conosce,  doversi  con  tanto 
»  maggiore  lunganimità  e  costanza  difendere  la  causa 
»  della  santissima  nostra  religione,  quanto  più  gravi 
»  pericoli  e  danni  veggiam  soprastarle  per  le  scele- 
»  rate  machinazioni  de' suoi  nemici.  Già  vi  è  chiaro 
»  ed  aperto,  con  quali  pestiferi  scrìtti,  con  quali  mal- 
»  vagìe  arti  li  uomini  inimici  si  sforzino  perfino  in 
»  queste  stesse  regioni  a  corrompere  i  costumi,  a 
»  depravare  li  animi  in  parlicolar  modo  della  im- 
»  provida  gioventù  e  della  imperita  moltitudine,  e 
»  a  trarli  in  inganno,  a  disprezzare,  conculcare,  e 
»  spiantare  i  dogmi  venerandi  della  nostra  religione 
»  divina,  a  strappare  i  fedeli  dal  culto  catolico,  e 
»  gettarli  nel  pericolo  di  perdere  la  loro  eterns^  sa- 

(1)  Allocuzione  pronunciata  nel  oaneùtoro  segreto  tiei  %0 
maggio  1850. 


89 

»  Iute,  a  mescolare  tutti  ì  diritti  divini  ed  umani, 
»  e  a  spandere  il  più  terribil  veleno  della  incredu- 
»  lilà  (i).  —  Benché  ci  arrechi  sommo  conforto  la 
'■  promessa  di  Cristo  Salvator  nostro,  con  la  quale 

•  affermò,  che  le  porte  deirinferno  non  prevarreb- 
"  bero  mai  contro  la  chiesa^  tuttavia  non  possiamo 
^  noQ  sentire  sommo  dolore  nell'intimo  dell'animo, 
»  considerando  la  gravissima  rovina  delle  anime,  che 

•  Teggiam  provenire  dalla  sfrenata  licenza  di  pu- 
»  biicare  libri  malvagi,  e  dalla  ribalda  impudenza  e 
»  scaltrezza,  che  vediam  ognidì  più  dilatarsi,  di  osar 
»  lutto  contro  le  cose  divine  e  sante  (2).  —  Ci  ad- 
•>  Mom  assaissimo  il  vedere  afflìtta  e  gemente  in 
•^  questi  sgraziati  tempi  la  nostra  religione  santis- 
»  sima  e  la  civil  società  ;  imperocché  nessuno  ignora 
A  eoo  quali  fallaci  astuzie,  con  quali  strane  opinioni 

•  e  ribaldi  artifizj  d'ogni  genere,  i  nemici  di  Dio  e 
«  (ieil'uman  genere  s'argomentino  di  pervertire  la 
"  mente  d'ognuno  e  corrompere  i  costumi,  per  po»- 
'  tcre,  se  mal  loro  venisse  fatto,  distruggere  in  tutto 

■  la  religione.  Infrangere  i  vincoli  dell'umana  società, 

•  e  sconvolgerla  dal  fondtimenti.  Quindi  hassr  a  de- 

■  plorare  le  tenebre,  che  offuscano  la  mente  di  molti  ^ 
iaspra  guerra  contro  il  catolicismo  e  contro  que- 
sta sede  apostolica la  sfrenata  licenza  dì  pen- 

•sare,  di  vivere,  e  di  osare  qualunque  cosa;  l'in- 

•  subordinazione  contro  ogni  Impero,  potestà,  ed  au- 
torità; lo  spregio  delle  sacre  cose,  delle  leggi  più 

•  '^nte,  e  delle  migliori  instituzioni  ;  la  miserevole  cor- 

•  roQone  specialmente  della  inesperta  gioventù  ;  la 
-pestilente  Inondazione  di  libri  malvagi,  di  libelli 

•  sparsi  dovunque  per  ispingere  al  peccato,  d\  gior- 
ni) UUera  ai  vescovi  di  Toscana,  data  in  Roma  /i  21  ^im- 

il)  Brevéf  in  condanna  del  professare  Svytz,  dalQ  in  Roma 
'*^  (1999(0  185  f. 


66 

»  nali  e  di  stampati  d*ogni  sorta;  il  mortifero  veleno 
»  dell'indifferentismo  e  della  incredulità;  il  coinmo- 
»  vimento  delle  empie  cospirazioni,  e  lo  spregio  e  la 
»  derisione  di  ogni  diritto  umano  e  divino  (1).  y> 

Tali  sono  i  trionfi,  che  Tltalia  del  secolo  XIX  ri- 
serbava al  catolicismo! 

Torniamo  alla  Spagna,  ed  ai  sintomi  rassicuranti 
e  consolanti,  che  il  medico  Montalembert  ne  rivela. 
Questi  sintomi  si  riducono  a  tre:  due  uomini  e  nu 
concordato.  Vero  è,  che  quelli  sono  due  uomini  d'nn 
genio  superiore  (2);  ma  il  diploma  non  ha  che  una 
firma,  Montalembert;  e  però  vale  tanto,  quanto  già 
saplam  che  può  valere  la  sua  catolica  parola.  Co- 
desto genio  superiore  è  fratello  della  troppo  grande 
rassegnazione;  e  per  capirne  il  significato  consultiamo 
il  solito  dizionario.  Uomo  di  genio  superiore,  nel 
gergo  de'gesuitaj,  dicesi  og^ni  chiacchierino,  che  tenga 
ben  a  memoria  il  catechismo  romano,  e  lo  snopcloli 
secondo  la  mente  della  chiesa.  Laonde  ì  genj  supe- 
riori abondano  nel  calendario  del  catolicismo.  Ogni 
giorno  deiranno,  ogni  borgo  della  cristianità  ne  vanta 
parecchi;  e  se  in  tutta  la  Spagna  Montalembert  non 
potè  scoprirne  che  due,  bisogna  dire  che  eziandio  colà 
il  catolicismo  non  istla  meglio  che  in  Italia.  Ad  ogni 
modo,  prendiamo  notizia  dei  due  genj  superiori:  L'uno 
Donoso  Cortes,  ha  conquistato  de  plaln-pled  l'attenta 
ammirazione  dell* Europa;  V altro,  Balmes,  storico  , 
filosofo,  teologo,  sopratutto  grand*ingegno  politico^  che 
comprese  tutti  i  bisogni  e  tutte  le  condizioni  della  li^ 
berta  moderna,  e  insieme  tutte  le  infermità  di  una 
società  democratica,  e  seppe  conciliare  questa  lumi^ 
nosa  intelligenza  del  suo  tempo  con  l'incrollabile  a(- 

(I)  Lettera  enciclica  del  6  dicembre  ^S51. 

(2i  tK'tix  liommcs  d'un  genie  supérieur  (pag.  43). 


61 

toccamento  alV  immobile  infallihiUlà  della  chiesa  (l). 
Ci  occorrerà  in  seguito  di  conoscere  Giacomo  Balmes, 
e  vedremo  che  razza  di  storia,  di  filosofia,  e  di  poli- 
tica ei  professasse.  Di  Donoso  Cortes,  che  le  parole 
di  Montalembert  spacciano  a  dirittura  per  un  ora- 
colo d'Europa,  faciam  qui  hrevemente  conoscenza,  a 
fine  di  chiarìfe  che  cosa  sieno  i  moderni  dottori  e 
profeti  del  catolicismo. 

Donoso  Cortes  mostrò  nella  sua  prima  gioventù 
qualche  vaga  tendenza  al  razionalismo;  poi  si  con- 
tentò delle  teoriche  così  dette  liberali  o  costituzionali, 
e  le  professò  publicamente  air  Università  di  Madrid, 
li  qual  fatto  basta  per  sé  a  dimostrare,  che  V  inge- 
gno di  luì  non  contiene  alcuno  di  quelli  elementi, 
che  formano  il  genio;  poiché  il  genio  repugna  essen- 
zialmente ai  mezzi  termini,  alle  dottrine  bastarde, 
che  non  sono  né  la  verità,  nò  Terrore,  ma  un  com- 
promesso perpetuo  e  sofistico  dell'uno  con  l'altra. 
Un  uomo  di  genio,  che  avesse  una  volta  assaggiato 
li  vero  razionalismo,  non  sarebbe  giammai  divenuto 
professore  di  diritto  costituzionale.  Comunque  sia,  il 
povero  cervello  di  Cortes  sentlvasi  ancora  troppo  li- 
hfsro  nel  sistema  dei  moderati  ;  la  sua  ragione  avea 
bisogno  di  tenebre  e  di  catene.  Egli  ha  dunque  fatto 
la  sua  conversione;  e  nel  catolicismo  ha  ritrovato 
catene  e  tenebre  in  abondanza.  Da  quel  momento 
in  poi,  sia  paura  dell'inferno,  spettro  del  demonio, 
scrupc^,  o  che  so  io,  fatto  sta  che  il  pio  marchese 

(t)  L'oli,  Donoso  Cortes,  a  conqnis  tfe  plain-pied  Tnltentive 
•dmintioo  do  TEorope;  Tautre,  Dalmès,  mort  à  ia  flcur  de 
l'ige,  bistorien»  pbilosophe,  lliéologien,  snrtout  grand  esprit 
Nitiqne,  ayaot  compris  tous  ies  besoins  et  toutes  les  condi- 
tioDft  de  la  libetlé  moderne,  en  méme  temps  que  loules  Ies 
ioftniiiiés  d*uDe  société  démocratiqae,  et  sachant  concilier  celle 
himioeQse  intelligence  de  son  temps  avec  cel  inóbranlablc  at- 
lachemeot  à  rimmobile  infaillibilUé  de  Péglisc,  sans  lequel 
n*l  espH^ol  n'csl  digne  d'appartenìr  a  la  ^(iU\e  de  Xmicii^s 
•»  *•  rnVWon  'nncr.  I3-!V\ 


62 

di  Yaldegamas  non  ragiona  più,  ma  sogna  e  delirai 
Eccovi  un  saggio  delle  sue  dottrine  :  Io  credo,  quanto 
al  diritto,  che  il  diritto  umano  non  esiste,  e  che  non 
ti  è  altro  diritto  fuorché  il  divino.  —  La  parola  di-^ 
ritto  non  e  sule  lahra  dell'uomo  che  una  locuzione 
viziosa.  —  La  discussione,  come  l'intendete  voi  (cioè, 
libera),  è,  secondo  me ,  la  surgente  di  tutti  li  errori 
possibili,  e  V  origine  di  tutte  le  imaginahili  stravc^ 
ganze.  —  Quanto  al  parlamentarismo,  al  liberalismo, 
e  al  razionalismo,  io  credo  che  il  primo  è  la  nega" 
zione  del  governo,  il  secondo  la  negazione  della  li- 
bertà, e  il  terzo  V affermazione  della  follia.  —  //  ca-^ 
tolicismo  solo  è  la  contradizione  delle  dottrine^  che 
io  combatto.  Date  la  forma,  che  piti  vi  piace,  alla  dot^ 
trina  catolica;  malgrado  questa  forma,  tutto  sarà  in 
un  instante  mutato,  e  vedrete  rinovata  la  faccia  della 
terra. — Sono  diciotto  secoli  che  il  catolicismo  discute 
a  suo  modo;  e  il  suo  modo  di  discutere  gli  conferì 
la  vittoria  in  ogni  discussione.  Tutto  passa  diiumzi  a 
lui;  le  cose  che  sono  nel  tempo  e  il  tempo  medesimo: 
egli  solo  non  passa;  rimane  dove  Iddio  V ha  collocato, 
immobile  in  mezzo  ai  turbini  sollevati  dulVuniversal 
movimento,  —  Del  parlamentarismo  non  occorre  par- 
larne. Che  diverrebbe  egli  presso  un  popolo  veroìnentc 
catolico,  in  cui  Vuomo  sa  fin  dalla  sua  nascita,  che 
dee  rendere  conto  a  Dio  persino  d'ogni  oziosa  pa- 
rola (l)?  —  Nell'ordine  politico,  starsene  immobile 
e  correre  è  presso  a  poco  la  stessa  cosa:  chi  vuol  fer- 
marsi è  trasportato  dalla  corrente  dei  secoli  da  un 
governo  all'altro;  chi  si  dà  fretta  non  fa  che  tornare 
violentemente  al  punto,  da  cui  si  era  dipartito,  giu^ 
sta  la  legge  impreteribile  di  chi  segue  linee  circolari, 
—  Un  progressista  è  un  uomo,  il  quale  non  sa  che 
cosa  sia  il  progresso.  Progredire  non  è  agitarsi,  né 

(I)  Lellcr.i  aWIIeraldo,  dala  in  Parigi  li  15   aj^rilc  1^54 
(La  Patrie,  num.  115,  24  avril  [<iòì). 


G3 

moversi;  non  è  andare  avanti,  come  dicono  U  uni, 
0  indieiro,  come  pretendono  li  altri.  —  //  'progresso, 
tonsiderato  come  cambiamento,  è  tale  idea,  che  non 
viene  ad  un  popolo  se  non  nel  periodo  di  sua  deca- 
denza, prossimo  a  quello  della  sua  morte, —  L* abisso I 
è  là  che  vanno  a  gettarsi  tutti  i  popoli,  che  èi  la- 
mano  guidare  dalle  scuole  progressiste  (1).  —  Guar- 
date V Europa  :  e'  pare  che  li  uomini  di  Stato  abbiano 
perduto  il  senno;  la  ragione  umana  viene  oscurata, 
le  instituzioni  sono  sconvolte,  e  le  grandi  nazioni  rui- 
tano  improvisamente.  —  In  Italia  vi  sono  i  poliziotti 
e  i  birri  del  socialismo,  niente  di  piit.  —  Forse  un 
Mluomo  basterebbe  a  salvare  V Umanità;  ma  quesVuo- 
m  non  esiste;  o  se  esiste,  Dio  stempera  il  veleno 
nell'aere  che  respira.  —  Tutti  coloro,  che  viaggiarono 
in  Francia,  s'accordano  Het  dire  che  nessun  francese 
è  repubiicano,  —  Che  cos*è  il  catolicismo?  saggezza 
ed  imillà.  Che  cosa  è  il  socialismo?  orgoglio  ed  igno- 
ranza. Il  socialismo,  a  somiglianza  di  Nabucodono- 
wr,  e  re  e  bestia  ad  un  tempo.  —  Licenziare  in  tutto 
0  nella  maggior  parte  le  armate  permanenti  sarebbe 
la  rovina  detta  intiera  società  ;  perchè  le  armate  per- 
manenti sono  le  sole,  che  oggidì  impediscano  alla  so- 
netà  di  affogarsi  nella  barbarie^  —  La  chiesa  e  Veser- 
nto  sono  t  due  rappresentanti  deW incivilimento  euro- 
peo (2).  —  La  società  europea  se  'n  muore  :  le  estre- 
mtà  sono  fredde,  il  cuore  lo  sarà  tra  breve.  Sapete 
perchè  se  'n  muore?  Se  'n  muore, perchè  è  stata  attos- 
^cata;  se  *n  muore,  perchè  Iddio  Vavea  fatta  per  esser 
ntrila  della  sustanza  catolica;  e  medici  empirici  le 
^mo  dato  per  alimento  la  sustanza  razionalista.'  Ella 

II)  Il  Proaresso,  arlicolo  publicato  nel  Calolico,  num.  42. i 
Ifigfnajo  185  i). 

i2)  Discorso  pronunciato  nell'assemblea  dei  Deputali  a  Ma- 
drid in  fcbrajo  del  1850,  o  rlferilo  dal  Calolieo  nei  numeri 
<'54-ó-0  <27  fcbrajo,  1  e  2  marzo  ISSO;. 


6i 

se  'n  muore,  perchè  siccome  Vuomo  non  vive  di  soh 
pane^ma  di  ogni  parola  che  esca  dalla  bocca  di  Dio; 
così  le  società  non  periscono  solamente  pe  7  ferro,  ma 
per  ogni  parola  antieatolica  uscita  dalla  bocca  dei  fi- 
losofi.  E  la  sé'n  muore,  perchè'  Verrore  occide,  e  co- 
testa  società  è  fondata  sopra  di  errori  (I).  Ora  un 
uomo,  che  parla  e  pensa  così,  può  parere  un  genio 
superiore  al  conte  di  Monlalemberl,  e  desiare  ammi- 
razione nell'Europa  clericale;  ma  certo  nell'opinione 
publica  dell'Europa  civile  sarà  tenuto  per  un  genio 
dell'ignoranza  o  della  Mia;  e  non  ecciterà  altro  sen- 
timento che....  la  compassione.  Quindi  possiamo  anche 
noi  argumentare  che  cosa  debba  essere  la  reazióne  cata- 
lica  in  [spagna,  poiché  ha  trovato  interpreti  così  fatti  [2). 

Circa  11  terzo  dei  sintomi  rassicuranti  e  consolanti, 
io  non  ho  che  dire.  Un  concordato,  come  è  noto,  con- 
siste in  un  trattato  di  commercio  fra  i  due  poteri , 
ecclesiastico  e  civile  ;  e  quando  una  religione  discende 
a  questi  patti,  ha  già  abdicato;  non  è  più  che  una 
banca  o  un'  agenzia.  E  v'ha  di  più.  Egli  è  tuttora 
incerto,  se  l'interessi  del  catolicismo  ne  vantaggie- 
ranno:  l'atto  è  così  recente,  che  il  buon  academico 
dee  contentarsi  dì  una  predizione  condizionata:  L'ese- 
cuzione sincera  (del  concordato)  ricondurrebbe  pron- 
tamente di  bei  giorni  per  la  chiesa  di  Spagna  (3). 
Staremo  dunque  a  vedere. 

Intanto  che  faciamo  un  po'  di  pausa,  ricapitoliamo. 
Quattro  paesi  vennero  già  passati  in  rassegna,  due 

(1)  LeUera  &\VHeraldo  del  3t>  logHo  i%ì9. 

(2)  La  réaclion  cathoUque  en  Espagne,  poar  avolr  étt^  long- 
temps  silencieuse  el  inapercue,  n*en  doit  élrp  qne  plus  pro- 
fonde, pnisqn'elfe  ^  trouvé  de  tels  organes  (pag.  ii). 

(8)  Un  concordai,  le  plus  avantageux  qu'U  ali  è\é  donne 
depuis  longlenips  an  saint-sifge  d'obienir  d'une  puissance  ca- 
thollqoe,  et  doni  rexf^cntion  sincère  ramèneraU  promptcment 
4e  ìma^'x  jours  pour  Téglise  d'Espagnc  (pag.  dij. 


65 
de*q«di  per  le  loro  tradizioni  secolari  tengono  il  primo 
posto  nella  famiglia  delle  catoliclie  nazioni.  Ebbene, 
ii  signor  Montalembert  stabilisce  il  trionfo  della  chiesa 
in  Enn^  alla  metà  del  secolo  XIX  su  1  certificato, 
e  proprio  di  sno  pugno,  di  questo  fatto:  che  alla  metà 
del  secolo  XIX  il  catolicismo  in  Polonia,  Svizzera, 
Spagna,  e  Italia  non  esiste  più  che  di  nomel 

Passando  alla  Germania,  egli  consacra  da  prima 
ima  buona  pagina  a  raccontare  le  perdite  del  pro- 
testantesimo, è  a  descrivere  la  sua  generale  sconfìtta  (t). 
E  noi  ce  ne  rallegriamo  di  tutto  cuore:  spetta  ai 
protestanti  di  pigliar  le  difese  della  loro  Riforma,  se 
la  stimano  calunniata  e  vilipesa  dair  apologista  di 
R(»tt.  Il  quale  per  conto  del  catolicismo  muta  su- 
iMto  registro,  e  canta  vittoria.  Ma  questa  vittoria  in 
che  si  fonda?  Primieramente  in  un'altra  pagina  di 
dance  gratuite  ed  inconcludenti  (2);  poi  su  di  alcuni 
fotti,  che  non  provano  nulla. 

In  alcuni  paesi  protestanti  si  vedono  drappelli  di 
fedeli  radunarsi  in  qualche  antico  tempio  (3)  ?  Vuol 
dire,  che  vi  potran  fare  le  loro  funzioni  con  mag- 
gior GonuBodità  che  ne' privati  oratorj,  in  cui  per  lo 
avanti  stavano  confinati.  £  questo  prova,  che  i  go- 
v^emi  eretici  intendono  la  libertà  e  la  civiltà  un  pò* 
0^0  che  i  catolici:  nient'altro. 

Avvengono  conversioni  di  protestanti  al  catolici- 
smo (4)?  Ma  la  statistica  cìnsegna  che  ne  avvengono 
assai  più  di  catolici  al  protestantesimo. 

..U  Pag.  i4-i5. 

(8)  Pag.  15-16. 

'%)  Od  voit  des  groupes  de  fldèles  calhoUques  s'im  pian  ter 
a  Tombre  des  vastes  et  vìeilles  églises  (pag.  16). 

(i)  La  Doblesse  et  la  classe  Iettrée,qui  ont  toutes  deux  taiii 
4  expier,  roarnissenl  des  coDversions  nombreuses  et  éclatan- 
les  (pag.  i6).  I 

I.  » 


La  chiesa  germanica  s' è  commossa  alla  prìgioiiìa 
degli  arcivescovi  di  Colonia  e,  di  Posen  (1)?  E  cosi 
ha  mostrato  che  i  catolici  sono  sempre  li  stessi:  fa- 
natici e  faziosi. 

Neil'  assemblea  di  Francofort  venne  ammesso  il  clero, 
e  riconosciuto  il  princìpio  della  libertà  religiosa  (2)  ? 
E  ciò  dimostra  due  cose:  1."  che  in  Germania,  non 
altrimenti  che  in  Francia,  l'ipocrisia  del  clero  aveva 
ingannato  ancor  una  volta  i  popoli,  i  quali,  udendolo 
ad  invocare  altamente  la  libertà,  s'erano  lusingati 
che  parlasse  da  senno  e  lealmente,  mentr*esso  non 
anelava  alla  libertà  che  per  confiscarla  tutta  a  suo 
profitto;  2.*"  che  in  Germania  non  domina  più  lo  spi- 
rito della  rejlgione,  né  catolica,  né  protestante,  ma 
quello  della  filosofia,  la  quale  pone  a  capo,  di  ogni 
suo  sistema  la  libertà  in  tutto  e  per  tutti.  E  la  filo- 
sofìa, che  a  forza  di  combattere  ogni  maniera  d'op- 
pressione e  d'Ingiustizia,  riuscì  a  mettere  in  trono 
la  toleranza  e  il  diritto  commune:  è  dessa,  che  apri 
la  via  ai  monaci,  ai  gesuiti,  ai  francescani  (3),  e  si 
rìde  di  quelle  comedie,  che  i  frati  vanno  qua  e  là 
recitando  sotto  il  nome  di  missioni,  dinanzi  ad  al- 
cuni yroupes  de  fidèles,  che  qui  per  la  magica  potenza 
della  declamazione  si  trasformano  in  ìim  foule  avide, 
nombreuse,  infatigable  (4):  é  dessa,  che  kisciò  insti- 

(\)  Pag.  17. 

{^2)  Dnns  ceUe  Assemblée  de  Francfort,  si  tumullueuse  el 
si  ridicule,  mais  un  moment  si  redoutable ,  on  voit  paraltre 
ses  prètrcs,  ses  oraieur^,  ses  ihéologiens.  Ils  viennent  récla- 
mer,  à  Tinstar  des  calholiqnes  fran^ais,  la  liberto  de  Tensel- 
gnemcm  el  la  liberté  reiigieuse  (pag.  18). 

(Ò)  Là  des  moines,  des  jésuiles,  des  franciscains  reparqi^- 
stiU  sous  lour  froc  abhorr.é  (pag.  49). 

(4)  Adiront  antour  de  leurs  chaires  une  foule  avide,  nom- 
brcvsc,  infuligabie,  ol  font  de  leurs  missions  un  dea  falla  les 
plus  maniuanls  de  Thistoire  contemporaine  (pag.  49). 


tiiffe  le  oisociazifmi  di^  Pio  IX ^  ài  S,  Carlo  Bor- 
rmeo,  di  S,  Bonifacio  (1),  e  gode  di  vedere  cbe  hmt- 
àoMy  BOD  già  di  fronte  ed  a  gran  passi  alh  con- 
quista della  Germania  con  la  fede  e  la  carità  (2);  ma 
dì  soppiatto  e  all'uso  dei  gamberi,  alFusurpazioiie  di 
({oalelie  officio,  titolo,  potere  ecclesiastico  o  civile, 
per  via  d'iotrighì,  di  calunnie,  di  viltà,  e  di  corri>- 
zione:  è  dessa,  che  ne' paesi  protestanti  sostiene  i  di- 
ritti dei  catolicismo,  e  nei  paesi  catolici  propugna  i 
diritti  della  Riforma;  poiché  dalla  loro  lutta  non  esce 
meitore  né  il  papato,  né  la  Bibbia,  ma  la  ragione. 
E  questo  fatto,  carattere  essenziale  e  dominante  del 
nostro  secolo,  e  sintomo  evidente,  infallibile,  della 
i»rte  di  ogni  relìgiene  sovranaturale  o  rivelata,  il 
oolite  di  Montalembert^  lo  adduce  in  sostegno  della 
80t  causa! 

Oh!  non  mi  fa  più  maraviglia,  che  un  uomo  così 
alivcinato  dalla  sua  passione,  così  privo  d'ogni  iih- 
tdligenza  de' tempi  e  di  ogni  filosofia  della  storia,  ab- 
iMt  il  cwaggio  di  rammentare  fra'  suoi  interessi  quella 
proiezione,  qualunque  ella  sia,  che  alla  chiesa  pro- 
mettono tii  Prussia,  un  re  protestante,  ma  intelligente 
e  generoeù;  in  Austria,  un  giovine  e  cavalleresco  im- 
peniere  (3).  Questo  accordo  fra  il  trono  e  V  altare. 


•  1)  Pag.  19. 

(9)  Marcbant  de  front  et  à  grands  pas  à  la  conqnète  de 
r\1ieinagfìe  par  la  fui  et  fa  charité  (pag.  49-SO). 

\9)  Ea  Prasse,  un  roi  protestante  mafa  inielligent  et  géné- 
reax,  a  promls  que,  sona  son  aceptre,  Tégliae  ne  reverrait 
Mtts  les  iBauvais  joars,  queUe avait  eu  à  déplofer  avant  Ini. 
~  En  Aatviche,  uo  jeuDe  et  cbera^eresque  empereor...  té- 
^oIq  à  remplir  avant  tout  sod  devoir  de  prince  catholique, 
■'ijognre  son  régno  par  Tabrogation  de  la  légìslation  de  Jo> 
^r**!  fi,  el  prelude  à  la  vfctoire  de  sea  armes  sur  la  révotu- 
tKn  par  rémadeipatfon  complète  de  t'église  dana  ses  liuTnen- 
»s  Élats  (ftg.  H>. 


o  devotissimo  conte,  è  la  vera  dichiarazione  del  ftJ- 
liniento  di  ambedue.  Li  eredi  di  Federico  il  Grande 
e  di  Giuseppe  U  stringoao  la  destra,  che  loro  por- 
gono amiea  i  successori  di  Gregorio  VII  e  di  Inno- 
cenzo HI,  perchè  li  unì  e  li  altri  sentono  imminente 
la  propria  rovina;  sentono  il  bisogno  di  collegare 
insieme  tutti  li  sforzi,  tutti  T interessi  contro  del 
nemico  commune;  e  fanno  la  parodia  della  tregua 
di  Dio.  Ha  ì  primi  nodi  veggono  altro  nella  reli- 
gione che  uno  strumento  delki  loro  politica,  e  l'a- 
doprano  come  il  flagello  più  efficace  a  mantenere 
schiavi  i  loro  sudditi.  E  sono  questi  i  trionfi,  che  voi, 
signor  ìiontaiembert,  augurate  alla  vostra  chiesa? 
DehI  sieho  esauditi  i  vostri  voti;  si  compia  l'al- 
leanza de' principi  co'  papi;  conosca  TEuropa  chi  siete 
voi,  e  quali  sono  i  vostri  interessi;  ed  ìmpari,  che 
voi  siete  i  vili  adulatori  di  un  re,  traditore  della  sua 
patria,  e  di  un  imperatore,  ladrone  de' suoi  popoli; 
impari,  che  F  interessi  del  catolicismo  stanno  in  ra- 
gione inversa  degl'  interessi  delie  nasoni  ;  impari,  che 
voi  tripudiate  quando  i  popoli  gemono,  e  lagrimate 
quando  essi  esultano;  che  voi  chiamate  sventura  le 
loro  vittorie, e  fortuna  le  loro  sconfitte; che  voi  ab- 
hncciate  i  loro  tiranni,  e  trucidate  i  loro  benefat- 
tori. Sì,  rallegratevi;  i  re  traditori  eTimperatorì  la- 
droni non  isdegnano  più  T  amicizia  della  chiesa.  Sì, 
gioite;  la  chiesa  non  ricusa  più  il  suo  tributo  di  lodi 
e  d'incensi  a  quelle  esecrabili  spade,  che  grondano 
del  sangue  d^  popoli.  11  patto  infame  fu  segnato;  li 
uni  n'ebbero  in  pegno  le  missioni,  e  li  altri  le  stragi. 
Ha  sapiate  pure,  che  questo  fatto  contiene  l'argu- 
mento  più  forte  e  più  terribile,  che  siasi  mai  rivolto 
contro  della  catolica   religione.  Oggimai  persino   i 
fanciulli  ne  sentono  l'evidenza  e  l'efficacia;  persino 
li  uomini  del  vulgo  se  ne  servono  publicamente  per 
maledire  voi,  e  i  vostri  interessi,  e  la  vostra  chiesa; 


I  iaUo  ^€4  toflOKo  imaieiiso  d'odio  e  di  T«MleUà\ 
die  »'a€eiiMttk  co&tro  dei  tiranni,  ricadrli  esiÀndio 
sai  YQ^ro  capo,  e  farà  pagare  al  catolicismo  11  fio 
d'a?w  yiAnXo  complice  il  cielo  delle  iniquità  dei  go- 
verni. 

M  resto,  se  v'ha  regione  al  mondo,  In  cui  possa 
nerìtamente  afièrmarsi  che  il  cristianesimo  cessò  di 
esistere,  è  fuor  d'ogni  dubio  la  Germania.  Colà  il 
peaàero  moderno  conta  tanti  concistori  quante  sono 
le  miiversità,'  e  tanti  apostoli  quanti  studenti;  colà 
tutte  le  scienze  speculative  e  naturali,  dalle  catedre, 
nelle  academie,  con  i  libri  e  l'efemeridi  cospirano  a 
distro^sere  le  stesse  fondamenta  dell'edificio  cri- 
stiaao;  colà  quel  Giovanni  Ronge,  òhe  ir  maledico 
MoDtaiembert  qualificava  di  piioyable  contrefacteur 
éeUtìher  (1),  semplice  prete,  senz'appoggio  di  prìn- 
cipi,  senza  rumore  di  missioni,  senza  intervento  di 
eserdti  e  di  polizie,  in  soli  cinque  anni  trovò  più  di 
diiqueeento  Communi,  che  abt»raoeiarono  il  suo  sistema 
di  razionalismo  religioso  (2);  colà  infine  è  talmente 
iaposflibìle  un  ritorno  anche  pass^giero  ed  efimero 
al  eat<^cìsmo,  che  g^à  un  frendlo  generale  costrìnge 
i  giHrerni  a  cacciar  via,  loro  malgrado,  i  gesuiti  e  i 
nùssionarj,  cernie'  perturbatóri  della  publica  quiete.  E 
però,  quando  l'academico  conclude  asserendo,  die 
per  rispetto  al  catolicismo  in  Germania  U  predente 
fia  può  rispondere  deU'awetUre,  e  già  il  progre$$a 
è  immenso  (S),  intendiamolo  a  rovescio,  ed  ha  rar 
giooe. 
E  se  non  vuol  credere  a  noi,  ascolti  dunque  la  te- 
li) Pag.  1 8. 

ff)  E.  OsswALD,  VinsurreeUon  badoise  dan$  set  rapporta 
«VM  to  révoitttiùfì  allemande  (Libsrtiì  db  penbbh,  tom.  V, 

(!)  Déià  to  présent  peut  répondre  de  TaTralr  —  déjk  le  pre- 
pìi  est  fanmaoM  (pag.  91). 


stimoniaiiza  irrecilsabile  de^i  àrdvesdovx  «  véseòvt 
deir  Austria,  congregati  in  Vienna,  i  quali,  n^la  loro 
pastorale  del  17  giugno  1849  ai  fedeli  delle  loro  dio- 
oesi,  parlavano  così  :  «  Giorni  di  sciagura  spuntarono 
x>  per  il  mondo,  e  più  oscure,  più  tremende  che  mai 
j»  si  fanno  le  sòrti  dell' avvenire.  Un  nuovo  suggello 
»  sembra  si  sia  disciolto  dal  libro  dei  destini  del 
»  mondo;  una  nuova  collera  di  Dio  si  è  sparsa  sò- 
»  vra  la  terra.  Dovunque  si  rivolga  lo  sguardo,  s'in- 
»  contra  in  imagini  di  sciagure  e  dì  rovine.  Guerra 
»  aperta,  ribellioni,  rivolte,  discordie,  odio  e  solle- 
»  vazioni  di  popoli  cóntro  popoli.  E  maggiore  ancora 
»  è  la  discordia,  l' ira,  e  la  lutta  negli  animi  di  quello 
»  che  su  i  campi  di  battaglia.  Imperocché  il  sole  della 
p  verità  e  della  riconoscenza  tramontò  per  molti  uo- 
»  mini;  e  neir orribile  caligine,  che  essi  gloriftcano^ 
»  quasi  fosse  una  luce,  li  spiriti  delle  tenebre  eser- 
»  dtano  più  che  mai  la  loro  grande  potenza  su  i  fì- 
»  gli  deir incredulità.  Il  mistero  della  malizia,  ohe 
p  dal  principio  mai  non  ha  posa,  è  [hù  attivo  che 
9  non  lo  fosse  mai  stato.  Non  più  una  mera  dimen- 
»  ticanza  di  Dio  nell'ebrezza  de'  sensi,  quale  mal 
»  sempre  regnò  nel  mondo;  ma  T Inimicizia  contro 
v>  Dio,  che  è  conscia  di  sé  stessa;  guerra  aperta  con- 
»  tro  di  lui  e  contro  l'Unto  suo:  ecco  la  parola  d'or- 
9  dine  degli  spiriti  agitatori  e  de' bugiardi  profeti 
»  del  secolo  (1).  »  Ora,  se  tal  è  lo  stato  dell' A.u- 
stria  catolicissima,  che  sarà  della  rimanente  Alle- 
magna? 

Quanto  al. Belgio,  non  ho  mestieri  di  lungo  di- 
scorso a  dissipare  le  illusioni  del  conte.  Una  voce , 
che  per  lui  è  la  voce  stessa  di  Dio,  ha  parlato,  ma 
in  un  senso  affatto  contrario  del  suo.  Nell'allocu- 

(i)  //  CaMieo,  n.  iO,  SS  agosto  4S41».      .... 


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àsm  dd  80  maggio  1S50  il  p^  ha  gettato  un  grido 
d'orrore  sa  i  pericoli,  ond'è  minacciato  il  catoli- 
dgmo  nel  Mgio  (1);  e  con  buona  pace  di  Monta- 
lembert,  nói  prestiamo  più  fede  al  pontefice  che  a 
Ini.  Questo  solo  documento  basterebbe  a  mostrare, 
die  nel  Belgio  altresì  l'interessi  della  chiesa  corrono 
alla  peggio.  D' altra  parte,  che  ragioni  arreca  egli,  il 
signor  conte,  in  prova  del  suo  assunto?  Nessuna! 
—  Da  prima  fo  l'elogio  delia  costituzione,  e  ne  dà 
0  marito  principale  ai  catolici  (2).  E  sia  ;  ma  non  è 
questo  il  punto  della  questione:  si  tratta  del  pre- 
sente, e  non  del  passato.  —  Poi  accenna  alla  fonda- 
none  di  monasteri,  dì  collegi,  di  opere  pie,  e  del- 
l'Gniversità  catolica  di  Lovanio  (B)  ;  ma  doveva  ezian- 
dìo rìeordare  la  fondazione  d' altri  collegi,  d' altre  so- 
óetà,  e  dell' Università  libera  di  Bruxelles,  che  for- 
mulo il  oontraposto  agi'  instituti  della  chiesa.  E  tutto 
il  trionfo  del  catolicismo  termina  qui;  il  resto  non 
i  die  nna  confessione  della  sua  decadenza.  Egli  ri- 
eoDosee  che  la  libera  stampa  lo  avversa  fieramente, 
s  die  ne  costituisce  il  più  grave  pericolo  (4)  ;  che 
il  male  ha  cagionato  odiose  violazioni  alla  libertà 


H)  Non  postiamo  attenerci  pe'l  nostro  paterno  affetto 
terso  nUuttre  nazione  belgica,  che  sempre  si  distin.Ke  Niello 
zelo  della  catoUea  religione,  dairetprimervi  il  nottro  dolora 
ridendo  ivi  tovratlare  pericoli  agl'interessi  catoiici. 

(S;  Pag.  ». 

{%)  Son  teriiloire  s'est  graduellemeot  couverl  de  monastò- 
lo,  de  GoUéges,  de  foDdations  pieuses.  Seulc  en  lìurope,  tu 
Belgique  a  vii  renatlre  une  de  ces  universités  comme  on  en 
royait  tant  anx  siècles  de  fot,  nniquement  consacrée  à  l'en- 
seignement  et  à  la  défense  de  la  vérité  (pag  !23'24). 

(4)  Certés,  le  mal  n*y  est  pas  vainca  sans  retour.  Chaque 
joar,  à  raid«  d'une  presse  elTrénée,  et  doot  les  habiiades  sau- 
Vìgù  cODBlItnenl  pour  la  Belgique  le  plus  grave  danger,  il 
t*ildica  d'y  reprendre  son  empire  (pag.  S4). 


della  carità  (1);  ehe  la  forza  della  ^Uica  opialeiie 
(sebben  ei  cerchi  di  eluderla  sotto  il  (Hr^esto  di  un 
giaco  delle  inetituzionr  politiche)  Ao*  spogliato  i  car- 
tolici del  potere  (2)  ;  e  che  il  clero,  scora^iato»  ab- 
battuto dal  rapido  sviluppo  delle  idee  e  dall' tncre- 
mento  politico  della  democrazia,  pare  che  ricerchi  un 
rimedio  nel  despolismo,  e  sospiri  il  ritorno  del  go- 
verno assoluto  (3).  Dunque,  fatto  bene  il  calculo, 
Montalembert  viene  a  dire,  che  presentemente  T  in- 
teressi del  catolicismo  nel  Belgio  fioriscono,  perchè 
da  venti  anni  in  qua  son  venuti  scemando,  e  oggidì 

sono  gravemente  minacciati! E  cosi  discorre  la 

logica  catolica  apostolica  romana! 

Dell'Olanda  noterò  solo  due  cose.  La  prima,  che 
il  conte  chiama  i  catolici  una  metà,  e  poi  due  quinti 
deir  intiera  popolazione  (4);  laddove  1  geografi  anco 
più  recenti  li  contano  come  una  frazione  minima  af- 
fatto. La  seconda,  ch'egli  spaccia  come  trionfo  del 
catolicismo  una  certa  libertà,  ch'esso  gode  ia  (juel 


(1)  Forclos,  par  ia  constitulion  belge,  de  ses  entreprises  or- 
dlnaires  contre  l'enseignement  et  le  droit  d'associalion,  H  s*en 
est  dédommagé  par  des  atieinies  odieuses  à  la  liberté  de  la 
•barite  (pag.  24). 

(2)  Le  Jeu  des  institutions  politiques  a  dépouillé  les  catlio- 
liqnes  du  pouvoir  (pag.  24). 

(3)  Nons  ne  craìgnons  pas  la  contagion  de  ce  decoupage- 
ment  pusillaDìme:  nous  avons  confiance  dans  le  boa  sens, 
dans  Tantique  flerté  du  clergé  et  du  penple  belge.  Us  ne  cher- 
cheront  pas  un  remède  dans  le  despotisme;  ils  ne  soupireront 
pas  aprés  un  regime  dont  ils  unt  connu  et  répudié  le  perii 
(pag.  24-25). 

(4)  Les  catholiques  ont  peu  à  peu  reconquis  U  force  et 
rimportance,  qui  conviennenl  à  la  moUiéd*un  peuple.  Leur 
Dombre  s*éléve  déjà  aux  deut  cinquiènMs  de  la  population 
^Btiire  (pag.  36). 


n 

PMM  (1),  doine  k  uàemùtà  rel^losa  è  tomt  ptà  aft^r 
tict  e  più  lai^  che  in  ogni  tltra  parte  di  Europa. 
E  ae  ì  catolid  ìmhi  sodo  anccMr  ammessi  a  goderne 
tatti  i  benefici  senza  eccezione,  lo  devono  al  loro 
naggiorì,  i  quali  attirarono  so  '1  proprio  capo  l'odio 
e  reseeraàone  implacabile  degli  Olandesi.  Codesto 
danqne  è  un  trionfo  anch'esso  ridicolo. 

Ora  è  la  volta  della  Francia;  e  l'inno  di  Monta- 
leiBbert  pi^ia  il  tono  dell'entusiasmo.  Seguiamolo 
pnso  passo  :  JUa  egli  è  in  Francia  sapratutto,  che  la 
fraiformaztofi^  dee  colpire  li  animi  fnù  distratti  (2). 
No,  signor  conte,  non  è  una  trasformazione^  a  cai  as- 
sistiamo; ma  una  comedia.  Le  trasformazioni  delUi 
aoeksCà  non  si  fanno  a  colpi  di  Stato;  non  si  com- 
pionD  eoD  un  decreto  nel  bullettino  delle  leggi,  con 
DB  roto  supposto  nell'urne,  con  un  applauso  com- 
prate a  spese  del  publico  erario;  ma  sono  il  lavoro 
lento  e  segreto  dei  secoli,  lo  svolgimento  organico 
Me  forze  umane,  l' esplicazione  progressiva  di  quella 
legge  saivema,  fatale,  onnipotente,  che  voi  solete  chia- 
nar  Providenza,  e  noi  Matura.  E  in  vece,  lo  spetta- 
colo presente  della  chiesa  di  Francia  è  un  midto  di 
ridìcolo  e  d'atroce,  che  non  ha  nome  nelle  lingue 
eìTili.  Preti,  che  invocano  le  benedizioni  del  cielo  su 
li  assassini;  frati,  che  predicano  la  crociata  contro 
h  patria;  canonici,  che  vanno  in  corpo  ad  incen- 
are li  spergiuri;  vescovi,  che  salutano  uomo  di  Dio 
IB  Bonaparte;  tutto  un  clero  insomma,  che  adora  qual 
beaeficio  mirao^oso  della  Providenza,  la  strage  di 

(i)  l\s  ont  déjà  obtenn  la  pleioe  liberté  de  leurs  relations 
necRome;  ils  dispatent  pied  à  pied  le  terrain,  qae  la  lot 
lev  issare,  qne  rarbitraire  et  le  préjugé  leur  conteslent 
(pig.  SS-S7). 

(ì)  Cesi  CD  Frante  sortovi,  que  la  transformaiUm  doit 
fnpper  Ita  asprits  les  plus  distraits  (pag.  S7). 


Veechl  iaermi,  di  donne  imbeilt,  di  itincinlU  inao^ 
OBott,  d'ttomin!  generosi  e  fedéli  al  proprio  dovere: 
ecco  la  trasformazione  del  catolicismo  in  Francia! 
Vi  piace,  signor  conte?  Ed  a  noi  tanto  |^.  Dìo  vi 
conceda  presto  qualcun' altra  trasformazione  di  que- 
sta fatta  ;  e  l'Umanità  sarà  bentosto  purgata  dalle  vo- 
stre ipocrisie. 

È  egli  veramente  quello  stesso  paese,  che  sen^ava, 
trenta  anzi  dieci  anni  fa,  non  aver  abbastanza  d' av- 
versione per  V  influenza  del  clero,  abbastanza  di  di- 
sprezzo per  le  instituzioni  religiose  (1^?  Sì,  signore, 
è  sempre  lo  stesso.  £  quel  paese,  che  in  tre  o  quat- 
tr'anni  fornì  parecchi  millioni  di  prosel^i  al  socia- 
lismo, religione  dell' èra  nuova;  e  l'ultima  volta,  che 
potè  ancora  esprimere  lit)eramente  il  suo  voto  a  Pa- 
rigi, elesse  a  suo  rappresentante,  chi?  un  catolico? 
no;  Eugenio  Sue.  È  quel  paese,  dove  l'odio  contro 
l'interessi  v<)stri  era  così  universale,  così  profondo, 
che  a  frenarne  momentaneamente  (oh!  non  sarete 
tanto  accecati  da  lusingarvi  di  averlo  soffocato  e 
spento  per  sempre),  e  ritardarne  forse  qualche  anno 
Tespiosione  tremenda  e  finale,  bisognò  ricorrere  ad 
un  sistema  di  violenze  e  dì  persecuzioni  inaudite: 
dittatura  militare,  stato  d'assedio,  incarcerazione,  de- 
portazione, proscrizione  dei  cittadini  a  milliaja,  e  per- 
fino delle  donne;  confisca  di  tutte  le  libertà,  di  pa- 
rola, di  stampa,  di  associazione;  e  mercè  un  mezzo 
milllone  di  uomini  schiavi  d' una  bandita,  mercè  un 
altro  mezzo  millione  d'uomini  schiavi  di  un  impiego^ 
e  mercè  una  turba  infinita  di  ecclesiastici  e  loro  sa- 
telliti, inaugurazione  del  terrore  a  legge  suprema 
dello  Stato.  E  voi,  signor  conte,  voi  testimonio  ed 

(i)  Est-cc  bien  ce  méme  pays,  qui  semblÀit,  il  y  a  trente 
ans,  il  y  a  dix  ans  méme ,  n*avoir  pas  assez  de  répagnaoee 
póur  rinflaence  da  clergé,  pas  assez  de  dédain  pour  tee  insti - 
tati^ns  reUgieuses?  (pag.  97). 


n 

Man  di  quei!' orrenda  tragedia,  vói  ainMe  ancora 
la  firoóte  da  domandare,  se  la  Francia  sia  più  deissa? 

Che  è  dkfefiutà  quella  formidabile  impopolarità,  ott- 
d*era  asserita  la  minima  manifestazione  dell'idea  o 
deil* azione  càtoliea  {!)?  Ahi  T avete  già  dimenti* 
catò?  Ma  interrogate  i  vostri  consigli  dì  gu^ra; 
consultate  i  vostri  archivj  di  polizia;  rileggete  t 
proeesen  de' vostri  tribunali;  andate  a  scrutare  li  atti 
de' vostri  ministeri;  o,  meglio  ancora,  fate  una  vi- 
sita al  Bonaparte,  e  guardatelo  in  faccia.  Allora  ca- 
pirete, che  cosa  sia  divenuta  l'impopolarità  della  vo^ 
stra  fazione;  capirete  che  è  scomparsa  dalla  super- 
fide,  perchè  ha  dovuto  concentrarsi  nell' intimo  de' 
cuori;  e  che  ora  non  si  vede  più  su  '1  labro  dì  nes- 
sano,  perchè  freme  nell' animo  di  tutti.  Per  lo  pen- 
sato le  condizioni  della  Francia  verso  di  voi  erano 
queste:  impopolarità  apparente,  ma  indifferenza  reale. 
Ora  sèBo  un  po' mutate:  su  i  volti  rispetto  e  silen- 
zio, ma  nei  cuori  un  vulcano  di  odj  e  di  véndette. 
8d  è  questa  la  trasformazione,  che  vi  consola? 

Dove  sono  àndoH  que' dottori,  quelli  seriltori,  che 
travoMmo,  nella  risurrezione  delle  vecchie  diatribe 
tontro  i  monaci  ed  i  preti,  una  fonte  inesauriìnle  di 
guadagni  e  di  onori  {^)?  E  osate  chiederlo,  voi? Non 
Ti  basta  dunque  di  avere  sacrificata  la  vittima;  osato 
anoora  insultarla?  E  voi  siete  francese?  Ohi  il  no* 
bile  y<4to  della  Francia  arrossisce  per  voi;  lì  ol- 
traggi, che  voi  lanciate  alla  svratura  de'  suoi  figli 
prediletti,  la  disonorano:  essa  vi  dee  maledirei  Li 

(i)  Q«*cst  devenue  cetle  formidable  impopularìté,  dont  la 
iDoiodre  roaDifÌBstalion  de  la  pensée  ou  de  raciion  catholiqne 
éiali  assailliel  (pag.  S7.) 

(1)  Où  oDt  passe  ces  docteurs,  ces  écrivains  qui  troavaient, 
dans  la  résuirecUon  dea  vieilles  diatribes  contro  les  moines 
•t  tot  piétres,  une  soùrce  intarissable  de  proflto  et  d*lioDii«unf 


« 

scrittoi  che  voi  scheraite  e  caluBoiate,  i  più  yma» 
esuli  e  raminghi  pe  4  mondo;  gemono  in  fondo  alle 
torri,  agonizzano  pe'  deserti  infocati  dell'  Africa  e  del- 
l'America;  a  pochi  è  concessa  una  dimora  in  s^io 
alla  patria,  ma  a  prezzo  del  loro  silenno.  E  voi 
chiedete  ove  sono?  Ma  dessi  almeno  non  prostitui- 
scono l'ingegno  e  la  penna  per  adulare  il  vincitore; 
non  comprano  a  patto  di  viltà  e  di  simulazioni  il 
suo  perdono;  non  gridano:  viva  l' imperatore l  cor- 
me  voi  gridaste  a  piena  gola:  viva  la  repuhlicàl 
Dessi  onorano  il  nome  della  Francia  con  la  dignità 
dell'infortunio;  e  voi  l'infamate  con  l'orgia  deUa 
vittoria. 

Sarebbesi  detto,  che  non  t)'«fa  eco,  credito,  publi- 
cita,  fuorché  per  le  loro  invettive  (1).  Qui  poi,  si- 
gnor academico,  se  non  errate,  mentite  I  Sotto^  il  re- 
gno di  Luigi  Filippo,  come  sotto  la  Republica,  la  legge 
era  una  ed  eguale  per  tutti.  Voi  avevate  tanto  di- 
ritto di  attacco  e  di  difesa,  quanto  i  vostri  avver- 
sar]; e  se  in  certi  casi  le  leggi  reprea^ve  colpivano 
1  vostri  sistemi  e  i  vostri  partigiani,  in  certi  altri, 
assai  più  frequenti  e  numerosi,  percotevano  le  idee 
e  li  uomini  dei  partiti  contrarj.  Ma  sapiam  bene, 
che  c(»a  significhi  la  parola  libertà  in  bocca  vostra  : 
voi  non  vi  reputate  liberi,  se  non  quando  siete  i  soli 
che  abbiano  la  facultà  di  parlare:  l'ideale  della  vo~ 
stra  libertà  è  Roma.  Ed  in  vece  gridate  sempre  al- 
l'oppressione,  alla  tirannia,  quando  ad  altri  sìa  pur 
concesso  di  levare  la  voce  per  smascherare  dinanzi 
ai  popoli  le  vostre  arti,  le  vostre  menzogne,  i  vo- 
stri sofismi,  i  vostri  delitti.  Non  v'ha  dunque  via  di 
mezzo  possibile:  il  mondo  si  rassegni  o  a  portarsi 
in  pace  la  schiavitù,  sotto  la  vostra  disciplina,  o  a 

(4)  Od  «ut  dit,  qu*U  n*y  avait  d*éclio,  de  crédit»  da  publi- 
•iU  qnM  pour  laun  ìnTactlvas  (pag .  t7). 


77 
lisciarvi  gracchiare,  in  nome  .della  yoetra  lilwrtà, 
oontoo  la  libertà  commune.  E  credete  voi,  cke  la 
scelta  dei  popoli  possa  più  essere  dubia? 

Bd  ecco,  che  la  chiesa  appofiece  più  forte,  piò 
amaia,  pia  popolare  che  a  verun' epaca  della  nostra 
storia  moderna  (1).  E  la  vostra  storia  moderna  dice, 
che  voi  o  errate  o  mentite  di  nuovo  l  Lasciamo  stare 
V amore,  di  cui  è  un  po' difficile  il  confronto;  ma 
quanto  alla  forza  e  alla  popolarità,  l'interessi  della 
rostra  chiesa  procedevano  assai  meglio  sotto  la  re- 
staurazione, che  non  sotto  la  republica  e  T  impero. 
Un  re,  die  si  gloriava  del  titolo  di  cristianissimo; 
una  costituzione,  che  decretava  il  catolicismo  reli- 
gione dello  Stato;  una  Camera  di  Deputati  con  131 
satelliti  de'  gesuiti  ;  una  Camera  di  Pari  con  una  turba 
di  vescovi  e  loro  devoti  ;  un  vescovo  arbitro  di  tutti 
Finstituti  d'educazione;  una  legislazione,  che  rag- 
guagliava la  bestemìa  ad  un  delitto;  tutta  la  Fran- 
cia sparsa  di  frati  e  di  monaci,  di  confraternite  e  di 
opere  pie;  processioni  per  tutte  le  strade,  missioni 
per  tutte  le  piazze,  miracoli  e  profezie  a  dirotto: 
quello  cara  il  secolo  d'oro  per  voil  II  conte  Mont^ 
iosier,  neir aprile  del  1826,  poteva  certificare:  La  Coft- 
grégation  ren^lit  la  capitale;  mais  elle  domine  sur- 
toiU  dans  les  provinees.  Elle  forme  là,  sous  Vin- 
fuenee  dee  éf>éques  et  de  quelques  grande  vicaires  af- 
fMés,  dee  cóteries  particulières.  Ces  céteries,  épour- 
vaniails  des  magistrats,  dee  eommandans,  des  préfets 
et  des  sous-préfets,  imposent  de  là  au  goueernement 
et  au  ministère  (2).  Diteci  ora,  signor  conte:  credete 
voi  di  poter  fare  altretanto  verso  il  governo  del  Bo- 

(1)  Et  volci  que  Péglise  apparai!  plus  forte,  plus  aimée, 
plus  popalaire  qa'à  aacane  epoque  de  ootre  histoire  moderne 
tpig.  «7). 

(S>  C.  Vaolabelli,  Histoire  det  deux  reMtauration$t  i.  VI. 


7S 

naparte?  Se  sì,  perchè  no'l  fate?  Se  no»  perchè  lo 

presamete? 

Tutti  i  poteri  che  si  iuccedom,  invacano  il  suo  a^ 
poggio  e  la  sua  simpatia;  tutti  le  attestane  di  mano 
in  mano  il  loro  rispettOi,  la  loro  confidenza,  la  Uro 
umile  devozione;  tutti  si  disputano  V onore  di  procla- 
mare la  sua  indispensabile  influenza,  e  di  rallentare, 
se  non  di  distruggere,  le  stte  antiche  pastoje  (1).  Ma 
che  favole  ci  contate  qua,  signor  Montaiembert? 
Quali  sono  tutti  questi  poteri,  a  cui  alludete?  Non 
certo  il  governo  provisorio;  il  quale  si  componeva 
d'uomini  ben  lontani  dal  professare  rispetto,  confi- 
denza, ed  umile  devozione  al  vostro  partito;  e  nei  tre 
mesi,  che  resse  la  Francia,  aveva  altro  per  lo  capo 
che  ì  pettegolezzi  delle  vostre  congregazioni.  Forse 
il  generale  Cavaignac?  Ma  egli  fece  assai  poco  per 
voi  ;  e  quel  poco  medesimo  non  fu  altro  che  una 
manovra  elettorale  per  accattarsi  i  suffragi  <^ì  "^oi  e 
de' vostri  clienti.  Dunque  le  parole  tutti  i  poteri  4^he 
si  succedono,  sono  una  ciurmerla;  non  si  tratta  che 
del  solo  Bonaparte.  Il  quale  può  benissimo  invocevre 
il  vostro  appoggio,  ed  eziandio  attestarvi  il  suo  ri- 
spetto; poiché  questo  non  gli  costa  nulla,  e  quello 
gli  torna  utile:  ma  state  sicuri,  ch'egiì  non  è  uomo 
da  mettere  in  voi  la  sua  fiducia,  né  da  professarvi 
r  umile  devozione  che  voi  sognate.  Egli  non  confida 
che  ne' suoi  pretoriani,  e  non  è  devoto  che  alla  sua 
ambizione.  Yi  accarezza,  perchè  voi  siete  così  abjetti 
da  servire  di  strumento  docile  e  muto  a' suoi  sata- 
nici disegni;  ma  venga  il  giorno  che  non  abbia  più 

(i)  Tous  les  pouvoìrs,  qui  se  succèdent,  invoqnent  son  ap- 
pai et  sa  sympathie;  tous  lui  témoignent  tour  à  tour  leur 
respect,  leur  conflance,  leur  humble  dévouement;  tous  se 
disputent  Thonneur  de  proclamer  son  indispensable  inftaen- 
ce,  et  de  relàcher,  si  non  d'ancantir,  ses  anciennes  ontraves 
(pag.  27). 


n 

mestieri  di  voi,  o  che  voi  non  vogliate  più  compia* 
cere  alle  sue  usurpazioni,  e  vi  tratterà  come  tutti  li 
altri;  e  vi  vedrete  spogliati,  derìsi,  abbattuti,^  calpe* 
stati  dallo  stesso  uomo,  che  or  affetta  protezione  alla 
chiesa  ed  a' suoi  ministri.  No,  non  è  la  religicmeche 
vi  ravvicina:  la  parola  religione  non  ha  dì  senso  nò 
imr  un  Bonaparte,  né  per  un  gesuita.  È  l'affinità  de- 
gl'interessi, che  vi  attira  l'un  l'altro  scambievol- 
mente: affinità,  che  voi  chiamate  la  gloria,  e  noi  l'in- 
famia del  catolicismo.  Fra  poco  sapremo  chi  l'abbia 
indovinata. 

Noi  poveri  iloti  della  vita  politica,  sì  lungamente 
disprezzati  da  tutti  i  partiti,  sì  lungamente  relegati 
nel  grado  de^  sognatori  importuni  e  dei  postulanti 
disdegnati,  noi  abbiam  trionfato,  non  certo  per  sempre 
né  forse  per  lungo  tempo,  ma  abbastanza  per  cono- 
scere il  segreto  della  nostra  forza  ed  il  valore  del 
nostro  appoggio  (1).  Che  modestia,  signor  conte  I  Gì 
annunaóate  dunque,  senz'altro  ceremonie,  che  voi 
avete  trionfòto.  Ma,  in  grazia,  di  chi?  quando?  come? 
Nella  guerra  sempiterna,  che  TUmanità  combatte  per 
avanzare  al  suo  destino,  la  Francia  ha  dato  una  bat- 
taglia; e  noi  vediamo  un  vincitore,  Bonaparte:  un 
vinto,  l'assembla,  o,  se  volete,  la  Republica.  E  voi 
eoo  qual  fronte  v'arrogate  il  trionfo?  Il  vostro  trionfo 
rassimigUa,  tutto  al  più,  quello  dei  corvi,  che  ac- 
corrono dopo  la  strage  su  '1  campo  a  pascersi  de'  ca- 
daveri ;  e  questo  è  degno  di  voi l  Qui  però  non  c'en- 
tra punto  la  religione.  —  Tanto  più,  che  riconoscete 
voi  stesso  di  non  aver  trionfato  né  per  sempre  né 

(1)  Noas  antres,  pauvres  ilotes  de  la  vie  polUique,  si  long- 
temps  méprisés  par  tous  les  partis,  si  longtemps  rélegués  au 
rang  des  réveurs  importuns  et  des  pétitionnaires  dódaignés, 
ijous  avoDs  inoro  pile,  non  pas  certes  pour  tonjours,  ni  pent- 
élre  pour  longtemps,  mais  assez  pour  connaìlre  le  secret  de 
notr«  force  et  U  valeur  de  nolre  appui  (pag.  27-2S).  . 


forse  per  lungo  tempo.  Ora  quedte  reHiidoiii»  se  si 
riferissero  propriamente  ad  una  battaglia,  ad  una  lite, 
ad  un  negozio,  potrebbero  essere  sensate;  giacché  av* 
viene  di  frequente,  che  il  vincitóre  d' ieri  sia  il  v|ato 
di  domani;  o  viceversa,  che  alla  perdita  succeda  il 
guadagno.  Ma  in  fatto  di  religione,  quelle  parole  sono 
più  che  un  errore,  più  che  un  assurdo;  sono  un  vero 
sacrilegio.  E  che?  Per  voi  adunque  le  verità  dipen* 
dono  dall'esito  di  un  agguato  notturno?  Le  credenze 
stanno  alla  mercè  della  volubile  fortuna  di  un  avven- 
turiere? Le  idee  corrono  la  sorte  dei  giochi  di  banca? 
La  vostra  religione,  insomma ,  va  suggetta  a  tutti  i 
pericoli,  a  tutte  le  vicissitudini  di  un'industria,  di 
un  capitale,  di  un  podere?  0  derisione  1  E  voi  la 
predicate  divina,  sopranaturale,  indefettibile l...  Ma 
la  nostra  fede,  che  non  vanta  nessuna  di  codeste 
prerogative  superbe,  vive  nondimeno  di  una  vita, 
che  non  teme  i  capricci  né  deiruomo,  né  del  tempo, 
né  della  fortuna.  Ella  non  ha  che  un  solo  interesse 
al  mondo:  guadagnare  le  menti  e  i  cuori  alla  ve- 
rità; ma  i  suoi  guadagni,  fatti  una  volta,  sfidano  go- 
verni e  partiti,  eserciti  ed  assemblee;  i  suoi  trionfi 
sono  immortali. 

Più  curiosa  è  poi  la  scoperta,  che  ci  assicurate 
d'aver  fatto. Ohi  signor  conte,  la  vostra  forza  ed  il 
vostro  appoggio  sono  un  segreto^  che  tutto  il.  mondo 
conosce  da  lunga  pezza  I  lo  conosce  dacché  invalse 
nella  società  l' arte  del  cortigiano.  Dominare  ì  domi- 
natori, ecco  il  mestiere  del  vostro  partito;  mestiere, 
sia  detto  a  onore  e  gloria  della  verità,  ch'egli  eser- 
cita a  maraviglia  da  oltre  a  dieci  secoli.  Non  facea 
dunque  mestieri  di  nuovi  sperimenti  per  conoscere 
un  tale  segreto  :  la  storia  della  chiesa  da  Gregorio  II 
a  Pio  IX  lo  rivela  in  ogni  sua  pagina.  E  tuttavia, 
noi  vi  sapiam  grado  che  abbiate  ritentata  quest'ul- 
tima prova  :  così  nessuno  potrà  più  dubitare,  che  voi 


M 

non  siate  sempre  li  stessi.  Adulazioni,  finzioni,  men- 
zogne, bassezze,  egoismo,  viltà,  tradimenti,  spergiuri, 
tutto  Infine  quel  cumulo  di  yizj  e  dignominie,  che  si 
chiama  cortigianeria:  ecco  dunque  il  genere  di  forza 
e  drappeggio,  onde  il  partito  catolìco  ha  sostenuto 
e  sostiene  11  governo  del  Bonaparte;  onde,  cioè,  he 
traficato  e  trafica  ad  un  tempo  il  cielo  e  la  terra. 
Dio  e  le  coscienze,  l'altare  e  lo  scrigno,  la  grandezza 
e  la  miseria,  a  fine  di  rendere  ancora  la  Francia,  se 
fosse  possibile,  un  feudo  del  clero.  Ed  in  fede  mia, 
le  storie  non  rammentano,  ch'io  sapia,  un'alleanza 
[Hù  legitlma  e  naturale  òhe  questa  della  compagnia 
di  Gesù  con  Timpero  del  2  dicembre;  talché  sarebbe 
malagevole  cosa  il  definire,  se  i  cortigiani,  in  cote- 
sto caso,  debbano  appellarsi  degni  della  corte;  o  la 
corte,  dei  cortigiani. 

La  libertà  dell'insegnamento ,  reclamata  invano  da 
tanto  tempo,  s*è  finalmente  ottenuta;  ed  è  votata  dalle 
tnani  stesse  di  coloro,  che  Vaveano  più  ostinatamente 
ricusata  (1).  La  libertà  deirinsegnamento  non  è  un 
dogma  della  chiesa,  signor  Montalembert ,  ma  un' 
principio  della  democrazia;  e  l'assemblea,  che  la  san- 
zionava, rese  omaggio,  non  al  clero,  ma  alla  libertà. 
Che  poi  questa  libertà  fosse  scritta  da  parecchi  anni 
su  la  vostra  bandiera,  che  cosa  prova? Prova,  che 
per  cessare  da  voi  l'odio  universale  della  nazione,  do- 
veste mutare  stile  e  linguaggio;  e  rinegando  tutta  la 
storia  del  vostro  passato,  invocare  anche  voi  la  li- 
bertà. E  tanta  è  la  potenza  di  questo  grido  su  'l  cuore 
del  popolo,  che  bastò  a  fargli  dimenticare  le  vostre 
colpe  :  la  maschera  stessa  della  liberta  riabilitava  an- 
che voi  dinanzi  agli  occhi  della  nazióne.  Ora  l'avete 

(i)  La  Ubarle  de  renseignemeni  si  longtemps  réclamée  en 
vtÌB,  est  enfia  conquise;  eile  est  votée  per  les  malns  mémes 
di  uva.,  qui  Tavaient  le  plus  opiniàtrement  refusée  (pag.  28). 


H 

deposta  ;  ma  la  Francia  s'è  accorta  della  vostra  frode^ 
e  gliene  renderete  conto  un  giorno ì  Ricordatevi  la 
favola  della  cornacchia  e  del  pavone. 

Si  offrono  ai  vescovi  più  di  case  che  nofi  ne  posson 
dirigere,  ai  gesuiti  più  d'alunni,  che  non  possono  in- 
struime  (1).  E  qual  maraviglia,  signor  conte?  Dopo 
che  voi  con  le  vostre  denuncio  calunniose  avete  fatto 
destituire  o  proscrivere  milliaja  e  milliaja  d'institu- 
tori  laici,  le  scuole  rimasero  vacanti,  e  se  ne  impos- 
sessarono i  vescovi  ed  i  gesuiti.  Moltissimi  genitori 
pertanto  si  trovano  ridutti  alla  dura  alternativa,  di 
lasciare  i  proprj  figli  nelF ignoranza,  o  di  mandarli 
alle  vostre  scuole.  Il  mandarli  adunque  non  è  elezione, 
ma  necessità. 

E  quanto  ai  favori  ed  alle  larghezze  che  i  gesuiti 
ricevono  dal  governo,  io  non  ripeterò  le  considera- 
zioni già  fatte  a  proposito  della  Germania;  dirò  solo, 
che  questo  buon  accordo  del  clero,  con  Bonaparte 
giova  più  alla  causa  del  razionalismo  che  tutti  li  ar- 
gumenti  de'  nostri  filosofi.  I  quali  parlano  bensì  all'in- 
telletto con  le  ragioni,  ma  i  gesuiti  parlano  agli  oc- 
chi co' fatti;  e  i  fatti,  di  cui  danno  lo  spettacolo  alla 
Francia  ed  all'Europa,  sono  tali,  che  un  uomo  d'o- 
nore e  di  coscienza  non  può  non  esecrare  quella  re- 
ligione, la  quale  sotto  il  proprio  manto  accoglie  tanto 
d'abjezione,  di  cinismo,  e  di  barbarie. 

Anche  l'alleanza  e  la  solidarietà,  che  veggiamo  sta- 
bilita fra  i  gesuiti  e  tutto  il  clero  francese,  è  un  fatto 
assai  grave  e  per  voi,  e  per  noi.  Per  noi  esso  è  pre- 
zioso; e  già  valse  a  disingannare  l'incauti,  che  solcano 
combattere  i  gesuiti  in  nome  della  chiesa;  e  che  sce- 
verando il  gesuitismo  dal  catolicismo,  imputavano  a 
quello  la  colpa  di  tutto  il  male,  a  questo  il  merito 

(1;  Olì  offre  aax  évéques  plus  de  maisons  qu'ils  n'en  peu- 
veht  diriger;  aax  jésuites  plus  d'élèves  qu'Jls  D*en  peuvent 
.iDstruire  (pag.  38). 


di  tutto  il  tiene.  La  chiesa  gatlicsna  per  due  àecòli 
mantenne  cotal  distinzione;  e  Volto  clero  specialmente 
osava  di  respingere  come  calunnia  ed  insulto,  il  ti- 
tolo di  gesuita.  Era  una  inconseguenza  palpabile;  ma< 
pure  molti,  ragionando  più  co  1  sentimento  che  con 
la  logica,  la  professavano  con  ardore;  e  credeano  sin- 
ceramente di  potersi  dir  veri  e  zelanti  catolici,  senza 
partecipare  alle  arti  immorali  e  corrottriei  deMojolesi. 
Ora  anche  in  Francia  l'equivoco  è  svanito.  Gatolico 
e  gesuita  sono  rigorosamente  sinonimi.  Dunque  o  ri- 
DQDciare  al  catolicismo,  o  accodarsi  alla  Compagnia: 
ecco  l'alternativa.  E  vivete  sicuri,  che  i  .popoli  del- 
l^Enropa  moderna  han  già  preso  il  loro  partito. 

D* altra  parte,  havvi  dei  fatti  che  sano  atti,  desti- 
nati a  segnalare  tutta  un'  epoca ,  e  a  prendere  posto 
fra  1  più  preziosi  ricordi  e  %  pivk  irrecusabili  impe- 
gni d*una  grande  nazione  (1).  L'esordio  è  magnifico, 
signor  conte;  e  dovete  averci  sudato  un  pezzo  ad  ag- 
gruppare insieme  ed  innestare  in  un  solo  periodo 
tanti  paroloni  sonori  e  superlativi.  Resta  a  vedere,  con 
quali  fotti  pretendiate  di  confermarlo:  udiamo. 

Tali  sono  l'eloquenti  proteste  di  devozione  alla  chie- 
ia,  che  il  capo  attuale  dello  Stato  ha  così  spesso  ri- 
nùvate  dopo  la  sua  prima  candidatura  alla  dignità 
suprema  (2).  E  osate  proferire  questa  bestemia?  Un 
atto  d'ipocrisia  del  Bonaparte  basta  a  segnalare  tutta 
un'epoca?  Ma  un'epoca,  che  si  personificasse  in  un 
tal  fiuto,  infamerebbe  la  storia  e  degraderebbe  l'Urna- 

(1)  Il  y  a  d'afilears  des  faits  qui  soot  des  actes,  desUnés  à 
«Koaler  tonte  nae  epoque,  et  à  prendre  raug  parmi  les  più» 
précieux  souveoirs  et  les  plus  irrécnsables  eugagemeats  d'une 
grande  nation  (pag.  39). 

(2)  Telles  SOM  les  eloquente»  protestations  du  dévooement 
à  l'églìse,  qae  le  chef  aetuel  de  TÉtat  a  si  souvent  renour 
Tclées  deiniis  sa  première  candidature  à  la  dignité  suprèin* 


lìità.  Oh  I  noA  piofuiate  la  parola  divùuement  con  ap^ 
plicarla  ad  un  uomo,  che  è  una  mentita  vivente  a  tutte 
le  leggi  della  ragione  e  della  coscienza.  Costui,  già  ve  '1 
dissi,  non  è  devoto  ad  altro  che  alla  sua  infernale 
ambizione.  Un  tempo  sperava  di  soddisfarla  con  muo- 
ver guerra  al  papa;elevavasi  in  armi  contro  di  lui, 
eccitando  l'Italia  tutta  a  dargli  addosso.  Poi  rifece 
meglio  il  suo  calculo;  stimò  di  giungere  più  sicura-- 
mente  al  suo  scopo  con  Tajuto  dei  preti  ,^  e  si  ricre- 
dette. Scelse  adunque,  oh  vitupero  1  la  chiesa  per 
mezzana  della  propria  elevazione;  e  la  chiesa,  oh  in- 
famia 1  tenne  mancai  mercato,  e  s'ingegnò  di  trarne 
il  maggior  prc^tto.  E  questo  avvenimento,  che  ri- 
volta la  coscienza  di  chiunque  non  abbia  smarrito 
ogni  senso  morale  e  religioso,  voi,  signor  Montalem- 
bert,  lo  additate  qual  trionfo  del  catolicismo?  Rispet- 
tate almeno  il  pudore  1  e  non  menate  publìco  vanto 
di  un  guadagno,  che  è  il  frutto  abominevole  di  una 
prostituzione. 

Tali  $ano  le  testimonianze  di  rispetto  e  di  simpe^ 
tia,  largheggiate,  in  tutte  le  occasioni^  dalV immensa 
mitggioranza  delV  assemblea  costituente  e  deW  assem- 
blea legislativa,  alla  catolica  religione  (1).  Ed  è  que- 
sto un  altro  fatto,  che  voi  annoverate  fra  i  più  pre- 
ziosi ricordi  di  una  grande  nazione?  Ma  voi  sapete 
meglio  di  me,  che  Vimmensa  maggioranza  delle  due 
assemblee  componevasi  di  personaggi  notoriamente 
conosciuti  per  increduli,  materialisti,  panteisti,  vol- 
teriani,  atei,  nemici  insomma  del  catolicismo.  Dunque 
la  grande  nazione,  che  li  nominava  suoi  rappresen- 
tanti, non  è  catolica;  non  vuol  più  soffrire  Tignobile 
giogo  dei  preti;  e  appena  sia  libera  davvero,  lo  spez- 

(1)  Tels  soiit  ies  tómoignages  de  respect^t  de  syinpathie 
prodigvés ,  dao8  tooles  Ies  occasions,  par  rimmense  ms^orité 
de  rAasemblée  coBstUuADte  et  de  TAssemblée  légMative,  à  la 
rtligion  cathoUque  (pag.  S9). 


jBBfà.  Dunque  h  t^timonimie  di  fispeUé  $  di  $impar 
Ha,  che  queirindegni  mandatari  del  popolo  largheg- 
giavano ad  ealolicìsmo,  eran  tutt'altro  che  atti  reli* 
giosi;  erano  meri  calcali  della  paura.  Perciocché  quelli 
uomini  detestavano  cordialmente  la  religione,  ma  pa- 
ventavano più  ancora  la  democrazia;  e  posti  nel  hir 
yio  o  di  sostenere  i  diritti  del  popolo,  o  di  favorire 
rinteressl  della  chiesa,  non  esitarono  punto  :  Torrote 
ddla  rivoluzione  fu  in  essi  più  forte  che  l'odio  del  ge- 
suitismo; e  per  abl)attere  Tuna  si  collegarono  con  l'al- 
tro. Or  ditemi,  signor  conte  :  chi  dei  due  si  mostrò  più 
vile  ed  immorale?  un'assemblea  d'increduli,  che  j^ 
paura  ossequiava  la  chiesa  ;  o  una  congregazione  di  ca^ 
tolicl,  che  per  intereBse  incensava  quell'assemblea  (1)  ? 

(4)  Nei  rari  momenti  di  lacido  intervallo  i  catoUci  stessi 
aooo  costretti  a  confessarlo:  «  Gonvien  dire  che  per  paura, 
e  non  altro  che  per  patirà,  ta  chiesa  abbia  guadagnato  qual« 
che  cosa,  in  quanto  li  uomini  politici  messi  al  bivio  o  di 
far  prevalere  il  socialismo,  o  di  concedere  bU* Evangelio 
qnalebe  facnttà  di  combatterlo  con  armi  sue  proprie,  baano 
avuto  il  roaraviglioso  discernimento  di  capire,  clie  era  me- 
glio lasciar  un  pò*  fare  ai  preti  ed  ai  vescovi,  che  non  agli 
adepti  di  Mazzini  e  di  Proudbon.  —  Non  è  egli  vero,  che 
le  massime  ed  i  principi,  in  forza  de*  quali  fu  già  oprres2>a 
la  chiesa,  restano  in  piedi  siccome  prima?  Non  è  egli  vero, 
che  nei  paesi,  ne*  quali  o  non  vi  è  stata  paura,  come  per 
esempio  net  Belgio,  o  ve  n*ò  stata  meno,  come  in  Baviera, 
nel  fatto  di  libertà  ecclesiastica  non  pure  non  si  é  guadai 
guato  colla,  ma  si  ò  perduto?  Non'  é  egli  vero,  che  nei 
paesi  medesimi,  ove  vi  fu  la  paura  ed  il  salutare  suo  ef- 
fetto, le  fatte  concessioni  almeno  nella  pratica  si  van  re- 
stringendo ;  ed  oggi  59  assai  malagevolmente  si  otlerrel^lie 
ciò,  che  saria  stato  di  facilissimo  acquisto  nei  (0?  —  Que- 
sto significa,  in  altri  termini,  che  non  solo  la  paura  vi  en- 
trò, ma  ne  fu  quasi  il  solo  movenle  ;  in  tao  teche  potete  te- 
nere per  quasi  certo  che,  attutala  quella,  si  tornerebbe  aU 
l'antico  vezzo  delle  gelosie  sospettose  e  delle  invasioni  ar- 
bitrarie nei  diritti  della  chiesa.  «(La  Civiltà  Caioliea,  voi.  IX, 


Tal  è  là  spedixUme  di  Rome,  decretata  dai  nostri 
votiy  compita  dalle  nostre  armi  (1).  Ed  anche  questo 
è  un  fatto,  che  voi  ponete  fra  t  più  irrecusàbili  m- 
pegni  di  una  grande  nazione?  Oh  impudenza  1  voi 
ardite  imputare  alla  Francia  il  vostro  delitto?  Non 
vi  basta  di  aver  commesso  T assassinio,  e  volete  ad 
ogni  costo  che  ricada  su  la  Francia  il  sangue  di  un 
popolo  da  voi  trucidato?  Povera  Francia  l  Essa  vi  avea 
mandati  all'assemblea,  perchè  la  guidaste  a  liberare 
le  nazioni  sorelle;  e  voi  T avete  tradita.  Voi  avete 
ingannato  prima  l'assemblea  medesima,  poi  il  pqM)- 
lo,  poi  l'esercito;  voi  avete  rese  fratricide  le  armi, 
che  dovevano  portare  soccorso  ai  fratelli;  voi  su  la 
nobile  Imndiera  della  libertà  avete  scrìtto:  oppres- 
sione! E  pretendete  di  rovesciar  su  la  Francia  T  in- 
famia di  un  vostro  voto?  Si,  quel  voto  è  un  impe- 
gno irrecusabile  per  la  Francia;  ma  un  impegno  di 
vendetta.  Essa  dee  vendicare  il  proprio  onore,  da  voi 
venduto;  un  popolo  amico,  da  voi  manomesso;  l'Eu- 
ropa, da  voi  delusa;  la  libertà,  da  voi  calunniata;  la 
democrazia,  da  voi  schernita;  l'Umanità,  da  voi  di- 
sonorata: e  lo  farai  Essa  dee  lavarsi  dalla  macchia 
di  sangue,  ci  .e  voi  le  gettaste  in  volto;  dee  scontare 
le  maledizioni,  che  voi  le  attiraste  su  '1  capo  dalle 
nostre  madri,  dalle  spose,  dalle  sorelle,  da  tutti  l'I- 
taliani, da  tutti  li  uomini,  a  cui  non  sia  un  affetto 
ignoto  la  patria;  dee  rimeritarsi  la  fiducia  e  l'amore 
dei  popoli,  con  dare  al  mondo  un  esempio  di  giustizia 
severa,  tremenda,  inesorabile  contro  tutti  i  suoi  tra- 
ditorì:  e  lo  farai  A  quel  dì,  signor  academico, v'a- 
spettiamo. 

Del  quarto  ed  ultimo  fatto  che  voi  adducete,  la 
morte  dell'arcivescovo  di  Parigi  (2),  non  dirò  nulla  ; 

(i)  Tello  est  l'expédition  de  Rome,  décrélée  |>ar  nos  votes, 
aecompUe  par  nos  armes  (pag.  S9), 
(S)  Pag.  39-30, 


87 
poiché  non  potrei  confutare  le  vostre  ciarlatanesche 
declamazioni  senza  cader  nel  sospetto,  ch'io  voglia 
impugnare  il  merito  e  scemare  la  gloria  di  un  mar- 
tire. Io  lo  venero  ed  ammiro  come  voi,  e  meglio  di 
voi.  Ma  se  un  martire  vi  basta  a  proclamar  il  trionfo 
della  vostra  causa,  noi,  signor  Montalembert,  di  così 
fotti  martiri  e  trionfi  ne  contiamo  non  uno,  ma  più 
e  più  centinaja.  Abbiamo  dunque  più  ragione  di  voi 
a  salutare  vittoriosa  la  nostra  fede. 

Ecco  la  somma  degrinteressi,  che  il  catolicismo  ha 
guadagnato  in  Francia:  voi  non  trovate  nulla  più 
nei  vostri  libri  del  dare  e  avere.  Ora  dal  ragguaglio 
che  ne  abbiam  fatto,  che  cosa  risulta?  Risulta,  si- 
gnor conte,  che  lo  stato  del  catolicismo  in  Francia 
non  è  più  oggimai  una  semplice  decadenza,  ma  un 
irreparabile  ignominia.  E  questo  è  il  vostro  trionfo  I.... 
Se  non  avete  altro  che  questo ,  vi  dirò  come  dicevano 
i  vostri  confratelli  a  certi  amici  dell'ordine  d'Italia, 

preparateviy  credete  a  noi,  alla  quarta,  alla  quinta 

dia  centesima  riscossa  (1). 

Ancor  una  gita,  e  la  rassegna  è  terminata:  Pas- 
siamo lo  stretto,  e  contempliamo  con  rispetto  e  rico- 
toscenza  uno  spettacolo  de  più  stupendi,  che  Dio  ab- 
bia dato  al  mondo  (2).  E  lo  spettacolo  così  stupendo 
sapete  qual  è?  Quello  si  è  di  un  paese  catolico.  Tir- 
landa,  che  in  premio  della  sua  fede  languisce  nelle 
più  miserabili  condizioni;  e  di  un  paese  eretico,  Tln- 
ghilterra,  che  in  pena  della  sua  apostasia  vedesi  ri- 
colma di  tutte  le  umane  prosperità  (3).  E  la  vostra 

(1)  La  Civiltà  Catoliea,  voi.  IX,  pag.  11. 

(S)  Passons  le  (!létroit»et  contemplons  a?ec  respecl  et  re^ 
cunnaissance  l'un  des  plus  élonnants  spectacies,  qiie  Dieu  ait 
«ionnés  au  monde  (pag.  32). 

(3)  L'Anglelerre  au  sein  de  son  apostasie  coinbléc  de  tou- 
les  les  prosperiti  humaines  (pag.  30). 


logica,  signor  Mentalemb^,  ricava  da  questo  spei- 
taccio  una  prova,  che  eziandio  colà  procedono  lieta- 
mente i  vostri  interessi?  Né  le  altre  prove  che  ar- 
recate, valgono  meglio. 

L'€mancip<izion$  de'catoUci  (1)?  È  un  atto,  che  fa 
onore  al  senno,  alla  giustizia,  alla  libertà  delllnghil- 
terra,  la  quale  riparava  così  le  inique  rappresaglie 
del  suo  antico  fanatismo,  inspirandosi  alle  idee  ed 
alle  affezioni  più  miti,  più  umane  del  secolo. 

/  dodici  vescovati  (é)?  Sono  in  servizio  dei  catolici 
irlandesi,  che  la  fame  precipita  da  ogni  parte  nelle 
manifatture  e  nelle  officine  (3);  e  non  già  degli  an- 
glicani, che  si  convertano  alla  chiesa. 

E  tanto  vi  basta  per  esclamare:  Sono  qttesti  i  pe- 
gni d'un  rinascimento  graduale  e  sicuro  (4).  0  mi- 
stero della  misericordia  e  dell'onnipotenza  di  Dio  (5)/ 
Alla  nòstra  volta  noi  esclameremo:  o  potenza  della 
cecità  e  della  stupidità  degli  uomini  1  Sì,  la  restaura- 

(i)  Pag.  32. 
(3)  Pag.  33. 

(3)  Pag.  33.  Citerò  la  tesUmoniaDza  non  sospetta  di  un  cor- 
rispondente  della  Gazette  de  Prance,  il  quale  poco  tempo  fa 
le  scriveva  da  Londra:  «  In  Francia  da  qualche  tempo,  non  so 
s  perchè,  si  vanno  esaggerando  i  progressi  dei  catolicismo  al 
•  di  qua  dello  stretto.  Nel  1775  si  contavano  In  Inghilterra 
»  e  Scozia  non  più  di  cinquecento  mille  catolici;  oggi  ve  ne 
»  sono  dae  millioni:  guardatevi  però  dalla  dolce  iUusionc  di 
■  attribuire  questo  progresso  al  gran  numero  delle  conver- 
I  sioni.  Per  grande  che  sia  lo  zelo  dei  missionari,  questo  au- 
»  memo  non  è  dovuto  alle  loro  fatiche,  ma  per  nove  decimi 
I  alla  emigrazione  degl'Irlandesi ,  che  son  venuU  a  turme  a 
»  turme  in  ogni  parte,  v  (Vedi  La  Buona  Novella ^  anno  !• 
n.  45.) 

(4)  Ce  sont  là  les  gages  d*une  renaissance  graduelle  et  as- 
surée  (pag.  34). 

(5)  0  mystère  de  la  miséricorde  et  de  la  toute-puissanct 
da  Dieu!  (pag.  35). 


zione  eatoUca  s'avanza:  rallegratevi!  P«r  un  prote- 
stante che  vof  guadagnate,  Tlrlanda  vi  mestra  a  mil- 
liaja  i  catolici  che  voi  perdete  (1).  Se  nel  Parlamento 
cèbe  ingresso  la /btonge  colo/tca,  veTebbe  eziandio  la 
falange  radicale.  Se  le  comedie  de' vostri  missionari 
turbano  i  sonni  a  qualche  vescovo  e  legulejo  angli- 
cano, lasciano  indifferente  la  nazione,  che  ride  così 
dei  vostri  preti  come  de' suoi,  non  crede  nò  agli  uni 
né  agli  altri,  e  vi  stima  tutti  al  prezzo  di  lire  ster- 
Une.  Tutto  quello,  che  voi  potete  guadagnare  con  le 

(i)  Il  BulUtin  du  monde  chrétien  ne  fornisce  un  docu- 
mento abbastanza  grave  e  significativo:  «iLa  fondazione  della 

•  Società  irlandese  di  evangelizzazione  (Irish  society)  rìsale 

•  fino  al  principio  di  questo  secolo  ;  ma  da  vent'anni  in  qnà 
«  Ila  moltissimi  vantaggi  arrecato  alla  santissima  causa  del- 

•  rSvangelio.  Con  la  benedizione  di  Dio,  ella  ha  indulto  più 

•  di  sessanta  mille  Irlandesi,  che  parlano  la  lingua  erslca,  a 

•  leggere  la  divina  parola.  Questa  società  dìfnode  annual- 
I  mente  nella  Ungua  del  popolo  ventimille  copie  tra  Bibbie, 

>  Nuovi  Testamenti,  e  libri  ediflcanU  ed  instruttivi.  Annovera 

•  in  settecento  ventiquattro  scuole  al  di  là  di  trentun  mille 
■  scolari,  li  campo  della  sua  operosa  attività  in  mezzo  ai  ca- 

•  tolici  romani  comprende  sessanta  distretti ,  e  si  estende  a 
I  venti  contee.  >  [Buona  Novella,  anno  i,  n.  3.)  E  chi  non 
prestasse  fède  alla  testimonianza  de*  protestanti,  senta  il  giu- 
dizio del  DubUng  Bvening-Post,  uno  dei  giornali  più  accre- 
ditati del  catolicismo  in  Irlanda:  •  Noi  ricaviamo  da  fonte  si- 

>  cura  e  catoUca,  che  i  successi  dei  convertitori,  sopra  quasi 

•  toui  i  panU  del  paese  e  neUa  capitale  segnatamente,  hanno 

•  oltrepassato  quanto  avrebbero  potuto  far  temere  le  più  tri- 

•  ste  apprensioni.  Non  solo  sarebbe  inutile  il  negare  i  fatti, 
»  ma  sarebbe  un  atto  traditorio  inverso  la  chiesa  catolica  il 
»  Daseenderli  o  il  tacerli,  come  se  non  fossero  di  grave  im- 
»  poriania.  Non  v*iia  un  solo  catoiico,  se  intelligente  e  sin- 
»  tuo,  e  non  ciarlone  e  millantatore,  il.  quale  non  contem- 
»  pU  un  tal  movimento,  eravamo  per  dire  con  tristezza,  ma 
»  è  meglio  detto  con  indegnaclone  e  con  rossore.  •  (Auone 
tlùvéllat  anno  I,  n.  S.) 


9Ò 

vostre  fenatiche  ciance,  sapete  che  è?  E  un  ravviva- 
mento degli  òdj  e  dei  furori,  che  a  titolo  di  religione 
funestarono  già  la  Gran  Bretagna  di  vittime  e  di 
stragi;  nient'altro.  E  allora  voi  sarete  contenti!  Ma 
no  :  le  orribili  scene  non  si  rinoveranno  più.  Lo  spi- 
rito del  secolo,  che  pur  voi  seguitate  a  chiamar  em- 
pio e  perverso,  le  ha  maledette  in  nome  deir Umanità; 
é  quello  spirito,  che  già  domina  su  le  regioni  più 
eulte  deirÉuropa,  non  tarderà  ad  investire  ed  infor- 
mare tutta  r  Inghilterra,  e  manderà  a  vuoto  le  arti 
esecrabili  (1),  onde  vorreste  risuscitare  un  passato, 
che  per  vostra  fortuna  —  ringraziate  il  progresso  — 
è  divenuto  impossibile. 

La  rassegna  è  finita.  Ma  a  compir  l'opera  manca 
tuttavia  una  cosa  :  la  corona.  E  Montalembert  ce  l'ad- 
dita: Fincdmente,  ciò  che  corona  questo  rimrgimento 
ciUolicOy  si  è  il  posto  che  Roma  e  il  papato  ripresero 
nel  mondo  (%),  Il  posto,  che  Roma  riprese  nel  mondo, 
sapete  qual  è?  La  Republica.  E  sapete  qual  è  il  po- 
sto, che  toccò  al  papato?  La  decadenza.  E  per  ve- 
rità, una  corona  più  splendida  non  potevasi  augurare 
al  primo  periodo  della  gran  rivoluzione  sociale,  a  cui 
è  destinato  il  secolo  XIX:  restaurazione  della  Repu^ 

(i)  Ecco  la  formula  del  giuramento,  che  fanno  i  membri  di 
una  società  catolica  in  Irlanda  ( Ribbon  Society):  «  Io  N.  N. 
s  giuro  per  S.  Pietro  e  S,  Paolo,  e  per  la  Beata  Vergine  Ma- 
il ria  di  essere  fedele  alla  società,  di  custodire  e  nascondere 
»  tutti  i  suoi  segreti  e  parole  d'ordine,  d'essere  sempre  pronto 
»  ad  eseguire  ii  ordini  dei  miei  superiori,  e,  per  quanto  sarà 
»  in  mio  potere,  di  estirpare  tutte  le  eresie  e  tutti  i  protestanti, 

»    e  CAMMINARE  NBL  LORO  SANGUE  FINO  ALLE  GINOCCHIA.  ■(BttOnft 

Novella,  anno  i,  n.  46.) 

(2)  Enfln ,  ce  qui  couronne  còtte  renaissance  catholique,  ii 
laquelle  nous  avonsMe  bonhenr  d'assister,  c'est  la  place  qu'otìf 
reprise  ftome  et  la  papauté  dans  le  monde  (pag.  85)/ 


-  •  -  • 

blica  in  Roma,  e  abolizione  del  papato,  sono  due  atti 
che  segnano  la  traccia  e  danno  la  misura  del  nuovo 
movimento,  che  sospinge  le  nazioni.  Ma  voi  con  quali 
occhi  potete  leggervi  un  rinascimento  del  catolicismo? 

Ci  parlate  del  rumore,  che  levò  il  nome  di  Pio  IX  (1); 
ma  ignorate  voi,  o  fingete  d'ignorare  quello,  che  og* 
gimai  è  noto  perfino  ai  bimbi  ;  che,  cioè.  Pio  IX  era, 
non  un  individuo,  ma  un  simbolo;  non  un  papa,  ma 
un  ideale;  sicché  tutto  il  tesoro  d'entusiasmo,  di  sa** 
orificio,  e  d'amore,  che  i  popoli  profundeano  giojosi 
al  grido  di  :  viva  Pio  IX!  era  un  inno  sublime  al  loro 
ideale,  e  non  a  quel  papa;  era  una  magnifica  apo- 
teosi del  loro  simbolo,  e  non  di  quell'individuo? 

E  quando  ce  lo  rappresentate  come  destinato  a 
passare,  nel  corso  della  sua  vita  mortale,  per  tutte 
le  vicissitudini  della  grandezza  e  del  dolore,  or  in- 
vestito della  popolarità  più  inebriante,  or  assediato  nel 
suo  palazzo,  fugitivo,  esigìiato  (2)  ;  voi  fate  prova  di 
un'ignoranza  odi  una  mala  fede  portentosa.  No,  si- 
gnor  conte,  qui  non  c'entra  mistero  alcuno  di  pre^ 
destinatone.  Se  v'ha  uomo,  che  possa  dirsi  artefice 
unico  della  propria  sorte,  quegli  è  Pio  IX.  Il  quale 
si  vide  circondato  da  un  prestigio  di  grandezza  e  di 
popolai  ita,  finché  secondò  le  giuste  domande  del  po- 
polo, 0  mostrò  di  rispettare  ì  suoi  diritti;  ma  non 
trovò  più  che  odio  e  disprezzo,  quando  apparve,  come 
tatti  li  altri  pontefici,  un  ingannatore  del  popolo  e 
un  traditore  d'Italia.  Allora  i  Romani  difidarono  di 

(1)  Certes,  il  fani  remonter  blen  baut  dans  Thistoire  pour 
retroQver  do  temps,  où  le  saiut^siège  ait  oceupé,  ému,  domine 
ies  esprits,  comme  depuis  que  Pie  IX  y  est  monte  (pag.  35^. 

(3)  Destine,  comme  celui  dont  il  est  le  vicaire,  à  passer, 
pendant  sa  vie  roor ielle,  par  toQtes  Ies  vicissitudes  de  la  gran- 
deor  et  de  la  doalenr,  taniót  investi  de  la  popnlarité  la  plus 
éniYraote,  tantòt  assiégé  dans  son  palais,  fugitif,  exilé,  il  n*a 
cesse  de  fixer  Ies  regards  da  monde  (pag.  85). 


n  • 

lui;  y^liarono  su  i  perfidi  intrighi  della 8u&  corte; 
VoisediaronOf  come  voi  dite,  nel  suo  palazzo;  ma  fu 
sua  colpa,  e  loro  diritto.  La  fuga  poi  e  Vesiglio  fu- 
rono per  parte  sua  un  delitto  di  lesa  nazione;  e  s'anco 
allora  Pio.  IX  non  ha  cessato  di  fissare  li  sguardi  del 
mondo  y  quelli  sguardi  non  miravano  certo  ad  atl^ 
stare  V incomparabile  maestà  del  pontificato  romano  (1), 
ma  solo  tenevano  dietro  al  disertore  per  maledirlo 
e  denunciarlo  con  tutti  i  suoi  satelliti  airesecrazione 
delFuniverso. 

E  codesto  è  l'uomo,  che  voi  osate  qualificare  degno 
di  amare  e  di  comprendere  la  libertà  (2)?  Un  papa, 
ed  un  Pio  IX,  amare,  comprendere  la  libertà!  Ma  voi, 
signor  academico,  insultate  al  senso  commune;  e  que- 
sto è  troppo  1  Voi  dunque,  apostolo  del  papato,  non 
sapete  che  cosa  sia  il  papa?  Voi,  apologista  del  go- 
verno liberale,  non  sapete  che  cosa  sia  libertà?  Se 
prima  di  scrivere  il  vostro  libello,  aveste  consultato 
un  po*men  le  opinioni  della  sacrestia  ed  un  po' più 
le  sentenze  della  storia,  avreste  imparato,  che  papa 
vuol  dire  negazione  della  libertà,  e  libera  significa 
negazione  del  papa.  0  se  pure  ayeste  voluto  ad  ogni 
modo  (connettere  insieme  quei  due  termini  ed  incor- 
porare Tuno  neiraltro,  dovevate  specificare  quale  sia 
la  libertà,  ch'era  degno  di  amare  e  di  comprendere 
Pio  IX.  Dovevate  aggiungere,  in  somma,  ch'egli  per 
sé  non  amava  altra  libertà  che  quella  di  governare 
despoticamente  il  suo  Stato,  e  d'imporre  assoluta- 
mente a  tutto  il  mondo  i  proprj  voleri  come  leggi 
di  Dio,  i  proprj  giudizj  come  dogmi  di  fede;  ma  per 
i  popoli  non  comprendeva  altra  libertà  che  quella 
dì  baciargli  devotamente  la  scarpa,  di  ricevere  umil- 

(1)  ConsUler  rìncomparable  majesté  da  poDtificat  romain 
(pag.  »5). 
(9)  Digne  (l*umer  et  de  eomprendrt  )#  Uberté  (pag.  3g). 


H 

mente,  in  ginocchio,  a  capo  chino,  la  sua  benedizione, 
e  sopratutto  dMmpinguare  continuamente  il  suo  te- 
soro, acciocch'egli  potesse  vestire  da  principe,  isan- 
chettar  da  epulone,  andar  a  spasso,  mantener  birri, 
assoldare  spie,  pagare  carnefici,  come  s'addice  ad  un 
vicario  dì  Dio.  Oh!  davvero,  l'anima  di  quel  papa  era 
%nù«ii»a  di  amare  e  di  comprendere  cotesta  libertà! 
E  la  comprendeva  con  tanto  convincimento,  l'amava 
con  tanto  trasporto,  che  non  esitò  ad  invocar  il  sus- 
sidio di  quattro  eserciti  stranieri  per  conservarla  ad 
ogni  costo.  La  storia  ne  prese  nota,  signor  Montalem- 
bert:  e  sarà  questa  la  più  bella  pagina  nei  fasti  della 
libertà,  come  l'amano  e  la  compi*endono  i  papi,  o  come 
la  comprendete  e  l'amate  voi,  che  è  la  stessa  cosa. 
Della  quale  libertà  soggiungete,  ch|B  Pio  IX  ha  vo^ 
hlo  dotarne,  nella  misura  del  giusto  e  del  bene,  un 
popolo,  che  le  agitazioni  democratiche  ne  resero  pro^ 
fondamente  incapace  (1).  È  questa  dunque  la  stima, 
che  voi  fate  del  più  gran  popolo  della  terra?  voi, 
forestiero?  voi,  conte?  voi,  academico?  voi,  gesuita? 
voi,  un  Montalembert,  vale  a  dire  la  personificazione 
stessa  della  maldicenza  e  delia  calunnia?  E  siete  voi, 
che  osate  metter  bocca  in  una  questione  di  libertà, 
e  forvi  giudice  del  popolo  romano?  La  libertà,  monsi- 
gnore, non  è  faconda  da  catechismo  né  da  rituale,  non 
h  parte  dei  sacramenti  né  delle  missioni,  non  entra  nel 
oamero  delie  indulgenze  né  delle  giaculatorie;  dun- 
que non  cade  sotto  la  vostra  giurisdizione!  11  popolo 
romano  non  é  un  convento  né  un  monastero,  non 
ferma  una  confraternita  d'alcun  Santo  né  d'alcuna 
Madonna,  non  costituisce  un  seminario  di  preti,  nò 
un  conciliabolo  di  vescovi,  né  una  congrèga  di  tra- 
ditori; dunque  voi  non  siete  competente  a  giudicare 

(i)  Il  a  vonlu  en  doler,  dans  la  mesure  du  jnste  et  da 
Uen,  nn  peuple  qne  les  agitations  démocratiqnes  «n  ont  renda 
profondément  Incapablt  (imf .  96). 


§4 

li  atti  suoi.  E  però,  quando  si  paria  di  lil)ertk,  co- 
pritevi la  faccia  e  tacete:  quando  si  tratta  del  po- 
polo romano,  abbassate  il  capo  e  silenzio  I  Se  Tuno 
sia  degno  dell'altra,  lo  sa  l'Italia;  e  basta. 

Ricordate  poscia  la  celebre  Allocuzione  del  29  aprile^ 
che  brillò  come  un  primo  raggio  di  luce  a  traverso 
le  tenebre  del  1848  (1).  E  qui  siamo  d'accordo.  Fino 
ai  primi  del  48  un  caos  tenebroso,  in  fatti,  ravvol- 
geva la  nostra  povera  Italia,  ed  una  fatale  vertigine 
la  precipitava  nell'  abisso.  Le  sue  giovani  coorti  s'e- 
rano crociate;  le  sue  città  facean  tridui  per  la  sa- 
lute del  papa;  i  suoi  popoli  insurgevano  con  la  ban- 
diera del  papato;  il  fiore  de' suoi  prodi  sorrideva  alla 
morte  e  spirava  co  '1  nome  di  Pio  su  le  labra;  ac- 
correvano tutti  nel  tempio,  benedicevano  ai  frati,  ab- 
bracciavano i  preti,  andavano  superbi  del  titolo  di 
catolici,  apostolici,  romani;  e,  sconsigliati!  per  con- 
quistare la  libertà  si  ribadivano  le  catene.  Ma  l'Al- 
locuzione del  29  aprile  dislpò  quelle  tenebre,  e  la 
verità  brillò  finalmente  all'intelletto  degl'Italiani.  In- 
tesero allora,  dalla  voce  stessa  del  Vaticano,  che  l'a- 
more della  patria  per  esso  era  un  assurdo,  la  libertà 
un'eresia,  l'indipendenza  un  delitto,  la  nazione  un 
armento,  il  dominio  degli  stranieri  un  diritto  sacro- 
santo; intesero,  che  il  papato  non  poteva  sussistere 
altrimenti  che  a  patto  di  mantenere  divisa  e  serva 
l'Italia;  intesero  che  un  papa  non  poteva  essere  altro 
ohe  un  tiranno  del  suo  paese,  ed  Un  alleato  naturale, 
fedele,  di  tutti  i  tiranni  del  mondo;  intesero,  che  il 
catolicismo  non  era  l'Evangelio  di  Cristo,  ma  la  com- 
pagnia di  Gesù;  e  che  dovea  rinunciare  al  nome 
stesso  di  catodico  chiunque  non  fosse  disposto  a  pro- 
fessarsi gesuita.  Ecco  le  verità,  che  l'Italia,  anzi  l'Eu- 

U)  La  célèbre  Àllocution  du  29  avrii  brilla  come  un  pre- 
mier rayon  de  lamière  et  de  véri  té  à  travers  les  ténèbres 
de  iSiS  (pag.  36). 


itqMi  raccolse  éHi^^celebre  Àltvcuiione.  Ne  simo  gra- 
zie infinite  al  vostro  Pio  IX,  il  quale  con  quel  suo 
linguaggio  chiaro  ed  esplicito  fino  al  cinismo,  gua- 
dagnò più  republicanl  e  razionalisti  alla  nostra  causa 
che  tutte  le  stampe,  le  associazioni,  e  le  congiure. 
Ditegli,  che  ora  può  dormire  tranquillamente  i  suoi 
sonni,  e  digerire  saporitamente  i  suoi  pranzi  :  le  rivo- 
lozioni  future  non  toglieranno  più  a  loro  simbolo  un 
papa^  né  chiederanno  più  uno  Statuto  romano  al  pa- 
pato. E  se  mai  fosse  curioso  di  sapere,  quale  sarà  in 
avvenire  il  grido  dei  popoli  risurgenti,  ditegli  che 
tenda  Torecchio,  che  ascolti  l'anelito  della  nuova  ge- 
nerazione; e  lo  saprà! 

A  non  lasciarci  però  alcun  dubio  su  '1  carattere 
profondamente  e  schifosamente  immorale  del  papato, 
voi,  signor  conte,  ci  date  un! dlìr^L  interessantissima 
notizia.  Mentre  i  battaglioni  francesi  co  7  concorso 
delie  armi  di  Spagna,  d'Austria,  e  di  Napoli  (1),  em- 
pievano di  stragi  ed  inondavano  di  sangue  umano 
le  torre  di  Roma,  che  cosa  faceva  Pio  IX?  S'era  già 
detto  da  alcuni,  che  piangeva;  e  da  altri,  che  ride- 
va; da  questi',  che  attendeva  a  sollazzarsi  co  '1  suo 
diletto  figlio  in  Cristo  il  re  Ferdinando;  e  da  quelli, 
che  passava  il  suo  tempo  a  visitare  le  chiese,  li  ora-^ 
torj,  e  i  monasteri.  Tutte  falsità  1  Pio  IX  stavasi  uni- 
camente  preoccupato  del  governo  delle  anime;  e  per 
^dlitar  a' suoi  fedeli  1  eterna  salute,  s'apparecchiava 
ad  aumentare  li  articoli  di  fede,  elevando  un  altro 
assurdo  alla  dignità  di  dogma:  V immaculata  conce- 

si0ne  di  Maria  1 1 E  Montalembert  che  ce  ne  assi- 

rara  (2).  Oh  ironia!  I  soldati  francesi  muojono  per 

(1)  Ramené  dans  Rome  afTranchie  par  la  valeur  francasse, 
aree  le  conconrs  des  armes  de  l'Espagne,  de  TAutrlche  et  de 
Naples  {pag.  37). 

(2)  Pendant  qae  tonte  r&arope  se  préoccupe  de  son  sort , 
•t  pendant  qae  i'on  proclame  à  Rome  sa  déchóance ,  et  la 


M 

lai,  maojono  per  lui  i  cittadini  róttaoi;  mn  Vln 
uomo  in  Europa,  che  non  tremi  e  non  spasimi  fra 
il  timore  e  la  speranza,  Tindegnanone  e  l'orro- 
re  Sì,  ve  n'ha  un  solo,  a  Gaeta;  ed  è  Pio  IX! 

Egli  disputa  tranquillamente  co' suoi  teologi  di  quel* 
lo,  che  avvenisse  duemille  anni  fa  nell'utero  di 
S.  Annal 

La  conclusione  è  degna  del  discorso  :  /  segreti  del- 
Vatvenife  sano  in  mano  di  Dio;  ma  qualunque  Ha 
Vesilo  dell'occupazione  francese,  la  presa  di  Roma  e 
il  ristabilimento  del  potere  pontificale  per  le  a/rmi 
della  Republica,  rispondono  alle  più  grandi  memo- 
rie della  chiesa  e  della  Francia  (1).  Lasciate  star  Dio. 
co'  suoi  segreti  :  l'effetto  della  presa  di  Roma  è  già 
moralmente  compiuto;  non  appartiene  più  ai  segreti 
delVawenirey  ma  alla  storia  del  presente.  Le  armi  di 
Francia  hanno  ristabilito  il  papa  a  Roma;  ma  hanno 
occiso  il  papato  in  Italia,  e  senza  rimedio.  Un'institu- 
zione  religiosa,  quando  non  ha  più  radici  nella  co- 
scienza dei  popoli,  quando  non  trova  più  un  appog- 
gio bastevole  nel  culto  dei  loro  cuori,  è  morta;  e 
tutte  le  violenze,  che  si  mettono  in  opera  a  fine  di 
prolungarne  l'esistenza,  non  fanno  che  acoderarela 
sua  sepoltura  ed  infamare  la  sua  memoria.  Questo  ò 
il  benefizio  che  la  Francia  recò  al  papato. 

création  de  la  République,  lui,  calme  el  libre  au  fond  de  son 
exil,  à  Gaele,  les  yeux  flxés  sar  le  ciel,  et  le  coeur  vniquement 
preoccupò  da  gouveroeroent  des  àaies  et  dea  devoirs  de  sa 
cliarge  apostolique ,  adresse  à  toas  les  évéques  de  Tunivers 
une  bulle  destinée  à  hÀier  le  moment  où  la  doctrlne  de  Tlm* 
maculée  Conception  sera  érigée  en  arlicle  de  foi  (pag.  36-37). 
(1)  Les  secrets  de  Tavenir  sont  à  Dieu;  mais,  quelle  que 
soit  rissue  de  roccupation  francaise>  la  prise  de  Rome  et  le 
rétablissement  da  pouvoir  pontificai  par  Tarmée  de  la  répa- 
hliqae  répondent  aox  plus  grands  souvenlrs  et  de  Tégllse  et 
de  la  Pranoe  (pag.  97). 


Ne  già  siamo  noi  sdì.  che  giudichiamo  così  un  fatto 
di  cui  un  episodio  ridicolo  è  magnificato  da  voi  per 
ti  più  bello  spettacolo  che  il  sole  possa  rischiurare  (1) 
Fra  i  tatolici  stessi,  coloro  che  non  erano  accecati 
come  voi,  da  un  fanatismo  incurabile,  ne  portarono 
lo  stesso  giudizio  che  noi.  Eccovi  che  cosa  scrivea 
da  Civitavecchia  il  6  giugno  1849  il  vostro  famoso 
P.  Ventura:  «  Vous  voulez  savoir  où  en  est  Tesprit 
»  de  foi  en  Rome.  Or  là^Jessus  je  ne  puis  vous  dire 
»  que  des  choses  déplorables.  Vous  savez  peut-étce 
»  qu'on  a  enlevé  les  confessionaux  et  les  chaires 
D  saintes  de  plusieurs  églises,  et  qu'on  les  voulait 
»  brùler  a  la  Place  du  Peuple.  Le  gouvernement  eut 
»  assez  de  force  pour  empccher  ce  scandalo.  Mais 
»  oa  B'en  a  pas  moìns  crié  :  Mort  à  ceux  qui  se  con- 

*  fessenl  I  Mort  aux  prétres,  aux  religieux  l  ètc.  On 

*  n'en  a  pas  moins  abandonné  les  églises,  la  confes- 
»  swn,  la  communion,  la  prédication,  et  tonte  la  re- 
»  ligio»  pratique.  Les  églises  sont  désertes;  on  ne 
»  précbe  plus  faute  d'auditeurs;  et  tout  cela,  c'est 
«  leffet  de  la  haine,  du  méprìs,  de  l'exécration  où 

*  est  Uwnhé  le  prélre.  Ce  qui  est  encore  plus  éton- 

*  nant,  ce  sont  les  femmes,  méme  du  peuple,  jadìs 
»  SI  religieuses,  qui  maintenant  repoussent  le  plus 

*  les  prétrea,  et  ont  fait  divorce  avec  toutes  les  pra- 

*  tiques  religicuses-  Je  le  dis  avec  les  larmes  aux 

*  yeux,  le  c(Bur  brisé  par  la  douleur:  le  protestan- 

*  Usme  véritable,  qui  consìste  dans  la  foì  sans  les 

*  <Buvr€»,.daos  la  profession  de  TÉvangrle  sans  le 
»  miQistère  du  prétre,  se  trouve  étabU  de  fait  dans  la 
»  yiUe  centro  du  catholicisroe  1  Sur  cent-  personnes 

*  je  doiite  qu'on  en  puisse  trouver  dix  qui  se  soiant 

(1)  Celui  qoi  a  vu  nos  soldals  agenonlllés,  dans  leur  forde 
ei  leiir  slmpUcUé,  sor  la  place  du  Vatican.;....  cjélui-là  peut 
se  dire  qu'il  a  vu  to  plas'beau  speetftde  quo  pulwe  étìùirpr 
to  soteU  («ag.  S7).      .   , 


»  conservèes  catboliqtiesl  — •  Yons  me  demanderez 
9  ce  qui  a  pu  opérer  cette  immense  apostasie  en  si 
»  peu  de  temps?  C'est  la  politique  de  Gaète.  Pen- 
»  dant  que  je  vous  écris,  les  Frangais  bomfiardent 
»  Rome,  détFuisent  ses  monuments,  mitraillent  ses 
»  habitants  par  milliers,  au  nam  du  pape.  Il  est  donc 
»  impossible  de  se  faire  une  idée  de  la  fureur  et  de 
»  la  rage  excitées  dans  le  peuple  contro  le  pape,  au 
»  nom  duquel  on  commet  ces  horreurs.  Les  femmes 
»  de  Transtévère,  jadis  si  attachées  au  pape  et  à 
»  réglise,  voyant  les  premières  bombes  tomber  sur 
»  leurs  maisons  et  les  détruire,  les  premiers  boulets 
»  tomber  sur  Saintr-Pierre  et  Tendommager;  voyant 
»  leurs  maris,  leurs  enfants  blessés  ou  tués  au  nom 
»  du  pape,  par  les  soldats  du  pape,  ont  poussé  des 
»  cris  d'une  rage  désespérée  et  sauvage,  des  anatbè- 
»  mes  au  pape,  au  clergé,  à  Téglise;  nous  ont  ap- 
»  pelés  des  ìmposteurs,  des  infàmes,  des  assassins; 
»  ont  fait  les  plus  borribles  serments  de  ne  plus  vou- 
»  loir  rien  savoir  de  nous,  et  ont  fait  à  peu  près 
»  abjuration  publique  du  catbolicisme.  —  Le  peuph 
»  volt  les  Autricbiens  qui,  en  compagnie  d'un  pré- 
»  lat  pontificai,  parcourent  les  provinces,  les  cbar- 
»  gent  de  contributions,  arrétent,  exilent,  fosillent 
»  les  plus  bauts  Hbéraux,  et  rétabllssent  partout  par 
»  la  force  Tabsolutisme  clérical.  Il  volt  que  les  Fran- 
»  $ais,  au  nom  du  pape,  font  au  peuple  romani  la 
»  guerre  la  plus  injuste,  la  plus  déloyale,  la  plus 
»  acbarnée.  Il  volt  un  évéque  qui  fait  mitrailler  ses 
»  diocésains,  un  prince  qui  tue  son  peuple,  un  pas- 
»  teur  qui  fait  égorger  ses  brebis,  un  pére  qui  fait 
»  égorger  ses  enfants.  Il  volt  un  pontife  qui  lance 
»  les  quatre  puissances  les  plus  ennemies  de  Tlta- 
»  Ile  contro  lìtalie  et  Rome;  et  cela  lui  sufQt  pour 
»  lui  fàire  regarder  le  pape  et  Téglise  comme  enne- 
»  mis  de  la  Uberté  des  peuples,  de  Tindépeadaflce  de 


llliM;  le  <ilergé  comme  une  iégion  de  hrlgands 
tfliMtleiix,  arares,  criiels,  férooes,  qui  abusent  de 
ht  réligì0n  pour  «romper  le  peupte  et  se  rassujet- 
tir,  pour  assurer  kur  domination  et  leurs  revenus. 
—  Un  pape  qui  fait  la  guerre,  par  toutes  les  puis- 
sanoes  de  TEttrope,  contro  son  peuple,  parco  quo 
ce  peuple»  abandonné  sans  gouyernement  par  son 
princOf  recete»  excoamiunlé,  repoussé,  a  voulu  se 
donner  un  gouTernement  conferme  à  ses  anctens 
droits,  à  ses  ancienues  traditions  (car  Rome  a  été 
toojours  répdbliquedepuis  son  origine  jusqù'à  nos 
jowrs);  un  pape  qui  veut  régner  tempoiellement 
par  le  meurtre  et  par  le  glaive;  qui  veut  s'impo* 
aer  à  trois  mllMonsde  chrétiens  par  les  baìennettes 
et  le  ^n»n  ;  qui  veut  relever  son  tròne  swr  des 
mini^s  de  cadavres  et  sur  un  lac  de  sang:  c'est 
un  fai!  si  étrange,  si  absurde,  si  inique  et  si  scé^ 
lérat,  si  contndre  à  Tesprit  de  la  papauté  (  !  1  )  et 
de  rÉTangile,  qu'il  n'y  a  pas  de  conseienee  qui 
n'en  soit  révoltée,  qu*U  n'yapasde  foi  qui  y  tien- 
ile, quii  n*y  a  pas  de  cosur  qui  n'en  fremisse,  qu'il 
n'y  a  pas  de  boucbe  qui  ne  se  porte,  comme  foi^ 
cée,  à  la  malédiction,  au  blasphème.  Ainsl,  aut 
yeox  du  peuple  romain,  jamais  une  plus  grande 
seélératesse  n'a  été  commise,  jamais  un  plus  enor- 
me scandalo  n'a  été  donne.  -*  Vous  voyez  dono 
qne  jamais  la  foi  catholique  et  Téglise  n*ont  eu  à 
soaffrir  une  persécution  plus  horrible  dans  Rome 
méme;  c'est  que  cette  persécution  lui  vient  du 
clergé  et  de  son  chef,  et  il  sera  très-diffìcile  d'en 
triompher.  II  est  possible  que  Rome  tombe  sous 
la  force  des  puissances  coalisées.  Il  est  possible  que» 
comme  ai  TÉvangile  était  le  Goran  et  Rome  la 
Ifecque,  le  pape  y  entro  en  conquérant,  le  glaive 
à  la  attln  au  Hmi  de  la  crois,  précède  par  les  ba'ion-* 
neltea,  sulvi  par  les  bourreaux.  Il  est  pos^ble  qu'll 


m 

»  relève  son  tròne  sur  Iw  pointes  des  jèpéeft;  mais 
j»  oe  sera  pour  retomber  bientòt.  Le  pape,  oomme  soih 
_»  veraìD  temporel,  est  devenu  impossible.  Cette  sou* 
»  veraineté  est  perdue  pour  lui  et  pour  toujours. 
»  Mais  ce  qui  m'afflige,  me  dés(He  le  plus,  c'estque 
»  comme  pape,  méme  comme  chef  de  la  chrétienté, 
»  11  est  perdu  dans  l'esprit  de  tonte  la  jeunesse  ita- 
»  Uenne,  et  avec  lui  la  foi  catholique  (1)», 

Óra  che  abbiamo.  siBguitato  a  passo  a  passo  Mon* 
.talembert  nella  rassegna,  che  prese  a  fare  degli  ^ti 
d'Europa,  siamo  kn  grado  di  coochiodere,  che  lungi 
dairaverne  provato,,  com'ei  si  prometteva,  che  la  re- 
ligione ha  ripigliato  il  suo  piHSto,  al  primo  seggio; 
^he  dapertuUo  la  chiesa  è  ricpnoscivta  come  ma  po- 
tenza di  prim' ordina;  che  è  imocata  dagli  uni  non 
la  confidenza  di  un  amore  s&mpre  fedele^  da§li  altri 
£on  la  passione  d*una  conversione  recente;  che-  si  nede 
dovunque  rifiorire,  grandeggiare,  rialzar'  il<sm  capo 
ringiovanito,  e  dominare  su  i  destini  del  mondo  (2): 
egli  ci  ha  persuasi  di  due  cose.  La  prima,  che  il  ca-^ 
tolicìsmo  oggidì. pou  è  più  una  religione,  ma  un  af- 
fare d'industria  e  un  officio  di  poUzia.  La  seconda, 
che  Montalembert  non  sa  liemmen  che  cosa  sia  re- 
ligione; poiché  non  ha  verun  criterio  da  riconoscerne 

<4)  Revue  dtt  réformes  et  du  prognèsy  tom.l. 
'  (9^  Partout  la  religion  a  repìris  sa  plÌMse,  av  premier  lang; 
partout  réglise  est  recoonue  comme  une  piùssaiKe.  de  .pre- 
mier ordre.  Invo(iuée  par  les  uns  avec  la  cooflance  d'un  amour 
toujours  fldèle;  par  les  autres,  avec  la  passion  d'une  coover- 
Sion  recente;  par  quelques-uns  peut-étre  à  regret  et  à-  con- 
trecóBur;  si  elle  est  encore  allaquée  par  quelqucs  aveugles, 
QUI  da  moins  ne  méconnatt  sa  force,  sa  vie,  sa  fécóhde  Im- 
inortalUé.  En  parcourant  le  sol  de  rEurope^  labouré-i|!)ar  la 
révolation  et  la  guerre,  on  la  vóit  partoul  refléurfr,  grandi r, 
relevdf  sa  t6l»  r^eanie^  e(  pUner  sui  les  desUnóés  da  moneto 


101 
la  vita  o  la  morte,  la  potenza  o  rinfermità,  la  gran- 
dezza  o  la  declinazione;  e  qua  la  fa  consistere  nei 
frati  e  nelle  chiese,  costà  nelle  scuole  e  nei  vesco- 
vati, colà  nelle  tipografie  e  nelle  missioni  :  ora  Tim- 
medesima  con  le  assemblee  ed  i  governi,  ora  co  'i  ge- 
suiti e  le  opere  pie,  ed  ora  con  l'igQoranza  delle 
plebi,  con  la  forza  degli  eserciti,  con  le  acclamazioni 
degripocritl,  con  le  genuflessioni  degli  scelerati. 


CAPITOLO  QUARTO 


IL    CATDUCWnO   B    WJk    »IVOU}ZIOIIB 


Io  avea  creduto,  che  II  conte  di  Montaìembert  sotto 
quel  titolo:  De  la  situationdu  eatholicisme  en  1852, 
dovesse  veramente  esporre  lo  stato,  cioè  computare 
rinteressi  del  catolicismo  odierno.  M'avveggo  adesso 
che  m'ingannai,  ed  ebbi  il  torto  di  prestar  fede  alla 
inscrizione  dei  capitoli  del  suo  libro.  Egli  adunque  ci 
avverte,  che  finora  non  ha  enumerato  e  descritto  al- 
tro che  le  vittorie  esteriori  della  chiesa;  e  venendo 
a  indagare  il  caractère  special  de  la  renaissance  actuelle 
du  eatholicisme,  c'invita  a  contemplare  il  suo  movi- 
mento ititerno,  ossia  la  conquista  delle  anime,  onde 
risulta  con  ben  altro  splendore  una  nuova  scena  del 
suo  trionfo  (1).  Vediamo  quindi,  per  sommi  capi,  i 
fàXXì  da  cui  egli  ^irguTORnVai  l'immenso  progresso  dello 

(1)  Mais  ce  ne  soni  pas  les  victofres  extóiieares,  doni  oo 
Tient  de  foire  lUncomplèie  et  rapide  énoméraUon  ;  c*est  le 
movvement  intérieur,  c*est  la  conqaéte  des  &mes,  qui  dolveot 
bien  aatrement  exciter  l*adiniraUon  et  la  reconnaìssance,  et 
d*où  ressort,  avec  un  bien  autre  éclat,  le  contraste  entra  le 
pféient.et  le  passe  (pag.  B8). 


103 
ijlfiHto  eai0iico  da  dnqnanfanni  in  qua;  vediamo  la 
rterudescenxa  della  fede,  V efflorescenza  della  carità, 
la  vita  nuova  della  utenza  (1),  ch'egli  promette  di  mo- 
strarci. 

I  fatti  soB  questi: 

1.**  È  cessato  lo  spirito  d'indipendenza  delle  chiese 
particolari,  e  specialmente  della  gallicana:  la  chiesa 
catolica  è  più  unita,  più  subordinata  al  suo  capo  (2). 

2."  Scrittori  laici  ed  ecclesiastici  fanno  a  gara  per 
riabilitare  li  eroi,  e  glorificare  l'iastituti  catolici  del 
medio  evo  (3). 

3.®  L'architettura  si  va  a  studiare  negli  antichi 
monumenti  della  chiesa,  e  ritorna  cristiana  (4). 

L"  Y'è  maggiore  solidarietà  fra  i  catolici  de*  varj 
paesi  d'Europa  (5). 

S."*  Fiorisce  la  società  di  S.  Vincenzo  de'  Paoli,  l'ar- 
cioonfraternita  del  sacro  cuore  di  Maria,  la  pia  opera 
ddla  propagazione  della  fede,  ed  altre  ancora  (6). 

6.^  Finalmente  —  e  questo  colma  la  misura  delle 
qrasie  di  Dio  -^  sono  ricomparsi  e  ripullulati  ovun- 
que li  ordini  religiosi  (7), 

Poche  osservazioni  basteranno  a  chiarire,  come  que- 
sti fatti  provino  tutt'altro  che  il  risurgimento  della 
chiesa  catolica  sognato  dall' academico  francese.  — » 

(0  C'<st  li  sortovi  qo»  se  déploie  rimmense  progrès  do 
Tesprit  calholiqQO  depnis  dnqQaDle  ans;  d'est  par  la  recru- 
desceace  de  la  foi,  refnorescence  de  la  charilé,  la  vie  nou- 
vello  de  la  science,  qn'il  faut  mesurer  lout  le  terrain  quo 
resprit  de  vie  a  regagné  sur  l'esprit  de  mort  (pag.  3S). 

[V  Pag.  39-49. 

(3)  Pag.  Ì3-U. 

(4)  PAg.  46. 
(6)  Pag.  46^7. 
(6)  Pag.  iS-60. 
(7j  Pag.  41-54. 


104 

Il  primo,  già  l'abbiamo  notato,  conferma  questo  sofo, 
che  la  chiesa  oggidì  s'è  unificata  tutta  nel  sistetna 
de' gesuiti:  vescovi,  abbati,  preti,  frati  d'ogni  colore 
marciano  tutti  in  ordine  ed  in  silenzio,  come  un  gregge 
muto  e  docilissimo,  sotto  la  verga  del  generale  di 
Roma.  E  sta  bene.  Così  può  scandagliarsi  la  vitalità 
del  catolicismo  senza  pericolo  d'errore:  non  8*ha  da 
far*  altro  che  tastar  il  polso  alia  compagnia  di  Lojola. 

Il  secondo,  per  verità,  non  contiene  nulla  di  nuovo. 
Di  storici,  che  si  compiaciano  a  contar  favole  al  cre- 
dulo vulgo,  non  ci  fu  mai  penuria  nella  chiesa.  Tutto 
al  più,  se  oggi  vengono  crescendo,  ne  potremo  infe- 
rire, che  siccome  le  favole  acquistano  fra  i  catolici 
voga  e  credito  maggiore,  così  il  risurgimento  del  ca- 
tolicismo dee  chiamarsi i» a  tutto  rigore  di  termini, 
favoloso. 

Il  terzo  è  questione  affatto  particolare  di  gusti.  Che 
si  trovi  qualche  architetto,  a  cui  piaciano  li  ordini 
del  medio  evo,  anziché  quelli  dell'antichità,  può  darsi 
bènisshno:  strani  cervelli  ve  n'ebbe  in  tutte  le  sta- 
gioni. Ma  qualche  bizzarria  di  meno  o  di  più ,  basta 
dunque  alla  decadenza  o  alla  gloria  del  catolicismo? 

Il  quarto  significa,  che  lo  spirito  d'associazione  è 
riuscito  a  penetrare  anche  in  seno  alla  chiesa.  E 
nondimeno,  c'è  voluto  un  pezzo!  La  bella  idea  di  solK 
darietà,  figlia  del  progresso,  evangelio  dell'era  nuova, 
erasi  già  stabilita  e  difusa  nelle  società  politiche,  let- 
terarie, commerciali;  l'ultima  instituzione,  in  cui  essa 
penetrò,  fu  la  chiosa.  Ahi  meglio  tardi  che  mai.  Fino 
i  catolici  dunque  sono  in  via  di  progresso;  e  biso- 
gna dire  che  l'Umanità  progredisca  davvero,  poiché 
fa  camminare  avanti  i  gamberi  stessi! 

Il  quinto  ed  il  sesto  valgono  ancora  meno.  Lì  or- 
dini religiosi  e  le  opere  pie  non  sono  certamente: 
una  novità,  mentre  da  parecchi  secoli  formatto  il 
ffimo  principale  del  commercio  spirituale  e  tempo-: 


105 

ralc,  che  Montalembert  chiama  interessi  della  chiesa. 
Ma  appunto,  come  avviene  di  ogni  commercio,  fa 
d'uopo  adattare  le  mercanzie  al  bisogno  e  alla  moda, 
del  tempo,  ed  a  quelle  cadute  in  disuso  e  dimenti- 
canza sostituirne  altre  più  ricercate  dagli  avventori. 
Cosi  ha  fatto  sempre  la  chiesa  ;  e  però  le  nuove  con- 
gregazioni, che  il  conte  accennava,  non  provano  al- 
tro che  una  varietà  di  gusto  o  di  moda  nella  devo- 
zione de'  fedeli  e  nell'industria  del*  clero.  Se  non  che 
la  mercanzia  oggidì  ha  scemato  assai  di  valore  e  di 
richieste  ;  e  per  quanto  s'arrabattino  i  mediatori  è  lì 
operaj,  la  chiesa  non  arriverà  mai  più  ad  ordinare 
in  confraternite  ì  popoli  intieri,  come  li  teneva  ordi- 
nali ne' secoli  trascorsi. 

Ed  ecco  già  terminato  il  computo  delle  vittorie  in- 
teriori, degl'interessi  spirituali,  e  delle  grandi  con- 
quiste d'anime,  che  Monlalembert  attribuiva  alla  ca- 
tolica  religione.  Veggano  ì  lettori,  se  costui  sapesse 
quello  che  si  diceva,  allorché  prometteaci  di  mostrarq 
h  recrudescenza  della  fede,  V efflorescenza  della  carità;, 
veggano  se  codesto  trionfo  non  sia  anch'esso  una  de^  v 
risione  l  Ma  v'ha  di  peggio.  Egli  avea  nominato  ezian- 
(Jìo  la  vita  nuova  della  scienza;  óra,  dov'è  che  la  di- 
mostra? su  quali  documenti?  con  quali  ragioni?  Ohi 
perfino  l'audacia  di  un  Montalembert  ne  rimase  at- 
terrata. No,  egli  non  trovò  una  sola  ragione,  un  solo 
documento,  un  solo  pretesto  da  gettar  come  polvere 
negli  occhi  a'  suoi  lettori.  Della  scienza  moderna  non 
una  parolai  E  tuttavia,  era  ben  questa  la  pietra  del 
paragone,  a  cui  si  doveva  appellare  ;  questo  era  il 
criterio  supremo,  con  cui  si  potea  risolvere  in  un 
modo  ragionevole  e  irrefragabile  la  nòstra  questione. 
Perciocché  una  religione  è,  innanzi  tutto,  un  sistema 
4i  verità;  e  per  giudicare  se  queste  verità  siano  ere* 
date  e  professate  da  una  società  qualunque,  bisogna 


per  la,prima  cosa  vedere,  se  sieno  desse  la  legge  della 
sua  vita  intellettuale,  cioè  della  scienza.  Ora,  la  scienza 
moderna  attinge  ella  i  suoi  primi  principi  e  le  sue 
ultime  ragioni  dalla  teologia  della  chiesa?  Il  vero  car- 
dine del  problema  sta  tutto  qui.  Se  sì,  la  tesi  di  Mon- 
talembert  è  vera,  e  la  nostra  falsa;  se  no,  la  nostra 
causa  è  vinta,  e  la  sua  perduta.  Ma  egli  stesso  non 
ha  osato  rispondere:  sì;  poiché  non  avea  pur  rom- 
bra  di  una  prova  della  sua  affermazione.  Dunque  siamo 
noi  in  diritto  di  rispondere:  no!  E  questa  sola  pa- 
rola manda  in  aria  tutta  la  sua  catolica  fantasmago- 
ria. La  chiesa  non  è  più  la  legislatrice  della  scienza; 
dunque  il  suo  simbolo  di  fede  non  è  più  la  religione 
del  secolo. 

Un  tale  raziocinio  ha  già  sfidato  la  logica  di  tutti 
li  apologisti,  di  tutti  1  gesuiti  passati,  presenti,  e  lù- 
turì;  ma  essi  fanno  il  sordo,  e  ripetono  sempre  im- 
passibili ed  intrepidi  le  loro  sciocche  declamazioni. 
E  per  ciò  che  spetta  al  conte  di  Montalembert,  il 
fatto  è  più  grave  ancora  e  più  vergognoso.  Perocché 
in  Francia,  da  oltre  a  ventanni  in  qua,  non  passò 
forse  giorno  che  queir  argumento  non  gli  fosse  get- 
tato in  faccia  da  qualche  libro  o  giornale.  Pure,  an- 
ch'egli  ha  taciuto  1  Ohi  cotesto  silenzio  è  ben  più  elo- 
quente che  tutte  le  ciance  del  suo  volume;  e  ci  ba- 
sta per  poter  conchiudere  fin  d'ora,  che  il  preteso 
trionfo  del  catolicismo  è  un  vano  sogno  o  una  so- 
lenne impostura.  No,  alla  vita  deirintelletto  europeo 
non  presiede  più  l'oracolo  della  chiesa,  ma  la  fece 
della  ragione;  e  però  alla  voce  del  papa  nonobedi- 
scono  più  le  idee  né  i  sentimenti,  non  s'inspirano 
più  le  anime  né  i  cuori;  si  piega  solo  qualche  ginoc- 
chio, si  scioglie  qualche  lingua,  si  vuota  ó  s'empie 
qualche  borsa:  ecco  tutto.  Laonde  il  catolicismo  non 
può  propriamente  dirsi  più  la  religione  d'altri  che 
di  coloro,  i  quali  per  ignoranza,  per  fanatismo,  o 


107 
per  ipocrisia  Bon  sono  pur  capaci  d'intendere  e  di 
sentire  che  cosa  sia  religione.  Tal  è  il  trionfo  che 
gli  riserbava,  toccata  appena  la  sua  metà,  il  se- 
cdoXIX(l)I 

(I)  Il  fatto  é  cosi  Ismptnte  e  palpabile,  che  i  più  fAnelici 
ooiori  del  risargimento  catollco*  li  stossi  gesuiti  —  i  tutto 
dire!  —  non  osano  dissimnlarlo,.  Ecco  alcnni  brani  di  vn  ar« 
ticolo  sa  i  pericoli  delia  fiducia,  che  neiraprile  del  1859  pti« 
blicava  la  Civiltà  Catoliea:  «Che  si  è  acqnistato, per  vitavo- 
«  stra.  In  qoesìX  nltimi  tempi  in  Europa?  Moltissimo  senza 

■  dobio,  se  si  riguarda  il  |iro  delle  cose  esteriori  e  pnbli- 

■  che.  —  Kondimeno,  con  l'ordine  materiale  restaurato,  al* 
f  meno  in  parte,  può  egli  dirsi  che  siasi  proveduto  a  tutto? 
B  11  difetto  di  quell'ordine  era  proprio  il  solo  morbo,  onde 

•  traTagliava  TEuropa,  talmente  che,  quello  ristabilito,  possa 
t  dM  che  r inferma  sìa  tornata  a  sanità  perfetta?  Noi  non 
t  crediamo,  e  nessun  uomo  dMntelletto  lo  crederà,  se  pure  è 

•  Tero,  che  1  sintomi  esterni  di  un  morbo  non  sono  propria* 

•  mente  il  morbo,  ma  ne  sono  segni  alla  stess'ora  ed  effetti. 
B  ^  La  società  odierna  travaglia  di  un  morbo  antico,  vasto, 
I  profondo,  che  le  ha  stemperati  li  umori,  e  per  poco  non 

•  dicemmo  le  ha  guasta  radicalmente  la  complessione.  —  Non 
I  sarete  si  semplice  da  persuadervi  bonamente  di  averla  gua- 

•  rita,  però  solo  che  la  vedete  tranquilla  un  poco.  A  conce- 

•  pire  qiulche  speranza  di  guarigione  vera  e  di  sanità  dn- 

■  ratara,  vuol  mettersi  mano  alla  radice;  e  solo  in  prof>or- 

>  sione  dei  mezzi  adoperati  a  curar  questa,  potete  allettare 

•  speranza  di  una  stabile  restaurazione.  0  non  ne  vedemmo 

•  noi  tre  o  quattro  di  restaurazioni  in  meno  di  mezzo  secolo? 

•  E  fallirono  esse  per  altra  ragione,  salvo  per  questa  sola, 
I  che  paghe  alla  superficie  tranquilla  non  si  brigarono,  o 

•  certo  non  si  brigarono  abl>astanza  per  cercare  la  radice  se- 

>  f^la  del  morbo  e  curarla  efficacemente?  —  Il  male  dimora 

>  nella  suprema  parte  di  ogni  convivenza:  nella  coscienza, 
1  cioè,  e  nelle  idee;  e  perciocché  queste  dan  norma  a  quella, 

■  può  dirsi,  senza  tema  di  errare,  che  propriamente  neiror- 
i  dine  Ideale  risiede  II  morbo.  —  Gettato  nel  mondo,  come 
t  fiaccola  di  discordia,  il  principio  del  libero  esame  e  della 
»  indipendenia  della  cagione,  ove  II  fnoco  non  si  appiceò,  se 


108 

Cosa  incredibile,  ma  veral  Anche  dopo  l'espressa 
dichiarazione  di  voler  considerare  la  religione  30U0 
il  rispettò  del  suo  movimento  interiore  e  della  con- 
quista delle  anime;  anche  dopo  il  formale  impegno 
di  farci  assistere  al  nuovo  incremento  della  fede,  della 
carilày  e  della  scienza  catolica;  il  signor  Montalem- 
bert  ha  il  coraggio  di  rinovare  quella  sentenza,  di 

■  ne  ricevettero  come  di  rimbalzo  i  biechi  riflessi;  e  basta< 

»  reno  due  secoli,  percliè  l'Europa  se  ne  trovasse  tutta,  dove 

»  più  dove  meno,  ma  senza  eccezione,  alterata  in  tutto  l'or- 

B  dine  ideale  ed  in  ogni  sua  appartenenza.  —  Siamo  oggimai 

»  divenuti,  nel  gran  corpo  delle  umane  cognizioni,  a  non  aver 

»  quasi  fibra  die  resti  intatta.  La  filosofia,  rifiutata  ogni  tra- 
».  dizione,  fatta  gioco  di  sistemi,  il  meglio  che  possa  darci  è 

»  un  dubio  ragionato  e  universale;  la  storia  da  tre  secoli,  di 

»  maestra  che  dovrebb*  essere  di  verità,  condutta  ad  essere 

»  strumento  di  partito,  ha  falsato  fatti,  ha  mentite  cagioni,  ba 

»  distribuite  rinomanze  immeritate,  ne  ha  depresse  meritalis< 

»  sime,  alla  sola  stregua  di  pregiudizi  elerodossi  ;  la  politica 

n  paganeggiata  ci  ha  fatto  trovare  nel  Segretario  fiorentino 

»  meno  un  satirico  che  un  maestro,  e  la  ragion  di  Stato  non 

»  ha  voluto  riconoscere  altro  principio  che  l'utile;  Teconomia 

»  sociale  ci  ha  messo  scientificamente  su  la  via  del  commu- 

»  nismo;  fino  la  letteratura,  le  arti  belle,  la  pedagogia  me- 

»  desima  nel  doppio  suo  objetto  di  educazione  e  di  insegna- 

»  mento,  non  sono  franche  da  queir  influsso;  é  la  proprietà 

»  e  la  famiglia,  quei  due  cardini  di  ogni  umano  consorzio, 

»  cominciano  ad  essere  oggetti  di  discussione.  —  Insomma 

»  voi  non  troverete  parte  alcuna  dello  scibile  umano,  specli- 

»  lativo  0  pratico,  che  non  si  risenta  di  tre  secoli  di  eiero- 

•  dossia,  0  prevalente  all'aperto,  o  flltrantesì  di  soppiatto 

»  Troverete  assai  raro  un  uomo,  che,  pur  pensando  e  scri- 

»  vendo  sensatamente,  non  si  mostri  tocco  da  queir  influssi, 

•  e  che  con  le  migliori  intenzioni ,  non  lo  volendo  neppure 
»  in  sogno,  anzi  volendo  espressamente  il  contràrio,  non 
»  isdruccioli  alcun  poco  per  la  china,  e  non  resti  leggermente 
»  impigliato  nelle  panie.  Tanto  é  universale  il  pervertimento! 
»  Tanto  ti  rende  imagine  di  una  infezione  atmosferica,  alla 
»  quale  è  somigliante  a  miracolo  il  potersi  sottrarre  (Voi.  IX).  • 


109 
dd  già  notai  la  seandalosa  contiradizione:  Lo  ripeto; 
tutto  ciò  che  noi  abbiamo  guadagnato  in  sì  poco  tcm-: 
pò,  ci  può  esser  tolto  ben  più  rapidamente  ancora; 
ed  aggiungo,  che  tutto  ci  sarà  tolto  sicuramente,  se 
noi  non  raddoppiamo  di  coraggio,  di  vigilanza,  e  di 
zelo  (1).  Ma  la  prima  volta  poteva,  alla  men  trista, 
scusarsi  rìfereadola  ed  applicandola  esclusivamente 
«grioteressi  esterni  o  temporali  della  chiesa,  che  pos- 
sono andar  suggettt  ad  ogni  vicissitudine  delle  cose 
umane.  Ora  poi,  né  codesta  meschina  scusa  lo  può 
salvare;  poiché,  egli  stesso  l'ha  dichiarato,  trqittasi 
propriamente  di  anime,  di  fede,  dì  carità,  di  scienza. 
Ebbene,  questo  furioso  profeta  del  partito  catolico 
per  la  seconda  volta  confessa,  che  tutto  quanto  ha 
guadagnato  il  suo  catolicismo,  lo  può  perdere  in  bre-r 
vissimo  tempo. 

E  la  rtgione?  La  ragione,  bench'egli  espressamente 
non  la  dica,  pure,  secondo  che  ricavasi  abbastanza 
dal  contesto  del  suo  discorso,  ei  la  riconosce  in  qua^ 
che  politico  mutamento.  Noi  dunque  avevamo  inter- 
pretato rettamente  il  suo  pensiero.  S\,  costui  non  ar- 
rossisce di  ridirlo  seriamente,  freddamente:  la  reli- 
gione, che  egli  adora  come  Tunica  vera  e  divina,  è 
un  appendice  di  qualche  governo,  lo  stemma  di  qual- 
che principe,  il  beneplacito  di  qualche  ministero.  Le 
verità,  che  la  scienza  catolica  insegua,  possono  dis- 
impararsi in  poco  d'ora,  e  basta  l'ordine  della  pò- 

(1)  Encore  nne  fois,  on  voudra  bien  croire,  quo  Je  ne  cède 
pas  aux  suggesiioDs  d'un  oplimisme,  qui  D'a  jantuis  été  inou 
déraut.  A  Dieu  ne  plaise  qu*on  me  soup^onDC  de  vouloir  en- 
dormir  les  cathotiques  dans  une  satisraction  beate,  dans  un^ 
sdcnrité  aveuglel  Je  le  répète,  tout  ce  quo  nous  avoiis  gagnè 
eo  si  pea  de  lemps,  peul  nous  étre  ente  ve  bien  ptns  rapfde- 
ment  encore;  et  j'ajonteque  ioat  nous  sera  ceriatoement  en* 
leve,  n  nms  ne  redoublons  toos  de  courage,  de.vìgilaftOB,  et 
d»  f|év«a«aieiit  (p$g;  H),  .« 


110 

llda  per  cancellarle  dairanimo  del  fedeli.  I  isentimeiitl, 
che  la  carità  catolica  inspira,  possono  estinguersi  In 
pochi  istanti,  e  basta  11  decreto  di  un'assemblea  a 
farli  dimenticare.  Le  credenze,  che  la  fede  catolica 
infunde,  possono  di  leggieri  sparire,  e  basta  la  ca- 
duta di  un  ministro  per  estirparle  via  dalle  coscienze. 
E  le  anime,  le  anime  stesse,  che  la  chiesa  catolica 
vlen  conquistando,  sono  in  balìa  de' governi,  i  quali 
gliele  possono  regalare  o  rapire  a  loro  talento.  Ah  1 
capisco  adesso,  perchè  il  clero  di  Francia  porga  in- 
censi e  benedizioni  al  Bonaparte:  lo  ringrazia  delle 
anime,  che  il  suo  governo  rimette  nelle  mani  della 
chiesa;  e  lo  prega  di  restituire  ai  battezzati  di  tutto 
il  suo  impero  la  fede,  la  carità,  e  la  scienza,  di  cui 
altri  governanti  li  avevano  empiamente  spogliati.  Il 
Bonaparte  è  lo  Spirito  Santo  della  chiesa  nioderna  II... 
E  in  verità,  l'una  è  ben  degna  dell'altro. 

Noi  intanto  pigliamo  nota  della  preziosa  confessione 
di  Montalembert.  Essa  conferma  in  un  modo  auten- 
tico e  quasi  offìciaie,  a  qual  estremo  sia  ridutta  la 
santa,  catolica,  apostolica,  romana  chiesa.  Perciocché, 
nei  giorni  della  sua  potenza,  ella  usava  comandi  e 
non  suppliche,  fulmini  e  non  adulazioni;  ella  sfidava 
arditamente  le  porte  dell'inferno,  e  credea  fermamente 
che  non  potrebbero  mai  prevalere  contro  di  lei.  Or 
ha  mutato  stile  e  linguaggio.  Divenuta  un  partito, 
assai  debole  e  tapino,  ha  scambiato  la  fede  con  Tin* 
trìgo,  la  carità  con  la  borsa  :  la  sua  esistenza  pende 
tutta  dalle  notizie  quotidiane  delle  gazzette.  Aveano 
dunque  ragione  i  filosofi,  che  predissero  vicina  ed 
imminente  la  fiuQ  del  catolicismo;  e  l'hanno  adesso 
i  razionalisti,  che  lo  trattano  da  cadavere,  e  gli  an- 
nunziano già  scavata  la  tomba,  in  cui  dalla  prossima 
rivoluzione  verrà  sej^lto.  Se  qualche  dubio  ci  potea 
rimanere  intorno  alla  riuscita  dell'estrema  lutta,  che 
ferve  tra  il  secolo  e  la  chiesa,  Montalembert  ce  l'ha 


Ili 

sgombrato.  Si  rassicurino  li  amici  della  deipocrazla 
ed  i  soldati  deiravvenìre:  tutto  ciò,  che  il  catolicismo 
ha  guadagnato^  gli  si  può  togliere  in  un  momento. 
Esso  è  dunque  nelle  nostre  mani:  sonata  Torà  dei 
pt^li,  la  democrazia  liquiderà  1  suoi  conti,  e  li  ar- 
clieologl  avran  la  cura  della  sua  memoria  e  de' suoi 
monumentL 

Dopo  una  dichiarazione  così  esplicita,  chi  crede- 
rebbe tuttavia,  che  il  conte  academico  osasse  ancora 
parlare  del  movimento  di  rigenerazione,  che  ringiovani- 
ir« la  chiesa  (1)?  Pure  è  così;  egli  tira  innanzi  per  la 
sua  via,  e  pretende  sostenere  in  quello  stesso  capitolo, 
che  it  catolicismo  solo  ha  profittato  delle  crisi  della 
società,  moderna  (2}.  Esempio  di  una  monomania  o  di 
una  imbecillità,  piuttosto  unica  al  mondo  che  raral.... 
Egli  adunque  passa  ad  instituire  un  confronto  tra 
la  chiesa  ed  i  suoi  avversari  o  rivali  (3);  e  sicuro 
del  fatto  suo,  grida  :  Io  domando,  che  mi  si  dica  ove 
sono  le  potenze  nemiche  o  semplicemcìUe  rivali  della 
chiesa  (4)?  E  la  risposta,  che  fa  a  sé  medesimo^  me- 
rita di  essere  conosciuta  come  un  modello  della  dia- 
lettica, con  cui  discorrono  li  odierni  apologisti. 

Dopo  le  tutte,  che  riempirono  la  storia  del  mondo 
per  sessanV  anni,  di  tutte  le  forze  eh* erano  in  piedi 

(I)  Mais  C6  qn'on  n*a  pas  vu,  du  moins  depuis  deax  sie- 
de», c'est  un  iDouvement  de  régénération  et  de  rajennisse- 
meoff,  comme  cela!  que  nous  venons  de  résnmer  (pag.  57). 

(9)  Le  calholtcisme  a  seni  profilò  des  crises  de  la  société  mo- 
derne (pag.  66). 

(S)  Dans  les  laUes  entre  diverses  puissances,  on  ne  pent 
mesnrnr  l*élendue  de  la  victoire  qoe  par  le  degré  de  la  cbiite 
des  adversaires  oa  des  rivaux  de  la  puissance  qui  triomphe 
a»r.  67). 

(4)  Je  prie  qn'on  vaaille  bien  me  dire,  où  en  sont  les  puis- 
sancei  eonemies,  oa  simplement  rivales  éè  VégXìs»  (pag.  57). 


112 

nel  1789,  quali  sono  quelle  che  4i  trovano  aver  gua- 
dagnato qualche  cosa,  all'ora  in  cui  siamo?  Ve  n'ha 
due  :  la  rivoluzione  e  la  chiesa.  Ma  da  esse  in  fuori, 
Nessuna.  Sarebb'egli  per  avventura  il  protestantesimo? 
No.  La  filosofia?  No.  Il  potere  temporale?  No.  Il  li- 
ieraìismo?  No,  mille  volte  no  (l).  Ora  cavatemi  un 
po',  se  vi  da  l'animo,  qualche  costruito  ragionevole 
da  cotesto  gergo.  Prima  di  tutto,  che  cosa  intende 
Il  signor  conte  per  rivoluzione?  Non  lo  dice  mai,  e 
per  la  buona  ragione  che  non  Jo  sa.  Costui  possedè 
untarle  veramente  singolare  «  màravlgllosa:  schic- 
cherare un  llhro,  senza  capire  quello  che  si  dice,  né 
saper  quello  che  vQgFia  dirsi!  Imperocché  la  rivolu- 
zione, di  cui  riconosce  anch'esso  la  forza  ascendente, 
jche  altro  è  mal  se  non  appunto  l'esplicazione  logica 
è  r  appRcazione  reale  di  quei  princlpj,  il  cui  germe 
era  portato  in  seno  dalla  Riforma,  fecondato  dalla  filo- 
sofia, educato  dal  liberalismo?  Dunque  F ammettere 
un  progresso,  un  Incremento  della  rivoluzione,  torna 
jpreclsamente  lo  stesso  che  riconoscere  compiuta  l'opera 
della  Riforma,  della  filosofia,  e  del  liberalismo;  e  riesce 
tanto  assurdo  il  separare  la  causa  di  questi  tre  ele- 
menti, generatori  della  rivoluzione,  da  quella  della 
rivoluzione  medesima,  quanto  sarebbe  assurdo  11  di- 
videre le  varie  età  dell'uomo  dalla  sua  vlta^  o  le  di- 
Verse  membra  di  un  corpo  dal  corpo  slesso.  La  ri- 
voluzione progredisce?  Dunque  1  prlncipj,  che  erjano 
destinati  solo  a  splanarle  il  cammino  e  a  darle  un 

(l)  Après  les  lultes  q^li  ont  rcmpli  l'iiisloire  du  mondo 
pendant  soixanl^  ans,  de  loutós  Ics  forccs  qui  éiaienl  debout 
cn  1789,  quelles  soni  cell^s  qui  se  trouvenl  avoir  gagné  quel- 
flue  chose  a  Tbeure  où  nous  somìnes?  Il  y  en  a  deux:  la 
revolution  et  l'église.  Mais  en  dehors  d'elles,  point.  Serait-co 
par  hasard  le  protestantisme?  Non.  La  philosophie?  ìion.  \j^ 
pouvoir  lemporel?  Non.  L*  Ubéralisxne?  ^'oii,  millfi  fois  «oo 
i^^.  hi). 


11^ 

pruno  imiNilao,  devono,  cedendo  il  Ivogo,  tragfor-* 
Bsursl  in  altri  capaci  di  regolare  il  nuovo  andamento 
esoddisfere  a' nuovi  bisogni  deHa  società.  E  viceversa, 
le  idee,  che  aveano  gettate  le  prime  basi  e  avviati' 
i  primi  passi  della  rivoluzione,  vanno  scomparendo» 
e  trasformandosi  in  altre  pin  vaste,  più  profonde,  più 
ooraprensive?  Dunque  la  rivoluzione  lia  progredito, 
e  progredisce^  La  conseguenza  è  legitima  e  necessa- 
ria in  ambedue  i  casi;  salvo  die  nell'uno  s'argumenta 
daUt  caifione  air  effetto,  e  nell'altro  dall'effetto  alla 
dgione. 

0  protende  forse  Montalembert,  che  la  rivoluziono 
<kU)a  avanzare,  e  svilupparsi,  e  ingigantire,  stando 
pwò  senq^  Immobili,  imperati,  infiuitlii  i  suoi  el»-> 
nmii?  Ma  questa  subline  teorica  può  darsi  che 
piada  al  gran  genio  di  coloro,  che  abominano  quali  in^, 
mxhtU  deWùr^fogUù mod$mo,  linfalliìnlità iella ra* 
pam  iMiMma,  la  $cio(ca  eresia  iella  perfettibilità  in-* 
iifmta  ielVuoma,  la  eonsacrOiione  ieiVituBiiia  Matta 
il  mme  d' egtuii§lian$af  l'idahUria  iel  numero  eatla 
il  nome  di  suffragia  WMÌter$(Ue  e  ii  eovramtà  del  p^ 
pah  (1);  poidiò  questi  pellegrini  intelletti  non  co- 
Mscono  miglior  aHmento  che  Tassardo  e  la  centra** 
4iàooe.  E  Montalembert  è  del  bel  numero  uno/  Egli 
erede,  ehe  hi  pianta  debba  crescere,  senza  che  ve^ 
nm  mutamento  succeda  nelle  radici  e  nelle  foglie; 
erede,  ehe  Tuomo  debba  giungere  alla  virilità,  senza 
<te  avvenga  nessan  aumento  delie  membra,  delle 
fene^  e  delle  facultà  del  bambino  ;  crede,  che  debba 
grandeggiare  il  tutto  senza  alcun  ingrandimento  delle 
parti;  crede  insomma,  che  debba  ottenersi  il  produtto 

(1)  iDTeDlions  de  PorgueU  moderoe,  rinfailUbiUié  de  la  rai- 
MB  hnmaine,  la  solle  hérésfo  de  la  perrectibllité  indéfinie  de 
Itiomme,  la  eonsécraiion  de  Tenvie  sous  le  nom  d'égalité,  11- 
delàirie  dv  nonbre  soas  le  nom  do  saflTrage  unWerMl  et  de 
ioaveralnelé  da  peupte  (paf .  70). 

L  8 


114 

seDza  i  fattori I  il  fiiiè  sènza  i  mezzi,  rèffettò  senza 
la  cagione^  È  una  gran  testa  quel  conte!  Ciò  che 
gli  sta  a  ciioi^,  non  è  la  verità,  ma  il  dogma;  non 
è  l'errore  òhe  gli  dia  fastidio,  ma  Feresia:  purché  i 
preti  gli  possano  dare  una  buona  patente  di  orto- 
dosso» egli  si  tien  beato.  E  tal  sia  dlluit  Ma  si  come 
^gli  ha  i  suoi  gusti,  dovrebbe  tolerare  che  anche  li 
altri  avessero  ì  loro.  Io  per  me  confeisso  che  ragio- 
nando s^uo  un  metodo  tutto  contrario  al  soo.  Ne)- 
V^ame  di  una  proposizione  mi  prème  di  ved^e,  non 
già  se  sia  un  dogma  o  un'eresia  —  di  dogmi  e  di 
eresie  lasòlo  piatire  i  teologi  —  ma  ^e  sìa  una  ve- 
rità o  un  errore:  niente  più  e  niente  menOi  È  ve- 
rità? io  r abbraccio.  È  errore?  io  la  rigetto;  né  mi 
do  un  pensiero  al  mondo  dell'approvazione  o  disap- 
prOvaftone  delle  eurte  vescovili.  Laonde,  per  restrin- 
germi al  caso  nostro,  io  credo  alla  perfettibilità  in- 
definita deiruomo,  che  Montalembert  gentilmente 
battezza  di.  sotte  kérésie^  perchè  è  una  verità;  e  ri- 
getto il  principio  opposto^  ch'egli  reputa  sicuramente 
un  articolo  di  fede,  perchè  è  tm  errore/ 

£  qual  ipbrtento  di  errore  sia  qoesto,  ce  lo  ha  sve^ 
lato  11  conte  medesimo  don  quella  vena  inesauribile 
di  assurdi,  che  sgorga  dalla  sua  dicerìa»  No,  noi  non 
segreghiamo  la  rivoluzione  dalla  Riforma,  né  dalla 
filosofia;  né  dal  liberalismo  (quanto  al  potere  tempo- 
rak^  l'intenda  ehi  può,  che  égli  non  s'intende  di 
certo).  La  Riforma  incominciò  la  rivoluzione  moderna 
scuotendo  ii  giogo  obbnolM'ioso  ed  oppressivo  dell' au- 
torità ecclesiastica;  la  filosofia  spinse  la  rivohiiSone 
più  avanti,  e  ruppe  l'altro  giogo,  non  men  duro  e  fune^ 
sto,  deirautorità  divina  ;  il  liberalismo  prosegui  l'opera 
della  filosofia  e  della  Riforma,  cercando  dì  trasportare 
la  rivoluzione  dal  campo  delle  credenze  e  delle  idee  su 
quello  delie  instìtuzioni  e  dei  governi.  Ma  i  mezzi 
termini  del  liberalismo  sono  già  sorpassati  dalla  mar- 


113 

da  irrrfreBabite  della  rivoluztoae»  la  quale  bckb  aveA«^ 
do  oggtHiai  più  mestieri  del  carattere  dì  protestante, 
eome  nel  secolo  XYI;  né, di  fdosoika,  còme  nel  XYIII;^ 
oè  di  liberale^  come  nella  prima  parte  del  XIX  ;  piende» 
il  carattere  ed  il  nome,  che  meglio  esprimono  le  tenr^ 
denze  della  seconda  metà  di  questo  secolo,  e  s'intitola, 
democratica  sociale. 

Se  questa  legge  storica  sia  per  la  chiesa  un  do^ 
gm  o  un'eresia,  c'importa  poco:  quello  che  o'im^ 
porta  jsi  è,  che  essa  spiega  in  un  modo  plausibile  e 
soddisfacente  i  fatti  capitali  della  storia  moderna, 
senza  cadere  ìa  alcuno  di  quelli  assurdi ,  che  V  or^ , 
todossia  venera  quasi  artic(^i  di  fede*  Quando  adun- 
que il  signor  Montalembert  si  sbraccia  a  provare,  che 
il  protestantesimo,  caduto  al  grado  di  semplice  nega- 
2Ì0KB,  non  è  guari  pik  preso  in  tu'l  serio  da  nes- 
smio  (1);  non  s'accorge  che  tratta  la  nostra  causa? 
Yero  è  che  la  tratta  co  '1  suo  proprio  stile,  cioè  eoo 
bugie,  impertinenze,  e  calunnie^  di  cui  gli  abbando*- 
siamo  esclusivamente  tutto  il  merito  ed  il  profitto; 
ma  in  fine  de' conti,  quell' asserire  che  in  Allemagna 
ìa  Bibbia,  che  Lutero  vantatasi  bavere  scoperta,  è 
rigettata  come  un  tessuto  di  imposture  o  di  miti,  da 
molti  di  coloro  che  si  spficciano  per  li  eredi  diretti 
di  Lutero,  e  che  rempiono  {e  catedre  delle  chiesa  ri-r 
formate  (2).;  che  in  America,  come  in  Inghilterra, .  /• 
tila  4*  è  ritirata  da  quella  frazione  del  protestantesimi^ 
che  si  qualifica  di  ortodossa,  per  rifugiarsi  neUe  sètte 
disidenti,  presso  li  avversar]  dichiarati  d' ogni  disei^ 

(i)  La  prolestanlisme,  lombé  aa  ntng  de  siinpie  iiég»tion« 
n*egt  plus  gaère  pris  aa  sérictix-par  pcrsonne  (pag.  hl'^^)4 

(9)  Kn  AllemagM»  Ja  Dibte,  (|m  LHiber  sn  vantait  d'avoir 
Ateoorerte,  est  rejeiée  cornili*  un  lissn  d*impo6lures  «q  dd 
nyUiefl  fóìr  bcaoeonp  de  cmix,  <|iir  se  porlent  pear  les  hórU 
liers  direcis  d«  Luther,  et  qui  rempUssepI  les  chaif«t  de» 
éflises  riformécs  (pag.  i%). 


116 

j»KfM^  mai  d*999i  HvékzioM  (1);  che  in  éomÉitV 
cosi  Id  America  e  in  Ifighilterra  come  la  Gcrmetiiav 
la  dottrina  della  Riforma  non  ferve  più  che  di  punto 
di  panenza  ai  raxionaiiemo  e  alla  democrazia  (S); 
egli  è  uà  confermare  espressamente  la  nostra  teorica. 
Se  v'ha  qui  nulla  che  debba  recar  maraviglia,  si  è 
rimpareggìabile  stoltezza  di  Montalembert,  il  qfuale, 
per  combattere  il  protestantesimo,  non  s'avvede  che 
ne  fa  Telogiò  ;  poiché  mostrando  commesso  venga  tras- 
formandosi in  razionalismo  e  democrazia,  prova  come 
abbia  servito  al  progresso  della  rivoluzione,  cioè 
come  abbia  raggiunto  il  suo  scopo  e  adempiuta  la 
sua  missione.  E  questo  è  un  fare,  non  mica  il  pro- 
eesso,  ma  il  panegirico  di  un'  institnzione  qualunque, 
reBgiosa  o  civile,  pollUoa  o  sociale  che  sia. 

Peggiore  nondimeno,  se  è  possibile,  parmi  il  con- 
tegno deiracademico  in  quelle  poche  linee,  che  s'ar- 
rischiò di  dedicare  alla  filosofia.  Qui  non  è  più  uà 
dechunatore  che  sproposita,  ma  un  frenetico  che 
delira.  Uditelo.  La  filosofìa  t  Non  insultiamo  al  suo 
affanno;  ella  sta  su  la  difensiva,  e  cerea  di  farsi  di^ 
meniicare.  In  Francia  essa  tace.  In  Àllémagna,  sotto 
i  discepoli  di  Hegel,  è  caduta  neWateismo  (3).  £  con 

(1)  En  Amériqae  cornine  en  Angleterre,  la  vie  t*estreUrée 
ile  cene  fracilon  da  protestantisme ,  qnì  se  qnalifle  d*oHho* 
éoxe,  et  qai  a  eofiaervé  une  ombre  d'organlsaUon  hiérarchi- 
qa»,  pour  se  réfugler  dans  les  seetes  dissldentes,  chac  les 
adversaires  déclarés  detoule  disciplilie,  et  aaéme  de  tonte  ré- 
yélation  (pag.  5S). 

(2)  Corame  en  AllemagDe,  la  doclrine  de  la  réforme  ne  sert 
plus  que  de  point  de  départ  aa  rallonalisme  et  à  la  détoo- 
craUe  (pag.  5S). 

(a)  La  philosophkel  N'insoUoiia  pas  à  sa  détresse;  elle  se 
ttent  sur  la  défensive;  elle  eherclie  à  se  falre  ooUier*  Bn 
Prance  elle  se  tait.  Ed  ^Altemagae,  soua  les  disciplea  de  He* 
gel,  eUe  est  lomMe  daoa  i*athéisme  (peg.  69). 


117 
eiò  è  detto  tutto  (  Bimane  con  olò  solo  {«"ovato  e  di- 
mostrato, che  à9L  filosofia  dal  1789  in  poi  aon  Imi 
fatto  altro  che  cadere  àemi»'e  di  abisso  in  abidso; 
tatti»  «he,  dopo  sessantatrè  anni  di  precipizio,  un  M 
giorno  scoB^rve  finalmente  da]  mondo,  e  non  k 
trova  piùl....  Ma  ehi  lo  prova,  chiederan  taluni,  chi 
lo  diflioBtfìi?  Mofitalembert.  E  quali  fatti  adduce?  La 
sua  parola.  Quali  testimoni  cita?  Isttoi  occhi.  QaaM 
ragioni  allega?  La  sua  asserzione.  E. non  ba^a? 

Che  possa  bastare  a  quelle  pecore,  di  cui  si  com^ 
ixme  il  vostro  gregge,  non  mi  stupirebbe,  signor 
conte;  giacché  il  pastore,  per  quanto  sia  bestia;  ha 
par  sempre  per  sé  un  incomparabile  vantaggio:  egU 
solo  maneggia  la  verga  e  possedè  la  parola.  Ma  lu^- 
singarvi  che  debba  eziandio  bastare  a  coloro,  che 
non  appartengono  al  vostro  pecorile,  è  tale  un  in^ 
salto  al  Publico,  ^e  non  poteva  aspettarsi  fuorché 
.da  voL  Oh!  la. temerità  del  ciabattino  ateniese  è  un 
prodigio  di  modestia  al  paragon  della  vostra.  Voi  osa^ 
citare  al  vostro  tribunale  la  filosofia!  Voi^esandnarla  ì 
Voi  accusarla  l  Voi  pronunciare  contro  di  lei  una  sen- 
tenza ed  una  condannai  Eh,  pover-uomo,  per  aver 
an  motivo  da  compatirvi  supporrò  che  il  vostro  cer- 
vello abbia  dato  la  volta.  Che  se  dovessi  mai  credere, 
che  voi  favellate  da  s^no;  allora,  signor  conte,  mi 
converrebbe  adoprar  un  altro  linguaggio  e  trattarci 
come  voi  meritate.  Allora  vi  direi,  che  prìma  di  pr^ 
fiware  il  nome  sacro  di  filosofia,  dovevate  almeno 
mettervi  in  grado  di  intendere  che  cosa  ella  è,  e  che 
cosa  non  è.  Vi  direi,  che  la  filosofia  abita  una  re* 
gione,doveai  catoM  in  generale,  ma  a  voi  massinia- 
mente  è  interdetto  e  chiuso  l'ingresso;  poiché,  ci  fa- 
reale  la  figura  della  nottola  e  della  talpa-  Vi  direi , 
che  a  giudicare  i  filosofi  ci  vuole  un  filosofo;  e  voi 
Itela  QQ  retore.  Vi  <Srei,  che  p^r  dsdcorrere  di  filo- 
sola  m  ricbl^  una  ragione  libera,  a.  voi  ami  Ta- 


118 

vete;  un  sentimento  generoso;  e  voi  ne  mancate; 
«n  animo  indipendente,  e  voi  ne  siete  privo;  un*edu- 
eazione  spregiudicata,  e  voi  siete  sempre  un  allievo 
dèi  gesuiti.  Vi  direi,  che  per  apprezzare  le  vicende  e 
le  condizioni  stotlche  della  filosofia,  fa  d*uòpo  amore 
della  scienza,  e  voi  l'odiate;  rispetto  della  verità,  e 
vói  raborrlte;  culto  della  ragione,  e  voi  la  deridete; 
lede  neirUmanità,  e  voi  la  date  in  patrimonio  alla 
curia  di  Roma.  -^  E  potrei  seguitare  un  pezzo  di 
questo  tenore. 

Se  non  che,  le  vòstre  sole  parole  mostrano  abba* 
stanza  che  cosa  siate  voi,  e  la  vostra  logica,  e  la  vo- 
stra coscienza;  In  primo  luogo,  di  quale  filosofia  in- 
tendete parlate?  La  data  del  1789  accennerebbe  a 
quel  complesso  di  dottrine,  che  suole' commuhemente 
indicarsi  sotto  il  nome  di  filosofia  del  secolo  XVHI 
o  degli  enciclopedisti  ;  ma  allora  le  vostre  accuse  non 
sarebbero  che  goffaggini  e  indecenze.  Quella  filosofia 
oggidì  non  si  trova  punto  in  détresse,  non  ùtà  su 
la  difensiva,  non  cerca  di  farsi  dimenticare;  e  per 
una  ragione  così  semplice,  così  evidente,  che  dovrebbe 
capirla  perfino  un  conte  ed  un  oatolico.  La  ragione 
si  è,  che  quella  era  la  filosofia  del  secolo  XVIII,  lad- 
dove oggi  slamo  a  mezzo  il  XIX.  Ora  dovreste  sa- 
pere, che  la  storia  delle  scienze  ha  le  sue  età  suc- 
cessive e  progressive,  come  la  vita  degli  enti;  e  però 
le  dottrine  il  secolo  in  secolo  devono  modificarsi  e 
svilupparsi,  purgandosi  dei  vecchi  errori  ed  arric- 
chendosi di  novelle  verità.  Dunque,  allorché  voi  rin- 
facciate al  nostro  secolo  la  filosofia  del  secolo  passato, 
siete  così  ragionevole,  come  chi  rimproverasse  all'uo- 
mo le  debolezze  del  bambino  e  li  errori  del  fanciullo. 
Ditemi,  signor  academico,  di  qual  secolo  è  mai  la  fitoso- 
■  fia,  che  VI  ha  insegnato  a  ragionare  con  tanto  acume? 

In  secondo  luògo,  non  siete  voi,  che  dianzi  ci  avete 
f appreseritata  la  G^mania^  l'Inghilterra,  e  riraerlea 


1» 

sicoome  pi0iìe  d'uomin!,  che  hanno  rinunciato  a!  prin^ 
cipj  della  Riforma,  e  professano  dalle  pnbliche  tri- 
bana  il  razionalismo?  Ora  il  razionalismo  —  lo  stesso 
nome  ve  '1  dice  —  appartiene  alla  filosofia,  o  piut-^ 
tosto  è  desso  propriamente  la  filosofia  moderna.  Dun- 
que a  chi  dobbiamo  prestar  fede?  A  voi,  quando  ci  as-^ 
sleiirate, che  la  filosofia  ridutta  agli  estremi  si  tace; 

0  a  voi,  quando  n'accertate,  che  la  filosofia  medes!-^ 
ma,  guadagnato  a  sé  il  fiore  dei  protestanti,  fa  riso- 
nare della  propria  voce  Tuno  e  l'altro  emisfero? 

Inoltre,  che  significa  quell'oracolo  slbiUlno:  in 
Francia  essa  tace?  Intendete  la  filosofia  del  secolo 
scorso?  Ma  allora  il  senso  della  vostra  proposizione 
si  è:  li  uomini  già  morti  da  oltre  a  cinquant'anni 
non  parlano  più!  Ed  ecco  una  scoperta,  che  renderà 
ioffliorlale  il  vostro  nome.  —  0  intendete  la  filoso* 
fia  del  nostro  tempo?  Ma  allora  bisogna  fissare  unct 
data,  per  vedere  s'ella  tacia  davvero  o  se  favelli, 
Certo  non  direte,  che  abbia  taciuto  sotto  la  restaura- 
zione, né  sotto  Luigi  Filippo,  né  sotto  la  Republica; 

1  cataloghi  del  vostri  editori  vi  darebbero  da  sé  soli 
una  smentita.  Voi  dunque  non  potete  fatare  codesto 
silenzio  che  dal  2  dicembre  1851.  Ma  allora  con  qual 
nome  dovremo  qualificare  un  giudizio,  che  denomina 
tatta  la  filosofia  di  un'epoca  dal  silenzio  sforzato  e 
violento  di  pochi  mesi  (1)?  Con  qual  nome  dovremo. 

(i)  Il  libro  di  ilontalemberl  portava  la  data  del.  17  settcntr 
bfe  i852.-^  D'allora  in  poi,  la  filosofia  s'è  nobilmenie  e  lar-^ 
gaoieote  vendicata  anche  in  Francia  degli  oltraggi  di  Mon4a- 
lambert;  ed  ha  mostrato  ancor  una  volta  al  mondo,  che  n^ 
colpi  di  Stato,  né  imperatori;  né  imperi  valgono  più  ad  im-: 
porle  silenzio.  La  scuola  eclettica ,  la  sansimoniana,  e  più  di 
tutta  la  critica,  ban  continuato  a  parlare  come  prima  e  me- 
glio di  prima;  e  se  K^ontalembert  fc)sse  in  grado  dì  leggtre 
e  di  capire,  per  tacere  di  tanti  e  tanti  altri,  Renouvicr  e  Prou^ 
diurni  8eoUrebbe  (tuapto  fosso  ri^icgio  lo  scalpore  <:IVe(fiim«* 


.chiamare  un  uomo,  che  riafàccia'  alle  me  y{lti»e  ri0i- 
.  potenza,  mentre  appunta  loro  le  ginocchia  su  1  petto, 
,ed  il  coltello  alla  gola?  Signor  Montalembert,  io  non 
lo  dirò;  il  rispetto,  che  porto  a' miei  lettori  ed.  a  me 
stesso,  mi  vieta  di  chiamare  co  1  suo  nome  proprio 
un  uomo,  il  quale  discende  a  tanto  di  batssez»  e  di 
perfidia.  Di  voi  dovrebbero  arrossire  e  vergognarsi 
li  stessi  gesuiti  1 

.    Se  costui  tratta  così  indegnamente  la  filosofìa  del 
proprio  paese,  figuriamoci  come  vorrà  malmenare 
quella  degli  stranieri  1  Non  l' udimmo  già  a  senten- 
ziare, che  in  Germania,  sotto  i  discepoli  di  Begfii, 
.essa  è  caduta  nell'ateismo?  OhiTn  verità,  egli  è  uno 
spettaa^lo,  che  muove  più  a  nausea  che  ad  ira,  Tie 
,dir  costui  a  parlare  con  tale  petulanza  e  tale  di- 
sprezzo di  una  delle  più  dotte  nazioni  che  vanti  TU- 
.manltà,  e  dell'epoca  pia  eulta  che  conosca  la.  storia. 
L' ateismo I  e  sapete  voi,  conte  di  Montalembwt, 
che  cosa  sia?  Voi  usate  questa  voce  nel  significato, 
che  le  assegna  il  dizionario  catolico;  perchè  è  runico, 
di  cui  abbiate  notizia.  E  però  denunciat»  per  atei^oio 
,  qi^alunque  dottrina,  che  conchiuda,  non  già  alla  ne- 
gazione assoluta  di  Dio,  ma  alla  semplice  negazione 
del  Dio  papale.  Ora  il  vostro  Dio  papale  è  un  ente 
assurdo  e  mostruoso,  un  impasto  di  con  tradizioni  e 
d'errori,  un  abisso  di  favole  e  di  sofismi,  unità  trina 
0  triade  una,  divinila  umana,  o  umanità  divina,  ecc  ; 
e  quindi  può  accettarlo  bensì  la  vostra  fede,  che 
.  giudica  ad  occhi  chiusi  ;  ma  non  mai  la  ragione,  non 
la  scienza,  non  la  filosofia,  che  vc^liono  sapere  quello 

nava  del  preleso  silenzio  della  filosofìa,  fo  glielo  rimbeccai 
d^avanzo,  perchè  il  passalo  mi  stava  mallevadore  dell'avve- 
nire, e  la  storia  della  filosofia  e  della  Francia  ra*  aveva  ap- 
.  preso  a  non  disperare  mai  del  genio  dell'una  e  della  vHa  del- 
.  l'altra.  Ma  certo  il  fatto  ba  in  brove  superato  la  mia  aspetta- 
zione. 


m 

cte  pèDsanb,  die  tikono;  e  dke  fimno/Fer  voi  ndiiii*- 
qoe  sono  atei  tvUi  ì  filosofìa  tutti  li  sciensiali,  tutu 
coloro*  in  somma,  the  non  rog liono  rinunciare^  coin^ 
?oi,  airuso  della  propria  ragione.  E  aUòra  T  accusa 
d'ateismo,  che  voi  lanciate  atla  moderna  filosofia  te- 
desca, equivale  ad  un  magnifico  dogio;  poiché  vieti 
adirei,  cheli  Allemanai  professano  una  filosofia  ragio- 
nevole; una  filosofia,  ia  qiiale  non  crede  più  airas^ 
sardo,  che  voi  adorate  qual  mistero;  né  alle  favole, 
che  voi  venerate  quali  reahà;  né  odle  astrazioni,  che 
voi  traducete  in  sustanze;  né  al  miscuglio  dìnfinltb 
e  di  finito,  d'astratte  e  di  ccwtreto,  di  chimarieo  e 
di  sussistette,  onde  si  compone  quell'aborto  intellet- 
tivo, che  tra  voi  s'appella  metafisica  cristiana.  Ed  i 
filosofi  tedeschi,  cred'io,  ve  ne  sapranno  buon  grado; 
che  questa  volta  mentiUi  ut  initfuUas  tibi,  e  con  tutta 
l'intenziode  d'oltraggiarli,  voi  tendete  omaggio  al  loro 
merito  e  giustizia  al  loro  valore»  —  Se  poi  usaste  la 
Tooe  ateismo  nel  suo  vero  significato  filosofico,  in- 
tendendo pnHjMtamente  la  negazione  assoluta  di  Dio, 
.doè  deiressere,  allora  la  cosa  diventerebbe  più  seria, 
e  vi  correrebbe  l'obllgo  di  provarci,  Gome  i  dlsoepdi 
di  Hegel  abbian  potuto  filosofare  del  nulla!  Ma  con 
vd,  ^^ie  ai  cielo,  non  v'è  pericolo  di  dover  venire 
a  queste  strette.  Voi  nominate  Hegel  e  i  suoi  disce- 
poli, perché  ormai  tanta  é  la  fama  del  gran  filosofo 
e  della  sua  scuola,  che  il  nome  ne  é  penetrato  ezian- 
dio ne' vostri  conventi;  ma  il  ìiome,  già  s'intende, 
e  nulla  più.  Quanto  alle  dottrine  ardue  e  pro£(»de 
di  quei  filosofi,  (Àk\  pear  fera^,  signor  Montalembi»rt, 
le  non  sono  facendo  da  g^uitanti  ;  e  si  potrebbe  giu- 
rare d'avanzo,  che  voi, conte  academico,  non  avete 
mai  Ietto  e  non  siete  capace  d'intendere  il  fronti- 
spizio decloro  libri.  E  se  pur  il  diavolo  vi  avesse  mai 
tentato  a  pigliarli  in  mano,  e  voi  aveste  ceduto  alla 
tentazione  d'aprirli,  di  leggerli,  e  di  studiarli,  tanto 


133 

peggio  per  véi!  II  sa^^io,  che  néay«te  <Ìato,  fo-ebbe 
ancora  più  torto  al  vostro  cervello^  Abbiate  dunque 
giudizio  per  un'altra  fiata,  e  profittate  della  lezione  : 
non  impicciatevi  più  di  Hegel,  né  di  hegeliani,  né  di 
filosofia,  per  carità  t  Ad  un  uomo  della  vostra  taglia 
bastano  i  libri  del  conti  e  i  calculi  degFinteressi,  ov- 
vero il  leggendario  dei  santi  e  il  breviario  di  Roma  : 
snlùff  ne  ultra  crepidam,  tenetevelo  a  mente! 

La  parte  storica  e  dottrinale  del  vostro  discorso 
Intorno  alla  filosofia  comincia  e  finisce  nelle  quattro 
linee,  che  ho  testé  riferite.  Segue  ora,  al  vostro  so- 
lito, la  parte  retorica  o  declamatoria,  nella  quale  non 
slete  meno  valente  che  neiraltra:  Vi  sovvienegli  di 
que'  tempi  favolosi  quando,  or  fa  venticinque  anni,  si 
proclamava  alla  Sorbona,  che  la  missióne  della  fi l<h* 
sofia  era  di  stendere  una  mano  soccorrevole  al  genere 
umano,  per  ajutarlo  ad  elevarsi  più  alto  del  cristia- 
nesimo (1)?  Sì,  conte,  ci  ricorda  benissimo;  e  ci  ri- 
corda ancora  d'altri  tempi  meno  favolosi  e  meno  re- 
moti, non  di  venticinque  anni  fa,  ma,  per  esempio, 
solo  di  quindici,  anzi  di  dieci,  in  cui  non  pure  da 
qualche  catedra  della  Sorbona  e  da  qualche  apo- 
stolo deirecletti<!Ìsmo,  ma  da  cento  periodici  al  di,  e 
da  mille  lìb^t  allanno, e  da  un'eletta  schiera  di  filo- 
sofi d'altre  scuole  e  di  ben  altro  valore,  si  procla- 
mava qualche  cosa  di  più  e  di  meglio.  Si  proclamava 
apertamente,  che  voi  con  lutti  l  vostri  dottori  infel- 
lìbili  siete  un  branco  d'imbecilli  o  di  ciurmadori,  che 
traficate  Dio  e  le  coscienze  del  gonzi  a  vostro  solo 
vantaggio.  Si  proclamava,  che  il  vostro  Dio  é  il  ge- 

(i)  Mais  vous  souvìenl-il  de  ces  temps  fabuleux,  où,  i!  y 
a  vingt-cinq.  ans,  on  praclamait  en  Sorbonne  que  la  niission 
de  la  ph|!osophie  était  de  tendre  doucement  la  main  au  genre 
hitniain  polir  l'aider  à  Vélover  plus  haut  que  te  christiants^ 
Wtf(pag.  59), 


in 

nk)  adì  male»  T  autore  del  peocato,  Il  cartiefioe  del- 
l'uomo.  SI  proclamava,  che  la  Vostra  religione  non 
è  altro  che  la  mitologia  dei  pagani,  con  la  giunta 
d*un  po' d'idealismo  platonico  e  di  misticismo  orien- 
tale. Si  proclamava,  che  la  vostra  chiesa  è  una  so^ 
detà  d'usura],  Il  vostro  inferno- uno  spauracchio  per 
le  femìnette,  il  vostro  cielo  un'ìltuslone  ottica,  it 
vostro  simbolo  un'aberrazione  mentale,  il  vostro  culto 
ana  comedia,  la  vostra  morale  uno  scandalo,  la  vo^ 
stra  disciplina  una  barbarie.  Ci  ricorda  ancora,  quel 
die  è  più  curioso  ed  importante,  che  siffatte  opinlooi 
non  solamente  si  proclamavano  ad  alta  voce,  ma  si 
dimostravano  con  buone  ragioni  e  con  ottimi  docu«- 
menti,  di  guisa  che  s'aveano  guadagnato  Tassenso  di 
tatti  1  ceti  più  intelligenti,  più  culti,  e  più  illustri 
della  Francia.  CI  ricorda  infine,  che  le  convinzioni 
nzionaK  non  istanno,  come  le  credenze  catoliche,  alla 
mercè  di  un  uomo,  di  un  governo,  odi  un  accidente; 
e  che  però,  eziandio  dopo  il  colpo  di  Stato,  tutti 
quelli  uomini  perseverano  nelle  loro  dottrine  eoa 
tanto  più  d'energia,  quanto  è  più  fiera  la  persecu- 
Eione  che  11  minaccia.  E  panni  che  non  fareste  male, 
signor  Montalembert,  a  ricordarvene  anche  voi,  per 
Aon  aspettare  che  ve  lo  richiamino  alla  mente  co- 
loro stessi,  che  voi  stolidamente  credete  scomparsi 
dal  mmido, 

Fer  ciò  che  spetta  all'avvenire,  è  ihcìle  imaglnare 
die  pazzo  profèta  debba  essere  uno  storico  così  di- 
sennatò  :  Sarà,  se  io  non  m'inganno,  la  religióne  che 
stenderà  un  giorno  la  mano  alla  filoso^  per  calcarla 
dal  suo  discredito  presente  {!)',  Oh I  se  voi  stesso  non 

(1)  Ce  sera,  si  Je  ne  rao  trompe,  la  refigion  qui  lendra  qn 
jonr  la  roaln  à  la  phllosopbie  poar  la  tlrer  de  son  discródU 
actTOl  <pag.  59). 


Itt 

osade  aSermarlQ,  e  tì  contentate  di  un  HiDìdo  e  mò* 
desto  coBdfiìoBale,  bisogna  dire  che  il  caso  sia  ve* 
ramente  improbabile  e  disperato,  anzi  mateniatica* 
niente  impossibile  I  E  però  noi,  senE'alciina  esitanza, 
v'assicuriamo  che  voi  t>*  ingannate  ;  dacché  il  vostro 
vaticinio  è  un  assurdo.  Avete  già  riconosciuto  voi 
medesimo,  che  la  filosofia  abbattè  e  disfece  la  reli- 
4pone;  e  vorreste  ora,  che  ht  religione  stendesse  una 
mano  soccorritrice  aUa  filosofia?  Ma  dove  s'è  mai 
veduto  questo  miracolo,,  che  il  vìnto  soccorra  il  vin- 
citore, e  che  il  morto  accorra  in  ajuto  a  chi  Tha 
occiso  ?  Voi  ce  lo  annunziate  bensì  ;  ma  prima  di  cre- 
derlo possibile,  noi  attenderemo  d'averlo  veduto. 

E  pazienza  ancora,  se  per  religione  si  dovesse  in- 
tendeife  il  sentimento  religioso,  che  è  un  attributo 
naturale^  una  facultà  spontanea  del.  cuore  umano:  il 
vostro  pensiero  ammetterebbe  un'interpretazione  be- 
nigna e  sensata.  Ma,  no  signore,  voi  non  Fintendete 
cosi;  per  voi  religione  e  catotìeismo  sono  sinonimi 
perfetti.  Ora  prima  di  supporre,  che  il  catolicismo 
possa  un  giorno  porgere  amica  e  protettrice  hi  nuino 
alia  filosofia,  bisogna  ammettere  Tuna  delle  due:  o 
che  il  catolicismo  diventi  filosofico,  o  che  la  filosofia 
diventi  catolica.  E  Tuna  e  l'altra  ipotesi  involgono  una 
contradizione  formale  di  termini! 

E  quel  discredito  presente,  in  cui  per  vostro  av- 
viso giace  la  filosofia,  donde  l'avete  mai  appreso?  I 
testimonj,  a  cui  v'affidate,  signor  academico,  non  sono 
competenti.  Consultate  pure  i  gesuiti,  ma  in  materia 
d'intrighi;  i  domenicani,  ma  in  fatto  di  roghi;  i  cap- 
.  Puccini,  ma  su  l'arte  di  rubare  per  devozione;  i  ve- 
scovi, ma  in  questioni  di  spionaggio;  i  cardinali,  ma 
in  proposito  di  lusso;  i  papi,  ma  per  tutto  ciò  che 
spetta  alla  superba  co'  deboli  ed  alla  servilità  co' po- 
tenti. Qualora  però  si  tratti  di  filosofia,  che  diamine 
potrebbe  dirvi  tutta  quésta  gente?  Nel  suo  mondo, 


ifS 

il  dkcredito  della  filosofia  uon  ò  né  preittae,  né  più 
0  meno  antico,  ma  etemo;  poiché  fra  la  loro  teolo* 
già  catolica  q  la  filoBofia  razionale  corre  un' opposi*' 
zinne  essenziale/ perpetua,  assoluta,  ineliminabile, 
eome  quella  dei  termini  ddla  più  rigorosa  antinofflia. 
Se  dunque  bramaste,  signor  conte,  di  conoscere  le 
odierne  condizioni  della  filos(^,  e  l'influenza  ch'eser- 
eita,  l'effetto  che  produce,  il  favore  di  cui  gode,  Tef- 
ficacìa  che  possiede,  il  culto  che  se  le  rende;  la  cosa 
non  é  difficile,  ma  ad  una  condizione  tuttavia  sin& 
ftia  non  .-cessate  In  prima  di  essere  Montalembert.... 
Ci  rimarrebbe  a  vedere,  come  il  signor  conte  provi 
la  caduta  del  liberalismo;  ma  sarebbe  uno  sprecar 
il  tempo  e  la  fatica.  Che  cosa  egli  s'intenda  per  li-^ 
beralismò,  no  1  dice  mai  espressamente,  gii  é  véro 
—  le  definizioni  dispiaciono  terribilmente  ai  deck-' 
matorì  —  ma  dal  contesto  del  suo  ragionamento  ap^ 
parisoe,  ch'^i  denomina  così  il  sistema  dei  costituì 
aonali  o  dei  dottrinar],  ch'era  invalso  generalmente 
in  Francia  prima  del  48.  E  noi  abbiamo  annunciato 
innanzi  di  lui,  e  più  di  lui  ci  rallegriamo,  che  questo 
bastardo  sistema  abbia  finito  il  suo  tempo,  e  ceélutd 
il  campo  al  razionalismo,  al  socialismo,  alla  democra- 
sia;  o,  per  dir  tutto  in  una  parola  come  Montalem-^ 
bert,  alla  rivoluzione.  È  la  rivoluzione  che  uscì  sem-^ 
pre  più  forte,  più  vivace,  più  impetuosa  da  tutte  le 
trasformazioni  della  Riforma,  della  filosofia,  è  della 
lìbera,  com'egli  stesso  ha  dovuto  confessare.  Dun- 
que tutte  le  sue  ciance  intorno  alla  sconfitta  de' pro- 
testanti, de' filosofi,  e  de' liberali,  non  conchiudonò 
punto;  0  provano  soltanto,  che  la  rivoluzione  cam- 
mina, e  progredisce,  e  monta  senza  posa.  Tal  era  lai 
conseguenza  necessaria,  a  cui  mettevano  le  premesse 
del  conte.  Ma  la  sua  logica  non  bada  né  a  premesse, 
né  a  conseguenza:  ha  perduto  fin  la  memoria!  Su  '1 
principio  del  capitolo  ci  avvertì,  che  la  rivoluzione 


m 

avea  pure  guadagnato  ^ualdn  co«a  dalie  liitie  degli 
ultimi  tempii  onàe,  dopo  e^sta  la  dissoluzione  de-« 
gli  elpmeoti,  ch'egli  stima  perduii,  dovea  porre  a  tronte 
le  due  forze,  ch'egli  crede  ancora  jsuperstiti  e  vigo- 
rosa: la  chiesa  e  la  tiyolutione;  paragonare  i  gua^ 
^agni  rispettivi,  che  ciascunia  riportò;  le  rispettive 
perdile,  che  ciascuna  sostenne;  e  poi  aggiudicare  II 
trionfo  a  chi  l'avea  meritato.  E  invece  udite  la  con- 
tslusione^  a  cui  s'arresta  Montalembert :  Or  io  pre-* 
hndo,  che  la  rmm  totale  del  falso  liberalismo  (il  vero 
^l^rebbe  quello  probabilmente  che  piace  a  lui),  i7  qwale 
j^  éa  sì  lungo. tempo  il  rivale  o  V avversario  del  ca- 
iQlicismo,  crea  per  la  chiesa  il  più  grande  stato,  che 
-si.  possa  imaginare  per  lei:  e  che,  ritta  4  invulneror 
bile  fra  il.  protestantesimo  impotente  e  la  monarchia 
vacillante,  su  le  mine  della  ragione  insurta  e  della 
falsa,  libertà,  ella  diviene  agli  occhi  di  ogni  giudice 
imparziale  e  sensato,  la  più  grmdje,  per  non  dire 
runica  forza  dei  tempi  nostri  (l).  Chi  volesse  enu- 
taerare;  tutte  le  enormità,  che  si  contengono  In  que- 
ste parole,  non  ne  verrebbe  a  papa  con  un  volume. 
Coateotìamoci  di  due  o  tre  osservazioni. 
.  Qui,  signor  Montalembert,  attribuite  alla  .chiesa 
la  pltés  grande  situation  gu'on  puisse  révef  pour  elle  ; 
ma,  nell'altro  capitolo,- ce  1  avete  descritta  in  uoa 
Qondizione  aÌTatto  deplorabile  per  una  gran  parte  del- 
l'Europa.  Dunque  in  un  luogo  o  nelF  altro  voi  dite 

,(i)  Or,  je  prétends  que  Tavorlement.  compiei  du  faux  Ubé- 
rulisme  qui  a  été  depuis  si  longLemps  le  rivai  ou.l'adversaire 
du  caiholicisme,  crèe  pour  i*é^lise  la  plus  grande  situation 
qU'on  puisse  réVer  pour  elle;  et  quo,  deboul  et  invulhiérable 
cnlre  le  proieslantisme  impuissani  et  la  monarchie  vacillante» 
ièiur  les  ruines  de  la  raison  insurgée  et  de  la  faussé  liberto, 
«.Ile  deviente  anx  yeux  do  toui  juge  impaniai  et  seDsé,'la  plns 
grande,  pour  ne  pas  dire  la  force  uuìque  des  temps  aciuels 
il»»-  6»}.         • 


m 

il  falsò.  ^-^  inetire,  voi  adesso  rappresentate  la  éìiiesa 
éebaut  et  intulnén^bh;  e  allora  avete  riconosciuto  « 
che  se  in  qualche  paese  la  contìnua  a  reggersi  in 
piedi^ia  aKri  giace  al  suolo,  abbattuta,  legata,  co- 
perta di  piaghe  e  di  ferite;  Dunque,  ancora^  o  là  o 
qui  voi  non  dite  il  véro.  —  Da  ultimo,  voi  adesso 
argiimentate  così:  la  chieda  diviene  la  più  grande, 
anzi  l'unica  forza  del  tempo  presente,  poiché  venne 
meno  la  Riforma,  la.  monarchia,  la  filosofia,  ed  il  libo-* 
ralìsmo.  Ora  tutto  il  nerbo  ddl'argumento  consiste 
in  ciò,  che  Tenumerazione  delle  parti  sia  compiuta  > 
ovvero,  che  oltre  le  forze  da  voi  contrapaste  alla 
chiesa  e  date  per  vinte  e  disfatte,  lìon  ve  n'abbia 
qualcun' altra  debouty  e  se  non  invulnérable ,  almen 
piena  di  vita  e  d'energia.  Ma  questa  forza  esiste  ?  Sì, 
signore.  Chi  l'ha  det^o?  Voi.  E  qual  è?  La  rivolu- 
zione. Dunque  II  vostro  ragionamento  è  un  brutto 
sofòma.  A  ^onte  della  vostra  chiesa  s'^ge,  terribile 
ed  invincibile  gigante,  la  rivoluzione.  Essa  concentra 
in  sé  tutte  k  forze  parziali  de' movimenti,  che  l'ban 
preceduta;  essa  delle  armi  varie  ed  imperfette,  cho 
raccolse  via  via  dagli  eretici,  dal  filosofi,  e  dai  libe«* 
rati,  s'è  composta  una  nuova  armatura,  di  tempra 
cosà  fina  e  così  sdda,  che  sfida  impunemente  tutti  I 
vostri  colpi.  E  guaj  a  voi,  quando  prenderà  rofiensiva) 
Dopo  che  lo  smemorato  academico  ha  eretto  il 
trofeo  alla  sua  chiesa.  Indovinate  un  po' che  officio 
le  commette?  Ma  da  ciò,  che  la  ragione  fuorviata 
da  falsi  sapienti  (i  veri,  per  vostra  regola,  sono  i  ge- 
suiti) è  ronfusa  ed  umiliata;  da  ciò,  che  la  libertà 
tradita  e  disonorata  da  falsi  liberali  (sono  veri,  se 
no '1  sapete,  i  pinzocheri)  senibra  temporaneamente 
soppressa  ;  bisogna  forse  concliiudere,,  che  i  catolici  deb^ 
ba%Q  rimgare  la  ragione  e  sacrificare  la  liberta  (1)? 

(I)  Mais  de  ce  que  la  nison,  égaréc  par  de  faux  sages,  esl 
confondete  ei  huniilióe;de  ce  que  la  liberlé,  trahie  et  souUl^ 


m 

Scasate,  se  y'interrompo,  signor  Montalembert;  ma- 
questa  domanda  è  insiMisata.  No,  per  fermo,  e  i  ca- 
tolici  lo  san  meglio  di  voi,  non  è  adesso  che  devono 
vinega/r  la  ragione:  Y hanno  già  rinegata  da  un  pezzo I 
Non  è  oggi  che  devono  sacrificare  la  libertà:  T hanno 
già  sacrificata  da  tanti  secoli  l  E  voi  dubitate  ^  che 
vogliano  rifare  un'  opera  già  bella  e  compita?  — 
D'altra  parte,  qual  ragione  temete  che  rineghino? 
La  propria?  l  calolici  T hanno  deposta  fin  da  bam-^ 
bini  su'  1  battìsierio.  L'altrùi?  Per  buona  ventura  non 
istà  in  loro  pot^e.  E  parimente,  qual  è  mai  là  libertà^ 
che  potrebbero  sacrificare?  Non  la  propria,  perchè 
l'hanno  rimessa  nelle  mani  del  paroco;  nonl'altrUi, 
perchè  non  cade  sotto  il  loro  dominio.  Dunque  .voi 
con  quella  domanda  proponete  un  assurdo.  Ohi  an- 
date avanti,  signor  conte,  che  siete  una  eera  gloria 
del  vostro  partito  1 

Torno  ad  ascoltarvi:  Tutto  <U  contrario!  Oso  dìre^ 
che  è  il  momento  di  raccogliere  la  ragione  e  la  libertà 
con  rispettOy  di  riai^ir  loro  Vasilo  inviolabile,  dove 
Vnna  e  Valtra  possano  rifugiarsi,  purificarsi,  rifarsi^ 
occuparsi  delle  loro  ferite,  medicare  e  guarirete  loro 
piaghe  sotto  Vola  della  ccOolica  fede  (1).  Davveìro^ 
AignorMontalembert?  Parvi  egli  questo  il  momento 
di  far  tante  opere  buone?  Ma  sbagliate  un  poco  nella 
data;  sbagliate  solamente  di  parecchi  secoli  :  piccola 
bagatella  come  vedete.  Cotesto  momento  per  1  cato- 
liei  era  già  venuto;  ed  essi  non  hanno  aspettato  le 

par  de  faux  libéranx,  semble  temporairement  supprlmée,  en 
faut-il  conciufe  qne  les  eatboliques  doiv^nt  reoier  la  raison 
et  sacrifler  la  liberté?  (pag.  63). 

(i)  Tout  au  coDtraire!  J*ose  dire  que.  c*est  le  moment  de 
les  recueilllr  avec  respect,  de  leur  rouvrìr  rasile  ìnvlolableoù 
Tane  et  Fautre  penveot  se  réfugier,sé  pnriAer,  so  refahre, 
s'oecDper  de  leurs  blesiures,  panser  et  guérir  leurs  plaies 
ioni  ralle  de  la  f oi  catholique  (pag.  69). 


m 

vostre  perorazioni  per  darsi  tatti  a  quelle  opere  meri- 
torie; e  le  praticarono  con  tanto  zelo  ed  ardore,  cUe 
il  mondo  ne  rimase  attonito,  stupefatto.  E  voi  siete 
così  balordo,  che  T ignorate;  o  così  furbo,  che  fin- 
gete d'ignorarlo?  Sì,  il  catolicismo  raccolse  un  tempo 
nel  suo  seno  la  ragione  e  la  libertà;  ma  qual  gover- 
no ne  fece?  Alla  ragione,  l'anatema;  alla  libertà,  la 
morte  :  ecco  le  sue  prove  di  rispetto  per  Vuna  e  per 
VaUra!  Sì,  aperse  loro  un  asilo  affatto  inviolabile:  le 
galere l  accordò  loro  un  rifugio  più  che  sicuro;  il 
dmiterol  Sì,  le  purificò,  ma  nei  roghi;  le  rifece,  ma 
nel  sangue!  Sotto  Vaia  della  fede  catolica  la  ragione 
e  la  libertà  sarebbero  perite  d'inedia  o  di  tortura,  se 
l'Umanità  non  fosse  Immortale.  Quell'aia  venefica 
intercettava  loro  la  luce,  sottraeva  l'aria,  negava  l'ali- 
mento, consumava  la  vita;  e  dovettero  spennacchiarla 
per  levarsela  d'addosso.  Rotto  una  volta  il  giogo,  voi 
sperate  dunque  di  ripristinarlo?  Ma,  signor  conte, 
l'esortare  1  catolici  a  tanta  larghezza  e  generosità 
non  vale,  se  prima  non  vi  accertate,  che  la  libertà 
e  la  ragione  sien  preste  ancora  ad  aggradirla.  Oh! 
i  catolici,  vedete,  non  hanno  giammai  mancato  al 
loro  officio;  tengono  sempre  aperto  V asilo,  spalan- 
cato il  rifugio,  distesa  Vaia;  sono  pronti  sempre  a 
purificare,  a  rifare,  a  medicare,  non  solo  con  rispetto, 
ma  con  entusiasmo:  per  parte  loro  la  cosa  è  fatta 
sul  momento.  Voi  però  dimenticate  l'altra  parte, 
senza  di  cui  le  vostre  prediche  tornano  a  vuoto.  I 
carnefici  li  avete;  ma  avete  le  vittime?  Siete  voi  si- 
curo, che  la  libertà,  e  la  ragione  si  preparino  a  rien- 
trare sotto  Vaia  della  chiesa?  Dehl  prendete  migliori 
Informazioni;  non  chiedete  le  notizie  della  ragione 
agl'idioti,  né  quelle  della  libertà  agli  schiavi;  e  poi 
ci  risponderete. 

Vero  è^  elle  quanto  alla  ragione  voi  ve  ne  lavata 
le  man!  ^  e  ci  rimandate  per  la  risposta  a  due  dot* 
I.  9 


130 

tori  già  morii  da  lungo  tempo:  tt  problema  dell* al- 
leanza del  catolicismo  con  la  ragione,  con  la  ragione 
libera,  malgrado  la  coscienza  della  sua  infermità,  e 
umile,  malgrado  la  memoria  della  sua  origine  divina; 
quel  problema,  che  i  più  grandi  ingegni  della  chiesa, 
quali  S,  Anselmo  e  Bossuet,  hanno  sì  energicamente 
affrontato,  sì  mirabilmente  risoluto,,  e  che  par  sempre 
rinascere,  non  dee  preoccuparmi:  assai  d'altri  se  ne 
incaricherebbero,  se  facesse  mestieri  (1).  Questo  solo 
tratto  basterebbe  a  mostrare»  come  voi,  signor  dot- 
tore deirAcademia,  siate  inetto  a  capire  perfino  ! 
termini  delle  questioni  filosofiche  è  religiose,  in  cui 
si  travaglia  il  pensiero  moderno.  Ohi  parlateci  d'in- 
teressi e  d*  intrighi,  di  monache  e  d'ignorantelli,  di 
confraternite  e  dì  sacri  cuori,  fin  che  volete:  sono 
il  vostro  pane  e  la  vostra  beva;  ma  non  ficcate  il 
naso  nel  santuario  della  filosofìa  e  della  scienza,  pro- 
fano che  siete!  Se  voi  sapeste  che  voglia  dire  alteanza 
del  catolicismo  con  la  ragione,  non  avreste  mai  pro- 
ferita quella  bestialità,  che  il  problema  venisse  ener- 
gicamente affrontato  e  mirabilmente  risoluto  da  uu 
Anselmo,  che  meditava  nel  secolo  XI;  e  da  un  Bos- 
suet, che  predicava  nel  XVIL  Per  accordare  il  cato- 
licismo con  la  ragione,  bisogna  conciliare  le  dottrine 
della  Bibbia  e  i  dogmi  della  chiesa  con  la  scienza. 
Ora  riell'etàdi  Anselmo  le  scienze  propriamente  non 
esìstevano;  poiché  tutto  il  sapere  umano  consisteva 
nella  teologìa,  o  nel  trivio  e  quadrivio:  dunque  al 

(1)  Le  problème  de  ralliance  du  calholìcisme  avéc  la  raison, 
avec  la  raison  libre,  malgré  la  conscìefice  de  son  infìrmité,  et 
Immble,  malgré  le  souvenir  de  sa  divine  orìgine;  ce  problè- 
me, que  les  plus  grands  génies  de  réglise,  tels  que  Saint  An- 
Selma  et  Bossuet,  ont  si  énergiqnement  abordé,  si  admirabie- 
ment  résolu,  et  qui  scroble  loujours  renatlre,  ne  doit  pàs 
me  préoccBper  id:  assez  d'autres  8*eD  chargeratenti  8'il  y  avait 
licu  (pag.  «9-64). 


Ili 

dottore  catolico  mancavano  li  elementi  stessi:  del  pro- 
blema, li  stessi  termini  dell'alleanza  —  non  è  pos- 
sibile alleanza  dove  non  sono  avversar]  ;  —  e  quin- 
di, non  che  risolvere  la  questione,  ei  non  la  poteva 
né  affrontare,  e  né  anche  supporre.  E  similmente, 
nelFetà  di  Bossuet  alcune  scienze  non  erano  ancor 
nate,  e  le  altre  erano  appena  in  su  '1  nascere  :  dun- 
que la  soluzione  del  problema  a  lui  altresì  riusciva 
impossibile. 

Né  questo  giudizio  vi  sembrerà  punto  ingiurioso 
al  merito  di  que'due  grand'ingegni  ;  poiché  Tessere 
nati  in  un  secolo,  anzi  che  in  un  altro,  non  è  loro 
colpa.  E  potrei  pure,  se  la  cosa  ne  valesse  la  pena, 
sostenervi  che  Bossuet  particolarmente  fu  assai  lon- 
tano dallo  stringere  un'alleanza  reale  fra  il  catoli- 
cismo e  la  nascente  ragione  scientifica  del  suo  tempo; 
ma  non  voglio  mostrarmi  troppo  difficile  con  un  uomo 
del  vostro  calibro.  Ammettiamo  dunque,  che  An- 
selmo e  Bossuet  conciliassero  la  Bibbia  e  la  chiesa 
con  la  scienza,  qual  ch'ella  fosse,  del  loro  secolo.  E 
poi?  Ne  segue  forse,  che  voi  possiate  cantar  la  vit- 
toria, gridando  mirabilmente  risoluto  il  problema  filo- 
sofico religioso?  Secondo  la  vostra  logica,  può  darsi 
benissimo;  giacché  é  la  più  pazza  cosa  del  mondo: 
ma  davanti  al  senso  commune,  signor  no.  Quel  pro- 
blema rinasce  sempre,  non  solo  in  apparenza,  come 
voi  imaginate;  ma  in  tutta  realtà.  Ripaque  nel  sOr 
colo  XVIII,  e  non  fu  risoluto.  In  cambio  di  un'al- 
leanza fra  la  ragione  e  la  chiesa,  scoppiò  una  guerra 
tremenda,  implacabile,  che  terminò  co  '1  trionfo  della 
scienza,  rappresentata  dagli  enciclopedisti;  e  con  là 
soppressione  del  catolicismo,  prima  nelja  compagnia 
di  Òesù,  e  poi  nelle  pratiche  del  culto.  È  rioato  pure 
nel  secolo  XIX;  e  non  si  risolve.  La  pretesa  alleanza 
della  i-agione  con  la.  chiesa  mutossi  nuovamente  in 
un  conflitto  ben  più  grave  e  micidiale  del  passato. 


i3« 

Alllronia  di  Voltaire  successe  la  critica  dei  raziona- 
listi; all'eloquenza  di  Rousseau  la  logica  dei  panteisti; 
airerudizione  di  Freret  la  dottrina  degli  orientalisti  ; 
al  materialismo  dTlvezio  tutto  il  sistema  delle  scienze 
naturali;  alla  politica  di  Montesquieu  il  socialismo 
della  democrazia;  alla  rivolta  del  sentimento  la  ri-' 
voiuzione  delle  credenze.  Bel  guadagno,  signor  Mon- 
talembert,  che  la  chiesa  ne  ha  tratto  1  V'ha  certa- 
mente una  differenza  tra  le  condizioni  religiose  del 
secolo  passato,  e  quelle  del  presente  ;  ma  sapete  qual  è  ? 
È  questa,  che  allora  combattevano  contro  del  cato- 
licismo li  scienziati,  laddove  adesso  combattono  le 
scienze;  allora  dirigeva  l'attacco  la  satira  e  il  ri- 
so, adesso  la  ragione  e  la  coscienza;  allora  i  vostri 
avversar]  erano  esclusi  da  ogni  publico  officio,  re- 
spinti da  ogni  catedra,  costretti  a  nascondersi,  e  ri- 
duttl  a  convertire  la  critica  in  una  congiura;  adesso 
li  loro  campo  è  vasto  come  II  mondo,  libero  come 
11  pensiero:  nelle  università  più  famose  hanno  iloro 
arsenali,  nelle  catedre  più  rinomate  le  loro  tribune, 
negli  autori  più  celebri  i  loro  sacerdoti.  La  cosa  è 
giunta  a  tale,  che  un  professore  non  potrebbe  più, 
senza  rischiare  la  sua  riputazione  ed  esporsi  alle  beffe 
del  Publico,  modellare  le  sue  lezioni  su  le  norme  della 
teologia.  E  se  non  credete  a  me,  signor  conte,  fa- 
tene voi  stesso  resperimento.  Interrogate  un  cultore 
d'una  scienza  qualunque,  filosofica,  storica,  medica, 
fisica,  naturale;  chiedetegli  quali  sono  li  autori  ve- 
ramente classici,  tenuti  in  conto  di  maestri,  vene- 
rati come  1  genj  della  scienza;  e  vi  citerà  libri  e 
scrittori,  che  più  o  men  direttamente  vi  sono  nemici. 
Ecco  Talleanza,  che  la  ragione  moderna  contrasse  co'l 
catolicismo, 

E  voi,  signor  Montalembert,  a  chi  credete  d'imporne 
con  la  vostra  insolenza:  assez  d*autres  s'en  charge- 
rment,  ^V  y  avait  lieufE  chi  sono  questi  altri?  questi 


133 

molti  ove  8ono?  perchè  taciono?  perchè  non  scendono 
ìq  campo?  Debbo  figurarmi,  ch'essi  almeno  conoscano 
lo  stato  delle  scienze  un  po' meglio  di  voi;  e  allora 
sapranno,  che  non  solo  il  y  a  lieu  di  tentar  un 
nuovo  accordo  fra  la  ragione  ed  il  catolicismo,  ma 
v'ha  urgenza  e  necessita  somma  per  i  vostri  interes- 
si; sapranno,  che  la  parte  studiosa  e  eulta  della  pre- 
sente generazione,  pochissimi  eccettuati,  considera 
le  dottrine  della  chiesa  come  leggende  ad  uso  de' fan- 
ciulli e  delle  donnicciuole;  sapranno  per  loro  propria 
esperienza,  in  quale  discredito  sieno  caduti  publica- 
mente  dogmi,  misteri,  e  riti  catolici  in  tutte  le  uni- 
versità e  collegj  d'Italia,  di  Germania,  di  Francia,  e 
d'Inghilterra.  Perchè  adunque  non  mettono  mano 
all'impresa?  Su  via,  destateli  dal  loro  sonno,  scuo- 
teteli, e  lanciateli  tutti  contro  la  fortezza  capitale 
della  rivoluzióne,  la  scienza.  Eccitateli,  col  vostro 
bullario  e  con  la  vostra  Bibbia  alla  mano,  a  rifor- 
mare le  leggi  dell'astronomia  e  della  fisica;  a  correg- 
gere le  scoperte  della  fisiologia  e  della  chimica;  a 
rovesciare  le  dottrine  della  geologia  e  della  etnogra- 
fia; ad  annullare  li  sperimenti  dell'anatomia  e  della 
medicina;  a  distruggere  i  documenti  della  critica  e 
della  storia;  a  rifare  i  principi  della  logica  e  della 
morale;  a  creare,  insomma,  li  elementi  di  un'altra  ma- 
teria e  di  un'altra  natura,  un  po' più  catolici  che 
quelli  noti  ai  nostri  scienziati.  Noi  li  udiremo  volon- 
tierì;  e  poi  vi  sapremo  dire,  se  abbiano  adempito, 
0  no,  all'incarico  che  voi  proponevate  loro  come  pos- 
sibile, anei  facile  ad  efiettuarsi.  —  Oh  ciarlatani  1...» 
Sia  prudenza  o  modestia,  voi  però  ci  dichiarate 
schiettamente,  che  non  intendete  d'impicciarvi  punto 
nelle  faconde  della  ragione;  e  fate  ottimamente:  la 
ragione  vi  sarà  grata  di  averle  evitato  l'onta  e  la 
tortura  della  vostra  trattazione.  Ma  lo  stato  relatù>o 
degVintereasi  catolici  e  degVinteressi  della  libertà  mi 


131 

'sembra  meritare  uno  studio  urgente  e  severo.  Io  vo- 
glio consacrarci  tutto  quanto  mi  resta  a  dire  (1).  Fo- 
rerà libertà!  Per  lei  non  v'è  scampo:  la  dee  subire 
il  martirio  della  vostra  difesa  e  l'obbrobrio  dei  vostri 
elogj.  Noi  la  vendicheremo. 

(1)  Mais  la  sitvation  relative  des  latóréts  i^lholiqoes  et  des 
iDtéréts  de  la  liberté  me  semble  mériler  une  étude  urgente 
et  sérieose.  ly  veux  consacrer  tout  ce  qa'il  me  reste  à  dir« 
(pag.  63). 


CAPITOLO  QUINTO 


IL.    CATOLICISMO     E     LA     LlàEBTA' 


Comincerò  con  un'avvertenza,  che  mi  valga  una 
volta  per  sempre.  Montalembert,  come  tutti  i  mono- 
maniaci^  ripete  sino  al  fastidio  la  sua  idea  fissa,  che 
è  il  trionfo  della  chiesa.  Ora,  che  razza  di  farsa  egli 
sia  codesto  trionfo,  noi  l'abbiamo  appreso  dal  conte 
stesso;  e  quindi  sapiamo  già,  che  valore  debba  darsi 
alle  sue  cantilene,  senza  che  ci  tratteniamo  più  a 
correggerle  ad  una  ad  una. 

Egli  si  fa  strada  all'argumento  del  «uo  capo  quarto  (1) 
con  le  parole  seguenti  :  Jo  ho  stabilita  il  trionfo  del 

catolicismo ed  invito  tutti  i  catolici  scoraggiati  o 

inquieti  delVavvenire  a  domandarsi^  s'era  questo  che 
aveàno  predetto  per  la  metà  del  XIX  secolo  i  falsi 
profeti  della  fine  del  XYJJI  (2).  Prendiamo  nota,  per 
la  prima  cosa,  d'una  confessione,  che  qui  si  lascia 

(f)  Comment  le  eatboHcisine  a-t-H  vaincul  (pag.  64). 

{%)  J*al  constate  le  triomphe  du  calholtcisme....  et  je  convìe 
toiis  les  catboliques  découragés  et  inquiets  de  raveoir  à  se 
ttemander  si  c'est  là  ce  qa'avaient  pródit,  pour  le  miliea  da  XIX 
sièelei  les  faux  prophèles  de  la  fin  da  XVlll  (pag.  64). 


m 

sfugire<  Non  ttttti  i  catolici  sono  «iechi  come  luiy 
non  tutti  cantano  vittoria.  Y'ha  pure  degli  scorag-^ 
giati  ed  inquieti  deW avvenire :ìiLon\àìexùheri  lorica* 
nosce<  Dunque  il  trionfo»  di  cui  mena  sì  gran  vanto, 
che  cos'è  mai  ?  Che  cos'è  un  trionfo,  a  cui  non  pre^ 
stano  fede  li  stessi  trionfatori? 

M  certamente  a  rassicurarli  basta,  che  faciano  a 
sé  medesimi  la  domanda  ch^egli  propone.  I  falsi 
profeti,  cui  allude,  saranno,  giusta  ogni  verosimi- 
glianza, certi  filosofi  politici  della  prima  rivoluzione 
francese.  Ma  che  cosa  aveano  essi  predetto  per  la 
metà  del  secolo  XlX?  Il  conte  dovea  riferirlo  esat- 
tamente, intieramente,  con  le  loro  proprie  espressiO" 
ni:  allora  soltanto  sarebbesi  potuto  giudicare,  s'egli 
abbia  colto  nel  segno,  o  l'abbia  fallito.  In  quella 
vece,  egli  non  cita  nessuno,  non  cita  nulla;  e  si 
contenta  dì  qyei  termini  generali,  che  non  provano 
punto. 

Anche  ìa  data,  ch'egli  vuol  appuntare,  è  un  vano 
artificio  della  sua  sofìstica.  Perciocché,  o  la  prende 
a  rigore  matematico;  ed  allora  1."*  è  falso,  che  li 
scrittori  del  secolo  scorso  abbiano  fatto  alcuna  pre-^ 
dizione  per  questo  tempo;  giacché  non  erano  così 
stolti  e  forsennati,  che  presumessero  di  poter  fissare 
anticipatamente  l'anno  preciso  di  un  avvenimento, 
che  spiega  il  carattere  essenziale  di  tutta  un'  epoca 
delia  storia,  di  tutto  un  periodo  dell'Umanità  ;  2.*  ed 
è  falso  parimente  il  concetto,  assurdo  il  contenuto 
della  sua  scrittura;  poiché  egli  fonda  principalmente 
le  sue  ragioni  nei  frutti  della  rivoluzione  di  febrajo 
e  del  colpo  di  Stato;  e  né  il  48,  né  il  52  non  sono» 
salvo  errore,  la  metà  di  100.  —  0  per  lo  contrario 
la  piglia  con  quella  latitudine,  che  trattandosi  d'e- 
poche future  viene  sempre  sottintesa;  e  allora  le 
predizioni  de' filosofi  rivoluzionar]  parte  si  sono  già 
avverate,  e  parte  sono  evidentemente  vicinissime  ad 


«7 

avverarsi.  Che  cosa  avéan  eglino  predetto  in  sustanza? 
Che  il  secolo  XIX  compirebbe  F  impresa  cominciata 
dal  XVI  e  continuata  dal  XYIII.  Codesta  impresa» 
Montalembert  medesimo  ce  n'avvertiva,  è  la  rivolu- 
zione; la  quale,  nell'ordine  religioso,  chiamasi  razio- 
nalismo ;  neirordine  civile,  socialismo  ;  e  nell'  ordine 
politico,  democrazia.  Or  bene;  è  egli  vero,  sì  o  no, 
che  questi  principi  con  l'inoltrarsi  del  presente  se- 
colo vanno  propagandosi  rapidamente,  sì  che  già  fin 
d  ora  si  hanno  guadagnato  l'assenso,  la  fede,  l'entu- 
siasmo della  massima  parte  dei  popoli  inciviliti  d'Eu- 
ropa? Un  cinquant'anni  fa,  di  razionalismo  e  socialismo 
s'ignorava  perfino  il  nome  ;  l'idea  ne  fermentava  appena 
in  qualche  solitario  intelletto,  che  o  non  s'arrischiava 
ad  esprimerla,  o  esprimendola  sentiva  di  predicar  al 
deserto.  La  democrazia  poi  aveva  bensì  levata  la  sua 
bandiera  in  Francia,  inaffiandola  di  sangue,  coronan- 
dola di  gloria;  ma  restò  isolata:  li  altri  popoli  non 
la  conoscevano  ancora,  od  imparavano  a  conoscerla 
insieme  e  a  maledirla.  Nella  Francia  stessa  racco- 
glieva dintorno  a  sé  le  ire  di  un  popolo  furibondo, 
anziché  li  omaggi  di  un  popolo  convinto  ;  e  dato  giù 
il  furore,  rimase  bentosto  abbandonata  su'l  campo. 
Oggidì  all'opposto,  che  spettacolo  n'offre  l'Europa  ? 
11  razionalismo  è  la  base  di  tutte  le  scienze,  Ta- 
nìma  di  tutti  1  sistemi,  la  legge  di  tutti  i  pensa- 
tori. Esso  non  combatte  più  il  cristianesimo  e  la  ri- 
velazione divina  con  li  argumenti  negativi  del  vol- 
terianismo,  che  ne  attribuiva  tutto  il  merito  o  la 
colpa  a  qualche  libro  apocrifo,  a  qualche  pia  frode, 
all'impostura  dei  sacerdoti,  alla  paura,  all'ignoranza, 
alla  superstizione  dei  popoli,  e  ne  faceva  una  lunga 
e  immensa  aberrazione  del  gènere  umano;  ma  tratta 
l'origine,  l'incremento,  la  decadenza,  e  la  trasforma- 
zione di  tutte  le  religioni  come  fenomeni  naturali, 
la  cui  spiegazione  si  trova,  nella  filosofia  dell^Uma- 


1S8 

nìlà,  nella  legge  del  progresso,  nella  crìtica  della 
«toria.  Quindi  le  religioni  appariscono  tutte  della 
stessa  natura  :  la  suslanza  è  sempre  una  ed  identica 
in  tutte,  il  sentimento  deir infinito;  ma  variano  i 
simboli  e  le  forme,  in  cui  la  sì  traduce  e  s'incarna, 
perchè  rispondono  necessariamente  allo  stato  di  cul- 
tura intellettuale  e  morale  d'ogni  epoca  e  d'ogni 
nazione.  Ciascuna  religione  però  contiene  uno  stesso 
elemento  costante,  immutabile,  come  l'essenza  del- 
l'Umanità; ed  un  altro  elemento  vario  e  relativo, 
come  il  produtto  dell'  imaginazione.  Di  qui  ne  segue  : 

Che  il  cristianesimo,  in  quanto  è  un  sistema  religioso, 
non  diflferisce  sustanzialmente  dagli  altri,  che  V  hanno 
preceduto  : 

Che  tutto  quanto  v'ha  di  buono,  di  bello,  e  di  vero 
nell'idea  cristiana,  è  il  patrimonio  universale,  ina- 
lienabile della  ragione: 

Che  il  simbolo  evangelico,  ridutto  a  dogmi  dalla 
chiesa,  se  dee  dirsi  un  progresso  verso  il  politeismo 
greco  e  romano,  non  è  più  che  un  regresso  a  petto 
dell'odierno  razionalismo: 

E  che  la  chiesa,  destinata  a  servire  di  passaggio 
fra  l'èra  antica  e  la  moderna,  ha  terminato  l'opera 
sua  co'l  mèdio  evo,  e  dee  cedere  il  luogo  ad  una 
religione,  la  cui  forma  risponda  meglio,  alle  nuove 
idee,  che  reggono  le  menti  ;  alle  nuove  credenze,  che 
inspirano  i  cuori;  a' nuovi  bisogni,  che  travagliano 
le  nazioni. 

Nello  studiar  la  natura  di  questi  bisogni,  e  T or- 
dinamento civile  più  idoneo  a  soddisfarli,  consiste  il 
socialismo.  Il  quale  finora  è  piuttosto  un  sentimento 
che  una  dottrina,  lo  so;  finora  ha  più  l'aspetto  di  un 
ideale  che  dì  un' instituzione,  lo  so  pure;  ma  chi  po- 
trebbe ancora  metter  in  dubio  runiversalità,  l'energia 
di  questo  sentimento  ;  la  potenza,  lefficacia  di  questo 
ideale?  Intanto  il  jpensiero  della  rivoluzione  s'ela- 


m 

bora;  il  socialismo  in  pochi  anni  ha  raccolto  sotto 
il  suo  vessillo  una  moltitudine  d' associazioni  popo- 
lari; esso  è  la  religione  degli  operaj;  esso  dà  il  pro- 
prio carattere  al  movimento  del  nostro  secolo,  che 
è  r abolizione  dell* ultima  forma  di  schiavitù,  l'eman- 
cipazione del  proletario;  esso  predomina  già  su  d'o- 
gni altro  principio  di  riforma  civile  in  Francia  ed  in 
Germania,  e  comincia  a  propagarsi  in  Inghilterra  ed 
in  Italia;  esso  detterà  la  legge  della  prossima  rivo-> 
lozione.  Montalembert  co' suoi  amici  e  patroni  ne 
dubita  meno  che  noi;  e  lo  spavento,  che  gF incute 
il  socialismo,  è  tale  e  tanto,  che  per  opporgli  una 
resistenza  qualunque  dimenticò  il  suo  immenso  odio 
contro  de'  liberali  e  dei  volterìani,  diede  un'amiche- 
vole stretta  dì  mano  a  Thiers  in  piena  assemblea,  e 
bandì  dalla  tribuna  la  necessità  di  una  spedizione 
di  Roma  nelV interno.  Ohi  se  non  avessimo  creduto 
alla  forza  espansiva  e  irresistibile  delle  idèe,  questo 
solo  fotte  della  religione  sociale,  che  in  meno  di  venti 
anni,  e  in  mezzo  a  contrasti  e  persecuzioni  d'ogni 
maniera,  giunse  a  riunire  in  una  fede  commune  mil- 
lioni  d'anime,  ce  n'avrebbe  persuasi;  e  se  avessimo 
mai  dubitato  della  realtà  e  grandezza  del  fatto,  ba- 
sterebbe a  rassicurarci  il  contegno  de' governi  e  della 
chiesa.  Portano  su  '1  volto  la  minaccia  e  l'insulto,  ma' 
nel  petto  il  terrore  e  la  morte.  L'onda  del  sociali- 
smo sollevasi  di  giorno  in  giorno  più  alta,  s'avanza 
pia  impetuosa,  rumoreggia  più  forte;  e  sentono  essi 
stessi,  che  oggi  o  domani  li  sommergerà. 

I  progressi  della  democrazia  non  sono  men  certi, 
né  men  generali.  Osservate,  come  vadano  scemando 
le  gare  e  li  odj  municipali,  che  per  lungo  temfK)  di- 
visero la  nazione  in  tanti  popoli  l'un  dell'altro  ne- 
mici e  distruttori.  Vedete,  come  vengano  cessando  le 
ire  e  le  gelosie  ancor  più  inveterate  fra  nazione  e 
nazlofie^  che  per  tanti  secoli  fecero  dell'Europa  un 


140 

campo  di  battaglia,  e  convertirono  l'amore  di  patria 
in  istrumento  di  barbarie.  Notate,  come  sia  già  per* 
duta  affatto  la  causa  del  diritto  divino,  svanito  11 
prestigio  della  monarchia  assoluta,  ammessa  e  san- 
cita la  legitimità  del  suffragio  popolare  e  dell'  au- 
torità elettiva.  Libertà  e  indipendenza  di  ciascuna 
nazione;  alleanza  e  solidarietà  delle  nazioni  tra  loro  : 
ecco  i  due  cardini  della  rivoluzione  politica;  i  due 
principj,  che  uscirono  i^lendidi  e  fecondi  dalle  in- 
surrezioni, dai  tradimenti,  dalle  catastrofi  del  48;  le 
due  basi  del  più  grande  avvenimento  della  storia,  la 
lega  dei  popoli;  avvenimento,  da  cui  surgera  la  più 
bella  gloria  del  secolo,  li  Stati  Uniti  d'Europa. 

E  venga  ora  Montalembert  a  parlarci  della  solenne 
smentita  data  a  tutte  le  predizioni  ed  a  tutti  i  col- 
culi  della  falsa  saviezza  (1);  noi  lo  sfidiamo  a  ci- 
tare un  solo  vaticinio  de' suoi  profeti,  il  quale  ab- 
bia i  caratteri  d'autenticità  e  le  prove  di  verifica- 
zione, che  ognuno  può  vedere  e  toccare  in  quelli  del 
profeti  della  rivoluzione.  Fra  i  motivi  di  credibilità^ 
che  invoca  a  suo  favore  il  cristianesimo,  v'è  la  pro- 
pagazione dell'Evangelio,  la  quale,  avuto  riguardo 
alle  difficultà  delle  circostanze  ed  alla  rapidità  della 
riuscita,  si  spaccia  per  miracolosa  e  divina.  Monta- 
lembert adunque  s'ìnginocchi  dinanzi  alla  rivolu- 
zione, e  l'adori:  essa  è  ben  più  miracolosa  e  divina 
che  la  sua  chiesa;  poiché  quella  in  quattro  anni  ha 
superato  più  ostacoli  e  guadagnato  più  seguaci,  che 
non  questa  in  otto  secoli. 

Ma  egli  è  tempo  ormai  di  esaminare  a  quale  ca- 
gione debbasi  attribuire,  secondo  l'academico  di  Fran- 
cia, il  sognato  trionfo  del  suo  catolicismo.  A  Napo- 

'  iì)  Qn'est-ce  qaLa  donne  cet  éclatant  dementi  à  tovtes  les 
l^ictioas  M  à  loiiftl«ft  c^lcmlt  de  la  fansse  8ageaié?(pai.  64). 


ili 

leone?  No.  Egli  rese  bensì  im  incimparahiU  servigio 
ristabilendo  officialmente  il  culto,  rialzando  li  altari, 
trattando  co  'l  papa  come  se  avesse  duecento  mille  sol^ 
iati  (1)  ;  ma  con  tutto  ciò  non  ha  fatto  abbastanza 
per  l'interessi  catolici;  ristabilì  tutte  le  antiche  servitù 
iella  chiesa  in  Trancia,  mise  la  mano  su  'l  patrimonio 
ii  S.  Pietro,  ed  incarcerò  il  papa  (2).  Qui  occorrerebbe 
Tcramente  nna  grossa  contradlzìone.  Se  ìi  servigio 
reso  da  Napoleone  fa  incomparabile,  ne  segue,  che 
nessun'altrì  potè  giovare  come  lui  alla  chiesa;  e  al- 
lora tutto  il  discorso  del  conte  divlen  assurdo.  Ma 
le  son  minuzie  codeste  per  un  declamatore.  Prose- 
guiamo. 

Alla  restaurazione  monarchfca  dell814?No.  Il  conte 
rende  omaggio  allo  ^e/o  sincero  e  fervente  dei  principi 
dell'illustre  casa  di  Borbone  per  la  fede  di  S.  Luigi  (3)  ; 
ma  sostiene,  che  tutto  quel  zelo  fu  inutile,  e  che  al- 
l'uscire  della  restaurazione,  la  chiesa  era  in  Francia 
al  bando  dell'opinione  e  della  popolarità  (4).  Qui  v'ha 

(I)  Est-ce  Napoléen?  Non,  oertes.  —  Après  avolr  reodu  un 
terviee  incomparabie  «n  létablissant  offlciellemenl  le  culle, 
eo  relevanl  les  anlels,  en  traitaot  avec  le  pape  eommé  t'U 
axaii  deux  centi  mille  homme»...,  ce  successeur  de  Charle. 
magne  se  fit  le  coplsle  de  Philippe  le  Bel  (pag.  65-66). 

(t)  Non  coDlent  de  rétablir  toutes  les  anciennes  servitudes 
de  régliM  en  France;  non  coment  de  meUre  la  main  snr  le 
patrimolne  de  SalnuPierre;  Il  fìt  prendre  au  collet  l'anguste 
et  doux  vielllard  qui  étail  venn  le  sacrer  emperenr,  et  le  trai- 
nant  d'étape  eii  éta|)e,  de  prison  en  prlson,  il  enlreprit  contre 
sa  viclime  une  lutte  imple  (pag.  66). 

(3)  Est-ce  la  réaetion  monarchique  de  itl4?  Est-ce  notam- 
ment  la  restauration  en  France?  I^on  encore.  —  Dieu  me 
garde  de  révoquer  en  douie  le  zèle  sincère  et  fervent  des 
princet  de  eette  illustre  maison  pour  la  foi  de  Saint-Louis 
(pag.  66). 

(4)  Je  n«  constate  qu'un  fait  en  rappelant  qu'après  quinto 
MI  pgM^  sona  des  rois*  dont  la  d^puement  à  régiìse  (Hait 


Iti 

esaggerazione  e  menzogna,  come  avvertimmo  di  so- 
pra, massime  per  parte  di  un  uomo,  che  nella  reli- 
gione  cerca  soltanto  Tinteressì.  Ma  lasciam  da  banda 
i  fatti  :  ora  si  tratta  delle  cagioni.  Perchè  adunque 
il  signor  Montalembert  non  ci  spiega,  come  e  donde 
avvenisse  mai,  che  nel  1830  poco  mancò  che  la  chiesa 
non  fosse  trascinata,  come  nel  1792,  nella  caduta  della 
monarchia  (1)?  Perchè  non  ci  rende  ragione  della 
differenza,  ch'ei  scorge  fra  la  sua  condizione  nel  1830, 
e  quella  che  prese  senza  sforzo  nel  1848  (2)?  Se  in- 
vece di  consultare  la  storia  da  gesuita,  la  studiasse 
da  filosofo,  egli  dovrebbe  sapere,  che  questa  diver- 
sità di  condizioni  nel  30  e  nel  48  non  fu  già  un  ar- 
cano, un  mistero,  un  miracolo  della  misericordia  di 
Dio  (3)  ;  ma  la  conseguenza  logica,  immediata,  e  fa- 
tale delle  cose  e  della  rivoluzione. 

Nel  30  la  chiesa  era  al  potere;  l'interessi  dell* al- 
tare andavano  congiunti  con  quelli  del  trono;  clero 
e  corte  si  tenevano  soUdarj.  Il  popolo  insucto  gri- 
dava :  à  bas  les  ministres  ;  ovvero,  à  bas  les  jésuites  : 
ministri  e  gesuiti  erano  per  lui  la  stessa  cosa;  e  però 
tutto  rodio,  che  nutriva  contro  degli  unì,  ricadeva 
necessariamente  su  1  capo  degli  altri.  La  chiesa  do^ 
vea  correre  adunque  la  stessa  sorte  della  monarchia , 

incontestable,  la  religion,  bien  loin  d'avoir  gagné  da  terrain, 
éiait  tombée  dans  le  plus  affligeant  discrédila  et  avait  perda 
presque  toute  iiifluence  sur  le  peuple  comme  sur  la  bour- 
geoisie  (pag.  66).  Je  me  borne  à  enregistrer  un  souvenir  dou- 
loureux.  et  inefracabie:  aa  sortir  de  la  restauralion,  l'église 
élait  en  Franco  au  bau  de  ropinion  et  de  la  popularité 
(pag.  67-68U 

(1)  Peuts'en  fallut  qu*eile  ne  fut  entralnée, comme  en  1792, 
dans  la  cliute  de  la  royauté  (pag.  68). 

C2)  Que  Ton  compare  sa  situation  en  iS30avec  celle  qu'eìle 
arrise  sans  efTort  en  i848  (pag.  68]. 

i3)  Pog.  64-65. 


14$ 

e  la  rivolozionc  abbatterle  entrambe  sotto  li  stessi 
colpi.  Nel  48,  per  lo  contrario,  la  chiesa  era  con  l'op- 
posizione. Diciasette  anni  di  tutta  contro  11  governo 
in  nome  della  libertà  avean  calmato  li  odj  della  na- 
zione; e  dopo  tanto  gridare,  che  l'interessi  del  clero 
non  erano  divèrsi  da  quelli  del  popolo  ;  che  si  rinun- 
ciava ad  ogni  ambizione  dì  potere;  che  si  volea  sol- 
tanto l'eguaglianza  dei  diritti  e  la  libertà  coipmune 
a  tutti  :  il  popolo  non  trovava  più  ragione  di  com- 
battere la  chiesa.  Quindi  la  rivoluzione  non  vide  più 
in  essa  un  nemico,  ma  un  alleato  ;  la  causa  del  clero 
non  si  confundeva  più  con  quella  del  governo,  ma 
con  quella  della  libertà;  e  il  catolicismo  fu  rispettato^ 
la  chiesa  protetta. 

Or  a  noi,  signor  Montalembert.  Da  questo  diverso 
contegno  della  Francia  nelle  due  insurrezioni  del  1830 
e  del  1848,  che  cosa  dobbiamo  inferirne? 

Dunque  non  è  la  rivoluzione,  che  mutò  opinione 
e  conlegno  verso  la  chiesa  ;  poiché  si  nell'  uno  e  sì 
nell'altro  movimento,  essa  levossi  in  nome  della  li- 
bertà, cqn  la  stessa  bandiera;  e  combattè» qualunque 
si  fossero,,  i  suoi  nemici. 

Dunque  è  il  partito  catolìco,  che  sotto  il  regno 
deirOrleanése  abbracciò  e  svolse  un  programma  af- 
fatto contrario  a  quello,  ch'avea  mantenuto  sotto  i 
Borboni. 

Dunque  la  protezione  e  la  tutela  dei  governi  par- 
torisce, non  la  salute,  ma  la  rovina  della  chiesa,  ì 
cui  interessi  procedono  tanto  meglio,  qjuanto  più  s'im- 
medesimano con  quelli  del  popolo,  e  si  discostano  da 
quelli  del  potere. 

Dunque  li  argumenti  medesimi,  che  voi  recate  a 
provare  il  trionfo  del  catolicismo,  provano  diretta- 
mente, geometricamente  tutto  l'opposto;  e  voi  met- 
tendo in  chiaro  la  nuova  alleanza  della  chiesa  co'  i 
governi,  pronunciate  la  più  terribile  condanna  dei- 
runa  e  degli  altri»  .      .        . 


114 

Banque  l'appello  alla  libertà  era  pe'  i  catolicl  uno 
stratagema  di  guerra,  e  nulla  più:  essi  volcSano  con 
quel  grido  illudere  i  buoni,  disarmare  i  nemici,  In- 
gannare il  popolo,  tradire  la  nazione;  voleano  tanto 
solo  di  libertà,  quanto  bastasse  loro  a  rimettersi  nelle 
buone  grazie  del  potere,  a  procacciarsi  più  di  ric- 
chezze, d'onori,  d'autorità,  a  congiurare  più  effica- 
cemente per  soppiantare  i  loro  avversar]. 

Dunque  le  condizioni  della  chiesa  nel  18^51,  dopo 
quattro  anni  di  tutte  continue,  non  già  come  voi  pre- 
sumete, contro  i  pericoli  delV anarchia  (1),  ma  contro 
l'esistenza  della  Republica,  le  instltuzioni  della  de- 
mocrazia, ed  i  voti  del  popolo,  sono  peggiori  assai 
che  nel  1830;  giacché  voi  avete  perduto  irrevocabil- 
mente tutti  i  vantaggi,  che  vi  salvarono  nel  48;  avete 
deposta  finalmente  la  maschera;  la  Francia  e  l'Eu- 
ropa vi  han  conosciuti;  le  vostre  ipocrisie  non  riu- 
sciranno mal  più  ad  ingannare  nessuno. 

Eccovi,  signor  Montalembert ,  le  conclusioni,  che 
derivano  dal  paragonare  le  relazioni  del  catolicismo  e 
della  rivoluzione  nel  30,  nel  48,  e  nel  51  ;  e  se  voi  fo- 
ste capace  d'intenderne  la  forza  é  la  portata,  sarebbe 
quasi  da  sperare,  che  cessereste  una  volta  di  rom- 
pere Il  orecchi  al  Publico  con  le  vostre  biliose  ome- 
lie. Ma  che?  se  foste  un  ente  ragionevole,  sareste 
voi'un  gesuita? 

Posto  che  nò  l'impero,  né  la  restaurazione  abbiano 
cagionato  il  preteso  rlsurgimento  del  catolicismo: 
Che  cos*è  dunque?  ripigliate  voi.  Convien  dirlo,  è  la 
libertà,  nienf  altro  che  la  libertà,  e  la  tutta  resa 
possibile  dulia  libertà  (2).  0  derisione  1  Voi  parlate 

(I)  Après  quatte  années  de  luUes  coutlDueUes  contre  les 
|>érii6  de  l'anarchie  (pagr.  68).  » 

(3)  Ce  n'est  dooc  ni  Pempire,  ni  la  restauratiou.  —  Qa*esu 
cè  donc?  Il  faat  le  dite:  c*est  fa  libarle,  rien  quo  r^  lilxirlé, 
•t  ia  lutte  rendue  possible  par  la  liberta  (pag.  6S). 


ancora  éi  libertà,  voi?  Ma  se  la  libertà  è  la  sabiie 
della  chiesa,  perchè  dunque  non  esiste  libata  dove 
la  chiesa  comanda?  Essa  collauda  negli  Stati  romani; 
ma  dite,  signor  conte,  che  libertà  vi  si  gode?  Quali 
lutto  vi  si  possono  sostenere?  Comanda  nelle  Due  Si- 
cilie, dove  regna  il  degno  figlio  di  colui,  che  il  vo- 
stro'-papa  celebrò  qua!  perfe4.to  modello  dei  prin- 
cipi; ma,  rispondete,  che  libertà  ivi  concedesi  alla 
parola?  Comandava  a  Modena  ed  in  Toscana;  ma,  di 
grazia,  che  libertà  lasciavasi  allora  alla  coscienza? 
Comandava  in  Francia  sotto  i  Borboni  ;  ma  in  luogo 
di  proteggere  la  libertà  congiurò  co  '1  governo  per 
abolbrla.  Comandava,  prima  della  costituzione,  in  Ispa- 
gna;  ma  in  cambio  d'intròdurvi  là  libertà,  manteneva 
i  tribunali  del  Sant^Officio.  Comandava,  innanzi  d^la 
rivolunone  francese,  nella  maggior  parte  d'Europa; 
ma  invece  di  patrocinare  la  causa  della  libertà,  per- 
seguitava a  morte  tutti  Lsuoi  apostoli,  rappresentava 
dapertutto  il  despotismo,  santificava  la 'tirannide  in 
nome  di  Dio,  imponeva  la  servitù  a  titolo  di  ohe- 
dienza  cristiana.  I  re,  che  vollero  gratificarsi  i  loro 
popoli  con  qualche  riforma  liberale,  dovettero  affron- 
tar le  minacce,  soffrire  le  vessazioni,  e  sfidare  li  ana- 
temi del  Vaticano.  I  popoli,  che  vollero  ordinarsi  a 
libertà,  dovettero  conquistarla  a  prezzo  di  sangue,  e 
nelle  prime  file  de' loro  nemici  trovarono  sempre  la 
chiesa.  E  voi,  signor  Montalembert,  ci  venite  a  nar- 
rare, che  la  chiesa  e  la  libertà  sono  buone  sordle? 
Ma  chi  siete  voi,  che  pretendete  conoscere  l'interessi 
delia  chiesa  meglio  di  lei?  Se  avesse  stimata  utile 
la  cooperazione  della  lib^à,  la  chiesa  nei  secoli  del 
suo  dominio  universale  e  supremo  l'avrebbe  invocata. 
Pure  no  1  fece;  anzi  s'oppose,  e  s'oppone  ancora,  do- 
vunque sta  in  suo  potere,  con  tutti  li  sforzi,  tutti 
i  sotterfùgi,  li  artifizj,  l'inganni,  lo  violenze,  ad  ogni 
libertà  politica  e  civile.  E  perchè?  Perchè  la  chiesa 
l  10 


rlòOiiiòsce  nella  libertà  il  soò  più  tremendo  nemico; 
perchè  sa,  che  l'azione  della  libertà  le  tornerebbe, 
non  che  proficua,  esiziale;  perchè  crede  al  dogma  del 
diritto  divino,  in  virtù  del  quale  Fassolutlsmo  è  prin- 
cìpio di  fede  datolica  ei  stsìtutò  organico  della  sua 
gerarèhia;  E  voiy  signor  Hcademìco,  osate  voi  soste- 
nne-, che  la  libertà  Vuol  essere  l'alleata  naturale 
della  chiesa 7  E  vi  dite  catolico^  voi? 

Ci  son  nondimeno  certi  paesi  e  certi  tempi,  in  cui 
là  chiesa  invoca  e  difende  la  libertàf  S  sapete  quali? 
Quelli  soltanto,  dove  il  catolicismo  non  è  la  religione 
delio  grtatOf  ma  una  setta;  dove  non  domina,  ma  con- 
giura. Quivi,  sì,  U  chiesa  milita  sotto  il  ^'essillo  della 
libertà;  ma  per  odio  di  lei,*  non  per  amore.  Così  grida 
alla  libertà  in  Inghilterra;  perchè  vorrebbe  riacqui- 
stare ì  suoi  privilegj  ed  i  suoi  tesori  $  risalire  su  '1 
trono,  riavére  le  armi,  e  spegnere  nel  sangue  de'  pio- 
testanti  la  libertà  britanna.  Appella  alla  libertà  in 
Germania;  perchè  vorrebbe  spargere  a  piene  mani 
il  suo  fanatismo,  adupare  proseliti,  rinfdcare  le  an- 
tiche ire,  e  sotto  le  rovine  della  guerra  civile  soffo- 
care il  libero  esame  e  l' incredula  scienza  degli  Alle- 
manni;  Invoca  la  libertà  in  Russia;  perchè  il  ferreo 
scettro  dello  czar  le  pende  su  '1  capo,  e  non  le  per- 
dette di  levar  le  grida,  né  d'agitar  l'impero  con  le 
arti  della  sua  predicazione.  E  voi,  signor  Montalem- 
bert^  cominciate  da  capo  a  predicare  la  libertà  in 
Francia;  perchè  già  temete,  che  il  novello  padrone 
fàcia  un  dì  al  vostro  partito  ciò^  che  fece  co  '1  vo- 
stro ajuto  à  tutti  li  altri  9  e  getti  su  '1  collo  a  voi 
quel  medesimo  giogo,  che  voi  l'animaste  a  porre  su  1 
capo  de'  republicani ,  democratici ,  e  socialisti.  Così 
fatta  è  la  lega,  che  la  chiesa  cerca  di  stringere  con 
la  libertà  1  Dove  il  prete  governa,  la  libertà  è  delit- 
to: dove  regna  la  libertà,  il  prete  la  vagheggia  per 
adulterarla^  e  poi  s|3egnerla:  e  dove  impera  ildespo^ 


irt 

tjsmo  acàtolico,  il  prete  l'arfna  della  libertà  per  ab- 
batterlo, e  sostituirvi  il  despotlsmo  papale.  Tal  è 
l'amore,  cbe  la  cbìesa  porta  alla  libertà. 

La  conseguenza  irrepugnabile,  immediata,  che  ram-» 
polla  da  queste  considerazioni,  si  è,  che  un  catolico 
non  può  amare  e  difendere  la  libertà  sotto  pena  di 
ap(!t8tasia;  onde  voi,  conte  di  Montalembert,  die  per- 
sistete a  dirvi  amico  e  difensore  della  fìbertà,  non 
siete  catolico.  Nuovo  documento  in  conferma  di  ciò, 
che  altrove  ho  avvertito  (1):  essere  questa  per  ap* 
pùnto'  la  condizione  degli  apologisti^  che  ùm  possono 
più  difendere  la  chiesa  fuorché  a  patto  di  negarla  f 
questa  l'indole  del  catolicismo,  cher  non  si  possa  al^ 
trìmenti  discutere,  se  non  a  condizione  d'abjurarlo. 
E^  stando  al  noi^tro  argumento,  ve  lo  proverò  con 
tatti  e  due  i  generi  di  dimostrazione:  ìndirettamen-* 
tè,  facendo  la  critica  delle  ragioni,  su  le  qaéìi  voi 
presumete  di  fondare  il  concerto  della  libertà  con  la 
chiesa^  e  mostrando  che  non  conchiudono  nulla;  di- 
rettamente^  provandovi  che  libertà  e  catolicismo  sono 
due  cose  incompatìbili,  inconciliabili,  sì  che  Tuna  è 
la  negazione  rigorosa  dell'altra.  E  senza  più,  entriamo 
nel  vivo  della  questione. 

Quali  sono  le  ragioni,  onde  v'ingegnate  d'associarer 
la  causa  della  libertà  con  l'interessi  della  chiesa? 
Ridutte  a  mìnimi  termini,  sono  le  seguenti: 

I.  Il  fatto  già  esposto,  che  cioè  il  partito  catolico 
deve  alla  libertà  i  trionfi  maravigliosi ,  che  riportò 
in  Europa  (2). 

II.  L'esempio  degli  uomini  più  autorevoli  nell'opi" 
nione  eatolica,  ì  quali  hanno  tutti  amato  e  servito  la 
libertà,  come  O'Connell,  Balmes,  e  De  Maistre  (3)» 

(I)  Vedi  La  filosofia  delle  scuole  italiane,  lDtroduzi(HV«« 
il)  Pag.  69. 
(I)  Pag.  69-70. 


HI.  La  ttadizione  ccUolica  atUeriore  al  èecolo  XVII, 
che  smentisce  la  teorica  di  Bossuet,  il  quale  teneva 
per  articolo  di  fede  la  stretta  alleanza  della  chiesa 
co  '1  potere  assoluto  (1). 

lY.  //  linguaggio  della  massima  parte  dei  vescovi 
francesi,  che  adesso  rannoda  il  filo  dell'antica  tradi- 
zione, interrotta  per  due  secoli  e  messo  dalla  ma- 
nflrchia  assoluta  e  dalla  rivoluzione  (2). 

Y.  Il  governo  stesso  della  chiesa,  che  è  una  monar- 
chia, non  assoluta,  ma  temperata  (3). 

YI.  L'idea  del  potere  assoluto  non  è  catolica,  ma 
pagana;  e  nei  tempi  moderni  la  risuscitò,  non  già 
la  chiesa,  ma  il  razionalismo  (4). 

.  Or  bene,  comincerò  a  dirvi,  signor  Montalembert, 
che  per  un  caporione  del  partito  catolico,  quale  siete 
voi,  cotesto  metodo  di  ragionare  tiene  dello  scandalo. 
Yoi  dunque  ignorate  i  primi  elementi  della  vostra 
teologìa?  E  non  sapete  né  anche  quale  sia  il  prò- 
cesso,  con  cui  si  devono  dimostrare  le  catoliche  ve- 
ri7à?  Ma,  in  somma, *di  chi  volete  burlarvi:  di  noi, 
o  della  chiesa?  Perocché  non  veggo,  come  possa  tanta 
ignoranza  concepirsi  in  un  uomo  sérieux.  £  voi  stesso 
ve  ne  convincerete  assai  presto,  sol  che  piaciavi  d'a- 
prire un  trattato  qualunque  di  teologia.  Ivi  trove- 
rete, che  la  fonte  delle  dimostrazioni  catoliche  è  Tau- 
torità  della  parola  di  Dio;  che  questa  parola  è  di  due 
specie:  la  scrittura,  e  la  tradizione;  che  depositaria 
ed  interprete  dell'una  e  dell'altra  è  la  chiesa;  e  che 
il  giudizio  definitivo,  dogmatico,  inappellabile  della 
chiesa,  si  conosce  dai  decreti  de'  concilj  e  dalle  de- 
cisioni de' papi.  Per  provare  adunque  il  vostro  as- 

{i)  Pag.  72.74. 

(2)  Pag.  75. 

(3)  Pag.  92-93. 

(4)  Pag  94-9S. 


149 

sunto,  cioè  runione  e  l'accordo  del  catolicismo  con 
la  libertà,  fa  d'uopo  allegare  non  solo  i  testi  della 
Bibbia,  che  uè  favellino;  ma  eziandio  le  definizioni 
de' pontefici  e  de'concilj,  che  stabiliscano  quell'u- 
nione, decretino  quell'accordo  come  una  legge  divina 
0  un  principio  rivelato.  Voi  all'incontro  seguitate  un 
metodo,  che  non  è  catollco,  né  razionale,  né  teolo- 
gico, né  scientifico:  gli  é  un  guazzabuglio  di  vostra 
invenzione.  Voi  non  citate  cànone  di  concilio,  né 
bulla  di  papa;  non  citate  nessun  testo  autorevole, 
nessun  fatto  dogmatico,  nessun  documento  decisivo: 
riempite  un  trenta  pagine  di  sonore  ciance,  e  poi  con 
enfatico  sussiego  esclamate:  questa  é  la  dottrina  della 
diìesa.  Eh,  povero  conte,  li  studenti  di  teologia  che 
dovran  dire  e  pensare  de'  fatti  vostri? 

Ed  in  vero,  il  primo  argumento  è  fuori  di  luogd. 
Dato  eziandio,  che  il  partito  catolico  si  fosse  vantag- 
giato della  libertà,  non  ne  seguirebbe  punto,  che  la 
teorica  della  libertà  si  conformasse  alla  dottrina  della 
chiesa.  Le  sono  due  questioni  di  natura  affatto  di- 
versa, e  richiedono  un  diverso  genere  di  prove.  L'una 
è  questione  di  fatto:  se  i  governi  liberi  abbiano  gio- 
vato 0  nociuto  alla  chiesa.  L'altra  é  questione  di 
diritto:  se  il  sistema  catolico  ammetta  o  rifiuti  il 
principio  della  libertà.  La  prima  si  dovrebbe  risol- 
vere con  dati  statistici  e  positivi;  e  voi  l'avete  ten- 
tato assai  infelicemente  in  un  capitolo  anteriore.  La 
seconda  si  dee  discutere  con  argumenti  teologici  e 
razionali  ;  e  voi  non  ne  fate  il  minimo  cenno.  Dun- 
que tutto  quel  vostro  ragionamento  è  un  sofisma. 
E  non  vedete,  che  se  valesse  mai  la  conseguenza 
dal  fatto  degl'interessi  alla  verità  del  principio,  si 
ritorcerebbe  l'argumento  contro  di  voi?  Perciocché 
vi  furono  e  vi  sono  tuttavia  despoti  e  tiranni,  che 
promuovono  l'interessi  catolici  assai  meglio  che  non 


tao 

farebbe  un  governo  liberale.  Rammentatevi  Filip" 
^  li  (li  Spagna  e  Luigi  XIY  di  Francia;  badate 
a  Ferdinando  II  di  Napoli,  ed  a  Francesco  Giuseppe 
/l'Austria;  o  meglio  riflettete  solamente  allo  Stato 
pontificio:  ed  in  virtù  della  vostra  logica  noi  po- 
tremmo conchiudere,  che  il  despotismo  è  dunque»  un 
jarticolo  di  fede.  Yi  piacerebbe  cotesta  forma  di  razio- 
£inj  ?  E  vorreste,  che  noi  toler^sslmo  la  vostra  assai 
peggiore? 

Il  secondo  prova,  se  è  possibile,  ancora  meno^  Io 
non  mi  tratterrò  qui  ad  esaminare,  che  cosa  sia  quella 
libertà,  che  meritossi  li  amori  ed  i  servigj  di  un  De 
Jifaistre,  di  un  O'Connell,  di  un  Balmes  :  me  ne  sto 
per  ora  alla  vostra  parola.  Ebbene,  che  proverebbe 
l'esempio  di  costoro?  Proverebbe  questo  solamente, 
ci'essi  non  erano  catoUci  fuorché  di  nome.  E  che? 
Son  dessi  forse  i  giudici  supremi  nelle  materie  di  fede? 
0  basta  forse,  che  Balmes,  De  Maistre,  O'Connell 
insegnino  una  proposizione  e  compiano  un  atto,  per 
dover  credere  quella  una  verità,  e  questo  una  virtù 
4el  catolicismo?  Ohi  avanti  di  far  il  dottore,  andate 
a  studiare  i  primi  rudimenti  del  catechismo; ed  im- 
parate, che  la  dottrina  della  chiesa  è  bensì  il  crite- 
rio delle  opinioni  private  de'  catolici  ;  ma  nessuna  opir- 
nione  di  nessun  privato  può  essere  il  criterio  della 
catolica  dottrina.  Cominciate  dunque  a  mettere  in 
chiaro  ed  in  sicuro,  quale  sia  la  credenza  della  chiesa; 
e  poi  vedremo,  se  i  vostri  amatori  e  ^^rviiori  della 
libertà  sieno  catolici. 

Il  terzo  è  un'asserzione  gratuita.  Ma  un'asserzione 
di  un  Montalembert  non  vale  per  fermo  a  distrugger^ 
un  libro  dì  Bossuet,  il  quale  non  chiacchierava  da 
declamatore  come  voi,  ma  ragionava  da  quel  teologo 
eminente  ch'egli  er^.  Perciocché  la  streliQ  alleanza 


iSl 
iella  ehieia  co  7  potere  assoluto^  Bossuet  non  iWerì 
gratuitamente,  come  voi  Valleanza  della  chiesa  con  la 
libertà;  ma  la  dedusse  logicamente  e  rigorosamente 
dai  testi  espressi  della  Bibbia,  e  la  contrapose  in  nome 
del  catolicismo  alla  teorica  della  libertà,  sostenuti^ 
dai  protestanti.  —  Voi  nondimeno  accennate  ,a1Ia-fra- 
diziene  eatolica,  la  quale,  chi  vi  prestasse  fede,  dà 
ragioBe  a  voi,  e  torto  a  Bossuet.  Ma,  signor  conte, 
sapete  voi  almeno  che  voglia  dire  tradizione  della 
chiesa?  Ponendo  mente  al  tenore  del  vostro  discorso, 
io  devo  credere  di  no;  poiché  altrimenti  non  vi  sa- 
reste contentato  di  nominare  la  massima  parte  dei 
dottori  catolid  (1);  e  tre  linee  dopo,  V esempio  di  tutte 
Fetà,  la  tradizione  della  cristianità,  tutta  la  storia 
di  quei  graudi  secoli  del  medio  evo  (2);  e  poco  ap- 
presso dì  nuovo,  mille  anni  di  tradizioni  e  di  pre- 
cedenze contrarie  nella  storia  del  catolicismo  (3).  No, 
«ignore,  questo  non  è  provare  né  da  teologo,  né  da 
filosofo,  né  da  cristiano,  né  da  ebreo;  egli  è  un  cian- 
mre  da  predioatore,  e  nient'altro.  La  vostra  parola, 
grazie  al  cielo,  non  ha  ancora  il  privilegio  dell'ora- 
colo. Quando  poi  vorrete  persuaderci,  che  la  tradi- 
zione eatolica  sta  veramente  per  voi,  in  luogo  di  ri- 
peterlo cinque  o  sei  volte,  lo  proverete  una  sola,  ad- 
ducendo  una  serie  di  testimonianze  concordi  e  pre- 
cìse dei  Padri  e  dei  Dottori^  con  qualche  sentenza 
di  Roma.  Su,  all'operaia  conte  di  Montalembert,  da- 
teci un  saggio  del  vostro  valore  teologico  :  noi  ascol- 
leremo la  legione  ;  e  poi  ri$ponderemo. 
Avvertita  però  di  pw^n  tornarci  ad  Intronare  jl  c^ipo 

(1)  L^imiBposie  majorUó  d^s  4ocVBms  ic^lholiqaes  ai^iérieurs 
.au  XVU  siede  (pag.  72). 

(S)  L'exeropl^  de  lous  Iss  ÀgjBs,I»  tradilion  4e  )a  chréticnté, 
poxdfi  riiislioir^  die,  ces  grands  sièjcljcs  du  mpycn  àge  (pag.  72). 

(3)  Mille  ao$  diB  traditjoDs  et  de  pT^qédcnlls  conlraires  dans 
fb^^iì§  du  cathplicisme  (paj.  7^), 


152 

con  dimostrazioni  di  questo  genere:  Io  credo  potejr 
affermare  (ohi  avete  già  sciupato  tre  lunghe  e  lar- 
ghe pagine  in  nude  e  crude  affermazioni:  non  basta?  ) 
poiché  l'ho  profondamente  e  seriamente  studiato ,  che 
fu  tale  la  fede  religiosa,  politica,  e  sociale  del  medio 
evo  (1);  0  di  quest'altro;  Tutti  i  grandi  papi,  tutti 
i  grandi  catolici  di  quei  grandi  secoli  (  è  un  grande 
academico,  che  dispensa  il  titolo  di  ^ratu^c:  se  n'in- 
tende costui!)  hanno  combattuto  per  la  libertà  (^);  o 
di  questo  terzo  ancora:  Tutti  pensavano  così,  tutti  a 
gara  Vaerebbero  ripetuto  (3).  Perocché  altrimenti  noi 
manderemo  alla  malora  voi  con  i  vostri  studj  pro- 
fondi  e  serj,  e  con  tutti  i  vostri  grandi  secoli,  grandi 
catolici,  e  grandi  papi.  A'  vostri  serj  e  profondi  studj 
noi  crederemo,  qualora  ce  ne  diate  per  prova,  non 
un  libello  tessuto  d'impertinenze  e  di  falsità,  ma  buone 
e  sode  ragioni  ;  e  crederemo  all'unanimità  favorevole 
di  tutti  quei  secoli,  piccoli  o  grandi  che  sieno,  qua- 
lora invece  di  allegare  due  soli  testimoni  incompe- 
tenti, un  monaco  imbecille  ed  un  vescovo  oscuro, 
ne  citerete  altri  maggiori  e  di  numero  e  di  peso. 

Il  quarto  prosegue  degnamente  l'opera  de'suoi  an- 
tecessori. In  primo  luogo,  quella  interruzione  per  due 
secoli  e  mezzo  della  tradizione,  in  bocca  vostra ,  .si- 
gnor Montalembert,  è  una  bestemia.  L'insegnamento 
della  chiesa,  per  un  catolico,  dev'essere  indefettìbile, 
inalterabile,  perenne;  dunque  voi  non  potete  sospet- 
tarlo né  anche  interrotto  per  un  giorno  solo;  e  se 
credete  ad  un'interruzione,  non  siete  più  catolico. 

ii)  Je  crois  pouvoir  affìrmer,  ponr  Tavoìr  profondément  et 
sórìeusement  étudié,  que  telle  a  élé  la  foi  religieuse,  politique 
et  sociale  du  moyen  ògo  (pag.  7i). 

(2)  Tous  les  grands  papes,  tous  les  grande  caihoìiques  db 
ces  grands  siécles  ont  combattn  potìr  la  liberlé  (pag.  74). 

(3)  Tous  pensaient  cornine  to  moine....  Tous  eussont  répété 
'*envic....  Tous  eusserit  dit...  (pag.  71). 


1^ 

In  secondo  luogo,  dichiarare  interrotta  la  tradi- 
zione catolica  dulia  monarchia  jassohUa  e  dalla  rivo- 
kziotte,  non  è  solamente  una  bestemia,  ma  un  as- 
surdo. Che  ha  mai  da  fare  la  rivohizione  e  la  mo- 
narchia con  una  dottrina  del  catolicismo?  Dunque 
QQ  re  assoluto  può  costrìngere  al  silenzio  tutta  la 
chiesa?  Dunque  un  popolo  insurto  può  sospendere 
l'insegnamento,  ed  attutire  la  credenza  di  tutti  i 
vostri  pastori?  E  la  parola  catolica  può  dunque  ve- 
nir soffocata  dalla  prepotenza  di  un  despota,  o  dal- 
l'ira di  una  nazione?  E  voi,  che  pensate  così,  vi  chia- 
mate catolico,  voi? 

Da  ultimo  la  massima  parte  dei  vostri  vescovi  nelle 
sue  battaglie  sotto  il  regno  di  Luigi  Filippo,  predicò 
bensì  la  libertà,  ma  come  un  interesse,  non  come  un 
dogma.  Quando  il  dògma  della  libertà  era  scommuni- 
cato  da  Gregorio  XVI^  tutti  i  vescovi  di  Francia  chi- 
navano il  capo,  e  ripeteano  co'l  papa:  anatema  alla 
libertà  I  E  di  quei  due,  che  voi  citate  in  particolare, 
io  ripeto  quanto  vi  dissi  a  proposito  d'altri  vostri 
dottori  :  Topinione  di  qualche  privato  scrittore  non 
oostituìsce  una  dottrina  catolica;  e  finché  voi  non 
abbiate  stabilito  una  buona  volta,  con  argumenti  le- 
gitiffli,  che  la  fede  della  chiesa  non  repugna  alla  libertà, 
tutte  le  vostretestimonianze  particolari  non  provano 
ponto.  E  che  cosa  prova  mai  il  vescovo  di  Moulins, 
qoando  esclama  :  /'iii'me  la  libertà  ;je  l*aime  trop  quand 
die  me  sert,  pour  ne  pas  la  supporter  quand  elle  me 
géne(ì)?  A  Roma,  codesta  proposizione  lo  condur- 
rebbe dritto  al  tribunale  del  Sant'Officio;  e  gli  var- 
rebbe 0  una  pronta  e  solenne  ritrattazione,  o  chi  sa 
quanti  anni  di  reclusione  nelle  carceri  sacre. 

Che  cosa  prova  il  vescovo  d'Annecy,  quando  ri- 
conosce come  diritti  naturali  la  libertà  religiosa,  ci- 

W  l»ag.  76. 


154 

pile,  politica,  d^insegnamento,  §  d'assaeimione  (i)?  Nel 
eodice  della  chiesa  questi  diritti  non  si  trovano;  o 
piuttosto,  secondo  che  vedremo  più  innanzi,  vi  si 
trovano,  ma  condannati  come  eresie,  delitti,  ed  in:- 
venzioni  diaboliche.  Spetta  dunque  ai  vescovi  d'An:^ 
necy  e  di  Moulins  d'accordare  le  loro  idee  con  le  idee 
della  chiesa. 

Non  lascerò  qui  passar  inosservata  una  vostra  nota^ 
la  quale  mi  avrebbe  stupito,  se  già  non  vi  conoscessi 
abbastanza.  Alludendo  ai  discorsi,  che  parecchi  ve^ 
scovi  ebbero  a  tenere,  dopo  il  colpo  di  Stato,  al  Bch 
naparle,  voi  avete  la  temerità  di  asserire,  che  nulla, 
in  queste  manifestazioni,  è  venuto  a  rinegare  il  pas- 
sato ehfi  noi  invochiamo,  o  ad  appoggiare  le  teorie 
che  noi  combattiamo  (2).  No  davvero?  Nulla?  Ahi  per 
fortuna  quei  discorsi  vennero  publicati  ;  e  se  voi  vi 
slete  ben  guardato  di  riferirli,  supplirò  io  al  vostro 
silenzio.  Sì,  registrerò  io  qui,  a  vostri^  onta,  quelle 
allocuzioni  vescovili,  monumento  di  eterna  infamia 
per  la  chiesa,  la  quale  portò  a  tal  eccesso  l'adulazione, 
la  bassezza,  la  viltà,  l'immoralità,  la  prostituzione, 
che  fam  dimenticare  ai  posteri  i  cortigiani  dei  Tiberj, 
dei  Caligola,  e  dei  Neroni  1  —  Chi  si^  Luigi  Bonaparie, 
tutto  il  mondo  lo  sa;  né  occorre  ch'io  rammenti, 
per  quale  serie  spaventevole  di  inganni,  di  spergiuri, 
e  di  assassini,  egli  arrivasse  a  compiere  l'immane  der- 
litto  del  2  dicembre.  A  me  basta,  che  voi  medesimo 
'  dobbiate  riconoscere  nel  governo  di  quell'i^omp,  atti 

(i)  Pag.  75-76, 

(2)  Dans  rintervalle  qui  s'est  écoulé  enlre  Je  moment  oìi 
CCS  lignes  ont  été  écrites,  et  celui  où  nous  en  corrigeons  Té- 
preuve,  un  grand  nombre  d'évéques  onlélé  appelés  à  acjres? 
ser  an  chef  de  rélat  des  hommages  pubiìcs  de  respect  et  de 
reconnaissance.  On  a  dù  remarquer  quo  Tìea,  dans  ces  ma- 
nifestations,  n'est  venu  désavouer  \6  passò  que  nous  |nvo< 
qDons,  cu  apppyer  Ics  théories  (jue  ngns  pombat^pns  (pog.  7^^). 


155 

the  rivoìtarano  itUti  %  galantuofnini,  violazioni  mani- 
feste del  decalogo  (1),  ed  il  sacrifizio  della  libertà  alla 
forza  (2).  Or  bene;  eoo  un  uomo,  con  un  governo  di 
cotal  fatta,  che  linguaggio  adoperò  l'episcopato  di 
Francia?  Attento,  signor  conte:  eccovi  in  quali  ter- 
mini egli  appoggiava  il  passato  che  voi  invocate,  e 
rinegava  le  teorie  che  voi  combattete. 

1851,  J2  dicembre.  II. vescovo  di  Chartres  publica 
una  lettera  circolare  per  esorlar  il  suo  clero  a  dare 
11  voto^  Bonaparte;  «  Vinto  dalle  proprie  convinzioni, 
»  e  ancora  più  dall'aipore  della  patria,  di  cui  Gesù 
»  Cdsto  ci  ha  d;ato  l'esempio,  voi  (dice  al  Curalo)  scri- 
»  verete  si,  io  non  ne  dubito.  La  providejnza  json  qi 
«  da'  che  jQUESjo  Mszzo  Dx  saLute.  È  evidente,  che  se 
»  Bonaparte  fosse  respinto,  la  Francia  non  troverebbe 
A  più  chi  surrogargli  (3).  ^ 

14  dicembre.  Il  vescovo  di  Chàlons  fa  publicare 
la  diehiarazione  seguente:  «  Trovo  oggi  nei  giornali 
»  la  lettera  di  monsignor  vescovo  di  Chartres,  che 
»  consiglia  il  suo  clero  a  volare  in  favore  del  nostro 
»  presidente  Luigi  >Iapoleone.  In  ciò  non  fece  che 
»  esprimere  il  desiderio  di  tulli  li  uomini  dabbene, 
»  DI  TUTTI  I  VESCOVI.  Fin  dal  primo  giorno,  il  mìo 
»  era  jconoscigito  nella  diocesi^  perciò  mi  sono  asle- 
;>  nuto  dal  manifestarlo  in  publlco,  e  dire  altamente 
p  ciò  che  è  sì  bene  inteso,  che  da  ouesto  pjpend)e 
^  LA  SALVEZZA  DELLA  FRANCIA,  della  uost^a  Cara  pa- 
»  Iria.  Dio  è  co'l  Presidente:  questa  ragione  basta 
»  perchè  ci  faciamo  un  dovere  d'esseiiO  lutti  per 
»  lui  (4).  » 

(I)Des  acies  qm  on4  révolté  tous  lesjionnètes  gens,  des  vio- 
htioDs  maQìCestes  da  décatogue  (pag.  85). 

[%)  Oo  saar^  ì^'ìì  y  a  «u  au  moins  un....  qui  en  iS52  a 
proteste  fon^f^  W  .saerj^ce  A9  la  li^rté  à  la  force  sous  pré- 
texle  0»  r»mo»  (pag.  »7).. 

C3)  n  Catofieo,  ».«•  7^f, 

(I)  m4, 


156 

1852,  1  genajo.  L'arcivescovo  di  Parigi  va  ad  au- 
gurare il  buon  capo  d'anno  a  Bonaparte  con  queste 
parole:  «  Noi  siamo  a  presentarvi  le  nostre  felici ta- 
»  zionì  e  i  nostri  voti.  —  Pregheremo  Iddio  con  fer- 
»  vore  per  il  successo  dell' alta  missione  che  vi  è 
»  stata  confidata  (l).  » 

4  aprile.  L'arcivescovo  di  Bordeaux  riceve  il  be- 
retto  cardinalizio,  e  recita  dinanzi  al  Presidente  un 
discorso,  in  cui  gli  dice:  «  Sarebbe  d'uopo  avere  sban- 
»  dito  Iddio  dal  governo  delle  cose  di  quaggiù  per  non 
»  riconoscervi  i  disegni  della  Provìdenza.  —  Poche 
»  ore  bastarono,  e  la  Francia  attesta  al  mondo,  che 
»  essa  non  cade  neir anarchia  se  non  per  sorpresa; 
»  e  la  nazione  si  rammenta  ch'essa  non  è  forte,  li- 
»  bera,  e  altera,  se  non  sotto  un  capo  in  cui  essa  si  sente 
»  vivere,  e  che  la  personifica  come  voi,  0  principe, 
»  in  mezzo  a'suoi  più  cari  interessi.  —  LaProvidesza, 
»  CHE  sì  potentemente,  0  prìncipe,  v'ajctò  ad  inco- 
»  raggiare  tante  utili  imprese,  a  operare  'tante  ri- 
»  forme,  a  soccorrere  tante  miserie,  a  ricollocare  in 
»  somma  la  piramide  sopra  la  sua  base,  non  vorrà 
»  lasciar  l'opera  sua  incompiuta  (2).  » 

E  l'avea  preceduto  monsignor  Flavio  Chigi,  alle- 
gato apostolico,  con  la  dichiarazione  seguente:  Pon- 
tifex  mihi  in  mandatis  dedit,  ut  hac  occasione  Ubi  suo 

nomine  signi ftcarem stbi  in  primis  jucundissima  èsse 

egregia  tua  studia,  quibus  publicae  tranquillitatì  et 
ordini  consulere  contendis,  quibusque  sanctissimam 
nostram  religionem  ejnsque  ministros  tueri  tantopere 
gloriaris.  —  Hoc  sane  pacto  tuum  nomen  ubiqiie  sem- 
per  celebrabitur,  ac  per  titulos  memoresque  fastos  pò- 
steritati  tradetur  (3). 

<1)  n  CatoKco,  n.°71I. 

(2)  Ibid.,  n.»  790. 

(3)  Ibid. 


10  maggio.  L'arcivescovo  di  Parigi  nel  suo  discorso 
per  la  distribuzione  delle  aquile  al  campo  di  Marte, 
esclama:  «  0  principe,  che  la  volontà'  di  un  gran 
»  POPOLO  ELESSE  PER  DUCE  de'suoi  DESTINI,  intendiamo 
»  bene  che  cosa  dicono  al  vostro  cuore  questi  simboli 
»  eroici,  che  voi  ci  presentate  come  la  più  gloriosa 
»  parte  della  vostra  domestica  eredità.  Ahi  gonfidumo 

»  NELLA  VOSTRA  SAPIENZA — La  PrOVIDENZA  VI  DESTINA 
^  all'edificazione  di  un'opera  GRANDE   E  SANTA  (1).  » 

18  luglio.  Il  vescovo  di  Strasburgo  nella  benedi- 
zione delle  vaporiere  per  la  nuova  ferrovia  :  «  Bene- 

>  dite,  0  mio  Dio,  benedite  questo  principe  magnanimo, 

>  che  presiede  a  questa  festa  d'inaugurazione,  e  che 
»  dopo  aver  preservato  la  Francia  dagli  orrori  del- 
»  l'anarchia,  si  adopera  con  incessante  sollecitudine 
»  a  procurarle  le  dolcezze  della  pace,  e  i  benefizj 

>  della  religione  (2).  » 

15  agosto.  Il  curato  della  Maddalena  nella  sua  al- 
locuzione al  Presidente:  «  L'omaggio  publico,  che 
»  rendono  i  principi  dello  Stato  a  Gesù  Cristo,  fa 
»  testimonianza,  che  vive  ne' loro  cuori  il  pensiero 
»  dell' Uomo-Dio.  Ora  il  pensiero  di  Gesù  Cristo  è 

>  lunìone  degli  uomini  con  Dìo  come  con  un  padre; 
»  è  l'unione  degli  uomini  fra  di  loro  come  fratelli; 
»  è  uno  scambievole  amore  in  ragione  delle  facultà 
»  individuali,  che  nasce  ed  alligna  sotto  l'azione  d'un 

>  potere  generoso  e  forte,  che  rispetta  e  guarentisce 
»  l'interessi  privati.  Questo  pensiero.  Altezza,  questo 
»  sentimento  ammirabile  vi  anima,  traspira  da'vo- 
»  stri  discorsi,  si  sente  ne' vostri  scritti,  e  si  ha- 

>  nifbsta  nelle  vostre  azioni  (b).  » 

8  settembre.  Il  vescovo  di  Chàlons  indirizza  al  suo 
clero  questa  circolare:  «  Il  principe  Presidente  es- 

(I)  n  Catolieoj  n.o  817. 
(5)  Ibid.,  n.»  874. 
(3)  Ibid.,  o.«  898. 


ni      , 

n  séndo  alla  vigilia  di  recarsi  nelle  proyincie  del  mezto. 

.j  giorno è  ben  giusto  che  sìa  accompagnato  dai 

»  nostri  voti.  —  Le  sincere  testimonianze  d- affetto, 
»  che*  bà  ricevuto,  hanno  potuto  fargli  comprendere, 
s>  quali  sono  a  suo  riguardo  le  disposizioni  ed  i  sen- 
»  tlmenti  della  Francia,  e  quanto  noi  siamo  ricono- 
»  scenti  a  tutto  ciò,  che  ha  fatto  per  noi;  tténtre* 
»  si  è  sacrificato  generosaimente,  ha  tutto  osato,  ed  ha 
»  fatto  cose,  a  cui  nessuno  avea  pensato  primd  d!  idi. 
»  Che  sia  benedetto  QUESto  voìio  w  Dio,  questo  okak- 

»  D  COMÒ,  poiché  DfCr  lo  ha  mandato  e  fatto  SUR6ERE 
»   PER  LA  felicita'  DELLA  NOSTRA  PATRIA  —  AH  t  SÌ,  CtaB 

»  SIA  BENEDETTO.  Noi  pregheremo  per  lui  :  è  questo  il 
»  tributo,  òhe  ha  diritto  d'esrgefré  da  noipefr  li  aSti 
»  sérvigj  che  ci  ha  resi,  e'  dhè  vuole  retidfetci  an- 
»  Cora  :  è  un  dovere;  che  saremo  gelosi  di  soddisfare 
»  verso  di  lui  (1).  » 

9  settembre.  Altra  circolare  «1  suo  clero  del  car- 
dinale arcivescovo  di  Bourgés  :  «  Sapete  che  il  Pre- 
»  sidente  onora  ddlst  sua  visita  la  capitale  del  Berry  : 
»  le  popolazioni  cetto  s'affretteranno  di  venire  a  te- 
»  stimoniargli  le  loro  sincere  e  rispettose  simpatie, 
»  e  vedranno  con  piacere  il  loro  paroco,  che  le  ac- 
»  compagna  in  questo  atto  doveroso.  —  Mi  arrechearà 
»  somma  gioja,  se  potrò  presentare  allMllustfe  capa 
»  dello  Stato  un  clero,  che  con  le  sue  sagge  vedute 
»  e  perfetto  sentimento  comprende  la  sua  santa  mis- 
»  sione.  Voi  pregherete  Dìo  con  noi,  perchè  benedica 

»    TUTTI  I  PASSI  DEL  PrÌNCII^E,  ADEMPIA  I  SUOI  DBSIDERJ 

»  ed  i  nostri,  fornendogli  tutti  i  mezzi  di  compire, 
»  a  vantaggio  della  religione  e  della  società,  l'opera 
»  fif  SALUTE  CHE  COMINCIÒ  COSÌ  NOBILMENTE,  e  con  tanta 
»  felicità  (2).  » 

M)  //  Calolieo,  n.«  913. 
(2)  Ibid.  0.®  915. 


15  9ettèmi)re.  Allocuzione,  — ^  del  vèecóvò  di  Ne- 
rers:  «  Prìncipe,  il  vescovo  di  Névers  e  il  suo  clero 
»  depongono  ai  vostri  piedi  T  omaggio  del  loro  ri- 
»  spetto,  riconoscenza, e  devozione:  saluTamo  in  voi, 

>  in  vostra  Altezza,  l'eletto  gIorioso  del  popolo,  b 

>  10  STRUMENTO  VISIBILE  DELLA  PROVIDENZA  NEI  SUdl  01- 

i  visAHENTi  DI  MISERICORDIA  per  la  ocfstta  patria^  Non 
»  cessiamo  d'inviare  al  cielo  le  più  fèrvide  supplica- 
•  zioni,  affinchè  protegga  sempre  la  vostra  persona».. 

>  e  vi  renda  degno  dell'ALTA  mis^sionb,  che  vi  ha  ap^ 

>  ra>ATo  per  la  felicità  della  Francia,-  e  per  la  sai- 
»  vezza  della  società  (1).  » 

16  settembre,  dèi  vescovo  di  Mcralins  —  di  qdel 
cotale,  citato  da  Montàlembert,  che  s'era  professato 
così  fervido  e  leale  amatore  della  libertà  per  ttttti  : 
—  «  Monsignore,  siami  permesso  in  questo  solenne 

istante  indirizzarvi  l'omaggio  di  un  doppio  ringra- 
zuMBNTO.  Questo  riguarda  un  publico  beneficio, 
degno  della  speciale  riconoscenza  della  chiesa  :  il 
primo  è  d'AVBRLE  reso  la  liberta'  di  operare^  ne- 
cessaria per  dilatare  e  raffermare  la  $ua  felice  in- 
fluenza; il  secondo  è  l'avei'  compréso,  chela  na- 
zione francese,  non  disturbata  nelle  sue  naturali 
tendenze^  rimane  sempre  la  nazione  cristianissima 
tra  tutte  le  altre^  —  La  prima  manifestazione  della 
nostra  riconoscenza  sarà  di  chiedere  a  Dio,  con  le 
grazie  che  santificheranno  b  vostra  missione  nel 
tempo,  la  gloria  che  ne  sarà  la  ricompensa  nel*' 
l'eternità  (2).  » 
22  settembre,  del  vescovo  di  Gap:  «  Monsignore, 
»  il  clero  della  diocesi  di  Gap,  felice  di  trovare  Toc- 
»  casione  per  manifestare  publicamente  a  Vostra  Al- 
»  tezza  i  sentimenti  che  Tanimano,  vi  offre  per  mezzo 

«)  n  CatolUo,  n.«  9IS. 


160 

yy  del  SUO  vescovo  r  omaggio  del  suo  rispetto,  della 
»t  8ua  ammirazione^  e  della  sua  viva  riconosceiìza. 
x^  Attaccato  di  cuore  alla  religione  ed  al  suo  augu- 
ì>  sto  capo,  vsNEEA  IN  VOI,  nell'interno,  il  protettore 
»  aLUMiKATo  di  questa  santa  religione;  all'estero,  il 
»  vero  restaurat(Nre  su  '1  trono  di  Rema  dell'illustre 
»  ed  immortale  Pio  IX.  —  Oggidì  che,  mercè  la  sag- 
»  GEZZA  DEL  VOSTRO  GOVERNO,  rìtoma  la  Calma,  non 
».  ci  resta  che  a  ringraziare  Dio,  e  supplicarlo  di 
D^  spargere  sopra  di  voi  e  su  le  persone  eminenti  che 
»•  VI  CIRCONDANO  E  SECONDANO,  i  luìni  di  quella  divina 
»  intelligenza,  che  forma  i  grandi  principi,  inalza 
»  l'imperi,  e  li  rende  gloriosi  ed  immortali  (1).  » 

22  settembre,  del  vescovo  di  Grenoble:  «  Monsl- 
»  gnore,  mentre  la  città  di  Grenoble  si  reputa  for- 
)>  tunata  di  possed^e  nelle  sue  mura  l'eletto  bella 
»  nazione,  il  vincitore  dell'anarchia,  e  il  salvatore 
»  DELLA  Francu;  il  primo  Pastore  della  diocesi  ed 
»  una  parte  del  suo  clero  hanno  l'onore  di  o£Frirgli 
)>  l'omaggio  del  loro  rispetto,  gratitudine,  e  ricono- 
»  scenza.  E  come  non  saremo  riconoscenti  per  quel 
)>  che  Vostra  Altezza  fece  a  favore  della  religione? 
»  — •  Continueremo,  il  clero  ed  io,  ad  inalzare  al 
»  cielo  i  nostri  voti  ferventi  per  la  nostra  patria,  e 

»  pe  '1  PRINCIPE  AUGUSTO,  CHE  NE  È  LA  SPERANZA  E  LA 
»   GLORIA  (2).  )> 

23  settembre,  del  curato  di  Meyssiez  a  nome  d'una 
gran  parte  del  clero  dell'Isère:  «  Monsignore,  è  una 
»  felicità  inarrivabile  per  noi  il  contemplare  da  vi- 
»  cine  e  salutare  con  riconoscenza  il  ureratore 

»   DELLA    PATRIA,  C  IL  DIFENSORE   DELLA  RELIGIONE.    La 

»  religione  e  la  Francia  vi  devono  molto,  e  nondi- 
»  meno  i  loro  sguardi  supplichevoli  si  volgono  '  verso 

(i)  //  CatolUo,  n.^  996. 
(3)  Ibid.,  n.«  927, 


di  1^;  4o#te  pnBlitf''lotolno9rft  I&'  TóstMt  pò* 
unite  mano.  — -  Lasòìaté  ebe  Bèlle  ròslre  rnaorsi 
oóftMlkli  il  potere,  di  cui  rin-  ilosì  buon  i»o  b 
òAtnò.  La  eoroDà  im^alè  è  vostra;  Il  popolerò 
«fitOBlàstno  ve  ia  dona  ;  àòceltMda  :  H  nostro  amore» 
la  nostra  dovòsdotae,  e  la  ìuèo  m  Dio  -dal  oié&o  no 
reodi^iìiio  lieve  11  peso  (1);  d' 
26  settembre,  del  vescovo  di  Marsiglia:  «  Monsi- 
gnore, ratto  religioso,  che  Vostra'  AHena  viene  Ud 
adempire  qui  pnbHcamenle  oggi,  e  che  si  rlnova 
fedelmente,  come  è  noto,  nella  vostra  vita  privata^ 
dimostra  quanto  Alto  poggino  i  Vòstri  inviSAanMti: 
8  m  Dio,  dà  cni  ogni  potere  pi'oéede/cHE  voLin'B 
ostcAtc  tu  vosTftA  Fom.  Sicctfè  ricévendovi  alla 
IKHrta  di  questa  chiesa,  il  vesccfve  di  Marsiglia,  il 
suo  Capitolo,  e  li  altri  rappresentanti  del  snò  déro 
9oho  felici  di  RiGONoràtafe  tK  VOI  VtiMo  della  Pao- 

VIDBlteA,  StXLTO   PER   BSdEÌlE   tO  6l1ltTfi&NT0  DÉ'seOI 

ìbnbficj.  è  la  Ptoildeàs^,  che  vi  ha  accoHlato 
d'ifaavgij^re  la  voétra  ascei^mf  ài  potere  su* 
premo  éb'l  rlstàbilimehto  del  trmò  teihpmde  del 
eapo  delia  chièda.  -^  Per  qùé^o,  al  ifiótnèntò  sta- 
bilito, toste  IL  I^eIiatoìe  tet  VostAD  paese,  dhe 
si  trovata  àlhl  vìffim  di  é^reina  tòvlni;  è  con  lo 
stesso  succèsso  e  con  egtfàle  glMa  (perchè  dfét- 
tèreté  ègniil  fedeltà  nella  Vostra  àmMt  HòtL- 
DRIÓ1ALE)  continuerete  l'o|iiera  httfirefisa,  ddlt  da 
vna  più  ai  vdè(trd  t;iioré  che  al  tbi^trò  braccio,  alla 
vostra  fede  catolica  più  che  alla  vostra  atta  Sa- 
pienza. —  La  posterità  si  dsstlciérSi  alla  hctettó  iri- 
conoscefeza  verso  Dio,  che  PRófteòÉ  ix  vpàTkA  t'ER- 

*  Sona,  e  fa  tIi[ionpàré  il  vostro  éofeAooib  (2).  » 
47  sèttobbré,  del  vescovo  é  Fréjtfs:  «  fflotìsl^al-e, 

»  quando  T  Eterno  dopo  angosciosi  dì  dà  al  mondo 

(4)  Il  Calolieo,  n.»  957. 
(J)  /«d.,  ii.«  930. 

L  11 


m 

un  C%Atntina,<mCario-Magao^iiBNft|»IeMe,per 
istrappare  la  società  dagli  abissi,  ricollocarla  su  le 
sue  vere  e  solide  basi,  la  religioiie  e  la  giustiEia; 
è  peripesso  ad  un  ministro  deirEvaogelio  di  trovare 
nel  stto  cuore  sentimenti  tali,  che  lo  spingano  a 
venire,  circondato  dai  suoi  fratelli,  a  dire  al  libe- 
ratore che  passa:  Principe,  ricevete  i  nosCrl  omaggi; 
gradite  la  nostra  riconoscenza  e  vivete  in  btbino! 
»  Vivete  psa  gobip»b  con  la  peotbzionb  del  cielo  e 

»   LA  BENEDIZIONB  DELLA    TBBIA  LA    PIÙ*  ALTA    MISSIONE 
»   B  IL  più'  MABAVIOLIOSO  DBSTDiO  DI  QUBST'EPOGA  (1).   » 

:  30  settembre,  delFarcivescovo  d'Ai^:  «  Monsignore, 

«  il  clero,  di  òui  ho  Tenore  d'essere  il  capo,  parte- 

»  cipa  alla  gioja,  che  cagiona  a  questa  antica  e  no- 

»  bile  città  la  visita  di  Vostra  Altezza  imperiale. 

»  AM)iamo  la  fortuna  di  salutare  nella  vostra  per- 

»  sonali  nepote  di  quel  grande,  dinanzi  a  cui  la  terra 

»  ti  taque^  come  davanti  ad  Alessandro,  reietto  da 

»  sette  miilioni  e  mezzo  di  suffragi.  Voi  <H>mbattete 

»  con  noi  le  dottrine  empie  ed  anarchiche,  che  fanno 

xi  perdere  l'anima,  e  rendono  i  popoli  infelici.  Voi 

»  avete  inviato  i  vostri  valorosi  soldati  in  soccorso 

m  del  commun  padre  dei  fedeli,  perseguitato  da  figli 

»  ingrati.  Voi  volete,  che  i  padri  di  famiglia  sieno 

»  liberi  di  consegnare  ai  sacerdoti  i  loro  figli  per 

»  essere  educati.  —  Questi  benefìzi  e'  inspirano  una 

»  profonda  riconoscenza.  Permettete  che  io  ne  offra 

»  qui  a  Vostra  Altezza  il  sincero  e  rispettoso  omag- 

»  gio  (2).  » 

1  ottobre,  del  vescovo  di  Nimes:  «  Monsignore,  do- 

»  vunque  su  '1  vostro  passaggio  voi  raccogliete  be- 

»  nedizioni,  voti,  e  testimonhinze  di  rispetto.  Da  tutte 

9  le  parti  si  corre  per  deporre  ai  piedi  di  Vostra  Al- 

(1)  //  CatoUóO,  D.*  980. 


IM 
4fim  U  tfilwto  d'tt^ft  rkofmoWBk  ben  feruta,  ed 
altresì  nmjomvf»  hvutai a  oen  i'uoiinq  sbuvioj, 
che  avete  reso  alla  Francia,  alla  società,  ed  ezian- 
dio alla  santa  chiesa  ed  al  suo  augusto  capo,  no- 
stro tenero  e  venerato  padre.  11  vescovo  di  Mimes 
e  l'onorevole  clero  delia  sua  dieeesi  dividono  que- 
sti sentimenti^  —  Venite  adunque^  o  principe,  a 
UGBVBRB  JLB  «osiaB  asN«DBiQia.  DÌO  vi  dia  molti 
anni  e  felici  (1).  » 

i  ottobre,  del  vescovo  di  Montpellier:  «  Principe, 
è  scritto  nel  libro,  del  divini  oracoli,  che  ogni  po- 
tere su  la  terra  è  nella  mano  di  Dio,  il  quale  a 
tempo  opportuno  farà  nascere  un  principe,  che  la 
governi  a  vantaggia  di  tutti.  Tale  è  Ja  vostra  fede 
di  cristiano,  e  la  vostra  missione  di  princqie:  il 
popolo  crede  alluna,  e  ne  è  felice;  la  Francia  rac- 
coglie i  benefici  dell' alka,  e  le  sue  acclamaaloni 
vi  dimostrano  la  sua  Riconoscenza.  Soffrite  che  la 
chiesa  Tosservi  ;  quando  qvesto^  popcdo  getta  al  \o- 
atro  nome  in  un  lungo. trionfo  le  sue  simpatie  ed 
i  suoi  voti,  è  perchè  voi  portate  questo  nome  senza 
diminuirlo.  —  Sicché  con  una  vera  commozione, 
con  un  sincero  rispetto,  il  clero  di  questa  diocesi 
sotto  la  guida  del  suo  vescovo  si  unisce  a  voi  in 
questo  tempio,  per  ringraziare  Dio  dell'antica  fede 
della  nostra  Francia  ricoverandosi  sotto  un  potere 
forte,  ma  cristiano.  —  Se  Dio  degnasi  d'esaudire 
le  nostre  preghiere,  la  vosraA  vita  saha'  coNSBa- 

VATA  PBt  QUKLL'oPBHA  DI  SALVEZZA  SOCIALE,  GBE  B 
TOTTA  VOSTBA  (2),  » 

9  Ottobre,  del  cardinale  arcivescovo  di  Bordeaux: 
Monsignore,  la  nostra  popolazione  riconoscente  si 
aUiaiidofia  a  trasporti  di  vero  entusiasmo,  perchò 

(i)  tt  CaioUeo,  n.*  935. 
(I)  iW. 


i  ¥«tti  iiiiipMlLte  IffqftfMIà  ttfeim  foMiRiS,  à^irè  odi 
9  «lìEitnè  mei  tu  iMi^M  «ddbdMò  «Mfe  tKMUre  i^l^ 
1»  ghfét«.  -^  Rtindendd  afliè  réHi^e  le  libOità^  ^he 
4  eoMitoiscodo  la  éaz  Ibtm  é  M  sua  -uofm  (lotisÉzav 
1^  pr<tttt6ltmtto  «)|MNi!ttttlo  li  éomotM  tMè  «  pe^l^e^ 
è  yfttimrfe  d^lo  ^tato  fer  ina  più  Mela  diiMrvàftza 
»  Mia  Aofflealéa,  Af«ftt  9Afffo  AtMUto  a  i«im  i  «én^ 

»   TIMSNTI   GENEROSI,  AVETE   SaOI/TO  IL   l^MÒklMA    ffEb 

i^  imìJàb.  -^  n  (ira^lgtò  d*ufi  gran  tiédle  non  atfeftbe 
«  bastalo  ffer  ridinaré  àUa  fÀÉCìa  la  sua  MM\k  e 
a  Hi  Ma  gloiHi:  T'«fa  d'Éi^  aneèm  della  vigoria 
a  d^im  flebile  euave  «'diil  laail  é'tm  i^fit«f  mto: 
»  Di<»  t'Iti  aÀfb  Qéfasi^f  «te  boKi  (})i  i 
19  óitdlwe,  Aeiraf d^»iéac#ttr  d!  Tmif^  :  *  SÌdMgmh*ej 

IH  «mi)  la  pMiiéé  gràutiidliié  dav«  «thòstraie  a! 
»  4mta  acfM  muiÀ  èu  UMimm  ìa  m^tb  ap 

»  cataeott  ad  al  petìMl  Tanéi  avvenimé»lf  (^ia^^^ 
»  tiai  c#i^o  ttttei  i  (Siculi  déM'tidiafid  i^i^adeuza,  Hhe 
1»  sldiifibbaro  wh-a^^oir  dètla  désiHi^  déll'Qnfttp^totite; 
»  ijb^t^gauér  a  iMti  ^msSA  <dotWi.  ^  TI  écìfifUttQ^ 

»  ptìÒBm  et^  aòttiÉA  «owiimaNm»  e  ffaj^to;  ^i^ 
»  i^stOkó  fètVfmÈméàìJb  per  la  «!0»^rvattlèné  d'ima 
»  viia  per  tante  ragioni  pMidsa;  ^aéiflttid^  a  ilo 
»  dsLt  vi  ecmeedtt  cK  eeiidariv  a  èofii|iimettt«»  i  diVi^ 
»  samenti,  che  avete  formato  per  la  pace,  felièltà,  « 
»  glo#ia  deBa  Francia  (3).  * 

t%U,  geimjó.  L'aMvaM0y«f  di  Parigi  Ael  suo  di- 
acorae  alla  riapértìira  della  élM»  di  a  6«fi#¥^: 

(i)  a  CaMieo,.  n.^  940. 
(5)  /6W„  ».•  9M. 


m 

»  Dio  teneva  m  $mo  Aip^àMimà*  KgU  oomiNraiide  » 
»  personifica  tutte  queste  aspirazioni  (rispetto  della 
»  religione  e  dell*  autorità).  La  sua  missione  M  da 
»  {Mancipio  disconoseiuta;  ma  egli  uscì  cohefer  mi-- 

»  KAGOLO   DAUE    VISCERE    DEL   POPOLO'.    CÌÒ   fU   la   SUa 

»  forza  e  il  suo  diritto.  Con  una  mano  su  'l  cuoa^ 
»  Di  questo  popolo  egli  ha  governato.  Egli  ba  ri- 
»  Yolta  la  sua  prodigiosa  abilità  a  comprendere  ed 
»  a  indovinare,  ad  un  bisogno,  cl^  che  v'era  in  que- 
>  stoeueve;  la  sua  potenza  ad  effettuarlo^  Egli  sqipe 
»  di^nnzare  i  pregiudi^,  anche  quelli  ch'erano  ere- 
»  seiuti  con  la  vittoria^  La  religione  fu  onorata,  la' 
»  sua  indipendenza  fu  rispettata,  e  la  chiesa  con- 
»  tinua  a  godere  sotto  il  suo  regno  d'una  piena  li- 
»  berta,  n 

Conte  di.  Montalembert,  ^  vi  ringrazio  d'avero^l 
coodntlo  a  rìoq)jarff^  P0ir  d^rvi  ««a  smentita  di  più, 
questa  pagina  di  scandalo^  ed  osoeni  dofeumeati.  HIsh 
dltateiì,  e  P0Ì  mi  direte^  quale  aia  l'amore  delia  chiesa 
di  Francia  per  la  libertà)  E  fratanto,  non  vi  lagnai 
più  se  noi  denunciamo  il  catoHclsmo  all'lndegnazione 
ed  all'orrore  della  coscienza  umana.  Sapiamo  ora,  per 
runanime  consenso  de' suoi  pastori,  ch'esso  è  1^  g^iu- 
stificazione  d^i  sprjgiuri  e  .<lé!n)al;andriq|;  1^  glp- 
rìficazione  4d  delitto  e  dell'infamia:  sapiaiXK>rCtii9  ili 
SQo  Dio  è  Btìim^^  la  sua  providenza  il  cannone  ^ 
il  suo  diritta  la  forza,  la  sua  morale  l'interesse,  la 
sua  leg^  la  servilità  :  sapiamo,  che  fra  tuUe  le  classi 
di  dttadini  la  chiesa  è  la  più  abjetta,  la  più  codarda, 
la  più  venale,  la  più  depravata;  giacché  mentre  ogni 
ceto  diede  alla  Francia  uomini  di  cuore,  i  quali  con 
l'opera  0  con  la  voqe  protestarono  contro  dell'usurpa- 
zione, la  solf^  chiesa  non  ebbe  un  pastore,  un  solo! 
^  afjnfim»  la  digoit^  d'uomo  e  di  eittadino;  un  sola 
<te  BOB  pqitArgatte  la  patria  sdla  aacristia,  la  oor- 


166 

^tientt  allo  stipendia^  la  gjitiiizià  «Ita  iwira,  l'OiAa^ 
lìllà  al  beneplacito  M  più  forte  (1). 

(1)  Parrà  strano  per  avvenlara  a  taUmi*  che  parlando  di 
fiapoleone  io  adoperi  nel  69  il  linguaggio  medesimo  soUoso* 
pra  che  tenevo  nel  53;  e  che  le  imprese  d'Oriente  e  d*  Italia 
non  mi  abbiano  disposto  verso  di  lui,  se  non  airenlnsiasmo 
dell'ammirazione  per  le  sue  gesla  recenti,  almeno  airindaU 
genza  deirobllo  per  le  stie  colpe  antiche.  —  Se  volessi  esporre 
qnt  tiitte  le  considerazioni  che  concorrono  a  ginsliflcare  il  mio 
procedere,  dovrei  entrare  in  tanti  pantcdari,  che  in  luogo 
d*nna  breve  nota  mi  converrebbe  scrivere' «a  Iun0e  capliolo. 
Accennerò  dunque  soltanto  alcune  ragioni  capitali,  che  baste- 
ranno, spero,  al  discreto  lettore  per  assolvermi  da  ogni  taccia 
d*ingraiitudine  o  di  leggerezza. 

I.  Io  rispondo  a  Montalembert,  il  quale  scrivendo  nel  52 
alludeva  al  Ronaparte  che  fece  il  colpo  di  Stato,  e  non  al  Na- 
poleone che  fece  le  guerre  di  Crimea  e  di  Lombardia.  Quindi» 
come  i  suoi  argumenti  si  riferiscono  sempre  al  presidente 

'  d'allora,  cosi  le  mie  erifìciie  cadrebbero  a  vuoto,  se  io  le  ac- 
oommodassi  ainmperatore  d'adesso. 

II.  Il  bene,  ohe  Napoleone  imperatore  ha  (atto,  per  quanlo 
voglia  magnificarsi,  è  ancor  lontano  infinitamente  dal  com-* 
pensare  il  male,  che  fece  Bonaparte  presidente.  La  spedizione 
di  Roma  e  il  colpo  di  Stato  sono  tali  immanità,  che  non  si 
espiano  e  non  si  cancellano  con  le  mezze  vittorie  su  la  Russia 
e  su  TAustria. 

IH.  Con  tutto  ciò,  per  amore  alla  mia  patria,  lo  mi  sarei 
rigorosamente  interdetta' ogni  allusione  al  passato  di  questo 
uomo  fatate,  anche  .i  costo  di  mutilare  e  di  sconciar  la  ri- 
stampa del  mio  libro,  ove  neirultima  guerra  egli  fosse  stato 
fedele  agl'impegni,  che  spontaneamente  e  solennemente  si  era 
assunti  verso  il  Piemonte  e  verso  riUUa.  Sì,  qualora  egli  ci 
avesse  lealmente  ajutati  a  ricacciar  l'Austria  al  di  là  delle 
Alpi  e  dell' Adriatico,  lasciando  pòi  che  liberamenle  si  aggre- 
gassero in  un  solo  Slato  le  Provincie  che  invocavano  la  loro 
unione  co  M  Piemonte;  ohi  sì,  io  avrei  di  buon  grado  im- 
posto  silenzio  alla  mia  memoria  ed  al  mio  cuore;  e  senva 
discendere  mai  alt^^duiazione,  come  ha  fatto  pur  troppo  una 
gran  parte  della  stampa  italiani^,  mi  sarei rseniii^loBattielttc  > 


147 

11  qiiiate  poi  tn  géneife  di  fidsttà  e  di  sofisma  tocca 
il  stibiime.  Voi,  signor  conte,  ci  apportate  la  notizia* 
che  il  governo  della  chiesa  non  è  assoluto,  ma  li^ 
bero»  perchè  è  un'nutarità  temperata  da  leggi  dure- 
toUf  (imperata  da  coetimM^  da  tradizitmi,  da  resUtenze 
permesse  e  indamoUli  (1).  Lasciamo  da  baiàda  1  co- 
itmU  e  le  ttadiziani;  che  se  bastassero  a  costituire 
un  governo  temperato,  non  sarete  più  né  anche 
possibile  na  governo  assoluto.  Il  concetto  medesimo 
di  Stato,  nazione,  o  popolo,  non  implica  forse  i  co- 
stumi e  le  tradizioni,  come  suoi  elementi  essenziali, 
senza  di  cui  to volgerebbe  un'intrinseca  repugnanza? 
Forsechè  Ja  Russia  non  ha  pure  le  sue  tradizioni,  i  suoi 
eostuni  ?  E  la  Turchia  manca  forse  di  costumi  e  di  tra- 
diàoai?  —  Arrestiamoci  però  alle  leggi  ed  alle  resi- 
tienze.  Non  basta  certamente  la  semplice  e^stenza 
delle  leggi  a  temperare  un  governo;  altrimenti  tutti 
i  gov^ni  dovrebbero  stimarsi  liberi,  giacché  senza 

asienuto  da  ogni  paroU,  da  ogni  sillaba,  che  potesse  parere 
UDO  sfogo  intempestivo  di  vecchi  rancori  e  d'implacabili  od4« 
Ma  la  tregua  di  ViUaCraoca  mi  ha  liberato  da  ogni  riguardo. 
Dei  varj  motivi  che  vennero  allegati  per  ispiegare.  non  che 
per  iscusare  quel  tradimento,  nessuno  ve  n*ha  di  storica- 
mente plausibile,  e  tanto  meno  di  moralmente  accettevole^ 
Anche  questa  volta  1* Italia  ò  iniquamente  sacrificala  agrinle^ 
ressi  d*ana  politica  cupa,  arcana,  mefistofelica,  sensa  prlnci*' 
^  né  fine,  sema  criterio  oè  legge;  talché  direbbesì  non  airer 
«sa  altro  scopo  fuorché  quello  di  schernire  il  senso  com- 
nuiDe,  insultare  alla  coscienza  publica,  e  ridurre  principi  e 
popoli  alia  disperazione.  Nel  caso  mio  adunque  il  mutar  Jin- 
guaggio  ver»o  di  Napoleone  sarebbe  sialo  un  atto,  non  di" 
prudenza,  ma  di  cortigianeria;  ed  io  voglio  piuttosto  parer 
temerario  per  troppo  affètto  alla  patria,  che  debole  per  troppo 
riguardo  al  fautore  di  questa  sua  nuova  reina. 

(1)  Une  aatorité  tempérée  par  des  lois  dnrable^,  tempérée 
piff  é»  oootomes,  det  uradiUons,  par  des  résistances  permi- 
m  et  iiMlofliiptables  (pag.eS). 


IN 

leggi,  oomé  séiu2boostu])oi.Ms  Uadizionì,  npE  pnÀ  mè^ 
stetère  alcuno  Stajt^L  Acciocché  un  goyeroofMMsa  dirsi 
.  tmpemU)  daUe  leggi,  convieoe  che  la  &cultà  legisla- 
tiva nott  risièda  esdqsivameate  udì  principe,  ma  si 
eserciti  in  conunune  dal  principe  e  da  qualche  altro 
potere,  l^ù  o  m^so  indépendente  da  lui.  Ora,  nella 
chiesa  a  chi  compete  raatorìtà  legislatrice?  Tutta  e 
soia  al  papa.  Se  Voi  foste  un  gallicano  o  un  giaoso- 
nista,  non  vi  sarebbe  difficile  opporre  qualche  ecco- 
zìone  a  questa  risj^osta;  e  mi  alleghereste  senza  du- 
bio  l'autorità  suprema  de'concilj.  Ma  voi,  proclamando 
altamente  la  dottrina  cUramontana,  cioè  romana,  per 
ia  sola  Dera  (1) ,  mi  dispqnsate  da  una  discussioine 
super Aua  e  vana.  Seeondo  voi  adunque,  il  papa  solo 
ha  diritto  di  convocare  i  copcilj,  di  presiederli,  e  d'ap- 
provàrii;  ed  essi  non  possono  esercitare  altra  facultà 
legMatìva  che  quella  dogata  loro  dal  pajwi.  Quindi 
il  temperamento  dell'autorità  pontificia  mediante  i 
concilj  è  affatto  illusorio.  E  dai  concilj  in  fuori,  qual 
altro  freno  direte  imposto  ai  voleri  del  papa?  Forse 
le  congregazioni  romane?  Ma  esse  dipendono  intie- 
ramente da  lui  :  è  desso  che  le  nomina,  le  aduna,  le 
scioglie,  ed  accetta  o  rifiuta  a  suo  beneplacito  i  loro 
pjureri.  Forse  i  cardinali?  Ma  essi  parimente  soùò 
creature  e  strumenti  d^l  papa:  egli  ne  consulta  quali 
e  quanti  vuole;  ed  anche  dopo  il  loro  voto  fa  sem- 
pre quello  che  vuole.  Forse  i  vescovi?  Ma  essi  hanno 
tutti  giurata  obedìenza  piena  ed  intiera  al  papa;  non 
hanno  giurisdizione  alcuna  fuori  della  propria  dio- 
cesi; e  appena  un  dì  loro  fa  un.  atto  di  minima  di- 
^obedienza  al  papa,  il  papa  stesso,  giudice  e  parte 
insiewe^  lo  cita  al  suo  tribunale,  lo  condanna,  lo  de- 
pone, senza  speranza  d'appello»  È  questa,  signor  a)[òn- 

"  (1)  La*  doctrìne  uttramotitaine^  la  seule  vfale  stltvant  noi» 


daQe  Ic^i? 

E  Ys^\Usfi{  :^^rfipqpBlp  delle  resìstens^^  Ifi^u^  ed 
^^fàpfUifiili  ^^tqì  aiiìporà  pl(^  furioso.  Avri^ste4oyulo 
ipswi^irM  m  p9\  W  i^osùa  edificazìppo,  phì^  guan- 
to. pflPfi  PQ§?^  i;c»fst.ere  aJU>utoritài  ecpfés^tjicia  ^- 
ci^^^e  f  if^mbikfiente,  li  laico  al  pjré>t^  r  Ma  qnetr 
$ti  gli  pega  }'^^§{4^^^ffPf  ^  <^<>Q  d^^  ren(leriìe  coAto 
che  aUa  pi^Qpr^  cQs^^aza.  Il  prete  al  v^covo?  Ma 
que^Ù  tp  ^QSipaadie  a  divì^U,  lo.  scommualo^,  lo  chiucje, 
in  ui^  cpivv:ejito;  e  non  dee  renderne  ragione  ad  ^l- 
iri^cte  *  Pi^J^  iji  yc^covo'al  pjstpa?  Ma  qiie^li  io  di- 
cikl^ra  $c}sin^ti|C^,  lo  dieppi^p,  lo  oiet^rè  al  bandp  della 
chiesa;  ^  npade^  ri^po^erae  a  nessuno.  Quali  sono. 
duB^e  le  resiste$i^e  lecite  ed  indoimbili,  a  cui  $  ap- 
pógl^ebbe,  ad  u^  bispgno,  li  cat^lipo?  Fo^se  quellQ 
che  ia  ima  mt»  yoi  ^ìgik^  ^  ìioy^iostito  dal  Bel- 
larmino? Ms^  S0po  anc^'e^se  i^na  yi^rs\  deri^ip^^  <^ 
uo  enorme  assurdo,  H  qasp  di  nji  ppp^efiife/cliié  »j^- 
ttkto  fe  0nimp  e  t^ti  <^r?*aMg  '»  cfiieffi.  (1),  sj^ij)[fji|a 
a'vo^i  priflcìpj  Qjt,rap»qal§ni,  ,0  iqapftjpijìileiidjuilMpie 

voi  \mefim^>  ViìmWì^m  wap^l^  cpv^  ua^  yesi^iepza, 

coa^l  Apache  qu^to  ft  un  m^9  cpme  un  altrui  fi4 
a  più  d'uu  geS{9ita  f^f^  iaivìlia  ]§  fine^a  del  Yq&\ff^. 
tfoyato. 

E  piir^,  pagf^  dJ  im'a^rziope  cp^  %yolo»ai,  meglio 
Ae ai  jqia^  .dÀi^(j[^i/99i^  ig^teinj^lipa,  ygi  proseguite: 

B  iN»iw  «  il  mmwm  (kìk  éifm^;  m.  P^ÌS  nm  ^  m 

mmrc^  ,aiwl«f fil  (2).  Fmp^a  l'ay^J^  de^^  ,e  ripeti^to, 
ma  provalo  j^mi  Vi?4i^flt^  s^  HftMfflWtfi  yi  di^^nat^ 
di  recarne  qualche  buoaa  ragione:  Egli  non  può  nulh, 

(1)  Lic^t  resistere  poptilici  invadenli  apimas....  et  multo 
ma^  8i  ecclesiam  (jl^stniere  viderelìir  (pag.  93). 

(2)  )Lè  pajjie  est  le  mo^ajcque  de  régìise,  mais  il  n*est  pas 
no  mo/vvqqei  ataolu  (ps^.  93). 


tlOf 

e  non  imprenéè  inai  nulla  fuòri  della  eùsiitusionè  Air 
vina  della  chiesa,  ch*ei  non  ha  fatta,  e  di  cui  nùn  è 
che  l'interprete  ed  il  depositario  (1).  Potrei  di  leggieri 
smentirvi  con  la  storia  dei  papi  da  Pietro  a  Pio  IX, 
e  mostrarvi  che  quasi  tutti  hanno  Mrapreso  molte 
cose  contro  la  costituzione  primitiva  della  chiesa;  ma 
non  ho  mestieri  con  voi  di  tali  argumenti.  Yi  doman- 
derò  solo:  a  chi  appartiene  di  giudicare,  se  un  atto 
ecceda,  0  no,  i  limiti  dello  statuto  catdico?Alpapa.  A 
chi  spetta  decidere,  quale  sia  la  vera  interpretazione 
della  biblica  parola?  Ancor  al  papa.  A  chi  compete 
determinare,  se  il  sacro  deposito  sia,  o  no,  fedelmente 
custodito?  Sempre  al  papa.  E  voi  ci  venite  a  contare, 
che  la  monarchia  della  chiesa  non  è  assoluta? 

Egli  non  governa  da  sé  solo,  ma  con  l'assistenza 
d'un  numeroso  corpo  di  vescovi,  di  cui  egli  stesso 
mantiene  Vautorità  con  mano  scrupolosa  (2).  Cion  que- 
sto corpo  di  vescovi  che  cosa  intendete?  I  vescovi 
sparsi  nelle  diocesi  di  tutta  là  terra?  Ma  allora  la 
vostra  asserzione  è  falsa:  falsa  in  fatto,  perchè  i  ve- 
scovi lontani  da  Roma  non  partecipano  in  modo  al- 
cuno al  governo  generale  della  chiesa;  e  falsa  in  di- 
ritto, perchè  fuori  della  propria  diocesi  un  vescovo 
particolare  non  ha  veruna  giurisdizione.  0  piuttosto 
intendete  i  cardinsdi  ed  ì  prelati,  die  popolano  la 
corte  del  papa?  Ma  l'assistenza  che  gli  prestano  costo- 
ro, si  riduce  a  fargli  da  ministri,  segretarj,  cancel- 
lieri, e  servitori;  offìcj,  che  non  temperano  punto  la 
sua  autorità,  come  punto  non  temperano  Fautocrazia 
dello  czar  i  servitori,  cancellieri,  segretarj,  e  mini- 
stri, che  compongono  la  corte  imperiale. 

(i)  Il  ne  peut  rien,  et  il  n^entreprend  jamais  rìen,  ea  de- 
hon  de  la  constitution  divine  de  TégUse,  qu*ll  h*a  pfts  faite, 
et  doDt  M  D*est  que  rinterpréte  et  le  dépositalre  (pag.  98). 

(3)  Il  ne  gottverne  pas  seul ,  mais  avec  l'assistance  d'un 
nombreux  corps  d'évéqnes,  dont  il  maiotient  tnHnéme  Tau* 
tgrité  d*!ui0  main  scropolaose  (pag.  93). 


.     .      .  ^'it 

Fin  iliegtt  uttimi  g^aai  dei  cteiró  é  dei  fedeli,  ogni 
suddito  di  quesf impero  spirituale  ha  il  suo  diritto 
proprio,  trakizionale,  ed  imprescrittibile  (1).  Or  vìa, 
signor  conte,  voi  che  li  conoscete,  enuineratec!  un 
pò*  questi  diritti;  ammaestrate  li  ultimi  cherici  e 
iaìcl  cbe  ignorano  sé  stessi.  Finora  il  basso  clero 
sapeva  di  aver  un  solo  diritto  proprio  e  tradizio- 
naie,  quello  cioè  di  obedire  docilmente  agli  ordini, 
e  di  portarsi  in  pace  ì  castighi  del  suo  vescovo;  ed 
il  basso  popolo  stimava  di  aver  anch'egli  un  solo 
diritto  proprio  e  imprescrittibile,  quello  di  credere 
ciecamente  alla  parola  e  sottomettersi  al  giudizio  del 
suo  curato.  E  così  il  basso  popolo  come  il  basso 
clero  s'erano  tanto  più  persuasi  di  questo  principio,, 
dacché  lo  vedeano  sancito  ogni  giorno  dalla  pratica 
deloro  pastori  e  prelati.  Vedeano,  che  se  un  prete 
dice  0  fa  una  cosa,  la  quale  non  piacia  a  monsignore, 
viene  senz'alcuria  forma  di  procedura  legale  deposto 
dal  suo  officio,  interdetto  dalla  messa,  relegato  in  un 
chiostro;  e  qualora  osasse  mai  domandare  1  motivi 
della  sua  punizione,  il  vescovo  rispondergli  secco:  I 
motivi  li  so  io;  e  bastai  Vedeano,  che  se  un  laico 
parla  od  opera  in  un  modo  che  dispiacia  al  paroco, 
tosto  gli  si  negano  i  sacramenti,  si  denuncia  in  se- 
greto, si  maledice  in  publico  per  empio,  eretico,  scom- 
munleato,  e  si  mette  al  bando  della  community  re- 
ligiosa. Ì/Ì3L  voi  giungete  ora  molto  a  proposito  per 
disingannare  tutti  questi  poveri  schiavi;  ed  annun- 
ziate loro  la  fausta  novella,  ch'esai  hanno  pure  altri 
diritti  proprj,  tradizionali,  e  imprescrittibili.  E  siate 
il  benvenuto I  Toglieteli  dunque  di  pena:  su,  dite  un 
po',  quali  sono  codesti  diritti? 

(I)  iosqae  dans  les  derniers  rangs  du  cl^rgé  et  des  fide* 
les,  chaqtie  sujet  de  cet  empire  spirituel  a  son  drolt  propfe» 
cndltletttiel,  ei  imprescrìplible  (pag.  93). 


Mentf^  c]ie  yo{  peoeate  alia  nspos^^  m  '^»:pb  io 
una  lezione  intoroo  ai  diritti  catoUci  del  popolo  e 
del  clero.  Porgetemi  s^ttenzione,  signor  Itfontalej^^- 
beri,  ^  nuindate  a  memqrla  un  tra^q  dì  quel  catie- 
chi^mo  oltramoutanOy  che  Toi,  bandieraio  del  partito 
cat^licQ,  mostrate  di  non  avere  mai  studiato  o  ca- 
pitò: «  Ricordino  tutti  che  il  giudizio  deUa  ^na  dot- 
»  trina,  in  cuf  vanno  i  popoli  amnfiaest^^,  j^  il  gQ- 
»  verpjp  di  tutt^  la  qhiesa  spetta  al  ponV^fice  romai^o^ 
»,  al  quale  fu  datQ,  da  Gesù  Cristo  la  piena  podestà 
»,  di  pascere f  ^  reggere^  e  di  governare,  la  chij^t^^ni- 
xj  versale,  come  i  Padri  del  concilio  fiorentino  haano^ 
>>  espre^amente  dichiarato.  È  poi  dovere  di  ciascun 
»  vescovo  ^t^r  ignito  fe^ìelìssimamente  al]^  catedra  di 
»i  Pietro,  ou^jtqdìr^  religiosamente  il  def^o^tp,  e  pa- 
^  scere  il  gregge  cli^e  gli  è  confidato.  ^  dove^^  dei 
»  preti  esser  suggerì  al  vescovi,  che  S,  Gerolamq 
ì)  avverte  do^f^i  cfinsp^^r^e  come  i  pOfdfi  della  lorp 
»  anivi(^:  ne  ^M^entichinq  ^^,  cl^e  ezjapdìQ  i  canon} 
1^'  W^\é!^\  vietj^pp  \f>fo  d\  far  ni^Jla  «0  proprip  miqjr 
ly  s]^ja,  e  di  ^nnji^e.  UptScio  d'i^s^jffe  e  di  gr^ 
i(  (jLì(;ar^,  SBi^zQ^  Ù  ^q^tQ,  dtsl  vescovo^  a^lfi  cui  fe^ 
».  il  popqU)  è  emesso,  €^  ^  cu\  si  chiederà  C(Hì^>. 
»  delle  ajptime.  S'abbia^  in  fine  per  cert^.e  ^ic^ro,,^)]!^^ 
»  tutti  quelli,  \  quali  tramutio  qualjt^h^  cosa  contea 
»_  di  quest'ordine  stabilito,  turbajoo,  qu^tp  è  i^  lorp^ 
»  lo  sii^t>p  dell^  chiesa.  ^  Ponderino  bene  cglpra, 
»  c)ie  pì^o)iìi^^no  siffatti  ^Isegui,  al  so/^o  romfinQ  ffo^r 
3^  iefic£^9  sep^ndo  |a  tep^ìDiiQnianza,  di  S.  L^Qjg^^,  wr, 
^  ^t  ^ffi^(0  h  ài^pisf^Q^ione  d^i  cànoni;  e4  a  l\^ 
u  sola  appar^^fq,  nqn  gl^  ad  un  yrjyatp,  c^  ^e- 
»  cretare  qualche  cosa  injtoifpp  ^^  aflttjch^  fl^o^%- 
»  menti  (1).  » 


(1)  I  BfeQi^n^jrmt  o^nes,  jqdiciuj^  de  san^  dpcfrina»  qua 
»  populi  imbaendi  suot,  «jtqpe  ^^^a^  l^iiv^i;sa^  ì^tàMf^. 


^H^ofdt^  a  ttf^i»  (k  t^feéa,  B^tì  iia  cbMeò  iiù  àc^- 

H  s»éÌo  M  tr1fià<y  éòttìì^ìe  dé'ghàti^étlte  Vopeù  de! 
Si»!  Fratèlli,  e  spfìhgè  tàht'tìWè  I^kùdàctó  dèlia  fol- 
sità  e  dfellà  tìetiiò^,  cliè  prie  sisfrirtrtrài^  ecéesso  straot- 
éitìffò,  ^^iWwr  dOAté,  ttérftttò  in  boccia  voistrà.  ti  ^e- 
Uà  jivó  ètttbì^t\i,  M  àffferihslte,  non  abea  la  mMma 
nozióni^  dettù  sàbtaatiià  moderna,  vale  ù  dire  d'una 
ìmtà  Mzà  tliàftiy  èsbfcimti  is\i  tutti  i  cófpi  e  tutti 

rmmékì,  m 'cmpàHsfono  to  sécfètà  (1).  può  darsi 


HgtUm  jMMwhó  a  CArriJilo  Ùùminb-  IrmA&n  filiti  ttti  Pa- 
int ftérobttdi  toDcilii  dicerie  deelararaet.  Eat  auteift  Mn* 
galorum  Bptecoporum  cathedrae  Petri  fldeUssimé  adhaerere 
depositalo  sascte  religioseque  oastodiret  et  pesciere,  qui  in 
éi8  èst,  grégèm  Dei.  Presbytefi  vero  éùbjecti  sint  oportet 
episcopis,  quòs  ufi  dhiiHàè  jpd¥erités  suuìpiehSoé  ab  ipsià 
èìié  iàon^i  HierónymUs;  ùec  iiilqQatn  obliviscàtitaT,  sé 
vìéHÉstì^  éiiaiil  diitnòiMbQ!»  Vetati,  (|uÌ(S(>iam  in  sascèpto  mi- 
Dlsfférié  agèrè,  i(i  dole'ètifii  6t  d<mcionaridi  mani!:^  sibi  sti« 
vMh  Ékiié  tfentMdia  EpUeofi,  H4n»  fidéi  im^uUtt  es$  tre-^ 
éUn»^  et  d  quo  prò  dàimdbM  ratio  exi§(0tw:  GeT{am  d&> 
nique  BrmtOBiqìke  sa,  éos  omnels,  ^ai  adversus  praesUUtatom 
Imiic  ordìnem  aliqaid  molìaiitar,  statum  Ecdesiae,  quan- 
tum In  ipsis  est,  pertorbare.  Perpendant  Vero,  qui  Consilia 
ìà  génàs  machinantur,  iiho  i'omano  Ponti/tei,  ex  S.  Leo- 
nls  tèstitnonio,  éMonum  dispensattonem  esse  ereditntn , 
Ìp8iiiit}ti6  dtttritàxat  esse,  non  vero  privati  liominìs,  de  pct^ 
tefHarHtM  UHitUà  ianeHVHàiii  tfuiùptm  deéèrrté^e.  i'  {Bh^ 
Uiica  del  ih  agosto  4S32.) 

(1>  Le  moyen  àge  cailioliqae  n*avait  pas  ia  moiodre  notion 
de  la  souveraineté  moderne*  c'est-à-dire ,  d*iMie  domioation, 
d'une  tutelie  sans  limites,  exercée  sur  to^s  ies  corps  et  tous 
1^  Individns  qui  composent  la  société  (pag.  93-94). 


m 

bene^  dhe  stfhtu  nozione  della  eoefmità  mancasse  a 
quel  medio  evo  catolico,  su  cui  faceste  i  vostri  serj 
e  profondi  studj;  poiché  essendo  un'epoca  ignota  alle 
storie,  e  tutta  creata  in  sogno  dalla  vostra  fantasia, 
nessuno,  da  voi  in  fuori,  potrebbe  tenerne  discorso. 
Ma  il  medio  evo  catolieo,  quale  ci  vien  raccontato 
dagli  storici,  che  in  realtà  lo  studiarono  seriamente 
e  profondamente,  non  solo  aveva  qualche  nozione  di 
cotale  sovranità,  ma  avea  imparato  dalla  chiesa  a  re- 
putarla un  articolo  di  fede.  La  dominazione  universale 
su  le  anime  ed  i  corpi  fu  una  scoperta  o  un'inven- 
zione dogmatica  de'papi.  La  nozione  della  tutela  i7/ì- 
mitata  su  V  individui  tutti  che  compongono  la  socie- 
tà, il  medio  evo  catolico  l'apprese  da  colui,  che  in 
nome  di  Dio  sentenziava:  «  Chiunque  ricusa  d'cdte- 
»  dire  a  quello  ch'esige  la  santa  sede,  è  reo  del  de- 
»  litto  d'idolatria  (1)  »  :  da  colui,  che  adoperava  come 
legitima  questa  argumentazione:  «  Poiché  la  santa 
»  sede  apostolica  stende  la  sua  giurisdizione  su  le 
»  cose  spirituali,  che  le  vennero  confidate  per  di- 
»  ritto  divino;  poiché  le  giudica  con  un  atto  del  suo 
»  potere  supremo  ed  assoluto  ;  perché  non  decìderebbe 
»  ella  delle  cose  laicali  (2)?  »  :  da  colui,  che  impo- 
neva agl'imperatori  questo  giuramento:  «  Da  ora  in 
»  poi  sarò  fedele  e  leal  servitore  del  beato  Pietro 
»•  apostolo,  e  del  suo  vicario,  il  papa;  ed  osserverò 
»  fedelmente,  come  é  dovere  d'un  cristiano,  tutto 
»  ciò  che  il  papa  mi  ordinerà  con  queste  parole: 
»  per  la  vera  ohedienza  (3)  »  :  e  costui  si  chiamava 
Gregorio  VII.  —  L'apprese  da  colui,  che  insegnava 
doversi  credere  sotto  pena  di  eterna  dannazione  que- 
sto articolo  di  fede:  «  Stanno  in  potere  della  chiesa 

(t)  De  Pottbr,  llistoire  du  cfirMianUmey  tom.  IV,paQ^.  99. 
())  ihid. ,  pag.  ÌU, 
(»)  fbid. ,  pag.  iQ6, 


I7B 
ambedue  le  ^de,  la  spirituale  eioè  e  la  malerìale^ 
Ma  questa  deve  adoperarsi  per  la  chiesa,  quella 
dalla  chiesa;  Tana  per  mano  del  sacerdote,  Taltra 
per  UMIDO  de' principi  e  de' soldati,  ma  secondo  Tar- 
bitrio  e  la  pazienza  del  sacerdote  (t)  »  :  e  costui 
chiamava  Bonifacio  Vili.  —  L'apprese  da  quel  eo- 
ce,  in  virtù  del  quade  «  il  papa  può  fare  costituzioni 
pe  '1  mondo  intiero,  poicliÀ  la  sua  giurisdizione  non 
è  limitata  da'confìni  di  alcun  territorio.  — «  Il  papa 
giudica  tutto  il  mondo,  e  non  può  essere  giudicato 
da  nessuno,  fuorché  da  Dio;  e  quand'anco  tutto 
l'universo  si  dichiarasse  contro  di  lui,  e  fosse  egli 
stesso  in  contradizione  con  la  chiesa,  bisognerebbe 
credere  a  lui*  solo.  —  Non  è  lecito  discutere  le  sue 
azioni:  ciò  che  si  fa  per  autorità  del  papa,  si  fa 
per  autorità  di  Dio.  Il  papa  ha  un  potere  celeste  : 
le  sue  sentenze  procedono  dalla  bocca  di  Dio.  — 
n  papa  è  al  di  sopra  d'ogni  diritto  umano  positi- 
vo, e  d'ogni  diritto  positivo  ecclesiastico,  ancor- 
ché proveniente  dalle  decisioni  d'un  concilio  ge- 
nerale: mercé  la  pienezza  del  suo  potere,  egli  non 
trae  punto  la  sua  autor  ita  dai  cànoni,  ma  anzi  i 
cànoni  ricevono  da  lui  la  loro  autorità.  —  Il  papa 
può  determinare  i  simboli  di  fede,  anche  senza  il 
concorso  dei  concilj  ;  poiché  a  lui  solo  appartiene 
di  decidere  le  questioni  di  fede.  Egli  é  sopra  di 
tutti  i  concilj  ;  può  deporre  un  vescovo  senza  mo- 
tivi; non  é  legato  né  dalle  costituzioni  de' suoi 
predecessori,  né  dalle  costituzioni  degli  Apostoli; 
e  dispensa  da  Ile  une  e  dalle  altre  egualmente.  — 
n  papa  p  uò  dispensare  dalle  leggi  divine  e  dai  pre- 
oetti  dell'Evangelio,  o  modificarli,  o  per  lo  manco 
dichiararli  non  obligatorj  in  certi  casi.  Egli  può 
mutare  la  natura  dei  contratti,  e  di  nulli  renderli 

(I)  De  POTTKI^i  HUioir$  dtt  ef^mu^nitmet  V>m.  IV,  pa|^  334* 


1% 

1  viSlAf.  -^  È  m\»'m  li  éréèefé,  éBéll  ^'{^d^ 
»  errtr©  tielìe  tee  decìsìóihi  su  la  fede,  i  sacramèniii 
i>  ed  i  cositimi:  è  un  sacrilegio  il  dubitata,  se  égli 
»  pO^ssL  caitfblài-  le  Aitimi,  volontà  dei  iiiòrilk)nd!:  è 
»  iifi'apostasia  il  negare  il  suo  potere  suprét&o.  — ^ 
»  Il  papa  è  )'anliii!nistratore,  il  dispehsatofé,  ed  ani! 
j)  il  padróne  dei  beni  di  ttitte  Te  chièse;  è  ptìò  di- 
*  sporne  pienanieWle  e  KbcJramente,  come  di  cosa 
»  sua.  Egli  pub  deporre  i  giudici  ed  i  principi  dàll6 
J»  lorb  dIgiiiVa,  e  Sciòglierei  Vassalli  dà  ògnfi  iiWiga- 
»  zlonè  e  ^ufamehtoV  —  n  pfapa  è  il  rei  de!  ré,  il 
»  sìghort  dei  èigiiotì,  il  p^rìncìpè  de!  vèstJÒvi,  il  felu- 
»  dice  óhllnario  di  ttrtti  i  mortati.  È^i  fk^e  la 
»  piènétisi  del  {totére  assoluto,  in  virtù  di  cui  può 
i  ttmìzt  la  naitira  deì!^  còse,  togitere  Via  là  Mtàfizà 
»  degli  éfiitl,  kté  (}tiaMe'  cò^  dal  ilulìi  II  pa^fi,  d! 
»  ciò  che  hòù  è  ttìrltto  pWÒ  fate  aiHtto;  è  tìélla  in- 
»  gìustizisL,  ^ìUdiiik,  Égli  è  ogni  éòsà,  è  sdpra  dì 
«  ogtìi  cosa;  può  reiidere  il  quadrato  ìròtoùdò,  i! 
»  bianco  nero,  il  nero  bianco.  —  Il  papa  può  ógni 
i>  Còsa  soj)Tà  del  diritto,  contro  del  diritto,  é  fhori 
»  del  difitto.  —  Il  papa  è  la  causa  delle  cause:  iiés- 
1)  sun  può  dirgli:  jJerChè  fai  cosi?  La  sua  volontà  è 
»  la  ragion  sufficTetite  di  tutte  le  sue  azioni,  è  chiun- 
»  que  ne  dubita  è  teputato  dubitare  della  católlca 
»  fede  (1)  »  :  e  questo  éodìce  era  là  teologia  dièlla 
chiesa  romàna.  Dunque,  signor  MontaleiùbeH,  pstfvl 
egli  che  il  mèdio  evo  catòlico  aVesse  qùàldfiè  no^óhe 

del  piéré  assoluto? 

Èli  diritto  moderno  e  razióniilisticó ,  continuate 
voi,  che  H^fiscitò  queiridéa  pagana,  morta  co  *Ì  Èassa 
impeto,  a  fine  di  opprirhìèr'é  la  thiesa  sìiìttb  pMèètó 

(1)  Dk  PqttkR}  Uisloire  du  christianUme,  tom.  VI,  pag.  277 


Vfì 

9tt  '1  we«o  Jevo,  ci  'date  mrthnienlte  an  'pìbedlp^tftf ro 

(terna  1 . . .  -Sì,  eh  ?  VSàm  pagana  m 'jjkene  assoluto 

ijomlistiéù?  Ma,  per  qtfesto  afritto,  dtìe  tosa 'itìteh- 
déte,  m  graife?  «gli  'non  jprfò  tesser  alito  tfte lì  tm- 
plesso  yli  '(jtìeì  ptlntìpj  'pcTmici  e  *octól! ,  ^^jhe  ehho- 
rati 'd^ffla^lo&ttfia  m\  S^cdlolCVlII,  prod^s^i^D^a  grati 
rirélcttioftte  ^attC(3se  ;  >e  'pe^ia  corretti  fe  svilupparti 
diflla  sclenia  del -seicélo  «K,  ttetwpmhlatòno  ttmglio 
il  'pfettfeiero  ^dtìia  tirohiiimie,  ^  'te  ftopffeàStrt'o  11  ^(-a-- 
ratlere  della  democrazia  e  del  socialismo.  ^E  «smio 
questi  i  principi,  che  voi  chiamate  genitori  del  uo- 
te^^«»dimo?:iAa,  fti'^teoi^k»,  Hiloro^lei^ntìtìe'i^o 
e  feBf&Bittrtsfle  è 'la  libertà;  «d  In  'pi««6ft,  *utte  <te 

h«tl(¥«Belni^^'pk)péli  '«dcteriii^piwo^tfeilfilitt^tìtìof « 
«tea  dèi  »liimk)  msiómlhdiìo,  mn  /h«miio<  a«lW)  smpn 
ébe  ^ello  appunto  di  :rovi«i5l«lre  ras9olMteiflo,^M- 
Wtt^»^  il  i|iottie« la  rfofrma  «Otto  «ài  si  tftt^^nde. 
I^JWò  lo9fo#se  ^amtteiltarvi,  <èhe  cctìa  volesse^fe^tram- 
%^iqwn4o  >in  ìmiio  iCli»iB»^ànit^8«ini  KttN^te^  vm 
v^fflte  ai  itwo©,.^  4pmwii9L  ilo  fg«atiw)  nie^^al  mimar-' 
chi?  €he  eosa  la  Spagna,  quando  imbatteva  pwJfc 
m^yR(mftléiiba:<^onlro'«apoleoQe,)e  ìtidiip«rflajMMi 
lltenà  ootìtro  D.  Carlos?  Che  (ctìsa  ila  ^Gwmania , 
(fméo  ail>grido^ehfl(>gikeÉt)dó'm^)rihdÌfil»8DMliÌN 
mi  iMlusio  ii*«l^irtvami  ^Btratiileri-ie  ]^\  lai  gttào 
govcMftalie'iSQoi  liribnni  'ricuoteva  il  q^ù^rdei  iprìn- 
clpl  «tMldlloH,  (e  il  G06tniig6vaniii%ltmivolÌa)a  irtoH 
iMUiM^  fki  maemàdetia  inazidae?  €ffce>o»sà  la  (Gre- 
ti) 'C«si'le  :ar6U  :ni9(ieriie  et  TaliòhdUste,  Qui  a  YessiTsèné 
wite  iHéfe.tJà'femiiB,  KtottAe^Verc^fe  ftàs-Ètntitre.Irtln  tì*6ptiftirtéf 

I-  12 


m 

eia  e  U  Polònia,,  ([luiiuk)  laltaTaiu^  pdr  la  loro  oado- 
nalit^  coatro  li  usurpatori,  che  l'avean  manomessa? 
Che  cosa  l'Ungheria  e  l'Italia,  goando  chiedevano  la 
costituzione,  rompevano  guerra  air  Austria,  e  procla- 
mavano la  Republica?  Ah!  se  da  tutti  questi  movi- 
menti, per  voi,  signor  Montalembert,  scaturisce  la  no- 
zione del  governo  assoluto;  se  per  voi  l'idea  motrice 
e  dominante  in  essi  è  il  despotismo,  non  ho  che  di- 
re: 0  voi  avete  smarrito  il  lume  dell'intelletto,  o  usate 
un  linguaggio  che  è  il-  rovescio  del  linguaggio  com- 
mune.  E  come  si  fa  a  discutere  con  un  avversario 
di  questa  fatta,  che  in  pieno  meriggio  trovasi  al  bujo, 
dice  bianco  al  nero,  e  scambia  il  sì  co  '1  no  perpe- 
tuamente? 

Ed  ecco  i  soli  argumenti,  che  voi  avete  saputo  o 
.  potuto  addurre  In  sostegno  della  vostra  tesi.  Povera 
alleanza  della  chiesa  con  la  libertkl  La  dev'essere  una 
causa  ben  disperata,  poiché  voi,  suo  avvocato,  non 
trovaste  più  una  ragione,  una  sola,  in  suo  fovore, 
che  abbia  pur  l'apparenza  di  una  probabilità  quale  che 
sial  Povero  partito  catolicol  A  che  dura  estremità 
devono  essere  i  suoi  interessi,  poiché  non  riposano 
più  che  su  titoli  così  fallaci  ed  assurdi  l  Ma  no,  il  partito 
catolico  non  ha  ancora,  come  voi,  perdala  affatto  la 
ooscienza  di  sé  stesso  e  l'intelligenza  del  suo  sistema. 
Esso  almeno  rispetta  la  logica  un  po'  meglio  di  voi  ; 
ed  ammessi  i  principi  del  catolicismo,  non  ha  più, 
come  voi,  l'ipocrisia  di  volerne  dissimulare  o  perver- 
tire le  conseguenze.  Un  interprete  importante  del  vo- 
stro partito  medesimo,  VUnivers,  ha  protestato  con- 
;)>  tro  di  voi  e  delle  vostre  aberrazioni;  e  ben  vi  stai 

'ti  Già  per  anticipazione  avea  pure  protestato  contro 

delle  vostre  follie  l'uomo  d'un  genie  supérieur,  come 
voi  stesso  l'appellate,  un  oracolo  della  chiesa,  Donoso 
Cortes,  di  cui. riferite  le  sentenze  e  l'espressioni,  ma 


stetti  domitiailo  (i).  tutti  i  ^oml  prolestuiQ  dlreW 
Umeiìte  o  indirettamente  contro  de'vodtr!  sogni  ì 
giornali  d'Italia,  massime  quelli  che  si  pnblicano  a 
Roma  sotto  li  occhi,  Tinspirazione,  e  la.  censura  del 
prpd.  E  il  papa  stesso,  il  vostro  santissimo  e  beatis- 
^.ao  padre,  il  vostro  Dio  in  carne  e  in  ossa,  an- 
ch*egli  protesta  altamente  contro  delle  vostre  scisma- 
tidte  ed  eretiche  improntitudini,  in  doppia  guisa: 
co  1  fatto,  perchè  ne'  suoi  Stati,  in  luogo  di  promuo- 
vere la  libertà,  ei  la  proscrive  e  la  punisce  come  de- 
Utto  di  lesa  maestà  umana  e  divina;  e  con  la  pa*- 
rola,  perchè  quando  volle  propórre  a  tutto  Torbe  ca^ 
tolioo  un  governo  ed  un  principe  modello,  ei  rioor*- 
dava  il  tiranno  delle Dae  Sicilie  1  Ohi  la  diiesa  non 
ha  mutato;  Bossuet  rimane  tuttavia  il  suo  interprete 
sincero  e  verace;  la  politica  clericale  si  riassume  an<- 
cora  in  una  sola  parola,  despotismo. 

E  voi  mi  fate  pietà,  conte  di  Montalembert,  allor- 
ché credete  di  aver  abbastanza  giustificato  voi  e  le 
vostre  ta  rìche  con  la  dichiarazione  seguente:  Se  quelie 
dottrhèe  f.^seero  vere,  io  non  avrei  che  una  sola  pa- 
rola da  ótre;  e  si  è,  che  da  venti  anni  in  qua  noi 
tutti,  scritti  ri,  giornalisti,  postulanti,  elettori  catolid, 
noi  ci  saremmo  ingannati,  ed  avremmo  ingannato  Ù 
inondo  intero  su  7  nostro  conto;  poiché  non  abbiam 
fatto  altro  in  questi  ventanni  die  invocare  il  diritto 
e  la  libertà  a  prò  della  chiesa.  E  ciò  essendo,  dopo 

{l)  C*est  la  ihécrie  de  la  dictatare  à  perpétnité  que  l*<m 
pfolesse  an  nom  et  dans  IMotérét  de  ia  religloo ,  qui  en  a 
toDjoan  été  la  vfetiD  e.  C'est  Tapothéose  da  silence  que  l*on 
Doas  enseigne,  au  no!n  de  révangile  qui  prottrit  tei  paro» 
te$  tettlitos.  Od  Ta  me  ne  Jngqu*à  nier  la  notion  raéme  da 
dratt  humain:  on  nous  1K,  que  le  mot  de  droit  ne  dolt  ja- 
■ab  m  trouver  sur  lea  lìvresde  riiomme(pag.  SS).  —  B  tal 
è  sempre  il  senso,  per  lo  v  iù  anche  la  lettera  delle  dottrine 
di  DdDoso  Cortes,  di  sopra. riferite. 


d^ wmHiiMitìme^.  vitella  ptnUmaa^.U  fMÌmin(efì^mo- 
lèlririfi^mi  (fi).  «Ma  o^tito,  (^osìiè:»ili[)orUto  OHtD- 
JiCD  4ti  4ittei  ^^1/aiMii  d^'appiello  -ella  iibertà  too  te- 
Jalito,fi»è  voluto  «larfiiltFO  die  ftKgwnuira  i7  bwiulft  òt- 

rgdtta  via  <la  \ma&clieif«^>e  mostra  a  éuùo  sia  toa  norvr- 
jMle  «afttuMa.  Sì,  itìgÉOtid,  Hulti  -^«in  ^nisseovi  )4t'  IFréni»- 
oìb,  )ìrmiiHa(^i  «ennero  *)r«pvoil^y  rt  oui  (fritti  »om  i$n 
4itéte  Ae  in«m  ed  int  >^tit(<;  'le  imemorie;  ohe  ip0r  ^imi 
4mni  itonsicutivi  posavo  ila  iièertà  édla  €hiBm  tatto 
io  'mlìfaiguaréia  ideHwèibBrtk^iHìeieìpoHtica;  che^n^n 
^peUtaf^mofia'f^èùoiuàiom  éi  f (affoco  iper  Uvocismìa 
foraa  del  dir4tto,  e  lil  diruto  idelìaUihmà^):  «ramo 
tttltl  ^ngminatoiiH'l  ^ijqtm  iberniti,  tke  'non  tfio»/b-> 
rono  delle  sentefue  <del -parlamnfUo ,  delle  oréinmzìe 
di  Carlo  Xy  degli  ordini  del  giorno  legislativi,  ^enon 
irincerandtm  \su  H  ìtefreeno  della  lOarta  le  delht  to^i- 
(u3Nine;  eheman ^ìmuno  iMmpT»o,  domamlah, ^ott^ 
nulo  di  rimdr^ire  m  iFrmmieLy  di  ntabilinn  reMenaìe, 

•  (I)  Si  ees  doelrines-là  étaient  vraie$,r]c  D'aurate  qu^unonot 
.à  dire:  c*est  que  depuis  vingt  ans  nous  tous,  écrivains,  ora- 
tienTs,  Jonrnalistes,  pétitionnaires,  électeurs  catholiques,  noipp 
nòtis  ^ertotis  ti'ómpés,  et  nòus  aarlons  'trdmpé  le  monde  en- 
i)er«OT  ^olTe^cottìj^te;  cRr'flOwsn'avotts  ftill  atftre  tliose'petì- 
^nt  ces  vIiiKt^aniiées  ^qtfe  idUnvci^u^r  te  'idmit  et  %  Miberté 
aa  profit  de  IVglise.  Et  cela  étant.  après  une  si  grossière 
décepUon,  volonfaire  cu  invoionlaire,  il  ne  nous  resterait 
qu'à  Dous  taire  et  à  neus  eonfondre  dans  ThumiMstion  «Ile 
rQpentir  pendant  le  reste  de  nos  jours  (pag.  88^89). 

(2)  Aves-vous  oublié  tous  ces  év6ques  de  Prance,  dontilet 
actes  sout  dans  toules  les  majns  et  totites  tes  mémitires;  qaì 
onti pendant  dte  annóes  con«éoutives  p{aoé  la  liberté  «fleU^é- 
gUse  à  I'abfi4e  la  liberlé  civKe  et  pòlltiqoeftqiil  <n*Mitipas 
altaiidn  la<févoltt<«^  4tì)lévi»er  poMrtioVoiqQer  to  force  d«i 
droit,  et  le  droit  de  la  libarle?' ((]#g.  .idi). 


m 

(Mit  (1^:  Uftti'  ertno  iÈg(jmia$MiI*W<f&eV  Fi  Aovf^ 
pmàifknder0>a  vigiern  hmtà^l^è9Ì8tmza  cf^9fia.tV 

tulli  imganmtoHI  €lo6lOFe*  adesso»  mn  tem&no  pftnf9' 
di  far  trasalire  di  gioja  tutti  i  vostri  antichi'aimtr^ 
i9ii^y  di  assolvere' tutte'  h  repwjfmmze,  l&iétfiiènsK;  i 
pt^iudizj^  ondé-Y^A  ffmiòtvitUm^  ià  hÈm§€f'tempo*(fffi- 
eiÀiiMMKibMei  Aj|(yeM)M«MdM«utPO  temM«{allèT(ym 
lierj  deludere  6  tradire  la  nazione,  mentivano  «Ila  lore 
oaseienza^  alla  fede,  allo  tradizioni,  at'QOBtnn^  alla^ 
storiai  dltutta^la^  loro' vitat  ]!ÌfeLfOi9t'Ppremnl<ft'eoiiie- 
gno  fanno  Tamenda  eJ^Uaioiie  <fel^'  passatai  ipo- 
crisia;; si  rimettono  su^'l  loro  cammino^  ri«»tcaiìo  nel 
loro. ovile,  ritornano  alla  lovo  bandiera>:  e  fanno  be- 
niasùMi!  iUoMioseono  fìnalm^nt^  obe  av«ano)  ragione 
i  loro  avversaria  i  (fuali  non  nefatono-^ià,,  che^laH- 
berta  fm$e  un  bene,  uni  daVtfltas  UfMieoneegmmuk  della  ^ 

(i)  Mr««iiVi)ii9, ouU^  lei,  j^«|ites(»,qm.Q:;«iai  Ukipnpk^  d^s,. 
arrèls  da  parlemenjU  de^i  or4piuvan»^  dA,Cba^^^}(l.de9  or- 
dfes  do  Jour  lés^isl»tifsv  qU*eti  s«.  retr^nchs^l^t  sur  le  t^rra^n  do 
la  Cfa^irte  et  de  la  consUtUiion?qui  o^oot  entrepns,  demandé, 
obteQvr  de  renirer  e»  Prance,  d'y  élever  résideoQes,  nqvi- 
ciata,  coUéges,  qa*à  titredecHoyefls  et  defhin?ai8l'(p8g:  104 
eiOfc).. 

(S)  Avez-vuos  oabllé  le  P.  de  Ravignan  descendant  de  la 
cbaire  de  NoUe-Dame  poar  défendre,  visière  levée,  t'enistence 
de  soa  iaslitotv  tm  refosaDt  de  répoiidre  à  un  autre  titre 
q«*à  celai  de  libre  citoyen  d'air  paya  libre?  et  M.  Tliiers, 
deveoQ  i*avoGftt  dea  jésailes,  après  avoir  été  leur  acensaveur? 
{pac.  405). 

(3)  Vous  ne  craigDez  pas  de  (aire  tresaaillir'  de  jote  toaft' 
oofr  aociens  adycr^alres,  d'absoudre  tootea  les  répagnances, 
lei  déOancas,  lea  (HPéjagés,  doot  noua  avons  été  ai  lODgteoipfr 
Tietiines  (pag.  i06J. 


m 

C^A»;  ma  ittcevano  loro:  voi  non  la  reclamate,  ee 
non  perchè  siete  i  pi&  deboli;  il  giorno  in  cui  sarete 
i  più  forti,  il  giorno  in  cui  sarete  i  padroni,  voi  to 
rinegherete,  e  la  rifiuterete  a  coloro,  che  ve  l'hanno 
data  (1):  e  fanno  oUimainentet  È  venuta  la  prova: 
esai  sono  i  padroni,  o  li  amici  del  padrone  (S);  e  ri- 
fiutano ogni  liberti  a  quelli  stessi,  da  cui  l'aveano 
ottenuta. 

Volate  sapere,  qual  è  adesso  il  loro  programma?- 
Udite  monsignor  Dupanloup,  che  sotto  Luigi  Filippo 
era  uno  di  quelli  che  faceano  maggior  chiasso  per 
la  libertà:  <s(  L'église  a  vu  s'ouvrìr  enfia  devant  elle, 
x>  après  cinquante  années  d'épreuves  diverses,  une 
»  ère  plus  heureuse»  qui  semble  destinée  à  la  mettre 
»  en  possession  de  ses  libertés. 

»  Qui,  ces  saintes  libertés  du  bien,  duvrai,dudé- 
»  vouement  sacerdotal,  de  la  charité  pour  tous,  de 
»  la  perfectiott  évangelique,  et  du  gouvernement 
»  spirituel;  ces  parties  essenUelles  d'un  trésor  qui 
»  n'a  jamais  servi  qu'au  bonheur  des  hommes.  et  à 
»  celui  des  empires;  voilà  que,  depuis  quelques  an- 
»  nées,  des  perspectives  inattendues  en  promettent 
»  à  Téglìse  le  maintien  ou  le  retour. 

»  Vous  le  savez,  les  libertés  de  Téglise  ne  sont 
»  pas  de  celtes,  qui  troublent  les  peuples  et  qui  di- 
»  visent  les  esprits  et  les  coeurs. 

»  La  liberté  de  Tautel  et  du  sacrifice,  c'est-à-dire 

ii)  Db  De  niait  pas  qne  cetle  liberlé  fùt  un  bien,  un  dioit, 
une  coDséquence  de  4a  Cbarie.  Od  nous  disait:  Vous  ne  la 
réclamfiE  que  parce  que  vous  étes  les  plus  faibles;  le  joiir 
où  vous  serez  les  plus  forts,  le  jour  on  vous  serez  les  mai- 
tres,  vous  la  renierez,  et  vous  la  refuserez  à  ceux  qui  vous 
Tauroni  donnée!  (pag.  i05). 

(3)  Eh  bien  I  catholiques,  voos  voilà  à  Téprenve.  Vous  éles 
les  roaitres,  ou  les  amis  du  maitre.  Od  le  croit  du  molns 
(pag.  i06). 


»  la  Ifberté  d'oflrir  à  Dieu  le  culto  suprème  et  pu- 
»  blic  qni  hii  est  dùj 

»  La  liberté  du  mlnìstère  et  de  la  parole  évangé- 
»  lique,  c'est-à-dire  la  liberté  d'enseigner  la  vérité 

>  et  la  vertu  aux  hommes; 

>  Là  liberté  de  la  sacrée  hiérarchie,  c'est-à-dire 

>  la  liberté  des  conciles  et  des  assemblèes  d'évéques, 

>  la  liberté  des  relatìons  nécessaires  de  chaque  évé- 
»  que  avec  le  chef  suprème  de  Tépiscopat; 

»  La  liberté  de  tendre  k  la  perfection  dn  christia- 
»  nìsme  et  de  s'associer  pour  le  mieux  faire,  <5*est-à- 
»  dire  la  liberté  de  la  chasteté,  de  la  pauvreté,  et  de 
»  robéissance  dans  les  congrégations  religieuses; 

))  La  liberté  de  s'assembler  charitablement  pour 
»  secourir  les  malheureux  et  les  pauvres,  c'est-à-dire 
»  la  liberté  de  l'aumòne  et  des  associatìoos  charita- 
»  bles; 

»  Enfin  la  grande  et  feconde  liberté  de  Tenseigne- 
»  ment  et  de  Téducatìon. 

9  Yoilà,  certes,  des  libertés  légitimes,  des  liber- 

>  tés  saintes,  qui  ne  peuvent  jamais  ètre  contraintes 
B  que  par  la  violence  tyrannisànt  la  conscience  chré- 
»  tìeune  en  ce  qu'elle  a  de  plus  élevé,  de  plus  no- 
»  ble,  de  plus  libre  et  de  plus  pur  (1).  » 

Traducete  in  buon  vulgare  questo  linguaggio,  e 
vuol  dire  così  :  facultà  piena  ed  intiera  ai  vescovi,  ai 
preti,  ed  ai  frati  dì  fare  tutto  quanto  ad  essi  pare 
e  piace;  obligo  a  tutti  li  altri  cittadini  di  far  solo 
quanto  pare  e  piace  a' vescovi,  ai  preti,  e  ai  frati: 
eceo  il  programma  dei  catolici  sotto  Bonaparte.  Ed 
banno  Timpudenza,  quei  tartufi,  di  chiamare  un  tale 
stato  di  cose,  libertà  1 

No!  adunque,  signor  Mpntalembert,  abbiamo  il  di- 
ritto, anzi  il  dovere  di  gettar  loro  in  faccia  Tapo- 

11)  MandmcM  de  M.  VévHw  d'OrUam,  >  dp^mbre  UH. 


m 

strofa  dM.vol  ad^verate  9(^  pcyr.  vi^  adifici^  reto- 
rico: Era  dunque  una  maschera, q^ell'ampre.  delU$,  lir 
htxtìh  di  cufr {adivate  sì  (fr(i^  ffim^H^I  um\mas9heira 
m99m^dat»ìfnl^,9firiatat  pfif,  v^nCanmé^A  cKs  wi.gpt- 
toste  alla  prima  occasione  p:o^zm!  No,,m,MiW>sÌra^ 
mmcherA^npn  cHniiflnne/rà  più:  noi  vii  cotmoimiOi;  noi 
««l|iW»^.(A<i  co^vakck.  la  liberata  a'  poMri  oQohi, . nel 
giamQ,  dfilk  fu^i  disfatte^  Sa^^iamom  chei^  qu^lhi  stessa 
libertà  d'in^fMm0nto^.  che.  v'ero;,  servita  di.  bandiera 
per  un,  quaicto  di>  S0eolOf.  voi  vi  affreltasU  a.  sconfes- 
sa/riamai f^imo.  bariume  d*un  privilegio,  di  cui  potrje- 
ski  pro^tave  voi  soli  in.  mezzo  al  monopolio  risusci- 
tato. Voi  avete  due.  pesi  e  due  misure;  voi  avete  in- 
sega di  riserva:  ieri,  la  ubeip'a'  com  mu«  Belgio  ; 
Of^f,  IL  POTBR]^  GpME  IN  Rcs$Ut  Si  direbbe  che  voi 
avete  fatto  una  seconda  edizione  della  combdia  di  QUI^- 
Dici  Aiwi  (1).  Togliete  a  questo  discorso  il  tona  ìdd- 
tetico;  reiidellelo  positivo: egli  èia  pagina Pf^r UeUa, 
più  eloquente,  e  più  sincera  di.tutt^.l^'duisciaii^.  che. 

(1)  Cò  D*étalt  dóno  qa'tki  masqaa,  vous  (Hra-t-on,  que  cet 
amour  de  11  Irbeité,  doni  vons  vous  tar^ale^l  im  mas^e 
ineomaKxiéraenl  porte  pev^ani' vteg«  ami  ^^  que  vout.  svez^ 
jeié  à  la  premièri  oacaiioni  favenable!  N0a,  mnt  vdus  dlta^ 
uon ,  e||8qf0,-.(i9|in4i vQp^v  es^ex^  dUo^c^aer;  la.  Utorié^  dans 
l*iDtQr^.  religi^x.;  Dim«,  vpire .  miisacip.  ne  opus  tronifì^  p}ii$; 
noii$  vous  cQDnaissoQS,  nou3  sarons  ce  que  vant  la  liborté 
à  vos  yenx,,  au  j.our  de  ses  déf^lte^.  rtous  savoir^  qne*  cette- 
Ilberlé  d*èn5eigneiiieiit'eUe-ntièine,'  qui  vens'avait  servi  de-baii- 
nièfR' pendant*  Oli'  qpaA  ctersMiy,  vous  vov»  éHèatempresBé» 
de  la.dèittVKMier'à  («.pientiétei(tiJBtu>d*aaupnkritOii^4oDt  yen» 
powreB.  swite.prolHei»,ajii  sgini;  dn..  iìiWQBylfr>roi(WfltHé^  Vìquk. 
avez  deux  poids  et  deux  mesures;  votu^.a^Bz  (i^  eqfeigufo, 
de  re«|iai)gfi:  l^i;  la^/^Aer/^  c^mm  erk  Mqiq»Ai.vfi^}iTi^\ 
le  mu^iri  <;ot»w^^r«»l,/JH«4tór.Save^:VQUg  ce,qìjt;o(i.dirail,e|^. 
un  mot,  et  comment  on  écrirait  votre  hisloiret  On  dirait  que 
vous  avez  donne  une  seconde  Mition  de  la  comédie  de  quinze 
nei  OW.  Mi407);.> 


CAR1X040.  SESia 


l«^.«A«4IMi;ii».if».  e  U«^.IM»M»lC«A9EtA; 


dUBObdl)Wl»tlmer^!i'uai0M^^(M  caUcliciBitio  con  Im 
libertà^  Wi  uttiUtaMDv  «blki  storisliai,  e  spazia  pe  1 
canapa  della  para  soienea  politica  con  rinteato  di 
cfaiadfe'  rantàgoBìsme  deUa  libertà  verso  la  demo* 
oram»  B^.strano  a  dirsi!  mentre  cb'egli  si  lusinga  di 
^BfraderaxpKeila)  e  conbattero  questa*  dà  a  divedere 
cbeiBómsQipropftiaiiMUte  cbe  Qi»»a  sia  ne  Tuna,  uè 
l'allra.  Atte  pro^wi 


Fai  egii  d^fmi^}ora,chtio^apmgMof^  ct^rn  m'intenda 
per  libertà  (1)?  Veramente  è  già  un  po'  lardi.  No,  non 
è  aéesi»  die  bisognava  definire  la  libertà,  ma  su'l 
piincìpio  stesso  della  controversa;  poiché  sì  la  ra- 
gióne e  sì  il  torto  delie  parti  dipendono  affatto  dal 
senso  più  o  meno  giusto  e  preciso,  che  si  dà  ai  ter- 

(i)  FaiiMl  nuiloidifeaatxioe  j«  mexpUque  sur  ce  qae  J'en- 
tends  par  liberto?  (pag.  Vh): 


IW 

mini  della  questione.  Ma  non  voglio  insistere  troppo 
sa  questo  vizio  deiropera  di  Montalembert.  Egli  odia 
a  morte,  chi  no  *l  sa?  i  filosofi  e  la  filosofia;  come 
dunque  potrebb'egU  avere  qualche  nozione  di  meto- 
dica? Pigliamo  le  definizioni  quando  gli  piace  di  darle 
manco  male  se  fossero  esatte  1 

Sarò  io  sospetto  di  venerare  sotto  tiuesio  nome  an- 
tico e  sacro  le  invenzioni  delV orgoglio  ^moderno,  l'in- 
fallibilità  della  ragione  umana,  la  sciocca  eresia  della 
perfettibilità  indefinita  delVuomo,  la  consacrazione  del- 
l'invidia sotto  il  nome  d'eguaglianza,  l'idolatria  del 
numero  sotto  il  nome  di  suffragio  universale  e  dì 
sovranità  del  popolo?  Sarò  io  ridutto  a  difendermi 
da  ogni  complicità  co*  predicatori  della  libertà  illi- 
mitata, assoluta?  Spero  che  no  (1).  Ohi  troppa  mo- 
destia, signor  conte  1  Non  dite  spero;  ma  dite  so  di 
certissima  scienaa:  ecco  la  verità.  Chi  diamine  vo- 
lete mai  ohe  tanto  sospetti  di  voi?  Voi  credere  aUa 
ragione!  Voi  ammettere  la  perfettibilità  dell' u(»nol 
Voi  amare  T eguaglianza!  Voi  rispettare  il  suffiragio 
universale!  Voi  riconoscere  la  sovranità  del  popolo! 
Ma  chi  mai,  chi  è  quel  pazzo,  che  vi  sospetterebbe 
capace  d'albergare  nel  vostro  cervello  codeste  idee? 
Codeste  idee,  o  signwe,  sono  Tidolo  degl'ingegni  edu- 
cati al  culto  della  scienza,  consacrati  allo  ^udio  del 
vero;  son  la  passione  dei  cuori  nati  a  sentire  le  de- 
lizie dell'amor  patrio,  disposti  a  sacrificarsi  al  bene 

(1)  Serai-je  soup^nné  de  vénérer  song  ce  nom  ancien  et 
sacre  les  InvenlioDs  de  l'orgneil  moderne,  rinfalllibilité  de  la 
raison  bumaiDe,  la  soUe  hérésie  de  la  perfectibitité  indéflnie 
de  rbomme,  la  consécration  de  Tenvie  sous  le  nom  d*égalité, 
r  idolatrie  da  nombre  sous  le  nom  de  sufTTage  nniversei  et 
de  souveraineié  da  peaple?  Gn  serais-je  réduit  à  me  défendrc 
de  Joalé  complicilé  avec  ies  prédicaleurs  de  laiiberlé  illiiuttée, 
absolue?  J'espère  que  noD  (pag.  70). 


dettUmanitt;  Itdéove  il  yostro  Ingegno,  o  panegirista 
del  medio  evo,  ed  il  rostro  cuore,  o  avvocato  dei 
gesuiti,  son  noti  abbastanza.  Vivete  adnnqoe  sicuro: 
voi  giacete  con  basso,  che  né  {Hir  l'ombra  di  qael 
sospetto  può  giungere  infino  al  vostro  capo. 

Ciò  ehe  amo  e  ciò  che  desidero,  è  là  l^ertà  rego- 
UUay  contenuta^  ordinata,  temperata;  la  Hbertà  onesta 
e  moderata;  la  libertà  quale  V hanno  proclamata,  ri- 
cereaia,  conquistata  o  imaginata  i  grandi  cuori  e  le 
grmiéi  nazioni  di  tutti  i  tempi,  neW antichità  come 
dopo  la  redenzione;  la  Hbertà,  che  ben  lungi  d* essere 
ostile  alVautorità,  non  può  coesistere  fuorché  con  essa, 
ma  la  cui  disparisione  fa  tosto  degenerare  l'autorità 
m  despotismo  (1).  Non  saprei  dirvi,  signor  academico, 
I  quante  volte  io  abbia  letto-  e  riletto  questa  vostra 
definizione  della  libertà;  ma  posso  assicurarvi,  che 
più  la  vado  ripensando, sempre  meno  l'intendo.  Che! 
Voi  forse  definite  le  cose  per  renderle  oscure  ed  In- 
comprensibili? In  fatti,  la  locuzione  stessa  di  libertà 
regolata,  contenuta,  ordinata,  temperata,  inyoì^  una 
contradizione;  poiché  suona,  in  sustanza,  libertà  non- 
libera.  Dunque  per  definire  la  libertà  voi  la  negate. 
Tacio  dell'altro  titolo  di  onesta  e  moderata,  che  voi 
e  la  vostra  fjtt^one,  a  forza  d'abusarne,  avete  reso 
parte  ridieolo,  e  parte  infiime. 

Inoltre,  li  attributi,  co'  i  quali  determinate  il  vo- 
stro concetto  della  Hbertà,  sono  tutti  passivi;  ma 

(4)  Ce  quo  j'aime  et  ce  que  je  dèsire,  c'est  la  liberto  ré- 
glée,  oooteone,  ordooDée,  lempérée,  la  liberté  honnéle  et  mo- 
dérée;  la  liberlé  telle  que  Font  proclamée,  recherchée,  con- 
qilse  oa  révée  les  graods  CGBurs  et  les  grandes  oations  de 
toQs  les  temps,  daos  TaotiquUé  comme  depais  la  rédemption  •; 
la  liberié,  qui  blee  loin  d*ètre  hostile  à  raatorité,  ne  peut , 
coesister  qu'avec  elle,  mais  dont  la  disparttion  fait  aussitdt  de- 
gteéier  raotoritó  ao  despeUsme  <p?g.  70). 


TiamUft^  saia?  lk$MAft¥h  seewite  y€ìì  reagitimi. 
ewHemsr^,  ordimr&iJùmpmaKttr  la  Uberto?  Ai  chi  fi£k 
san»  '  i  ìxmiM  di  i  <|u#l5'  i^re  maderaton»;  li  oli<^i  oIni 
deve  eserieilai!^;  le>i»aierie»  dì  cui  può  dispnea?  A. 
chi  giudicarla  in  caso  idi  fvreyarìoazioiie  e  d'abiMO'? 
Ora  quanti  sono  i  modi,  in  cui  si  possono  risolvere 
questi  pmbteml»  tanta  soi»q.  le  specie  di  govecoo.  più 
/  0  meAO  despietiee  o  libaraiei,  obO'  ne  possona.  scatu- 

rire. Dunque,  voi.  noa  definita  puotoJa  libertà,  og- 
getto del  vostro,  amore  e  del  v&sUHidmderio;  cioè 
la  definite  così  male,  che  potrebbero,  occorrendo» 
vantarla  del  pari  GostatttìBc^^i  e^Itom9u,.l4pBdre^^e 
PietrebiàKgQ^  VieqiM^  a^  Parigi, 

Cresce  poi  l'imbarrazzo, se  dobbiamo  rimetterceDeal- 
Tautorità  o  al  coasensQ^dei  g0:Q»4im(iriiei4$UAi^4mdà 
nt^im  4ih  tmUi  v  tmj»*sówtOn  lai  libertàri  come- uà 
sentimento  o  come  un  ideal)»,  mm  è  ttqìinvemiMMie 
recente',  ma'  un  instintoy.ui»  bifiogna^una  condizione 
naturale  deirUmanità;  e  finché  si  sta  in  termini  così 
generali,  sì  dice  tutto,  cioè  si  dice  nulla.  Ma  se  voglia- 
mo indagare,  come  »  grandi  cuori  e  k  grikniM  ntmoni 
abbiano  cercato,  per  le  varie  epoche  della  storia^  d'in- 
carnare quel  sentimento  e  di  <  tradurre  queir  ideale 
negli  ordini  della  società;  aliata  rargmeeofto  dell'au- 
torità e  d^  oonaenao  perde*  Qgvà.vata^  U  concetto 
della  libertà  muta  a  seeandairdQiriainpifeìdfg4ì  uor 
mini;  peroM,  come  tti^tt.  i  conceiitii  deU'inteUig^nza 
umana.,  viene  s¥ÌluppaAdoei  iaaìeme.  co»,  le  ftlcuHà 
mentali,  e  perfezionandosi  via  via  co  '1  progredire 
della  eì viltà  e  della  cultura*  La  libertà,  come  l'in- 
tendevano i  grandi  cuori  e  le  grandi  nazioni  d^'éra 
antica,  differisce  tanto  dalla  libertà  come  la  conce- 
pivano nel  medio  evo,  quanta  dalla  libertà  come 
la  vagheggiano  nei  tempi  moderni.  Prima  fu  dessa 
un.  privilegio  del  cittadino  ;  tutto  il  resto  del  genere 
umano  credevasi  naitusalmeiM^^  deitiQgUii  alk  sobìar^ 


vM.  ^01^  yriflIigiD  dei  qDOÌIte;UMJèiil  fimiiiiMie 
ddla  Booici^  ittlBMnrMi  ^itAMralmeiile  «obllga^  mot- 
virgli.  Poi  aneon  tu  iprivitogio  léel  orkteo;  ^e  >ltttli 
lì  riirì  .fmreon  intanill&ente(tenMi>&(Viy«re  del>8«o 
sti{MMHo.  Oggidì,  ^tipreoe,  éi  'vorrebbe' ohe  fosse  pa- 
Irioionio  coaimuRe  di  tulli 'qùMtl  ii  ^oomini/e  che 
«  abolisse  per  «sempre  ogni 'UMmielni  dtfrtYliegjiesclu- 
slyi  ed  ingiusti. 'Geeovì-Gome  s^è  venuuiilirasférinando 
esyd^ndo  a  «ftttìo&niano  fa  «alita  immHera' Mia 
IfbeirtB.dBssa'iidl'iSva  «»li(MV)siflflioleggiata  qi^  «grido 
Ml'IllDatfflà  :  mon  -^ù  echiavi  l 'Hel  tMediOievo<espri- 
mevQi  Un  «Uro  voto  :  non  tpiù  servii  E  neir^  mo- 
derna rappresenta  un^aHra  'idea  :  inon^più  '{Mroletar}  1 
Adna^pfs,  ^sìfiriìor  lifoiitalmèen,ia>)vo8lnadel%iff»one, 
olM  (di  «sere  gMnnmaliotflmeAte'codlraittttiiiria  «  io- 
gicaniente'ineomppin^liii^'^  anòhe'dloriosMeiMe'iMlsa 
ed  asstfi^. 

lE  rttltk»a  i5lflusdla<ineltecil>i^Imo««qye6ta  litania 
di  9Éìèsml  *Vm*tib0Hà,éh9  ìmgif^n^B8é¥e^iiìe  al- 
TantorUà,  non  può  Mèèiét^re  'Iké&rchè  '«dn  essa,  sa- 
rebbe davvero  iM  bel  'ponente!  Barilaie >]a  eoMlia- 
2i(yne<di  Vitieieniilni,a'iitio'«ei'triiali'te»(ftude  l^Hro, 
e  viMfversa,  di  sua  propria  nmfraJFercieeèbè  la  sto- 
ria del  genere  umano  non  è  altro  che  il  racconto 
della  hitta  fra  questi  due  priacipj.'la  libertà  ^  Vm- 
tonta;  e  la  istoria  d^rhicivilifliento  e  dei  pmgMso 
non  è  'àHro  'pari>mente  (^  l'esposhrìone  dehle  con- 
qni^,  'dhe  >la  libor^  ivieM»' facendo  %u  l'vtttemà. 
Dunque  Vwntfré  e  il  'dmidMo,  'òhe  irei  immttlk  di 
una  libertà  non  ostile  alFautorità ,  suppone  hi  voi 
questa  magnifica  teoria,  cbe  possa  e  debba  trovarsi 
ana  libertà  non-dil)era  ^  una  atttorHà  non-^utore- 
volel 

E  nott  -crediate  ^à,  die  ^ponendo  la  libertà  al- 
radtoritè,iioi'vogliatoo'coiidiiudere  al  disordine  td 
•n^ànmlila.  19o,  «ignor  cotfle,  'noi  staftlaffio  ed  ìnro^ 


d^ttfto  Vorditie  Mttt  ptù  è  itteglta  di  Vbi;  è  eofli- 
battiamo  appuato  con  tatle  le  nostre  forte  il  prin- 
cipio catolico  Ml'autwità,  perchè  contiene  in  sé  il 
germe  e  la  fonte  di  tutti  i  disordini  sociali,  cbe  af- 
flìgono  ancora  T  Umanità  e  depravano  I  popoli.  La 
libertà  per  essere  ordinata  non  ha  bisogno  d'aleno 
potere  superiore  ed  assoluto,  che  le  comandi  In  nome 
.  di  un  Dio  ignoto  o  di  un  uomo  sovrano:  —  e  tal  è  il 
potere,  die  voi  chiamate  autorità.  EUa  basta  a  sé  stes- 
sa; ed  ha  mestieri,  non  di  padroni  che  comandino, 
ma  di  amministratori  che  obediscano;  non  di  legi- 
riatori  che  le  impongano  i  loro  vederi,  ma  di  man- 
datari che  veglino  a' suoi  affari;  non  di  eserciti,  ma 
di  scuole;  non  di  ^carnefici,  ma  di  educatori.  Ora 
Tofficio  d^li  educatori,  d^le  scuoto,  dei  mandatari, 
e  degli  amministratori,  chmmatelo  pure  autorità,  se 
vi  piace:  noi  non  faciamo  questione  di  parole;  sarà 
-questa  tuttavia  un'autorità,  non  mica  signora,  ma 
serva  della  libertà;  un'autorità,  che  in  luogo  di 
dettar  leggi  alla  nazione  e  fargliele  eseguire  con  la 
violenza,  riceverà  il  suo  mandato  dalla  nazione  me- 
desima, la  quale  glielo  potrà  mantenere  o  togliere  a 
suo  arbitrio;  potrà  domandargliene  conto  sempre  che 
voglia;  potrà  ricompensare  il  buon  uso  e  punire  l'a- 
buso del  potere  da  lei  delegato  a  coloro,  che  si  eleg- 
gerà per  ministri.  Ora  siate  giudice  voi  stesso  :' un 
uomo  che  definisce  1^  libertà  con  tre  o  quattro  clau- 
sule,  ciascuna  delle  quali  la  nega,  la  distrugge,  la 
ren(te  impossibile;  può  egli  credersi  che  intenda  quello 
che  dice? 

Nondimeno,  quasi  che  questo  fosse  poco,  voi  a  fine 
dì  persuadercene  vie  meglio  soggiungete  :  Ancor  una 
volta,  io  non  pretendo  professare  alcuna  teorica  as- 
soluta, universale,  esclusivamente  applicabile  a  tutti 
i  secoli  ed  a  tutti  i  popoli.  Pretto  soUm^i^  ehet 


ffMù  ì^magifiof  patie  ad  fdfi^  cfdikmh  é  imUo 
«toro  fruente  del  mondo.  In  Uberto  è  tm  frétte  ràkh 
tiMy  non  assoluto.  Saho  in  dò  che  concerne  le  k^i 
é^rettcmente  stMliie  e  rivelaU  da  Dio,  eikno  che  Va»- 
eohtto  è  in  ogni  cosa  il  nemico  Mia  verità,  ^wUe 
s'adatta  alla  debolezza  umana  (1).  Gominelamo  a  no- 
tare una  curiosa  contradizicMìe.  Testé  voi  avete  dt- 
chiarato  espressamente  dì  amare  e  desiderare  queUa 
libertà,  che  desiderarono  ed  amarono  i  grandi  cuori 
e  le  grandi  nazioni  di  tutti  i  tempi,  cosi  nelVantichità 
tome  dopo  la  redenzione;  e  sette  linee  dopo  voi  af- 
fermate con  eguale  franchezza  di  non  professare  al- 
cuna teorica  assoluta,  universale,  esclusivamente  appli^- 
cabile  a  tutti  i  sec^  ed  a  tutti  i  popoli.  Voi  dunque 
professate  una  teorica  propria  di  tutte  le  naziimi  e 
M  tutti  i  tempi,  e  insieme  non  professate  alcuna  teo- 
rica applicabile  a  tutti  i  popoli  ed  a  lulli  t  secoli !! 
Ah!  di  sopra  io  osava  dubitare  della  serietà  e  profon- 
dità de' vostri  stud§:  perdonatemi,  ora  sì  che  vi 
credo  1.... 

Oltre  a  dò,  converrebbe  che  ci  spiegaste  un  po' 
meglio,  qual  concetto  v'abbiate  del  relativo  e  dell'o^- 
soluto;  giacché  dal  vostro  discorso  non  si  può  ca- 
pire abbastanza.  Se,  a  quel  che  sembra,  per  aasoluiù 
voi  significate  dò  che  è  applicabile  a  tutti  i  tempi  ed 
a  tutti  i  luoghi,  allora  non  havvi  più  veruna,  leggìi 
morale,  che  possa  dirsi  a  buon  diritto  assoluta,  né 

(1)  Encore  une  fois,  je  n'enlands  professe?  lei  aocuoe  ttiéo* 
rie  aX>80liie,  nnlferselle,  eiclusivemente  applicable  à  tous  les 
sl^les  et  à  tous  les  peuples.  Je  pMleDfls  setiiemenl  que,  cbez 
la  pinpart  des  peupLes  chrétiens,  et  dans  retai  actuel  da 
monde,  la  liberté  est  un  bien,  un  bien  relaiif,  non  absola. 
Sauf  en  ce  qui  toucbe  aux  lois  dìrectement  établies  et  ré- 
vélées  par  Dieu ,  je  tiens  que  Tabsolu  est  en  lout  renneroi 
de  la  vérité,  telle  qu'elle  s'adapte  à  IMnflrmllé  humaine 
(pa«.  70-71). 


ttìmmntB  ^ttàkilHe  ^ft^itekke  «1»  <Aio.>96ffoeolièc8apr6le 
l&Me  «anebe  ¥oi,  «urne  alla  legge  patriafQale,^ohe  era 
«tata  4iir99Umente  tétkhéUta  o  vintiim  ^  tfiUo  *^  mi 
«ouaerannoì  Iettai,  <»B«ìi«fsltef«iiate41  vóstro'gérgo 
-»*-  Miooadekte  poscia  la  i^gge  «O9àt0B,'r»»^(o  ev^- 
èCiftlB  ««iìrellameiKe  aneii^eséa  \én  ^Dio;ìt  ia  moaaica 
ireimepoi  suivogata  daUa  legge  «rvong^loa,  atabilita 
fiiir^esm*eTM><ftoto'^ifeltafNVfife'datlo  Zho.  rlia 

«t«Ha,4l\lltra''parte»'èìà  per  ^Uefttef eholie  («Hresì  le 
leggi  tiMHralì  M^irono  l'andamento  ^della^floòietà,  «e 
sì  veliero  «manifestando 'e  oorre^endo  co  '1  volgope 
degli  atmi^etcon  reduoaaKitdei^^paipolL  iNiuque -ne, 
-vastvo'sèft^Desennìa  legge  «reUgiMa'^diCNRate  pott^bbe 
cbÉMnarii  «s^^kfla.  ^f)  ^quindi  la  ffoaira  <tesi,  '^riie>ctoè 

un  f  idicelo^enigma.  La  ^stessa  irtgsità,  la-stesiaraataral 
eome  la  movale  e  la  T6l}gloée,'nein  avfdsbefò  iplù 
Traila  di  assolato;  pen$hèiaeonosdeitza,«obe  Ftidmo*&e 
acquista,  varia  necessariamente  co  1  variare  de' luoghi 
e^de'  tempi,  deiredacaiione'etdell- tneivilimento.  allora 
tutto  sarebbe  relativo, 

Gbe  'se  4n^oe  per  TelatirvoMeiidbste  •oiò,Tche  ^  boa 
Spende  da  aloilna^egge  natarale^^  sootaki,itìa  solo 
dall'arbitrio  di  un  tgoyenw, 'detta  volontà 'di  M  !a^ 
dmduo,  da  un  ipriiveto  'interesse, 'da  un  ^fortuito  ev« 
renimettto;  alKA^  (né  kilibeflà,  né  4a  vei^ità,  né  «le 
morale,  né  la  religione  potrebbero  più  dirsi  cose  re- 
lative; poiché  non  solamente  le  vostre  leggi  diretta- 
mente stabilite  e  rivelate  da  Dio,  ma  tuUe  quante  le 
leggi  «cìentificbe,  'morali,  e  civili  sono  affatto  indi- 
pendenti da  ogni  capriccio'degli  uomini,  da  ogni  colpo 
di  fortuna:  sono  tiitte  assolute.  E  quindi  la  vostra 
opinione,  che  Vassoluto  è  in  ogni  cosa  il  nemico  détta 
verità,  quale  s'addice  alla  debolezza  umana,  non  ha 
più  senso.  Se  la  libertà  è  un  bene,  la  é  cosa  -non  ^ià 


193 
felatSva,  ma  assoluta;  pèrthè  il  bene  trae  la  sua  leg^e 
dalla  natura  stessa  delF  Umanità,  e  non  dall' arbìtrio 
deiruomo. 

Pertanto  la  conclusione  che  voi  deducete,  signor 
Montalembert,da  queste  premésse  contradìltorie:  Dwn- 
(fue  la  libertà  può  e  dee  variare  nella  sua  applicazione 
e  ftella  stta  estensione,  secondo  i  tempi  ed  i  luoghi, 
mondo  li  uomini  e  te  cose  (1):  che  vuol  mai  dire? 
L'intendete  per  avventura  in  un  senso  generale,  ed 
in  rispetto  alla  storia  deirUmanìtk  tutta  intiera?  Al- 
lora potrebbe  stare;  ma. oltre  che  non  giova  punto 
alla  vostra  teorica,  non  ha  pur  che  fare  con  la  no- 
stra questione  La  quale  è  ben  determinata  e  precisa  : 
i  tempi,  di  cui  trattiamo,  sono  la  metà  del  secolo  XIX  ; 
i  luoghi,  l'Europa  incivilita;  li  uomini,  le  eulte  na- 
soni ond'è  abitata;  le  cose,  quel  complesso  d'idee  e 
di  credenze,  d'instituzioni  e  di  costumi,  che  sono  il 
risultato  della  loro  storica  esistenza.  Or  ecco  il  pro- 
blema da  risolvere:  in  tale  condizione  dì  tempi  e  di 
luoghi,  d'uomini  e  di  cose,  qual  è  il  sistema  dì  libertà, 
che  risponde  meglio  alle  leggi  morali  e  sociali  del' 
genere  umano?  Chiamatelo  sistema  relativo,  chiama- 
telo assoluto,  per  noi  fa  lo  stesso:  sarà  assoluto,  se 
voglia  significarsi,  che  i  suoi  principi  si  debbono  fon- 
dar in  qualche  cosa  di  superiore  alla  volontà  degli 
uomini;  relativo,  se  voglia  dirsi,  che  tale  sistema  non 
può  essere  quello  stesso  dell'epoche  trascorse.  Ma,  as- 
soluto 0  relativo,  riman  fermo  tuttavia,  che  se  v'ha 
una  legge  —  Dio,  previdenza,  natura,  gli  è  tutt'uno 
—  la  quale  presiede  ai  destini  delle  nazioni,  dev'esserci 
pure  un  sistema  unico  di  libertà,  un  solo,  che  oggidì 

(I)  Donc  la  Uberté  pent  et  doit  vatier  dans  son  application 
et  dans  son  étendue,  selon  les  temps  et  les  lieux ,  selon  les 
bommes  et  les  choses  (pag.  7i). 


m 

poflga  metter  l^Boropa  in  ankiopia  eòa  qtlArta  leggd 
suprema  ed  uDiversale.  Dun^eia  vostra  conclosione, 
ch'esclude  ogni  idea  di  sistema; che  subordinala  li- 
bertà alle  vicissitudini  infinite  delle  circostanze;  che 
non  rivela  un  {Mrincipio,  né  uno  scopo  determinato; 
che  condanna  TUmanità  ad  aggirarsi  perpetuamente 
nella  cerchia  degli  errori  e  degK  abusi  antichi;  che 
non  provede  alla  riforma  ed  alla  sicurezza  dell' av> 
venire;  òhe  non  fissa,  in  somma,  la  legge  sociale  del 
nostro  tempo:  ci  conferma  sem{Nre  più,  che  voi  vieux 
soldat  de  la  liberté  (1),  voi  amant  iificère  et  paseionné 
de  la  liberté  (2),  come  vi  battezzate  voi  stesso,  n<Mi 
avete  mai  capito  che  cosa  sia  libertà. 

Veniamo  alla  democrazia.,  verso  4ella  quale  vi  siete 
dispensato  perfino  da  un  certo  riguardo,  che  avevate 
usato  alla  libertà.  Nessuna  definizione,  né  buona,  uè 
trista;  ma  sentenze  gratuite  e  citazioni  di  voi  stesso. 
Non  haf>f>i  nulla  di  eommune,  così  voi  asserite,  fuorekè 
il  nome,  fra  la  libertà  reclamata  dai  catolici,  e  quella 
che  serve  di  maschera  alla  democrazia  ed  aHa  rivo- 
luzione (3).  Lasciate  da  banda  le  maschere,  signor 
conte;  le  sono  un  privilegio  esclusivo  della  vostra 
facéla  e  del  vostro  partito.  La  democrazia  e  la  rivo- 
luzione Ignorano  l'arte  di  gabbare  li  uomini  per  amore 
di  Dio;  e  tutto -ciò  che  vogliono,  l'han  scritto  co  1 
sangue  de' loro  martiri  su  la  propria  bandiera.  —  Voi 
gettate  là  questa  sentenza  così  recisa  dopo  aver  ri- 
ferito  un  lungo  tratto  di  monsignor  Rendu,  vescovo 
d'Annecy,  in  cui  riconoscete  voi  medesimo  il  pre- 
gramma  del  partito  catolico  liberale.  Or  bene,  è  egli 

(i)  Pag.  87. 

(2)  Pag.  98. 

(3)  Il  iì*y  a  rien  de  commna  que  le  nom  entro  cette  liberté 
réclamóe  par  les  catholiques,  et  celle  qui  seri  de  nasque  à  la 
démoeratie  et  à  la  revolution  (pag.  77). 


MI 

\my  cbe  éfa  i^pmiò  piégrfaiimà  è  ;qiiri  4^1a  de- 
meerazla  non  vVibbìa  di  e(Mn8Mine  9iàtù  cke  il  nome? 
La  questione  non  può  risolversi  altriaiénti  che  co  /l 
confronto  dei  due  programmi.  Voi  non  lo  faceste,  si- 
gnor Montalemfoert,  e  non  mi  stuj^ce  punto;  giacché 
voi  seguite  fedelmente  il  catechismo  pratico  dei  gè- 
saìti,  il  quale  annovera  primo  Ara  i  peccati  capitali^ 
la  buona  fede;  e  prima  fra  le  virtù  teologai  vìa  men- 
zogna. Ma  noi  siamo  educati  ad  un'altra  Bcuola,  e  pro- 
fessiamo un'adlra  logica  ed  un'altra  morale  :  quel  con- 
ironto  lo  faremo  noi. 

H  programma,  òhe  voi  adottate  in  nome  del  partito 
catolioo,  è  il  seguente  :  «  il  potere,  di  cai  gode  ogni 
eitiadlno  nella  ^ietà,  alla  qiiaie  appartiene,  è  ciò 
che  dieesi  libertà;  e  siccome  questo  potere  del  cit- 
tadino si  manifesta  in  circostanze  diverse,  si  può, 
ed  anzi  si  dee  designare  con  diversi  nomi;  ma  è 
sonpM  la  libertà.  Essa  comprende: 
»  1."^  La  libertà  religiosa,  che  si  compone  della  li- 
bertà di  coscienza,  della  libertà  di  culto,  e  della 
libertà  di  proselitismo; 

1  %,^  La  libertà  civile,  che  contiene  la  libertà  della 
persona,  la  libertà  del  domicilio,  quella  della  pro- 
prietà, e  quindi  il  consenso  all'imposta; 
k  3.^  La  libertà  politica,  che  assicura  ad  ogni  in- 
dividuo il  suo  concorso  nella  formazione  delle  leg^i, 
nella  sorveglianza  dèlia  publica  fortuna; 
»  4.®  La  libertà  d'insegnamento  per  via  della  sbrit- 
tura  0  dei  libri, -ddla  parola  o  dell'esempio; 
»  f^.*  La  libertà  ammteistrativa  ndla  letmiglia,  nd 
Commune,  nella  provincia,  e  nello  Stato; 
»  6.®  Infine,  blil^rtà  d'associazione,  che  comprende 
le  BBsionalità^  l'assooiaaone  dei  'capitati  pik  le  gM^di 
imprese,  delle  braccia  pe  '1  lavoro,  dei  cuofi  e  Mie 
coscienze  per  la  preghiera,  per  l'esercizio  della  ca- 


fM 

»  riU,  ed  anche  per  U  piàeere.  Dà  qiiest*aHima  specie 
^  di  libertà  dipende  più  priDcìpalmentie  il  progresso 
X  dell'incivilimento  (1).  » 

Ebbene,  questo  programma,  o  signore,  non  è  altro 
che  una  copia  o  un  estratto  della  celebre  Dickiara- 
zio:ie  dei  diritti  dell'uomo  e  del  cittadino,  inscrìtta 
a  capo  delle  varie  costituzioni^  che  la  democrazia  e 
la  ri\>oluziaM  decretarono  direttamente,  o  indiretta- 
mente consigliarono. 

Cosi  la  Costituzione  francese  del  1791  dichiarava: 
«  La  libertà  consiste  nel  poter  fare  tutto  quello  che 

>  non  nuoce  altrui  :  quindi  l'esercizio  dei  diritti  na- 
-)  turali  dì  ciascun  uomo  non  ha  altri  limiti  che  quelli, 

>  che  assicurano  agli  altri  membri  della  società  il 
)  godimento  di  questi  medesimi  diritti.  —  Nessuno 

>  dev'essere  inquietato  per  le  sue  opinioni  anche  re- 

>  ligiose,  purché  la  loro  manifestazione  non  turbi 
0  l'ordine  publico  stabilito  dalla  legge.  —  La  libera 
)  communicazìone  de'  pensieri  e  delle  opinioni  è  uno 
)  dei  diritti  più  preziosi  dell'uomo:  ogni  cittadino 
»  può  dunque  parlare,  scrivere,  stampare  liberamente, 
»  <alvo  a  rispondere  dell'abuso  di  questa  liberta  nei 
»  ^asi  determinati  dalla  legge.  —  La  proprietà  es- 
»  sondo  un  diritto  inviolabile  e  sacro,  nessuno  può 
>;  esserne  privato,  se  non  quando  la  necessità  publica, 
»  legalmente  accertata,  l'esige  evidentemente,  e  sotto 
»  la  condizione  di  una  giusta  e  precedente  indennità. 
»  —  La  Costituàone  guarentisce  come  diritti  natu- 
»  rali  e  civili: 

vi.''  Che  tutti  i  cittadini  sieno  ammissìbili  alle 
»  cariche  ed  agl'impieghi,  senz' altra  distinzione  che 
»  quella  della  virtù  e  dell'ingegno; 
:  x>  2.''  Che  tutte  le  contribuzioni  saranno  divide  fra 
»  tutti  i  cittadini  egualmente  in  proporzione  delie  loro 
»  facultà; 

(i)  Pag.  76-77. 


»  S.""  Che  li  stessi  delitti  saran  puniti  delle  stess  3 
»  pene,  senz'alcuna  distinzion  dì  persone.  —  La  Co  • 
>  stituzione  guarentisce  parimente,  come  diritti  na  • 
»  turali  e  civili: 

j»  La  libertà  ad  ognuno  di  andare,  di  stare,  dì  par 
»  tire  senza  poter  essere  arrestato  né  detenuto,  fuor- 
»  che  secondo  le  forme  determinate  dalla  Costitu- 
•  zione; 

»  La  libertà  ad  ognuno  di  parlare,  di  scrivere,  di 
»  stampare  e  dì  publìcare  ì  saoi  pensieri,  senza  ci  a 
"  li  scritti  possano  venir  sottoposti  ad  alcuna  cen- 
»  sura  né  inspezione  avanti  della  loro  publicazione; 
»  e  di  esercitare  il  culto  religioso  a  cui  appartiene; 

»  La  libertà  ai  cittadini  di  riunirsi  pacificamente  3 
»  senzarmi,  soddisfacendo  alle  leggi  di  polizia; 

»  La  libertà  d'indirizzare  alle  autorità  costituì t<' 
»  petizioni  firmate    individualmente.  ^—  I  cittadini 
»  hanno  il  diritto  di  eleggere  0  di  scegliere  i  mini 
»  stri  dei  loro  culti.  » 

La  Costituzione  del  1793  similmente  dichiarava: 
«  La  libertà  è  il  potere  che  appartiene  all'uomo  di 
B  fare  tutto  ciò,  che  non  nuoce  ai  diritti  altrui  :  essa 
0  ba  per  principio  la  natura,  per  regola  la  giustizia  ; 
»  per  salvaguardia  la  legge;  il  suo  limite  morale  é 
«  in  questa  massima:  non  fare  ad  altri  quello  che  non 
»  vuoi  fatto  a  te  stesso. 

D  11  diritto  di  manifestare  il  suo  pensiero  e  le  sue 
»  opinioni,  così  per  via  della  stampa  come  in  ogni 
»  altra  maniera,  il  diritto  dì  riunirsi  pacìficamente, 
»  il  libero  esercizio  dei  culli,  non  possono  essere  ìn- 
»  terdetti. 

»  il  diritto  di  proprietà  è  quello  che  spetta  ad  ogni 
>  cittadino  di  godere  e  di  disporre  a  suo  talento 
"  de' suoi  beni  e  delle  sue  rendite,  del  frullo  del  stc 
»  lavoro  e  della  sua  industria* 


m 

»  NewOT  genere  di  lavoro,  di  cultura,  di  oommer- 

»  ciò,  non  può  esaer  interdetto  air  industria  de'cit- 
«  tadini. 

»  LMnslruzione  è  il  bisogno  di  tutti.  La  seeietà 
»  dee  favorire  con  tutto  il  suo  potere  i  progressi 
»  della  ragion  publica,  e  mettere  riostruzione  alla 
»  porUta  di  tutti  i  cittadini.  » 

La  Costituzione  detta  deiranno  III,  1795,  dichia- 
rava parimente:  «  I  dirilti  deiruomo  in  società  sono 
»  la  libertà,  reguaglianza,  la  sicurezza,  la  proprietà. 

«  La  libertà  consiste  nel  poter  fare  quello  che  non 
»  nuoce  ai  diritti  altrui. 

ce.  L'eguaglianza  consiste  in  ciò,  che  la  legge  è  la 
»  stessa  per.tutti,  sta  che  protegga  o  sia  che  punisca. 

»  La  sicurezza  risulta  dal  concorso  dì  tutti  per  as- 
»  sicurare  i  diritti  di  ciascuno. 

»  La  proprietà  è  il  diritto  di  godere  e  disporre  de' 
»  suoi  beni,  delle  sue  rendile,  del  frutto  del  suo  la- 
»  voro  e  della  sua  industria. 

»  Ogni  contribuzione  è  stabilita  per  l'utilità  gene- 
»  rale:  essa  deve  distribuirsi  fra  i  contribuenti  in 
»  ragione  delle  loro  facultà. 

»  Ogni  cittadino  ha  un  egual  diritto  di  concorrere, 
))  immediatamente  o  mediatamente,  alla  formazione 
»  della  legge,  alla  elezione  dei  rappresentanti  del 
»  popolo  e  dei  publici  officiali.  » 

Fra  queste  tre  dichiarazioni  corrono  ben  poche  e 
piccole  differenze.  Bfa  per  ciò  che  spetta  ai  nostro 
intendimento,  in  tutte  tre  vengono  stabilite  e  con- 
sacrate quelle  stesse  libertà,  che  il  vescovo  d'Annecy 
ammetto  e  riconosce  espressamente:  la  libertà  delle 
opinioni,  la  libera  communicazione  del  pensiero,  l'am- 
missione  di  tutti  i  cittadini  a  tutti  i  gradi  ed  impie- 
ghi, la  libertà  di  parlare,  scrivere,  stampare,  o  publi- 


m 

cute  in  qualunque  miBAiiera  le  prozie  idee,  la  Iil)ertà 
di  associarsi,  la  libertà  &i  culla,  il  dltltto  airinstru- 
zione,  la  libertà  dell' industria  e  de^  lavoro.  Vedete 
dunque,  signor  Hifontalembert,  che  la  prima  e  solenne 
proclamazione  deUa  libertà  si  deve  alla  democrazia 
ed  alla  rivoluzione,  e  non  al  partito  catolico,  il  quale 
fu  anzi  —  andate  a  leggere  la  storia  del  vostro 
paese  —  il  più  fiero  e  perfido  nemico  di  queUa  dichia- 
razione e  di  quella  libertà,  che  TBuropa  dovea  ben- 
tosto salutare  come  l'Evangelio  di  una  fède  e  di  una 
religione  novella. 

Quei  principi  vennero  poscia  confermati  e  sanciti 
ripetutamente  dalla  rivoluzione  e  dalla  democrazia. 
Svitiamo  a  consultare  i  documenti. 

Il  5  luglio  del  1^5,  vigilia  del  secondo  ingresso 
d^li  eserciti  stranieri  in  Parigi,  la  Camera  dei  Rap- 
presentanti publicava  una  Dichiarazione  dei  diritti 
de' Francesi  e  dei  principi  fondamentali  della  costitth- 
zione,  ov'erano  registrati,  fra  li  altri,  questi  articoli! 
«  La  libertà  di  ogni  individuo  consiste  nel  poter 
B  fare  ciò  che  non  nuoce  altrui.  Nessuna  restrizione 
»  vi  si  può  portare  se  non  in  nome  delle  leggi,  me- 
»  diante  i  loro  organi,  e  sotto  forme  tanto  precise 
V  da  non  potersi  eludere,  né  trascurare. 

9  La  libertà  della  stampa  è  inviolabile.  Nessuno  r 
»  scrìtto  può  essere  sottoposto  ad  una  censura  pre- 
»  ventiva. 

B  Ciascuno  ha  la  libertà  di  professare  la  sua  opi- 
»  nione  religiosa,  ed  ottiene  la  stessa  protezione  per 
»  il  suo  culto. 

»  Un'instruzione  primaria,  indispensabile  per  la  cò- 
»  gnizione  dei  diritti  e  dei  doveri  dell'uomo  in  so- 
B  cietà,  è  posta  gratuitamente  alla  portata  di  tutte 
»  le  classi  del  popolo. 

»  La  Costituzione  guarentisce  l'eguaglianza  dei 
»  diritti  civili  e  politici,  l'abolizione  della  nobiltà. 


m 


»  dei  privUflgj,  dei  Utoll  e  diritti  feudali   rfrfi»  h. 

uiere,  avea  pur  dovuto  «  aporezzarp  lì  ^ffi^u;  ^  • 

^  progressi  sempre  crescenlffi^uT^^^^^^^^ 

»  relazioni  che  questi  progressi  hanno  inlrSto 

»  nella  società,  la  direzione  impressa  agli  SX 

»  un  mezzo  secolo,  e  le  «ravi  alterayinnf  n^T 

»  risultate.  .  alterazioni  che  ne  son 

Scendiamo  a  tempi  più  vicini.  La  Costituzione 
del  1830  seguitava. a  dichiarare:  «francesi  sono 
»  eguali  davanti  alla  legge,  qualunque  sienoiloro  li- 
»  toh  e  1  loro  gradi. 

»  Essi  contribuiscono  indistintamente,  nella  oro- 
')  porzione  della  loro  fortuna,  alle  cariche  dello  Stato 

»  bssi  son  tutti  egualmente  ammissìbili  affl'imDìeJ 
»  ghi  civili  e  militari.  ^ 

»  La  loro  libertà  individuale  è  egualmente  assi- 
»  curata. 

i>  Ognuno  professa  la  sua  religione  con  eguale  li- 
»  berta,  ed  ottiene  pe  '1  suo  culto  la  stessa  prote- 
.,»  zione.  * 

»  I  Francesi  hanno  il  diritto  di  publicare  e  di 
»  stampare  le  loro  opinioni,  conformandosi  alle  leggi 
»  La  censura  non  potrà  mai  essere  ristabilita. 


m 

»  Tutte  te  proinrietà  sono  inviolabili.  -*  Una  legge 
»  speciale  dee  regolare  Tinstruzione  publica  e  la  li- 
»  berta  d'insegnamento 

La  Costituzione  del  184S  metteva  il  suggello  a  tutte 
le  altre,  dichiarando  anch'essa: 

a  La  Repnblica  francese  riconosce  diritti  e  doveri 
D  anteriori  e  superiori  alle  leggi  positive. 

»  Essa  ha  per  principj  la  libertà,  l'eguaglianza, e 
»  la  fraternità. 

9  Essa  ha  per  basi  la  famtglia,  il  lavoro,  la  prò- 
»  prietà,  e  l'ordine  publico. 

»  Nessuno  può  essere  arrestato  o  detenuto,  fuorché 
»  secondo  le  prescrizioni  della  legge. 

»  11  domicilio  di  ogni  abitante  su  '1  territorio  fran- 

>  cese  è  inviolabile. 

»  Nessuno  sarà  distolto  da'  suoi  giudici  naturali. 

»  Ciascuno  professa  liberamente  la  sua  religione,  e 
»  riceve  dallo  Stato,  per  l'esercizio  del  suo  culto,  una 
»  eguale  protezione. 

0  I  cittadini  hanno  il  diritto  di  associarsi,  di  riu- 
»  Dirsi  pacificamente  e  senz'armi,  di  porgere  petizio- 

>  ni,  dì  manifestare  i  loro  pensieri  per  vìa  della  stampa 
«  0  altrimenti. 

»  L'esercizio  di  questi  diritti  non  ha  per  limiti  se 
»  non  i  diritti  o  la  libertà  altrui,  e  la  sicurezza  publica. 

A  La  stampa  non  può,  in  nessun  caso,  essere  sol^ 
»  toposta  alla  censura. 

»  L^nsegnamento  è  libero. 

»  Tutte  le  proprietà  sono  inviolabili. 

»  La  Costituzione  guarentisce  ai  cittadini  la  libertà 

>  del  lavoro  e  dell'industria.  » 

Dagli  stessi  principj  s'inspirava  un'altra  Republica, 
italiana ,  che  voi ,  signor  conte,  co  1  vostro  partito 
iftassinaste  in  nome  dì  un  papa.  La  Costituzione  ro* 


MI 

Taltro.  Perciocehè  stando. al  testi  allegati  e  ad  aUr 
simigliaoti  che  potrei  allegare,  io  debbo  conchiudere, 
al  solito,  roresciaodo  la  vostra  proposizione,  che  fra 
i  due  programmi,  catoHco  e  democratico,  dal  nome 
in  fuori  tutto  è  commune.  E  se  il  primo  non  tocca 
alla  forma  del  governo,  mentre  il  secondo  la  defini- 
sce; gli  è  perchè  questo  dovette  applicare  all'ordina- 
mento dello  Slato  i  principi,  che  a  ^fucilo  bastavad'aver 
accennati  in  generale  ;  ma  come  i  principj  sono  li  stessi, 
così  le  conseguenze  non  potrebbero  esser  diverse. 


Adolfo  Garnier,  in  un  suo  scritto:  De  rorganisalion  du 
pottvotr,  inserito  Della  Liberlè  depenser,  Dum.  7  (4uUi,  I8i8), 
si  esprime  cosi  : 

0  Les  besoins,  et  par  coDséqueot  les  droits  de  rhumanité, 
sont: 

.  »  i.  Geux  da  corps,  qui  comprennent  la  vie  et  la  propriété; 
»  2.  Geux  de  la  (Hgnité  humaioe,  auxqaels  se  rapporlent  la 
»  liberté,  regalile,  et  la  récompense  suivant  les  mérites  et  les 
»  ceuvres; 

»  3.  Les  inclìDatìons  du  cceur,  qui  coostituent  la  famlUe  et 
la  diari  le; 

»  A.  Les  besoins  de  Tesprlt,  qui  renferment  les  sciencesi 
»  les  arts,  la  morale,  et  la  religion.  • 

E  Pietro  Leroux,  n*l  suo  Projet  d'une  consliiution  dèmo- 
eraliqtie  et  sociale,  riassume  tutta  la  sua  dottrina  nei  termini 
seguenti: 

M  Nous  déclaroDS  que  voici  les  droits  de  Thomme  et  du 
ciloyen  : 

»  i.  Le  droit  de  vivre,  ou  la  propriélé; 

»  2.  La  famille; 

»  3.  L'éducatioD  ; 

»  4b.  La  liberlé  de  conscience  ; 

»  5.  La  liberté  d'association  ; 

a  6.  La  liberté  d'industrie; 

•  7.  La  liberté  de  la  presse; 

»  8.  La  liberté  des  suftrages; 

»  9.  Li  sùreté  persounelle.  » 


Pare  y'ha,  signor  conte,  una  eerta  difféitonza  tra 
la  libertà  del  catolicismo  e  la  libertà  della  democra- 
zìa, che,  non  voglio  dissìmularvelo,  è  essenziale,  ed 
apre  tra  voi  e  noi  un  abisso  d'infinita  distanza  e  d'in- 
conciliabile opposizione.  La  differenza  è  qtiesta,  che 
la  democrazia  invocando  la  libertà  parla  come  sente , 
obedisce  alla  propria  natura,  e  noti  inganna  nessu- 
no; laddove  il  catolicismo  appellandosi  alla  libertà, 
0  contradice  a  sé  medesimo,  o  mentisce  ed  inganna; 
perocché,  ve  lo  proverò  più  innanzi,  tutte  quelle  li- 
bertà, che  monsignor  d'Anneeye  voi  con  esso  rico- 
noscete come  diritti  naturali  del  cittadino,  sono  al- 
tretante  eresie,  che  la  chiesa  condanna  ed  abomina 
come  peste  della  morale,  della  fede,  e  della  religio- 
ne. Non  aveva  io  dunque  ragione  d'affermare,  che 
voi  insultate  alla  democrazia  senza  pur  averne  la  mi- 
nima conoscenza? Ma  questo  giudizio  quante  conferme 
non  trova  ancora  nel  séguito  del- vostro  discorsoi 

Queirasserzione  così  grave  e  calatale,  che  la  libertà 
reclamata  dai  catolici  non  ha  nulla  di  commune  con 
la  democrazia,  abbisognava  certamente  di  prove  chia- 
re, decisive,'  irrefragabili;  e  voi  quali  ne  date?  Ohi 
ne  date  tali  e  tante,  che  per  fermo  questa  volta,  si- 
gnor Montalembert,  non  v'ha  più  dubio  che  le  vo- 
stre parole  non  sieno  il  frutto  di  studj  serj  e  prò- 
fondi!  A  sentirne  e  gustarne  meglio  tutta  bi  forza, 
tutta  l'evidenza,  mettiamole  ad  una  ad  una  in  piena 
Ince: 

Prima  prova.  —  Che  la  libertà  sia  incompatibile  con 
lo  spirito  democratico,  io  Vko  già  detto  altrove {!),  Ecco 
un  magnifico  sillogismo  1 

(4)  J'ai  diCailleurs,  combien  la  liberté  étalt  incompatìble  avec 
l'esprit  démocratique  et  róvolutionnaire  (pag.  77). 


Seranda  fitoim.  ^  Che  ìa4ibéfA  ita  h  /prima  e 
la  iòla  9iUima  ietti  eanquièU  Mia  democrazia,  io 
l'avea  pure  già  predelló  in  «n  olirò  luògo  (t).  Ed  ecco 
un  terribile  dtlemnataì 

Tersa  prova.  — <  Lo  ripeto  adesso:  appena  la  de- 
mocrazia prevale  y  si  pttd  annunziare  con  certezza , 
che  per  la  libertà  è  finita.  L'una  apparisce  ancora 
di  costa  all'altra  per  qualdie  tempo;  ma  la  sua  òta 
è  sonata  (2).  E  quest'argumeoto,  o  signore,  come  si 
chiama?  falsità?  iiii]^tura?  calttUBla?  perfidia?  De- 
cidete voi.  I  due  paesi  più  liberi  del  mondo,  per  con- 
senso universale,  sono  la  Svizzera  e  li  Stati-Uniti 
d'America;  dae  paesi,  ove  domina  la  democrazia.  £ 
per  non  ascire  dalla  Francia,  che  è  l'oggetto  primario 
della  vostra  diatriba,  è  la  democmzia  che  ha  strap- 
pato dalle  nani  aVestri  re  lo  scettro  del  despotismo, 
che  ha  liberato  il  vostro  paese  dalle  catene  de  privi- 
legi, che  lo  ha  generato  alla  libertà,  composto  all'u- 
nità, e  ricolmo  di  f^ria.  Napoleone  vuole  schiacciare 
la  libertà  sotto  il  giogo  militare?  £  la  democrazia 
che  gli  resiste.  I  Borboai  tentano  di  sopprimere  la 
libertà  per  ripristinare  T  antico  reggimento?  E  la 
democrazìa  che  li  abbatte.  L'Orleanese  ^studia  di  cor- 
rompere la  libertà  per  farne  mercato?  È  la  democra- 
zia che  lo  atterra.  Dunque  la  deBaK>crazià  e  la  libertà 
vanno  di  conserva,  e  Tuna  è  nunzia  fedele  e  com- 
pagna inseparabile  dell'altra.  Lo  stesso  colpo,  che 
suona  l'ora  della  libertà,  suona  l'ora  della  demo* 
crazia» 

Ma,  voi  opponete,  la  democrazia  e  la  libertà  ap- 
parirono solo  per  poco  tempo  l'una  alato  dell'altra; 

(I)  J*avais  prédil  qne  la  liberté  serait  la  première  et  la  tenie 
vlclime  dea  conquétes  de  la  démocralie  (pag.  77). 

IS;  Dèa  qui  la  démoeratle  remporte,  od  pe«t  Tannoncer 
avec  cerUtQde,  c'en  oat  fàit  de  la  Uberto  (pag.  77). 


poi  la  ithSFtà  è  éeompMsà.  -^  èì^  ma  scomparve  in- 
sieme  la  democrazia.  E  questo  prova,  che  il  movi- 
mento della  società  verso  là  sua  meta  finale  non  è 
retto,  continno,  uniformemente  accelerato;  ma  risulta 
dalla  combinazione  di  movimenti  diversi  «  dal  con- 
trasto di  forze  parziali,  dalla  vicenda  instancabile  di 
azioni  e  reazioni,  che  luttano  perpetuamente  nel  mondo 
dell'Umanità,  come  in  quello  della  natura.  Prova, 
che  la  democrazia  non  ha  saputo  finora  assicurarsi 
il  pacifico  possesso  di  tutte  le  sue  conquiste,  e  non 
ha  proveduto  abbastanza  a  fiaccare  Torgogliode^suoi 
Demici,  sventarne  le  trame,  disarmarne  Todio,  chiu- 
derne i  nascondigli  :  e  vi  sapiamo  buon  grado  del- 
l'ammonimento (1).  Quando  la  democrazia  richiamerà 
la  Francia  a  libertà,  state  certo,  signor  Montalem- 
bert,  che  non  ricadrà  più  negli  errori  del  48.  No,  non 
spingerà  più  la  generosità  verso  1  suoi  nemici  fino 
all'imprudenza  ed  alla  stoltezza;  non  si  lascerà  più 

{i)  La  democrazia  francese  se  n*è  pure  oggimai  persuasa. 
Noui  avons  vu,  dice  E.  Qainet  alladendo  alla  rivoluzione 
del  48,  une  république  débonnaire  i'établir  sur  Videe  qu'elU 
pourrait  en  un  jour  changer  en  partisatu  tes  ennemU  in- 
vélérét.  Sans  fairt  à  eeux-ci  atieune  eondition,  elle  a  cru 
lei  dompler  en  s*(igenouillant  devant  eux.'Sei  adversaires  ne 
lui  wit  su  aueun  gre  d*une  mansuélude,  qui  leur  a  pam 
cacker  quelque  faiblesse.  N^ayani  pas  su  éire  JusUt  ni  bonne 
pour  se*  amiSf  ni  sevère  pour  ses  ennemiSt  nous  la  vog<ms 
à  demi  ruinée  (scrivea  nel  i  851)  par  Vindifférence  des  pre^ 
miers  qu*eile  n*a  pu  récompenser,  par  l'audace  des  seeonds 
qu'eUe  n*a  pas  osé  ehàtier.  Uìie  ielle  expérience,  ajoulée  à 
UmUs  eelles  de  Vllaliet  m'aulorise  à  tirer  de  ee  chapilre 
la  conclusion  suivante:  que  dans  une  epoque  corrompue, 
toule  démoeralie  qui  surgira  après  une  longue  habitude  ds 
urvlttié,  et  qui  se  contenterà  du  pìaisir  de  naìtre,  sanspre»' 
dee  aueune  garantie  contre  la  malice  de  ses  ennemis,  devien^  ^ 
^a  nieesiairement  leur  prole  et  leur  risie,  (tu  aiiiFOLu- 
iMRs  i>*4tai4S,  Uv.  I,  oh.  XH.) 


abbindolare  dalla  loro  ipocrisia;  non  presterà  più  fede 
alle  loro  proteste.  Allora  si  ricorderà  delle  vostre  fa- 
cili profezie;  e  farà  in  modo  che  non  abbiano  ad 
avverarsi  mai  più.  Ed  i  primi  provedìmenti,  i  più 
energici  e  radicali,  li  prenderà  contro  di  voi  e  del 
vostro  partito;  poiché  voi  foste  sempre  i  suoi  nemici 
più  astuti,  più  perfidi,  e  più  implacabili.  Oh!  dite, 
signor  conte,  dite  alle  vostre  dame  del  Sacro  Cuore, 
che  lascino  pur  in  piedi  li  alberi  delle  loro  terre:  il 
popolo  cercherà  in  altre  terre  il  simbolo  della  sua  liber- 
tà. Dite  ai  vostri  curati,  che  si  tengano  ì  loro  turiboli  ed 
i  loro  aspersori  :  il  popolo  ricorrerà  ad  altri  sacerdoti 
per  benedire  i  suoi  martìri  e  consacrare  i  suoi  trionfi. 
Dite  a* vostri  vescovi,  che  vendano  ad  altri  le  loro 
preghiere  ed  omelie:  il  popolo  rimetterà  a  migliori 
maestri  la  cura  morale  e  religiosa  della  nuova  socie- 
tà. Dite  aVostri  banchieri,  ai  vostri  nobili,  ai  vostri 
principi,  che  non  si  sfiatino  neir  acclamare  la  magna- 
nimità, la  grandezza,  la  sovranità  del  popolo;  nel  far 
pompa  di  rispetto  a'  suoi  voleri,  d'interesse  a'suoi  bi- 
sogni, di  compassione  a'suoi  dolori:  il  popolo  non 
s'appagherà  più  della  loro  vigliaccheria,  e  troverà 
ben  il  modo  di  ottenere  da  loro  una  restituzione  delle 
sustanze,  che  gli  han  rapito;  un  compenso  dei  su- 
dori, che  gli  hanno  spremuto;  una  espiazione  della 
miseria,  a  cui  l'hanno  dannato;  e,  orribile  a  dirsi! 
una  vendetta  del  sangue,  con  cui  han  punito  l'e- 
roismo de'  suoi  difensori.  E  forse  allora  la  Francia, 
anzi  l'Europa,  salve  dagl'intrighi,  dalle  insidie,  e  dalle 
machinazionì  della  vostra  setta,  vedranno  la  demo- 
crazia e  la  libertà  non  solo  comparire  insieme  per 
qualche  tempo,  ma  insieme  fondare  il  regno  imperi- 
turo della  giustizia  e  della  fratellanza  uoiversade. 

Quarta  prova.  —  Nessuna  delk  rivoluzioni  fatte 
dalh  idee  e  dalle  passioni  democratiche,  da  sessantanni 


m 

in  qua,  potè  durare  sotto  una  forma  liberale;  laddove 
le  rivoluzioni  fatte  già  da  popoli,  che  la  democra- 
zia non  aveva  ancora  invasi,  hanno  loro  assicurata 
la  libertà  e  la  nazionalità,  che  reclamavano:  testimo" 
nio  il  Portogallo  nel  1640,  Vlnghilterra  nel  1688  (1). 
Io  credo,  signor  Montalembert,  che  la  logica  ignori 
al  tutto  la  forma  ed  il  nome  di  questo  argumento; 
però  la  Francia,  se  non  erro,  ne  dee  sapere  qualche 
cosa:  non  è  desso  à  la  Loriquet?  Oh!  voi  mi  parete 
un  bravo  discepolo  di  quello  storico  molto  reveren- 
do! Nessuna  rivoluzione  democratica  potè  durare? 
Ma  questa  proposizione  in  termini  così  generali  è  una 
falsità.  Non  ha  forse  durato  agli  Stati-Uniti?  E  in 
Svizzera  non  ha  durato?  E  se  non  durò  in  Italia,  in 
Germania,  ed  in  Ungheria,  forsechè  non  ha  già  poe- 
tato ì  suoi  frutti?  Non  ha  forse  conquistato  moral- 
mente la  massima  parte  di  queste  nazioni?  L'a- 
more della  libertà,  il  principio  dell' indipendenza,  il 
sentimento  dell'unità  nazionale,  l'emancipazione  dal- 
l'autorità temporale  dei  re  e  spirituale  del  preti,  po- 
chi anni  fa,  erano  ancora  il  privilegio  di  alcuni  in- 
telletti rari  e  solitarj;  e  adesso?  Adesso  sono  il  pen- 
siero commune,  l'idea  madre,  la  forza  motrice  di  que- 
sti popoli  :  su  i  loro-  corpi,  sì,  impera  la  spada  di  un 
principe;  ma  su  le  loro  anime  regna  lo  spirito  della 
democrazia.  L'officio  primo  della  rivoluzione,  la  con- 
quista degli  animi,  s'è  dunque  compito:  il  secondo, 
la  conquista  dei  poteri,  inevitabilmente  si  compirà: 
tutti  !  soldati  e  tutti  i  preti  del  mondo  non  varreb- 
bero ad  impedirlo. 

(1)  Aucuoe  des  révoluUoos  faites  par  les  idées  et  les  pas* 
sions  démocratiques,  depuis  soixante  aos,  n*a  pu  darer  sous 
noe  forme  Ubérale;  tandis  que  les  révolutions  faites  autrefois 
par  des  peuples,  que  la  démocratien'avait  pas  encoreenvabìs, 
iear  ont  garanti  la  liberto  ou  la  nationalité  quMIs  réclamaient: 
témoinle  Portugal  en  1640,  TAngleterre  en  i68S  (pag.  97). 
I.  .  14 


fio 

Se  poi  la  vostra  proposizione  si  riferisce  soltanto 
alla  Francia,  è  uno  sproposito  ancora  più  grave.  Che 
cosa  intendete  per  quella  forfna  liberale  della  rivo- 
luzione? La  forma  propriamente  estrinseca  e  mate- 
riale del  governo?  il  suo  titolo?  la  sua  insegna?  la 
sua  polkìa?  Ma  dovreste  sapere,  che  questo  è  Tele- 
mento  accessorio  ed  accidentale  di  una  rivoluzione, 
la  quale  può  ben  durare,  e  progredire,  e  fortificarsi, 
anche  a  traverso  di  tutte  le  mutazioni  possibili  nella 
forma  governativa.  Se  poi  intendete  l'essenza  vera  e 
reale  della  rivoluzione,  cioè  i  nuovi  principi  sociali, 
su  cui  essa  fonda  il  riordinamento  della  nazione  :  al- 
lora la  storia  vi  dà  una  solenne  smentita.  Quello  che 
la  rivoluzione  ha  dovuto  distruggere,  non  è  risurto 
più  ;  e  queljo  che  ha  voluto  edificare,  non  è  più  ca- 
duto. Dov'è  più  il  diritto  divino  de'  vostri  monarchi? 
Dove  il  potere  assoluto  della  corona?  Dove  i  privi- 
legi feudali  della  nobiltà  e  del  clero?  E  per  lo  con- 
trario, Teguaglianza  civile,  l'unità  nazionale,  la  to- 
leranza  religiosa,  la  sovranità  popolare,  il  sistema 
elettivo,  la  libertà  industriale,  non  han  continuato 
sempre  a  dominare  in  Francia  sotto  qualunque  forma 
di  governo?  Tutta  la  potenza  colossale  di  Napoleone 
il  grande  non  dovette  inchinarsi  davanti  a  queste 
vittorie  della  democrazia?  E  tutta  l'audacia  sfrenata 
di  Napoleone  il  piccolo  non  dovette  abbassarsi  dinanzi 
a  questi  trofei  della  rivoluzione? 

Tacio  degli  esempj,  che  voi  adducete  in  contrario; 
poiché  non  meritano  risposta.  Che  cosa  giovò  al  Por- 
togallo la  nazionalità,  ottenuta  con  la  rivoluzione 
del  1640?  A  segnar  l'epoca  della  sua  decadenza,  che 
l'avea  da  ridurre  alla  condizione  di  un  portofraaco 
dei  mercatanti  inglesi.  Ed  in  Inghilterra  a  chi  pro- 
fittò la  libertà,  assicurata  dalla  rivoluzione  del  16SS? 
Ad  alcune  milliaja  dì  famìglie,  che  si  appropriarono 
il  perpetuo  possesso  di  tutto  il  territorio,  e  quindi 


f11 

la  direzione  del  governo,  lì  monopolio, deglia^ìeghK 
la  fonte  delle  riochezze;  e  quindi  satto  il  nonote  di 
libertà,  la  pia  orrìbile  delle  tirannie,  la  tirannia  della 
fame.  Oh!  davvero,  la  democrazia  non  ha  da  invi^ 
dlar  nulla  a  quelle  due  rivduzioni,  ehè  si  fecero  senza 
di  lei.  ' 

Del  resto,  acciocché  il  rostro,  argumento  provasse, 
converrebbe  supporre,  che  le  idee  e  le  passioni  de^ 
fuoeraiiche  avessero  potuto  attuarsi,  esplicarsi  libe^ 
ramente,  pienamente,  facendo  così  un  esperimento 
sincèro  e  compito  di  sé  medesime.  Ora  questa  sup^ 
posizione  non  s'è  per  anco  avverata.  Se  nelle  rivo^ 
luzioni  successe  da  sessant'anni  in  qua  ve  n'ebbero 
alcune,  che  la  democrazia  inspirò,  «uscito,  e  promosse 
ne' loro  primordi;  di  nessuna  finora  può  dirsi,  che 
venisse  condutta  a  termine  dalla  democrazia.  Colpa 
talora  dei  nemici  stranieri,  che  non  gliene  lasciarono 
il  tempo,  come  alla  Convenzione  di  Francia,  alla  Be* 
pobllca  di  Roma  e  d'Ungheria;  e  talora  dei  nemici 
intestini,  che  non  gliene  concessero  il  potere,  conte 
alla  rivoluzione  del  30  in  Francia,  ed  a  quella  del 
48  iti  Francia^  in  Italia,  in  Austria,  e  in  Allemagnn. 
Yoi  dunque  combattete,  non  un  fatto  della  stona,  ma 
un  fantasma  del  vostro  cervello* 

Quinta  prova.  —  In  sustanza^  la  democrazia  è  in- 
compcUibile  con  la  libertà,  percfiè  essa  ha  per^  base 
l'intndia  sotto  il  nome  d* eguaglianza,  mentre  che  la 
libertà,  per  la  sua  stessa  natura,  protesta  senza  posa 
contro  il  livello  tirannico  e  bestiale  dell'eguaglianza  (1). 
Finalmente,  troviamo  qui  un  perchè!  La  forma  deU 
l'argumentazione  é  rispettata;  saggiamone  il  valore, 

(1)  Au  food,  la  démocralie  est  iocompaUble  avec  la  liberté, 
parce  qn*elle  a  pour  base  Tenvie  sous  le  nom  d*égalité. 
tandis  qua  la  liberté,  par  sa  nature  méme,  proteste  sans  cesso 
oontrt  le  niTcau  tyraonique  «t  bra|al  do  l*égalité  (pag.  7*  )• 


Gì  dilB  tdMqiie,  rignor  Ifoitriernhert,  cha  to  dtm^ 
crtuia  è  iweamfiMite  em  la  Marte;  e  peròhèf  Ptor- 
Aè  ha  per  ba$e  l'iwndia.  Ha  questa  ràgiooe  noa  è 
un  assioma,  ed  ha  mestieri  anch'essa  di  prova.  E  voi 
die  prova  ne  date?  Un  motto  di  Proudhon  a  piò  di 
pagina:  La  dimocraHe,  e'eit  Vem>ie(l),  Cornei  avete 
scambiato  ia  democrada  co  'i  catolicismo,  e  fatto  di 
Proudhon  il  nostro  papa,  de'  suoi  libri  la  nostra  Bib- 
bia? Ma  noi  non  riconosciamo  nessun  individuo  e 
nessun  libro  per  giudice  iniàUibile  della  verità;  ed 
in  una  questione  di  diritto,  qucA  vostro  raziodnio: 
la  cosa  è  vera,  perchè  Tha  detta  Proudhon;  è  un 
sofisma  indegno  anche  di  un  academico. 

Tanto  più,  che  voi  abusate  perfidamente  di  quella 
sentensa,  e  le  date  un  significato  ben  diverso  da  quello, 
che  ha  nel  testo  dell*  autore.  In  quel  capitolo,  Prou- 
dhon cerca  di  spiegare  codesto  enigma:  Comm$ni 
eelui  qui  iehùua  et  mieérablement  à  Bwhgne  si  à 
Stratòourg,  dem»  dee  dreoMtaneee  (fui,  d'àprèe  noe 
éoeure  inewrrectUmnettee,  ne  pawaient  que  lui  concHier 
une  certaine  eetime,  réueeit  à  Parie  dome  dee  oomIì- 
tUms  o<ttefMe«(2)?£  ne  arreca  per  ragione  principale 
V indifferenza  e  la  elmpatia  M  popolo:  La  maeee,  il 
faut  Vavouer,  parce  que  cela  none  eet  eneore  plue  Ao- 
norable  que  de  le  taire,  la  maeee,  en  haut  et  en  bae^  a 
éU  eompHce,  ici  par  eon  inactimi,  là  par  eee  applaur- 
dieeemente,  ailleure  par  une  co&pératim  effective^  éu 
eeup  d*ÈM  du  2  déeemìire.  —  Ce  n'eet  pae  la  farce 
aimée,  e' eet  le  peuple  indifférent  au  plutei  e^mpoM^ 
que,  qui  a  decidi  le  mauvemeni  en  fàioeur  de  Banen 
parte  (8). 

(1)  La  révoluUen  tocieUe  démonirée  par  U  paup  d'État, 
pag.  7S. 
(9)  Pag.  69. 
(!)  Pag.  f9-70. 


SliDaM  tattavift  d»  sptegard  quella  stf&na  aèerra- 
2ion^  di  un  popola,  che  8i  tenea  per  T avanguardia 
defla  libertà;  e  Froudhon,  fra  le  altre  ragioni,  allaga 
Il  discredito,  in  cui  era  caduta  per  propria  colpa  TÀ»* 
semblea  nadonale:  Une  réwM^  de  Représent&nU 
(È^€ua  à  Itur  iite  MM.  Berryer,  0,  Barrot,  Creton,, 
fitet,  ek.,  se  forme  au  W  arrondissement.  Elle  est 
aklwée  'par  la  troupe^  et  conduite,  entre  deux  rangs 
de  soldats,  au  quai  d^Orsay,  Le»  cHayens,  ewr  le  pas- 
tage  de  celle  puissance  déchue,  se  découvrent:  lepeu- 
pk,  cruel  comme  les  enfanls,  sans  géièérosUé,  insuUe 
à  leur  désastre:Ils  Vont  voulu!  fainement  ils  inwh- 
fueni  la  ConstUuHon:  La  ConstUuHo%  dit  le  penf4é, 
V9US  Vavez  les  premiers  et  sciemment  violée.  Cesi  un 
chiffon  dans  une  hotte  (1). 

fife  non  tutta  T  Assemblea  erasi  resa  complice  di 
qadli  attentati:  Proudhon  no*l  poteva  dissimulare; 
e  quindi  si  fa  robjetione:  Mais  la  Montagne!  Bd  ecco 
la  sua  risposta:  Ses  membres  les  plus  popultnres. 
Greppo,  Nadaud,  Miot,  soni  arrétés  ausst,  —  Le  peu^ 
pie,  ingrat,  infidèle  à  Vamitié,  ne  trouve  à  cette  nou* 
velie  gue  des  railleries  ignobles  sur  la  perle  deS 
S5  frames,  Les  mogitagnards  iiaient  dépopularisés,  #a^ 
vez-^fous  pourquoi?  parce  qu'ils  étaient  indemnisis» 
Le  peuple,  qui  aeeueille  sans  sourdUer  une  Uste  ci* 
vUe  de  ì%  milHons,  attendu,  dO-il,  que  cela  fait  al* 
kr  le  conmerce,  regarde  l'Hidemnité  de  ses  Repri^ 
sentante  comme  un  voi  fait  à  sa  bourse.2!^francs  par 
jourì  des  démocratesl...  La  démocratie,  e' est  Venvie{% 

Ora  per  capire  il  valore  dì  queste  parole  non  fa 
d'uopo  di  molta  critica,  e  basta  il  senso  commune 
Lasdaado  da  parte  Tesaé^^razione  .retorica  ddle  ae- 
cose,  dw  Proiidhon  maam  ingioatanenle  a  tii^  un 

(1)  Pag.  7S. 
(S)  Pag.  7S-7I. 


314 

/^ran  popolo,  egli  è  evideate^  che  la  sua  ooaclusiome 
V  aprirne  non  ud  assioma,  non  un  teoreooa,  benù  un  V 
lonia,  con  la  quale  morde  la  stolta  e  cieca  invidia 
ili  quei  popolani,  che  imputiivano  a  colpa  de' loro 
Uappresentanti  una  tenue  e  giusta  indennità,  laddove 
))on  si  scandalìzzano  deiren<»'ine  ed  iniqua  dotazione 
(li  un  principe.  E  voi,  signor  conte,  voi  spingete  la 
loala  fede  tant' oltre  da  citare  questo  motto  quasi 
una  formula  o  una  definizione? 

E  v*ha  di  peggio.  Voi  attribuite  alla  democrazìa  il 
livello  Uranmoo  e  bestiale  dell'eguaglianza;  ma  con 
quale  diritto?  Il  livello  deW eguaglianza ,  come  voi 
Tintendeto,  è  il  commuaìsino(l);  ma  il  communismo 

(i)  Bd  anche  applicale  al  cotnmanismo  le  qualiflcazioni  di 
tirannico  e  ìMstiale  sonp  un'indegna  calunnia  dei  signor  Mon* 
lalembert,  il  quale  dovrebbe  rammentarsi,  cbe  la  tirannide 
l'estiale  essendo  unicamenle,  esclusivamente  U  materia  e  la 
forma  della  sua  setta,  non  è  possibile  cbe  altri  partiti  le 
e  ontendano  il  privilegio  di  queste  doti,  tutte  sue.  Io  riferirò 
i(ui,  a  sua  ignominia,  un  documento  solo,  ma  decisivo.  Egli 
i*.  il  proclama,  che  la  matina  del  25  febrajo  1848,  Cabet  indi- 
rizzava ai  communisti  suoi  discepoli  ed  amici: 

«  Aux  Communistes  icariens.  —  TravaUieurs  nos  fròros: 
t  nous  àvons  toujovrd  dit  que  nous  étions  avant  tout  Pran- 
»  cais,  patriotes,  démocrates,  aussi  iatrépides  qtt'bumains  et 
•>  modórés:  vous  venez  de  le  prouver.  —  AQjourd'hui,  c*est 

•  Vwìion  seulo,  Vordre  et  la  discipline,  qui  peuvent  assurer 

•  au  peuple  le  fruit  de  sa  victoire,  en  garanlissant  ses  droits 
»  et  ses  ìnléréis.  Rallions-nous  done  aulour  du  Gouverne- 
>  ment  provisoire  prèside  par  Dupont  (de  l'fiure),  rem  pia- 
»  cant  Todieux  gouvernement,  qui  vientdese  rougir  da  sang 
»  des  citoyens.  Appu-yons  ce  gouvernement  provisoire,  qui 
»  86  dèclaffd  ré(nii>ti&aiiì  et  d^eoràtique;  ■  «pi  txrootame  la 
I  souverainetó  nationale  et  Tonité  de  la  nation;  qui  adopte 
»  la  Fraternité,  TÉgalité,  et  la  iiiberté  pour  priacipes,  et  le 
f  Peuple  pour  devise  et  mot  d*ordre  ;  et  qui  dissoùt  les  Cbam- 


S15 

è  fotse  la  democrazia?  E  siete  voi,  che  denunciate 
per  communisti  quelli  uomini,  che  nudi  guardavano 
i  vostri  palazzi,  affamati  proteggevano  i  vostri  tesori, 
e  per  non  toccare  alle  vostre  proprietà  offrivano  al 
governo  tre  mesi  di  miseria?  Ohi  se  non  per  grati- 
tudine, almeno  per  prudenza  dovreste  tacere,  signor 
Hontalembert ,  affinchè  il  popolo  non  avesse  a  pen- 
tirsi delFeroica  probità,  che  osservava  nei  giorni  del 
suo  trionfo,  quando  pallidi,  tremanti,  atterriti  vi  te- 
nea  tutti  nelle  sue  mani.  E,  il  popolo,  non  solo  a  Pa- 
rigi, ma  dovunque,  si  mostrò  eguale  a  sé  stesso. 
Vienna,  Berlino,  Milano,  Pesth,  Roma,  Palermo  stet- 
tero ben  in  potere  della  democrazia;  ma  il  livello  ti-- 
rannico  e  bestiale  dell'eguaglianza  non  l'hanno  ve- 
duto mai. 

f  bres  pour  convoqner  l'Assemblée  natioDale,  qui  doDDera 
I  à  la  Prance  la  constituUon  qu'eile  demande.  Mais  sachons 
I  DOBs^mémes  réclamer  constamment  toutes  les  conséquen- 

•  ces  de  ces  princìpes.  Deroandons  que  totis  les  Francais  soient 
1  déclarés  frèbbs,  égaux  en  devoìrs  et  en  droits  sans  aucune 

>  espèce  de  privilège,  tons  membres  de  la  garde  naUonaie, 

•  totts  électears  et  éligibles  à  toutes  les  foilctions  publiques 

>  saos  aucune  vile  condition  d'argeot.  Demandons  le  droit 

•  naturel  et  imprescriptible  d'associatioD ,  de  réuniop  et  de 

•  discQssion;  la  liberié  individnelle,  saos  Tarbilraire  d'aucuD 
»  homme;  la  liberté  de  la  presse,  sans  entra ves,  sans  cau* 
B  tionnement  ni  timbre.  Demandons  snrtout  la  garanlie  de 
I  tous  les  droits  et  de  tpus  les  intéréts  des  travajllenrs;  la  re* 

■  connaissance  formelle  da  droit  de  vivre  en  travaillant,  afln 
t  que  le  pére  de  famitle  ne  soit  plus  réduit  à  Taffrense  né- 

>  eessité  d'abandonner  sa  femme  et  ses  enfants  pour  aller 

•  mourir  en  combattant.  Demandons.  Torganisation  du  tra- 
»  Tati  et  Tassarance  da  bien  élre  par  le  travail.  Deman- 
B  doDS  la  suppression  de  tous  les  impóts  sur  les  objects  de 

■  première  nécessité.  Demandons  TaboUtion  des  humilianles 

>  vexations  et  iniqaes  institations  de  la  Donane  et  de  VOc-» 
»  troì.  Demandons  pour  le  peuple  rinstruclion  generale,  gra- 
t  tuite,  commune,  réelle  «t  complète.  Demandons  des  insti- 


"E  v'ha  di  peggio  ancora.  Voi  qualificate  per  invì- 
dia il  sentimento  dell'eguaglianza  fraterna  che  parla 
al  cuore  dei  popoli,  e  lo  travisate  a  bello  studio  per 
renderlo  odioso  e  detestabile.  Ora  questo  procedere  per 
parte  vostra  sapete  come  si  chiama?  Ve  lo  dirò  io,  signor 
conte:  si  chiama  cinismo  1  Per  l'onore  dell'Umanità 
voglio  credere,  che  fra  li  stessi  catolici  si  trovi  an- 
cora qualche  aoima  generosa,  qualche  nobile  cuore, 
che  protesterà  con  indegnazione  contro  di  voi;  — 
di  voi,  che  ricco  d'onori  e  di  sustaoze,  tacciate 
d'invidia  il  povero,  se  invoca  un  sollievo  alla  sua 
miseria;  —  di  voi,  che  seduto  a  lauto  banchetto,  ac- 
cusate d'invidia  il  padre,  se  sospira  le  briciole  della 
vostra  mensa,  quando  la  sera  dopo  quattordici  ore 
di  stento  ritorna  al  suo  abituro,  vede  accorrere  i  suoi 

»  tations  et  des  garaoties  pour  le  bonbeor  des  femmes  et 
»  des  BNFANTS,  pouF  que  chacan  ail  la  possibìlité  de  se  ma- 
»  rier,  avec  la  certUade  de  poavoir  éiever  sa  famiUe  et  la 
I  rendre  heureuse.  Fidèles  à  nos  prlncipes  de  fraternité,  d'ha* 
I  manlté  et  de  modération,  de  Justice  et  de  raison,  crions 
»  toujours  et  partout:  Poiat  de  veogeancel  point  de  désor- 
»  dres,  point  de  violences,  point  d*oppressions  pour  per- 

>  sonno  !  Mais  fermeté,  clairvoyance  et  pradence,  afln  d'obtenir 

>  justice  pour  touèt  Point  d*atteinte  à  la  propriété!  mais  ioé- 
»  branlable  persévérance  à  demander  tous  les  moyens,  qoe 
»  peut  accepter  la  jasUce  ponr  supprimer  la  misere;  notam* 
»  ment  en  adoptant  nn  système  démocratlqae  d'inégalité  sno- 

•  cessivement  décroissante,  et  d*égalité  saccessivement  crois- 

•  sante.  Gardons-nons  de  demander  l*appUcaUon  immediate 
»  de  nos  doctrines  communistes.  Noas  avons  tovjonrs  dit, 
»  que  nousne  vonlons  lenr  triomphe  qne  par  la  discussion, 
»  par  la  conviciion,  par  la  poissance  de  l'opinion  pobliquei 

>  par  le  consentement  individue!,  et  par  la  volontó  nationale  : 

•  restons  fldèles  à  nos  paroles.  »  —  Tal  è  il  linguaggio  di 
quelli  uomini,  che  vogliono  il  tirannico  e  bestiale  livello  del- 
l'eguaglianza. Paragonatelo  con  lo  stile  dei  preU,  dei  vescovi, 
e  dei  papi;  e  ditemi  poi  da  qttal  parte  stia  la  butiaUtà  e  la 
tirannide. 


figli  sctf  lyi,  pallidi,  famelici,  stringersi  intorno  a  lui» 
affacciargli  le  ginocchia,  domandargli  del  pane,  e 
si  trova  le  mani  vuote;  — *  di  voi,  che  in  mezzo  al 
lusso  ed  allo  splendore  delle  vostre  sale,  gridate  al- 
riavidìa  della  donna,  se  madre,  vorrebbe  un  lettic- 
ciucco  pe'suoi  bambini;  sposa,  un  onestò  guadagno 
pel  suo  consorte;  figlia,  un  alimento  sano,  un  Ce- 
stito, un  medicinale  pe'  suoi  cadenti  genitori.  Ah  l  che 
pane?  che  tetto?  che  moglie?  che  figli?  Voi,  conte 
di  fliontalembert,  ci  annunziate, che  pel  povero  po- 
polo il  de^derare  un  sollievo  alla  miseria,  un  conforto 
al  dolore,  un  sostegno  alla  vita  de'  suoi  cari,  è  un 
grave  peccato  d'invidiali  Dunque,  per  non  peccare 
d'invidia  e  per  non  turbare  la  gioja  delle  vostre  fe- 
ste, muoja  di  fatica,  e  tacia;  perisca  di  fame,  e  si  • 
rassegni;  logori  le  vostre  scale  ad  implorare  un'ele-* 
mosina,e  vi  benedica;  venda  le  figlie,  prostituisca  le 
mogli,  cacci  i  vecchi  all'ospedale,  e  ringrazii  la  Pro* 
yidenzal  Così  va  bene,  eh,  signor  conte?  Questa  ò  la 
libertà  che  vi  piace,  non  è  vero?  A  vqì  ed  a  qual- 
che milliajo  d'altri  signori,  nobili,  cavalieri,  conti, 
principi,  duchi,  ecc.,  la  libertà  di  godervi  tutte  le 
deliàe  della  vita;  ed  ai'millioni  di  poveri  la  libertà 
di  scegliere  fra  i  varj  generi  di  morte.  E  voi  siete 
un  cristiano?  Siete  un  i^omo,  voi?  Ohi  voi  mi  fate 
ribrezzo:  saranno  ben  d'uomo  le  vostre  fattezze;  ma 
l'anima,  se  n'avete,  certo  è  di  fiera. 

V 

Per  mantenersi,  la  democrazia  condanna  tutto  ciò 
the  vuol  vivere  e  agire  ad  abdicare  ogni  valore  per- 
Bonale,  ed  a  prostrarsi  in  adorazione  servile  davanti 
al  fantasma  della  ragione  e  della  virtit  delle  masse  (1). 

(1)  Poar  se  maiotenir,  ia  démocralie  condamne  tont  ce 
i|bI  veQt  vivre  et  agir  à  atHliqner  tonte  valeur  personneUe,  et  à 
m  irioDger  en  adoration  servile  devant  le  fantdme  de  la  raison 
et  de  la  verta  dee  maseei  (pag.  79). 


Voi  errdté  ó  mentite  àtìcòra,  signor  Montaìembert,  e 
calunniate  sempre.  La  demoerazia  condanna  una  sola 
classe  di  gente,  i  nemici  della  libertà,  coloro  che  vo- 
gliono, come  voi,  la  vita  per  sé  soir,  per  sé  le  ricchezze, 
per  sé  i  piaceri,  per  sé  li  onori,  per  sé  il  comando,  per 
sé  tutto  quanto  v'ha  di  buono  e  di  bello  nel  mondo; 
li  condanna  come  assassini  de'  popoli,  a  cui  occidono 
Tanima  con  l'ignoranza  e  la  superstizione,  il  corpo 
con  li  stenti  e  la  miseria  ;  li  condanna  appunto,  per- 
ché vuole  che  tutti  possedano  il  diritto  di  vivere, 
ed  esercitino  la  facultà  di  operare;  li  condanna,  per- 
ché ama  di  misurare  il  valore  personale  de^ì  uo- 
mini, non  dalla  nascita,  dalla  fortuna,  dal  caso,  ma 
dal  merito  di  ciascuno.  —  Quanto  poi  ^Wadorazione 
servile,  debbo  dirvi  che  queste  voci  le  cerchereste  in- 
darno njel  vocabolario  della  democrazìa.  Vadorazione 
è  la  virtù  degl'idolatri,  la  servilità  é  l'arte  degl'ipo- 
criti: voi  siete  catolico  e  gesuita;  dunque.... c'inten- 
diamo? —  Né  scenderò  qui  a  discutere,  se  la  ragione 
e  la  virtù  -delle  masse  meritino  il  titolo  di  fantasma^ 
di  ehe  voi  le  onorate  (1).  Fantasma  o  realtà,  questo 

(1)  Non  so  astenermi  da!  ricordare  al  signor  Montaìembert 
le  parole',  con  cui  descriveva  il  popolo,  non  un  nostro  amico 
rivoluzionario,  ma  un  suo  reverendo  confratello:  »  Sì,  noi 
»  amiamo  il  popolo,  perchè  il  Figlio  di  Dio  lo  lia  amato;  e 
»  sempre  severo,  sempre  sdegnato,  sempre  terribile  contro  l*i> 
»  pocriti,  contro  i  ricclìi,  e  contro  i  gaudenti:  Vae  vobis,  hy^ 
»  pocrifae.  Vae  vobis  divitibus.  Vae  vobis,  qui  ridetis  nunc; 
»  co  'i  poveri  singolarmente  e  co  '1  popolo  si  é  dimostrato 
»  compassionevole,  indulgente,  amoroso.  Noi  amiamo  il  po- 
li polo,  perchè  è  nel  popolo  che  si  trovano  meno  vizj  e  più 
»  virtù,  più  religione  e  meno  empietà.  È  il  popolo  che  la- 
»  vora,  è  il  popolo  che  soffre,  è  il  popolo  che  crede;  e  le  classi 
»  che  lavorano,  che  soffrono,  che  credono,  sono  generalmente 
»  meno  corrotte  delle  classi  clie  marciscono  nell'ozio  e  nei 
»  piaceri,  e  si  fanno  trastulio  della  religione.  Noi  amiamo 
»  il  popolo,  perchè  esso  non  si  perverte  da  sé,  non  perverte 


419 
vi  dioo|io^  0  sigooré,  che  ^ultimo  dei  popokufii  pos^ 
sede  ancora  tanto  di  ragione  da  sentire  pietà  dì  un 
8(^ta,  cioone  voi  siete;  e  tanto  dì  virtù  da  sentir 
orrore  di  un  fariseo,  come  siete  voi.  Questa  ragione 
e  questa  virtù  bastano  sicuramente  al  popolo  per  con- 
solarsi de'  vostri  nobili  e  catolicì  insulti. 

EsMt  distrugge  tosi  logicamente  e  gradualmente,  non 
sdo  tutte  le  tradizioni,  tutti  i  diritti  antichi  ed  ere- 
dita/rj,  ma  ancora  ogni  indipendenza,  ogni  dignità,  ed 
ogni  resistenza.  Ella  cosi  riduce  in  polve  il  genere 
umano  (1).  Queste  non  sono  ragioni,  signor  Mon** 
talembert,  ma  insolenze,  che  muovono  più  a  com- 
passione che  a  sdegno.  Sì,  la  democrazia  distrugge 
logicamente  e  gradualmente  tutte  le  tradizioni,  che 
hanno  orìgine  e  fdkulamento  in  una  favola,  in  un 
mito,  in  una  leggenda,  in  una  condizione,  insomma, 
propria  delle  età  d'igooranza  e  di  barbarie;  distrugge 
tutti  i  diritti  antichi  ed  ereditai,  il  cui  titolo  riposa 
unicamente  sopra  un'  usurpazione,  un  privilegio,  una 
violenza,  cioè  sopra  lUna  qualche  forma  d'ingiustizia. 
£  che  per  ciò?  Non  è  anzi  questo  il  suo  merito  e  il 
suo  elogio?  Non  è  appunto  per  questo  ch'essa  pre- 
vale oggidì  n^lle  nazioni  adulte  e  civili,  come  dee 

■  già  le  àlire  classi,  ma  è  sempre  pervertito  da  tutto  ciò, 

>  cbe  è  ai  di  sopra  di  lui.  Che  anzi  quando  la  corruzione 

>  e  l'incredulità  eomiueiano  a  spandersi  nella  «ocietà,  la  prò- 
1  bità  e  la  religione,  T  amore  della  giustizia  e  de! T ordine 
»  vanno  a  rifugiarsi  nel  popolo;  e  solamente  per  mezzo  di 
I  sforzi  perseveranti  e  moltiplicati  sì  giunge  a  cacciarli  da 
B  quest'ultimo  asilo.  »  (P.  Gioachino  Ventura,  Introduzione 
al  Discorso  funebre  per  i  morti  di  Vienna.) 

(1)  Elle  détruit  ainsi  logiquement  et  graduellement ,  non 
seùlemeat  tontes  les  traditions,tous  les  droits  anciens  et  he- 
rédìlaires,  mate  eucore  tonte  iDdépecrdauce/  toote  digtiité^  et 
tonte  Eésistaaoe.  EUe  rédwt  aìASi  tò  gwreliamaiB  en  poosn. 


naturalmente  prevalwe  la  ragione  alla  ilEuitaaia,  la 
scienza  airìgnorama,  la  giustirìa  al  privilegio^  Il  di- 
ritto alla  forza?  Lecito  a  voi  ed  ai  vostri  oonlni- 
teli!  di  odiare  e  detestare  un  principio,  appunto  per- 
chè mena  lo^icammUe  e  gradualmente  alla  riforma  di 
iniquità  antiche  e  all' instituzione  di  nuove  libertà: 
gli  è  una  prova  di  più  del  fanatismo  ridicolo  insieme 
e  abominevole,  in  virtù  del  quale  voi  altri  godete  di 
atteggiarvi  a  lancie  spezzate  della  reazione  e  a  ne* 
mici  implacabili  del  progresso;  e  ben  vi  sta.  Ma  per 
buona  ventura  TUmanità  non  piglia  esempio  né  legge 
da  voi.  Essa  non  ha,  come  voi,  interesse  a  perpetuare 
le  tradizioni  favolose  e  i  diritti  iniqui;  anela  invece 
a  rompere  le  une  e  abolire  li  altri;  e  però  saluta  e 
vagheggia  nella  democrazia  il  principio  del  suo  pro- 
gresso avvenire,  appunto  perchè  ^riconosce  in  essa  il 
rimedio  alla  sua  antica  oppressione. 

Che  poi  la  democrana  distrugga  ogni  indtpendenM^ 
ogni  dignità,  ed  ogni  reeietenza,  è  un'asserzione  oasi 
bugiarik,  che  perfino  un  Hontalembert  se  ne  dovrèbbe 
vergognare.  Perocché,  volete  voi  farne  una  questione 
di  dottrina?  E  allora  voi  negate  Tevidenza  della  ve- 
rità; giacché  la  democrazia  non  essendo  altro  ohe  la 
coscienza  del  diritto  applicata  air  ordinamento  d^la 
società,  è  di  sua  propria  natura  il  principio  stesso  di 
ogni  indipendenza,  di  ogni  dignità,  e  di  ogni  reii$tenxa 
airingLU8tizia;onderaccusarla  di  portare  logicamente 
alla  distruzione  di  queste  doti  morali  e  civili  è  cos\ 
ragionevole,  come  sarebbe  l'imputare  alla  dialettica 
i  paralogismi  o  alla  medicina  le  malatie. 

.Volete  farne  invece  una  questione  di  fatto?  E  al- 
lora voi  negate  l'evidenza  della  storia;  la  quale  non 
è  altro  che  una  solenne  e  costante  testimonianza  del 
come  risponda  sempre  ad  ogni  conquista  della  de- 
mocrazia un  aumento  di  indipendenza,  dignità,  e  re^ 
eiitenza  da  parte  degrindividui  e  delle  nazioni.  Voi 


CnMseM  ed  io  Haliano;  iMenrof^iteiiio  adunque 
k  ilorta  rispettiva  deUa  nostra  patria.  Orsù,  vediamo: 
dina  grande  rivoluzione  in  qua,  clie  è  per  oonfession 
vostra  la  data,  se  non  deirorigine  ideale,  oerto  della 
oosiltiàione  pratica  della  democrazia  nel  sraso  e  va*- 
loie  moderno,  è  aumentata  o  diminuita  rindipendeutt 
e  la  dignità?  È  cresciuta  o  scemata  la  forza  di  nssi- 
slenta,  che  i  popoli  oppongono  ad  ogni  fatta  d'ingiù- 
stUe  per  vendicare  in  libertà?  Paragonate  un  pò* la 
raslstenza  della  Francia  alla  corte  di  Luigi  XYI,  alla 
lega  europea  del  H  e  del  96,  al  gesuitismo  dei  Bor- 
imi restaurati,  alla  eerrazione  del  regno  orleanese, 
al  dispotismo  ddl'impero  reèUvivo,  con  la  resistenza 
della  Francia  medesima  alle  vic^nze  e  alle  ignomi- 
nie di'ebbe  a  sopportare  da'  suoi  governi  nei  secoli 
80(dM:  dov'è  m^;gÌore  T indipendenza  e  la  dignità? 
Paragonate  similmente  la  resistenza  deH'Italia  dal  15 
in  poi  alla  dominazione  dell'Austria  e  del  papa  e  de- 
gfi  altri  suoi  tirannelli  mezzo  austriaci  e  mezzo  ge- 
sslts,  con  la  resistenza  onde  l'Italia  stessa  luttava 
oel  secoli  passati  contro  i  dominj  stranieri  e  le  ser- 
vila domestiche:  dov'è  maggiore  la  dignità  e  l'indi- 
pendenza? Oserei  voi  4ire,  che  dessero  miglior  prova 
dlndipendenza  e  dignità  i  popoli  di  Francia  e  d'ita- 
fia,  quando  si  lasciavano  trattare  a  guisa  d'armenti 
da  un  pugno  di  nobiU  e  di  preti,  che  quando  hanno 
conquisto  i  loro  diritti  civili  e  costretto  l'aristo- 
crazia ed  il  clero  a  riconoscere  una  legge  commune? 
E  Tosaste  pure  —  di  che  non  è  mai  capace  un  Mon- 
talembert? —  sarebbe  quello  un  ultimo  omaggio  reso 
da  voi,  mal  vostro  grado,  alla  democrazia;  giacché 
verreste  così  a  provare  co  '1  fatto,  che  essa  non  può 
essere  più  impugnata  se  non  da  chi  voglia  accecarsi 
con  le  proprie  mani  per  non  vedere  la  luce  del  verp. 
Quanto  all'ultima  q^ausula,  che  la  democrazia  rt- 
Afce  in  vohe  U  geure  umanor  la  è  de^^na  di  Uttt^ 


le  altre.  Capisco  bé^tiié^lmo,  che  ini  genere  niiMlno 
democraticamente  instituito  dee  garbarvi  aìseai  poco; 
dacché  in  luogo  di  essere  voi  soli  a  padroneggiarlo 
in  nome  dei  vostri  diritti  antichi  ed  ereditafj,  siete 
obligati  anche  voi  a  rispettare  ì  diritti  degli  altri, 
siete  suggettì  per  amore  o  per  forza  ad  aiia  legge 
universale  ed  eguale  per  tutti,  e  non  contate  né  più 
né  meno  che  Tnltimo  dei  cittadini.  Ma  se  un  tal  as- 
setto della  società  non  aggrada  alla  vostra  superbia, 
poco  male:  basta  bene  che  soddislacia  alla  coscienza 
deirUmanìtà ,  e  sia  conforme  ai  dettami  della  giu- 
stizia. Polve  0  non  polve,  quello  stato  di  cose  che 
la  democrazia  ha  stabilito  0  intende  a  statnlire  inEu 
ropa,  é  la  legge  stessa  che  la  natura  impone  al  po- 
poli civili;  e  ciò  che  la  natura  prescrive,  si  compirà 
a  dispetto  di  tutti  i  conti  ed  academiei,  di  tutti  t 
gesuiti  e  farisei  dell'universo. 

Così]  dovunque  essa  trimfa,  prepara  ed  assieura 
il  trionfo  del  potere  assoluto;  essa  lo  rende  wcesi$c^ 
rio;  essa  non  trova  che  in  lui  un  ten^^eramento  alle 
sue  passioni,  un  rimedio  a* suoi  errori;  essa  finisce 
con  personificarsi  in  lui,  e  confundersi  con  lui  (1). 
Diteci  un  po\  signor  conte,  chi  é  l'autocrate  che 
regna  in  Isvizzera,  ed  il  sultano  che  comanda  agli 
Stati-Uniti?  Dovete  saperlo  vói,  che  ci  date  questa 
notizia:  dovunque  trionfa  la  democrazia,  prepara  ed 
assicura  il  trionfo  delV assolutismo!  Vi  degnerete  di 
una  risposta?  —  Ma  anche  ristretta  alla  sohi  Fran- 
cia, la  vostra  asserzione  che  significa  mai?  Significa, 
che  la  rivoluzione  moderna,  cominciata  nel  1789, 

(1)  Ainsi,  parlout  où  elle  iriomphe,  elle  preparo  et  assare 
le  triompbe  dn  pouvoir  absolu;  elle  le  rend  nécessaire;  elle 
ne  trouve  qa*eA  lui  nn  tempérament  a  ses  passions,  un  re- 
mède  à  ses  fftutes;  elle  flnit  par  se  personnifler  en  lai,  e(  se 
cDDfondre  ^v^p  lui  (p»g.  79-^0^ 


Stt 

non  ha  ancora  percorsa  tutta  la  sua  carriera  e  con* 
seguito  il  suo  scopo  finale;  significa,  che  la  demo-* 
crazia  in  questo  primo  periodo  della  gran  lutta,  che 
oltrepassa  di  poco  i  sessant'anni,  non  ha  potuto  an- 
cora convertire  tutti  i  suoi  avversar]  e  sterminare 
tutti  i  suoi  nemici;  significa,  che  neir avvicendarsi 
dell'azione  e  della  reazione,  la  democrazia  riportò 
trionfi  e  sconfitte,  non  già  nel  campo  delle  idee  — 
oh  I  non  arrivano  tant'  alto  i  vostri  colpi  ^—  ma  in 
quello  delle  instituzioni;  significa,  che  il  popolo  non 
educato  ancora  sufficientemente  alla  novella  «vita  so- 
ciale, ondeggiante  per  difetto  d'instruzione  fra  i  dog- 
mi della  religione  antica  e  le  credenze  della  mo- 
derna, patisce  a  viceiida  T  influsso  contrario  delle 
due  religioni:  ora  inspirato  dall' idea  di  libertà  e 
dal  grido  de' suoi  tribuni,  scuote  il  giogo,  rovescia 
i  troni,  abbatte  li  altari  e  si  proclama  sovrano;  ed 
ora  dominato  dalla  voce  del  prete  e  dalla  forza  delle 
abitudini,  ripiega  il  capo,  rialza  l'idoli,  obedisce  ed 
aspetta.  Ed  in  questo  fatto  che  v'ha  egli  mai  di  nuovo 
e  di  straordinario?  Non  è  questo  appunto  il  procèsso 
di  tutte  le  rivoluzioni  morali  e  sociali,  che  han  se- 
gnato un'epoca  nella  storia  dell'Umanità? 

Voi,  signor  Montalembert,  che  avete  studiato  se- 
riamente e  profondamente  V  interessi  della  vostra  chie- 
sa, voi  meno  di  ogni  altro  ne  dovreste  fare  le  ma- 
raviglie. Perciocché  codeste  vicissitudini  stesse,  che 
voi  imputate  a  delitto  della  democrazia,  occupano 
nella  storia  della  fondazione  del  cristianesimo  non 
solamente  due  terzi  di  secolo,  ma  quattro,  cinque,  e 
più  secoli  intieri.  Che  direste  adunque  di  me,  se  pre- 
tendessi mai  di  condannare  il  cristianesimo  come  as- 
surdo ed  immorale,  perchè  l'imperatori,  i  proconsoli, 
i  prefetti,  i  sacerdoti  pagani  ora  gli  moveano  per- 
secuzione, ed  ora  gli  usavano  indulgenza;  oggi  lo 
yoleaoo  proscritto,  e  domani  onorato;  tal  volta  su 


1  patiboli,  e  tal  altra  su  i  troni?  Clibeiìe,  quello  che 
vÀ  direste  di  me,  io  debbo  dire  di  voi;  di  voi,  che 
apprezzate  la  verità  e  la  bontà  di  un  vasto  sistema 
sdentifioo,  religioso»  pMitico,  e  sociale,  dalle  peripe- 
ide  tutte  estrinseche  ed  ordinarie,  per  cui  ebbe  a 


Oramai  slamo  In  grado  di  afferrare  netto  e  preciso 
Il  valore  della  sentenza,  che  a  mo'd'epifonema  sug- 
gella codesta  indecente  ed  insulsa  diceria:  Disconth- 
scere  questa  verità  è  chiudere  volontariamente  li  oc- 
chi a  tutto  dò  che  succede  in  Europa  dal  1789;  è 
negare  un  fatto,  che  acquistò  la  certezza  d'un  teore- 
ma di  geometria  (1).  Traduzione  letterale:  per  cre- 
dere alle;  ciance  del  partito  catolico  fa  mestieri  di 
due  condizioni:  aver  li  occhi  di  Montalembert,  che 
vedono  tutto  a  rovescio;  e  sapere  la  geometria  del 
catechismo,  che  Insegna  ^  fare  1  circoli  quadrati. 

La  parte  indiretta  della  dimostrazione,  che  io  aveva 
promessa,  parmi  compiuta.  Ho  mostrato,  che  nessuno 
degli  argumenti  di  Montalembert  vale  a  stabilire  il 
preteso  accordo  del  catolicismo  con  la  libertà;  poi- 
ché in  luogo  di  ragioni  egli  non  arreca  in  mezzo  al- 
tro che  sofismi  grossolani,  asserzioni  bugiarde,  e  ca- 
lunnie impudenti.  Ora  è  tempo  dì  scendere  alla  parte 
diretta  della  dimostrazione.  Ponendo  a  confronto  ! 
prìncipj  della  libertà  moderna  con  i  dogmi  e  le  leggi 
della  chiesa,  m* affido  di  provare  che  fra  quelli  e 
questi  corre  un  antagonismo,  una  repugnanza  tale, 
che  ogni  lusinga  di  conciliazione  riesce  impossibile. 

(1)  Méconnaitre  cette  vérité»  c*est  fermer  volontairement  les 
yenx  à  tout  c«  qui  se  passe  en  Europe  depuis  1789;  c*est 
nier  un  fait,  qui  a  acquis  la  certi  ludo  d*UD  théorème  de  geo- 
metrie (pag.  80). 


CAPITOLO  SETTIMO 


L'o{^;K)sizìone  contradittoria,  che  passa  fra  I  prin- 
cipi della  libertà  e  i  dogmi  del  catolicismo,  ha  la 
sue  profonde  radici  nella  questione  primitiva  e  su- 
prema del  metodo.  Incominciamo  da  questa. 

Qual  è  il  criterio  della  libertà  nell'indagine  e 
nel!' applicazione  delle  leggi  sociali?  In  una  contro- 
versia filosofica,  io  non  oserei  dare  una  risposta  ge- 
nerale; poiché  a  tutti  è  nota  la  varietà  dei  sistemi 
intorno  al  criterio  della  verità,  che  corrono  per  le 
scuole.  Ma  nel  caso  nostro,  cioè  in  una  disputa  po- 
litica, non  havvi  luogo  a  dubio  o  questione  d'alcuna 
sorta;  e  tutti  convengono,  amici  e  nemici,  in  que- 
sto principio,  che  la  libertà  riconosce  ed  ammette 
come  legitimo  un  solo  criterio;  la  ragione.  E  per 
togliere  ogni  appicco  alle  sofisticherie  degli  avver- 
sar] aggiungerò,  che  per  ragione  non  s'intende  già 
da  noi  una  facultà  particolare  e  determinata  dell'in- 
telletto umano;  sibbenejl  complesso  di  tutte  le  fa- 
cultà eonosdUvt,  eha  fanno  dall'uomo  ub  ente  ra- 
I.  18 


tt6 

gionevole  e  morale.  Nel  qual  senso  parmi,  che  la 
proposizione  non  soffra  contrasto  e  non  ammetta 
replica. 

Dal  1789  in  poi  la  libertà,  figlia  della  filosofia,  non 
ebbe,  né  volle  mai  altra  guida  che  la  ragion  natu- 
rale. Pongasi  mente  a  tutti  i  programmi  da  lei  es- 
posti, a  tutti  i  sistemi  da  lei  inspirati,  a  tutti  i  pro- 
blemi da  lei  risoluti  ;  e  si  vedrà,  che  il  principio  da 
cui  muove,  il  metodo  a  cui  s'attiene,  il  criterio  di 
cui  si  vale,  tutto  riducesi  al  lume  naturale  della  ra- 
gione. Quali  diritti  attribuisce  all'uomo  e  al  cittadi- 
no? quelli  che  la  ragione  sta^bilisce.  Quali  doveri 
impone  ai  governi  ed  ai  governati?  quelli  che  la  ra- 
gione prescrive.  Quali  leggi  reclama?  Quali  institu- 
zioni  domanda?  Quali  guarentigie  richiede?  quelle 
che  la  ragione  consiglia,  persuade,  ed  approva.  Né 
per  ciò  è  da  dirsi,  come  il  signor  Montalembert  in- 
sinuava, che  la  libertà  abbia  una  fede  cieca  ed  as- 
soluta nella  infallibilità  della  ragione  —  il  pregio 
dell'  infallil^Iità  lo  abbandona  volentieri  ai  sacri  dot- 
tori e  pastori  della  chiesa  romana  ;  —  crede  bensì,  che 
l'unico  giudice  legitimo,  naturale,  inappellabile  della 
verità,  è  la  ragione;  e  quindi  tiene  come  certo,  ama 
come  buono,  vuole  come  giusto  tutto  quello,  che  agli 
occhi  della  ragione  ha  i  caratteri  della  certezza, 
della  bontà,  della  giustizia.  Può  ben  darsi  che  nei 
casi  particolari  la  ragione  erri  e  s'inganni;  ma  a 
chi  spetta  sempre  il  giudizio  dell'errore?  A  chi  la 
sentenza  dell'inganno?  Sempre  alla  ragione,  la  quale 
meglio  illuminata  0  dalla  riflessione,  o  dall'esperien- 
za, corregge  i  falsi  giudizj  che  avea  portato,  rettifica 
le  sentenze  erronee  che  avea  proferito.  Nel  sistema 
della  libertà  non  si  conosce  altro  processo  dottrinale 
che  questo. 

Non  ignoro,  che  ultimamente  una  scuola  di  demo- 
erattei  s'era  intitolata  neocatolìcai  e  vagheggiava  Tae- 


M7 
cordo  dell^vdngélil)  éón  là  llbe^.  E  nondimeno, 
po^a  (^r  (]|ì^  in  Hi^partè  fó  c|n)dstióne  del  valore  in- 
trinéfeco  Ilei  1òi*ò  *t)rogramma,  atidh'essi  rìmaneano 
fedtìitil  nostro  principio;  dappoiché 'non  intendevano 
già  'di  ^uboràln^fè  h  ragione  lilla  parola  rivelata 
della  bibbia,  sibbene  di  accomtnodaìre  ({tiesta  a  quella, 
interpirétando  T  Evangelio  in  modo  che  non  repu- 
gnas^  'ptrtito  ai  'iletttltni  della  libertà.  S' appongano 
3l  Vero  0  Tio,'^a  sétaprfe  férmo,  ètte  per  essi  ancora 
il  giudice  *stfprétoò  della  causa  è*la  'ragione.  Noi  dun- 
que "pOSsitlmo  à  buon  diritto  affermare,  che  Tauto- 
nothla  o  indipéndenzia  della  ì'&giofle  costituisce  la 
base  ft^datiQféìiftale  di  Slitto  il  sistema  della  libertà. 

Oha,  •il  catolicismo  'ptò  egli  'afcéetthre  questo  prin- 
cìpio fc  sdftométtersi  a  qUè^tO'«iritériò?  No;  11  prin- 
cipio del  catòlidi^mo  è  la  fede;  11  suo  criterio,  Tau- 
torità  (l).  Dispiftatlò  betifei  i  teologi,  se  T oggetto  o 
il  motivo  formale  della  'fede  sia  rautorità  immediata 
della  "Scriaura  o  della  dhiesà;  ma,  in  fine,  si  tratta 
sempre  d'autorità.L'ana/i5i  della  fede,  come  dicono, 

(t)  <«  Syslema  fldei  e^t  systrma  stuctorìtàtis.  Fides  enim  in 

•  géaere  ndn  est  nisi  assetisus  sHctii  praesUtus  ob  ejus  an^ 

•  ctoritatétxi.  Aposfdli  atiiem  a  Chinilo 'edocli  tle  Yerltatibus 

■  fldei,  bas  easdem  tradiderant  sncressdribns  a  se  deieclis,ut 
I  isti  pariter  bas  easdem  integras  transmiUerent  ad  seram 

■  Qsqne  posteritatem,  quales  acceperunt.  absque  alla  discns- 
I  sìooe.  Apostoli  rursum  eorumque  successores  infldelibus 
»  eas  ipsas  credendas  propusuerunt;  el  cum  rationis  caplum, 

>  totiim  istnd  surernaturale  sysiema  exceileret,  signa  edide- 

■  nint  vel  motiva  cted'bifiiatis  exposuernnt,  utrationabile  es- 
f  set  eorum  obseqviium  erga  fidem.  Qaod  lamen  s^pectat  ad 
t  verltates  ipsa^  prout  in  se  sunt,  id  semper  expostalartint , 
»  ut  omnes  eaptivarent  intellecdiin»  et  eas  crederent,  coromi- 

■  nantes  aeternas  poenas  bis,  qui  eas  credere  detrectassent. 
I  Qaotquot  proiode  crediderunt,  crediderunt  ob  anctoritalem 

>  Bcclesiae,  quae  testabatur  a  Gbristo  seu  a  Dee  se  eas  acce- 

■  ptest.  •  FmoHi,  De  Vera  Religione,  p.  S,  n.*  1T4. 


m 

può  diversificare  alcun  poco  in  apparenza;  in  sustan- 
za,  non  mai.  Così  quei  teologi,  cbe  risolvono  l'atto 
dì  fede  nell'autorità  immediata  della  chiesa,  ne  in- 
stituiscono  l'analisi  in  questa  forma:  Se  al  catolico 
si  domanda,  perchè  crede  un  dogma,  risponderà: 
tt  1.°  Lo  credo,  perchè  la  chiesa  catolica  me  l'inse- 
»  gna,  e  me  lo  mostra  nei  libri  ch'essa  tiene  per 
»  la  santa  Scrittura:  2.°  Credo  che  il  suo  insegna- 
»  mento  è  la  parola  di  Dio,  perchè  la  missione  de'  suoi 
»  pastori  viene  da  Dio:  3."^  E  lo  credo,  perchè  questa 
»  missione  vien  loro  dagli  apostoli  per  successione; 
»  e  quella  degli  apostoli  era  certamente  divina  : 
»  4.°  Credo  che  lo  era,  perchè  fu  provata  dai  loro 
»  miracoli,  e  dalle  altre  prove  della  divinità  del  cri- 
»  stianesimo:  5.^  Credo  in  fine,  che  tutta  la  Scrit- 
»  tura  sacra  è  la  parola  di  Dio,  perchè  la  chiesa  me 
»  n'assicura;  e  tengo  per  sacra  Scrittura  tutti  i  li- 
ce bri,  che  la  chiesa  tiene  per  tali  (l).  »  Quelli  inve- 
ce, che  assegnano  per  ultimo  e  formale  motivo  del- 
l'atto di  fede  l'immediata  autorità  della  rivelazione, 
ne  fan  l'analisi  nell'ordine  seguente:  «  1.**  Il  cato- 
»  lieo  crede  di  fede  divina  un  dogma,  unicamente 
»  e  precisamente  perchè  è  rivelato  da  Dio,  che  es- 
»  sondo  la  verità  stessa,  la  stessa  santità,  egli  sa 
»  non  poter  ingannare  le  sue  creature:  S.""  Egli  è 
)>  sicuro  che  quel  dogma  è  rivelato  da  Dio,  perchè 
»  la  chiesa  dichiara  che  tal  dogma  fu  rivelato  agli 
»  apostoli:  3.°  La  ragione,  per  cui  egli  crede  alla 
»  dichiarazione,  fatta  dalla  chiesa,  che  quel  dogma 
»  fu  rivelato,  si  è  che  la  Scrittura  afferma  esser  la 
»  chiesa  infallibile  in  cotali  dichiarazioni  :  4.^  La  ra- 
»  gione,  per  cui  egli  se  ne  sta  a  quanto  dice  la  Scrit- 
»  tura,  si  è  che  la  Scrittura  è  la  parola  di  Dio  stes- 
»  so:  5.®  La  ragione,  che  lo  accerta  essere  la  Scritr- 

(i)  BtRoiBR,  Dielionnaire  de  TMologie,  art.  Poi. 


229 
»  tura  parola  di  Dio,  si  è,  ch'egli  è  convìalo  dall'evi- 
»  danza  dei  motivi  di  credibilità,  che  converrebbe 
»  non  fare  alcun  uso  della  retta  ragione  per  non 
»  giudicare  certissimamente,  che  la  Scrittura  è  la  pa- 
s  rola  di  Dio  medesimo  (1).  »  E  Tomaso  l'Aquinate, 
riassumendo  in  un  solo  concetto  ambedue  le  senten- 
ze, avea  già  insegnato  la  stessa  dottrina:  Species  cu- 
juslibet  habitus  dependet  ex  formali  ratione  objecti, 
qua  sublata,  species  habitus  remanere  non  potest.  Fot- 
faale  autem  ohjectum  fidei  est  veritas  prima,  secundum 
quod  manifestatur  in  Scripturis  sacris  et  doctrina 
ecclesiae,  quae  procedit  ex  veritate  prima,  Unde  qui- 
cumque  non  inhaeret,  sicut  infallibili  et  divinae  re- 
gulcte,  doctrinae  ecclesiae,  quae  procedit  ex  veritate 
prima  in  Scripturis  manifestata,  ille  non  haòet  habi- 
tum  fidei  (2).  Adunque  il  metodo  del  catolicismo  non 
può  appropriarsi  il  metodo  della  libertà,  se  non  a 
patto  di  snaturarsi  e  perire.  Perciocché  il  riconoscere 
qual  criterio  ultimo  del  vero  la  ragione,  sarebbe  un 
subordinare  la  rivelazione  alla  scienza,  il  dogma  al 
raziocinio,  Dìo  all'uomo:  la  religione  diventerebbe 
una  filosofia.  Manifestum  est,  diceva  lo  stesso  dottore, 
quod  ille  qui  inhaeret  doctrinae  ecclesiae,  tanquam 
infallibili  regulae,  omnibus  assentit,  quae  ecclesia  do- 
cci; alioquin  si  de  his,  quae  ecclesia  docet,  quae  vult, 
tenet;  et  quae  non  vult,  non  tenet:  jam  non  inhaeret 
ecclesiae  doctrinae,  sicut  infallibili  regulae,  sedpro- 
priae  voluntati  (3). 

n  catolico  pertanto  crede,  non  già  perchè  la  ra- 
gione lo  dimostri,  ma  perchè  Dio  l'ha  detto,  e  la 
chiesa  l'insegna.  Sia  pure  un  mistero;  sia  una  pro- 
posizione, a  cui  contradicano  i  fatti,  repugnino  i  sensi, 

{i)  JutfNiN,  Théologie  Morale»  tona.  1,  De  la  foi,  eh.  3,  ft.  7. 
(5)  P.  II.  Il,  q.  V,  art.  a. 
(%)  Ibié. 


280 

coDlrasti  la  coscienza:  che  monta?  E  Dio  che  l'asse- 
risce, è  la  chiesa  che  lo  conferma;  di|nque  la  ragione 
deve  crederlo  e  tacere.  Al  contrario  i  la  libertà  di- 
scorre così:  quella  dottrina  non  è  conforme  alla  ra- 
gione; dunque  non  è  verità.  Sia  pur  insegnata  dalla 
chiesa,  e  rivelata  dal  suo  Dio:  cbe  vale?  Un  Dio, 
che  parla  il  falso  o  l'assurdo;  una  chiesa,  che  si  fa 
interprete  della  parola  di  questo  Dio,  e  spapcìa  per 
dogmi  rivelati  le  assurdità,  che  gli  mette  in  bocca: 
sono  argumenti,di  cui  il  senso  commune  ha  diritto 
di  ridere,  e  non  oblìgo  di  darsene  pensiero.  Ecco  l'o- 
rigine prima  dell'antagonismo  profondo  e  irrepara- 
bile, che  passa  fra  la  religione  catolipa  e  la  libertà 
moderna. 

Ma  andiamo  più  innanzi,  e  vediamp  q|iale  sja  la 
dottrina  della  chiesa  intprno  alla  ragione.  Ella  inse- 
gna primieramente,  che. lo  stato  attuale  4* ignoranza 
in  cui  nasce  l'uomo,  e  la  debolezza  del  suo  intelletto 
che  gli  rende  così  difficile  la  scoperta  e  lo  studio 
del  vero,  non  sono  già  una  condizion  naturale  del- 
l'Umanità, ma  una  pena  del  peccato  originale:  Cum 
Deus,  insegna  l'Aquinate,  humanorum  actuum  sic 
curam.  geraty  ut  bonis  operibus  praemium,  et  malis 
poenam  retribuat,  ex  ipsa  poena  possumus  certificare 
de  culpa,  Patitur  autem  communiter  humanum  genus 

diversas  poenas  et  corporales  et  spirituales Inter 

spirituales  autem  est  potissima  debilitas  rationis,  ex 
qua  contingit  quod  homo  difficulter  pervenit  ad  «ert 
cognitionem,  et  de  facili  labitur  in  error'em  (1).  Ed 
altrove,  enumerando  le  ferite,  onde  il  peccato  origi- 
nale ha  percossa  e.  piagata  l'Umanità,  pone  per  la 
prima  là  ferita  dell'ignoranza,  in  quantum  ratio  de- 
ètituitur  suo  ordine  ad  verum  (2). 

(4)  S.  Thom.,  Contr.  gent,  lib.  IV,  e.  69. 
(«)  P.  J.  Il,  q.  LXXXV,  art  ^8. 


m 

Oa  questo  dogma  capitato  derivano  conseguenze  e 
doUrine  della  più  alta  importanza.  Quindi  «  tutti 
9  quelli  intrinseci  ed  estrìnseci  impedimenti,  i  quali 
h  s'opposero  sempre  agli  uomini  presi  collettivamente 
9  nell'acquistare,  co  '1  solo  lume  della  ragione,  la  co- 
»  noscenza  delle  stesse  verità  naturali  (1).  »  Quindi 
pure  «  la  dìffìcultà  grandissima,  nell'indagine  della 
»  verità  che  è  sempre  lunga  ed  implicata,  di  prece- 
»  dere  costantemente  secondo  le  rette  leggi  della  ra- 
B  glone,  di  frenare  le  ardenti  passioni  dell'animo,  e 
»  di  seguitare  il  desiderio  della  sola  verità;  sicché 
9  appena  pochi,  e  dopo  lungo  tempo,  e  con  molti  er- 
]»  rori  apprendono  quelle  verità  medesime,  che  pos- 
»  sono  anche  investigarsi  dalla  ragione  (2).  »  Quindi 
ancora  «  il  fatto  stesso,  in  cui  tutto  ciò  implicita* 
»  mente  si  contiene,  che  cioè  nessun  popolo,  privo 
»  della  rivelazione  divina,  abbia  reso  a  Dio  un  degno 
»  culto,  e  non  sia  caduto  in  assurdi  errori  contro 
»  la  sana  etica;  che  nessuna  saviezza  o  industria 
»  umana  abbia  potuto  richiamar  li  uomini  da  quella 
9  universale  defezione;  cl^  infine  la  ragione  umana 
}}  non  somministri  da  sé  motivi  sufficienti  a  contener 
»  li  uomini  nel  dovere  e  ritrarli  dai  vìzj  (S).  »  Quindi 
in  somma  «  non  che  l'utilità,  ma  la  necessità  di  quel 
»  sussidio  straordinario,  che  èia  rivelazion  divina  pò- 
»  sitiva,  onde  provedere  all'indigenza  degli  uomini, 
»  moralmente  presi,  anche  nelle  verità  stesse  di  or^ 
»  dine  naturale  (4).  » 

Stabiliti  questi  priucipj,  egli  é  facile  determinare 
quali  sieno  li  officj,  che  il  catolicismo  assegna  alla 
ragione. 

(1)  Perrone,  De  locis  theologieit ,  p.  III,  s«ct.  1^  cap.  I, 
art.  I,  n.«  90. 
(8)  Ibid. 
(3)  Ibid. 
{à)ìhi4. 


PiinM  della  fede,  cioè  prima  cbe  Tuomo  abbia  (hito 
l'assenso  alle  cose  rivelate,  la  ragione  umana  può 
eonoeceré  con  certezza  i  motivi,  che  dicono  di  credi-' 
hiUtà,  e  per  via  di  questi  motivi  assicurarsi  dell'e- 
sistenza della  divina  rivelazione  (1).  Ma  quel  può  va 
inteso  nel  suo  legitimo  senso,  e  tradutto  per  deve; 
giacché  la  chiesa  medesima  ha  deciso,  che  questi mo- 
tivi  di  credibilità  formano  una  dimostrazione  certa, 
evidente,  irrepugnabile,  sì  che  la  ragione  non  può 
trovarvi  nulla  da  ridire,  e  se  ne  dee  tener  paga  e 
soddisfatta.  Laonde  ogni  altra. conclusione,  che  si 
traesse  dall'esame  di  quei  motivi  di  credibilità,  nel 
sistema  catolico  si  chiama  abuso  della  ragione.  «  Sotto 
»  il  nome  di  abuso  della  ragione  innanzi  alla  fede 
»  s'intendono  quelle  opinioni  o  quei  sistemi  filoso- 
»  fici,  che  non  possono  affatto  conciliarsi  co  '1  rice- 
»  vimento  della  fede,  sia  perchè  in  modo  diretto  le 
»  tagliano  anticipatamente  la  via,  o  perchè  in  modo 
1»  indiretto  fanno  lo  stesso,  mentre  demoliscono  e 
ì>  rovinano  di  nascosto  la  base,  per  dire  così,  e  il 
»  fondamento,  a  cui  essa  deve  appoggiarsi,  e  rendono 
»  la  persona  inetta  a  ricevere  la  stessa  fede  (2).  » 
Con  questa  norma  si  conosce  subito,  che  tutta  la 
scienza  e  la  letteratura  moderna  non  è  altro  che  un 
abuso  della  ragione.  Abuso  della  ragione  i  sistemi 
di  Spinoza,  di  Fichte,  di  Schelling,  di  Hegel,  e  tutta 
la  scuola  panteistica;  abuso  della  ragione  le  dottrine 
di  Schleiermacher,  di  Ahrens,  di  Michelet,  di  Leroux, 
e  tutta  la  scuola  umanitaria;  abuso  della  ragione  le 
scoperte  di  Darwin,  di  Richerand,  di  Broussais,  di  Gali, 
di  Raspali,  e  tutta. la  scuola  fisiologica;  abuso  della 
ragione  la  filosofia  di  Kant,  e  tutta  la  scuoia  critica; 

(t)  Perronb,  De  locis  theologkis^  p.  Ili,  sect.  I,  cap.  I, 
aiM.  I,  n.«  90,  prop.  a. 
(2)  md.y  ìoc.  city  art.  Il,  ».•  \ìi. 


m 

di  GoQsin,  e  tutta  la  scuola  eclettica;  dì  Rousseau, 
di  GonstaDt,  di  Jacobi,  e  tutta  la  scuola  sentimentale*/ 
dì  Locke,  di  Bentham,  di  Romagnosi,  e  tutta  la  scuola 
onpirìca  (1).  Ed  ecco  una  conferma  abbastanza  chiara 
ed  esplicita  dell'interpretazione,  ch'io  dava  alla  cato^ 
lica  dottrina;  ed  una  prova  abbastanza  certa  ed  elo- 
quente, che  la  chiesa  concede  una  sola  prerogativa 
sdla  ragione  prima  della  fede:  la  prerogativa  cioè  di 
amoiaestrare  li  uomini  nella  dialettica  dei  preti. 

Con  la  fede,  ossia  nell'atto  di  prestare  l'assenso 
alle  cose  rivelate,  le  parti  della  ragione  van  tuttavìa 
scemando  e  diminuendo.  Quell'assenso,  ch'essa  dee 
prestare,  costituisce  la  fede,  ma  non  la  scienza;  fede, 
die  ha  per  principio  efficiente,  la  grazia  affatto  gra- 
tuita di  Dio;  per  oggetto  proprio,  le  verità  soprana- 
turali che  Dio  rivelava  in  modo  straordinario  e  mi- 
racoloso; per  motivo  formale,  l'auCorità  dello  stesso 
Dio  rivelatore;  e  per  fine  ultimo,  la  beatitudine  cele- 
ste e  la  visione  intuitiva  di  Dio  (2).  Né  si  creda  già 
che  questa  fede  sia  produtta  dalle  ragioni,  con  cui 
provasi  la  credibilità  e  l'esistenza  della  rivelazione: 
tutt'altro!  L'atto  di  fede  vuol  esser  necessariamente, 
intriosecamente  sovranaturale;  dunque  non  può  pro- 
cedere da  veruna  dimostrazione  razionale,  per  quanto 
(^usta  e  calzante  la  si  supponga;  poiché  questa  non 
produrrebbe  altro  che  una  certezza  ed  un  convìnci- 
mento  naturale.  L'atto  di  fede  apporta  seco  una  cer- 
tezza objettiva  ed  infallibile,  la  quale  non  può  essere 
il  frutto  di  alcuna  scientifica  discussione,  ma  viene 
tutta  dalla  sola  grazia  sovranaturale,  e  tutta  s'appog- 
gia all'autorità  divina.  Inoltre  ì  motivi  di  credibilità, 
quali  che  pur  sieno,  non  possono  generare  che  una 
certezza  affatto  estrinseca;  laddove  l'atto  di  fede  si 

(l)  Pebronb,  toc.  cit,  ari.  Il,  !).•  122-151. 


iS4 

rifoisoe  ad  oggetti,  non  die  destituiti  d'ogni  Intrin* 
seca  evidenza,  ma  oscuri  ed  impenetrabili  alia  ragio- 
ne; a  cui  però  la  ragione  stessa  aderisce  e  crede  più 
fermamente  che  se  ne  avesse  l'intuizione  immediata 
e  l'esperienza  sensibile.  Da  ultimo,  se  la  iède  teolo- 
gica si  risolvesse  formalmente  nella  certezza  di  una 
dimostrazione,  sarebbe  una  credenza  affatto  filosofica 
ed  una  forma  di  razionalismo,  non  già  un  imo  di 
Dio,  come  l'ha  definita  il  concilio  d'Orange:  ed.aliora 
ogni  dotto  e  scienziato  potrebbe  con  le  sue  fatuità 
*  naturali  procacciarsi  la  fede,  come  bestemiavano  i 
Pelagiani.  Non  è  dunque  la  scienza,  che  produce  la 
fede,  ma  la  grazia;  non  è  la  ragione,  che  fornisce  il 
criterio  del  dogma,  ma  Tautorìtà  di  Db  rivelante  (1). 
Il  corollario,  che  scaturisce  da  questi  principe  dog- 
matici, è  manifesto.  La  dimostrazione  medesima  dei 
motivi  di  credibiPità,  non  toccando  punto  l'evidenza 
intrinseca  ed  immediata  delle  cose  di  fede,  ma  sol- 
tanto l'estrinseca  e  mediata,  non  vale  dunque  per  sé 
a  costringere  all'assenso  l'umano  intelletto;  spetta 
dunque  alla  volontà  d'imporre  codesto  assenso;  e  la 
volontà  per  imporlo  abbisogna  del  soccorso  di  una 
grazia  interiore,  che  renda  docile  il  cuore  dell'uomo, 
e  l'induca  a  credere  (2).  Ipsum  crederà,  dice  il  cori- 
feo dei  teologi,  est  aotus  iniellectus  assentientis  veri-- 
tati  divinae  ex  imperio  voluntaiis  a  Beo  motae  per 
graiiam,  et  sic  suhjacet  libero  arbitrio  in  ordine  ad 
Detm  (3).  E  pòco  appresso:  Intellectus  credenti^  as- 
sentitrei  creditae,  non  ^uiaipsam  videat  vel  seeund/um 
se,  vel  per  resoltUionem  ad  prima  priwyipia  per  se 
visa;sed  propter  imperium  voluntatis  moventis  intel- 
lectum  (4).  Adunque  nell'atto  di  fede  la  ragione  non 

(i)  Perronb,  loe.  eit.,  d.°  300-205. 
(5)  ma.,  D.»  216-218. 

(3)  S.  Thom.,  P.  11.  Il,  q.  Il,  ari.  9. 

(4)  Ibid.,  q.  V,  art.  2. 


m 

ha  in  realtà  veriiQ  altro  officio  che  quello  di  piegarsi 
agli  ordini  della  volontà,  e  ammettere  ciecamente  tutto 
quello  che  da  essa  le  viene  proposto. 

Ho  detto  ciecamente y  e  Io  mantengo,  sebbene  la 
teologia  se  n'offenda  e  gridi  alla  calunnia.  Percioc- 
ché qual  è,  in  somp^^,  la,  i^utua  relazione,  ch'essa 
riconosce  tra  la  rs^one  q  1^^  f^?  È  questa,  che  la 
fede  non  estinguQ.il^  Iuiqq  n^tur^^e  defila  retta  ragione, 
DÒ  mai  le  può  ropug/iare  (1).  A,  dirlo  si  fa  presto,  ma 
le  son  parole I  NoUcCi  ha  essa  già  insegnato,  che 
tutti  i  motivi  di  credibilità  non  bastano  ad  obligare 
la  ragione  alla  credenza  dei  dogmi  sovranatnrali  (2)? 
Non  ci  ha  pure  asserito,  che  questi  dogmi  sono  prò- 
prìaoiente  misteri,  oscuri  ed  impenetrabili  alla  nostra 
ragione  (3)?  Non  ci  ha  ripetuto  ancora,  che  la  credenza 
a  questi  dogmi  è  un  ordine  della  volontà,  e  non 
un  assenso  deir intelletto;  e  che  quest'ordine  stesso 
non  è  un  atto  proprio  deir.uomo,  ma  un  dono  di 
Dio  (4]?  Dnnq^e  il  processo  della  fede  è  irrazionale: 
irrazionale,  perchè  le  cose  imposte  alla  credenza  sono 
incQgoite;  percl^è  i  motivi  di  credibilità  sono  insuf- 
ficienti; perchè  Tassenso  richiesto  non  è  un  atto  del- 
roomo.  —r  E  poi,  ohi  decide  se  fra  i  dogmi  della  fede 
e  i  prVncipj  della  ragione  .vi  sia,  o  no,  repugnanza? 
La  dìiesa,  che  ha  espressamente  sentenziato  nel  con- 
cilio V  di  Laterano  :  (hnnem  assertionem  veritati  fidei 
cantrariam,  omnino  falsam  esse  definmus  (5).  Laonde,. 
secondo  la  dottrina  catolica,  i  principi  della  scienza 
van  subordinati  agli  oracoli  della  rivelazione;  e  la 
ragione  dee  riconoscere  sempre,  qual  criterio  ultimo 
della  verità,  la  fede.  Ora  le  verità  della  fede  son  mi- 

(4)  Perronb,  loe,  cil.,  art.  Il,  ptop.  I. 

(J)  /Wd.,arl.  I,  n.«  2i7. 

(3)  Ibids,  D.o  203. 

a)  /W«f.,  n.«  504. 

ih)  ìhid,  n%.  Il,  ii.«  tU^ 


836 

steri  oscuri  ed  incomprensibili;  dunque  la  ragione, 
credendole,  dee  chiudere  li  occhi  e  procedere  di  ne- 
cessità alla  cieca. 

Dopo  la  fede,  cioè  dopo  che  s*è  dato  l'assenso  alle 
cose  rivelate,  T officio  della  ragione  consiste  nello 
studiare  i  dogmi,  difenderli,  coordinarli  (t);  e  vuol 
dire,  che  la  ragione  deve  andare  alla  scuola  dei  teo- 
logi ed  uniformarsi  alle  loro  lezioni.  Perciocché,  dopo 
la  fede,  commetterebbe  un  perverso  abuso  della  ra- 
gione chi  non  sottomettesse  pienamente  il  proprio 
giudìzio  air  autorità  infallibile  della  chiesa  (2);  la 
quale  però  scaglia  Uanatema  contro  il  protestantesimo, 
il  miticismo,  ed  il  razionalismo,  appunto  perchè  in 
questi  sistemi  vien.  costituita  regola  della  fede  la 
ragione:  orrendo  delitto!  L'uomo,  che  prestò  una 
volta  il  suo  cieco  assenso  alla  fede,  ha  rinunciato 
fatalmente  al  diritto  di  ragionare;  ossia,  che  è  molto 
peggio,  non  ha  conservato  altro  diritto  che  quello 
dì  ragionare  come  i  teologi  romani.  S  egli  muove  da 
principi  diversi,  erra;  se  tiene  un  diverso  metodo, 
erra  pure; se  giunge  a  diverse  conclusioni,  erra  an- 
cora; se  concepisce  un  dubio,  erra  sempre.  Tali  sono, 
nel  sistema  catolico,  le  parti  della  ragione  1  Lugen- 
dum  valde  est,  gridava,  ma  certo  senza  piangere, 
Gregorio  XVI,  quoriam  prolabantur  humanae  rationis 
deliramenta,  uhi  quis  novis  rebus  studeat,  atque,  can- 
tra Apostoli  monitum,  nitatur  plus  sapere  quam  opor- 
teat  sapere,  sihique  nimium  praefidens,  veritatem  quae- 
rendnm  autumetur  extra  catholicam  ecclestam,  in  qua 
absque  vel  levissimo  erroris  coeno  ipsa  inDenitùr;  quae^ 
que  idcirco  columna  ac  fìrmamentum  veritatis  ap- 
pellatur,  et  est.  Probe  autem  intelligitis ,  V,  F.,  nos 

(1)  Pbrrone,  toc,  eit.yCap,  III,  ari.  I,  prop.  I  •  9, 
(9)  /Md.,  «rt.  Il,  ■.•  SOS. 


M7 
kicjoqui  etiam  dt  fallaci  ilio  haud  ita  pridem  invecto 
philosophiae  systemate  piane  improbando,  quo  ex  prò- 
jecta  et  effrenata  novitatum  cupiditate  veritas,  uhi 
certo  consistit,  non  quaeritur;  sanctisque  et  apostolici^ 
traditionibìis  posthabitis,  doctrinae  aliae  inaiies,  futiles, 
incertaeque,  nec  ab  Ecclesia  probatae  adsciscuntur  (1). 
E  qualche  tempo  innanzi,  lo  stesso  papa  avea  dato 
ordine  al  cardinal  Pacca  d'intimare  a  Lamennais  un  V 
naloga  sentenza  di  un  altro  papa,  Alessandro  VII: 
Eximium  illud  Salvatoris  nostri  voce  toties  inculcch 
tum  praeceptum  de  servandis  ecclesiae  mandatis,  deque 
audienda  voce  pastoris,  quem  Vicarium  suum  in  terris 
tfiiiversi  gregis  cura  demandata  constituit,  cum  ad 
ialuiem  et  vitam,  tum  profecto  est  ad  omne  verae 
sctetUiae  doctrinaeque  lumen  suscipiendum  absolute 
necessarium;  nisi  enim  in  omnibus  omnino  determi- 
nationibus  apostolicis,  et  firmitati  petrae,  supra  quam 
ecclesiae  suae  fundamenta  statuit  Dominus,  omnes 
hominum,  et  praecipue  litteris  addictorum  cogitatio- 
nes  et  Consilia  immobiliter  adhaereant,  incredibile 
prorsus  est  in  quot  et  quantas  vanitates  et  insanias 
falsas  humani  curiositas  ingenii,  quo  magis  etiam 
ejus  vis  et  perspicacitas  exceUit,  per  invia  tandem  et 
obruta  feratur  (2). 

Né  si  può  già  ricorrere  alla  consueta  distinzione 
dello  spirituale  dal  temporale;  poiché  a  Lamennais 
che  l'aveva  fatta,  non  venne  menata  buona.  Egli 
avea  diretta  al  papa  Una  dichiarazione,  in  cui  pro- 
fessava sottomissione  di  spirito  alle  decisioni  di  fede, 
e  sottomissione  di  fatto  alle  leggi  di  disciplina;  sog- 
giungeva però  :  Ma  conscience  me  fait  un  devoir  de 
déclarer  in  mime  temps,  que,  selon  ma  persuasione 

« 

(1)  Lettela  eneiclica,  data  in  Rema  il  25  giugno  1884. 
(S;  Lettera  del  cardinal  Pacca  a  Lamennais,  Roma  i9 
agosto  iUlì. 


si  dms  l'ordre  religieua;  le  chrétien  ne  sait  <(u*icoU'- 
ter  et  xfhéPTy  (l  demmfe,  à  Tifftifà  de  lapui^mnieeiìpM'- 
tuelle,  entièrement  libre- de^es  opinicfniSy  de )Bes "paroles, 
et  de  ses  actes,  dans  Vordre  pttremerìt  teniptff^l  (ì),Mb. 
il  papa  Hon  ne  fa  soddisfano,  «  gfi  ^ce  rlspowJere 
dal  Pacca:  Votre  tonne  fot,  à  laqnelle  j'en  (tppelh, 
V0U8  dira  si  'la  nouvtlle  déclàrdtion  par  vùus  "emise 
soit  conforme  h  ce  qn't)n  tfous  d&manànit,  **-  ^  ne 
pourrais  pas  me  -dispenser  de  voits  déclarer  ^néHe- 
menty  que  les  explications  conienues  dans  %  *Vnéme 
lettre  ont  d'à  affliger  de  plm  eh  plus  fé  cwur  si  doux 
et  si  tendre  du  souverain  pontife,  qui  quoique  "Tìsmpli 
de  eharité  pour  vòus,  ne  fent  nianmoins  ^  taiY^  *sur 
ijotre  demière  déclaration,  se  voymt  an  tontraire  ììhHgé 
de  ia  désappromer,  —  iTuime  à  m  pttsuadì^  que 
vons  adresserez  btentót  h  notre  Très-ISaint  PèTt  une 
déclaration  digne  de  vous,  c'est-^h-difiB  missi  'èimple, 
absoìue,  et  Ulimitée  qu'elle  rép&nd  parfaitemeià  ò  vo- 
tre précédente  promesse,  et  qui  puis^se  enfin  istttftfàire 
entièrement  à  ses  meux  sijustes  et  si  apoiVoliques  {^), 
Onde  Lamennais  conchìtréeva  cott  tutta  ragiotìfe  :  En 
signant  cette  déclaration  sìmpte,  absoloe,  iìlìmitée, 
je  savais  très-bien  qué  je  stgnais  impHcilement  que  le 
pape  était  Dieu  (3).  Solamente  io  mi  maraviglio, 
come  quel  grande  ingegno  abbia  Tìconoscìmo  così 
tardi,  che  precisamente  ia  divinità  del  papa  %  tutto 
il  catolicismo. 

11  processo  teologico  involge  tuttavia  nm  contra- 
dizione così  grave  e  manifesta,  che  la  chiesa  stessa, 
quantunque  amica  e  familiare  dell'assurdo,  la  dovrebbe 

(i)  Lettera  di  Lamennais  al  papa»  Parigi  5  novembre,  i833. 

(2)  Lotterà  del*cardinal  Pacca  a  Lamennais,  Roma  58  no- 
vembre 1&33. 

(3)  Lavbnnais,  Affaires  de  Rome,  pag.  163-169,  edil.  Pa- 
gnerro. 


«t9 
sentire,  fissa  ammette,  come  abbiamo  veduto,  ake  la 
credibilità  deUa  fede  d  dimostra  con  ona  serie  d'ar- 
gumeotl  0  nmtim  raekmali,  da  cui  risulta  con  grande 
sicurezza  la  verità  della  rellgtove.  Dunque  in  code- 
sto discorso  la  fede  è  una  iliazio»e,  a  cui  tien  luogo 
di  premesse  la  ragione.  Ora  egli  è  un  canone  fon- 
damentale di  logica,  cbe  nel  conseguente  non  può 
trovarsi  nulla  più  di  quello,  .cbe  neiraatecedente  si 
caoUene;  talché  Tuno  non  può  mai  essere  di  satura 
0  dì  portata  diversa  dalFaUro.  .Quindi  la  forma  stessa 
del  ragionamento  catolico  distrugge  la  cattolica  dot- 
trina, non  potendo  la  conclusione  uscir  (fuori  dai 
termind  delle  ipremee^e.  Le  premesse  sono  razionali; 
dunque  razionale  rdev 'essere  la  conclusione.  La  ve- 
ntò delle  premesse  ha  per  unico  criterio  la  ragione; 
dunque  la  ragione  dev'essere  eziandio  il  criterio  unico 
della  verità  della  conclusione;  dunque  unica  regola 
della  fede  riman  sempre  la  ragione.  In  somma,  o  bi- 
sogna ammettere,  che  la  fede  non  s'appoggia  a  ve- 
runa dimostrazione,  a  verun  antecedente,  a  verun 
principio;  che  crede  chi  vuole;  e  che  non  può  vo- 
lerlo se  non  chi  abbia  un  organo  particolare  da  ve- 
der rdttvisibile  e  da  pensare  l'inconoscibile,  o,  per 
lo  «meno,  chi  non  senta  in  suo  cuore  l'inspirazione 
diretta  di  Dio:  e  allora  si  cade  in  un  fatico  e  cieco 
misticismo,  che  non  è  più  né  scienza  nò  religione, 
ma  delirio  e  follìa.  Ovvero  bisogna  stabilire  la  fede 
su  qualche  principio  o  .preambolo,  che  dir  si  voglia, 
naturale  e  razionale:  ed  allora  si  resta  nel  dominio 
della  logica  e  sotto  il  governo  della  ragione;  la  fede 
non  può  esser  altro  che  una  maniera  di  conoscimento, 
e  la  religione  una  forma  di  razionalismo. 

Invano  i  teologi  ricorrono  alla  trita  distinzione 
della  certezza  o  evidenza  estrinseca  ed  intrinseca, 
concedendo  alla  ragione  la  prima,  ma  disdicendole 
la  seconda.  Perciocché,  in  primo  luogo,  se  la  ragione 


240 

ha  diritto  di  apprezzare  i  titoli,  i  motivi  estrlofecl 
della  credibilità  dei  dogmi  rivelati,  non  le  si  può  in- 
terdire né  anche  (piello  di  giudicare  il  valore  e  la 
natura  intrinseca  degli  stessi  dogmi;  altrimenti  la 
ragione  riuscirebbe  a  conchiudere,  che  non  le  è  più 
lecito  di  ragionare.  Or  chi  non  sente  quale  mostruo- 
sità sarebbe  una  ragione,  che  a  forza  di  bel  sillogi- 
smi persuade  a  sé  medesima  la  legitimità  e  la  ne- 
cessità del  suicidio?  D'altra  parte,  fra  quanti  motivi 
addurre  si  possono  per  rendere  credibile  un  dogma, 
il  più  valido  e  convincente,  senza  alcun  paragone, 
si  è  quello  di  provare  che  esso  esprìme  una  verità. 
Vietando  dunque  alla  ragione  la  facultà  di  definire, 
se  il  dogma  proposto  a  credere  sia  per  sé  stesso  una 
verità  o  un  errore,  le  si  nega  appunto  quell'atto,  che 
costituisce  il  carattere  principale  della  credlbilitìi  ;  e 
però  si  costringe  a  credere,  senza  che  sapia  di  cre- 
dere il  vero.  —  Né  giova  l'opporre,  che  sì  tratta  qui 
dì  misteri  incomprensibili,  di  cui  la  ragione  conosce 
bensì  Vesistenza,  ma  ignora  la  maniera  d*esisteTe,  cioè 
ignora  necessariamente  il  subjetto,  il  'predicato ,  e  il 
nesso  dell'uno  con  l'altro  (1);  onde  non  può  portare 
alcun  giudizio  legitimo  della  loro  verità.  Nella  co- 
noscenza, quale  che  sìa,  che  si  può  avere  del  dog- 
ma, 0  la  ragione  trova  una  positiva  conformità  a*  suoi 
principi;  e  lo  deve  ammettere  come  vero:  o  vi  scorge 
qualche  reale  repugnanza;  e  lo  dee  rigettare  come 
assurdo:  o  non  può  determinare  né  la  repugnanza, 
né  la  conformità;  ed  esso  non  forma  oggetto  dì  co- 
gnizione in  verun  senso;  non  é,  per  la  ragione,  né 
vero,  né  falso;  la  non  può  e  non  deve  né  ammet- 
terlo, né  rigettarlo:  per  lei,  esso  é  nulla.  Dunque  ri- 
man  sempre  fermo  il  nostro  assunto:  o  i  dogmi  ri- 
velati non  si  devono  credere,  o  il  loro  criterio  dev'es- 
sere la  ragione. 

(1)  PiUbokk,  loe.  eit,y  cap.  ti,  art.  Il»  a.*  S3t. 


In  secondo  luogo,  perchè  la  ragione  af  esse  Tobligé^ 

di  arrestarsi  davanti  airautorità  delia  rivelazioiie^<«r 

prestar  una  fede  assoluta  alla  parola  di  Dio,  codVdtì^ 

rebbe  che  la  nozione  delFesìstenza  e  della  natui^^dt 

questo  Dio  non  dipendesse  panto  dal  criterio  della>ta^ 

gione;  sì  che  esso  Dio  si  rivelasse  da  sé  medediitoif 

come  una  sustanza  o  un  ente  positivo,  la  cui  rlilMiP 

e  personalità  si  dovesse,  non  già  argumentare  Ibgi^ 

camente  per  via  di  induzione  o  deduzione,  ma  Mbl 

accertare  fisicamente  per  via  d'osservazione  o  d'espaìd 

rienza.  Allora  solamente  potrebbesi  invocare  la  tua, 

autorità  come  inappellabile,  e  la  sua  parola  come  l'«*« 

spressione  della  sapienza  stessa  increata  e  sussistili-» 

te.  Ma  il  fatto  non  istà  cosi.  La  nozione  di  Dio  pfé-' 

cede  per  necessità  alla  teorica  della  rivelazione,  e^- 

costituisce  la  così  detta  teologia  naturale,  teodicea,^ò'' 

teosofia,  scienza  al  tutto  speculativa  e  filosofica,  neUaj 

quale  perciò  non  havvi  luogo  ad  altro  criterio  c^e,| 

alla  ragione.  Ma  la  ragione  può  ella  ammettere  come,, 

reale,  o  pur  solamente  come  possibile,  il  Dio  del  ca- . 

tolicismo?  Ecco  il  nodo  di  tutta  la  questione.  Data- 

resistenza  di  questo  Dio,  il  quale  non  è  altro  che' 

un  uomo  sollevato  con  Timaginativa  ad  un  grado  in-  ! 

finito  di  perfezione  astratta  o  ideale,  dato  cioè  un^' 

Dio-persona,  dotato  di  sentimento,  di  coscienza,  di' ^ 

volontà,  di  libertà,  il  problema  della  rivelazione  sa-\,' 

rebbe  tosto  risoluto,  e  la  teologia  ne  avrebbe  il  me-i., 

rito  e  la  gloria  principale  (1).  Ma  il  concetto  di  un  ^ 

(i)  Ne  recherà  un  esempio.  Il  P.  Luigi  Tapparelli  in  quel 
nojoso  gua/.zabuglio,  che  per  antifrasi  intitolò  Saggio  teore-  . 
tico  di  Diruto  naturale  (p.  I,  cap.  IX,  n*"  S36-337  ),  accen-  . 
nando  alte  objezioni  dei  miscredenti^  esclama;  «  Quante  dif*. 
i  flcuità  si  sono  opposte  dagli  avversar]  della  rivelazione  1  ti 
I  uni  pretesero,  ctie  Dio  non  può  parlarci,  altri  ctie  per  suo 
>  onore  non  dee,  altri  gli  permisero  di  parlare  purchó  non 
■  insegni  misteri,  altri  posta  la  rivelazione  dei  misteri  riser- 
I.  1* 


ut 

Dio  così  fotio,  66  potea  piacere  alla  serva  e  puerile 
ragioae*  degli  scolastici,  repugaa  troppo  alla  ragione 
Ubera  ed  adulta  <l£d  filosofi.  Oggioiaì  non  v'  ha 
più  una:  scuola  filosofica  di  qualche  polso,  la  quale 
riconosca  l*esi8itenzai  del  Dìohiook),  che  adora  la  chìe- 
sa;  e  dì  tuUe  le  eooclusioni  dsUa  scienza  moderna 
è  questa  per  avye0i«ura  la  più  comoiune  e  la  più  oer- 
tà^ehC' la  personalità  repugna  aU!easeaza  sliessa del- 
FEiite  infinito;  erquìAdi,  che  ilOìo  personale  del  cateli- 
clamor  non  è  ttaeaie^ale,  ma  un  concetto  assurdo  (1). 

»  bardnsi  il  dtritlo  di'  giadidairae  la  verità,  altri  senta  limitar 
È  le  materie-  vtoftlevo  aisegiiaro  al  loro  creatore  ti  mezzo:  con 
•  (mi  dovea  aUa-  oreaMura  eooimnDicaPsi,  altri  pretesero  «saer 
»  iiMitile  la  Tivela»QDfi#  aUtri...  »  (la  reticenza  è  deirautore). 
State  ora  ad  udire  ia  trionlaate  risposta  del  reverendo  pa^ 
dre:  «  Ma  basti  questo  catalogo  di  stravaganze;  che  se  tutte 
9  volessero  enumerarsi,  mancherebbe  il  tempo,  essendo  in- 
»  finito  come  il  numero  degli  stolti,  cosi  per  conseguenza 
»  delle  stoltezze.  Stcfltesze,  io  dico,  giacché  ammesso  un  Dio, 
»  cioè  un  essere  influito  creatore  ed  arbitro  dell'universo, 
»  ciascuna  delle  aoce&Bste  preposizioni  sarebbe  ridicola,  se  . 
I  non  fosse  empia.  Un  cainÉpotente  ohe  non  può  ciò  che  può 
B  ogni  vecohierella,  manifestar  1«  proprie  ide^l'»  Avet&  ca- 
pito? Sotto  pena  d'empietà,  e  pe^^io,  dovete  credere  la  rive- 
lazione arciposaibilissima  in  virtù  di  questo  catolico  razioci- 
nio :  —  Iddio  può  tutto  quello  che  fa  ogni  vecchierella;  ora, 
ogni  vecchierella  parla;  dunque  Dio  può  benissimo  parlare.— 
E  queste  pappolate,  di  cui  vergognerebbero  i  garzonetti,  si 
chiamano  sapienza  catolic»!  E   l'animale,  che  le   ripete,  è 
quel  medesimo,  che  netta  Civiltà  eatoUea  vuota  ogni  quin- 
dici di  il  vocabolario  delle  ingiurie,  de'vituperj,  e  delle  ma- 
ledizioni contro  la  scienza  e  li  scienziati  dell'età  moderna!  — 
Ohi  datevi  pace,  devotissimi  padri.  Se  la  teologia  avesse  po- 
tuto istupidire  rUmanità,  li  uomini  sarebbooo  pecore  da  lungo 
tempo!  Ma  poiché  il  catolico  disegno  v'andò  fallito,  quando 
yoi  eravate  i  re  dei  re  e  i  maestri  della  scienza;  come  dia- 
volo volete  che  vi  riesca  oggidì ,  che  siete  divenuti  servitori 
dei  cortigiani  e  discepoli  dei  bidelli? 

(i)  V,  La  Filosofia  delle  Scuole  italiane,  lett.  5  e  6.,  ed 
//  nazionalismo  del  Popolo,  cap.  IV  e  V. 


Allora  la  possibilità  medesima  della  rivelazione  sva~ 
nisce:  nata  dall'antropomorfismo  di  alcune  religioni 
antiche,  perpetuatosi  nel  cristianesimo,  essa  dovea 
seguire  le  sorti  del  suo  genitore;  e  venuta  Torà  in 
cui  la  ragione  umana  riconobbe  chimerico  e  repu- 
gnante  il  Djo  degli  antropomorfiti,  anche  la  teorica 
dì  una  divina  rivelazione^  sovranaturale,  immediata, 
diretta,  particolare,  dovette  cadere  e  scomparire  dalla 
scienza,  siccome  falsa  anch'essa  e  piena  d'assurdità 
e  di  contradizioni.  Dunque  la  dottrina  catolica  in- 
torno alle  prerogative  della  rivelazione  e  della  fede 
vuoisi  relegare  tra  le  favole  e  le  chimere. 

Questa  dottrina  mitologica  rimonta  però  ad  un  er- 
rore più  aito  e  profondo,  che  vizia  tutto  il  sistema 
teologico  dal  vertice  alla  base;  perchè  altera  e  gua- 
sta la  teorica  bell'umana  conoscenza.  La  quale,  con- 
forme all'analisi  accurata  e  dìligentissima  che  ne  ha 
fatto  la  scuola  critica,  consta  di  due  elementi:  uno 
subiettivo,  condizione  dell'intelletto  conoscente;  e 
l'altro  objettivo,  condizione  dell'ente  conosciuto.  Ora 
l'umana  conoscenza  (non  parlo  dell'ordine  cronolo- 
gico, ma  del  razionale)  passa  per  tre  gradi:  nel  primo 
essa  non  è  certa  né  subjettivamente,  nò  objettiva- 
mente,  e  si  chiama  opinione;  nel  secondo  offre  bensì 
una  certezza  subiettiva,  ma  pure  manca  dell'obietti- 
va, e  dicesi  fede  ;  nel  terzo  porta  seco  la  certezza  subiet- 
tiva non  meno  che  T obiettiva,  e  s'appella  scienza* 
Opinare,  credere,  sapere  :  ecco  i  tre  atti  progressivi, 
co  'i  quali  la  ragione  i)erviene  alla  verità  (l).  Con- 
siderando questi  atti  per  rispetto  alla  coscienza  del- 
l'uomo pensante,  l'opinione  importa  un  dubio,  la  fede 
una  persuasione,  la  scienza  un  convincimento;  e  per 
rispetto  alla  natura  della  cosa  pensata,  all'opinione 

\i)  Kant,  Logique,  Introduction. 


244 

risponde  una  probabilità,  alla  fede  un'ipotesi,  alla 
scienza  un'evidenza.  L'opinione  si  esprime  con  un 
giudizio  problematico;  perchè  ciò  che  si  opina,  vien 
tenuto  per  incerto:  la  fede  con  un  giudizio  assertivo; 
perchè  ciò  che  si  crede,  vien  asserito  come  certo 
subjettivamente  :  la  scienza  con  un  giudizio  apodittico  ; 
perchè  ciò  che  si  sa,  vien  affermato  con  certezza  sub- 
jettìva  del  pari  che  objettìva. 

Pertanto  l'opinione,  cioè  una  conoscenza  fondata 
su  motivi  insufficienti  così  dal  lato  subjettivo  come 
dall' objettivo,  può  considerarsi  qual  un  giudizio  pro- 
visionale: la  ragione  opina  avanti  di  affermare,  e  l'o- 
pinione è  il  primo  passo  dell'intelligenza  verso  la  ve- 
rità. L'opinione  adunque,  come  stato  permanente  della 
ragione,  non  ha  luogo  nelle  conoscenze  a  priori^  quali 
sono,  per  esempio,  le  matematiche:  qui  v'ha  scienza 
0  ignoranza;  nessuna  via  di  mezzo.  Ma  occorre  so- 
lamente nelle  cognizioni  empiriche,  come  nella  fisica, 
nella  medicina,  ecc.:  qui  si  tratta  di  oggetti  speri- 
mentali, la  cui  conoscenza  vien  limitata  spesso  dalle 
condizioni  della  facultà  di  sperimentare,  dall'eserci- 
zio, e  dagli  strumenti.  Quelli  oggetti  possono  quindi 
conoscersi  in  -parte,  senza  escludere  tuttavia  la  pos- 
sibilità del  contrario:  non  v'ha  dunque  più  ignoranza, 
né  havvi  ancora  certezza. 

La  fede,  cioè  una  conoscenza  produtta  da  motivi 
sufficienti  dal  lato  subjettivo  a  persuadere  l'individuo, 
ma  insufficienti  dal  lato  objettivo  a  convincere  li  al- 
tri, si  riferisce  essenzialmente  ad  oggetti,  intorno  ai 
quali  .non  è  possibile  né  l'opinione,  né  la  scienza, 
ma  soltanto  una  certezza  personale,  che  il  pensarli 
a  quel  modo  non  repugna.  La  ragione  adunque  per 
via  deUa  fede  crede  alla  possibilità  dell'oggetto,  che 
non  può  sottomettere  né  all'esperienza,  né  alla  di- 
mostrazione. E  però  non  sono  materie  di  fede  né  le 
cognizioni  empiriche,  di  cui  si  può  av«r«  una  cer- 


tezza  sperìmeutale»  né  le  speculative  a  priori,  di  cui 
si  possono  aver  prove  apodittiche;  onde  la  fede  ri- 
mane  esclusa  dalle  scienze  naturali  e  razionali.  Essa 
è  cosa  tutta  subiettiva;  e  concerne  solamente  quelle 
conoscenze,  a  cui  la  ragione  vien  determinata,  nod 
già  da  un  principio  di  verità  objettiva,  ma  da  un 
iastinto,  da  un  sentimento,  da  un  bisogno,  da  un 
interesse,  da  un  principio  insomma  dipendente  dalla 
natura  o  dalla  condizione  personale  dell' individuOi 
Così  crediamo,  per  cagion  d'esempio,  alla  realtà  delle 
sustanze,  air  identità  dell'io,  all'esistenza  dell'infi- 
nito, all'immortalità  dell'anima:  credenze,  che  impor- 
tano solo  la  persuasione  della  possibilità  del  proprio 
oggetto;  poiché  non  lo  riguardano  in  sé  stesso,  ma 
nella  coscienza  e  nel  pensiero. 

La  scienza  da  ultimo,  cioè  una  conoscenza  gene-' 
rata  da  motivi  sufficienti  a  produrre  ambedue  le  spe- 
cie di  certezza,  la  subiettiva  e  T objettiva,  si  fonda 
0  su  l'esperienze,  ed  é  empirica;  o  su  le  idee,  ed  è 
razionale.  L'intelletto  allora  possedè  l'evidenza  della 
verità:  evidenza  fisica,  nel  primo  caso;  metafisica, 
nel  secondo;  e  sente  in  sé  stesso  non  la  persuasione 
soltanto,  ma  anche  il  convincimento.  Da  quest'or- 
dine di  cognizioni  vien  al  tutto  esclusa  non  men 
l'opinione  che  la  fede:  l'opinione,  perchè  si  ha  la 
certezza,  e  non  più  il  dubio  ;  la  fede,  perchè  si  hanno 
teoreoìi,  e  non  più  ipotesi.  E  questa  è  la  vera  e  per- 
fetta conoscenza,  la  sola  che  valga  ad  appagare  lo 
spìrito,  la  sola  che  metta  la  ragione  in  pieno  possesso 
della  verità.  Perocché  neir  opinione  la  verità  si  co- 
nosce come  incerta;  nella  fede  non  si  conosce  come 
corta  per  sé  stessa,  ma  si  asserisce  come  possibile  in 
un  ordine  ideale;  nella  scienza  all'  incontro  si  conosce 
come  certa  ed  evidente  ;  la  ragione  l'abbraccia,  non  per 
un  impulso  cieco  e  mistei*ioso,  ma  con  un  assenso  ri- 
flessivo ed  a89olutó.  .  . 


m 

Da  questi  principi  sì  raccoglie  manifeslapiente, 
che  la  fede  è  una  specie  di  conoscenza  assai  imper- 
fetta, poiché  non  ha  un  legitimo  valore  objettivo;o 
a  dir  meglio,  una  specie  d'ignoranza,  poiché  infine 
è  l'assenso  ad  un'incognita.  Ma,  ignoranza  o  cono- 
scenza che  si  voglia,  la  fede  è  sempre  un  atto  della 
ragione;  onde  è  assurda  lìe'  suoi  termini  stessi  la 
dottrina ,  che  al  criterio  della  ragione  pretende  di 
sottrarre  la  fede.  E  non  vai  punto  l'opporre,  che 
nella  fede  catolica  entra  un  doppio  elemento  afiatto 
superiore  e  sovranaturale,  cioè  objettivamente  l'au- 
torità della  rivelazione  dì  Dio,  e  subjettivaraente  l'im- 
pulso della  grazia  di  Cristo.  Perocché  né  l'uno  riè 
l'altro  non  mutan  l'essenza  e  la  natura  di  quel  fatto 
psicologico,  in  cui  condiste  la  fede.  Non  la  muta  il 
secondo;  poiché  l'impulso  della  grazia  starebbe  alla 
fede  teologica,  come  l'instlnto  o  il  sentimento  della 
coscienza  alla  fede  naturale:  ambedue  si  riferiscono 
ad  una  persuasione  individuale,  che  dee  sottostare 
evidentemente  alla  critica  della  ragione.  E  non  la 
muta  il  primo;  poiché  tanto  varrebbe  nell'ordine  so- 
vranaturale r autorità  della  rivelazione  di  Dio,  po- 
sto che  si  dovesse  ammettere,  quanto  neir  ordine  ra- 
zioTYale  l'autorità  della  testimonianza  degli  uomini , 
cioè,  scientificamente  nulla.  L'autorità  delle  testimo- 
nianze, in  materia  di  fatti  sperimentali,  non  ispetta 
alla  fede,  ma  all'opinione,  se  fornisce  una  semplice 
probabilità  ;  e  alla  scienza,  se  produce  una  vera  cer- 
tezza;' onde  la  locuzione  di  fede  storica  è  un  idio- 
tismo e  un  controsenso.  I  fatti  storici  essendo  feno- 
meni esterni  e  sensibili,  non  si  credono  a  rigore 
di  termini,  ma  si  provano  con  l'esperienza  propria 
o  altrui.  In  materia  poi  d'idee  ovvero  di  fatti  so- 
vrintelligibili, r  autorità  delle  testimonianze  non  prova 
nulla.  Essa  non  può  influire  punto  su  la  realtà  ob- 
iettiva delle  conoscenze;  poiché  altrimenti  le  tra- 


t47 

sformerebbe  in  oggetti  o  di  scienza  o  di  opinione; 
il  che  repugna  al  nostro  caso.  Laonde  potrà,  tutto  al 
più,  recar  un  appoggio  o  un  rinforzo  alia  persuasione, 
con  cui  altri  crede  a  quei  fatti,  a  quelle  idee  sovrintelli- 
gibili; ma  non  riuscirà  giammai  a  dare  quello  che 
non  ha  e  non  può  avere,  cioè  la  certezza  objettiva 
della  realtà  di  quelle  idee,  di  <[uei  fatti  incompren- 
sibili, a  cui  si  crede.  Adunque  la  fede,  naturale  o  so- 
pranaturale che  si  supponga,  va  tempre  sottordinata 
alla  ragione;  la  ragione  adunque  è  eeoipre  l'unico  cri- 
terio del  vero. 

Ed  ecco  in  qual  senso  la  filosofia  isodema  rieow»^ 
see  rassoluta  indipefideitza  o  arotonomia  della  ragiohe  : 
senso,  own'è  diiaro  per  sé,  ben  diverso  da  quello,  in 
cui  mostrano  d'intenderla  i  cieob!  e  oaparbj  difensori 
del  4»tolicismo.  I  quali  per  dafs!  il  vanto  di  trioni^T 
agevolmente  della  filosofia,  ^a  fan  discorrere  a  modo 
loroyele  affibbiano  assurdità  di  loro*  propria  invenzione. 
Così  per  indipendenza  della  ragione  essi  intendono  ia 
sregolatezza,  o  la  negazione  di  ogni  principio  e  di  ogni 
verità;  e  gddafio  ^lla  vittoria,  quando  abbiano  jpro- 
vato  die  un'indipendenza  così  fatta  è  assurda,  poi- 
ché v'è  una  legge  suprema  di  verità,  a  cui  la  ra- 
gione 'non  deve,  anzi  non  può  contradire  (1).  Che 

(1)  Valga  per  tutti  queifinterpreie  della  compagnia  (K  Gesà, 
cioè  del  papa,  cioè  dei  lo  Spirito  Saoto,  cbeò  la  Civilià  eia* 
tolica  :  «  La  prima  questione,  che  mi  si  offlre  degna  di  -sta* 
•  dio  e  bisognevole  di  scfoglimento,  é  la  seguente:  che  debba 
I  stimarsi  dell*umana  mente,  dell'umano  pensiero:  se  ilebba 
I  credere  lìbero  da  regole  e  sciolto  da  leggi.  In  altri  ter- 
»  mini,  se  ciò  che  è  altissimo  in  noi,  se  la  mente  nostra,  eh» 
»  tanto  ci  avvicina  a  Dio,  e  tanto  dalla  materia  e  da  quanto 
I  è  sensibile  ci  diparte,  debba  giudicarsi  superiore  ad  (Sgaì 
»  legge,  autonomo,  o  non  anzi  sottomesso  a  leggi,  ohe  ft» 
»  dirigano  li  atti,  e  ne  moderino  e  goveroino  I4  QpeEaii9i^t 


^eiatotierlal  Ma  dov'è,  in  giazìa,  im  iìiosofo  di  qual- 
Id^tlieiuìo,  che  abbia  mai  sognato  il  contrario?  Chi 
^Cif^fti'  sostenuto»  che  la  ragione  per  essere  indipen- 
4tbte!  [debba  riguardarsi  come  eslege,  licenziosa,  sca^ 
fitstnAa?  Chi  mai  ha  sostenuto,  che  l'autonomia  della 
lagioiié  consista  nella  facultà  di  negare  l'evidenza  o 
4i -Ammettere  la  contradizione? 
-oSìi  sijgnori,  i  filosofi  lo  sanno  e  lo  provano  meglio  di 
jniAfiiM^ìè  una  legge  suprema  di  verità,  a  cui  la  ragione 
DìQiD  (può  repugnare.  Fin  qui  siamo  d  accordo  perfet- 
tamente. Ma  che  cos'è  questa  legge  e  questa  verità? 
Voi  la  chiamate  ragione  o  volontà  di  Dio  ;  noi  invece 
Ti^pp^iamo  legge  razionale  o  naturale  dell'Umanità. 
Npf^,|è  p^rò  questo  il  puntp  della  questione.  Qualunque 
f^  ij^,  filalo  0  il  nome  che  le  stia  meglio,  egli  è  evidente, 
f^a  riposta  legge  suprema  di  verità  non  può  gover- 
fi||iffl,l.' stelletto  umano,  se  non  a  due  condizioni: 
Xi^ «^'^sa  si  trovi:  2.*'  che  si  applichi.  Or  bene,  qual 
ÒM^kj/agultà  destinata  a  farne  la  scoperta  e  Tappli- 
^zipjQ^,?  È  una  sola  :  la  ragione.  Alla  ragione  adun- 
qi^,  s'i^ppartiene  d'investigare  la  legge  di  verità  e 
di) j9pp)f^rla  ai  varj  ordini  di  conoscenze;  ed  in  que- 
aÌ!offic^  .sublime  è.  affatto  indipendente  da  ogni  au- 
iOi;^t^[  ^rinseca,  da  ogni  regola  positiva;  non  di- 
pende |Che  da  sé  stessa,  cioè  non  dee  riconoscere  al- 
tra guida  che  il  lume  naturale,  da  cui  è  rischiarata; 
ivè  alUe  leggi  che  i  principj  razionali,  ond'è  costi- 
tuìta*.fi[on  è  ella  dunque  propriamente  il  criterio  as- 
soluto d^  vero? 

'  'B"'WtBdbno  dì  opporci  un  argumento  fortissimo  re- 
cltànidohé'la  storia  dei  moltiplìci  e  moltiformi  erro- 

Md^^inéliiesla  é  nobile,  è  Hijlcndida,  é  fondamentale,  e  do- 
»ujnarida.i$el«glimei]io  chiaro,  in-cciso,  decisivo.  »  (Tom.  V, 


249 
ri,  in  cui  cadde  rUmaiiilìi?  Ma,  dire  che  la  ragione 
;  è  indipendente,  non  è  dire  che  sia  infallibile;  e  molto 
)  meno,  che  sia  infallibile  la  ragione  individuale  di  cia- 
scun uomo,  in  ogni  tempo,  in  ogni  luogo,  in  ogni 
cosa.  Quella  storia  prova  solamente,  che  la  ragione, 
individuale  o  collettiva  che  sia,  nasce  nell'uomo,  come 
tutte  le  altre  sue  facultà,  debole,  inesperta;  che  ha 
bisogno  dì  educazione,  di  sviluppo,  di  esercizio  per 
fortificarsi;  e  che. pure  non  è  giunta  finora  all'apice 
delia  sua  perfezione,  e  molte  cose  ignora  tuttavia, 
d'altre  dubita,  ad  altre  crede,  ma  senza  motivi  suf- 
ficienti. Oh!  la  gran  novità!  la  gran  maraviglia!  E 
temono  forse,  che  noi  vogliamo  contrastare  air  evi- 
denza di  questi  fatti? 

Inoltre,  se  parlasi  veramente  di   errori,  i  fatti 
stessi  ridondano  a  titolo  di  merito,  e  non  di  accusa, 
per  la  ragione;  perciocché  attestano  in  somma  il  suo 
progresso  effettivo  nello  studio  e  nella  scoperta  del 
vero,  essendo  per  fermo  un  gran  vero  il  riconosci- 
mento di  un  errore.  Onde  apparisce,  che  la  ragione 
merita  tanto  più  di  fiducia  ne' suoi  giudizj,  dacché 
l'errore  non  arriva  giammai  ad  accecarla  ;  e  se  l'ab- 
baglia oTaffascina  un  giorno,  il  giorno  appresso,  alla 
luce  della  riflessione,  al  cimento  dell'esperienza  dile- 
guasi; la  ragione  rinsavisce;  il  vero  trionfa.  Anche 
l'errore  è  scuola  di  verità  ;  e  la  facultà  dell'errore  è 
una  condizion  naturale  della  ragione.  Non  erra  la 
forza  bruta,  perchè  è  cieca;  non  erra  l'inslinto,  per- 
chè è  fatale;  ma  erra  la  ragione,  perchè  è  ragione, 
cioè  coscienza,  riflessione,  libertà. 

Se  non  che  li  errori,  intorno  a  cui  declamano  co- 
storo, non  sono  altro  che  le  opinioni  filosofiche  e  re- 
ligiose, diverse  dai  loro  dogmi;  e  muovono  un  pro- 
cesso alla  ragione,  perchè  invece  di  rassegnarsi  docile 
•  tranquilla  agli  oracoli  della  loro  rivelazione,  la  volle 
tndare  più  innanzi;  •  per  vedere  di  penetrar  In  qual- 


250 

che  modo  nella  natura  di  tìio,  deiruomo,  e  deiruni- 
verso,  inventò  sistemi  che  non  s'accordano  punto  con 
le  parole  della  Bibbia  e  le  decisioni  della  chiesa.  Il 
quale  argumento  suppone  niente  meno  che  questo 
principio  :  il  dogma  teologico  essere  il  vero  assoluto  ! 
E  queste  favole,  o  signori,  saravvi  lecito  forse  di  con- 
tarle a  quei  poveri  devoti,  che  della  vostra  lingua 
fanno  un  membro  particolare  dello  Spirito  Santo,  e 
del  vostro  cervello  un  tabernacolo  privilegiato  di  Dio; 
ma  volerle  spacciare  in  publico,  fra  genti  non  idiote 
affatto,  egli  è,  uno  spingere  la  semplicità  e  la  pre- 
sunzione fino  al  ridicolo.  I  vostri  dogmi  son  forse 
qualche  rivelazione  recente  e  segreta,  di  cui  la  ra- 
gione non  abbia  ancora  notizia,  ed  erri  per  ignoran- 
za? Non  sono  Torse  così  vecchi  come  la  vostra  teo- 
logia? Non  han  forse  dominato  per  otto  o  dieci  secoli 
in  tutte  le  scuole,  co  'I  più  assoluto  e  despotico  im- 
pero, di  cui  faciano  menzione  le  storie?  E  tuttavia 
quell'impero  dovette  cadere,  quando  la  ragione  fu 
convinta  ch'era  iniquo  ed  assurdo;  le  scienze  allora 
si  emanciparono  dalla  vostra  goffa  tutela;  e  al  si- 
stema catolico  la  filosofia  contrapose  altri  sistemi.  Che 
poi  questi  sistemi  a  voi  sembrino  errori  e  mostruo- 
sità, non  ci  stupisce  punto,  e  c'importa  assai  poco. 
La  filosofia  li  propone  come  ipotesi,  e  non  come  dot- 
trine; li  considera  quali  materie  di  congettura,  e  non 
di  scienza.  La  conclusione  pertanto,  che  deriva  da 
questa  varietà  e  contrarietà  di  sistemi,  onde  voi  me- 
nate sì  gran  rumore,  sapete  qual  è?  Si  è  questa:  dun- 
que la  teorica  dell'assoluto  non  esiste  ancora  ;  la  scienza 
della  causa  suprema,  dell'origine  prima,  e  del  fine 
ultimo  delle  cose,  non  è  ancora  costituita  ;  tutti  i  si- 
stemi ontologici  possono  abbracciarsi  come  opinioni, 
nessuno  come  dottrina;  tutti  han  ragione  nella  parte 
critica,  nessuno  nella  dogmatica;  onde  l'imputar  ad 
%rrore  della  ragione  ledifficullà,  in  cui  urtano  tutti, 


o  li  assurdi  che  tutti  si  tirano  seco,  tornerebbe  lo 
stesso  che  accusarla  di  non  essere  perfetta,  onni- 
sciente, infinita  :  accusa  che  noi,  sì,  possìam  muovere 
giustamente  al  catolicismo,  il  quale  pretende  alla  ri- 
velazione delFassoluto;  ma  che  voi  non  potete  ritor- 
cere contro  alla  filosofìa,  la  quale  riconosce  i  limiti 
della  ragione,  circoscrive  il  campo  della  scienza,  e 
non  isdegna  di  confessare,  dovunque  occorra,  la  pro- 
pria ignoranza. 

E  qui  potrei  far  punto.  Che  la  libertà  non  am- 
metta alcun  altro  criterio  del  vero  fuorché  la  ragione; 
che  (juesto  criterio  non  possa  accettarsi  dal  catoli- 
cismo; e  che  il  principio  d'autorità,  contraposto  daUa 
chiesa  a  quello  della  ragione,  sia  erroneo  ed  insus- 
sistente: parmi  chiarito  abl»astanza.  Ma  prima  di  le- 
var la  mano  da  questa  controversia,  invito  i  lettori 
a  voler  assistere  meco  per  brevi  momenti  ad  uno 
spettacolo,  che  non  è  tragedia,  né  comedia,  ma  un 
misto  di  tragico  e  di  comico,  a  cui  sapranno  essi 
adattare  un  nome  proprio.  Il  titolo  si  è  :  La  ragione 
filosofica  e  la  ragione  catoUca;  la  scena  ha  luogo  in 
Parigi,  nel  tempio  dell'Assunzione,  su'l  pergamo,  l'anno 
1851;  unico  personaggio,  il  P.  Gioachino  Ventura  (1). 
Ed  unico  in  tutti  i  sensi  :  perché  egli  solo  comparisce 
ÌD  teatro;  egli  solo  parla;  ed  egli  solo  fra  tutti  li 
attori  dell'universp  mondo  è  capace  di  recitare  in  pu- 
blico  un  monologo,  dove  quanti  periodi,  tante  sono 
le  goffaggini,  le  menzogne,  le  insolenze,  e  le  calunnie. 
Chiunque  non  ha  smarrito  affatto  11  buon  senso  ed 
il  pudore,  mal  reggerebbe  alla  rappresentazione  di 

(I)  La  raison  philosophiqne  et  la  raison  catfiolique,  con- 
férences  préchées  à  Paris  dans  Tannée  1851  par  le  T.  R.  Ven- 
tura. DE  Raolica.  —  Le  citazioni  son  tolte  dalla  versione  ita- 
liana, eseguita  di  commissione  e  con  approvazione  delPÀutore, 
e  publicata  a  Milano- Genova,  dS53. 


2:52 

(j nella  farsa  indecente  e  scandalosa;  ond'k)  non  vo- 
glio condannare  me  stesso,  né  chi  legge,  alla  tortura 
Insopportabile  di  ascoltarla  intiera.  Ne  udiremo  sola- 
mente qualche  tratto,  che  valga  per  saggio  di  tutta 
Topera,  e  basti  a  mostrare  in  quale  fango  si  vadano 
oggidì  ravvolgendo  li  apostoli  più  famosi  del  catoli^ 
cismo. 

II.  P.  Ventura  chiama  ragione  filosofica  quella  dot- 
trina, che  sostiene:  «  l'uomo  bastare  a  sé  stesso  per 
»  conoscere  perfettamente  la  sua  natura,  le  sue  re- 
»  lazioni  con  tutti  li  esseri,  e  l'ultimo  suo  destino;  » 
e  chiama  in  vece  ragione  catolica  quella  dottrina, 
che  afferma:  «  l'uomo  avere  bisogno  e  immenso  bi- 
»  sogno  dì  Dio  per  conoscere  lutto  ciò;  e  doversi 
»  sottomettere  all'  insegnamento  del  figliuolo  di  Dio, 
»  fatto  uomo  (1).  »  Adagio,  reverendo  padre;  e  scu- 
satemi, se,  contro  le  usanze  del  vostro  teatro,  io  vi 
interrompo  e  vi  do  su  la  voce*  Io,  vedete,  non  sono 
più  una  pecora  catolica;  e  però  non  ho  più  l' obligo 
di  credere  ciecamente  alla  vostra  sacra  parola.  Fin- 
ché voi  parlate  il  vero,  io  mi  sto  cheto,  e  vi  ascolto 
con  religioso  silenzio;  ma  se  voi  spropositate,  se  men- 
tite, se  ingiuriate,  se  calunniate,  peggio  per  voi  I  fate 
conto  di  sentirvi  a  dare  i  titoli  che  meritate,  senz'al- 
tre  cerimonie.  Veniamo  a  noi.  Nella  definizione  che 
avete  fabricata  della  ragione  filosofica,  voi  assegnate 
quattro  caratteri  alla  sua  conoscenza,  e  sono  quat- 
tro menzogne:  capite,  padre  Gioachino? 

La  filosofia  insegna,  secondo  voi,  che  l'uomo  può 
conoscere  perfettamente:  menzogna  prima!  La  filoso- 
fia invece  sa^e  dimostra,  che  la  cognizione  perfetta 
non  é  possibile  all'uomo  nello  stato  presente  della 
sua  ragione. 

(4)  Confvr,  j,  n.**  3. 


259 

La  filosofia  pretende,  a  vostro  giudizio,  clie  Tuomo 
può  conoscere  perfettamente  la  stia  natura:  menzo* 
gna  secondai  La  filosofia,  al  contrariOi^  prova  e  so- 
stiene, che  la  natura  così  delFuomo  come  d'ogni  al- 
tro ente,  o  è  afifotto  incognita  e  impenetrabile  alla 
ragione,  o  se  ne  ha  appena  una  conoscenza  imperfet- 
tissima, incertissima,  e  piena  di  oscurità  e  dì  mi-* 
steri. 

La  filosofia  si  vanta,  a  parer  vostro,  di  conoscere 
perfettamente  le  relazioni  delVuomo  con  tutti  li  altri 
esseri:  menzogna  terza  1  La  filosofia,  all'opposto,  pro- 
fessa che  delle  relazioni  che  corrono  tra  l'uomo  e 
li  altri  esseri  ne  conosce  appena  una  minima  parte; 
e  che  quanti  sieno  veramente  tutti  lì  esseri,  ond'è 
composto  l'universo,  l'uomo  non  l'ha  mai  saputo,  non 
lo  sa  ancora,  e  non  lo  saprà  giammai. 

La  filosofia  si  arroga,  per  vostro  avviso,  di  cono- 
scere perfettamente  Vultimo  destino  delViwmo  :  men- 
zogna quarta!  La  filosofia,  all' incontro,  dichiara  che 
de' suoi  destini  futuri  l'uomo  non  ha  e  non  può  avere 
alcuna  conoscenza  certa  e  positiva:  la  vita  avvenire, 
agli  occhi  della  ragione,  è  un  vago  presentimento, 
un'aspirazione  ideale,  una  credenza  instintìva,  ma  non 
una  teoria. 

Eccovi  dunque,  reverendo '^padre,  quattro  solenni 
menzogne  in  due  linee;  e  menzogne  tanto  più  ree 
ed  inescusabili,  perchè  compongono  una  definizione; 
e  una  definizione,  che  contiene  tutto  un  sistema;  e 
un  sistema,  che  è  quello  de'  vostri  avversarj.* —  Li 
editori  deF vostro  libello  nel  loro  avvertimento  ci  danno 
la  notizia,  che  interrogato  Gregorio  XVI,  quale  fosse 
il  primo  dotto  di  Roma,  gli  è,  rispose,  il  padre  Ven- 
tura. Se  per  dotto  quel  tristissimo  papa  intendeva 
bugiardo,  egli  avea  mille  ragioni;  e  poteva  ben  ag- 
giungere, che  voi  siete  il  più  dotto  urbis  et  orbis,  E 
éoiv%  mai  trovart  in  tutta  la  cristianità  un  altro  por- 


254 

tento  di  frate  come  voi,  che  avesse  Taudacia  di  mon- 
tare in  pulpito  a  maltrattare  la  ragione  filosofica  y 
cominciando  a  definirla  con  quattro  imposture? 

A  qdesto  bel  principio  risponde  degnamente  il  sé- 
guito della  diatriba.  Voi,  padre  Gioachino,  intitolate 
la  prima:  Della  ragione  filosofica  presso  li  antichi; 
e  riducete  tutti  li  antichi  filosofi  alle  sole  due  classi 
degli  epicurei  e  degli  stoici  (1) ,  che  nella  storia  della 
filosofia  antica  tengono  l'ultimo  ed  il  mìnimo  posto. 
E  questa,  reverendo  padre,  è  mala  fede. 

Voi  ammettete  una  ragione  religiosa  degli  antichi 
tempi  e  dei  primi  filosofi,  in  virtù  della  quale  t  di- 
versi popoli  della  terra  sempre  e  dapertutto  furono 
poco  meno  che  catolici  (2)  ;  poiché  professavano  tutti, 
chi  credesse  alla  sacra  autorità  della  vostra  parola, 
quasi  la  stessa  dogmatica  e  la  stessa  morale,  che  voi 
predicate  (3)  :  e  poi  traducete  in  mezzo  un'altra  rct- 
gione  filosofica,  che  schiantava  dalle  fondamenta^quel- 
l'altra  ragione,  e  metteva  sottosopra  tutto  quel  si- 
stema religioso  (4).  E  questo,  reverendo  padre,  è  un 
gruppo  di  falsità  e  di  contradizioni. 

Voi  provate,  che  la  ragione  filosofica  è  assurda  nel 
suo  metodo,  perchè  non  tutti  li  uomini  possono  fa^ 
cilmente  divenire  filosofi  (3).  E  questo,  reverendo 
padre,  è  un  raziocinio  catolico  per  eccellenza,  e  tutto 
proprio  di  voi. 

Voi  credete,  essere  stati  li  ebrei,  che  per  mezzo 
di  Giuseppe  portarono  nell'Egitto  ogni  scienza  ed  ogni 
incivilimento,  e  lo  chiamate  un  argumento  da  scrivere 
un  libro  bello  ed  importmte  (6).  Ah!  reverendo  pa- 

(i)  N.«  5. 
(3;  N.»  7. 

(3)  N.«  6. 

(4)  N.?  8. 

(5)  N.«  «. 
(«)  N.«  <0. 


255 

dre,  scrìvetelo  voi  questo  bel  libro.  Non  c'è  fra  tutti 
i  viventi  oggidì  nessuna  testa,  dalla  vostra  in  fuori, 
capace  di  provare,  che  un  ragazzo,  guardiano  di  pe- 
core, abbia  potuto  portare  ogni  scienza  ed  ogni  inct- 
tilimento  in  un  regno  già  da  lunghi  anni  incivilito 
e  addottrinato.  11  tema  sarebbe  degno  di  voi,  e  voi 
ancora  più  degno  del  tema. 

Voi  accusate  la  ragione  filosofica  degli  antichi  di 
essere- stala,  per  riguardo  a  DtOy  antropomorfita,  non 
avendo  potuto  mai  imaginarselo  senza  corpo  (1).  E 
questa;  reverendo  padre,  è  un'altra  impostura.  I  più 
celebri  sistemi  dell'antica  filosofia  erano  spiritualisti; 
e  fra  i  materialisti  medesimi,  nessuno  spinse  mai  l'an- 
tropomorfismo fino  al' segno  della  Bibbia.  Direte  forse, 
che  la  Bibbia  vuol  essere  interpretata?  Ma  allora, 
padre  Gioachino,  perchè  non  interpretate  eziandìo  i 
filosofi  antichi? 

Voi  in  somma  compendiate  tutta  la  vostra  dottrina 
circa  la  filosofia  antica  in  questa  conclusione  :  Presso 
li  antichi  filosofi,  tutta  la  metafisica  altro  non  era  che 
idmlismo  o  materialismo  ;  e  la  loro  morale  altro  non 
era  in  fondo  che  orgoglio  o  voluttà.  Così,  dopo  tanti 
secoli  d(  studj,  di  ricerche,  di  viaggi,  di  dispute,  di 
ragionamenti,  la  ragione  filosofica  di  quei  tempi  non 
seppe  risolvere  alcuna  questione,  non  seppe  stabilire 
alcuna  verità;  ma,  al  contrario,  patrocinò  tutti  i  vizj, , 
tutti  li  errori  (2).  E  questa,  reverendissimo  padre,  è 
menzogna  impudente  e  calunnia  infame.  I  libri  mo- 
rali  di  Platone  e  dì  Aristotele,  di  Cicerone  e  di  Se- 
neca, per  tacere  d'altri,  sono  così  superiori  e  per  la 
sustanza  e  per  la  forma  alla  congerie  di  barbarismi 
e  d'oscenità,  che  nelle  vostre  scuole  s'appella  teolo- 
gia morale,  che  io  temerei  d'offèndere  la  memoria  di 

(1)  N.«  i9. 
(5)  N.«  i6. 


256 

quei  grandi,  de  per  difenderli  m'accìngessi  a  parago- 
narli co' vostri  casisti,  che  sono  una  brutta  carica- 
tura de' farisei.  Sì,  mi  farei  coscienza  di  mettere  a 
confronto  il  sorriso  del  cielo  con  l'orrore  dì  una  spe- 
lonca, un'academia  con  una  taverna,  il  linguaggio 
eloquente  della  natura  co'i  pravi  sofismi  dell'ipo- 
crisia. 

E  pure  le  maledizioni,  che  voi  lanciate  alla  filoso- 
fia antica,  sono  complimenti  e  gentilezze  a  petto  di 
quello,  che  voi  osate  asserire  della  moderna,  lo  non 
istarò  qui  a  ribattere  le  vostre  impertinenze;  che  per- 
derei l'opera  e  la  fatica.  Ne  leverò  solamente  alcuni 
saggi,  come  documenti  a  dimostrare,  che  voi,  reve- 
rendo padre,  se  non  siete  un  ribaldo,  siete  un  men- 
tecatto: «  La  ragione  filosofica  nel  decimottavo  se- 
»  colo  spezzo  ogni  freno,  si  tolse  la  maschera,  e  mo- 
»  stressi  al  mondo  in  tutta  la  sua  licenza,  in  tutta 
»  la  sua  deformità,  in  tutti  i  suoi  delirj,  in  tutti  i 
»  suoi  orrori.  —  Essa  negò  non  solamente  ciò  che 
»  non  si  vede,  ma  ancora  ciò  che  si  vede;  negò  non 
»  solamente  Iddio,  ma  ancora  il  mondo;  non  solamente 
»  li  spiriti,  ma  ancora  i  corpi;  non  solamente  la  vita 
»  nel  mondo  futuro,  ma  ancora  la  morte  nel  mondo 
D  presente  (1);  essa  negò  ogni  morale,  ogni  giustizia, 

(i)  Qui  r accusa  è  talmente  enorme  ed  incredibile,  che  il 
frate  medesimo  senti  il  bisogno  di  giaslillcarla  in  qualche  ma- 
niera; e  vi  appose  per  ciò  la  seguente  annotazione:  Ognunv 
sa  che  Condor cei,  il  più  pazzo  dei  filosofi  di  questo  secolo, 
ha  predetto  che  un  giorno  la  filosofia  acrebbe  trovato  e  ri- 
velato alPuomn  il  segreto  di  non  morire.  Ma  in  primo  luogo, 
Topinione  di  un  filosofo  non  è  la  filosofia.  Oh!  che  direbbe 
il  P.  Gioachino  s'io  imputassi  alla  ragione  eatoliea  tutte  le 
bestialità,  che  uscirono  dalla  penna  di  ciascuno  dei  suoi  pri- 
vati dottori?  Ed  in  secondo  luogo,  non  è  vero  che  Gondor- 
cet  ab^a  negato  la  morte:  il  P.  Ventura  falsifica  la  attera 


»  ogDi  dovere,  ogùi  virtù;  essa  negò  ogni  Idea,  ogni 
»  principio,  ogni  sentimento,  ogni  credenza,  ogni  v^ 
»  rità,  ogni  certezza,  ogni  culto,  ogni  religione,  ognt 

«  Io  spirito  della  sua  dottrina.  Nell*opent  postuma.  Esquitte 
d*un  tableau  historique  des  progrès  de  l'esprit  humain,  di' 
xième  epoque,  discorrendo  dei  progressi  futuri  dello  spirito 
umano,  Gondorcet  scriveva:  «  La  perfectibilité  ou ladróne- 
ration  orgargque  des  races  dans  les  végétaax  et  daos  let 
animanx,  peut  étre  regardée  comme  une  des  lois  générales 
de  la  nature.  Cette  loi  s*étend  à  l*espèce  humaine,  et  per- 
sonne  ne  doutera  sans  don  te,  que  les  progrés  dans  la  mé- 
dedne  conservatrice,  Tusage  d*alìments  et  de  logements  plus 
sains,  uno  manière  de  vivre  qui  développerait  les  forces  par 
l*exercice,  sans  les  détruire  par  des  excè8;qu*enfin,  la  des- 
Iniction  des  deux  causes  les  plus  actives  de  dégradatlon, 
la  misere  et  la  trop  grande  richesse,  ne  doivent  prolonger* 
pour  les  hommes,  la  dnrée  de  la  vie  commune,  leur  assu- 
rer  une  sante  plus  constante,  une  consiitution  plus  robus- 
te. On  sent  que  les  progrès  de  la  médecine  préservatrice, 
deveuus  plus  efflcaces  par  ceux  de  la  raison  et  de  l*ordre 
social,  doivent  faire  disparaltre  à  la  longue  les  roaladies 
transmissibles  ou  contagieuses,  et  ces  maladits  générales, 
qui  doivent  leur  origine  an  climat,  aux  aliments,  à  la  na- 
ture des  travaux.  Il  ne  serait  pas  difflcile^de  prouver,  qus 
cette  espérance  doit  s'étendre  à  presque  toutes  les  autres 
maladjes,  dont  il  est  vraisemblsfble  que  Ton  saura  toujours 
reconnattre  les  causes  éloignées.  Serait-il  absurde,  mainte- 
Dant,de  supposerque  ce  perfectionnement  de  Tespéce  bu- 
maino  doit  étre  regardé  comme  susceptible  d*un  progrès 
indéflni;  qu'il  doit  arriver  un  temps  où  la  mort  ne  serait 
plus  que  reffet  ou  d*accidens  extraordinaires,  ou  de  la  des- 
truction  de  plus  en  plus  lente  des  forces  vitales;  et  qu*en 
fin  la  durée  de  T intervalle  moyen,  enlre  la  naissance  et 
cette  destruclion,  n*a  elle-méme  aucun  terme  assignable? 
Sans  doule  Thomme  ne  dev  iendra  pas  immortel  ;  mais  la 
distance  entre  le  moment  où  il  commence  à  vivre,  et  l'e- 
poque commune  où  naturollement,  sajs  maladie,  sans  ae- 
cident,  il  éprouve  la  difficulté  d*étre,  ne  peut-elle  s*accrot- 
tre  sans  cesse?  Comme  nous  parlons  ici  d*QD  Vrogrò<:  su- 
1.  17 


«te 

»  società.  —  Non  ritiiànen'dole  più  nulla  a  negare 
»  fuòri'  dj  M  médtóiffi^y  edcò  un  bel"  j^ornò  difessa 
»  tiegi  è'  cahòélld'  sé  medesima,  facendo  TapoteiD^i  di 

»  sceptiblA  d*étre  repr(>senté  avee  précision,  par  des  qaantltés 
namériqoes  ou  par  des  lignes,  c'est  le  moment  où  il  con- 
viene de  développer  les  deux  sens«  dont  le  mot  indéflni 
est  susceptìbìe.  én  effei,  celte  durée  moyenne  de  la  vie, 
qui  dolt  angmenter  sans  cesse,  à  mesnr»  que  nous  en- 
fongons  dans  Tavenir,  peut  recevoir  des  accroissements,  sui- 
vant  une  loÌ  telle,  qVetle  approche  continuellement  d'une 
étendue  illimitée,  sans  pouvoir  Tatteindre  jamais;  où  bien 
saivant  une  loi  telte,  que  celte  méme  durée  puisse  acque- 
rir,  dans  rimmensiié  des  siècles,  une  étendue  plus  grande 
qu'une  quanlité  déterminée  quelconque  qui  lui  auralt.  été 
ossignée  pour  limite.  Dans  ce  dernier  cas,  les  accroisse- 
ments  sont  réeliement  indéflnisdans  le  sens  le  plus  absolo, 
puisquMl  n*existe  pas  de  borne  én  deca  de  laquelle  ils  doi- 
vent  s*arré(er.  Dans  le  prenàier,  ils  le  sont  encore  par  rap- 
port  à  nous,  si  nous  ne  ponvons  flxer  ce  terme*  quMls  ne 
peuvent  Jamais  atteindre,  et.  dont  ils  doivent  toujours  s*ap- 
I^rocber;  snrtout,  si  connaissant  seulement  quMisne  doivent 
point  s*arréler,  nous  ignorons  méme  dans  lequel  de  cea 
dfìux  sens  le  term^  dMndéfini  leur  doit  étre  applique;  et 
tei  est  précisément  lei  terme  de  nos  connaissancès  actuelles, 
sur  la  perfeciibiiiié  de  Pespèce  bumaine;  tei  est  le  sens 
Àans  lequel  nous  pouvons  Tappeler  indéhniè.  Ai'nsl,  dans 
l'exemple  que  l*on  considère  lei,  nòus  devons  crotre,  que 
cette  durée  moyenne  de  la  vie  bumaine  doit  crottre  sans 
cesse,  si  des  révolutìons  physiques  ne  s*y  opposent  pas, 
mais  notis  ignorons  quel  est  le  terme  quVlIe  né  dòlt  ja- 
mais passer;  nous  ignorons  róémè  si  les  lois  générales  de 
ià  nature  en  ont  déterminé,  au-delà  duquel  elle  ne  puisse 
s*étendre.  »  Edi  à  quésto  filosofo  un  frate  ardisce  dar  del 
pazzo?  Ed  in  questo  discorso  un  frate  arriva  a  leggere  la n«pa- 
zione  d'ella  morte f  Ah!  giàm*ero  accorto,  cbe  costui  non  ha 
DÒ  pudore,  né  buona  fede,  né  senso  commune';  ma  adesso  im- 
paro di  più,  èJÀ* eg\ì  è  privo  pérfin  degli  òcchi!.. .  Accecato 
À*anima  e  di  è^rpol  cò^V  va  6éné:  lì  P.  CibacAìno  Vt^nlùi'aè 
f\  modello  più  compilo  (tei  fra^è,  det  teologo,  e  (JfelràK^oloiitlstai. 


»  una  prostituta  sc^to^il  titolo  di  Dea  Mh  ra§i<fn6  (1). 
»  —  I  filosofi,  che  aveano  tanto  gridato  contro  la 
»  superstizione,  finirono  co  '1  curvare  la  fronte  orgo- 
»  gliosa  ai  piedi  dell'idolo  infame  della  voluttà,  ed 
D  immergersi  nella  superstizione  più  oscena^  pia  d- 
»  nica,  più  triviale,  dinanzi  la  quale  i  fìlosofi'pagani 
»  aveano  sempre  retroceduto.  —  Più  vei^ognoea  di 
9  quella  degli  antichi,  questa  idolatria  fu  aneora  più 
»  crudele,  l  Greci  ed  i  Romani  immolavano  ecatombi 
»  di  animali  a  Giove  ed  a  Venere,  meatre' dinanzi 
»  all'altare  della  Dea  della  ragione  vennero  immo- 
»  late  ecatombi  di  vittime  umane,  ed  anco  di  filosofi, 
B  affinchè  nella  persona  di  questi  sacerdoti  della  ^ra- 
»  gione,  i  quali  eransi  stabiliti  quai  rappresenCattti 
»  della  ragione,  essendo  questa  spirata  ntel  sangue, 
»  venisse  in  miglior  modo  confermato  essere  cpiesta 
»  l'epoca  deirawillmento  della  ragione,  della  sua  fine, 
»  e  della  sua  distruzione.  Fu  questa  ancora  1*  epoca 
»  d'orribili  orgìe,  di  scene  di  sangue,  di  delitti,  di 
»  cui  niun  popolo  pagano,  akin  popolo  s^vaggio 
»  avea  dato  l'esetopìo  (2).  » 

E  la  filosofia  del  secolo  decimonono  è  fovse  quai* 
che  cosa  di  meglio?  Voi,  padre  Gioachino,  riducete 
tutta  la  ragion  filosofica  di  qhiesto  gran  secolo  alla 
scuola  francese:  prima  balorda^ine  o  impostura,,  come 
volete.  Poi  riducete  tutta  la  filosofia  francese  all'e- 
cletticismo:  seconda  impostura  o  balordaggine,  come 
vi  piace.  Travisata  cosi,  adulterata,  mutilata,  e  mano- 
messa la  filosofia  moderna  di  Francia  con  le  vostre 
proprie  mani,  come  la  trattate?  Essa  fece  «  passar 
»  nella  lingua  universale,  nella  lingua  dell' incìvili- 
»  mento,  direi  qiTasi  nella  lingua  cristiana,  ì  sistemi 

{ìj  Confer.  Ili,  n.«  11. 
C2,  N.»  13. 


B  vuoti,  ignobili,  assurdi  della  filosofia  tedesca,  non 
»  avente  per  base  che  il  paganesimo,  i  falsi  splendori 
»  della  ragione,  le  tenebre  per  guida,  le  vane  discus- 
»  sioni  dei  due  uHimi  secoli  per  ajuto,  e  per  iscopo 
»  la degradazionedeiruomoelaruìnadellasocietà(l).» 
Essa  «  ha  presentato  e  fatto  accettare  alla  Francia, 
9  come  filosofìa  indigena,  i  sogni  di  tutto  ciò  che 
»  l'intemperanza  più  svergognata  della  ragione  ha 
»  prodntto  di  più  pesante,  di  più  incomprensibile,  di 
»  più  mostruoso  neir estero:  il  che  sarebbe  immen- 
»  samente  ridicolo,  se  non  fosse  profondamente  em- 
»  pio  (2).  »  Essa  «  adottò  particolarmente  Tignobìle  fa- 
»  vola,  che  lo  stato  primitivo  ed  originario  dell'uomo 
ì>  fu  lo  stato  selvaggio  ^  questa  ignobil  favola,  dove 
»  trovasi  la  poesia,  la  balordaggine,  la  menzogna, 
»  l'assurdità,  tutto,  fuorché  la  filosofia,  venne  tra- 
»  dutta  letteralmente  dai  libri  degli  epicurei  tedeschi, 
»  che  essi  pure  l'aveano  rinvenuta  nel  fango  degli 
»  epicurei  della  Grecia  (3).  »  Essa  non  a  fece  altro 
»  che  oscurare,  affievolire  con  mezzi  celati  e  perfidi, 
»  non  osando  combattere  apertamente,  le  verità  gè- 
9  nerali,  di  cui  il  mondo  non  può  far  senza  (4).  »  Essa 
non  «  riuscì  ad  altro  che  ad  ingannare,  a  depredare 
»  le  menti  che  ad  essa  si  confidarono;  —  non  è  altro 
»  che  un  vile  ammasso  di  stupide  bestemie,  di  assurde 
»  e  stravaganti  opinioni  (5).  Nel  principio  di  questo 
»  secolo,  atterriti  dagli  orrori  dell'ateìsmo  sociale,  che 
»  fu  l'ultima  parola  della  filosofia  moderna,  i  filosofi 
»  razionalisti  hanno  fatto  sembiante  di  voler  restau- 
»  rare  le  credenze,  hanno  inventato  una  specie  di  pan- 
j>  teismo  e  di  misticismo  cristiano,  e  ne  han  formato 

{[)  N.«  i3. 

i3)  ma. 

(3)  /ftid. ,  not, 
(i)  N.»  i5. 
15)  ibid, 


MI 

n  un  sistema,  una  dottrina,  una  religione.  Orribile 
j»  e  stupida  religione,  che  non  è  che  la  mistura  del 
»  sacrilegio  e  dell'assurdità  !  —  Il  panteismo  moderno 
»  altro  in  fondo  non  è  che  l'ateismo  dell'ultimo  secolo 
»  con  una  maschera  per  nascondre  la  sua  deformità.  — 
0  La  filosofìa  razionalista  de'  nostri  giorni  non  è  che 
»  la  continuazione  della  filosofia  del  secolo  decimot- 
»  tavo,  aggiuntavi  l'ipocrisia  (1).  » 

Poi  fate  di  Proudhon  un  discepolo  di  Gousin;  e 
per  confutarlo  con  un  tremenda  raziocinio:  è  désso, 
voi  gridate,  che  «  aggiungendo  l'insulto  alla  nega- 
»  zione,  ha  pronunciato  queste  orribili  parole,  che 
»  gettarono  lo  spavento,  la  costernazione,  il  èolore 
9  lo  tutta  l'Europa  cristiana;  queste  orribili  parole, 
1»  che  sarebbero  l'onta  del  paese  che  le  ha  ascoltate, 
»  se  questo  paese  non  ne  avesse  rigettato,  con  l'or- 
»  rore  con  cui  le  accolse,  l'odiosa  solidarietà;  que- 
»  ste  orribili  parole,  che  non  si  direbbero  la  favella 
]>  d'un  uomo,  ma  il  grido  di  Satana;  non  una  voce 
»  della  terra,  ma  un  muggito  dell'inferno,  e  che  io 
»  tremo  in  ripetere:  Dio  è  il  male....  (2).  »  Ah,  pa- 
dre Gioachino,  tremate?  Ma  senza  tante  smorfie  di 
tremore,  e  tanto  baccano  d'inferno,  di  muggito^  di  Sch 
tanasso,  di  urlo,  di  dolore,  di  costernazione,  di  spa- 
vento, di  orrore^  non  fareste  meglio  a  confutare  con 
buoni  argumenti  la  conclusione  di  Proudhon?  Il  quale» 
vedete,  suol  provare  quello  che  dice;  e  nel  caso  no- 
stro, egli  ha  provato  veramente,  che  il  Dio  del  ca- 
tolicismo, se  esistesse,  sarebbe  l'autore  del  male,  e 
quindi  sarebbe  desso  il  male.  Voi  dunque  perchè  non 
rispondete  alle  sue  prove?  Ma  che?  Rispondete  he 
nissimo....  da  frate  1  «  Dio  del  cielo,  levatevi  dunque 
»  e  vendicate  la  vostra  santità,  la  vostra  maestà  in 

(1)  N.«  i7. 
(f^  N  •  il. 


»  fmlla,  tanto  sacrilegamente  oltrà^iata  da  uh  verme 
»  della  terra  (l).  »  Ecco  le  vostre  dimostrazioni  1  Per 
«ora  invocate  il  braccio  dì  Dio,  non  potendo  più  in- 
vocare quello  del  carnefice!  —  Ab!  sgherro  del  San- 
t'Officio! -Non  profanate  almeno  een  quella  lingua, 
piena  di  veleno  e  di  sangue,  TaUJ^usto  nome  della 
tilodofiftl 

Da  ultimo,  i  risultati  della  ragione  filosofica  del 
rfiostf 0  secolo  Tengono  da  voi  compendiati  in  questo 
somttiario:  «'L'uomo,  separandosi  da  Dio,  ha  fatto 
li  «tinV)rribile  caduta.  —  Il  suo  intelletto  s'è  oscu- 
i>  n%ò]  W  Suo  senso  morale  si  è  alterato;  egli  non 
»  >ha  più  interesse  che  per  la  vita  materiale,  più  at- 
'»>tWittiva  iche  per  la  voluttà,  più  gusto  che  pel 
»  <dlletto,'plù  ìrttftintp  che  per  la  distruzione.  Egli 
T>  won  ectopie  una  mina  che  per  incominciarne  un'al- 
y^  %fz.  Tutto  dò  che  è,  tutto  ciò  che.  è  stato,  gli  è 
-»  «divenuto  intcSerabile.' Iddio  lo  spaventa,  la.relì- 
•»  gione  lo  desola,  l'ofdine  lo  afTalica,  T  autorità  gli 
T»  'è  <MiÌosa,  anco  sotto  la  forma  ch'egli  medesimo  le 
^  bà  ^Mo;  la  società  stessa  gli  sembra  una  sventura 
»  oWefro  un  anacronismo.  Eccolo  adunque  pronto 
»  a  distruggere  tutto,  per  rifarlo  poscia  ad  imaglne 
»' sua,  nella  forma  de'suol  ^elirj,  de' suoi  capricci, 
»  delie  sue  passioni.  —  Injfratanto,  i  delitti  e  le  sven- 
»  tirre  aumentansi  sempre  più.  La  costituzione  itoo- 
»  rale  dell'uomo  si  abbrutisce,  a  proporzione  che 
»  lai  sua  costituzione  fisica  'deteriora;  i  corpi  degra- 
»'dansi  cosi  profondameute  come  le  anime;  tutto  è 
»  cancrena  è  putredine.  Infratanto,  l'ordine  vacilla, 
»  l'atitòrità  cade,  la  medesima  felicità  materiale  sva- 
D  nisce;  tutti  i  legami  si  aHentano,  tutte  le  insti- 
i>  tuzioni  si  decompongono,  tutto  si  scuote,  tutto 

(i)  N.«  !?. 


26S 
9  erolla.  L'ordine  della  fede  caduto  in  ruina  sotto 
»  1  colpi  della  ragione  demente,  minaccia  di  trasci- 
»  nar  seco  l'ordine  civile,  l'ordine  politico,  l'ordine 
>  sociale;  in  modo  che  gli  è  forza  domandare  tre- 
»  mando  :  per  quanto  tempo  ancora  avremo  noi  la 
9  società  (1)?  »  Ah!  padre  inquisitore,  tremate  di 
nuovo?  Calmatevi,  rassicuratevi  un  po';  e  quindi 
riflèttendo  I>ene,  a  sangue  freddo,  v'accorgerete  che 
v'ha  bensì  ancora  una  cancrena  nella  moderna  so- 
cietà: ma  è^  là  vostra  setta!  V^accoi^gerete  che  sicu- 
ramente qualche  suo  membro  è  ^ià  corrotto  dalla 
putredine:  ma  è  la  vostra  fazione!  Pregate  adunque 
tutti  li  Pei,  magdori  e  minori,  maschi  'e  femine,  della 
vostra  cViesà,'cne  liberino  prestò*  il  'Inondò  dalla 'itre- 
seùzii  dì  vói  e  ^i.tillti  t  vostri;  fe  irWondò,  sehz'àl- 


VOI  è  1  vo^tri'''sifaiÙi'poésiaieBlu  recare  altìónido 
derno,  ^i' 'è  quello' 'dPiMàrveltfe'tutil,"prfeto,  e'^ptìr 
seihpre....  frpai^IsoV  '  '  -  "  '''^   '   "^  ^"    '  '^^ 

Del  resto,  chi  badasse  al  sussiego  beffardo,  con 
cui  maltrattate  i  ftlosofl  di  tutte'le  età  è  di'  tutti'  ì 
|[>aesì,^^pòtrèt^,sósj)ettare,  che  vili. djàijbiaté  but^, es- 
sere (^alfehe^  gràth  bàcèisilare'  .dèlia  tòòspàa,  ed  avéi^e 
in  pronto  (jiialtìheàmmtf abile  sist'em'a  'ila  èurtoj^are 
tutti  li'^altri,  a  cui 'imbrecate.  Ebbene,  ffate;  òr'tbWa 
a  voi.  Dite  suiqual  è'ia  vostra  fifósotfà?  Non  è^là 
l^  filosofia 'inquisitiva^  ossia' la  Irtóèrcà  del  vero  con 
le  sole  facilità  umane;'  ma  sibbene  iti' ^losQfia  dimo- 
strativa, quella 'cioè,  che  «  recandosi  a  ventura  di 
»  poier  essere  illuminata  dalla  luce  dell'alto,  che  le 
»  scende  dalla  religione,  è  l'amica,  l'alleata  sincera 

(\)  N.«  19. 


Mi 

»  del  piiucipio  religioso;  non  sì  affatica  che  a  svi^ 
tt  lupparlo,  a  confermarlo  sempre  più  nello  spirito 
»  dei  popoli,  a  difenderlo,  dagli  attacchi  dell'errore 
»  e  delle  passioni  (1).  —È  quella,  che  piglia  le  sua 
j^  mosse  dalla  fede,  si  appoggia  alla  parola  di  Dìo, 
»  e  l'ascolta,  la  conserva  fedelmente.  —  È  la  ragione 
»  dell'uomo,  che  accetta  il  freno,  riconosce  le  leggi, 
»  rispetta  Tautorità  della  religione.  —  £  la  ragione, 
]>  che  ama  di  sottomettersi  a  Dio,  dipendere  da  Dio, 
»  e  non  far  uso  della  sua  libertà  che  entro  i  (Confini 
9  da  Dio  assegnatile  (2).  »  Bravo,  padre:  voi  sì,  che 
l'avete  trovata  finalmente  1  Ahi  voi  siete  ^un  genio 
favoloso,  frate  Gioachino  1  In  due  parole  voi  ne  date  una 
ricètta,  che  non  può  fallir  di  sanare  tutte  le  menti 
umane  dalle  devastazioni,  dai  guasti,  dagli  orrori  della 
filosofia  antica  e  moderna.  Miracolo  d'ingegno  e  di 
dottrina,  che  siete  voii  £  quelle  bestie  di  Platone  e 
d'Aristotele,  di  Cartesio  e  di  Leibnitz,  di  Locke  e 
di  Kant,  di  Hegel  e  di  Lamennais  con  tutti  1  loro 
parenti  ed  amici,  prossimi  e  lontani,  non  ci  aveano 
pensato  mai!  Oh  imbeqilli!  Si  stillarono  il  cervello 
per  trovare  un  buon  sistema  di  filosofia,  mentre  Fa- 
veano  lì,  sotto  li  occhi  e  tra  le  mani.  Orsù,  compa- 
titeli, padre  Gioachino;  quei  poveretti  non  ebbero  la 
fortuna  di  ascoltare  il  vostro  sermone.  Ma,  lode  al 
cielo  e  grazie  a  voi,  il  vero  sistema  della  filosofìa 
ormai  è  scoperto  e  conosciuto:  egli  è....  la  negazione, 
l'al)olizione,  la  soppressione  pura  e  semplice  di  ogni 
filosofialll  —  Queste  poi  non  sono  più  insolenze,  im- 
posture, e  calunnie;  queste,  frate  Ventura,  si  chia- 
mano buffonerie;  e  coloro  che  vengono  a  spacciarle 
con  tanto  di  sussiego  e  di  petulanza,  si  chiamano  buf- 
foni I  La  scienza,  vale  a  dir  l'ignoranza,  che  piglia 

(1)  Confer,  li,  b.«  2. 

(2)  Ibid. 


26S 
le  mosse  dalla  fede,  che  s* appoggia  atta  parola  di 
Dio,  che  è  illuminata  dalla  religione,  e  che  sì  tra- 
vaglia a  sviluppare,  confermare,  e  difendere  il  prin- 
cipio religioso, 'è  teologia,  e  non  filosofìa;  sicché 
lutto  il  vostro  sistema  riducesi  ad  uno  scambio  e  ad 
un  abuso  di  nomil  Ohi  il  motto  dì  papa  Gregorio 
vi  quadra  a  maraviglia,  non  solamente  se  per  dotto 
s'intenda  bugiardo,  ma  anche  meglio  se  s'interpreti 
per  ciarlatano.  Sì,  rallegratevi  e  predicate;  che  nel- 
l'uno e  nell'altro  senso,  voi,  molto  reverendissimo 
padre  Gioachino  Ventura,  siete  il  più  gran  dotto  che 
la  terra  abbia  mai  sopportato. 


CAP,iTpto  omyp 


L^I^RTA*    BEIilGIOSA 


I  principi,  che  abbiamo  stabilito,  ci  aprono  la  via  a 
discutere  partitamente  i  due  programmi, della  libertà  e 
del  catolicismo.  Il  primo,  che  venne  già  da  noi  riferito, 
non  è  altro  che  Tappllcazione  del  principio  razionale 
ai  varj  ordini  o  elementi  della  vita  umana,  in  tutte 
le  sue  manifestazioni,  individuali  e  collettive.  Il  se- 
condo ne  è  l'antitesi  perpetua  e  universale;  poiché 
movendo  da  un  principio  opposto,  riesce  per  neces- 
sità in  ogni  sua  applicazione  ad  opposti  risultati.  Co- 
minciamo a  provare  questo  antagonismo  neir  ordine 
religioso. 

Se  nel  sistema  della  libertà  il  criterio  del  vero  è 
la  ragione,  ne  segue  manifestamente,  che  Tuomo  ha 
un  diritto  naturale:  l.*"  alla  libertà  di  esame;  S.""  alla 
libertà  di  coscienza;  3."  alla  libertà  di  culto,  che  sono 
i  tre  caratteri  essenziali  della  libertà  religiosa.  Né  fa 
mestieri  certamente,  ch*io  mi  trattenga  a  provare  con 
lungo  discorso  la  legitimità  della  deduzione,  quando 
il  fatto  parla  da  sé  stesso.  In  tutte  le  dichiarazioni 
dei  diritti  dell'uomo,  che  di  sopra  abbiamo  citato; 


t67 
in  tutti  i  programmi  della  moderna  demoorazia,  que- 
ste libertà  vengono  ammesse,  riconosciute,  sancite 
come  principi  fondamentali.  E  ^se  il  vescovo  d'Anpecy 
nella  sua  enumerazione  delle  libertà. non  menziona 
quella  ch'io  pongo  in  capo  a  tutte  le  altre,  la  li- 
bertà d'esame,  non  è  sicuramente  perchè  la  TOglla 
esclusa;  ma  solo  perchè  la  stima  implicita  in  quella 
di  coscienza  e  di  culto.  Il  &tto  adunque  non  avendo 
bisogno  di, prova,  basterà  .che  Be  determiniamo  (1 
senso  ed  il  valore,  a  fine  di  stabilire  in  termini  pre- 
cisi e  formali  l'opposizione  fra  la  liberila, e. il  catoli- 
cismo. 

Libertà  d'esame  o  di  pe^iero  .non  , vuol  già. dir^e» 
coma  cogliono  spacciare  i  oali^niatori/di  porofessione, 
che  l'uomo  abbia  il  diritto  di.n^gareKed.afléirmare.ia 
suo  c«prJL^io  la  verità  e  )  Terrore,  U  bene  j^d  il  ma- 
le,, senza  veruna  regola,  né  logge:  la^locu^ìoine  me- 
desima di.  diritto  air  errore,  ed  al.  male, /è  m  ;  Inde- 
gno coBtrosenso.  Ma  slgBàfi.ca  ìAV^e,  .obe  jruomo 
siccome  ha  il  dovere  di  professale,  e  (ier«cià4i  .co- 
nosc^e.la  verità,  così. ha  il  diruto ^di. studiarla.! E 
poiché  nello  studio  jdel.veroL'unico^oriterio  Ifigil^m) 
e  validonè  la  ragione;  l'uomo,  fetto. sdutto,  ha.do- 
vere  e  diritto  di  ricer^re  qo '1  lume  della, ra^MMse, 
se  le  idee,  di  cui  veniva  imbev»t0>  nella  sua, educa- 
zione, sieno  0  no  conformi  .alla  verità;  e  quindi  do- 
vere e  diritto  di  abbandonare  gvielle,  ohe  ricono- 
scesse pregiudicate,  erronee,  assurde;  e  dlah})racciar 
quelle  sdtanto,  che  ravvisasse  .giuste,  sode,- ragìop^e- 
volL  In  somma,  la  libertà  d'esame  p  di  pensierose  jl 
diritto  alla  verità;  perciocché  l'u/cupo  non,. può. pro- 
fessare la  verità,  se  non  la  conosce;  non  f>uò  oono- 
Boerla,  se  non  la  studia;  e  aqu  può  studiarla,  se  la 
sua  ragione  non  ha  la  facultà  di  discutere  il  prò  ed 
il  contro,  •  di  rigettare  tutto  ciò  che  !•  preatnta  i 


m 

caratteri  dell'errore.  La  verità  stessa,  qualora  venisse 
imposta  air  umano  intelletto,  non  sarebbe  più  veri- 
tà;  perchè  non  sarebbe  più  un  convincimento,  cioè 
un  assenso  spontaneo,  coscienzioso,  ragionato;  ma 
una  violenza,  cioè  un  assenso  cieco,  sforzato,  irra- 
zionale. 

L'uomo,  in  fatti,  non  ba  altra  norma  da  discernere 
i  giudizi  legitimi  dai  fallaci  che  il  criterio  della  ve- 
rità; onde  quei  giudizj,  a  cui  non  può  applicare  que- 
st'unica regola,  non  sono  per  lui  né  veri,  né  falsi; 
non  sonò  suoi;  in  essi  egli  è  passivo,  e  non  £i  al- 
tro officio  che  quello  di  eco  o  di  papagallo.  Ma  chi 
oserebbe  da  senno  sostenere,  che  tale  sia  il  destino 
dell'uomo?  Che  l'uomo  debba  per  tutta  la  sua  vita 
starsene  a  quelle  idee,  che  gli  venivano  communi- 
cate  nell'infanzia  da'suoi  educatori?  Gh'ei  debba  sem- 
pre tenere  per  vero  ciò  che  gli  fu  raccommandato 
come  tale,  e  per  falso  ciò  che  gli  fu  come  tale  de- 
nunciato? Nessuno,  per  fermo,  l'asserisce  in  rispetto 
alle  cognizioni  fisiche,  storiche,  morali,  civili,  ecc.; 
nessuno  ardisce  imporgli  l'obligo  di  credere  sempre 
alle  favole  della  nonna,  ai  pregiudizi  della  balia,  agli 
errori  della  madre,  alle  sciocchezze  del  pedagogo  :  que- 
st'bbligo  sarebbe,  a  giudizio  di  tutti,  un  dovere  as- 
surdo, sarebbe  la  violazione  del  primo  e  principalis- 
simo  diritto  dell'Umanità.  Or  bene,  e  perchè  dunque 
vorrebbesi  fare  un'eccezione  in  quanto  alle  credenze 
religiose?  Come  mai  quella  legge,  che  si  riconosce 
iniqua  verso  il  padre,  la  madre,  ed  il  maestro,  po- 
trebbe divenir  giusta  a  riguardo  del  prete?  Ahi  la 
ragione  non  soffre  prìvilegj,  la  logica  non  patisce  ec- 
cezioni, la  giustiàa  è  una  ed  eguale  per  tutti.  Come 
l'uomo,  secondo  che  viene  svolgendo  le  proprie  fa 
cultà  ed  acquistando  esperienza  e  dottrina,  può  e  deve 
chiamare  a  rassegna  le  conoscenze  ricevute  dalla  fa- 
miglia e  dalla  scuola,  e  correggerle,  rettificarle,  am- 


t69 
pllarle,  rassodarle  oo'nuovi  lumi  della  sua  intelligen- 
za; così,  né  più  né  meno,  egli  può  e  deve  corregge- 
re, rettificare,  ampliare,  rassodare  con  le  nuove  forze 
della  sua  ragione  le  credenze  attinte  dal  catechismo 
e  dalla  chiesa;  può  e  deve  trattar  il  curato  come  il 
precettore,  la  chiesa  come  la  scuola,  la  religione  come 
la  scienza;  poiché  nell'uno  e  neir altro  caso  egli  é 
in  diritto  e  in  dovere  di  accertarsi  della  verità. 

—  Ma  potrebbe  ingannarsi.—  E  non  potrebbe  an- 
che ingannarsi  nelFesame,  che  imprende  a  fare  delle 
altre  sue  credenze  ed  opinioni?  E  pure  questo  pe- 
ricolo non  glielo  vieta.  Perchè  adunque  gli  dovrebbe 
interdirela  critica  delle  sue  opinioni  e  credenze  re- 
xligiose?  0  la  ragione  gli  é  buono  e  sicuro  criterio  in 
tutti  i  casi,  0  in  nessuno.  Se  in  nessuno,  perché  ac- 
cettarla negli  ordini  della  scienza?  Se  in  tutti,  per- 
ché escluderla  dagli  ordini  della  religione?  Dunque 
la  libertà  d'esame  é  una  prerogativa  naturale  del- 
Tuomo,  perché  é  condizione  essenziale  dello  sviluppo 
e  del  perfezionamento  del  suo  intelletto  :  essa  é  l'etica 
del  vero. 

La  libertà  di  coscienza  venne  pure  calunniata  a 
bello  studio,  e  travisata  da'suoi  nemici.  I  quali  non 
arrossirono  di  dire  e  replicare  con  incredibile  sfron- 
tatezza, che  la  libertà  di  coscienza  importa  l'aboli- 
zione di  ogni  principio  e  di  ogni  legge  morale;  % 
quindi  la  licenza  a  tutte  le  passioni  dì  sbizzarrirsi, 
d'imperversare  in  tutti  i  modi,  senza  ritegno  e  senza 
freno  veruno.  E  dovrò  io  vendicare  la  democrazia  da 
codeste  infamie?  Ohi  chi  le  ha  inventate,  é  punito 
abbastanza  dall'opera  sua.  No,  la  libertà  di  coscienza 
non  é  il  diritto  al  vizio  ed  all'immoralismo;  é  anzi 
la  legge  dell'onestà,  il  principio  della  virtù,  la  con- 
ditone stessa  del  bene.  Essa  non  é  altro  che  la  fa- 
cultà  ed  il  diritto  di  professare  co  '1  cuore  le  veri- 


WIv 

tSi,  àie  te  ì&MVé!  Abcmiee  ;  il  qual  diritto  impiles'  e 
présùppòiie  il  dovere,  ch6  hanno  11  altri  di  usarci 
rispètto'  é  non  fànJi  mai  violenza.  Ora  non  sono 
(Jueste  appunto  Ife  due  coridizionl  morali  dell' atto 
ttfaaano,  cioè' verità  dèlia  conoscenza,  e  libertà  del- 
Télezìone?  Se  ruotnb'  non  conosce  il  bene  che  dee 
fare,  opera  ciecamente;  se  non  è  libero  nel  farlo,  opera 
necessariamente:  e  un  atto  cieco  o  necessario  non  è 
morale,  è  non  può  essere  onesto,  né  Virtuoso.  Dun- 
que 0  la  religione  non  ha  da  essere  virtù,  o  biso- 
gna che  là  coscienza  dell'uomo  sia  liberà  neirosser- 
varlà;  libera,  cioè,  di  credere  o  no  ai  suoi  dogmi,  e 
Ubera  di  eseguire  o  no  le  sue  leggi.  Ricusare  all'uomo 
questa  libertà,  egli  è  un  condannarlo  ad  atti  immo- 
rali; poiché  sarebbe  cosa  immorale  il  professare  certi 
dogmi  che  non  si  credono  veri,  é  il  praticare  un  culto 
che  non  si  repota  buono. 

—  Sarà  dunque  lecito  ad  ognuno  di  seguire  un'etica 
tutta  sua  propria?  —  No,  signori;  non  è  questione 
d'etica,  ma  di  dogmatica  religiosa.  I  principj  della 
morale  sono  li  stessi  dapertutto;  e  qualunque  sia  la 
religione  degl'individui  e  degli  Stati,  è  un  fatto  no- 
torio e  costante,  che  ì  doveri  sociali,  q\iantò  alla  su- 
stanzd,  Aòn  sono  puntò  diversi.  Vuol  dire,  che  la  mo^ 
rale  rìon  dìipénde  dal  dogma  religióso;  e  che  tutte 
le  religioni  convengono  negli  stessi  principj  della 
legge  di  natura.  Ma  sia  comunque,  Il  fatto  ci  basta. 
La  liberta  di  coscienza  non,  può  dunque  offendere 
l'unità  della  morale,  nò  l'efficacia  della  legge;  perchè 
la  legge  morale  si  fonda  nella  natura  stessa  dell'uomo, 
e  la  natura  è  una  ed  identica  in  tutti.  La  qua!  con- 
clusione equivale  a  quest'altra,  che  la  libertà  di  co- 
scienza non  ha  per  oggetto  sno  proprio  l^a  morale. 
Ha  bensì  per  oggélitò  fi  religione,  come  quella  che 
non  procede  da  un  lume  naturale,  cotnmuùe  a  tutti 
li  uomiùi;  ma  da  qualche  rivelètzrónè  dpéoiale  alle 


sètte  dei  credenti ,,  o  da  qualche  sistema  particoiìaìré 
alle  scuòle  de'filóàoiS.  E  qui,  sistema  ò'  rìvólàiiionè  cUé 
sia,  ben  ha  luogo  là  varietà,  il  contrasto,  è  Tóppo- 
sìziònè  dèi  simboli  e  delle  ipotesi;  ónde' non  che  pos- 


sll)f{e,é  afssàì  probàbile,  così  niei  fedeli  come  negli 
^^ài;  utik  diversità, di  créàerizé  con  egnàl  buòiià. 
iSdff  p^TT  ognf.  partii!  (iìascuiiò'  ha  diinque  un  diritto 
éè'tìaie  a  pròfessarè'  le  dotlrìhé,  dì  cui  si  sente  péi^- 
^aèòV  è  ndsàurio  può  avere  l'aidlorità  di  j^bsérivére 
d^'aitrt  tó  jirpjirie  credenze,  taònde  le  cose  di  rér- 
ijgtóiiè  sotio  l'oggetto  proprio  della  Kbértà  di  cosclìéii^ 

Sì';  il  fiéàètè  né  dee  rèndere  cónto  uiiìcàmente  al  suo 
io,  étf  n  Alòsofò'  alla  sua  ragione;  e  se  là  libertà 
dWbé*^  rétiòadèl  vero,  là  libertà' (6  coscienza  può 
dt^  1^  Id^tca  del  bène. 

fttttàVW  ri8lìbettl  rf'ésame,  riè'lìtiórtà  di  coscienza 
pBtifétilSéì  susslsiSéifé  mil  sénia  là  libertà  di  culto.  Dire 
alf  dbino*:  tu  hat  piéhb^  dlrittó*  di  perisWe  ó  dfif  cré^ 
dfee  flf  s^nda  della'  tuà'j^ersuasloné,  iià  npb;  li'àl 
(ftièUó^  A'  conformare  allessa  le  tue  àiioni;  s'ài^è^liè 
agéiuSigéì^èSirà^ùitlò  lltotilà,  airinl'otiità'  rìn^ultó^ 
Se  la  libertà  d'esktó  e  di  co^ìWnzk'  non  iinpbrtas^é 
altro  che  la  facultà  interiore  di  pensare  e  di  credere 
qad  clie  st  vuole;  sarebbe  una  questione  derisoria; 
poiché  uesàunbf  ha  mài  sogtimo  di  potere  a  for«a  spó- 
jiraàr  riitjmp  di  questa  libertà',  che  s'immedesiihà  co  'I 
pensiero  it'ésso'  è  con  ia  coscienza:  libertà,  che  sfida 
impunemente  le  carceri  e  le  catene;  libertà,  che  si 
ride  dei  patiboli  e  dei  roghi.  La  controversia  pertanto 
non  cade  su  la  libertà,  come  potenza  fisica,  ma  come 
diritto  morale;  non  riguarda  l'atta  intano  e  mentale, 
nm  Fatto  esteriore  e  civile.  Qaindi  la"  libertà  di  culto  è 
Il  omnplemwivy  «àturalè'  e  insicfesswtd  df  c^éWà  dV 
ÉttM  e  di  (smì^ni^';  pòTch*  Fifnà  sentó  l'àllra  iton 
sarebbe  iìbèirtl  che  di  nome;  sarebbe  il  diritto  del 


«72 

pensiero  senza  l'azione,  o  dell'azione  senza  il  pen- 
siero: doppia  immoralità  e  ipocrisia,  dacché  la  legge 
morale  prescrive  all'uomo  di  armonizzare  il  pensiero 
e  l'azione  in  guisa,  che  questa  sia  Tespressione  o  Tat^ 
tuazione  fedele  ed  esatta  di  quello,  e  quello  la  legge 
vitale  e  sustanziale  di  questa.  E  però,  come  la  libertà 
di  esame  implica  la  libertà  di  coscienza,  perchè  ci 
dev'essere  armonia  fra  la  mente  ed  il  cuore  dell'uo- 
mo; così  la  libertà  di  coscienza  importa  la  libertà  di 
culto,  perchè  l'armonia  e  l'unità  della  vita  umana 
richiedono  non  solamente  l'accordo  della  ment^  co  '1 
cuore,  ma  sopratutto  il  concerto  della  mente  e  del 
cuore  con  le  opere.  L'uomo  ha  dunque  il  dovere  di 
operare  conforme  alle  sue  credenze;  e  quindi  il  di- 
ritto di  praticare  quel  culto,  in  cui  solo  ha  fede. 
L'autorità,  che  gl'interdicesse  questo  diritto,  gli  &- 
rebbe  violare  eziandio  quel  dovere,  cioè  gli  coman- 
derebbe un  atto  essenzialmente  vizioso  e  disonesto; 
sarebbe  dunque  un'autorità  ingiusta,  iniqua,  immo- 
rale; sarebbe  la  più  trista  e  la  più  scelerata  delle  ti- 
rannidi; e  l'uomo  avrebbe  non  solo  il  diritto,  ma 
altresì  il  dovere,  a  tenore  delle  proprie  forze,  di  re- 
sisterle, di  combatterla,  di  rovesciarla  (1). 

'  (1)  Merita  di  essere  conosciata  la  ragione,  onde  certi  calo- 
liei  stimano  conveniente  e  legitimo  Taso  della  fona  per  co- 
stringere airosservaoza  religiosa  i  re f ruttar j.  Eccola  in  latta 
la  sua  schifosa  nudità:  «  Quando  ia  chiesa  ha  definite'  le  dot- 
•  trine,  quando  ha  dannato  e  multato  Terrore,  se  al  suo  di- 
f  ritto  resistesse  ia  prepotenza  dei  refrattarj>  nulla  vieta  che, 
I  implorata  da  lei,  venga  in  suo  soccorso  la  publica  forza; 
»  quella  forza,  che  assiste  ad  ogni  cittadino  privato,  ad  ogni 
V  privata  associazione,  per  obligare  il  promettitore  ad  attener 

>  la  parola.  Oh  che!  La  chiesa,  la  più  angusta  deUe  asso- 

>  ciazioni,  l^associazion  divina  per  eccellenza,  non  otterrà  da 
t  un  governante  catolico  queirassistenza  ai  proprj  diritti,  die 
»  otterrebbero  la  compagnia  comica  e  ia  società  dei  saltimi 


A  questo  sistema  di  libertà  religiosa  i  catoUci  op* 
pongono  molti  sofismi,  e  nessuna  ragione.  E  poiché 
mi  cade  in  acconcio,  darò  qui  un  primo  saggio  della 
gran  dottrina  dì  quel  gran  teologo,  gran  filosofo,  e 
gran  politico,  ch'era,  per  sentenza  di  Montalembert 
e  di  tutta  la  fazione  clericale,  il  prete  spagnuolo  Gia- 
como Balmes.  Nel  capo  XXXY  della  sua  ^ran<f' opera  : 
//  protestantesimo  paragonato  co  1  catolicismo  (1),  egli 
prende  a  combattere  i  filosofi  che  negano  ai  governi 
il  diritto  di  violentare  le  coscienze  in  materia  di  re- 
ligione (%;  e  comincia  a  stabilire  con  l'esempio  di 
Stati  antichi  e  moderni,  che  ogni  governo,  che  pro- 
fessa una  religione,  è  più  o  meno  intolerante  con  le  al- 
tre (3).  Lo  sapiamo  anche  noi;  ed  è  per  ciò  appunto, 
che  la  democrazia  non  vuole  più  nessuna  religione  di 
Stato.  Dunque  il  primo  argumento  non  prova  nulla. 

Ripiglia  Balmes,  che  i  filosofi  non  han  potuto  met- 
ter bene  in  chiaro  la  loro  ctsserzione,  e  molto  meno 
farla  adottare  generalmente  come  sistema  di  governo  (4). 

»  banchi?  E  mentre  la  prima  donna  verreblse  costretta  con 
»  la  multa  o  con  l'arresto  a  gorgheggiar  su  quel  teatro,  a 
»  cui  s'ingaggiò;  si  permetterà  al  cristiano   di  violar  quella 

•  fede,  che  giurò  alla  chiesa  entrando  nella  società  catolica 

•  con  un  atto,  che  forma  la  base  della  sua  civiltà  e  de' suoi 
B  diritti?  »  {Civiltà  catoliea ,  voi.  Il,  pag.  i35.)  E  vuol  dire» 
che  il  catolico  è  tenuto  all'osservanza  della  sua  religione  in 
forza  di  un  contratto;  che  questo  contratto  veniie  stipulalo 
da  lui,  bambino  di  due  giorni,  nel  ricevere  il  battesimo;  e 
che  questa  stipulazione  fu  da  lui  pronunciata  cosi  sciente- 
mente e  liberamente,  come  quella  di  una  prima  donna,  che 
s'ingaggia  a  cantare  su  d'un  teatro.  Ohi  ci  vuole  ben  la  fronte 
di  un  gesuita  per  calpestare  Ano  a  questo  punto  il  senso  com- 
mone! 

(I)  Tom.  Il,  ediz.  di  Roma  1846. 
(3)  Ibid.,  pag.  )d5. 

(3)  Pag.  364. 

(4)  Pag.  351». 

L  iS 


Che  la  doltrloa  dei  filoeoii  non  sembri  chiara  agli 
occhi  di  UD  prete  catolico,  non  è  maraviglia;  ma  ne 
segue  forse  che  non  sia  vera?  I  governi  generai'- 
mente  non  l'hanno  ancora  adottata,  sta  bene;  ma 
forse  ne  deriva,  che  non  sia  praticabile?  Già  si  pra- 
tica da  molti  anni  negli  Stati-Uniti  d' America,  dove 
pare  a  tutti  la  cosa  più  liscia  e  chiara  del  mondo. 
Ma  Balmes  insiste,  che  la  non  è  poi  tanto  sempUee^ 
eo^ne  ei  è  voluto  eupporre;  ed  in  prova  ei  rivolge  a 
codesti  pretesi  filosofi  edcune  interrogazioni  (1).  Udia-^ 
mole:  Se  viene  a  staìnlirsi  nel  vostro  paese  una  re- 
ligione ^  di  cui  il  culto  domandi  sacrifizi  umani  ^  la 
toier ereste  voi?  —  No  (2).  —  Ma  perchè?  —  Per- 
chè non  possiamo  tolerare  un  simile  delitto  (B).  — 
Questo  perchè  è  un  equivoco,  di  cui  ha  tutto  il  me- 
rito Balmes,  e  non  la  filosofia.  I  filosofi  risponde- 
rebbero: perchè  Tomicidio  è  un  atto,  che  non  ri- 
guarda meramente  il  culto  religioso,  ossia  i  rapporti 
individuali  dell'uomo  con  Dio;  ma  entra  nel  campo 
della  giustizia  civile,  tocca  i  rapporti  dell'uomo  con 
la  società,  e  viola  i  diritti  del  cittadino.  Ora  i  diritti 
cittadini,  i  rapporti  social!,  la  giustizia  civile  sono 
tutte  materie  che  appartengono  all'autorità  governa- 
tiva, la  quale  dee  proteggere  ed  assicurare  la  vita  di 
tutti  da  qualunque  attentato  che  la  minacci,  qualunque 
sia  il  motivo  che  dirige  la  mano  e  il  ferro  dell'omicida. 
Ma  allora  sarete  intoleranti,  violenterete  le  co- 
scienze altrui,  proibendo  come  delitto  quello  che  agli 
occhi  di  questi  uomini  è  un  ossequio  alla  divinità  (4). 
—  Se  chiamasi  intolerante  e  violentatore  della  co- 
ti) Pag.  Uh. 

(3)  È  r  argomento,,  che  S.  Agostino  opponeva  ai  Donatisti. 
V.  Db  Potter,  Histoire  du  Christianisme,  t.  Il,  ìiv.  VI,  eh.  III. 
Note  supplémentaire. 

(3)  Ibid. 

(4)  Pag.  855. 


Vili 

ieMm  t|aét  ptfm6\  «bt  mh  lasclt  «ad  un  ni^iatìo 
hr  fil$l9rtl'(tl:  ifi0ltettii  a  90cfl[iRMlro,  a  ferro  ed  a  fuoco 
il  A^o  pà6èe,  (StfW  {  Mm^  9opt)orteraH  yoloatìeri 
rii6(^«Mt  di  iiftoteratttl  e  violeataUifi  delia  odsoieaza^ 
pèt  eie  dbò  tttftt  perfiMUano  nel  toro  Stato  i  saorì- 
fil}  HitÉtaflL  Mi  imtn  paesi,  chi  repatasse  datvaro 
un  òÈiPe^Hià  tkllà  riMMità  lo  sptrginfmto  del  sangue 
iftiMMNmte,  «(afì^MI»  tooutò  e  trattato  ila  pazflo  o  da 
d^te^lo  :  ita  (ftmVtoìììò  s' atrebbe  da  riatdvere  co  'I 
ò&ìlls^  «  tidti  eo  1  tRuàle.  •»-  Dei  resto,  il  dire  che 
9i  tfiòì^ntisti^é'ki  ùowièntia  di  qoei  Mcrìfìcatori,  è  un 
gi^Vè  M  iffitpèihiofìabile  afemo  deHa  paroia.  La  vio^ 
lenza  involge  essenzialmente  nel  suo  concetta  ait 
male,  un  danno,  un  oltraggio,  in  aommà  una  vìola- 
zilMàe  del  diritto  e  della  Htiertll  comìèune^  Adunque 
p^  potef  chiamare  WolMiaa  ir  divieto  degK  umam 
satcriitj,  bisognerebbe  provare  che  Questi  sabrìfizj 
nfòdeshni  sletio  un  diritto^per  parte  dei  sacerdoti^  e 
uff  dotèfè  per  parte  détte  pittime.  E  chi  oserebbe  più, 
oggMì,  fira  neS,  proferire  di  tali  beatemie  ? 

Con  qmi  diritto  àmtinie  miete  che  la  vostra  cor 
sciènza  pfcml^a  sopra  la  loro  (l)?  —  Con  quello 
stesso  diritto,  per  cui  la  cooeieni»  dei  sani  dee  pre- 
valere a  quella  dei  mentecatti,  e  là  coscienza  dei  ga- 
lantuomini a  quella  degli  assassini;  Balmes  confonde 
sempre  due  cose  addai  differenti  e  diverse:  il  culto 
religioso  e  la  giustizia  sociale.  Finché  il  culto  si  li- 
mita alla  propria  sfera,  cioè  ad  atti  religiosi,  che 
non  offèndano  i  doveri  proprf  deir  uomo  verso  li  al- 
tri, è  i  diritti  degli  altri  verso  di  lui^  la  sua  libertà 
è  \Xibm  ed  iutiera:  praghl  in  qoaflè  idioma  egli  vuole^ 
mangi  quale  cibo  gli  aggrada,  compia  quale  rito  gli 
piace  ;  nessuno  pttè  Imporre  leggi  aila^  sva  libertà  e 
alla  sua  coscienza.  Ma  quando  il  culto  invade  la 

{\)  Pag.  965. 


S76 

giustizia,  e  li  atti  religiosi  divengono  civili,  allora 
la  coscienza  e  la  libertà  dell' individuo  deve  sotto- 
stare alla  legge  ed  al  diritto  della  società;  e  nes- 
suna opinione  religiosa  può  autorizzare  'un  delitto, 
come  non  può  autorizzarlo  nessuna  passione  privata. 

Quindi  la  risposta,  che  Balmes  attribuisce  ai  filo- 
sofi: Non  importa;  saremo  intoleranti,  ma  la  nostra 
intoleranza  sarà  in  prò  dell'Umanità  (1);  •—  non  è 
loro,  ma  sua.  Essi  non  dovrebbero  già  dire:  saremo 
intoleranti,  ma  saremo  giusti.  Né  dovrebbero  punto 
scusare  la  loro  intoleranza  co  1  pretesto  dell'Umanità; 
ma  sostenere  la  loro  giustizia  co'i  prìncipj  naturali 
del  diritto. 

E  la  replica  che  Balmes  soggiunge,  non  ha  più 
senso:  Applaudisco  alla  vostra  €ondutta;ma  non  po- 
trete negarmi,  che  si  è  presentato  un  caso,  in  cui 
r  intoleranza  di  una  religione  vi  è  sembrata  un  di- 
ritto e  un  dovere  (2).  —  No,  signore,  non  è  V into- 
leranza di  una  religione,  che  ci  farebbe  vietare  i  sa- 
crifizi umani;  ma  è  la  legge  universale  e  suprema 
della  giustizia.  Fingete  pure  qualunque  caso:  fino  a 
tanto  che  si  tratterà  dì  atti  religiosi,  noi  non  vi  fa- 
remo giammai  nessun  divieto,  in  nome  di  nessuna 
religione;  ma  ogni  volta  che  si  tratterà  di  atti  ci- 
vili, noi  lì  giudicheremo,  non  co  '1  catechismo  di  una 
chiesa,  ma  co  '1  codice  della  giustizia  e  deir  eguaglianza 
sociale. 

Dopo  altri  esempj,  tratti  dal  pudore  e  dàW  ordine 
publico,  che  riescono  evidentemente  allo  stesso  so- 
fisma, Balmes  ne  inferisce  questa  conclusione:  In  tutti 
I  tempi  e  in  tutti  i  paesi  è  stato  riconosciuto  come  un 
principio  ineontrastaòile,  che  la  podestà  publica  ha 

(\)  Pag.  256. 
(3)  Pag.  SSÌ-S56. 


«77 
t7  diritto  in  alcuni  casi  di  proibire  certi  atti,  non 
ostante  la  maggiore  o  minore  violenza,  che  con  quo* 
sto  si  facia  alla  coscienza  degl'individui  che  li  eser* 
citavano,  o  pretendevano  di  esercitarli  (1).  Posto  da 
un  lato  il  valore  storico  del  fatto,  che  doq  ìnonta. 
al  nostro  caso,  questa  proposizione!,  ne' suoi  termini 
così  generali,  può  ben  ammettersi  anche  da  noi;  ma 
che  vale?  Rimane  sempre  a  definire,  quali  siend  li 
atti,  che  la  podestà  publica  ha  diritto  di  proibire. 
Noi  diciamo,  che  sono  unicamente  i  delitti,  ossia  le 
offese  contro  la  giustizia;  e  non  mai  li  errori,  ossU 
le  azioni-  innocue.  La  podestà  publica  non  potrebbe 
proibire  questi,  senza  violentare  le  coscienze;  per- 
chè unico  limite  naturale  al  diritto  di  ciascuno  è  il 
rispettivo  diritto  di  tutti  li  altri;  e  quindi,  ove  non 
è  offesa  d'alcuno,  non  può  esservi  legitima  restri- 
zione della  propria  libertà.  Ma  potrebbe  sempre,  anzi 
dovrebbe  proibire  quelli,  senz' alcuna  tema  di  vio- 
lentare le  coscienze;  perchè  nessuna  persuasione  di 
coscienza  vale  a  giustificare  un'offesa  o  un  danno, 
che  si  rechi  ad  altri;  perchè  la  libertà  di  ciascuno 
finisce  là,  dove  incomincia  la  libertà  di  tutti;  perchè 
nessuno  ha  diritto  a  violare  il  diritto  altrui. 

E  parmi,  che  questa  classificazione  fondamentale 
degli  atti  umani  basti  a  risolvere  la  questione  gran 
vissima  di  diritto  {%  che  Balmes  propone  ai  filosofi 
come  una  difficultà  non  possibile  a  superarsi  co'  i  loro 
prìncipi  :  Ecco  la  questione.  Con  che  diritto  si  può 
proibire  ad  un  uomo  che  professi  una  dottrina,  e 
operi  in  modo  conforme  ad  essa,  se  è  convinto  che  sia 
la  vera  dottrina,  e  che  soddisfa  ad  un  obligo  suo, 
ovvero  esercita  un  diritto,  quando  opera  in  confor*- 

f<)  Pag.  257-25«. 
Paf.  251. 


tmuioM  MÌA  f9m;  e  quomAo  qi^lie(i4fi  ìm9((i^  penfk, 
9a8tigk0ret»  ti»  iMmo,  cto  ««i/a  tua  cwfciem^  è  in- 
Boeenie.  £a  fimluùi  «ttpfw>f»e  t7  Ciolp^vole;  e  netsuno 
è  oalpev^,  9e  prirm  wn  h  è  tulla  pua  (^cjettxa. 
la  ^élpakilità  kah.  vodke  nfilla  fo^i^ftsia  mi^dfifima; 
e  9oi»fo»3iafno  #Mer  tenuti  a  veuder  QOfita  iella  «|V 
lazione  di  una  legge,  quandd^.  queAlA  Ugge  ha  parlalo 
pe  'l  eamle  della  n^9tra  coj^iensia'  Se  queet»  ci  A'ce 
che  un*  agiane  è  cattiva,  nonr  pa^im  fo/rla*  per  g^afUo 
ee  lo  pres€fi9ala  Ugge  ;  e  se  ci  detta  ìAa  una  t(nle  Oddone 
è  UH  dotew,  «OH  foeeifm  ttalaseiarla,  pev  quanjki  dalla 
legge  eia  pfoWta  (1).  Tijala^ip  guel  pde  i^um^d^il 
fitofenar  imm  dottrim,  perchè  mi  ocq^wc^  ^\  mup- 
larae  lu  mi  altiìQ  «fintolo,  tuAto  dedicato  ^  code- 
sto argumanto^  Ma  qmsato  airo9)fr«r«,  io.  fìq;)OAd<x: 
o  r  opera  di  qj^^at^nomo  è  IndifferMilQ  ^  ÌAo^im, 
0  è  ingiusta  «  nociva.  Nel  primo  caso,  1q  ripeto,  Qe«h 
sana  poUstk  lia  diriUo  di  proibirla;  perchè  qiuril'o- 
pera  non  fa  ouile  a  Bessano»  e  queir  uoiqo  »oa  viola 
alena  diritto  altrui,  non  trasgredisce  alcun  davere 
sociale.  Dunque  h  proiblzUme  StarebJbe  una  tiiiaAnia. 
Nel  secondo  caso,  al  contrario,  la  legge  proibisce  e 
punisce  meritamente  in  nome  della  giustizia  e  del 
diBìtto  commuoe.  Invano  si  opporrebbe,  cbe  quel- 
rutNMO  ioddiefaeia  ad  u»  obligo  suo,  ed  eeereiti  un 
diritto.;  pokkh  non  può.essdrvi  diritto,  né  obligo  iU 
oAndere  altrui.  Invano  pure  si  accuserebbe  la  legge 
di  eaeiiga/te  uh  uema,  ehe  nella  ewi  coscienza  ò  ieir- 
nocenie;  poiebò,  tranne  un  mostro  d'idiotismo  o  4i 
dfipravanone,  nessuno  commettendo  unMugiusti^ia 
può  in  ooscìea4(a  tenerci  per  innocente^  Gonvien  an- 
cora distinguere  la  colpabilità  intrinseca  e  privata, 

(1)  Paff.  969. 


tn 

dalla  aQl|iab11|tà  pHbHct  e  gbiridiea.  La  print  sa- 
sce  dalla  cosdap^a  individuale;  e  però  afoge  ad  o- 
gnì  autorità  umana  e  ad  ogni  prooessp  legale:  ma' 
la  seconda  proeede  dalla  coseiensa  sociale;  e  quindi 
va  suggQtta  alla  legge  commune  ed  al  ml&lBtero  na* 
menale. 

Erra  dunque  Balmes,  quando  rimprovera  ai  filosofi 
la  dottrina,  che  nega  al  pMico  potere  la  fatuità  di 
castigare  i  delitti,  chetai  commettono  in  conseguenza 
di  un  errore  d'intelletto  (1).  No,  essi  non  han  mai 
sostenuto  questo  principio  antisociale,  che  un  errore 
d'intelletto  possa  giustificare  i  delitti,  Han  detto  bensì, 
che  non  sono  mai  delitti  li  atti  puramente  r^giosi; 
ed  ban  però  negato  al  publico  potere  ogni  ingerenza 
nelle  cose  del  culto. 

Ed  erra  parimente  quando,  per  risolvere  quella 
di fficultà  principale,  che  consiste  nelV incompat^iHtà 
della  giustizia  del  castigo  con  l'azione  dettata  o  per- 
messa dalla  coscienza  di  chi  la  commette,  ricorre  al 
principio  catolico,  che  vi  son  degli  errori  é'  intelletto 
colpevoli;  ed  imputa  9^^' increduli  eà  ai  protesUnnii 
di  pensare,  che  tutti  li  errori  d'intelletto  sono  inno- 
emti  (i).  No,  r  opposizione  tra  i  catolici  da  una  parte, 
e  l'increduli  e  protestanti  dall'altra,  non  èquestion 
di  morale,  ma  di  diritto;  non  di  coscienza  privata, 
ma  di  giustizia  sociale;  non  dipende  dal  condannare 
coma  colpevoli,  o  assolvere  come  innocenti,  nel  foro 
intemo,  li  errori  d'intelletto;  ma  consiste  nel  dare 
0  negare  al  publico  potere  la  facultà  di  sindacare 
il  pensiero,  e  di  punirlo  come  un  delitto,  qualora 
lo  giudichi  un  errore.  I  primi  glier accordano,  e 
riconoscono  per  competente  un  tribunale  ecdesior- 
etico,  dinanzi  a  cui  si  trattino  le  cause  di  religione, 

(i)  Pag.  26  i. 
(2)  Ptg.  Sd4-S6S. 


e,  si  procewino  le  credenze.  I  secondi  gliela  ricusano, 
fi  combattono  come  tirannico  ed  oppressore  qualun- 
que magistrato,  che  s' arroghi  l'autorità  di  senten- 
ziare, oltre  li  atti,  anche  le  idee;  di  tutelare  non  solo 
i  diritti  dell'uomo,  ma  anche  quelli  di  Dio;  di  pre- 
vedere, non  che  alla  vita  reale  in  su  la  terra,  ma 
anche  all'esistenza  chimerica  nel  cielo.  Tutto  il  di- 
scorso di  Balmes  è  dunque,  a  dir  poco,  fuori  di  pro- 
posito. Per  provare  il  suo  assunto,  egli  dovea  sta- 
bilire, che  V  errore  intorno  alle  importanti  verità  re- 
ligiose e  morali  sia,  non  già  una  delle  principali 
offese  che  l'uomo  può  fare  a  Dio,  ma  un'offesa  effet- 
tiva al  diritto  dei  cittadini;  che  V ignoranza  di  al- 
cune verità  molto  gravi  sia,  in  certe  circostanze,  non 
già  colpevole  moràdmente  (1),  ma  giuridicamente  ini» 
qua;  e  che  V eresia  debba  dirsi,  non  un  peccato  (2), 
ma  un  delitto.  Ecco  il  vero  cardine  della  controver- 
sia, che  Balmes  non  avvertiva  o  dissimulava;  onde, 
invece  di  confutare  le  dottrine  della  libertà,  egli  getta 
le  parole  al  vento,  mena  colpi  alle  ombre,  e  combatte 
nemici  imaginarj. 

Su  '1  finire  dello  stesso  capo  egli  accenna  di  volo 
un  altro  punto,  e  forse  11  più  importante  e  capitale, 
della  question  religiosa;  quello,  cioè,  che  concerne  i 
rapporti  della  religione  con  la  morale:  Sono  stati  at- 
taccati i  dogmi;  ma  non  si  è  riflettuto  abbastanza, 
che  co  'i  dogma  è  collegata  intimamente  la  morale,  e 
che  questa  stessa  morale  è  un  dogma  (3).  E  tal  è  l'u- 
nanime insegnamento  dei  catolici,  i  quali  van  pre- 
dicando altamente,  che  la  morale  è  inseparabile  dalla 
religione,  sì  che  l'una  non  può  stare  senza  dell'ai- 

(\)  Pnì?.  2G5. 

(2)  Pag.  260. 

(3)  Pag.  27,>.. 


281 
tra.  Già  di  sopra  io  ebbi  ad  impugnare  di  passag- 
gio questo  falso  e  funesto  principio;  ma  poiché  Bai- 
mes  me  n'offre  ancor  il  destro,  gioverà  che  mi  trat- 
tenga alquanto  a  discuterlo  più  direttamente. 

Cominciamo  a  fissar  bene  i  termini  della  que- 
stione. In  questo  problema:  se  possa  stare  la  mora- 
lità senza  la  religione;  egli  è  evidente,  che  la  reli- 
gione non  si  considera  nel  senso  generale  ed  assoluto; 
perchè  allora  la  morale  diverrebbe  una  parte  della 
religione,  ed  il  problema  sarebbe  assurdo:  sarebbe 
come  ricercare,  se  un  membro  può  stare  senza  del 
corpo,  0  un  tutto  senza  delle  sue  parti.  Qui  adunque 
la  religione  si  prende  in  un  senso  più  ristretto  e  ri* 
goroso,  in  quanto  rappresenta  un  sistema  particolare 
di  dogmi  e  di  precetti,  che  prescrivono  all'uomo 
che  cosa  debba  credere  intorno  a  Dio,  e  con  quale 
culto  onorarlo.  Così  alla  morale  resta  libero  il  campo 
dei  doveri  e  dei  diritti  naturali;  essa  è  per  sé  ben 
distinta  dalla  religione;  e  quindi  si  può  ragione- 
volmente esaminare,  se  possa  quella  stare  senza  di 
questa. 

Per  risolvere  la  questione  non  fa  mestieri  di  lun- 
ghi e  sottili  ragionamenti;  bastano  i  fatti.  A  non  an- 
dar troppo  per  le  lunghe,  restringiamo  il  discorso  al- 
l'Europa.  Sono  quattro  le  religioni,  che  vi  hanno 
esercizio  legale:  la  catolica,  la  protestante,  la  mao- 
mettana, e  l'ebrea  (tacio  della  greca,  che  può  riguar- 
darsi, parte  come  catolica,  e  parte  come  protestante). 
Pertanto  la  sentenza,  che  fa  dipendere  la  moralità 
dalla  religione,  non  ha  mica  un  senso  rigoroso  ed 
uniforme  in  tutte  le  lingue  e  le  sètte;  ma  ne  ha 
quattro  per  lo  meno,  nella  sola  Europa,  diversi  e 
contrari .  Per  un  catolico  vuol  dire  così:  non  può 
essere  onesto  chi  non  professa  le  dottrine  della  chiesa 
romana.  Per  un  protestante  invece  suona  così:  non 
può  Msert  onesto  chi  non  s'attiene  alla  parola  della 


lifobia.  Secondo  un  maomettano  ^gniilca:  non  può 
esfiere  onesto  chi  non  seguita  il  Corano.  E  nel  lin- 
guaggio di  un  israelita  viene  a  dire:  non  può  essere 
onesto  chi  non  osserva  la  legge  mosaìca. 

Posto  adunque  che  religioso  ed  onesto  fosse  una 
cosa  sola,  ne  seguirebbe  questo  portento  di  assur- 
dità, ohe  cioè  lo  stesso  indivìduo  sarebbe  onesto,  e 
non  lo  sarebbe,  nello  stesso  tempo.  Supponete  che 
egli  sìa  un  buon  suddito  del  papa:  onesto  lo  gri- 
deranno i  catolici;  ma  protestanti,  maomettani,  ed 
ebrei  diranno  di  no.  Imaginate  ora  ch'egli  sia  un  se- 
guace del  puro  Evangelio:  onesto  lo  acclameranno 
i  protestanti;  ma  catolici,  ebrei,  e  maomettani  so- 
sterranno che  no.  Fingete  un  zelante  settario  del 
Corano:  per  i  maomettani,  onesto;  ma  per  ebrei,  pro- 
testanti, e  catolici,  no.  Ponete  un  fedele  Israelita: 
secondo  li  ebrei,  onesto;  ma  secondo  maomettani, 
catolici,  e  protestanti,  no.  Curioso  spettacolo,  in  ve- 
rità, che  rinover^l)e  quello  della  torre  di  Babele  I 
Perciocdiè,  ammesso  il  principio  dei  preti,  la  società 
verrebbe  disciolta,  e  TUmanità  divisa  in  tante  spe- 
cie nemiche  ed  inconciliabili.  Come  sono  diversi  e 
contradittorj  ì  simboli  delle  religioni,  così  bisogne- 
rebbe stabilire  varj  ed  opposti  principi  di  morale. 
Ogni  culto  avrebbe  la  sua  giustizia,  la  sua  probità, 
la  sya  onoratezza,  la  sua  virtù  particolare;  ed  un 
medesimo  atto  morale  (dico  morale,  per  escludere 
le  condizioni  civili  e  politiche,  di  cui  non  occorre 
adesso  ragionare)  sarebbe  meritorio  a  Roma  e  colpe- 
vole a  Londra,  virtù  a  Costantinopoli  e  delitto  a  Pa- 
rigi. Ma  allora,  come  sarebbe  più  possibile  una  re- 
lazione qualunque  fra  uomini  di  cultc^diverso?  Come 
potrebbe  esistere  un  commercio  fra  i  varj  popoli? 
Come  stringersi  un'  alleanza  fra  le  nazioni?  Come 
sperarsi  l'unione  fraterna  di  tutti  i  membri  deirU- 

IDiQità? 


m 

Nei  tiQtvito  vedianM^I,  ck/e  'm-  ogni  (Mi^sf^:  ci  bopo 
biotti  e  i  malvagi;  e  oesa«n»  9etta  ha  il  privìl^io 
.e96liisiyo  della  virtù  o  del  vizio.  Fra  i  catolici  tro- 
viamo il  gala&tttoino,  come  lo  troviamo  egualmeAte 
fra  i  protestanti,  i  maomettani,, e  li  ebrei;  ed  in  que- 
sti, ^ceonyd  in  quelli,  troviamo  il  ladro,  l'impudico, 
lo  spergiuro,  l'assassino.  Il  qual  fatto  che  cosa  prova? 
prova  manifestamente,  che  le  credenze  e  le  cerimonie 
religiose  iaffluiscooo  pkmm>  q  niente  su  la  pratica  della 
vita  umana;  che  Ja  leggi  della  morale  nascono  dai 
seetimAUto  naturale  della  coscienza;  che  la  coscienza, 
quanto  a'  suoi  principi  e  dettami  fondamentali,  salvo 
il.  gradfO  div<ecso  di  civiltà  e  di  cultura,  è  una  ed 
ìdentiea  i|i  tutti;  e  che  1  simboli  religiosi  dal  senso 
con^muae  degU  uomini  vengono  tenuti  in  conto  di 
opiotonl  private,  cui  ciascuno  dee  rispettare  nc^li 
aMrì,  ma  nessuno  ha  diritto  d' imporci;  opinioni,  che 
variano  secondo  il  paese  dove  si  nasce,  ll'educazione 
^  H  rioeve,  li  studj  che  si  fanno,  la  professione 
ck»  sì  ^bbva^ia;  opinioni,  professate  con  barbara 
entusiasmo  dai  popoli  i^^rantl  e  superstiziosi,  ma 
sil^odate  oan  tranquilla  mdifTerenza  dagli  uomini 
vktMfksi  e<e»itii  Poova  inoltre,  che  i  doveri  prescritti 
4aUa>  mojale  soiko  as^luti,  obligano  tutti,  in  tutti 
i  Uvaapi,  «  in  tutti  i  luo^i;  laddove  li  officj  co- 
mandai éalla  religione  son  relativi,  e  non  obli- 
gaao  che  certuni,  in  certi  luoghi  e  tempi  deter- 
minati: i  primi  sono,  ammessi  e  riconosciuti  per 
veri  dalia  coseiemsa  universale,  e  i  secondi  non  hanno 
vigoare  che  nella  setta  rispettiva;  li  uni  sono  det- 
tami della  ragione,  e  li  altri  sono  decreti  dell'au- 
torità; quelli  costituiscono  l'Umanità,  e  questi  le 
chiese. 

Ora  l'uomo  onesto  chi  è?  È  colui  che  adempie  i 
Sii0i  doveori.  d'uomo  e  di  cittadino,  cioè  i  doveri  as- 
silliti,. iiai^«nali.d$dla  coscienn,  i  dittami  della  ra- 


1K84 

gione,  le  leggi  morali'  dellTmanità,  e  le  civili  del 
suo  paese.  Tutto  il  resto,  credenze  e  pratiche  re- 
ligiose, sono  un  di  più,  che  gli  verrà  imputato  a 
merito  dai  preti  di  una  chiesa,  ed  a  colpa  dai  preti 
delle  altre  sètte;  ma  che,  su  le  bilancio  della  mo- 
rale, non  aggiunge  e  non  toglie  nulla  al  valore  della 
sua  vita. 

—  Ohi  qui  sta  il  punto,  ripigliano  i  difensori  del 
simbolo  e  del  rituale.  Non  può  praticarsi  la  morale 
senza  religione  ;  perchè  il  dovere  senza  un  comando 
del  legislatore  vai  nulla;  e  la  legge  senza  una  san- 
zione penale  è  cosa  vana.  Ora  chi  può  mai  rive- 
larci la  volontà  di  Dio,  cioè  la  legge  ch'egli  ha  de- 
cretata, e  la  sanzione  onde  volle  confermarla,  se 
non  la  iveligione?  Dunque  senza  religione  la  morale 
è  impossibile.— E  con  questa  razza  d'argumenti  cre- 
dono essi  di  trionfare?  E  non  s'avveggono,  T incauti! 
che  lungi  dal  dimostrare  la  necessità  di  una  fede  so- 
vranaturale,  condannano  essi  stessi  e  rovinano  senza 
rimedio  ogni  religione  positiva?  In  fatti: 

1.^  Se  si  considera  il  dovere,  non  come  una  legge 
naturale  dell'Umanità,  ma  come  un  libero  comando 
di  Dio,  la  morale  è  schiantata  dalle  radici.  Perocché 
la  differenza  essenziale  fra  il  bene  ed  il  male  spari- 
sce; la  virtù  non  è  obligatoria  di  sua  natura,  né  il 
vizio  di  sua  natura  detestabile;  ma  l'una  è  un  bene, 
solo  perchè  Dio  la  comanda;  e  l'altro  un  male,  sol 
perchè  Dio  lo  proibisce.  Iddio  allora  diventa  un  de- 
spota, un  tiranno,  che  converte  in  legge  il  suo  ca- 
priccio; e  il  genere  umano  uno  schiavo,  che  dee  pie- 
gar il  collo  a  quel  giogo  arbitrario,  sotto  pena  di 
eterna  dannazione.  Ma  non  è  questo  un  oltraggio  a 
Dio  medesimo,  e  un  insulto  all'Umanità? 

2.°  Se  il  dovere  è  un  comando  di  Dio,  bisogna 
dunque  sapere  ciò  che  Dio  vuole,  per  conoscere  quel 


che  dobbiamo  fare:  ed  ecco  distrutta  la  morale  per 
un  altro  verso.  Perocché  questo  volere  di  Dio  chi  ce 
lo  manifesta?  Una  rivelazione  sopranaturale,  regi- 
strata ne' libri  sacri.  Ma  siffatte  rivelazioni  sono  tante, 
quante  sono  le  religioni  positive;  ogni  setta  ne  conta 
una  sua  propria,  e  ciascuna  fa  parlare  Dìo  a  modo 
suo.  Il  Dio  de'catolici  ordina  una  cosa,  e  il  Dio  de' 
protestanti  la  vieta;  ciò  che  è  bene  secondo  il  Dio 
d'Israele,  è  delitto  secondo  il  Dio  di  Maometto.  E  v'ha 
di  peggio.  Il  Dio  degli  uni  combatte  a  morte  il  Dio 
degli  altri;  ì  catolici,  in  nome  del  loro  Dio,  bru- 
ciano vivi  i  protestanti;  i  maomettani,  anch'essi  in 
nome  di  Dio,  trucidano  i  cristiani;  catolici,  prote- 
stanti, e  maomettani,  sempre  in  nome  di  Dio,  danno 
addosso  agli  ebrei.  Eppure  protestanti  e  catolici, 
ebrei  e  maomettani  proclamano  tutti  il  volere  di 
Diol  E  dopo  secoli  di  dispute,  di  guerre,  di  stragi, 
non  han  potuto  ancora  né  convincersi  l'un  l'altro, 
né  accordarsi.  Dunque  o  i  principi  della  morale  sono 
incerti  e  contrastabili,  come  i  dogmi  della  religione; 
o  il  dubio  serve  di  fondamento  al  certo,  l'oscuro 
all'evidente,  l'ipotesi  all'assoluto.  Nel  primo  caso  sa- 
rebbe rovinata  la  morale;  pel  secondo  poi  sarebbe 
spenta  fin  la  ragione. 

B.^  Se  i  dettami  della  coscienza  abbisognano  di 
una  sanzione  penale  per  avere  forza  di  leggi,  che  di- 
vien  mai  l'idea  stessa  della  virtù  e  del  dovere?  Una 
chimera  0  un'ironia!  Un  atto  consigliato  dalla  paura 
del  demonio  e  dell'inferno  non  merita  il  nome  di 
buono  ed  onesto,  perché  non  procede  dall' amore  del 
bene,  ma  solo  da  un  calculo  di  personale  interesse. 
Quando  altri  ha  detto  nel  suo  cuore:  io  sarei  pronto 
a  mentire,  a  rubare,  a  tradire,  se  non  mi  spaven- 
tasse il  fuoco  sempiterno,  che  mi  é  minacciato;  già 
costui,  nel  tribunale  della  coscienza  umana,  é  bu- 
giardo, ladro,  traditore.  La  moralità  dèlie  azioni  con- 


2M' 

siste,  non  mica  neirefl^t^  esteriore,  ma  beiiM  tieiihi 
dlsposi^iìe  dell'animo; e  F animo  è  reo, appena  «che 
ha  deliberato  di  oommettefe  il  dritto.  Chi  dif^bliè 
innocente  on  masnadrefo,  il  quale  lascia  passar  in^ 
colume  un  viaggiatore,  qatmàb  teme  ch'ei  j[M  po^ttii 
ht  pagare  il  fio  del  stto  «ttetitato?  Ot  bene,  tò  pe^u 
sone  cosi  detl»  religiose,  cbe  non  Mno  il  m»)6 
per  tèma  del  diavolo  e  ^eirinferno,  rasàinfigitano 
a  quel  masnadiero  òhe  sta  cheto,  non  già  pMf  sen- 
timento di  dovere,  ma  per  paura  delldl  spada  6  della! 
forca.  E  questa,  no,  non  è  virtù:  è  un  misto  scfhi*' 
fbso,  abòmitìevole,  di  vfltà,  d'ipocrisìa,  e  di  cort^ 
2tdnè. 

i.''  E  Hi  srtéé^e  cott^egucfAiiè  imMM^li  ^Nittfvafio  dalfcy 
8tabilitie,  óome  safi^toue  dèft  dovere,  la  t^romesMt  df 
un  premio.  Allora  là  tlttù  si  trasforma  in  egoisttK)^, 
e  Tuomo  retìgioso  In  usuf^j^.  Tutti  chiamano  Ui^ 
fame  il  tmfico  delto  cose  sacre;  ed'  hanno  ragione. 
Ma  qua!  cosa  V'ha  dì  pìh  sacro  che  la  virtft?  F  il 
praticare  la  virtù,  noù  per  debito  d!  coscienza,  ma 
per  ìntertì^se  di  urna  mercede,  non  è  egli  t!m  trafi- 
caria?  Che  il  preizo  poi  siéno  denart,  onori,  o  pia^ 
ceri;  e  che  i  piaceri  sieno  temporanei  o  eterni,  fi^ 
sic!  0  spirituali,  poco  importa:  la  natura  dell'atto  è 
sempre  la  stessa;  è  sempre  tm  caicnlo,  un  cotn- 
mérclo,  un'usura;  si  fa  quel  bène,  perchè  retìde  tanto: 
Dunque  tolta  la  rendita,  non  si  farebbe;  dunque  far 
virtù  è  trafìcatà,  e  la  morale  distrutta. 

Del  resto,  meglio  di  qualunque  ragionamento,  l' e-^ 
sperienza  quotidiana  e  generale  dimostra  la  pervier- 
sita  di  quella  massima,  che  subordttìa  la  morale  ai 
dogmi  religiosi.  Ohi  nott:  sd  che,  generalmente  par^ 
landò,  la  classe  di  gente  codi  detta  pia  e  devota  è  la 
meno  virtuosa  di  tutte?  Fatto  (^  notorio  &  st&ti*^ 
dàiòso,  che  è  oramai  passato  in  protnérbiO:  santi  in 
chiééa,  dmott  in  eum,  QueM  gente  Aa  dèttipi^Bto 


28*7 
stt  le  labra^  recita  il  credo,  fìrequenU  i  sacratteoti, 
legge  la  Bibbia^  payenta  TinferAo,  sospira  il  para^Uso, 
baoia  la  mano  al  carato;  ma  pei  non  ha  cuoiti  pe  1 
prosaiHìo,  fiOB  ba  viscere  pe  '1  peven»,  non  ha  sen- 
timentiD  di  giustizia,  di  gènerosilÀ^  di  amore,  di  sa- 
crifìcio. Dttnqisd  la  itellgione  pàò  bene  scompagiiarsi 
dalla  «orale.  Che  più?  Lej^gasi  l'Evangelio:  qual  è 
il  tà^  delFiiomo  iféHgiosO  fra  li  ebrei?  Il  hdseo. 
E  quei  è,  per  seoteilaa  di  Cristo,  il  tipo  dell' no^ 
mo  iffiffiorale?  Il  fari^ed.  E  i  ptei%  che  si  sj^cmano 
banditori  dell'Ev^geliò  e  discepoli  di  Cristo,  osane 
dessi  tNredlclure,  ette  teligioso  ed  <NM»tò  è  la  stessa^ossl? 

--'Ma sta  par  sempre  tero^che  l'aonO  seiBai  rMi^^ 
gìone  ò  MI  empio;  e  remffcìe  noa  pòt¥à  niai  appel^ 
lafs*  virtuoso.  ^  È  questo  rargvmento  prediletto 
di  eerti  scrittori  caCoiicì,  i  quali  si  kskigaiioéiaw 
trionfato  d'un  awetsatio  gettandogli  in  faccia  ed 
o£^i  ffioteento  il  titolo  d'empiói  Ma  se  ooéeftti  ebeiv- 
gumenì  in  luogo  d'iiiglullare  radunassero,  sentii 
rebbero  fadlmente  quanto  sta  ridicola  ed  asBUfdn  la 
loro  objetoioBe.  Fercioeehè  in  d«e  modi  un  uomo 
puè  inoeh<ère  bella  taccia  di  empio:  1.^  quandi  «anca 
della  pietà  dovtrta  a  persone»  che  gli  sono  portico^ 
lamento  congiunte:  così  dicesi  empio  ohi  disonora  i 
parenti ,  e  chi  combatte  la  patria.  Non  è  qoeslo  il 
senso  che  fa  ài  nostro  propesito.S.^  Quando  manea  di 
pietà  verso  Dio  e  di  riverenxa  alle  cose  salerei;  e  questo 
è  il  nostro  easo.  Bisogna  pertanto  deddere  dì  quale  Dio 
e  divinale  ettito  si  tratta  ;  pbi<ihè  ogni  religien<9  htn  il  suo 
culto  iMroprio  e  il  suo  I>io  spetsiale.  Ed  eccoci  da  capÉ 
in  mezzo  alle  contradizioni.  Uno  stesso  uòmo  sarà 
empk)  per  li  uni,  e  piissimo  per  li  alt#i.  I  catolici 
diranno  emj^o  chi  adora  il  Dio  di  Maometto;  ma  i 
maomettafii  lo  stimeranno  un  snnfo.  Ài  protestanti 
parrà  iln  santo  cM  venera  il  Dio  d^'  Evangelio;  ma 


li  ebrei  lo  ckiameranno  an  empio.  Chi  dunque  ha 
ragione,  chi  torto?  Tutti  torto,  e  tutti  ragione  ad 
un  modo;  perchè  la  qualificazione  di  empio  èaffiHitto 
relativa  alla  fede  religiosa,  che  ognuno  professa;  è 
una  voce,  che  ha  tanti  significati  diversi,  quanti  sono 
!  sistemi  di  teologia;  è  un  termine,  di  cui  può  va- 
lersi una  setta  di  fanatici,  non  mai  una  società  di 
popoli  civili.  In  somma,  prima  d' incolpare  un  uomo 
di  empietà,  bisogna  sapere  positivamente  quale  sia 
il  suo  IHo,  quale  culto  gli  debba,  e  se  véramente 
glielo  presti  o  no.  Dunque  i  catolici  non  possono 
chiamar  empio  chi  non  crede  al  simbolo  della  chiesa 
romana;  i  protestanti  non  possono  dir  empio  chi  non 
crede  alla  Bibbia;  i  maomettani  non  possono  tac- 
ciar d'empio  chi  non  crede  al  Corano;  li  ^rei  non 
possono  appellar  empio  chi  non  crede  al  Dio  d' Israele 
Dunque  chi  non  professa  veruna  religion  positiva,  non 
può  venir  accusato  d' empietà  da  nessun  prete  dtel 
mondo.  Tal  è  la  condizione  di  colui,  al  quale  si  ri- 
ferisce il  nostro  discorso.  II  Dio  del  galantuomo  è  il 
proprio  dovere;  e  F unico  culto  accettevole  e  grato 
a  questo  Dio  è  la  pratica  della  virtù.  Laonde,  finché 
egli  rimane  fedele  al  suo  Dio,  con  quale  diritto  po- 
trebbero i  preti  denunciarlo  per  empio? 

Ehi  signori,  non  ingeritevi  ne' fotti  altrui,  e  ba- 
date ai  vostri;  sarà  meglio  per  tutti.  Meglio  per  voi, 
che  cesserete  una  volta  dall' infame  mestiere  di  scru- 
tar le  coscienze,  e  di  tribolare,  sconvolgere,  e  ma- 
nomettere la  società,  sotto  pretesto  di  zelo  per  la 
gloria  di  Dio  e  la  salute  delle  anime.  Meglio  per  noi, 
che  cominceremo  a  poter  gustare  le  gioje  d^la  fa- 
miglia e  della  patria,  senza  che  fra  il  nostro  cuore 
e  il  cuore  dei  figli,  delle  sorelle,  delle  spose,  delle 
madri  s'attraversi  più  l'osceno  spauracchio  del  prete, 
che  avvelena  ogni  affetto,  corrompe  ogni  virtù,  pro- 
stituisce ogni  sentimento.  Sì,  meglio  per  tutti.  Voi 


289 

in  casa  o  in  chiesa  adorerete  liberamente  qual  Dio 
vi  piacerà;  ne  adorerete  uno,  tre,  o  cento,  di  sas- 
so, di  legno,  di  tela,  di  carne,  o  di  spirito,  come 
v'aggrada;  e  nessuno  di  noi,  state  certi,  verrà  a 
disturbarvi.  Ma  lasciate,  che  noi  pure  alla  nostra 
volta  adoriamo  quel  Dio,  in  cui  solo  abbiam  fede; 
e  gli  rendiamo  quel  culto,  che  la  nostra  coscienza 
c'impone.  La  coscienza,  intendete?  perchè  è  dessa 
l'unico  giudice,  a  cui  dobbiamo  render  conto  delle 
nostre  opinioni  religiose.  Quando  noi  abbiamo  adem- 
pito a' nostri  doveri  morali  e  civili,  non  dobbiamo 
più  nulla  a  nessuno;  siamo  liberi  ed  arbitri  di  noi 
stessi;  e  combatteremo  come  nemica  ed  oppressiva 
ogni  autorità,  che  in  nome  di  un  Dio  o  di  un  governo 
volesse  fare  violenza  alla  libertà  inalienabile  dell'anima 
nostra. 

A  conferma  di  queste  verità  piacemi  invocare  la 
gravissima  testimonianza  di  Lamennais,  il  quale  con 
uno  splendore  impareggiabile  di  stile  così  le  espone- 
va: «  Non  v'è  parola,  che  i  nemici  della  civiltà  mo- 
»  derna,  e  dei  principi  su  cui  riposa,  abbiano  più 
2>  sovente  su'l  labro  clie  la  parola  di  religione.  La 
»  ripetono  incessantemente,  e  incessantemente  i'op- 
»  pongono  come  accusa  e  come  sfida  ai  loro  avver- 
»  sarj.  Sentendo  vagamente,  com'essa  risponda  ad 
)»  alcun  che  d'immortale  nell'uomo,  ad  una  necessità 
»  sociale  assoluta,  vi  cercano  la  forza  che  loro  man- 

>  ca,  si  fan  della  religione  una  specie  di  proprietà 
)  esclusiva,  e  di  carattere  che  li  distingua.  Ma  che 
)  cos'è  mai  la  religione  per  loro?  Un  ammasso  di 

>  cose  radicalmente  diverse,  le  quali  si  escludono, 

>  si  respingono  reciprocamente.  In  Ispagna  ed  in  Ita- 
)  Ila  il  puro  catolicismo  ;  in  Francia,  compresavi  l'Al- 

>  gerla,  terra  presentemente  francese,  oltre  il  cato- 
»  ìicismo,  certo  communioni  protestanti  divise  fra 

L  l^ 


S§0 

»  loro,  il  giudaismo  e  il  maomettanlsmo  egualmenU 
»  riconosciuti  e -protetti  dalla  legge.  Eguale  varietà 
»  nel  rimanente  d'Europa,  dove  formicolano  le  sètte 
»  è  le  religioni  più  disparate.  Ora,  di  queste  reli- 
»  gioni  runa  non  potrebb' essere  vera,  senza  che  le 
»  altre  sieno  false;  perchè  la  verità  è  una.  Sotto  il 
»  nome  medesimo  di  religione  si  prendono  indiffe- 
»  rentemente  le  credenze  più  opposte,  i  culti  più  con- 
»  trarj,  armati  degli  stessi  diritti,  dichiarati  degni 
»  dello  stesso  rispetto.  Adorare  il  Cristo,  religione; 
»  bestemiare  il  Cristo,  religione.  Come  concepire  con- 
»  tradizione  più  empia,  irrisione  più  sacrilega?  E  la 
»  religione  di  tal  genere  che  altro  è  se  non  un'in- 
»  stituzione  politica,  strumento  di  regno,  mediante 
»  il  quale  i  poteri  politici  tengono  i  popoli  suggetti, 
»  sostenendo  il  prete  che  li  sostiene,  dividendo  con 
»  lui  il  potere,  ìe  ricchezze,  e  fondando  la  commune 
A  potenza  su  Fabbrutimento  e  su  la  depressione  degli 
»  animi? 

»  Non  basta.  Le  loro  religioni,  proscrivendosi  Tnna 
»  con  Taltra,  cagionarono,  per  li  odj  che  han  parto- 
»  rito,  orrendi  mali  all'Umanità.  Armando  a  nome. di 
»  Dio  fratelli  contro  fratelli,  quante  lutte  atroci, 
»  quante  guerre  funeste  non  suscitarono,  erigendo 
»  l'omicidio,  le  stragi,  lo  sterminio,  confessato  come 
»  line,  in  un  principio  santo  di  diritto  e  d'azione? 
»  E  quando  la  lutta  cessava  per  l'ineguaglianza  delle 
»  forze  ^  l'intoleranza  generava  persecuzioni  spaven- 
»  tose,  che  oggi  ancora  alcuni  fanatici  osano  rim- 
»  piangere,  le  carceri,  i  cavalietti,  le  ruote,  le  tor- 
»  ture  d'ogni  specie,  la  forca,  la  scure,  il  sole  ve- 
j>  lato  dalle  ceneri  de' roghi  sparse  al  vento.  Ed  in 
»  un  con  questi  orrori,  la  paura  della  scienza,  l'i- 
»  gnoranza  sistematicamente  mantenuta  per  ottenere 
»  la  sottomissione,  ridicole  pratiche,  superstizioni  as- 
»  surde,  sostituite  ai  doveri  reali:  ondQ  T indebolì- 


891 
»  mento  della  coscienza,  la  correzione  della  morale 
»  subordinata  alla  fede  cieca  in  dogmi  non  compre- 
»  sì,  spesso  incomprensibili.  Ecco  quello,  che  i  dìfen- 
»  sorì  del  passato  chiamano  religione.  E  certo  non 
»  è  la  nostra,  non  è  quella  che  deve  guidare  rUma-^ 
»  nità  verso  T avvenire!  Religione  per  noi  è  il  le- 
»  game  degli  uomini  con  Dio,  e  degli  uomini  fra  lo- 
»  ro;  è  il  complesso  delle  leggi  dell'intelligenza  e 
»  dell'amore;  è  il  progresso  non  interrotto  nella  scien- 
»  za,  nel  diritto,  e  nel  dovere,  mediante  lo  svolgi- 
»  mento  naturale  del  pensiero  libero  e  della  libera 
»  coscienza  ;  è  Tapplicazione  sempre  più  perfetta  alla 
ì>  società,  come  agl'individui,  delle  sante  massime 
»  vivificatrici  della  morale  universale;  è  un'eterna 
»  crescenza  nel  vero  e  nel  bene  in  grembo  della 
»  pace. 

»  Fra  le  vostre  religioni,  e  la  nostra  religione,  sen- 
»  tenzino  ì  popoli  (l).  » 

Farmi  chiarito  il  senso,  in  cui  la  democrazia  vuole 
e  propugna  la  libertà  religiosa.  In  primo  luogo,  li- 
bertà di  ricercare  il  vero  co '1  criterio  della  ragione; 
in  secondo  luogo,  libertà  di  professare  le  credenze, 
cjie  si  riconoscono  vere;  e  da  ultimo,  libertà  di  ope- 
rare conforme  alle  credenze  che  si  professano.  Ora 
il  catolicismo  può  egli  ammettere  questa  libertà  re- 
ligiosa? 

Il  conte  di  Montalerabert  e  il  vescovo  Rendu  non 
dubitano  di  rispondere  affermativamente;  il  che  pro- 
va, come  quei  due  campioni  del  partito  catolico  o 
non  sono  più  catolici,  o  fingono  d'ignorare  i  primi 
elementi  della  catolica  dottrina,  o  mentono  alla  pro- 
pria coscienza  per  ingannare  il  catolico  vulgo  deloro 

(l)  Manifesto  del  Comitato  democratico  frincese-spagnuQ^ 
Id-italiano  (il  Prpgr*3S0.  Ad.  U,  n.«  i97j. 


292 

devoti.  Perciocché,  come  può  mal  un  catolico  rico- 
noscere qual  diritto  reale  la  libertà  d'esame?  La  sua 
ragione  non  ha  più  altro  officio  che  quello  dopo  la 
fede,  cioè  la  facultà  dì  studiare  la  teologia  della  chie- 
sa. Ma  la  sola  deliberazione  di  sottoporre  ad  esame 
i  suoi  dogmi  importando  il  dubio,  e  il  dubio  essendo 
la  negazione  della  fede,  lo  farebbe  reo  d'apostasia. 
Dtibins  in  fide,  infidelis  est.  Questo  dubio,  nel  lin- 
guaggio della  morale  catolica,  si  chiama  tentazione 
contro  la  fede;  e  per  liberarsene,  la  chiesa  coman- 
'da. che?  l'esame?  no;  Vatto  di  fede.  Ed  il  conci- 
lio di  Trento  ha  espressamente  definito,  che  non  è 
lecito  interrogare  i  battezzati,  fatti  adulti,  se  vogliano 
perseverare  nella  professione  di  fede,  a  cui  vennero 
iniziati  da  bambini;  e  che  molto  meno  è  loro  per- 
messo di  abjurarla  (l). 

Ma  senza  ricorrere  ad  altre  definizioni  e  documen- 
ti, v'ha  un  fatto  generale,  che  già  da  tre  secoli  du- 
ra, come  una  protesta  vivente  e  perpetua  del  cato- 
licismo contro  la  libertà  d'esame.  Parlo  della  guerra 
implacabile,  ond'egli  seguita  a  combattere  il  prote- 
stantesimo, il  quale,  secondo  che  è  noto,  riposa  infine 
su  questa  libertà,  come  sopra  la  sua  base  fondamen- 
tale. Ora  la  chiesa  sotto  il  nome  di  spirito  privato  ha 
sempre  anatematizzato  quella  libertà,  che  ì  riforma- 
tori {avevano  applicata  all'interpretazione  della  Bib- 
bia, e  che  bentosto  i  filosofi  estesero  a  tutto  il  si- 
stema sovranaturale  della  religione.  Come  osano  dun- 
que parlare  di  libertà  religiosa  il  conte  di  Montalem- 
berl  e  il  vescovo  Rendu?  Se  ammettono  la  libertà 
d'esame,  non  sono  più  catolici,  ma  protestanti  ed  apo- 
stati; se  la  rifiutano,  non  sono  più  apostoli  della  li- 
bertà religiosa,  ma  satelliti  dell'autorità  e  della  ti- 
rannide papale.  Dunque  o  il  primo  articolo  del  loro 

(I)  ConcU.  Trid.,  »ess.  VI!,  De  baptismOt  can.  <4. 


299 

programma  è  una  meojcogoa,  o  la'  loro  professione 
di  catolicismo  un'ipocrisia.  Come  possono  salvarsi  da 
quest'alternativa? 

Oh)  che?  se  la  cavano  asssìi  facilmente  all'uso  dei 
teologi,  con  una  distinzione.  Mediante  le  sue  distin- 
zioni, la  teologia  non  ha  paura  di  nulla;  nega  ogni 
verità,  abbatte  ogni  principio,  deride  ogni  evidenza, 
giustifica  ogni  errore,  divinizza  ogni  assurdo;  e  tira 
innanzi  gloriosa  e  trionfante!  Così,  nel  caso  nostro, 
chiedete  un  po' ai  teologi  se  ammettono,  o  se  rifiu- 
tano la  libertà  d'esame? — L'ammettiamo,  e  non  l'am- 
mettiamo, vi  rispondono  gravemente;, la  rifiutiamo 

sì,  e  no cioè,  bisogna  distinguere.  È  lecita,  anzi 

oblìgatoria- a  tutti  li  eretici  ed  infedeli;  ma  ai  ca- 
tolici  è  disdetta  e  vietata  severamente.  —  Pare  incrc" 
dibile,  che  uomini  di  senno  mettano  in  campo  sì  pue-' 
rili  sofismi,  quasi  fossero  dimostrazioni  inconcusse; 
e  non  s'accorgano  mai,  che  la  loro  teologia  a  forza 
di  distinzioni  ha  fatto  loro  smarrire  il  senso  commu- 
ne.  Citiamone  un  solo  che  valga  per  tutti. 

11  P.  Perrone,  nel  suo  trattato  De  vera  religione, 
riferisce  a  modo  di  obiezione  una  delle  prove,  che 
noi  altresì  abbiamo  recato;  e  fa  discorrere  il  suo  av- 
versario così:  tf  Le  cose  che  spettano  alla  salute, 
vanno  ponderate  da  ognuno  e  discusse  con  dilìgen- 
tissimo  esame,  se  non  vogliasi  violare  lo  stesso  di- 
ritto di  natura;  ognuno  adunque  dev'essere  libero  di 
acconsentire  odi  rinunciare  al  giudizio  della  chiesa, 
secondo  la  persuasione  della  prq)ria  coscienza  (1).  if^ 

L'argumento  è  in  buona  forma;  sentite  ora  la  ri- 
sposta: «  Distinguo:  prima  di  abbracciare  la  fede  cri- 
stiana ognuno  ha  il  diritto  di  esaminare  i  motivi  di 
credibilità,  passi  pure  ;  ma  dopo  che  s'abbia  ricevuto 

(1)  Pari.  II,  prop.  VI,  n.«  i66. 


tu 

la  fede,  si  nega.  Perciocché  ai  fedele  non  è  permesso 
alcun  esame  dubitativo,  il  quale  non  può  stare  con 
la  vera  fede.  Solamente  a  coloro,  che  ne  son  capaci, 
si  permette  un  esame  di  discrezione,  per  confermarsi 
vie  meglio  nella  loro  fede  (1).  »  Avete  capito?  Yuol 
dire  quel  dabbeo  uomo  di  teologo,  che  i  cristiani, 
grazie  alla  loro  fede,  han  perduto  un  diritto  di  na- 
turai Che  di  un  diritto  di  natura  parlava  espressa- 
mente l'objezione;  ed  è  questo  diritto  medesimo,  chV 
gli  disdice  ai  cristiani.  Dunque  i  cristiani  non  hanno 
più  il  diritto  di  essere  uomini  1  Affò,  che  il  giorno 
del  battesimo  fu  per  essi  una  bella  ventura  !!.< 


>(«^..é 


Ma  ora  viene  il  buono.  Fin  qui  si  tratta  dei  cri- 
stiani in  generale;  ed  i  catolici  meritano  bene  qual- 
che privilegio  in  quest'opera  del  disumanarsi  per 
imbestialire.  Il  P.  Perrone  fa  dunque  ripigliare  al- 
l'avversario Targumento  in  questi  termini:  «  Almeno 
però  sarà  lecito  a  chi  che  sia  d'instituire  Tesame  du- 
bitativo circa  la  vera  chiesa;  altrimenti  ne  segui- 
rebbe, che  ognuno  possa,  anzi  debba  aderire  a  qua- 
lunque setta  cristiana,  in  cui  sìa  nato:  il  che  è  as- 
surdo. Che  se  poi  Tesame  dubitativo  è  necessario  pcf 
conoscere  la  vera  chiesa  di  Cristo,  come  no'l  sarà 
eziandio  p^?  discutere  i  dogmi  di  fede  (2)  ?  i>  Qui, 
ognun  lo  vede,  è  la  ragione  che  parla  per  bocca  del 
P.  Perrone;  talché,  suo  malgrado,  egli  discorre  per 
bene. 

Eccovi  ora  la  risposta,  in  cui  favella  da  teologo  e 
da  gesuita:  «  Distinguo.  È  lecito,  anzi  necessario  co- 
desto esame  a  tutti  quanti  son  fuori  della  chiesa  ca- 
tolica,  concedo:  ma,  ai  catolici,  nego.  E  la  ragione 
della  somma  disparità  fra  li  uni  e  li  altri  apparisce 

(4)  Part.  II,  prop.  VI,  n.»  167. 
(2)  /Wd. ,  n.o  168. 


29Si 
da  ciò,  che  ì  catoUci  per  l'esame  di  dUcrezione  han 
fai  certezza  e  l'evidenza  morale  della  per{)etua  e  nou 
mai  interrotta  successione  dei  vescovi,  dagli  apostoli 
sino  a  noi,  come  attestano  tutti  i  public!  monumen- 
ti. All'opposto,  tutti  i  settarj  hanno  la  medesima  cer- 
tezza ed  evidenza  morale  dell'epoca,  in  cui  i  loro 
maggiori  si  separarono  dalla  stessa  chiesa,  per  fon- 
dare una  nuova  società,  la  quale  si  opponesse  e  al- 
l'autorità e  alla  fede,  che  aveano  abbandonato,  o  da 
cui  per  la  loro  pervicacia  erano  stati  espulsi.  Per- 
tanto i  primi  sono  certi,  e  per  certezza  dì  fede,  del- 
l'infallibilità della  propria  chiesa,  a  cui  Cristo  pro- 
mise di  assistere  fino  alla  consumazione  dei  secoli; 
i  settarj  invece  non  possono  mai  attribuirsi  questa 
infallibilità,  se.  non  vogliano  arrogarsi  ciò,  che  ricu- 
sano a  tutta  la  chiesa  da  lora  abbandonata.  Quindi 
i  catolici,  in'  virtù  dei  loro  principj,  non  possono  du- 
bitare; invece  i  settarj,  in  forza  dei  loro  principj,  de- 
vono dubitare  (1).  »  E  così  ragiona  la  teologia  1  La 
chiesa  decide,  che  il  catoltco  non  può  dubitare  di  lei; 
e  la  chiesa  stessa  decidue,  che  tutti  li  altr  devono  du- 
bitare della  loro  religione. 

Stupenda  procedura!* Ai  catolici,  che  a  milliaja  ed 
a  millionl  dubitano  di  qualche  articolo  delia  loro  fede, 
la  chiesa  risponde:  Voi  non  potete  dubitare.  ~  Ma 
se  in  realtà  dubitiamo.  —  Mo,  signori,  il  dubio  non 
è  possibile. 

Ed  agli  eterodossi,  che  non  dubitano  punto  della 
verità  delle  loro  credenze,  la  chiesa  risponde:  Voi 
dovete  dubitare.  —  Ma  se  in  effetto  non  dubitiamo 
punto.  —  Sì,  signori,  il  dubio  è  necessario. — Sicché 
la  chiesa  non  vuole,  che  sia  possibile  quello  ch'esiste  ; 
e  vuole,  che  sia  necessario  quello  che  non  esiste  af- 
fatto! 

(I)  Pari.  Il,  prop.  VI,  n.»  16J. 


D'altra  parie,  non  v'ha  setta  alcuna  che  non  possa 
far  suo  il  discorso  del  teologo  gesuita.  Ciascuna  è 
persuasa  di  essere  runica  vera  e  divina;  ciascuna 
invoca  per  se  la  Bibbia  e  la  tradizione;  ciascuna  allega 
miracoli  e  profezie,  apostoli  e  martiri,  padri  e  dot- 
tori ;  ciascuna  si  tiene  per  legitima  erede  e  discendente 
di  Cristo  e  dell'Evangelio;  ciascuna,  in  somma,  re- 
puta valide,  certe,  evidenti  le  proprie  ragioni,  e  chiama 
insufficienti,  fallaci,  sofistiche,  le  ragioni  delle  altre* 
Ora,  che  direbbe  il  P.  Perrone,  che  direbbe  la  sua 
chiesa,  se  un'altra  setta  venisse  a  discorrere  come  la 
catoììca,  e  decidesse  che  i  proprj  seguaci  non  pos- 
sono dubitare  di  lei,  mentre  che  tutti  li  altri  cre- 
denti devono  dubitare  della  loro  fede? 

Certo,  su  questo  punto,  sono  assai  più  ragionevoli 
i  protestanti  che  non  i  catolici;  poiché  quelli  con- 
cedono a  tutti  lo  stesso  diritto  d'esame,  senza  privi- 
legio 0  eccezione  per  conto  proprio;  laddove  questi 
rimpongono  agli  altri  come  un  dovere  naturale,  ed 
essi  poi  se  ne  dispensano.  Ed  anche  più  dei  prote- 
stanti sono  logici  i  razionalisti,  i  quali  non  solamente 
sottopongono  all'esame  il  senso  particolare  dei  testi 
della  Scrittura,  ma  eziandìo  il  fatto  stesso  della  ri- 
velazione, e  con  esso  l'autorità  della  Bibbia  e  la  realtà 
di  tutto  l'ordine  sovranaturale.  Imperocché,  se  il  cri- 
terio della  verità  è  la  ragione;  se  la  conoscenza  e  la 
professione  della  verità  è  un  diritto  dì  natura;  non 
hawi  ordine  alcuno  d'idee  o  di  fatti,  che  possa  sot- 
trarsi all'esame  della  ragione,  né  la  ragione  può  am- 
mettere per  vero  se  non  quello  che  s'accorda  co'l 
suo  criterio. 

Ma  io  non  ho  qui  dà  rilevare»  e  molto  meno  da 
combattere  quel  miscuglio  di  paralogismi,  d'assurdi- 
tà, e  dì  barbarle,  che  s'intitola  teologia.  Bene  omale 
che  la  chiesa  ragioni ,  il  fatto  sì  è,  ch'ella  proibisce 
espressamente  a  tutti  i  calolirl  la  libertà  d'esame  in 


matecia  di  religione;  e  quindi,  che  il  partito  catolico 
non  può  annoverare  questa  libertà  nel  suo  program- 
ma, senza  cadere  o  nell'apostasia  o  nella  menzogna. 

Passiamo  alla  libertà  di  coscienza^  La  quale  im- 
porta, come  abbiamo  veduto,  il  diritto  per  T  indivi- 
duo di  professare  le  credenze  religiose,  che  la  sua 
ragione  gli  persuade;  e  il  dovere  per  la  società  di 
rispettare  in  chi  che  sia  questo  diritto,  e  però  di  non 
costringere  nessuno  ad  atti  religiosi,  che  repugnino 
alla  propria  coscienza.  La  società  pertanto  non  può 
arrogarsi  veruna  autorità  in  fatto  di  credenze;  per 
lei,  la  religione  è  tutta  cosa  di  diritto  privato,  in- 
terno, individuale;  per  lei,  tutte  le  religioni  sono 
egualmente  legitime  e  buone,  a  questa  sola  condi- 
zione che  osservino  le  leggi  della  morale  publica  e 
della  polizia  civile.  Ora  i  catolici  a  questo  sistema 
diedero  per  istrazio  il  nome  di  indifferentismo!  Ma 
la  democrazia  bada  più  alle  cose  che  ai  nomi;  e  se 
indifferentismo  vuol  dire,  che  lo  Stato  dee  riconoscere 
tutte  indifferentemente  le  religioni,  che  ai  cittadini 
piacia  di  professare;  e  che  la  società  dee  rimettere 
indifferentemente  alla  coscienza  di  ciascheduno  l'ar- 
bitrio e  la  responsabilità  delle  sue  credenze:  la  de- 
mocrazia accetta  il  titolo  d'indifferentlstay  e  se  ne 
gloria;  poiché  la  liberta  religiosa  non  è  altrimenti 
possibile  che  néìVindifferenza  dello  Stato  e  della  so- 
cietà; e  l'uno  e  l'altra  cesserebbero  d'esser  giusti  con 
lutti,  se  cessassero  d'esser  indifferenti  verso  di  tutti. 

Ma  il  catolicismo  può  egli  ammettere  questa  li- 
bertà religiosa?  Attento,  conte  di  Montalembert;  at- 
tento, vescovo  d'Annecy:  eccovi  la  risposta  formale 
del  vostro  Dio,  perchè  è  del  vostro  papa:  Tocchiamo 
adesso,  dicea  Gregorio  XVI  a  tutti  1  vescovi  catolici, 
un  altra  cagione  fecondissima  dei  mali,  onde  gemiamo 
di  vedere  al  presente  tribolata  la  chiesa,  cioè  Tindif- 


298 

ferentismo,  ossia  quella  perversa  opinione,  eke  per 
la  frode  dei  malvagi  divulgossi  d'ogni  parte,  potersi 
ottenere  l'eterna  salute  delV  animai  con  qualsivoglia 
professione  di  fede,  purché  i  costumi  sieno  retti  ed 
onesti.  Ma  facil  cosa  vi  sarà,  in  una  materia  così 
chiara  ed  evidente,  di  respingere  questo  funestissimo 
errore  dai  popoli  alla  vostra  cura  commessi  (1).  E 
prima  di  Gregorio,  un  altro  papa,  Pio  VII,  avca  con- 
dannato i  carbonari,  perchè  «  hanno*  per  principale 
»  oggetto  di  dare  a  chi  che  sia  ampia  licenza  di  falMri- 
»  carsi  a  proprio  talento  e  secondo  le  proprie  opi- 
»  nionì  la  religione  da  tenersi,  introducendo  così 
»  Findifferentismo  religioso,  dì  cui  appena  potrebbe 
»  imagìnarsì  cosa  più  perniciosa  (2).  »  Vedete  un  pò*, 
signor  conte,  bel  missionario  della  chiesa  che  siete! 
Voi,  catolico  e  gesuita,  difendete  una  libertà,  che  il 
papa,  cioè  il  vostro  Dio,  deplora  come  una  tribola- 
zione rovinosa  per  la  chiesa,  un'opinione  perversa, 
una  frode  degli  empj.  E  voi,  monsignore,  specchia>- 
tevi,  ed  osservate  strana  razza  d'apostolo  che  voi 
siete  I  Voi,  sacerdote,  vescovo,  e  dottore  della  chiesa, 
bandite  una  libertà,  che  il  vostro  Dio,  cioè  il  papa, 
vi  denuncia  per  un  errore  funestissimo,  e  v'intima 
di  respingere  ben  lungi  dal  popolo  a  voi  confidato^ 

(1)  Alteram  nunc  persequimur  causam  malorum  uberri- 
mam,  quibas  affliclari  in  praesens  comploramus  ecclesiam, 
indifferentismum  scillcet,  seu  pravam  illam  opinionem,  quae 
improhorum  fratide  ex  omnl  parie  percrebuìt,  qualibet  ndel 
professione  aeiernam  posse  animae  saluiem  comparar!,  si  mo- 
res  ad  recti  honeslìque  normam  exiganlur.  At  facili  sane  ne- 
goUo,  in  re  perspicua  planeque. evidenti,  errorem  exiliosissi- 
mum  a  populis  veslrae  curae  concredilis  propellelis.  (ff/wic«ca 
data  in  Roma  il  i5  agotto  1832.) 

(5)  Carbonarios  id  praecipue  spedare,  utljmagnam  licen- 
tiam  cuique  dent  religionem,  quam  colai,  proprioiingenio  el 
ex  suis  opinionlbus  sibi  Hngendi,  indifTerenUa  in  religionem 
inducta,  qua  vlx  quidquam  excogilari  polesl  rernioiusius. 
(Cnnstit.  Ecclesiam,  13  settembre  is;i.) 


29» 

%  noo  mi  venite  fuori  con  una  delle  solite  distin- 
:doni,  gridando  che  condannate  anche  voi  con  papa 
Gregorio  V indifferentismo;  ma  che  voi  ammettete  so- 
lamente la  libertà  di  coscienza.  Perocché  lo  stesso 
papa  Gregorio  v'ha  chiusa  d'avanzo  questa  teologica 
scappatoia.  Ascoltate  quell'eco  fedele  dello  Spirito  San- 
to: Da  questa  fetentiséima  surgente  ^e/r  indifferenti- 
smo scaturisce  quell'assurda  ed  erronea  sentenza,  o 
piMosto  delirio,  doversi  assicurare  e  mantenere  a 
chiunque  la  libertà  di  coscienza.  A/  quale  pestilentis- 
Simo  errore  spiana  la  via  quella  piena  ed  illimitata 
libertà  di  opinioni,  che  largamente  si  sparge  a  danno 
della  religiosa  e  civile  società,  mentre  alcuni  spac- 
ciano^ con  somma  impudenza,  che  ne  ridondi  qual- 
che vantàggio  alla  religione  (1).  E  ben  vi  stai  Fra 
quei  nonnulli,  a  cui  il  papa  getta  in  faccia,  senz'ai- 
ttrl  complimenti,  un  per  swnmam  impudentiam,  voi 
siete  i  primi.  Siete  voi,  signor  conte,  che  avete  osato 
scrivere  un  volume  per  provare,  che  il  catolicismo 
abbisogna  della  libertà,  e  la  libertà  giova  al  catoli- 
cismo. Voi,  che  avete  detto  e  ripetuto:  JLa  libertà  di 
cofscienza,  principio  invocato  per  tanto  tempo  dai  ne- 
mici della  religione,  oggi  volgesi  dapertutto  a  suo 
profitto.  Là  dove  esiste,  dove  una  volta  fu  inscritto 
nelle  leggi,  guardiamoci  dal  cancellarlo;  poiché  ivi 
diviene  la  salvaguardia  della  fede,  e  il  baluardo  della 
chiesa  (2).  Oggidì  il  temere  la  libertà,  o  temere  la 
scienza  per  amor  della  religione,  sarebbe  un  dubitare 

(1)  Atque  ex  hoc  palidissimo  indifferentismi  fonte  absurda 
fila  fluii  ac  erronea  sententia,  seu  polius  deliramentum ,  as- 

-serendam  esse  ac  vindicandam  cuilibet  liberlatem  conseien" 
tiae.  Cui  quidem  pestilentissimo  errori  viam  sternit  piena  illa 
atque  immoderata  liberlas  opinionuro,  quae  in  sacrae  et  ci- 
viiis  rei  labem  late  grassatur,  dictilantibus  per  summam  im- 
pudentiam DonnulliSi  aliquid  ex  ea  commodi  in  religionem 
promanare.  (Ibid.) 

(2)  Pag.  93. 


300 

della  terità  (1).  Oh,  V impudente!  É  poi,  quasi  pèt 
Ischerno  «onchiudete:  Tal  è  la  mia  fede  politica;  e 

/    Hors  qu*un  commandement  du  pape  exprès  ne  Vienne^ 

fo  conto  di  persenerarci.  Anzi  io  confesso,  che  non 
vedo  alcun  profitto^  alcun  onore,  per  i  caloUci,  a  nu- 
trirne un'altra  (2).  Oh,  V impudentissimo!  Ed  il  <J0-. 
mando  del  papa  non  è  già  venuto?  Non  vi  ha  egli 
dichiarato  solennemente,  che  la  libertà  di  coscienza 
è  un'opinione  falsa  ed  assurda,  o  meglio  un  delirio? 
Che  è  un  pestilentìssimo  errore?  £  che  a  Fiutarla» 
utile  alla  chiesa  ci  vuole  una  somma  impudenza? 
Non  vi  basta  dunque  disobedire  al  papa;  volete  an- 
che beffarlo?  Non  siete  pago  di  calpestare  un  suo 
comando;  ne  attendete  un  altro  ancora?  E  vi  pre- 
sumete catolico,  voi?  Ma  se  voi  siete  catolico,  chi 
sono  dunque  li  eretici? chi  li  scismatici?  chi  lìapo^ 
stati?  chi  i  rlnegati? 

E  su  voi  pure,  monsignor  d*Annecyv  ricada  il  ful- 
mine della  sentenza  papale.  Siete  ben  voi,  che  in  capo 
al  vostro  programma  avete  inscritta  la  liberta  di  co^ 
scienza,  quella  libertà,  che  il  papa  dalla  sua  catedra 
scommunicò  siccome  erronea,  assurda,  e  pazza.  Siete 
voi,  che  avete  scritto:  iVot  non  saremmo  giammai  li 
avversari  di  coloro,  che  volessero  allargare  la  defi- 
nizione della  libertà  (e  sì  che  la  vostra  è  già  larga 
discretamente!). iVoi  siamo  piuttosto,  ernie  cristiani, 
disposti  ad  ammettere  tutte  le  larghezze ,  che  le  si 
potranno  dare.  Ciò  che  noi  condanniamo,  noi,  sono  U 
sforzi  che  dovunque  si  fanno  per  restringerla  (3). 
Siete  voi  che  avete  affermato:  Si  citi  una  sola  delle 

(i)  Pag.  101. 
(2;  Pag.  i92. 
(3)  Pag.  Ì98-I99. 


301 

parti  della  libertà,  che  il  clero  respinga!  Noi  non  esi- 
tiamo a  proporre  questa  sfida  (1),  Oh  impudente! 
Voi,  vescovo,  sfidate  adunque  il  vostro  papa?  Ed  in 
nome  del  catolicismo,  voi,  vescovo,  predicate  Terrore 
pestilentissimo,  che  il  capo  del  catolicismo  ha  fiera- 
mente proscritto?  Voi,  vescovo,  sostenete  in  nome 
della  chiesa  un'opinione,  che  il  capo  della  chiesa  giu-^ 
dica  una  rovina  della  società  religiosa  e  civile?  Oh 
impudentimmo!  E  vi  dite  catolico,  voi? 

Ahi  signor  conte,  e  monsignor  vescovo,  andate  a 
studiare  il  catechismo,  prima  dì  atteggiarvi  a  dottori 
della  chiesa.  Finitela  ormai,  che  è  tempo,  questa  in- 
degna e  perfida  comedial  Via  le  maschere  e  le  ipo- 
crisie! Se  siete  catolici,  state  co'l  papa,  parlate  come 
il  papa,  fate  come  il  papa.  Lasciate  che  parlino  di  li- 
bertà religiosa  i  protestanti,  ì  filosofi,' i  liberali,  i  ra- 
zionalisti, i  socialisti,  tutto  il  mondo;  ma  voi  tacete! 
Ossia  parlate  pure,  ma  di  scommuniche,  di  anatemi, 
di  torture,  e  di  roghi,  contro  ogni  e  qualunque  11-' 
berta:  questo  è  il  linguaggio  che  vi  conviene,  poi- 
ché fu  sempre  ed  è  tuttavia  il  linguaggio  di  Roma. 
Parlate  come  i  vescovi  della  provincia  di  Genova,  I 
quali  in  una  loro  protesta  dichiarano:  La  tanto  de-^ 
cantata  libertà  di  coscienza  può  fare  bensì  oggetto  di 
filosoficìie  discussioni;  ma  non  può  invocarsi  in  que^ 
sti  Stati  a  base  di  governativo  provedimento  (2).  Par- 
late come  il  teologo  Scavini,  Il  quale  nel  suo  Corso 
di  teologia  morale,  dedicato  al  papa  e  adottato  per 
t^to  in  molti  seminarj,  deduce  a  guisa  di  corollario; 
quantum deploranda  sit  {cito  le  parole  latine,  per  non 
ispoglìarle  con  la  mia  traduzione  della  loro  forza  ori- 
ginale) illa  eonscientiae  libertas,  quam  aetate  nostra 

(l)  Pag.  200. 

(3)  //  Catolico,  n.«  6*1, 


302 

plerique  jactitant;  quantumque  deceat  moraliBta$  om- 
nes  ieto  foedere  hanc  pesterà  fidei  exitiosam  vehemen- 
ter  aggredi,  atque  armis  simul  una  conjunctis  illam 
ad  mortem  usque  confodere  (1).  Parlate  come  il  gior- 
nalista Yeuillot,  che  deplora  quale  una  sventura,  per- 
chè non  abbiano  bruciato  vivo  Lutero,  siccome  Gio- 
vanni Huss  e  Gerolamo  da  Praga.  Parlate  come  l'abbate 
Morel  d'Angers,  il  quale  tessendo  l'apologia  dell' In- 
quisizione, esclama:  Sapete  voi,  dove  bisogna  cercare 
l'origine  della  pena  di  morte?  Sapete  voi,  qual  è  il 
papa,  il  grande  Inquisitore,  che  per  il  primo  Vintro- 
dusse  nella  chiesa  di  Cristo,  e  V applicò  per  il  pri- 
mo? Conoien  risalire  fino  a  S.  Pietro,  fino  alla  chiesa 
primitiva.  Là,  a  quella  data,  consegnando  due  colpe- 
voli d*una  semplice  bugia,  Anania  e  sua  moglie,  al 
braccio  secolare  di  Gesù  Cristo,  re  supremo  del  pari 
che  pontefice,  per  essere  non  solamente  bruciati,  ma 
fulminati  senza  indugio,  senza  pentimento  possibile, 
là  S.  Pietro  stabilì  la  pena  di  morte  per  un  delitto 
puramente  religioso,  ed  esercitò  una  tale  Inquisizio- 
ne, che  nessuno  de* suoi  successori  osò  d'imitare  (2). 
Parlate  come  il  Pontificale  romano,  che  impone  al 
vescovo,  nella  sua  ordinazione,  questo  giuramento: 
Perseguiterò  e  combatterò  con  tutte  le  mie  forze  li 
eretici,  li  scismatici,  ed  i  ribelli  al  papa  e  a' suoi 
successori.  Parlate  come  il  concilio  generale  di  Go- 
stanza, che  condannò  a  morte  Giovanni  Huss  per  aver 
insegnata,  fra  le  altre,  questa  proposizione  (la  14.^): 
Doctores  ponentes  quod  aliquis  per  censuram  eccle- 
siasticam  emcndandus,  si  corrigi  noluerit,  saeculari 
judicio  est  tradendus,  prò  certo  sequuntur  in  hoc  pon- 
tifices,  scribas  et  pharisaeos,  qui  Christum  non  volen- 
t€m  eis  obedire  in  omnibus,  dicentes:  nobis  nonlicet 

(t)  Traet  De  Conneientiaf  cap.  2,  q.  3. 
(?)  L'Univerif  27  avril  U50. 


SOS 
ìnterficere  quemquam»  ipmm  saeculari  judkio  tradì- 
d€mnt;'^'quod  tales  sint  homicidae  graviores  quam 
Pilatus.  Parlate  come  papa  Leone  X,  il  quale  con- 
dannò per  eretica  la  proposizione  33."  di  Lutero,  che 
il  bruciare  li  eretici  sia  contro  la  volontà  dello  Spi- 
rito Santo.  Parlate  come  papa  Clemente  XII,  il  quale 
nella  bulla  di  canonizzazione  di  Vincenzo  de'Paoli, 

10  esalta  perchè  non  cessò  di  ammonire  il  re,  la  re- 
gina, ed  i  rcgj  ministri,  che  costringessero  cdl'obe- 
dienza  con  le  debite  pene  i  contumaci;  e  scacciassero 
da  tutto  il  regno  di  Francia,  come  una  peste,  li  osti- 
nati neloro  errori.  Parlate  come  Taltro  papa,  Pio  VI, 

11  quale  nella  hullà  Auctorem  (idei  condannò  per  ere- 
tica parimente  la  proposizione  4."  del  sinodo  di  Pi- 
stoja,  che  affermava  abusum  fore  auctoritatis  eccle- 
siae  transferendo  illam  ultra  limites  doctrinae  acmo- 
rum,  et  eam  extendendo  ad  res  exteriores,  et  per  eam, 
exigendo  id,  quod  pendei  a  persuasione  et  carde; 
tum  etiam  multo  minus  ad  eam  pertinere,  exlgere  per 
vim  extcriorem  subjectianem  suis  decretis.  Parlate  come 
un  altro  ^ran  papa,  Pio  V,  un  santo  del  vostro  calen* 
darlo,  di  cui  e  perchè  papa,  e  perchè  santo,  io  rife- 
rirò più  distesamente  le  dottrine  intorno  alla  libertà 
di  coscienza,  che  stanno  registrate  nelle  sue  let- 
tere (1). 

1568,  agosto  26.  —  Al  duca  d'Alba,  dopo  che  avea 
fatto  una  strage  degli  eretici  neTaesi  Bassi:  «  Sia 
»  benedetto  il  Signore,  che  in  mezzo  a  tante  cure 
1»  ed  a  tanti  dolori,  si  degnò  di  consolarci  con  si 
»  liete  novelle!  Noi  esultiamo  per  la  religione  cato- 
»  lica,  che  Iddio  v'abbia  concessa  una  vittoria  così. 

(1)  Non  avendo  potuto  procurarmi  il  testo  latino,  mi  valgo 
della  traduzione,  che  ne  fece  De  Poller:  Ultres  da  5-  Pie  K, 
sur  les  affair ei  religieum  de  son  temps  ^n  France,  Bru\el» 
les  1827. 


304 

»  luminosa.  E  non  solo  ce  ne  congratuliamo  con 
»  voi,  cìie  combattendo  per  la  causa  del  Signore 
»  siete  cosi  manifestamente  sostenuto  dal  suo  soc- 
»  corso;  ma  ancora  ve  ne  rendiamo  grazie  in  nome 
»  dì  tutta  la  chiesa,  percliè  avete  bea  meritato  di 
»  lei. Continuate  ad  accumulare  queste  belle  azioni, 
»  che  a  guisa  di  gradini  vi  condurranno  alla  gloria 
»  eterna,  » 

1569,  genajo  17.  —  Al  cardinale  d' Armagnac,  le- 
gato pontificio  in  Avignone:  «  Abbiamo  inteso  con 
»  la  più  viva  gìoja  del  nostro  cuore,  che  voi  avete 
»  ordinato  di  fare,  e  realmente  avete  fatto  la  divi- 
»  sione  dei  beni  degli  eretici  di  codesti  nostri  Stati. 
»  Noi  proibiamo,  che  questi  beni  sieno  dati  ai  pa- 
9  renti  o  ai  prossimi  de* primi  possessori,  o  che  per- 
»  vengano  loro  in  qualsiasi  maniera,  ancorché  fossero 
»  oneste  persone  e  buoni  catolici.  » 

Sotto  la  stessa  data.  -—  Al  cardinale  di  Bourbon: 
«  Vi  esortiamo  ardentemente,  e  vi  eccitiamo  a  faro 
»  tutti  i  vostri  sforai,  ad  usare  tutta  la  vostra  in- 
»  fluenza,  perchè  si  abbracci  una  volta  il  partito  più 
»  efficace  a  compiere  la  distruzione  dei  nemici  im- 
»  placabili  di  Dio  e  del  re  (li  ugonotti).  » 

Stessa  data.  —  Al  cardinale  di  Lorena:  «Notiamo 
»  con  dolore,  che  non  si  eseguì  ancora  ciò,  che  do- 
»  vea  farsi  secondo  T editto  del  re,  cioè  la  confisca 
»  dei  beni  degli  eretici;  il  che  sarebbe  stato  utilis- 
»  Simo  a  ritener  nella  fede  i  dubiosi,  e  a  distogliere 
»  tutti  lì  altri  dalla  nefanda  società  ed  amicizia  con 
»  li  eretici.  » 

1S69,  marzo  6.  —  A  Carlo  IX,  re  di  Francia: 
«  Quando  Iddio  ci  avrà  fatto  riportar  la  vittoria, 
»  spetterà  a  voi  di  punire  con  estremo  rigore  li 
»  eretici  e  1  loro  capi,  perchè  sono  i  nemici  di  Dio; 
»  e  dì  vendicare  giustamente  su  di  essi,  non  che  le 
*  vostre  proprie,  ma  anche  le  ingiurie  dì  Dìo,  ac- 


SOS 
D  ciocché  essi  portino  la  pena  dovuta  alle  loro  sce- 
»  leratezzo,  e  voi  siate  Tesecutore  del  giusto  giodi- 
»  zìo  dì  Dio.  » 

Marzo  28.  ~  Allo  stesso:  «  Quanto  più  benigna- 
n  monte  Iddio  ci  ha  trattati,  tanto  deve  esser  'mag- 
»  giore  la  vostra  sollecitudine  a  profittare  della  vìt- 
»  toria,  onde  perseguitare  e  distruggere  le  reliquie 
»  stesse  dei  nemici,  ed  estirpare  intieramente  fin  le 
n  radici,  e  le  fibre  medesime  delle  radici,  di  un  male 
)>  sì  grande  e  si  profondo.  Ci  riuscirete,  se  nessun 
»  rispetto  di  persone  e  di  cose  umane  potrà  indurvi 
»  a  risparmiare  i  nemici  di  Dio;  che  non  arriverete 
»  a  placare  Iddio  altrimenti,  se  non  vendicandolo 
»  severissimamente  di  quelli  scelerati,  che  T  hanno 
»  offeso.  Rammentatevi  T esempio  del  re  Saule;  il 
»  quale  avendo  ricevuto  da  Dio,  \yev  bocca  di  Sa- 
»  muele,  Tordine  di  esterminare  l'infedeli  Amale^citi, 
»  sì  che  per  qualunque  pretesto  non  ne  risparmiasse 
»  nessuno,  non  obedì  alla  volontà  ed  alla  voce  di 
»  Dio,  salvò  il  re  stesso  degli  Araalecili,  e  riserbossi 
»  le  sue  cose  migliori.  Ma  poco  dopo,  rimproverato  se- 
»  veramente  dal  profeta  medesimo,  che  Tavea  con- 
»>  sacrato  re,  gii  venne  tolto  il  regno  e  la  vita.  Con 
x>  questo  esempio  Iddio  volle  ammonire  tutti  i  re;  che 
j>  il  trascurare  la  vendetta  delle  sue  ingiurie  è  un 
»  provocare  contro  sé  stessi  la  sua  ira  e  lasuaigde- 
»  gnazione.  » 

Stessa  data.  —  A  Caterina  de' Medici,  regina  ma- 
dre: «  Che  non  si  risparmino  in  alcun  modo,  nò 
»  per  verun  motivo,  i  nemici  di  Dio;  ma  si  trattino 
»  con  tutto  rigore,  poiché  dessi  non  perdonarono  a 
»  Dio,  nò  ai  vostri  figli.  Non  si  può  placare  Iddio 
»  altrimenti  che  facendo  una  giusta  vendetta  delle 
»  sue  offese.  Se  Vostra  Maestà  continua,  come  ha  fatto 
»  sempre,  a  combattere  apertamente  e  arditamente 
»  i  nemici  dell^  religione  catolica  fino  air  esterminio, 
l  211 


306 

»  sia  oerta  che  il  soccorso  divino  inai  non  le  verrà 
»  menò.  Solo  con  la  strage  di  tutti  il  eretici  il  re  potrà 
»  restituire  a  cotesto  nobile  regno  il  culto  della  car 
»  tolica  religione.  » 

1369,  aprile  13.  —  Alla  stessa:  «  Voi  dovete,  d'ac- 
»  cordo  con  vostro  tiglio  il  re  cristianissimo,  ado- 
»  perare  tutte  le  vostre  forze  per  vendicare  le  in- 
»  giurie  fatte  a  Dio  ed  a'  suoi  servi,  trattando  i  ri- 
>»  belli  con  giusta  severità.  E  ci  affrettiamo  tanto  più 
»  a  raccommandarvi  caldamente  la  cosa,  polche  ab- 
»  biamo  sentito  che  certuni  si  studiavano  di  salvare 
»  qualche  prigioniero,  e  di  rimetterlo  in  libertà.  Ab- 
»  biate  cura  che  ciò  non  avvenga;  e  fate  ogni  sforzo, 
»  acciocché  quelli  uomini  sceleralissimi  periscano  tutti 
»  nei  meritati  suppllzj.  » 

Stessa  data.  —  Al  duca  d'Anjou,  fratello  del  re: 
((  Vi  preghiamo  a  non  cessar  di  eccitare  il  re  cri- 
»  stianìssimo,  con  le  vostre  fraterne  esortazioni,  af- 
»  finché  punisca  con  la  massima  severità  i.  ribelli  al 
»  suo  potere.  Se  qualcuno  fra  loro  cercasse  di  evi- 
)>  tare  il  castigo  che  merita,  implorando  la  vostra  in- 
»  tercessione  presso  del  re,  voi  dovete,  per  la  vo- 
»  stra  pietà  verso  Dio  e  j)e  '1  vostro  zelo  dell'  onor 
»  suo,  rigettare  le  preghiere  dì  chiunque  vi  suppli- 
»  casse  in  loro  favore,  e  mostrarvi  egualmente  ineso- 
»  r^ile  con  tutti.  » 

Stessa  data.  —  AJ  cardinale  di  Lorena:  «Non  vi 
)>  sarete  dissimulato,  che  la  vittoria  avrà  contri- 
»  buito  poco  0  nulla  al  principale  scopo,  che  vo- 
»  gliamo  ottenere,  se  voi  dapprima,  e  poi  tutti  co- 
»  loro  che  godono  di  maggior  favore  ed  influenza 
»  presso  il  re,  non  adoperate  ogni  cura  ed  ogni 
»  sforzo,  acciocché  in  tutto  il  regno  la  sola  religione 
»  catolica  sia  ricevuta  ed  osservata  da  tutti,  cosi  in 
»  publico,  come  neUVntimo  della  coscienza.  » 

Slessa  data.  —  Al  re  Carlo  IX:  «  Conviene  che 


'  /• 


.307 

»  Vostra  Maestà  iéngA  per  eerto,  che  ì'  ordine  e  la 

»  pace  non  torneranno  a  regnare  nel  vostri  Stati, 

»  finché  tutti  non  abbracceranno  nnanimemente,  e 

»  non  manterranno  fedelmente  la  sola  e  medesima 

»  religione  catolica.  Per  riuscirvi  con  Tajuto  di  Dio, 

»  egli  è  necessario,  che  Vostra  Maestà  infierisca  senza 

»  pietà  contro  i  nemici  di  Dio.  Perocché,  se  mosso 

»  da  un  pretesto  qualunque  voi  trascuraste  di  per- 

9  seguitare  e  di  punire  le  ingiurie  fatte  a  Dio,  certo 

n  finireste  con  istancare  la  sua  pazienza,  e  provo- 

ì>  care  Tira  sua.  Non  ascoltate  le  preghiere  di  nes- 

D  suno;  non  cedete  né  air  amicizia,  né  ai  vincoli  del 

»  sangue^  e  mostratevi  inesorabile  con  tutti  quanti 

»  osassero  parlarvi  a  favore  di  quelli  scelerati.  » 

1569,  ottobre  17.  —  Alla  regina  madre:  «  Non  cre- 

»  diate  di  poter  fare  cosa  a  Dio  più  gradita,  che^di 

»  perseguitare  apertamente  i  suoi  nemici,  per  zelo 

»  della  catolica  religione.  » 

1569,  ottobre  20.  —  Al  re  di  Francia:  «  Il  frutto 
»  della  vittoria  consiste  in  ciò,  che  esterminati  con 
»  giusta  punizione  T infami  eretici,  nostri  nemici 
]>  communi,  si  ridoni  a  cotesto  regno  l'antica  pace. 
»  Non  permettete  che  v'ingannino,  affettando  vani 
»  sentimenti  di  pietà;  e  non  ambite,  perdonando  le 
»  Ingiurie  fatte  a  Dio  stesso,  la  falsa  gloria  di  un» 
»  pretesa  clemenza  ;  poiché  non  havvi  cosa  più  cru- 
»  dele  che  la  pietà  e  la  misericordia  verso  li  empj. 
»  Dovete  adunque,  prima  d'ogni  altra  cosa,  far  prò- 
»  fessare  ai  vostri  sudditi  la  sola  fede  catotìcsi;  e 
»  per  conseguire  un  intento  cosi  salutare,  far  met- 
»  tere  a  morte  coloro,  che  si  ribellarono  a  Dio  ed  alla 
»  Maestà  Vostra;  indi  stabilire  rìnquìsitori  in  ciascuna 
D  delle  vostre  città.  » 

1570,  genajo  29.  —  Allo  stesso:  «  Non  ;può  es- 
»  servi  nulla  di  commune  fra  la  luce  e  le  tene^ 
1^  bre;  e  quindi  nessuna  conciliazione  fra  catolioi 


308 

»  ed  eretici,  se  non  piena  d'inganni  e  d'insidie. 
»  Laonde  noi  esortiamo  Vostra  Maestà  a  volgere  Ta- 
»  nimo  suo  verso  la  ricerca  dei  mezzi  atti  ad  annìen- 
»  tare  li  avanzi  di  questa  guerra  intestina,  ed  a  ven- 
»  dicare  con  giuste  armi  le  ingiurie  proprie  e  quelle 
»  dì  Dio.  » 

Sotto  la  stessa  data,  ripete  li  stessi  ammonimenti 
alla  regina  madre  e  al  duca  d'Anjou. 

11)70,  aprile  23.  —  Al  re  di  Francia:  «  Vostra 
»  Maestà  dee  star  ben  in  guardia  neir  affare  della 
»  pace,  che  dicesi  già  conchiusa,  o  prossima  a  con- 
»  chiudersi  tra  voi  e  li  eretici,  nemici  di  Dio  e  ri- 
to belli  al  vostro  potere.  Noi  vi  assicuriamo,  ed  è 
»  questa  per  voi  la  più  indubitabile  ed  irrefraga- 
»  bile  autorità,  che  un  tale  accordo,  lungi  dal  farvi 
»  godere  la  pace,  diverrà  anzi  la  fonte  di  grandi 
»  mali  per  la  Francia.  Li  uomini,  che  pensano  al- 
»  trimenti,  e  che  cercano  di  tirarvi  nella  loro  opi- 
»  ninne,  s' ingannano,  o  per  adulazione  vìngannano. 
»  Mettono  in  campo  il  falso  pretesto  dell'  utilità  ge- 
»  nerale;  ma  dimeiìticano  ad  un  tempo  la  religione 
»  catolica  e  la  vostra  gloria.  Dovrebbero  nondi- 
»  meno  considerare,  che  facendo  la  pace.  Vostra 
»  Maestà  permette  ai  suoi  nemici  più  accaniti  di  ve- 
»  nire  nella  propria  regìa;  che  ne  devon  nascere  per 
»  necessità  pericoli  ed  attentati  d'ogni  genere;  e 
»  che,  se  mancasse  pure  agli  eretici  volontà  di  ten- 
»  dervi  insidie.  Dio  stesso,  per  un  giusto  giudizio 
2>  della  sua  providenza,  ne  inspirerebbe  loro  l' idea,  a 
»  fìne  di  punirvi  con  tale  mezzo  per  aver  trascurata 
»  la  religione.  » 

Ai  14  d'agosto  replica  le  stesse  minacce  al  cardinale 
di  Lorena. 

Stessa  data.  -  Al  cardinale  di  Borbone:  «  La 
»  pace  fra  il  re  cristianissimo  e  l'infami  eretici,  che 
«  altro  contiene  se  non  la  distruzione  del  catolici- 


S09 

»  smo  in  Francia,  un  oltraggio  alla  dignità  ed  alla 
»  fama  del  re,  ed  il  perìcolo  più  manifesto  alla  sua 
»  personal- sìcurem?  Egli  è  perciò  che  noi  vi  esor- 
»  tiamo  e  vi  preghiamo  con  tutto  l'ardore  possibile 
»  a  voler  turbare  e  disperdere  i  progetti  dì  una  pace 
»  COSI  ignominiosa  e  funesta;  e  ad  opporvi  forte- 
»  mente  a  coloro,  che  tentassero  di  persuadere  il 
»  contrario  al  re.  » 

1570,  settembre  23.  —  Allo  stesso:  «  Non  è  così 
»  focile  a  noi  trovar  espressioni  capaci  dì  dipingervi 
»  il  dolore,  onde  ci  ricolmò  la  notizia  della  pace 
»  conchrusa  fra  il  re  cristianissimo  e  li  eretici,  come 
»  a  voi  stesso  d!  sentirlo.  Noi  non  possiamo  dire, 
»  senza  versare  lagrime,  quanto  codesta  pace  sia  de- 
»  plorabile  e  pericolosa,  e  quanto  il  re  se  n'avrà 
»  da  pentire.  Non  abbiamo  voluto  mancare  di  esor- 
»  larvi  con  questa  lettera  a  conservare  la  religione 
»  in  Francia  in  questi  torbidi  tempi,  a  resistere  agli 
»  eretici,  ed  a  far  loro  gaerra  ad  oltranza.  » 

Sotto  la  stessa  data  inculca  i  medesiitai  consigli 
al-  eaixtinale  di  Lorena. 

V  Ad  un  principe,  esortandolo  a  purgare  il  suo  Stato 
dagli  eretici:  «  Sapiamo  quanti  mali  cagionò  alla 
»  chiesa  di  Dio  la  dissimulazione,  o  la  dolcezza.  Sve- 
»  glialevi  dunque,  e  ripigliate  i  vostri  spìnti.  Fate 
»  trattare  secondo  il  merito,  o  cacciar  vìa  irtleramente 
»  li  eretici  ;  trattate  allo  stesso  modo  quel  vostri  sud- 
»  diti,  che  si  fossero  lasciati  sedurre  dalla  loro  falsa 
»  dottrina.  Gettate  il  vecchio  lievito,  perchè  non  ri- 
j»  manga  nei  vostri  Stati  né  pur  la  minima  traccia 
»  d'una  peste  così  crudele.  » 

E  questa  <iollriBa  dei  concilj,  de' papi,  e  dei  teo» 
logi,  era  stata  elevata  alla  dignità  di  una  teorìa  ca- 
tolica  dall'angelo  delle  scuole,  S.  Tomaso.  Il  quale 
discutendo  espressamente  la  questione:  Se  U  eretici 


sto 

debbmkd  tolerarsi  (1),  definisce  la  libertà  religiosa 
del  catolicismo  ne' termini  seguenti:  a  Intorno  agli 
»  eretici  sono  4a  considerare  due  cose:  Tuna  per 
9  *parte  di  essi;  e  T altra  per  parte  della  chiesa.  In 
j»  (fuanto  ad  essi,  è  da  considerare  il  peccato^  per 
»  cui  meritarono,  non  che  di  essere  separati  dalla 
1»  chiesa  con  la  scommunlca,  ma  anche  di  essere 
»  esclusi  dal  mondo  con  la  morte.  Perciocché  è  assai 
:»  più  grave  colpa  di  corrompere  la  fede,  da  cui  di- 
»  pende  la  vita  dell'anima,  che  il  falsare  la  moneta, 
»  con  cui  si  provede  alla  vita  temporale.  Onde  se  1 
»  Jalsarj  di  moneta,  o  altri  malfattori,  vengono  sa- 
»  blto  dal  principi  secolari  giustamente  messi  a  morte; 
»  molto  più  11  eretici,  tosto  che  sono  convinti  del- 
»  r eresia,  possono  essere  non  solo  scommunlcati, 
»  ma  eziandio  giustamente  occlsl.  Ed  in  quanto  alla 
j»  chiesa,  è  da  considerare  la  misericordia  per  la  con- 
»  versione  degli  erranti.  Perciò  non  11  condanna  su- 
»  blto,  ma  dopo  una  prima  ed  una  seconda  corre- 
»  zione,  come  l'Apostolo  insegna.  Ma  poi,  chi  tro- 
»  vasi  ancora  ostinato,  la  chiesa,  disperando  della 
»  sua  salute,  provede  alla  salute  degli  altri  separan- 
»  dolo  dalla  chiesa  con  la  scommunica,  e  di  più  lo 
»  abbandona  al  giudizio  secolare  per  essere  sterminato 
»  dal  mondo  con  la  morte  (2).» 

(i)  P.  II.  Il,  q.  XI,  art.  3. 

(2)  «  Respondeo  dicendum,  quod  circa  haeretico3  dao  sani 
»  coDsideranda:  unum  quidem  ex.  parte  lpsorum,,aliQd  vero 
»  ex  parte  ecclesiae«  Ex  parie  quidem  ipsorum  est  peccatniu, 
»  per  quod  meruerunt  non  solum  ab  ecclesia  per  excommu- 
»  nicatìonem  separar!,  sed  etiam  per  mortem  a  muodo  ex- 
»  ciudi.  Multo  enim  gravius  est  corrumpere  fldem,  per  quam 
>  est  animae  vita,  quam  falsare  pecuniam,  per  quam  tempo- 

•  Tali  vitae  subveaitur.  Uode  si  falsari!  pecuuiae,  vel  ali!  ma^ 

•  lefactores,  statim  per  saeculares  priocipes  juste  morii  tra- 
»  duntur,  multo  magis  baeirelìci ,  stalìm  ex  quo  de  hncrcsi 


311 
Eccovi  xome  la  chiesa  eatollca  intende  la  libertà 
dì  coscienza  1  Credi,  o  muori:  ecco  lutto  il  suo  pro- 
gramma. E  non  mi  state  a  dire,  che  queste  dottrine 
SI  vennero  temperando' e  correggendo  co '1  progre- 
dire della  civiltà  e  della  scienza;  perciocché  voi,  si- 
gnor vescovo  e  signor  conte,  siccome  ogni  buon  cà- 
tollco,  dovete  ammettere  T unità  e  l'immutabilità  as- 
soluta dei  principi  della  chiesa.  Dunque  la  differenza 
dei  tempi  voi  non  potete  invocarla,  senza  mentire 
alla  vostra  professione  di  fede:  ciò  che  per  la  chiesa 
è  vero  e  bene  un  giorno,  fu  sempre  vero  e  bene,  e 
sarà  bène  e  vero  per  sempre.  Oltre  di  che,  le  mas- 
sime e  li  atti  di  quel  frenetico  e  sanguinario,  che 
voi  chiamate  san  Pio  Y,  hanno  ricevuta  una  san- 
zione particolare  dalla  chiesa  co'l  decreto  della  sua 
canonizzazione;  e  voi,  monsignore,  tutti  li  anni  a' 5 
di  maggio  celebrando  la  messa  glorificate  Iddio,  per- 
chè ad  conterendos  ecclesiae  hoste»,  et  ad  divinum 
cultum  reparandum,  Beatum  Pium  Pontificem  Maxi- 
mum eligere  dignatus  est;  come  voi,  conte,  recitando 

»  convincQDtur,  possunt  non  solum  excommonicari,  sed  et 
»  juste  occiUi. 

9  Ex  pane  autem  ecclesiae  csl  misericordia  ad  errantium 
T»  conversionem;  et  Ideo  non  stalim  condemnaty  sud  post  pri- 
»  mam  et  seeundam  eorreptionem,  ut  Aposlolus  docet,  Posl- 
•  modum  vero  si  adliuc  perlinax  invcniaiur,  ecclesia  do  ejns 
»  conversione  non  sperans,  atioram  saluti  providot,  eum  ah- 
»  ecclesia  separando  per  exeommunicalionis  scnlenliam;  et 
»  uUerius  relinquit  cum  judìcio  saccnlari  a  innndo.exlermi* 
»  nandum  per  morlcm.  Dlcit  enim  Ilieronymus  (supra  illud 
9  Galal.V. Modicum  fermentnm)yel  liabetur  XXIV,  Quaest,  III 
■  cap.  XVI:  Hesecandae  sunt  pvlridae  carnes,  et  scabiosa 
»  ocis  a  cauUs  repellenda,  ne  tota  domus,  massa,  corpusr, 
»  et  pecora  ardeant*  corrtiinpanlnr,  pntrcsòantf  inlereant. 
»  Arius  in  Alexandria  una  scintili  a  fuil;  sed  quoniam  non 
»  statini  oppressus  est,  totuvi  orbcm  n-t^  finmma  popnìata 
I»  csl.  » 


312 

il  breviario,  in  grazia  della  vostra  dignità  di  apolo- 
gista, ogni  anno,  lo  stesso  giorno,  glorificale  quel  ti- 
gre di  papa,  perchè  inquisUoris  officium  inviolabili 
animi  fortitudine  din  sustinuit;  multasque  civitates* 
non  sine  vitae  discrimine ,  ab  haeresi  tunc  grassante 
immunes  servavit.  Così  entrambi  al2.di  marzo  esaltate 
con  tutta  la  chiesa  un  altro  papa,  Oregorio  I,  il  wa- 
gnOy  perchè  donatista^  in  Africa,  arianos  in  Uispa- 
nia  repressit;  agnoitas  Alexandria  ejecit;  pallium 
Syagrio  augustodunensi  episcopo  dare  noluit,  nisi 
neophitos  haareticos  expelleret  ex  Gallia;  Golhos  hae- 
resim  arianam  relinquere  coegit;  a' 23  di  genajo, 
Raimondo  di  Pennafort,  perchè  Jacobo  Aragoniae  regi 
Sacrae  Inquisitionis  officii  suis  in  regnis  instituendi 
auctor  fuit;  a'4di  agosto,  Domenico  di  Gusman,  per- 
chè hujus  ingenium  ac  virtus  maxime  enituit  inever- 
tendis  haeretieis,  qui  perniciosis  erroribus  Tolosates 
pervertere  conabantur;  al  28  dello  stesso  mese.  Ago- 
stino, il  grande,  perchè  haereiicos  perpetuo  insetto^ 
tus,  ac  nullo  loco  passus  consistere;  a' 4  di  novem- 
bre, Carlo  Borromeo,  perchè  in  profligandis  haere- 
tieis e  partibns  Rhactorum  et  Helvetiorum,  maxime 
laboravU;  e,  per  finirla,  a' 30  di  maggio,  Ferdinando 
di  Castiglla,  perchè  haereiicos  insectando,  quos  nul- 
libi  regnorum  suorum  consistere  passus,  propriis  ipse 
manibus  Ugna  comburendis  damnaiis  ad  rogum  adve- 
hebat,  —  Tal  è  l'unico  programma,  che  i  catolici  si 
in  teorica  e  sì  in  pratica  possano  e  debbano  se- 
guitare. 

Nessuno  tuttavia  sarà  più  ormai  tanto  semplice  da. 
credere,  che  un  conte  dì  Montalembert  e  un  vescovo 
d'Annecy  vogliano  in  buona  fede  la  libertà  religio- 
sa, qual  diritto  naturale  dell'uomo.  Il  primo^  in  fót- 
tì,  nell'atto  stesso  che  si  vanta  soldato  ed  amante 
della  libertà,  fa  questa  truce  confessione  :  Io  non  est" 


to  a  dirlo '.'Sé  potesse  mai  sopprimersi  la  libertà  del- 
V errore  e  del, male,  sarebbe  un  dovere  (ì).  E  vuol  dì- 
re,  che  si  rassegna  alla  libertà  religiosa  unicamente 
per  ciò,  che  la  chiesa  non  ha  più  tanta  forza  da 
proseguire  lo  stermìnio  degli  eretici  e  dei  miscreden- 
ti; ma  se  l'avesse  ancora,  o  se  la  riavesse  un  gior- 
no, egli,  Montalembert,  il  vecchio  soldato  della  liber- 
tà, ramante  sincero  e  passionato  della  libertà,  stime- 
rebbe un  dovere  di  sopprimere  ogni  eresia,  ricoprendo 
la  terra  di  roghi  e  di  patiboli  per  la  maggior  gloria 
di  Dio  e  della  chiesa  II  —  E  poco  appresso,  quasi 
per  commento,  soggiunge  :  Senzu  dubio,  sarebbe  cosa 
insensata  proclamare  il  principio  della  libertà  di  co- 
scienza nei  paesi,  dove  non  esiste  ancora,  e  dove  non 
è  reclamato  da  nessuno  (2).  Ma,  dove  questa  libertà 
non  esiste,  chi  ardisce  reclamarla,  quale  risposta  ot- 
tiene? La  galera  1  —  Se  poi  il  conte  stima  propria- 
mente cosa  insensata  il  proclamare  la  libertà  di  co- 
scienza ove  non  esiste,  certo  è  che  non  la  reputa  un 
diritto  umano;  altrimenti,  perchè  non  grida  tiran- 
nici ed  infami  quei  governi,  che  non  l'hanno  ancora 
proclamata?  —  Ed  in  termini  assai  più  espliciti  l'a-' 
veva  egli  stesso  già  dichiarato  nella  relazione,  che 
lesse  aio  dicembre  1850  nell'Assemblea  francese,  in- 
torno al  progetto  di  legge  per  l'osservanza  della  do- 
menica, deplorandola  libertà  di  coscienza  come  una 
«ventura  fatalmente  inevitabile  nelle  presenti  condi- 
zioni della  sua  patria.  Così  Montalembert  spiega  ab- 
bastanza il  suo  pensiero,  che  non  è  questa  per  lui 
una  questione  di  diritto,  ma  di  strategica;  non  è 
una  discussione  di  principj,  ma  una  rassegna  d' ar- 
ci}  Je  n*hésile  pas  à  le  dire,  si  on  pouvait  sapprimer  la  li- 
berto de  Terrcur  et  du  mal,  ce  serait  un  devoir  fpag.  99). 

(3)  Sans  doute,  il  seiait  insensé  de  le  proclamer  dans  les 
pays,  où  il  n'existe  pas,  ci  où  il  n'esl  reclame  par  personne 
(rag.  99). 


314     . 

inali;  egli  non  istudia  la  natura  dell'uomo,  i  suo! 
doveri,  e  le  sue  leggi,  ma  esamina  le  forze  deb  papa, 
numera  i  soldati,  saggia  le  armi,  visita  le  fortezze, 
scandaglia  il  tesoro;  e  poi  sfiduciato,  avvilito:  Po- 
vera chiesa  1  esclama;  i  suoi  nemici  sono  molto  più 
potenti  di  lei.  Ahi  invece  di  pensare  a  sterminarli, 
badi  a  difendersi!  Per  ora,  la  chiesa  ammette  la  li-* 
berta.  —  Tal  è  11  senno,  con  cui  ragiona  il  partito 
catoiìco,  di  cui  Montalembert  è  capitano  e  rappre- 
sentante. 

Né  meglio  si  comporta  il  vescovo  Rendu.  Percioc^ 
che  dopo  menato  tanto  rumore  per  questa  libertà 
religiosa,,  ch'egli  pone  a  capo  del  suo  programma, 
volete  sapere  come  in  pratica  cerchi  di  effettuarla? 
Andate  in  Piemonte;  e  fra  coloro,  che  si  mostrarono 
furiosamente  più  avversi  a  qualunque  riforma,  la 
quale  mirasse  a  temperar  un  poco  la  tirannia  cato^ 
lica  di  quello  Stato,  troverete  costui.  Troverete  il 
suo  nome  appiè  della  protesta  de' vescovi  di  Savoja 
contro  l'abolizione  del  foro  ecclesiastico,  contro  la 
legge  civile  del  matrimonio,  contro  l'eiezione  Mi  un 
tempio  valdese.  —  Troverete,  ch'egli,  il  banditore  di 
tutte  le  libertà,  ha  pure  sottoscritta  una  dichiara^ 
sione,  in  cui  si  fh  questa  objezlone:  Si  dice,  che  non 
deve  legarsi  la  libertà  di  coscienza.  Ed  ecco  la  ri-r 
sposta:  Ma  non  si  tremila  di  obligare  un  ebreo  a  ma- 
ritarsi dinanzi  ad  un  ministro  protestante,  né  un  pro^ 
testante  a  maritarsi  dinanzi  ad  un  prete  eatolico.  È 
egli  da  maravigliarsi,  che  colui  che  è  nato  eatolico, 
e  non  ha  ancora  abjurato  il  catolicismo,  sia  obligato 
una  volta  nella  sua  vita  a  presentarsi  dinanzi  al  prete 
che  V ha^  battezzato?  {\) —  Certamente  è  da  maravi- 
gliarsi un  pochino,  monsignore,  per  conto  vostro; 
giacché  l'ampia  libertà  da  voi  predicai?^,  vedesi  qm 

(1)  Jl  Calulico,  n/  938. 


8tS 

rkliiia  all'alternativa  dì  scegliere  fra  la  vostra  legge 
e  la  publica  apostasia,  la  quale  non  costa  altro,  come 
sapete,  che  parecchi  anni  di  ergastolo  o  di  reclusio- 
ne; e  tutta  la  vostra  libertà  religiosa  consiste  nella 
necessità  di  professarsi  catolico,  protestante,  od  ebreo. 
Ohi  monsignore,  siete  ben  liberale! —  Tro- 
verete infine,  ch'egli,  l'apostolo  della  più  larga  li- 
bertà, ha  firmata  una  pastorale,  in  cui  si  condanna 
come  eretica  la  dottrina  del  Patriote  Savoisieriy  che 
«  Ninno,  in  nome  dì  qualunque  siasi  considerazione, 
»  ha  diritto  d'impedirmi  d'esercitare  la  mia  professio- 
»  ne,  nel  dì  e  nell'ora  che  voglio  esercitarla.  Lo  sì 
»  facia  in  America  ed  in  Inghilterra  a  nome  del  prò- 
»  testantesimo,  o  lo  sì  voglia  fare  tra  noi  a  nome 
»  del  catolicismo,  noi  dichiariamo  la  pretesa  Iniqua, 
»  spogliatrice,  odiosa,  assurda,  insensata;»  e  si  sta- 
bilisce invece,  come  catolica  verità,  questo  princi- 
pio, che  il  potere  civile  può  venire  in  ajuto  alla  chie- 
«a,  e  stabilire  pene  contro  coloro,  che  publicamente 
trasgrediscono  le  sue  leggi  (1):  principio,  onde  ari- 
gore  di  logica  rampolla  l'Inquisizione,  con  tutti  i 
suoi  strumenti  e  con  tutte  le  sue  leggi.  Bravo,  mon- 
signore! La  libertà  religiosa,  di  cui  trattate  da  scrit- 
tore, noa  significa  altro  in  somma  che  la  iacultà  di 
arrostire  o  trucidare  tutti  coloro,  che  non  s'inchi- 
nano dinanzi  airinfallibilità  della  vostra  ignoranza  1 
Ah!  siete  un  gran  liberale,  monsignore  11 

Veniamo  adesso  alla  libertà  di  culto.  La  quale,  finché 
prevalsero  le  religioni  di  Stato,  catolica  o  protestante, 
contentavasi  dell'umile  qualificazione  di  toleranza.  Ma 
il  concetto  di  toleranza  implica  una  tacita  condan- 
na; poiché  non  è  un  bene  ciò  che  si  teiera,  ma  un 
male  ;  non  una  verità,  ma  un  errore.  Laonde  oggidì 

{\)  li  Catolico,  n."  038. 


316 

che,  grazie  alle  conquiste  della  scienza  e  della  ci- 
viltà, le  religioni  di  Stato,  se  non  sono  ancora  scom- 
parse tutte  dalla  categoria  delle  institazloni  sociali, 
sono  però  tutte  riprovale  e  rigettate  dalla  publica 
.opiniooe,  la  libertà  di  culto  non  si  chiama  più  tole- 
ransa  religiosa,  ma  diritto  naturale. 

Havvl  tuttavia  un'eccezione  da  fare  per  rispetto 
alla  chiesa,  la  quale  di  così  fatte  novità  sente  un 
invincibile  orrore.  Quindi  la  teologia,  in  materia  di 
eulti,  seguita  a  parlare  di  toleranza;  e  dalla  parola 
diritto  aborre,  come  da  una  bestemià  o  un  sacrile- 
gio. A  parlare,  ho  detto?  No,  a  maledirla,  ascommu- 
mcarla,  dovevo  dire.  Non  osano,  è  vero,  i  teologi 
pronunciarsi  alRitto  contro  la  toleranza  politica  e  ci^ 
vile,  che  è  la  facultà  concessa  dal  governo  ai  citta- 
dini di  professare  una  religione  diversa  da  quella 
dello  Stato;  perchè  riconoscono  anch'essi,  che  vi  sono 
<;ircostanze,  in  cui  non  solo  divien  lecita,  ma  ezian- 
dio necessaria  (1);  ossia  confessano  tacitamente,  che 
i  governi  non  vogliono  e  non  possono  fare  più  da 
birri,  da  aguzzini,  e  da  carnefici  a  beneplacito  dei 
preti.  Ma  serbano  tutti  i  loro  anatemi  per  la  tole- 
ranza religiosa  e  teologica,  la  quale  è,  secondo  Fab- 
bate  Bergier,  la  professione  che  fa  una  setta  di  ere-- 
dere^  che  i  membri  di  un'  altra  setta  possono  salvarsi, 
senza  rinunciare  alla  loro  credenza;  che  ognuna  può 
senza  pericolo  affratellarsi  con  loro,  ed  ammetterli 
alle  stesse  pratiche  di  religione  (2);  secondo  un.  al- 
tro teologo,  è  quella,  per  cui  nelle  cose  di  religione 
M  concede  a  ciascheduno  ampia  libertà  di  adottare  ^ 
senza  verun  pericolo  della  salute  y  V  opinione  che  gli 
sembra  piii  vera  (3)  ;  e  secondo  un  terzo,  è  l'espressa 

(I)  Perbone,  De  vera  religione,  pari,  2,  prop.  XII,  !!.•  88>. 
(3)  Dbrgibk,  Dieiionnaire  de  tnèologie,  art.  ToufRANCC 
(a)  GAZZAifiGA,  Di  fundamentis  religionit,  part.  Il,  dìsa.  Ut 
cap.  VI,  n.«  3, 


817 
0  tacita  professione  della  v^ità  di  tutte  le  religioni 
e  di  tutte  le  sètte,  onde  ciascuno  tiene  tutte  le  reti-* 
gioni  0  sètte  per  vere  e  buone  egualmente,  e  perciò 
tutte  egualmente  salutari  alVuomo  (1).  Ma  evidente- 
mente, con  sì  balorde  definizioni,  questi  teologi  ed 
i  loro  colleghi  han  voluto  scherzare.  E' scambiano  i 
filosofi  co 'papi,  e  le  scuole  dei  razionalisti  co'  i  con- 
cili de'  vescovi.  Oh  !  tra  noi  non  è  questione  di  sa- 
late delle  ànime,  né  del  paradiso  e  de' suoi  angeli, 
né  dell'inferno  e  de' suoi  demonj.  No,  non  abbiamo 
giammai  sognato  di  definire  un  dogma  o  formulare  ud 
simbolo,  che  valga  agli  uomini  di  passaporto  per  l'al- 
tro mondo:  le  son  brighe  codeste,  che  noi  lasciamo 
al  teologi,  i  quali  dicono  di  conoscere  l'altro  mondo 
così  ben  come  questo.  E  li  stessi  autori,  che  ho  ci- 
tato, quasi  accorgendosi  d'aver  battuto  Tarla,  cor- 
reggono la  definizione  mediante  i  corollari  o  i  com- 
menti, che  non  tardano  ad  appiccarle. 

Il  primo  riconosca,  che  nello  stile  degli  increduli, 
la  toleranza  è  lindifferenza  in  riguardo  ad  ogni  re^ 
ligione;  sicché  il  miglior  partito  è  quello  di  non 
renderne  alcuna  dominante,  e  di  mettere  fra  esse  una 
perfetta  eguaglianza  (2). 

Il  secondo  ammette,  che  la  toleranza  non  è  poi 
altro  che  l'indifferentismo,  per  cui  si  approvano  tutte 
affatto  le  religioni  e  le  sètte  (3). 

Eà  il  terzo  confessa  pure,  che  in  virtù  del  princi- 
pio di  toleranza,  nessuna  religione  o  setta  può  accu-' 
sare  e  rigettare  un'altra  siccome  falsa,  onde  nasce 
il  così  detto  indifferentismo  verso  tutte  le  religioni  (4)^ 

È  questo  precisamente  lo  stato  della  controversia, 
che  Bergier  stesso  aveva  già  espresso  ancora  più* 

(1    PRRRONe,  lati,  eit 

(2)  RERaiER,  loe   eil. 

<5)  Gazzaniga,  he,  eit,  n.«  H5. 

(4/  Pbruonb,  Ino,  eit. 


ns 

esattamente  formulando  il  nostro  principio  consi: 
Presso  una  nazione  civile,  ogni  religione  qualsiasi 
dev'essere  egualmente  permessa;  nessuna  dev'essere 
.dominante,  o  più  favorita  di  un* altra;  e  ciascun  prt- 
tato  dev'essere  padrone  di  averne  una,  o  di  non 
averne  punto  (1). 

Or  bene,  questa  dottrina  può  venire  accettala  étl 
catoticiamo?  11  Perrone  la  ùichìtiTtii  empia  ed  assurda^ 
talché  può  sostenersi  da  coloro  soltanto,  i  quali  non 
hanno  alcuna  religione,  né  fede,  cioè  dagli  atei,  dai 
deisti,  e  dai  protestanti  (2).  Il  Gazzanìgà  la  chiama 
naturalismo  e  deistno  (3).  Ber|;ier  sentenzia,  che  è 
un'assurdità  (i)«  E  i'immenso  coro  degli  altri  teologi 
fa  eco  unanimemente  a  queste  decisioni. 

Se  non  che  la  teologia,  in  questo  caso,  è  troppo 
timida  o  moderata,  cioè  ipocrita;  e  tace  o  dissimula 
per  mala  fede  da  vera  dottrina  della  chiesa.  La  quale 
non  conosce  le  sottili  distinzioni,  che  inventarono  i 
suoi  apologisti  per  iscusarla;non  ammette  differenza 
fi*a  toferanza  politica  e  religiosa  ;  e  crede,  insegna,  pro- 
fessa solennemente  il  principio  dell' intoleranza  uni- 
versale ed  assoluta  d'ogni  culto  diverso  dal  suo:  prin- 
cipio, su  cui  ha  fondato  la  legge  propriamente  ed 
eminentemente  catolica  dello  sterminio  di  tutti  li 
eretici  e  dissidenti.  Di  che  apparisce,  tanta  essere 
oggidì  la  potenza  delle  idee  contrarie  al  catolicismo, 
che  perfino  i  teologi  più  ortodossi  devono  farsi  mezzo 
eretici,  e  rinegare  in  gran  parte  le  dottrme  e  le  leggi 
della  loro  chiesa. 

I  lettori  mi  perdoneranno,  se  pongo  loro  sottoc- 
chio un  quadro,  che  farebbe  spavento  ai  canibali  >  ed 

(i)  Ibid. 

(i)  Log  eit.,  !>.•  JW, 

{%)  Ibid, 

(4)  ma. 


%\9 

UDO  spettacolo,  di  cui  inorridireU)ero  le  fiere:  ma 
la  verità  e  la  storia  me  lo  Impongono,  e  me  lo  im- 
pone sopratutto  la  necessità  di  smascherare  Tipocri- 
sia  di  quel  partito  catolico,  il  quale  per  tradire  an- 
cor una  volta  i  popoli  non  si  vergogna  di  dirsi  li- 
berale. Conte  di  Montalembert  e  vescovo  d'Ànnecy, 
aprite  li  orecchi,  piegate  i  ginocchi,  e  giungete  le 
mani  per  ascoltare  questa  lezione:  è  il  vostro  Dio,  che 
parla  i)er  organo  di  papi  e  di  concilj.  Questi  docu- 
menti, che  noi  crederemmo  indegni  di  Satanasso,  per 
voi  sono  la  voce  dello  Spirito  Santo:  attenti t 

La  legislazione  catolica  intorno  alla  libertà  di  culto 
cominciò  a  stabilii-si  sotto  11  papa  Alessandro  IH,  nel 
concilio  ecumenico  Lateranese  HI  (an.  11*79),  con  qoe«- 
sto  decreto:  a  Ordiniamo,  che  sieno  scommunicati 
j>  li  eretici  ed  i  ioro  difensori  e  ricettatori.  E,  pena 
»  la  scommunica,  vietiamo  che  nessuno  li  accolga  in 
»  casa  0  nella  sua  terra,  né  li  protegga,  né  facia  con 
»  essi  commercio  di  sorta  (1).  » 

Lucio  HI,  il  successore  d'Alessandro,  quasi  per  com- 
mentare il  decreto  del  concilio,  promulgò  la  seguente 
legge:  «  Sono  in  perpetuo  sottoposti  all'anatema  tutti 
9  coloro,  che  intorno  aireucarìstia,  al  battesimo,  alla 
»  confessione,  al-  matrimonio,  ed  agli  altri  sacramenti, 
»  non  temono  di  sentire  ed  insegnare  diversamente 
»  da  quello,  che  la  santa  chiesa  romana  predica  ed 
»  osserva;  e  generalmente  tutti  coloro,  che  la  chiesa 
»  medesima  o  ciascun  vescovo  nella  sua  diocesi,  col 
»  consiglio  del  suo  clero,  giudicano  eretici. 

»  Con  questa  legge  decretiamo,  che  il  cherico  reo 
»  d'eresia  venga  spogliato  d'ogni  officio  e  beneficio, 
»  e  consegnato  alla  potestà  secolare  perdessero  pu- 
tì; Deor^t.Wh,  V,  4il.  VM,  De  hcierelicU,  cap.  Vili 


»  Ulto,  se,  appena  scoperto,  non  ricorra  spontanea- 
>»  mente  alFunità  della  catolica  fede,  e  ad  arbitrio  del 
»  vescovo  non  abjuri  publlcamente  il  suo  errore,  e 
»  ne  facia  la  debita  penitenza.  Il  laico  poi,  se  fatta 
»  rabjura  e  la  penitenza  non  ritorni  alla  fede  orto- 
»  dossa,  si  rimetta  airarbitrio  del  giudice  secolare  per 
»  ricevere  la  meritata  punizione. 

»  I  sospetti  d*eresia,  se  ad  arbitrio  del  vescovo  non 
»  dimostrino  la  propria  innocenza,  soggiaceranno  alla 
»  stessa  legge. 

»  I  recidivi,  senza  più  veruna  udienza,  dovranno 
»  rimettersi  ai  giudice  secolare. 

»  Ordiniamo  inoltre,  che  1  conti,  baroni,  rettori, 
»  e  consoli  delle  città  ed  altri  luoghi,  giusta  i'am- 
»  monimento  dei  vescovi,  prestino  il  giuramento,  che 
»  richiesti  da  loro  ajuteranno  fedelmente  ed  effìca- 
veemente,  di  buona  fede  e  con  tutte  le  loro  forze, 
»  la  chiesa  contro  li  eretici  e  I  loro  fautori.  E  se 
»  non  volessero  farlo,  sleno  spogliati  del  grado  che 
»  hanno,  e  non  si  ammettano  ad  alcun  altro;  sieno 
»  dessi  colpiti  di  scommunica,  e  le  loro  terre  Inter- 
»  dette. 

»  La  citta ,  che  resista  a  questi  decreti ,  o  contro 
»  l'ordine  del  vescovo  trascurì  dì  punire  i  resistenti, 
»  sarà  privata  d'ogni  commercio  con  le  altre  città, 
»  e  della  dignità  vescovile  (l).  »     ' 

Surse  poco  dopo  Innocenzo  HI,  e  publicò  quest'al- 
tra legge,  che  II  concilio  ecumenico-  Lateranese  IV 
(an.  1215)  registrò  fra  i  suoi  canoni;  che  Gregorio  IX 
Inserì  nella  raccolta  autentica  delle  Decretali;  e  che 
tutta  la  chiesa  riguarda  come  II  suo  codice  di  pro- 
cedura verso  li  eretici:  «  Noi  scommunichiamo  ed 
»  anatematizziamo  ogni  eresia,  che  surga  contro  la 

(I)  /Wd.,  cap.  IX. 


32  ì 

»  santa,  ortodossa,  e  catolica  fede,  condannando  tutti 
»  li  eretici,  con  qualunque  nome  sì  chiamino.  Li  ab- 
»  bandoniamo  airautorità  secolare,  per  essere  puniti 
» ,  col  debito  castigo.  I  beni  di  costoro,  se  laici,  sieno 
»  confiscati;  se  cherici,  sieno  dati  alle  loro  chiese. 

»  Si  avvertano,  si  inducano,  e,  occorrendo,  con 
»  l'ecclesiastica  censura  si  costringano  tutte  le  au- 
»  torità  seCvOlari,  qualunque  sìa  il  loro  officio,  a  pre- 
»  stare  in  publico  per  la  difesa  della  fede  il  giura- 
»  -mento,  che  cercheranno  con  buona  fede,  con  tutte 
»  le  forze,  di  sterminare  dalle  terre  di  loro  giurisdì- 
»  zione  tutti  11  eretici  dalla  chiesa  notati. 

»  Il  signore  temporale,  che  richiesto  ed  ammonito 
»  dalla  chiesa  trascurerà  di  purgare  dalleresìa  la  sua 
»  terra,  dal  metropolitano  e  dagli  altri  vescovi  com- 
T>  provinciali  sia  scommùnicato.  E  se  fra  un  anno 
»  abbia  mancato  di  soddisfare,  se  n'informi  il  Sommo 
»  Pontefice,  affinchè  dichiari  sciolti  i  vassalli  di  lui 
7)  da  ogni  fedeltà,  ed  autorizzi  i  catolici  ad  occuparne 
»  la  terra.  Essi  poi,  dopo  avere  sterminati  li  eretica 
»  la  possedano  senza  contrasto,  e  la  mantengano  nella 
»  purità  della  fede. 

-  »  I  catolici  crociati,  che  si  accingeranno* allo ster- 
»  minio  degli  eretici,  godano  delle  stesse  indulgenze 
»  e  privilegi,  che  si  concedono  a  chi  va  in  soccorso 
»  della  Terra  Santa. 

»  Scommunichìamo  inoltre  i  seguaci,.!  ricettatori 
»  i  difensori,  ed  i  fautori  degli  eretici  ;  e  decretiamo 
T9  fermamente,  che  se  alcuno  di  questi  scommunicati 
>  ricusi  entro  un  anno  di  soddisfare,  sia  tosto  ipso 
»  jure  dichiarato  infame,  né  si  ammetta  negli  officj 
»  o  consigli  pubììcì,  né  fra  li  elettori  e  i  testimoni 
»  Non  abbia  facultà  di  far  testamento,  né  di  eredi- 
»  tare.  Nessuno  a  lui  risponda  per  nessun  affare,  mq 
y>  egli  sia  costretto  a  rispondere  altrui.  Se  fosse  giù- 
»  dice,  l8  sue  sentenze  non  abbian  valore;  né  a  luì 
I.  21 


322 

»  si  deferisca  nessuna  causa.  Se  avvocato,  non  si  am- 
»  metta  giammai  il  suo  patrocinio.  Se  notaro,  i  suoi 
»  instrumenti  sien  nulli  e  dannati  co  1  loro  dannato 
»  autore. 

»  Aggiungiamo  di  più,  che  ogni  vescovo  per  sé, 
»  0  per  via  di  persone  oneste  ed  idonee,  visiti  due 
>  o  almeno  una  volta  l'anno  la  parochia,  oVe  corra 
»  voce  che  dimorino  eretici;  e  costringa  tre  o  più 
»  testimoni  gravi,  o  anche,  se  occorra,  tutto  11  vici- 
«  nato  a  giurare,  che  se  sapranno  esser  ivi  qualche 
»  eretico,  o  alcuni  che  tengano  segrete  adunanze,  e 
»  si  dipartano  dai  modi  e  dagli  usi  communi  de'fe- 
»  deli,  s'affretteranno  di  denunciarli  al  vescovo.  E 
»  quelli  che  non  volessero  giurare,  sieno  trattati  da 
»  eretici. 

»  Vogliamo  adunque,  ordiniamo,  e  in  virtù  d'obe- 
»  dienza  comandiamo,  che  per  eseguire  efficacemente 
»  questi  decreti,  i  vescovi  invigilino  nelle  loro  dio- 
»  cesi,  se  vogliono  evitare  le  canoniche  pene.  Per- 
»  ciocché  quel  vescovo,  che  nel  purgare  la  sua  dio- 
»  cesi  dal  fermento  delUeresia  sarà  stato  negligente 
»  e  dappoco,  verrà  deposto,  ed  in  suo  luogo  sosti- 
»  tuito  un  altro,  che  voglia  e  possa  estirpare  Te- 
»  resla  (1).  » 

E  lo  stesso  papa,  oltre  quel  canone  del  concilio, 
avea  pure  decretato:  »  Nelle  terre  di  nostro  do- 
»  minio  sarà n  confiscati  i  beni  degli  eretici;  e  nelle 
)>  altre  ordiniamo,  che  si  facia  lo  slesso  dalle  pote- 
D  sta  secolari.  E  se  fossero  mai  negligenti  ad  ese- 
»  guire  quest'ordine,  comandiamo  che  vi  sieno  co- 
))  strette  per  censura  ecclesiastica  senza  verun  ap- 
))  pello.  Quei  beni  non  ritorneran  più  a  loro,  se  pur 
»  alcuno,  veggendoli  pentiti  e  convertiti,  non  voglia 
»  usar  loro  misericordia;  sicché  almeno  la  pena  tem- 
ei) Deerct, Vili   V,  lit  VII,  De  kiereUcù,  cap.  Xllf. 


d2S 

»  poxale  raffreni,  cui  non  corregge  la  ipirilual  di- 
»  sciplina.  Perocché,  secondo  giuste  leggi,  a' rei  di 
»  lesa  maestà  messi  a  morte  si  confiscano  i  beni,  ed 
»  ai  loro  figli  per  sola  misericordia  si  lascia  la  vita  ; 
»  tanto  più  adunque  coloro,  che  errando  nella  fede 
»  offendono  Gesù  Cristo  figlio  di  Dio,  devono  con 
»  la  pena  ecclesiastica  recidersi  dal  nostro  capo  che 
»  è  Cristo,  e  spogliare  dei  beni  temporali,  essendo 
»  molto  più  grave  l'offesa  della  maestà  eterna  che 
»  della  temporanea.  Né  la  diseredazione  dei  figli  ca- 
»  telici,  sotto  il  pretesto  di  una  cotal  compassione, 
»  deve  impedire  punto  una  censura  di  tanta  severità; 
»  poiché  in  molti  casi,  anche  secondo  il  giudizio  di- 
»  vino,  i  figli  si  puniscono  temporalmente  per  i  loro 
»  padri;  e  secondo  le  canoniche  decisioni,  la  vendetta 
»  colpisce  talora  non  solamente  li  autori  del  delitto, 
»  ma  eziandìo  la  progenie  dei'  condannati  (1).  » 

Gregorio  IX  v'aggiunse  poi  questo  decreto:  «  Se 
»  qualcuno  degli  eretici  scommunicati,  dopo  che  venne 
»  scoperto,  voglia  tornar  a  fare  condegna  penitenza, 
»  sia  rinchiuso  in  carcere  perpetuo.  Coloro  che  cre- 
»  dono  ai  loro  errori,  noi  li  giudichiamo  eretici  del 
»  pari  (2).  Sapiano  di  essere  sciolti  da  ogni  debito 
»  di  fedeltà  e  di  ossequio  coloro,  ch'erano  obligati 
»  con  qualche  patto,  stretto  con  qualsivoglia  vincolo, 
»  verso  chi  è  manifestamente  caduto  in  eresìa  (3).  y> 

Ed  Urbano  II,  in  una  sua  decisione  indirizzata  al 
vescovo  di  Lucca,  avea  già  dichiarato,  che  la  chiesa 
non  tiene  per  omicida  chi  ammazza  uno  scommuni- 
cato.  Ecco  testualmente  le  sue  orribili  parole:  Ex- 
communicatorum  interfectoribuSy  prout  in  ordine  ec- 
clesiae  ramanae  didicistis,  secundum  intentionem,  mo- 

(i)  !bid,t  cap.  X.  . 

(2)  Ibid.,  cap.  XV. 
(3>  fbid.,  cap.  XVJ. 


dum  congrua^  satisfactionis  injunge,  Aon  cnlm  eos 
homlcidas  arbilramur,  quos  adversus  excommiinkatos, 
gelo  catholicae  matris  ardenteSy  aliquos  eorum  truci- 
dasse contigerit.  Ne  tamen  ejusdem  ecclesiae  matris 
disciplina  deseratur,  eo  tenore  quem  diximm,  poeni- 
tentiam  eis  indicito  eongruentem,  qua  divinae  slmpli- 
citatis  oculos  adversus  se  complacare  valeant,  si  forte 
quid  duplicitatìs  prò  humana  fragilitate  in  eodem 
flagitio  incurrerint  (l). 

Tali  erano  le  dottrine  e  le  leggi  catoliche  nei  grandi 
secoli  XII  e  XIII  (2). 

(4)  Decret.  Gratian.^ip.  2.  caus.  XXIII,  q.  V,  cap.  XLVII. 

(3)  11  papa  Nicolò  III  riunì  in  un  sol  corpo  i  varj  decreti 
(lei  concilj  e  de' papi  antecedenti,  con  la  sua  bolla  del  3  mar- 
zo i2S0.  La  riferirò  qui  testualmente  per  T  edificazione  dei 
catolici  liberali:  «  Noverit  Universilas  vestra,  quod  nos  ex- 
»  communicamus  et  anathematizamus  universos  haereticos... 
»  quibuscumqoe  nomìnibus  censeanlur,  facies  quidem  haben- 

>  les  diversas,  sed  caudas  ad  ìnvicem  colligatas,  quia  de  va- 
»  nitate  conveniunt  in  idipsum. 

»  I  i.  Damnati  vero  per  ecclesiam  saeculari  judlcio  relin- 
K  quantur,  ani mad versione  debita  puniendi,  clericis  prius  « 
9  ^uìs  ordinìbus  degradalis. 

»  §  2.  Si  qui  aulem  de  praedictis,  postquam  foerint  depre« 
»  bensì,  redire  voluerint  ad  condignam  poenilentiam,  in  per- 
»  petuo  carcere  delrudanlur. 

»  g  3.  Credentes  autem  eorum  erroribus,  sirailiter  haereii- 
»  cos  jndicamus. 

»  I  4.  Iiem  recepialores,  defensores,  et  fautores  haereltco- 
»  rum,  oxcommunicationis  sententiae  decernimus  subjacere, 
»  statuenies  ut  si  postquam  quilibet  latium  fnerit  excommu- 
«'nicatione  nolatus,  satisfacere  contempserit  infra  annutn,  ex 
9  lune  ipso  jure  sii  factus  infamis. 

»  §  5.  Nec  ad  publica  officia,  seu  Consilia,  nec  ad  eligendos 

>  alios  ad  hujusroodi; 

»  g  6.  Nec  ad  lestimoniam  admitlatur. 

»  ^  7.  Sitcliam  intestabilis,  nec  testamenti  habealfacUoncm. 

»  5  8.  Nec  ad  bacreditatis  successioaèm  acccJal. 


S29 

•I  papi  ed  i  concilj,  che  si  vennero  poscia  sticce- 
dendo,  le  confermarono  e  le  ampliarono  replicata^ 
mente  con  una  costanza  ed  una  solennità,  che  fa  rac- 
capriccio. Io  ricorderò  in  particolare: 

Nello  stesso  secolo  XIII,  il  concilio  generale  di 
Lione  I,  e  i  papi  Onorio  III,  Innocenzo  lY,  Alessan- 
dro IV,  Clemente  IV,  e  Gregorio  X. 

Nel  secolo  XIV,  Bonifacio  VIII,  Benedetto  XI,  Cle- 
mente V,  Gregorio  XI,  ed  Urbano  VI. 

»  §  9.  Nullns  praeierca  ipsi  saper  qaocamquQ  aegotio,  sed 
»  tpse  aliis  respondere  cogaiur. 

»  S  ^^'  Quod  si  forte  judoK  extiterit,  ejns  sentenlia  nuilain 
9  obtineat  nrmitatem;  oec  causae  aliquae  ad  ejus  andientiam 

•  perferantur. 

»  §  11.  Si  fui^rit  advocatns,  ejns  patrociniam  nnUateous 
»   admittatur. 

»  {  i3.  Si  tabellio,  instrumenta  confecta  per  ipsum  Dullius 
»  penilus  siDt  moirieoti,  sed  cum  auctore  damnato  dananeot 
n  tur;  et  in  similibus  idem  praecipìmus  observari. 

>  §  i3.  Si  vero  clericus  foerit,  ab  omni  officio  et  beneficio 
p  deponalur. 

»  §  14.  Si  qui  autem  tales,  postquam  ab  ecclesia  fue> 

•  rint  denotati,  evitare  contempserint,  excoromunicalionis 
»  sententia  perceltaulur,  alias  aDìmadversione  debita  pu- 
»  Diendi. 

»  §  15.  Qui  autem  inventi  fuerint  sola  suspicione  notabi- 
»  tes,  nisi  juxta  cdnsiderationem  suspicionis,  qualitalemque 
j>  personae,  propriam  innocentiam  congrua  purgatione  mon* 
1»  straverint,  aoathematis  gladio  ferianiur,  et  usque  ad  satis- 
9  factionem  condigsam  ab  omnibus  evitentur:  itaquod  si  per 
»  annum  in  excommunicatione  perstiterint,  lune  \eiut  haere- 
»  tici  co^ìdemnentur. 

»  §  46.  Itetn  proclamationes  aut  appellationes  hujnsmodi 
»  penonarum  minime  audiantur. 

•  t  |7-  Item  judices,  advocalf,  et  notarli,  nulli  eorum  oN 
»  flcìQib  suum  impendant,  aiioquin  eodem  officio  perpetuo 
9  sint  privati. 

»  3  4i-  Item  clerici  non  exhibeant  hujusmodi  pestilentibus 
9  ecclesiastica  sacramenta,  nec  eleemosiuas  aut  oblationej 


m 

Nel  secolo  XV,  i  concììj  generali  di  Pisa,  di  Co- 
stanza, di  Siena,  di  Basilea,  ed  i  papi  Martino  V, 
Nicolò  V,  e  Innocenzo  Vili. 

Nel  secolo  XYI ,  i  concilj  generali  di  Lalerano  V  e  di 
Trento,  ed  i  papi  Leone  X,  Adriano  VI,  Clemente  VII, 
Paolo  III,  Paolo  IV,  Pio  IV,  Pio  V,  e  Gregorio  XIV. 

Net  secolo  XVII,  Clemente  Vili,  Paolo  V,  Grego- 
rio XV,  Urbano  Vili,  Alessandro  VII,  Clemente  X, 
e  Innocenzo  XI. 

»  eonim  recipiant;  similiter  hospitalarii,  aut  conteraplarii,  aut 
»  quilibet  regulares;  alioquin  suo  priventur  offlcio,  ad  quod 

*  numquam   restiluantur  absque  iodalto    Sedis  apostolicae 

>  speciali.  Item  quicumque  tales  praesumpserint  ecclesiasti' 
»  cae  tradere  sepulturae,  usque  ad  salisfaclionem  idoueam, 
»  excommunicationis  sentenlìae  se  noverint  subjacere,  nec 
»  absointionis  beneticfium  mereantur,  nisi  propriis  manibus 
»  publice  exlumulent,  et  projìciant  hujusmodi  corpora  daui- 
»  natoruro;  et  locus  ille  perpelao  careat  sepuitura. 

»  §  19.  Item  flrmiter  inhibemus,  ne  culquam  laicae  per- 

>  sonae  liceat  publice  vel  privatim  de  fide  cathollca  dispu- 
»  tare;  qui  verO'Conlra  fecerit,  excommunicationis  laqueo  In. 
»  nodeiur. 

»  g  20.  Item  si  quis  baerelicos  sciverit«  vel  aliquos  occulta 
»  conventicula  celebrantes,  seu  a  communi  conversalione  fi- 
B  delium  vita  et  moribus  dissidentes ,  eos  studeat  indicare 
»  confessori  suo,  vei  alii/per  quem  credat  ad  praelati  sui  e- 
»  Inqdisitorem  haereticae  pravilalis  nolitiam  pervenire:  aiiot 
»  quin  excommunicationis  senlenlia  perceliatur. 

»  §  21.  Haeretici  autem,  et  receptatores,  defensores,  et  fau- 
»  tores  eorum,  ipsorumque  flliì  usque  ad  secundam  genera- 
»  tionem,  ad  nullum  ecclesiasticum  benefldum  seu  officlum 
È   admlttantur:  quod  si  secus  actum  fuerit,  decernimus  irri- 

>  tum  et  inane.  Nos  enim  praediclos  ex  nunc  privamus  be- 

>  neflciis  acquisitis,  volenles  ut  tales  et  habitis  perpetuo  ca- 
»  reant,  et  ad  alia  similia  nequaquam  in  posterum  admittan- 
»  tur.  illorum  autem  filioruni  emaqcipationem  nullfus  esse 
9  momenti  volumus,  quorum  parentes,  post  emancipationem 
»  hujusmodi,  ad  iavium  superstitionis  haereticae  a  via  decii- 

•  nasse  eónstiterìt  veritatts.  > 


i:3 

Nd  8C!Colo  XYIII,  Clemente  XI,  Clemente  XIII,  e 
Pio  YI. 

Se  io  avessi  da  allegare  i  testi  de'loro  decreti,  do- 
vrei comporre  parecchi  volumi  di  sole  citazioni  ;  ma 
basterà  al  mìo  intendimento,  che  io  accenni  le  leggi 
principali.  Quindi  apparirà  vie  meglio  quale  sia  la  li- 
bertà, che  il  catolicismo  concede  agli  altri  culti. 

«  È  dichiarato  fautore  degli  eretici  chi  impedisce, 
ritarda,  o  trascura  l'intiera  estirpazione  dell'eresia; 
ehi  loro  accorda  un  rifugio,  in  vece  di  denunziarli; 
chi  fornisce  loro  ì  mezzi  di  nascondersi,  o  disfugire 
alla  giustizia;  chi  direttamente  o  indirettamente  li 
rimette  in  libertà,  dopo  ch'erano  arrestati;  chi  mo- 
stra verso  di  essi  qualche  rispetto,  o  fa  ad  essi  qual- 
che favore;  chi  raddolcisce  o  modifica  le  pene,  a 
cui  sono  condannati. 

»  È  vietato  abitare  nella  stessa  casa,  dove  sono 
eretici;  e  dimorare  in  paesi,  dove  non  si  può  eser- 
citare publicamente  il  cullo  catolico. 

»  Qualunque  sieno  i  legami,  che  ne  congiungano 
ad  un  eretico  scommunicato,  egli  è  dovere  di  abban- 
donarlo a  sé  stesso,  di  negargli  ogni  minimo  segno 
di  affezione,  ogni  consiglio >  ogni  assistenza,  ogni 
favore. 

»  La  dote  della  donna,  che  sposa  un  eretico  a  lei 
noto,  sarà  confiscata  insieme  coi  beni  del  marito. 

»  Tutte  le  autorità  civili  di  qualsiasi  grado,  tito- 
lo, e  qualità,  devono  obedire  agl'inquisitori  ed  ai  ve- 
scovi, ed  a  loro  inchiesta  procedere  alla  ricerca  de- 
gli eretici  per  arrestarli,  spogliarli  de'loro  beni,  con- 
segnarli al  tribunale  ecclesiastico,  e  sterminarli.  Alla 
stessa  obedienza  sono  ancora  tenuti  i  privati. 

»  Chi  viene  a  conoscere  dove  sta  nascosto  un  ere- 
tico, deve  denunciarlo  al  proprio  confessore,  o  ai  su- 
periori •cclesiastici.  Quest'obligo  della  denuncia  è 


328 

sempre  hi  vigore,  ancorché  l'eresia  fosse  molto  Sj>arsii 
e  (tomìuante. 

»  E  per  guarentigia  dei  denunciatori,  il  processo 
dee  farsi  in  segreto,  senza  veruno  strepito  d'avvocati 
e  di  formalità,  senza  speranza  di  revisione  e  d'appel* 
lo  ;  segreti  devono  rimanere  r  nomi  degli  accusatori  ; 
ed  accusatori  e  testimoni,  in  queste  cause,  possono 
^sere  anche  li  scelerati  e  l'infami,  anche  li  eretici 
e  11  scommunicati,  anche  1  soej  ed  i  complici  dell'ac- 
cusato. 

»  Il  signore  di  una  terra  dee  ricercare  sollecitar 
mente  li  eretici;  visitare  le  case,  le  ville,  i  boschi, 
le  caverne;  e  chiudere  o  distruggere  ogni  nascon- 
diglio, che  li  potesse  celare. 

»  L'imperatori,  i  re,  1  duchi  »  i  principi»  e  tutti 
quanti  esercitano  una  giurisdizione  civile,  devono 
espellere  dai  loro  regni,  proviucie,  città,  borghi,  ca- 
stella, villaggi,  terre,  ed  altri  luoghi  e  dominj,  tutti 
e  singoli  li  eretici  ed  i  sospetti.  Non  possono  lasciar- 
veli  predicare,  soggiornare,  far  contratti,  negozj,  e 
commercio  di  alcuna  sorta,  nò  participare  insieme 
co' fedeli  a  verun  sollievo  dell'umanità. 

»  Arrestato  un  eretico,  devesi  trattare  come  un 
ladrone  ed  un  assassino.  I  magistrati  lo  sottopongano 
alla  tortura;  e  con  ogni  sòrta  di  tormenti,  pyrchè 
non  cagionino  mutilazione  di  membra  o  pericolo  di 
morte,  lo  sforzino  a  rivelare  i  suoi  errori,  i  suol  - 
complici,  aderenti,  fautori,  ricettatori,  con  la  dichia- 
razione di  tutti  i  beni,  ch'egli  ed  essi  possedono. 

»  Non  può  esimersi  dalla  prigionìa  nessun  eretico 
per  nessuna  ragione  di  marito,  di  moglie,  di  figli, 
dì  parenti,  di  congiunti;  per  nessun  riguardo  d'affari, 
di  debolezza,  di  vecchiaja,  senza  uno  speciale  Indulto 
del  papa. 

»  Questa  prigionia  dev'essere  stretta,  dura,  ed 
afflittiva:  li  accusali  porteranno  i  ferri  ai  piedi  e 


3B 
alle  mani,  finche  1!  tribunale  ccclesiasUco  non  abbia 
terminata  la  loro  causa. 

»  Il  principe  o  signore,  dopo  essersi  impossessato 
(lei  beni  degli  eretici,  può  eziandio  ridurre  in  Ischia- 
vilù  le  loro  persone. 

»  I  figli  e  discendenti  degli  eretici  e  dei  loro  fau- 
tori, protettori,  ricettatori,  e  aderenti,  fino  alla  se- 
conda generazione,  saran  privati  di  ogni  beneficio, 
impiego,  ed  onore.  Ai  figli  nondimeno  rimane  aperto 
uno  scampo:  la  chiesa  non  li  punisce,  se  vanno 
essi  stessi  a  denunciare  la  segreta  eresia  del  loro  ge-r 
nitore. 

»  La  casa,  in  cui  sì  trovi  un  eretico,  vefrà  di- 
stratta dalle  fondamenta;  il  terreno  confiscato;  e  non 
sarà  mai  più  lécito  di  rifabricarvi  un'abitazione  umana* 
Anche  le  case  circonvicine,  se  appartengono  allo 
stesso  proprietario,  «aranno  abbattute  e  disfatte;  e 
lutti  i  beni,  che  vi  si  trovino,  saranno  di  chi  se  II 
pigHerà  pe'l  primo. 

»  II  proprietario  medesimo  è  dichiarato  infame  per 
sempre;  condannato  ad  una  forte  multa,  o  al  car-^ 
cere  perpetuo;  ed  i  suoi  beni  confiscati 

i)  Se  l'eretico  si  fosse  rifugiato  in  un  publieo  edi- 
ficio, come  in  una  torre,  anche  la  torre  o  l'edificio 
si  dovrà  ruinare;  ed  i  legni,  le  pietre,  le  tegole,  sic- 
come i  beni,  apparterranno  a  chi  pel  primo  se  n'im- 
padronisca. 

»  Venendosi  a  scoprire  il  cadavere  di  un  eretico 
sepolto  in  una  casa,  o  nel  terreno  adjacente,  sia  di- 
roccata la  casa,  e  confiscato  il  fondo  con  tutto  quanto 
vi  si  trova. 

0 

»  Qualora  taluno  fosse  dichiarato  eretico  dopo  la 
sua  morte,  avrà  sempre  luogo  la  confisca  de' suoi 
beni. 

»  Tutte  queste  pene  valgono  non  solo  contro  Ir 
erplici,  f d  i  loro  fautori  •  aderenti,  ma  altresì  con-^ 


tro  i  Dotarì,  li  avrocati,  od  i  medici,  che  loro  presias- 
^sero  l'jopera  del  proprio  officio. 

»  E  per  lo  contrario,  quelli  che  perseguitano  li 
eretici  per  esterminarli,  che  li  arrestano,  li  denun- 
ciano, li  scacciano,  ed  eseguiscono  contro  di  essi  le 
sentenze?  dell' Inquisizione.,  ne  acquistano  in  pre- 
mio le  Stesse  indulgenze,  che  i  crociati  di  Terra 
Santa. 

»  Chiunque  in  giudizio  viene  convinto  d'eresia,  o 
di  recidiva,  sarà  condannato  dal  tribunale  ecclesiastico 
ad  essere  bruciato  vivo,  in  publico,  sopra  di  un  alto 
rogo  ;  0  per  misericordia  dei  giudici,  ad  aver  mozzata 
la  lingua. 

»  Il  potere  civile  è  obligato  ad  eseguire  pun- 
tualmente,^senza  rimostranze,  senza  ritardi,  la  sen- 
tenza. 

»  E  se  il  condannato  fosse  già  morto,  si  dovrà 
disepelire  il  cadavere,  e  bruciare  le  sue  ossa.  » 

Anzi  non  fa  mestieri  né  men  di  processo  e  di  giudizio, 
L'occisione  degli  eretici  è  un  dovere  di  ogni  catolico. 
La  chiesa  ne'suoi  cànoni  ha  sancita  e  consacrata  la  mas- 
sima di  S.  Agostino,  che  li  eretici  non  han  diritto  alcuno 
di  lamentarci,  se  i  catolici  li  ammazzano;  e  quella  di 
S.  Gerolamo,  che  è  opera  di  pietà  il  vendicare  le  offese 
di  Dio,  poiché  Dio  stesso  ha  fatto  questo  comanda- 
mento: Se  un  tuo  fratello^  figliuolo  di  tua  madrey  o 
un  tuo  figliuolo^  o  una  figlia,  ower  la  moglie,  che  tu 
porti  in  seno,  o  un  amico,  che  tu  ami  come  V  anima 
tua,  tenterà  di  persuaderti,  e  segretamente  dirà  a  te  : 
Andiamo  a  servire  li  dei  stranieri,  non  conosciuti  da  te, 
né  da'padri  tuoi,  li  dei  di  tutte  le  genti,  dalle  quali 
tu  sei  circondato,  o  vicine,  o  remote,  alVuna  o  alVal- 
tra  estremità  della  terra:  non  dargli  retta,  non  ascol- 
tarlo, e  non  lasciarti  muovere  dalla  compassione  a 
perdonargli,  ed  a  nasconderlo;  ma  tosto  l'oeciderai: 
Hi  sarai  il  primo  ad  alzar  la  mano  contro  di  lui,  e 


ISt 

pò»  tutto  il  popolo  ahi  la  mano.  Sepolto  $otto  le  pie^ 
tre  egli  morrà  (1).  » 

Sì  dice,  lo  so  bene,  che  questa  legislazione  infer- 
nale non  è  più  in  vigore;  e  che  almeno  tacitamente 
venne  dalla  chiesa  abrogata.  Ma  chi  dice  così,  parla 
di  una  chiesa  imaginaria,  e  non  della  reale;  di  una 
chiesa,  qual  ei  vagheggia  nel  proprio  cuore,  e  non 
qual  esiste  ne' suoi  monumenti.  Tutte  le  leggi  ese- 
crande, che  ho  riferite,  costituiscono  ancor  oggi  il 
diritto  canonico  della  chiesa,  la  quale  non  ne  ha  mal 
abrogato,  né  modificarto  nessun  articolo.  Anzi  nel 
suo  codice  stesso  registrò  una  bulla  di  Paolo  lY,  ra- 
tificata poscia  da  Pio  Y  nel  1566,  ove  è  sancita  for- 
malmente la  perpetuità  e  Timmutabilità  di  quelle  sue 
leggi:  «  Tutte  e  singole  le  sentenze,  le  censure,  e  le 
»  pene  di  scommunica,  sospensione,  interdetto,  pri- 
»  vazione,  e  qualsiasi  altra,  in  qualsivoglia  modo 
»  portate  e  promulgate  contro  li  eretici  e  li  scisma- 
»  ticl,  noi  per  Y  apostolica  autorità  le  approviamo 
»  e  le  rinoviamo,  ordinando  che  si  debbano  osser- 
9  vare  in  perpetuo,  e  rimettere  e  mantenere  in  piena 
y^  osservanza,  se  per  avventura  non  ci  fossero  (2).  yy 


(3)  «  Si   libi  Toluerìt  persuadere  frater  tuns,  Alias   ma- 
»  tris  luae,  aut  tilius   taus,  vel  Alia,  sive  uxor,  quae  est 

•  in  Sina  tuo,  aut  amicus,  quem  diligis  ut  animam  tuam, 
»  clam  dieens:  Eamus  et  serviamns  diis  aUenis,  qaos  igno- 
9  ras  tu  et  patres  tui,  cunctarum  in  circuito  gentium ,  quae 

•  Juxta  vel  procul  sunt,  ab  initio  uaque  ad  0nem  terrae,  non 

•  acquiescas  ei,  nec  audias,  neque  parcat  ei  oculus  tuus,  ut 
1  miserearis  et  occultes  eum  ;  sed  stalim  interficies  :  sit  pri* 
»  mnm  manus  tua  super  eum,  et  poslea  omnis  populus  mit- 
»  tat  manum.  Lapidibus  obrutus  necabitur.  •  Deoteh.  XIII, 
6-iO.  Vedi  Db  Potter,  tlatéehUme  eathoUque-romain  compre- 
nant  la  iégUlaiion  pénale  eeeléiùuiique  en  fnatière  (Vhéréiie- 

(S)  Sepiim.  Decretai^  lib.  V,  tit.  ili,  De  haeretieU  et  ac^. 
smalicit,  cap.  IX:  e  OmnAi  et  n^gulas  excommuiioationit  • 


332 

Più  di  recefite,  nel  VM,  Clemcnlé  XI  protestando 
contro  il  tìtolo  di  re  di  Prussia,  che  il  marchese  di 
Brandeburgo  assunieva,  disse  e  ripetè  ne' suoi  Brevi, 
ch'era  quella  «  un'offesa  contro  la  Santa  Sede,  con- 
»  tre  Tautorìtà  della  chiesa  e  dei  sacri  canoni;  poi- 

0  die  li  eretici  devono  essere  spogliati  del  potere 
»  e  degli  onori  che  godono,  anziché  venir  inalzati. 
»  a  dignità  maggiori.  »  In  tempi  ancor  più  vicini, 
nel  1805,  Pio  YH,  fra  le  instruzioni  che  dava  al 
suo  nunzio  a  Vienna,  dichiarava:  «  Non  solamente 
ì>  la  chiesa  ha  procurato  in  ogni  tempo  d'impedire, 
»  che  li  eretici  occupassero  i  beni  ecclesiastici  ;  ma 
»  ella  stabili  eziandio,  come  pena  del  delitto  d'ere- 
»  sia,  la  confida  e  la  pwdita  dei  beni  posseduti  da- 
»  gli  eretici.  Ou^ta  pena  è  decretata,  per  ciò  che 
»  spetta  ai  privati,  nella  Decretale  d'Innocenzo  III, 
»  riferita  al  capo  Vergenti$  (è  quello  stessQ  citato  di 
»  sopra  a  pag,  322j  ;  e  per  quel  che  concerne  i  prin- 
»  clpati  ed  i  feudi,  è  egualmente  regola  del  diritto 
»  canonico,  al  capo  Absolutos  (citato  pure  di  sopra 
»  a  pag.  323J ,  che  i  sudditi  di  un  principe  manife- 
»  stamente  eretico  rinmngono  assoluti  da  qualunque 
»  omaggio,  fedeltà  ed  ossequio  (1).  »  Ed  oggi  stesso 
tutti  ì  vescovi  nella  loro  ordinazione  giurano  di  per- 

»  suspensionis ,  et  iiiterdicti,  ae  privaUonis,  et  qnasvts  alias 

■  sentenilas,  censuras  et  poenas  a  qotbasTis  rornams  porttfl- 

1  cibus  praedecessoribus  nostris,  aut  prò  talibus  babitis,  oliam 
»  per  eorunk  litteras  extravagantes,  seu  sacris  conciliis  ab  ec- 
>  desia  Dei  receptis,  vel  sanctorum  Patrum  deccetis  el  sta- 
»  taiis,  aut  sacris  caoonibus,  ac  constilutionihus,  et  ordina- 
»  tioDibus  apostolicis  con  tra  baereticos  aut  schismaticos  quo- 
a  modolibet  lalas,  et  promulgatas,  apostolica  auctoritate  ap- 
»  probamns  et  ìnnovamus,  ac  perpetao  obsenrari,  et  in  virid 

■  observantia,  sf  forsan  in  ea  non  sint,  reponi  et  esse  debere,  b 
{ConsHt.  Inter  mnitipMces,  Bu itor,  tona.  IV,  pari.  Il,pag.  3S5). 
«  (i)  Db  Potteb,  he.  cit.,  leQ.  13. 


3gS 

ieguitare  e  combattere  li  eretici  e  li  scismatici  con 
tutte  le  proprie  forze.  Oggi  ancora  il  papa,  nella  sua 
consacrazione,  giura  di  mantener  intatta  bsque  ad 
UNUM  APiCEM,  di  confermare  e  difendere  con  la  vita 
e  co'l  sangue  la  dottrina  dei  concilj  generali,  fra  cui 
sono  espressamente  annoverali  quelli  di  Lalerano  e 
di  Costanza,  che  contengono  tutta  la  disciplina  del- 
l'Inquisizione. Oggi  parimente  papi,  vescovi,  preti  *e 
secolari,  tutti  i  catolici  in  somma,  riconoscono  per 
unica  professione  di  fede  ortodossa  quella,  che  Pio  lY 
formulò  secondo  lo  spirito  del  concilio  di  Trento, 
Ove  si  dichiara  di  ammettere  e  professare  fermamente 
tutto  ciò,  che  dai  sacri  cànoni  e  dai  concilj  ecume- 
nici venne  insegnato,  definito,  e  deciso;  ed  insieme 
di  condannare,  rigettare,  ed  anatematizzare  tutte  le  cose 
contrarie,  e  tutte  le  eresie  dalla  chiesa  condannate,  ri- 
gettate, e  anateìnatizzate.  Oggi  infine  sussiste  in  Roma 
il  li  ibuoale  del  Sani Wlìclo  dell'Inquisizione  adversus 
haereticam  pravltatem,  con  tutte  le  sue  fdcultà,  di- 
ritti, e  privilegi,  con  tutti  i  suoi  ministri,  con  tutto 
il  suo  codice,  con  tutta  la  sua  barbarie. 

Vero  è,  che  quelle  leggi  non  si  osservano  più  in 
verun  paese  civile;  ma  se  ne  deve  tutto  il  merito 
alla  civiltà,  e  non  pùnto  al  catolicismo.  Non  si  osser- 
vano più,  perchè  nessun  governo  obedisce  più  alla 
chiesa,  perchè  nessun  popolo  adora  più  il  papa,  jjer* 
che  nessun  galantuomo  ha  più  paura  delle  scommu- 
nìche,  perchè  una  società  catolica  non  esiste  più.  La 
chiesa  lascia  dormire  il  suo  codice,  non  perchè  debba 
e  voglia  corrèggerlo,  ma  perchè  non  può  eseguirlo. 
Essa  lascia  vivere  lì  eretici,  non  perchè  riconosca 
in  loro  un  diritto  alla  vita,  ma  perchè  non  può  farli 
bruciare.  E  questa  interpretazione  della  sua  condutla 
non  è  un  mio  trovato,  ma  è  l'insegnamento  espresso 
dei  papi.  Pio  VII  nelle  instruzioni  sovracilalo  al  suo 


3S4 

nunzio,  Tha  dichiarato  apertamente:  «  I*)oi  Tiriamo 
»  adesso  in  tempi  così  infelici,  così  umilianti  per  la 
»  sposa  di  Cristo,  che  siccome  a  lei  non  è  possibile 
»  usare,  così  neppure  è  espediente  ricordare  queste 
ì>  sue  santissime  massime  di  giusto  rigore  contro  1 
»  nemici  e  i  ril)elli  della  fede.  Ma  se  non  può  eser- 
»  citare  il  suo  diritto  di  deporre  da' loro  principati, 
»  e  dichiarare  decaduti  da' loro  beni  li  eretici,  non 
y>  dee  però  lasciarsi  spogliare  essa  stessa  per  dare 
»  agli  eretici  beni  maggiori  e  nuovi  possedimenti.  Sa- 
»  rebbe  un  fornire  agli  eretici  stessi  ed  agli  incre- 
»  duli  un'occasione  di  burlarsi  della  chiesa,  e  d'in- 
»  sultare  al  suo  dolore:  direbbero  essersi  trovati  fi-  - 
»  nalmente  i  mezzi  onde  farla  divenir  tolerante  (1).  » 
E  per  ciò  che  spetta  particolarmente  alia  libertà  di 
culto,  lo  stesso  papa  Pio  VII,  nel  1808,  scriveva  ai 
vescovi  del  regno  d'Italia  :  «  La  protezione  di  tutti  i 
»  culti  non  è  che  un  pretesto  del  potere  civile  per  im- 
»  mischiarsi  nelle  cose  spirituali;  perchè  rispettando 
»  veramente  tutte  le  sètte,  con  tutte  le  loro  opinioni, 
»  usanze,  e  superstizioni,  non  si  ha  rispetto  alcuno 
»  per  i  diritti  e  le  instituzioni  della  religione  cato- 
D  lica.  Sotto  una  tale  protezione  si  nasconde  e  si  ma- 
»  schera  la  più  astuta  e  pericolosa  persecuzione,  che 
»  possa  imaginarsi  contro  la  chiesa  di  Gesù  Cristo, 
»  e  la  più  adattata  a  turbarla  e  perfino  a  distrug> 
»  gerla,  se  la  forza  e  le  arti  dell'  inferno  potessero 
»  mai  prevalere  contro  di  lei  (2).  »  Ed  ultimamente 
Gregorio  XVI  incaricava  il  cardinal  Pacca  di  ammo- 
nire Lamennais,  che  «  le  dottrine  deìVAvenir  intorno 
»  alla  libertà  dei  culti,  sono  riprovevolissime,  ed 
»  in  opposizione  con  l'insegnamento,  le  massime,  e 
»  la  pratica  della  chiesa.  Esse  l'hanno  fortemente 

(0  Oe  Potter,  loe.,  cit. 

(2)  De  Potter,  loc   eit,  \e^.  i. 


»  sorpreso  ed  afflitto;  poiché,  se  in  certe  circostanze 
»  la  prudenza  esige  di  tolerarle  come  un  male  mi- 
»  nore,  siffatte  dottrine  non  possono  mai  presentarsi 
»  da  un  catolico  siccome  un  bene  o  una  cosa  desi- 
»  derabile  (1).  » 

Or  a  noi,  monsignori,  e  conti,  e  academici,  e  ar- 
chimandriti del  partito  catolico:  dichiaratevi.  Am- 
mettete voi,  sì  0  no,  queste  dottrine  della  chiesa? 
Se  no,  via  la  maschera  religiosa:  voi  non  siete  ca- 
tolici,  ma  eterodossi.  Se  sì,  giù  la  maschera  liberale: 
voi  siete  inquisitori.  Ma  catolici  o  eterodossi,  liberali 
0  inquisitori,  siate  sinceri.  La  legge  catolica  si  com- 
pendia tutta  in  quest'articolo  :  esterminio  di  tutti  co- 
loro, che  non  credono  e  non  obediscono  al  papa.  E 
voi  la  professate*?  Su  yia,  bando  alle  distinzioni  ed  alle 
restrizioni  mentali:  rispondete  un  sì,  o  un  no,  accioc- 
ché i  popoli  conoscano  una  volta  con  che  razza  di 
apostoli  abbiano  da  fare.  Se  poi  voleste  ancora  per- 
sistere a  mantenere  nel  vostro  programma  la  libertà 
religiosa,  come  principio  catolico,  allora  dovete  pro- 
vare due  cose:  in  prima,  che  non  sono  dottrine  e 
leggi  della  chiesa  quelle,  che  vi  ho  testé  allegate;  e 
indi,  che  la  chiesa  all'incontro  insegnò  dottrine  e  pro- 
mulgò leggi  di  libertà  religiosa.  Leggi  e  dottrine,  io 
vi  ripeto;  poiché  la  nostra  controversia  è  teoretica, 
e  non  pratica.  Sì  tratta  del  codice  della  chiesa,  non 
già  della  sua  storia;  dei  cànoni,  e  non  delle  azioni. 
Quand'anche  l'Inquisizione  non  avesse  mai  bruciato, 
né  torturato,  né  processato  un  eretico  al  mondo; 
quand'anche  la  chiesa  non  avesse  giammai  mandato 
ad  effetto  nessuno  dei  suoi  decreti,  la  questione  ri- 
marrebbe sempre  la  stessa;  ed  io  v'attendo  alle  prove. 
Ma  prove,  non  ciance,  e  sofismi,  ed  imposture,  al  vostre 

{\)  Lettera  de'  \Z  agoUo  «832. 


336 

solilo.  La  questiouesi  dee  risolvere  coi  documenti; 
e  i  documenti  vogliono  essere  decisioni  di  papi  e  di 
concilj,  non  già  private  opinioni  di  qualche  teologa- 
stro  allucinato.  Strana  cosa  è,  per  verità,  che  ai  ra- 
zionalisti oggimai  tocchi  d'insegnarvi  la  teologia  :  ma 
la  colpa  è  tutta  vostra;  poiché  al  modo  con  cui  ra- 
gionate, si  direbbe  che  non  avete  mai  aperto  un  trat- 
tato De  loci»  theologicis. 

Così  voi,  signor  conte,  che  in  nome  del  catolicismo 
predicate  la  libertà,  non  avete  mai  addutta  una  sola 
prova  teologica  per  mostrare,  che  la  libertà  è  una 
legge  della  chiesa.  Ricordate  bensì  in  un  luogo  al- 
cuni testi  della  Bibbia,  ove  si  favella  del  diritto  (1); 
ma  la  parola  della  Bibbia,  dovreste  saperlo,  non  prova 
nulla:  tutto  sta  nello  spirito y  cioè  nel  senso;  e  il 
senso  della  Bibbia  per  un  catolico  non  può  essere 
altro  che  quello  determinato  dalla  chiesa,  cioè  dalle 
decisioni  solenni  dei  concìlj  e  dei  papi.  Ed  a  voi  si 
potrebbe  tuttavia  perdonare;  giacché,  in  fine,  con 
tutto  il  chiasso  che  fate  da  oltre  a  venti  anni,  non 
siete  altro  che  una  pecora  dell'ovile'. 
;  Ma  voi,  monsignor  d'Annecy,  voi  che  siete  pastore, 
voi  che  umilmente  v'intitolate  dottore  della  fede  e 
custode  della  sacra  dottrina ,  anche  voi  ignorate  o 
calpestate  i  principi  della  vostra  chiesa?  Voi  publì- 
cate  un  programma  in  nome  del  catolicismo;  e  non 
date  pur  una  sola  ragione  per  dimostrarlo  conforme 
alle  massime  della  chiesa?  Voi  parlate  sempre,  ed  in 
nome  della  chiesa,  di  popoli  e  di  principi,  di  Stati 
generali  e  di  costituzioni,  di  medio  evo  e  dì  fran- 
chigie feudali,  di  Communi  e  di  rappresentanze,  di  di- 
ritti e  di  libertà  (2)  ;  e  non  pensate  mai  a  cercare  la 
dottrina  della  chiesa  là  dove  unicamente  sì  trova,  nel 

{{)  Pag.  90. 

(2)  Lettera  al  ionie  di  Montalembert,  15  novembri  1852. 


337 

concilj,  nelle  decretali,  e  nel  bullario?  Egli  è  uno 
scandalo ,  monsignore,  che  dovete  cessare.  0  prova- 
teci, che  la  chiesa  ammette  la  libertà  religiosa,  al- 
legando i  testi  formali  che  la  stabiliscono,  come 
io  VI  ho  citato  quelli  che  la  condannano;  o  altri- 
menti ritrattatevi.  Abjurate  U  catolicismo,  se  vi  piace 
d'esser  liberale;  o  rinegate  la  libertà,  se  vi  giova  di 
esser  catolico.  Perocché  il  titolo  di  catolico  liberale 
suona  per  un  laico  una  contradizione  ridicola;  ma 
■per  un  vescovo  importa  di  più  un'apostasia,  un  tra- 
dimento, una  ribellione  mascherata.  Voi  adunque  do- 
vete, se*  non  a  voi  stesso,  almeno  alle  vostre  pecorelle, 
una  dichiarazione  che  le  disinganni  :  e  noi  l'attendiamo. 

Il  rimprovero,  che  rivolgo  a  Montalembert  ed  a 
Rendu,  potrei  estenderlo  meritamente  agli  altri  scrit- 
tori, che  si  vantano  catolici  e  liberali.  Ma  per  non 
abusare  della  pazienza  deflettori,  io  toccherò  sola- 
mente di  quel  Balmes,  che  tutto  il  partito  catolico 
riconosce  e  venera  come  uno  de' suoi  più  potenti  ed 
illustri  campioni.  Or  bene,  il  prete  spagnuolo,  cosi 
buon  teologo  come  il  cónte  francese  ed  11  vescovo 
savoiardo,  discorre  anch'egli  con  una  logica  sì  biz- 
zarra e  scapestrata,  che  fa  pietà.  Tratta  in  due  lun- 
ghi capi  (1)  della  toleranza;  e  pretende  giustificare 
la  selvaggia  dottrina  della  chiesa,  senza  mai  darsi 
la  briga  di  stabilire  quale  essa  sia.  Loda  la  carità  e 
l'umiltà  cristiana;  accusa  d'intoleranza  i  protestanti 
e  l'increduli  ;  ma  non  dice  una  sola  parola  delle  dot- 
trine, che  propriamente  la  chiesa  professa;  e  non 
cita  né  un  cànone,  né  una  bulla.  Anzi  affibbia  al  ca- 
tolicismo i  prìncipi  stessi,  che  la  chiesa  per  dieci 
secoli  fulminò  con  tale  tempesta  d'anatemi,  che  già 

(t)  //  protestantesimo  paragonato  co  'l  catoìieismoyiom.  ff. 
cap.  XXXIV  e  XXXV. 

I.  22 


3S8 

formano  parecchie  dozzine  di  cnormisslmi  volumi. 
Così  egli  dà  una  smentita  a  Rousseau,  il  quale  diceva , 
che  per  un  ortodosso  «  amare  li  acatolici  sarebbe 
aver  Dio  in  orrore  »;  ed  afferma,  che  per  lo  con- 
trario cesserebbe  di  essere  catolico  chi  sostenesse 
una  tale  dottrina  (1);  giacché  la  carità  catolica  fa 
amare  tutti  li  uomini,  ed  anche  i  nostri  maggiori  ne- 
mici, inspira  la  compassione  per  le  loro  mancanze  e 
per  t  loro  errori,  ed  obliga  a  riguardarli  come  fra- 
telli (2)  ;  e  l'umiltà  catolica,  non  limitandosi  alla  sfera 
individuale,  ma  abbracciando  Vintiera  Umanità,  ci  fa 
considerare  come  membra  della- grande  famiglia  del 
genere  umano;  ce  lo  mostra  degno  di  compassione  e 
d'indulgenza  ne' suoi  traviamenti  e  nei  falli  suoi,  e  ci 
rende  indulgenti  con  tutti  (3).  Io  voglio  credere  che 
Balmes  abbia  tenuto  questo  linguaggio  in  buona  fede 
e  per  mera  ignoranza  o  inavvertenza;  che  altrimenti 
dovrei  qualificarlo  un'ironia  disumana  ed  atroce.  Per- 
ciocché quale  sia  la  carità,  Yindulgenza,  la  compas- 
sione. Idi  fratellanza  del  catolicismo,  l'abbiamo  ve- 
duto; e  chiamare  con  questi  nomi  dolci  e  soavi  le 
massime  sanguinarie  di  quelli  antropofagi  mitrati, 
che  sotto  le  divise  di  vìcarj  di  Cristo  e  successori 
degli  apostoli,  disonorarono  l'Umanità;  oh!  sarebbe 
troppo  1  Finiamola  una  volta  con  questi  equivoci  e 
con  questi  sofismi.  Il  catolicismo  non  è  la  Bibbia,  né 
l'Evangelio,  ma  è  la  chiesa;  e  la  chiesa  come  insti- 
tuzione,  è  la  curia  romana  ;  e  come  dottrina,  è  la  rac- 
colta dei  concili  e  delle  bulle.  Che  possano  trovarsi 
alcune  idee  liberali  e  progressive  in  qualche  verso 
dell'Evangelio  ed  in  qualche  massima  degli  antichi 
Padri,  anch'io  me'l  so,  e  non  Tho  mai  negato;  ma 

(n  Pag.  2^3. 

(2)  Pag.  242. 

(3)  Pag.  ^\'i. 


339 

chi  fouda  la  propria  religione  su  queste  uiiichabasi, 
chiamisi  pure  cristiano,  so  gli  piace,  chiamisi  rifor- 
malo, evangelico,  puritano,  metodista,  indipendente; 
chiamisi  lutto  quello  che  vuole,  purché  non  si  vanti 
catolico.  li  catolico  non  deve  e  non  può  riconoscere 
che  un  solo  Evangelio  ed  una  sola  Bibbia:  la  parola 
del  papa.  Ecco  la  sua  legge  e  i  suoi  profeti;  ecco  il 
suo  Dio. 


FINE  DEL  VOLUStE  PRiXO 


INDICE  E  SOMMARIO 


Prefazione Pag.      6 

CAPITOLO  PRIMO 

'•VAVo  wBAjk  Qvumm.Oftm 

Carattere  religioso  del  secolo  XiX,  secondo  i  catolicl  —  i 
protestanti  •—  i  razionalisti.  •»  Condizioni  di  luogo  —  di 
tempo  —  di  dottrine»  che  delcrminano  la  questione.  >    SI 

CAPITOLO  SECONDO 

CJUBATTSai   DI   VIVA   nniIdlOWB 

Varj  significati  della  parola  Religione,  -^  Elementi  essen- 
ziali ad  un  sistema  religioso.  ~  La  religione  dev'essere 
il  criterio  della  verità  —  la  legge  della  coscienza  —  la 
regola  del  progresso  —  la  norma  del  diritto  pnblico.  — 
Il  catolicismo  era  propriamente  la  religione  del  medio 
evo »     56 

CAPITOLO  TERZO 
caiTSBio  iiBi*iaio«o  di  hontalbiuisii* 

Divisione  del  suo  libro.  —  Egli  riduce  tutta  la  religione 
agi'  interessi.  —  §lalo  del  catolicismo  in  Polonia  —  ed 
ili  Isvizzcra.  —  Eloquente  silenzio  dì  Miinlalembcrl  in- 


342 

torno  all'Italia.  —  In  lulia  il  eatollcismo  non  esisle 
più.  —  Documenli.  —  Sua  condizione  in  Ispagna.  — 
Donoso  Cortes.  —  Il  catolicismo  in  Germania  —  nel 
lìelgio  —  nell'Olanda  —  nella  Francia.  ~  Insulti  di 
Montalembert  alle  sue  vittime:  —  La  chiesa  di  Francia- 
ha  dato  T  ultimo  colpo  al  catolicismo.  —  La  reli- 
gione di  Bonaparteedeir  Assemblea  francese. --  Stalo 
del  catolicismo  in  Inghilterra.  — 11  Pio  IX  di  Montalem- 
bert. —  Il  popolo  romano.  —  L'Allocuzione  del  S3 
aprile.  —  I  frutti  della  spedizione  di  Roma.  —  Testi- 
monianza del  P.  Ventura.  . Pag.     S& 

CAPITOLO  QUARTO 

II.   CATOK.ICIMfO   ■    LA   mVOtiOBIOI«H 

Falli  (}a  cui  Montalembert  deduca  il  movimento  interno 
e  spirituale  dol  catolicismo.  —  Essi  non  provano  nulla. 
T-  Un  altro  silenzio  eloquenlissimo  intorno  ai  rap- 
porti delia  scienza  con  la  fede.  —  La  religione  di  Mon- 
talembert è  un'appendice  dei  governi  e  delle  polizie. 

—  Concetto  e  legge  della  rivoluzione.  —  Montalembert 
fa  r elogio  del  protestantesimo.  —  Un  academico  cha 
bestemia  la  fllosofla.  —  Un  profeta  di  nuovo  genere. 

—  Il  discredilo  della  fllosofla  dinanzi  alla  cliiesa.  — 
Gonlradizione  di  Montalembert.  —  La  ragione  e  la  li- 
bertà sotto  Pala  del  catolicismo.  —  Il  problema  del- 
l'alleanza del  catolicismo  con  la  ragione.  —  Como  Io 
risolva  il  secolo  XlX »  Ì02 

CAPITOLO  QUINTO 


II.    CAVOUC» 


1  profeti  del  secolo  passato  l'hanno  indovinata.  —  Pro- 
gresso della  rivoluzione.  —  Rivoluzione  oggidì  signi- 
fica razionalismo  -^  socialismo  —  e  democrazia.  — 
La  diicsa  nel  90  e  nel  48.  —  La  chiesa  e  la  libertà. 
—  Argumenti  su  cui  Montalembert  vuol  fondare  Tal- 
Icanza  dalla  libertà  conia  chiesa.  ~  Egli  Mostra  di  non 


343 

conoscere  i  primi  elementi  delia  teologia.  —  La  tradi- 
zione catolica  di  iVJontalembert.  —  I  suoi  studj  profondi 
e  serj.  —  Il  clero  di  Francia  e  Bonaparte.  —  Se  il  go- 
verno della  cliiesa  sia  temperalo.  —  Se  il  medio  evo 
avesse  qualche  nozione  del  potere  assoluto.  —  Il  dì- 
ritto  modirno  e  razionale.  —  Proteste  dei  catolici 
contro  Montalembert.  ->  Il  programma  catolico  del  ve- 
scovo d'Orléans Pag.  136 

CAPITOLO  SESTO 

-AI.    CATOLICiailO   M    X>*    nUMOCUAMlA 

Qaale  siala  libertà  che  Montalembert  desidera  ed  ama. — 
Assurdità  della  sua  definizione. —  Contradizione  formale. 

—  Il  relativo  e  l'assoluto. —  Il  programma  catolico  di 
monsignor  Rendu,  approvato  da  Montalembert.  —  Se 
abbia  nulla  di  commune  con  quello  della  democrazia. 

—  Le  dichiarazioni  dei  diritti  delTuomo.  —  Nuovo  ge- 
nere di  dimostrazioni  a  uso  di  Montalembert.  —  Per- 
chè la  libertà  e  la  democrazia  non  abbiano  durato. — 
La  forma  e  l'essenza  della  rivoluzione.  —  Abuso  che 
fa  Montalembert  di  un  molto  di  Proudhon.  —  La  ca- 
lunnia portata  fino  al  cinismo.  —  LMnvidia  del  po- 
polo. •—  La  democrazia  non  ha  compiuto  ancora  il 
suo  trionfo »  185 

CAPITOLO  SETTIMO 

Nel 'sistema  della  libertà  il  criterio  del  vero  è  la  ragione. 

—  Nel  catolicismo  invece  è  l'autorità.  —  Dottrina  ca- 
tolica intorno  alla  ragione  —  prima  della  fede  —  con 
la  fede  —  dopo  la  fede.  —  La  distinzione  dello  spi- 
rituale dal  temporale  è  insussislenie.  —  Conlradizione 
fondamentale  [del  processo  teologico.  —  La  teorica 
dell'umana  conoscenza  distrugge  lutto  il  sistema  del 
calolicismp.  —  Autonomìa  della  ragione.  —  Vicn  con- 
fermata, e  non  abbattuta,  dalla  storia   degli  errori 


344 

umani.  —  La  ragione  fllosoflca  del  P.  Venlura.  — 
Egli  definisce  la  filosofia  con  quattro  menzogne.  — 
Sue  balordaggini  e  calunnie  intorno  alla  filosofia  an- 
tica —  suo  furore  contro  la  moderna.  ^  La  grande 
scoperta  ch'egli  tia  fatto  di  di;e  filosofie  con  è  ctie 
un  ciarlatanesco  abuso  di  nomi ^.    Pag.  S25 

CAPITOLO  OTTAVO 

XiXBBRTA*     BBKiIOIOSA 

Antagonismo  fra  i  due  programmi  della  libertà  e  del  ca- 
tolicismo. —  (.a  libertà  religiosa  comprende  la  libertà 
d'esame  —  di  coscienza  —  e  di  culto.  —  Sofismi  di 
Balraes  contro  queste  libertà.  —  Rapporti  della  reli- 
gione con  la  morale.  —  Il  catolicismo  distrugge  la  base 
stessa  della  morale,  subordinandola  al  dogma.  —  Se  chi  • 
non  professa  una  religione  positiva  sia  un  empio.  — 
La  chiesa  non  ammette  la  libertà  d'esame.  —  Scan- 
dalose distinzioni  della  teologia.  —  Non  ammette  nò 
pure  la  libertà  di  coscienza.  —  Dottrina  dì  Grego- 
rio XVL  —  Monlalembert  e  Reiidu  non  sono  catolici. 
—  Documenti.  —  Lettere  di  Pio  V.  — Dottrina  diS.  To- 
maso e  del  Breviario.  —  Monlalembert  e  Rendu  ne- 
gano anch'essi  la  libertà  religiosa.  —  Il  catolicismo 
non  ammette  la  libertà  di  culto.  — •  Legislazione  cano- 
nica intorno  all' esterminio  degli  eretici.  —  E  non  ò 
abrogata.  —  I  catolici  liberali  sono  sofisti.  ...»  266 


V 


L\  RELIGIONE  DEL  SECOLO  XIX 


LA 


RELIGIONE 


DEL  SECOLO  XIX 


PER 


AUSONIO    FRANCHI 


SECONDA  EDIZIONE 
con  moli*  correzioni  ed  aggignlOi 


YOL.  II. 


LOSANNA 
1860 


LA 


RELIGIONE  DEL  SECOLO  XIX 


CAPITOLO   NONO 


LIBBBTA*    ClVIIiV 


In  tutti  i  programmi  liberali,  da  quello  della  Co- 
stituente deir89  fino  a  quello  deirodierna  democra- 
zia, la  libertà  civile  primeggia  fra  i  diritti  uaturali 
dell'uomo  e  del  cittadino.  Essa  implica  nel  suo  con-» 
cetto  e  nella  sua  attuazione  la  libertà  della  persona, 
del  domicilio,» e  della  proprietà;  e  quindi  il  consenso 
della  nazione  ai  publicì  tributi.  Anche  Montalembert 
e  Rendu,  come  abbiamo  veduto,  lo  riconoscono;  sic^ 
che  la  cosa  non  ha  punto  mestieri  di  prova. 

Tuttavìa  quest'accordo  nelle  parole  a  noi  non  ba- 
sta; e  dobb^mo  trattenerci  un  istante  a  determinare 
il  senso,  in  cui  le  prende  oggidì  la  democrazia.  Per- 
ciocché la  libertà  civile,  per  sé  sola,  nelle  present 
condizioni  della  società,  tornerebbe  tutta  a  benefìzio 
del  ceto  aristocratico  e  denaroso;  pe'l  popolo  non 
sarebbe  che  il  diritto  all'oppressione,  alla  miseria, 
alla  servitù  della  fame.  Questa  libertà  adunque,  per 
non  equivalere  ad  una  crudel  derisione,  vuol  essere 


6 

fondata  ed  eretta  su  leguaglianza. Tutti  i  democra- 
tici ammettono  ormai  questo  principio,  qual  dogma 
fondamentale  del  loro  sistema:  le  questioni,  intorno 
alle  quali  v'ha  disenso  e  contrasto  fra  i  varj  partiti, 
cadono  esclusivamente  su  le  applicazioni,  e  non  mai 
su  '1  principio.  Egli  è  questo,  per  la  nostra  causa,  un 
articolo  COSI  importante,  un  fatto  così  capitale,  ch'io 
mi  tengo  in  debito  di  arrecarne  in  prova  alcuni  do- 
cumenti irrefragabili.. 

A' 14  di  luglio  1845  publicavasi  dalla  Riforme  un 
manifesto,  in  cui  si  dichiarava  espressamente*  «  Colà, 
»  dove  non  esiste  eguaglianza,  la  libertà  è  una  men- 
»  zogna. 

»*La  società  non  potrebbe  vivere  altrimenti  che 
»  mediante  l'ineguaglianza  delle  attitudini,  e  la  di- 
»  versità  degli  offìcj  ;  ma  le  attitudini  superiori  non 
»  devono  conferire  maggiori  diritti:  esse  impongono 
»  maggiori  doveri. 

»  È  questo  il  principio  dell'eguaglianza:  l'associa- 
»  zione  ne  è  la  forma  necessaria. 

»  Scopo  finale  dell'associazione  si  è  di  arrivare  alla 
»  soddisfazione  de'  bisogni  intellettuali,  morali  e  ma- 
»  teriali  di  tutti  con  l'impiego  delle  loro  diverse  at> 
»  titudini,  e  il  Concorso  de'  loro  sforzi. 

y>  Li  opera]  furono  schiavi;  furono  servi;  oggi  sono 
«  stipendiati;  bisogna  tendere  a  farli  passare  allo 
»  stato  di  associati  (1);  » 

Questa  professione  di  fede,  compilata  da  L  Blanc, 
era  sottoscritta  dal  fiore  dei  democratici  francési.  Pie- 
tro Leroux  la  riprodusse  nella  sua  Revue  sociale';  e 
ripetè,  in  nome  proprio,  le  parole  onde  Taveano  fatta 
precedere  1  suoi  amici:  «  Noi  abbiamo  creduto  di  do- 
»  ver  riassumere  in  poche  linee  chiare,  concise,  for- 
»  mali,  le  principali  verità  democratiche,  pigliando 

(i)  L.,Blakc,  Pagei  d'Mstoire,  eh.  «. 


T 

»  per  base  li  eterni  princìpj  proclamati  al  oespeita 
»  del  mondo  da. quella  grande  Rivoluzione,  cbe  ha 
»  fatto  della  Francia  la  guida  deirUmanità  (1).  »    , 

n  Gomitato  democratico  europeo,  rappresentato  da 
Giuseppe  Mazzini,  Ledru  Roilin,  Alberto  Darasz,  e 
Arnoldo  Ruge,  nel  suo  programma  del  22  luglio  1850, 
formulava  lo  stesso  principio  in  termini  equivalenti: 
«  Noi  tutti  crediamo  allo  svolgimento  progressivo 
»  delle  facultà  e  delle  forze  umane  su  la  via  della 
»  legge  morale,  che  ci  venne  prescritta. 

»  Noi  crediamo  airassociazione,  come  al  solo  mezzo 
»  regolare,  che  possa  conseguire  la  meta. 

»  Crediamo  alla  libertà,  senza  di  cui  ogni  respon- 
»  sabilità  umana  svanisce; 

»  Air  eguaglianza,  senza  di  cui  la  libertà  non  è 
»  ohe  un  inganno; 

9  Alla  fratellanza,  senza  di  cui  la  libertà  e  Tegua- 
»  glianza  non  sarebbero  altro  che  mezzi  senza  uno 
»  scopo; 

»  All'associazione,  senza  dì  cui  la  fratellanza  sa- 
»  rebbe  un  programma  ineseguibile. 

»  Noi  crediamo  alla  santità  del  lavoro,  alla  sua 
»  inviolabilità,  alla  proprietà  che  ne  deriva,  come  il 
»  suo  segno  ed  il  suo  frutto; 

»  Al  dovere,  i)er  parte  della  società,  di  fornire 
»  r  elemento  del  lavoro  materiale  co'l  credito,  del 
»  lavoro  intellettuale  e  morale  con  l'educazione; 

»  Al  dovere,  per  parte  delFindividuo,  dì  usarne  a 
»  tenore  delle  sue  facultà,  e  per  il  miglioramento 
»  commune  (2)  ». 

Un  altro  manifesto  dei  democratici  socialisti  alle- 
manni,  polacchi,  ungheresi,  italiani,  e  francesi,  in 
data  dì  febrajo  18151,  che  serviva  d'invito  a  celebrare 

(ì)  N.«  i,  octobre  ÌUb, 
'  (2)  Li  Proscrit,  n."»  5,  aoAt  1850. 


8 

GOù  un  banchello  l'anniversario  delia  rivoluzione  eu- 
ropea del  48,  consuona  alle  medesime  dottrine: 

»  Noi  proclamiamo  in  commune,  altamente: 

»  Che  tutti  li  uomini  sono  fratelli,  e  tutti  i  po~ 
»  poli  solidarj; 

»  Che  dove  non  esiste  eguaglianza,  la  libertà  è 
»  una  Hìenzogna; 

»  Che  l'eguaglianza,  per  durare,  ha  bisogno  d  es- 
»  sere  sostenuta  dallo  spirito  di  fratellanza; 

»  Che  ciascuno  deve  alla  società  tutto  quello  ch'ei 
»  può;  e  che  colui,  che  fa  quanto  può,  fa  pure 
»  quanto  deve; 

»  Che  la  società,  in  contracambio,  deve  ad  ognuno 
»  tutto  quello  che  gli  fa  d'uopo,  e  come  svolgimento 
i>  delle  sue  faoultà,  e  come  soddisfazione  de' suoi 
»  bisogni; 

»  Che  l'educazione  dev'essere  commune,  obllga- 
if  toria,  ed  in  virtù  dello  stesso  ordine  sociale,  gra- 
»  tuita; 

»  Ch'essa  deve  tendere  principalmente  a  verificare 
»  le  diverse  attitudini,  non  dovendo  ciascuno  eser- 
»  citare  nella  società  se  non  li  officj  più  conformi 
»  alle  sue  attitudini  naturali; 

»  Che  tutti  hanno  un  egual  diritto  ali  educazione, 
»  un  egual  diritto  alla  felicità,  e  che  per  tutti  il 
»  lavoro  è  un  diritto  eguale; 

»  Che  ciò  è  appunto  quel  che  costituisce  il  prin- 
»  ciplo  dell'eguaglianza; 

»  Che  l'associazione  ne  è  la  forma  necessaria; 

»  Che  lo  scopo  finale  dell'associazione  si  è  di  ginn- 
»  gere  al  soddisfacimento  dei  bisogni  intellettuali, 
»  morali,  e  materiali  di  tutti,  mediante  l'impiego  ar- 
»  monico  delle  diverse  facultà,  ed  il  concorso  fra- 
»  terno  de' loro  sforzi:  ciò  che  riepiloga  la  formula: 
»  —  Da  ciascuno  secondo  le  suo  facultà,  e  a  ciascuno 
»  secondo  i  suoi  bisogni  (l).  — » 

(i)  Le  Kouveau  Alonde,  aii.  2,  n.  6,  mars  4851. 


9 

Il  Comitato  democratico  francese-spagnuolo-ilaliano 
nel  suo  programma,  scrìtto  da  Lamennaìs  in  ago- 
sto 1851,  manifestava  le  stesse  credenze:  «  Qual  è 
»  il  carattere,  quale  l'indirizzo  di  questo  agitarsi  di 
»  genti?  L'Umanità  che  vuole? 

»  Vuole  in  prima,  che  l'uomo,  redento  della  lunga 
»  decadenza,  surga  pienamente  restituito  alla  dignità 
»  originaria  e  naturale,  per  rabolizione  d'ogni  potere 
»  imposto,  usurpato, che  non  derivò  dal  popolo;  d'ogni 
»  distinzione  sociale  arbitraria,  d'ogni  classe  privi- 
»  legiata;  non  più  né  schiavo  né  padrone,  né  signore 
»  né  servo,  né  piccoli  né  grandi  per  diritto  di  na- 
»  scita,  0  per  Instituzione  legale;  ma  una  famiglia 
»  di  fratelli. 

»  Vuole  di  più  il  regno  della  giustìzia  eguale  per 
»  lutti;  mediante  l'instruzìone  ed  il  lavoro,  la  vita 
»  intellettuale  e  la  vita  materiale  assicurata;  mediante 
»  la  cooperazione  di  tutti,  il  benessere  di  tutti  ogni 
»  giorno  crescente. 

»  Ora  il  principio  democratico,  svolto  e  applicato, 
»  racchiude  queste  cose;  è  il  diritto  fondato  su  la 
»  sovranità  del  popolo,  a  cui  corrisponde,  da  una 
»  parte,  il  governo  di  tutti,  per  tutti,  e  a  profitto 
»  di  tutti;  e  d'altra  parte,  l'ordine  economico,  che 
»  mettendo  a  portata  dei  lavoratori,  ormai  liberi,  lo 
»  strumento  generale  del  lavoro,  il  capitale,  con  l'in- 
»  struzìone  che  lo  feconda,  cancellerà  le  ultime  tracce 
*>  della  schiavitù,e  avrà  per  fine  l'estinzione  progres- 
»  siva  della  miseria,  e  degl'innumerevoli  patimenti 
»  fisici,  e  delle  malattie  morali,  da  essa  generare  (1).  » 

Non  diverso  linguaggio  teneva  il  Comitato  nazl'v 
naie  italiano  nel  suo  manifesto  del  30  settembre  181)1, 
in    cui  delinea.ndo  il  programma  della   rivoluzione 

(i^  f!  Progresao.  an  2,  n."  107. 

II.  5 


10 

vicina,  e  delia  nuova  libertà  che  deve  ìnstiluirsi  in 
Europa,  diceva:  «  La  rivoluzione  sarà  sociale.  Ogni 

»  rivoluzione  è  tale,  o  perisce  sviata  da  traficatorì 

»  di  potere  e  raggiratori  politici.  Mallevadrice  della 

»  rivoluzione,  della  patria  commune,  che  si  tratta  di 

»  conquistare,  starà  la  società  intera  se  tocca,  rav- 

»  vivata,  migliorata  in  tutte  le  sue  aspirazioni  di 

»  vita  dalla  instltuzione  politica.  Né  patria  commune 
»  può  esistere,  se  l'esercizio  di  diritti  ottenuti  con 

»  l'armi  riesca,  per  ineguaglianza  soverchia,  ironìa 

»  alla  classe  più  numerosa  del  popolo;  se  non  si 

»  costituiscano  più  eque  relazioni  tra  il  contadino 

»  e  il  proprietario  di  terre,  tra  l' operajo  e  il  delen- 

»  tore  di  capitali  ;  se  un  unico  sistema  di  tassazione 

j)  non  raggiunga,  rispettando  resistenza,  proporzio- 

»  natamente  il  superfluo;  se  il  lavoro  non  sia  rico- 

»  nosciuto  come  la  surgente  legitinaa  neir  avvenire 

»  della  proprietà  ;  se  V  associazione  volontaria  di  uo- 

»  mini  forniti  di  moralità  e  capacità  di  lavoro,  con 

»  trovi  incoraggiamento  e  anticipazione  di  capitale 

0)  a  stabilire  più  immediato  contatto  fra  i  produt- 

»  tori,  e  quei  che  consumano  ;  se  un'ammìnistraziorie 

»  di  giustizia  eguale,  economica,  non  sì  sostituisca 

»  al  labirinto  dì  formule  e  processure,  che  oggi  a«- 

»  Sicurano  in  ogni  piato  la  vittoria  al  ricco  su  '1  po- 

»  vero;  se  l'abolizione  dì  ogni  gravame  su  materie 

»  prime,  di  ogni  inceppamento  alla  circolazione  ìnler- 

»  na  ed  esterna,  di  ogni  monopolio  su  quanto  è  diritto 

»  di  ognuno,  non  apra  all'attività  di  tutti  un  vasU 

»  mercato,  non  crei  nuovi  sbocchi  a'  produUi,  noa 

»  solleciti  l'attività  manifatturiera,  agricola,  e  com- 

»  merciale  ;  se  un  vasto  sistema  ili  lavori  publicl  i 

»  di  agevolate  communicazioni  non  ajuti  a  scioglici? 

»  il  problema  economico  di  ogni  Stato,  accrescìnienij 

»  di  consumatori;  se  un'educazione  prima,  unifonr' 

»  non  affratelli  li  uomini  di  tutte  le  classi,  non  d^ 


Il 

»  il  pane  deiranima  e  il  programma  delle  communi 
»  credenze  a  quanti  sono  chiamati  a  vivere  e  pro- 
»  gredire  neiritalica  società  (l).  » 

E  non  si  creda,  che  dopo  il  misfatto  del  2  decem- 
bre  la  democrazia  abbia  mutato  sistema  e  linguag- 
gio: oh!  i  colpi  di  Stato  possono  bene  assassinare  i 
cittadini,  ma  non  i  prìncipj.  Recherò  un  solo  docu- 
mento, che  valga  per  tutti.  Ecco  come  Giuseppe 
Mazzini  inculcava  ancora  nel  maggio  del  1852  le 
medesime  credenze  :  «  11  grande  pensiero  sociale,  che 
»  ferve  oggi  in  Europa,  può  così  definirsi  :  abolizione 
»  del  proletariato  ;  emancipazione  dei  lavoratori  dalla 
»  tirannide  del  capitale  concentrato  in  un  piccolo 
»  numero  d'individui;  riparto  dei  produtti,  o  del 
»  valore  che  ne  esce,  a  seconda  del  lavoro  compito; 
»  educazione  morale  e  intellettuale  degli  operaj  ;  as- 
»  sociazione  volontaria  tra  li  operaj  sostituita  paci- 
»  ficamen te,  progressivamente,  e  quanto  è  possibile, 
»  al  lavoro  individuale  salariato  ad  arbitrio  del  ca- 
»  pitalista.  E  questo  il  riassunto  di  tutte  le  aspira- 
»  zioni  ragionevoli  attuali.  Non  si  tratta  di  distrug- 
»  gere,  d'abolire,  di  trasferire  violentemente  la 
»  ricchezza  da  una  classe  a  un'altra;  si  tratta  d'ai- 
»  largare  il  cerchio  del  consumo,  d'aumentare  per 
9  conseguenza  i  produtti,  di  fare  più  ampia  parte 
0  nel  riparto  a  quei  che  producono,  di  schiudere  una 
j  vasta  via  al  lavoratore,  perch'egli  possa  acquistare 
)  ricchezza  e  proprietà;  di  far  sì  che  ogni  uomo,  il 

>  quale  dia  sicurezza  di  volontà,  di  capacità,  di  mo- 

>  ralità,  trovi  capitale  e  ipodo  di  libero  lavoro.  Idee 
)  siffatte  son  giuste,  e  a  poco  a  poco  trionferanno. 

>  Storicamente,  i  tempi  sono  maturi  pe  '1  loro  trionfo. 
.  All'emancipazione  dello  schiavo  tenne  dietro  quella 
i  del  servo;  e  quella  del  proletario  deve  seguirla. 

(1)  Vedi  Raccolta  di  atti  e  documenti  della  Democrazia 
tauanti. 


12 

»  11  progresso  della  mente  umana  rovesciava,  per 
»  mezzo  del  patriziato,  il  privilegio  despotico  della 
»  monarchia;  per  mezzo  della  borghesìa,  deirarìslo- 
»  crazia  finanziera,  il  privilegio  della  nobiltà  di  san- 
»  gue  ;  e  rovescerà,  per  mezzo  del  popolo,  della  genie 
»  di  lavoro,  il  privilegio  della  borghesia  proprietaria 
»  e  capitalista;  fino  al  giorno,  in  cui  la  società,  fon- 
»  data  su  '1  lavoro,  non  riconosca  privilegio  se  non 
»  quello  dell'intelletto  virtuoso  dirigente,  per  scelta 
»  di  popolo  illuminato  dall'educazione,  lo  sviluppo 
»  delle  facultà  e  delle  forze  sociali  (1).  » 

Queste  dichiarazioni  così  unanimi  e  concordi  ri- 
velano, quale  sia  propriamente  il  significato  ed  il 
valore  della  libertà  civile  nel  programma  della  de- 
mocrazia. Per  essa  dunque  la  libertà  della  persona, 
del  domicilio,  e  della  proprietà  non  è  un  diritto 
meramente  negativo;  non  consiste  solamente  nella 
facultà  di  non  andare  suggetti  a  catture,  a  perqui- 
sizioni, a  spogliazioni  arbitrarie  e  despotiche  per  parte 
del  governo;  ma  richiede  qualche  cosa  di  più.  Ri- 
chiede, che  la  libertà  civile  sia  un  diritto,  non  che 
di  nome,  eziandio  di  fatto;  richiede,  che  sia  una  fa- 
cultà, non  che  inscrìtta  negli  statuti,  ma  attuata 
pure  nelle  instituzioni ;  richiede,  che  abbia  il  suo 
fondamento  e  la  sua  guarentigia  nell'eguaglianza.  E 
non  mica  nell'eguaglianza  violenta,  ingiusta,  livella- 
trice, impossibile,  di  alcuni  communisti,  che  la  de- 
mocrazia stessa  combattea  per  la  prima  e  repudiava 
in  nome  della  libertà;  ma^  nell' eguaglianza  pacifica, 
progressiva,  equa,  proporzionale,  del  socialismo  :  egua- 
glianza che  dev'essere  frutto  di  riforme  e  di  leggi, 
atte  a  riparare  le  ingiustizie  e  le  iniquità  del  sistema 
catolico  feudale,  sotto  cui  gemono  ancora,  se  non  di 
nome,  certamente  di  fatto,  i  popoli  d'Europa.  Questa 

'  )  ibid.  Condizioni  ^"Europa. 


13 

eguaglianza  non  deve  già  togliere  ogni  differenza  di 
beni  e  di  sustauze  tra  li  uomini,  ma  bensì  emanci- 
pare Toperajo  dalla  servitù  dello  stipendio,  e  fornir- 
gli un  lavoro  che  gli  sostenti  la  vita  senza  esporlo 
alle  angoscie  della  miseria  e  alle  disperazioni  della 
fame.  Non  si  tratta  dunque  d'impoverire  i  ricchi  per 
arricchire  i  poveri,  quasi  che  un'ingiustizia  potesse 
rimediarsi    con  un'altra;  sibbcne  di  far  cessare  a 
}oco  a  poco  il  barbaro  ed  atroce  spettacolo  della  no- 
Ura  società,  in  cui  tutti  ì  diritti,  tutti  i  beni,  tutti 
piaceri  sono  a  beneOzio  di  una  minima  parte,  e 
,utli  i  doveri,  tutti  i  sacrifizj,  tutti  i  patimenti  a  ca- 
lco dell'universale;  e  di  ordinare  la  società  novella 
n  guisa,  che  i  doveri  e  i-  diritti  sieno  ragguagliati 
'on  equità  e  giustizia;  che  la  proprietà  mediante  il 
avoro  sia  accessìbile  a  tutti  ;  che  li  aggravj  e  i  con- 
ributi  publici  vengano  proporzionati  alla  ricchezza 
ispettiva  dì  ciascheduno;  che  scompariscano  fin  le 
estìgia  d'ogni  privilegio  di  casta,  di  nascita,  di  for- 
una  ;  che  la  vita  del  ricco  non  sia  più  un  ozio  vo- 
uttuoso  e  correttore,  ma  un  lavoro  utile  e  fecondo  ; 
che  resistenza  dell'operajo  non  si  logori  tutta  negli 
tenti  materiali,  come  non  fosse  altro  che  una  ma- 
hìna,   ma  eserciti  anch' egli   le  facultà  mentali  e 
lorali,  gusti  le  gioje  dell'intelletto  e  del  cuore,  e 
apia  e  senta  di  aver  anch'egli  un'anima,  una  famì- 
lia,  una  patria.  In  somma,  abolizione  del  proletariato 
er  fondare  il  regno  dell'eguaglianza;  e  regno  dei- 
eguaglianza  \yeT  assicurare  a  tutti  l'esercizio  della 
ropria  libertà:  ecco  come  la  democrazia  intende  e 
uole  la  libertà  civile,  ecco  il  nostro  socialismo. 
Del  quale  io  so  bene  tutti  li  orrori,  che  va  spac- 
iando  la  fazione  dei  catolici,  e  degli  onesti  e  mode- 
Iti;  so,  che  lo  denunciano  al  credulo  vulgo  per 
uerra 'dei  poveri  contro  i  ricchi;  lutta  del  lavoro 
jntro  il  capitale;  divisione  delle  terre,  o  ritorno 


u  ^ 

esclusivo  del  suolo  allo  Stato  per  ria  d'espropriazione 
violenta  odi  appropriazione  fiscale  ;  saccheggio  rego- 
lare; scioglimento  dei  vincoli  di  famiglia;  despot ismo 
del  numero;-  governo  del  terrore;  bando  della  fidu- 
cia; annientamento  del  credito;  disordine  del  lavoro; 
aggravamento  della  miseria,  ecc.  (l).  Ma  so  pure, 
che  questo  sistema  non  esiste  fuorché  neirimagì  na- 
zione atterrita  dei  nemici  del  popolo  e  della  libertà. 
Il  socialismo,  nel  senso  critico,  e  in  quanto  mira  a 
distruggere  le  cattive  instituzioni  del  passato,  nega 
il  catolicismo,  cioè  la  lega  dell'  altare,  del  trono,  e  della 
borsa  ;  l'assolutismo  sotto  tutte  le  sue  forme;  il  diritto 
divino,  regio,  e  sacerdotale;  ogni  iniquità  religiosa 
e  civile;  il  sistema  della  grazia  nell'ordine  morale, 

(1)  Ecco  un  saggio  di  queste  infamie  catoliche,  otiestc,  e 
moderate:  «  I  democratici  socialisti  non  sono  nulla  di  nuovo 

»  nel  mondo;  anzi  il  loro  sistema  vi  é  antico  quanto  la  cor- 

>  pozione  della  natura  ed  il  male;  e  stimo  che  Caino  e 
B  Nemrod  sicno  stali  1  primi  socialisti  e  i  veri  antenaU  dì 
»  Mazzini  e  di  Proudhon.  ...  A  giudicarU  dai  piccoU  segni, 
9  che  ne  diedero  in  Italia,  Ano  alle  dichiarazioni  più  aperte 

>  che  ne  fecero  in  Francia,  voi  non  vi  potete  riconoscere 
»  che  il  male  nella  sua  più  rigorosa  espressione.  Senza  te- 
B  ner  conto  delle  parole,  la  sustanza  è  non  riconoscere  al- 
ti tro  diritto  che  la  forza,  non  altra  autorità  che  il  proprio 
»  capricio;    quindi  nessuno  diritto  nei  popoli, nessuna  legi- 

>  limita  nel  potere.  Ultimo  scopo  ai  loro  conaU  è  lo  sfogo 
»  hrutale  delle  più  nefande  passioni;  quindi  apoteosi  della 
B  prostituzione  e  delPassassioio ,  abolizione  della  famiglia, 
»  emancipazion  della  donna,'  il  diritto  di  proprietà  rinegato. 
B  Iq  questo  mostruoso  indisUnto  di  schifose  follie  e  d*ìnsulti 
9  procaci  alla  natura,  voi  certo  non  potete  scorgere  una  dol- 
9  trina;  ma  b^n  vi  potete  vedere  le  ultime  conseguenze  della 
9  umana  corrozione,  le  quali  non  fur  mai,  ch'io  sapia,  prò- 
B  clamate  nel  mondo  con  eguale  svergognato  cinismo  (Ci- 
9  viltà  Caiolica,  voi.  l,pag.  304).  Essi  rappresentano  Umale; 
B  e  diciam  più  chiaro,  rappresentano  quanto  ci  ha  di  più 

riolenlo  •  di  più  turpe  nella  corrotta  natura.»  (pag.  aioi. 


e  del  privilegio  nell'ordine  politico,  per  cui  un  pìccoi 
numero  soltanto  era  eletto  e  predestinato  avanti  delle 
opere,  avanti  della  nascita,  da  tutta  l'eternità.  Nel 
senso  positivo,  e  in  quanto  tende  ad  apparecchiare 
le  migliori  instituzìoni  dell'avvenire,  il  socialismo 
importa  un  rinovamento  progressivo  per  opera  della' 
democrazia  e  del  suffragio  universale  ;  il  governo  del 
diritto  e  della  giustizia  sostituito  a  quello  dell'autorità 
e  della  forza  ;  l'effettuazione  della  formula  sublime  :  li- 
bertà, eguaglianza,  fraternità;  l'elezione  dopo  e  per  le 
opere,  non  avanti  e  senza;  l'abolizione  di  tutte  le  feu~ 
dalilà,  inclusive  a  quella  del  capitale;  la  trasformazione 
pacifica  della  vecchia  società  in  una  società  novella  (1). 
Il  socialismo  adunque  significa  l'ideale  dell'Umanità;  la. 
scienza  applicata  al  governo;  lo  studio  costante  df 
tutti  i  mezzi  atti  a  migliorare  la  condizione  del  po- 
polo, ad  allargare  la  sua  intelligenza,  a  nobilitare  la 
sua  moralità;  la  soppressione  dell'ignoranza,  che 
mantiene  l'antagonismo;  l'abolizione  delle  cause,  chft 
perpetuano  la  miseria;  la  forza  disarmata  dalla  ra- 
gione; la  continuità  del  progresso;  la  religione  della 
giustizia;  lo  stato  infine,  che  s'avvicina  il  più  pos- 
sibile all'idea  che  l'uomo  s'è  fatta  del  regno  di  Dìo 
su  la  terra. 

Laonde  il  socialismo  è  propriamente  T  attuazione 
dei  più  sublimi  principj  dell'Evangelio;  è  la  pratica, 
delle  massmìe  fondamentali  di  Cristo  :  «  amatevi  Tun 
l'altro;  non  fate  altrui  ciò,  che  non  vorreste  fatto  a 
voi  stessi  ;  il  primo  tra  voi  sia  il  servitore  di  tutti 
li  altri.  »  Queste  leggi  che  il  socialismo  toglie  dall'Evan- 
gelio, come  l'Evangelio  le  avea  tolte  dal  cuore  dell'U- 
manità, mirano  a  fondare  e  stabilire  una  società,  «  in 
cui  per  l'educazione  commune,  gratuita,  ed  obligatoria,. 

(i)  E.  Desciunel,  Le  cathnlicisme  et  le  sociali^me,^r\.  ^ 
{Libertà  de  penser,  lam.  V,  n*  "U), 


16 

tutu  i  cittadini  sieiio  ammessi  a  svolgere  pienamente 
le  proprie  facultà  intellettuali  e  morali,  e  vengano  per 
ciò  soffocati  nella  loro  orìgine  i  vizj,  i  delitti,  e  le 
sventure,  che  nascono  dall'ignoranza;  — in  cui,  po- 
sto il  principio,  che  tutti  li  uomini  hanno  un  eguale 
diritto  all'esercizio  compiuto  delle  loro  facnltà  disu- 
guali, li  strumenti  del  lavoro  appartengano  a  tutti, 
come  l'aria  e  il  sole;  —  in  cui  il  regno  dell'indu- 
stria e  dell  agricultura,  in*  luogo  di  presentare  lo 
spettacolo  di  un  campo  di  battaglia,  co|)erto  di  ruine 
e  di  morti,  sia  fecondato  dalle  associazioni  fraterne, 
solidariamente  legate  l'una  con  l'altra;  —  in  cui  la 
distribuzione  del  lavoro  e  la  ripartizione  dei  suol 
frutti  sieno  fondate  su  questo  principio,  che  è  oggidì 
il  principio  costitutivo  della  famiglia:  da  ciascuno 
secondo  le  sue  facultà,  e  a  ciascuno  secondo  ì  suo! 
bisogni;  —  in  cui  l'interesse  dì  ciascuno  trovandosi 
inseparabilmente  congiunto  con  T interesse  di  tutti, 
cessi  l'emulazione  dell'invidia,  della  cupidigia,  della 
superbia,  e  dell'odio;  —  in  cui  la  publica  ricchezza  ri- 
ceva dalla  combinazione  armonica  di  tutte  le  capa- 
cità e  di  tutte  le  forze  un  accrescimento  indefinito; 
—  in  cui  non  s'affolli  più,  per  divorarne  la  sustanza, 
quella  turba  di  agenti  parasìti,  che  la  separazione  e 
l'antagonismo  degl'interessi  rende  ora  necessarj;  — 
in  cui  la  fratellanza,  ravvicinando  i  popoli  dopo  rav- 
vicinati l'individui,  facia  considerare  la  guerra  come 
un'atroce  follia,  e  riesca  alla  soppressione  degli  eser- 
citi ;  —  in  cui  lo  Stato  non  sia  che  una  riunione  d'uo- 
mini d'ingegno  e  di  cuore,  liberamente  eletti  dai  loro 
eguali,  per  fare  nella  società  l'officio  del  capo  nel- 
l'organismo umano;  —  in  cui  i  malvagi  essendo  te- 
nuti in  conto  di  maiali,  si  pensi  più  a  preservar- 
sene che  a  farne  vendetta,  più  a  guarirli  che  a  tor- 
mentarli; —  in  cui,  da  ultimo,  l'incivilimento,  che 
avanzandosi  fa  indietreggiare  davanti  a  sé  le  fiere. 


17 
e  tende  a  distruggerne  la  razza,  giunga  eziandio  a 
distruggere  la  miseria,  e  con  la  miseria  tutti  i  vizj, 
tutti  1  delitti,  tutti  1  mali,  di  cui  essa  è  Torìgìne  o 
la  cagione  (1).  ]» 

Tal  è  il  socialismo,  che  la  democrazia  moderna  ha 
tolto  a  simbolo  della  sua  fede.  Esso  non  è  ancora 
una  scienza  costituita,  né  un'arte  compiuta;  e  quin- 
di, nei  tentativi  già  fatti  per  comporlo  in  un  sistema 
teorico  e  pratico,  dà  luogo  alla  varietà  ed  al  contra- 
sto delle  opinioni.  Ma  egli  è  il  sentimento,  il  votp, 
il  grido  della  coscienza  di  questo  secolo;  è  il  frutto 
e  la  conquista  di  tutte  le  rivoluzioni  passate;  è  la 
bandiera  della  solidarietà  umana,  intorno  a  cui  si  va 
raccogliendo  da  ogni  parte  del  mondo  la  giovine  ge- 
nerazione; è  la  stella,  che  guida  i  passi  dell'Umanità 
verso  un  nuovo  avvenire;  è  oggi  quello  ch'era  nel 
secolo  XVIII  la  filosofia,  nel  XVI  la  Ri  forma,  e  nel  I 
l'Evangelio.  E  si  verifica  l' analogia  perfin  nelle  ac- 
cuse e  nelle  calunnie:  i  socialisti  vengono  denun- 
ciati i)er  empj,  sediziosi,  anarchici,  s])ogliatori,  ne- 
mici della  proprietà,  della  famiglia,  e  della  religione, 
appunto  come  prima  de'socialisti  lo  furono  i  filoso- 
fi; avanti'de'filosofi  i  protestanti;  ed  innanzi  ai  pro- 
testanti li  antichi  cristiani  (2). 

(i)  L.  Blanc,  Cfitéehisme  dès  socialiste*, 

(S)  Fra  i  più  sfacciati  calunniatóri  del  socialismo  primeg- 
gia naturalmente  il  conte  di  Montalembert,  il  quale  osò  af- 
fermare, che  le  toeialisme  détette,  par^dessus  touU  la  tra^ 
dilion  et  la  liberti  ;  che  il  doit  détester  et  il  déteste,  en  ef" 
fet,  lei  garanties  poliliques  ;  che  chaque  foia  qu'il  a  voulu 
aborder  la  tribunCy  il  a  été  baltu,  baltu  à  plates  eoutures; 
e  che  on  se  rappelle  les  snccès  de  fou  rire  obtenus  par  df. 
Louis  Blane  et  M.  Pierre  Leronx  (pag.  178-179).  Cos^  egli 
scrìve  adesso,  perché  crede  il  socialismo  vinto  e  incatenato, 
e  non  ha  più  paura.  Ma  nel  Ì84S  non  la  pensava  cosi.  Quelle 
stesso  Pietro  Leroux  ai  15  di  giugno  compariva  la  prima 
volta  alia  ringhiera  per  proporre  le  idre  del  socialismo;  e 


18 

—  Ma  il  socialismo  noQ  può  dirsi  la  fede  comma- 
ne della  democrazia;  dacché  tanti  sono  i  sistemi 
di  socialismo,  quante  le  teste  degli  autori.  —  Può 
dirsi  benissimo,  ed  è  un  fatto  indubitato.  Tutti  quei 
sistemi,  come  già  ho  accennato,  differiscono  bensì 
nelle  leggi  secondarie  e  derivative,  ma  s'accordano 
nei  prìncipi  fondamentali:  I  varj  manifesti  e  program- 
mi, che  vennero  di  sopra  riferiti,  ne  fanno  testimo- 
nianza. Non  sono  tutti  animati  dello  stesso  spirito, 
guidati  dalla  stessa  idea,  diretti  alla  stessa  mela? 
Non  s'accorda  Lerou,x  con  Lamennaìs,  L.  Blanc  con 
Mazzini?  Non  s'accordano  l'italiani  co'i  francesi  e  If 
spagnuoli,  i  tedeschi  con  li  ungheresi  ed  I  polacchi  ? 
D'altra  parte,  una  certa  discrepanza  d'opinioni  in 
teoriche  così  vaste  ad  un  tempo  e  così  nuove,  non 
dovrebbe  far  maraviglia  a  chi  abbia  qualche  notizia 
della  storia  dì  un'arte  o  di  una  scienza;  poiché  non 
ve  n'ha  alcuna,  né  pure  fra  quelle  studiate  e  praticate 
da  lunghi  secoli,  che  non  vada  suggetta  in  moltr 
punti  all'opposizione  de' sistemi.  Perchè  adunque  si 
vuol  imputare  a  colpa  del  socialismo  una  condizione- 
dello  spirito  umano? 

—  Il  socialismo  viola  ad  ogni  modo  il  diritto  di 
proprietà,  e  lede  la  giustizia.  —  No,  non  viola 
quella  proprietà  che  è  un  diritto,  ma  quella  che  è 
un'usurpazione:  non  lede  quella  giustizia,  che  è  de- 
finita dalla  ragione  e  sancita  dalla  coscienza,  ma 
quella  che  è  fondata  unicamente  su  la  forza  e  l' in- 
teresse dei  privilegiati.  Prima  di  chiamar  diritto  la 

Anito  il  suo  discorso,  M.  de  Monialembcrt  vint  lui  server  la 
main  avec  effusion  en  signe  (VansenUment.  M.  de  Falloux 
traversa  tonte  la  salle  ponr  lui  mieux  témoigner  son  ad- 
miration  et  sa  Sifmpathie  (Daniel  Stern:,  liisloire  de  la  Re- 
volution de  4848,  lom.  IH,  pag.  I39j.  Vile  genia!  Strisciare 
■"»3nzi  al  vlMii#re,«d  insultare  al  vinioiecco  la  sua  eUrnii 


19 

proprietà,  come  sta  al  presente  distribuita  fra  li  uo- 
mini, bisogna  provare  che  l'ordine  sociale,  in  cui 
viviamo,  sia  conforme  alle  leggi  naturali  ed  assolute 
della  giustizia;  provare,  cioè,  che  la  giustizia  e  la 
natura  prescrivono,  alcuni  pochi  dover  nascere  ric- 
chi, e  lutti  li  altri  poveri;  alcuni  pochi  dover  vi- 
vere da  signori  senza  far  nulla,  e  tutti  lì  altri 
guadagnarsi  un  tozzo  di  pane  a  forza  di  stenti  ^ 
di  sudori,  e  di  pianto.  Ed  un  cuore,  che  potesse 
nutrire  di  tali  sentimenti^  sarebb'egli  umano?  Se 
dunque  le  leggi,  che  reggono  l'ordinamento  della 
società,  sono  ingiuste,  la  giustizia  consìste,  non  già 
nel  mantenerle,  ma  nel  riformarle. 

—  Che  riforme  I  son  tutte  illusioni  :  il  mondo  presso 
a  poco  fu  sempre  lo  stesso,  né  i  socialisti  arrive- 
ranno mai  a  modellarlo  su  '1  loro  ideale.  —  Ma 
codesti  oppositori  vadano  a  leggere  la  storia;  e  ve- 
dranno, se  il  mondo  fu  sempre  quel  desso.  Vedran- 
no, per  citare  un  solo  fatto,  che  le  riforme  intro- 
dutte  nella  società  pagana  con  l'Evangelio,  non  erano 
da  meno  di  quelle  che  il  socialismo  intende  a  por- 
tare nella  società  cristiana.  Anche  allora  i  padroni 
chiamavano  diritto  il  possesso  de'loro  schiavi;  i  pa- 
dri, i  mariti  stimavano  diritto  la  signoria  dei  figlj  e 
delle  mogli:  e  pure  a  quel  diritto  la  coscienza  cri- 
stiana diede  il  nome  di  iniquità,  e  predicò  l'emanci- 
pazione della  donna,  del  figlio,  e  dello  schiavo.  Ora 
questa  emancipazione  repugnava  assai  più  profonda- 
mente alle  idee  ed  alle  credt^nze  del  mondo  pagano, 
di  quel  che  repugni  remancipazione  del  proletariato 
alle  credenze  ed  alle  idee  della  società  moderna.  La 
prima  nondimeno  s'è  compita;  perchè  adunque  non 
s'effettuerà  la  seconda?  Il  passato  non  ci  sta  forse 
mallevadore  dell'avvenire?  Ohi  non  siamo  noi  di  co- 
loro, che  presumono  di  trasformare  e  rinovar  il  mondo 
con  un  decreto,  e  da  un  giorno  all'altro  mutar  tutto 


20 

il  vecchio  organismo  delle  nazioni  europee.  Ma  la  rifor- 
ma cristiana  sì  operò  forse  in  un  giorno?  in  un  anno? 
in  un  secolo?  Noi  non  fagiamo  questione  di  tempo, 
sibben  di  dottrina.  Più  o  meno  lunga,  più  o  men 
diffìcile  che  sia  per  essere  la  riforma  sociale,  che 
imi>orta?  Essa  è  figlia  della  verità  e  della  giustizia: 
dunque  si  deve  effettuare;  dunque  chi  ama  la  giu- 
stizia e  la  verità,  deve  concorrere  con  tutte  le  pro- 
prie forze  ad  assicurare  e  promuovere  il  suo  riusci- 
*raento  (l).  Ah!  se  una  metà  del  tempo,  del  denaro, 
e  dell'irigegno,  che  si  spreca  per  combattere,  reprimere, 
disonorare,  avvilire  il  socialismo  e  i  socialisti,  si  consa- 
crasse allo  studio  sincero  ed  all'esperimento  leale  di 
quelle  leggi  primarie,  che  tutti  i  riformatori  ammettono 
per  base  di  un  migliore  ordinamento  sociale;  quanto 
più  avanzata  sarebbe  già  la  soluzione  del  gran  proble- 
ma! Quanti  ostacoli  già  superati!  Quanti  nemici  con- 
vertiti! E  sopratutto,  quanti  dolori,  quante  lagrime,  e 

(1)  «  Eh  !  quel  est  donc  l^hoinme  de  sens,  qui  réverait  de 

>  transporter,  dn  jour  au  lendemainy  dans  Ics  pures  régioDS 
»  de  ridéal  ^cl  que  le  congoivent  les  inteiligenr^s  élevées, 
»  tei  que  le  sentenl  les  coeurs  droits,  une  sociéié  aussi  cor- 
»  rompue  que  la  nóire  et  aussi  profondément  Ignorante? 
»  Non,  non  :  le  Socialisme  n'a  pas  celle  prétention  chimérique; 
»  et  ceux  qui  la  lui  attribuente  le  savent  bien.  SMIs  nous 
»  traìtent  d'utoptstes,  c*est  justement  parce  qu'ils  touchent 

>  du  doigt  la  possibilité  de  nos  doctrines;  ils  ne  nous  ap« 
»  pelleraìent  pas  utopistes  si  souveut,  avec  tant  de  terreur 

>  et  de  fracas,  si  la  réalilé'de  ce  qu'ils  combattent  ne  les 

>  oppressait.  Et  pourquoi,  en  effet,  cet  e?Lcès  de  baine,  pour- 
»  quoi  ces  éclais  de  fureur,  pourquoi  ces  apparences  d'ef- 
i>  froi?  On  ne  sMrrite  pas  aìnsi  contre  des  idées  qu'on  re- 
»  garde  comme  autant  d'ombres  vaines;  et  frapper  à  coups 
»  de  poignard  des  corps  vivants,  qu'on  déclare  étre  des  fan- 
•  tdmes,  c'est  une  inconséquence  qui  ferait  pitie  si  elle  ne 
»  faisait  p.is  horreur.  »  L.  Blanc,  Nouveau  Monde,  n.  12, 
15  Juin,  1850. 


•21 
quanto  sangue  si  rlsparmierebbero  alle  generazioni 
future l  Ma  che?  Per  costoro,  che  s'atteggiano  a  di- 
fensori ed  amici  sviscerati  dell'ordine,  della  religione, 
della  famiglia,  l'Umanità  non  esiste  fuorché  di  nome. 
Contenti  loro,  chi  può  mai  avere  diritto  di  lamen- 
tarsi? Si  ostinano  per  ciò  a  respingere  qualunque 
riforma  ;  chiudono  li  orecchi  per  non  udire,  chìudon 
li  occhi  per  non  vedere  la  miseria  del  popolo;  e  quel 
progresso,  che  potrebbero  compiere  essi  stessi  paci- 
ficamente per  via  di  buone  instituzioni,  lasciano  che 
il  popolo  spinto  alla  disperazione  se  lo  conquisti 
violentemente  con  l'armi  e  le  battaglie.  Su  chi  adun- 
que, su  chi  dee  ricadere  il  sangue,  che  tutte  le  ri- 
voluzioni costano  all'Umanità? 

Da  queste  considerazioni  consegue,  che  il  princi- 
pio della  libertà  democratica  importa  logicamente, 
necessariamente,  un  sistema  di  governo,  il  quale  sia 
idoneo  a  farne  l'applicazione  in  tutti  li  ordini  civili 
e  sociali.  «  Questo  risultato,  già  lo  notava  L.  Blanc 
»  nel  manifesto  della  Ré  forme,  non  può  altrimenti 
»  conseguirsi  che  per  l'azione  di  un  potere  demo- 
»  cratico. 

»  Un  potere  democratico  è  quello,  che  ha  la  so- 
ft vranìtà  del  popolo  per  principio,  il  suffragio  uni- 
»  versale  per  origine,  e.  per  iscopo  l'adempimento  di 
»  questa  formula:  libertà,  eguaglianza,  fratellanza. 

»  I  governanti,  in  una  democrazia  ben  costituita, 
»  non  sono  che  mandatarj  del  popolo  :  devono  essere 
»  risponsabili  e  revocabili. 

»  Li  officj  publici  non  sono  distinzioni  ;  non  devono 
»  essere  privilegj:  sono  doveri.  » 

Ora  io  temo  forte,  che  i  signori  Montalembert  e 
Rendu  non  abbiano  punto  prevedute  le  conseguenze 
fatali  del  principio  di  libertà  civile,  che  dicono  dì 


22 

accettare.  Perocché,  se  ammettono  qual  diritto  il 
consenso  della  nazione  alle  imposte,  bisogna  pure  che 
libila  nazione  medesima  riconoscano  il  diritto  di  ne- 
garle, quando  le  trovi  inique;  e  per  conseguente,  il 
diritto  e  il  potere  legale  di  resistere  alla  violenza 
del  governo.  Laonde  il  consenso  alle  imposte,  ch'essi 
hanno  inscritto  nel  programma  catoUco,  implica  la 
subordinazione  del  governo  alla  volontà  della  na- 
zione; e  quindi  il  sistema  elettivo  in  tutti  i  gradi 
della  publica  amministrazione.  E  questa,  come  ve- 
dremo nel  capitolo  seguente,  è  Republica.  Ma  la  Re- 
publica  non  è  certamente- il  governo,  per  cui  par- 
teggiano i  conti,  i  vescovi,  ed  i  loro  seguaci.  Come 
possono  dunque  costoro  professar  un  principio  essen- 
zialmente republicano?  Ohi  non  possono,  no;  ma  lo 
fanno....!  che,  per  essi,  una  menzogna  di  più  che 
cos'è  mai?  Essa  è  nondimeno  qualche  cosa  per  noi; 
e  la  registriamo  con  tutte  le  altre.  Il  partito  cato- 
lico  adunque  mentisce  come  nel  primo  articolo,  così 
nel  secondo;  mentisce  tanto  alla  libertà  religiosa, 
quanto  alla  civile  ;  mentisce,  sia  che  ammetta  o  che 
rifiuti  il  principio  del  consenso  nazionale  alle  impo- 
ste. Se  lo  rifiuta,  conlradice  al  suo  programma,  in 
cui  è  espresso;  se  lo  ammette,  contradice  al  suo 
sistema,  da  cui  è  escluso.  Questa  è  la  logica  e  la 
buona  fede,  con  cui  si  governano  i  dottori  del- ca- 
tolicismo. 

La  conlradizlone  con  sé  medesimi  é  tuttavia  il 
minore  dei  loro  torti.  Ben  più  grave  è  quello  che 
hanno  verso  della  fede  e  della  religione,  che  si  glo- 
riano con  tanta  pompa  di  professare.  Perciocché  la 
libertà  civile,  anche  nei  termini  del  programma  di 
Montalembert  e  Rendu,  e  molto  più  nel  senso  della 
democrazia,  repugna  manifestamente  alle  dottrine 
fondamentali  del  catolicismo.  Ne  venissero  pur  meno 
le  decisioni  formali  della  chiesa;  potremmo  tuttavia 


23 

citar  un  fatto  secolare,  che  parla  assai  più  allo  e 
più  chiaro  d'ogni  cànone  e  d'ogni  bulla.  Dico  la 
storia  degli  Stali  della  chiesa,  dove  il  governo  sì 
concentra  tulio  nelle  mani  del  papa,  ed  in  suo  nome 
si  esercita  da  cardinali,  vescovi,  preti, e  frali,  tutta 
gente  sacra,  più  o  meno  infallibile,  posta  da  Dio 
medesimo  alla  custodia  e  alla  direzione  del  catolici- 
smo. Ebbene,  diteci,  conte,  quali  sono  le  libertà,  di 
cui  godono  i  felicissimi  sudditi  del  papa?  Diteci,  mon- 
signore, qual  è  la  libertà  civile,  che  il  papa  riconosce 
ed  autorizza  nei  popoli  del  suo  Stalo?  La  libertà 
delle  persone?  Le  persone,  negli  Stali  del  papa,  sono 
cose  di  cui  il  governo  dispone  a  suo  pieno  arbitrio. 
La  libertà  dei  domicilj?  I  domicilj,  nelle  terre  della 
chiesa,  stanno  sempre  alla  mercè  della  polizia.  La 
libertà  delle  proprietà?  Le  proprietà,  nel  regno  dello 
Spirito  Santo,  dipendono  tutte  da  un  ordine  di  qual- 
cuna fra  le  mille  autorità  despotiche  ed  assolute, 
che  comandano  devotamente  ia  nome  di  Dio.  E  che 
libertà  potrebbe  mai  aversi  in  un  paese,  dove  li  or- 
dini amministrativi  e  giudiziarj  sono  in  balìa  di  al- 
cuni tirannelli,  tulli  sacri,  santissimi,  ed  inviolabili, 
che  nell'offìcio  di  legati,  ablegati,  delegati,  prolegati, 
vìcarj ,  provicarj ,  ecc.  attendono  solo  a  mungere  le 
borse,  istupidire  le  menti,  e  depravare  li  animi  di 
que' popoli  sventurati?  Dove  un  codice  non  esiste 
ancora?  Dove  non  si  conoscono  franchigie  commu- 
nali?  Dove  il  magistrato  non  è  censore,  né  giudice, 
ma  sen'o?  Dovei  soldati  non  sono  cittadini,  ma  birri 
stranieri? —  E  il  consenso  alle  imposte,  quando  s'è  mai 
doibandato  a' Romani?  Ohi  colà,  non  si  domanda  il 
consenso ,  ma  si  esige  il  denaro  ;  e  se  non  basta ,  si 
toglie,  si  ruba,  si  rapisce;  e  indi,  per  la  salute  di 
quelle  anime  traviate,  v'è  il  carcere  e  la  galera;  ed 
in  fine,  un  articolo  espresso  della  sentenza,  che  non 
lasci  né  pure  una  speranza  lontana  di  grazia.  Eccovi 
le  libertà  civili  del  catolicismo! 


In  venia,  dinanzi  ad  un  fatto  così  notorio  e  lu- 
minoso, la  cecità  o  la  perfidia  del  partito  catolìco 
liberale  è  inescusabile.  Perciocché,  se  la  chiesa  ne' 
suoi  Stati  non  ammette  la  libertà,  con  qual  fronte 
osa  egli  predicare  la  libertà  in  nome  del  catolici- 
smo? E  predicarla  su  l'esempio  di  governi  increduli, 
scismatici,  protestanti?  Un  catolico  non  può  spec- 
chiarsi altrove  che  in  Roma.  Il  governo  di  Roma 
interdice,  detesta,  scommunica  la  libertà?  Dunque  la 
libertà  è  un'eresìa,  una  bestemia,  un  sacrilegio,  qual- 
che cosa  in  somma  che  nuoce  alla  fede  e  repugna 
alia  legge  della  chiesa.  Un  governo  o  un  sistema 
autorizza,  favorisce,  protegge  la  libeità?  Dunque  è 
contrario  allo  spirito  e  alla  disciplina  della  chiesa; 
è  un  governo  esecrabile;  è  un  sistema  eterodosso, 
che  tutti  i  catolici,  sotto  pena  di  scisma  e  d'apostasia, 
devono  condannare  ed  aborrire.  Ad  un  catolico  non 
è  lecito  di  ragionare  altrimenti,  signor  Montalembert; 
e  li  esempj,  che  voi  andate  rovistando  nelle  cortes 
d'Aragona  (1)  e  negli  stati  della  casa  di  Borgogna  (2), 
dimostrano  solo,  che  voi  v'intendete  di  catolicismo 
quanto  il  vescovo  d'Annecy,  che  va  razzolando  negli 
antichi  stati  generali  di  Savoja  (3).  Ma  che  stati  di 
Savoja,  di  Borgogna,  e  d'Aragona  ci  venite  a  con- 
tare? La  chiesa  non  ha  né  il  merito,  né  la  colpa  de- 
gli atti  loro:  li  atti,  di  cui  ella  unicamente  può  e 
deve  rispondere,  sono  i  suoi,  sono  quelli  del  suo  go- 
verno. Adunque,  senza  tanto  sfoggio  d' archeologìa  e 
d'eloquenza,  mano  alla  storia  moderna  e  contempo- 
ranea, mano  a' fatti  e  documenti  c«rti,  notorj,  so- 
lenni ;  provateci  che  negli  Stati  della  chiesa  regna  e 
fiorisce,  meglio  che  dovunque,  la  libertà;  e  noi  con- 
dì Pag.  135. 

(2)  Pag    136. 

(3)  UUrrn  al  rnnte  di  Moììtalembert,  già  citata  di  so\:t^. 


2-i 


chiuderemo  eoa  voi,  che  la  libertà  non  repugiia  al 
catolicismo.  Ma  finché  vediamo  con  li  occhi  nostri, 
che  non  havvi  paese  in  Europa,  dove  la  libertà  sìa 
cos\  maledetta,  perseguitata,  manomessa  come  negli 
Stati  della  chiesa,  noi  seguiteremo  a  conchiudere, 
che  dunque  il  catolicismo  avversa  intrinsecamente, 
essenzialmente  la  libertà  ;  e  che  voi  liberali  cato- 
liei,  non  siete  né  catolici,  né  liberali,  e  non  sapete 
che  cosa  sia  né  libertà,  né  catolicismo. 

Oltre  i  fatti  però  non  mancano  le  decisioni.  Già 
Gr^orìo  XVI  nella  sua  enciclica  del  lo  agosto  183':i 
avea  condannato  il  principio  della  libertà;  poiché, 
secondo  l'interpretazione  autentica  che  il  cardinale 
Pacca  ne  dava  a  Lamennais,  in  essa  il  papa  disap- 
prova e  condanna  le  dottrine  [doW Avenir)  relative 
alla  libertà  civile^  le  quali  tendono  di  lor  natura  ad 
eccitare  e  propagare  dapertutto  lo  spirito  di  sedi- 
zione e  di  rivolta  per  parte  dei  sudditi  contro  i  loro 
sovrani,  E  questo  spirito  è  in  aperta  opposizione  co'i 
principj  deW Evangelio  e  della  santa  chiesa.  È  que- 
sta una  decisione  così  formale  e  precisa,  clie  parmi 
incredibile  come  li  stessi  casisti  la  possano  eludere. 
E  non  è  sola. 

Abbiamo  veduto,  che  la  libertà  civile,  secondo  l'i- 
dea moderna,  si  traduce  nel  socialismo.  Sentito  ora, 
che  cosa  ne  pensi  e  ne  dica  Pio  IX.  Nella  sua  allo- 
cuzione del  20  aprile  1849  si  esprime  così  :  «  Ci  rì- 
»  corre  ancora  alla  memoria  quella  notte,  ed  abbiamo 
»  ancor  presenti  agli  occhi  alcuni,  che  mìseraraen- 
»  te  illusi  ed  affascinati  dai'raachinatori  di  frodi,  non 
»  dubitavano  di  patrocinare  in  ciò  la  causa  di  quc- 
»  sti,  e  proporci  la  proclamazione  della  stessa  Repu- 
»  blìca.  Il  che,  oltre  innumerevolr  e  gravissimi  al- 
»  tri  argumenti,  dimostra  sempre  più,  che  le  do- 
»  mando  di  nuove  instituzioni ,  ed  il  progresso  da 
»  cotali  uomini  cotanto  predicato,  unicamente  orni- 
li. '      3 


3r> 

»  rauo  a  tenere  sempre  vive  le  agitazioni,  a  togliere 
»  al  tutto  di  mezzo  ogni  princìpio  di  giustizia,  di 
9  virtù,  di  onestà,  di  religione,  e  ad  introdurre,  a 
»  propagare,  ed  a  Dar  largamente  dominare  in  ogni 
»  luogo,  con  gravissimo  danno  e  rovina  di  tutta  la 
»  umana  società,  T  orribile  e  fatalissimo  sistema  del 
»  socialismo,  o  anche  cammunismo,  contrario  prin- 
»  cipalmente  ai  diritto  ed  alla  stessa  ragion  natu- 
ri rale.  » 

Poco  appresso,  el  qualifica  la  libertà  republìcana 
di  Roma  in  questi  termini:  «  Chi  non  sa,  che  la 
»  Città  di  Roma,  sede  principale  della  chiesa  cato- 
»  lica,  è  ora  divenuta,  ahil  una  selva  di  bestie  fre* 
»  menti,  riboccando  di  uomini  di  ogni  nazione',  i 
»  quali  0  apostati,  o  eretici,  o  maestri  del  commu- 
»  nismo  0  del  socialismo ,  o  animati  dal  più  terrl- 
»  bile  odio  contro  la  verità  catolica,  sia  con  la  vo- 
»  ce,  sia  con  li  scritti,  sia  in  altro  qualsivoglia  modo, 
»  si  studiano  a  tutt'uomo  d'insegnare  e  diseml-^ 
»  nare  pestiferi  errori  dì  ogni  genere,  dì  corrom-* 
»  pere  il  cuore  e  l'animo  di  tutti,  affinchè  in  Roma 
»  stessa,  se  fia  possibile,  si  guasti  la  santità  della 
»  religione  catolica,  e  la  ìrreformabile  regola  della 
9  fede?  » 

Indi,  alludendo  sempre  ai  princìpi  della  democra- 
zia che  il  popolo  Romano  professava,  egli  stabilisce 
che  «  sarà  d'uopo  sommamente  afiTaticarsl  a  rischia- 
»  rare  co  1  lume  del  vero  sempiterno  lì  animi,  e  le 
»  inclinazioni  miseramente  illuse  dalle  insìdie  e  dalle 
»  frodi  degli  empj,  affinchè  lì  uomini  conoscano  i  fu- 
»  nestì  frutti  degli  errori  e  dei  vizj,  esìeno  eccitati 
»  ed  animati  a  seguire  le  vìe  della  virtù,  della  glu- 
»  stlzla,  e  della  religione.  Imperocché  molto  ben  co- 
»  noscete  (parla  al  concistoro)  quelle  orrende,  e 
»  d'ogni  maniera  mostruose  massime,  che  scaturite 
j»  dal  fondo  dcirabìsso  a  rovina  e  desolazione;  già 


«7 

»  prevalsero,  e  vanno  infuriando  con  danno  immenso 
»  della  religione  e  della  società.  Le  quali  perverse 
B  e  pestifere  dottrine  i  nemici  non  si  stancano  mal 
»  di  difundere  nel  vulgo,  e  in  iscritto  e  nei  publici 
»  spettacoli,  per  accrescere  e  propagare  ogni  d\  più 
»  la  sfrenata  licenza  di  ogni  empietà,  di  ogni  cupi- 
»  digia  e  passione.  Di  qua  derivano  tutte  quelle  ca- 
»  lamità  e  sventure  e  disastri,  che  tanto  funestarono 
»  e  funestano  l'uman  genere,  e  quasi  il  mondo  uni- 
»  verso.  » 

Ricapitoliamo;  che  il  catalogo  delle  maldicenze  e 
delle  calunnie  papali  è  già  discreto.  Per  una  parte 
adunque  Pio  IX,  cioè  la  chiesa,  cioè  il  catolicismo, 
sentenzia  che  le  libertà  della  democrazia,  proclamate 
almeno  implicitamente  dai  signori  Montalembert  e 
Rendu,  non  sono  propriamente  altro,  che  frodi,  agi- 
tazioni, distruzione  d*ogni  principio  di  giustizia,  di 
virtù,  di  onestà,  di  religione,  di  diritto,  di  ragion 
naturale,  danno  e  rovina  di  tutta  la  umana  società, 
pestiferi  errori  atti  a  corrompere  il  cuore  e  Vanimo 
di  tutti,  fallacie,  insidie,  e  frodi  degli  empj,  funesti 
frutti  degli  errori  e  dei  vizj,  massime  orrende  e  di 
ogni  maniera  mostruose,  scaturite  dal  fondo  delVa- 
hisso  a  rovina  e  desolazione ,  perverse  e  pestifere  dot- 
trine, sfrenata  licenza  di  ogni  empietà,  di  ogni  cu- 
pidigia  e  passione.  I  liberali  poi  sono  niente  meno 
che  bestie  frementi.  Per  altra  parte,  i  principi  con- 
trari, cioè  il  sistema  del  governo  pontifìcio,  ossia  il 
despotismo  e  la  tirannia  bestiale,  sono  precisamente 
la  giustizia,  h  virtù,  V  onestà,  h  religione,  il  diritto, 
la  ragion  naturale,  la  verità  catolica,  la  santità  della 
religione,  la  irreformahile  regola  della  fede,  il  lume 
del  vero  sempiterno ,  le  vie  della  virtù,  della  giusti- 
zia e  della  religione.  L'antitesi  è  in  tutto  e  per 
tutto  degna  di  un  papa:  Montalembert  e  Rendu  c'im- 
pareranno, so  non  altro],  il  proprio  nome  di  batte- 


88 

Simo:  bestie  frementi!  E  pazienza,  quanto  al  primo: 
che  dar  della  bestia,  eziandio  fremente,  ad  an  conte, 
non  è  poi  la  gran  maraviglia.  Ma  ad  un  vescovo,  il 
gridargli  sul  viso:  tu  se'  una  bestia  fremente;  affé, 
gli  è  un  ceremouiale  di  nuovo  genere.  Ahi  quella 
santissima  bocca  del  papa  vuol  esserci  maestra  di 

ogni  cosa,  perfin  di  galateo! Sicché,  monsignori, 

qualor  mi  occorresse  di  chiamarvi  co  '1  titolo  che 
vi  ha  regalato  un  papa,  non  solo  ve  '1  porterete  in 
pace,  ma  dovrete  sapermene  buon  grado;  giacché 
per  voi  le  sentenze  del  papa  sono  oracoli  dello  Spi- 
rito Santo;  ed  io,  appellandovi  bestie  frementi ,  non 
sarei  altro  che  l'eco  fedele  del  vostro  paradiso. 

Nella  sua  enciclica  dell'S  decembre  1849  agli  ar- 
civescovi e  vescovi  d'Italia,  Pio  IX  adopera  un  lin- 
guaggio non  punto  diverso  :  «  Voi  ben  vedete ,  egli 
»  dice,  e  vedete  insieme  con  noi,  con  quanta  perver- 
to sita  abbiano  testé  invalso  certi  perduti  nemici 
»  della  verità,  della  giustizia,  e  di  qualunque  one- 
»  sta,  i  quali  o  per  frode  e  per  ogni  maniera  d' in- 
»  sidie,  0  apertamente  e  a  guisa  di  flutti  del  mare 
»  infierito,  che  spumano  le  proprie  turpitudini,  si 
»  sforzano  difundere  per  ogni  parte  tra  i  popoli  fe- 
»  deli  d'Italia  una  sfrenata  licenza  dì  pensare,  di 
»  parlare,  e  di  osare  quanto  v'abbia  di  empio,  e  ma- 
»  chinano  di  crollare  nell'Italia  medesima,  e,  se  po- 
to tesse  loro  venir  mai  fatto,  rovesciare  da' fonda- 
to menti  la  catolica  religione.  » 

Poscia,  alludendo  ai  liberali,  che  cercano  dì  scio- 
gliere l'Italia  dal  giogo  del  papato  per  rigenerarla 
alla  libertà:  «  Non  possiamo  rattenere  le  lagrime, 
»  esclama,  mentre  veggiamo  trovarsi  degl'Italiani 
»  così  malvagj  e  miseramente  illusi,  che  plaudendo 
»  alle  prave  dottrine  degli  empj,  non  temono  di  con- 
»  giurare  con  essi  a  tanto  danno  d'Italia.  Non  y'h 


29 
»  però  ignoto,  come  i  precipui  architetti  di  questa 
»  machina  sceleratissìma  mirino  finalmente  qui,  che 
»  ì  popoli  agitati  da  ogni  vento  di  perverse  -dottrine 
»  vengano  per  loro  spinti  alla  sovversione  di  tutto 
»  l'ordine  delle  umane  cose,  e  trascinati  agli  ese- 
p  crandi  sistemi  del  nuovo  socialismo  e  communismo,  j> 
£  questo  diluvio  di  maledizioni  non  basta  ancora 
al  mitissimo  vicario  di  Cristo.  Non  contento  di  ac- 
coppiar sempre  il  socialismo  co  1  communismo,  quasi 
fossero  una  sola  e  medesima  cosa,  egli  passa  a  defi- 
nirli così:  a  Li  odierni  nemici  di  Dio  e  dell'umana 
»  società  niente  lasciano  d'intentato  per  divellere  i 
»  popoli  italiani  dall'ossequio  a  noi  e  a  questa  santa 
»  Sede,  avvedendosi  che  potrebbe  allora  venir  loro 
»  fatto  di  contaminare  l'Italia  stessa  con  l'empietà 
a  della  propria  dottrina,  e  con  la  peste  de' nuovi  si- 
»  stemi.  E  per  ciò  che  spetta  a  questa  guasta  dot- 
»  trina  e  a  questi  sistemi,  è  a  tutti  già  manifesto, 
»  che  abusando  essi  dei  nomi  di  libertà  e'd'egua- 
»  glianza,  mirano  principalmente  ad  insinuare  nel 
»  vulgo  li  esiziali  prìncipi  del  communismo  e  del  so- 
»  cialismo.  Egli  è  certo  poi,  che  i  maestri  medesimi, 
»  vuoi  del  communismo^  vuoi  del  socialismo,  benché 
»  per  diversa  via  e  con  metodo  diverso,  hanno  in 
»  somma  questo  solo  proposito  a  tutti  commune;  che 
»  ingannati  dalle  loro  menzogne  li  operaj,  e  li  altri 
»  specialmente  d'inferior  condizione,  e  illusi  dalla 
»  promessa  di  vita  più  agiata,  vengano  agitandosi  in 
»  movimenti  continui,  e  a  poco  a  poco  addestran- 
»  tlosi  a  più  gravi  delitti,  per  poter  poi  valersi  del- 
»  l'opera  loro  ad  abbattere  il  governo  di  qualunque 
»  superiore  autorità,  a  rubare,  saccheggiare,  od  in- 
ì)  vadere  prima  le  proprietà  della  chiesa,  e  di  poi 
»  quelle  di  tutti  li  altri;  a  violare  infine  tutti  i  di- 
»  ritti,  divini  ed  umani,  in  distruzione  del  divin  culto, 
^D  e  in  rovesciamento  dell'ordine  intiero  delle  civili 
»  società.  » 


so 

Lascio  al  lettore  la  briga  di  ricapitolare  qui  le  in- 
giurie e  le  calunnie,  che  Sua^^Santità  raccolse  dai 
trivj  per  diffamare  tutti,  senza  eccezione  d'alcuna  sorta^ 
lì  apostoli  della  libertà  e  li  amici  del  popolo:  a  me 
non  reggerebbe  né  lo  stomaco,  nò  la  pazienza.  Li  uo- 
mini onesti,  qualunque  sia  il  loro  sistema  politico, 
giudiclieranno  che  nome  si  meriti  questo  portento 
di  papa,  il  quale  osa  presentarsi  al  Publico  siccome 
Toracolo  della  verità y  del  diritto,  e  della  giustizia, 
mentre  porta  su  la  fronte  impresso  a  caratteri  in- 
delebili il  marchio  di  spergiuro  e  di  traditore  della 
sua  patria  1  E  costui  parla  di  virtù?  parla  di  fede? 
parla  di  religione?  E  questo  sedicente  vicario  di  Dio 
ardisce,  al  cospetto  del  mondo,  denunciare  per  la- 
droni e  scelerati  di  proposito  tutti  i  democratici, 
tutti  i  socialisti,  nessuno  eccettuato?  nessuno?  Ohi 
sì,  fra  i  democratici  socialisti  —  e  sono  parecchi  mil- 
lionil  — T  v'ha  certamente,  come  ve  n'ha  in  tutti  i 
ceti  della  società,  della  gente  perversa  e  depravata; 
ma  si  contano  pure  molti  e  molti  uomini,  per  inge- 
gno, per  cuore,  per  virtù,  per  sacrifìcj,  per  eroismo 
tali,  cui  quel  favoloso  portinajo  del  cielo,  con  tutta 
h  sua  teatrale  santità,  non  è  pur  degno  di  sciogliere 
il  correggiiiolo  delle  scarpe  1  Sì,  fra  i  democratici  so- 
cialisti ci  son  dei  ladroni  e  degli  scelerati  ;  ma  nes- 
suno di  loro  ha  derubato  tante  famiglie,  quantejne 
spogliò  Pio  IX 1  Nessuno  ha  costato  tante  lagrime  ad 
lira  nazione,  quante  ne  costò  Pio  IX If Nessuno, ha 
versato  tanto  sangue  dei  popoli,  quanto  ne  grondano 
le  mani  di  Pio  IX 1  Sì,  ci  sono,  fra  1  democratici  so- 
cialisti, degli  scelerati  e  dei  ladroni  ;  ma  almeno  nes- 
suno di  loro  si  chiama  beatissimo,  nè^ santissimo; 
nessuno  si  pretende  infallibile,  nò  inviolabile ;' nes- 
suno si  spaccia  per  abitacolo  dello  Spirito  Santo,  né 
per  vicario  di  Cristo,  né  per  rappresentante  di  Diol  Sì, 
nella  democrazia  e  nel  socialismo  avran  luogo  tutti 


li  orrori,  che  il  papa  predice  ;  ma  non  si  verifipherà  al- 
meno rignominia  di  dover  venerare  per  suo  capo 
visibile  un  uomo,  tin  re,  un  prete,  come  Pio  IX I...  E 
questo  solo  argumento  basterà  sempre  ad  ogni  ente 
ragionevole  per  anteporre  di  gran  lunga  il  sociali- 
smo e  la- democrazia,  alla  santa  chiesa  catolica,  apo- 
stolica, romana. 

Ma  il  papa  non  volle  terminare  la  sua  lettem,  senza 
definire  quale  sia  il  vero  sistema  della  chiesa  da  con- 
traporsi a  quello  della  democrazia.  E  lo  compendia 
In  tre  punti: 

1.**  Perpetuità  della  miseria:  «  Sapiano  i  fedeli, 
»  essere  della  naturale  e  però  incommutabile  condi- 
»  zione  delle  umane  cose,  che  fra  coloro  eziandio, 
»  che  non  sono  costituiti  in  sublime  grado  d'auto- 
»  rità,li  uni  tuttavia  prevalgano  agli  altri,  o  perle 
»  differenti  doti  d'animo  o  di  corpo,  o  veramente 
»  per  le  ricchezze  'e  i  beni  esteriori  di  simil  fatta; 
»  né  per  qualunque  pretesto  di  libertà  ed  eguaglianza 
»  potersi  mai  fare,  che  sia  lecito  invadere  o  In  qual 
»  che  si  voglia  modo  violare  li  altrui  beni  o  di- 
»  ritti.  »• 

2.®  Misericordia  dei  ricchi:  «  Rammentino  i  po- 
»  ver!  e  i  miserabili  d'ogni  maniera,  quanto  deb- 
»  bano  alla  catolica  religione.  In  cui  persevera  inte- 
»  morata,  e  publicamente  si  predica  la  dottrina  di 
»  Cristo,  il  quale  ha  dichiarato  di  tenere  come  fatti  a 
»  sé  stesso  1  beuefizj,  che  fannosl  ai  poveri  e  ai  mi- 
»  serabili;  e  volle  a  tutti  prenunzìato  il  peculiar  conto 
»  ch'egli  sarà  per  f»e  nel  dì  del  giudizio  delle  mede- 
»  sime  opere  di  misericordia,  sia  per  dare  i  premj 
»  della  vita  eterna  ai  fedeli  che  le  avranno  esercitate, 
»  sia  per  punire  del  fuoco  eterno  coloro  che  le  avran 
»  poste  in  dimenticanza.  » 

3.°  Rassegnazione  dei  poveri:  «  I  nostri  poveri  si 


32 

»  ricorderanno,  che  secondo  l' insegnamento  dì  Cri- 
»  sto  raedesimo,  non  hanno  ragione  ad  al.trislarsi 
»  per  la  loro  condizione;  dacché  nella  slessa  povertà 
»  è  ad  essi  spianata  più  agevole  la  via  ad  ottenere 
»  salvezza,  purché  cioè  sostengano  pazientemente  la 
»  loro  indigenza,  e  non  sieno  soltanto  poveri  di  fatto, 
»  ma  ancora  di  spirito.  » 

Così  il  catolicismo  intende  e  promuove  reman€i- 
pazione  del  proletariato  l  Ma  che  dire  dì  questo  papa, 
il  quale  non  sente  ribrezzo,  né  vergogna  di  sé,  ri- 
petendo le  dottrine  di  Cristo?  Ahi  Cristo,  povero, 
sì,  poteva  parlare  di  rassegnazione  ai  poveri:  Cristo, 
povero,  potea  ben  tuonare  contro  i  ricchi  e  intimar 
loro  il  debito  della  beneficenza  ;  ma  quelle  pietose  e 
nobili  parole  in  bocca  di  Pio  iX  diventano  o  ridi- 
-cole,  0  atroci.  Un  re,  che  dalla  più  splendida  regia 
•del  mondo  decide  più  agevole  la  via  della  salvezza 
nella  povertà  1  Un  re,  che  di  mezzo  ai  godimenti  del 
lusso  raccommstnila  la  pazienza  ai  miserabili!  Un  re, 
che  coperto  d'oro  e  di  gemme,  attorniato  da  corti- 
giani e  servitori,  inculca  ai  poveri  di  amare  la  loro 
indigenza  1  No,  costui  non  ha  vìscere  d'uomo;  poi- 
ché non  sente  che  mostro  sia,  chi  padrone  dì  tesori 
celebra  i  vantaggi  della  miseria;  chi  abondante  d'o- 
gni bene  esalta  a  cielo  l'indigenza;  chi  seduto  a  lauto 
desco  fa  il  panegirico  della  fame!  A  tutte  le  sue  teo- 
riche di  rassegnazione  e  di  pazienza  i  poveri  non  op- 
porranno che  una  sola  risposta:  Tesempio  della  sua 
vita!  —  E  scendete,  grideranno,  scendete  giù  da 
quel  trono;  uscite  fuori  di  quella  regia;  e  venite 
fra  noil  Venite  a  sudare  con  n(JI,  più  d'angoscia  che 
di  fatica,  nelle  nostre  officine;  e  poi  ci  descriverete 
le  delizie  della  povertà.  Venite  con  noi  a  giacere  nei 
nostri  tagurj;  e  poi  ci  racconterete  le  gioje  della 
ml-.eri«i.  Venite  a  vìvere  con  noi  in  mezzo  ad  iiiui 
famiglia,  clic  manca  di  lavoro  e  di  pane,  che  s' addor- 


33 

menta  tutte  le  sere  e  tutte  le  matine  w  sveglia  col 
pianto  negli  occhi  e  la  disperazione  nel  cuore;  e  poi 
ci  canterete  le  beatitudini  della  fame.  Siate  povero' 
come  noi,  se  abbiamo  da  prestar  fede  alle  vostre 
omelie.  Altrimenti  vi  diremo,  che  voi  mentite  l  Vi  di- 
remo, che  almeno  per  pudore  dovreste  tacere,  a  fine 
di  non  cumulare  Io  scandalo  della  vostra  vita  con 
l'insulto  della  vostra  parola.  — 

Udiamo  finalmente  la  conclusione  del  papa:  «  Che 
»  se  i  fedeli  medesimi,  non  curando  i  paterni  av- 
»  visi  de' loro  pastori  e  ì  summentovati  comanda- 
»  menti  della  legge  cristiana,  si  lasciassero  travol- 
»  gere  dai  sopradetti  promotori  delle  odierne  ma- 
»  chinazioni,  e  volessero  cospirare  con  loro  nei  per- 
»  versi  sistemi  del  socialismo  e  del  communismo , 
»  sapiano  e  pensino  seriamente,  che  tesoreggiano  a 
»  sé  medesimi  appresso  il  divino  giudice  tesori  di 
»  vendetta  pe'  1  giorno  dell'ira  ;  e  che  fratanto  non 
»  sarà  per  derivare  dalla  cospirazione  briciolo  di  tem- 
»  porale  vantaggio  del  popolo,  ma  piuttosto  nuove 
»  miserie  e  calamità  si  verranno  accumulando  so- 
»  pra  di  lui.  Imperciocché  non  è  dato  agli  uomini 
»  stabilire  nuove  società  e  communioni  repugnanti 
»  alla  naturai  condizione  delle  cose  umane;  e  però 
»  l'esito  di  tali  cospirazioni,  qualora  si  dilatassero 
»  per  l'Italia,  altro  essere  non  potrebbe  fuorché,  af- 
»  iìevolito  e  dalle  fondamenta  crollato  l'odierno  si- 
»  stema  delle  publiche  cose  per  le  scambievoli  ag- 
»  gressioni,  usurpazioni,  e  stragi  di  cittadini  contro 
»  cittadini,  alcuni  pòchi  alla  fine  arricchiti  con  ìe 
»  spoglie  di  molti  afferrassero  la  sommità  del  co- 
»  mando  nella  commune  rovina.  » 

Riassumendo  ora  in  brevi  parole  la  dottrina  del 
papa  e  della  chiesa,  egli  è  dunque  manifesto,  che 
l'odierno  sistema  delle  publiche  cose,  qual  è  ne' suoi 


84 

Stati,  risponde  perfettamente  ai  principj  del  eatoh- 
cismo;  ossia,  che  il  catolicismi  tiene  l'oppressione  e 
la  miseria  dei  popoli  per  la  naturai  condizione  delle 
cose  umane.  Ecco,  o  Italiani,  la  libertà  civile  che  vi 
promette  il  catolicismo!  —  Adunque  non  c'è  mezzo, 
conchiuderò  anch'io  co  '1  dilemma,  che  Montalembert 
proponeva  all'Assemblea  francese  il  17  genajo  del  1850  : 
oggi  conmene  scegliere  fra  il  catolicismo  ed  il  socia- 
lismo: e  la  mia  scelta  è  fatta. 


t 


CAPITOLO  DECIMO 


LIBERTA'   roixricA 


Queiralternativa,  che  nell'ordine  civile  si  formu- 
lava cosi:  catolicismo  o  socialismo;  neir ordine  po- 
litico si  trasforma  in  un'altra  equivalente:  despoti- 
smo  o  democrazia.  Da  quale  parte  stia  la  libertà ,  il 
nome  stesso  lo  dice.  Tuttavia  il  partito  catolico  li-^ 
berale,  di  cui  abbiamo  riferito  il  programma,  vuol 
tenere  una  via  .di  mezzo;  e  combatte  la  democrazia 
non  meno  che  il  despotismo.  Ma  con  la  sua  via  di 
mezzo,  anziché  sfugire  ad  ambedue  le  parti  del  di- 
lemma, urta  in  ambedue  e  cade  in  una  doppia  con- 
tradizione. Perciocché  la  libertà  politica,  secondo  lui, 
consiste  neW  assicurare  ad  ognuno  il  suo  concorso 
alla  formazione  delle  leggi  ed  alla  sorveglianza  della 
publica  fortuna.  Ora,  o  questo  sistema  implica  la 
sovranità  nazionale  come  princìpio,  ed  il  suffragio 
universale  come  instituzione,  o  no.  Se  no,  v'ha  con- 
tradizione; poiché  una  nazione,  che  non  é  arbitra 
di  sé  stessa,  ma  obedisce  ad  un  padrone  o  ad  una 
casta,  non  può  concorrere  alla  formazione  delle  leg- 
gi ed  alla  sorveglianza  del  governo  se  non  per  via 


35 

di  un  concorso  apparente,  fittizio,"  illusorio,  menzo- 
gnero; concorso,  che  il  governo  accetterà  quanto  e 
come  gl'interessa,  ma  ch'egli  o  eluderà  con  la  frode 
0  romperà  con  la  forza,  qualora  gli  riesca  d'impac- 
cio e  d'ostacolo  al  suo  intento.  Se  si,  v'ha  pure 
contradizione;  poiché  il  paese,  dove  è  in  vigore  la 
sovranità  nazionale  ed  il  suffragio  universale,  è  una 
republica,  è  la  pura  democrazia,  che  il  partito  ca- 
toìico  odia  e  aborrisce  assai  più  che  l'assolutismo. 
Nel  primo  caso,  egli  tradisce  la  libertà  per  paura 
della  democrazia;  nel  secondo,  tradisce  la  verità  per 
paura  del  despotismo.  Questo  partito  è  dunque  con- 
dannato non  solamente  all'assurdo,  ma  anche  alla 
menzogna. 

No,  la  libertà  non  può  restringersi  entro  la  me- 
schina cerchia  del  programma  catolico  ;  né  il  catolici- 
smo può  abbracciare  sinceramente  il  programma  della 
libertà.  Qual  è  la  condizione  essenziale  della  libertà  po- 
litica di  uno  Stato? È  questa,  che  tutto  l'organismo 
dello  Stato  dipenda,  non  dall'arbitrio  di  uno  o  d'al- 
cuni uomini,  ma  dalla  volontà  generale  della  nazione; 
e  quindi,  che  il  governo  sia  un  mandatario  del  po- 
polo, e  non  un  signore.  Tal  è  il  principio  della  so- 
vranità nazionale,  da  cui  deriva  come  legge  orga- 
nica e  costituente  il  sistema  elettivo  a  suffragio  uni- 
versale. Ma  il  diritto  di  suffragio  e  d'elezione,  come 
ogni  diritto  naturale  dell'Umanità,  è  inalienabile;  e  la 
nazione  non  può  cederlo  o  rinunciarlo  a  verun  patto, 
poiché  è  desso  la  condizione  della  sua  libertà,  e  la  libertà 
è  la  sua  vita.  Dunque  i  mandatari  della  nazione,  dal- 
l'ultimo fino  al  primo,  devono  essere  tutti  sindaca- 
bili dé'loi'o  atti,  e  revocabili  sempre  da' loro  ofiìcj, 
a  giudìzio  degli  elettori.  E  questa  è  Republica;  se 
non  nel  senso  storico  della  parola,  la  quale  un  tempo 
^'applicò  a  governi  di  diverse  specie  e  talora  di  op- 
tasti principj,  bensì  nel  senso  teoretico,  in  cui  og- 


37 

gìdi  la  filosofia  politica  l'adopera  esclusivamente;  onde 
republica  e  libertà  sono  una  cosa  sola. 

Per  lo  contrario,  qual  è  il  principio  generatore  del 
despotismo?  È  questo,  che  tutti  o  qualcuno  de'pu- 
blici  poteri  appartengano  ad  un  uomo,  ad  una  fa- 
miglia, ad  una  casta  a  tìtolo  di  eredità,  e  si  riguar- 
dino come  inviolabili,  come  anteriori  e  superiori  alla 
volontà  nazionale,  come  indipendenti  dall'elezione  e 
dalla  revocazione  popolare.  La  monarchia  pertanto, 
sotto  qualunque  forma  si  voglia,  è  una  specie  di  de- 
spotismo, più  0  meno  assoluto,  più  o  meno  tempe- 
ralo, secondo  la  costituzione  che  Tinteressi,  i  tempi, 
le  circostanze  richiedono;  ma  i  gradi  non  ne  mu- 
tano la  natura  e  l'essenza.  Sono  dunque  inesatti 
ed  erronei  i  termini,  con  cui  Montalembert,  seguendo 
r  usanza  vulgare,  qualifica  il  governo  rappresenta- 
tivo 0  costituzionale,  ch'egli  dice  di  amare  e  desi- 
derare come  una  libertà* regolata^  contenuta,  ordi^ 
nata,  temperata.  No,  questi  attributi  non  sono  pro- 
prj  della  libertà.  La  libertà,  come  la  verità,  è  o  non 
è:  regolarla,  contenerla,  ordinarla,  temperarla,  co- 
munque si  voglia,  non  è  altro  che  distruggerla;  poi- 
ché ciascuno  di  tali  rìraedj  si  risolve  in  una  dose 
di  despotismo.  Uniqo  limite  naturale  della  libertà, 
siccome  del  diritto,  è  la  stessa  libertà,  è  il  diritto 
slesso;  perchè  il  diritto  e  la  libertà  di  ciascuno  non 
può  sussistere  che  a  patto  di  rispettare  il  diritto  e 
la  libertà  di  tutti  li  altri.  Ogni  diritto  adunque  porta 
seco  un  dovere;  e  però  la  libertà  si  converte  a  tutto 
rigore  nella  giustizia.  La  giustizia  crea  il  diritto,  e 
co'l  diritto  regola  la  libertà. 

Così  v'ha  propriamente  libertà  in  uno  Stato,  quando 
unica  legge  della  libertà  individuale  è  la  libertà  com- 
mune;  ma  dove  esista  un'altra  Jegge,  qualunque  sia, 
per  restringerla  e  limitarla,  ivi  libertà  non  regna, 
ma  despotismo.  Il  despotismo,  st,  può  essere  in  qual* 


38 

ehe  guisa  regolato,  contenuto,  ordinato,  temperato; 
poiché  esso,  come  Terrore,  è  suscettibile  di  varj  gradì, 
secondo  la  varia  natura  del  principe  che  comanda, 
della  casta  che  governa,  del  popolo  che  obedisce,  delle 
idee  che  predominano,  dei  bisogni  che  incalzano,  delle 
ire  che  fremono,  delle  vendette  che  minacciano,  delle 
paure  che  fanno  stringere  o  allentare  il  freno.  Corre 
certamente  un  gran  divario  fra  il  despotismo  delle  mo- 
narchie assolute  e  quello  delle  costituzionali;  mala 
pienezza  della  libertà  politica,  cioè  la  sovranità  na- 
zionale, esercitata  mediante  il  sistema  elettivo,  non  esi- 
ste a  rigore  in  alcuna;  perocché  vi  ha  in  tutte  ne- 
cessariamente una  0  più  persone  irresponsabili  :  pri- 
vilegio iniquo,  che  perverte  i  primi  principj  della 
moralità  e  della  giustizia;  —  v'ha  un  diritto,  che  si 
trasmette  per  via  di  nascita  e  d'eredità:  privilegio 
assurdo,  che  repugna  al  senso  commune,  edassug- 
getta  l'Umanità  al  caso  ed  alla  fortuna;  —  v'ha  un 
potere,  che  in  luogo  d'obedire  comanda  alla  nazione: 
privilegio  tirannico,  che  rovescia  la  legge  costitutiva 
della  società,  ed  eleva  la  guerra  e  l'anarchia  a  si- 
stema; —  v'ha  un  ordine  amministrativo,  giudizia- 
rio e  militare,  che  vien  fletto,  non  dalla  nazione, 
ma  dal  principe;  che  tratta  l' interessi,  non  del  popolo, 
ma  della  corte;  che  reputa  la  sua  autorità,  non  su- 
bordinata al  Publico,  ma  superiore;  che  si  considera, 
non  Qual  mandatario  dei  cittadini,  ma  qual  vicario 
del  re:  privilegio  sovversivo,  che  divide  la  nazione 
in  due  campi  nemici,  l'uno  dei  quali  cospira  di  sua 
natura  ad  invadere  l'altro;  l'uno  con  l'oppressione, 
l'altro  con  la  rivolta;  l'uno  in  nome  dell'autorità, 
l'altro  in  nome  della  libertà :lutta  funesta  ed  atroce, 
dove  qualunque  parte  sia  vincitrice,  la  nazione  ha 
sempre  da  piangere  una  sconfitta  ed  una  sventura; 
dove  il  diritto  bisogna  che  dia  luogo  alla  forza;  dove 
la  libertà  bisogna  che  corra  all' armi,  e  combatta,  ed 


19 

oecida,  e  conquisti  a  prezzo  di  saijigtto  umano  i  po- 
poli che  vuol  emauclpare. 

Di  che  apparisce  maDìfestamente,  quanto  vadano 
errati  coloro,  che  pretendono,  fra  il  principato  co- 
stituzionale e  la  republica  non  esservi  questione  che 
di  mera  forma;  ed  accusano  la  democrazia  di  puri- 
tanismo  e  di  caparbietà,  perchè  ricusa  di  scendere 
ad  accordi  e  stringere  patti  co'  re.  Ingiusti  ed  in- 
grati che  sonol  Nelle  questioni,  che  toccano  vera- 
mente la  sola  forma  e  non  l'essenza  dello  Stato,  la 
democrazia  fu  ed  è  sempre  conciliativa  e  tolerante, 
fors' anche  troppo  1  Ma  come  osano  affermare,  che 
nella  controversia  della  monarchia  con  la  republica 
si  tratti  puramente  della  forma,  non  già  dell'essenza 
di  un  governo?  Si  tratta  di  ammettere  o  di  riget- 
tare il  principio  della  sovranità  popolare;  e  la  chia- 
mano una  questione  di  forma?  Si  tratta  di  stabilire, 
0  no,  come  unica  fonte  dell'autorità  publlca,  il  suf- 
fragio universale;  e  la  dicono  una  questione  di  for- 
ma? Si  tratta  di  rendere,  o  no,  tutti  li  ordini  del- 
l'amministrazione elettivi,  responsabili,  e  revocabili; 
e  la  spacciano  per  una  questione  di  forma?  Si  tratta 
di  diritto,  di  giustizia,  di  morale;  si  tratta  del  prin- 
cipio fondamentale,  su  cui  riposalo  Stato;  si  tratta 
dell'origine,  della  natura,  dello  scopo,  dell'organismo 
di  tutti  i  poteri  sociali  ;  si  tratta  di  avere,  o  no,  un 
padrone;  di  essere  sudditi  o  superiori  ai  governo; 
di  essere  arbitri  o  servi  della  forza;  di  fare  o  di  su- 
bire le  leggi:  e  la  traducono  per  una  questione  di 
forma?  E  se  codeste  non  sono  questioni  che  di  sem- 
plice forma,  quali  adunque  saranno  le  questioni  di 
principio? 

Che  parlino  di  forma,  quando  si  discute,  se  la  re- 
publica debba  essere  presieduta  da  un  solo  citta- 
dino, 0  da  più,  0  da  nessuno;  se  questa  presidenza 


£0 

debba  elèggersi  dal  popolo  o  dall'assemblea;  se  que- 
st'assemblea debba  comporsi  dì  una  Camera  sola,  o 
di  due;  durare  in  officio  uno,  o  più  anni,  ecc.;  la 
democrazia  non  ha  niente  a  ridire.  Comunque  si  ri- 
solvano colali  e  simiglianli  problemi,  il  princìpio  della 
libertà  politica  rimane  salvo  ed  inviolato;  perchè  la 
nazione  mantiene  sempre  inalienabile  la  sua  sovra- 
nità, non  abdica  veruno  de'  suoi  diritti,  e  può  sempre 
esercitarli  tutti,  a  suo  beneplacito,  mediante  il  suf- 
fragio universale.  Ma  che  si  giudichi  questione  acci- 
dentale quella,  che  s'agita  fra  la  monarchia  e  lare- 
publica,  no,  la  democrazìa  no' 1  consentirà  giammai; 
poiché  si  discute  il  principio  medesimo  costitutivo 
del  governo,  dello  Stato,  della  società;  si  tratta  in 
somma  di  scegliere  fra  la  libertà  ed  una  specie  di 
despotismo. 

Queste  considerazioni  mi  aprono  la  via  a  risolvere 
brevemente  la  questione  generale  su  l'origine  del  di- 
ritto: se,  cioè,  debba  esso  chiamarsi  divino  od  uma- 
no? —  Definiamo  il  senso  delle  parole;  altrimenti  si 
potrebbe  disputare  eternamente,  sènza  intendersi  mai. 
Chiamando  umano  il  diritto,  vuoisi  per  avventura  si- 
gnificare, ch'esso  nasca  e  dipenda  dalla  volontà  del- 
l'uomo? E  allora  egli  è  indubitato,  che  il  diritto  non 
può  dirsi  umano  ;  giacché  la  volontà  dell'  uomo  non 
è  retta  e  rispettabile,  se  non  in  quanto  si  conforma 
alla  legge  di  giustizia  ossia  al  diritto.  Dunque  il  di- 
ritto è  logicamente  anteriore  alla  volontà;  ed  è  la 
volontà  che  dipende  dal  diritto,  non  questo  da  quello. 
£  chiamandolo  divino,  s'intende  forse  che  derivi  da 
un  atto  positivo  e  libero  della  volontà  di  Dio?  E  al- 
lora egli  è  non  meno  evidente,  che  il  diritto  non 
deve  appellarsi  divino:  poiché  la  volontà  di  Dio  non 
potrebbe  conoscersi  fuorché  per  una  rivelazione  so- 
vranaturale;  ed  oltreché  ogni  setta  di  credenti  vanta 


4f 

una  rivelazione  particolare,  onde  s' avrebbe  una  moi- 
titudìae  di  diritti  diversi  e  contrarj  ;  oltreché  la  scienza 
non  può  attingere  i  suoi  prìncipi  da  un  dogma  rive- 
lato, né  da  un'autorità  religiosa,  bisogna  sempre  am- 
mettere che  la  volontà  di  Dio  è  logicamente  subor- 
dinata e  posteriore  alla  sua  eterna  ragione  o  legge,  che 
dire  si  voglia  ;  onde  non  è  già,  che  una  cosa  sia  giusta, 
perchè  Dìo  la  vuole;  ma  Dio  la  vuole,  perchè  è  giusta. 
Dunque  il  principio  del  diritto  è  pur  indipendente 
dalla  volontà  di  Dio. 

Ma  se  il  diritto  non  è,  in  questo  senso,  umano  né 
divino,  che  cos'è  egli  mai? Egli  è  la  legge  naturale 
della  società  ;  e  quindi  può  chiamarsi,  in  altro  senso, 
divino  ed  umano  ad  un  tempo.  Diritto  umano,  per- 
chè è  la  ragione  dell*  uomo  che  indaga  questa  legge, 
e  la  rivela,  la  determina,  l' applica,  la  sviluppa,  come 
fa  di  tutti  li  altri  principj  razionali:  diritto  divino, 
perchè  la  ragione,  come  la  virtù,  come  la  verità,  la 
giustizia,  il  bene,  son  cose  che  si  manifestano  nel- 
Tuomo,  ma  non  s'inventano  dall'uomo;  l'uomo  le 
apprende,  ma  non  le  crea;  ne  ha  il  sentimento,  ma 
non  il  dominio;  son  desse  che  lo  regolano,  non  è 
egli  che  ne  disponga  a  suo  arbitrio.  11  diritto  adun- 
que non  procede  né  dalla  forza,  come  pretende  Hob- 
bes  ;  nò  da  una  convenzione  volontaria,  come  vuole 
Rousseau  ;  ma  da  un  principio  superiore,  senza  di  cui 
la  forza  non  ha  freno  e  la  convenzione  non  ha  va- 
lore: principio,  che  costituisce  la  legge  naturale  della 
società  e  la  legge  morale  dell'uomo:  principio  uni- 
versale ed  assoluto  in  sé  stesso,  e  indipendente  da 
ogni  volere,  da  ogni  arbitrio:  —  sì  chiami  poi  Dio, 
providenza,  natura,  fato,  ragione,  per  noie  lo  stesso. 

• 

Dalla  question  generale  del  diritto  scendiamo  ora 
alla  questione  subalterna  del  diritto  di  comandare,  os- 
sia deWcMtorità,  Anche  qui  si  disputa  fieramente,  se  la 
II.  4 


sua  origine  sìa  divina  o  umana;  ma  comunque  si 
chiami,  il  nostro  principio  rimane  intatto  e  inconcusso. 
L'autorità,  considerata  in  genere  ed  in  astratto^  è 
una  condizione  naturale  delia  società;  perchè  il  con- 
cetto stesso  di  società  implica  un  governo,  ed  un  go- 
verno senza  l'autorità  non  è  possibile.  Pertanto,  se 
in  questo  senso  l'autorità  vuole  dirsi  un  diritto  di- 
vino, un  diritto,  cioè,  fondato  nella  legge  di  natura, 
noi  accettiamo  il  titolo  di  buon  grado.  La  questione 
non  istà  nella  parola, e  neanche  nell'idea;  ma  nella 
realtà  e  nel  fatto.  A  chi  appartiene  l'autorità?  Ecco 
il  punto.  E  noi  rispondiamo  i  il  diritto,  il  tutti,  cioè 
alla  società  medesima;  e  l'esercizio,  a' suoi  delegati. 
Ora  una  società,  in  cui  l'autorità  o  la  sovranità  ap- 
partiene all'intiero  corpo  de' cittadini,  ed  il  governo 
a  coloro  soli,  cui  li  stessi  cittadini  l'abbiano  delegato, 
è  una  pura  democrazia,  è  una  Republica  pura.  Dunque 
l'unica  forma  di  governo.  In  cui  s'adempiano  le  leggi 
naturali  della  società,  è  la  Republica. 

Il  ragionamento  parmi  chiaro  e  rigoroso;  talché 
poste  le  premesse,  ne  deriva  per  sé  necessariamente 
la  conseguenza:  E  nondimeno^  fidatevi  alla  logicai  11 
signor  Balmes  ammette  le  une^  e  poi  ha  l'abilità  [di 
negar  l'altra.  Egli  s'accinge  a  difendere  con  lungo 
discorso  il  famoso  diritto  divino,  ed  a  rassicurare 
V ignoranti  o  V  incauti,  a  cui  si  vorrebbe  far  cre^ 
dere  «  che  la  chiesa  catolica  ueir  insegnare  l'obligo 
»  di  obedire  alle  potestà  legitime,  come  fondato 
»  nella  legge  di  Diò^  propone  un  dogma  «  che  de- 
»  prime  la  dignità  umana,  ed  è  incompatibile  con 
»  la  vera  libertà  (1);  d  Quindi,  per  venire  a  capo  della 
sua  apologia  con  buon  successo,  delinea  e  spiega  la 
teorica  del  diritto  divino  in  questo  modo  : 

(i)  //  protestantiimo  paragonato  eoi  eatolicismOy  lom.  3,. 
cap.  XLVIii,  pag.  1«'J. 


ff  L'iiòmd  lic^ii  é  stato  creato  per  viver  solo;  la  di 
»  lui  esistenÉa  suppone  una  famiglia;  le  sue  indi- 
»  nazioni  tèndono  a  formarne  una  nuova;  e  senza 
))  di  quésto  non  si  potrebbe  perpetuare  il  getiere 
»  umanOi  Le  famiglie  sono  unite  fra  loro  per  mezzo 
»  di  relazioni  intime  ed  indistruttibili  ;  hanno  delle  ne- 
»  cessità  communi;  le  une  non  possono  star  bene, 
»  e  né  anche  conservarsi,  senza  l'ajuto  delle  altre: 
»  dunque  han  dovuto  unirsi  in  società.  Questa  so- 
»  cietà  non  poteva  sussistere  senza  ordine,  nò  l'or- 
»  dine  lo  poteva  senza  la  giustizia;  e  tanto  la  giu- 
»  stizia  quanto  l'ordine  avean  bisogno  di  uti  guar- 
»  «diano,  dì  un  interprete,  e  di  un  esecutore.  Eccola 
»  potestà  civile.  Iddio,  che  ha  creato  l'uomo,  e  che 
»  ha  voluto  la  conservazione  del  genere  umano,  ha 
»  voluto  per  conseguente  l'esistenza  della  società  e 
»  del  potare  «  dì  cui  questa  avea  bisogno.  Dunque 
»  l'esistenza  della  potestà  civile  è  conforme  all'au- 
»  toritàdi  Dio,  come  lo  è  l'esistenza  della  patria  pò- 
D  testa:  se  la  famiglia  ha  bisogno  di  questa,  la  so- 
r>  cielà  non  avea  men  bisogno  di  quella*  Il  Signore 
B  si  è  degnato  di  preservare  dai  cavilli  e  dagli  er- 
B  rori  quest'importante  verità,  con  dirci  nelle  sa- 
»  ere  Scrilture,  che  ogni  potestà  deriva  da  lui;  che 
»  siamo  obligati  a  prestarle  obedienza;  ejche  chi  le 
»  resiste,  resiste  all'ordine  dì.  Dio  (1).  »  E  fin  qui 
il  discorso  cammina  a  maraviglia.  Balmes  chiama 
legge  0  volontà  di  Dio  ciò  che  iìoi  diciamo  condii 
zione  0  legge  di  natura  :  sotto  diverse  parole  il  prin- 
cìpio è  lo  stesso.  Ma  l'applicazione? 

«  Essendo  manifesto,  che  la  potestà  civile  non 
»  risiede  in  alcun  uomo  per  diritto  naturale;  e  d'ai- 
j»  tronde  sapendosi,  che  la  potestà  viene  da  Dio,  chi  ri- 
»  ceve  da  Dio  questa  potestà?  Come  la  riceve  (2)?  » 

(i)  Pag.  «8. 
(2)  Pag.  206. 


44 

Le  domanda  è  giusta;  ed  egli  risponde  coeì:  «  Prin>a 
»  di  tutto  è  necessario  avvertire,  che  la  chiesa  cato- 
»  lica,  nel  riconoscere  l'origine  divina  della  potestà 
»  civile,  non  definisce  nulla  né  in  quanto  alla  forma 
»  di  tal  potestà,  né  in  quanto  ai  mezzi,  di  cui  Dio 
»  si  vale  per  communicarla  (l).  »  Ma  allora,  a  che 
mai  si  riduce  tutto  queir  apparato  catolico  dì  dogma 
e  rivelazione?  A  questo  solo,  che  la  società  esige  di 
sua  natura  un  governo.  E  veramente  non  faeea*  me- 
stieri né  di  rivelazione,  né  di  dogma,  né  di  chiesa, 
né  di  sacre  Scritture,  né  di  Dio,  per  definire  una 
legge,  che  tutti  li  uomini,  in  tutti  i  generi  di  società, 
praticano  sempre  per  un  insuperabile  instinlo.  Se  dun- 
que la  chiesa  non  ha  fatto  altro,  noi  diremo  che  ha 
Mto  nulla. 

Balmes  però  continua:  «  La  chiesa  insegna  Tohligo 
»  di  obedire  alle  potestà  legìlime;  e  aggiunge,  che 
»  il  potere,  eh' esse  esercitano,  deriva  da  Dio:  le  quali 
»  dottrine  convengono  benissimo  tanto  alle  monar- 
»  chic  assolute,  quanto  alle  republiche  ;  e  nulla  de- 
»  cidono  anticipatamente,  né  su  le  forme  di  governo, 
»  né  su  i  titoli  particolari  di  legitimità.  Queste  ul- 
»  time  questioni  sono  di  tal  natura,  che  non  si  pos- 
»  sono  risolvere  in  una  tesi  generale;  esse  dipendono 
))  da  mille  circostanze,  alle  quali  non  discendono  i 
»  principi  universali,  che  sono  il  fondamento  del  buon 
»  ordine  e  del  rljioso  d'ogni  società  (2).  »  E  questo 
è  assai  peggio  che  nulla:  egli  è  un  assurdo,  e  tale 
un  assurdo,  che  mostra  in  Balmes  e  nella  chiesa  (dato 
chela  chiesa  professi  la  teorica  di  Balmes)  la  man- 
canza d'ogni  principio  di  diritto,  d'ogni  amore  della 
giustizia,  d'ogni  rispetto  alla  verità.  Perciocché  la  le- 
gitimità del  potere  non  può  essere  che  una,  come 

(i)  Png.  207. 
(2;  Ibia. 


45 

una  è  la  natura,  una  la  verità,  una  la  giustìzia,  uno  il 
diritto.  La  dottrinai  adunque,  che  stabilisce  legitima 
la  monarchia  assoluta,  dee  giudicare  illegitlma  la 
repuhlica;  e  il  dogma,  che  afferma  la  legitimità  della 
republica,  dee  proclamare  l' illegitimità  della  monar- 
chia assoluta. 'E  questa  pure  una  tesi  generale,  che 
non  dipende  affatto  da  nessuna  ct'rco^^an^a;  una  tesi 
che  concerne,  non  la  forma  del  governo,  ma  l'essenza; 
non  i  titoli  particolari  di  legitimità,  ma  i  principi 
universali  di  diritto.  Monarchia  assoluta  e  republica 
non  sono  forse  i  due  membri  d'una  proposizione  dis- 
giuntiva? Non  sono  la  negazione  reciproca  V  una  del- 
l'altra?  Che  cos'è  la  monarchia  assoluta?  È  l'autorità 
esclusiva  d'un  sol  uomo.  E  che  cos'è  la  republica?  È 
r  autorità  esclusiva  di  tutta  la  nazione.  Dunque  il  prin- 
cipio, che  le  ammette  ambedue,  ambedue  le  nega; 
dunque  è  un  assurdo. 

Ed  in  Balmes  è  tanto  più  grave,  in  quanto  che 
venendo  poscia  a  discutere,  se  la  communicazione  del 
potere  si  facia  da  Dio  stesso  immediatamente,  ovvero 
mediatamente  per  via  del  consenso  o  dell'elezione  po- 
polare, egli  inclina  alia  seconda  opinione,  e  consa- 
cra un  lunghissimo  capo  (1)  ad  esporre  la  dottrina 
di  S.Tomaso,  di  Bellarmino,  di  Suarez,  e  d'altri  teo- 
logi, secondo  i  quali  t(  quando  vengono  destinate  le 
»  persone,  che  hanno  da  esercitare  colesla  potestà, 
»  la  società  non  solamente  destina,  cioè  pone  la  con- 
»  dizione  necessaria  per  la  communicazione  del  po- 
»  tere,  ma  lo  comrounica  essa  realmente,  avendolo 
»  già  essa  ricevuto  dal  medesimo  Dio  (2).  »  Ora  que- 
sto è,  in  termini  formali,  il  principio  democratico, 
republicano,  della  sovranità  nazionale;  ammesso  il 
quale-,  dov'è  più  il  diritto  divino  dei  re?  Se  è  la  so- 


li) Il  cap.  XLIX. 

(2)  Cap.  LI,  pag.  272. 


16 

cìetò  che  communica  11  potere  al  suo  governo,  è 
dunque  il  governo  che  dipende  dalla  società,  e  non 
la  società  dal  governo.  E  siccome  questo  è  l'ordine 
naturale  0  divino,  che  voglia  dirsi;  così  è  perpetuo 
e  inviolabile.  Dunque  la  sovranità  dee  risiedere  per-, 
petuamente,  inviolabilmente  nella  nazione;  e  la  na» 
Eione,  anche  volendo,  data  anche  T unanimità  mate» 
matìca  de' suffragi,  non  ha  il  diritto  di  eleggersi  un 
re,  ossia  un  sistema  di  governo  ereditario;  perchè 
nessuno  ha  il  diritto  di  spogliare  sé  stesso,  e  tanto 
meno  i  suol  discendenti,  di  un  diritto  naturale.  Dun^ 
que  la  monarchia  non  può  essere  che  o  un  abuso 
di  potere  per  parte  degli  elettori,'o  una  violenza  per 
parte  dell'usurpatore;  ed  In  ogni  caso,  la  nazione  ha, 
non  che  il  diritto,  ma  il  dovere  rigoroso  di  costituirsi 
in  republlca,  e  di  abolire  qualunque  altra  maniera  di 
governo, 

Balmes  Invece  non  avverte,  non  sente  nemmeno 
la  portata  della  teorica  ch'espone;  e  dopo  avere  sta- 
bilito il  principio,  che  certo  non  deprime  la  dignità 
umana,  che  è  l'unica  base  della  vera  libertà^  e  che 
divinizza  giustamente  la  causa  del  popoli;  s'affretta 
ia  rinegario,  a  ruinarlo,  a  manometterlo,  In*  favore 
del  re  ed  in  servigio  di  tutti  l  despoti ,  passati  e  fu^» 
turi  :  «  Se  la  communlcazione  del  potere,  o  sìa  fatta 
p  mediatamente,  o  Immediatamente,  non  influisce 
»  punto  su  '1  rispetto  ed  obedienza  che  gli  è  dovu-r 
»  ta,  e  in  conseguenza  rimane  sempre  In  salvo  la 
r>  santità  della  sua  origine,  qualunque  sia  Topinione 
»  che  si  adotti;  accade  lo  stesso  per  rispetto  al  dW 
»  ritti  e  doveri  tanto  del  governo  che  dei  governati, 
»  E  questi  diritti  e  questi  doveri  non  han  che  far 
»  nulla  con  l'esistenza  o  non  esistenza  di  un  Inter- 
y>  medio  nella  communlcazione;  la  loro  natura  e  l 
»  loro  limiti  si  fondano  su  l'oggetto  medesimo  del-r 
p  l'instituzione  della  società  :  il  qùal  oggetto  è  al  tutto 


47 
»  Indipendente  dal  modo,  con  cui  Dio  lo  ha  com- 
»  manicato  agli  uomini  (1).  »  Conclusione  che  suona 
così  :  Tutto  quanto  ho  detto  intorno  alla  costituzion 
naturale  della  società,  non  era  che  un  trastullo  per 
(iivertlre  l'animo,  e  un  artificio  per  cattivarmi  la  ber 
nevolenza  degli  uditori.  Ma  In  somma,  volete  pror- 
prlo  che  vi  confidi,  a  quattr'occhi,  e  senz' altre  cirr 
conlocuzioni,  qual  è  il  vero  sistema  politico  del  ca- 
tolicismo? Eccovelo  in  due  parole.  Giustizia,  diritto, 
verità,  natura,  son  cose,  a  cui  il  catolicismo  non  ha 
(la  badare.  Intendetele  voi,  come  meglio  vi  pare; 
chiamate,  a  piacer  vostro,  giustizia  l'oppressione,  di- 
ritto la  forza,  legitimità  il  ladroneccio,  verità  l'as- 
surdo, natura  r  accidente;  per  il  catolicisino  è  tut- 
t'uop.  L'unico  dogma,  ch'esso  conosce;  l'unico,  di 
cui  è  e  sarà  banditore  infaticabile  e  custode  geloso, 
trovasi  formulato  in  questa  legge  divina:  chiunque 
è  padrone,  comandi;  e  chiunque  è  servo,  obedìsca, 
E  qual  altro  costrutto  può  egli  ricavarsi  dal  suo 
strano  discorso  ?  Io  non  lo  veggo,  Si&  la  commufiicax 
nione  del  potere  è  fetta  davvero  mediatamente^  se 
cioè  la  sovranità  risiede  naturalmente  nel  corpo  sor 
ciale,  ed  11  potere  governativo  non  è  che  una  sua 
delegazione,  un  suo  ^andato;  t  diritti  e  i  doveri 
tanto  del  governo  ([uanto  dei  governati  sono  bei| 
chiarì  e  precìsi.  Il  governo  ha.  un  solo,  diritto  e  un 
solo  dovere:  eseguir  fedelment§  il  mandato,  che  ri? 
ceve  dalia  nazione.  I  gov^rnatl  poi  hanno  11  dovere 
«di  obedlre  al  governo.  In  quanto  ordina  per  provèr 
dere  all'amministrazione  de' publici  interessi;  è  il  di- 
ritto di  mutarlo,  di  deporlo,  dì  punirlo,  quando  non 
eorrisponda  più  all'incarico,  che  essi  liberamente  gli 
ban  conferito,  ed  egli  ha  liberamente  accettato.  Per 
)o  contrario,  se  il  potere  non  è  communicato  dalla 

i\)  Pag  277, 


48 

società;  o  ancora,  «e,  oommunicato  una  volta,  la  so- 
cietà rimane  spogliata  per  sempre  del  suo  potere  so- 
'  vrano;  i  diritti  e  i  doveri  del  governo  consistono 
lutti  nel  comandare,'  e  tutti  quelli  dei  governati 
neirobedire.  E  allora,  non  è  ella  pienamente  giusti- 
ficata Taccusa,  da  cui  Balmes  volea  purgare  la  chie^ 
sa,  che,  cioè,  il  dogma  catolico  deprime  la  dignità 
umana,  ed  è  incompatibile  con  la  vera  libertà? 

0  crede  forse  di  spaventarci,  chiamando  disegni 
4i  sovversione  e  teorie  anarchiche  (1)  le  conclusioni 
della  logica  republicana?  Eh  Isapiamo  abbastanza  che 
significato  abbiano,  nel  dizionario  catolico,  le  voci  di 
sovversione  ed  anarchia;  e  noi  rìdiamo  delle  catoli- 
che  paure.  Il  principio  della  sovranità  nazionale  è 
'fondato  nella  natura  della  società;  dunque  è  vero. 
La  republica  è  l'applicazione  diretta  e  necessaria  di 
«quel  princìpio;  dunque  essa  è  l'ordine,  e  non  l'a- 
narchia; e  fuori  di  essa  l'anarchia  è  inevitabile,  e 
l'ordine  impossìbile-  Alla  forza  di  queste  deduzioni 
non  può  sfugìrsi  che  per  due  vie:  o  negando,  che 
l'autorità  sovrana,  per  legge  di  natura,  competa  alla 
jgocietà  ;  o  affermando,  che  la  legge  di  natura  è  sov- 
versiva e  distruggìtrice  dell'ordine  sociale,  fialoies 
n'assicura,  <;he  il  catolicismo  non  intende  negare  la 
prima  tesi;  dunque  dovremo  dire,  che  osi  affermare 
la  seconda? 

Io  non  ignoro  le  objezioni,  che  contro  alla  repu- 
blica e  alla  democrazia  muovono,  non  solamente  1 
^sacerdoti  del  despotismo,  ma  principalmente  i  dot- 
tori dell'opportunità ,  e  li  apostoli  della  libertà  mo- 
derata, regolata,  temperata,  ordinata,  contenuta.  I 
primi  ricorrono  al  principio  d'autorità  e  di  fede,  che 
noi  abbiamo  già  confutato;  e  negano  l'autonomia  della 

(1)  Pag.  285. 


49 
ragk)ne  e  della  ooecienza,  che  già  abbiamo*del  pari 
stabilito.  E  poiché  il  sistema  democratico  e  republi- 
cano  non  è  altro  che  l'applìcazìon  rigorosa  di  que- 
sto principio  all'ordinamento  dello  Stato;  così  tutti 
li  argomenti  di  costoro  cadono  a  vuoto,  se  prima 
non  abbattano  il  nostro  principio  inconcusso,  e  non 
rialzino  il  loro  principio  rovinato. 

I  secondi  poi  non  oppongono  idee,  ma  fatti;  non 
discorrono  di  scienza,  ma  d'interesse;  non  s'appog- 
giano ad  una  teorica  della  legge  sociale,  ma  al  cai- 
culo  diplomatico  delle  paure,  dei  pericoli,  delle  al- 
leanze, e  delle  tariffe.  11  che  prova,  come  quei  pro- 
fondi politici  non  intendano  pure  i  termini  della  que- 
stione; poiché  vogliono  risolvere  un  problema  di  diritto 
puro  con  argumenti  di  fatto!  Ma,  signori,  li  argumenti 
di  fatto  nell'ordine  razionale  valgono  tanto,  quanto 
nell'ordine  matematico  i  lavori  dell'artigiano:  sono 
cose,  che  appartengono  ad  un  mondo  diverso.  Dun- 
que perchè  un'assemblea  di  traditori  da  prima,  e  po- 
scia una  turba  di  malandrini  assassinavano  la  repu- 
blica  francese;  la  sovranità  nazionale  non  dovrà  più 
credersi  un  diritto?  Perchè  li  eserciti  venduti  al 
papa  distruggevano  a  colpi  di  cannone  la  republica 
romana;  il  sistema  elettivo  cesserà  di  essere  la  legge 
della  giustizia  sociale?  Perchè  le  armi  riunite  di  due 
imperi  mettevano  a  ferro  ed  a  fuoco  la  republica 
ungherese;  la  libertà  e  l'eguaglianza  politica  non  sa- 
ran  più  il  principio  costitutivo  della  nazione?  Per- 
chè la  Carta  dell'aristocrazia  inglese  dura  già  da  due 
secoli,  e  promuove  la  ricchezza  e  la  potenza  della 
Gran  Bretagna;  i  privilegj  feudali,  i  diritti  eredi- 
larj,  i  monopolj  d'ogni  genere  non  dovran  più  re- 
putarsi un'iniquità,  un'ingiustizia,  una  tirannia?  Per 
voi  adunque  tutta  la  morale  consiste  nel  buon  esi- 
to; il  giusto  è  quello,  che  riesce  bene;  il  diritto  è 
la  forza;  la  virtù  è  il  denaro;  la  verità  è  la  fortuna. 


Dunque,  per  voi,  un  ladro  che  s'arricchisce,  ha  tulle 
le  ragioni  ;  ed  un  galantuomo  che  vien  derubato,  ha 
tulli  i  torli.  Ohi  bravi,  signori  1  E  questa  vostra  po- 
litica, questa  scienza,  quest'arte,  indegna  degli  stessi 
selvaggi*,  voi  la  proclamate  sistema  di  governo  fra 
popoli  civili  e  sedicenti  cristiani? 

Io  per  me  non  Tintendo  così.  Qoando  ho  preso  a 
studiare  le  dottrine  politiche  e  sociali,  ho  consultato 
la  ragione ,  e  non  la  diplomazia  ;'  ho  posto  la  mano 
sul  mio  cuore,  e  non  su  la  mia  borsa;  ho  fìs^^alo 
rocchio  neiranima  de'  miei  fratelli,  e  non  nel  bilan- 
cio dei  nostri  padroni;  mi  sono  levato  alla  sublime 
ed  immutabile  ragione  della  giustìzia,  della  morale, 
della  verità,  e  non  ravvolto  nel  fango  degrintrighì, 
delle  convenienze,  degriuteressi.  Ho  detto  a  me  stes- 
so: questi  sono  i  diritti,  questi  i  doveri  dell'uomo. 
Come  dev'essere  ordinala  la  società,  perch'eglì  possa 
esercitare  tutti  li  unì,  e  adempiere  tutti  li  altri  ?  De- 
v'essere un  principato?  No.  Un'aristocrazia?  Nemme- 
no. Una  republica?  Sì:  una  republicaè  il  solo  Stato, 
dove  l'uomo  possa  godere  di  tutti  i  suoi  diritti,  e 
soddisfare  a  tutti  i  suoi  doveri.  Dunque  io  sono  re- 
publicano;  ed  ho  verso  la  republica  quella  fede  stes- 
sa, quella  stessa  passione,  che  sento  in  me  per  la 
verità  e  per  la  giustizia.  La  republica  è  dunqu0  un 
articolo  fonfjamentale  della  mia  religione. 

E  mi  fan  ridere,  non  so  se  di  compassione  o  di 
disprezzo,  coloro  che  per  combattere  questo  ragiona- 
mento assumono  il  tono  di  uomini  pratici  e  positi- 
vi; e  mi  abbozzano  con  tinte  scure  e  lugubri  uh  qua- 
dro delle  difficultà  d'ogni  genere,  che  hanno  resa 
finora  impossibfle  ed  efimera  l'attuazione  del  puro  si^ 
slema  republicano,  Povera  gente!  Se  nessun  mecanico 
fosse  mai  riuscito  a  lavorarmi  una  ruota  perfetlar 
mente  circolare,  io  dovrei  dunque  rigettare  il  prin- 
cipio, che  tutti  ì  raggi  del  cjrcolo  sieno  eguali  fra 


51 

loro?  Se  nessun  popolo  ha  saputo  finora  costituire 
uno  Stato  conforme  alle  leggi  naturali  della  società, 
dovrei  dunque  rìnegare  il  principio  morale,  su  cui 
riposa  il  diritto  e  la  giustizia?  Se  il  più  degli  uo- 
mini son  viziosi,  dovrei  dunque  maledire  alla  virtù 
e  far  plauso  al  vizio?  Se  una  cosa  non  s*è  mai  fat« 
ta,  dovrei  dunque  sentenziare,  che  non  possa  e  non 
debba  farsi  mal  più?  Ahi  se  è  cosi  fatta  la  vostra 
logica  e  la  vostra  morale,  tal  sia  di  voi  ;  e  Dio  scampi 
i  popoli  dalle  vostre  manil 

Chiamateci  pure  utopisti;  lo  siamo  In  compagnia 
d'un  uomo,  la  cui  autorità  dovrebbe  valere  qualche 
cosa  anche  per  voi,  Egli  è  quel  Cristo,  che  propose 
a  tutti  un  ideale  di  perfezione,  non  solo  grande,  ma 
infinita  (l).  E  la  nostra  utopia  non  va  tanl' oltre! 
Ad  ogni  modo,  lo  non  darei  questa  utopia,  che  è  la 
fede  nell'Umanità  e  nella  ragione,  il  culto  della  ve-r 
rità  e  della  giustizia,  la  religione  del  diritto  e  della 
natura,  per  tutte  le  realtà  de*  vostri  interessi.  Le  ore 
più  soavi  e  deliziose  della  mia  vita  io  le  debbo  a 
questa  cara  utopia,  la  quale  mi  fa  sovente  dimenti- 
car le  bassezze,  le  Ipocrisie,  le  nequizie  di  certa  gen- 
te, flagello  e  peste  dell' Umanità;' e  mi  rapisce  l'a- 
nimo a  pregustare  un  saggio  delia  felicità,  onde  li 
uomini,  liberati  un  giorno  da  quella  peste  e  da  quel 
flagello,  potranno  rallegrpire  ed  abbellire  la  loro  ter-r 
restre  esistenza.  E  quel  giorno  verrà.  La  missione 
più  gloriosa  e  più  santa,  a  cui  possa  l'uomo  dedi- 
care e  sacrificare  la  propria  vita,  consiste  nell'afl'ret^ 
tare  la  venuta  di  quel  giorno,  che  le  lagrime,  l  do^ 
lori,  le  vittime  di  tante  generazioni  han  preparato, 
Ma  voi,  dottori  dell'equilibrio,  non  credete  a  queslQ 
utopie j  ed  io  non  vi  biasimo:  sì,  vi  compiango. 

(i)  »  Estote  ergo  vos  perfecii,  sicul  et  Pater  vesler  coele- 
slis  perfeclus  est.  v  Matt.  V,  4S. 


m 

Del  resto,  fermati  una  volta  ì  principj  di  diritto, 
e  stabilite  le  leggi  di  giustizia,  che  devono  informare 
tutto  il  sistema  polìtico,  noi,  importa  ripeterlo,  siamo 
ben  lontani  dal  pretendere,  che  la  società  quasi  per 
incanto  si  rinovelli  d'un  tratto,  e  li  Stati  si  rifacìano 
incontanente  a  furia  di  decreti.  Tengasi  pur  conto 
delle  difficultà,  che  in  pratica  inevitabilmente  s'at- 
traversano ad  ogni  riforma  importante  ;  abbiasi  ri- 
guardo alle  abitudini,  ai  costumi,  alle  tradizioni^  agl'in- 
teressi;  purché  questo  riguardo  non  si  spinga  lino  a 
violare  i  principj.  Si  progredisca  con  senno  e  cautela, 
purché  si  progredisca.  Si  riformi  con  prudenza  e  mi- 
sura, purché  si  riformi.  Vadasi  a  passi  lenti  e  sicuri, 
purché  si  vada.  La  democrazìa  non  domanda  già,  che 
faciasi  violenza  al  tempo  ed  alle  idee;  ma  domanda, 
che  le  idee  si  lascino  deporre  liberamente,  e  fecon- 
dare, e  svil-ippare  i  germi  dell'avvenire;  domanda, 
che  il  tempo  slmpieghi  a  promuovere,  non  a  com- 
battere le  riforme;  domanda,  che  queste  riforme  ten- 
dano tutte,  non  a  respingere  sempre  più  indietro  l'i- 
deale che  si  vagheggia,  ma  a  sospingere  sempre  più 
avanti  le  nazioni  che  marciano  alla  sua  conquista; 
domanda,  che  non  si  sacrifichi  la  giustizia  all'oppor- 
tunità, che  non  si  rlneghì  la  verità  per  economìa, 
che  non  s'anatematizzi  la  libertà  per  amore  del  pri- 
vilegio, e  che  non  si  scambil  la  prudenza  con  la 
menzogna.  Tal  è  il  nostro  programma. 

E  tal  é  ancora  dopo  altri  sette  anni  di  studj,  di 
lulte,  e  d'esperienze.  Un  intervallo  sì  lungo,  sì  pieno 
d'eventi  straordinarj  ed  instrultivi,  non  mi  ha  con- 
dutlo  a  doverlo  mutare  in  alcuna  delle  sue  parli 
principali.  Ma  se  nulla  ho  da  toglierne,  ho  per  altro 
da  aggiungervi  qualche  cosa,  non  già  quanto  ai  prin- 
cipj teoretici,  che  mi  pajono  sempre  più  veri  e  giusti 
e  saldi  che  mai^sìbbenc  in  riguardo  alla  loro  appli- 


83 

cazione  pratica,  al  modo  cioè  più  equo  Insieme  e  più 
efficace  di  venirli  incarnando  ed  effettuando  nelle  insti- 
tuzioni  politiche  della  società  odierna.  E  mi  reco  a  de- 
bito di  farlo,  perchè  troppo  mi  dorrebbe  che  altri,  dal 
vedermi  propugnare  un  sistema  dottrinale  a  cui  è  pur 
devotissima  una  certa  setta  democratica,  inferisse  che 
io  sia  altresì  partigiano  del  suo  metodo  pratico,  o  che 
in  qualche  modaio  appartenga  al  suo  partito  d'azione, 

Cotesto  partito,  che  ha  ben  meritato  dell'Italia  fin- 
ché si  contentò  di  esercitare  l'apostolato  della  nazio- 
nalità, dell'indipendenza,  della  libertà  italiana,  cadde 
in  due  esaggerazioni  funeste  e  ruinose,  quando  volle 
di  chiesa  farsi  setta,  e  scambiare  l'insegnamento  con 
la  congiura.  La  prima  si  è  di  non  tenere  conto  al- 
cuno della  legge  di  graduazione,  che  governa  il  mondo 
morale  non  mena  che  fi  mondo  fisico;  e  di  presumere 
quindi  che  i  popoli  passino  in  un  istante  e  di  botto 
dallo  stato  di  servitù  a  quello  della  massima  libertà. 
La  seconda  si  è  di  non  riconoscere  il  principato  rap- 
presentativo come  più  vicino  alla  democrazia  che  il 
governo  assoluto;  e  per  ciò  di  combattere  quello  con 
tutte  le  forze  e  in  tutti  i  modi  possibili,  anche  a  costo 
di  ricadere  sotto  di  questo,  confidando  che  debba 
uscire  la  republica  più  presto  e  più  facilmente  dal 
despotismo  che  dallo  Statuto. 

Ora  ambedue  queste  opinioni  sono  falsissime;  sono 
smentite  così  dalla  ragione  cóme  dalla  storia  ;  e  tra- 
dutte  in  pratica,  sono  un  attentato  contro  il  diritto 
commune  ed  il  progresso  sociale.  La  legge  dell'educa- 
zione e  dell'  emancipazione  procede ,  tanto  per  i  po- 
poli quanto  per  li  individui,  a  grado  a  grado.  Esce 
forse  l'uomo  in  un  attimo  dallo  stato  nativo  d'igno- 
ranza e  di  debolezza?  Divien  egli  robusto  e  dotto  da 
un  giorno  all'altro?  Le  sue  facultà  fisiche  e  mentali 
possono  forse  esplicarsi ,  attuarsi  tutto  ad  un  tratto? 
Non  de^'ono  anch'esse  sottostare  alle  condizioni  d'uno 


Si    .      '  .  ,       ,  ^ 

svolgimeQto  successivo  e  progressivo,  a  guisa  d*iiDl 

serie,  ove  non  è  possibile  pervenire  ad  un  termine  su- 
periore, se  non  ascendendo  a  passo  a  passo  per  tutti 
i  gradi  inferiori,?  Diasi  pure  ad  un  fanciullo  piena 
ed  intera  libertà  di  condursi  a  suo  proprio  senno  : 
a  che  gli  gioverebbe  la  sua  emancipazione?  A  rica- 
dere bentosto  in  balìa  del  primo  uomo,  che  se  1  vo- 
lesse rendere  mancipio.  E  tanto  è  a  dirsi  ilei  popoli. 
I  quali  non  meno^  anzi  ben  più  che  li  individui,  sodo 
per  legge  di  natura  obligati  a  procedere  nella  via 
della  loro  emancipazione  col  metodo  educativo.  Non 
possono  dùnque  pervenire  dal  fondo  della  servitù  al- 
l'apice  della  libertà  se  non  mediante  una  serie  di 
progressi  successivi,  per  cui  la  servitù  a  poco  a  po- 
co diminuisca,  e  la  libertà  aumenti  di  pari  passo.  Pe- 
rocché repugna  al  principio  deir organismo  sociale, 
che  unia  nazione,  scosso  appena  il  giogo  del  servag- 
giOi  si  costituisca  di  repente  in  quella  pienezza  d'au- 
tonomia^ che  spetta  nel  concetto  moderno  alla  demo- 
crazia pura;  ma  convien  che  attraversi  una  serie  di 
riforme  graduate,  che  vadano  temperando  via  via  le 
sue  instituzioni  monarchiche  e  aristocratiche,  destino 
nei  popoli  la  coscienza  de'proprj  diritti)  e  li  abituino 
ad  esercitarli  un  dopo  l'altro^  finché  sieno  in  grado 
di  saperseli  conquistare  e  godere  tuttii 

Scendiamo  ora  alFapplicazione.  0  si  parli  dell'Eu- 
ropa in  generale»  o  in  particolare  dell'Italia,  domaUdo 
io:  se  le  condizioni  politiche  sieno  tali  oggidì,  che 
possa  ragionevolmente  sperarsi  di  trasformare  le  mo- 
narchici in  republiche  con  un  colpo  di  Stato  o  di 
rivoluzione?  Se  possa  credersi,  che  negl'imperi  e  nei 
grandi  regni  che  dominano  l'Europa,  il  partito  re- 
publlcano  sia  quello^  che  prevalga  ad  ogni  altro?  Se 
abbia  almeno  un  primato  in  Italia?  E  l'avesse  pure, 
se  possa  mai  lusingarsi  di  rifare  l'Italia  a  modo  suo, 
contro  i  voleri  e  li  Interessi  di  tutti,  li  altri  poten- 


tati  europei?  Anche  i  più  arrabiati  fra  i  puritani, della 
democrazia  sono  costretti  a  confessare  che  no.  Msi 
allora  ììerchè  ostinarsi  dunque  a  voler  Timpossibile? 
Perchè,  vedendo  la  meta  così  distante  da  non  potersi 
raggiungere  con  un  salto,  perchè  non  rassegnarsi  a 
fare  i  tre,  i  cinque,  i  dieci  passi  necessarj  a  percor- 
rere queirinter vallo?  Perchè  incaponirsi  a  cozzar  cie- 
camente contro  Tordine  della  natura? 

Ed  è  ben  la  natura,  che  ha  stabilito  quest'ordine 
nel  progresso  politico  deìrUmanità,  di  passare  dalla 
servitù  del  despotismo  alla  libertà  della  democrazia 
per  una  serie  di  temperamenti  introdutti  nel  princi- 
pato.'A  questi  temperamenti  adunque  li  stessi  demo- 
cratici devono  fare  buon  viso.  Ogni  nuovo  diritto 
che  una  nazione  acquista,  è  un  nuovo  passo  verso  la 
sua  emancipazione  finale;  ogni  grado  maggiore  di  li- 
bertà che  ottiene,  è  un  avvicinamento  al  regno  della 
democrazia.  Stolta  cosa  è  pertanto  Tanteporre  il  go^ 
verno  assoluto  al  principato  rtipprésentativo ,  sul 
pretesto  che  sia  più  facile  da  quello  che  da  questo  il 
passare  ad  un  reggimento  affatto  libero^  quasi  che  il 
despotismo  a  fora;^  di  Opprimere  spingesse  necessaria- 
mente i  popoli  alla  disperazione,  e  quindi  alla  rivolta^ 
laddove  una  mezza  libertà,  soddisfacendo  alla  mag- 
gior parte  del  ceto  medio,  servisse  come  a  dire  di 
sfiatatoio  alle  ire  popolari  e  di  parafulmine  alla  ri- 
voluzione. 

È  cosa  stolta,  io  ripeto;  perocché,  in  primo  luogo^ 
se  è  vero  che  il  despotismo  può  in  certi  casi  gene- 
rare le  sommos^  e  i  rivolgimenti  nazionali,  suole 
tuttavia  per  lo  più  prostrare  li  animi,  atterrirli,  sfi- 
brarli, snervarli,  a  segno  da  rendere  non  più  pronte, 
ma  assai  più  difficili,  e  remote,  ed  incerte  le  riscosse. 
0  chi  oserebbe  mai  sostenere  che  T Italia,  a  cagion 
d'esempio,  avrebbe  tardato  tre  secoli  a  rivendicarsi 
iu  libertà,  se  dalla  caduta  della  republica  fiorentina 


S6 

in  poi  fosse  fiata,  non  allernatìvamente  suggella  ti 
despotlsmo  austrìaco,  spagnuolo,  e  francese,  ma  retta 
a  governo  rappresentativo  ?  Dopo  1'  (esperienza  di 
quanto  ha  fatto  il  solo  Piemonte  in  dieci  anni ,  chi 
potrebbe  dubitare  dei  progressi  immensi  che  Tltalia 
intera  avrebbe  compiuti  nel  corso  di  tre  secoli,  ove 
ciascuno  de'suoi  Stati  si  fosse  retto  con  uno  Statuto? 
Chi  non  sente  quanto  più  presto  sarebbesi  manife- 
stato e  diffuso  il  sentimento  di  nazionalità,  e  con  esso 
il  desiderio  e  il  bisogno  prepotente,  irresistibile  del- 
l'unità e  della  libertà  d'Italia? 

Ed  in  secondo  luogo,  sia  pure  che  una  mezza  li- 
bertà, appagando  le  brame  egoìstiche  d'una  gran 
parte  del  medio  ceto,  lo  distolga  dal  tentare  altre 
novità ,  e  V  induca  non  a  promuovere ,  slbbene  ad 
osteggiare  la  rivoluzione.  Ma  sta  del  pari,  che  quel 
grado  dì  libertà,  ond'è  pago  un  ceto,  non  basta  al- 
l'altro ;  e  che  lo  stimolo  più  potente  ad  invogliare 
della  libertà  chi  ne  è  privo,  è  l'esempio  dei  benefizj 
ch'essa  reca  a  chi  ne  gode.  "Vedete  ringhilterra:  dal 
principio  del  secolo  in  poi  si  può  dire  che  ogni  ge- 
nerazione ha  veduto  compiere  una  riforma  e  allar- 
gare il  campo  della  libertà;  e  adesso  sta  travaglian- 
dosi a  riordinare  il  diritto  di  suffragio  in  guisa  da 
spogliarlo  del  carattere  di  privilegio  e  di  franchigia, 
e  dargli  quello  di  funzione  civile  regolata  dalla  legge 
commune:  il  che  sarà  un  altro  colpo  tremendo  al  vec- 
chio edifizlo  aristocratico  della  Gran  Bretagna.  Ma 
chi  ha  risvegliato  nel  popolo  inglese  la  coscienza 
de'proprj  diritli,  chi  gli  ha  inspirato  l'amore,  il  de- 
siderio della  libertà  più  larga  e  più  sincera,  se  non 
lo  spettacolo  della  libertà  privilegiala,  onde  l'aristo- 
crazia va  tanto  superba?  Vedete  la  Francia:  fu  la 
costituzione  del  15  che  la  condusse  alla  monarchia 
popolare  del  30,  come  fu  la  costituzione  del  80  che 
la  menò  alla  r^)ublica  democratica  dd  48.  E  sareb- 


57 

bea  mai  ix)luto  restaurare  l'impero,  o  restaurato 
avrebbe  mai  potuto  durare ,  sotto  un  governo  rap- 
presentativo ?  Vedete  infine  lltalia  :  dalla  catastrofe 
del  49  non  uscì  salvo  che  lo  Statuto  del  Piemonte: 
e  bastò  a  compiere  in  un  decennio  un  tal  progresso 
nazionale,  che  sotto  il  despotismo  non  si  sarebbe  per 
avventura  effettuato  in  un'  secolo.  Chi  non  ricorda 
come  dopo  la  rotta  di  Novara  quasi  tutti  i  patrioti 
italiani  detestassero  il  governo  sardo,  e  rigettassero 
su  di  lui  la  colpa  principale  delle  nostre  sventure? 
E  tuttavia  questo  governo  medesimo,  grazie  alla  li- 
bertà che  seppe  mantenere,  riuscì  In  breve  tempo  a 
calmare  quelli  odj,  a  dissipar  quei  rancori,  a  disper- 
dere le  difidenze  e  i  sospetti,  a  guadagnarsi  l'assenso 
e  il  concorso  del  fiore  di  tutta  V  Italia ,  ed  a  costi- 
tuirsi centro  e  capo  di  tutto  il  movimento  nazionale. 
Supponete  che  il  Piemonte  avesse  seguito  l'esempio 
di  Napoli  e  di  Toscana,  si  fosse  dato  in  balìa  del' 
l'Austria,  e  avesse  surrogato  il  reggimento  rappre-* 
tentativo  con  l'assoluto:  avrebbero  mai  potuto  aver 
luogo  la  guerra  e  la  rivoluzione  di  quest'anno,  e  so- 
pratutto quel  miracolo  di  concordia ,  di  unione ,  di 
disciplina,  di  senno,  di  costanza,  onde  l'Italia  si  me^ 
rito  la  lode  e  l'ammirazione  del  mondo  civile? 

Sta  bene  adunque  che  nell'ordine  speculativo  ed 
educativo  non  perdiam  mai  d'occhio  l'ideale  politico, 
che  è  la  meta  ultima  della  nostra  ragione  e  del  no- 
stro cuore;  sta  bene  che  l'apostolato  dei  democratici 
sia  costantemente  rivolto  a  preparare  ed  affrettare  il 
regno  della  democrazia:  ma  conviea  rammentare  al* 
tresì,  che  dall'ideale  al  reale  corre  un  gran  tratto;  e 
che  se  bastano  poche  ore  ad  architettare  il  disegno 
di  una  vasta  rivoluzione  sociale,  occorrono  poi  anni 
e  secoli  per  mandarlo  ad  effetto,  né  l'effettuazione 
avvien  mai  se  non  a  poco  a  poco,  a  grado  a  grado* 
Laonde  vanno  annoverati  fra  i  nemici  della  rivolu- 
II.  5 


58 

zione,  non  solamente  coloro  che  vogliono  tirare  in- 
dietro r Umanità,  ma  eziandio  coloro  che  vogliono 
spingerla  innanzi  a  salti  mortali  ;  poiché  i  loro  sforzi 
insensati,  quantunque  diretti  ad  opposto  fine,  rie- 
scono pure  allo  stesso  risultato ,  repugnando  egual- 
mente alla  legge  della  natura.  Ah!  il  progresso  dei 
popoli  non  è  una  posta  da  arrischiarsi  sopra  una 
carta,  gridando  come  il  giocatore  disperato  :  o  tutto 
0  nulla  1  Per  essi  il  qualche  cosa  varrà  sempre  me- 
glio del  nulla;  giacché  quanto  di  cammino  avran  fatto 
nella  via  della  libertà,  sarà  tanto  cammino  di  lìieno 
che  resterà  loro  da  percorrere  per  toccare  la  mela. 
Qual  differenza  pertanto  separa  o  dee  separare  i 
democratici  dai  così  detti  dottrìnarj?  Non  certo  que- 
sta, che  li  uni  difendano,  e  li  altri  combattaifo  il 
principato  rappresentativo  ;  perocché  allora  si  asse- 
gnerebbe ai  democratici  il  compito  iniquo  ed  assurdo 
di  stringere  lega  co'ì  reazionari,  e  di  congiurare  con 
essi  a  danno  della  libertà:  ma  bensì  questa,  che  i 
dottrinari  vogliono  fare  della  poca  fìbertà  presente 
un  ostacolo  legale  ad  ogni  maggiore  libertà  avvenire; 
laddove  i  democratici  intendono  air  Incontro  di  va- 
lersi dell'una  come  di  leva  per  conseguire  l'altra. 
Convengono  ambidue  i  partiti  nel  proposito  di  man- 
tenere il  grado  di  libertà  ottenuta  ;  ma  differiscono 
nell'uso  che  se  ne  vuol  fare:  poiché  quelli  l'adope- 
rano a  respingere,  questi  invece  a  sospingere  l'Uma- 
nità nella  via  del  suo  progresso.  Rimane  adunque  fra 
il  sistema  degli  uni  e  degli  altri  un  divario,  un'op- 
posizione tanto  grave  e  sustanziale  da  non  poterli 
mai  confundere  insieme.  Li  stessi  puritani  più  rigidi 
e  schizzinosi  dovrebbero  averne  più  che  abbastanza. 

Circa  un'altra  questione  ancora,  più  particolar- 
mente propria  dell'Italia,  eccedono  costoro  ogni  li- 
mile del  vero  e  del  giusto,  per  odio  della  monarchia 


59 

e  per  fanatismo  della  republlca  :  è  la  questione  della 
nostra  nazionalità.  A  udirli,  sarebbe  il  colmo  della 
follia  lo  sperare  che  un  principe  possa  mai  volere, 
sinceramente  T indipendenza  e  l'unità  della  patria, 
commùne  :  poiché  l' interesse  dinastico  deir  uno  re- 
pugna  essenzialmente  all'  interesse  nazionale  dell'aU 
tra;  un  re  per  la  sua  stessa  natura  è  il  nemico  nato 
della  nostra  unione ,  è  il  fautore  naturale  del  nostro, 
smembramento,  è  l'alleato  perpetuo  de' nostri  op- 
pressori ;  r  Italia  non  potrà  ottenere  giammai  indi- 
pendenza ed  unità  se  non  per  via  della  republica. 
Ed  è  questo,  a  parer  mio,  un  nuovo  errore  non  me- 
no grave  e  funesto  degli  altri.  Potrei  chiarirlo  di, 
leggieri  anche  con  argumenti  dottrinali ,  mostrando 
in  prima  qual  divario  corra  tra  la  questione  di  na- 
zionalità e  la  questione  di  libertà  ;  e  poscia,  come  ì\ 
principato,  che  in  virtù  dell'indole  sua  propria  è 
fino  ad  un  certo  punto  l'antitesi  del  reggimento  li- 
bero, possa  invece  benissimo  sposar  la  causa  dell'in- 
dipendenza e  dell'unità  nazionale^  e  conciliar  insieme 
ottimamente  l'interesse  della  dinastìa  con  quello  della 
patria.  Ma  in  simil  materia  valgono  meglio  i  fatti  che 
i  ragionamenti,  e  la  storia  prova  assai  più  effic^ice-- 
mente  che  la  filosofia. 

Io  non  andrò  a  ripescare  li  esempj  nell'antichità; 
che  mal  si  potrebbe  stabilire  con  qualche  precisione, 
se  allora  ì  popoli  avessero  un  concetto  chiaro  e  ri- 
flesso della  loro  nazionalità,  o,  pur  avendolo,  di  quali 
elementi  ideali  e  tradizionali  si  componesse;  e  inol- 
tre con  qual  processo  si  cercasse  di  attuarlo,  e  come 
e  perchè  non  si  riuscisse  a  dargli  una  stabilità  più 
duratura.  Consultiamo  piuttosto  la  storia  moderna , 
in  cui  il  principio  di  nazionalità,  come  noi  l'inten- 
diamo^ è  venuto  svolgendosi  ampiamente;  ed  in  par- 
ticolare la  storia  di  quei  popoli ,  che  son  pervenuti 
a  meglio  incarnarlo  nella  loro .  vita  publica  e  nelle 
loro  instituzioni  sociali. 


60 

Il  tipo  deirniìificaziofte  da  prìma,  e  poscia  dell'u- 
nità nazionale  è  la  Francia  :  ma  non  Tha  essa  posto 
in  atto  per  opera  della  monarchia?  Li  altri  Stati, 
che  riuscirono  meglio  a  costituire  la  loro  naziona- 
lità, sono,  per  non  parlare  che  dei  più  grandi,  l'In- 
ghilterra, la  Spagna,  e  la  Russia:  ma  non  erano 
esse  e  non  sono  ancora  monarchie?  Airincontro, 
l'Italia  con  le  sue  republiche  e  la  Germania  con  le 
sue  città  libere  non  arrivarono  mai  a  riunirsi  in 
una  sola  nazione,  e  sono  ancor  oggi  divise,  e  do- 
vranno ancor  luttare  chi  sa  quanti  anni  per  insti- 
tuire  la  loro  unità  nazionale.  La  storia  dunque  smen- 
tisce assolutamente  la  teorica  declamatoria  di  quei 
republicani  esclusivi.  Essa  dimostra,  che  il  principio 
di  nazionalità  non  s'è  attuato  nel  mondo  moderno 
se  non  mediante  la  monarchia,  e  che  reciprocamente 
nessun  popolo  giunse  a  fondare  la  propria  naziona- 
lità per  via  della  republica.  Tal  è  la  lezione,  che  ci 
dà  l'esperienza, 

—  Ma  voi  non  tenete  conto  d'un  grand' esempio 
contrario:  li  Stati  Uniti  d'America.  —  Non  ne  tengo 
conto,  invero,  perchè  non  quadra  al  caso  nostro. 

1.°  Là,  In  origine,  non  si  trattava  dell'indipen- 
denza di  una  nazione  dal  giogo  di  un'altra,  ma  del- 
l'emancipazione di  una  colonia  dalla  tutela  iniqua 
della  madre  patria. 

2.**  Là  fioriva  una  civiltà  di  creazione  affatto  mo* 
derna,  dove  non  aveano  radice  alcuna  le  instituzioni 
feudali,  le  tradizioni  aristocratiche,  Ji  privilegj  eccle- 
siastici, i  diritti  divini,  e  nessuno  di  quelli  elementi 
eterogenei,  che  negli  Stati  europei  generarono  li  an- 
tagonismi sociali  e  le  rivoluzioni  intestine.     .       , 

3.°  Là,  grazie  all'Oceano,  non  vi  sono  potenti  Stati 
vicini,  a  cui  s'abbia  da  rendere  sempre  ragione  di 
quanto  accade  eziandio  in  casa  propria,  e  con  cui  sia 
d'iifipo  intendersi  per  amore  o  per  forza,  sotto  Fin- 


.      61 

cessante  minaccia  di  vedersi  la  patria  invasa,  oon^ 
quistata,  devastata,  divisa,  disfatta* 

4.°  Là  infine,  mercè  d'una  sterminata  immigrazio- 
ne, lia  luogo  una  tal  mescolanza  di  popoli  e  di  stir- 
pi, che  il  paese  va  perdendo  necessariamente  il  ca- 
rattere nazionale  e  pigliando  la  forma  cosmopolitica  ; 
onde  il  principio  di  nazionalità  non  serba  più  in  quelli 
Stati  il  valore,  che  ha  in  Europa. 

L'esempio  dell' America  non  è  dunque  applicabile 
al  c^so  deiritalla,  poiché  le  condizioni  politiche  e  so- 
ciali dei  due  paesi  sono  affatto  diverse;  né  può  in 
verun  modo  contradire  all' ioduz ione,  che  la  storia 
ci  ha  somministrata* 

Tiriamone  ora  la  conseguenza:  Io  lascerò  ai  fana- 
tici monarchisti  inferire  da  quei  fatti,  che  la  repu- 
blica  sia  dunque  iutrinsecamente  inetta  a  formare 
una  nazione;  vale  a  dire,  ehe  il  princìpio  della  de- 
mocrazia e  il  principio  della  nazionalità  si  escludano 
a  vicenda.  Sarebbe  una  conseguenza  sforzata,  perchè 
andrebbe  oltre  ai  limiti  delle  premesse.  Ma  certo,  re- 
stringendola pure  entro  i  termini  legitimi  del  razio- 
cinio induttivo,  è  irrepugnabile  questa  conseguenza  : 
essere  dunque  più  probabile  d'assai,  che  anche  l'Ita- 
lia debba  conquistare  la  sua  nazionalità  per  opera 
del  principato.  Non  potrà  dirsi  a  tutto  rigore  im- 
possibile, se  volete,  che  la  conquisti  mercè  della  re- 
publica;  ma  la  sarebbe  un'eccezione  alla  regola  che 
finora  s'è  costantemente  verificata,  e  che  quindi  porta 
il  carattere  di  una  legge  naturale  della  società.  Ora 
il  calculo  delle  probabilità ,  se  ha  da  essere  un  pro- 
cesso ragionevole,  va  fondato  su  la  regola,  e  non  su 
l'eccezione. 

Laonde  a  quei  soli  democratici,  che  negano  affatto 
il  principio  di  nazionalità,  —  e  ve  n'ha  anche  di 
questi, . —  è  lecito  logicamente  di  non  isperar  nulla 
di  bene  dalla  monarchia,  e  però  di  combaUerla  a 


62 

tutta  oltranza,  cotine  la  pura  e  pretta  personificazione 
del  male.  Ma  tutti  li  altri,  —  e  per  buona  ventura 
sono  i  più,  —  che  riconoscono  nella  nazione  un  ele^ 
mento  naturale  e  costitutivo  dell'organismo  sociale 
dell'Umanità,  appuntò  come  tengono  il  Commiine  per 
un  elemento  essenziale  e  vitale  della  nazione;  e  danno 
quindi  l'importanza  che  si  merita  alla  questione  del- 
l'indipendenza  e  dell'unita  nazionale:  non  possono^ 
non  devono  abbandonarsi  ad  un'ostilità  così  assoluta 
contro  della  monarchia,  se  non  vogliono  postergare 
lallo  spirito  di  parte  il  bene  della  patria.  Perocché 
una  somma  probabilità,  che  la  legge  stessa,  a  cui 
obcdirono  la  Francia,  la  Spagna,  l'Inghilterra,  e  la 
Russia  per  costituirsi  in  nazioni  indipendenti  e  uni- 
tarie, sia  naturalmente  imposta  anche  all'Italia,  sus- 
siste fuor  d'ogni  dubio.  Può  dunque  surgere  un  di 
0  l'altro,  se  già  non  è  surto,  un  principe,  che  s'ac- 
cinga risolutamente  a  fare  per  lei  ciò  che  altri  prin- 
cipi hanno  fatto  per  quelle  altro  nazioni:  ed  in  tal 
caso  che  contegno  dovrebbero  tenere  i  democratici 
patrioti? 

Appigliarsi  al  partito  della  resistenza  e  dell'oppo- 
sizione ad  ogni  costo,  tornerebbe  lo  stesso  che  osteg- 
giare la  causa  della  nostra  nazionalità,  e  dar  la  mano 
ai  nemici  d'Italia  per  concórrere  a  mantenerla  divi- 
sa, e  quindi  debole  e  serva.  Ma  tranne  qualche  fre- 
netico settario,  qual  democratico  ragionevole  oserebbe 
In  coscienza  esporsi  al  pericolo  sì  manifesto  di  rine- 
gare la  patria  in  odio  della  monarchia? 

Sarebbe  invece  debito  e  interesse  nostro,  mi  pare, 
di  stringerci  tutti  intorno  al  vessillo  nazionale,  qua- 
lunque fosse  la  mano  che  lo  afferrasse;  giacché  se 
l'impresa  si  conducesse  senza  di  noi,  finirebbe  Ine- 
vitabilmente anche  contro  di  noi:  laddove  quanto 
maggiore  sarà  la  parte  che  noi  prenderemo  al  com-* 
battimento,  tanto  sarà  maggiore  il  frutto  che  iX)tFemo 
rarcogllere  dalla  vittoria. 


M 
E  l'ipotesi  già  s'è  ia  parte  avverata  nell'ultima 
guerra  d'Italia  :  il  cooleguo  di  quasi  lutto  il  partito 
democratico  rispose  fedelmente  a  questi  dettami  della 
ragioQ  pratica  e  della  coscienza  nazionale.  Appena  si 
trattò  di  scendere  in  campo  contro  dell'Austria,  egli 
corse  all'armi  e  si  schierò  sotto  la  bandiera  italiana, 
benché  fosse  inalberata  da  un  re.  Così  ha  ben  meri- 
tato della  patria  insieme  e  della,  democrazia,  ed  ha 
mostrato  co'l  fatto,  che  quanto  egli  è  ardente  in 
tempo  di  pace  a  propagare  per  via  dell'apostolato  la 
propria  fede  nella  libertà  universale,  tanto  è  presto 
In  caso  di  guerra  a  sostenere  con  l'armi  la  causa 
della  nazionalità  italiana;  e  che  quanto  è  più  sublime 
l'ideale  in  cui  risiede  la  meta  ultima  delle  sue  spe- 
ranze e  de'  suoi  sforzi,  tanto  egli  è  meno  disposto  a 
pretendere  d'effettuarlo  tutto  ad  un  tratto,  e  più  fa- 
cile ad  ammettere  e  promuovere  ogni  maniera  dì 
progresso,  che  poco  o  molto  giovi  alla  patria,  e  la 
ravvicini  alla  sua  meta. 

Vediamo  ora  quale  sìa  la  libertà  polìtica,  che  il 
catolicismo  ne  può  dare.  Il  9  di  giugno  18ì^ ,  men- 
tre l'infelice  Polonia  era  piena  ancora  di  sangue,  di 
cadaveri,  e  dì  ruine,  papa  Gregorio  XVI  scrisse  un 
Breve  ai  vescovi  di  quel  regno,  per  inculcare  espres- 
samente le  dottrine  politiche  della  chiesa.  Signori 
Monlalerabert  e  Rendu,  degnatevi  dì  star  attenti,  ed 
imparate  quali  sìeno  le  vere  libertà  del  catolicismo. 

11  papji  incomincia  ad  assicurare  i  Polacchi,  ch'e- 
gli ha  scongiurato  Iddìo  con  preghiere,  sospiri,  e  ge- 
miti «  affinchè  codeste  vostre  provìncìe,  commosse  da 
»  infernali  dlsenzìoni,  ci  sia  dato  vederle  finalmente 
»  restituite  all' autorità  del   legitimo   potere  (l).  » 

(i)  »  PosieaqQam  io  hamiUtaltìcordis  nostri  velieinentiori 
t  afTectu  miseri cordiarum  Patrem  precibus,  susplriis,  gemiU- 
»  basqne  fleclere  sluduerìmus,  qaaienus  cito  provlncias  istas 


64 

Quindi  r  insurrezione  di  un  popolo  per  riacquistare 
la  propria  libertà  e  indipendenza,  nel  linguaggio  ca- 
tolico  si  chiama  disensioni  infernali;  e  Toppressione 
satanica  di  un  usurpatore  si  chiama  legitimo  potere. 
Venga  ora  il  signor  Balmes  a  narrarci,  cbe  «  quando 
»  la  ciiiesa  predica  l'obedienza  alle  potestà,  parla  delle 
»  legìlime;  e  nel  dogma  catolico  non  può  aver  luogo 
»  l'assurdo,  che  il  mero  fatto  formi  il  diritto  (1).  » 
Nel  dogma  catolico?  Ma  quale?  Nel  dogma  che  Bal- 
mes erasi  imaginato ,  non  so  ;  ma  in  quello  che  in- 
segnano la  chiesa  ed  il  papa,  certo  ha  luogo  un  as- 
surdo così  iniquo  ed  esecrando.  Ora,  in  fatto  di 
dogma,  la  parola  di  un  Balmes  vai  nulla,  e  la  pa- 
rola di  un  papa  vai  tutto.  Ed  è  curioso  a  vedere 
questo  prete  spagnuolo,  che  per  difendere  il  suo  ca- 
tolicismo osa  dare  una  smentita  al  papal  «No,  egli 
»  esclama,  no,  che  non  è  vera  questa  dottrina  umi- 
»  Mante;  questa  dottrina,  che  decide  della  legitimìlà 
»  dall'esito  dell'usurpazione;  questa  dottrina,  che 
»  dice  ad  un  popolo  vinto  e  soggiogato  da  un  usur- 
»  patore  qualunque:  obedìsci  al  tuo  tiranno;  ì  suoi 
»  diritti  si  fondano  nella  sua  forza,  e  l'obligo  tuo 
»  nella  tua  debolezza  (2).  »  Ah,  no?  Non  è  dunque 
vera  questa  dottrina,  signor  Balmes?  Pare  anche  a 
voi,  come  a  me,  come  a  chiunque  abbia  un  po'di 
senno  e  un  po'di  cuore;  ma  il  cuore  ed  il  senno  non 
han  che  fare  co  '1  catolicismo  ;  e  questa  dottrina  umi- 
liante, turpe,  abjetta,  infame,  è  dottrina  'catolìca. 
S\,  un  papa  non  ebbe  rossore  di  professarla  a  nome 
di  tutta  la  cliiesa  ;  un  papa  ebbe  V  impudenza  e  la 

»  vestras  diris  dissentionibus  commotas,  pacatas  tandem  et 
»  legitimae  potesiatis  imperio  reslittilas,  nobis*  videre  conti- 
»  gcrit*  > 

(l)  Il  protesfantismo  paragonato  co^l  catolicismo,  toro.  4» 
Cip.  LV,  pag.  32.. 

(■^^  fl>id. 


65 

barbarie  d'intimare  ad  un  p(^lo  d'eroi:  — obedisci 
al  tuo  tiranno;  egli  è  il  tuo  legitimo  padrona,  perchè 
è  più  forte  di  teli....  —  Siccliè,  voi  fate  l'apologia 
del  catolicismo  con  un  raziocinio  di  questo  tenore  : 
la  dottrina  catolica  è  vera,  percliè  fa  dottrina  cato- 
lica  è  falsa.  E  con  questa  dialettica,  in  fede  mìa,  non 
è  difficile  che  il  catolicismo  abbia  sempre  ragione. 
Ma  voi,  reverendo,  che  fate  la  lezione  al  papa  e  gli 
date  del  bugiardo  in  su  '1  viso,  siete  catolico  voi  (2)  ? 

(2)  È  tanto  più  strano  e  in  escusabile  questo  procedere  di 
Palmes,  in  quanto  ch'egli  stesso  Tavea  formalmente  ripro- 
vato in  altrui:  «  In  queste  materie,  diceva  con  molto  senno 
»  (//  protestantismo,  toni.  3,  cap.  XLVIll,  pag.  192-193),  si 
->  parla  continuamente  della  scuola  di  Bossuet,  di  quella  di 
»  Bonald,  coM  far  uso  in  varie  maniere  di  nomi  proprj.Ri- 

>  spetto  più  Cile  altri  mai  il  merito  di  questi  ed  altri  uomini 
«  insigni,  ctie  la  ciiìesa  caloiica  ha  avuto;  ma  ciò  non  ostante 
f  avvertirò,  che  la  chiesa  non  si  rende  mallevadrice  di  altre 

>  dottrine,  fuorché  di  quelle  che  essa  insegna;  che  non  si 
»  personifica  con  nessun  dottore  particolare;  e  che  essendo 
9  assegnato  da  Dio  stesso  1*  oracolo  di  verità  infallibile  in 
s  materia  di  dogma  e  di  morale,  non  permette  che  i  fedeli 
»  deferiscano  ciecamente  alla  sola  parola  di  un  uomo  pri- 
•  vaio,  qualunque  ne  sia  il  merito,  la  santità,  ^  la  dottrina. 
»  Chi  brama  sapere  qual  è  lo  insegnamento  della  chiesa 
9  catolica,  consulti  le  decisioni  de*  concilj  e  quelle  dei  sommi 
»  pontefici;  consulti  egualmente  i  doUori  di  una  fama  illustre 
»  e  pura,  ma  guardisi  l)ene  dal  mischiare  le  opinioni  di  un 
»  autore,  per  quanto  sia  riguardevole ,  con  le  dottrine  della 
»  chiesa  e  con  la  voce  del  vicario  di  Gesù  Cristo.  »  E  cosi 
appunto  ho  fatto  io.  Ma  Balmes,  che  l'insegnava  agli  altri , 
perchè  non  Tha  fatto  mai?  Posso  dunque  ritorcere  contro 
di  lui  le  parole  che  su'l  finire  del  .capo  L.  {\ibid.  pag.  271  ) 
egli  volgeva  a* suoi  avversar]:  «  Presentatemi  un  testo  delle 
»  tradizioni  tenute  per  articoli  di  fede  nella  chiesa  catolica, 

>  una  decisione  de*  concilj  o  de*  papi,  la  quale  dimostri  che  la 
«  vostra  opinione  è  fondata  :  iosino  a  tanto  che  non  1*  avrete 
»  fallo  io  avrò  il  diritto  di  dirvi,  che  per  la  smania  che  avete 


66 

Contìnua  il  papa:  «Voi  dovete  usare  ogni  diligenza, 
»  e  vegliare  con  ogni  studio,  che  uomini  ingauna- 
»  tori  e  propugnatori  di  novità  non  seguano  a  spar- 
»  gere  nel  vostro  gregge  erronee  dottrine  e  falsi 
»  dogmi  ;  e  sotto  il  pretesto  del  publìco  bene,  come 
»  sogliono,  non  abusino  della  credulità  dei  semplici 
»  e  degli  incauti,  in  guisa  da  renderseli,  contro  la 
»  loro  intenzione,  ciechi  ministri  e  fautori  nel  tur- 
»  bare  la  pace  del  regno,  e  sconvolgere  l'ordine 
»  della  società.  Conviene  smascherare  apertamente 
»  la  frode  di  questi  pseudodottori,  per  rutilìtà  e  l'in- 
»  struzione  de'fedeli  (l).  »  Vuol  dire,  che  agli  occhi  del 
catolicismo  li  apostoli  della  libertà  sono  inqannatoriy 
novatori y  pscudodottori  ;  ed  ì  principi  liberali  sono  dot- 
trine erronee,  dogmi ^ falsi,  frodi  ed  inganni  per  tur- 
bare  la  pace  e  sconvolgere  Vordine  della  società.  Sa- 
pete ora  quale  sia  la  vera  dottrina  della  chiesa? 


•  di  rendere  amabile  il  catolicisnio,  gVimputaie  dottrine  che 
»  non  professa,  gii  attribuite  dogmi  che  non  conosce  ;  e  perciò 
t  no*l  difendete  da  apologisti  franchi  e  sinceri,  poiché 
»  date  mano  ad  armi,  che  non  sono  iegiiime  m. 

(i)  »  In  hoc  nimirum  sedulam  caram  diligentiamque  om* 

•  nem  impendere  debetis,  ac  maximo  opere  vigilare,  ne  do- 
»  tosi  homines,  ac  novitatum  propagatores,  erroneas  dociri- 
»  nas  falsaque  dogmata  in  grege  vestro  disseminare  pergant 
9  pnblicumque  bonum,   nti  solent,  praetexentes ,.  aliorura 

•  credulitate,  qai  simpliciores  et  minns  cauti  sunt,  abutan- 

•  tur,  adeo  ut  eos,  praeier  ipsoruin  ìntentionem  in  regni 
»  pace  turbanda  societalisque  ordine  evertendo,  velott  cae- 
»  cos  ministros  ftutoresque  habeant.  Profecto  horum  pseu- 
»  dodoctorum  frans  ad  Christi  fidelium  utilitaUìm  et  instruc^ 
»  tionem  perspicuo  sermone  est  declaranda;  cogitatuum  vero 
»  eorumdem  fallacia  decretoriis  et  inconcnssis  divinae  Scri- 
»  plurae  joraculis,  nec  non  sacrae  ac  venerabiiis  ecclesia^; 
»  traditionis  certissitnis  monumentis  forti  animo  ubique  re« 
»  felienda.  • 


67 
.  £ssa  è,  ripiglia  il  papa,  negli  wacùli  della  Scrit- 
tura e  nei  monumenti  della  tradizione.  «  Da  questo 
j>  fonti  purissime  apprendiamo,  che  Tobedienza  do- 
»  vuta  alle  potestà  da  Dio  costituite,  è  un  precetto 
»  assoluto,  a  cui  nessuno  può  andar  contro,  se  non 
»  nel  caso  che  venisse  comandata  qualche  cosa, 
»  che  repugni  alle  leggi  di  Dìo  e  della  chiesa  (l).  » 
E  significa  in  buon  vulgare,  che  i  Polacchi  devono 
obedire  air  imperatore  di  Russia,  come  ad  una  pote- 
stà costituita  da  Dio;  e  che  nelle  atrocità,  onde  quel 
mostro  coronato  spaventò  l'Europa,  non  v  era  nulla 
di  contrario  alle  leggi  di  Dio  e  della  chiesa.  Oh  1  in 
verità,  una  chieda  che  maledice  alle  vittime  per  adu- 
lare il  carnefice,  è  ben  la  degna  six^sa  di  un  Dio, 
che  punisce  li  eroi  per  esaltare  li  assassini! 

Il  papa  soggiunge  poscia  li  oracoli  e  {monumenti: 

a  Omnis  anima,  dice  l'Apostolo,  potestatibus  sublimio- 

»  rihus  subdita  sit.  Non  est  enim  potestas  nisi  a  Deo  ; 

»  quae  autem  sunt,  a  Deo  ordinata  sunt,  Itaque  qui 

»  resistit  potestati.  Dei  ordLnationi  resistita  Ideo  ne- 

»  cessitati  subditi  estote,  non  solum  propter  iram, 

»  sed  etiam  propter  conscìentiam.  Similmente  S.  Pie- 

»  tro  esorta  lutti  i  fedeli  ad  essere  suggelli  ad  ogni 

»  umana  creatura,  tanto  al  re,  come  sopra  di  tutti^ 

»  qu4into  ai  presidi,  come  spediti  da  lui,  quia  (dice) 

»  sic  est  voluntas  Dei,  ut  benefacientes  obmutescere  fa- 

»  ciatis  imprudentium  hominum  ignoranliam.  I  primi 

»  cristiani  osservando  santamente  questi  precetti, 

»  anche  nel  terrore  delle  persecuzioni,  meritarono 

D  bene  degli  stessi  imperatori  romani,  e  della  salute 

(i)  9  Ex  bisce  fontibus  purissimis  apertissime  edooemur , 
i  obedienUam,quain  praes tare  homi nes  tenentur  a  Deo  con* 
»  stitutis  poleslatibus,  aLsolatum  praeceplum  esse,  cui  nemo 

>  praelerquam  si  forte  cootingat  aliquid  imperari,  quod  Del 

>  et  ccclesjae  legibus  advcrsetar,  conlraire  polest  » . 


«8 

»  deirimpero.  Queéta  dottrina  insegnarono  costante' 
»  mente  ì  santi  Padri,  e  la  insegnò  sempre  e  Fin-* 
»  segna  la  catolica  chiesa  (1).  »  Vale  a  dire  che,  se- 
condo il  catolicismo,  patria,  libertà,  indipendenza, 
diritto,  giustizia,  suslanze,  vita,  ogni  cosa  possono 
rapirci  i  governi,  e  noi  dobbiamo  sempre  chinar  il 
capo  e  tacere,  purché  ci  lascino  i  preii  per  corrom- 
pere ed  irabesliare  ì  nostri  figij  ;  e  ci  serbino  i  tempj 
da  provedere,  decorare,  e  arricchire  a  nostre  spese. 
Fior  dì  liberale,  ch'era  mai  quel  papa  Giiegoriol... 

Pure,  chi'l  crederebbe?  Quelli  stessi  oraco/i  e  wo- 
numeriti,  su  cui  egli  stabiliva  la  catolica  dottrina, 
Balmes  se  li  propone  a  modo  d'objezìoni;  e  seguita 
a  sostenere,  che  le  sentenze  della  chiesa  non  sono 
generali  ed  assolute,  ma  si  riferiscono  unicamente 
alle  potestà  legitime  (2).  Che  questa  distinzione  pa- 
resse a  lui  ragionevole  e  giusta,  io  lo  credo;  ma 
torno  a  dire,  che  un  povero  prete  spagnuolo  non  è 
il  papa,  e  molto  meno  lo  Spirito  Santo.  Ora  né  lo 
Spirilo  Santo,  né  il  papa  non  hanno  mai  fatto  quella 
sua  distinzione;  ed  hanno  invece  parlato  sempre  in 
termini  universalìssimi  :  dunque  la  dottrina  catolica, 
per  rispetto  alle  autorità  costituite,  è  assoluta.  Già 
l'avvertiva  l'abbate  Bergier,  il  quale  rispondendo  a 
coloro,  che  vogliono  applicare  il  precetto  di  S.  Pao- 
lo, non  a  tutte  le  autorità  costituite  in  generale,  ma 
soltanto  alle  potestà  legitime:  «  Questo  commentar 
rio,  egli  diceva",  è  opposto  al  testo;  e  suppone,  che 
S.  Paolo,  dopo  aver  detto  che  ogni  potere  viene  da 

(1)  «  Quae  monìta  sancle  servantes  antiquos  chrisUanos, 
»  eiiam  saevìenlibus  perscculionibus,  de  ipsis  romanis  impe- 

*  ratorìbus,  deqne  Imperli  incofumitate  sane  meraìsse  con- 

•  slat.  Hanc  doclrinam,  ul  nosUs,  V.  F. ,  SS.  Palres  constan* 
A  tissime  tradideritnt,  hanc  seni  per  docuìt  ac  docet  catholic^ 
»  Ecclesia  ».  • 

f2ì  ror.  rM. 


Dio,  61  ritratti  o  restringa  questa  massima;  e  deci-^ 
da,  che  il  potere  viene  da  Dio  allora  solamente  quan- 
do sia  ben  regolato.  Ma  clii  deciderà,  s'egli  è  rego- 
lato bene  o  male?  I  privati,  senza  dubio;  prima  di 
obedire  esamineranno,  se  Yautorità  è  legitima  o  usur- 
pata; se  le  leggi  sono  giuste  e  confwmi  alla  volontà 
di  Dio:  e  se  loro  paressero  ingiuste,  saranno  dispen- 
sati dalla  sottomissione  ed  avran  diritto  di  resistere 
av autorità.  Eccellente  morale  1  Fu  quella  di  tutti  i 
sediziosi  e  di  tutti  i  fanatici  dell'universo.  -^  Ci  sono 
autorità  illegitime,  poteri  usurpati,  governi  tiranni- 
ci, contrari  alla  volontà  ed  alla  legge  di  Dio,  ne  con- 
veniamo ;  ma  in  fine,  dacché  esistono  e  sono  ricono- 
sciuti, l'interesse  geùerale  e  il  bene  commune  richie- 
dono, che  si  presti  loro  rispetto  ed  obedienza  (1).  » 

E  poi,  lasciamo  pure  da  banda  le  questioni  astratte 
e  teoretiche:  stiamo  al  caso  nostro.  Il  papa  intima 
ai  Polacchi  di  obedire  all'imperatore  di  Russia.  Or 
bene,  il  potere  di  Nicolò  su  la  Polonia  è  legitimo,  o 
no?  Se  no,  dunque  la  chiesa  comanda  l' obedienza 
alle  potestà  anche  illegitime.  Se  sì,  dunque  la  chie- 
sa riconosce  per  legitimo  il  potere  di  un  usurpatore, 
A  che  servono  dunque  le  distinzioni  di  Balmes?  Ser- 
vono a  questo  solo  :  ad  illudere  quei  gon«I,  che  tro* 
vando  orribile  il  catolicismo,  e  volendo  tuttavia  spac- 
ciarsi catolici,  si  fabricano  un  catolicismo  di  proprio 
gusto,  e  poi  l'affibbiano  alla  chiesa. 

Abbiamo  ancora  dì  papa  Gregorio  un  altro  docu- 
mento più  solenne.  È  la  sua  enciclica  del  15  ago- 
sto 1832  a  tutti  i  vescovi  catolici,  nella  quale  ripete 
e  ribadisce  più  fortemente  che  mai  le  stesse  dottri- 
ne :  «  Avendo  noi  saputo,  diceva  quel  vicario  di  Dio, 
»  che  per  via  di  scritti  sparsi  fra  il  popolo  si  divul- 
*  gano  certe  dottrine,  le  quali  distruggono  la  debita 

(1)  Dictionnaire  de  théologiCt  art  adtorit^. 


70 

»  fedeltà  e  sottomissione  ai  principi,  ed  accendono 
»  dovunque  le  faci  della  ribellione;  bisogna  usare 
»  ogni  cura,  che  i  popoli  così  ingannati  non  ven- 
»  gano  distolli  dal  retto  sentiero.  Considerino  tutti 
»  ravviso  dell'Apostolo,  non  esserci  potere  che  non 
»  venga  da  Dio;  ecc.  Laonde  le  leggi  divine  ed  umane 
»  gridano  contro  di  coloro,  i  quali  con  turpissime 
»  trame  di  rivolta  e  di  sedizione,  si  sforzano  di  ri- 
»  bellarsi  contro  dei  principi,  e  di  precipitarli  dal 
»  trono  (1).  »  Traducete:  il  despotlsmo  del  prìncipi 
è  un  diritto,  la  servitù  dei  popoli  un  dovere;  ed  ogni 
tentativo  per  rivendicarsi  in  libertà  si  chiama  ribel- 
lione, sedizione,  tradimento. 

Citata  poi  l'esempio  degli  antichi  cristiani,  il  papa 
continua:  «  Questi  belli  esempj  d'inviolabile  sotto- 
»  missione  ai  princìpi,  ch'erano  conseguenza  neces- 
»  saria  dei  santissimi  precetti  della  religione  cristia- 
))  na,  condannano  la  detestabile  insolenza  e  malva- 
»  gita  di  coloro,  che  infiammali  dalla  passione  sfre- 
B  nata  di  una  procace  libertà  fanno  tutti  i  loro  sforzi 
j>  per  assalire  ed  abbatteVe  ogni  diritto  dei  prìn- 
»  ciiìati,  e  portare  ai  popoli  la  servitù  sotto  l'appa- 
»  renza  della  libertà.  Qua  per  fermo  miravano  li  sce- 
»  lerati  delirj  e  divisamenli  dei  Valdesi,  de'  Beguar- 
»  di,  del  Wiclefìtl,  e  di  altretali  figliuoli  di  Belial, 
»  che  furono  la  feccia  e  l'obbrobrio  del  genere  urna- 

(1)  »  Cum  atilem  circam!atis  in  vulgus  scriptis  doctrìnas 
B  qoasdam  promuigari  acceperimusi  quibus  debita  erga  prin- 
»  cipcs  fìdes  atque  submissio  labefacttaur,  facesque  perduel* 

•  lioiiis  ubique  incendontur;  caveoduin  maxime  erit,  ne  po- 
li pulì  iDde  decepU  a  recti  semita  abducanlur.  Aniroadver- 
»  tant  omnes,  non  esse,  juxta  Apostoli  monitam,  potestatem 

•  nisi  a  DeOy  etc.  Quocirca  et  divina  et  humana  jura  in  eos 
»  clamant,  qui  turpissimis  perdaelilonis  seditionumqne  ma* 
N  chinalionibus,  a  fide  in    principes  descisccre,  tpsosque  ab 

•  imperio  deturbare  conoiiantur  ». 


71 

»  no;  meritamente  perciò  colpiti  tante  volte  d'ana- 
i>  tema, da  questa  apostolica  Sede.  Né  quelli  astuti 
»  ad  altro  scopo  volgono  tutte  le  loro  forze,  se  non 
»  a  potersi  coagrafùlare  lietamente  con  Lutero,  di 
»  essere  Uberi  da  tutti;  e  per  arrivarci  più  facil- 
»  mente  e  più  presto,  tentano  audacissimamente  di 
»  commettere  ogni  più  grave  delitto  (l).  »  Cioè  a 
dire:  ai  re  si  deve  una  inalterabile  sottomissione;  i 
principi  di  libertà  sono  insolenze  e  malvagità  dete- 
stabili, cupidigia  sfrenata,  licenza  procace,  violazione 
dei  diritti  regj,  sceleratissimi  delirj;  e  tutti  i  libe- 
rali sono  figlj  del  demonio,  furfanti,  libertini,  ob- 
brobrio e  feccia  del  genere  umano, 

E  non  basta  ancora.  In  un'altra  sua  enciclica  a 
tutti  i  vescovi  catoKci,  del  25  giugno  1834,  papa 
Gregorio  pronuncia  la  condanna  di  quelle  pagine 
immortali,  che  Lamennais  intitolò  Paroles  d'un  croyant, 
E  desso  un  libro  che  contiene  in  sustanza  le  dot- 
trine più  communi  della  libertà  e  della  democrazia. 
Ebbene,  queste  dottrine  dinanzi  al  tribunale  della 
chiesa  si  chiamano  proposizioni  rispettivamente  false, 

(1)  «  Praeclara  haec  immobiUs  subjeciionis  in  princi))e» 
»  exempla,  quae  ex  sanctissimis  ehrislìanae  religionis  prac- 
»  ceplis  necessario  proficiscebantur,  delesiandam  illorum  inso- 
I»  lentlam  et  improbitalem  condemnant,  qui  projecla  effre- 
»  nataqne  procacis  iibertalis  cnpiditale  aestuantes,  toti  in  eo 
»  sunt,  ut  jura  queque  principatuum  labefaclenl  atque  con- 
»  veUant,  servitotem  sub  lit)ertaUs  specie  popuiis  iilatnri, 
»  Huc  sanesceleslissiraa  deliramentaconciliaqae  conspirarnnt 
»  Valdensium,  Beguartjoruin,  WicieQtarunQ  aliorumque  bu- 
n  jumodi  fjliorum  Beiial,  qui  humani  generis  sordes  ac  de- 
»  decora  faere,  merito  ideirco  ab  apostolica  hac  Sede  lolieb* 
»  analhftmate  couflxi.  Nec  alia  profecto  ex  causa  omnes  vi 
»  res  intendo  ni  veleratores  isti,  nisi  ut  cuin  Lutbero  ovan- 
»   tes  gratulari  sibi  possint,  liberos  se  esse  ab  omnibus  :  quod 

•  ut  facilius  celeriusque  assequantur,  flagiliosiora  quaelibel 

•  audacissime  aggrediuniur  ». 


72 

calunnioBe,  temerùrie,  inducenti  allanarchia,  conira-- 
ri$  alla  parola  di  Dio,  empie,  scandalose,  erronee^ 
già  dalla  chiesa  condannate  specialmente  nei  Valdesi, 
Wiclefiti,  Hussitly  ed  altri  eretici  di  simil  fatta. 

Ora,  dopo  tante  decisioni  così  esplicite  e  solenni 
che  Roma  ha  pronunciato,  che  cosa  dovremo  noi 
pensare  di  un  partito,  il  quale  ha  la  fronte  di  voler 
accoppiare  insieme  questi  due  titoli,  catolico  e  libe* 
rale?  Un  partito ,  che  in  nome  della  chiesa  predica 
la  libertà  religiosa ,  civile ,  e  politica  nel  senso  più 
largo  ed  assoluto  ?  Ma  se  lo  fa  di  buona  fede ,  egli 
è  un  vero  prodigio  d' ignoranza,  e  di  stoltezza  ;  e  se 
in  mala  fede,  egli  è  la  più  trista  e  rea  fazioue,  che 
abbia  mai  contristato  l' Umanità.  Ed  in  quale  cate- 
goria dovremo  collocare  Montalemt)ert ,  che  mentre 
celebra  l'accordo  della  libertà  co'l  catolicismo,  so- 
stiene pure  che  la  libertà  politica  è  incompatibile 
co'l  governo  della  chiesa?  Dunque  la  chiesa  approva 
per  buona  e  giusta  una  legge,  che  ne' suoi  proprj 
Stati  condanna  come  un'empietà  e  un  sacrilegio  (l)? 

La  politica  del  catolicismo,  che.  abbiam  tratto  da' 
suoi  più  gravi  ed  autentici  documenti,  quali  sono  le 
sentenze  catedratiche  del  papa,  era  già  stata  ridutta 
a  sistema  da  uno  scrittore,  che  suole  denominarsi 
meritamente  T  ultimo  dei  Padri,  Bossuet.  Vero  è,  che 
Montalembert  e  Balmes  non  lo  riconoscono,  su  que- 
sto punto,  come  l'interprete  fedele  dei  principi  della 
chiesa,  o  piuttosto,  giusta  l'avvertenza  del  secondo  » 
la  chiesa  s'è  astenuta  dal  decidere  la  questione  della 
resistenza  al  governo  in  certi  casi  estremi,  e  però 
variano  le  opinioni  dei  teologi.  Tomaso  d'Aquino, 
Bellarmino,  e  Suarez  ammettono  in  quei  casi  il  di- 

(1)  DùcQì'so  tenuto  aW Assemblea  nazionale  nella  sedala 
del  19  ottobre  1849. 


ritto  di  resistenza;  Bossuet  ed  altri  autoreroli  scrit- 
tori non  r  ammettono  mai  (1).  Ma  questa  disparità 
d^opinionìjteologiche  basta  ella  a  giustificare  la  chiesa 
ed  a  salvare  il  diritto  ?  Cominciamo  dai  primi ,  che 
sono  i  più  liberali.  Balmes,  per  mettere  più  in  ri- 
lievo l'opposizione  fra  le  dottrine  democratiche  e  le 
catollche,  compendia  le  prime  in  quattro  principj , 
eh' estrae  da  Lamennais;  e  vi  contrapone  un  som- 
mario delle  seconde,  che  ricava  dall'Aquinate  (2). 

»  Principio  1."  Eguaglianza  di  diritti  sociali  e  pò- 
»  litici.  —  Impossibile:  anzi  utilità  e  legitimità  dr 
A  certe  gerarchie  ;  rispetto  dovuto  a  quelle,  che  sono 
»  stabilite  dalle  leggi  ;  necessità  che  alcuni  coman- 
»  dine  e  li  altri  obediscano;  obligo  di  vivere  sotto- 
»  messi  al  governo  stabilito  nel  paese,  qualunque  ne 
»  sia  la  forma  ;  preferenza  data  al  monarchico.  »  E 
questa  è  pura  dottrina  catolìca,  su  cui  non  cade 
controversia  di  sorta.  È  dunque  dottrina  catolica  la 
teorica  del  privilegio  e  la  divisione  dell'Umanità  in 
due  specie:  l'una  dei  pochi  eletti  a  comandare,  e 
Taltra  dei  molti  dannati  ad  obedire.  Ma  non  basta 
questo  solo  principio  a  dimostrare,  che  il  catolicismo 
è  la  negazione  stessa  d'ogni  giustìzia,  e  la  sovver- 
sione d'ogni  diritto?  Non  basta  a  rendere  evidente 
perfino  a'ciechi,  che  il  catolicismo  dichiara  la  libertà 
un  assurdo,  un'Infrazione  della  legge  di  Dio,  una 
violazione  dell'ordine  di  natura? 

»  Principio  2.^  Ingiustizia  di  ogni  ordinamento  so- 
»  ciale  e  politico,  in  cui  non  si  trovi  questa  egua- 
»  glianza.  —  Errore  opposto  alla  ragione  ed  alla  fede. 
»  Che  anzi,  per  l'opposto,  la  dlj?ugaaglianza  è  fon- 
»  data  nella  natura  medesima  dell'uomo  e  della  so- 
»  cietà;  e  se  è  un  effetto  e  castigo  del  peccato  orl- 

(ì)  Il  protesiantismo,  !om.  4,  cap.  LVI  pag.  43-44. 
(5)  Pag.  46-4T. 

II.  6 


»  ginale  ìd  quello  che  ha  talvolta  d' ingiusto  e  dan-* 
»  nevole ,  ciò  non  ostante  avrebbe  esistito  anche 
»  nello  stato  d'innocenza.  »  Ed  anche  questa  è  pretta 
dottrina  catolica,  in  cui  tutti  ì  teologi  sono  d'ac- 
cordo. 11  catolicismo  adunque  insegna  e  professa,  che 
rordinamento  sociale  e  politico  dev'essere  sottosopra 
quale  è  stato  fin  qui,  e  qual  è  tuttavia:  da  una  parte 
i  pochi  eletti ,  cioè  i  ricchi ,  i  potenti ,  i  felici ,  pa- 
droni del  mondo;  e  dall'altra  i  molti  dannati,  cioè 
i  poveri,  i  deboli,  i  disgraziati,  sudditi  tulti  e  servi. 
Dunque  la  ragione  catolica  professa  ed  insegna,  che 
0  per  la  natura  medesima  dell*  uomo  e  della  società, 
0  per  effetto  e  castigo  del  peccato  originale,  i  popoli 
son  destinati  a  vivere  perpetuamente,  irrevocabil- 
mente, una  vita  così  miserabile  e  dolorosa  come  per 
lo  passato.  Dunque  la  fede  catolrca  crede  alla  neces- 
sità della  servitù ,  alla  fatalità  dell'  ingiustizia ,  al- 
l'impossibilità di  ogni  riforma.  Insomma ,  così  la 
ragione  come  la  fede  del  catolicismo  approvano  e  coQ'- 
sacrano  il  regno  del  male  in  su  la  terrai  Andate  ora, 
ed  aspettatevi  la  libertà  da  un  tale  sistema  1 

9  Principio  B.^  Convenienza  e  legitimità  dell'insur- 
»  rezione  per  distruggere  i  governi,  e  cangiare  l'or- 
D  dinamento  sociale.  —  Opinione  erronea  e  funesta. 
»  Sommessione  dovuta  ai  governi  legitimi;  necessità 
»  di  sopportare  pazientemente  anche  quelli,  che  abu-^ 
»  sano  delle  loro  facultà;  obligo  di  esaurire  tutti  i 
»  mezzi  di  preghiera ,  di  consìglio ,  di  rimostranza , 
»  prima  di  ricorrere  ad  altri  espedienti;  impiego  della 
»  forza  solamente  nei  casi  al  tutto  estremi,  rarissimi, 
»  e  sempre  con  molte  restrizioni.  »  Delle  quattro 
proposizioni,  che  quivi  Balmes  accenna,  le  prime  tre 
sono  pure  dottrina  catolica ,  e  commune  a  tutte  le 
scuole;  l'ultima  solamente  è  opinione  dei  teologi  /i- 
herali.  Ma  v'era  egli  da  levar  tanto  rumore  per  que- 
sto derisorio  diritto?  Perciocché,  in  sostanza,  egli 


75 


viene  a  dire  così:  diritto  d'inBurrezione,  a  patto  di 
non  insurgere  mai.  Oh  ironia  1  E  sta  tutta  qui  la  li- 
bertà, che  il  catolicismo  ne  può.  dare?  Anzi  no,  non 
è  nemmeno  il  catolicismo  che  ci  degni  di  tanta  lar- 
ghezza: la  chiesa  tace.  Sono  certi  teologi,  che  opi- 
nano così,  mentre  certi  altri  non  vogliono  udire  né 
anche  il  nome  di  resistenza.  Dunque  speculativamente 
la  cosa  è  dubìa;  e  praticamente  illecita.  Val  dunque 
meglio  la  franchezza  di  coloro,  i  quali  negano  affatto 
ogni  diritto  di  resistenza,  che  non  V  ipocrisia  di  co- 
storo, i  quali  con  una  mano  l'accordano,  e  con  l'al- 
tra lo  cancellano. 

»  Principio  4.°  Termine  del  progresso  del  genere 
»  umano,  l'abolizione  di  ogni  governo.  —  Proposi- 
»  zione  assurda ,  sogno  da  non  potersi  mai  effettuare. 
»  Necessità  di  governo  in  ogni  unione  di  persone; 
D  argumenti  fondati  su  la  natura  dell'uomo;  analo- 
»  gie  tratte  dal  corpo  umano,  e  dall'ordine  stesso 
»  dell'universo;  esistenza  di  un  governo  anche  nello 
»  stato  di  innocenza.  »  Su  questo  punto  non  è  pos- 
sibile alcuna  discussione  particolare  fra  i  teologi  e 
noi.  Essi  chiamano  sogno  il  nostro  ideale;  e  noi  chia- 
miamo favola  la  loro  natura  dell'uomo.  Essi  hanno 
ragione ,  data  che  sia  l' ipotesi  della  rivelazione  bì- 
blica e  del  peccato  originale;  ed  abbiamo  ragion  noi, 
provata  che  sia  insensata  ed  assurda  queir  ipotesi, 
mitica  la  rivelazione  di  Dio  e  la  caduta  dell'uomo. 
Ma  in  fine  codesta  è  questione  d'avvenire  e  d'ideale; 
lasciamola  lì:  ora  si  tratta  del  presente  e  del  reale. 
Balmes  adunque  ne  concede,  che  il  catolicismo,  stando 
pure  al  teologi  più  arditi  e  più  larghi,  nega  ad  uno 
ad  uno  tutti  i  principj  fondamentali  della  libertà  mo- 
derna (1). 

(i)  La  poUiica  del  catolicismo  vien  esposta  così  da  uno 
dei  più  caldi  difeosori  dei  papato:  »  L*autorité  dcs  princes 
»  vient  de  Dico  lui-méme,  qui  la  leur  conile,  pour  l'empio- 


76 

Io  finora  ho  oonoesso  al  signor  Balmes,  che  S.  To- 
maso  ammetta  pare  quel  cotale  diritto  di  resistenza, 
ch'egli  almen  di  nome  sostiene.  Adesso  poi,  perchè 
1  lettori  abbiano  un  altro  saggio  del  gran  valore  teo- 
logico, filosofico,  e  politico,  di  questo  novello  Santo 
Padre  dei  neocatolici ,  giova  sapere ,  che  Y  Aquinate 
insegna  espressamente  il  contrario  ;  cioè  professa  an- 
ch'egli  esclusivamente  la  dottrina  commune  della 
chiesa,  che  non  riconosce  mai  ne'sudditi  il  diritto  di 
opporre  la  forza  alla  violenza  de' loro  tiranni.  E  il 
più  curioso  si  è ,  che  Balmes ,  mentre  nel  testo  at- 
tribuisce a  S.  Tomaso  quell'opinione  senza  recarne 
alcuna  prova ,  in  una  nota  alla  fine  del  volume  4." 
riferisce  per  esteso  il  passo ,  dove  quel  dottore  espone 
la  sua  dottrina,  che  è  tutto  l'opposto.  La  cosa  è  tanto 
piacevole  e  strana,  che  merita  d'essere  conosciuta. 

S.  Tomaso  adunque,  uomo  di  vasto  e  profondo  in- 
gegno, ma  catolico  e  frate;  uomo,  che  consumò  la 
sua  vita  a  ricercare  in  Aristotele  un  assioma  per 
ogni  favola  ed  una  teorica  per  ogni  assurdo;  nel 
suo  famoso  opuscolo  De  regimine  'principum ,  lib,  /, 
cap.  VI,  pigliò  a  trattare  espressamente  la  questione: 
qual  debba  essere  il  contegno  del  popolo  verso  nn 
principe  tiranno.  Ed  incomincia,  al  solito,  con  una 
distinzione.  V'ha,  secondo  lui,  due  sorte  di  tiran- 

»  yer  au  bien  de  la  religion.  IIs  n*ont  d'aulres  supéricnrs 
9  que  Dieu,  qui  seuI  pent  leur  demander  compie  de  leurs 
»  actions,  par  Torgane  da  pape,  et  dcs  évéqaes,  ses  minislres 
»  et  ses  repróseo lanls.il  n'apfiarlient  dopc  pas  au  peuple  de 
»  juger,  bien  moins  encore  de  deslitner  le  souverain;  mais 
»  celui-ci,  par  sa  désobóissance  envers  Dieu  et  envers  Tégiise. 
n  cncourt  la  privalion  de  ses  droits;  et  il  apparlient  au  [pape, 
»  vicaire  de  Jesus  Christ  sur  la  terre,  ou  au  concile  general 
»  représenlant  l'église  universelle,  de  prononccr  contro  lui 
»  une  sentence  de  deposi  lion.  t  {Pouvoif  du  pape  au  m<h 
yen  àoe,  parL  lì,  cap.  IV.  art.  I.  n.®  509). 


77 
nìa:  Tuna,  che  non  è  eccessiva  ed  insoffribile;  l'al- 
tra, ch'eccede  ogni  misura  e  diviene  intolerabile.  Ora 
la  prima  si  dee  sopportare  in  pazienza  e  con  animo 
rassegnato  e  tranquillo:  questa  è  dottrina  catolica, 
fuori  d^ogni  controversia.  Ma  quanto  alla  seconda, 
ecco  in  compendio  la  sua  decisione: 

1.**  Alcuni  han  creduto,  che  in  tal  caso  uomini 
forti  e  coraggiosi  potessero,  a  rischio  della  propria 
vita ,  ammazzare  il  tiranno.  Ma  questa  opinione  è 
falsa  ;  perchè  repugna  al  precetto  degli  apostoli  ed 
all'esempio  de' primi  cristiani. 

2.®  Se  il  tiranno  è  un  principe,  che  dipenda  da 
qualche  magistrato  o  monarca  superiore  che  rabbia 
eletto;  i  sudditi  allora  possono  far  ricorso  al  tribu- 
nale di  questo  superiore  legitimo,  e  attendere  da  lui 
il  rimedio  alla  tirannide  che  li  opprime. 

3.°  Se  poi  il  tiranno  è  un  principe  indipendente, 
che  non  sottostia  a  verun  altro  potere  umano,  non 
resta  più  si  sudditi  altro  scampo  che  la  pazienza,  la 
penitenza ,  e  la  preghiera,  per  implorare  da  Dio  che 
gli  tocchi  il  cuore  e  lo  converta,  e  non  continui  a 
valersene  quasi  di  flagello  per  castigare  i  loro  pec- 
cati (1). 

(i)  »  Curandum  est,  si  rex  in  tyrannidem  diverleret,  qua- 
»  liter  possit  occurri.  Et  quidem  si  Don  fuerit  excessus  ty- 
j>  rannidis»  utiiius  est  remissam  tyrannidem  tolerare  ad  lem- 
»  pus,  quam  contra  tyrannum  agendo  multis  implicari  peri- 
>  GUlis,  quae  sant  graviora  ipsa  lyraunide.  —  Et  si  sit  into- 
»  ierabilis  excessus  tyrannidis,  quibusdam  visum  fuit,  ut  ad 
I»  fortium  virorum  virlulem  pertineat  tyrannum  ^nterimére, 
a  seque  prò  liberalione  multiiudinis  exponere  pericuUs^mor- 
»  tis:  cujus  rei  exeroplura  etiam  in  velcri  testamento  habe- 
»  tur.  Nam  Aiolh  quidam  Eglon  regem  Moab,  qui  gravi  ser- 
»  vilule  popuium  Dei  premebal,  sica  infixa  in  cjus  femore 
»  interemit;  et  factus  est  populi  judex.  Sed  hoc  aposlolicao 
»  doctrinae  non  congruit.  Docet  enim  nos  Petrus  non  bonis 


7S 

E  Balmes  ha  trovato  in  questo  stesso  luogo ,  che 
S.  Tomaso  ammette  il  diritto  di  resistenza!  Non  è 
anche  questa  una  scoperta  miracolosa? 

A  proposito  di  scoperte,  prima  di  accommiatarci 
da  S.  Tomaso  e  da  Balmes,  darò  a' lettori  un'altra 
notizia,  che  spiegherà  vie  meglio  che  cosa  valga  il 
catolicismo  con  1  suoi  teologi  e  la  sua  teologia.  Ho 
riferito  dianzi  la  tesi,  che  Balmes  a  nome  dell' Aqui- 
nate  contraponeva  al  quarto  principio  di  Lamennais. 
Quella  tesi  portava  la  necessità  di  un  governo  in  ogni 
unione  di  persone;  e  parca,  che  S.  Tomaso  l'avesse 
dimostrata  con  argumenti  fondati  su  la  natura  del- 
Vuomo ,  e  con  analogie  tratte  dal  corpo  umano  e 
dall'ordine  stesso  delVuniverso,  Or  bene-^  S.  Tomaso 

»  tantum  et  modeslis,  verum  clìam  discolis  dooiìnis  reveren- 
I)  ter  subditos  esse:  (llPelr.  1!).  Haecest  enim  gralia,  si  pro- 
«  pter  (conscìenlìaro  Dei  sustineat  quis  tristìtias  patiens  inju- 
»  sle.  —  Videtur  aulem  magis  conlra  tyrannorum  saeviliam 
e  non  privata  praesuntione  aliquorum,  sed  auctoriiate  pu- 
I»  blica  procedendum  Primo  quidam,  si  ad  jus  moltitudmis 
«  aiìcujufi  pertineat  sibi  providere  de  rege,  non  injasle  ab 
«  eadcm  rex  institutus  polest  deslitai,  vel  refrenari  ejus  poto- 
«>  stas,  si  potestate  regia  tyrannice  abutatur.  —  Si  vero  ad 

•  jus  alicujus  superioris  pertineat   muliitudini  providere  de 

•  rege,  expectandum  est  ab  eo  remedium  conlra  tyranni  ne- 
»  qniliam.  —  Quod  si  omnino  contra  lyrannum  ,  auxilium 
»  humanum  baberi  non  potest,  recurrendum  est  ad  regem 
»  omnium  Deum,  qui  est  adjutor  in  opportuni latibus,  in  tri- 
»  bulatiune.  Ejus  enim  polentiae  subest,  ut  cor  tyranni  era- 
»  dele  convertat  in  mansuetudinem ,  secundum  Salomoois 
M  sententiam .  Prov.  XII:  Cor  regis  in  manu  Dei:  quocum- 
»  quo  voluerit,  inclinabit  illud.  —  Sed  ut  boc  beneficium 
»  popnius  a  Deo  consequi  merea'tur,  debet  a  peccatis  cessare 

•  quia  in  ultionem  peccati  divina  permissione  impii  accipiunt 
»  principatum,  diceiite  Domino  per  Oseam,  Xill:  Dabo  Ubi 
»  regem  in  furore  meo.  Et  in  lob,  XXXIV,  dicitur,  quod  re- 
B  gnare  facit  bominem  propter  peccata  populi.  Toilenda  est 
»  igilur  culpa,  ut  cesset  tyrannorum  plaga.  » 


79 
nell'opuscolo  sovracìtato,  lib.  II,  cap.  X ,  allega  bensì 
quelli  argumenti  e  quelle  analogie  ;  ma  per  provare 
che  cosa  ?  La  necessità  di  un  governo  ?  No  ;  ma  la 
legit imita  naturale  della  servitù  1 1  L' angelo  delle 
scuole,  l'oracolo  della  chiesa,  intende  provare  esse 
aliquos  omnino  servos  secundum  naturam,  E  poi  il  si-- 
gnor  Balmes  ed  altri  grandi  scrittori  della  stessa  ri* 
sma  si  sfiatano  a  gridare,  che  l'abolizione  della  schia- 
vitù si  deve  alla  chiesa  l  Ma  S.  Tomaso ,  che  cono- 
sceva lo  spirito  della  -chiesa  assai  meglio  di  tutti  1 
Balmes,  1  Montalembert ,  i  Rendu,  e  compagni,  ri- 
sponde per  noi. 

Torniamo  alla  nostra  questione.  Invece  adunque 
della  distinzione  arbitraria  ed  illusoria  fra  la  dottrina 
della  chiesa  e  l'opinione  dei  teologi  ;  e  fra  i  teologi, 
che  ammettono  talvolta,  o  che  condannano  sempre  il 
ricorrere  alla  forza  contro  del  tiranno;  noi  diremo, 
che  la  chiesa  riconosce  nei  sudditi  una  sola  difesa 
dalle  prevaricazioni  e  violenze  del  potere:  ed  è  la  re-> 
sistenza  passiva,  ossia  il  diritto  di  lasciarsi  martiriz- 
zare; e  che  se  v'ha  degli  autori,  i  quali  concedano 
ai  popoli  qualche  cosa  di  più,  essi  contradicono  al- 
l'insegnamento costante,  perpetuo,  universale  del  ca- 
tolicismo ;  ed  in  faccia  alla  chiesa  e'  son  eterodossi. 

Ortodosso,  come  il  frate  d'Aquino,  è  il  vescovo  di 
Meaux;  ed  ecco  i  principali  teoremi,  ch'egli  prova 
con  grande  copia  di  testi  della  Bibbia,  a  guisa  delle 
più  certe  e  formali  proposizioni  di  teologia  (1):  «  H 
»  governo  monarchico  è  il  migliore  (Uh.  II,  art.  I, 
»  prop.  8).  —  Di  tutte  le  monarchie  la  migliore  è 
»  la  successiva  o  ereditaria,  sopratutto  quando  prò- 
»  cede  di  maschio  in  maschio,  e  di  primogenito  in 

(1>    PoUlique  tréi   des  profres    parchi    de   VÉiriturg 
Sainh. 


80 

»  primogenito  [prop,  9).  —  È  questa  la  migliore  co^ 
»  ^liluzìone  di  Stalo  che  sìa  possibile;  e  la  più  con- 
»  forme  a  quella,  che  Dio  stesso  ha  stabilita  [prop  11). 
»  —  Iddio  stabilì  i  re  come  suoi  ministri,  e  regna 
»  per  via  di  loro  su  i  popoli  {Ub.  IIU  art.  II,prop  1). 
»  — La  persona  dei  re  è  sacra  [prop.  2).  —  Si  deve 
»  obedirc  ai  principi  per  principio  di  religione  e  di 
»  coscienza  [prop.  3).  —  L'autorità  reale  è  assoluta 
»  (Ub.  /y,  art.  I).  —  Il  principe  non  dee  render 
ì>  coftto  a  nessuno  di  quello  che  ordina.  Bisogna  che 
»  il  suo  potere  sia  tale,  che  nessuno  possa  sperare 
»  di  sfugirgll  ;  e  la  sola  difesa  dei  privati  contro  il 
»  publico  potere  dev'essere  la  loro  innocenza  {prop.  1). 
»  —  Quando  il  principe  ha  giudicalo,  non  v'ha  più 
a  altro  giudizio.  Bisogna  dunque  obedire  ai  principi, 
»  come  alla  medesima  giustizia.  Eglino  son  dei,  e 
»  partecipano  in  qualche  maniera  dell'indipendenza 
»  divina.  Dio  solo  può  giudicare  i  loro  giudizj  e  le 
»  loro  persone.  11  principe  può  raddrizzarsi  da  sé 
»  medesimo,  quando  conosce  di  aver  fatto  male;  ma 
'  }D  contro  la  sua  autorità  non  può  esservì  rimedio 
»  che  nella  sua  autorità  [prop.  2).  —  Non  si  dà 
»  forza  coattiva  contro  del  principe.  In  uno  Stalo 
»  nessun  altri  è  armato,  fuorché  il  principe  (prop.  3). 
»  —  Il  popolo  deve  starsene  in  riposo  sotto  Tauto- 
»  rilà  del  principe  (prop.  5  ).  —  Il  popolo  deve  temere 
»  il  principe;  ma  il  principe  non  dee  temer  altro 
»  che  di  far  male.  Se  il  principe  teme  il  popolo, 
»  tutto  è  perduto  (prop.  6).  —  Il  principe  dee  farsi 
»  temere  dai  grandi  e  dai  piccoli  (prop.  7).  —  L'au- 
»  torità  reale  dev'essere  invincibile  (prop.  8).  — 
»  Coloro  che  intimoriscono  il  principe,  e  l'impedi- 
»  scono  di  operare  con  forza,  son  maledetti  da  Dio 
»  (prop.  9).  —  La  maestà  è  l'iniagìne  della  grandezza 
»  di  Dio  nel  prìncipe  (  Ub.  V,  art.  IV,  prop.  1  ).  — 
»  Bisogna  servire  lo  Stato,  come  il  prìncipe  vuole; 


81 
»  perchè  in  lui  risiede  la  ragione,  che  guida  lo  Stato 
»  {lib.  IV,  art,  I,  prop.  2).  —  1  sudditi  devono  al 
»  principe  un'intiera  obedienza.  Dio  ha  posto  i  re  ed 
»  i  principi  suoi  luogotenenti  su  la  terra,  a  fine  di 
»  rendere  la  loro  autorità  sacra  ed  inviolabile  (art.  II, 
»  prop.  1).  —  11  rispetto,  la  fedeltà,  e  T obedienza, 
»  che  si  devono  ai  re,  non  devono  alterarsi  per  al- 
»  cun  pretesto;  cioè,  essi  devono  sempre  rispettarsi 
»  e  servirsi,  quali  che  sieno,  buoni  o  cattivi  {prop.  4). 
»  —  I  sudditi  non  possono  opporre  alla  violenza  dei 
»  prìncipi,  fuorché  rimostranze  rispettose,  senza  am- 
»  mutinamento  e  senza  mormorio,  e  preghiere  per 
»  la  loro  conversione  {prop.  6).  » 

E  quanto  alla  sovranità  del  popolo  e  al  diritto 
d'insurrezione,  convien  leggere  il  suo  quinto  avver- 
timento ai  protestanti,  ove  Bossuet  in  nome  del  ca- 
tolicismo insegna,  che  «  questa  massima  è  nata  dal- 
»  l'eresia.  «  Prova,  che  «  non  v'ha  nulla  di  più  con- 
»  trarlo  allo  spirito  del  cristianesimo.  »  Mostra,  che 
»  o  si  considerino  i  precetti  della  Scrittura,  o  la 
^  maniera  in  cui  vennero  intesi  e  praticati  nella 
»  chiesa,  la  massima  che  prescrive  un' obedienza  a 
»  tutta  prova  verso  dei  re,  né  può  essere  un  sem- 
»  plico  consiglio,  né  un  precetto  accommodato  ai 
»  tempi  di  debolezza;  poiché  la  si  vede  stabilita  su 
»  principi,  ^^^  ^^^^  egualmente  di  tutti  i  tempi, 
»  quali  sono  l'ordine  di  Dio,  ed  il  rispetto  che  per 
»  amore  di  lui  e  pe  '1  riposo  del  genere  umano  si 
»  deve  alle  sovrane  potestà;  principi,  che  essendo 
»  tratti  dai  precetti  di  Cristo,  doveano  durare  (]uanto 
»  il  suo  regno.  »  Sostiene,  che  «  verun  privato  o 
»  suddito,  né  per  conseguente  veruna  parte  qualun- 
»  que  del  popolo  (poiché  questa  parte  del  popolo 
»  non  può  essere,  verso  del  principe  e  dell'autorità 
»  sovrana,  che  una  turba  di  privati  e  di  sudditi),  non 
))  ha  diritto  di  difesa  contro  il  potere  leglt imo.  »  Fa 


82 

vedere  da  ultimo,  che  «  dì  questo  preteso  potere  del 
»  popolo,  di  questa  sovranità  che  gli  si  vuol  attri- 
»  buire  naturalmente,  non  ve  n'è  alcun  atto,  nèal- 
»  cun  vestigio,  e  né  pure  il  minimo  sospetto,  in  tutta 
»  la  storia  santa,  in  tutti  li  scritti  dei  profeti,  in  tutti 
»  i  libri  sacri.  » 

Anche  Bergier,  fedele' agFinsegnaraenti  della  chie- 
sa: «  È  grande  questione,  dlcea,  fra  l'increduli  ed  i 
»  teologi  per  sapere,  da  chi  i  re  ricevano  il  loro  pò- 
»  tere,  quale  sia  il  principio  e  il  fondamento  della 
»  loro  [autorità,  I  primi  pretendono,  che  i  re  sono 
»  semplicemente  i  mandatarj  del  popolo;  che  !orlgi- 
»  nariamente  l'autorità  sovrana  appartiene  al  popo- 
»  lo;  che  è  desso,  che  la  conferisce  a'  suoi  capi;  che 
»  può  estenderla  o  restringerla  come  gli  piace;  e  che 
))  se  il  depositario  dell'autorità  ne  abusa,  il  popolo 
»  ha  diritto  di  riprenderla  e  di  spogliamelo.  Noi,  per 
»  lo  contrario,  noi  sosteniamo,  che  questo  sentimento 
»  è  falso,  assurdo,  sedizioso,  colpevole  (1).  » 

Il  vescovo  Frayssinous  dichiara  la  dottrina  della 
sovranità  del  popolo  «  dottrina  assurda  del  pari  che 
»  sediziosa,  la  quale  non  lusinga  la  moltitudine  che 
»  per  traviarla  ;  non  vanta  i  suoi  diritti,  se  non  per 
»  farle  violare  1  suoi  doveri.  Per  poco  che  si  vogliano 
»  esaminare  a  fondo  le  cose,  si  trova  che  le  parole 
)>  popolo  e  sovrano  non  si  legano  maggiormente  in- 
»  sieme,  che  le  parole  luce  e  tenebre.  0  bisogna  non 
»  intendere  sé  slesso,  ovvero  convien  dire,  da  una 
»  parte,  cly3  le  parole  sovranità,  potere  supremo,  di- 
»  ritto  di  comandare  sono  sinonimi;  e  dall'altra  fa 
»  d'uopo  convenire,  che  un  popolo  altro  non  è  che 
»  una  riunione  d'uomini  sotto  un  governo  commu- 
j>  ne.  Una  moltitudine  non  cessa  d'esser  tale  e  non 

(I)  Dictionnaire  di  Ihftilogie,  zri.  boi. 


83 
»  divien  popolo,  che  con  la  sottomissione  de' suoi 
»  niembri  ad  una  publica  autorità  (1).  » 

E  S.  Tomaso,  maestro  e  capitano  di  tutti  i  teologi, 
avea  pur  insegnato,  che  che  ne  pensi  il  signor  Balmes, 
la  stessa  dottrina  :  Princeps  dicitur  esse  solutus  a  le- 
gè,  quia  nullus  in  ipsum  potest  judicium  ferve,  si 
cantra  legem^agat  (2):  dottrina,  che  ricevette  una 
sanzione  formale  da  Pio  VII,  il  quale  fulminò  de'piu 
tremendi  anatemi  il  carbonarismo,  siccome  quello 
che  docet  integrum  esscy  seditionihus  excitatis,  reges 
caeterosque  impera/ntes,  quos  per  summam  injuriam 
tyraunos  passim  appellare  audet,  suapotestate  expo^ 
liare  (3). 

Udiste,  0  Italiani?  Udiste  quali  sieno  le  libertà, 
che  la  chiesa  catolica  vi  promette?  Obedire,  e  tace- 
re: ecco  i  vostri  diritti  d'uomini  e  di  cittadini  1  Lo 
straniero  opprime  la  vostra  patria?  Obedite.  Vi  spo- 
glia delle  vostre  sustanze?  Tacete.  Vi  caccia  in  esi- 
gilo, in  prigione,  in  galera,  su  le  forche?  Obeditee 
tacete.  Vi  corrompe  i  figlj,  vi  flagella  le  mogli,  vi 
tortura  le  madri?  Tacete  edobedite.il  Borbone  pro- 
scrive, ruba,  devasta,  saccheggia,  assassina?  Obedi le 
e  tacete.  Il  papa  maledice  ai  vostri  martiri,  santifica 
i  vostri  tiranni,  confisca  I  vostri  diritti,  viola  le  vo- 
stre coscienze,  vi  vende  agli  stranieri?  Tacete  ed  obe- 
dlte.  E  quando  la  piena  de'  vostri  dolori  sia  tanta  da 
non  poterla  più  sopportare,  avete  pronta  la  difesa  e 
sicuro  il  rimedio:  pregate  per  la  conversione  dei  vo- 
stri carnefici  11  Raccommandatevi  ai  vostri  preti  ;  paga- 
teli bene,  perchè  gridino  forte:  la  vostra  patria  avrà 
la  sua  indipendenza  e  la  sua  libertà,  quando  1  re, 

(1)  Dipesa  dbl  cristianesimo,  Conferenza  su  l'unione  e  lo 
appoggio  reciproco  della  religione  e  della  società. 

(2)  P.  1.  II,  q.  XCVI,  art.  V. 

(8)  Con$tit.  EccLEtiAM,  13  seUf'mbrd  i89l. 


84 

Timperatori,  ed  i  papi  se  l'avranno  intesa  co  '1  loro 
Dio,  e  si  saran  convertiti.  Ecco,  o  Italiani,  le  dolci 
speranze,  che  il  catolicismo  vi  porge.  Giù  è  tra  voi, 
che  osa  parlare  di  giustizia,  di  patria,  di  nazione,  di 
libertà,  di  diritto?  Quegli  è  un  ribelle,  un  traditore, 
uno  spergiuro ,  un  den^onio  :  è  la  santa  chiesa  cato- 
lica,  apostolica,  romana,  che  lo  ha  definito.  Catoli- 
cismo e  giustizia,  catolicismo  e  libertà,  catolicismo 
e  diritto,  catolicismo  e  patria,  sono  termini  repu- 
gnanti ed  inconciliabili  tra  loro:  è  il  vicario  di  Dio, 
l'organo  infallibile  dello  Spirito  Santo,  che  l'ha  de- 
ciso. Scegliete  adunque.  Chi  vuole  stare  con  la  chie- 
sa, ringrazii  l'Austria,  benedica  il  Borbone,  adorili 
papa,  e  si  porti  in  pace  la  servitù:  questa  è  la  sua 
religione.  Ma  chi  ama  la  patria,  chi  la  vuole  indipen- 
dente, libera,  gloriosa,  rompa  le  catene  dell'anima, 
scuota  il  giogo  della  chiesa,  e  facia  del  proprio  cuore 
un  tempio  alla  verità  ed  alla  giustizia:  è  questa  la 
sua  religione. 

L'alternativa  è  fatale,  inesorabile.  Il  catolicismo 
non  vuole  la  libertà,  perchè  non  può  volerla.  Esso 
è  l'autorità;  e  sente  bene  che  il  giorno;  in  cui  le 
nazioni  fossero  pienamente  libere,  esso  dovrebbe  scom- 
parire dal  mondo.  Proclamata  la  sovranità  nazionale, 
ed  instituiti  tutti  li  ordini  sociali  co  '1  sistema  elet- 
tivo per  via  di  suffragio  universale,  l'ordine  religioso 
non  potrebbe  far  eccezione.  Il  Commune  dovrebbe 
eleggere  i  suoi  sacerdoti,  se  pure  ne  volesse' ancor 
mantenere;  e  le  provincie  i  loro  vescovi.  La  gerar- 
chia diventerebbe  un  assurdo,  ed  il  papato  una  mo- 
struosità. Ora,  togliete  al  catolicismo  il  suo  papato 
e  la  sua  gerarchia;  esso  non  è  più.  Il  papa  dunque 
ed  il  suo  clero,  impugnando  la  libertà,  trattano  la 
causa  della  propria  esistenza,  e  fanno  il  loro  mestie- 
re; sono  consentanei  a  sé  stessi.  Chi  fa  prova  d'una 
cecità  incurabile  sono  quei  sedicenti  liberali,  che  coi- 


85 
rono  sempre  in  cerca  di  un  sistema,  onde  accordare 
insieme  la  ragione  e  la  fede,  la  libertà  e  la  chiesa. 
Ma  se  runa  è  la  negazion  rigorosa  dell'altra,  qual 
accordo  le  può  mai  conciliare?  Carattere  essenziale 
della  chiesa  è  la  sottomissione  della  ragione  alla  fe- 
de; e  carattere  essenziale  della  libertà  è  la  subordi- 
nazione della  fede  alla  ragione.  E  costoro  presumono 
fui  poterle  concertare  insieme? 

Dopo  tre  secoli  di  lutta  della  ragione  contro  la  fede, 
scoppiò  nella  rivoluzione  di  Francia  la  gran  lutta 
della  libertà  contro  la  chiesa;  e  non  è  ancora  finita. 
La  data  del  1789  segna  il  principio  dell'era  novella, 
in  cui  la  religione  de'  papi  deve  dar  luogo  alla  reli- 
gione dei  popoli.  Quella  cadde,  e  questa  surse  il  dì, 
che  venne  promulgato  l'Evangelio  della  libertà  mo- 
derna, la  Dichiarazione  dei  diritti  dell'uomo.  La  chie- 
sa, in  virtù  di  quell'atto  che  contiene  in  sé  tutta 
una  rivoluzione  dell'Umanità,  cessava  di  essere  la  le- 
gislatrice del  pensiero  e  della  coscienza  ;  non  era  più 
ima  religione,  ma  una  setta.  L'anima,  la  vita,  l'inspi- 
razione dei  popoli  non  istava  più  con  la  chiesa,  ma 
con  la  libertà  ;  la  libertà  fu  dunque  la  loro  religione. 
La  quale,  in  poco  più  dì  mezzo  secolo,  si  è  propagata 
in  tutti  i  paesi  cristiani;  ha  guadagnato  a  sé  le  let- 
tere, le  arti,  e  le  scienze;  ha  cominciato  a  riformare 
le  instituzioni  politiche,  sociali,  e  religiose;  e  si  é in- 
carnata così  profondamente  netle  idee,  ne' costumi, 
e  nei  bisogni  della  odierna  civiltà,  che  tutti  li  sforzi 
de' suoi  potenti  nemici  per  soffocarla  e  distruggerla, 
valsero  solo  a  crescerle  forza,  energìa,  ed  efficacia. 


CAPITOLO  UNDECIMO 


LIBEKTA^     D)  llMSF.GNAmiENTO 


Sotto  questo  titolo  il  programma  dei  catolicl  rao- 
chiude  le  due  forme  diverse,  che  può  ricevere  l'inse- 
gnamento: la  parola,  cioè,  e  la  scrittura.  A  questa 
risponde  la  libertà  della  stampa,  ed  a  quella  la  li- 
berta  deirinsegoamento,  preso  nello  stretto  senso  di 
scuola.  Tocchiamo  in  breve  Funa  e  l'altra  questione. 

Che  la  libertà  della  stampa  sìa  un  dogma  fonda- 
mentale della  moderna  democrazia,  la  è  cosa  tanto 
certa  e  notoria,  che  non  ha  mestieri  di  prova.  Nata 
con  la  rivoluzione,  la  libera  stampa  ne  segue  tutte  le 
vicende,  ne  partecipa  le  vittorie  e  le  sconfitte:  essa 
è  il  termometro  della  libertà.  In  essa  risiede  una 
nuova  potenza  del  nostro  secolo;  nell'ordine  morale 
essa  è  ciò  che  nell'ordine  materiale  il  vapore.  I  suoi 
nemici  lo  sanno;  e  però  quando  non  possono  soffo- 
carla affatto  con  una  censura  preventiva,  cercano 
d'infrenarla,  di  contenerla,  di  eluderla  con  una  legge 
speciale,  che  ne  reprima  quello  ch'essi  chiamano  l'o- 
buso.  Quindi  un'infinità  d'impacci,  dì  restrizioni,  di 
aggravj,  di  minacce;  brevetto,  patente,  bullo,  cau- 


87 

ziODe,  ecc.  Si  direbbe,  che  la  legge  su  la  libertà  della 
stampa  non  abbia  altro  scopo  che  quello  di  togliere 
alla  stampa  ogni  libertà. 

La  democrazia  detesta  questo  sistema.  Essa  proda- 
ma  libera  la  voce  delia  stampa,  come  libero  è  il  pen- 
siero dell'uomo;  e  non  riconosce  altro  limite  a  que- 
sta libertà  che  quello  commune  a  tutte  le  altre  libertà 
politiche,  civili,  e  religiose;  cioè,  il  diritto  altrui.  L'unica 
legge  repressiva  delia  stampa  dev'essere  il  codice  pe- 
nale; poiché  l'unico  abuso,  che  meriti  il  nome  di  de- 
litto, è  la  violazione  di  qualche  diritto  de' cittadini; 
violazione,  a  cui  la  sola  legge  generale  dee  prove- 
dere. È  giusto,  che  venga  punita  l'ingiuria,  la  ca- 
lunnia, la  diffamazione,  che  si  commettono  per  via 
della  stampa,  non  già  come  abuso  della  stampa,  sib- 
bene  come  ingiuria,  calunnia,  e  diffamazione.  Ma  per- 
chè mai  qualificare  abuso  di  stampa,  ed  Incriminare 
e  punire  un'idea,  un'opinione,  un  errore,  qualunque 
sia,  che  non  offenda  la  rigorosa  giustizia?  Chi  am- 
mette legitima  la  punizione  di  un  errore,  in  quanto 
è  un  errore,  pone  un  principio,  che  lo  porterà,  se  ri- 
spetta la  logica,  fino  all'Inquisizione.  Perocché  se  ò 
lecito  ad  un  governo  chiamar  delitto  un'eresia  poli- 
tica; come  non  sarà  lecito  ad  una  chiesa  giudicare 
delitto  un'eresia  religiosa?  E  se  la  prima  si  può  pu- 
nire con  la  multa  e  la  prigionia  ;  perchè  non  si  po- 
trà condannare  la  seconda  alla  tortura  ed  al  rogo? 
0  contradizioni  umane  1  Quelli  stessi  liberali  mode- 
rati, che  ostentano  il  più  profondo  orrore  del  Sant'Of- 
ficio e  della  sua  infernale  legislazione,  sono  gol  li  au- 
tori e  difensori  più  zelanti  della  legge  repressiva 
contro  la  stampai  Costoro  fremono  al  ricordare  i 
processi  che  si  giravano,  e  le  pene  che  s'infligevano 
dai  frati,  dai  vescovi,  dai  papi  a  chiunque  negava  un 
dogma  della  loro  chiesa;  e  poi  fanno  processare  e  pu- 
nire ogni  d\  dai  loro  tribunali  chiunque  ardisca  ne- 


88 

gare  un  dogma  della  loro  costituzione!  Ma  te  la  li- 
bertà di  stampa  si  ammette  come  un  diritto,  dev'es- 
sere assoluta;  se  non  si  ammette  come  un  diritto, 
dev'essere  abolita.  0  censura,  o  libertà:  non  havvi 
logicamente  alcuna  via  di  mezzo. 

— Ma  una  libertà  assoluta  di  parola  repugna;  perchè 
suppone,  che  non  si  possano  commettere  delitti  per 
via  della  parola.  —  Noi  abbiamo  già  definito,  in  qual 
senso  debba  chiamarsi  assoluto  ogni  diritto  naturale 
dell'uomo;  in  quanto,  cioè,  esclude  qualunque  restri- 
zione 0  limitazione  arbitraria  delle  leggi  positive.  Pe- 
rocché ogni  diritto  è  limile  a  se  stesso  in  virtù  del 
dovere,  che  involge  essenzialmente  nel  proprio  con- 
cetto; onde  la  libertà  di  ciascuno  viene  per  se  cir- 
coscritta dal  dovere  di  rispettare  la  libertà  di  tutti 
li  altri.  Questa  è  Tunica  norma,  a  cui  dee  confor- 
marsi la  legge;  e  però  l'unica  legge  della  stampa 
vuol  essere  il  diritto  commune.  Quali  sono  adunque 
i  delitti  di  parola,  che  la  giustìzia  può  e  deve  pu- 
nire? Sono  tutte  e  sole  le  violazioni  del  diritto  al- 
trui, perchè  importano  una  trasgressione  del  proprio 
dovere  sociale;  sono  dunque  le  offese  personali,  e 
nient'altro;  offese  da  qualificarsi  piuttosto  di  atti,  che 
non  di  parole.  Considerando  poi  la  parola  come  espres- 
sione del  pensiero  nell'ordine  astratto  o  speculativo 
che  dir  si  voglia,  in  qual  modo  potrebbe  mai  essere 
delitto? 

—  Come  errore,  oppongono  taluni;  perchè  legge  del 
pensiero  è  la  verità  ;  e  quindi  la  parola,  espressione  del 
pensiero,  non  ha  diritto  a  comparire,  se  non  in  quanto 
esprime  il  vero.  —  Ottimamente  :  rimane  solo  a  de- 
finire, quale  sia  la  verità;  poiché  colui  che  parla,  crede 
di  esprimere  il  vero;  e  quando  pure  mentisse  alla 
propria  coscienza,  sarebbe  questa  una  colpa  tutta  in- 
teriore, di  cui  nessuno  può  farsi  giudice  e  vcndìce- 


89 
tore.  Ma  unico  criterio  del  \%ro  è  la  ragione;  e  la 
ragione  non  è  patrimonio  o  proprietà  esclusiva  di 
nessun  individuo,  di  nessun  ceto,  di  nessun  tempo, 
di  nessun  luogo:  è  diritto  di  tutti;  diritto  così  na- 
turale, essenziale,  ed  inalienabile,  come  l'aria,  la  lu- 
ce, la  vita.  Se  altri  erra,  voi  potete,  e  dovete,  in 
nome  della  ragione,  combatterlo  per  disingannarlo; 
ma  nessuno  ha  diritto,  in  nome  della  verità,  di  chiu- 
dergli la  bocca  e  d' imporgli  silenzio:  la  credenza 
dell'uno  vale,  in  diritto,  quanto  la  credenza  dell'al- 
tro; polche  l'uno  e  l'altro  si  suppongono  persuasi 
d'esprimere  la  verità.  Ora  chi  potrebbe  arrogarsi  la 
facultà  giuridica  di  sentenziare  quale  dei  due  s'in- 
ganni? Il  maggior  numero?  Ma  esso  non  è  infalli- 
bile; e  l  autorità,  che  i  più  volessero  esercitare  su 
l'opinione  degli  altri  disidenti,  fossero  pur  pochi, 
fosse  un  solo,  sarebbe  iniqua  ed  usurpatrice.  I  pochi 
posson  bene  aver  ragione  contro  i  molti,  uno  contro 
lutti;  e  se  il  consenso  generale  è  una  forte  presun- 
zione del  vero,  non  è  mai  un  criterio  supremo.  Dun- 
que non  dà  al  potere  sociale  il  diritto  di  costringere 
né  all'assenso,  né  al  silenzio  i  disenzienti. 

—  Ma  li  può  costringere  al  silenzio  in  home  del  bene 
publico;  giacché  la  parola,  come  ogni  atto  umano, 
non  ha  diritto  a  comparire,  se  non  in  quanto  tende 
al  bene.  —  E  siamo  da  capo.  Il  principio  é  eccellen- 
te; ma  a  chi  spetterà  d'applicarlo?  Chi  ricevette  mai 
dalla  natura  o  dalla  società  il  mandato  giuridico  di 
definire,  con  sentenza  perentoria,  quale  sia  il  bene? 
Nessuno.  Il  bene,  come  la  verità ,  non  conosce  altro 
criterio  che  la  ragione:  dunque  alla  ragione  sola 
spetta  di  giudicarne;  e  la  ragione  è  di  tutti,  e  di 
nessuno.  Il  vero  ed  il  bene,  considerati  objettivamen- 
te,  in  sé  stessi,  saran  concetti  assoluti,  immutabili, 
eterni,  quanto  e  come  volete;  ma  subjettivamente, 
per  rispetto  all'uomo,  alla  storia,  all'Umanità,  sono 
II.  7 


concetti  relatWi.  La  cognlzloae ,  che  si  ha  quaggiù 
del  vero  e  del  bene,  non  è  e  non  può  essere  perfetta  ; 
giacché  l'intelletto  umano  non  è  infinito.  Se  ne  ha 
dunque  una  cognizione  essenzialmente  imperfetta;  e 
quindi  sempre   mutabile,  modificabile,  progressiva. 
Quanti  giudizj  chiamavansi  verità  in  un'epoca,  e  nella 
seguente  si  chiamavano  errori!  Quante  leggi  si  vene- 
ravano per  sacre  da  una  generazione,  e  dalla  ve- 
gnente si  proclamavano  inique  1  Ieri  credevasi  verità 
una  proposizione,  che  òggi  si  dimostra  un  errore; 
oggi  reputiamo  un  bene  quell'instituzione,  che  domani 
riconosceremo  un  male;  e  via  di  seguito,  sempre 
così.  E  non  è  già  che  il  vero  si  trasnaturi  e  diventi 
errore,  o  che  il  bene  si  trasformi  e  divenga  male: 
no,  il  vero  ed  il  bene  rimangono  in  sé  stessi  quello 
che  sono;  ma  varia  la  conoscenza,  che  Tuomo  ne  acqui- 
sta. Ora  questo  passaggio  dall'errore   alla   verità  e 
dal  male  al  bene,  o  piuttosto  da  un  sistema    di  co- 
gnizioni e  di  leggi  molto  imperfetto  ad  un  altro  mi- 
gliore, chi  l'ha  mai  operato?  La  lutta  della  ragione 
dei  pochi  contro  il  pregiudizio  delle  moltitudini.  Da 
principio  era  qualche  voce  potente,  ma  solitaria,  che 
tonava  contro  le  credenze  e  le  abitudini  [vulgari;  poi 
quella  voce  destava  un'eco  negli  animi   più  pronti 
alla  verità,  più  docili  al  bene;  poi  questi  trasfunde- 
vano  in  molti  altri  il  proprio  convincimento,  e  que- 
sti in  altri  ancora  ;  finché  ottenuto  l'assenso  dei  più, 
la  loro  idea  diveniva  l'opinion  del  paese,  e  la  reli- 
gione dell'epoca.  Così  la  moltitudine,  accortasi   del 
suo  torto,  dà  ragione  ai  pochi ,  che  daprima  teneva 
in  conto  di  faziosi  e  di  visionar],  Avea  dunque  il  di- 
ritto di  sforzarli  a  tacere? 

—  Ma,  con  la  libertà  assoluta  della  stampa,  altri  si 
farebbe  publicamente  apostolo  d' immoralità ,  d'atei- 
smo, di  communismo,  d'anarchia:  la  società  si  dis- 
solverebbe, e  precipiterebbe  in  ruina,  venendole  meno 


91 

le  basi  stesse  della  religione^  della  famiglia,  delh  pro- 
prietà, della  giustizia,  ecc.  —  Non  ho  mai  potuto  ca- 
pire, come  uomini,  che  vogliono  passare  per  onesti 
ed  assennati,  ricorrano  a  questo  argumento,  che  è 
un  vero  miracolo  di  goffaggine  e  di  assurdità.  E  con 
qual  altro  nome  debbo  io  chiamare  questi  ridicoli  e 
miserabili  timori?  0  che  volete  rispondere  a  chi  mo- 
stra avere  della  società  un  concetto  cosi  indegno, 
così  stravolto,  che  stima  le  parole  d'un  pazzo  o  di 
un  mascalzone  più  che  sufficienti  a  metterla  tosto  a 
soqquadro,  ed  a  mandarla  tutta  sossopra?  E  una  so- 
cietà, la  cui  esistenza  dipendesse  continuamente  dai 
capricci  di  qualche  mentecatto  o  dalle  passioni  di 
qualche  ribaldo,  non  sarebbe  una  mostruosità  nell'or- 
dine dell'universo?  Non  sarebbe  una  negazione  vi- 
vente e  parlante  d'ogni  concetto  di  Dio,  di  previ- 
denza, e  di  natura? 

Ohi  rassicuratevi,  calunniatori  dell'Umanità;  la 
legge  sociale  può  sfidare  tranquillamente  li  assalti 
di  tutti  i  furiosi,  di  tutti  i  tristi  del  mondo;  perchè 
è  invincibile  ed  immortale.  Essa  è  ìnstinto,  e  non 
arbitrio  ;  bisogno,  e  non  elezione  ;  natura,  e  non  vo- 
lontà: può  dunque  ridersi  delle  vostre  paure,  come 
ride  degli  attentati  di  chi  che  sia.  Certo,  òhi  no'I 
vede?  la  vostra  società  troverassi  a  mal  partilo,  e 
correrà  estremi  pericoli,  appena  che  la  libertà  possa 
muoverle  guerra  franca  ed  aperta  ;  ma  la  vostra  so- 
cietà è  ella  forse  la  società? 

Ah ,  voi  paventate  l' ateismo  1  Avete  mille  ragioni. 
Quel  vostro  Pio  assurdo,  che  voi  deridete  in  vostro 
cuore,  ma  che  adorate  in  publico,  perchè  è  il  vostro 
punto  d'appoggio  a  dominare,  ad  opprimere,  ad  ar- 
ricchire, a  godere;  quel  Dio  bestiale,  che  voi  annun- 
ziate ai  popoli  buono,  perchè  li  tribola;  giusto,  per- 
chè li  abbandona;  potente,  perchè  li  danna;  saggio, 
perchè  11  dispera;   misericordioso,  perchè  m   diletta 


n 

delle  loro  lacrime,  gioisce  de'  loro  dolori,  si  pasce 
del  loro  sangue,  vive  della  loro  morte;  sì,  quel  vo- 
stro Dio,  orribile  impasto  di  favole,  di  tenebre,  di 
assurdità,  di  contradizione,  e  di  nulla,  cadrà,  cadrà 
senza  fallo,  cadrà  senza  rimedio,  dal  suo  trono  aereo, 
dinanzi  al  sole  della  libertà.  Ora,  se  questa  caduta 
sarà  una  ])erdita  per  voi,  non  sarà  forse  un  guada- 
gno troppo  prezioso  pe'l  genere  umano? 

Ah,  voi  tremate  del  communismoi  E  non  avete 
torto.  Quella  vostra  proprietà,  che  ai  più  di  voi  co- 
stò solamente  la  pena  di  nascere,  ed  agli  altri  la  gran 
fatica  di  rubare  signorilmente  per  via  di  frodi,  d'u- 
sure, d'intrighi,  di  prostituzioni;  quella  proprietà,  che 
voi  spremeste  dal  sudore  dei  poveri,  dal  pianto  delle 
madri,  dall'obolo  dei  vecchi,  dal  tozzo  degli  orfanelli; 
sì,  quella  proprietà,  che  rende  lieti  e  felici  voi  a  patto 
di  mantenere  nella  miseria  e  neirabjezìone  le  Innu- 
merabili  milliaja  dei  vostri  fratelli,  non  dee  sembrare 
alla  libertà  cosa  tanto  sacra  ed  inviolabile,  come  voi 
la  predicate.  Forse  il  cuore,  l'aiiìma,  la  vita  dei  po- 
poli appariranno,  alla  luce  della  libertà,  cose  non 
meno  inviolabili  e  un  po'  più  sacre  de'  vostri  tesori  ; 
forse  la  libertà,  per  amore  di  giustizia,  ordinerà  lo 
Stato  in  modo,  che  il  diritto  di  vivere  non  sia  più 
un  privilegio  della  vostra  casta  rapace,  ma  una  con- 
dizione universale  di  tutti  i  membri  dell'umana  fa- 
miglia; forse  la  facultà  di  rubare  a  man  salva,  di 
nutrirvi  della  fame  altrui,  e  d'ingrassare  dell'altrui 
miseria,  sotto  il  regno  della  libertà,  non  vi  sarà  più 
concessa.  Ora,  se  questa  privazione  a  voi  riescirà 
una  disgrazia,  non  riescirà  invece  una  bella  ventura 
per  l'Umanità? 

Ah,  voi  temete  dell' anarchia  1  E  fate  benissimo. 
Quel  vostro  ordine,  che  vi  costituisce  altretanti  ti- 
rannelli  in  seno  alle  nazioni ,  e  tien  prostrati  a'  vo- 
stri piedi  i  p(H>oli  tutti,  umili,  timidi,  sottomessi,  ra»- 


93 
segnati;  queir  ordine  despotìco,  che  rìmeUe  nel  vo- 
stro arbitrio  ì  diritti,  le  sustan^e,  la  vita  medesima 
di  millioni  d'uomini,  l'ultimo  de'  quali  vale  non  meno 
che  il  primo  di  voi  ;  quell'ordine  scandaloso,  che  la- 
scia a  voi  soli  la  facultà  di  fare  tutto  quanto  volete, 
ed  agli  altri  impone  l'obligo  dì  fare  solo  ciò  che  vi 
piace;  sì,  quell'ordine,  sonata  l'ora  della  libertà,  dee 
scomparire  dal  mondo  civile,  di  cui  ormai  è  flagello 
ed  ignominia.  Il  monopolio  delle  forze,  degli  onori, 
e  de'  poteri  non  ìstarà  più  in  vostra  mano;  la  libertà 
lo  toglierà  a  voi  per  restituirlo  alla  nazione,  alla 
quale  non  potrete  più  comandare,  ma  dovrete  ser- 
vire come  ogni  altro  cittadino.  Ora,  se  questa  vostra 
decadenza  voi  la  chiamate  una  spaventevole  ruina, 
la  società  non  dovrà  forse  riguardarla  come  un  rior- 
dinamento avventuroso? 

Se  dunque  per  ateismo  intendete  la  negazione  del 
vostro  I»io,  per  communismo  la  distruzione  della  «o- 
stra  proprietà,  per  anarchia  l'abolizione  del  vostra 
ordine;  la  democrazia,  anzi  la  società  non  solamente 
non  teme,  ma  brama  che  tutte  le  tipografie  dell'u- 
niverso divengano  catedre  d'anarchia,'di  communismo, 
e  d'ateismo.  Perciocché  quell'ateismo  avrà  per  iscopa 
e  per  effetto  di  sostituire  al  Dio  del  papa  il  Dio  del- 
l'Umanità; quel  communismo,  di  [surrogare  la  pro- 
prietà esclusiva  di  pochi  con  la  proprietà  accessibile- 
a  tutti;  e  quell'anarchia,  di  scambiare  l'ordine  della 
morte  con  la  libertà  della  vita.  Chi  accusa  questo* 
scopo  e  si  duole  di  questo  effetto,  parla  per  interesse; 
e  tratta  i  suoi  affari.  Con  lui  far  appello  al  diritto, 
alla  giustizia,  all'Umanità,  egli  è  tempo  perduto;  è 
usare  un  linguaggio,  ch'ei  non  capisce  e  non  vuol 
capire.  A  persuaderlo  fa  d'uopo,  non  una  discussione, 
ma  una  rivoluzione.  E  peggio  per  lui  :  l'avrai 

Qualora  poi  si  lasci  ai  vocaboli  il  proprio  signifi- 
cato, tutte  quelle  paure  della  libertà  dì  stampa  ap- 


H 

paj&no,  qnali  «ono,  ridicole  od  assurde;  perchè  si  ri- 
feriscono  all' impossibile.  È  impossibile  l'ateismo:  pol- 
che il  vero  ateismo  importa  la  negazione  assoluta 
dell'essere;  e  l'essere,  nell'ordine  ideale  è  condi- 
zione essenziale  di  ogni  pensiero;  e  nell' ordine  reale, 
di  ogni  atto  e  d'ogni  cosa.  Dunque  il  negarlo  repugna. 
Ora  ciò  che  repugna,  ne  anche  Dio  lo  può  fare  ;  e  voi 
temete  che  lo  facia  l'uomo?  —  È  impossibile  il  com- 
munismo  :  poiché  il  vero  communismo  include  la  ne- 
gazione assoluta  della  proprietà  ;  e  la  proprietà  è  un 
bisogno  naturale  della  vita  umana,  così  per  rispetto 
all'individuo,  come  alla  famiglia  ed  alla  società.  Dun- 
que il  negarla  torna  lo  stesso  che  il  negare  la  vita 
privata  e  publica  dell'uomo.  E  voi  temete  che  TU- 
manità  commetta  questo  suicìdio?  —  È  impossibile 
l'anarchia:  poiché  la  vera  anarchia  implica  la  nega- 
zione assoluta  dell'ordine;  e  l'ordine  è  principio  or- 
ganico di  tutta  la  natura,  e  legge  suprema  dì  tutte 
le  sue  manifestazioni.  Dunque  il  negarlo  sarebbe  un 
rovesciare  la  condizione  stessa  dell'esistenza  di  ogni 
cosa;  e  quindi  un  distruggere  la  natura  medesima 
dell'umano  consorzio.  E  voi  temete  che  una  nazione 
lo  facia? 

Timori  così  fatti  sono  dunque  irragionevoli  e  pue- 
rili per  parte  d'ogni  persona  sensata.  Ma  quanto  più 
devono  parere  inconcepibili,  inescusabili  per  parte 
de'  nostri  avversarj,  che  si  professano  clamorosamente 
amici  e  tutori  della  religione  1  Credere,  che  il  mondo 
è  creato,  conservato,  e  governato  da  Dio;  che  que- 
sto Dio  è  potenza,  sapienza,  bontà,  giustizia  infinita; 
che  tutti  li  esseri  diluendone  affatto  da  lui,  e  quanto 
all'esistere,  e  quanto  all'operare;  che  non  si  muove 
nulla,  non  si  fa  nulla,  non  avvien  nulla,  ch'egli  non 
voglia  0  non  permetta,  e  non  disponga  sempre  al 
suo  fine;  che  la  sua  legge  domina  e  guida,  non  che 
le  cause  cicche  e  necessarie,  ma  anche  le  libere  e 


95 
iateliigenti ;  che  Tordiae  della  società,  some  quella 
deir universo,  è  stabilito  e  retto  da  lui  solo;  ch« 
nessuna  forza,  nessuna  volontà  creata  può  nulla 
contro  de' suoi  decreti:  e  poi  temere  nello  stesso 
tempo,  che  un  libricciuolo  o  un  giornaletto  possa  por-' 
tare  il  finimondo!  Come  si  può  egli  accordare  una 
tale  credenza  con  un  tale  timore? 

No,  la  questione  non  istà  nell'  ammettere  o  nel  ne- 
gare l'idea,  il  principio,  o  il  sentimento  che  dir  si 
voglia,  dell'ordine,  della  proprietà,  della  religione. 
Come  sentimenti,  l'uomo  li  prova;  come  principj,  li 
afferma;  come  idee,  le  riconosce  in  virtù  di  un  in- 
stinto, di  un  bisogno,  di  un  lume  affatto  naturale, 
e  quindi  necessario  e  irresistibile.  Ma  tutto  sta  a 
determinare  e  stabilire  le  instituzìoni  sociali,  in  cui 
si  traducono  e  si  effettuano  quelle  idee  innate,  quel 
principj  spontanei,  que' sentimenti  instintivi;  tutto 
sta  a  decidere,  quali  sieno  le  instituzìoni,  che  meglio 
possano  attuare  e  rappresentare,  in  una  data  epoca 
della  storia,  la  proprietà,  l'ordine,  e  la  religione.  E 
questo  lato  del  problema  è  assai  diverso  dall'altro; 
e  quanto  il  primo  apparisce  costante,  universale,  as- 
soluto, tanto  il  secondo  risulla  vario,  mutabile,  re- 
lativo. La  storia  è  un  perpetuo  documento  di  questo 
fatto;  e  c'insegna,  come  non  solamente  ne' diversi 
popoli,  ma  eziandio  nelle  diverse  età  di  ciascun  po- 
polo si  vengano  modificando  e  trasformando  tutte 
le  instituzìoni  politiche,  civili,  e  religiose.  Dunque  i 
razionalisti,  che  combattono  oggidì  il  cristianesimo, 
non  negano  punto  la  religione*;  i  socialisti,  che  ora 
impugnano  i  codici,  non  negano  mica  la  proprietà; 
i  republicani,  che  adesso  osteggiano  le  monarchie, 
non  negano  già  l'ordine;  ma  negano  solo  quelle  in- 
stituzìoni ingiuste,  iniqye,  tiranniche,  assurde,  che 
voi  osate,  profanando  i  più  sacri  vocaboli,  chiamare 


96 

Tordine,  la  proprietà,  la  religione;  e  vogliono  con 
una  serie  di  riforme  progressive  dare  alla  società  mo- 
derna tali  instituzioni,  che  rispondano  meglio  al  con- 
cetto, ch'ella  s'è  formato  dell'ordine,  della  religione, 
e  della  proprietà.  Direte  voi,  che  s'ingannano?  Ma 
essi  provano,  che  v'ingannate  voi.  Direte,  che  le  loro 
innovazioni  sono  funeste?  Ma  essi  mostrano,  che 
sono  funeste  le  vostre  anticaglie.  E  v'  ha  questa  dif- 
ferenza grandissima  tra  la  vostra  critica  e  la  loro , 
ch'essi  censurano  il  passato,  e  voi  l'avvenire;  essi 
le  cose  già  fatte,  e  voi  le  cose  ancora  da  farsi;  essi 
la  realtà,  e  voi  la  conghiettura.  Essi  adunque  com- 
battono voi  in  nome  della  publica  esperienza;  e  voi 
li  combattete  in  nome di  che?  de'  vostri  sogni. 

Nulla  ho  detto,  né  dirò  in  particolare  di  quelli, 
che  accusano  la  democrazia  di  voler  abolire  la  fami- 
glia. Una  sola  punizione  io  stimerei  degna  di  così 
stupidi  calunniatori;  e  sarebbe  di  obligarli  a  defì- 
nire  la  loro  accusai  Oh,  la  famigliai  Associazione 
primordiale,  unità  elementare  della  nazione,  società 
anteriore  allo  stesso  individuo,  instituzione  così  indi- 
struttibile come  l'Umanità;  così  inalterabile  come  la 
natura  (1)1  E  v'  ha  chi  teme  per  la  sua  esistenza? 
V'ha  chi  incolpa  tutto  un  partito  numerosissimo,  dì 
volerla  distruggere?  E  noi  dovremmo  prendere  in 
su'l  serio  codeste  follie?  Stiamo  a  vedere,  che  un 
dì  0  l'altro  c'imputeranno  qualche  segreta  cospira- 
zione per  abolire  la  gravità  dei  corpi,  arrestare  il 
moto  de'  pianeti ,  spegnere  la  luce  del  sole.  E  noi 
dovremmo  scendere  a  giustificarci? 

Ricapitoliamo.  La  libertà  di  stampa  è  un  diritto; 
vuol  essere  dunque  assoluta.  Nessun  freno  le  si  può 
imporre  con  leggi  speciali;  né  in  nome  del  vero  e 
del  bene,  perché  nessun  potere  dello  Stato,  nessuna 
maggioranza  del  popolo,  e  lo  stesso  consenso  una- 

(-f)  L  nLANG,  Noiweau  Monde,  n,  4  —  45  octobre  i849. 


97 
nìme  della  nazione  non  può  arrogarsi  T  autorità  dì 
giudice  supremo  e  di  legislatore  infallibile  del  vero 
e  del  bene;  né  in  nome  della  sicurezza  della  socie- 
tà, perchè  i  veri  elementi  costitutivi  della  società 
sono  principj  naturali,  contro  di  cui  ogni  attentato 
dell'uomo  è  vano  ed  impossibile.  Della  libera  slampa 
hanno  a  temere  soltanto  le  umane  instituzioni,  che 
sono  intrinsecamente  relative ,  transitorie  ,  varia- 
bili; e  quindi- suggette  alla  legge  di  progresso  e  tra- 
sformazione, che  presiede  air  andamento  continuo 
dell'universo.  Questo  timore  adunque  non  può  alber- 
gare se  non  in  coloro,  che  vogliono  a  tutto  loro 
profitto  l'immobilità  perpetua  delle  cose  umane;  e 
si  propongono,  qual  ideale  della  società,  di  conver- 
tire tutta  la  terra  in  un  monastero  o  in  una  caserma. 
Agli  occhi  loro,  ogni  sintomo  di  vita  e  di  moto  è 
un  segnale  di  mina;  ogni  indizio  di  libertà  e  di 
progresso  è  una  minaccia  d'esterminio.  Ma  la  demo- 
crazia che  può  mai  aver  di  commune  con  siffatta  gente 
e  con  siffatto  sistema? 

Passiamo  alla  libertà  d'insegnamento,  che  è  forse 
la  questione  più  diffìcile  e  complicata,  che  ne  resti 
a  risolvere.  Qui  la  controversia  non  è  più  solamente 
fra  i  nemici  ed  i  fautori  del  progresso,  ma  fra  i  pro- 
gressisti medesimi  le  opinioni  sono  diverse  e^  contra- 
rie. Alcuni  preoccupati  forte  dell'  influenza  malefica,  che 
le  sette, e  principalmente  la  gesuitica,  potrebbero  eser- 
citare su  la  generazione  adolescente,  considerano 
l'instruzione  come  un  officio  amministrativo,  e  ne 
incaricano  esclusivamente  lo  Stato.  Altri  più  solle- 
citi del  principio  della  democrazia,  tengono  pure  la 
libertà  d'insegnamento  per  un  diritto,  e  la  procla- 
mano un'applicazion  necessaria  dell'  idea  di  libertà 
e  di  eguaglianza.  I  catolici  poi,  ài  loro  solilo,  distin- 
guono:  negli  Stati,  ove  domina  e  governa  la  loro 


98 

chìeso,  negano  questa  libertà  del  jiari  che  tutte  le  altre; 
ma  nei  paesi,  dove  non  possono  far  da  padroni,  invoca- 
no ed  esìgono  ad  alte  grida  la  libertà  d'insegnanienio, 
come  un  diritto  sacro  di  coscienza.  Di  costoro  par- 
lerò più  innanzi.  Ora  dovendo  solo  mettere  in  chiaro 
il  programma  della  libertà,  esaminerò  primieramente 
la  questione  sotto  il  suo  aspetto  generale  e  speculati- 
vo; e  poscia  dal  lato  dell'applicazione  e  della  pratica. 

E  quanto  al  primo,  la  democrazia  professa  oggi- 
mai  universalmente  questi  principi*. 

Lo  Stato  dee  provedere  alla  publica  educazione; 

Questa  educazione  dee  prescindere  dai  dogmi  par- 
ticolari delle  diverse  religioni  (1)  ; 

L'insegnamento  in  tutti  i  gradi  dev'essere  gratuito; 

Nel  primo  grado,  obligatorio  e  commune; 

A  questa  obligazione  possono  anche  soddisfare  i 
genitori,  che  ammaestrano  presso  di  sé  ì  loro  figlj, 
mediante  l'esame  regolare. 

Fin  qui  tutti  sono  d'accordo.  La  difficullà  consi- 
ste nel  vedere,  se  a  lato  delle  scuole  publìche,  deb- 
basi  concedere  che  si  aprano  liberamente  scuole  pri- 
vate, eziandio  dal  clero.  Ma  questa  difficultà,  per 
conto  nostro,  non  sussiste  più.  Perciocché  noi  favel- 
liamo adesso  della  società  democraticamente  costituita; 
società,  in  cui  sieno  ammesse,  riconosciute,  attuate 
le  libertà  essenziali  al  nostro  sistema,  libertà  reli- 
giosa, libertà  civile,  libertà  politica,  in  quel  senso 
largo  ed  assoluto  che  abbiamo  spiegato.  E  vuol  dire, 
che  supponiamo  già  effettuata  la  totale  separazioìie 
della  chiesa  dallo  Stato;  e  per  ciò, 

(1)  Chaquo  fois  que  l'on  parie  d'éducation  el  d'inslrucUon 
nalionale  dans  1«  Parlement  d'Anglelerre,  M.  Hume  se  lève 
et  dil:  »  Je  crois  devoir  rappeler  à  la  Chambre,  que  la  pò- 
»  pulation  la  plus  inlelligenle,  la  plus  laborieuse  du  monde, 
»  est  celle  du  Massachussels,  Elat  amérìcain,  où  rinstruc-_ 
»  tìon  lai'que  est  absolument  sóparèe  de  rijnslruclion  reli 
»  gieuse   »  [ke  Siede,  3  fivvier  1853),- 


9» 

Che  non  vi  sia  più  religione  alcuna  di  Stalo; 

Che  il  clero  non  debba  più  essere  una  casta,  nò 
godere  di  nessun  privilegio;  e  quindi 

Che  i  beni  delle  chiese  passino  tutti  nelle  mani 
della  nazione; 

Che  la  legge  civile  non  riconosca  più  nessun  voto 
ecclesiastico  o  religioso; 

Che  sia  interdetta  ai  giovani  la  carriera  clericale, 
finché  non  abbiano  terminato  il  loro  servizio  militare; 

Che  vengano,  per  conseguente,  soppressi  tutti  i 
seminar]  ed  i  conventi; 

Che  i  preti  ed  i  vescovi  sieno  eletti  dal  popolo,  e 
mantenuti  a  spese  private  dei  fedeli  cheli  vorranno; 

Che,  in  somma,  la  chiesa  ed  ogni  altra  setta  reli- 
giosa non  esistano  più  nello  Stato,  se  non  come  so- 
cietà meramente  spirituali  e  private. 

In  queste  condizioni,  non  veggo  più  qual  sinistra 
influenza  potrebbe  temersi  da  parte  del  clero.  Esso 
consta  di  due  elementi  :  mistero  e  privilegio.  Toglie- 
tegli questo,  con  ragguagliarlo  al  diritto  comraune; 
e  quello,  con  ischiudere  le  porte  del  santuario:  il 
clero  non  è  più. 

—  Voi  dunque  violentate  la  sua  coscienza.  —  Se 
Tassuggettarlo  al  diritto  commune  e  trattarlo  come 
ogni  altra  classe  di  cittadini,  senza  eccezioni  né  pri- 
vilegi ,  è  un  fargli  violenza ,  io  non  ho  che  ridire  : 
questa  ch'esso  chiama  violenza,  nel  vocabolario  della 
ragione  e  dell'Umanità  si  chiama  giustizia.  E  noi,  po- 
sti nella  necessità  di  offendere  o  le  leggi  della  giu- 
stizia, 0  le  pretensioni  del  clero,  non  esiteremo  giam- 
mai. E  allora  il  clero  si  dolga,  non  della  libertà,  ma 
di  sé  stesso;  e  vegga,  che  mostruosità  sia  un'associa- 
zione, a  cui  la  giustizia  riesce  violenza.  Un'associa- 
zione, che  non  può  esistere  se  non  fuori  del  diritto 
commune,  è  un  nemico  naturale  della  società,  la 
quale  ha  non  solo  il  potere,  ma  l'obligo  indeclina- 


100 

bile  dì  abolirla .  Se  poi  per  violenza  Intendesì  una 
violazione  di  qualche  diritto  reale,  ohi  il  clero  può 
vìvere  sicuro.  La  democrazia  sente  troppo  la  dignità 
della  propria  coscienza,  perchè  possa  mai  profanare 
Taltrui.  Essa  non  obliga  il  clero  a  trasgredire  nes- 
suna legge  della  chiesa;  ma  non  T obliga  nò  meno 
ad  osservarne  veruna. 

Il  governo,  secondo  noi,  deve  dire  ai  preti  :  —  Io  non 
vi  conosco  se  non  come  cittadini.  Il  vostro  papa  vale 
per  me  quanto  Tultìmo  dei  bracmani;  il  vostro  Gesù 
quanto  Zoroastro  e  Buddha,  quanto  Mosè  e  Maometto, 
quanto  Lutero  e  Voltaire.  Della  vostra  chiesa  io  fa- 
cio  quel  conto  medesimo  che  di  ogni  altra  setta  :  lo 
Stato  rispetta  tutte  le  religioni,  ma  non  ne  professa 
nessuna;  permette  tutti  i  culti  in  privato,  nessuno  in 
publico.  Voi  dunque  in  casa  vostra  e  nei  vostri  ora- 
tori pregate,  cantate,  adorate  l'idoli,  che  vi  piaciono 
meglio;  i  protestanti,  i  turchi,  li  ebrei,  i  pagani  ado- 
rino i  loro,  come  T intendono;  i  razionalisti,  i  pan- 
teisti, ì  socialisti  venerino  a  loro  talento  la  ragione, 
la  natura,  o  l'Umanità.  Ciascuno  se  l'aggiusti  con  la 
propria  coscienza  ;  egli  non  è  affare  dì  mia  giurisdi- 
zione. Se  la  vostra  religione  vi  prescrive  leggi  par- 
ticolari, che  non  offendano  la  morale  e  l'ordine  pu- 
blico, osservatele  o  no;  siete  padroni.  Mangiate  grasso 
0  magro;  menate  moglie  o  vivete  celibi;  fate  festa 
il  sabba to,  o  la  domenica,  o  il  lunedì;  leggete  la  Bib- 
bia, o  il  Corano,  o  Rousseau;  celebrate  la  messa  o 
la  cena;  pregate  in  latino  o  in  vulgare;  date  ai  bam- 
bini la  circoncisione,  o  il  battesimo,  o  nulla  :  per  me 
è  tutt'uno.  La  mìa  legge  è  la  giustizia;  e  con  voi 
non  ho  altre  relazioni  che  quelle  di  polizia.  —  Or 
Io  domando  :  qual  è  la  violenza,  che  questo  governo 
farebbe  al  clero  (1)? 

(1)  Su  questi  principi  è  fondato  il  sistema  degli  Stati  Uniti 
d'America,  dove  nessuna  religione,  ch'io  sapia  ,ebbe  'mal  a 


101 

—Ma  le  leggi  della  chiesa  stabiliscono  una  gerarchia 

ed  una  disciplina  ;  e  voi  non  permetlete  al  clero  di 

lagnarsi  che  il  governo  violenti  le  coscienze.  Riferirò  qui  la 
legge,  che  fin  dal  1778  adottavano  li  Stali  della  Virginia; 
onde  si  veda,  che  le  dottrine  da  me  esposte,  come  teorica- 
mente s'immedesimano  con  la  natura  stessa  della  democrazia, 
cosi  storicamente  son  nate  con  essa  ad  un  parto.  Ecco  i  punti 
principali  della  legge: 

»  Considerando  che  Dio  ha  creata  l'anima  libera; 

»  Considerando  che  quanto  si  fa  per  dominarla  con  lem* 
»  porali  castighi,  con  l'oppressione  e  con    la  privazione  dei 

>  diritti  civili,  Bon  serve  che  a  creare  abitudini  d'ipocrisia 
»  e  di  viltà; 

»  Considerando  che  la  causa  deirinstituzione  e  conserva- 

»  zione,  nella  maggior  parte  del  mondo  e  per  più  secoli,  di 

»  ogni  sorta  di  false  religioni,  è  appunto  Tempia  prescrizione 

>  dei  legislatori  tanto  civili  che  ecclesiastici,  i  quali,  tuttoché 
»  suggelli  all'errore  e  non  inspirati  da^Dio ,  pur  si  arrogarono 
»  l'impero  su  la*  fede  altrui,  ed  hanno  voluto  imporre  le  loro 
»  opinioni  religiose,  e  il  loro  modo  di  pensare; 

»  Considerando  essere  un  delitto  ed  una  tirannia  il  forzare 
»  un  uomo  a  pagare  imposte  per  la  propagazione  d'una  fede, 
»  che  non  è  la  sua; 

>  Considerando  che  i  diritti  civili  non  hanno  con  le  con- 
»  vinzioni  religiose  maggiore  rapporto,  che  le  opinioni  nella 
•  fisica  e  nella  geometria; 

B  Considerando  che  il  [privare  un  cittadino  della  publica 
»  confidenza,  non  ammettendolo  agli  impieghi  fuorché  alla  con- 
9  dizione  di  professare,  o  di  abiurare  certe  opinioni  religiose , 
»  equivale  a  spogliarlo  ingiustamente  dei  privilegi  ^  vantaggi 

>  ond'egli  è,  per  naturale  diriuo,  eguale  agli  altri  cittadini; 
»  Considerando  che  un  tale  sistema  ò  causa  di  corrozione 

»  della  stessa  religione  che  si  vuol  favorire,  perchè  questo 
»  sistema  protettore  fa  proseliti,  ed  offre  il  monopolio  degli 
»  onori  e  degl'impieghi:  potente  mezzo  di  massima  corro* 
B  zione; 

»  Considerando  che  se  è  delitto  il  far  ragiono  a  colali  tcn» 
B  denze,  non  è  meno  colpevole  il  suscitarle: 

B  Considerando  che  il  permellere  al  magistrato  d'interve* 


102 

ossenrarle.  —  No,  certamente,  non  lo  pennettiamo 

ia  tatto  ciò  che  Goslìtuisce  on  prìvìlego  o  un'ecoe- 

nìre  oelle  questioni  di  dogma,  e  di  restrìDgere  la  profes- 
sione e  la  propagazione  di  qualche  principio  a  molìvo  della 
dabia  tendenza  clie  gli  si  sappone,  è  fanesto  errore  che 
distrugge  ogni  libertà  religiosa,  perchè  il  magistrato  es- 
sendo egli  stesso  giudice  d*una  tale  tendenza,  avrà  per 
norma  del  suo  giudizio  le  proprie  opinioni,  e  condannerà 
ed  approverà  le  altrui ,  secondo  che  saranno  più  o  meno 
conformi  alle  sue; 

•.  Considerando  che  Tintervento  dell'autorità  publica  è  ba- 
stevole, quando  noo  se  ne  manifestino  i  prineipj  con  atu 
contrari  alla  pace  ed  al  buon  ordine; 
»  Considerando  infine,  che  la  verità  è  grande  e  forte  per 
sé  stessa,  né  può  a  meno  di  trionfare,  ove  la  si   lasci  io 
balia  di  sé;  che  Terrore  non  ha  nemico  più  terribile  che 
la  verità  stessa,  e  questa  non  può  e  non   deve  temer  la 
tutta,  se  rumano  intervento  non   la  priva  delle  proprie 
armi  naturali,  cioè   della  libera  discussione,  dinanzi  alla 
quale  non  può  Terrore  aver  a  lungo  il  sopravenlo: 
»    Per  questi  motivi  T  Assemblea  generale  dichiara,  che 
nessuno  sarà  obligalo  né  a  professare,  né  a  sostenere  un 
cullo  qualsiasi;  che  nessun  ciltadino  potrà  in  verno  caso 
essere!  molestato  per  le  sue  opinioni  religiose  né  con   pene 
corporali,  né  con  pene  pecuniarie ,  né  in  alcun'allra   ma- 
niera; ma  tutu,  al  contrario,  saranno  liberi  di  professare 
e  proprie  convinzioni  in  materia  religiosa,  e  di  difenderle 
con  argumenli  senza  che  ciò  possa  in  nessun  modo  aumen- 
tare 0  diminuire  le  loro  capacità  civili. 
B    E  quantunque  quest'Assemblea,  eletta  dal  popolo  nel- 
Tlnteresse  della  sua  ordinaria  legislazione,  non  abbia  ai- 
cun  diritto  su  le  assemblee  che  succederanno,  e  sia  quindi 
inutile  di  dichiarare  irrevocabile  la  presente  legge;  tutta- 
volta  noi  crediamo  di  dover  dichiarare,  che  i  diritti  procla- 
mali In  questa  legge  entrano  nella  categoria  dei  diritti  na- 
turali delTuomo;  ed  ogni  atto,  che  verrà  in   seguilo  ad 
annullare  questa  legge  ,  a  ad  impedirne  la  libera  azione, 
sarà  un'infrazione  del  diritto  naturale.  •  {La  Voce  della  Li- 
bertà» an.  J,  n.»  44C), 


zione  al  diritto  e  alla  libertà  oommuno  di  tutti  1  cit- 
tadini, perchè  sarebbe  un'ingiustizia  ed  una  tirannia; 
e  nessuna  chiesa,  nessuna  religione  al  mondo  può 
arrogarsi  quest'iniqua  autorità.  D'altra  parte,  se  il 
governo  accettasse  come  leggi  dello  Stato  i  cànoni 
del  papa  di  Roma,  con  qual  diritto  potrebbe  rifiutare 
le  decisioni  dei  papi  di  Londra  e  di  Berlino,  di  Pietro- 
burgo e  di  Costantinopoli,  di  Pechino  e  di  Calcutta? 
E  allora,  che  caos  diventerebbe  una  nazione,  la 
quale  dovesse  avere  tanti  codici  quante  Bibbie,  e 
tanti  popoli  quante  sètte? 

Per  ciò  che  spetta  alla  gerarchia,  il  principio  orga- 
nico della  democrazia  è  l'elezione;  e  siccome  il 
popolo  elegge  i  suoi  mandalarj  per  amministrare  la 
cosa,  publìca,  così  ogni  communion  religiosa  eleggerà 
i  suoi  sacerdoti  per  vegliare  agl'interessi  spirituali. 
Che  i  catolici  poi  si  faciano  ungere  e  consacrare  da 
chi  vogliono,  poco  importa;  ma  lo  Stato  non  deve 
nominare  da  sé,  né  accettare  da  un  principe  o  papa 
straniero  i  ministri  d'una  religione  quale  che  sìa, 
perchè  mancherebbe  alla  legge,  su  cui  è  fondato.  — 
E  quanto  alla  disciplina,  so  trattasi  di  precetti  pura- 
mente interni,  a  cui  non  ha  da  rispondere  che  la 
coscienza,  o  di  atti  esterni,  ma  affatto  individuali 
e  privati  ;  lo  Stato  non  se  ne  immischia  punto  ;  ed  il 
clero  è  cosi  arbitro  di  sé  stesso  e  così  libero  di  ese- 
guirli, come  ogni  altro  di  astenersene.  Ma  se  trattasi 
invece  di  precetti  o  dì  atti,  ch'entrano  nella  cerchia 
dell'ordine  publìco,  e  toccano  il  diritto  sociale,  lo 
Stato  non  dee  tolerarli  ;  perchè  altrimenti  autorizze- 
rebbe una  violazione  della  legge  commune.  Ed  il  clero 
gridi  alla  violenza,  gridi  a  sua  posta  :  noi  rideremo. 
Egli  è  un  ente  di  così  maligna  natura,  che  non  si 
mostra  contento,  se  non  quando  tutti  li  altri  gémono 
nel  dolore  e  nel  lutto;  non  si  tiene  libero,  se  non 
quando  tutti  li    altri  languiscono  nella  servitù  e 


10& 

nell'oppressione.  I  popoli  oggimai  lo  sanno;  e  sono 
già  disposti  a  provedere*,  che  non  ispunli  mai  più 
quel  giorno  infausto,  in  cui  la  chiesa  possa  dire: 
io  sono  Ubera  e  felice. 

-*■  Volete  dunque  rinovare  le  persecuzioni  in  nome 
della  liberta?— -Ohi  il  nobile  mestiere  d'Inquisitore 
e  di  carnefice  noi  lo  lasciamo  al  clero:  l'uno  è  degno 
dell'altro.  Due  soli  persecutori  noi  gli  porremo  affian- 
chi: la  libertà,  e  la  verità;  non  abbiamo  bisogno 
d'altre  anni  per  isconlìggere  il  clero,  né  d'alire 
guerre  per  esterminarlo.  Egli  amerebbe  meglio,  per 
fermo,  un  altro  genere  di  combattimenti  e  di  perse^ 
cuzioni;  e  preferirebbe,  non  dico  il  martirio  dei 
primi  apostoli  —  i  tempi  dell'eroismo  cristiano  sono 
passati  1  —  ma  qualche  processo,  arresto,  proseri-* 
zione  assai  dolce,  un  martirio  da  Franzoni,  per  esem- 
.  pio,  che  gli  fornisse  un  pretesto  qualunque  di  spac- 
ciarsi, davanti  alle  sue  pecore,  per  vittima  dei  ftemiici 
di  Dio  e  della  fede.  Perciocché  il  clero  sente  d'instiato, 
che  la  libertà  dev'essere  la  sua  morte;  sicché  dove 
non  possa  far  da  tiranno,  cerca  di  apparire  tiraaneg- 
gìato. 

E  l'empio  stratagema  sotto  la  prima  rivoluzione 
gli  riuscì.  A  forza  d'intrighi,  di  congiure,  {di  atten^ 
tati,  di  tradimenti  stancò  la  pazienza  del  popolo,  ne 
provocò  il  furore,  portò  la  pena  dei  nemici  della 
patria  ;  ma  ottenne  il  suo  intenjo  :  fu  perseguitato. 
La  condizione  di  vittima  ridestò  in  suo  favore  la 
facile  pietà  di  quelle  anime  generose,  che  pigliano 
sempre  le  parti  dell'oppresso;  onde  quello  stesso 
clero,  che  li  attacchi  pacifici  di  Voltaire  e  degli 
enciclopedisti  avean  gettato  nel  fango,  e  reso  la  fa- 
vola d'Europa,  fu  dai  decreti  sanguinosi  della  Con- 
venzione rialzato,  rinvigorito,  e  messo  in  grado  di 
luttar  ancora  per  un  mezzo  secolo  contro  l'emanci- 
pazione dei  popoli  ed  il  trionfo  della  libertà.  La  de- 


105 
roocrazla  ha  dunque  imparato  a  sue  spese,  e  fioa 
ricadrà  più  nel  laccio,  che  la  fazione  catolìca  le  tende 
di  nuovo.  So  pur  troppo,  e  mi  s'agghiaccia  il  cuore  a 
pensarvi,  che  i  popoli  anche  oggidì  sono  da  lei  pro- 
vocati con  ogni  maniera  d'insulti  e  d'oltraggi  ;  che 
la  misura,  dell'odio  trabocca  ;  e  l'ora  della  vendetta 
scoccherà  tremenda,  inesorabile,  come  lo  squillo 
della  giustizia:  ma  io  parlo  del  sistema  di  governo, 
e  non  dell'  impeto  di  una  rivoluzione. 

È  il  braccio  del  popolo,  che  ruota  il  ferro  della 
rivoluzione;  e  quel  braccio  non  prende  legge  che 
dal  suo  cuore;  e  quel  cuore  non  prende  consiglio 
che  dalla  memoria  de'  suol  patimenti.  La  rivoluzione 
è  lo  scoppio  di  una  tempesta,  lo  sconquasso  di  un 
terremoto,  l'eruzione  di  un  vulcano;  e  chi  potrebbe 
opporre  un  argine  a  quelle  mine  ?  Ma,  come  sistema 
di  governo,  la  democrazia  non  farà  più  al  catolici- 
smo l'onore  di  perseguitarlo.  Egli  s'è  occiso  troppo 
bene  da  sé  medesimo;  e  l'ombra  di  vita,  che  Napo- 
leone 1  gli  ridonava,  non  valse  che  a  rivelare  più  chia- 
ramente la  sua  profonda  incompatibilità  con  lo  spi- 
rito moderno.  Ora  l'esperienza  è  compiuta  e  la  dimo- 
strazione perfetta:  alla  libertà  non  rimane  più  altro 
officio  che  quello  di  annunziare  ai  «popoli  la  verità. 

Altri  poi  temono  il  libero  insegnamento  per  l'one- 
stà publica. — E  volete  dunque  permettere,  ne  vanno 
dicendo,  che  s'aprano  liberamente  scuole  d'immora- 
lità e  di  delitto  ?  —  Né  questa  paura  è  più  ragio- 
nevole delle  altre.  In  primo  luogo,  non  avvertono 
costoro,  che  in  uno  Stato,  ove  all'instrùzione  publica 
presiedessero  le  larghe  idee  della  democrazia;  ove 
le  scuole  gratuite  fossero  tante  da  poter  accogliere 
tutti  i  fanciulli  della  città  o  del  Communc,  e  tali  da  non 
dover  temere  la  concorrenza  di  vcrun  altro  instituto; 
ove  i  maestri  fossero  degnamente  retribuiti;  ove  il 
sistema  elettivo  vanisse  {pur  esteso  all' amministra- 
li. 8 


106 

zione  scolastica  ;  ove  però  II  ceto  insegnante  abbrac- 
ciasse davvero  Teletta  degli  ingegni  di  tatta  la  ina- 
zione: in  uno  Stato  così  fatto  le  scuole  private  diver- 
rebbero poco  meno  che  impossibili.  Il  privato  Inse- 
gnamento ridurrebbesi  quasi  tutto  ad  alcune  fami- 
glie, le  quali  potessero  e  volessero  farsi  educare  io 
casa  i  proprj  figlj. 

In  secondo  luogo,  non  riflettono  che  la  iibertà 
d'insegnamento  non  esclude  già,  ma  anzi  presuppone 
una  doppia  sorveglianza,  più  che  sufficiente  a  tutelare 
rinteressi  morali  del  popolo.  Sorveglianza  dello  Stato: 
per  mezzo  de'  suoi  inspettori  esso  potrà  e  dovrà  co- 
noscere ciò,  che  s'insegna  e  si  fa  eziandio  nelle  scuole 
particolari.  Sorveglianza  del  Commune:  a  tutti  i  padri 
di  famiglia  sarà  data  facultà  di  entrare  ad  ogni  ora 
in  tutte  le  scuole,  e  di  assistere  a  tutte  le  lezioni. 
Or  io  vorrei,  che  quei  paurosi  mi  dicessero  in  co- 
scienza, se  credono  pure  possibile,  in  tali  condizioni, 
una  scuola  di  vizio  e  d'immoralismo?  E  quand'anche 
si  trovasse  un  uomo  così  perduto  da  tentare  la  sata- 
nica impresa,  come  potrebb'egli  resistere  alia  publi- 
cità,  chegli  terrebbe  sempre  li  occhi  addosso;  ed  alia 
denuncia  solenne,  che  lo  Stato  ed  il  Commune  fareb- 
bero tosto  delle  jsue  prave  dottrine  al  cospetto  della 
nazione  intiera?  Oh!  codesti  professori  dìmmoralità 
possono  spargere  bensì  il  loro  veleno  all'ombra  del 
despotismo,  là  dove  ogni  mistero  d'iniquità  trova  un 
santuario,  che  Io  nasconde  e  lo  protegge;  ma  le  loro 
arti  perverse  riescono  impossibili  alla  luce  della  li- 
bertà, ove  ogni  cittadino  è  sindacabile,  dinanzi  alla 
publica  opinione,  d'ogni  suo  atto  e  d  ogni  sua  parola. 
Adunque,  esaminando  il  problema  dal  lato  teorico 
e  speculativo,  noi  ammettiamo  la  libertà  d' insegna- 
mento in  virtù  de'  principj  fondamentali  della  demo- 
crazìa; l'ammettiamo  piena  ed  assoluta,  come  ogni 
altra  libertà  naturale;  l'ammettiamo  senza  timore 


107 
alcuno  né  delle  predicazioni  venali  del  clero,  uè  delle 
influenze  corroUrlci  di  veruna  setta. 

Rimane  ancora  da  risolvere  la  questione  per  ri- 
spetto alla  'pratica  ed  air  applicazione;  se,  cioè,  la 
libertà  d'insegnamento  s'abbia  da  ammettere  ezian- 
dio in  uno  Stato,  che  non  si  reggesse  a  democrazia^ 
e  dove  perciò  tutte  le  altre  libertà  religiose,  politi- 
che, e  civili  0  non  esistessero  ^ancora,  od  esistessero 
solo  dimezzate,  moderate,  infrenate,  contenute  più  o 
meno  da  leggi  speciali  e  repressive.  Ed  è  qui  sopra- 
tutto che  si  dividono  le  opinioni  degli  stessi  libe- 
rali; perchè  li  uni  credono,  che  una  libertà  monca 
0  isolata  recM  più  nocumento  che  vantaggio;  e  ri- 
petono quasi  per  un  aforismo:  tutto,  o  nulla.  Li  altri 
invece  pensano,  che  non  potendo  aver  il  tutto,  si  pren- 
da la  parte,  la  quale,  per  piccola  che  sia,  è  pur  sem- 
pre qualche  cosa;  laddove  il  nulla  è  nulla. 

Ed  io  sto  con  li  ultimi.  Non  è  questo  il  luogo  né 
il  tempo  da  svolgere  le  ragioni  e  dedurre  le  prove, 
per  cui  m'appiglio  francamente  a  codesto  partito  :  ne 
accennerò  qualcuna  appena  di  volo. 

I.  Nell'ordine  sociale,  come  nel  fisico,  le  cose  non 
si  fanno  d'un  tratto  e  quasi  di  gitto,  ma  per  via  di 
elaborazione,  di  sviluppo,  e  di  progresso  ;  dunque  la 
massima:  tutto  o  nulla,  è  fuor  di  proposito.  Se  l'U- 
manità l'avesse  mai  osservata,  i  popoli  sarebbero 
ancora  allo  stato  di  selvaggi.  E  se  la  democrazia  ne 
facesse  mai  la  sua  regola,  non  arriverebbe  in  eterno 
a  regnare  su  d'un  palmo  di  terra. 

II.  Fra  le  varie  libertà,  come  fra  le  virtù,  v'ha 
un  legame  misterioso,  ma  certissimo  e  indissolubile, 
{)er  C4ii  runa  non  può  mai  andare  del  tutto  dis- 
giunta dalle  altre.  E  siccome  l'individuo,  che  pos- 
sedè una  virtù,  necessariamente  ha  pure  in  qualche 
grado  le  sue  sorelle;  così  il  popolo,  ottenuta  che  abbia 


108 

una  libertà,  non  può  mancare  affatto  delle  altre. 

Dunque  la  via  più  sicura  per  giungere  al  possesso 

(li  tutte  le  libertà,  si  è  di  comindare  ad  averne 

qualcuna. 

IH.  La  libertà  è  un  bene;  dunque  non  può  far 
male.  Certo  si  è,  cbe  una  libertà  non  basta  a  produrre 
tuito  11  bene  cbe  si  vorrebbe;  ma  è  assurdo  cbe 
debba  recar  danno,  anzlcheprofitto.il  tutto  è  la  somma 
o  l'aggregato  delle  parti;  quello  è  il  fine,  queste  i 
mezzi.  Conviene  dunque  ppocacciarsi  1  mezzi,  chi 
vuole  il  fine;  e  le  parti,  chi  vuole  il  tutto:  conviene 
accettare  una  libertà  per  valersene  a  conseguire  tutte 
le  altre. 

—  Ma  questa  è  la  tattica  dei  moderati.  —  No,  si- 
gnori; questa  è  la  legge  della  natura  e  della  ragio- 
ne. Tra  il  nostro  sistema  e  qnellp  dei  così  detti  mo- 
derati, corre  un  divario  essenziale,  che  li  avversari 
conoscono  meglio  di  noi.  Ed  è,  che  1  moderati. negano 
il  prìnc^ipio  in  grazia  del  fatto;  o  piuttosto  scambiano 
11  fatto  co'  1  principio.  Essi  accettano  bensì  una  qualche 
libertà,  ma  combattono  tutte  le  altre;  o  le  ammettono 
bensì  in  un  certo  grado,  ma  si  oppongono  ad  ogni 
larghezza  maggiore,  e  non  le  vogliono  mai  assolute. 
Non  hanno  dunque  verun  sistema,  poiché  non  mirano 
ad  un  ideale.  Noi,  al  contrario,  accettiamo  una  li- 
bertà, non  già  per  arrestarci  lì,  ma  per  farne  un 
punto  d'appoggio  a  progredire;  l'accettiamo,  non  per 
mantenerla  in  quel  grado  parziale  e  ristretto,  ma  per 
portarla  al  suo  sviluppo  ultimo  e  compiiito.  Noi ,  fiso 
io  sguardo  nel  nostro  ideale,  spiegata  la  bandiera 
del  nostro  sistema,  camminiamo  alla  meta;  cammi- 
niamo a  slanci  od  a  passi,  a  passi  celeri  o  lenti,  se- 
condo comporta  la  via;  ma  camminiamo  sempre.  Ecco 
la  nostra  tattica.  Ora  la  lattica  di  coloro,  che  vor- 
rebbero toccare  la  meta  d'un  salto;  e  non  potendolo 
fare  a  loro  bell'agio,  amano  meglio  starsene  fermi  e 
non  muoversi  mai:  è  essa  forse  migliore? 


m 

Tal  è  il  programma  della  libertò  in  fatto  di  stampa 
ed'insegDameoto;  vediamo  ora  quello  del  catolicismo. 

E  quanto  all'insegnamento,  già  m'occorse  più  volle 
di  avvertire,  come  perfida  e  fallace  si  fosse  quella 
libertà,  che  il  clero  francese  invocava.  Ei  l'invocava 
per  sottrarsi  alla  legge,  la  quale  invece  di  subordi- 
nare lo  Stato  alla  chiesa ,  sanciva  la  supremazia  dello 
Stato,  e  non  lasciava  alla  chiesa  tutti  quei  privilegi, 
ch'essa  chiama  le  sue  libertà.  Ed  ora  che  li  ha  quasi 
tutti  riavuti,  dov'è  più  la  tanto  decantata  libertà  d'in- 
segnamento? 

Ma  prescindiamo  dalle  circostanze  particolari,  stra- 
ordinarie di  qualche  paese;  e  poniamo  la  questione  in 
termini  generali  :  il  catolicismo  può  egli  riconoscere 
la  libertà  d'insegnare  per  un  diritto  commune  a  tutti 
i  cittadini?  —  Io  vorrei  un  po'  sapere,  qual  è  il  cato- 
lico  che  ardisca  rispondere  di  sì,  e  creda  tanto  legìtimo 
l'insegnamento  del  curato,  che  spiega  il  suo  catechi- 
smo, quanto  quello  del  protestante,  che  commenta 
la  Bibbia  e  combatte  il  papa;  dell'israelita,  che  ri- 
prova prt)testanti  e  catolici.  Cristo  e  papa,  e  se  ne 
sta  con  Mosè;  del  razionalista,  del  panteista,  del  so- 
cialista, ecc.,  che  negano  tutto  l'ordine  sovranaturale, 
non  ammettono  Bibbia  né  rivelazione,  non  vogliono 
chiesa  nò  preti,  e  non  riconoscono  altro  maestro  che 
la  ragione.  E  vorrei  sopratutto  conoscere  II  argu- 
menti  catolici,  onde  moverebbe  costui  per  giustifi- 
care il  suo  strano  ardimento.  Certo  la  chiesa  non 
r  intende  così.  Ho  già  riferito  altrove  le  sentenze  di 
Alessandro  VII  e  Gregorio  XVI,  che  stabiliscono  for- 
malmente, alla  sola  chiesa,  cioè,  in  fine  de' conti,  al 
papa,  spettare  la  prerogativa  di  supremo  giudice  e 
di  autorevole  maestro  d'ogni  verità  (1).  E  qui  aggiun- 
gerò altri  due  documenti,  ancora  più  gravi  e  solenni. 

(1)  V.  Voi.  I,  cap.  VII,  pag.  237-8. 


110 

L'uno  è  la  Professione  di  fede  ortodossa,  nella 
quale  sì  dichiara  di  nconosccre  la  santa,  catolica,  apo- 
stolica, romana  chiesa  guai  madre  e  maestra  di  tutte 
le  chiese  (1).  L'altro  è  il  famoso  decreto  del  concilio 
ecumenico  di  Firenze,  co  4  quale  venne  definito  che 
la  santa  Sede  apostolica  ed  il  romano  pontefice  tiene 
il  primato  su  tutto  l'universo;  che  lo  stesso  romano 
pontefice  è  il  successore  di  S.  Pietro,  principe  degli 
apostoli,  il  vero  vicario  di  Cristo,  il  capo  di  tutta  la 
chiesa,  il  padre  ed  il  maestro  di  tutti  i  cristiani;  e 
che  nella  persona  di  S.  Pietro  fu  data  allo  stesso  da 
Gesù  Cristo  la  piena  podestà  di  pascere,  regere,  e 
governare  tutta  la  chiesa  (2).  11  sistema  d'insegna- 
mento nel  catolicismo  è  dunque  ordinato  cosi:  dot- 
tore massimo  ed  infallibile  il  papa,  il  quale  ammae- 
stra la  chiesa  universale  per  mezzo  dei  vescovi,  suoi 
delegati  ;  ed  i  vescovi  ammaestrano  le  chiese  parti- 
colari per  mezzo  dei  parochi  o  curati,  loro  raandalarj  ; 
lutti  li  altri  non  sono  che  pecore  da  pascolare,  ciechi 
da  condurre,  sudditi  da  governare.  Quindi  ì  preti 
devono  professare  la  dottrina  del  vescovo,  ed  i  ve- 
scovi la  dottrina  del  papa;  né  un  prete  si  può  di- 
partire dall'insegnamento  del  vescovo,  né  un  ve- 
scovo dall'insegnamento  del  papa,  senza  mancare 
alla  sua  professione,  al  suo  giuramento,  al  suo  voto; 

(1)  «  Sanctam ,  catholicam  «  et  apostolicam  romanam  ec- 
«  clesiam,  omnium  ecclesiarum  matrem  et  magistram  agno- 

»    SCO.  » 

(2)  «  Definì mus  sanctam  apostoUcam  sedem,  et  ronuuium 
»  pontificem  in  universum  orbem  tenere  •  primatnm ,  et  ìp- 
»  sum  pontificem  romanum  successorem  esse  fì.  Petii  prin- 
»  cipis  aposlolorum,  et  verum  GhrisU  vicarinm,  totiosque  eo- 
li cl«si{e  caput,  et  omnium  christianorum  palrem  et  doctorem 
»  existere,  et  ipsi  in  B.  Pelro  pascendi,  rcgendi,  et  gabcr> 
»  nandi  universalem  ecclesiam  a  Domino  nostro  Jesu  Clirislo 
n  plenam  poteslatem  traditam  esse,  t 


Ili 

e  se  resiste  air  ammonizione  del  superiore,  se  obe- 
(lisce  piuttosto  al  convincimento  della  propria  co- 
scienza che  all'ordine  deiràutorità,  egli  incorre  nelle 
terribili  censure,  con  cui  la  chiesa  minaccia  di  pu- 
nire l'errore,  lo  scisma,  l'apostasia. 

La  gerarchia  di  questo  magistero,  secondo  le  dot- 
trine catoliche,  è  tutta  divina.  Cristo  medesimo  ha 
investita  la  sua  chiesa  della  facultà,  anzi  dell'obliga- 
zìone  di  ammaestrare  tutte  le  genti;  e  lo  Spirito 
Santo  medesimo  le  suggerisce  di  continuo  tutto  ciò, 
ch'essa  deve  insegnare.  Così  ha  giudicato  11  concilio 
di  Trento:  Catholica  ecclesia  ab  ipso  Jesu  Christo 
Domino  nostro  et  eju$  apostolis  erudita,  àtque  a  Spi- 
ritu  Sancto  UH  omnem  veritatem  in  diés  sitggerente 
edotta  (1).  Dunque  la  facultà  d'insegnare  compete 
alla  sola  chiesa  per  diritto  divino.;  nessuna  autorità, 
nessuna  legge  gliela  può  interdire,  nò  limitare;  ed 
essa  stessa  anche  volendo  non  potrebbe  abdicarla, 
allenarla,  {parteciparla  comechesia  a  nessuno.  E  fra 
le  ìnnumerabill  testimonianze  di  vescovi,  di  Padri, 
di  concilj,  e  di  papi,  onde  potrei  ancora,  se  fosse 
d'uopo,  confermare  quest'articolo  di  dottrina  orto- 
dossa, piacemi  addurre  le  parole  dei  vescovi  della 
Savoja,  perchè  fra  essi  trovo  quel  cotale  monsignore 
d'Annecy,  che  aveva  registrata  la  libertà  d'insegna- 
mento per  uno  dei  punti  capitali  del  suo  programma. 

Eccovi  ora  che  cosa  scriveva  costui,  insieme  co'  suoi 
colleghi,  al  ministro  dell'  instruzione  publica  in  Pie- 
monte: «Agli apostoli  e  loro  successori,  alla  chiesa 
»  sola  e  non  alla  potenza  temporale.  Gesù  Cristo 
o  confidò  la  conservazione  e  l'insegnamento  del  suo 
»  Evangelio.  Tale  principio  fu  costantemente  ed  uni- 
»  versalmente  professato  dai  concilj  generali  e  par- 
»  tieolari,  dai  sommi  pontefici  e  da  tutti  i  santi  dotr- 

(1)  Sess.  XIII. 


H2 

»  lori,  consacrato  dalla  pratica  invariabile  dei  secoli, 
»  solennemente  deiinlto  dal  sacro  concilio  di  Trento^ 
»  ed  ammesso  da  tutti  i  governi  sinceramente  ca- 
»  tollci.  Adunque  i  soli  vescovi  hanno  il  diritto 
»  d'insegnare,  per  una  più  forte  ragione,  la  dottrina 
2>  di  Gesù  Cristo  a  coloro,  cbo  si  preparano  ad  in- 
»  segnarla  agli  altri  fedeli  (l).  p 

E  pochi  giorni  dopo  in  una  replica  allo  stesso  mi- 
nistro: «  La  teologia,  in  suslanza,  non  è  altro  che 
»  l'interprelazìone  della  santa  Scrittura^  riDs^na- 
»  mento  della  dottrina  di  Gesù  Cristo.  Ora  è  evi- 
»  dente,  che  non  v'ha  altri  che  la  chiesa,  la  quale 
»  abbia  diritto  a  dare  o  a  far  dare  cotesto  insegna- 
»  mento;  perchè  agli  apostoli  ed  ai  loro  successori, 
»  non  ai  depositar]  della  potenza  civile,  non  ai  mem- 
»  bri  deirUuiversità,  tal  quale  è  oggi  organizzata, 
»  fu  detto  :  Enntes  docete  omnes  gentes.  Un  tempo  le 
»  università  dipendevano,  in  parte,  e  qualche  volta 
»  per  intiero  dalla  santa  Sede;  ne  dipendevano sem- 
»  pre  per  ciò  che  riguarda  l'insegnamento  della  leo- 
»  logia  e  del  diritto  canonico.  Avevano  a  cancelliere 
»  un  vescovo,  che  era  il  delegato  del  sommo  ponte- 
»  fice,  e  lo  rappresentava  negli  esami  e  nella  colla- 
»  zinne  dei  gradi,  i  cui  diplomi  erano  anche  spediti 
»  in  nenie  suo.  Oggi  cotesta  delegazione. canonica  è 
»  soppressa.  L'Università  non  ha  più  che  una  mis- 
»  sione  sola,  puramente  laica;  l'entrata  ai  suoi  con- 
»  siglj  viene  anzi  dalle  leggi  egualmente  aperta  agli 
»  increduli,  ai  protestanti  ed  ebrei.  Li  aspiranti  allo 
»  stato  ecclesiastico  non  possono  considerare  costo- 
»  ro  come  novelli  apostoli,  inviati   per  interpro- 
j)  tare  la  dottrina  di  Gesù  Cristo:  la  missione  di- 
i>  vina  manca  loro  completamente.  —  Non  può  es- 
«  servi  negli  Slati  di  S.  M.  insegnamento  teologico 

(fj  Lcllcra  del  i.""  ghigno  1^.51. 


113 

»  dipendente  in  parie  dall'Università,  se  ad  un  tempo 
»  non  si  lascia  ai  vescovi  la  proposta  dei  professori 
»  e  la  direzione  deirinsegnamento,  come' si  osservò 
»  pe'l  passato.  Colali  concessioni  non  sarebbero  una 
»  generosità;  loro  appartengono  per  diritto  divino; 
»  nulla  li  determinerà  ad  allontanarsene.  I  vescovi 
»  si  mostreranno  sempre  disposti  a  concorrere  al- 
»  l'opera  sì  importante  dell'educazione  della  gioventù, 
»  e  a  lavorare  d'accordo  co'  1  ministro  dell' instru- 
j)  zione  ppblica  ;  ma  lo  possono  fare  soltanto,  fino 
»  a  che  i  veri  prìncipi  catolicì  sìeno  rispettati;  fino 
»  a  che  la  missione  divina  d'insegnare  il  catechismo 
y  ai  ragazzi  e  la  tedogla  agli  allievi  del  santuario,  sia 
»  lasciala  a  chi  appartiene  (t).  » 

Questo,  sì,  è  linguaggio  catolico,  episcopale.  Ma 
come  s'accorda  con  esso  la  libertà  d'insegnamento? 

Prevedo  bensì  ciò  che  alcuni  mi  opporranno.  •—  Il 
magistero  divino  della  chiesa  concerne  solamente  le 
dottrine  religiose  de  fide  et  morihus ,  cioè  il  dogma 
e  la  morale,  siccome  apparisce  dalla  dichiarazione 
stessa  de'  vescovi  savojardl;  ma  in  tutto  il  rima* 
nente  la  chiesa  lascia  libero  il  campo  alla  ragione 
ed  alla  scienza.  —  Questa  distinzione  però  non  salva 
nulla.  Perciocché,  in 'primo  luogo,  i  papi  Alessan- 
dro e  Gregorio,  come  s'è  veduto,  l'escludono  espres- 
samente; ed  intendono,  che  alla  chiesa  competa  l'in- 
segnamento di  ogni  verità,  e  che  il  catolico  debba 
piegarola  fronte  e  prestar  fede  cieca,  illimitata ,  as- 
soluta,  ad  ogni  giudizio  della  chiesa,  in  qualunque 
materia  ohe  sia. 

In  secondo  luogo,  data  anche  in  astrailo  la  con- 
venienza di  quella  distinzione,  in  pratica  tuttavia 
non  giova  punto.  Ed  a  chi,  in  effelto,  spellerà  giu- 

(i)  Lettera  del  15  giugno. 


Ili 

dicare,  se  una  dottrina  interessi,  o  uo,  il  dogma  e 
la  morale?  Non  ai  privati,  non  a' laici;  ma  solo  e 
sempre  alia  chiesa.  Dunque  riman  fermo,  che  la  sotto- 
missione del  catolico  alla  chiesa  dev'essere,  in  realtà, 
senza  limiti  né  distinzioni  di  sorta;  poiché  egli  dee 
credere  a  qualunque  decisione,  che  la  chiesa  pro- 
nunci su  di  qualsivoglia  argumento. 

E  da  ultimo,  sarei  molto  bramoso  di  conoscere, 
quale  sia  propriamente  41  campo  libero  della  scienza, 
quando  se  n'escludano  le  dottrine  intorno  aUla  fede 
ed  ai  costumi;  poiché  io  confesso  dì  non  trovar  più 
possibile  la  libertà  in  nessuna  scienza,  in  oessun'artc, 
in  nessuna  materia.  Quelle  dottrine  !  compongono, 
come  ognuno  sa,  la  doppia  teologia,  dogmatica  e 
morale,  nella  più  ampia  significazione  della  parola. 
Ora  si  consulti  appena  Tindice  di  un  corso  intiero  di 
teologia;  veggasi;  quali  materie  vi  sieno  definite;  e  poi 
mi  si  mostri,  quale  scienza,  non  dirò  già  filosofica^ 
politica,  economica,  civile,  sociale,  ma  pur  matema- 
tica 0  astronomica ,  grammaticale  o  storica,  fìsica  o 
naturale,  possa  ancora  dirsi  libera  e  indipendente. 
Ammesso  il  Dio,  il  mondo,  Tuomo,  e  la  società  della 
Bibbia  e  della  teologia,  tutto  il  sistema  catolico  del 
medio  evo  immediatamente  ne  deriva,  per  una  serie 
di  conseguenze  più  fatali  ed  evidenti  che  tutti  i 
corollarj  della  geometrìa;  il  gran  lavoro  intellettuale 
e  morale,  che  s*è  compiuto  in  Europa  da  quattro 
secoli  in  poi,  diventa  una  lunga  aberrazione,  uà 
continuo  delirio  dell'Umanità:  son  quattro  secoli, 
che  vanno  risolutamente  soppressi  e  cancellati  dalla 
storia;  e  bisogna  riportare  il  mondo  alle  condizioni 
medesime,  in  cui  si  trovava  a  que'  felici  tempi, 
quando  i  più  dotti  fra' laici  erano  quelli,  che  arri- 
vavano fino  a  scarabocchiare  il  proprio  nome,  e 
tutto  il  sapere  del  genere  umano  consìsteva  nel  tri- 
vio e  nel  quadrivio  dei  frati. 


115 

Egli  è  dunque  fuor  di  ogni  dubio,  che  il  cato- 
ìcismo  non  può,  in  virtù  della  sua  stessa  costitu- 
zione, autorizzare  la  libertà  d'insegnamento.  |Tanto 
più,  perchè  questa  libertà,  se  non  vogliasi  ridurre 
ad  una  cosa  di  nome  e  d'apparenza,  importa  la  sepa- 
razione dello  Stato  dalla  chiesa;  separazione,  di  cui 
Gregorio  XVI  pronunciò  la  condanna  in  questi  ter- 
mini: «  Noi  non  potremmo  augurare  nulla  dì  bene 
»  alla  religione  ed  al  principato  dai  voti  di  coloro  j 
»  che  bramano  separare  la  chiesa  dallo  Stato,  e  rom- 
»  pere  la  mutua  concordia  delllmpero  col  sacerdo- 
«  zio.  Egli  è  certo,  che  dagli  amatori  d' una  libertà 
»  impudentissima  si  teme  questa  concordia,  che  fu 
»  sempre  fausta  e  salutare  agl'interessi  della  reli- 
»  gione  e  della  civiltà  (l).  » 

E  molto  meno  il  catolicismo  può  ammettere  la 
libertà  di  stampa.  Se  io  volessi  mai  citare,  a  questo 
proposito,  tutti  i  documenti  che  ho  tra  le  mani, 
avrei  da  stancare  la  pazienza  del  più  indulgente  e 
longanime  lettore.   Mi  contenterò  adunque  d'alcuni, 

(1)  •  Neque  laetiora  et  religioni  et  principatni  omlnari  pos- 
ti semus  ex   eoram  votis,  qui  ccclesiam   a  regoo  separar!, 

•  mutuamque  imperii  cum  sacerdotio  concordiam  abnimpi 
»  discupiunt.  CoDstat  quippe  pertimesci  ab  impudentissimae 
»  liberlalis  amatoribus  concordiam  illam,  quae  semper  rei  et 
»  s<acrae  et  civili  fausta  cxtitit  et  salutaris.  »  (Enciclica  del 
45  agosto  Ì%Z^).  E  se  queste  parole  avessero  mestieri  di  com- 
mento, ecconé  uno  abbastanza  chiaro  ed  autorevole:  «  La 
B  legge  dev*e8sere  atea:  ella  è  questa  la  formula  primitiva, 
»  di  cui  si  rivesti  quella  empia  dottrina,  che  mitigata  oggi,  o, 
i  a  dir  meglio,  mascherata,  è  ricomparsa  ad   ingannare  i 

•  semplici,  ed  a  camufTare  l'ipocriti  (un  gesuita  accusatore 

•  d*ipocrisia!  misericordia! I...,)y  sotto  quest'altra  formula: 

•  Lo  Stato  dee  separarsi  intieramente  dalla  chiesa  (CiviUà 

•  Catoliea,  voi.  7,  pag.  257).  —  Proposizione,  die  dovrà  far 

•  fremere  ogni  animo  credente:  ìaì  Stalo  dee  separarsi  dalla 
»  chiesa.  Lo  Stato  non  dcv*essere  eaiolico  (Ibid.,  pag.  261).  » 


116 

cbe  mi  pajono  più  che  sufficienti  a  svergognare  quel 
catolici,  che  persistono  a  predicare  lalleanza  della 
chiesa  con  la  libertà. 

Il  concilio  generale  di  Lateraoo  V,  celebrato  sotto 
Leone  X,  nella  sessione  del  4  maggio  lil5  decretava 
ed  ordinava,  che  «  nessuno  mai  per  l'avvenire  pre- 
»  suma  di  stampare  qualche  libro  o  altra  scrittura 
»  qualunque,  sì  in  Roma  che  in  ogni  altra  città  e 
»  diocesi,  se  prima  non  sieno  diligentemente  esami- 
»  Dati,  a  Roma  dal  vicario  e  dal  maestro  del  sacro 
»  palazzo,  nelle  altre  città  e  diocesi  dal  vescovo  o 
»  da  persona  perita,  a  ciò  dal  vescovo  deputata,  e  dal- 
»  l'inquisitore  del  luogo,  ove  s'avesse  da  fare  la 
»  stampa,  ed  approvati  con  sottoscrizione  di  loro 
»  propria  mano,  da  àpporsi  gratuitamente  e  senza 
»  indugio,  pena  la  scommunica.  Chi  presumesse  di 
»  fare  altrimenti,  perderà  i  libri  stampati,  che  ver- 
»  ranno  arsi  in  publico;  pagherà,  senza  speranza  di 
)>  remissione,  cento  ducati  alla  fabrica  di  S.  Pietro; 
»  rimarrà  sospeso  per  un  anno  continuo  dall'eserci- 
»  zio  della  stamperia;  sarà  scommunicato;  e  final- 
»  mente,  aggravandosi  la  sua  contumacia,  dovrà  es- 
»  ser  punito  rispettivamente  dal  vescovo  o  dal  vi- 
»  cario  per  tutte  le  vie  di  diritto,  in  guisa  cbe  li 
»  altri  per  l'esempio  di  lui  non  osino  mai  più  com- 
»  mettere  un  simile  attentato  (1).  » 

{V,  Ecco  il  lesto  del  decreto  papale,  approvalo  dal  concilio: 
«  Nos  ilaque,  ne  id,  quod  ad  Dei  glorìam  et  fldei  augmen* 
»  tuoi,  ac  bonarum  arlium  propagati onem  salubriler  est  in- 
R  venlum,  in  contrarium  convorlalur,  ac  Chrisli  fldelium  sa- 
»  luti  detrimenlum  pariat;  super  librorum  impressione  cu- 
»  rara  noslram  habendam  foro  dux.inius,  ne  de  caetero  cam 
t  boiiis  seminibus  spinae  coaluscant,  vel  medicinis  venena  in- 
»  teriuisceantur. 

»  Volentcs  igitur  de  opportuno  super  bis  remedio  provtdere, 
»  hoc  sacro  approbante  concilio,  ut  ncgolium  impressionis 
»  librorum  hujusmodì  eo  prosperelur  fellcius,  quo  deinceps 


H7 

U  concilio  di  Trento  nella  sessione  IV  confermò 
espressamente  questo  canone,  per  ciò  che  spetta 
all'edizione  della  Bibbia,  e  di  qualunque  libro  che 
tratti  di  cose  sacre;  e  deputò  una  commissione  a 
comporre  Vindice  de'  libri  proibiti,  e  stabilire  le  r e- 
gote  canoniche  da  osservarsi  intorno  alla  stampa. 
Ora  la  X  di  queste  regole  prescrive: 

<f  Che  nella  slampa  de*  libri  ed  altre  scritture  si 
osservi  il  decreto  del  concilio  di  Laterano;  in  Roma 
i  libri  da  stampare  sieno  prima  esaminati  dal  vica- 

indago  solortior  diligentias  et  caatìns  adhiheatnr,  statnimas 
et  ordinamus,  quod  de  caetero,  perpetois  pitturis  tempori* 

BOS,  miLLQS  LIBRUH  ALlQUKH,  8BD  ALUM  QUAMCCMQUB  SCRIPTU- 

BAH,  tam  in  Urbe  nostra,  quam  auis  otiiBUSvis  civitati- 
BUS  ET  DI01CB9IBOS,  imprimere  sea  imprimi  facere  praesu- 
mant)  msi  pbios  in  Urbe  per  vicarium  nostrum  et  sacri 
paiaUi  magistrum,  in  aliis  vero  civitatibas  et  dioecesibus 
per  episcopum,  vel  alium  habealem  periliam  scienliae  li- 
bri seu  scripturae  hujusmodi  imprimendae,  ab  eodem  epi- 
'scopo  ad  id  depulandum,  ac  inquisitorem  baercticae  pra- 
vitatis  sive  dioecesis,  in  quibus  librorum  impressio  iinjuS' 
modi  fleret,  diligentbr  examiicetur,  et  per  eordm  mano 
pROPBiA  suBSCBiPTiONEM,  sub  e\communicationis  seolentia, 
gratis  et  sine  diiatione  imponendaro,  approbeittur.  Qui 
auiem  secus  praesumpserit ,  ultra  librorum  impressorum 
amissionem,  et  itiorum  publicam  combustionera,  ac  cen> 
tum  ducalorum  fabricae  principis  apostoiorum  de  Urbe 
siNB  SPB  REVissioNis  solutlonem,  ac  anni  continui  exerciiii 
impressionis  suspensiunem ,  excommunicatlonis  seYitentla 
innodatus  existat;  ac  demum  ingravescente  contumacia, 
tali  ter  per  eplscopum  suum  vel  vicarium  respective  casti- 
getur,  quod  alii  ejus  exemplo  sìmilia  minime  attentare 
praesumant. 

9  Nnlii  ergo  omnino  homioum  liceat  hanc  paginam  no- 
sirorum  statuti  et  ordinationis  infringcre,  vel  ei  ausu 
temerario  contraire:  Si  quis  autem  boc  attentare  praesum- 
pserit,  indignalionem  omnipotentis  Dei,  ac  beatorum  Petri  et 
Pnuli  apostoiorum  ejus,  se  noverit  incnrsurum.  »  (Sess.  X). 


118 

rio  del  papa,  e  dal  maestro  del  sacro  palazxo,  o  da 
persone  deputate  a  ciò  dal  papa  medesimo. 

«  Negli  altri  luoghi  Tesarne  e  Tapprovazione  ap- 
partenga al  vescovo,  o  ad  altro  perito  da  lui  desti- 
nato,  ed  all'inquisitore;  e  Tapprovazione  si  dia  con 
la  firma  di  loro  propria  mano,  con  questa  legge  e 
condizioni  dì  più,  che  un  esemplare  autentico  del  li- 
bro da  stami)are,  e  sottoscritto  di  propria  mano 
dall'autore,  rimanga  presso  lesaminatore. 

«  Coloro,  i  quali  divulgano  libretti  manoscritti,  se 
prima  non  sieno  stati  esaminati  ed  approvati,  sog- 
gìaciano  alle  stesse  pene  che  li  stampatori;  e  coloro, 
che  li  hanno  avuti  e  letti,  se  non  denunciano  li  au- 
tori, si  abbiano  per  autori  essi  stessi. 

a  L'approvazione  di  questi  libri  si  dia  pure  In  iscrìt- 
to, e  •vi  apparisca  autenticamente  in  fronte. 

«  In  ciascuna  città  e  diocesi,  persone  deputale  dal 
vescovo,  0  dal  suo  vicario,  o  anche  dall'inquisitore, 
visitino  sovente  le  stamperie  e  le  biblioteche  de'  lì- 
braj,  affinchè  non  si  stampi,  non  si  venda,  e  non  si 
tenga  aulla  di  proibito. 

«  Tutti  ì  libraj  e  qualunque  venditore,  di  libri 
abbiano  nelle  loro  biblioteche  l'indice  de' libri  ven- 
dibili che  possedono,  con  la  firma  delle  dette  per- 
sone; né  tengano,  o  vendano,  o  diano  in  qualsisia 
modo  altri  libri,  senza  licenza  degli  stessi  deputati, 
sotto  pena  della  perdita  de' libri  o  d'altre,  ad  arbìtrio 
de' vescovi  e  degl'inquisitori.  I  compratori  poi,  i 
lettori,  li  stampatori  saranno  pnniti  ad  arbitrio  degli 
stessi. 

«  Chi  porta  un  libro  qualunque  in  un'altra  città, 
sia  tenuto  a  denunciarlo  a' medesimi  deputati;  o  se 
v'  è  publico  mercato  dì  libri,  i  ministri  di  quel  luogo 
ne  diano  l'avviso  alle  persone  suddette. 

«  Nessuno  poi  consegni  ad  altri,  impresti,  od  alieni 
comunque  il  libro,  ch'egli  stesso  od  altri  portò  in 


119 
citta,  86  prima  non  lo  mostrò  e  n'ebbe  licenza  dai 
deputali,  o  se  notoriamente.non  consti,  che  è  un  li- 
bro già  permesso  a  tutti. 

«  La  stessa  regola  si  osservi  dagli  eredi,  dagli 
esecutori  testamentarj,  cbe  portino  ai  deputati  i  li- 
bri lasciati  dal  defunto  ò  Tindice  di  essi;  e  otten- 
gono la  licenza  prima  di  servirsene  o  di  trasmetterli 
coBie  che  sia  ad  altre  persone. 

«  In  tutti  e  singoli  questi  casi  verrà  stabilita  la 
pena  o  della  perdita  dei  libri,  o  un'  altra  ad  arbitrio 
de' vescovi  e  degl'inquisitori,  secondo  la  qualità  della 
contumacia  e  del  delitto. 

«  Chiunque  leggerà  ed  avrà  libri  d'eretici,  o  scritto 
di  qualunque  autore,  condannati  e  proibiti  per  ere- 
sia o  per  sospetto  di  falso  dogma ,  incorrerà  subito 
nella  scommunica. 

«  Chi  poi  leggerà  od  avrà  libri  proibiti  per  altro 
titolo,  oltre  la  reità  del  peccalo  mortale  che  com- 
mette, sarà  punito  severamente  a  giudizio  del  ve- 
scovo (1).  » 


(I)  ADche  questo  decreto  è  di  (ale  imporUnza,  che  merilii 
di  essere  leslualmenle  riferilo:  «  In  libroram,  aliarumve 
»  scripluraium  impressiono  servelnr  quod  in  concilio  Làie- 
»  ranensi  sub  Leone  X,  Sess.  X,  statulum  est. 

»  Quare  si  in  alma  Urbe  Roma  liber  aliquis  sii  imprimen- 
»  dos.  per  vicarium  summi  pontiflcis  et  sacri   palalii  magi- 

•  SI  rum,  vet  personas  a  Sanclissimo  Domino  nostro  depu- 
t  tandas,  prios  oxaminelur. 

»  In  aliìs  vero  locis  ad  cpiscopum  vel  aliuro  habentem  scien- 

•  liam  libri,  vel  scripturae  imprimendae,  ab  eodem  episcopo 

•  depulandum  ac  inquisitorem  haerelicae  praviiatis  ejus  ci- 

•  vitalis  vel  dioecesis,  in  qua  inipressio  fiet,  ejus  approbatio 
»  et  examen  pcrtineat,  et  per  eorum  manum,  propria  sub- 

•  scriplione,  gratis  et  sine  dilatione  imponendam,  sub  poenis 
È  et  censuris  in  eodem  decreto   contenlis  approbelur;  bar. 

•  lege  et  conditione  addita ,  ut  exemplum  libri  imprimendi 


120 

Papa  Alessandro  VII  aggiunse  a  questa  regola  i^a- 
reccbie  oiservaziani;  e  fra  T altre  questa,  che  «  lì 
»  abitanti  degli  Stati  della  chiesa  non  possono  man- 
»  dare  i  libri  da  loro  composti  a  stamparsi  altrove, 
»  senza  l'espressa  approvatone,  ed  in  iscritto,  del 
»  vicario  e  del  maestro  del  sacro  palazzo,  per  quei- 
»  di  Roma;  e  per  li  altri,  senza  la  licenza  dei  pro- 
»  prìo  vescovo  o  de'  suoi  deputati,  da  porsi  in  fronte 
»  all'opera.  » 

Clemente  Vili  poi  pubUcò  alcune  giunte  alle  re- 
gole dell'indice;  e  sotto  il  titolone  impressione  li- 

»  aolhentictiin,  et  manu  aoctoris  sobscrlptom  apud  examlna^ 
»  torem  rernaneat.   - 

•  Eos  vero,  qui  libeilos  inanas(^i:ipk)s  vuigant,  Disi  ante 

•  cxaminati  probatique  fuerìnt,  eisdem  [toenis  subjici  debere 
1  Judicarunt  Patres  deputati,  quibus  knpressores;  et  qui  eos 
»  habuerint  et  legerint,  Disi  auctores  prodi derint,  prò  aacto- 

•  ribus  habeantnr. 

•  Ipsa  vero  hujusmodi  libroram  probalio  in  scrfptis  detur, 
»  et  in  fronte  libri,  vel  Bipripti,  vel  impressi,  anathentice  ap- 
»  pareat;  probatioque,  et  examen,  ac  caetera  gratis  fiant. 

»  Praeterea  in  singalis  civitatibus  ac  dioecesibns,  domus, 
»  vel  lf>cl  ubi  ars  impressoria  exercelar,  et  bibUothecae  li- 
»  brorum  venaiium  saepins  visitenlur  a  personfs  ad  id  de- 
li putandis  ab  episcopo,  sive  ejus  vicario,  alque  etiatn  ab 
»  inquisitore  haerelicae  pravitatis,  ut  nihii  eorum.qua*  prolii- 
i  bentur,  aut  imprimatar,  aut  vendatur,  aut  babeatur. 

•  Omnes  vero  librarli,  et  qaicumque  librorom  vendilores 
»  faabeant  in  suis  bibliothecis  indicem  Hbrornm  , venaiium, 
»  quos  habent,  cum  subseriptione  dictarum  pcTsonarum  ;  nec 
s  alios  tibros  babeant  aut  vendant,  aut  quacumqne  ratione 
»  tradant,  sino  licentia  eorumdem  dcputatorum,  sub  poeria 
9  amissionis  librorum,  et  allis  arbitrio  episcoporum;,  vel  ìd<- 
»  quisitorum  iraponendis:  emplores  vero,  lectons,  vel  im- 
9  pressorcs  eorumdem  arbitrio  puniantur. 

9  Quod  si  aliqui  librus  quo3cumque  In  aliquam  civitatem 
»  introducant,  teneantnr  iisdem  personis  deputandìs  renun- 

•  ciare;  vel  si  locus  publi^us  mcrcibus  ejusmodi  constitutus 


121 

brormn,  stabilì:  «  Nessun  libro  per  T avvenire  si 
slampi,  clie  non  porti  in  fronte  11  nome,  il  cognome, 
e  la  patria  dell'autore. 

»  Se  l'autore  fosse  ignoto,  o  per  altra  giusta  ca- 
gione il  vescovo  e  r  inquisitore  stimassero,  che  il  li- 
bro si  potesse  stampare  senza  il  nome  dell'autore; 
vi  s'inscriva  il  nome  di  chi  l'ha  esaminato  ed  ap- 
provato. 

0  I  Regolar],  oltre  la  licenza  del  vescovo  e  del- 
l'inquisitore ,  devono,  per  decreto  del  concilio  di 
Trento,  ottenere  dal  loro  superiore  la  facultà  di 
stampare. 


sit,  ministri  pubUci  ejas  loci  praedictis  pcrsonii  sigoiflcent» 
libros  esse  adduclos. 

»  K«ino  veto  audeat  UbraoH  quem  ipse  vel  alius  in  eivi- 
latem  inlroduzit,  alicul  legendam  tradere,  vel  aUqaa  ra* 
tìone  alienare,  aut  conunodare,  nist  ostenso  prius.  libro,  et 
hablla  litentia  a  personis  dcputandis,  aut  nisi  notoria  con- 
stet,  libro m  Jam  esse  omnibus  permissum. 

•  Idem  quoque  servetur  ab  haeredibus  et  excquutoribns 
aUimarum  voluntatum,  ut  libros  a  defancto  relictos,  sive 
eoram  iodicem  illis  personis  depulandis  afTerant,  et  ab  iis 
liceo tiam  oblineant,  priusquam  eis  utantur,  aut  in  aliaa 
personas  quacumque  ratlone  eos  transferaot. 

»  lo  bis  autem  omnibus  et  sioguiis,  pocna  slatualur,  vel 

amissionis  Ubroram,  vel  alia,  arbitrio  eorumdem  episco- 

porum   vel   inquisitorum ,  prò  qnalitate  contumaciae  vel 

dellcU. 

»  Ad  extremnm  vero  omnibus  fldelibus  praecipilor,  ne 

quia  audeat  centra   barum   Megularum  praescriptum,  aut 

hujuaindicis  prohibilionamjibros  aliquos  legere  aut  habcre. 

•  Quod  si  quis  libros  haercticorum,  vel  cujusvis  aucloris 
scripta,  ob  baeresim  vel  ob  falsi  dogmatis  suspicioncm 
damnala  atque  probibila  legerit,  sive  habuerit,  statim  in 
excommunicalionis  seoreotiam  incurrat. 

»  Qui  vero  libros  alio  nomine  interdictos  legerit,  aut  ba- 
buerit,  praeter  peccati  mortalis  reaium  quo  afficilur,  ju- 
dicio  cpiscoporum  severe  puniaiur.  ■ 

II.  9 


»  Chi  vuol  publicare  un'opera  qualunque,  ne  con- 
segni un  intiero  esemplare  al  vescovo  o  all'inqui- 
sitore, i  quali,  doiK)  averlo  esaminato  ed  approvato , 
lo  riterranno  presso  dì  sé. 

9  Stampato  che  sia  il  libro,  non  è  lecito  a  nes- 
suno di  porlo  in  vendita  o  in  qualsiasi  modo  pu- 
bucarlo,  prima  che  II  deputalo  non  rabbia  diligen- 
temente confrontato  co'  1  manoscritto  che  sì  ritenne, 
ed  abbia  conceduta  la  licenza  di  poterlo  vendere  e 
publicare.  £  la  jconcederà,  quando  siasi  ben  accerr 
tato,  che  il  tipografo  adempì  al  debito  suo  fedel- 
mente, e  non  sì  scostò  d'un  punto  dall' esemplare  ma- 
noscritto. 

»  I  tipografi  ed  1  libraj  dinanzi  al  vescovo  o  al- 
l'inquisitore, ed  a  Roma  dinanzi  al  maestro  del  sa- 
cro palazzo,  promettano  con  giuramento  dì  es^uìre 
catolicamente,  sinceramente,  e  fedelmente  F officia 
loro;  di  obedire  ai  decreti  ed  alle  regole  deirindice, 
agli  editti  de' vescovi  e  degF  inquisitori,  in  quanto 
si  riferiscono  alla  loro  arte;  e  di  non  ammettere  nes- 
suno al  ministero  dell' arte  loro,  che  sapiano  Infetto 
d'eresia. 

»  £  se  tra  loro  si  trovassero  uomini  culli  ed  eru- 
diti, sieno  pure  tenuti,  ad  arbitrio  degli  stessi  sui)e- 
rieri,  di  fare  la  professione  di  fede  catolica,  giusta  la 
forma  prescritta  da  Pio  IV.  » 

Non  credo,  che  verun  catolìco  possa  di  buona  fede 
oppormi,  codeste  leggi  esser  antiquate  e  cadute  in 
disuso;  poiché,  quando  pur  ci  mancasse  una  più  re- 
cente conferma,  il  dare  dell'  antiquato  al  concilio  di 
Trento  ed  a  qualche  papa  ancor  posteriore  sarebbe 
per  fermo  un'enormità  intolerabile.  Ma  no,  le  con- 
ferme recenti,  e  recentissime,  non  mancano  punto. 
Leone  XII  publicò  nel  1825  un  ordine  del  tenore  se- 
guente: «  Sua  Santità  ordinò,  che  si  richiamiuo  in 


123 

»  memoria  a  tutti  i  patriarchi,  arcivescovi,  vescovi, 
»  ed  altri  preposti  al  governo  delle  chiese,  quello 
»  leggi,  che  vennero  stabilite  helle  regole  deir  Indice, 
»  publicate«per  ordine  del  concilio  dì  Trento;  e  nelle 
»  Osservazioni,  nell'Istruzióne,  nell'Aggiunta;  e  nel 
»  decreti  generali  dei  sommi  pontefici  Clemente  Vili, 
»  Alessandro  VII,  e  Benedetto  XIV,  per  proscrivere 
»  ed  abolire  i  cattivi  libri.  »  Quelle  leggi  adunque 
sono  lutt' altro  che  cadute  in  disuso  1  Eccole  anzi 
confermate  tutte,  ad  una  ad  una,  da  un  papa  del  no^ 
fitro  tempo. 

Gregorio  XVI  poi  nella  sua  enciclica,  più  volte 
citata,  del  1S32,  parlando  della  libertà  di  stampa,  la 
definisce  cosi:  «  Quella  funestissima  e  non  mai  ab- 
»  bastanza  esecrabile  e  detestabile  libertà  dell'arte 
»  libraria  per  publicare  qualunque  scritto,  che  al- 
»  cuni  osano  sollecitare  e  promuovere  con  tanto 
»  schiamazzo.  Inorridiamo  al  vedere  da  quali  mo- 
»  struose  dottrine,  o  piuttosto  da  quali  portenti  d'er- 
»  rori  siamo  soprafatti;  errori,  che  vengono  larga- 
»  mente  sparsi  da  per  tutto  con  una  gran  moltitu- 
»  dine  di  libri  e  scritti,  piccoli  bensì  di  mole,  ma 
»  grandissimi  per  la  malìzia,  onde  noi  deploriamo 
a  che  sia  uscita  una  maledizione  su  la  faccia  della 
»  terra.  »  Tal  è  la  stima,  che  gode  la  libertà  di 
stampa  presso  la  chiesa!  Ma,  e  di  quei  catolici,  che 
pure  la  difendono  come  utile  alla  causa  della  verità 
e  della  religione,  Montalembert,  per  esempio,  e  Rendu, 
che  giudizio  ne  porta  il  papa?  «E  pure,  ahimè!  ta- 
li) luni  si  lasciano  trascinare  a  tanto  d'impudenza  da 
»  sostenere  ostinatamente,  che  quel  diluvio  d'errori 
»  vien  ad  usura  compensato  da  qualche  libro,  che 
»  in  tanta  tempesta  d*  iniquità  esca  in  luce  a  difen- 
»  dere  la  verità  e  la  religione.  Ella  è  cosa  illecita  por 
»  fermo,  e  contraria  ad  ogni  diritto,  fare  a  beilo 
»  studio  un  male  certo  e  maggiore,  perchè  si  ha 


124 

»  speranza  che  ne  possa  risultare  qualche  bene.  Qual 
»  uomo  di  senno  dirà,  che  si  debbano  liberamente 
»  spargere  1  veleni,  venderli  e  trasportarli  in  pu- 
»  blico,  anzi  inghiottirli,  perchè  v*  è  un  tal  rimedio, 
»  che  usandone  s'arriva  talvolta  a  sfugìre  la  morte? 
»  Ma  ben  diversa  fu  la  disciplina  della  chiesa  iieì- 

•  l'estirpare  la  peste  de' cattivi  libri.  »  E  qui  cita 
l'esempio  degli  apostoli,  che  ordinarono  di  bruciarli; 
Il  decreto  di  Leone  X  e  del  concilio  di  Laterano, 
già  di  sopra  riferito;  l'autorità  del  concilio  di  Trento, 
che  fece  il  saluberrimo  decreto  intorno  all'Indice; 
l'esortazioni  di  Clemente  XH!  a  proscrivere  i  libri 
cattivi;  e  conchiude  così:  «  Dalla  costante  sollecitu- 
»  dine  di  tutti  1  tempi,  onde  la  santa  Sede  aposto- 
»  lica  sempre  si  sforzò  di  condannare  i  libri  sospetti 
»  e  nocivi,  e  di  strapparli  dalle  mani  de' fedeli,  ap- 
»  parisce  evidentissimamente,  quanto  sia  falsa ,  te- 
»  meraria,  ingiuriosa  alia  stessa  apostolica  Sede»  e 
»  feconda  di  gravi  mali  pe'l  popolo  cristiano,  la 
»  dottrina  di  coloro,  i  quali  non  solo  rigettano  la 
»  censura  dei  libri  siccome  troppo  onerosa,  ma  ginn- 
»  gono  a  tale  segno  di  malvagità,  che  la  proclamano 
»  conti^ria  ai  principj  del  diritto  e  della  giustizia , 
»  e  ardiscono  negare  alla  chiesa  la  facultà  didecre- 
»  tarla  e  mantenerla  (1).  » 

(i)  s  Huc   spectal  teterrima  illa,  ao  ntinqaam  saUs  cxe- 

•  cranda  et  detestabilis  libcrtas  ariis  librariae  «d  serqua 
»  qunclibet  edenda'  in  vnlgns,  quam  tanto  convicio  audent 
»  nonnulii  eftlagitare  ac  proraovere.  Perhorrescirmis ,  V.  P. 
»  inluentos  quibus  monslris  doctrinarnm,  scu  potius  quihus 
H  errorura  portenlis  ohruàtnur;  quae  longe  ac  late  ubique 
»  dissemlnantur  ingCDli  librorum  muliiludine,  libellisque  el 
»  scriptis,  mole  quidem  exiguis,  maliila  tamen  permagnis, 
»  et  quibus  malediclionem  egressam  iHacymamur  super  fa- 

•  clem  terrae.  Sunt  tamen,  proh  dolor  !qaj  eo  impudcaliao 
»  abripiantur,  ut  asseranl  pugnaciler,  hanc  errorum  collu- 


125 

•—Ma queste  sentenze  colpiscono  i' abuso  della  li- 
berto, la  licenza,  e  non  la  libertà  onesta  e  mode^ 
rata.  —  Vane  distinzioni!  La  dottrina  della  chiesa 
è  universale:  non  regola  già  Tuso  di  un  diritto,  ma 
n'esclude  affatto  il  principio  e  l'idea.  Dunque  l'e- 
spressione medesima  di  libertà  onesta  e  moderata  è 
peggio  che  assurda,  poiché  equivale  ad  una  mode- 
rata ed  onesta  violazione  delle  leggi  canonichel  No, 
fortunatamente,  con  la  chiesa  non  sono  possibili  que- 
sti sotterfugi.  0  si  ammette  la  censura  ecclesiasUca, 

»  viem  inde  prorumpentem  satis  cuoìulate  compensari  ex  li- 

•  bro    aliquo,  qui  in  hac  tanta   pravitatum   tempestale,  ad 

■  religionem  oi  veritalem  propugnandam  edaiur.  Nefas  prò* 
»  fecto  est,  omnique  juro  improbatum»  patrari  data  op4*ra 

•  inalum  cerlura  ac  majus,  quia  spes  sit  inde   boni  aliquìd 

■  Irabilam  iri.  Namqiitd  venena   libere    spargi,  ac  publice 

•  vendi,  comporlarique ,  imo  et  obbibi  debere,  sanus  quis 
»  dixerit,  quod  remedii  quidplam  babeatar,  quo  qui  uluniur, 
»  cripi  eos  ex  interi  tu  identidem  contingat  ? 

•  Verotn  longe  alia  fnit  eeclesiae  disciplina  in  exsclndend.i 
»  maloram  librorum  peste,  vel  apostolorum  aeiato,  qoos  te- 
»  gimus  grandem  iibrornm  vim  pubi  ice  combussisse.  Saiis 
t  est,  leges  in   concilio  Laleranensi  V  in  eam  rem  data» 

•  perlegere,  et  conslitulioneoi,  quae  deinceps  a  Leone  X  jfel. 

•  ree.  praedecessore  noslro  fuit  edita.  —  Id  quidem  et  iri- 

■  denlinis  Patribus  maximae  curao  fuit,  qui  remedium  tanto 

•  buie  malo  adhibuerc,  edito  saluberrimo  decreto  (je  Indice 
»  Jibrorum,  quil>us  impura  doclrina  conlinerelur,  contl- 
»  ciendo.  —^  Ex  hac  itàquc  constanti  omnium  aetatum  sol- 
>'  liciludine,  qua  semper  haee  apostolica  Sedes  suspectos   et 

•  noxios  IH)ros  damnare,  et  de  bomtnum   manlbuà  extor- 

•  quere  entsa  est,  patet  luculentissime ,  quantopere  falsa, 
1.  iciueraria,  eidemque  apostolicae  Sedi  injuriosa,  et  foecunda' 
»  malorum  in  cbrisliano  populo  ingentiam,  sit  illorum  doc- 
»  trina,  qui  ncdum  consuram  librorum  veluli  gravem  nimis 
»  et  onerosam  rejiciunt,  sed  co  etiam  improbitatls  progre- 
>  diuntur,  ut  eam  praediccnt  a  redi  juris  principiis  abbor- 
»  rcre,  Jusque  illius  decernendae,  habcndaeque  audeaul  ec- 
»  cleùae  denegare.  » 


0  noa  si  ammette:  ecco  U  problema.  Chi  T ammette 
è  catolico;  chi  do,  no:  ecco  la  soluzione.  Problema  e 
soluzione  così  evidente,  ch'io  mi  maraviglio  come 
certi  politici  noa  se  ne  vogliano  cai)acitare,  e  per- 
dano il  tempo  ed  il  fiato  a  sceverare  sottilmente  la 
libertà  vera  dalla  falsa,  l'onesta  dalla  vera,  la  moderata 
dalla  licenziosa.  Ma  che  dico,  i  politici?  S'è  pure 
trovato  un  nuovo  arcivescovo,  il  quale  non  ebbe  ri- 
brezzo di  appigliarsi  a  quel  tristo  e  farisaico  espe- 
diente. Monsignor  Charvaz,  nella  sua  prima  lettera 
pastorale  ai  Genovesi  (2i2  decembre  1852),  parla  an- 
ch'egli  dì  una  libertà  onesta  (di  stampa),  libertà  che 
tutto  il  mondo  sa  apprezzare;  e  di  una  llcenzay  che 
nulla  lus^commune  con  quella.  —  Ohi  Monsignore, 
forse  questa  ff^sSQ^nesta  e  moderata  avrà  dolcemente 
lusingati  11  orecchi"(fehflìinistero  e  della  corte;  ma 
certo  essa  offende  la  chiesà7^i*adìsce  i  fedeli,  e  di- 
sonora l'episcopato.  Che  imix)rlaàN^ì»  vescovo,  se 
tutto  il   mondo   apprezza  quella  liber^  Voi  non 
avete  da  fare  co'l  mondo,  ma  co'l  paprfi  ^  ^^  ^^^ 
berla,  che  voi  e  il  mondo  lodate  siccome  Milita,  il 
papa  la  denuncia  per  funestissima,  e  non  maiW^^" 
stanza  esecrata  e  detestata;  ed  altri  papi  ed  un 
cilio  ecumenico  l'hanno  scommunìcata,  siccome  uni, 
ruina  ed  una  peste  delle  anime.  E  voi,  vescovo,  igno- 
rate dunque  le  leggi  della  chiesa?  0  conoscendole,    ■ 
le  trasgredite  e  le  conculcate  così?  Quanto  più  de-    \ 
gno  di  un  buon  catolico,  e  sopratutto  di  un  buon      ^ 
vescovo,  era  il  contegno  che  avete  tenuto  a  Pinerolol      ' 
Ah!  dimenticaste  in  mal  punto  le  forti  prove  del 
vostro  zelo,  e  le  gloriose  fatiche  del  vostro  aposto- 
lato. Allora  le  cavilloso  distinzioni  fra  libertà  e  li-      ii 
cenza,  fra  uso  e  abuso,  vi  erano  ignote;  e  l'animo       ] 
vostro,  chiuso  religiosamente  ad  ogni  aura  di  mondo,       * 
non  anelava  che  al  servizio  di  Dio  e  della  chiesa.  E,        ' 
or  cuor  della  chiesa,  voi  facevate  da  inquisitore  con-       i 


1-27 

tro  ì  Valdesi;  per  amore  di  Dio,  voi  correvate  a  strap- 
pare i  figlj  dalle  braccia  delle  loro  madri,  a  separare 
le  spose  dal  fianco  de' loro  mariti,  per  convertire  a 
viva  forza  madri  e  figli,  mariti  e  spose;  o  altrimenti, 
cacciare  In  bando  senza  pietà  né  remissione  li  osti- 
nali. E  quando  Carlo  Alberto  ebbe  la  debolezza  di 
cedere  air  impeto  della  corrente  liberale,  e  di  pro- 
mettere qualche  riforma  civile,  qualche  temperamento 
al  suo  governo  assoluto;  voi,  monsignore,  voi  solo 
fra  tutti  ì  vescovi  dello  Stato  avete  fatto  il  vostro 
dovere,  amando  meglio  rinunciare  al  vescovato,  che 
declinare  un  apice  solo  dal;  rigore  catolico  del  vo- 
stro assolutìssimo  e  privilegìatissimo  potere.  Ma  ora 
come  siete  diverso  da  quello!  Ora  non  vi  fate  più 
scrupolo  dì  approvare^  publFcamente  la  libertà  deMa 
stampa,  con  tutte  le  altre  diaboliche  instituzloni,  che 
lo  Statuto  consacra.  Oh!  non  siate  così  degenere  da 
voi  stesso!  Fate  che  ì  Liguri,  come  i  Pi nerolesi,  co- 
noscano bene  chi  siete;  ed  imparino,  che  in  mezzo 
alla  turba  dei  pastori  vili  ed  ipocriti,  ond'è  ammor- 
bata la  chiesa,  v'ha  un  arcivescovo,  che  sa  tener 
alla  e  ferma  la  santa  bandiera  del  catolicismo.  Viva 
r Inquisizione!  e,,  abbasso  la  libertà!  sia  il  vostro 
grido  di  guerra.  È  il  solo  grido,  che  la  vostra  sa- 
crosanta lingua  debba  proferire;  il  solo,  che  possa 
erompere  dal  petto  di  un  uomo,  il  quale  si  chiami 
calolicoi  prete,  ed  arcivescovo;  e  non  voglia  profa- 
nare la  sua  coscienza  di  catolico,  né  prostituire  il 
suo  carattere  di  prete,  né  traficare  il  suo  giuramento 
di  arcivescovo. 

E  non  basta  ancora.  Pio  IX  nel  1848  accorda  agli 
Stati  pontificj  uno  Statuto,  e  publica  a' 2  di  giugno 
un  motu  proprio  intorno  alla  censura  canonica  dei 
libri.  Or  bene,  anche  in  un  governo  rappresentativo, 
come  intendeva  egli  la  libertà  della  stampa?  Co- 


12». 

miucia  à  dichiarare,  ch6  la  legi8lazto<Be  catolica  è 
veramente  e  propriamente  quella  chci  dicasi  noi: 
«  Nella  sess,  Xdel  conqUio  Lateranese  ¥;  e  di  tìuovo 
»  neir  ultima  delle  regole  dell' Indice»  che  vennero 
»  scritte  dal  deputali  del  concilio  di  Trento  ed  ap^ 
»  provate  da  Pio  lY,  ed  in  ^Itrì  decreti  de' romani 
»  pontefici,  fu  proibito  di  publloare  nessun  libro,  nes- 
»  sun  scritto»  se  prima  non  fosse  esaminato  ed  afH 
»  provato  dall' autorità  ecclesiastica*  2> 

Osserva  poi,  la  copia  de' libri,  e  massime  de'gior" 
nali,  che  si  mandano  alle  stampe^  essere  tanta  cto 
ai  censori  ecclesiastici  riesce  ormai  impossibile  di  ^a-- 
minarli  tutti  con  la  debita  maturità:  «  Per  la  qual 
»  cosa,  egli  soggiunge,  moderando  e  dichiarando  il 
»  decreto  del  concilio  di  Laterano  e  tutte  te  altre 
»  leggi  suddette,  noi  decretiamo  e  permettiamo,  che 
»  d'ora  in  poi  e  finché  altrimenti  non.  venga  stabi- 
»  lito  da  questa  Sede  apostolica,  i  censori  ecclesia- 
»  stlci  nel  nostri  Stati  si  occupino  solamente  di  quelli 
»  scritti,  che  riguardano  le  divine  Scritture^  la  ea- 
»  era  teologia,  la  storia  ecclesiastica,  il  diritto  ca- 
»  nonico,  la  teologia  naturale,  l'etica',  ed  aitatali 
»  discipline  religiose  e  morali;  e  generalmente  di 
D  tutti  quelli,  che  interessano  specialmente  la  relì- 
»  gione  ed  i  costumi.  »  £  quindi  prescrive  per  tutti 
questi  articoli  la  previa  ecclesiastica  censura,  e  ne 
dispensa  li  altri.  Poscia  conchiude:  «  Noi  vogliamo 
»  che  rimangano  ferme,  e  con  l'apostolica  autorità 
»  coulermiamo  le  suddette  leggi  canoniche  in  tutU 
»  quei  punti,  in  cui  non  abbiamo  ad  esse  derogato.  » 
Dunque: 

1."  La  libertà  che  il  papa  concede,  non  è  un  di- 
ritto ch'ei  riconosce;  ma  una  necessità,  a  cui  si  ras- 
segna per  forza; 

2.*"  Le  leggi  canoniche  sono  da  lui  temperate  soiio 
per  rispetto  agli  Stati  delia  chiesa;  ma  confermale 
espressamente  per  tutti  lì  altri  paesi; 


li» 

9."*  Anche  per  coditi  suo!  Stati  ei  Id  tempera 
con  una  eon^^esslone  illusoria,  non  essendovi  libro 
o  scritto  vvTttno,  in  cui  non  si  possano  trovare 
cose,  che  tocchino  qualcuno  dei  molti  articoli  ec- 
cettuati; 

4.°  E  da  ultimo,  quello  stesso  temperamento  non 
vale  più  nemmeno  per  li  Stati  pontine];  dacché  lo 
Statuto  venne  abolito.  Le  leggi  canoniche  sono  dun- 
que in  vigore  più  che  mai  per  tutto  il  mondo. 

Ed  a  chi  serbasse  ancora  qualche  dubio,  a  chi  de- 
siderasse qualche  documento  ancora  più  fresco,  io 
rammenterò  in  fine  una  Notificanza  dei  vescovi  delle 
Provincie  ecclesiastiche  di  Torino  e  di  Genova ,  pu- 
blicata  dagli  uni  a'  2  ottobre,  e  dagli  altri  a'  26  de- 
cembre  1852,  nella  quale  si  leggono  li  articoli  se- 
guenti: 

<  Ricordiamo  a  tutti  li  amatissimi  nostri  dioce- 
»  sani,  che  la  santa  chiesa  non  avendo  mai  abrogate 
»  le  sue  leggi  relative  alla  lettura  e  ritenzione  del 
»  libri  e  fo^li  cattivi,  avendone  anzi  di  continuo  incul- 
»  cata  l'osservanza  per  mezzo  de' sommi  pontefici  e 
»  degli  altri  sacri  pastori,  rimangono  esse  in  tutto  il 
»  loro  vigore  (I). 

»  Dovendo  li  ecclesiastici  tanto  secolari  che  rego- 
»  lari  precedere  1  laici  nell'esercizio  d'ogni  cristiana 
»  virtù,  ed  inispecieneirobedienza  alle  prescrizioni 
»  della  chiesa  ;  dichiariamo  che  sono  essi  obligati  a 
»  sottoporre  qualunque  loro  produzione,  sia  in  nome 
»  proprio  che  in  nome  altrui,  alla  preventiva  revi- 
»  sione  del  proprio  Ordinario,  od  almeno  di  quello  del 
»  luogo^  ove  s' intende  stampare  la  produzione  stessa; 
»  e  che  operando  altrimenti,  incorreranno  nelle  pene 
»  canoniche  (IX). 

»  Ricordiamo  agli  editori  tutti  la  tremenda  respon- 
si) sabilità,  che  si  assumono  nel  publicare  una  pro- 
»  duzione  qualunque,  che  possa  nuocere  alla  rcli- 


130 

»  gione  ed  alla  morale;  e  il  conto  rigorosissimo,  che 
»  dovranno  rendere  a  Dio  di  tutto  il  mftjp,  che  possa 
»  derivarne  al  prossimo,  sì  di  presente  che  in  av- 
»  venire.  Per  conseguenza  li  esortiamo  e  scongiu- 
»  riamo  a  voler  presentare  i  loro  scritti  alla  revi- 
»  sione  ecclesiastica,  non  solo  quando  sì  tratti  di 
»  bibbie,  di  catechismi,  di  libri  liturgici  o  di  pre- 
»  ghiere,  ma  eziandio  ogni  qual  volta  si  aggirino  so- 
»  pra  argumenti,  che  direttamente  o  indirettamente 
»  interessino  la  nostra  sacrosanta  religione  (X). 

»  Caldamente  esortiamo  in  particolare  i  tipografi» 
»  libraj,  e  tutti  i  venditori  di  libri,  incisioni,  e  li- 
»  tografie,  a  volersi  uniformare  alle  leggi  di  santa 
»  chiesa,  per  quanto  loropreme-la  salute  dell'anima 
y>  propria  (XI).'»  E  per  determinare  precisamente 
quali  sieno  queste  leggi,  rimandano  in  una  nota  (15) 
alla  Regola  X  deWIndicey  ed  al  disposto  del  concilio 
Lateranese, 

Est-^e  clair?  Monsignor  Rendu,  conte  di  Monta- 
lembert,  catolici  liberali  tutti  quanti,  io  ospite  que- 
sto latino?  Oh!  speriamo,  che  almen  per  pudore  da 
qui  avanti  cesserete  T  indegno  abuso,  che  solevate 
fare  delle  parole  e  delle  cose.  Chi  vuole  il  catolici- 
smo, rigetti  e  condanni  ogni  libertà  di  stampa:  legge 
della  chiesa  è  la  censura.  Chi,  alFìncontro,  vuole  la 
libertà  di  slampa,  abbandoni  ed  abjurì  il  catolicismo  : 
religione  della  libertà  è  il  razionalismo.  Catolico  vale 
dunque  nemico  della  libertà;  e  liberale  significa  ne- 
mico del  catolicismo.  Siale  o  Tuno  o  T altro,  come 
meglio  vi  aggrada;  ma  non  accoppiale  più  insieme 
questi  due  titoli,  perchè  allora  non  meritereste  né 
l'uno,  né  l'altro. 

A  compiere  il  confronto,  che  io  m'era  proposto  di 
insti tuire  fra  il  programma  della  democrazia  e  quello 
del  catolicismo,  resterebbe  ad  esaminare  la  libertà 


131 

d'associazione  :  ma  questo  tema  non  abbisogna  di  una 
discussione  particolare.  La  libertà  d'associazione  evi- 
dentemente non  è  altro  che  una  forma  o  un'appli- 
cazione delle  libertà  fondamentali,  di  cui  abbiamo 
discorso;  onde  le  associazioni  religiose,  politiche,  ci- 
vili, insegnanti,  non  possono  essere  libere,  se  non 
dove  regni  la  libertà  religiosa,  politica,  civile,  e  d'in- 
segnamento. Se  dunque  la  chiesa  non  ammette  que- 
ste libertà,  egli  è  manifesto  che  non  ammette  né  pure 
la  libertà  d'associazione.  E  quel  vescovo  d'Annecy, 
che  annoverava  espressamente  fra  le  libertà  naturali 
deir  uomo  T  associazione  de*  cuori  e  delle  coscienze 
per  la  preghieray  fu  uno  dei  primi  a  gridare  contro 
l'erezione  del  tempio  valdese  in  Torino;  e  con  lui 
gridarono  e  schiamazzarono  tutti  ì  vescovi  dello  Stato. 
Oh  1  ci  vuole,  in  verità,  una  fronte  di  bronzo  per 
ascrivere  al  catolicismo  la  libertà  d'associazione,  men- 
tre appunto  il  catolicismo  rinova,  perfìn  nella  mite 
Toscana,  perfino  nel  libero  Piemonte,  le  persecuzioni 
religiose;  e  punisce  come  un  delitto  la  riunione  an- 
che privata  di  alcuni  amici  per  leggere  e  meditare 
la  Bibbia.  E  quanto  alle  associazioni  politiche,  non 
è  egli  noto  a  tutto  il  mondo,  con  qual  furore  bar- 
barico la  chiesa  abbia  condannato  e  proscritto  i  Li- 
beri Muratori  e  i  Carbonari?  Primo  a  bandir  loro 
la  croce  addosso  fu  papa  Clemente  XII,  nella  sua  co- 
stituzione In  eminenti  del  28  aprile  1738  :  «  A  tutti 
»  e  singoli  i  fedeli,  di  ogni  stato,  grado,  condizione, 
»  ordine,  dignità  e  preminenza,  laici  e  cherici,  tanto 
»  secolari  che  regolari,  prescriviamo  severamente  ed 
»  in  virtù  della  santa  obedìenza,  che  nessuno,  sotto 
»  nessun  pretesto  o  mendicato  colore,  ardisca  o  pro- 
to suma  di  fondare  le  società  de'  Liberi  Muratori  o 
»  Francs  Macons,  o  in  altro  modo  nominate  ;  di  pro- 
»  pagarle,  favorirle,  e  ricettarle'  ed  occultarle  nella 
»  propria  casa  od  altrove;  di  ascriversi  o  aggregarsi 


132 

»  alle  medesime,  o  iatervenirvi»  o  procurare  o  faci" 
»  litar  loro  il  modo  di  potersi  in  qualche  luogo  assem- 
»  brare;  di  somministrar  nulla  ad  esse,  o  soccorrerle 
»  di  consiglio,  di  ajuto,  di  favore,  o  in  qualsiasi  altra 
»  maniera,  in  publico  od  in  privato,  direttamente  o 
»  indirettamente,  per  sé  o  per  mezzo  d  altri,  non  che 
»  di  eccitare,  indurre,  provocare  o  persuadere  altri 
»  ad  ascriversi  a  tali  società,  ad  aggregarvisi,  ad 
»  intervenirvi,  ed  a  giovarle  o  favorirle  in  qualsivo* 
»  glia  modo;  ma  sibbene  prescriviamo,  che  ciascuno 
À  debba  tenersi  affatto  lontano  dalle  stesse  società, 
»  adunanze,  riunioni,  consor^j,  congregazioni  o  cou- 
>^  venticele,  sotto  pena  di  scommunicaper  tutti  i  con- 
»  traventori  da  incorrersi  ipso  factOy  senz'alcuna  di- 
»  chiarazione  ;  scommunica,  dalla  quale  nessuno  potrà 
»  essere  assoluto  da  altri  che  da  Noi  o  da'  nostri 
»  successori,  fuorché  se  si  trovasse  in  punto  di 
»  morte. 

»  Vogliamo  inoltre  e  prescriviamo,  che  tanto  i  ve- 
»  scovi,  prelati,  superiori,  ed  altri  Ordinari  de'luo- 
»  ghì,  quanto  l'inquisitori  dell'eretica  empietà  ovun- 
»  que  deputali,  agiscano  e  procedano  contro  i  tra- 
»  sgrcssori,  qualunque  ne  sìa  il  grado,  lo  slato,  la. 
»  condizione,  l'ordine,  la  dignità,  e  la  preminenza; 
»  e  come  fortemente  sospetti  d'eresia  li  puniscano 
»  e  reprimano  con  le  debite  pene:  al  qual  uopocon- 
»  feriamo  ed  impartiamo  ai  medesimi  ed  a  ciascuno. 
»  di  essi  libera  facultà  di  agire  e  procedere  contro 
»  li  stessi  trasgressori,  e  di  reprimerli  e  punirli  con 
»  pene  condegne,  invocando  anche,  quando  fosse 
»  mestieri,  il  sussidio  del  braccio  secolare.  » 

A  Clemente  faceva  eco  Benedetto  XIV  con  la  sua  co- 
stituzione Providas  del  18  maggio  1751,  nella  quale 
conferma  esplicitamente  le  stesse  prescrizioni  e  le 
slesse  pene  contro  tutte  le  società  de' Liberi  Mura- 
toriy  e  per  questa  cagione,  fra  le  altre,  che  «  in  tali 


133 

»  società  e  conventicole,  uomini  d'ogni  religione  e 
»  d'ogni  setta  a  vicenda  si  aggregano;  dal  che  ap~ 
»  parisce  cliiaramente,  quanto  grave  danno  possa 
»  ridondarne  alla  purezza  della  catolica  religione.  » 

Più  di  recente,  Pio  VII,  mosso  dair  esempio  de' suoi 
predecessori  Clemente  e  Benedetto,  e  dalla  conside- 
razione dolorosa,  che  «  queste  sollecitudini  dell'a- 
postolica Sede  non  aveano  sortito  l'esito,  ch'ella 
si  era  proposta;  »  publìcò  la  sua  costituzione  Ec- 
clesiam  in  data  del  13  settembre  1821,  nella  quale 
estese  ed  applicò  alle  società  dei  Carbonari  i  de- 
creti contro  i  Liberi  Muratori;  e  v'aggiunse  di  più 
l'ordine  seguente:  «  Comandiamo  a  tutti,  sotto  la 
»  slessa  pena  di  scommunica  riservata  a  Noi  ed  ai 
»  romani  pontefici  nostri  successori ,  che  sieno  te- 
»  nuli  a  denunciare  ai  vescovi,  o  a  quelli  cui  spetta, 
»  tutti  coloro,  che  sapiano  essere  ascritti  a  questa 
»•  società.  » 

Poscia  Leone  XIl,  nella  costituzione  Quo  graviora 
mala,  del  13  marzo  1825,  ripetè  e  rinovò  formal- 
mente li  editti  de' suoi  predecessori  contro  le  società 
de' Liberi  Muratori  e  de' Carbonari;  e  li  estese  par- 
ticolarmente ad  un'altra  società  intitolata  Univer- 
«jYoria.  Finalmente  nel  1844  Gregorio  XVI  con  l'en- 
ciclica Inter  praecipuas,  e  nel  1846  Pio  IX  con  una 
altra  enciclica  Qui  plurthus,  confermarono  tutte  le 
gtesse  condanne,  le  stesse  scommuniche,  le  stesse  de- 
li uncie. 

Eccovi,  signori  catolici  liberali,  come  la  chiesa  in- 
tenda e  protegga  la  libertà  d' associazione  1 

Anche  la  parte  diretta  della  dimostrazione,  che  io 
aveva  intrapresa,  mi  sembra  compiuta.  Ho  provato, 
come  tutte  le  libertà,  che  costituiscono  11  sistema 
della  democrazia,  e  che  erano  state  inscritte  da  Mon- 
taremberl  e  da  Rendu  nfel  loro  programma,  sono  tutte 


134 

espressamente  e  formalmente  condannate  dalla  chiesa. 
Ho  provato,  che  la  legge  del  catolicismo  è  In  tutti 
1  punti  la  negazione  ed  il  rovescio  del  principi  della 
libertà.  Ilo  provato,  che  nessuno  di  buona  fede  può 
vagheggiare  più  l'accordo  della  libertà  co'l  catoli- 
cismo; e  che  però  chi  vuole  ed  abbraccia  Tana, 
deve  aborrire  e  combattere  l'altro.  MI  sono  adunque 
sdebitato,  secondo  le  tenui  mie  forze,  della  promessa 
che  io  avea  fatta;  e  spero  di  avere  trasfuso  nell'a- 
nimo deflettori  imparziali  un  po'  di  quel  convinci- 
mento, che  possedè  e  domina  tutto  l'animo  mio. 


CAPITOLO  DUODECIMO 


«.  VERO  CATOLICISMO  B  E^A  VEBA  IJBEIITA' 


Due  specie  d'oppositori  potrebbe  incontrare  la  con- 
cluslone  ultima  del  mio  discorso:  certi  catolici,  che 
mi  accuseranno  di  avere  falsata  T  indole  nativa  e 
disconosciuto  lo  spirito  genuino  del  catolicismo;  e 
certi  liberali,  che  m'incolperanno  di  aver  travisata 
la  natura  ed  esaggerate  le  tendenze  della  libertà.  — 
Voi  confundete  sempre,  mi  diranno  i  primi,  due 
cose  ben  diverse:  la  chiesa  catolica,  e  la  curia  ro- 
mana. Le  leggi  barbariche  e  le  dottrine  mostruose^ 
che  n'allegate,  non  rappresentano  già  la  chiesa  di 
Cristo,  ma  la  fazione  de' papi;  non  sono  l'Evange- 
lio, ma  il  gesuitismo  e  l'Inquisizione.  Ed  anche  noi 
le  detestiamo  con  tutta  la  potenza  dell'anima  no- 
stra. Ma  che  ha  mai  da  fare  il  catolicismo  con  que- 
ste leggi  e  queste  dottrine?  Il  catolicismo  è  la  re- 
ligione dell'amore,  della  giustizia,  della  fraternità, 
dell' eguaglianza;  e  ben  lungi  dall'essere  ostile  alia 
libertà,  è  desso,  che  l'ha  portata  su  la  terra;  desso, 
che  l'ha  fecondata  con  la  sapienza  de' Padri;  desso, 
che  l'ha  salvata  dalle  irruzioni  de' barbari;  desso. 


136 

che  riia  educata  nelle  franchìgie  de' Communi.  Chi 
dunque  ama  e  vuole  la  libertà,  dee  con-egual  ar- 
dore volere  ed  amare  il  catolicismo,  il  catolicismo 
vero,ì\  catolicismo  di  Gesù  e  de' suoi  apostoli,  il  ca- 
tolicismo de' cristiani,  de'concilj,  e  dei  dottori  anti- 
chi. La  causa  della  democrazia  ha  bisogno,  non  di 
un'abolizione,  ma  di  una  restaurazione  del  catoli- 
cismo. — 

E  similmente  mi  diranno  i  secondi  :  — Voi  scambiate 
sempre  la  libertà  con  l'anarchia,  che  ne  è  la  mag- 
giore nemica.  Quella  libertà  sbrigliata,  sconfinata, 
assoluta,  che  non  patisce  freno,  che  non  riconosce 
autorità,  che  non  professa  religione  alcuna,  non  è 
democrazia,  ma  demagogia;  non  è  l'idea  ed  il  biso- 
gno dell'Umanità,  ma  il  sogno  di  alcuni  utopisti  o 
la  trama  di  pochi  furiosi,  che  anelano  alla  ruina 
della  società,  alla  spogliazione,  al  saccheggio,  ed  al 
sangue.  I  popoli  vogliono  solamente  una  libertà,  che 
s'accordi  con  l'autorità;  una  libertà,  che  concili!  in- 
sieme i  diritti  della  ragione  e  della  fede,  i  principi 
della  scienza  e  della  religione,  le  leggi  della  chiesa 
^  dello  Stato.  Dunque  r  interessi  del  catolicismo  sono 
identici  con  quelli  della  libertà:  liberali  e  catolici, 
anziché  osteggiarsi  con  reciproco  danno,  devono  far 
causa  commune,  e  combattere  insieme,  da  un  lato  i 
nemici  della  vera  religione,  dall'altro  quelli  della  vera 
democrazìa,  -i— 

A  questa  doppia  objezione,  che  ci  si  affacciò  più 
d'una  volta  nel  corso  de' nostri  ragionamenti,  ho  già 
tìato  qualche  risposta,  che  dovrebbe  ad  ogni  assen- 
nato bastare.  Ho  risposto  ai  primi,  che  io  intendeva 
per  catolicismo,  non  le  opinioni  di  teologi  o  scrittori 
privati,  ma  le  dottrine  della  chiesa  romana,  definite 
e  promulgate  dall'unica  autorità  competente,  con- 
cilj  e  papi  ;  e  che  fuori  di  questa  chiesa  e  di  gue- 
st'autorità  non  esisterebbe  più  catolicismo;  polche 


137 
di  esso  non  resterebbe  che  una  società  senza  centro, 
una  scuola  senza  maestro,  un  corpo  senza  capo.  Ed 
ho  risposto  ai  secondi,  che  io  deduceva  le  leggi  della 
libertà,  non  dalle  convenienze  del  governo  e  della 
diplomazia,  ma  dalla  ragione,  dalla  giustizia,  e  dal 
diritto  naturale;  che  la  questione  non  era  pratica, 
ma  teoretica;  e  riguardava,  non  la  misura  delle  ap- 
plieazloni,  ma  la  verità  dei  principi;  e  che  appunto 
erano  i  principj,  che  costituivano  un  sistema  affatto 
Incampatiblleoon  l'autorità,  come  rintendonoil  catoli- 
cismo e  la  monarchia. 

Ma  una  tal  objezione,  a  forza  d'essere  ripetuta  da 
ambe  le  parti  su  tutti  i  toni,  acquistò  una  voga  sin- 
golare. S'è  tanto  gridato  nei  libri,  nei  giornali,  e 
nei  Parlamenti,  altro  essere  il  catolicismo  ed  altro 
la  chiesa  romana,  che  il  detto  ha  ormai  rivestito  il 
carauere  di  pregiudizio  assai  commune;  e  tutti  co- 
loro^ che  61  vantano  eatolici  e  liberali,  mettono  il 
loro  zelo  a  scagliarsi  contro  i  preti,  i  papi,  e  la  cu- 
ria dì  Roma,  nel  mentre  stesso  che  fanno  l'apologia 
e  il  panegirico  del  catolicismo.  A  udirli,  è  Roma, 
ohe  osteggia  il  progresso  e  odia  la  libertà;  Roma, 
che  protegge  i  despoti  e  tradisce  i  popoli  ;  Roma,  che 
predicala  servitù  e  santifica  l'ignoranza;  Roma, che 
mantiene  il  sant'Officio,  che  ambisce  il  potere,  che 
favoreggia  i frati,  che  trafica  le  coscienze;  Roma,  che 
ha  fatto  della  chiesa  uiìa  bottega,  ed  ha  pervertito 
i  prlneipj  e  le  instituzioni,  spenta  l'anima  e  la  vita 
del  catolicismo.  Roma  adunque  si  condanni,  ma  il 
catolicismo  si  assolva;  morte  e  sterminio  alla  fa- 
zione clericale,  ma  gloria  ed  omaggio  alla  catolica 
religione. 

Io  confesso,  che  questo  sistema  anche  a  me,  un 

tempo,  arrideva.  Non  tardai  però  a  riconoscerne  la 

falsità  e  l'ingiustizia,  appena  ch'ebbi  meditato  più 

attentamente  la  natura  intima  e  l'essenza  propria 

lì.  19 


13ft 

del  catolicismo.  Qui  pertanto  io  devo  in  coscieaza 
dichiarare,  clie  i  papi  ed  i  gesuiti  haano  ragione:  il 
vero  catolicismo  è  quello  che  professa  Roma;  e  il 
catolicismo  dei  liberali  è  una  chimera  ed  un  assurdo. 
£  poiché  m'avveggo  bene,  che  queste  proposizioni 
faranno  inarcare  a  molti  le  ciglia,  quasi  fossero  enor- 
mi paradossi  ;  egli  è  pregio  dell'opera  esporle  con  qua- 
che maggiore  ampiezza,  e  confermarle  con  tutto  quel 
rigore  di  prove,  che  la  brevità  dello  spazio  può  an- 
cora concedermL 

Lasciamo  dunque  da  banda  quelle  dottrine^  che  i 
predicatori  del  vero  catolicismo  e  della  vera  libertà 
ci  potrebbero  contrastare;  lasciamo  «tar  il  bullarlo 
e  le  decretali,  il  socialismo  e  la  democrazia.  Noi  Ut 
miteremo  espressamente  la  nostra  disamina  a  quei 
pochi  principi,  che  non  può  non  ammettere  chiunque 
professai!  catolicismo,  per  quanto  lo  voglia  puro,  an- 
tico, evangelico;  e  la  libertà,  per  quanto  la  bramì 
discreta,  onesta,  e  moderata. 

Cominciamo  dal  dogma.  Chi  abbia  una  nozione  ap- 
pena elementare  del  catdicismo  e  della  libertà,  non 
potrà  dubitare,  che  sieno  artìcoli  essenziali  al  primo 
ì  dogmi  del  peccato  originale,  della  grazia,  e  della 
redenzione;  ed  alla  seconda,  i  principj  di  giustìzia  e 
di  eguaglianza  civile.  Ora  questi  dogmi  e  questi  prin- 
cipi si  escludono  a  vicenda. 

La  dottrina  catolica  del  peccato  originale  che  cosa 
ci  rappresenta? 

.  1.*"  Un  Dìo,  il  quale  di  sua  piena  e  spontanea  vo- 
lontà colloca  l'uomo  nell'occasion  di  peccare,  ben- 
ché, preveda  che  in  effetto  peccherà;  —  un  Dìo,  il 
quale  per  suo  mero  arbitrio  abbandona  l' uomo  a  sé 
stesso  e  lo  lascia  cadere  in  peccato,  benché  possa 
preservamelo  co'i  suo  soccorso;  —  un  Dio,  il  quale 
condanna  l'uomo  con  tutta  la  sua  discendenza  alla 


1S9 

miseria^  al  dolore,  td  al  pianto,  benché  stia  in  luì 
di  renderlo  felice  per  sempre. 

d^""  Un  nomo,  clie  per  ayer  mangiato  un  pomo  viene 
punito  c<Hi  le  pene  più  gravi,  più  lunghe,  più  atroci, 
che  potessero  imaginarsi  dal  genio  stesso  del  male; 
—  un  uomo,  che  è  punito  da  Dio  per  una  colpa,  a 
cui  Dio  medesimo  Tha  esposto;  —  un  uomo,  che  Dìo 
punisce  per  una  trasgressione^  da  cui  Dio  stesso  po- 
tendo non  volle  salvarlo. 

8.*^  Una  serie  innumerabile  d'uomini,  i  quali  sono 
tutti  rei  ancora  prima  di  nascere;  —  i  quali  na-- 
scono  tutti  guasti,  perversi,  corrotti  d'anima  e  di 
corpo, senza  nemmeno  la  possibilità  d'una  loro  colpa; 
*—  1  quali  in  pena  di  questa  colpa,  che  non  hanno 
commessa  e  non  potevano  eommettere,  vengono  puniti 
con  ogni  sorta  di  mali  in  questa  vita,  e  con  l'inferno 
neir  altra. 

Ora  questi  principi,  che  nessun  catolico,  sotto  nes- 
sun pretesto,  può  revocare  in  dubio,  sono  il  rove^ 
scio  d'ogni  equità  e  d'ogni  giustizia.  Al  tribunale 
della  coscienza  umana,  il  primo,  anzi  l'unico  reo, in 
tutta  questa  tragedia,  sarebbe  Dio;  il  quale  nonme^ 
riterebbe  più  il  dolce  nome  di  padre,  nm  l'esoso  ti^ 
tolo  di  tiranno.  Ponete  in  luogo  di  lui  un  uomo; 
portate  la  sua  causa  davanti  al  giudizio  di  tutti  i 
popoli  civili;  e  tutti  lo  condanneranno  siccome  H 
più  iniquo,  spietato^  e  disumano  genitore,  che  abbia 
mai  contristato  il  mondo  e  disonorata  la  natura.  Lo 
condanneranno,  perchè  non  assicurò  la  felicità  a'suoi 
figliuoli^  perchè  punì  una  leggerezza  con  pene,  che 
sarebbero  eccessive  od  esorbitanti  per  qualunque  più 
enorme  delitto;  perchè  punì  e  seguita  a  punire  l'in- 
nocenti. 

Applicate  alla  società  le  leggi,  con  cui  si  governa 
Il  Dio  del  catolicismo:  che  ne  risulta?  La  libertà? 
Ko;  il  despotismó.  Né  risulta  il  diritto  del  superiore 


146; 

a  tradurre  in  legge  11  proprio  capriccio;  ad  infiigiere 
le  pene  più  crudeli  ed  orrende  per  un  minimo  fallo; 
a  sfogare  la  sua  vendetta  contro  T  innocenti  mede- 
simi, senz' altra  norma  che  il  proprio  furore.  Ditemi 
ora,  quale  sta  la  libertà  possibile,  *doye  regna  e  go- 
verna un'autorità  cosi  fatta? 

—  Ma  la  giustizia  di  Dio  non  è  quella  degli  uo- 
mini; e  nessun  principe  della  terra  potrebbe  arro- 
garsi i  poteri,  che  competono  a  Dio  solo.  —  Dun- 
que vi  sono  due  specie  diverse  di  giustizia?  V'ha 
dunque  una  giustizia  per  la  religione,  ed  un'altra 
per  la  società?  Ma  allora  si  getta  il  disordine  e  la 
confusione  nelle  idee,  nella  coscienza,  nella  vita;  al- 
lora si  stabilisce  un  antagonismo  fatale  tra  la  ra- 
gione e  la  fede;  allora  Tuna  comanderà  quello,  che 
vieterà  l'altra;  per  quella  sarà  giueto  ciò,  che  per 
questa  iniquo.  E  chi  potrebbe  tolerare  una  sì  per- 
versa dottrina?  Anche  nel  senso  della  dottrina  cato- 
lìca,  Iddio  non  solo  è  giusto,  ma  è  la  ste^a  giusti- 
zia; e  quella  giustizia,  che  si  rivela  naturalmente 
alla  coscienza  dell'  uomo,  non  è  che  un  raggio  della 
medesima  divinità,  a  quel  modo  che  la  natura  tutta 
è  quasi  un  ombreggiamento  di  Dio.  Dunque  la  giu- 
stizia è  una;  ed  è  assurda  quella  divisione  della  giu- 
stizia in  divina  ed  umana.  Ciò  che  la  ragione  di- 
chiara giusto,  dev'essere  giusto  eziandìo  agli  occhi 
della  fede;  e  viceversa.  Ma  se  la  religione  propo- 
nesse come  giusto  un  atto  iniquo,  noi  faremo  come  i 
popoli  civili  e  li  uomini  onesti  sogliono  fare;  ed  ante- 
porremo la  voca  spontanea  dell'Umanità  ai  misteriosi 
oracoli  dei  preti.  Né  vale  il  dire,  che  l'uomo  non 
possa  arrogarsi  i  poteri  di  Dio;  giacché  non  si  tratta 
qui  dì  fare  tutto  quello  che  può  Dio,  ma  bensì  d' i- 
mìtare  nelle  debite  proporzioni  il  suo  esempio,  e  di 
operare  secondo  la  legge,  ch'egli  medesimo  osserva. 
Ammessa  dunque  la  teodca  del  peccato  originale  per 


Ul 
base  della  religione,  il  prìncipe  stìmerasHÌ  arbitro 
d'imporre  ai  sudditi  le  leggi  che  vuole»  di  punire  chi 
vu(^,e  di  punire  come,  quandi,  e. quanto  vuole;  e 
ne  avrà  il  diritto  1  I  sudditi  staranno  alla  mercè  di 
queir  autocrata,  obediranno  a' suoi  capricci,  «opporte^ 
ran  le  sue  prepotenze,  baceran  la  mano  che  li  per- 
cuote; e  ne  avranno  il  dorerei  Ecco  la  giustìzia  del 
vero  catolioismo. 

Il  dogma  della  predestinazione  e  della  grazia  non 
repugna  meao  ad  ogùi  principio  di  libertà.  Esso  ci 
mostra-: 

Da  parte  di  Dio,  che  Tunica  legge,  con. cui  re^- 
gola  i  destini  dell- uomo,  è  il  ^o  proprio  arbitrio» 
Iddio  da  tutta  Teternità  pred&tina  coloro,  acuivuc^ 
dare  la  sua  grazia;  e  questa  grazia  è  un  dono  gra- 
tuito, che  fion  suppone  il  merito,  ma  lo  crea;  non 
è  la  mercede  delle  opere  bucme,  ma  la  cagione.  Sic- 
ché la  virtù  in  questa. vita  e  la  beatitudine  nell'al- 
tra sono  un  favore,  che  Dio  grattutamente  accorda 
a' suoi  eletti,  ed  arbitrariamente  nega  a  tutti  lì  altri. 

Da  parte  dell'uomo,  che  il  solo  carattere,  per  cui 
si  diff^enzìano  i  buoni  dai  malvagj,  i  santi  dai  re- 
probi ,  è  il  privilegio  della  grazia  di  Dio.  Perocché 
nascono  tutti  rei  egualmente  e  perdati;  ma. da  que- 
sta maaaa  di  perdizifme  (è  la  frase  tecnica  del  cato- 
iici^oQO)  Dio  ekgge  quelli,  che  vuole  salvare,  e  li 
salva;  sa  che  tutti  lì  altri  in&Uiblimeiite  si  danne- 
ranno, e  lascia  che  sì  dannino  a  loro  posta.  Laónde 
son  buoni  e  santi  coloro  soli,  che  Dìo  ha  predesiì- 
nati  ed  eletti  ad  essere  buoni  e  sanU;  reprobi  e  mal- 
vagi s<>Q  1^^^  coloro,  a  cui  Dio  non  ha  decretata  la 
bontà  e  la  santità,  cioè  la  sua  grazia  efficace  ed  on- 
nipotente. 

—  Ma  se  sì  dannano,  è  ^Ipa  loro  e  non  di  Dìo, 
il  quale  li  punisce  dei  delitti,  che  liberamente  hanno 


1» 

commeseò.  «—  No,  tutta  la  colpa  sarebbe  di  Dio;  sa- 
rebbe sempre  Dio  l'autore  primo  di  tutti  i  dritti 
passati  e  futuri.  Qaella  grazia  efficace,  con  cui  salva 
Infallibilmente  1  suoi  eletti,  potrebbe  estenderla  a 
tutti  11  uomini,  senza  che  gli  costasse  nulla;  e  pure 
no  *i  fa:  perchè?  Non  per  alcun  loro  demerito,  giac- 
ché la  grazia  è  un  dono  tutto  gratuito;  e  nel  si* 
stema  catolico  dell' eterna  salute,  essa  non  dipen<]te 
punto  dalle  opere,  buone  o  cattive,  dell' uomo,  ma 
solo  dal  libero  decreto  di  Dio.  Dunque  no'i  fa,  uni- 
camente perchè  non  vuole;  dunque  tutte  le  colpei, 
che  si  commettono  nel  mondo,  sono  moralmente  im- 
putabili a  Dio,  perchè  è  desso  che  potrebbe  tutte 
impedirle  senza  ledere^  minimamente  il  libero  arbi- 
trio degli  uomini  ;  ed  invece  trova  maggior  gusto  e 
compiacenza  a  lasciarli  peccare,  per;  aver  poscia  la 
compiacenza  ed  il  gusto  di  vedere  1  suoi  fuftj  a  bru- 
ciar vivi  per  sempre  nelfe  fiamme  sem^àternel  — 
D'altra  parte,  senza  la  grazia  Tuomo  non  può  fare 
alcun' opera  meritoria;  non  può^nè  anche  concepire 
un  buon  pensiero;  non  può  vincere  tutte  le  tenta- 
zioni del  demonio;  non  può  domare  tutte  le  prave 
concupiscenze  del  suo  cuore;  e  molto  meno  può, 
senza  un  privilegio  specialissimo,  perseverare  nel 
bene  sino  alla  fine.  Dunque  senza  la  grazia  di  Dìo 
l'uomo  indubitatamente  cadrà,  poiché  le  forze  del 
suo  lìbero  arbitrio  non  gli  bastano  per  adempire 
tutti  i  suoi  dovari;  dunque  al  libero  arbitrio  la  giu- 
stizia non  può  rigorosamente  imputare  i  falli  del- 
l'uomo,  polche  nessuno  è  tenuto  all'impossibile,  nes- 
suno è  reo  di  mancare  ad  una  legge  che  non  può 
osservare.  Così  Dio  punisce  nei -reprobi  quelle  col- 
pe, di  cui  è  egli  stesso  il  promotore  ed  il  reo  prin- 
cipale. 

—  E  che?  Dio  non  ha  oblighi  verso  nessuno.  A 
cui  dà  la  sua  grazia,  fa  un  beneficio;  ed  a  cui  la 


143 
nega,  non  fa  ìngmsUzftì  veruna.  —  Ma  questa  è  una 
morale,  di  cui  dovrebbero  vergognarsi  lì  stessi  bruti. 
Un  padre  non  ha  oblìgo  nessuno  verso  dei  figlj,  che 
mette  al  mondo  li...  E  son  uomini,  ed  uomini  reli- 
giosi, coloro  che  c'insegnano  queste  belle  dottrine? 
Che  Dio  non  fosse  obligato  a  creare,  passi  pure;  ma 
creato  che  abbia,  la  giustizia  interviene  a  stabilire 
le- mutue  relazioni  frar il  creatore  eia  creatura,  come 
fra  il  padre*  ed  i  figlj.  I  figlj  contraggono  certi  do- 
veri, ma  acquistano  insieme  certi  diritti  ;  perchè  do- 
vere senza  diritto  non  può  concepirsi.  E  similmente 
il  padre  consegue  alcuni  diritbi,  ma  assume  nello 
stesso  tempo  alcuni  doveri;  perchè  non  può  darsi 
diritto-  senza  dovere.  Dunque  Iddio  è  tenuto  di  fare 
alle  sue  creature  tutto-  il  bene,  di  cui  egli  abbia  fa- 
caltà,edesse  bisogno.  Esse  hanno- bisogno  della  gra- 
zia per  divenire  felici;  ed  egli  possedè  un  tesoro  di 
grazia  infinito,  inesauribile:  dunque  Iddio  è  obligato 
ad  assistere  tutti  li  uomini  con  una  grazia  tale,  che 
basti  in  realtà,  e  non  di  solo  nome,  a  salvarli,  ed 
effettivamente  li  salvi.  Tanto  più  che  Dio  non  può 
addurre  la  scusa,  che  se  ne  rendano  indegni  per 
colpa  loro  ;  giacché  la  grazia  può  sicuramente  pre- 
venire qualunque  colpa,  e  preservare  ognuno  da  qua- 
lunque fallo  :  dunque  Iddio  lo  dee  fare.  Così  pre- 
scrive la  ragione  e  la  giustizia.  (Ma  alla  giustizia  e 
alla  ragione  del  catolicismo  che  importano  mai  le 
leggi  della  coscienza  umana?  Il  catolicismo  invece 
adora  un  Dio,  che  si  tiene  sciolto  da  qualsiasi  obli- 
gazione  verso  degli  uomini  che  ha  creato;  un  Dio, 
che  nella  sua  immensa  famiglia  predilige  [quei  po- 
chi eletti,  e  li  colma  di  beni,  di  meriti,  di  doni,  per- 
chè li  vuole  salvi  e  beati;  e  odia  tutti  li  altri,  li 
chiama  reprobi,  li  lascia  intristire,  perdersi,  dan- 
narsi, perchè  non  li  vuole  con  sé  ift  paradiso! 
Trasportate  nell'  ordine  sociale  il  dogma  della  pre- 


144 

des,t inazione  e  della  grazia:  che  ne  deriva?  La  li- 
bertà? No;  il  privilegio.  La  gran  massa  degli  uomiai 
nasce  dannata  a  servire  e  patire;  non  ha  diritto  ve- 
runo di  lagnarsi.  Ma  vi  sono  i  pochi  eletti,  che  Dio 
manda  su  la  terra  per  comandare  e  godere:  ad  essi 
ricchezze,  onori,  poteri,  felicità,  ogni  bene.  Che  cosa 
sono  adunque  le  nazioni?  Sono  mandre  da  pasco- 
lare, da  tosare,  da  mungere,  da  aggiogare,  da  trafi- 
care,  in  servigio  di  quei  fortunati ,  che  Dio  prede- 
stinava a  governarle.  Tale  è  Tordine  naturale  e 
r  instituzione  divina  della  società  :  chiunque  presume 
di  turbare  quell'ordine,  è  ribelle  e  sedizioso;  chlun- 
que  tenta  di  riformare  queirinstituzione,  è  un  empio, 
un  sovvertitore:  i  principi  han  diritto  e  dovere  di 
sterminarlo  dal  mondo,  i  preti  han  dovere  e  diritto 
di  condannarlo  air  inferno.  Ecco  la  vera  libertà  del 
.  catolicismo. 

Alle  medesime  conseguenze  ne  conduce  il  dogma 
della  redenzione.  Vediamo  qui  un  redentore,^  che  fin 
da  principio  poteva  riscattare!' uomo  dalla  schiavRu 
del  demonio;  ed  aspetta  invece  quattromille  anni,  e 
lascia  intanto  un  numero  sterminato  di  generazioni 
umane  correre  il  sentiero  della  perdizione.  Vediamo 
un  redentore,  che  prima  delia  sua  venuta  concentra 
tutte  le  proprie  cure  in  una  sola  famiglia;  indi  in 
un  popolo  solo;  ed  abbandona  tutto  il  resto  del  ge- 
nere umano  al  suo  destino.  Vediamo  un  redentore, 
che  mentre  a  parole  si  dice  venuto  e  morto  per  tutti 
li  uomini,  in  effetto  poi  viene  e  muore  solamente 
pe'suoi  eletti;  giacché  adessi  soli  applica  realmente 
i  meriti  del  proprio  sangue:  ad  essi  la  conoscenza 
della  vera  chiesa,  la  predicazione  dell'Evangelio,  il 
privilegio  del  battesimo  e  degli  altri  sacramenti,  la 
grazia  insomma,  quella  grazia  efficace,  che  è  V  unica 
via  di  salute,  e  senza  di  cui  tutte  le  altre  grazie  non 


bastano  giammai  a  salvare.  Così  dopo  la  redenzione 
dura  tuttavia  l' iniquo  sistema  di  prima;  v'ha  solo 
una  certa  differenza  di  numero,  poiché  adesso  i  pri- 
vHegiati  sono  più  clie  li  ebrei:  ma  infine  il  numero 
dei  reprobi  fu  ed  è  sempre  incomparabilmente  mag- 
giore che  quello  degli  eletti. 

—  E  nondimeno  i  reprobi  sono  rei,  perchè  ri- 
gettano il  beneficio  della  redenzione;  onde  è  giu- 
sta la  pena,  che  li  colpisce.  —  No;  è  sempre  ini- 
qua la  pc^na,  è  sempre  colpevole  Iddio.  Nessuno  ri- 
getterebbe il  beneficio  della  redenzione,  se  Dìo  vo- 
lesse davvero  estenderlo  a  tutti;  poiché  egli  ha  in 
sua  mano  il  cuore  di  tutti,  e  lo  può  muovere  e  pìcr 
gare  con  la  grazia  ad  ogni  suo  volere:  al  sno  vo- 
lere non  é  chi  possa  resistere.  Dunque  se  i  più  gli 
resistono,  egli  é  perchè  i  più  mancano  della  sua  gra- 
zia. —  Oltre  di  che,  ci  vuole  un'anima  di  sasso, 
come  l'hanno  i  teologi,  per  sostenere  che  chiunque 
non  è  catolico,  è  reo,  perchè  rifiuta  colpevolmente 
la  redenzione.  Rifiutano  dunque  la  redenzione  tutti 
quei  popoli  dell'Asia,  dell' Africa,'deir America,  del- 
l'Oceania, che  non  han  mai  sentito  parlare  né  di 
Cristo,  né  di  chiesa?  che  non  sospettano  neanche 
possibile  una  religione  diversa  dalla,  loro?  che  non 
han  mai  concepito  il  minimo  dublo  contro  la  verità 
della  loro  fede?  Ma  questi  preti,  che  provano  tanta 
compiacenza  a  trattar  l' interessi  del  diavolo;  questi 
vescovi,  che  tengono  con  tanta  esattezza  i  registri 
dell' inferno;  questi  papi,  che  alzano  con  tanta  so- 
lennità un  tribunale  per  l'altro  mondo:  che  sareb- 
bero mai,  se  in  luogo  d'essere  nati  ed  allevati  in 
Europa,  avessero  sortita  la  culla  e  l'educazione  in 
mezzo  a  genti  barbare,  selvagge,  idolatre?  E  che  di- 
rebbero di  quell'uomo  o  di  quel  Dio,  che  volesse  con- 
dannarli per  essere,  nati  in  una  parte,  anziché  in  un'al- 
tra del  globo? 


IM 

^  Non  si  deve  ad  ogni  modo  imputar  a  Dio  là 
perdita  di  nessuno;  poicliè  Dìo  vuole,  quanto  è  in 
sé,  la  salute  di  tutti,  e  Cristo  per  la  salute  di  tutti 
ha  dato  egualmente  il  sangue  e  la  vita.  —  Dete- 
stabile sofisma l  Non  è  vero,  che  Dio  facia  quanto 
è  in  9è  per  salvare  tutti  li  uomini;  giacché  se  facesse 
davvero  quanto  è  in  sé,  tutti  sarebbero  salvi.  Non  è 
vero,  che  Cristo  siasi  egualmente  sacrificato  per  tutti 
li  uomini;  giacché  altrimenti  tutti  andrebbero  salvi*. 
Ma  il  catolicismo  ha  decìso,  che  ben  pochi  si  salva- 
no; dunque  ben  pochi  sono  coloro,  che  Dio  voglia 
salvare,  e  per  cui  Cristo  abbia  data  la  sua  vita.  lur 
somma,  o  la  volontà  di  Dio  intorno  alla  salute  dBglì 
uomini  é  una  sóla  e  medesima  verso  dì  tuttr,  o  no. 
Se  sì,  dunque  non  v'  ha  più  distinzione  alcuna  di 
reprobi  e  d'eletti,  e  tutti  devono  salvarsi.  Se  no, 
dunque  Iddio  è  parziale,  ingiusto,  tiranno;  dunque 
alcuni  li  vuole  salvi  in  realtà,  ed  altri  solo  in  appa- 
renza; dunque  il  sacrifìcio  di  Cristo  redime  quelli  e 
non  questi;  dunque  tutti  1  dannati  hanno  il  diritto 
dì  gridare  a  Dio:  siamo  reprobi  per  cagiontual  — 
Conchiudiamo.  0  Dio  può  salvare  tutti,.e  non  vuole; 
0  vuole,  e  non  può;  ò  non  può,  e  non  vuole.  Nel 
primo  caso, egli  è  inìquo;  nel  secondo,  imbecille;  nel 
terzo,  imbeclile  insieme  ed  iniquo. 

Trasferite  ora  nelle  ìnstìtuzìoni  sociali  la  teorica 
della  redenzione:  che  ne  consegue?  La  liberta? No; 
sempre  il  despotismo  ed  il  privilegio.  Le  riforme  ci- 
vili dovran  sempre  farsi  a  piacimento  di  chi  è  alla 
testa  del  popolo,  e  sempre  accommodarsi  in  guisa 
che  riescano  propizie  e  vantaggiose  a'  suoi  eletti.  Che 
importa  a  lui  dì  tutti  li  altri?  Non  sono  tutti  re- 
probi, destinati  da  Dio  medesimo  a  rendere  testimo- 
nianza dell'  ira  sua,  e  ad  incutere  il  terrore  de'  suoi 
arcani  giadizj?  Soffrano  dunque,  e  si  rassegnino;  la 
giustizia  di  Dio  vuole  così  I  Ecco  la  t?«r<»  libertà  dei 
vero  catolicismo. 


147 

I>a  queste  considerazioni  racoogliesi  evidentemente, 
che  Topposizione  fra  il  catolicismo  e  la  libertà  ha  le 
sue  radici  profonde  nell'essenza  stessa  di  ambedue. 
Perocché  sono  essenziali  al  catolicismo  i  dogmi  del 
peccato  originale,  della  grazia,  e  della  redenzione, 
come  alla  libertà  sono  essenziali  i  principj  di  giustizia 
e  d'eguaglianza  civile.  Togliete  quei  dogmi,  e  il  ca- 
tolicismo non  è  più:  cancellate  questi  principj,  e  la 
libertà  scomparisce.  Ma  se  quei  dogmi  catolici  si  am- 
mettono, bisogna  negare  questi  principj;  bisogna 
sostituire,  cioè,  al  diritto  Tarbitrio,  alla  giustìzia  la 
prepotenza,  alFeguaglianza  il  privilegio.  Ed  airincon- 
Irò,  posti  i  principj  liberali,  convìen  negare  quel 
dogmi;  ossia  convien  asserire,  che  il  peccato  origi- 
nale è  un  mito,  la  grazia  un  errore,  la  redenzione 
una  leggenda;  conviene  credere,  che  il  Dio  del  cato- 
licismo stava  bene  a  capo  delia-società  feudale,  in  cui 
i  popoli,  come  le  famiglie,  non  aveano  altre  leggi 
che  l'autorità  di  un.  despota,  la  fortuna  della  nascita, 
il  privilegio  della  forza;  ma  è  inetto  a  reggere  la  so- 
cietà moderna,  che  vuol  essere  ordinata  su  i  principj 
della  giustizia  e  del  diritto  naturale. 

—  Ma  qual  influenza  possono  mai  esercitare  su  la 
politica  quei  dogmi  astrusi,  di  cui  disputano  fra  loro 
i  teologi,  mentre  li  uomini  di  Stato  non  se  ne  cu- 
rano punto?  Perchè  mai  si  dovranno  applicare  al 
governo  dei  popoli  quelle  leggi  arcane,  incompren- 
sibili, con  cui  Dio  provede  alle  sorti  dell'Umanità? 
La  religione  prescrive  bensì  di  adorare  umilmente 
quei  segreti  consiglj  di  Dio;  ma  non  ha  mai  preteso 
di  assegnarli  per  fondamento  air  ordine  sociale.  — 
Questo  ragionamento,  che  ci  tocca  d'udire  così  di 
frequente  dai  catolici  liberali,  contiene  e  in  diritto 
ed  in  fatto  la  loro  condanna.  In  fatto;  poiché  rico- 
noscono, che  1  principj  del  catolicismo  non  sono  più 
U  legge  di  verun  popolo;  vàie  a  dire,  che  nessun 


148 

popolo  merita  più  il  nome  di  catolico.  In  dirlUo: 
poiché  confessano,  che  i  dogmi  del  catolicismo  ap- 
plicati al  governo  non  potrebbero  conciliarsi  co'  prìn- 
cipi di  libertà;  cioè  a  dire,  che  chi  non  voglia  rine- 
gare  la  libertà  dee  rinunciare  al  catolicismo.  E  non 
è  questa  precisamente  la  doppia  tesi,  che  noi  soste- 
niamo? 

Del  resto,  coloro  che  non  apprezzano  e  noD  capi- 
scono r  influenza  pratica  dei  dogmi  su  le  leggi  e  ie 
instituzioni  sociali,  mostrano  di  conoscere  assai  poco 
la  natura  e  la  potenza  speciale  della  religione.  Certo 
quell'influenza  oggidì  è  nulla,  ce'l  sapiamo;   perchè 
quei  dogmi  non  si  credono  più.  Ma  quando  vìvesse 
la  fede  nel  cuore  dei  popoli  e  dei  governi;  quando 
governi  e  popoli  prestassero  il  dovuto  ossequio  alla 
parola  di  Dio  e  de'  suoi  ministri,  e  di  questa  pa- 
rola divina  facessero  tutti  la  regola  suprema,  unica, 
inviolabile  della  loro  condutta:  ohi  allora  l'influenza 
del  dogma  su  la  vita  privata  e  publica  sarebbe,  non 
che  manifesta  e  sensibile,  ma  universale  e  assoluta. 
Allora  le  leggi  della  vita  umana  dovrebbero  se- 
guire fedelmente,  come  un  ideale,  Fesempio  di  Dio; 
allora  le  nozioni  del  dovere  e  del  diritto,  le  norme 
dell'equità  e  della  giustizia  dovrebbero  dedursi  dal 
volere  di  Dio;  e  ad  esso  dovrebbero  subordinarsi  im- 
preteribilmente la  coscienza  e  la  ragione,  la  mente 
ed  il  cuore,  tutto  l'uomo  insomma  e  tutta  la  vita. 
Tal  è  la  natura  della  fede  e  della  religione,  che  il 
sentimento  religioso  prevalga  a  tutte  le  altre  facultà, 
e  le  muova,  le  diriga,  le  domini,  le  signoreggi  tulle. 
Laonde,  o  non  esiste  catolicismo,  o  il  sentimento  ca- 
tolico avrà  il  predominio,  e  co  '1  sentimento  le  cre- 
denze, e  con  le  credenze  i  dogmi. 

Sono  dunque  zimbello  di  una  strana  illusione  co^ 
loro,  che  s'affaticano  a  persuadere  la  chiesa  della 
necessità  di  riformare  le  sue  instituzioni,  e  di  accom* 


149 

làodarle  via  via' all' Indole  e  air  esigenze  del  tempi. 
Tanto  varrebbe  il  consigliarle  dì  occidersi  e  sepelirsi 
con  le  proprie  mani  ;  che  le  inslituzioni  del  catoli- 
cismo stanno  al  dogma,  come  i  sensi  allo  spirito,  il 
corpo  airanima;  la  riforma  delle  une  importerebbe 
la  correzione  dell  altro.  Ma  il  dogma  non  si  corregge. 
Egli  è  quello  che  è:  s'accetta  o  si  rifiuta,  si  crede 
0  si  nega;  ma  riformarlo,  correggerlo  come  che  sia, 
è  un  assurdo.  1  catolici  adunque,  che  osano  raccom- 
mandare  alla  chiesa  questo  assurdo,  toccano  vera- 
mente la  cima  del  ridicolo,  e  non  san  quello  che 
fanno.  La  chiesa  ha  miglior  senno  di  loro.  Essa,  co- 
noscendo meglio  le  condizioni  della  sua  esistenza, 
rimane  inflessibile;  ed  ha  ragione.  Dichiarail  dogma 
perpetuo,  eterno,  immutabile;  e  dice  beneri^roclama 
altamente  in  faccia  al  mondo,  agli  amici  ed  ai  nemici, 
il  suo  dilemma:  tutto,  o  nulla;  e  fa  benissimo.  La 
sua  fede  è  una  come  il  suo  Dio:  chi  adora  questo, 
professi  quella.  Ma  chi  vuole  modificare  la  fede  della 
chiesa,  abbandoni  prima  il  Dio  del  catolicismo,  e  se 
ne  cerchi  un  altro:  con  un  altro  Dio  solamente  è 
possibile  un  altro  dogma. 

Passiamo  alla  morale.  Le  leggi  del  dovere  vengono 
determinate  dal  concetto  generale  della  vita;  onde 
quei  sistemi,  che  porgono  della  vita  un^ opposto  con- 
cetto, dovranno  eziandio  proporre  una  morale  di  ca- 
rattere opposto.  Ora,  secondo  la  morale  del  catoli- 
cismo, che  cos^è  la  vita  umana?  È  un'espiazione  ed 
un  regresso. 

Le  presenti  condizioni  della  vita  non  sono  quali 
Dio  le  avea  da  principio  stabilite.  Egli  creava  Fuomo 
neirinnocenza  e  nella  felicità;  ma  l'uomo  peccando 
rìbellavasi  a  Dio,  perdeva  sé  stesso  con  tutta  la  sua 
progenie,  la  natura  umana  corrompevasi,  ed  all'in- 
nocenza succedeva  la  colpa,  alla  felicità  la  miseria. 


150 

Colpa  e  miseria  sono  adesso  le  due  condizioni  nata^ 
rali  dell'  Umanità.  La  missione  della  vita  è  danqué 
chiara  e  precisa  :  soffrire  la  miseria  per  espiara  la  col- 
pa; luttare  contro  sé  stesso  per  ritornare  a  Dio« 
L'uomo  deve  consacrare  la  sua  terrestre  esistenza  a 
riparare  il  male,  che  ha  contratto  dalla  natura:  ha 
perduto  il  paradiso,  e  dee  riconquistarlo;  si  è  sepa- 
rato da  Dio,  e  dee  ricongiungersi  a  lui. 

Ammessa  questa  teorica  della  vita,  le  leggi  morali 
si  compendiano  tutte  in  una  parola,  che  il  catolici- 
smo stesso  inventò  per  suo  proprio  uso:  mortifica- 
zione. Perciocché  due  sono  li  ostacoli  capitali,  che 
s'attraversano  alla  missione  dell'uomo  catolico  su  la 
terra:  l'uno  esterno,  i  sensi  del  corpo;  e  l'altro  in- 
terno, le^^sioni  dell'animo.  I  sensi,  solleticati  dal 
piacere,  repugnano  al  patimento;  le  passioni,  eccitate 
dall'orgoglio,  repugnano  all'umiliazione.  Dunque  mor- 
tificare il  corpo  sarà  il  rimedio  contro  le  tentazioni 
dei  sensi,  e  mortificare  lo  spìrito  sarà  il  rimedio 
contro  i  movimenti  delle  passioni. 

Così  tutta  la  morale  del  catolicismo  consiste  in 
una  guerra  dell'  uomo  contro  sé  stesso.  Guerra  al 
proprio  corpo;  e  quindi  vietato  il  piacere  e  prescritto 
il  patimento;  quindi  l'eccellenza  della  povertà,  del 
celibato,  della  solitudine,  dell'infermità,  del  digiuno, 
del  cilicio,  della  flagellazione,  della  morte;  quindi  i 
pericoli  dell'agiatezza,  del  matrimonio,  del  commer- 
cio, della  società,  della  sanità,  dell'allegria,  della  vita. 
Guerra  al  proprio  spirito;  e  per  ciò  obllgo  di  soffo- 
care le  passioni  e  distaccare  l'affetto  da  ogni  cosa 
creata;  per  ciò  santa  l'obedienza  cieea,  meritoria 
l'ignoranza,  gloriosa  l'umiliazione,  bella  l'indifferenza, 
ottima  l'apatia  ;  per  ciò  nocevole  Tindipendenza,  la 
libertà,  la  prosperità,  la  scienza,  la  gioja,  l'amore.  Il 
sorriso  stesso  della  natura»  la  magnificenza  del  cielo, 
la  vaghezza  dei  fiori ,  l' amenità  dei  compi ,  1^  subii- 


mila  delie  montagne,  sono  pericoli  e  tentazioni, 
quando  altri  non  se  ne  valga  per  lodare  e  adorare 
il  creatore.  Morto  così  Tuomo  a  sé  stesso  ed  al  mondo 
per  la  mortificazione  del  corpo  e  dello  spirito.  Dio 
solo  dee  vivere  in  lui,  come  principio,  oggetto,  e  fine 
di  tutti  i  pensieri  della  sua  mente,  di  tutti  li  affetti 
del  suo  cuore,  di  tutti  li  atti  della  sua  persona. 

La  morale  catolica  pertanto  stabilisce  un  vero 
dualismo  nel  cuore  stesso  di  ciascun  uomo.  Da  un 
lato  v'è  il  corpo,  a  cui  essa  dà  il  nome  di  carne ;^ 
e  Tinstinto,  ch'essa  denomina  concupiscenza:  dall'altro 
la  volontà  e  la  grazia.  Quindi  una  parte  dell'uomo 
deve  odiare  e  combattere  Taltra,  senza  possibilità  o 
speranza  di  tregua  e  di  pace.  11  merito  dell'uomo 
consiste  nel  servirsi  della  propria  volontà  per  tor- 
mentare il  proprio  corpo,  e  della  grazia  di  Dio  per 
domare  Tinstinto  della  natura.  Il  catolico  sarà  per- 
fetto, quando  una  metà  di  lui  sia  giunta  ad  ammaz- 
zare r  altra  metà  di  sé  stesso  1  Ecco  la  perfezione 
morale  del  catolicismo. 

Sembrerà  forse  a  più  d'uno,  che  abbozzando  que- 
sto quadro  io  miri  a  far  la  satira  della  chiesa,  e 
massime  del  suo  clero;  il  quale  generalmente  mena 
una  vita  tutta  contraria;  e  se  pure  talvolta  parla 
ancora  di  mortificazione  agli  altri,  per  sé  ha  scelto 
li  agj,  le  ricchezze,  li  onori,  il  bel  tempo.  Tuttavia 
una  volta  non  era  così;  e  li  eroi,  che  esso  venera 
su  li  altari,  hanno  tutti  praticata  fedelmente  quella 
legge:  chi  in  un  modo,  chi  in  un  altro,  tutti  spe- 
sero la  loro  vita  a  disfare  e  distruggere  sé  stessi. 
Ma  io  devo  prescindere  affatto  da  ogni  questione  di 
pratica  e  di  storia.  Che  il  clero  osservi,  o  no,  la 
morale  della  sua  religione,  l'argumento  non  varia 
punto.  Non  è  perciò  men  vero,^  che  il  carattere  es- 
senziale della  morale  catolica  é  la  mortificazione;  e 
che  questo  carattere  è  una  conseguenza  rigorosa 


1¥2 

della  dottrina  catolica,  che  fa  della  vita  umana  una 

espiazione  ed  un  regresso. 

Ora  la  vita  umana,  nel  sistema  della  libertà,  non 
è  né  regresso,  nò  espiazione.  Non  espiazione,  perchè 
l'uomo  nasce  innocente  ;  e  le  miserie,  a  cui  va  sug- 
getto,  sono  condizioni  della  sua  natura,  e  non  pene 
di  una  prima  colpa  de'  suoi  progenitori.  Non  regresso, 
perchè  la  felicità  è  lo  stato  finale,  e  non  lo  stato  pri- 
mitivo deir  Umanità.  La  vita  adunque  è  un'  educa- 
zione ed  un  progresso. 

Da  questo  concetto  nasce  tutto  un  sistema  di  mo- 
rale, opposto  a  quello  del  catolicismo.  Esso  non  ha 
per  legge  la  mortifìcazione,  ma  il  perfezionamento: 
non  prescrìve  di  ammazzare  lentamente  il  corpo  con 
tribolare  i  sensi,  e  T  animo  con  estinguere  le  pas- 
sioni; ma  ordina  di  adoperare  cosi  i  sensi  come  le 
passioni  allo  sviluppo  ed  al  perfezionamento  di  tutte 
le  facuUà,  che  costituiscono  la  propria  natura.  E 
questa  legge  importando  l'armonia  in  tutte  le  facultà 
e  l'ordine  in  tutti  li  atti,  contiene  e  fornisce  da  sé 
la  regola,  che  dee  dirigere  l'uso  dei  sensi  ed  il  go- 
verno delle  affezioni.  Autorizza  dunque  i  piaceri,  e 
solo  ne  proscrive  l'abuso;  approva  le  passioni,  e  ne 
vieta  solo  il  disordine.  Cos'i  quello  stato,  che  il  ca- 
tolicismo esalta  come  una  perfezione,  la  libertà  lo 
abomina  come  un  doppio  suicidio,  fisico  e  morale; 
quella  legge,  che  il  catolicismo  venera  quasi  un'etica 
divina,  la  libertà  la  condanna  per  un  attentato  alla 
dignità  ed  alla  natura  umana. 

Se  dagl'individui  volgiamo  lo  sguardo  ai  popoli  ed 
alle  nazioni,  l'antagonismo  fra  la  morale  della  libertà 
e  quella  del  catolicismo  acquista  un  rilievo  sempre 
maggiore.  Un  governo,  nel  senso  catolico,  è  tanto 
migliore  quanto  più  agevola,  favorisce,  e  promuovo 
la  salute  eterna  dei  cittadini.  E  poiché  Tunica  via 


^  rj3 

di  saluta  è  la  mortificazione,  i  popoli  saranno  tanto 
meglio  governati  quanto  più  sarà  umile,  dura,  mi- 
serabile la  loro  esistenza;  e  quanto  saranno  più  se- 
véri  li  editti  e  più  gravi  le  pene,  che  li  obligheranno 
ad  osservare  la  loro  religione.  Dunque  tutti  i  diritti 
civili,  politici,  e  sociali  di  un  popolo  catolico  si  ri- 
ducono ad  un  solo:  obedienza.  Che  importa  a  lui  la 
nazionalità,  la  libertà,  l'indipendenza,  Tonore,  la  gran- 
dezza, la  gloria?  A  salvarsi  Tanima  non  occorre  nes^ 
suna  di  queste  diavolerie;  dunque  ne  può  far  senza 
allegramente. 

Anzi  la  gloria,  la  grandez^,  Tonore  nazionale  po- 
trebbero invanirlo,  potrebbero  distrarlo,  potrebbero 
Inspirargli  qualche  affetto  alle  cose  del  mondo:  Tin- 
dipendenza,  la  libertà,  la  nazionalità  potrebbero  su- 
scitargli qualche  pericolo,  sbrigliare  un  po'  le  pas- 
sioni, allentare  il  giogo  della  schiavitù,  mitigar  il 
rigore  della  mortificazione.  Tutte  queste  cose,  insomma, 
lungi  dal  giovare,  nuocerebbero  più  o  meno,  ma  si- 
curamente nuocerebbero  alla  salute  dell'anima;  dun- 
que non  solo  le  può  trascurare,  ma  le  deve  aborrire. 

E  la  patria?  La  patria  del  catolico  è  il  cielo., Per 
lui,  la  terra  non  è  che  un  esigilo;  e  fra  i  varj  luo- 
ghi egli  amerà  di  preferenza  quello,  dove  il  salvarsi 
riesca  più  facile  e  più  sicuro. 

E  lo  straniero?  Straniero,  per  un  catolico,  non 
può  significare  altro  che  eretico  o  infedele;  dunque, 
purché  il  suo  governo  sia  catolico,  tanto  vale  per 
lui  il  tedesco  quanto  il  francese,  lo  spagnuolo  quanto 
l'italiano. 

E  la  servitù?  La  servitù,  a  giudizio  del  catolico, 
è  il  massimo  di  tutti  i  beni,  quando  fra  lì  altri  gio- 
ghi gì' imponga  anche  quello  della  religione;  e  lo 
costringa,  suo  malgrado,  a  salvarsi. 

E  la  tirannia?  Una  sola  tirannia  potrebbe  inquie- 
tare il  catolico:  quella,  cioè,  che  facesse  violenza 
IL  11 


]54 

alla  sua  professione  religiosa.  Salvo  questo  punto,  la 
parola  tirannia  per  lui  non  ha  più  senso.  Non  vede 
aperte  le  chiese?  celebrate  le  funzioni?  amministrati 
i  sacramenti?  spiegato  il  catechismo?  obligatoriala 
devozione?  sicura  Telerna  salute?  Dunque  il  suo 
governo  è  eccellente.  Che  bisogno  ha  egli,  per  an- 
dare in  paradiso,  dì  stampa  lìbera,  dì  guardia  civica, 
di  assemblee  legislative,  di  ministri  rlsponsabilì,  di 
suffragio,  di  statuto,  di  scuole?  Che  si  curino  dì  que- 
ste facende  coloro,  che  sono  attaccati  alla  terra,  è 
giusto;  ma  che  ci  badino  coloro,  che  han  li  occhi 
fissi  unicamente  in  cielo,  è  assurdo.  11  tipo  della  na- 
zione catolica  è  il  convento  e  il  monastero  (1). 

—  E  pure,  fra  le  stesse  nazioni  catoliche  non  se 
.n*è  mai  veduta  alcuna  praticare  queste  massime 
esorbitanti. —  Vero;  ma  perchè?  Perchè  non  ci.  fu 
mai  una  nazione,  che  potesse  dirsi,  a  rigore  dì  ter- 
mini, catolica.  Spesso  non  era  buon  catolìco  il  go- 
verno, il  quale  volea  servirsi  della  religione,  in  luogo 
di  servire  a  lei.  Vera  poi  sempre  un  numero  consi- 
derevole dì  cittadini  non  buoni  cattolici,  i  quali  in 
luogo  dì  attendere  alle  cose  deireternìtà,  pensavano 
al  mondo,  alla  patria,  alla  politica;  e  non  lasciarono 
mai  che  Tìdeale  catolìco  s'effettuasse.  Ma,  ripeto,  qui 
sì  tratta  di  sistema,  e  non  dì  storia.  Dato  un  popolo! 
in  cui  ciascun  individuo,  così  del  governo  come  dei 
sudditi,  fosse  un  perfetto  catolico,  o  secondo  lo  stile 
della  chiesa,  un  santo;  dovrebbe,  sì  o  no,  regolarsi 
a  quel  modo  ch'io  ho  descrìtto?  Ecco  il  problema. 
I  primi  elementi  della  morale  catolica  ne  han  soiq- 
ministrato  una  soluzione,  che  parmì  certissima  ed 
evidente.  E  senza  bisogno  d'altre  prove,  io  ne  ap- 
pello all'esperienza  commune.  Tutti  conoscono  qual- 
cuna dì  quelle  povere  creature,  che  nel  codice  cato- 

(I)  V.  noussEAU,  Co  i:na  sodai,  Uv.  IV,  di    VII?. 


155 

lieo  si  chiainano  santi.  Ora  componete  col  pensiero 
tutto  un  popolo  di  santi;  e  poscia  ditemi,  se  vi  sa- 
rebbe al  mondo  un  gregge  più  docile,  più  sottomesso, 
più  schiavo  di  quello. 

Egli  è  dunque  manifesto,  che  progresso  e  cato- 
licismo sono  i  due  termini  più  contradittorj,  che 
rumano  linguaggio  abbia  potuto  inventare.  Contra- 
dittorj nel  fatto;  perchè,  secondo  la  teorica  del  pro- 
gresso, l'Umanità  migliora  co  4  procedere  dei  secoli; 
laddove,  secondo  quella  del  catolicismo,  invecchiando 
peggiora.  Contradittorj  nel  principio:  in  primo  luogo, 
perchè  il  progresso  colloca  la  meta  dell'Umanità  nel- 
l' avvenire,  e  quindi  ripone  il  suo  perfezionamento 
nell'andare  avanti;  laddove  il  catolicismo  ne  fissa  la 
meta  nel  passato,  e  però  mette  il  perfezionamento  nel 
tornar  indietro:  in  secondo  luogo,  perchè  il  progresso 
considerando  la  vita  come  un*  educazione  naturale, 
reputa  un  bene  ogni  miglioramento  che  si  porti  alle 
condizioni  dell'Umanità,  ogni  sollievo  alle  sue  mise- 
rie, ogni  rimedio  a' suoi  dolori,  ogni  aumento  alla 
sua  agiatezza,  ogni  grado  d'intensità  e  di  felicità  alla 
sua  esistenza;  laddove  il  catolicismo  tenendo  la  vita 
per  un'espiazione,  stima  quel  miglioramento  un  peri- 
colo, quel  sollievi  una  disgrazia,  quel  rimedio  un 
danno,  quel!'  intensità  e  felicità  d'esistenza'  una  ten- 
tazlon  della  carne  ed  una  vanità  del  mondo.  È  dun- 
que un  bene  pe  1  progresso  ciò,  che  pe  '1  catolicismo 
è  un  male;  l'uno  rrfuge  ed  odia  ciò,  che  l'altro 
desidera  ed  ama;  quello  saluta  come  una  fortuna  ed 
una  gloria  ciò,  che  questo  deplora  come  una  sventura 
ed  un  castigo  divino. 

Si  sdegnarono  molti,  eziandio  catolici,  or  fa  pochi 
anni,  contro  di  papa  Gregorio,  perchè  interdiceva 
ne'  suoi  Stali  le  scuole  infantili  e  le  strade  ferrate; 
gridarono  contro  de'  gesuiti,  perchè  maledicevano  dai 
pergami  alle  scuole,  alle  strade,  ai  ricoveri  di  men- 


196 

dicità;  e  derisero  ullfmamenle  T  arcivescovo  dr  Be* 
san^on,  perchè  denunciava  il  vapore  siccome  un  fla- 
gello, che  Dìo  avea  inventato  per  punire  ì  tavernaj. 
Ma  li  sdegni,  le  grida,  le  beffe  di  costoro  mostrano 
solamente,  ch'essi  ignorano  affatto  il  vero  spìrito  del 
catolicismo,  il  quale  invece  avea  rinvenuto  ì  suoi 
degni  interpreti  neirarcivescovo,  nella  Compagnia,  e 
nel  papa.  Quei  ricoveri,  quelle  strade,  quelle  scuole 
sono  un  progresso;  e  volete  che  il  catolicismo  Fam- 
metta?  Sono  un  elemento  di  prosperità;  e  domandate 
che  il  catolicismo  Tapprovi?  Sono  una  fonte  di  pia- 
ceri; e  sperale  che  il  catolicismo  Taccetti?  Sono  un 
aumento  di  ben  essere;  e  pretendete  che  il  catolici- 
smo r  autorizzi?  Fate  in  prima,  eh* esso  deponga  e 
muti  il  concetto  che  ha  della  vita  umana;  e  poi  po- 
trete aspettarvi  da  lui  un  altro  contegno  :  altrimenti, 
vane  e  folli  lusinghe  1 

Vero  è,  che  ultimamente  parecchi  vescovi  si  lascia- 
rono condurre  fino  a  benedire  pontificalmente  le 
locomotive;  che  il  nuovo  arcivescovo  di  Genova 
encomiò  nella  sua  prima  pastorale  le  scuole  infantili; 
e  che  il  papa  finalmente  permise  ne'  suoi  Stati  la 
costruzione  delle  ferrovie.  Ma  questi  fatti  provano 
una  cosa  sola;  ed  è,  che  oggimai  non  sono  più  ca- 
tollci  nemmeno  i  vescovi,  nemmeno  il  papa.  Docu- 
mento importantissimo,  da  aggiungere  a  tutti  li  altri 
per  autenticare  il  trionfo  universale  del  catolici- 
smo!... E  v'è  ancora  ehi  ardisce  'negare  la  realtà  e 
l'efficacia  dei  progresso?  Han  progredito  i  vescovi, 
ha  progredito  il  papa:  chi  adunque,  chi  potrebbe 
più  resistere  al  movimento  e  starsene  fermo  al  suo 
posto? 

Oltre  il  dogma  e  la  morale,  altro  elemento  costi- 
tutivo del  catolicismo  è  la  gerarchia;  e  la  gerarchla 
catolica,  non  meno  che  la  morale  ed  il  dogma,  repu- 


157 

gim  essenziarffietìte  ai  prìncipi  della  libertà.  Sceve- 
ratela da  tutti  r  iniqui  privilegi,  che  i  vescovi  e  i 
papi  si  usurparono;  riducetela  alla  purezza,  alla  sem- 
plicità maggiore  che  possiate  imaginarvi:  apparter-^ 
ranno  sempre  alla  gerarchia  catolica,  per  divina  in- 
stituzione,  queste  due  prerogative:  un'autorità  irre- 
sponsabile ed  una  parola  infallibile;  e  per  legge 
divina  Fuomo  dovrà  sottomettere  a  quella  il  proprio 
volere,  a  questa  il  proprio  giudizio.  Può  ben  dispu- 
tarsi, se  il  privilegio  dell'autorità  e  della  parola 
catolica  fontalmente  risieda  nel  papa  solo,  o  piuttosto 
nell'episcopato;  ma  certo  a  qualcheduuo  deve  appar- 
tenere, poiché  senza  di  esso  il  concetto  medesimo 
del  catolicismo  svanisce.  E  chiunque  se  l'abbia,  il 
sistema  non  muta. 

Esso  è  l'assolutismo  inalzato  alla  sua  ultima  po- 
tenza; giacché  é  la  sostituzione  personale  e  materiale 
dell'uomo  a  Dio.  Quindi  le  sentenze  della  parola  catolica 
sono  assolute, come  assoluti  sono  i  precetti  della  catoli- 
ca autorità:  egli  é  Dio  in  persona,  che  pronuncia  le 
une  e  promulga  li  altri»  L'assolutismo  della  chiesa  è 
dunque  assai  più  rigoroso  e  profondo  che  quello  d'ogni 
altro  governo;  poiché  un  governo  prescrive  e  regola 
bensì  li  atti  esterni,  ma  non  va  a  penetrare  nella  co- 
scienza e  nella  mente  altrui,  per  assuggettarsi  anche 
i  sentimenti,  anche  i  pensieri  dell'uomo.  La  chiesa 
invece  non  si  contenta  di  dominare  i  corpi,  e  pre- 
tende al  governo  delle  anime.  Quando  ella  parla,  é 
l'intelletto  che  dee  credere;  quando  ella  comanda,  ò 
la  volontà  che  deve  piegarsi;  dacché,  come  parola 
divina,  essa  rivela  all'intelletto  il  vero;  e  come  au- 
torità divina,  essa  ingiunge  alla  volontà  il  bene. 
Legislatrice  del  vero  e  del  bene,  la  chiesa  ha  dunque 
per  diritto  divino  la  direzione  suprema  ed  assoluta 
di  tutto  luomo.  Al  catolico  non  rimane  più  veruna 
padronanza  di  sé  stesso,  non  de'  suoi  atti ,  non  de* 


158 

suo!  afTettl,  non  de'  suoi  giudizj  ;  poiché^  il  mo  primo 
e  massimo  dovere  si  è  di  conformare  giudizj,  affetti) 
ed  atti  alla  divina  autorità  della  chiesa. 

E  questa  chiesa  è  irresponsabile  ad  un  tempo  ed 
infallibile.  Non  havvi  al  mondo  magistratura,  che 
goda  della  facultà  di  procedere  contro  di  lei;  né 
tribunale,  che  sia  competente  a  giudicarla.  De'  suoi 
atti  ella  non  dee  rispondere  che  a  Dio  solo:  buoni 

0  rei,  legitimi  o  arbitrar],  il  catolico  li  dee  venerare, 
perchè  non  ha  il  diritto  d'esaminarli.  Delle  due  leggi 
parimente  ella  non  dee  rendere  conto  a  nessuno, 
fuorché  a  Dio:  giuste  o  inique,  rette  o  assurde,  il 
catolico  le  deve  osservare,  perchè  non  gli  è  per- 
messa veruna  specie  di  resistenza. 

Anche  certi  governi  si  sono  arrogati  li  privilegio 
della  irresponsabilità;  ma  fra  loro  e  la  chiesa  corrono 
parecchie  differenze,  che  vogliono  essere  avvertite. 
L^assolutismo  dei  governi  non  è  che  un  fatto,  perchè 
s'appoggia  tutto  alla  forza;  mentrecbè  l'assolutismo 
della  chiesa  è  un  diritto,  perchè  nasce  da  un  dogma. 

1  governi  dicono  al  popolo:  obedisci,  perchè  noi 
vogliamo  così;  la  chiesa,  all'incontro,  gli  dice:  obe- 
disci,  perchè  Dio  Io  vuole.  Contro  l'ordine  dei  primi 
il  cittadino  può  aver  sempre  un  rifugio  nella  libertà 
e  nella  dignità  della  propria  coscienza;  laddove  con- 
tro Tordine  della  seconda  il  catolico  non  ha  scampo 
veruno.  L'assolutismo  degli  uni  trova,  presto  o  tardi, 
un  freno  ed  un  castigo  nell'  opinione  publìca  dei 
cittadini  ;  laddove  quello  dell'altra  non  teme  castigo 
né  conosce  freno  da  parte  di  nessuno.  L'irresponsa- 
bilità dei  governi  non  è  che  politica  e  civile  ;  per- 
chè, mentre  sono  irresponsabili  per  rispetto  ai  sud- 
diti, vanno  poi  suggetti  anch'essi  all'autorità  spirituale 
della  chiesa,  o  alla  censura  morale  della  coscienza 
umana:  ma  l'irresponsabilità  della  chiesa  è  religiosa, 
e  quindi  assoluta;  la  chiesa  è  irresponsabile  verso 


15D 

di  talli;  e  non  esiste,  né  può  esistere  un*autorita  in 
alcun  modo  a  lei  superiore.  Dunque  T  assolutismo 
della  chiesa  è  incomparabilmente  più  severo,  più 
vasto,  più  despolico  che  quello  d'ogni  altro  governo. 

—  Ma  r  autorità  e  la  parola  assoluta  del  catolici- 
smo riguardano  soltanto  li  articoli  di  religione;  che 
in  tutto  il  rimanente  lasciauo  ad  ognuno  il  libero 
esercizio  del  suo  arbitrio  e  della  sua  ragione.  —  Ohi 
coloro,  che  pretendono  difendere  l'assolutismo  ca- 
tolico  con  argumenti  di  tal  fatta,  mostrano  di  cono- 
scere assai  male  il  valore  di  questi,  e  la  natura  di 
quello.  Perciocché,  in  primo  luogo,  dato  eziandio  che 
quell'assolutismo  cadesse  propriamente  su  di  un  ar- 
ticolo solo,  e  ben  delerminato  e  preciso  quanto  si 
voglia,  sarebbe  sempre  vero,  che  una  prerogativa 
essenziale  alla  gerarchia  è  l'assolutismo;  e  quindi  la 
nostra  conclusione  non  avrebbe  perduto  nulla  del 
suo  rigore.  Trattasi  qui  sopratutlo  di  vedere,  non 
già  se  l'assolutismo  catolico  si  estenda  più  o  meno; 
ma  se  esìsta,  sì  o  no.  E  poiché  ci  si  concede  che 
esiste  davvero,  a  noi  basla. 

In  secondo  luogo,  vorrei  che  mi  dicessero  una 
volta,  che  cosa  sia  tutto  quel  rimanente^  che  può  so- 
pravanzare dagli  articoli  di  religione.  Ho  già  fallo 
altrove  questa  domanda,  e  adesso  la  ripeto;  poiché 
non  essendomi  riuscito  mai  di  trovar  nulla,  ardd 
della  brama  di  conoscere  chi,  come,  dove  abbia  sa- 
puto trovare  qualche  cosa  di  residuo.  Perocché  li 
articoli  di  religione,  in  cui  alla  gerarchia  compete 
raulorìtà  irresponsabile  e  la  parola  infallibile,  sono 
quei  due  ch'essa  denomina  res  fidei  et  morum,  dogma 
e  morale.  Ora  io  tornerò  a  notare: 

t.**  Che  il  decidere  se  una  dottrina  qualunque 
Interessi,  o  no,  la  morale  ed  il  dogma,  spetta  sempre 
alla  gerarchia;  dunque  l'obligazione  del  catolico  ad 
{ammettere  i  gtudizj  e  ad  osservare   le  leggi  della 


16^ 

chiesa  è  assoIuUssima,  né  soffre  restrizione  o  ecce* 
2ione  ^alcuna,  in  nessun  senso,  e  sotto  nessun  ri- 
spello. 

2."  Che  il  dogma  abbracciando  tutto  l'ordine  ted- 
relico,  e  la  morale  tutto  T  ordine  pratico  della  "(ila 
umana,  tulle  le  scienze  e  tulle  le  arti  dipendono, 
più  0  meno,  ma  dipendono  tutte  per  qualche  lato 
dalla  gerarchia,  e  massime  la  filosofìa,  la  politica,  la 
giurisprudenza,  Feconomia  publica,  la  storia,  la  fisica, 
la  geologia,  e  le  altre  scienze  naturali.  In  somma,  il 
catolicismo  riserbando  alla  gerarchia  un'autorità  in- 
fallibile su  1  dogma  e  su  la  morale,  la  crea  legisla- 
trice suprema  e  universale  della  mente  e  del  cuore, 
delle  idee  e  de'  sentimenti,  de'  pensieri  e  delle  affe- 
zioni, delle  teorie  metafìsiche  e  delle  leggi  sociali;  e 
quindi  di  tulio  l'uomo,  di  lulta  l'Umanità,  di  tulla 
la  vila.  Dunque  il  principio  calolico  della  gerarchla, 
comunque  si  prenda,  Importa  sempre  il  dominio  asr 
solulo  dell'autorità  su  tulli  li  alti  interni  ed  esterni, 
cosi  dell'indivìduo  come  della  società.  Ecco  la  vera 
libertà,  che  si  può  attendere  dal  vero  catolicismo! 

—  E  pure,  ne' bei  tempi  della  sua  giovinezza,  nel- 
l'età gloriosa  de' martiri  e  de' Padri,  il  catolicismo 
aveva  una  gerarchia  eleltiva;  i  parochi  e  i  vescovi 
erano  designali  dal  libero  suffragio  de' fedeli.  Non  è 
dunque  vero,  che  il  suo  caratlere  essenziale  sia  Tas- 
solulismo.  —  Ma,  primieramente,  un  fatto  non  può  di- 
struggere un  principio.  [Dimostralo  che  sia,  T asso- 
lutismo essere  il  dogma  fondamentale  e  costitutivo 
della  gerarchia,  qualunque  fatto  s'alleghi  in  contra- 
rio non  prova  nulla,  o  prova  tutto  al  più,  che  il  ca- 
tolicismo venne  meno  co' fatti  a' suoi  slessi  principj. 
E  se  a  questa  illazione  qualcuno  dee  conturbarsi,  certo 
non  tocca  a  noi. — Secondamente,  quel  fallo  vuol  es- 
sere considerato,  non  come  un'instiluzione  divina,  ma 
come  un  uso  o  abuso  umano;  poiché  il  sistema  elettivo 


161 

a  suffragio  popolare  repugùa  essenzialmente  alla  costi- 
tuzione organica  della  gerarchia,  la  quale  procede  tutta 
non  dal  basso  all'alto,  secondo  la  frase  moderna,  ma 
dall'alto  al  basso.  La  sua  instituzlone  è  divina,  di* 
retta,  e  immediata.  Cristo  medesimo  ha  eletto  e  con- 
sacrato 1  suoi  apostoli,  e  questi  i  loro  successori, 
e  così  di  seguito.  L'autorità  religiosa  dei  pastori  non 
è  dunque  communlcata  dalla  società,  ma  da  Dio  stesso, 
il  quale  ha  dato  a  loro  soli  la  facultà  di  delegarla 
ai  loro  vicarj  ed  operaj .  Pertanto  la  missione  apo- 
stolica non  può  venir  loro  dal  popolo,  ma  solo  da 
Dìo,  0  immediatamente,  o  mediatamente  pel  loro 
superiorov  L'unico  officio,  che  richiede  necessaria- 
mente l'elezione,  è  il  papato;  ma  l'elezione  del  papa 
mediante  il  suffragio  de' cardinali  e  de' vescovi  non 
preterisce  punto,  com'è  per  sé  evidente,  l'ordine 
della  gerarchia.  —  E  finalmente,  ammesso  pure,  qual 
instituzlone  organica  del  catolicismo,  il  sistema  elet- 
tivo a  suffragio  più  o  men  hrgo,  ed  eziandio,  se 
vuoisi,  universale;  l'assolutismo  della  gerarchia  ri- 
mane sempre  lo  stesso.  Perciocché  relezione,  in  tal 
caso,  non  tempera,  nè«modifica  minimamente  il  prin- 
cipio; ma  indica  soltanto  e  determina  la  persona,  a 
cui  Dio  ha  da  communicare  l'autorità  suprema  e 
l'infallibile  parola.  Allora  il  diritto  e  l'officio  degli 
elettori  si  riduce  a  dire:  il  padrone  delle  anime  no- 
stre sarà  il  tale,  anziché  il  tal  altro.  E  che  prezioso 
diritto  sia  questo,  che  bel  temperamento  porti  al- 
l'assolutismo clericale,  ognuno  se'l  vede.  L'autorità 
ecclesiastica  é  sempre  la  stessa;  sempre  la  stessa 
irresponsabilità  di  atti,  sempre  la  stessa  infallibilità 
di  giudizj;e  da  parte  dei  fedeli  sempre  la  stessa  sug- 
gezione,  la  stessa  servitù  d'anima  e  di  corpo  alla  ge- 
rarchi^- 

—  i,  nondimeno  un  fatto  indubitato,  che  il  cato- 
licismo vive  e  prospera  egualmente  sotto  di  ogni  go- 


verno,  liberale  quanto  st  voglia;  danqne  è  falso,  che 
la  sua  gerarchia  s'identifichi  al  tatto  con  T assolu- 
tismo, e  repnghl  essenzìaimenle  alla  libertà.  —  Oh! 
cancellino  qneW egualmente,  che  è  nna  menzogna 
dinanzi  alia  storia,  e  un'eresia  In  feccia  alla  chiesa. 
La  ragione,  per  cui  il  catolicismo  si  rassegna  a  vi- 
vere eziandio  sotto  di  un  governo  libero  e  democra- 
tico, è  troppo  chiara.  Ridutto  all'estremità  o  di  do- 
versene andare  in  volontario  esigilo,  o  di  adattarsi 
provisionalmente  alla  liberlà,el  s'appiglia  al  secondo 
partito;  e  non  fa  male.  Ma  questo  fatto  prova  egli 
forse,  che  la  libertà  sia  nei  voti  del  catolicismo? 
Dunque,  perchè  ì  republicani,  cedendo  alla  forza,  vi- 
vono in  una  monarchia,  dovrassi  conchiudere  ch'essi 
amino  e  servano  i  re?  Se  volete  apprezzare  l' Indole 
genuina  del  catolicismo,  vedete  come  si  diporta  nei 
paesi  dove  è  padrone,  e  non  in  quelli  dove  è  sud- 
dito e  servo:  andate  a  studiarlo  a  Roma,  e  non  a 
Londra,  non  a  Bruxelles,  non  a  Baltimora.  Ovvero 
supponete,  che  anche  in  questi  Stati  la  chiesa  potesse 
ordinare  i  popoli  a  modo  suo;  ed  allora  l'Inglesi,  i 
Belgi,  li  Americani  si  godrebbero  quella  libertà,  che 
il  papa  con  l'ajuto  degli  eserciti  svizzeri,  austriaci, 
e  francesi,  concede  generosamente  al  Romani.  Egli  è 
dunque  un  sofisma  puerile  quest'argu  mento  di  fatto, 
che  ci  oppongono  ad  ogn'instante  i  catolici  liberali. 
Ci  mostrino  un  paese,  libero  e  democratico,  il  quale 
abbia  ricevuto  il  suo  Statuto  dalle  mani  del  catoli- 
cismo per  un  decreto  affatto  spontaneo  della  chiesa  ; 
ed  accetteremo  volontlerì  la  loro  conclusione.  Ma  fin- 
ché vediamo,  che  dovunque  la  chiesa  ha  comandato 
e  comanda,  regna  il  despotisrao;  e  dove  non  può 
comandare,  quasi  per  instinto  e  bisogno  la  chiesa 
congiura  fatalmente  a  danno  della  libertà:  noi  per 
tutta  risposta  li  richiameremo  agli  elementi  della  lo- 
gica e  del  catechismo. 


163 

—  Ma  non  è  foree  il  catolicismo,  che  ha  rivelalo 
&l  mondo  i  grandi  principi  di  morale,  onde  germo- 
gliò bentosto,  e  naque,  e  crebbe  la  libertà  moderna? 
Non  è  dunque  possibile,  che  l'assolutismo  sia  il 
carattere  proprio  di  quella  religione,  a  cui  va  de- 
bitore della'  sua  libertà  tutto  il  mondo  civile.  — 
Questo  argumento,  lo  so,  è  l'ancora  della  speranza, 
a  cui  tutti  i  catolici  s'afferrano,  quando  sentono  a 
mancare  ogni  altro  sostegno  alla  loro  causa;  ma 
l'afferrano  indarno.  Io  non  intendo  già  di  negare, 
che  il  catolicismo,  o  piuttosto  il  cristianesimo,  ab- 
bia dei  meriti  verso  la  libertà;  convlenmi  bensì 
ridurre  questi  meriti  alla  loro  giusta  misura.  E 
prima  di  tutto,  è  falso  che  il  catolicismo  abbia  ri- 
velato i  principi  della  libertà.  Fin  dalla  sua  infan- 
zia, fin  dalia  sua  nascita  l'Umanità  li  porta  in  seno: 
nessuno  gliene  ha  inspirato  il  primo  sentimento, 
nessuno  gliene  ha  suggerita  la  prima  idea;  nessun 
sistema,  nessun  simbolo  se  ne  può  arrogare  il  pri- 
vilegio. Ogni  sistema  filosofico,  ogni  simbolo  reli- 
gioso, anteriore  al  cristianesimo,  conteneva  pure  qual- 
che principio  morale,  che  sviluppandosi  conduceva 
a  qualche  libertà;  e  nella  serie  di  simboli  e  di  si- 
stemi, che  aveano  educato  l'uomo  fino  aU'apfpari- 
zione  dell'Evangelio,  vediamo  costantemente  i  se- 
condi comprendere  )a  libertà  meglio  che  i  primi; 
ed  ì  susseguenti  svolgere  più  ampiamente  i  germi 
di  libertà,  che  racchiudevano  li  antecessori.  Dunque 
la  storia,  la  giustizia,  e  la  logica  del  pari  condannano 
la  superba  pretensione  di  quelli,  che  al  cristianesimo 
appropriano  la  rivelazione  primitiva  dei  principj  della 
libertà  civile. 

E  quanto  alla  sua  influenza  reale  su  lo  sviluppo 
delle  idee  liberali,  o  si  parla  dell'influènza  ch'esso 
esercitò  direttamente,  in  virtù  del  proprio  sistema, 
e  conforme  alla  natura  e  allo  scopo  del  proprio  in- 


l€fc 

stituto;  0  invece  dell' influenza  che  cagionò  indiret- 
tamente, mediante  l' applicazione  clie  in  altri  sistemi 
venne  fatta  delle  idee  cristiane.  La  prima,  per  ri- 
spetto al  cristianesimo  in  generale,  è  nulla;  e  per 
rispetto  al  catolicismo >  è  peggio  che  nulla,  è  con- 
traria. 

Cristo  fondò  una  religione,  e  non  un  governo.  La 
dottrina  dell' Evangelio  determina  solo  i  rapporti  mo- 
rali  dell'uomo  con  li  uomini  e  con  Dio,  ma  non  de- 
finisce nulla  intorno  alle  condizioni  civili  e  politi^ 
che  delle  nazioni.  Cristo  pagava  il  tributo  a  Cesare; 
li  apostoli  predicavano  T  osservanza  della  legge  ro- 
mana; ed  i  cristiani  si  tenevano  obligati  ad  osser- 
varla in  tutto  ciò,  che  non  si  opponeva  al  loro  culto 
religioso.  Monarchia  o  republica,  tirannide  o  libertà, 
pe'l  cristiano  era  tutt'uno:  salvo  l'esercizio  della 
religione,  unica  sua  legge  l'obedienza  e  la  fedeltà 
agi' imperatori.  E  COSI  fu  sempre  ne'primi  secoli  della 
chiesa,  quando  lo  spirito  del  cristianesimo  informava 
le  menti  e  governava  i  cuori  dei  credenti;  quando 
esistea  veramente  una  società  cristiana.  Una  religione 
adunque,  che  dichiara  espressamente  di  non  voler 
toccare  in  alcun  moda  alle  cose  della  terra,  di  es- 
sere indifferente  ad  ogni  maniera  di  governo,  e  di 
non  chiedere  altro  al  mondo  che  la  facultà  di  ser- 
vire e  di  adorare  il  suo  Dio,  come  a  lei  pare;  non 
può  dirsi,. per  fermo,  che  abbia  esercitato  verun' in- 
fluenza diretta  ed  immediata  su  li  ordini  sociali. 

Se  poi  consideriamo  il  cristianesimo,  non  solo  come 
una  società  spirituale  che  liberamente  professa  le 
dottrine  dell'Evangelio,  ma  eziandio  come  una  so- 
cietà religiosa  che  dipende  da  una  gerarchia,  e  ri- 
conosce un  potere  legislativo  e  giudiziario;  se,  cioè,, 
dal  cristianesimo  in  genere  passiamo  al  catolicismo 
propriamente  detto,  allora  la  sua  influenza  non  deve 
già  reputarsi  inutile  alla  libertà,  ma  contraria  e  per- 


16S 

pietosa*  Allora,  mercè  dell*  autorità  gerarchica,  ì  prin- 
cipi del  dogma  e  della  morale  non  sono  più  cre- 
denze libere,  ma  divengono  leggi  obligatorie;  la  chiesa 
non  è  più  una  società  spirituale,  ma  diventa  un  go- 
verno civile,  in  cui  s'incarna, si  organizza,  e  sì  co- 
stituisce quell'assolutismo  spaventevole,  che  disopra 
abbiamo  descritto. 

Per  lo  contrario,  l'influenza  indiretta  del  cristia- 
nesimo su  la  libertà  fu  grande  e  felice.  Non  che  TE- 
yangelio  rivelasse  idee  propriamente  nuove,  o  leggi 
prima  di  lui  affatto  incognite:  che  non  v'è  in  esso 
né  un  dogma,  né  un  precetto  solo,  che  non  sì  tro- 
vasse già  da  secoli  In  qualche  filosofo  del  mondo 
grecoromano,  o  in  qualche  rivelatore  del  mondo 
orientale.  L'opera  di  Cristo  si  fu  di  raccogliere  in 
uno  il  fiore  di  tutte  le  antiche  dottrine;  purgarle 
(la  molti  errori  grossolani,  che  le  contaminavano; 
mettere  in  piena  luce  il  gran  dogma  dell'unità  di 
Dio;  penetrare  più  a  fondo  nell'umana  coscienza; 
fondar  in  essa  certe  leggi  della  morale;  esporle  col 
linguaggio  del  cuore  e  del  popolo;  e  stabilire  cosY 
un.  sistema  religioso,  che  rispondesse  meglio  alle  con^ 
dizioni,  in  cui  versava  lo  spirito  umano  a  quel  tempo 
che  stava  per  chiudere  un'epoca  ed  aprirne  una 
nuova.  Questa  nuova  epoca,  in  virtù  della  legge  di 
progresso  che  governa  T Umanità  come  la  natura, 
dovea  portare  uno  sviluppo  maggiore  nelle  forze  in- 
dividuali e  sociali  dell'uomo;  e  per  conseguente, 
giovare  eziandio  all'incremento  della  libertà.  E  il 
cristianesimo  adempì  la  sua  missione;  poiché  sotto 
l'influsso  delle  dottrine  e  dei  costumi  ch'esso  pro- 
movea,  il  vecchio  sistema  delle  caste*  si  venne  tra- 
sformando nel  governo  feudale.  Alla  qual  trasforma- 
zione, che  segnava  un  progresso  maraviglioso  nella 
educazione  dell'Umanità,  contribuì  potentemente  il 
catolicismo  adottando  la  feudalità  come  l' instituzione 


166 

più  conforme  al  suo  geoio,  ch'era  un  misto  singo- 
larissimo d'aristocrazia  e  di  monarchia.  È  questo  il 
merito  del  cristianesimo  e  del  catolicismo  verso  la 
libertà  dei  popoli  del  medio  evo. 

Ma  fin  qui  slamo  ancora  ben  lontani  dalla  libertà 
moderna.  Essa  deve  molto  certamente  al  cristiane- 
simo, perchè  la  Riforma  le  andò  innanzi  a  sgombrarle 
il  cammino  e  apparecchiarle  il  terreno;  ma  dal  ca- 
tolicismo non  ebbe  che  persecuzioni  e  tradimenti. 
Essa  è  figlia  dell'  industria,  della  scienza,  e  della  fi- 
losofia moderna;  e  naque,  non  per  opera  del  catoli- 
cismo, ma  a  dispetto  di  lui  e  malgrado  tutti  i  suoi 
sforzi  per  soffocarla  e  spegnerla  nella  propria  culla. 
Dar  merito  della  libertà  al  catolicismo  è  cosa  tanto 
ragionevole,  quanto  sarebbe  attribuirgli  T  origine  del 
protestantesimo,  perchè  Lutero  fu  agostiniano;  eTo- 
rlgine  del  razionalismo,  perchè  Voltaire  fu  scolaro 
dei  gesuiti.  L'idea  cristiana,  già  su'l  cadere  del  me- 
dio evo,  era  passata  dalla  curia  de' vescovi  nell'a- 
nima de'  riformatori,  i  quali  del  dogma  evangelico  si 
fecero  un*arma  per  demolire  ed  abbattere  il  catoli- 
cismo. Ma  poco  stette  ad  abbandonare  la  stessa  Ri- 
forma ;  ed  oggi  l' idea  cristiana  si  è  sposata  senza  patto 
veruno  alla  libertà,  la  quale,  spogliato  il  dogma  evan- 
gelico del  suo  mistero,  e  purgata  l'evangelica  morale 
dal  suo  misticismo,  diede  un  novello  sviluppo  alla 
redenzione  di  Gesù,  e  trasformò  il  cristianesimo  nel 
razionalismo,  nel  socialismo,  e  nella  democrazia.  La 
religione  della  libertà  adunque  sta  al  cristianesimo, 
come  stava  l' Evangelio  al  codice  di  Mosè  e  alla  teolo- 
gia di  Platone. 

Epiloghiamo.  La  distinzione  fra  il  catolicismo  pri- 
mitivo e  il  posteriore,  fra  il  catolicismo  de' Padri  e 
quello  dei  papi,  fra  il  vero  catolicismo  e  il  falso,  non 
rimedia  punto,  làa  anzi  conferma  ed  aggrava  la  sua 


167 

opposizione  con  la  libertà.  Ridutto  anche  a'suoi  ar- 
ticoli essenziali  di  dogma,  di  morale,  e  di  gerarchia, 
li  catolicismo  è  sempre  incompatibile  con  ogni  prin- 
cipio di  libertà,  per  quanto  onesta,  moderata,  e  tem- 
perata si  voglia.  Dunque  le  conclusioni,  che  abbiamo 
dedutte  dal  ragguaglio  della  libertà  co  4  catolicismo, 
sono  assolute;  valgono  per  ogni  libertà,  come  per  ogni 
catolicismo;  e  però  quadrano  eziandio  al  vero  catoli- 
cismo ed  alla  vera  libertà.  Dunque  il  sotterfugio,  a 
cui  s'appigliano  i  ca telici  liberali,  non  è  altro  che  un 
sofisma. 

Siamo  ora  in  grado  di  formulare  più  esattamente 
la  risposta  alla  questione  generale,  che  ci  propone- 
vamo nel  capitolo  primo.  Il  catolicismo  può  egli 
dirsi  la  religione  del  secolo  XIX?  No,  perchè  nel- 
l'odierna società  civile  esso  non  gode  più  nessuna  di 
quelle  prerogative,  che  costituiscono  la  religione  di 
un'epoca  data. 

Il  catolicismo  non  è  più, -nell' ordine  del  pensiero 
e  della  cognizione,  il  criterio  delia  verità:  —  oggi 
la  religione  degli  intelletti  è  la  scienza. 

Il  catolicismo  non  è  più,  nell'ordine  della  vo- 
lontà e  dell'affetto,  la  legge  della  coscienza:  —  oggi 
la  religione  de' cuori  è  la  fratellanza. 

Il  catolicismo  non  è  più,  nell'ordine  delle  institu- 
zloni  civili,  la  regola  del  progresso:  —  oggi  la  reli- 
gione della  civiltà  è  l'eguaglianza. 

Il  catolicismo  none  più,  nell'ordine  delle  relazioni 
politiche,  la  norma  del  publlco  diritto  :  —  oggi  la  reli- 
gione della  politica  è  la  libertà. 

Né  queste  formule  diversiiicano  in  sustanza  da 
quelle,  che  in  altri  termini  ho  altrove  indicate.  Per- 
ciocché di  queste  quattro  formule,  due  si  riferiscono 
alle  condizioni  interiori  della  vita,  e  due  ai  rapporti 
esteriori  della  società.  Ora  la  religione  degl'  intelletti 
e  dei  cuori,  o  la  scienza  e  la  fratellanza,  comprende 


168 

i  prìncipj  del  dogma  e  della  morale:  ecco  il  razio- 
nalismo. 

La  religione  della  civiltà,  o  T  eguaglianza,  esprime 
i  rapporti  del  cittadino  co*i  cittadini:  ecco  il  so- 
cialismo. 

La  religione  della  politica,  o  la  libertà,  significa 
!  rapporti  dei  cittadini  co  1  governo:  ecco  la  demo- 
crazia. 

E  dicendo  Io  che  tal  è  la  religione  del  nostra 
tempo,  nessuno  vorrà,  spero,  interpretare  questa  con- 
clusione nel  senso,  ch'io  tenga  tutti  i  miei  contem- 
poranei per  democratici,  socialisti,  e  razionalisti  di 
professione.  Se  le  idee  e  le  credenze  di  un'epoca  do- 
vessero» indursi  dall'unanimità  espressa  e  materiale 
degl'individui,  qualunque  giudizio  riuscirebbe  sem- 
pre fallace;  perchè  l'unanimità  fra  li  uomini  amo- 
ralmente impossibile.  Bisógna  dunque  argumentarle 
dallo  stato  e  dalla  tendenza  generale  degli  animi: 
stato  e  tendenza,  a  cui  serve  di  misura  e  di  scan- 
daglio, non  il  numero  dei  sufTragj,  ma  il  carattere 
delle  scienze  e  delle  arti,  delle  riforme  politiche  e 
civili,  delle  instituzioni  economiche  e  sociali,  e  di 
tutto  quel  movimento  di  idee,  di  sentimenti,  di  voli, 
di  tentativi,  di  bisogni,  in  cui  si  rivela  e  si  ritrae 
fedelmente  l'anima  de' popoli  e  lo  spirito  dei*  tempi. 
Così  nel  secolo  II  e  HI  potevano  i  cristiani  afiTermare, 
che  il  paganesimo  avea  finito  d'esistere,  sebbene  fosse 
ancora  la  religione  officiale  dell'impero;  e  che  il 
mondo  era  fatto  cristiano,  sebbene  l'Evangelio  non 
regnasse  ancora  che  nelle  catacombe.  E  cosi  la  lo- 
gica de' fatti  e  de'principj  ne  porta  oggi  a  conchiu- 
dere, che  il  catolicismo  ha  realmente  cessato  di  vì- 
vere, benché  in  molti  paesi  domìni  ancora  ;  e  che  la 
libertà  è  la  religione  dell'era  nuova,  benché  quasi 
tutti  i  governi  sieno  congiurati  insieme  per  bandirla 
dal  mondo. 


169» 
Le  formule,  con  cut  ho  riassunto  ìa  conclusione 
generale  del  mio  discorso,  mi  costringofia  a  dtseo^ 
starmi  almeno  nel  termini  dairopìnione  di  Giuseppe 
Mazzini.  In  un  articolo  publicato  daU7to/ta  e  Popo^ 
lo  ai  primi  di  febrajo  (1853),  e  riferito  in  un  sua 
scritto  Agli  Ilalimi  (pag.  81-84),  egli  confronta  la 
formula:  Libertà,  Eguaglianza,  Fratellanza,  da  me 
pure  abbracciata,  con   la  sua:  Dio  e  il  Popolo;  e 
chiama  francese  quella,  e  questa  italiana.  Prima  di 
andar  oltre,  io  dirò  francamente  che  non  parmi  nò 
giusto,  né  utile  questo  vezzo  di  dare  alle  idee  una 
patria  speciale.  Non  utile,  perchè  lusinga  o  frriu 
l'orgoglio  nazionale;  quindi   nutre  e  fomenta   le 
antipatie  e  le  gare  fra  nazione  e  nazione^  ed  accre- 
sce sempre  li  ostacoli  a  quell'unione  fraterna  e  so- 
lidaria  de'  popoli,  che  è  il  bisogno  e  il  voto  supremo 
dell'età  nostra:  non  giusto,  perchè  la  regione  delle 
idee  non  ha  da  far  nulla  co  '1  sudo  del  pensatore. 
Le  idee  non  sono  italiane,  né  francesi,  né  tedesche; 
sono  il  patrimonio  commune  dell'Umanità:  donde 
che  vengano,  bisogna  abbracciarle  se  vere,  riget- 
tarle se  false.  Né  la  ragione  pertanto,  né  il  cuore  ci 
possono  consentire  di   chiamare  italiana  un'idea, 
perchè  cominciò  a  manifestarsi  in  Italia;  o,  che  assai 
peggio  sarebbe,  di  chiamarla  vera  perchè  italiana.  E 
non  parmi  né  anche  rigorosamente  proprio  il  nome 
di  francese,  che  Mazzini  dà  alla  formula:  Libertà, 
Eguaglianza,  Fratellanza;  poiché  riconosce  anch'egli, 
che  da  oltre  a  mezzo  secolo  è  dessa  il  simlìolo  di 
fede  della  democrazia  europea  e  della  rivoluzione 
moderna;  né  quello  d'italiana,  ch'egli  dà  alla  for- 
mule :  Dio  e  Popolo.  In  prima,  perchè  nessun  auto- 
revole scrittore  italiano,  da  lui  infuori,  V  ha  ancora 
adoperata;  né  adoperata  può  dirsi  che  l'abbiano  i  re- 
publicani  d'Italia,  perché  sotto  quella  bandiera  mili- 
tano, non  tutti  i  republicani,  ma  i  soli  seguaci  di 
il  12 


170 

Maanni;  e  perchè  i  più  fra  questi  oiedesimi  aoa  ìtg- 
gono  allro  ia  quel  molto  che  la  Republica,  e  loro 
cale  ben  poco  di  tutto  il  resto.  E  poi,  perchè  se 
dovesse  battezzarsi  dal  luogo  dove  è  nata,  questa 
formula  crebbe  anch'essa  fraucese:  e  quanto, al 
coucetto,  che  è  identico  a  quello  sanzionato  dalla 
Convenzione  ad  instanza  di  Robespierre;  e  quanto  ai 
termini  slessi,  che  autori  francesi,  Lcrminier  fra  li 
altri,  registravano  prima  che  fosse  nata  la  Giovine 
Italia, 

Ma  esaminiamo  le  differenze  radicali^  finora  poco 
avverUie,  e  nondimeno  importanti^  che  Mazzini  scorge 
fra  una  formula  e  l'altra.  «  La  francese  è  essenzialmente 
»  storica;  ricapitola  in  certo  modo  la  vita  dell* Urna- 
»  nilà  nel  passato,  accennando  poco  definitamente 
»  al  futuro.  »  Questo  giudizio,  né  quanto  al  passato 
né  quanto  al  futuro,  non  parmi  esatto.  La  formula: 
Libertà,  Eguaglianza,  Fratellanza,  non  può  dirsi  che 
ricapìtoli  la  vita  reale  deirUmanità  nel  passato,  per- 
chè non  può  ricapitolarsi  quello  che  non  è  ancor 
esìstito  ;  e  Mazzini  per  fermo  non  saprebbe  indicarci 
nessun' epoca  della  storia,  in  cui  già  regnasse  la  li- 
bertà, l'eguaglianza,  e  la  fratellanza  universale.  Onde 
egli  stesso,  delineando  lordine  e  lo  sviluppo  con  cui 
si  vennero  elaborando  i  tre  elementi  della  formula, 
parla  sempre  dell' tWea,  non  mai  del  fatto.  Ma  se  la 
formula  non  è  la  ricapitolazione  del  passato,  è  bensì 
la  legge  del  futuro  :  legge,  non  poco  definita,  ma  cosi 
chiara  che  non  ha  mestieri  d'alcuna  spiegazioue;  cosi 
vasta  che  abbraccia  tutte  le  condizioni  private  e  pu- 
bliche  della  vita  ;  così  progressiva  che  nemmeno  col 
pensiero  si  può  oltrepassare  la  perfezione,  che  pre- 
iige  qual  meta  alla  carriera  deirUmanltà. 

((  La  formula  italiana  è  invece  radicalmente  filo- 
»  sofica;  accettando  le  conquiste  del  passato,  guarda 
»  risolutamente  al  futuro,  e  tende  a  dciìnire  il  me- 


171 

j>  lodo  più  opportuno  allo  avolgiraento  progressivo 
»  delle  facullà  umane.  »  Confesso,  che  lutto  questo 
periodo  è  per  me  un  enigma.  In  qual  senso  può  mai 
chiamarsi  filosofica  l'espressione:  Dio  e  il  Popolo? 
Nessuno  di  questi  due  termini  ha  qualche  relazione 
particolare  con  la  filosofia:  non  Dio,  perchè  è  con- 
cetto religioso,  anziché  scientifico;  non  il  Popolo j 
perchè  è  concetto  empirico,  anziché  razionale.  E  come 
può  dirsi  che  quella  formula  accetti  le  conquiste  del 
passato?  Né  Dio,  né  11  Popolo  sono  principi,  che 
r Umanità  abbia  conquistalo;  ma  l'uno  è  il  simbolo 
di  un  sentimento  connaturale  allo  spirito  umano,  e 
l'altro  per  sé  non  è  che  un  fatto  materiale.  Come 
può  dunque  guardare  al  futuro?  Come  tendere  a  de- 
finire  un  metodo  qualsiasi  per  lo  svolgimento  delle 
umane  (acuità  ?  Ho  un  bel  ripetere  a  me  stesso  :  Di» 
e  il  Popolo  ;  io  non  ritrovo  in  queste  parole  né  pas- 
sato, né  futuro;  non  ci  veggo  né  definizione,  né  wi«- 
lodo  di  sorta  ;  non  ci  sento  né  progresso,  né  svolgi- 
mento di  nessuna  facultà:  scientificamente  non  ci 
trovo  nulla;  perchè  Dio  é  un'incognita,  e  il  Popolo 
è  un  fenomeno  di  storia  naturale. 

»  La  prima  esprime  com[3endiato  un  grande  fati»: 
»  la  seconda  scrive  su  la  bandiera  un  principiò.  La 
»  prima  definisce,  afi'erma  il  progresso  compiuto:  la 
»  seconda  costituisce  lo  strumento  del  progresso,  il 
»  mezzo,  il  modo,  per  cui  deve  compirsi.  »  A  me 
sembra  tutto  il  contrario.  La  formula  francese  non 
esprime  un  fatto,  ma  un  principio;  poiché  i  suoi 
clemènti  sono  idee,  sono  verità,  che  hanno  ancora 
da  incarnarsi  nella  storia.  Essa  dunque  afi'erma  bensì 
un  progresso  compiuto  nell'ordine  del  pensiero,  ma 
determina  insieme  la  legge  del  progresso  da  com- 
piersi nell'ordine  dell'azione.  All'Incontro,  la  formula 
italiana  non  significa  né  il  progresso  compiuto,  né 
quello  da  compirsi;  né  la  verità  d'un  principio,  uè 


17« 

la  legge  d'un  fatto;  e  Tingegno  più  acuto  ed  anali* 
tico  del  mondo  non  arriverà  giammai  a  scoprire  in 
quelle  due  voci  la  costituzione  di  uno  strumento,  di 
un  mezzo,  di  un  modo  quale  che  sia  di  progresso. 
Ben  ve  la  scorge  Mazzini,  lo  so;  ma  ve  la  scorge 
mediante  un  commento,  che  dà  ai  due  termini  un 
senso  tutto  suo  proprio.  Egli  continua  in  fatti:  «Una 
»  formula  filosofico-politica,  per  aver  diritto  e  [)o- 
»  tenza  d'avviare  normalmente  i  lavori  umani,  deve 
»  racchiudere  due  sommi  termini:  la  surgente,  la 
»  sanzione  morale  del  Progresso;  la  Legge  e  Vinter- 
»  prete  della  Legge.  »  Questa  nozione  della  formula 
|H)lit4ca,  a  mio  avviso,  è  falsa.  Una  formula  scienti- 
fica non  è  altro  che  T espressione  chiara  e  concisa, 
e  quasi  la  riduzione  a  minimi  termini  di  una  legge. 
Ora  che  cosa  sono,  nel  linguaggio  filosofico,  le  leg- 
gi? Sono  i  rapporti  naturali  e  necessarj  degli  es- 
teri. Ma  per  determinare  questi  rapporti  non  fa 
d'uopo  di  assegnarne  la  surgente;  e  nessuna  legge  fisi- 
ca, matematica,  metafisica,  e  morale  si  fa  dipendere 
in  alcuna  guisa  dal  concetto  della  sua  causa.  Dun- 
que il  primo  termine,  che  Mazzini  prescrive  alla  for- 
mula, non  le  appartiene.  E  non  le  appartiene  né  pur 
il  secondo,  che  è,  giusta  la  sua  dottrina»  la  sanzione 
o  r  interpretazione  della  legge.  In  primo  luogo,  per- 
chè la  sanzione  di  una  legge  non  ha  che  fare  con  la 
sim  interpretazione:  identificare  Tuna  con  l'altra  è 
distruggerle  entrambe.  In  secondo  luogo,  perchè  la 
formula  di  una  legge  è  affatto  diversa  e  indipen- 
dente dalla  sua  interpretazione  e  dalla  sua  sanzione; 
le  sono  questioni  d'ordine  e  di  natura  al  tutto  diffe- 
renti: coofnnderle  in  una  è  renderle  insolubili  tutte. 
La  formula  politica  adunque  non  deve  esprimere  al- 
tro che  la  legge  sociale,  ossia  i  rapporti  naturali  e 
necessarj  de' cittadini  verso  la  nazione,  e  delle  na- 
zioni verso  l'Umanità,  hdi  surgente  poi  e  la  sanzione 


17S 

di  questa  legge  sono  due  problemi  da  parte,  gra- 
vissimi e  importantissimi  quanto  si  voglia,  ma  in- 
dipendenti dalla  formula.  Dunque  allorché  Mazzini 
soggiunge:  <t  Questi  due  termini  mancano  alla  for- 
2>  mula  francese;  costituiscono r Italiana;»  pronuncia 
senz'accorgersene  il  più  grande  elogio  di  quella,  e 
la  più  severa  condanna  della  sua. 

a  La  surgente,  la  sanzione  morale  della  Legge  sta 
»  in  Dio,  cioè  in  una  sfera  inviolabile,  eterna,  su- 
»  prema  su  tutta  quanta  T  Umanità,  e  indipendente 
»  dair  arbitrio,  dall' errore,  dalla  forza  cieca  e  di  breve 
i>  durata.  Più  esattamente.  Dio  e  Legge  sono  termini 
»  identici.  »  Con  questo  commento,  lungi  dallo  spie- 
gare la  sua  formula,  Mazzini  l'immerge  in  un  pelago 
di  nuove  diffìcultà  e  di  nuovi  misteri.  Se  Dìo  e 
Legge  sono  termini  identici,  la  sua  tesi  che  la  sur- 
gente,  la  sanzione  della  legge  sta  in  Dio,  equivale  pre- 
cisamente a  quest'altre:  la  surgente  della  legge  è  la 
legge  ;  — •  la  sanzione  della  legge  è  la  legge  ;  ^  la  sur- 
gente dì  Dio  è  Dio; —  la  sanzione  di  Dio  è  Dio;  — la 
legge  è  la  legge;  —  Dio  è  Dio.  E  che  senso  daremo 
noi  a  questo  gergo?  Inoltre,  se  la  legge  è  Dio,  convìen 
dunque  sapere  che  cos'è  Dio,  per  conoscere  che  cosa 
sia  la  legge.  £  il  Dio  di  Mazzini  quale?  Ecco  il  nodo 
della  questione.  L'accennare,  com'egli  fa, ad  t^na^/èra 
inmolahile,  eterna,  suprema,  non  è  definire;  poiché 
a  tutte  quante  le  religioni  e  le  sètte  possono  appro- 
priarsi quelle  belle  parole:  ma  son  parole l  Avanti 
di  accettare  la  sua  formula,  dobbiamo  chiedergli  che 
ci  dica  una  buona  volta,  senz'ambagi  e  senza  tropi, 
che  cos'è  Dio,  ovvero,  fra  i  varj  Dei  presentemente 
noti  in  Europa,  qual  è  il  suo?  Teologicamente  noi 
possiamo  annoverarne  quattro,  assai  diversi  fra  loro: 
il  Dio  degli  ebrei,  il  Dio  dei  catolici,  il  Dio  de' mao- 
mettani, e  il  Dio  de' protestanti.  Filosoficamente  poi, 
li  Dei  possono  contarsi   a  centinaja.  Ciascuno  dei 


174 

roolU  sistemi  dì  panteismo,  di  materialismo,  di  spi- 
ritualismo, d'idealismo,  ecc.  ha  un  suo  Dio  tutto 
particolare,  che  è  sempre  la  negazione  del  Dio  di 
ciascun  altro.  Or  bene;  fra  questa  turba  di  Dei,qual 
è  il  Dio  che  Mazzini  adora,  e  che  vuole  farci  ado- 
rare? Da' suoi  scritti  non  mi  venne  mai  fatto  di  rac- 
capezzarlo;  poiché  ci  sono  frasi  per  tutti:  ce  n' è  per 
il  Dio  del  papa,  per  quello  di  Lutero,  per  quello 
di  Maometto,  per  quello  di  Socino,  per  quello  di 
Rousseau,  per  quello  di  Spinoza  ....  Non  è  dun- 
que possibile  che  la  sua  formula  abbia  un  valore, 
finché  il  primo  e  massimo  elemento  non  è  ben  de- 
finito. 

«  L'interprete  della  legge  fu  problema  continuo 
»  airUmanità. —  La  formula  italiana  affida  Tinter- 
»  pretazione  della  legge  al  Popolo,  cioè  alla  Nazione, 
»  air  Umanità  coUetliva,  all'Associazione  di  tutte  le 
»  facultà,  dì  tutte  le  forze,  coordinate  da  un  patto.  » 
Qui  abbiamo  una  certa  definizione;  ma  siccome  è 
arbitraria,  così  non  vale  a  costituire  né  legge,  né 
formula  veruna.  Chi  abbia  già  del  popolo  la  sublime 
idea,  che  a  Mazzini  venne  inspirata  dal  suo  cuore, 
dirà  come  lui,  certamente  ;  ma  i  termini  di  una  for- 
mula, di  una  legge  sociale,  devono  portare  in  sé 
stessi  il  loro  valore,  e  non  ritrarlo  dall' arbitrio  e 
dall' intenzione  dello  scrittore.  Fra  i  due  termini  D/o 
e  il  Popolo  non  è  espresso  alcun  rapporto;  dunque 
0  bisogna  supporre,  che  l'unico  rapporto  possibile 
sia  quello  di  Mazzini;  o  altrimenti  la  sua  formula 
non  significa  nulla,  perchè  non  determina  nulla.  11 
primo  caso  non  è  ammissibile,  dacché  repugna  egual- 
mente alla  logica  ed  alla  storia;  dunque  sta  il  se- 
condo. 

«  La  formula  italiana,  intesa  a  dovere,  sopprime 
»  dunque  per  sempre  ogni  casta,  ogni  interprete  pri- 
»  vilegiato,  ogni  intermediario  per  diritto  proprio  tra 


I  il) 

»  Dìo,  padre  e  inspiratore  dell' Umanitè,  o  l'iJmanilà 
»  Slessa.  »  Ma  perchè  possa  produrre  tanti  bel  frulli, 
la  formula  va  intesa  a  dovere,  cioè  nel  senso  di  Maz- 
zini ;  che  allrimenli,  preso  ciascun  lermine  come  suona, 
non  ha  senso  alcuno  delerminalo.  E  questa  clausula 
sola  non  prova  abbastanza  la  totale  nullità  della  for- 
mula italiana?  La  francese  air  incontro  sopprime 
Offrii  casta,  vgni  interprete  privilegiato,  senza  bisogno 
di  chiose,  che  ne  la  faciano  intendere  a  dovere;  ma  sem- 
plicemente in  virtù  del  senso  naturale,  ordinario,  e 
vulgarissimo  delle  parole.  Dovunque  sia  libertà,  egna-* 
^lianza,  e  fratellanza,  ivi  è  impossibile  fino  il  concetto 
di  casta  e  di  privilegio;  laddove  Dio  e  il  Popolo  son 
dapertutto,  e  pure  daperlutto  regna  il  privilegio  e 
la  casla. 

tt  La  formula  italiana,  generalizzata  da  una  na- 
»  zione  air  associazione  delle  nazioni,  dichiara  fonda- 
»  mento  d'una  leoria  della  Vita:  Dio  è  Dio,  e  l'U- 
»  manità  è  suo  Profeta,  »  Non  so  capire,  come  mai 
un  apostolo  del  progresso  abbia  potuto  tenere  que- 
sto linguaggio,  che  odora  così  forte  di  musulmano. 
Ohi  Mazzini  dovea  lasciarlo  a  quei  devoti  e  fonalici 
scttarj,  i  quali  credono  tanto  più  fermamente  una 
cosa,  quanto  più  è  incomprensibile  ed  assurda.  Ma 
egli  parla  ad  uomini  civili  del  secolo  XIX,  e  sa  me- 
glio di  me,  che  costoro  non  sono  disposti  a  credere 
se  non  quello  che  intendono.  0  spera  forse  d'aver 
loro  tolto  ogni  dubio  e  chiarita  ogni  difficultà  con 
quella  strana  definizione:  Dio  è  Dio?  E  quando  a- 
vranno  imparato  che  Dio  è  Dio,  conosceran  poi  dav- 
vero che  cos'è  Dio?  Quando  pure  gli  concedano  che 
l' Umanità  è  Profeta  di  Dio,  potranno  persuadersi  d'a- 
ver trovato  il  fondamento  d'una  teoria  della  Vita? 
Una  teoria  non  può  assumere  per  fondamento  se  non 
un  principio  certo  ed  evidente;  e  Mazzini  vuol  fon- 
dare la  teoria  della  vita  sopra  d'un  gioco  di  parole, 
sopra  di  un'incognita? 


176 

«  La  fòrmula  ilallana  è  dunque  essenzialmente, 
»  inevìtabilmeBtef  esclusivamente  republlcana;  non 
•  può  uscire  che  danna  credenza  republicana;  non 
»  può  inaugurar  che  republica.  »  Ed  anche 'questa 
conclusione  è  fallace.  La  formula:  Dio  e  il  Popolo^ 
non  è  e  non  può  dirsi  né  esclusivamente,  né  inevitabil- 
mente republicana,  poiché  è  essenzialmente  indeter- 
minata, ossia  nulla.  Essa  riceve  il  suo  significato  dal 
carattere  dì  chi  la  proclama;  ed  è  republicana  su  la 
bandiera  di  Mazzini,  come  sarebbe  teocratica  su  quella 
di  Pio  IX. 

ff  La  formula  francese,  non  accennando  alla  sur- 
»  gente  eterna  della  Legge,  ha  potere  per  difendere 
»  con  la  forza,  co'l  terrore,  non  con  T educazione, 
»  alla  quale  manca  la  base,  le  conquiste  del  passato; 
»  è  muta,  incerta,  malferma  su  l'avvenire.  »  Y'ha 
qui  un  gruppo  di  metafore,  in  cui  non  veggo  lume 
da  nessuna  parte.  Accusare  una  formula  di  non  po- 
tersi difendere!  Mescolar  insieme  formula  e  foraa, 
formula  e  terrore,  formula  ed  educazione!  0  che?  la 
formula  dev'essere  dunque  un  esercito  o  una  for- 
tezza, una  scuola  o  un'academia?  E  la  formula  di 
Mazzini  ha  dunque  il  potere  di  educare?  A  crederlo 
però  aspetteremo  di  vederla  salire  in  bigoncia,  e  di 
ascoltare  le  sue  pedagogiche  lezioni  I  -*  Del  resto,  che 
la  francese  non  accenni  alla  surgenle  della  legge,  è  ap- 
punto Usuo  pregio  e  il  suo  merito  principato;  oche 
sia  muta,  incerta,  mal  ferma  su  V  avvenire,  non  può 
sostenerlo  se  non  chi  ignori  o  voglia  affatto  dimen- 
ticare il  senso  più  ovvio  delle  parole  libertà,  Egua^ 
glianza.  Fratellanza. 

Il  rimanente  del  discorso  di  Mazzini  offende  troppo 
il  senso  commune:  a  La  formula  francese  non  defi- 
»  nendo  V  interprete  della  legge,  lascia  schiuso  il  varco 
j>  agr  interpreti  privilegiati,  papi,  monarchi,  o  soldati. 


177 
»  Quella  formula  potè  nascere  dagli  ultimi  aneliti 
»  d'una  monarchia,  sussistere  ipocritamente  in  una 
»  republica  che  strozzava  la  libertà  republìcana  di 
»  Roma,  soccumbere  sotto  il  nepote  di  Napoleone  che 
.;  dichiarava:  io  sono  il  migliore  interprete  della 
»  legge,  io  sarò  tutore  alla  libertà,  all'  eguaglianza, 
•>  alla  fratellanza  dei  millioni.  n  Cornei  Mazzini  trova 
n^odo  di  associar  insieme  questi  concetti:  libertà  e 
privilegio,  eguaglianza  e  papa^  fraternità  e  monarca 
o  soldato!  IVla  se  questi  non  sono  concetti  rigorosa- 
mente, evidentemente,  palpabilmente  contradittorj , 
c'Insegni  un  po' che  cosa  sia  repugnànza  e  contradi- 
zlone;  giacché  se  mi  permette  di  ragionare  con  la 
sua  logica,  io  gli  convertirò  tutti  li  assurdi  in  al- 
tretantì  assiomi,  —  Inoltre,  quel  rimprovero  ch'esso 
rivolge  alla  formula  francese,  mi  fa  nuovamente  du- 
bitare, ch'egli  esiga  proprio  dalle  formule  l'officio 
degli  schioppi,  del  cannoni,  e  delle  bombe.  Ma  non 
è  una  stranezza,  a  dir  poco,  l' imputare  ad  una  for- 
mula le  iniquità  di  un  governo?  Quelle  iniquità  e- 
rano  forse  una  conseguenza  legitima  e  necessaria  di 
quella  formula?  Questo  governo  era  forse  fedele 
al  suo  principio?  A  chi  nm  farà  credere  Mazzini, 
che  se  in  luogo  delle  pdivole:  Libertà,  Égalité,  Frater- 
nité,  fosse  stato  scritto  in  fronte  ai  publìci  monu- 
menti: Dio  e  il  Popolo,  l'Assemblea  francese  non 
avrebbe  decretata  la  spedizione  di  Roma,  né  il  Bo- 
naparte  avrebbe  fatto  il  colpo  di  Stato?  Le  parole: 
Dio  e  il  Popolo,  ben  erano  scritte  su  le  bandiere  di 
Roma;  e  perchè  non  fecero  il  miracolo  di  salvarla? 
Perchè  Mazzini  non  isconfisse  i  battaglioni  francesi, 
non  disperse  le  artiglierie  tedesche,  non  mantenne 
saldi  ed  incolumi  i  bastioni  italiani  co'l  suo  ma- 
gico grido:  Dio  e  il  Popolo? —  In  verità,  io  arros- 
sisco di  dover  discutere  argumenti  così  stravaganti. 
No,  Napoleone  non  commise  la  follìa  di  dichiararsi 


178 

tutore  della  libertà,  delV eguaglianza ,  e  della  fra- 
tellansa  dei  millioni.  Egli  fu  assai  più  consentaneo  a 
sé  stesso:  giù  la  libertà,  egli  disse,  giù  l'eguaglianza 
e  la  fratellanza!  Io  sono  il  vìncilore,  e  comando:  il 
popolo  è  vinto,  e  obedisca.  —  E  quella  povera  for- 
mula, che  Mazzini  stima  conciliabile  di  fallo  co  1  de- 
spolismo.  Napoleone  non  la  giudicò  compatibile,  né 
pur  di  solò  nome,  coi  suo  potere:  la  cancellò  da- 
perlutlo!  Ma  invece  qnal  è  la  formula,  che  trovò  bella 
e  fatta  per  uso  suo?  Èqnelladì  Mazzini:  in  nome  di 
Dio  €  del  popolo!!  {par  la  gràce  de  Dteu  et  la  to- 
loìité  nalionale,..,) 

Ed  è  la  storia,  non  lo,  che  dà  una  smentita  così 
fresca  e  solenne  a  quell'altra  singolare  asserzione: 
«  Né  papa,  né  re  potrebbe  assumere  co' republicani 
»  italiani  linguaggio  siffatto.  La  formula  -inesorabile 
»  gli  direbbe: non co«05«awo  interpreti  intermediari, 
»  privilegiati  tra  Dio  e  il  Popolo  :  scendi  ne'  suol  ran- 
»  ghi,  ed  abdica.  »  Si,  Bonaparte  ha  assunto  linguaggio 
siffatto  co'  republicani;  e  la  formula  di  Mazzini  si  mo- 
strò, non  mica  inesorabile,  ma  la  più  compiacente  e 
pieghevole  creatura  del  mondo.  Essa  non  solamente 
stette  cheta  e  si  taque,  ma  fece  assai  più  ed  assai  peg- 
gio. Si  presentò  lesta  lesta  al  Bonaparte,  e  gli  disse: 
Tu  cerchi  un'insegna  per  la  tua  bandiera,  ed  un' iscri- 
zione pe' tuoi  decreti:  eccomi  qua,  nata  fatta  perle. 
Grida  sempre:  Dio  e  Popolo,  e  fa  quel  che  vuoi: 
tu  avrai  sempre  ragione.  —  Ohi  Mazzini  è  tornato 
in  mal  punto  a  celebrare  la  sua  formula  italiana. 
Doveva  almeno  purgarla  dal  fango,  di  cui  l'ha  con- 
taminata Bonaparte;  e  assolverla  dairinfamia,  onde 
l'hanno  coperta  i  bonapartisti  1 

Mi  rincrescerebbe  all'anima,  se  queste  osservazioni 
mi  facessero  passare  agli  occhi  di  Mazzini  |>er  un 
di  coloro,  che  hanno  «  il  vezzo  di  serbare  ogni  p»)- 
»  lènza  di  sofismi  e  d'esame  contro  qualunque  idea 


179 

»  vesta  forma  italiana,  e  d'accettar  ciecamente  ogni 
»  formula,  che  vien  di  Francia.  «Ma  il  timore  d'es- 
sere tenuto  in  conto  di  sofista y  nemico  d'elle  cose 
italiane,  e  ciecamente  servo  delle  francesi,  non  ba- 
sterebbe a  farmi  mutar  di  parere:  nelle  questioni 
di  principi,  le  ragioni  deirìnlelletto  devono  pre- 
valere a  quelle  del  cuore.  Il  proverbio  latino:  ami- 
cus  Pilato  y  sed  maqis  amica  veritas,  è  il  primo 
articolo  della  mia  religione.  Io  però  alla  forma  delle 
idee  non  bado;  bado  alla  sustanza.  Vengano  di  Fran- 
cia 0  d'Italia,  da  un  emisfero  o  dall'altro,  dal  cielo 
0  dall'abisso,  per  me  gli  è  tutt'uno:  le  studio,  l'e- 
samino, le  giudico,  senza  chiedere  mai  a  nessuna  il 
certificato  della  sua  nascita;  e  mi  stimerei  egual- 
mente reo  di  lesa  verità,  se  accettassi  un'idea,  per- 
chè nostrale,  e  se  la  rifiutassi,  perchè  straniera.  No- 
strale per  me  è  ogni  verità,  e  straniero  ogni  errore. 
Mi. dimostri  Mazzini  che  la  formula:  Libertà,  Egua- 
glianza, Fratellanza, è  erronea;  ed  io  la  repudio:  di- 
mostri che  la  formula:  Dio  e  il  Popolo,  è  vera:  ed 
io  l'approvo.  Ma  deh!  in  nome  dell'Umanità,  nostra 
fede  commune,  cessi  dal  trasportare  nel  moiuk)  delle 
idee  le  gelosie  del  patriotismo,  e  dal  turbare  11  re- 
gno della  scienza  eoa  le  dispute  di  confine  1  Egli 
tuona  con  nobile  sdegno  contro  la  peste  dell'egoismo 
individuale  ;  ma  anche  l' egoismo  nazionale  non  sa- 
rebbe un  delitto?  Egli  biasima  con  generoso  calore 
lo  spirito  di  parte,  che  divide  i  popoli  in  sette;  ma 
non  sarebbe  altresì  biasimevole  uno  spirito  di  parte, 
che  dividesse  in  sètte  l' Europa,  e  facesse  d' ogni  po- 
polo un  partilo  ? 

La  soluzione  generale  del  problema,  ch'io  avea 
tolto  ad  esaminare,  parmi  che  abbia  eziandio  risoluta 
implicitamente  la  questione  del  protestantesimo.  Del 
quale  non  si  potrebbe  far  una  giusta  estimazione» 


180 

se  non  si  distinguessero  accuratamente  i  due  con- 
cetti eh'  esso  rappresenta.  Il  primo  è  critico  e  nega- 
tivo; ed  in  questo  senso  il  protestantesimo,  non  è  al- 
tro che  una  reazione  del  sentimento  cristiano  contro 
deir  assolutismo  catolico,  reazione  della  libertà  di 
coscienza  contro  il  diritto  divino  dei  papi.  Fu  que- 
sto r elemento  vero  della  Riforma,  la  quale  com- 
battendo il  papismo,  combatteva  per  la  libertà,  per 
l' Umanità,  per  la  ragione  :  questa  fu  la  sua  potenza 
e  la  sua  gloria.  Sotto  questo  rispetto,  il  protestan- 
tesimo è  dunque  una  pura  e  semplice  negazione  del 
catolicismo;  ed.  una  negazione,  se  può  tener  luogo 
di  religione  a  qualche  individuo,  non  può  certamente 
ad  un  popolo,  ad  una  società. 

Il  secondo  è  dogmatico  e  positivo  ;  ed  in  questo 
senso  il  protestantesimo  è  un  altro  simbolo  e  un  al- 
tro culto,  che  venne  a  surrogare  il  simbolo  ed  il 
culto  catolico.  Ma  allora  il  protestantesimo  non  è  più 
che  un  nome;  giacché  in  realtà  non  esiste  che  una 
moltitudine  di  chiese  o  communioni,  ciascuna  delie 
quali  ha  un  simbolo  ed  un  eulte  suo  proprio.  Quindi 
il  problema  rimane  insolubile.  Perciocché  a  voler  di- 
scutere, se  il  protestantesimo  sia,  o  no,  la  religione 
del  secolo  XIX,  bisogna  prima  determinare  qual  è 
la  sua  professione  di  fede  :  determinazione  impossi- 
bile, poiché  ve  il'  ha  tante  quante  sètte;  ogni  paese 
ne  ha  una  diversa,  ed  ogni  anno,  ne  vede  nascere 
una  nuova. 

.  •—  Ma  le  disenzioni  fra  le  varie  chiese  sono  acci- 
dentali ;  poiché  cadono  esclusivamente  su  li  articoli 
secondar]  ed  accessorj  della  religione.  Quanto  agli 
articoli  primarj  e  fondamentali  tutte  le  chiese  vanno 
d'accordo,  e  riconoscono  un  simbolo  commune.  — 
E  questo  simbolo  commune,  finalmente,  in  che  con- 
siste? Consiste  1.^  nel  riconoscere,  qual  unico  co- 
dice religioso,  la  Bibbia;  2.°  nel  professare  i  dogmi 


m 

foDdamentali  del  crtstianesimo.  Ora.  non  è  difficile 
a  vedere,  che  così  il  primo  come  il  secondo  argo* 
menlo,  anziché  giovare  alla  causa  del  protestantesimo, 
la  perde  e  la  rovina. 

E  quanto  alla  Bibbia,  i  protestanti  ammettendola 
per  codice  religioso,  devono  assolutamente  riguar- 
darla come  libro  sacro,  inspirato  e  dettato  dallo 
stesso  !Dio;  altrimenti,  se  la  tenessero  in  conto  di 
opera  umana,  romperebbero  affatto  ogni  lìmite  del 
sistema  cristiano,  ed  entrerebbero  nel  campo  del 
razionalismo.  Laonde  il  protestantesimo  si  fonda  es- 
senzialmente su  la  realtà  di  una  rivelazione  divina 
e  di  ti n  ordine  sopranaturale;  e  quindi  repugna, 
non  meno  che  il  catolicismo,  ai  principi  più  certi 
della  ragione,  ed  alle  leggi  più  incontrastabili  della 
scienza.  La  sua  teologia  incomincia  con  un  Dio  che 
parla,  e  finisce  con  un  cielo,  dovè  questo  Dio  mede- 
simo ha  il  suo  palazzo  e  la  sua  corte;  incomincia 
con  un  mistero  che  è  un  assurdo,  e  finisce  con  una 
favola  che  è  un  assurdo  peggiore. 

Inoltre,  la  Bibbia  è  un  libro;  e  come  tutti  i  libri, 
massime  i  sacri,  del  mondo  può  ricevere  molti  e 
varj  significati.  La  lettera  della  Bibbia,  per  sé  sola, 
vai  poco  0  niente:  tutto  sta  ad  intenderla  nel  suo 
vero  senso,  cioè  nel  senso  di  Dio.  Conviene  dunque 
interpretarla.  E  qui  s'apre  un  altro  abisso  di  diffi- 
cultà  e  di  contradiztoni ,  che  non  ha  fine  né  fondo. 
Perciocché  o  V  interpretazione  autentica  delia  Bibbia 
compete  ad  una  gerarchia,  o  appartiene  allo  spirito 
privato  di  ciascun  lettore.  Nel  primo  caso  1  diritti 
della  ragione  e  della  coscienza  vengono  manomessi; 
e  i  protestanti  sono  anch'essi  catolici.  Nel  secondo, 
r autorità  e  la  divinità  della  Bibbia  diventano  cose 
senza  realtà  e  voci  senza  valore;  ed  anche  i  prote- 
stanti sono  razionalisti. 
La  conseguenza  della  prima  ipotesi  è  evidente. 


t82 

L'essenza  del  oatolìdsmo  non  consiste  già  nei  titoli 
di  papa,  dì  cardinale,  di  vescovo ,  ma  nei  principio 
d  aotorìlà,  che  presiede  a  tutto  il  suo  organismo  re- 
ligioso; e  però,  dov*è  lo  stesso  prinei{HO,  ivi  è  ca- 
tolicismo, comunque  si  chiamino  le  persone  che  lo  rap- 
presentano, pastori,  ministri,  concistoro.  Adunque  1 
protestanti,  che  riconoscono  un'autorità  per  giudice 
delhi  fede,  ossia  per  interprete,  se  non  inrallibile, 
almeno  legitimo  della  Bibbia,  mentono  al  proprio 
nome;  o  piuttosto  riducono  la  religione  ad  una  di- 
sputa di  parole  e  ad  un  aflare  di  persone;  ma  la 
base  del  loro  sistema  è  il  catolicismo. 

E  la  conseguenza  della  seconda  ipotesi  è  certa  del 
pari  e  necessaria.  L'essenza  del  razionalismo  non 
consiste  in  qualche  teorica  speciale  dei  simlx^i  e  dei 
miti;  bensì  nel  principio  universale  e  supremo,  che 
stabilisce  unico  criterio  della  verità,  eziandio  religiosa, 
la  ragione;  e  che  però  alla  ragione  subordina  tutte 
le  cognizioni  anche  rivelate.  Dunque  ogni  sistema, 
ili  cui  predomina  questo  principio,  è  razionalismo. 
Ora  i  protestanti,  che  danno  a  ciascheduno  la  facultà 
d^interpretare  la  fiibbia  a  modo  suo,  riconoscono  in 
somma  per  unica  regola  di  fede  la  ragione:  sono 
dunque  razionalisti.  E  allora  la  divinità  della  Bibbia 
che  vale?  lo  per  me  non  avrei  più  nessuna' difficuUà 
ad  ammettere  e  professare  egualmente  la  divinità  dei 
Veda,  del  Zend-A vesta,  del  Corano,  e  se  volete, 
anche  d'Esopo;  dappoiché  di  tutto  quelle  poesie  o 
favole  divine  io  non  riterrò  per  vero  fuorché  quello 
clic  la  ragione  approva  ;  e  reputerò  falso  e  mitolo- 
gico tutto  quello  che  la  ragione  non  può  accet- 
tare. Allora,  divinità  della  Bibbia  non  significa  altro 
che  divinità  del  vero;  e'  per  conseguente,  divinità 
della  ragione:  che  è  la  formula  stessa  del  raziona- 
lismo. E  qui  h  storia  conferma  appuntino  il  ragie* 
namonto.  La  teologia  protestante,  rimessa  in  balìa 


1^^ 

delta  crilica  e  della  scienza ,  poco  stette  a  trasf(M^- 
marsi  in  filosolia;'  e  lo  studio  delia  Bibbia  nelle 
scuole  tedesche,  non  è  più  che  un  ramo  di  quel 
Tasto  e  profondo  mitologismo,  che  va  indagando  e 
rintracciando  lo  origini  storiche  e  le  leggi  psicolo- 
giche di  tutte  le  credenze  primitive  del  genere 
umano. 

Quanto  ai  dogmi  poi,  la  condizione  del  protestan- 
tesimo non  è  punto  migliore.  Per  assottigliaris  e  pu- 
r ideare  che  si  facia  il  simbolo  di  fede,  tutte  le 
communioni  cristiane  devono  ammettere  come  fonda- 
mentali i  dogmi  del  peccato  originale,della  predesti- 
nazione, della  grazia,  e  della  redenzione.  Ora  noi  ab- 
biamo già  veduto,  qual  profonda  repugnanza  interceda 
fra  i  principi  democratici  ^  e  questi  dogmi  cristiani, 
presi  nel  senso  catolico,  che  pure  è  il  più  benigno 
di  cui  sleno  capaci.  Ma  pigliandoli  nel  senso  più 
communemente  ammesso  fra  i  protestanti,  que'  dogmi 
assumono  un  carattere,  che  offende  e  rivolta  assai 
peggio  la  coscienza  dei  popoli  moderni. 

11  peccato  originale  non  è  più  solamente  una  pena 
inìqua,  ma  diventa  una  vera  mutilazione  dell' anima 
umana.  Posto  il  principio  protestante,  che  la  giustizia 
o  santità  primitiva  era  essenziale  all'  uomo,  ne  segue 
rigorosamente,  che  l'uomo  perdendola  perdette  la 
migliore  delle  sue  doti  naturali,  il  libero  arbitrio; 
che  la  sua  medesima  sustanza  venne  alterata  e  cor- 
rotta; e  che  le  sue  facultà  intellettuali  e  morali  ri- 
maselo prive  d'ogni  attività,  e  non  gli  servono  più 
ad  altro  che  a  peccare. 

La  predestinazione  non  consiste  più  soltanto  nella 
gratuita  elezione  d'alcuni,  e  nella  semplice  non-ele- 
zione degli  altri,  che  dai  teologi  si  chiama  una  ri- 
provazione negativa;  ma  consiste  propriamente  in 
un  decreto  per  ambedue  i  lati  positivo,  ed  inesora- 
bilmente efficace:  decreto  di  elezione  per  trarre  al- 


184 

-coni  nee«9sariftiiiente  in  paradiso,  e  liecreto  di  ri- 
provazione per  dannare  anticipatamente  tutti  li  altri 
air  inferno. 

La  grazia  non  solo  previene  e  soccorre  la  volontà 
deiruomo,  ma  la  sforza  e  la  necessita  in  guisa  che 
toglie  fino  la  possibilità  di  una  resistenza. 

La  redenzione  non  solamente  riesce  inutile  nel  fatto 
a  chiunque  non  era  scritto  nel  libro  della  vita;  ma 
viene  espressamente  definita  in  questo  senso,  che 
Dio  non  voglia  salvi,  e  Cristo  non  abbia  redenti, 
se  non  i  soli  predestinati. 

Ed  in  fine,  mentre  nel  catolicismo  le  opere  buone 
contribuiscono  in  qualche  maniera  e  si  richiedono 
alla  salute  eterna,  il  protestantesimo  le  dichiara  af- 
fatto inutili,  poiché  ripone  tutta  la  salute  nella  soia 
fede.  Solo  mediante  la  fede  vengono  applicati  alFuomo 
i  meriti  di  Cristo;  e  qualunque  sia  il  tenore  della 
sua  vita  passata,  s  egli  crede  fermamente  che  Cristo 
è  morto  per  lui,  diventa  un  santo,  e  se  ne  va  difilato 
In  paradiso.  —  Dunque  il  sistema  dogmatico  dei 
protestanti  repugna  più  ancora  che  quello  dei  calo- 
Ilei  alle  dottrine  ed  alle  ìnstituzioni  della  democrazia. 

Vero  è,  che  nel  fatto  avvenne  il  contrario;  e  la 
libertà  religiosa,  politica,  e  civile  incontrò  meno 
ostacoli  negli  Stati  protestanti  che  nei  catolici.  Ma 
due  ragioni  principali  spiegano  abbastanza  questo 
fenomeno,  senza  indebolir  punto  la  forza  della  nostra 
conclusione.  La  prima,  che  il  protestantesimo,  ad  onta 
della  sua  truce  dogmatica,  o  non  conosce  affatto  ge- 
rarchia, 0  se  n'ha  una,  non  le  attribuisce  quella 
pienezza  di  potere  assoluto  e  di  diritto  divino,  onde  il 
catolicismo  privilegia  la  sua.  Nel  che  la  Riforma  certo 
fu  inconseguente,  ma  fortunata  :  inconseguente,  perchè 
cancellò  in  pratica  le  proprie  teorie,  professando  ester- 
namente quella  libertà,  che  dogmaticamente  rinegava; 
fortunata,  perchè  liberandosi  dalla  servitù  pontificla|| 


183 
dalla  casta  sacerdotale,  ebbe  rotto  o  Spezzato  rimpedì- 
mento  più  forte,  che  in  realtà  ritardasse  i  popoli  sa  la 
via  del  progresso.  La  secónda,  che  il  protestantesimo 
quanto  repiigna  co' suoi  prìncipi  alla  libertà,  tanto 
co  *1  suo  metodo  la  favorisce.  Il  processo  del  libero 
esame  accoglie  in  sé  tutti  i  germi  della  rivoluzione  ; 
poiché  data  la  libertà  di  coscienza  e  V  autonomia 
della  ragione,  la  logica  compie  T officio  suo;  e  non 
havvi  più  al  mondo  né  fede,  né  forza,  che  le  possa 
impedire  di  derivarne  le  necessarie  conseguenze.  Così 
ne* derivò  la  filosofia  degli  enciclopedisti;  ne  derivò 
poscia  il  liberalismo  dei  costituzionali  ;  e  da  ultimo 
ne  derivò  la  democrazia  sociale  dei  razionalisti.  Quei 
fatto  adunque  chiarisce  vie  meglio,  come  il  sistema 
cristiano  sia  incompatibile  al  tutto  con  egni  princi- 
pio di  libertà;  poiché  il  protestantesimo  stesso  non 
potè  altrimenti  divenir  liberale  che  a  patto  di  ne- 
gare sé  stesso  e  tramutarsi  in  puro  e  pretto  razio- 
nalismo; a  patto,  cioè,  di  riserbare  i  dogmi  bìblici 
per  norma  della  vita  privata  e  della  coscienza  indi- 
viduale, e  di  non  dare  altro  fondamento  air  ordino 
publico  che  le  leggi  naturali  e  razionali  della  società. 

A  quel  fatto  medesimo  io  vorrei  che  ponessero 
mente  coloro,  i  quali  si  fanno  oggi  a  predicar  in 
Italia  la  Riforma,  siccome  quella  che  più  presto  e 
più  sicuramente  può  condurci  alla  libertà ,  sottraendo 
i  popoli  alla  dominazione  dei  papa.  Ma  ciie  cos'  é  per 
essi  la  Riforma?  Un  sistema  religioso,  o  un  espe- 
diente politico  ?  Se  la  tengono  per  un  sistema  reli- 
gioso, devono  venerarla  come  cosa  divina;  devono 
mantenerne  illibato  lo  spirito,  intatta  la  base;  de- 
vono credere  alla  rivelazione  ed  al  sopranaturale, 
credere  ai  misteri,  credere  ai  dogmi.  E  allora,  che 
libertà  si  può  mai  promettere  V  Italia  dalla  Rifor- 
ma? Che  giova  mai  riscattarsi  dalla  servitù  dd  papa, 
1!.  '      13 


186 

se  l'anima  riman  iem|yFe  tcMaya?  Latita  dell'anima 
è  la  fede;  e  la  sua  libertà  o  la  sua  servitù  dipendo 
dalla  natura  della  sua  fede.  Se  la  fede  che  V  inspira 
ò  cieca,  Tuomo  sarà  sempre  servo.  Sia  un  papa, 
ovvero  un  libro,  che  gli  fa  percorrere  ad  occhi  chiusi 
il  cammino  delia  vita,  non  è  forse  una  cosa  sola  ? 
La  sua  ragione  non  è  sempre  obllgata  a  rinegare  sé 
stessa?  La  sua  coscienza  non  è  semprà  sottoposta 
air  arbitrio  di  una  legge  esteriore  ?  La  sua  vita  non 
è  sempre  governata  da  un  principio  immobile,  de- 
spotico,  assoluto?  Dunque  sotto  la  Riforma,  non  naen 
che  sotto  la  chiesa ,  ìa  libertà  è  sempre  un  assurdo 
e  un  delitto  ;  dunque  bisogna  rinunciare  o  alla  libertà, 
oal  dogma;  ossia,  per  conciliare  la  Riforma  con  la 
libertà,  bisogna  sacrificare  quella  a  questa,  e  fare 
del  protestantesimo  una  specie  di  razionaFismo.  E  al- 
lora, a  che  predicare  in  nome  della  libertà  la  Ri- 
forma, quando  la  Riforma  non  può  divenir  liberale 
se  non  a  patto  di  trasformarsi  ?  A  che  predicare  una 
religione,  quando  non  sì  può  e  non  si  vuole  osser- 
vare? Quell'apostolato  evangelico  non  sarebb'egli 
una  menzogna?  Ahi  non  è  questa  la  via,  per  cui 
r  Italia  potrà  conseguire  la  libertà.  La  libertà  del- 
l' uomo  dee  cominciare  dall'  emancipazione  dell'  a- 
nima.  Alla  fede  sovranaturale  convien  dunque  sosti- 
tuire una  fede,  che  armonizzi  co  '1  sentimento  na- 
turale; alla  fede  cieca,  una  fede  che  s'accordi  co '1 
princìpio  razionale;  cioè,  alla  Bibbia  la  natura,  al- 
l' autorità  la  ragione.  Perocché  la  libertà  non  può 
riconoscere  la  sovranità  né  del  papa,  né  di  Lutero, 
né  della  parola,  né  della  scrittura:  il  Dio  della  li- 
bertà non  può  essere  altro  che  il  vero. 

Quelli  poi ,  che  non  credono  al  simbolo  protestante 
niente  più  clie  al  catolico,  ma  cercano  di  propagarlo 
in  Italia  come  un  espediente  politico,  si  mettano  una 
mano  su  la  coscienza,  e  poi  mi  dicano  :  che  giudizio 


1S7 

farebbero  di  chi  vol^sè  loro  persuadere  cose,  eh'  egli 
medesimo  non  crede  ?  E  lo  stesso  giudizio  il  popolo 
farà  di  loro.  Come  1  Voi  non  credete  alla  Bibbia  ;  e 
poi  ne  inculcate  agli  altri  la  divina  autorità  ?  Voi 
non  credete  a'  misteri  ;  e  pure  V  insegnate  agli  altri 
per  dogmi  ?  Voi  non  credete  alla  tlivinità  di  Cristo  ; 
e  tuttavia  lo  fate  adorare  agli  altri  per  un  Djo  ?  Ma 
non  è  questo  un  traficare  la  verità  ?  un  prostituire 
la  fede  ?  un  traviare  le  mentì  ?  un  pervertire  i  cu»ri  ? 
u*»  sedurre  a  bello  studio  i  popoli?  Ohi  se  a  questo 
prezzo  dovesse  mai  l'Italia  divenir  libera  e  indipen- 
dente^ io  sentirei  vergogna  della  mia  patria;  e  farei 
voti)  per  i'onor  suo>  che  non  ottenesse  giammai 
né  libertà ,  né  indipendenza  :  che  queir  indipendenza 
sarebbe  un  vitupero,  quella  libertà  un'  ignominia* 
Ma,  per  buona  ventura,  il  caso  non  è  possibile;  e 
bisognerebbe  disperare  dell'  Umanità ,  se  oggidì  an- 
cora le  nazioni  civili  potessero  lasciarsi  ingannare 
fino  a  tal  punto.  La  fede  non  può  suscitarsi  che  dalla 
fede,  perchè  al  cuore  non  sa  parlare  che  il  cuore; 
dunque  una  missione  d'increduli  non  arriverà  in 
eterno  a  convertire  un  popolo  al  protestantesimo.  Que» 
sta  conversione  richiederebbe  nei  predicatori  un  con- 
vincimento così  profondo^  così  ardente,  che  toccasse 
fino  ajrentusìasmo,  al  fanatismo^  richiederebbe  uomini 
come  li  apostoli,  come  i  riformatòri.  E 1  nostri  missio- 
nari son  essi  cotali  ?  No,  la  religione  non  si  tratta  al- 
l'uso della  diplomazia.  Con  li  espedienti  politici  riuscì^ 
ranno  forse  a  guadagnarsi  il  facile  assenso  di  qualche 
nemico  dei  preti;  ma  non  formeranno  mai  un  popolo 
di  credenti.  Om,  sono  le  credenze,  unicamente  le 
credenze,  che  renderanno  all'Ilalia  la  .sua  libertà, 
la  sua  potenza,  la  sua  grandezza.  L' Italia  sarà  libera, 
quando  la  libertà  sia  la  religione  degli  Italiani;  quan- 
do  alla  fede  morta  del  cristianesimo  i  patrioti  oppon- 
gano la  fede  viva  déir  Umanità  ;  quando  invece  delld 


188 

fredda  parola  e  delle  machinall  ceremonie  del  preli, 
1  llberalt  faclano  sentire  ai  popoli  Taccento  inspirato 
del  cuore  e  1  beneQci  effetti  delia  fratellanza.  Solo 
in  quel  giorno  V  impero  del  papa  sarà  finito  ;  perchè 
sarà  finita  con  esso  la  religione  di  ogni  despotismo, 
e  inaugurato  Y  evangelio  di  ogni  libertà. 

Dicono  i  propagatori  politici  della  Riforma,  che  il 
progresso  dee  farsi  a  grado  a  grado;  e  che  il  pas- 
saggio dal  catolicismo  al  razionalismo  non  può  ef- 
fettuarsi dalle  nazioni  se  non  a  traverso  del  prote- 
stantesimo. —  Ma  questo  principio,  se  voglia  pwr 
ammettersi  in  generale  per  rispetto  al  mondo  cri- 
stiano, certo  non  è  applicabile  a  tutte  e  singole  le 
nazioni  cristiane  in  particolare.  Perciocché  fra  esse 
v'è  una  communicazìone,  una  reciprocazione  tale  dì 
vita,  che  i  progressi  di  ciascuna  sono  patrimonio  di 
tutte;  e  ad  ogni  passo  che  Tuna  fa,  tutte  le  altre 
avanzano  insieme.  Altrimenti  bisognerebbe  negare 
ogni  vincolo  di  solidarietà  fra  i  popoli  fratelli;  e 
r  Umanità  non  sarebbe  più  un  corpo  morale,  di  cui 
ciascun  popolo  è  un  membro,  ma  ciascun  popolo 
dovrebbe  riguardarsi  come  isolato,  come  un  pìccol 
mondo  da  sé,  destinato  a  fare  da  sé  solo  tutti  li 
esperimenti  della  vita,  ed  a  scoprire  e  tentar  da  sé 
solo,  a  tutto  suo  rìschio  e  vantaggio,  tutti  li  per- 
fezionamenti per  cui  ha  da  passare.  E  questo  sistema 
equivarrebbe  manifestamente  alla  negazione  del  pro- 
gresso medesimo,  anzi  della  stessa  Umanità;  ed  è 
condannato  dalla  storia  non  meno  che  dalla  ragione. 
La  verità  é  di  tutti  i  paesi;  e  d'ogni  conoscenza, 
che  un  popolo  acquista,  li  altri  popoli  se  ne  valgono 
per  acquistare  via  via  conoscenze  novelle.  Applichia- 
mo questo  ragionamento  al  nostro  caso.  I  popoli 
settentrionali  dTuropa  eccitarono,  tre  secoli  fa,  un 
gran  movimento  di  progresso  con  la  Riforma  prote- 
stante. Da  quel  movimento  naque  bentosto  in  Italia 


189 

e  più  crebbe  ìq  seno  al  protestantesimo  stesso,  in 
Inghilterra,  in  Olanda,  in  Àllemagna,  la  filosofìa  na- 
turale, che  poco  slette  ad  introdursi  negli  altri  paesi 
calolici,  e  massime  in  Francia,  dove  ottenne  il  più 
compito  sviluppo.  Co  '1  secolo  XYIfl  il  protestantesimo 
terminò  di  essere  un  progresso:  l'avvenire  spettava 
alla  filosofìa.  E  la  filosofia  alla  sua  volta  ha  progre- 
dito. Usufruttuando  i  lumi  di  tutte  le  scienze  édi  tutte 
le  arti,  ha  corretto  li  errori  e  riempite  le  lacune 
deir enciclopedismo;  ha  determinato  assai  m^lio  le 
leggi  della  vita  e  della  società  ;  e  s'è  trasformata  nel 
razionalismo.  Il  razionalismo  è  ormai  lo  spirito  scien- 
tifico e  letterario  della  Germania  e  della  Francia.  E 
ora,  perchè  mai  T Italia  dovrebbe  rifar  ancora  per 
c^nto  proprio  quei  tre  secoli  di  lavoro  ?  Ha  ella  forse» 
in  questo  fratempo,  dormito  sempre?  0  forse  non 
le  è  mai  pervenuta  novella  di  quei  paesi  d'un  altro 
mondo?  L'esperienza  è  compita,  non  per  conto  di 
questa  o  quell'altra  nazione,  ma  a  profitto  di  tutto 
il  mondo  cristiano,  e  il  frutto  dev'essere  commune^ 
L'Italia,  la  Germania,  e  l'Inghilterra  apersero  la  via 
alla  Francia;  la  Francia  proseguì  il  cammino,  sco- 
perse altre  vie,  e  trasse  avanti  con  sé  le  nazioni 
sorelle;  l'Italia  però  rimase  indietro;  ed  ora  tocca 
a  lei  di  mettersi  a  paro  a  paro  con  queste  nazioni 
che  l'avean  preceduta.  E  per  fare  questo  i>asso,  ver- 
rebbesi  che  cominciasse  a  tornar  indietro  ancora"? 
Ma  allora  non  le  raggiungerebbe  mai  più,  se  pure  i 
nostri  politici  riformatori  non  inventino  un  altro 
espediente  per  arrestare  al  punto,  dove  oggi  si  trota „ 
tutto  il  rimanente  d'Europa;  e  per  indurlo  ad  aspet- 
tare r Italia,  finché  altri  Luteri,  Descartes,  e  Locke,, 
altri  llume,  Spinoza,  e  Voltaire,  altri  Kant,  altri  Hegel^ 
altri  Lamennais,  l'abbiano  resa  di  catollca  protestante, 
di  protestante  incredula,  e  d'incredula  razionalista. 
Dicono  ancora,  che  il  razionalismo  potrà  ben  es- 


190 

sére  la  religìoiiB  del  éoii\,  ma  doq  già  del  popoli,  i 
quali  essendo  incapaci  di  nutrirsi  lo  spirito  d'idee 
pure  e  di  sentimenti  squisiti,  abbisognano  di  sim- 
boli e  riti  religiosi  per  dare  corpo  alle  leggi  ed  al 
principi,  che  11  han  da  governare.  —  E  quest'  altra 
argumento,  cui  pure  molti  attribuiscono  un'  impor- 
tanza grandissima,  non  cela  anch'esso  un  sofisma  o 
un'illusione?  Chi  ha  detto  loro,  che  il  razionalismo 
voglia  nutrire  i  popoli  di  concetti  e  di  astrazioni? 
e  che  pretenda  sbandire  dal  mondo  tutti  i  simboli  e 
tutti  i  riti?  No,  il  razionalismo  non  condanna  i  riti 
e  1  simboli  cristiani,  sol  perchè  simboli  e  perchè  riti; 
ma  condanna  bensì  li  errori  e  li  assurdi,  che  vi  stanno 
sotto  nascosti.  Quando  vengano  stabilite  feste  e  ce- 
remonie,  che  simboleggino  una  verità,  il  raziona- 
lismo sarà  il  primo  a  celebrarle  ;  perchè  non  ha  mai 
sognato  di  mutilar  Tuomo,  siccome  fa  il  cristianesi- 
mo; perchè  vuol  educate  e  soddisfatte  tutte  le  fa- 
cultà  della  natura  umana;  e  perchè  fra  esse  anno- 
vera e  cultiva  di  proposito  la  sensibilità  e  l' imagi-^ 
nazione. 

Inoltre,  quella  differenza,  che  tanto  si  magnifica 
tra  ^  popoli  e  1  dotti  per  rispetta  alle  pompe  reli- 
giose, è  reale  senza  dublo  oggidì  che  l' instruztone 
rimane  ancoi*  un  privilegio  del  ricco;  ma  T officio 
primiero  del  razionalismo  si  è  appunto  di  farlo  sce- 
mare a  poco  a  poco,  mediante  un  sistema  di  pu- 
blico  insegnamento,  che  possa  rendere  tutti,  se  non 
scienziati,  tanto  instruitl  almeno  da  non  confundere 
più  la  religione  del  cuore  con  le  feste  del  tempio, 
e  da  saper  essere  onesti  e  buoni  senza  il  ministero 
mercenario  dei  preti.  E  per  ciò,  è  egli  forse  neces- 
sario di  convertire  li  Stati  in  academie,  e  fare  di 
ogni  cittadino  un  professore?  Migliorate  che  sleno 
le  condizioni  dell'operajo,  resa  anche  a  lui,  non  dirò 
dilettevole,  ma  tolerabile  la  vita,  non  è  egli  evidente 


191 

che  il  bfsogno  dfel  culto  esterno,  in  cui  adesso  il 
povero  cerca  un  oblio,  una  tregua  alle  sue  miserie, 
andrà  continuamente  diminuendo;  e  che  il  popolo 
altresì  troverà  maggiore  conforto  nelle  dolcezze  d^lk 
famiglia  che  nelle  cantilene  e  nella  pantomima  del 
tempro  ? 

Da  ultimo,  non  si  tratta  qui  di  cancellare  e  inter- 
dire violentemente  le  pratiche  del  culto  a  nessuna 
chiesa.  Il  razionalismo  esige  solamente,  che  si  abo- 
Ifscano  i  culti  officiali,  cancellando  ogni  religione  di 
Sialo  ;  e  che  il  publico  insegnamento  prescinda  af- 
fetto dalle  credenze  e  ù&ì  dogmi  particolari  alle  varie 
chiese.  Del  resto,,  lascerà  sempre  che  ogni  chiesa  in 
privato  godiasi  la  piena  libertà  del  suo  culto;  e  non 
s'inquieta  punto  della  loro  influenza.  Tolto  ai  riti  il 
sostegno  della  forza,  aperto  l'adito  alla  concorrenza 
dt  tutti  i  simboli,  e  difuso  In  larga  copia  l'insegna- 
mento razionale,  ì  popoli  non  tarderanno  a  ricono- 
scere quanto  v'ha  di  puerile,  di  favoloso,  di  ridicolo 
in  quelle  ceremonìe,  da  cui  si  fa  ora  dipendere  la 
loro  salute  ;  riterranno  del  cristianesimo  tutto  ij  vero, 
il  poetico,  l'ideale,  abbandonando  alla  mitologia  tutto 
ì\  mistico,  il  sopranaturale,  l'erroneo,  l'assurdo;  e 
ordineranno  feste  civili  e  nazionali  che  simboleggino 
fa  religione  de'  loro  cuori ,  ma  non   falsifichino  il 
pensiero  de' loro  intelletti.  Non  mancheranno  tutta- 
via,, lo  so,  certe  anime   naturalmente  temprate  al 
misticismo,  le  quali  proveranno    sempre   maggior 
bisogno  delle  fantasie  poetiche  del  mitologismo  cri- 
stiano, che  non  delle  austere  verità  della  ragione  ;  e 
saran  preste  ognora  a  rinunciar  queste  in  grazia  di 
quelle.  Ma  alcuni  drappelli  d'ascetici,  sparsi  qua  e 
là  per  li  oratorj  privati,  non  basteran  di  sicuro  a 
troncare  il  corso  del  razionalismo,  si  come  il  corso 
del  cristianesimo  non  venne  impedito  da  quei  fedeli 
adoratori  degli  idoli,  che  eziandio  parecchi  secoli 


192 

* 

doiK)  la  conversione  del  mondo  romano  e  germanico 
ailTvangelìo,  continuavano  a  celebrare  il. loro  callo 
nel  santuario  della  famiglia  o  nel  silenzio  delle  cam- 
pagne e  delle  selve. 

Fra  questi  uomini,  che  mostrano  di  anteporre  le 
misteriose  imagini  del  cristianesimo  alle  leggi  severe 
della  ragione,  splacemi  di  dover  annoverare  uno 
scrittore,  di  cui  amo  ed  ammiro  il  nobile  ingegno  del 
pari  che  il  cuor  generoso.  Giuseppe  Montanelli,  dap- 
prima nella  sua  Introduzione  ad  alcuni  appunti  ito- 
vici,  publicata  su  '1  finire  del  1851,  e  poscia  nel 
voi.  I.  delle  sue  Memorie  su  V  Italia  e  spedalmenle 
su  la  Toscana,  dato  in  luce  nel  1853,  ha  toccato  la 
questione  che  forma  il  suggetto  del  presente  capi- 
tolo, e  rha  risoluta  secondo  Toplnione  di  coloro  che 
io  son  venuto  confutando.  Nò  parmi  eh'  ei  Y  abbia 
rincalzata  con  argumenti  migliori;  onde  mi  sarei 
volontieri  astenuto  di  farne  espressa  menzione  e 
disamina,  se  non  avessi  temuto,  che  al  difetto  delle 
prove  potesse  sopperire  presso  taluni  l'autorità  di 
un  nome  meritamente  caro  e  riverito.  E  l'illustre 
autore  non  se '1  recherà,  io  spero,  ad  offesa:  egli, 
che  ama  di  un  affetto  così  puro,  così  ardente,  la 
verità  e  l'Italia,  non  isdegnerà  la  voce  di  un  mi- 
nor fratello,  che  in  nome  dello  stesso  amore  per 
l'Italia  e  per  la  verità  osa  disentire  da  lui. 

La  dottrina,  che  Montanelli  sostiene,  va  distinta 
in  due  parti:  l'una  è  politica,  e  l'altra  religiosa. 
Nella  prima  (1),  egli  dimostra  assai  bene,  che  la  pros- 
sima rivoluzione  italiana  non  può  esimersi  dal  porre 
il  problema  della  libertà  di  coscienza  (2);  e  che  su 
questa  libertà  dee  stabilire  il  fondamento  del  nuovo 

(I)  InlfoduzSone  ad  alami  appunti  storici,  §  III  e  IV. 
(3)  Ibid.  pag,  21. 


in 

edifìcio  sodalo.  È  qaesla  la  tesi  medesima,  a  cui  ho 
dedicato  tutto  il  mio  libro. 

Nella  seconda  poi  vuol  provare,  che  la  libertà 
religiosa  non  repugna  ai  principi  del  catolicismo.: 
a  Occorre  esaminare,  se  il  papa  potrebbe,  senza  of- 
»  fesa  del  principio  religioso  che  professa,  abdicare 
»  al  sacerdozio  politico.  Questa  questione  non  è  aca- 
»  demica,  e  giova  a  definire  il  carattere  della  tutta 
»  combattuta  a  Roma.  Poiché  o  la  libertà  di  co- 
»  scienza  s'oppone  all'idea  catolica,  dì  cui  il  papa 
»  dicesi  conservatore;  e  non  v'è  dubio,  che  quanti 
ì>  sono  catolici  dovrebbero  combatterla,  e  la  nostra 
»  latta  sarebbe  religiosa.  0  al  principio  catolico  la 
»  libertà  di  coscienza  non  repugna,  e  si  può  benis- 
»  Simo  restare  catolici  sostenendola;  e  la  lutta  in 
»  questo  caso  è  merameate  politica  (1).  »  11  problema 
è  nettamente  proposto.  Vediamo  ora,  come  l'egregio 
autore  l'abbia  risoluto. 

«  Noi  vogliamo  dimostrare,  come  a  torto  s' ìm- 
»  plichi  la  credenza  catolica  in  un  conflitto  di  si- 
}}  gnoria  sacerdotale.  Per  molli  il  catolicismo  è  il 
»  regno  del  prete.  Catolico,  a  loro  avviso,  è  l' uomo^ 
»  11  quale  al  lume  interiore,  che  lo  fa  avvisato  del 
»  vero  e  del  falso,  del  bene  e  del  male ,  preferisce 
»  la  parola  del  prete,  e  questa  segue  ciecamente,  an- 
D  cerche  non  s'accordi  con  quello  che  coscienza  gli 
t>  detta.  E  senza  dubio  il  catolicismo  si  fattamente 
»  inteso  sarebbe  inconciliabile  con  la  libertà  di  co- 
»  scienza.  »  Tra  i  moUl,  che  così  intendono  il  ca- 
tolicismo, confesso  d'essere  anch'io;  e  ci  starò,  fin- 
ché non  trovi  argumenti  capaci  di  abbattere  quelli 
che  ho  allegato.  Codesto  è  appunto  l'unico  e  solo 
catolicismo,  che  la  storia  e  la  teologia  m'insegnino; 
e  catolici  son  tutti  e  soli  coloro,  i  quali  riconoscono 

(t)gv. 


19i 

h  gerarchia  ecclesiastica,  clie  MoDtanelii  desfgna 
sotto  il  nome  del  prete,  per  legislatrice  saprema,  in- 
fallìbile del  vero  e  del  bene.  Tolto  di  mezzo  questo 
principio,  la  chiesa  romana  non  sarebbe  più;  e  la 
chiesa  romana,  da  oltre  a  dieci  secoli  in  qua,  è  tutto 
il  catolicismo. 

No,  ripiglia  Montanelli:  «  Questa  è  la  clerocrazla 
»  catoHca,  e  non  il  catolicismo;  cose  molto  diverse 
»  fra  loro,  e  oggi  troppo  spesso  confuse.  »  La  distin- 
zione fra  il  catolicismo  e  la  clerocrazla  parmi  so- 
rella di  quella,  che  Gioberti  assegnava  tra  il  cato- 
licismo e  11  gesuitismo.  Sono  distinzioni  che  un  ca- 
tollco  non  può  fare,  sotto  pena  d'apostasia;  perchè 
implicano  una  censura  della  chiesa,  e  chi  si  costituisce 
giudice  della  chiesa  non  è  catolico.  Udiamo  nondi- 
meno, se  Montanelli  giustifichi  meglio  di  Gioberti  11 
suo  trovato. 

«  Egli  è  vero,  che  il  catolicismo  ammette  un 
»  principio  dr  autorità  ;  ma  prima  di  tutto,  V  auf  o- 
»  rllà,  a  cui  dobbiamo  credere  per  poterci  <lìre-  cate- 
»  liei,  risiede  neiruniversalità  del  credenti,  ossfa  nella 
»  chiesa,  non  nel  tale  o  tal  altro  prete,  cui  piacia 
»  mettersi  innanzi  come  un  interprete  infallibile  del- 
»  rinsegnamento  ecclesiastico.  »  Che  sia  cos'i  ftitta 
la  chiesa  di  ìfontanelli ,  gllel  concederò  dr  buon 
grado  :  ma  questa  chiesa  che  ha  mai  da  fare  co  '1  ca- 
tolicismo ?  La  definizione  eh'  egli  segue,  può  conve- 
nire a  quelle  sèlle  di  protestanti,  che  non  ammet- 
tono nessuna  gerarchia,  nessun  sacerdozio  dMìislitu- 
zione  divina;  e  che  però  sostengono,  tutti  i  fedeli 
in  virtù  del  battesimo  essere  sacerdoti;  la  pienezza 
deirautorità  religiosa  risiedere  tutta  nel  popolo,  il 
quale  poi  destina  i  suoi  ministri  a  compiere  li  officj 
particolari  del  sacerdozio,  e  communica  loro  più  o 
meno  di  autorità,  secondo  11  maggiore  o  minor  grado, 
in  cui  li  vuol  collocati.  Ma,  applicare  alla  chiesa 


19S 

osttolìca  k  definizkme  stessa  del  prot'«.antQ8imo,  non 
è  egli  un  controsenso?  V universalità  dei  credenti 
compone  il  corpo  della  chiesa;  e  questo  corpo  lia 
anch'esso  varie  membra,  unite  insieme  da  un  orga- 
nismo suo  proprio.  E  l'organismo  costitutivo  della* 
chfesa  consta  essenzialmenle  di  due  ordini,  distinti 
l'uno  dall'altro  per  diritto  divino j  di  cherici  e  di 
hici,  Vautorità  appartiene  esclusivamente,  e  sempre 
per  diritto  divino ^  ai  primi,  che  sono  i  pastori,  i 
rettori  dei  secondi.  E  sotto  il  nome  di  rettori  e  pastori 
non  s'intende  già  il  papa  solo,  né  una  frazione  ar- 
bitraria del  clero,  né  il  tale  o  tal  altro  prete;  ma  il 
corpo  dei  vescovi  'con  alla  testa  il  papa  :  è  desso  11 
solo  interprete  infallibile  delV  insegnamento  catolico. 
E  questa  è  pura  dottrina  di  fede:  tutti  i  toplogi^ 
tutti  1  catechisti  di  qualunque  partito  o  colore,  an- 
tfchl  e  moderni.  Padri  e  scolastici,  molinisti  e  gian- 
senisti, oltramontani  e  gallicani,  la  professano  e  de- 
vono professarla  tutti,  sedza  un'eccezione  al  mondo. 
Dire  adunque  che  Vautorità,  catolica  risiede  nelVuni- 
versàHtà  dèi  credenti,  egli  è  negare  in  termini  formali 
la  costituzione  organica  ed  essenziale  della  chiesa  ;  è 
un'aperta  professione  di  fede  eterodossa.  Laonde  Mon- 
tanelli con  quella  sua  distinzione  non  scevera  già 
la  clerocrazia  daf  catc^lcismo,  ma  bensì  il  catolicismo 
éA  protestantesimo;  e  il  suo  ragionamento  suona  così: 
Ift  clerocrazia  non  è  il  catolfcismo,  perchè  il  catoli- 
cismo è  il  protestantesimo  1 

«  Inoltre  l'autorità  infallibile  della  chiesa  è  auto- 
»  rità  di  testimonianza,  e  non  di  direzione.  Ella  at- 
»  testa  la  credenza  dei  secoli  intorno  alle  verità 
»  eterne  dell'ordine  rivelato;  e  quande  il  testimonio 
»  dell'universalità  sia  legitimamente  dichiarato  sopra 
»  alcune  dì  queste  verità,  non  è  permesso  al  catolico, 
»  che  non  metta  in  dubio  la  legitimità  di  quella 
9  dichiarazione,  persistere  a  credersi  testimone  più 


196 

»  autorevole  di  tulli.  »  Ed  anche  questa  nozione 
deir  autorità  ecclesiastica  andrà  ben  a  sangue  per 
avventura  ai  protestanti,  ma  certo  non  è  catolica  : 
il  calolicismo  insegna  precisamenle  il  rovescio;  In- 
segna, cioè,  che  la  podestà  della  chiesa  è  doppia, 
legislativa  e  coattiva;  perchè  i  vescovi  co  1  papa  sono 
i  pastori  del  gregge,  e  lo  devono  pascere;  sono  i 
rettori  j  e  lo  devono  governare.  Ora  una  semplico 
autorità  di  testimonianza  non  potrebbe  in  alcun 
modo  costituire  un  governo  di  nessuna  specie,  nem- 
meno spirituale,  nemmeno  religioso.  —  È  poi  Mon- 
tanelli ricade  qui  nell'abbaglio  di  confundere  la 
chiesa  docente  e  dirigente^  con  la  chiesa  discente  e 
suggetta;  ed  attribuisce  la  dichiarazione  delle  verità 
rivelate  al  testimonio  dell*  universalità,  al  giudizio  di 
tutti  ;*  ciò  che  distrugge  ed  inverle  la  base  stessa 
del  catolico  insegnamento.  11  quale  per  diritto  divino 
e  per  instituzione  di  Cristo  ^  appartiene  unicamente 
ai  soli  pastori^  ai  vescovi^  ai  quali  sì  i  cherici  mi- 
nori e  sì  i  laici  son  tenuti  a  prestar  fede  ed  obe- 
dienza,  cieca,  inimitata»  assoluta.  Anche  qu^to  ra- 
gionamento adunque  viene  a  dire  cosi:  Tautorilà 
catolica  non  è  tale,  perchè  tale  non  è  rauU)rltà  pro- 
testante. 

'  «  Del  resto,  per  T applicazione  di  quelle  verità, 
»  come  per  tutte  le  verità  sperimentali,  ciascuno 
»  rimane  sacerdote  a  se  stesso.  Li  insegnamenti  di- 
»  rettivi  del  clero  non  partecipano  dell' infallibilità 
»  della  chiesa  ;  e  li  slessi  concilj  ecumenici  potevano 
»  sbagliare,  ogni  qual  volta  non  rendevano  testimo- 
»  nianza  di  dogma.  »  Se  per  verità  sperimentali  si- 
gnifica quella,  parte  delle  scienze  naturali,  che  in 
verun  modo,  nò  diretto  né  indiretto,  né  da  vicino 
né  da  lontano,  si  connette  con  le  dottrine  religiose, 
Montanelli  ha  ragione,  se  non  quanto  alla  suslanza, 
almeno  secondo  la  lettera  del  dogma  (1).  —  Ma  quanto 

{{)  V.  cap.  XI. 


197 

^\V applicazione  delle  verità  rivelatey  H  linguaggio  di 
Monlanelll ,  che  ciascuno  rimane  sacerdote  a  sé  stesso, 
è  uno  scandalo  enorme  agli  orecchi  del  catolicismo. 
La  dottrina  catolica  si  è,  che  l'applicazione  delle 
verità  rivelate,  così  nell'ordine  delle  idee  còme  in 
quello  delle  azioni,  spetta  sempre  ed  unicamente  alla 
chiesa  o  alla  gerarchia.  È  dessa  che  decide,  se  l'ap- 
plicazione ideale  sìa,  o  no,  consentanea  ai^  prlncipj 
di  fede;  e  se  l'applicazione  morale  o  l'attuazione 
esteriore  sia,  o  no,  conforme  alle  leggi  di  Dio.  E 
dessa  è,  che  condanna  li  errori  e  punisce  \ì  atti  con- 
Irarj  a'suoi  decreti.  Chiunque  ricusi,  per  qualunque 
motivo,  di  sottomettersi  alla  sentenza  della  chiesa,  non 
è  calolico.  É  la  chiesa,  che  possedè  il  privilegio  del- 
l'infallibilità, non  è  già  il  clero  tutto  in  corpo,  ma 
l'episcopato;  poiché  sono  i  vescovi  soli,  che  lo  Spi- 
rito Santo  ha  posti  al  governo  della  chiesa  (1).  —  Ol- 
tre di  che,  l'ultima  clausula  di  Montanelli  contra- 
dìce  al  suo  medesimo  principio.  Se  VinfalUbillta  ri- 
siedesse veramente  nel  testimonio  dell'universalità  dei 
fedeli,  li  stessi  coneilj  ecumenici  avrebbero  potuto  sha- 
gliare,  anche  rendendo  testimonianza  di  dogma;  poi- 
ché a  nessun  concilio,  per  fermo,  intervenne  ed  as- 
sistè tutta  la  chiesa ,  cioè  Vuniversalità  dei  credenti. 
La  dimostrazione  razionale  di  Montanelli  finisce  qui; 
nel  rimanente  non  iscorgo  più  che  l'autorità  di  un 
professore,  e  qualche  esemplo  della  storia.  «  Non  vo- 
li glio  far  da  teologo;  e  a  mostrare  come  il  catoli- 
»  cismo  di  sua  essenza  non  s'opponga  al  diritto  d'e- 
»  same,  che  é  l'esercizio  vitale  della  libertà  di  co- 
»  scienza,  citerò  le  parole  dell'illustre  amico  mio, 
»  l'abbate  Maret,  uno  dei  luminari  del  clero  francese, 
»  autore  d'opere  celebrate,  professore   di  teologia 

(I)  Allemlile  vobis,  ci  universo  gregi,  in  qno  vo^  5pirilus 
Sanctus  poàuit  episcopos,  rcgerc  Ecclcsiam  Dei.  Act..XX.2S.- 


.198 

»  apologetica  alla  Sorbona,  vicario  arcivescoTlleiìei^ 
»  diocesi  di  Parigi.  »  Ne  chieggo  scusa  alFautore;  ma 
questo  ragionamento  è  ancor  meno  catolico  di  tutti 
li  altri.  Dire:  il  catolicismo  di  sua  essenza  non  s'op- 
pone al  diritto  d'esame,  perchè  Tabbate  Maret  dalla 
sua  catedra  l'insegna;  in  verità,  non  è  provare.  Io 
rispetto  il  signor  Maret  con  tutti  i  suoi  titoli;  ma  è 
egli  forse  un  luogo  teologico  in  persona?  È  desso  la 
chiesa?  Io  non  ìstarò  ad  esaminare  le  sue  opinioni, 
ed  a  metteVe  in  chiaro  ì  paralogismi  incredibili  e  Te- 
resio madornali,  onde  ribocca  il  tratto  che  Monta- 
nelli ne  cita:  mi  toccherebbe  di  rifare  e  ripetere  tutto 
il  mio  libro.  Dirò  a  lui  solamente,  che  se  vuole  co- 
noscere V essenza  vera  del  catolicismo  e* le  sue  dot- 
trine dogmatiche  intorno  al  diritto  d'esame,  lasci 
star  li  abbati  e  i  professori,  che,  in  fatto  d'autorità 
catolica,  valgono  quanto  l'ultimo  de' laici:  sono  tutti 
zeri  ;  ma  facia  egli  da  teologo  ^  consulti  le  dottrine 
veramente  catoliche,  consulti  le  decisioni  propria- 
mente autorevoli,  infallibili;  consulti  in  somma  la 
voce  solenne  de'concìlj  e  de' papi,  che  è  la  voce  na- 
turale della  chiesa  e  l'organo  divino  del  catolicismo. 
E  s'accorgerà  facilmente  dell'errore,  in  cui  l'illustre 
suo  amico  è  caduto,  e  l'ha  fatto  cadere. 

Né  li  esempj,  che  trae  dalla  storia,  giovano  me- 
glio alla  sua  tesi.  Questi  esempj  sono  le  republiche 
del  medio  cto,  le  quali  erano  pure  catoliche ,  benché 
trattassero  con  tanta  severità  il  clero  ed  il  papa  me- 
desimo ^  tuUavolta  che  contrastavano  ai  loro  intendi' 
menti;  e  la  nazione  francese,  la  quale  restò  pure  ca- 
tolica dopo  la  Riforma,  benché  clero  e  laicato  re- 
spingessero concordi  la  dottrina  deir infallibilità  pa- 
pale. Ma,  in  primo  luogo,  la  dottrina  déWinfallibi- 
lità  papale  non  venne  giammai  definita  qual  articolo 
di  feide;  e  quindi  si  può  benissimo  rigettare  anche 
dai  catolici  senza  nota  d'eresia.  Or  che  ha  mal  da 


190 
ft!ft%  k  dottrina  delV  infollibililà  papale  co'l  diritto 
del  libero  esame?  Ne  citi  Montanelli  una  nazione  o 
un  clero,  che  abbia  professato  questo  diritto  come 
principio  di  dottrina  catolica,  senza  incorrere  nellV 
resia  o  4ielio  scisma;  e  allora  il  suo  argumento  avrà 
Ibrza  di  prova.  In  secondo  luogo,  t  nostri  grandi  avi 
republicuni,  che  non  faceano  caso  delle  scommuniche 
di  Roma,  poteano  ben  dirsi  catolici  di  nome,  ma 
non  di  fatto.  Essi  non  erano  ne  luterani,  né  calvi- 
nisti, né  increduli,  è  vero;  ma  erano  qualche  cosa 
di  peggio  :  erano  assurdi,  polche  professavano  in  teo- 
rica un  principio,  di  cui  poscia  in  pratica  si  voleano 
far  gioco. 

Montanelli  adunque  non  traduce  fedelmente  il  pen- 
siero dei^  razlonalisli ,  quando  li  fa  ragionare  così: 
»  Guerra  all'idea  catolica,  dicono  alcuni,  e  avremo 
»  salvata  T Europa.  Non  basta,  soggiungono  altri; 
9  r idea -catolica  è  il  corollario  dell'idea  cristiana, 
»  e  dobbiamo  combattere  il  cristianesimo.  Non  ba- 
»  sta,  altri  rispondono;  l'idea  cristiana  pullula  dal- 
»  ridea  religiosa,  e  dobbiamo  far  guerra  ad  ogni 
»  religione,  bandire  Dio  dall' Umanità,  se  vogliamo 
>>  i  popoli  lìberi.  Secondo  queste  opinioni,  il  pernio 
»  dejla  reazione  europea  sarebbe  l'idea  religiosa 
»  ostentata  dalla  clerocrazia;  il  che  non  è  vero(l).  * 
Non  è  vero,  di  certo;  ma  per  tutt' altra  ragione:  e 
Montanelli  non  doveva  imputare  al  razioaalismo  un 
discorso,  in  cui  si  confundono  insieme  le  cose  più 
diverse  e  disparate.  Altro  è  Videa  catolica  e  Videa 
cristiana,  ed  altro  la  religione  catolica  e  la  religione 
cristiana.  Altro  è  una  religione  sovranaturale,  ed  al- 
tro Videa  religiosa.  Ora, 

1.°  Il  razionalismo  non  combatte  assolutamente  Vi- 
dea catolica  e  cristiana,  ma  ne  fa  la  critica,  e  ne 
accetta  li  elementi  veri,  buoni,  e.  progressivi;  per- 

u;  S  VI. 


che  le  idee  sono  il  patrimonio  della  ragione,  ed  alla 
ragione  spetta  sempre  T  officio  dì  elaborarle  e  depu- 
rarle. Esso  combatte,  alF incontro,  la  religione  ca- 
iolica  e  cristiana;  perchè  le  religioni  positive  vogliono 
presiedere  e  non  sottostare  alla  ragione,  e  però  la  ra- 
gione deve  o  ammetterle  ciecamente  tutte  intiere,  o 
tutte  intiere  negarle.  E  cos\  appunto  il  cristianesimo 
s'era  comportato  verso  dei  mosaismo  e  del  pagane- 
simo: ritenne  gran  parte  ùeìVidea^  ma  rigettò  af- 
fatto la  religione. 

2.°  Il  razionalismo  fa  bensì  la  guerra  ad  ogni  re- 
ligione divina  e  rivelata,  ma  non  ha  mai  sognato  di 
voler  abolire  Videa  o  piuttosto  il  sentimento  religioso. 
L'idea  o  il  sentimento  è  cosa  tutta  naturale  ed  in- 
stintìva;  né  i  razionalisti  sono  così  sciocchi  da  pre- 
tendere, .che  Tuomo  possa  o  debba  snaturarsi  e  tran- 
sustanziarsi  in  un  altro  ente  di  specie  diversa.  Ma 
le  religioni  positive,  che  si  spacciano  divine  e  rive- 
late, non  sono  che  forme  esteriori,  sensibili,  acci- 
dentali di  quell'idea;  non  sono  che  simboli  di  quel 
sentimento;  e  quindi  possono  e  devono  trasformarsi, 
secondo  che  Ticlea  si  sviluppa  e  il  sentimento  si  per- 
feziona. Il  razionalismo  adunque  non  intende  già  di 
bandire  Dio  dall'Umanità,  ma  vuole  bandirne -ogni 
Dio  imaginario  e  favoloso  ;  perchè  vuole  che  su  VI- 
manità  regni  unicamente  il  Dio  della  verità  e  della 
ragione.  Esso  grida:  guerra  al  catolicismo  e  al  cri- 
stianesimo, non  per  ispegnere  Videa  religiosa ^  ma 
per  avvivarla  e  ringiovanirla  ;  non  perchè  collochi 
il  pernio  della  reazione  europea  neWidea  religiosa, 
ma  perchè  la  religione  catolica  e  cristiana,  lungi  dal 
rappresentare  Videa  religiosa,  la  travisa,  la  falsiGca, 
la  deprava,  e  la  converte  in  una  mitologia ,  che  serve 
benissimo  di  pernio  alla  reazione  europea,  siccome 
quella  che  divinizza  co '1  suo  mistero  tutti  li  assurdi, 
e  santifica  co'l  suo  sovranaturale  tutti  i  delitti. 


2»t 

lieir  altro  suo  libro  pia  recente  MontaaolU  non 
mostra  di  arver  punto  nMitato  o  rettificato  il  falso 
concetto,  ch'egli  s'era  fatto  del  catolicismo.  Intitola 
Il  capitolo  XII  Liberalismo  catolico;  e  prende  ivi  ad 
»  esporre  il  processo  ideale,  per  cui  dal  materialismo 
»  accettato  nella  prima  giovinezza  pervenni  a  rico- 
j>  struire  in  me  i  dogmi  sustanziali  del  cristianesimo, 
»  senza  alterazione,  anzi  con  aumento  delle  convin- 
D  zioni  liberali.  »  Io  lascerò  da  banda  la  parte  nar- 
rativa, in  cui  Montanelli  con  un  candore  soavissimo 
dipinge  tutta  la  boliezza  dell'animo  suo;  e  mi  re- 
stringerò ad  un  breve  esame  della  parte  teoretica. 
In  cui  egli  accenna  le  ragioni  4ella  sua  ricostruzione. 
Queste  ragioni  si  riducono  a  due  capi:  le  une  com- 
battono il  panteismo,  e  le  altre  difendono  il  crìstìa* 
nesimo.  Ma  per  la  stima  che  io  ho  dell'alto  ingegno 
di  Montanelli,  debbo  credere  che  lo  riguadagnassero 
alla  fede  cristiana  ragioni  un  po' migliori  di  quelle, 
che  ne  ha  voluto  communicare;  altrimenti,  povera  la 
sua  fedel  —  Ed  in  fatti,  che  argumenti  adduce  con^ 
tro  del  panteismo? 

I.  «  L'uomo  è  pensiero  e  azione,  né  posso  tenere 
»  per  vera  una  filosofìa,  la  quale  non  sopporta  l'ap- 
»  plicazione.  E  se  poniamo  l'identità  panteistica,  cade 
D  la  distinzione  fra  il  bene  e  il  ms^le  morale,  fra 
»  l'arbitrio  eia  necessità;  e  la  consacrazione  sociale 
»  dei  fatalismo  è  inevitabile,  a  meno  che  non  vo- 
»  gliamo  ammettere  la  necessità  di  mentire,  dopo 
»  avere  ammesso  quella  di  riconoscere,  qualunque 
»  ella  siasi,  la  verità.  »  Ohi  Montanelli  non  avrebbe 
dovuto  riparo  questa  vulgare  accusa  di  fatalismo, 
la  quale  o  non  prova  nulla,  o  prova  egualmente 
contro  tutti  i  sistemi  possibili  d'ontologia.  Nel  gran 
problema  della  libertà  umana  sono  da  distinguere 
sempre  due  questioni  assai  diverse:  il  fatto  o  feno- 
meno della  libertà,  e  la  sua  spìegazloue  metafìsica  o 
II.  14 


2A2 

razionate.  Ora  là  liberta  eome  fenomeno^  fatto  psico- 
logico, è  ammessa  pure  dal  panteismo,  i  cui  maestri 
più  insigni,  da  Bruno  a  Hegel,  da  Spinoza  a  Lamen- 
nais,  furono  non  solo  propugnatori  della  libertà  mo- 
rale degli  individui,  ma  eziandio  apostoli  della  libertà 
civile  e  politica  delle  nazioni.  Dunque  per  questo 
Iato,  che  è  il  reale,  il  positivo,  e  quindi  l'unico  im- 
portante, la  libertà  non  ha  nulla  a  temere  dal  panteismo. 
La  difficultà  consiste  neir  assegnare  una  spiega- 
zione 0  ragion  metafisica  del  fatto;  ed  io  riconosco 
di  buon  grado,  che  il  panteismo  non  la  risolve  in 
modo  da  togliere  ogni  dublezza,  e  soddisfare  ad  ogni 
«sigeDza  dell'  intelletto.  Ma  dove  Montanelli  ha  mai 
trovato  un  sistema,  che  spieghi  il  fenomeno  della 
libertà  con  una  teorica  certa  e  d'ogni  sua  parte 
evidente?  Forse  il  cristianesimo?  Ma,  per  poco  ch'egli 
abbia  meditato  l'argumento  e  ponderate  le  opposte 
ragioni  dei  teologi  e  de' panteisti,  avrà  di  leggieri 
veduto,  che  la  spiegazione  cristiana,  lungi  dall' eli- 
minare le  diffìcultà,  riesce  solo  ad  aggravarle  con 
una  serie  interminabile  di  antinomìe  e  di  assurdi. 
Se,  posta  V identità  panteistica y  cade  la  distinzione 
fra  il  bene  e  il  male  morale  y  fra  l'arbitrio  e  la  ne- 
cessità;  non  cade  altresì  posta  la  volontà  o  legge 
eterna  di  un  Ente,  che  ha  predisposto  tutto?  E  se, 
all'incontro,  si  ammette  che  le  cause  seconde  o  con- 
tingenti rimangono  libere  anche  sotto  l'azione  crea- 
trice, immanente  di  Dio;  perchè  non  dovrassi  am- 
mettere, che  libere  sieno  del  pari  anche  nel  sistema 
dell' identità  sustanziale?  Il  mistero  della  libertà, 
come  tutti  li  altri  dell'ontologìa,  ha  le  sue  radici 
nel  gran  mistero  primitivo  e  fondamentale  dell'es- 
sere, che  è  la  coesistenza  dell'infinito  e  del  finito, 
dell'eterno  e  del  temporaneo,  del  necessario  e  del 
contingente,  dell'assoluto  e  del  relativo,  ecc.;  dua- 
lità irreduttibili ,  onde  nasce  una  serie  d'antinomìe. 


fOS 
in  cui  vien  a  rompere  fatalmente  e  senza  rimedio 
possibile,  finora,  ogni  metafìsica,  ogni  dialettica, 
ogni  sistema.  Perocché  rafiermazione  di  un  termine 
implica  logicamente  la  negazione  dell'altro;  e  chi  am- 
bedue li  afferma,  dee  a  lil  di  logica  negarli  ambedue. 
H.  «  Inoltre,  che  cosa  è  il  progresso,  sia  nell'U- 
D  manità,  sia  in  tutto  l'universo,  senza, una  idea  di 
»  perfezione  anteposta  al  movimento?  Come  progre- 
»  dire  quando  non  si  sa  verso  che?  E  se  premetto 
»  l'archetipo  della  perfezione  alla  imperfezione,  ecco 
»  il  Dio  anteriore  al  mondo,  ecco  la  creazione.  » 
Questo  poi  è  un  mero  gioco  di  parole.  Se  a  ricono- 
scere Dio  e  la  creazione  basta  ammettere  ìxn'idea  o 
una  legge,  che  regoli  VUmanità  e  Vuniverso,  Mon- 
tanelli non  troverebbe  più  al  mondo  un  ateo  solo, 
nò  un  solo  panteista:  Diderot  sarebbe  cosi  buon  cri- 
stiano come  Maret,  Feuerbach  come  Gioberti.  Ma 
ridurre  tutto  il  problèma  di  Dio  e  della  creaziouia 
ad  uno  scambio  di  voci,  è  egli  forse  un  averlo  riso- 
luto? A  stabilire  l'esistenza  del  Dio  cristiano  e  11 
fatto  della  <;reazione  temporanea,  ci  vuol  altro  che 
un  archetipo  o  un'idea  della  nostra  mente  1  —  Il  pro- 
gresso dell'Umanità,  come  di  tutto  l'universo,  ha  la 
sua  legge  scritta  nella  natura  e  nell'organismo  di 
ciascuna  classe  di  enti:  questo  è  il  fatto,  che  serve 
di  base  a  tutte  le  scienze.  Ma  poi,  quale  sia  l'ori- 
gine 0  la  ragion  prima  di  questo  fatto  e  di  questa 
legge,  si  può  ben  conghietturare  per  via  d'ipotesi, 
ma  non  determinare  con  una  vera  teoria.  L'ipotesi 
del  panteismo  4ra  suggetta  a  gravi  difficultà;  e  a  dif- 
ficuUà  più  gravi  d'assai  va  suggetta  l'ipotesi  del 
teismo  cristiano  e  d'ogni  altro  sistema.  Ora,  da  que- 
sto stalo  delle  dottrine  ontologiche  qual  conclusione 
legitima  se  ne  deduce?  Quella  sola ,  che  da  Emroa- 
nuele  Kant  a  Giuseppe  Ferrari  ne  han  dedutto  ì  fi- 
losofi più  cospicui  e  più  sinceri:  che,  cioè,  l'oggetto 


!!0& 

della  scienza  umana  non  è  H  campo  dèli' assolalo, 
ma  quello  dei  fenomeni  e  delle  loro  leggi  naturali, 
positive,  immediate  ;  giacché  il  primo  è  incerto,  oscuro, 
pieno  di  contradizioni,  in  tutti  i  sistemi  cosi  filoso- 
fici come  teologici  finora  inventati;  laddove  nel  se- 
condo brilla  la  luce,  la  certezza,  l'evidenza.  Lascisi 
dunque  il  mondo  dell'assoluto  alla  fantasia,  alla  poe- 
sia, all'ascelica;  che  la  scienza  e  la  vita  non  ne  hanno 
mestieri.  La  scienza  trova  i  suoi  materiali  nella  na- 
tura e  i  suoi  principi  nella  ragione;  la  vita  riconosce 
le  sue  leggi  individuali  nella  coscienza  e  le  sociali 
nella  storia.  Questi  materiali,  questi  principi,  queste 
leggi  circoscrivono  la  cerchia  naturale  e  reale  del- 
l'intelletto  e  della  conoscenza;  sono  li  elementi  noti 
di  queir  indefinibile  problema,  che  si  chiama  la  crea- 
zione; ed  il  buon  senso  ne  avverte,  che  sarebbe  as- 
surdità fondare  le  cose  note  su  di  un'incognita.  Sono 
dunque  assurdi  intrìnsecamente  tutti  |  dogmatismi; 
poiché  pretendono  appunto  di  stabilire  la  scienza  e 
la  vita, su  qualche  ontologica  chimera:.cioé,  il  certo 
su'l  dubio,  il  chiaro  su  l'oscuro,  il  noto  su  T inco- 
noscibile. Dunque  le  ragioni  metafisiche  di  Montanelli 
poteano  bensì  disaffezionarlo  dal  dogmatismo  pan- 
telstico, ma  non  potevano  giammai  bastargli  a  ri- 
costruire il  dogmatismo  cristiano. 

Da  queste  considerazioni  metafisiche  egli  passa  ad 
altre  morali,  e  sempre  contro  il  panteismo,  le  quali 
per  verità  non  provano  meglio.  Dice,  che  non  gli 
parevano  folloni  di  sacrifizio  né  la  felicità  delie  ge- 
nerazioni future ,  né  il  dovere  di  uniformarsi  a  quello 
che  è  bene  assoluto ,  né  V  interesse  individuale  ben 
inteso ,  né  la  stima  d*  uomo  disinteressato.  Ma  primie- 
ramente, queste  ragioni  non  sono  tutte  priorie  del 
panteismo;  e  mostrano  però,  che  la  fede  panteistica 
dì  Montanelli  era  piuttosto  figlia  di  un'  aspirazione 
sentimentale  che  risultato  d!  uno  stadio  severo  e 


profondo  intorno  ai  sistemi  di  filosofia  ed  ai  simboli 
di  religione.  E  poi ,  gli  concedo  anch'  io,  che  queste 
ragioni  non  bastano  a  fornirci  una  dimostrazione 
esatta,  apodittica,  tale  insomma  da  soddisfare  a  tutti 
i  requisiti  d' una  logica  rigorosa.  E  che  perciò  ?  L' e- 
sìstenza  della  legge  morale  è  forse  men  certa?  La 
coscienza  del  dovere  è  forse  men  chiara  ?  Qui  ancora 
Montanelli  confunde  il  fatto  con  la  sua  teorica,  il 
fenomeno  con  la  sua  dimostrazione.  La  legge  morale, 
in  riguardo  all'uomo,  è  un  fatto  cosi  reale  e  posi- 
tivo, come  la  legge  d' instinto  per  li  animali,  la  leg- 
ge di  gravità  per  i  corpi,  la  legge  d' attrazione  per 
lì  astri  :  non  si  può  negare,  se  non  da  chi  o  per 
un'  aberrazione  mentale  o  per  una  depravazione  in- 
concepibile abbia  smarrito  la  coscienza  di  sé  stesso 
e  della  propria  natura»  Ma  tra  il  fatto  e  la  sua  teo- 
rica 0  dimostrazione,  corre  un  abisso  infinito;  per- 
chè r  uno  appartiene  ad  un  mondo,  e  l' altro  ad  un 
altro.  Dunque  negare  il  fatto  che  si  conosce,  in  gra* 
zia  della  sua  ragione  ultima  o  prima  che  s' ignora, 
non  è  egli  un  sofisma?  Se  la  logica  di  Montanelli 
s* introducesse  mai  nelle  scienze  naturali,  l'unico 
sistema  ragionevole  sarebbe  il  nullismo  assoluto-; 
poiché,  siccome  la  causa  suprema  delle  leggi  cosmi- 
che, da  quella  degli  atomi  fino  a  quella  dei  soli,  non 
é  ancora  scoperta  ;  così  bisognerebbe  negare  leggi  e 
fatti,  forze  e  fenomeni,  facultà  e  sustanze,  l' io  e  la 
materia,  per  isprofondarsi  e  addormentarsi  nel  nulla. 
—  D'altra  parte,  la  ragione  ultima  della  legge  mo- 
fnle  secondo  il  cristianesimo,  vai  forse  meglio  di 
quella  del  panteismo,  del  naturalismo,  o  del  razio- 
nalismo? Fondare  il  dovere  su'l  decreto  libero  di 
una  volontà,  non  è  egli  un  pervertire  la  base  stessa 
della  morale?  Non  é  un  ragguagliar  il  diritto  alla  forza? 
Non  è  un  sostituire  alla  legge  dell'Umanità  il  capriccio 
di  un  Ente  Imaginario  ?  Oh  1  non  é  questo  il  metodo, 


206 

che  può  guidarci  ad  un  slsteina  di  filosofia  civile; 
morale,  e  religiosa.  Finché  l'uomo  s'incaponisca  a 
voler  l'impossibile,  non  raccoglierà  che  l'assurdo.  Co- 
minciamo dunque  a  definire  i  limiti  della  scienza  ; 
circoscriviamo  la  carta  delle  cognizioni  umane;  di- 
ciamo a  noi  stessi  in  prima,  e  poscia  agli  altri: 
questo  è  il  regno  della  ragione,  e  quello  è  l' oceano 
dell'ignoto;  qui  le  cose  si  vedono,  e  là  si  sognano;  qui 
si  osserva,  e  là  si  fabrica  ;  qui  si  esperimenta,  e  là  si 
fantastica.  —  Solo  allora  potremo  apprezzare  giusta- 
mente il  valore  de'  dubj,  che  agitano  cosi  spesso  e  tra- 
vagliano così  duramente  il  povero  ingegno  dell'uomo. 

Ci  rimane  ancor  da  vedere,  quali  ragioni  induces- 
sero Montanelli  a  ritornare  catolico.  Furono  due  :  la 
preghiera,  e  la  lettura  dell'Evangelio.  Innanzi  trat- 
to, ci  fa  sapere  egli  medesimo,  che  vi  si  determinò 
per  consiglio  di  Carlo  Eynard,  protestante:  il  che 
rivela  sempre  più  la  strana  idea,  che  Montanelli  ha 
del  catolicismo;  poiché  non  si  perita  dì  far  autore 
della  sua  catolica  conversione  un  prptestante  !  —  Ma 
udiamo  le  ragioni  : 

«  Oscuro  su  alcuni  punti,  il  Nuovo  Testamento 
»  mi  colpì  della  luce  dell'  evidenza  in  due  cose  : 

»  1.°  Per  la  sublimità  dell'  insegnamento  morale; 

»  2.**  Per  la  coscienza  d' una  missione  redentrice 
»  sentita  e  significata  dal  Cristo.  )>  E  dato  pure  che 
queste  due  cose  adornino  il  Nuovo  Testamento ,  come 
mai  la  luce  dell*  evidenza  non  colpì  Montanelli  in 
tante  altre  cose  che  ci  sono  ?  Così,  per  citarne  qual- 
cuna, l'essenza  dell' Evangelia  consiste  nella  sua  pro- 
prietà di  Parola  di  Dio  ;  e  quindi  involge  la  credenza 
in  un  Dio-persona,  che  parla  in  tempo  e  luogo  de- 
terminato. E  Montanelli  non  l' ha  veduta  ?  —  L' au- 
torità del  Nuovo  Testamento  é  tutta  fondata  su  l' An- 
tico ;  onde  non  si  può  ammettere  quello  senza  ve- 
nerar insieme  anche  questo,  con  tutto  il  tessuto  di 


in 

fidsìtà,  d*  iniquità,  e  d' énormezze,  ond'è  composto.  E 
Mentanelli  non  l'ha  veduta  ?  — •  La  parte  principale 
deir Evangelio  è  narrazione  di  miracoli,  cioè  di  leg- 
gende, cioè  di  favole.  E  Montanelli  non  Tha  veduta? 

Ora,  runa  delle  due:  o  egli  crede  all'Evangelio 
nella  sua  integrità,  o  no.  Se  no,  egli  dunque  .non  è 
cristiano;  e  né  la  grammatica,  né  la  logica,  né  la 
storia  possono  tolerare  un  tanto  abuso  di  paro- 
la. Se  sì,  egli  ammette  dunque  la  realtà  dei  mi- 
racoli, la  divinità  della  Bibbia,  e  l'esistenza  di  un  Dio 
rivelatore  nei  senso  cristiano;  e  l'ammette,  non  in 
forza  dell'abitudine  e  della  credenza  cieca,  ma  a 
guisa  di  conclusione  razionale ,  a  cui  l' ha  condutto  il 
libero  esame.  E  allora  la  sua  conversione  diventa,  a  dir 
poco,  una  bizzarria.  Se  la  sua  ragione  non  si  scanda- 
lizza punto  di  codesta  iliade  di  assurdi,  perchè  s'inal- 
berò contro  qualche  difficultà  del  panteismo  ?  Come 
potè  mai  ragionevolmente  offendersi  di  qualche  mistero 
dell'identità  sustanziale  colui,  che  è  disposto  a  credere 
verità  i  miracoli,  santità  i  delitti,  fatto  le  coutradìzioni  ? 

Veniamo  all' insegnamento  morale.  Ho  già  notato 
anch'io,  che  l'eMca  dell'Evangelio,  considerata  nel  suo 
complesso,  è  superiore  a  quella  dei  sistemi  religiosi 
più  antichi  ;  ed  in  ciò  non  veggo  nulla,  che  non  sia 
pienamente  conforme  all'  andamento  dello  spirito 
umano  ed  alla  legge  del  progresso  naturale.  Potrei 
concedere  eziandio  a  Montanelli,  che  vi  sia  una 
certa  sublimità  ^  qualora  non  facesse  della  sublimità 
un  sinonimo  di  perfezione,  e  sopratutto  dì  perfezione 
divina.  Ma  in  questo  senso,  che  è  l'unico  accettabile 
ad  un  cristiano,  io  nego  risolutamente  la  sublimità 
della  morale  evangelica  ;  e  mi  stupisce,  che  un  Mon- 
tanelli sia  giunto  ad  appellarne  alla  luce  dell'evidenza. 
Oh!  ci  sono  ben  altre  cose  evidenti  nella  dottrina 
del  Testamento  Nuovo. 

C'è  evidente  il  concetto  fondaraenl«ale,  che  fa  della 
vita  un'espiazione:  ed  è  questa  una  verità  sublime? 


268 

Evidente  il  principio,  che  la  salute  dipende  dalla  fede, 
e  la  fede  dalla  grazia  :  e  questa  è  una  verità  sublime  ? 

Evidente  la  legge,  che  dichiara  viziosa  e  rea  la 
sollecitudine  dei  parenti  e  deir  onore,  la  difesa  dei 
beni  e  della  vita:  ed  è  una  sublime  verità  questa? 

Evidente  la  raccommandazione,  che  si  facia  il  bene 
per  l'interesse  di  una  mercede  in  paradiso,  e  s'eviti 
li  male  per  paura  di  un  castigo  nell'inferno  :  ed  una 
verità  sublime  è  questa? 

Evidenti  i  germi  del  dualismo,  del  misticismo,  del 
fatalismo,  dell'indifferentismo,  deir  apatia  :  e  sono 
queste  verità  sublimi  ? 

Evidenti  le  premesse,  da  cui  i  vescovi  e  i  papi 
svilupparono  tutta  la  canonica  legislazione  (1)  :  e 
verità  sublimi  sono  anche  queste  ? 

fi)  Sogliono  molli  o|i:gidl,  quasi  per  una  specie  di  moda, 
inveire  fieramente  coniro  la  violenza  religiosa  (]oi  papi,  ed 
esaltare  a  cielo  la  mansueta  libertà  dell'Evangelio.  A  costoro, 
che  nell'Evangelio  leggono  solamente  le  pagine  che  posson 
giovare  alla  propria  causa,  i  papi  han  diritto  di  contrapofre, 
fra  li  altri,  i  testi  seguenti  : 

e  Omnis  arbor,  quae  non  facit  fractum  bonum,  excidetar, 
v  et  io  ignem  milletar.  Matt.  Ili,  10.  —  VII,  19. 

»  Notile  putare,  quia  pacem  venerim  mittere  in  terram. 
»  Non  veni  pacem  mittere,  sed  gladium.  Yepi  enioi  separare 
»  hominem  adversus  patrem  suum,  et  filiam  adversus'ma- 
»  irem  suam,  et  nurum  ad  versus  socrum  suam.  Matt.  X, 
»  31-35.  Lue.  XII,  51-53. 

n  Quod  si  non  audierit  eos,  die  Ecclesìae.  Sì  aufem  Eccte- 
B  Siam  non  audierit,  sii  libi  sient  etboicus  et  publicanus. 
■  Matt.  XVIII,  17. 

»  Exi  in  vias  et  sepes;  et  compelle  intrare,  ut  Implealur 
»  domus  mea.  Lue.  XIV,  23. 

« .  Si  is,  qui  frater  nominatur,  est....  idolis  serviens cum 

»  ejusmodi  ncc  cibum  sumero.  I  Corin.  V,  11. 

»  Sì  quis  non  oljcdit  verbo  nostro  perepìstolam,hunc  notate, 
»  et  ne  comraisceamini  cum  ilio,  ut  confundatnr.  Il  ThessIII,  1 1. 

»  Si  quis  venlt  ad  vos,el  hanc  doclrìnam  nonalTeri,  nolite 
y>  reciperc  cum  in  doraum,  ncc  ave  ci  dixerilis  II  Iohan.  10.  i 


209 
Ora  io  torno  al  mto  dilemma:  o  Montanelli  rico- 
nosce per  vera,  anzi  sublime,  anzi  divina,  tutta  la 
morale  dell'Evangelio,  o  ne  ammette  solo  quella 
parte  che  risponde  alle  leggi  delia  coscienza  e  della 
natura  umana.  Nel  primo  caso,  egli  è  cristiano,  ma 
non  ragionevole:  nel  secondo,  egli  è  ragionevole, 
ma  non  cristiano. 

Inoltre  un  insegnamento  morale,  se  non  sublime, 
almeno  compiuto,  dee  prò  vedere,  non  che  al  perfe- 
zionamento  deir individuo,  ma  eziandio  alla  riforma 
delia  società.  E  qual  è  mal  l'etica  sociale  del  Nuovo 
Testamento?  Neil*  ordine  politico,  è  la  legge  della 
forza,  r  obedienza;  e  nell'ordine  civile,  è  la  legge  della 
miseria,  la  povertà.  Ed  anohe  queste  pajono  sublimità 
a  Montanelli  ?  Ma  s'  egli  dovesse  insegnar  morale, 
non  professerebbe  di  sicuro  tutta  la  morale  evange- 
lica; la  quale  se  pelea  dirsi  eccellente  verso  della 
mosaica  e  della  pagana,  riesce  molto  imperfetta  og- 
gidì che  r  Umanità  ha  progredito  di  venti  secoli 
nella  sua  educazione;  ed  egli  farebbe  come  la  ragion 
publica  ha  fatto:  si  gioverebbe  dei  lumi  della  fi- 
losofìa e  della  scienza  per  correggere  e  compiere 
l'insegnamento  morale  dell'Evangelio. 

Ancor  una  parola  intorno  alla  missione  redentrice 
di  Cristo:  «  Io  non  poteva,  soggiunge  Montanelli, 
»  negare  il  Cristo  Redentore,  senza  considerare  Tuo- 
»  mo  che  si  dava  per  tale,  o  come  pazzo,  o  come 
»  impostore;  ma  pazzia  e  impostura  non  mi  si  ac- 
»  cordavano  con  la  sapienza  e  santità  di  quella  mo- 
»  rale  sublime  ;  e  dalla  impossibilità  di  separare  il 
»  Cristo  moralista  dal  Cristo  affermantesi  salvatore, 
»  mi  trovai  ricondutto  a  studiare  il  dogma  della 
»  redenzione  e  co'  1  dogma  della  redenzione  quello 
»  della  creazione  e  della  caduta;  e  quindi  lo  intero 
»  sistema  della  filosofia  cristiana.  »  L'alternativa  fra 
il  pazzo  e  l'impostore.  Montanelli  dpvea  lasciarla  a 


«IO 

quei  predicatori,  che  certo  per  àntifrasi  cbiamano  le 
loro  ciance  parola  divina  :  son  dessi,  che  hanno  in- 
ventato quel  sofisma  dì  nuovo  conio,  e  lo  urlano 
agli  orecchi  delFattonito  vulgo.  Chiunque  ha  studiato 
di  buona  fede  Tuorao  e  la  storia,  sa  che  i  rivelatori 
o  redentori  non  si  meritano  né  Tun  titolo,  né  l'altro: 
no,  né  impostori,  né  pazzi;  ma  genj  entusiasti.  Re- 
dentrice, vale  a  dire  perfezionatrice  dell'  uomo,  é  la 
verità;  e  chi  sente  in  sé  l'arcana  potenza  di  una 
idea  da  rivelare  al  mondo,  può  senza  follia  e  senza 
impostura  chiamarsi  Redentore.  E  ad*  onta  di  tutti 
li  errori  che  adesso  la  ragione  scopre  nell'Evangelio, 
l'idea  cristiana  all'  epoca  della  sua  apparizione  era 
propriamente  una  buona  novella^  una  verità,  un  pro- 
gresso, un  perfezionamento,  cioè  un  grado  di  reden- 
zione. Dunque  l'argumento  principale  di  Montanelli 
non  conchiude  punto. 

E  non  conchiude  nemmeno  per  un  altro  capo.  Egli 
adopera  bensì  l'espressioni  di  Cristo  redentore,  Cristo 
salvatore.  Cristo  moralista;  ma  in  quale  senso? In 
un  senso  umano  o  metaforico,  i  razionalisti  stessi 
le  sogliono  usare  ;  ma  il  cristiano  non  può  usarle 
che  in  senso  proprio  e  divino  :  per  lui  il  titolo  di 
Salvatore  e  Redentore  suona  formalmente  Iddio.  E 
Montanelli  l'intende  così?  Crede  egli  davvero  all'e- 
sistenza, alla  realtà  storica  di  un  Dio-uomo,  di  un  infi- 
nito-finito, di  un  eterno-mortale,  di  un  assoluto- 
relativo,  di  una  persona  in  due  nature  ?  Così  li  altri 
dogmi  della  creazione  e  della  caduta,  li  ammette  egli 
propriamente  e  li  erède  nel  senso  cristiano?  Ma  al- 
lora, deh  l  non  profani  il  nome  sacro  di  filoiofià  con 
applicarlo  ad  un  sistema,  che  è  la  negazione  perpetua 
e  palpabl^Q  del  senso  communc.  Invano  egli  assicura 
che  a  la  filosofia  di  Gioberti ,  alcune  opere  della 
»  scuola  teologica  ortodossa  tedesca,  e  i  santi  Padri 
»  mi  furono  di  grande  ajuto  allo  schiarimento  delle 


211 
»  difficultà,  che  pr^entava  alla  mia  ragione  il  slste- 
»  ma  del  catoUcìsmo.  »  £  non  s'avvede  che  questa 
dichiarazione  si  distrugge  da  sé  stessa  ?  Le  indica- 
zioni vaghe  e  generiche  di  Santi  Padri  e  opere  della 
scuola  teologica  ortodossa  tedesca,  non  chiariscono 
bene  il  suo  pensiero  ;  ma  in  compenso  lo  chiarisce 
abbastanza  V  altro  fonte  che  accenna  :  la  filosofia  di 
Gioberti.  Ora  la  così  detta  filosofia  di  Gioberti  non 
è  altro  in  sustanza  che  la  pura  scolastica ,  la  quale 
non  prova  già,  ma  suppone  a  guisa  d'assiomi  tutti  i 
dogmi ,  tutte  le  leggi  della  chiesa.  Ed  è  questo  il 
metodo,  con  cui  Montanelli  si  rifece  catolico  ?  Oh  ! 
non  è  possibile. 

Inclino  piuttosto  a  pensare,  che  l'animo  suo,  aman- 
tissimo della  libertà  e  della  patria,  siasi  lasciato  ade- 
scare da  quella  vernice  di  liberalismo  catolico,  che 
Gioberti  sparse  ne' suoi  libri.  E  parmi,  che  Monta- 
nelli stesso  venga  a  confessarlo  in  questa  singolare 
conclusione  :  «  Non  m'indussi  ad  accettarlo  [il  cato- 
D  licismo),  se  non  persuaso,  come  non  offendesse  nò 
»  i  diritti  della  ragione,  nò  la  libertà  di  coscienza  ; 
»  e  si  potrebbe  essere  catolici  e  negare  l'infaUibìlità 
»  del  papa,  l' autorità  clerocratica ,  e  tutte  le  infra- 
»  mettenze  dslla  preterìa  ;  catoiici  come  Dante,  come 
»  Savonarola,  come  Pascal,  e  altri  sommi  e  cittadini 
»  ingegni  lo  furono.  »  Misericordia  1  //  catolicismo^ 
non  offende  i  diritti  della  ragione!  Ma  il  primo  e 
massimo  diritto  della  ragione  si  è,  che  a  lei  spetta 
il  criterio  della  verità;  ed  il  primo  e  massimo  dpgma 
del  catolicismo  si  è,  che  il  criterio  della  verità  spetta 
alla  fede.  E  Montanelli  vuol  conciliare  questo  dogma 
con  quel  diritto  ?  —  Il  catolicismo  non  offende  la  li- 
bertà di  coscienza!  Ma  il  principio,  su  cui  ogni  li- 
bertà di  coscienza  riposa ,  si  ò ,  che  altri  può  esser 
onesto  nella  vita  presente  e  felice  nell'avvenire, 
anche  fuori  del  catolicismo;  e  la  legge   suprema 


tl2 

fondamentale  del  catolicismo  si  è,  che  nessmia 
fuori  della  chiesa  può  adempire  a  tutti  i  suoi 
doveri ,  né  salvare  V  anima  sua.  E  Montanelli  vuol 
accordare  questa  legge  con  quel  principio  ?  —  Si 
può  esser  catolici  'e  negare  V  iììfalUhilità  del  papa  ! 
Ma  il  papa  stesso  non  dice  altrimenti;  poiché,  già 
rho  avvertito,  la  sua  infallibilità  non  fu  e  non  è  un 
articolo  di  fede,  né  un  dogma  della  chiesa,  ma  una 
opinione  teologica.  E  Montanelli  non  lo  sapeva  ?  — 
Si  può  essere  catolici  e  negare  V  autorità  clerocratica 
e  tutte  le  inframettenze  della  preterial  Lascio  da 
parte  le  inframetteni^e  della  preteria,  perché  non 
capisco  bene  che  cosa  sleno;  ma  quanto  ^IVautorità 
clerocratica,  no^  signore,  non  si  può  esser  catolici  e 
negarla.  Quest'autorità  é  la  gerarchia;  e  la  gerar- 
chia é,  per  instituzione  divina,  la  legge  organica 
del  ^catolicismo.  La  negano  bensì,  i  protestanti;  ma 
appunto  per  ciò  i  protestanti  non  sono  catolici.  E 
Montanelli  ha  dunque  scoperto  il  segreto  d'essere 
catolico  senza  esser  càtolico  ?  —  Si  può  esser  catolici 
f^ome  Dante,  come  Savonarola,  come  Pascal  !  Ma  qui 
e^li  scherza  davvero;  poiché  é  impossibile  che  se^ 
riamente  egli  ricorra  ad  una  ragione  di  questa  fatta. 
Sono  le  dottrine  religiose,  che  devono  giudicare  li 
uomini;  e  non.  li  uomini  le  dottrine.  Stabilita  la 
vera  professione  di  fede  catoliea,  si  potrà  giustamente 
dire  catolico  chi  l'abbia  osservata;  laddove  il  dedurre 
la  professione  di  fede  catòllca  dall'esempio  di  qual- 
che privato,  egli  é  troncare  una  quesUone  teologica 
con  una  burla. 

Ed  in  fine,.MontaneHi  ha  sempre  dimenticato  un 
altro  elemento  essenziale  del  catolicismo.  Egli  non 
discorre  mai  che  di  pura  dogmatica,  quasi  che  Tof- 
ficio  dell'autorità  ecclesiastica  non  fosse  altro  che 
un  semplice  insegnamento  dottrinale  e  speculativo; 
Ora  chiunque  conosce  i  primi  principi  del  catechi* 


smo  catolico,  dee  pur  sapere  che  al  calolicìsmo  è 
tanto  essenziale  il  dogma,  quanto  la  morale  ed  il 
culto;  tanto  la  teorica,  quanto  la  pratica;  tanto  la 
verità. negli  ordini  del  pensiero,  quanto  la  legge 
negli  ordini  della  vita.  Nella  chiesa  pertanto  v'  ha, 
oltre  r autorità  dogmatica,  un'autorità  legislativa; 
e  siccome  ogni  catolico  deve  a  quella  una  fede  as- 
soluta, così  deve  a  questa  un'assoluta  obedienza.  E 
quest'  autorità  risiede,  per  ciascuna  diocesi,  nel  suo 
vescovo;  e  per  la  chiesa  universale,  nel  concilio  e 
nel  papa.  Dunque  per  esser  catolico  non  basta  pro- 
fessare tutti  i  dogmi;  ma  bisogna  eziandio  ammettere 
tutte  le  leggi-  della  chiesa.  E  Montanelli  le  ammette? 
Che,  catolico,  non  voglia  credere  airinfallibilità  del 
papa,  gli  si  può  comportare;  ma  che  non  voglia 
obedire  a'  suoi  comandamenti,  giammai  1  Chi  non  è 
disposto  ad  obedire  in  tutto  e  per  tutto  agli  ordini 
del  papa,  non  è  catolico.  Montanelli  adunque  o  ri- 
nunci alla  professione  di  catolicismo,  o  pieghi  la 
fronte  a  tutti  quanti  i  decreti  di  Roma.  —  Non  c*ò 
Padre,  uè  teologo,  né  abbate,  né  professore,  né  in 
Germania,  né  in  If rancia,  né  in  tutto  T universo 
mondo,  che  possa  scamparlo  da  questo  bivio  fatale  1 
Dopo  aver  esaminate  minutamente  le  opinioni  e  le 
ragioni  di  Montanelli,  se  altri  mi  domandasse:  qual  è 
dunque  la  sua  religione?  dovrei  rispondere  :  nessuna. 
Perocché  il  nome  ch'egli  s'appropria  é  catolico;  la 
dogmatica  che  professa  é  protestante;  e  lo  spirito 
che  l'informa  é  razionalista.  Ora  una  religione,  che 
sia  tutto  insieme  catòlica,  protestante,  e  razionalista, 
non  solo  non  esiste,  ma  non  é  possibile. 

E  questa  condizione  anormale,  questa  flagrante 
contradizione  tra  la  lingua  ed  il  cuore,  tra  il  fatto  e 
la  fede,  é  commune  fatalmente  alla  massima  parte 
degl'Italiani  1 1  protestanti  in  Italia  sono  pochissimi. 


211 

come  pochi  sono  i  yeri  catoKci  e  ì  reri  razionalisti. 
Il  gran  corpo  della  nazione  è  composto  d'una  gente 
catolìca  di  nome,  e  razìonalieta  di  fatto  :  la  religione 
deir Italia  è  un  equivoco!  E  lo  spettacolo,  ch'essa 
porge  all'Europa  da  parecchi  anni  in  qua,  ne  rende 
tale  testimonianza,  che  il  dubitarne  sarebbe  un  du- 
bitare della  luce  in  pieno  meriggio.  Perocché  il  no- 
bile contegno  e  l'eroica  costanza,  con  cui  tutti  1 
popoli  italiani,  dalle  vette  delle  Alpi  alle  rive  del 
mare,  danno  prova  del  loro  indomabile  affetto  per 
la  libertà  e  l'indipendenza  della  patria,  dlmostran  ad 
evidenza  che  la  massima  parte  del  paese  è  liberale. 
Riformisti,  costituzionali,  o  republicani,  non  monta; 
8on  tutti  nemici  dell'assolutismo  e  fautori  d'una 
qualche  libertà  politica  e  civile  :  ecco  il  fatto.  Nondi- 
meno, la  massima  parte  del  paese  dicesi  catoTicà: 
ed  ecco  il  nome.  Ora,  parmi  d'averlo  posto  in  chiaro 
abbastanza,  al  nome  repugna  essenzialmente  il  fatto; 
poiché  catolicismo  e  libertà  sono  due  termini,  che 
si  negano  e  s'escludono  a  vicenda.  Catolico  vuol  dire 
devoto  all'assolutismo,  e  liberale  significa  razionalista; 
sicché  quasi  tutti  l'Italiani-,  i  più  per  ignoranza, 
chi  per  debolezza,  e  taluni  per  ipocrisia,  si  dicono 
catolici,  mentre  negano  il  catolicismo  ;  e  liberali , 
mentre  negano  la  libertà  l 

E  poi  ci  maravigliamo,  che  surgano  così  spesso 
fra  noi  disensioni  e  discordie?  Ci  lamentiamo,  che 
la  misera  Italia  sia  divisa  ili  sètte  e  partiti?  Ci  ac- 
cusiamo scambievolmente  di  non  intenderci  mai? 
Deh!  che  valgono  le  accuse,  i  lamenti,  e  le  mara- 
viglie, se  non  si  va  alla  radice,  e  non  si  rimedia 
alla  causa  del  male?  E  la  causa,  la  radice  principa- 
lìssima  delle  nostre  sventure,  si  è  quell'orribile  con- 
fusione, che  regna  nelle  menti,  nelle  coscienze,  nelle 
lingue,  e  negli  alti.  Chi  non  sa,  che  la  prima  con- 
dizione per  lo  scioglimento  di  qualsivoglia  problema 


«15 

eoDBiste  nel  delìairne  i  termini  e  li  elementi?  E  che 
senza  questa  definizione,  le  partì  contendenti  non 
arriveranno  mai  a  concbìudere  nulla,  perchè  Ciascuna 
parlerà  un  linguaggio  suo  proprio,  che  l'altra  non 
capisce  neppure?  Codesto  è  il  caso  della  questione 
religiosa  in  Italia.  Porgete  l'orecchio,  ed  ascoltate. 
Eccovi  là  un  partito,  che  benedice  all'austriaco  e 
giustifica  il  suo  dominio:  chi  sono?  Catolici. —  Qua 
un  altro,  che  è  nemico  deir austrìaco,  ma  sostiene 
il  diritto  divino  e  il  potere  assoluto  dei  re:  e  chi 
sono?  Catolici.  —  Havvene  costà  un  terzo,  che  com- 
batte l'assolutismo,  ma  vuole  un  governo  monarchico, 
temperato  dallo  Statuto:  e  chi  sono?  Catolici.  —  Al- 
trove se  n'aggira  un  quarto,  che  maledice  statuti  e 
sovrani ,  ma  vuole  una  republica  modesta  e  giudi- 
ziosa: e  chi  sono?  Catolici.  —  Poi  un  quinto,  che 
vuole  la  republica  democratica  e  sociale;  e«ono  ca- 
tolici. Poi  altri,  ed  altri  ancora,  fra  i  quali  chi  am- 
mette una  religione  di  Stato,  e  chi  nessuna  ;  chi  rico- 
nosce l'autorità  della  chiesa,  e  chi  la  rigetta  ;  chi  ve- 
nera il  papa,  »  chi  l'insulta;  chi  protegge  il  clero,  e 
chi  lo  detesta;  chi  pratica  il  culto,  e  chi  l'aborrisce; 
chi  crede  ai  miracoli,  e  chi  se  ne  rìde;  chi  tiene  la 
Bibbia  per  libro  sacro,  e  chi  per  una  leggenda;  clii 
fa  di  Cristo  un  Dio,  e  chi  un  uomol  E  sono  tutti 

catolici  11 

Com'è  dunque  possibile  da  questo  caos  cavar  un 

costrutto?  Come  è  possìbile  che  l'Italiani  cospirino 
ad  un  medesimo  fine,  se  chiamano  con  Io  stesso  no- 
me una  moltitudine  di  fini  diversi,  opposti,  e  con* 
Iradiltorj?  Se  l'uno  fa,  e  l'altro  distrugge;  l'uno 
afferma,  e  l'altro  nega;  l'uno  avanza,  e  l'altro  dìe- 
t reggia;  l'uno  ama,  e  l'altro  odia;  l'uno  loda,  e  l'al- 
tro vitupera;  l'uno  invoca,  e  l'altro  maledice:  e 
tutti  e  sempre  in  nome  della  stessa  fede?  Ohi  ces- 
siamo da  un  metodo  cosi  insensato  1  A  questa  do« 


81C 

manda,  che  ciascuno  si  dee  fare:  son  io  catolico,  o 
no?  àon  può  darsi  una  risposta  ragionevole,  se  prima 
non  s'è  risposto  a  quest'altra:  che  cos'è  il  catolì- 
cìsmo?  Ed  in  questa  definizione  sta  il  cardine  di 
tutto  il  problema.  Né  ciascuno  è  già  libero  di  fa- 
bricarsela  a  proprio  talento;  poiché  la  definizione 
vera  non  può  esser  che  una,  come  uno  è  il  signi- 
ficato religioso  della  parola.  Ma  io  studio  accurato 
dei  monumenti  più  autentici  della  chiesa,  e  Tana- 
lisi  fedele  de' suoi  principi  essenziali  di  (logma,  di 
morale ,  e  di  gerarchia,  ci  han  provato  che  il  cato- 
licismo è  la  negazione  assoluta  della  libertà.  Ognuno 
pertanto,  insieme  con  quella  domanda,  se  ne  deve 
rivolgere  un'altra:  son  io,  o  non  sono  liberale?  E 
se  è  liberale,  si  chiami  razionalista,  ma  non  catolico: 
se  è  catolico,  si  chiami  assolutista^  ma  non  iliberale. 
E  allora  il  caos,  che  avvolge  la  povera  Italia,  co- 
mincerà a  diradarsi  e  a  dileguare.  Cadi'anno  le  ma- 
schere dai  volti;  ognuno  si  chiamerà  co'l  suo  nome; 
e  potremo  tutti  conoscere  chi  sta  con  noi,  e  chi  con^ 
irò  di  noi  Allora  tutto  il  campo  della  lutta  sarà  di- 
viso in  due  grandi  parti:  nell'una,  i  catolici;  e  nel- 
l'altra, i  razionalisti.  Di  là  tutti  i  servi  del  papa,  i 
cavallieri  dell'Inquisizione,  e  i  satelliti  dello  straniero; 
di  qua  tutti  i  credenti  nella, ragione,  nella  giustizia, 
e  nella  sovranità  nazionale.  Quelli  professeranno  la 
servitù  del  catolicismo,  e  questi  la  libertà  della  ra- 
gione. Li  uni  attenderanno  alla  salute  dell'anima  con 
preghiere,  sacramenti,  e  digiuni,  e  lasceranno  che  i 
preti  e  i  re  si  godano  il  mondo;  li  altri  veglieranno 
alla  salute  della  patria  e  ai  diritti  della  nazione;  eman- 
ciperanno lo  spirito  dalla  fede  cieca  e  dall'obedienza 
passiva,  abbandoneranno  al  preti  le  chiese  e  le  corti 
ai  re,  finché  i  popoli  non  abbiano  appreso  a  passarsi 
di  tutti  i  re  e  di  tutti  i  preti.  Religione  dei  primi 
sarà  il  simbolo  di  Nicea  ;  e  religione  dei  secondi  la 
legge  dell' Umanitò. 


APPENDICE 


Dal  1853  al  ÌSS94 


I 

Corre  gì(i  11  sellìmo  anno  dacché  io,  confutando 
r  opera  di  Monlalembert  su  11  Interessi  catolicì  nel 
secolo  XlXy  e  sostenendo  la  lesi  contrarla  alla  sua, 
ho  conlraposlo  fatti  a  fatti,  argumenti  ad  argumenti, 

Sor  dimostrare:  nell'ordine  storico,  cbe  il  progresso 
ella  libertà  non  ha  giovato,  ma  nociuto  alla  chiesa; 
e  nell'ordine  dottrinale,  che  fra  ì  principj  del  cato- 
licismo e  quelli  della  libertà  non  havvì  accordo  pos- 
sibile, ma  opposizione  essenziale  ed  ìncompatibilil»! 
assoluta.  La  qual  polemica  ci  guidò  alla  conclusione 
generale:  che  la  religione  dei  popoli  culti  non  è  più 
a' di  nostri  il  catolicismo,  ma  il  razionalismo;  poiché 
il  governo  della  loro  vita  intellettuale  e  morale,  po^ 
litica  e  civile,  procede  a  tenore,  non  d'una  fede  così 
detta  rivelata  e  divina,  fnk  d'una  legge  naturale  e 
razionale,  di  cui  è  interprete,  non  un  preleso  vicario 
di  Dio,  ma  la  coscienza  dell'Umanità. 

II.  15 


218 

Ora,  neirinlervano  dal  185S  al  1859,  a  qual  delle 
due  t^sl  diede  conferma  la  posteriore  esperienza?  A 
quella  dei  razionalisti  democratici,  o  a  quella  dei 
neocatolici  liberali?  La  storia  di  questi  sette  anni  ha 
da  registrare  a  conto  della  chiesa  guadagni  e  trionfi^ 
p  perdite  e  sconfìtte?  E  le  gesta  del  papato  son  ve> 
nute  ad  avvalorare  i  desiderj  di  coloro  che  vagheg- 
giano una  conciliazione  fra  il  catolicismo  e  la  libertà, 
ovvero  i  principj  di  coloro  che  fra  Tuno  e  l'altra 
stabiliscono  un'ineluttabile  contradìzione? 

Farmi  questa,  se  mal  non  m'appongo,  una  que^ 
stione  che  meriti  di  essere  qui  brevemente  esami- 
nata, siccome  quella  che  dee  mettere  il  suggello  a 
tutti  li  argumenti  di  fatto  e  di  diritto,  da  me  con- 
traposti alle  vane  asserzioni  del  conte  di  Montalem- 
bert  e  de' suoi  socj.  Perocché  a  più  d'un  lettore  po- 
trebbe affacciarsi  il  dubia,  che  almeno  nell'ordine 
storico,  grazie  alle  vicende  politiche  e  alle  nuove 
condizioni  d'Europa,  le  parti  fra  noi  ed  i  nostri  av^ 
versarj  sieno  del  pari  scambiate;  talché  molte  cose 
ch'erano  allora  false,  possano  oggi  esser  vere;  e  so 
essi  aveano  il  torto  per  rispetto  al  passato,  l'aves- 
simo però  noi  per  riguardo  all'avvenire.  Un  tal  du- 
bio  scemerebbe  d'assai  la  forza  de' ragionamenti,  su 
cui  ho  fondato  le  mie  conclusioni;  e  quindi  mi  preme 
sommamente  d'escluderlo  d'avanzo. 

Ripigliamo  adunque  la  rassegna,  che  il  signor  Mon- 
talembert  avea  fatto  dei  varj  Stati  europei;  e  •ce- 
diamo se  d'allora  in  qua  sia  nulla  accaduto,  che  ag- 
giunga valore  a' suoi  argumenti  e  ne  detragga  ai 
nostri. 

u 

In  Polonia  le  speranze  di  unrisurgimentocatolico 
non  solo  non  si  sono  avverate,  ma  son  divenute  più 


St9 

che  mai  incerte  e  remote.  Il  successore  dello  c^ar 
Nicolò,  inaugurando  un  sistema  di  governo  men  de- 
spotico  e  più  civile  per  tutto  l'impero,  più  equo  e  li- 
berale particolarmente  verso  delia  Polonia,  ba  co- 
minciato a  calmare  e  sopire  Tedio  profondo  cb'essa 
nutriva  contro  i  suoi  oppressori;  e  questa  giustizia 
riparatrice  varrà  ben  più  che  l'antica  violenza  ad  as- 
sicurare la  preponderanza  anche  religiosa  del  vinci- 
tore su'l  vinto. 

Co'  1  terrore  delle  armi  Nicolò  era  pervenuto  a  do- 
mare politicamente  la  Polonui,  in  guisa  da  renderlo 
poco  meno  che  impossibile  una  riscossa  nazionale: 
testimonio  la  rivoluzione  del  48,  e  più  di  recente 
ancora  la  guerra  d'Oriente;  occasioni,  di  cui  avrebbe 
senza  fallo  profittato  un  popolo,  che  avesse  avuto  in 
sé  li  elementi  e  le  forze  da  rivendicarsi  in  Ubertà. 
Se  la  Polonia  invece  se  ne  stette  cheta  e  tranquilla, 
segno  è  che  la  sua  vfta  nazionale  o  è  spenta  affatto, 
0  è  ridutta  ad  un  grado  tale  di  fiacchezza  e  di  esi- 
nanizione, che  non  lascia  certamente  la  possibilità 
di  un  vicino  risurgimento.  E  con  l'equità  delle  leggi 
Alessandro  II  riconquista  ora  moralmente  la  Polo- 
nia; fa  ch'essa  dimentichi  la  tirannia  de' suoi  pre-^ 
decessori,  che  si  consoli  bentosto  della  perdita  della 
propria  autonomia,  che  si  ritempri  nella  vitale  unità 
della  razza  slava,  che  smetta  a  poco  a  poco  e  la  sua 
devozione  a  Roma  catolica  e  la  sua  aversione  da  Pie- 
troburgo scismatica,  e  che  finisca  con  abjurare  la 
religione  a  cui  va  debitrice  della  sua  mina,  per  ab- 
bracciare quella  che  le  aprirò  una  nuova  èra  d' in- 
civilimento e  di  grandezza.  Così  il  frutto  che  la  chiesa 
ritrae  dalle  sue  dottrine  su  la  sommissione  alla  pò-, 
testa  temporale  nelVórdine  civile^  inculcate  ai  Polac- 
chi dal  famoso  Breve  di  papa  Gregorio  XYI,  è  ve- 
ramente quello  che  si  è  meritata.  Intimò  al  popolo 
di  òbodlre  al  suo  oppressore  come  ad  un'autoTità  co- 


stUaita  ^a  iKo;  e  il  popolo  gli  obedlsce  davvero  aii^ 
che  a  costo  di  staccarsi  dall'ortodossia  romana  per 
accostarsi  all'ortodossia  russa.  €he  colpa  n'ha  egli? 


Ili 


In  Isvìzzera  è  aumentato,  non  11  hene  di  che  ral- 
legra vasi  Montalembert,  ma  il  male  chVi  deplorava. 
Ai  cantoni  tedeschi  dovrebbe  or  aggiungere  il  can- 
tone ilanano,  dove  quella  ch'egli  intitolava  rivolu- 
zione atea,  e  che  noi  diciamo  sovranità  civile,  re- 
gna e  governa,  e  sottomette  il  clero  al  diritto  com- 
mune,  interdice  ogni  giurisdizione  ai  vescovi  di  Como 
6  di  Milano  su'l  territorio  svizzero,  abolisce  i  con- 
venti, licenzia' i  frati,  e  resiste  apertamente  ai  mo^ 
hltorj  d.i  Romav 

IV 

Anche  la  Spagifta  ha  deluse  tutte  le  catoliche  spe<^ 
ranze  di  Montalembert.  L'uomo  di  genio  subliìne^ 
ch'egli  teneva  per  una  pietra  angolare  della  chiesa, 
è  morto;  e  il  famoso  concordato,  da  cui  si  ripro- 
metteva così  bei  giorni  per  la  Spagna,  è  andato  pre- 
sto presto  in  fumo.  Una  nuova  rivoluzione  cacciò 
via  quel  governo,  che  avea  traficato  Vonore  e  il  ix)- 
tere  nazionale  a  benefìzio  della  curia  romana  ;  ed  ha 
decretato  la  vendila  del  beni  ecclesiastici,  disdetto  il 
concordato,  e  mantenuti  i  diritti  dello  Stato  contro 
tutte  le  pretensioni  e  le  minacce  del  papa.  E  il  papa, 
che  parea  sì  risoluto  a  tener  fermo,  e  che  stette  duro 
in  effetto  per  qualche  anno,  ecco  che  ora,  spaven- 
tato dalla  ribellione  delle  Romagne,  e  desideroso  di 
ottenere  un  sussidio  militare  o  un  puntello  diploma- 
tico dalla  Spegna,  cede  vilmente  al  suo  solito,  mer- 


^àDVeggìa  la  religione  per  la  {)oliticaVe  ricoaosoe  le* 
filimi  e  validissimi  quelli  stessi  aiti  e  decreti,  che 
pocanzi  coiìdannava  ed  esecrava  come  un  attentato 
sacrilego  ai  diritti  inviolabili  delta  chiesa  e  agli  or- 
dini espressi  di  Dio. 

Del  Portogallo  il  signor  Montalembert  avea  taciuto  » 
ma  ora  gli  toccherebbe  di  piangere  anche  colà  un  ai- 
ira  sconfìtta.  In  seguito  ad  uno  scisma  ch'ebbe 
luogo  nei  dorainj  portoghesi  deirindia,  il  governo  e 
il  parlamento,  fra  li  applausi  della  stampa  e  di  tutto 
il  paese,  sostennero  fieramente  l'indipendenza  e  la 
sovranità  dello  Staio  contro  la  divina  autorità  della 
santa  sede;  fecero  nei  loro  dibattimenti  un  processo 
publìco  contro  i  pretesi  diritti  della  chiesa;  e  mìsero 
troppo  in  chiaro  che  V  interessi  catolici  sono  anche 
là  in  istato  di  irreparabile  fallimento. 


Isella  Germania  protestante  le  condizioni  della 
chiesa  rimasero  presso  a  poco  le  stesse;  e  se  han 
mutato  in  nulla,  gli  è  a  suo  danno  e  non  a  suo  van- 
taggio. Il  re  intelligente  e  generoso  di  Prussia,  in  cui 
Montalembert  confidava  tanto,  è  impazzito;  e  le  re- 
dini dello  Stato  caddero  in  mano  d'un  reggente ^  il 
quale  sarà  per  avventura  meno  intelligente^  ma  eerto 
è  altresì  meno  teologante,  e  quindi  meno  propizio 
alle  controversie  bibliche,  vale  a  dire,  assai  più  ri- 
soluto a  non  permettere  che  i  missionarj ,  sotto  il 
pretesto  di  predicare  il  loro  Evangelio,  turbino  il 
paese  e  rinfochino  le  passioni  e  le  discordie  religioso. 

Ma  In  Austria,  sotto  il  giovane  e  cavalleresco  im- 
peratore, li  affari  della  chiesa  in  apparenza  prospe- 
rarono assai.  Uno  di  quei  trattati  di  commercio  spi- 
rituale, ch'essa  battezzò  co'l  nome  di  concordati 
per  dare  una  vernice  di  legalità  ialla  simonia,  le  ha 


in 

restituito  1  privilegi  e  le  prerogative,  di  cui  Maria 
Teresa  e  Giuseppe  II  Taveano  spogliata.  Essa  cauta 
dunque  vittoria;  e  sei  contratti  di  simil  genere  sono 
le  sue  vittorie,  affé  non  ha  torto  :  essa  ha  fatto  un 
eccellente  affare.  Resta  però  da  vedere  se  a  questo 
guadagno  tutto  mondano,  perchè  consìstente  solo  in 
qualche  aumento  di  potere  o  di  giurisdizione,  ri- 
sponda poi  un  vero  profitto  religioso,  vale  a  dire, 
.un  incremento  d'autorità  e  dìmpero,  non  su  i  corpi 
e  sa  i  beni,  ma  su  le  menti  e  su  i  cuori. 

E  per  questo  rispetto  egli  è  fuori  di  dubio  che  il 
concordato,  lungi  d'essere  per  la  chiesa  un  trionfo, 
è  anzi  il  compimento  della  sua  rulna.  Se  v'ha  nella 
storia  un  fatto  certo  ed  evidente,  si  è  questo,  che  il 
valore  religioso  del  catolicismo  e  il  potere  civile 
della  chiesa  stanno  rigorosamente  fra  loro  in  ragione 
inversa:  l'uno  fu  massimo,  quando  l'altro  era  nullo; 
e  via  via  che  questo  venne  crescendo,  quello  è  sem- 
pre diminuito.  Laonde  il  rlsurgimento  della  chiesa, — 
se  pur  la  r1sun*eztone  dei  morti  non  fosse  ancora  più 
impossibile  nell'ordine  morale  che  nel  fisiologico,  — 
non  potrebbe  effettuarsi  altrimenti  che  mediante  il 
ritorno  puro  e  semplice  all'apostolato  evangelico  dei 
primi  tempi.  Quando  papa,  vescovi,  e  preti  rinun- 
ciassero davvero  non  solo  ad  ogni  dominio  politico 
sopra  uno  Stato,  ma  eziandio  ad  ogni  ingerenza  ci- 
vile nella  cosa  publica,  e  quindi  ad  ogni  immunità 
dalla  legge  commune,  ad  ogni  fatta  di  privilegi  so- 
ciali; quando  non  ambissero  altra  autorità  che  quella 
conferita  loro  dalla  coscienza  del  popolo  cristiano  in 
grazia  del  loro  primato  nella  virtù  e  nella  sapienza  : 
oh!  allora  sì  noi  razionalisti  avremmo  ragione  di 
temere  una  restaurazione  vera  e  reale  del  catolici- 
smo. Ma  finché  vediamo  la  chiesa  ravvolgersi  perdu- 
tamente nel  fango  degVintereisiy  così  dimentica  della 
propria  missione  da  riporre  la  sua  salute  nella  stessa 


S23 
MgfoQ  prima  e  principale  della  sua  morte;  possiamo 
assistere,  non  che  tranquilli,  esultanti  alio  spettacolo 
del  suo  estremo  delirio.  Auguriamole  un  altro  con* 
cordato  più  grasso  ancora,  la  cui  mercè, oltre  il  mo- 
nopolio deirinsegnamento  e  la  censura  della  stampa, 
la  decisione  delle  cause  matrimoniali  e  T  indipen- 
denza del  vescovi,  la  moltiplicazione  del  conventi  e 
dei  monasteri,  ecc.,  le  sia  commesso  a  dirittura  il 
governo  di  tutto  l'impero:  e  allora  si  sarebbe  finita 
una  volta  e  per  sempre;  che  allora  principi  e  po^ 
poli  andrebbero  a  gara  per  disfarsene  in  eterno. 

Questo  risultato,  che  l'induzione  storica  promet- 
teva ed  assicurava  d'avanzo,  comincia  in  effetto  a 
verificarsi  puntualmente.  Del  concordato  con  l'Au- 
stria menarono  vanto  e  tripudio  senza  fine  il  papa 
e  i  cardinali,  i  vescovi  e  i  loro  vlcarj:  la  cosa  èna-^ 
turale;  tutti  questi  più  o  meno  sacri  rappresentanti 
di  Dio  non  sono  d'altro  solleciti  fuorché  de' loro  in- 
teressi, delle  mense,  delle  rendite,  dei  poteri,  della 
dominazione;  e  quindi  benedissero  come  una  rara 
fortuna  quel  mercimonio  spirituale,  che  loro  aumen- 
tava l'interessi,  impinguava  le  mense,  accresceva  le 
rendite,  estendeva  i  poteri ,  e  rafforzava  la  domina- 
zione. Che  poi  dovesse  nuocere  alla  salute  delle  ani- 
me, deturpare  la  santità  della  fede,  disonorare  il  ca- 
rattere della  religione,  costoro  non  se  ne  danno  un 
pensiero  al  mondo;  poiché  religione,  fede,  anime 
son  tutte  cose,  che  non  toccano  punto  i  loro  nego- 
zj;  ed  a  loro  preme  il  possesso  (tella  terra,  non  l'a- 
cquisto del  cielo. 

Ma  interrogate  un  po' il  clero  inferiore,  che  si  trova 
in  contatto  immediato  e  continuo  con  la  coscienza 
del  popolo;  chiedetegli  informazioni  degli  effetti  spi- 
rituali del  concordato:  e  vedrete  quanto  sia  empia 
l'allegrezza  e  la  baldoria  che  ne  fa  l'alto  clero.  Ve- 
drete come  quel  sì  vantato  trionfo  abbia  recato  in*- 


:n 

fmitamente  più  danno  alla  fede  della  chiesa  che  ìioil 
tutte  insieme  le  persecuzioni  de' suoi  antichi  e  mo* 
derni  nemici.  Vedrete  come  lo  scandalo  d'una  chieto^ 
che  mercanteggia  le  sue  funzioni  religiose  a  prezzo 
d'ingerenze  politiche  con  un  governo  oppressore  di 
tante  nazi(»i ,  le  ha  tolto  più  seguaci  che  non  tutti 
insieme  li  scritti  degli  increduli.  Ed  ò  giusUzia:  una 
religione  che  in  astratto  s'intitola  pomposamente 
dalla  carità,  dajr umiltà^  dalla  povertà,  dalla  man-* 
•suetudine,  dal  sacrifizio,  e  da  tutto  qud  complesso 
di  virtù  dette  per  eccellenza  evangeliche,  e  che  pot 
in  pratica  è  tutto  il  rovescio,  e  non  vive  fuorché  di 
superbia,  di  prepotenza,  di  ricchezze,  d'onori,  di 
lusso,  di  ^to,  di  odio,  e  di  tutti  ì  vizj  più  ese- 
crati ed  esecrandi;  è  una  mostruosità,  in  cui  mal 
potrebbesi  deflnire  sesia  maggiore  la  stoltezza  o  Tin-*- 
^amia. 

Né  li  effetti  politici  sono  stati  men  funesti  tirimi 
pero  che  li  eifetli  religiosi  al  papato.  Fra  i  tanti  ti- 
toli che  aveva  l'Austria  all'abominio  delle  genti  slavot» 
tedesche,  e  sopratutto  latine,  ne  serbava  almanco 
uno  alla  loro  rlconoseenza;  ed  era  la  legislazione  di 
Giuseppe  li  circa  le  relazioni  fra  la  chiesa  e  lo  Stato  : 
legisiazlone  tanto  benemerita  della  civiltà,  perchè 
posto  il  freno  alle  usurpazioni  e  alle  inframettenze 
del  clero,  e  sbandita  la  maggior  parte  degli  ordini 
monastici,  permetteva  all'autorità  laicale  di  proce- 
dere liberamente  nella  vìa  del  progresso  a  tenore 
-delle  condizloui  politiche  deir impero,  e  non  a  be^ 
neplacito  degl'interessi  retrivi  dell'episcopato.  Tanto 
è  vero,  che  nella  cerchia  di  molte  e  molte  instllu- 
zioui  civili,  li  Stati  suggetti  all'Austria  non  aveaa 
nulla  da  invidiare  ad  altri  politicamente  più  liberi  ; 
i  quali  avrebbero  anzi  dovuto  apprendere  da  loro 
■molti  miglioramenti.  Ora  co'l  concordato  l'Austria 
•ha  perduto  fin  quest'unico  inerito,  che  avea  verso 


225 
^e'suol  popoi»,  &  si  è  iiosta  da  sé  ineaesiaiSL  ai  bando 
della  civiltà  (1). 

E  lai  sia  di  lei  !  Noi  ci  rallegriamo  tanto  come 
italiani  dei  regressi  austriaci,  quanto  come  raziona- 
listi delie  turpitudini  papali.  La  chiesa  è  il  cervello, 
e  l'impero  il  l)raccio  della  reazione;  e  quanto  più 
runa  si  degrada  e  l'altro  si  disonora  «  tanto  meglio 
per  noi  e  per  l'Umanità:  s'avvicina  sempre  più  l'ora 
della  line  ultima  dei  nostri  due  capitali  nemici. 

VI 

Il  Belgio  ha  seguitato  ad  aggravare  i  motivi  di  la- 
mento che  contristavano  Montalembert,  anziché  ri- 
spondere ai  desideri  ond'egii  cercava  di  consolarsi*' 
L'andamento  delle  instituzioni  politiche,  lungi  dal 
richiamare  al  potere  il  partito  catollco,  ne  lo  ha  più 
.che  mai  allontanato.  Il  ministero,  che  se  non  lo  pro- 
teggeva apertamente,  non  l'osteggiava  né  pure,  cadde 
sotto  il  peso  della  publica- riprovazione,  appunto  per 
1  troppi  riguardi  che  gli  usava ,  ed  a  proposito  d'una 
legge  diretta  a  guadagnarsi  il  suo  favore  e  ad  ap- 
pagare in  parte  i  suoi  richlamu  E  il  ministero,  che 
ritornò  al  governo,  è  tutt' altro  che  propizio  agl'in- 
teressi della  cliiesa.  Né  il  clero  stesso  adempì  la  ii- 
ducia,  che  Montalembert  mostrava  d'avere  nel  suo 
buon  senso^  Il  suo  buon  senso,  guidato  onnai  da 

(1)  E  pare  che  perline  a  Vienna  si  cooninci  a  capire;  poi- 
ché da  alcuiki  giorni  la  stampa  austriaca  mena  gran  rumore 
di  larghe  riforme  già  decretate  a  favore  della  libertà  di  culto 
"per  i  protestanti  e  per  li  ebrei.  È  ano  sforzo  clic  l'Austria 
tenta  per  ritrarsi  ancora,  se  fosse  possibile,  dai  precipizio  In 
€ui  si  gettò  co'l  suo  concordaio.  Ma  è  troppo  tardi;  e  noa 
o-iuscirà  ad  altro,  speriamo,  clie  a  tirarsi  addosso  anche  le 
•ire  delia  curia  romana,  senza  punto  conciliarsi  l'afTezioue 
de' suoi  sudditi  e  la  atima  deir£uropa. 


treni* anni  d'esperienza,  gli  fa  invece  sempre  pia 
chiaramente  vedere  e  sentire,  che  l'interessi  cato^ 
liei  non  hanno  a  guadagnar  nulla  dalla  libertà,  e 
che  profitterebbero  assai  meglio  del  despotismo,  se 
non  sotto  un  re  protestante,  certo  sotto  un  cristia- 
nhsimo  o  apostolico  imperatore.  Ed  in  una  simile 
questione  d'interessi  il  clero  è  ben  più  competente 
di  tutti  i  conti  ed  academici  dei  mondo. 

VII 

Avvenne  in  Cknda  una  cotal  novità,  di  cui  la 
curia  romana  levò  gran  baldoria;  ma  la  si  riduce  in 
sustanza  ad  una  tal  miseria,  che  per  farne  tanta  fé* 
^ta  convien  dire  che  la  chiesa  abMa  smarrito  fin  la 
memoria  de' suoi  antichi  trionfi,  e  si  senta  costretta 
a  pascersi  di  vento  e  dar  corpo  alle  ombre.  La  no- 
vità consiste  nel  ristabilimento  dei  titoli  della  gerar- 
chia catolica,  cioè  in  uno  scambio  dì  nomi:  prima 
i  vescovi  d'Olanda  o  non  portavano  alcun  titolo  lo- 
cale, 0  ne  toglievano  ad  ìmprestito  qualcuno  da  un 
paese  qualunque  dell'Africa  o  dell'Asia;  adesso  in- 
vece si  denomineranno  dalla  città,  dove  hanno  la 
loro  residenza:  ecco  tutto.  Oh!  vedete  che  razza  di 
vittorie  toccano  più  alla  ctiiesa  1  Ma  ora  che  ai  ve- 
scovi d'Utrecht  o  dì  Harlem  è  lecito  di  chiamarsi 
vescovi  d'Utrecht  o  di  Harlem,  conta  essa  forse  una 
pecora  di  più  in  quelle  provincìe?  Ed  è  forse  cre- 
sciuta dì  un  apice  l'autorità  della  sua  parola  e  Tef- 
fìcacia  della  sua  fede?  All'incontro,  sapete  che  cosa 
crebbe  davvero?  L'odio  dèlia  chiesa  riformata  con- 
tro la  chiesa  catolica  ;  poiché  l'inimicizia,  che  in  gran 
parte  era  sopita  grazie  agU  influssi  liberali  della  ci- 
viltà, s'è  ridesta  ancora  e  riaccesa  in  seguito  agl'in- 
trighi e  alle  mene  del  partito  catolico,  il  quale  se 
non  avrà  più  a  soffrire  le  ^persecuzioni  d'una  volta. 


M7 

n'andrà  pur  debitore  al  progresso  di  quella  lìberlà, 
cb'ei  maledice  e  bestemià  come  l' abominazione  della 
desolazione.  Insensati  che  sonol  Dove  sarebbe  più  a 
quest'ora  la  loro  chiesa,  la  loro  gerarchia,  e  la  loro 
bottega,  se  il  protestantesimo  avesse  loro  applicato 
in  Inghilterra,  Olanda,  Svizzera,  Germania,  Dani- 
marca, ecc.  quel  codice  infernale  di  sangue,  che  la 
loro  santa  Inquisizione  applicava  ai  protestanti  in 
Ispagna,  in  Francia,  nel  Belgio,  e  in  Italia? 

Vili 

Una  novità  simigliante  è  tutto  quanto  ha  guada- 
gnato la  chiesa  in  Inghilterra.  È  riuscita  finalmente 
ad  ottenere  che  monsignor  ^Wiseman  possa  intito- 
larsi bravamente  arcivescovo  di  Westminster.  La- 
sciatele dunque  intonare  il  suo  cantico  di  trionfo  l 
Ora  sì  che  langlicanismo  è  bello  e  spacciato  1....  Po- 
vera chiesa  1  A  tutti  li  altri  sintomi  della  sua  decre- 
pitezza ha  così  aggiunto  pur  quello  del  rimbambire; 
oggimai  il  fatto  suo  non  eccita  più  lo  sdegno,  ma 
la  compassione.  Un  ìnstituto  religioso ,  che  dopo  aver 
preteso  algoverno  spirituale  del  mondo  intiero,  scende 
a  patti  co' suoi  nemici  e  vincitori  per  impetrare  a 
forza  di  cortigianerie  la  grazia  di  dare  a' suoi  vescovi 
un  titolo  piuttosto  che  un  altro,  rende  Imagine  d'un 
gigante  che  armeggiasse  co' bimbi  per  la  conquista 

d'un  fantoccio Povera  chiesa I  Dove  sono  andati 

i  bei  tempi  de' Leoni,  de'Gregorj,  degli  Alessandri, 
degl'Innocenzi?  Sono  andati....  ove  doveano  andare, 
e  donde  non  ritorneranno  mai  più.  Tanto  peggio  per 
essa,  ma  tanto  meglio  per  l' Umanità I 


228 

Yeniama  alia  Fraocia.  Cbe  cos'è  divenuta  la  stu^ 
penda  tran formas ione,  onde  se  n'andava  in- estasi  il 
sigpor  Montalembert  ?  Uà  proseguito  il  suo  corso 
trionfiale,  o  badato  indietro?  —  il  contegno  del  go* 
verno  imperiale  verso  la  chiesa  non  è  sustanzialmeote 
mutata  Le  sue  smorfiose  proteste  di  devozione  noa 
vennero  meno;  ma  per  fermo  le  tante  speranze,  che 
la  sua  devozione  avea  suscitate,  rimasero  deluse. 
Napoleone  continuò  ad  atteggiarsi  a  protettore  della 
chiesa^  ma  non  osò  toccare  pei;  compiacerle  a  nes- 
sun articolo  di  quella  legislazione  gallicana,  che  ha 
sempre  turbato  i  sonni  al  papa.  Anzi  ebbe  ripetuta- 
mente a  dichiarare,  ch'egli  intende  di  mantenerla 
Intatta;  e  alle  vive  instanze  del  partito  catoHco,  per- 
chè si  decretasse  obligatoria  l'osservanza  delle  feste 
«  la  celebrazione  religiosa  del  matrimonio,  impose 
tosto  silenzio  a  nome  della  legge.  La  libertà  di  culto 
fu  non  solo  serbata  alla  chiesa  protestante  officiale, 
ma  estesa  a  tutte  le  communioui  cristiane.  L'auto- 
rità  dello  Stato  anche  sopra  la  chiesa  venne  esercii 
tata  liberamente,  senza  permettere  al  clero  né  mcn 
di  zittire.  Così  il  Consiglio  di  Slato  processò  un  ve- 
scovo per  l'abuso  che  facea  de' suoi  i)Oleri  a  danno 
de'parochi;  ne  cassò  li  atti,  e  lo  ridusse  al  dovera 
E  il  ministero  ordinò  la  vendila  di  mòlli  beni  ec- 
clesiastici por  convertirli  In  rendite  su  '1  debito  pu- 
hlico;  e  buono  o  mal  grado  convenne  obedire.  Del 
resto,  ciò  ch'io  avea  predetto  al  conte  di  Moata- 
lembert,  s'è  finora  appuntino  avverata  Napoleone 
protegge  il  clero,  solo  in  quanto  lo  reputa  strumento 
utile  all'esecuzione  de'suoi  ambiziosi  disegni,  né  più 
né  meno;  e  quindi  la  chiesa  è  mille  volte  più  serva, 
più  schiava  sotto  il  patrocinio  del  Napoleonide  di 


qnel  che  fosse  sotto  il  flagello  della  Convenzione.  Pe- 
rocché quello  era  un  flagello,  che  alteslava  la  di-» 
gnilà  e  la  potenza  della  sua  fede;  ladiìove  questo  è 
un  patrocinio,  che  testifica  la  bassezza  e  la  servilità 
del  suo  egoismo. 

.  Per  altro,  «e  nelle  relazioni  tra  il  governo  ed  il 
elero  non  accadde  dal  52  in  poi  alcun  sustanziale 
mutamento;  è  però  avvenuto  nel  seno  stesso  del  par- 
tito catolico  uno  scandalo  assai  grave,  che  mèglio 
d'ogni  mia  critica  ha  messo  >a  nudo  la  vanità  delle 
glorie,  che  Montalembert  ci  veniva  a  ricantare;  ed 
ha  mostrata  al  mondo,  che  la  chiesa  moderna,  an- 
ziché ad  un  consorzio  di  santi>  rassimiglia  ad  una 
turba  di  pettegole. 

Usciva  in  luce  un  librlcciattolo»  il  cui  assunto  era 
di  provare,  che  il  verìne  roditore  della  società  mo- 
derna è  lo  studio  che  fa  la  gioventù  degli  antichi 
classici  ^reci  e  latini,  i  quali  la  imbevono  delle  idee 
del  paganesimo,  ed  estinguono  in  essa  fino  ì  germi 
del  catolicismo^  La  publicazioue  di  quel  libro  fu  per 
la  chiesa  francese  il  pomo  della  discordia.  Di  qua  ve- 
scovi che  l'approvano,  e  di  là  vescovi  che  lo  con- 
dannano. Li  uni  scommunicano  l'instruzione  classica 
come  la  peste  della  gioventù^  e  li  altri  la  benedi- 
cono come  un  sussidio  del  catechismo.  E  fu  la  mag- 
gior parte  dell'episcopato  francese,  che  si  gettò  ab- 
bandonatamei|te  nella  mischia;  e  per  parecchi  mesi 
esso  apparve  diviso  in  due  campi  nemici,  che  com- 
l>attevano  furiosamente  a  colpi  di  lettere  pastorali, 
di  editti,  e  di  omelie,  prò  o  contro  l'autore  del 
verme ,  prò  o  contro  i  classici  antichi.  Una  scena  s^ 
comica  rade  volte  esilarò  il  publico  in  un  teatro. 

Ma  eccone  un'altra  non  meno  deliziosa.  Tutti  sanno 
che  cosa  sia  il  giornale  VUnivers,  Il  suo  truce  fana- 
tismo era  giunto-a  stomacare  l'arcivescovo  di  Parigi^ 
U  quale»  testimonio  oculare  del  danno  che  recava 


230 

alla  chiesa  quel  diario  con  la  sua  rabìosa  apologe^* 
tlca,  puhllcò  contro  di  esso  un  severo  monitorio, 
e  gli  prescrisse  certe  regole  di  polemica  più  decente, 
se  non  più  cristiana.  Il  giornale,  troppo  esperto  nelle 
arti  del  gesuitismo,  finse  di  piegar  il  capo  e  di  bat- 
tersi il  petto  ;  moderò  per  qualche  tempo  11  tono 
de' suoi  vituperi  ;  ma  ritornò  poscia  al  suo  usato  stile 
da  sgherro  del  Sant'Officio.  L'arcivescovo  fu  a  buon 
diritto  sdegnato  di  tanta  oltracotanza  ;  e  proibì  se- 
veramente il  giornale  in  tutta  la  sua  diocesi.  Indi 
nuova  scissura  e  nuova  tempesta  nella  chiesa  di  Fran- 
cia. Da  una  parte  vescovi  che  danno  publicamente 
ragione  BÌVUnivers  contro  il  loro  confratello  di  Pa- 
rigi ;  e  dall'altra  altri  vescovi  che  sostengono  le  parti 
di  questo  contro  di  quello.  E  da  capo  un  diluvio  di 
pastorali  e  di  circolari,  che  assolvono  o  condannano 
il  giornale,  che  lodano  o  biasimano  il  prelato.  Que- 
sta volta  però  la  comedia  parve  pericolosa  a  Roma, 
ove  il  direttore  AeìVUnivers  avea  portata  la  sua  causa 
in  ultimo  appello.  E  Pio  IX  pose  fine  alla  lite  con 
un  suo  Breve,  in  cui  deplorava  amaramente  lo  scan- 
dalo di  quelle  lutte  intestine,  esortava  e  scongiu- 
rava l'episcopato  francese  ad  aver  più  giudizio,  a 
non  far  ridere  di  sé  e  de' fatti  suoi  il  mondo  Incre- 
dulo, a  non  dividere  e  sciupare  le  proprie  forze  in 
conflitti  domestici,  ma  a  collegarle  tutte  insieme 
strettamente  per  resistere  agli  assalti  dei  nemici 
esterni.  E  il  povero  arcivescovo  dovette  disdirsi,  e 
con  lui  tutti  i  suoi  colleghi  che  gli  aveano  fatto  eco; 
YUnivers  fu  assoluto  da  ogni  censura,  e  la  sua  in- 
fame polemica  ribenedetta  e  riconsacrata. 

Sopiti  cosi  i  litigj  episcopali,  non  cessò  tuttavia  il 
dissidio  del  partito  catolico;  e  scese  in  campo  a  rin- 
focolarlo,.... credereste?  il  conte  di  Montalembert 
in  personal  Si,  signori,  quell'ardente  campione  del 
gesuiti  e  del  gesuitismo  ruppe  anch*egli  guerra  apertat 


231 

ed  al  suo  solito  anpra  e  feroce,  contro  il  moDilore 
oTficialedel  gesuitismo  e  de' gesuiti^  che  è  VUnivers; 
e  ciò  che  dà  un'importanza  tutta  particolare  ed  un 
carattere  assai  curioso  a  questa  sua  polemica ,  si  ò 
ch'ei  r  intraprese  dopo  che  Roma  avea  sedata  la  tem- 
pesta clericale,  coprendo  del  suo  sacro  manto  quello 
spudorato  accatlabrighe  di  giornale.  E  l'intraprese 
di  conserva  ed  in  lega  con  un  altro  paladino  della 
setta  catolica:  il  visconte  di  Falloux.  Così  quei  bu- 
giardi panegiristi  dell'unità  della  loro  chiesa  hanno 
dato  a  sé  stessi  e  alla  loro  ciurmeria  la  più  mador- 
nale mentita;  ed  han  recato  nelle  loro  querele  in- 
testine un  fiele,  un  rancore,  un  accanimento,  al  cui 
paragone  le  dispute  dei  liberali  tra  loro  passereb- 
bero per  complimenti.  Così  quando  il  papa  aveva 
assoluto  Veuillot,  e  una  gran  parte  de' vescovi  l'a- 
veano  commendato  ai  loro  fedeli  come  una  salda  co- 
lonna della  chiesa,  ecco  levarsi  i  due  corifei  laici 
del  partito,  ì  quali  dando  furiosamente  su  la  voce 
a!  loro  vescovi  e  al  loro  papa,  denunciano  al  mondo 
VUnivers  come  uno  scandalo  intolerabile,  come  la 
ruina  e  l'onta  della  loro  religione. 

E  perchè  tanta  ira?  Donde  mai  tant'odlo  fra  gente, 
che  non  rifina  di  arrogarsi  il  monopolio  della  carità, 
dell'umiltà,  della  mansuetudine,  dell'abnegazione 
cristiana?  Qual  dogma  di  fede  o  qual  precetto  di 
morale  era  in  pericolo  od  in  causa?  —  Che  morale  e 
che  fede  1  Che  precetti  e  che  dogmi  I  II  partito  ca- 
tolico  volle  ancor  una  volta  mostrare  publicamente, 
che  tutta  la  sua  religione  consiste  negl'interessi 
temporali ,  mondani ,  politici  ]  che  per  lui  si  tratta 
unicamente  d'usurpare  il  più  possibile  d'autorità, 
d'influenza,  di  potere  nel  governo  dello  Stato;  e  che 
per  ciò  darebbe  tutto,  traficherebbe  tutto,  senza  uno 
scrupolo  e  senza  un  rimorso.  In  quei  litigj  vitupe- 
cosi  la  religione  fu  il  pretesto  apparente,  ma  la  pò- 


m 

lìiica  era  il  motivo  reale.  ì  filontaìcmberl,  ì  Falloot^ 
e  ì  conti  e  visconti  loro  saleìlUi  non  erano  più  con- 
tenti dell'impero,  né  dell'imperatore;  parea  loro  che 
l'uno  non  avesse  fatto  per  la  loro  consorteria  quanto 
essi  s'aspettavano,  e  che  l'altro  non  offrisse  un  mer- 
cato così  propizio  al  loro  negozj  come  l'avrebbero 
desiderato.  Quindi  eglino  stessi,  che  sotto  la  repu- 
Wìca  e  la  libertà  aveano  fatto  di  tutto  per  restau-* 
rare  in  Francia  il  despotismo,  tornarono  al  loro  vezzo 
antico  di  fare» un  poco  all'amore  sotto  il  despotismo 
con  la  libertà.  S'accinsero  pertanto  all'impresa  di 
riconciliare  il  principio  del  diritto  divino  con  quello 
della  sovranità  popolare,  consententlo  ad  una  fusione 
tra  i  legitìmisti  e  li  orleanisti,  che  sarebbe  rappre- 
sentata da  un'alleanza  di  famiglia  tra  i  due  rami 
della  Casa  di  Barbone;  e  indi  pretesero,  che  tutto 
il  partito  catolico  s'acconciasse  ai  loro  gusti  e  ser- 
visse ai  loro  disegni. 

VUnivers  e  la  sua  fazione  non  la  vollero  inten- 
dere così.  Avvalorati  dalla  benedizione  del  papa  e 
dall'approvazione  dei  vescovi,  essi  ricusarono  di  met- 
tersi nuovamente  su  '1  volto  la  maschera  dì  liberali^ 
e  di  tornar  a  fingere  pensieri  ed  affetti  che  non  erano 
e  non  jx)tevano  essere  nella  loro  mente  e  nel  loro 
cuore.  Persuasi  del  buon  andamento  de'  loro  affari 
sotto  il  despotismo  napoleonico,  sdegnarono  dì  par- 
teggiare per  un  preteso  liberalismo  borboniano,  co  *1 
quale  assai  difficilmente  avrebbero  guadagnato  nulla^ 
e  probabilissimamente  perduto  molto.  Non  accettarono 
dunque  di  tener  mana  agl'intrighi  politici  di  quei 
conti  e  visconti,  che  miravano  solo  a  fai*sl  degrinlo- 
ressi  catolici  uno  strumento  per  appagare  le  loro 
voglie  ambiziose;  e  seguitarono  con  una  franchezza 
portata  fino  al  cinismo  ad  insultare  la  libertà,  im- 
precare ai  liberali,  glorificare  l'impero,  benedire  la 
servitù ,  ed  invocare  l'inquisizione.  Ai  signori  Mon-j 


233 

talembert  e  Falloux,  che  credeano  pm  coiifaceateal 
loro  scopo  un  procedere  da  academìcì  e  da  diplo- 
matici, dava  noja  la  logica  selvaggia  del  Yeuillot,  il 
quale  svelando  crudamente  l'intimo  pensiero  del  ca- 
tolicismo, e  tirandone  audacemente  Xin  le  ultime  con- 
seguenze, rendeva  troppo  visibile  e  palpabile  l'anta- 
gonismo del  loro  sistema  con  la  società  odierna,  e 
quindi  troncava  recisamente  le  radici  alle  loro  mene, 
e  chiudeva  la  via  alle  loro  ambizioni.  E  fu  allora  che 
si  risolvettero  a  romperla  clamorosamente  con  YU- 
nivers  ed  a  bandirgli  la  croce  addosso,  denuncian- 
dolo per  un  difensore  della  chiesa  infinitamente  pia 
funesto  d'ogni  nemico.  E  allora  fu  che  costoro,  1  quali 
finché  quel  giornale  li  serviva  e  adulava,  Taveano 
sostenuto  e  ajutato  in  ogni  maniera  e  con  ogni  'sforzo 
possibile,  ed  erano  stati  i  primi  ad  applaudire  al  tono 
della  sua  polemica,  come  pieno  di  brìo,  di  spirita» 
di  calore,  d'eloquenza,  e  di  tutte  le  più  rare  doti 
letterarie;  non  videro  più  altro  in  esso,  appena  11 
loro  egoismo  cominciò  ad  esigere  una  tattica  ùìfSò^ 
rente,  fuorché  una  sentina  di  ogni  lordura,  e  fecero 
a  gara  chi  gli  gettasse  In  tàccia  accuse  più  gravi  ed 
Ingiurie  piji  sanguinose.  11  brio,  lo  spFrito,  il  calore, 
e  l'eloquenza  di  testé  diventarono  senz'altro  una  se- 
rie non  interrotta  mai  dì  sciocchezze,  di  maldi- 
cenze, di  menzogne, di  calunnie,  di  empietà,  di  sa- 
crilegi, e  dì  tutte  le  ribalderie  imaginabili.  E  il 
pio  giornale  non  mancò  certo  di  replicar  loro  per 
le  rime,  e  smascherò  senza  misericordia  la  loro  ipo- 
crìsia  tanto  verso  della  chiesa  quanto  verso  della  li- 
bertà; mostrò  ch'erano  gente  senza  principj  né  polì- 
tici, né  religiosi;  che  mutavano  di  programma  a  te- 
nore della  lor  vanità;  che  s'erano  fatti  un  tempo 
apologisti  del  catolicismo  e  banditori  della  reazione, 
perchè  speravano  di  salire  in  alto  per  tal  vhi  più 
presto  e  più  sicuramente;  che  ora  gridavano  contro 
II.  16 


Il  d6${)atisfiio  e  SM^iravano  uo  poco  di  liberta,  per^ 
•che  Napoleone  Don  avea  soddisfatto  alle  loro  brame; 
che  domani  tornerebbero  da  capo  a  far  da  gesuiti  e 
da  inquisitori,  ove  giovasse  meglio  ai  .calculi  della 
loro  ambizione.  —  Ecco  la  bella  e  gloriosa  trasfor- 
mazione, per  cui  è  passato  il  partito  catolico  in  Fran  - 
dal  V'ba  egli  esempio,  in  tutto  il  corso  della  storia 
umana,  d'un  partito  religioso  o  politico,  che  sia  an- 
dato a  finire  in  un  tal  abisso  dìgnominla? 
.Rispetto  poi  al  conte  di  Montalembert,  v'è  ancor 
qualche  cosa  di  più  piacevole  e  singolare.  In  prova 
della  prosperità  miracolosa  éogV  interessi  catolici  in 
Francia,  ^li  avea  magnificato  le  beatitudini  che  si 
godeva  la  chiesa  sotto  il  patrocinio  providenziaie  del 
Bonaparte.  Io  gli  dissi  che  pigliava  un  granchio  a 
secco,  e  gli  annunziai  che  non  tarderebbe  a  pentirsi 
del  suo  entusiasmo  per  uu  trionfo,  che  gli  si  volge- 
rebbe inevitabilmente  in  ruina.  Or  bene,  io  gli  posso 
già  citare  un  buon  testimonio  dell'adempimento  sì 
pronto  di  quel  ch'io  gli  prediceva;  ed  è  lui  stesso! 

lion  aveva  egli  ancor  deposta  la  penna  con  cu! 
scrisse  il  suo  libro,  che  la  protezione  dell'impero 
cominciò  a  sembrargli  un'  orribile  tirannia.  Commise 
l'imprudenza  di  dirlo  in  una  lettera,  la  quale  pas- 
sando d'qna  in  altra  mano  cadde  pure  in  quella  del 
fisco  imperiale,  che  gliene  mosse  tosto  querela  di^ 
nanzi  ai  tribunali.  Ma  per  quella  volta,  atteso  il  ca- 
jattere  affatto  privato  e  segreto  della  sua  querimo- 
nia, egli  ne  anc(p  impunito. 

Era  una  lezione,  di  cui  avrebbe  dovuto  far  tesoro 
per  r  avvenire,  s'egli  fosse  mai  capace  di  far  senno. 
All'incontro,  eccolo  poco  appresso  a  ricadere  in  colpa. 
L'odio  suo  contro  dell'impero  e  dell'imperatore  era 
in  breve  giunto  a  tale  da  offuscargli  la  ragione,  e  to- 
gliergli non  solo  ogni  resto  di  memoria,  ma  eziandio 
ogni  ombra  di  pudore.  Perocché  quel  medesimo  Moa- 


«8 
tateliibert,  che  avea  spesa  la  maggior  parte  della  sua 
vita  a  combattere,  a  deridere,  a  bestemiare  sa  tutti 
i  toni  il  protestantesimo,  e  per  conseguente  Tlnghil- 
terra  che  a  suo  avviso  ne  era  il  baluardo  e  il  san-» 
tuarìo  principale;  sì,  quel  Montalembert  medesimo 
non  si  peiltò  di  tessere  il  più  sbardeilato  panegirico 
deir  eretica  Inghilterra  e  della  sua  ereticissima  li- 
bertà, solo  a  fine  di  mettere  meglio  lo  rilievo  per 
via  del  contrasto  lo' stato  di  servitù,  in  cui  sotto  il 
catolicismo  napoleonico  giace  e  geme  la  Francia.  Ma' 
questa  volta  non  trattavasi  più  d'una  lettera  pri- 
vata, bensì  d'una  scrittura  pilblica,  e  con  la  circo- 
stanza aggravante  della  recidiva.  Il  catolico  fisco  del 
suo  imperatore  lo  citò  di  nuovo  in  giudizio^  l'accusa 
di  non  so  quanti  delitti,  l'uno  più  grave  dell'altro; 
e  il  catolico  tribunale,  così  in  prima  iastanza  come 
In  appello,  riconobbe  eccellenti  le  accuse  e  vane  lo 
difese  ;  e  condannò  (^tolicamente  H  signor  Montalem-* 
bert  co'l  gerente  e  l'editore  della  sua  rivista  (il 
Correspondant)  alla  multa  di  parecchie  milliaja  di 
franchi  e  alla  pena  di  parecchi  mesi  di  prigionia. 

DI  questa  sventura  nondimeno  egli  sarebbesl  con-* 
solato  dì  leggieri,  poiché  gli  porgeva  l'occasione  df 
meritarsi  la  corona  d'un  mezzo  martirio  a  sì  buoil 
mercato.  Ma  no,  né  pur  quell'eroica  soddisfazione 
gli  fu  concessa  da  quel  tipo  di  principe  catolico  che 
è  Napoleone.  Il  quale  gli  condonò  per  grazia  la  pena 
decretata  dalla  prima  sentenza  ;  e  benché  Montalem- 
bert fieramente  la  rifiutasse  co'l  pretesto  di  voler 
attendere  l'esito  dell'appello,  il  magnanimo  impera- 
tore non  s'adontò  del  suo  sdegnoso  rifiuto,  e  ^i  ri- 
novò  la  grazia  anche  dopo  la  seconda  condanna. 
Laonde  al  povero  conte  di  Montalembert  venne  di- 
sdetto di  raccogliere  dalla  sua  opposizione  perfino  il 
magro  frutto  di  poter  riassumere 'al  cospetto  della 
Francia  e  della  chiesa  l'aria  patetica  d'un  martire 


9^ 

della  proprio  causa,  e  aUìrare  verso  di  sé  raUen- 
sitoné,  la  pietà,  la  condoglianza,  l'ammirazione,  ch'ec- 
cita sempre  negli  animi  gentili  la  virtù  oppressa,  la 
fede  perseguitata  e  pun'Ha.  E  ben  gli  stai  Nessuno 
più  di  hii  ha  contribuito  ad  agevolare  a  Napoleone 
il  suo  colpo  di  Stato;  nessuno  s'affrettò  più  di  lui  a 
salutare  ti  2  decembre  come  un  trionfo  (1):  è  dun- 
que giusto  che  sia  ora  applicata  a  lui  stesso  -quella 
misura,  che  fece  un  dì  appfìcare  agli  altri.  Invocò 
«wo  spedizione  di  Roma  nelV interno;  e  Napoleone 
l  ha  fatta  anche  contro  di  lui.  Domandò  che  si  chiu- 
desse la  bocca  ai  socialisti,  e  Napoleone  ha  messa  la 
museruola  anche  a  lui;  che  si  ristabilisse  il  princi- 
pio d  autorità  contro  i  democratici,  e  Napoleone  V  ha 
rimesso  in  vigore  anche  contro  di  lui;  che  s'im- 
ponesse un  frèno  alla  licenza  parlamentaria  dei  repu« 
blicani,  e  Napoleone  ha  interdetta  la  libertà  della 
tribuna  anche  per  lui.  Di  chi  adunque  o  dì  che  si 
fogna?  Se  Napoleone  ha  un  torto,  gli  è  questo  solo, 

(I)  ficco  una  cii^osUiiKa  che  vuol  essere  notata.  È  1*  Uni* 
vert  medesimo  che  ta  racconta  ne'  termini  s^uenU  :  •  II.  de 
»  Montafemhert  vint  au  bureau  du  journal  {VUnivers)  le 
i  malin  du  2  decembre,  coni  me  il  y  était  venu  le  solr  da 

*  24  fóvrier,  non  pas  avec  angotsse  ni  pour  conseiller  la  ré- 
v  slstancc  :  bien  au  conirafre!  —  Ce  fut  dans  le  cabinet  da 
n  rédactèur  en  chef,  alors  absent  de  Paris,  sar  son  bureau, 
»  avec  sa  piume,  qu'il  écrivli  à  plusiears  cathoUqoes  dea  de* 
t  partements  pour  les  presser  d*adhórer  au  coup  d'Élat.  M.  de 
»  Falloiìx  n*a  guère  pu  igoorer  ces  délails;  M.  de  Montalem- 

•  bert  n*a  pu  les  oublier.  —  Par  quel  mauvais  conseil  d*ini- 
>  mille,  par  quel  besoin  de  nous  décrier,  ccs  deux  hommes 
»  considérablei  onl-ils  pu  s'accordar,  Tun  pour  dire,  l*au- 
»  Ire  pour  laisser  croire  que  VUnivers  s*élait alTranchl  deTln- 
9.  fluence  de  M.  de  Montalembert  depuis  iSi9,  et  que  le  9  dé> 
>»  cembre  il  marehali  seull  Nous  nò  marchions  pas  seais; 
»  nous  suivions,  de  bon  gre  d'aillcurs,  li.  de  Uontatembert 
a  qui  tensdt  la  lète  d'asses  loJn.  • 


2^ 
dì  non  aver  tatto  (^portare  anche  lui  insieme  coii 
fe  tante  mìUìaja  di  socialisti  e  di  democratici,  di  ci|i 
^i  avea  chiesta  e  richiesta  e  lodata  e  benedetta  la 
deportazione;  di  non  averlo,  cioè,  mandato  a  Lam^- 
fa^sa  o  a  Gajenna  a  meditare  con  tutto  suo  comr 
modo  la  spedizione  di  Roma  e  il  colpo  di  Stato. 

Tal  è  la  fine  della  prodigiosa  trasformazione,  cui 
Montalembert  c'invitava  ad  assistere  pochi  anni  fa, 
gridando  all'impazzata:  Noi  ahhiam  trionfatola...  E 
quando  io  gli  diceva,  che  siffatti  trionfi  valeano  le 
più  gravi  sconfitte,  e  che  noi  però  da  sinceri  ne^- 
mici  gliene  '  auguravamo  qualcun  altro  simile  per 
finirla  più  presto;  oh!  non  avrei  osato  sperare  che 
la  storia  venisse  così  prontamente  a  darmi  ragione. 
Il  colpo  di  Stato  del  2  decembre,  che  il  partito  ca- 
tolico  celebrò  come  sua  vittoria,  non  fa  altro  a  tutto 
rigore  che  il  suo  colpo  di  grazia,  e  tanto'  più  n]ilci- 
diale,  in  quanto  che  non  lo  .estinse  a  furia  di  pror 
«crizkmi  e  di  stragi,  ma  lo  condusse  a  disfarsi  da 
sé  medesimo  a  forra  di  gelosie,  di  rivalità,  e  di  scis*- 
«ure.  Esso  finì,  non  in  mezzo  al  compianto  che  ac- 
compagna le  grandi  e  nobili  sventure,  ma  tra  le 
fischiate  che  toccano  alle  ridìcole  e  vituperevoli  ca- 
dute. Ed  è  la  fine  che  si  meritava. 

Del  resto,  a  chi  ama  di  studiare  Tandamento  del«- 
rUmanith  nella  manifestazione  delle  leggi  più  intime 
e  più  caratteristiche  della  sua  vita  intellettuale  e 
morale,  non  facea  mestieri  di  questa  comedìa  per  ac^ 
certarsi  del  rapido  e  irresistibile  decadimento,  in  cui 
è  travolta  la  chiesa  di  Francia;  e  bastava  ad  esu^ 
beranza  il  fatto  deir inaudita  Sterilità,  onde  (sembra 
percossa  in  tutti  li  ordini  della  letteratura  e  della 
scienza.  Dopo  de  Maistre,  Chateaubriand»  e  Lamen- 
nais,  essa  non  ha  produtto  più  in  nessun  genere  di 
studj  uno  scrittore,  che  possa  sostener  il  paragone 
con  quelli,  che  vantano  in  gran  numero  le  altre 


«ss 

scQole.  IH)ve  sono  ì  Alofiofi  e  \ì  scienziati,  li  storici 
e  li  eruditi,  11  oratori  ed  i  poeti,  che  difendano  il 
catolicismo  con  un  millesimo  di  quel  valore  lette* 
rario  e  di  queirautorità  scientifica,  onde  l'oppugnano 
da  ogni  lato  tanti  scrittori,  che  la  Francia  ascolta 
con  più  di  rispetto,  studia  con  più  di  fervore,  am- 
mira con  più  d'entusiasmo?  L'unico  interprete  del 
catolicismo  francese,  che  meni  ancora  un  po' di  chiasso 
e  levi  un  certo  scalpore,  è  ogglmai  VUnwerSj  cioè 
un  libello  Infame.  Ma  un  partito,  la  cui  energia  let- 
teraria e  scientìfica  è  incarnata  tutta  in  un  pugno 
dì  libellisti,  è  peggio  che  morto:  è  infamato  per 
sempre, 

XI 

À  terminare  la  nostra  rassegna  e  compiere  la  no^ 
«tra  dimostrazione,  ci  rimane,  più  da  vedere  come 
Bieno  andati  i  negozj  del  catolicismo  nella  contrada, 
ove  ha  la  sua  sede  e  la  sua  capitale:  in  Italia. Mon- 
talembert,  se  vi  ricorda,  avea  profetato  che  la  restau- 
razione del  papato  per  opera  della  Francia  sarebbe 
stata  la  corona  di  tutti  i  trionfi  della  chiesa;  lad- 
dove io  gli  avea  sostenuto,  che  l'interessi  della  chiesa 
^rano  qui  minati  più  e  peggio  che  altrove,  sicché 
qvì  assai  men  che  altrove  era  probabile  e  possibile 
un  risurgimento  catolico.  Or  bene,  chi  di  noi  l'ha 
Indovinata?  a  chi  di  noi  ha  dato  ragione  la  storia? 

Nell'ordine  religioso  il  papato  ha  compito  un  grande 
iitto:  la  definizione  di  un  nuovo  artìcolo  di  fede.  Io 
non  entrerò  ad  esaminare  il  valore  intrinseco  e  dot- 
trinale del  dogma  deli' ìmmacuiata  Concezione,  che 
in  mezzo  alk  lunga  serie  d'assurdità  e  4'i  ridicolag^ 
gini  onde  s' intesse  il  simbolo  della  chiesa  romana, 
è  forse  la  cosa  più  ridicola  ed  assurda  di  tutte.  Ma 
quanto  ad  influenza  e  autorità  sociale,  che  profitto 


239 

ne  ridondò  a  Roma?  Una  nuova  usurpazione  dei  di- 
filli divini  dell*episcopato  a  benefizio  della  sede  pon- 
tificia; vale  a  dire,  una  specie  di  colpo  di  Stalo,  alla 
gesuitica,  tramato  e  consummato  con  tutte  le  finezze 
più  squisite  delFarle:  e  nulla  più.  Finora  le  defini- 
zioni rigorosamente  dogmatiche  erano  di  competenza 
della  chiesa  universale,  rappresentata  dai  vescovi  in 
concilio  con  alla  loro  testa  il  pai)a  ;  e  salvavano  così, 
almanco  In  apparenza,  il  titolo  e  la  forma  esteriore 
di  sentenze  lìbere,  pronunciate  al  chiarore  della  di- 
scussione publica  e  solenne.  Ora  il  papa ,  a  dispetto 
deirimmutabilità  della  chiesa,  ha  mutato  registro;  e 
temendo  non  senza  ragione,  che  un'assemblea  anche 
di  vescovi  potrebbe  oggidì  aprir  T  adito  a  qualche 
raggio  dello  spirito  moderno  e  cagionare  al  papato 
Inquietudini  ben  altrimenti  serie  che  quelle  di  Co- 
stanza e  di  Basilea,  s'appigliò  al  partito  di  trattare 
un  dogma  di  fede  come  un  intrigo  di  sacristia,  e  di 
consultare  ì  vescovi  in  privato,  alki  sordina,  a  fine 
di  poter  estorcere  11  loro  voto  a  man  salva,  sénz'al- 
cun  rischio  di  opposizione  oolletliva.  E  i  vescovi,  la 
cui  servilità  adegua  la  furberia  del  papa,  s'acconcia- 
rono di  buon  grado  al  piacer  suo;  gli  mandarono 
prima  per  lettera  il  loro  voto,  e  poi  andarono  a  Roma 
per  sancire  con  la  loro  presenza  Tesautorazione  del- 
l'episcopato e  r  esaltazione  del  pontefice  a  monarca 
assoluto  della  chiesa.  E  'se  per  il  catolicismo  gli  è 
cotesto  un  guadagno,  un.  trionfo,  se  l'abbia  e  se  Iq 
goda,  e  buon  prò  gli  facia  1 

Ma  nell'ordine  civile,  che  altro  fu  mai  quelhì  so- 
lennità ecclesiastica',  se  non  un  nuovo  documento 
della  decadenza  del  papato!  Oh!  passò  davvero  II 
tempo  che  la  voce  d'un  papa  dominava  il  mondo,  e 
che  una  definizioni  teologica  diventava  una  legge 
del  pensiero  e  del  sapere  umano  1  Mentre  Pio  IX  ban- 
diva urbi  et  orbi  il  suo  dogma  prediletto,  chi,  tranne 


m 

qualche  cenlioajo  di  vescovi,  di  preti,  e  di  iraUy 
raccolti  a  stento  in  Roma,  chi  gli  badava?  In  quei 
giorni  appunto  ardeva  già  la  guerra  d'Oriente;  e 
TEuropa,  che  assisteva  con  tanta  trepidazione  a  quella 
lutta  gigantesca  ed  avea  tutt' altro  per  lo  capo  che 
sua  saatità  e  la  sua  Madonna,  accolse  con  un  sor- 
riso di  compassione  o  con  un  sogghigno  di  disprezzo 
l'annunzio,  che  il  vicario  di  Dio  avea  prescritto  alle 
sue  pecore  un'assurdità  di  più  da  tenejre  per  articolo 
di  fede.  Eccetto  Roma,  dove  il  clero  è  padrone  e  si- 
gnore delie  anime  e  dei  corpi,  della  chiesa  e  dello  Stato, 
in  nessun  luogo  potè  quell'annunzio  ricevere  lacco- 
glienza  che  avrebbe  meritato  da  popoli  credenti;  in 
nessun  luogo  destò  nella  coscienza  publica  una  di 
quelle  profonde  commozioni,  che  rivelano  il  predo* 
Plinio  di  un  sentimento  e  di  un'idea  su  le  menti  e  su 
i  cuori  dell'universale.  Dovunque  il  clero  tentò  di  ce- 
lebrare con  feste  e  luminarie  il  dogma  di  Pio  IX 
apparve  troppo  manifesto  che  al  suo  appello  risponde, 
non  più  la  coscienza  generale  dd  popoli,  ma  l'inte- 
resse particolare  di  un  partito;  di  quel  partito,  cioè, 
che  in  Italia  comprende  solo  i  partigiani  dell'Austria, 
i  fautori  del  regresso,  i  satelliti  del  gesuitismo  :  gente 
che  tutta  insieme  rappresenta,  non  solo  la  minor 
parte  della  nazione,  ma  anche  la  meno  eulta  e  la 
meno  autorevole;  gente  che  i  popoli  sono  avvezzi 
oggimai  a  riguardare  con^  un  ostacolo  alla  loro 
emancipazione  e  come  uno  strumento  di  tutti  i  ìot^ 
interni  ed  esterni  nemici. 

Ho  accennato  all'ultima  guèrra  d'Oriente.  E  noi^ 
fu  anch'essa  un  segno  dei  tempi,  una  prova  sensi- 
bile dell'abbassamento  morale  e. sociale  della  chieda? 
Una  guerra,  in  cui  era  impegnata  più  di  mezza  Eun 


Sii 

ropa,  ed  a  cui  avea  dato  occasione  un  conililto  re- 
ligioso per  la  custodia  dei  così  detti  Luoghi  sani!, 
si  rompe,  si  combalte,  e  si  chiude,  senza  che  al  pre- 
teso capo  del  mondo  spirituale  sia  lecito  d'immi- 
schiarsene punto,  e  né  men  di  protestare  contro  le 
scandalo  inaudito  ch'essa  dava  ai  fedeli,  e  contro 
l'insulto  irreparabile  ch'essa  infligeva  al  diritto  ca- 
nonico. Perocché  quella  guerra  sembrava  concertata 
a  bello  studio  per  abrogare  di  fatto  i  principj  fon- 
damentali della  catolica  legislazione:  la  si  direbbe 
uno  scherno  satanico  della  chiesa  e  de'  suoi  codici 
sacri  e  de'  suoi  diritti  divini.  Eserciti  catolici  marr 
ciano  di  conserva  con  eserciti  protestanti  per  ac^ 
correre  alla  difesa  dell'impero  turco  contro  l'assalto 
di  uà  impero  cristiano;  e  nazioni  catoliche  fanno 
voti  per  la  vittoria  dei  protestanti,  nazioni  cristiane 
implorano  da  Dio  il  trionfo  dei  turchi;  e  il  pontefice 
della  santa  Inquisizione  è  costretto  ad  assistere  in 
silenzio  a  tanti  orrori,  ed  a  tolerare  in  pace  tante 
abominazioni  1  Egli,  che  nei  protestanti  e  nei  turchi 
non  vede,  né  può  veder  altro  se  non  gente  da  ster- 
minare a  ferro  ed  a  fuoco  in  nome  dì  Dìo,  egli  è 
condannato  invece  a  vederli  in  nome  della  civiltà 
soccorsi  e  protetti  e  difesi  dalle  genti  catoliche;  le 
quali  hanno  talmente  perduto  il  rispetto  e  smarrita 
fin  la  memoria  delle  leggi  della  chiesa,  che  s'egli 
venisse  ancora  a  bandire  una  crociala  per  l'estir-r 
pazione  dell'eresia  e  dell'islamismo,  accoglierebbero 
le  sue  bulle  con  uno  scroscio  di  risa,  comesi  farebbe 
dei  lazzi  d'un  vecchio  imbecille  o  rimbambito.  Ondo 
fu  più  che  mai  posto  in  piena  evidenza,  quanto  sia 
profondo  l'antagonismo  che  passa  fra  il  diritto  pun 
blìco  della  civiltà  e  il  diritto  canonico  della  chiesa; 
e  come  non  più  questo,  ma  soltanto  quello  governi 
le  relazioni  politiche  degli  Stati. 


Hi 

XIII 

Né  Tabbassamento  del  papato  è  minore  in  casa  snn 
che  fuori.  Pio  IX  ebbe  ad  accorgersene  con  lì  occhi 
proprj  nel  corso  del  viaggio  che  gli  pìaque  di  fare 
a  traverso  le  Provincie  del  suo  dombfìio,  e  per  le 
terre  toscane  che  visitò  nel  suo  ritorno  da  Bologna 
a  Roma.  Dalle  accoglienze  officiali  infuori,  che  non 
hanno  valoi'e  alcuno  perchè  pi^scritte  e  pagate,  il 
papa  trovò  dapertutto  un  contegno  pieno  d'indif- 
ferenza 0  di  disprezzo,  qual  s'addiceva  ad  un  uomo, 
the  spacciasi  rappresentante  di  Dio,  mentre  non  è 
the  la  personificazione  dell'ignoranza  e  della  barba- 
rle. Una  volta  un  papa  in  vJaggio  attirava  a  sé  li 
sguardi  del  mondo:  festeggiarlo  con  entusiasmo  re- 
ligioso era  Tunica  cura  dei  popoli,  che  ricevevano 
l'onore  della  sua  visitia;  accompagnarlo  co' voti  del 
cuore  era  Tunica  sollecitudine  degli  altri  popoli,  a 
cui  non  era  dato  di  bearsi  ddla  sua  presenza.  Ora 
invece  abbiam  veduto  i  lontani  badar  meno  alle  gite 
del  papa  che  a  quelle  dell'ultimo  principuzzo;  e  ì  vi- 
cini tirare  innanzi  pe 'i  fatti  loro  lasciando  andare  11 
papa  a'  fatti  suoi,  e  prendere  alle  feste  officiali  quella 
parte  soltanto  che  una  porzione  delle  moltitudini  pi- 
glia sempre  ad  ogni  spettacolo  gratuito  e  grandioso, 
qualunque  sia  il  motivo  o  il  personaggio  che  gli  dà 
occasione.  Ed  a  rendere  il  contrasto  vie  più  spie* 
tante,  il  viaggio  del  papa  coincideva  con  la  guerra 
di  Crimea,  la  quale,  chi  no'l  ricorda?  tenne  sospesi 
li  animi  in  Europa  per  tanto  tempo,  e  fu  il  suggello 
continuo  di  tutte  le  conversazioni,  il  pascolo  di  tutti 
I  desideri,  il  centro  di  tutti  i  timori  e  di  tutte  le 
speranze.  Al  rimbombo  del  cannone  si  scuotevano  i 
popoli,  che  alla  voce  del  Vaticano  non  porgevano 
ascolto;  le  mosse  dell'esercito  turco  erano  un  ayve- 


d&3 

Tilmento  europeo,  e  quelle  della  corte  ponUficìa  uà 
aifer  parocchiale. 

E  nelle  relazioni  con  11  altri  Stati  italiani  le  fa- 
cende  della  chiesa  procedettero  forse  meno  alla  peg- 
gio e  con  suo  minor  detrimento?  Presso  due  govèrni 
«ssa  avea  cominciato  ad  incontrare  una  certa  pier 
ghevolezza  a' suoi  desiderj:  a  Napoli  ed  a  Firenze;  e 
già  si  lusingava  di  stringere  con  ambltlue  un  con- 
cordato, il  quale  la  sciogliesse  dal  freno  ch'era  stato 
imposto  per  lo  passato  a'  suoi  abusi  e  alle  sue  usurf 
paztonl.  Ma  le  sue  instanze  ruppero  a  Napoli  contro 
ia  volontà  di  Ferdinando,  il  quale  con  tutta  la  sua 
'Osleotazìone  di  pietà  e  di  devozione  alla  chiesa,  non 
volle  però  detrar  nulla  al  suo  potere  assoluto,  né 
anche  in  favore  dei  clero;  ed  a  Firenze,  contro  la 
resistenza  delF  opinione  publlca,  che  non  permise  al 
governo  di  abrogare  intieramente  la  legislazione  leo^ 
poidina,  e  Tobligò  mal  suo  grado  a  tener  saldo  coa« 
tro  le  ultime  pretensioni  della  curia  romana^ 

Ad  ogni  modo,  quei  due  governi,  se  non  accor- 
darono tutto  quanto  loro  chiedevasi,  accordarono  pur 
sempre  qualche  cosa.  Or  bene,  questa  condiscendenza 
fu  per  li  Italiani  un  titolo  di  più  ad  odiarli  e  aborrirli 
ambidue;  talché  pud  dirsi,  rantagonismo  fra  la  chiesa 
B  l'Italia  essere  giunto  a  segno  che  Tuna  corre  seiii^ 
pre  a  ritroso  dell  altra;  Tuna  benedice  quel  che  Tal- 
tra  detesta;  per  Tuna  è  trionfo  o  sventura  quei  che 
per  l'altra  é  mina  o  fortuna. 

li  governo  toscano,  che  prima  del  48  era  ir  meno 
impopolare  dei  governi  italiani ,  perché  grazie  alle 
leggi  ed  alle*  instituzioni  di  Leopoldo  1  lasciava  go-^ 
dere  al  paese  i  benefizj  d'un  reggimento,  se  non  pot 
liticamente  libero,  almeno  civilmente  tolerablle  ed 
immune  dai  soprusi,  dalie  inframeltenzo,  dagl' intri- 
ghi dei  clero;  appena  si  diede  in  balia  alla  reazione 
e  volle  mandar  ad  effetto  il  programma  catolico,  ar- 


su 

chiteltato  fra  il  granduca  ed  il  papa  nel  conciliaboie 
di  Gaeta,  divenne  agli  occhi  di  tutta  Italia  il  più 
spregevole  insieme  e  il  più  ridicolo.  Lutto  dieci  anni 
per  convertire  la  gentil  Toscana  in  un  feudo  del  papa 
e  in  vivajo  del  gesuitume;  e  a  che  riuscì?  A  tirarsi 
«Mosso  rodio  di  tutto  il  paese,  a  scavarsi  da  sé  me- 
desimo la  sua  tomba;  riuscì  a  cadere  cosi  basso  nella 
paMica  opinióne,  che  ai  primi  rumori  di  una  guerra 
nazionale,  granduca  e  ministri  dovettero  fuggirsene 
ira  le  risa  e  le  fischiate  di  tutta  Italia,  in  atto  di  rei 
convinti  e  confessi,  che  sentono  il  peso  della  propria 
onta,  ed  hanno  per  somma  grazia  di  poter  con  IV 
sigilo  sottrarsi  ad  biraoclo  vendicatore  della  giustiziap. 
Di  Ferdinando  li  e  del  suo  governo  non  occorre 
parlare  a  dilungo.  La  coscienza  universale  d'Europa 
ba  battezzalo  per  l'ideale  del  tiranno  quel  mostro 
di  re,  che  Fio  IX  ebbe  l'impudenza  di  proporre  per 
modello  ai  principi  cristiani.  Novella  prova  del  ri- 
spetto, «he  i  popoli  in  generale  e  li  Italiani  in  ispe- 
dahà  professano  oggidì  agli  oracoli  della  chiessi:  per 
conoscere'  il  giudizio  di  quelli  basta  piglile  questi 
a  rovescio.  Né  solamente  iielle  materie  di  dottrina, 
ma  eziandio  nella  stima  ddle  persone  :  per  il  papa 
fiono  eroi  di  santità  coloro,  che  per  l'Italia  sono  fior 
di  ribaldi.  Del  resto,  come  tutte  lo  benedizioni  pa- 
pali non  valsero  a  salvare  Ferdinando  II  dall'esecra- 
zione dell'universo;  così  tutte  le  smorfie  catoliche 
di  costui  non  fruttarono  a  Roma  quell'ossequio  che 
essa  iùtendeva  di  guadagnarsi.  L' uno  cedette  solò 
in  qnantp  potea  giovare  al  suo  infame  despotisnio; 
e  l'altra  dovette  rassegnarsi  a  vedere  H  suo  modello 
di  principe  trattar  l'eletta  del  suo  clero  peggio  di 
quel  che  avrebbe  osalo  un  governo  eretico  o  rivo- 
luzionario. Ed  eccone  una  pròva,  che  merita  di  es-^ 
icfé  registrala. 


CiS 

—  »  ■ 

XIV 

Su'l  principio  del  1835  i  giornali  publieavaoo  una 
dichiarazione  dei  gesuiti  di  Napoli ,  firmata  dai  loro 
superiori  e  professori,  e  presentata  a  Ferdinando  IL 
Essa  era  del  tenore  seguente: 

«  Con  molta  sorpresa  abbiamo  sentito,  che  si  met- 
»  tòno  in  dubio  i  nostri  sentimenti  su  '1  conto  della 
»  monarchia  assoluta.  Crediamo  adunque  umiliarli  nel 
»  presente  foglio.  Noi  non  solo  nei  tempi  antichi,  ma 
»  anche  ne'  moderni  dal  nostro  ripfistlnamento  nel 
«  1S21  sino  al  giorno  d'oggi,  abbiamo  inculcato  sem- 
1»  pre  il  rispetto,  T amore,  e  la  devozione  al  re  no- 
•  stro  sigriore,  al  suo  gov^no,  ed  alla  forma  del 
)>  medesimo  che  è  monarchia  assoluta.  Questa  Tab- 
»  biamo  fatto  non  solo  per  oonvinéìmento,  ma  aiH 
»  che  perchè  i  <k)ttori  della  Compagnia,  quali  sono 
»  Francesco  Suarez,.  il  cardinale  Bellarmuìo,  e  tanti 
»  altri  teologi  e  publictsU^  della  medesima,  hanno 
9  pubitcamente  insegnato  la  monarchia  assoluta  e»*^ 
»  sere  la  migliore  forma  dì  governo.  Questo  l'ab^ 
»  biamo  fatto,  perchè  Tinterno  regime  della  Com- 
»  pagnia  è  monarchico;  e  però  siamo  e  per  massima 
p  e  per  educazione  devoti  alia  monarchia  assoluta, 
»  nella  quale  il  catoltcisDio  jper  la  sapienza  e  zelo 
»  di  un  re  pio  può  solo  avere  più  sicura  difesa  e 
»  prosperità.  Che  noi  pensiamo  e  crediamo  e  soste^ 
»  ttiamo,  che  la  monarchia  assoluta  sia  il  migliora 
»  de'  governi,  si  dimostra  dallo  schiacciamento  che 
»  abluamo  sofferto  neiranno  1848.  Noi  fummo  vit- 
9  time  del  liberalismo,  perchè  tutti  i  liberali  furono 
»  e  sono  troppo  persuasi  anche  ora,  che  ì  gesuiti 
»  sieno  fautori  delia  monarchia  assoluta.  Queste  cose 
»  sono  troppo  note;  e  tutto  il  libefalismo  più  facik- 
K  mente  crederà  non  surga  il  sole,  anziché  ammet* 


2iA 

»  tere  cbe  i  gesuiti  lo  favoriscano;  e  però  ogni  qoat 
»  volta  esso  vorrà  tentare  óna  rivoluzione,  per  pri- 
)>  mo  passo  scaccerà  i  gesuiti.  —  Che  se  questo  non 
»  basta  per  esser  noi  creduti  liberali,  preghiamo 
»  umilmente  la  vostra  Maestà  ad  avere  la  clemenza  di 
»  farci  indicare  che  altro  dovremmo  fare  per  poi 
»  essere  creduti  decisi  assolutisti.  » 

Non  è  à  dire  che  scandalo  cagionasse  fra  li  stessi 
catolici  quel  documento,  che  attestava  da  un  lato 
una  rottura  sì  grave  del  più  catolico  dei  governi 
eo'lpiùcatolico  degVinstituti:  e  dall'altro,  un  culto 
st  smaccato  al  despotismo  in  nome  dell'intiera  Gom-» 
pagnia.  Pareva  un  atto  troppo  indegno,  e  per  la  su- 
stanza  e  più  ancora  per  la  forma,  d'uomini  così  esperti 
nelle  arti  della  politica  e  nelle  regole  della  gram- 
matìca  edella  retorica,  come  sono  i  gesuiti;  quando 
in  mezzo  allo  sdegno  degli  uni  e  allo  stupore  degli 
altri,  ecco  una  nuova  dichiarazione  del  P.  Generale, 
io/o  accettabile  e  sola  autorevole  y  che  indirettamente 
e  tacitamente  condannava  quella  de' suoi  sudditi  na-* 
poletani;  e  proclamava  la  vera  professione  dì  fede 
politica  della Gompapia  ne' termini  seguenti: 

(c  Da  alcune  settimane  il  publico  e  la  stampa  par- 
i»  lano  molto  e  in  senso  diverso  delle  dottrine  e  della 
^  linea  di  condutta  adottata  dalla  Compagnia  di  Gesù, 
%  pertinente  alle  varie  forme  di  governo  politico. 

»  A  fronte  di  questa  polemica,  io  mi  credo  obli- 
if  gato  dal  dovere  dei  mio  officio  di  ricordare  ai  pa<* 
»  dri  provinciali,  quali  sieno  ì  principi  della  Gom- 
»  pagnia  su  questa  materia. 

»  La  Compagnia  di  Gesù  essendo  un  ordine  reli- 
»  gioso,  non  ha  altra  dottrina,  né  altra  regola  di 
»  condutta  fuori  quelle  della  santa  chiesa,  come  H 
»  mio  predecessore,  il  reverendo  padre  Roothan,  ebbe 
>  occasione  di  dichiarare  publicamente  nel  1847. 

»  ba  maggior  gloria  di  tìo  e  la  salvezza  delle  anl^ 


«7 
%  me,  ecco  ti  nostro  vero  ed  unico  iG[ne,a  cui  ten- 
»  diamo  con  le  opere  apostoliche  proprie  air  insti- 
>  tuto  di  S.  Ignazio. 

»  In  fatto  come  in  diritto  la  Compagnia  di  Gesù 
»  è  e  si  dichiara  estranea  a  tutti  i  partiti  politici, 
»  qualunque  sieno.  In  tutti  i  paesi  e  sotto  tutte  le 
»  forme  di  governo,  essa  si  limita  esclusivamente  al- 
i>  l'esercizio  del  suo  ministero,  non  proponendosi  che 
»  di  eseguire  il  suo  scopo,  il  quale  è  molto  lontano 
»  da  tutti  li  interessi  della  politica  umana. 

;)  Sempre  e  dapertutto  il  religioso  della  Compa- 
»  gnia  compie  lealmente  i  doveri  di  buon  cittadino 
»  e  di  suddito  fedele  al  potere,  che  governa  il  suo 
»  paese. 

»  Sempre  e  dapertutto  egli  dice  a  tutti  co' suoi 
»  insegnamenti  e  con  la  sua  condutta:  Retidete  a 
»  Cesare  quel  che  è  di  Cesare^  e  a  Dìo  ciò  che  è  di 
»  Dio^ 

»  Tali  sono  i  principj,  che  la  Compagnia  di  Gesù 
x>  ha  sempre  professato,  e  da  cui  non  si  dipartirà 
»  giammai.  » 

Non  mi  tratterrò  qui  a  ribatte/e  (che  non  fa  al 
proposito  nostro)  la  sfacciataggine  tutta  gesuitica, 
onde  il  P.  Generale  dà  una  mentita  non  solo  a  tanti 
governi,  ma  eziandio  a  tanti  papi,  che  accusarono 
e  condannarono  la  Compagnia  appunto  perchè  ha 
fatto  troppo  spesso  tutto  l'opposto,  perchè  s'immi- 
schiò negli  interessi  della  politica  umana,  perchè  si 
costituì  in  partito  politico,  perchè  congiurò  a  favore 
di  certe  forme  di  governo  e  contro  dì  certe  altre, 
perchè  non  volle  limitarsi  esclusivamente  alV esercizio 
del  suo  ministero,  né  compiere  lealmente  i  doveri  di 
buon  cittadino  e  di  suddito  fedele  al  potere  che  go- 
verna il  suo  paese.  Quel  che  importa  notare  si  è  la 
contradizione  aperta  fra  il  capo  e  i  membri  della 
Compagnia.  Dov'è.aduuque  la  tanto  vantata  unità  di 


«48 

t)ensìeri  e  di  sentimenii  del  catolicismo?  E  se  ì  ge- 
suiti, che  SODO  pure  la  sua  legione  sacra,  la  sua 
guardia  privilegiata,  non  s'intendono  più  fra  loro  e 
si  smentiscono  a  vicenda;  che  sarà  del  corpo  intiero 
della  chiesa,  ove  si  urtano  tanti  interessi  e  taniS 
partili  contrarj? 

Ma  le  disensioni,  presso  chiunque  ama  e  rispetta 
l'indipendenza  dell'animo,  la  libertà  dello  spirito 
non  sono  per  sé  stesse  un  gran  male;  e  noi  le  con- 
doneremmo ai  gesuiti  medesimi,  ove  le  fossero  nate 
da  una  sincera  diversità  d'opinione,  e  dal  bisogno 
commune  a  tutti  di  non  mentire  alla  propria  co- 
scienza. Se  non  che  una  tale  spiegazione  del  contra- 
sto fra  le  due  dichiarazioni  gesuitiche  vien  esclusa 
dal  racconto,  che  i  fogli  clericali  stessi  han  divul- 
gato dei  dissapori  fra  il  governo  di  Napoli  e  il  cpl- 
Teglo  del  Nuovo  Gesù:  racconto,  da  cui  invece  siamo 
informati,  che  la  professione  di  assolutismo  dei  pa- 
dri napoletani  non  è  un  atto  di  coraggio  verso  il 
loro  Generale,  ma  un  atto  tli  codardia  verso  il  loro 
re;  non  è  figlia  della  coscienza,  ma  della  paura. 

Il  governo  napoletano  erasi  insospettito  dei  ge- 
suiti per  certe  dottrine  della  loro  Civiltà  catolica, 
le  quali  gli  parevano,  e  non  a  torto,  un'offesa  alla 
legislazione  del  Regno,  e  un  tentativo  per  risuscitare 
la  supremazia  del  potere  ecclesiastico  su  '1  civile,  e 
per  emancipare  il  clero  dalla  tutela  ch'esercita  il  re 
sopra  di  lui,  massime  in  Sicilia,  in  virtù  di  facultà 
speciali  e  privilegiale  che  i  suoi  predecessori  aveano 
per  amore  o  per  forza  ottenuto  dai  papi.  Cominciò 
quindi  il  governo  a  sorvegliare  con  molta  severità 
la  publicazione  periodica  della  Compagnia;  poi  la 
sottopose  ad  una  censura  particolare  ;  e  infine  le  in- 
terdisse affatto  l'entrata  negli  Stati.  I  gesuiti  si  dol- 
sero forte  d!  una  simile  vessazione  da  parte  d'un 
governo,  che  per  tanti  altri  titoH  era  così  ben  fatto 


249 

t  loro  hnaglne  «  sitniglianza  ;  ed  esposero  le  loro  la- 
gnanze in  uno  scritto  segreto,  onde  intendevano  di 
giuslificarsi  quasi  privatamente  presso  dei  loro  amici 
della  picela  persecuzione  ch'avea  incorsa  la  Civiltà 
nelle  Due  Sicilie.  E  credendo  essi  di  parlare  in  con- 
fidenza,  sfogarono  il  loro  dolore  senza  le  consuete 
precauzioni  gesuitiche,  e  tennero  un  linguaggio  poco 
ossequioso  alla  polizia  napoletana.  Ma  quello  scritto, 
per  loro  mala  ventura,  cadde  pur  in  mano  al  go- 
verna di  Ferdinando  II,  il  quale  non  è  a  dire  che 
acerbe  e  fiere  querele  ne  movesse  e  al  generale  della 
Compagnia  e  alla  corte  di  Roma.  Il  primo  si  studiò 
di  calmar  la  tempesta,  allegando  il  carattere  affatto 
privato  della  scrittura,  che  avea  recato  tanta  offesa 
al  miglior  dei  governi  e  air  ottimo  dei  re;  offrejido 
ogni  maniera  di  scuse  per  tutte  lo  frasi  o  parole, 
che  avessero  sonato  male  agli  orecchi  di  qualche  mi- 
nistro napoletano;  e  dando  ogni  sicurtà,  che  per 
l'avvenire  si  veglierebbe  più  rigorosamente  che  i>er 
lo  passato  a  cancellare  dalle  copie  della  Civiltà  da 
spedirsi  a  Napoli  tutto  quanto  non  fosse  perfetta- 
mente conforme  ai  gusti  del  re  e  del  suo  mini- 
stero e  della  sua  polizia.  La  seconda  poi  andò  più  ol- 
tre ancora;  e  per  veder  di  mantenere  la  pace  e  la 
concordia  fra  i  suoi  fcdeloni,  rimosse  dall'officio  di 
censore  colui  che  avea  lasciato  stampare  nella  Ci- 
viltà  li  articoli,  di  cui  si  ]agna\'a  il  governo  di  Na- 
poli; e  mandò  via. dagli  Stati  pontifìcj  il  P.  dirci, 
uno  de' principali  e  de- più  arrabiati  compilatori  della 
gesuitica  rivi^ta.  Ma  tutte  queste  soddisfazioni  non 
bastarono  al  piissimo  re:  la  cacciata  dei  gesuiti  dal 
Regno  fu  risoluta;  e  l'editto  terribile  era  già  prónto, 
quando  nella  notte  del  18  novembre  1854  il  diret- 
tore di  polizia,  conoscendo  forse  meglio  d'ogni  altro 
con  qual  razza  di  gente  s'avesse  da  fare,  volle  tentar 
un'ultima  prova.  Andò  dal  P.  provinciale,  e  gli.  an- 
11.  17 


250 

nunzio  ch'era  presta  la  nave  per  trasportare  lui  ei 
!  suoi  confratelli  fuori  dello  Stato  quella  notte  stessa, 
e  che  lì  altri  sparsi  nelle  Provincie  li  seguirebbero 
Incontanente.  Una  sola  via,  aggiunse  egli,  vi  rimane 
aperta  per  sottrarvi  al  bando:  ed  %  di  fare  la  di- 
chiarazione, che  la  Compagnia  professa  l'assolutismo 
qual  vera  ed  ottima  forma  <li  governo.  Il  P.  provin- 
ciale rifiutò  su  le  prime,  dicendo  che  se  là  loro  fe- 
deltà al  re  era  posta  in  dubio,  si  chiamassero  in  giu- 
dizio, e  si  purgherebbero  da  ogni  sospetto.  Mail  de- 
gno ministro  di  Ferdinando  stette  fermo,  e  il  ge- 
suita cedette  e  sottoscrisse  insieme  co'  superiori  e 
professori  del  collegio  quella  turpe  dichiarazione,  det- 
tata quasi  alla  lettera  dal  prefètto  stesso  di  polizia. 
La  dimane,  accortisi  del  loro  fallo  e  spaventati  della 
loro  stessa  viltà,  cercarono  di  revocare  quell'atto  in- 
fame, e  chiesero  che  fosse  loro  restituito:  ma  era 
troppo  tardi.  La  dichiarazione  loro  era  già  stata  im- 
pressa e  distribuita  al  corpo  diplomatico,  dalle  cui 
mani  passò  presto  in  quelle  d'un  giornalista,  che  si 
recò  a  fortuna  di  publicarla  per  porgere  al  mondo 
un  nuovo  documento  delle  turpitudini  del  gesuitismo- 
Così  quei  reverendi  padri,  che  sono  pure  le  più  ro- 
buste colonne  della  santa  chiesa,  per  11  semplice  ti- 
more d'uno  sfratto  dal  Regno  mentirono  alla  propria 
coscienza,  e  giurarono  una  dichiarazione  contraria 
ai  loro  principi  e  ai  loro  doveri;  cioè  providero  al 
loro  interesse  a  prezzo  d'una  viltà,  clìe  intricava 
uno  spergiuro  ed  equivaleva  ad  un'apostasia. 

Ecco  i  trionfi  del  catolicismo  negli  Stati  Italiani, 
che  pur  sono  ancora  per  lui  la  sua  terra  promessa! 

XV 

A  portare  fino  all'  ultima  .evidenza  il  oontrapo^ 
profondo  e  universale  che  ^rie  fra  l'Italia  e  la 


tu 

chiesa ,  conviene  finalmente  vedere  il  rovescio  della 
medaglia.  Perocché  se  da  un  lato  l'ossequio  a  Roma 
perdette  i  governi  di  Toscana  e  di  Napoli,  dall'altro 
invece  la  resistenza  al  papà  guadagnò  al  governo 
del  Piemonte  la  stima  e  la  fiducia  di  tutta  la  na- 
zione; talché  diresti  che  oggimai  per  li  Stati  le  be- 
nedizioni della  chiesa  sono  il  preludio  della  rulna,  e 
li  anatemi  il  presagio  della  grandezza. 

Son  dieci  anni  che  il  papa  seguita  a  gridare  con- 
tro il  governo  piemontese:  preghiere  e  minacce,  in- 
trighi di  corte  e  di  sacristia,  monltorj  e  scommuni- 
che,  tutte  le  sue  armi  comiche  e  tragiche  adoperò 
per  metterlo  in  uggia  e  in  orrore  ai  popoli;  ma  sem- 
pre invano.  Pianse  e  strillò  su  tutti  i  toni  per  Ta- 
bolizione  del  foro  ecclesiastico,  per  Fesiglio  degli  ar- 
civescovi di  Torino  e  di  Cagliari,  per  la  diminuzione 
degli  ordini  religiosi,  per  la  proposta  del  matrimonio 
civile,  per  la  libertà  di  stampa  e  di  culto,  per  tutto 
quel  po' di  bene  insomma  che  s'è  cavato  dalle  nostre 
libere  instituzioni ,  le  sole  scampate  alla  catastrofe 
italiana  del  49;  ma  sempre  indarno.  Ad  ogni  riforma 
che  il  governo  propose,  il  paese  applaudì  sempre  con 
tanto  più  d'entusiasmo,  quanto  più  doveva  esserne  fe- 
rita nel  vivo  la  corte  di  Roma.  Un  solo  rammarico 
turbava  la  publica  soddisfazione;  ed  era  che  il  go- 
verno procedesse  troppo  lento  e  rispettivo  in  questa 
bisogna;  che  si  contentasse  di  rimedj  parziali  e  be- 
nigni in  luogo  di  troncar  il  male  dalla  radice  ;  e  che 
usasse  tanti  riguardi  con  una  fazione,  la  quale  noti 
ne  merita  nessuno. 

E  non  ne  merita  davvero.  La  setta  clericale ,  che 
si  pregia  d'essere  interprete  fedele  del  papa,  e  che 
dal  papa  riceve  ogni  maniera  di  benedizioni  e  di  fa-  ' 
vori  a  testimonianza  del  suo  affetto  ed  aggradimento, 
è  in  guerra  aperta  ed  accanita  contro  la  nostra  li- 
bertà, e  se  ne  vanta  ;  fa  all'amore  co'  nostri  nemici. 


£52 

e  «e  De  gloria.  Per  essa  la  dommazione  deirAustrla 
è  uQ  diritto  sacro,  l' indipendenza  d'Italia  un'im- 
presa  scelerata.  La  sua  stampa  è  un  continuo  appella 
alja  ribellione,  alla  discordia,  alla  guerra  civile  in 
jaome  di  Dio  e  della  chiesa.  £  se  le  sue  arti  fratri- 
cide non  approdano ,  se  ì  suoi  sforzi  non  riescono, 
segno  è  càe  la  sua  voce  non  trova  più  eco  nel  po- 
polo, che  le  sue  scommunìche  non  fanno  più  paura, 
che  le  sue  armi  difensive  ed  offensive  non  le  ser- 
vono più  a  nulla,  11  popolo  ride  saporitamente  delle 
finte  lacrime  dei  vescovi  e  degli  affettati  gemiti  del 
|)apa;  li  lascia  cantare  e  gridare  tutti  a  loro  posta; 
Jb  tira  innanzi  tranquillamente  per  la  sua  via.  11  go*- 
.verno  non  fu  mal  tanto  sicuro  di  sé  e  del  paese, 
qiianto  dopo  il  suo  conflitto  con  Roma;  la  sua  au- 
torità morale  venne  sempre  crescendo  a  mano  a 
mano  eh'  egli .  si  emancipava  d^lla  superstiziosa  e 
Ignominiosa  tutela  del  papato. 

E  crefebe  del  pari  la  sua  influenza  politica  nel  ri- 
manente dltalia.  Finche  il  Piemonte  fu  in  balìa  del 
gesuitismo  e  sotto  la  verga  dèlia  chiesa ,  esso  era 
per  l'Italia  geograficamente  un  quinto  e  politica- 
mente uno  zero.  Ma  cacciati  1  gesuiti,  scosso  11  giogo 
del  clero,  e  rivendicata  l'indipendenza  civile  dello 
St^to  da  Roma,  il  Piemonte  divenne  in  un  decennio 
il  vero  nucleo  di  tutta  la  nazione.  A  lui  rivolsero 
li  occhi  le  altre  provincìe  italiane;  in  lui  riposei*o 
le  loro  speranze;  con  lui  si  consigliarono  circa  i  modi 
e  l  mezzi  da  apparecchiare,  da  tentare  la  nuova  ri- 
scossa. E  appena  fu  loro  dato  di  manifestare  i  prò- 
pri  voti,  dichiararono  tutte  di  volérsi  aggregare  pu- 
ramente e  seraplicemenle  al  Piemonte,  e  riunirsi 
tutte  insieme  sotto  il  suo  re  ed  il  suo  Statuto. 
.  Fra  le  quali  provincìe  van  notate  particolarmente 
le  Romagne,  siccome  quella  che  decretando  di  scam- 
biare il  governo  pontificio  co  '1  piemontese ,  pdsero 


253 

propriamenle  il  suggello  al  divorzio  deiritalia  da  Roma. 
S'è  falla  in  prima  la  prova  del  suffragio  popolare,  e 
milliaja  di  voli  risposero  di  non  riconoscere  più  il 
potere  del  papa  e  d'invocare  Tannessione  al  Piemonte. 
Sì  è  poi  rifattala  prova  di  consultare  un  Parla- 
ménto; e  il  Parlamento  ad  unanimità  confermò  ir 
plebiscito:  E  queste  prove  acquistarono  un  signifi- 
cato ed  un  valore  ancor  più  grave  da  ciò,  ch'ebbero 
luogo  dopo  una  solenne  allocuzione  ed  enciclica,  inf 
cui  il  papa  aveva  anticipatamente  scagliati  tutti  i 
fulmini  del  sacro  arsenale  contro  chiunque  avessiB 
toccato  al  patrimonio  inviolabile  della  sua  chiesa; 
Fra  i  tanti  monumenti  d'infamia,  che  pesano  e  pe- 
seranno lungamente  su  la  memoria  del  papato,  quel- 
l'enciclica ed  allocuzione  del  20  giugno  1859  pri- 
meggierà  sempre,  e  varrà  a  testificare  ai  posteri; 
Come  un  vicario  di  Dio  non  si  vergognasse  d'ado- 
perare in  nome  della  sua  chiesa  un  linguaggio,  che 
farebbe  ribrezzo  alla  feccia  del  vulgo. 

XVI 

I  fatti,  cui  allude  il  papa,  sono  cos'i  recenti  e  n(H 
lorj,  che  non  fa  ftiestierl  di  raccontarli.  Rotta  la 
guerra  contro  T Austria,  e  cominciate  le  mosse  vit- 
toriose degli  eserciti  alleati,  i  presidj  austriaci, 
che  occupavano  una  gran  parte  degli  Stali  pontific), 
vennero  richiamati.  Le  città,  rimaste  in  balìa  d'un 
potere  senza  forza  né  materiale  né  morale,  s'agitano, 
tumultuano.  I  rappresentanti  del  Commune  vedono  gra- 
vemente minaccialo  l'ordine  publico,  ed  il  paese  in 
procìnto  di  cadere  nell'anarchia;  ma  sentono  pure 
che  a  scongiurar  tanta  tempesta,  a  disciplinare  tante 
passioni,  basta  far  appello  al  sentimento  nazionale 
dei  pppoli,  i  quali  non  anelano  in  suslanza  ad  altro 
che  a  cooperare  anch'essi  alla  liberazione  e  aH'indi- 


pendenza  dltalia.  Si  presentano  quindi  ai  legali,  de-r 
legati,  0  prolegati  del  papa;  espongono  loro  lo 
stato  delle  cose,  dichiarando  che  T ordine  è  assicu- 
rato, purché  sia  concesso  al  popolo  di  prender  parte 
alla  guerra  nazionale  e  di  concorrere  con  tutte  le 
sue  forze  al  riscatto  della  patria.  Ma  quei  degni  vi- 
cari del  vicario  di  Dio  rifiutano  il  patto,  non  vo- 
gliono romperla  con  l'Austria,  ed  abbandonano  le 
città  a  sé  stesse.  Allora  i  reggitori  del  Gommune,  in- 
vestiti di  pieni  poteri  pe*  1  fatto  stesso  della  fuga 
de'  ministri  papali,  commettono  la  tutela  delFordine 
publico  ad  un  consiglio,  composto  dei  personaggi  più 
autorevoli  del  paese;  e  questi,  fedeli  al  loro  man- 
dato, ch'era  solo  di  contribuire  alla  guerra,  invocano 
la  protezione  e  la  dittatura  militare  del  Piemonte, 
unico  governo  italiano  che  sostenesse  degnamente 
l'onore  d'Italia  contro  dell'oppressore  straniero.  E  il 
Piemonte,  scrupoleggiando  fin  troppo  su  i  riguardi 
dovuti  all'autorità  del  pontefice,  ricusa  la  dittatura 
propriamente  detta,  ed  accetta  solo  la  direzione  mi- 
litare per  raccogliere  ed  ordinare  tutte  le  forze,  che 
quelle  provincie  italiane  forùirebberó  all'esercito  li- 
beratore. E  senza  punto  turbare  la  publica  quiete, 
senza  torcere  un  capello  a  nesauno  dei  satelliti  pa- 
pali, prima  le  Romagne,  poi  le  Marche,  poi  l'Umbria 
s'appigliano  a  quel  partito,  ed  attendono  un  commis- 
sario piemontese  per  rimettergli  il  governo  delle  cose 
militari,  mentre  i  consiglj  communali  seguiterebbero 
ad  amministrare  il  paese  senz'  altre  novità ,  riman- 
dando a  guerra  finita  la  riforma  dello  Stato. 

Tal  fu  il  procedere  di  quei  popoli,  e  tale  il  pro- 
cedere di  quel  governo.  Li  uni  hanno  adempito  il 
loro  dovere,  laddove  l'altro  ha  mancato  al  suo;  onde, 
dinanzi  al  tribunale  della  ragione  e  della  coscienza 
umana,  quelli  meritano  ogni  lode  per  il  loro  patrio- 
tismo  e  per  la  dignità  civile  con  cui  seppero  go- 


vernarsF;'  questo  iiayeoe  merita  ogni  biasimo  per  la 
sua  alleanza  co  1  nemico  della  patria  e  per  la  sua 
•pposizione  al  più  legitimi  voti  ed  ai  più  sacri  di- 
ritti di  quelle  Provincie  d'Italia.  Chi  avrebbe  dun* 
que  avuto  ragione  di  lagnarsi  e  di  farla  da  accusa- 
toro,  era  il  popolo;  e  chi  all'opposto  avrebbe  do- 
vuto tacere  per  vergogna  e  riconoscersi  reo,  era  il 
papa.  Or  bene,  udite  come  s'intenda  la  morale  e  si 
osservi  la  giustizia  e  sì  rispetti  il  pudore  da  colui, 
die  osa  intitolarsi  rappresentante  ed  interprete  offi- 
elale  di  Dio.  La  sua  allocuzione  tenuta  nel  conci- 
storo segreto  il  2(K  giugno  1859  incomincia  così  : 

«  Al  vivo  dolore,  da  cui  insieme  con  tutti  i  buoni 
»  ci  sentiamo  oppressi  per  la  guerra  eccitatasi  fra 
»  nazioni  catoliche,  altro  grandissimo  se  ne  aggiunge 
»  per  la  lacrimevole  mutazione  e  disordine  di  cose, 
»  che  per  nefanda  opera  e  ardimento  al  tutto  sa- 
»  crilego  di  uomini  empj,  testé  avvenne  in  alcune 
»  Provincie  del  nostro  pontificio  dominio.  Voi  ben 
»  intendete,  V.  f.,  che  noi  ci  dogliamo  con  queste 
»  parole  di  quella  scolorata  congiura  e  ribellione  di 
»  faziosi  contro  il  sacro  e  legitimo  principato  civile 
»  nostro  e  di  questa  santa  sede;  la  quale  congiura 
»  e  ribellione  alcuni  Iniquissimi  uomini  dimoranti 
»  nelle  stesse  Provincie  osarono  tentare,  promuo- 
»  vere,  e  compiere  con  clandestine  ed  inìque  cou- 
»  venticole„  con  mene  turpissime  tenute  con  persone 
»  di  Stati  limitrofi,,  con  libelli  fraudolenti  e  calun- 
»  niosi,  con  armi  provedute  e  venute  di  fuori,  e  con 
»  moltissimi  altri  inganni  ed  arti  perverse.  » 

Questo  è  l'esordio;  respiriamo.  Per  sua  santità, 
adunque,  il  proposito  di  concorrere  alla  liberazione 
della  patria  dalla  tirannide  d'un  usurpatore  straniero, 
è  disordine,  opera  nefanda^  e  ardimeli!^  al  tutto  sa- 
crilego; li  uomini,  che  a  rischio  della  vita  e  a  costo 
d'ogni  sacrifizio  tentano  l'impresa,  sono  empj,  fastosi. 


256 

e  inlquissimt;  e  ii  sforzi  Che  sesfengono  per  effet- 
tuarla, sono  congiura  e  ribellione  scelemta,  conven-- 
ticole  inique^  mene  iurpissime,  libeìH  fraudolenti  9 
calunniosi^  inffdnni  ed  arti  perverse.  Eccovi  uu  primo 
saggio  deila  buona  fecte,  ddla  carità,  e  della  giusti- 
zia, onde  quella  caricatura  di  semidio  giudica  uomini 
e  cose.  —  Passiamo  al  secondo: 

«  In  fatti,  in  Bologna  ri  giorno  12  di  questo  mese, 
«  dopo  che  inopinatamente  ne  partirono  le  truppe 
«  austrìache,  i  congiurati  più  segnalati  per  audacia, 
«  senza  fraporre  indugio,  conculcando  tutti  i  divini 
«  ed  umani  diritti,  e  rilasciato  ogni  frèno  all'ini- 
«  quità ,  non  ebbero  orrore  di  tumultuare,  e  di  ar- 
te mire,  radunare,  e  guidare  la  guardia  urbana  ed 
«  altri,  e  recarsi  al  palazzo  del  nostro  cardinale  le- 
«  gato;  ed  ivi,  lohe  le  armr  pontificie,  inalzare  e 
«  collocare  in  loro  vece  il  vessillo  della  ribellione, 
«  con  somma  indegnazioné  e  fremito  degli  onesti  càt- 
«  tadtnì,  ì  (jiiali  non  si  arrestavano  punto  di  ripro- 
«  vare  Hberamente  sì  gran  delitto,  e  di  applaudire 
«  a  noi  ed  al  nostro  pontificio  governo.  » 

Come  vedete,  il  padre  santìssimo  e  beatissimo  pro- 
cede di  bene  in  meglio.  Nd  suo  sacro  vocabolario 
il  chiedei'e  di  prender  parte  alla  guerra  nazionale  e 
d'accorrere  in  ajuto  delia  patria  pericolante,  si  chiama 
conculcare  tutti  i  divini  ed  umani  diritti,  rilasciare 
ogni  freno  alV iniquità,  e  a  dirittura  un  gran  delitto; 
la  bandiera  deirìndipehdenza  italiana  s'appella  vessillo 
della  ribellione;  la  canaglia  che  parteggia  per  Top- 
pressore  sono  //  onesti  cittadini;  e  Fa  viltà  con  cui 
essi  fttgono,  taciono,  si  nascondono,  o  rinegano  la 
loro  causa,  sì  converte  in  nobile  indegnazione  e  fre^ 
mito,  in  libera  riprovazione  del  governo  nuovo,  ed 
in  eroico  applauso  all'antico.  Non  ci  vuol  egli  la 
fronte  d'un  papa  per  mentire  cosi  sfacciatamente  al 
cospetto  del  mondo,  e  insultare  così  cìnicamente  agli 


S57 
sffetl)  più  degni  del  eaore  umano?  —  II  secondo 
saggio  d'eloqueniza  papale  non  la  cede  al  primo. 

Veniamo  al  terzo  :  «  Poi  dagli  stessi  ribelli  fu  intimata 
Tb  la  partenza  allo  stesso  cardinale  nostro  legato,  il 
D  quale,  secondo  il  dovere  del  suo  offìcio,  non  la- 
»  sciava  di  opporsi  a  tanti  scelerati  ardimenti ,  e 
»  di  sostenere  e  difendere  i  diritti  e  la  dignità  no- 
»  stra  e  di  questa  santa  sede.  Ed  a  tal  segno  d'ini- 
»  quità  e  d'Impudenza  vennero  i  ribelli,  che  non 
»  temettero  di  mutare  il  governo,  e  chiedere  la  dil- 
»  taiura  del  re  di  Sardegna,  e  per  questo  fine  man- 
»  direno  loro  deputati  allo  stesso  rè.  Non  potendo 
»  dunque  il  nostro  legato  impedire  tante  malvagità 
»  e  più  a  lungo  sostenerle  ed  esserne  spettatore, 
»  IHiblicò  a  voce  ed  in  iscritto  un»  solenne  prote-^ 
»  sta  contro  quanto  erasi  operato  da  quei  faziosi  a 
»  danno  dei  diritti  nostri  e  di  questa  santa  sede,  e 
»  costretto  a  partire  dì  Bòloigna  mosse  a  Ferrara.  Le 
»  nefandezze  di  Bologna  vennero  con  li  stessi  col* 
»  pevoli  modi  operate  altresì  in  Ravenna,  in  Perù* 
»  già,  ed  altrove,  con  commun  lutto  de' buoni,  da 
»  uomini  scelerati.  —  Laonde  nelle  anzidette  città 
»  si  vede  per  opera  dei  faziosi  conculcata  Tautorità 
p  di  ogni  legge  divina  ed  umano....  inalberati  i  ves- 
»  siili  della  ribellione....  e  commessi  altri  non  pochi 
y>  delitti  di  fellonia.  » 

La  litania  degl'improperj  papali  va  sempre  cresceùdo. 
Li  atti  di  patriotismo  sono  scelerati  ardimenti^  ec- 
cessi d'iniffuità  e  d'impudenza,  di  malvagità  e  dì  ne- 
fandezze.  Menigli  contro  l'autorità  di  ogni  legge  di- 
vina ed  umana,  e  delitti  di  fellonia;  e  i  patrioti  più 
specchiati,  i  personaggi  più  rispettabili  e  più  rispet- 
tati sono  ribelli,  faziosi,  uomini  scelerati,  —  Questo 
diluvio  di  contumelie,  indegno  d'un  paltoniere  ubriaco, 
ò  però  degnissimo  di  quella  bocca,  che  si  dice  or- 
gano dello  Spirito  Sauto.  Da  essa,  usa  per  vecchia 


consuetudine  a  profundete  tutte  le  sue  servilfe  venalT 
benedizioni  alle  spie,  ai  ladri,  agli  spergiuri,  agir 
assassini,  ai  traditori  della  patria,  nessun  galantuomo 
potrebbe  accettar  altro  che  l'onore  de' suoi  vituperi;, 
siochè  1  patrioti  romagnoli  sapranno  grado  al  papa 
delle  sue  svergognate  maledizioni,  le  quali  sono  la 
più  splendida  testimonianza  dei  loro  meriti  verso  lat 
patria. 

Il  resto  dell'allocuzione  è  tutto  dello  stesso  tenore. 
Li  atti  di  quei  popoli  e  di  quei  governi  sono  ancor» 
dichiarati  dalla  voce  Tnfallibìle  del  bugiardo  succes- 
sore dWieìTOy  iniqui  machinamenti  e  tentativi  e  frodi, 
empj  e  nefandi  sforzi  ed  attentati,  atti  nulli  del  tutto» 
e  illegitimi  e  sacrileghi.  Poscia  il  papa  fìilmìna  con- 
tro di  tutti  la  scommunica  maggiore  e  le  altre  pene 
e  censure  ecclesiastiche;  e  conchiude  ipocritamente 
così: 

«  Intanto,  mentre  spinti  dal  debito  del  nostro  of- 
w  fìcio  siamo  costretti,  non  senza  grave  dolore  del- 
»  l'animo,  a  dichiarare  e  promulgare  tali  cose,  com- 
»  miserando  alla  lacrimevole  cecità  di  tanti  figliuolf,. 
»  noi  non  desistiamo  di  domandare  umilmente  e  in- 
»  stantemente  dal  clementissimo  padre  di  misericor- 
»  dia,  che  con  la  sua  onnipotente  virtù  affretti  quel 
»  giorno  cosi  desiderato,  nel  quale  possiamo  nuo- 
»  vamente  accogliere  con  gioja  fra  le  paterne  brac- 
»  eia  questi  figliuoli  nostri  ravveduti  e  ritornati  al 
»  proprio  loro  dovere  ;  e  vedere  redintegrato  in  tutti 
»  i  nostri  pontifici  Stati  l'ordine  e  la  tranquillità» 
»  allontanatane  ogni  perturbazione.  » 

Quest'ultimo  tratto  poi  colma  la  misura.  Esso  è 
un  atto  d'ipocrisia  così  perfida,  di  viltà  così  crudele, 
che  nessun  governo  del  mondo  oggidì,  tranne  il  pon- 
tificio, sarebbe  capace  di  commettere.  Perocché  il 
20  giugno,  mentre  Pio  IX  gemeva  la  sua  allocuzione 
nel  concistoro,  sapea  che  neirora  stessa,  per  ordine 


W9 

suo,  vna  banda  de* suoi  sgherri  prezzolati,  sotto  il 
oomaodo  di  un  colonnello  Schmid,  assaltava  Perugia 
aenando  strage  di  vecchi,  di  donne,  di  fanciulli,  e 
mettendo  ogni  cosa  a  ferro  ed  a  fuoco,  per  punire 

la  misera  città di  quale  delitto?  D'aver  chiesto  óà 

concorrere  alla  guerra  delFindipendenza  nazionale  I 
Sì,  con  una  freddezza,  con  una  sfrontatezza  senza 
esempio,  quell'impostore  santissimo  e  beatissimo  di- 
ceva di  commiserare  alla  cecità  de'  euoi  figliuoli,  men- 
tre li  faceva  assassinare  a  man  salva  1  Dicea  di  doman-* 
dare  umilmente  dal  padre  di  misericordia  e  di  impLo* 
rare  dalla  sua  onnipotente  virtù  la  loro  conversione, 
mentre  commetteva  alla  virtù  onnipotente  dei  can- 
noni e  dei  fucili  svizzeri  di  farne  scempio  senza  mi- 
sericordia 1  Diceva  di  riporre  in  Dio  la  /SiftM^ia  di  ve- 
dere questi  suoi  figliuoli  ravveduti^  ritornati  al  prò-- 
prio  dovere^  e  di  poterli  accogliere  con  gioja  fra  le 
paterne  braccia,  mentre  incaricava  delle  sue  feroci 
vendette  un'orda  de'  suoi  sicarj,  e  gongolava  già  in 
cuor  suo  all'annunzio  imminente  dello  stermìnio  de' 
suoi  figliuoli,  e  protendeva  le  paterne  braccia  per 
tuffarle  deliziosamente  nel  loro  sangue  I 

Ahi  quel  sangue  grida  vendetta  agl'Italiani,  e  l'a- 
vrai Quel  sangue  è  un  tal  marchio  d'infamia  su  la 
fronte  del  papa  e  su  lo  stemma  del  papato,  che  nes- 
suna abluzione  varrà  a  cancellare  mai  piùl  Quel 
sangue  ha  spento  nel  cuore  dei  popoli  italiani  l'ul- 
tima reliquia  del  catolicismo  romano.  Ora  fra  il  pa- 
pato e  l'Italia  è  guerra  a  morte:  il  combattimento 
potrà  durare  ancor  qualche  anno;  ma  la  sconfitta 
dell'uno  è  così  infallibile  come  il  trionfo  dell'altra. 
Quand'anche  dalla  riscossa  del  59  non  avessimo  rac- 
colto altro  frutto,  esso  basterà  sempre  a  farci  be- 
nedire i  sacrifizj  che  ci  è  costata. 


S60 

XVIt 

Alle  conclnsionì  generali,  che  boì  ricaviamo  dalfé  . 
storia  contemporanea  su  T  incompatibilità  assoluta 
dei  principi  della  chiesa  catoUca  co- principi  della]!* 
berta  moderna,  udiamo  sovente  ad  opporre  come  un' 
onorevole  ed  ammirabile  eccezione  H  clero  lombardo^ 
H  quale  ci  si  vorrebbe  rappresentare  per  ben  diverso 
dal  clero  d'altri  paesi,  e  per  devoto  al  pari  d'ogni 
altro  ceto  alia  santa  impresa  di  liberare  la  patria 
(kll'oppressione  straniera.  —  Ma  in  primo  luogo,  è 
egli  vero  il  fatto  di  questa  eccezione?  Dove  sono  li 
atti  autentici,  publlci,  e  collettivi,  che  ne  rendano 
testimonianza?  Io  non  ne  conosco,  e  non  so  che  al- 
tri ne  abbia  allegato.  Conosco  invece  due  atti  del  1853, 
e  solenni  davvero,  i  quali  proverebbero  piuttosto  ì^ 
contrario.  11  15  febrajo,  pochi  gforni  dopo  la  som- 
mossa di  Milano,  il  clero  milanese  rappresentato  dal 
suo  arcivescovo,  da  parecchi  canonici,  e  da  una  gran 
parte  de'  parochi,  presentava  al  conte  Gìulay,  coman- 
dante militare  della  Lombardia,  l'indirizzo  seguente: 
«  Eccellenza, 

«  Cobe  venne  ieri  l'arcivescovo  di  Milano  a  porgere 
»  personalmente  ossequio  a  V.  E.  in  un  con  parec- 
»  chic  rappresentanze  del  suo  clero  urbano,  cosi  pro- 
»  curasi  ora  l'onore  di  esprimerle  per  iscritto  ì  sen- 
»  limentì,  che  volevansi  attestare  di  viva  voce  a  V.  E. 
»  medesima. 

»  Tutto  il  clero,  dì  cui  si  fanno  interpreti  ì  sot- 
»  toscritli,  concorde  e  docile  al  proprio  pastore,  rl- 
»  protesta  la  propria  costante  e  devotissima  fedeltà 
»  a  S.  M.  I.  R.  A.  l'augusto  nostro  sovrano,  imix;- 
»  ralore  Francesco  Giuseppe  I,  e  professa  pure  la 
»  più  rispettosa  e  leale  obedienza  alle  autorità  cho 
»  lo  rappresentano,  e  governano  a  di  lui  nome  que- 
»  sto  Provincie  suggette  al  suo  impero;  e  nuova- 


»  fneate  s'impegna  non  solo  ad  adempiere  i  doveri 
»  di  sudditanza  individuale,  ma  altresì  a  cooperare 
»  positivamente^  per  tutto  qiianto  sta  in  esso,  aìn- 
»  sinuare  in  tutti  i  fedeli  sentimenti  delia  debita 
»  sommissione  *air altefata  M.  S.  e  al  suo  governo, 
»  facendo  voti  ardentissimi  che  tutte  le  classi  della 
»  lK)pplazione,  su  l'esempio  del  clero,  cospirino  in 
9  una  virtuosa  emulazione  alla  pace,  al  buon  ordine, 
»  per  la  riverenza  e  amore  verso  le  legitlme  auto- 
»  rità,  e  possano  far  dimenticare  le  sì  deplorabili  vi- 
»  cende  passate. 

»  Lieto  l'arcivescovo  di  poter  presentare  queste 
»  spontanee  dicbiarazloni  del  clero  milanese,  prega 
p  TE.  Y.  ad  accoglierle  benignamente,  e  ove  creda 
9  opportuno»  a  farle  conoscere  e  aggradire  a  S.  E.  il 
1»  sig.  venerato  governatore  generale  civile  e  mili- 
»  tare  del  Regno  Lombaidoveneto.  » 

E  11  25  dello  stesso  mese  Tarcivescovo  si  recava 
espressamente  a  Verona  per  rimettere  al  maresciallo 
Radetzky  un  altro  indirizzo  del  clero  milanese,  fir- 
mato da  un  maggior  numero  de'  suoi  rappreseutanli, 
a  proposito  dell'  attentato  contro  la  vita  dell'  impe- 
ratore. Eccolo: 
«  Eccellenza, 

«  Al  primo  annunzio  dell'attentato  sacrìlego  con- 
»  tro  1  augusta  pepsona  deiramabilissimo  nostro  «o- 
»  vrano,  e  della  pressoché  prodigiosa  di  lui  salvezza, 
»  correano  i  ministri  del  santuario  ad  abbracciar  li 
»  altari;  e  convocatevi  intorno  le  pie  tnrl>e,  com- 
»  mossi  vi  alternavano  inni  di  grazie  e  fervidi  sup- 
D  plicazioni  all'Onnipossente.  Che  la  destra  dell' AI- 
j>  tissimo  si  è  glorificata  disperdendo  il  disegno  dei- 
fi  Tempio;  l'angelo  tutelare  delU austriaco  trono 
»  sviò  il  fatai  colpo  dall  amato  capo;  ed  il  rampollo 
»  di  tanti  Cesari,  l'erede  di  tante  virtù  e  glorie,  il 
9  padre  e  reggitore  di  tanti  popoli,  Francesco  Giù- 


t6« 

»  seppe  I  fa  salvo.  Iddio  ehe  ne  fortificava  la  gio- 
»  vinezza  a  reggere  con  mano  sicura  tra  le  prozie 
»  il  grande  impero,  volle  mostrare  un'altra  vdta  nel 
»  più  sensibil  modo  com'è!  lo  ricopra  dello  scudo  di 
»  sua  protezione,  ({uasi  il  prediletto  della  Provldenza. 
»  E  benedicendo  così  il  Signore,  che  esaudiva  la  quo- 
»  tidiana  preghiera  de'  suoi  ministri  invocanti  la  sai- 
»  vezzadel  re:  Domine,  salvum  fae  regem,  prostra- 
»  vansi  così  ad  impetrare  il  compimento  del  commun 
»  voto,  la  più  perfetta  guarigione  del  venerato  Sire. 

»  Ma  effusa  la  prece,  adempiuto  questo  primo  do- 
»  vere,  sente  pure  il  clero  fi  bisogno  di  esternare 
»  come  che  sia  al  sovrano  stesso  questi  suol  sensi 
»  di  figliale  congratulazione,  rlnovandogli  pure  in  sì 
»  propizia  occasione  l'omaggio  della  più  fedele  sud- 
»  ditanza  e  riverente  affetto. 

»  L'arcivescovo  di  Milano,  nella  sua  duplice  qua* 
»  lità  di  pastore  della  vastissima  chiesa  ambrosiana 
»  e  di  metropolita  della  Lombardia,  si  tiene  così  a 
»  debito  come  ad  onore  di  porgere  all'augustissimo 
»  sovrano  questo  tributo  in  nome  di  tutto  il  dero 
»  di  queste  proyincìe;  e  crede  insieme  di  non  poter 
»  renderlo  più  accettevole  che  depositandolo,  a  così 
»  dire,  nelle  ossequiate  mani  di  chi  governa  con  vi- 
»  caria  potestà  questi  dominj  della  corona  austriaca, 
»  e  sì  degnamente  vi  rappresenta  il  forte  ed  araa- 
»  bile  monarca. 

»  Degni  pertanto  TE.  V.  accogliere  benignamente 
»  questa  significazione  dei  devotissimi  sensi  di  me  e 
»  del  mio  clero,  e  farsene  interprete  presso  il  gra- 
»  zìosissimo  nostro  sovrano.  E  degnisi  pure,  di  tanto 
»  io  ne  la  prego  instantemente,  fargli  conoscere  che 
»  il  clero  medesimo,  nell'occasione  dei  nefandi  mi- 
»  sfatti  testé  avvenuti  in  questa  disgraziata  città,  si 
»  affrettava  di  dar  prove  della  sua  fedeltà  e  devo- 
»  zioné,  cooperando  con  vivo  impegno  alle  tutelanti 


tea 

»  autorità,  e  corrispondendo  ai  desider]  del  suo  de- 
»  solatissimo  pastore.  Anzi  il  mio  clero  urbano  co- 
-»  glieva  questo  incontro  per  rinovare  la  più  ampia 
»  protesta,  che  adempirà  costantemente  non  solo  il 
•»  proprio  dovere  d' individuale  sudditanza ,  ma  si 
»  adoprerà,  per  tutto  quanto  è  da  sé,  a  promuo- 
»  verk  negli  altri  insegnando  sì  con  le  parole,  sì 
»  con  l'esempio,  secondo  la  sua  santa  missione,  ad 
»  onorare  ed  amare  nel  re  l'imagine  stessa  della 
»  maestà  di  Dio  che  lo  fa  regnare,  e  ad  obedire  a 
»  lui  ed  a'  suoi  rappresentanti,  non  per  timore  sola- 
«  mente,  ma  per  coscienza,  perchè  resiste  aDiome- 
a>  desimo  chiunque  resiste  alle  legilime  podestà. 

»  Ed  è  appunto  per  riconfermare  più  manifesta- 
«  mente  i  sensi  che  pe  4  mio  clero  io  godo  esprimere, 
»  che  i  sottoscritti  ecclesiastici  di  questa  -città  ambi- 
»  rono  associare  il  loro  nome  al  mio,  interpreti  altresì 
»*<della  cordiale  associazione  degli  altri  confratelli. 

•  Tutte  le  classi  del  popolo  già  seguono  il  clero 
»  In  una  virtuosa  emulazione.  Concorde  così  suona 
»  da  tutti  i  labri  il  festoso  evviva  all' amatissimo  e 
»  venerato  sovrano  Francesco  Giuseppe;  e  unanime 
x>  da  tutti  i  cuori  sale  a  Dio  la  preghiera  ad  impe- 
»  trarne  le  più  elette  benedizioni  su  i  preziosissimi 
»  giorni  di  S.  M.  L  R.  A.  E  possa  cotal  dimostra- 
0»  zlone  di  figliale  riverenza  ed  affetto  lenire  il  do- 
»  lore  e  lo  sdegno  provocato  dai  perfidi,  sicché  egli 
«  volga  ancora  sereno  il  volto  a  questa  afflitta  citta- 
»  dinanza;  che  il  volto  ilare  del  re,  al  dir  del  sag- 
»  gio  inspirato,  dà  la  vita,  e  la  demenza  di  lui  è 
»  come  la  piova  serotina...,  E  la  misericordia  e  la 
x>  giustizia  custodiscono  il  re,  e  il  di  lui  trono  si 
»  rende  stabile  con  la  clemenza.  » 

Ora  un  clero,  che  per  bocca  de' suoi  pri mar j eie- 
gitimi  rappresentanti  parla  così,  può  egli  citarsi  ve- 
ramente come  un'eccezione  all'  andazzo  generale  dei 
ministri  della  chiesa? 


264 

xyi» 

Sì  conlraporranno  per  avventura  a  questi  docu* 
menti  scandalosi  ie  dichiarazioni  edificanti  di  pa- 
triotismo,  con  cui  il  clero  medesimo  salutò  Teman- 
eipa2ione  dal  giogo  austriaco  e  l'instaurazione  del 
governo  nazionale.  —  Ma  che  valore  può  mai  darsi 
alle  parole  di  chi  maledice  oggi  un  vinto,  che  ieri 
benedicea  vincitore?  Se  ne  potrefohe  unicamente  in^ 
ferire,  che  mutata  vicenda  lo  stesso  labro  tornerebbe 
domani  a  cantar  il  trionfo  d'un  potere,  della  cui  di- 
sfatta oggi  tripudia:  ciò  che  è,  mi  pare,  un  titolo 
d'accusa  e  non  d'elogio. 

-  Si  citerà  T  esempio  di  parecchi  sacerdoti,  che  per 
amor  della  patria  sfidarono  l'ira  dell'oppressore,  ed 
affrontarono  intrepidi  l'esigilo,  il  carcere^  il  patibolo. 
■^  Ma  il  clero  degli  altri  Stati  italiani  dovrebbe  al- 
lora dirsi  tutto  egualmente  liberale,  poiché  diede 
ovunque  i  suoi  martiri  alla  patria;  e  quello  delle 
Due  Sicilie  meriterebbe  il  primo  onore,  giacché  ne 
vanta  un  numero  maggiore  d'ogni  altro.  Del  resto 
convien  avvertire,  che  alla  lutta  contro  la  domina- 
zione straniera  può  benissimo  aver  preso  parte  an- 
che il  clero  lombardo,  senza  che  perciò  meriti  punto 
il  nome  di  liberale,  e  facia  eccezione  allo  spirito  re- 
trivo della  chiesa.  Perocché  altro  é  l'indipendenza 
nazionale,  e  altro  la  libertà  politica  e  civile;  e  quei 
preti  stessi,  che  già  si  mostravano  più  ardenti  a  com- 
battere l'Austria,  non  mancheranno  per  la  massima 
parte  di  combattere  con  tanto  più  d'ardore  la  li- 
bertà, appena  cessi  la  dittatura,  e  con  l'esercizio  der 
diritti  politici  si  formino  anche  qu\  i  partili ,  si  di- 
vidano l'interessi,  e  si  disciplinino  le  passioni.  Così 
avvenne  in  Francia,  nel  Belgio,  in  Piemonte;  e  così 
avverrà  indubitatamente  in  Loml}ardia,  se  pur-  la  na- 
tura degli  uomini  e  delle  cose  non  è  qui  sustanzial- 
mente  diversa. 


Sì  replicherà  ancora,  che  T arcivescovo  e  quei  ca- 
nonici e  quei  parochi  che  sottoscrissero  i  vituperosi 
indirizzi  a  Gyulai  ed  a  Radetzlcy,  non  erano  inter- 
preti veraci  di  tutto  il  clero  né  milanese,  né  lom- 
bardo, una  gran  parte  del  quale  nutriva  anzi  e  nutre 
sentimenti  assai  diversi,  ed  ebbe  allora  commune  co'l 
popolo  il  dolore  della  servitù,  come  adesso  la  gioja 
del  riscatto.  —  Rldutta  l'eccezione  in  questi  termini, 
40  l'ammetto  qual  fatto  senza  diffìcultà  veruna.  Nes* 
suno  è  meglio  di  me  disposto  a  riconoscere  e  con- 
fessare di  buon  grado,  che  l'Italia  ha  non  pochi  figlj 
amorosi  e  devoti  anche  fra  il  clero,  e  se  vuoisi,  mas- 
sime fra  il  clero  lombardo;  e  tolga  il  cielo  ch'io  osi 
punto  detrarre  alla  sincerità  e  alla  generosità  del  loro 
patriotismo.  Ma  allora  la  questione,  in  luogo  d'es- 
sere fijìita,  cambia  solo  d'aspetto,  e  ritorna  in  campo 
più  viva  che  mai.  Perocché  dato  il  fatto  d'una  parte 
del  clero  di  spiriti  italiani  e  liberali,  e  d'un'altra  di 
sentimenti  antinazionali  e  retrivi,  resta  poi  a  sapere 
qual  delle  due  rappresenti  il  vero  spirito  della  chiesa 
catoFica,  e  sia  veramente  fedele  ai  principi  e  alle  leggi 
del  suo  insUtuto. 

XIX 

È  invalso  anche  fra  i  patrioti  italiani  l'oso  di  ap- 
plicare al  clero  lo  stesso  princìpio  di  classiQcazione, 
4;he  s'adopera  co'l  laicato.  E  come  si  chiama  buon 
cittadino  il  liberale,  e. cattivo  cittadino  il  reaziona- 
rio; cosi  suol  dirsi  prete  buono  quello  che  liavoreggia 
la  causa  della  patria  e  della  libertà,  e  prete  cattivo 
quello  che  parteggia  per  la  servitù  e  l'oppressione  d'I- 
^lìa.  Quindi  se  v'ha  una  parte  del  clero  che  fa  da  libe- 
jrale,  che  ama  le  nuove  instliuzloni  e  le  rifórme  ci- 
bili, che  sostiene  i  diritti  dello  Stato  contro  la  chiesa, 
4;he  obedisce  pia  al  governo  che  alla  curia  «  e  che 
«oopera  airindipendeoza  e  all'untone  italiana:  ecco, 
II.  IH 


s*ode  ad  esclamare  communemenie ,  ecco  i  buoni 
proli  1  All'incontro,  di  tulio  il  resto  del  clero  che^ 
dà  a  divedere  retrivo,  che  s'inspira  da  Romaenoa 
tla  Torino,  che  tiene  i>er  suo  superiore  il  vescovo  e 
non  il  ministero,  che  reputa  sua  patria  la  chiesa  e 
non  l'Italia,  e  che  considera  suoi  nemici  i  rivolu- 
ziobarj  e  non  li  Austriaci  :  ecco,  si  grida  continua- 
ménte,  ecco  1  cattivi  preti  I  £  con  la  di^inzione  me- 
itesima  si  risponde  sdegnosamente  a  tutte  le  argu- 
ìnentazloni  teologiche,  a  tutti  i  documenti  biblici  ed 
ecclesiastici  della  stampa  clericale: — Voi,  le  si  replica 
e  rinfaccia  ad  ogni  tratto,  voi  non  slete  la  rèligioue 
catoHca,  ma  h  setta  gesuitica:  stale  contro  di  noi, 
perchè  slete  cattivi  preti;  siate  preti  buoni,  e  ver* 
lete  cdn  noi. 

Or  bene,  (]uesto  modo  di  classificare  e  di  qualifi- 
Y^are  il  clero  Implica  per  parte  dei  liberali  un  grave 
errore  ed  una  più  grave  ingiustizia. 

XX 

.  tìn  errore,  —  p(?rchè  sì  applica  uno  stesso  criterio 
a  cose  di  lor  natura  diverse  e  affatto  disparate.  Ih 
che  consiste  la  bontà  M  cittadino?  Nei  rispetto  e 
nell'osservanza  delle  leggi  del  suo  paese,  e  nella  sol- 
4eQìttidlne  oi^erosa  e  generosa  con  ciii  si  adopera,  se- 
/»ndo  le  proprie  facultà,  a  difendere  la  sua  ìndipen-* 
denza4  promuovere  la  sua  libertà^  la  sua  prosperità, 
4a  sua  grandezza,  la  sua  gloria.  Eia  bontà  del  prete 
in  che  consiste?  Nell'ossèquio  e  nell'adempimento 
delle  l^gi  della  sua  chiesa,  «  nello  zelo  ardente  e 
-contante  che  mette,  conforme  al  proprio  grado,  a 
•propagare  la  sua  fede,  Ineuicare  1  suol  precetti,  man- 
tenere i  Àuol  diritti,  il  suo  culto,  la  sua  gerarchla^ 
M  sua  disciplina.  Il  carattere  del  buon  cittadino  ri- 
sulta dunque  proprianaente  dal  complesso  delle  sue 
virtù  civili;  e  quello  del  buon  prete  Invece,  dal  coo^ 


2ft7 

l^essò  delie  sue  virtù  religiose  :  onde  è  dd  chiamar 
cattivo  il  cittadino  che  manca  a' suoi  doveri  verso 
la  patria,  come  cattivo  11  prete  che  vieh  meno  a'suoi 
doveri  verso  la  chiesa.  Ora  fra  queste  due  serie  di 
doveri  v'ha  egli  accordo  o  conflitto?  Regola  del  do- 
vere è  la  legge;  e  però  la  questione  non  si  può  ri- 
solvere altrimenti  fuorché  mettendo  a  confronto  le 
leggi  civili  con  le  leggi  ecclesiàstiche  ;  o  per  atte- 
nerci più  strettamente  ai  caso  nostro,  le  leggi  che 
deve  invocare  ogni  Italiano  per  meritarsi  il  titolo  di 
liberale,  con  le  leggi  a  cui  deve  obcdire  ogni  prete 
per  acquistarsi  il  nome  di  santo.  Questo  confronto  è 
il  subjetto  principale  del  presente  libro,  in  cui  parmi 
dimostrato  ad  evidenza,  che  quei  due  ordini  di  leggi 
sono  fra  loro  in  opposizione  essenziale,  naturale,  ine* 
sorabiie;  vale  a  dire,  che  la  legislazione  catolica  è 
la  negazione  rigorosa  ed  assoluta  della  legislazione 
liberale.  Su  tutti  i  punti  fondamentali ,  libertà  poli-r 
tìca  e  civile,  libertà  di  coscienza  e  di  culto,  di  stampa 

«  d'insegnamento le  due  legislazioni  si  contra-r 

dicono  e  si  escludono  reciprocamente:  Tunaproibi-r 
«ce  ciò  che  l'altra  prescrive;  quella  fa  un  dovere  di 
ciò  che  in  questa  è  un  delitto;  ciascuna  di  tali  li*- 
berla  è  per  quella  un'eresia,  e  per  questa  un  arti- 
colo di  fede.  Il  merito  civile  del  laicato  sta  dunque 
liei  difendere  cotesto  libertà,  laddove  il  meritò  reli- 
gioso del  clero  sta  nel  combatterle;  vale  a  dire,  che 
per  essere  buon  cittadino  convien  fare  tutto  l'op- 
))osto  di  quel  che  bisogna  fare  per  esser,  buon  prete* 
E  dunque  impossibile  di  riunire  le  due  qualità  in 
una  sola  e  stessa  persona;  giacché  in  tanto  si  pos? 
iede  e  si  esercita  l'una,  in  quanto  si  rifugge  e  si 
aborre  dall'altra  ;  talché  un  sacerdote  non  può  essere 
liberale  se  non  a  patto  di  essere  un  cattivo  prete, 
£ome  airìDGontro  egli  non  può  essere  un  prete  buone 
«e  non  a  condizione  :  d'essere  uu  reazionario.  Uao 


m 

strano  abuso  di  parole  commetlono  pertanto  i  pa* 
trìoti  a  chiamare  preti  buooi  i  ribelli  alla  loro  chiesa, 
e  preti  cattivi  1  fedeli  alia  loro  professione.  0  che 
direbbero  essi  d'un  partito,  il  quale  pretendesse  di 
battezzare  buoni  Italiani  coloro  che  sono  amici  del- 
r Austria  e  devoti  al  papa,  e  cattivi  Italiani  invece 
coloro  che  non  tengono  mano  all'oppressione  au* 
siriaca  e  alla  superstizione  clericale?  Riderebbero  sde- 
gnosamente della  sua  invenzione  filologica,  siccome 
di  una  puerilità  o  di  una  follia  ;  direbbero  che  per 
mutar  di  nome  non  si  muta  la  natura  delle  cose;  e 
clie  amar  T  Italia  e  servire  T  Austria  o  il  papa  sono 
e  saranno  sempre  termini  contradittorj ,  e  non  mal 
equivalenti.  Ora  la  denominazione  che  si  usa  eoi 
clero,  non  è  dessa  un'  enormità  filologica  dello  stesso 
calibro?  Ohi  almeno  la  grammatica  resti  immune 
dallo  spirito  di  parte  ;  e  non  Imponiamo  agli  altri 
una  regola,  die  applicata  a  noi  reputeremmo  cotanto 
assurda  e  ridicola.  Un  prete  liberale  sarà  per  noi  un 
ottimo  cittadino,  ma  per  la  chiesa  non  può  non  es-^ 
sere  un  pessimo  sacerdote;  e  viceversa,  un  prete  rea^ 
Elonarìo  sarà  uno  sfidato  nemico  della  sua  patria^  m^ 
un  eccellente  ministro  della  sua  religione^ 

XXI 

Un'ingiustizia,  —  perchè  s'imputa  al  maìtatenta 
delle  persone  ciò  che  è  vizio  intrinseco  delle  insti- 
tuzioni;  e  si  dà  biasimo  al  clero  d'adempiere  il  suo 
dovere,  e  lode  di  trasgredirlo.  Il  linguaggio  di  quasi 
tutta  la  stampa  liberale  pecca  d'una  simile  immora- 
lità. Contro  di  chi  sono  rivolte  le  sue  quotidiane  in- 
vettive? Contro  quei  vescovi,  parochi,  preti,  e  frati, 
che  consapevoli  del  giuramento  prestato  alla  chiesa 
nella  loro  ordinazione,  spendono  la  vita  ad  osservare 
e  far  osservare  in  tutto  il  suo  rigore  qudla  feeggeev 
«h' essi  tengono  dettata  dalla  bocca  stessa  di  I>io.  S 


tìr opposto,  a  chi  sono  profusi  i  suoi  elogj  quoti-  . 
dìani?  A  quelR  altri  ecclesiàstici,  che  fastiditi  del 
loro  stato  e  degli  oblighi  servili  con  esso  contralti, 
rinegano  con  le  parole  e  con  le  azioni  il  loro  abRo, 
disdegnano  il  loro  ministero,  e  si  ril^ellano  da' loro 
superiori. 

Non  V*  ha  qui  un  giudizio  sommamente  ingiusto? 
€ome  ecclesìtisticl,  non  sono  anzi  i  primi  che  meri- 
terebbero lode,  e  biasimo  i  secondi?  Il  clero  è  una 
milizia,  che  ha  necessariamente  la  sua  disciplina  par-^ 
lìcolare:  chiunque  fa  parte  di  quella,  sì  assuggetta 
f'olontariamente  a  questa.  Rimaner  sptto  le  bandiere 
e  calpestare  i  regolamenti  è  un  procedere,  che  chi 
ilspetta,  non  dico  hi  legge  morale,  ma  il  senso  com-^ 
iiìune,  non  approverà  giammai  per  riguardo  a  nessun 
corpo  regolare.  Quando  poi,  non  pago  dello  scandalo 
e  del  disordine  della  sua  insubordinazione,  un  soK 
dato  se  l'Intenda  co'I  nemico  e  parteggi  per  luì, 
In  tutte  le  lingue  del  mondo  il  fatto  suo  si  chiama 
un  tradimento.  E  nella  milizia  ecdesiastica  non  dee 
forse  valere  lo  stesso  principio  e  lo  stesso  criterio? 
Ma  i  panegiristi  dei  preti  liberali  e  1  vituperatori  del 
preti  reazionari  rovesciano  di  pianta  e  Tuno  e  l'al- 
tro, imputando  agli  uni  T  indisciplina  a  merito  e  11 
tradimento  a  gloria,  ed  agli  altri  la  subordinazione 
a  colpa  e  la  fedeltà  a  delitto.  Ed  a  furia  di  decla- 
mazioni incessanti  ed  insensate  ad  encomio  degli  uni 
e  ad  Ignominia  degli  altri,  pervertono  l'opinione  pu- 
blica,  e  la  rendono  complice  della  loro  ingiustizia;  tal- 
ché una  gran  parte  del  popolo  s'avvezza  a  guardar 
con  orrore  1  primi  come  rei  dì  fanatismo  e  di  bar- 
barie ,  e  con  favore  i  secondi  come  benemeriti  della 
civiltà  e  della  i)atria  ;  e  se  stesse  a  lui,  lapiderebbe 
con  la  miglior  fede  del  mondo  coloro  che  obedlacono 
alle  leggi  del  proprio  instituto,  e  canonizerebbe  in-^ 
vece  coloro  che  si  vantano  di  conculcarle.  E  no»  è' 
questa  una  iiatente  violazione  della  giustizia? 


870 

XXII 

—  Dunque  fan  bene  quel  preti  che  congiurano  con- 
tro la  libertà  e  T indipendenza  d'Italia,  e  male  quelli 
altri  che  antepongono  la  salute  della  patria  air  in- 
teresse della  chiesa?  —  Come  preti,  e  a  tenore  del 
diritto  catòlico,  sì,  senza  dubio,  i  primi  fanno  il  de- 
bito loro,  e  sono  1  preti  buoni  ;  i  secondi  invece  tra- 
discono la  loro  missione,  e  sono  i  preti  cattivi.  Ma 
come  cittadini,  e  secondo  il  diritto  naturale  e  na- 
zionale, no,  per  fermo;  e  son  quelli  ì  nemici,  questi 
i  difensori  della  patria.  È  la  confusione  di  cotesti  due 
prìncipi  0  crlterj,  che  rende  i  liberali  ingiusti  ne'loro 
giudlzj.  Essi  esigono  dal  clero,  come  clero,  ciò  che 
gli  è  vietato  dall'essenza  medesima  del  suo  instituto; 
e  quindi  lo  biasimano  e  lo  lodano  egualmente  a  torto; 
^la  pigliando  sotto  questo  rispetto  la  difesa  del  clero, 
a  qual  conclusione  voglio  io  pervenire?  Forse  a  fargli 
un  merito  delle  male  opere,  e  una  colpa. delle  buone? 
Ohi  no,  sicuramente;  voglio  solo  inferirne,  che  il 
prete  è  nemico  della  libertà  d'Italia,  non  mica  per 
una  perversila  dell'animo  suo,  sibbene  per  una  no* 
cessila  della  sua  professione  ;  e  che  però  non  è  da 
prendersela  contro  dì  lai  personalmente,  ma  bensì 
contro  della  chiesa,  la  quale  co 'l.  suo  sistema  d'e-r 
ducazione  religiosa  gli  ha  talmente  traviato  l'intel- 
letto ed  il  cuore,  la  ragione  e  la  coscienza,  ch'egli 
crede  dì  prestare  ossequio  a  Dio  cooperando  alla  ser- 
vitù della  sua  patria,  e  dì  conquistarsi  un  seggio 
tanto  più  sublime  lassù  nel  cielo,  quanto  più  basso 
p  il  posto  ch'egli  procurerà  a  sé  ed  al  suo  paese 
quaggiù  in  terra.  Se  dunque  volete  liberarvi  dalla 
reazione  del  clero,  togliete  di  mezzo  l'autorità  della 
chiesa  con  tutta  la  sequela  dei  privilcgj  e  dei  po- 
teri che  riuscì  ad  arrogarsi:  questa  e  la  cagione,  e 


271 
qùdla  r effètto;  e  dotrcste  snperFo,  tiittì' lì  sforzi  e 
H  artifici  per  rimediare  all'effetto  sono  peggio  che 
inulìlr^  finché  si  lascia  sussistere  la  cagione.  Ora  la 
cagione,  che  mette  il  clero  necessariamente  in  lutta 
ed  in  guerra  con  la  libertà,  rTsiede  nell'essenza  me^ 
desima  della  chiesa,  nello  spirito  ìntimo  e  proprio 
della  sua  teologia,  della  sua  morale,  della  sua  giu- 
risprudenza, della  sua  gerarchia,  della  sua  disciplina  ; 
perchè  tutto  il  complesso  delle  dottrine  è  delle  leggi 
catoliche  è  Tantitesi  assoluta  delle  leggi  e  delle  dot- 
trine liberali.  L'antagonismo  dei  partili  ha  dunque 
radice  ed  origine  nel  conflitto  dei  sistemi.  Abbattuto 
il  sistema  clericale,  l'opposizione  del  clero  è  finita 
per  sempre;  ma  perseguitato  ed  oppresso  quanto' si 
voglia  il  clero,  la  sua  opposizione  durerèt  sempre  e 
rincrudirà  più  che  mai,  finché  rimanga  in  piedi  il 
suo  instìtuto. 

E  per  iscalzare  e  scuotere  dalle  fondamenta  il  si- 
stema della  chiesa,  che  s' ha  egli  da  fare  ?-r  Esso  ri- 
posa su  due  pietre  angolari:  una  temporale,  ed  è  il 
potere  del  papa-re;  l'altra  spirituale,  ed  è  l'auto* 
rità  del  papa-pontefice.  Ora  il  principato  papale  non 
può  esser  abolito  fuorché  dalla  forza,  da  un'insur^ 
rezione  o  una  guerra  nazionale,  che  mandi  il  vica- 
rio di  Cristo  a  pascere  il  suo  gregge,  che  lo  dispensi 
una  volta  per  sempre  dalle  cure  mondane  del  prin- 
cipato, e  che  restituisca  il  patrimonio  dì  S.  Pietro 
all'Italia.  E  il  poiitificalò  romano  non  può- essere 
esautorato  fuorché  dalla  lil)ertà,  che  lasci  padroni  i 
catolici  di  riconóscerlo  e  venerarlo,  e  padronisàimi 
i  razionalisti  di  combatterlo  e  deriderlo;  che  instauri 
nella  società  civile  il  governo  del  diritto  coinmiinc, 
uno  ed  eguale  per  tutti,  senza  privilegi  né  immu- 
nità d'alcuna  specie  per  nessuno;  che  non  permetta 
alla  chieda  di  formare  uno  Stato  nello  Stato;  che 
renda  tutti  i  culti  eguali  diiia'.r/i  alla  legge;  clìP  dia 


a  tnlte  le  religioni^  la  forma  di  ^odelè  Dbere  e  |)i'V 
vaie;  cbe  riduca  un  papa  o  un  vescovo  alla  stessa 
condizione  d'un  pastore,  d'un  muftì,  o  d'un  ralH 
bino  :  liberi  tutti  di  credere  e  d' insegnare  ciò  che 
kuro  piacerà,  ma  tutti  obligatl  del  pari  a  rispettare 
le  institozionl  ed  osservare  le  leggi  del  ]paese« 

XXIII 

—  Che  rimane  dunque  da  fare  agli  ecclesiastief 
liberali  ?  —  Rimane  solo  da  prendere  risolutamente 
xitt  partito,  e  dichiararsi  o  ecclesiastici  o  liberali, 
bacche  v'ha  repugnanza  essenziale  fra  l'ossequio  alta 
chiesa  e  11  culto  della  liberta,  e  non  si  può  star  fe^^ 
dele  all'una  senza  divenire  ribelle  all'altra,  non  c'è 
altra  via  per  mettere  In  pace  la  cosclensa  se  non 
quella  di  scegliere  fra  la  religione  4eì  papa  e  }a  re^ 
llgione  della  patria,  e  di  servire  all'una  combattendo 
l'altra.  Duru  lex,  ohi  lo  so  anch'io,  sed  lexl  II  di- 
lemma, per  ogni  uomo  di  coscienza,  è  inesorabile^ 
11  prete,  che  .stando  prete  fa  il  liberale,  è  in  uno 
stato  permanente  d'immoralità,  perchè  è  obligato  a 
mentire  continuamente  al  proprio  carattere,  ofien- 
dendo  o  la  chiesa  di  cui  è  ministro,  o  la  patria  di 
cui  si  dice  campione.  Qui  la  massima  dell' Evan- 
gelio ha  tutto  il  rigore  di  un  assioma  morale  :  nes-- 
9uno  può  servire  a  due  padroni.  Bisogna  dunque  ri-* 
solversi  ad  abbracciare  fra  i  due  partiti  quello  che 
la  coscienza  prescrive,  abbandonando  l'altro  che  la 
cosciènza  repudia. 

Il  prete,  che  si  tiene  davvero  vincolato  alla  pro- 
fessione di  fede  ortodossa,  che  ammette  l'autorità 
divina  della  Scrittura  e  della  chiesa,  dei  canoni  si- 
nodali e  delle  bulle  pontifìcie,  e  che  dell' obedienza 
ai  superiori  ecclesiastici  fa  una  condizione  della  sua 
eterna  salute  :  parli  ed  operi  come  i  vescovi  e  come 
i  papi,  evangelizzi  il  despotismo  e  anatematizzi  la  li- 


herù;  fincbè  è  in  buoda  fede,  egli  fa  il  debito  su(k 
Il  prete  invece,  cbe  sente  la  sua  ragione  emancipata 
dair autorità  della  Bibbia  e  del  papa,  e  che  è  giunto 
a  riconoscere  nel  diritto  canonico,  non  la  volontà 
divina,  ma  la  tirannide  curialesca  :  getti  via  Tassìsa 
sacerdotale,  abbandoni  la  milizia  catollca,  ritomi  It^ 
bero  cittadino;  e  poi  dica  e  facia  contro  la  chiesa 
tutto  quanto  gli  inspira  il  suo  patriotismo.  Ecco  Tu* 
Dico  modo,  per  ambìdue,  di  mettere  d'accordo  i  loro 
^tti  con  le  loro  credenze^  e  di  propugnare,  quegli 
la  causa  del  catolicismo,  e  questi  la  causa  della  li- 
bertà ,  senza  violare  il  rispettivo  carattere  della  loro 
professione. 

È  un  rimedio  eroico  certamente.,  ma  è  il  solo  ef- 
ficace, anzi  il  solo  possibile.  Per  molti  e  molti  preti 
«sso  equivale^  non  che  ad  un  matamento  di  vita, 
alla  perdita  dell' officio  stesso  onde  traggono  tutta 
la  loro  sussistenza;  vale  a  dire,  che  impone  loro  un 
gran  sacrifizio  ed  una  somma  abnegazione.  Ma  oc- 
corrono pur  troppo  casi,  in  cui  Teroismo  della  virtù 
è  di  rigoroso  dovere;  e  il  caso  nostro  è  uno  di  quelli, 
11  prete,  Tho  già  detto,  e  giova  ridirlo,  ha  dato  il 
suo  nome  ad  una  milìzia,  ha  giurato  fede  ad  una 
bandiera.  Ora  un  soldato  non  si  può  sciogliere  ono- 
ratamente dairobligo  del  suo  giuramento  e  dalla 
legge  della  sua  disciplina,  se  non  a  patto  di  deporre 
la  divisa  e  di  rinunciare  alla  milizia.  Così  al  prete 
non  rimane  altra  via  onesta  e  legitima  di  rompere 
1  vìncoli  che  Io  tengono  suggetto  alla  chiesa,  fuor- 
ché la  rinuncia  alla  professione  ecclesiastica  :  cessi 
d*ap|)artenere  al  clero,  e  sarà  fibero  di  darsi  a  quelhi 
parte  politica,  che  meglio  rappresenta  i  suoi  prin» 
oipj,  senza  riguardo  alcuno  a  tesU  di  Bibbia,  a  ca- 
noni di  coucllj,  e  a  bulle  di  papi.  E  se  questa  ri- 
nuncia importa  gravi  sacrìfizj,  non  c'è  rimedio,  bì- 
80»gna  farli:  con  la  c()sclenza  non  si  può  transi;;ere  mai. 


XXIV 

Spetterebbe  al  laicato  d  alleggerire  il  peso  di  questi 
sarrifizj  alla  porzione  del  clero,  che  abjurasse  il  ca*^ 
tolicismo  per  convertirsi  alla  libertà.  Io  non  •  dirò 
che  cosa  potrebbero  e  dovrebbero  far  i  governi;  i 
quali  sono  o^gimai  abituati  a  trattar  le  cose  della 
religione  come  i  negozj  della  diplomazia,  a  forza  di 
restrizioni  mentali  e  di  simulazioni  ossequiose,  e  si 
professano  tanto  più  devoti  alla  chiesa  e  riverenti  al 
papa,  quanto  più  in  cuor  loro  son  pieni  d'indifierenza 
e  di  disprezzo  per  l'uno  e  per  l'altra.  Chieder  loro 
adunque  che  operino  comò  pensano,  e  che  cessino 
di  sostenere  co'  Ipro  atti  e  le  loro  leggi  una  religione 
che  seco  slessi  detestano  o  deridono»  sarebbe  troppa 
ingenuità.  Ma  il  partito  liberale,  che  non  è  un  con- 
sesso diplomatico ,  dovrebbe  aborrire  da  simili  arti- 
Hzj,  attingendo  la  sua  forza,  non  dall'intrigo  e  dal- 
ripocrisia,  ma  dalla  lealtà  e  dalla  franchezza.  E  pure, 
in  ciò  che  si)etla  alla  chiesa  ed  al  clero,  diploraa- 
tizza  anch'esso  e  fa  ponspa  di  quell'arte  indegna,  che 
suole  denominarsi  machiavellismo.  Lasciamo  in  di- 
sparte coloro,  che  s'intitolano  calolici  liberali:  sono 
pochi  di  numero,  e  tutto  il  loro  sistema,  come  ab- 
biam  veduto  nel  corso  della  presente  operetta,  è  un 
perpetuo  compromesso  fra  due  dottrine  contrarie. 
Parliamo  dei  veri  e  schietti  liberali,  dei  liberali  di 
principi  e  di  fatti,  dei  razionalisti,  quali  sono  e  si 
gloriano  d'essere  per  la  massima  parte  i  democratici 
e  i  patrioti.  Or  bene,  anch'essi  che  in  teorica  sono 
così  nemici  di  qualsiasi  pregiudizio  e  transazione, 
cosi  ardenti  propugnatori  della  rigida  e  pura  verità,  in 
pratica  poi,  conviene  pur  confessarlo,  cedono  troppo 
sovente  ai  vezzo  con^nuine,  e  dissimulano  e. fingono  e 
barcheggiano  e  machiavelliz^ano  come  tutti-  li  altri. 

Li  vedemmo  già  nel  48,  e  li  vedi^imo  da  capo  nel 
59  a  Icriere  verso *del  clero  un  conlegno,  cheòtuUe 


«75 

Il  rovescio  della  loro  dottrina.  In  luogo  di  rispettare 
io  persone  e  di  assalire  le  instituzloni^  ostentano  an« 
elidessi  verso  della  chiesa  un  rispetto  che  non  pos- 
sono avere;  vituperano  i  buoni  preti,  cioè  i  retrivi» 
che  dovrebbero  scusare;  e  adulano  i  preti  cattivi ^ 
cioè  i  liberali,  a  cui  dovrebbero  compatire.  Ad-» 
ch'essi  ricorrono  alle  messe  funebri  per  onorare  \^ 
memoria  de' nostri  martiri,  all'aquasanta  per  benedire 
le  bandiere  de'  nostri  eserciti,  ai  Te  Deum  per  cele- 
brare le  vittorie  delle  nostre  armi.  Cosiì  ^  dopo  aver 
cotanto  deplorata  la  superstizione  del  popolo  ed  ese-* 
crata  l'ingerenza  del  prète,  concorrono  anch'essi, 
buono  0  mal  loro  grado,  a  confermare  l'uno  ne'  suoi 
pregiudizi  e  l'altro  nelle  sue  funzioni;  ed  in  luogo 
d'avvalorara  co'l  fatto  la  loro  dottrina  su  l' incom- 
patibilità del  catolicismo  con  la  democrazia,  la  rine- 
gano  stoltamente  seguendo  per  filo  e  per  segno  Te- 
sempiò  de'  lóro  più  sfidati  avversarj.  Quindi  se  da 
una  parte  danno  ansa  al  clero  di  far  da  Irberhle 
posticcio  per  guadagnarsi  il  favore  publico,  dall'al- 
tra distolgono  il  clero  veramente  liberale,  cioè  con- 
ver'vito  0  pronto  a  convertirsi  al  razionalismo,  dal 
rinunciare  apertamente  alla  professione  ecclesiastica 
per  non  incorrere  nel  publico  abbandono*.  Perocché, 
se  gli  vicn  meno  il  patrocinio  del  partito  acuì  esso 
starebbe  per  dare  la  mano,  in  chi  o  in  che  potreb- 
be egli  confidare  di  trovar  un  sostegno?  I  clericali 
lo  scomrounicano  come  un  apostata;  i  neooatòlici  lo 
repudiano  come  un  arrabìato,  un  esallato,  un  gia- 
cobino, un  anarchista,  un  distruttore  della  religione; 
della  famiglia,  della  proprietà,  d'ogni  còsa.  Unico  suo 
rifugio  dovrebbero  esser  adunque  \  democratici  ra- 
xionalisU.  Ma  se  anch'essi  cooperano  a  fomentar  il 
preglndiziò  vulgare,  che  stia  in  facultà  del  clero  di 
servire  alla  chiesa  insieme  ed  alla  patria,. e  che 
quindi  il  prete  possa  e«?erc  ^^alrìo'a  senza  cessar  di 


276 

esse,  j  ecclesiastico,  la  sua  emancipazione  diventa  pin 
difficile  che  mai;  giacché  li  amici  gli  attraversano 
la  via  peggio  dei  nemici  stessi.  Quando  un  ordine  dì 
persone  è  collocato  dalla  società  in  questa  iniqua 
condizione,  che  ha  tatto  a  perdere  chi  vuol  esser  sin- 
cero, e  tutto  a  guadagnare  chi  si  risolve  a  far  Ti- 
pocrita,  si  sa  d'avanzo  a  qual  partito  i  più  s'appi- 
glieranno:  T  ipocrisia,  cioè  il  vizio, diventerà  la  re- 
gola commune,  perchè  profittevole;  e  la  sincerità, 
cioè  la  viitù,  resterà  una  rara  eccezione,  perchè  gra- 
vosa. 

Ci  pensino  adunque  e  ci  provedano  1  liberali,  che 
tnilitano  sotto  il  vessillo  della  democrazia.  Oh!  non 
sprechino  più  il  tempo  ed  il  Oato  in  diatribe  inutili 
<ed  ingiuste  contro  la  porzione  del  clero,  che  vuoto 
tener  fede  a  Roma;  e  cerchino  piuttosto  di  porgere 
una  mano  «mica  e  fi-atellevole  airaltra  porzione,  che 
anela  di  darsi  air  Italia.  Si  ricordino  che  l'esistenza 
del  catolicismo  è  legata  a  quella  del  papato,  e  re- 
sistenza del  papato  a  quella  del  clero;  e  si  persua- 
dano, che  è  tanto  assurdo  voler  disfare  il  papato  e 
11  catolicismo  senza  disciogliere  il  clero,  quanto  è 
Impossibile  discioglìere  il  clero  senza  stabilire  un  or- 
dine di  cose,  che  inviti  11  prete  a  farsi  cittadino,  e 
gli  apra,  in  nome  della  patria  e  della  libertà,  una  car- 
riera non  solo  moralmente  più  degna,  ma  anche  ci- 
vilmente più  utile  di  quella  che  si  riprometteva  dal 
servizio  di  Dìo  e  della  chiesa.  Che  se  V  uomo  non 
vive  di  solo  pane,  non  vive  né  pure  di  sola  fede;  e 
un  sistema  qualsiasi,  polìtico,  sociale,  o  religioso, 
sarà  tanto  più  sicuro  del  suo  trionfo,  quanto  sarà 
più  in  grado  di  assicurare  a' suoi  seguaci  l'accordo 
degrinteressi  co'princìpj,  l'armonia  dei  bisogni  della 
vita  con  le  leggi  del  pensiero  e  co' sentimenti  del 
cnore. 

FINE* 


INDICE  E  SOMMARIO 


CAPITOLO  NONO 

Ntl  programma  della  democrazia  la  libertà  civile  im- 
porla il  socialismo  —  e  non  il  communismo.  —  Ca- 
lunnie dei  catollcl  e  dei  moderati  contro  il  socialismo. 
— '  La  società  delPavvenire.  —  Il  socialismo  è  la  fede 
commuue  dei  democratici.  —  Enso  non  viola  la  pro- 
prietà e  la  giustizia  -^  né  pretende  T  impossibile.  — 
Blontalembert  e  Rendu  contradicono  a  sé  stessi.  —  Il 
«aTolicismo  non  ammette  la  libertà  civile:  prova  di 
fatto.  —  Dottrina  di  Pio  IX  intorno  alla  libertà.  — 
eoe  maledizioni  contro  il  socialismo.  —  F^a  chiesa 
condanna  remani;ipazione  del  proletariato,  e  crede  al 
regno  perpetuo  del  male  su  la  terra.  ....    Pag. 

CAPITOLO  DECIMO 

It  partito  calolieo  liberale  yuoI  tenere  una  via  di  meno 
t^  il  despotismo  e  la  democrazia;  e  cade  in  una  dop- 
{)ia  contradizione.  —  La  libertà  politica  è  la  RepuMIca. 
—  Fuori  della  cepublica  è  inevitabile  il  d^spoHuno.  — 


278 
Fra  il  principato  coslUozionàle  e  la  ropublica  v*ha  que- 
stione d'essenza  e  non  di  sola  forma.  —  Se  il  di  ritto 
sia  nella  sua  orìgine  umano  o  divino.  —  L'autorità  so- 
vrana appartiene  alla  nazione.  —  1  governanti  sono 
suui  mandatarj.  —  Logica  bizzarra  di  Balmes.  — 
Esaggerazioni  di  certi  democratici  purilanL  —  Anche 
il  mondo  morale  é  suggello  alla  legge  di  gradazio- 
ne. —  Il  principato  rappresentativo  dee  preferirsi  al- 
Tassolulo  anche  dai  democratici.  —  Né  per  ciò  essi  di- 
ventano dottrinarj.  —  La  monarchia  e  la  nazionalità 
italiana.  ^  L'esempio  degli  Stati-Uniti  d'America  non 
é  a  proposito.  —  1  democratici  devono  secondare,  e 
non  osteggiare  la  monarchia,  che  promuova  l'indipen- 
denza e  l'unìflcazione  d'Italia  —  La  dottrina  catolica 
é  la  negazione  d'ogni  diritto.  —  La  chiesa  condanna 
ogni  libertà  politica.  —  Un  dottore  catolico,  che  fa  la 
confutazione  del  papa.  —  I  principi  della  democrazia 
secondo  Lamennais,  e  quelli  del  catolicismo  secondo  Bal- 
mes. —  S.  Tomaso  non  ammette  il  diritto  di  resislen^ 
za.  —  La  politica  di  Bussuet  è  quella  della  chiesa. — 
Un  avvertimento  agPitaliani Pag.    35 

CAPITOLO  UNDECIMO 
LiuBnTA*  i»'ii«sibg:«abiento. 

Due  forme  della  libertà  d'insegoamento.  —  La  libertà  di 
stampa  dev'essere  assoluta.  —  L'errore  non  può  pu- 
nirsi né  io  nome  del  vero  —  ne  in  nome  del  bene 

—  né  iu  nome  della  sicurezza  publica. . —  V  ha  una 
specie  d'ateismo,  d|  communismo,  e  di  anarchia,  de- 
siderabile e  necessaria.  —  Ve  n'ha  un'altra  impossibile. 

—  Il  vero  punto  della  questione. — La  libertà  d'insegna- 
mento. —  Principi  generali  della  democrazia.  — •  Se- 
parazione totale  dello  Stato  4alla  chiesa.  —  Non 
violenta  la  coscienza  del  clero.  —  Quali  leggi  eccle^ 
siastiehe  si  debbano  permettere,  e   quali  interdire.  — 

—  Non  più  persecuzioni  alla  cbi^sa.  —  La  publica 
onestà  non  è  punto  niinacciata  dalia  libertà  d'io- 
segoamento.  —  Questa  libertà  sarebl^e  nceeltabile  On  . 


d'ora.  —  Essa  repiigna  assolùtamenle  al  calolici«mo. 

—  Magistero  catolico.  —  Lepìstazione  della  chiesa  in- 
tt)rno  aJla  slampa.  —  La  dislinzione  fra  libertà  e  It- 
renza  è  vana.  —  Monsignor  Charvaz.  —  Documenii 
ancora  pia  freschi.  —  La  chiesa  non  amon-eUtì  la  li- 
bertà d* associazione Pag.  86 

CAPITOLO  DUODECIMO 

r  « 

II<   TBRO'  CATOLICISMO    A    K<A    VEIIA    I^IBBRTA*. 

Due  specie  d'oppositori.  —  Il  catolicismo  dì  Roma,  e 
quello  deirfivangciio.  —  I  papi  ed  i  gesuiti  hanno  ra- 
gione. —  I  principj  essenziali  del  catolicismo  sono  la 
negazione  d'ogni  libertà.  —  fi  dogma  del  peccato  ori- 

•  ginale  —  della  predestinazione  e  dello  grazia  —  della 
redenzione.  —  Il  Dio  del  catolicismo  è  l'autore  del  male. 

—  La  chiesa  non  può  riformarsi.  —  La  morale  caloitca 
repugna  profondamente  ad  o^nì  legge  di  libertà.  —  Ca- 
tolicismo e  progresso  sono  termini  contradii torj.  —  La 
gerarchia  catolica  è  l'assolutismo  inalzato  alla  sua  ul- 
tima potenza.  —  Rapporti  storici  del  catolicismo  con  - 
la  libertà.  —  Qual  influenza  abbia  esercitato  il  cristia- 
nesimo su  lo  sviluppo  dei  principj  liberali.  —  Ricapi- 
tolazione e  formule.  —  Critica  della  formula  di  Giu- 
seppe Mazzini.  —  .^nche  il  protestantesimo  è  incompa- 
tibile con  la  libertà.  —  Il  calolicismo  di  Giuseppe  Mon- 
tanelli. —  Sue  ragioni  per  abjurare  il  panteismo  —  e 
riabbracciare  il  cristianesimo.  —  Gonlradizioni  reli- 
giose. degl'Italiani.  -^  Gooclusione »     i35 

appendice: 

PAI.   1S5S  AI<    tS59. 

I.  Scopo  e  tema  deW Appendice.  —  IL  Che  cosa  abbia 
guadagnato  il  catolicismo  in  Polonia.  —  III.  In  Isvizzera. 

—  IV.  in  Ispagnae  nel  Portogallo.  —  V.  In  Prussia  ed 
in  Austria;  effetti  del  concordato.  —  VI.  Nel  Belgio. 

—  Vii.  In  Olanda.  —  VllL  In  InghUt^rra.  —  IX.  In 


Francia;  liti  scondalos»  fra  il  eicro.---  X«.  Gii«rr»  <li 
MoDtalemberl  contro  rrmverf  ed  il  governo.  —  XI.  Il 
dogma  (lell*immacalata  Concezione.  ^  XII.  La  guerra 
d*OrÌAnto.  -;*  XI II.  Viaggio  del  papaf  condizioni  della 
chieM  in  Toscana  e  a  Napoli.  —  XIV.  Nuove  tarpi- 
indini  del.  gesuitismo,  «-XV.  Lutta  del  Piemonte  e> 
detritalia  contro  il  papato.  —  XVI.  Enciclica  del  papa 
contro  r  emancipazione  delle  Romngne.  —  XVP.  In- 
dirizzi del  clero  milanese  a  Gyalai  0d  a  Radelzicy.  — 
XVIII.  Liberalismo  del  clero  lombardo.  —  XIX.  I  preti 
buoni  e  i  preti  catlivi.  — XX.  In  questa  classi Qcazione 
i  liberali  commettono  un  errore,  —  XXI.  e  un'ingiu- 
stizia. »  XXII.  Guerra  alle  insUtuziont,  e  rispetto  alle 
persone.  —  XXIII  Che  cosa  rimane  da  fare  ai  preti 
liberali.  -^  XXIV.  Qual  è  e  qual  dovrebb*essere  il  con- 
tegno dei  patrioti  verso  del  clero.    ,    .    .    •    .    Pag.  Si 7