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Full text of "L'autoeducazione nelle scuole elementari; continuazione del volume: Il metodo della pedagogia scientifica applicato all' educazione infantile nelle case dei bambini"

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dr.  med.  maria  montessori 


L'AUTOEDUCAZIONE 


NELLE  SCUOLE  ELEMENTARI 


CON  FIGURE  E  TAVOLE  ILLUSTRATIVE 


Continuazione  del  Volume: 

//  Metodo  della  Pedagogia  scientifica  applicato  all'educazione  infantile 
nelle  Case  dei  Bambini 


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ROMA    ■ 

ERMANNO   LOESCHER   &  C. 

P.  MAGLIONE  &  C.  STRINI 

EDITORI-  -IBRAI    DI   S.    M.    LA    REGINA 

1916 


Dr.  Med.  maria  MONTESSORl 

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L'AUTOEDUCAZIONE 

NELLE  SCUOLE  ELEMENTARI 

Continuazione  del   Volume: 

//  Metodo  della  Pedagogia  scientifica  applicato  all'educazione  infantile 
nelle   Case  dei  Bambini 


ROMA 

ERMANNO    LOESCHER    &   C. 

P.  MAGLIONE  &  C.  STRINI 

EDITORI-LIBRAF    DI    S.    M.    LA    REGINA 

1916 


L'autrice  avendo  oUemperalo  alle  vigenti  leggi 
il  diritto  di  riproduzione,  anche  parziale,  e  di  traduzione 
tanto  per   l'Italia   che  per  l'Estero 


/2.   5".  5" 5". 


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Tiponrili»  dell'Unione  Editrice.  Vi»  Federico  Ceti.  45 


A   SUA   MAESTÀ 

MARGHERITA  DI  SAVOIA 

PRIMA   REGINA   D' ITALIA 


La  nostra  prima  Regina  vide  nel  o  lavoro  un'opera  utile 
alla  Patria  e  all'Umanità  :  e  però  e  con  saggia  previsione 
/'  iiiea  di  preparare  alcune  maestre  in  ni  che  ne  fossero  apostoli 
pienamente  consapevoli  e  capaci  di  prosarla.  Così  il  Suo  alto 
Patronato  si  volse  particolarmente  a  corvare  nella  fedeltà  delle 
sue  origini  e  dei  suoi  scopi  spirituali,  Izra  conosciuta  e  sparsa 
nel  mondo  nelle  sue  apparenze  sociali 


INDICE    DELLE    MATERIE 


Prefazione Pag.  xvii 


PARTE  PRIMA. 

I.  Uno  sguardo  alla  vita  del  bambino: 

I  criteri  generali  dell'igiene  psichica  dei  bambini  sono  paralleli  a  quelli 

dell'  igiene  fisica /    '    *     ^'^'        ^ 

La  libertà    del   bambino  è   oggi   solo   fisica  -  Diritti   civili   /el   bambino 

nel  XX  secolo ./ 9 

Come  riceviamo  i  bambini  che  vengono  al  mondo  .   .   .    .   / 15 

Nell'uomo  la  vita  del  corpo  deve  dipendere  dalla  vita  deUo  spirito.  .   .       19 


II.  Uno  sguardo  all'odierna  educazione: 

Criteri  che  informano  l'educazione  morale  e  l'istruzione 

È  il  maestro  che  crea  la  mente  del  bambino  -  Come  s/ insegna 

La  scienza  positiva  fa  il  suo  ingresso  nella  scuola  .   . 

Scoperte  della  medicina:  deformazioni  e  malattie   .    . 

La  scienza  innanzi  ai  bambini  non  corrispose  alla  sua 

Scoperte  della  psicologia  sperimentale  :  surménage  -  es; 


missione    .... 
urimento  nervoso 


La  scienza  s'imbatte  nella  siepe  dei  problemi  insoluti/. 45 


/ 
III.  U  mio  contributo  sperimentale:  [ 

L'organizzazione  della  vita  psichica  s'inizia  con  un  fenomeno  caratteri- 
stico di  attenzione , 51 

Lo  sviluppo  psichico  si  organizza  con  l'aiuto  di  stimoli  esterni,  che  de- 
vono essere  sperimentalmente  determinati 53 

Gli  stimoli  estemi  si  possono  determinare  in  qualità  e  quantità  ....  56 

Il  materiale  di  sviluppo  è  necessario  solo  come  «  punto  di  partenza  » .   .  61 

I  fatti  psichici 65 

Guida  alle  osservazioni  psicologiche 92 


IV.  La  preparazione  della  maestra 


93 


x^, 


/  INDICE    DELLE   MATERIE 

ibieate  . ^«i?-     i' 

^n  moto  libep " 


I.  Attenzione 
\\T.  Volon 
Vili.  Intell^ewa 143 


I X.  Immagimiione  : 

L'imiiiai^iazionc  creatrice  della  scienza  si  basa  sul  vero 177 

Anche  l'inmaginazione  artistica  si  basa  sul   vero 180 

L'immagirizione  nei  bambini 187 

Favola  e  rligione 196 

L'educaziae  dell'immaginazione  nelle  scuole  elementari 198 

X.  La  questioR  morale 203 

L'educazicne  del  senso  morale 243 

L'essenza  (eli  educazione  morale 247 

La  nostra  nsensibilità 252 

Morale  e  reigione 255 

Il  sentimenn  religioso  nei  bambini 258 


PARTE  SECONDA. 

I    «  TESTS»    SISTEMATICI    PER   LO    SVILUPPO    INTELLETTUALE 
NELLE    CLASSI    ELEMENTARI. 

Grammatica /^rts,'.  2O5 

Dai  meccanismi  aio  svolgimento  intclletiuale  del  linguaggio 2^17 

Studio  delle  parole 272 

Suffissi  e  prefissi 273 

Forme  dell'articolo  :  flessione  dei  nomi  : 

Concordanza  fra  articolo  e  nome 277 

Singolare  e  plurale 278 

Maschile  e  femminili- 279 

Le  lezioni  -  I  comandi 284 

Comandi  sui  nomi 289 

Aggettivi  : 

Analisi 291 

Aggettivi  qualificativi 291 

Spostamenti 293 

Flessione 294 


INDICE    DELLE   MATERIE  XI 

Concordanza  logica  e  grammaticale  fra  nome  e  aggettivo   .    .     Pag.  295 

Ancora  sugli  aggettivi  qualificativi  .... 296 

.\ggettivi  quantitativi 298 

Aggettivi  ordinativi 298 

Aggettivi  dimostrativi ...  298 

.Aggettivi  possessivi ■ 299 

Verbi  : 

Analisi 300 

Spostamenti 302 

Lezioni  e  comandi  sui  verbi :;o2 

Lezioni  accompagnate  da  esperimenti 305 

Rubrica 306 

Preposizioni  : 

Analisi 307 

Spostamenti 309 

Lezioni  e  comandi  sulle  preposizioni jio 

A vverbi : 

Analisi 312 

Spostamenti 313 

Lezioni  e  comandi  sugli  avverbi 316 

Un'esplosione  di  attività  -  L'avvenire  del  linguaggio  scritto  nell'edu- 
cazione popolare .    .  318 

Pronomi  : 

Analisi 321 

Spostamenti 322 

Lezioni  e  comandi  sul  pronome 323 

Flessioni 325 

Concordanze  tra  pronome  e  verbo 326 

Coniugazione  dei  verbi 327 

Congiunzioni  : 

Analisi 329 

Spostamenti 330 

Lezioni  e  comandi  sulle  congiunzioni 330 

In/rriczioni  : 

Analisi 332 

Analisi  delia  proposizione  e  del  periodo: 

Proposizione 334 

Periodo 343 

La  punteggiatura 359 

Le  classificazioni .5^2 

Lettura 369 

Parte  meccanica ST^ 

L'analisi  della  lettura:  espressione  e  interpetrazione 372 

Parte  sperimentale  -  Lettura  ad  alta  voce 37^ 


INDICE   DELLE   MATERIE 


Letture  interpretato Pag.  378 

Le  audizioni.  .VS5 

I  libri  proforiti.  .586 

Aritmetica 391 

Operazioni  ontro  il  dieci 3<)3 

Diecine,  centinaia  e  migliaia 395 

I  «  telai  dei  rapporti  decimali  » 39'> 

La  tavola  pitagorica 400 

Divisione 405 

Le  operazioni  a  più  cifre 406 

Esercizi  sui  numeri 416 

II  quadrato  e  il  cubo  dei  numeri 426 

Geometria 429 

Descrizione  del  materiale  di  sviluppo  riferentesi  alla  geometria  ....  434 

Un  rapido  sguardo  al  progresso  della  coltura  -  Geometria  solida ....  459 

Disegno 4'>5 

Disegno  geometrico  lineare   -  Decorazioni 4*V 

Disegno  libero  -  Disegno  dal  vero 471 

Educazione  musicale 477 

Lettura  e  scrittura  musicale 483 

Le  due  chiavi  di  violino  e  di  basso 487 

Le  scale  maggiori 489 

Esercizi  ritmici 493 

Il  canto 508 

Frasi  musicali  per  gli  esercizi  ritmici  iniziali 510 

Le  audizioni  musicali 520 

Lo  studio  della  metrica  nelle  scuole  elementari 523 

AllegaU 533 

Allegato  I.  Cartella  per  io  studio  individuale  del  bambino 535 

Allegalo  II.  Riassunto  delle  lezioni  di  didattica  date  in  Roma  nella  Scuola 

Magistrale  Ortofrenica  l'anno  1900 351 


INDICE  DELLE  TAVOLE 


GRAMMATICA. 

I.  Lettura  dei  cartellini. 

II.  ScatoUere  grammaticale:  articoli  e  nomi. 

III.  Il  bambino  ha  eseguito  un  esercizio  di  flessione 
dei  nomi  nel  genere  e  nel  numero  ;  mentre  la  bam- 
bina sta  facendo  un  esercizio  di  accordanza  tra 
nome  e  articolo. 

IV.  Il  bambino  ha  eseguito  un  esercizio  di  flessione 
dei  nomi. 

V.  Scatoliere  grammaticale:  articoli,  nomi  e  ag' 
gettivi. 

VI.  Scatoliere  grammaticale  :  articoli,  nomi,  agget- 
tivi, verbi. 

VII.  Scatoliere  grammaticale:  articoli,  nomi,  agget- 
tivi,  verbi,  preposizioni. 

Vili.   ((  Metti  il  cono  azzurro  vicino  al  cubo  rosa  n 

IX.  Scatoliere  grammaticale:  articoli,  nomi,  agget- 
tivi, verbi,  preposizioni,  avverbi. 

X.  Scatoliere  grammaticale  ;  articolo,  nome,  agget 
tivo,  verbo,  preposizione,   avverbio,   pronome. 

XI.  Secondo  momento  dell'esercizio  :  nella  frase  cosi 
ricomposta  sui  suoi  elementi,  si   sostituiscono 
pronomi  ai  nomi,  levando  e  mettendo  dei  cartel 
lini  :   «  Il  libro  scivolò  in  terra,  essa  Io  rimise  sul 
tavolo  ». 

XII.  Un  verbo  coniugato:  sono  dispiegati  sei  tempi 
dell'indicativo. 

XIII.  Casellario  grammaticale:  articolo,  nome,  ag- 
gettivo, verbo,  preposizione,  avverbio,  pronome 
congiunzione. 

.\IV.  Scatoliere  grammaticale:  tutte  le  parti  del 
discorso. 


XV.  Lettura  interpetrata:  «  Gli  parlò  all'orecchio  ». 
.XVI.  Lettura  interpetrata:   «  Dette  in  una  risata 

e  battè  le  mani  ». 
XVII.  Lettura  interpetrata  :  «  Si  tolse  il  berretto 

e  s'inchinò  profondamente  ». 


XVIII.  Interpetrazione  spontanea  della  lettura: 
i(  Trasse  di  tasca  il  fazzoletto,  lo  spiegò  e  ci  si 
asciugò  gli  occhi   pieni  di  lacrime  » . 

XI.X.  Lettura  interpetrata:  «  Aveva  sonno:  ap- 
poggiò le  braccia  sul  tavolino,  la  testa  sulle 
braccia,   e  si  addormentò  ». 

XX.  Analogamente  i  bambini  interpetrano  le  espres- 
sioni e  le  pose  raffigurate  nei  quadri. 

ARITMETICA. 

XXI.  Il  materiale  delle  perle  usato  per  addizioni 
e  sottrazioni  :  ognuno  dei  nove  numeri  è  di  colore 
diverso. 

X.XII.  Bambina  che  fa  addizioni  col  materiale  delle 
perle. 

X.XIII.  Una  bambina  conta  la  catena  del  ntilte 
ammassata  sulla  tavola:  e  l'altra, seduta  in  pol- 
trona, conta  la  catena  del  cento. 

XXIV.  Conteggio  e  calcoli  sulle  catene. 

XXV.  Cubo  di  dieci;  dieci  quadrati  di  dieci;  e  ca- 
tene di  dieci,  cento  e   mille. 

XXVI.  Nel  telaio,  le  perle  a  sinistra  segnano  il 
numero  un;  e  il  materi  ale  delle  perle  indica  i , 
IO,   100,   looo  in  quadrati  e  cubo,  e  in  catena. 

XXVII.  Primo  «  telaio  »  dei  rapporti  decimali  :  a 
sinistra  è  composto  il  numero  4827. 

X. XVIII.  Esercizi  d'aritmetica:  sul  piccolo  telaio 
è  rappresentato  il  numero  4.278. 

XXIX.  Secondo  «  telaio  »  dei  rapporti  decimali:  a 
sinistra  è  composto  il  numero  6.206.818. 

XXX.  Materiale  della  Tavola  Pitagorica. 

XXXI.  Bambino  che  lavora  col  materiale  delle  mol- 
tiplicazioni. 

XXXII.  Una  divisione  eseguita  sul  materiale  e  tra- 
scritta nel  foglietto. 

XXXIII.  Esercizi  d'aritmetica. 

XXXIV.  Quattro  momenti  successivi  di  una  divi- 
sione a  più  cifre  eseguiti  col  materiale. 

XXXV.  Bambina  che  esegue  una  divisione  a  più 
cifre. 


INDICE    DELLE    TAVOLE 


XXXVL  Quadrato  e  cubo  del  ^aUro  e  del  ctnqut  i 
(materiale  delle  perlrV 

XXXVII.  Quailrati  e  cubi  di  quattro  e  di  cinque:  j 
le  catone  dei  cubi  s^mo  ripiegate  sopra  se  stesse  ; 
e  trattenute  da  spilli,  in  modo  da  riprodurre  la  I 
corrispondente  sene  di  quadrati.  i 

XXXVIII.  I  cubi  e  i  numeri,  sovrapposti  a  torre. 

niSEGNO. 

XXXIX.  Esempi  di  decorazioni  del  quadrato:  me- 
diane e  diagonali. 

XL.  Decorazioni  del  centro  e  degli  angoli. 

XLI.  Dccorarioni  del  triangolo:  centro,  angolo  e 
bisettrici. 

XLII  e  XLIII.  I  bambini  fanno  combinazioni  or- 
namentali coi  pezzi  degli  incastri  geometrici. 

XLIV.  Composizione  fatta  con  pezzi  d'incastro. 

XLV.  Disegno  composto  con.  pezzi  d'incastro. 


XLVI.  Decorazione  costruita  con  pezzi  d'incastro. 
XLVII.  Costruzione  fatta  con  due  pezzi  d'incastro. 
XI.VIII.  Disegno  fatto  senza  l'aiuto  degl'incastri. 
XLI.X.  Espressione  spontanea   di    un    esercizio    di 

scienze  naturali. 
L.  Conseguenza  di  aver  portato  a  scuola  una  bacca 

di   piselli  per  osservarvi  l'impianto  dei  semi. 
LI.  Disegno  a  lapis  (dal  vero). 

EDUCAZIONE  MUSICALE. 

LII,   LUI  e    LIV.    Materiale    per   lo   studio    delle 

0  scale  maggiori  ». 
LV.   Il  monocordc. 
LVl.  Canne  metalliche  a  flauto. 
LVII.   Bambina   nell'atto  di  eseguire  un   esercizio 

per  l'analisi  della  battuta  camminando  sul  filo. 
LVIIL  II  sistema  dei  campanelli. 


L'AUTOEDUCAZIONE 

NELLE  SCUOLE  ELEMENTARI 


PREFAZIONE 


La  continuazione  del  mio  metodo  per  l'educazioije  dei  piccoli 
bambini,  condotta  fino  all'istruzione  elementare  (lej prime  classi 
elementari,  fino  a  dieci  anni  d'età),  rappresenta  un  lavoro  speri- 
mentale di  tre  anni. 

•  Fu  nel  191 1  che  una  mia  amica,  Donna  Maria  Maraini 
Guerrieri  Gonzaga,  volle  mettere  le  prime  basi  ad  un  esperi- 
mento privato  del  tutto  libero,  per  cercare  se  con  altri  materiali 
più  avanzati  si  fosse  potuto  continuare  l'indirizzo  educativo  che 
già  aveva  avuto  successo  coi  piccoli  bambini. 

A  lei  si  unì  nella  generosità  la  compianta  baronessa  Alice 
Franchetti,  la  quale,  nel  suo  spirito  superiore,  aveva  avuto  un 
concetto  grande  di  quest'opera;  e,  benché  sofferente,  volle 
ancor  vivere  e  partecipare  alla  vita  con  opere  che  aiutassero  le 
nuove  generazioni.  Così  di  Lei  restano  a  ricordarla,  oltre  a  l'af- 
fetto imperituro  di  chi  ebbe  il  privilegio  d'avvicinare  e  com- 
prendere il  suo  animo  eccezionale,  le  scuole  che  fondò  per  i 
bambini  dei  contadini  nella  sua  tenuta  della  Montesca  (Città  di 
Castello),  ove  fu  posto  il  mio  metodo  per  i  piccolini,  e  dove 


XVIII  PREFAZIONE  l 

Klla  stessa,  raccog-liendo  quanto  di  meglio  era  al  biondo  in 
fatto  di  cduca;^onc,  adattò  mirabilmente  metodi  per  cuole  ele- 
mentari rurali,  lì  oltre  a  tale  opera  educativa,  che  l  quasi  la 
sopravvivenza  dell'anima  sua  là  dove  entrò  sposa  dll  barone 
Franchetti,  anche  questo  esperimento  viene  a  ricordarli.  Il  suo 
desiderio  fu,  come  quello  della  marchesa  Maraini  Guerrieri 
Gonzaga,  che  questo  tentativo  sperimentale  si  svolgeste  senza 
intromissione,  senza  controllo  alcuno:  nella  sua  pieni  spon- 
taneità. E,  compiendo  l'atto  generoso,  Essa  si  addormentava, 
lasciando  a  noi  il  profumo  della  sua  gentilezza.  In  questo  mo- 
mento in  cu:  il  libro  che  narra  tale  esperimento  esce  alle  stampe, 
tutti  quelli  che  la  conobbero,  che  l'amarono,  che  furono  Ida  lei 
beneficati,  che  sperimentarono  nella  sofferenza  che  cosa  fòsse  la 
sua  amicizia,  sentiranno  rivivere  la  sua  memoria:  e  questo  è 
il  miglior  sentimento  per  iniziare  la  lettura  di  questo  libro. 

Se  una  commemorazione  ancora  si  deve  fare,  è  quella  dei 
miei  Genitori,  i  quali  accompagnarono  tutti  i  miei  sacrifici,  le 
mie  ansietà,  e  assisterono  a  quest'ultimo  esperimento  che  doveva 
aprire  le  vie  di  una  continuazione  indefinita  al  primo  lavoro  che 
aveva  iniziato  con  successo  una  riforma  educativa;  e  poi,  come 
se  fossero  sodisfatti  di  ciò  che  avevano  veduto,  si  addormenta- 
rono quasi  insieme,  sicuri  di  lasciarmi  una  famiglia  nell'umanità. 

Io  sono  ben  lungi  dal  fare  qui  un  resoconto  finanziario  del 
mio  esperimento;  ma  sarà  facile  comprendere  come  in  tali  im- 
prese spesso  le  necessità  superino  le  previsioni.  Mantenere  una 
scuola;  fare  dei  tentativi  sperimentali  ove  si  richiede  una  fabbrica- 
zione di  materiali,  per  la  quale  non  c'è  ancora  alcuna  organiz- 
zazione nell'ambiente  sociale,  e  quindi  non  ci  sono  operai  pre- 
parati a  eseguire  i  lavori;  e  tutto  ciò  in  mezzo  a  un   notevole 


PREFAZIONE  XIX 

movimene  d' interesse  che  sorgeva  da  varie  parti  nel  mondo  — 
costituiva  un'opera  ben  più  imponente  di  quella  supposta  in  prin- 
cipio. Oltre  alle  maestre,  che,  scelte  tra  le  migliori  e  più  abili 
persone,  avevano  lasciato  i  loro  impieghi  per  dedicarsi  a  questa 
opera  la  quale  doveva  perciò  assumerne  la  responsabilità,  veniva 
ad  occorrere  un  altro  genere  di  personale,  come  avvocato,  dattilo- 
grafa, ecc.:  e  un  ufficio  doveva  essere  impiantato  a  lato  della 
scuola.  Basterebbe  pensare  alla  corrispondenza,  ai  brevetti,  alle 
visite  per  informazioni  di  persone  che  venivano  da  ogni  parte 
del  mondo  con  lettere  commendatizie  delle  ambasciate,  con 
presentazioni  e  raccomandazioni  da  Università  estere,  ecc.,  — 
per  capire  l' imbarazzo  di  una  tal  situazione,  ad  affrontare  la 
quale  nulla  era  stato  preparato. 

Vanno  ricordati  vari  aiuti,  tra  cui,  primo,  quello  della  nostra 
Regina  Madre  che,  con  pensiero  di  saggia  previdenza,  desiderò 
che  venissero  preparate  delle  maestre,  capaci  di  propagare 
l'idea  in  modo  sicuro,  e  che  potessero  essere  inviate  a  fondare 
delle  scuole  modello;  quello  della  Montessori  Society  di  Londra, 
che  voleva  concorrere  insieme  all'esperimento  e  alla  preparazione 
di  maestre  inglesi  ;  quello  di  Mrs.  Phipps  di  Pittsburg,  che,  nel 
generoso  desiderio  di  voler  fondare  un  istituto  nell'avvenire, 
volle  intanto  inviare  una  prova  del  suo  interesse  in  un  aiuto 
destinato  a  incoraggiare  l'idea  di  una  preparazione  di  maestre 
degli   S.    U.    d'A. 

Anche  il  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  in  Italia  ha 
concorso  a  questo  esperimento;  per  mettermi  in  condizione  di 
dedicarvi  tutto  il  mio  tempo  senza  rinunciare  al  postp  di  pro- 
fessore all'Istituto  Superiore  di  Magistero  femminil;^  in  Roma, 
esso,  incaricandomi  annualmente  di  compiere  stydi  sull'istru- 
zione primaria,   mi   ha  esonerata  dall'insegnamento. 


PREFAZIONE 


Tuttavia  (e  l'avvenire  dimostrerà  quanto  grandi  uano  i  bi- 
sogni di  quest'opera)  tali  aiuti  non  sarebbero  stati  succienti:  e 
andarono  a  beneficio  dell'opera,  prima,  tutto  il  frutto  cht  dette  la 
traduzione  del  mio  libro  in  lingua  inglese,  e  poi  grkn  parte 
di  quanto  fu  ricavato  dai  Corsi  Internazionali  per  |i-eparare 
maestre  al  metodo  dei  piccoli  bambini. 

Oggi  che,  solo  per  tener  fronte  e  aiutare  il  movimenta  locale, 
si  sono  fondate  tante  «Società  Montessori»  ove  persona  ricche 
riunite  insieme  danno  il  loro  contributo,  si  comincerà,  credo,  a 
comprendere  quali  fossero  i  bisogni  di  un  centro  che  circo  di 
tener  fronte  al  movimento  nel  mondo  intero,  di  assicurire  dei 
diritti  legali,  e  di  fare  un  esperimento  tanto  complesso, 
quello  che  è  descritto  in  questo  libro! 

Noi  saremmo  state  smarrite  nel  gran  lavoro,  se  uqanima 
preziosa.  Donna  Maria  Maraini  Guerrieri  Gonzaga,  sostenen- 
doci con  la  sua  fede,  con  la  sua  attività,  oltre  che  col  generoso 
contributo  suo  e  della  sua  famiglia  (Maraini  e  Moris),  non  ci 
avesse  accompagnate  di  giorno  in  giorno  in  tutta  la  durata 
del  difficile  cammino. 

Se  un  giorno  questo  lavoro  sperimentale,  destinato  a 
fondare  una  «  scienza  »  dell'educazione  e  una  nuova  com- 
prensione della  psicologia  umana,  darà  qualche  frutto  di 
bene  nel  mondo,  si  dovrà  ricordare  il  periodo  della  sua 
preparazione. 

Mentre  da  ogni  parte  tutti  discutevano,  chiedevano  di  «  ve- 
dere e  di  avere  »  e  domandavano  la  «  continuazione  »  del  metodo, 
solo  pochi,  assai  pochi,  pensarono  che  ciò  di  cui  tanto  si  par- 
lava non  aveva  alcun  appoggio,  alcuna  organizzazione,  alcuna 
possibilità  economica  di  sussistere  —  e  si  offrirono  ad  aiutare  la 
.risoluzione  praica  di   un   problema  tanto  difficile! 


\ 
\ 


PREFAZIONE 


Quest)  riconoscimento  sarà  il  compenso  che  io  spero  alle 
persone  dette  che  mi  aiutarono,  e  specialmente  a  Donna  Maria 
Maraini,  quella  unica  che  riconobbe  come  era  necessario  se- 
guire a  jasso  a  passo  e  giorno  per  giorno  col  proprio  sacrifizio  e 
col  proprio  sforzo,  questo  piccolo  germe  così  pieno  di  promesse. 

Negli  obblighi  di  riconoscenza  che  ho  assunto  in  questo 
lavoro,  debbo  includere  quelli  che  mi  legano  a  due  preziose 
collaboratrici.  Si  dice  che  la  verità  riconosciuta  fa  degli  apostoli; 
e  tali  furono  le  mie  prime  seguaci:  Anna  Fedeli  e  Anna  Macche- 
roni —  delle  quali  la  prima  lasciò  il  suo  posto  di  direttrice  della 
Scuola  Normale  di  Foligno;  la  seconda  rinunciò  a  un  posto 
di  professoressa  nelle  Scuole  normali  che  le  veniva  offerto,  per 
dedicarsi  a  questo  lavoro,  a  beneficio  del  quale  dettero  tutto 
il  danaro  che  possedevano  dalla  loro  famiglia  e  tutti  i  loro 
risparmi. 

E  difficile  riconoscere  in  un'opera  comune  quale  sia  il 
contributo  preciso  di  ciascuno:  e  questo  esperimento  dev'es- 
sere considerato  come  il  frutto  di  una  collaborazione  pienamente 
fraterna  ;  dove  però  la  parte  della  «  grammatica  »  è  in  parti- 
colar  modo  dovuto  alla  signorina  Fedeli,  squisita  cultrice  della 
lingua  italiana,   e  quella   musicale  alla  signorina   Maccheroni. 

Una  parola  di  storia. 

Essendo  questo  libro  la  continuazione  del  primo,  pubblicato 
nel  1909  dal  barone  Leopoldo  Franchetti,  è  bene  fare  un 
cenno  sulla  diffusione  che  l'opera  ebbe  in  questi  sei  anni: 
diffusione  di  quella  parte  del  metodo  che  è  preparazione  di 
questa,  cioè  il  metodo  per  l'educazione  dei  bambini  da  3  a 
6  anni  d'età. 


PREFAZIONE 


Il  libro  fu  tradotto  nelle  seguenti  lini^ue:  inglese,\francese, 
tedesca,  russa,  spagnuola,  catalana,  polacca,  rumena,  olandese, 
giapponese,  chinese. 

Furono  dati  in  Italia  i  seguenti  corsi  per  preparare  Wiaestre: 

Corso  a  Città  di  Castello  —  tenuto  per  conto  e  \n  casa 
dei  baroni  Franchetti,  nel  1909  —  ove  si  iscrissero  più\di  no- 
vanta maestre  ; 

Due  corsi,  tenuti  presso  le  Suore  Francescane  Missio- 
narie di  via  Giusti,  in  Roma,  le  quali  offrirono  la  più  generosa 
ospitalità,  fondando  un  asilo  modello.  I  due  corsi  tenuti  pijesso 
di  loro,  ebbero  il  patronato  della  Regina  Madre  e  il  sostegno 
morale  di  un  gruppo  di  signore  romane  ; 

Due  corsi  tenuti  in  Roma  per  opera  della  municipalità; 

Due  corsi  internazionali  tenuti  in  Roma  sotto  il  patro- 
nato della  Regina  Madre  e  sotto  l'egida  del  «  Comitato  Nazio- 
nale Montessori  »,  ai  quali  presero  parte  allieve  delle  seguenti 
nazionalità    estere  : 


Stati  Uniti  d'America, 

India, 

Germania, 

Giappone, 

Inghilterra, 

Transwaal, 

Spagna, 

Panama, 

Russia, 

Australia, 

Olanda, 

Canada, 

Polonia, 

Austria. 

La  preparazione  delle  maestre  cercò  di  corrispondere  alia 
domanda  urgente  che  veniva  da  ogni  lato  per  la  fondazione  di 
scuole. 

Ma  oramai  la  preparazione  delle  maestre,  specialmente 
quando  si   tratterà  di  diffondere  anche  il  metodo  per  le  scuole 


PREFAZIONE  XXIU 

elementari,  avrebbe  bisogno,  per  essere  più  efficace,  di  un 
Istituto  di  studi  originali  e  insieme  di  preparazione  di 
maestre,  di  ispettrici  e  di  persone  che  a  loro  volta  potes- 
sero fondare  centri  per  la  preparazione  delle  maestre  nei 
loro   paesi. 

L'Istituto  rappresenta  un  aspirazione,  una  necessità  che 
qualcuno  indubbiamente  dovrà  realizzare;  l'avvenire  di  questa 
opera  sta  in  tale  realizzazione. 

Rotna,  jo  luglio  igi6. 

Maria  Montessoki. 


PARTE   PRIMA 


I. 
Uno  sguardo  olla  vita  del  bambino 


I  criteri  generali  dell'igiene  psichica  dei  bambini  sono  pa- 
ralleli a  quelli  dell'igiene  fisica.  —  Molte  persone,  chiedendomi  di 
continuare,  per  l'educazione  dei  bambini  d'età  maggiore  di  sette  anni, 
il  medesimo  indirizzo  usato  pei  più  piccoli,  mettevano  in  dubbio  che 
ciò  sarebbe  stato  possibile. 

Le  difficoltà  poste  erano  specialmente  di  ordine  morale. 

Non  deve  oramai  il  fanciullo  cominciare  a  seguire  la  volontà  degli 
altri,  anziché  la  propria?  Non  dovrà  un  giorno  affrontare  un  vero 
sforzo,  nel  compiere  un  lavoro  «  necessario  »  anziché  un  lavoro  «  scelto  »? 
Infine,  non  dovrà  essere  iniziato  al  «  sacrifizio  »  poiché  la  vita  del- 
l'uomo non  è  una  vita  facile  e  fatta  di  godimento? 

Alcuni,  poi,  venendo  a  qualche  particolare  pratico  dell'istru- 
zione elementare,  la  quale  si  affaccia  già  ai  sei  anni  e  a  sette  deve  neces- 
sariamente essere  affrontata,  mettevano  questa  semplice  obbiezione: 
ecco  che  si  a\'anza  il  brutto  spettro  della  tavola  pitagorica,  l'arida 
ginnastica  mentale  imposta  dalla  grammatica:  che  farete  voi?  abolirete 
tutto  questo,  o  converrete  che  bisognerà  pure  «  assoggettare  »  il  bam- 
bino a  tali  necessità? 

È  e\idente  che  tutto  questo  ragionamento  si  aggira  attorno  al- 
l'interpretazione di  quella  «libertà»,  che  é  dichiarata  fondamento  del- 
l'indirizzo educativo  da  me  sostenuto. 

Forse  tra  poco  tempo  tutte  queste  obbiezioni  faranno  sorridert-, 
e  alcuni   chiederanno   di   abolirle  insieme  ai   commenti,   nelle  futnrt' 


4  PAKTI-:    PRIMA 

edizioni.  Ma  in  questo  momento  esse  hanno  ragione  di  esistere  e  di  es- 
sere commentate.  Tuttavia  una  risposta  diretta,  convincente  e  chiara 
non  è  facile,  perchè  si  tratta  di  spostare  addirittura  delle  questioni 
sulle  quali  tutti  hanno  dei  convincimenti  radicati. 

Forse  un  parallelo  gioverà  a  risparmiare  gran  parte  del  lavoro. 
«  Indirettamente  »  ha  risposto  già  a  tutto  questo  il  progresso  che  c'è 
stato  nel  trattamento  dei  piccoli  bambini  sulla  guida  dell'igiene.  Che 
cosa  si  faceva  prima?  Forse  molti  ancora  ricorderanno  d'avere  assi- 
stito a  delle  «  pratiche  »  ritenute  dogmi  nelle  masse.  Il  bambino 
doveva  essere  fasciato  «  perchè  non  si  storcessero  le  gambe  «  ;  biso- 
gnava tagliargH  il  «  filetto  della  lingua  »  perchè  un  giorno  potesse 
parlare;  occorreva  tenergli  sempre  la  cuffia  perchè  le  orecchie  rimanes- 
sero sempre  aderenti  alla  testa;  le  posizioni  del  bambino  giacente  erano 
determinate  in  modo  che  non  derivassero  deformazioni  poi  permanenti 
del  tenero  cranio;  infine,  le  buone  mamme  toccavano  e  ritoccavano  il 
nasino  del  piccolo  nato  perchè  crescesse  lungo  e  profilato  e  non  rima- 
nesse troppo  rotondo  e  schiacciato:  e  mettevano  al  bambino  gli  orec- 
chini d'oro  subito  dopo  la  nascita  perchè  ciò  «acutizzava  la  vista». 
Forse  queste  pratiche  saranno  già  dimenticate  in  alcuni  paesi;  ma  in 
altri  esse  sono  «  tuttora  in  uso  ».  Chi  non  ricorda  i  sussidii  usati  per 
aiutare  il  bambino  a  camminare?  Già  dai  primi  mesi  della  nascita  --  in 
un'epoca  della  vita  in  cui  le  vie  nervose  non  sono  completamente  svi- 
luppate ed  è  «  impossibile  »  al  bambino  coordinare  i  movimenti  —  le 
madri  perdevano  qualche  mezz'ora  del  giorno  a  «  insegnare  al  bam- 
bino il  passo  ».  Esse  tenevano  il  piccolo  lattante  pel  corpo  e  utilizzavano 
i  movimenti  disordinati  dei  piccoli  piedi  per  illudersi  che  ci  fosse  già 
l'inizio  del  cammino:  e  poiché  infatti  a  poco  a  poco  il  fanciuUino  co- 
minciava ad  accavallare  i  piedi  e  infine  a  muovere  più  arditamente  le 
gambe,  le  madri  attribuivano  ai  loro  sforzi  tale  progresso.  Quando  poi 
il  movimento  era  press'a  poco  stabilito—  ma  non  l'equilibrio  e  quindi 
la  possibilità  pel  bambino  di  tenersi  in  piedi  —  le  madri  usavano  certe 
cinghie  con  cui  sostenevano  il  corpo  del  bambino  e  lo  facevano  così 
«  camminare  in  terra  »  insieme  con  esse;  ovvero,  quando  non  potevano 
perdere  tempo,  mettevano  il  bambino  in  certe  ceste  fatte  a  campana, 
che  perciò,  avendo  larga  base,  non  si  potevano  rovesciare,  e  dentro  v'in- 
filavano il  bambino  che  rimaneva  con  le  braccia  fuori,  sostenuto  nel 


1.  -  UNO    S(;UARDO    ALLA    VITA    DEL    BAMBINO  5 

corpo  dall'orlo  superiore  del  cesto:  egli  così,  pur  non  sapendo  reggersi 
in  piedi,  avanzava,  muovendo  le  gambe,  cioè  «  camminava  ». 

Sono  pure  relitti  di  un  passato  recente  alcune  specie  di  corone 
molto  convesse,  i  cércini,  che  si  mettevano  intorno  alla  testa  del  bam- 
bino quando  egli  era  «  giudicato  capace  di  reggersi  in  piedi  »  e  quindi 
veniva  emancipato  dal  cesto.  Il  bambino,  lasciato  di  un  tratto  a  se 
stesso  e  abituato  fino  allora  a  sostegni  paragonabili  alle  grucce  degli 
storpi,  cadeva  a  ogni  momento,  e  la  corona  era  una  difesa  alla  testa 
che  altrimenti  si  sarebbe  ferita. 

Che  cosa  rivelò  la  scienza,  quando  fece  il  suo  ingresso  nella  sal- 
vazione del  fanciullo?  Non  dette  certo  dei  mezzi  perfezionati  per  rad- 
drizzare il  naso  e  le  orecchie,  e  non  illuminò  le  madri  sul  modo  di 
aiutare  fin  dalla  nascita  il  bambino  a  camminare.  No.  Essa,  prima  di 
tutto,  dette  la  convinzione  che  la  natura  stessa  provvede  a  determi- 
nare la  forma  della  testa,  del  naso,  delle  orecchie;  che  l'uomo  parlerà 
bene  senza  bisogno  di  tagliare  il  «  filetto  della  lingua  »;  che  le  gambe 
crescono  dritte  naturalmente,  non  solo,  ma  che  la  funzione  della 
deambulazione  si  stabilisce  da  sé  in  natura,  e  non  ha  bisogno  d'in- 
terventi. 

Quindi  occorre  «  lasciar  fare  alla  natura  il  piìi  liberamente  possi- 
bile »;  e  quanto  più  il  bambino  sarà  Ubero  di  sviluppare,  tanto  più  presto 
e  perfettamente  raggiungerà  le  sue  forme  e  le  sue  funzioni  superiori. 
Ecco  abolite  le  fasce  e  raccomandata  «  la  più  grande  tranquillità  in 
posizione  di  riposo  »:  il  bambino,  con  le  sue  gambe  libere,  sarà  lasciato 
disteso,  non  più  sballottato  per  «  ricrearlo  »  come  molti  facevano,  illu- 
dendosi di  divertirlo  ;  né  «  sforzato  »  a  camminare  fuor  di  tempo. 
Quando  sarà  la  sua  ora,  egU  si  alzerà  e  camminerà. 

Oggi  più  o  meno  tutti  sono  convinti  di  questo,  e  sono  pressoché 
scomparsi  dal  commercio  fasce,  cinghie  e  cestini. 

I  bambini,  in  proporzione,  hanno  le  gambe  più  diritte  e  cammi- 
nano meglio  e  più  precocemente  di  prima. 

Questo  é  un  fatto  stabilito.  Ed  é  un  fatto  di  grande  soUievo  ; 
perchè  in  verità,  quale  preoccupazione  non  era  mai  questa,  di  credere 
che  la  drittezza  delle  gambe,  la  forma  del  naso,  delle  orecchie,  della 
testa,  fossero  opera  diretta  delle  nostre  cure!  Che  responsabihtà,  alla 
quale  ciascuno  si  sentiva  inferiore!  E  che  pace  il  dire:  é  la  natura  che  ci 


PARTF.    PRIMA 


pensa;  io  lascerò  libero  il  bambine)  o  ne  contemplerò  il  »  crescere  in 
bellezza  »:  io  assisterò  tranquillamente  al  miracolo. 

Qualche  cosa  di  simile  sta  avvenendo  per  la  \'ita  interiore  del 
bambino.  Noi  siamo  assillati  dalle  preoccupazioni:  bisogna  formare 
il  carattere,  è  necessario  sviluppare  l'intelligenza,  bisogna  svolgere  i 
sentimenti.  E  ci  domandiamo:  come  fare?  Noi  tocchiamo  qua  e  là 
l'anima  del  bambino,  o  la  costringiamo  in  speciali  strettoie,  come  piti 
o  meno  favevano  le  madri  toccando  il  naso  del  bambino  o  fasciando 
le  orecchie.  E  nascondiamo  le  nostre  preoccupazioni  dietro  una  specie 
di  successo  mediocre,  in  quanto  gli  uomini  crescono  infatti  avendo 
carattere,  intelligenza  e  sentimento.  Quando  però  tutte  queste  cose 
mancano,  siamo  vinti.  Come  fare?  Chi  darà  a  un  degenerato  il  carat- 
tere, chi  a  un  idiota  l'intelligenza,  chi  a  un  pazzo  morale  il  sentimento? 

Se  veramente,  toccando  l'anima  qua  e  là,  fosse  per  un  tale  tocco 
che  l'uomo  acquista  tutte  queste  cose,  basterebbe  toccare  con  un  po' 
più  di  energia  chi  ne  è  evidentemente  più  scarso.  Ma  non  avviene  cosi. 

Dunque  non  siamo  noi  i  creatori  delle  forme  interiori,  come  non 
siamo  quelli  delle  forme  esterne. 

È  la  natura,  è  la  «  creazione  »  che  regge  tutte  queste  cose.  Se 
noi  ci  facciamo  un  convincimento  di  ciò,  nasce  come  principio  la  ne- 
cessità di  ((  non  porre  ostacoli  allo  sviluppo  naturale  »;  e  invece  di 
tanti  separati  problemi  —  quali  sarebbero  l'aiuto  per  sviluppare  il 
carattere,  l'intelligenza  e  il  sentimento  —  un  solo  problema  si  affacce- 
rebbe come  base  di  tutta  l'educazione:  «  come  lasciare  libero  il  bambino?». 

In  questa  libertà,  devono  essere  inclusi  principi  analoghi  a  quelli 
che  la  scienza  dette  per  le  forme  e  le  funzioni  del  corpo  in  crescenza: 
una  libertà,  nella  quale  appunto  la  testa,  il  naso,  le  orecchie,  diventa- 
vano le  più  belle  e  la  deambulazione  la  più  perfetta  possibile  secondo 
le  forze  congenite  dell'individuo.  E  così  qui  la  libertà,  unico  mezzo, 
deve  portare  al  massimo  sviluppo  individuale  il  carattere,  l'intelli- 
genza, il  sentimento:  e  deve  dare  a  noi  dirigenti  la  «  pace  »,  la  possi- 
sibilità  di  contemplare  il  «  miracolo  »  della  crescenza. 

Questa  libertà,  libera  anche  noi  dal  peso  angoscioso  di  una  respon- 
sabilità fittizia  e  da  una  illusione  pericolosa. 

Guai  a  noi,  allorché  ci  crediamo  responsabili  di  fatti  che  non  ci 
toccano  e  allorché  c'illudiamo  di  compire  cose   che   invece   si  com- 


I.  -  UNO   SGUARDO   ALLA   VITA    DEL    BAMBINO  7 

pieno  indipendentemente  da  noi.  Perchè  allora  noi  siamo  come  dei 
pazzi;  e  viene  la  domanda  profonda:  e  della  nostra  vera  missione, 
della  nostra  vera  responsabilità,  che  cosa  ne  è?  Se  siamo  illusi,  quale 
è  la  nostra  vera  realtà?  £  quali  mancanze,  quali  «  gravi  peccati  » 
commettiamo  noi?  Se  crediamo  ora,  come  Chanteclair,  che  il  sole  nasce 
il  mattino  perchè  il  gallo  ha  cantato,  che  doveri  troveremo,  ritor- 
nando in  noi  stessi?  Chi-i.  rimasto  in  abbandono,  pel  fatto  che  noi  ci 
siamo  dimenticati  di  «  mangiare  il  nostro  vero  pane  »? 

La  storia  della  «  redenzione  fisica  »  del  bambino  ha  una  conti- 
nuazione molto  illustrativa  per  noi. 

L'igiene  non  si  è  limitata  a  un  compito  di  «  illustrazione  antropo- 
logica »,  come  è  quello  di  mettere,  più  che  a  conoscenza  nella  «  con- 
vinzione »  di  tutti,  che  il  corpo  sviluppa  da  sé  :  perchè,  realmente, 
la  questione  infantile  non  riguardava  le  forme  più  o  meno  perfette  del 
corpo.  La  vera  questione  infantile  che  richiamò  l'opera  della  scienza, 
fu  la  spaventevole  mortalità  dei  bambini. 

Ci  sembra  certo  strano,  oggi,  considerare  queste  verità;  che  cioè 
nell'epoca  in  cui  le  malattie  infantili  facevano  strage,  non  era  la  mor- 
talità che  preoccupava,  ma  era  la  forma  del  naso  o  la  direzione  delle 
gambe:  mentre  la  «  vera  questione  »,  che  era  questione  di  vita  o  di 
morte,  passava  inosservata.  Quante  persone  avranno  sentito,  come 
me,  dialoghi  simili  a  questo:  «  Io  sono  molto  pratica  nel  curare  i  bam- 
bini: ho  avuto  nove  figli!  »  e  E  quanti  ne  avete  vivi?  »  «  Vivi  ne  ho  due  ». 
E  tuttavia  quella  madre  diventava  lo  stesso  una  consigliera  autorevole. 

Le  statistiche  sulla  mortalità  rivelarono  cifre  così  alte,  da  far 
chiamare  il  fenomeno  «  strage  degli  innocenti  ».  La  famosa  grafica 
del  Lexis,  che  non  riguarda  questo  o  quel  paese  ma  l'andamento  medio 
della  mortalità  umana  in  generale,  rivela  che  la  spaventevole  realtà 
e  universale.  Essa  ha  due  diversi  fattori:  uno,  indubbiamente,  è  la 
caratteristica  debolezza  del  bambino;  l'altro,  una  mancanza  di  prote- 
zione alla  sua  debolezza:  una  «  mancanza  »  che  si  era  generalizzata  in 
tutti  i  popoli.  Certo  non  mancava  la  buona  volontà,  il  sentimento 
d'amore  verso  i  bambini;  ma  mancava  qualche  cosa  d'ignoto,  mancava 
la  difesa  contro  un  pericolo  spaventevole,  innanzi  a  cui  gli  uomini 
passa\'ano  senza  conoscenza.  Si  sa  oggi  che  le  malattie  «  infettive  », 
specialmente  di  origine  intestinale,  erano  quelle  che  mietevano  le  nuo\e 


e  PARTE    PRIMA 

vite.  Le  malattie  intestinali,  diminuendo  la  nutrizione  o  producendo 
veleni  in  im'età  in  cui  la  delicatezza  dei  tessuti  è  a  ciò  sensibilissima, 
producevano  la  quasi  totalità  della  strage.  Quindi  risaltarono  gli  errori 
che  si  commettevano  consuetamente  versoti  bambini.  Gli  errori  erano 
una  mancanza  di  pulizia  che  oggi  ci  farebbe  stupire,  e  un'assenza 
completa  di  «  regole  «  sull'alimentazione  infantile.  I  pannoHni  sudici 
che  axvolgevano  il  bambino  sotto  le  fasce,vvprima  d'esser  lavati,  ve- 
nivano più  e  più  volte  asciugati  al  sole,  e  rimessi  così  addosso  al  bam- 
bino. Nessuna  cura  di  lavare  la  mammella  q'  la  stessa  bocca  del  bam- 
bino, malgrado  fermentazioni  così  gravi  dà  produrre  malattie  locali. 
L'allattamento  era  fatto  senza  regola:  solo  il  pianto  del  bambino  di- 
rigeva giorno  e  notte  la  sua  alimentazione;  e  più  le  indigestioni  e  quindi 
le  sofferenze  si  moltiplicavano,  più  si  moltiplicavano  le  razioni  ali- 
mentari, aggravando  lo  stato  del  bambino.  Chi  non  ha  visto  in  quel 
tempo  madri  che  portavano  in  braccio  bambini  ardenti  di  febbre  e 
che  toccavano  continuamente  con  la  mammella  la  piccola  bocca  ur- 
lante, nella  speranza  di  farla  tacere?  E  pure,  in  quelle  madri,  quale 
abnegazione,  e  che  sincera  angoscia! 

La  scienza  dettò  regole  semplicissime:  raccomandò  la  pulizia  più 
perfetta  possibile,  e  indicò  un  principio  così  evidente  in  se  stesso,  da 
far  stupire  che  tutte  le  genti  non  l'avessero  capito  da  sé:  e  cioè  che 
anche  il  piccolo  bambino,  come  noi,  deve  stare  a  pasto,  e  può  prendere 
nuovo  alimento  solo  dopo  che  ha  già  digerito  il  precedente;  e  quindi 
egli  deve  succhiare  solo  ogni  tante  ore,  secondo  i  mesi  di  età,  seguendo 
le  modifìcantisi  funzioni  fisiologiche  dello  sviluppo.  Né  si  debbono 
mai  dare  in  mano  al  bambino  crostine  di  pane  per  passatempo,  come 
facevano  tante  madri,  specialmente  del  popolo,  per  calmare  il  pianto 
del  bambino,  perchè  alcune  particelle  possono  essere  inghiottite  senza 
che  il  fanciullo  sia  ancora  capace  di  digerirle. 

La  preoccupazione  delle  madri  era:  e  come  faremo  dunque  quando 
il  bambino  piangf?  Con  gran  meraviglia  si  vide  con  l'esperienza  che  i 
bambini  piangevano  molto  meno  o  non  piangevano  più  affatto:  si  videro 
persino  dei  neonati  nella  prima  settimana  di  vita,  attendere  le  due  ore 
di  intervallo  tra  poppate  successive,  tranquilli,  rosei,  con  gli  occhi 
aperti:  così  silenziosi  da  non  dar  segni  di  sé,  come  la  natura  nei  suoi 
momenti   di  solenne  immobilità.  Infatti,  perché  dovevano  piangere 


UNO    SGUARDO    ALLA    VITA    DEL    BAMBINO 


continuamente?  Quel  pianto  era  il  segno  di  uno  stato  di  cose  che  si 
traduceva  così:  soffrire  e  morire. 

E  per  questi  piangenti,  nulla  faceva  il  mondo.  Essi  erano  legati 
nelle  fasce  e  consegnati  spesso  a  una  bambina  di  pochi  anni  incapace 
di  responsabilità;  essi  non  avevano  una  stanza,  né  un  letto. 

È  stata  la  scienza  che,  redimendoli,  ha  creato  le  bambinaie,  le 
culle  generalizzate  a  tutti,  le  stanze  per  i  bambini,  gli  abiti  per  loro, 
sostanze  alimentari  appositamente  preparate  dalle  grandi  industrie 
per  l'alimentazione  igienica  dopo  l'allattamento,  e  una  specialità  me- 
dica. Infine,  tutto  un  nuovo  mondo  intelligente,  pulito,  grazioso.  Il 
bambino  è  diventato  il  nuovo  uomo  che  ha  conquistato  i  proprii  diritti 
alla  vita  e  che  perciò  ha  dovuto  far  creare  un  «  ambiente  per  sé  ». 
Così  in  rapporto  diretto  alla  diffusione  delle  norme  infantili  igieniche 
si  vide  «  diminuire  la  mortalità  ». 

Se  dunque  noi  diciamo  che  anche  spiritualmente  il  bambino  deve 
essere  «  lasciato  libero  »  perché  é  la  natura  creatrice  che  può  formarlo, 
e  non  noi:  non  diciamo  di  lasciarlo  abbandonato  e  senza  cure. 

Forse,  guardandoci  intorno,  ci  avvedremo  che,  se  nulla  possiamo 
direttamente  sulle  sue  forme  individuali  di  carattere,  d'intelligenza, 
di  sentimento  —  esiste  però  una  serie  di  doveri  da  parte  nostra  e  un 
insieme  di  cure,  che  abbiamo  trascurato:  e  dalle  quali  dipende  la 
vita  e  la  morte  dello  spirito. 

Il  criterio  di  «  libertà  »  non  è  dunque  un  criterio  di  «  abbandono^), 
ma  anzi  esso,  facendoci  passare  dalla  illusione  alla  realtà,  ci  guida  alla 
più  positiva  ed  efficace  «  cura  del  bambino  ». 

La  libertà  del  bambino  è  oggi  solo  fìsica.  -  Diritti  civili  del 
bambino  nel  XX  secolo.  —  L'igiene  ha  «  liberato  »  la  vita  fìsica  del 
bambino.  I  fatti  esterni  che  consistono  nell'abolizione  delle  fasce,  nella 
vita  all'aria  aperta,  nel  riposo  concesso  a  sazietà  —  e  simili  —  sono  la 
parte  più  visibile,  più  tangibile  universalmente.  Ma  essi  costituiscono 
solo  dei  «  mezzi  »  per  «  raggiungere  »  la  libertà.  Una  liberazione  ben  più 
importante  é  quella  di  aver  tolto,  innanzi  al  cammino  della  vita,  i  peri- 
coli di  malattia  e  di  morte.  Appena  l'ostacolo  di  alcuni  errori  fondamen- 
tali fu  tolto,  i  bambini  non  solo  sopravvissero  in  numero  assai  maggiore, 
ma  si  constatò  che  essi  crescevano  meglio.  È  veramente  l'igiene  che  li  ha 


,i..ii.,M  ,1  iur«vii<  111  ptsi),  in  statura,  in  bellezza;  e  che  ha  migliorato  il 
loro  ricambio  materiale?  L'igiene  non  ha  fatto  tutto  questo.  Chi  po- 
trebbe, lo  dice  anche  il  Vangelo,  far  crescere  un  uomo  di  un  solo  cubito? 
L'igiene  ha  soltanto  liberato  il  corpo  del  bambino  dagli  ostacoli  che  gl'im- 
pedivano  di  crescere.  Erano  dei  legami  esterni  che  ostacolavano  il 
ricambio  materiale  e  tutta  l'evoluzione  naturale  della  vita:  l'igiene  ha 
spezzato  questi  legami.  E  tutti  hanno  sentito  che  era  avvenuta  una  li- 
berazione; a  fatto  compiuto  ognuno  ha  ripetuto:  i  bambini  devono 
essere  liberi.  La  corrispondenza  diretta  tra  «  condizioni  di  vita  fisica 
raggiunte  »  e  «  libertà  acquistata  »  è  oramai   intuita    universalmente. 

In  tal  modo  il  bambino  è  servito  come  una  pianticella.  Da  lungo 
tempo  i  vegetali  di  un  orto  o  di  un  giardino  ben  tenuto,  avevano 
acquistato  i  diritti  a  cui  è  giunto  oggi  il  bambino.  Buona  nutrizione, 
ossigeno,  temperatura  adatta;  difesa  minuziosa  dai  parassiti  che  pro- 
ducono le  malattie  delle  piante;  sì,  oramai  anche  il  figlio  di  un  principe 
può  avere  altrettante  cure,  quanto  il  più  bel  cespo  di  rose  di  una  villa. 

Il  paragone  vecchio:  il  bambino  è  come  un  fiore,  è  la  realtà  a  cui  oggi 
aspiriamo:  è  tuttavia  un  privilegio  riservato  solo  ai  bambini  fortunati. 
Ma  svegliamoci  da  un  così  grave  errore.  Il  bambino  è  un  uomo.  Ciò  che 
basta  a  una  pianta  non  può  bastare  a  lui:  pensiamo  in  qual  miseria  è 
caduto  un  uomo  paralitico  del  quale  oramai  possa  dirsi:  non  gli  resta 
più  altro  che  la  vita  vegetativa.  «  Come  uomo  »,  egli  è  morto.  Noi  di- 
ciamo di  lui  con  tristezza:  «  non  gli  resta  altro  che  il  corpo  «. 

Il  bambino  come  uomo,  questa  è  la  figura  che  deve  imporsi  in- 
nanzi a  noi.  Dobbiamo  vederla  in  quella  società  umana  tumultuante, 
che  con  eroici  sforzi  aspira  alla  «  vita  ». 

Quali  sono  i  diritti  dei  bambini  ?  Consideriamoli  un  momento 
come  «  classe  sociale  »,  come  una  classe  di  lavoratori:  infatti  essi  la- 
vorano a  produrre  uomini.  La  generazione  futura,  sono  loro.  Essi  sono 
che  lavorano,  sostenendo  le  fatiche  della  crescenza  fisica  e  spirituale. 
Stanno  continuando  il  la\oro  compiuto  per  pochi  mesi  dalla  loro  madre, 
e  ad  essi  è  lasciato  il  compito  più  laborioso,  più  complesso  e  difficile. 
Non  hanno  nulla  quando  nascono  fuorché  delle  potenzialità:  essi  deb- 
vono  far  tutto  in  un  mondo  che,  a  confessione  dello  stesso  adulto,  è 
pieno  di  difficoltà.  Che  cosa  si  fa  per  aiutarli,  così  deboli,  pellegrini  in 
un  mondo  sconosciuto?  Nascono  più  fragili  e  più  incapaci  di  un  animale. 


I.  -  UNO    SGUARDO    ALLA    VITA    DEL    BAMBINO  II 

e  devono  diventare  tra  pochi  anni  «  gli  uomini  »,  devono  far  parte  di 
una  società  organizzata,  complicata,  costruita  con  lo  sforzo  secolare 
d'infinite  generazioni.  In  un  tempo  in  cui  la  civiltà,  cioè  la  possibilità 
di  vivere  bene,  è  basata  sul  «  diritto  »  acquistato  attivamente  e  consa- 
crato nelle  leggi,  che  diritti  ha  colui  che  viene  tra  noi  senza  forza  e  senza 
pensiero?  Sembra  il  bambino  Mosè  disteso  nel  cestino  di  vimini  tra  le 
acque  del  Nilo:  egli  rappresenta  l'avvenire  del  popolo  eletto,  ma  tro- 
verà una  principessa  che,  passando  di  là,  per  caso,  lo  veda? 

Al  caso,  alla  fortuna,  all'amore,  a  tutto  ciò  noi  affidiamo  il  bam- 
bino: e  sembra  infatti  si  rinnovi  il  castigo  biblico  sugli  egiziani  op- 
pressori: la  strage  dei  primogeniti. 

Guardiamo  come  i  diritti  sociali  accolgono  il  bambino  al  suo  in- 
gresso nel  mondo.  Siamo  al  xx  secolo;  in  molte  delle  nazioni  dette  ci- 
vili, esistono  ancora  come  istituzioni  il  brefotrofio  e  il  baliatico.  Che  cosa 
è  il  brefotrofio?  è  un  sequestro  di  persona;  una  prigione  terribile,  oscuia, 
ove  troppo  spesso  il  prigioniero  trova  la  morte,  come  in  quei  carceri  me- 
dioevali donde  la  vittima,  giustiziata  in  silenzio,  spariva  senza  che  nes- 
suno lo  sapesse.  Egli  non  vedrà  mai,  mai,  i  suoi  cari.  Il  nome  della  sua 
famiglia  è  cancellato,  i  beni  sono  confiscati.  Il  più  gran  delinquente 
avrà  un  ricordo  della  madre,  saprà  di  avere  avuto  un  nome,  e  potrà 
averne  una  memoria  ciinsolatrice  come  chi  è  divenuto  cieco  quando  ram- 
menta i  colori  e  la  luce  del  sole;  ma  egli  è  come  il  cieco-nato.  Qualsiasi 
malfattore  ha  più  diritti  di  lui:  eppure  nessuno  più  di  lui  potrebbe  pro- 
vare la  sua  innocenza.  Anche  ai  tempi  delle  tirannie  più  obbrobriose, 
l'innocente  oppresso  accendeva  un  fuoco  di  giustizia  che  prima  o  poi 
doveva  divampare  in  rivoluzione.  Le  persone  che  i  tiranni  sequestra- 
vano perchè  erano  state  a  caso  testimoni  delle  loro  colpe,  e  facevano 
cadere  nei  trabocchetti  ove  tenebre  e  inaudite  sofferenze  erano  ormai 
per  loro  il  retaggio  infelice,  fecero  pur  sollevare  i  popoli  a  proclamare 
il  principio  che  la  giustizia  è  uguale  per  tutti.  Ma  per  loro  no.  La  società 
non  si  accorse  che  essi  pure  sono  uomini:  essi  infatti  sono  soltanto  i 
«fiori»  dell'umanità.  E  per  salvare  l'onore,  il  buon  nome,  qual'è  la  so- 
cietà che  non  si  farebbe  solidale  nel  sacrificare  dei  «  fiori  »? 

Il  baliatico  è  nell'oso  sociale.  Un  uso  di  lusso,  da  un  lato:  qualche 
tempo  fa  una  ragazza  anche  mediocremente  borghese  che  andava 
a  marito,  si  vantava  così  del  benessere  promessole  dallo  sposo:  «  avrò 


IJ  l'AKTl-     TKIMA 

nioca.  cameriera  e  balia)-.  Dall'altro  lato,  la  robusta  contadina  che  ha 
messo  al  mondo  un  figlio,  guardando  con  compiacenza  la  turgidezza  del 
proprio  seno,  pensa:  «potrò  trovare  un  buon  baliatico  ».  K  solo  la  recen- 
tissima igiene  che  ha  messo  una  specie  di  marchio  di  vergogna  sulle 
madri  che  per  pigrizia  non  vogliono  allattare  i  propri  figli;  al  nostro 
tempo  le  regine  e  le  imperatrici  che  allattarono  i  propri  figli  sono  ancora 
additate  con  ammirazione  qu;ili  esempì  alle  madri.  //  dovere  materno 
proclamato  dall'igiene  di  allattare  i  proprii  figli  si  fonda  su  un  principio 
fisiologico:  il  latte  materno  nutrisce  meglio  che  ogni  altro  latte;  tuttavia, 
malgrado  l'indicazione  egoistica,  esso  è  tutt'altro  che  universalmente 
abbracciato.  Si  vedono  ancora  a  passeggio  delle  robuste  madri  che 
conducono  una  balia,  pomposamente  vestita  di  rosso  o  d'azzurro  a 
ricami  d'argento  e  d'oro,  che  porta  il  bambino.  Le  madri  ricche  hanno 
una  balia  dimessamente  vestita  clie  non  esce  mai  con  loro,  ma  che  segue 
sempre  la  nurse  moderna,  pratica  d'igiene  infantile,  e  clic  sa  tenere  il 
bambino  <i  come  un  fiore  «. 

E  l'altro?...  Per  ogni  bambino  che  ha  un  doppio  seno  a  .sua  dispo- 
sizione.^ce  n'è  uno  che  non  ha  nulla.  Questa  ricchezza  non  è  una  pro- 
duzione industriale.  Essa  è  misurata  dalla  natura  con  precisione. 
Per  ogni^nuova  vita,  la  razione  di  latte.  Il  latte  non  si  può  produrre 
diversamente  che  producendo  una  vita.  Lo  sanno  bene  i  lattai:  le  vacche 
buone  si  allevano  igienicamente,  e  i  vitelli  si  mandano  al  macello. 
Quale  pena,  però,  si  prova  ogni  volta  che  un  piccolino  delle  bestie 
è  allontanato  da  sua  madre!  non  è  così  anche  pei  cagnolini,  per  i  gattini? 
Quando  la  cagnetta  di  casa  ha  messo  al  mondo  troppi  piccoli  e  non 
può  allattarli  tutti,  bisogna  ucciderne  alcuni:  che  sofferenza  sincera 
nel  cuore  della  padrona  che  ha  il  suo  bel  piccolino  in  casa  allattato 
da  una  splendida  balia!  Via,  ciò  che  fa  soprattutto  compassione,  è 
la  cagna  ansiosa,  piangente,  che  non  capisce  se  ha  o  non  ha  forze  per 
allattare  iutd  quei^cagnolini  informi  nati  da  lei,  ma  che  non  può  privarsi 
di  nessuno  senza  disperazione.  Ma  la  balia,  è  altra  cosa:  si  è  presentata 
da  lei  stessa,  contrattando  la  vendita  del  suo  latte.  Che  ci  fosse  l'ultra, 
nessuno  ci  ha  pensato! 

Solo  un  diritto,  una  legge  avrebbe  potuto  proteggerlo,   perchè  la 
società  è  basata  sul  diritto.  C'è,  è  vero,  il  diritto  di  proprietà,  che  è 


I.  -  UNO    SGUARDO    ALLA    VITA    DEL    BAMBINO  I3 

assoluto:  basta  rubare  un  panetto,  pur  essendo  affamati,  e  si  è  ladri, 
si  è  puniti  dalla  legge  e  messi  fuori  dalla  società.  Il  diritto  della  pro- 
prietà è  una  delle  più  formidabili  basi  sociali.  Un  amministratore 
di  beni  stabili,  poi,  che  venda  la  proprietà  posseduta  dal  padrone,  ne 
faccia  danaro  per  goderselo,  e  lasci  nella  più  profonda  miseria  il  pro- 
prietario, è  un  criminale  difficile  a  concepirsi.  Perchè,  chi  può  comperare 
senza  la  firma  del  proprietario?  La  società  è  proprio  costituita  in  modo 
che  certi  delitti  non  solo  sarebbero  puniti,  ma  <<  non  sarebbe  possibile 
commetterli  ».  Ma  per  i  piccoli  bambini  ciò  si  fa  tutti  i  giorni:  non  è 
un  delitto;  è  un  lusso.  Quale  più  sacra  proprietà  che  il  latte  materno 
per  il  piccolo  bambino?  egli  può  dire  come  Napoleone  imperatore: 
«  Dio  me  l'ha  dato  ».  Sulla  legittimità  della  proprietà  non  c'è  alcun 
dubbio:  il  suo  solo  capitale,  il  latte,  è  venuto  al  mondo  con  lui  e  per  lui. 
Tutta  la  sua  ricchezza  è  lì:  la  forza  di  vivere,  di  crescere,  di  acquistare 
robustezza  sta  tutta  in  quel  nutrimento.  Se  mai  il  bambino  defraudato 
dovesse  diventare  debole,  rachitico,  che  sarebbe  di  lui,  condannato 
dalla  povertà  a  un  duro  mestiere?  Quale  rifacimento  di  danni!  quale 
questione  d'infortunio  sul  lavoro  con  lesioni  permanenti  sarebbe  questa, 
se  un  giorno  il  bambino  si  affacciasse  come  uomo  innanzi  alla  giustizia 
sociale! 

Nei  paesi  civili  le  madri  ricche  allattano  i  ligH  perchè  !'«  igiene  » 
ha  dimostrato  che  ciò  è  vantaggioso  alla  salute  del  bambino:  ma  non 
perchè  fu  riconosciuto  esteso  al  bambino  il  «  diritto  civile  »  dell'adulto. 
Esse  considerano  quei  paesi  ove  il  baliatico  è  un'istituzione,  come  paesi 
meno  evoluti  ma  della  stessa  civiltà. 

Si  dirà:  ma  quando  la  madre  è  malata  e  non  può  allattare  il  bam- 
bino? Ebbene  è  il  figlio  della  malata  che  in  tal  caso  è  lo  sventurato. 
Perchè  dovrebbe  un  altro  assumere  per  lui  la  sua  sventura?  Quanti  poveri 
ci  sono  che  soffrono  la  miseria,  eppure  non  possono  per  questo  togliere 
agli  altri  la  ricchezza  che  sarebbe  loro  sì  necessaria.  Se  oggi  anche  uno 
dei  nostri  imperatori  avesse  bisogno,  per  guarire  da  un  atroce  tormento, 
di  un  bagno  di  sangue  umano,  non  per  questo  suo  tormento  si  lascerebbe 
dissanguare  altri  uomini  sani  come  farebbe  un  imperatore  barbaro.  Sono 
cose  ovvie  che  formano  la  nostra  civiltà.  E  questo  che  ci  differenzia 
dagli  antropofagi  e  dai  pirati.  E  riconosciuto  il  diritto  dell'adulto. 


1^  l'ARTl-     l'KlMA 

Non  però  il  diritto  dtl  bambino  (i).  Riconoscere  il  diritto  del- 
l'adulto. 0  non  quello  del  bambino,  quale  viltà!  Riconoscere  la  giu- 
stizia, sì.  ma  solo  per  quelli  che  possono  difendersi  e  protestare:  e  nel 
resto,  rimanere  barbari.  Perchè  oggi  ci  potranno  essere  popoli  più  o 
meno  evoluti  sotto  il  punto  di  vista  igienico,  ma  appartengono  tutti 
alla  stessa  civiltà:  il  diritto  del  più  forte. 

Quando  noi  ci  mettiamo  sul  serio  il  problema^  dell'educazione  mo- 
rale del  bambino,  dobbiamo  darci  intorno  un'occhiata,  e  farci  almeno 
veggenti  del  mondo  che  gli  abbiamo  preparato.  Vogliamo  che  egli 
diventi  come  noi  incosciente  nel  calpestare  il  debole?  che  contenga  come 
noi  nella  coscienza  idee  di  giustizia  che  si  arrestano  innanzi  a  chi  non 
protesta?  Vogliamo  farlo,  come  noi,  mezzo  uomo  civile  là  ove  dovrà 
incontrare  i  suoi  pari,  e  mezzo  .bestia  do\e  incontrerà  il  mondo  degli 
oppressi  e  degli  innocenti? 

Se  questo  non  è,  allora,  prima  di  dare  l'educazione  morale  al 
bambino,  facciamo  come  il  sacerdote  che  sta  per  ascendere  l'altare:  egli 
s'inchina  pentito  e  confessa  innanzi  al  mondo  intero  i  propri  peccati. 

Questo  bambino  fuori  della  legge,  è  come  un  braccio  lussato.  L'uma- 
nità non  può  lavorare  per  fabbricarsi  la  sua  moraUtà  se  non  lo  mette  a 
posto;  è  questo  che  farà  anche  cessare  i  dolori  e  le  paralisi  dei  muscoli 
feriti  che  vi  stanno  aggrappati:  la  donna.  La  questione  sociale  del  bam- 
bino, evidentemente,  è  la  più  completa  e  profonda:  essa  è  la  questione 
del  nostro  presente  e  del  nostro,  avvenire. 

Se  noi  conteniamo  nella  nostra  coscienza  dei  fatti  di  così  grave  in- 
iriustizia,  per  non  dire  dei  delitti!  senza  accorgercene:  quante  mai  forme 
minori  d'oppressione  graveranno  sul  fanciullo? 


(i)  Naturalmente,  nel  caso  in  cui  il  bambino  della  balia  sia  morto,  non  può 
più  parlarsi  di  lesione  di  diritti.  Ma  tali  casi  non  rispondono  neanche  al  bisogno 
di  balia  per  quelli  in  cui  la  madre  ricca  non  possa,  per  ragioni  patologiche,  allat- 
tare il  suo  bambino. 

È  da  citarsi  una  provvida  legge  in  Germania,  la  quale  proibisce  alla  balia  <ii 
accettare  un  baliatico  se  non  sono  passati  sei  mesi  dalla  nascita  del  suo  proprio 
bambino,  perchè  tale  periodo  si  ritiene  sufficiente  a  garantire  la  salute  dell'infante. 
Anchf  le  cure  particolari  che  si  danno  all'allattamento  artificiali',  permettono  di 
sostituire  in  Germania  il  baliatico  con  buon  successo  pel  bambino  (he  non  può 
avere  l'allattamento  materno.  Tale  legge  e  tali  istituzioni  sond  il  ])rimo  passo  al 
riconoscimento  di  "  diritti  civili  »  ai  neonati  poveri. 


I.  -  UNO    SGUARDO   ALLA    VITA    DEL    BAMBINO  15 

Come  riceviamo  i  bambini  che  vengono  al  mondo.  —  Guar- 
diamoci intorno:  tino  a  ieri  nulla  era  preparato  per  ricevere  questo 
ospite  sublime.  Non  è  molto  tempo  che  si  fabbricano  i  piccoli  letti 
per  i  bambini;  ma  cercate  per  loro,  tra  tante  e  tante  produzioni 
siiperflue,  barocche,  di  lusso,  cercate  gli  oggetti  che  sono  loro  destinati. 
Non  lavabi,  non  poltrone,  non  tavolini,  non  spazzole.  Tra  tante  case, 
non  una  casa  per  loro;  solo  alcuni  fanciulli  ricchissimi,  privilegiati, 
hanno  una  stanza,  quasi  un  luogo  di  relegazione. 

Immaginiamo  di  subire  per  un  giorno  solo  il  tormento  a  cui  ven- 
gono condannati. 

Supponiamo  di  trovarci  tra  un  popolo  di  giganti,  con  le  ganzile 
lunghissime  in  confronto  alle  nostre,  col  corpo  enormemente  grande, 
ma  assai  più  snello  a  nostro  confronto.  Gente  agilissima,  intelligentissima 
al  nostro  paragone.  Vogliamo  salire  nelle  loro  case:  i  gradini  sono  alti 
fino  al  ginocchio,  e  bisogna  pur  tentare  di  salir  con  loro;  vogliamo  se- 
derci, il  sedile  ci  arriva  quasi  alle  spalle:  arrampicandoci  con  fatica  giun- 
giamo finalmente  ad  appollaiarci  lì  sopra.  Vorremmo  spazzolarci  il  \e- 
stito,  ma  ci  sono  spazzoloni  che  la  nostra  mano  non  può  neanche  ab- 
bracciare né  sostenere,  tanto  è  il  loro  peso:  per  spazzolare  le  unghie  ci 
presentano  una  spazzola  da  vestiti.  Nella  catinella  del  lavabo  faremmo 
volentieri  un  bagno  ad  immersione:  ma  la  forza  del  nostro  braccio  non 
potrebbe  mai  sollevarla.  Se  sapessimo  che  questi  giganti  ci  aspettavano, 
dovremmo  dire:  non  hanno  fatto  niente  per  riceverci,  per  offrirci  una 
vita  comoda.  11  bambino  tro\a  tutto  ciò  che  desidera  sotto  forma  di 
giocattoli  per  le  bambole:  non  per  lui  è  stato  fabbricato  un  ambiente 
ricco,  multiforme,  grazioso;  ma  le  bambole  hanno  case,  salotti,  cucine, 
armadi;  per  esse  è  riprodotto  in  piccolo  tutto  ciò  che  l'uomo  adulto 
possiede.  Il  bambino  però  tra  tutte  queste  cose  non  può  viverci:  egli  può 
solo  giocarci.  Il  mondo  gli  è  stato  dato  per  ischerzo,  perchè  nessuno 
ancora  ammette  ch'egli  sia  un  uomo  vivente.  Egli  trova  che  per  rice- 
verlo la  società  gli  ha  preparato  un'ironia. 

Che  il  fanciullo  rompa  i  giocattoh  è  tanto  noto,  che  questo  atto 
di  distruzione  delle  sole  cose  fabbricate  per  lui,  ci  sembra  la  prova  della 
sua  intelligenza.  Noi  diciamo:  «  egli  distrugge  perchè  vuol  capire  »: 
in  verità  il  bambino  va  cercando  se  dentro  i  giocattoli  ci  fosse  qualche 
cosa  d'interessante  perchè  fuori  essi  non  hanno  nessun  interesse  per 


l6  PARTE    PRIMA 

lui:  qualche  \olta  li  spezza  rabbiosamente,  come  un  uomo  offeso.  Al- 
lora, secondo  noi,  egli  «  distrugge  per  cattiveria  ». 

Il  bambino  tende  a  vivere  realmente  di  tutte  le  cose  che  lo  circon- 
dano; egli  vorrebbe  proprio  usare  un  la\abo  da  sé,  vestirsi,  pettinare 
veramente  i  capelli  di  una  testa  vivente;  spazzare  proprio  i  pavimenti; 
vorrebbe  anch'egh  possedere  sedie,  tavoli,  poltrone,  attaccapanni,  ar- 
madi. Quello  che  desidera  è  proprio  di  lavorare,  di  raggiungere  uno 
scopo  intelligente,  di  avere  il  confort  della  sua  vita.  Con  ciò  deve  non 
soltanto  «  funzionare  da  uomo  »,  ma  deve  «  costruire  l'uomo  »:  questa 
è  la  tendenza  prepotente  della  sua  natura,  la  sua  «  missione  ». 

Noi  lo  abbiamo  visto  nelle  «  Case  dei  Bambini  »  beato  e  paziente, 
lento  ed  esatto,  come  il  più  meraviglioso  lavoratore,  e  il  conservatore 
più  scrupoloso  degli  oggetti.  Per  farlo  felice  basta  la  più  piccola  cosa: 
attaccare  gh  abiti  a  un  attaccapanni  messo  in  basso  nel  muro,  a  portata 
della  sua  mano;  aprire  una  porta  leggera,  il  cui  manubrio  è  proporzio- 
nato alla  sua  mano;  spostare  silenziosamente  e  garbatamente  una  sedia 
il  cui  peso  è  adatto  alle  sue  braccia.  Ecco  un  fatto  semplicissimo:  offrirgli 
un  ambiente  ove  tutte  le  cose  siano  costruite  secondo  le  sue  propor- 
zioni: e  lì  lasciarlo  vivere.  Allora  si  svolge  in  lui  quella  «  vita  attiva  » 
che  ha  fatto  tanto  mera^'igliare,  perchè  non  si  è  visto  in  essa  un  semplice 
esercizio  compiuto  con  piacere,  ma  la  rivelazione  di  una  vita  spirituale. 
In  quell'ambiente  armonioso,  si  è  visto  il  bambino  fissarsi  nel  lavoro 
intellettuale  come  un  seme  che  abbia  posto  la  radichetta  nel  suo  ter- 
reno, e  di  là  poi  svolgersi  e  crescere  con  un  mezzo  solo:  la  lunga  costanza 
in  ogni  esercizio. 

Quando  si  vedono  i  piccolini  che  agiscono  così,  intenti  alla  loro 
opera,  lenti  nell 'eseguirla  per  l'immaturità  della  loro  costituzione,  come 
sono  lenti  nel  camminare,  perchè  ancora  le  gambe  sono  corte,  si  ha 
proprio  l'intuizione  ch'essi  stanno  elaborando  la  loro  vita:  come  una  cri- 
salide elabora  lentamente  la  farfalla  dentro  al  suo  bozzolo.  Impedire 
le  loro  occupazioni,  sarebbe  una  violenza  alla  loro  vita.  Invece  che  cosa 
si  fa  generalmente  coi  bambini?  Tutti  li  interrompiamo  senza  alcun 
riguardo,  senza  alcun  rispetto,  con  le  maniere  che  usavano  i  padroni 
verso  gli  schiavi,  che  non  avevano  alcun  diritto  umano.  A\'ere  «  dei 
riguardi  »  a  un  bambino,  come  a  una  persona  adulta,  sembrerebbe 
perfino  ridicolo  a  molte  persone.  E  pure  noi  con  quale  severità  diciamo 


I.  -  UNO    SGUARDO    ALLA    VITA    DEL    BAMBINO  I7 

al  bambino:  «  non  c'interrompere  ».  Se  il  piccolino  sta  facendo  una  cosa, 
per  esempio  se  mangia  da  sé,  viene  un  adulto  e  lo  imbocca;  se  cerca  di 
infilarsi  un  grembiale,  corre  l'adulto  e  lo  veste;  tutti  si  sostituiscono  a  lui 
brutalmente,  senza  il  minimo  rispetto.  E  pure  noi  siamo  sensibilissimi 
alla  «  proprietà  »  del  nostro  lavoro;  chi  cerca  di  sostituirsi  a  noi,  ci 
offende:  nella  Bibbia,  la  sentenza:  «  il  suo  posto  lo  avrà  un  altro  »,  sta 
tra  le  minacce  all'uomo  -perduto. 

Che  ci  avverrebbe  se  cadessimo  schiavi  di  un  popolo  incapace 
di  comprendere  i  nostri  sentimenti,  di  un  popolo  gigantesco,  più 
forte  di  noi  ?  Mentre  stiamo  mangiando  tranquillamente  la  nostra 
minestra,  gustandola  a  nostro  piacere  (e  sappiamo  che  godimento  è 
questo  <(  essere  in  libertà  »)  ecco  un  gigante  che  ci  strappa  il  cucchiaio 
di  mano  e  ci  fa  deglutire  così  in  fretta,  che  per  poco  non  restiamo  soffo- 
cati. La  nostra  protesta:  «  per  carità,  piano  »  sarebbe  accompagnata 
da  uno  stringimento  di  cuore:  la  nostra  digestione  sarebbe  compromessa. 
Se  un'altra  volta,  mentre  pensando  a  qualche  cosa  di  piacevole,  stiamo 
lentamente  infilandoci  il  paletot  con  quella  beatitudine  e  quella  «li- 
bertà »  che  abbiamo  a  casa  nostra,  ci  piombasse  addosso  un  gigante  e  in 
un  batter  d'occhio,  avendoci  vestiti,  ci  portasse  di  peso  fuori  dell'uscio, 
noi  sentiremmo  così  menomata  la  nostra  dignità,  che  tutto  il  piacere 
sperato  dalla  passeggiata,  andrebbe  perduto.  La  nostra  nutrizione  non 
viene  proprio  solo  dalla  minestra  inghiottita,  e  il  benessere  non  viene 
proprio  solo  dalla  passeggiata,  ma  anche  dalla  «  libertà  »  che  accompagna 
tutte  queste  cose.  Noi  ci  sentiremmo  ribelli  e  offesi,  non  certo  per  odio 
a  quei  giganti,  ma  solo  per  amore  a  una  tendenza  interiore  a  far  fun- 
zionare liberamente  la  nostra  vita.  C'è  qualche  cosa  dentro  di  noi 
che  l'uomo  non  conosce,  che  solo  Dio  conosce,  e  la  sta  manifestando 
impercettibilmente  a  noi  stessi,  affinchè  la  compiamo.  È  questo  amore 
che  piti  profondamente  nutrisce  e  dà  il  benessere  alla  nostra  vita,  in 
tutti  i  suoi  atti  anche  minimi.  Per  cui  si  dice:  «  l'uomo  non  vive  di  solo 
pane  ».  Quanto  più  grande  ciò  deve  essere  nei  bambini,  ove  la  creazione 
è  in  atto! 

Con  la  lotta  e  con  la  ribellione  essi  debbono  difendere  le  loro  pic- 
cole conquiste  nell'ambiente;  quando  vogliono  esercitare  i  sensi,  come 
quello  del  tatto,  ognuno  li  condanna:  non  toccare!  Se  cercano  di  pren- 
dere in  cucina  qualche  oggetto,  qualche  detrito  per  impastare  un  pie- 


IJS  PARTI-:    PRIMA 

colo  piatto,  tutti  lo  scacciano.  Essi  sono  spietatamente  ricondotti  ai 
giocattoli.  Quante  volte  uno  di  quei  meravigliosi  momenti,  in  cui  la 
loro  attenzione  si  fissa  e  va  iniziandosi  all'interno  quel  processo  di  or- 
ganizzazione che  deve  s\ilupparli,  sarà  stato  bruscamente  interrotto, 
negli  sforzi  spontanei  dei  bambini,  cercanti  alla  cieca,  nell'ambiente,  le 
cose  di  cui  nutrire  l'intelligenza!  Non  abbiamo  forse  tutti  l'impressione 
che  qualche  cosa  sia  stato  soffocato  per  sempre  nella  nostra  vita? 

Senza  sapere  bene  spiegarcene  la  ragione  sentiamo  però  che  qual- 
cosa di  prezioso  fu  perduto  nel  cammino  della  nostra  vita  :  che  noi 
fummo  defraudati,  diminuiti.  Forse  nei  momenti  in  cui  stavamo  per 
creare  noi  stessi,  venimmo  interrotti,  perseguitati:  e  il  nostro  organismo 
interno  restò  rachitico,  debole  e  insufficiente. 

Immaginiamoci  degli  individui  adulti  non  fissati  nelle  loro  condi- 
zioni come  la  maggior  parte  degli  uomini,  ma  in  uno  stato  di  auto-crea- 
zione interiore,  come  sono  gli  uomini  di  genio.  Supponiamo  uno  scrit- 
tore sotto  l'ispirazione  poetica:  egli  si  trova  nel  momento  in  cui  l'opera 
benefica,  ispiratrice  sta  per  essere  data  in  aiuto  agU  altri  uomini.  Ovvero 
supponiamo  il  matematico  che  intravede  la  soluzione  di  un  grande  pro- 
blema donde  scaturirebbero  principi  nuovi,  utili  all'umanità.  Oppure 
supponiamo  un  artista  nella  cui  mente  si  è  allora  formata  l'immagine 
ideale  che  è  necessario  fissare  subito  sulla  tela  perchè  non  si  perda  un 
capolavoro.  Supponiamo  tali  uomini  in  simili  momenti  psicologici. 
E  che  venisse  in  mezzo  a  loro  una  persona  brutale  gridando  ad  alta  voce 
di  seguirla,  e  li  prendesse  per  la  mano  o  li  spingesse  fuori  per  le  spalle. 
Per  che  cosa?  Ecco  lì  pronto  il  tavoliere  per  una  partita  a  scacchi.  Ah! 
direbbero  quegli  uomini,  non  avreste  potuto  farci  niente  di  più  atroce! 
La  nostra  ispirazione  è  perduta,  l'umanità  sarà  priva  di  un  poema,  di 
un  capolavoro  d'arte,  di  una  scoperta  utile,  per  questa  sciocchezza! 

Ma  il  bambino  non  perde  uno  dei  suoi  prodotti:  egli  perde  se  stesso. 
Poiché  il  suo  capolavoro,  che  egli  compone  nell'intimo  del  suo  genio 
creatore,  è  l'uomo  nuovo.  Quei  «capricci»,  quelle  «cattiverie»,  quegli 
0  sfoghi  misteriosi  »  dei  piccolini,  sono  forse  l'occulto  grido  d'infelicità 
che  manda  la  loro  anima  incompresa. 

Ma  non  è  solo  l'anima  che  soffre:  con  essa,  anche  il  corpo.  Perchè 
questo  è  che  caratterizza  l'uomo:  la  parte  che  ha  lo  spirito  ^u  tutta  la 
sua  esistenza  fisica. 


I.  -  UNO   SGUARDO   ALLA    VITA    DEL    BAMBINO  -    I9 

In  un  istituto  di  bambini  abbandonati,  c'era  un  piccolino  estrema- 
mente brutto,  che  tuttavia  si  era  guadagnato  il  più  tenero  amore  da 
parte  di  una  signorina  che  lo  assisteva.  Questa  nurse  raccontò  un  giorno 
a  ima  patronessa  che  quel  bambino  si  andava  facendo  bello.  La  signora 
andò  a  vedere,  ma  lo  trovò  bruttissimo,  e  pensò  come  l'abitudine  can- 
celli ai  nostri  occhi  i  difetti  degli  altri.  Passato  ancora  del  cempo  la 
nurse  tornò  a  farle  la  stessa  osservazione:  la  signora,  compiacente, 
fece  un'altra  visita,  e  vedendo  il  calore  con  cui  la  signorina  le  parlava 
di  quel  bambino  pensò  commossa  che  forse  era  l'amore  che  l'accecava. 
Trascorsero  dei  mesi  e  finalmente  la  nurse,  con  aria  trionfante,  disse  che 
oramai  nessuno  poteva  più  ingannarsi  perchè  il  bambino  era  diventato 
proprio  «  bello  ».  La  signora,  stupita,  dovè  constatare  che  era  vero: 
il  corpo  del  bambino  si  era  addirittura  trasformato  sotto  l'influsso  di 
un  grande  amore. 

Quando  c'illudiamo  di  dare  lutfG  ai  bambini,  dando  aria  e  nutri- 
mento, in  verità,  non  diamo  neanche  questo:  il  nutrimento  e  l'aria  non 
bastano  al  corpo  dell'uomo:  tutte  le  funzioni  fisiologiche  sono  sotto- 
messe a  un  benessere  superiore,  ove  risiede  la  chiave  unica  di  tutta  la 
vita.  Il  corpo  del  bambino  vive  anche  della  gioia  dell'anima. 

La  stessa  fisiologia  c'insegna  queste  cose.  Un  pasto  frugale  preso 
all'aria  aperta  può  nutrire  il  corpo  assai  meglio  d'un  lauto  pranzo  in 
luogo  chiuso  ove  l'aria  è  attossicata,  perchè  tutte  le  funzioni  del  corpo 
sono  più  attive  all'aria  aperta,  e  l'assimilazione  è  più  completa.  Ugual- 
mente però  un  pasto  frugale  preso  tra  persone  care,  simpatiche,  è  molto 
più  nutriente  di  quello  che  prenderebbe,  per  esempio,  alla  tavola  si- 
gnorile della  sua  padrona  bisbetica,  un  umile  e  perseguitato  segretario. 
La  libertà,  in  questo  caso,  è  il  grido  che  spiega  tutto.  Parva  domus  sed 
mea,  si  diceva  fino  dall'epoca  romana  per  significare  quale  è  la  casa  più 
salubre.  Là  dove  la  «  nostra  vita  »  è  oppressa,  non  c'è  salute,  sia  pure 
a  principeschi  banchetti,  o  dentro  magnifici  edifizi. 

Nell'uomo  la  vita  del  corpo  deve  dipendere  dalla  vita  dello 
spirito.  —  La  fisiologia  spiega  minutamente  i  meccanismi  di  tali  feno- 
meni. Nei  fatti  morali,  c'è  una  concomitanza  delle  funzioni  del  corpo,  così 
esatta,  che  si  possono  descrivere  da  queste  alterazioni  i  vari  stati  sen- 
timentali di  dolore,  di  collera,  di  noia,  di  piacere.  Nel  dolore,  per  esem- 


PARTE    PRIMA 


pio,  il  cuori'  diminuisco  la  sua  attività,  come  sotto  un'azione  paraliz- 
zante: tutti  i  \asi  sanguigni  si  restringono  e  il  sangue  circola  più  len- 
tamente, le  glandolo  non  possono  più  secernere  normalmente  i  loro  suc- 
chi, ed  ecco  il  pallore  del  viso,  l'apparenza  di  stanchezza  nella  persona 
cadente,  la  bocca  arida  per  mancanza  di  saliva,  l'impossibilità  di  di- 
gerire, per  scarsità  del  succo  gastrico,  la  mano  fredda.  A  lungo  il  dolore 
morale  provoca  perciò  denutrizione,  quindi  dimagramento:  e  predi- 
spone il  corpo,  indebolito,  alle  malattie  infettive.  La  noia  è  come  una 
paralisi  galoppante  del  cuore:  si  potrebbe  svenire  di  noia,  ciò  che  popo- 
larmente si  esprime  con  la  frase:  «  morire  dalla  noia  »;  ma  un'azione 
riflessa  mette  quasi  sempre  in  salvo,  come  una  valvola  automatica  di 
sicurezza:  è  lo  sbadiglio,  cioè  una  spasmodica  inspirazione  profonda,  che 
dilata  gli  alveoli  polmonari,  fa  affluire  il  sangue  dal  cuore  come  una 
pompa  aspirante,  e  lo  rimette  in  moto.  Nella  collera  avviene  come  una 
contrazione  tetanica  di  tutti  i  capillari  sanguigni  donde  il  più  profondo 
pallore,  e  l'espulsione  dal  fegato  di  una  maggiore  quantità  di  bile.  Nel 
piacere  i  vasi  sanguigni  sono  dilatati,  la  circolazione  e  perciò  tutte  le 
funzioni  di  secrezione  e  di  assimilazione  sono  facilitate:  il  volto  è  colo- 
rito, il  succo  gastrico  e  la  saliva  sono  percepite  come  quell'allegro  appe- 
tito e  quell'acquolina  alla  bocca,  che  invitano  a  rifornire  il  corpo  di  ali- 
mento, tutti  i  tessuti  lavorano  attivamente  a  liberarsi  dai  loro  veleni 
e  ad  assimilare  il  nuovo  nutrimento:  i  polmoni  «  allargati  »  immagaz- 
zinano le  grandi  quantità  di  ossigeno  che  bruceranno  tutti  i  rifiuti  senza 
lasciar  traccia  di  tossico.  È  un'iniezione  di  salute. 

Una  prova  ancor  più  eloquente  dell'influenza  dello  spirito  sulle 
funzioni  del  corpo,  l'abbiamo  in  Italia,  ove,  dopo  che  fu  abolita  la  pena 
di  morte,  venne  messa  come  sua  corrispondente  pei  criminali,  la  così 
detta  pena  del  cellulare.  Con  i  moderni  criteri  igienici  sulle  carceri, 
il  cellulare  non  può  certo  chiamarsi  un  luogo  di  crudeltà  per  il  corpo: 
ma  è  solo  un  luogo  dove  ogni  alimento  spirituale  è  stato  abolito.  Con- 
siste in  una  cella  a  pareti  grigie,  completamente  nuda:  essa  comunica 
soltanto  con  una  stretta  lingua  di  terra  chiusa  da  alte  mura  dove  il 
condannato  può  passeggiare  all'aria  libera,  perchè  tutto  intorno,  benché 
nascosta  ai  suoi  sguardi,  è  aperta  campagna.  Che  cosa  manca  al  corpo? 
esso  ha  l'alimento,  ha  un  riparo  dalle  intemperie,  ha  un  giaciglio,  ha  un 
luogo  dove  rifornirsi  d'ossigeno  puro:  il  corpo  può  riposare,  anzi  null'al- 


I.  -  UNO    SGUARDO   ALLA    VITA    DEL    BAMBINO 


tre  può  fare  che  riposare.  Sembra  quasi  ideale,  per  chi  non  abbia  voglia 
di  far  niente  e  desideri  la  vita  vegetativa.  Ma  all'orecchio  di  quel  car- 
cerato non  arriverà  un  suono,  non  una  voce  umana;  egli  non  vedrà  più 
un  colore,  una  forma.  Non  una  notizia  giungerà  a  lui  dal  mondo.  Solo, 
in  una  fìtta  tenebra  spirituale,  passeranno,  interminabili,  ore,  giorni, 
stagioni,  anni.  Ebbene,  l'esperienza  ha  dimostrato  che  questi  infelici 
non  possono  vivere.  Essi  impazziscono  e  muoiono.  Non  solo  la  mente,  ma 
il  corpo  muore  dopo  pochi  anni.  Di  che  cosa  muore?...  Se  fosse  stata  una 
pianta,  nulla  sarebbe  mancato  a  quell'uomo,  ma  egli  ha  bisogno  di 
un'altra  nutrizione.  Il  vuoto  dell'anima  è  mortale  anche  all'ultimo  delin- 
quente, perchè  così  è  la  natura  umana.  Le  sue  carni,  le  sue  viscere,  le 
sue  ossa,  muoiono  senza  l'alimento  spirituale,  come  una  quercia  mo- 
rirebbe senza  i  nitrati  della  terra  e  senza  l'ossigeno  dell'aria.  Fu  procla- 
mata infatti  come  una  grande  crudeltà  questa  morte  lenta,  sostituita 
alla  morte  violenta.  Morir  di  fame  in  nove  giorni  come  il  conte  Ugolino  è 
piti  crudele  che  morir  bruciato  in  mezz'ora  come  Giordano  Bruno;  ma 
morire  per  inedia  dello  spirito,  in  uno  spazio  di  anni,  è  la  massima  cru- 
deltà trovata  finora  tra  i  castighi  dell'uomo. 

Che  sarà  del  bambino,  se  un  delinquente  brutale  e  robusto  è  ucciso 
dal  vuoto  dell'anima;  che  sarà  del  bambino  se  non  consideriamo  in  lui 
i  bisogni  della  vita  interiore?  Il  suo  corpo  è  fragile,  le  sue  ossa  sono  in 
via  di  crescenza,  i  suoi  muscoli  sovraccarichi  di  zucchero  non  possono 
ancora  elaborare  le  forze,  ma  solo  elaborare  se  stessi:  la  delicata  strut- 
tura dell'organismo  ha  bisogno,  è  vero,  di  nutrimento  e  di  ossigeno;  ma 
la  sua  funzione  per  compiersi  bene  ha  bisogno  di  gioia.  È  per  la  gioia 
spirituale  che  «  le  ossa  dell'uomo  tripudieranno  ». 


II. 

Uno  sguardo  all'odierna  educazione 


Criteri  che  informano  l'educazione  morale  e  l'istruzione.  — 

Mentre  l'adulto  relega  il  bambino  tra  i  giocattoli  e  lo  allontana  ine- 
sorabilmente da  quegli  esercizi  che  servirebbero  a  svilupparlo  interior- 
mente, pretende  che  lo  imiti  nelle  cose  morali.  L'adulto  dice  al  bam- 
bino: «  fai  come  me  ».  Non  per  formazione,  ma  per  imitazione,  il 
bambino  dovrebbe  diventare  adulto.  Sarebbe  come  se  un  padre  dicesse 
alla  mattina  al  suo  bambino:  «  guardami  bene,  guarda  come  sono  alto: 
stasera  quando  torno  a  casa  voglio  trovarti  cresciuto  di  quindici  cen- 
timetri ». 

L'educazione  in  tal  modo  è  molto  semplificata.  Si  legge  al  bambino 
un  atto  eroico  e  gli  si  dice:  «  diventa  un  eroe  ».  Gli  si  racconta  un  fatto 
morale  e  si  finisce  con  una  raccomandazione:  «  sii  virtuoso  ».  Gli  si  fa 
noto  un  esempio  straordinario  di  carattere,  e  con  l'esortazione:  «  ac- 
quista anche  tu  un  forte  carattere  »  il  bambino  è  messo  sulla  strada  di 
diventare  un  grand'uomo. 

Se  i  bambini  si  mostrano  malcontenti,  agitati,  si  racconta  loro 
che  non  mancano  di  nulla,  che  sono  fortunati  d'avere  un  padre  e 
una  madre,  e  si  finisce:  «  bambini,  siate  felici;  il  bambino  deve  essere 
sempre  lieto  »;  ed  ecco  come  il  fanciullo  viene  soddisfatto  nei  suoi 
bisogni   misteriosi. 

Gli|adulti  sono  tranquilli  quando  hanno  fatto  così.  Essi  raddriz- 
zano il  carattere  e  la  morale  del  loro  figlio,  come  un  tempo  gli  raddriz- 
zavano le  gambe  tenendogliele  strette  nelle  fasce. 


24  PARTE    PRIMA 

K  vero  che  talvolta  i  bambini  ribelli  (^in1l>^1Iano  l'in\ililità  di  tali 
insegnamenti.  In  tal  <aM'  iki  racconti  ben  ai)piopriati  sull'indegnità 
di  tale  ingratitudine,  sui  pericoli  della  disobbedienza,  sulla  bruttezza 
dell'ira,  \engono  scelti  da  un  buon  educatore  per  illuminare  i  difetti  del 
discepolo.  Non  altrimenti  per  un  cieco  sarebbero  appropriati  dei  racconti 
sul  pericolo  della  cecità;  per  uno  storpio,  la  descrizione  delle  pene  nel 
camminare.  Anche  nelle  cose  materiali  avviene  così:  un  maestro  di 
musica  si  liinita  a  dire  al  principiante  :  «  tieni  bene  le  dita  ;  finche 
non  terrai  bene  le  dita  non  potrai  suonare  ».  Una  madre  dirà  al 
tìglio,  obbligato  a  stare  seduto  e  curvo  tutto  il  giorno  sui  banchi 
di  scuola,  relegato  dal  consorzio  civile,  per  studiare  continuamente: 
:<  Abbi  un  bel  portamento,  non  esser  così  goffo  in  società,  mi  fai 
vergognare  ». 

Se  il  bambino  dicesse  un  giorno:  «  ma  siete  voi  che  m'impedite  di 
sviluppare  la  volontà  e  il  carattere:  quando  sembro  così  cattivo  è  ap- 
punto perchè  cerco  di  salvarmi  ;  come  posso  io  non  esser  goffo  se  fui 
sacrificato?»  per  molti  sarebbe  una  rivelazione,  per  molti  altri  sarebbe 
«una  mancanza  di  rispetto)). 

C'è  una  tecnica  per  ottenere  che  il  fanciullo  raggiunga  quelle  fina- 
lità che  l'adulto  si  propone  per  lui:  essa  è  molto  semplice.  Bisogna  ri- 
durre il  bambino  a  fare  ciò  che  vuole  l'adulto;  l'adulto  allora  lo  potrà 
condurre  al  bene,  alla  forza,  al  sacrificio,  e  il  bambino  morale  è  fatto. 
Domare  il  bambino,  sottometterlo,  renderlo  obbediente,  ecco  il  pernio 
dell'educazione.  Ottenuto  questo,  con  qualunque  mezzo,  anche  con  la 
violenza,  tutto  il  resto  viene  di  conseguenza;  è  per  il  bene  del  bambino 
che  bisogna  fare  ciò.  Altrimenti  non  lo  si  potrebbe  condurre.  È  un  primo 
passo  cardinale  che  .si  chiama:  «  educare  la  volontà  del  bambino  »  e 
che  permetterà  all'adulto  di  parlare  ormai  di  sé,  come  Virgilio  parlava 
di  Dio: 

Vuoisi  così  colà  dove  si  puote 

Ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare. 

Dopo  questo  passo  l'adulto  studierà  in  sé  stesso  quali  sono  le  cose 
più  difficili  per  lui  e  quelle  imporrà  per  tempo  al  fanciullo  perchè  si  abitui 
alle  diffirili  necessità  della  vita  dell'uomo.  Ma  spesso  gl'imporrà  anche 
delle  rondizioni  che  l'adulto  non  avrebbe  la  forza  di  sopportare  nemmeno 


II.  -  UNO   SGUARDO   ALL  ODIERNA   EDUCAZIONE  25 

in  minima  parte...  come,  per  esempio,  quella  di  ascoltare  immobil- 
mente per  tre  o  quattro  ore  al  giorno,  durante  anni,  un  conferenziere 
pesante  e  noioso! 

È  il  maestro  che  crea  la  mente  del  bambino.  Come  si  insegna. 

—  Ciò  che  informa  la  scuola  è  il  medesimo  concetto;  è  il  maestro  che 
deve  formare  l'allievo:  nelle  sue  mani  sta  lo  sviluppo  dell'intelligenza 
e  la  coltura  dei  bambini.  Egli  ha  un  compito  e  una  responsabilità  ve- 
ramente formidabili!  I  problemi  che  sorgono  innanzi  a  lui  sono  innume- 
revoli, acuti,  e  formano  come  una  siepe  di  spine  che  lo  separano  dai  suoi 
scolari.  Che  cosa  dovrà  egli  inventare,  prima  di  tutto,  per  richiamare 
sopra  di  sé  l'attenzione  dei  suoi  scolari,  e  quindi  poter  introdurre  nella 
loro  mente  ciò  che  gli  sembra  necessario?  Come  dovrà  dare  una  nozione 
perchè  resti  nella  loro  memoria?  È  necessario  conoscere  per  questo 
la  psicologia,  il  modo  preciso  come  avvengono  i  fatti  psichici,  le  leggi 
della  memoria,  il  meccanismo  psichico  con  cui  si  formano  le  idee,  le 
leggi  con  cui  le  idee  si  associano  e  piano  piano  spingersi  fino  alle  più  ele- 
vate attività  e  muoverle  per  far  ragionare  i  ragazzi.  È  lui  che,  cono- 
scendo tutte  queste  cose,  deve  poi  comporre  e  arricchire  le  intelligenze. 
E  non  facilmente,  perchè  sempre,  al  disopra  di  questo  difficile  lavoro, 
sta  la  difficoltà  delle  difficoltà,  vale  a  dire  che  il  ragazzo  si  presti  a  tutto 
questo,  che  lo  assecondi,  e  non  sia  ingrato  allo  sforzo  che  il  maestro 
compie  per  lui.  Per  questa  ragione  l'educazione  morale  è  il  punto  di 
partenza:  occorre  prima  di  tutto  disciplinare  la  classe.  Se  non  per 
amore,  per  forza  indurre  gli  scolari  a  prestarsi  ad  assecondare  l'opera 
del  maestro.  Senza  questo  punto  di  partenza,  tutta  l'educazione  e 
l'istruzione  sarebbero  impossibili,  la  scuola  inutile. 

Un'altra  difficoltà  è  quella  di  economizzare  le  forze  dello  scolaro, 
vale  a  dire  di  utilizzarle  il  piìi  possibile,  farle  fruttare  senza  farne  spreco. 
Quanto  riposo  è  necessario?  quanto  a  lungo  può  durare  un  lavoro?  Forse 
dopo  i  primi  tre  quarti  d'ora  di  occupazione  saranno  necessari  dieci 
minuti  di  pausa:  ma  dopo  altri  tre  quarti  d'ora  ci  vorranno  quindici  minuti 
di  sospensione;  e  così  nel  progresso  della  giornata:  infine  occorrerà  un 
quarto  d'ora  di  riposo  dopo  dieci  minuti  di  occupazione.  Ma  quali  sono 
gl'insegnamenti  più  adatti  alle  forze  del  bambino  nelle  varie  ore  del 
giorno?  è  meglio  cominciare  con  la  matematica  o  col  dettato?  in  quale 


26  PARTE    PRIMA 

momento  sarà  più  disposto  il  bambino  a  compone  con  la  sua  immagi- 
nazione, alle  9  ovvero  alle  ii  del  mattino? 

Ancora  altre  preoccupazioni  sono  necessarie  alla  sollecitudine  di 
un  maestro  perfetto:  come  dovrà  egli  scrivere  alla  lavagna  affinchè  i 
fanciulli  seduti  lontano  possano  vedere?  perchè  altrimenti,  se  non  ve- 
dessero, ecco  l'opera  sua  andata  a  male.  E  che  quantità  di  luce  occor- 
rerà far  cadere  sulla  lavagna  per  rendere  possibile  a  distanza  la 
visione  chiara  del  bianco  sul  nero,  in  quelle  dimensioni  della  scrittura 
scelte  dal  maestro  per  adattarsi  appunto  alla  visione  in  lontananza? 
Cosa  grave,  perchè  se  il  bambino,  da  lontano,  forzato  dalla  necessaria 
disciplina  a  guardare  e  imparare,  dovesse  fare  eccessivi  sforzi  di  accomo- 
dazione dell'occhio,  potrebbe  a  lungo  andare  diventare  miope:  allora 
U  maestro  axrebbe  fabbricato  un  cieco.  Cosa  grave. 


Chi  ha  mai  pensato  all'angosciosa  situazione  di  un  tale  maestro? 
Per  farsene  un'idea  bisognerebbe  pensare  a  una  giovane  sposa  che,  sa- 
pendo di  dover  avere  un  bambino,  si  mettesse  questi  problemi:  come 
potrò  io  comporre  un  bambino  se  non  so  l'anatornia?  come  gli  farò  lo 
scheletro?  bisogna  che  studi  bene  la  struttura  delle  ossa.  Voglio  imparar 
come  poi  vi  si  attaccano  i  muscoli:  ma  come  mettere  il  cervello  dentro 
una  scatola  chiusa?...  E  il  piccolo  cuore  dovrà  pulsare  continuamente, 
fino  alla  morte?  È  impossibile  che  non  si  stanchi... 

O,  analogamente,  si  potrebbe  meditare  così  sul  neonato:  egli, 
evidentemente,  non  potrà  camminare  se  prima  non  conosce  bene  le 
leggi  dell'equilibrio;  lasciato  a  se  stesso,  solo  a  vent'anni  potrebbe  ca- 
pirle: farò  dunque  in  modo  d'insegnargliele  precocemente,  affinchè 
possa  camminare  il  più  presto  possibile. 

Il  maestro  di  scuola,  è  lui  che  compone  l'intelligenza  dello  scolaro: 
lo  scolaro  cresce  tanto  quanto  lo  fa  crescere  il  maestro,  vale  a  dire  sa 
precisamente  ciò  che  il  maestro  gli  ha  fatto  sapere  e  capisce  né  più  né 
meno  di  quello  che  il  maestro  gli  ha  fatto  capire.  Quando  un  ispettore 
visita  una  scuola  e  interroga  gli  scolari,  se  è  soddisfatto  si  volge 
al  maestro  e  dice:  <<  bravo  maestro  ».  Perchè  quella  é  indubbia- 
mente opera  sua:  dalla  disciplina  per  farsi  ascoltare  ai  meccanismi 


II.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  27 

psichici  ch'egli  ha  seguito  per  insegnare,  tutto  è  opera  direttamente 
sua.  Iddio  entra  nella  scuola  come  simbolo  nel  crocifisso,  ma  il  crea- 
tore  è   il   maestro. 

Molti  soccorsi  si  danno  ai  maestri  in  questo  loro  compito  sovrumano. 
C'è  una  specie  di  divisione  di  lavoro,  per  cui  alcune  persone  più  compe- 
tenti preparano  gli"  schemi  delle  lezioni  o  sulla  psicologia  se  l'insegna- 
mento è  posto  sopra  un  assetto  scientifico,  o  sui  principi  indicati  da  un 
grande  pedagogista,  come,  per  esempio,  l'Herbart  ;  inoltre  le  scienze, 
come  l'igiene  e  la  psicologia  sperimentale,  vengono  ad  alleviare  molte 
difficoltà  pratiche  e  ad  aiutare  nel  disporre  le  aule  scolastiche,  nel  com- 
pilare programmi,  orari,  ecc. 

Ecco,  per  esempio,  degli  schemi  per  le  lezioni  a  base  psicologica: 
ciò  che  si  osserva  è  l'ordine  di  successione  pei  fatti  psichici  che  devono 
sorgere  nel  fanciullo:  così  esercitandosi,  lo  scolaro  viene  non  solo  ad  ap- 
prendere, ma  a  formare  la  sua  intelligenza  secondo  i  propri  mec- 
canismi (i). 

Lezione  di  cose. 

Una  candela:  Educazione  delle  funzioni  sensoriali  e  percettive: 

Vista:  bianca,  solida. 

Tatto:  untuosa,  liscia. 

Nomenclatura.  Parti  della  candela:  lucignolo,  superficie,  estremità, 
orli,  parte  superiore,  parte  inferiore,  parte  di  mezzo.  La  candela  che  noi 
usiamo  è  di  cera  mescolata  con  stearina.  Questa  si  ricava  dal  grasso  del  bue 
e  del  montone.  Per  questo  si  chiama  candela  stearica.  Vi  sono  candele  di 
cera.  Esse  sono  giallognole  e  meno  untuose.  La  cera  è  il  prodotto  delle  api. 
Vi  sono  anche  delle  candele  di  sego  molto  untuose  e  di  odore  nauseante  quando 
abbruciano. 

Memoria.  Avete  mai  visto  una  cereria?  Avete  mai  visto  un  alveare? 
Le  cellette  delle  api  di  che  cosa  sono  fatte?  Quando  accendete  la  candela? 
Non  avete  mai  portato  la  candela  accesa  distrattamente?  Non  vi  è  successo 
nulla  di  grave? 

Immaginazione.   Disegnare  sulla  lavagna  il  contorno  di  una  candela. 

Paragonare,  associare,  astrarre.  Simiglianza  e  differenza  tra  una  can- 
dela di  cera,  di  stearica  e  di  sego. 


(i)  Questi  due  esempi  sono  stati  tratti  dalla  nota  rivista  /  Diritti  della  Scuola, 
anno  XIV. 


28  l'AKlK    l'KlMA 

Giudicare,  ragionare.  Sono  utili  le  candele?  Erano  più  utili  prima 
od  ora  che  abbiamo  il  gas  e  la  luce  elettrica? 

Sentimenti.  Come  si  divertono  i  fanciulli  a  visitare  una  cereria!  1^  bi  Ilo 
infatti  vedere  come  si  fabbrica  una  candela  di  cui  tanto  ci  serviamo.  Quando 
possiamo  appagare  il  desiderio  d'istruirci  proviamo  piacere  e  soddisfazione. 

Volizioni.  Che  faremmo  del  grasso  di  maiale  se  non  sapessimo  ricavare 
la  stearina?  Che  faremmo  della  cera  se  non  sapessimo  utilizzarla?  L'uomo  sa 
lavorare  e  sa  trasformare  tanti  prodotti  in  sostanze  e  in  oggetti  utili.  Il  la- 
voro è  la  vita  nostra.  Benediciamo  i  lavoratori.  Amiamo  il  lavoro  noi  pure 
e  dedichiamoci  ad  esso  con  diligenza. 

(Si  noti  che  i  bambini  stanno  tutti  fermi  ad  ascoltare). 

Sulle  linee  di  un  medesimo  meccanismo  psichico  può  esser  fatta 
qualsiasi  lezione:  anche  una  lezione  morale.  Esempio: 

Educazione  morale  derivata  dall'  osservazione  dei  fatti. 
(Si   noti   che   i  fatti  sono  inventati  e  raccontati). 

Gentilezza  di  modi.  Fatto:  «  È  vero,  fanciulla,  che  la  chiesa  di  questo 
villaggio  è  distante  pili  di  un  chilometro  da  qui?  Devo  recarmici  per  ordine 
della  mamma.  Credevo  di  esservi  giunta  e  ne  ero  contenta.  Vengo  di  lontano 
e  sono  tanto,  tanto  stanca...  ».  «  Invece,  rispose  la  fanciulla  che  era  sul  can- 
cello della  sua  abitazione,  sei  proprio  distante  ancora  un  chilometro  e  mezzo. 
Ma  entra  pel  mio  cancello,  segui  la  scorciatoia  che  t'insegnerò  attraverso  i 
miei  campi.  In  cinque  minuti  arriverai  alla  chiesa  ».  Che  fanciulla  gentile! 

Rapporti  di  successione  di  causa  ad  effetto.  La  fanciulla  del  villaggio 
usò  una  gentilezza  alla  piccola  viandante.  Questa  giunse  in  poco  tempo 
alla  chiesa,  si  affaticò  meno  e  ne  provò  un  gran  sollievo. 

Memoria.  \ov  foste  mai  gentili  con  i  vostri  compagni?  Prestaste  sempre 
ad  un  compagno  ciò  che  vi  chiedeva?  Ringraziaste  sempre  con  gentilezza 
chi  vi  fece  dei  favori? 

Paragonare,  associare,  astrarre.  Paragone  tra  un  fanciullo  gentile 
e  uno  sgarbato. 

Giudicare,  ragionare.  Perchè  bisogna  essere  gentili  con  tutti?  Basta 
essere  servizievoli  per  mostrarsi  gentili? 

Sentimenti.  Chi  è  gentile  ha  un  animo  ricco  di  dolcezza,  di  soavità.  Quanta 
simpatia  desta  in  tutti!  La  persona  sgarbata  s'irrita  per  un  nonnulla.  Ella  desta 
disgusto  e  timore  negli  altri.  Chi  è  gentile  dimostra  affetto  per  il  prossimo. 

Volizioni.  Voi,  o  fanciulle,  abituatevi  ad  essere  gentili  con  tutti.  Do- 
vete essere  gentili  quando  fate  qualche  favore,  se  no  il  favore  può  sembrare 
uno  sgarbo.  Voi  avete  bisogno  di  qualcosa  e  la  chiedete  con  arroganza? 
È  più  facile  riceviate  un  no,  che  un  si.  Invece  come  si  può  dirvi  di  no,  se  chie- 
dete qualcosa  gentilmente? 


II.  -  UNO   SGUARDO   ALL'ODIERNA   EDUCAZIONE 


È  forse  più  interessante  seguire  una  lezione  vera  e  propria  attuata 
nella  pratica,  e  considerata  come  un  modello  offerto  alla  generalità 
dei  maestri.  Riporto  a  tale  scopo  una  delle  lezioni  premiate  a  una  gara 
didattica  indetta  in  Italia  (i).  In  essa  non  ci  dovrebbe  essere,  secondo 
il  tema,  che  un  primo  fatto  psichico:  la  percezione  sensoriale.  (I  la- 
vori, anziché  essere  contrassegnati  dal  nome  dell'autore,  erano  con- 
traddistinti con  un  motto): 

Motto.   Le  cose  sono  i  primi  e  migliori  maestri. 

Mi  segno  questi  termini  : 

Far  percepire  l'idea  del  freddo  gelido  in  contrasto  con  quella  del  caldo 
(e  basta,  basta!!,  perchè  le  idee  non  sono  chicche  da  gustare  una  dopo  l'altra, 
ma  sublimi  fatti  psichici  di  una  grande  complessità,  e,  perciò,  di  una  molto 
difficile  assimilazione). 

Collegare  all'idea  da  impartire,  la  cultura  di  un  senso  di  compassione 
e  di  pietà  per  i  miserabili  cui  l'inverno  è  causa  di  tanto  soffrire  ;  senso  che 
molte  volte  avevo  già  tentato  di  risvegliare. 

Quanto  precede  è  per  me;  quanto  segue  per  i  bimbi. 

—  Bambini:  come  stiamo  bene  qui!  Tutto  è  pulito;  tutto  è  al  suo  posto: 
io  voglio  tanto  bene  a  voi;  voi  volete  tanto  bene  a  me;  non  è  vero,  bambini? 

B.  —  Io  si.  Io  si.  Anca  io  (correggo). 

—  Dimmi,  Gino,  hai  freddo  tu?  Hai  detto  subito  di  no.  E  bene;  no, 
proprio:  stiamo  davvero  bene  qui!  Là,  in  quell'angolo  (lo  indico  bene)  c'è 
una  cosa  che  manda  tanto... 

B.  —  Caldo.   È  la  stufa. 

—  Ma  fuori  di  qui;  dove  non  c'è  la  stufa;  dove  si  distende  l'orizzonte 
(i  bambini  hanno  una  certa  famigliarità  con  questa  parola),  il  caldo  non  c'è. 

B.  —  C'è  il  freddo.  (Risposta  dovuta  a  la  chiarezza  della  legge  dei 
contrarli) . 

—  Questa  notte...  mentre  noi  dormivamo;  mentre  forse  la  mamma 
vostra  aggiustava  i  vostri  vestitini...  cara  mamma,  come  è  buona!  questa 
notte,  adagio,  adagio,  sono  caduti  dall'alto,  tanti,  tanti  fiocchi  bianchi... 
La  neve,  la  neve!  esclamano  i  piccini.  —  Bambini;  diciamo:  sono  caduti 
tanti  fiocchi  di  neve.  Com'è  bella  la  neve!  Andiamo  a  vederla  da  vicino?  ' 

B.  —  Sì...  sì...  sì...  sì... 

—  Ma,  è  tanto  bella  che  ci  verrà  voglia  di  prenderne  un  po'!  E  non 
è  permesso  prenderla,  forse?  Di  chi  è  la  neve?  (Non  ottengo  risposta).  Chi 
l'ha  comperata?  Chi  l'ha  fatta?  Voi?  No.  Io?  No.  La  mamma?  No.  Allora  l'ha 


(i)  Essa   apparisce    pubblicata    nella   rivista    Im   voce  delie   Maestre  d'Asi! 
anno  Vili. 


30  PARTE    PKIMA 

comperata  il  papà!  (Mi  guardand  attoniti:  già  sono  domande  alquanto  strane). 
No.  ancora!  Dunque  la  neve  è. ..di  tutti.  E  bene:  se  è  così  ne  possiamo  pren- 
dere una  piccola  manata.  (Segni  evidentissimi  di  gioia).  Vi  distribuisco 
subito  (i  bambini  non  hanno  il  banco  a  cassetto  per  riporvi  i  loro  lavorini) 
le  scatolette  che  ieri  avete  fabbricato.  (Mezzo  più  efficace  per  far  intuire 
l'utilità  del  lavoro).  Esse  sapranno  contenere  bene  la  bella  neve.  (Intanto 
che  agisco,  parlo,  per  non  permettere  all'attenzione  di  venir  meno).  Prendo 
anch'io  la  mia;  quella  che  ho  fatto  con  voi:  è  più  grande  della  vostra;  e  dunque 
conterrà  più  neve,  la  mia  o  la  vostra? 
B.  —  La  sua. 

—  Andiamo,  bambini:  una  candida  manata  deve  entrare  nelle  vostre 
scatolette.  Che  piacere! 

(Andando).  Fermiamoci  un  momentino:  come  stiamo  bene  qui!  Posiamo 
una  mano  sopra  il  viso.  Com'è  caldo  il  viso  e  com'è  calda  anche  la  mano!  An- 
diamo a  sentire  se,  quando  la  mano  avrà  toccato  la  neve,  sarà  ancora  calda. 

B.  —  Sarà  fredda. 

—  Sicuro.  (Uscendo).  Quanto  è  bella!  È  caduta  di  lassù:  il  cielo  ha  re- 
galato alla  terra  una  veste  tutta... 

B.  —  Bianca. 

A  questo  punto,  i  miei  bambini,  abitualmente  affidati  a  quel  principio 
di  sana  ordinata  libertà,  che  è  il  maggior  coefficiente  della  formazione  del 
carattere,  toccano,  prendono  la  neve:  alcuni  ne  rompono  la  superfìcie  con 
un  piccolo  disegno.  Li  lascio  fare.  È  un  minuto,  perchè  do  subito  una  specie 
di  assalto  alla  loro  attenzione. 

—  Bambini,  anch'io  voglio  prendere  un  po'  di  neve;  ma  insieme  a  tutti 
voi.  Fermi!  Diritti!  Guardatemi  bene.  Togliamo  via  un  piccolo  lembo  della 
grande  veste.  Mettiamolo  nella  scatoletta.  Ecco  fatto!  (Entrando).  Ah,  che 
freddo!  I  bambini  che  sono  poco  coperti,  sono  quelli  che  hanno  freddo  di  più. 
Poverini!  E  quelli  che  in  casa  non  hanno  quella  cosa  piena  di  carbone  acceso! 

B.  —  La  stufa. 

—  Che  freddo  sentiranno!  Su;  svelti  svelti:  al  posto  tutti  quanti.  Met- 
tete sul  banco  la  scatoletta.  Come  è  fredda  la  neve!  Avete  sentito  come  ha 
fatto  diventare  fredda  la  nostra  mano,  che  era  calda? 

B.  —  La  mia  è  fredda,  .^nche  la  mia! 

—  Io,  in  cortile,  ho  veduto  Carolina  che  ha  preso  un  po'  di  neve,  e  poi 
l'ha  lasciata  cadere  subito:  non  è  stata  forte  abbastanza,  per  resistere  a  tanto 
freddo!  Ma  poi  ha  provato  ancora,  e  non  l'ha  più  lasciata  uscire  di  mano. 

B.  —  Io  no;  l'ho  mettuta   (correggo)   subito  nella  scatoletta. 

—  Bambini;  quando  il  freddo  è  forte  forte  come  quello  della  neve, 
si  chiama  gelo.  Dillo  tu,  Guido.  Come  si  chiama?  Adesso  tu,  Giannina.  E  la 
neve  che  è  fredda  cosi...  com'è?  Chi  indovina? 


II.  -  UNO   SGUARDO   ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE 

(Un  bambino)  —  Gelata. 

—  Di':  la  neve  è  gelata. 

—  Noi  siamo  tornati  dentro,  perchè  fuori  c'è  gelo,  e  dentro  c'è. 
B.  —  Caldo. 

—  Ma  abbiamo  portato  con  noi,  una  cosa  gelata  che  si  chiama. 
B.  —  Neve. 


—  Che  cosa  manda  a  noi  la  stufa?    Vi  ricordate?   (i) 
B.  —  Il  caldo. 

—  Voglio  me  lo  dica  Maria.  Adesso,   Peppino. 

—  Sapete?  Anche  la  bocca  manda  caldo.  Apritela;  Non  molto!  Met- 
teteci davanti  una  mano,  la  destra.  Respirate  come  faccio  io.  Un'altra  volta: 
respiriamo:  adesso  mandiamo  fuori  il  respiro,  come  faccio  io.  Ancora:  respi- 
riamo; mettiamo  fuori  il  respiro:  ancora...  ancora...  ancora...  così,  va  bene. 
Sentite.  Anche  la  bocca  ci  dà  un  po'  di... 

B.  —  Caldo. 

—  Proviamo  ora  a  metterci  un  po'  di  neve.  Un  pezzettino  così.  Oh, 
il  caldo  della  bocca  scappa:  al  tocco  gelato  della  neve  è  già  scappato. 

B.  —  È  fredda  adesso  la  bocca! 

—  Sì;  è  vero:  è  fredda;  di  un  freddo  forte  forte  che  si  chiama... 
B.  —  Gelo. 

—  Giuseppe  forse  non  lo  sa...  non  me  l'ha  detto  con  gli  altri!  Ditelo 
ancora,  che  lo  dirà  anche  lui.  Un'altra  volta;  basta.  Bravo  Giuseppe!  Dunque 
la  nostra  bocca  è  diventata... 

B.  —  Gelata. 

—  Mangiamo  un  altro  pezzetto  di  neve.  In  bocca,  la  neve  diventa  acqua, 
perchè  è  fatta  di  acqua  soltanto.  Anche  il  pane  è  fatto  di  acqua,  ma  non  di 
acqua  soltanto,  anche...  Come  fa  il  fornaio  a  fare  la  pasta  per  il  pane,  senza  la... 

B.  —  È  la  farina. 

—  E  poi  ci  vuole... 
B.  —  Il  sale. 

—  E  poi? 

B.  —  Il  Hevito. 

—  Vedo  che  Luigi  mangia  ancora  la  neve.  Anche  Alfonso  e  Pierino. 
Vi  piace? 

B.  —  Sì  signora. 

—  Vi  piace  a  tutti,  vero? 

B.  —  Sì  signora.   Io  sì.  Io  sì.   (Correggo). 

(i)  È  per  memoria  che  i  bambini  devono  sapere  se  la  stufa  manda  caldo. 


32  TARTE    PKIMA 

—  Mangiatene  pure  ancora;  ma  non  molto,  può  farvi  male.  È  tanto 
gdaia\  (ripeto  spesso  questa  parola,  pcrcliC'  ò  l'cspressiono  dell'idea  che 
voglio  dare). 

—  Quando  nevica  fa  molto  freddo,  e  pensate  che  vi  sono  tanti  bam- 
bini, tanta  gente,  che  sono  mal  coperti,  che  non  hanno  stufa;  sono  poveri! 
Essi  soffrono  molto  e  qualcuno,  anche,  muore:  povera  gente!  Come  siamo 
fortunati  noi,  invece!  Abbiamo  tanti  indumenti  (conoscono  questa  parola)  per 
coprirci;  abbiamo  una  stufa  a  casa,  una  a  scuola  che  ci  scaldano.  Che  fortuna! 

(Una  bambina)  —  Io  non  l'ho. 

—  Io  so  che  non  l'ha  neppure  Emilio.  Mi  dispiace  tanto.  Bambini,  vo- 
gliate bene  ad  Emilio  e  Giuseppina,  tanto:  più  che  non  agli  altri  bambini 
perchè  sono... 

B.  —  Poveri... 

—  L'avete  mangiata  tutta? 
B.  —  No  signora. 

—  Ora  andremo  in  cortile  a  gettar  via  la  neve  che  ci  è  rimasta.  Poi 
metteremo  le  scatolette  su  questa  tavola  ad  asciugare.  E  domani  vi  farò 
vedere  la  vignetta  di  una  bella  nevicata.  Andiamo;  venite  fuori  e  portate 
presto  le  scatolette  vuote  dove  ho  detto  io. 

Intendo  di  ripetere  sotto  altro  aspetto  questa  lezione  e  combinarne 
altre,  riferendole  a  soggetti  di  altre  idee,  che  si  possono  conferire  sullo 
stesso  argomento. 

Come  tutto  nella  natura  fìsica  e  morale  è  unito,  legato,  stretto,  indi- 
visibile, graduato,  così  il  più  grave  danno  dello  sviluppo  umano,  è  costituito 
dal  fatto  educativo  isolato  e  saltuario,  perchè  non  si  può  sciogUere  ciò  che 
è,  da  una  eterna  santa  legge,  concatenato. 


In  questa  lezione  «  modello  «  si  sostiene  di  aver  dato  solo  due 
percezioni:  di  caldo  e  di  freddo,  e  di  aver  lasciata  molta  libertà  al  bam- 
bino, ma  una  libertà  «  bene  intesa  ». 

Ora,  dare  realmente  solo  due  percezioni  è  ben  difficile,  trattan- 
dosi di  persone  immerse  in  un  ambiente  ricco  di  stimoli  e  aventi  all'in- 
terno già  immagazzinato  un  intiero  caos  d'immagini.  Ma,  avendo 
un  tale  obbietto,  si  può  cercare  di  eliminare  possibilmente  tutte  le 
altre  percezioni,  per  far  rimanere  quelle  due  e  di  polarizzare  su  esse 
l'attenzione  in  modo  che  nel  campo  della  coscienza  restino  nell'ombra 
tutte  le  altre  immagini.  Questo  sarebbe  il  criterio  scientifico  tendente 
ad  isolare  le  percezioni  ;  ed  è  appunto  questo  il  procedimento  pratico 


[I.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  33 

che  usiamo  nel  nostro  metodo  per  le  «  lezioni  »  sensoriali.  Nel  caso 
del  caldo  e  del  freddo  il  bambino  verrebbe  «  preparato  »  con  l'iso- 
lamento del  senso:  egli  sarebbe  stato  bendato  in  un  luogo  silenzioso, 
affinchè  solo  gli  stimoli  termici  potessero  giungere  fino  a  lui.  Innanzi 
al  bambino  sarebbero  stati  posti  due  oggetti  perfettamente  uguali 
tra  loro  in  tutti  i  caratteri  percepibili  col  senso  tattile  muscolare: 
stessa  dimensione,  stessa  forma,  medesimo  stato  di  levigatezza,  mede- 
sima resistenza  alla  pressione;  per  es.  due  sacche  di  gomma  identiche, 
empite  con  la  medesima  quantità  'd'acqua,  e  perfettamente  asciutte 
al  di  fuori.  L'unica  differenza  è  la  temperatura  dell'acqua  nelle  due 
sacche:  nell'una  calda,  per  es.,  a  6(f;  nell'altra  fredda,  per  es.,  a  10°. 
Dopo  aver  richiamato  l'attenzione  del  bambino  sull'oggetto-?  si  fa  pas- 
sare la  mano  del  bambino  bendato  sulla  sacca  calda,  e  poi  sulla  fredda: 
mentre  la  mano  passa  sulla  calda  gli  si  dice:  è  calda!,  mentre  passa 
sulla  fredda  gli  si  dice:  è  fredda!  P^  la  lezione  è  finita.  Sono  state  due 
sole  parole:  e  una  lunga  preparazione  tendente  a  far  sì  che  possibil- 
mente in  rapporto  a  quelle  due  parole  giungessero  al  bambino  le  due 
sole  sensazioni  che  vi  corrispondono.  Infatti  gli  altri  sensi,  vista  e  udito, 
erano  sottratti  agli  stimoli;  e  sotto  la  mano  nessuna  differenza  per- 
cepibile esisteva  tra  i  due  oggetti,  fuorché  quella  di  temperatura.  È 
così  che  si  può  raggiungere  un  grado  approssimativo  di  probabilità 
nel  far  percepire  due  sole  sensazioni  contrastanti. 

Si  dirà:  e  la  libertà  del  bambino? 

Ebbene,  noi  conveniamo  che  ogni  lezione  lede  la  libertà  del  bam- 
bino, per  questo  la  facciamo  durare  lo  spazio  di  qualche  secondo:  il 
tempo  per  pronunciare  letteralmente  due  parole:  caldo!  freddo!  ma 
sotto  l'influsso  della  preparazione  che,  prima  isolando  il  senso,  fa 
quasi  il  buio  nella  coscienza,  e  vi  proietta  poi  solo  due  immagini.  Come 
sullo  schermo  di  una  macchina  per  le  proiezioni,  il  bambino  riceve 
i  suoi  acquisti  psichici,  ovvero  come  dei  semi  cadenti  sopra  un  terreno 
creativo:  ed  è  nella  libera  scelta  successiva  e  nella  ripetizione  dell'eser- 
cizio, come  nelle  successive  attività  spontanee  associative  e  riproduttive, 
che  il  bambino  sarà  lasciato  «  libero  ».  Più  che  una  lezione,  egli  ricevè 
un  contatto  determinato  col  mondo  esterno:  è  questa  determinazione 
scientifica  che  dà  a  tale  contatto  un  carattere  speciale  che  lo  distingue 
dai  contatti  indeterminati  che  il  bambino  riceve  continuamente  dal- 


34  HAKTH    PRIMA 

l'ambiento.  La  moltitudine  di  tali  contatti  indetcrminati  formarono 
in  lui  il  caos:  i  contatti  determinati  \i  iniziano  l'ordine,  poiché,  con  la 
tecnica  dell'isolamento  cominciano  a  far  «distinguere  una  cosa  dal- 
l'altra ». 

Sono  i  principi  della  psicologia  sperimentale  che  hanno  dettato  la 
tecnica  delle  nostre  lezioni.  E  tale  «  indirizzo  »  contrasta  senza  dubbio 
con  quello  dettato  invece  dalla  psicologia  speculativa  dei  tempi  pas- 
sati, sulla  quale  si  basano  tuttora  i  metodi  educativi  (  omunemente  in 
uso  nelle  scuole. 

Fu  r  Herbart  che  mise  la  psicologia  tìlosotìca  d'allora  come 
principio  per  ridurre  a  sistema  le  regole  pedagogiche.  Egli,  dalla 
esperienza  individuale  ha  creduto  di  afferrare  il  modo  universale 
di  svolgere  la  mente,  e  ha  fatto  di  questo  una  base  psicologica  ai 
metodi  d'insegnamento.  Il  pedagogista  tedesco,  il  cui  metodo  oggi,  per 
opera  del  Credaro,  prima  professore  di  pedagogia  all'Università  di 
Roma,  poi  Ministro  dell'Istruzione,  dovrebbe  informare  tutto  l'inse- 
gnamento elementare  in  Italia,  dette  un  tipo  unico  di  lezione  sui  noti 
quattro  tempi  (i  gradi  formali)  chiarezza,  associazione,  sistema,  metodo. 
I  quali  si  possono  press 'a  poco  tradurre  così  :  presentazione  di  un 
oggetto  e  suo  esame  analitico  (chiarezza),  giudizi  e  paragoni  con  altri 
oggetti  circostanti  o  con  immagini  mnemoniche  (associazione),  defi- 
nizione dell'oggetto  dedotta  dai  precedenti  giudizi  (sistema),  nuovi 
principi  che  scaturiscono  dall'idea  che  si  è  approfondita  e  che  con- 
ducono ad  applicazioni  pratiche  di  ordine  morale  (metodo). 

Il  maestro  deve  condurre  la  mente  del  fanciullo  su  tali  lince  in 
ogni  insegnamento:  non  deve  però  sostituirsi  a  lui,  ma  anzi  far  pensare 
il  bambino  stesso,  indurlo  ad  esercitare  le  proprie  attività.  Così,  per  es., 
nell'associazione  il  maestro  non  dovrà  dire:  «  guarda  intorno  il  tale  o  il 
tal'altro  oggetto,  osserva  come  è  simile...  ecc.  »;  ma  domanderà  allo 
scolaro:  che  «cosa  vedi  intorno?  c'è  nulla  che  somigli...»  ecc.  Ugualmente 
per  la  definizione,  non  dirà,  il  maestro,  per  es.:  «  L'uccello  è  un  ani- 
male vertebrato  coperto  di  piume;  che  ha  due  arti  trasformati  in 
alÌB  ecc.  ma,  con  domande  incalzanti,  con  correzioni  e  simili,  indurrà 
il  bambino  a  trovare  da  sé  la  precisa  definizione.  Se  il  processo  mentale 
dei  quattro  tempi  di  Herbart  venisse    naturalmente,  sarebbe    neces- 


II.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  35 

sario  che  ci  fosse  un  grande  interesse  per  l'oggetto;  è  l'interesse  che 
farebbe  trattenere,  o,  come  dice  il  noto  pedagogista,  farebbe  «  pro- 
fondare »  la  mente  nell'idea  e  la  manterrebbe  in  un  sistema,  pur  ab- 
bracciando idee  multilaterali:  è  necessario  perciò,  che  1' «  interesse  »  sia 
destato  e  permanga  in  tutto  l'insegnamento.  È  ben  noto  che  un  allievo 
dell'Herbart  aggiunse  per  questo  un  primo  tempo,  quello  dell'inte- 
resse, ai  quattro  tempi  di  Herbart,  facendo  riallacciare  ogni  nuova 
conoscenza  alla  vecchia:  «  andare  dal  noto  a  l'ignoto  »  perchè  ciò  che 
è  assolutamente  nuovo  non  può  destare  interesse. 

«  Rendersi  interessanti  artificialmente  »  cioè  interessanti  a  chi 
non  avrebbe  interesse  per  noi,  ecco  un  compito  ben  diffìcile!  e  trattenere 
su  noi  con  interesse  per  ore  ed  ore  e  per  anni,  non  una,  ma  una  mol- 
titudine di  persone,  le  quali  non  hanno  nulla  di  comune  con  noi,  nem- 
meno l'età:  ecco  un  compito  sovrumano.  Questo  è  il  compito  del  maestro 
o,  come  egli  dice,  è  la  sua  «  arte  »,  se  vuole  che  quell'assemblea  di 
bambini  che  egli  ha  ridotto  all'immobilità  con  la  disciplina,  lo  segua 
con  la  mente,  capisca  ciò  ch'egli  dice,  e  impari:  lavoro  intimo,  ch'egli 
non  può  più  imporre,  come  impone  la  posizione  del  corpo,  ma  che  deve 
«  guadagnare  «  rendendosi  e  mantenendosi  «  interessante  ».  «  L'arte  di 
far  scuola  »  dice  l'Ardigò  «  consiste  principalmente  in  questo:  di  co- 
noscere fino  a  che  punto  e  in  che  maniera  uno  può  trattenere  l'atten- 
zione degli  alunni.  I  maestri  più  abili  sono  quelli  che  non  affaticano 
mai  troppo  una  frazione  del  cervello  dei  loro  scolari,  in  modo  che  la 
loro  attenzione  volgendosi  ora  qua  ora  là,  riposa;  e  più  forte  può  tor- 
nare all'argomento  principale  del  discorso  ».  « 

Un'arte  assai  più  laboriosa  è  quella  di  condurre  i  bambini  col  loro  ' 
proprio  lavoro  mentale  a  tro\'are  non  già  ciò  clie  essi  troverebbero 
naturalmente,  ma  quello  che  vuole  il  maestro,  il  quale  però  non  dice 
ciò  che  vuole:  spingendo  i  bambini  ad  associare  «  spontaneamente  »  le 
loro  idee  —  come  le  associa  il  maestro  —  e  perfino  arrivando  a  far 
comporre  dai  bambini  delle  definizioni  con  le  precise  parole  che  il 
maestro  ha  tra  sé  stabilite,  senza  manifestarle.  Cosa  che  sembrerebbe 
una  cabala,  un  gioco  di  prestigio.  Tuttavia  ciò  si  è  usato  e  si  usa,  e  forma 
in  certi  casi  tutta  l'arte  del  maestro. 

Il  Tolstoi,  quando  nel  1862  fece  i  suoi  giri  d'ispezione  nelle  sciiole 
di  Germania,  fu  colpito  da  uro  di  tali  «  insegnamenti  »;  e  descri^'e  tra 


PARTE    PRIMA 


gli  scritti  pedagogici  deiriasnaja  Poliana  una  lezione  che  merita  di 
essere  riportata,  per  cjuanto  oggi  nelle  scuole  di  Germania  non  sarebbe 
forse  più  possibile  d'incontrare  un  tale  esempio. 

lasnaja  Poliana,   iSOj. 

Calmo,  sicuro,  il  professore  siede  in  classe:  gl'istrumcnti  sono  pronti: 
piccole  tavole  con  le  lettere,  un  libro  con  l'immagine  di  un  pesce,  fisch.  Il 
maestro  guarda  gli  allievi:  egli  sa  già  tutto  quello  che  devono  comprendere; 
sa  in  che  consiste  la  U)ro  anima,  e  varie  altre  cose  che  ha  imparato  al  se- 
minario. 

Apre  il  libro  e  mostra  il  pesce.  «  Cari  bambini,  che  cosa  è  questo?  »  i 
poveri  bambini  gioiscono  vedendo  il  pesce,  se  però  non  sanno  già,  per  averlo 
inteso  da  altri  scolari,  con  quale  salsa  sarà  servito.  In  ogni  modo  essi  dicono: 
«  è  un  pesce  ».  «  No!  »  riprende  il  professore  (tutto  ciò  non  è  un'invenzione 
né  una  satira,  ma  il  racconto  esatto  di  un  fatto  che,  senza  eccezione,  ho  visto 
in  tutte  le  migliori  scuole  di  Germania  e  nelle  scuole  inglesi  che  hanno  adot- 
tato questo  modo  d'insegnare).  «No»  dice  il  professore  «  Che  vedete  dunque?  ». 
I  bambini  tacciono.  Non  dimenticate  che  hanno  l'obbligo  di  rimanere  seduti, 
tranquilli,  ciascuno  al  suo  posto  e  di  non  muoversi.  «  Dunque,  cosa  vedete?  ». 
«  Un  libro  »  dice  il  più  stupido.  Durante  questo  tempo  i  bambini  intelligenti 
si  sono  chiesti  mille  volte  ciò  che  vedono;  essi  sentono  che  non  potranno 
indovinare  ciò  che  esige  il  professore  e  che  bisogna  rispondere  che  questo 
pesce  non  è  un  pesce,  ma  qualcosa  ch'essi  non  sanno  nominare.  «Sì  sì»  fa  il 
maestro  con  gioia.  «  Benissimo,  un  libro;  e  poi?  »  domanda  il  maestro.  I  più  intel- 
ligenti e  spiritosi  indovinano  e  dicono  con  gioia  tutti  orgogliosi:  «  delle  lettere!  ». 
e  No,  no,  niente  affatto  »,  risponde  con  tristezza  il  maestro:  «  Bisogna  riflet- 
tere prima  di  parlare  ».  Di  nuovo  tutti  gl'intelligenti  sono  tristi  e  tacciono; 
non  cercano  neanche  più;  oramai  pensano  agli  occhiali  del  professore  e  si 
domandano  perchè  non  se  li  leva  piuttosto  che  guardare  al  di  sopra  di 
essi,  n  Avanti,  dunque:  che  c'è  nel  libro?  ».  Tutti  tacciono.  «  Ma  che  cosa  c'è 
qui?  i>.  «  Un  pesce!  »  dice  un  audace.  «  Sì,  un  pesce.  Ma  è  un  pesce  vivo?  ». 
«  No,  non  è  vivo  ».  «  Benissimo.  Allora  è  morto?  ».  «  No  ».  «  Bene!  Allora 
cos'è  questo  pesce?  ».  «  Una  immagine  ».  «  Proprio  così!  molto  bene!  ». 
Tutti  ripetono:  è  un'immagine.  E  pensano  che  sia  finita.  No,  bisogna  dire 
ancora  che  è  un'immagine,  che  rappresenta  un  pesce.  E  per  la  stessa 
via  il  maestro  ottiene  che  gli  allievi  dicano  che  è  un'immagine  che  rap- 
presenta un  pesce.  Egli  s'immagina  che  così  i  suoi  allievi  ragionino  e  non 
gli  passa  nemmeno  per  la  mente  che,  se  ha  l'obbligo  d'insegnare  agli 
allievi  a  dire  precisamente:  è  un  Hbro  con  una  immagine  di  un  pesce, 
sarebbe  assai  più  semplice  dirla,  questa  formula  straordinaria,  e  farla  im- 
parare  a   memoria. 


II.  -  UNO   SGUARDO   ALL'ODIERNA   EDUCAZIONE  37 

Accanto  a  questa  antica  lezione  raccolta  dal  Tolstoi  in  una 
scuola  elementare  di  Germania,  può  essere  citata  la  lezione  seguente 
proposta  modernamente  da  un  distinto  pedagogista  e  filosofo  francese, 
i  cui  testi  sono  classici  nelle  scuole  del  suo  paese  e  all'estero,  e  usati 
anche  nelle  Scuole  Pedagogiche  d'Italia.  Si  tratta,  come  dice  un  sotto- 
titolo sul  frontespizio,  di  «  Lezioni  destinate  a  formare  educatori  e 
cittadini  coscienti  dei  propri  doveri,  utili  alla  famiglia,  alla  patria, 
all'umanità  »  (i).  Siamo  dunque  nell'ambito  delle  scuole  medie.  La 
lezione  che  cito  è  un'applicazione  pratica  del  principio  d'impartire 
lezioni  a  mezzo  d'interrogazioni  (metodo  socratico)  e  verte  sopra  un 
tema  morale:   il   «  diritto  ». 

—  Voi,  ragazzi,  non  avete  mai  confuso  il  vostro  compagno  Paolo  con  questa 
tavola  o  con  questo  albero?  —  Oh!  no.  —  Perchè?  —  Perchè  questa  tavola 
è  inanimata  e  insensibile;  invece  Paolo  vive  e  sente.  —  Bene,  se  voi  battete 
la  tavola  non  sente  nulla  e  voi  non  le  fate  male;  ma  avete  voi  diritto  di  di- 
struggerla? —  No,  si  distruggerebbe  la  cosa  altrui.  —  Che  cosa  dunque  ri- 
spettate nella  tavola?  il  legno  inanimato  e  insensibile,  ovvero  la  proprietà 
di  colui,  cui  essa  appartiene?  —  La  proprietà  di  colui   cui  essa   appartiene. 

—  Avete  voi  il  diritto  di  battere  Paolo?  —  No,  perchè  gli  faremmo  male  e 
patirebbe.  —  Che  cosa  rispettate  in  lui?  la  proprietà  di  un  altro  o  Paolo  stesso? 
—  Paolo  stesso.  —  Voi  non  potete  adunque  né  batterlo,  né  rinchiuderlo, 
né  privarlo  di  cibo?  —  No!  i  carabinieri  ci  arresterebbero!  —  Ah!  oh!  la  paura 
del  carabiniere...  ma  è  solo  per  ciò  che  vi  arrestereste  dal  far  male  a  Paolo?  — 
Oh!  no  signore!  perchè  noi  amiamo  Paolo  e  non  vogliamo  farlo  soffrire, 
perchè  non  ne  abbiamo  il  diritto.  —  Credete  dunque  che  bisogna  rispettare 
Paolo  nella  vita  e  nella  sensibilità,  perchè  la  vita  e  la  sensibilità  sono  da 
rispettare?  —  Sì,  signore. 

—  Vi  è  dunque  questo  soltanto  da  rispettare  in  Paolo?  Esaminiamo, 
cercate  bene.  —  I  suoi  libri,  il  suo  abito,  la  sua  cartella,  la  colazione  che 
vi  è  dentro.  —  Sia.  Che  volete  dire?  —  Noi  non  possiamo  stracciare  i  suoi 
libri,  macchiare  il  suo  abito,  distruggere  la  sua  cartella,  mangiare  la  sua  cola- 
zione. —  E  perchè?  —  Perchè  queste  cose  sono  sue  e  non  è  permesso  prendere 
la  roba  altrui?  —  Come  si  chiama  l'atto  con  cui  si  prende  la  roba  altrui?  — 
Furto.  — •  Perchè  il  furto  è  proibito?  —  Perchè  si  va  in  prigione.  —  Sempre 
la  paura  dei  carabiniere!  ma  è  sopratutto  per  questo  che  non  bisogna  ru- 
bare? —  No,   signore,   perchè  la  cosa  altrui   deve  essere  rispettata,  come  la 


(i)  E.  Alengry,  U educazione  sulle  basi  della  psicologia  e  della  morale,  con  prefa- 
zione di  Luigi  Credaro.  (II  ediz.  italiana  sulla  XII  ediz.  francese,   Paravia  &  C). 


3^  l'AKTK    l'KIMA 

persona  altrui.  —  Benissimo.  La  proprietà  è  il  prolungamento  della  persona 
innana  e  si  deve  rispettare  eome  quella. 

—  È  qui  tutto?  non  vi  è  altro  da  rispettare  in  Paolo  rlie  il  corpo,  i  libri 
e  i  quaderni?  Non  vedete  altra  cosa?...  Non  trovate  più  nulla?...  Vi  metterò 
sulla  \ia  io:  Paolo  è  uno  scolaro  studioso,  un  compagno  franco  e  servizievole; 
voi  tutti  lo  amate  come  si  merita.  Come  si  chiama  la  stima  che  noi  abbiamo 
per  lui.  la  buona  opinione  che  noi  abbiamo  di  lui?  — L'onore...  la  reputazione... 
—  t)rbene,  questo  onore,  questa  reputazione  Paolo  si  acquistò  con  la  buona  con- 
dotta e  i  buoni  costumi.  Sono  cose  che  gli  appartengono.  —  Sì  signore;  noi  non 
abbiamo  il  diritto  di  rubargliele.  —  Benissimo,  ma  come  si  chiama  questo  furto, 
cioè  il  furto  dell'onore  e  della  reputazione?  E  prima  di  tutto,  come  si  può 
rubarglieli?  Sono  forse  essi  che  si  possono  prendere  e  mettere  in  tasca?  — 
No.  ma  si  può  parlare  male  di  lui.  —  Come?  —  Si  può  dire  che  egli  ha  fatto 
del  male  a  un  compagno...  che  ha  rubato  delle  mele  nel  vicino  frutteto...  che  ha 
sparlato  di  un  altro...  —  Sia;  ma  come,  così  parlando,  voi  gli  rubereste  l'onore  e 
la  reputazione?  —  Signore,  non  gli  si  crederà  piiì,  si  avrà  cattiva  opinione  di 
lui,  si  batterà,  rimprovererà,  e  si  lascerà  in  disparte...  —  Dunque,  se  voi  dite 
male  di  Paolo,  allorché  questo  male  è  falso,  gli  farete  piacere?  —  No,  signore, 
gli  si  recherà  dolore,  gli  si  farà  torto,  il  che  sarebbe  assai  brutto  e  cattivo.  — 
Sì,  miei  ragazzi,  questa  menzogna  con  l'intenzione  di  nuocere  sarebbe  assai 
brutta  e  cattiva  e  si  chiama  la  calunnia.  Io  vi  spiegherò  più  tardi  che  si 
chiama  maldicenza  il  male  che  si  dice  di  una  persona,  quando  questo  male  è 
vero,  e  vi  mostrerò  le  funeste  conseguenze  della  calunnia  e  della  maldicenza. 

Riassumiamo  adunque  ciò  che  dicemmo:  Paolo  è  un  essere  vivente  e 
sensibile.  Non  dobbiamo  procurargH  sofferenze,  né  derubarlo,  né  calunniarlo; 
dobbiamo  rispettarlo.  Si  chiamano  diritti  queste  cose  rispettabili  che  sono 
in  Paolo  e  lo  rendono  una  «  persona  morale  ».  L' obbligazione  che  noi  abbiamo 
di  rispettare  questi  diritti  si  chiama  dovere.  Si  chiama  poi  giustizia  l'obbligo 
o  il  dovere  di  rispettare  i  diritti  altrui.  Giustizia  deriva  da  due  parole  latine 
(in  jure  stare)  che  significano:  «  mantenersi  nel  diritto  ». 

1  doveri  di  giustizia  da  noi  numerati  si  riassumono  così:  Non  ferire... 
non  far  soffrire...  non  rubare...  non  calunniare.  —  Riflettete  alle  parole  che 
dite  sempre:  «  Non»  con  un  verbo  infinito  imperativo.  Che  significa  questo?... 

—  Un  obbligo,  un  comando...  un  divieto.  —  Via,  spiegate.  —  L'obbligo 
del  rispetto...  il  comando  di  rispettare  i  diritti...  il  divieto  di  rubare.  — 
In  che  cosa  dunque  si  riassumono  essi?  Nel  non  fare  del  male. 

La  scienza  positiva    fa    il   suo    ingresso  nella  scuola.         l.a 

scienza  positiva  fu  invitata  ad  entrare  nella  scuola,  come  in  un  caos 
ove  c'era  bisogno  di  separare  la  luce  dalle  tenebre;  come  in  un  luogo 
disastroso  ove  c'era  necessità  di  pronti  soccorsi. 


II.  -  UNO    SGUARDO   ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  jJ9 

Scoperte  della  medicina:  deformazioni  e  malattie.  —  Infatti 
la  prima  scienza  penetrata  nella  scuola,  fu  la  «  medicina  »  che  orga- 
nizzò un'igiene  speciale  al  caso,  una  specie  di  servizio  della  Croce 
Rossa.  La  parte  più  interessante  dell'igiene  penetrata  nella  scuola,  fu 
quella  che  rilevò  e  descrisse  i  «  morbi  dello  scolaro  »,  cioè  le  malattie 
acquisite  pel  solo  fatto  di  studiare  a  scuola.  Le  principali  di  queste 
malattie  sono  la  scoliosi  e  la  miopia.  La  prima,  acquisita  per  la  troppo 
prolungata  permanenza  nella  posizione  seduta  e  per  la  viziosa  posizione 
che  devono  prendere  le  spalle  nello  scrivere.  La  seconda  pel  fatto  che, 
nel  luogo  ove  il  bambino  deve  rimanere  seduto,  la  luce  non  è  sufficiente 
alla  chiarezza  della  visione;  ovvero  tale  luogo  è  troppo  lontano  dalla 
lavagna  o  dai  luoghi  ove  è  necessario  che  il  bambino  legga,  e  il  prolun- 
gato sforzo  di  accomodazione  porta  alla  miopia.  Altre  minori  ma- 
lattie generalizzate  vennero  pure  descritte;  e  un  indebolimento  or- 
ganico così  diffuso  che  l'igiene  consigliò  come  un  ideale  la  distribu- 
zione gratuita  a  tutti  gli  scolari  dell'olio  di  fegato  di  merluzzo,  o,  in 
genere,  di  ricostituenti.  Le  anemie,  le  malattie  di  fegato,  le  nevrastenie 
furono  pure  studiate  come  morbi  dello  scolaro. 

Così  per  l'igiene  fu  aperto  un  nuovo  campo  per  accogliere  il  più 
rigoglioso  ramo  delle  malattie  professionali,  e  la  scrittura  e  la  lettura 
dovettero  essere  studiate  minutamente  nei  loro  metodi  d'insegnamento, 
in  rapporto  a  deviazioni  della  colonna  vertebrale  e  a  vizi  di  rifrazione 
dell'occhio. 

Non  avvenne  che  risaltasse,  con.  l'aiuto  della  medicina,  come  po- 
trebbe sembrare,  la  figura  del  bambino,  quale  vittima  di  un  lavoro  ina- 
datto e  sproporzionato:  e  sorgesse  un  nuovo  ramo  di  «medicina  legale  ». 
Infatti  è  la  medicina  che  constata  le  malattie  e  la  morte  delle  vittime 
del  brefotrofio,  delle  vittime  dell'allattamento  artificiale  o  irrazionale 
collegato  ai  baliatici;  è  essa  che  rivede  a  uno  a  uno  tutti  questi  casi  indi- 
viduali che  sono  l'esponente  di  un  fatto  legale:  la  mancanza  dei  diritti 
civili  pei  bambini.  Ora  ecco  che  la  medicina  entra  in  un  altro  luogo  ove 
le  vittime  non  sono  «  dei  casi  »,  ma  sono  le  generalità,  sono  la  popolazione 
stessa  dei  bambini:  e  questa  volta  è  proprio  la  legge  che  impone  loro  i 
doveri  e  li  obbliga  in  massa  a  un  lavoro  forzato  di  molti  anni,  ove  il 
corpo  sarà  sottoposto  alla  tortura.  Se  una  medicina  legale  è  sorta  in  rap- 
porto ai  delinquenti,  come  mai  non  è  sorta  in  rapporto  agli  innocenti? 


40  rARTK    l'KIMA 

La  scienza  innanzi  ai  bambini  non  corrispose  alla  sua  mis- 
sione. —  La  medicina  si  e  limitata  ad  alleviare  le  malattie  prodotte 
artificialmente.  Essa  ha  constatato  una  causa  di  malattia  e  l'ha  lasciata 
indisturbata,  limitandosi  ad  alleviare  i  mali  che  ne  derivano  alla  mol- 
titudine delle  vittime.  Essa  non  si  è  atteggiata  alla  sua  gran  dignità 
di  «  difenditrice  »  della  vita;  ma,  come  un  servizio  di  Croce  Rossa  in 
una  guerra,  se  limitata  a  curare  i  feriti  e  ad  alleviare  le  condizioni 
dei  softerenti:  senza  pensare  che  l'autorità  acquistata  come  custode 
della  salute,  poteva  farle  mandare  il  supremo  grido  di  pace,  che  ponesse 
fine  a  una  guerra  così  pericolosa,  così  ingiusta  e  inumana. 

Come  lottando  contro  i  microbi  essa  riportò  la  sua  più  gloriosa 
bandiera  di  \ittoria  contro  la  morte,  così  qui,  lottando  direttamente 
contro  le  cause  d'impoverimento  delle  generazioni,  essa  poteva  ambire 
al  gran  vessillo  di  protettrice  della  posterità.  Invece  si  è  limitata  a  ela- 
borare un  ramo  di  studii  atteggiati  a  scienza:  l'igiene  scolastica;  fa- 
cendosi complice  di  un  errore  sociale. 

Apriamo  un  trattato  recente  d'igiene  scolastica:  esso  non  fa  che 
riassumere  le  idee  e  i  lavori  di  tutto  il  mondo. 

<i  Indicheremo  rapidamente  le  condizioni  che  favoriscono  lo 
sviluppo  della  scoliosi.  L'età  in  cui  abitualmente  apparisce  la  malattia 
è  la  seconda  infanzia,  donde  il  nome  di  scoliosi  dell'adolescenza:  infatti 
la  scoliosi  di  origine  rachitica,  che  apparisce  nella  prima  infanzia,  è 
più  rara  e  c'interessa  meno  direttamente.  La  causa  più  frequente 
e  che  deve  richiamare  tutta  la  nostra  attenzione,  è  l'attitudine  viziosa 
adottata  dalla  maggior  parte  dei  nostri  scolari  durante  l'esecuzione 
dei  loro  lavori  scolastici;  questa  causa  è  così  abituale,  che  si  è  potuto 
dire  della  scoliosi  ch'essa  era  la  malattia  professionale  dello  scolaro;  il 
dott.  Le  Gendre,  in  una  formula  che  si  giudicherà  forse  un  po'  severa, 
ma  che  disgraziatamente  non  manca  di  verità,  ha  potuto  dire  delle 
nostre  scuole,  ch'esse  sono  una  fàbbrica  di  miopi  e  di  gobbi. 

'<  La  miopia  riconosce  sopratutto  per  causa  le  condizioni  stesse 
nelle  quali  i  bambini  sono  collocati  in  iscuola:  l'insufìfìcienza  della  luce, 
l'impiego  di  caratteri  di  stampa  troppo  piccoli,  l'uso  frequente  della 
lavagna  dove  il  maestro  non  ha  sempre  cura  di  proporzionare  l'al- 
tezza dei  caratteri  ch'egli  traccia  alla  distanza  a  cui  devono  essere 
letti,  sono  altrettante  cause  di  fatica  oculare.   L'acuità   visiva   di   un 


UNO    SGUARDO    ALL'ODIERNA    EDUCAZIONE 


occhio  dato,  dice  il  dott.  Leprince,  decresce  rapidamente  quando  l'in- 
tensità della  luce  cade  al  disotto  di  un  certo  limite.  L'allievo,  la\o- 
rando  con  una  luce  insufficiente,  rimedia  all'acutezza  difettosa  di  cui 
è  causa,  ingrandendo  l'angolo  visivo  sotto  il  quale  gli  appariscono  i 
dettagli  dell'oggetto  fissato;  cioè  ravvicinando  questo  in  modo  smi- 
surato. 

«  Al  limite  dell'acutezza  visiva,  il  tempo  necessario  per  riconoscere 
una  lettera  data,  aumenta  fortemente.  La  luce  insufficiente,  quindi, 
dovrebbe  rallentare  il  lavoro;  a  meno  che  l'allievo  non  aumenti  l'acu- 
tezza col  ravvicinamento.  La  miopia  costituisce  così  un  vero  adatta- 
mento alle  condizioni  difettose  del  lavoro,  permettendo  di  lavorare 
più  rapidamente  »  (i) . 

Sembrerebbe  così  naturale  dire:  lasciate  dunque  che  il  bambino 
si  cerchi  un  posto  più  illuminato,  che  se  la  lavagna  è  lontana  si  avvi- 
cini per  leggere,  che  se  la  luce  insufficiente  rende  il  lavoro  più  lento, 
proceda  più  adagio;  si  tratta  di  cose  tanto  innocenti:  mutar  di  posto, 
muovere  un  passo,  impiegare  qualche  minuto  di  più  a  fare  una  cosa... 
chi  è  mai  quel  tiranno  che  negherebbe  così  piccola  grazia,  condannando 
alla  cecità? 

Questo  è  il  maestro,  che  cerca  a  mezzo  di  predicazioni  morali, 
di  farsi  amare  da  tali  vittime? 

Sarebbe  così  semplice  lasciare  che  i  bambini,  stanchi  di  star  seduti, 
si  alzassero,  e  stanchi  di  scrivere,  smettessero:  e  così  non  torcereb- 
bero le  loro  ossa.  Chi  non  si  commoverebbe  innanzi  a  un  tale  spet- 
tacolo di  bambini  che  deformano  la  colonna  vertebrale  nel  banco, 
come  al  medio  evo  si  deformava  il  collo  del  piede  con  la  tortura  dello 
stivaletto?  Per  qual  ragione,  poi,  è  necessario  sì  spietato  tormento? 

Perchè  un  uomo  si  è  sostituito  a  Dio  nel  voler  formare  la  mente 
dei  bambini  a  propria  immagine  e  somiglianza.  E  ciò  non  si  può  rag- 
giungere senza  sottoporre  alla  tortura  un  essere  libero.  Ecco  la  sola 
ragione. 

Sono  da  citarsi  i  rimedi  con  cui,  una  così  detta  scienza,  preten- 
derebbe di  opporsi  alla  scoliosi  degli  scolari.  Essa  ha  determinato  la 


(i)   Bron.m?det  e  MosNV,   Hygiène  scolaire.  Boillièrc,    Paris,    1914,   pagg.   4.50, 
496,  142,  143. 


4a  rARTK  PRrMA 

pisizione  precisa  nella  quale  un  bambino  potrebbe  rimanere   lunga- 
mente seduto  e  applicato  al  lavoro,  senza  danno  delle  vertebre: 

n  II  bambino,  seduto  al  tavolo  di  lavoro,  deve  avere  i  piedi  po- 
sati a  piatto,  a  piombo  sul  suolo  o  sopra  un  appoggiapiedi;  le  gambe 
devono  formare  con  la  coscia  un  angolo  retto,  come  pure  la  coscia  col 
tronco,  salvo  una  leggera  inclinazione  del  banco  stesso.  Il  tronco  deve 
essere  senza  inflessioni  laterali  della  colonna  vertebrale,  le  braccia  de- 
vono discendere  parallelamente  lungo  il  corpo,  il  torace  non  deve  es- 
sere disturbato  dall'orlo  anteriore  del  tavolino,  il  bacino  deve  essere 
appoggiato  simmetricamente,  la  testa  leggermente  inclinata  avanti  a 
30  centimetri  dal  piano  della  tavola;  l'asse  degli  occhi,  restando  paral- 
lelo al  bordo  anteriore  del  tavolino,  deve  essere  orizzontale;  gli  avam- 
bracci, fissati  ai  due  terzi  sulla  tavola,  vi  riposino  senza  appoggiarvisi. 

«  Affinchè  tutte  queste  condizioni  siano  raggiunte,  è  necessario  che 
il  banco  sia  esattamente  appropriato  alla  statura  del  bambino:  le 
parti  costituenti  di  esso  dovranno  a\ere  proporzioni  secondo  quelle 
del  corpo  e  delle  membra  dello  scolaro  ». 

Ecco  le  misure  che  il  Dufessel  giudica  indispensabili  per  dare  al 
bambino  il  banco  che  gli  conviene: 
i»  «  la  statura; 

2°  «  l'altezza  della  gamba  presa  sotto  il  ginocchio,  essendo  il 
bambino  seduto  ad  angolo  retto  e  i  piedi  ben  piatti.  Questa  misura 
dà  l'altezza  del  sedile  al  disopra  dell'appoggiapiedi; 

30  «  il  diametro  antero-posteriore  del  corpo  preso  dallo  sterno, 
e  che,  aumentato  di  cinque  centimetri,  dà  la  distanza  dal  leggìo  alla 
spalliera; 

40  'I  la  lunghezza  del  femore,  i  cui  due  terzi  rappresentano  la 
profondità  del  sedile; 

50  «  infine  l'altezza  della  cavità  epigastrica  al  disopra  del  sedile, 
aumentata  di  qualche  centimetro,  indica  l'altezza  del  leggìo. 

"  Aggiungeremo  che  in  seguito  alla  crescenza  rapida  del  bambino, 
queste  misure  dovrebbero  essere  prese  due  volte  nel  corso  dell'anno 
scolastico,  e  con  ciò  la  maestra  dovrebbe  far  coincidere  i  cambiamenti 
di  posto  dei  bambini  ». 

Esiste  un  piccolo  crostaceo,  il  paguro,  che,  essendo  nudo,  sceglie 
una  conchiglia  \uota  e  vi  si  adatta  dentro:  quando  è  cresciuto  e  la 


II.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  43 

conchiglia  si  è  fatta  troppo  stretta,  esce  fuori  e  s'interna  in  una  più 
grande.  Ciò  il  paguro  lo  fa  da  sé,  senza  uno  scienziato  che  lo  misuri  e 
un  maestro  che  gli  scelga  la  conchiglia.  Ma  un  bambino,  per  noi  e  per 
la  scienza,  è  inferiore  a  questi  ignobili  invertebrati! 

La  difficoltà  di  trattenere  quaranta  o  cinquanta  bambini  immo- 
bili per  ore  intiere  nella  posizione  igienica  suddetta,  e  di  trovare  dei 
banchi  pronti  a  ricevere  con  sì  grande  esattezza  i  corpi  crescenti,  non 
rende  pratico  tale  rimedio:  quindi  la  gobba  rimane.  Il  problema  resta 
insoluto. 

Per  questo  è  sembrato  assai  piìi  pratico  stabilire  in  alcune  scuole 
modello  di  Roma,  una  specie  di  istituto  ortopedico  dentro  la  scuola: 
esso  è  composto  di  un  macchinario  ricco  e  molto  costoso,  ove  gli  sco- 
lari, a  turno,  vengono  sospesi  per  la  testa  in  una  impiccagione  simile 
a  quella  usata  in  medicina  per  combattere  le  deviazioni  vertebrali 
nel  morbo  di  Pott  (tubercolosi  del  corpo  vertebrale)  e  nel  rachitismo. 
I  bambini  sani,  come  i  malati,  soffrono  in  tali  applicazioni:  ma  d'altra 
parte  si  possono  presentare  statistiche  incoraggianti.  Se  l'impiccagione 
s'inizia  regolarmente  a  l'età  di  sei  anni,  essa  si  bilancia  in  modo  per- 
fetto con  i  danni  portati  dalla  degenza  prolungata  sui  banchi  della 
scuola  —  e  il  bambino  rimane  liberato  dalla  scoliosi. 

Scoperte  della  psicologia  sperimentale:  surménage  -  esau- 
rimento nervoso.  —  Se  l'igiene,  entrata  nella  scuola,  ha  scoperto  la 
scoliosi  e  la  miopia  dello  scolaro,  la  psicologia  sperimentale  ha  sco- 
perto il  surménage,  e  ha  studiato  la  fatica  dello  scolaro.  Essa  ha  se- 
guito le  orme  della  medicina,  ha  cercato  cioè  di  alleviare  gli  affaticati, 
ed  ha  dato  luogo  ad  un  ramo  di  scienza  il  cui  titolo  non  è  ancora  ben 
definito,  perchè  alcuni  lo  chiamano  la  psicologia  sperimentale  applicata 
alla  scuola,  altri  la  Pedagogia  scientifica. 

Bisogna  ricordare  che  la  psicologia  sperimentale  fu  stabilita  nel 
1860  dal  Fechner,  il  quale  era  un  fisico  abituato  a  sperimentare  sulle 
cose,  non  sugli  esseri  viventi,  e  che  adattò  senz'altro  i  metodi  della 
fìsica  alle  misure  psichiche,  fondando  così  la  psico-fìsica.  Gl'istrumenti 
inventati  specialmente  per  applicazioni  estesiometriche,  furono  di  una 
estrema  esattezza;  ma  i  risultati  delle  misure  ebbero  oscillazioni  così 
grandi  che,  per  legge  matematica,  non  si  possono  riferire  a  «  errori 


44  l'AKTli    PIUMA 

di  misura  »  ma  ad  «errori  di  metodo».  Infatti  pur  rimanoudo  nel  campo 
fisico,  occorre  per  misurare  il  liquido  un  istrumento  di  misura  diverso 
da  quello  che  serve  per  misurare  il  solido;  non  si  potrebbe,  per  es.,  mi- 
surare una  stoffa  a  litri,  né  il  vino  a  metri;  e  quanto  più  diverso  dovrà 
essere  il  metodo  di  misura  tra  sostanze  fisiche  ed  energie  spirituali? 

Dopo  la  psicofisica  nacque  per  opera  del  Wundt  la  psicofisiologia. 
Il  Wundt  essendo  un  fisiologo,  applicò  allo  studio  psichico  i  metodi 
di  studio  delle  funzioni  fisiologiche.  Egli  non  prese  di  mira  l'istrumento 
di  misura  esatto;  ma  misurò  esattamente  nel  tempo  le  reazioni  ner- 
vo-^e.  Se  dalle  ricerche  primitive  del  Fechner  derivarono  istrumenti 
così  esatti  da  misurare  il  rumore  che  fa  una  goccia  d'acqua  cadendo 
dall'altezza  di  un  metro,  dalle  ricerche  del  Wundt  si  diffondono  i 
cronometri,  i  quali  giungono  a  misurare  perfino  i  millesimi  di  secondo. 
Ma  lo  spirito  non  corrispose  all'esattezza  delle  ricerche;  i  risultati 
dimostrarono  con  le  loro  oscillazioni  che  non  si  misurava  nulla  —  che 
l'oggetto  di  misura  sfuggiva.  Basti  citare  che  tra  le  misure  della  rapi- 
dità delle  correnti  nervose  nei  nervi  e  anche  nei  nevrassi  della  midolla, 
l'E.xner  giunse  ad  ammettere  che  la  rapidità  fosse  di  8  metri  e  il  Bloch 
di  194  metri,  nella  stessa  unità  di  tempo. 

Malgrado  tanto  contrasto  tra  l'esattezza  dei  mezzi  di  ricerca  e  le 
enormi  oscillazioni  dei  risultati,  che  per  legge  matematica  dimostravano 
l'assurdo,  pure  la  psicologia  sperimentale  si  diffuse  in  larghi  studi, 
illudendosi  d'avere  una  base  di  sostegno  nella  matematica. 

E  da  questa  scienza  che  si  è  staccato  un  ramo  per  penetrare  nella 
scuola  con  lo  scopo  di  aiutare  lo  spirito  dello  scolaro,  e  di  rinvigorire 
la  pedagogia. 

I  mezzi  di  ricerca  non  sono  più  soltanto  quelli  antichi  della  psico- 
fisica e  della  psicofisiologia;  la  psicologia  sperimentale  oramai  eman- 
cipata dalle  sue  origini,  si  è  sviluppata  indipendentemente.  Essa  si 
serve  oggi  anche  di  testi  puramente  psicologici  per  le  sue  ricerche;  e 
di  questi,  benché  non  vi  escluda  i  mezzi  di  ricerca  di  gabinetto  con 
istrumenti  veri  e  proprii  di  misura  come  gli  estesiometri  e  gli  ergo- 
grafi,  fa  il  più  largo  uso  nelle  scuole. 

Per  esempio:  leggere  una  pagina  stampata  e  cancellare  dalla  prima 
a  l'ultima  tutte  le  a,  è  uno  dei  tests  più  noti  per  saggiare  l'attenzione, 
a  patto  di  misurare  col  cronometro  il  tempo  a  ciò  impiegato. 


II.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  45 

Contare  da  uno  a  cento  a  voce  e  contemporaneamente  eseguire 
in  iscritto  delle  operazioni  aritmetiche,  è  una  misura  sulla  distribuzione 
dell'attenzione,  purché  si  calcoli  cronometricamente  il  tempo  e  si  segnino 
poi  tutti  gli  errori  commessi.  Far  eseguire  a  più  persone  contemporanea- 
mente simili  esercizi,  è  studiare  comparativamente  delle  attività  indi- 
viduali. Nelle  scuole,  anche  dei  dettati  determinati  prima  e  fatti  fare 
ad  una  scolaresca,  sempre  misurando  il  tempo  e  comparando  gli  errori, 
possono  essere  misure  facilmente  praticabili  e  con  risultati  collettivi. 

Questi  esperimenti  (lo  raccomandano  tutti  gli  psicologi)  devono 
essere  fatti  senza  perturbare  l'andamento  ordinario  della  scuola.  Sono 
un  di  più,  un  extra,  che  si  somma  semplicemente  come  ricerca  scientifica 
al  funzionamento  regolare  degli  studi. 

Da  simili  esperienze  sono  risultate  principalmente:  la  quantità  di 
errori  commessi  e  la  difficoltà  di  prestare  attenzione;  cioè  la  rivela- 
zione della  stanchezza,  dello  stato  di  affaticamento  nei  bambini. 

Ciò  dette  un  «  allarme  »:  l'antica  pedagogia  si  era  occupata  solo 
di  quello  che  i  bambini  devono  fare.  L'idea  di  un  pericolo  per  le  loro 
forze  nervose  nasceva  solo  al  tocco  della  scienza. 

Gli  sforzi  si  moltiplicarono  nelle  ricerche  sulla  fatica,  con  l'intento 
più  lontano  di  «  combatterla  »  o  «  alleviarla  ».  Furono  studiati^  tutti 
i  fattori  dell'affaticamento:  l'età,  il  sesso,  il  grado  d'intelligenza,  il 
tipo  individuale,  l'influenza  delle  stagioni,  l'influenza  dei  vari  mo- 
menti del  giorno,  dei  vari  giorni  della  settimana,  l'influenza  dell'abi- 
tudine, dell'allenamento  e  dell'interesse;  il  cambiamento  di  lavoro,  la 
posizione  del  corpo,  e  perfino  l'orientazione  secondo  i  punti  cardinali. 

La  scienza  s'imbatte  nella  siepe   dei   problemi   insoluti.  — 

La  conclusione  di  tante  ricerche  è  una  crescente  moltitudine  di  pro- 
blemi insoluti.  Non  si  è  potuto  sapere  se  i  maschi  si  affatichino  più 
o  meno  delle  femmine.  Non  si  può  aftermare  se  l'intelligente  vada  sog- 
getto alla  fatica  più  del  meno  intelligente.  Sul  tipo  individuale,  la 
conclusione  del  Tissié  è  la  più  attendibile:  «  Ogni  soggetto  si  affatica 
o  no  secondo  la  propria  volontà  ».  Per  le  stagioni  si  nota  che  la  fatica 
è  in  accrescimento  dal  primo  all'ultimo  giorno  di  scuola,  ma  non  si 
può  decidere  se  si  tratti  dell'influenza  delle  stagioni,  o  se,  come  dice 
lo  Schuyten,  il  fanciullo  vada  esaurendosi  per  colpa  del  sistema  sco- 


4()  PAKTK    PRIMA 

lastico.  Sui  momenti  del  giorno,  «rimane  da  sapere  se  la  fatica  prodotta, 
quando  si  la\  tira  tici  vwnienti  preferiti  sia  necessariamente  minore;  ma 
è  un  problema  difficile  a  risolvere  ».  1  giorni  della  settimana  ove  la 
fatica  è  minore  sono  il  lunedì  e  il  venerdì,  ma  le  ricerche  in  proposito 
non  sono  definitive;  su  l'abitudine,  l'allenamento,  l'interesse:  «si  è 
discusso  a  proposito  di  questi  fattori  antagonistici  della  fatica,  se  essi 
diminuiscano  realmente  la  fatica  o  soltanto  la  velino,  ma  la  questione 
rimane  indecisa  ».  Sul  cambiamento  di  lavoro  sono  state  fatte  ricerche 
interessanti  e  molteplici,  con  analogo  risultato,  cioè  che  il  cambiare 
spesso  lavoro  affatica  di  più  che  il  permanere  in  un  solo  lavoro,  e  l'in- 
terromperlo presto  affatica  più  che  il  persistervi.  Ecco  un  esperimento, 
citato  dal  Claparède  (i),  dello  Schultze:  «  un  giorno  le  fanciulle 
dove\ano  addizionare  per  25  minuti  e  copiare  per  altri  25  minuti.  Un 
altro  giorno  dovevano  fare  il  medesimo  lavoro,  ma  ripartito  diversa- 
mente: addizionare  per  50  minuti,  copiare  per  altri  50  minuti.  Ora 
queste  ultime  prove  dettero  risultati  di  gran  lunga  superiori  alle  prime  ». 
È  però  notevole  come,  malgrado  tali  risultati,  si  usi  praticamente 
nelle  scuole  V interruzione  continua  e  il  cambiamento  del  lavoro,  come  un 
portato  scientifico  della  lotta  contro  la  fatica. 

l^na  delle  ricerche  direttamente  interessanti  la  scuola,  è  quella 
del  coefficiente  ponogenico  delle  varie  materie  d'insegnamento,  cioè 
della  fatica  da  esse  generata.  11  Wagner  ritiene  a  priori  die  il  100, 
quale  coefficiente  massimo,  appartenga  alla  matematica:  in  tal  caso, 
si  avrebbero  nelle  scuole  i  seguenti  coefficienti  ponogenici  j)er  ogni 
materia: 

Matematiche 100 

Latin<j 01 

Greco fjo 

Ginnastica  •.  ...     qo 

Storia  e  Geograha  85 

Francese,  Tedesco 'Sz 

Storia  naturale     .    .  80 

Disegno,  Religione  .  -77 


I,    i  ..  .Ì-..RÉDE,    Psicologia   del  fanciullo    e   pedai^ofia    sperimentale,    IQ12 
pag.  217  a  231  considera  metodicamente  tutti  questi  fattori  in  riassunto. 


II.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  47 

Si  noti  il  modo  arbitrario  e  sorprendente  con  cui  si  stabiliscono  tali 
risultati:  tuttavia  in  nome  di  una  «  scienza  sperimentale  »  possono 
farsi  le  seguenti  deduzioni: 

'(  Sarebbe  interessante  ricercare  se  l'ordine  dei  coefficienti  pono- 
genici  variino  con  l'età  dei  fanciulli;  il  che  ci  farebbe  conoscere  da  una 
parte  quanto  sia  più  adatto  il  cervello  per  lo  studio  di  una  materia, 
e  sia  perciò  più  opportuno  farla  prevalere  nei  grogrammi;  dall'altra 
ci  aiuterebbe  a  ordinare  l'orario  quotidiano,  facendo,  se  è  possibile, 
le  lezioni  più  affaticanti  al  principio  della  giornata  »  (Claparède,  op.  cit.). 

Un  altro  ordine  di  ricerche  recenti  è  quello  sulle  toxine  prodotte 
dalla  fatica:  il  Weichardt  ha  potuto  isolare  le  toxine  e  fabbricare  delle 
antitoxine  della  fatica,  avendo  un  buon  successo  nei  topi.  Le  espe- 
rienze si  sono  ripetute  anche  in  una  clinica.  Riguardo  al  comportarsi 
delle  toxine,  fu  constatato  che  esse  si  producono  in  grande  quantità 
nel  lavoro  «  noioso  »  mentre  se  ne  hanno  solo  tracce  nel  lavoro  «  in- 
teressante ». 

Da  tutta  questa  scienza  infarcita  di  ricerche  che  danno  come 
risultato  dei  problemi  insoluti,  s'intravede  che  nessun  fattore  preso 
in  considerazione  può  alleviare  la  fatica,  neanche  l'interruzione  e  il 
cambiamento  di  lavoro,  perchè  ciò  accresce  invece  di  diminuire  l'affa- 
ticamento. Solo  il  fatto  di  rendere  piacevole,  interessante  il  lavoro, 
di  dare  col  lavoro  gioia  anziché  pena,  eliminerebbe  il  surménage. 

«La  necessità  di  rendere  attraenti  l'educazione  e  l'istruzione  è  stata 
propugnata  da  tutti  i  pedagogisti  degni  di  questo  nome,  come  Fénelon, 
Rousseau,  Pestalozzi,  Herbart,  Spencer  »,  dice  il  Claparède  «  ma  è 
ancora  sconosciuta  nella  pratica  quotidiana  della  scuola  ».   (Pag.  136). 

«  Primo  dovere  dell'educatore  è,  per  consenso  comune,  quello  di 
non  far  male:  primo  non  nuocere,  precetto  che  vale  anche  nella  pra- 
tica medica.  Osservarlo  alla  lettera  è  certo  impossibile  perchè  ogni  me- 
todo di  educazione  scolastica  nuoce  in  qualche  modo  allo  sviluppo  normale 
del  fanciullo.  Ma  l'educatore  cercherà  di  alleviare  il  danno  che  l'istru- 
zione porta  necessariamente  con  sèn.  (Pag.  48). 

Magro  conforto,  dopo  tanti  studii  e  tante  ricerche,  convenire  di 
avere  incontrato  un  problema  ad  ogni  passo  e  di  non  ax^erne  risolto 
nessuno.  Infatti  sotto  a  tutto  questo  c'è  il  problema  dei  problemi: 
rendere  piacevole,  pieno  di  gioia  un  luogo  ove  perfino  il  corpo  è  con- 


torto  e  tormentato  e  dove  la  noia  avvelena  il  sangue.  K  impossibile 
istruire  senza  recar  danno:  ma  bisognerebbe  recar  danno  producendo 
piacere.  Situazione  davvero  imbarazzante!  Ecco  perchè  una  fila  inter- 
minabile di  punti  interrogativi  fanno  da  motivo  decorativo  di  questa 
nuova  scienza,  la  quale  potrebbe  più  propriamente  intitolarsi:  igno- 
rabimi4s. 

È  per  questa  ragione  che  i  motivi  indicati  dall'igiene  e  dalla  psi- 
cologia tendono  oggi  ad  allontanare  senz'altro  l'insieme  dei  mali  irre- 
parabili, «  diminuendo  la  pena  »,  cioè  abbreviando  gli  orari  scolastici, 
assottigliando  i  programmi,  evitando  i  compiti  scritti.  Così  un  nuovo 
spettro,  quello  dell'ignoranza,  e  quindi  dell'abbandono  dei  bambini 
nella  maggior  parte  della  giornata,  si  presenta  quale  sostituto  allo 
spettro  della  rovina.  Mentre  i  nostri  tempi  axTebbero  bisogno  di  una 
cura  intensiva  delle  nuove  generazioni,  e  di  una  preparazione  di  cul- 
tura sempre  più  vasta  e  complessa! 

Sembra,  è  vero,  che  una  via  di  scampo  possa  venire  offerta  oggi 
dalla  scoperta  delle  antitoxine  della  fatica.  «  Pensate!  »  esclama  giu- 
stamente il  Claparède  «  un  siero  contro  la  fatica!  come  sarebbe  pre- 
zioso ».  Sotto  questo  punto  di  vista  i  coefficienti  ponogenici  potrebbero 
trovare,  secondo  me,  un'applicazione  più  pratica  e  razionale,  che  quella 
di  rivelare  i  «  programmi  »:  infatti  essi,  indicando  la  produzione  di 
toxine,  sembrano  piuttosto  destinati  a  dirigere  il  dosaggio  dell'anti- 
toxina  per  ogni  singolo  insegnamento,  che  a  determinare  l'orario  sco- 
lastico. In  un  avvenire  non  lontano,  progredendo  queste  scienze  au- 
siliarie della  scuola  e  della  pedagogia,  si  potrebbe  forse  impiantare 
accanto  alle  sale  ortopediche,  un  gabinetto  fisio-chimico  ove  ogni  sera 
gli  scolari,  uscendo  dalla  benefica  impiccagione  che  bilanciò  l'offesa 
allo  scheletro,  potrebbero  entrare  con  una  specie  di  ricetta  ponogenica 
composta  sugli  insegnamenti  subiti,  e  ricevere  l'iniezione  liberatrice 
dai  veleni  della  noia. 

Sembrerebbe  un'ironia  di  cattivo  genere,  questa,  forse:  ma  non 
è  vero.  Là  dove  l'istituto  ortopedico  è  un  fatto  già  reahzzato  nella 
pratica,  tra  poco  potrebbe  nascere  il  gabinetto  chimico.  Se  un  problema 
di  libertà  si  vuole  risolvere  con  delle  macchine  —  e  se  un  problema  di 
giustizia,  si  vuol  guardare  dal  lato  chimico  —  simili  conseguenze  sa- 
ranno il  fine  logico  di  scienze  sviluppate  su  tali  errori. 


II.  -  UNO    SGUARDO    ALL  ODIERNA    EDUCAZIONE  49 

Una  vera  scienza  sperimentale  che  guidi  l'educazione  liberando 
il  bambino  dalla  schiavitù,  evidentem.ente  non  è  ancora  nata  : 
ed  essa  dovrà  apparire  innanzi  alle  «  scienze  -)  pullulate  sui  mali 
del  fanciullo  martirizzato,  come  la  chimica  innanzi  all'alchimia  : 
e  come  la  m.edicina  positiva  innanzi  alla  medicina  empirica  dei 
secoli    scorsi. 

Credo  interessante  riportare  qui  le  impressioni  di  una  persona 
che,  venendo  dal  campo  delle  matematiche,  è  entrata  a  studiare  bio- 
logia e  psicologia  sperimentale. 

Si  tratta  di  un  giovane  ingegnere  inglese,  il  quale  avendo  eviden- 
temiente  una  vocazione  diversa,  ha  coltivato  per  due  anni  lo  studio 
del  mio  metodo,  e  poi  è  tornato  nelle  università  del  suo  grande 
paese,  come  studente  di  biologia. 

Ecco  il  suo  giudizio  sulla  Psicologia  Sperimentale: 

«  In  psicologia  studiamo  le  ricerche  sperimentali  modernissime.  Trattiamo 
adesso  del  pensiero,  dell'immaginazione.  Veramente  non  trovo  illuminante 
questo  corso,  ma  capisco  che  è  necessario  conoscere  tali  ricerche.  Nulla  c'è 
nella  psicologia  moderna  di  adeguato  al  soggetto  del  nostro  metodo.  Questi 
ricercatori  mi  sembrano  persone  che  guardino  un  albero  notando  le  forme 
esterne  più  evidenti:  la  forma  di  una  foglia,  di  uno  stelo,  ecc.,  facendo  tutto 
ciò  con  una  grande  serietà  e  un  linguaggio  molto  preciso  (credendo  forse  che 
in  questo  stia  la  scienza):  ma  spesso  confondendo  la  funzione  della  definizione 
con  quella  della  descrizione.  È  così  che  descrizioni  di  cose  meravigliose  e 
affascinanti  si  riducono  ad  aride  definizioni,  per  rivestirsi  della  loro  scienza; 
e  non  possono  essere  di  alcuna  ispirazione  al  pensiero. 

Non  meditano  mai;  leggono  molto;  pensano  con  immagini  mentali  che 
non  rappresentano  i  fatti  più  che  un  diagramma  disegnato  sulla  lavagna  non 
rappresenti  un  organo  vivente;  e  tali  immagini  differiscono  spesso  da  psi- 
cologo a  psicologo  —  ma  il  loro  linguaggio  è  sempre  uniforme.  Fanno  tutto 
questo  credendo  di  avanzare,  e  non  insegnano  ai  loro  studenti  l'osserva- 
zione di  sé  stessi  senza  pregiudizi,  ma  invece  insegnano  loro  dei  pregiudizi; 
infarcendoli  di  definizioni  e  di  descrizioni  le  più  strane  e  informi,  che  impe- 
discono loro  proprio  di  pensare. 

Mentre  dentro  l'albero  ci  sarebbe  la  struttura  fondamentale,  che  essi 
non  hanno  nemmeno  cominciato  a  rilevare,  scoprendo  la  quale  tutte  le  cose 
esterne  si  troverebbero  spiegate;  diminuirebbero  allora  d'importanza  i  det- 
tagli: essi  sorgendo  da  una  sola  radice,  potrebbero  essere  tutt'al  più  classi- 
ficati in  un  modo  semplicissimo. 


50  PARTE    PRIMA 

Onesta  .  scienza  '  mi  ricorda  quella  antica  sulle  costellaziDiii.  (juando 
ancora  non  si  consideravano  le  leggi  del  moto  planetario,  e  ci  si  limitava 
a  descrivere  \'«  orsa  maggiore  »  il  «  cancro  »  il  «  capricorno  »,  ecc. 

Detesto  questi  uomini  secchi  che  non  sanno  la  loro  ignoranza  e  scri\ono 
libri  enormi  e  aridi  con  una  grande  maestà,  come  se  rivelassero  una  conoscenza 
assoluta:  libri  che  poi  pesano  sopra  la  mente  degli  studenti,  facendoli  secchi 
come  i  maestri.  Ma  la  preoccupazione  degli  studenti  mi  sembra  unicamente 
quella  di  passare  agli  esami,  non  mai  di  avanzare  nella  scienza:  e  i  professori 
li  H  servono  »  in  questo  senso.  Così  siamo  tutti  in  una  schia\iti'i,  dovuta  a  un 
sistema  di  educazione  sbagliato,  che  bisogna  riformare  ». 


III. 
11  mio  contributo  sperimentale 


L'organizzazione  della  vita  psicliica  s'inizia  con  un  fenomeno 
caratteristico  di  attenzione.  —  Il  mio  lavoro  sperimentale  sui  pic- 
coli bambini  da  tre  a  sei  anni  è  stato  appunto  un  contributo  pratico 
alla  ricerca  delle  cure  di  cui  ha  bisogno  l'anima  del  bambino:  cure 
analoghe  a  quelle  che  l'igiene  trovò  per  il  suo  corpo. 

Credo  però  necessario  di  far  rilevare  il  fatto  fondamentale  che  mi 
condusse  a  determinare  questo  metodo. 

Io  stavo  facendo  le  mie  prime  prove  nell 'applicare  i  principi  e 
parte  del  materiale  che  mi  erano  serviti  molti  anni  prima  all'educazione 
dei  bambini  deficienti,  sopra  i  piccoli  bambini  normali  di  S.  Lorenzo, 
quando  mi  accadde  di  osservare  una  bambina  di  circa  tre  anni,  che 
rimaneva  profondamente  assorta  sopra  un  incastro  solido,  sfilando  e 
infilando  i  cilindretti  di  legno  nei  loro  posti  rispettivi.  L'espressione 
della  bambina  era  di  una  sì  intensa  attenzione,  che  mi  sembrò  quella 
una  manifestazione  straordinaria:  i  bambini  fino  allora  non  avevano 
mai  mostrato  una  tale  fissità  sopra  un  oggetto:  e  la  mia  convin- 
zione sulla  instabilità  caratteristica  dell'attenzione  nel  piccolo  bam- 
bino, che  passa  senza  posa  da  cosa  a  cosa,  mi  rendeva  ancor  più  sensi- 
bile al  fenomeno. 

Io  osservai  intensamente  la  piccina  senza  disturbarla  in  principio 
e  cominciai  a  contare  quante  volte  ripeteva  l'esercizio:  ma  poi,  vedendo 
che  continuava  molto  a  lungo,  presi  la  poltroncina  su  cui  era  seduta, 
e  posi  poltroncina  e  bambina  sulla  tavola;  la  piccolina  raccolse  in 
fretta  il  suo  incastro,  poi  lo  posò  attraverso  i  braccioli  della  poltron- 


52  PARTE    PRIMA 

cina.  e  niottondtìsi  in  i^rembo  i  cilindretti,  continuò  il  suo  lavoro.  Allora 
invitai  tutti  i  bambini  a  cantare:  essi  cantarono,  ma  la  bambina  con- 
tinuò imperturbata  a  ripetere  il  suo  esercizio  anclie  dopo  che  il  breve 
canto  fu  cessato.  Io  avevo  contato  quarantaquattro  esercizi;  e  quando 
finalmente  cessò,  cessò  in  modo  affatto  indipendente  dagli  stimoli  del- 
l'ambiente che  potevano  disturbarla:  e  la  bambina  si  t:;uardò  intorno 
soddisfatta,  quasi  s\egliandosi  da  un  soimo  riposante. 

La  mia  impressione  indimenticabile  credo  che  somigliasse  a  quella 
provata  da  chi  ha  fatto  una  scoperta. 

Quel  fenomeno  divenne  poi  comune  nei  bambini:  esso  potè  dunque 
essere  stabilito  come  una  reazione  costante  che  si  presenta  in  rapporto 
a  certe  condizioni  esterne,  le  quah  possono  determinarsi.  E  ogni  volta 
che  avveniva  una  simile  polarizzazione  dell'attenzione,  cominciava 
il  bambino  a  trasformarsi  completamente,  a  farsi  più  calmo,  quasi 
più  intelligente  e  più  espansivo:  egh  mostrava  qualità  interiori  straordi- 
narie, che  ricordavano  i  fenomeni  di  coscienza  più  alti,  come  quelli 
della  conversione. 

Sembrava  come  se,  in  una  soluzione  satura,  si  fosse  formato  un 
punto  di  cristallizzazione,  intorno  al  quale  poi  tutta  la  massa  caotica 
e  fluttuante  andava  a  riunirsi  in  un  cristallo  di  forma  meravigliosa. 
Analogamente,  avvenuto  il  fenomeno  di  polarizzazione  dell'attenzione, 
tutto  quanto  di  disordinato  e  fluttuante  esisteva  nella  coscienza  del 
bambino,  sembrava  andasse  organizzandosi  in  una  creazione  interiore, 
i  cui  caratteri  sorprendenti  si  riproducevano  in  ogni  individuo. 

Ciò  faceva  pensare  alla  vita  dell'uomo  che  può  restare  dispersa  tra 
cosa  e  cosa,  in  uno  stato  inferiore  di  caos,  fin  che  una  cosa  speciale 
intensamente  l'attrae,  la  fìssa,  e  allora  l'uomo  ha  la  rivelazione  di  se 
stesso,  sente  di  cominciare  a  vivere. 

Questo  fenomeno  spirituale  che  può  coinvolgere  tutta  la  coscienza 
dell'adulto,  non  è  dunque  che  uno  degli  aspetti  costanti  dei  fatti  di 
«  formazione  interiore  ».  Esso  si  riscontra  come  inizio  normale  della 
vita  interiore  dei  bambini;  e  ne  accompagna  lo  svolgimento,  in  modo 
da  divenire  accessibile  alle  ricerche,  come  un  fatto  sperimentale. 

Fu  così  che  l'anima  del  bambino  dette  le  sue  rivelazioni,  e  sulla 
guida  di  queste  sorse  un  metodo  ove  la  libertà  spirituale  venne 
illustrata. 


III.  -  II.    MIO   CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  53 

Il  racconto  di  questa  storia  iniziale  si  è  sparso  rapidamente  per 
tutto  il  mondo:  e  sembrò  al  suo  primo  apparire  come  la  storia  di  un 
miracolo.  Poi  a  poco  a  poco,  moltiplicandosi  gli  esperimenti  tra  le  razze 
più  diverse,  si  sono  venuti  rischiarando  i  principi  semplici  ed  evidenti 
di  questo  «  trattamento  «  spirituale. 

Lo  sviluppo  psichico  si  organizza  con  l'aiuto  di  stimoli 
esterni,   che   devono   essere   sperimentalmente   determinati.     — 

Il  contributo  che  ho  dato  all'educazione  del  piccolo  bambino  tende 
appunto  a  precisare,  sulle  rivelazioni  dell'esperimento,  la  forma  della 
libertà  nello  sviluppo  interiore. 

Non  si  potrebbe  concepire  libertà  di  sviluppo,  se  per  sua  natura 
stessa  il  bambino  non  fosse  capace  di  uno  spontaneo  sviluppo  organico, 
ove  la  ricerca  dello  sforzo  (espansione  delle  forze  latenti),  la  conquista 
dei  mezzi  necessari  a  uno  svolgimento  armonico  innato,  non  esistes- 
sero. Per  avanzare  in  tale  espansione,  il  bambino  lasciato  libero  nelle 
sue  attività,  deve  trovare  nell'ambiente  qualche  cosa  di  organizzato 
in  rapporto  diretto  alla  sua  organizzazione  interiore  che  sta  svolgendosi 
per  leggi  naturali.  Come  l'insetto  libero]  deve  trovare  nella  forma  e 
nelle  qualità  dei  fiori  una  corrispondenza  diretta  di  forma  e  di  sostanze. 
Indubbiamente  l'insetto  è  libero  quando,  cercando  il  nettare  suo  nu- 
trimento, va  in  realtà  aiutando  la  riproduzione  delle  piante.  Nulla  di 
pili  meraviglioso  in  natura,  che  la  corrispondenza  tra  gli  organi  delle 
due  serie  di  esseri  destinati  a  una  così  provvidenziale  cooperazione. 

Il  segreto  del  libero  sviluppo  nel  bambino  sta  dunque  tutto  nel- 
l 'organizzare  per  lui  i  jmezzi  necessari  alla  sua  nutrizione  interna: 
mezzi  corrispondenti  a  un  impulso^'primitivo  'nel  bambino,  parago- 
nabile a  quello  che  rende  il  neonato  capace  di  succhiare  il  latte  alla 
mammella,  la  quale  nella  sua  forma  esterna  e  nella  sostanza  elabo- 
rata, corrisponde  perfettamente  ai  bisogni  del  bambino. 

È  nella  soddisfazione  di  questo  impulso  primitivo,  di  questa 
fame  interiore  che  la  personalità  infantile  comincia  a  organizzarsi  e 
a  rivelare  i  suoi  caratteri,  così  come  il  neonato,  nutrendosi,  va  organiz- 
zando il  suo  corpo  e  i  suoi  movimenti  naturali. 

Noi  non  dobbiamo  dunque  porci  come  problema  educativo  la 
ricerca  di  mezzi  per  organizzare  la  personalità  interna  del  bambino  e 


34  l'AKTK    PRIMA 

per  s\olgerc  i  suoi  singoli  caratteri;  ma  solo  il  problema  di  porgere  al 
bambino  l'alimento  che  gli  è  necessario. 

K  in  esso  che  il  bambino  svolge  un'atti\ità  organizzata,  complessa, 
nella  quale,  mentre  risponde  a  un  impulso  primitivo,  esercita  l'intel- 
ligenza e  svolge  qualità  che  noi  riteniamo  elevate,  e  che  supponemmo 
estranee  alla  natura  del  piccolo  bambino,  come  la  pazienza,  la  costanza 
nel  lavoro;  o.  nell'ordine  morale,  l'ubbidienza,  la  mansuetudine,  l'af- 
fettività, la  gentilezza,  la  serenità:  qualità  che  siamo  abituati  a 
separare  tra  loro  in  ordini  diversi  e  che  ci  siamo  fin  qui  illusi  di 
dover  fare  sviluppare  noi  direttamente  ad  una  ad  una  nell'uomo; 
per  quanto,  all'atto  pratico,  non  abbiamo  mai  saputo  con  quali 
mezzi   riuscirvi. 

Perchè  il  fenomeno  a\\-enga  è  necessario  che  Io  sviluppo  spontaneo 
del  bambino  sia  lasciato  libero:  cioè  senza  che  l'interxento  di  un'in- 
fluenza intempestiva  ne  perturbi  la  calma  e  pacifica  espansione:  così 
come  il  corpo  del  neonato  deve  essere  lasciato  in  riposo  perchè  assi- 
mili il  suo  nutrimento  e  cresca- bene. 

In  tale  attitudine,  dobbiamo  attendere  i  miracoli  della  vita  inte- 
riore, le  sue  espansioni  e  insieme  le  sue  esplosioni  impro\'vise  e  sor- 
prendenti: così  come  la  intelligente  madre,  dando  solo  nutrimento  e 
riposo  al  suo  bambino,  lo  contempla  vedendolo  crescere,  e  insieme 
attende  le  esplosioni  della  natura:  il  primo  dente,  la  prima  parola,  e 
infine  l'atto  con  cui  un  giorno  il  bambino  s'alzerà  in  piedi  e  cam- 
minerà. 

Ma  perchè  i  fenomeni  psichici  di  crescenza  si  \erificliino,  bisogna 
preparare  1'»  ambiente  »,  in  un  modo  determinato:  e  offrirne  i  mezzi 
esteriori  direttamente  necessari. 

Ecco  il  fatto  positivo  che  il  mio  esperimento  ha  concretato.  Finora 
si  parlava  di  libertà  del  bambino  in  modo  vago:  non  era  neanche  sta- 
bilito un  limite  chiaro  tra  «  libertà  »  e  «  abbandono  ».  Si  diceva:  «  la 
libertà  ha  i  suoi  limiti  »,  «  la  libertà  deve  essere  ben  intesa  ».  Ma  un 
metodo  speciale  che  indicasse  «  come  deve  essere  interpretata  la  li- 
bertà; e  quale  sia  il  qtiid  intuito  che  con  essa  deve  coesistere  »  non  era 
stato  determinato. 

Tale  determinazione  deve  aprire  una  nuova  via  a  tutta  l'edu- 
cazione. 


IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  55 


Bisogna  dunque  che  l'ambiente  contenga  i  mezzi  per  l'autoeduca- 
zione. Questi  mezzi  non  possono  essere  «  presi  a  caso  »;  essi  rappre- 
sentano il  risultato  di  uno  studio  sperimentale,  il  quale  non  può  essere 
fatto  da  tutti  perchè  occorre  una  preparazione  scie  tifica  a  così  deli- 
cato lavoro:  inoltre  esso  è,  come  tutti  gli  stiidi  spenaientali,  laborioso, 
lungo,  esatto.  Occorrono  molti  anni  di  prova,  prima  di  esporre  dei 
mezzi  che  siano  realmente  necessari  allo  sviluppo  psichico.  Quei  peda- 
gogisti dunque  che  rimettevano  la  gran  questione  della  libertà  del- 
l'allievo al  buon  senso  o  alla  preparazione  del  maestro,  erano  lontani 
dal  risolvere  il  problema  della  libertà.  Il  più  grande  scienziato  o  la  per- 
sona naturalmente  piìi  adatta  a  educare,  non  potrebbero  mai  lì  per 
lì  trovare  tali  mezzi,  perchè  alla  preparazione  e  alle  doti  naturali  oc- 
corre aggiungere  il  fattore  tempo  —  il  lungo  tempo  di  un  esperimento 
preparatorio.  Deve  dunque  precedentemente  esistere  una  scienza  la 
quale  ha  già  fornito  i  mezzi  dell'autoeducazione.  Chi  parla  oggi  di  li- 
bertà nella  scuola,  deve  contemporaneamente  esporre  degli  oggetti 
—  quasi  un  istrumentario  scientifico  adatto  a  renderla  possibile. 

L'istrumento  scientifico  deve  essere  stato  costruito  con  un  cri- 
terio di  esattezza.  Come  le  lenti  del  fisico  si  costruiscono  secondo  le  leggi 
di  rifrazione  della  luce,  così  l'istrumento  pedagogico  deve  essere  co- 
struito sulle  manifestazioni  psichiche  del  bambino. 

Tale  istrumento  si  potrebbe  paragonare  a  un  niental-test  sistema- 
tizzato. Esso  però  non  è  stabilito  con  un  criterio  esterno  di  misura, 
allo  scopo  di  valutare  l'istantanea  reazione  psichica  che  produce:  ma, 
a'  contrario,  esso  è  uno  stimolo  che  deve  determinarsi  sulle  reazioni 
psichiche  che  è  capace  di  produrre  e  di  mantenere  in  modo  perma- 
nente. È  la  reazione  psichica,  cioè,  che  determina  e  stabilisce  il 
mental-test  sistematico.  La  reazione  psichica  che  serve  come  unico 
termine  di  confronto  nella  determinazione  dei  tests,  è  una  polarizza- 
zione dell'attenzione  e  la  ripetizione  degli  atti  che  vi  sta  in  rapporto. 
Quando  uno  stimolo  corrisponde  in  tal  modo  alla  «  personalità  riflessa  » 
esso  serve  non  a  misurare,  ma  a  mantenere  una  reazione  attiva;  quindi 
ò  uno  stimolo  di  «  formazione  interiore  ».  Infatti  su  tale  attività  ri- 


5f)  l'AKTE    l'KlMA 

svegliata  e  inantonuta,  l'organismo  associativo  inizia  le  sue  elabora- 
zioni interiori  in  rapporto  agli  stimoli. 

Con  ciò  non  viene  a  penetrare  nell'ambito  antico  della  pedagogia 
una  scienza  «  misuratrice  "  della  personalità,  come  ha  latto  fni  qui 
la  psicologia  sperimentale  introdotta  nella  scuola,  ma  una  scienza 
-  trasformatrice  »  della  personalità,  capace  quindi  di  prendere  il  posto 
di  una  \'era  e  propria  pedagogia.  Mentre  la  pedagogia  antica,  in  tutte 
le  varie  sue  interpetrazioni,  partiva  dal  concetto  di  una  «  personalità 
recettiva  »,  che  doveva  cioè  ricevere  gl'insegnamenti  ed  essere  passi- 
vamente formata,  questo  indirizzo  scientifico  parte  dal  concetto  di  una 
personalità  attiva  —  riflessa  e  associativa  —  che  deve  svolgersi  attra- 
\erso  una  serie  di  reazioni  verso  stimoli  sistematici,  sperimentalmente 
determinati.  Questa  nuova  «  pedagogia  »  perciò  appartiene  alla  serie 
delle  moderne  scienze,  e  non  delle  antiche  speculazioni,  benché  essa 
non  si  basi  direttamente  sugli  studii  semplicemente  misuratori  «  della 
psicologia  positixa  ».  Ma  il  «  metodo  »  che  la  informa,  cioè  il  tenta- 
tivo, l'osservazione,  la  riprova,  il  riconoscimento  di  fenomeni  nuovi, 
la  loro  riproduzione  e  utilizzazione,  la  mette  indubbiamente  tra  le 
scienze  sperimentali. 

Gli  stimoli  esterni  si  possono  determinare  in  qualità  e  quan- 
tità. -  -  Nulla  di  più  interessante  che  tali  esperimenti.  Con  essi  possono 
determinarsi  con  la  più  grande  esattezza  degli  stimoli  esterni,  così  per 
la  qualità  come  per  la  quantità.  Per  esempio,  delle  piastrelle  molto  pic- 
cole e  di  varie  forme  geometriche  non  richiamano  altro  che  in  modo 
passeggero  l'attenzione  di  un  bambino  di  tre  anni:  ma  aumentando  a 
poco  a  poco  la  dimensione,  si  arriva  a  quel  limite  in  cui  l'attenzione 
è  stabilmente  fissata,  e  allora  tali  piastrelle  provocano  un'attività  che 
resta  permanente,  e  l'esercizio  che  ne  risulta  diventa  un  fattore  di 
sviluppo.  La  prova  si  ripete  su  molti  bambini,  e  viene  così  a  stabi- 
lirsi la  dimensione  di  una  serie  di  oggetti. 

Analogamente  per  il  colore  e  per  tutte  le  qualità.  Perchè  una  qua- 
lità sia  sentita  al  punto  da  far  fissare  l'attenzione,  è  necessaria  una 
Cri  ta  estensione  e  una  certa  intensità  dello  stimolo,  che  si  possono 
determinare  sul  grado  di  reazione  psichica  del  bambino:  così  si  dica  per 
la  minima  estensione  cromatica  sufficiente  a  richiamare  l 'attenzione  sulla 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  57 

superfìcie  delle  tavolette  colorate,  ecc.  La  qualità  dunque  si  deter- 
mina su  l'esperimento  psichico,  dalle  attività  che  essa  provoca  nel 
bambino,  il  quale  resta  a  esercitarsi  sul  medesimo  oggetto  per 
lungo  tempo,  elaborando  così  un  fenomeno  di  sviluppo  interiore,  di 
autoformazione. 

Tra  i  caratteri  degli  oggetti,  deve  farsene  rilevare  uno,  che  richiama 
attività  più  alte  dell'intelligenza:  quello  di  contenere  il  controllo  del- 
l'errore. 

Affinchè  ci  sia  un  processo  di  autoeducazione,  non  basta  che  lo 
stimolo  «  richiami  o  un'attività,  bisogna  pure  che  la  diriga.  Il  fanciullo 
deve  non  soltanto  persistere  lungamente  in  un  esercizio,  ma  bisogna 
che  vi  persista  senza  commettere  errori.  Tutte  le  qualità  fìsiche  o  intrin- 
seche degli  oggetti  devono  essere  determinate,  oltreché  dalle  reazioni 
immediate  di  attenzione  provocate  nel  bambino,  anche  da  questo  fon- 
damentale carattere  di  permettere  il  controllo  dell'errore,  cioè  di  ri- 
chiamare la  collaborazione  attiva  di  più  alte  attività  (confronto,  giu- 
dizio). Per  esempio,  uno  dei  primi  oggetti  che  attraggono  l'attenzione 
del  bambino  di  tre  anni,  cioè  gl'incastri  solidi  (serie  di  cilindretti  di 
varia  dimensione  che  s'infilano  e  si  sfilano  dai  loro  posti),  contiene  il 
più  meccanico  dei  controlli;  perchè  commettendo  un  solo  errore  nèl- 
l 'infilare  i  cilindretti,  uno  di  essi  resta  fuori  di  posto.  Quindi  un  errore 
è  un  ostacolo  che  solo  la  correzione  può  far  sormontare,  altrimenti 
l'esercizio  non  può  più  procedere.  D'altronde  la  correzione  è  così  facile, 
che  il  bambino  vi  giunge  da  sé.  Il  piccolo  problema  sorto  innanzi  al 
bambino,  quasi  come  un  oggetto  inaspettato  salta  fuori  da  una  botte 
à  surprise,  lo  ha  «  interessato  ». 

Si  noti  però  che  il  «  problema  »  sorto  non  è  in  sé  lo  stimolo  all'in- 
teresse—  non  è  quello  che  spinge  alla  ripetizione  dell'atto,  al  progresso 
del  bambino.  Ciò  che  interessa  il  bambino  è  la  sensazione  non  solo  di 
spostare  gli  oggetti,  ma  di  acquistare  sensibilmente  una  veggenza  nuova, 
quella  di  riconoscere  le  differenze  di  dimensioni  tra  i  cilindretti,  diffe- 
renze che  prima  non  percepiva.  Il  problema  si  affaccia  solo  in  rapporto 
aXVerrore,  non  accompagna  il  processo  normale  di  sviluppo.  Un  inte- 
resse stimolato  solo  dalla  curiosità,  dal  «  problema  «,  non  sarebbe  quel- 
l'interesse formativo  che  trae  le  sue  scaturigini  dai  bisogni  della  vita 
stessa  e  che  perciò  dirige  la  costruzione  della  personalità  interiore.  Se 


tisso  solo  il  problema  a  condurre  dietro  a  sé  l'anima,  esso  potrebbe 
disperderne  l'ordine,  come  ogni  altra  causa  esterna  che  cerchi  di  se- 
lf une  per  vie  false  la  vita.  Io  insisto  forse  eccessivamente  su  questo 
punto,  per  rispondere  ad  obbiezioni  e  ad  osservazioni  nìolto  imjiortanti 
ohe  mi  sono  state  fatto. 

infatti,  già  nelle  seconde  serie  di  oggetti  che  tendono  a  educare 
l'occhio  alle  dimensioni,  non  è  meccanico  il  controllo  dell'errore,  ma  è 
psicologico:  il  bambino  stesso,  avendo  ormai  l'occhio  educato  a  rico- 
noscere differenze  di  dimensioni,  vedrà  l'errore,  purché  gli  oggetti 
raggiungano  una  determinata  dimensione,  e  siano  vistosamente  colorati. 
E  per  questo  che  gli  oggetti  successivi  portano,  si  può  dire,  il  oon^ 
frollo  dell'errore  nella  loro  stessa  grandezza  e  nei  vivaci  colori.  Un 
controllo  dell'errore  di  tutt 'altro  genere,  e  di  ordine  assai  più  elevato, 
è  quello  offerto  nel "  materiale  della  tavola  pitagorica,  ove  oramai  il 
controllo  consiste  nel  confrontare  l'opera  propria  con  un  modello:  con- 
fronto che  importa  un  notevole  sforzo  intelligente  della  volontà  del 
bambino,  e  che  lo  pone  ormai  nelle  vere  condizioni  di  un'autoedu- 
cazione cosciente.  Ma  comunque  graduale  sia  il  controllo  dell'errore, 
e  benché  sempre  più  esso  si  allontani  da  un  meccanismo  esterno,  per 
affidarsi  alle  attività  inteme  che  a  poco  a  poco  si  sviluppano,  esso  é 
sempre  determinato,  come  tutte  le  qualità  degli  oggetti,  sulla  fonda- 
mentale reazione  del  bambino,  che  vi  presta  una  prolungata  attenzione, 
e  ripete  gli  esercizi. 

Invece  per  determinare  la  quantità  degli  oggetti,  il  criterio  speri 
mentale  è  diverso.  Allorquando  gl'istrumenti  sono  stati  elaborati  con 
molta  esattezza,  avviene  che  essi  provocano  un  autoesercizio  così 
ordinato  e  rispondente  ai  fatti  di  sviluppo  interno,  che  a  un  certo 
punto  si  rivela  un  nuovo  quadro  psichico,  una  specie  di  piano  superiore 
nello  sviluppo  complessivo. 

Allora  il  bambino  abbandona  spontaneamente  gli  oggetti,  ma  non 
con  segni  di  stanchezza,  bensì  portato  da  nuove  energie.  E  la  sua  mente 
è  capace  di  astrazioni.  In  questo  grado  di  sviluppo,  il  bambino  porta 
la  sua  attenzione  sul  «  mondo  esterno  »  e  l'osserva  con  un  ordine,  che 
è  l'ordine  formatosi  nella  sua  mente  insieme  al  precedente  sviluppo; 
e  comincia  spontaneamente  a  fare  una  serie  di  comparazioni  misurate 
e  logiche,  che  rappresentant)  un  vero  acquisto  spontaneo  di  «  cono- 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  59 

scenza  ».  È  questo  il  periodo  oramai  noto  come  il  periodo  «  delle  sco- 
perte »,  scoperte  che  provocano  nel  bambino  entusiasmo  e  gioia. 

Questo  più  elevato  piano  di  sviluppo  è  fecondissimo  per  la  ulteriore 
ascesa.  Occorre  che  l'attenzione  del  bambino  non  sia  trattenuta  sugli 
oggetti,  quando  il  delicato  fenomeno  di  astrazione  s'inizia.  Per  esempio, 
il  maestro  che  chiamasse  il  bambino  a  riprendere  la  sua  attività  sugli 
oggetti  in  tale  momento,  ritarderebbe  il  suo  sviluppo  spontaneo, 
vi  porrebbe  un  ostacolo.  Spento  quell'entusiasmo  che  porta  il  bambino 
a  innalzarsi  e  a  provare  tante  emozioni  intellettuali,  si  è  chiusa  una 
via  di  progresso.  Ora,  lo  stesso  errore,  può  essere  commesso  dalla 
esorbitante  quantità  del  materiale  di  sviluppo;  esso  può  disperdere  l'at- 
tenzione, meccanizzare  gli  esercizi  sugli  oggetti,  e  far  passare  il  bam- 
bino accanto  al  suo  momento  psicologico  di  ascensione,  senza  accorger- 
sene, senza  afferrarlo.  Tali  oggetti  in  piìi  sono  oggetti  vani  e  accanto 
alla  loro  vanità  può  «  perdersi  l'anima  ». 

Il  necessario  e  sufficiente  che  risponde  ai  bisogni  interni  della  vita 
in  via  di  sviluppo  cioè  di  ascensione:  ecco  ciò  che  si  deve  esattamente 
determinare.  Ora,  è  l'osservazione  delle  espressioni  e  dell'insieme  delle 
manifestazioni  attive  del  bambino  che  fa  determinare  la  «quantità». 
Quei  bambini  che  furono  lungamente  applicati  al  lavoro  su  quei  dati 
oggetti  —  con  tali  espressioni  di  attenzione  intensa  —  a  un  tratto, 
come  aeroplani  i  quali  compirono  la  loro  breve  corsa  sul  terreno,  si 
alzano  a  poco  a  poco,  insensibilmente.  L'apparente  distrazione  dagli 
oggetti,  è  rivelata  nella  sua  reale  essenza  dall'espressione  luminosa, 
intensa  del  volto  atteggiato  alla  più  viva  gioia.  Il  bambino  appa- 
rentemente non  fa  nulla,  ma  sarà  questione  di  un  istante:  tra  poco  egli 
parlerà  e  ci  dirà  che  cosa  avviene  dentro  di  lui,  e  poi  la  sua  attività 
scoppiettante  lo  porterà  in  giro  in  continue  esplorazioni  e  scoperte. 
Egli  è  salvo. 

Ecco  invece  altri  bambini  che  ebbero  lo  stesso  fenomeno  primiti\'o 
ma  furono  circondati  da  troppi  oggetti.  Nel  momento  di  maturità,  si 
mostrarono  presi,  impigliati,  proprio  sensibilmente  «  legati  dai  laccioli  « 
alla  terra.  Una  diminuzione  della  intensità  dell'attenzione  sui  nuovi 
oggetti,  la  instabilità  e  quindi  la  stanchezza  si  manifestano  in  un  e\\- 
dente  spegnimento  di  attività  Citeriori.  II  bambino  prende  attitudini 
inferiori  di  risate  vuote,  di  atti  sgarbati,  di  mollezze.  E  domanda  «  altri 


bO  PARTE    PRIMA 

Oggetti»  e  poi  «altri  oggetti  ».  poiché  egli  è  rimasto  chiuso  «  nel  giro 
vizioso  delle  vanità  »  e  non  sente  più  altro  che  il  bisogno  di  alleviare 
la  sua  noia.  Similmente  all'adulto  che  nel  caos  della  vita  commise  lo 
stesso  errore,  egli  diventa  indisciplinato,  fiacco,  è  «  in  pericolo  di  per- 
dersi ».  Se  qualcuno  non  l'aiuta  strappandogli  gli  oggetti  vani,  e  indi- 
candogli «  il  suo  cielo  »,  difficilmente  avrà  l'energia  di  farlo  da  sé. 

Questi  due  tipi  estremi  danno  una  idea  dei  criterii  coi  quali 
si  determina  sperimentalmente  la  «  quantità  »  degli  oggetti  di  svi- 
luppo. 

Il  (//  più  indebolisce,  ritarda  il  progresso:  ciò  è  stato  provato  e  ri- 
provato da  tutte  le  mie  collaboratrici.  Se  poi,  al  contrario,  il  mate- 
riale è  insufficiente,  e  l'autoesercizio  primitivo  riesce  incapace  di  con- 
durre a  quella  maturità  che  fa  ascendere,  non  esplode  quel  fenomeno 
spontaneo  di  astrazione,  che  è  il  secondo  gradino  dell'autoeducazione, 
avanzante  in  un  progresso  infinito. 

Lo  stesso  fenomeno  fondamentale  dell'attenzione  intensa  e  pro- 
lungata conducente  alla  ripetizione  degli  atti,  guida  a  trovare  gli  sti- 
moli appropriati  secondo  l'età  del  bambino.  Uno  stimolo  che  provoca 
in  un  bambino  di  tre  anni  un  atto  ripetuto  quaranta  volte  di  seguito, 
può  provocare  in  un  bambino  di  sei  anni  lo  stesso  atto  ripetuto  non 
più  di  dieci  volte:  l'oggetto  che  desta  l'interesse  del  bambino  di  tre 
anni,  non  può  più  destare  interesse  nel  bambino  di  sei  anni.  Tuttavia 
il  bambino  di  sei  anni  è  capace  di  fissare  l'attenzione  assai  più  lunga- 
mente del  bambino  di  tre  anni,  quando  lo  stimolo  corrisponda  alle 
sue  attività:  se,  infatti,  un  piccolo  bambino  '  di  tre  anni  può  avere 
comej  massimo  la  ripetizione  dell'atto  medesimo  per  quaranta  volte 
di  seguito,  il  bambino  di  sei  anni  è  capace  di  ripetere  duecento  volte 
l'atto  che  lo  interessa.  Se  il  massimo  periodo  di  lavoro  continuato 
sullo  stesso  oggetto  può  essere  pel  bambino  di  tre  anni  di  mezz'ora, 
può  essere,  per  quello  di  sei,  superiore  a  due  ore. 

Stabilire  perciò  dei  tests  sistematici  razionali  ad  uno  scopo,  come 
quello  di  preparare  alla  scrittura,  senza  tenere  conto  dell'età,  non 
può  a\ere  valore.  Per  esempio,  il  mio  sistema  per  la  scrittura,  si 
fonda  sulla  preparazione  diretta  dei  movimenti  che  fisiologicamente 
vi  concorrono:  cioè,  il  maneggio  dell'istrumento  di  scrittura,  e  il  trac- 
ciato della  lettera  dell'alfabeto.  I  bambini,  empiendo  i  contorni  degli 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  6l 

incastri  con  tanti  segni  paralleli  in  un  caso,  e  toccando  le  lettere  sme- 
rigliate nell'altro,  fissano  i  due  meccanismi  muscolari  in  modo  sì  per- 
fetto, che  ne  risulta  infine  l'esplosione  di  una  «  scrittura  spontanea  » 
calligrafica,  e  meravigliosamente  uniforme  in  tutti  i  bambini  —  poiché 
essi,  quasi  plasmati  da  uno  stesso  stampo,  hanno  fissato  i  movimenti 
toccando  lo  stesso  alfabeto,  e  quindi  vengono  a  riprodurne  fedelmente 
la  forma.  Perchè  ciò  avvenga-,  ossia  perchè  un  vero  meccanismo  motore 
sia  fissato,  occorre  la  prolungata  ripetizione  dell'esercizio.  Ora,  il  bam- 
bino che  sente  al  massimo  punto  l'interesse  per  empire  le  figure  con 
segni  paralleli,  e,  sopratutto,  per  toccare  le  lettere,  è  per  lo  piti  tra 
quattro  o  cinque  anni  d'età.  Se  noi  offriamo  lo  stesso  materiale  a  un 
bambino  di  sei  anni,  egli  non  toccherà  più  le  lettere  in  modo  sufficiente 
e  scriverà  per  sempre  imperfettamente,  in  confronto  al  bambino  che 
cominciò  l'esercizio  in  età  adatta.  Ciò  si  ripeta  per  tutti  gli  altri  par- 
ticolari del  sistema.  Si  può  dunque  giungere  a  determinare  sperimen- 
talmente, con  una  esattezza  fin  qui  credo  non  raggiunta,  quali'  siano 
le  attitudini  del  bambino  secondo  le  età,  e  quindi,  offerto  l'opportuno 
materiale  di  sviluppo,  quale  sia  secondo  le  età  il  livello  medio  dello 
sviluppo  intellettuale. 

Ecco  un  accenno  alla  possibilità  di  determinare  i  mezzi  di  sviluppo 
così  esattamente,  da  far  esistere  una  vera  corrispondenza  tra  i  bisogni 
interiori  e  gli  stimoli,  come  esiste  una  corrispondenza  tra  l'insetto  e 
il  fiore. 

Chi  ha  già  «  pronto  tutto  ciò  »,  ha  un  compito  «  ben  facile  »  nel 
far  sviluppare  naturalmente  la  vita  psichica  del  bambino!  Con  tali 
oggetti  a  disposizione,  ognuno  può  realizzare  la  libertà  nella  scuola. 

Questo  esperimento  lungo,  occulto  —  ispiratomi,  come  già  dissi,  da 
Itard  e  Séguin  —  è  appunto  il  mio  contributo  iniziale  all'educazione. 

Tutto  questo  lavoro  preparatorio  è  servito  alla  «  determinazione  » 
del  metodo  oggi  conosciuto,  ma  è  anche  la  chiave  per  la  sua  conti- 
nuazione. 

Il  materiale  di  sviluppo  è  necessario  solo  come  «  punto  di 
partenza  » .  —  Nella  organizzazione  dei  mez^  esterni  di  sviluppo  resta 
dunque  «  una  impronta  materiale  »  dell'interno  svolgimento:  è  ciò  di 
cui  l'anima  ha  bisogno  nel  suo  cammino,  nella  sua  corsa,  nei  suoi  voli. 


'<-  PARTE    PRIMA 

l.a  jiarto  niatorialo  non  contiene  l'impronta  di  tutta  l'anima:  come  l'im- 
pronta del  piede  non  è  l'impronta  di  tutto  il  corpo;  come  il  campo  di 
aviazione  non  è  il  luogo  di  mo\  imento  dell'areoplano,  ma  ne  è  la  parte 
di  terraferma  necessaria  al  \-olo,  ed  è  pure  il  riposo,  il  rifugio,  V hangar 
ove  l'areoplano  deve  sempre  tornare.  Così  nella  formazione  psichica 
c'è  una  parte  materiale  necessaria  a  che  lo  spirito  si  elevi,  e  dove  lo 
spirito  deve  trovare  il  rifugio,  il  riposo,  il  punto  d'appoggio.  Senza 
Ciò  esso  non  può^crescere  ed  elevarsi  «  liberamente  ». 

Perchè  sia  un  vero  appoggio,  «  deve  riprodurre  le  sue  l'orme  » 
e  «  contenerle  »  nella  parte  corrispondente  ai  bisogni  dell'aiuto  ma- 
teriale. Così,  per  esempio,  nel  primo  periodo  della  vita  psichica,  il  ma- 
teriale corrisponde  al  primitivo  esercitarsi  dei  sensi  —  ed  è  in  qualità 
e  quantità  determinato  dai  bisogni  sensoriali  dati  dalla  natura  e 
permette  un  esercizio  delle  attività  sufficiente  per  maturare  uno 
stato  superiore  psichico  di  osservazione  e  di  astrazione.  Viceversa, 
nulla  corrisponde  nel  materiale  alla  successiva  corsa  pel  mondo  che  lo 
spirito  infantile  compie  con  tanta  sua  beatitudine  e  con  tanti  acquisti 
nella  conoscenza.  Ma  vediamo  poi  lo  spirito  bisognoso  di  esercizi  più  ele- 
vati —  ed  ecco  lo  stesso  fenomeno  primitivo  di  attenzione  che  si  eser- 
cita oramai  sull'alfabeto  e  sul  materiale  dell'aritmetica,  e  il  ripetersi,  più 
complessi,  degli  esercizi  metodici  dell'intelligenza  nel  mettere  in  rap- 
porto le  immagini  uditive  con  quelle  visive  e  motrici  della  parola  par- 
lata e  scritta  e  nello  studio  positivo  delle  quantità,  delle  proporzioni, 
del  numero.  Si  manifestano  allora  i  medesimi  fenomeni  concomitanti 
di  «  pazienza  »,  di  «  costanza  »  e  nel  tempo  stesso  di  vivacità,  di  atti- 
\ità  e  di  gioia  caratteristici  dello  spirito  ciuando  le  interne  energie 
hanno  trovato  la  loro  tastiera,  la.  palestra  su  cui  esercitarsi  comodamente 
e  tranquillamente. 

E  lo  spirito,  che  in  tal  modo  si  organizza  sulla  guida  di  un  ordine 
che  risponde  all'ordine  suo  naturale,  viene  fortificato,  cresce  rigoglio- 
samente e  si  manifesta  neW equilibrio,  nella  serenità,  nella  calma,  che 
danno  poi  la  meravigliosa  disciplina  caratteristica  della  condotta  dei 
nostri  bambini. 

11  materiale  esterno,  deve  dunque  offrirsi  ai  bisogni  psichici  del 
bambino  come  una  scala  che  di  grado  in  grado  lo  aiuta  a  salire;  e  sui 
gradi  di  questa  scala  vanno  necessariamente  disponendosi  i  mezzi  di 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  63 

cultura,  di  formazione  superiore.  Perchè  appunto  gli  esercizi  psichici 
hanno  bisogno  di  nuovo  materiale  e  questo,  per  corrispondere  al  loro 
scopo,  deve  contenere  nuove  e  più  complesse  forme  di  oggetti  capaci 
di  fissare  l'attenzione,  di  far  maturare  l'intelligenza  nel  continuo  eser- 
cizio delle  proprie  energie,  e  di  produrre  quei  fenomeni  di  costanza 
nell'applicazione  e  di  pazienza,  che  aumentano  poi  l'elasticità,  l'equi- 
librio psichico  e  la  capacità  di  astrazione  e  di  creazione  spontanea.  Così 
nello  sviluppo  successivo  dei  bambini,  li  vedremo  applicarsi  anche 
a  quegli  esercizi  di  memoria  che  ci  sembrano  i  più  aridi,  poiché 
in  essi  è  nato  il  bisogno  non  soltanto  di  trattenere  in  sé  le  immagini 
che  s'incontrano  nel  mondo,  ma  di  «  acquistare  rapidamente  »  con  uno 
sforzo  determinato  delle  cognizioni.  Un  esempio  di  ciò  è  il  fenomeno 
sorprendente  e  generale  dello  studio  a  memoria  delle  tavole  di  molti- 
plicazione: mentre  l'apprendimento  a  memoria  di  poesie  e  di  brani  in 
prosa,  benché  sia  talvolta  una  passione,  non  ci  reca  sorpresa. 

Così  pure  è  interessante  il  distacco  che  a  un  certo  punto  il  bambino 
realizza  dai  sussidi  pei  calcoli  aritmetici:  egli,  a  un  certo  limite  di  ma- 
turità, vuole  «  ragionare  sull'astratto  »  e  fare  «  calcoli  astratti  sui  nu- 
meri »  come  obbedendo  a  una  spinta  interiore,  che  vuole  insieme 
liberare  l'anima  da  ogni  legame  e  realizzare  una  economia  di  tempo. 
Allora  si  vedono  bambini  di  otto  anni  diventare  calcolatori  precoci  e 
appassionati. 

Questi  fanciulli  slanciati  così  sulle  vie  dell'autoeducazione,  acqui- 
stano una  singolare  «  sensibilità  »  dei  propri  bisogni  interiori.  Come  il 
neonato  tenuto  alle  regole  dell'alimentazione  razionale,  tace  tranquillo 
nelle  due  ore  di  digestione  e  di  assimilazione,  e  poi  piange  proprio  nel 
momento  in  cui  l'ora  del  nuovo  cibo  è  suonata,  così  questi  fanciulli 
«  chiedono  aiuto  »,  chiedono  «  nuovo  materiale  »  nuove  «  forme  di  la- 
voro »,  allorquando  hanno  compiuto  i  loro  misteriosi  fenomeni  di  ma- 
turazione interna;  e  li  chiedono  determinatamente,  indicando  quale  è  la 
loro  ulteriore  necessità;  così  come  un  bisognoso  fisiologico  saprebbe 
indicare  distintamente  se  ha  fame,  sete  o  sonno.  Analogamente  un 
bambino  chiederà  delle  letture,  o  degli  esercizi  di  grammatica,  o  dei 
mezzi  per  osservare  la  natura.  La  sua  sensibilità  si  manifesta  in  un 
desiderio  intenso,  chiaro,  a  cui  il  maestro  non  ha  che  da  corri- 
spondere. 


b4  PARTE    PRIMA 

È  e\idente  come  una  base  esterna  sia  necessaria  nel  succes- 
sivo svolgersi  di  tali  fenomeni:  e  come  il  maestro,  dietro  la  ri- 
chiesta del  bambino  in  cosciente  evoluzione,  non  possa  corrispon- 
dere a  caso:  ma  sulla  guida  di  un  piano  che  fu  precedentemente 
delcrminato  dall'esperienza.  Cioè,  quei  mezzi  esterni  ai  quali  è  stato 
più  volte  accennato,  quella  scala  i  cui  gradini  conducono  l'anima 
all'ascesa,  devono  essere  già  stati  stabiliti  dall'esperienza,  come  erano 
stati  stabiliti   tutti   i  mezzi   precedenti  del  primo  sviluppo  infantile. 

La  costruzione  della  scala  ascensionale,  dei  mezzi  esterni  di 
appoggio  per  l'anima  in  evoluzione,  si  allarga  sempre  più;  come 
un  cono  rovesciato  il  cui  vertice  tocca  gli  inizi  stessi  della  vita 
psichica,  p>oggiando  su  quell'impulso  primitivo  che  porta  il  bam- 
bino di  due  anni  e  mezzo  di  età  verso  gh  stimoli  sensoriali,  come 
la  fame  porta  il  neonato  a  compiere  i  moti  complessi  e  meravi- 
gliosi del  succhiamento.  E  mentre  si  allarga,  va  complicandosi  coi 
crescenti  bisogni  psichici  del  fanciullo  e  include  in  sé  i  principi 
della  cultura. 

L'organizzazione  esterna  più  elevata  non  ha  per  solo  fattore  co- 
struttivo la  parte  psicologica,  ma  anche  l'altro  fattore  che  riguarda 
il  contenuto  stesso  della  coltura.  Ogni  disciplina,  come  per  esempio, 
l'aritmetica,  la  grammatica,  la  geometria,  le  scienze  naturali,  la  musica, 
la  letteratura,  deve  essere  presentata  negli  oggetti  esterni  in  una  co- 
struzione sistematica  ben  definita.  Al  lavoro  primitivo  essenzialmente 
psicologico,  deve  unirsi  perciò  la  collaborazione  di  specialisti  d'ogni  sin- 
gola disciplina,  perchè  sia  stabilito  quell'insieme  di  mezzi  necessari  e 
sufficienti  a  provocare  l'autoeducazione. 

Questo  è  il  lavoro  sperimentale  preparatorio  che  stabilisce  quei 
mezzi  di  sviluppo,  quelle  impronte  esteriori,  necessarie  a  svolgere  la 
vita  intima  e  che  devono  possedere  nella  loro  costruzione  una  esatta 
corrispondenza  ai  bisogni  psichici  di  formazione. 

Esse  potrebbero  corrispondere,  fino  ad  un  certo  punto,  al  cosiddetto 
materiale  didattico  o  materiale  oggettivo  degh  antichi  metodi.  Senonchè 
il  significato  ne  è  profondamente  diverso.  Il  materiale  oggettivo  delle 
antiche  scuole  era  di  sussidio  alla  maestra  per  far  comprendere  le  sue 
spiegazioni  alla  collettività  di  una  classe  che  l'ascoltava  passivamente. 
Gli  oggetti  si  riferivano  unicamente  alle  cose  da  spiegare  le  quali  erano 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  65 

scelte  a  caso,  vale  a  dire  senza  alcun  criterio  scientifico  di  rapporti  coi 
bisogni  psichici  del  fanciullo. 

Qui  invece,  i  mezzi  di  sviluppo  sono  sperimentalmente  determinati 
in  rapporto  allo  svolgimento  psichico  del  fanciullo;  e  non  hanno  come 
scopo  di  dare  una  conoscenza,  ma  rappresentano  dei  mezzi  che  valgono 
a  far  esplicare  spontaneamente  le  interne  energìe. 

La  costruzione  materiale  esterna,  è  poi  offerta  e  lasciata  liberamente 
alle  naturali  energie  individuali  dei  fanciulli.  Essi  scelgono  gli  oggetti 
che  preferiscono:  e  tale  «  preferenza  >>  è  dettata  dai  bisogni  interiori  di 
«  crescenza  psichica  ».  Ogni  bambino  s'intrattiene  su  ogni  oggetto  scelto 
quanto  tempo  vuole;  e  questa  «  volontà  «  corrisponde  alla  necessità 
di  intima  maturazione  dello  spirito,  maturazione  che  richiede  un  eser- 
cizio costante  prolungato  nel  tempo.  Nessuna  guida,  nessun  maestro 
potrebbe  indovinare  il  bisogno  intimo  di  ogni  allievo  e  il  tempo  di  matu- 
razione a  ciascuno  necessario:  ma  lasciando  libero  il  bambino,  tutto  ciò, 
guidato  dalla  natura,  ci  viene  rivelato. 

I  fatti  psichici.  —  Bisogna  mettersi  da  un  punto  di  vista  scien- 
tifico per  interpretare  i  fatti  che  si  manifestano  nei  bambini  allorché 
essi  vengono  trattati  con  questo  metodo;  e  separarsi  completamente 
dall'antico  concetto  scolastico,  secondo  il  quale  si  seguivano  «  i  pro- 
gressi dei  bambini  nel  profitto  dello  studio  ».  Qui  occorre,  press'a  poco 
come  naturalisti,  osservare  lo  svolgersi  di  alcuni  fenomeni  della 
vita.  Si  preparano,  è  vero,  speciali  «  condizioni  esteriori  »,  ma  gU 
effetti  psichici  sono  collegati  direttamente  allo  svolgersi  spontaneo 
delle  attività  interiori  del  bambino. 

Non  c'è  dunque  alcuna  corrispondenza  diretta  tra  maestra  e  bam- 
bino: l'insegnamento  non  è  certo  una  causa  degli  effetti  che  si  riscon- 
trano. Sono  gli  oggetti  del  sistema  che,  come  «  reattivi  »,  provocano 
delle  reazioni  psichiche  particolari,  che  possono  riassumersi  in  un  ri- 
sveglio, in  una  organizzazione  della  personalità.  La  disciplina,  come 
prima  conseguenza  di  un  ordine  che  interiormente  si  va  formando,  è 
il  fenomeno  principe  che  si  attende  come  «  segno  esterno  »  d'un  inte- 
riore lavoro  che  si  è  iniziato. 

Nei  primi  giorni  in  cui  una  nuova  scuola  viene  aperta,  può  consi- 
derarsi come  caratteristico  un  disordine  iniziale,  specialmente  se  la 


('('  PARTE    PRIMA 

maestra  è  alla  sua  prima  esperienza,  e  quindi  sopraffatta  dalla  sua  stessa 
aspettativa.  Quella  corrispondenza  immediata  tra  bambino  e  materiale 
non  sempre  si  \erifica:  la  maestra  può  rimanere  disorientata  dal  fatto 
che  i  bambini  non  si  gettano,  coni 'ella  sperava,  sugli  oggetti,  sceglien- 
doli secondo  il  proprio  gusto.  Se  le  scuole  sono  di  bambini  molto  poveri 
ciò  av\iene  sul  momento  quasi  sempre:  ma  se  invece  si  tratta  di  bam- 
bini ricchi,  già  sazi  degli  oggetti  più  vari,  dei  più  splendidi  giocattoli, 
è  molto  raro  che  esista  una  attrazione  verso  gli  stimoli  che  si  presen- 
tano. Questo  conduce,  naturalmente,  a  un  disordine,  ove  la  maestra  si 
faccia  ima  specie  di  catena  di  questa  «  libertà  »  ch'essa  deve  rispettare, 
e  un  dogma  delle  corrispondenze  tra  stimolo  e  psiche  infantile.  Irtvece 
le  maestre  sperimentate  hanno  meglio  compreso  come  la  libertà  co- 
minci là  dove  s'inizia  la  vita  che  dovrà  poi  svolgersi  nel  bambino,  e 
posseggono  un  tatto  che  facilita  molto  l'orientamento  nel  periodo  ini- 
ziale. 

Tuttavia  le  esperienze  nelle  più  difficili  condizioni,  come  quelle 
tra  una  maestra  al  suo  primo  esperimento,  e  una  classe  di  bambini 
ricchi,  sono  le  più  illustrative  e  ci  danno  un  quadro  più  chiaro  del  fe- 
nomeno psichico  fondamentale,  il  quale  si  potrebbe  paragonare  a  un 
ordine  che  scaturisce  dal  caos. 

Cito,  a  tale  proposito,  varie  descrizioni,  alcune  delle  quali  \ennero 
pubblicate,  come  quelle  fatte  da  Miss  George  della  sua  prima  scuola 
negli  Stati  Uniti,  e  quella  di  M.Ue  Dufresne  in  Inghilterra. 

Il  disordine  iniziale  è  dato  in  un  quadro  assai  eloquente  da  Miss 
George:  «  Essi  (i  bambini)  si  strappavano  in  principio  gli  oggetti  uno  da 
le  mani  dell'altro:  se  io  cercavo  di  mostrare  un  oggetto  a  un  particolare 
alunno,  gli  altri  lasciavano  cadere  ciò  che  avevano  in  mano  e  rumoro- 
samente, senza  scopo,  si  raccoglievano  intorno  a  noi.  Quando  avevo 
finito  di  spiegare  un  oggetto,  tutti  lo  ghermivano  e  lottavano  tra  loro 
per  possederlo...  I  bambini  non  mostravano  nessun  interesse  al  mate- 
riale: passavano  da  un  oggetto  all'altro  senza  persistere  in  nessuno...  ». 
e ...  Un  bambino  era  così  incapace  di  star  fermo,  che  non  poteva  ri- 
manere seduto  il  tempo  necessario  che  occorreva  a  far  girare  le  dita 
intorno  a  uno  dei  piccoli  oggetti  circolari  che  si  danno  ai  bambini.  In 
molti  casi,  il  movimento  dei  bambini  era  senza  scopo:  essi  correvano 
intorno  alla  stanza  senza  avere  una  mèta  prefissa.  In  questi  movimenti 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  67 

non  avevano  l'attenzione  di  rispettare  gli  oggetti,  infatti  inciampavano 
contro  la  tavola,  capovolgevano  le  sedie  e  camminavano  sopra  il  ma- 
teriale; qualche  volta  cominciavano  un  lavoro  da  una  parte,  poi  corre- 
vano in  un'altra  direzione;  prendevano  un  oggetto  e  lo  lasciavano  a 
capriccio  ». 

La  signorina  Dufresne  così  descrive  il  disordine  iniziale  del  suo 
primo  tentativo:  «  Io  debbo  confessare  che  le  prime  quattro  settimane 
furono  scoraggianti:  i  bambini  non  potevano  fissarsi  in  un  lavoro  piti 
di  qualche  momento;  nessuna  perseveranza,  nessuna  iniziativa  da  parte 
loro;  talvolta  si  seguivano  l'un  l'altro  e  agivano  come  un  gregge  di 
agnelle;  quando  un  bambino  prendeva  un  oggetto,  tutti  gli  altri  vole- 
vano imitare:  qualche  volta  si  rotolavano  in  terra  e  rovesciavano  le 
sedie  ». 

Da  un  esperimento  su  bambini  ricchi  qui  in  Roma,  si  è  avuta  la 
seguente  laconica  descrizione:  «  La  preoccupazione  più  grande  era  la 
disciplina.  I  bambini  si  mostravano  disorientati  nel  lavoro,  e  sembra- 
vano refrattari  ad  essere  iniziati  ». 

Queste  persone,  che  sperimentavano  ad  insaputa  l'una  dell'altra, 
hanno  poi  una  uniformità  nel  constatare  l'iniziarsi  dell'ordine:  il  feno- 
meno è  unico:  a  un  dato  momento,  un  bambino  s'interessa  intensamente 
a  uno  degli  esercizi.  Non  è  necessario  che  sia  quel  determinato  oggetto, 
per  esempio,  il  primo  del  sistema:  può  essere  invece  uno  qualunque 
degli  oggetti  della  serie,  che  fìssa  così  profondamente  l'attenzione  del 
bambino  :  ciò  che  ha  valore,  non  è  l'oggetto  esterno;  ma  è  il  fatto 
interno  dell'anima  che  risponde  a  uno  stimolo,  e  si  sofferma. 

Ora,  quando  un  fanciullo  riesce  ad  avere  questo  interessamento 
profondo  per  una  qualunque  delle  cose  che  noi  presentiamo  come  ri- 
spondenti ai  suoi  bisogni  psichici,  egli  s'interessa  dopo  a  tutti  gli  oggetti, 
e  comincia  a  svolgere  delle  attività  come  per  un  fenomeno  naturale. 
L'inizio,  una  volta  avvenuto,  porta  a  una  progressione  che  permane 
stabilmente  e  si  svolge  da  sé.  È  però  il  fenomeno  non  di  una  progres- 
sione lenta,  graduale,  come  quella  che  potrebbe  provenire  da  una  mi- 
surata e  sistematica  azione  esteriore,  ma  piuttosto  assume  il  carattere 
«  esplosivo  »  di  fatti  improvvisi  che  si  stabiliscono  a  un  tratto,  e  che  ci 
fanno  pensare  alle  crisi  della  vita  fisiologica,  così  caratteristiche  nel 
periodo  di  crescenza.  Difatti  è  da  un  giorno  all'altro  che  al  bambino 


68  PARTI-    PRIMA 

spunta  un  dente;  è  da  un  giorno  all'altro  clic  egli  pronuncia  la  prima 
parola;  è  da  un  giorno  all'altro  che  muove  il  primo  passo;  e  quando  il 
primo  dente  è  spuntato,  tutta  la  dentatura  verrà;  detta  la  prima  parola, 
ecco  che  si  svolge  il  linguaggio;  mosso  il  primo  passo,  il  cammino  si 
stabilisce  per  sempre. 

Simili  crisi  avvengono  pure  nel  primo  stabilirsi  di  un  ordine  psi- 
chico, che  è  l'inizio  dello  svolgimento  progressivo  della  vita  interiore. 

Ecco  alcune  frasi  rilevate  dalla  descrizione  fatta  da  Miss  George 
sull'avvento  della  disciplina: 

«  In  pochi  giorni,  quella  massa  nebulosa  di  vorticose  particelle  ^  i 
bambini  disordinati  —  cominciò  ad  assumere  definita  forma.  I  bambini 
sembrava  che  cominciassero  ad  orientarsi  sopra  se  stessi;  nei  molti 
oggetti  che  avevano  disprezzato  in  principio  come  giocattoli  sciocchi, 
essi  cominciavano  a  scoprire  un  originale  interesse,  e,  come  risultato 
di  questo  nuovo  interesse,  cominciarono  ad  agire  come  individui  in- 
dipendenti ».  L'espressione  successiva  di  Miss  George  è:  «  Essi  diven- 
nero estremamente  individualizzati  ».  «  Allora  accadeva  che  un  oggetto 
il  quale  assorbiva  tutta  l'attenzione  di  un  bambino,  non  aveva  la  più 
piccola  attrazione  per  un  altro;  i  bambini  si  dividevano  gli  uni  dagli 
altri  nelle  loro  manifestazioni  di  attenzione...  ».  «...  La  battaglia  è 
definitivamente  vinta,  solo  quando  il  bambino  scopre  qualche  cosa, 
un  particolare  oggetto  che  spontaneamente  eccita  in  lui  un  grande 
interesse.  Alcune  volte  questo  entusiasmo  arriva  all'improvviso,  o 
con  una  strana  rapidità  ». 

«  Una  volta  ho  provato  un  bambino  con  quasi  tutti  gli  oggetti  del 
sistema  senza  eccitare  una  sola  favilla  di  attenzione:  allora  casual- 
mente gli  mostrai  le  due  tavolette  dei  colori  rosso  e  bleu,  e  richiamai 
la  sua  attenzione  sopra  la  differenza  dei  colori.  Egli  le  pigliò  subito 
con  una  specie  di  sete  e  imparò  cinque  colori  in  una  sola  lezione;  nei 
giorni  successivi  prese  tutti  gli  oggetti  Jdel  sistema  che  aveva  prima 
sdegnato,  e  a  poco  a  poco  s'impadronì  di  tutti. 

«  Un  bambino  che  in  principio  aveva  un  piccolissimo  potere  di 
concentrare  la  sua  attenzione,  trovò  la  sua  uscita  da  questo  stato  di 
caos  in  uno  dei  più  complessi  oggetti  del  materiale:  le  cosiddette  «  lun- 
ghezze»; giocò  continuamente  con  esse  per  una  settimana  di  seguito  e 
imparò  a  contare  e  a  fare  semplici  addizioni.  Allora  egli  cominciò  a 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  69 

tornare  ai  cilindri,  agli  incastri,  agli  oggetti  più  semplici,  e  si  interessò 
a  tutte  le  parti  del  sistema. 

«  Appena  i  bambini  trovano  i  loro  oggetti  interessanti,  il  disordine 
scompare  d'un  tratto;  finisce  il  vagabondaggio  mentale,  ed  essi  s'in- 
trattengono con  i  blocchi,  con  i  colori,  ecc.  ». 

E  interessante  seguire  ancora  Miss  George  nella  descrizione  di 
qualità  speciali  che  si  sviluppano  dopo  tale  fenomeno.  Essa  illustra 
con  un  grazioso  episodio,  il  risvegliarsi  di  una  individualità: 

«  C'erano  due  sorelle,  una  di  tre  anni,  l'altra  di  cinque.  La  bambina 
di  tre  anni,  come  individualità,  non  esisteva,  in  quanto  seguiva  la  so- 
rella maggiore  in  modo  preciso:  per  esempio  la  sorella  maggiore  aveva 
un  lapis  bleu  e  la  piccola  non  era  contenta  finché  non  aveva  un  lapis 
bleu;  la  sorella  maggiore  mangiava  del  pane  e  burro,  e  qualunque  cosa 
avesse  la  piccola  di  diverso  non  mangiava  se  non  pane  e  burro,  e  via 
dicendo.  Questa  bambina  non  si  interessava  a  nessuna  cosa  della  scuola, 
ma  solo  seguiva  sua  sorella,  imitando  quello  che  essa  faceva.  Un  giorno 
la  piccolina  si  interessa  ai  cubi  rosa,  compone  la  sua  torre,  ha  un  in- 
teresse vivissimo,  ripete  molto  questo  esercizio  e  dimentica  completa- 
mente la  sorella.  La  sorella  maggiore  è  tanto  meravigliata  di  questo 
fatto,  che  la  chiama  e  le  dice:  com'è  che  io  sto  empiendo  un  circolo  e  tu 
stai  fabbricando  la  torre?  E  da  quel  giorno  la  piccolina  divenne  una 
personalità  e  cominciò  a  svolgersi  da  sé  e  non  fu  più  soltanto  l'imita- 
zione, lo  specchio  di  sua  sorella  ». 

Questi  fatti  interessanti,  cioè  lo  svolgimento  spontaneo  di  qualità 
che  prima  non  esistevano  nell'individuo,  e  che  esplodono  dopo  che  si 
è  stabilito  il  fenomeno  fondamentale  dell'  interesse  intenso  e  prolun- 
gato a  un  lavoro,  sono  stati  confermati  da  esperimenti  ripetuti  nei 
luoghi  più  diversi  e  da  persone  che  non  avevano  comunicazioni  tra  loro. 

Così,  per  esempio,  Miss  Dufresne  parla  di  una  piccola  bambina  di 
quattro  anni,  che  non  era  assolutamente  capace  di  portare  un  bicchiere 
empito  d'acqua,  anche  solo  a  metà,  senza  versarla:  assolutamente;  sì  che 
essa  rifuggiva  da  un  simile  lavoro,  perchè  sapeva  di  non  poterlo  fare. 
Venne  a  interessarsi  ad  un  lavoro  qualsiasi  col  materiale  e  dopo  ciò,  Co- 
minciò a  trasportare  i  bicchieri  d'acqua  con  grande  facilità;  ora,  siccome 
c'erano  dei  compagni  che  dipingevano  con  l'acquerello,  la  sua  smania 
era  di  portare  à  tutti  l'acqua  senza  più  versarne  una  goccia. 


PARTE    PRIMA 


Un  altro  fatto  che  merita  profonda  attenzione  è  quello  rac- 
ct>ntato  da  Miss  Barton.  una  maestra  australiana.  Essa  aveva  una 
piccola  bambina  che  non  aveva  ancora  sviluppato  il  linguaggio  e 
mandava  soltanto  dei  suoni  inarticolati,  tanto  che  i  genitori  l'ave- 
vano fatta  visitare  da  un  medico  per  sapere  se  era  anormale;  ma 
il  modico  aveva  affermato  che  la  bambina  non  era  affatto  anormale, 
e  che  se  ancora  non  aveva  sviluppato  esteriormente  il  linguaggio, 
lo  avrebbe  però  fatto  in  seguito.  Questa  piccola  bambina  un  giorno 
s'interessò  agli  incastri  solidi,  trattenendosi  molto  tempo  a  levare  e 
mettere  i  cilindretti  di  legno  nei  loro  incavi;  e  dopo  aver  ripetuto 
con  intenso  interesse  il  lavoro,  corse  dalla  maestra  dicendo;  «  vieni  a 
vedere  »  ! 

Un  fatto  che  si  riscontra  costantemente  quando  i  bambini  comin- 
ciano a  interessarsi  al  lavoro  e  a  svolgere  se  stessi,  è  la  vivace  gioia  a  cui 
sembrano  in  preda.  Direbbero  alcuni  psicologi:  è  «  il  tono  sentimentale  » 
corrispondente  all'acquisto  intellettuale;  un  fisiologo,  facendo  un  para- 
gone esattissimo,  potrebbe  affermare  che  la  gioia  è  Vindice  della  cre- 
scenza interiore,  come  l'aumento  di  peso  è  l'indice  della  crescenza  del 
corpo. 

I  bambini  sembrano  avere  la  «  sensazione  »  della  loro  crescenza 
interna,  la  coscienza  degli  acquisti  che  fanno  ingrandendo  se  stessi: 
essi  dimostrano  esternamente  con  una  espansione  di  gioia  il  fatto  supe- 
riore che  si  è  iniziato  in  loro.  «  I  bambini  mostravano  tutti  »  —  dice  Miss 
George  —  «  quell'orgoglio  che  viene  a  noi  quando  abbiamo  prodotto 
veramente  qualche  cosa  di  nuovo  da  noi  stessi.  Essi  saltavano  e  mi  get- 
tavano le  braccia  al  collo,  quando  avevano  imparato  a  fare  qualche 
cosa  di  molto  semplice,  e  mi  dicevano:  —  Ho  fatto  tutto  da  me;  tu  non 
immaginavi  che  io  potessi  fare  questo;  oggi  ho  fatto  meglio  di  ieri  ». 

È  dopo  questi  fatti  che  si  stabilisce  una  reale  «  disciplina  «,  della 
quale  le  più  manifeste  azioni  si  potrebbero  mettere  in  rapporto  a  ciò 
che  noi  chiameremmo  «  rispetto  per  il  lavoro  altrui  e  considerazione 
pel  diritto  degli  altri  ».  Perchè  non  succede  più  che  un  fanciullo  voglia, 
togliere  il  lavoro  ad  un  altro;  anche  se  lo  desidera,  aspetta  paziente- 
mente che  quell'oggetto  sia  libero;  e  spesso  il  bambino  s'interessa  ad 
osservare  il  compagno  che  lavora  con  quell'oggetto  che  desidera  posse- 
dere. Quindi,  allorché  la  disciplina  si  stabilisce  per  questi  fatti  interiori, 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  JI 

avviene  d'un  tratto  che  un  fanciullo  lavora  indipendentemente  dal- 
l'altro, quasi  a  sviluppare  la  propria  personalità;  ma  da  questo  lavoro 
non  consegue  un  «  isolamento  morale  »;  al  contrario,  c'è  tra  i  bambini 
un  rispetto  reciproco,  un'affettività,  un  sentimento  che  unisce  le  persone 
anziché  separarle;  e  quindi  nasce  quella  complessa  disciplina  che  con- 
tiene in  sé  anche  il  sentimento  che  deve  accompagnare  l'ordine  di  una 
collettività. 

Miss  Dufresne  racconta:  «  Dopo  le  vacanze  di  Natale,  al  rientrare 
in  iscuola,  si  produsse  nella  classe  un  grande  cambiamento.  Sembrava 
che  l'ordine  si  stabilisse  da  sé,  senza  che  io  c'entrassi  affatto.  I  bam- 
bini apparivano  troppo  occupati  dal  loro  lavoro  per  fare  tutti  quegli 
atti  disordinati  che  prima  facevano.  Andavano,  i  bambini,  da  se  stessi, 
a  scegliere  nell'armadio  tutti  quegli  oggetti  che  prima  aveva  sem- 
brato annoiarli.  Prendevano  le  form.e  geometriche,  i  cilindri  graduati, 
cominciavano  a  far  scorrere  le  loro  dita  sui  contorni  delle  forme  di 
legno;  i  piìi  piccoli  sceglievano  sopratutto  i  telai  per  abbottonare,  al- 
lacciare, ecc.;  e  li  prendevano  uno  dopo  l'altro  senza  mostrarsi  stanchi 
e  sembravano  felici  dei  nuovi  oggetti.  Un'atmosfera  di  lavoro  si  sparse 
nella  classe.  I  bambini  che  finora  avevano  scelto  gli  oggetti  solo  per  un 
capriccio  del  momento,  provavano  oramai  come  il  bisogno  di  una  specie 
di  regola,  di  una  regola  personale  e  interiore:  essi  concentravano  i  loro 
sforzi  su  questo  lavoro,  esatti  e  metodici,  provando  una  vera  soddi- 
sfazione a  sormontare  le  difficoltà.  Questo  lavoro  preciso  produsse  un 
risultato  immediato  sul  loro  carattere.  Essi  diventarono  padroni  dei 
loro  nervi  ». 

Uesempio  che  più  colpì  Miss  Dufresne,  fu  quello  di  un  bambino  di 
quattro  anni  e  mezzo  il  quale  era  sembrato  in  principio  molto  nervoso, 
sovreccitato,  e  che  disturbava  tutta  la  classe.  «  Questo  bambino 
aveva  sviluppata  in  modo  straordinario  l'immaginazione,  tanto  che 
dandogli  un  oggetto,  egli  in  questo  non  osservava  la  forma  dell'oggetto 
stesso,  ma  lo  personificava,  e  personificava  anche  se  stesso  parlando 
continuamente,  immaginando  di  essere  una  persona  diversa  da  quella 
che  era;  ed  anche  era  impossibile  di  fissare  la  sua  attenzione  sopra  gli 
oggetti.  Mentre  divagava  così  con  la  sua  mente,  era  incapace  di  fare 
qualsiasi  azione  precisa,  per  esempio,  di  abbottonare  un  solo  bottone...  ». 
«  ...D'un  tratto  si  cominciò  ad  operare  in  lui  una  meraviglia  —  continua 


7J  PARTE    PRIMA 

Miss  Dufresne.  —  Io  constatai  con  stupore  un  cambiamento  conside- 
revole elle  av\enne  in  lui;  prese  come  occupazione  favorita  uno  degli 
esercizi  e  si  scelse  poi  tutti  gli  altri:  e  in  questo  modo  si  calmarono  i 
suoi  nervi  ». 

Scelgo  da  alcuni  studi  individuali  fatti  da  due  maestre  d'una 
«Casa  dei  Bambini»  ricchi  di  Roma,  quelli  di  due  bambini,  molto 
diversi  tra  loro.  Uno  dei  bambini  è  venuto  a  scuola  troppo  tardi,  già 
grande,  già  s\dluppato  in  un  altro  ambiente:  l'altro  invece  è  piccolo  e  si 
trova  nell'età  normale  per  entrare  nella  «  Casa  ».  Il  grande  (di  cinque 
anni)  era  stato  già  in  un  giardino  Froebeliano  dove  fu  considerato  assai 
molesto  per  la  sua  vivacità.  «  Nei  primi  giorni  era  un  tormento  per  noi, 
perchè  voleva  lavorare,  ma  non  si  contentava  di  nessuna  occupazione. 
Egli  diceva  di  tutto:  questo  è  un  gioco;  e  girellava  per  la  scuola,  o  dava 
noia  ai  compagni.  Finalmente  s'interessò  al  disegno  ».  Per  quanto  il 
disegno  verrebbe  dopo  degli  esercizi  sensoriali,  fu  lasciato  libero  di 
fare  ciò  che  desiderava:  le  maestre  giustamente  pensarono  che  sarebbe 
stato  inutile  insistere  per  applicare  invece  il  bambino  a  un  differente 
esercizio.  Infatti  il  bambino  avendo  superato  l'età  nella  quale  il  mate- 
riale precedente  risponde  ai  bisogni  psichici,  è  per  la  prima  volta 
attratto  da  un  esercizio  superiore,  quale  il  disegno.  «  Mentre  prima 
il  bambino  era  passato  di  occupazione  in  occupazione  e  aveva  anche 
preso  delle  lettere  dell'alfabeto  senza  però  mai  fermarsi  sopra  nessun 
oggetto,  quasi  improvvisamente  la  disciplina  si  stabilì.  Noi  non 
sappiamo  quale  fu  il  momento  preciso  in  cui  la  modificazione  av- 
venne, ma  la  disciplina  si  mantenne,  si  perfezionò  e  si  fece  più 
elevata  mentre  cresceva  l'interesse  del  bambino  per  ogni  sorta  di 
occupazione.  Infatti,  mentre  l'interesse  si  era  iniziato  nel  disegno, 
il  bambino  prese  dopo  spontaneamente  le  lunghezze,  poi  sovrappose 
gli  incastri  piani,  e  andò  man  mano  a  tutti  quegli  esercizi  dei  sensi 
che  la  maestra  aveva  trascurati  ».  Cioè  il  bambino  di  età  superiore 
scelse  gli  esercizi  in  un  ordine  rovesciato,  andando  quasi  esattamente 
dai  più  difficili  a  quelli  primordiali. 

L'altro  bambino  di  tre  anni  e  mezzo  era  pure  indisciplinato.  Le 
maestre  già  disperavano  di  poterlo  condurre  all'ordine,  quando  il  bam- 
bino cominciò  ad  interessarsi  a  un  incastro  solido  e  a  un  telaio.  Da 
allora  continuò  a  lavorare  e  cessò  di  disturbare  i  compagni. 


ni.  -  IL   MIO   CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  73 


Nelle  nostre  «  Case  dei  Bambini  »  poveri  in  Roma,  dirette  dalla 
signorina  Maccheroni,  fu  possibile  fare  più  metodiche  osservazioni,  le 
quali  vennero  rappresentate  con  delle  grafiche  per  rendere  più  facil- 
mente visibile  l'andamento  dei  fenomeni. 

La  linea  trasversa  A  B  rappresenta  lo  stato  di  quiete:  al  disopra 
si  registrano  i  fenomeni  di  ordine  (lavoro);  al  disotto  quelli  di  disordine. 
Quando  un  bambino  è  entrato  nella  quiete  dopo  la  prima  profonda 
attrazione  ad  un  lavoro,  può  in  lui  stabilirsi  uno  stato  permanente 
di  ordine.  In  tale  stadio  possono  studiarsi  le  migliori  condizioni  di 
lavoro. 

Curva  primitiva  del  lavoro  ordinato. 

Ecco  la  maniera  in  cui  esso  si  svolge:  tipo  individuale  di  una  matti- 
nata di  lavoro  disciplinato: 


Il  bambino  rimane  quieto  alquanto  tempo,  poi  sceglie  un  lavoro 
facile  per  lui,  come  mettere  in  gradazione  i  colori;  vi  persiste,  ma  non 
molto  tempo;  passa  a  un  lavoro  più  complesso,  come  quello  di  comporre 
le  parole  con  l'alfabetario  mobile  e  vi  persiste  lungamente  (circa  mez- 
z'ora). In  tale  stadio  il  bambino  cessa  di  lavorare,  gira  intorno  alla  sala, 
sembra  meno  calmo:  e  presenterebbe  a  prima  vista  i  caratteri  della 
stanchezza.  Ma,  dopo  pochi  minuti,  egli  si  dispone  a  un  lavoro  assai  più 
difficile  e  vi  persiste  con  tale  insensità  di  attenzione,  che  dimostra  tro- 
varsi all'acme  della  sua  attività  (fare  le  addizioni  e  scriverle).  Com- 
piuto questo  lavoro,  la  sua  attività  cessa  con  segni  di  serenità,  egli  con- 
templa a  lungo  il  proprio  lavoro,  poi  si  avvicina  alla  maestra  e  le  fa 


74  PARTE    PRIMA 

delle  confidenze.  Laspetto  dv\  bambino  è  quello  di  una  persona  ripo- 
sata, sollevata,  soddisfatta. 

È  interessante  l'apparenza  di  stanchezza  che  si  ha  tra  il  primo 
e  il  secondo  periodo  di  lavoro:  in  quel  momento  l'aspetto  del  bambino 
non  è  quieto,  sollevato  come  alla  fine  della  curva:  anzi  egli  dà  segni  di 
agitazione,  si  muove,  passeggia,  ma  non  disturba  gli  altri.  Si  direbbe 
che  va  alla  ricerca  della  massima  soddisfazione  del  suo  interesse,  si 
prepara  al  «  gran  lavoro  ». 

Invece  quando  il  ciclo  è  compiuto  il  bambino  si  distacca  dal  suo 
interiore  concentramento  —  soddisfatto  e  rinforzato  —  e  sente  impulsi"^ 
sociali  superiori,  come  quello  di  fare  delle  confidenze,  di  porsi  in  intima 
comunicazione  con  altre  anime. 

Un  simile  andamento,  diventa  col  tempo  l'andamento  generale  di 
una  classe  intera  già  disciplinata.  Ecco  come  la  signorina  Maccheroni 
riassume  tale  fenomeno  complessivo: 


Intiera  classe  al  lavoro. 


Nel  primo  periodo  della  mattina,  fino  circa  alle  io,  l'occupazione 
scelta  è  generalmente  un  lavoro  già  noto  e  facile. 

Alle  IO  c'è  un  momento  di  grande  spostamento;  i  bambini  sono  irre- 
quieti, non  lavorano  ad  alcuna  cosa,  non  cercano  oggetti.  L'impressione 
è  quella  di  una  classe  stanca,  che  comincia  a  disordinarsi.  Dopo  pochi 
minuti  l'ordine  più  perfetto  è  stabilito,  i  bambini  sono  addirittura 
immersi  in  un  lavoro  intensissimo:  essi  hanno  scelto  occupazioni  nuove 
e  difficili. 

Quando  questo  lavoro  cessa,  i  bambini  sono  lieti,  gentili,  calmi. 

Se  nel  periodo  di  falsa  stanchezza,  alle  ore  io,  la  maestra  mal  pra- 
tica, interpretando  come  disordine  il  fenomeno  di  sospensione  o  di 


Ili    -  IL    MIO   CONTRIBUTO   SPERIMENTALE  75 

preparazione  al  grande  lavoro,  interviene,  richiama  a  sé  la  scolaresca, 
la  «  fa  riposare  »  ecc.,  allora  l'agitazione  persiste  e  il  lavoro  successivo 
non  si  organizza.  I  bambini  non  sono  sereni:  permane  in  loro  uno  stato 
anormale.  Cioè  se  essi  vengono  interrotti  nel  loro  ciclo,  perdono  tutti 
i  caratteri  che  sono  collegati  a  una  funzione  interiore  regolarmente  e 
completamente  compiuta. 

*  *  * 

La  c^lrva  unica  del  lavoro  individuale  ordinato,  non  è  generale  né 
rigidamente  costante  nel  tipo  descritto.  Ma  può  considerarsi  come  il 
tipo  medio  di  lavoro,  nell'ordine  raggiunto.  Sarà  interessante,  prima 
di  tutto,  considerare  la  curva  dei  bambini  che  non  si  sono  ancora  ordi- 
nati. I  bambini  poveri  non  presentano  quasi  mai  quello  stato  di  con- 
fusione completa  in  cui  si  trovano  i  bambini  ricchi:  essi  sono  sempre 
più  o  meno  attratti  dagli  oggetti  e  vi  corrispondono  con  un  certo  in- 
teresse fin  dal  primo  momento.  Tale  interesse,  però,  è  dapprima  su- 
perficiale. Essi  sono  attirati  piuttosto  dalla  curiosità,  dal  desiderio  di 
avere  tra  mano  delle  «  belle  cose  ».  S'intrattengono,  è  vero,  qualche 
tempo  con  singoli  oggetti,  li  cambiano,  scelgono:  ma  senza  che  ancora 
si  svolga  un  profondo  interesse.  Il  carattere  di  questo  periodo,  che  può 
completamente  mancare  in  una  classe  di  bambini  ricchi,  è  un'alternativa 
di  disordine.  Ecco  una  grafica  che  lo  rappresenta: 

Differenze  individuali. 

Stadio  precedente  all'ordine: 
curva  individuale  di  un  bambino  povero. 


Le  varie  curve  di  lavoro  s'incontrano  al  disotto  della  linea  di  quiete, 
nello  stato  di  disordine.  Solo  a  un  richiamo  dell'ordine  collettivo  il 
bambino  sta  nella  quiete,  a  meno  che  non  si  elevi  verso  il  lavoro:  in  tal 
caso  però  non  vi  persiste  e  la  curva  piomba  subito  al  disotto.  E  notevole 


PARTE    PRIMA 


come  nell'andamento  irregolare  di  questa  grafica,  si  possa  rintracciare 
un  periodo  di  lavoro  facile  che  precede  im  periodo  di  lavoro  difificile 
(telaio,  incastri  piani)  e  tra  l'uno  e  l'altro  la  massima  discesa  nel 
disordine. 

Curve   di  lavoro 

DI    UN    BAMBINO    POVERISSIMO,    gUASI    ABBANDONATO    DAI   GENITORI,    DISTURBATORE. 

Stadio  del  disordine. 


Il  bambino  di  cui  si  tratta  (0)  sembra  che  abbia  la  tendenza  a  im- 
parare dagh  altri;  egh  sfugge  il  lavoro  o  vi  si  arresta  appena:  e  sembra 
che  non  tolleri  un  insegnamento  diretto.  Se  si  cerca  d'insegnargli  qualche 
cosa,  fa  una  smorfia  e  fugge  via.  Si  muove,  disturba  i  compagni,  sembra 
intrattabile:  ma  segue  attentamente  le  lezioni  che  la  maestra  fa  agli  altri 
bambini. 

Verso  l'ordine. 


Entrato  nel  lavoro,  dopo  anere  appreso,  vi  persiste  e  si  nota  nella 
curva  l'andamento  normale:  cioè,  un  lavoro  precedente,  una  pausa  (dove 
il  bambino  ricade  leggermente  e  fuggevolmente  nel  suo  difetto  di  di- 
sturbare i  compagni)  quindi  la  curva  del  gran  lavoro  e  il  riposo  finale 
(ove  pure  si  ripete  la  ricaduta  nel  difetto).  Sulle  vette  della  grafica  sta 
con  l'interesse  al  lavoro  una  grande  bontà:  il  bambino  non  solo  è  se- 
reno, ma  ha  un  aspetto  di  beatitudine,  di  grande  dolcezza;  al  massimo 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  77 

del  lavoro  spesso  guarda  i  compagni  e  manda  loro  con  le  dita  piccoli 
baci,  ma  senza  interrompere  l'intensa  sua  applicazione.  Si  direbbe  che 
nella  pienezza  della  sua  interiore  soddisfazione  un  ruscello  d'amore 
sgorghi  dalle  profondità  dell'animo  suo  prima  in  apparenza  così  rozzo. 


Curva  di  lavoro  di  un  bambino  debole. 


La  grafica  è  fatta  di  tante  curve  che  cadono  sulla  linea  di  quiete: 
manca  l'unità  della  curva,  perciò  l'unità  dello  sforzo.  L'acume  del  lavoro 
è  successivo  ad  un  precedente  lavoro  piìi  facile:  e  l'esercizio  stesso  è 
brevemente  ripreso  (colori)  dopo  che  il  grande  slancio  fu  esaurito.  Il 
riposo  non  è  deciso,  il  bambino  riprende  un  lavoro  facilissimo  (inca- 
stri solidi).  Si  direbbe  che  nell'impulso  interno  non  intero,  non  deciso, 
si  manifesti  il  carattere  fiacco.  11  bambino  fa  tanti  successivi  sforzi  per 
alzarsi:  ma  non  sa  prendere  il  grande  slancio,  né  la  decisione  di  cessare 
il  lavoro.  Il  bambino  è  quieto,  ma  il  suo  stato  di  quiete  è  senza  slanci: 
non  ha  né  irrequietezze,  né  serenità,  né  forti  manifestazioni  affettive. 


Andamento  del  progresso. 

Quando  tutta  la  classe  si  é  ordinata  può  osservarsi  il  progressivo 
svolgersi   delle  attività  interiori. 

Bisogna  ricordare  che  il  materiale  di  sviluppo  presenta  esercizi 
graduati  che  vanno  dal  più  rudimentale  esercizio  dei  sensi,  a  esercizi 
di  scrittura,  calcolo  e  lettura.  I  bambini  sono  liberi  di  scegliere  l'eser- 
cizio che  vogliono:  ma,  naturalmente,  poiché  essi  sono  iniziati  a  ciascun 
esercizio  dalla  maestra,  vanno  a  scegliere  solo  gli  oggetti  di  cui  cono- 
scono l'uso.  La  maestra,  osservandoli,  si  accorge  quando  il  bambino  è 
maturo  per  esercizi  superiori  e  ve  lo  inizia;  ovvero  il  bambino  vi  entra 
osservando  altri  bambini  più  avanzati  di  lui. 


PARTE    PRIMA 


Tali  condizioni  devono  essere  presenti  alla  mente  per  seguire  il 
0  progresso  «  nel  lavoro. 


Le  due  curve  rappresentano  stadi  di  maggiore  svolgimento  rispetto 
alla  curva  primordiale  del  lavoro  ordinato.  Tende  ad  eliminarsi  lo  stadio 
di  irrequietezza  tra  il  piccolo  e  il  grande  lavoro;  il  bambino  sembra  più 
sicuro  di  sé:  va  più  direttamente  e  facilmente  alla  scelta  del  suo  massimo 
esercizio. 

Restano  dunque  due  fasi  successive  di  lavoro  ininterrotte:  una  si 
potrebbe  chiamare  la  fase  di  entratnement,  l'altra  la.  jase  del  gran  lavoro. 
Il  lavoro  di  entratnement  dura  un  tempo  assai  più  breve,  mentre  il 
^ran  lavoro  ha  un  ciclo  più  lungo:  si  noti  che  il  riposo  nei  suoi  caratteri 
di  sollieio,  di  serenità,  si  osserva  dopo  che  il  massimo  sforzo  si  è  sponta- 
neamente esaurito.  Invece  permane  sempre  il  fatto  che  interrompendo 
lo  sforzo,  il  bambino  mostra  segni  di  stanchezza  (irrequietezza):  ovvero 
diventa  distratto. 

Nella  prima  curva,  il  lavoro  di  entratnement  è  costituito  da  due  la- 
vori facili,  durati  poco  tempo:  dai  quali  si  passa  direttamente  al 
gran  lavoro.  La  finale  è  un  riposo  pieno  di  pensiero:  il  bambino  cessa  di 
lavorare,  ma  contempla  a  lungo  in  silenzio  il  lavoro  eseguito,  prima 
di  accingersi  a  rimetterlo  a  posto.  Ovvero,  dopo  aver  contemplato  il 
proprio  lavoro,  va  quietamente  a  osservare  il  lavoro  degli  altri. 

Nella  seconda  curva  siamo  a  un  parallehsmo  sensibile  con  la  hnea 
di  quiete:  il  bambino  permane  al  lavoro  pressoché  uniformemente,  e 
la  sola  differenza  tra  il  lavoro  di  entratnement  e  il  gran  lavoro  è  la  di- 
versa durata.  Il  periodo  contemplativo  diventa  oramai  un  evidente 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  79 

«  periodo  di  lavoro  interiore  »,  quasi  un  periodo  di  «  assimilazione  »  o 
di  «  maturazione  interna  ».  In  esso  si  fa  sempre  più  frequente  l'osser- 
vazione del  lavoro  altrui,  come  uno  studio  spontaneo  di  «  comparazione  » 
tra  sé  e  i  compagni;  ovvero  si  sviluppa  un  interesse  attivo  nella  contem- 
plazione deir«  ambiente  »  esterno:  periodo  delle  scoperte.  Si  può  dire 
che  il  bambino  studia  se  stesso  nelle  proprie  produzioni  e  si  mette  in  rap- 
porto con  i  compagni  e  con  l'ambiente. 

Ora  il  «  compiersi  »  di  un  ciclo  intero  esercita  un'influenza  sempre 
più  estesa  sulla  personalità  del  bambino.  Non  soltanto  egli  è  spinto 
a  un  lavoro  intimo  di  concentrazione  subito  dopo  il  gran  lavoro;  ma 
riesce  infine  a  conservare  sempre  un'attitudine  di  pensiero,  d'interno 
equilibrio,  di  sostenuta  attenzione  verso  l'ambiente.  Allora  diventa 
una  personalità  che  è  salita  a  un  grado  superiore.  Questo  è  il  periodo  in 
cui  il  bambino  comincia  a  divenire  «  padrone  di  se  stesso  »  ed  entra  in 
quel  così  caratteristico  fenomeno  che  ho  chiamato  dell'  «  obbedienza  ». 
Egli  può  obbedire,  cioè  può  possedere  le  sue  azioni  e  quindi  dirigerle 
secondo  il  desiderio  di  un'altra  persona.  Egli  può  lasciare  un  lavoro  che 
viene  interrotto,  senza  per  questo  soffrirne  uno  squilibrio,  o  dare  i  segni 
della  stanchezza.  Inoltre  il  lavoro  è  divenuto  un'attitudine  costante 
e  il  bambino  oramai  non  sa  star  piii  in  ozio.  Quando,  per  esempio,  fac- 
ciamo venire  alcuni  bambini  che  si  trovano  in  questo  stadio  di  sviluppo, 
alle  lezioni  di  magistero  ove  essi  servono  da  «soggetti  di  studio  »,  i  bam- 
bini si  prestano  docilmente  a  ciò  che  noi  chiediamo  da  loro:  si  lasciano 
misurare  la  statura,  la  testa,  si  prestano  ad  eseguire  gli  esercizi  che  loro 
chiediamo,  mostrando  sempre  di  corrispondere  con  interesse,  non  con 
rassegnazione,  come  fossero  consci  di  collaborar  con  noi.  Ma  quando 
debbono  aspettare,  seduti  da  una  parte,  il  momento  di  diventare  utili, 
essi  non  possono  stare  in  ozio,  ma  lavorano.  'L'inattività  diventa  intol- 
lerabile. Spesso,  mentre  io  facevo  lezione,  i  piccolini  prendevano  delle 
allacciature  o  addirittura  ricoprivano  il  pavimento  con  l'alfabetario 
mobile  componendo  parole:  là  dove  poterono  farlo,  in  questi  momenti 
di  attesa,  alcuni  bambini  disegnarono  o  dipinsero  all'acquerello. 

Tutte  queste  cose  sono  ormai  espressioni  di  attività  intelligente, 
che  fanno  parte  del  loro  organismo  psichico. 

Ma  perchè  tale  attitudine  permanga  e  la  personalità  continui  nel 
suo  sviluppo  è  necessario  che  un  vero  lavoro  sia  tutti  i  giorni  compiuto. 


So  l'AKih    PKIMA 

È  dal  <i  completo  ciclo  di  uno  sforzo  »,  dalla  metodica  «  concentra- 
zione )>  che  deriva  l'equilibrio,  l'w  elasticità  »  di  adattamento  e  quindi 
la  possibilità  di  atti  superiori,  come  quello  dell'»  obbedienza  ». 

Ciò  fa  pensare  ai  consigli  che  dà  la  religione  cattolica  per  conservare 
le  forze  della  vita  spirituale:  cioè  un  periodo  di  «  concentrazione  inte- 
riore »  a  cui  si  riattacca  la  possibilità  di  disporre  poi  di  «  forze  morali  ». 
È  dalla  metodica  «  meditazione  »  che  la  personalità  morale  deve  pren- 
dere i  poteri  di  solidificazione,  senza  i  quali  l'uomo  interiore,  disperso  e 
squilibrato,  non  può  possedere  se  stesso  e  disporre  di  sé  a  nobili  scopi. 

I  bambini  hanno  «  sempre  bisogno  »  del  periodo  di  concentrazione, 
del  tempo  di  «  gran  la\oro  »  donde  traggono  le  possibilità  dello  svi- 
luppo ulteriore. 

Ecco  una  grafica  che  rappresenta  uno  stadio  molto  alto  del  bam- 
bino: 

Stadio  superiore 
tipo  medio. 


Già  i  lavori  di  entrainement  sono  elevati:  il  bambino,  appena  viene  a 
scuola,  sceglie,  per  esempio,  l'alfabetario  o  scrive,  poi  (gran  lavoro)  legge. 
In  ricreazione  sceglie  un'occupazione  intelligente:  guarda  i  libri  illustrati. 

Tutte  le  occupazioni  intellettuali  si  sono  elevate;  insieme  alle  atti- 
tudini morali  (ubbidienza,  serenità  costante). 

Volendo  considerare  la  linea  di  quiete  come  un  livello  di  sviluppo 
consegue  che  il  livello  si  è  elevato. 


In  uno  stadio  superiore,  la  grafica  del  lavoro  tende  a  farsi  retta, 
parallela  alla  linea  di  quiete. 

Può  intanto  stabilirsi  che  c'è  la  possibilità  di  determinare  dei  gradi 
di  sviluppo  o  dei  tipi  medi  di  sviluppo  interiore,  sui  quali  studiare  le 


HI.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE 


8l 


variazioni  individuali.  Nel  tipo  primordiale  c'è  il  disordine  nella  con- 
dotta e  la  impossibilità  di  fissare  l'attenzione:  in  tal  caso  non  si  ha  una 
vera  linea  di  lavoro,  e  la  prevalenza  della  grafica  rimane  al  disotto  della 
linea  di  quiete.  Nel  tipo  in  cui  è  avvenuto  il  fenomeno  di  fissazione  per- 
manente dell'attenzione  in  un  lavoro,  viene  a  stabilirsi  la  grafica  media 
caratteristica  del  lavoro  normale  ordinato,  nel  primo  grado:  cioè,  la- 
voro di  entratnement  seguito  da  un  periodo  d'irrequietezza,  e  il  gran 
lavoro  seguito  da  uno  stato  di  riposo. 

Quindi  si  distingue  un  secondo  grado,  ove  la  media  è  caratteriz- 
zata dalla  scomparsa  del  periodo  d'irrequietezza:  e  il  gran  lavoro  finisce 
nella  contemplazione:  stadio  delle  scoperte,  delle  osservazioni  genera- 
lizzate, dell'obbedienza;  il  lavoro  è  un'attitudine. 

Dopo  ciò  viene  un'elevazione  generale  che  si  riconosce  dall'ele- 
\-arsi  dei  lavori  à'entraìnement;  la  condotta  disciplinata  è  un'attitudine. 

Durante  questi  passaggi  la  grafica  del  lavoro  tende  a  farsi  retta  e 
parallela  alla  linea  di  quiete. 

Quadro  riassuntivo  dello  sviluppo. 

Grafiche  medie- 


82  I-ARTE    PRIMA 

L'elevarsi  del  livello  del  piano  è  in  rapporto  con  le  qualità  del  la- 
voro intellettuale  più  progredito:  e  il  raddrizzarsi  della  linea  è  in  rap- 
porto con  qualità  di  cosiiluzione  interna,  di  organizzazione  della  persona- 
lità: qualità  che  sarebbero  considerate  di  ordine  morale,  come:  serenità, 
disciplina,  padronanza  di  sé  nell'obbedienza  e  nelle  varie  attività. 

Quando  il  lavoro  è  divenuto  un'attitudine,  rapidamente  si  eleva  il 
livello  intellettuale,  e  l'ordine  organizzato  fa  diventare  un'attitudine 
la  condotta.  I  bambini  allora  lavorano  con  ordine,  costanza  e  disciplina 
in  un  modo  permanente,  naturale:  come  il  ritmo  respiratorio  è  il  lavoro 
permanente,  calmo  e  \ivifìcatore  dell'organismo  fisico. 

Pernio,  mezzo  di  tale  costruzione  della  personalità,  è  stato  il  lavoro 
libero,  corrispondente  ai  bisogni  naturali  della  \'ita  interiore:  quindi  il 
lavoro  intellettuale  libero  si  dimostra  base  della  disciplina  interiore.  La 
conquista  maggiore  delle  «  Case  dei  Bambini  «  è  di  ottenere  dei  bam- 
bini disciplinati. 

È  questa  organizzazione  interna  che  dà  loro  un  «  tipo  »  speciale, 
il  quale  è  necessario  per  continuare  poi  il  libero  esercizio  delle  attività 
nelle  conquiste  della  cultura  di  età  successive. 

L'epoca  delle  scuole  elementari  viene  insensibilmente  a  continuare 
quella  delle  «  Case  dei  Bambini  ».  In  esse,  la  condotta  è  un'attitudine 
sovrapposta  e  fusa  con  la  più  antica  attitudine  al  lavoro.  Basterà  oramai 
presentare  un  materiale  di  sviluppo  ulteriore,  perchè  il  bambino,  eser- 
citandosi su  esso  gradualmente,  superi  i  vari  limiti  intellettuali  di 
coltura. 

La  differenza  che  si  presenta  nelle  età  successive  è  data  da  un  in- 
teresse intellettuale  che  non  è  più  solo  l'impulso  a  esercitare  se  stesso 
nella  ripetizione  degli  esercizi,  ma  è  un  superiore  interesse  verso  il 
proprio  lavoro,  e  tende  a  completare  un'opera  esterna,  o  a  completare 
una  conoscenza  nel  suo  insieme.  Così  il  bambino  crea  e  cerca  cose  or- 
ganizzate in  se  stesse;  egU  per  esempio  vuol  comporre  un  disegno  da 
combinazioni  di  figure  geometriche  con  gh  incastri  di  ferro,  e  si  dedica 
a  tale  lavoro  con  intensità  fino  a  che  non  lo  ha  completato.  Ecco  ancora 
un  fanciullo  occuparsi  per  sei  o  otto  giorni  di  seguito  al  medesimo  la- 
voro. Un  altro  bambino  s'interessa  alle  potenze  dei  numeri  o  alla  tavola 
pitagorica,  e  persiste  nel  medesimo  lavoro  molti  giorni  di  seguito,  finché 
non  ne  ha  maturato  la  conoscenza. 


III.  -  IL   MIO   CONTRIBUTO   SPERIMENTALE  83 

Sulla  base  di  un  ordine  interiore  venuto  da  interna  organizzazione, 
la  mente  edifica  ora  il  suo  castello,  con  la  lentezza,  la  calma  con  cui  un 
organismo  vivente  che  è  nato,  accresce  se  stesso. 

Solo  una  prima  idea  è  quella  che  si  può  dare  adesso  sulla  possi- 
bilità pratica  di  determinare  livelli  niedii  di  sviluppo  interiore  secondo 
le  età.  Occorrerebbero  molti  esperimenti  perfetti,  ove  bambini  omo- 
genei, ambienti  completamente  adatti  e  maestre  pratiche  dessero  un 
sufficiente  materiale  di  osservazione.  Allora  degli  studiosi  potrebbero 
mettersi  a  un  lavoro  scientifico,  il  quale  presenterebbe  un'esattezza  forse 
superiore  a  quella  che  oggi  è  possibile  per  misurare  il  corpo,  e  darne 
medie  matematiche  di  crescenza. 

Si  rifletta  però  come  gli  accenni  che  oggi  possono  offrirsi,  rappre- 
sentino un  lungo  lavoro  sistematizzato,  e  come  essi  poggino  sul  più 
grande  lavoro  di  trovare  i  mezzi  materiali  esterni  per  lo  sviluppo  na- 
turale. 

Ciò  valga  a  dare  un'idea  delle  difficoltà  di  una  ricerca  scientifica, 
che  oggi  molti  credono  di  fare  con  arbitrari  e  superficiali  tests,  quali 
sono  quelli  di  Binet  e  Simon! 


Lo  studio  del  fanciullo  non  può  essere  fatto  a  «  istantanee  »;  è 
solo  una  «  cinematografia  »  che  può  illustrarne  i  caratteri. 

I  «  mezzi  esterni  »  organizzati  come  corrispondenti  ai  bisogni  della 
\ita  psichica,  sono  di  fondamentale  importanza:  perchè,  come  si 
possono  giudicare  le  differenze  individuali  nell'acquisto  dell'ordine 
interiore,  nell'elevazione  all'astrazione,  nei  gradi  progressivi  di  uno 
sviluppo  intellettuale,  nel  raggiungimento  della  disciplina,  se  non  esi- 
stono mezzi  esterni  determinati,  costanti,  che  conducano  come  gradini 
d'ajjpoggio,  il  bambino  in  formazione  verso  la  sua  ascesa? 

Per  determinare  logicamente  le  differenze  individuali  ci  deve  essere 
un  termine  costante;  e  questo  è  il  mezzo  esterno  su  cui  ogni  personalità 
si  erige.  Quando  l'appoggio  è  il  medesimo,  ed  è,  in  generale,  rispondente 
ai  bisogni  psichici  dell'età,  allora  una  differenza  di  interna  costruzione 
è  legata  all'individuo  stesso.  Altrimenti,  se  i  mezzi  fossero  differenti,  è 
ad  essi  pure  che  potrebbero  attribuirsi  le  differenziate  reazioni. 


84  PAKTF    I>KIM.\ 

È  ov\io.  infine,  clic  si  debba,  in  ogni  ricerca  scientifica,  determi- 
nare Yisfrumcnto  di  misura.  Ma  ogni  cosa  da  misurare  esige  un  istru- 
mento  proprio,  e  l'istruniento  costante  nella  misura  psichica  deve  essere 
il  0  metodo  di  educazione  ». 

Una  serie  di  formule,  quale  i  tests  Binet-Simon,  non  possono  mi- 
surare nulla,  né  dare  un'idea  sia  pure  approssimativa  dei  livelli  intel- 
lettuali secondo  l'età:  poiché  i  fanciulli  che  rispondono,  donde  trassero 
le  loro  risposte?  Quanto  di  esse  è  dovuto  all'attività  intrinseca  dell'in- 
dividuo e  quanto  all'azione  dell'ambiente?  E  se  questa  parte  «  dovuta 
all'ambiente  »  è  ignota,  chi  può  determinare  l'intrinseco  valore  psi- 
chico da  darsi  alla  risposta? 

In  ogni  personalità  dobbiamo  distinguere  due  parti:  una  è  l'at- 
tività propria,  naturale,  spontanea  con  la  quale  si  può  prendere  dal- 
l'ambiente, elaborare  internamente,  costruire  e  accrescere  la  propria 
personalità,  quindi  caratterizzarla;  un'altra  parte  è  il  mezzo  esterno  col 
quale  tutto  ciò  si  può  fare.  Per  es.,  un  bambino  che  riconosce  a  quattro 
anni  sessantaquattro  colori,  dimostra  d'aver  avuto  un'attività  notevole 
nel  percepire  i  colori,  nell'ordinari]  in  gradazione  nella  sua  mente,  ecc.; 
ma  dimostra  anche  di  avere  avuto  dei  mezzi  per  essere  giunto  a  tale 
acquisto;  per  es.  egh  ha  avuto  sessantaquattro  tavolette  di  colori,  sulle 
quali  ha  potuto  esercitarsi  lungamente,  affatto  indisturbato  per  tutto 
il  tempo  che  fu  necessario  a  tale  assimilazione. 

Il  fatto  psichico  P  è  una  somma  di  due  fattori:  uno  interno  e  uno 


esterno: 


I  +  E 


dei  quali  l'incognita,  non  misurabile  direttamente,  I,  può  essere  indi- 
cata con  X:  P  =  X  +  E 

Se  noi  confrontassimo  due  bambini:  uno  che  ebbe  i  sessantaquattro 
colori  nelle  suddette  condizioni  e  un  altro  che  rimase  abbandonato 
a  se  stesso  in  un  ambiente  povero,  quindi  a  tinte  prevalenti  grigie  e 
brune,  che  rimase  torpido  nell'attenzione,  ecc.,  troveremmo  una  diffe- 
renza psichica  notevolissima.  Questa  differenza  però  non  è  intrinseca: 
infatti  potrebbe  darsi  che  il  secondo  bambino  messo  nelle  condizioni  del 
primo,  riconoscesse  i  sessantaquattro  colori.  Il  giudizio  che  diamo  in 
tal  caso  è  su  un  fatto  esterno,  non  su  potenzialità  interiori.  Noi  giu- 
dichiamo in  realtà  due  diversi  ambienti,  non  due  diversi  individui. 


IL    MIO   CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  85 


Per  giudicare  le  differenze  individuali,  bisogna  che  i  due  bambini 
abbiano  avuto  gli  stessi  mezzi  di  sviluppo.  In  tal  caso,  se  essi  alla  stessa 
età  non  riconoscono  egualmente  i  sessantaquattro  colori,  ma  uno  per 
esempio  giunge  a  riconoscerne  solo  trenta,  allora  si  delinea  ura  vera 
differenza  psichica  individuale,  l 'no  dei  tests  proposti  da  uno  dei  mag- 
giori cultori  di  psicologia  sperimentale  in  Italia,  per  determinare  il 
livello  intellettuale  nei  bambini  subnormali  {arriérés,  deficienti)  con- 
sisteva nel  far  scegliere  a  un  bambino  il  cubo  più  grande  e  il  cubo  piii 
piccolo  di  una  serie.  Questa  scelta,  come  in  quasi  tutti  i  tests  proposti 
a  tale  scopo,  viene  considerata  come  indipendente  dall'influenza  della 
culttira,  dell'educazione;  e  si  considera  come  esponente  di  un'attività 
intima,  propria  dell'intelligenza  in  se  stessa.  Ma  se  innanzi  al  test  fosse 
stato  posto  uno  dei  deficienti  che  io  educai  col  mio  metodo,  egli  avrebbe 
scelto  il  più  grande  e  il  più  piccolo  cubo,  per  influenza  di  un  lungo  eser- 
cizio sensoriale,  assai  più  facilmente  dei  bambini  scelti  dallo  psicologo 
tra  le  sue  scuole  speciali,  ed  il  mio  deficiente  avrebbe  potuto  essere  di 
minore  età  non  solo,  ma  anche  in  se  stesso  più  arnéré  dell'altro.  Il 
test  avrebbe  dunque  misurato  i  diversi  metodi  d'educazione,  mentre 
le  differenze  psichiche  tra  i  due  bambini,  realmente  esistenti  per  età 
o  per  livello  intellettuale,  sarebbero   restate    realmente    mascherate. 

L'uomo  è  una  fusione  tra  la  sua  personalità  e  la  sua'^educazione, 
chiamando  edticazione  anche  la  serie  di  esperienze  che  egli  fa  nella 
sua  vita.  Le  due  cose  nell'individuo  non  si  possono  scindere:  l'intelli- 
genza senza  la  conoscenza  è  un'astrazione.  Ciò  che  si  ripete  per  tutti 
gli  esseri  viventi:  che  l'individuo  non  può  scindersi  dall'ambiente,  è 
tanto  più  profondo  per  la  vita  psichica,  poiché  il  suo  contenuto,  come 
i  mezzi  dell'auto-esperienza  che  ha  svolto  psichicamente  l'uomo,  sono 
sua  parte  essenziale,  sono  ormai  l'individuo  stesso.  E  pure  tutti  sappia- 
mo^che  l'individuo  psichico  non  è  il  suo  ambiente,  ma  è  una  vita  a  sé. 

Dando  la  formula 

P  =  X  +  E 

ove  À""  é  la  parte  interna,  intrinseca,  propria  alla  \ita  individuale,  si 
può  dire  che  ogni  individuo  ha  la  sua  X.  Ma  per  avvicinarsi  alla  co- 
noscenza diretta  di  questa,  occorre  conoscere  P  ed  E. 

Chi  si  ferma  ad  un  esame  o  crede  di  procedere  a  una  «  misura 
psichica  «  fermandosi  ai  fatti  psichici,  in  realtà  misura  la  mescolanza 


00  PAKTI-:     l'KIMA 

di  duo  incognite,  ima  delle  quali,  essendo  fuori  deH'indixiduo.  rondo 
nulli  i  risultati  della  ricorca. 

Per  istudiare  dunque  le  differenze  individuali  su  singole  attività, 
come  la  percezione  dei  colori,  dei  suoni  musicali,  delle  lettere  dell'al- 
fabeto; ovvero  la  capacità  di  osservare  l'ambiente,  e  di  rilevarne  gli 
errori;  ovvero  la  coordinazione  dei  movimenti,  il  linguaggio,  ecc.,  bi- 
sogna aver  prima  determinato  una  costante:  i  mozzi  di  sviluppo  offerti 
dall'ambiente. 

Qui  si  delinea  una  semplice  e  netta  differenza  tra  pedagogia  o  psi- 
cologia: la  pedagogia  determina  sperimentalmente  i  mezzi  di  sviluppo 
e  il  modo  di  applicarli  rispettando  la  libertà  interiore;  la  psicologia 
studia  nella  specie  o  nell'individuo  le  reazioni  medie  o  le  reazioni  indi- 
viduali. Ma  le  due  cose  sono  i  due  aspetti  di  un  fatto  solo:  che  è  lo 
sviluppo  dell'uomo;  l'individuo  e  l'ambiento  sono  i  duo  fattori  X  e  E 
del  medesimo  prodotto:  il  fatto  psichico. 

Anche  le  singole  ricerche  psichiche  di  ordine  morale,  per  aver  una 
seria  attendibilità,  devono  esser  basate  sopra  l'osservazione  prolun- 
gata, dopo  che  le  atticità  interne  si  sono  ordinate:  poiché  facile  è  l'errore 
di  giudizio  in  un  caos.  In  clinica  psichiatrica  o  in  patologia  criminale 
quando  si  dice  «  tenere  il  soggetto  in  osservazione  »  a  scopo  di  diagnosi, 
significa  metterlo  in  un  ambiente  speciale,  disciplinato,  igienico,  ecc., 
e  osservare  lungamente  il  soggetto  in  tale  ambiente.  Ciò  ha  un  valore 
ancora  più  esteso  e  più  profondo,  quando  si  tratti  di  individui  normali 
in  evoluzione.  Bisogna  in  tal  caso  offrire  non  solo  l'ambiente  esterno 
ordinato,  ma  ordinare  il  mondo  interiore  caotico  del  fanciullo:  e  dopo 
ciò,  osservarlo  lungamente. 

Serva  d'esempio  la  seguente  osservazione  fatta  su  due  bambini 
tra  i  più  interessanti  che  frequentarono  le  nostre  scuole.  Essi  furono 
presentati  nella  scuola  delle  maestro  al  mio  ultim.o  Corso  Internazionale 
in    Roma. 

Aspetto  dei  due  bambini 

mentre  rimangono  come  soggetti  di  osservazione  antropologica, 

nella   sala   delle   lezioni   alle   maestre. 

l.a  scolaresca  di  persone  adulte  rumoreggia:  chi  fa  osservazioni, 
chi  ride.  Nel  mezzo  della  sala  c'è  un  paidometro.  Il  contegno  dei  due 


in.  -  IL   MIO   CONTRIBUTO   SPERIMENTALE  87 

bambini  è  press'a  poco  uguale.  Essi  stanno  da  un  lato  seduti  tranquilla- 
mente e  lavorano  con  dei  telai  di  allacciature  che  sono  andati  a  scegliersi 
nella  stanza  vicina  spontaneamente:  non  alzano  la  testa  al  rumore, 
non  prendono  parte  alle  risa.  La  loro  attitudine  è  di  chi  «  lavora  e  non 
perde  tempo  ».  Chiamati  a  misurarsi  con  un  solo  cenno,  essi  obbedi- 
scono meravigliosamente:  lasciano  subito  il  lavoro  e  si  muovono  come 
affascinati,  ridenti:  essi  provano  evidentemente  piacere  nell'obbe- 
dienza, per  un  fascino  interno  che  viene  dalla  coscienza  di  saper  lavorare, 
0  di  esser  pronti  a  lasciare  ciò  che  piace,  ad  una  chiamata  superiore. 
Si  dispongono  da  sé  con  esattezza  sul  paidometro  per  farsi  misurare: 
se  alcun  perfezionamento  è  necessario  in  qualche  particolare  della  po- 
sizione del  corpo,  basta  mormorare  una  parola  al  loro  orecchio  ed  ecco 
l'impercettibile  mossa  necessaria,  perfettamente  eseguita:  essi  posseg- 
gono i  loro  movimenti  volontari  e  li  possono  dirigere:  hanno  la  possi- 
bilità di  tradurre  in  atto  le  parole  udite:  per  questo  possono  obbedire:  e 
ciò  forma  per  loro  una  conquista  interiore  affascinante.  Quando  era 
finita  la  misura,  nessuno  diceva  niente:  essi  restavano  un  momento 
in  aspettazione,  poi  lanciavano  un'occhiata  intelligente  e  un  sorriso, 
che  era  come  il  loro  saluto:  hanno  capito  e  tornano  spontaneamente 
nel  loro  angolo  a  riprendere  i  telai  e  a  rimettersi  al  lavoro.  Poco  dopo 
è  ancora  necessaria  la  loro  presenza  e  si  ripete  il  fatto  medesimo. 

Se  pensiamo  che  bambini  di  quella  età  (circa  quattro  anni  e  mezzo) 
lasciati  a  sé,  camminano  rovesciando  gli  oggetti  quasi  senza  accorger- 
sene e  hanno  bisogno  di  qualcuno  che  si  faccia  vittima  del  loro  ca- 
priccio o  che  cerchi  brutalmente  di  domare  il  loro  disordine,  dovremo 
riconoscere  il  perfezionamento  interiore  compiutosi  nei  due  piccoli 
bambini,  che  hanno  raggiunto  lo  stadio  di  sviluppo  ove  il  lavoro  é  di- 
v(>nuto  un'attitudine,  e  la  obbedienza  una  conquista  affascinante. 

Le  misure  antropometriche  avevano  dimostrato  che  uno  dei  bam- 
bini, 0,  era  di  misure  normah  (peso,  statura,  altezza  del  busto)  e  l'altro, 
A ,  era  inferiore  alle  misure  normali. 

Ecco  alcune  note  fatte  dalla  maestra  sulla  condotta  di  questi 
due  bambini  quando  erano  nello  stato  di  disordine; 

0:  violento,  disturbatore,  fa  dispetti  ai  compagni,  non  si  applica 
mai,  ma  guarda  soltanto  ciò  che  fanno  gli  altri  e  poi  li  interrompe: 
o  assiste  alle  lezioni  individuali  della  maestra  con  un'aria  canzona- 


88  PARTE    l'KlMA 

tona  e  cinica.  II  padre  dice  che  il  bambino  a  casa  è  violento,  pre- 
potente e  intrattabile. 

.4."  è  tranquillo.  Ma  ha  fino  alla  manìa  il  difetto  di  fare  da  spia 
ai  compagni,  denunciando  alla  maestra  ogni  loro  più  piccolo  atto 
che  potrebbe  giudicarsi  errato  o  scorretto. 

Entrambi  i  bambini  sono  poverissimi.  0  è  pressoché  abbandonato 
dalla  sua  famigha. 

Giudizio  ulteriore  che  la  maestra  ha  potuto  farsi  dei  due  bambini 
dopo  che  si  sono  ordinati  col  lavoro: 

0:  tutte  le  violenze  di  0  in  casa  si  riducevano  alla  conquista  del 
pane:  il  padre,  molto  povero,  ma  anche  trascurato,  negava  il  pane 
ed  bambino:  questi  non  si  rassegnava,  non  piangeva,  ma  lottava 
costantemente,  con  tutti  i  mezzi  di  cui  poteva  disporre,  fino  a  otte- 
nere il  suo  pane.  La  maestra  avendo  chiesto  al  padre  perchè  negava 
il  pane,  ebbe  in  risposta:  «  perchè  poi,  quando  ne  ha  mangiato,  ne 
chiede  ancora  ». 

In  iscuola,  egli  corre  da  compagno  a  compagno,  da  lezione  a 
lezione,  disturbando  e  passando  sopra  a  tutto,  perchè  sta  conquistando 
con  le  stesse  attitudini  il  suo  pane  spirituale. 

Egli  è  un  fanciullo  che  vuole  prepotentemente  vivere:  la  difesa 
della  propria  vita  sembra  il  suo  carattere  prevalente. 

Quando  la  vita  è  salva,  il  bambino  diventa  non  soltanto  mite, 
ma  di  una  singolare  dolcezza  e  delicatezza  di  sentimenti.  Egli  è  quel 
bambino  che,  nella  gioia  del  lavoro  appreso  e  compiuto,  guarda  intorno 
teneramente  i  compagni  e  manda  loro  piccoli  baci  con  le  dita.  Mentre 
per  gli  altri  bambini  entrati  nell'ordine  la  nota  della  maestra  è  «  la- 
voro )),  per  0  la  nota  è:  «  lavoro  e  bontà  ». 

Quando  ancora  non  si  era  organizzata  la  refezione  calda,  i  bam- 
bini portavano  colazioni  assai  diverse;  due  o  tre  bambini  erano  abba- 
stanza agiati  e  a\evano  carne,  frutta,  ecc.  0,  sedeva  accanto  a  uno 
di  questi.  La  tavola  era  apparecchiata  e  0  non  poteva  mettere  sul 
piatta  altro  che  il  suo  pezzo  di  pane  conquistato  con  la  lotta:  egli  guar- 
dava il  vicino  come  per  regolarsi  sul  tempo  che  metteva  a  mangiare, 
senza  sguardi  di  desiderio:  al  contrario  con  grande  dignità  cercava  di 
mangiare  lentamente  il  pezzo  di  pane,  per  non  finire  prima  e  dare  così 


IL    MIO   CONTRIBUTO    SPERIMENTALE 


la  prova  di  stare  senza   mangiare   mentre   l'altro   ancora   mangiava. 
Egli  sbocconcellava  il  pane  con  lentezza  e  serietà. 

Questo  senso  della  propria  dignità  —  sovrastante  i  desideri  della 
gola  pur  tentata!  —  esisteva  nel  bambino  insieme  alla  sensazione 
dei  bisogni  fondamentali  della  propria  vita,  per  cui  era  spinto  a  lot- 
tare e  a  conquistare  il  «  necessario  ».  Era  pur  questa  squisita  sensibi- 
lità, che  si  manifestava  poi  nell'espressione  affettiva  del  suo  volto  com- 
mosso e  nelle  espansioni  di  tenerezza  universale  che  non  attendevano 
ricambio. 

La  cosa  impressionante  è  che  questo  bambino,  il  quale  avrebbe 
potuto  essere  denutrito,  aveva  le  misure  antropologiche,  compreso  il 
peso,  normali.  Egli,  nato  nella  povertà  e  nell'abbandono,  aveva  difeso 
se  stesso:  la  normalità  del  suo  corpo  era  dovuta  a  uno  sforzo  eroico. 

A:  il  bambino  si  è  mostrato  sempre  tranquillo:  entrò  presto  nel- 
l'ordine attivo  del  lavoro  voluto  e  compiuto.  Egli  si  applicava  con 
intensa  attenzione  e  costanza.  Sarebbe  il  tipo  del  bambino  buono  e 
bravo  delle  comuni  scuole.  Spesso  si  presentava  a  scuola  senza  pane. 
La  sua  bontà  aveva  un  lato  passivo  che  diventava  un  pericolo  mortale 
per  il  bambino:  egli  passava  attraverso  la  denutrizione  senza  reagire; 
egli  usufruiva  largamente  dei  mezzi  di  vita  psichica  che  gli  erano 
offerti,  ma  non  li  avrebbe  saputi  conquistare.  La  sua  bontà  rimase 
deUo  stesso  tipo,  prima  e  dopo  l'ordine;  non  aveva  commozioni 
né  espansioni.  Le  misure  antropologiche,  inferiori  alla  norma,  deno- 
tavano già  che  il  bambino  camminava  nella  vita  col  passo  della 
vittima:  ed  entrava  nella  schiera  di  coloro  che  «  devono  essere  salvati 
dagli  altri  ». 

La  nota  morale  caratteristica  era  lo  «  spionaggio  «.  La  maestra 
osservandolo  rilevò  che  il  bambino  non  lavorava  semplicemente  come 
gli  altri,  ma  spesso  ricorreva  a  lei  per  sapere  se  ciò  che  stava  facendo, 
era  fatto  bene  o  male.  E  ciò  non  solo  per  i  lavori  col  materiale,  ma 
anche  per  ogni  atto  di  indole  morale  che  egli  fosse  per  compiere:  la 
sua  preoccupazione  sembrava  quella  di  sapere  se  faceva  berte  o  male. 
Poi,  con  una  cura  minuziosa,  cercava  di  fare  bene.  Riguardo  allo  spio- 
naggio, la  maestra  notò  come  il  bambino  non  mostrasse  alcuna  animo- 
sità contro  i  compagni;  li  osservava  con  attenzione,  e  poi  andava  da  lei 
dicendo  di  loro  come  diceva  di  se  stesso:  il  tale  ha  fatto  questo:  è  bene 


L 


QO  PARTE    PRIMA 

o  male?  Il  bambino  cercava  pnì  di  evitare  ciò  che  net^'li  altri  era  stato 
tiiudicato  «  male  ». 

Quello  che  appariva  uno  spionaggio,  era  la  manifestazione  del 
problema  che  domina\a  la  coscienza  infantile:  il  problema  del  bene 
e  del  male.  Non  bastava  a  lui  la  scarsa  esperienza  della  propria  vita, 
voleva  usufruire  dell'esperienza  di  tutti  gli  altri  per  sapere  che  cosa 
fosse  bene  e  che  cosa  fosse  male:  quasi  che  nella  sua  natura  fare  il 
bene  e  fuggire  il  male  fosse  l'unica  sensibilità  e  stesse  per  divenire 
l'unica  aspirazione. 

Il  caso  di  questo  bambino  fa  pensare  a  un  pregiudizio  popolare 
che  dice:  «la  tal  persona  era  troppo  buona,  non  poteva  vivere  n.  Il 
bambino  A,  sembrava  chiamato  a  tal  destino.  I  bisogni  del  corpo 
sfuggivano,  quelli  della  vita  intellettuale  erano  indifferenti:  la  bontà 
sola  rimaneva  come  spinta  della  sua  vita.  E  allora,  se  la  società  non  se 
ne  accorge  e  non  assume  essa  una  speciale  protezione  della  vita  fragile 
di  tali  bambini,  essi  avanzano  verso  la  morte  prematura  come  angeli 
che  guardino  il  cielo. 

Queste  due  storie,  dovute  all'osservazione  della  signorina  Macche- 
roni, traducono  un  giudizio  superficiale  che  sarebbe  potuto  restare 
permanente  in  una  scuola  comune:  violento  e  spia. 

Se  noi  chiamiamo  scienza  ciò  che  condusse  a  far  tradurre  quelle 
parole  in  eroe  e  angelo  e  a  far  commuover  tanti  cuori  accanto  a  quei 
due  bambini  quando  essi  furono  compresi  a  traverso  la  loro  meravi- 
gliosa educatrice,  possiamo  stabilire  che  «  il  giudizio  amorevole  è  giu- 
dizio sapiente  ».  La  misericordia  di  Cristo  nel  giudicare  vi  apparisce 
illustrata. 


Il  «  fatto  psichico  » ,  dunque,  parte  da  un  principio  il  quale  si  po- 
trebbe tradurre  così:  «  che  il  bambino  viva  ».  Tutto  il  resto  viene  da  sé. 

Questo  fatto  di  vita  fondamentale  si  manifesta  come  una  polariz- 
zazione %lla  personalità  interiore:  quasi  un  punto  di  cristallizzazione, 
intorno  al  quale,  purché  ci  sia  materia  omogenea,  e  ambiente  indistur- 
bato, si  compone  la  forma  definitiva. 

Tale  fatto  iniziale  è  un  la\'oro  ripetuto  con  una  speciale  intensità 
di  attenzione. 


III.  -  IL    MIO    CONTRIBUTO    SPERIMENTALE  QI 

Nella  mia  «  carta  biografica  «  io  non  do  perciò  un  lungo  formu- 
lario di  studi  analitici,  ma  do  una  «  guida  alle  osservazioni  psicologiche  » 
fondata  sulla  concezione  sintetica  che  ho  cercato  d'illustrare.  Chi  non 
è  iniziato  a  questo  metodo  di  osservazione  non  ha  alcuna  luce  da  tale 
guida,  la  quale  è  completamente  fuori  dai  concetti  di  studio  psicolo- 
gico che  esistono  oggi  in  rapporto  all'osservazione  degU  scolari.  Ma  chi 
vi  è  iniziato,  la  comprende  senza  bisogno  d'illustrazione. 

Le  maestre  hanno  anche  un  linguaggio  nel  quale  s'intendono  tra 
loro  senza  usare  i  termini  comuni,  che  sono  impropri  a  dare  l'idea 
esatta  dei  fatti  ch'esse  vedono  svolgersi.  Così  esse  non  dicono  mai:  il 
bambino  sviluppa,  oppure  progredisce,  oppure  è  buono  o  cattivo,  ecc. 
Ma  il  termine  unico  è  questo:  il  bambino  si  ordina,  o  non  si  ordina.  È 
l'ordine  interiore  che  esse  attendono;  e  su  questo  principio  di  essere  o 
non  essere,  si  fonda  il  tutto  o  il  nulla. 

Ciò  fa  pensare  a  un  concetto  più  profondo  della  «  crescenza  ». 
Dire  che  un  essere  vivo  cresce  è  cosa  molto  superficiale,  poiché  egli 
cresce,  sì,  ma  sul  fatto  che  si  fece  internamente  un  ordine. 

Quando  per  esempio  l'embrione  di  un  animale  si  forma,  cresce;  ma 
chi  l'avesse  osservato  internamente  sarebbe  stato  colpito  da  un  fatto 
ben  più  meraviglioso  dell'»  accrescimento  »  esterno.  All'interno  sta  av- 
venendo un  aggruppamento  mirabile  delle  cellule:  alcune  formano  un 
foglietto  che  si  ripiega  e  fa  l'intestino,  altre  si  dividono  per  formare  il  si- 
stema nervoso,  un  gruppetto  si  distingue  e  si  specializza  a  far  il  fegato, 
e  così  sempre  più  prosegue  un  ordinarsi  delle  parti,  e  un  distinguersi  mi- 
nuzioso di  ogni  particolare  disposizione  delle  cellule.  È  sulla  possibilità 
che  ha  questo  ordine  di  stabilirsi,  che  poggeranno  poi  le  funzioni. 

La  cosa  importante  non  è  che  l'embrione  cresca;  è  che  si  ordini. 
E  per  l'ordine  e  con  l'ordine  che  viene  la  «  crescenza  »  e  insieme  la 
possibilità  di  vivere.  Un  embrione,  pur  cresciuto,  ma  che  non  ha  bene 
ordinato  le  parti  interne,  non  è  vitale.  Non  certo  l'impulso  stesso,  ma 
il  mistero  della  vita,  è  lì.  La  condizione  fondamentale  perchè  una  vita 
che  ebbe  l'impulso  ad  esistere,  conduca  a  realizzare  l'essere  vitale,  sta 
tutta  nell'ordine  interiore  raggiunto.         ^k^..^.)."' 

Ora  l'insieme  dei  fenomeni  che  sono  accennati  nella  «  Guida 
alle  osservazioni  psicologiche»,  rappresenta  appunto  !'«  ordinarsi» 
interiore  del  bambino. 


92  PARTE    PRIMA 

Guida  alle  osservazioni   psicologiche.  -   Lavoro.   —  Notare 
quando  un  bambino  comincia  a  restare  costantemente  a  un  lavoro. 

Quale  lavoro  e  quanto  tempo  vi  persiste  (lentezza  nel  portarlo  a 
termine  o  ripetizione  dello  stesso  esercizio).  -;, 

Particolarità  individuali  nell 'applicarsi  ai  singoli  lavori. 

A  quali  lavori  successivamente  si  applica  nello  stesso  giorno  e 
con  quale  costanza. 

Se  ha  periodi  di  laboriosità  spontanea  e  per  quanti  giorni. 

Come  manifesta  il  bisogno  di  progredire. 

Quali  la\ori  sceglie  nella  loro  progressione,  rimanendovi  con  per- 
sistenza. 

Persistenza  malgrado  stimoli   che  nell'ambiente  tenderebbero   a 
distrarre  la  sua  attenzione. 

Se  avviene  che  dopo  una  distrazione  forzata  riprenda  un  lavoro 
che  gli  fu  fatto  interrompere. 

Condotta.  —  Notare   lo   stato  di  ordine  e  di  disordine  negli  atti 
del  bambino. 

Suoi  atti  disordinati. 

Notare  se  ci  sono  cambiamenti  della  condotta  durante  lo  svolgersi 
dei  fenomeni  del  lavoro. 

Notare  se  nello  stabilirsi  dell'ordine  degli  atti  ci  sono: 
crisi  di  gioia, 
stati  di  serenità, 
manifestazioni  di  affettività. 

Parte  che  i  bambini  prendono  allo  sviluppo  dei  compagni. 

Obbedienza.  —  Notare   se    il     bambino   corrisponde    agl'inviti 
quando  è  chiamato.  '' 

Notare  se  e  quando    il  bambino    comincia    a    prender    parte   ai 
lavori  altrui  con  intelligente  sforzo. 

Notare  lo  stabilirsi  dell'obbedienza  alle  chiamate. 

Notare  lo  stabilirsi  dell'obbedienza  ai  comandi. 

Notare  quando  il  bambino  manifesta  l'obbedienza  con  desiderio 
e  gioia. 

Notare  i  rapporti  del  vari  fenomeni  dell'obbedienza  nei  suoi  gradi: 

a)  con  lo  sviluppo  del  lavoro; 

b)  coi  cambiamenti  della  condotta. 


IV. 
La  preparazione  della  maestra 


La  possibilità  di  osserv^are  come  fenomeni  naturali  e'  come  rea- 
zioni sperimentali  lo  svolgersi  della  vita  psichica  del  bambino,  tra- 
sforma la  scuola  stessa  in  azione,  in  una  specie  di  gabinetto  scientifico 
per  lo  studio  psicogenetico  dell'uomo.  Essa  —  forse  in  un  prossimo 
avvenire  —  sarà  per  eccellenza  il  campo  sperimentale  degli  psicologi. 
Preparare  una  simile  scuola  in  modo  perfetto,  è  perciò  non  soltanto 
preparare  «  un  miglior  modo  di  educare  i  bambini  »,  ma  anche  pre- 
parare i  materiali  per  una  scienza  rinnovata.  Tutti  sappiamo  oggi 
che  per  i  naturalisti  occorre,  nei  gabinetti  scientifici,  un'organizza- 
zione tendente  a  preparare  i  materiali  d'osservazione.  Per  osservare 
una  semplice  cellula  in  movimento,  bisogna  avere  dei  vetrini  inca- 
vati per  la  goccia  pendente;  bisogna  avere  pronte  delle  «  soluzioni 
fresche  »  ove  le  cellule  viventi,  immerse,  possano  continuare  a  vivere; 
bisogna  aver  pronti  terreni  di  cultura,  ecc.  Per  tutto  ciò  esistono 
impieghi  speciali,  queUi  dei  cosidetti  «  preparatori  »,  i  quali  non  sono 
gli  assistenti  o  gli  aiuti  del  professore,  ma  degli  impiegati  che  un 
tempo  furono  servi  superiori,  poi  divennero  operai  elevati;  oggi 
infine  sono  quasi  sempre  essi  stessi  dei  dottori  laureati.  Infatti  il  loro 
compito  è  delicatissimo:  essi  debbono  avere  delle  nozioni  biologiche, 
delle  nozioni  fisiche  e  chimiche,  e  tanto  più  sono  «preparati»  da  una 
cultura  analoga  a  quella  degli  stessi  ricercatori,  tanto  più  si  fa  rapido 
e  sicuro  il  cammino  della  scienza. 

È  strano  pensare  che,  tra  i  tanti  gabinetti  naturalistici,  solo 
quello  di  «  psicologia  sperimentale  »  abbia   creduto  di  poter  '.(  fare  a 


q4  IWKTE    PRIMA 

inolio  "  d'una  organizzazione  per  preparare  i  soggetti  di  osservaziono. 
Se  oggi  si  dicesse  a  uno  psicologo  di  istituire  l'impiego  del  «prepara- 
tore »,  egli  intenderebbe  un  preparatore  degli  «  istrunienti  »,  e  si  porrebbe 
così  press'a  poco  sul  tipo  dei  gabinetti  di  y?s/r:/. 

Ma  il  fatto  di  preparare  l'essere  vi\-ente  che  produce  il  fenom(>no 
non  penetrerebbe:  e  pure  se  solo  per  osservare  una  cellula,  un  microbo 
\ivente,  il  naturalista  ha  bisogno  del  '(preparatore  ).,  quanto  più  grande 
dovrebbe  essere  tale  necessità    quando  si  tratti  di  osservare  l'uomo! 

Gli  psicologi  credono  di  preparare  i  «  soggetti  »  preparando  con 
una  parola  l'attesa,  la  loro  attenzione  e  spiegando  loro  come  devono 
procedere  per  corrispondere  all'esperimento:  una  persona  qualunque, 
anche  sconosciuta,  che  capiti  per  caso  nel  gabinetto,  è  buona  a  tale 
scopo.  Infine,  lo  psicologo  oggi  procede  un  po'  come  il  bambino  che 
acchiappa  a  volo  una  farfalla,  l'osserva  un  attimo  e  la  lascia  poi  volar 
via:  non  come  il  biologo  che  pro\vede  a  organizzare  le  sue  prepara- 
zioni in  un  gabinetto  scientifico. 

Invece  dal  quadro  psicologico  di  sviluppo,  sia  pure  incompleto, 
che  ci  si  è  presentato  nel  nostro  esperimento,  si  dimostra  la  delicatezza 
che  occorre  nel  presentare  al  bambim;  i  mezzi  di  sviluppo,  e  sopratutto 
nel  rispettare  la  sua  libertà,  condizioni  necessarie  perchè  i  fenomeni 
psichici  si  rivelino  e  possano  costituire  un  \ero  «  materiale  di  osser- 
vazione »:  e  ciò  comporta  un  ambiente  speciale  e  una  preparazione 
di  personale  pratico,  che  formano  un  insieme  infinitamente  superiore 
in  complessità  e  in  organizzazione  ai  gabinetti  naturalistici  com.uni. 
Tale  gabinetto  non  può  essere  altro  che  la  più  perfetta  scuola  tenuta 
con  metodi  scientifici;  ove  la  maestra  sarebbe  una  persona  parallela 
a  quella  del  «  preparatore  laureato  >.  ^  .,  '     • 

Certamente  non  tutte  le  scuole  inrebbero  tale  significato^ altissimo 
di  scienza.  Ma  è  indubbio  che  le  scuole  e  le  maestre  dovranno  orien- 
tarsi tutte  sulla  via  delle  scienze  sperimentali.  La  salvezza  psichica 
dei  bambini  si  basa  sui  mezzi  e  sulla  libertà  di  vivere:  e  ciò  deve  di- 
ventare un  altro  dei  «  diritti  alla  vita  »  riconosciuto  alle  nuove  gene- 
razioni e  che  dovrà  sostituire  come  «  concetto  filosofico  e  sociale  » 
l'odierna  e  obbligatorietà  dell'istruzione  »,  che  pesa  insieme  sull'economia 
dello  Stato  e  sulle  forze  della  posterità.  Se  i  fenomeni  psichici  dei  bam- 
bini non  serviranno  nelle  comuni  scuole  a  impinguare  la  psicologia. 


b 


IV.  -  LA    PREPARAZIONE    DELLA    MAESTRA  95 

essi  saranno  fine  a  se  stessi,  come  è  fine  a  se  stessa  la  bellezza  della 
natiira.     ^^ 

Non  certo  a  servizio  di  una  scienza  dovrà  nascere  la  nuova  scuola, 
ma  a  servizio  dell'umanità  vivente:  e  le  maestre  potranno  godere 
nella  contemplazione  di  vite  svolgentisi  sotto  ai  loro  occhi,  senza 
farne  parte  alla  scienza,  chiuse  in  un  santo  egoismo,  che  eleverà  il 
loro  spirito,  come  fa  ogni  contatto  intimo  con  le  anime. 

È  indubbio  che  la  preparazione  della  maestra  deve  essere  fatta 
ex  novo  con  questo  metodo  di  educazione,  e  che  la  personalità  dell'edu- 
catrice e  la  sua  importanza  sociale  dovranno  uscirne  trasformate. 

Già  nelle  prime  prove  disorganizzate  che  ebbero  luogo  fino  ad 
oggi,  si  è  venuto  delineando  un  imovo  tipo  di  maestra:  invece  della 
parola,  essa  deve  imparare  il  silenzio;  invece  d'insegnare,  deve  osser- 
vare; invece  della  dignità  orgogliosa  di  chi  voleva  apparire  infallibile, 
ella  assume  una  veste  di  umiltà. 


Non  altrimenti  avvenne  la  trasformazione  del  professore  univer- 
sitario, quando  le  scienze  positive  fecero  il  loro  ingresso  nel  mondo. 
Che  differenza  tra  i  dignitosi  professori  antichi,  ricoperti  della  tojtja 
spesso  guarnita  d'ermellino,  seduti  su  cattedre  alte  come  troni,  i  quali 
parlavano  con  un  verbo  sì  autorevole,  che  la  scolaresca  doveva  non 
solo  credere,  ma  giurare  in  verba  magistri.  E  i  professori  di  oggi, 
che  lasciano  il  posto  in  alto  agli  studenti  affinchè  possano  vedere, 
e  riserbano  solo  a  sé  stessi  il  basso,  sul  nudo  pavimento:  e  mentre  gli 
studenti  stanno  seduti,  solo  il  professore  è  in  piedi,  spesso  coperto 
d'un  camiciotto  di  tela  grigia  come  un  operaio. 

Gli  studenti  sanno  ch'essi  raggiungeranno  il  più  alto  progresso, 
quando  saranno  in  grado  di  poter  «  verificare  »  se  ciò  che  il  professore 
spiega  è  vero,  o,  ancor  più,  di  poter  continuare  a  far  progredire  la 
scienza  mettendo  anche  il  proprio  nome  tra  quelli  citati  come  suoi 
contributori  o  come  scopritori  di  nuove  verità. 

In  queste  scuole,  invece  della  dignità  e  della  gerarchia,  impera 
perciò  l'interesse  di  vedere  il  fenomeno  chimico  o  fisico  o  naturale 
che  si  deve  produrre;  e  innanzi  a  questo  tutto  il  resto  sparisce.  Anche 


Cfb  FAKTt.    l'KIMA 

la  disposizione  dell'aula  è  sottoposta  allo  stesso  motivo:  se  il  fenomeno 
richiede  luce,  essa  ha  delle  intiere  pareti  di  cristallo;  se  richiede  il 
buio  è  costruita  in  modo  che  sia  possibile  ridurla  in  camera  nera.  Che 
si  produca  il  fatto:  ciò  è  importante;  sia  poi  un  cattivò  odore  o  un  pro- 
fumo; una  scintilla  elettrica  o  i  colori  dei  tubi  di  Geissle;  una  risonanza 
coi  risuonatori  di  Helmholtz.o  la  disposizione  geometrica  del  pulviscolo 
su  una  lastra  metallica  in  vibrazione:  la  forma  di  una  foglia  oil  muscolo 
di  una  rana  in  contrazione;  la  ricerca  del  punto  cieco  dell'occhio  o  il 
ritmo  della  pulsazione  del  cuore:  tutto  è  indifferente  e  tutto  è  incluso: 
l'ansiosa  ricerca  appassionante  è  la  ricerca  della  verità.  Questo  è 
che  la  nuova  gioventù  pretende  dalla  scienza.  Non  cerca  l'arte  oratoria 
del  professore,  il  bel  gesto,  la  barzelletta  che  alleggerisca  il  peso  del 
discorso,  la  chiusa  rianimatrice  della  elaborata  conclone,  e  tutti  quegli 
espedienti  che  un'arte  speciale  svolgeva  un  tempo,  per  allacciare  la 
sua  attenzione.  Piìi  che  attenzione  è  passione  oramai  che  anima  i 
giovani,  i  quali  uscendo  dalle  aule  universitarie  spesso  non  rammen- 
tano ne  la  voce  ne  l'aspetto  del  loro  professore. 

Non  per  questo  si  vien  meno  al  rispetto  e  a.ìl'amore  verso  il  maestro. 
Soltanto  la  venerazione  che  uno  studente  sente  oggi  dentro  al  suo  cuore 
per  quel  grande  scienziato  e  benefattore  dell'umanità,  che  gli  sta  là 
dinanzi  in  blouse  di  tela  e  in  umile  aspetto,  è  diversa  dal  timore  un 
po'  misto  di  ridicolo,  che  incutevano  un  tempo  la  toga  e  la  parrucca. 

Su  questa  via  deve  procedere  oggi  la  trasformazione  della  scuola  e 
della  maestra. 

Quando  in  iscuola  un  fatto  fondamentale  è  centro  di  tutto,  e 
questo  fatto  è  un  fenomeno  naturale,  la  scuola  è  avviata  sulle  ormo 
della  scienza.  Allora  la  maestra  deve  assumere  quelle  «  attitudini  >. 
che  sono  necessarie  innanzi  alla  scienza. 

Nei  suoi  cultori  ci  sono  dei  «  caratteri  «  indipendenti  dal  conte- 
nuto del  pensiero:  infatti  i  fisici,  i  chimici  come  gli  astronomi,  i  bo- 
tanici come  gli  zoologi,  pur  avendo  un  contenuto  di  conoscenza  del 
tutto  diverso,  sono  però  tutti  cultori  di  scienze  positive;  ed  hanno 
caratteri  -comuni  che  li  differenziano  dagli  antichi  metafisici.  Questi 
non  sono  collegati  col  contenuto,  ma  col  metodo  delle  scienze.  Se  dunque 
la  pedagogia  deve  entrare  tra  le  scienze,  il  metodo  deve  caratteriz- 
zarla; e  col  metodo  non  col  contenuto  deve  prepararsi  la  maestra. 


IV.  -  LA   PREPARAZIONE    DELLA   MAESTRA  97 

Infine  essa  più  che  da  una  cultura,  deve  essere  distinta  da  qualità. 

La  qualità  fondamentale  è  quella  di  sapere  «  osservare  »,  qualità 
tanto  importante,  che  le  scienze  positive  si  chiamarono  anche  «  scienze 
di  osservazione  »,  denominazione  che  si  è  cambiata  in  «  scienze  speri- 
mentali »  per  quelle  in  cui  all'osservazione  può  unirsi  l'esperimento. 
Per  osservare,  evidentemente,  non  basta  avere  i  sensi  e  non  basta 
avere  una  conoscenza:  è  un'attitudine  che  bisogna  sviluppare  con  Y eser- 
cizio. Quando  si  vogliono  far  osservare  ai  profani  i  particolari  di  una 
stella  a  traverso  il  telescopio  o  i  particolari  di  una  cellula  a  traverso 
il  microscopio,  per  quanto  si  cerchi  di  spiegare  a  voce  ciò  che  si  «  deve 
\edere  »,  il  profano  non  vede.  Quando  delle  persone,  convinte  della 
grande  scoperta  di  De  Vries,  vanno  al  suo  laboratorio  per  vedere  le 
mutazioni  nelle  varie  pianticelle  della  Aenothera,  spesso  invano  il 
De  Vries  spiega  le  differenze  minime  ma  essenziali,  ma  denotanti 
nuove  specie,  tra  le  piantine  appena  germinanti.  Si  sa  che  per  spiegare 
\ma  nuova  scoperta  a  un  pubblico,  occorre  esporgli  i  fatti  più  grosso- 
lani; esso  non  potrà  gustare  quei  dettagli  minimi  che  furono  la  vera 
essenza  della  scoperta.  Perchè  non  sa  osservare. 

Per  osservare  bisogna  essere  «  iniziati  «:  e  questo  è  il  vero  avvia- 
mento alla  scienza.  Perchè  se  i  fenomeni  non  si  vedono  è  come  se  non 
esistessero:  invece  l'anima  dello  scienziato  è  tutta  fatta  di  un  appassio- 
nato interesse  a  ciò  che  vede.  Chi  si  è  iniziato  a  vedere,  comincia 
ad  interessarsi  :  e  tale  interesse  è  la  forza  motrice  che  crea  lo  spirito 
dello  scienziato.  Come  pel  piccolo  bambino  l'interiore  ordinarsi  è  il 
punto  di  cristallizzazione  intorno  al  quale  tutta  la  forma  psichica  verrà 
a  comporsi,  così  per  la  maestra  l'interesse  al  fenomeno  osservato,  sarà 
il  centro  sul  quale  si  formerà  da  sé  tutta  la  sua  personalità  nuova. 
La  qualità  di  osservazione,  include  in  sé  altre  qualità  minori, 
come  la  pazienza.  Rispetto  allo  scienziato,  il  profano  non  soltanto 
sembra  un  cieco  che  non  vede  né  a  occhio  nudo,  né  con  l'aiuto  di  lenti: 
ma  apparisce  come  una  persona  «  impaziente  ». 

Se  l'astronomo  non  ha  già  messo  a  fuoco  il  telescopio,  il  profano 
non  potrebbe  aspettare  che  lo  facesse;  mentre  lo  scienziato  lavore- 
rebbe a  tale  scopo  senza  neanche  più  accorgersi  che  sta  compiendo 
un  lavoro  lungo  e  paziente,  il  profano  fremerebbe  mille  volte,  pensando 
agitato:  «  che  cosa  sto  a  fare  io  qui?  non  posso  perdere  tempo  ».  I  mi- 


I 


qS  l'AKTE    l'KIMA 

oroscopisti,  quando  aspettano  un  pubblico  profano,  allestiscono  una 
lunga  fila  di  microscopi  già  messi  a  fuoco,  perchè  sanno  che  i  \isitatori 
\orranno  vedere  «  subito  »  e  «  in  fretta  »,  e  vorranno  vedere  «  molto  ". 

Si  può  benissimo  immaginare  uno  scienziato  che  dà  alti  contributi 
di  lavoro  di  gabinetto,  che  ha  cattedre,  dignità  civili,  incarichi  di  ogni 
sorta,  il  quale  compiacentemente  si  presti  a  far  vedere  a  una  signora 
un  tessuto  cellulare  al  microscopio.  Egli,  come  la  cosa  più  naturale 
del  mondo,  farebbe  con  grave  e  serena  lentezza  tutte  queste  cose:  ta- 
gliare una  sezione  finissima  da  un  pezzo  incluso  in  paraffina;  pulire 
accuratamente  il  vetrino  portaoggetto  e  il  vetrino  coprioggetto;  ri- 
pulire bene  le  lenti  del  microscopio,  mettere  a  fuoco  il  preparato  e 
accingersi  a  spiegare.  Ma  certo  la  signora  in  tutto  questo  tempo  mille 
\'olte  è  stata  sul  punto  di  dire:  «scusi,  professore,  ma,  veramente... 
ho  un  impegno...  ho  molto  da  fare...».  Quando  poi  ha  guardato  senza 
vedere,  il  suo  rimpianto  si  fa  acerbo:  ;■  quanto  tempo  ho  perduto!  « 
eppure,  essa,  non  ha  niente  da  fare  e  getta  via  tutto  il  suo  tempo.  Ciò 
che  manca  non  è  il  tempo,  è  la  pazienza.  Chi.  è  impaziente  non  sa  dare 
il  s-alore  alle  cose:  non  apprezza  altro  che  i  propri  impulsi  e  le  proprie 
soddisfazioni.  Il  «  tempo  »  è  contato  solo  sul  proprio  sforzo.  Ciò  che  sod- 
disfa può  essere  del  tutto  vuoto,  deprezzato,  di  valore  negativo,  ma 
non  importa,  il  valore  consiste  nella  soddisfazione  che  dà:  e  se  dà  sod- 
disfazione non  fa  perdere  tempo.  Ma  una  tensione  di  nervi,  un  istante 
di  predominio  sopra  di  sé,  il  mettersi  in  una  aspettazione  senza  risul- 
tato immediato,  ecco  ciò  che  non  si  può  tollerare  e  che  dà  l'impressione 
di  «  perdere  tempo  ».  Lo  dice  anche  un  proverbio  popolare:  «  aspettare 
e  non  venire  è  una  cosa  da  morire  ».  Queste  persone  impazienti  agi- 
scono come  persone  sempre  affaccendate,  che  fuggono  quando  c'è 
da  fare  qualche  cosa. 

E  proprio  una  vera  educazione  che  occorre  per  vincere  questo  stato; 
bisogna  padroneggiare  e  superare  se  stessi,  per  mettersi  in  rapporto 
col  mondo  esterno  e  apprezzarne  i  valori.  Senza  questa  preparazione, 
non  si  possono  mettere  in  valore  le  minime  cose  donde  la  scienza  trae 
le  sue  conclusioni. 

Sapersi  trattenere  con  tutta  l'esattezza  intorno  a  un  lavoro  che 
ha  uno  scopo  apparentemente  minimo,  è  proprio  un  caposaldo  per 
chi  vuole  avanzare  nella  scienza.   Guardiamo  che  cosa  fa  un   fisico 


I 


IV.  -  LA   PREPARAZIONE    DELLA   MAESTRA  gg 

per  mettere  a  livello  uno  strumento:  con  quanta  pazienza  gira  ora  una 
vite  ora  un'altra,  tenta  e  ritenta,  lungamente:  per  che  cosa?  per  pro- 
curare a  una  superficie  la  direzione  rigorosamente  orizzontale.  Sta- 
bilito il  metro  di  confronto  in  metallo  duro,  con  quale  cura  bisogna 
conservarlo  affinchè  le  oscillazioni  di  temperatura  non  ne  alterino 
la  lunghezza  sia  pure  in  grado  infinitesimo:  esso  sarà  il  termine  di  con- 
fronto per  le  misure.  E  pure,  in  sé,  che  cosa  minima!  conservare  un 
metro...  Quando  il  grande  chimico  vuol  cercare  se  tracce  di  una  so- 
stanza possano  dare  reazioni,  sembra  un  ragazzino  che  giochi  con  le 
boccette:  prende  un  matraccio,  lo  empie  delle  sostanze  che  vuole  stu- 
diare e  poi  lo  vuota:  quindi  lo  riempie  d'acqua  e  cerca  la  reazione: 
la  reazione  avviene;  allora  vuota  ancora  il  m.atraccio,  lo  riempie  nuo- 
vamente di  acqua,  e  riprova  se  c'è  ancora  reazione.  Così  stabilisce  in  che 
rapporto  di  diluizione  quella  sostanza  dà  tracce  di  sé.  È  il  minimo,  in 
questo  caso,  che  ha  importanza;  è  per  trovare  questo  minimo  imper- 
cettibile, trascurabile,  che  il  grand'uomo  ha  agito  come  un  bambino. 

Qiiest 'attitudine  di  umiltà  fa  parte  della  pazienza.  In  tutte  le 
cosl  lo  scienziato  è  umile:  dal  fatto  piìi 'esterno  di  essere  disceso  dalla 
cattedra-trono  per  mettersi  a  lavorare  in  piedi  intorno  a  un  tavolino; 
dall'essersi  levata  la  toga  per  indossare  la  Mouse  di  operaio;  dall'es- 
sersi  spogliato  della  dignità  di  chi  detta  un  vero  autoritario  e  inoppu- 
gnabile, per  assumere  lo  stato  di  chi  cerca  il  vero  insieme  agli  allievi  e 
invita  9  verificarlo,  affinchè  non  imparino  ima  dottrina,  ma  siano  spinti 
dal  vero  a  una  attività;  —  fino  ai  lavori  che  egli  compie  nei  laboratori. 
Egli  non  ritiene  nessuna  cosa  indegna  di  assorbire  completamente  le 
sue  forze,  di  richiamare  tutta  la  sua  attenzione,  di  occupare  intiera- 
mente il  suo  tempo.  Anche  ripieno  di  onori  sociali,  egli  rimane  nella 
stessa  attitudine,  che  è  per  lui  l'unico  vero  onore,  la  fonte  reale  della 
sua  grandezza.  Un  microbo,  uno  sputo;  qualunque  cosa,  può  occupare 
lo  scienziato,  sia  pure  egli  senatore  o  ministro  di  Stato.  L'esempio  di 
Cincinnato  è  nulla  vicino  allo  scienziato  moderno.  Anche  perchè  questi 
lavoratori,  incommensurabilmente  più  di  Cincinnato,  portano  gloria 
e  salvezza  ali 'umanità. 

Ma  la  forma  di  umiltà  più  grande,  negli  scienziati,  è  la  prontezza 
che  hanno  nel  rinunciare  a  se  stessi  non  solo  in  tutte  le  cose  esterne. 
ma  proprio  in   quelle   intime:   come   sarebbero   le   ideaHtà  carezzate, 


lOO  PAKTK    PRIMA 

i  convincimenti  germogliati  nella  loro  coscienza.  Innanzi  al  vero,  lo 
scienziato  non  ha  preconcetti,  ed  è  pronto  a  rinnegare  tutto  quanto 
aveva  potuto  formare  di  di\'erFO  in  se  stesso.  Così  è  che,  a  passo  a 
passo,  egli  si  purifica  dall'errore  e  mantiene  la  siia  mente  sempre 
fresca,  sempre  pura,  nuda  come  la  verità  con  cui  vuole  fondersi  in  un 
sublime  connubio. 

Non  è  forse  per  queste  ragioni,  che  oggi  un  pediatra  ha  una  di- 
gnità sociale  e  un'autorità  infinitamente  maggiori  di  un  maestro  di 
scuola?  eppure  il  pediatra  non  fa  altro  che  cercare  il  vero  tra  le  escre- 
zioni del  corpo  malato  del  bambino:  ma  il  maestro,  copre  di  errori  la 
sua  anima. 

Che  sarebbe  però  se  il  maestro  cercasse  il  vero  nell'anima  del 
fanciullo?  quale  incomparabile  dignità!  Ma  per  innalzarsi  a  tanto, 
bisogna  ch'egli  s'inizii  alle  vie  dell'umiltà,  della  rinuncia  di  sé,  della 
pazienza;  che  distrugga  la  superbia,  erigentesi  sul  vuoto  delle  vanità. 
Dopo,  anch'egli  potrà  rivestire  in  ispirito  lo  scienziato,  e  potrà  dire 
ai  popoli:  che  avete  visto  nelle  altre  vere  scienze?  avete  forse  visto 
delle  canne  al  vento?  delle  persone  vestite  delicatamente?  no,  avete 
visto  dei  profeti:  ma  io  sono  più  che  profeta,  io  sono  colui  che  grida 
nel  deserto:  raddrizzate  le  vie  del  Signore. 


Più  degli  altri  scienziati.  Poiché  questi  restano  sempre  estranei 
all'oggetto  del  loro  studio:  l'energia  elettrica,  l'energia  chimica,  la 
vita  dei  microbi,  gli  astri,  sono  cose  diverse  e  lontane  dallo  scienziato. 
Ma  l'oggetto  del  maestro  è  l'uomo  stesso:  egli  trae  qualcosa  più  che 
l'interesse  al  fenomeno,  dalle  manifestazioni  psichiche  dei  bambini: 
egli  trae  la  rivelazione  di  se  stesso,  e  il  suo  sentimento  vibra  a  con- 
tatto di  altre  anime  come  la  sua.  Tutta  la  vita,  non  parte  della  vita, 
può  essere  presa  in  lui.  Allora  quelle  virtù  come  Vumiltà  e  la  pazienza, 
che  sorgono  nello  scienziato  limitatamente  a  quegli  scopi  esterni  che 
si  prefigge,  possono  qui  coinvolgere  tutta  l'aninia.  Allora  non  si  tratta 
più  di  «  pazienza  dello  scienziato  »  o  di  «  umiltà  dello  scienziato  i),  ma 
di  virtù  dell'uomo  nella  loro  pienezza. 


IV.  -  LA    PREPARAZIONE    DELLA    MAESTRA  lOI 

Quell'espansione  spirituale  dell'uomo  di  scienza  ristretta  quasi 
in  un  tubo  come  i  raggi  di  luce  a  traverso  i  cilindri  del  telescopio, 
può  essere  qui  sparsa  sull'orizzonte  come  lo  sfolgorìo  del  sole.  I.e  così 
dette  virtù  sono  le  vie  necessarie,  i  modi  di  essere  per  raggiungere  la 
verità;  ma  secondo  che  questa  verità  cade  su  una  forza  fìsica,  sopra  un 
protozoo  o  sull'anima  dell'uomo  ben  diverso  deve  essere  il  godimento 
dello  scienziato.  Quel  nome  unico,  non  sembra  adatto  alle  due  forme. 
Subito  si  comprende  che  lo  scienziato  in  confronto  al  Maestro  deve 
essere  qualche  cosa  di  limitato  e  di  arido.  La  nobiltà  del  suo  spirito 
è  alta  come  l'uomo,  ma  con  le  dimensioni  di  una  forza  bruta,  o  di  una 
vita  inferiore. 

La  vita  spirituale  dell'uomo  si  può  fondere  con  le  virtù  dello 
scienziato,  solo  quando  l'oggetto  di  studio  e  lo  studioso  possono  venire 
fusi  insieme.  Allora  la  scienza  può  diventare  scaturigine  di  sapienza, 
e  può  accomunarsi  insieme  la  vera  scienza  positiva  con  la  vera  scienza 
dei  santi.  Esiste  un  reale  meccanismo  di  corrispondenza  tra  le  virtù 
dello  scienziato  e  le  virtù  dei  santi:  è  con  l'umiltà  e  la  pazienza  che  lo 
scienziato  si  mette  a  contatto  della  natura  materiale;  ed  è  con  l'umiltà 
e  la  pazienza  che  il  santo  si  mette  a  contatto  con  la  natura  spirituale 
delle  cose  e  perciò  principalmente  con  l'uomo.  Lo  scienziato  è  virtuoso 
solo  nei  limiti  dei  suoi  contatti  materiali:  il  santo  è  tutto  composto 
con  quelle  virtù,  e  i  suoi  sacrifici  come  i  suoi  godimenti,  sono  ugual- 
mente illimitati.  Le  scienziato  è  un  veggente  nei  limiti  del  suo  campo 
di  osservazione;  il  santo  è  un  veggente  spirituale,  ma  vede  anche  le 
cose  materiali  e  le  sue  leggi,  più  chiaramente  degli  altri  uomini,  e  le 
riveste  di  spirito. 

Lo  scienziato  moderno,  sa  che  è  mirabile  ogni  essere  vivente  e  che 
i  più  semplici  e  primitivi  rivelano  più  facilmente  le  leggi  naturali,  le  quali 
poi  aiutano  a  interpetrare  gli  esseri  più  complicati.  Ma  anche  S.  Fran- 
cesco lo  sa:  «  T'accosta,  o  sorella  —  egli  dice  alla  cicala  che  canta 
sul  fico  vicino  alla  finestretta  della  sua  cella  —  nelle  più  piccole  creature 
rivelasi  meglio  la  potenza  e  la  bontà  del  Creatore  ». 

Ogni  più  piccola  cosa  è  degna  di  osservazione  minuziosa  per  lo 
scienziato;  egh  conta  gli  articoli  che  compongono  le  zampe  di  un  insetto 
e  conosce  le  venature  delle  sue  ali  più  fragili:  trova  particolari  interes- 
santi la  dove  l'occhio  comune  nemmeno  si  sofferma.  Anche  S.  Francesco 


U)2  l'AKTE    PRIMA 

osserva  le  stesse  cose,  ma  rice\-e  un  sentimento  di  gioia  spirituale  (^  ne  fa 
un  inno:  «  Chi,  chi  mi  diede  questi  leggeri  pieducci  forniti  di  salde  ossidile 
pieghevoli,  per  saltellare  spedita  di  ramo  in  ramo,  di  frasca  in  frasca? 
Quegli  mi  diede  ancora  gli  occhi,  glohetti  cristallini  che  volgonsi  e  guar- 
dano innanzi  e  indietro,  per  ispiare  tutti  i  miei  nemici,  il  predace  nibbio, 
il  nero  corvo,  la  ghiotta  papera.  E  mi  diede  l'ale,  molle  tessuto  d'oro 
verde  azzurro,  che  riflette  il  colore  del  cielo  e  degli  alberi  miei  ». 

La  vege^enza  della  maestra  dovrebbe  essere  insieme  esatta  come 
quella  dello  scienziato  e  spirituale  come  quella  del  santo.  La  prepara- 
zione alla  scienza  e  la  preparazione  alla  santità,  dovrebbero  insieme 
plasmare  un'anima  nuova,  perchè  l'attitudine  della  maestra  deve  es- 
sere insieme  positiva,  scientifica  e  spirituale. 

Positiva  e  scientifica,  perchè  c'è  un  compito  esatto  da  compiere; 
e  con  rigore  di  osservazione,  bisogna  mettersi  in  rapporto  immediato 
con  la  verità;  bisogna  sfrondare  tutte  le  illusioni,  tutte  le  creazioni 
vane  della  fantasia:  distinguere  senza  errore  il  vero  dal  falso.  Appunto 
come  fa  lo  scienziato  che  apprezza  ogni  minima  particella  di  materia, 
ogni  iniziale  ed  embrionaria  forma  di  vita,  ma  elimina  tutti  gli  errori 
ottici,  tutte  le  confusioni  che  impurità  e  sostanze  estranee  potrebbero 
mettere  ne  la  ricerca  del  vero.  E  per  conquistare  tale  attitudine  è 
necessario  il  lungo  esercizio,  e  la  vasta  osservazione  della  vita  sulla  guida 
delle  scienze  biologiche. 

Spirituale,  perchè  è  sull'uomo  che  tali  sue  attitudini  devono  eser- 
citarsi, e  perchè  le  caratteristiche  della  creatura  che  deve  essere  il 
suo  particolare  oggetto  di  osservazione,  sono  spirituali. 

Io  inizierei  perciò  le  maestre  alla  osservazione  delle  forme  più 
semplici  degli  esseri  viventi,  con  tutti  quei  sussidi  che  la  scienza  in- 
segna; ne  farei  delle  microscopiste;  le  inizierei  alla  coltivazione  e  alla 
osservazione  delle  piante  nella  loro  fisiologia;  le  farei  osservatrici 
d'insetti,  le  farei  penetrare  nello  studio  delle  leggi  generali  biologiche. 
Ma  non  con  la  sola  teoria,  bensì  praticando  da  sé,  nei  gabinetti  e  in 
seno  alla  libera  natura. 

Né  da  questa  osservazione  complessa  dovrebbe  essere  escluso  il 
«  bambino  fisico  ».  Anzi  la  preparazione  piìi  diretta  e  immediata  a 
un  compito  superiore,  dovrebbe  essere  la  conoscenza  dei  bisogni  fisici 
del   bambino   dalla   nascita   all'età  in  cui   la   vita  psichica,  iniziando 


IV.  -  LA    PREPARAZIONE    DELLA    MAESTRA  IO3 


la  sua  organizzazione,  è  suscettibile  di  trattamento.  Io  non  intendo 
con  ciò  solo  un  insegnamento  teorico  di  anatomia,  fisiologica  e 
igiene;  ma  una  «  pratica  »  presso  i  piccoli  bambini,  tendente  a  se- 
guire direttamente  la  loro  crescenza  e  a  provvedere  a  tutti  i  loro 
bisogni  fisici.  La  maestra  dovrebbe  cioè  prepararsi  seguendo  i  me- 
todi delle  scienze  biologiche,  entrando  con  semplicità  e  obbiettività 
nel  campo  stesso  in  cui  s'iniziarono  gli  studenti  di  scienze  naturali 
e  di  medicina,  quando  fecero  le  prime  prove  nei  gabinetti  sperimentali, 
prima  di  addentrarsi  nei  più  profondi  problemi  della  vita  relativi  alle 
loro  specialità.  Anche  quei  giovani  destinati  nelle  nostre  Università  a 
penetrare  vaste  e  complesse  scienze,  dovettero  provare  in  principio  il 
pacifico  e  riposante  lavoro  di  preparare  un  infusorio  o  la  sezione  dello 
stelo  di  una  rosa,  sentendo  nascere,  nell'osservare  al  microscopio, 
quella  commozione  fatta  di  meraviglia,  che  sveglia  la  coscienza  e  l'at- 
trae verso  i  misteri  della  vita  con  appassionato  entusiasmo.  È  così 
che  tutti  noi,  abituati  fino  allora  a  leggere  nelle  scuole  solo  i  pesanti 
e  aridi  libri  stampati,  sentimmo  aprirsi  innanzi  al  nostro  spirito  il  libro 
della  natura,  infinito  nel  suo  contenuto  di  creazione  e  di  miracolo,  e 
rispondente  alle  nostre  latenti  e  incomprese  aspirazioni. 

Questo  deve  essere  anche  il  libro  della  nuova  maestra,  l'abbece- 
dario della  scuola  che  dovrà  plasmarla  alla  missione  di  dirigere  la 
vita  infantile.  Da  tale  preparazione  dovrebbe  nascere  nella  sua  co- 
scienza un  concetto  della  vita,  capace  di  «  trasformarla  »,  di  far  scaturire 
in  lei  una  particolare  «  attività  »,  un'«  attitudine  »  che  la  renda  abile 
per  la  sua  missione.  Essa  dovrebbe  diventare  «  una  forza  »  prox'viden- 
ziale,  una  «  forza  »  materna. 

Ma  tutto  ciò  non  è  che  una  parte  della  «  preparazione  ».  La  maestra 
non  deve  rimanere  così  alla  sogha  della  vita  come  fanno  gh  scienziati 
che  sono  destinati  a  osservare  le  piante  e  gli  animali  e  che  per  questo 
sono  soddisfatti  di  ciò  che  la  morfologia  e  la  fisiologia  possono  offrire. 
Il  suo  compito  non  è  neanche  di  rimanere,  come  i  pediatri,  innanzi 
«  al  corpo  alterato  nelle  sue  funzioni  »,  i  quali  si  soddisfano  della  pato- 
logia. Essa  deve  riconoscere  che  i  metodi  di  quelle  scienze  sono  limi- 
tati. Allorquando  pronuncerà  il  suo  «  introibo  ad  altare  Dei  »,  e  muoverà 
il  passo  su  quei  gradini  che,  nel  tempio  della  vita,  innalzano  verso  il 
tabernacolo  spirituale,  dovrà  elevare  i  suoi  occhi  verso  l'alto,  e  sentire 


104  PARTE    PRIMA 

che,  tra  il  greegt^  adorante  del  vasto  tempio  della  seienza,  ella  è  un  sa- 
cerdote. 

Più  vasto  e  grandioso,  deve  essere  il  suo  campo:  essa  va  ad  osser- 
\are  «  la  vita  interiore  dell'uomo  ».  Quell'arido  indirizzo  il  quale  si 
limita  alle  meraviglie  della  materia  vivente  non  basta  più:  tutti  i 
frutti  spirituali  della  storia  dell'umanità  e  della  religione  saranno 
i  frutti  necessari  a  nutrirla.  Le  manifestazioni  alte  dell'arte,  dell'amore, 
della  santità,  sono  le  manifestazioni  caratteristiche  di  quella  vita, 
ch'essa  non  solo  va  ad  osservare,  ma  a  ser\ire  e  che  è  la  «  propria 
vita  «;  non  qualcosa  di  estraneo  e  perciò  di  freddo,  di  arido;  ma  è  la 
vita  intima  ch'essa  ha  in  comune  con  tutti  di  uomini,  e  che  è  la  vera 
e  sola  vita  reale  dell'uomo. 

II  gabinetto  scientifico,  il  campo  naturale  ove  la  maestra  s'ini- 
zierà  a  «osservare  i  fenomeni  della  vita  interiore»,  devo  essere  la  scuola 
ove  si  svolgono  i  bambini  liberi  con  l'aiuto  del  materiale  di  sviluppo. 
Sarà  allorquando  essa  si  sentirà  infiammata  d'interesse  «  vedendo  » 
i  fenomeni  spirituali  dei  bambini,  e  proverà  una  gioia  serena  e  un  de- 
siderio insaziabile  nell 'osservarli,  che  dovrà  .sentirsi  «  iniziata  ». 

Fissa  allora  comincerà  a  diventare  «  maestra  ». 


V. 
L'ambiente 


Oltre  la  maestra,  anche  l'ambiente  scuola  deve  essere  trasformato. 
L'introduzione  del  «  materiale  di  sviluppo  »  in  una  scuola  comune, 
non  può  costituire  «  tutto  »  il  rinnovamento  esterno.  I.a  scuola  deve 
diventare  il  luogo  dove  il  bambino  può  vivere  nella  sua  libertà;  e 
la  sua  libertà  non  può  essere  soltanto  quella  intima,  spirituale,  della 
crescenza  interiore.  L'intiero  organismo  del  bambino,  dalla  sua  parte 
fisiologica  vegetativa  alla  sua  attività  motrice,  deve  trovarvi  le  «mi- 
gliori condizioni  di  sviluppo  ».  Ciò  include  tutto  quanto  già  l'igiene 
fisica  ha  trovato  per  aiutare  la  vita  infantile.  Nessun  luogo  sarebbe 
più  adatto  che  queste  scuole,  per  determinare  e  popolarizzare  la  riforma 
del  vestiario  dei  bambini,  il  quale  dovrebbe  corrispondere  a  varie  ne- 
cessità, come  quelle  della  pulizia,  della  semplicità  adatta  a  render 
facili  tutti  i  movimenti,  e  della  confezione  opportuna  a  permettere 
ai  bambini  di  vestirsi  da  sé.  Né  miglior  luogo  di  questo  per  attuare 
e  popolarizzare  l'igiene  infantile  relativa  all'alimentazione.  Convincere 
il  pubblico  dell'economia  che  può  realizzarsi  con  tali  pratiche;  dimo- 
strargli come  l'eleganza,  la  proprietà  in  sé  stesse  non  costino  nulla, 
e  che  anzi  esse  richiedono  la  semplicità,  la  misura,  e  perciò  escludono 
tutto  il  superfluo  che  é  tanto  costoso,  sarebbe  un'opera  di  rigenera- 
zione sociale. 

Questo  si  dica  specialmente  se  le  «  Case  dei  Bambini  «  si  trovano, 
come  fu  nel  periodo  iniziale,  dentro  il  casamento  stesso  ove  abitano 
i  genitori. 


I  locali  di  una  siimla  libera  devono  avere  delle  esigenze  speciali: 
l'igiene  psichica  viene  ^d  influire  su  essi  come  già  fe^e  l'igiene  fisica. 
Infatti  è  dietro  i  (Iettami  dell'igiene  fisica  che  oggi  le  scuole  si  fab- 
bricano con  aule  molto  più  vaste,  perchè  gli  ambienti  si  misurano 
su  la  «  cubatura  »  in  rapporto  ai  bisogni  fisiologici  della  respirazione:  e 
per  gli  stessi  dettami  che  furono  moltiplicati  i  gabinetti  e  anche  impian- 
taci dei  bagni;  per  questo  le  scuole  hanno  pavimenti  e  alti  zoccoli  delle 
pareti,  lavabili;  anche  è  per  l'igiene  che  si  e  già  introdotto  nelle  scuole 
il  riscaldamento  e  spesso  anche  la  refezione,  mentre  il  giardino  o  le 
>nste  terrazze  già  si  ritengono  una  necessità  per  garantire  il  benessere 
fisico  del  bambino.  Le  larghe  finestre  già  aprono  vaste  vie  alla  luce, 
e  furono  ovunque  impiantate  palestre  ginnastiche  con  locali  vastissimi 
e  con  istrumenti  varii,  complessi  e  costosi.  Infine  poi,  i  banchi  jtiù  com- 
plicati, taholta  vere  macchine  di  ferro  e  di  legno,  con  poggia  piedi, 
sediH,  e  scrittoi  meccanicamente  roteanti  sopra  se  stessi,  al  fine  di 
risparmiare  insieme  i  movimenti  del  bambino  e  le  deformazioni  dovute 
all'imnvìbilità,  sono  il  portato  economicamente  disastroso  di  un 
falso  principio  d'« igiene  scolastica».  Nelle  scuole  moderne  quell'uni- 
formità bianca,  la  lavabilità  di  ogni  oggetto,  denota  il  trionfo  di 
un'epoca  in  cui  la  lotta  contro  il  microbo  sembrò  l'unica  chiave  della 
vita  umana. 

L'igiene  psichica  si  presenta  oggi  alla  soglia  della  scuola,  coi 
suoi  nuovi  dettami,  che  non  sono  certo,  economicamente  più  gravi  di 
quelli  già  fatti  adottare  dal  primo  passo  trionfante  dell'igiene  fisica. 

Essa  pure  richiede  che  le  aule  scolastiche  siano  ingrandite,  ma  non 
in  rapporto  alla  respirazione,  perchè  il  riscaldamento  che  permette 
di  tenere  le  finestre  aperte,  distrugge  il  calcolo  sulle  cubature;  ma  chiede 
che  siano  ingrandite  in  rapporto  alla  libertà  che  deve  essere  lasciata 
al  bambino  di  «  muoversi  ».  Siccome  però,  non  è  nell'aula  che  il  fanciullo 
deve  fare  le  sue  passeggiate,  questo  ingrandimento  può  essere  sufficiente 
quando  lascia  la  possibilità  di  aggirarsi  tra  il  mobilio.  Tuttavia,  se  si 
vuole  raggiungere  «  un  ideale  »,  può  dirsi  che  l'aula  «  psichica  »  dovrebbe 
essere  grande  il  doppio  dell'aula  «  fisica  ».  Tutti  noi  sentiamo  che  se  una 
sala  ha  una  buona  metà  del  suo  pavimento  sgombro,  essa  dà  un  senso 
di  sollievo:  sembra  che  ci  prometta  la  confortante  possibilità  di  mìioi  erci. 
Questa  sensazione  di  benessere  è  qualcosa   di  più  intimo  dell'altro 


i 


V.  -  L  AMBIENTE  I07 

benessere  il  quale,  in  una  stanza  mediocre  e  ingombra,  sembra  promet- 
terci che  «  \'i  potremo  respirare  ». 

La  scarsità  del  mobilio  è  certo  una  complessa  garanzia  d'igiene: 
qui  l'igiene  fisica  come  quella  psichica  sono  d'accordo.  Nelle  nostre 
scuole  raccomandiamo  del  mobilio  (^leggero  «;  esso  è  perciò  «  semplice 
ed  economico  »  al  massimo  grado.  Se  è  lavabile,  è  molto  bene,  special- 
mente perchè  i  bambini  «  impareranno  a  lavarlo  »  e  con  ciò  faranno 
un  esercizio  piacevolissimo  e  molto  educativo.  Ma  quello  che  sopra- 
tutto importa  è  che  sia  possibilmente  «  bello,  artistico  ».  La  bellezza 
non  è  fatta  in  questo  caso  col  «superfluo»,  «col  lusso  »,  ma  con  la  grazia 
e  l'armonia  delle  hnee  e  dei  colori,  uniti  a  quella  massima  semplicità 
che  è  richiesta  dalla  «  leggerezza  »  del  mobile.  Come  il  vestito  moderno 
dei  bambini  è  «  elegante  »  rispetto  all'antico,  ed  è  insieme  economico 
e  semplicissimo  al  suo  confronto,  così  questo  mobilio. 

Noi  avevamo  iniziato,  in  una  «  Casa  dei  Bambini  »  rurale  sorta  a 
Palidano,  in  memoria  del  marchese  Carlo  Guerrieri  Gonzaga,  lo  studio 
di    un  arredamento  «  artistico  ».  È  noto  che  ogni  cantuccio  d'Italia 
nasconde  un  tesoro  di  arte  locale,  e  non  c'è  provincia  ove  nei  tempi 
antichi  non  esistessero  oggetti  comodi  e  graziosi,  dettati  insieme  dalla 
praticità  e  da  un  istinto  artistico.  Quasi  tutti  questi  tesori  vanno  oggi 
dispersi,  e  perfino  la  memoria  ne  è  soffocata,  sotto  la  tirannia  della 
uniforme  e  goffa  moda  «  igienica  »  dei  giorni  nostri.   Fu   dunque  un 
progetto   molto    geniale   quello  di   Maria   Maraini,    di   fare   delle   ri- 
cerche minuziose  sull'antica  arte  rustica  locale,  e  di  vivificarla  ripro- 
ducendo nel  mobilio  della  «Casa  dei  Bambini  »  le  forme  e  i  colori  dei 
tavoli,  delle  sedie,  delle  credenze,  delle  stoviglie,  i  disegni  delle  stoffe, 
e  i  motivi  decorativi  caratteristici  che  si  riscontravano  nelle  antiche 
case   rustiche.  Questa  reviviscenza   di    arte    campagnola  verrebbe   a 
riportare  in  uso  oggetti  usati  dai  poveri  in  epoche  più  povere  della 
nostra,  e  offre  intanto  una  rivelazione  di  «  economia  >:.  Se,  invece  dei 
a         banchi,  si  fabbricassero   di  questi  semplici  e  graziosi  oggetti,  anche 
^^-    questi  mobili  della  scuola  verrebbero  a  rivelarci  come  il   bello   può 
^Hl  trarsi  dal  brutto,  levandovi  la  materia  superflua;  perchè  il  bello  non 
^^Hè  fatto  di  materia,  ma  di  ispirazione.  Non  è  dunque  dalla  ricchezza 
^^R  materiale,  ma  dallo  spirito  afifinato,  che  noi  dobbiamo  attendere  queste 
^^R  pratiche  riforme. 


I08  PARTE    PRIMA 

Se  un  giorno  simili  studi  si  facessero  sull'arte  rustica  di  tutte  le  pro- 
\incie  d'Italia,  ciascuna  delle  quali  ha  le  sue  proprie  tradizioni  artistiche, 
potrebbero  sorgere  dei  «  tipi  di, arredamento  »  valevoli  per  se  stessi  ad 
1  lexare  il  gusto  e  ad  affinare  i  costumi.  Essi  porterebbero  alla  luce  del 
mondo  una  «  moda  educatrice  »,  perchè  il  sentimento  d'arte  secolare 
d'im  popolo  antichissimo  nella  sua  civiltà,  diverrebbe  ispirazione  di  vita 
numa  ai  moderni,  i  quali  sembrano  soffocati  dall'ossessione  dell'igiene 
fìsica,  e  cioè  spinti  solo  da  una  disperata  lotta  contro  le  malattie. 

Sarebbe  l'umanesimo  dell'arte,  sorgente  di  mezzo  alle  brut- 
tezze, all'oscurantismo  di  chi  si  era  abituato  a  pensare  solo  alla 
morte.  Infatti  sembrano  oggi  ospedali  le  «case  igieniche»  coi  loro 
molìili  bianchi  e  lavabili  e  le  nude  pareti;  e  sembrano  poi  addirittura 
tombe,  le  scuole  coi  banchi  allineati  come  catafalchi  tutti  neri,  sol  perchè 
essi  devono  essere  del  colore  dell'inchiostro  e  nascondere  le  '(  macchie  >» 
che  si  credono  «  una  necessità  »,  come  si  credono  ancora  necessari 
certi  peccati  e  certi  delitti  nel  mondo:  e  nessuno  pensa  invece  di  evitarli! 
Le  aule  scolastiche  hanno  i  banchi  tutti  neri,  e  le  pareti  grigie  e  nude, 
più  disadorne  di  quelle  di  una  stanza  mortuaria:  esse  sono  così  perchè 
l;i  spirito  del  bambino  resti  (ieriutrito,  affamato,  fino  al  punto  di  «  ac- 
cettare »  l'indigesto  nutrimento  intellettuale  che  la  maestra  impartisce. 
Cioè  deve  essere  tolto  all'ambiente  ogni  causa  di  distrazione;  così 
il  maestro  con  la  sua  arte  oratoria  e  con  l'aiuto  dei  suoi  laboriosi  espe- 
dienti, può  giungere  ad  attirare  a  sé  l'attenzione  riottosa  de'  suoi  al- 
lievi. Invece  la  scuola  spirituale  non  pone  limiti  alla  bellezza  del  suo 
ambiente,  altro  che  i  limiti  economici.  Nessun  ornamento  potrebbe 
«  distrarre  »  il  fanciullo  concentrato  in  un  lavoro;  al  contrario  la  bel- 
lezza ispira  insieme  il  raccoglimento,  e  porge  riposo  allo  spirito  affa- 
ticato. Infatti  le  chiese,  che  sono  per  eccellenza  i  luoghi  del  «  racco- 
glimento »  e  del  riposo  della  vita  interiore,  hanno  chiesto  alle  più  alte 
ispirazioni  del  genio,  di  adunarvi  lutte  le  bellezze. 

Sembrerà  certo  strano  il  linguaggio,  ma  se  noi  vogliamo  riportarci 
ai  principii  della  scienza,  si  potrebbe  dire  che  il  luogo  adatto  alla  vita 
dell'uomo  è  un  luogo  artistico:  e  perciò  se  la  scuola  vuol  diventare 
un  «  gabinetto  di  osservazione  della  vita  umana  »  deve  raccogliervi 
il  bello,  come  un  gabinetto  di  batteriologia  deve  raccogliervi  le  stufe 
e  i  terreni  nutritizii. 


V.  -  L  AMBIENTE  lOQ 

I  mobili  dei  bambini,  tavole  e  sedie,  devono  essere  «  leggeri  » 
non  solo  per  venir  trasportati  facilmente  dalle  braccia  infantili,  ma  per- 
chè per  la  loro  stessa  fragilità  riescano  educativi.  È  pel  medesimo 
criterio  che  si  danno  ai  fanciulli  piatti  di  ceramica,  bicchieri  di  vetro, 
sopramobili  friabili.  Infatti  questi";  oggetti  sono  i  denunciatori  dei  mo- 
vimenti rudi,  errati,  «ineducati».  Allora  il  fanciullo  è  portato  a  correg- 
gersi, e  perciò  si  esercita  a  non  urtare,  a  non  rovesciare,  a  non  rompere, 
raddolcendo  sempre  più  i  suoi  movimenti  e  rendendosene  a  poco  a 
poco  padrone  e  dirigente  perfetto.  Per  la  stessa  via  il  bambino 
si  abituerà  a  far  tutto  il  possibile  per  non  macchiare  gli  oggetti,  così 
belli  e  così  gai,  che  rallegrano  il  suo  amibiente.  Così  è  che  il  bambino 
avanza  nella  propria  perfezione:  o,  se  si  vuole,  è  così  che  egli  viene  a 
coordinare  perfettamente  i  suoi  movimenti  volontari.  E  la  stessa  via  per 
cui,  gustato  il  silenzio  e  la  musica,  egli  farà  di  tutto  per  non  produrre 
rumori  discordanti,  dai  quali  oramai  il  suo  orecchio   educato  rifugge. 

Invece  quando  il  bambino  urta  cento  volte  violentemente  un 
pesantissimo  banco  ferrato,  che  le  braccia  di  un  facchino  muoverebbero 
a  stento;  quando  fa  mille  e  mille  macchie  d'inchiostro  invisibili  su 
un  banco  nero;  quando  lascia  cadere  cento  volte  un  piatto  di  ferro  in 
terra  senza  che  mai  s'infranga,  egli  resta  immerso  nel  suo  mare  di 
difetti  senza  avvedersene,  mentre  l'ambiente  esterno  è  costruito 
in  modo  da  «  nascondere  »  e  perciò  incoraggiare  i  suoi  errori,  con  mefi- 
stofelica ipocrisia. 

II  moto  libero.  —  E  oramai  un  principio  igienico  da  tutti  rico- 
nosciuto, che  i  bambini  hanno  bisogno  di  «  moto  «.  Anzi,  quando  si 
parla  di  '(bambini  liberi»  s'include  prevalentemente  il  concetto:  «liberi 
di  muoversi  »,  cioè  di  correre,  di  saltare.  Nessuna  madre,  oramai,  si 
rifiuta  di  convenire  col  pediatra  che  il  suo  bambino  deve  andare  nei 
parchi,  sui  prati,  e  là  muoversi  all'aria  aperta  liberamente. 

Quando  si  parla  di  libertà  nella  scuola  per  i  bambini,  vien  subito 
in  mente  tale  concetto  di  igiene  fisica.  Noi  c'immaginiamo  il  bambino 
libero,  che  fa  salti  mortali  al  disopra  dei  banchi,  o  corre  all'impazzata 
sbattendosi  contro  un  muro:  sembra  che  la  sua  «  libertà  di  muoversi  » 
debba  portare  con  sé  l'idea  di  «  un  grande  spazio  »  e  che  perciò,  con- 
tenuta negli  stretti  limiti  di  una  stanza,  sia  necessariamente  una  lotta 


tra  violenza  e  ostacolo,  un  «lisordine  inronipaMbilr  con  la  corrette//:!  e 
col  lavoro. 

Ma  nei  criterii  dell'"  igiene  psichica  >-,  la  «  libertà  di  muoversi  « 
non  è  limitata  a  un  concetto  così  primiti\  o  di  «  libertà  somatica  <- 
motrice  ".  Infatti  noi  potremmo  dire  di  mi  cagnolino  o  di  un  gattino 
ciò  che  diciamo  per  i  bambini:  essi  debbono  essere  liberi  di  correr. 
e  di  saltare  e  potrebbero  farlo,  come  spesso  fanno,  in  un  parco  o  in  un 
prato,  con  e  come  i  bambini.  Se  però  vogliamo  mettere  lo  stesso  con- 
cetto di  libertà  motrice  nel  guidare  la  vita  di  un  uccello,  noi  tacciamo 
qualche  cosa  per  lui;  cerchiamo  di  mettere  alla  sua  portata  i  rami  di  un 
albero  o  delle  asticine  traverse,  che  offrano  presa  alle  zampe  dell'uccel- 
lino, le  quali  non  sono  fatte  per  camminare  distese  sul  terreno  come 
quelle  di  un  rettile,  ma  invece  sono  adatte  ad  abbracciare  circolar- 
mente un'asticina.  Sappiamo  che  un  uccello,  lasciato  «libero  di  muo- 
versi »  sopra  una  distesa  infinita  di  sola  pianura,  sarebbe  infelice. 

E  come  mai  non  pensiamo  che  se  occorre  preparare  ambienti  di- 
versi da  un  rettile  a  un  uccello  affinchè  siano  «  liberi  di  muoversi  >\  dob- 
biamo essere  in  errore  accomunando  nella  stossa  forma  di  libertà  i  nostri 
figli  coi  cani  e  coi  gatti?  E  pure  i  bambini  spesso,  «  abbandonati  a  sé  " 
perchè  si  muovano,  mostrano  impazienza,  sono  facili  alla  pr^itesta,  al 
pianto:  e  se  sono  grandi,  hanno  bisogno  d'inventare  qualche  cosa,  onde 
nascondere  a  sé  stessi  l'intollerabile  noia  e  l'umiliazione  di  camminare 
per  camminare,  di  correre  per  correre.  Il  bambino  grande  va  cercan- 
dosi uno  scopo  a  tutto  ciò;  il  piccolo  «  fa  dei  capricci  ».  Non  è  facile 
che  la  m.otilità  dei  bambini  così  abbandonata,  riesca  a  nobili  scopi; 
all'infuori  del  vantaggio  fisiologico  di  nutrizione  generale,  cioè  della 
vita  vegetativa,  non  c'è  utiHtà  di  sviluppo.  I  nioximenti  si  fanno  «  sbar- 
bati »,  il  bambino  inventa  capriole  scomposte,  cammina  barcollando, 
cade  facilmente,  fracassa  gli  oggetti.  Evidentemente  egli  non  è  come 
il  gattino  libero,  cosi  pieno  di  grazia,  così  affascinante  nelle  sue  movenze, 
e  tendente  a  perfezionarci  suoi  movimenti  nella  corsa  e  nel  salto  leggero, 
che  sono  posti  in  lui  dalla  natura.  Nell'istinto  motore  del  bambino  si 
/direbbe  che  non  c'è  grazia,  non  c'è  spinta  naturale  alla  perfezione. 
Ovvero  bisogna  concludere  che  «  quel  moto  »  sufficiente  al  gatto,  non 
è  sufficiente  al  bambino.  E  che  se  la  natura  nel  bambino  è  diversa, 
deve  anche  essere  diversa  la  via  della  sua  libertà. 


I 


V.  -  L  AMBIENTE  III 

Se  il  bambino  nel  suo  movimento  non  ha  «  uro  scopo  intelligente  «, 
manca  in  lui  la  guida;  allora  il  movimento  lo  stanca.  Molti  uomini  sen- 
tono il  vuoto  talvolta  spaventevole  di  doversi  «  muovere  senza  scopo  ». 
Una  delle  condanne  crudeli  che  si  sono  inventate  per  castigare  gli 
schiavi,  è  stata  quella  di  fare  Scavare  delle  buche  profonde  nella 
terra  e  poi  farle  nuovamente  riempire  e  così  di  seguito,  cioè  di  far 
lavorare  senza  scopo. 

DegH  esperimenti  sulla  stanchezza,  hanno  dimostrato  che  la  stessa 
quantità  di  lavoro  con  uno  scopo  intelligente,  stanca  molto  meno 
dello  stesso  lavoro  senza  scopo.  Tanto  che  oggi,  in  psichiatria,  per  rie- 
dificare la  personalità  dei  nevrastenici,  si  consiglia  non  «il  moto  all'aria 
aperta  »,  ma  il  «  lavoro  all'aria  aperta  ». 

Un  lavoro  «  ricostituente  »,  cioè  che  non  è  il  prodotto  di  uno 
«sforzo  mentale»,  ma  è  im  provocatore  di  coordinazione  dell 'orga- 
nismo psicomuscolare.  Questi  sono  i  lavori  non  produttivi  di  oggetti,  ma, 
si  potrebbe  dire,  lavori  conservatovi  d'oggetti,  come  sarebbero:  spolve- 
rare o  lavare  il  tavolino,  spazzare  in  terra,  apparecchiare  o  sparec- 
chiare ^un  a  [tavola,  lustrare  le  scarpe,  spiegare' un  tappeto.  Sono  i 
lavori  chcjun  servo  fa  per  conservare  gli  oggetti  di  proprietà  d^l  suo 
padrone;  cosa  ben  lontana  dai  lavori  dell'operaio  che,  invece,  con 
uno  sforzo  intelligente,  ha  prodotto  quegli  oggetti.  Due  generi  di  lavori 
profondamente  diversi.  L'uno  è  semplice,  è  un'attività  coordinata 
che  fa  appena  un  passo  più  in  alto  dell'attività  necessaria  a  pas- 
seggiare o  a  saltare:  perchè  dà  semplicemente  uno  scopo  a  tali  movi- 
menti semplici.  Invece  il  lavoro  «  produtti\'0  »  comporta  un  precedente 
lavoro  intellettuale  di  preparazione,  e  include  una  serie  di  acquisti 
m.otori  assai  complicati  e  insieme  un'applicazione  di  esercizi  sensoriali. 

Il  primo  è  il  lavoro  adatto  ai  piccoli  bambini  che  devono  «  muoversi 
per  imparare  a  coordinare  i  loro  movimenti  ». 

E  consiste  nei  cosiddetti  esercizi  di  vita  pratica,  che  corrispondono 
al  principio  psichico  di  «  libertà  del  movimento  ».  Basta  a  ciò  preparare 
«  un  ambiente  adatto  »  come  si  preparerebbe  un  ramo  d'albero  in  una 
uccelliera  e  poi  lasciar  liberi  i  bambini  ai  loro  istinti  di  attività  e  di 
imitazione.  Gli  oggetti  circostanti  devono  essere  proporzionati  alle 
dimensioni  ed  alle  forze  del  bambino:  mobili  leggeri  che  egli  possa  tra- 
sportare; credenze  basse  alle  quali  il  suo  braccio  possa  giungere;  ser- 


112  PARTK    l'RIMA 

rature  di  facile  maneggio;  cassetti  che  scorrono;  sportelli  leggeri  da 
aprirsi  e  chiudersi;  attaccapanni  fissati  nel  muro  a  "portata  di  mano 
ciel  bambino;  spazzole  che  la  sua  piccola  mano  possa  abbracciare; 
saponette  che  siano  contenute  nel  cavo  della  sua  mano;  catinelle  sì 
piccole  che  egli  possa  avere  la  forza  di  vuotarle;  scope  col  manico 
breve,  liscio  e  leggero;  vestiti  che  egli  possa  facilmente  togliersi  e  indos- 
sare; ecco  un  ambiente  che  invita  all'attività  e  nel  quale  a  poco  a  poco 
il  bambino  instancabilmente  perfeziona  i  suoi  movimenti  e  acquista 
grazia  ed  abilità  umane,  così  come  il  piccolo  gattino  acquistava  le  sue 
graziose  mosse  e  le  sue  abilità  feline,  muovendosi  sulla  sola  guida 
dell'istinto. 

K  questo  campo  aperto  alla  libera  attività  del  bambino,  che  gli 
permetterà  di  muover'^i  e  di  formarsi  come  un  uomo.  Non  è  il  moviniento 
per  sé  stesso,  ma  è  un  poderoso  coefficiente  alla  formazione  complessa 
della  sua  personalità,  che  egli  trae  da  questi  esercizi.  I  suoi  sentimenti 
sociali  nei  rapporti  che  viene  a  contrarre  con  gli  altri  bambini  liberi 
e  attivi,  collaboratori  di  una  specie  di  ménage  adatti  a  proteggere  ed 
aiutare  la  loro  crescenza;  il  sentimento  di  dignità  che  viene  al  bambino 
il  quale  inipara  a  bastare  a  sé  stesso  in  un  ambiente  che  egli  conserva  i 

e  domina;  tutti  questi  sono  i  coefficienti  di  umanità  che  accompagnano 
il  «  libero  movimento  ».   Dalla  coscienza  di  questo  svolgimento  della  j 

sua  personalità,  il  bambino  trae  i  motivi  della  sua  persistenza  in  questi  « 

lavori,   la    diligenza  nell'eseguirli,   e  la  gioia  superiore  che  dimostra  ^^ 

quando  li  ha  compiuti.  Egli  indubbiamente  in  tale  ambiente  lavora  x 

sé  stesso  e  fortifica  la  sua  vita  interiore,  come  quando,  aveildo  il  corpo  :• 

immerso  nell'aria  aperta  e  le  membra  in  moto  sui  prati,  lavorava  alla  v 

crescenza  del  suo  organismo  fisico  e  lo  fortificava. 


\ 

VI. 
Attenzione 


Il  fenomeno  che  si  attende  dal  piccolo  bambino,  quando  egli 
ò  posto  nell'ambiente  della  sua  crescenza  interiore,  ^^  questo:  che  ad 
nn  tratto  il  fanciullo  fissi  la  sua  attenzione  sopra  un  oggetto,  lo  usi 
secondo  lo  scopo  per  cui  è  stato  costruito,  e  continui  indefinitamente 
a  ripetere  lo  stesso  esercizio.  Chi  ripeterà  un  esercizio  venti  volte, 
chi  quaranta  volte  e  chi  duecento;  ma  questo  è  il  primo  fenomeno 
atteso,  come  inizio  di  quegli  atti  a  cui  è  legata  la  crescenza  interiore. 

Ciò  che  muove  il  bambino  a  tale  manifestazione  di  attività,  è 
c'videntemente  un  impulso  interiore  primitivo,  quasi  un  vago  senso 
di  fame  interna;  ed  è  l'impulsiva  soddisfazione  di  questa  fame,  che 
muove  poi  veramente  la  coscienza  del  bambino  su  quel  determinato 
oggetto,  e  lo  conduce  a  poco  a  poco  a  un  primordiale  ma  c(5rnplesso 
e  ripetuto  esercizio  dell'intelligenza  nel  comparare,  giudicare,  decidere 
un  atto,  correggere  un  errore.  Quando  il  piccolino,  occupato  con  gl'in- 
castri solidi,  infila  e  sfila  i  dieci  cilindretti  nei  diversi  loro  posti,  per 
trenta  o  quaranta  volte  di  seguito;  e  avendo  sbagliato,  si  pone  un 
problema  e  lo  risolve,  s'interessa  sempre  piìi  e  ritenta  le  prove;  egli 
iHolunga  un  complesso  esercizio  delle  sue  attività  psichiche  che  dà 
luogo  a  uno  sviluppo  interiore. 

È  probabilmente  una  sensazione  interna  di  questo  sviluppo, 
che  rende  piacevole  l'esercizio,  e  costante  e  prolungato  lo  stesso  lavoro. 
Come  per  dissetare,  occorre  non  vedere  l'acqua  o  solo  assaggiarla, 
ma  berne  a  sazietà,  cioè  finché  non  sia  introdotta  appunto  < lucila  quan- 


114  l'ARTK    PRIMA 

tità  di  cui  l'orf^anismo  ha  bisogno,  rosi  per  saziare  questa  specie  di 
fame  e  di  sete  psichira.  non  basta  «  veder  fuggevolmente  le  cose  »  o 
tanto  meno  «  sentirle  descrivere  »;  ma  bisogna  possederle  e  usarne 
tanto  quanto  è  necessario  ai  bi-^ogni  della  vita  intcriore. 

Questo  fatto  si  è  ri^'elato  come  base  di  tutta  la  costruzione  psichica, 
e  come  solo  segreto  dell'educazione.  L'oggetto  esterno  è  una  palestra 
su  cui  lo  spirito  fa  i  suoi  esercizi;  e  tali  esercizi  «  interiori  -)  sono  pri- 
miti\amentp  »  in  so  slessi  »  lo  scopo  dell'azione.  Così,  lo  scopo  degl'in- 
castri solidi  non  è  che  il  bambino  prenda  conoscenza  delle  dimensioni, 
quello  degli  incastri  piani  non  è  che  dia  lui  un  concetto  delle  forme, 
ma  lo  scopo  di  questi,  come  di  tutti  gli  altri  oggetti,  òche  il  bambino 
eserciti  le  sue  attività.  Il  fatto  poi  che  veramente  il  bambino  acquisti  in 
tal  modo  delle  conoscenze  chiare  e  di  cui  la  memoria  è  vivida  in  rap- 
porto alla  fissità  e  intensità  dell'attenzione,  è  un  effetto  necessario:  ed  è 
appunto  la  conoscenza  sensoriale  acquistata  su  dimensioni,  forme,  co- 
lori, ecc..  che  rende  possibile  la  continuazione  di  analoghi  esercizi 
interni,  in  un  campo  sempre  più  vasto  e  superiore. 

l^ inora  tutti  gli  psicologi  erano  slati  d'accordo  nel  dire  che  l'insta- 
bilità dell'attenzione  è  caratteristica  nel  piccolo  bambino  di  treo  quattro 
anni  di  età:  egli  attratto  da  tutte  le  cose,  passa  da  oggetto  in  oggetto 
senza  mai  potersi  fissare  su  alcuno:  e  in  genere,  la  difficoltà  di  tratte- 
nere l'attenzione  dei  bambini  costituiva  lo  scoglio  della  loro  'ducn- 
zionc.  "  In  tutti  i  bambini  riscontriamo  quella  mobiHtà  estrema  del- 
l'attenzione, che  rende  tanto  difficile  il  dar  loro  le  prime  lezioni  ». 
Dice  il  James:  «  Il  carattere  riflesso  e  passivo  dell'atteneione,  per  cui 
sembra  che  il  bambino  appartenga  meno  a  se  stesso  che  a  qualunque 
oggetto  che  attragga  per  caso  la  sua  attenzione,  è  la  prima  cosa  che 
colui  che  insegna  deve  cercare  di  vincere  ».  «  La  facoltà  di  richiamare 
continuamente  indietro  un'attenzione  vagabonda  che  tenda  a  disper- 
dersi, è  veramente  la  radice  del  giudizio,  del  carattere  e  della  volontà: 
(^  quell'educazione  che  riuscisse  ad  affinare  questa  facoltà,  sarebbe 
l'educazione  per  eccellenza  »  (W.  James,  Principi  di  psicologia] . 

L'uomo  dunque  agendo  per  se  stesso,  non  riuscì  mai  a  trattenere 
e  fissare  quell'attenzione  cercante,  che  passa  da  cosa  a  cosa. 

In  fatti  l'attenzione  del  piccolo  bambino  non  è  stata,  nel  nostro 
esperimento,  trattentita  artificialmente  da  un  «  maestro  »,  ma  fu  un 


VI.  -  ATTENZIONE  II5 

«  Oggetto  »  che  trattenne  e  fissò  l'attenzione  del  piccolo  bambino,  come 
se  corrispondesse  ad  un  impulso  interiore;  impulso  che,  evidentemente, 
si  rivolge  solo  verso  le  cose  che  sono  «  necessarie  »  al  suo  sviluppo. 
Similmente,  quella  complessità  di  movimenti  coordinati  che  il  neonato 
com.pie  nel  succhiare,  sono  limitati  al  primo  e  inconscio  bisogno  di 
nutrizione:  non  sono  un  acquisto  cosciente  determinato  a  uno  scopo. 
E  1  acquisto  cosciente  determinato  a  uno  scopo,  che  sarebbe  impos- 
sibile pei  movimenti  della  bocca  del  neonato,  come  pei  primi  movimenti 
dello  spirito  del  bambino. 

Occorre  quindi  che  lo  stimolo  esterno  che  ^i  presenta  in  principio 
sia  proprio  la  mammella  e  il  latte  dello  spirito,  ed  è  allora  solo  che  nasce 
quel  fenom.eno  sorprendente,  di  un  piccolo  viso  concentrato  in  un'at- 
tenzione intensa. 

Ecco  un  bambino  di  tre  anni  capace  di  ripetere  cinquanta  volte 
di  seguito  un  medesimo  esercizio:  accanto  a  lui  molte  persone  si  muo- 
vono: un  pianoforte  suona;  si  ode  intonare  un  coro;  ma  nulla  distrae 
il  piccolo  bambino  dalla  sua  profonda  concentrazione.  Non  altrimenti 
un  poppante  resta  attaccato  alla  mammella,  senza  xeiiire  interrotto 
da  fatti  esteriori,  e  non  se  ne  distacca  altro  che  per  sazietà. 
Solo  la  natura  compie  tali  miracoli. 

Se  dunque  la  natura  ha  un  fondamento  nelle  manifestazioni 
psichiche,  per  comprendere  la  natura  e  assecondarla,  era  necessario 
studiarla  nei  periodi  iniziali,  più  semplici  e  solo  capaci  di  ri\elarci 
le  verità,  che  saranno  poi  guida  nella  interpretazione  di  successi\e 
e  pili  complesse  manifestazioni.  Ciò  che,  invero,  molti  psicologi  hanno 
fatto:  ma  essi,  appHcandoi  metodi  analitici  della  psicologia  sperimentale, 
non  partirono  da  quel  punto  donde  le  scienze  biologiche  trassero  le 
loro  conoscenze  della  vita,  cioè  la  libertà  degli  esseri  viventi  che  si  \  o- 
gliono  osservare.  Se  il  Fabre  non  si  fosse  fatto  servo  degli  insetti, 
lasciandoli  padroni  delle  loro  manifestazioni  naturali,  e  osservandoli 
senza  che  la  sua  presenza  in  alcun  modo  perturbasse  le  loro  funzioni, 
ma  avesse  preso  degli  insetti  trasportandoli  nel  suo  gabinetto  e  sotto- 
ponendoli a  delle  prove,  egli  non  ci  avrebbe  rivelato  la  vita  meravi- 
gliosa degli  insetti. 

Se  i  batteriologi  non  avessero,  come  metodo  di  ricerca,  costruito 
un  ambientf»  di  vita  simile  a  quella  naturale  pei  microbi,  così  per  le 


PAKTE    PRIMA 


«ostaii/.t"  nutritixo,  «-onn-  per  le  condizioni  di  lonìjunatura,  ecc.,  al  fine 
di  »  farli  \i\ere  liberamente  »  e  rosi  manifestare  i  loro  caratteri:  e  si 
fossero  limitati  a  (issare  -ul  microscopio  i  pernii  di  una  malattia, 
non  esisterebbe  oggi  la  scienza  che  sal\-a  la  vita  a  tanti  uomini  e  difende 
intere  nazioni  dalle  epidemie. 

La  libertà  di  vivere,  questo  è  che  forma  la  base  di  ogni  metodo  di 
osserx'azione  sugli  esseri  viventi. 

La  libertà  è  la  condizione  sperimentale  per  istudiare  i  fenomeni 
dell'attenzione  del  bambino.  Basta  pensare  che  i  fatti  di  attenzione 
infantile,  essendo  prevalentemente  sensoriali,  hanno  un  potente  con- 
comitante fisiologico  di  «  accomodazione  »  degli  organi  di  senso:  acco- 
modazione che,  fisiologicamente  incompleta  nel  piccolo  bambino, 
lui  bisogno  di  organizzarsi  secondo  natura.  Un  oggetto  non  adatto 
a  divenire  stimolo  utile  ai  poteri  di  accomodazione  in  via  di  svi- 
luppo, sarebbe  non  solo  incapace  di  trattenere  l'attenzione  come  fatto 
psichico,  ma  anche  come  fatto  fisiologico,  stancando  o  addirittura 
ledendo  i  meccanismi  dell'accomodazione  dell'occhio  o  dell'orecchio. 
Ma  il  bambino  che  sceglie  gli  oggetti  e  vi  permane  con  tutta  l'intensità 
dell'attenzione,  conie  lo  manifestano  le  contrazioni  muscolari  che  danno 
1  espressione  mimica  alla  sua  fisionomia,  evidentemente  prova  piacere 
e  il  piacere  è  un  indice  di  sano  funzionamento;  esso  accompagna  sempre 
l'esercizio  utile  ai  meccanismi  del  corpo. 

L'attenzione  richiede  anche  una  preparazione  dei  centri  ideativi, 
in  rapporto  all'oggetto  esterno  che  deve  su  di  sé  richiarrfarla:  cioè  un 
«  adattamento  »  interiore,  psichico.  I  centri  cerebrali  devono  essere 
eccitati  a  loro  volta  per  via  interna,  quando  uno  stimolo  esterno  agisce. 
Così,  per  esempio,  chi  aspetta  una  persona,  la  vede  arrivare  da  lontano: 
ciò  non  solo  perchè  la  persona  si  fa  presente  ai  sensi,  ma  perchè  era 
«  attesa  ».  Questa  persona  ancora  lontana  richiama  l'attenzione,  perchè 
i  centri  cerebrali  erano  già  eccitati  a  tale  scopo.  Per  analoghi  fatti, 
un  cacciatore  può  percepire  i  più  leggeri  rumori  che  la  selvaggina  fa 
tra  i  boschi.  Infine,  sulla  cellula  cerebrale  due  forze  agiscono,  come 
sopra  una  porta  chiusa:  la  forza  esterna  sensoriale  che  bussa,  e  quella 
interiore  che  dice:  apri.  Se  la  forza  interiore  non  apre,  invano  lo  sti- 
molo esterno  bussa  alla  porta.  E  allora  anche  i  più  grandi  stimoli 
possono  passare  inosservati.   L'uomo  distratto,  può  mettere  il  piede 


VI.   -  ATTENZIONE  II7 

in  un  burrone.  L'uomo  concentrato  in  un  lavoro,  può  non  sentire 
una  musica  che  passa  per  istrada. 

11  fatto  centrale  concomitante  dell'attenzione,  questo  è  che  ha 
il  pili  gran  valore  psicologico  e  filosofico,  e  che  ha  sempre  assunto  il 
massimo  dei  valori  pratici  in  pedagogia.  Tutta  l'arte  dei  maestri 
è  consistita,  in  sostanza,  nel  preparare  l'attenzione  dei  bambini  al- 
Yattesa  dei  loro  insegnamenti,  nell'accaparrarsi  la  cooperazione  di 
quelle  forze  intime  che  devono  «  aprire  la  porta  »  quando  essi  «  bus- 
sano ».  E  siccome  la  cosa  completamente  ignota,  o  quella  inaccessibile 
a  comprensione,  non  richiama  alcun  interesse  sopra  di  sé,  così  i  ca- 
pisaldi dell'arte  magistrale  furono  di  andare  guadualmente  dal  noto 
all'ignoto,  e  dal  facile  al  difficile.  E  il  noto  preesistente,  che  eccita 
all'attesa  e  apre  la  porta  al  nuovo  ignoto;  ed  è  il  facile  già  presente, 
che  apre  nuove  vie  di  penetrazione  e  mette  l'attenzione  in  istato 
di   attesa. 

Cioè,  secondo  i  concetti  pedagogici,  deve  essere  possibile  «  pre- 
pararsi i  buoni  uffici  >),  la  cooperazione  dei  concomitanti  psichici  del- 
l'attenzione. Tutto  starebbe  nell'abilità  di  maneggio  tra  il  noto  e 
l'ignoto  e  simili  cose:  allora  il  maestro  bravo  sarebbe  come  il  grande 
stratega  militare,  che  prepara  al  tavolino  il  piano  di  una  battaglia. 
E  l'uomo  potrebbe  diriger  l'uomo,  condurlo  dove  gli  piace. 

Questo  del  resto  è  stato  per  lungo  tempo  il  principio  materiali- 
stico imperante  in  psicologia.  Secondo  Spencer  la  mente  è  in  principio 
come  un'argilla  indifferente,  sulla  quale  «  piovono  »  le  impressioni 
esteriori,  lasciandovi  tracce  piìi  o  meno  profonde.  Sono  le  «  esperienze  » 
che  secondo  lui  e  secondo  gli  empiristi  inglesi,  costruiscono  la  mente 
anche  nelle  sue  più  alte  attività.  L'uomo  è  ciò  che  l'esperienza  lo  ha 
fatto:  quindi,  in  educazione,  preparando  un  castello  adatto  di  espe- 
rienze, si  può  fabbricar  l'uomo.  Concezione  non  meno  materialistica 
di  quella  che  si  affacciò  per  un  momento  innanzi  ai  meravigliosi  pro- 
gressi della  chimica  organica,  quando  la  serie  delle  sintesi  successe 
a  quella  delle  analisi.  Allora  si  credette  che  potendo  fabbricar  una  specie 
di  albumina  per  sintesi,  ed  essendo  l'albumina  la  base  organica  delle 
cellule,  ed  essendo  l'uovo  dell'uomo  niente  altro  che  una  cellula,  si 
potesse  un  giorno  fabbricare  l'uomo  stesso  sul  tavolo  del  chimico. 
La  concezione  dell'uomo  creatore  dell'uomo,  cadde  subito  nel  campo 


ll^  PARTE    PRIMA 

matonaie;  ma  V homunculus  psichico  permane  ancora  tra  le  conce- 
zioni pratiche  della  pedagogia. 

Nessuna  sintesi  chimica  poteva  mettere  nella  cellula,  apparen- 
temente semplice  come  un  grumo  di  protoplasma  nucleato.  quel- 
Viittivilà  sine  materia,  quella  forza  potenziale  di  vita,  quel  fattore 
misterioso  che  porta  una  cellula  a  creare  un  uomo. 

E  l'attenzione  inafferrabile  dei  bambini,  starebbe  a  dirci  che  anche 
l'uomo  psichico  sta  entro  analoghe  leggi  di  autocreazione. 

La  scuola  più  moderna  di  psicologi  spiritualisti,  tra  cui  il  James, 
riconosce  nel  concomitante  dell'attenzione,  un  fatto  collegato  con  la 
natura  del  soggetto,  una  «  forza  spirituale  »,  uno  dei  «  misteriosi  fat- 
tori della  \  ita  »: 

là  onde  vegna  lo  intelletto 

Delle,  prime  notizie  uomo  non  sape. 
Né  dei  primi  appetibili  l'affetto, 

Che  sono  in  voi,  si  come  studio  in  ape 

Di  far  lo  mèle 

Dante. 

C'è  nell'uomo  un'attitudine  speciale  verso  le  cose  esterne,  che 
fa  parte  della  sua  natura,  ed  è  essa  che  ne  determina  il  carattere.  Le 
attix'ità  interiori  agiscono  come  causa,  non  reagiscono  ed  esistono  in 
quanto  effetto  di  fattori  esterni.  La  nostra  attenzione  noff  si  porta  su 
tutte  le  cose  indifferentemente,  ma  su  quelle  «  simpatizzanti  »  coi  nostri 
gusti.  Ci  destano  interesse  le  cose  utili  all'intimità  della  nostra  vita. 
Il  nostro  mondo  interiore  è  creato  su  una  selezione  del  mondo  esterno, 
acquistato  per  e  secondo  le  nostre  attività  interiori.  Il  pittore  vedrà 
del  mondo  in  prevalenza  i  colori,  il  musicista  sarà  attratto  dai  suoni. 
E  il  modo  della  nostra  attenzione,  che  rivela  noi  stessi  e  ci  manifesta 
all'esterno  nelle  nostre  attitudini;  non  è  la  nostra  attenzione  che  ci 
crea.  Il  carattere  individuale,  la  forma  interna,  la  distinzione  di  un 
uomo  dall'altro,  si  verificano  anche  per  uomini  che  vissero  nello  stesso 
ambiente,  ma  che  dall'ambiente  presero  solo  ciò  che  era  necessario 
a  ciascuno.  Le  «  esperienze  »  con  le  quali  ciascuno  costruisce  il  suo  io 
in  rapporto  al  mondo  esterno,  non  formano  un  caos,  ma  sono  dirette 
dalle  intime  attitudini  individuali. 


VI.  -  ATTENZIONE  IIQ 

Se  ci  fosse  un  dubbio  sulla  forza  naturale  dirigente  la  formazione 
psichica,  l'esperienza  sui  nostri  piccoli  bambini,  sarebbe  una  specie 
di  «  prova  decisiva  ».  Nessun  maestro  potrebbe  coi  suoi  artifìci  pro- 
curare tali  fenomeni  di  attenzione:  essi  hanno  un'origine  evidentemente 
interiore.  11  potere  di  concentrazione  di  piccoli  bambini  da  tre  a  quattro 
anni  di  età,  non  ha  riscontro  altro  che  nel  genio.  Questi  piccolini  sem- 
brano l'infanzia  di  uomini  straordinari  nei  loro  poteri  di  attenzione,  come 
Archimede  che  muore  trucidato  sopra  i  suoi  circoli,  dai  quali  non  erano 
\alsi  a  staccarlo  i  rumori  della  presa  di  Siracusa,  o  come  Newton 
che,  immerso  nei  suoi  studi,  dimenticava  di  mangiare;  o  come  Vit- 
torio Alfieri,  che,  scrivendo  una  poesia,  non  sente  il  rumoroso  corteo 
di  nozze  che  passa  tra  grida  e  squilli,  dinanzi  alle  sue  finestre. 

Anche  questi  caratteri  dell'attenzione  del  genio,  nessun  maestro 
«  interessante  »  potrebbe  provocarli,  sia  pure  con  l'arte  più  fine:  come 
nessun  cumulo  di  esperienze  passive,  potrebbe  diventare  un  tale  ac- 
cumulatore di  energie  psichiche. 

Se  è  una  forza  spirituale  che  agisce  nel  bambino,  ed  egli  può  per 
essa  aprire  le  porte  della  sua  attenzione,  anziché  un  problema  di  arte 
pedagogica  nel'  costruire  la  sua  mente,  è  un  problema  di  libertà  quello 
che  necessariamente  si  affaccia.  Dare  con  gli  oggetti  esterni  il  nutri- 
mento corrispondente  ai  bisogni  interiori,  e  imparare  a  rispettare  nel 
modo  più  perfetto  la  libertà  di  sviluppo,  ecco  i  fondamenti  che  logi- 
camente  devono   approfondirsi   per   costruire   una  nuova  pedagogia. 

Non  si  tratta  più  di  dover  creare  ì'humunculus  come  i  chimici 
del  XIX  secolo,  ma  di  prendere  la  lanterna  di  Diogene  e  andare  in  cerca 
dell'uomo.  Una  scienza  deve  per  tentativi  stabilire  ciò  che  è  necessario 
ai  bisogni  psichici  primordiah  del  bambino:  e  allora  noi  assisteremo 
allo  svolgersi  di  fenomeni  vitali  complessi,  ove  l'intelligenza,  la  volontà, 
il  carattere,  si  svolgono  insieme,  come  insieme  sviluppano  il  cervello, 
lo  stomaco  e  i  muscoU  del  bambino  che  si  nutrisce  razionalmente. 

Insieme  ai  primi  esercizi  interiori,  si  fissano  nella  mente  dei  bam- 
bino le  prime  conoscenze  ordinate,  e  il  noto  comincia  ad  esistere  in 
lui,  fornendo  i  primi  germi  di  un  interesse  intellettuale,  accanto  a 
quello  istintivo.  Quando  ciò  è,  comincia  a  stabilirsi  uno  stato  di  cose 
che  ha  qualche  analogia  con  quel  meccanismo  dell'attenzione,  che  viene 
oggi  preso  dai  pedagogisti  come  base  nell'arte  dell'insegnare.  Il  pas- 


\20  PAKTK    PKIMA 

saggio  dal  iKito  all'ignoto,  dal  somplico  al  complesso,  dal  facile  al  dif- 
ficile si  ripiodm-e,  sotto  un  itMto  punto  di  vista;  ma  con  caratteri 
speciali. 

Il  processo  da!  noto  all'ignoto  non  avviene  da  cosa  a  cosa,  come 
jiretenderebbe  di  fare  il  maestro,  che  non  fa  sviluppare  da  un  centro 
le  idèe,  ma  solo  le  unisce  in  catena,  senza  una  meta  prefissa,  facendo 
vagare  la  mente  a  caso,  ma  legata  a  lui.  Il  noto  si  stabilisce  invece  qui, 
nel  bambino,  come  un  sistema  complesso  d'idee,  il  quale  sistema  fu 
costruito  attivamente  dal  bambino  stesso  con  una  serie  di  processi 
psichici,  che  rappresentano  in  sé  stessi  una  formazione  interiore,  una 
crescenza  spirituale. 

Perchè  tale  processo  avvenga,  noi  dobbiamo  offrire  al  bambino 
un  materiale  sistematico,  complesso,  corrispondente  ai  suoi  istinti  na- 
turali. Così,  per  esempio,  col  nostro  materiale  sensoriale,  offriamo  al 
bambino  una  serie  di  oggetti  capaci  di  richiamare  la  sua  attenzione 
istintiva  sui  colori,  sulle  forme,  sui  suoni,  sulle  qualità  tattili,  ba- 
riche,  ecc.,  e  il  bambino,  coi  caratteristici  esercizi  prolungati  sopra  ogni 
oggetto,  comincia  a  organizzare  la  sua  personalità  psichica,  ma  nel 
tempo  stesso  acquista  una  conoscenza  chiara  e  ordinata  delle  cose. 

Oramai  tutti  gli  oggetti  esterni,  pel  fatto  che  hanno  forme, 
dimensioni,  colori,  qualità  di  levigatezza,  di  peso,  di  durezza,  ecc.,  non 
sono  più  estranei  alla  mente!  c'è  qualcosa  nella  coscienza  del  bambino 
che  lo  prepara  alVattesa,  e  lo  spinge  con  interesse  a  ricej-erli. 

Quando  il  bambino  ha  aggiunto  una  conoscenza  al  primitivo 
impulso  che  dirige  la  sua  attenzione  sulle  cose  esterne,  egli  è  venuto 
ad  acquistare  altri  rapporti  col  mondo,  altre  forme  d'interesse,  che 
non  sono  più  soltanto  quelle  primitive  collegate  con  una  specie  d'istinto 
primordiale,  ma  sono  divenute  un  interesse  conoscitivo,  basato  sugli 
acquisti  dell'intelligenza. 

E  vero  che  anche  tutte  le  nuove  conquiste  avranno  per  base 
fondamentale,  profonda,  i  bisogni  psichici  dell'individuo;  ma  l'ele- 
mento intellettuale  vi  si  somma,  trasformando  un  impulso  in  ricerca 
cosciente  e  volontaria. 

Il  concetto  pedagogico  antico,  il  quale  ammette  che  per  richia- 
mare l'attenzione  del  bambino  sull'ignoto,  bisogna  collegare  questo  col 
già  noto,  perchè  è  così  che  si  potrà  conquistare  il  suo  interesse  verso  le 


VI.  -  ATTENZIONE  121 

nuove  cognizioni  che  si  vogliono  impartire,  non  afferra  che  un  dettagho 
del  complesso  fenomeno  a  cui  oggi  assistiamo  dopo  i  nostri  esperi- 
menti. 

Perchè  il  noto  rappresenti  una  nuova  fonte  d'interesse  verso 
l'ignoto,  bisogna  che  sia  stato  esso  stesso  acquistato  secondo  la 
tendenza  della  natura:  allora  avviene  che  la  conoscenza  precedente 
rende  interessanti  oggetti  sempre  piti  complessi  e  di  più  elevata  si- 
gnificazione. La  cultura  che  viene  a  formarsi,  assicura  perciò  la  possi- 
bilità di  una  continuazione  indefinita,  nel  succedersi  di  tali  fenomeni 
formati\'i. 

La  cultura  poi,  in  sé  stessa,  viene  a  formare  un  ordine  nella  mente: 
quando  la  maestra  con  le  sue  lezioni  semplici  e  chiare  dice:  questo  è 
lungo,  questo  è  corto,  questo  è  rosso,  questo  è  giallo,  ecc.,  fìssa  con 
una  parola  il  ben  distinto  ordine  delle  sensazioni,  le  classifica,  le  «  ca- 
taloga )).  E  ogni  impressione  è  ben  distinta  dall'altra,  ed  ha  fissato 
nella  mente  un  posto  proprio,  che  può  con  la  parola  richiamarsi;  oramai, 
come  in  una  biblioteca  bene  organizzata,  i  nuovi  acquisti  non  saranno 
gettati  alla  rinfusa  o  mescolati  caoticamente,  ma  verranno  di  volta 
in  volta  depositati  al  loro  posto,  accanto  ai  precedenti  acquisti  che 
sono  della  stessa  qualità. 

Così  là  mente  ha  non  solo  in  sé  la  forza  propulsiva  ad  accrescere 
le  conoscenze,  ma  anche  un  ordine  stabile,  il  quale  si  mantiene  durante 
il  successi%'o  e  indefinito  suo  arricchirsi  di  nuovi  materiali;  e  mentre 
cresce  e  si  fortifica,  mantiene  il  suo  «  equilibrio  ».  Quell'esercizio  con- 
tinuato di  comparazioni,  di  giudizio,  di  scelta  tra  le  cose,  sta  poi  met- 
tendo così  logicamente  in  rapporto  tra  loro  gli  interiori  acquisti, 
che  ne  risulta  una  singolare  facilità  ed  esattezza  di  ragionamento,  una 
rapidità  di  comprensione:  veramente  è  attuata  la  legge  del  «  minimo 
sforzo  »,  come  ovunque  é  ordine  e  attività. 

Questo  assetto  interno  come  l'adattamento  fisiologico,  si  stabilisce 
pel  fatto  che  gli  esercizi  furono  spontanei:  é  il  libero  sviluppo  di  una  per- 
sonalità che  cresce  e  si  va  organizzando,  quello  che  definisce  tale 
stato  interiore,  come  nel  corpo  dell'embrione  il  cuore  in  via  di  svi- 
luppo va  facendosi  lo  spazio  del  mediastino  tra  i  polmoni,  e  il  diaframma 
assume  la  sua  convessità  superiore,  in  rapporto  alla  dilatazione  pol- 
monare. 


La  maestra  diiipo  questi  fenomeni;  ma  eiò  facendo,  cerca  di  non 
deviare  sopra  di  se  l'attenzione  del  bambino,  dalla  cui  concentra- 
zione dipende  tutto  l'avvenire.  L'arte  sua  sta  nel  comprendere  e  nel 
non  disturbare  i  fenomeni  naturali. 

Ciò  che  è  provato  e  chiaro  nella  nutrizione  del  neonato,  e  nelle 
prime  attività  coordinate  dello  spirito,  si  ripeterà  in  tutti  i  periodi 
della  vita,  con  le  necessarie  modificazioni  condotte  dal  complicarsi 
dei  fenomeni. 

Continuando  il  parallelo  con  la  nutrizione  tìsica,  si  può  conside- 
rare il  bambino  crescente  che  ha  messo  i  denti,  ha  sviluppato  il  succo 
gastrico  ed  ha  quindi  a  poco  a  poco  comphcato  la  sua  alimentazione: 
finché  l'uomo  adulto  verrà  ad  alimentarsi  con  l'aiuto  di  tutte  le  compli- 
cazioni della  cucina  e  delle  tavole  moderne:  ma  per  mantenersi  in 
salute,  dovrà  mangiare  solo  le  cose  che  corrispondono  agli  intimi  bi- 
sogni del  suo  organismo:  e  se  introdurrà  sostanze  eccessive  o  scarse, 
inadatte  o  veleno.se,  ne  verrà  un  impoverimento,  un'auto-intossica- 
zione, una  «  malattia  ».  Ora,  è  stato  lo  studio  della  nutrizione  del 
bambino  nel  periodo  dell'allattamento  e  dei  primi  anni  della  vita,  che 
ha  creato  l'igiene  dell'alimentazione  anche  per  l'adulto,  e  gli  ha  indi- 
cati i  pericoli  in  mezzo  ai  quali  tutti  vivevano,  nell'epoca  in  cui  l'igiene 
del  bambino  era  ignota. 

C'è  nella  vita  dello  spirito  una  singolare  corrispondenza:  l'uomo 
a\rà  una  vita  infinitamente  più  complessa  del  bambino;  ma  dovrà 
sempre  esistere  anche  per  lui  un  rapporto  tra  i  bisogni  della  sua  natura, 
e  il  modo  di  sostentare  lo  spirito.  Una  regola  di  vita  interna,  sarà  sempre 
una  questione  di  salute  per  l'uomo. 

Tornando  all'attenzione,  quel  fatto  primitivo  di  corrispondenza 
tra  natura  e  stimolo,  che  è  il  fondamento  della  vita,  dovrà  sussistere, 
per  quanto  modificato,  anche  pei  fanciulli  più  grandi;  e  rimanere  una 
ba.se  dell'educazione. 

Comprendo  le  obbiezioni  dei  «  pratici  ».  Bisogna  «  abituare  »  i 
bambini  a  prestare  attenzione  a  tutto,  anche  a  cose  non  piacevoli, 
perchè  la  vita  pratica  porta  appunto  alla  necessità  di  questi  sforzi. 

L'obbiezione  è  basata  su  un  pregiudizio  analogo  a  quello  che  fa- 
ceva dire  un  tempo  ai  buoni  padri  di  famiglia:  «  i  bambini  devono 
abituarsi  a  mangiar  di  tutto  »;  e  così  si  metteva  V educazione  morale 


VI.  -  ATTENZIONE  I23 

fuori  di  posto;  confusione  fatale!  È  avvenuto  in  quel  livello  d'idee 
oggi  sorpassate,  che  dei  padri,  quando  un  figlio  a  mezzogiorno  si  ri- 
fiutava di  mangiare  una  pietanza  sgradita,  lo  lasciavano  digiuno 
tutto  il  giorno  mettendogli  a  disposizione  solo  quella  pietanza  che 
diventava  sempre  piti  fredda  e  disgustosa.  Finché  la  fame  «  fiaccava  » 
la  volontà  del  figlio,  estingueva  il  capriccio:  e  la  pietanza  fredda  veniva 
inghiottita.  È  così,  pensava  quel  padre,  che  mio  figlio  nelle  varie 
circostanze  che  possono  presentarsi  nella  vita,  si  troverà  pronto  a 
nutrirsi  di  qualunque  cosa;  e  non  sarà  ghiotto  e  capriccioso.  Era  pure 
in  questi  tempi  che  s'impediva  ai  bambini  (il  cui  organismo  ha  bisogno 
di  zucchero,  perchè  i  muscoli  in  crescenza  ne  consumano  molto)  di 
mangiare  i  dolci,  per  iniziarli  a  vincere  la  ghiottoneria.  Era  pure 
il  tempo  in  cui  un  facile  e  comodo  castigo  per  correggere  i  bambini 
cattivi,  era  quello  di  «  mandarli  a  letto  senza  cena  ». 

Lo  stesso  press'a  poco  fa  chi  oggi  pretende  che  il  bambino  presti 
attenzione  alle  cose  che  non  gli  piacciono,  per  abituarsi  alle  necessità 
della  vita.  Solo  che,  nel  caso  dell'alimento  psichico,  mancando  in  rap- 
porto alla  «  cattiva  e  fredda  pietanza  »  la  fame,  l'alimento  è  indigesto, 
ingombrante  e  quindi  indebolisce  e  avvelena. 

Non  è  così  che  si  preparerà  lo  spirito  forte,  pronto  alle  eventualità 
difficili  della  vita.  Il  ragazzo  che  mangiava  la  minestra  fredda  e  digiu- 
nava la  sera,  era  colui  il  cui  corpo  cresciuto  male,  si  trovava  piìi  debole 
di  fronte  alle  infezioni  dell'ambiente  e  cadeva  malato:  e  moralmente 
era  quegli  che,  avendo  mantenuto  dentro  di  sé  appetiti  insaziati,  trovava 
come  il  più  bell'acquisto  della  sua  libertà,  nell'età  adulta,  mangiare 
e  bere  a  crepapelle.  Non  era  quel  fanciullo  d'oggi,  che,  nutrito  razio- 
nalmente e  fatto  robusto  nel  cprpo,  è  divenuto  l'uomo  astinente,  il 
quale  mangia  per  vivere  sano,  e  lotta  contro  l'alcoolismo  e  contro 
gli  alimenti  venefìci  o  eccessivi:  l'uomo  moderno  che  sa  difendersi 
con  tanti  mezzi  dalle  malattie  infettive;  e  che  é  così  pronto  agli  sforzi 
che,  senza  necessità,  cerca  e  sfida  gli  strapazzi  dello  sport  e  aspira  e 
giunge  alle  grandi  imprese,  come  la  scoperta  dei  poli  e  l'ascensione 
delle  alte  montagne. 

E  così  l'uomo  capace  di  sfidare  le  agghiaccianti  lotte  morali, 
d'intraprendere  le  ascensioni  spirituali,  sarà  quello  dalla  forte  volontà, 
dallo  spirito  equilibrato,  dalle  pronte  e  costanti  decisioni. 


124  PARTE    PRIMA 

E  la  folto  xolcntà.  riiitcllotto  cquililnalo  lo  a\ià  l'uomo  tanto 
più,  per  quanto  la  sua  \ita  interiore  sarà  cresciuta  normalmente ,  orga- 
nizzandosi secondo  le  provvide  leggi  della  natura,  formando  una  indivi- 
dualità. Per  essere  pronti  alla  lotta,  non  bisogna  aver  lottato  fin  dalla 
nascita,  ma  bisogna  essere  forti.  Chi  <'•  forte  è  pronto;  nessun  eroe  era 
un  eroe  prima  di  aver  compiuto  il  suo  atto  eroico.  Le  pro\e  alle  quali 
ci  attende  la  vita  sono  improvvise,  inattese:  nessuno  ci  può  preparare 
direttamente  ad   esse;  è  solo  l'anima  robusta  che  ci  prepara  a  tutto. 

Quando  un  essere  vivente  è  in  via  di  evoluzione,  per  garantirne  lo 
sviluppo  normale,  bisogna  corrispondere  ai  singoli  bisogni  del  presente. 
Il  feto  ha  bisogno  di  nutrirsi  col  sangue:  il  neonato  col  latte.  Se  manca 
il  sangue  ricco  di  sostanze  albunnnose  e  di  ossigeno  al  feto  nella  vita 
intrauterina,  o  se  delle  sostanze  venefiche  raggiungono  i  suoi  tessuti; 
l'essere  \ivente  non  potrà  sviluppare  normaliTientc,  e  nessuna  cura 
successiva  potrà  fortificare  l'uomo  venuto  da  questo  prodotto  impo- 
Aerito.  Se  manca  il  latte  sufficiente  al  bambino,  la  denutrizione  di 
un'epoca  iniziale  della  vita  potrà  lasciarlo  in  un  permanente  stato  d'in- 
feriorità. Il  lattante  si  «  prepara  a  camminare  »  stando  senq:)re  sdraiato 
e  dormendo  lunghi  sonni  tranquilli.  E  succhiando  che  il  bambino  inizia 
la  sua  dentizione.  Così  come  l'uccello  del  nido  non  si  prepara  al  volo 
volando,  ma  rimanendo  immobile  nel  piccolo  guscio  caldo  ove  si  prov- 
\ede   alla   sua  nutrizione.  Le  preparazioni  della  vita  sono  indirette. 

L'attesa  del  fenomeno  di  natura,  che  è  il  volo  maestoso  degli  uc- 
celli, la  ferocia  della  belva,  il  canto  dell'usignolo,  la  vario"f)inta  bellezza 
delle  ali  d'una  farfalla,  si  preparano  nei  segreti  di  un  nido  o  di  una 
tana,  o  nella  immobile  intimità  di  un  bozzolo.  La  natura  onnipotente, 
chiede  per  le  creature  in  formazione  solo  pace.   Il  resto  essa  lo  dona. 

Ora,  anche  lo  spirito  infantile  deve  trovare  il  suo  caldo  nido  ove 
fu  assicurata  la  sua  nutrizione,  e  j^oi  dobbiamo  e  attendere  »  le  rivela- 
zioni dello  sviluppo. 

Offrire  perciò  gli  oggetti  fhe  corrispondono  alle  sue  tendenze 
formative,  è  una  necessità  per  ottenere  il  risultato  che  l'educazione 
si  prefigge:  cioè  che  le  forze  latenti  nell'uomo  si  svolgano  col  minimo 
sforzo  e  il  più  pienamente  possibile. 


VII. 
Volontà 


Quando  il  bambino  sceglie  tra  una  notevole  quantità  di  oggetti 
quello  che  preferisce,  si  muove  per  andarlo  a  prendere  dalla  credenza  e 
riportarlo  a  posto,  o  consente  a  cederlo  a  un  compagno;  quando  aspetta 
che  uno  degli  oggetti  del  materiale  che  vorrebbe  usare  sia  lasciato 
dal  bambino  che  lo  tiene  in  quel  momento  tra  le  mani;  quando  persiste 
a  lungo  con  intensa  attenzione  nel  medesimo  esercizio  correggendo  l'er- 
rore che  il  materiale  di  sviluppo  gli  rivela;  quando  nell'esercizio  del 
silenzio  trattiene  tutti  i  suoi  impulsi,  tutti  i  suoi  movimenti,  e  poi, 
alzandosi  alla  chiamata,  li  dirige  in  modo  preciso  per  non  far  ru- 
more coi  piedi,  per  non  urtare  nei  mobili:  egli  compie  altrettanti  atti 
di  ■:•  volontà  ».  Si  può  dire  che  in  lui  l'esercizio  della  volontà  è  con- 
tinuo; anzi  che  ciò  che  agisce  veramente  e  sovrasta  tra  le  sue  attitu- 
dini, è  la  \'olontà  il  cui  edifìcio  si  erige  sul  fatto  interiore  fondamen- 
tale di  un'attenzione  lungamente  sostenuta. 

Analizziamo  qualcuno  dei  coefficienti  della  volontà. 

L'espressione  esterna  della  volontà  è  tutta  nei  movimenti:  qua- 
lunque azione  compia  l'uomo,  cammini,  lavori,  parli  o  scriva,  muova 
gli  occhi  a  guardare  o  li  chiuda  per  sottrarsi  a  una  visione,  egli  agisce 
muovendosi  ».  Un'azione  volontaria  può  essere  anche  quella  d'im- 
pedire un  movimento:  trattenere  i  disordinati  movimenti  dell'ira;  non 
ar  luogo  all'impulso  che  ci  spingerebbe  a  strappar  di  mano  ad  altri  un 
oggetto  desiderabile;  sono  tutti  fatti  volontari.  Quindi  la  volontà 
non  è  un  semplice  impulso  al  movimento,  ma  è  la  superiore  dire- 
zione dei  movimenti.  -^ 

Senza  l'atto  compiuto  non  c'è  manifestazione  volontaria:  chi 
pensi  di  compiere  una  buona  azione  e  poi  non  la  faccia;  chi  desideri 


l'ARTH     l'KlMA 


di  riparare  un'offesa  e  resti  poi  senza  agire;  chi  facci^  proposito  d'uscir 
di  casa,  di  fare  una  visita  o  di  scrivere  una  lettera,  e  se  ne  trattenga, 
non  compie  atti  di  volontà.  Pensare,  desiderare,  non  basta.  È  l'azione 
che  conta.  «  La  \ia  dell'inferno  è  seminata  di  buone  intenzioni  ». 

La  vita  volitiva  è  la  vita  dell'azione.  Ora,  tutti  i  nostri  atti  rap- 
presentano una  risultante  tra  impulsi  e  inibizioni,  e  questa  risultante 
può  divenire,  nella  ripetizione  degli  atti,  quasi  abituale  e  inconscia. 
Così  è,  per  esempio,  di  tutte  quelle  azioni  consuete  che  costituiscono 
nell'insieme  il  «  contegno  di  una  persona  bene  educata  ».  Il  nostro 
impulso  ci  porterebbe  a  fare  quella  determinata  visita,  ma  sappiamo 
che  potremmo  disturbare,  che  non  è  il  giorno  di  ricevimento,  e  ce  ne 
tratteniamo;  staremmo  bene  seduti  in  un  angolo  del  salotto,  ma  entra 
una  persona  \cncrabile  e  noi  ci  alziamo  in  piedi;  non  è  simpatica  quella 
signora,  ma  noi  ugualmente  c'inchiniamo  e  le  baciamo  la  mano;  è 
precisamente  il  dolce  preso  dalla  nostra  vicina  che  noi  avremmo  de- 
siderato, ma  ci  guardiamo  bene  dal  farlo  vedere.  Tutti  i  movimenti 
del  nostro  corpo  non  sono  quelli  dettati  dall'impulso  o  dalla  stanchezza, 
ma  sono  la  corretta  riproduzione  di  ciò  che  riteniamo  decoroso.  Senza 
impulsi  noi  non  prenderemmo  assolutamente  parte  alla  vita  sociale; 
d'altronde  senza  le  inibizioni  non  sapremmo  correggere,  dirigere  e 
utilizzare  gl'impulsi. 

Questo  reciproco  equilibrio  tra  le  opposte  forze  motrici,  è 
il  risultato  di  lunghi  esercizi,  di  antiche  abitudini  in  noi;  non  abbiamo 
più  alcun  senso  di  sforzo  nel  compierle,  non  dobbiamo  aiutarci  più 
coi  sussidi  della  ragione  e  della  conoscenza:  questi  atti  sono  divenuti 
quasi  dei  riflessi.  E  pure  si  tratta  di  atti  ben  lontani  dall'atto  riflesso: 
non  è  la  natura,  è  l'abitudine  che  produce  tutto  ciò.  Sappiamo  bene 
come  la  persona  che  non  fu  educata  con  l'abitudine,  ma  solo  istruita 
in  fretta  con  la  conoscenza  di  certe  regole,  commette  troppo  spesso 
goffaggini  e  distrazioni,  perchè  essa  dovrebbe  «  creare  lì  per  lì  »  tutti 
quegli  adattamenti  necessari  di  atti  volontari,  e  lì  per  lì  dirigerli  sotto 
il  controllo  vigile  e  immediato  della  coscienza:  e  un  tale  sforzo  conti- 
nuato non  può  assolutamente  competere  con  l'w  abitudine  »  alle  maniere 
distinte.  La  volontà  immagazzina  i  suoi  prolungati  sforzi  fuori  della 
coscienza,  o  alla  sua  estrema  periferia,  e  lascia  la  coscienza  stessa 
sgombra  pei  nuovi  acquisti  e  per  le  prove  successive.  Cosicché  noi 


VII.   -  VOLONTÀ  127 

non  consideriamo  oramai  più  ^prove  di  volontà  quelle  attitudini  dove 
pure  la  coscienza  si  direbbe  sempre  sospesa  e  vigilante  sugli  atti,  af- 
finchè essi  seguano  la  perfetta  regola  di  un  galateo  esteriore.  Un  uomo 
educato  che  agisce  così,  è  niente  più  di  un  uomo  in  sé,  di  un  uomo 
«  sano' -"diamente  ». 

Infatti  è  solo  la  malattia  che  disgrega  la  personalità  organizzata 
sopra  i  suoi  adattamenti,  che  potrebbe  rimuovere  un  uomo  di  società 
da  tali  modi  di  agire:  si  sa  che  un  nevrastenico,  uno  che  entri  nei  pri- 
missimi sintomi  della  paranoia,  può  sulle  prime  sembrare  appena 
appena  colui  che  vien  meno  alla  «  buona  creanza  ». 

Ma  chi  viceversa  sta  dentro  i  limiti  di  quella  buona  creanza,  è 
niente  più  che  un  uomo  normale.  Noi  non  oseremo  chiamarlo  un  «  uomo 
di  volontà  »:  la  coscienza  di  costui  è  tuttora  scoperta  alle  prove,  e  i 
meccanismi  immagazzinati  alla  sua  periferia  non  hanno  più  un  vero 
«  valore  volitivo  «. 

Ma  il  bambino  è  alle  sue  prime  armi,  e  la  sua  personalità  è  ben 
diversa  da  questa:  egli  è  come  uno  squilibrato  rispetto  all'adulto, 
preda  quasi  sempre  ai  propri  impulsi,  talvolta  alle  più  ostinate  ini- 
bizioni. Le  due  attività  volitive  opposte  non  si  sono  combinate  a 
costruire  la  personalità  nuova.  L'embrione  psichico  ha  ancora  sepa- 
rati i  due  elementi.  Ciò  che  importa  grandemente  è  che  tale  «  combi- 
nazione »,  tale  «  adattamento  »  avvenga  e  si  stabilisca  come  una  cinta 
di  sostegno  alla  periferia  della  sua  coscienza.  Perciò  è  necessario  che 
il  più  presto  possibile  venga  l'esercizio  attivo,  necessario  a  raggiungere 
tale  grado  di  sviluppo.  Lo  scopo  non  è  certo  di  fare  del  bambino  un 
piccolo  e  precoce  «  gentleman  »:  lo  scopo  è  che  egli  eserciti  i  suoi  po- 
teri volitivi  e  metta  subito  a  contatto  reciproco  gh  impulsi  con  le 
inibizioni.  È  questa  «  costruzione  »  che  necessita,  non  lo  scopo  da 
raggiungere  esteriormente  con  tale  costruzione. 

C'è  un  modo  solo  per  raggiungere  il  fine:  è  che  il  bambino  agisca 
in  mezzo  ad  altri  bambini,  e  si  eserciti,  nella  consuetudine  stessa  della 
sua  vita,  a  tale  ginnastica  della  volontà.  Il  bambino  che  si  occupa  in 
un  lavoro,  inibisce  tutti  gli  altri  movimenti  che  non  sono  quelli  di  tal 
lavoro;  fa  una  scelta  fra  le  coordinazioni  muscolari  di  cui  è  capace, 
vi  persiste  a  lungo  e  così  comincia  a  fissare  tale  selezione.  Cosa  ben 
diversa  di  quando  il  bambino  si  muove  disordinatamente  dando  luogo 


128  l'AKTE    TKIMA 

d  impulsi  incoordinati.  Allorché  egli  comincia  a  rispettare  il  lavoro 
altrui;  a  non  strappare  di  mano  agli  altri  l'oggetto  che  desidera  ma 
ad  attenderlo  pazientemente;  a  camminare  senza  urtare  i  compagni, 
senza  pestar  loro  i  piedi,  senza  rovesciare  la  tavola;  lo  fa  organizzando 
la  sua  volontà  e  mettendo  in  equilibrio  gl'impulsi  e  le  inibizioni.  Ciò 
dà  luogo  appunto  all'abitudine  ad  una  vita  sociale.  Non  sarebbe 
mai  possibile  raggiungere  questa  tìnalità  tenendo  i  bambini  fermi 
e  seduti  l'uno  accanto  all'altro:  allora  i  «  rapporti  tra  i  bambini  » 
non  possono  nascere,  e  la  vita  sociale  infantile  non  si  produce. 

È  nei  liberi  rapporti,  nel  reale  esercizio  che  fa  adattare  i  limiti 
di  ciascuno  ai  limiti  altrui,  che  si  possono  organizzare  le  «  abitudini  » 
sociali.  Non  è  certo  l'udire  la  descrizione  di  ciò  che  si  deve  fare,  che  può 
produrre  dei  meccanismi  volontari;  non  basterà  dare  «  nozioni  di 
galateo  »  e  di  «  diritti  e  doveri  »  per  fare  acquistare  dei  movimenti 
garbati.  Se  così  fosse,  basterebbe  descrivere  minutamente  i  movi- 
menti della  mano  necessarii  a  suonare  il  pianoforte,  e  un  allievo  at- 
tento potrebbe  poi  alzarsi  ed  eseguire  una  suonata  di  Beethoven.  £ 
la  «  formazione  »  che  occorre  in  tutto  questo;  è  l'esercizio  che  stabi- 
lisce gli  acquisti  della  volontà. 

Ha  un  grande  valore,  in  educazione,  organizzare  per  tempo 
lutti  i  meccanismi  utili  alla  costruzione  della  personalità.  Come  è 
necessario  il  moto,  la  ginnastica  dei  bambini  perchè  si  sa  che  i 
muscoli  nell'inazione  diventano  incapaci  di  eseguire  la  i)ioltitudine 
di  movimenti  ai  quali  il  nostro  sistema  muscolare  può  dar  luogo, 
analogamente  per  mantenere  attiva  la  vita  interiore  è  necessaria 
una  corrispondente   «  ginnastica  » . 

L'organismo  senza  educazione  può  essere  più  facilmente  condotto 
verso  le  sue  eventuali  deficienze:  chi  è  debole  di  muscoli,  tende  a  non 
muoversi  e  con  ciò  si  perde,  mentre  bisogna  che  un'azione  si  produca 
per  vincere  il  pericolo.  Così  chi  è  «  debole  di  volontà  »,  chi  è  «  ipobu- 
lico  »  o  «  abulico  »,  potrebbe  facilmente  adattarsi  a  una  scuola  dove 
tutti  i  bambini  stanno  fermi  a  sedere  ascoltando  o  fingendo  di  ascol- 
tare. Molti  bambini  di  questo  genere  finiscono  poi  negli  ambulatori 
per  malattie  nervose,  e  hanno  tra  le  loro  note  scolastiche  «  ottima 
condotta  ;  nessun  profitto  nello  studio  ».  Di  questi  bambini  alcune 
maestre  si  limitano  a  dire:  «  è  tanto  buono  »,   e  con  ciò  intendono  di 


VOLONTÀ  129 


difenderli  da  ogni  intervento  e  di  lasciarli  sprofondare  indisturbati 
nella  debolezza  che  li  sta  inghiottendo  come  una  sabbia  mobile.  Altri 
bambini  prevalentemente  impulsivi,  si  fanno  notare  solo  come  autori 
di  disordine,  e  la  loro  sentenza  è  «cattivi».  Si  domanda  in  che  consiste 
la  cattiveria:  e  la  risposta  è  quasi  sempre  questa:  «  non  sta  mai  fermo  ». 
Anche  «  i  dispetti  ai  compagni  »  sono  le  caratteristiche  di  questi  distur- 
batori, e  i  dispetti  consistono  quasi  sempre  in  ciò:  ch'essi  cercano  in 
tutti  i  modi  di  strappare  i  compagni  alla  loro  quiete,  e  di  trascinarli 
ad  una  associazione.  Vi  sono  poi  dei  bambini  che  hanno  in  preva- 
lenza i  poteri  inibitori;  la  loro  timidezza  è  estrema,  sembra  tMvolta 
che  non  possano  decidersi  a  rispondere,  o,  dopo  un,  eccitamento 
esterno,  lo  fanno,  ma  con    voce    esilissima   e   scoppiando   in  pianto. 

La  ginnastica  necessaria  a  tutte  e  tre  queste  forme  indistinta- 
mente è  l'azione  libera.  Il  movimento  altrui  continuo  e  interessante 
è  il  migliore  invito  all'abulico;  il  moto  incanalato  in  esercizi  ordinati 
^volge  le  inibizioni  -dell'impulsivo;  e  il  bambino  troppo  soggetto  alle 
sue  forze  inibitrici,  liberato  dai  legami  della  sorveglianza,  potendo 
agire  da  solo  di  nascosto,  cioè  allontanando  da  sé  tutte  le  cause  che 
dall'esterno  si  sommano  all'inibizione,  può  trovare  un  equilibrio  tra 
le  due  opposte  azioni  volitive.  È  pur  sempre  la  stessa  via  di  salvezza 
per  tutti  gli  uomini:  quella  do''- ,  i  deboli  si  rinforzano,  è  la  via  sulla 
quale  i  forti  si  perfezionano. 

Lo  squilibrio  tra  impulsi  e  inibizioni  è  non  solo  un  fatto  assai  noto 
e  interessante  in  patologia:  ma  esso  si  riscontra,  sebbene  in  minor  grado, 
tra  le  persone  normali  con  la  stessa  frequenza  con  cui  si  riscontrano 
le  deficienze  di  educazione  nei  rapporti  sociali  esteriori. 

L'impulso  porta  i  criminali  ad  atti  delittuosi  verso  gh  altri  uo- 
mini: ma  quante  volte  le  persone  normali  devono  pentirsi  di  un  atto 
spensierato,  di  uno  scatto  di  nervi  che  avrà  per  loro  tristi  conseguenze! 
Per  lo  più  il  normale  impulsivo  nuoce  solo  a  sé  stesso,  compromette 
la  sua  carriera,  non  può  far  fruttare  i  'propri  talenti:  e  soffre  di  una 
conscia  schiavitù,  come  di  una  sventura  a  cui  forse  avrebbe  potuto 
essere  sottratto. 

Chi  é  patologicamente  vittima  dei  propri  poteri  inibitori  è  certo 
il  malato  più  infelice:  egli  sta  fermo,  tace;  ma  dentro  di  sé  vorrebbe 
muoversi;  mille  impulsi  che  non  trovano  uscita  martirizzano  l'anima 


130  PARTI-;    l'KIMA 

che  aspira  all'art(\  al  hnoio:  un  disoorsi>  eloc]m'nt(-  sulle  i)r()])ri(-  s\en- 
turo  fluirebbe  dallo  labbra  per  chiederò  soccorso  a  un  luedieo,  o  o(jn- 
forto  a  una  nobile  anima:  ma  lo  labbra  tacciono.  L'incubo  spavon- 
te\()lo  è  comò  quello  di  un  uomo  vi\-o  sepolto  in  una  tomba.  Ma  quanti 
uomini  normali  soffrono  por  (pialclie  cosa  di  simile.  Kssi  axrebbero 
do\uto.  in  una  occasione  fortunata  della  vita,  farsi  innanzi,  mostrare 
il  loro  \alore,  ma  non  poterono.  Mille  volte  pensarono  che  uno  sfogo 
sincoro  dello  loro  anime  avrebbe  potuto  raddrizzare  una  situazione 
difficile:  ma  il  cuore  si  chiuse  e  la  bocca  restò  muta.  Con  che  passione 
desiderarono  di  parlare  a  una  persona  superiore  che  le  avrebbe  comprese, 
illuminate,  confortate:  ma  quando  \i  si  trovarono  dinanzi,  non  sep- 
pero dire  una  parola.  La  persona  desiderata  le  rianimò,  le  interrogò, 
le  spinse  ad  esprimersi,  ma  solo  un'angoscia  interna  rispose  all'in- 
vito; parla!  parla!  diceva  in  fondo  alla  coscienza  l'impulso:  ma  l'ini- 
bizione era  inesorabile  come  una  forza  materiale  prevalent(>  e  vin- 
citrice. 

E  nell'educazione  della  \olontà,  per  mezzo  di  esercizi  liberi  ove  gli 
impulsi  si  fanno  equilibrio  con  le  inibizioni,  che  risiederebbe  la  cura 
di  tali  soggetti,  purché  la  cura  fosse  fatta  nell'età  in  cui  la  volontà 
va  organizzandosi. 


Tale  equilibrio  depositato  come  un  meccanismo  alla  periferia 
della  coscienza,  che  rende  l'uomo  di  società  «  corretto  »  nel  suo  con- 
tegno, non  è  certo  quel  che  costituisce  la  «  persona  di  volontà  ». 
Si  è  detto  che  la  coscienza  resta  libera  per  altri  acquisti  volitivi.  La 
dama  più  aristocratica  e  fine,  potrebbe  pure  essere  una  persona  «  senza 
volontà  »  e  «  senza  carattere  »,  benché  sia  costruita  coi  meccanismi 
più  rigorosi  di  una  volontà  meccanizzata  e  solo  rivolta  verso  gli  oggetti 
esteriori. 

Esiste  un'azione  \-olontaria  londainentale  sulla  quale  si  basano 
non  già  i  rapporti  superficiali  tra  uomo  e  uomo,  ma  su  cui  si  erige  la 
stessa  costruzione  della  società,  e  che  è  caratterizzata  dalla  «costanza». 
L'organizzazione  sociale  si  fonda  sul  fatto  che  gli  uomini  possono 
lavorare   costantemente,  e    produrre    in  certi    limiti  medi,  su    cui  si 


VII.  -  VOLONTÀ  131 

costruisce  l'equilibrio  economico  di  un  popolo.  I  rapporti  sociali  che 
sono  a  base  della  riproduzione  della  specie,  si  fondano  sulla  costante 
unione  dei  genitori  nel  matrimonio.  La  famiglia  e  il  lavoro  produttivo  : 
ecco  i  due  cardini  della  società;  essi  poggiano  sulla  più  grande  qua- 
lità volitiva:  la  costanza. 

Questa  qualità  è  veramente  l'esponente  della  unità  continuativa 
della  personalità  interiore.  Senza  essa,  una  vita  sarebbe  una  serie  di 
episodi,  un  caos;  sarebbe  come  un  corpo  disgregato  nelle  sue  cellule 
anziché  un  organismo  che  persiste  a  traverso  i  mutamenti  della  pro- 
pria materia.  Questa  qualità  fondamentale,  allorché  essa  coinvolge 
il  sentimento  dell'individuo,  l'indirizzo  della  sua  ideazione,  cioè  tutta 
la  sua  personalità,  noi  l'abbiamo  chiamata  il  carattere.  L'uomo  di  ca- 
rattere è  l'uomo  persistente:  l'uomo  fedele  alla  propria  parola,  alle 
proprie  convinzioni,  ai  propri  affetti. 

Ebbene,  l'insieme  di  queste  particolarità  della  costanza,  ha  un 
esponente  d'immenso  valore  sociale:  la  persistenza  nel  lavoro. 

Il  degenerato,  prima  di  dar  luogo  all'impulso  criminoso,  prima 
di  aver  manifestato  la  sua  incostanza  negli  affetti,  prima  di  aver  tra- 
dito la  sua  parola,  prima  di  aver  fatto  scempio  di  tutte  le  convinzioni 
che  possono  nobilitare  l'uomo,  aveva  una  stigma  che  lo  designa\a 
come  un  essere  disgregato,  perduto:  era  l'ozio,  l 'impossibilità  di  persi- 
stere in  un  lavoro.  Appena  un  uomo  onesto  e  corretto  si  ammala 
di  malattia  mentale,  prima  ancora  di  manifestare  impulsi,  disordini 
della  condotta,  delirii,  ha  un  sintomo  premonitore  :  non  può  più 
applicarsi  al  lavoro.  Giustamente  il  popolo  considera  buona  una  ra- 
gazza da  marito  quando  è  laboriosa;  e  un  uomo  è  detto  onesto  e  ca- 
pace di  dare  buone  garanzie  a  una  ragazza  che  deve  sposarlo,  quando 
é  un  bravo  lavoratore.  Questa  bravura  non  consiste  nell'abilità:  essa 
consiste  nella  costanza,  nella  persistenza.  Infatti  non  è  un  buon  partito, 
per  es.,  un  pseudo  artista  abilissimo  a  produrre  piccoli  oggetti  d'arte, 
ma  che  «  non  ha  voglia  di  lavorare  ».  Tutti  sanno  che  egli  non  solo 
non  potrà  economicamente  produrre,  ma  che  é  un  soggetto  sospett(3, 
pericoloso:  egli  potrà  divenire  un  cattivo  marito,  un  cattivo  padre, 
un  catti\o  cittadino.  Invece  il  più  umile  artigiano  che  «  la\ora  », 
certo  contiene  in  sé  tutti  gli  elementi  che  possono  garantire  la  feli- 
'  ita  e  la  sicurezza  della  vita.  Questo  indubbiamente  è  il  significato  del 


IJJ  l'ARTE    PRIMA 

grande  elogio  romano:  «  stette  in  casa  e  filò  la  lana  y,  cioè  fu  donna  di 
carattere,  degna  compagna  dei  conquistatori  del  mondo. 

Ora  il  piccolo  bambino  che  manifesta  come  primo  atto  costrut- 
tivo della  sua  vita  psichica  la  permanenza  in  un  lavoro,  e  su  questo 
atto  erige  poi  l'ordine  interiore,  l'equilibrio  e  la  crescenza  della  per- 
sonalità, ci  dimostra  quasi  come  in  una  risplendente  rivelazione, 
qual'è  la  via  su  cui  si  costruisce  il  valore  dell'uomo.  Quel  piccolo  bam- 
bino che  persiste  nei  suoi  esercizi,  assorto  e  concentrato,  elabora  evi- 
dentemente l'uomo  costante,  l'uomo  di  carattere,  colui  che  troverà 
in  sé  tutti  i  valori  umani,  facenti  corona  a  quella  fondamentale  e 
unica  manifestazione:  la  costanza  nel  lavoro.  Qualunque  sia  il  lavoro 
che  il  bambino  sceglie,  purché  vi  persista,  è  la  stessa  cosa.  Poiché 
ciò  che  ha  valore  non  è  il  lavoro  in  sé,  ma  è  il  lavoro  come  mezzo  per 
la  costruzione  dell'uomo  interiore. 

Chi  interrompe  i  bambini  nelle  loro  occupazioni  affinchè  si  soffer- 
mino a  imparare  certe  determinate  cose,  e  li  fa  cessare  dallo  studio 
dell'aritmetica  per  passare  a  quello  della  geografia  e  simili,  pensando 
che  sia  importante  dirigere  la  loro  cultura,  confonde  il  mezzo  col  fine 
e  distrugge  l'uomo  per  una  vanità.  Ciò  che  è  necessario  di  dirigere, 
non  è  la  cultura  dell'uomo,  è  l'uomo  stesso. 


Se  il  vero  sfondo  della  volontà  è  la  costanza,  noi  riconosciamo 
però  come  «  atto  volontario  »  per  eccellenza,  la  decisione.  È  necessario 
che  noi  ci  decidiamo  per  compiere  qualsiasi  atto  cosciente.  Ora  la  de- 
cisione è  sempre  la  risultante  di  una  scelta.  Abbiamo  più  cappelli, 
dobbiamo  decidere  quale  dobbiamo  mettere  per  uscir  di  casa:  po- 
trebbe essere  indifferentemente  il  cappello  marrone  o  il  cappello 
grigio,  tuttavia  dobbiamo  sceglierne  uno.  Per  tale  scelta  avremo 
i  nostri  motivi,  ce  ne  saranno  così  in  favore  del  grigio  come  del  marrone; 
ma  finalmente  uno  dei  motivi  dovrà  prevalere  e  la  scelta  è  fatta.  Evi- 
dentemente, l'abitudine  di  prendere  il  cappello  e  uscire,  facilita  la 
scelta:  siamo  quasi  inconsci  che  dei  motivi  abbiano  agito  e  lottato 
in  noi.  È  questione  di  un  minuto,  e  non  c'è  alcuna  impressione  di  sforzo. 
La  nostra  conoscenza  sul  cappello  che  occorre  la  mattina  o  il  dopo 


VII.  -  VOLONTÀ  133 

pranzo,  su  quello  che  occorre  pel  teatro  o  per  lo  sport,  ci  risparmia 
completamente  ogni  lotta  interna. 

Ma  così  non  è  se,  per  es.,  dobbiamo  spendere  una  certa  somma 
di  denaro  per  fare  un  regalo.  Che  cosa  compreremo  tra  tanti  oggetti 
che  sarebbe  possibile  di  scegliere?  Se  noi  non  abbiamo  la  «  conoscenza 
chiara  «  delle  cose,  il  nostro  lavoro  può  diventare  angoscioso.  Vor- 
remmo scegliere  una  cosa  artistica,  ma  non  c'intendiamo  d'arte,  te- 
miamo di  rimanere  ingannati  e  di  fare  una  brutta  figura;  non  sappiamo 
niente  degli  usi,  e  non  abbiamo  idea  se  sarebbe  con\  eniente  un  merletto 
o  una  coppa  d'argento.  Abbiamo  allora  bisogno  di  qualcuno  che  ci 
illumini  su  tutti  questi  particolari  che  ignoriamo,  e  andiamo  a  chiedere 
consiglio.  Non  è  però  detto  che  seguiremo  il  consiglio  ricevuto.  A 
dire  la  verità,  il  consiglio  si  riferiva  alla  nostra  ignoranza:  volevamo 
un  lume  alla  «  conoscenza  »  più  che  una  spinta  al  hostro  volere.  Il  vo- 
lere è  una  cosa  gelosa  che  ci  riserbiamo  per  noi,  ed  è  cosa  di  tutt 'altro 
genere  di  quella  conoscenza  indispensabile  a  una  decisione.  La  scelta 
che  faremo  dopo  i  «  consigli  «  di  una  o  piti  persone  avrà  una  impronta 
«  nostra  »,  sarà  la  decisione'  del  nostro  io. 

È  dello  stesso  genere  la  scelta  che  una  padrona  di  casa  farà  per 
preparare  un  pranzo  a  degli  ospiti;  ma  lì  essa  ha  una  perfetta  cono- 
scenza delle  cose,  ha  buon  gusto,  e  la  decisione  si  farà  con  piacere  e 
senza  alcun  aiuto. 

Ma  chi  non  sa  che,  in  ogni  caso,  questo  decidere  è  un  lavoro  in- 
terno, un  vero  sforzo;  tanto  che  le  persone  di  scarsa  volontà  cercano 
di  allontanarlo,  come  qualcosa  che  rechi  pena.  Se  è  possibile,  la  padrona 
di  casa  lascerà  a  un  cuoco  le  decisioni;  e  a  una  sarta  tutti  i  ragionamenti 
necessari  a  far  prevalere  uno  dei  tanti  motivi  che  sono  in  giuoco  per 
la  scelta  di  un  abito:  la  sarta,  vedendo  che  una  decisione  si  fa  troppo 
a  lungo  desiderare,  dirà  a  un  certo  momento:  «  scelga  questo  che  le 
sta  tanto  bene  «  e  la  signora  accetterà  più  per  sottrarsi  alla  pena  di 
decidere  che  per  amore  del  vestito.  Tutta  la  nostra  vita  è  un  continuo 
esercizio  di  decisioni.  Quando  usciamo  di  casa,  dopo  aver  chiuso  la  porta 
a  chiave,  abbiamo  la  chiara  conoscenza  di  questo  atto,  la  sicurezza  che 
la  casa  è  difesa,   e  decidiamo  di  muovere  i  passi  per  andarcene. 

Più  noi  siamo  «  forti  »  in  questo  esercizio  e  più  siamo  «  indipen- 
denti »  dagli  altri.  La  chiarezza  delle  idee,  il  meccanismo  di  una  abi- 


'ARTE    l'RIMA 


tudino  a  decidere,  ci  dà  un  senso  di  libertà.  La  più  guinde  catena  che 
possa  legarci  in  una  forma  umiliante  di  schia\itù,  è  l'incapacità  a 
deciderci  e  quindi  il  bisogno  di  ricorrere  agli  altri:  quel  timore  di  «  sba- 
gliare »,  quel  senso  di  essere  tra  le  tenebre,  di  dover  sopportare  le  con- 
seguenze di  uno  sbaglio  che  non  siamo  certi  di  conoscere,  ci  fa  correre 
dietro  a  un'altra  persona  come  un  cane  legato  alla  catena.  Noi  arri- 
veremo fino  all'estremo:  non  sapremo  più  spedire  una  lettera,  com- 
prare un  fazzoletto  senza  il  «  consiglio  ». 

Ma  quando  una  vera  «  lotta  »  sorgerà  dentro  a  tale  coscienza  e 
la  decisione  dovrà  essere  istantanea,  allora  il  «  dubbio  »  formerà  tutta 
la  debolezza  di  un  essere  soccombente  a  un  altro  essere  volontario, 
ed  ecco  un  sottomesso  diventato  succube,  senza  quasi  avvedersene: 
esso  ha  disceso  solo  di  un  gradino  l'abisso  ove  corrono  il  rischio  di  per- 
dersi i  «  deboU  ».  Così  i  giovani  più  sottomessi,  senza  volontà  propria, 
cadono  facilmente  preda  dei  pericoli  onde  è  tappezzato  il  mondo. 

Ciò  che  fa  la  resistenza  non  è  la  visione  morale,  è  l'esercizio  della 
volontà:  e  questo  esercizio  è  nella  stessa  pratica  della  vita.  Una  madre  di 
famigha  molto  occupata  nella  sua  missione  di  lavoro  domestico,  e  abi- 
tuata a  decidere  in  tutte  le  cose  della  sua  giornata,  ha  più  probabilità  di 
vittoria  in  caso  di  lotta  morale,  che  una  donna  la  quale  senza  figli 
viva  rinchiusa  in  un  ozio  domestico  accasciante,  e  sia  abituata  ad  avere, 
come  sua  volontà,  la  volontà  del  proprio  marito.  Eppure  entrambe 
queste  donne  possono  avere  le  stesse  visioni  morali.  La  prima  di  queste 
donne,  se  resterà  vedova,  potrà  mettersi  al  corrente  degli  affari,  e 
tirare  avanti  l'azienda  che  suo  marito  conduceva;  ma  la  seconda  in 
simile  ceiso  avrà  bisogno  di  una  «  tutela  »  e  correrà  tutti  i  rischi  di 
perdersi.  Per  salvarsi  moralmente,  bisogna  prima  di  tutto  dipendere  da 
sé  stessi,  perchè  nel  momento  del  pericolo  si  è  soli.  E  la  forza  non  si 
può  acquistare  istantaneamente.  Chi  sa  di  dover  lottare  nel  mondo,  si 
prepara  in  forza  e  in  abilità,  al  pugilato  e  al  duello;  non  istà  con  le 
mani  in  mano,  perchè  sa  che  altrimenti  è  perduto,  ovvero  che  dovrebbe 
«  dipendere  »  come  un'ombra  dal  corpo,  da  qualcuno  che  lo  difendesse 
a  passo  a  passo,  per  tutta  la  vita,  cosa  che  nella  pratica  è  impossibile: 

Ma  solo  un   punto  fu  quel  che  ci  vinse 
racconta  Francesca  nc\\' Inferno  di  Dante. 


VII.   -  VOLONTÀ  135 

La  tentazione,  per  non  vincere,  non  deve  cadere  come  una  bomba 
contro  un'altra  bomba  di  esplosioni  morali  istantanee;  ma  contro 
le  forti  mura  di  un  castello  inespugnabile  costruito  fortemente,  pietra 
su  pietra,  fin  dal  tempo  remoto  che  furono  cominciate  le  fondamenta. 
Il  lavoro  costante,  la  chiarezza  delle  idee,  l'abitudine  a  vagliare  i 
moti\i  in  lotta  nella  coscienza,  fin  nei  minimi  atti  della  vita,  le  de- 
cisioni prese  a  ogni  istante  su  le  più  piccole  cose,  il  possesso  graduale 
delle  proprie  azioni,  il  potere  di  dirigere  sé  stesso  crescente  a  poco  a 
poco  nella  somma  delle  successioni  degli  atti  ripetuti,  ecco  le  piccole 
pietre  buone  su  cui  si  erige  il  forte  edifizio  della  personalità.  Esso  potrà 
venire  abitato  dalla  moralità,  come  da  una  principessa  che  vive  tra 
le  torri  merlate  e  il  fossato  di  un  castello  medioevale,  cioè  in  atto 
continuo  di  «  difesa  »,  sempre  «  armata  »  ma  con  tutta  la  .probabilità 
di  rimanere  la  «  signora  »,  la  «  castellana  ».  Se  per  «  costruire  la  casa  » 
alla  moralità,  è  necessario  anche  un  esercizio  del  corpo,  come  la  con- 
tinenza dell'alcool,  che  è  il  massimo  esponente  del  veleno  preso  dal- 
l'esterno che  può  indebolire,  e  il  moto  all'aria  aperta  che  facilita  il 
ricambio  materiale  e  quindi  ci  libera  dai  veleni  che  noi  stessi  fab- 
brichiamo e  che  c'indeboliscono,  quanto  più  sarà  necessario  l'esercizio 
della  volontà  continuato  come  un  ricambio  vivificatore  ? 

I  nostri  piccoli  bambini  costruiscono  la  propria  volontà,  quando, 
con  un  processo  di  auto-educazioije,  mettono  in  moto  complesse  at- 
ti\ità  interiori  di  comparazione  e  di  giudizio,  e  fanno  in  tal  guisa 
i  loro  acquisti  intellettuali  con  ordine  e  chiarezza:  questo  è  un  genere 
di  «  conoscenza  »  capace  di  preparare  la  decisione  e  li  rende  indipen- 
denti dal  suggerimento  altrui;  essi  poi  decidono  in  ogni  atto  della  loro 
giornata,  decidono  di  prendere  o  di  lasciare;  decidono  di  seguire  coi 
movimenti  il  ritmo  di  una  canzone;  decidono  di  frenare  ogni  impulso 
motore  quando  vogliono  il  silenzio.  Quel  lavoro  costante  che  edifica 
la  loro  personalità  è  spinto  tutto  da  decisioni  :  e  ciò  tiene  luogo  del 
primitivo  stato  di  caos,  ove  invece  gli  atti  erano  spinti  da  impulsi. 
Una  vita  volontaria  va  svolgendosi  in  loro:  e  la  timidezza  e  il  dubbio 
vanno  scomparendo,  insieme  alle  tenebre  della  primiti\a  confusione 
mentale. 

Sarebbe  impossibile  che  la  volontà  si  sviluppasse  così  se  noi  in- 
\ece  di  lasciar  maturare  nella  mente  l'ordine  e  la  chiarezza,  cercas- 


IJJO  PARTE    PRIMA 

simo  d'ingombrarla  con  idee  caotiche,  o  coi  depositi  dilezioni  imparate 
a  memoria:  e  poi  impedissimo  ai  bambini  la  decisione,  decidendo 
sempre  per  loro  in  tutte  le  cose.  Le  maestre  che  procedono  così  hanno 
ragione  di  dire  che  «  il  bambino  non  deve  avere  volontà  «,  e  d'inse- 
;.,Tiargli  che  «  l'erba  voglio  non  si  trova  ').  Infatti  esse  impediscono 
alla  volontà  infantile  di  svilupparsi.  I  fanciulli  allora  sentono  una  forza 
che  inibisce  tutti  i  loro  atti,  «si  fanno  timidi  »  e  non  hanno  coraggio 
di  intraprendere  nulla  senza  l'aiuto  e  il  consenso  della  persona  da  cui 
dipendono  interamente.  «  Di  che  colore  sono  queste  ciliege?  >•  chiese 
una  \olta  una  signora  a  un  bambino  che  sapeva  benissimo  che  erano 
rosse.  Ma  il  bambino  timido  e  timoroso,  nel  dubbio  di  fare  bene  o  male 
a  rispondere,  mormorò:  «  Lo  domanderò  alla  maestra  ». 

Il  meccanismo  volitivo  che  prepara  alla  decisione  è  uno  dei  più 
importanti  meccanismi  della  volontà:  esso  ha  valore  per  sé  stesso, 
e  deve  in  sé  essere  stabilito  e  fortificato.  La  patologia  ce  lo  illustra  iso- 
lato da  altri  dettagli  della  volontà,  e  ce  lo  pone  così  sotto  gli  occhi, 
come  un  pilastro  della  gran  volta  che  sostiene  la  personalità  umana. 
La  cosiddetta  «  follìa  del  dubbio  »  é  uno  dei  più  frequenti  episodi  nelle 
forme  degenerative  delle  psicopatie,  e  può  precedere  alcune  osses- 
sioni, che  spingono  irresistibilmente  a  commettere  atti  immorali  o 
dannosi.  Ma  si  può  avere  una  folUa  del  dubbio,  semplice" e  genuina, 
limitata  alla  impossibilità  di  decidersi,  e  che  produce  un  grave  stato 
di  angoscia,  senza  affatto  ledere  la  moralità,  e  perfino  erigendosi  su 
uno  scrupolo  morale.  Io  conobbi  in  un  ambulatorio  di  malattie  ner- 
vose un  caratteristico  caso  di  «  follìa  del  dubbio  «  a  base  morale. 
Si  trattava  di  un  uomo  che  andava  a  raccogliere  le  immondizie  nelle 
case:  egli  fu  preso  dal  dubbio  che  inavvertitamente  fosse  caduto 
qualche  oggetto  utile  nel  cesto  delle  immondizie,  e  ch'egli  potesse 
essere  sospettato  di  approfittarsene.  Per  questo  l'infelice,  sul  punto 
di  partirsene  col  suo  carico,  rifaceva  tutte  le  scale,  ribussava  a  tutte 
le  porte,  chiedendo  se  per  caso  non  fosse  rimasto  niente  di  buono  nelle 
ceste.  E,  tornato  indietro  carico  di  tutte  queste  assicurazioni,  tornava 
ancora  a  bussare  e  così  via.  In  vano  egli  ricorreva  al  medico  per  chie- 
dere un  aiuto  alla  propria  volontà.  Noi  gli  ripetevamo  che  nelle  ceste 
non  c'era  nulla,  ch'egli  poteva  stare  tranquillissimo  su  questo  punto, 
che  continuasse  senza  preoccupazioni  il  suo  mestiere.  Allora  un  lampo 


VII.  -  VOLONTÀ  137 

di  speranza  brillava  nei  suoi  occhi:  «  Posso  stare  tranquillo!  »  ripeteva 
andando  via.  Dopo  un  minuto  eccolo  ricomparire:  «  Dunque  posso 
stare  tranquillo?  »  Invano  era  rassicurato:  «  Sì  sì  :  tranquillo,  tran- 
quillo )).  La  moglie  Io  trascinava  via,  ma  dalla  finestra  noi  vedevamo 
a  un  certo  punto  il  malato  fermarsi  per  la  strada,  lottare,  tornare  in- 
dietro affannato;  ed  eccolo  ripresentarsi  alla  porta  per  chiedere:  «  Posso 
stare  tranquillo?  ». 

Ma  quante  volte  delle  persone  normali  racchiudono  e  nascondono 
in  sé  i  germi  di  una  tal  follìa!  Ecco  una  persona  che  esce,  inchiava 
la  porta,  la  scuote;  ma  quando  ha  fatto  due  passi  l'assalisce  il  dubbio: 
ho  chiuso  la  porta?  Sa  che  l'ha  chiusa,  ricorda  benissimo  di  averla 
scossa,  ma  una  forza  irresistibile  la  fa  tornare  indietro  per  verificare 
se  la  porta  è  veramente  chiusa.  Ci  sono  dei  bambini  che  prima  "di  co- 
ricarsi la  sera  guardano  sotto  il  letto  se  ci  sono  delle  bestie,  per  esempio 
dei  gatti;  vedono  che  non  c'è  nulla  e  capiscono  che  non  c'è  nulla.  Ep- 
pure eccoli  dopo  un  po'  ridiscendere  dal  letto  per  guardare  se  «  c'è 
niente  sotto  ».  Questi  germi  si  portano  con  sé,  come  bacilli  tuberco- 
lari inglobati  in  qualche  glandoletta  linfatica:  tutto  l'organismo  è  de- 
bole. Ma  ciò  viene  nascosto  senza  badarci,  come  col  belletto  si  na- 
scondeva un  tempo  il  pallore  del  volto. 

Basterebbe  pensare  che  la  volontà  si  manifesta  in  un'azione,  alla 
quale  il  corpo  deve  obbedire,  per  comprendere  come  un  esercizio 
formativo  sia  necessario  a  svilupparla  nei  suoi  meccanismi. 

Un  parallelo  perfetto  esiste  tra  la  formazione  della  volontà  e 
la  coordinazione  di  movimento  dei  suoi  ordegni  materiali,  i  muscoli 
striati.  Che  sia  necessario  un  esercizio  per  stabilire  delle  attitudini  ai 
nostri  movimenti  è  chiaro.  Si  sa  che  non  si  può  imparare  a  ballare  senza 
esercitarsi;  che  non  si  può  suonare  il  pianoforte  senza  preparare  i 
movimenti  della  mano  ;  ma  prima  di  ciò  dovevano  già  essersi  sta- 
bilite fin  dall'età  infantile  le  coordinazioni  fondamentali  dei  movi- 
menti, cioè  la  deambulazione  e  la  prensione.  Non  è  ancora  altret- 
tanto chiaro  per  noi  che  delle  preparazioni  graduali  consimili  siano 
necessarie  a  svolgere  la  volontà. 

Nelle  funzioni  puramente  fisiologiche  dell'apparecchio  muscolare, 
i  nostri  muscoli  volontari  non  agiscono  tutti  nello  stesso  senso,  ma 
anzi  in  due  sensi  opposti  :  alcuni  tendono  per  es.   ad  allontanare  il 


13^  PARTE    PRIMA 

braccio  dal  corpo,  altri  ad  a\vicinarlo  :  alcuni  tendono  a  piegare,  altri 
a  stendere  il  ginocchio:  sono  cioè  «  antagonistici  »  nella  loro  azione. 
Ogni  nio\imento  del  nostro  corpo  risulta  da  una  combinazione  tra  i 
muscoli  antagonistici,  con  prevalenza  ora  degli  uni,  ora  degli  altri, 
ili  una  specie  di  u  collaborazione  »  per  la  quale  ci  sono  possibili  i  mo- 
\imenti  più  di\ersi:  energici,  aggraziati,  eleganti.  È  così  che  possiamo 
stabilire  tanto  una  nobile  attitudine  del  corpo,  come  una  affascinante 
corrispondenza  motrice  al  ritmo  musicale. 

Perchè  questa  intima  combinazione  tra  antagonisti  avvenga, 
non  c'è  che  l'esercizio  nel  muoversi.  Si  può,  è  vero,  educare  il  movimento, 
ma  ciò  quando  la  coordinazione  naturale  è  già  avvenuta:  allora  possono 
«  proNocarsi  »  dei  mo\imenti  speciali  come  nei  giochi  sportivi,  nei 
balli,  ecc..  che  però  devono  essere  ripetutamente  eseguiti  dal  soggetto 
stesso,  affinchè  si  producano  in  lui  le  possibiHtà  di  nuove  combinazioni 
di  movimenti.  Non  solo  per  movimenti  di  agilità  e  di  grazia,  ma  anche 
per  quelli  di  forza,  è  necessario  che  il  soggetto  stesso  agisca  ripetuta- 
mente. È  certo  la  volontà  che  è  in  gioco  in  tutte  queste  cose:  il  soggetto 
\orrà  darsi  allo  sport,  vorrà  ballare,  vorrà  fare  esercizi  di  resistenza, 
esporsi  a  gare  di  lotta,  ecc.:  ma  per  volere  questo,  è  necessario  che  si  sia 
esercitato  prima  ripetutamente  onde  rendere  pronti  gli  ordegni  su  cniVatto 
volitivo  vorrà  infine  imporsi  col  suo  fiat.  Il  m.ovimento  è  sempre  volon- 
tario, così  quando  avvengono  i  primi  movimenti  che  stabiliscono  la 
«  coordinazione  muscolare  »,  come  quando  si  seguono  gli  esercizi 
adatti  a  procurare  nuove  combinazioni  di  moximenti  (abilità),  come 
infine,  quando  la  volontà  agisce  quale  comandante  che  fa  eseguire 
i  <uoi  ordini  da  un  esercito  bene  organizzato,  disciplinato  e  di  grande 
abilità.  L'azione  volontaria,  nei  suoi  «  poteri  »  è  cresciuta  di  grado 
a  mano  a  mano  che  i  muscoh  suoi  dipendenti  si  perfezionavano  e  si 
ponevano  perciò  nelle  condizioni  necessarie  ad  assecondarla. 

Certo,  a  nessuno  verrebbe  in  mente  che  per  educare  la  motilità 
\olor>taria  di  un  bambino,  occorresse  prima  di  tutto  tenerlo  nella 
immobilità  più  assoluta,  ingessando  le  sue  membra  (non  dico  spezzan- 
dole!) e  attendendo  poi  che  i  muscoli  si  facessero  atrofici  e  quasi  para- 
lizzati: e  allora,  arrivati  a  questo  punto,  bastasse  leggere  ai  fanciulli 
delle  storie  meravigliose  di  clown,  di  acrobati,  di  campioni  mondiali 
di   lotta,   onde  animarh  con  l'esempio,   infiammarh  con   un   ardente 


VII.  -  VOLONTÀ  139 

desiderio  di  emulazione  a  fare  altrettanto.  Evidentemente  questo 
sarebbe  il  piìi  inconcepibile  assurdo. 

E  pure  noi  facciamo  qualcosa  di  simile  quando,  per  educare  la 
«  volontà  »  del  bambino,  vogliamo  prima  annientarla  o,  come  diciamo, 
«  spezzarla  »;  e  quindi  impediamo  lo  sviluppo  di  ogni  fattore  della  vo- 
lontà, sostituendoci  in  tutto  al  bambino.  È  con  la  nostra  volontà 
che  lo  teniamo  immobile  o  lo  facciamo  agire;  siamo  noi  che  scegliamo 
e  decidiamo  per  lui.  E  dopo  tutto  questo  ci  contentiamo  d'insegnargli 
che  «  volere  è  potere  ».  E  mettiamo  innanzi  alla  sua  fantasia,  come 
racconti  favolosi,  la  storia  di  uomini  eroici,  di  giganti  della  volontà, 
con  l'illusione  che  imparando  a  memoria  quelle  gesta,  un  vigoroso 
sentimento,  di  emulazione  nasca  e  compia  il  miracolo. 

Quando  ero  bambina  e  frequentavo  le  prime  classi  elementari, 
ebbi  una  maestra  assai  gentile  e  che  ci  amava  molto.  Essa,  natural- 
mente, ci  teneva  prigioniere  e  immobili  nei  banchi,  e  parlava  di  continuo 
benché  pallida  e  sfinita.  La  sua  fissazione  era  di  farci  imparare  a  me- 
moria la  vita  delle  donne  illustri  e  specialmente  delle  «  eroine  »  per 
spingerci  ad  imitarle;  e  ci  faceva  studiare  tante  e  tante  biografie 
perchè,  in  certo  modo,  ci  fossero  note  tutte  le  possibilità  per  diventare 
illustri,  e  anche  perchè  prendessimo  la  convinzione  che  non  è  poi  im- 
possibile divenirlo,  dal  momento  che  ce  ne  sono  in  sì  gran  numero. 
L'esortazione  con  cui  accompagnava  questi  racconti  era  sempre  la 
stessa:  «  anche  tu  devi  cercare  di  diventare  celebre;  non  vorrai  divenire 
celebre  anche  tu?  ».  «  Oh  no!  le  risposi  io  un  giorno  seccata:  non  lo 
diventerò  mai:  voglio  troppo  bene  ai  bambini  dell'avvenire,  per  ag- 
giungere un'altra  biografia  ». 


Le  relazioni  unanimi  di  educatori  di  tutto  il  mondo,  negli  ultimi 
congressi  pedagogici  e  psicologici  internazionali,  lamentano  la  «  man- 
canza di  carattere  »  nella  gioventù,  come  un  grande  pericolo  per  la 
razza.  E  pure  non  è  nella  «  razza  »  che  manchi  il  carattere;  è  la  scuola 
che  contorce  il  corpo,  quella  che  indebolisce  l'anima.  Basta  un  atto 
di  liberazione:  e  le  forze  latenti  nell'uomo  si  svilupperanno. 


I40  PARTE    PRIMA 

11  modo  poi  di  ser\-irsi  della  propria  xolontà  forte,  è  una  piìi  alta 
questione,  la  quale  però  può  poggiar  solo  sopra  un  fondamento:  che 
la  volontà  esista,  si  sia  sviluppata  e  sia  forte.  Uno  degli  esempi  che 
usiamo  dare  ai  nostri  bambini  per  far  loro  amare  la  forte  volontà  è 
quello  di  Vittorio  Alfieri,  il  quale  a  tarda  età  cominciò  a  istruirsi, 
superando  con  grande  sforzo  la  noia  dei  principii.  Egli,  prima  uomo 
di  mondo,  si  mise  a  studiare  la  grammatica  latina  e  persistè  fino  a 
dixentare  un  letterato,  e,  per  suo  geniale  impulso,  uno  dei  nostri  più 
grandi  poeti.  La  frase  che  dette  per  spiegare  la  sua  trasformazione, 
è  appunto  la  frase  che  hanno  udito  ripetere  dai  loro  maestri  tutti  i 
bambini   d'Italia:   «  volli,   sempre   volli,    fortissimamente   volli  ». 

Ebbene,  prima  di  fare  la  grande  «  decisione  »,  Vittorio  Alfieri 
era  la  preda  di  una  capricciosa  signora  di  società,  che  egli  amava. 
L'Alfieri  sentiva  che  egli  perdeva  sé  stesso,  rimanendo  schiavo  della 
sua  passione:  un  interno  impulso  lo  portava  ad  elevarsi,  sentiva  l'uomo 
grande  che  era  dentro  di  lui,  pieno  di  forze  non  ancora  sviluppate 
ma  possenti  ed  espansive;  avrebbe  voluto  utilizzarle,  corrispondere 
alla  loro  chiamata  interiore:  dedicarsi  ad  esse;  ma  ecco  che- un  bigliet- 
tino  profumato  della  signora  lo  chiamava  ad  assistere  con  lei  a  uno 
spettacolo  teatrale  nel  suo  palchetto,  e  la  sera  era  perduta.  Il  po- 
tere che  la  signora  aveva  su  di  lui  superava  la  sua  stessa  volontà, 
che  avrebbe  voluto  resistere;  eppure  la  noia,  la  rabbia  che  egli  prova\'a 
nel  rimanere  alle  insulse  rappresentazioni  del  teatro  gli  procuravano 
tal  sofferenza,  che  gli  sembrava  perfino  di  odiare  la  signora  affasci- 
nante. 

La  sua  decisione  fu  materiale:  pensò  di  crearsi  un  ostacolo  insor- 
montabile tra  lui  e  lei,  e  allora  si  tagliò  la  bella  treccia  di  capelli  che 
adornava  la  sua  testa  e  che  era  il  segno  dei  gentiluomini,  senza  la 
quale  egli  non  sarebbe  potuto  uscire  di  casa  senza  vergogna;  poi  si 
fece  legare  con  delle  corde  alla  sua  poltrona,  e  lì  passò  dei  giorni, 
senza  poter  leggere  nemmeno  una  riga  tanto  era  agitato:  solo  l'impossi- 
bilità materiale  di  muoversi  e  il  pensiero  di  essere  ridicolo,  lo  tratte- 
neva lì,  contro  l'impulso  di  correre  dalla  persona  amata. 

Così  fu  che  egli  «  volle,  sempre  volle,  fortissimamente  volle  » 
e  lasciò  libero  l'uomo  interiore  che  era  in  lui  di  espandersi:  così  si  salvò 
dalla  vanità  e  dalla  perdizione,  e  lavorò  alla  propria  immortahtà. 


i 


VII.   -  VOLONTÀ  141 

Ed  è  qualcosa  di  simile  che  noi  vorremmo  dai  nostri  bambini  con 
l'educazione  volitiva:  noi  vorremmo  che  essi  imparassero  a  salvarsi 
dalle  vanità  che  fanno  perdere  l'uomo,  e  si  concentrassero  nel  lavoro 
che  dà  l'espansione  della  vita  interna  e  conduce  a  grandi  imprese  : 
noi  vorremmo  che  essi  lavorassero  alla  loro  immortalità. 

Per  questo  ansioso  e  amorevole  desiderio,  voghamo  trascinarli 
dietro  a  noi.  Ma  non  è  dentro  il  bambino  quella  forza  che  può  condurlo 
a  salvarsi?  Il  bambino  ci  ama  con  tutto  il  suo  cuore  e  ci  segue  con  la 
passione  di  cui  è  capace  la  sua  piccola  anima;  tuttavia  egli  ha  in  sé 
qualche  cosa  che  in  lui  comanda:  è  la  forza  della  propria  espansione. 
Per  questa  forza,  per  es.  egli  tocca  tutte  le  cose  per  prenderne  cono- 
scenza, e  noi  gli  diciamo:  «  non  toccare  »;  egli  si  muove  per  stabilire  il 
suo  equilibrio,  e  noi  gli  diciamo:  «sta  fermo»;  egli  c'interroga  per  essere 
illuminato,  e  noi  gli  rispondiamo:  «non  esser  noioso».  Lo  releghiamo, 
avvinto  e  sottomesso,  lì  vicino  a  noi  con  pochi  e  noiosi  giocattoli,  come 
un  Alfieri  sul  palchetto  del  teatro.  Egli  potrebbe  pensare:  perchè  vuole 
annientarmi  costei,  che  tanto  amo?  perchè  vuole  essa  opprimermi 
coi  suoi  capricci?  è  per  capriccio  che  non  mi  permette  di  sviluppare  le 
forze  espansive  che  sono  in  me,  e  mi  relega  tra  cose  vane  e  noiose,  solo 
perchè  io  l'amo. 

E  così  O  bambino  dovrebbe  essere  un  forte  come  Vittorio  Alfieri 
per  salvarsi:  ma  troppo  spesso  non  può. 

Noi  non  ci  avvediamo  che  U  fanciullo  è  un  oppresso  e  che  lo  an- 
nientiamo, e  poi  esigiamo  tutto  dal  suo  nuUa  per  un  fiat,  per  un  atto 
della  nostra  onnipotenza.  Vorremmo  l'uomo  adulto,  ma  senza  lasciarlo 
crescere. 

Quanti  penserebbero,  leggendo  la  storia  di  Vittorio  Alfieri,  che 
essi  avrebbero  voluto  di  più  dai  loro  figli:  essi  avrebbero  voluto  che 
non  ci  fosse  stato  bisogno  di  mettere  degli  impedimenti  materiali 
contro  la  tentazione,  come  tagliarsi  la  treccia  e  legarsi  con  le  corde 
alla  poltrona;  ma  che  una  forza  spirituale,  fosse  stata  quella  suffi- 
ciente a  sostenerla.  Come  un  nostro  grande  poeta,  che  cantando  Lu- 
crezia romana,  le  rimproverava  di  essersi  uccisa,  perchè  avrebbe  do- 
vuto «  morir  di  dolore  »  per  l'affronto,  se  fosse  stata  ancor  pivi  onesta. 

Ora,  quel  padre  dagli  ideali  spirituali,  probabilmente  non  si 
domanderebbe  che  cosa  ha  fatto,  lui,  perchè  il  figlio  potesse  diventare 


1^2  l'ARTE    PRIMA 

forte  e  innalzarsi  fino  a  ricevere  l'aiuto  spirituale.  Probabilmente 
egli  è  un  padre  che  mise  ogni  cura  nello  spezzare  la  volontà  del  suo 
figlio,  nel  renderlo  sottomesso  alla  sua  propria  volontà-  Non  è  il  padre 
carnale  che  può  fare  innalzare  lo  spirito:  ma  la  voce  misteriosa  che 
parla  dentro  al  cuore  dell'uomo  nel  silenzio.  Una  voce  stridula  perchè 
contrastante  con  le  leggi  della  natura,  come  la  voce  di  questo  padre 
che  vuol  sottomettere  a  sé  una  creatura,  turba  quel  «  silenzio  »  ove 
nella  pace  e  nella  Ubertà  giungono  a  compimento  le  opere  divine. 
Senza  «  l'uomo  forte  »  tutto  è  vano. 

Si  racconta  che  una  volta  un  sacerdote  presentò  a  S.  Teresa  una 
giovane  che  voleva  entrare  tra  le  carmelitane,  e  che,  secondo  lui, 
aveva  qualità  angeliche.  S.  Teresa,  accettando  la  neofita,  rispose: 
<i  Guardate,  padre  mio,  nostro  Signore  avrà  dato  a  questa  giovinetta 
la  divozione,  ma  essa  non  ha  ora  giudizio  e  non  l'avrà  mai;  e  ci  sarà 
sempre  di  peso  ».  " 

Di  Giovanna  D'Arco,  che  qualcuno  ha  ritenuto  un  semplice  stru- 
mento d'ispirazione  divina,  uno  dei  maggiori  teologi  contemporanei 
che  ne  ha  studiata  la  personalità  durante  i  processi  per  la  santifica- 
zione, dice  :  «  Nessuno  s'inganni  :  Giovanna  d'Arco  non  è  l'istrumento 
cieco  e  passivo  d'una  potenza  soprannaturale.  La  liberatrice  di  Francia 
possiede  tutta  la  sua  personalità:  essa  ne  dà  la  prova  con  l'agire  indi- 
pendente nelle  sue  decisioni  e  nei  suoi  atti  ». 

Io  credo  che  l'opera  dell'educatore  consista  prima  di  tutto  nel 
difendere  le  forze  e  dirigerle  senza  perturbarle  nella  loro  espansione: 
e  poi  nel  mettere  a  contatto  l'uomo  con  lo  spirito  che  è  in  lui  e  che 
dovrà  servirsi  di  lui. 


vili. 
Intelligenza 


Fermiamoci  un  momento  a  considerare  quale  sia  la  «  chiave»  di  cui 
possiamo  disporre  per  giungere  a  realizzare  la  «  libertà  «  del  bambino: 
quella  che  muove  i  meccanismi  necessari  all'educazione. 

Il  bambino  «  libero  di  muoversi  »,  e  che  movendosi  si  perfeziona, 
è  quello  che  ha  uno  «  scopo  intelligente  »  nei  suoi  movimenti;  il  bambino 
«libero  di  svolgere  la  sua  interiore  personahtà  »,  quello  che  arsiste 
in  un  lavoro  lungamente  e  su  tale  fenomeno  fondamentale  si  organizza, 
è  trattenuto  e  guidato  da  uao  scopo  intelligente.  Senza  ciò  non  sarebbe 
possibile  la  persistenza  nell'esercizio,  la  formazione  interna,  il  progresso. 
Quando  noi  ritraendoci  dal  guidare  a  passo  a  passo  il  bambino 
soggiogato  e  lasciando  «  libero  »  il  bambino  dalla  nostra  personale 
influenza,  lo  pensiamo  in  un  ambiente  a  lui  proporzionato  e  a  contatto 
dei  «  mezzi  di  sviluppo  »,  noi  lo  lasciamo  affidato  alla  «  sua  propria  intel- 
ligenza ».  La  sua  attività  motrice  si  rivolge  allora  ad  atti  determinati: 
egli  si  lava  le  mani  e  il  viso,  spazza  la  stanza,  spolvera  i  mobili,  si  cambia 
il  vestito,  piega  i  tappeti,  apparecchia  la  tavola,  coltiva  le  piante, 
cura  gli  animali.  Sceglie  i  suoi  lavori  di  sviluppo  e  vi  persiste,  trattenuto 
e  guidato  dall'interesse  verso  un  materiale  sensoriale  che  lo  conduca 
a  distinguere  una  cosa  dall'altra,  a  scegliere,  a  ragionare,  a  correggersi: 
e  gli  acquisti  fatti  in  tal  modo  sono  non  solo  «  una  causa  di  formazione  » 
interna,  ma  una  forza  propulsiva  al  progresso.  Così  passando  da  oggetti 
semplici  a  oggetti  sempre  più  complessi,  si  rende  padrone  di  una  cultura, 
oltreché,  per  l'ordine  interiore  che  in  lui  si  va  formando  e  per  l'attitu- 
dine che  acquista,  va  organizzando  il  carattere. 


144  PAUTli    PKIMA 

Quando  noi,  dunque,  lasciamo'  a  sé  il  bambino,  lo  lasciamo  alla  sua 
intelligenza.  Non,  come  comunemente  si  ritiene,  «  ai  suoi  istinti», 
intendendo  con  la  parola  «  istinti  »  quelli  propri  degli  animali. 
Siamo  così  abituati  a  \  oler  trattenere  i  bambini  nello  stesso  rango  dei 
cani  e  degli  animali  domestici,  che  un  «  bambino  libero  »  ci  fa  pensare 
a  un  cane  che  abbaia,  salta  e  ruba  le  ghiottonerie.  E  siamo  così  abi- 
tuati a  ricevere  come  manifestazioni  di  «  cattivi  istinti  »  le  ribellioni 
del  bambino  trattato  come  una  bestia,  le  sue  latenti  proteste  e  le  sue 
disperazioni,  o  le  difese  che  deve  inventare  per  salvarsi  da  una  situa- 
zione così  umihante,  che  noi,  per  elevarlo,  prima  lo  paragoniamo  alle 
piante  e  ai  fiori,  e  poi  cerchiamo  di  trattenerlo  realmente,  il  più  pos- 
sibile, nella  «immobilità»  fìsica  dei  vegetali  sottraendolo  persino  alle 
stesse  sensazioni,  ponendolo  in  schiavitù.  Ma  egli  non  diventa  mai  la 
pianta  dal  «  profumo  angelico  »  che  vorremmo  pretendere  da  lui  ; 
anzi  i  segni  della  corruzione  si  manifestano  a  mano  a  mano  che  la 
sua  «  sostanza  umana  »  si  mortifica  e  muore. 

Ma  lasciando  il  bambino  «  libero  come  uomo  »  e  deponendolo  nella 
palestra   della   sua  intelligenza,   cambia  completamente  il   suo   tipo. 

Ed  è  su  questo  «  tipo  »  che  bisogna  formare  nuove  concezioni, 
discutendo  sulla  questione  della  «  hbertà  ». 

Questa  dell'intelligenza  dovrà  essere  la  chiave,  io  credo,  anche  di 
un  problema  di  libertà  sociale  dell'uomo.  Si  è  parlato,  negli  ultimi 
tempi,  di  «  libertà  di  pensiero  »  in  un  modo  molto  superficiale.  Con  lo 
stesso  pregiudizio  che  c'è  sul  bambino,  si  è  creduto  di  «  liberare  »  l'uomo 
«  abbandonandolo  »  ai  suoi  pensieri;  ma  era  egli  capace  di  «  pensare  »? 
L  epoca  di  tale  «  libertà  »  non  era  quella  forse  della  nevrastenia  ce- 
rebrale? Non  era  anche  quella  in  cui  si  discutevano  le  leggi  per  estendere 
dei  diritti  sociali  agli  analfabeti  ? 

Ora  facciamo  un  esempio:  se  ad  un  malato  diciamo  di  scegliere 
tra  morbo  e  salute,  lo  rendiamo  con  ciò  libero  di  farlo?  Se  a  un  conta- 
dino incolto  offriamo  delle  carte  monetate  buone  e  false  e  lo  lasciamo 
«  hbero  di  scegliere  »,  se  egli  sceglie  le  false,  non  è  libero,  è  ingan- 
nato; se  egli  sceglie  le  buone  non  è  libero,  è  fortunato.  Libero  sarà 
quando  avrà  una  conoscenza  sufficiente  non  solo  per  distinguere  le 
buone  dalle  false,  ma  per  pensare  quale  è  l'utilità  sociale  delle  une  e  delle 
altre.  È  dare  questa  «  formazione  interiore  »  che  rende  liberi,  senza  bi- 


vili.  -  INTELLIGENZA  I45 

sogno  di  ottenere  un  «  permesso  sociale  »  cioè  una  conquista  esteriore 
di  libertà.  Se  la  libertà  dell'uomo  fosse  un  problema  sì  semplice,  ba- 
sterebbe ottenere  un  articolo  di  legge  che  permettesse  ai  ciechi  di  ve- 
dere e  ai  sordi  di  udire,  e  avremmo  risanato  una  umanità  infelice. 

La  nostra  lealtà  dovrà  riconoscere  un  giorno  che  i  diritti  fondamen- 
tali dell'uomo  sono  quelli  della  sua  «  formazione  »  libera  di  ostacoli, 
libera  di  schiavitù  e  libera  di  assumere  dall'ambiente  i  mezzi  necessari 
allo  sviluppo.  Infine,  è  nell'educazione  il  fondamento  risolutivo  dei 
problemi  sociali  riguardanti  la  «  personalità  ». 

Ora  è  molto  istruttiva  per  noi  la  rivelazione  fattaci  dai  bambini, 
che  r«  intelligenza  m  è  la  chiave  che  apre  i  segreti  della  loro  formazione, 
ed  è  il  mezzo  stesso  della  loro  costruzione  interiore. 

L'igiene  dell'intelligenza  viene  così  ad  assumere  una  importanza 
cardinale.  L'intelligenza  riconosciuta  come  mezzo  di  formazione,  come 
pernio  della  vita,  non  potrà  più  essere  «  sfruttata  »  per  raggiungere 
dubbie  finalità,  né  soffocata  od  oppressa  senza  discernimento. 

In  un  giorno  non  lontano,  l'intelligenza  'dei  bambini  dovrà  diven- 
tare per  noi  oggetto  di  cura  ben  più  minuziosa  e  sapiente,  che  non  sia 
oggi  il  corpo,  di  cui  curiamo  con  mezzi  costosi  e  laboriosi  persino  le 
appendici,  come  i  denti,  le  unghie,  i  capelli.  E  se  noi  riflettiamo  che 
quella  madre  perfettamente  conscia  dei  pericoli  e  dei  ricostituenti 
che  si  riferiscono  ai  capelli  del  suo  bambino,  può  opprimere  e  fare  schiava 
la  sua  intelligenza  senza  accorgersene,  dobbiamo  subito  riconoscere 
che  lungo  dovrà  essere  il  nuovo  cammino  aperto  alla  civiltà,  se  oggi 
sono  possibili  tali  contrasti  tra  le  superfluità  e  i  fondamenti  della  vita. 


Che  cosa  è  l'intelligenza?  senza  risahre  alle  definizioni  che  ne 
hanno  dato  i  filosofi,  possiamo  intanto  considerare  l'insieme  delle 
attività  riflesse  ed  associative  o  riproduttive  che  permettono  alla 
mente  di  costruirsi  mettendola  in  rapporto  con  l'ambiente.  Secondo 
il  Bain,  la  coscienza  della  differenza  è  il  principio  d'ogni  esercizio  intel- 
lettuale; il  primo  passo  della  mente  è  la  «  distinzione  ».  Le  «  basi  »  delle 
sue  funzioni  conoscitive  verso  il  mondo  esterno,  sono  le  «  sensazioni  ». 


I4b  .  PARTE    PRIMA 

Raccogliere  i  fatti  e  distinguerli  tra  loro,  ecco  l'inizio  della  costru- 
zione intellettiva. 

Cerchiamo  un  po'  più  di  determinazione  e  di  chiarezza,  nell'ana- 
lisi dell'intelligenza. 

Il  primo  carattere  che  ci  si  presenta  come  indice  di  sviluppo 
intellettuale,  si  riferisce  al  tempo.  Il  popolo  ha  così  bene  afferrato 
cjuesto  carattere  primitivo,  che  la  parola  «  svelto  »  è  sinonimo  di  intel- 
ligente. Essere  rapidi  nella  reazione  a  uno  stimolo,  nell'associazione 
di  idee,  nella  capacità  di  formulare  un  giudizio,  ecco  la  più  appari- 
scente manifestazione  esteriore  dell'intelligenza.  Questa  «  sveltezza  » 
sta  certo  in  rapporto  con  la  capacità  di  raccogliere  le  impressioni 
dall'ambiente,  d'elaborare  le  immagini,  di  estrinsecare  i  prodotti 
interiori.  Tutto  ciò  può  essere  svolto  con  un  esercizio  paragonabile  a 
una  u  ginnastica  »  mentale:  raccogliere  numerose  sensazioni,  metterle 
continuamente  in  rapporto  tra  loro,  ricavarne  giudizi,  avere  l'abitu- 
dine di  manifestar  questi  liberamente,  ciò  deve  rendere,  come  direb- 
bero gli  psicologi,  sempre  più  permeabili  le  vie  di  conduzione  e  le  vie 
associative  e  sempre  più  brevi  i  «  tempi  di  reazione  ».  Così  come  in  un 
movimento  muscolare  inteUigente  la  ripetizione  dell'atto  non  solo 
lo  perfeziona  in  sé  stesso,  ma  lo  rende  più  rapido.  Un  bambino  inteUi- 
gente a  scuola  è  non  soltanto  quello  che  capisce,  ma  quello  che  capisce 
più  presto.  Viceversa  chi  impara  le  medesime  cose,  ma  mettendoci 
molto  tempo,  per  esempio  due  anni  invece  di  uno,  è  tardivo.  Il  bambino 
«svelto»,  dice  il  popolo,  «non  si  lascia  sfuggire  niente»;  egli  ha  l'atten- 
zione sempre  desta,  è  pronto  a  ricevere  ogni  sorta  di  stimoli:  come 
una  bilancia  sensibile  si  muove  ad  ogni  minima  variazione  di  peso, 
così  il  cervello  sensibile  può  rispondere  ad  ogni  più  piccola  chiamata. 
Ed  altrettanto  è  rapido  nelle  associazioni:  «  capisce  a  \olo  ",  dice 
il  popolo,  per  tradurre  il  suo  preciso  concetto. 

Ora,  un  esercizio  che  «  metta  in  moto  »  i  meccanismi  intel- 
lettuali non  può  essere  che  un  «  autoesercizio  ».  E  impossibile  che 
un'altra  persona  esercitandosi  invece  di  noi,  ci  faccia  acquistare  delle 
attitudini. 

Gli  esercizi  sensoriali  risvegliano  nei  nostri  bambini  le  loro  atti\ità 
centrah  e  le  intensificano.  Quando,  isolato  il  senso  e  lo  stimolo,  il 
bambino  ha  delle  percezioni  chiare  nella    sua    coscienza;   quando   le 


vili.  -  INTELLIGENZA  I47 


sensazioni  di  caldo,  di  freddo,  di  ruvido,  di  liscio,  di  pesante,  di  leggero, 
quando  un  suono,  un  rumore  isolato  giungono  a  lui;  quando  nel  silenzio 
quasi  assoluto  chiude  gli  occhi  ed  attende  una  voce  mormorante  una 
parola,  avviene  come  se  il  mondo  esterno  avesse  bussato  alla  porta 
della  sua  anima  risvegliandone  le  attività.  Ed  allorché  le  moltitudini 
delle  sensazioni  si  sommano  poi  nella  ricchezza  dell'ambiente,  le 
une  si  influenzano  armonicamente  sulle  altre,  intensificando  le  atti- 
vità risvegliate:  così  avviene  nel  bambino  che  assorto  nella  pittura 
del  suo  disegno,  mentre  suona  la  musica  sa  trovare  i  colori  più  belli;  in 
quello  che,  contemplando  il  gaio  e  grazioso  ambiente  della  scuola  e  le 
piante  fiorite,  intona  perfettamente  la  sua  canzone. 

Il  primo  carattere  che  si  manifesta  nei  nostri  bambini,  dopo  che  fu 
iniziato  il  loro  processo  di  autoeducazione,  è  che  le  loro  reazioni  diven- 
tano più  pronte  e  più  rapide:  uno  stimolo  sensoriale  che  sarebbe  potuto 
passare  inosservato  o  avrebbe  potuto  richiamare  torpidamente  l'atten- 
zione, è  vi\'amente  percepito.  Il  rapporto  tra  le  cose  e  quindi  l'errore,  è 
facilmente  riconosciuto,  giudicato  e  corretto.  Con  la  ginnastica  sen- 
soriale il  bambino  fa  appunto  questo  esercizio  primordiale  e  fonda- 
mentale dell'intelligenza,  che  sveglia  e  mette  in  opera  i  meccanismi 
nervosi    centrali. 

Visti  così  nella  loro  apparenza  esterna,  i  nostri  bambini  attivi  e 
svelti,  sensibili  alla  più  impercettibile  chiamata,  pronti  ad  accorrere 
rapidamente  verso  di  noi  senza  distrarre  l'attenzione  da  ogni  loro 
movimento  e  da  ogni  oggetto  esterno  che  possano  incontrare,  e  para- 
gonati ai  bambini  torpidi  delle  scuole  comuni,  goffi  nelle  loro  movenze, 
indifferenti  agli  stimoli,  incapaci  di  associare  spontaneamente  le  idee, 
fanno  pensare  alla  civiltà  dei  nostri  giorni  paragonata  all'antica. 
L'ambiente  civile  antico,  rispetto  al  nostro,  è  più  tardo:  noi  abbiamo 
saputo  risparmiare  tempo.  Si  andava  in  diligenza,  ora  si  va  in  auto- 
mobile, e  persino  in  aeroplano;  si  parlava  a  distanza  della  voce,  oggi 
si  parla  a  mezzo  del  telefono;  gli  uomini  si  uccidevano  ad  uno  ad  uno, 
oggi  si  uccidono  in  massa.  Sì,  questo  ci  fa  comprendere  che  la  nostra 
civiltà  non  ha  per  base  il  «  rispetto  alla  vita  »  e  «  alle  anime  »,  ma  piut- 
tosto il  «  rispetto  al  tempo  ».  E  solo  in  una  parte  tutta  esteriore  che  la 
civiltà  ha  percorso  il  suo  cammino.  Si  è  fatta  più  rapida,  ha  messo  in 
azione  dei  meccanismi. 


MS 


/ 


Ma  l'uomo  non  ha  avuto  la  stessa  preparazione  a  seguirla:  gl'indi- 
\idui  non  si  sono  accelerati  metodicamente;  i  bambini  di  questo  am- 
biente vorticoso  non  sono  uomini  nuovi,  più  attivi,  più  svelti,  più  intel- 
ligenti. Non  si  è  eretta  la  personalità  umana  trasformata,  a  porre  sé 
stessa  innanzi  a  tutte  le  cose,  e  a  utilizzare  a  beneficio  suo  tutte  le 
esterne  conquiste.  L'uomo  torpido  risparmia  in  questa  civiltà  tempo 
e  denaro;  ma  il  suo  spirito  rimane  defraudato,  oppresso. 

S'egli  non  si  erige  a  riformare  sé  stesso,  in  accordo  col  nuovo 
mondo  che  ha  creato,  corre  il  rischio  di  essere  un  giorno  da  esso  travolto 
e  schiacciato. 


La  rapidità  delle  reazioni  nei  nostri  bambini,  non  sono  che  una 
manifestazione  esterna  dell'intelligenza. 

Essa  è  collegata  non  solo  dlV esercizio  ma  all'ordine  che  si  è  venuto 
formando  nell'interno:  ed  è  questo  lavoro  intimo  di  riordinamento 
che  raccoglie  in  sé  un  più  proprio  significato  di  formazione  intellettuale. 

L'ordine  è  poi  la  vera  chiave  della  rapidità  nelle  reazioni.  In  una 
mente  caotica  è  altrettanto  difficile  il  riconoscimento  di  una  sensa- 
zione come  la  possibilità  di  elaborare  un  ragionamento.  In  ogni  cosa, 
anche  sociale,  è  l'organizzazione,  l'ordine  che  fa  procedere  rapidamente 
tutti  gli  affari. 

«  Saper  distinguere  »,  ecco  il  carattere  dell'intelligenza:  distinguere 
è  ordinare,  ed  anche,  nella  vita,  é  preparare  la  «  creazione  ». 

La  creazione  trova  le  sue  espansioni  nell'ordine.  Anche  nella  genesi 
biblica  vi  è  questo  concetto.  Dio  non  comincia  a  creare  senza  prepa- 
razione; e  questa  preparazione  è  l'ordine  portato  nel  caos:  «  E  divise 
la  luce  dalle  tenebre.  E  disse  :  Si  radunino  le  acque  in  un  sol  luogo  e 
l'arida  apparisca  ».  Nella  coscienza  ci  può  essere  un  contenuto  vario 
e  ricco;  ma  quando  esiste  confusione  mentale,  l'intelligenza  non  appa- 
risce. L'apparizione  sua  è  proprio  come  l'iniziarsi  di  una  luce  che  faccia 
distinguere  chiaramente  le  cose:  «  sia  la  luce  ». 

Allora  si  può  ben  dire  che  aiutare  lo  sviluppo  dell'intelligenza 
è  aiutare  a  ordinare  le  immagini  della  coscienza. 

Dobbiamo  pensare  allo  stato  della  mente  del  piccolo  bambino 
a  tre  anni,  il  quale  ha  già  visto  un  mondo.  Quante  volte  egli  è  caduto 


vili.  -  INTELLIGENZA  I49 

addormentato  per  la  stanchezza  di  aver  veduto  tante  cose:  nessuno 
ha  pensato  che  passeggiare  per  lui  è  lavorare;  che  vedere,  udire,  quando 
ancora  i  sensi  non  sono  accomodati,  sì  che  egli  deve  continuamente 
correggere  gli  errori  dei  suoi  sensi,  e  verificare  con  la  mano  ciò  che 
ancora  con  certezza  egli  non  può  valutare  con  gli  occhi,  è  una  grande 
fatica.  Per  questo  il  piccolino  sopraffatto  dagli  stimoli,  nei  luoghi 
ove  questi  sovrabbondano,  piange  o  si  addormenta. 

Il  piccolo  bambino  di  tre  anni  porta  un  pesante  caos  dentro  di  sé. 

Egli  è  come  un  uomo  che  avesse  accumulato  una  immensa  quan- 
tità di  libri,  accatastati  senza  ordine,  e  che  si  domandasse:  che  ne  farò? 
Quando  potrà  egli  ordinarli  in  modo  da  poter  affermare:  «  io  possiedo 
una  biblioteca  »? 

Coi  nostri  cosiddetti  «  esercizi  sensoriali  »  noi  porgiamo  ai  bambini 
la  possibilità  di  distinguere  e  di  classificare.  Infatti  il  nostro  materiale 
sensoriale  analizza  e  rappresenta  gli  attributi  delle  cose;  dimensioni, 
forme,  colori,  levigatezza  o  ruvidezza  delle  superfici,  peso,  temperatura, 
sapori,  rumori,  suoni.  Sono  le  (qualità  degli  oggetti,  non  gli  oggetti 
stessi,  per  quanto  queste  qualità,  isolate  l'una  dall'altra,  sono  poi 
esse  stesse  rappresentate  da  oggetti.  Agli  attributi:  lungo,  corto,  grosso, 
fino,  grande,  piccolo,  rosso,  giallo,  verde,  caldo,  freddo,  pesante,  leggero, 
ruvido,  hscio,  odoroso,  rumoroso,  sonoro,  corrispondono  poi  altrettante 
serie  di  «  oggetti  >■  in  gradazione.  Questa  gradazione  è  importante 
per  l'ordine,  infatti  gh  attributi  degli  oggetti  non  differiscono  solo 
in  qualità,  ma  anche  in  quantità.  Si  può  essere  più  o  meno  alti  o  bassi, 
piìi  o  meno  grossi  o  fini  ;  i  suoni  hanno  varie  tonalità;  i  colori  hanno 
vari  gradi  di  saturazione;  le  forme  possono  essere  in  vario  grado  somi- 
glianti tra  loro;  gli  stati  di  ruvidezza  o  di  levigatezza  sono  tutt 'altro 
che  assoluti. 

Il  materiale  dei  sensi  si  presta  a  distinguere  tutte  queste  cose. 
Esso  permette  prima  di  tutto  di  constatare  l'identità  di  due  stimoli 
coi  numerosi  esercizi  di  appaiamento  e  d'incastro. 

Quindi  la  differenza,  quando  con  le  lezioni  si  richiama  l'attenzione 
del  bambino  sugli  oggetti  esterni  di  una  serie:  chiaro,  scuro,  lungo,  corto. 

Infine  egli  comincia  a  distinguere  i  gradi  degli  attributi,  mettendo 
in  gradazione  la  serie  degli  oggetti:  come  le  tavolette  che  riportano 
\'ari   gradi   di   saturazione   dello   stesso   tono   cromatico;   le   campane 


1.50  parti:  prima 

che  riportano  i  suoni  di  una  ottava  ;  degli  oggetti  rappresentanti  lun- 
ghezze in  rapporto  decimale,  ovvero  grossezze  in  rapporto  centesi- 
male, ecc. 

Questi  esercizi,  che  attraggono  tanto  il  bambino,  vengono  da  lui 
ripetuti  indefinitamente,  come  abbiamo  visto.  La  maestra  suggella 
ogni  acquisto  con  una  parola;  così  la  classificazione  e  compiuta,  ed 
ha  perfino  il  suo  schedario,  cioè  la  possibilità  di  richiamare  l'attri- 
buto e  la  sua  immagine,  con  un  titolo. 

Ora,  siccome  noi  non  abbiamo  altra  possibilità  di  distinguere  le 
cose  se  non  sui  loro  attributi,  la  classificazione  di  questi  porta  con  sé 
un  ordine  fondamentale,  comprendente  tutte  le  cose.  Oramai  il  mondo 
non  è  più  un  caos  per  il  bambino:  la  sua  mente  somiglia  un  po'  agli 
scaffali  ben  ordinati  di  una  biblioteca,  o  a  quelli  di  un  ricco  museo; 
ogni  oggetto  è  al  suo  posto,  nella  sua  categoria.  Ed  ogni  suo  acquisto 
non  sarà  più  «immagazzinato»,  ma  «collocato».  Quell'ordine  primitivo 
non  \errà  mai  turbato  ma  solo  arricchito  di  materia. 

Così  il  fanciullo,  avendo  acquistato  la  possibilità  di  distinguere 
una  cosa  dall'altra,  ha  posto  le  basi  dell'intelligenza.  Non  occorre 
ripetere  quale  impulso  interno  sia  l'ordine  acquisito,  verso  la  ricerca 
di  oggetti  nell'ambiente;  il  bambino  va  oramai  a  «  riconoscere  »  le  cose 
che  lo  circondano.  Quando  egli  scopre  con  tanta  commozione  che  il 
cielo  è  azzurro,  che  la  sua  mano  è  liscia,  che  la  finestra  è  rettangolare, 
egli  in  realtà  non  iscopre  né  il  cielo,  né  la  mano,  né  la  finestra,  ma  scopre 
il  loro  posto  nell'ordine  della  sua  mente.  E  ciò  determina  un  equilibrio 
stabile  nella  personalità  interiore,  che  porta  calma,  forza  e  possibilità 
di  nuova  conquista  ;  così  come  i  muscoli  che  hanno  coordinato  le 
loro  funzioni,  permettono  al  corpo  di  tenersi  in  equilibrio  e  gli  fanno 
acquistare  quella  stabiUtà  e  sicurezza  che  facilita  tutti  i  movimenti. 
Quest'ordine  fa  risparmiare  forze  e  tempo  ;  come  un  museo  bene  or- 
dinato, risparmia  le  forze  e  il  tempo  dei  ricercatori.  Il  bambino  quindi 
può  eseguire  una  maggiore  quantità  di  lavoro  senza  stancarsi,  e  può 
reagire  in  un  tempo  più  breve. 


Distinguere,  classificare  e  catalogare  le  cose  esterne  in  base  ad 
un  ordine  sicuro  già  esistente  nella  mente,  ecco  l'intelligenza  e  insieme 


» 


via.  -  INTFLLIGKNZA  I5I 

la  coltura.  Anche  popolarmente  si  ha  questo  concetto;  quando  un  let- 
terato riconosce  dallo  stile  un  autore,  o  il  carattere  delle  composizioni 
letterarie  di  un'epoca,  si  dice  che  è  «  intelligente  di  letteratura  ».  Ana- 
logamente si  dice  che  è  «  intelligente  di  arte  «  chi  riconosce  un  autore 
dal  modo  con  cui  sono  usati  i  colori  d'un  quadro,  o  chi,  dal  frammento 
di  un  bassorilievo,  sa  riconoscere  un'epoca.  Anche  lo  scienziato  ha  il 
medesimo  tipo.  Egli  sa  osservare  le  cose,  e  ogni  loro  particolare  anche 
minimo  è  «  messo  in  valore  »;  quindi  le  differenze  tra  i  caratteri  delle 
cose  sono  percepite  con  evidenza  e  classificate.  Lo  scienziato  distingue  gli 
oggetti  secondo  l'ordine  della  sua  mente.  Una  pianticella,  un  microbo, 
un  animale  o  un  avanzo  di  esso,  non  sono  enigmi  per  lui,  per  quanto 
gli  siano  in  sé  stessi  sconosciuti.  Lo  stesso  si  dica  per  il  chimico,  per  il 
tìsico,  per  il  geologo,  per  l'archeologo. 

Non  è  il  cumulo  di  conoscenze  dirette  delle  cose,  che  forma  il  let- 
terato, lo  scienziato,  l'intelligente;  ma  è  l'ordine  preparato  nella  mente 
che  deve  riceverlo.  Invece  la  persona  incolta  ha  solo  la  conoscenza 
diretta  degli  oggetti:  essa  potrà  essere  una  signora  che  passa  gran  parte 
della  notte  a  legger  libri,  o  un  giardiniere  che  passa  la  sua  vita  distin- 
guendo materialmente  le  piante  del  suo  giardino.  La  conoscenza  di 
queste  persone  incolte  è  non  solo  disordinata,  ma  limitata  agli  oggetti 
coi  quali  vengono  direttamente  in  rapporto.  La  conoscenza  invece  dello 
scienziato  è  infinita,  perchè  egli  possedendo  la  classificazione  degli 
attributi  delle  cose,  tutte  può  riconoscerle  e  determinarne  ora  la  classe, 
ora  le  parentele,  ora  le  origini:  fatti  più  profondi  che  le  cose  stesse  non 
potrebbero  da  sé  rivelare. 

Ora  i  nostri  bambini,  analogamente  agli  «  intelligenti  »  d'arte, 
analogamente  agli  «  scienziati  »,  riconoscono  nel  mondo  esterno  gli 
oggetti  dai  loro  attributi  e  li  classificano;  sono  perciò  sensibili  a  tutti 
gli  oggetti  :  ogni  cosa  acquista  per  essi  un  valore.  Invece  i  bambini 
incolti  passano  ciechi  e  sordi  vicino  alle  cose,  come  un  uomo  ignorante 
passa  accanto  a  un'opera  d'arte,  a  una  musica  classica,  senza  né  ri- 
conoscerla, né  gustarla. 

^^  I  metodi  educativi  in  uso  fanno  il  cammino  in\erso  a  quello  che 
è  il  nostro  cammino:  essi,  avendo  precedentemente  abolito  l'attività 
spontanea,  presentano  al  bambino  direttamente  gli  oggetti  col  loro 
<  umolo  di  attributi,  richiamando  su  ciascuno  di   essi  l'attenzione,  e 


152  PARTI-:    PRIMA 


sperano  dio  da  tutto  ciò  la  inente  del  liambino  possa  astrarne  gli 
attributi  stessi,  senza  alcuna  guida  uè  ordine.  Così  fabbricano  in  un 
essere  passivo  un  caos  artitìciale,  più  limitato  di  quello  che  il  mondo 
naturale  offrirebbe. 

Il  metodo  «  oggettivo  »  oggi  in  uso,  che  consiste  nel  presentare 
un  oggetto  e  rilevarne  tutti  gli  attributi,  cioè  descriverlo,  non  è  che  una 
variazione  «  sensoriale  »  del  solito  metodo  mnemonico:  invece  di  de- 
scrivere un  oggetto  assente,  si  descrive  un  oggetto  presente;  invece 
di  essere  solo  l'immaginazione  che  lavora  alla  ricostruzione,  i  sensi 
intervengono:  questo  fa  sì  che  le  qualità  distintive  dell'oggetto  stesso 
siano  meglio  ricordate.  La  mente  ^ssiva  riceve  delle  immagini,  che 
sono  limitate  agli  oggetti  presentati:  e  che  si  «  immagazzinano  »  senza 
ordine.  Infatti  ogni  oggetto  può  avere  infiniti  attributi:  e  se,  come  av- 
viene spesso  nelle  lezioni  oggettive,  si  pongono  tra  questi  le  origini 
e  le  finalità  dell'oggetto  stesso,  la  mente  deve  addirittura  vagare  nel 
mondo.  Così,  p.  es.,  se  in  una  lezione  oggettiva  sul  caffè,  quale  io  la  sentii 
fare  in  un  giardino  d'infanzia,  esso  si  descrive  facendone  osservare 
la  dimensione,  il  colore,  la  forma,  l'odore,  il  sapore,  la  temperatura;  e  poi 
si  parla  deUa  pianta  e  perfino  del  modo  come  fu  trasportata  in  Europa 
attra\'erso  l'Oceano,  per  finire  coli 'accendere  una  lampadina,  fare  scal- 
dare l'acqua  e  macinare  il  caffè  ed  apprestarne  una  bibita,  si  è  fatta 
disperdere  la  mente  in  ispazi  infiniti,  ma  non  si  è  esaurito  l'argomento. 
Perchè  si  poteva  ancora  parlare  degli  effetti  eccitanti  del  caffè,  della 
caffeina  che  da  esso  si  estrae  e  di  tante  altre  cose.  Quest'analisi  dilaghe- 
rebbe come  una  macchia  d'olio  fino  alla  dispersione,  e  ciò  che  riesce 
impossibile  è  di  utilizzarla  in  qualche  modo.  Se  infatti  si  domandasse 
al  bambino:  «  che  cosa  è  dunque  il  caffè  »?  egli  forse  risponderebbe: 
«  è  una  cosa  così  lunga  che  io  non  me  la  posso  ricordare  ».  Una  nozione 
sì  vaga  (non  si  può  dire  certamente  così  complessa!)  affatica  e  in- 
gombra la  mente,  e  non  potrà  mai  trasformarsi  in  una  eccitazione 
dinamica  di  associazioni  similari.  Gli  sforzi  del  bambino  saranno,  al 
massimo,  sforzi  di  memoria  per  ricordare  la  storia  del  caffè.  Se 
delle  associazioni  si  formano  nella  sua  mente,  saranno  associazioni 
inferiori  di  contiguità:  la  sua  mente  andrà  dalla  maestra  che  parla 
all'Oceano  che  fu  traversato,  alla  ta^vola  da  pranzo  su  cui  ogni 
giorno  a  casa  comparisce  il  caffè  nelle   tazzine:  cioè   divagherà  come 


I 


vili.   -  INTELLIGENZA  153 

fa  la  mente  oziosa  quando  si  «  lascia  trascinare  »  dalla  serie  delle  sue 
associazioni  passive. 

In  questa  specie  di  réverie  a  cui  si  abbandonano  le  menti  dei  bam- 
bini, nessuna  attività  interiore  apparisce  —  né,  tanto  meno,  una  diffe- 
renza individuale.  I  fanciulli,  col  metodo  delle  lezioni  oggettive,  riman- 
gono sempre  degli  esseri  puramente  recettivi:  o  se  si  vuole,  dei  magazzini 
dove  si  suppone  che  ci  sia  posto  per  deporvi  sempre  nuovi  oggetti. 

Non  sorge  alcuna  attività  che  si  rivolga  verso  l'oggetto  per  rico- 
noscerne le  qualità,  in  modo  che  il  bambino  stesso  se  ne  faccia  un'idea  : 
né  può  sorgere  nella  sua  mente  la  possibilità  di  collegare  altri  oggetti 
al  primo  per  caratteri  di  somiglianza.  Poiché,  in  che  cosa  dovrebbero 
somigliare  a  quello  gli  altri  oggetti?  nell'uso  ? 

Allorché  noi  associamo  per  similarità  le  immagini  di  oggetti  diversi, 
dobbiamo  estrarre  dall'insieme  le  qualità  che  gli  oggetti  stessi  hanno  in 
comune.  Se,  per  esempio,  noi  diciamo  che  due  piastrelle  rettangolari 
sono  simili,  abbiamo  prima  estratto  dalle  molteplici  qualità  di  quelle 
piastrelle,  quali  sarebbero  il  fatto  di  essere  di  legno,  di  essere  verni- 
ciate, liscie,  colorate,  di  temperatura  indifferente,  ecc.,  la  qualità  relativa 
alla  loro /orma.  Esse  sono  simili  nella  forma.  Ciò  può  richiamare  una 
lunga  serie  di  oggetti:  il  piano  del  tavolino,  la  finestra,  ecc.,  ma  per  far 
ciò  è  necessario  che  prima  la  mente  abbia  saputo  astrarre  dai  molteplici 
attributi  di  quegli  oggetti  la  forma  rettangolare.  Il  lavoro  della  mente 
in  questa  ricerca  deve  necessariamente  essere  attivo:  essa  analizza 
l'oggetto,  ne  estrae  un  determinato  attributo,  e  sulla  guida  di  questo, 
fa  lina  sintesi  associando  molti  oggetti  sotto  uno  stesso  mezzo  di  con- 
giunzione. Se  questa  attitudine  di  selezione  verso  alcuni  soli  degli 
attributi  che  si  riferiscono  all'oggetto,  non  si  acquista,  è  impossibile 
l'associazione  per  similarità,  la  sintesi,  e  tutto  il  lavoro  superiore  del- 
l'intelligenza. D'altronde  questo  é  il  lavoro  intellettuale  nella  sua  realtà, 
perché  l'intelligenza  non  ha  come  suo  carattere  di  «  fotografare  »  gli 
oggetti,  e  «  tenerli  uno  sull'altro  »  come  le  pagine  di  un  album,  o 
giustapposte  come  le  mattonelle  di  un  pavimento.  Un  tale  lavoro  di 
semplice  «  deposito  «  é  una  violenza  alla  natura  intellettuale.  L'intel- 
ligenza con  i  suoi  caratteri  di  ordinamento  e  di  distinzione  sa  pure 
distinguere  ed  estrarre  i  caratteri  prevalenti  degli  oggetti,  ed  è  su  questi 
che  essa  edifica  poi  le  sue  interiori  costruzioni. 


154  PARTI-     PRIMA 

Ora.  i  nostri  bambini  che  hanno  la  mente  ordinata  in  rapporto 
alla  classificazione  degli  attributi,  per  un  aiuto  pedagogico  ricevuto, 
sono  condotti  non  solo  ad  osservare  gli  oggetti  secondo  tutti  gli  attri- 
buti che  hanno  analizzato,  ma  anche  a  distinguere  le  identità,  le  dif- 
ferenze e  le  somiglianze;  e  in  questo  lavoro  viene  facile  e  spontaneo 
l'strarre  una  delle  qualità  corrispondenti  a  uno  dei  gruppi  senso- 
riali considerati  a  parte.  Cioè,  sarà  facile  pel  bambino  così  riconoscere 
le  \arie  qualità  di  un  oggetto,  come  rilevare  che  alcuni  oggetti  sono 
simili  di  forma,  o  sono  simili  di  colore;  perchè  le  «  forme  »,  i  «colori» 
sono  già  stati  raggruppati  in  categorie  ben  distinte  fra  loro,  e  pos- 
sono quindi  richiamare  per  similarità  delle  serie  di  oggetti.  Quella 
classificazione  degli  attributi  è  una  specie  di  calamita,  è  una  forza 
attrattiva  di  un  determinato  gruppo  di  qualità;  e  gli  oggetti  che  hanno 
queste  qualità  vi  sono  attratti  e  riuniti  insieme:  ecco  l'associazione 
per  similarità,  quasi  meccanizzata.  I  libri  hanno  la  forma  di  prismi: 
potrebbe  dire  uno  dei  nostri  bambini;  e  tale  giudizio  sarebbe  la  con- 
clusione di  un  assai  complesso  lavoro  mentale,  se  le  forme  prismatiche 
non  facessero  già  una  serie  ben  definita  nella  sua  mente,  che  attrae 
a  sé  tutti  gli  oggetti  dell'ambiente  che  hanno  quel  carattere.  Così 
il  colore  bianco  dei  fogli  di  carta,  interrotto  da  segni  scuri,  può  essere 
attratto  da  colori  sistematizzati  nella  mente,  in  un  insieme  sintetico 
che  può  far  dire  al  bambino:  i  libri  sono  fogli  di  carta  bianca  stampata. 

E  in  questo  lavoro  attivo  che  le  differenze  individuali  possono 
delinearsi.  Quale  sarà  il  gruppo  di  attributi  che  più  attra,e  gli  oggetti 
simili?  e  quale  sarà  la  scelta  del  carattere  prevalente  su  cui  fare  una 
associazione  per  similarità?  Un  bambino  troverà  che  quella  tenda 
è  verde-chiaro;  un  altro  rileverà  invece  che  quella  stessa  tenda  è  leg- 
gera; uno  sarà  colpito  dal  color  bianco  della  mano;  un  altro,  dalla  le- 
vigatezza della  sua  pelle.  Per  un  bambino  la  finestra  sarà  un  rettan- 
golo; per  un  altro  essa  lascerà  trasparire  l'azzurro  del  cielo.  La  scelta 
dei  caratteri  prevalenti,  nei  bambini,  diviene  una  «  selezione  naturale  » 
in  rapporto  con  le  proprie  innate  tendenze. 

Invece  uno  scienziato  sceglierà  i  caratteri  più  utili  alle  sue  asso- 
ciazioni. Un  antropologo  potrà  scegliere  la  forma  della  testa  per  distin- 
guere le  razze  umane,  e  un  altro  potrà  scegliere  il  pigmento  cutaneo: 
ciò  è  indifferente.  Entrambi  gli  antropologi  possono  avere  la  conoscenza 


vili.   -  INTKLLIGENZA  155 

più  esatta  dei  caratteri  esterni  dell'uomo:  ma  l'importanza  della  cosa 
sta  nel  tro\are  un  carattere  su  cui  fondare  la  classificazione,  su  cui 
cioè  raggruppare  in  ordine  di  somiglianza  la  moltitudine  dei  caratteri. 
Delle  persone  semplicemente  pratiche  potrebbero  considerare  l'uomo 
sotto  un  punto  di  vista  utilitario,  anziché  scientifico:  un  fabbricante 
di  cappelli  estrarrebbe  dai  caratteri  umani  le  dimensioni  della  testa; 
un  oratore  vedrebbe  l'uomo  sotto  il  punto  di  vista  della  possibilità 
che  ha  di  commuoversi  alle  sue  parole.  Ma  la  scelta,  questa  è  la  neces- 
sità fondamentale  per  giungere  a  realizzare  le  cose:  per  uscire  dal  vago 
ed  entrare  nel  pratico;  per  uscire  dalla  contemplazione  divagante 
ed  entrare  nell'azione. 

Ogni  cosa  creata  ed  esistente  è  caratterizzata  dal  fatto  di  avere 
dei  limiti.  La  nostra  stessa  organizzazione  psicosensoriale  si  fonda 
sopra  una  selezione.  Che  cosa  fanno  i  sensi  se  non  corrispondere  a 
una  determinata  serie  di  vibrazioni  e  non  ad  altre?  Così  è  che  l'occhio 
limita  la  luce  e  l'orecchio  limita  i  suoni.  Per  formare  il  contenuto  della 
mente,  il  primo  passo  è  dunque  una  raccolta  necessariamente  e  mate- 
rialmente limitata.  Tuttavia  la  mente  limita  ancor  più  la  raccolta 
possibile  ai  sensi,  foggiandola  sull'attività  di  selezione  interiore.  Così 
è  che  l'attenzione  si  fissa  su  oggetti  determinati  e  non  su  tutti  gli 
oggetti:  e  la  volizione  sceglie  gli  atti  da  compiere  realmente  tra  una 
moltitudine  di  atti  che  sarebbero  possibili. 

Nello  stesso  senso  si  compie  il  lavoro  alto  dell'intelligenza:  con 
una  analoga  azione  di  attenzione  e  di  volontà  interiori,  essa  astrae 
i  caratteri  prevalenti  delle  cose  e  perviene  così  ad  associarne  e  tenerne 
presenti  le  immagini.  Essa  «  tralascia  »  di  considerare  un'  immensa 
zavorra  che  renderebbe  il  suo  contenuto  informe  e  confuso.  Ogni  mente 
superiore  distingue  le  cose  essenziali  dalle  superflue,  respinge  queste 
ultime,  e  può  così  pervenire  alle  sue  caratteristiche  creazioni  chiare, 
fini  e  viventi.  Essa  è  capace  di  estrarre  ciò  che  è  utile  alla  sua  vita 
creativa  e  così  trovare  nel  cosmo  i  mezzi  della  sua  salute.  Senza  questa 
caratteristica  attività,  l'intelligenza  non  può  costituirsi;  essa  sarebbe 
come  un'attenzione  che  passa  da  cosa  a  cosa  senza  mai  fissarsi  in 
alcuna,  e  come  una  volontà  che  non  può  decidersi  a  nessuna  azione. 

»  Si  può  supporre,  dice  il  James,  che  un  Dio,  senza  danno  della 
sua   attività,   veda  contemporaneamente   tutte   le  più    minute    parti 


156  PARTE    PRIMA 

del  mondo.  Ma  so  la  nostra  attenzione  umana  si  disperdesse  in  questo 
modo,  noi  contempleremmo  semplicemente  e  vacuamente  tutte  le 
cose,  senza  trovar  mai  l'opportunità  di  fare  qualche  atto  particolare  ». 

È  uno  dei  fenomeni  meravigliosi  della  vita,  questo  di  non  potersi 
realizzare  se  non  determinando  dei  limiti:  quel  mistero  per  cui  ogni 
essere  vivente  ha  la  sua  «  forma  »  e  la  sua  «  statura  «  al  contrario  dei 
minerali  che  sono  indefiniti  in  forma  e  dimensione,  si  ripete  per  la  vita 
psichica.  Il  suo  sviluppo,  la  sua  autocreazione,  non  è  che  una  deter- 
minazione sempre  più  precisa,  una  «  concentrazione  »  progressiva: 
è  così  che  dal  caos  primitivo  viene  a  poco  a  poco  a  <(  scolpirsi  »  la  nostra 
forma  interiore  caratteristica.  ^ 

La  possibilità  di  farci  un  concetto  di  una  cosa,  di  giudicare  e  di 
ragionare,  ha  sempre  questo  fondamento.  Quando,  dopo  aver  preso 
conoscenza  degli  attributi  che  può  avere  una  colonna,  si  astrae  come 
fatto  generale  che  la  colonna  è  un  sostegno,  questa  idea  sintetica 
si  è  appoggiata  sopra  una  qualità  prescelta.  Così,  nel  giudizio  che 
possiamo  emettere:  le  colonne  sono  cilindriche,  abbiamo  estratto 
una  qualità  tra  tante  altre  che  ci  avrebbero  potuto  far  dire:  sono 
fredde,  sono  dure,  sono  un  composto  di  carbonato  di  calcio,  ecc.  E 
solo  con  la  capacità  di  tali  selezioni  che  si  rende  possibile  il  ragiona- 
mento. Quando,  per  esempio,  nella  dimostrazione  del  teorema  di  Pita- 
gora i  bambini  maneggiano  i  pezzi  degl'incastri  di  ferro,  devono  par- 
tire dal  punto  in  cui  constatano  che  un  rettangolo  è  equivalente  al 
rombo,  e  un  quadrato  è  equivalente  allo  stesso  rombo.  E  la  consta- 
tazione di  questo  fatto  che  rende  possibile  il  seguente  ragionamento: 
dunque  il  quadrato  e  il  rettangolo  sono  equivalenti  tra  loro.  Se  non 
fosse  stato  possibile  determinare  quell'attributo,  a  nessuna  conclu- 
sione poteva  venire  il  pensiero.  La  mente  è  riuscita  a  scoprire  un  at- 
tributo comune  a  due  figure  dissimili  ;  ed  è  questa  scoperta  che  può 
condurre  a  una  serie  di  conclusioni  per  le  quali  viene  infine  ad  essere 
dimostrato  il  teorema  di  Pitagora. 


Ora,    come   per   la    volontà,    la    decisione    presuppone    un    eser- 
cizio metodico  delle  forze  impulsive  e  inibitrici,  che  solo  l'individuo 


vili.  -  INTELLIGENZA  I57 

stesso  può  fare,  fino  a  determinare  delle  abitudini,  così  per  l'intelli- 
genza deve  essere  l'individuo  a  esercitarsi  nelle  sue  attività  di  asso- 
ciazione e  di  selezione,  guidato  e  aiutato  da  mezzi  esteriori,  fino  a  de- 
lineare, con  la  eliminazione  definitiva  di  certe  idee  e  la  scelta  di  altre, 
delle  «  abitudini  mentali  »  caratteristiche  all'individualità,  al  «  tipo  ». 
Poiché  in  fondo  a  tutte  le  attività  interiori  che  possono  costruire  la 
mente,  c'è,  come  rivelano  i  fenomeni  dell'attenzione,  la  tendenza  in- 
di\-iduale,  la  «  natura  «. 

Esiste  indubbiamente  una  profonda  differenza  tra  capire  ed 
apprendere  il  ragionamento  altrui,  e  poter  «  ragionare  »;  tra  imparare 
come  un  artista  può  vedere  il  mondo  esterno  secondo  un  suo  carattere 
prevalente  di  colorito,  di  armonia  e  di  forma,  e  vedere  realmente 
il  mondo  esterno  intorno  a  un  fulcro  che  sostiene  la  propria  creazione 
estetica.  Nella  mente  di  chi  «  impara  le  cose  altrui  »  può  stare,  come 
in  un  sacco  di  roba  usata  che  pesi  sulle  spalle  di  un  rivendugliolo,  così 
la  soluzione  dei  problemi  di  Euclide,  come  le  immagini  delle  opere 
di  Raffaello,  come  le  nozioni  di  geografia  e  di  storia,  come  le  regole 
della  stilistica,  con  la  stessa  indifferenza  e  la  medesima  sensazione  di 
«  peso  ».  Invece  chi  usa  per  la  propria  vita  tutto  ciò,  è  come  la  persona 
che  è  aiutata  a  raggiungere  il  suo  benessere,  il  suo  sollievo,  il  suo 
confort,  da  quegli  stessi  oggetti  che  sono  il  «  peso  »  nel  sacco  del  riven- 
dugliolo. Tali  oggetti  però  non  sono  più  ammassati  senza  ordine  e  senza 
scopo  in  un  sacco  chiuso,  ma  sparsi  nell'ampiezza  di  una  casa  linda 
e  ordinata.  La  mente  che  «  costruisce  »  potrà  contenere  molto  più 
di  quella  ove  si  ammassano  artificialmente  le  cognizioni  come  nel 
sacco;  e  in  essa,  come  nella  casa,  gli  oggetti  sono  ben  divisi  l'uno 
dall'altro,  armonicamente  disposti,  distinti  nel  loro  uso. 

Tra  «  capire  »  perchè  una  persona  cerca  d'imprimere  in  noi  col  suo 
discorso  la  spiegazione  di  una  cosa,  e  «  capire  »  da  noi  stessi  la  cosa, 
corre  una  diversità  sconfinata:  è  come  se  in  una  cera  molle  si  imprimesse 
una  forma  che  poi  sarà  cancellata  e  sostituita  da  altre,  e  se,  invece, 
una  forma  fosse  scolpita  da  un  artista  come  una  creazione,  sul  marmo. 
Colui  che  «  capisce  da  sé  »  ha  una  impressione  improvvisa  :  sente 
che  la  sua  coscienza  si  é  sgomberata,  e  qualche  cosa  di  luminoso  ri- 
splende in  essa.  Il  capire  allora  non  é  indifferente:  é  il  principio  di 
qualche  cosa,  talvolta  é  il  principio  di  una  vita  che  si  rinnova  in  noi. 


158  l'VKTi:    PRIMA 

K(Mse  nessuna  omozione  è  più  piDcUittiva  por  l'uomo,  che  l'emozione 
intellettuale.  Chi  fa  una  scoperta  ricca  di  conseguenze  ha  certo  il 
massimo  tra  i  godimenti  umani;  ma  anche  chi  semplicemente  «capi- 
sce »,  ha  un  godimento  superiore  che  può  sovrastare  e  vincere  anche 
i  più  gra\i  stati  di  dolore.  Infatti  chi  è  oppresso  da  una  sventura,  se 
può  giungere  a  distinguere  il  proprio  caso  da  altri,  o  a  capire  un  perchè 
delle  sue  afflizioni,  prova  un  sollievo,  prova  il  «  senso  della  salvazione  ». 
Tra  le  tenebre  confuse  in  cui  era  piombato,  un  raggio  intellettuale 
consolatore  ha  brillato.  Ciò  che  è  diffìcile  appunto,  è  di  trovare  la  via 
di  scampo  nell'ora  delle  tenebre.  Quando  si  riflette  che  un  ckne  può 
morire  di  dolore  sulla  tomba  del  suo  padrone  e  una  madre  può  soprav-» 
vivere  sulla  tomba  del  suo  unico  figliuolo,  è  la  ragione  che  brilla  su- 
bito come  la  differenza  tra  i  due.  Il  cane  non  può  farsi  una  ragione; 
esso  può  soccombere  perchè  nessuna  luce  tra  le  tenebre  della  sua  in- 
telligenza può  penetrare  a  vincere  la  depressione  dell'ambascia. 

Ma  il  pensiero  di  una  giustizia  universale,  il  vivo  ricordo  della 
persona  perduta  che  la  fa  rimanere  fra  noi,  salvano  l'uomo.  E  a  poco 
a  poco,  non  l'oblio  che  solo  può  salvare  l'animale,  ma  i  rapporti  in  cui 
l'intelligenza  si  mette  con  l'universo,  giunge  a  ridare  la  calma  alla 
anima  addolorata.  Tale  conforto  non  potrebbe  mai  essere  dato  dal- 
l'arida lezione  di  un  professore,  dall 'apprendere  a  memoria  la  teoria 
di  uno  scienziato  ripugnante  col  nostro  stato  di  animo.  Quando  si 
dice  «  farsi  una  ragione  »,  «  attinger  forza  da  un  principio  »,  s'intende 
lasciar  libera  nel  suo  lavoro  di  ricostruzione  e  di  salvazione  l'intel- 
ligenza sempre  cercante. 

Ora,  se  l'intelligenza  nel  «  comprendere  »  può  essere  addirittura 
la  salvezza  nel  pericolo  di  morte,  qual  fonte  di  godinn;nto  deve  essere 
per  l'uomo! 

Quando  si  dice  «  s'apre  la  mente  »  s'intende  un  fenomeno  crea- 
tivo, che  non  è  l'essere  fiaccati  da  una  impressione  fatta  violentemente 
dall'esterno.  L'aprirsi  della  mente  è  il  capire  attivo  che  si  accom- 
pagna a  grandi  emozioni,  e  che  perciò  si  «  sente  »  come  un  avveni- 
mento interno. 

Io  conobbi  una  ragazza  senza  madre,  che  era  stata  talmente  op- 
pressa dagli  insegnamenti  aridi  della  scuola,  da  rimanere  pressoché  inca- 
pace di  studiare  e  persino  di  comprendere  le  cose  insegnate.  La  sua  vita 


vili.  -  INTELLIGENZA  I59 

solitaria  e  senza  affetti  si  era  sommata  alla  stanchezza  mentale.  Il  padre 
la  fece  vivere  per  qualche  anno  in  aperta  campagna  come  una  piccola 
selvaggia,  e  poi  la  ricondusse  in  città  sottoponendola  all'insegnamento 
privato  di  vari  «  professori  ».  La  fanciulla  studiava  ed  imparava  ri- 
manendo affaticata  e  passiva.  Il  padre  le  chiedeva  ogni  tanto:  «  Ti  si 
riapre  la  mente?  »  e  la  fanciulla  rispondeva  sempre:  «Non  so;  che  cosa 
vuol  dire?  ».  Per  una  combinazione  strana  della  mia  vita,  la  fanciulla  fu 
affidata  alle  mie  sole  cure:  e  così  io,  ancora  studente  di  medicina,  feci 
la  mia  prima  esperienza  pedagogica,  sulla  quale  io  qui  non  mi  posso 
fermare,  benché  sarebbe  degna  di  molto  interesse.  Mentre  un  giorno 
stavamo  assieme  ed  essa  si  occupava  di  chimica  organica,  s'interruppe, 
e  mi  guardò  con  occhi  brillanti,  e  disse:  «  Ecco,  è  adesso!  è  adesso! 
Ho  capito!  ».  Poi  si  alzò  e  andò  via  chiamando  e  gridando  forte: 
«  Papà  papà!  Mi  si  è  aperta  la  mente!  ».  Io,  che  ancora  non  conoscevo 
la  storia  di  questa  ragazza,  rimasi  sorpresa  e  commossa.  Ella  aveva 
preso  le  mani  del  padre  e  gli  ripeteva:  «  Adesso  posso  dirtelo,  sì  sì, 
prima  non  sapevo  che  cosa  era:  la  mia  mente  si  è  aperta!  ».  La  gioia  del 
padre  e  della  figlia,  la  loro  unione  in  quel  momento,  mi  fecero  pensare 
alle  gioie  e  alle  fonti  di  vita  che  noi  perdiamo  facendo  schiava  l'in- 
telligenza. 

Infatti,  ogni  conquista  intellettuale,  è  pei  nostri  bambini  liberi 
una  fonte  di  gioia.  Questo  è  il  «  piacere  »  a  cui  sono  ormai  in  preda  r 
che  li  fa  sdegnare  ogni  altro  piacere  inferiore:  è  dopo  averlo  gustato 
che  i  nostri  piccini  sdegnano  i  dolci,  i  giocattoli  e  le  vanità. 

È  questo  che  li  rende  sublimi  davanti  agli  occhi  di  chi  li  contempla. 
Il  loro  piacere  è  quel  piacere  superiore  che  distingue  l'uomo  da 
la  bestia,  e    che    può    salvare    perfino    dalla    perdizione    del    dolore, 
delle  tenebre. 

Quando  a  questo  metodo  si  fa  l'accusa  che  esso  vuol  servire  al 
«  piacere  »  dei  bambini,  e  ciò  è  immorale,  non  si  offende  il  metodo, 
ma  il  bambino.  Perchè  in  quell'accusa  ciò  che  prevale  è  la  calunnia 
verso  il  fanciullo,  considerato  da  tutti  a  pari  della  bestia;  e  si  pensa 
che  il  suo  «  piacere  »  possa  essere  soltanto  la  ghiottoneria,  l'ozio  o 
peggio.  Ma  nessuna  di  queste  cause  potrebbe  mai  intrattenere  il  bam- 
bino ore  e  giorni  ed  anni  nel  «  piacere  ».  È  solo  quando  egli  ha  affer- 
rato il  «  piacere  umano  »  che  vi  persiste  e  vive,  con  una  gioia  che  fa 


l60  PARTI.    PRIMA 

ricordare  l'impeto  di  quella  fanciulla  fuggente  verso  il  padre  per  an- 
nunciargli la  fine  delle  tenebre,  dove  da  anni  languiva. 

Quelle  «  crisi  »  che  sono  oggi  soltanto  luci  intellettuali  del  genio  che 
scopre  una  verità,  non  rappresentano  forse  un  fenomeno  «  naturale  » 
della  vita  psichica?  Non  potrebbe  essere  che  la  manifestazione  del 
genio  fosse  quella  di  una  «  vita  forte  »  salvata  dai  pericoli  per  la 
sua  straordinaria  individualità,  e  perciò  appunto  capace  essa  sola  di 
ri\-elare  la  vera  natura  dell'uomo?  Il  suo  tipo  allora  sarebbe  comune, 
e  tutti  gli  uomini,  in  grado  maggiore  o  minore,  apparirebbero  della 
sua  stessa  «  specie  ».  Anche  le  «  vie  »  che  il  bambino  segue  nella  sua 
«  costruzione  attiva  »  sono  quelle  del  genio.  La  sua  caratteristica  è 
l'intensità  dell'attenzione,  la  concentrazione  profonda  che  isola  da 
tutti  gli  stimoli  dell'ambiente,  e  che  per  intensità  e  per  durata,  corri- 
sponde allo  svolgersi  dei  fatti  interiori.  Come  nel  genio,  la  concen- 
trazione non  resta  senza  effetti,  ma  è  origine  di  crisi  intellettuali, 
di  rapidi  sviluppi  interiori,  e  soprattutto  di  una  «  attività  esterna  » 
che   si  esplica  nell'operare. 

Il  genio,  si  potrebbe  dunque  dire,  è  l'uomo  che  ha  spezzato  i 
suoi  legami,  che  si  è  mantenuto  libero,  e  ha  messo  innanzi  agli  occhi 
della  folla  il  vessillo  dell'umanità  da  lui  conquistata. 

Quasi  tutte  le  manifestazioni  degli  uomini  che  si  sono  «  liberati  » 
dai  legami  esterni  dei  loro  tempi,  si  riscontrano  nei  nostri  ragazzi. 
Così  è,  per  esempio,  della  sublime  «  ubbidienza  interiore  »  oggi  scono- 
sciuta ancora  alla  maggior  parte  degli  uomini,  fuorché  ai  monaci, 
i  quali  però  spesso  la  posseggono  come  teoria  e  la  contemplano  solo 
nell'esempio  dei  santi;  e  dei  mezzi  necessari  alla  costruzione  di  una 
forte  vita  interiore,  che  fanno  parte  della  preparazione  dei  religiosi, 
nella  «  meditazione  »  metodica.  Nessuno,  fuorché  i  religiosi,  fa  pra- 
tiche di  meditazione.  Noi  sappiamo  appena  distinguere  la  medita- 
zione dai  metodi  per  «  apprendere  »  intellettualmente.  Sappiamo,  per 
esempio,  che  leggere  di  seguito  una  moltitudine  di  hbri,  disperde  le 
forze  ed  il  pensiero;  e  che  imparare  a  memoria  un  brano  di  poesia 
vuol  dire  ripeterla  tante  volte  finché  non  resta  impressa:  e  che  tutto 
questo  non  è  «  meditare  ». 

Chi  impara  a  memoria  un  verso  di  Dante,  o  chi  si  sofferma  a 
meditare  un  versetto  del  Vangelo,  fa  un  lavoro  ben  diverso.  Il  canto 


vili.   -  INTELLIGENZA  Ibi 

di  Dante  «  adornerà  »  per  qualche  tempo  la  mente  che  se  lo  impresse, 
senza  lasciar  traccia  di  sé.  Il  versetto  meditato  avrà  un'azione  trasfor- 
matrice, riedificatrice.  Chi  medita,  spoglia  la  propria  mente,  fino 
al  possibile,  d'ogni  altra  immagine,  e  cerca  di  concentrarla  sull'oggetto 
della  meditazione,  in  modo  che  vi  restino  polarizzate  tutte  le  in- 
terne attività:  o,  come  dicono  i  monaci,  «  tutte  le  potenze  dell'anima  ». 

Ciò  che  si  attende  dalla  meditazione  è  «  un  frutto  interiore  di 
fortezza»:  l'anima  si  solidifica,  si  unisce,  e  diventa  attiva;  essa  potrà 
agire  poi  sul  seme  intorno  a  cui  s'è  raccolta  per  farlo  fruttificare. 

Ora  il  modo  scelto  dai  nostri  bambini  per  seguire  il  loro  sviluppo 
naturale,  è  la  «  meditazione  »,  perchè  altro  non  può  essere  quel  soffer- 
marsi a  lungo  sopra  ogni  singola  cosa,  traendone  una  graduale  matu- 
razione interiore.  Lo  scopo  dei  bambini  che  persistono  intorno  ad  un 
oggetto,  non  è  evidentemente  quello  di  «  imparare  »:  essi  vi  sono 
trattenuti  dai  bisogni  della  loro  vita  interna,  che  deve  organizzarsi 
e  svolgersi  per  loro  mèzzo.  Ed  essi  in  tal  modo  iniziano  e  continuano 
la  loro  «  crescenza  ».  È  quella  l'attitudine  per  la  quale  a  poco  a  poco 
ordinano  ed  arricchiscono  la  loro  intelligenza.  Meditando,  entrano 
in  quella  via  di  progresso  che  continuerà  senza  termine. 

È  dopo  un  esercizio  di  meditazione  sulle  cose  che  i  nostri  bambini 
si  rendono  capaci  di  gustare  il  silenzio:  e  poi,  fatti  delicatamente 
sensibili  alle  impressioni,  cercano  di  non  far  rumore  quando  agiscono, 
di  non  lasciarsi  sfuggire  atti  sgarbati,  perchè  essi  stanno  gustando  il 
frutto  della  «  concentrazione  »  dello  spirito. 

È  in  tal  modo  che  si  unifica  e  si  fortifica  la  loro  personalità.  L'eser- 
cizio che  serve  di  mezzo  a  ciò,  è  di  perfezionare  a  grado  a  grado  V esat- 
tezza con  cui  percepiscono  il  mondo  esterno,  osservando,  ragionando 
e  correggendo  gli  errori  dei  sensi  in  un'attività  spontanea  continuata. 
Sono  essi  che  agiscono,  essi  che  scelgono  gli  oggetti,  essi  che  persistono 
sul  lavoro,  essi  sono  che  cercano  di  conquistare  nell'ambiente  la  pos- 
sibilità di  concentrarsi.  Ciascuno  si  muove  secondo  l'interno  motore. 
Essi  non  sono  perturbati  da  una  maestra,  da  un  essere  evidentemente 
superiore  che  s' impone  con  la  superba  sua  ricchezza  intellettuale 
alla  oppressa  povertà  di  chi  s'inizia  alla  vita,  ed  ottenebra  anziché 
dar  luce,  stanca  anziché  vivificare:  ma  convivono  pacifici  con  lei, 
che  quasi  pontefice,  è  serva.  Come  in  un  convento  idealizzato,  l'umiltà. 


102  PARTI-;    PRIMA 

la  semplicità,  il  lavoro,  formano  l'ambiente  o\e  chi  medita  sentirà 
un  giorno  in  se  la  chiaroveggenza,  l'intuizione,  quasi  la  sensibilità 
che  rende  pronti  a  rice\ere  la  verità. 

Per  altro  scopo  ma  sulla  stessa  \ia,  tra  il  silenzio,  la  semplicità, 
e  l'umiltà  dei  monaci,  lo  spirito  si  prepara  a  rice\ere  la  fede  nei 
principi  della  vita. 

Molti  anni  fa,  quando  io  ebbi  l'impressione  che  i  nostri  bambini 
rixelassero  dei  principi  generali  di  vita,  che  a  noi  è  dato  riscontrare 
in  pratica  solo  tra  la  élite  intellettuale  e  spirituale  della  società,  e  che 
perciò  essi  contemporaneamente  fossero  rivelatori  di  una  forma  di 
oppressione  ancora  inconscia  che  gravaNa  sulla  umanità  deformandone 
la  vita  interiore,  ne  parlavo  lungamente  con  una  intellettuale  signora, 
la  quale  si  interessava  delle  mie  «  teorie  »  e  desiderava  ardentemente 
che  io  ne  facessi  un  elaborato  trattato  iìlosohco;  ma  non  poteva  adat- 
tare la  mente  a  ciò:  che  si  trattasse  di  un  fatto  sperimentale.  Sen- 
tendomi parlare  di  bambini,  ebbe  uno  scatto  d'impazienza:  «  Ho  ca- 
pito, capito  abbastanza  di  questi  bambini;  come  intelligenza  sono 
tanti  geni,  e  come  bontà  sono  tanti  angioU  ».  Ma  quando,  insistendo, 
riuscii  a  farla  venire  a  vedere,  essa  prendendomi  per  le  mani  e  guardan- 
domi fìssa  in  volto:  «  Non  ha  dunque  pensato  »  mi  disse  «  che  può  mo- 
rire da  un  momento  all'altro?...  Scriva  dunque  subito,  scriva  come 
può,  più  in  fretta  possibile,  come  un  testamento,  la  semplice  descri- 
zione dei  fatti,  per  non  portare,  morendo,  questo  segreto  con  sé  ». 

Tuttavia  io  ero  in  buona  salute. 


Se  osserviamo  quale  fu  il  lavoro  mentale  degli  uomini  di  genio, 
ai  quali  dobbiamo  le  scoperte  che  aprirono  nuove  vie  al  pensiero, 
e  che  portarono  nuove  forme  di  benessere  e  di  progresso  sociale,  dob- 
biamo con\'enire  che  in  esse  non  c'è  niente  di  straordinario,  di  inacces- 
sibile alla  mediocrità.  «  Il  genio  coincide  col  possesso  in  grado  ec- 
cellente dell'associazione  per  similarità.  È  questo  il  fatto  capitale 
nel  genio  «  dice  il  Bain.  Proprio  nel  «  punto  centrale  «  della  scoperta, 
non  c'è  rhe  una  osservazione  esatta,  e  un  semplicissimo  ragionamento 


vili.   -  INTELLIGENZA  163 

di  cui  tutti  si  crederebbero  capaci,  dopo  che  la  scoperta  è  fatta.  Per 
lo  più  è  un  raccogliere  «  l'evidenza  »,  che  però  nessuno  vedeva. 

Si  potrebbe  dire  che  il  genio  ha  la  possibilità  di  isolare  nella  sua 
coscienza  un  fatto,  e  di  distinguerlo  da  tutti  gli  altri,  come  se  in  una 
camera  oscura  si  facesse  cadere  un  solo  raggio  di  luce  sopra  un  bril- 
lante. Quella  sola  idea,  poi,  travolge  con  sé  tutta  intera  la  coscienza, 
ed  è  capace  di  costruire  qualche  cosa  di  grande,  di  prezioso  per  tutta 
l'umanità. 

Ma  è  l'intensità  di  cose  comuni,  non  è  lo  straordinario,  che  pre- 
\ale;  è  l'isolamento  in  un  campo  omogeneo,  non  il  valore  intrinseco 
della  cosa,  che  determina  il  mirabile  fenomeno.  Forse  dentro  mille 
e  mille  coscienze  caotiche,  quella  gemma  esisteva,  immagazzinata 
tra  una  moltitudine  di  inutili  oggetti  ingombranti  e  non  riusciva 
nemmeno  a  farsi  distinguere;  mentre  l'inerzia  continuava  a  far  pene- 
trare sempre  nuovi  oggetti  tra  le  pareti  dilatate  e  impotenti.  Dopo 
la  scoperta,  molti  si  accorgono  di  aver  contenuto  la  stessa  verità;  ma 
non  è  la  verità  che  ha  valore  in  questo  caso,  è  l'uomo  che  ha  potuto 
sentirla  e  corrisponderci  con  l'azione. 

Molte  altre  volte  non  accade  che  la  verità  scoperta  esista  già 
nel  caos  delle  coscienze  tenebrose,  ed  allora  sembra  che  la  nuova  luce, 
pur  sì  semplice,  non  trovi  la  sua  strada  per  penetrare  nelle  coscienze. 

Essa  è  respinta  come  qualche  cosa  di  estraneo,  di  fallace;  ed  oc- 
corre molto  tempo,  occorre  che  nella  intelligenza  si  faccia  un  po' 
di  ordine,  uno  spazio,  perchè  la  «  novità  «  vi  possa  penetrare.  E  pure 
essa  un  giorno  sarà  trovata  limpida  come  un  brillante.  Non  era  la 
«  natura  »  dell'uomo  che  vi  ripugnava,  erano  i  suoi  «  errori  ».  Pei  quali 
errori  non  solo  gli  uomini  sono  incapaci  di  «  produrre  »,  ma  hanno  in 
sé  un  impedimento  a  «  ricevere  ».  Intanto  accade  spesso  che  i  pre- 
cursori i  quali  apportano  salute,  siano  perseguitati  da  una  specie  di 
ingratitudine  inconscia,   che  è  frutto  di   tenebre  interiori. 

Quale  fu  il  ragionamento  di  Cristoforo  Colombo?  Egli  pensò: 
«  se  veramente  la  terra  è  rotonda,  partendo  da  un  punto  ed  andando 
sempre  avanti,  si  deve  tornare  al  punto  di  partenza  ».  Questo  fu  tutto 
il  lavoro  intellettuale   che  arricchì   gli   uomini  di   un  nuovo   mondo. 

Che  il  grande  continente  si  fosse  trovato  sulla  via  di  Colombo, 
e  fosse  stato  da  lui  incontrato  invece  della  morte,  fu  la  sorte  do\uta 


1(14  PARTI'    PRIMA 

all'ambiente.    L'ainbionte  piemia  talvolta    nei  modi  più   sorprendenti 
fl  piccoli  ragionamenti  «  di  questa  specie. 

Non  fu  certo  un  gran  lavoro  dell'intelligenza  umana  che  operò 
tutto  questo,  ma  fu  il  trionfo  di  questa  idea  su  tutta  la  coscienza,  e 
il  coraggio  eroico  dell'uomo,  che  gli  dettero  valore.  La  grande  difficoltà 
stava  in  ciò,  che  un  uomo  il  quale  aveva  tale  idea  persistesse  tanto 
da  convincere  gli  altri  ad  aiutarlo  nell'impresa,  a  dargli  navi  e  seguaci. 
Non  l'idea,  la  fede  di  Colombo  operò. 

Quel  ragionamento  semplice  e  logico,  accese  in  lui  qualche  cosa 
che  ha  ben  più  valore  dell'intelligenza  e  fece  sì  che  un  uomo  solo 
di  umile  origine,  quasi  incolto,  potesse  regalare  ad  una  regina  un 
mondo. 

Si  dice  che  Alessandro  Volta  avesse  la  moglie  ammalata  di  febbre, 
quando  egli,  secondo  l'uso  del  tempo,  stava  preparando  le  famose 
rane  scorticate  per  farne  un  brodo;  appena  appese  le  rane  morte  alla 
inferriata  della  finestra  in  un  giorno  di  pioggia,  vide  che  esse  con- 
traevano le  zampe.  «  Se  i  muscoli  morti  si  contraggono,  vuol  dire  che 
una  forza  è  penetrata  in  essi  dall'esterno  ».  Ecco  il  ragionamento 
semplice  «  del  genio  »,  del  «  grande  scopritore  ».  E,  cercando  questa 
forza,  il  Volta,  per  mezzo  delle  sue  pile,  seppe  rapire  alla  terra  l'elet- 
tricità che  è  veramente,  anche  come  figura,  la  «  scintilla  »  di  un  im- 
menso progresso.  Aver  messo  in  valore  un  piccolo  fatto  come  quello 
di  un  essere  morto  che  si  muove,  averlo  considerato  semplicemente 
senza  rivestirlo  di  fantasie,  ed  essersi  fermato  innanzi  al  problema  che 
ne  derivava:  perchè  si  muove?,  ecco  la  via  lungo  la  quale  fu  raggiunta 
una  delle  più  grandi  conquiste  dell'uomo  civile. 

Fu  simile  la  scoperta  di  Galileo  quando  egli,  stando  ai  piedi 
del  Duomo  di  Pisa,  seguiva  le  oscillazioni  di  una  lampada  appesa. 
Egli  osservò  che  le  oscillazioni  si  compievano  tutte  nello  stesso 
tempo:  e  l'isocronismo  del  pendolo  fu  un  principio  per  la  misura  del 
tempo  in  mano  a  tutti  gli  uomini,  e  per  l'astronomo  fu  la  misura 
dei  mondi. 

E  assai  semplice  la  storia  di  Newton,  che  si  sente  cadere  addosso 
un  pomo  mentre  stava  sdraiato  sotto  un  albero,  e  pensa:  «  Perchè 
questo  pomo  è  caduto?  ».  Da  tale  semplice  origine  viene  la  teoria  della 
gravità  dei  corpi,  e  quella  della  gravitazione  universale. 


vili.  -  INTELLIGENZA  105 

Studiando  la  vita  di  Papin,  si  resta  meravigliati  della  sua  coltura 
che  lo  poneva  all'altezza  degli  uomini  più  dotti  dei  suoi  tempi:  me- 
dico, fisico,  matematico,  fu  ricercato  ed  onorato  dalle  Università 
d'Inghilterra  e  di  Germania.  E  pure  egli  fu  utile  all'umanità'  e 
perciò  grande,  soltanto  perchè  una  pentola  d'acqua  che  bollendo 
sollevava  il  coperchio,  fissò  la  sua  attenzione.  «  Il  \'apor  d'acqua  è 
una  forza  ch§  potrebbe  muovere  uno  stantuffo,  come  muove  un 
coperchio,  e  diventar  perciò  la  forza  motrice  di  una  macchina  ».  La 
famosa  pentola  di  Papin  è  una  specie  di  bacchetta  di  fata  nella  storia 
dell'umanità  che,  dopo  di  essa,  cominciò  a  lavorare  e  viaggiare  seriza 
stancarsi.  Quanto  meravigliose,  simili  storie  delle  grandi  scoperte  che 
\'engono  dall'umiltà,  e  operano  poi  in  tutto  il  mondo  un  immenso 
prodigio  ! 

Esse  sono  simili  alle  origini  degli  esseri  viventi  che  nascono  da 
due  cellule  impercettibili,  microscopiche,  la  cui  fusione  spinge  irre- 
missibilmente a  creare  vite  complicatissime.  Percepire  con  esattezza, 
collegare  logicamente  le  cose  percepite:  ecco  il  lavoro  dell'intelligenza 
superiore.  Ma  questo  lavoro  è  caratterizzato  da  una  singolare  forza 
di  attenzione,  che  fa  persistere  sopra  un  oggetto  la  mente  in  una  specie 
di  meditazione,  segno  caratteristico  del  genio;  così  deriva  una  vita  inte- 
riore ricca  di  attività,  come  le  cellule  germinative  sono  frutto  di  in- 
tere esistenze.  Si  direbbe  che  tali  mentalità  non  differiscano  dal  comune 
per  la  forma,  ma  per  la  «  forza  ».  È  la  vita  robusta  da  cui  provengono 
quelle  due  piccole  scintille  intellettuah,  che  le  rende  sì  prodigiose. 
Se  non  fossero  scaturite  da  personalità  forti,  indipendenti,  capaci 
di  agire  con  persistenza,  di  dedicarsi  con  eroismo,  quei  piccoli  lavori 
intellettuali  sarebbero  restati  come  una  cosa  morta  e  trascurabile. 
Tutto  ciò  dunque  che  rinforza  l'uomo  inferiore,  lo  può  condurre  sulle 
orme  del  genio. 

Poiché,  riguardo  all'intelligenza  in  sé,  è  un  lavoro  piccolo  quello 
che  essa  deve  compiere,  ma  chiaro,  sfrondato  da  superflue  complica- 
zioni. La  semplicità  è  quella  che  conduce  alla  scoperta;  la  semplicità 
che  come  la  verità  deve  essere  nuda.  Solo  poco  è  necessario;  ma 
questo   poco   deve  costituire  una  unità  poderosa:  il  resto   è   vanità. 

E  più  la  vanità,  cioè  il  vano  ingombro  della  mente  è  grande,  e 
più  ottenebra  la  chiarezza,  e  disperde  le  forze,  rendendo  diffìcile  o 


lfl6  PARTI      PRIMA 

impossibile  non  solo  ragionare  e  agire,  ma  perline  percepire  la  realtà, 
vedere. 


Sarebbe  interessante  considerare  rapidamente  per  quali  errori 
intellettuali  collettivi  viene  ostacolato  il  progresso  di  una  scoperta 
nuova,  semplice  e  apportatrice  di  sollievo  all'umanità,  e  può  essere 
perfino  lungamente  negata  l'esistenza  reale  dei  fatti  evidenti,  sol  perchè 
ancora  non  erano  conosciuti. 

Fermiamoci  un  momento  a  studiare  la  scoperta  della  malaria. 
Questa  scoperta  dovuta  al  Ross,  inglese,  per  gli  uccelli,  ed  al  Grassi, 
italiano,  per  l'uomo,  consiste  nell'avere  trovato  che  il  plasmodio  della 
malaria,  producentc  la  malattia,  viene  inoculato  negli  animali  che 
ne  vanno  soggetti  e  nell'uomo,  da  speciali  zanzare.  Vediamo  quale 
era  lo  stato  della  scienza  prima  della  scoperta.  Nel  1880  il  Laveran 
aveva  descritto  un  microrganismo  animale,  il  quale  viveva  a  spese 
dei  corpuscoli  rossi  del  sangue,  producendo  col  ciclo  della  sua  vita 
l'accesso  febbrile.  Gli  studi  ulteriori  confermarono  e  precisarono 
questo  fatto  e  il  plasmodium  malariae  fu  conosciuto  universalmente. 
Era  noto  che  i  microrganismi  animali,  a  differenza  di  quelli  vegetali, 
dopo  un  ciclo  di  vita  in  cui,  la  produzione  avviene  per  scissione,  cioè 
per  suddivisione  di  un  solo  corpo  in  parecchi  altri  corpi  uguali  al  primo, 
danno  luogo  a  àeWe  forme  sessuate,  maschili  e  femminili;  le  quali  sono 
separate  ed  incapaci  di  scissione,  ma  che  devono  fondersi  insieme; 
e  allora  l'organismo  riprende  di  nuovo  il  suo  ciclo  di  scissioni  sino  alle 
forme  sessuate. 

Il  Laveran  aveva  trovato  che  nel  sangue  di  malati,  i  quali  gua- 
riscono spontaneamente  delil.  febbre  malarica,  si  trova  una  grande 
quantità  di  corpiccioli  i  quali  non  hanno  più  la  forma  rotondeggiante 
dei  plasmodi,  ma  sono  a  semiluna  e  raggiati.  Egli  li  interpretò  come 
trasformazione  dei  plasmodi,  e  siccome  erano  «  alterati  nella  forma  » 
e  «  incapaci  di  dare  la  malattia  »  li  interpretò  come  organismi  «  dege- 
nerati »,  quasi  fossero  deformati  ed  esauriti  dal  «  troppo  lavoro  »  pre- 
cedentemente compiuto.  Queste  forme  si  chiamarono  «  forme  dege- 
nerative del  Laveran  ».  Dopo  che  nel  1900  fu  fatta  la  scoperta  della 
trasmissione  della  malaria,  furono  riconosciute  le  «  forme  degenerative  » 


I 


INTELLIGENZA  167 


del  Laveran  come  gli  individui  sessuati  del  ciclo  riproduttivo:  indi- 
vidui che  non  erano  capaci  di  coniugarsi  nel  sangue  dell'uomo,  ma 
che  solo  nel  corpo  delle  zanzare  potevano  dar  luogo  al  nuovo  essere. 
Si  potrebbe  riflettere:  perchè  il  Laveran  non  riconobbe  semplicemente 
quelle  forme  sessuate  e  come  mai  anzi  non  cercò  il  periodo  della  co- 
niugazione nei  plasmodi,  che  erano  microrganismi  animali?  Se  avesse 
avuto  innanzi  alla  mente  il  ciclo  completo  dei  protozoi,  li  avrebbe  ri- 
conosciuti. Invece,  evidentemente,  davanti  alla  sua  fantasia  erano 
più  vi\'e  le  teorie  di  Morel  sulla  degenerazione  dell'uomo  ;  e  sembrò 
"  geniale  »  il  salto  che  portava,  a  traverso  quelle  teorie  così  lontane, 
fimo  all'interpretazione  dei  plasmodi.  Si  potrebbe  dire  che  il  «  gesto 
geniale  »,  la  generalizzazione  immaginosa,  impedirono  al  Laveran  di 
vedere  il  vero.  Una  forma  di  superbia  e  di  leggerezza  è  riconoscibile 
in  tali  errori. 

Tuttavia  qualcosa  di  più  grave  ci  sorprende:  e  come  mai  centinaia 
e  migliaia  di  studiosi  in  tutto  il  mondo,  abbracciarono  ad  occhi  chiusi 
l'errore  di  Laveran,  e  nessuno  (tra  tanti)  ebbe  per  conto  proprio  il 
ciclo  dei  protozoi  innanzi  agli  occhi,  e  nessuno  fu  così  indipendente  da 
voler  cominciar  a  studiare  per  proprio  conto  il  fenomeno?  che  cosa 
è  questa  forma  mentale  di  inerzia?  e  perchè  si  produce  nell'uomo? 
Tutti  questi  seguaci,  non  curanti  del  problema  messo  h  sotto  ai  loro 
occhi  dalle  forme  sessuate  del  plasmodio,  lo  lasciavano  lì,  poiché  non 
era  stato  ancora  risolto,  e  certo  non  intuivano  la  celebrità,  il  progresso 
della  scienza  e  il  bene  dell'  umanità  che  sarebbero  scaturiti  se  quel 
problema  fosse  stato  un  ostacolo  che  avesse  arrestato  su  di  sé  il  loro 
pensiero,  dicendo:  «  risolvimi  ». 

Passavano  oltre  indifferenti,  plaudendo  al  gesto  geniale  della 
mi'Ute  del  Laveran;  ripetendo  con  lui:  sono  forme  degenerate.  Un 
gesto  vano,  era  quello  che  si  portava  dietro  delle  turbe  di  persone 
le  quali  avevano  abdicato  alla  propria  personalità  senza  esserne  co- 
scienti. 

Un'altra  conoscenza  biologica  acquisita  era  che  il  .sistema  circo- 
latorio è  un  sistema  chiuso  di  vasi,  e  che  l'epitelio  di  rivestimento 
non  è  permeabile  a  corpi  solidi  non  taglienti,  come  sarebbero  i  mi- 
crobi \egetali,  o,  tanto  meno,  i  protozoi  rotondeggianti,  molto  più 
f^randi  dei    microbi  e  di  consistenza  molli.   Questo  fatto  dimostrato 


loS  PARTE    PRIMA 

e  noto,  avrebbe  dovuto  pone  un  problenìa  innanzi  alle  menti  degli 
studiosi:  come  fanno  ad  entrare  nel  torrente  circolatorio  i  protozoi 
della  miUaria?  Ma,  tino  dai  tempi  di  Ippocrate,  da  Plinio,  Celso,  Ga- 
leno, si  era  detto  che  la  febbre  veniva  dall'»  atmosfera  tossica  »  dei 
luoghi  paludosi,  dalla  cattiva  aria  del  mattino  e  della  sera,  tanto 
che  ancora  fino  a  pochi  anni  prima  della  scoperta  si  coltivavano  gli 
eucalipti  con  la  fede  che  avrebbero  filtrato  e  disinfettato  l'aria.  Come 
mai  nessuno,  si  chiedeva  in  qual  modo  dunque  daWaria  i  plasmodi 
potevano  entrare  nel  torrente  sanguigno?  Da  quale  specie  di  torpore 
era  presa  l'intelligenza  di  persone  che  si  erano  specializzate  nel  la- 
\-oro  intellettuale?  Ecco  una  somma  colossale  di  intelligenza,  senza 
nessuna  individualità. 

Finché  il  Ross  scopre  che  negli  uccelli  la  malaria  è  inoculata  da 
peculiari  zanzare. 

E  ecco,  finalmente,  il  ragionamento  fondamentale  donde  scaturì 
la  conoscenza  della  verità:  «  se  negli  uccelli  è  la  zanzara  che  inocula 
la  malaria,  anche  nell'uomo  dovrà  avvenire  lo  stesso  ». 

Ragionamento  semplice,  che  conduce  come  una  freccia  alla  sco- 
perta definitiva.  Nulla  sembrò  più  incredibile  che  nei  luoghi  malarici 
ci  fosse  aria  buonissima  e  fertile  terreno,  e  che  si  sarebbe  potuto  re- 
spirare mattina  e  sera  di  quell'aria  restando  in  ottima  salute,  purché 
le  zanzare  non  pungessero,  e  che  le  falangi  di  contadini  consumati 
dalle  anemie  malariche,  si  sarebbero  rinvigoriti  e  salvati,  coprendosi 
con  un  velo.  Ma  dopo  il  primo  stordimento,  e  venendo  la  convinzione 
dai  fatti,  ci  fu  la  recriminazione  di  tutte  le  intelligenze:  e  come  mai 
non  lo  scoprimmo  prima?  Non  era  forse  noto  il  ciclo  dei  protozoi? 
Non  si  ripeteva  da  tutti  che  il  sistema  circolatorio  era  chiuso  ed  im- 
permeabile ai  microrganismi?  Non  era  naturale  pensare  che  solo  un 
insetto    succhiatore    di    sangue    poteva    inocularlo? 

Quanti  studiosi  sentirono  che  la  gloria  era  passata  vicino  a  loro, 
e  ne  furono  stupiti  e  dolenti  come  i  pellegrini  di  Emmaus,  che  resta- 
rono a  ripetersi  tra  loro  dopo  che  il  Maestro  fu  scomparso  senza  che 
lo  avessero  riconosciuto:  «  Non  ci  ardeva  forse  il  cuore  in  petto  mentre 
parlava  e  ci  rivelava  la  scrittura?  ». 

Quanti  dovettero  pensare:  noi  lavorammo  tanto  per  ingombrare 
la  nostra  mente,  e  pure  una  cosa  sola  era  necessaria:  farci  umili  e  sem- 


vili.  -  INTELLIGENZA  169 

plici,  ma  indipendenti.  Invece  ci  empimmo  di  tenebre,  e  il  raggio 
che  ci  avrebbe  fatto  veggenti,  non  penetrò  fino  a  noi. 

Osserviamo  dei  fatti  più  grossolani.  Si  conosceva  empiricamente 
fin  dalla  civiltà  greca,  che  possono  cadere  «pietre  dal  cielo».  Nelle 
più  antiche  cronache  cinesi  sono  registrate  cadute  di  aeroliti.  Nel  medio 
evo  e  nell'evo  moderno  si  fanno  sempre  più  frequenti  le  notizie  in- 
torno alla  caduta  di  aeroliti.  E  perfino  dei  fatti  straordinari  registrati 
nella  storia  sono  accaduti  in  rapporto  a  simili  fenomeni:  fu  la  meteorite 
caduta  nel  1492  che  servì  all'imperatore  Massimiliano  I  di  Germania 
ad  eccitare  la  cristianità  alla  guerra  contro  i  Turchi.  Tuttavia  fino  al 
secolo  xviii  non  era  ammesso  dagli  scienziati  il  fenomeno.  Una  delle 
più  grandi  meteoriti  è  quella  caduta  presso  Agram  nel  1751,  del  peso 
di  circa  40  kg.  e  che  fu  deposta  e  catalogata  nel  gabinetto  mineralogico 
di  Corte  a  Vienna.  Ora  ecco  ciò  che  lo  Stùtz,  un  erudito  tedesco,  dichiara 
in  proposito  nel  1790:  «  Che  il  ferro  sia  caduto  dal  cielo  possono  crederlo 
i  profani  alla  storia  naturale,  possono  averlo  creduto  nel  175 1  anche 
gli  uomini  illuminati  della  stessa  Germania,  data  la  universale  ignoranza 
allora  dominante  fra  noi  della  storia  naturale  e  della  fisica;  ma  al  no- 
stro tempo  sarebbe  imperdonabile  ammettere  solo  la  verosimiglianza 
di  simili  favole  ». 

Nello  stesso  anno  1790  essendo  caduta  in  Guascogna  una  aero- 
lite di  dieci  chilogrammi,  avvertita  da  una  gran  quantità  di  per- 
sone, ne  fu  redatta  una  relazione  ufficiale  firmata  da  trecento  te- 
stimoni, e  inviata  all'Accademia  di  Parigi.  La  risposta  fu  che  «  era 
stato  molto  divertente  ricevere  il  documento  legale  di  una  simile 
stupidità  »  (i). 

Quando  pochi  anni  dopo  il  Chladni,  di  Wittenberg,  fondatore  della 
acustica  scientifica,  cominciò  a  convenire  sul  fenomeno  e  a  credere 
all'esistenza  degli  aeroliti,  fu  citato  come  «un  uomo  che  disconosceva 
ogni  legge  e  che  non  rifletteva  di  quanto  male  era  colpevole  nel  mondo 
morale  »;  e  un  erudito  dichiarò  che  «  se  avesse  visto  cadere  ai  suoi 
piedi  ferro  dal  cielo,  non  ci  avrebbe  creduto  ». 


(i)  Ma  un  grande  fisico,  non  potendo  prender  parte  a  tale  divertimento  scrisse: 
«  È  triste  vedere  un  Municipio  che  dà  fede  con  un  protocollo  alle  dicerie  del  volgo, 
e  vedere  testimonianze  autentiche   di    un  fatto  che  evidentemente  è  impossibile  » . 


170  r.\KTi:     PRIMA 

Incrotlulità  più  grande  di  quella  di  S.  Tommaso  che  disse:  «Se 
io  non  tocco  non  credo  ».  Qui  invece  esistono  pezzi  di  ferro  di  dieci, 
di  quaranta  chili,  che  si  possono  toccare:  ma  l'erudito  dice:  «  anche  se 
tocco,  non  credo  ». 

Non  basta  dunque  vedere  per  credere;  bisogna  credere  per  vedere. 
La  fede  è  che  conduce  la  vista;  non  la  vista  che  produce  la  fede.  Quando 
il  cieco  del  Vangelo  manda  l'ansioso  grido  :  «  Fa  che  io  vegga  »,  egli 
chiede  la  «  fede  »  poiché  sa  che  si  possono  avere  gli  occhi  e  non  vedere. 

Il  fatto  di  non  essere  sensibile  all'evidenza,  è  poco  considerato 
in  psicologia,  e  tanto  meno  fa  parte  di  un  criterio  pedagogico.  E  pure 
sono  notissimi  molti  fatti  consimili  benché  in  un  campo  psicologico 
inferiore:  p.  es.,  che  senza  il  consenso  interno  dell'attenzione,  invano 
gli  stimoli  agirebbero  sui  sensi.  Mille  esperienze  di  questo  genere 
entrano  a  far  parte  della  conoscenza  comune.  Non  basta  che  un  oggetto 
sia  innanzi  ai  nostri  occhi  perché  noi  lo  vediamo:  bisogna  che  ci  portiamo 
la  nostra  attenzione;  una  preparazione  interna  che  prepari  a  ricevere 
le  impressioni  dello  stimolo,  è  necessaria. 

In  un  campo  ,  più  ejetto  e  puramente  spirituale,  avviene  pure 
qualche  cosa  di  simile:  un'idea  non  può  entrare  trionfalmente  nella 
coscienza,  se  una  preparazione  di  fede  non  l'attende.  Senza  ciò  essa 
può  bussare  anche  violentemente  e  brutalmente,  con  una  evidenza 
clamorosa,  senza  poter  penetrare.  Bisogna  che  il  campo  della  coscienza 
sia  non  solo  libero,  ma  in  «  attesa  ».  Chi  è  disperso  in  un  caos  di  idee 
non  può  accettare  una  verità  che  arriva  all'improvviso  nel  campo 
impreparato. 

Questo  fatto  non  è  analogo  solo  ad  altri  fatti  psichici  di  infe- 
riore importanza,  come  quello  delle  percezioni  sensoriali  in  rapporto 
all'attenzione:  ma  é  pure  analogo  ai  fatti  dello  spirito  che  sono  così 
noti  nel  campo  religioso.  Invano  si  spiega  od  anche  si  fa  vedere  un 
fatto  sia  pure  straordinario  se  non  c'è  la  fede:  non  è  l'evidenza,  è  la 
fede  che  lascia  penetrare  la  verità.  Gli  stessi  sensi  sono  un  mezzo 
vano  se  l'interiore  attività  non  é  essa  ad  aprire  le  porte  per  ricevere. 
Quando  nel  Vangelo  si  narrano  i  miracoli  più  clamorosi  di  Cristo, 
segue  sempre  la  conclusione:  «  e  molti  di  quelli  che  videro,  credettero  ». 
La  parabola  dell'invito  a  pranzo,  a  cui  non  possono  rispondere  quelli 
che  hanno   degli   affari   che   li   preoccupano,   sembra   accennare  a  un 


vili.  -  INTELLIGENZA  I7I 

fatto  simile  a  questo  fatto  intellettuale,  ove  le  «  preoccupazioni  «  di 
complicate  idee  preesistenti,  impediscono  alla  nuova  verità  evidente 
che  si  presenta,  di  penetrare.  Per  questo  occorre  il  precursore  a  pre- 
parare il  Messia.  E  per  questo  il  Messia,  come  le  idee  nuove,  sono 
accolti  dai  «  semplici  »,  da  coloro  che  non  sono  «  carichi  di  pesanti 
preoccupazioni  »  e  che  conservano  i  caratteri  naturali  dello  spirito, 
di  essere  puro  e  sempre  in  «  attesa  ». 

Quando  Harvey  nel  1628  scoprì  la  circolazione  del  sangue,  la 
fisiologia  era  pressoché  sconosciuta;  e  la  medicina  si  trovava  nel  pieno 
periodo  del  suo  empirismo.  È  noto  che  la  facoltà  di  medicina  di  Parigi 
"  malgrado  le  esperienze  »  rifiutò  di  credere  alla  circolazione,  perse- 
guitando e  calunniando  l 'Harvey.  «  Quello  che  mi  piace  in  mio  figlio  » 
dice  il  Dyafoirns  «  ed  in  cui  segue  il  mio  esempio,  è  che  rimane  fedele 
alle  opinioni  dei  nostri  antichi,  e  che  mai  non  ha  voluto  né  comprendere 
né  ascoltare  le  ragioni  e  l'esperienza  delle  pretese  scoperte  del  nostro 
secolo,  per  quanto  riguarda  la  circolazione  del  sangue  ». 


Uno  dei  documenti  umani  più  impressionanti  é  la  storia  della 
scoperta  dei  foglietti  germinativi  nello  sviluppo  embrionale  dei  verte- 
brati. Nel  1700  era  in  vigore,  nelle  idee  sulla  generazione,  la  teoria 
della  preformazione:  cioè  si  credeva  che  nei  germi  ci  fossero  piccoli 
esseri  già  completamente  formati,  che  dovevano  poi  dispiegare  ed 
accrescere  le  parti,  di  dimensioni  infinitesime,  che  erano  implicate  le  une 
nelle  altre.  Ciò  per  tutti  gli  esseri  viventi,  vegetali,  animali  e  umani. 
Una  tale  teoria  aveva  condotto  per  proprio  sviluppo  logico,  all'altra 
più  ampia  teoria  della  «  inclusione  vicendevole  »;  cioè,  dovendo  essere 
tutti  gli  organismi  viventi  preformati,  era  necessario  che  fossero  esi- 
stiti tutti,  fin  dall'epoca  della  creazione,  l'uno  incluso,  accartocciato 
nell'altro.  Nelle  ovaie  di  Eva  doveva  trovarsi  tutta  l'umanità.  Quando 
il  Leuwenhoek,  nel  1690,  scoprì  al  microscopio  gli  spermatozoi,  venne 
l'idea  che  ogni  cellula  maschile  contenesse  al  completo  un  omino  mi- 
croscopico: l'homunculus;  ed  allora  fu  pensato  che  non  Eva,  ma  Adamo 
avesse  contenuto  in  sé  tutta  l'umanità.  Di  qui  le  due  opposte  teorie 
che  nel  xviii  secolo  tennero  ben  separati  gli  avversari:  quella  degli 


x-jz  parti;  prima 

ovulisti  e  quella  degli  animalculisti  ;  e  una  tale  disputa  non  sembrava 
sulla  via  di  una  possibile  decisione.  Nomi*  illustri  di  scienziati  e  di  fi- 
losofi si  legano  a  tali  dispute:  per  esempio  quello  dello  Spallanzani 
e  del  Leibnitz,  il  quale  applica  anche  all'anima  i  principi  della  genera- 
zione. «  Così  io  penserei  »  dice  il  Leibnitz  «  che  le  anime  che  un  giorno 
saranno  anime  umane,  sono  state  presenti  nel  seme,  che  hanno  sempre 
esistito  in  forma  di  corpi  organizzati  nei  loro  progenitori  fin  d'Adamo, 
cioè  fin  dal  principio  delle  cose  »  (i).  L'Haller,  ovulista,  il  cui  nome  di 
fisiologo  fu  molto  autorevole,  in  una  celebre  opera:  Elementa  physio- 
logiae,  sostenne  decisamente  il  principio:  «  Nulla  est  epigenesis  !  Nulla  in 
corpore  animali  pars  ante  aliam  facta  est,  et  omnes  simul  creatae  exi- 
stunt  ))  cioè  nulla  è  creato  di  nuovo,  nessuna  parte  del  corpo  animale  è 
stata  fatta  prima  dell'altra,  tutte  sono  create  allo  stesso  tempo.  Fa- 
cendo, secondo  la  cosmogonia  biblica,  un  calcolo  del  numero  degli 
uomini  che  dovevano  essere  accartocciati  nelle  ovaie  di  Eva,  egli  li 
suppone  in  numero  di  duecento  miliardi.  Era  questo  lo  stato  del  pen- 
siero quando  Gaspare  Federico  Wolff  nel  1759  fece  noti  alcuni  suoi  studi 
nell'opera  Theoria  generationis,  ove  sosteneva,  sull'autorità  di  esperi- 
menti e  di  osservazioni  al  microscopio  fatte  su  embrioni  di  pollo,  che  i 
nuovi  esseri  non  sono  preformati,  ma  si  creano  completamente  da  sé, 
partendo  dal  nulla,  ossia  da  una  cellula  microscopica  semplice  come 
tutte  le  cellule  primitive.  Egli  descriveva  il  modo  semplice  con  cui 
avviene  la  vera  evoluzione  degli  individui:  da  una  cellula,  per  divisione, 
se  ne  formano  due  e  poi  quattro  e  poi  otto,  e  così  via.  E  le  cellule  così 
germinate  si  dividono  in  due  o  tre  lamelle  o  «  foglietti  primitivi  »  dai 
quali  poi  vengon  tutti  gli  organi,  e,  primo,  il  canale  digerente.  «Questa 
affermazione  »  dice  il  Wolff,  «  non  è  già  una  teoria  immaginaria:  è  la 
descrizione  di  fatti  raccolti  con  la  più  sicura  osservazione  ». 

Tutti  gli  scienziati  del  suo  tempo  conoscevano  e  maneggiavano  U 
microscopio:  a  tutti  era  accessibile  un  uovo  e  quindi  un  embrione  di 
pollo  da  osservare;  il  problema  della  genesi  individuale  non  li  lasciava 
indifferenti,  ma  anzi  li  aveva  spinti  ai  più  complicati  sforzi  della  fan- 
tasia, e  li  aveva  divisi  in  fazioni,  come  avversari  in  una  battaglia  del 
pensiero.  Poteva  qualcuno,  se  non  altro  pel  sentimento  di  Sansone,  di 

(i)  DuWAnlropogcnia  di  Haeckel. 


vili.  -  INTKLLIGENZA  I73 

distruggere  sé  stesso  insieme  ai  Filistei,  tentare  la  prova,  osservare.  Il 
dubbio  almeno  che  potesse  esserci  la  verità  in  ciò  che  era  stato  veduto  e 
descritto,  che  si  poteva  riprodurre,  avrebbe  pur  dovuto  animare  qual- 
cuno ad  avventurarsi  in  una  via  che,  se  vera,  era  grandiosa  e  serbava 
un  avvenire  di  scoperte  e  di  gloria.  Ma  no.  Una  nebbia  fìtta  ottenebrava 
le  menti,  e  la  lampante  verità  non  potè  penetrarla  ;  così  ogni  progresso 
dell'embriologia  restò  precluso. 

Erano  scorsi  cinquant'anni,  e  il  Wolff,  povero  e  perseguitato,  esule 
dalla  sua  patria,  era  morto  a  Pietroburgo,  quando  il  Pander  ed  Ernesto 
\on  Baer,  affacciarono  di  nuovo  nel  campo  delle  scienze  la  teoria  dei 
«  foglietti  blastodermici  ».  Allora  il  mondo  scientifico  si  accorse  della 
verità  ed  abbracciò  l'evidenza,  dando  principio  agli  studi  di  embrio- 
logia, che  tanto  illustrarono  il  xix  secolo. 

Perchè  dovettero  scorrere  cinquanta  anni,  affinchè  gli  uomini 
vedessero  ciò  che  era  evidente?  che  cosa  era  avvenuto  in  questi  cin- 
quant'anni? Il  lavoro  del  Wolff  seppellito,  ignorato,  non  poteva  aver 
avuto  nessuna  influenza.  Il  fatto  fu  proprio  che  dopo  si  vide  ciò  che 
prima  era  stato  impossibile  di  vedere.  Una  specie  di  maturità  nell'in- 
terno degli  uomini  doveva  essere  avvenuta,  per  cui  gli  occhi  spirituali 
ebbero  tempo  di  aprirsi  e  videro.  Quando  quegli  occhi  erano  chiusi, 
vana  fu  l'evidenza.  Una  lotta  diretta  cinquant'anni  prima,  si  sarebbe 
dispersa  contro  ostacoli  inespugnabili;  ma,  passato .  il  tempo,  senza 
alcuna  lotta  non  solo,  ma  senza  alcuna  azione,  la  cosa  si  ripresentò 
e  fu  semplicemente  e  universalmente  abbracciata. 

Questo  fatto  potrà  essere  discusso  trattandosi  di  maturazione 
interiore  delle  masse;  ma  è  indiscutibile  per  l'individuo.  Quando  una 
cosa  evidente  non  è  veduta,  occorre  ritirarsi  e  lasciar  maturare  l'indi- 
viduo. La  lotta  «  per  far  vedere  l'evidenza  »  sarebbe  aspra  e  debili- 
tante. Ma  quando  la  maturità  sarà  venuta,  allora  noteremo  il  veggente 
entusiasmarsi  e  gettar  frutti,  come  la  vite  della  terra  promessa. 

Quando  Carlo  Darwin  nel  1859  espose  la  teoria  dell'evoluzione 
nel  suo  libro:  Origine  delle  specie,  intuiva  la  grande  influenza  che 
essa  avrebbe  portato  sul  pensiero  dei  suoi  tempi,  perchè  si  trovò 
scritto  sul  suo  taccuino:  «  La  mia  teoria  condurrà  a  una  filosofìa  ». 
Il  suo  concetto  della  lotta  per  l'esistenza  e  della  selezione  naturale 
dei  caratteri,  così  largamente  abbracciato  dal  pensiero  dei  tempi,  popò  - 


174  l'AKTl      PKIMA 

larizzò.  trascinandoli  con  sé,  e  quasi  fondendoli  nello  stesso  sno  con- 
tenuto, i  principi  del  Lamarck  sulla  formazione  casuale  dei  nuo\i 
caratteri  delle  specie  per  adattamento  all'ambiente.  Questi  principi, 
escludendo  insieme  la  creazione  e  le  sue  finalità,  \enivano  implici- 
tamente a  negare  che  l'anima  è  immortale.  Si  pensi  al  potere  di 
una  tale  rivoluzione:  l'anima  era  stata  lo  scopo  della  vita  per  molli 
si'coli  e,  crollando  la  fede  fondamentale  dell'esistenza,  la  vita  stessa 
della  coscienza  ne  restava  sconvolta.  Si  potrebbe  supporre  che  si 
cercassero  ansiosamente  delle  contraddizioni  nella  teoria  distruggi- 
trice,  se  non  altro  come  per  un  istinto  di  conservazione  d'antiche 
credenze  radicate  nella  razza. 

Ma  prendiamo  a  considerare  i  due  principi  rivoluzionari  che 
tanto  colpirono  ed  entusiasmarono  la  coscienza  degh  studenti  uni- 
versitari di  più  generazioni.  Un  principio  era:  «  non  c'è  funzione 
senza  organo  ».  L'altro  principio  che  pure  infiammava  i  giovani  stu- 
diosi era:  «la  funzione  crea  l'organo  ».  Come  mai!  non  c'è  funzione 
senza  organo,  non  può  neanche  esistere  la  funzione  senza  l'organo: 
e  poi  invece  la  funzione  senza  organo  può  esistere  con  tale  potere 
da  creare}  Nessuna  pivi  palese,  più  tangibile  contraddizione  sarà  mai 
esistita  in  nessuna  teoria. 

E  non  è  a  dire  che  il  darwinismo  e  i  principi  del  Lamarck  si 
studiassero  in  fretta,  confusi  in  una  serie  svariata  di  teorie  filosofiche: 
perchè  il  darwinismo  si  era  isolato  come  un'idea  vittoriosa,  che 
discaccia  tutte  le  altre  idee,  come  la  luce  del  giorno  che  discaccia 
le  tenebre  della  notte.  E  gli  studiosi  vi  si  soffermavano  volendo\'i 
costruire  una  nuova  morale  e  una  nuo\'a  coscienza;  perciò  quei  due 
principi  non  erano  studiati  freddamente  e  distrattamente.  E  pure 
essi  penetravano  insieme  nella  coscienza  e  vi  suscitavano  entusiasmo 
ciascuno  per  conto  suo:  su  tale  contraddizione  trionfante  si  voleva 
distruggere  un  mondo  e  crearne  un  altro. 

La  conclusione  ultima  del  pensiero,  allora,  fu  questa:  «  noi  siamo 
delle  vere  bestie,  non  c'è  nessuna  differenza  sostanziale  tra  gli  animali 
e  noi  ;  noi  siamo  scimmie,  ma  per  antica  progenie  discendiamo  dai 
vermi  di  terra  ».  Con  quanto  ardore  i  professori  dalla  cattedra  andavano 
analizzando  la  psicologia  dell'uomo  per  dimostrare  che,  comunque  si 
cercasse,  nulla,  nulla  poteva  trovarsi  che  non  fosse  negli  animali,  e  con 


vili.  -  INTELLIGENZA  I75 

che  nutrito  applauso  li  salutava  la  scolaresca!  Quando  i  professori  di 
psichiatria  con  le  vivisezioni  toglievano  il  cervello  ai  piccioni  o  alle 
scimmie  e  poi,  guariti  gli  animali,  li  esponevano  nei  congressi  interna- 
zionali di  psicologia,  allo  studio  delle  loro  reazioni  psichiche,  osser- 
vandone le  attitudini  del  corpo,  l'attività  a  percepire  e  simili  cose, 
richiamavano  la  piìi  sincera  attenzione:  tutti  credevano  veramente 
che  un  animale  senza  cervello  potesse  portar  luce  sulla  psicologia 
dell'uomo! 

Se  si  pensa  che  questa  era  l'epoca  dei  positivisti,  di  coloro  cioè 
che  «non  credevano  senza  toccare»,  si  è  colpiti  da  una  impressione 
Iprofonda  :  l'intelligenza  corre  dunque  dei  pericoli,  come  lo  spirito.  Essa 
può  ottenebrarsi,  può  contenere  una  contraddizione,  un  «  peccato  » 
senza  avvedersene,  e  per  un  solo  peccato  inavvertito  può  precipitare 
in  una  specie  di  delirio,  in  una  deviazione  mortale.  Essa  ha  dunque 
«  una  via  »  di  salvezza,  come  lo  spirito,  ed  ha  bisogno  di  essere  sostenuta 
per  non  perdersi.  Questo*  sostegno  non  è  quello  dei  sensi.  Essa  ha  biso- 
gno, come  lo  spirito,  di  una  continua  purificazione  che,  come  il  pesce 
di  Tobia,  deterga  gli  occhi  dalla  cecità.  La  «cura  di  sé»,  quella  cura 
che  l'igiene  oggi  raccomanda  per  il  corpo,  per  cui  noi  perdiamo  tanto 
tempo  a  nettare  e  lustrare  perfino  le  unghie,  deve  essere  estesa  all'uomo 
interiore,  perchè  si  conservi  nella  sua  salute  e  nella  sua  integrità. 

A  questo  deve  mirare  r«  educazione  dell'intelligenza  ».  Educai  e 
l'intelligenza  è  salvarla  dai  suoi  propri  pericoli  di  malattia  e  di  morte  : 
è  «  purificarla  dai  suoi  peccati  ».  La  fatica  in  se  stessa  d'imparare  le 
cose,  non  è  essa  che  educhi  l'intelligenza.  Lo  sappiamo  ai  nostri  tempi, 
in  cui  tanti  sono  gli  squilibrati,  i  pazzi;  e,  tra  quelli  che  vengono  con- 
siderati sani,  possono  pur  scoppiare  conseguenze  materiali  di  deliri 
che  minacciano  di  perdizione  tutta  l'umanità. 

Non  la  preoccupazione  di  «  far  imparare  le  cose  »  al  bambino, 
ma  di  mantenere  sempre  viva  quella  luce  in  lui  che  si  chiama  l'intelli- 
genza, ecco  ciò  che  deve  dirigere  le  nostre  cure.  Se  dovessimo  per  ciò 
consacrarci  come  le  antiche  vestali,  sarebbe  opera  degna  di  tant») 
compito. 


IX. 
Immaginazione 


L' immaginazione  creatrice  della  scienza  si  basa  sul  vero. 

—  Se,  un  secolo  fa,  qualcuno  avesse  detto  a  quegli  uomini  che 
\iaggiavano  in  diligenza,  e  avevano  lumi  a  olio,  che  ci  sarebbe  stata 
un  giorno  la  luce  sfolgoreggiante  che  irradia  le  notti  di  New  York; 
che  gli  uomini  avrebbero  chiesto  aiuto  di  mezzo  all'oceano  e  sareb- 
bero stati  intesi;  che  essi  avrebbero  volato  più  dell'aquila  —  i  nostri 
buoni  padri  antichi  avrebbero  sorriso  d'incredulità.  La  loro  immagi- 
nazione non  sarebbe  mai  arrivata  a  concepire  tutto  ciò.  Per  loro, 
gli  uomini  moderni  sarebbero  sembrati  quasi  uomini  di  un'altra  specie. 

È  che  l'immaginazione  degli  uomini  moderni  ha  costruito  sulla 
indagine  positiva  della  scienza:  mentre  gli  antichi  lasciavano  vagare 
la  loro  mente  nel  mondo  dell'irreale. 

Questo  solo  fatto,  ha  cambiato  la  faccia  del  mondo. 

Quando  l'uomo  si  smarriva  nelle  pure  speculazioni,  l'ambiente 
suo  restava  immutato:  ma,  quando  l'immaginazione  potè  partire  dal 
contatto  con  la  realtà,  allora  cominciò  il  pensiero  a  costruire  delle 
opere,  sulle  quali  il  mondo  esterno  andò  trasformandosi. 

Quasi  che  il  pensiero  dell'uomo  avesse  assunto  un  potere  mera- 
viglioso, quello  di  creare. 

Noi  immaginiamo  così  il  pensiero  di  Dio:  tutta  la  creazione  è 
il  pensiero  divino,  che  ha  la  proprietà  di  realizzarsi.  Dio  pensa:  ed 
ecco  la  luce,  l'ordine  del  creato,  gli  esseri  viventi. 

L'uomo  moderno,  col  metodo  delle  scienze  positive,  sembra  aver 
trovato  la  traccia  segreta  del  pensiero  che  lo  mette  sulle  orme  della 


PARTE    PRIMA 


divinità  ;  che  gli  dà  la  rivelazione  della  sua  vera  natura,  ris]iondente 
al  detto  biblico:  «  creiamo  l'uomo  a  nostra  immagine  e  somiglianza  ». 

Così  l'intelligenza  umana  disse:  «  sia  la  luce  >>  e  fu  uno  sfolgo- 
reggiare magico  di  luce  che  viene  e  va  ad  un  suo  tocco.  «  Voli 
l'uomo  nell'aria  e  si  elevi  al  disopra  di  tutti  gli  uccelli  creati  »  — 
e  così  fu.  »  Vada  la  voce  dei  naufraghi  misteriosamente  e  senza 
suono,  e  giunga  ai  lontani  »,  e  così  fu.  «  Si  moltiplichino  gli  oggetti, 
le  piante  nelle  loro  varietà,  in  modo  che  tutti  gli  uomini  abbiano 
più  ampi  mezzi  di  vita  »,   e  così  fu. 

L'immaginazione  ha  creato,  quando  e  partita  dalla  creazione, 
quando  cioè  ha  raccolto  prima  il  vero  esistente.  Allora  solo  essa  ha 
compiuto  cose  meravigliose. 

Come  quell'uccellino-mosca,  che  si  nascose  sotto  le  ah  di  un'aquila, 
la  quale  volava  in  alto  —  e  quando  si  fu  così  elevato  smisuratamente 
per  lui,  allora  si  staccò  dall'aquila  e  principiò  a  volare  ancor  più 
alto  con  le  sue  proprie  forze:  così  è  l'uomo,  il  quale  prima  si  tiene 
alla  natura  e  nelle  speculazioni  più  severe  a  lei  s'attacca  e  con  essa 
salisce  in  alto,  nella  ricerca  della  verità:  quindi  se  ne  distacca  e  la 
sua  immaginazione  crea  allora  al  disopra  della  natura  stessa.  In 
questo  modo  l'uomo  sembra  riflettere  caratteri  divini  :  il  meraviglioso, 
il  miracoloso  escono  da  lui  in  forma  tanto  grande,  che  l'uomo  del 
passato,  l'uccellino-mosca  senza  aquila,  non  avrebbe  potuto  neanche 
concepirlo. 

Nel  peccato  originale  è  raccontata  questa  storia  eterna,  dell'^ow^o 
che  vuol  fare  da  se,  che  vuole  sostituirsi  a  Dio,  emanciparsi  da  lui, 
e  creare.   E  così  cade  nell'impotenza,  nella  schiavitù  e  nell'infelicità. 

La  mente  che  lavora  da  sé,  indipendentemente  dal  vero,  lavora 
nel  vuoto.  Quella  sua  facoltà  creativa  è  un  mezzo  per  lavorare  sulla 
realtà.  Ma  se  essa  scambia  il  mezzo  col  fine,  è  perduta. 

Questa  specie  di  peccato  dell'intelligenza,  che  tanto  ricorda  il 
peccato  originale,  di  scambiare  cioè  il  mezzo  col  fine,  si  ripete  sotto 
ogni  forma,  come  una  «  forza  d'inerzia  »  che  pervade  la  vita  psichica. 
Così  l'uomo  scambiò  il  mezzo,  che  è  più  semplice,  più  facile  e 
comprensibile,  col  fine,  in  molte  delle  sue  funzioni.  Quando,  per  es., 
la  nutrizione  divenne  eccesso  della  gola,  e  l'appetito  fine  a  sé -stesso, 
il  corpo,  invece  di  rinnovarsi  nella  salute  e  nella  purità,  ne  fu  avve- 


XX.  -  IMMAGINAZIONE  I79 

lenato.  Così  quando  nella  riproduzione  della  specie  la  vita  sessuale 
.divenne  fine  a  sé  stessa,  anziché  il  rinnovamento  della  vita,  portò  dege- 
nerazione e  sterilità.  Un  peccato  simile  commette  l'uomo  con  l'intelli- 
genza, allorché  impiega  la  sua  attività  creativa  del  pensiero  in  se 
stessa,  senza  poggiarla  sulla  verità:  egli  si  crea  aUora  un  mondo 
irreah'  pieno  d'errori,  e  distrugge  la  possibilità  di  creare  realmente, 
come  un  Dio,  producendo  opere  esteriori.  ' 

Per  questo  la  scienza  positiva  ci  rappresenta  la  «  redenzione  » 
del  pensiero,  la  purgazione  del  suo  peccato  originale,  il  ritomo  alle 
leggi  naturali  delle  energie  psichiche.  Gli  scienziati  sembrano  quegli 
uomini  biblici  cui  fu  dato,  dopo  la  schiavità  d'Egitto,  la  facoltà  di 
esplorare  la  terra  promessa,  e  che  tornarono  indietro  con  un  grappolo 
d'uva  tanto  grande,  che  due  uomini  facevano  fatica  a  trasportarlo  ; 
e  il  popolo  ne  rimase  stupefatto. 

Così  oggi  gli  scienziati  sono  penetrati  nella  teiTa  promessa  della 
verità,  ove  risiede  il  segreto  di  scrutare  la  natura,  portandone  fuori, 
al  pubblico,  frutti  stupefacenti.  Questo  segreto  è  semplice  :  è  un 
metodo  esatto,  fatto  di  osservazione,  di  prudenza  e  di  pazienza. 
Tutti  gli  uomini  potrebbero  esservi  ammessi:  anzi,  tali  virtù  rispon- 
dono ai  bisogni   «  occulti  »,  intimi  della  loro  vita  spirituale. 

Si  potrebbe  domandare:  perchè  solo  gli  esploratori  debbono  pene- 
trarvi,   e  il  popolo  rimanere  al  di  fuori,  passivo  goditore  dei  frutti  ? 

Perché  il  metodo  della  scienza  positiva,  che  mette  l'uomo  sulla 
via  di  conoscere  il  vero,  di  raccogliere  la  realtà  —  e  quindi  di  edificare 
su  questa  la  propria  immaginazione  —  é  un  monopolio,  un  privilegio 
di  pochi  eletti  ? 

Quel  metodo  che  segna  la  redenzione  dell'intelligenza,  deve  essere 
il  metodo  che  plasma  tutta  la  nuova  umanità  —  il  metodo  formativo 
delle  nuove  generazioni. 

Nel  racconto  biblico,  gli  esploratori  erano  messaggeri  e  testimoni 
dell'esistenza  della  terra  promessa,  in  cui  tutto  il  popolo  doveva 
penetrare  E  così  qui:  tutti  gh  uomini  devono  essere  ammessi  al 
metodo  scientifico  ;  a  ogni  bambino  deve  esser  dato  di  sperimentare 
direttamente,  di  osservare,  di  mettersi  in  contatto  con  la  realtà. 
Allora  i  voli  della  immaginazione  s'inizieranno  da  un  piano  già  ele- 
vato:  e  l'intelligenza  verrà  posta  sulle  sue  vie  naturali  di  creazione. 


iRo  PARTI-     PRIMA 

Anche  T  immaginazione  artistica  si  basa  sul  vero.  Il  la- 
voro doli 'intelligenza  non  è  tutto  nella  esatta  osservazione  e  nel 
ragionamento  logico,  semplice,  al  cjuale  possono  riportarsi  le  grandi 
scoperte  scientifiche;  ma  è  un  lavoro  più  alto  innanzi  al  quale  nessuno 
dirà,  come  di  fronte  a  certe  scoperte  scientifiche:  «  anch'io  l'avrei 
saputo   fare  ». 

Dante,  Milton,  Goethe,  Raffaello,  Wagner,  sono  poderosi  misteri, 
miracoli  d'intelligenza,  che  non  possono  collegarsi  col  semplice  osservare 
e  ragionare.  Tuttavia  ogni  uomo  ha  la  sua  parte  d'immaginazione 
artistica,  ha  l'istinto  di  creare  il  bello  con  la  sua  mente;  e  da  questo 
istinto  sviluppato  viene  tutto  il  vasto  tesoro  d'arte  sparso  quasi  in 
briciole  d'oro  ovunque  fu  intensa  vita  civile,  ovunque  l'intelligenza 
ebbe  tempo  di  maturare  nella  pace.  In  ogni  provincia  che  conserva 
tracce  di  popoli  antichi  si  notano  tipi  locali  artistici  di  lavori,  di  sup- 
pellettih,  di  canzoni  poetiche  e  di  musiche  popolari.  Questa  multi- 
forme creazione  dell'uomo  interiore,  poi,  lo  avvolge;  e  protegge  il 
suo  spirito  nei  bisogni  intellettuali,  come  la  conchigha  iridescente 
a\'\olge  il  mollusco. 

Oltre  al  lavoro  di  osservazione  della  realtà  materiale,  c'è  un 
lavoro  creativo  che  innalza  l'uomo  dalla  terra  e  lo  trasporta  in  un 
mondo  superiore  ove  ogni  anima,  nei  propri  limiti,  può  giungere. 

Nessuno  però  può  dire  che  l'uomo  crei  i  prodotti  artistici  dal  nulla. 
Ciò  che  si  chiama  creazione  è  in  realtà  una  composizione,  una  costru- 
zione fatta  sopra  un  materiale  primitivo  della  mente,  che  è  necessario 
raccoghere  dall'ambiente  coi  sensi.  Questo  è  il  principio  generale  rias- 
sunto dal  motto  antico:  «  Nihil  est  in  intellectu  quod  prius  non  fuerit 
in  sensu  ».  Noi  non  sappiamo  «  immaginare  »  cose  che  non  cadano 
realmente  sotto  i  nostri  sensi:  lo  stesso  linguaggio  ci  mancherebbe 
a  esprimere  fatti  che  uscissero  da  questi  limiti  usuah,  entro  i  quali 
è  contenuta  la  nostra  conoscenza.  L'immaginazione  di  Michelangelo, 
non  seppe  figurare  Dio  altro  che  sotto  le  forme  di  un  augusto  vecchio 
con  la  barba  bianca.  Volendo  immaginare  le  pene  eteme  dell'in- 
ferno si  parla  di  fuoco:  il  paradiso,  vien  figurato  nella  luce.  I  ciechi 
e  i  sordi  nati,  non  possono  farsi  alcuna  idea  precisa  sulle  sensazioni 
che  non  hanno  mai  potuto  percepire.   Si  sa  che  i  ciechi  nati  imma- 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  .  l8l 

ginano  i  colori  paragonandoli  ai  suoni:  alcuni,  p.  es.,  immaginano  il 
rosso  come  un  suono  di  tromba,  l'azzurro  come  la  dolce  musica  di  un 
violino.  I  sordi,  leggendo  descrizioni  di  musiche  deliziose,  immaginano 
la  bellezza  classica  di  un  quadro  dipinto.  I  temperamenti  dei  poeti, 
degli  artisti,  sono  eminentemente  sensoriali.  E  non  sono  in  egual  misura 
tutti  i  sensi  che  concorrono  a  dare  un  tipo  all'immaginazione  indivi- 
duale, ma,  più  spesso,  alcuni  dei  sensi  sono  prevalenti.  I  musicisti  sono 
uditivi,  e  tenderebbero  a  descrivere  il  mondo  sui  suoni  ch'esso  manda 
sino  a  loro:  il  gorgheggio  dell'usignolo  nel  silenzio  d'un  bosco,  lo  scro- 
sciar della  pioggia  nelle  solitudini  della  campagna,  possono  essere  fonti 
d'ispirazione  per  grandi  compositori  di  musica;  e  alcuni,  descrivendo 
una  campagna,  ne  citano  solo  i  silenzi  e  i  rumori.  Altri  invece,  prevalen- 
temente visivi,  sono  impressionati  dalle  forme  e  dai  colori  delle  cose. 
Oppure  sono  il  moto,  la  flessuosità,  la  spinta  delle  cose;  sono  le  im- 
pressioni tattili  di  morbidezza,  di  asprezza,  quelle  che  formano  il 
contenuto  descrittivo  di  tipi  immaginativi  in  cui  prevalgono  le  sensa- 
zioni tattili  e  muscolari. 

Ci  sono  delle  persone  che  hanno  avute  impressioni  non  sen- 
soriali, e  sono  persone  la  cui  vita  spirituale  fu  molto  intensa.  Esse 
hanno  delle  impressioni  interiori  che  non  sono  ritenute  come  frutto 
dell'immaginazione  ma  come  realtà  semplicemente  percepite.  Che 
siano  realtà  lo  afferma  non  solo  l'introspezione  dei  soggetti  normali, 
ma  lo  dicono  anche  le  conseguenze  sulla  loro  personalità  interiore: 
«  Le  rivelazioni  avute  da  Dio  »  dice  S.  Teresa  u  si  distinguono  per  i 
grandi  beni  spirituali  di  cui  lasciano  arricchita  l'anima;  esse  sono  ac- 
compagnate da  luce,  da  discernimento  e  da  saggezza  ».  Ma  se  vogliono 
descrivere  tali  impressioni  che  non  penetrano  per  mezzo  dei  sensi, 
devono  prendere  a  prestito  il  linguaggio  sensoriale:  «  Io  sentivo  una 
voce  »  dice  il  Beato  Raimondo  da  Capua  «  che  non  era  ne  l'aria 
e  che  pronunciava  parole  le  quali  colpivano  il  mio  spirito,  ma  non 
l'orecchio:  tuttavia  io  le  capivo  più  distintamente  che  se  mi  fossero 
venute  da  una  voce  esteriore:  io  non  saprei  riprodurre  questa  voce, 
se  voce  si  può  chiamare  quella  che  non  aveva  alcun  suono.  Questa 
voce  formava  delle  parole  e  le  presentava  al  mio  spirito  ».  La  \ita 
di  S.  Teresa  è  infarcita  di  descrizioni  simili,  in  cui  essa  cerca  di  far 


I^-'  PARTI-.    PRIMA 

comprendere  con  l'improprio  linguaggio  dei  sensi,  che  non  vide  vera- 
mente con  gli  occhi,  ma  con  l'anima. 

La  differenza  tra  queste  impressioni  intcriori,  possibili  a  trovarsi 
anche  nei  non  santi  e  che  non  costituiscono  certo  la  santità,  e  le  allu- 
cinazioni dei  pazzi  è  ben  distinta.  Nel  pazzo,  per  una  eccitazione  della 
corteccia  cerebrale,  si  riproducono  vecchie  immagini  depositate  con 
la  memoria  sensoriale,  che  si  proiettano  al  di  fuori,  donde  furono  prese, 
coi  caratteri  sensoriali  esteriori:  sì  che  l'allucinato  crede  realmente  di 
\edere  con  gli  occhi  i  suoi  fantasmi,  ode  realmente  le  voci  che  lo  perse- 
guitano: egli  è  in  preda  a  uno  stato  patologico:  tutta  la  persona  rivela 
i  segni  della  decadenza  organica,  concomitanti  al  disgregamento  psi- 
chico. 

All'infuori  dunque  d'impressioni  direttamente  interiori  assai  rare, 
e  non  utili  neanche  per  raggiungere  la  santità,  impressioni  che  possono 
formare  oggetto  di  studio  per  specialisti  come  i  teologi  o  i  membri 
della  Società  inglese  delle  ricerche  psichiche,  ma  non  entrare  in  con- 
cetti educativi,  resta  da  considerare  un  solo  materiale  di  costruzione 
per  le  attività  intellettuali:  quello  dei  sensi. 

L'immaginazione  non  può  avere  che  una  base  sensoriale. 

L'educazione  sensoriale  che  prepara  a  percepire  esattamente  tutti 
i  dettagli  differenziati  tra  le  qualità  delle  cose,  sta  dunque  a  base  della 
«  ossers^azione  »  delle  cose  e  dei  fenomeni  che  cadono  sotto  i  nostri 
sensi:  e  con  ciò  essa  aiuta  a  raccogliere  dal  modo  esterno  il  materiale 
per  l'immaginazione. 

La  creazione  immaginativa  non  ha  solo  un  vago  appoggio  sen- 
soriale: non  è  cioè  il  divagare  senza  freno  della  fantasia  in  immagini 
di  luci,  di  colori,  di  suoni,  di  impressioni;  ma  è  una  costruzione  inte- 
ramente legata  alla  realtà:  e  più  essa  si  attiene  alle  forme  del  mondo 
esterno  creato,  più  alto  è  il  pregio  della  sua  creazione  interiore. 
Anche  immaginando  un  mondo  irreale,  extraumano,  l'immaginazione 
deve  essere  contenuta  tra  limiti  che  ricordano  quelli  della  realtà. 
L'uomo  crea,  ma  sul  modello  della  creazione  divina  nella  quale  egli  è 
materialmente  e  spiritualmente  immerso. 

In  opere  letterarie  eccelse,  come  è  la  Divina  Commedia,  noi  am- 
miriamo  il    continuo   riportarsi    della   mente   dell'altissimo  Poeta,   a 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  183 

cose  materiali   e   sensibili   che   illustrano   col   confronto   le   cose   im- 
maginate: 

Quali  colombe  dal  disio  chiamate, 
Con  l'ali  aperte  e  ferme,  al  dolce  nido  ^ 

Volan,  per  l'aer;  dal  voler  portate 

Cotali  uscir  dalla  schiera  ov'è  Dido, 
A  noi  venendo  per  l'aer  maligno... 

(Canto  V,  Inferno). 

E  come  quei,  che  con  lena  affannata 
Uscito  fuor  del  pelago  alla  riva, 
Si  volge  all'acqua  perigliosa,  e  guata; 

Così  l'animo  mio,  che  ancor  fuggiva, 
Si  volse  indietro  a  rimirar  lo  passo, 
Che  non  lasciò  giammai  persona  viva. 

(Canto  I,  Inferno). 

Come  le  pecorelle  escon  dal  chiuso 
Ad  una,  a  due,  a  tre:  e  l'altre  stanno 
Tìmidette  atterrando  l'occhio  e  '1  muso; 

E  ciò  che  fa  la  prima,  e  l'altre  fanno. 
Addossandosi  a  lei  s'ella  s'arresta. 
Semplici  e  quete,  e  lo  perchè  non  sanno: 

Sì  vid'io  muovere,  a  venir,  la  testa 
Di  quella  mandra  fortunata  allotta. 
Pudica  in  faccia  e  nell'andare  onesta. 

(Canto  III,   Purgatorio), 

Quali  per  vetri  trasparenti  e  tersi, 
O  ver  per  acque  nitide  e  tranquille. 
Non  sì  profonde  che  i  fondi  sien  persi, 

Tornan  dei  nostri  visi  le  postille 
Debili  sì,  che  perla  in  bianca  fronte 
Non  vien  men  forte  alle  nostre  pupille; 

Tali  vid'io  più  facce  a  parlar  pronte... 

(Canto  III,   Paradiso). 

Le  similitudini  di  Dante  sono  continue  e  meravigliose;  ma  ogni 
scrittore  elevato,  ogni  grande  oratore,   riattacca  di  continuo  il  frutto 


1S4  parti:  prima 

deUimnìagina/iono  alla  osservazione  della  realtà;  e  allora  noi  diciamo 
che  è  geniale,  Hininiaginoso  »,  nutrito,  e  che  il  suo  pensiero  è  chiaro  e 
\ivo. 

«  Come  un  branco  di  segugi  dopo  avere  inseguita  invano  una  lepre, 
tornano  mortificati  verso  il  padrone,  coi  musi  bassi,  e  con  le  code 
ciondoloni,  così  in  quella  scompigliata  notte,  tornavano  i  bravi  al 
j)alazzotto  di  Don  Rodrigo  »  (Manzoni,  /  promessi  sposi). 

L'immagine  rimane  limitata  nelle  figure  reali;  ed  è  questa  misura 
e  questa  forma,  che  dà  forza  alla  creazione  della  mente.  Chi  immagina 
deve  possedere  un  ricco  magazzino  di  osservazioni  sensibili,  e  piìi  esse  sono 
esatte  e  perfette,  e  più  la  forma  creata  è  possente.  I  pazzi  parlano 
di  cose  fantastiche,  e  noi  non  diciamo  per  questo  che  essi  hanno  molta 
«  immaginazione  »:  tra  la  confusione  delirante  del  pensiero  e  la  «figura» 
dell'immaginazione  corre  un  abisso.  Là  mancano  insieme  la  possibilità 
di  percepire  esattamente  le  cose  reali,  e  quella  di  costruire  organica- 
mente con  l'intelligenza;  qua  son  le  due  cose  che  insieme  esistono, 
come  forme  strettamente  legate  l'una  all'altra. 

Il  valore  del  discorso  immaginato  consiste  in  ciò  che  le  immagini 
siano  originali,  che  l'autore  egli  stesso  unisca  insieme  l'immagine  vera 
e  quella  creata,  sentendone  per  propria  attitudine  l'associazione  giusta 
e  armoniosa.  Se  egli  ripetesse,  copiandole,  immagini  altrui,  non  sa- 
rebbe nulla.  Dunque  è  necessario  che  ogni  artista  sia  un  osservatore;  e 
così,  andando  alla  generalità  delle  intelligenze,  è  necessario  che  y)er 
sviluppare  l'immaginazione  ciascuno  si  «  leghi  »  prima  alla  realtà. 

La  stessa  cosa  è  per  l'arte.  L'artista  «  immagina  »  la  sua  figura; 
egli  non  la  copia,  la  «  crea  ».  Ma  questa  creazione  è  appunto  il  frutto 
della  mente  che  si  radicò  nella  osservazione  della  realtà.  Il  pittore, 
lo  scultore,  sono  per  eccellenza  tipi  visivi  sensibilissimi  alle  forme 
e  ai  colori  dell'ambiente,  capaci  di  percepirne  le  armonie  ed  i  contrasti: 
ed  è  affinando  il  potere  di  osservazione,  che  finalmente  l'artista  si 
perfeziona,  e  riesce  a  creare  un  capolavoro.  L'immortale  arte  greca, 
è  quella  per  eccellenza  fondata  sulle  osservazioni;  gli  artisti  greci,  pei 
costumi  ^succinti  che  erano  in  moda,  potevano  largamente  contemplare  il 
corpo  umano;  e  conia  squisita  sensibilità  dell'occhio  sapevano  discernere 
il  corpo  bello  dal  disarmonico,  fino  a  creare,  nell'impulso  del  genio, 
la  figura  ideale  concepita  dal  fondersi  delle  singole  bellezze  scelte  tra 


IX.   -  IMMAGINAZIONE  185 

i  dettagli,  nel  magazzino  sensoriale  della  mente.  L'artista,  quando  crea, 
non  compone  certo  mettendo  insieme  le  parti  a  formare  il  tutto  come 
in  un  mosaico:  nello  slancio  dell'ispirazione  egli  vede  in  sé  la  figura 
nuova,  nata  dal  suo  genio;  ma  i  particolari  accumulati  vanno  a  nutrirla, 
come  il  sangue  va  a  nutrire  l'uomo  nuovo  nel  seno  materno. 

Raffaello  girava  sempre  pel  Trastevere,  un  quartiere  popolare  dove 
erano  le  donne  più  belle  di  Roma,  per  cercare  il  tipo  di  una  Madonna. 
Fu  lì  che  egli  conobbe  la  Fornarina  e  le  sue  modelle.  Ma  la  Madonna  egli 
la  dipinse  riproducendo  «  l'immagine  del  suo  spirito  ».  Dicono  che  Mi- 
chelangelo passasse  le  serate  guardando  lontano,  nel  vuoto;  e  quando 
gli  domandavano  che  cosa  guardasse,  egli  diceva:  «  Io  vedo  una  cupola» 
e  fu  dietro  questa  forma  creatasi  mirabilmente  in  lui,  che  sorse  la  fa- 
mosa cupola  di  S.  Pietro  in  Roma.  Ma  essa  non  sarebbe  mai  nata  nella 
mente  dello  stesso  Michelangelo,  se  gli  studi  di  architettura  non  vi 
avessero  preparati    i    materiali. 

Nessun  genio  ha  potuto  mai  creare  l 'assolutamente  nuovo.  Basta 
pensare  ad  alcune  forme  diffuse  nell'arte,  che  sono  grottesche,  pesanti, 
appunto  come  la  fantasia  umana  incapace  di  innalzarsi  dalla  terra. 
A  me  sembra  incredibile  che  ancora  esista  e  nessuno  abbia  corretto 
la  figura  dell'angelo  con  le  ali.  Per  indicare  un  essere  più  diafano  del- 
l'uomo, senza  il  peso  corporeo,  figurano  robusti  uomini  con  la  schiena 
armata  di  ali  colossali  dalle  pesanti  penne.  Questa  fusione  in  un  essere 
solo  di  caratteri  naturali  tanto  .dissimili,  come  i  capelli  e  le  penne; 
e  l'attribuzione  di  sei  arti,  cioè  braccia,  gambe  e  ali  come  per  un  insetto, 
a  una  figura  umana;  quindi  questa  «  strana  concezione  »  è  rimasta 
quale  materializzazione  non  certo  di  una»  idea  artistica,  ma  di  una  po- 
vertà di  linguaggio.  Infatti  parliamo  di  angeli  che  «  volano  » ,  poiché 
il  nostro  linguaggio  é  umano  e  terreno,  e  non  può  trovare  gli  attributi 
degli  angeli.  E  pochi  sono  gli  artisti  che  nell'Annunciazione  rappre- 
sentano l'Angelo  come  un  figura  luminosa,  fine  ed  evanescente. 

Più  il  parallelo  con  la  verità  è  perfetto,  più  l'arte  é  fine. 

Quando,  per  esempio,  in  un  salotto  viene  fatto  un  complimento, 
se  questo  parte  da  un  nostro  vero  carattere,  e  lo  accarezza  da  vicino, 
noi  ce  ne  sentiamo  lusingati,  perché  esso  ci  riguarda  veramente,  e 
dobbiamo  concludere  che  la  persona  ci  ha  osservati  ed  ha  avuto  per  noi 
un'ammirazione  sincera.  Allora  pensiamo  di    questa   persona:    essa   è 


lòO  PARTli    PRIMA 

intellettuale  e  fine;  e  siamo  portati  a  ricambiarla  con  gentilezza.  Ma  se 
il  complimento  parla  di  qualità  ,che  non  possediamo,  o  altera  od 
esagera  ciò  che  è  nostro,  noi  pensiamo  con  disgusto:  «  che  persona 
grossolana!  »  e  ci  sentiamo  ancor  più  allontanati  da  essa. 

Certo  avrà  fatto  una  grande  impressione  sul  cuore  di  Beatrice, 
il  sublime  sonetto  di  Dante: 

Tanto  gentile  e  tanto  onesta  pare 
La  donna  mia.  quand'alia  altrui  saluta, 
Ch'ogni  lingua  divien  tremando  muta, 
E  gli  occhi  non  l'ardiscon  di  guardare. 

Ella  sen  va,  sentendosi  laudare, 
Benignamente  d'umiltà  vestuta, 
E  par  che  sia  una  cosa  venuta 
Di  cielo  in  terra  a  miracol  mostrare. 

Mostrasi  sì  piacente  a  chi  la  mira. 
Che  dà  per  gli  occhi  una  dolcezza  al  core. 
Che  intender  non  la  può  chi  non  la  prova. 

E'  par  che  della  sua  labbia  si  muova 
Un  spirito  soave  pien  d'amore 
Che  va  dicendo  all'anima:   Sospira. 

(ì'ita   nuova,  §   XXVI). 

Ben  diverse  impressioni  sull'amor  proprio  e  sulla  sensibilità 
delicata  di  un'anima  femminile  deve  fare  quest'altro  sonetto,  che  è 
goffo  e  ampolloso  perchè  pieno  di  figure  improprie  ed  esagerate: 

Lo  vostro  bel  saluto  e  il  gentil  sguardo 
Che  fate,  quando  v'incontro,   m'ancide; 
Amor  m'assale  e  già  non   ha  riguardo 
S'egli  face  peccato,  o'vver  mercide; 

Che  per  mezzo  lo  cor  mi  lancia  un  dardo. 
Che  d'oltre  in  parti  lo  taglia  e  divide; 
Parlar  non  posso,  che  in  gran  pena  io  ardo 
Si  come  quello  che  sua  morte  vide. 

Per  gli  occhi  passa,  come  fa  lo  trono, 
Che  fér  per  la  finestra  della  torre, 
E  ciò  che  dentro  trova,  spezza  e  fende. 

Rjmagno  come  statua  d'ottono. 
Ove  vita  né  spirto  non  ricorre. 
Se  non  che  la  figura  d'uomo  rende. 

(GuiNizELLi,  1300). 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  l8j 

Se  dunque  l'immaginazione  ha  per  base  l'osservazione  della  realtà 
e  il  suo  perfezionarsi  ha  un  rapporto  con  l'esattezza  delle  osservazioni, 
occorre  preparare  i  bambini  a  sapere  esattamente  percepire  le  cose 
dell'ambiente,  per  assicurar  loro  il  materiale  dell'immaginazione. 
Anche  l'esercizio  dell'intelligenza  che  ragiona  entro  rigidi  limiti,  e 
che  distingue  le  cose  una  dall'altra,  prepara  un  cemento  per  le  costru- 
zioni immaginative:  poiché  queste  sono  tanto  più  belle  per  quanto  più 
legate  ad  una  forma  e  logiche  nelle  associazioni  delle  singole  immagini. 
La  fantasia  che  esagera  e  inventa  grossolanamente,  non  mette  sulla 
buona  strada. 

Tale  preparazione  scava  i  letti  ove  le  acque  sorgive  della  crea- 
zione intellettuale  scorreranno  in  fiumi  o  ridenti  o  maestosi,  senza  alla- 
gare e  perciò  distruggere  la  bellezza  dell'ordine  interiore. 

In  quanto  a  far  scaturire  queste  sorgive  acque  dell'interna  crea- 
zione, noi  non  possiamo  nulla.  «  Non  ostacolare  mai  l'irrompere  spon- 
taneo dell'attività  che  scaturisce  sia  pure  come  l'umile  fìl  d'acqua  di 
alcune  sorgenti  quasi  invisibili  »  e  «  attendere  »:  ecco  l'opera  nostra. 
Perchè  illuderci  di  poter  «  creare  una  intelligenza  »  noi,  che  non 
possiamo  se  non  «  osservare  e  attendere  »  il  filo  d'erba  che  spunta, 
il  microbo  che   si   scinde? 

Dobbiamo  pensare  che  l'immaginazione  creatrice  deve  erigersi 
come  un  palazzo  illuminato,  su  fondamenta  più  oscure  internate  nella 
roccia,  per  non  essere  un  castello  di  carta,  un'illusione,  un  errore. 
E  che  la  salvezza  dell'intelligenza  è  quella  di  poter  «  poggiare  i  piedi 
sul  masso  ». 

L'immaginazione  nei  bambini.  —  £  molto  comune  la  credenza 
che  il  piccolo  bambino  sia  caratterizzato  da  una  vivacissima  immagi- 
nazione e  che  perciò  una  educazione  speciale  debba  influire  su  lui,  per 
coltivare  così  speciale  dono  di  natura. 

Egli  ha  una  mentalità  diversa  dalla  nostra  :  irrompe  da  i  nostri 
limiti  vigorosi  e  ristretti,  e  si  compiace  di  vagare  pei  mondi  affasci- 
nanti dell'irreale,  similmente  a  quello  che  accade  tra  i  popoli  selvaggi. 

Questo  carattere  infantile  ha  dato  luogo,  anzi,  alla  generalizzazione 
di  un'idea  materialistica  oggi  sorpassata:  «  l'ontogenesi  riassume  la 
filogenesi  »,  cioè  la  vita  dell'individuo  riproduce  la  vita  della  specie: 


188  parti:  prima 

come  nella  vita  dell'uomo  si  riproduce  la  vita  della  civiltà,  nel  piccolo 
Ixiinbino  si  trovano  dei  caratteri  psichici  propri  dei  selvaggi.  Per 
questo  il  bambino,  come  i  selvaggi,  resta  affascinato  dal  fantastico,  dal 
soprannaturale,  dall'irreale. 

Piuttosto  che  lasciarsi  andare  a  simili  voli  di  una  fantasia  scienti- 
fica, resta  molto  più  semplice  constatare  che  un  organismo  ancora  im- 
maturo come  quello  del  bambino,  abbia  delle  lontane  somiglianze  con 
mentalità  meno  mature  delle  nostre,  come  quella  dei  selvaggi.  Ma  vo- 
lendo lasciare  nella  loro  credenza  quelli  che  interpetrano  come  «stato 
selvaggio  »  la  mentalità  infantile,  si  può  sempre  obbiettare  che,  in  ogni 
modo,  questo  stato  selvaggio  essendo  passeggero  e  dovendo  essere  sli- 
perato,  l'educazione  dovrà  aiutare  il  bambino  a  superarlo;  non  dovrà 
sviluppare  lo  stato  selvaggio  o  trattenere  il  bambino  in  esso. 

Tutte  le  forme  d'imperfetto  sviluppo  che  riscontriamo  nel  bambino 
hanno  qualche  somiglianza  con  paralleli  caratteri  nel  selvaggio:  per 
esempio,  nel  linguaggio,  la  povertà  dei  vocaboli,  l'esistenza  di  soli  vo- 
caboli concreti  e  la  generalizzazione  delle  parole,  per  cui  una  sola 
parola  serve  a  più  usi  e  a  indicare  più  oggetti,  la  mancanza  di  voci 
\  erbali  per  cui  i  bambini  usano  soltanto  l'infinito.  Ma  nessuno  dirà  che 
<'  per  questa  ragione  »  dobbiamo  trattenere  artificialmente  il  bambino 
in  un  linguaggio  così  primitivo,  affinchè  passi  con  comodo  il  suo  pe- 
riodo preistorico. 

E  se  alcuni  popoli  restano  permanentemente  in  uno  stato  di  imma- 
ginazione in  cui  prevale  l'irreale,  il  nostro  bambino  però  appartiene 
a  popoli  ove  U  fascino  della  mentalità  sono  le  grandi  opere  d'arte,  le 
costruzioni  civilizzatrici  della  scienza:  e  tali  prodotti  della  immagi- 
nazione superiore,  rappresentano  l'ambiente  in  cui  l'intelligenza  del 
nostro  bambino  è  destinata  a  formarsi.  E  naturale  che  il  fanciullo 
nel  periodo  nebuloso  della  sua  niente  sia  attratto  dalle  idee  fantastiche; 
ma  noi  non  dobbiamo  per  questo  dimenticare  che  egli  è  il  nostro 
continuatore,  quindi  quegli  che  dovrà  superare  noi  stessi:  e  il  meno 
che   a  tale  scopo  dobbiamo  dargli,  è  il  massimo  di  cui  disponiamo. 

Una  forma  di  immaginazione  ritenuta  «  propria  »  dell'infanzia, 
e  riconosciuta  quasi  universalmente  come  immaginazione  creatrice, 
è  quel  lavoro  spontaneo  della  mente  infantile,  pel  quale  i  bambini 
attribuiscono  caratteri  desiderati  ad  oggetti  che  non  li  posseggono. 


IX.   -  IMM.\GINAZIfiNE  lOQ 

Chi  non  ha  visto  un  bambino  cavalcare  e  frustare  il  bastone 
paterno,  come  se  montasse  un  vero  cavallo?  Ecco  una  prova  della 
«  immaginazione  »  del  bambino.  Quale  piacere  provano  i  fanciulli 
a  mettere  insieme  con  le  sedie  e  le  poltrone  un  magnifico  cocchio; 
e,  mentre  alcuni  sdraiati  dentro  guardano  beatamente  una  campagna 
immaginaria  o  salutano  una  folla  plaudente;  altri  bambini  appol- 
laiati sulle  spalliere  frustano  l'aria  come  toccassero  dei  focosi  cavalli? 
Ecco  altre  prove  dell' «  immaginazione  » . 

Ma  osserviamo  dei  bambini  ricchi,  i  quali  posseggono  pacifici 
poney,  e  vanno  abitualmente  in  carrozza  o  in  automobile;  essi 
{guarderebbero  con  un  senso  di  disprezzo  il  bambino  che  corre  fru- 
stando forsennatamente  un  bastone:  sarebbero  meravigliati  di  veder 
tanto  felici  dei  bambini  che  si  illudono  di  essere  trascinati  da  poltrone 
ferme.  Essi  direbbero  di  tali  bambini:  <(  sono  dei  poveri;  fanno  così 
perchè  non  hanno  cavalli  e  carrozze  ».  Un  adulto  si  rassegna:  un  bam- 
bino s'illude.  Ma  quella  non  è  una  prova  di  immaginazione,  è  la  prova 
di  un  desiderio  insoddisfatto:  non  è  un'attività  legata  a  doni  di  na- 
tura; è  una  manifestazione  di  povertà  cosciente,  sensibile.  Nessuno 
certo  potrà  dire  che  è  necessario,  per  educare  un  bambino  ricco,  to- 
gliergli il  cavallo  e  dargli  un  bastone.  Come  pure  non  è  necessario  im- 
pedire al  bambino  povero  di  accontentarsi  del  suo  bastone.  Se  un 
uomo  povero,  un  mendicante,  avesse  solo  del  duro  pane  da  mangiare, 
e  si  mettesse  accanto  all'inferriata.d'una  ricca  cucina  sotterranea  perchè 
sentendo  gU  odori,  immaginerebbe  di  mangiare  delle  buone  pietanze 
insieme  al  pane,  chi  potrebbe  impedirglielo?  Ma  nessuno  dirà  che  per 
svolgere  le  attività  immaginative  dei  fortunati  ai  quaU  le  vere  pietanze 
sono  destinata;  occorra  toglier  loro  la  carne,  e  dare  pane  e  odore. 

Una  povera  madre  che  amava  molto  il  suo  piccolo  bambino,  gli 
offriva  così  il  solo  pezzo  di  pane  di  cui  disponeva:  lo  divideva  in  due 
parti  e  gliele  dava  successivamente  dicendo:  «Questo  è  il  pane,  questa 
è  la  carne  ».  Il  bambino  era  contento.  Ma  nessuna  madre  vorrà  denu- 
trire il  suo  bambino,  per  sviluppargli  in  simile  modo  l'immaginazione. 

E  pure  io  mi  sentii  seriamente  chiedere  da  qualcuno  se  fosse  stato 
dannoso  offrire  un  pianoforte  ad  un  bambino  che  continuamente 
esercitava  le  dita  sopra  un  tavolo,  come  se  suonasse  il  pianoforte. 
«  E  perchè  dovrebbe  essere  dannoso?  »  chiesi  io.  «  Perchè  in  tal  caso 


lyO  PARTI      l'KIMA 

egli  imparerebbe  la  musica,  è  vero,  ma  non  eserciterebbe  più  la  sua 
immaginazione:  e  non  so  se  sia  più  utile  l'una  cosa  o  l'altra  ». 

Su  tale  credenza  sono  fondati  alcuni  giochi  di  Froebel.  Si  dà 
a  un  bambino  un  mattoncino,  dicendo:  «  questo  è  un  cavallo  ».  Si 
dispongono  poi  dei  mattoncini  in  un  certo  ordine,  e  si  dice:  «  questa 
è  la  scuderia  »;  u  ora.  collochiamo  i  cavalli  nella  scuderia  ».  Poi  i  mat- 
toni si  mettono  in  un  altro  ordine:  «questa  è  una  torre,  è  la  chiesa  del 
villaggio  >..  ecc.  In  tali  esercizi  gli  oggetti  (i  mattoncini)  si  prestano 
assai  meno  all'illusione  che  un  bastone  per  un  cavallo,  dove  almeno 
il  bambino  monta,  frusta  e  si  muove.  Costruire  torri  e  chiese  con 
cavalli,  mette  al  colmo  la  confusione  mentale.  Inoltre  in  questo  caso 
non  è  il  bambino  che  «  immagina  spontaneamente  »  e  lavora  con  la 
sua  testa:  perchè  egli  deve  vedere  in  quel  momento  ciò  che  la  maestra 
dice.  E  non  si  controlla  se  il  bambino  pensa  che  veramente  la  stalla 
è  diventata  una  chiesa,  o  se  la  sua  attenzione  sta  vagando  altrove. 
Certo  egli  \orrebbe  muoversi  e  non  può,  perchè  deve  contemplare 
quella  specie  di  cinematografo  di  cui  la  maestra  parla  nel  successivo 
ricorrere  delle  immagini,  ma  dove,  purtroppo,  non  esistono  che  dei 
pezzetti  di  legno  tutti  eguali  tra  loro. 

Che  cosa  si  coltiva  così,  in  tali  menti  immature?  Che  cosa  tro- 
\'iamo  di  simile  nel  mondo  degli  adulti,  in  modo  che  si  possa  capire 
a  quali  forme  definitive  si  preparerebbe  la  mente  con  tale  educazione? 
Ci  sono  degli  uomini  che  realmente  scambiano  un  altiero  per  un  trono, 
e  danno  ordini  da  re:  alcuni  credono  di  essere  Dio,  perchè  le  «  false 
percezioni»  e,  nelle  forme  più  gravi,  le  «illusioni»  sono  l'inizio  di  falsi 
raziocini,  e  le  concomitanti  del  delirio.  I  pazzi  non  producono  nulla: 
come  nulla  producono,  né  per  sé  né  per  gli  altri,  quei  bambini  condannati 
aU'immobiUtà  di  una  educazione  che  vorrebbe  sviluppare  in  pazzia 
le   loro   innocenti   manifestazioni   di   desideri   insoddisfatti. 

Noi  crediamo  pure  di  svolgere  molto  l'immaginazione  del  bambino 
dandogli  a  credere  per  vere  delle  cose  fantastiche.  Così,  per  esempio, 
il  Natale  è  personificato,  nei  paesi  latini,  da  una  brutta  donna,  la  Be- 
fana, che  vede  attraverso  i  muri,  scende  attraverso  i  camini,  e  porta 
i  giocattoli  ai  fanciulli  che  sono  stati  buoni,  mentre  lascia  del  carbone 
a  quelli  che  furono  cattivi.  Nei  paesi  anglo-sassoni,  invece,  il  Natale 
è  un  vecchio  cadente,  coperto  di  neve,  che  porta  in  una  enorme  cesta 


1 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  I9I 

i  giocattoli  ai  fanciulli,  entrando  realmente  di  notte  nelle  loro  case. 
Ma  come  potrebbe  sviluppare  l'immaginazione  dei  bambini,  ciò  che 
è  invece  frutto  della  nostra  immaginazione?  Noi  soli  immaginiamo 
e  non  loro;  essi  credono,  non  immaginano.  La  credulità  è  infatti  un  ca- 
rattere delle  menti  immature  a  cui  manca  l'esperienza  e  la  conoscenza 
delle  cose  reali,  e  a  cui  l'intelligenza  che  distingue  il  vero  dal  falso, 
il  bello  dal  brutto,  il  possibile  dall'impossibile,  fa  ancora  difetto. 

È  forse  la  credulità  che  noi  vogliamo  sviluppare  nei  nostri  bambini, 
solo  per  la  ragione  che  essi,  nell'epoca  ove,  naturalmente,  sono  igno- 
ranti e  immaturi,  si  dimostrano  creduli?  Certo  la  credulità  può  esistere 
anche  nell'adulto;  ma  essa  è  in  contrasto  con  l'intelligenza,  e  non  è 
né  suo  fondamento  né  suo  frutto.  E  nei  tempi  di  oscurantismo  intel- 
lettuale che  la  credulità  germoglia;  e  noi  siamo  gloriosi  di  averli  sor- 
passati. Citiamo  la  credulità  come  uno  stigma  di  inciviltà. 

Ecco,  per  esempio,  un  piccante  aneddoto  del  xvii  secolo.  A  Parigi 
il  Ponte  Nuovo  era  il  luogo  di  passaggio  e  il  convegno  degli  oziosi.  Tra 
la  folla  s'annidavano  di  frequente  saltimbanchi  e  ciarlatani.  Una  volta 
un  ciarlatano  sfavasi  facendo  la  sua  fortuna:  egli  vendeva  un  unguento 
della  Cina  che  ingrandiva  gli  occhi,  ravvicinava  gli  angoli  della  bocca, 
e  faceva  uscire  il  naso  a  chi  lo  aveva  corto  e  rientrare  a  chi  lo  aveva 
lungo.  Il  signor  di  Sartine,  comandante  di  polizia,  chiamò  a  sé  questn 
ciarlatano  per  farlo  imprigionare,  e  gli  disse: 

—  Mariolo,  come  fai  ad  attirare  tanta  gente  e  guadagnare  tanto 
denaro  ? 

—  Signore  —  rispose  l'altro  —  quante  persone  credete  voi  che 
passino  sul  ponte  in  una  giornata  ? 

—  Da  dieci  a  dodicimila  —  rispose  il  signor  di  Sartine. 

—  Ebbene,  Signore,  quante  credete  che  siano  le  persone  intelli- 
genti tra  tutta  la  folla  ? 

—  Un  centinaio  —  rispose  il  comandante. 

—  E  forse  molto  —  replicò  il  ciarlatano  —  ma,  infine,  ve  le 
lascio;  io  mi  tengo  le  novemilanovecento  per  guadagnar  denaro. 

Da  quel  tempo  al  nostro,  la  situazione  differente  è  che  ci  sono  più 
persone  intelligenti  e  meno  persone  credule.  L'educazione  non  deve 
fare  dunque  il  cammino  verso  la  credulità,  ma  verso  la  intelligenza. 
Chi  poi  fondasse  sulla  credulità  l'educazione,  costruirebbe  sulla  sabbia. 


ri)-'  PARTK   PRIMA 

Io  conosco  un  aneddoto  che  forse  si  riproduce  nella  nostra  società 
in  mille  esempi.  Due  signorine  di  una  iamiglia  principesca  erano  state 
educate  in  un  convento,  ove,  per  sottrarle  alle  seduzioni  e  vanità 
della  vita  a  cui  le  fanciulle  erano  destinate,  le  monache  le  avevano 
persuase  che  il  mondo  è  ingannatore;  e  che  se,  quando  ci  fanno  tanti 
elogi,  ci  si  potesse  nascondere  per  sentire  cosa  dicono  quando  siamo  spa- 
riti, si  ascolterebbero  cose  ben  tristi  per  noi.  Venute  all'età  di  essere 
presentate  in  società,  le  due  giovani  principesse  vi  apparirono  la  prima 
volta  in  un  dopopranzo,  avendo  la  madre  loro  fatti  molti  inviti.  Tutti 
prodigarono  lodi  gentili  alle  fanciulle.  Nel  salone  c'era  un  arco  chiuso 
da  una  grande  tenda.  Esse  si  accordarono  e,  curiose  di  sentire  cosa 
avrebbero  detto  di  loro  quando  fossero  scomparse,  uscirono  e  si  na- 
scosero un  momento  dietro  la  tenda.  Allora  quegli  elogi  che  in  loro 
presenza  erano  stati  più  misurati,  raddoppiarono  appena  i  gentili 
oggetti  della  comune  ammirazione  si  furono  dileguati.  Le  due  signo- 
rine mi  dissero  che  in  quel  momento  provarono  un  indescrivibile 
sconvolgimento:  esse  pensarono  che  tutto  quanto  le  monache  avevano 
fatto  loro  credere  fosse  falso;  rinnegarono  lì  per  lì  la  religione  e  fecero 
proponimento  di  gettarsi  nei  divertimenti.  «  Poi  dovemmo  noi  stesse 
ricostruire  la  nostra  vita,  abbracciare  di  nuovo  le  verità  della  religione, 
e  comprendere  da  noi  stesse  il  vuoto  della  vita  brillante  ». 

La  credulità  scomparisce  a  poco  a  poco  con  l'esperienza  e  con  la 
maturità  della  mente:  l'istruzione  aiuta  a  questo.  Sia  nei  popoli,  sia 
nelle  persone,  l'evoluzione  della  civiltà  e  delle  anime  conduce  a  dimi- 
nuire la  credulità:  il  sapere,  come  si  dice  comunemente,  disperde  le 
tenebre  dell'ignoranza.  Sul  posto  vuoto,  che  è  l'ignoranza,  la  fantasia 
facilmente  divaga,  appunto  perchè  le  manca  quel  sostegno  che  permette 
un'elevazione.  Così  le  colonne  di  Ercole  sparirono  quando  lo  stretto 
di  Gibilterra  divenne  la  porta  degli  oceani;  ed  ai  pellirosse,  che  il  grande 
spirito  di  democrazia  americano  accoglie  nelle  sue  scuole  civilizzatrici, 
nessun  Colombo  potrebbe  più  dire  che  il  cielo  lo  ubbidisce  oscurando 
il  sole  per  ordine  suo,  perchè  le  eclissi  sono  fenomeni  noti  a  loro  come 
alla  razza  bianca. 

Questa  immaginazione  illusoria  costruita  sulla  credulità  è  forse 
ciò  che  dobbiamo  «  sviluppare  »  nei  bambini?  Certo  non  è  il  nostro 
desiderio   che   essa   persista:    infatti    quando  il  bambino  «  non  crede 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  I()3 

più  alle  fole  «  ce  ne  rallegriamo.  Noi  diciamo  allora:  «  non  è  piti  un 
bambino  «.  Deve  succedere  così  e  lo  aspettiamo:  verrà  un  giorno,  in 
cui  non  crederà  più  a  queste  storie.  Ma  se  questa  maturazione  avviene, 
dobbiamo  domandarci:  «  che  cosa  abbiamo  fatto  noi  per  aiutarla?  »; 
«  quale  appoggio  demmo  noi  a  questa  mente  debole  perchè  si  rad- 
drizzasse ?  »  Il  bambino  superò  i  suoi  ostacoli,  malgrado  la  nostra 
spinta  che  lo  teneva  indietro  nell'  illusione  e  nell'ignoranza.  Il 
bambino  superò  sé  e  noi.  Egli  andò  là  dove  la  sua  interna  forza  di 
sviluppo  e  di  maturazione  lo  conduceva.  Egli  potrebbe  però  dirci: 
«  Quanto  ci  avete  fatto  soffrire!  era  già  tanto  grande  la  nostra  fatica 
per  elevarci,  e  voi  ci  opprimevate!  ».  Non  sarebbe  questo  come  compri- 
mere le  gengive  affinchè  non  nascano  i  denti,  per  la  ragione  che  il 
carattere  del  bambino  è  di  essere  sdentato?  E  non  sarebbe  lo  stesso 
impedire  al  piccolo  corpo  di  raddrizzarsi,  perchè  il  carattere  precedente 
era  di  non  tenersi  in  piedi?  Infatti  così  noi  procedevamo  quando  vole- 
\'amo  trattenere  il  linguaggio  infantile  nel  suo  stato  di  inferiorità  e  di 
imprecisione:  invece  di  aiutare  il  bambino  facendogli  sentire  spicca- 
tamente i  suoni  della  parola  e  facendogli  vedere  i  movimenti  della 
bocca,  noi  assumevamo  il  suo  linguaggio  rudimentale  e  gli  ripetevamo 
i  suoni  primordiali  ch'egli  emetteva,  dicendogli  «  tette  »,  «  mimi  »  e 
poi  parlando  con  sigmatismo  e  con  altri  difetti  di  consonanti,  propri 
agli  inizii  della  parola  articolata.  Così  lo  trattenevamo  lungamente  in 
un  periodo  formativo,  pieno  di  difficoltà  e  di  sforzi  per  il  bambino, 
respingendolo  indietro,  nel  faticoso  stato  infantile. 

E  così  stiamo  facendo  oggi  per  la  cosidetta  educazione  della  im- 
maginazione. 

Noi  ci  divertiamo  con  le  illusioni,  le  ignoranze,  gli  errori  della  men- 
talità immatura,  come  un  giorno  non  lontano  ci  divertivamo  a  veder 
ridere  l'infante  sballottato  dall'alto  in  basso:  cosa  così  pericolosa  e 
riprovata  dall'igiene  infantile.  Infine,  siamo  noi  che  ci  divertiamo 
con  le  feste  del  Natale,  e  con  la  credulità  del  bambino.  Confessandoci, 
dobbiamo  riconoscere  che  siamo  un  po'  come  quella  gran  dama  che 
si  occupava  leggermente  d'un  ambulatorio  di  bambini  poveri,  ma  che 
ripeteva  ad  ogni  momento:  «  Se  non  ci  fossero  più  bambini  malati, 
mi  sentirei  infelice  ».  E  così  noi:  «  Se  non  ci  fosse  più  la  credulità  dei 
bambini,  mancherebbe  un  gran  sollievo  alla  nostra  vita». 


194  P\RTK    PRIMA 

Formare  artificialmente  uno  stadio  di  sNilui^po,  e  di\crtirsene, 
come  nelle  corti  antiche  arrestavano  artificialmente  la  crescenza 
del  corpo  di  alcune  \  itti  me  per  f.unr  nani  e  sollazzo  di  re.  è  una  delle 
colpe  inavvertite  dei  nostri  tempi.  (Quest'affermazione  può  sembrare 
dura,  ma  essa  tocca  un  fatto  reale.  Noi  ne  siamo  inconsci,  è  vero; 
ma  pure  ne  parliamo  sempre,  quando  diciamo  tra  noi  con  tanto  disprezzo 
per  l'età  immatura:  «non  siamo  mica  bambini».  Se  nel  bambino  non 
arrestassimo  l'iiuwaturità  per  contemplare  immobile  lo  stato  inferiore; 
ma  invece  lasciassimo  libera  la  crescenza  ammirando  le  meraviglie 
del  perfezionamento  sempre  sulla  via  di  piìi  alte  conquiste,  diremmo 
di  lui  come  Cristo:  «  Chi  vuole  essere  perfetto  diventi  come  un  pic- 
colo bambino  ». 

Se  ciò  che  si  chiama  immaginazione  infantile  è  il  prodotto  della 
«  immaturità  »  della  mente,  in  rapporto  con  la  povertà  in  cui  lasciamo 
il  bambino  e  l'ignoranza  in  cui  egli  si  trova,  occorre  prima  arricchire 
la  sua  vita  di  un  ambiente  ove  egli  diventi  il  possessore  di  qualche 
cosa,  e  arricchire  la  sua  mente  di  conoscenza  e  di  esperienza  fatta 
sulla  realtà.  E  avendogli  dato  ciò,  lasciarlo  maturare  nella  libertà. 
E  dalla  libertà  dello  sviluppo,  che  noi  possiamo  attendere  le  manife- 
stazioni della  sua  immaginazione. 

.\rricchire  il  bambino,  che  è  il  povero  dei  nostri  tempi;  clu' 
non  jlia  imlla,  perchè  è  schiavo  di  tutti,  ecco  il  primo  atto  verso 
di  lui.  Si  dirà:  come  dare  cavalli,  carrozze  e  pianoforti  a  tutti  i 
bambini?  Non  è  così.  I  rimedii  non  sono  mai  diretti,  quando  si  tratta 
di  una  vita  complessa.  Il  .bambino  che  non  ha  nulla,  è  quegli  che 
immagina  le  cose  più  lontane  dalla  possibilità  di  ottenerle.  Il  mise- 
rabile sogna  i  milioni,  l'oppresso  sogna  il  trono.  Ma  colui  che  possiede 
qualche  cosa,  si  attacca  a  ciò  che  possiede  per  curarlo  e  per  accrescerlo 
ragionevolmente. 

Un  disoccupato  sognerà  di  diventare  principe:  ma  il  sogno  d'un 
maestro  di  scuola  è  quello  di  diventare  direttore.  Così  il  bambino  che 
ha  una  «  casa  »  propria;  che  possiede  scope,  strofinacci,  stoviglie,  sa- 
poni, toelette  e  mobili,  è  beato  nel  conservare  tutte  queste  cose.  I  suoi 
desideri  si  calmano,  e  la  pace  che  ne  deriva  apre  una  via  di  espansione 
alle  attività  interiori  creatrici. 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  I95 


É  il  ((  vivere  nel  proprio  reale  possesso  «  che  calma  il  bambino,  e 
attutisce  desideri  i  quali  consumano  nella  vanità  dell'illusione  le  sue 
preziose  forze.  Non  è  immaginare  di  vivere  nel  proprio  possesso,  che 
può  fare  altrettanto.  Alcune  maestre  che  tenevano  un  asilo  modello 
mi  dissero  una  volta:  «  anche  noi  facciamo  fare  ai  bambini  gli  esercizi 
di  vita  pratica  che  voi  descrivete:  venite  a  vedere  ».  Andai.  Erano  pre- 
senti anche  delle  autorità,  e  un  professore  universitario  di  pedagogia. 

Alcuni  bambini  seduti  a  un  tavolino  avevano  dei  giocattoli  e  ap- 
parecchia\'ano  una  tavola  da  bambola:  i  loro  visi  erano  senza  espres- 
sione. Io  guardai  stupita  le  persone  che  mi  avevano  invitata:  esse  si 
mostravano  serene:  evidentemente  pensavano  che  tra  apparecchiare 
una  ta\'ola  per  gioco  e  apparecchiarla  realmente  non  ci  fosse  differenza: 
la  vita  imm.aginata  e  la  vita  vissuta  eran  la  stessa  cosa  per  loro.  Non 
è  forse  questo  un  errore  sottile  che  può  insinuarsi  fin  dall'infanzia  e 
permanere  poi  come  una  forma  mentale?  Forse  per  questo  errore  un 
grande  professore  di  pedagogia,  italiano,  mi  aveva  detto:  «Nuova  la 
libertà?  vi  prego,  leggete  Comenius,  egli  ne  parla  già».  Io  dissi:  «Sì, 
molti  ne  parlano,  ma  questa  è  una  forma  di  libertà  realizzata  ».  Egli 
sembrava  non  capire  la  differenza.  «  Non  credete  »  dovetti  soggiungere 
«  che  ci  sia  differenza  tra  chi  parla  di  milioni  e  chi  li  possiede?  ». 

Contentarsi  dell'immaginario  e  vivere  come  se  ciò  che  immaginiam.o 
esistesse  realmente:  correr  dietro  alla  illusione  e  «  non  riconoscere  » 
la  realtà,  è  cosa  tanto  comune,  che,  appena  afferrata,  vien  fatto  di 
gridare:  «svegHati  al  vero,  o  uomo!  »  —  e  la  coscienza  tocca  una  specie 
di  tarlo  roditore  sottilmente  insinuato  nella  nostra  intelligenza. 

La  facoltà  d'immaginare  esiste  sempre,  ci  siano  o  no  basi  su  cui 
poggiare,  materiali  con  cui  costruire;  ma  quando  essa  non  elabora 
dalla  realtà  e  dalla  verità,  invece  del  divino  edifizio,  forma  delle  incro- 
stazioni che  comprimono  l'intelligenza  e  impediscono  alla  luce  di  pene- 
trarvi. 

Quanto  tempo  e  quante  forze  l'uomo  non  ha  perduto  e  perde  per 
questo  errore?  Come  il  vizio,  che  è  un  consumo  di  funzione  senza  scopo. 


PAKTl      PRIMA 


consuina  il  corpo  tino  a  renderlo  come  malato,  così  l'immaginazione 
senza  il  vero  può  consumare  l'intelligenza  fino  a  darle  dei  caratteri  simili 
alla  mentalità  dei  pazzi. 

Favola  e  religione.  —  Ho  sentito  piìi  volte  ripetermi  che  l'edu- 
ciuione  dell'immaginazione  fatta  a  base  di  fantasia  «  prepara  l'animo 
del  bambino  »  a  ricevere  l'educazione  religiosa.  E  che  una  educazione 
a  base  di  «  realtà  »  come  si  vorrebbe  in  questo  metodo  è  troppo  arida, 
e  secca  le  fonti  spirituali.  Un  simile  ragionamento,  però,  non  può 
essere  condiviso  dalle  persone  religiose.  Esse  sanno  bene  che  la  favola 
e  la  fede  sono  ai  due  poli  estremi:  poiché  la  favola  è  per  se  stessa  la 
cosa  non  vera;  e  la  fede  è  il  sentimento  stesso  della  verità,  che  deve 
accompagnare  l'uomo  fino  alla  morte.  La  religione  non  è  un  prodotto 
della  immaginazione  fantastica;  ma  è  la  più  grande  realtà,  la  sola 
verità  per  l'uomo  religioso.  Essa  è  la  fonte,  il  sostegno  della  sua  vita. 
L'uomo  che  non  è  religioso  non  è  certo  una  persona  mancante  di 
immaginazione,  ma  piuttosto  mancante  di  equilibrio  interiore:  egli  è, 
rispetto  all'uomo  religioso,  meno  sereno,  meno  forte  alle  sventure, 
non  solo,  ma  anche  più  barcollante  nelle  proprie  idee.  Egli  è  più 
debole  e  più  infelice;  e  invano  si  aggrappa  alla  sua  immaginazione  per 
farsi  un  mondo  fuori  della  realtà.  Qualche  cosa  in  fondo  a  lui  grida 
con  David:  «Dio,  Dio  mio,  di  te  ha  sete  l'anima  mia».  E  se  egH 
spera  di  giungere  solo  con  l'immaginazione  alla  meta  della  sua  vita 
reale,  può  in  un  supremo  momento  di  lotta  sentirsi  affondare  il 
piede  tra  sabbie  mobili. 

Quando  un  apostolo  cerca  di  chiamare  un'anima  alla  religione 
onde  porre  il  suo  piede  pericolante  sul  sasso,  al  sentimento  si  rivolge, 
non  all'immaginazione:  perchè  egli  sa  che  non  deve  creare  nulla,  ma 
solo  chiamare  a  gran  voce  ciò  che  dorme  negh  abissi  del  cuore.  Egli 
sa  che  deve  scuotere  una  vita  caduta  nel  torpore  come  corpo  vivente 
sepolto  tra  le  nevi;  e  non  deve  già  costruire  il  fantoccio  di  ghiaccio  che 
si  scioglie  ai  raggi  del  sole. 

Che  l'immaginazione  fantastica  penetri  la  reHgione,  ciò  è  vero: 
ma  come  errore.  Nel  medio  evo,  per  es.,  si  attribuivano,  con  molto 
semplicismo,  le  epidemie  ad  una  azione  diretta  di  castigo  divino;  oggi 
esse  si  attribuiscono,  come  fatto  immediato,  ai  microbi.  Le  macchine 


IX.  -  IMMAGINAZIONE  I97 

a  vapore  di  Papiri  fecero  pensare  a  un'azione  diabolica.  Ma  questi  sono 
appunto  i  pregiudizi  che,  come  tutte  le  fantasie,  pullulano  sul  vuoto 
dell'ignoranza. 

Non  tutta  la  religione  è  costruita  così,  come  un  castello  fantastico 
eretto  sul  fondo  dell'ignoranza.  Altrimenti  si  dovrebbero  vedere  i 
popoli  selvaggi  religiosi  e  quelli  civili  pri^d  di  religione:  invece  i  sel- 
\aggi  hanno  una  religione  fantastica,  fragile,  costituita  in  gran  parte 
sul  terrore  che  danno  i  misteriosi  fatti  della  natura,  e  i  civili  hanno 
una  religione  positiva,  forte  che  sempre  più  si  purifica:  mentre  la 
scienza  della  realtà,  penetrando  nella  natura,  non  fa  che  esaltarne  ed 
illustrarne  i  misteri. 

Proprio  oggi,  che  dalle  scuole  si  tende  a  levare  la  religione,  vor- 
rebbe essa  farvisi  penetrare  coltivando  la  favola?  È  così  semplice  aprire 
direttamente  le  porte  alla  religione  stessa  e  farla  penetrare  coi  suoi 
fulgori  affinchè   scaldi  e  invigorisca  la  vita. 

Essa  deve  entrare  come  il  sole  nel  creato,  non  come  la  befana  per 
la  cappa  del    camino. 

La  favola  poteva  in  qualche  modo  preparare  alla  religione  pagana, 
che  spezzava  il  divino  in  tante  piccole  deità  simbolizzanti  il  mondo 
estemo,  il  quale,  essendo  preso  dai  sensi,  si  può  prestare  alle  illusioni; 
ma  non  può  certo  preparare  al  cristianesimo  che  mette  Dio  a  con- 
tatto della  vita  interiore  dell'uomo  la  quale  è  unica  e  intera,  e  insegna 
le  leggi  di  una  vita  che  è  «  sentita  »  dagli  uomini.  Se  le  scienze  posi- 
tive furono  estranee  alla  religione,  non  vuol  dire  che  sia  lo  studio 
della  realtà  che  per  se  stesso  ne  allontani.  Le  scienze  positive  fin 
oggi  studiarono  il  «  mondo  esterno  »  nei  suoi  analitici  dettagli,  e  se 
esse  potevano  mettere  in  «  simpatia  «  una  religione,  questa  poteva 
essere  la  religione  pagana.  Infatti  la  scienza  ha  sensibilmente  portato 
finora  un  soffio  di  paganesimo  tra  noi.  Ma  quando  essa  giungerà  a 
penetrare  l'uomo  interiore,  illustrandone  le  leggi  della  vita  e  le  realtà 
dell'esistenza,  una  gran  luce  cristiana  dovrà  esser  fatta  sugli  uomini:  e 
forse  i  bambini,  come  gli  angeli  su  Betlemme,  canteranno  l'invocato 
inno  di  pace  tra  scienza  e  fede. 

San  Giovanni,  nel  deserto,  «  raddrizzava  le  \ie  del  Signore  »  e 
purificava  gli  uomini  dai  più  grossi  errori.  Così  un  metodo  che  dia  in- 
terno   equilibrio    e  allontani  i  più  grossolani  errori  che  soffocano  le 


u/«^  parti:  prima 

energie  spirituali,  prepara  a  riee\ere  la  verità  e  a  far  riconoscere  le 
«  \  ie  della  \  ita  ». 

L'educazione  dell'  immaginazione  nelle  scuole  elementari.  — 

(.he  cosa  si  fa  nelle  comuni  scuole  elementari  per  educare  l'imma- 
ginazione? 

La  scuola,  nella  maggior  parte  dei  casi,  è  un  luogo  spoglio,  nudo, 
o\  e  il  colore  grigio  delle  pareti,  le  tende  di  mussolo  bianco  alle  finestre, 
precludono  ai  sensi  ogni  via  di  sfogo.  Lo  scopo  di  questo  triste  scenario 
è  che  I'«  attenzione  »  dello  scolaro  non  sia  trattenuta  da  stimoli,  e  venga 
condotta  a  fissarsi  sul  maestro  che  parla.  I  fanciulli,  seduti,  ascoltano 
per  ore  ed  ore  nell'immobilità.  Quando  questi  fanciulli  disegnano, 
de\ono  riprodurre  perfettamente  un  altro  disegno.  Quando  si  muovono, 
è  interpetrando  esattamente  un  comando  altrui.  La  loro  personalità 
è  apprezzata  solo  per  l'obbedienza  passiva;  l'educazione  della  loro  vo- 
lontà consiste  nella  metodica  rinuncia  al  volere. 

'i  La  nostra  pedagogia  abituale  »  dice  il  Claparède  «  opprime  i 
bambini  con  una  quantità  di  conoscenze  che  mai  potranno  servire 
a  dirigere  la  loro  condotta;  li  fa  ascoltare  senza  che  desiderino  d'inten- 
dere; li  fa  parlare,  scrivere,  redigere,  comporre,  dissertare  quando  non 
hanno  niente  da  dire;  li  fa  osservare  senza  che  abbiano  alcuna  curiosità, 
li  fa  ragionare  senza  che  abbiano  alcun  desiderio  di  scoprire  qualche 
cosa;  fa  far  loro  degli  sforzi  che  si  figura  essere  volontari,  senza  aver 
dapprima  l'acquiescenza  del  loro  io  al  compito  imposto:  consenso  in- 
teriore che  solo  darebbe  alla  sommissione  al  dovere,  un  valore  morale  ». 

Questi  fanciulli  posti  in  schiavitù  usano  gli  occhi  per  leggere, 
la  mano  per  iscrivere,  gli  orecchi  per  ascoltare  ciò  che  dice  il  maestro. 
Solo  il  corpo  sta  fermo:  ma  la  loro  mente  non  può  soffermarsi  su  cosa 
alcuna.  Essa  deve,  con  un  continuo  sforzo,  correr  dietro  alla  mente 
del  maestro,  la  quale  a  sua  volta  è  spinta  a  correre  da  un  programma 
che  fu  stabilito  a  caso,  non  certo  sulle  tendenze  infantili.  La  mente  deve 
passare  di  cosa  in  cosa.  Immagini  fuggitive  e  incerte  come  sogni  appa- 
riscono di  tanto  in  tanto  dinanzi  agli  occhi  del  bambino:  il  maestro 
disegna  un  triangolo  sulla  lavagna  e  poi  lo  cancella.  Fu  una  visione 
momentanea  e  astrattamente  rappresentata:  un  triangolo  concreto 
non  fu  mai  tra  le  mani  di  quei  bambini;  essi  debbono  ricordarne  con 


IX.   -  IMMAGINAZID.NK  I99 

isforzo  un  contorno,  contro  cui,  fra  poco,  astratti  calcoli  geometrici 
faranno  ressa:  tale  figura  non  opererà  mai  nulla  dentro  di  loro,  non 
sarà  sentiia,  combinata  con  altre;  non  sarà  mai  una  ispirazione.  E 
così  di  tutte  le  altre  cose.  Lo  scopo  sembra  la  fatica  in  se  stessa:  quella 
fatica  che  ha  arrestato  sopra  di  sé  quasi  tutti  gli  sforzi  della  psicologia 
sperimentale. 

In  questo  ambiente  dove  è  proibito  il  libero  esercizio,  la  scelta 
del  laxoro,  la  meditazione,  e  dove  c'è  l'oppressione  di  ogni  sentimento 
1  d  V.  sottratto  ogni  stimolo  esterno  che  potrebbe  arricchire  l'intelh- 
;enza  di  conquiste  proprie,  si  vuole  esercitare  l'immaginazione  facendo 
fare  «  dei  componimenti  ».  Cioè  il  fanciullo  dovrebbe  produrre  senza  pos- 
sedere i  materiali  necessari;  dare,  senza  avere;  attingere  da  attività 
interne  che  gli  s'impedì  di  sviluppare.  E  la  produzione  dovrebbe  venire 
à?L\\' esercizio  della  produzione:  il  «  molto  esercizio  nel  comporre  »  do- 
vrebbe sviluppare  l'immaginazione:  dallo  sfruttamento  del  vuoto 
do\'rebbero  conseguire  i  prodotti  più  complessi  dell'intelligenza. 

Si  sa  che  la  massima  difficoltà  nelle  scuole  è  rappresentata  dal 
«  comporre  ».  Tutti  i  maestri  hanno  constatato  che  i  bambini  sono  «  po- 
veri d'idee  »,  che  hanno  una  «  mente  disordinata  »,  che  sono  «  affatto 
privi  d'originalità  ».  La  «  prova  scritta  »  del  comporre  è  sempre  stata 
la  più  angosciosa:  è  a  tutti  nota  la  figura  del  fanciullo  che  sente  dettare 
un  tema  obbligato  e  che  dovrà  entro  poche  ore  consegnare  una  compo- 
sizione scritta,  un  prodotto  dell'immaginazione;  è  con  angoscia,  col 
cuore  serrato,  le  mani  fredde,  gli  occhi  ansiosamente  interroganti 
l'orologio  nella  paura  dell'ora  che  fugge,  sotto  la  sorveglianza  diffidente 
d'un  maestro  che  si  è  trasformato  per  l'occasione  in  un  guardiano-spia 
simile  a  quella  dei  bagni  penali;  così  è  ch'egli  subisce  fino  in  fondo 
la  tortura.  Guai  a  lui,  se  non  consegna  il  componimento:  egli  è  perduto 
perchè  si  tratta  della  prova  principale,  di  quella  ove  egli  è  libero  di 
manifestare  il  proprio  valore,  di  dare  il  vero  frutto  individuale  in  cui 
altri  cercheranno  il  controllo  della  sua  intelligenza.  Su  questa  via  le 
nostre  giovani  generazioni  trovarono  spesso  la  nevrastenia,  e  perfino 
il  suicidio!  Gli  scolari  non  possono  rispondere  come  il  maggior  poeta 
dei  nostri  tempi,  il  Carducci,  quando  gli  fu  chiesto  di  scrivere  un'ode 
in  occasione  della  morte  di  un  personaggio:  «  È  un'ispirazione,  non 
un'occasione,  che  può  farmi  scrivere  un'ode  ». 


'OO  PARTK    PRIMA 

K  iiitonssanto  studiavo  coim'  lu-llo  «i scuole  modonio»,  ov  e  pene- 
Irato  un  principio  cii  igiene  psichica,  si  cerchi  di  aiutare  gli  scolari, 
diminuendo  il  loro  sforzo  esauriente  e  conducendoli  a  passo  a  passo 
\erso  la  composizione.  Il  componimento  (si  passi  un  momento  sopra 
alla  contraddizione)  viene  «  insegnato  ».  La  maestra  fa  delle  «  lezioni 
colletti\e  »  sul  comporre,  così  come  ne  farebbe  per  spiegare  l'aritmetica: 
ijuesto  si  chiama  «  il  comporre  orale  collettivo  ». 

Lascio  la  parola  agli  specialisti  del  genere,  riportando  un  lirano 
ove  è  racchiusa  una  preparazione  dei  maestri  a  tali  lezioni. 

I.  Procedimento  da  tenere  nel  modo  di  indicAri:  il  tema. 
Prendiamo,  a  cagion  d'esempio,  il  breve  raccontino  seguente  co- 
stituito da  tre  fasi:  x°  Ernesto  non  seppe  la  lezione;  2°  la  maestra 
sgridò  6e\'eramente  il  bambino;  3"^  Ernesto  pianse  e  promise  di  far 
bene.  Se  indichiamo  il  raccontino  con  le  parole:  "  Ernesto  non  seppe 
la  lezione  "  (fatto  primo,  causa),  avremo  che  l'alunno  andrà  facil- 
mente all'effetto  costituito  dalle  due  altre  fasi,  che  logicamente  e 
in  ordine  cronologico,  seguono  la  causa.  Se  invece  diamo  come  tema 
l'indicazione  corrispondente  alla  seconda  fase:  "  la  maestra  sgridò  il 
bambino  ",  obblighiamo  l'alunno  a  risalire  alla  causa  e  a  far  seguire  alla 
seconda,  la  terza  fase.  In  più  difficile  situazione  poniarno  l'alunno 
se  diamo  come  tema:  "Ernesto  pianse  e  promise  di  far  bene  ",  giacché 
esso  è  costretto  a  risalire  alla  seconda  e  da  questa  alla  prima  fase. 

«  Quindi  la  prima  fase  in  ciascuna  brevissima  narrazione  deve 
servire  come  indicazione  del  tema. 

«  Procedimento:  l'insegnante  deve  scrivere  il  tema  sulla  lavagna 
e  invitare  la  scolaresca  a  pensare  (non  a  dire)  a  una  possibile  conse- 
guenza del  fatto  indicato  dal  tema.  L'insegnante  deve  far  capire  che 
la  scolaresca  deve  lavorare  "  per  proprio  conto  "  e  cioè  senza  l'aiuto 
di  suggerimenti.   Vediamo: 

0  Luisa  buttò  nel  fuoco  un  pezzo  di  lana  (tema).  Pensate  a  una 
possibile   conseguenza,  dite  cosa  avvenne  di  conseguenza. 

«  La  lana  mandò  un  cattivo  odore?  Benissimo.  Tu,  ripeti  il  raccontino: 

«  Luisa  buttò  nel  fuoco  un  pezzo  di  lana.  La  lana  mandò  un  cattivo 
odore.  Nessuno  sa  aggiungere  un  altro  pensierino,  un'altra  possibile 
conseguenza? 


IX.  -  IMMAGINAZIONE 


«  La  maestra  rimproverò  Luisa?  Un'alunna  aprì  la  finestra?  La  mae- 
stra ripeta  l'esercizio  servendosi  dei  temi  A,B,C,  e  facendo  scrivere  sul 
quaderno  lo  svolgimento  avuto  dalla  collaborazione  della  scolaresca. 

«  Poscia  propone  un  tema  e  lascia  libere  le  alunne  di  svolgerlo 
senza    aggiungere   schiarimenti. 

Tema  A.  —  Luisa  buttò  nel  fuoco  un  pezzo  di  stoffa  di  lana.  (La  lana 
mandò  un  cattivo  odore.  La  maestra  rimproverò  Luisa.  Una  compagna  aprì 
la  finestra  per  fare  andar  via  il  cattivo  odore). 

Tema  B.  —  Ernestino  rovesciò  l'inchiostro  per  terra.  (Il  pavimento  si 
macchiò.  La  maestra  rimproverò  il  fanciullo.  Ernestino  promise  di  essere  più 
attento). 

Tema  C.  —  Elisa  lesse  bene  il  racconto.  (La  maestra  la  lodò  e  le  diede  un 
bel  voto.   Elisa  fu  tanto  contenta). 

Tema  D.  —  Mario  macchiò  il  quaderno.  (La  maestra  non  gli  corresse  il 
compito  e  lo  rimproverò.  Il  fanciullo  andò  a  casa  piangendo). 

«  Dopo  tutto  questo  esercizio  collettivo  la  maestra  dà  libera- 
mente un  tema  come  il  seguente:  "  Maria  seppe  bene  la  lezione  ". 
Le  bambine,  nello  svolgimento,  devono  attenersi  agli  esempi  prece- 
denti; cioè  indicare  in  due  frasi  gli  effetti  logici  di  tale  causa  (la 
maestra  le  diede  dieci  e  la  lodò;  poi  le  disse  di  essere  sempre  così 
studiosa)  ». 

Talvolta  l'insegnamento  ha  un  indirizzo  psicologico,  anziché  lo- 
gico. In  tal  caso  i  «  pensierini  »  non  sono  collegati  da  causa  ad  effetto, 
ma  dallo  svolgersi  delle  attività  psichiche  nelle  tre  sfere  percettiva, 
sentimentale  e  volitiva.  Esempi: 

—  Amelia  mi  hia  fatto  fiutare  dell'ammoniaca  (fatto  percepito).  — Che 
odoraccio  (sentimento).  —  Non  voglio  sentirlo  più  (volizione). 

—  Gigi  mi  ha  tirato  i  capelli  (fatto  percepito).  —  Ho  provato  dolore 
(sentimento).  —  Subito  ho  allontanato  la  mano  del  mio  compagno  (volizione). 
(/  Diritti  della  Scuola,  anno  XIV,  n.   i6,  pag.  232). 

Con  tali  mezzi  si  distrugge,  evidentemente,  ogni  possibilità  d'ispi- 
razione, di  creazione.  Il  bambino  deve  seguire  frase  per  frase  ciò  che 
la  maestra  indica:  ecco  dunque  scomparsa  ogni  attitudine  a  «  comporre  » 
da  se  stessi.  Non  solo  il  bambino  resta  vuoto  di  materiale  per  creare, 


i02  PARTI-;    l'RIMA 

Citino  in  passato,  ma  la  stossa  tiftiliidinc  viono  a  scomparire;  sì  che  se 
domani  un  materiale  si  formasse  nella  sua  mente,  non  ci  sarebbe  più 
lo  slancio  per  utilizzarlo,  e  una  routine  scolastica  incatenerebbe  il 
pensiero. 

L'educazione  intoUellualo  fatta  dal  maestro  con  tali  mezzi,  fa 
pensare  a  uno  chaufteur  che  chiudesse  il  motore  d'un  automobile, 
e  cercasse  poi  di  spingerlo  a  forza  di  braccia.  Egli  in  tal  ca.so  è  un  fac- 
chino e  l'automobile  una  macchina  inutile.  Quando  invece  il  motore 
è  aperto,  l'interna  forza  muove  l'automobile  e  lo  chauffeur  deve  solo 
dirigerlo  perchè  \ada  hmgo  la  strada  sicura  e  non  urti  negli  ostacoli, 
né  precipiti  nei  fossi,  perchè  nella  sua  corsa  non  faccia  danno  a  nessuno. 

Questa  direzione  è  la  sola  cosa  necessaria:  ma  la  vera  marcia  è 
do\uta  unicamente  all'interno  impulso,  che  nessuno  può  creare. 

È  su  tale  principio  che  venne  il  primo  rinascimento  letterario 
italiano,  quando  con  Dante  sorse  il  «  dolce  stil  nuovo  »  come  spontanea 
espressione  del  sentimento: 

Il Io  mi  sono  un  che,  quando 

Amore  spira,  noto,    ed   a  quel  modo 
Che  detta  dentro,  vo  significando». 

Il  bambino  deve  crearsi  una  vita  interiore  per  potere  esprimere 
qualche  cosa:  deve  prendere  dal  mondo  esterno  spontaneamente 
un  materiale  di  costruzione  per  «  comporre  »;  deve  liberamente  eser- 
citare la  sua  intelligenza  per  essere  pronto  a  trovare  i  legami  logici 
tra  le  cose.  Dobbiamo  offrire  al  bambino  ciò  che  è  necessario  alla  sua 
interna  vita,  e  lasciarlo  libero  di  produrre.  Forse  non  sarebbe  impos- 
sibile incontrare  un  bambino  che,  con  un  lampo  negli  occhi,  corre  a 
scrivere  una  lettera;  o  un  altro  che  passeggia  meditando  e  coltiva  una 
ispirazione  nascente. 

Noi  dobbiamo  curare  e  nutrire  il  fanciullo  interiore  e  attendere 
le  sue  manifestazioni.  Se  la  creazione  immaginativa  verrà  tardi,  sarà 
perchè  tardi  l'intelligenza  è  matura  a  creare:  e  noi  non  vorremmo 
opprimerla  con  una  finzione,  come  non  mettiamo  dei  bafìfi  finti  al 
bambino  per  la  ragione  che  altrimenti  li  metterebbe  solo  a  venti  anni. 


X. 
La  questione  morale 


Quando  abbiamo  detto  in  principio  che  la  scienza  positiva  ave\  a 
dato  come  contributo  sociale  solo  la  «  riforma  »  della  vita  fisica,  coi 
moderni  dettami  dell'igiene,  abbiamo  fatto  un  torto  alla  scienza  po- 
sitiva. Essa  non  ha  soltanto  considerato  la  vita  «  fisica  »,  ma  anche  la 
\ita  «  morale  ». 

Basta  pensare  agli  studi  di  batteriologia  che  si  riferiscono  ai 
veicoli  delle  malattie  infettive  nell'ambiente,  per  riconoscere  un  primo 
segnacolo  che  sancisce  la  comunità  degli  interessi  umani,  con  un'enfasi 
mai  raggiunta.  I  microbi  si  moltiplicano  di  preferenza  nei  luoghi  umidi, 
sudici;  le  persone  denutrite  sono  più  facilmente  predisposte  alle  ma- 
lattie, e  così  anche  quelle  sopraffaticate.  Dunque  la  malattia  e  la 
morte  prematura,  sarebbero  un  retaggio  dei  poveri,  che,  denutriti  e  so- 
praffaticati, vivono  in  luoghi  umidi  e  sudici.  Ma  no.  C'è  la  questione  dei 
veicoli.  I  microbi,  dalle  sorgenti  d'infezione,  si  spargono  dovunque;  col 
polviscolo,  cogli  insetti,  cogli  oggetti  usuali  della  vita,  infine  coi  mezzi 
di  trasporto.  Essi  sono  in  una  quantità  inconcepibile,  favolosa:  ed  ogni 
persona  malata  è  una  sorgente  quasi  fantastica  di  malattia  e  di  morte. 
Una  sola  persona  basterebbe  a  contaminare  l'Europa.  I  mezzi  di  tra- 
sporto permettono  ai  microbi  di  traversare  in  tutti  i  sensi  gli  oceani 
e  i  continenti;  basta  osservare  le  linee  dei  transatlantici  e  delle  ferrovie 
del  globo  per  riconoscere  le  vie  di  comunicazione  tra  le  malattie  che 
affliggono  l'umanità  in  tutti  i  luoghi  della  terra.  Basta  studiare  le 
trasformazioni  industriali  della  materia,  per  seguire  nei  suoi  particolari 


204  PARTI-:    PRIMA 

il  cammino  giornaliero  dei  microbi,  che  mettono  in  comunicazione 
intima  tutte  le  classi  sociali.  La  persona  ricca  indossa  a  contatto 
del  corpo,  della  biancheria  che  proviene  e  che  riposa  continuamente 
nelle  mani  dei  poveri;  essa  non  mette  in  bocca  l'ahmento  senza  che  le 
mani  dei  poveri  glielo  offrano,  maneggiato  e  rimaneggiato  da  loro. 
L'aria  che  il  ricco  respira,  può  contenere  col  pulviscolo  i  germi  dissec- 
cati che  un  operaio  tubercoloso  ha  sparso  sul  terreno.  Non  c'è  via  di 
scampo.  Lo  dicono  le  statistiche:  le  curve  di  mortalità  per  malattie 
infettive  in  ogni  paese  sono  spaventosamente  alte,  e  riguardano  ricchi 
e  poveri;  benché  i  poveri  muoiano,  in  proporzione,  in  una  quantità 
doppia  dei  ricchi.  Ci  si  potrebbe  hberare  da  tanto  flagello?  —  certa- 
mente, a  patto  che  non  ci  fossero  più  sorgenti  di  infezioni,  cioè  che  non 
vi  fossero  più  al  mondo  luoghi  malsani,  né  persone  denutrite  costrette 
a  lavorare  al  di  là  dell^  loro  forze.  L'unica  via  di  scampo  per  gl'indi- 
vidui è  che  tutta  l'umanità  sia  salva. 

Grande  principio  che  sembra  lo  squillo  di  una  tromba:  uomini, 
aiutatevi  l'uno  l'altro;  se  non  vi  aiuterete,  morrete. 

Ecco  infatti  che  la  scienza  come  sua  attuazione  pratica  di  lotta 
contro  la  mortalità,  ha  fondato  le  «opere  di  risanamento»;  ha  sventrato 
le  città,  ha  incanalato  l'acqua,  ha  costruito  case  per  i  poveri,  ha  pro- 
tetto il  lavoro  degli  operai.  Tutto  l'ambiente  tende  a  migliorare  le 
«  condizioni  di  vita  »  delle  popolazioni.  Nessuna  «  opera  di  carità  », 
nessuna  espressione  d'amore,  di  pietà,  ha  mai  potuto  fare  altrettanto. 
La  scienza  ha  rivelato  che  quell'opera  che  si  chiamava  «  opera  di  carità» 
e  che  era  considerata  solo  come  una  virtù  morale,  rappresentava  in- 
vece il  primo  passo,  sia  pure  ristretto  e  insufficiente,  verso  la  reale 
salvazione  della  salute  di  tutti  gh  uomini.  Era  «  ciò  che  bisogna  fare  » 
per  combattere  contro  la  morte.  Ma  per  raggiungere  lo  scopo,  l'opera 
deve  essere  universale;  e  deve  costituire  una  «  riforma  »  della  società. 
Allora  diventa  un  «  progresso  sociale  »,  ove  non  ci  sono  benefìcatori 
e  beneficati,  ma  solo  una  umanità  che  ha  elevato  il  proprio  benessere. 
Quel  principio:  tutti  gh  uomini  sono  fratelli;  amatevi  gli  uni  gli  altri; 
aiutatevi,  e  la  mano  destra  non  sappia  cosa  fa  la  sinistra,  è  attuato 
praticamente. 

Al  tempo  del  «  sentimento  »,  il  povero  era  uno  stimolo,  e  il  bene- 
fattore era  un  reagente:  il  povero  non  serviva  veramente  a  «  educare  » 


LA    QUESTIONE    MORALE  205 


il  sentimento  del  ricco.  Se  a  quei  tempi  il  povero  avesse  detto:  «  dammi 
il  necessario,  altrimenti  morrai  »,  il  ricco  si  sarebbe  sdegnato.  Egli 
era  ben  lungi  dal  considerare  il  povero  un  vero  «  fratello  »,  con  cui 
aveva  in  comune  i  diritti  e  i  pericoli  di  morte. 

Oggi  la  scienza  ha  dato  un  altro  assetto  alle  cose.  Essa  ha  realizzato 
la  carità  beneficando  ricchi  e  poveri  ;  ed  ha  costituito  in  principio  di 
civilizzazione,  ciò  che  prima  era  un  «  principio  morale  »  affidato  al 
sentimento. 

Anche  nei  «  costurfu  »  l'igiene  è  penetrata  dettando  norme  indivi- 
duali di  vita.  È  per  essa  che  la  crapula  è  scomparsa;  quei  pranzi  epi- 
cureici  celebri  ai  tempi  antichi,  sono  oggi  sostituiti  dai  pranzi  «  igie- 
nici »  ove  il  pregio  consiste  nella  sapiente  proporzione  tra  i  bisogni  del 
corpo  e  il  cibo  apprestato.  Il  vino  e  l'alcool  sono  combattuti  più 
ancora  dai  ricchi  che  dai  poveri.  Si  mangia  per  vivere  in  buona  salute^ 
cioè  senza  eccessi  e  senza  veleni. 

E  questo  che  predicava  l'antica  morale,  combattente  contro  il 
vizio  della  gola,  e  proclamando  il  digiuno  e  l'astinenza  rome  virtù. 
Nessuno  mai  però  a  quei  tempi  avrebbe  immaginato  che  un  giorno 
dei  milionari  sostituissero  definitivamente  al  vino  le  limonate;  e  che 
i  grandi  pranzi  scomparissero  del  tutto  e  ne  restasse  soltanto  la  notizia, 
come  di  una  «  curiosità  »  del  passato.  Ancor  più:  nessuno  di  questi 
moderni  astinenti  fa  pompa  della  sua  virtìi:  essi  sembrano  corrispon- 
dere con  semplicità  all'antico  precetto  evangelico:  «  quando  digiunate 
non  vogliate  fare  i  malinconici,  come  gl'ipocriti:  ma  profumatevi  la 
testa  affinchè  il  vostro  digiuno  sìa  noto  non  agli  uomini,  ma  solo  al 
Padre  celeste,  il  quale  sta  nel  segreto  ». 

Se  uno  degli  antichi  predicatori  si  fermasse  a  conversare  con  questi 
astinenti,  resterebbe  pure  edificato  dalla  loro  conversazione.  Dove 
sono  andate  le  «  piacevolezze  »  che  formavano  lo  «  spirito  »,  la  «  delizia  », 
la  «  gaiezza  »  al  tempo  di  Margherita  di  Valois?  I  racconti  boccacceschi 
non  potrebbero  più  penetrare  tra  i  discorsi  della  società  inglese,  e  in 
genere  di  una  società  moderna  aristocratica,  anche  se  di  grado  so- 
ciale molto  inferiore  a  quella  che  circondava  Margherita  di  Valois. 
Oggi,  le  persone  sono  timorose  fino  allo  scrupolo  di  pronunciare  una 
parola  scorretta,  di  accennare  anche  alle  più  innocenti  funzioni  del 
corpo,   di   nominare   fino   le  parti   stesse    del    vestiario  che  stanno  a 


contatto  della  carne.  Essi  parlano  solo  di  toso  olc\at(>  ;  è  giudicato 
brillante  nella  conversazione  fine  solo  colui  che  <i  ammaestra  »,  che 
parlando  liei  suoi  viaggi  fa  conoscere  i  costumi  dei  popoli,  che  par- 
lando di  poHtica  mette  al  corrente  delle  situazioni.  Le  risa  smodate, 
i  lazzi,  i  iresti  procaci,  sono  inconcepibili;  ognuno  rattiene  composta* 
mente  le  proprie  membra,  abolendo  addirittura  anche  il  gestire  vi\acc 
ed  innocente  che  accompagna  naturalmente  il  discorso;  il  tono  di  voce 
è  moderato,  appena  sensibile.  Direbbe  l'antico  predicatore:  «  Costoro 
han  portato  all'esagerazione  le  esortazioni  di  S.  Paolo:  non  si  senta 
nominare  fra  \oi  fornicazione  o  impurità,  come  ai  santi  si  conviene: 
né  oscenità,  né  sciocchi  discorsi  o  buffonerie,  che  sono  cose  indecenti». 

Tra  tale  evoluzione  dei  costumi,  ecco  ancora  l'igiene  che,  fattasi 
guida  della  moda,  ha  a  poco  a  poco  semplificato  il  vestito,  ha  tolto  le 
pomate  e  i  belletti,  ha  abolito  le  crinoline,  ha  modificato  i  busti,  e  le 
scarpe,  ha  fatto  sparire  gli  strascichi  per  le  strade  e  ha  uniformato 
tutti  i  vestiari.  Un  uomo  dei  tempi  antichi  se  oggi  apparisse  tra  noi 
chiederebbe:  «  perchè  il  popolo  fa  penitenza?  vedo  gli  uomini  senza 
ornamento  e  coi  capelli  tagliati;  e  le  donne  che,  con  una  edificante 
rinunzia  alla  vanità,  vanno  per  la  strada  senza  parnicche  vistose  e 
senza  nei  sul  viso,  coi  loro  capelli  annodati  semplicemente:  vedo  le 
contesse  vestite  senza  costumi  di  prezzo,  quasi  come  le  donne  povere, 
entrambe  coperte  di  abiti  scuri,  semplici,  monacali.  Le  carrozze  sono 
brune  come  caiTÌ  mortuari  e  i  servi  sono  vestiti  di  gramaglie.  Per  le 
strade  non  impazza  più  il  carnevale;  tutti  vanno  silenziosi  e  composti  ». 

Chi  mai  avrebbe  potuto  persuadere  le  genti  antiche  affannantisi 
a  predicare  contro  l'eccesso  delle  vanità,  che  un  tale  quadro  non  sarebbe 
stato  quello  di  un  tempo  di  penitenza,  ma  quello  della  vita  consueta? 

Queste  nuove  genti,  dal  canto  loro,  sono  ben  lontane  dal  credersi 
immerse  in  una  vita  di  sofferenza;  al  contrario,  esse  riguardano  il 
«  mondo  »  del  passato  con  orrore:  mai  vorrebbero  tornare  al  tempo 
quando  gH  uomini  si  facevano  schiavi  dei  pomposi  costumi  e  dei  belletti, 
si  avvelenavano  nelle  crapule  <■  morivano  nelle  infezioni.  Esse  si  sonr) 
liberate  da  tanti  legami  vani,  ed  hanno  realizzato  un  maggior  benes- 
sere della  vita.  Tutto  il  confori  che  rende  oggi  delizioso  il  vivere,  sarebbe 
un  segreto  incomprensibile  per  un  nobile  dei  secoli  passati.  E  il  segreto 
della  vita. 


LA    QUESTIONE    MORALE 


Ir  Forse  analogamente  si  guardavano  tra  loro  un  tempo  i  monaci 

e  i  gaudenti  del  secolo:  quelli,  nella  rinuncia  ai  legami  del  mondo  e 
alle  sue  vanità,  serbavano  un  «  segreto  di  vita  »  piena  di  ignorate  de- 
lizie, e  riguardavano  con  orrore  i  pretesi  godimenti  del  secolo:  mentre 
qua  gli  uomini  inconsci,  fatti  schiavi  dalla  cima  dei  capelli  nascosti 
nella  parrucca  ai  piedi  stretti  negli  stivalini,  chiamavano  «godimenti  e 
vita  »  i  mezzi  di  morte. 

*  *  * 

Un  altro  contributo  ha  dato  ancora  la  scienza  positiva,  penetrando 
direttamente  nel  campo  morale.  È  essa  che,  coi  metodi  statistici  della 
sociologia,  ha  sviscerato  i  problemi  sociali  dell'immoralità  e  della  crimi- 
nahtà  studiandone  i  fattori  esterni;  e  con  l'antropologia  criminale 
ha  rivelato  i  «tipi  inferiori»  che,  per  tabe  ereditaria,  sono  i  predisposti 
innati  a  tutte  le  infezioni  morali  dell'ambiente.  Le  teorie  sulla  degene- 
razione di  Morel  e  le  conseguenti  teorie  lombrosiane  sui  delinquenti, 
sono  state  indubbiamente  apportatrici  di  luce  in  quel  caos  dove  sta- 
vano insieme  mescolati  i  giudizi  su  la  bontà  e  la  malvagità  umana.  Le 
forme  di  «  degenerazione  »  attecchiscono  per  eccellenza  il  sistema  ner- 
voso, e  tutte  le  personalità  anormali  che  ne  derivano  sono  «  deviate  « 
dal  tipo  comune.  Esse  hanno  una  intelligenza  ed  una  moralità 
diverse.  Le  false  percezioni,  i  falsi  raziocini,  le  illusioni,  le  anomalie 
della  volontà  come:  impulsi,  abulie  e  fobie;  lo  scarso  senso  morale 
su  cui  l'intelligenza  anormale  edifica  dei  deliri  sistematizzati  che 
•  s'interpetrano  come  principi  filosofici,  fanno  di  queste  persone  una 
categoria  a  parte,  extrasociale. 

La  debolezza  generale  nervosa,  e  l'intelligenza  deviata  che  non 
pro\'oca  l'interesse  al  lavoro,  fanno  di  queste  persone  individui  incapaci 
di  produrre  che  perciò  cercano  di  vivere  a  spese  della  produzione  altrui. 
Questo  fatto  fondamentale  che  unisce  all'odio  verso  il  lavoro  produttixo, 
uno  sforzo  verso  la  rapina,  U  conduce  a  usufruire  di  tutte  quelle  cause 
ambiente  che  preparano  i  mezzi  esterni  della  criminalità.  Questi 
uomini  sono  «  cattivi  ».  Ma,  andando  ad  osservare  bene,  non  è  veramente 
di  malvagità  che  si  tratta,  ma  di  stati  morbosi  e  di  errori  sociali.  Se 
così  è,  questi  cattivi,  che,  nati  senza  loro  colpa  tanto  infelici,  vengono 
trascinati  dalla  società  alla  perdizione,  sono  delle  vittime.  Tutta  la 
loro  storia,  indagata  più  intimamente,  lo  rivela.  Essi  sono  perseguitati 


20S  PARTI      PRIMA 

ed  abbandonati  fin  da  bambini:  incapaci  di  rendersi  amabili  per  la  dr- 
ficienza  mentale,  pel  disordine  voliti\'o,  per  l'anomalia  degli  affetti  e 
anche  per  la  disarmonia  fisica,  passano  dalle  persecuzioni  materne  alle 
persecuzioni  della  scuola  e  infine  della  società,  raccogliendo  sopra  di  sé 
tutti  i  castighi. 

Fu  impressionante  il  primo  quadro  che  fece  il  Morel  di  questi 
«  morti  della  specie  ».  Secondo  la  sua  teoria  primitiva,  che  pure  con- 
tiene una  sintesi  la  quale,  se  non  è  esatta,  riassume  con  chiarezza  com- 
prensi\a  il  fenomeno,  allorquando  una  causa  di  degenerazione  agisce 
sull'uomo,  questi  può  avere  una  progenie  debole,  la  cui  debolezza  si 
aggrava  nelle  due  o  tre  generazioni  successive,  finché  si  estingue  nella 
sterilità  terminale  di  individui  estremamente  degradati.  Secondo  il  Morel 
i  pazzi,  i  delinquenti,  gli  epilettici,  gli  idioti  sono  la  triste  serie  di  questa 
estinzione  dell'uomo.  Poiché  l'uomo  che  muore  lasciando  una  forte  prole, 
non  muore  in  realtà  ma  si  rinnova:  alla  vecchiezza,  succede  la  giovi- 
nezza. Solo  il  degenerato  muore,  poiché  la  sua  specie  si  «  estingue  »:  e  le 
poche  generazioni  infehci  che  si  producono,  rappresentano  una  «  vivente 
agonia  ».  Questa  «specie  agonizzante»  che  vive  tra  quella  sana,  e  le  mo- 
stra le  sue  debolezze,  i  suoi  deliri,  le  sue  convulsioni,  le  sue  irritabilità 
e  i  suoi  egoismi,  viene  poi  respinta  nelle  tombe  dei  \ivi.  quali  sono  i 
manicomi  e  le  carceri. 

Che  quadro  vivente,  e  quale  monito  per  l'uomo! 

Un  «  errore  »  può  essere  per  lui  mortale:  come  la  maledizione 
biblica,  si  trasmette  alle  generazioni  e  conduce  alla  perdizione  eterna. 

Come  è  spaventevole  il  pensiero  del  figlio  innocente,  sul  cui 
capo  si  accumula  il  castigo!  E  come  pone  in  evidenza  che  la  nostra  vita 
presente  non  è  tutto,  ma  ha  una  corttinuazione  nella  quale  raccogHeremo 
i  veri  premi  o  i  veri  castighi  della  nostra  esistenza.  Il  figlio  bello,  sano, 
prolifico,  o  il  figlio  deforme,  malaticcio,  sterile  e  incapace  di  amarci  e  di 
comprenderci:  sta  a  noi  in  gran  parte  la  scelta.  L'igiene  della  genera- 
zione é  la  più  poderosa  tra  le  igieni  morali.  Se  la  salvezza  della  \'ita 
individuale  si  può  acquistare  a  prezzo  di  provvedere  alla  vita  igienica 
di  tutta  l'umanità,  quella  della  specie  si  ottiene  seguendo  rigorosamente 
le  «  leggi  della  salute  »,  le  «  leggi  della  vita  ».  L'alcooHsmo,  ogni  intossi- 
cazione, il  surménage,  le  malattie  costituzionali,  lo  sperpero  di  forze 
nervose,  il  vizio,  l'ozio,  sono  tutte  cause  di  degenerazione. 


X.    -  LA    QUESTIONE    MORALE  209 

E  la  scienza  che  è  andata  predicando  tutte  queste  cose,  per  la  sal- 
vezza degli  uomini:  e  con  questo  si  è  fatta  propagatrice  di  «  virtù  ». 
Ma  sopra  ogni  cosa  ha  illustrato  il  grande  principio  del  «  perdono  > 
che  era  rimasto  tra  i  misteri  della  morale  religiosa. 

Nessuno,  qualche  secolo  fa,  comunque  pietoso  e  generoso,  avrebbe 
tuttavia  guardato  il  delinquente  con  occhi  tanto  pieni  di  pietà  e  di 
giustizia,  come  la  scienza.  Essa  ha  designato  una  vittima  di  cause  so- 
ciah  delle  quali  tutti  siamo  responsabili:  e  dobbiamo  perciò  accusarci 
noi  tutti  delle  colpe  commesse  dall'individuo  inferiore,  e  muovere  con 
la  pienezza  delle  nostre  forze  verso  la  rigenerazione.  Solo  i  santi  in- 
tuirono queste  verità,  offrendo  per  la  comunità  degh  uomini  i  loro  meriti, 
e  addossandosi  le  colpe  di  tutti:  «Voi  renderete  conto  — dice  S.  Giovanni 
Crisostomo  -  non  della  vostra  salute  solamente,  ma  di  quella  univer- 
sale: chi  prega  deve  sentirsi  carico  degli  interessi  dell'intero  genere 
umano  ». 

£  certo  che  se  un  Taigete  avesse  depurato  la  nostra  razza  dalle  sue 
deformità,  e  se  un'analoga  morale  ci  avesse  resi  indifferenti  aUfi  malattie, 
alle  debolezze  e  alle  sofferenze  dell'umanità,  la  scienza  rP^neratrice 
non  sarebbe  potuta  sorgere.  Solo  raccoghendone  gli  effett^^i  può  ri- 
salire alle  cause  morbose  e  salvare  l'umanità  pericolante.  Le  cause 
di  morte  sono  invisibili  ^  insensibili  come  il  microbo  :  l'uomo  può  bere 
il  veleno  credendo  di  bere  un  nettare.  Guai  se  i  malati,  i  degenerati, 
non  si  presentassero  come  un'avanguardia  a  testimoniare  degh  inconsci 
errori,  i  quali  minacciano  perdizione.  La  scienza,  appunto,  non  si  è 
limitata  a  «  curare  »  i  malati  come  in  un,  servizio  di  infermeria:  ma  è 
penetrata  per  quella  porta  vistosa  ed  è  risahta  a  ritroso  verso  l'umanità 
normale  inconscia  dei  suoi  pericoli.  Non  è  la  «  cura  »  dei  malati,  è 
r« igiene  universale»  il  suo  risultato  ultimo.  Noi  dobbiamo  il  «  comfort» 
igienico  che  garantisce  la  nostra  salute  e  diminuisce  in  modo  sì  porten- 
toso la  mortalità  generale,  al  fatto  che  i  malati  furono  raccolti  e  curati. 
La  promessa  di  rigenerazione  dell'Eugenica,  che  fa  intravvedere  uni- 
\ersalmente  una  prole  più  rigogliosa  e  felice  che  in  passato,  venne  fatta 
perchè  noi  raccogliemmo  con  carità  tutti  i  deficienti,  gii  epilettici,  i  mal- 
vagi. Fu  là  che  dovè  rivolgersi  il  nostro  sguardo  per  rintracciare  le  \ie 
della  salute,  per  giungere  alle  porte  di  un  mondo  migliore. 

Quando  il  Cristo  indica  agh  uomini  la  salvezza,  segna  col  dito  i 


2IO  PARTI      PRIMA 

rithiti  (1i'll;\  soriotà  ilo\c  si  lumno  1,'li  effetti  srnsibili  del  male,  iHMcliè 
Io  causo  dol  malo  son  troppo  sottili,  non  sono  dirottamenti'  visibili: 
"  Udrete  con  i  vostri  orecchi  e  non  intenderete:  mirerete  coi  vostri  occhi 
e  non  vedrete  ». 

Ma  invoc(>  lo  estreme  consct;uen/e  sono  e\identi,  e  basta  che 
la  <<  xolontà  »  deirnomo  acconsenta  a  raccoglierle  con  carità,  senza  ri- 
pugnanza, per  giungere  alla  salvazione.  Nel  giudizio  finale,  dice  S.  Mat- 
teo, saranno  separati  i  perduti  dai  sah'i  e  il  Re  chiamerà  questi  ultimi 
alla  sua  destra  dicendo:  «  Venite,  o  eletti  dal  padre  mio,  a  godere  il 
regno  che  vi  fu  preparato  fin  dall'eternità.  Perchè  io  iblii  fame  e  mi 
rifocillaste:  ebbi  sete  e  mi  deste  da  bere;  ignudo,  lìii  ricopriste:  infermo, 
mi  visitaste;  carcerato,  veniste  da  me  ».  «  E  quando  noi  —  rispondono  i 
giusti  —t'abbiamo  incontrato.  Signore,  affamato,  assetato  e  ignudo? 
Quando  noi  ti  abbiamo  visto  infermo  e  carcerato  e  venimmo  a  \  isi- 
tarti?  ".  K  il  Re  risponderà:  »  Ogni  voha  che  avete  fatto  qualcosa  a 
uno  di  questi  minimi  miei  fratelli,  l'avete  fatto  a  me».  Allora  dirà 
a  quelli  della  sinistra:  «Andate,  maledetti,  alla  perdizione  eterna, 
perchè  ebbi  fame  e  non  mi  rifocillaste  ;  ebbi  sete  e  non  mi  deste  da  bere; 
infermo  e  carcerato,  non  mi  visitaste  ».  E  costoro  pure  risponderanno: 
«  Ma  quando  ti  abbiamo  incontrato  infermo,  affamato,  assetato,  carce- 
rato, e  non  ti  abbiamo  assistito?  ».  Allora  risponderà  loro  :  «  Ogni  volta 
che  incontraste  uno  di  quei  minimi  fratelli,  quegli  ero  io  ». 

Questa  in  fondo  è  la  vera  differenza  tra  la  morale  pagana  e  quella 
cristiana  :  tra  l'erudita  filosofia  greca  e  la  pratica  scienza  moderna  : 
tra  l'ideale  estetico  e  l'ideale  di  »  vita  ». 


La  scienza  positiva  ci  ha  dunque  portati  a  realizzare  una  parte 
del  cristianesimo.  Si  potrebbe  quasi  dire  che  i  monac  i  rappresentavano 
in  pratica,  attraverso  i  secoli  e  le  differenti  civiltà,  la  «  sola  forma  » 
di  vita,  che  è  la  vita:  quella  rivelata  oggi  dalla  scienza.  Essi,  tra  i  crapu- 
loni disordinati  ebbero  una  «  regola  »  che  sempre  più  si  rivela  igienica: 
essi  mangiarono  il  rozzo  pane,  la  frutta  fresca,  il  latte  appena  munto, 
molte  verdure  e  poche  carni,  in  pasti  frugaH,  ma  regolari.  Essi  tra  l'ag- 
glomeramento  infetto,  scelsero  le  grandi  case  ampie  in  aperta  cam- 
pagna o  almeno  eccentriche,  possibilmente  sulle  alture;  il  loro  lusso 


X.  -  LA    QUESTIONE    MORALE 


non  furono  i  mobili  pesanti  e  imbottiti,  ma  il  vasto  terreno  in  cui  fare 
possibilmente  vita  all'aria  aperta.  Le  vesti  ampie,  i  comodi  sandali 
o  i  piedi  ignudi,  gli  abiti  di  lana,  gli  esercizi  fisici,  il  lavoro  della  terra, 
i  x'iaggi,  li  fanno  quasi  precursori  della  vita  sportiva.  Ogni  convento 
spargeva  beneficenze  tutto  intorno,  raccoglieva  i  poveri,  curava  i  malati, 
quasi  a  dimostrare  che  quella  vita  piìi  libera  e  privilegiata  non  era 
che  un  aspetto,  il  quale  va  necessariamente  accompagnato  dall'aiuto 
\'erso  l'umanità.  Essi  rappresentarono  la  élite  intellettuale  e  sociale  : 
furono  i  benedettini  che  curarono  i  manoscritti  e  tesaurizzarono  l'arto; 
furono  i  seguaci  di  S.  Bernardo  che  esercitarono  l'agricoltura;  furono  i 
figli  di  S.  Francesco  che  predicarono  la  pace. 

Ovvero  si  potrebbe  dire  che  la  società  moderna,  guidata  dallo  studio 
positivo  delle  leggi  della  vita  e  dalle  cure  nel  salvarla,  si  è  incontrat:) 
con  le  leggi  relis^iose  che  rivelavano  le  vie  della  vita;  e  va  realizzando 
una  forma  di  civiltà,  che  ricorda  in  certo  modo  e  riproduce  le  antiche 
oasi  dello  spirito. 

Se  però  si  arrischia  un  parallelo  tra  la  società  moderna  e  un 
convento,  quale  convento  sarebbe  essa  mai? 

Ecco  un  monastero  dove  i  frati  mangiano  secondo  la  regola,  ve- 
stono l'abito  igienico,  sono  corretti  nel  linguaggio,  non  vengono  a  risse 
clamorose,  mettono  in  comune  gli  interessi  della  vita,  spargono  fred- 
damente opere  di  beneficenza,  come  una  consuetudine  o  una  necessità 
dell'ordine;  e  anche  fanno  le  loro  meditazioni  sulla  vita  eterna,  sulla 
•azione,  sui  premi  e  castighi  nella  vita  futura,  ma  %enza  esserne 
cati.  Essi  però  hanno  perduto  la  fede,  e  non  si  amano  tra  loro; 
'ambizione,  l'astio  e  persino  l'odio,  tengono  lontano  la  pace  interna: 
e  sotto  a  tutto  questo  comincia  a  infiltrarsi  la  corruzione:  il  segno 
della  decadenza  piti'  profonda  si  è  ormai  mostrato:  è  perduta  la  ca- 
'#  stità.  Quella  che  è  per  eccellenza  il  vessillo  cristiano,  il  segno  di  rispetto 
alla  \-ita,  la  consacrazione  della  purità  che  conduce  alla  vita  eterna,  fu 
travolta  insieme  con  la  fede.  L'  «  amore  »  dell'uomo  è  incompatibile 
con  l'eccesso  della  bestia.  È  nella  castità  che  nasce  come  un  profumo 
l'amore  ardente  verso  tutti  gli  uomini,  la  comprensione  delle  altrui 
anime,  l'intuizione  della  verità.  Questo  fuoco  ardente  che  si  chiama 
la  carità,  è  esso  che  mantiene  accesa  la  vita,  e  dà  il  valore  a  tutto 
cose.  «  Quando  distribuissi  ai  poveri  tutte  le  mie  facoltà  e  quando 


y^c 


saoritìcassi  il  corpo  ad  essere  bruciato  —  dice  San  Paulo  se  non 
ho  la  carità  nulla  mi  gio\a.  E  quando  avessi  la  profezia  e  intendessi 
tutti  i  misteri  e  tutto  lo  scibile,  se  non  ho  la  carità,  sono  un  niente. 
Quando  io  parlassi  tutte  le  lingue  degli  uomini,  se  non  ho  la  carità 
sono  come  un  bronzo  suonante  o  un  cembalo  squillante  ». 

Nei  conventi  «  degenerati  »  si  perde  il  più  grande  acquisto,  il  più 
elevato,  l'ultimo  li\ello  raggiunto  dalla  perfezione:  così  come  la  perso- 
nalità colpita  da  degradazione,  perde  prima  gli  ultimi  e  più  elevati 
acquisti  e  conserva  solo  gli  inferiori. 

Nel  «  convento  sociale  »  invece,  l'ultimo  acquisto  non  è  ancor 
fatto:  ecco  la  differenza  e  il  riscontro.  L'elevazione  sociale  verso  il 
cristianesimo  è  solo  ai  suoi  primi  gradini.  Manca  la  «  carità  »  e  quindi 
la  «castità»;  e  tutto  ciò  è  assente  sopra  il  fondo  arido  lasciato  dalla 
mancanza  di  fede,  e  dall'oppressione  della  vita  spirituale.  La  scienza  po- 
sitiva non  ha  ancor  toccato  la  vita  interiore  dell'uomo,  e  l'ambiente 
sociale  non  realizza  perciò  nella  sua  «  forza  di  civilizzazione  univer- 
sale »  gli   acquisti  umani  superiori. 


Quando  noi  ci  preoccupiamo  di  dare  1' «  educazione  morale»  ai 
nostri  bambini,  dobbiamo  prima  domandarci  se  veramente  li  amiamo, 
e  se  siamo  sinceri  nel  desiderare  la  loro  «  moralità  ». 

Mettiamoci  nella  vita  pratica.  Padri  e  madri,  che  cosa  potete  spe- 
rare dai  vostri  figliuoli?  La  guerra  europea,  rispetto  alla  vita  del  corpo, 
è  un  ben  piccolo  esempio  in  confronto  ai  pericoli  spirituali  che  essi 
corrono  !  Immaginiamo  una  guerra  ben  più  vasta,  universale,  ove  sono 
chiamati  tutti  i  giovani,  e  dove'  i  superstiti  si  segnano  a  dito  come 
qualche  cosa  di  assolutamente  eccezionale.  Voi  dunque  dovete  alle- 
vare i  figliuoli  per  la  morte.  A  che  prò,  allora,  affannarsi  tanto  per 
loro  ?  non  è  forse  inutile  curare  i  loro  capelli  morbidi,  le  loro  rosee 
unghie,  la  bellezza  fresca  e  affascinante  del  loro  corpicciolo  rigoglioso, 
se  tra  poco  devono  morire  ? 

Ah!  chi  ama  i  fanciulli  si  eriga  contro  questa  guerra  mortifera 
e  lotti  per  la  pace! 

E  eloquente  questo  «  credo  »  che  Mme  de  Héricourt  espose  nel  suo 
libro:  La  jemme  affranchie,  verso  l'epoca  della  Rivoluzione  francese: 


X.   -   LA    QUESTIONE    MORALE  213 

«  Madri,  voi  ammonite  il  bambino:  Non  dire  bugie,  perchè  questa 
è  cosa  indegna  di  una  persona  che  si  rispetti.  Non  rubare:  ti  piacerebbe 
forse  che  rubassero  le  cose  tue?  questa  è  una  azione  disonesta.  Non  oppri- 
mere i  compagni  che  vedi  più  deboli  di  te,  e  non  essere  scortese  con  essi, 
perchè  sarebbe  una  viltà.  Eccellenti  principi.  Ma  quando  poi  il  bambino 
è  diventato  un  adolescente,  la  madre  dice:  Bisogna  che  un  gio\ane  si 
sfoghi.  E  sfogarsi  vuol  dire  sedurre,  essere  adultero,  frequentare  il 
lupanare.  Come!  è  quella  madre  che  diceva  al  fanciullo:  non  mentire  — 
la  stessa  che  oggi  permette  all'uomo  di  tradire  una  donna  come  lei! 
È  quella  che  insegnava  al  bambino  di  non  rubare  un  giocattolo,  che 
oggi  trova  lecito  al  figlio  di  rubare  la  vita,  l'onore  di  una  donna  come 
lei.  È  quella  che  gli  raccomandava  di  non  opprimere  i  deboli,  che 
oggi  gli  permette  di  schierarsi  tra  gli  oppressori  di  un  individuo  umano, 
che  la  società  ha  fatto  schiavo!  ». 

Queste  madri,  si  fanno  solidali  col  fatto  degradante  che  travolge 
tutta  l'umanità. 

Oggi  si  accentua  rm  movimento  sociale  contro  la  tratta  delle  schia\e 
bianche;  e  contemporaneamente  sorge  una  scienza,  l'Eugenica,  che  tende 
a  proteggere  la  salute  della  posterità. 

Cose  eccellenti.  Ma  la  questione  che  sta  a  base  di  tutto  questo,  è 
una  questione  spirituale.  Non  sono  le  schiave  bianche  gli  esseri  umani 
e  perduti  »:  esse  sono  le  vittime  di  un  fatto  universale  di  perdizione  e 
di  schiavitù.  E  se  un  pericolo  spirituale  sì  grave  incombe  su  di  noi,  qual 
mai  igiene  esterna  potrà  salvarci  se  non  è  preceduta-da  una  lotta  diretta 
contro  questo  pericolo?  I  veri  «  perduti  »  sono  colcwo  i  quali  persistono  in 
uno  stato  di  morte,  senza  avvedersene.  Chi  ne  è  «avvertito»,  già  solo  per 
questo,  può  trovarsi  sulla  via  della  salvezza.  Le  cosidette  schiave  bian- 
che, poste  al  ludibrio  della  società,  opprese  dal  castigo,  esse  gridano 
vendetta  al  cospetto  dell'universo,  e  coprono  di  vergogna  l'umanità; 
ma  non  sono  le  vere  perdute,  non  sono  le  sole  schiave.  Perduto  è  l'uomo 
giovane,  innocente,  ben  educato,  che,  senza  rimorso,  senza  avvedersi 
della  propria  degradazione,  approfitta  di  un  essere  umano  fatto  schiavo 
per  lui,  e  di  più  lo  copre  di  disprezzo,  senza  sentire  la  voce  della  co- 
scienza che  lo  ammonisce  :  «  perchè  osservi  tu  la  pagliuzza  che  sta  nel- 
l'occhio del  tuo  fratello,  e  non  ti  togli  la  trave  che  sta  nel  tuo  occhio  ?». 
Quest'uomo  che  forse  cerca  di  difendere  il  suo  corpo  da  conseguenze 


JI4  l'AUri      l'Kl.MA 

Jisastmso.  benché  spesso  non  vi  possa  sfuggire;  e  che  perciò  arrischia 
per  nulla  un  suicidio  della  propria  persona  e  della  specie;  e  che  si  af- 
fanna solo  a  cercare  per  sé  una  posizione  sociale  e  una  famiglia  ono- 
rata—  questi  è  l'uomo  \eramente  perduto  fra  le  tenebre,  ruoino  ridotto 
in  schiavitù. 

E  con  lui  è  schiava  anche  la  madre  che  non  può  più  seguire  il  figlio 
suo.  ch'essa  allevò  nella  salute  del  corpo  con  tanta  cura,  e  che  curò 
nella  gentilezza  morale  con  tutta  la  passione  del  suo  cuore:  è  schiava, 
quando  quel  figlio  le  è  strappato  per  andare  forse  nella  morte  o  nella 
rovina  della  salute  fisica,  e  per  discendere  nella  degradazione  morale, 
mentre  essa  non  può  fare  altro  che  fissarlo,  silenziosa  e  immobile. 
Ella  miseramente  si  scusa,  dicendo  che  la  dignità  e  la  purità  non  le 
permettono  di  seguire  il  figlio  in  questo  cammino.  Ciò  che  sarebbe 
come  dire:  ecco  là  il  figlio  mio  ferito  e  sanguinante,  ma  io  non  posso  se- 
guirlo, perchè  la  strada  è  fangosa  e  potrei  insudiciarmi  gli  stivalini. 

Dove  è  il  cuore  di  una  vera  madre?  in  quale  degradazione  cadde 
il  sentimento  materno  ?  «Sarebbe  solo  degna  e  pura  —  esclama  Madame 
de  Héricourt  —  quella  donna  capace  di  educare  un  figlio  che  non  avesse 
mai  niente  di  obbrobrioso  da  confessare  a  sua  madre  ». 

Quella  madre  annientata,  ha  perduto  se  stessa. 

Grande  e  possente  è  invece  la  dignità  materna:  ecco,  nei  tempi  an- 
tichi, Veturia  romana,  madre  di  Coriolano,  che,  avendo  inteso  come  il 
figlio,  traditore  della  patria,  sta  per  assalire  Roma  alla  testa  di  un  eser- 
cito nemico,  esce  coraggiosa  dalle  mura  protettrici  della  sua  città  e 
muove  incontro  al  potente  condottiero,  tra  le  schiere  nemiche,  per  do- 
mandargli: «  Sei  tu  mio  figlio,  o  sei  un  traditore?  ».  Alle  quali  parole 
Coriolano  rinuncia  alla  sua  indegna  impresa. 

Così  ai  nostri  tempi  la  vera  madre  dovrebbe  sorpassare  le  mu- 
raglie del  pregiudizio  e  le  frontiere  della  schiavitù,  ed  avere  tanta 
dignità  da  potere  affrontare  il  figlio,  dicendogli:  «Tu  non  sarai  un  tradi- 
tore dell'umanità!  ». 

Qual  cosa  mai  grava  sulla  donna  perchè  ella  abbia  perduto  persino 
il  diritto  sacro  di  salvare  i  figli  ?  e  cos'è  che  affievolisce  tanto  il  senti- 
mento, da  condurre  un  giovinetto  a  sdegnare  l'autorità  materna  solo 
per  farsi  giovinastro  ?  E  questa  morte  dell'anima,  non  sono  i  fatti 
esterni  che  segnano  la  nostra  sentenza. 


X.   -   LA    QUESTIONE    MORALE  215 


Se  la  scienza  positiva,  che  si  è  limitata  a  studiare  le  cause  esterno 
delle  malattie,  o  le  cause  della  degenerazione,  e  si  è  limitata  a  indicare 
l'igiene  fisica,  cioè  le  difese  della  vita  materiale,  ha  portato  un  così 
largo  contributo  di  moralità:  tanto  più  si  deve  sperare  un  elevamento 
morale,  da  una  scienza  positiva  che  si  rivolga  a  difendere  la  «vita  inte- 
riore »  dell'uomo. 

E  se  la  prima  parte,  seguendo  scrupolosamente  con  ricerche 
esatte  la  verità,  è  venuta  a  realizzare  socialmente  dei  principi  cristiani, 
è  supponibile  che  la  sua  continuazione,  condotta  con  la  stessa  lealtà 
ed  esattezza  di  ricerche,  venga  nello  stesso  senso  a  colmare  i  vuoti 
che  la  civiltà  moderna  contiene  ancora. 

Questa,  io  credo,  è  la  risposta  più  chiara  e  più  diretta  a  tutti  co- 
loro che  si  domandano  che  cosa  si  potrà  sperare  per  la  moralità  e  la 
religione  delle  nuove  generazioni,  da  questo  metodo  di  educazione 
«  troppo  positivo  ». 

Se  la  medicina  sperimentale,  risalendo  alle  cause  dei  morbi,  è 
venuta  a  sviscerare  i  problemi  che  riguardano  la  salute,  una  scienza 
sperimentale  che  si  rivolga  a  studiare  le  attività  psichiche  dell'uomo 
normale,  deve  condurre  a  scoprire  le  leggi  superiori  della  vita  e  della 
salute  dell'uomo. 

Questa  scienza  non  è  ancora  stabilita,  e  attende  i  suoi  ricl^rcatori: 
ma  si  può  intanto  prevedere  che  se  dalla  medicina  è  venuta  una  igiene 
universale,  che  dà  a  tutti  gli  uomini  la  guida  della  vita  fisica,  da  questa 
nuova  scienza  dovYà  sorgere  una  igiene  che  dà  a  tutti  gli  uomini  la 
guida  pratica  della  vita  morale. 

E  se  la  medicina  positiva  sorse  dagli  ospedali,  ove  i  malati  erano 
stati  raccolti  dalla  beneficenza  privata  e  pubblica,  con  intenti  carita- 
tevoli e  con  guide  di  cura  empirica;  questa  scienza  dovrà  sopratutto 
rivolgere  le  sue  ricerche  e  fondarsi  per  le  sue  esperienze,  nelle  scuole, 
cioè  nei  luoghi  ove  si  raccolgono  tutti  i  bambini  con  intenti  di  eleva- 
zione sociale,  e  con  guide  empiriche  di  educazione. 

Quale  fu  la  nota  elevata  della  medicina  scientifica,  che  andò  so- 
stituendosi a  quella  empirica?  Mentre  la  medecina  empirica  procedeva 


2Ib  PARTI      l'KIMA  x 

con  salassi  e  vescicanti,  la  medicina  sciontifioa  olpvò  od  ilhistrò  l'an- 
tichissimo principio  che  ria  stato  dimenticato  e  che  contene\a  in 
sintesi  tntta  la  nuo\-a  sapienza  :  la  vis  medicatrix  naiurae,  cioè  la  forza 
medicatrice  della  natura.  Nell'organismo  vivente  esiste  un  potere  natu- 
rale di  combattere  e  vincere  le  malattie:  ed  è  a  quello  che  bisogna 
mirare  per  costruire  una  medicina  razionale;  chi  crede  che  siano  il 
medico  e  la  medicina  a  guarire  il  malato,  è  un  empirico  ;  ma  chi  sa 
che  «solo  l'organismo»  può  produrre  la  guarigione,  e  che  perciò  oc- 
corre proteggere  e  aiutare  le  forze  che  la  natura  dà  per  la  salvezza, 
quegli  è  uno  scienziato. 

Ora  :  l'insieme  delle  cure  occorrenti  per  proteggere  le  forze  natu- 
rali di  difesa  e  di  riorganizzazione  nella  medicina  positiva,  sono  ben 
più  minuziose  e  si  diffondono  in  campi  ben  più  vasti,  che  non  l'empi- 
rismo antico.  Il  numero  grande  di  specialisti  in  confronto  all'unico 
tipo  del  medico  dei  secoli  passati,  basti  ad  accennare  all'enorme  dif- 
ferenza di  azione  pratica  che  il  nuovo  indirizzo  comporta. 

E  anche  interessante  dare  un'occhiata  al  cammino  fatto  dalla 
medicina:  essa  ha  cominciato  a  curare  i  morbi  ;  e  da  questi  è  salita 
a  scoprire  le  leggi  della  vita  fisica  normale,  e  a  dare  guida  ai  sani  per 
conservare  la  salute.  Giunta  però  a  questo  punto,  ha  trovato  che 
quegli  stessi  mezzi  necessari  a  conservare  la  salute,  sono  pure  i  mezzi 
migliori  per  guarire  i  morbi;  perchè  è  poi  unica  la  sorgente  di  vita 
che  dà  la  salute  e  la  vis  medicatrix  naturae.  Così,  per  esempio,  oggi  il 
vitto  razionale,  non  è  solo  un  mezzo  igienico  che  tutta  l'umanità  deve 
usare  per  conservarsi  sana  :  ma  è  pure  il  contributo  maggiore  a  cui 
si  riattacca  la  cura  delle  malattie.  La  dietetica,  così  pei  gottosi,  come 
pei  pellagrosi,  come  pei  febbricitanti,  come  pei  tubercolosi,  come  pei 
diabetici,  sta  in  prima  linea  per  la  sua  importanza  :  al  suo  confronto 
i  sali  di  litina,  i  caffeici,  il  creosoto,  sono  nuUità.  Anzi  la  tendenza 
moderna  è  di  togliere  addirittura  (jucste  medicine  venefiche;  e  di 
sostituirvi  completamente  le  cure  naturali  di  riposo,  la  ginnastica 
medica,  le  cure  idroterapiche,  e  sopratutto  le  cure  climatiche.  La 
psichiatria  e  la  nevropatologia  poi,  hanno  addirittura  introdotto  le 
cure  di  lavoro  per  occupare,  con  ordinate  attività  intelligenti,  le  per- 
sonalità che  cominciano  a  disgregarsi.  A  mano  a  mano  che  si  pro- 
gredisce in  questo  cammino,  viene  a  trionfare  il  concetto  della  «  gua- 


X.   -  LA    QUESTIONE    MORALE 


rigione  naturale  »  cioè  la  considerazione  sempre  più  chiara  delle  forze 
che  sostengono  la  vita. 

Solo  la  natura  può  tutto:  e  il  medico,  per  diventare  utile,  deve 
sempre  più  fedelmente  seguire  le  sue  orme  e  farsi  suo  servitore. 

È  naturale  che  l'investigazione  conducesse  a  dei  tentativi  per 
interpetrare  queste  forze  da  cui  la  salute  dipende.  Infatti  gli  studi 
sulla  «  immunità  «  sono  stati  i  più  brillanti,  i  più  popolarizzati  e  i 
più  scientifici  tra  tutti  quelli  della  medicina. 

Allorché  il  Metznikoff  credè  di  scoprire  che  sono  i  leucociti  del 
sangue  a  inglobare  e  digerire  i  microbi  e  così  a  salvare  l'uomo  dall'in- 
fezione, sembrò  che  un  lampo  di  luce  limpida  e  semplice  rischiarasse 
tutto  il  mistero.  Ma,  appena  la  teoria  fu  emessa,  cadde,  sotto  gli  studi 
successivi  che  ne  furono  una  critica  demolitrice,  perchè  non  sempre 
i  leucociti  possono  inglobare  i  microgermi  vivi;  occorrono  delle  «  con- 
dizioni »  dell'organismo  perchè  essi  abbiano  questa  forza,  ed  ecco  allora 
spostato  il  nodo  della  questione.  Inoltre  non  sono  i  microbi  material- 
mente che  danno  il  morbo,  ma  sono  i  loro  veleni.  Così  le  teorie 
tossiche  sembrarono  guidare  definitivamente  le  ricerche:  ma  allora  si 
entrò  in  un  mare  di  complicazioni,  e  si  vide  che  solo  «  dei  lati  », 
degli  «  attributi  »,  quasi,  dell'immunità  ci  sono  accessibili,  ma  che  la 
sostanza,  l'ultima  parola,  che  sta  al  fondo  di  tutti  gli  aspetti  che 
le  ricerche  ci  palesarono,  è:  «  mistero  ».  « 

Perciò  oggi  si  tace  sulle  questioni  dell'immunità:  ciò  che  era  noto 
come  una  idea  popolare,  si  trattiene  tra  gli  studi  oscuri  a  cui  non  deb- 
bono accostarsi  neanche  gli  studenti  dell'Università. 

Tuttavia  è  «  impossibile  »  che  si  sviluppi  la  medicina  fondata 
sulle  forze  naturali,  senza  che  si  impongano  gli  studi  del  mistero  della 
vita  che  nasconde  le  sue  sorgenti,  ma  che  continuamente  espande 
le  sue  forze. 

La  sorgente  invisibile  ma  reale  della  salute  e  della  guarigione, 
è  sempre  là  al  culmine  di  tutti  gli  sforzi;  e  la  palpitante  energia  che  ne 
scaturisce  inesauribilmente,  essa  è  la  sola  realtà  che  resti  evidente- 
mente quale  risorsa  dei  viventi.  Tale  medicina  e  tale  mistero  non 
possono  formare  che  un'unità. 

Ed  è  probabile  che  così  avvenga  per  quella  scienza  che  studia 
la  salute  e  le  malattie  dell'anima.  Se  essa  scopre  che  anche  l'anima. 


iliS  1" AKTK     l'KIM  \ 

corruttibile,  soggetta  ai  morbi  vd  alla  niort».',  h.i  Ir  sue  leggi  di  salute 
e  la  sua  vis  medicatrix  nutitrac,  do\rà  moUiplicurc  smisuratamente 
lo  «  cure  »  rivolte  a  rispettare  e  ad  aiutare  questa  forza  preziosa  di 
\ita:  e  al  tempo  stesso  la  sua  sorgente  misteriosa  donde  essa  scaturi- 
sce dovrà  imporsi,  come  l'immunità  si  è  imposta  alla  medicina  moderna. 
Allora   vita,    moralità   e   religione  saranno  indissolubilmente   unite. 


Andiamo  incontro  al  bambino  di  due  anni  e  mezzo  o  tre  anni,! 
allorquando  tocca  tutti  gli  oggetti,  ma  specialmente  alcuni  con  unal 
e\idente  preferenza:  gli  oggetti  più  semplici,  come  per  esempio,  un 
blocco  di  carta  rettangolare,  un  calamaio  quadrato,  un  campanello 
rotondo  e  lucente.  Tutte  cose  che  non  «  gli  sono  destinate  ». 

Ecco  la  mamma  che  lo  trascina  via:  un  po'  lo  accarezza,  un  po' 
gli  dà  dei  piccoli  colpi  sulle  mani,  e  gh  grida  :  «  Non  si  tocca!  cattivo!  ». 
Mi  trovai  una  volta  innanzi  ad  una  delle  tante  scene  di  famiglia  che 
passano  inosservate.  Il  padre,  medico,  era  seduto  alla  scrivania:  la 
madre  teneva  in  braccio  un  bambino  piccolissimo  che  tendeva  le  piccole 
mani  \-erso  gli  oggetti  sparsi  sul  tavolo.  <  Questo  bambino  —  diceva 
il  medico  —  così  piccolo,  è  di  una  cattiveria  incorreggibile.  Per  quanto 
facciamo,  io  e  la  madre,  per  le\  argli  il  vizio  di  toccare  le  mie  cose,  non 
ci  riusciamo  ».  «  Cattivo!  Cattivo!  »  —  ripeteva  la  mamma  tenendogli 
strette  le  manine,  mentre  il  bambino  si  gettava  indietro  urlando, 
e  dimenava  i  piedi  come  per  dare  dei  calci. 

Quando  sono  più  grandi  di  tre  o  quattro  anni,  la  lotta  si  accentua: 
i  bambini  vorrebbero  «  fare  ».  Chi  li  osserva  bene  si  accorge  che  essi 
hanno  una  «  tendenza  ».  Vorrebbero  imitare  quello  che  fa  la  madre, 
se  la  madre  è  una  «  donna  di  casa  ».  La  seguono  volentieri  in  cucina: 
\-orrebbero  prendere  parte  ai  suoi  lavori,  toccano  le  sue  cose,  cercano 
di  nascosto  d'impastare,  di  cuocere,  di  lavare  i  panni,  di  spazzare  i 
pavimenti.  La  madre  se  ne  sente  oppressa;  non  fa  che  ripetere:  stai 
fermo,  lascia  stare,  non  mi  seccare,  vai  via.-  Allora  il  bambino  strepita, 
si  getta  in  terra,  batte  i  piedi;  ma  poi  ricomincia  più  di  nascosto  che 
può,  più  in  fretta  che  può:  ed  è  così  che  per  far  presto  a  lavare  delle 
cose,  si  bagna  tutto;  per  nascondere  un  intingolo  di  contrabbando, 


X.   -   LA    QUESTIONE    MORALE  Ziq 

insudicia  il  pavimento.  Le  disperazioni  della  madre,  le  sgridate,  i 
rabbuffi  si  moltiplicano:  e  il  bambino  reagisce  coi  «  capricci  »,  con  i 
pianti,  ma  ricomincia  sempre  daccapo. 

Dove  la  madre  non  è  una  massaia,  il  bambino,  se  è  intelligente, 
è  ancor  più  infelice.  Egli  cerca  qualcosa  che  non  trova  e  piange  senza 
apparente  ragione;  si  sfoga  in  bizze  di  cui  non  si  può  rintracciare  la 
causa.  Dei  padri  si  lamentano  quasi  con  disperazione:  il  mio  bambino 
è  così  intelligente,  ma  tanto  cattivo!  non  c'è  nulla  che  lo  possa  con- 
tentare; non  si  fa  che  comprargh  dei  giocattoli;  ne  è  addirittura  so- 
praffatto: ma  non  vale  niente. 

L'ansiosa  domanda  delle  madri  è  questa:  «  Cosa  mi  consigliate 
di  fare  quando  il  bambino  fa  i  capricci?  Quando  fa  le  bizze?  È  tanto 
cattivo,  non  sta  mai  fermo:  io  non  ci  posso  più  combattere  ». 

Di  rado  si  sente  una  madre  dire:  «  il  mio  bambino  è  buono:  dorme 
sempre».  Chi  non  ha  sentito  qualche  madre  popolana  urlare  minaccio- 
samente al  bambino  piangente  che  porta  fra  le  braccia:  «  stai  zitto! 
stai  zitto,  ti  dico!  »  e  allora,  naturalmente,  il  bambino  spaventato  rad- 
doppia le  grida. 

Questo  è  il  primo  dissidio  dell'uomo  che  fa  ingresso  nel  mondo: 
egli  deve  lottare  coi  genitori,  con  coloro  che  gli  dettero  la  vita.  E 
ciò  avviene  perchè  la  sua  vita  infantile  è  «  diversa  »  da  quella  .dei 
genitori:  il  bambino  si  deve  «  formare  »  mentre  i  genitori  si  soi^o 
già  formati.  Il  bambino  deve  muoversi  molto  per  coordinare  i  suoi 
movimenti  ancora  disordinati:  i  genitori  invece,  hanno  la  motilità 
volontaria  organizzata  e  possono  contenere  i  loro  movimenti;  forse 
spesso  sono  affaticati  dal  lavoro.  Il  bambino  non  ha  ancora  i  sensi 
bene  sviluppati:  i  poteri  di  accomodazione  sono  insufficienti  e  bisogna 
che  si  aiuti  col  tatto,  con  la  palpazione,  per  rendersi  conto  così  degli 
oggetti  come  dello  spazio:  è  con  l'esperienza  delle  sue  mani  che  rad- 
drizzerà i  suoi  occhi.  Invece  i  genitori  hanno  i  sensi  sviluppati,  già 
hanno  corretto  le  illusioni  primitive  dei  sensi,  i  poteri  di  accomoda- 
zione sono  perfetti,  se  non  si  sono  guastati  con  l'abuso:  in  ogni  modo 
l'attività  cerebrale  accomoda  i  sensi  a  ricevere  l'impressione  giusta: 
non  han  bisogno  di  toccare.  I  bambini  sono  ansiosi  di  far  conoscenza 
col  mondo  esterno:  i  genitori  lo  conoscono  a  sazietà. 

Perciò  essi  non  si  comprendono. 


PARTE    PRIMA 


I  genitori  vorrebbero  che  i  bambini  fossero  come  loro,  e  questo 
esiger  di\ersi  è  una  «  cattixeria  ».  Basta  pensare  alla  madre  che  si 
trascina  dietro  il  bambino  piccolo  il  quale  deve  correre  mentre  essa 
cammina:  che  ha  le  gambe  corte  mentre  essa  le  ha  lunghe;  deboli, 
mentre  essa  le  ha  forti;  che  deve  trascinare  il  peso  del  proprio  corpo 
e  della  testa  sproporzionatamente  grandi  in  confronto  alla  madre, 
che  ha  il  busto  e  la  testa  proporzionatamente  più  piccole  e  snelle.  Il 
bimbo  è  stanco  e  piange,  e  la  madre  grida  :  «  Cammina  !  cattivo  !  io 
non  voglio  capricci.  Vorresti  che  ti  portassi  in  braccio,  pigrone  !  ma 
no,  io  non  te  la  dò  vinta  ». 

Oppure  ecco  la  madre  che  vede  il  suo  bambino  sdraiarsi  volentieri 
in  terra;  o  starvi  prono  col  ventre  a  terra  e  i  piedini  sollevati,  reggen- 
dosi sui  gomiti  e  guardando  intorno:  «  Su  da  terra!  t'insudici  tutto, 
cattivo  !  ». 

Tutto  ciò  non  si  traduce  così:  «  Il  bambino  è  di\erso  dall'adulto. 
Le  forme  del  suo  corpo  sono  tali  che  la  sua  testa  e  il  busto  sono  enor- 
memente grandi  in  rapporto  alle  gambe  piccole  e  tenere  perchè  sono 
la  parte  che  più  deve  crescere.  Quindi  il  bambino  non  può  resistere' 
al  cammino,  e  deve  preferire  la  posizione  sdraiata,  che  è  molto  igie- 
nica per  lui.  Egli  è  meraviglioso  nella  sua  tendenza  a  sviluppare  : 
prende  le  prime  nozioni  del  mondo  esterno,  e  aiuta  il  senso  della  vist:i 
e  dell'udito  col  tatto,  per  prendere  cognizione  della  forma  degli  oggetti 
e  della  distanza.  Si  muove  continuamente,  perchè  deve  coordinare 
e  adattare  la  sua  motilità.  Quindi  muoversi  molto,  camminar  poco, 
gettarsi  in  terra,  toccare  tutto,  sono  i  segni  che  egli  vive,  ch'egli  cre- 
sce ».  No,   tutto  questo  si   traduce  così:  «  è  cattivo  !  ». 

Evidentemente  questa  non  è  una  questione  migrale.  Noi  non 
cercheremo  i  mezzi  per  «  correggere  »  queste  prave  tendenze  del- 
l'uomo appena  nato.  Non  è  una  questione  morale.  È  però  una  que- 
stione di  vita. 

II  bambino  cerca  di  «  vivere  »  e  noi  glielo  vogliamo  impedire. 
In  questo  senso,  per  noi,  ciò  diventa  una  questione  morale;  poiché 
cominciamo  ad  analizzare  degli  errori  che,  da  parte  nostra,  producono 
un  danno,  ledono  il  diritto  altrui.  Inoltre,  sotto  a  questo  nostro  er- 
rore di  trattamento,  si  nasconde,  si  vela  il  nostro  egoismo:  la  colpa 
del  bambino^è^poi;  in  sostanza,  di  darci  «fastidio»;  noi  lottiamo  contro 


LA    QUESTIONE    MORALE 


questo  per  difendere  il  nostro  benessere,  la  nostra  libertà.  Quante 
volte  sentimmo  in  fondo  al  cuore  di  essere  ingiusti,  ma  seppellimmo 
qiiesta  impressione:  tanto  il  piccolo  ribelle  non  accusa,  non  tiene 
rancore.  Al  contrario,  come  persiste  nelle  sue  «  cattiverie  »  che  sono 
forme  di  vita,  così  egli  persiste  nell'amarci,  nel  perdonarci  tutto,  nel 
dimenticare  le  offese,  per  solo  desiderarci,  per  volerci  abbracciare,  per 
volersi  accoccolare  sulle  nostre  ginocchia,  per  volersi  teneramente 
addormentare  sul  nostro  seno.  Anche  questa  è  una  forma  di  vita. 
E  noi,  se  ne  siamo  stanchi  o  sazi,  lo  respingiamo,  nascondendo  un 
po'  ipocritamente  anche  questo  eccesso  di  egoismo  con  una  apparenza 
di  bene  per  il  bambino:  «non  tante  smorfie!».  L'insulto,  la  ca- 
lunnia sono  sempre  sulle  nostre  labbra  come  un  ritornello:  «  cattivo! 
cattivo!  ».  Eppure  il  profilo  del  bambino  potrebbe  essere  quello  della 
perfetta  bontà:  «  non  pensa  male,  non  gode  della  ingiustizia,  a  tutto 
si  accomoda,  tutto  crede,  tutto  spera  ».  Noi,  no;  non  possiamo  sempre 
dire  altrettanto. 

Se  la  lotta  tra  l'adulto  e  il  bambino  finisse  nella  «pace»,  e  l'adulto 
accettando  le  condizioni  infantili  cercasse  di  aiutarle,  egli  potrebbe 
avanzare  verso  uno  dei  godimenti  piìi  eccelsi  che  la  natura  gli  abbia 
offerto  in  dono:  quello  di  seguire  il  bambino  nel  suo  sviluppo  naturale, 
di  vedere  svolgere  l'uomo.  Se  il  bocciolo  di  rosa  che  s'apre  è  diventato 
un  luogo  comune  di  poesia,  che  più  sarà  l'anima  infantile  che  si  mani- 
festa? Ora  questo  dono  ineffabile  che  ci  fu  messo  accanto  affinchè  il 
miracolo  ci  accompagnasse  e  ci  confortasse,  noi  lo  calpestiamo  con , 
ira,  bestemmiando  come  forsennati. 


Quando  il  bambino  vuol  toccare  e  fare,  malgrado  le  «  correzioni 
d'ogni  genere»,  egli  persiste  in  esercizi  necessari  «al  suo  sviluppo», 
e  vi  dispiega  una  forza  contro  la  quale  noi  siamo  spesso  impotenti: 
con  la  stessa  persistenza  egli  respira,  piange  quando  ha  fame,  e  si 
raddrizza  quando  vuol  camminare.  Così  il  bambino  si  ri'olge  ad  og- 
getti esterni  che  corrispondono  ai  suoi  bisogni:  se  li  trova,  vi  dispiega 
le  sue  forze,  fa  esercizi  muscolari  o  esercizi  sensoriali,  e  allora  è  lieto  : 
ovvero  non  li  trova  e  si  agita  come    nei   suoi    bisogni   insoddisfatti. 


'ARTI-     PRIMA 


1  giocattoli  sono  troppo  leggeri  per  soddisfare  le  braccia  che  hanno 
l^isogno  di  fare  degli  sforzi  sollevando  e  smuovendo  oggetti;  essi  sono 
troppe^  complicati  per  soddisfare  i  sensi  clic  hanno  liisogno  di  ana- 
lizzare le  singole  sensazioni.  Essi  sono  vanità,  e  in  sì-  slessi  rappre- 
sentano finzioni  e  parodie  della  vita  reale.  Eppure  è  il  mondo  dei 
nostri  bambini:  in  mezzo  al  quale  essi  sono  costretti  a  «consumare» 
le  loro  forze  potenziaH,  in  una  rabbia  continua,  che  li  ])()rta  a  distrug- 
gere le  cose. 

Quella  sentenza:  il  bambino  ha  «  l'istinto  «  della  distruzione, 
essi,  per  fortuna,  non  la  odono  pronunciare.  E  neanche  giunge  a  loro 
l'altra  sentenza  che  vi  sta  in  contraddizione:  essi  hanno  fortemente 
sviluppato  l'istinto  di  «proprietà»,  l'egoismo.  Il  bambino  ha  invece  solo 
l'istinto  prepotente  di  «  crescere  »,  perciò  di  elevarsi,  di  perfezionarsi; 
egli,  in  ogni  periodo  di  vita,  ha  l'istinto  di  preparare  il  periodo  succes- 
sivo. Ciò  che  è  molto  più  semplice  a  capire,  degli  istinti  strani  che 
noi  vorremmo  calunniosamente  attribuirgli. 

Provate  a  lasciare  il  bambino  agire  da  sé:  egli  si  «  trasforma  ». 
Nella  Casa  dei  Bambini  «  Guerrieri  Gonzaga»,  bastò  dare  un  pettine, 
e  la  bambina  più  ribelle,  più  cattiva,  quella  che,  secondo  la  maestra 
«  aveva  bisogno  di  essere  domata  »,  dixentò  una  bambinella  graziosa 
e  vivace  che  pettinava  accuratamente  la  sue  compagne,  con  una  evi- 
dente felicità.  Bastò  dire  a  una  bambina  goffa  e  torpida  che  veniva 
avanti  tendendo  le  braccine  perchè  le  si  tirassero  su  le  maniche:  «  fallo 
da  te  »,  e  un  lampo  di  vivacità  brillò  nei  suoi  occhi,  un'espressione  di 
soddisfatto  orgoglio  e  di  sorpresa  illuminò  il  suo  viso  spento:  e  con  ^•era 
felicità  si  mise  a  tirarsi  su  le  maniche.  Data  loro  una  catinella  ed  un 
sapone,  con  quanta  cura  vuotavano  e  riponevano  il  recipiente  nel 
timore  di  romperlo;  e  come  vezzeggiavano  il  sapone,  appoggiandolo 
piano  piano!  Sembrava  che  fosse  stata  data  la  carica  a  una  macchina 
di  figure  moventi,  con  accompagnamento  di  musica  :  le  figure  erano 
i  fanciulli,  la  musica  era  la  loro  gioia. 

Essi,  lavorando  a  vestirsi,  spogliarsi,  lavarsi,  pettinarsi,  a  pulire 
e  a  rassettare  l'ambiente,  lavorano  se  stessi.  E  poiché  amano  tanto 
gli  oggetti  utili,  che  conserverebbero  per  anni  interi  anche  un  pez- 
zettino di  carta,  piuttosto  che  urtare  mobili,  rompere  oggetti,  essi 
perfezionano  i  loro  movimenti. 


LA    QUESTIONE    MORALE  223 


Ma  noi  ci  mettiamo  accanto  a  queste  vite  che  corrono  trionfalmente 
verso  la  loro  salvezza,  cerchiamo  di  avvincerle  a  noi,  malgrado  la  lotta 
che  si  è  iniziata  e  lo  spavento  che  abbiamo  già  provocato.  Noi  ci  met- 
tiamo dolcemente  accanto  a  loro  come  dei  seduttori:  e  poiché  il  bambino, 
quando  rompe  degli  oggetti  evidentemente  ^  ne  duole,  e  cercherebbe 
così  appunto  di  correggersi  e  di  perfezionarsi,  noi  gli  risparmiamo 
questo  dolore,  che  corrisponderebbe  a  una  specie  di  «  pentimento 
dei  muscoli  per  aver  peccato»,  e  gli  diamo  oggetti  infrangibili:  piatti, 
catinelle,  bicchieri  di  ferro;  i  giocattoli  di  stoffa:  dei  begli  orsetti;  le 
bambole  di  gomma.  Ecco  lì  oramai  il  «  peccato  »  nascosto.  Qualunque 
sbaglio  di  muscoli,  passerà  inosservato  al  bambino;  il  dolore  del  male 
fatto,  il  pentimento,  lo  sforzo  di  perfezionarsi,  egli  non  li  sentirà  più. 
Potrà  mettersi  a  giacere  nell'errore  ;  eccolo  lì,  goffo,  pesante,  senza 
espressione  sul  viso,  con  un  orsetto  tra  le  braccia.  Oramai  è  legato 
insieme  alla  vanità  e  all'errore;  e  ne  ha  perduta  la  coscienza. 

L'adulto  lo  circuisce  sempre  più  strettamente;  egli  fa  tutto  al 
bambino:  lo  veste,  perfino  lo  imbocca.  Ma  lo  scopo  del  bambino  non 
è  di  esser  vestito,  di  nutrirsi  materialmente  ;  il  suo  scopo  profondo  è 
di  «  fare  »,  di  esercitarsi  intelligentemente  e  così  salire  al  suo  piano 
superiore.  Con  che  sottile  insinuazione  l'adulto  cerca  di  confonderlo: 
tu  ti  sforzeresti,  e  perchè?  Per  essere  lavato?  Per  avere  indosso  il 
grembialino  ?  Tu  avrai  tutto  questo  senza  alcuno  sforzo.  Troverai 
tutto  fatto  con  maggiore  perfezione,  con  una  larghezza  infinitamente 
più  grande.  Tu,  senza  muJ-vere  dito,  avrai  cento  volte  di  più  di  quello 
che  potresti  fare  con  tutta  la  fatica  di  cui  sei  capace.  Non  avrai  più 
neanche  da  metterti  il  pane  in  bocca,  anche  quel  lavoro  ti  sarà  rispar- 
miato e  il  nutrimento  penetrerà  in  te  più  copioso. 

Il  diavolo  fu  meno  crudele  quando  tentò  Cristo  nel  deserto,  mo- 
strandogli tutti  i  regni  del  mondo  nella'  loro  magnificenza  :  «  Tutto 
questo  io  ti  darò  se  prostrato  mi  adorerai  ».  Ma  il  bambino  non  ha  la 
potenza  di  Cristo  nel  rispondere:  «Va  via,  Satana;  che  sta  scritto: 
Adora  il  Signore  Dio  tuo  e  servi  lui  solo  ».  Il  bambino  dovrebbe  ob- 
bedire a  Dio,  che  nella  natura  gli  ordina  l'azione  ;  e  dovrebbe  come  la 
vita,  conquistare  il  suo  mondo,  ma  nei  suoi  fini  d'elevazione,  non  nelle 
magnificenze  e  comodità  esterne.  Ma  tentato,  non  può  resistere.  E 
finisce  col  possedere  gli  oggetti,  le  cose  belle  e  fatte:  l'anima  sua  non 


224  parti:  prima 

progredisce:  il  fine  va  smarrito.  Ecco  là  il  bambino  goffo,  sballottati), 
inetto,  schiavo.  Quei  muscoli  incapaci,  sono  l'astuccio  di  un'anima 
prigioniera.  Egli  è  oppresso  assai  più  da  questa  inerzia  mortale,  che 
dalla  lotta  a  corpo  a  corpo  con  cui  iniziò  i  suoi  rapporti  con  l'adulto. 
Spesso  ha  degli  scatti  di  rabbia  come  il  peccatore;  egli  morde  l'orsetto 
che  non  può  rompere,  piange  disperatamente  quando  lo  lavano  e  lo  pet- 
tinano, e  si  ribella  e  si  dibatte  quando  lo  vestono.  I  movimenti  permessi 
dal  diavolo,  sono  solo  quelli  dell'ira.  Ma  gradualmente,  egli  si  deprime 
nell'impotenza.  Gli  adulti  dicono:  «  I  bambini  sono  ingrati:  essi  ancora 
non  posseggono  i  sentimenti  superiori;  amano  solo  il  proprio  benessere». 

Chi  non  ha  incontrato  delle  madri,  delle  bambinaie  pazienti, 
che  (I  sopportano  »  da  mattina  a  sera  quattro  o  cinque  bambini  incon- 
tentabili, i  quali  gridano  e  fanno  capricci  tra  i  loro  piatti  di  ferro  e 
le  bambole  di  pezza  ?  Sembra  che  esse  dicano  :  «  i  bambini  sono  così  »  : 
e  che  il  compatimento  benevolo  tenga  luogo  della  naturale  reazione 
d'impazienza.  Si  dice  di  queste  persone:  «  Come  sono  buone!  come 
sono  pazienti!  ». 

Ma  il  diavolo  ha  appunto  la  sua  pazienza  in  questo  :  nel  saper 
mirare  le  agonie  e  le  ribellioni  impotenti  delle  anime  che  sono  in  suo 
potere,  le  quali  giacciono  nella  vanità,  oppresse  da  una  grande  quan- 
tità di  mezzi,  dei  quali  hanno  perduto  il  fine  ;  nelle  quali  fu  spenta  la 
coscienza  del  peccato,  e  che  perciò  a  poco  a  poco  vanno  ingolfandosi 
nei  mortali  errori.  Egli  è  paziente  nel  mirarle,  nel  sopportare  le  loro 
grida;  —  e  porge  ancora  orsetti  e  bambole  di  gomma,  e  li  imbocca,  li 
infarcisce  cioè  sempre  più  di  nuove  vanità  mascheranti  gli  errori,  e 
nutrisce  il  loro  corpo. 

Chi,  preso  dal  dubbio,  chiedesse  di  quelle  madri  e  di  quelle  bam- 
binaie: «sono   veramente   buone?»  potrebbe   attingere   un'idea   dalla- 
risposta  del  Cristo:  «  un  solo  è  buono:  il  Padre  »  cioè  il  creatore.  La 
bontà  è  l'attributo  di  Dio.  Chi  crea  è  buono,  buona  è  solo  la  creazione. 
Così  è  buono  solo  chi  aiuta  la  creazione  a  raggiungere  i  suoi  fini. 


Ecco  la  scuola.  Le  idee  di  bontà  e  di  cattiveria  lì  devono  essere 
l>en  chiare;  perchè  quando  una  maestra  deve  uscire  di  classe,  chiama 
una  bambina  affinchè,  in  sua  assenza,  scriva  sulla  lavagna  i  nomi  delie 


LA    QUESTIONE    MORALE  225 


«  Buone  »  e  delle  «  Cattive  »,  in  due  colonne  contraddistinte  da  quei 
due  titoli  scritti  in  alto.  La  bambina  qualunque  che  è  stata  chiamata 
può  giudicare,  perchè  nulla  è  più  semplice  che  distinguere  la  bontà 
e  la  cattiveria  in  iscuola;  buoni  sono  quelli  zitti  e  fermi;  cattivi  sono 
quelli  che  parlano  e  si  muovono.  Le  conseguenze  del  giudizio  non  sono 
gravi.  La  maestra  metterà  delle  buone  o  delle  cattive  «note  in  condotta». 
Ciò  non  porta  conseguenze  disastrose;  è  solo,  si  potrebbe  dire,  qualche 
cosa  di  parallelo  al  giudizio  sociale  che  si  fa  sugli  uomini:  essi  sono 
di  buona  o  di  cattiva  condotta:  ma  ciò  non  riguarda  la  società;  non 
ne  vengono  né  gli  onori,  né  la  prigione.  È  una  sentenza,  semplicemente; 
un  giudizio.  Ma  da  questo  dipendono  la  «  stima  »,  e  anche  perfino 
r«  onore  ».  Cose  che  moralmente  hanno  un  grande  valore.  In  iscuola 
la  «  condotta  buona  »  é  l'inerzia,  la  «  cattiva  condotta  »  è  l'attività. 
La  «  stima  »  della  direttrice,  della  maestra,  delle  compagne:  cioè 
tutta  la  parte  «  morale  »,  si  potrebbe  dire,  del  premio  e  del  castigo, 
dipende  da  tale  sentenza.  Come  nella  società,  essa  non  ha  bisogno 
di  «  giudici  speciali  »,  di  «  autorità  »;  è  qualcosa  che  c^tutti  »  vedono 
e  giudicano:  è  il  vero  giudizio  morale  dell'ambiente:  infatti  è  la  bambina 
qualsiasi,  o  talvolta  è  l'inserviente  che  scrive  le  liste  sulla  lavagna. 
La  condotta  d'altronde  non  è  qualcosa  di  misterioso,  di  filosofico: 
essa  è  l'insieme  degli  atti  compiuti;  sono  i  fatti  stessi  della  vita,  acces- 
sibili a  tutti,  che  la  determinano.  E  tutti  possono  vederli  e  dare  la 
sentenza. 

In\'ece  ci  sono  dei  fatti  molto  più  gravi  le  cui  conseguenze  rica- 
dono sulla  collettività,  toccano  dei  principi  di  giustizia,  su  cui  tutti 
hanno  il  diritto  di  confidare:  e  perciò  occorrono  dei  «  giudici  autore- 
\oli  »  inappellabili:  una  specie  di  suprema  corte  di  cassazione  fatta 
alla  spiccia. 

Quando  in  un  esame,  dove  i  bambini  restando  seduti  uno  vicino 
all'altro  devono  dare  lì  per  lì  le  prove  di  ciò  che  hanno  imparato,  cioè 
consegnare  come  pegno  visibile  ed  accessibile  a  tutti  i  giudici,  quale 
\ero  e  proprio  incartamento  legale,  il  compito:  vale  a  dire  il  dettato, 
il  componimento,  il  problema:  allora  se  un  bambino  aiuta  un  altro, 
egh  non  è  più  soltanto  cattivo,  è  reo.  Perchè  non  solo  ha  spiegato 
un'attività,  ma  un'attività  che  andava  a  benefìcio  di  un  altro.  Il  ca- 
stigo può  essere  assai  grave  :  l'annullamento  dell'esame  ;  ciò  che  \uol 


22b  PARTE    PRIMA 

dire,  talvolta  la  perdita  di  un  anno  scolastico;  cioè  ripetere  l'anno, 
l'n  bambino  che  aiuta  un  altro  è  bravo;  ebbene,  egli  può  avere  per 
castigo  di  dover  tornare  a  far  l'esame  tra  molti  mesi  o  addirittura 
di  retrocedere  di  dodici  mesi  nella  sua  vita  e  ricominciare.  1  casi  sono 
tanti:  potrebbe  essere  che  la  famiglia  di  questo  bambino  bravo 
fosse  po\'era,  e  che  il  bambino  facesse  sforzi  per  riuscire  bene,  onde 
aiutare  presto  la  sua  famiglia  col  lavoro  proprio  infantile:  chissà 
come  la  comprensione  di  questo  stato  famigliare  può  toccare  il  cuore 
di  un  bambino?  Egli  ha  visto  nel  compagno  che  si  era  confuso,  forse 
un  altro  povero  nelle  sue  condizioni.  Quante  volte  una  lite  in  casa, 
il  cibo  non  sufficiente  fece  perdere  nell'agitazione  sul  letto  ore  e  ore 
di  sonno;  e  la  mattina  la  mente  era  confusa.  Forse  quel  compagno 
disgraziato  era  venuto  a  trovarsi  in  uno  di  questi  casi  proprio  alla 
vigilia  degli  esami. 

Bisogna  capire  certe  situazioni:  la  madre  a  casa  che  conta  i 
giorni  di  ogni  anno  scolastico  che  passa,  perchè  i  giorni  sono  altret- 
tanti sacrifizi;  ella  certo  all'esame  segue  il  figlio  col  cuore  in  ango- 
scia; il  suo  viso  sporgente  alla  finestra  quando  il  ragazzo  .già  vien  su 
da  lontano,  esprime  la  domanda:  come  è  andato?  Questo  quadro  era 
vivente  nel  cuore  del  bambino  bravo,  quando  aiutò  l'altro. 

Poteva,  veramente,  tener  tutto  per  sé,  perfezionare  il  proprio  la- 
\(jro,  o  consegnarlo  prima.  Perchè  giustizia  vuole  che  si  conti  a  mi- 
nuto, quasi  coi  cronometri  della  psicologia  sperimentale,  il  tempo  im- 
piegato a  fare  il  lavoro.  La  giustizia  è  rigorosa.  La  maestra  sul  compito 
consegnato  dal  bambino  scrive  l'ora:  consegnato  alle  10,32,  consegnato 
alle  11,5.  Se  due  lavori  hanno  presso  a  poco  un  valore  simile,  così 
che  non  si  potrebbe  proprio  giudicare  dal  contenuto  quale  è  migliore: 
ma  tutti  e  due  sono  al  di  sopra  di  tutti  gli  altri,  allora  si  presenta  un 
caso  difficile:  bisogna  determinare  qual'è  il  primo.  Fatto  di  immensa 
gravità,  perchè  c'è  il  premio.  Nel  dubbio  è  l'ora  che  decide.  Uno  fu 
consegnato  alle  10,30,  l'altro  alle  10,35.  ^  primo  è  quello  consegnato 
alle  10,30,  perchè  questo  bambino  ha  potuto  fare  un  lavoro  equivalente, 
impiegando  cinque  minuti  di  meno.  Da  che  può  qualche  volta  dipen- 
dere un  premio?  E  per  questo  che  occorre  grande  esattezza  nella  pre- 
parazione all'esame  per  un  bambino  diligente;  se  quei  due  erano  egual- 
mente bravi  e  egualmente  svelti:  ma  uno,  aveva  avuto  cura  di  pre- 


LA    QUESTIONE    MORALE  227 


pararsi  dei  pennini  buoni  e  dell'inchiostro  scorrevole  e  l'altro  no, 
ecco  che  per  una  negligenza  uno  ha  giocato  il  premio.  È  vero  che 
sono  i  genitori  e  non  i  bambini  a  dare  le  penne.  A  rigor  di  giustizia 
tutti  dovrebbero  aver  le  stesse  penne;  ma  così  si  entra  in  un  mare 
di  scrupoli  che  può  offuscare  la  giustizia.  No,  la  giustizia  deve. essere 
severa,  ma  senza  scrupoli.  Ora,  dicevo,  quel  bambino  bravo  che  ha 
aiutato  il  compagno,  ha  perso  tempo,  quindi  ha  perso  già  solo  per 
questo  una  parte  del  merito:  egli  dunque  si  è  «  sacrificato  »  per  un 
compagno. 

Tutte  le  considerazioni,  tutte  le  circostanze  attenuanti  non  var- 
rebbero ad  allontanare  il  flagello.  Le  condizioni  di  famiglia,  la  madre... 
nessuna  cosa  può  valere  innanzi  all'annullamento  di  un  esame.  Per- 
fino ai  grandi  delinquenti  si  contano  le  circostanze  attenuanti,  che 
diminuiscono  la  pena.  Ma  la  scuola  è  un'altra  cosa:  qui  si  tratta 
di  cose  precise:  c'è  stata  l'infiltrazione  di  uno  scolaro  in  un  altro,  e 
i  compiti  non  permettono  più  di  giudicare  i  bambini  individualmente. 
D'altronde  è  l'esame  la  prova  individuale.  Se  l'annullamento  è  nella 
sessione  d'esami  ultima,  bisogna  ripetere  l'anno:  e  quando  si  ripete, 
si  ripete  un  anno  intero.  Non  è  come  in  galera  dove  si  possono 
contare  anche  i  mesi  e  le  settimane.  Qui  l'unità  di  misura  è  l'anno 
scolastico.  E  poi  in  galera  è  un'altra  cosa:  là  si  tratta  di  delitti  che  pos- 
sono essere  collegati  a  forze  e  condizioni  irresistibili  a  fare  il  male... 
Ma  dal  bene,  chi  non  può  trattenersi?  Fare  il  bene  non  è  una  forza 
irresistibile,  in  nessun  caso. 

La  scuola,  del  resto,  per  ovviare  a  questi  inconvenienti,  educa  i 
bambini  a  «  trattenersi  »  dal  reciproco  aiuto  durante  tutto  l'anno.  Fa 
ancor  più:  impedisce  addirittura  ai  bambini  di  comunicare  tra  loro. 
Che  caccia!  La  maestra  abile,  pratica,  ha  una  vera  tattica  strategica;  e 
conosce  tutte  le  arti  infantili  in  questa  lotta  sorda  e  subdola.  Essi  sono 
"Capaci  di  tutto»  per  sostenersi  l'un  l'altro  e  per  comunicare  tra  loro. 
Se  il  «  suggerire  »  quando  uno  dice  la  lezione,  può  giungere  all'orec- 
chio della  maestra,  ecco  uno  scolaro,  che,  davanti  a  quello  che  de\e 
ripetere  la  lezione  tiene  attaccato  alle  spalle  il  libro  ove  l'altro  può 
leggere.  O  se  la  maestra,  furba,  fa  uscire  il  paziente  dai  banchi  per 
sottrarlo  ad  ogni  aiuto,  possono  essere  dei  segni  che  i  compagni  fanno, 
magari  con  l'alfabeto  manuale  dei  sordomuti.  Ma  ecco  che  la  maestra. 


J-'.^  parti:  prima 

con  la  scusa  della  la\  agna  fa  voltare  il  paziente  con  la  faccia  al  muro, 
ed  essa  guarda  la  scolaresca  con  occhi  di  brace.  Allora  il  paziente  è 
isolato.  A  una  maestra  brava  «  non  sfugge  niente  »;  essa  è  capace  di 
sorprendere  un  bigliettino  arrotolato  che  un  bambino  ha  fatto  scivo- 
lare sotto  il  banco  di  un  altro:  e  magari  sequestra  una  carta  asciugante 
che  due  bambini  si  scambiano  con  la  scusa  di  servirsene,  mentre  sopra 
ci  hanno  scritto. 

E  per  questo  che  i  banchi  ben  fatti  devono  essere  scoperti  davanti, 
perchè  altrimenti  sotto  è  troppo  facile  farsi  passare  degli  oggetti  :  ma 
con  dei  banchi  non  solo  igienici,  ma  anche  «morali»,  riescono  diffìcil- 
mente questi  sotterfugi. 

Veramente  questi  banchi  senza  copertura  anteriore,  servono  anche  per 
sorvegliare  proprio  dal  lato  veramente  morale  gli  scolari  :  perchè,  sempre 
seduti,  messi  uno  vicino  all'altro  senza  possibilità  di  comunicazioni  spiri- 
tuali, con  la  testa  stordita  dal  continuo  vociare  del  maestro,  accade  spesso 
che  delle  abitudini  viziose,  come  l'onanismo,  si  originino  proprio  in  iscuola. 
Se  ne  parla  meno  apertamente  che  della  scoliosi,  della  miopia,  del  surmé- 
nage, ma  è  un  fatto  constatato  da  lungo  tempo  :  assai  prima  che  la  scienza 
fosse  penetrata  a  studiare  i  mali  della  scuola.  La  sedentarietà  rende  dif- 
fic  le  la  circolazione  nel  bacino,  e  provoca  delle  stasi  sanguigne  ;  d'altronde, 
quale  altro  sfogo  alle  forze  nervose?...  E  la  cosa  si  propaga  spavente- 
volmente. 

Ma  il  banco  aperto,  non  permette  sotterfugi.  Tutte  le  cure  «  morali  » 
combattenti  gli  abusi,  sono  in  fiore  nella  scuola.  Nelle  scuole  di  Roma,  per 
esempio,  l'ordine  e  la  sorveglianza  sono  così  perfetti,  che  non  è  permesso  ai 
bambini  nemm.eno  di  andare  al  gabinetto.  Si  sa,  questo  «  gabinetto  »  di  qual 
disordine  era  causa  !  Se  un  bambino  era  stanco  di  star  seduto  o  di  ascol- 
tare il  maestro,  chiedeva  di  uscire:  egli  era  capace  di  restare  veramente 
chiuso  nel  gabinetto  del  tempo  per  sollevarsi  un  po'  lo  spirito  in  un  luogo 
migliore  di  quello  donde  usciva,  perchè  nel  corridoio  uno  scolaro  non  può 
soggiornare  :  le  custodi  sorvegliano  continuamente.  Ma  era  divenuto  un  tale 
abuso  questo  del  «  gabinetto  »,  che  si  è  pensato  di  rimediarvi.  Oggi  si  è  calco- 
lato presso  a  poco  il  tempo  fisiologico,  e  a  orario  stabilito,  tutta  la  scolaresca 
intiera,  accompagnata  dalla  maestra,  in  fila  a  due  per  due,  marciante  a 
tempo  come  i  soldati  alle  manovre,  va  a  sfilare  davanti  ai  gabinetti.  I  bam- 
bini dalla  prima  fila  in  giù  entrano  successivamente  e  gh  altri,  fermi,  con- 
tinuano però  sempre  a  segnare  il  passo:  i  bambini  a  mano  a  mano  che 
escono  dal  gabinetto,  si  rimettono  in  fila  e  riprendono  anche  essi  coi  com- 


X.   -   LA    QUESTIONE    MORALE  229 

pagni  a  segnare  il  passo.  Sembra,  a  vederla,  una  mossa  adatta  alla  circo- 
stanza. Non  parliamo  dello  stato  in  cui  troveranno  il  gabinetto  gli  ultimi 
della  fila  di  quaranta  o  cinquanta  bambini,  che  non  sono  entrati  per  finta, 
perchè  era  stato  calcolato  il  «  tempo  fisiologico  »;  e  non  domandiamoci  dove 
s'è  nascosta  l'igiene.  Guardiamo  «  di  fuori  »  i  gabinetti  :  una  porticina  che 
lascia  un  grande  spazio  in  basso  e  un  grande  spazio  in  alto;  così  il  pudore, 
ma  nel  tempo  stesso  anche  la  morale,  sono  salve  :  lì  dentro  non  si  può  fare 
altro  che  il  proprio  dovere.  Piiì  modernamente  però,  i  cessi  delle  scuole  si 
fanno  senza  sedili;  col  foro  in  terra,  per  evitare  i  contatti  e  salvare  l'igiene: 
la  posizione  incomoda  non  permette  un  soggiorno  superiore  alla  vera  neces- 
sità. Sembra  che  sia  il  miglior  modo  pratico  di  impianto  di  questo  genere, 
pi'i  dormitori  pubblici,  pei  ricoveri  di  mendicità  e  per  le  scuole. 


La  scuola  è  il  luogo  dove  si  sviluppa  il  «  sentimento  sociale  »: 
è  la  società  del  bambino.  Veramente  non  è  la  scuola  in  sé  stessa  né 

0 

la  convivenza,  ma  è  l'educazione  che  vi  si  dà  nel  modo  descritto  che 
deve  sviluppare  questo  sentimento.  Perchè  quando  il  mio  metodo 
fu  conosciuto,  benché  io  vi  pariassi  di  luoghi  ove  i  bambini  convivono 
piacevolmente  e  lavorano,  mi  fu  chiesto  con  tono  critico:  «  e  come 
si  svilupperà  il  sentimento  sociale,  se  i  bambini  lavorano  ciascuno 
per  proprio  conto?  ».  È  dunque  quella  irreggimentazione  ove  i  bambini 
fanno  tutte  le  cose  allo  stesso  tempo,  persino  l'andare  al  gabinetto, 
che  deve  sviluppare  il  «  sentimento  »  sociale.  La  società  dei  bambini 
é  fatta  a  rovescio  di  quella  comune:  qui  la  socievolezza  comporta 
dei  liberi  e  corretti  rapporti  di  cortesia  e  di  aiuto  reciproco,  benché 
ciascuno  faccia  i  propri  affari:  lì  invece  la  socievolezza  comporta  la 
comunanza  di  posizioni  del  corpo  e  di  atti  uniformi  collettivi,  ma  con 
l'abolizione  di  ogni  rapporto  piacevole  o  cortese:  l'aiuto  poi,  che  nel- 
l'altra società  è  una  virtù,  qui  è  il  maggior  delitto,  la  peggiore  forma 
d'indisciplina. 

I  moderni  metodi  d'insegnamento  raccomandano  alla  maestra  di 
tìnire  ogni  lezione  con  la  morale,  come  nelle  favole  antiche.  Si  tratti 
di  una  lezione  sugli  uccelli,  sul  burro  o  sui  triangoli,  tutte  devono 
finire  in  morale.  «La  maestra  non  si  lasci  sfuggire  occasione...  »  3Ì 
raccomanda:  «  moralizzare  è  il  vero  scopo  della  scuola  ». 


230  parti:  prima 

Quello  dell'aiuto  reciproco  ò  il  ritornello  principale;  perchè  tutte 
lo  morali  hanno  come  kit  moti/,  di  «  amarsi  gli  uni  con  gli  altri  », 
così  anche  la  morale  della  scuola.  Per  esortare  i  bambini  ad  aiu- 
tarsi, a  volersi  bene,  la  maestra  seguirà  forse  un  metodo  psicologico 
in  tre  tempi  distinguendo  le  percezioni,  le  associazioni  e  il  volere; 
o\\ero  seguirà  il  metodo  della  causa  collegata  agli  effetti:  questo  a 
suo  piacimento;  ma  sempre  trattenendo  la  classe  in  quella  «  disciplina  » 
e  in  quella  «  bontà  »  che  formano  la  sua  essenziale  costituzione. 

Quello  però  che  rappresenta  un  validissimo  aiuto  a  sostenere 
l'organismo  cducati\o  della  scuola,  sono  i  premi  ed  i  castighi. 

I  pedagogisti  ne  fanno  un  caposaldo  delle  loro  trattazioni.  Tutti 
più  o  meno  ammettono  la  necessità  di  uno  stimolo  esterno  per  spin- 
gere i  ragazzi  di  scuola  a  studiare  e  a  tenere  una  buona  condotta; 
benché  alcuni  siano  di  parere  che  sarebbe  giusto  istillare  nel  bam- 
bino l'amore  del  bene  per  il  bene,  e  che  il  sentimento  del  dovere 
e  non  il  timore  del  castigo  dovrebbe  trattenere  dal  male.  Opinione 
questa  da  tutti  riconosciuta  nobile,  ma  non  pratica.  Immaginare  che 
il  bambino  possa  essere  animato  al  lavoro  dal  solo  sentimento  di  dover 
compiere  il  proprio  dovere,  è  un  «  assurdo  pedagogico  »;  né  è  suppo- 
nibile che  il  bambino  possa  permanere  sulla  via  del  lavoro  e  del  bene, 
solo  in  vista  di  un  fine  lontano,  quale  sarebbe  la  bella  posizione  sociale 
che  un  giorno  potrà  conquistare  nel  mondo,  studiando.  Occorre  uno 
stimolo  diretto,  una  sanzione  immediata.  Si  potranno,  è  vero,  «  at- 
tenuare »  i  castighi  e  render  meno  vistose  le  premiazioni,  ciò  che  si  fa 
generalmente.  Infatti  non  ci  sono  più  in  iscuola  le  fustigazioni  e  i 
castighi  corporali  che  fino  a  non  molto  tempo  fa  esistevano  come  con- 
suetudine nelle  carceri,  nei  manicomi  e  nelle  scuole;  oggi  i  castighi 
sono  tenui:  cattivi  voti,  rimproveri,  rapporti  in  famiglia,  sospensioni 
dalla  scuola.  E  così  sono  anche  state  abolite  le  premiazioni  solenni,  ove 
gli  scolari  salivano,  come  in  trionfo,  il  palco  delle  premiazioni  per  acco- 
gliere dalle  mani  delle  personalità  più  illustri  e  nobili  del  paese  il  premio, 
accompagnato  dalle  loro  gentih  parole  di  incoraggiamento,  mentre  il  pub- 
blico, formato  per  lo  più  dai  genitori  commossi  e  orgogliosi  dei  loro  fi- 
gliuoli, aveva  mormorii  di  ammirazione  e  di  consenso:  oggi  tutte  queste 
superfluità  sono  abolite;  si  consegna  il  premio,  l'oggetto,  così,  puramente 
e  semplicemente,  in  un'anticamera  della  scuola,  alla  presenza   delle 


LA    QUESTIONI-;    MORALE 


bidelle.  Purché  il  ragazzo  abbia  l'oggetto  meritato:  questo  è  l'impor- 
tante. Anche  le  medaglie  con  cui  gli  scolari  potevano  fregiarsi  il  petto, 
sono  state  abolite:  il  premio  è  un  libro,  un  oggetto  utile.  Anche  in  iscuola 
è  entrato  un  senso  di  praticità.  Forse  tra  poco  si  darà  ai  bravi  una  sa- 
ponetta, o  il  taglio  di  un  grembiule,  così  a  quattr'occhi. 

Ma  il  premio  ci  deve  essere. 

Nessuno  però,  tra  le  tante  discussioni  dei  pedagogisti  e  tra  le 
evoluzioni  dei  castighi  e  dei  premi,  si  è  domandato  che  cosa  è  il  bene 
che  si  premia  e  che  cosa  è  il  male  che  si  castiga;  se,  prima  di  stimolare 
i  fanciulli  ad  un'impresa,  convenga  dare  un'occhiata  all'impresa  stessa 
e  giudicarne  il  valore. 

Oramai  gli  studi  positivi  sulla  scuola  danno  una  luce  sufficiente 
per  costruire  un  nuovo  piedestallo  alla  vecchia  questione.  È  bene  al- 
lettare i  bambini  con  un  premio,  per  ispingerli  all'esaurimento  del  si- 
stema nervoso,  alla  miopia?  Ed  è  bene  arrestarli  col  castigo  quando 
essi,  presi  da  un  istintivo  slancio  di  salvazione,  cercano  di  sfuggire 
ai  pericoli?  Oramai  tutti  sanno  che  i  «premiati»  delle  scuole  elementari, 
sono  i  mediocri  scolari  del  ginnasio;  e  i  premiati  del  ginnasio  sono  gli 
esauriti  del  liceo;  e  i  sempre  premiati  sono  poi  facilmente  i  vinti 
della  vita  sociale. 

Sapendo  ciò,  è  utile  spingere  da  un  lato,  respingere  dall'altro, 
affinchè  i  bambini  rimangano  proprio  fermi  in  quel  punto  della  perdi- 
zione? Non  basterebbero  già  i  pericoli  della  scuola  senza  aggiungervi  gli 
stimoli  per  gettarvisi  dentro  con  tutte  le  proprie  energie  ?  Sono  stati 
fatti  in  questi  ultimi  tempi  i  più  interessanti  studi  tra  scolari,  bravi  e 
non  bravi,  premiati  e  castigati.  Alcuni  antropologi  un  po'  ingenui  nella 
scienza,  hanno  studiato  la  questione  in  così  buona  fede,  che  si  sono  per- 
fino proposti  di  cercare  se  i  bambini  più  bravi  premiati  avessero  delle 
stigme  di  superiorità  morfologica,  i  segni  congeniti  di  un  privilegio  della 
natura,  un  cervello  più  sviluppato  della  mediocrità.  Invece  le  note 
antropologiche  rivelarono  in  essi  una  inferiorità  fìsica  :  cioè  minore 
statura  e  specialmente  una  scarsità  impressionante  del  perimetro  tora- 
cico. Nella  testa  non  c'erano  differenze  che  li  distinguesse  dagli  scolari 
meno  bravi  :  molti  dei  bravi  portavano  gH  occhiali. 

Allora  si  vide  più  chiaramente  il  quadro  della  vita  di  un  bambino 
rhe  fa  dihgentemente  tutti  i  compiti  con  quella  paura  degli  sbagli,  che 


2,^2  PARTI-:    PKIMA 

può  di\enlare  angosciosa  ;  e  che  studia  tutte  le  lezioni,  privandosi 
necessariamente,  per  far  ciò.  di  una  passeggiata,  di  uno  svago,  di 
qualche  ora  di  riposo.  Ossessionato  dall'ansietà  di  essere  il  primo,  o 
mosso  perfino  dalle  illusioni  di  una  vita  avvenire  più  brillante  di 
quella  dei  compagni,  animato  dalle  lodi  e  dai  prenii  che  gli  fanno  cre- 
dere di  essere  una  «  speranza  della  patria  »,  la  «  consolazione  dei  geni- 
tori »;  così,  come  stordito  da  una  visione  favolosa,  egli  precipita  nel- 
l'impotenza avvenire.  Invece  i  negligenti  hanno  un  perimetro  toracico 
bene  sviluppato,  e  sono  i  ragazzi  più  allegri  della  classe. 

Altri  tipi  di  scolari  «  bravi  »  sono  quelli  aiutati  in  casa  da  ripe- 
titori o  da  madri  istruite  che  si  dedicano  a  loro  ;  e  altri  tipi  di  scolari 
non  bravi,  castigati,  sono  quelli  di  poveri  bambini  che  non  hanno  una 
casa  ospitale,  che  restano  abbandonati  a  sé,  talvolta  in  istrada;  o  per- 
fino che  già  lavorano  per  guadagnarsi  il  pane  nelle  prime  ore  del  mat- 
tino, prima  di  venire  a  scuola.  In  una  inchiesta  che  io  feci,  i  bambini 
lodati,  passati  senza  esame,  stavano  nella  categoria  di  quelli  che  por- 
tavano colazioni  abbondanti;  i  bambini  castigati,  gli  ultimi  della  classe, 
tra  quelli  senza  colazione  o  con  solo  pane. 

Non  è  a  dire  che  in  tal  modo  sia  esaurita  l'enumerazione  delle 
cause  che  contribuiscono  al  duplice  fenomeno  in  rapporto  coi  premi 
e  i  castighi;  ma  è  stata  certo  aperta  una  via  ben  chiara  e  ben  trac- 
ciata per  la  comprensione  dei  fatti. 

Il  premio  ed  il  castigo  non  sono  soltanto  un  episodio  tinaie,  ma  sono 
un  esponente  della  organizzazione  morale  della  scuola.  Come  l'annulla- 
mento dell'esame  di  chi  ha  aiutato  un  compagno,  non  è  che  l'episodio 
estremo  di  una  «  educazione  »  consueta  tendente  a  isolare  nell'egoi- 
smo ;  così  il  premio  e  il  castigo  sono  gli  estremi  episodi  di  un  prin- 
cipio costante  che  sostiene  l'organismo  della  scuola;  l'emulazione. 
Il  principio  è  che  i  bambini  i  quali  vedono  altri  più  bravi  di  loro, 
che  raccolgono  alte  votazioni,  lodi  e  premi,  sono  eccitati  a  imitarli, 
a  far  meglio,  a  raggiungerli.  Così  nasce  quasi  un  meccanismo  che  ele\a 
tutta  la  scuola,  non  solo  verso  il  lavoro,  ma  verso  lo  «sforzo».  C'è  lo 
scopo  morale  di  abituare  i  bambini  a  «  soffrire  ». 

Prendiamo  un  esempio  di  questa  emulazione.  Quando  il  medico 
osservatore  fece  il  suo  ingresso  nella  scuola,  la  sua  attenzione  venne 
richiamata  sugli  organi  di  senso,  ed  egli  trovò  molti  sordastri  tra  i 


X.   -  LA   QUESTIONE    MORALE  233 


bambini.  Costoro,  intendendo  meno,  avevano  un'apparenza  meno  in- 
telligente (Jegli  udenti  ed  erano  stati  messi  per  «  castigo  »  negli  ultimi 
banchi  in  fondo  alla  sala.  Essi  spesso  erano  ripetenti  perchè  non  avevano 
mai  imparato  a  scrivere  «  sotto  dettato  »,  e  facevano  degli  errori  in- 
credibili, imperdonabili.  L'emulazione  e  il  castigo  erano  stati  impo- 
tenti; neanche  relegato  alla  massima  distanza  dal  maestro  che  parla,  il 
sordo  si  era  corretto.  E  così  si  trovarono  bambini  coreici,  puniti  ri- 
petutamente affinchè  stessero  fermi:  esortati  invano  a  imitare  quelli 
tra  i  compagni  che  serbavano  una  condotta  esemplare.  Una  grandissima 
quantità  di  scolari  afflitti  dalle  glandule  adenoidi,  che  perciò  respira- 
vano con  la  bocca  e  non  erano  capaci  di  prestare  attenzione,  riporta- 
vano pessime  votazioni  e  castighi  perchè  non  stavano  mai  attenti; 
mentre  quel  difetto  di  tenere  la  bocca  aperta  era  invano  combattuto 
dalla  solerte  ed  amorevole  maestra,  che  moltiplicava  i  raccontini 
morali  sulla  bruttezza  dei  bambini  che  stanno  a  bocca  aperta  e  magari 
col  dito  in  bocca. 

Molti  dei  bambini  pigri,  che  non  volevano  far  la  ginnastica  come  gli 
altri,  che  avrebbero  preteso  di  fermarsi  dando  così  un  pessimo  esempio 
che  poteva  essere  imitato,  furono  riconosciuti  affetti  da  vizi  cardiaci,  da 
anemie,  da  mali  di  fegato.  Uno  poi  degli  esempi  più  brillanti  di  emu- 
lazione è  quello  delle  gare  ginnastiche:  gare  di  resistenza  e  gare  di  velo- 
cità. I  ragazzi  sono  spinti  a  rimanere  nell'esercizio  il  maggior  tempo 
possibile:  ovvero  a  percorrere  uno  spazio  nel  minor  tempo  possibile;  qui 
lo  sforzo  è  la  base  dell'esercizio.  Ora  gli  studi  antropologici  hanno 
rivelato  come  vi  siano  due  tipi  principali  di  costituzione:  uno  nel  quale 
prevale  il  busto  e  uno  nel  quale  prevalgono  le  gambe.  Là  dove  il  busto 
è  molto  sviluppato  e  i  polmoni  e  il  cuore  sono  ampi,  è  possibile  la  le- 
sistenza  più  che  l'agilità;  il  contrario  avviene  per  l'opposto  tipo  ove, 
per  la  lunghezza  delle  gambe  e  la  leggerezza  del  busto,  è  invece  l'agilità 
che  prevale.  Nessuna  emulazione  potrà  cambiare  l'un  tipo  nell'altro. 
Lo  studio  morfologico  del  bambino,  il  cui  corpo  si  trasforma  a  traverso 
le  età,  esso  dovrebbe  essere  base  per  l'organizzazione, di  esercizi  ginna- 
stici, quando  questi  si  volessero  imporre:  non  già  l'emulazione.  Ciò 
che  è  fondato  sul  corpo,  come  costituzione  o  come  malattia,  deve  es- 
sere considerato  nel  corpo.  Non  sarà  un  sentimento  di  emulazione  che 
potrà  fare  il  miracolo. 


2J4  PARTI-     PRIMA 

Questo  pregiudizio  dell'emulazione  è  così  radicato,  che  quando  io, 
nel  i8q8.  cominciai  in  Italia  la  mia  battaglia  perchè  sorgessero  delle 
classi  aggiunte  per  fanciulli  deficienti  annesse  alle  scuole  elementari, 
mi  fu  contrapposto  il  principio  dell'emulazione:  i  fanciulli  deficienti 
non  rice\-eranno  più  aiuto  dall'esempio  dei  bambini  bravi  e  studiosi; 
e  abolita  tra  loro,  già  tanto  deboli,  l'emulazione,  non  faranno' addirit- 
tura più  niente. 

Ma  l'emulazione  può  venire  solo  tra  forze  pari.  Quando  si  fanno 
le  "  gare  »  si  devono  scegliere  i  «  campioni  ».  Per  un  deficiente  l'esempio 
del  bambino  bravo  è  solo  umiliante:  la  sua  inferiorità,  la  sua  impotenza 
gli  sono  continuamente  rinfacciate  da  quella  vita  vittoriosa.  Egli 
giace  disanimato,  tanto  più  che  la  maestra,  piena  di  zelo,  lo  rimpro- 
vera e  lo  castiga  per  la  sua  miseria  e  gli  addita  il  radioso  esempio  del 
forte.  Uno  spiraglio  di  luce,  un  filo  di  speranza  sarebbe  per  lui  quello 
di  intravvedere  la  possibilità  di  fare  qualche  cosa  nei  limiti  delle 
proprie  forze,  che  però  avesse  un  valore;  di  penetrare  in  un  luogo  dove 
potesse  anche  egli  competere  con  qualcuno  ed  essere  incoraggiato. 
Allora  sarebbe  come  gli  altri,  si  sentirebbe  animato,  confortato:  e 
il  misero  fiore  che  è  in  lui  potrebbe  espandersi.  Egli  ha  molto,  molto 
più  bisogno  d'incoraggiamento,  di  conforto,  di  stimoli  esterni  eccitanti 
all'attività,  che  non  il  ragazzo  normale. 

E  del  ragazzo  normale,  del  bravo,  di  colui  che  è  di  esempio  agli 
inferiori,  che  cosa  succede?  Di  chi  egli  si  fa  enmlo?  Chi  lo  trae 
dietro  a  sé  perchè  salisca?  Se  tutti  hanno  bisogno  di  essere  tirati 
su,  per  salire,  chi  tira  cohii  che  sta  a  capo?  Questa  volta  la  que- 
stione si  sposta.  È  a  tergo  che  egli  vien  tirato.  Ecco  il  tipo  beatis- 
simo di  chi  si  fa  emulo  degli  inferiori.  Questo  mi  fa  pensare  a  una 
gara  descritta  dal  Voisin  che  veniva  organizzata  da  un  imbecille 
del  suo  ospizio.  Questo  ragazzo  che  era  molto  alto,  andava  a  sce- 
gliersi tra  gli  idioti  i  ragazzi  più  bassi  di  statura,  gli  infantili,  e  poi 
istigava  tutti  alla  corsa  :  egli  arrivava  sempre  il  primo  e  ne  era 
beato.  Tuttavia  questo  non  è  un  esempio  limitato  all'ospizio  del  Voisin, 
ma  è  V attitudine  morale  di  tutti  i  forti  che  sono  pigri,  ma  ambiziosi; 
e  vogliono  sopraffare  gli  altri,  senza  troppa  fatica,  senza  perfezionarsi, 
contando  molto  sui  fenomeni  di  contrasto.  Ecco  un  facile  parlatore, 
che  cerca  di  farsi  precedere  da  un  oratore  infelice.  Così  fanno  le  ragazze 


LA    QUESTIONE    MORALE  235 


belle  che  non  hanno  mezzi  per  adornarsi  e  quindi  per  far  risaltare  la  loro 
bellezza;  esse  vanno  sempre  insieme  alle  amiche  più  brutte. 

Io  lessi  una  volta  una  graziosa  favola,  che  era  evidentemente  la 
parodia  di  questo  fenomeno.  C'era  un  re  che  aveva  un  naso  tanto 
lungo  da  essere  addirittura  ridicolo;  quando  un  re  vicino  gli  an- 
nunziò la  sua  visita,  egli  ne  fu  profondamente  turbato,  perchè  si 
vergognava  di  mostrare  il  suo  difetto  a  un  popolo  vicino.  Allora  il 
primo  ministro  ideò  un  espediente  ed  espose  al  re  questo  progetto  pra- 
tico: «  Maestà,  fate  ritirare  per  la  circostanza  la  vostra  nobile  corte, 
io  farò  cercare  in  tutto  il  regno  gli  uomini  che  hanno  il  naso  più  spet- 
tacoloso e  per  la  circostanza  essi  saranno  la  vostra  corte».  Infatti 
così  si  fece:  e  vennero  rintracciati  tali  nasi  che  quello  del  re  sembrava 
al  confronto  un  nasino  molto  conveniente.  Così  il  collega  augusto 
si  accorse  che  c'era  una  corte  dei  nasi,  ma  non  rilevò  che  ci  fosse 
un  re  nasuto. 

Queste,  dalla  gara  degl'imbecilli  alla  corte  dei  nasi,  son  cose  che 
fanno  sorridere:  ma  non  così  le  gare  morali  dei  nostri  bambini.  I  fan- 
ciulli sani,  che  accanto  ai  sordi,  ai  malati,  ai  deficienti,  sentono  solo  di 
esser  «superiori»;  i  bambini  fortunati  che  una  madre  colta  può  aiutare, 
i  quali  vicino  a  fanciulli  poveri,  infelici  e  abbandonati,  sentono  soltanto 
di  servire  ad  essi  d'esempio;  i  ragazzi  ben  nutriti,  riposati  da  un  lungo 
sonno  nei  loro  letti  soffici,  che  messi  vicino  a  piccoli  e  commoventi 
operai  i  quali  si  alzara^o  prima  del  sole  per  andare  a  vendere  i  giornali,  a 
portare  il  latte  nelle  case,  e  giunsero  a  scuola  stanchi,  sentono  di  esser 
«  migliori  »  di  costoro,  e  di  servire  loro  da  «  stimolo  >>  per  «  far  meglio  »; 
tutti  questi  fanciulli  normali  sono  sviati  moralmente.  Essi  vengono 
sedotti  affinchè  abbraccino  inconsci  l'ingiustizia.  Essi  vengono  ingannati. 
Non  sono  i  migliori,  sono  i  più  fortunati;  e  il  loro  cuore  buono  dovrebbe 
essere  portato  a  riconoscere  la  verità:  a  compatire  i  malati,  a  conso- 
lare gli  sventurati,  ad  ammirare  gli  eroi.  Essi  non  hanno  colpa  se, 
invece  di  tutto  questo,  nel  cuor  loro  germinano  la  vanità,  l'ambizione 
e  l'errore. 

E  vero  che  la  maestra  educa  i  loro  cuori  appunto  così:  facendo 
pensare  ai  bambini  malati,  infelici  ed  eroici,  a  mezzo  di  raccontini  mo- 
rali che  tutti  indistintamente  imparano  allo  stesso  modo.  Essa  illustra 
con  enfasi  ciascuno  dei  buoni  sentimenti  dell'uomo.   Ma  non  mai  si 


-2jO  PARTI-     PRIMA 

ptMisa  che  i  malati,  gli  infelici,  gli  eroi  sono  lì,  perchè  lì  nella  scuola 
\aiin()  tutti  i  hanihiiii:  essi  però  non  possono  comunicare  tra  loro  e 
conoscersi  ;  e  così  questi  soggetti  realmente  presenti  si  distinguono 
solo  perchè  raccolgono  tutte  le  sgridate,  tutti  i  castighi,  tutte  le  umiha- 
zioni,  mentre  i  fortunati  li  sopraffanno  pavoneggiandosi,  col  loro  esem- 
pio, e  raccogliendo  premi  e  lodi,  ma  perdendo  l'anima. 

In  questa  confusione  morale  ove  «  fu  perduta  la  vista  di  Dio  » 
come  all'inferno,  quale  forte  è  spinto  a  svolgere  tutte  le  sue  attività 
preziose,  a  coltivare  il  proprio  cuore  ?  Tutti  si  perdono:  i  forti  come 
i  deboli  ;  rari  sono  coloro  che  posseggono  intimamente  un  istinto  ve- 
ramente capace  di  salvarli,  che  non  cedono  alle  tentazioni  dei  premi, 
alle  minacce  dei  castighi,  alle  suggestioni  continue  delle  emulazioni  e 
delle  subdole  lotte,  ma  escono  di  là  con  le  forze  ancora  intatte,  e  col 
cuore  puro,  sensibile  ai  fatti  grandi  dell'umanità.  Che  passarono  senza 
essere  tocchi  da  quelle  vane  glorie  e  da  quelle  persecuzioni,  e  si  in- 
camminarono sulla  via  di  una  vita  produttiva  che  attinge  il  bello  ed 
il  bene  da  energie  interiori  ed  è  sensibile  alla  verità:  essi  sono  salutati 
come  uomini  di  genio,  come  i  benefattori  del  genere  umano. 


Quando  si  va  ad  analizzare  positivamente  il  bene  e  il  male,  si 
sente  che  nella  realtà  molto  del  «  male  »  che  teoricamente  si  deplora 
negli  individui,  si  va  dissolvendo  tra  le  cause  esteriori.  La  deprava- 
zione del  volgo  si  dissolve  tra  il  pauperismo  e  l'alcoolismo;  il  delitto, 
tra  la  degenerazione;  le  colpe  dei  bambini  e  degli  scolari,  tra  le 
tenebre  del  pregiudizio.  Ma  essendo  queste  cause  non  assolute,  non 
immobili,  bensì  relative  a  stati  transitori  che  si  possono  rimuovere, 
l'antica  contemplazione  filosofica  del  male  si  risolve  in  parte  in  altret- 
tante questioni  ed  azioni  sociali.  Dare  lavoro,  combattere  l'alcoolismo, 
questo  è  che,  togliendo  tante  cause  di  male,  apporta  un  gran  contri- 
buto alla  moralità.  Tentare  la  rigenerazione  e  la  educazione  dei  de- 
generati, è  combattere  la  criminalità  e  perciò  moralizzare. 

Così,  se  nella  scuola  le  tenebre  più  fìtte  del  pregiudizio  sono  causa 
di  tante  immoralità,  riformare  la  scuola  su  principi  naturali,  ecco  il 
primo  passo  per  contribuire  alla  sua  moralizzazione. 


I 


LA   QUESTIONE    MORALE  237 


Questo  dunque,  e  non  le  analitiche  questioni  sui  premi  e  castighi 
e  sull'emulazione,  o  sulla  maniera  più  opportuna  e  pratica  di  insegnare 
i  principi  morali,  o  sulla  creazione  di  nuovi  decaloghi,  può  affrontare 
la  grande  questione.  Quello  che  finora  abbiamo  considerato  sì  legger- 
mente come  un  problema  didattico,  è  invece  una  vera  e  grande  que- 
stione  sociale. 

Quando  un  problema  morale  si  limita  agli  effetti  di  cause  correg- 
gibili, esso  non  è  che  apparente.  Così,  per  esempio,  immaginiamo  un 
momento  un  quartiere  popolare,  ove  il  pauperismo  infierisce,  e  i  poveri 
facilmente  vengono  a  risse  per  un  pezzo  di  pane;  ove  il  sudiciume, 
le  osterie,  l'abbandono  civile  degradano:  e  tutti,  uomini  e  donne,  ca- 
dono facilmente  nel  vizio.  Noi  di  questa  gente  abbiamo  sul  momento 
una  sola  impressione:  «  che  gente  cattiva!  »  Invece  supponiamo  un 
quartiere  moderno  di  una  città  laboriosa,  ove  le  case  popolari  sono 
igieniche,  gli  operai  hanno  un'equa  retribuzione  del  loro  lavoro,  dove 
i  teatri  popolari  tenuti  con  vero  senso  di  arte  hanno  sostituito  le  osterie; 
ed  entriamo  nella  trattoria  ove  gli  operai  prendono  i  loro  pasti  tranquilla- 
mente, educatamente;  noi  siamo  portati  a  dire:  «  che  buona  gente!  «. 
Ma  sono  veramente  essi  diventati  buoni?  Buoni  furono  coloro  che  mi- 
gliorarono le  condizioni  sociali.  Ma  gli  individui  che  ne  usufruiscono 
«vivono  meglio»,  e  non  sono,  a  rigor  di  termine,  «piìi  meritevoli  »  in 
senso  morale. 

Se  così  fosse,  basterebbe  immaginare  una  società  ove  il  pi-oblema 
economico  fosse  risolto,  ed  ecco  uomini  «  morali  »  solo  per  esser  nati 
in  altri  tempi.  Evidentemente  la  questione  «  morale  »  è  diversa;  è  una 
questione  di  vita,  una  questione  di  «  natura  »,  e  non  può  essere  mutata 
da  eventualità  esterne.  Gli  uomini  potranno  essere  più  o  meno  fortunati, 
potranno  nascere  in  ambienti  più  o  meno  civili,  ma  saranno  sempre 
uomini  aventi  innanzi  una  «  questione  morale  »,  che  è  profonda  al  di 
là  della  fortuna  e  della  civiltà. 

È  facile  persuadersi  che  la  creduta  «  cattiveria  »  dei  fanciulli  è 
la  espressione  di  una  «lotta  per  l'esistenza  spirituale»:  essi  vogliono 
far  \'ivere  l'uomo  interiore  che  è  in  loro,  e  noi  vogliamo  impedirglielo: 
noi  gli  porgiamo  il  veleno  delle  tenebre,  dell'errore.  Essi  combattono 
per  il  pane  spirituale  come  i  poveri  combattevano  per  il  pane  materiale; 
e  si  degradano  cadendo  vittime  delle  nostre  seduzioni,  come  i  poveri 


238  PARTI'    PRIMA 

si  degradanti  oodcndo  al  fascino  dell'alcool:  e  in  questa  lotta  e  in  questa 
degradazione,  i  bambini  si  sono  rivelati  dei  «poveri»,  dei  «bisognosi  >, 
abbandonati  nella  miseria.  Nessuno  mai  più  di  loro  ha  dimostrato 
che  r«  uomo  non  vive  di  solo  pane  »;  e  che  la  «  questione  del  pane  -> 
non  è  la  vera  «  questione  dell'uomo  ».  Tutte  le  sofferenze,  tutte  le  lotti-, 
tutte  le  rivendicazioni  che  già  la  società  conosce  pei  bisogni  corporali, 
si  ripetono  lì,  con  sorprendente  chiarezza,  pei  bisogni  spirituali.  I  bam- 
bini hanno  bisogno  di  crescere,  di  perfezionarsi,  di  nutrire  l'intelligenza, 
di  svolgere  le  energie  interiori,  di  formare  il  carattere,  e  per  questo  hanno 
bisogno  di  essere  liberati  dalla  schiavitù  e  di  conquistare  i  «  mezzi 
dell'esistenza  ».  Non  basta  loro  nutrire  il  corpo,  sono  affamati  di  nu- 
trimento intellettuale;  i  vestiti  che  riparano  le  membra  dal  freddo 
non  bastano  ai  bambini:  essi  domandano  le  vesti  della  fortezza  e  gli  or- 
namenti della  grazia,  per  riparare  e  adornare  lo  spirito.  Perchè  noi 
adulti  abbiamo  attutito  questi  bisogni  fino  al  punto  di  credere  real- 
mente che  la  questione  economica  avrebbe  risolto  il  problema  della 
vita  dell'uomo?  E  non  abbiamo  neanche  immaginato  che,  dopo  quello, 
ancora  potrebbero  apparire  la  lotta,  l'ira,  la  disperazione  e  la  degrada- 
zione, per  bisogni  superiori  insoddisfatti?  quella  lotta,  quell'ira,  quella 
disperazione  e  quella  degradazione  che  incontriamo  a  tutt'oggi  nei 
bambini,  i  quali  sono  pur  così  ben  nutriti,  ben  vestiti  e  ben  riscaldati, 
secondo  le  norme  di  un'igiene  fìsica  perfezionata. 

Corrispondere  ai  bisogni  intellettuali  dell'uomo,  in  modo  che  essi 
siano  «  soddisfatti  »  è  dare  un  grande  contributo  alla  moralità.  Infatti 
i  nostri  bambini,  quando  hanno  potuto  liberamente  occuparsi  in 
lavori  intelhgenti,  e  sono  anche  stati  liberi  di  corrispondere  ai  loro 
bisogni  interiori,  di  trattenersi  lungamente  sugli  stimoli  scelti,  di 
poter  astrarre  quando  la  maturità  era  venuta,  di  potersi  concentrare 
nella  meditazione,  hanno  dimostrato  che  l'ordine  e  la  calma  si  facevano 
in  loro  ;  è  dopo  ciò  che  la  grazia  delle  movenze,  la  capacità  di  gustare 
il  bello,  la  sensibilità  alla  musica,  e,  infine,  la  gentilezza  nei  rapporti 
tra  loro,  sono  scaturite  come  polla  d'acqua  sorgiva  da  una  fonte 
interiore. 

Tutto  questo,  è  stato  un  lavoro  di  «liberazione».  Noi  non  abbiamo 
con  mezzi  speciali  moralizzato  i  bambini;  non  abbiamo  insegnato  loro  a 
«  vincere  »  i  capricci  e  a  rimanere  tranquilli  nel  lavoro;  non  abbiamo 


X.   -   LA    QUESTIONE    MORALE  239 

insegnato  la  calma  e  l'ordine  esortandoli  a  seguire  degli  esempi,  e  spie- 
gando come  l'ordine  sia  utile  all'uomo;  non  abbiamo  fatto  prediche 
per  insegnare  la  cortesia  dei  rapporti,  per  animare  al  rispetto  verso  il 
lavoro  altrui,  alla  pazienza  dell'attesa  per  non  ledere  gli  altrui  diritti. 
Nulla  di  ciò:  noi  abbiamo  soltanto  liberato  il  bambino,  e  lo  abbiamo 
aiutato  a  «vivere».  Egli  è  che  ci  ha  rivelato  «in  qual  modo»  vive  il  fan- 
ciullo, e  quali  altri  bisogni  ci  sono  per  lui,  oltre  a  quelli  materiali. 

Allora  un'attività  prima  sconosciuta  nei  piccoli  bambini,  e  delle 
virtù  di  laboriosità,  di  costanza  e  di  pazienza,  si  sono  manifestate  tra  le 
crisi  di  gioia,  in  un'atmosfera  di  consueta  serenità.  Essi  erano  penetrati 
in  una  via  di  pace.  Un  ostacolo  fino  allora  contrapposto  alla  natura, 
era  stato  sorpassato. 

E  come  gli  uomini,  soddisfatti  nel  bisogno  dell'alimento  e  allon- 
tanati dai  veleni,  si  sono  mostrati  più  calmi,  e  capaci  di  preferire  go- 
dimenti superiori  a  quelli  bassi  e  degradanti,  così  il  bambino,  soddisfatto 
nelle  sue  necessità  interiori,  è  entrato  nella  serenità  ed  ha  mostrato 
la  sua  tendenza  ad  ascendere. 

Con  tutto  questo,  però,  non  si  è  toccata  alle  sue  radici  la  questione 
morale:  ma  si  è  sfrondata  e  purificata  da  tutte  quelle  scorie  che  la  ri- 
coprivano. Più  l'uomo  è  soddisfatto  nei  suoi  bisogni,  e  più  è  felice;  ma 
non  già  «  pieno  di  meriti  »,  come  noi  sappiamo  intuire  che  debba  essere 
veramente  l'uomo  dotato  di  un  alto  senso  di  moralità.  Piuttosto  ab- 
biamo spogliato  l'uomo  dai  suoi  meriti:  la  «  bontà  »  è  sparita  insieme 
alla  «  cattiveria  »  innanzi  alla  riforrha  sociale.  Quando  abbiamo  scoperto 
che  tante  forme  di  bontà  erano  forme  di  fortuna  e  tante  forme  di 
malvagità  erano  forme  di  sventura,  abbiamo  lasciato  l'uomo  completa- 
mente nudo,  spogliato  dalla  verità. 

Egli  deve  ora  riprendere  la  propria  vita  dalle  sue  radici  e  «  farsi 
dei  meriti  ».  Qui  principierà  a  rinascere  morale,  dalla  sua  pura  e  neces- 
saria crisalide  di  uomo  vissuto  «  igienicamente  ». 


Se  tutto  l'edifizio  di  questo  metodo  educativo  parte  da  un  atto 
di  attenzione  intensa  sopra  uno  stimolo  sensoriale  e  va  costruen- 
dosi  sulla   educazione   dei   sensi,   limitandosi    a    ciò   evidentemente 


240  PARTI.    PRIMA 

non  prenderebbe  a  considerare  tutto  l'uomo.  Poiché  se  l'uomo  non 
vive  solo  di  pane  materiale,  non  \  i\  rà  nemmeno  di  questo  solo  pane 
intellettuale. 

Gli  stimoli  dell'ambiente  non  sono  soltanto  gli  oggetti,  ma  anche  le 
persone,  con  le  quali  non  abbiamo  i  soli  rapporti  sensoriali.  Noi  non 
ci  contentiamo  infatti  di  vederne  la  bellezza,  a  cui  era  tanto  sensibile 
l'occhio  dei  Greci,  né  di  udirne  la  parola  o  il  canto.  Ma  i  veri  rapporti  tra 
uomo  ed  uomo,  benché  entrino  pei  sensi,  si  stabiliscono  nel  sentimento. 

Il  «  senso  morale  »  di  cui  parla  la  scienza  positiva  è  in  gran 
parte  il  senso  di  simpatia  verso  i  nostri  simih,  la  comprensione  dei  loro 
dolori,  il  sentimento  di  giustizia:  la  cui  mancanza  sconvolge  la  \'ita 
normale.  Non  si  può  essere  «  morali  »  imparando  a  memoria  i  codici 
e  gli  usi,  perchè  mille  volte  la  memoria  di  ciò  potrebbe  venir  meno,  e 
la  più  piccola  passione  potrebbe  sopraffarci:  i  delinquenti,  infatti,  anche 
se  sono  astutissimi,  studiosi  e  «  rasentatori  »  dei  codici,  cadono  nella 
colpa;  mentre  i  normali,  pure  ignorantissimi  delle  leggi,  non  le  trasgre- 
discono mai,  per  un  «  senso  interiore  che  li  guida  « . 

La  scienza  positiva  comprende  nel  «  senso  morale  »  qualche  cosa 
di  complesso,  che  è  insieme  sensibilità  alla  pubblica  opinione,  alle 
leggi,  alla  rehgione;  e,  in  tanta  molteplicità,  non  definisce  poi  chiara- 
mente in  che  consista  il  «  senso  morale  «.  E  per  intuizione  che  se  ne 
parla:  ciascuno  guarda  in  se  stesso  che  cosa  si  «  muova  »  a  quell'appel- 
lativo; e  nella  rispondenza  in  sé  deve  capire,  giudicare  in  che  consista 
questo  «  senso  morale  ».  Ma  la  religione  è  semplice  e  precisa:  essa  chiama 
questo  senso  interno  che  sta  alla  radice  della  vita  :  amore.  In  questo 
non  entrano  le  leggi  sociali  più  che  non  vi  entri  l'intero  universo. 
L'amore  é  il  contatto  tra  le  anime  e  Dio  :  e  quando  esso  esiste,  tutto 
il  resto  è  vanità.  Il  bene  scaturisce  da  esso  naturalmente,  come  i  raggi 
di  luce  scaturiscono  dal  sole.  La  creazione  stessa  è  stata  data  in 
custodia  a  questa  fonte  di  amore,  ed  è  l'amore  che  la  mantiene  come 
contributo  delle  creature  alle  provvide  forze  della  natura. 

Anche  gli  studi  biologici  che  si  addentravano  a  scoprire  i  segreti 
della  natura,  si  sono  incontrati  nell'ic  amore  »  come  nella  chiave  della 
vita.  Gli  scienziati  hanno  finito  col  vedere,  dopo  tante  ricerche,  la 
cosa  più  evidente:  che  è  l'amore  che  mantiene  le  specie  animali,  non 
la  «  lotta  per  l'esistenza  ».  Infatti  la  lotta  per  l'esistenza  ser\e  a  distrug- 


LA    QUESTIONE    MORALE  24I 


gere;  e,  in  quanto  alla  sopravvivenza,  essa  non  è  solo  dei  «  forti  »  come  si 
credette  in  principio.  Ma  l'esistenza,  essa  è  collegata  all'amore.  In- 
fatti, gli  individui  che  lottano  e  vincono,  sono  adulti;  ma  chi  è  che  pro- 
tegge l'essere  neonato  e  in  via  di  formazione?  Se  sono  le  dure  corazze 
cornee  le  protezioni  della  sua  specie,  egli  non  le  ha;  se  è  la  forza 
di  muscoli,  egli  è  debole;  se  sono  le  zanne,  egli  ne  è  privo;  se  è  l'agilità, 
esso  non  si  sa  ancora  muovere  ;  se  è  la  fecondità,  egli  non  è  ancor 
maturo.  Allora,  ecco  che  tutte  le  specie  dovrebbero  essere  estinte, 
perchè  non  vi  è  forte  che  non  sia  già  vissuto  come  un  debole  ;  e  non 
vi  ha  infanzia  che  non  sia  pivi  debole  di  una  qualsiasi  vita  adulta. 
E  l'amore  che  protegge  tutte  queste  debolezze,  che  spiega  la  «soprav- 
vivenza ».  L'amore  materno,  infatti,  richiama  oggi,  come  fenomeno 
naturale,  l'attenzione  più  interessata  degli  scienziati.  Se  la  lotta  per 
l'esistenza  aveva  messo  innanzi  agli  occhi  un  quadro  uniforme  di 
distruzione,  i  fenomeni  liell'amore  materno  oggi  si  manifestano  nelle 
più  ricche  ed  affascinanti  forme,  le  quali  sono  quasi  il  lato  occulto  e 
sentimentale  delle  meravigliose  varietà  di  forme  della  natura.  È  oramai 
questo  uno  dei  «  fondamentali  caratteri  della  specie  »  che  tutti  gli  stu- 
diosi debbono  conoscere. 

Anche  gl'insetti,  che  il  Fabre  ha  illustrato  con  tanta  ricchezza, 
benché  così  piccoli,  così  lontani  da  noi,  presentano  dei  meravigliosi 
fenomeni  d'amore  materno.  Uno  dei  primi  articoli  pubblicati  da  un 
naturalista  su  questi  fenomeni,  la  Psychologie  d'une  araignée,  po- 
trebbe servire  come  motivo  di  un  dramma.  Il  ragno,  come  è  noto, 
fabbrica  un  sacco  di  fili,  che  per  lo  più  attacca  sul  dorso  delle  foglie, 
e  vi  depone  e  conserva  le  uova:  egli,  però,  si  mette  dentro  insieme 
alle  uova  per  proteggere  il  tesoro  della  specie.  Se  viene  rotto  artificial- 
mente il  sacco  in  qualche  punto,  ecco  pronto  il  ragno  a  riparare.  In 
un  esperimento  fu  tolto  il  ragno  dal  sacco,  e  portato  lontano  per 
venti  giorni.  Che  cosa  è  questo  ragno?  pochi  millimetri  cubi  di  so- 
stanza molliccia  e  scura,  non  ha  cervello  né  cuore,  la  sua  vita  è  sì 
breve  che  venti  giorni  contano  molto  per  esso;  ed  ecco  questo  ani- 
maletto non  cessar  mai  dai  suoi  tentativi  di  fuga,  mai  dalla  sua  agita- 
zione; finché,  dopo  venti  giorni,  liberato,  si  precipita  verso  il  sacco,  vi 
si  nasconde,  e  ne  ripara  le  pareti.  Dove  mai  si  localizzava  tanta  me- 
moria e  tanto  amore?  Togliendo  dal  sacco  la  vera  madre,  e  ponendoci 


242  PARTE   PRIMA 

invece  un  altro  ragno,  questo,  come  assumendo  immediatamente 
un'adozione,  fa  da  madre,  difende  il  nido  dagli  assalti,  e  ripara  le  pareti 
se  hanno  subito  lesioni.  C'è  dunque  un  istinto  materno  nella  specie,  indi- 
pendente dalla  propria  maternità.  Ma  se  al  sacco  adottato  si  avvicina  la 
vera  madre,  quella  adottiva  non  solo  non  cerca  di  difendere,  ma  fugge,  e 
cede  il  posto.  Con  quale  mai  fenomeno  di  telepatia  l'ospite  nascosta  nel 
sacco  sentiva  la  forza  materna  avvicinarsi  ?  Ecco  la  fine  dell'esperi- 
mento: i  piccoli  ragni  sono  nati  e  stanno  rinchiusi  nel  sacco  insieme  alla 
loro  madre:  lo  sperimentatore  straccia  il  sacco  per  vedere  che  cosa 
avverrà.  I  piccoli  ragni  fuggono  tutt 'intorno:  la  madre  resta  ferma, 
aggrappata  agli  a\'anzi  lacerati  del  nido  e  muore,  quasi  violentemente, 
uccisa  dalla  distruzione  della  sua  specie.  L'amore  materno  non  ha 
dunque  bisogno  di  organi  complicati;  non  di  cervello,  non  di  cuore, 
non  di  sensi,  quasi  che  potesse  esistere  senza  materia;  esso  è  la  forza 
che  assume  la  vita  per  proteggere  e  conservare  sé  stessa,  e  che  sembra 
preesistere  e  accompagnare  la  creazione;  quella  di  cui  parla  il  libro 
della  sapienza:  «  Il  Signore  mi  ebbe  con  sé  al  cominciamento  delle  opere 
sue,  da  principio,  prima  che  alcuna  cosa  creasse.  Non  erano  ancora  gli 
abissi,  ed  io  ero  già  concepita.  Con  lui  ero  io  disponendo  tutte  le  cose, 
ed  era  mio  diletto  lo  scherzare  innanzi  a  lui  continuamente,  lo  scher- 
zare nell'universo.  Chi  mi  troverà  avrà  trovato  la  vita  ». 

E,  assai  prima  che  i  biologi  si  fossero  accorti  come  l'amore  è  l;i 
forza  più  potente  che  protegge  la  specie,  e  spiega  la  sopravvivenza,  la 
religione  aveva  additato  l'amore  come  forza  che  mantiene  la  vita. 
Non  basta  esser  creati,  bisogna  ancora  essere  amati,  per  vivere.  Questa 
è  la  «  legge  »  di  natura.  «  Chi  non  ama  è  nella  morte  ».  Quando  Mosè 
dà  il  decalogo  che  deve  portare  il  popolo  ebreo  alla  salvazione,  lo  fa 
precedere  dalla  «  legge  »:  «  Ama  Iddio  sopra  ogni  cosa,  ed  ama  il 
prossimo  tuo  come  te  stesso  ».  Quando  gli  ebrei  andavano  intomo  a 
Cristo,  chiedendogli  «  dicci  la  legge  »,  Egli  rispondeva  :  «  E  non  la  sai  ? 
La  legge  è:  ama  il  prossimo  tuo  »  come  per  dire:  la  legge  è  evidente,  è 
unica,  é  la  legge  della  vita,  che  perciò  ci  deve  essere  stata  sempre,  fin 
dal  principio  del  mondo.  A  S.  Pietro  però  che  doveva  essere  il  capo 
della  nuova  religione,  fu  illustrato  meglio  l'amore,  il  passaggio  dall'an- 
tico al  nuovo  regno.  «  Amate  —  dice  il  Cristo  —  come  io  vi  ho  amato  >. 
cioè  non  come  voi  siete  capaci  di  amare,  ma  come  sono  capace  di  amare 


X.   -  LA    QUESTIONE    MORALE  243 

io.  C'è  un  abisso  tra  il  modo  come  gli  uomini  sanno  amare  sé  stessi,  e 
come  Cristo  sa  amare  gli  uomini.  Gli  uomini  si  precipitano  talvolta 
verso  la  loro  stessa  perdizione;  sono  capaci  di  confondere  il  bene  col 
male,  la  vita  con  la  morte  ;  l'alimento  col  veleno.  È  ben  fragile  dunque 
quell'affidamento:  «ama  il  prossimo  tuo  come  te  stesso».  Ed  è  vera- 
mente una  legge  nuova  quella  che  insegna  :  «  ama  come  io  ti  ho  amato  ». 

Infatti  Mosè  ave\a  dovuto  accompagnare  la  legge  dell'amore  con 
un  decalogo  di  indicazioni  pratiche  :  «  onora  il  padre  e  la  madre  »,  «  non 
ammazzare»,  «non  rubare»,  «non  dire  il  falso»,  «non  desiderare  le  cose 
altrui  ».  Cristo  invece  insegna  che  basta  non  fare  il  «bilancio  dell'amore  » 
e  non  c'è  più  bisogno  di  alcun  appoggio  di  regole.  Basta  superare  il 
bilancio:  ed  ecco  l'uomo,  per  ciò  solo,  entrato  senz'altro  per  la  porta 
della  sah'ezza.  «  Se  amate  quelli  che  vi  amano,  qual  merito  ne  avrete? 
Anche  i  peccatori  amano  chi  li  ama.  Se  fate  del  bene  a  coloro  che  lo  fanno 
a  voi,  qual  merito  ne  avrete?  Fanno  proprio  altrettanto  i  peccatori. 
E  se  prestate  a  coloro  dai  quali  sperate  il  contraccambio,  qual  merito 
ne  avrete?  I  peccatori  pure  prestano  ai  peccatori  per  riceverne  altr^ 
tanto.  Amate  pertanto  i  vostri  nemici;  fate  del  bene,  e  date  in  r 
senza  speranza   di   profìtto   e  sarete  figli   dell'Altissimo» 

Liberatevi  da  tutti  i  legami  e  da  tutte  le  misure  e 
sola  cosa  necessaria:  essere  vivi,  sentire:  è  questa  ^ 
Cristo  quando,  come  Mosè,  salisce  sulla  mon+ 
dersi,  anzi  chiamando  dietro  a  sé  la  folla  e 
i  segreti  della  verità:  «  Beati  quelli  eh 
frire  è  sentire,  è  vivere.  Beati  que''' 
fame  di  giustizia,  beati  i  per'- 
puro,  libero  dalle  tenebr- 
sente  è  perduto:  gr 
guai  ai  satólli,  f^ 
bilità".  E  a'' 
e  anche  y 
il  sepolcro 
è  una  tomba 

L'educazioi. 

cazione  morale,  con 


J44  PARTE    PRIMA 

durre  il  bambino  verso  le  illusioni,  la  falsità  o  le  tenebre,  deve  com- 
prendere una  base  sensitiva,  e  su  essa  erigersi.  L'educazione  dei  sensi, 
e  la  libertà  di  innalzare  l'intelligenza  secondo  le  proprie  leggi  da  un 
lato;  l'educazione  del  sentimento,  e  la  libertà  spirituale,  per  elevarsi 
dall'altro,  ecco  due  analoghi  concetti,  e  due  vie  parallele. 

Pensiamo  alla  nostra  posizione  innanzi  ai  bambini  :  noi  siamo  i 
loro  «stimoli»  con  cui  dovranno  esercitare  il  loro  sentimento  che  si 
va  delicatamente    svolgendo. 

Per  l'intelletto,  ecco  lì  tanti  oggetti:  i  colori,  le  forme,  ecc.;  ma  per  lo 
spirito,  siamo  noi  stessi.  Di  noi  si  dovranno  nutrire  le  pure  anime  dei 
bambini;  fissarsi  in  noi  col  loro  cuore,  come  l'attenzione  si  fissava  sopra 
uno  stimolo  preferito;  ed  amandoci  elevarsi  nella  loro  intima  creazione 
spirituale. 

Quando  l'interesse  del  bambino  lo  conduceva  a  prendere  la 
scatola  dei  colori,  e  poi  ve  lo  tratteneva,  gh  oggetti  si  prestavano  pas- 
sivamente a  lui,  ma  i  colori  riflettevano  dei  raggi  luminosi  del  sole,  che 
andavano  a  colpire  le  vergini  retine  degli  occhi  non  ancora  completa- 
mente maturati  e  adattati.  Così  noi,  quando  il  bambino  ci  si  rivolge 
col  suo  cuore  e  si  fissa  a  chiedere  nutrimento  all'anima  nostra, 
p  do\Temmo  sempre  essere  pronti,  come  oggetti  passivi,  nel  senso  di  non 

j^  ^  sottrarci  mai  per  nostro  egoismo  alle  necessità  del  bambino;  ma  corri- 

^  tf  <?  ^  spendendo  con  tutte  le  intime  attività  per  riflettere  su  lui  i  raggi  lu- 
^  e?"  e?  ^  minosi  di  cui  ha  bisogno  la  sua  anima  pura  e  non  ancora  adattata 
^.^/^/j^cfalla  vita. 

s!^  ^'^   <é^  nP'  .^       ^^oi  non  dobbiamo   chiamarlo    per    nome,    e    offrirgli  la  nostra 

J^  >?    ^  -é"  t-t^erezza  invitandolo  a  prendere  il  nostro  aiuto:  ma,  come  il  mate- 

^    ^   !p   -^    <fiate  che  lì  allineato  con  le  attrattive  della   levigatezza,  della   lucen- 

■^    ^  .  cs  s?  t<S%z^  e  delle  forme  interessanti  e  variate,  e  con  esposti  vistosamente 

y    '^  ^  S^.f^^  i^z^  dell'alto  esercizio  intellettuale  negli  alfabetari  colorati  e  nelle 

<^'  o""    §^  r'^   ^t(^h&'  contengono  i    primi    segreti  della  numerazione,  —  così  noi 

'    ^  ■  ^  ^}'  <ì'  drx^k-mQs'  attendere;    non    freddamente,    bensì    facendo    sentire   che 

'^  z?     ,'    ^   ^rUi^niwn^un  ricco  materiale   che  sta  lì  a  disposizione   pronto   ad 

<i'    ^  _!§■  .  "^  e^rc«5pr.^,  appena  la  mano  si  levi  a  cogliere.  La  nostra  «  corrispon- 

:^  J5.     e?    e?'   iSei^a  ^1  bambino  deve  essere  così  piena,  così  sollecita,  e  così  com- 

-zj       -o  i^    e  R^ta?.  come  quella  degli  oggetti  che  si  lasciano  maneggiare,  ma  che 

^    e?  ;;^    e-'^  ^  T^d^gni  tocco^i^feono  in  alto  la  vita  intellettuale  del  bambino. 

^     J^    /^  .O^J> 


LA    QUESTIONE    MORALE  245 


Quanti  avranno  l'esperienza  che,  accarezzando  i  bambini,  questi 
si  ritraggono  come  ripugnanti  ed  offesi;  e  quanti  avranno  notato  che 
il  bambino  respinto  nel  suo  slancio  affettuoso,  si  ripiega  sopra  se  stesso, 
e  si  umilia,  come  una  mimosa  toccata.  Ecco  in  che  consiste  il  rispetto 
che  noi  dobbiamo  alla  libertà  spirituale  del  fanciullo:  giammai  attratti 
dalle  sue  grazie  affascinanti  dobbiamo  aggredirlo,  con  le  nostre  carezze: 
e  non  mai,  anche  se  questi  ci  vengono  quando  noi  non  siamo  disposti 
a  riceverli,  mai  respingere  i  loro  slanci  affettuosi,  ma  corrispondervi 
con  delicatezza  e  sincera  devozione.  Noi  siamo  gli  «  oggetti  »  del  suo 
amore,  gli  oggetti  sui  quali  la  vita  si  va  organizzando.  Le  maestre 
e  le  madri  più  perfette  saranno  quelle  che  prenderanno  ad  esempio  il 
materiale  didattico,  e  vorranno  imitarlo  empiendosi  in  tutti  i  sens 
di  ricchezza  morale,  ed  essendo  in  ogni  dettaglio  piene  di  risposte; 
passive  come  abnegazione,  quanto  attive  come  fonti  di  amore.  E  se 
tutti  gli  oggetti  sensoriali  riuniscono  le  possibili  vibrazioni  accessibili 
all'uomo:  le  vibrazioni  delle  luci  e  dei  colori,  come  quelle  dei  suoni 
e  del  calore,  così  quelle  dovranno  in  sé  riunire  tutte  le  vibrazioni  della 
interiore  sensibilità,  attendendo  che  l'anima  assetata  scelga. 

Si  potrebbe  dire:  e  come  far  sì  che  il  bambino  ci  ami,  che  il  bambino 
«  senta  »? 

Se  il  bambino  non  vedesse  i  colori,  sarebbe  cieco:  e  nessuno  potrebbe 
dargli  la  vista.  E  così  se  il  bambino  non  sentisse,  nessuno  potrebbe  dargh 
la  sensibilità:  ma  poiché  la  natura  ha  unito  la  madre  al  figlio,  non  solo 
con  la  carne,  ma  più  stabilmente,  con  l'amore,  così  è  indubitato  che  il 
bambino  porta  con  sé  nella  nascita  non  solo  la  carne,  ma  l'amore.  Ora 
chi  ama,  sia  pure  un  solo  oggetto,  ha  in  sé  un  senso  che  può  all'infinito 
ricevere  impressioni:  chi  vede  un  oggetto  ha  la  vista,  dunque  chi  vede 
un  oggetto  vedrà.  Chi  ama  la  madre,  chi  ama  il  figlio,  «  ama  »;  quel 
senso  interno  vibra  e  certamente  non  per  il  solo  oggetto  che  ha  in 
quel  momento  presente. 

Perfino  quella  povera  ragnessa,  deposta  artificialmente  nel  sacco 
di  un'altra  madre,  adotta  e  difende  le  uova  straniere,  perché  il  ragno 
è  capace  di  amore  materno. 

Dunque  il  bambino  che  ama  la  madre,  e  che  fu  aiutato  dal  suo 
amore,  ha  quel  «  senso  interno  »  per  cui  é  capace  di  amare.  Gh  «  oggetti 
umani  »  che  cadono  sotto  quel  senso  ne  avranno  dei  riflessi. 


240  PAKTi:    PRIMA 

Dobbiamo  «  attendere  »  di  «  esser  veduti  »  da  lui:  vorrà  quel  giorno 
in  cui,  tra  tanti  oggetti  intellettuali,  il  bambino  si  accorgerà  del  nostro 
spirito,  e  si  adagierà  dolcemente  in  noi.  Sarà  quella  per  lui  una  rinascita, 
simile  all'altra,  quando  un  oggetto  lo  attirò  e  lo  trattenne.  È  impossi- 
iiile  che  quel  giorno,  quel  momento,  non  arrivi.  Noi  abbiamo  esercitato 
virso  il  bambino  una  fine  opera  di  carità,  porgendogli  i  mezzi  che  sazia- 
\ano  i  suoi  bisogni  intellettuali,  senza  farci  sentire,  tenendoci  in  di- 
sparte: ma  sempre  presenti  e  pronte  all'aiuto.  Noi  abbiamo  dato  grandi 
soddisfazioni  al  bambino  soccorrendolo:  allorché  egli  aveva  bisogno  di 
chiarire  ancor  più  l'ordine  della  sua  mente  col  linguaggio,  noi  gli 
abbiamo  offerto  i  nomi  delle  cose,  ma  solo  quelli,  ritraendoci  subito 
indietro  senza  nulla  chiedergli,  senza  far  valere  nulla  di  noi.  Noi  gli 
abbiamo  rivelato  i  suoni  dell'alfabeto,  il  segreto  dei  numeri,  lo  ab- 
biamo messo  in  rapporto  con  le  cose;  ma  limitandoci  solo  a  ciò  che 
era  utile  a  lui,  quasi  nascondendo  il  nostro  corpo,  il  nostro  respiro,  la 
nostra  persona. 

Quando  ebbe  desiderio  di  scegliere,  mai  trovò  in  noi  un  ostacolo  ; 
quando  si  trattene\  a  a  lungo  in  un  esercizio,  noi  agivamo  da  lungi  per 
difendere  la  tranquillità  del  suo  lavoro,  come  una  madre  che  difende  il 
sonno  ristoratore  del  suo  bambino. 

Quando  egli  si  slanciò  nell'astrazione,  non  sentì  in  noi  altro  che 
l'eco  della  sua  gioia.  . 

11  bambino  ci  trovò  instancabili  sempre,  quando  chiese;  quasi 
che  la  nostra  missione  verso  di  lui  fosse  quella  di  offrire,  come  il  dar 
profumo  senza  tregua  e  senza  limiti  è  la  missione  del  fiore. 

Egh  trovò  accanto  a  noi  una  nxiova  vita,  non  meno  dolce  che  il 
latte  succhiato  dal  seno  materno,  e  donde  nacque  il  suo  primo  amore. 
Perciò  egli  sentirà  un  giorno  questo  essere  che  vive  per  farlo  vivere; 
dal  cui  sacrificio  scaturisce  la  sua  libertà  di  vita  e  di  espansione. 

E,  certamente,  quel  giorno  verrà  in  cui  il  suo  spirito  sentirà  il 
nostro  spirito.  Allora  egli  principierà  a  gustare  quella  delizia  suprema 
che  sta  nell'adagiarsi  in  contatto  anima  ad  anima,  e  la  nostra  voce 
non  sarà  più  udita  dalle  sue  orecchie  soltanto.  Il  poterci  obbedire, 
comunicare  a  noi  le  sue  conquiste,  con  noi  dividere  le  sue  gioie,  sarà 
il  nuovo  elemento  della  sua  vita.  Noi  vedremo  il  bambino  che  ad  un 
tratto  si  accorge  dei  compagni,  e  s'interessa  quasi  quanto  noi  ai  loro 


X.   -  LA    QUESTIONE    MORALE  247 

progressi  e  ai  loro  lavori.  Sarà  delizioso  assistere  alla  scena  di  quattro 
o  cinque  fanciulli  che  rimangono  col  cucchiaio  sospeso  sulla  scodella 
fumante,  senza  più  sentire  lo  stimolo  della  fame,  perchè  si  sono  as- 
sorti nel  contemplare  gli  sforzi  del  piccolino  che  cerca  d'infilarsi  la 
salvietta  e  finalmente  vi  riesce;  e  allora  ecco  quegli  spettatori  assu- 
mere un'espressione  di  sollievo  e  di  orgoglio,  quasi  come  dei  padri  che 
a\'essero  assistito  alla  vittoria  di  un  figlio.  I  bambini  con  il  loro  pi-o- 
gresso,  con  le  loro  esplosioni  interiori,  con  la  loro  obbedienza  così  dolce, 
ci  daranno  dei  sorprendenti  compensi.  Al  di  là  di  quello  che  immagi- 
niamo sarà  abbondante  il  frutto  ch'essi  ci  lascieranno  cogliere.  Così  av- 
viene con  la  vita  interpetrata  nei  suoi  segreti:  «  date  e  vi  sarà  dato;  vi 
metteranno  in  seno  una  misura  buona,  pigiata,  scossa  e  straboccante  ». 

L'essenza  dell'educazione  morale.  —  È  il  mantener  viva  la 
sensibilità  interiore  e  il  perfezionarla,  che  forma  l'essenza  dell'educa- 
zione morale.  Intorno  ad  essa,  come  nell'educazione  intellettuale  che 
procede  dall'esercizio  .dei  sensi,  si  fa  l'ordine:  si  vede  il  bene  distinto 
dal  male.  Nessuno  può  insegnare  in  tutte  le  particolarità  la  distinzione 
tra  bene  e  male,  a  chi  non  la  vede.  Vederla,  questa  differenza,  e  cono- 
scerla, non  sono  la  stessa  cosa. 

Ma  per  «aiutare  il  bambino  »  occorre  che  anche  l'ambiente  sia  ordi- 
nato, e  che  il  bene  vi  sia  distinto  dal  male.  Là  dove  ci  fosse  confusione 
tra  le  due  cose,  dove  si  confondesse  il  bene  con  l'apatìa  e  il  male  con 
i 'attività,  il  bene  con  la  fortuna  e  il  male  con  la  sventura,  non  si  trove- 
rebbe un  ambiente  adatto  ad  aiutare  lo  stabilirsi  dell'ordine  nella  co- 
scienza morale.  Tanto  meno  poi  dove  ci  fossero  degli  atti  di  ingiustizia 
palese,  delle  persecuzioni.  Allora  la  coscienza  infantile  sarebbe  come 
un'acqua  che  fosse  stata  intorbidata,  e  ciò  potrebbe  avvelenare  più  che 
l'alcool  non  faccia  sulla  vita  del  feto.  Forse  l'ordine  potrebbe  essere 
del  tutto  discacciato,  come  la  limpidezza  della  coscienza:  e  non  sap- 
piamo che  conseguenza  ne  porterebbe  in  seguito  l'uomo  «  morale  ». 
«  Chi  scandalizzerà  alcuno  di  questi  piccolini,  sarebbe  meglio  per  lui 
che  fosse  sommerso  nel  profondo  del  mare.  Se  la  tua  mano  o  il  tuo 
piede  ti  è  di  scandalo,  troncalo  e  gettalo  via  ». 

Tuttavia,  l'ambiente  ordinato  non  è  tutto.  x\nche  nell'educa- 
zione   intellettuale    non    c'era    solo   l'esercizio    spontaneo   ravvivante 


24?^  PARTE    PRIMA 

l'intclligen/.a:  ma  ancora  le  lezioni  della  maestra  che  sanzionavano 
e  illuminavano  l'ordine  interno  che  stava  svolgendosi.  Ella  diceva  in 
quel  caso:  «questo  è  rosso»,  «  questo  è  verde».  E  così  qui  dirà:  «questo 
è  bene  »;  «  questo  è  male  ».  E  non  di  rado  incontrerà  bambini  simili 
a  quello  descritto  più  sopra,  che  fanno  del  bene  e  del  male  il  centro 
di  tutta  la  coscienza,  e  al  disopra  del  pane  materiale  e  del  nutrimento 
intellettuale,  pongono  la  questione  più  di  tutto  necessaria  alla  loro 
\ita:  dove  sta  il  bene?  e  che  cosa  è  il  male?  Ma  non  bisogna  dimenti- 
care che  le  lezioni  morali  sono  brevi;  e  che  Mosè,  il  padre  dei  sapienti, 
per  moralizzare  non  un  bambino  ma  una  stirpe,  diede  con  semplicità 
dieci  comandamenti,  che  al  Cristo  sembrarono  superflui.  E  vero  però 
che  in  testa  c'era  la  «  legge  »  dell'amore;  e  che  il  Cristo  ha  dato  in- 
vece del  decalogo  un  ampliamento  della  legge,  che  comprende  in  sé 
tutte  le  legislazioni  e  tutti  i  codici  morali. 


È  possibile  che,  a  parte  le  cognizioni  di  morale,  si  possa  distin- 
guere il  bene  dal  male  per  un  «  senso  interno  »;  e  in  tal  caso,  evidente- 
mente, deve  trattarsi  di  bene  e  di  male  assoluti;  cioè  collegati  con  la 
vita  stessa,  non  con  le  abitudini  sociali  acquisite.  Si  è  sempre  parlato 
di  una  «  voce  della  coscienza  »  che  c'insegna  all'interno  a  distinguere 
le  due  cose:  il  bene  dà  la  serenità,  che  è  ordine;  dà  l'entusiasmo,  che  è 
forza;  il  male  è  avvertito  come  un  dolore  talvolta  insopportabile: 
il  rimorso,  che  è  tenebra  e  disordine  non  solo,  ma  è  febbre,  malattia 
dell'anima.  Certo  non  sono  le  leggi  sociali,  né  l'opinione  pubblica, 
ne  il  benessere  materiale,  né  i  pericoli  che  si  corrono,  che  possono  dare 
quelle  diverse  sensazioni.  Anzi  spesso  la  serenità  si  trova  in  mezzo 
agli  sfortunati,  mentre  il  rimorso  di  Lady  Machbet,  che  vede  la  goccio- 
lina di  sangue  sulla  mano,  mordeva  il  cuore  di  una  persona  che  aveva 
conquistato  un  regno. 

Che  ci  sia  una  sensazione  interna,  la  quale  fa  avvertire  i  pericoli 
o  fa  riconoscere  le  circostanze  favorevoli  alla  vita,  non  è  meraviglioso. 
Se  la  scienza  oggi  dimostra  che  i  mezzi  per  mantenere  la  vita  anche 
materiale  corrispondono  alle  «  virtù  »  morali,  si  può  concludere  che 
con  la  sensibilità  interna,  si  può  intuire  ciò  che  è  necessario  alla  vita. 


I 


ì 


LA    QUESTIONE    MORALE  249 


Non  hanno  forse  dimostrato  un  analogo  fatto  le  scienze  biologiche? 
La  biometria  applicata  all'uomo,  ha  permesso  di  ricostruire  l'uomo 
medio  assoluto,  cioè  quello  che  ha  le  misure  medie  in  ogni  parte 
del  corpo;  e  queste  misure  medie,  con  gli  studi  statistici  e  morfolo- 
gici della  medicina,  si  sono  trovate  corrispondenti  alla  «  normalità  ». 
Quindi  l'uomo  medio  sarebbe  quello  così  perfettamente  costituito, 
che  non  ha  predisposizioni  morfologiche  alle  malattie  degli  organi. 
Ricostruita  una  figura  d'uomo  sulle  proporzioni  biometriche  medie, 
si  trovQ  che  esso  corrispondeva  singolarmente  alle  proporzioni  delle 
statue  greche.  Questo  fatto  contribuì  a  dare  una  nuova  inter- 
pretazione al  «  sentimento  estetico  «.  Evidentemente  era  pel  senti- 
mento estetico,  che  gli  artisti  greci  avevano  potuto  estrarre  con  l'oc- 
chio la  misura  media  di  ogni  organo  e  costruirne  con  esattezza  un 
meraviglioso  insieme.  Il  «  godimento  »  dell'artista  era  il  godimento 
del  «  bello  »;  ma  piìi  profondamente  egh  sentiva  ciò  che  conteneva 
il  trionfo  della  vita,  e  lo  distingueva  dall'errore  della  natura,  che 
predispone  alle  malattie.  Il  trionfo  della  creazione  può  dare  un  intimo 
piacere,  a  chi  può  «  sentirlo  »:  gli  errori,  anche  piccoli,  possono  allora 
essere  percepiti  come  disarmonia.  L'educazione  estetica  è,  infine, 
simile  alla  approssimazione  matematica  verso  la  media  assohita: 
ci  si  può  avvicinare  alla  misura  reale  infinitamente,  e  più  ad  essa  ci 
avviciniamo,  più  è  possibile  avere  un  mezzo  di  paragone  assoluto  per 
considerare  le  deviazioni.  Il  grande  artista  sa  riconoscere  così  il  «  bello  » 
di  un  dettaglio  anche  in  mezzo  ad  altri  dettagli  non  armonici:  e  tanto 
più  è  capace  di  possedere  un  senso  assoluto  del  bello,  tanto  più  è  sen- 
sibile a  percepire  qualsiasi  sproporzione  di  forma. 

Qualche  cosa  di  simile  può  avvenire  nella  coscienza  per  la  distin- 
zione tra  il  bene  e  il  male:  tanto  più  che  il  bene  rappresenta  assai  più 
direttamente  del  bello  una  reale  utilità  per  la  vita,  e  il  male  rappresenta 
grossolanamente  il  pericolo.  Non  hanno  forse  gli  animali  uno  spiccatis- 
simo istinto  di  conservazione  che  detta  loro  infiniti  particolari  della  con- 
dotta così  per  mantenere  la  vita,  come  per  difenderla?  I  cani  e  i  cavalli, 
i  gatti  e,  in  genere,  gli  animali  con  cui  noi  conviviamo,  non  aspet- 
tano inconsci  e  tranquilli  come  l'uomo  il  terremoto  imminente,  ma  si 
agitano.  I  cani  degli  esquimesi  che  tirano  le  slitte,  quando  sta  per 
formarsi  un  crepaccio  nel  ghiaccio,  si  distaccano  l'uno  dall'altro  come 


250  l'AKTl      PRIMA 

piT  evitare  di  caderxi  dentro:  nn-nlie  l'uomo  non  fa  ciie  osservai(> 
con  istuporc  questi  incra\igliosi  istinti.  L'uomo  non  ha  da  natura 
istinti  così  intesi:  è  con  la  intelligenza  e  con  la  sensibilità  della 
coscienza  al  bene  e  al  male,  che  egli  fabbrica  le  sue  difese  e  riconosce  i 
suoi  pericoli.  E  se  la  sua  intelligenza  che  addirittura  può  trasformare 
il  mondo,  lo  porta  a  così  suprema  altezza,  vicino  all'animale;  quanto 
pure  potrebbe  egli  elevarsi  sviluppando  la  sua  coscienza  morale! 

Inxece  l'uomo  oggi  è  ridotto  al  punto  di  doversi  domandare  sul 
serio  se  l'animale  non  sia  migliore  di  lui.  Quando  l'uomo  vuole  van- 
tarsi dice:  io  sono  fedele  come  un  cane;  puro  come  una  colomba;  forte 
come  un  leone. 

Infatti  gli  animali  hanno  sempre  quell'istinto  che  è  ammi- 
re\ole,  poiché  concede  loro  un  potere  misterioso:  ma  se  all'uomo 
manca  la  sensibilità  della  coscienza,  egli  è  inferiore  agli  animali;  nulla 
può  più  difenderlo  dagli  eccessi;  egli  può  correre  alla  rovina  propria, 
alle  stragi  ed  alle  distruzioni,  in  modo  che  gH  animali  ne  sarebbero 
pieni  di  stupore  e  di  terrore,  e  potendo  si  metterebbero  ad  ammaestrare 
gli  uomini,  perchè  giungessero  fino  a  loro.  Gli  uomini  senza  coscienza 
sono  come  animah  senza  istinto  di  conservazione;  dei  pazzi  che  corrono 
verso  la   distruzione. 

A  che  prò  l'uomo  scopre  con  la  scienza  le  leggi  della  conserva- 
zione fìsica,  fino  al  più  minuto  dettaglio,  se  non  cura  ciò  che  corri- 
sponde nell'uomo  all'»  istinto  »  della  propria  salvezza?  Se  un  indi- 
viduo conosce  a  perfezione  il  modo  di  mangiare  igienicamente,  di 
pesarsi  per  seguire  l'andamento  della  propria  salute,  di  bagnarsi  e 
di  fare  il  massaggio,  ma  perde  l'istinto  della  sua  umanità,  e  uccide 
un  proprio  simile  o  si  suicida,  a  che  valgono  tutte  le  cure?  E  se  non 
sente  più  nulla  nel  suo  cuore:  e  il  vuoto  lo  attira  piombandolo  nella 
malinconia,  che  fa  egli  del  suo  corpo  nutrito  e  lavato? 

Il  bene  è  vita;  il  male  è  mòrte:  la  distinzione  reale  è  netta  così 
come  le  parole. 

La  nostra  coscienza  morale  è,  come  l'intelligenza,  capace  di  per- 
fezionamento, di  elevazione;  ecco  una  delle  più  fondamentali  differenze 
con  gli  istinti  degli  animali. 

Si  può  perfezionare  la  sensibilità  della  coscienza,  come  il  senso 
estetico,   a   riconoscere   e,   infine,  a   godere   il  «  bene  »  fino   presso   ai 


LA   QUESTIONE    MORALE  25I 


suoi  limiti  dell'assoluto;  e  così  ad  essere  sensibili  perfino  alle  più 
piccole  deviazioni  verso  il  male.  Chi  sente  così,  è  sicuro  di  essere  «salvo»; 
chi  sente  meno,  deve  esser  più  vigile,  e  conservare  e  sviluppare  quanto 
più  può  quella  sensibilità  misteriosa  e  preziosa  che  conduce  a  distin- 
guere il  bene  dal  male.  È  uno  dei  fatti  più  importanti  della  vita  esa- 
minare metodicamente  la  propria  coscienza,  avendo  come  fonte  il- 
luminatrice non  soltanto  la  conoscenza  dei  codici  morali,  ma  l'amore. 
È  solo  con  l'amore  che  si  perfeziona  quella  sensibilità.  Chi  non  ha 
l'educazione  del  senso,  non  può  giudicare  se  stesso.  Un  medico,  per 
esempio,  può  conoscere  a  perfezione  i  sintomi  di  una  malattia,  sapere 
minutamente  come  sono  le  alterazioni  dei  toni  cardiaci  e  della  resi- 
stenza del  polso  nei  mali  di  cuore:  ma  se  l'orecchio  non  può  percepire 
i  toni,  se  la  mano  non  può  apprezzare  le  sensazioni  tattili  che  dà  il 
polso,  a  che  gli  serve  la  sua  scienza?  Il  suo  potere  di  capire  le  malattie 
parte  dai  sensi:  e  se  quello  gli  manca,  la  sua  sapienza  davanti  all'am- 
malato è  una  vanità.  Così  è  per  le  diagnosi  sulla  propria  coscienza: 
essendo  sordi  e  ciechi,  quanti  e  quanti  sintomi  passeranno  inosser- 
vati! e  non  sapremo  su  che  fondare  il  nostro  giudizio.  Il  tedio  delle 
imprese  inutili    ci    abbatterà   fin    dal    primo   momento. 

Invece    è  il  «  sentire  »  che  spinge  innanzi  nella  perfezione. 

Ci  sono  state  delle  persone  che  hanno  avuto  un  potere  straordi- 
nario di  riconoscere  il  bene  e  il  male,  come  gli  artisti  della  Grecia  furono 
straordinari  nel  riconoscere  le  forme  normali  nel  corpo,  sulla  guida 
del  sentimento  estetico.  Santa  Teresa  racconta  che  quando  qualche 
persona  mondana  non  buona  si  avvicinava  a  lei,  soffriva  come  se  sentisse 
un  cattivo  odore.  Ella  spiega  bene  che  non  sentiva  odore  alcuno,  ma- 
terialmente; ma  soffriva  in  realtà,  non  con  l'immaginazione;  era  la 
sofferenza  di  un  vero  incomodo  interno  che  non  poteva  tollerare. 

Più  interessante  è  il  seguente  aneddoto  che  si  riferisce  ai  primi 
padri  della  Chiesa,  che  vivevano  nel  deserto.  «  Noi  eravamo  —  racconta 
uno  dei  monaci  —  seduti  ai  piedi  del  nostro  vescovo;  ascoltavamo  ed 
ammiravamo  i  suoi  santi  e  salutari  insegnamenti.  Ecco  che  apparisce 
d'un  tratto  la  prima  delle  «  mime  »,  la  più  bella  tra  le  ballerine  di 
Antiochia,  tutta  coperta  di  gioielli:  le  sue  gambe  nude  sparivano 
sotto  le  perle  e  l'oro;  aveva  la  testa  e  le  spalle  scoperte.  Un  gran  cor- 
teggio l'accompagnava;  gli  uomini  del  secolo   non    si   stancavano  di 


^52  PARTE    PRIMA 

divorarla  cogli  occhi.  Un  profumo  delizioso  che  esalava  da  tutta  la 
sua  persona  veniva  a  profumare  l'aria  che  noi  respiravamo.  Quando 
fu  passata  il  nostro  padre  che  l'aveva  a  lungo  guardata,  ci  disse: 
"  Non  siete  stati  affascinati  da  tanta  bellezza?  "  Noi  tutti  tacemmo. 
"Io  -  riprese  il  vescovo  —  ho  provato  un  grande  piacere  a  guardarla; 
perchè  Iddio  l'ha  destinata  a  giudicarci  un  giorno.  Io  la  vedo  —  sog- 
giunse poi  —  come  una  colomba  nera  e  insudiciata;  ma  questa  colomba 
sarà  lavata  e  volerà  verso  il  cielo,  bianca  come  neve  ".  Infatti  poco 
dopo  quella  donna  tornò  per  farsi  battezzare.  "  Mi  chiamo  Pelagia 
—  disse  —  pel  nome  che  mi  hanno  dato  i  miei  parenti;  ma  le  genti 
di  Antiochia  mi  chiamano  La  Perla  per  la  quantità  di  gioielli  di  cui  i 
miei  peccati  mi  hanno  adornata  ".  Due  giorni  dopo,  dette  tutti  i  suoi 
beni  ai  poveri,  si  vestì  di  cilizio,  ed  andò  a  chiudersi  in  una  cella 
sul  Monte  Oliveto,  di  dove  non  si  mosse  più  fino  alla  morte  ».  (Dal 
MoNTALKMBERT,   Les  Moims  d'Occident,  voi.  I,  pag.  86). 

La  nostra  insensibilità.  —  Quel  fine  sentire  che  può  rispon- 
dere con  la  sofferenza  al  male,  o  col  piacere  al  bene  visto  negli  altri, 
come  per  un  miracolo,  quanto  è  lontano  da  noi,  che  nella  nostra 
società  possiamo  vivere  a  lungo  con  un  delinquente,  stimarlo,  strin- 
gergli la  mano,  fino  a  che  il  delitto  clamorosamente  scoperto  non 
lo  designa.  E  noi  diciamo:  «  chi  Io  avrebbe  creduto!  Stava  tra  noi, 
come  una  persona  per  bene  ». 

E  pure  è  impossibile  che  il  delinquente  non  avesse  dei  segni, 
delle  alterazioni  di  sentimento,  delle  mancanze  di  cuore,  che  avrebbero 
potuto  farcelo  riconoscere  tanto  prima.  Nessuno  dice  che  tutti  dob- 
biamo divenire  degli  esteti  miracolosi  come  gli  scultori  Greci,  o  sen- 
sibili come  dei  santi;  ma,  se  ammettiamo  che  passare  accanto  alla 
bellezza  dell'arte  senza  avvedersene  sia  una  cosa  rozza,  e  che  confon- 
dere le  orribili  goffaggini  e  la  mostruosità  con  le  bellezze  ideali, 
non  distinguere  lo  stridore  delle  ruote  del  tram  o  il  chiasso  assordante 
di  istrumenti  stonati,  da  le  musiche  di  Bellini  o  di  Wagner,  sia  qual- 
che cosa  che  la  civiltà  non  può  comportare,  sia  una  insensibilità  che 
ciascuno,  vergognoso,  nasconderebbe  arrossendo,  perchè  non  ci  accor- 
giamo che  siamo  appunto  così,  per  la  sensibilità  morale?  Eccoci  ad 
aver  confuso  tra  loro  delle  persone  virtuose  e  dei  delinquenti,  senza 


X.   -  LA   QUESTIONE    MORALE  253 


nulla  av^'ertire.  Come  fu  che  tante  volte  negli  errori  giudiziari  la 
voce  dell'innocente  non  risuonò  al  nostro  orecchio,  benché  il  giudizio 
fosse  pubblico?  e  lo  si  lasciò  languire  nel  carcere  per  anni  ed  anni? 
Come  mai  la  bontà  è  così  oscura  che  la  confondiamo  con  la  fortuna? 
Come  è  che  quei  ricchi  di  cui  parla  il  Vangelo:  «  guai  a  voi,  ricchi, 
perchè  avete  già  la  vostra  consolazione  »,  pensano  di  andare  a  «  mora- 
lizzare »  i  poveri,  senza  neanche  dare  un'occhiata  alla  propria  vita 
morale  e  alla  loro?  quasi  credessero  che  i  ricchi  sono  buoni  e  i  poveri 
sono  cattivi? 

Se  delle  simili  tenebre  fossero  nel  campo  intellettuale,  noi  non 
sapremmo  concepire  la  forma  di  pazzia  che  si  presenterebbe  ai  nostri 
occhi.  Ci  sono  delle  confusioni  nel  campo  morale,  di  cui  non  è  pos- 
sibile farsi  idea  in  altri  campi  della  vita.  Se  un  giorno  la  gioventù 
più  veggente  di  oggi  sentirà  che  sui  campi  di  battaglia  della  guerra 
europea  si  è  festeggiato  il  Natale,  essa  comprenderà  le  origini  della 
guerra  stessa.  Poiché  David,  in  tale  situazione,  inconcepibile  per  lui, 
avrebbe  trovato  lieve  il  suo  grido:  «  Il  Dio  tuo,  dov'è?  ».  Aver  perduto 
Dio,  sembrerebbe  il  più  evidente  lamento.  Ma  festeggiarlo  con  indif- 
ferenza, vuol  dire  essere  incoscienti  di  averlo  perduto:  e  da  quanto 
tempo  morì  l'anima  e  da  quando  si  cominciò  a  costruire  sulla  morte? 
Quale  terribile  episodio  di  pazzia  questo  del  mostruoso  eccidio  su  cui 
si  pianta  l'albero  della  pace  per  festeggiare  il  Cristo? 

Troppo  siamo  lontani  dal  soffrire  il  cattivo  odore  di  Santa  Teresa, 
e  dal  godere  per  la  visione  della  bianca  colomba  nascosta  sotto  le  su- 
dice  penne!  Noi  non  siamo  lontani  di  là  come  è  il  gusto  di  un  con- 
tadino da  quello  di  un  artista,  ma  come  lo  é  un  cadavere  da  un 
vivente.  Evidentemente,  noi  avevamo  già  subito  una  morte,  di  cui  non 
ci  eravamo  avveduti. 

Sta  dunque  qui,  e  non  nell'igiene  il  segreto  della  nostra  vita. 
Koi  abbiamo  qualche  cosa  di  più  corruttibile  che  il  corpo;  abbiamo 
una  vita  più  fragile  di  quella  fisica;  e  il  pericolo  delle  tenebre  incombe 
su  noi.  Ecco  il  segreto  dell'uomo. 

Se  l'uomo  perde  la  sua  luce  conducente  verso  un  mondo  migliore, 
cade  in  un  abisso,  al  di  sotto  di  tutti  gli  animali  creati. 

Chi  ama,  dunque,  su  queste  fonti  della  vita  porterà  le  sue  cure; 
che  cos'è  la  fragilità  dei  polmoni  di  un  bambino  neonato  che  una 


-'34  1'.   KTI      PKIMA 

snaturata  madre  priva  di  aria  per  soffocarlo,  che  cosa  è  questo  atto 
sì  lieve,  che  pure  distrugge  una  vita,  in  confronto  all'atto  tanto  più 
lieve  e  mortale,  con  cui  si  può  procurare  la  morte  dell'anima? 

La  morte  dell'anima  è,  come  quella  del  corpo,  contraddistinta 
dalla  perdita  della  sensibilità:  invano  il  cadavere  si  prova  coi  ferri 
ro\enti:  esso  non  risponde. 

Chi  vive,  però,  non  ha  solo  la  capacità  di  reagire  ad  uno  stimolo, 
sia  pure  molto  più  lieve  che  il  tocco  di  un  ferro  rovente:  chi  vive 
e  sente,  può  perfezionarsi    -  e  questa  è  la  vita. 

Basterebbe  che  le  anime  «  sentissero  ».  E  come  potrebbero 
più  vivere  tranquille  nel  male?  Se,  sotto  le  finestre  delle  nostre  case, 
delle  persone  andassero  accumulando  immondizie  e  a  poco  a  poco  noi 
sentissimo  ammorbare  l'aria,  chi  potrebbe  resistere  senza  protestare, 
e  rimuovere  la  causa  della  sofferenza?  Se  poi  avessimo  un  bambino, 
grideremmo  ancor  più  forte,  e  ci  metteremmo  magari  con  le  nostre 
mani  a  pulire,  per  rispetto  alla  salute  di  lui.  Ma  se  il  corpo  della 
madre  e  del  fanciullo  giacciono  cadaveri,  essi  non  sentiranno  nem- 
meno l'aria  pestilenziale. 

Il  carattere  «  della  vita  ^)  è  c|uello  di  ripulire  l'ambiente  e  l'anima 
dalle  sostanze  che  ledono  la  salute.  Il  Cristo  viene  chiamato:  «  l'agnello 
che  toghe  i  peccati  dal  mondo  »;  non  il  maestro  che  predica,  ma  colui 
che  depura.  E  questa  è  la  morale  conseguente  alla  sensibilità:  l'azione 
di  purificare  il  mondo,  di  togliere  gli  ostacoli  alla  vita,  di  liberare  lo 
spirito  dalle  tenebre  mortali. 

I  meriti  di  cui  ciascun  uomo  sente  di  dover  dare  conto  innanzi 
alla  sua  coscienza,  non  sono  quelh  di  aver  gustato  la  musica,  o  di  a\er 
fatto  una  scoperta,  ma  quello  di  aver  contribuito  a  salvare  e  a  mante- 
nere la  vita. 

E  a  questi  meriti  depuratori,  come  al  progresso,  non  ci  sono 
limiti. 

«  Liberati  da  tutti  i  legami  e  seguimi  »,  dice  il  Cristo  a  chi  gli  do- 
manda fin  dove  si  può  giungere. 

Poiché  l'uomo,  alle  forze  proprie,  può  aggiungerne  altre  che  lo 
sospingono  verso  l'alto,  all'infinito:  innanzi  a  lui,  dormiente,  c'è 
l'invisibile  scala  di  Giacobbe  percorsa  da  angeli  che  l'invitano  verso 
il  cielo,  cioè  verso  la  vita  soprannaturale.   Sì,  essere  pia  che  uomo. 


LA    QUESTIONE    MORALE  255 


Questo  è  un  sogno  per  chi  non  ha  fede,  ma  è  la  meta  realiz- 
zabile, lo  scopo  della  vita  in  chi  ha  la  fede. 

Per  Federico  Nietzsche  il  superuomo  è  un'  idea  senza  conseguenza 
pratica,  strana,  erronea  anche  innanzi  alle  stesse  teorie  dell'evolu- 
zione alle  quaU  s'ispira.  Essa  non  ha  dato  alcun  aiuto  a  vincere 
i  mali  dell'  umanità  :  anzi  come  una  catena  verrebbe  a  trattenere 
r  uomo  in  basso,  cercante  suUa  terra  i  mezzi  per  creare  da  sé  stesso 
r  uomo  superiore  a  sé  stesso  :  e  lo  fa  smarrire  nell'  egoismo,  nella 
crudeltà,  nella  follìa. 

Ma  innumerevoli  santi  hanno  sentito  e  operato  secondo  la  loro 
affermazione:   «  non  son  piìi  io  che  vive,  é  Cristo  che  vive  in  me  ». 

Se,  come  dice  il  nostro  poeta,  l 'uomo  é  «  crisalide  chiamata 
a  formare  l'angelica  farfalla  »,  non  é  dubbia  la  via:  egU  deve  spi- 
ritualmente o  ascendere  o  morire. 

Perciò  non  è  tutta  la  vita,  seguire  le  leggi  dell'  «  igiene  «  fisica 
e  psichica,  ma  è  solo  la  vita  che  attinge  dall'ambiente  i  mezzi  della 
sua  purificazione,  della  sua  salute;  —  quella  però  che  é  soprannaturale, 
chiede  all'amore  e  alla  luce  divina  le  forze  necessarie  alla  sua  tra- 
sformazione. 

Infatti  non  è  Vestasi  che  caratterizza  i  santi  ;  ma  è  la  lotta 
reale  e  vittoriosa  tra  l'inferiore  e  la  superiore  personalità. 

Morale  e  religione.  —  È  noto  che  nelle  forti  impressioni  reh- 
giose,  come  sono  le  crisi  delle  conversioni,  ciò  che  caratterizza  il  fe- 
nomeno é  «  una  luce  interiore  »,  é  un  «  ordine  »  che  si  stabilisce  im- 
provvisamente, per  cui  si  vede  ciò  che  prima  non  si  vedeva:  la  distin- 
zione tra  il  bene  ed  il  male  e  quindi  la  rivelazione  di  sé  stesso.  Infatti 
i  convertiti,  nel  momento  in  cui  la  rivelazione  è  avvenuta,  non  sem- 
brano preoccuparsi  della  divinità  o  dei  dogmi  o  dei  riti;  sono  persone 
in  preda  a  una  violenta  commozione,  le  quali  sembrano  dimenticare 
tutta  la  loro  vita  fisica  e  intellettuale  e  si  occupano  di  se  stessi  intorno 
ad  un  punto  centrale  della  coscienza  che  sembra  infiammato  e  fulgido 
in  un  modo  prodigioso.  Il  grido  del  convertito  é  per  lo  più  questo: 
«  io  sono  un  peccatore!  ».  Sembra  che  le  tenebre  si  siano  staccate  da 
lui,  insieme  a  tutto  il  male  che  lo  corrodeva,  lo  indeboliva,  lo  asfis- 
siava, e  che  egli   vede,  oramai  separato  da  sé,  terribile,  fosco,   pieno 


256  PARTI-:    PRIMA 

di  pericoli  spaventevoli.  È  questo  che  lo  fa  agitare  e  piangere,  e  che 
lo  spinge  verso  qualcuno  che  lo  comprenda,  lo  sollevi  e  lo  aiuti. 
I  conxertiti  hanno  bisogno  di  aiuto  come  i  neonati:  essi  piangono  e 
si  agitano  come  l'uomo  che  nasce  di  nuovo  alla  vita  e  che  non  ha 
alcun  rispetto  umano,  alcuna  costrizione.  E  la  vita  sua  che  egli  sente; 
e  il  valore  della  sua  vita  gli  sembra  più  grande  delle  ricchezze  e  delle 
convenienze  del  mondo  intero.  Il  suo  sollievo  estatico,  è  di  essere 
scampato  da  un  grande  pericolo;  la  sua  ansietà  è  di  essere  «liberato» 
dal  male  che  l'opprimeva.  Prima  di  fare  un  passo  di  più  egli  dovrà  a 
lungo  ripensare  il  tempo  spaventoso  in  cui  il  male  era  radicato  in  lui 
senza  che  lo  sentisse: 

lì  come  quei,  che  con  lena  affannata 
Uscito  fuor  del  pelago  alla  riva, 
Si  volge  all'acqua  perigliosa  e  guata: 

Così  l'animo  mio,  che  ancor  fuggiva, 
Si  volse  indietro  a  rimirar  lo  passo 
Che  non  lasciò  giammai  persona  viva. 

(Dante,  Inferno,  canto  I). 

Quel  male  teneva  compressi  i  tesori  dello  spirito  che,  ormai  libe- 
rati, sembrano  rinfrescare  e  rianimare  innanzi  ai  suoi  occhi  tutto  il 
mondo  circostante: 

Ciò  che  io  vedeva  mi  sembrava  un   riso 
Dell'universo... 

(Dante,  Paradiso,  canto  XXVII). 

Uno  dei  casi  più  singolari  di  conversione  che  io  ho  udito  raccon- 
tare è  il  seguente.  In  una  chiesa  affollata  un  monaco  celebre  per  la  sua 
arte  oratoria,  teneva  una  predica,  che  era  ascoltata  con  devota  am- 
mirazione. A  un  tratto  un  singhiozzare  alto  lo  interrompe  e  un  uomo 
tra  la  folla  dice  forte  stendendo  le  mani  verso  il  pulpito:  «  Sono  un 
gran  peccatore!  ».  Il  monaco,  come  si  fa  in  simili  casi,  soccorse  il  con- 
vertito e  ricevè  il  completo  sfogo  di  quell'anima,  che  strappava  da  sé 
tutto  il  male  che  l'aveva  corrosa.  Poi,  curioso  di  sapere  quale  argo- 
mento avesse  toccato  il  cuore  di  quell'uomo,  gli  chiese  quale  parte 
della  predica  aveva  specialmente  influito  sul  prodigio.  «  Ah  —  rispose 
il  convertito  —  io  non  ho  inteso  neppure  una  parola  di  ciò  che  dicevate; 
entrai  in  chiesa  senza  sapere  perchè:  in  quel  momento  voi  rivolgeste 


LA    QUESTIONE    MORALE  25/ 


il  vostro  dito  con  forza  verso  di  me:  Sì,  è  vero,  gridai,  sono  io,  sono 
un  peccatore!  e  sentii  scendere  dalle  mie  spalle  come  una  pesante  cappa 
di  piombo  che  mi  opprimeva:  allora  un  pianto  irrefrenabile  mi  salì 
dal  cuore».  Nessun  elemento  intellettuale,  dunque,  entrava  nella  conver- 
sione; non  era  una  «  convinzione  »,  nemmeno  una  «  conoscenza  »  nuova 
che  aveva  agito;  ma  solo  era  avvenuto  un  fenomeno  spontaneo  della 
coscienza,  che  divideva,  forse  dopo  una  inconscia  preparazione,  la  luce 
dalle  tenebre  e  iniziava  la  creazione  dell'uomo  nuovo. 

Il  convertito  sente  più  di  ogni  altro  con  chiarezza  che  il  male  è 
di  «  ostacolo  »  a  una  forma  di  godimento  superiore  a  tutti  i  godimenti 
elevati  che  l'uomo  possa  gustare.  Non  si  è  soltanto  purificato,  ma 
la  purificazione  lo  ha  trasformato.  Egli  è  come  un  diamante  pieno  di 
scorie  e  di  fango,  che  di  un  tratto  avesse  separato  la  pietra  preziosa 
dalle  sostanze  sovrapposte,  e  fosse  uscito  limpido  e  terso  alla  superficie 
della  terra:  esso  non  è  solo  una  pietra  pulita  e  magnifica;  ciò  che  ve- 
ramente lo  trasforma  è  il  sole  che  ora  si  può  riflettere  in  esso  e  farlo 
brillare.  Questo  è  lo  splendore  insospettato,  che  vi  si  aggiunge  natu- 
ralmente e  che  non  ha  nulla  a  che  fare  né  con  le  perdute  scorie,  né 
con  le  intrinseche  qualità  del  gioiello.  Le  scorie  non  lo  deturpavano 
soltanto,  ma  gli  impedivano  di  incontrare  i  raggi  che  devono  formare 
il  suo  caratteristico  pregio. 

Tutti  i  religiosi  sanno  che  il  male  è  una  «  catena  »  per  noi,  la 
quale  ci  trattiene  sotto  terra  come  in  una  tomba:  e  che  i  sentimenti 
contrari  all'amore  sono  altrettanti  ostacoli  che  impediscono  la  nostra 
espansione,  e  il  nostro  libero  contatto  con  l'essenza  divina  che  è  in  noi. 
Basta  la  più  piccola  scoria,  la  più  sottile  infiltrazione  per  alterare  la 
nostra  limpidezza  e  farci  uscire  dallo  scrigno  degli  eletti:  un  solo 
sguardo  che  giudica  il  fratello  invece  di  assolverlo;  un  sentimento  che 
trattiene  ostile  il  nostro  cuore  su  lui;  o,  infine,  l'astio  che  genera  la 
rabbia  e  l'odio  divoratore. 

«  Manifesti  siano  i  desideri  contrari  allo  spirito:  essi  sono  le  ini- 
micizie, le  contese,  le  emulazioni,  le  risse,  le  discordie,  le  sette,  le  in- 
vidie, i  venefici,  gh  omicidi  ».  Accostarsi  all'altare  col  cuore  ferito 
sia  pure  lievemente  da  un  seduttore  stimolo  contro  la  carità,  é  vano: 
è  come  se  una  lepre  ferita  si  precipitasse  verso  la  tana  portando  lo 
strale  che  la  trafigge  da  parte  a  parte:  essa  non  va  a  salvarsi,  va  a  mo- 


258  PARTI      PRIMA 

rire  nella  sua  tana.  «  E  così  tu,  se  stai  per  fare  l'offerta  all'altare  e 
ti  so\-viene  di  avere  alcunché  contro  il  fratello,  va,  riconciliati  prima 
col  fratello,  e  poi  torna  a  fare  la  tua  offerta  ». 

Chi  perdona  le  offese,  non  fa  un  atto  logico  di  giustizia,  né  fa 
il  bene  alla  persona  perdonata;  quindi  giudicare  se  l'offesa  meriti  o 
no  il  perdono,  se  la  persona  abbia  da  noi  bisogno  o  no  di  essere  assolta, 
è  tempo  perduto.  Non  per  la  giustizia  o  per  la  persona  dobbiamo  per- 
donare, ma  per  noi  stessi:  chi  ha  perdonato,  ha  strappato  da  sé  l'astio, 
il  risentimento,  tutto  ciò  che  opprimeva  lo  spirito  e  lo  incatenava, 
facendolo  impotente  ad  elevarsi.  Ecco  perchè  bisogna  perdonare:  per 
ispezzare  quel  legame  che  impedisce  il  libero  moto,  e  l'ascesa.  Allor- 
quando si  tagliava  la  gomena  del  pallone,  non  si  pensava  se  ciò  fosse 
giusto  verso  la  terra  e  se  la  gomena  lo  meritasse:  si  faceva  perchè  era 
necessario,  affinchè  il  pallone  si  alzasse.  Chi  ascendeva,  poi,  godeva 
dall'alto  le  meraviglie  di  uno  spettacolo  che  non  si  può  godere  sulla 
terra.  Chi  vorrebbe  fare  un  bilancio  tra  questo  guadagno  ed  il  sacri- 
fìcio della  gomena? 

Perdona  e  sentirai  dal  mondo  intiero  l'assoluzione  universale 
ascendere  verso  di  te:  segno  che  sarai  salito.  Haec  est  vera  fraiernitas, 
quae  vicit  mundi  crimina. 

Il  sentimento  religioso  nei  bambini.  —  Non  sono  molte  le 
ricerche  fatte  sulle  crisi  della  coscienza  e  sul  sentimento  religioso  spon- 
taneo dei  bambini.  E  vero  che  in  questi  ultimi  tempi,  nel  singolare 
movimento  religioso  che  ci  fu  in  Inghilterra,  avvennero  fatti  sorpren- 
denti di  religiosità  nei  bambini:  è  dopo  che  la  piccola  Nelly  di  cinque 
anni  morì  desiderando  la  comunione,  che  Pio  X  vi  ammise  i  bambini 
di  qualunque  età.  Ma  l'argomento  non  fa  largamente  parte  degli  studi 
positivi  dei  giorni  nostri. 

L'unico  studio  di  questo  genere  apparso  nei  pubblici  congressi 
di  psicologia,  è  stato  quello  illustrato  nel  «  Premier  Congrès  Interna- 
tional de  Pedologie,  Bruxelles,  aout  1911  »:  Quelques  observations 
sur  le  développement  de  l'émotion  morale  et  religieuse  chez  un  enfant, 
Ghidionescu  doct.  en  Philosophie  (Bucarest).  Il  bambino  che  forma 
il  soggetto  dell'osservazione,  non  aveva  avuto  alcuna  educazione  reli- 
giosa. Un  giorno  il  bambino  fu  visto  scoppiare  in  pianto  improvvisa- 


X.  -   LA   QUESTIONE    MORALE  259 

mente,  senza  che  alcuna  apparente  occasione  vi  avesse  contribuito. 
Alla  madre  che  aveva  chiesto  al  bambino  perchè  piangeva,  questi  ri- 
spose: «  Perchè  mi  ricordo  di  aver  visto  maltrattare  un  cagnolino  due 
mesi  e  fa;  in  questo  momento  lo  sento  ».  Un  anno  e  mezzo  dopo 
avvenne  una  crisi  analoga.  Egli  una  sera  guardava  la  luna  dalla  fine- 
stra, quando,  a  un  tratto,  dette  in  un  dirotto  pianto.  «  Non  mi  rimpro- 
verate —  disse  con  agitazione  il  bambino  —  mentre  guardavo  la  luna 
ho  sentito  i  dispiaceri  che  vi  ho  dato,  e  ho  capito  di  avere  offeso  Iddio»/. 

Questo  interessante  studio  rivela  fasi  successive  di  un  fenomeno 
spontaneo  di  coscienza  morale:  c'è  prima  la  rivelazione  del  sentimento 
vivo,  che,  dopo  due  mesi  da  che  il  fatto  è  avvenuto,  provoca  nel  bambino 
una  crisi  di  pianto:  egli  sente  le  sofferenze  del  cagnolino  maltrattato. 
E  dopo  molto  tempo  che  questa  azione  della  coscienza  si  è  iniziata, 
ecco  l'ordine:  il  bambino  distingue  gli  atti  buoni  dai  cattivi,  e  si  ac- 
corge di  aver  dato  dei  dispiaceri  ai  genitori:  dispiaceri  che  probabil- 
mente erano  leggerissimi,  sì  da  passare  quasi  inosservati  alla  sua  co- 
scienza mentre  avvenivano;  nel  momento  però  in  cui  egli  si  purifica 
da  queste  minime  scorie,  egli  sente  Iddio.  «  Ho  capito  di  avere  offeso 
Iddio  "  egli  dice,  e  sa  bene  di  non  avere  offeso  i  genitori.  Ora,  mai 
alcuno  gli  aveva  parlato  di  Dio,  né  lo  aveva  educato  a  esaminare  la 
sua  coscienza. 

Durante  la  mia  esperienza  io  non  ho  avuto  occasione  di  assistere  a 
un  simile  ciclo  di  sviluppo  interiore.  Le  mie  esperienze  sulla  educazione 
religiosa,  sono  state  finora  necessariamente  scarse:  infatti  nella  Casa 
dei  Bambini  tenuta  dalle  Suore  Francescane  di  via  Giusti  l'educazione 
religiosa  era  data  coi  metodi  comuni  e  non  si  potevano  fare  studi 
od  osservazioni  originali.  Viceversa  il  partito  politico  imperante  nei 
municipi  aveva  abolito  la  religione  dalle  scuole  pubbliche  con  un 
rigore  settario  che  faceva  temere  la  parola  Dio,  come  si  teme  la  pa- 
rola diavolo  tra  i  bigotti. 

La  mia  esperienza  dovè  quindi  essere  limitata  ad  alcuni  dei  bam- 
bini accolti  privatamente  in  casa  mia,  appartenenti  a  famiglie  non  reli- 
giose, e  che  perciò  non  avevano  subito  alcuna  influenza  religiosa  (i). 

(i)  Si  stanno  ora  compiendo  interessanti  esperimenti  sull'educazione  religiosa 
nella  «  Hscola  Montessori  «  di  Barcelona,  tenuta  dalla  Deputazione  Provinciale  di 
quella  città. 


:;oo  PARTI-;  prima 

Uno  dei  mici  piccoli  allievi  era  dell'età  di  sette  anni  compiuti 
quando  in  casa  sua,  un  amico  di  famiglia,  vedendolo  intelligente  e 
sapendolo  educato  nella  «i  libertà  »,  volle  provare  a  descrivergli  breve- 
mente l'evoluzione  animale,  secondo  i  principi  di  Lamark  e  di  Darwin. 
Il  fanciullo  seguì  con  molta  attenzione  il  discorso  e  poi  chiese:  «  ebbene, 
l'uomo  viene  dalla  scimmia,  e  questa  da  un  altro  animale  e  così  via: 
ma  il  primo  da  chi  viene?  ».  «  Il  primo  »  rispose  il  narratore  «  si  è  for- 
mato a  caso  ».  Allora  il  bambino  scoppiò  in  una  grande  risata,  e  chia- 
mando la  madre,  le  diceva  concitato:  «  Ma  senti,  senti  che  sciocchezza: 
la  vita  che  si  forma  a  caso!  questo  è  impossibile  ».  «  E  come  dunque 
si    forma   la   vita?  ».    «  È    Dio  »    rispose  il  bambino  con  convinzione. 

Lo  stesso  fanciullo,  col  permesso  della  madre,  fu  preparato  insieme 
a  una  sua  sorella  alla  Comunione:  un  giovane  sacerdote  esteta  e  fine- 
mente educato  si  accinse  all'impresa.  Io  ero  curiosa  di  vedere  quali  ob- 
biezioni avrebbe  fatto  il  bambino:  ma  non  fui  ammessa  alla  sua  istru- 
zione. Solo  un  giorno,  in  cui  l'istruzione  era  quasi  finita,  io  fui  presente. 
Il  sacerdote  parlava  della  conservazione  del  vino  e  dei  casi  pratici 
in  cui  il  celebrante  può  trovarsi  durante  le  funzioni  sacre.  Mi  sembrò 
che  quel  discorso  fosse  del  tutto  inadatto  ai  bambini,  e.  che  dovesse 
distorgUerU  dallo  scopo:  ma  con  meravigUa  io  vidi  i  loro  volti  intenti 
verso  l'altare;  essi  erano  evidentemente  estranei  a  tali  spiegazioni 
minuziose,  ma  invasi  da  un  sentimento  che  li  attraeva:  come  per 
l'innocente  Parsifal,  il  calice  col  sangue  divino  chiamava  la  loro 
anima  aperta  a  riceverlo.  Quando  essi  fecero  la  Comunione,  mi  per- 
suasi che  la  loro  anima  accettava  i  misteri  con  dolce  fede,  e  con  una 
semplicità  assoluta,  come  se  fosse  comprensibile  per  loro  tutto  ciò 
che  è  di  Dio,  e  assurdo  soltanto  quello  che  lo  nega.  La  loro  conquista 
li  accompagnò  nella  vita. 

Una  loro  piccola  cugina,  che  fu  preparata  solo  dopo  molto  tempo 
a  ricevere  la  Comunione  come  loro,  e  che  non  era  affatto  educata  reli- 
giosamente in  casa  sua,  un  giorno,  mentre  lavorava  in  classe  con 
entusiasmo,  si  mise  a  dire:  «  Come  è  bella  l'anatomia  del  fiore;  mi 
piacciono  tanto  l'aritmetica  e  la  geometria:  più  bella  di  tutte  le  cose 
però  è  la  religione  ». 

Stava  in  iscuola  una  bambina  più  grande  i  cui  genitori,  padre 
e  madre,  erano  addirittura  ostili  alla  religione.  Questa  bambina,  mal- 


LA    QUESTIONE    MORALE 


grado  dimostrasse  molto  interesse  agli  esercizi  di  scuola,  era  sempre 
agitata.  Quando  poi  avevano  luogo  nella  sua  villa  dei  meravigliosi 
balli  di  bambini,  che  erano  sapientemente  organizzati  e  riuscivano 
vere  opere  d'arte,  essa  si  mostrava  ancor  piti  agitata  e  cinica,  quasi 
fosse  stata  ferita  da  una  disillusione.  Un  giorno  ella  chiamò  un'orfa- 
nella  di  Messina  che  era  tra  i  nostri  bambini  venuti  dalla  scuola  di 
via  Giusti,  e  la  condusse  con  sé  in  un  angolo  appartato,  chiedendole 
di  recitare  il  Pater  noster.  L'orfanella  lo  recitò,  mentre  la  ricca  bam- 
bina la  divorava  con  gli  occhi.  Quindi,  come  obbedendo  a  un'ispira- 
zione, andò  verso  il  pianoforte  per  suonare:  ma  le  sue  mani  trema- 
vano: si  gettò  da  un  lato,  col  gomito  sulla  tastiera  e  la  testa  abban- 
donata, non  sapendo  più  nascondere  la  sua  commozione.  L'anima  sua 
cercava  di  dissetarsi:  nulla  poteva  darle  pace,  se  non  una  sola  cosa  di 
cui  chi  l'amava  voleva  privarla.  Ancora  era  vivo  e  cercante  il  suo 
cuore:  «  Come  il  cervo  assetato  desidera  le  fontane  d'acqua,  così  te 
desidera,  o  Dio,  l'anima  mia  ». 

Non  si  era  formata  ancora  intorno  a  lei  la  rozza  scoria  fatta  di 
tenebre,  che  rende  così  diffìcile  all'uomo  adulto  di  abbracciare  i  misteri 
dello  spirito  con  la  semplicità  del  bambino.  Più  tardi  ciò  è  incom- 
prensibile, come  a  Nicodemo  che  ribatte  al  Cristo:  «  Rinascere!...  e  come 
potrò  io  rientrare  nell'utero  di  mia  madre?  ». 

Ma  basta  così  rapida  visione,  per  comprendere  che  il  piccolo  bam- 
bino non  ha  solo  i  bisogni  intellettuali,  e  che,  prima  assai  che  la  sua 
intelligenza  sia  svolta  e  soddisfatta,  lo  spirito  aperto  e  puro  riflette 
la  luce  divina.  Egli  è  forse  il  Parsifal  che  noi  attendiamo,  così  de- 
pressi e  malati  nel  cuore,  mentre  per  l'impurità  delle  nostre  mani,  la 
colomba  non  può  più  discendere  nel  Santo  Graal  verso  il  calice  empito 
col  sangue  della  Pace  (i). 

(i)  La  questione  morale  t'  qui  solo  accennata  e  accennata  non  nella  sua  com- 
pletezza. Questo  lavoro  rappresenta  infatti  un  contributo  sperimentale  all'educa- 
zione dell'intelligenza.  Adesso  si  è  appena  iniziato  in  Barcelona  (Spagna)  uno  studio 
sperimentale  sull'educazione  morale  e  religiosa  dei  bambini:  questa  sarà  l'opera  che 
dovrà  far  seguito  alla  presente. 

Non  so  prevedere  se  io  e  i  miei  collaboratori  potremo  riuscire  in  tanta  impresa* 


PARTE  SECONDA 


I   "TESTS,,   SISTEMATICI 

PER    LO   SVILUPPO    INTELLETTUALE 

NELLE  CLASSI   ELEMENTARI 


GRAMMATICA 


DAI    MECCANISMI 

ALLO   SVOLGIMENTO    INTELLETTUALE 

DEL  LINGUAGGIO 


Nelle  «  Case  dei  Bambini  »  eravamo  giunti  a  un  grado  di  sviluppo  in  cui  i 
bambini  scrivevano  parole  e  anche  frasi;  e  leggevano  dei  cartellini  (Tavola  I) 
ove  erano  descritte  azioni  che  essi  interpetravano  praticamente,  mostrando 
così  di  averle  comprese.  Il  materiale  di  sviluppo  per  la  scrittura  e  lettura 
consisteva  in  due  alfabetari:  uno  più  grande,  che  aveva  le  vocali  di  un  colore 
diverso  dalle  consonanti;  e  uno  meno  grande,  avente  tutte  le  lettere  del 
medesimo  colore.  Il  grado  di  sviluppo,  però,  non  era  ben  determinato:  si 
potrebbe  dire  che  i  bambini  avevano  fissato  i  meccanismi  della  scrittura  e 
della  lettura  e  si  avviavano  verso  uno  svolgimento  intellettuale  relativo  a 
tale  conquista.  Questo  «  avviamento  »,  incerto  nella  sua  limitazione,  era,  più 
che  altro,  una  via  aperta  al  progresso,  quella  su  cui  doveva  venire  a  sta- 
bilirsi  uno  sviluppo  ulteriore:   la  scuola  elementare. 

Nel  piccolo  bambino,  ciò  che  veramente  venne  precisato  con  la  prima 
parte  del  metodo,  furono  i  i<  meccanismi  »  psicomotori  della  parola  scritta, 
i  quali  dovevano  venire  a  stabihrsi  con  un  processo  lento  di  maturazione 
—  con  un  esercizio  metodico  delle  vie  psicomotrici  —  similmente  a  ciò 
che   avviene   per  lo   stabilirsi   naturale   del   linguaggio   articolato. 

In  un  periodo  superiore,  la  «  mente  «  potrà  servirsi  nei  suoi  processi 
progressivi  del  linguaggio  scritto,  che  fu  meccanicamente  stabilito  così  nella 
produzione  (scrittura)  come  nell'interpetrazione  (lettura). 

Ciò  è  stabilito  normalmente  a  cinque  anni  d'età.  Il  bambino,  allorché 
principia  a  pensare  e  a  servirsi,  in  rapporto  a  tale  sviluppo  del  pensiero,  del 
linguaggio  scritto,  entra  nel  periodo  delle  scuole  elementari.  Ciò  per  un 
fatto  di  maturazione,  non  per  altri  fatti  come  quello  dell'età,  ecc. 

È  vero,  si  è  detto  in  un  primo  periodo,  che  i  bambini  restavano  nella 
«  Casa  dei  Bambini  »  fino  all'età  di  sette  anni;  è  pur  vero  però  che  essi  impara- 


268  PARTI     SECONDA 

vano  scrittura,  calcolo,  lettura  e  perfino  composizione;  s'inoltravano  perciò 
così  per  età  c»me  per  istruzione,  nelle  scuole  elementari.  Tuttavia  quel  pe- 
riodo, dal  meccanismo  grafico  in  poi,  era  nebuloso.  Noi  ora  l'abbiamo,  con 
ulteriori  studi  sperimentali,  «  determinato  »,  oltre  a  sorpassarlo  di  gran  lunga. 

Ciò  dimostri  però,  che  con  l'istruzione  elementare  sul  principio  non 
usciamo  dalla  «  Casa  dei  Bambini  »,  anzi,  vi  rientriamo  a  dar  forma  distinta 
alle  nebulosità  piene  di  speranza  tra  le  quali  il  primo  studio  era  terminato. 
Quindi  la  «  Casa  dei  Bambini  »  e  le  elementari,  non  sono  cose  distinte  —  come 
potrebbero  esserlo  l'asilo  froebeliano  e  le  elementari  —  ma  sono  «  la  stessa 
cosa  »,  la  continuazione  dell'identico  fatto. 

Rientriamo  perciò  nella  «  Casa  dei  Bambini  »  e  prendiamo  ad  avvici- 
nare il  bambino  di  cinque  anni  e  mezzo.  Oggi,  nelle  «  Case  dei  Bambini  » 
che  seguirono  il  progresso  degli  studi,  vi  s'inizia  senz'altro  l'istruzione  ele- 
mentare. 

Dal  secondo  alfabetario  della  «  Casa  dei  Bambini  »,  si  passa  ad  un 
terzo  alfabetario;  ove  le  lettere  dell'alfabetario  mobile  sono  assai  più  pic- 
cole, perfettamente  calligrafiche,  e  in  numero  di  venti  per  ogni  esemplare, 
anziché  di  quattro  come  negli  alfabetari  inferiori;  inoltre  l'alfabetario  com- 
pleto è  tre  volte  ripetuto:  ce  n'è  uno  di  color  bianco  (gesso),  uno  nero 
(inchiostro  nero)  e  uno  rosso  (inchiostro  rosso).  Sono  perciò  sessanta  copie 
di  ogni  lettera  dell'alfabeto:  inoltre  vi  esistono  anche  tutti  i  segni  d'inter- 
punzione: punti,  virgole,  accenti,  apostrofi,  punti  interrogativi  ed  esclamativi. 
Le  lettere  sono  di  semplice  carta  lucida  (i). 

Gli  usi  di  questi  alfabetari  sono  molteplici;  perciò  procediamo  alquanto, 
prima  di  fermarci  ad  esaminarli. 

Tutti  certo  hanno  trovato  naturalissimo  quell'esercizio  della  «  Casa  dei 
Bambini  »  in  cui  si  poneva  il  cartellino  che  portava  scritto  un  nome,  sull'og- 
getto corrispondente.  Era  la  prima  lettura;  noi  riconoscevamo  che  il  bambino 
sapeva  leggere,  dal  fatto  che  riconosceva  r«  oggetto  »  indicato  dal  cartellino. 
In  tutte  le  scuole  del  mondo  troverebbero  logico  simile  procedere.  Forse,  io 
credo,  in  tutte  le  scuole  ove  è  penetrato  il  metodo  oggettivo,  si  fa  qualcosa 
di  simile  e  non  si  trova  che  sia  una  difficoltà,  ma  una  facilitazione,  pel 
bambino,  imparare  così  i  nomi  degli  oggetti. 

Noi  dunque  già  da  tempo  e  con  vari  metodi  in  uso,  insegniamo  con  un 
metodo  oggettivo,  con  l'aiuto  di  esercizi  pratici:  il  nome. 

E  perchè  insegnare  così  solo  il  nome?  Non  è  forse  esso  una  parte  del  di- 
scorso come  un'altra?  E  se  c'è  un  modo  che  facilita  la  conoscenza  del  nome, 


(l)  Altri  esemplari  portano  invece  lettere  dell'alfabeto  secondo  la  forma  dello  stam- 
pato: e  sono  disposte  nel  casellario  secondo  l'ordine  in  cui  sono  le  lettere  dell'alfabeto 
nelle  macchine  da  scrivere. 


GRAMMATICA  269 

non  potranno  esserci  maniere  simili  per  facilitare  la  conoscenza  di  tutte 
le  altre  parti  del  discorso,  come  sarebbero  l'articolo,  l'aggettivo,  il  verbo, 
il  pronome,  l'avverbio,  l'interiezione,  la  congiunzione,  la  preposizione? 

Quando  si  mette  un  cartellino  con  la  parola  interpetrata  sull'oggetto 
ad  essa  corrispondente,  si  viene  a  distinguere  il  nome  dalle  altre  parti  del 
discorso,  e  si  viene  intuitivamente  a  definire;  quindi  è  già  stato  fatto  un  primo 
passo  reale  dentro  la  grammatica. 

Ma  se  con  la  «  lettura  »  si  è  cosi  entrati  direttamente  nella  «  classifica- 
zione »  delle  parole,  prima,  componendo  con  l'alfabetario  mobile  o  scrivendo 
tutte  le  parole,  il  bambino  aveva  fatto  un  lavoro  preparatorio,  cioè  l'analisi 
dei  suoni,  l'analisi  delle  parole  stesse:  infatti,  leggendo,  come  abbiamo  visto, 
ò  l'accento  tònico  scoperto  dal  bambino,  che  gli  fa  riconoscere  la  parola  (i). 
Non  solo  i  suoni  e  gli  accenti,  ma  la  forma  della  parola  il  bambino  è  venuto 
ad  analizzare. 

Quale  cosa  assurda  sarebbe  mai  tentare  uno  studio  di  fonologia  e  di 
morfologia  in  un  asilo  d'infanzia,  con  bambini  di  quattro  anni  d'età!  Ep- 
pure i  bambini  hanno  fatto  questo.  L'analisi  era  il  «  mezzo  »  per  giungere 
alla  parola,  era  la  «  facilitazione  »  che  rendeva  possibile  al  piccolo  bambino 
di  scrivere  senza  sforzo. 

E  perchè  un  simile  procedere  sarà  utile  per  la  «  parola»  e  non  pel  discorsor 
Noi,  procedendo  alla  «  classificazione  »  delle  parole  col  distinguere  da  tutte 
le  altre  il  nome,  siamo  penetrati  nell'analisi  del  discorso,  come  facendo  toc- 
care la  prima  lettera  smerigliata  e  facendone  pronunciare  il  suono,  avevamo 
fatto  il  primo  passo  nell'analisi  della  parola.  Non  c'è  che  da  continuare. 
E  forse  arriveremo  al  «  discorso  analizzato  per  intiero  »  come  arrivammo 
alla  composizione  delle  parole,  trovando  in  ciò  «  un  mezzo  di  facilitazione  >. 
un  aiuto  così  singolarmente  efficace,  da  portare  il  bambino  a  «  scrivere  bene  » 
i  suoi  pensieri  con  precocità  e  perfezione. 

Eravamo  già  penetrati,  dunque,  da  lungo  tempo  nella  grammatica, 
non  abbiamo  che  da  proseguire.  La  cosa  potrà  apparire  ardita,  ma  non 
importa.  Quella  grammatica,  quello  spauracchio  non  meno  terribile  dello 
spaventevole  antico  procedimento  d'imparare  a  leggere  e  scrivere,  diventerà 
forse  un  esercizio  appassionante;  sarà  la  benefattrice  che  conduce  piacevol- 
mente a  «  trovar  le  cose  fatte  ».  Sì,  il  bambino  si  troverà  col  suo  discor- 
setto uscito  dalla  sua  penna,  e  ne  sarà  felice  non  meno  di  quando  gli  uscivan 
dalle  mani  le  prime  parole. 


(i)  Nel  libro  //  Metodo  della  Pedagogia  Scientifica,  ecc.,  è  descritto  come  il  bambine 
comincia  a  leggere:  egli  pronuncia  nella  parola  i  suoni  corrispondenti  alle  singole  lettere 
dell'alfabeto  senza  rilevarne  il  senso,  ma  rileggendo  sempre  più  presto,  trova  l'accento 
tonico  e  la  parola  è  riconosciuta. 


270  r.NRTK    SECONDA 


ln\oro.  quella  buona  grammatica!  se  diventa  l'aiuto  amabile  e  indi- 
spensabile a  «costruire  il  discorso»,  assume  tutt'altro  tipo  di  quell'assas- 
sina che  squartava  i  discorsi  senza  che  ci  si  potesse  più  raccapezzar  niente 
Veniva  sì  facile  dire:  il  discorso  ora  è  fatto,  lascialo  stare.  Perchè  scomporlo? 
f>erchè  togliergli  il  senso  che  lo  anima  e  farne  un'accozzaglia  di  parole 
insensate?  Perchè  sciupare  ciò  che  esiste  per  farci  ingolfare  in  un'analisi 
incomprensibile?  Se.  infatti,  a  chi  sa  già  leggere,  noi  imponessimo  il  lavoro 
di  scomporre  tutte  le  parole  in  suoni,  ciò  importerebbe  un  tale  sforzo  di 
volontà,  che  solo  un  glottologo  potrebbe  applicarvisi  diligentemente,  spinto 
dai  suoi  fini  speciali.  Mentre  il  bambino  di  quattro  anni,  quando  da  quei 
suoni  senza  significato  passa  a  comporre  un  insieme  che  corrisponde  a  un'idea 
che  rappresenta  una  conquista  utile,  meravigliosa,  è  altrettanto  attento 
quanto  il  glottologo  e  forse  più  appassionato  di  lui.  Così  è  per  la  gramma- 
tica, quando  dalle  analisi  ci  fa  salir  su  su,  in  alto,  empiendosi  sempre  più  di 
significato,  acquistando  a  passo  a  passo  un  interesse  sempre  maggiore,  fin 
che  eccoci  al  culmine:  il  discorso  è  pronto,  compreso  e  chiaro  fin  nelle 
sue  più  intime  viscere;  bello  come  una  creazione,  nato  perfetto,  e  rhv  nes- 
suno più  dovrà  toccare. 

I, 'analisi  dei  suoni  che  conduce  coi  nostro  metodo  alla  scrittura  spon- 
tanea, non  è  adatta  a  tutte  le  età.  Sono  i  piccoli  bambini  di  quattro  anni  o 
quattro  anni  e  mezzo  che  vi  prendono  quella  caratteristica  passione,  per  cui 
vi  persistono  tanto,  come  in  nessun'altra  età,  e  crescono  poi  perfetti  nella 
scrittura  meccanica.  Ebbene,  anche  lo  studio  analitico  del  discorso,  questo  sof- 
fermarsi sulle  parole  con  intenso  interesse,  non  è  di  tutte  le  età:  sono  i  bam- 
bini da  cinque  a  sette  anni,  quegli  amatori  appassionati  delle  parole,  che  vi 
son  predisposti;  son  quelle  menti  immature  che  ancora  non  possono  inter- 
petrare  chiaramente  un  discorso,  ma  comprendono  le  parole,  che  possono 
persistere  estatiche,  piene  d'interesse,  instancabili,  sugli  elementi  del  di- 
scorso. 

Il  nostro  metodo,  certo,  è  cominciato  con  delle  eresie.  La  prima  fu  chi' 
il  bambino  è  adatto  al  massimo  punto  a  scrivere  nell'età  da  quattro  a  cin(iiie 
anni;  un  altro  passo  ancora:  il  bambino  è  in  età  di  studiar  la  grammatica 
da  cinque  anni  e  mezzo  a  sette  anni,  ad  otto. 

Era  un  pregiudizio  credere  che  per  analizzare  occorre  prima  avere  co- 
struito. Sono  le  cose  create  dalla  natura  che  ci  occorre  analizzare  per  com- 
prenderle: dobbiamo  analizzare  una  viola  strappandole  i  petali  e  sezionandola 
per  veder  com'è  composta,  poiché  essa  nasce  bell'e  fatta.  Ma  per  costruire 
una  viola  artificiale,  noi  facciamo  l'inverso:  noi  prepariamo  a  parte  a  parte 
gli  steli,  poi  i  petali  che  lavoriamo  separatamente  tagliandoli,  colorandoli 
e  stirandoli  col  ferro  caldo;  a  parte  prepariamo  i  mazzetti  degli  stami,  la  gomma 
per  mettere  insieme  le  parti  e  così  via.  Per  alcune  persone  semplici,  adatte 
ai  lavori  manuali  leggeri,  sono  piacevolissime  quelle  singole  manipolazioni. 


GRAMMATICA  1^X 


quei  preparativi  cosi  svariati,  che  conducono  infine  a  un  bel  fiore  tanto 
più  perfetto  per  quanto  più  si  seppero  pazientemente  e  abilmente  preparare 
le  singole  parti. 

L'analisi,  infine,  serve  non  solo  a  scomporre,  ma  anzi  a  costruire.  Per 
costruire  una  casa  la  si  lavora  analiticamente,  pietra  a  pietra,  dalle  fonda- 
menta fino  al  tetto:  e  chi  l'ha  costruita  la  conosce  nei  suoi  particolari,  e  può 
apprezzarne  tutte  le  qualità  assai  meglio  di  chi,  per  farsi  un  concetto  preciso 
della  sua  costruzione,  si  mettesse  a  demolirla.  E  ciò  perchè  la  «  costruzione  » 
è  un  lavoro  assai  più  lungo  che  la  demolizione,  quindi  particolarmente  adatto 
a  lasciar  soffermare  sull'analisi  delle  parti:  inoltre  perchè  diverso  è  il  senti- 
mento di  chi,  pieno  di  speranza,  pieno  di  sorprese  e  di  compiacimenti,  va 
elevando  a  poco  a  poco  un  edificio,  da  quello  di  colui  che  vede  cadere  un 
insieme  arm.onico,  in  parti  amorfe. 

Per  queste  molte  ragioni,  il  bambino  nell'età  dell'»  interesse  alle  parole  « 
può  utilizzare  la  grammatica,  soffermandosi  sulle  varie  parti  analitiche  del 
discorso,  secondo  i  suoi  processi  di  «  maturazione  »  interna:  e  si  troverà  in  tal 
modo  a  possedere  la  sua  lingua  e  perciò  ad  aver  la  possibilità  di  apprezzarla. 

La  grammatica,  per  noi,  non  è  un  libro. 

Come  i  nomi  che  il  bambino  doveva  porre  sugli  oggetti  corrispondenti 
quando  li  aveva  compresi,  erano  scritti  su  dei  cartellini,  così  tutte  le  parole 
sono  scritte  su  dei  cartellini.  Essi  sono  tutti  di  dimensione  uguale:  piccoli 
cartoncini  rettangolari  di  cm.  5x3  '/al  e  di  colori  diversi,  cioè:  nero  pel  nome, 
nocciola  per  l'articolo,  marrone  per  l'aggettivo,  rosso  pel  verbo,  rosa  per 
l'avverbio,  Verde  pel  pronome,  viola  per  la  preposizione,  giallo  per  la  con- 
giunzione, celeste  per  l'interiezione. 

Questi  cartellini  si  depongono  dentro  speciali  scatole,  che  sono  in  nu- 
mero di  otto:  la  prima  a  due  soli  reparti;  la  seconda,  invece,  a  tre;  la  terza 
a  quattro;  e  così  via,  fino  all'ottava  che  ne  ha  nove.  Ogni  reparto  ha  una 
parete  più  alta  ove  si  può  introdurre  un  cartellino  che  porta  scritto  il  titolo 
corrispondente  al  contenuto,  cioè  il  nome  della  relativa  parte  del  discorso; 
e  il  cartellino  che  porta  questo  nome,  ne  veste  anche  il  corrispondente  colore. 

La  maestra  comporrà  queste  scatole  in  modo  da  prepararle  per  lo  studio 
di  due  o  più  parti  del  discorso. 

I  nostri  esperimenti  ci  hanno  condotto  a  «  precisare  »  tutti  gli  esercizi, 
in  modo  che  le  maestre  dispongano  di  un  materiale  ben  preparato:  ciò  potrà 
facilitare  e  anche  garantire  il  loro  lavoro. 


3rj2  PASTE    SECONDA 


STUDIO    DELLE    PAROLE 


Il  piccolo  bambino,  quando  comincia  a  leggere,  dimostra  un  vivo 
desiderio  di  apprendere  delle  parole;  infatti  nella  «  Casa  dei  Bambini  » 
avvenne  quel  fenomeno  così  impressionante  della  inesauribile  «  pesca  »  dei 
cartellini:  i  bambini  leggevano  uno  dopo  l'altro  tutti  i  cartellini  contenenti 
dei  nomi. 

Infatti  il  bambino  deve  farsi  il  suo  i  patrimonio  »  di  parole:  il  carattere 
del  suo  linguaggio  è  appunto  la  povertà  di  vocaboli.  Egli  va  verso  quell'età 
in  cui  avrà  bisogno  di  esprimere  i  suoi  pensieri  e  deve  ora  fornirsi  del  materiale 
necessario  per  allora.  Molti  avranno  osservato  che  i  bambini  ascoltano  a 
parlare  con  intensa  attenzione,  anche  quando  è  impossibile  che  possano 
capire  il  significato  del  discorso:  essi  cercano  di  afferrare  delle  parole,  e  tal- 
volta lo  dimostrano  ripetendo  con  gioia  un  vocabolo  che  hanno  potuto 
ritenere.  Dobbiamo  corrispondere  a  tale  tendenza  del  bambino,  e  offrirgli 
un  materiale  abbondante,  organizzando  poi  degli  esercizi,  che  le  sue  reazioni 
ci  faranno  determinare  e  stabilire. 

Il  nostro  sistema  consta  di  un  materiale  molto  abbondante,  tutto  deter- 
minato. 

Ma  non  avviene  la  stessa  gradazione  di  scelta  del  materiale  nella  ge- 
neralità dei  bambini,  anzi,  sempre  più  si  delineano  le  differenze  individuah. 
Per  alcuni  bambini  degli  esercizi  sono  facili,  per  altri  diffìcili;  neanche  l'or- 
dine di  scelta  è  il  medesimo. 

Il  materiale  di  sviluppo  deve  essere  ben  conosciuto  dalla  maestra,  come 
pure  essa  deve  praticamente  saper  capire  quando  è  il  momento  di  offrire 
un  esercizio.  In  realtà,  chi  fa  un  poco  di  pratica  riconosce  che  i  fatti  vanno 
svolgendosi  spontaneamente,  e  facilitano  in  modo  sorprendente  il  compito 
della   maestra. 


GRAMMATICA  273 


SUFFISSI  E  PREFISSI. 

Esistono  delle  tavole  che  si  appendono  al  muro,  e  che  i  bambini  possono 
guardare  e  anche  prendere:  in  esse  sono  stampati  gruppi  di  parole. 
Eccole  : 

Tavole  dei  suffissi. 

Serie  I. 

buono  -  buonuccio,  buonino,  buonissimo; 

casa  -  casona,  casetta,  Casina,  casettina,  casuccia,  casaccia,  casettaccia; 

formica  -  formicona,  formicuccia,  formicola,  formichetta; 

ragazzo  -  ragazzone,  ragazzino,  ragazzaccio,  ragazzetto; 

lettera  -  letterina,  letterone,  letteruccia,  letteraccia; 

cesto  -  cestino,  cestone,  cestello,  cestellino; 

piatto  -  piattino,  piattello,  piattone; 

campana-  campanone,  campanello,  campanellino,  campanina,  rampanaccio; 

giovane  -  giovanetto,  giovincello,  giovinastro; 

fiore  -  fioretto,  fiorellino,  fioracelo,  fiorone; 

tarlalo  -  tavolino,  tavolone,  tavolaccio; 

seggiola  -  seggiolone,  seggiolina,  seggiolaccia; 

pietra  -  pietruzza,  pietrina,  pietrone,  pietraccia; 

"iasso  -  sassetto,  sassolino,  sassettino,  sassone,  sassaccio; 

pianta  -  piantina,  pianticella,  pianticina;  pianterella,  piantona,  piantacela; 

fuoco  -  fuocbetto,  fuocherello,  fuocone,  fuochettino; 

/està  -  festicciola,  festona,  festaccia; 

piede  -  piedino,  piedone,\ieduccio,  piedaccio; 

mano-  manina,  manona,  manaccia,  maruircia; 

seme  -  semino,  semetto,  semone.  semaccio,  semettino; 

i-emplice  -  semplicino,  semplicetto,  sempliciotto,  semplicione,  semplicissimo; 

chiotto  -  ghiottone,  ghiottoncello,  ghiottaccio,  ghiottissimo; 

vecchio  -  vecchietto,  vecchione,  vecchiaccio,  vecchissimo; 

cieco  -  ciechino,  ticchetto,  ciecolino  ciecone,  ciecaccio. 

L'esercizio  del  bambino  consiste  in  questo;  egli  compone  con  l'alfabe- 
tario d'un  colore  (es.:  nero)  la  prima  parola  d'una  riga  e  poi  sotto  ripete  con 
lo  stesso  colore  le  lettere  che  corrispondono  alla  prima  parola,  ma  appena 
le  lettere  cambiano  egli  usa  un  alfabetario  di  colore  diverso  (es.:  rosso).  Cosi 
il  tema  è  sempre  dello  stesso  colore,  mentre  cambia  colore  il  suffisso;  esempio: 

buono 
hnonuccio 
buonino 
buon  jssmo 


274 


PARTE    SECONDA 


Poi  il  bambino  sceglie  un'nltra  parola  e  ripete  IV-^ercizio  e  cosi  \ia:  spesso 
egli  stesso  trova  delle  parole 

Una  tavola  diversa  di  suffissi  ò  la  seguente,  ove  ogni  gruppo  di  jìarole 
ha  un  suffisso  costante,  mentre  i  temi  variano.  Qui  il  suffisso  fa  variare  il  signi- 
ficato della  parola;  dal  nome  della  cosa  deriva  ora  quello  del  mestiere,  ora  del 
negozio  di  vendita,  ora  di  azioni,  ora  di  idee  collettive,  ora  di  idee  astratte. 
Naturalmente  il  bambino  non  rileva  tutte  queste  cose  in  principio,  ma  si 
limita  alle  sue  composizioni  coi  due  alfabetari.  In  seguito  poi,  durante  lo  svol- 
gimento della  grammatica,  potrà  ritornare  sulla  lettura  delle  tabelle,  che 
stanno  sempre  esposte,  e  cominciare  a  rilevare  il  valore  di  queste  differenze. 


Serie 

II. 

macello 

macellaio 

bestia 

bestiame 

seUa 

sellaio 

osso 

ossame 

forno 

fornaio 

corda 

cordame 

cappello 

vetro 
calzolaio 
libro 
oste 

cappellaio 

vetreria 
calzoleria 
libreria 
osteria 

foglia 
pollo 

grato 
beato 
inquieto 

fogliame 

pollame 

gratitudine 

beatitudine 

inquietudine 

pane 
cera 

panetteria 
cereria 

grano 
colombo 

granaio 
colombaio 

dente 

dentista 

paglia 

pagliaio 

farmacia 

farmacista 

frutto 

frutteto 

elettricità 

elettricista 

canna 

canneto 

telefono 

telefonista 

oliva 

oliveto 

arie 

artista 

quercia 

querceto 

esercizio  i 

del  bambino  coi 

due  a: 

Ifabet; 

ari  sarà,  per  es.,  il  seguente 

frutto 

frutte/o 

oliva 

oliveto 

canna 

canneto 

quercia 

querceto 

Tavola  dei 

prefissi. 

Serie 

III. 

nodo  -  annodare,  snodare,  riannodare 

scrivere  -  riscrivere,  trascrivere,  sotto- 
scrivere, descrivere 

coprire  -  scoprire,  ricoprire 

gancio  -  ;igganciare,  sganciare,  riaggan- 
ciare 

legare  -  collegare,  rilegare,  allegare,  sle 
garp 

holione  -  .ibbottonare,  sbottonare,  riab- 
bottonare 

macchiare  -  smacchiare,  rimacchiare 


chiudere    -    socchiudere,    schiudere,    ri- 
chiudere, rinchiudere 
guardare  -  riguardare,  traguardare,  sog- 
guardare 
vedere  -  travedere,  rivedere,  intravedere 
perdere  -  disperdere,  sperdere,  ri  perdere 
mettere  -  emettere,  smettere,    rimettere, 
permettere,  commettere,  promettere, 
sottomettere. 
vincere  -   rivincere,    avvincere,    convin- 
cere, stravincere. 


GRAMMATICA 


275 


L'esercizio  coi  due  alfabetari  sarà,   per  es.,  il  seguente: 

coprire 
scoprire 
ftcoprire 


Tavola  delle  parole  composte. 


cartapecora 

cartapesta 

madrevite 

madreperla 

melagrana 

melarancia 

biancospino 

asciugamano 

lavamano 

palcoscenico 

passatempo 


Serie  IV. 


guardaboschi 

guardaroba 

guardaportone 

capoluogo 

capomastro 

capofila 

capopopolo 

caposquadra 

capogiro 

capolavoro 

giravolta 


mezzaluna 

mezzanotte 

mezzogiorno 

acchiappacani 

cantastorie 

ragnatela 

portabandiera 

portalettere 

portamonete 

portasigari 

portalapis 


lustrascarpe 

falsariga 

ficcanaso 

cassapanca 

arcobaleno 

terrapieno 

bassorilievo 

granduca 

pianoforte 

spazzacamino 

pettirosso 


1  bambini  vanno  a  leggere  una  parola  alla  \olta  e  cercano  di  riprodurhi 
a  memoria  coi  due  alfabetari,  distinguendo  le  due  parole  di  rui  ciascuna 
è  composta;  esempio: 

carta  pecora 

bianco  spino 

spazza  camino 

piano  forte 

lava  mano 


La  seguente  tavola  raggruppa  le-  parole  in  famiglie;  essa  potrà  ser- 
vire ai  bambini  che  sono  già  avanzati  nel  riconoscimento  delle  parti  del 
discorso. 

Tutte  le  parole  derivano  da  qualche  altra  parola  più  semplice,  irriduci- 
bile, che  è  quasi  un  capostipite  da  cui  le  altre  parole,  per  opera  di  suffissi  o 
di  prefissi,  derivano.  Questi  capostipiti  sono  parole  primitive,  che  un  giorno 
il  bambino  potrà,  nella  sua  mente,  cercare  in  un  gruppo  di  derivati,  giun- 
.gendo  così  a  riconoscere  che  la  parola  primitiva  può  essere  un  nome,  un 
aggettivo  o  un  verbo,  cioè  quella  parola  che  contiene  l'idea  più  semplice;  come 
derivati  possono  essere:  nomi,  aggettivi,  verbi  o  avverbi. 

Nelle  tabelle  stanno  esposte  delle  famiglie  di  parole,  e  alla  maestra  è 
risparmiata  la  fatica  di  trovarle  da  sé;  d'altronde  i  bambini  sapranno  un 
giorno  servirsene  da  soli.  L'esercizio  che  essi  fanno  è  sempre  coi  duo  alfa- 
betari diversamente  colorati,  dai  quali  si  può  cstrarre  a  vista  d'occhio  la 
parola   madre. 


PARTI.    SECONDA 


Famìglie  di  parole. 

terra  -  terrazzo,  torrcinotu,  terra])ii'no,  atterrare,  terreno,  terriccio,  terricciola,  terri- 
torio, conterraneo,  terrestre,  terreo,  terroso,   dissotterrare; 

ferro  -  ferraio,  ferriera,  ferrata,  ferrigno,  ferrugginoso,  ferrare,  sferrare,  inferriata; 

soldo  -  assoldare,  soldato,  soldatesca,  soldatescamente; 

grandi  -  ingrandire,  grandiosità,  grandioso,  grandiosamente,  grandeggiare; 

scrivere  -  scrittura,  scritto,  scritturare,  scrittore,  iscrizione,  trascrivere,  sottoscrivere, 
riscrivere; 

scuola  -  scolaro,  scolaresca,  scolastico,  scolasticamente; 

bene  -  beneficio,  beneficare,  benefattore,  beneficato,  beneficenza,  beneficamente,  bene- 
dizione, benedire,  benedicente,  benedetto,  ribenedire,  benessere,  benevolo,  bene- 
volmente, benevolenza,  benigno,  benignità,  dabbene; 

felice  -  felicità,  felicemente,  felicitare,  felicitazione; 

fiamma  -  fiammante,  fiammeggiante,  fiammeggiare,  fiammella,  fiammiferi,  infiam- 
mare; 

bagno  -  bagnante,  bagnino,  bagnarola,  bagnatura,  bagnare,  ribagnare; 

freddo  -  freddoloso,  infreddatura,  freddamente,  raffreddore,  raffreddare,  sfreddare; 

polvere  -  spolverar(;,  impolverare,  polverino,  polverizzare,  polverone,  polveroso, 
polveriera,  polverizzatore; 

pesce-  pescare,  pescatore,  ripescare,  pescabile,  ripescabile; 

opera  -  operaio,  operare,  operazione,  operoso,  operosamente,  cooperare,  coopera- 
zione, inoperoso; 

canto  -  cantore,  cantante,  cantare,  cantarellare,  canticchiare,  ricantare; 

gioco  -  giocare,  giocattolo,  giocarellare,  giocatore,  giocoso,  giocosamente; 

dolore  -  aoloroso,  dolorosamente,dolente,  addolorare,  dolersi,  condolersi,  condoglianza, 
addolorato; 

pietra  -  pietrificare,  pietrificazione,  pietroso,  impietrire,  pietraio; 

sole  -  assolato,  soleggiante,  insolazione,  soleggiare; 

festa  -  festeggiare,  festino,  festeggiatore,  festeggiato,  festaiolo,  festante,  festevole, 
festevolmente,  festosamente; 

allegro  -  allegria,  allegramente,  rallegrare,  rallegramento; 

seme  -  semina,  semenza,  seminare,  semenzaio,  seminatore,  riseminare,  seminazione, 
disseminare,  seminatrice. 

L'esercizio  con  gli  alfabetari  colorati  sarebbe,  p,  es.,  così; 

assoXaìo  seminazione 

soleggiante  seminatrice 

insolazione  disseminare 

soleggiare  riseminare 

sole  seminatore 

^egramente  semenzaio 

rallegrare  seminare 

rallegramento  semenza 

allegria  semina 

allegro  seme  fi). 


(i)  Esso  fa  riconoscere  tanto  la  radice  quanto  la  parola  madre,  che  é  la  più  breve. 


GRAMMATICA 


FORME  DELL'ARTICOLO  E  FLESSIONE  DEI   NOMI 


CONCORDANZA   TRA   ARTICOLO   E   NOME. 

Tutte  le  parole  che  abbiamo  scelto  per  lo  studio  grammaticale,  sono  stam- 
pate ciascuna  sopra  un  piccolo  cartoncino  rettangolare,  come  si  è  detto. 
I  cartellini  si  tengono  uniti  a  gruppi  a  mezzo  di  un  anellino  di  elastico,  e  si 
depongono  in  apposite  scatole. 

La  prima  scatola  che  si  presenta  ha  due  reparti:  sopra  uno  di  questi 
s'infila  un  cartellino  ove  sta  scritto  «  articolo  »;  sopra  l'alto,  un  cartellino  ove 
sta  scritto:  «  nome  »  (Tavola  II). 

I  cartellini  degli  articoli  giacciono  nel  loro  posto,  e  così  i  nomi.  Quando 
i  bambini  avranno  finito  i  loro  esercizi,  riporranno  i  cartellini  dei  nomi  nella 
loro  casella  e  cosi  gli  articoli:  se  la  parola  «  articolo  »,  «  nome  »  non  fosse 
sufficiente  a  provocare  la  distinzione,  è  il  colore  che  la  facilita:  infatti  i  due 
cartelH  indicatori  .portano  lo  stesso  colore  dei  cartellini,  cioè  nero  pei  nomi, 
e  nocciola  per  gli  articoli. 

È  un  esercizio  che  ricorda  quello  degli  alfabetari,  dove  in  ogni  casella 
è  ingommata  una  lettera  dell'alfabeto. 

II  bambino  comincia  a  parlare  di  casella  dell'articolo,  casella  dei  nomi, 
cartellini  dell'articolo,  cartellini  dei  nomi  ;  e  viene  così  a  distinguere  le  due 
parti  del  discorso. 

Il  materiale  dfeve  essere  esattamente  preparato,  e  in  una  quantità 
stabilita. 

Nel  primo  esercizio  si  danno  nelle  scatole  dei  cartellini  mescolati,  ma  per- 
fettamente corrispondenti  per  la  combinazione  tra  articolo  e  nome;  e  il 
lavoro  del  bambino  sta  nell'accordarli,  ponendo  innanzi  al  cartellino  di  ogni 
nome,  quello  di  un  articolo:  lungo  e  paziente  lavoro  di  ricerca  che  riesce 
singolarmente  affascirkante  pel  bambino. 

Le  parole  da  noi  preparate  sono  le  seguenti;  si  ripeta  però  che  i  cartellini 


276 


PARTU    SliCONDA 


non  sono  deposti  nelle  scatole  con  quest'ordine,  ma  sono  mescolati:  gli  arti- 
coli tra  loro  e  i  nomi  tra  loro: 


il  fazzoletto 

i  colori 

l'occhio 

il  libro 

i  fiori 

l'amico 

il  vestito 

i  disegni 

l'acqua 

il  tavolino 

i  compagni 

l'albero 

lo  specchio 

gli  zoccoli 

gl'invitati 

lo  zucchero 

gli  uomini 

gl'incastri 

lo  zio 

gli  articoli 

gl'italiani 

lo  stivale 

gli  stracci 

gl'insetti 

la  stoffn 

le  sedie 

la  perla 

le  scarpe 

la  piramide 

le  addizioni 

la  finestra 

lo  piante 

Il  bambino  cerca  di  combinare  articolo  e  nome,  e  li  pone  l'uno  accanto 
all'altro  sul  piano  del  tavolino:  l'esercizio  è  guidato  dall'orecchio,  come  lo 
era  la  composizione  della  parola  nell'alfabetario  mobile.  Ma  il  porro  degli 
oggetti  reali  che  corrispondono  ai  suoni  fissati  col  linguaggio  comune,  e 
vedere  precisati  dei  rapporti  tra  parole,  ai  quali  non  si  era  pensato;  averi' 
un  controllo  esterno  di  questi  rapporti  e  [lungamente  esercitarsi  su  quelh 
due  specie  di  parole,  distinte  dal  caos  di  parole  immagazzinato  nella  mente, 
è  un  esercizio  evidentemente  necessario;  e  il  bambino  ne  prova  quel  sollievo 
che  corrisponde  sempre  a  un  bisogno  interiore  soddisfatto.  Con  la  più  intensa 
attenzione  egU  persiste  fino  alla  fine  nell'esercizio  e  se  ne  mostra  molto  sod- 
disfatto; la  maestra,  passando,  guarda  se  tutti  i  cartellini  sono  messi  a  posto 
esattamente;  ma  sarà  il  bambino  che  la  chiamerà  ad  ammirare  o  a  verifi- 
care l'opera  compiuta,  prima  di  accingersi  a  raccogliere  insieme  tutti  gli 
articoli  e  poi  tutti  i  nomi,  e  a  riporli  nel  casellario. 

Questo  è  il  primo  passo;  ma  egli  poi  procederà  con  sempre  maggiore 
entusiasmo  a  fare  !'«  ordine  »  tra  le  parole  della  sua  mente,  e  quindi  ad  ar- 
ricchire il  suo  patrimonio  di  vocaboli,  collocando  i  nuovi  acquisti  nel  posto 
già  determinato.  Egli  continua  così  a  costruire  l'ordine  interiore  che  già, 
nei  precedenti  esercizi  dei  sensi,  aveva  iniziato  rispetto  agli  oggetti  esterni. 


SINGOLARE  E  PLURALE.       * 

Gli  esercizi  di  flessione  dei  nomi  nel  numero  e  nel  genere,  si  fanno  senza 
l'aiuto  delle  scatole.  Già  il  bambino  sa  che  quelle  parole  sono:  articoli  e  nomi. 

Perciò  noi  diamo  ora  dei  gruppetti  di  quaranta  cartellini  (nomi  e  arti- 
coli) raccolti  per  mezzo  di  anellini  elastici. 

In  ciascuno,  il  gruppetto  dei  dieci  nomi  singolari,  legato  a  parte,  serve 
di  trama  all'esercizio:  questi  nomi  si  dispongono  sul  tavolino  uno  sotto  l'altro; 
si  tratterà  di  combinarci  intorno  tutti  gli  altri  cartellini,  che  sono  invece  me- 


GRAMMATICA 


279 


scolati.  Due  cartellini  in  più,  di  colore  diverso,  con  le  parole  «singolare»  «plu- 
rale», si  mettono  in  alto  come   titolo  a  capo  delle  colonne  (Tavole  III  e  IV). 

Noi  abbiamo  preparato  quattro  serie  di  dieci  nomi  in  ordine  alfabetico: 
così  quattro  bambini  contemporaneamente  possono  fare  l'identico  esercizio: 
e  scambiandosi  poi  il  materiale,  portano  la  loro  attenzione  sopra  un  gruppo 
notevole  di  parole. 

Ecco  le  disposizioni  che  vengono  a  prendere  i  cartellini  nei  quattro  esercizi: 


Singolare 

il  bambino 
il  berretto 
la  bocca 
il  calamaio 
la  calza 
il  cartellino 
la  casa 
il  cappello 
la  ciabatta 
il  colore 

Singolare 

la  maestra 
la  mano 
la  matita 
il  naso 
il  nastro 
l'occhio 
l'orologio 
il  panchetto 
la  patata 
la  penna 


Plurale 

i  bambini 
i  berretti 
le  bocche 
i  calamai 
le  calze 
i  cartellini 
le  case 
i  cappelli 
le  ciabatte 
i  colori 

Plurale 

le  maestre 
le  mani 
le  matite 
i  nasi 
i  nastri 
gli  occhi 
gli  orologi 
i  panchetti 
le  patate 
le  penne 


Singolare 

Plurale 

il  dente 

i  denti 

l'elastico 

gh  elastici 

il  fagiolo 

i  fagioli 

la  fava 

le  fave 

la  gamba 

le  gambe 

il  gesso 

i  gessi 

la  giacca 

le  giacche 

il  grembiale 

i  grembiali 

la  gomma 

le  gomme 

la  lavagna 

le  lavagne 

Singolare 

Plurale 

il  piede 

i  piedi 

il  quaderno 

i  quaderni 

la  rapa 

le  rape 

la  scarpa 

le  scarpe 

la  tasca 

le  tasche 

il  tavoUno 

i  tavolini 

la  testa 

le  teste 

l'unghia 

le  unghie 

il  vestito 

i  vestiti 

il  vino 

i  vini 

MASCHILE   E   FEMMINILE. 


Un   an.dogo  materiale  è  stato  preparato   per  le  forme  maschili  e  fem- 
nnnili,  o\e  è  separato  il  gruppetto  dei  dieci  nomi  maschili. 


Mischile 

l'amico 
l'asino 
il   babbo 
il  benefattore 
il  bottegaio 
il  conte 
il  cugino 
il  cuoco 
il  cacciatore 
il  cavallo 


Femminile 

l'amica 

l'asina 

la  mamma 

la  benefattrice 

la  bottegaia 

la  contessa 

la  cugina 

la  cuoca 

la  cacciatrice 

la  cavalla 


il  canarino 

il  dottore 

il  duca 

il  dattilografo 

l'elefante 

il  figlio 

il  fratello 

il  gallo 

il  gatto 

l'imperatore 


Femminile 

la  canarina 
la  dottoressa 
la  duchessa 
la  dattilografa 
l'elefantessa 
la  figlia 
la  sorella 
la  gallina 
la  gatta 
l'imperatrice 


PARTIÌ   SECONDA 


l'ispettore 

il  leone 

il  lupo 

il  lettore 

il  maestro 

il  marchese 

il  mulo 

il  nonno 

il  nemico 

il  nipote 


l'ispettrice 
la  leonessa 
la  lupa 
la  lettrice 
la  maestra 
la  marchesa 
la  mula 
la  nonna 
la  nemica 
la  nipote 


Maschile 

Torologiaio 

l'oste 

il  poeta 

il  pellicciaio 

il  padre 

il  re 

il  ranocchio 

lo  sposo 

il  servo 

il  somaro 


Fanminile 
l'orologiaia 
l'ostessa 
la  poetessa 
la  pellicciaia 
la  madre 
la  regina 
la  ranocchia 
la  sposa 
la  serva 
la  somara 


Infine  ci  sono  tre  serie  di  nomi  nelle  quattro  forme:  singolare  e  plurale, 
maschile  e  femminile.  Ogni  gruppo  ha  ottanta  cartellini  (nomi  e  articoli)  dei 
quali  sono  contraddistinti  nel  gruppetto  direttivo  i  dieci  cartellini  portanti 
i  nomi  maschili  singolari. 

I  cartellini  dei  titoli  sono  sci:  singolare  e  plurale  ;  ^^  per  ciascun(j  i  due 
cartellini:  maschile  e  fenuninile. 

Ecco  il  materiale  disposto  in  ordine  (Tavola  III). 


l'amico 
il  bambino 
il  burattinaio 
il  contadino 
il  cavallo 
il  compagno 
il  disegnatore 
il  dattilografo 
l'ebreo 
il  fanciullo 


l'amica 

la  bambina 

la  burattinaia 

la  contadina 

la  cavalla 

la  compagna 

la  disegnatrice 

la  dattilografa 

l'ebrea 

la  fanciulla 


gli  amici 
i  bambini 
i  burattinai 
i  contadini 
i  cavalli 
i  -compagni 
i  disegnatori 
i  dattilografi 
gli  ebrei 
i  fanciulli 


Femminile 

le  amiche 
le  bambine 
le  burattinaie 
le  contadine 
le  cavalle 
le  compagne 
le  disegnatrici 
le  dattilografe 
le  ebree 
le  fanciulle 


Singolare 

MaschtU  lù 


il  gatto 

li  giardiniere 

il  giovinetto 

l'infermiere 

l'italiano 

i!  lavoratore 

il  medico 

il  materassaio 

l'operaio 

il  pittore 


la  gatta 

la  giardiniera 

la  giovinetta 

l'infermiera 

l'italiana 

la  lavoratrice 

la  medichessa 

la  materassaia 

l'operaia 

la  pittrice 


1  gatti 
i  giardinieri 
i  giovinetti 
gl'infermieri 
gl'italiani 
i  lavoratori 
i  medici 
i  materassai 
gh  operai 
i   pittori 


le  gatte 

le  giardiniere 

le  giovinette 

le  infermiere 

le  italiane 

le  lavoratrici 

le  medichesse 

le  materassaie 

le  operaie 

le  pittrici 


GRAMMATICA 

Singolare 

Plurale 

Maschile 

Femmintlr 

Maschile 

Femminile 

il  ragazzo 

la  ragazza 

i  ragazzi 

le  ragazze 

il  romano 

la  romana 

i  romani 

le  romane 

lo  scolaro 

la  scolara 

gli  scolari 

le  scolare 

il  sarto 

la  sarta 

i  sarti 

le  sarte 

il  santo 

la  santa 

1  santi 

le  sante 

il  tagliatore 

la  tagliatrice 

i  tagliatori 

le  tagliatrici 

l'uomo 

la  donna 

gli  uomini 

le  donne 

il  vecchio 

la  vecchia 

i  vecchi 

le  vecchie 

il  visitatore 

la  visitatrice 

i  visitatori 

le  visi  latrici 

lo  zio 

la  zia 

gh  zii 

le  zie 

Con  le  quattro  torme  del  nome  ;  maschile  e  femminile,  singolare  e  plu- 
rale, si  praticano  nelle  nostre  scuole  anche  degli  esercizi  collettivi  che  rie- 
scono assai  piacevoli  ai  bambini.  Un  bambino,  per  es.,  distribuisce  i  car- 
tellini plurali  e  poi  legge  forte  un  nome  singolare  :  chi  ha  il  plurale  corri- 
spondente, risponde  immediatamente.  Lo  stesso  per  il  maschile  e  femminDe, 
e  per  le  quattro  forme  insieme. 

Quando  gli  esercizi  con  questo  materiale  sono  divenuti  familiari  al  bam- 
bino, se  ne  possono  presentare  altri  (i  seguenti)  che  racchiudono  maggiori 
difficoltà.  Essi  comprendono:  i  nomi  che  cambiano  interamente  nei  due  generi, 
maschile  e  femminile,  e  dei  quali  si  sono  dati  finora  solo  i  casi  più  noti  e 
familiari,  come:  babbo,  mamma,  ecc.  (serie  A);  o  i  nomi  la  cui  forma  è 
unica  nei  due  generi  al  singolare  (serie  B);  o  quelli  in  cui  la  forma  del  genere 
è  unica  così  al  singolare  come  al  plurale  (serie  C);  o  i  nomi  dove  c'è  una  sola 
forma  al  singolare  al  plurale  (serie  D);  o  i  nomi  in  cui  le  due  forme  del 
genere  hanno  significato  diverso  (serie  E);  infine  nemiche  passando  dal  sin- 
golare al  plurSe  cambiano  genere  (serie    F).  Ecco  il  materiale  raccolto: 

Serie  .4. 


SiNG 
Mischile 

OLARE 

Femminile 

Pli 

Maschile 

JRALE 

Femminile 

il  babbo 

la  mamma 

i  babbi 

le  mamme 

il  becco 

la  capra 

i  becchi 

le  capre 

il  frate 

la  suora 

i  frati 

le  suore 

il  fratello 

la  sorella 

i  fratelli 

le  sorelle 

il  genero 

la  nuora 

i  generi 

le  nuore 

il  montone 

la  pecora 

i  montoni 

le  pecore 

il  maschio 

la  femmina 

i  maschi 

le  femmine 

il  marito 

la  moglie 

i  mariti 

le  mogli 

il  padre 

la  madre 

i  padri 

le  madri 

il  padrino 

la  madrina 

i  padrini 

le  madrine 

il  porco 

la  scrofa 

i  porci 

le  scrofe 

il  toro 

la  vacca 

i  tori 

le  vacche 

l'uomo 

la  donna 

gli  uomini 

le  donne 

il  re 

la  regina 

i  re 

le  regine 

PARTE   SECONDA 


Serie 

B. 

Singolare 

Plurale 

MasckUi 

Femminee 

Maschile 

Femminile 

l'artista 

l'artista 

gli  artisti 

le  artiste 

il  collega 
il  dentista 

la 
la 

collega 
dentista 

i  colleghi 
i  dentisti 

lo  colleghe 
le  dentiste 

il  pianista 
il  telefonista 

la  pianista 
la  telefonist 

a 

i  pianisti 
i  telefonisti 

e  pianiste 
le  telefoniste 

il  telegrafista 
il  violinista 

la 
la 

telegrafista 
violinista 

i  telegrafisti 
i  violinisti 

le  telegrafiste 
e  violiniste 

Serie 

C. 

SlNGOLARK 

Plurale 

Maschtlf 

Femminile 

Maschile 

Femminile 

il  consorte 

la 

consorte 

i  consorti 

le  consorti 

il  custode 

la 

custode 

i  custodi 

le  custodi 

il  cantante 

la  cantante 

i  cantanti 

le  cantanti 

l'erede 

l'erede 

gli  eredi 

e  eredi 

il  giovane 
l'inglese 

la 
la 

giovane 
inglese 

i  giovani 
gl'inglesi 

le  giovani 
le  inglesi 

li  nifwte 

la 

nipote 

Serie 

D. 

i  nipoti 

le  nipoti 

Singolare 

Plurale 

il  bazar 

i  bazar 

il  caffè 

i  caffè 

il  gas 

1  gas 

la  gru 

le  gru 

il  lapis 
la  libertà 

i  lapis 
le  libertà 

l'omnibus 

gli  omnibus 

la  virtù 

le  virtù 

Serie  E. 

Maschile 

Singola! 

Fcmmtnilf 

Macchile 

Plurale 

Femminile 

il  melo 

la 

mela 

i  meli 

e  mele 

il  pesco 
l'olivo 

la  pesca 
l'oliva 

i  peschi 
gli  uh  vi 

e  pesche 
e  ulive 

il  pugno 
il  manico 

la 
la 

pugna 
manica 

i  pugni 
i  manichi 

e  pugne 
e  maniche 

il  suolo 

la  suola 

i  suoli 

e  suole 

Serie 

F. 

Singolare 

Plurale 

il  centinaio 

le  centin 

aia 

il  dito 

le  dita 

la  eco 

gli  echi 

il  paio 
il  riso 

le  paia 
le  risa 

l'uovo 

le  uova 

GRAMMATICA  283 

Tutti  questi  gruppi  di  parole  nel  loro  ordine,  sono  riprodotti  in  speciali 
libretti  ohe  i  bambini  possono  portare  a  casa  per  rileggerli.  All'atto  pratico  è 
risultato  comodo  e  necessario  fare  dei  libretti  che  corrispondono  ad  ogni 
esercizio  grammaticale.  Per  es.,  per  il  singolare  e  plurale,  c'è  un  libretto 
corrispondente  che  ha  in  ogni  pagina  i  nomi  di  un  gruppo  di  cartellini.  Lo 
stesso  per  il  maschile  e  femminile,  ecc. 

I  bambini  generalmente,  si  soffermano  con  grande  piacere  a  rileggere  le 
parole  nell'ordine  da  loro  stessi  trovato  nell'esercizio  coi  cartellini:  ciò  richiama 
e  fissa  le  loro  idee;  porta  una  specie  di  maturazione  interna,  che  spesso  ha 
come  conseguenza  la  spontanea  scoperta  delle  leggi  grammaticali  sulla  fles- 
sione o  un  interesse  vivace  che  spinge  il  bambino  a  esclamazioni  e  a  risa, 
osser\-ando  qual  grande  variazione  di  significato  può  portare  un  piccolo  mu- 
tamento della  parola.  Nel  tempo  stesso  questi  esercizi  sì  semplici  e  sì  fecondi 
di  risultati,  si  prestano  a  un  lavoro  in  casa  e  assai  bene  corrispondono  alla 
domanda  d'occupazione  con  la  quale  i  nostri  bambini  aggrediscono  di  continuo 
i  loro  parenti.  A  tale  scopo  si  sono  preparati  gli  alfabetari  a  forma  di  stam- 
pato, dove  lettere  e  segni  d'interpunzione  sono  disposti  come  nella  mac- 
china da  scrivere.  Il  bambino  a  casa  può  comporre  parole  (nel  seguito 
del  progresso  anche  frasi  da  lui  inventate)  ed  esercita  così  l'occhio  a  sce- 
gliere le  lettere  secondo  l'ordine  delle  macchine  da  scrivere.  Se  la  famiglia 
acquisterà  una  macchina,  allora  il  bambino  potrà  riprodurre  con  essa  le 
parole  e  le  frasi  già  composte  con  l'alfabetario  mobile  e  conservarne  come 
controllo  il  documento. 


PARTE    SECONDA 


LE  LEZIONI  —  I  COMANDI 


Le  prime  lezioni  di  grammatica  che  io  feci  ai  bambini,  risalgono  a  sedici 
anni  fa  quando,  nel  1899,  feci  il  mio  tentativo  di  educazione  sui  fanciulli  defi- 
cienti, nella  Scuola  Magistrale  Ortofrenica  che  fu  fondata  in  Roma,  in  seguito 
a  un  mio  corso  dato  ai  maestri  nelle  scuole  normali  della  nostra  capitale. 
In  quel  tentativo  io  venni  a  penetrare  nell'insegnamento  elementare,  tanto 
che  alcuni  dei  bambini  deficienti  sostennero  gli  esami  nelle  scuole  pubbliche. 

Un  brevissimo  e  incompleto  riassunto  delle  mie  lezioni  di  didattica 
nei  corsi  fatti  per  preparare  maestri,  in  quel  lontano  tempo,  esiste  ancora 
in  dispense  che  portano  questo  titolo:  «  Riassunto  delle  lezioni  di  didattica 
della  Dottoressa  Montessori.  Anno  1900  »  (Allegato  II). 

L'insegnamento  della  grammatica,  allora,  non  fu  completo  e  profondo 
come  è  potuto  riuscire  coi  bambini  normali,  ma  fu  un  insegnamento  brillante: 
la  grammatica  era  «  vissuta  »,  e  i  bambini  vi  prendevano  il  più  vivo  interesse. 
Anche  allora,  quei  miseri  fanciulli  che  provenivano,  come  rifiuti  delle  scuole 
pubbHche,  dalla  strada  o  direttamente  dal  manicomio,  passavano  le  più  liete 
mezz'ore,  e  si  abbandonavano  alle  più  schiette  risa,  nei  loro  esercizi  di  gram- 
matica. Ecco  riportato  dalle  vecchie  dispense  del  1900  un  cenno  sul  mate- 
riale didattico  allora  usato,  e  un  cenno  delle  lezioni  sul  "  nome  »  (Allegato  II, 
pag.  551  e  seg.). 

«  Ad  ogni  parola  letta  e  scritta...  si  vanno  preparando  i  biglietti  stampati, 
«  che  andranno  in  seguito  a  formare  insieme  proposizioni  e  frasi  a  parole  mo- 
>■  bili,  così  come  le  singole  lettere  mobili  andarono  a  formare  le  parole.  In 
"  seguito  le  semplici  proposizioni  si  riferiranno  ad  azioni  compiute  dai  bam- 
"  bini  stessi:  si  cominceranno  a  unire  due  o  più  parole:  lana  rossa,  confetto 
"  dolce,  cane  quadrupede,  ecc.,  e  poi  si  arriverà  alla  proposizione:  la  minestra  è 
"  calda.  Maria  mangia  i  confetti.  I  bambini  compongono  le  proposizioni  coi  car- 
"  tellini.  Per  facilitare  la  scelta  dei  cartellini,  questi  si  dispongono  entro  casel- 
<-  lari  speciah.  Per  es.:  un  casellario  porta  scritto  in  alto:  Nome,  ed  ogni  casella 
"  porta  scritto,  p.  es.:  persone,  cibi,  vestiario,  animali,  ecc.  Un  altro  casellario; 
■'  Aggettivi,  e  ogni  casella:  colori,  forme,  ecc.  Un  altro:  Particelle,  particelle 
«  per  il    nome,  articolo;  particelle    che   saranno    per    congiunzione,  ecc.  Una 


GRAMMATICA  285 

«  cassettina  per  azioni,  ove  è  scritto  in  alto  Verbi,  e  sulle  caselle:  infinito, 
«  presente,  passato,  futuro  ». 

*  I  bambini  finiscono  coU'imparare  per  pratica  a  prendere  e  a  rimettere 
«  a  posto  nei  casellari  i  bigliettini.  Per  cui  è  facile,  p.  es.,  cercare  in  colori, 
«  forme;  ovvero  persone,  animali,  cibi.  Essi  sanno  che  quelli  sono  i  casellari 
«  delle  parole  ». 

«  Un  giorno  verrà  che  la  maestra  cercherà  di  spiegare  il  significato  di 
«  quella  parola  scritta  in  alto:  Nome,  Aggettivo,  Verbo  ;  e  allora  entrerà  a 
«  spiegare  la  grammatica  ». 

«  Lezione  sul  nome.  Col  nome  chiamo  le  persone  e  gli  oggetti.  Le  per- 
«  sone  rispondono  se  le  chiamo;  gli  animali  pure,  gli  oggetti  no,  perchè  non 
«  possono,  ma  se  potessero  risponderebbero.  Per  es.,  se  dico:  «  Igina!  »  Igina 
«  risponde.  Se  dico:  «  ceci!  »  i  caci  non  rispondono  perchè  non  possono,  ma 
«  se  no  risponderebbero.  Ma  voi  capite  quando  chiamo  un  oggetto  e  me  lo 
«  potete  portare  voi;  io  dico:  «  fagiuoli!  quaderno!  ».  Se  non  vi  dico  il  nome 
«  dell'oggetto,  voi  non  capite  di  che  voglio  parlare,  perchè  ogni  oggetto  ha 
«  un  nome  diverso;  il  nome  è  la  parola  che  rappresenta  l'oggetto.  Se  io  dico 
«  un  nome  voi  capite  subito  che  oggetto  rappresenta  la  parola  che  io  pro- 
«  nuncio;  p.  es.:  albero,  banco,  pecore,  penna.  Se  io  non  dico  il  nome  voi  non 
«  capite  di  che  cosa  voglio  parlare;  p.  es.,  se  dico:  «portatemi  qui...  »  «presto, 
«  portatemelo  qui,  lo  voglio!  ».  Ma  cosa?...  se  non  dico  il  nome  non  capite. 
«  L'oggetto  s'indica  con  una  parola  che  è  il  suo  nome.  Per  capire  se  la  pa- 
«  rola  è  un  nome  bisogna  chiedersi:  «  è  qualche  cosa?  risponderebbe  se  po- 
«  tesse?  lo  potrei  portare    alla    maestra?  ». 

«  Esempio:  pane,  sì  è  un  oggetto;  tavola,  sì;  custode  risponderebbe  ». 

«  Cerchiamo  un  po'  tra  i  cartellini:  li  prendo  da  più  casellari  e  li  mischio; 
«  leggiamo:  dolce  !  portami  dolce;  c'è  un  oggetto  che  risponde?  mi  porti  un 
«  confetto?  ma  io  non  ho  detto  confetto,  ho  detto  dolce;  mi  vuoi  dare  lo  zuc- 
«  chero?  io  non  ho  detto  zucchero,  ho  detto  dolce;  volevo  l'acqua  dolce  della 
«  bottiglina  dei  sapori  ». 

«  Dunque  dolce  non  è  un  oggetto,  voi  non  potete  indovinare  l'oggetto  che 
«  voglio  io;  invece  se  dico:  confetti,  zucchero,  acqua,  bottiglia,  allora  sì  che 
«  capite  cosa  voglio,  quale  oggetto  voglio,  perchè  quelle  parole  significano 
«  degli  oggetti,  chiamano  degli  oggetti,  quelle  parole  sono  nomi  ». 

Tuttavia  questo  riassunto  non  dà  l'idea  della  riuscita  di  quelle  lezioni. 
Quando  io  dicevo  con  tono  imperioso,  ma  come  se  mi  mancasse  la  parola: 
«portatemi...  portatemi...  portatemi...»  essi  mi  si  raggruppavano  intorno 
guardando  fissamente  la  mia  bocca,  come  cagnolini  a  cui  si  faccia  l'atto  di 
lanciar  lontano  qualche  cosa.  Erano  pronti  a  slanciarsi  per  prender  l'og- 
getto, come  il  cagnolino  si  sarebbe  slanciato  dietro  l'oggetto  gettato  lontano. 
Ma  la  parola  non  veniva:   «  portatemi...  ».   Finalmente   con    impazienza  gri- 


2Sb  PARTK    SIìCONDA 


davo:  «  ma  portatemelo,  insomma,  lo  voglio!  »  allora  i  visi  si  aprivano  e  i 
fanciulli  gridavano  ridendo:  «ma  che  cosa?  ma  cosa  vuole?  che  dobbiamo 
prendere!  ». 

Questa  era  la  vera  lezione  sul  nome.  E  quando  dopo  molta  fatica  usciva 
la  parola:  «dolce»,  ecco  i  bambini  a  portarmi  tutti  i  possibili  oggetti  dolci: 
e  io  rifiutavo  brevemente:  «  non  ho  chiesto  un  confetto,  non  ho  chiesto  lo 
zucchero  ».  I  bambini  guardavano  l'oggetto  che  avevano  in  mano,  tra  ridendo 
e  pensando:  «  non  era  un  nome!  ». 

Questo  primo  inizio  di  lezioni,  che  sembiavano  dei  comandi  a  cui  mancava 
la  parola,  e  che  conducevano  a  capire  qualche  parte  del  discorso,  provocando 
scene  vive  e  interessanti,  è  stato  la  spinta  allo  svolgimento  che  oggi  abbiamo 
dato  alle  lezioni  sulla  grammatica;  lezioni,  che  è  venuto  nel  nostro  uso  di 
chiamare:  «  comandi  ». 

Però,  coi  bambini  normali,  questi  »  comandi  »  si  sono  moltiplicati  ed 
evoluti:  ed  essi  non  sono  più  afìfidati  alla  maestra  e,  quasi,  alla  sua  arte  dram- 
matica, che  doveva  rianimare  le  deboli  forze  nervose  dei  deficienti  e  tenere 
avvinta  la  loro  attenzione.  1  comandi  oggi  sono  scritti,  e  si  leggono.  Essi 
si  sono  fusi  con  l'esercizio  della  lettura  muta  sui  cartellini  e  interpretata 
con  l'azione,  esercizio  nato  spontaneamente  e  con  tanto  affascinante  suc- 
cesso nelle  «  Case  dei  Bambini  ».  Perciò  si  parla  oggi  nei  corsi  elementari 
di  «  leggere  i  comandi  »,  o  anche  di  «  scrivere  i  comandi  ». 

Lo  studio 'della  grammatica,  si  è  oramai  determinato  in  una  serie  me- 
todica d'esercizi,  di  cui  il  materiale  è  stato  preparato  sull'esperimento.  Chi 
leggerà  questo  metodo,  si  farà  subito  un'idea  chiara  del  compito  della  maestra. 
Essa  ha  un  materiale  tutto  pronto,  non  deve  pensare  a  comporre  una  sola  frase, 
non  a  consultare  un  programma.  Gli  oggetti  che  sono  a  sua  disposizione 
contengono  tutto  il  necessario,  e  basta  che  ella  ne  conosca  l'esistenza  e  l'uso. 
Le  lezioni  che  deve  fare  sono  sì  semplici  e  così  scarse  di  parole,  che  diventano 
pili  lezioni  di  gesti  e  d'azione,  che  di  parole. 

Si  pensi  poi  che  a  quanto  qui  è  aridamente  notato,  corrisponde,  nella  at- 
tuazione pratica  della  scuola,  [un  Vero  laboratorio  intellettuale:  i  bambini 
agiscono  di  continuo  e  agiscono  da  sé.  Una  volta  presentato  il  materiale, 
essi  lo  riconoscono,  amano  di  cercarlo  e  di  saper  trovare  da  soli  precisamente 
l'oggetto  che  vogliono  scegliere;  anche  si  scambiano  materiale  e  perfino  le- 
zioni tra  bambino  e  bambino.  La  maestra,  con  le  sue  poche  lezioni,  mette 
come  in  comunicazione  dei  fili  elettrici:  ecco  le  conseguenze  sproporzionate 
di  quell'atto  si  semplice!  ecco  il  suono  di  un  campanello,  la  luce  d'una  lam- 
padina, il  moto  di  una  macchina.  Le  accadrà  talvolta  di  stare  una  settimana 
intera  senza  bisogno  di  alcun  intervento. 

E  pure,  quale  delicatezza,  che  tatto  è  necessario  per  offrire  quel  materiale 
per  fare  con  garbo  quella  lezione  che  è  un  tocco  delicato  verso  interne  atti- 
vità;   per   lasciar   liberamente   svolgersi    tutte   le   manifestazioni    spontanee! 


GRAMMATICA  287 

per  tener  d'occhio  a  tanti  diversi  fenomeni,  per  «  dare  continuamente  olio 
alle  lampade!  ». 

Quando,  p.  es.,  la  maestra,  passando  accanto  al  tavolino  ove  un  bambino 
ha  analizzato  coi  cartellini  colorati  una  frase,  sposta  come  per  fare  uno  scherzo 
uno  dei  cartellini,  essa  deve  avere  non  solo  il  tatto  psicologico  d'intervenire 
a  proposito  presso  il  bambino,  ma  anche  deve  aver  presente  la  regola 
grammaticale  della  quale  dà  alla  mente  infantile  la  prima  intuizione.  Perciò 
ogni  suo  minimo  atto  è  importante  come  quello  d'un  pontefice  verso  le  anime, 
e  scaturisce  dalla  sua  coscienza  sempre  vigile,  sempre  carica  di  forza  po- 
tenziale. È  lei  che,  invece  di  attuare  completamente  ciò  che  contiene  in 
sé,  agisce  perchè  si  attuino  le  potenzialità  dei  bambini. 

La  preparazione  esteriore  della  maestra  si  riferisce  poi  alla  conoscen/'a' 
del  «  materiale  ».  Esso  deve  esserle  talmente  presente,  da  farle  subito  ricor- 
dare per  ogni  caso,  ciò  di  cui  può  disporre.  La  pratica,  del  resto,  la  metterà 
subito  in  ordine. 

Gli  esercizi  principali  della  grammatica  sono:  le  «  concordanze  »  fatte 
con  l'aiuto  di  fascetti  di  cartellini  appositamente  preparati,  come  già  si  è 
visto  per  le  concordanze  fra  articolo  e  nome,  e  come  si  vedrà  in  seguito  tra 
articolo,  nome  e  aggettivo,  tra  pronome  e  verbo,  e  pronome  e  nome:  e  le  due 
forme  di  esercizio  che  abbiamo  chiamato;  k  le  analisi  »  e  «  i  comandi  ». 

I  comandi  sono  insieme  lezioni  della  maestra  ed  esercizi  dei  bambini:  essi 
consistono  nel  chiarire  il  significato  delle  parole,  e  spesso  in  una  «  pratica  » 
interpretazione  di  esse  ;  alla  spiegazione  segue  subito  un  esercizio  dei  bam- 
bini che  interpretano  a  loro  volta  praticamente  il  senso  d'una  o  più  frasi 
scritte  in  un  biglietto  ch'essi  leggono,  come  si  faceva  nei  primi  esercizi  di 
lettura  nelle  «  Case  dei  bambini  »:  nel  biglietto  sono  contenute  le  parole  spie- 
gate allora  dalla  maestra.  Queste  lezioni  si  sono  fatte  nel  nostro  esperimento, 
subito  dopo  il  «silenzio»,  come  abitualmente  si  faceva  per  la  lettura  nelle 
'  Case  dei  Bambini  ».  Infatti  i  bambini,  dopo  aver  letto  i  comandi,  esegui- 
scono le  azioni  in  esse  descritte.  A  queste  lezioni  però  non  prendono  parte 
tutti  i  bambini,  ma  per  lo  piii  un  gruppo;  talvolta  un  solo  bambino;  altre 
volte  quasi  tutti.  Se  è  possibile,  i  comandi  si  fanno  in  una  stanza  vicina: 
mentre  nella  gran  sala  di  lavoro  altri  bambini  possono  occuparsi  altrimenti. 
Se  no,  tutto  avviene  nella  stanza  medesima.  I  comandi  sono  lezioni  che  si 
potrebbero  dire  una  "  introduzione  all'arte  drammatica  »;  si  organizzano  li 
per  lì  piccole  azioni,  piene  di  vivacità  e  d'interesse.  L'interpretazione  esatta 
della  parola,  che  porta  quella  precisa  attitudine  e  non  altro,  appassiona  tal 
volta  singolarmente  i  bambini. 

Invece  l'analisi  è  di  tutt'altro  genere.  Essa  consiste  in  un  lavoro  al  ta- 
volino, lavoro  d'isolamento  e  di  concentrazione.  Mentre  il  comando  dà  l'in- 
tuizione, l'analisi  produce  la  maturazione.  In  questi  esercizi  si  usano  i  casel- 
lari grammaticali:  in  uno  spazio  pili  grande  che  ciascuno  di  essi  contiene,  sono 


288  PARTE    SECONDA 


deposti  dei  cartelli  con  ciascuno  una  frase  stampata,  es.:  _^etta  il  tuo  fazzoletto: 
il  bambino  tira  fuori  un  cartello  e  lo  pone  da  un  lato  sul  tavolino:  poi, 
prendendo  dalle  caselle  i  cartellini  colorati  corrispondenti  alle  parole  della 
frase  li  pone  uno  vicino  l'altro,  ricomponendo  con  essi  la  frase  intera,  es.: 
t getta  il  tuo  fazzoletto".  Il  bambino  fa  un  lavoro  in  se  stesso  semplicissimo; 
infatti  egli  traduce  coi  cartellini  colorati  le  frasi  stampate  sui  biglietti, 
compone  le  frasi,  press'a  poco  come  faceva  con  l'alfabetario  mobile  compo- 
nendo parole;  ma  qui  l'esercizio  è  ancor  più  semplice,  perchè  il  bambino  non 
deve  ricordare  la  frase:  la  frase  è  lì  scritta  innanzi  ai  suoi  occhi.  Tutta  l'at- 
tività del  bambino  deve  concentrarsi  su  altri  fatti:  perciò  è  eliminato  ogni 
sforzo  intellettuale  dalla  composizione  in  se  stessa.  Intanto  il  bambino  deve 
fare  attenzione  ai  colori,  e  ai  posti  dei  cartellini  nel  casellario,  poiché  egli  deve 
raccogliere  i  cartellini  ora  dalla  casella  dei  nomi,  ora  da  quella  degh  avverbi, 
ora  da  quella  delle  preposizioni,  ecc.,  e  il  colore,  come  la  posizione  (su  ogni 
casella  si  scrive  il  titolo,  come  si  è  già  veduto)  gli  fanno  pili  volte  ribadire  la 
conoscenza  di  una  «  classificazione  »  delle  parole  secondo  il  senso  gram- 
maticale. 

Ma  ciò  che  rende  interessanti  tali  esercizi  di  analisi,  sono  gli  spostamenti. 
È  la  maestra  che,  passando,  sposta  i  cartellini:  e  con  ciò  essa  provoca  l'in- 
tuizione delle  regole  grammaticali  e  delle  definizioni.  Infatti  allorché  essa /ez^a 
il  cartellino  che  si  riferisce  alla  parte  nuova  dell'esercizio,  la  frase  rimanente, 
col  suo  cambiamento  di  significato,  fa  risaltare  la  funzione  della  parte  man- 
cante. È  una  lontana  riproduzione  delle  luci  che  la  patologia  e  la  vivisezione 
portano  alla  fi.siologia:  un  organo  mancante  alla  sua  funzione,  illustra  preci- 
samente la  funzione;  perchè  mai  si  rileva  tanto  l'utilità  precisa  d'una  cosa, 
come  quando  essa,  che  era  prima  funzionante,  si  è  perduta.  Inoltre  gli  «  spo- 
stamenti »  di  cartellini  dimostrano  che  il  senso  del  discorso  non  è  dato  dalle 
parole,  ma  daìVordinc  delle  parole:  ciò  produce  molta  impressione.  Ecco 
gli  stessi  cartellini  nel  caos  e  nell'ordine  loro:  prima  un  accozzo  di  parole  in- 
sensate, poi  l'espressione  d'un  pensiero. 

Allora  nasce  un  vivo  interesse  per  l'ordine  delle  parole;  non  é  più  l'asso- 
luta confusione  che  nasconde  completamente  il  senso,  la  sola  cosa  che  il 
bambino  cerca;  ma  egli  comincia  a  gustare  gli  spostamenti  fini  che,  senza 
distruggere  l'espressione  di  un  pensiero,  ne  attenua  però  la  chiarezza,  lo  fa 
suonar  male  »,  lo  complica  Ecco  dove  la  maestra  deve  tener  presente  le 
regole  sulla  collocazione  delle  varie  parti  del  discorso;  questo  è  che  renderà 
"  abile  la  sua  mossa  »  e  le  darà  magari  occasione  di  fare  una  piccola  spiega- 
zione brillante,  quasi  un'osservazione  di  sfuggita:  e  questo  potrà  dare  al  bam- 
bino una  profonda  o  cognizione  grammaticale  i-.  Il  bambino,  quando  abbia 
compreso,  diventerà  uno  stratega  assorto  nel  comporre  i  movimenti  dei  cartel- 
lini che  esprimono  il  pensiero;  egli,  se  giunge  ad  afferrare  questo  segreto,  non 
si  sazierà  sì  presto  d'un  esercizio  tanto  affascinante.  E  nessuno  come  lui  avrà 


GRAMMATICA  28cj 

mai  avuto  la  pazienza  di  studiare  così  lungamente  e  profondamente  la 
grammatica. 

Questo  fine  lavoro  non  è  del  tutto  facile  per  la  maestra  e  perciò  il 
materiale  le  suggerisce  ogni  particolare:  essa  deve  essere  alleviata  il  più 
possibile  dal  lavoro  di  preparazione  e  di  ricerca;  troppo  grande  è  il  suo 
compito  di  delicato  intervento.  Noi  nel  preparare  il  materiale  abbiamo  lavo- 
rato per  lei,  siamo  stati  gli  operai  che  hanno  confezionato  tutti  gli  oggetti 
necessari  alla  vita:  a  lei  non  resta  che  «  vivere  e  far  vivere  ». 

Ciò  faccia  comprendere  ancor  più  come  sia  fuori  della  realtà  quel  concetto 
pedagogico  «  modernista  »  il  quale  interpreta  la  libertà  nella  scuola  limitan- 
dosi a  dire  alla  maestra:  «  cercate  di  corrispondere  ai  vostri  allievi,  senza 
preoccuparvi  di  nessun  legame  >\  Quando  chiediamo  a  una  maestra  di  «  cor- 
rispondere »  ai  bisogni  della  vita  interiore  dell'uomo,  le  chiediamo  una  cosa 
assai  grande-  «  essa  non  potrà  mai  compierla,  se  prima  non  abbiamo  pensato 
a  servirla,  a  porgerle  tutto  il  necessario  ». 

Ecco  ora  il  materiale. 


COMANDI   SUI   NOMI. 

Le  chiamate. 

(Si  offrono  dei  biglietti  sui  quali  sono  stampati  i  comandi  e  i  bambini 
leggono  e  riproducono). 

—  Chiama  forte  : 

Maria!  Nina!  Gigina!... 
e  dopo  un  po'  chiama  ancora: 

bionda!  beila!  buona! 

—  Chiama  così  : 

Pietro!  porta  una  sedia. 

Mario!  prendi  un  cubo. 

Luigi  !  tira  fuori  un  telaio. 

Nino!  Nino!  porta  subito  il...,  —  portamelo  subito!  presto! 

—  Chiama  prima  lungamente  cosi  : 

. . .  vieni  !  vieni  a  darmi  un  bacio  —  ti  ^    o,  vieni  ! 
Infine  di'  : 

Maria!  vieni  a  darmi  un  bacio. 

Questi  comandi  si  prestano  ad  una  piccola  azione  drammatica:  è  vera- 
mente una  commedia  che  i  bambini  recitano.  Ora,  la  tendenza  alla  recita- 
zione, all'azione  mimica  è  spiccatissima  e  s'inizia  già  all'età  di  cinque  anni. 


^QO  PARTE    SECONDA 

1  piccoli  bambini  proxano  un  singolare  fascino  a  pronunciare  delle  parole 
con  tono  sentimentale  e  ad  accompagnarle  con  dei  gesti.  La  semplicità 
delle  commedie  per  bambini  di  cinque  anni,  non  si  potrebbe  immaginare: 
solo  l'esperienza  ha  potuto  indicarcela.  Infatti  un  giorno  i  nostri  piccoli 
bambini  furono  invitati  ad  assistere  a  una  piccola  produzione  drammatica 
dei  bambini  piii  grandi  della  scuola  pubblica.  Essi  avevano  seguito  la  rappre- 
sentazione con  un  interesse  veramente  sorprendente.  Però  ricordarono 
solo  tre  parole,  e  con  queste  tre  parole  essi  misero  su  la  loro  azione  drammatica, 
che  non  si  stancavano  mai  di  ripetere  il  giorno  dopo. 

I  comandi  «delle  chiamate»,  sono  perciò  delle  vere  commedio  pei  nostri 
bambini. 

II  bambino  chiama  pronunciando  il  nome  con  accento  strisciato:  e  il  bam- 
bino chiamato  si  avvicina;  poi  fa  lo  stesso  con  gli  altri  nomi:  ogni  chiamato  si 
avvicina.  Allora  cominciano  le  chiamate  vane:  biondo!  biondo!  bello!  Nessuno 
si  muovo.  Grande  impressione. 

Le  chiamate  imperiose,  come  quelle  preganti,  si  prestano  poi  suprema- 
mente all'azione  drammatica.  Pietro,  chiamato,  ha  portato  la  sedia.  Mario 
ha  preso  il  cubo;  Luigi  ha  tirato  fuori  un  telaio:  ma  Nino  sta  lì,  intento,  so- 
speso mentre  il  fanciullo  s'inquieta:  ma  portamelo  qui!  qui  subito! 

E  quanto  è  espressiva  la  vana  preghiera:  vieni!  ti  prego,  vieni  a  darmi 
un  bacio:  vieni!  vieni!  ;  finché  il  grido:  Maria!  vieni:  porta  come  conseguenza 
che  Maria  accorre  e  il  bacio  sì  lungamente  invocato  arriva. 

Queste  commedie  hanno  bisogno  di  un  vero  studio:  i  bambini  ripetono 
r  loro  parti  quasi  all'infinito. 


GRAMM  VTICA  2yl 


AGGETTIVI 


ANALISI. 

Materiale  :  La  scatola  grammaticale  : 
oggetti  vari  già  noti: 
oggetti  nuovi. 

Il  materiale  per  l'analisi  delle  parole  consiste  in  bigliettini:  articoli  (color 
nocciola),  nomi  (color  nero)  e  aggettivi  (color  marrone),  che  si  collocano 
in  una  scatola  a  tre  caselle,  su  ciascuna  delle  quali  sta  un  cartellino  por- 
tante la  parola  corrispondente:  articolo,  nome,  aggettivo.  Dalla  parte  opposta 
delle  tre  caselle,  c'è  uno  spazio  nella  scatola,  dentro  il  quale  si  pongono  dei 
cartelli,  i  quali  portano  scritte  delle  frasi  da  analizzare   (Tavola  V). 


AGGETTIVI    QUALIFICATIVI. 

Il  bambino,  dunque,  deve  leggere  le  frasi,  prendere  gli  oggetti  che  vi  sono 
indicati,  e  poi  comporre  le  frasi  stesse  coi  cartellini  nel  modo  seguente. 
Sia  questa  l'indicazione  del  cartello: 

il  colore  verde 
il  colore  turchino 
il  colore  rosso. 

Il  bambino  prende  le  tre  tavolette  dei  colori  dal  sistema,  già  noto,  delle  «  Case 
dei  Bambini  »  per  l'educazione  del  senso  cromatico,  e  le  pone  sul  tavolo. 
Poi  compone  la  frase  coi  cartellini: 


m 


colore        I   verde 


e  pone  vicino  il  colore  verde,  quindi,  lasciando  stare  i  due  primi  cartellini, 
cambia  solo  quello  relativo  all'aggettivo:  turchino,  egli  allora  cambia  l'oggetto 
cioè  toglie  il   verde  e  mette  il   turchino.   Infine  cambia  ancora  l'aggettivo. 


zqz 


PARTE    SIXONDA 


e  pone  \-icino  alla  mun  a  frase  il  terzo  colore.   I  tre  oggetti  diversi  furono  di- 
stinti dairaRgotti\-o  : 

I    verde 


a  colore 


turchino 
rosso. 


Tutte  le  frasi  si  riferiscono  agli  oggetti  del  materiale  di  sviluppo:  per 
alcune  (acqua  calda,  fredda,  tepida,  ghiacciata;  acqua  incolora,  acqua  colo- 
rata) occorre  preparare  il  materiale.  Nella  scatola  si  pongono  sei  fogli  che 
portano  stampate  le  frasi;  e  nei  casellari  si  ripongono  i  relativi  cartellini, 
che  sono  in  numero  precisamente  corrispondente  alle  necessità  dell'esercizio 
e  non  alle  frasi  (gli  articoli  e  i  nomi  non  sono  ripetuti). 

Ci  sono  cinque  serie  di  esercizi,  relativi  a  vari  gruppi  di  sensazioni: 


Senso  cromatico. 
il  prisma  marrone 
il  prisma  azzurro 
il  colore  verde 
il  colore  turchino 
il  colore  rosso 
i  lapis  neri 
i  lapis  colorati 
l'acqua  colorata 
l'acqua  incolora 
il  colore  giallo 
il  colore  arancione 
il  colore  scuro 
il  colore  chiaro 

Senso  visivo:  forma. 

il  triangolo  equilatero 

il  triangolo  isoscele 

il  triangolo  scaleno 

il  triangolo  acutangolo 

il  triangolo  ottusangolo 

il  triangolo  rettangolo 

l'incastro  circolare 

l'incastro  quadrato 

l'incastro  rettangolare 

la  piramide  quadrangolare 

la  piramide  triangolare 

il  prisma  azzurro  rettangolare 

il  prisma  azzurro  triangolare 

la  scatola  cilindrica 

la  scatola  prismatica 


B.  Senso  visivo:  dimensioni. 

l'asta  lunga 
l'asta  corta 

il  cubo  grande 
il  cubo  piccolo 

il  cilindro  alto 
il  cilindro  basso 

il  prisma  marrone  grosso 
il  prisma  marrone  fino 

il  rettangolo  largo 
il  rettangolo  stretto 

l'incastro  solido 
l'incastro  piano 

D.  Senso  tattile-muscolare. 

la  supeifice  piana 
la  superfìce  curva 

la  stoffa  ruvida 
la  stoffa  liscia 

l'acqua  calda 
l'acqua  fredda 
l'acqua  tiepida 

l'acqua  fredda 
l'acqua  ghiacciata 

la  tavoletta  pesante 
la  tavoletta  leggera 

la  stoffa  morbida 
la  stoffa  dura 


GRAMMATICA  293 


E.  Senso  uditivo,  olfattivo  e  gustativo: 

il  rumore  forte  l'odore  buono 

il  rumore  leggero  l'odore  cattivo 


il  suono  acuto  il  sapore  amaro 

il  suono  basso  il  sapore  dolce 

l'acqua  odorosa  il  sapore  acido 

l'acqua  inodora  il  sapore  salato 

La  maestra  che  sorveglia,  osserva  se  il  bambino  ha   preso  gli  oggetti 
indicati,  e,  se  è  il  caso,  procede  agli 


SPOSTAMENTI. 

Ricordi  a  tal  uopo  le  regole  grammaticali  sulla  collocazione  dell'agget- 
tivo, alcune  delle  quali  (le  prime)  le  saranno  certamente  utili  per  applicarle 
ai  primi  spostamenti: 

l'aggettivo  si  colloca  generalmente  dopo  il  nome:  messo  prima  del  nome 
si  nota  di  meno,  messo  dopo  il  nome  si  rileva  di  piii  e  quindi  assume  un  diverso 
valore  ; 

quando  l'aggettivo  serve  a  segnare  il  superlativo  della  qualità,  non  solo 
si  mette  dopo  il  nome,  ma  lo  si  fa  anche  precedere  dall'articolo  (Umberto 
il  buono). 

Esempio:  il  bambino  ha  composto  coi  cartellini  la  seguente  frase: 
il  triangolo  rettangolo 

la  maestra  può  spostare: 

il  rettangolo  triangolo 


e  analogamente: 

il  prisma  rettangolare  azzurro 
il  rettangolare  azzurro  prisma 

i  lapis  neri 
i  neri  lapis 

il  colore  rosso 
il  rosso  colore 

Il   senso,   l'abitudine   fanno  rilevare   al   bambino  la    posizione    normale 
dell'aggettivo. 


^94 


parti:  seconda 


In  alluno  frasi,  come: 

il  sapore  dolce 
il  rumore  leggero 

l'aggettivo  messo  prima  del  nome  rende  vago  e  generico  il  senso  che  è  cosi 
bene  precisato  dall'aggettivo  messo  al  posto  normale: 

il  dolce  sapore 
il  leggero  rumore. 

La  maestra,  dopo  aver  fatto  gli  spostamenti,  se  questi  hanno  interessato 
il  bambino,  può  dire,  p.  es.:  l'aggettivo  si  mette  dopo. 

Essa  avrà  fatto  una  lezione  di  grammatica  superiore. 


FLESSIONE. 

Un  altro  esercizio  a  tavolino  si  riferisce  alle  fiessioni;  e  questo  porta  insieme 
la  conoscenza  di  una  notevole  quantità  di  aggettivi.  Due  serie  di  venti 
aggettivi  maschili  e  di  venti  femmiiiiU  (nei  due  numeri)  e  altre  due  serie  di 
venti  aggettivi  singolari  e  di  venti  plurali  (nei  due  generi)  costituiscono  quat- 
tro gruppi  di  cartellini  di  cui  la  metà  (legata  a  parte)  serve  a  dirigere  la 
collocazione  dell'altra  metà.  Ecco  le  parole  raggruppate  insieme: 


Singolare 


Singoiar* 


acuto 

acuti 

malata 

malate 

aUegro 

aUegri 

odorosa 

odorose 

attenta 

attente 

arioso 

ariose 

basso 

bassi 

prezioso 

preziosi 

buona 

buone 

piena 

piene 

caldo 

caldi 

pesante 

pesanti 

cattiva 

cattive 

pulito 

puliti 

dolce 

dolci 

rozza 

rozze 

duro 

duri 

rosso 

rossi 

educata 

educate 

robusta 

robuste 

felice 

felici 

sincero 

sinceri 

fredda 

fredde 

studioso 

studiosi 

grande 

grandi 

stretto 

stretti 

grazioso 

graziosi 

stupida 

stupide 

gioiosa 

gioiose 

vecchia 

vecchie 

gentile 

gentili 

morbido 

morbidi 

italiano 

italiani 

leggera 

leggere 

lieto 

lieti 

lunga 

lunghe 

largo 

larghi 

grosso 

grossi 

lento 

lenti 

colorita 

colorite 

GRAMMATICA 

MasehiU 

Ffmmvnìr 

Maschile 

FtmmtniU- 

aJti 

alte 

ottimo 

ottima 

bello 

bella 

ordinato 

ordinata 

bravi 

brave 

pigri 

pigre 

biondo 

bionda 

pallido 

pallida 

chiaro 

chiara 

piccolo 

piccola 

corto 

corta 

ruvidi 

ruvide 

coraggiosi 

coraggiose 

serio 

seria 

disordinato 

disordinata 

suo 

sua 

dolce 

dolce 

sgarbato 

sgarbata 

debole 

debole 

tuo 

tua 

esatto 

esatta 

timido 

timida 

freddo 

fredda 

ultimo 

ultima 

graziosi 

graziose 

vostro 

vostra 

grande 

grande 

zoppi 

zoppe 

garbati 

garbate 

zitto 

zitta 

gentili 

gentili 

carino 

carina 

italiani 

italiane 

liscio 

liscia 

inglese 

inglese 

obbediente 

obbedient( 

lento 

lenta 

contenti 

contente 

svelto 

svelta 

allegro 

allegra 

Come  con  le  quattro  forme  dei  nomi,  cosi  con  le  forme  degli  aggettivi 
si  fanno  piacevoli  esercizi  collettivi  analoghi.  Distribuiti,  per  es.,  agli  altri 
bambini  gli  aggettivi  nelle  forme  plurali,  un  bambino  legge  successivamente 
ad  alta  voce  gli  aggettivi  al  singolare  attendendo  per  ciascuno  la  risposta 
de!  bambino  che  ha  l'aggettivo  corrispondente. 


CONCORDANZA   LOGICA   E   GRAMMATICALE 
TRA    NOME   E   AGGETTIVO. 


Un  altro  esercizio  a  tavolino  consiste  nel  disporre  due  gruppi  di  cin- 
quanta cartellini,  venticinque  dei  quali  (gruppo  dirigente)  sono  nomi,  e  gli 
altri  venticinque  aggettivi.  Messi  in  fila  i  nomi,  il  bambino  tra  gli  agget- 
tivi mescolati  insieme,  cerca  quelli  che  gli  sembrano  adatti  al  nome  e  ve 
li  pone  vicino;  talvolta  la  vicinanza  di  un  nome  e  di  un  aggettivo  in  con- 
trasto tra  loro,  desta  la  più  viva  ilarità;  i  bambini  provano  ad  adattare 
più  aggettivi  possibili  allo  stesso  nome,  e  fanno  combinazioni  che  sono 
molto  divertenti. 


PARTE    SECONDA 


Ecco  duo  gruppi,  ohe  sono  preparati  nH  materiale- 


contadina 

allegra 

iavagnotta 

rettangolare 

casa 

bella 

foglio 

bianco 

zia 

brava 

panchetto 

basso 

mamma 

cara 

prisma 

grasso 

professore 

alto 

vaso 

largo 

maestra 

magra 

foglia 

verde 

lavandaia 

pulita 

circolo 

perfetto 

marinaio 

robusto 

pizzicagnolo 

grosso 

carrettiere 

abbronzato 

testa 

unta 

bambino 

buono 

gomma 

densa 

fanciullo 

stizzito 

acqua 

limpida 

figlio 

obbediente 

saponetta 

odorosa 

pietra 

nera 

medico 

bravo 

latte 

bianco 

giardiniere 

bizzarro 

formaggio 

tenero 

cane 

arrabbiato 

carne 

fresca 

manicotto 

morbido 

vino 

rosso 

gatto 

arruffato 

disegno 

grazioso 

colombo 

viaggiatore 

perla 

lucente 

uomo 

brontolone 

vetro 

trasparente 

ragno 

pericoloso 

ragazzina 

impertinente 

serpente 

velenoso 

asino 

paziente 

medicina 

amara 

gallina 

grassa 

nonna 

indulgente 

topo 

agile 

babbo 

severo 

vespa 

maligna 

cassetto 

ordinato 

L'esercizio  si  eseguisce  anche  collettivamente  da  tutti  1  bambini  :  si 
mettono  sopra  una  tavola  i  nomi  e  su  un'altra  gli  aggettivi;  e  i  bambini 
movendosi  come  nella  lezione  del  silenzio,  vanno  a  scegliere  prima  un  nome 
e  poi  un  aggettivo.  Quando  tutti  hanno  scelto,  ci^iscuno  legge  torte  il  suo 
nome  e  aggettivo,  tra  l'interesse  generale. 


ANCORA    SUGLI   AGGETTIVI    QUALIFICATIVI. 

Comandi  (lezioni  individuali). 

Lo  studio  dell'aggettivo  può  essere  per  la  maestra  occasione  di  fare 
delle  lezioni  per  dare  la  conoscenza  di  alcune  qualità  fisiche  dei  corpi,  ancora 
sconosciute  ai  bambini.  Cosi,  p.jes.,  essa  potrà  presentare  un  vetro  trasparente, 
un  vetro  nero  o  un  qualsiasi  schermo  opaco,  e  un  pezzo  di  carta  bianca 
che  abbia  delle  macchie  di  olio,  e  far  rilevare  che  a  traverso  il  vetro  si  ve- 


GRAMMATICA  297 

dono  distintamente  gli  oggetti,  a  traverso  la  macchia  di  olio  si  vede  solo 
la  luce;  e  nulla  a  traverso  lo  schermo  opaco. 

Ovvero  potrà  prendere  un  imbutino  di  vetro  e  disporvi  dentro  un  filtro 
di  carta  bibula,  quindi  una  spugna  e  un  pezzo  di  stoffa  impermeabile.  Farà 
vedere  come  l'acqua  passi  a  traverso  il  filtro,  come  la  spugna  la  imbeva, 
come  la  stoffa  impermeabile  la  trattenga. 

Ovvero,  prendendo  due  provette  di  vetro  ed  empiendole  d'acqua  a  varie 
altezze,  farà  osservare  come  in  un  caso  la  superficie  dell'acqua  sia  concava 
e  in  un  altro  caso  convessa. 

I  comandi  sono  stampati  su  striscie  di  carta  che,  ripiegate,  si  uniscono 
ciascuna  con  un  anellino  di  elastico  a  una  serie  di  bigliettini  marrone  rela- 
tivi agli  aggettivi  contenuti  nei  comandi. 

Ecco,  ad  esempio,  il  materiale  preparato: 

Riempi  due  provette  con  acqua:  una  ricolma  e  l'altra  invece  non  colma.  Osserva 
la  forma  che  prende  la  superficie  dell'acqua  e  applica  questi  aggettivi:  con- 
cava, convessa. 

Prendi  vari  oggetti  (come:  carta  da  filtro,  stoffa,  spugna)  per  provare  se  lasciano 
passar  l'acqua  e  poi  applica  questi  aggettivi:  permeabile,  impermeabile,  poroso. 

Prendi  un  vetro  hmpido,  un  foglio  di  carta  nera,  e  un  foglio  di  carta  oleata  e  guarda 
a  traverso  la  luce;  poi  applica  i  seguenti  aggettivi:  trasparente,  opaca,  translucida. 

Anche  per  le  comparazioni  di  peso,  si  possono  fare  alcune  lezioni  dimo- 
strative, ponendo  in  un  bicchiere  d'acqua  dell'olio  ovvero  dell'alcool  colo- 
rato con  anilina;  o  ponendo  sull'acqua  un  pezzetto  di  sughero  e  lasciandovi 
cadere  una  pallina  di  piombo. 

Comando:  Fai  le  comparazioni  di  peso  tra  l'acqua  e  l'alcool  colorato;  tra  l'acqua 
e  l'olio;  l'acqua  e  il  sughero  ;  l'acqua  e  il  piombo  ;  e  poi  scrivi  quali  sono  più 
pesanti  o  we^o  pesanti  delle  altre. 

II  bambino,  come  risposta,  deve  dare  un  piccolo  lavoro  scritto,  come: 

L'acqua  è  più  pesante  dell'olio,  ecc. 

1  bambini  eseguiscono  le  piccole  esperienze  indicate,  imparano  a  maneg- 
giare provette,  imbuti,  filtri;  a  versare  delicatamente  le  ultime  gocce  d'acqua 
per  la  preparazione  della  superficie  concava  e  convessa;  a  versare  leggermente 
l'alcool  colorato  e  l'olio  sull'acqua,  ecc.  Così  essi  fanno  un  primo  passo  pratico 
nella  scienza. 

Nella  continuazione  dello  studio  degli  aggettivi  qualificativi,  una  serie 
di  comandi  si  riferisce  ai  comparativi  e  superlativi;  già  un  esempio  è  penetrato 
nelle  lezioni  sperimentali  sul  peso.  Ecco  altri  comandi,  ove  il  biglietto  è 
collegato  ai  cartellini  marroni  relativi: 

Prendi  la  scala  delle  grossezze  o  altri  oggetti  e  ndatta\i  questi  aggettivi:  grosso,  fino, 
grossissimo,  finissimo. 


.-•y-s  parti:  sixonda 

Pit-ndi  lo  otto  tavolette  .lei  colore  che  più  ti  piace,  e,  fatta  la  sfumatura,  .ipplica 
questi  aggettivi  di  qualità;  chiaro,  chiarissimo,  scuro,  scurissimo. 

Prendi  la  serie  dei  circoli  degli  incastri  piani  e  scegli  i  circoli  a  cui  si  adattano  questi 
aggettivi:  grande,  piccolo,  intermedio. 

!  Vendi  le  stoffe  o  altri  oggetti  e  adattavi  questi  aggettivi  //soo.  liscissimo,  ruvido, 
ruvidissimo,  morbido,  morbidissimo. 

Prendi  la  serie  dei  cubi  rosa  o  altri  oggetti  e  adattavi  questi  aggettivi:  grande,  gran- 
dissimo, piccolo,  piccolissimo. 

Fai  una  gradazione  di  oggetti  secondo  il  loro  pesn  e  pnj  applica  gli  aggettivi:  pesavh\ 
pesantissimo,  grave,  leggero,  leggerissimo. 


AGGETTIVI    QUANTITATIVI. 

Comandi  {Leziotii  individuali). 

Come  sopra,  il  biglietto  è  legato  da  un  elastico  insieme  a  una  serie  di 
cartellini  marrone:  ciò  forma  un  gruppo.  Nel  materiale  sono  preparati  i  tre 
seguenti  gruppi:  ■ 

a)   Prendi  le  marchette  e  fanne  dei   mucchi   che  corrispondano   per   la  quantità  a 

questi  aggettivi:  uno,  due,  tre,  quattro,  cinque,  sei,  sette,  otto,  nove,  dieci,  venti, 
h)   Prendi  un  po'  di  fagioli  e  fanne  dei  mucchi  in  modo  da  adattarvi  questi  aggettivi: 

pochi,  niente,  molti,  alcuni, 
e)  Stabilisci  prima  una  piccola  quantità  di  perle  e  poi  forma  altri  mucchi  per  adattarvi 

questi  aggettivi:  doppia,  tripla,  quadrupla,  quintupla,  sestupla,  decupla,  mezza, 

eguale. 

AGGETTIVI   ORDINATIVI. 

Comandi    individuali. 

—  Fai   la   scala   delle    grossezze   e   poni   sui   gradini    questi    aggettivi    ordinativi  : 

primo,  secondo,  terzo,  quarto,  quinto,  sesto,  settimo,  ottavo,  nono,  decimo. 

—  Distingui  i  cassettini  della  credenza   con   gli    aggettivi    ordinativi,  cominciando 

dall'alto:  primo,  secondo,  terzo,  quarto,  quinto. 

—  Distingui  i  cassettini  della  credenza  con  gli  aggettivi  ordinativi  cominciando  dal 

basso:  primo,  secondo,  terzo,  quarto,  quinto. 


AGGETTIVI   DIMOSTRATIVI. 

Lezioni  collettive. 

La  maestra  raccoglie,  avendone  apportunità,  un  gruppo  di  bambini, 
e  dà  loro  qualche  semplice  spiegazione  sul  significato  delle  parole:  questo 
(vicino  a  noi),  codesto  (vicino  a  voi),  quello  (lontano). 


GRAMMATICA  299 

Quindi  distribuisce  i  comandi,  che  richiedono  un'azione  collettiva: 

Raggruppatevi  in  cotesto  angolo  della  sala,  poi  venite  tutti  insieme  in  questo  an- 
golo, quindi  correte  tutti  verso  (/«e/Z'angolo. 

Chiama  uno  dei  compagni  e  '^dicagli  di  posare  una  scatola  su  questo  tavolino, 
un  vasetto  su  cotesto  tavolino,  e  un  piattino  su  quel  tavolino. 

Dì  a  un  tuo  compagno,  indicandogli  i  luoghi  col  dito:  metti  una  perla  verde  "in 
questo  vaso,  una  perla  azzurra  in  codesto  vaso,  e  una  perla  bianca  in  quel  vaso. 

Disponi  i  bambini  in  tre  diversi  punti  della  sala  a  gruppi  e  poi  comanda:  quel 
gruppo  prenda  il  posto  di  questo;  invece  cotesto  gruppo  si  sciolga,  e  i  bambini 
tornino  a  posto. 


AGGETTIVI   POSSESSIVI. 

Comandi  collettivi. 

Analogamente  la  maestra   spiega   il   significato   delle   parole:    mio,  tuo, 
no,  ecc.,  anche  con  un  semplice  cenno  della  mano.  Ecco  i  comandi: 

-  Indica  gli  oggetti  dicendo:  questa  lavagnetta  è  w»«;  cotesta  è  tua;  quella  è  sua. 

-  Indica  i  posti  dicendo:    quello  è  il  suo  posto;   codesto  è  il  posto  tuo  e  questo 

il  mio. 

-  Distribuisci  i  cestini  dicendo:  questo  è  mio:  quest'altro  di  chi  è?  è  tuo.?  e  questo? 

ah . . .  questo  è  suo. 

-  Prima  faremo  un  giretto  tutti  insieme;  poi  noi  andremo  ai  nostri  posti,  voi  an- 

drete ai  vostri  posti  ed  essi  andranno  ai  posti  loro. 

-  Dividiamo  le  cose;  mettiamo  qui  la  roba  nostra  e  là  la  roba  loro. 

-  Noi  verremo  ora  ai  vostri  posti  e  voi  andrete  ai  loro  posti;  essi  intanto  si  alze- 

ranno e  poi  verranno  ad  occupare  i  nostri  posti. 


PAKTr:    SKCONDA 


VERBI 


Quando  facevo  le  mie  prime  lezioni  di  grammatica  ai  bambini  deficienti, 
mi  ero  fermata  principalmente  ai  nomi  e  ai  verbi.  Il  nome,  oggetto;  e  il  verbo 
azione,  moto,  erano  distinti  con  la  più  grande  chiarezza,  come  presso  a  poco 
noi  distinguiamo  la  materia  dalla  forza,  la  chimica  dalla  fìsica.  Lo  stato 
e  il  moto,  come  la  forza  potenziale  e  attuale,  sono  espressi  dal  verbo. 

Mentre  quindi  il  bambino  prendeva  degli  oggetti  studiando  il  nome  e 
gli  attributi,  qui  dovrà  eseguire  delle  azioni. 

Nell'esecuzione  delle  azioni  egli  deve  necessariamente  essere  guidato; 
perchè  non  sempre  sarà  capace  di  interpetrare  una  parola  con  l'azione  che 
precisamente  vi  corrisponde,  anzi  sarà  lo  studio  del  verbo  che  inizierà  una 
serie  d'insegnamenti  sugli  atti  da  eseguire.  La  maestra  perciò  dovrà  fare  delle 
lezioni  individuali,  insegnando  al  bambino  a  interpetrare  il  verbo. 


ANALISL 

Col  solito  mezzo,  si  presenta  una  scatola  avente  quattro  caselle  per  l'ar- 
ticolo, il  nome,  l'aggettivo  e  il  verbo,  contrassegnate  da  altrettanti  cartellini 
nocciola,  nero,  marrone  e  rosso  (Tavola  VI).  Nella  casella  posteriore  stanno 
per  ogni  esercizio  sei  biglietti  ciascuno  portante  delle  frasi:  e  ad  ogni  parola 
scritta,  corrisponde  un  cartellino  nel  casellario,  eccetto  per  quelle  parole  che 
sono  ripetute  in  frasi  successive.  Così  per  esempio,  se  nel  cartello  sono  scritte 
le  due  seguenti  frasi: 

chiudi  l'uscio 

serra  l'uscio, 

nei   cartellini   corrispondono   solo   le   seguenti    parole:  l'uscio,  così   il 

bambino,  composta  la  prima  frase,  varia  solo  un  cartellino  {serra,  invece  di 
chiudi)  e  vede  così  per  opera  del  verbo  cambiarsi  l'una  nell'altra,  due  frasi 
che  indicano  azioni  diverse. Il  bambino  eseguirà  l'azione  e  comporrà  coi  car- 
tellini la  frase  relativa  sul  tavolino. 


GRAMMATICA 


301 


Nelle  serie  da  noi  preparate  i  verbi  sono  contrastanti  o  sinonimi.  Ecco  il 
materiale: 


chiudi  l'uscio 
serra  l'uscio 
posa  un  pennino 
getta  un  pennino 
alza  la  tua  seggiolina 
solleva  la  tua  seggiolina 


—  prendi  la  matita  nera 
lascia  la  matita  nera 

—  fai  un  nodo 
sciogli  un  nodo 

—  spargi  alcune  perline 
raccogli  alcune  perline 


socchiudi  l'alfabetario 
chiudi  l'alfabetario 
lancia  una  piccola  gomma 
getta  una  piccola  gomma 
abbassa  la  mano 
alza  la  mano 


mostra  la  manina  pulita 
nascondi  la  manina  pulita 
tocca  le  stoffe  vellutate 
palpa  le  stoffe  vellutate 
scrivi  una  breve  parola 
cancella  una  breve  parola 


stacca  un  piccolo  quadro 
appendi  un  piccolo  quadro 
componi  una  parola 
scomponi  una  parola 
delinea  un  circolo 
riempi  un  circolo 


—  capovolgi  un  vasetto  vuoto 
rovescia  un  vasetto  vuoto 

—  inchina  la  testa 
alza  la  testa 

—  porta  una  sedia  leggera 
trascina  una  sedia  leggera 


Serie  D. 


apri  la  porta  vicina 

spalanca  la  porta  vicina 

solleva  un  tavolino  libero 

leva  un  tavolino  libero 

accarezza  un  tuo  piccolo  compagno 

bacia  un  tuo  piccolo  compagno 


—  serra  la  credenza  grande 
disserra  la  credenza  grande 

—  copri  il  viso 
scopri  il  viso 

—  avvicina  due  prismi  marrone 
scosci?  due  prismi  marrone 


Serie  E. 


stendi  la  mano  destra 

ritira  la  mano  destra 

stringi  i  pugni 

apri  i  pugni 

mchiava  la  credenza  grande 

schiava  la  credenza  grande 


mescola  la  gradazione  viola 
componi  la  gradazione  viola 
costruisci  la  torretta  rosa 
guasta  la  torretta  rosa 
stendi  il  tappeto  grande 
ripiega  il  tappeto  grande 


PARTE    SECONDA 


SPOSTAMENTI. 


La  maestra  tenga  presente  nella  sua  mente  le  regole  grammaticali  sulla 
collocazione  del  verbo,  per  dare  al  bambino  l'intuizione  della  sua  posizione 
normale,  che  è  di  precedere  il  complemento  oggetto  :  «  prima  il  verbo,  e  poi 
l'oggetto  verso  il  quale  si  porta  l'azione  ". 

Esempio: 

apri  la  porta  vicina 

la  maestra   sposterà   mettendo  il   verbo  in  fondo  : 

la  porta  vicina  apri 

e  similmente: 

nascondi  la  manina  pulita 
la  pulita  manina  nascondi. 

Togliendo  il  verbo,   sparisce  l'azione  da  compiere  : 

accarezza,  bacia  un  tuo  piccolo  compagno 
un  tuo  piccolo  compagno 

O,  facendo  spostamenti  generali,  si  può  dimostrare  quante  combinax,ioiii 
insensate  ci  possono  essere  sul  disordine:  mentre  uno  solo  è  l'ordine  scu- 
sato e  chiaro. 


Esempio: 


Serra  la  credenza  grande 
la  grande  credenza  serra 
grande  serra  la  credenza 
la  credenza  serra  grande 
credenza  la  grande  serra 

leva  un  tavolino  libero 
libero  tavolino  un  leva 
un  tavolino  leva  libero 
im  leva  libero  tavolino 
tavolino  un  libero  leva 


LEZIONI    E    COMANDI    SUI   VERBL 

Lo  studio  dei  verbi  e  cioè  gli  tscn  izi  'li  inter])ctrazic.ne  di  essi,  sono 
fatti  assai  piacevolmente  dai  bambini. 

Sono  preparati  dei  pacchetti  di  dieci  cartellini  rossi  ciascuno,  legati 
da    un    elastico;    il    bambino   esegue    le    azioni    una     dopo    l'altra;    e    può. 


GR,\MMATICA 


infine,  copiare  i  cartellini,  cosa  che  generalmente    piace    molto  ai   bambini 
di  poca  età. 


—  passeggia,  canta,  salta,  balla,   inchinati,    siedi,    dormi,   svegliati,   prega,   sospira 

—  scrivi,  cancella,  piangi,  ridi,  nasconditi,  disegna,  leggi,  parla,  ascolta,  corri 

—  riordina,  pulisci,   spolvera,   spazzolati,    abbottonati,    allaccia,    annoda,  aggancia, 

specchiati,  saluta 

—  pettinati,  lavati,  asciugati,  saluta,  abbraccia,  bacia,  sorridi,  sdraiati,  leggi,  sbadiglia. 

Questo  per  i  verbi  più  comuni,  che  sono  già  più  o  meno  noti  al  barn 
bino;  ma  eccoci  a  delle  vere   «  lezioni  sui  verbi  ». 

La  maestra  si  propone  come  tema  una  serie  di  verbi  sinonimi,  ed  in- 
segna ad  un  gruppo  di  bambini  il  loro  significato  «  tradotto  nell'azione  », 
eseguendo  l'azion;  essa  stessa. 

Quindi  distribuisce  ai  bambini  dei  comandi  i  quali  contengono  quei 
verbi:  comandi  che  possono  essere  in  più  copie,  se  i  bambini  sono  moltissimi. 

I  bambini  leggono  ciascuno  per  conto  proprio  il  cartellino  ricevuto,  ed 
eseguiscono  l'azione,  ricordando  la  lezione  della  maestra. 

Ecco  il  materiale  che  noi  abbiamo  sperimentato  : 

Tema:  Posare,  gettare,  lanciare,  scagliare. 

Comandi  :  —   Prendi  una  marchetta  e  posala  sul  pavimento.  Poi  riprendila  e  gettala 
nello  stesso  punto. 

—  Annoda  il  tuo  fazzoletto  per  farne  una  palla;    e    poi   lancialo   in   aria.  Corri  là 

dove  cade  e  di  là  scaglialo  contro  la  parete. 

—  Posa  pian  piano   in    terra  il   tuo   fazzoletto;    poi    riprendilo   e  gettalo   in   terra. 

Riprendilo  ancora    fanne  una  pallottola  e  lancialo.   Corri  là  dove  è  caduto, 
prendilo  e  scaglialo  contro  una  parete  della  sala. 

Tema:  Sollevare,  alzare,  levare. 

Comandi:  —  Solleva  l'incerata  del    tuo  tavolino  e  rimettila  giù  per  bene.  Poi  levala 
del  tutto  ed  alzala  quanto  più  puoi.  Poi  rimetti  a  posto. 

—  Solleva  alquanto  la  tua  sedia:  poi  prendila   ed   alzala  quanto  più  puoi.    Posala 

e  riprendila  poco  dopo  per  levarla  del  tutto. 

—  Alza  quanto  più  puoi  un  vaso  del  nostro  salotto,  come  per  guardarlo;  poi  rimet- 

tilo al  posto,  e  sollevalo  un  poco  come  per  vedere  cosa  c'è  sul  tavolo  sotto  di 
esso;  quindi  levalo  via  del  tutto  come  per  riporlo. 

Tema:  Aprire,  spalancare,  chiudere,  socchiudere,  serrare,  disserrare. 

Comandi:  —  Vai  a  una  finestra:  aprila,  anzi,  spalancala:  dopo  qualche  momento 
socchiudila;  aspetta  ancora  e  poi  chiudila  del  tutto. 

—  Vai  a  una  porta:  aprila  e  poi  spalancala  ;  dopo  un  po'  socchiudila:  aspetta  an- 

cora e  poi   chiudila   del   tutto.  Se  c'è  la  chiave,  serrala,   ma  prima  di    venir 
via  disserrala,  affinchè  tutto  resti  come  al  solito 


304  PARTE    SFXONDA 

Tema:  Respirare,  sospirare,  inspirare,  espirare. 

Comandi:  —  Vai  avanti  ad  una  finestra  aperta  e  respira  alquanto  a  pieni  polmoni, 
facendoti  sentire  a  respirare:  poi  sospira  profondamente  e  torna  indietro. 

—  Mettiti  avanti  ad  un  finestrone  aperto.  Inspira  tutto  ad  un  tratto  quanta  aria 

puoi,  trattenendola  dentro  a  lungo.   Poi  espira  lentamente. 

Tema:   Appendere,  affiggere,  sospendere. 

Comandi:  —  Appendi  il  tuo  miglior  disegno  a  un  chiodo  nella  parete  del  salottino. 

—  AffiiS'  '1  tuo  miglior  disegno  a  una  parete  con  degli  spilli. 

—  Sospendi  un  tuo  disegno  dinanzi  ad  un  bambino  per  farglielo  osservare. 

—  Provati  a  sospendere  ad  un  dito  una  seggiolina. 

Tema:  Avvolgere,  involgere,  svolgere. 
Comandi:  —  Involgi  un  vasetto  nella  carta. 

—  Avvolgi  la  carta  velina  attorno  al  vasetto  e  poi  svolgila. 

Tema:   Volgere,  capovolgere,  rovesciare. 

Comandi:  —  Prendi  un  quadretto  e  volgilo  verso  una  bambina,  perchè  lo  veda:  poi 
dinanzi  ad  essa  capovolgilo:  e  quando  lo  ha  guardato  anche  così,  rovescialo. 

Tema  :  Sbuffare,  soffiare,  alitare. 

Comandi:  —  Appressa  il  dorso  della  mano  alle  labbra  e  cerca  di  alitarvi  sopra  deli- 
catamente: che  cosa  senti? 

—  Appressa  il  dorso  della  mano  alle  labbra  e  soffiaci  sopra.  Che  cosa  senti? 

—  Passeggia  su  e  giù  per  la  stanza,  sbuffando  come  se  fossi  infastidito. 

Tema:  Mormorare,  susurrare,  brontolare. 

Comandi:  —  Invita  un  bambino  ad  ascoltare  bene  ciò  che  tu  dirai:  e  allora  mor- 
mora tra  i  denti  qualche  parola.  Poi  chiedigli  se  ha  capito. 

—  Avvicinati  a  due  bambini,  e  susurra  una  parolina  all'orecchio  di  uno  di  questi. 

Poi  chiedi  all'altro  se  ha  sentito. 

—  Avvicinati  a  un  bambino  e  brontola  verso  di  lui  qualche  cosa:   poi  osserva  che 

cosa  fa  il  bambino. 

Tema:   Toccare,  tastare,  palpare,  sfiorare. 

Comandi:  —  Prendi   l'armadietto  delle  stoffe  e  tastalo   ad   occhi  chiusi  come  per 
riconoscerlo. 

—  Prendi  le  stoffe  dell'armadietto  e  toccale  ad  una  ad  una  come  negli  esercizi  del 

tatto. 
Prendi  le  stoffe  dall'armadietto  e  palpale  per  sentirle  bene. 
-  Prendi  il  velluto  e  sfioralo  appena  coi  polpastrelli  delle  dita. 

Tema:   Spargere,  spruzzare,  aspergere. 

Comandi:  —  Stendi  in  terra  il  tappeto  incerato  e  aspergilo  tutto  con  acqua. 

—  Stendi  in  terra  il  tappeto  incerato  e  spruzzavi  sopra  dell'acqua  con  la  mano. 
Stendi  in  terra  il  tappeto  incerato  e  spargivi  l'acqua  di  un  vasetto. 


GRAMMATICA  305 

Tkma:   Barcollare,  dondolare,  erigersi. 

Comandi:   —  Cammina  su  e  giù  per  la  sala,  erigendoti  bene  sulla  persona. 

—  Cammina  su  e  giù  per  la  sala,  barcollando  come  se  ti  girasse  la  testa. 

—  Cammina  su  e  giù  per  la  sala,  dondolandoti  sui  fianchi. 

Tema:  Acchiappare,  acciuffare,  afferrare. 

Comandi:  —  Invita  un  bambino  a  correre  innanzi  a  te  in  punta  di  piedi  e  cerca 
di  acchiapparlo. 

—  Afferra  un  bambino  improvvisamente  per  le  braccia. 

—  Invita  un  bambino  a  correre  con  te  in  punta   di   piedi,    e   cerca  di   acciuffarlo. 


LEZIONI    ACCOMPAGNATE   DA    ESPERIMENTI. 

Oltre  a  spiegare  con  l'azione  eseguita  il  significato  del  verbo,  si  pos- 
sono provocare  delle  azioni  che  in  se  stesse  portano  al  bambino  cognizioni 
nuove.  In  tal  caso  la  maestra  invece  di  eseguire  dei  semplici  movimenti, 
esegue  degli  esperimenti,  che  poi  il  bambino,  o  nello  stesso  giorno  o  in  giorni 
successivi,  potrà  eseguire  da  se  stesso,  secondo  le  indicazioni  dei  comandi. 

Tema:  Mescolare,  emulsionare,  stemperare. 

Comandi:  —  Mescola  in  un  bicchiere  acqua  e  aceto. 

—  Metti  in  un  bicchiere  un  po'  di  oho  e  battilo  fortemente  finché  sia  emulsionato. 
-  Stempera  in  due  provette  dell'anilina  rossa  e   dell'anilina  gialla;  poi  mescola  in 

parti  uguali  le  due  acque   colorate  e  osserva  se  si  forma  un  altro  colore. 

Tema:  Sciogliere,  fare  la  sospensione,  saturare. 

Comandi:  —  Metti  un  pochino  di  zucchero  nell'acqua  e  muovila  con  un  cucchiaino 
finché  si  è  sciolto  tutto.  L'acqua  deve  restare  limpida  e  lo  zucchero  deve 
sparire. 

—  Metti  molto  zucchero  in  poca  acqua  e  muovila  col   cucchiaino;  se  lo  zucchero 

sparisce  solo  in  parte,  ma  ne  resta  ancora  sul  fondo,    vuol  dire  che  l'acqua 
è  satura. 

—  Getta  in  un  bicchier  d'acqua  dell'amido  e  muovi  forte  col  cucchiaino:  l'acqua 

resta  bianca  perchè  l'amido  non  si  scioglie,  ma  resta  sospeso. 

Tema:  Decantare,  filtrare. 

(^)MANDi:  —  Prendi  il  bicchiere  d'acqua  satura  di  zucchero,  e  quello  ove  è  sospeso 

l'amido  e  lascia  depositare  sul  fondo  le  sostanze  sospese,  fin  che  l'acqua  resta 

limpida:  poi  decantala. 

—  Filtra  l'acqua  satura  di  zucchero  e  l'acqua  che  tien  l'amido  sospeso;  poi  assaggia 

l'una  e  l'altra. 

Se  tutti  questi  comandi  saranno  eseguiti,  il  bambino  dimostrerà  un 
.trrandissimo  desiderio  di  continuare,  interessandosi  così  attivamente  al  signi 
(k  ato  dei  verbi,  da  non  più  aver  bisogno  di  comandi  per  indursi  a  studiare 


30b  PARTI     Sl-;COND.\ 

queste  parole.  La  domanda  frequente  dei  bambini  è:  quanti  verbi  ci  sono 
nella  lingua  italiana?  quanti  ce  ne  sono   in   quella  inglese  e  nella  tedesca? 

Per  questo  noi  abbiamo  preparato  pei  nostri  bambini  i  dizionari  dei 
sinonimi  e  le  tabelle  delle  parole. 

Ma  intanto  essi  cominciano  a  fabbricarsi  da  sé  i  primi  dizionari.  Intatti 
giunti  a  questo  punto  i  fanciulli  cominciano  a  possedere  una 


RUBRICA. 

Ogni  bambino  ha  la  sua  rubrica,  e  comincerà  a  scriverci  tutte  le  pa- 
role, man  mano  che  impara  a  conoscerle,  nella  pagina  relativa  alla  lettera 
d'alfabeto  iniziale. 

L'esperimento  ci  va  ora  determinaudi)  la  quantità  di  conoscenze  che 
si  può  offrire  al  bambino  nei  varii  periodi  del  suo  sviluppo,  nella  scuola 
elementare:  conoscenze  sperimentali  di  storia  naturale,  fisica,  chimica,  ecc., 
col  relativo  materiale  esatto  di  parole.  Non  potendo  dare  ora  un  quadro 
completo  di  ciò,  accenniamo  qui  che  con  ogni  esperimento  si  dà  al  bam- 
bino una  certa  quantità  di  nomi,  aggettivi,  verbi,  i  quali  vengono  man 
mano  registrati  nella  rubrica. 


GRAMMATICA  3O7 


PREPOSIZIONI 


ANALISI. 

Il  primo  esercizio  è  anche  qui  quello  della  composizione  di  frasi  analizzate 
coi  cartellini  colorati. 

La  scatola  grammaticale  ha  cinque  caselle  sormontate  dai  cinque  cartel- 
lini aventi  il  colore  corrispondente  alla  parte  grammaticale  :  nocciola,  articolo; 
nero,  nome;  marrone,  aggettivo;  rosso,  verbo;  viola,  preposizione  (Tavole  VII 
e  Vili).  Nella  casella  posteriore  sono  deposti  sei  biglietti  che  portano  stam- 
pate delle  frasi:  i  cartellini  colorati  non  corrispondono  esattamente  alle 
parole  delle  frasi  che  dovranno  ricomporre  perchè  le  parole  comuni  nelle 
frasi  di  uno  stesso  biglietto  non  sono  ripetute;  ed  è  solo  la  preposizione, 
che,  sostituita,  cambia  la  frase. 

Ecco  le  serie  delle  frasi  alcune  delle  quali  la  maestra  potrà  già  avere 
illustrate  nelle  lezioni  (v.  Comandi). 

Serie  A.  —  (Relazioni  di  posizione  reciproca  nello  spazio): 

—  Prendi  la  scatola  con  le  perle  colorate 
Prendi  la  scatola  senza  le  perle  colorate 
Prendi  la  scatola  insieme  con  le  perle  colorate 

—  Colloca  il  prisma  sotto  a!  cilindro 
Colloca  il  prisma  sopra  al  cilindro 

—  Posa  la  penna  avanti  ai  calamaio 
Posa  la  penna  dietro  al  calamaio 
Posa  la  penna  a  lato  del  calamaio 

—  Poni  la  perla  verde  nella  scatola 
Poni  la  perla  verde  dentro  la  scatola 

—  Disponi  alcune  perle  in  mezzo  a  le  marchette  rosse 
Disponi  alcune  perle  Ira  le  marchette  rosse 

—  Porta  il  tavolino  dirimpetto  a  una  finestra 
Porta  il  tavolino  acc  mto  a  una  finestra. 


Jo8  PARTK    SECONDA 

Si-KiE    /'    —  (Ancora   sulle  relazioni  di  posizione  reciproca  nello  spazi 

-  Metti  la  marchetta  fuori  de  la  scatola 
Metti  la  marchetta  drtitro  la  scatola 

-  Porta  una  sedia  alta  di  là  da  la  porta 
Porta  una  sedia  alta  di  qua  da  la  porta 
Porta  una  sedia  alta  oltre  la  porta 
Metti  un  bambino  di  fronte  a  la  lavagna 
Metti  un  bambino  di  fianco  a  la  lavagna 

—  Allinea  le  sedie  libere  lungo  la  parete 
Allinea  le  sedie  libere  contro  la  parete 
Poni  il  cono  azzurro  vicino  al  cubo  rosa 
Poni  il  cono  azzurro  accosto  al  cubo  rosa 

—  Colloca  il  quadretto  sopra  la  credenza 
Colloca  il  quadretto  su  la  credenza. 


e.    —  (Relazioni  di  appartenenza,  di  materia,  di  uso): 

—  Paragona  : 

la  stoffa  di  cotone 
la  stoffa  di  lana 
la  stoffa  di  seta 

—  Prendi  il  triangolo  di  ferro 
Prendi  il  triangolo  di  legno 

—  Cerca  il  piattino  di  vetro 
Cerca  il  piattino  di  maiolica 

—  Trova  una  spazzola  prr  le  scarpe 
Trova  una  spazzola  per  il  vestito 
Osserva  un  disegno  di  Cesarino 
Osserva  un  disegno  di  Carlino 

—  Prendi  la  gomma  per  attaccare 
Prendi  la  gomma  per  cancellare. 

/).  —  (Relazioni  di  direzione  o  di  prfìvenienza  nel  moto): 

—  Fai  un  giro  da  destra  a  sinistra 
F"ai  un  giro  da  sinistra  a  destra 

—  Traccia  un  segno  dal  basso  a  l'alto 
Traccia  un  segno  da  l'alto  al  basso 

—  Vai  dal  tuo  posto  a  la  credenza 
Vai  da  la  credenza  al  tuo  posto 

—  Passa  la  penna  da  la  mano  destra  a  la  mano  sinistra 
Passa  la  penna  da  la  mano  sinistra  a  la  mano  destra 

—  Tendi  un  laccio  da  la  porta  a  la  finestra 
Tendi  un  laccio  da  la  finestra  a  la  porta 

—  Corri  dal  lavabo  al  tappeto 
Corri  dal  tappeto  al  lavabo. 


ìkammatica  509 


SPOSTAMENTI. 

Il  bambino  ha  ricostruito  coi  cartellini  la  prima  frase  di  ogni  biglietto, 
ed  ha  riprodotto  le  altre  solo  sostituendo  i  cartellini  delle  preposizioni. 

Così  ha  veduto  come  la  posizione  reciproca  degli  oggetti  fosse  determinata 
precisamente  e  solo  dalla  preposizione;  essa  quindi  mette  in  relazione  le 
parole.  Infatti  nella  frase: 

Porta  il  tavolino  dirimpetto  a  una  finestra 

togliendo  la  preposizione  resta: 

Porta  il  tavolino  una  finestra 

ed  è  spezzata  la  relazione  prima  esistente  tra  tavolino  e  finestra.  ' 

La  maestra  non  dimentichi  la  regola  sulla  collocazione  della  preposizione: 

la  preposizione  deve  sempre   precedere   il   suo   complemento;   non   ammette 

parole  tra  sé  e  la  parola  di  cui  esprime  la  relazione. 

Esempi  di  frasi  analizzate  a  cui  fu  tolta  la  preposizione: 

Esempio  :  trova  una  scatola  legno 

cerca  il  piattino  vetro 
metti  la  marchetta  la  scatola 
porta  una  sedia  alta  la  porta 
vai  credenza  tuo  posto 

Per  far  intuire  la  posizione  normale  della  preposizione,  si  possono  fare 
delle  serie  di  spostamenti  lasciando  insieme  unite,  nella  posizione  normale, 
la  preposizione  e  il  suo  complemento:  in  tal  caso  si  conserva  un  senso  alla 
frase;  esempio: 

Tendi  un  laccio  dalla  porta  alla  finestra 

Dalla  porta  alla  finestra  tendi  un  laccio 

Tendi  dalla  porta  un  laccio  alla  finestra 

Dalla  porta  alla  finestra  un  laccio  tendi 

Dalla  porta  tendi  alla  finestra  un  laccio. 

L'orecchio  del  bambino  però  riconoscerà  la  frase  ■.  giusta  »,  la  pili  sem- 
plice e  chiara: 

Tendi  un  laccio  dalla  porta  alla  finestra 

Invece  distaccando  la  preposizione  dal  suo  complemento,  o  inverteiido 
la  loro  reciproca  posizione  normale,  il  senso  stesso  è  perduto: 

Tendi  un  laccio  porta  dalla  finestra  alia 
Tendi  laccio  dalla  un  porta  finestra  alla 
Laccio  dalla  tendi   porta  alla  un  finestra 


l'ARTlì    SECONDA 


Similnuntc  por  altro  trasi: 


Corri  dal  lavabo  al  tappeto 

Corri  lavabo  tappeto  (detini/.ione) 

Corri  lavabo  dal  tappeto  al 

Dal  corri  lavabo  al  tappeto 

Lavabo  dal  al  corri  tappeto  (collocazione). 


LEZIONI    E   COMANDI    SULLE   PREPOSIZIONI. 

Anche  sulle  preposizioni  la  maestra  può  tare  brevi  lezioni  a  gruppi  di 
bambini,  per  ispiegare  il  significato,  scegliendone  come  tema  due  o  tre. 
Le  lezioni  sono  sempre  attive,  pratiche,  e  consistono,  in  questo  caso,  nel  far 
capire  i  rapporti  che  si  stabiliscono  tra  le  cose  o  tra  le  azioni  da  eseguire, 
secondo  questa  o  quella  preposizione.  Subito  dopo  tali  schiarimenti  si  di- 
stribuiscono i  comandi,  che  i  bambini  eseguono. 

Ecco  il  nostro  materiale; 

Tema;    Vicino,  accollo,  lontano. 

Comando  ;  —  Uno  di  voi  venga  in  mezzo  alla  sala.  Gli  altri  gli  vadano  pian  piano 
vicino:  aspettino  un  poco  e  poi  gli  vadano  accosto:  ancora  un  poco  e  poi  fug- 
gano lontano  da  lui. 

Tema;    In.  dentro,  fuori. 

Comando:  —  Alzatevi,  andate  nella  sala  vicina  e  tornate  subito  al  posto.  Poi  alza- 
tevi ancora  e  andate  a  chiudervi  dentro  la  sala  vicina;  aspettate  alquanto  e 
poi  uscite  fuori  dalla  sala  in  punta  di  piedi. 

Tema;   Di  là  da,  di  qua  da,  oltre. 

Comandi;  —  Lasciate  il  posto  e  formate  circolo  di  là  da  la  porta  che  mette  nel- 
l'altra sala  ;  dopo  un  poco  rientrate  e  formate  circolo  di  qua  da  la  porta. 
Tutti  i  bambini  vadano  a  disporsi  in  fila  oltre  la  porta  che   mette   nel  salone. 

Tema:   Tranne  o  eccetto. 

Comandi:  —  Tutti  i  bambini,  tranne  due,  si  alzino  e  girino  tra  i  tavolini  in  punta 
di  piedi. 

—  Tutti  i  bambini,  eccetto  due,  si  alzino  e  girino  intorno  ai  tavolini    in    punta   di 

piedi. 

Tema  ;  Di  fianco,  di  fronte,  avanti. 

Comandi:  —  Disponetevi  l'uno  di  fronte  u  l'altro. 

—  Disponetevi  l'uno  di  fianco  a  l'altro. 

—  Disponetevi  l'uno  avanti  l'altro,  col  viso  rivolto  dalla  stessa  parte. 


GRAMMATICA  311 

Tema:  Dirimpetto,  dietro. 

Comando  ;  —  Formate  due  file  nella  sala  grande,  l'una  dirimpetto  a  l'altra;  e  dof>o 
l'una  si  disponga  dietro  l'altra. 

Tema  :  Su,  secondo,  lungo. 

Comandi  :  —  Uscite  dal  posto,  formate  una  fila  e  camminate  sul  filo  segnato  in  terra; 
tornate  indietro  camminando  secondo  il  filo. 

—  Uscite  dal  posto,  formate  una  fila,  e  disponetevi  lungo  la  parete. 

Tema  :  Fra,  in  mezzo  a. 

Comando:  —  Girate  fra  i  tavoli;  poi  raccoglietevi  e  continuate  a  girare  in  mezzo 
a  la  sala. 

Tema  :  Da.  a,  fino  a. 

Comando:  —  Alzatevi,  uscite  dal  posto  e  appressatevi  a  la  finestra;  aspettate   un 
momento  e  poi  tutti  insieme  tornate  da  la  finestra  al  posto. 
-    Disponetevi  in  fila  e  poi  chinatevi  in  avanti  fino  a  toccare  il  pavimento  con  la 
punta  delle  dita. 

Tema:  Attorno,  intorno. 

Comando:  —  Fate  un  giro  attorno  a  la  sala;  poi  disponetevi  intorno  al  tavolo  più 
grande. 

Tema:    Verso,  contro. 

Comando:  --  Alzatevi  e  andate  con  la  seggiola  verso  la  parete  più  libera;  sedete 
alquanto,  poi  alzatevi  di  nuovo  e  mettete  la  sedia  contro  la  parete. 

Tema:  Attraverso,  per. 

Comandi:  —  Uscite  per  la  porta  che  dà  nel  corridoio,  e  rientrate  per  quella  che 
dà  nel  salone. 

—  Formate  quattro  gruppi  uguali,  agli  angoli  del  salone:  poi  i  gruppi  degli  angoli 

si  scambino  i  posti  passando  attraverso  la  sala. 

Tema:  Di. 

Comando  ;  —  Scambiatevi  i  posti  in  gran  silenzio;  Luigi  prenda  il  posto  di  Carlo, 
Carlo  il  posto  di  Gino  e  così  via.  Poi  tornate  ciascuno  al  vostro  posto  senza 
far  rumore. 

Tema:  Con,  senza. 

Comando:  —  Fate  un  giro  sul  filo  con  i  bicchieri  pieni  di  acqua  colorata:  e  fate 
un  secondo  giro  senza  i  bicchieri  pieni  di  acqua  colorata. 


Comandi  :  —  Afferrate  un  oggetto  ad  occhi  chiusi  e  toccatelo  per  riconoscerlo. 
—  Preparatevi  per  lavorare. 


312  PARTE    SECONDA 


A  V  VERBI 


ANALISI. 

Anche  qui  gli  esercizi  constano  di  frasi  analizzate  coi  cartellini  colorati, 
e  di  comandi. 

La  scatola  grammaticale  contiene  sei  caselle  sormontate  dai  bigliettini  che 
portano  insieme  titolo  e  colore  della  parte:  nocciola,  articolo;  nero,  nome;  mar- 
rone, aggettivo;  rosso,  verbo;  viola,  preposizione;  rosa,  avverbio  (Tavola  IX). 

Nel  reparto  dei  biglietti  se  ne  mettono  sei  per  ogni  esercizio:  e  vi  corri- 
spondono nelle  caselle  i  cartellini  colorati,  al  modo  solito. 

(ìruppo  a.  —  (Avverbi  di  maniera): 

—  Vai  lentamente  vicino  alla  finestra 
Vai  piano  piano  vicino  alla  finestra 

—  Vai  di  passo  fuori  della  sala  di  lavoro 
Vai  di  corsa  fuori  deUa  sala  di  lavoro 

—  Esci  silenziosamente  dal  posto 
Esci  rumorosamente  dal  posto 

—  Porta  lentamente  la  mano  destra  alla  fronte 
Porta  rapidamente  la  mano  destra  alla  fronte 

—  Alzati  bruscamente  da  sedere  senza  far  rumore 
Alzati  piano  piano  da  sedere  senza  far  rumore 

—  Stringi  fortemente  la  mano  a  un  bambino 
Stringi  leggermente  la  mano  a  un  bambino. 

Gruppo  B.  —  (Avverbi  di  luogo  e  di  tempo): 

—  Getta  là  la  tua  gomma 
Getta  lì  la  tua  gomma 

—  Leggi  qui  il  tuo  biglietto 
Leggi  altrove  il  tuo  biglietto 

—  Cammina  sempre  in  punta  di  piedi  per  la  sala 
Cammina  di  tanto  in  tanto  in  punta  di  piedi  per  la  sala 

—  Scrivi  adesso  una  parola  gentile  sull  i   lavagna 
Scrivi  subito  una  parola  gentile  sulla  lavagna 

—  Metti  ora  a  posto  il  materiale  di  lavoro 
Metti  sempre  a  posto  il  materiale  di  lavoro 

—  Dirigi  lassit  lo  sguardo 
Dirigi  laggiù  lo  sguardo. 


GRAMMATICA  313 


Gruppo  C.  —  (Avverbi  di  ciuantità,  di  comparazione  e  di  negazione): 

—  Passeggia  per  il  corridoio  dondolando  alquanto  le  braccia 
Passeggia  per  il  corridoio  dondolando  molto  le  braccia 

—  Prova  a  scrivere  chinando  assai  la  testa 
Prova  a  scrivere  chinando  poco  la  testa 
Prova  a  scrivere  non  chinando  affatto  la  testa 

—  Prendi  dalla  credenza  del  materiale  un  oggetto  molto  ruvido 
Prendi  dalla  credenza  del  materiale  un  oggetto  poco  ruvido 

—  Scegh  la  tinta  più  chiara  della  gradazione  marrone 
Scegli  la  tinta  meno  chiara  della  gradazione  marrone 

—  Trova  la  tinta  piti  scura  della  gradazione  grigia 
Trova  la  tinta  meno  scura  della  gradazione  grigia 

—  Cerca  il  prisma  piit  grosso  della  scala  delle  grossezze 
Cerca  il  prisma  meno  grosso  della  scala  delle  grossezze. 

Gruppo  D.  —  (Awerbi  di  comparazione): 

—  Cerca  tra  le  stoffe  un  pezzo  tanto  morbido  quanto  il  velluto 

—  Trova  tra  i  colori  una  tinta  tanto  scura  quanto  la  lavagna 

—  Scegli  un  altro  pezzo  di  stoffa  tanto  lucida  quanto  il  raso 

—  Cerca  tra  gl'incastri  piani  un  rettangolo  largo  quanto  la  metà  del  quadrato 

—  Prendi  la  più  lunga  delle  aste  delle  lunghezze 

. —  Cerca  un  oggetto  del  nostro  materiale  tanto  alto  quanto  largo. 


SPOSTAMENTI. 

Le  frasi  analizzate  sono  ricomposte  riproducendo,  al  solito,  soltanto 
la  prima  frase  di  ogni  biglietto:  ed  è  la  sostituzione  dell'avverbio  che  muta 
l'una  frase  nell'altra.  Un  primo  spostamento  è  quello  di  togliere  l'avverbio 
da  quelle  frasi  ove  esso  funziona  come  un  «  aggettivo  del  verbo  »  e  fa  perciò 
mutare  un'azione  in  un'altra. 

Prendiamo  ad  esempio  le  frasi  seguenti: 

Vai  lentamente  vicino  alla  finestra 
Vai  piano  piano  vicino  alla  finestra 

Tolto  l'avverbio  rimane  la  frase: 

Vai  vicino  alla  finestra 

Il  bambino  può  eseguire  l'azione,  che  in  tal  caso  è  unica.  È  invece  l'av  - 
verbio  che  modifica  l'azione.  Mettendo  i  due  avverbi  nasce  innanzi  al  bam- 
bino il  problema  d'interpretare  due  movimenti  diversi:  cioè  andare  alla 
finestra  o  lentamente  o  piano  piano. 

Ciò  è  più  evidente  nelle  frasi  ove  gli  avverbi  indicano  modificazioni 
dell'azione  contrastanti  come,  p.  es.: 

Esci  silenziosamente  dal  posto 
Esci  rumorosamente  dal  posto. 


,;i^  PARTK    SECONDA 

Togliendo  i  cartellini  dell'avverbio  resta  la  frase:  «  esci  dal  posto  »  la 
quale  indica  un'azione  che  il  bambino  può  eseguire;  ma  quale  modificazione 
e  qual  varietà  di  movimenti,  con  l'aggiunta  degli  avverbi! 

Così  le  tre  frasi: 

Prova  a  scrivere  chinando  assai  la  testa 
Prova  a  scrivere  chinando  poco  la  testa 
Frova  a  scrivere  non  chinando  affatto  la  testa 

che  restano  a  indicare  un  solo  atto  senza  gli  avverbi: 
Prova  a  scrivere  chinando  la  testa 

Quali  delicati  mutamenti  delle  attitudini  della  testa  si  possono  deter- 
minare con  l'aggiunta  degli  avverbi!  Sono  essi  che  modellano  il  movimento. 

Anche  in  altre  frasi,  ove  l'avverbio  è,  si  può  dire,  l'aggettivo  dell'agget- 
tivo, e  fa  perciò  esso  solo  cambiare  oggetti,  si  possono  ripetere  spostamenti 
analoghi  a  quelli  precedenti: 

Prendi  dalla  credenza  del  materiale  un  oggetto  ruvido. 

poco 

È  sostituendo  l'avverbio  che  restano  indicati  due  oggetti  diversi,  i  quali 
hanno  bensì  la  stessa  qualità,  ma  in  differente  grado.  Sono,  p.  es.,  due  oggetti 
della  medesima  serie: 

Cerca  il   prisma  grosso  della  scala  delle  grossezze 

meno 

-T-  .pi"  J     „  , 

Irova    la    tinta  scura  della  gradazione  grigia. 


Togliendo  gli  avverbi,  tale  determinazione  di  grado  nelle  qualità  scom- 
parisce: ed  ecco  frasi  assai  meno  precise  nella  loro  indicazione: 

Prendi  dalla  credenza  del  materiale  un  oggetto  ruvido 
Cerca  il  prisma  grosso  della  scala  delle  lunghezze 
Trova  la  tinta  scura  della  gradazione  grigia. 

Per  procedere  agli  spostamenti  che  devono  dimostrare  quale  sia  la  posi- 
zione normale  dell'avverbio,  la  maestra  ne  tenga  presente  la  regola:  l'avverbio 
si  pospone  al  verbo  (nel  tempo  composto  va  tra  l'ausiliare  e  il  participio, 
p.  es.:  «ho  già  parlato»;  ovvero  tra  il  tempo  di  modo  finito  e  l'infinito,  es.: 
«  posso  poco  applicarmi  »). 

Nelle  frasi  analizzate  dai  bambini  basta  ricordare,  per  quel  che  riguarda 
gli  avverbi,  che  essi  modificano  il  verbo,  che  vanno  posposti  al  verbo. 

Se  nella  frase: 

prova  a  scrivere,  chinando  assai  la  testa 


GRAMMATICA  315 

l'avverbio  si  mette  dopo  l'altro  verbo,  è  su  questo  che  avviene  la  modifica- 
zione, e  il  senso  della  frase  cambia: 

prova  a  scrivere  assai,  chinando  la  testa, 
('osi  nell'altra  frase: 

Passeggia  per  il  corridoio,  dondolando  alquanto  le  braccia 
Passeggia  alquanto  per  il  corridoio,  dondolando  le  braccia. 

Alterando  poi  la  posizione  normale,  si  avrebbero  le  frasi  seguenti: 

Prova  a  scrivere,  assai  chinando  la  testa 

Assai  prova  a  scrivere,  chinando  la  testa 

Passeggia  per  il  corridoio,  alquanto  dondolando  le  braccia 

Alquanto  passeggia  per  il  corridoio,  dondolando  le  braccia 

Rumorosamente  esci  dal  posto. 

E  mettendo  l'avverbio  dopo  l'oggetto: 

Prova  a  scrivere  chinando  la  testa  assai 

Passeggia  per  il  corridoio,  dondolando  le  braccia  alquanto 

Esci  dal  posto  rumorosamente. 

È    l'orecchio    del    bambino    che    giudica    e    riconosce    la    frase    giusta, 
normale. 

Invece    gli    avverbi    di    grado    e    di    modo    si    «  premettono  »    agli    ag- 
gettivi: 

Prendi  dalla  credenza  del  materiale  un  oggetto  molto  ruvido 
Cerca  il  prisma  pili  grosso  della  scala  della  lunghezza 
Trova  la  tinta  meno  scura  della  gradazione  grigia. 

Ecco  ciò  che  risulta  dallo  spostamento  dell'avverbio  e  dell'aggettivo, 
dalla  loro  reciproca  posizione  normale: 

Prendi  dalla  credenza  del  materiale  un  oggetto  ruvido  molto 
Cerca  il  prisma  grosso  più  ddla  scala  delle  lunghezze 
Trova  la  tinta  scura  meno  della  gradazione  grigia. 

Quando  poi  si  tratta  di  avverbi  di  tempo  o  di  luogo,  essi  possono  stare,  ' 
come  uno  squillo  di  tromba  che  richiama  l'attenzione,  anche  in  principio 
della  frase: 

Metti  ora  a  posto  il  materiale  di  lavoro 
Ora  metti  a  posto  il  materiale  di  lavoro 

Scrivi  adesso  una  parola  gentile  sulla  lavagna 
Adesso  scrivi  una  parola  gentile  sulla  lavagna. 


PARTE    SECONDA 


LEZIONI    E   COMANDI    SUGLI    AVVERBL 

Tfma;  Diritto,  a  zig  zag. 

Comando.  —  Passate  nell'altra  ?ala  andando  diritto:  tornate  a  posto,  ranniiinando 
a  zig  zag. 

Tema:   Leggermente,  gravemente,  pesantemente. 

Comando:  —  Andato  nell'altra  sala  camminando  leggermente;  ritornate  camminando 
gravemente  rome  persone  serie,  non  pesantemente  come  chi  non  sa  camminare. 

Tema:  Ad  un  tratto,  gradatamente. 

Comando:  —  Formate  una  fila  e  camminate  avanti,  cominciando  tutto  a  un  tratto 
la  battuta  del  piede  sinistro.  Ritornando  qui,  fate  che  la  battuta  si  vad;i  gra- 
datamente spegnendo. 

Tema:  Presto,  di  corsa,  di  passo. 

Comando:  —  Uscite  prestojàa.]  posto  e  andate  di  corsa  nell'altra  sala  senza  far  rumore. 
Ritornando,  andate  di  passo. 

Tema:  Distrattamente,  attentamente. 

Comando:  —  Camminate  prima  un  po'  distrattamente  per  la  sala;  ma  poi,  tornando  a 
posto,  camminate  attentamente. 

Tema:  Sempre,  spesso,  raramente. 

Comandi:  —  Formate  una  fila  e  andate  nell'altra  sala  soffermandovi  spesso.  Ritor- 
nando indietro,  fermatevi  raramente. 

—  Andate  a  fare  un  piccolo  giro  nell'altra  sala;  e,  tornando  al  posto,  camminate 

sempre  ad  occhi  chiusi,  ma  badando  di  non  urtare  tra  i  mobili. 

Tema:  Di  tanto  in  tanto,  più  raramente. 

Comando:  —  Camminate  in  punta  di  piedi  per  la  sala,  ma  fate  '//  tanto  in  tanto  \ina 
battuta  col  piede  sinistro,  e  più  raramente  una  battuta  di  mano. 

Tema:  Avanti,  indietro,  su  e  giù. 
Comando:  —  Camminate  su  e  giii  per  la  sala. 

—  Uscite  dal  posto:  camminate  avanti  verso  di  me  sin  che  io  non  dica:  «alt!»;  al- 

lora ritornate  indietro,  correndo  sulla  punta  dei  piedi. 

Tema:  Lentamente,  bruscamente. 

Comandi:  —  Alzatevi  lentamente  da  sedere. 

—  Alzatevi  bruscamente  da  sedere. 

Tema:  Gentilmente,  garbatamente. 

Comandi:  —  Scambiatevi  il  posto,  offrendo  gentilmente  il  vostro  a  un  altro  bambino. 

—  Salutatevi  tra  voi,  stringendovi  garbatamente  la  mano. 


GRAMMATICA  3I7 

Tema:  Cosi. 

Comando:  —  State  attenti:  uno  di  voi  lasci  il  posto  e  si  metta  davanti  agli  altri 
nella  posizione  che  più  gli  piace.  Allora  gli  altri  facciano  come  lui;  e  restino 
qualche  minuto  così. 

Tema:    Via. 

Comando:  —  Raccoglietevi  in  mezzo  alla  sala  grande,  e  poi  tutto  ad  un  tratto, 
fuggite  via:  di  lì  a  un  poco  raccoglietevi  di  nuovo  insieme. 

Tema:  Bene,  male,  cosi  cosi,  benino,  maluccio,  benissimo,   malissimo,  meglio,  peggio. 

Comando:  —  Fate  il  silenzio:  uno  di  voi  chiami  i  bambini,  osservando  attentamente 
come  si  muovono,  e  poi  li  giudichi  senza  parlare,  ma  distribuendo  i  seguenti 
cartellini:  bene,  male,  così  così,  benino,  maluccio,  benissimo,  malissimo,  meglio 
di  tutti,  peggio  di  tutti. 

Tema:  Successivamente,  alternativamente,  simultaneamente  (contemporaneamente). 
Comando:  —  Portate  contemporaneamente  le  due  braccia  in  alto. 

—  Formate  una  fila  e  camminate,  battendo  alternativamente  le  mani  e  il  piede  sinistro. 

—  Portate  simultaneamente   {contemporaneamente)  il  piede  sinistro    e    il  braccio  si- 

nistro avanti. 

Tema:  Qui,  qua,  costì,  costà,  lì,  là,  altrove. 

Comandi:  —  Formate  una  fila  e  i  primi  quattro  bambini  vengano  qui;  gli  ultimi 
quattro  bambini  vadano  lì:  voi  altri  restate  costì. 

—  Un  bambino  venga  qui  (proprio  vicino  a  me)  e  gli  altri  si  dispongano  qua,  a  destra 

del  mio  tavolo. 

—  Vi  prego,  lasciate  il  posto:  metà  di  voi  si  metta  li,  e  gli  altri  vadano  a  formare 

gruppo  là. 

—  Formate  gruppo:  poi  alcimi  di  voi  restino  costì  e  gli  altri  vadano  costà.  Dopo  ciò, 

cambiate  posto. 

—  Fate  in  punta  di  piedi  un  giro  attorno  alla  stanza;  e  poi  girate  altrove,  non  uscendo 

però  mai  dalle  vostre  sale. 

Tema:  Prono,  supino,  bocconi,  carponi,  diritto. 

Comandi:  —  Fate  circolo  attorno  a  un  piccolo  bambino  che  prende  successi\'a- 
mente  le  posizioni:  prono,  bocconi,  supino,  sul  tappeto. 

—  Fate  l'atto  di  camminare  carponi,  ma  poi  riprendete  subito  a  camminare  dritto. 


PARTE    SECONDA 


UN'ESPLOSIONE   DI    ATTIVITÀ;   L'AVVENIRE  DEL  LINGUAGGIO 
SCRITTO    NELL'EDUCAZIONE   POPOLARE. 

fi  rispetto  all'avNerbio  che.  nei  nostri  esperimenti  privati,  è  avvenuta 
quasi  l'esplosione  di  una  nuova  attività  tra  i  bambini. 

Essi  hanno  voluto  comporre  dei  comandi:  li  improvvisavano  e  poi  li  leg- 
i^evano  ad  alta  voce  ai  compagni;  ovvero  cedevano  loro  il  biglietto  che  avevano 
scritto  perchè  lo  interpetrassero  eseguendo  il  comando.  Tutti  si  prestavano 
con  entusiasmo  all'esecuzione,  e  vi  si  attenevano  con  la  più  scrupolosa  esat- 
tezza. L'azione  dei  bambini  era  lo  scritto  tradotto  in  moto,  in  realtà,  nei  suoi 
più  minuti  particolari.  Così,  se  una  parola  era  inesatta  o  sbagliata  l'esecu- 
zione vi  dava  il  più  clamoroso  rilievo,  e  chi  aveva  scritto,  vedeva  innanzi 
agli  occhi  un'esecuzione  ben  diversa  dal  suo  pensiero.  Allora  capiva  di 
avere  espresso  male  o  inesattamente  il  suo  pensiero,  e  si  disponeva  a  correg- 
gerlo, come  dopo  una  rivelazione  che  moltiplicava  le  sue  forze:  egli  cercava 
tra  le  parole  quella  che  occorreva  perchè  la  sua  idea  diventasse  una  scena 
vivente  innanzi  ai  suoi  occhi. 

Si  supponga  infatti  che  un  bambino  abbia  scritto  le  frasi  seguenti  da 
noi  usate  nell'analisi  con  i  cartellini: 

Cammina  sempre  in  punta  di  piedi  pei   la  sala 
Cammina  di  tanto  in  tanto  in  punta  di  piedi  per  la  sala 

con  l'intenzione  che  un  bambino  camminasse,  la  prima  volta  andando  semt>re 
in  punta  di  piedi,  e  la  seconda  volta  andando  di  tanto  in  tanto  in  punta  di 
piedi.  E  invece  vedesse  un  bambino  che  si  mette  a  camminare  in  punta 
di  piedi  continuando  esageratamente  a  lungo  (sempre);  e  che  poi  si  sedesse 
e,  di  tanto  in  tanto,  si  alzasse  per  riprendere  a  camminare,  andando  in  punta 
di  piedi.  Egli  si  troverebbe  in  faccia  a  un  grande  problema:  «  come  dovevo 
esprimermi?  ». 

Come  fu  di  una  bambina  che  scrisse:  «camminate  intorno  ai  tavolini  ■•  in- 
tendendo che  i  compagni  dovessero  girare  in  fila  attorno  a  ciascun  tavolino, 
come  serpeggiando;  invece  vide  formarsi  la  fila  dei  compagni,  liscia  e  dritta, 
che  faceva  un  giro  attorno  alla  massa  dei  tavolini.  E  allora  essa  rossa  in  viso 
e  affannata  gridava:  «ferma!  ferma!  non  è  così!»  come  se  le  facessero  male  in 
qualche  parte  del  corpo,  ed  ella  non  potesse  tollerare  (|uel]'errorc.  quel  cozzo 
tra  il  pensiero  che  aveva  e  la  realizzazione  ottenuta. 

Questo  accenno  rapidissimo  che,  però,  io  credo,  meriterà  in  seguito 
un  grande  ampliamento,  sulla  guida  di  più  vaste  esperienze,  basti  ad  aprire 
la  visione  di  un  campo  fertilissimo  di  sviluppo  della  lingua  scritta,  nella  sua 
più  rigorosa  purezza.  Evidentemente  l'esperienza  odierna  dimostra   possibili 


GRAMMATICA  3I9 

non  solo  la  composizione  spontanea  senza  errori  grammaticali,  così  come  ci  fu 
la  scrittura  spontanea  senza  errori  di  ortografia;  ma  lo  sviluppo  dell'amore 
alla  chiarezza  e  alla  purezza  della  lingua,  che  è  una  preziosa  forma  propulsiva 
a  perfezionarla,  e  che  indica  perciò  un  elevamento  di  progresso  civile  nella 
massa  del  popolo. 

Quando  i  bambini  sono  presi  dalla  passione  di  scrivere  esattamente  \ 
loro  pensieri,  quando  la  chiarezza  diventa  mèta  spontanea  dei  loro  sforzi, 
essi  cercano  col  più  vivo  interesse  le  «  parole  ».  Sentono  che  esse  non  sono 
mai  troppe  per  esprimere,  per  iscolpire  con  esattezza  l'edifizio  delicato  del 
pensiero.  I  problemi  della  lingua  si  affacciano  come  una  rivelazione  alla  loro 
coscienza:  «  quante  parole  ci  sono?  »  domandano:  «  quanti  nomi?  quanti  verbi? 
quanti  aggettivi?  e  come  si  fa  a  saperli  tutti?  ». 

Essi  non  si  contentano  più  della  loro  piccola  rubrica:  chiedono  un  ricco 
materiale  di  parole,  che  essi  oramai  gustano  sotto  l'aspetto  attraente  dell'or- 
dine, della  interpretazione,  e  ne  sono  insaziabili. 

Da  tali  fenomeni  è  sorta  in  noi  l'idea  di  dare  ai  bambini  un  patrimonio  di 
parole  sufficientemente  ricco  per  ciò  che  riguarda  il  nome,  il  verbo  e  l'ag- 
gettivo; e  di  esporre  tutte  le  parole  relative  alle  altre  parti  del  discorso.  La 
differenza  di  proporzione  tra  il  vero  contenuto  della  lingua  (materia  e  forza, 
cioè  nome  con  i  suoi  aggettivi  e  verbi),  e  le  altre  parole  che  servono  a  con- 
giungere, a  mettere  in  rapporto,  a  rappresentare  per  brevità,  cioè  a  cementare 
la  materia,  riesce  interessantissima  a  bambini  di  otto  anni  d'età.  Per  essi  ab- 
biamo cercato  di  preparare  le  tabelle  delle  parole,  e  i  dizionari  dei  sinonimi 
pei  nomi,  pei  verbi  e  per  gli  aggettivi. 

Ecco  intanto  alcuni  saggi  di  «  comandi  »  scritti  dai  bambini,  improv- 
visati come  per  im'  esplosione  scaturita  da  interiore  maturità:  si  faccia 
un  confronto  tra  l'aridità  e  uniformità  dei  nostri  comandi,  e  la  varietà,  la 
ricchezza  d'idee  dei  comandi  dei  bambini.  Noi,  evidentemente,  eravamo 
smorti  preparando  il  materiale;  ma  essi  rivelano  uno  spirito  ardente,  vivace, 
una  vita  in  pieno  rigoglio. 

Comandi  improvvisati  dai  bambini: 

—  Fa'  la  torretta  rosa  malissimo. 

—  Fa'  esattamente  le  pose  di  tutte  le  fotografie  che  sono  in  questa  sala. 

—  Fate  come  se  foste  due  vecchi  uomini,  e  parlate  piano  come  se  foste  molto  tristi; 

e  uno  dica  questo;  È  assai  triste,  che  il  nostro  Pancrazio  sia  morto!  E  l'altro 
dica:  E  domani  ci  dobbiamo  mettere  i  vestiti  neri?  Poi  camminate  silen- 
ziosamente. 

—  Camminate   zoppicando   pesantemente   e    poi   cascate  tutt'ad    un    tratto  bocconi 

come  se  foste  sfiniti;  poi  tornate  indietro  leggermente,  senza  cascare,  né 
zoppicare. 

—  Andate  camminando  lentamente  e  col  capo  basso  come  se  foste  molto  tristi,   poi 

tornate  allegramente,  saltellando  leggermente. 

—  Prendi  un  fiore,  e  va'  di  corsa  a  porgerlo  alla  signorina. 


J20  PARTE    SECONDA 

—  Fate  un  mezzo  giro  del  salone  zoppicando,  e  l'altro  mezzo  giro  car/)oni. 

—  Fate  subito  il  silenzio,  poi  fate  in  silenzio  tutte  le  pose  delie  fotografie  di  (jiiestu 

sala. 

—  Andate  dal  posto  alla  soglia  della  porta  carponi,  poi  alzatevi  e,  zoppicando  leg- 

germente, fate  un   mezzo  giro  del  salone  grande,   e  l'altro  carponi,  fino  alla 
soglia  della  porta,  là  alzatevi  e  correte  leggermente  al  posto. 

—  Andate  silenziosamente  nell'altra  sala,  fate  tre  giri  attorno  alla  tavola  grande,  poi 

tornate  al  posto. 

—  Andate  nell'altra  sala  correndo  assai,  poi  ritornate  indietro  rallentando  a  poco 

a  poco,  finché  arriviate  al  posto. 

—  Andate  subito  alla  credenza  e  prendete  i  cartelloni    delle  lettere,  e  poscia   fate 

due  giri  della  sala  grande  con  un  cartellone  in  testa,  provando  a  non  farlo 
cadere  mai;  poi  tornate  a  posto  nello  stesso  modo. 

—  Fate  il  giro  del  salone  grande,  camminando  pesantemente,  poi  sedetevi  come  se 

foste  molto  stanchi  e  addormentatevi;  dopo  un  poco  svegliatevi  e  ritornate  a 
posto. 

—  Formate  una  fila  e  camminate  in  avanti,  finché  arriviate  in  un  posto  libero;  là 

formate  un  circolo,  e  poi  un  rombo,  e  poi  un  quadrato,  e  poi  infine  un  tra- 
pezio. 

—  Andate  nella  sala  grande  discorrendo  piano.  Tutto  ad  un  tratto  cadete  in  terra  leg- 

germente, addormentatevi,  dopo  un  po'  svegliatevi  e  guardatevi  intorno  di- 
cendo: Dove  siamo?...  Poi  tornate  a  posto. 


-GRAMMATICA  32I 


PRONOMI 


ANALISI. 

Materiale.  —  Una  scatola  grammaticale  a  sette  caselle  sormontate  dai 
cartelli  colorati  portanti  i  titoli;  cioè:  nocciola  per  l'articolo;  nero  pel  nome; 
marrone  per  l'aggettivo;  rosso  pel  verbo;  viola  per  la  preposizione;  rosa  per 
l'avverbio;  verde  per  il  pronome.  Vie  poi  uno  spazio  riservato  ai  biglietti  che 
portano  stampate  le  frasi  da  analizzare  (Tavole  X  e  XI).  I  cartellini  non  cor- 
rispondono al  numero  delle  parole,  ma  all'esercizio  di  sostituire  nella  frase  i 
pronomi  ai   nomi. 

Gruppi  delle  frasi:  Gruppo  A.  —  (Pronomi  indicativi). 

—  La  sorella  piangeva.  Carlino  con  un  bacio  consolò  la  sorella. 
La  sorella  piangeva;  egli  con  un  bacio  la  consolò. 

—  Il  libro  scivolò  in  terra.  Emma  rimise  il  libro  sul  tavolo. 
Il  libro  scivolò  in  terra:  essa  lo  rimise  sul  tavolo. 

—  Fecero  una  sorpresa  alla  mamma:  scrissero  una  lettera  alla  mamma. 
Fecero  una  sorpresa  alla  mamma:  le  scrissero  una  lettera. 

—  La  maestra  esclama:  il  disegnino  è  bello!  vuoi  regalare  alla  maestra  il  disegnino? 
La  maestra  esclam.a:  il  disegnino  è  bello!  me  lo  vuoi  resalare? 

Gruppo  B.  —  (Pronomi  dimostrativi  di  persona  e  di  cosa). 

—  Mostra  a  un  bambino  i  prismi  della  scala  marrone: 

questo   prisma    è   più   grosso  di  cotesto  prisma,   quel   prisma   è  più   fino   di 
questi  prismi. 
Mostra  a  un  bambino  i  prismi  della  scala  marrone: 

questo  è  più  grosso  di  cotesto,  quello  è  più  fino  di  questi. 

—  Osserviamo  i  bambini: 

questo  bambino  è  più  alto  di  cotesta  bambina,  quel  bambino  è  più    basso   di 
quella  bambina.  y 

Osserviamo  i  bambini: 

questi  è  più  alto  di  costei,  colui  è  più  basso/di  colei. 


322  PARTI-.    SECONDA 

—  Un  cono  sta  sopra  un  cilindro:  tu  prova  a  inettcìo  il  cilindro  sopra  il  cono. 
Un  cono  sta  sopra  un  cilindro:  tu  prova  a  mettere  questo  sopra  quello. 

—  Mostriamo  a  un  piccolo  bambino  i  cubi  della  torretta  rosa: 

questo    cubo  è  il  più  grande,    cotesto   cubo   viene   subito   dopo   nella   serie; 
quei  cubi  sono  i  più  piccoli  della  serie. 
Mostriamo  a  un  piccolo  bambino  i  cubi  della  torretta  rosa: 

questo  è  il  più  grande,  cotesto  xnene  subito  ilopo  nella  serie;  quelli  sono  i   più 
piccoli  della  serie. 

Gruppo  C.  —  (Pronomi  relativi  o  congiuntivi). 

— ,  Chiedi  un  pennino  a  Mario;  Mario  te  lo  regalerà  volentieri. 
Chiedi  un  pennino  a  Mario,  il  quale  te  Io  regalerà  volontieri. 
Chiedi  un  pennino  a  Mario,  die  te  lo  regalerà  volontieri. 

—  Domanda  ai  bambini:  quale  bambino  vuol  vedere  il  mio  lavoro? 
Domanda  ai  bambini:  chi  vuol  vedere  il  mio  lavoro? 

—  Ieri  mettesti  i  fiori  in  un  vasetto:  cambia  l'acqua  di  quel  vasetto. 
Cambia  l'acqua  di  quel  vasetto  nel  quale  ieri  mettesti  i  fiori. 
Cambia  l'acqua  di  quel  vasetto  dove  ieri  mettesti  i  fiori. 
Cambia  l'acqua  di  quel  vasetto  in  etti  ieri  mettesti  i  fiori. 

—  Scegli  tra  le  stoffe,  la  stoffa  più  somigliante  al  tuo  vestito. 
Scegli  tra  le  stoffe  quella  che  più  somiglia  al  tuo  vestito. 
Scegli  tra  le  stoffe  quella  a  cui  più  somiglia  il  tuo  vestito. 
Scegli  tra  le  stoffe  quella  alla  quale  più  somiglia  il  tuo  vestito. 

—  Scegli  un  incastro  tra  quegl'incastri  da  adoperarsi  per  disegnare. 
Scegli  un  incastro  tra  quelli  che  si  adoperano  per  disegnare. 
Scegli  un  incastro  tra  quelli  i  quali  si  adoperano  per  disegnare. 


SPOSTAMENTI 

Già  nell'esercizio  dell'analisi  è  risultata  chiara  la  funzione  che  ha  il 
pronome  di  sostituire  il  nome;  perchè  i  bambini  stessi,  costruendo  soltanto 
la  prima  frase  del  biglietto  coi  cartellini  colorati,  hanno  formato  la  seconda 
appunto  togliendo  via  i  cartellini  dei  nomi,  e  ponendovi  invece  quelli  corri- 
spondenti dei  pronomi  (Tavole  X  e  XI). 

Per  gli  spostamenti  che  la  maestra  deve  fare  per  dare  l'intuizione  del 
posto  normale  in  cui  deve  essere  collocato  il  pronome,  ella  ricordi  che  i  pro- 
nomi indicativi  precedono  il  verbo  (eccetto  nelle  interrogazioni  e  quando  si 
vuol  dare  molto  rilievo  al  soggetto)  se  non  s' incorporano  al  verbo  come  suffissi. 


Esempio: 


la  sorella  piangeva:  egh  con  un  bacio  la  consolò 

la  sorella  piangeva:  egli  con  un  bacio  consolò  la 

il  libro  scivolò  in  terra,  essa  lo  rimise  sul  tavolo 

il  libro  scivolò  in  terra,  essa  rimise  lo  sul  tavolo. 


GRAMMATICA  323 

Mentre  invece  il  nome  che  il  pronome  rappresenta,  stava  dopo  il  verbo: 
nella  sostituzione  dunque  ci  fu  insieme  lo  spostamento  da  un  lato  all'altro 
del  verbo. 

il  libro  scivolò  in  terra:  essa  rimise  il  libro  sul  tavolo 

il  libro  scivolò  in  terra;  essa  lo  rimise  sul  tavolo 

fecero  una  sorpresa  alla  mamma:  scrissero  una  lettera  alla  mamma 

fecero  una  sorpresa  alla  mamma:  le  scrissero  una  lettera 

...  vuoi  regalare  il  disegnino? 

In  vuoi  regalare?  (i). 

LEZIONI    E    COMANDI    SUL   PRONOME. 

Tema;    Pronomi  indicativi  soggettivi:   io,  tu,  egli,  noi,  voi.  coloro. 

Spiegati  i  pronomi  il  più  brevemente  e  praticamente  possibile,  sul  cri- 
terio della  posizione  reciproca  di  chi  parla  e  di  chi  ascolta,  ecc.,  un  bambino 
comanda  agli  altri,  i  quali  eseguono  insieme  con  lui. 

Esempio:  la  maestra  spiega  così:  non  dico  Anna  Fedeli,  dico  io;  non 
dico  a  Carlino  che  è  xjui:  Carlino,  dico:  tu;  non  dico  di  Gigino laggiri:  Gigino; 
dico:  egli,  ecc. 

Un  bambino  comanda  eseguendo,  e  facendo  eseguire  ai  compagni: 

Comandi  :  —  Io  giro  attorno  al  tavolino 

tu  gira  attorno  al  tavolino 
egli  giri  attorno  al  tavolino 
noi  giriamo  attorno  al  tavolino 
voi,  girate  attorno  al  tavolino 
coloro  girino  attorno  al  tavolino 

—  Io  alzo  le  braccia  —  Io  sollevo  la  sedia 
tu  alza  le  braccia  tu  solleva  la  sedia 
egli  alzi  le  braccia  egli  sollevi  la  sedia 
noi  alziamo  le  braccia  no;  solleviamo  la  sedia 
voi,  alzate  le  braccia                                        voi,  sollevate  la  sedia 
coloro  alzino  le  braccia  coloro  sollevino  la  sedia 

—  Io  prendo  il  calamaio  —  Io  sventolo  il  fazzoletto 
tu  prendi  il  calamaio  tu  sventola  il  fazzoletto 
egli  prenda  il  calamaio  egli  sventoli  il  fazzoletto 
ecc.  ecc. 

Dopo  ciò  può  stabilirsi  il  concetto  che: 

la  prima  persona  è  quella  che  parla 

la  seconda  persona  è  quella  che  ascolta 

la  terza  persona  è  quella  lontana  da  tutt'e  due. 

(i)  Sui  pronomi  indicativi,  soggetti  e  complementi,  si  continua  Io  studio  dopo  che 
si  è  fatta  l'analisi  della  proposizione. 


.524  PARTE    SIXONDA 

Allora  si  possono  stabiliiv  dolio  azioni  per  piccoli  gruppi,  e  ottcnoro  liollr 
scenelte  coi  seguenti  comandi: 

-  La  prima  persona  deve  domandare,  la  seconda  persona  deve  rispondere:  la  terza 

persona  da  lontano,  deve  cercare  di  udire  tutte  due. 
I  .1  prima  persona  fa  l'atto  di  scrivere:  la  seconda  persona  la  l'atto  di  spiarla;  la 
terza  persona  dice:  «  non  va  bene!...  ». 

Questi  comandi  possono  essere  tradotti  a  voce  da  un  bambino: 

—  /ri  ti  domando  piano  una  cosa,  tu  mi  rispondi;  ed  egli  da  lontano  deve  cercare  di 

udire  tutti  e  due. 
/('  farò  l'atto  di  scrivere;  tu  devi  agire  come  se  volessi   leggere  (piello  che  sto 
scrivendo;  egli  laggiù  allora  griderà:  «  non  va  bene!  ». 

Te.m.\:  Pionomi  indicativi  oggettivi:  mi,  ti.  si.  lo,  la.  ci,  vi,  si,  li,  le. 

l'n    i)ambino   comanda   eseguendo,    e   facendo   eseguire   ai    compagni: 

Comandi;  —  Io  alzo  la  tela  cerata  del  tavolino;  io  mi  alzo;  io  ti  alzo;  io  lo  alzo;  io 
la  alzo. 

—  Tu  sposta  la  penna;  tu  sposta/t;  tu  sposta»»';  tu  .sposta/o;  tu  sposta/a. 

—  Carlo  pulisca  il  tavolino;-  Carlo  si  pulisca;  Carlo  mi  pulisca;  Carlo  ti  pulisca;  Carlo 

h  pulisca:  Carlo  la  pulisca. 

—  Noi  salutiamo  la  maestra,  noi  ci  salutiamo;  noi  ì)i  salutiamo;  noi  li  salutiamo;  noi 

le  salutiamo. 

—  Voi,  accostate  la  sedia  alla  parete;  voi  vi  accostate  alla  parete;  voi  ci  accostate 

alla  parete;  voi  li  accostate  alla  parete;  voi  le  accostate   alla  parete. 

—  Coloro  avvicinano  le  sedie;  coloro  si  avvicinano;  coloro  ci  avvicinano;  coloro  11/ 

avvicinano;  coloro  li  avvicinano;  coloro  le  avvicinano. 

Tema:  Pronomi  indicativi  di  complemento:  me,  te,  se,  le,  gli,  lui.  lei,  ci,  vi,  loro. 
È  sempre  il  bambino  che  comanda,  esegue  e  fa  eseguire: 

Comandi:  —  Distribuirò  dei  vasetti:  uno  a  me,  uno  a  te,  uno  a  lui, Mno  a  lei. 

—  Luigino  dia  un  comando  a  lui,  uno  a  lei.  uno  a  me.  uno  a  se  stesso;  e  tutti  i  bam- 

bini eseguiscano  esattamente. 

—  -attenti  ai  comandi:  Carlo  dagli  una  perla  azzurra;  Mario  dìille  una  perla  bianca. 

Tema:  Prono-ni  dimostrativi  personali:  questi,  costui,  colui  (costei,  colei),  costoro, 
coloro. 

Stabiliti  i  criteri  di  posizione  nello  spazio,  i  bambini   leggono   ed   ese- 
guono: 

Comandi:  —  Distribuisci  i  pronomi:  questi  (costei),  costui  (costei),  colui  (colei);  e 
quando  i  bambini  hanno  preso  la  loro  posizione,  da'  a  ciascun  bambino  un 
comando  diverso. 

—  Chiama  presso  di  te  un  bambino  ed  una  bambina  e  poi  comanda:  costui  vada  a 

prendere  un  piccolo  vaso;  costei  vada  a  prendere  una  marchetta;  costoro  va- 
dano lontano  a  fare  il  silenzio. 


GRAMMATICA 


325 


—  Indica  due  bambini,  che  stanno  in  piedi  presso  di  te,  e  uno  lontano:  colui  venga 

qui  a  portare  una  poltroncina  a  costei  e  una  sedia  a  questi.  Poi  torni  a  posto. 
Quindi  tutti  insieme  i  bambini  eseguano  il  comando  che  costoro  daranno. 

(Non  essendoci  maschi  e  femmine,  dei  distintivi  speciali,  o  dei  vestiari, 
potranno  simularlo  per  le  scene  dei  comandi). 

Tem.a:  Pronomi  dimostrativi  di  cosa:  questo,  cotesto,  quello,  ciò,  ne. 

Ugualmente  stabiliti  i  criteri  di  posizione,  si  eseguiscono  i 
Comandi:  —  I  bambini  si  dividano  in  tre   gruppi  e   occupino  tre  posti  a  piacere 

nella  sala;  cambiate  il  posto:    lasciate    cotesto  e  andate    in    quello.-    lasciate 

qitello  e  venite  in  questo. 

—  Cambiamo  posto  alle  sedie:  Carlo,  prendi  cotesta  e  mettila  vicino  a  questa;  Bice, 

prendi  quella  vicina  all'armadio  a  cassettini  e  mettila  accosto  alla  parete. 

(I  pronomi  relativi  sono  presentati  solo  negli  esercizi  di  analisi,  ma  ver- 
ranno richiamati  nello  studio  del  periodo). 


FLESSIONI. 

Per  gli  esercizi  di  flessione  del  pronome  si  usano  gli  stessi  mezzi  usati 
per  le  altre  flessioni,  cioè  si  danno  dei  fascetti  di  cartellini,  un  gruppo  di  quali 
è  legato  a  parte  e  serve  di  guida.  Il  bambino  ordina  i  cartellini  sul  piano  del 
tavolino,  mettendo  quelli  del  gruppo  direttivo  nell'ordine  delle  persone: 
prima,  seconda  e  terza. 


Gruppo  A. 

—  Pronomi 

i  indicativi. 

Gruppo  C.  —   Pronomi 

dimostrai 

Maschile 

Femmi 

niU 

cosa. 

io 

noi 

io 

noi 

Maschile 

Femminile 

tu 
egli 

voi 
loro 

tu 
ella 

voi 
loro 

questo 
questi 

questa 
queste 

esso 

essi 

essa 

esse 

cotesto 

cotesta 

lo 

li 

la 

le 

cotesti 

coteste 

lui 

lei 

quello 

quella 

gli 

le 

quegli,  quei 

ciò 

ne 

quelle 

ciò 

ne 

Gruppo  B.  —  Pronomi   dimostrativi  di 
persona. 

Maschile  Femminile 


Gruppo  D.  —  Pronomi  relativi  di   per- 
sona e  cosa. 


questi 

costui 

colui 

costoro 

coloro 


costei 

costei 

colei 

costoro 

coloro 


il  quale 
i  quali 
che 
chi 


la  quale 
le  quali 
che 
chi 


PARTE  SECONDA 


CONCORDANZE  TRA  PRONOME  E  VERBO. 


I  bigliettini  che  si  danno  al  bambino  per  le  concordanze  sono  i  pronomi 
personali  soggetti  (verde)  e  le  voci  verbali  (rosso)  di  tre  tempi  semplici: 
presente,  passato  e  futuro  di  un  verbo.  I  gruppi  sono  tre,  secondo  i  tre  verbi: 
amare,  temere,  sentire;  il  bambino  deve  disporre  i  pronomi  in  ordine  di 
persona  prima,  seconda,  terza,  facendo  precedere  i  tre  singolari,  ed  apporre 
vicino  ad  essi  le  voci  verbali  concordanti.  Il  controllo  sta  nel  senso  del  lin- 
guaggio di  ciascun  bambino:  tuttavia  la  maestra  passa  e  verifica.  L'eser- 
cizio  risulta    così: 

Grippo  A. 


IO  amo 
tu  ami 
egli  ama 
noi  amiamo 
voi  amate 
essi  amano 


IO  amavo 
tu  amavi 
egli  amava 
noi  amavamo 
voi  amavate 
essi  amavano 


10  amero 
tu  amerai 
egli  amerà 
noi  ameremo 
voi  amerete 
essi  ameranno 


Grippo  B. 


10  temo 
tu  temi 
egli  teme 
noi  temiamo 
voi  temete 
essi  temono 


10  temeva 
tu  temevi 
egli  temeva 
noi  temevamo 
voi  temevate 
essi  temevano 


io  temerò 
tu  temerai 
egli  temerà 
noi  temeremo 
voi  temerete 
essi  temeranno 


1(1  sento 
tu  senti 
egli  sente 
noi  sentiamo 
voi  sentite 
essi  sentono 


io  sentivo 
tu  sentivi 
egli  sentiva 
noi  sentivamo 
voi  sentivate 
essi  sentivano 


io  sentirò 
tu  sentirai 
egli  sentirà 
noi  sentiremo 
voi  sentirete 
essi  sentiranno 


11  bambino  può  mescolare  variamente  le  voci  verbali;  cioè  può  confon- 
dere tra  loro  i  cartellini  relativi  ai  tre  tempi,  e  poi  ricostruire  i  tre  gruppi, 
sulla  guida  dei  pronomi,  il  cui  ordine  gli  è  oramai  familiare. 

È  dopo  questo  che  si  passa  alla: 


GRAMMATICA  327 


CONIUGAZIONE   DEI   VERBI. 


Materiale.  —  Nel  nostro  materiale  sono  preparate  le  coniugazioni  dei 
verbi  ausiliari  (essere  e  avere)  e  i  modelli  della  prima,  seconda  e  terza  co- 
niugazione. I  cartellini  sono  di  colore  diverso  nei  cinque  verbi:  giallo,  essere; 
nero,  avere;  rosa,  amare;  verde,  temere;  celeste,  sentire.  In  ogni  cartellino, 
assieme  alla  voce  verbale  sta  scritto  il  pronome:  ciò  non  solo  per  semplificare 
e  rendere  rapido  l'esercizio;  ma  anche  per  garantire  l'autoesercizio,  venendo 
i  pronomi  a  dare  l'ordine  alle  voci  verbali  di  ogni  tempo. 

Le  voci  verbali  di  un  verbo  coniugato  precedute  dal  pronome,  sono 
dunque  raccolte  in  un  gruppo  di  cartellini.  Qui  però  i  gruppi  non  sono  sì  sem- 
plici come  in  altri  casi.  Per  il  verbo,  i  cartellini  vengono  raccolti  in  una  spe- 
cie di  busta  rossa,  legata  con  un  nastrino  e  portante  sul  dorso  l'infinito  del 
verbo.  Queste  buste,  pur  semplicissime,  sono  estremamente  attraenti,  ed 
eleganti  (Tavola  XII). 

Tutto  il  verbo  legato  col  nastrino  rappresenta  un  piccolo  prisma  rosso 
che  ha  le  tre  seguenti  dimensioni  di  spigolo:  cm.  35x4x5,5. 

Sciolto  il  nastrino  e  aperta  la  busta,  si  trovano  all'interno  piccolissimi 
volumetti,  con  la  copertina  rossa:  sono  i  modi  del  verbo;  e  lo  hanno  scritto  sul 
frontispizio: 

modo  indicativo, 

modo  condizionale, 

modo  congiuntivo, 

modo  imperativo, 

modo  infinito. 

Affinchè  sia  facile  rimettere  in  ordine  gli  oggetti,  e  affinchè  l'ordine  sia 
conosciuto,  ognuna  delle  buste  porta  in  un  angolo  una  cifra  romana:  I,  IT, 
ITI,  IV,  V:  inoltre  porta  pure  una  cifra  inglese,  indicante  il  numero  dei  tempi 
relativi  al  modo. 

Aprendo  il  volumetto,  e  togliendo  la  copertina,  si  trovano  dentro  tanti 
altri  volumetti  più  piccoli,  tutti  ricoperti  di  rosso.  Sono  i  tempi  e  su  ogni 
copertina  è  scritto  in  mezzo  il  titolo  e  da  un  lato  il  numero  d'ordine  del  tempo 
nel  modo  seguente,  distinguendo  i  tempi  semplici  con  una  s,  e  quelli  com- 
posti con  una  e.  Ecco,  p.  es.,  i  titoli  degli  otto  volumetti  contenuti  dentro  al 
volumetto  del   modo  indicato: 

tempo  presente,  -ft 

tempo  passato  imperfetto.  2s 

tempo  passato  remoto,  35 


328  PARTE   SECONDA 

tempo  futuro,  45 
tempo  passato  prossimo,  i  e 
tempo  trapassato  prossimo,  2 e 
tempo  trapassato  remoto,  3  e 
tempo  futuro  anteriore.  4 e. 

Aprendo  tinalmente  ciascuno  di  questi  volumetti  la  cui  faccia  è  larga 
cm.  .5.5X4  e  il  cui  spessore  è  appena  un  millimetro,  ecco  i  cartellini  con  le 
voci  verbali  del  tempo  precedute  dal   pronome. 

La  disposizione  ricorda  un  po'  quella  dell'uovo  che  contiene  un  altro  uovo 
più  piccolo  e  questo  ancora  un  altro:  l'elegante  pacchetto  infioccato  che  è  il 
verbo  coniugato,  contiene  i  volumi  dei  modi;  e  ciascuno  di  questi,  i  volumi 
dei  tempi.  La  numerazione  ordinata  dei  modi  e  dei  tempi;  e,  infine,  il  pro- 
nome che  serve  a  ordinare  le  voci  verbali,  permettono  al  bambino  di  coniugare 
da  sé  interamente  ogni  verbo  e  di  studiare  la  classificazione  delle  sue   voci. 

I  fanciulli,  infatti,  non  hanno  bisogno  di  alcun  aiuto  in  questo  esercizio. 
Avuto  l'attraente,  complicato,  misterioso  pacchettino  rosso,  essi  dispiegano 
ordinatamente  il  verbo  completamente  coniugato,  sul  piano  del  tavolino. 
Imparate  a  poco  a  poco  le  voci  verbali,  essi  mescolano  variamente  i  cartellini 
dei  vari  tempi  e  poi  li  riordinano.  Finché  finiscono  col  mescolare  tra  loro  i 
cartellini  del  verbo  intiero,  come  facevano  nelle  «Case  dei  Bambini»  con  le 
64  tavolette  dei  colori,  e  ricostruiscono,  tempo  per  tempo,  modo  per  modo, 
l'intera  coniugazione.  Infine  essi  chiedono  di  scrivere  i  verbi;  e  preparano  da  sé 
nuovi  volumetti  di  cartellini:  i  nuovi  verbi  delle  tre  coniugazioni. 

Fanno  perciò  parte  del  materiale  molti  volumetti,  preparati  sempre  con 
la  fodera  rossa  e  con  i  cartellini  dai  più  vari  colori;  ma  che  non  sono  scritti. 
Sono  i  bambini  stessi  che  scriveranno  sui  cartellini,  coniugando  nuovi  verbi 
delle  tre  coniu.gazioni. 

Tanto  il  lavoro  di  svolgere  il  verbo  coniugato,  come  quello  di  scrivere 
un  nuovo  verbo,   può  essere  fatto  a  casa. 


GRAMMATICA  329 


CONGIUNZIONI 


ANALISI. 

Materiale.  —  Il  casellario  grammaticale  ha  otto  scompartimenti  per  i 
cartellini:  nocciola  (articolo);  nero  (nome);  marrone  (aggettivo);  rosso  (verbo); 
\noia  (preposizione);  rosa  (avverbio);  verde  (pronome);  giallo  (congiunzione); 
ed  ha  lo  spazio  pei  biglietti  delle  frasi  da  analizzare,  i  quali  si  presentano 
a  gruppi  (Tavola  XIII). 

Gruppo  A.  —  Congiunzioni  semplici  (copulative,  disgiuntive,  negative, 
relative,  avversative). 

—  Porta  via  la  penna  e  il  calamaio.  ( 
Porta  via  la  penna  0  il  calamaio. 

Non  portare  via  né  la  penna,  né  il  calamaio. 

-  Di'  ai  bambini  che  lavorino  silenziosamente. 

—  Occorre  che  tutti  i  disegni  stiano  raccolti  dentro  i  cassettini. 

—  Non  lasciare  qua  e  là  gli  oggetti  di  cui  ti  sei  servito,  ma  rimetti  tutto  a  posto  ac- 

curatamente. 1 

—  Rivolgi  una  parola  gentile  ad  un  compagno,  non  ad  alta  voc^,  ma  sommessamente. 

—  Sposta  il  tavolo  vicino  al  quale  lavori;  ma  di  poco,  e  senza  far  rumore. 

Gruppo  B.  —  Congiunzioni  complesse  (condizionali,  temporali,  causali, 
finali,  eccettuative,  elettive). 

-   Potrai  spingere  un  tasto  del  pianoforte  senza  ottenere  il  suono,  se  farai  lentamente. 

—  Potresti  scrivere  con  la  sinistra,  se  toccassi  le  lettere  con  quella  mano. 

—  Otterrai  il  silenzio  dai  bambini,  appena  scriverai  la  parola:  «  silenzio  »   sulla  la- 

vagna. 

—  Ouel  bambino  felice  canticchia  mentre  lavora. 

—  Richiudi  sempre  la  porta,  quando  passi  da  una  stanza  all'altra. 

—  Bisogna  che  ogni  bambino  sia  ordinato,  affinché  tutta  la  «Casa  dei  Bambini  »  ap- 

parisca <j:(iinata. 


J30  PARTE    SECONDA 

Gri'ppo  C.  —  Continuano  le  congiunzioni  complesse: 
La  "Casa  dei  Bambini  ■  piace  perchè  è  beila  e  perchè  vi  si  lavora  tanto  comoda- 
mente. 
Te  lo  darò,  poiché  tu  lo  vuoi. 

—  Ti  condurrò  a  passeggio  al  giardino  ])ubblico,  piuttosto  che  jier  le  strade  affollate. 

—  Tutto  puoi  chiedermi,  fuorché  di  lasciarti    maneggiare   quell'oggetti)  pericoloso. 

—  Ti  regalerò  quel  giocattolo,  sebbene  mi  sarebbe  piaciuto  di  pii:  regalarti  un  bel  libro. 

—  Promettigli  che  andrai  domani  a  trovarlo,  purché  dopo  tu  mantenga  la  promessa. 


SPOSTAMENTI. 

Togliendo  il  cartellino  della  congiunzione,  si  toglie  il  collegamento  tra 
le  parole,  e  con  ciò  riesce  possibile  l'intuizione  della  sua  funzione. 

—  Porta  via  la  penna  e  il  calamaio. 
Porta  via  la  penna  il  calamaio. 

—  Porta  via  la  penna  o  il  calamaio. 
Porta  via  la  penna  il  calamaio. 

—  Potresti  scrivere  con  la  sinistra,  se  toccassi  le  lettere  con  quella  mano. 
Potresti  scrivere  con  la  sinistra,  toccassi  le  lettere  con  quella  mano. 

La  congiunzione  si  mette  in  mezzo  alle  parole  o  alle  frasi  che   collega; 
senza  ciò  può  abolirsi  o  alterarsi  il  senso: 

porta  via  la  penna  e  il  calamaio, 
porta  via  e  la  penna  il  calamaio. 

La  «  Casa  dei  Bambini  »  piace  perchè  è  bella. 
La  «  Casa  dei  Bambini  »  perchè  piace,  è  bella. 


LEZIONI    E    COMANDI    SULLE   CONGIUNZIONI. 

Fem.a:  Congiunzioni  semplici  (copulative,  disgiuntive,  negative):  e,  a,  né. 

Comandi:  —  Voi  dovete  fare  il  silenzio  al  posto,  e  muovervi  solo  alla  mia  chiamata. 

—  Voi  dovete  fare  il  silenzio  al  posto,  o  muovervi  silenziosamente  tra  i  banchi. 

—  Camminate  liberamente  per  la  sala  in  punta  di  piedi,  badando  di  non  incontrarvi 

mai,  né  di  seguirvi  l'un  l'altro. 

Tema:  che  (relativa  o  dichiarativa). 

Co.MANDo:  —  Uscite  dalla  sala  e  aspettate  là  fuori...    che...  io  vi  faccia  il  cenno  di 


Tkma:  ma,  invece  (avversativa). 

Comandi:  —  Mettetevi  su  due  linee:  l'una  si  sposti  da  sinistra  verso  destra;  l'altra 

invece  faccia  il  movimento  contrario. 
—   [^'ormate  una  lunga  fila, e  camminate  avanti:  giunti  in  fondo  alla  sala,  non  vi  fer- 
mate, ma  voltate  a  sinistra. 


GRAMMATICA  33I 

Tema:  se  (condizionale). 

Comando:  —  Voi  potrete  sentire  il  rumore  della  goccia  d'acqua  cheTfarò  cadere,  se 
resterete  un  minuto  in  profondo  silenzio. 

Tema:  mentre,  quando,  appena  (temporali). 

Comandi:  —  Alcuni  di  voi  passeggino  alquanto  tra  i  tavoli,  e  poi  si  fermino  in  mezzo 
alla  sala;  gli  altri  bambini,  mentre  quelli  si  raccolgono  in  gruppo,  cerchino  di 
coprire  loro  gli  occhi  di  nascosto  con  le   mani. 

—  Uno  di  voi  corchi  di  uscire  dalla  sala;  quando  sta  per  varcare  la  soglia  dell'uscio 

gli  altri  debbono  sbarrargli  il  passo. 

—  Preparatevi  per  uscire  dal  posto:  appena  io  dirò:    via!  andate  di  corsa  in  fondo 

alla  sala. 

Tema:  affinchè,  perchè  (finah). 

Comando:  —  Uno  di  voi  deve  cercare  di  toccarvi,  mentre  camminate  per  la  sala: 
voi  dovete  far  di  tutto  affinchè  con  ci  riesca. 

—  Comanderò  un'azione  ad  un  bambino:  gli  altri  devono  far  di  tutto  perchè  non  riesca 

ad  eseguirla. 

Tema:  piuttostochè,  anziché  (elettive). 

Comando:  —  S'alzino  in  piedi  i  bambini  che  desiderano  di  mettersi  a  lavorare 
piuttosto  che  andare  un  poco  fuori  a  divagarsi. 

Tema:  perchè,  poiché  (causali). 

Comando:  —  Prima  di  mettersi  a  lavorare,  raccogliamoci  in  silenzio,  perchè  nel 
raccoglimento  penseremo  che  cosa  dovremo  fare. 

Tema:  fuorché,  salvochè  (eccettuative). 

Comando:  —  Alzatevi  e  girate  liberamente  per  tutta  la  sala,  fuorché  da  questa 
parte  (i). 


(i)   Lo  studio  della  congiunzione  vien  ripreso  dopo  che  si  è  studiato  il  periodo. 


132  PARTE    SECONDA 


IN  ri{RIHZIONI 


Essendo  questa  l'ultima  jiarte  del  discorso  rimasta  a  studiare,  i  bambini 
sono  giunti  a  riconoscere  tutte  le  parti  del  discorso.  Non  è  dunque  più  neces- 
sario comporre  artificialmente  delle  monche  frasi  che  contengono  solo  le 
parti  del  discorso  note  al  bambino.  Per  questo  sono  state  scelte  delle  frasi 
da  autori  classici  (quasi  tutte  dal  Manzoni). 

Siccome  l'interiezione  è  un'espressione  abbreviata  in  una  sola  parola, 
essa  si  presta  molto  all'interpretazione  drammatica;  i  bambini  quindi  sulle 
medesime  frasi  fanno  il  doppio  lavoro  di  una  analisi  generale  e  della  «  lettura 
espressiva  «  o  recitazione  delle  frasi  da  essi  scelte  e  studiate  (in  sostituzione 
dei  comandi).  Inoltre  sarà  presentata  una  tabella  contenente  la  classifica- 
zione completa  delle  interiezioni;  ed  i  bambini  potranno  leggerla,  dando  ad 
una  ad  una  la  interpetrazione  espressiva  della  voce  e  del  gesto. 

Questa  sarà  la  prima  tavola  di  classificazione  presentata. 

In  seguito  tutte  le  parti  del  discorso  verranno  ripresentate  con  la  defini- 
zinne  e  la  classificazione. 


ANALISI. 

Materiale.  —  11  casellario  grammaticale  è  completo:  esso  ha  nove  ca- 
selle pei  cartellini  colorati:  nocciola  per  l'articolo,  nero  pel  nome,  marrone 
per  l'aggettivo,  rosso  pel  verbo,  viola  per  la  preposizione,  rosa  per  l'avverbio, 
verde  pel  pronome,  giallo  per  la  congiunzione,  celeste  per  l'interiezione. 

Nel  reparto  dei  biglietti  delle  frasi,  stanno  i  gruppi  ai  quali  corrispondono  i 
cartellini  riproducenti  esattamente  tutte  le  parole  in  essi  contenute  (Tav.  XIV). 

Gruppo  A. 

—  Per  amor  del  cielo!  non  fate  pettegolezzi,  non  fate  schiamazzi. 

—  Oihò  vergognai  scappò  fuori  Renzo,  inorridito  a  quelle  parole. 

—  Addio!  monti  sorgenti  dalle  acque  ed  elevati  al  cielo.  Quanto  è  triste  il  passo  di 

chi,  cresciuto  tra  voi,  se  ne  allontana. 

—  E  sopratutto  non  si  lasci  uscire  parola  su  questo  avviso  che  le    abbiamo  dato 

per  suo  bene;  altrimenti  ehm! 

—  Misericordia!  cos'ha  signor  padrone? 

—  Ah!  voi  vorreste  farmi  parlare  e  io  non  posso. 


grammatica  333 

Gruppo  B. 

—  Eh  via!  che  mi  venite  a  rompere  il  capo,  con  queste  fandonie. 

—  Un  bravo!  bene!  scoppiò  da  tutte  le  parti  della  sala. 

—  Ehi!  ehi!  dove  andate,  galantuemo? 

—  Poh!  rispose  Tonio  piegando  il  capo  sulla  spalla  destra,  e  alzando  la  mano  sinistra 

con  un  viso  che  diceva:  «  mi  fai  torto!  ». 

—  Ah  no,  per  carità,  non  dite  così. 

—  Oh!  questo  mi  dispiace,  mi  dispiace,  mi  dispiace  davvero! 

Gruppo  C. 

—  Chi  è  là  dentro?  ohe!  ohe! 

—  Via  via,  niente  paura. 

—  Ih!  buon  per  te  che  ho  le  mani  impicciate,  riprese  la  donna,  dimenando  i  pugni. 
— ■  Toh,  disse  Renzo;  è  un  poeta  costui.  Ce  n'è  anche  qui,  di  poeti. 

—  Ronzo  russava  ancora  da  circa  sette  ore  ed  era  ancora  poveretto!  sul   più  bello, 

quando  due  forti  scosse  alle  braccia  lo  fecero  riscuotere. 

—  Ahi!  ohi!  ahi!  grida  il  tormentato. 

—  Dov'è  questo  paese?  Eh  eh  eh!  rispose  il  frate,  trinciando    verticalmente  l'aria 

con  la  mano  distesa  per  significare  una  gran  distanza. 

—  Ohi!  ohi!  ohi!  che  cosa  vuol  farne  di  quell'ordigno,  costui? 

—  Animo,  vada  a  prendere  il  breviario  e  il  cappello  e  andiamo. 

—  Uh!  ha  voglia  di  scherzare,  lei. 

—  Ton  ton  ton  ton!  i  contadini  balzano  a  sedere  sul  letto.  Cos'è  cos'è!  Campana  a 

martello. 

—  Poh!  zia,  non  son  poi  un  ragazzo. 

Tabella  delle  interiezioni  classificate. 

(Lettura  espressiva  delle  parole  per  interpretazione  spontanea). 

Definizione  :   L'interiezione  è  un'espressione  abbre\"iata  in  una  parola. 
Interiezioni  : 

Di  dolore:  ahi!  ohi!  ohimè!  ahimè!  ah4-oh!  poveretto!  ^. 

Di  preghiera:  deh!  mercè!  aiuto!  per  carità!  per  an^r  di  Dio! 

Di  meraviglia,  di  ammirazione:  Oh!  ih!  nientedimeno!  poh!  to'!  ehi  corbezzoli! 
bazzecole!  caspita!  cospetto!  uh!  oooh!   misericordia!  diavolo!  bubbole! 

Di  minaccia  :  ehm  !   guai  ! 

Di  nausea,  di  orrore  :  puh  !  puah  !  brrr  !  '^ 

Di  sdegno;  oibò!  vergogna! 

Di  dubbio:  uhm! 

Di  fastidio:  auf!  auff! 

Per  richiamare,  azzittire:  ehi!  ohe!  olà!  alto  là!  psssl'st!   pssst! 

Per  indicare  :  ecco  !  riecco  !  eccomi  !  eccoci  ! 

Per  sollecitare:  orsù!  via!  suvvia!  animo!  coraggio!  arri  là!  hop  hop! 

Per  salutare:  salve!  vale!  addio!  arrivederci!  ave! 

Per  applaudire,  esaltare:  bene!  bravo!  viva!  evviva  !  gloria!  osanna!  alleluja! 

Per  imprecare  :  accidenti  !  accidempoli  !  perbacco  !  canchero  !  malannaggia  ! 

Per  .^imitar  e  rumori,  suoni:    crac!  patatrac!  piff  paff!    dindon!    ton  ton  !    zum 
zum  !  bum  bum  ! 

Per  imitare  voci:  gnau!  chicchirichì!  coccodè!  era  era  era!  uè  uè  uè!  giù  giù  giù! 
pi  pi  pi  !  cri  cri  !  fron  fron  !  hu  bu  !  ecc. 


Ji4  l'ARTr    STXONDA 


ANALISI    DELLA    PROPOSIZIONE 
E    DEL    PERIODO 


PROPOSIZIONE. 

Il  materiale  per  l'analisi  logica  consiste  in  rotoletti  fatti  con  una  striscia 
di  carta,  un  po'  più  larga  e  più  solida  di  quella  usata  in  telegrafia,  sulla 
quale  sono  stampate  proposizioni  e  periodi  in  serie  determinate.  E  una 
tabella  divisa  in  due  file  di  rettangoli,  entro  ciascuno  dei  quali  è  scritta 
una  specificazione  delle  parti  della  proposizione:  la  proposizione  scritta  sulla 
striscia  arrotolata,  si  strappa  in  parti,  e  ciascuna  di  queste  parti  si  col- 
loca in  un  rettangolo,  sulla  guida  della  specificazione.  È  ancora  un'applica- 
zione dei  casellari,  usata  per  analizzare  i  segni  alfabetici  e  quindi  i  suoni 
componenti  la  parola.,  o  le  parole  come  parti  del  discorso  :  qui  il  casellario 
è  ridotto  a  un  semplice  disegno.  Le  tabelle  per  l'analisi  logica  sono  di  carta 
colorata,  artisticamente  disegnate  e  ornate.  Ne  abbiamo  preparato  quattro 
tipi,  come  ornamento  e  colore,  perchè  questa  esteriorità  ha  anch'essa  un'in- 
fluenza sul  lavoro  dei  bambini. 

Ecco  le  divisioni  delle  tabelle  : 


GRAMMATICA 


335 


Tabella  A. 


'?>5B^-':S'?'^Bff$'-'"»5&S»5&'?T  'y^''P^-^^^S>'S^?'$'C'^;S'<P'&>^''^'r^'y^^^'  v^'?^T«S^?3&^>^-3f^*^^">>!&9©'?*& 


VERBO 

(Predicato  verbale  o  nominale) 


chi  è  che?, 
che  cosa  è  che?. 


SOGGETTO 


chi?...  che  cosa?... 
(Complemento  oggetto  o  diretto) 


a  chi?...  a  che  cosa?... 
(Complemento  di  termine) 


da  chi?...  da  che  cosa?.. 
(Complemento  di  agente) 


di  chi?...  di  che  cosa?.  . 
(Complemento  di  appartenenza,  di  materia) 


quando?... 
(Complemento  di  tempo) 


dove?... 
(Complemento  di  luogo) 


da  dove?... 
(Complemento  di  provenienza) 


(Complemento  di  modo) 


per  quale  causa? 
(Complemento  di  causa) 


per  qual  fine? 
(Complemento  di  fine) 


per  mezzo  di  chi?.,, 
per  mezzo  di  che  cosa?. 

(Complemento  di  mezzo) 


con  chi?...  con  che  cosa?.., 
(Complemento  di  compagnia) 


(Complemento  attributivo) 


(Complemento  vocativo) 


336  PARTE    SECONDA 


Le  due  caselle  in  alto  (predicato,  soggetto)  sono  pili  ampie  e  più  adorne 
delle  altre  caselle;  le  parole:  «predicato,  soggetto»,  sono  stampate  con  una 
scrittura  tutta  maiuscola.  Invece  le  altre  caselle  sottostanti  sono  più  sem- 
plicemente ornate,  e  i  caratteri  non  sono  maiuscoli.  Ciò  serve  a  distinguere 
le  parti  principali  dalle  secondarie,  nella  proposizione.  I  titoli  e  le  domande 
sono  in  colore  diverso,  per  es.:  nero  i  titoli  e  rosso  le  domande.  Ovvero  rossi  i 
titoli  e  verdi  le  domande.  Queste,  inoltre,  sono,  come  dimensione  di  caratteri, 
prevalenti  sui  titoli.  Invece  nelle  prime  due  caselle,  sono  prevalenti  i  titoli. 

11  bambino  comincia  a  distinguere  la  proposizione,  cioè  a  portarvi  la 
sua  attenzione.  Quante  volte  ha  letto,  pronunciato  e  composto  delle  propo- 
sizioni! Ma  ora  le  osserva  dettagliatamente  e  le  studia.  La  proposizione  è 
un  breve  discorso  a  senso  compiuto  che,  esprimendo  un'azione  o  un  modo 
di  essere,  aggira  le  sue  diverse  parti'attorno  ad  un  verbo.  L'esercizio  primo 
del  bambino,  deve  essere  di  trovare  il  verbo:  ciò  che  non  gli  è  difficile, 
dopo  i  precedenti  esercizi.  Appena  trovato  il  verbo,  è  il  soggetto  che  è 
essenziale  di  riconoscere:  dato  il  verbo,  il  soggetto  si  trova  con  la  domanda: 
"  chi  è  che? ...  ». 

Esempio  :  //  bambino  legge.  La  parola  «  legge  »  è  il  verbo  :  si  strappa  il 
pezzetto  della  striscia  di  carta  ove  è  la  parola  «  legge  »  e  si  pone  nella  ca- 
sella del  verbo.  Poi  si  fa  la  domanda:  «chi  è  che  legge?  il  bambino».  Il 
pezzetto  della  striscia  di  carta  ove  è  scritto  «  il  bambino»,  si  strappa  e 
si  pone  nella  casella  del  soggetto. 

Un'altra  proposizione.  Sulla  striscia  di  carta  sta  scritto:  «  il  vasetto  è 
rotto  ».  La  maestra  fa  una  breve  spiegazione  che  il  verbo  «è»,  solo,  non 
avrebbe  un  significato  speciale:  «  è»,  non  vuol  dir  niente,  è  che  cosa?... 
quindi  bisogna  unire  al  verbo  essere  il  suo  attributo:  «  è  rotto  ».  In  tal 
caso  si  ha  un  predicato  nominale.  Mentre,  quando  il  verbo  contiene  un  signi- 
ficato speciale  di  azione:   «  legge  »,  si  ha  un  predicato  verbale. 

Si  strappa  dunque  la  striscia  ove  sta  scritto:  «  è  rotto  »  e  si  mette 
nella  casella  del  verbo.  «Che  cos'è  che  è  rotto?  il  vasetto  ».  La  striscia  ov'è 
scritto  «  il  vasetto  »,  si  mette  nella  casella  del  soggetto. 

Sarebbe  possibile  copiare  tutto  ciò  in  calligrafia,  così: 

Proposizione:   il  bambino  legge 
fi  bambino:  soggetto 

legge:    predicato  (verbale). 

Serie  l.  —  Proposizioni  semplici. 

La  prima  striscia  è  preparata  con  le  seguenti  proposizioni  semplici 
(senza  complementi). 

—  I!  bambino  legge.  —  Il  vasetto  è  rotto. 

—  Carlo  è  biondo.  —  Alcune  piante  fioriscono. 


GRAMMATICA  337 

—  La  lavagna  è  pulita.  —  Chi  è  venuto? 

—  La  matita  è  appuntata.  —  Il  cielo  è  azzurro. 

—  Io  sono  pronto.  ''      —  Io  esco. 

—  I  bambini  passeggiano.  —  Il  tempo  passa. 

—  La  direttrice  suona. 

Serie  IL  —  Proposizioni  complesse  con  alcuni  complementi. 

Sulla  striscia  di  carta  sono  scritte  successivamente  l'una  all'altra,  le 
seguenti  frasi  : 

—  Essa  amava  teneramente  il   suo  bambino. 

—  I  sordomuti  parlano  con  i  gesti.  '' 

—  Egli  portò  molti  fiori  alla  maestra. 

—  La  mamma  disse  il  perchè. 

—  Tu  farai,  Mario,  questo  piacere  alla  sorellina. 

—  Maria  ti  presterà  il  libro  per  qualche  giorno. 

—  Luigina  dette  un  soldo  al  poveretto. 

—  Da  dove  vieni,  Maria? 

—  Io  lo  farò,  mamma. 

• —  Il  piccolo  Luigi,  di  tre  anni,  ha  pulito  tutta  la  lavagna. 

—  Quale  bravo  bambino  Io  disegnò? 

—  lersera  mostrai  quella  graziosa  letterina  al  babbo. 
— •  Sul  terrazzo  sventola  una  grande  bandiera  tricolore. 

—  Sei  tu  andato  a  teatro? 

— '  Il  vento  sbatteva  la  pioggia  contro  le  finestre. 

—  L'amica  scrollò  le  spalle. 

Applicazione  ;  esempì. 

Si  stacca  la  striscia  che  contiene  la  prima  proposizione:  «  essa  amava  tene- 
ramente il  suo  bambino  ».  Strappato  il  pezzetto  di  carta  ov'è  scritto  «  amava  », 
lo  si  mette  nella  casella  del  verbo.  Chi  è  che  amava?  Essa.  La  parola  «  essa  « 
viene  posta  nella  casella  del  soggetto.  Essa  amava...  chi?  il  suo  bambino. 
La  striscia  ov'è  scritto  «  il  suo  bambino  »  viene  staccata  e  posta  nella  ca- 
sella del  complemento  oggetto  o  diretto.  (È  cosi,  leggendo  le  denominazioni 
scritte  nelle  caselle,  che  il  bambino  viene  a  classificare  i  complementi). 

«  Come  lo  amava?  in  qual  modo?  teneramente  ».  Il  pezzetto  di  carta  ov'è 
scritto  «  teneramente  »,  si  pone  nella  casella  del  complemetito  di  modo.  La 
frase  è  finita. 

Ora  il  bambino  può  copiare  l'analisi,  o  farne  delle  altre,  a  suo  piacimento. 

Copiando,  potrà  scrivere   così: 

Proposizione:   Essa  amava  teneramente  il  suo  bambino. 

Essa:  soggetto 

amava:  predicato  (verbale) 

teneramente:  complemento  di  modo 

il  suo  bambino  :  complemento  oggetto. 


ijS  PARTI     SFCONDA 

Por  classiftcare  i  complementi  vocativi  e  attributivi,  basterà  una  seni- 
plicissinja  indicazione  della  maestra. 

Esempio:  «.Tu  farai.  Mario,  questo  piacere  alla  sorellina '■k  La  parola 
«  Mario  »  è  qui  una  specie  d'invocazione:  «  o  Mario,  tu  farai ...»  Quasi  sempre 
i  vocativi  possono  riconoscersi  perchè  chiedono  innanzi  a  sé  quell'ao...  ». 

Nell'altra  proposizione:  ^  //  piccolo  Luigi,  di  tre  anni,  ha  pulito  tutta  la 
latuigna  «.  Quel  «di  tre  anni»  è  un  attributo  di  Luigi,  e  si  pone  nella  casella 
dei  complementi  attributivi. 

Serie  III.  —  Proposizioni  composte,  con  due  o  più  elementi  della  stessa 
specie. 

Sulla  striscia  di  carta  arrotolata  sono  scritte  le  seguenti  proposizioni, 
che  si  possono  leggere  e  staccare  una  dopo  l'altra,  svolgendo  il  rotolo. 

—  Il  bambino  dorme  e  sogna. 

—  Tutti  amano  le  frutta  e  i  fiori. 

—  Egli  prese  carta,  penna  e  calamaio  per  scrivere  alla  sua  amica. 

—  Carlino  aprì  e  richiuse  il  libro. 

—  Il  babbo  e  il  medico  uscirono  dalla  stanza  del  piccolo  malato. 

—  Le  donne  consigliarono  la  pace,  la  pazienza  e  la  prudenza. 

—  La  madre  e  il  figlio  abbracciarono  Geltrude. 

—  Esempi  e  ragioni  non  gli  mancheranno. 

—  Nel  principio  Dio  creò  il  cielo  e  la  terra. 

—  Sui  tetti  delle  case  noi  vediamo  camini  ed  abbaini. 

Serie  IV.  —  Proposizioni  ellittiche,  ove  è  sottinteso  il  soggetto. 

Il  bambino  interpreta  la  proposizione  completandola  e  trovando  quale 
è  l'elemento  che  manca. 

—  La  ringrazio.  —  Siamo  contentissimi. 

—  Verrete?  —  Vi  saluto. 

—  Sono  stanco.  —  Vado  a  casa. 

—  Non  mi  sento  bene  oggi.  —  Lampeggia. 

—  Com'è  andata?  —  M'impose  silenzio. 

—  Dico  la  verità.  —  Ascolto. 

Serie  V.  —  Proposizioni  ellittiche,  ove  è  sottinteso  il  predicato. 

—  Silenzio  !  —  Onore  al   merito. 

—  Perchè  tanto  rumore?  —  Bravo! 

—  Sotto  la  neve,  pane.  —  Che  brutto  tempo! 

—  A  buon  intenditor,  poche  parole.  —  Buon  giorno! 

—  Oggi  a  me,  domani  a  te,  —  Che  bella  sala  luminosa! 

—  A  domani!  —  Patti  chiari. 


GRAMMATICA  339 

Serie  VI.  —  Proposizioni  ellittiche,  ove  è  sottinteso  il  complemento  oggetto. 

—  Per  favore,   apritemi!  —  Apparecchia  subito! 

—  Quell'uomo,  guadagna!  —  Avete  vendemmiato? 

—  Intanto   egli  spende  e  spande   come      —  E  spronò  via. 

un  riccone.  —  Per  carità,  chiudete! 

Serie  VII.  —  Proposizioni  complesse  ove  sono  molti  complementi  e  dove 
si  sommano  le  di) 


—  Ferruccio  era  rientrato  stanco,  infangato,  con  la  giacchetta  lacera  e  col    livido 

d'una  sassata  sulla  fronte. 

—  Luigino  andava  a  casa  a  passo  frettoloso. 

—  Noi  sentimmo  delle  risate  di  bambini  nel  cortile. 

—  Io  mi  trovai,  fanciulla,  un  bel  mattino 
di  mezzo  maggio,  in  un  verde  giardino. 

—  La  bella  bimba  dai  capelli  neri 
è  là  sul  prato. 

—  Il  mio  povero  cuor  mai  non  v'oblia 
o  sguardi,  o  baci,  o  tenere  carezze, 
o  dolce  amore  della  madre  mia. 

—  La  donna  mi  andava  innanzi  curva,  con  un  bimbo  in  collo. 

—  La  vocina  di  Carluccio  si  sentiva  distintamente,  in  mezzo  a  tutte  le  altre,  tre- 

mula e  armoniosa. 

—  Domani  verrò  in  città    a  piedi. 

—  Camillo    passava  l'estate    tutti    gli    anni    coi    suoi    genitori    sulla    vetta   di   una 

amena  collina. 

—  Quella  sera  la  casa  di  Ferruccio  era  più  quieta  del  solito. 

—  Non  voglio  noie  stamani. 

—  Non  ne  voglio  sapere  affatto. 

—  Mi  dite  voi  il  perchè? 

—  Di  quando  in  quando  una  frotta  di  persone  traversava  la  visi  a  passo  frettoloso. 

—  11  dottore  mormorò  una  parola  all'orecchio  del  Sindaco. 

—  In  quel  momento  egli  sentì  bussare  alla  porta. 

—  Vengo  da  Milano  per  rivedere  la  mamma. 
^  C'era  una  volta  un  piccolo  agnellino 

bianco,  liscio,  pulito... 

» 
Collocazione  delle  parti  nella  proposizione  —  Spostamenti. 

Regola.  —  La  lingua  italiana  segue  di  preferenza  l'ordine  diretto  nella 
prosa;  e  solo  eccezionalmente  l'ordine  inverso. 

Invece  in  poesia  è  più  frequente  l'ordine  inverso. 
L'ordine  diretto  consiste  nel  porre  : 

prima  il  soggetto; 

poi  il  predicato; 

quindi  il  complemento  diretto  (oggetto). 


340  PARTK    SECONDA 

Gli  altri  complementi  poi  seguono  secando  l'importanza  che  dà  loro  il 
contenuto,  il  senso  della  proposiziono. 

Tali  concetti  sono  si  semplici  e  chiari,  che  il  bambino  può  assai  facil- 
mente comprenderli. 

Tuttavia  il  metodo  di  darne  l'intuizione,  non  sarà  una  spiegazione,  ma 
la  dislocazione  reciproca  delle  parti,  che  è  resa  possibile  per  essere  la  pro- 
posizione divisa  in  tanti  brani,  i  quali  si  possono  muovere  e  combinare  a 
piacere.  Analogamente,  dunque,  a  ciò  che  si  fece  per  dare  un'idea  della 
collocazione  delle  varie  parti  del  discorso,  spostando  i  cartellini,  qui  si  pro- 
cede spostando  i  brani  della  striscia  scritta. 


Esempio: 

II  vento 

sbatteva 

la  pioggia 

contro  la  finestra. 

(soggetto) 

(predicato) 

(compi,  i.ggetto) 

(compi,  di  luogo) 

Spostando  i   brani,  si  possono  avere  le  altre  seguenti  costruzioni: 

Sbatteva  -  il  vento  -  la  pioggia  -  contro  la  finestra. 
Contro  la  finestra  -  il  vento  -  la  pioggia  -  sbatteva. 
Sbatteva  -  il  vento  -  contro  la  finestra  -  la  pioggia. 
Contro  la  finestra  -  il  vento  -  sbatteva  -  la  pioggia. 
Il  vento  -  la  pioggia  -  sbatteva  -  contro  la  finestra. 


Serie  Vili.  —  Ordine  diretto  ed  inverso. 

Su  ciascuna  proposizione  può  venir  dimostrato  l'ordine  diretto  e  inverso. 
Per  lo  studio  della  inversioni  gli  esempì  possono  essere  tratti  dal  linguaggio 
poetico. 

Nella  serie  VITI  le  proposizioni  sono  tutte  di  ordine  inverso: 

—  E  l'erbajol  rinnova 

di  sentiero  in  sentiero 
il  grido  giornaliero. 

—  Qua  e  là  sui  crocicchi,  nelle  piazze,  davanti  ai  caffè,  sulle  gradinate  delle  chiese, 

c'erano  dei  capannelli  d'uomini  e  di  ragazze. 

—  Or  cantano  i  passeri  intorno 
la  piccola  croce. 

—  Dai  calici  aperti  si  esala 
l'odore  di  fragole  rosse. 

—  Di  rondini  una  schiera 
volando  intomo  va. 

.  ..  , aiuto  per  pietà  ! 

gridava,  solamente  per  trastullo, 

Checco  il  guardian,  sciocchissimo  fanciullo. 


GRAMMATICA 


341 


Gli  esercizi  sull'ingranaggio  delle  parti  nella  proposizione  possono  es- 
sere diretti  allo  scopo  di  far  conoscere  ed  usare  delle  forme  grammaticali 
che  prima  lo  studio  delle  singole  parole  non  permetteva  ;  come  :  le  forme 
verbali  e  le  forme  del  pronome  indicativo  usato  come  complemento  oggetto 
e  di  termine. 


Serie  IX. 


Le  forme  del  verbo. 


La  striscia  di  carta  porta  le  tre  forme  del  verbo  (attiva,  passiva  e  ri- 
flessiva) successivamente,  le  quali  vengono  analizzate  sulla  tabella  analitica 
della  proposizione. 


Forma  attiv.a 

l'azione  è  fatta  dal  soggetto 

Carlo  veste  la  sorellina. 

La  mamma  avvia  alla  scuo- 
la la  bambina. 

La  maestra  lodò  Maria  per 
la  sua  bella  azione. 

La  piccola  amica  scusò 
Luisa  dello  sgarbo. 

Il  portinaio  accusò  il  ra- 
gazzetto. 

La  mamma  cullava  la  pic- 
cola bambina  nella  seg- 
giolina  a  dondolo. 

La  mamma  distese  il  ma- 
latino  sul  soffice  divano. 

Il  buon  vecchio  amava  as- 
sai Luigi. 

Luigi  conosceva  il  piccolo 
spazzacamino. 


Forma  p.\ssiva 

l'azione  è  fatta  dal  compi 
di   agente 


La  sorellina  è  vestita  da 
Carlo. 

La  bambina  è  avviata  alla 
scuola  dalla  mamma. 

Maria  fu  lodata  dalla  mae- 
stra per  la  sua  beila,,  a- 
zione. 

Luisa  fu  scusata  dalla  pic- 
cola amica  dello  sgarbo. 

Il  ragazzetto  fu  accusato 
dal  portinaio. 

La  piccola  bambina  era 
cullata  dalla  madre  nella 
seggiolina  a  dondolo. 

Il  maialino  fu  disteso  dalla 
mamma  sul  soffice  di- 
vano. 

Luigi  era  amato  assai  dal 
buon  vecchio. 

Il  piccolo  spazzacamino  era 
conosciuto  da  Luigi. 


l'ORMA    RIFLESSIVA 
il  soggetto  è  il  complemento 

La  sorellina  si  veste.  \ 

La  bambina  si  avvia  alla 
scuola. 

Maria  si  lodò  per  la  sua 
belia.  azione. 

Luisa  si  scusò  ddlo  sgarbo 

Il  ragazzettf>  si  accusò. 

La  piccola  bambina  si  cul- 
lava nella  seggiolina  a 
dondolo. 

Il  malatino  si  distese  sul 
soffice  divano. 

Luigi  si  amava  assai. 

Luigi  e  il  piccolo  spazza 
camino  si  conoscevano. 


Ò42  PARTE    SECONDA 


Serie  X.  —  Uso  del  pronome  indicativo. 

Le  stesse  frasi  preparate  per  le  analisi  sui  pronomi  indicativi,  soggetti 
o  complementi,  i-d  altre  ancora,  possono  essere  analizzate  sul  quadro  logico 
della  proposizione. 

Carlino  con  un  bacio  consolò  la  sorella. 
Carlino  con  un  bacio  la  consolò. 

Emma  rimise  il  libro  sul  tavolo. 
Rssa  lo  rimise  sul  tavolo. 

Scrissero  una  lettera  alla  mamma. 
Le  scrissero  una  lettera. 

Vuoi  regalare  alla  tua  maestra  il  disegnino? 
Vuoi  regalarwe/o? 

Io  raccontai  al  babbo  l'accaduto. 
Io  glielo  raccontai. 

Dì  ogni  cosa  alla  tua  mamma. 
Dille  ogni  cosa. 

Mostra  al  dottore  la  tua  ferita. 
Mostra^//  la  tua  ferita. 

Non  dir  male  della  tua  buona  vicina. 
Non  dirne  male. 

Non  infastidire  il  cane. 
Non  infastidir/r). 

L'esercizio  poi  delle  dislocazioni  lascia  rilevare  le  regole  della  colloca- 
zione di  questi  pronomi  nella  proposizione.  Le  maestre  debbono  ricordare 
queste  regole,  e  cioè: 

—  i  pronomi  debbono  stare  accanto  al  verbo,  o  prima  o  dopo  o  come  suffissi  ; 

—  di  due  pronomi  vicini,  precede  quello  che  è  complemento  di   termine  e  segue 

quello  che  è  complemento  oggetto. 


GRAMMATICA  343 


PERIODO. 


È  un  complesso  di  proposizioni  che  dà  un  senso  compiuto.  L'ingra- 
naggio delle  proposizioni  nel  periodo  è  corrispondente  a  quello  degli  ele- 
menti della  proposizione.  Il  materiale  per  l'analisi  del  periodo  è  perciò  ana- 
logo a  quello  per  l'analisi  delle  proposizioni:  striscioline  di  carta  arrotolate, 
in  cui  sono  scritti  i  periodi  da  scomporsi  nelle  proposizioni  ;  e  una  tabella  con 
caselle  ove  possono  disporsi,  dietro  le  indicazioni  ch'esse  contengono,  le 
varie  proposizioni  staccate  l'una  dall'altra. 

La  casella  maggiore  è  riservata  alla  «  proposizione  principale  »  intorno 
alla  quale  le  altre  proposizioni  si  dispongono  come  coordinate  o  come  subor- 
dinate. 

Essendo  il  lavoro  logico  di  scomposizione  del  periodo  abbastanza  inte- 
ressante per  trattenere  l'attenzione  del  bambino  in  pili  forme  di  studio,  il 
materiale  presenta,  oltre  alle  striscie  di  carta  arrotolate  e  alla  tabella  del- 
l'analisi, anche  dei  quadri  ove  l'analisi  è  compiuta  e  razionalmente  dimo- 
strata ;  e  questi  quadri  servono  insieme  come  «  tavole  di  confronto  »  per 
gli  esercizi  fatti  dai  bambini  stessi,  e  come  tavole  di  studio  dell'anaUsi 
stessa.  Naturalmente,  quando  il  bambino  fa  l'esercizio  con  le  striscioline  di 
carta  e  la  tabella  analitica,  non  ha  sott'occhio  le  tavole  di  confronto:  egli 
è  però  sempre  libero  di  consultarle.  Ma  il  suo  interesse  sta  appunto  nel 
riuscire  da  sé,  a  collocare  le  proposizioni  del  periodo. 


PARTE    SECCINDA 


-»?-  5w->5-Jw-»?  3Sw-^  5wr>5ccs^-v:  Sw-»r  Sw-^-^.->5:a%--^  a^,-»?^.; 


PROPOSIZIONE    PRINCIPALE 


Pri)i)osÌ7.ioni  iiicidental 


Proposizioni  subordinate  attributive 


chi  è  che?... 
(p.  subordinata  soggettiva) 


(juandor'... 
(p.   subordinata  di  tempo) 


per  qual   fine?... 
Ip    subordinata  di  fine) 


(p    subordinata  di  comparazione 
o  di  modo) 


malgrado  che  cosa?... 
fp    subordinata  ili  concessione) 


chi?...  che  cosa?... 
(p.  subordinata  oggettiva) 


dove?... 
(p,  subordinata  di  luogo) 


per  quale  causa?... 
(p.  subordinata  di  causa) 


a  che  condizione?... 
(p.  subordinata  di  condizione) 


che  cosa  consegue?... 

(p.  subordinata  di  conseguenza 
I)  di  correlazione) 


GRAMMATICA  345 

Serie  I.  —  La  costruzione  del  periodo  è  di  forma  coordinata:  cioè  le 
proposizioni  restano  indipendenti,  hanno  ciascuna  un  senso  compiuto,  e 
potrebbero  stare  quindi  anche  separatamente:  esse  sono  perciò  delle  pro- 
posizioni principali  coordinate  tra  loro: 

—  Cercai  attentamente  e  lo  trovai. 

—  Battè  rabbiosamente  un  piede,  s'alzò  e  fuggì  via. 

—  Battè  le  mani  dalla  gioia  e  si  mise  a  saltare. 

—  Si  coprì  gli  occhi  con  una  mano  e  pianse, 

—  Si  guardavano  in  viso  gli  uni  con   gli    altri  :    ognuno   aveva    una  domanda    da 

fare;  nessuno  una  risposta  da  dare. 

—  Son  qui:  ma  bisogna  aiutarmi,  bisogna  ubbidire. 

—  Si  voltan  tutti  a  quella  casa,  vi   s'avvicinano  in  folla,    guardano  in  su,  stanno 

in  orecchi. 

—  Chi  accorre,  chi  sguizza  tra  uomo  e  uomo  e  se  la  batte. 

—  Continuarono  in  silenzio  la  loro  strada,  e  poco  dopo  sboccarono  finalmente  suUa 

piazzetta  davanti  alla  chiesa  del  convento. 

—  Il  guardiano  cominciava  a  ringraziare,  ma  la  signora  l'interruppe. 

—  Non  mi  fate  ora  parlare,  non  mi  fate  piangere. 

—  Non  fate  pettegolezzi,   non  fate  schiamazzi! 

Qui  il  bambino,  dividendo  il  periodo  in  proposizioni,  può  poi  riunire 
tutte  queste  una  sotto  l'altra  e  verificare  che  hanno  un  senso  compiuto, 
e  che  ciascuna  può  stare  da  sé: 

Cercai  attentamente.  Si  voltan  tutti  a  quella  casa. 

E  lo  trovai.  Vi  si  avvicinano  in  folla. 

Guardano  in  su. 
Battè  rabbiosamente  un  piede.  Stanno  in  orecchi. 

S'alzò. 
E  fuggì  via. 


Battè  le  mani  dalla  gioia. 


Chi  accorre.  ^ 

Chi  sguizza  tra  uomo  e  uomo. 
E  (chi)  se  la  batte. 


E  si  mise  a  saltellare.  Continuarono  in  silenzio  la  loro  strada. 

E  poco  dopo  sboccarono  finalmente  sulla 
Si  coprì  gh  occhi  con  una  mano.  piazzetta  davanti  alla  chiesa  del  con- 

fi pianse.  vento. 

Si  guardavano  in  viso  gli  uni  con  gh  altri.      ^  guardiano  cominciava  a  ringraziare. 

Ognuno  aveva  una  domanda  da  fare.  ^a  la  signora  l'interruppe. 

Nessuno  (aveva)  una  risposta  da  dare.        ^^^  ^^  f^^e  ^^^  p^^l^^e. 

Non  mi  fate  piangere. 
Son  qui. 

Ma  bisogna  aiutarmi.  Non  fate  pettegolezzi. 

Bisogna  ubbidire.  Non  fate  schiamazzi. 

Serie  II.  —  La  costruzione  del  periodo  è  di  forma  subordinata  :  solo 
la  proposizione  principale  ha  un  senso  compiuto  ;  le  altre  lo  acquistano 
solo  collegandosi  alla  principale. 


34t>  PARTE    SECONDA 

Qui  la  proposizione   subordinata   serve   di  complemento  attributivo,  a 
uno  degli  elementi  della  proposizione  principale  : 

—  L'anello  d'oro  che  trovaste  ieri  per  le  scale,  era  della  signora  Giulia. 

—  L'uomo  che  mi  ha  accompagnato  alla  scuola  era  il  buon  Giuseppe. 

—  Egli  amava  quel  suo  cavallino,  che  gli  obbediva  così  bene. 

—  Sono  molto  buoni  i  colori  ad  acquarello,  che  mi  regalò  per  Natale  la  zia. 

—  E  penso  a  te  e  al  tuo  figliuolo,  che  si  chiamava  come  il  mio. 

—  Il  temperino  che  ha  fatto  la  punta  alla  matita,  era  affilato  di  fresco. 

—  Dunque  vi  sono  ancora 
Dei  poveri  bambini 

Che  van  scalzi  pel  mondo? 

—  Eccovi  i  danari  che  mi  avete  prestato.  i 

—  S'avvicinò  ai  bambini  che  leggevano  adagio  adagio. 

—  La  casa  che  io  abito  è  bella  e  soleggiata. 

—  I  piccoU  compagni  con  i  quali  gmoco  sempre,  non  vennero  ieri  alla  scuola. 

—  Quel  giovane  che  lo  amava  assai,  prese  le  sue  difese. 

TAVOLA  DI  CONFRONTO. 
Proposizione  princip/U,e  :  Proposizione  ATTRiBurrvA  : 

(L'elemento  a  cui  si    riferisce    la    proposizione  (Per  darle   un  senso  occorre  unirla  alIVlemonto 

attributiva  è  scritto  in  corsivo).  dolla  principale  a  cui  si  riferisce). 

L'anello  d'oro  era  della  signora  Giulia.  che  trovaste  ieri  per  le  scale. 

L'womo  era  il  buon  Giuseppe.  che  mi  ha  accompagnato  alla  scuola. 

Egli  amava  quel  suo  cavallino.  che  gli  obbediva  così  bene. 

Sono  molto  buoni  i  colori  ad  acquarello.  che  mi  regalò  per  Natale  la  zia. 

E  penso  a  te  e  al  tuo  figliuolo.  che  si  chiamava  come  il  mio. 

Il  temperino  era  affilato  di  fresco.  che  ha  fatto  la  punta  alla  matita. 

Dunque  vi  sono  ancora  dei  poveri  ham-  che  van  scalzi  pel  mondo. 

bini. 

Eccovi  i  denari.  che  mi  avete  prestato. 

S'avvicinò  ai  bambini.  che  leggevano  adagio  adagio. 

La  casa  è  bella  e  soleggiata.  che  io  abito. 


I  piccoH  compagni  non  vennero  ieri  alla      con  i  quali  gioco  sempre. 

scuola. 
Quel  giovane  prese  le  sue  difese.  che  lo  amava  assai. 

Serie  IIL  —  La  costmzione  del  periodo  è  di  forma  subordinata  — 
cioè  soltanto  la  proposizione  principale  ha  un  senso  compiuto  e  le  altre  lo 
acquistano  solo  messe  in  rapporto  alla  principale.  Le  proposizioni  subordi- 
nate di  questa  serie,  però,  non  si  riferiscono,  come  nell'altra,  a  «  una  parola» 
della  proposizione  principale,  della  quale  parola  completano  il  senso,  determi- 
nando un  attributo  di  essa  :  ma  invece  si  riferiscono  al  contenuto,  al  pensiero 
espresso  dalla  proposizione  principale,  e  di  quel  pensiero  completano  l'espres- 
sione. Sono  perciò  in  rapporto  logico  con  la  proposizione  principale.  Saranno 
le  domande  che  si  trovano  nella  Tabella  analitica,  che  (tranne  per  le  proposi- 


GRAMMATICA 


347 


zioni  principali)  guideranno  il  bambino  a  trovare  il  posto  delle  singole  propo- 
sizioni subordinate  ed  a  classificarle  secondo  i  termini  segnati  nel  casellario. 
Periodi  che  si  succedono  sulla  striscia  arrotolata  : 

—  Non  dimenticare,  Enrico,  di  scrivermi   una  lunga  lettera  appena  arrivato  colà. 

—  Via,  via  non  avete  detto  voi  stesso  che  bisogna  tenetlo  di  conto? 

—  Quando  Ambrogio  sentì  una  voce  conosciuta,  lasciò  andare  la  corda. 

—  Entrati  che  furono,  il  padre  Cristoforo  riaccostò  la  porta  adagio  adagio. 

—  Mentre  ella  partiva,  Renzo  susurrò  :  «non  m'avete  mai  detto  niente». 

—  Si  portò  la  cocca  del  grembiale  sugli  occhi  per  asciugarsi  le  lacrime  che  le  scen- 

devano abbondanti  sulle  guance. 

—  Chi  cerca  trova. 

—  Chi  tardi  arriva,  dice  il  proverbio,  male  alloggia. 

—  Chi  va  piano  va  sano,  dicono  gh  antichi. 

—  È  inutile  che  tu  ti  provi  a  consolarmi. 

—  E  s'allontanarono  dopo  aver  fatto  una  voce  a  Carmela  perchè  non  li  seguitasse. 

—  Io  faccio  voti  perchè  la  Camera  dei  deputati  accolga  la  domanda  dei  superstiti 

garibaldini. 

—  Ricordo  ora  che  devo  ringraziarti  del  favore  che  mi  facesti. 

TAVOLA  DI  CONFRONTO. 


Proposizione  princip.\le 
e  incidentali 

Non  dimenticare,  Enrico, 

Via  via,  non  avete  detto  voi  stesso 
Ambrogio  lasciò  andare  la  corda 
Il    padre    Cristoforo    riaccostò    la 

porta  adagio  adagio 
Renzo  susurrò 

Si    portò    la    cocca    del    grembiale 
sugli  occhi 


Trova 

Male  alloggia 

Dice  il  proverbio  (incidentale). 

Va  sano 

Dicono  gh  antichi  (incidentale). 

È  inutile 

E  s'allontanarono 

lo  faccio  voti 


Ricordo  ora 


Domanda: 


quandt)? 
che  cosa? 


chi  é  che- 
chi  e  che 


che  cosa? 

quando? 
per  qual  fin, 
per  qual  fin, 


SUBORDIN.'^TE    E    ATTRIBUTIVE: 

di    scrivermi  una  lunga  lettera 
appena  arrivato  colà, 
che  bisogna  tenerlo  di  conto? 
quando  sentì  una  voce  conosciuta. 

entrati  che  furono. 

non  m'avete  mai  detto  niente 

mentre  ella  partiva. 

per  asciugarsi   le   lagrime 

che  le  scendevano  abbondanti  sulle 

guance  (attributiva), 
chi  cerca, 
chi  tardi  arriva. 

chi  va  piano. 

che  tu  ti  provi  a  consolarmi. 

dopo  aver  fatto  una  voce  a  Carmela 

perchè  non  lì  seguitasse. 

perchè  la  Camera  dei  Deputati  ac- 
colga la  domanda  dei  superstiti 
garibaldini. 

che    devo    ringraziarti    del    favore 

che  mi  facesti  (attributiva). 


34» 


PARTE    SECONDA 


Serie  IV.    —    La   costruzione   del   periodo  è  di   forma   complessa,   cioè 
comprende  insieme  proposizioni  coordinate   e   proposizioni  subordinate  : 

—  Detto  questo  si  ritirò  e  chiuse  la  finestra. 

—  S'acquetò  e  disse:  lei  ne  sa  più  di  me. 

—  Egli  ti  farà  da  padre,   ti   guiderà,    ti    troverà   del    lavoro   per  fin  che  tu  possa 

tornare  a  viver  qui  tranquillamente. 

—  Una  delle  più  grandi  consolazioni  di  questa  vita  è  l'amicizia  ;  e  una  delle  con- 

solazioni dell'amicizia  è  quell'avere  una  persona  a  cui  confidare  un  segreto. 

—  Dove  ora  sorge   quel    bel    palazzo,   con   quell'alto   loggiato,  c'era  allora  e  c'era 

ancora  non  son  molt'anni,  una  piazzetta,  e  in  fondo  a  quella  la  chiesa  e  il 
convento  dei  cappuccini,  con  quattro  grand'olmi  davanti. 

—  Renzo  andò  diritto  alla  porta,  si  ripose  in  seno  il  mezzo  pane  che  gli  rimaneva, 

levò  fuori  e  tenne  preparata  in  mano  la  lettera  e  tirò  il  campanello. 

—  S'aprì  uno  sportellino  che  aveva  una  grata,  e  vi  comparve  la  faccia  del  padre 

portinaio  a  domandare  chi  era. 

—  Chi  va  piano  va  sano  e  va  lontano. 

—  Carmela  lo  guardò  fisso  negli  occhi  e  poi  abbassò  la  testa  e  lo  sguardo,  proprio 

come  se  pensasse. 

—  Si  voltò,  guardò  dietro  l'uscio  e  disse:  oh,  ci  sei! 

TAVOLA    DI    CONFRONTO. 


Proposizione  principale; 

Si  ritirò 

S'acquetò 

Egli  ti  farà  da  padre 


Una  delle  più  grandi 
consolazioni  di  questa 
vita  è  l'amicizia 

C'era  allora...  una  piaz- 
zetta 


Renzo  andò  diritto  alla 
porta 


S'apri    uno    sportelli 


Va  sano 

Carmela  lo  guardò .  fisso 

negli  occhi 
Si  voltò 


Proposizione  coordinata  ; 


e  chiuse  la  finestra 

e  disse 

ti  guiderà 

ti  troverà  del  lavoro 

e  una  delle  consolazioni 
dell'amicizia  è 


e  e  era   ancora 

e  in  fondo  a  quella 
(c'erano)  la  chiesa  e  il 
convento  dei  cappuc- 
cini con  quattro  gran- 
d'olmi  davanti 

—  si    ripose    in    seno    il 
mezzo  pane 

—  levò  fuori 

e  tenne   preparata  in 
mano  la  lettera 
e  tirò  il  campanello 

e  vi  comparve  la  faccia 
del  portinaio 

e  va  lontano 
e  poi  abbassò  la  testa  e 
lo  sguardo 

—  guardò  dietro   l'uscio 

—  e  disse 


quando? 

che  cosa? 

fino  a  quando? 


Proposizioni  subordinate 
E  attributive: 

detto  questo. 

lei  ne  sa  più  di  me. 

per  fin  che  tu  possa 
tornare  a  vivere  qui 
tranquillamente. 

quell'avere  una  persona 

a  cui  confidare  un  se- 
greto (attributiva). 

dove  ora  sorge  quel  bel 
palazzo  con  quell'alto 
loggiato. 

non  son  molt'anni. 


che  gh  rimaneva. 


che  aveva  una  grata  (at- 
tributiva) 
a  domandare 
chi  era. 


chi  va  piano, 
proprio    come 


GRAMMATICA 


349 


Serie  V.  —  La    costruzione  del  periodo  è  di   forma  correlativa  :  cioè  le 
proposizioni  sono  in  esso  dipendenti  l'una  dall'altra. 

—  Tanto  va  la  gatta  al  lardo,  che  vi  lascia  lo  zampino. 

—  Tanto  pregò,  che  l'ottenne. 

—  Corsi  tanto,  che  lo  raggiunsi. 

—  Tanto  gli  piacque,  che  lo  comperò,  anche  a  costo  di  un  sacrifizio. 

—  Ne  rimase  così  rattristato,  che  nessuno  riusciva  a  consolarlo. 

—  Tanto  più  si  studia,  quanto  più  si  è  incoraggiati  dal  successo. 

—  Io  studiai  tanto,  che  superai  felicemente  gh  esami. 

—  Lo  scompiglio  di  quella   notte   era   stato   tanto   clamoroso,  la  sparizione  di  tre 

persone  da  un  paesello  era  tale  avvenimento,  che   le  ricerche,   per  premura 
e  per  curiosità,  dovevano  naturalmente  essere  molte  e  Calde  e  insistenti. 

TAVOLA    DI    CONFRONTO. 


Principale  e  sue  coordinate: 

Tanto  va  la  gatta  al  lardo 
Tanto  pregò 
Corsi  tanto 
Tanto  gli  piacque 

Ne  rimase  così  rattristato 

Lo  scompiglio  di  quella  notte 
era  stato  tanto  clamoroso, 

la  sparizione  di  tre  persone  da  un 
paesello  era  un  tale  avveni- 
mento (coordinata) 

Quanto  più  si  è  incoraggiati  dal 
successo 

Io  studiai  tanto 


cuc  cosa  ne  consegue, 
che  cosa  ne  consegue? 


che  cosa  ne  consegue? 
malgrado  che  cosa? 


che  cosa  ne  consegue 
che  cosa  ne  consegue 


Subordinate  : 

che  ci  lascia  lo  zampino. 

che  l'ottenne. 

che  lo  raggiunsi. 

che  lo  comperò. 

anche  a  costo  di  sacrificio. 

che  nessuno  riusciva  a  consolarlo 

che  le  ricerche,  per  premura  e 
per  curiosità,  dovevano  natu- 
ralmente essere  molte  e  calde 
e  insistenti. 

tanto  più  si  studia. 

che  superai  felicemente  gli  esami. 


Collocazione  delle  proposizioni  nel  periodo  —  Versioni. 

Resta  molto  facile  col  nostro  materiale  far  comprendere  ai  bambini  la 
dipendenza  reciproca  delle  proposizioni  subordinate. 

Facciamo  i  casi  più  comuni,  eccepibili  allo  studio  dei  bambini  ;  ci  sono 
delle  proposizioni  subordinate  di  primo  grado,  allorché  esse  dipendono  diret- 
tamente dalla  proposizione  principale  ;  e  subordinate  di  secondo  grado, 
quando  dipendono  da  un'altra  subordinata  (subordinate  di  una  subordinata). 

Lo  stesso  si  dica  delle  coordinate:  anche  le  coordinate  possono  essere 
di  primo  grado,  allorché  sono  parallele  alla  proposizione  principale,  e  di 
secondo  grado,  invece,  quando  son  parallele  a  una  subordinata 


;,.S*'  PARTE    SF.CONDA 

Kblx'iie,  potendo  strappare  il  periodo  in  tante  striscie  quante  sono  le 
proposizioni,  si  dispongono  queste  sul  tavolino  in  ordine  di  subordinazione, 
ponendo,  per  esempio,  a  sinistra  la  principale  e  poi  via  via  verso  destra 
le  subordinato. 

Siano  le  frasi  : 

—  E  il  vecchio  raccontava  t-  prendeva   gusto   ad    esagerare  le  sue  storie  per  spa- 

ventare le  donne. 

—  Ero  un  monellaccio,    non    lo  nego,  ma  nessuno   badava  a  me,  se  non  per  mal- 

trattarmi. 

—  Anche  il  dottore,  \-isto  che  il  malato  non  peggiorava  e  non  migliorava,  diradò 

le  sue  \isite. 

Separate  le  proposizioni,  esse  si  collocano  su  una  tabella  che  ha  tre 
freccie  :  presso  la  prima  va  la  principale  ;  presso  la  seconda  le  subordinate 
di   1°  grado;  presso  la  terza  le  subordinate  di  2°  grado  come  nella  tab.  C. 

I  suddetti  periodi  andrebbero  divisi  come  segue  : 


Principale 

E    il    vecchio   raccontava 
e  prendeva  gusto 


grado 


a  esagerare   le  sue  storie 


Subordinata 


per  spaventare   le   donne. 


T.'^BELLA  e 


Renzo  disse  finalmente 


Ero  un   monellaccio, 
non  lo  nego  (incidentale) 
ma  nessuno  badava  a  me 

Anche  il  dottore  diradò  le 
sue  visite 


Subordinata 

dì 

i"  grado 


che  andava   da   don  Ab- 
bondio 


se  non  per  maltrattarmi. 


Subordinata 

di 

1"  ^rado 


prendere  i  concerti  per 
lo  sposalizio 


che  il  malato  non  peggio- 
rava 
e  non  migliorava. 


GRAMMATICA  35I 


Quando  i  bambini  fanno  l'analisi  logica  del  periodo  con  l'aiuto  della 
tabella  analitica,  le  proposizioni  che  restano  così  classificate,  possono  ripor- 
tarsi sulla  tabella  per  lo  studio  delle  dipendenze  reciproche  (tabella  C) 
per  disporle  secondo  le  posizioni  indicate  dalle  tre  frecce. 


Tutto  ciò  prepara  nel  bambino  l'intuizione  della  «  costruzione  del  pe- 
riodo »  cioè  della  «collocazione))  delle  sue  parti  (proposizioni). 

Il  materiale,  permettendo,  dopo  l'analisi,  le  dislocazioni,  gli  spostamenti 
delle  parti,  lascia,  come  si  è  veduto  per  la  proposizione,  rilevare  le  regole 
che  le  maestre  debbono  tener  presenti  ;  e  cioè  le  seguenti  : 

—  Le  subordinate  attributive  vanno  sempre  poste  dopo  il  nome  al  quale  portano 

una  nuova  determinazione  ; 

—  Le  subordinate  soggettive  possono  stare  prima  o  dopo  la,  principale; 

—  Le  subordinate  oggettive  vanno  dopo  la  principale  e  se  sono  anteposte,  vanno 

richiamate  con  un  pronome. 

—  Per  tutte  le  altre  subordinate  il  posto  dipende   dal  rilievo   che  si    vuol   dare  a 

ciascuna  di  esse. 

—  L'ordine  diretto  nel  periodo  è  una  costruzione   analoga   a   quella   della  proposi- 

zione in  ordine  diretto;  e  cioè: 

prima  la  proposizione  soggettiva, 
poi  la  principale, 
poi  la  proposizione  oggettiva 
e  di  seguito  le  altre  subordinate. 

Il  fenomeno  della  coordinazione  è  generale  e  si  verifica  tanto  per  la 
principale  come  per  le  subordinate.  " 

Gli  esercizii  speciali  relativi  a  questo  studio  consistono  infine  nel  met- 
tere in  ordine  diretto  i  periodi  di  alcune  facili  poesie. 

Serie  VI.  —  Versioni  da  eseguirsi  sulla  tabella,  con  la  striscia: 

I.    Pria  di  lasciar  la  sponda  Imita  il    buon   nocchiero   pria    di  la- 

II  buon  nocchiero  imita  ;  sciar  la  sponda  ;  vedi  se  l'onda  è  in  calma. 

Vedi  se  in  calma  è  l'onda,  guarda  se  il  dì  è  chiaro. 
Guarda  se  chiaro  è  il  dì. 

Voce  dal  sen  fuggita  Più  non  vale  richiamar  voce  fuggita 

Più  richiamar  non  vale  ;  dal  sen.  Non  si  tratrien  lo  strale  quando 

Non  si  trattien  lo  strale  uscì  dall'arco. 
Quando  dall'arco  uscì. 

(Metastasio). 


352 


PARTE    SECONDA 


2.  Do\-unquc  il  guardo  io  giro. 
Immenso  Dio.  ti  vedo: 
Nell'opre  tue  tammiro, 

Ti  riconosco  in  me. 

La  terra,  il  mar,  le  sfere 
Parlan  del  tuo  potere; 
Tu  sci  per  tutto,  e  noi 
Tutti  viviamo  in  te. 

(Metast.\sio). 

3.  Cade  la  sera:  l'umile 
famiglia  si  riposa: 

si  avvolge  nel  silenzio 
ogni  mortale  cosa. 

Discendi,  o  Padre,  e  visita 
La  terra  che  si  tace: 
Manda,  o  Signor  degli  umili, 
A  tutti  la  tua  pace. 

(Giulio  Gargano). 

4.  Biancheggia  in  mar  lo  scoglio; 
Par  che  vacilli,  e  pare 

Che  lo  sommerga  il  mare 
Fatto  maggior  di  sé. 

Ma  dura  a  tanto  orgoglio 
Quel  combattuto  sasso; 
E  il  mar  tranquillo  e  basso 
Poi  gli  lambisce  il  pie. 

(Metastasio). 

5.  Nell'ora  che  roseo  il  cielo  raggiorna. 
L'artiere  sollecito  all'opra  ritorna: 

Il  mantice  soffia:  l'incude  sonora 
A'  torpidi  annunzia  ch'è  sorta  l'aurora. 
Compagni,  spontanei  voliamo  al  lavoro: 
Il  tempo  precipita,  il  tempo  è  tesoro. 
(Giacomo  Zanella). 

6.  Una  goccia,  o  nuvoletta! 
Sitibondo  un  fior  gridò, 

—  Or  non  posso,  ho  troppa  fretta  — 
Gli  rispose  e  via  passò. 

Chino  al  suol  che  umor  gli  nega, 

Il  meschino  inaridì. 

Al  mendico  che  ti  prega 

Non  risponder  mai  così  ! 

(Giuseppe  Capparozzo). 


Ti  vedo,  immenso  Dio,  dovunque  ii 
giro  il  guardo;  t'ammiro  nell'opre  tue 
ti  riconosco  in  me. 


La  terra,  il  mar,  le  sfere  parlan  del 
tuo  potere;  tu  sei  per  tutto,  e  tutti  noj 
viviamo  in  te. 


La  sera  cade;  l'umile  famiglia  si  ri- 
posa; ogni  cosa  mortale  si  avvolge  nel 
silenzio. 

Discendi,  o  Padre,  e  visita  la  terra  che 
si  tace;  manda  la  tua  pace  a  tutti,  o  Si- 
gnor degli  umili. 


Lo  scoglio  bianche.Eigia  in  mar;  par 
che  vacilli  :  e  pare  che  il  mare,  fatto 
maggiore  di  sé.  lo  sommerga. 

Ma  quel  combattuto  sasso  dura  a 
tanto  orgoglio,  e  poi  il  mar  tranquillo  e 
basso  gli  lambisce  il  pie. 


L'artiere  sollecito  ritorna  all'opra  nel- 
l'ora che  il  cielo  roseo  raggiorna  ;  il  man- 
tice soffia,  l'incude  sonora  annunzia  ai 
torpidi  che  l'aurora  è  sorta.  Compagni, 
voliamo  spontanei  al  lavoro;  il  tempo 
precipita,  il  tempo  è  tesoro. 


Un  fior  sitibondo  gridò:  Una  goccia 
o  nuvoletta  !  Gli  rispose  :  —  Or  non  posso, 
ho  troppa  fretta.   E  passò  via. 

Il  meschino  inaridì  chino  al  suol  che 
gli  nega  umor.  Non  risponder  mai  così 
al  mendico  che  ti  prega! 


GRAMMATICA 


353 


7.  Quell'onda  che  ruina 
Dalla  pendice  alpina. 
Balza,  si  frange  e  mormora 
Ma  limpida  si  fa. 

Altra  riposa,  è  vero. 
In  cupo  fondo  ombroso, 
Ma  perde  in  quel  riposo 
Tutta  la  sua  beltà. 

(Metastasio). 

8.  Sorge,  appena  il  sole  è  nato, 
L'operosa  artigianella, 

E  rallegra  il  vicinato 
Col  suo  canto  niÀttinier. 

Poi,  seduta  alla  finestra, 
Cresce  i  punti  al  suo  lavoro, 
E  alternando  va  con  loro 
I  suoi  semplici  pensier. 

O  fanciulla,  hai  ben  ragione 
Se  il  tuo  spirto  è  così  gaio  : 
Sei  felice  al  tuo  telaio, 
Ricca  sei  del  tuo  lavor. 

(Antonio  Peretti). 


Quell'onda  che  ruina  dalla  pendice 
alpina,  balza,  si  frange  e  mormora,  ma 
si  fa  limpida. 

Altra  riposa  in  cupo  fondo  ombroso, 
è  vero,  ma  perde  tutta  la  sua  beltà  in 
quel  riposo. 


L'operosa  artigianella  sorge  appena 
il  sole  è  nato  e  rallegra  il  vicinato  col 
suo  canto  mattinier. 

Poi  cresce  i  punti  al  suo  lavoro,  se- 
duta alla  finestra,  e  va  alternando  i  suoi 
semplici  pensier  con  loro. 

O  fanciulla,  hai  ben  ragione  se  il  tuo 
spirto  è  gaio  così  :  sei  felice  al  tuo  telaio, 
sei  ricca  del  tuo  lavor. 


TAVOLA  DI  CONFRONTO. 


1.  Imita  il  buon  nocchiero 
Pria  di  lasciar  la  sponda. 
Vedi... 

...se  in  calma  è  l'onda. 
Guarda... 

...se  chiaro  è  il  dì. 

2.  Ti  vedo  immenso  Dio 
Dovunque  il  guardo  io  giro, 
T'ammiro  nell'opre  tue, 

Ti  riconosco  in  me. 

La  terra,  il  mar,  le  sfere 

Parlan  del  tuo  potere. 

Tu  sei  per  tutto 

E  noi  tutti  viviamo  in  te. 

3.  Cade  la  sera. 

L'umile  famiglia  si  riposa, 
Si  avvolge  nel  silenzio 
Ogni  mortale  cosa. 


principale 

subm-dinaia  di  tempo 
coordinata  alla  principale 
subordinata  oggettiva 
coordinata  alla  principale 
subordinata  oggettiva 

principale 
subordinata  di  luogo 

I     coordinate  alla  principale 

ì    principale 

^     coordinate  alla  principale 

principale 

coordinata  alla  principale 

^     coordinala  alla  principale 


^ 


354 


PARTE   SECONDA 


Discendi  o  Padre 
E  visit;^  la  terra... 

...che  si  tace. 
Manda,  o  Signor  degli  umili, 
A  tutti  la  tua  pace. 


principale 

coordinata  alta  principale 

subordinata  attributiva  di 

coordinata  alla  principale 


4.    Biancheggia  in  mar  lo  scoglio. 
Par... 

...che  vacilli... 

...e  pare 
Che  lo  sommerga  il  mare 
Fatto  maggior  di  sé. 

Ma  dura  a  tanto  orgoglio 
Quel  combattuto  sasso 
E  il  mar  tranquillo  e  basso 
Poi  gli  lambisce  il  pie. 


principale 

coordinata  alla  principale 
sttbordinata  oggettiva 
coordinata  alla  principale 
subordinata  oggettiva 
subordinata  attributiva  di  «  mare 

t    principale 

i     coordinata  alla  principale 


5.   L'artiere  sollecito  all'opra  ritorna 
Nell'ora... 

...che  roseo  il  cielo  raggiorna, 
Il  mantice  soffia, 
l'incude  sonora 
Ai  torpidi  annunzia... 

...ch'è  sorta  l'aurora. 
Compagni,  spontanei... 

...voliamo  al  lavoro, 
Il  tempo  precipita, 
il  tempo  è  tesoro. 


principale 

secondaria  attributiva  di  «  ora  » 

coordinate  alla  principale 

subordinata  oggettiva 
I    principale 

ì     coordinale  alla  principale 


6.   Sitibondo  un  fior  gridò: 
Una  goccia,  o  nuvoletta  ! 
Gli  rispose: 
Or  non  posso, 
ho  troppo  fretta, 
E  via  passò. 

Il   meschino  inaridì  chino  al  suol 
Che  umor  gli  nega. 
Non  risponder  mai  così  al  mendico 
che  ti  prega. 


principale 

subordinata  oggettiva 

principale 

subordinata  oggettiva 

coordinata  alla  subordinata  oggettiva 

coordinata  alla  principale 

principale 

secondaria  attributiva  di  «  suol  « 

principale 

secondaria  attributiva  di  «  mendico  » 


7.    Quell'onda  balza,  si  frange  e  mormora 
Che  ruina  dalla  pendice  alpina 
.Ma  limpida  si  fa. 
Altra  riposa  in  cupo  fondo  ombroso, 

è  vero. 
Ma  perde  in   quel  riposo  tutta  la  sua 

beltà. 


principale  composta 
secondaria  attributiva  di  «  onda 
coordinata  alla  principale 
principale 

incidentale 

coordinata  alla  principale 


GRAMMATICA  355 

L'operosa   artigianella  sorge  principale 

appena  il  sole  è  nato  subordinata  di  tempo 

E  rallegra  il    vicinato   col   suo  canto 

inattinier.  coordinata  alla  principale 

Poi  cresce  i  punti  al  suo  lavoro  principale 

seduta  alla  finestra  subordinata  di    «  modo  " 

E  alternando  va  con  loro  i  suoi  sem- 
plici pensier.  coordinata  alla  principale 

O  fanciulla  hai  ben  ragione  principale 

Se  il  tuo  spirto  è  così  gaio  subordinata  oggettiva 

Sei  felice  al  tuo  telaio  \  ,.  „         ... 

r,.  •   j  1  i       1  (  coordinate  alla  principale 

Ricca  sei  del  tuo  lavor.  )  '  ^ 


Congiunzioni  coordinanti  e  subordinanti. 

Lo  studio  del  periodo  così  condotto,  permette  la  comprensione  più  chiara 
dell'uso  di  alcune  parti  grammaticali,  come  la  congiunzione. 

Le  congiunzioni,  nel  loro  valore  e  nella  loro  fondamentale  distinzione 
in  coordinanti  e  subordinanti  secondochè  uniscono  proposizioni  per  coordi- 
nazione o  subordinazione,  vengono  facilmente  capite.  I  seguenti  quadri  ser- 
vono a  rappresentare  la  generalità  dei  casi. 

I  fanciulli  sono  così  preparati  ad  analizzare  in  seguito  i  periodi  com- 
plessi dei  comandi  e  delle  letture  che  sono  già  loro  familiari  (vedi  capi- 
tolo Lettura). 


Quadro  delle  congiunzioni  nella  forma  coordinata.        ^ 

disgiuntive  :  o,  ovvero,  ossia,  piuttosto 

copulative    :  e,  anche,  pure,  inoltre,  ancora 

Congiunzioni    '   avversative  :  ma,  però,  tuttavia,  pure,  anzi,  invece 

coordinanti     ^   dichiarative:  cioè,  vale  a  dire 

asseverative:  infatti,  veramente 

consecutive  :  dunque,  perciò,  così. 

Le   proposizioni    principali  e  le   coordinate   alle   principali   possono  cominciare 
con  una  di  queste  congiunzioni. 


PARTI-    SECONDA 


Tabklla  D 

Ql' APRO  CHK  RAPPRFSKNTA  L'I'SO  DiaLK  CONGIUNZIONI  NKL  COSTRUTTO  SUBORDINATO 


-»r^>ìr -^ -=T -»r -s: -s; -s; -s: -s: -s; -^ -^ -^ -^ ' 


;OPOSIZlONE  PRINCIPALE 


Proposizioni  incidentali 


)nc  siiburdinata   attribiitiv; 

hr,   il  quale,   nii... 


Proposizione  subordinata  soggettiva 
che 


Proposizione  subordinata  temporale 

quando,  allorché,  appena, 
finché  dopoché,  tnentre,  prima  che... 


Proposizioni  subordinate  finali 

affinchè,  acciocché,  onde, 
perchè... 


Proposizioni  subordinate  di  modo 
e  di  comparazione 

come,  più  che,  meno  che,  che  non, 
di  quello  che... 


Proposizione  subordinata  concessiva 

benché,  quantunque,  sebbene, 

nonostante  che, 

ancorché,  per  quanto... 


Proposizione  subordinata  oggettiva 
che 


Proposizioni  subordinate  locali 
dove,  donde,  dovunque... 


Proposizioni  subordinate  causali 

che,  perchè,  poiché,  giacché, 
siccome... 


Proposizioni  subordinate  condizionali 

se,  qualora,  purché, 
a  patto  che... 


Proposizione  subordinata  consecutiva 
e  correlativa 


così  che,  di  modo  che,  tanto  che. 


GRAMMATICA  357 


Accordo  dei  tempi  e  dei  modi  verbali. 

Una  serie  speciale  di  esercizi  sulla  dipendenza  delle  subordinate  alla 
principale,  illustrerebbe  il  comportarsi  in  esse  reciproco  del  verbo;  e  servi- 
rebbe a  far  rilevare  come  cambiando  il  tempo  della  voce  verbale  nella  prin- 
cipale, debba  esser  corrispondentemente  cambiato  quello  della  voce  verbale 
della  subordinata. 

Serie  VII.  —  Accordo  dei  tempi  e  dei  modi  verbali  nelle  parti  del  pe- 
riodo : 


Ti  scrivo  perchè  devo       darti  delle  notizie  assai  importanti. 
»    scrissi         »       dovevo       »         »  »  »  « 

Non  vengo  perchè  ho         da  fare  i  compiti. 
»     venni         u       avevo    »       »      »         » 

Ti  lodo    perchè  hai  lavorato  bene. 
»    lodai         >)       lavorasti  » 

Anche  da  lontano  ti  seguirò  perchè  il  tuo  lavoro  m'interessa. 
»         »  »         »   seguii  »         »      »  »         »  interessava. 

Te  lo  dirò   poiché  tu  lo  vuoi. 
»     »    dissi         »         »     »  volevi. 

Egli  non  risponde  perchè  la  tua  lettera     è     troppo  imperiosa. 
»        »     rispose  »         ->      »  »       era         >>  >. 


Desidero       che  impari        a  leggere  e  a  scrivere  bene. 
Desideravo     »     imparassi  »         »        »   »         »  » 

10  sarò  orgoglioso  che  tu  cresca       appassionato  allo  studio. 
»    ero  »  »       ))   crescessi  »  >  » 

11  babbo  ti  prega       che  cambi  contegno. 
»        »        »  pregava     »     cambiassi  « 

Credo       che  solamente  i  ricchi  possano       essere  felici. 
Credevo     «  «  »       »       potessero        d  » 

Non  voglio  che  i  miei  libri  vadano        in  giro  inutilmente. 
»     volli         «     «      »         Il      andassero     »       »  » 

Cerco    che  quel  povero  figliolo  ritorni         alle  sue  prime  abitudini 
Cercai     t         »  »  n        ritornasse     »        »         »  « 


'^•jS  PARTE    SECONDA 


Io  ti  dico      che  lo  farò. 

«     ■'    dicevo    »     "    avrei  fatto. 

Ti  prometto  che  non  dirò  più  butjio. 

•    promisi        »       "    avrei  detto    « 

Penso       che  non  tornerai  tanto  presto. 

Pensavo    »       »     saresti   tornato        "  » 

Lo  sai         che  il  tuo  babbo  andrà  lontano  lontano. 

•'     sapevi     «      »      "  n       sarebbe  andato        »  " 

Ti  assicuro   che  lo  custodirò  gelosamente. 

"    assicurai    "      »    avrei  custodito  » 

Ti  ripeto    che  non  dovrai  pentirtene. 

»    ripetei     »         »     avresti  dovuto  » 


Leggerò    anche  questo  libro  se  potrò. 
Leggerci         »  »  »        »    potessi. 

Verrò  prima  se  potrò. 

Sarei  venuta         »        »    avessi  potuto. 

Ti  presto        volentieri  il  mio  se  ti  starà    bene. 
»    presterei  »         »      »      »    »    stesse      » 

Te  lo  finisco  io  se  non  ti  dispiace. 
»    »    finirei    »    »      »     »    dispiacesse. 

Continuerò    a  lavorare  se  non  sarò     troppo  stanca. 
Continuerei   «         »  »      »     fossi        »  » 

Te  lo  regalo        se  tu  lo  desideri. 
"    »    regalerei     »    »    »    desiderassi. 


GRAMMATICA 


LA    PUNTEGGIATURA 


La  dislocazione  della  proposizione  e  del  periodo,  così  come  è  material- 
mente possibile  con  i  nostri  mezzi,  permette  la  chiara  intelligenza  delle  pause 
e  dell'uso,  quindi,  dei  segni  di  sospensione.  Questi  segni  sono  anche  negli 
alfabetarii. 

Perciò  tutti  gli  esercizi  fin  qui  enumerati,  sono  eseguiti  dando  spon- 
tanea attenzione  alla  punteggiatura. 

Tuttavia  sono  preparate  delle  serie  di  frasi  da  analizzare,  che  illustrano 
le  principali  regole  dell'uso  dei  segni  d'interpunzione. 

Queste  frasi  (proposizioni  e  periodi)  sono  quasi  tutte  tolte  dal  Manzoni 
poiché  il  Manzoni  curò  più  di  ogni  altro  scrittore  la   punteggiatura. 

Serie  I.  —  La  virgola  separa  gli  elementi  coordinali. 

—  Don  .\bbondio  andò,  tornò  di  lì  a  un  mon-'ento,  col  breviario  sotto  il  braccio, 

col  cappello  in  capo,  e  col  suo  bordone  in  mano. 

—  Così  detto  e  pensato,  ritirò  il  lume,  si  mosse,  uscì  dalla  camera,  e  chiuse  l'uscio 

a  chiave. 

—  .\llora  incrociò  le  braccia  sul  petto,  mise  un  sospiro,  abbassò  gli  occhi  sull'acqua 

che  gli  scorreva  ai  piedi,  e  pensò. 

—  j  uel  volto,  quelle  parole,  quell'atto,  gli  avevan  dato  la  vita. 

—  Sentì  allora  un  bisogno  prepotente  di  vedere  altri  visi,  di   sentire   altre  parole 

d'esser  trattata  diversamente. 

—  Le   frasi,  le  parole,  le  virgole  di  quel  foglio  sciagurato  passavano  e  ripa-^savano 

nella  sua  memoria. 

Serie  IL  —  La  virgola  racchiude  i  vocativi  e  le  proposizioni  incidentali. 

—  Tu,  Renzo,  procura  di  venirci. 

—  Coteste,  mi  scusi,  sono  di  quelle  sue  solite  chiacchiere  che  non  concludon  nulla. 

—  Cugino,  quanto  pagate  questa  scommessa? 

—  Dopo  aver  camminato  un  pezzo,  si  può  dire,  alla  ventura,  vide  che  da  se  non 

ne  poteva  uscire. 

—  Che  ne  dite.  Perpetua  ? 

—  In  una  Milano,  bisogna  dirla,  c'è  ancora  del  tim^     di  Dio... 


j6o  PARTE    SI- CON  DA 

Serie  111.  —  La  virgola  stacca  le  proposizioni  specialmente  quando  gli 
elementi  dell'una  potrebbero  sembrare  appartenenti  all'altra  e  quando  l'una 
si  trova  incastrata  tra  gli  clementi  essenziali  dell'altra. 

—  Andò  addirittura,  secondo  che  aveva  disegnato,  alla  casetta  d'un  certo  Tonio, 

ch'era  lì  poco  distante. 

—  Altri,  passando  davanti  all'uscio,  rallentavano  il  passo. 

—  Don  Rodrigo,  come  abbiam  detto,  misurava  innanzi  e  indietro,  a  pa*si  luiii^lii, 

quella  sala. 

—  I  servitori,  attirati  già  dal  rumore  sulla  porta,   guardavano  sgomentati  lungo 

la  strada,  dalla  parte  donde  il  rumore  veniva  avvicinandosi. 

—  L'innominato,  sciogliendosi  da  quell'abbraccio,  si  coprì  di  nuovo  gli  occhi  con 

una  mano. 

—  Quando  Fra  Cristoforo  tacque,  s'alzò,  per  tutta  la  sala,  un  mormoiio  di    pietà 

e  di  rispetto. 

Serie  IV.  —  La  virgola  segna  una  pausa  dove  è  sottintesa  una  parola 
(talvolta  la  sospensione  si  fa  più  lunga  con  i  due  punti  o  il  punto  e  virgola). 

—  Nondimeno,  confidenza  in  Dio! 

—  Bene:  un  bicchier  di  vino,  e  il  mio  solito  boccone,  subito! 

—  Basta  :  quel  che   Dio  vuole. 

—  A  Pescarenico,  subito!  a  sapere,  a  vedere,  a  trovare... 

—  0  Un  po'  per  uno,  tormento  che  sei  »  disse  il  marito  «  abbondanza,  abbondanza  ". 

—  "Di  grazia»  diceva  anche  lui,  «signori  miei,  un  po' di  luogo,    un  pochino;  ap- 

pena appena  da  poter  passare  ». 

(V.  anche  la  serie  delle  proposizioni  ellittiche). 

Serie  V.  —  //  punto  e  virgola  segna  una  sospensione  più  forte  tra  le 
proposizioni. 

In  alcuni  casi  speciali  si  adoperano  i  due  punti.  Altri  segni  di  punteg- 
giatura. 

—  "  Dite  pure  tutto  quello  che  pensate»,  disse  il  Cardinale:  «  parlate  liberamente». 

—  <■  No,  signore,  no,  signore»,  di>se  subito  Agnese  :  «non  ho  parlato  per  questo...  ». 

—  Agnese  e  Lucia  sentirono  un  ronzio  crescente   nella   strada  ;  mentre  pensavano 

cosa  potesse  essere,  videro  l'uscio  spalancarsi,  e   comparire   il  porporato  col 
parroco. 

—  "  Povera  giovine  »,  cominciò  :  «  Dio   ha  permesso  che  foste   messa   a  una  gran 

prova:  ma  v'ha  anche  fatto  vedere  che  non  aveva  levato   l'occhio  da  voi, 
che  non  v'ha  dimenticata...». 

—  Prima  di  tutto  aiKJcremo  in  istrada;  e  là  sentiremo  e  vedremo  cosa   convenga 

di  fare. 

—  Cammina,  cammina;  trova   cascine,  trova   villaggi,  tira   innanzi   senza   doman- 

darne il  nome;  è  certo   d'allontanarsi  da    Milano,   spera  d'andar  verso  Ber- 
gamo; questo  gli  basta  per  ora. 

—  Riposarono  parte  della  notte  in  un'osteria,  secondo  il  solito;  ripartirono  innanzi 

giorno;  e  arrivarono  di  buon'ora  a  Pescarenico. 


GRAMMATICA  361 

—  «L'ho  detto:  e  quando  si  tratta  d'un  affare  serio,  vi  farò  vedere  che  non  sono 

un  ragazzo  ». 

—  e  Largo,  largo,  signori,  in  cortesia  ;  lascin  passare'  un  povero  padre  di  famiglia; 

che  porta  da  mangiare  a  cinque  figlioli  ». 

—  Il  ragazzetto  diventa  rosso,  pallido,  trema,    vorrebbe   dire:   lasciatemi    andare; 

ma  la  parola  gli  muore  in  bocca  ;  allenta  le  braccia  e  cerca  di  farle  liberare 
in  fretta  dalle  cinghie. 

—  Salì  in  soffitta;  da  un   pertugio,   guardò   ansiosamente   nella  strada,  e  la   vide 

piena  zeppa  di  furibondi  ;  sentì  le  voci  che  chiedevano  la  sua  morte  ;  e  più 
smarrito  che  mai,  si  ritirò,  e  andò  a  cercare  il  più  sicuro  e  riposto  nascon- 
diglio. 

—  Lo  sogguardava,  avrebbe  voluto  attaccare  un  discorso  amichevole  ;  ma,  —  cosa 

devo  dirgli  ?  —  pensava  :  —  devo  dirgli  ancora  :  mi  rallegro  ?  Mi  rallegro 
di  che? 

Serie  VL  —  //  punto,  il  punto  interrogativo,  il  punto  esclamativo  e  gli 
altri  segni. 

A  questa  serie  dovrebbero  appartenere  dialoghi,  racconti  vivaci,  espres- 
sioni di  stati  di  sentimento  resi  al  vivo. 

E  questi,  come  anche  i  piccoli  brani,  debbono  esser  tratti  dai  nostri 
maggiori  autori  che  hanno  emerso  per  la  naturalezza  e  vivacità  dell'espres- 
sione e  per  l'uso  di  una  sicura  tecnica  ortografica. 

Noi  ci  varremo  dell'ultima  serie  delle  letture  per  l'interpetrazione,  con 
l'uso  della  quale  precisamente  questo  esercizio  coincide. 


,Vl2  PARTr    SECONDA 


LE    CLASSIFICAZIONI 


Da  t\itto  il  lavoro  seguito  (in  qui,  i  bambini  sono  venuti  a  fissare  prati- 
camente un  gran  materiale  di  parole  della  lingua  italiana  {hitti  gli  articoli, 
preposizioni,  avverbi,  pronomi,  congiunzioni,  interiezioni;  molti  nomi,  agget- 
tivi, verbi  che  aumenteranno  con  l'allargarsi  ulteriore  della  cultura)  —  nel 
suo  uso  e  nel  suo  ingranaggio  nel  discorso. 

Può  quindi  seguire,  a  questo  punto,  un  lavoro  riflesso  di  classificazione 
di  queste  parole  che  i  bambini  trovano  materialmente  scritte  e  distinte  nei 
biglietti  diversamente  colorati.  Questa  «  classificazione  »  si  fa  sulla  guida  di 
tavole  separate. 

La  «  classificazione  »  segna  la  preparazione  ad  uno  studio  teorico  della 
lingua  che  dovrà  svolgersi  nei  corsi  ulteriori,  cioè  in  un  secondo  periodo 
d'istruzione. 


Classificazione  delle  parole  secondo  la  loro  formazione. 


,    prnnitive 
Parole       derivate  (i) 
'  composte  (2). 


(i)  Nelle  derivate  si  comprendono  anche  le  alterate.  La  derivazione  si  fa  con  i  suffissi. 

.     accrescitiva  (sino  al  superlativo) 

,        ,.         .      .  )    diminutiva 

Le  alterazioni  sono   \  .  ^. 

ì    vezzeggiativa 

'    peggiorativa. 

(2)  Nelle  composte  si  comprendono  tutte  le  formazioni  con  i  prefissi   e  per  l'unione 
di  due  parole. 


GRAMMATICA 


363 


Classificazione  delle  parole  secondo  la  loro  variazione 
per:  genere,  numero,  persona;  modo,  tempo. 


preposizione 

.  ,  .,.  \    avverbio 
Invariabili  , 

I    congiunzione 

interiezione 


Sono  semplici  o  composte,  cioè  for- 
mate di  una  o  di  più  parole. 


Variabili 


articolo 


nel   genere  e   nel 
numero 


nel    genere,     nu 
mero,  persona 


nel  numero,  per- 
sona ,  modi  e 
tempi 


aggettivo 


verbo 


Leggi  generali  della  fle^siovc  nel  ge- 
nere : 

la  desinenza  del  maschile  cambia  in 
a  al  femminile  o  ha  un'alterazione 
più  profonda. 

Flessione  nel  numero: 
maschile    desinenza  al  sing.  0  plur.  i 
femminile  »  »      »     «     »     <^ 

masch.  femm.     »  "      »     e     »     i 

nel    genere  e   nel    numero  segue   le 

regole  generali  della  flessione. 
I  personali  hanno  voci  proprie. 

I  tre  tipi  di  coniugazione: 

I»  l'infinito  termina  in  are 
Ilo  l'infinito  termina  in  ere 
HI"  l'infinito  termina  in  ire. 

Forme  irregolari 


Classificazione  delle  parole  secondo  l'uso 
(parti  del  discorso). 


articolo 

nome 

aggettivo 


verbo 

avverbio 

preposizione 


pronome 

congiunzione 

interiezione. 


N.B.  —  Nell'uso,  le  parti  del  discorso  non  esercitano  solo  il  loro  ufficio,  ma  può 
'una  prestarsi  all'ufficio  dell'altra:  cosi  può  far  da  nome;  l'aggettivo,  il  verbo,  l'av- 
l'erbio,  la  congiunzione,  ecc.  —  può  far  da  aggettivo  il  participio  passato  e  presente  del 
i-erbo,  ecc. 


.ìt>4  PARTE   SECONDA 


Il  nome  è  : 


Il  nome. 


proprio  —  comune 
concreto  —  astratto 
collettivo   —  individua 


L'articolo. 


Gli  articoli  (i)  sono. 


//,     determinativo 
un,     indeterminativo. 


quantitativo 


L'aggettivo: 


qualificativo:  proprietà  e  qualità  delle  co.se  e  degli  esseri  viventi 

I   cardinale:  uno,  due,  tre,  quattro,  ecc. 
determinativo     ]  "moltiplicativo:   doppio,    triplo,   quadru- 
(numerale)        j      P^O'  ecc. 

I  frazionario  :  mezzo 

'  alcuno,    alquanto,     tanto,     altrettanto, 

\      quanto,  molto,  poco,  del,  qualche,  pa- 

indeterminativo  |      recchio,    assai,    ogni,    tutto,    ninno, 

nessuno,  punto,  ciascuno,  qualunque, 

certo,  altro,  troppo 


dimostrativo  (posizione  nello  spazio) 


questo,  cotesto,  quello,  tale,  cotale,  quale, 
altro,  stesso,  medesimo 


(i)  Nell'accordo  col  nome,  questi  articoli  diventano: 


Il    lo    la 
i     gli   le 


GRAMMATICA 


363 


ordinativo     (posizione 
reciproca) 


primo,  secondo,  terzo,  ecc. 
ultimo,  penultimo 


possessivo 
(appartenenza) 


mio,  tuo,  suo 


proprio,  altrui 


Il  verbo 


Ìesistcn,-:?.  :  essere 
modo  dell'esistenza:  predicato  nominale  (es.  :  è  bello) 
azione  :  predicato  verbale  (es.  :  corro) 


Transitivo:  l'azione  ri- 
cade sull'ambiente 
esterno 


abbassare,  alzare,  aggiungere,  menomare,  avvicinare,  al- 
lontanare, allungare,  allargare,  comprimere,  trarre,  mi- 
surare, numerare,  ripartire,  eguagliare,  pesare,  tempe- 
rare, liquefare,  condensare,  sciogliere,  tagliare,  rompere, 
accendere,  elettrizzare,  magnetizzare,  piegare,  pulire, 
pungere,  ficcare,  legare,  rinfrescare,  illuminare,  afflig- 
gere, desiderare,  aiutare,  ricusare,  amare,  aspettare,  as- 
salire, scorgere,  biasimare,  schernire,  curare,  montare, 
guardare,  domandare,  persuadere,  sentire,  imparare, 
cercare,  chiamare,  colpire,  difendere,  dire,  dominare, 
educare,  scegliere,  liberare,  accaparrare,  dare,  toccare, 
vestire,  sortire,  nascondere,  rapire,  ecc.,  ecc. 


1  nascere,   crescere,   morire,   divenire,    spuntare,   sbocciare, 
scoppiare,  fiorire,  respirare,   radicare,   soffocare,  impaz- 
zire, languire,  essiccare,  dimagrare,  ammalare,  piangere, 
latrare,   cantare,    gridare,  stare,    rimanere,   esitare,  sof- 
resta  nel  soggetto     \       frire,  dormire,  tremare,  ballare,  ridere,  pugnare,  celiare, 
j       discorrere,  andare,  entrare,  venire,  correre,  volare,  pran- 
[       zare,  cenare,  vegliare,  parlare,  abbaiare,  mugghiare,  pen- 
\       sare,  meditare,  riflettere,  ragionare,  ecc.,  ecc. 


Impersonale:  manca 
soggetto 


lampeggia,    nevica,    piove,    grandina,    annotta,    albeggia, 
tuona,  pioviggina,  balena,  diluvia,  rumoreggia,  ecc.,  ecc. 

accade,  sembra,  pare,  avviene,  importa,  bisogna,  conviene, 
preme,  basta,  risulta,  ecc.  ecc. 


366 


PARTE   SECONDA 


L'avvkkbk). 


Avverbi 


di  maniera 


di  luogi 


di  tempo 


di  quanti 


piano,  di  passo,  di  corsa,  lentamente,  silenziosa- 
mente, rumorosamente,  rapidamente,  brusca- 
\  mente,  leggermente,  fortemente,  moderatamente, 
debolmente,  bene,  male,  così  così,  meglio,  peggio, 
carponi,  bocconi,  prono,  supino,  pian  piano,  al- 
trimenti, volentieri,  alla  peggio,  alla  meglio,  alla 
rinfusa,  così,  ecc. 

\  qui,  qua,    costì,    costà,    li,  là,  altrove,  su.  giù,  per 
I       di  qui,  per  di  là 

sempre,  mai.  ancora,  jeri,  jer  l'altro,  oggi,  do- 
I  mani,  poco  fa  ora.  or  ora,  adesso,  spesso,  subito, 
1  finalmente,  ormai,  eli  quando  in  quando,  tuttora, 
'       prima,  poi 


1    molto,  poco,  assai,   niente,  nulla,  più,  meno,  tanto, 
parecchio,  alquanto,   circa,    abbastanza,  quanto, 
'       oltremodo,  pochino,  solo,  solamente,  troppo 


di  comparazione  | 


più,  meno,  poco  più,  poco  meno,  molto  più,  molto 
meno,  tanto  quanto 


1   sì,  certo,   appunto,  sicuro,  senza  dubbio,  senz'altro, 
di  affermazione  <        veramente,  infatti,  sicuramente,  certamente,  ali- 


ene, anzi 


di  negazione 


\  no,  non  mai,  nemmeno,  neanche,  neppure,  nient'af- 
/       fatto,  per  nulla,  niente 


l  forse,     probabilmente, 
di  dubbio  >  ,  , 

I       soche 


mai,    per    caso,    pres- 


Preposi- 
zioni 


La  preposizioni-. 
semplici  I  di,  a,  da,  in,  con,  per,   tra 

Ì  accanto  a,  accosto  a,  dietro  di,  intorno  a,  in- 
sieme con,  di  qua  da,  di  là  da,  per  mezzo  di, 
sotto  a,  ecc. 


GRAMMATICA 


367 


Il  pronome: 


indicativi 


soggettivi 


complementari 


determinativi 


indeterminativi 


j  io,  tu,  egli,  ella,  noi,  voi,   loro,  esso,  essi 

\  mi,  ti,  si,  io,  la.  ci,  vi,  li,  le,  me,  te  se,  lui, 
(       lei,  gli,  loro 

1    questi,    costui,    colui,    co- 
i     di  persona  stei,   colei,   costoro,   co- 

'  f       loro,  altri,  altrui 

/      ,.  \  questo,     cotesto,     quello, 

I     di  cosa  ., 

/       ciò,  ne 

1  uno,  alcuno,  taluno,  certuno,  qualcuno, 
(  qualcheduno,  ognuno,  nessuno,  ciascuno, 
(       tutto,  niente,  nulla 


congiuntivi  e  relativi 


/  il  quale 

i  che 

1  chi 

J  cui 

I  onde 

,  chiunque 


La  congiunzioni;. 


Congiunzioni 


disgiuntive:  o,  ovvero,  ossia,  piuttosto 

copulative:  e,  anche,  pure,  inoltre,  ancora 

avversative:  ma,  però,  tuttavia,  pure,  anzi,  invece 

dichiarative:  cioè,  vale  a  dire 

relative:  che  \ 

asseverative:  infatti,  veramente 

consecutive:  dunque,  perciò,  così,  di  modo  che,  tanto  che 

temporali:  dacché,  dopoché,  finché,  mentre,  quando,  appena 

causali:  perchè,  poiché 

concessive:  benché,  quantunque,  sebbene 

condizionali:  se,  qualora,  purché 

finali:  affinchè,  acciocché 

locali:  dove,  donde,  dovunque 

comparative:  come 


Per  l'interiezione  vedi  la  tabella  a  pag.  333. 


ì 


Tavola   I.  —  Lettura  elei  cartellini   (pag.   267). 


■«4  ■■'^■ 


Tavola    II.  —  Scatoliere  grammaticale  :  articoli  e  nomi. 
La   figura   inoltra   come   i-  'praticamente  eseguito  l'esercizio   (pag.   277), 


Tavola  III.  —  Il  bambino  ha  eseguito  un  esercizio  di  flessione  dei  nomi  nel  genere  e  nel  numero; 
mentre  la  bambina  sta  facendo  un  esercizio  di  accordanza  tra  nome  e  articolo  (pag.  279  e  seg.). 


i 


Tavola   IV.  —  II  bambino  ha  eseguito  un  esercizio  di   flessione  dei  nomi  ('pag.   lyq  e  seg  ) 


^m.mm 


Favola   V.  —  Scatoliere   grammaticale:   articoli,   nomi   e  aggettivi, 
figura    mostra    come    è    praticamente    eseguito    l'esercizio  (pag    291). 


VI.  —  Scatoliere  grammaticale:  articoli,  nomi,  aggettivi,  verbi   (pag.   300). 


Tavola  VII.  —  Scatoliere  grammaticale:  articoli,  nomi,  aggfttti\'i,  verbi,  preposizioni.  Le  due  tavole 
(tavole  VII  e  Vili)  dimostrano  come  è  praticamente  eseguito  l'esercizio  per  il  quale  vengono  studiate 
con  gli  oggetti  le  relazioni  vicino  a,  accosto  a;  e  quindi  ricomposte  le  espressioni:  «  Metti  il  C( 
accosto  al  cubo  rosa  »    (pag.   307). 


Tavola   Vili.  —  «  Metti   il  cono  azzurro  vicino  al  cubo  rosa  »    (pag.'3o7). 


Tavola  IX.  —  Scatoliere  grammaticale:  articoli,  nomi,  aggettivi,  verbi,  preposizioni,  avverbi  (pag   312) 


Ta\oi.a  X.  —  Scatolieie  grammaticale  :  articolo,  nome,  aggettivo,  verbo,  preposizione,  avverbio, 
pronome.  La  figura  dimostra  il  primo  momento  dell'esercizio,  e  cior,  la  composizione  della  frase  che  era 
analizzata  nei  cartellini  :  «  Il  libro  scivolò  in  terra,  Emma  rimise  il  libro  snl  tavolo  »  (vedi  pag.  }2i  e.  seg.). 


Tavoi..\  XI.  —  Secondo  momento  dell'esercizio;  nella  frase  così  ricomposta  sui  si 
costituiscono  i  pronomi  ai  nomi,  levando  e  mettendo  dei  cartellini:  "  Il  libro  scivolò 
rimise  sul   tavolo  ■>   (pag.   321   e  seg  ). 


Tavola   XIII.  —  Casellario  grammaticale  : 
rticolo,   nome,   aggettivo,   \-erbo.   preposizione,   avverbio,   pronome,   congiunzione   (pag.    329 


Tavola   MV.   --   Scatoliere  grammaticale:   tutte  le   parti  del  discorso  (pag.    332). 


LETTURA 


LA    LETTURA 


PARTE  MECCANICA. 

Incomincia  la  lettura  nelle  «  Case  dei  Bambini  »  fin  dal  momento  in 
cui,   composta   una  parola  all'alfabetario  mobile,  i  bambini  la  «  rileggono  ». 

Benché  si  sia  detto  fin  d'allora  che  ciò  non  rappresenta  la  «  vera  lettura 
della  parola  «  poiché  vi  manca  l'interpetrazione  (infatti  i  bambini  conoscono 
già  la  parola,  avendola  essi  stessi  composta,  e  non  ne  hanno  la  rivelazione 
dal  solo  riconoscimento  dei  segni  grafici),  pure  anche  questa  parte  rappre- 
senta un  forte  contributo  alla  lettura.  Si  ricordino  tutti  i  particolari  di  questo 
periodo  dello  sviluppo  del  linguaggio  grafico:  il  suo  meccanismo  è  stretta- 
niente  collegato  con  quello  del  linguaggio  articolato. 

Quando  l'attenzione  del  bambino  è  vivamente  portata  al  riconosci- 
mento della  parola  scritta,  è  possibile  trattenerla  sull'analisi  dei  suoni  compo- 
nenti la  parola;  come  in  una  certa  età  il  bambino  prova  interesse  nel  toccare 
la  lettera,  così  anche  prova  interesse  nell'udire  e  nel  pronunciare  i  suoni  della 
parola  articolata.  Anzi,  si  dimostrò  come  il  linguaggio  grafico,  negli  esercizi 
con  l'alfabetario,  è  proprio  il  mezzo  necessario  a  «  trar  fuori  »  e  a  «  perfezio- 
nare »  il  linguaggio  articolato.  È  in  questo  che  si  rende  possibile  la  corre- 
zione dei  difetti  della  parola,  e  si  aiuta  a  sorpassarne  normalmente  il  periodo 
formativo. 

Si  tratta  dunque  ora  di  prendere  a  considerare  tale  ginnastica  del  mecca- 
nismo della  pronuncia,  che  deve  iniziarsi  nell'epoca  del  suo  sviluppo  naturale 
perchè  ne  venga  di  conseguenza  il  perfezionamento.  Così  è  che  i  bambini 
possono  arrivare  a  pronunciare  bene  speditamente.  È  pronunciando  bene, 
facendo  tanti  esercizi  uditori  della  parola  e  tanti   esercizi  d'interpetrazione 


Ì-J2  PARTI'     SECONDA 

dei  segni  grafici,  che  il  bambino  compone  insieme  i  meccanismi  fondamentali 
della  scrittura  e  della  lettura. 

La  buona  pronuncia  della  parola  letta  ha  un  grande  valore:  si  può  dire 
che  l'intento  della  lettura  nelle  odierne  scuole  elementari,  è  questo  principal- 
mente. Tuttavia  è  ben  difficile  ottenere  questo  intento  quando  già  la  pro- 
nuncia si  sviluppò  e  si  fissò  con  dei  difetti.  In  tal  caso,  i  difetti  conseguiti 
ad  un  errore  primitivo  dell'educazione,  diventano  l'oggetto  di  tutte  le  cure, 
quasi  quasi  lo  «  scopo  »  della  lettura.  Vediamo  infatti  che  perfino  nella  terza 
classe  elementare  i  maestri  si  affannano  ancora  a  far  leggere  per  insegnare  a 
Il  pronunciar  bene  «  e  nei  libri  di  lettura  ci  sono  delle  serie  graduate  di  esercizi 
preparati  su  questo  principio:  delle  difficoltà  della  pronuncia.  Evidentemente 
tale  scopo  tutto  meccanico,  fisiologico,  è  estraneo  alla  vera  lettura.  Esso  si 
presenta  come  un  impedimento  allo  sviluppo  vero  della  lettura:  è  quasi  un 
«  corpo  estraneo  »  formatosi  lì,  come  una  malattia,  a  impedire  l'alta  e  grande 
funzione  intellettuale  che  interpetra  il  misterioso  linguaggio  dei  segni,  e  ne 
rapisce  le  affascinanti  rivelazioni.  Il  bambino  dall'avida  intelligenza,  co- 
stretto ad  arrestare  il  pensiero  perchè  la  sua  lingua  trascurata  è  oramai  zop- 
picante, e  ridotto  alla  fatica  di  raddrizzarla,  soffre  e  s'inaridisce.  Invece  l'eser- 
cizio fatto  in  tempo,  quando  tutto  il  suo  organismo  nervoso  e  psichico  ten- 
deva a  perfezionare  i  meccanismi  del  suo  linguaggio,  lo  avrebbe  affascinato 
a  guidare  questi  sulla  retta  via,  e  a  farli  crescere  agili  e  diritti. 

Quando  l'intelligenza  vuol  volare,  le  sue  ali  devono  essere  pronte.  Guai 
se  il  pittore,  quando  l'ispirazione  giunge,  dovesse  mettersi  a  fabbricare  i 
pennelli! 

L'ANALISI  DELLA  LETTURA:  ESPRESSIONE 
E  INTERPETRAZIONE. 

Già  fino  dalla  prima  pubblicazione  sul  metodo  educativo  delle  «  Case 
dei  Bambini  »  furono  distinti  i  due  fatti  diversi  che  intervengono  nella  let- 
tura, cioè  l'interpetrazione  del  senso,  e  la  pronuncia  della  «  parola  »  fatta  ad 
alta  voce.  Fu  l'esperienza  che  richiamò  la  nostra  attenzione  su  tale  analisi, 
come  guida  nello  svolgimento  della  lettura.  Infatti,  come  sa  chi  ha  seguito 
quest'opera  nei  suoi  inizi,  i  bambini,  quando  lessero  per  la  prima  volta  in- 
terpetrando  il  senso  della  lettura,  lo  fecero  senza  parola,  cioè  leggendo  men- 
talmente. L'interpetrazione  infatti  porta  raccoglimento;  è  l'intelligenza,  che 
legge.  La  pronuncia  ad  alta  voce  è  ben  altra  cosa,  non  solo  affatto  distinta, 
ma  secondaria.  Ad  alta  voce  si  parla;  e  il  parlare  sta,  con  l'udire,  a  formare 
il  linguaggio  articolato:  esso  mette  in  comunicazione  immediata  due  o  più 
persone  che  si  scambiano  in  tal  modo  i  pensieri  formatisi  nel  secreto  del- 
l'anima. 


LETTURA  373 

Ma  la  lettura  sta  in  rapporto  con  la  scrittura.  Qui  non  esistono  suoni 
da  udire  o  da  pronunciare.  È  la  persona  solitaria,  che  può  mettersi  in  comu- 
nicazione non  solo  con  gli  uomini  viventi  su  tutta  la  terra,  ma  pure  con  quelli 
che  furono  nei  secoli  dei  secoli  fino  alla  preistoria.  Non  sono  i  suoni,  è  la  scrit- 
tura che  permette  queste  comunicazioni.  Ed  è  la  mente  che  le  riceve,  silen- 
ziosamente; così  sono  muti  di  suoni  i  libri. 

La  lettura  ad  alta  voce  è  una  mescolanza  di  due  linguaggi,  quindi  qualche 
cosa  di  più  complesso  che  il  linguaggio  articolato  e  la  lettura  presi  separa- 
tamente. 

Nella  lettura  ad  alta  voce  l'individuo  parla  non  per  esprimere  i  propri 
pensieri,  bensì  quelli  rivelati  dal  linguaggio  scritto.  La  parola,  in  tal  caso  manca 
del  suo  naturale  stimolo  interiore  che  le  dà  l'espressione.  Essa  infatti  è  sten- 
tata e  monotona,  quasi  come  il  linguaggio  di  un  sordo-muto.  Le  parole,  che 
sono  frutto  dell'interpetrazione  dei  singoli  segni  alfabetici,  vengono  stentata- 
mente; il  senso,  che  è  frutto  dell'iriterpetrazione  dell'intera  frase  mentre  l'oc- 
chio legge  a  parola  a  parola  e  la  traduce  in  suoni,  difficilmente  è  colto  e 
ridotto  con  l'espressione. 

Perchè  in  modo  appena  comprensibile  l'espressione  riveli  il  senso,  è  stato 
necessario  che  la  mente  e  l'occhio  facessero  il  rapido  lavoro  di  scorrere  la  frase 
intera,  mentre  la  lingua  ne  pronunciava  lentamente,  stentatamente  e  mono- 
tonamente le  parole! 

E  se  si  pensa  che  tutto  ciò  si  richiede  dal  bambino  delle  scuole  elementari 
insieme  alla  correzione  della  pronuncia,  si  comprende  come  la  lettura  sia  uno 
degli  scogli  su  cui  va  a  battere  la  navicella  senza  bussola  delle  nostre  scuole 
odierne! 


Lo  studio  che  noi  abbiamo  potuto  fare  sulla  lettura  è  uno,  forse,  dei  più 
completi.  Infatti  la  rivelazione  fattaci  dal  bambino  che  interpetrava  con  la 
lettura  mentale  il  senso  delle  frasi  seritte  sui  bigliettini,  e  poi  eseguiva  l'azione, 
è  stata  una  chiave  per  l'esperimento.  L'interpetrazione  del  bambino  —  così 
pronta  e  facile  —  come  è  pronta  in  lui  ogni  azione,  ci  rivela  ciò  che  egli  ha 
capito  e  quindi  ciò  che  può  capire.  In  tal  modo  noi  abbiamo  potuto  graduare 
sperimentalmente  le  letture  e  poi,  sulla  loro  raccolta,  studiare  quali  sono  le 
difficoltà  che  successivamente  esse  presentano.  È  interessantissimo  constatare 
che  i  bambini  ci  hanno  fatto  raccogliere  degli  esempi  di  proposizioni  e  di  pe- 
TÌoài  che  un  grammatico  non  avrebbe  saputo  meglio  comporre  e  graduare 
onde  facilitare  lo  studio  della  lingua.  Di  qui  sempre  più  si  faceva  in  noi  la  con- 
vinzione che  la  grammatica  può  essere  un  aiuto  alla  costruzione  della  lingua 
e  che  essa  compenetra  perciò  la  lettura  e  la  composizione  scritta. 


Il  setiuento  quadro  potrà  ossero  utile  a  doliiicaro  intanto  ncH'in^ifmo  i 
fatti  dolla  lettura. 


scrittura 


mecranica 

grammaticale    (controllata    noUa    traduzione    in 
azioni) 

narrazione  e  descrizione 
niLicanica 


C  o  ni  p  o  s  i  z  i  o  r 

delle  parole  l  /  grammaticale  (i)  ^tradotta  in 

*^  '  I       azione) 


lettura  interpretata  .  deelamatoria  (arte  del  dire) 

'  istruttiva 

\  espressa  (ad  alta  voce) 

Cominciamo  a  stabilire  che  la  lettura  vera  è  solo  V«  interpetrazione  ». 

La  lettura  ad  alta  voce  è  invece  un  complesso  di  lettura  e  di  espressione 
a  mozzo  del  linguaggio  articolato;  cioè  un  lavoro  complesso  ove  intervengono 
i  due  grandi  meccanismi  del  linguaggio  articolato    e  del  linguaggio  grafico. 

La  lettura  ad  alta  voce  permette  ad  una  assemblea  di  prendere  parte  alla 
lettura  che  le  viene  comunicata  a  mezzo  del  linguaggio  articolato.  Tuttavia 
non  è  uguale  il  lavoro  mentale  necessario  ad  ascoltare  dalla  viva  voce  di  un 
uomo,  che  vi  si  appassiona,  il  racconto  di  cose  ch'egli  ha  provate,  e  udire  leggere 
le  stesse  cose  da  una  persona  che  non  le  ha  provate,  ma  che  per  esprimerle 
deve  fare  un  immenso  e  rapido  sforzo  d'interpetrazione.  La  lettura  fatta 
così  per  <i  trasmissione  »  presenta  le  più  gravi  difficoltà.  Tutti  noi  sappiamo 
che  è  difficile  resistere  a  una  lettura:  e  che  il  «  saper  leggere  »  è  un  rarissimo 
pregio.  Chi  sa  leggere,  sa  farsi  ascoltare  quasi  come  uno  che  parla. 

Insegnare  a  leggere,  dunque,  in  questo  senso,  non  è  insegnare  a  inter- 
petrare  il  senso,  ciò  che  è  sufficiente  per  «  leggere  utilmente  »:  ma  è  sovrap- 
porre un'arte  alla  lettura.  E  poiché  questa  arte  espressiva  è  l'arte  drammatica, 
di\enta  necessario  lo  sviluppo  di  questa  arte,  per  insegnare  a  leggere.  Sarà 
solo  per  essa,  che  si  renderà  possibile  la  trasmissione  della  lettura  a  una  col- 
lettività. 

Evidentemente,  più  l'esercizio  di  «  immedesimarsi  »  nelle  cose  lette  è 
svolto  e  ripetuto,  e  più  verrà  la  possibilità  di  esprimere.  Non  è  dunque  il  tono 
di  voce  e  le  pause  o  il  gesto  che  noi  dobbiamo  insegnare  dall'esterno,  per  at- 
tuare quest'arte;  ma  è  la  intensa,  la  viva  interpetr azione  che  porta  a  imme- 


(i)   Le  prime  letture  sono  una  speciale  grammatica  e  un  dizionario. 


LETTURA  375 

desimarsi  della  cosa  letta,  quella  che  condurrà  all'intento  quando  essa  sia 
praticata  come  consuetudine,  come  «  forma  di  lettura  ». 

Se  per  provare  l'interpetrazione  della  lettura,  c'è  l'azione  con  la  quale  si 
eseguisce  quanto  nella  lettura  è  descritto;  per  provare  l'interpetrazione  della 
lettura  trasmessa  ad  alta  voce,  c'è  il  ripetere  a  mezzo  del  linguaggio  artico- 
lato delle  cose  udite.  Cioè  i  bambini  per  provarci  che  hanno  capito  qualche 
cosa  della  lettura  ad  alta  voce,  ci  potranno  poi  ripetere,  «  raccontare  »  ciò  che 
hanno  udito. 

È  interessantissimo  osservare  che  cosa  consegue  da  tutto  ciò. 

Mentre  alcuni  bambini  stanno  zitti,  altri  si  offrono  di  raccontare:  il  loro 
racconto  non  è  chiaro,  o  manca  di  qualche  particolare.  Allora  ecco  che  dei 
bambini  correggono  quegli  che  racconta  dicendo,  p.  es.:  «  no,  no,  non  è  così  » 
oppure:  «  ma.  aspetta,  dunque  hai  dimenticato  questa  cosa  ». 

Infatti  non  sono  la  stessa  cosa,  aver  capito  e  poter  raccontare  ciò  che  si  è 
capito.  Nel  racconto  c'è  una  succcssi\a  esplicazione  di  complesse  attività 
interiori,  che  si  somma  all'altra  attività  di  «  aver  capito  ".  Sono  ancora  i  tre 
tempi  delle  prime  lezioni  date  ai  bambini. 

Primo  tempo.  Dare  la  percezione:  (questo  è  rosso,  questo  è  turchino). 

Secondo  tempo.  Provocare  il  riconoscimento:  (quale  è  rosso?  quale  è  turchino?). 

Terzo  tempo.  Provocare  l'espressione:  (com'è  questo?...). 

Cosi  il  bambino  che  giunge  ad  esprimere  col  suo  racconto,  sia  pure  im- 
perfetto, ciò  che  ha  capito  dalla  lettura,  si  trova  in  uno  stadio  più  avanzato, 
rispetto  agli  altri  bambini  che  non  saprebbero  raccontare. 

Quegli  stessi  però  che  non  sono  in  grado  di  raccontare,  possono  trovarsi 
nello  stadio  precedente,  in  cui  sono  capaci  di  «  riconoscere  »;  ed  allora  eccoli 
vivacissimi  critici,  continui  interruttori,  per  dirsi  l'un  l'altro:  «  no,  non  è  così  » 
«  hai  dimenticato  questo  e  quest'altro  ». 

Provi  uno  di  noi  a  raccontare  nel  modo  più  perfetto  e  completo  la  cosa 
letta  e  vedremo  quei  petulanti  inteo-uttori  ascoltarci  estasiati,  approvandoci, 
con  tutte  le  forme  di  approvazione  di  cui  sono  capaci. 

Sulla  guida  di  tali  manifestazioni,  si  può  fare  uno  studio  psicologico  suf- 
ficiente a  determinare  le  letture  adatte  ai  fanciulli  secondo  la  età,  i  modi  più' 
efficaci  di  leggere  ad  alta  voce  e  le  vie  di  sviluppo  che  segue  ogni  bambino  nel 
suo  nascosto  mondo  interiore. 

Perchè  ciò  sia,  evidentemente,  i  bambini  devono  essere  liberi  nelle  loro 
manifestazioni. 

La  lettura  che  si  fa  nelle  comuni  scuole,  ove  un  bambino  chiamato  dalia 
maestra  legge  forte,  mentre  la  maestra  stessa  interrompe  continuamente  o 
per  correggere  la  pronuncia,  o  per  aiutare  con  le  sue  spiegazioni  e  i  suoi  sug- 
gerimenti l'interpetrazione  del  senso,  non  sarebbe  utile  ad  un  esperimento, 
perchè  non  sapremmo  più  se  il  bambino  ha  capito  la  lettura  o  le  spiegazioni 


376  PARTE    SECONDA 

della  maestra,  e  perrhò,  interrotto  dalle  correzioni  sulla  pronuncia,  egli  ha 
dovuto  sviare  la  sua  attenzione  su  questo  particolare  del  tutto  estraneo  al 
senso  da  interpretare.  Quando  poi  la  maestia  chiama  un  bambino  a  caso  per 
fargli  raccontare  ciò  che  è  stato  letto;  ovvero  non  a  caso,  ma  scegliendo  quegli 
che  si  mostrò  più  disattento,  più  estraneo  alla  lettura  (con  lo  scopo  morale  di 
correggerlo!..)  — e,  mentre  il  bambino  racconta,  soffoca  continuamente  gl'in- 
terruttori dicendo:  «silenzio,  voi  non  siete  interrogati)),  o:  «zitti,  aspettate 
che  vi  chiami»,  «non  interrompete,  non  sta  bene  interrompere  chi  parla)), 
essa  è  evidentemente  fuori  dalla  via  illuminativa. 

Dal  punto  di  vista  psicologico,  perciò,  le  scuole  odierne  non  potevano 
dare  alcuna  rivelazione,  né,  quindi,  potevano  porgere  aiuti  ad  una  pedagogia 
scientifica  innovatrice. 


PARTE  SPERIMENTALE  —  LETTURA  AD  ALTA  VOCE. 

Benché  noi  diamo  la  massima  importanza  alla  lettura  interpetrata, 
pure  offriamo  al  bambino  un  libriccino  di  lettura  ch'egli  può  leggere  da  sé 
a  bassa  voce  e  poi.  quando  ha  ben  capito,  può  leggere  anche  a  voce  alta, 
ma  esprimendosi  chiaramente  e  bene. 

Farà  forse  meravigliare  la  semplicità  di  queste  letture  quando  si  sappia  come 
i  piccoli  bambini  vi  restano  immersi,  vi  si  entusiasmano,  e  le  trovano  così 
affascinanti  da  consumare  il  loro  hbriccino  a  furia  di  leggerlo  e  di  rileggerlo. 
Ora  lo  leggono  di  seguito,  dal  principio  alla  fine;  ora  lo  aprono  a  caso,  e  leg- 
gono la  pagina  che  sta  sotto  i  loro  occhi.  E  quando  hanno  finito  di  leggerlo, 
lo  rileggono;  alcuni  amano  di  leggere  e  rileggere  una  sola  pagina  più  e  più  volte. 

Si  vedono  questi  piccolini  alzarsi  a  un  tratto  con  enfasi,  e  cominciare  a 
leggere  ad  alta  voce  una  di  queste  pagine,  tanto  studiate  e  meditate. 

Fu  con  uno  scrupoloso  ed  esatto  esperimento,  che  venne  composto  il 
libriccino.  Esso  è  scritto  solo  in  una  delle  due  pagine  che  si  offrono  ad  aper- 
tura del  libro,  cioè  non  c'è  nulla  scritto  al  rovescio  della  pagina  di  destra. 
1.0  scritto  poi  non  sempre  riempie  la  pagina,  la  (]uale  sopra  e  sotto  lo  scritto  è 
tutta  adorna  di  fregi. 

Ecco  le  venti  pagine  di  questo  libriccino  primordiale: 

i^  pagina:  La  mia  scuola  si  chiama  «  Casa  dei  Bambini  ». 

2»  pagina:  Nella  «  Casa  dei  Bambini  »  ci  sono  per  noi  tante  seggioline  e  piccoli 
tavolini. 

3*  pagina:  Ci  sono  pure  graziose  credenzine;  ogni  bambino  ha  il  suo  cassetto. 

4»  pagina:  Piante  verdi  e  mazzolini  di  fiori  sono  da  pertutto  nella  nostra  bella 
scuola. 

5  pagina:  Io  mi  fermo  spesso  a  guardare  i  quadri  appesi  alle  pareti. 

'i*  pagina:  Noi  facciamo  tutto:  ci  laviamo,  mettiamo  in  ordine  gli  oggetti,  pu- 
liamo i  mobili,  studiamo  e  impariamo  tante  cose. 


LETTURA  377 


7^  pagina:  Sapete  come  abbiamo  imparato  a  vestirci?  Lavorando  molto  con  le  nostre 
dita  sui  telai  per  allacciare,  slacciare,  agganciare,  sganciare,  abbottonare, 
sbottonare,  annodare,  snodare. 
8»  pagina:  I  cubi  della  torretta  sono  dieci  e  sono  di  diversa  grandezza:  io  li  spargo 
prima  su  un  tappeto  e  poi  mi  diverto  a  metterli  uno  sull'altro,  scegliendo  sempre 
il  più  grande. 
9"  pagina:  La  torretta  serve  anche  a  fare  un  bell'esercizio  di  equilibrio:  si  porta  in 

giro  per  la  sala  senza  farla  scomporre.  Ma  spesso  non  ci  si  riesce! 
IO»  pagina:  Anche  le  aste  lunghe  mi  piacciono:  si  devono  mettere  vicino  le  aste  in 
gradazione:  badando  che  i  pezzi  turchini  stiano  vàcini  ai  pezzi  turchini  e  i  pezzi 
rossi  vicini  ai  rossi. 

Così  si  forma  una  scala  a  strisele  rosse  e  turchine. 
II''  pagina:  Ma  una  vera  scala  io  la  formo  con  i  prismi  marrone.  Questi  prismi  sono  di 
grossezza  diversa. 

10  li  metto  l'uno  accosto  all'altro,  per  ordine  di  grossezza:  ed  ecco  una 
bella  scala  con  dieci  gradini. 

12*  pagina:  Gl'incastri  solidi  sono  sostegni  di  legno  dove  si  incastrano  dei  cilindretti 
di  diversa  dimensione:  ci  sono  quelli  che  variano  nella  grossezza;  quelli  che 
variano  nell'altezza  e  quelli  che  variano  nella  grandezza. 

L'esercizio  consiste  nel  rimettere  a  posto  i  cilindretti  dopo  averli  ben 
guardati  e  toccati. 

1.5'''  pagina:  Spesso  si  sbaglia  lavorando  agli  incastri  solidi.  Quando  si  mette  un  cilin- 
dretto nel  posto  che  non  è  suo,  alla  fine  del  lavoro  si  rimane  con  un  pezzo  in 
mano  che  non  va  in  nessun  posto.  Ma  l'esercizio  allora  diverte!  Si  osserva  bene, 
si  trova  l'errore  e  si  ricomincia  da  capo. 

I  più  bravi  lavorano  agli  incastri  solidi  anche  ad  occhi  chiusi! 

14»  pagina:  Questi  colori  si  chiamano:  rosso,  nero,  verde,  giallo,  turchino,  marrone, 
rosa,  violetto. 

15»  pagina:  Io  mi  diverto  molto  a  mettere  insieme  le  tinte  uguali,  ritrovandole  fra 
tante  sparse  sopra  il   mio  tavolo. 

Così  formo  una  lunga  striscia  variopinta... 

16»  pagina:  Noi  impariamo  a  disporre  tutti  i  sessantaquattro  colori  per  gradazione; 
abbiamo  otto  belle  sfumature,  ci?-scuna  formata  di  otto  tinte  che  variano  di 
intensità. 

I  bambini  bravi  sanno  formare  tutto  un  bel  tappeto  a  striscie  sfuniatel 

17*  pagina:  Noi  abbiamo  due  armadierfi  pieni  di  stoffe:  stoffe  di  ogni  genere,  dalle  più 
ruvide  e  dure  alle  più  liscie  e  morbide;  canovaccio,  cotone,  tela,  lana,  fla- 
nella, velluto,  ecc. 

Quando  le  manine  sono  pulite,  quante  cose  si  scoprono  con  i  polpastrelli 
delle  dita! 

18*  pagina:  Un  bambino  bendato  rimescola  con  le  manine  le  stoffe:  le  palpa  e  sorride 
ed  infine  leva  in  alto  le  manine  con  due  pezzi  di  stoffa  uguale. 

11  piccolo  cieco  ha  veduto  con  le  mani  che  quei  due  pezzi  di  stoffa  erano  uguali! 
iq*  pagina:  Questi  sono  gli  incastri  piani:  sono  piastrelle  turchine  da  incastrare  in 

certi  telaietti  che  le  contengono  tanto  bene! 

Facciamo  scorrere  due  ditini,  l'indice  e  il  medio,  lungo  il  contorno  della  pia- 
strella; e  poi  nell'incavo  del  telaietto. 

Dopo  un  po'  di  esercizio,  anche  ad  occhi  bendati  si  mettono  bene  a  posto 
le  sei  piastrelle  ! 


■^jS  PARTIÌ    SIXONUA 

20*  papìna:  Con  tjli  incastri  piani  !io  imparato  a  riconoscoro  molte  ligure:  il  (iiiadrato, 
il  circolo,  il  rettangolo,  la  ellisse,  il  triangolo,  l'ovale,  il  jH-ntagono,  l'esagono, 
l'ettagono,  l'ottagono,  l'ennagono  e  il  decagono 

f!  stato  facile  per  me   imparate   tntti   cpiesti    nomi  peniu'  fjl'incastri  sono 
tanto  divertenti  ! 


LETTURE  INTERPETRATE. 

T,"  letture  inli-rpotratc  si  fanno,  come  nei  primi  esi)ivimeiiti  «Ielle  "  Case 
dei   Bambini  >>.  per  mezzo  dei  bigliettini. 

11  bambino  sceglie  un  bigliettino  (dello  serie  graduali  preparate);  lo 
legge  mentalmente,  e  poi  eseguisce  l'azione  che  nel  bigliettino  è  indicata. 

Furono  assai  interessanti  le  nostre  esperienze  successive,  allorquando  gli 
esperimenti  vennero  posti  sopra  una  base  più  rigorosa. 

Dando  ad  un  piccolo  bambino  di  cinque  anni  un  bigliettino  ove  erano 
scritte  due  azioni  come,  per  esempio: 

Si  appoggiò  alla  sedia: 

si  coprì  gli  occhi  con  una  mano  e  pianse 

«fcgli  eseguiva  una  sola  delle  azioni;   per  esempio: 
si  appoggiò  alla  sedia 

ovvero- 

si  coprì  gli  occhi  con  una  mano  e  pianse. 

E,  malgrado  il  bambino  si  mostrasse  appassionato  di  possedere  e  d'in- 
terpetrare  i  bigliettini,  quelli  a  due  proposizioni  lo  lasciarono  più  freddo  dei 
bigliettini  a  una  sola  proposizione  e  indicanti  un'azione  sola  come,  per  esempio: 

il   ragazzo  scappò  via. 

Allora  l'entusiasmo  dei  piccolini,  la  cuia  nell'eseguire  l'azione  al  vivo, 
la  smania  di  ripeterla,  e  le  manifestazioni  di  gioia,  l'occhio  lucente,  il  volto 
colorito,  ci  dicevano  che  quella  era  la  lettura  adatta. 

Così  la  prima  serie  di  letture  (tutta  sperimentale)  è  form.ata  di  semplici 
proposizioni,  sul  genere  delle  frasi  analizzate  negli  esercizi  di  .grammatica, 
dal  verbo  al  pronome  (Tavola  XV). 

Quasi  tutti  questi  brani  sono  stati  tolti  da  opere  che  fanno  tisto  di  lingua. 

Serie  T. 

—  Diede  un'occhiata  in  giro. 

—  Li  guardò  con  la  coda  dell'occhio. 

—  II  ragazzo  scappò  via! 

—  Gli  si  buttò  in  ginocchio  davanti. 

—  Ei  passeggiava  lentamente  su  e  giù. 


LETTURA  379 

—  Stava  a  capo  basso. 

—  Fece  di  sì  col  capo. 

—  Mise  le  braccia  in  croce  sul  petto. 

—  Si  mosse  rapidamente  verso  l'uscio. 

—  Si  mise  a  camminare  innanzi  e  indietro  per  la  stanza. 

—  Gli  accarezzava  il  capo  con  la  mano  tremante. 

—  Gli  fece  cenno  di  stare  indietro. 

—  Gli  parlò  all'orecchio. 

—  Gli  posò  una  mano  sulla  spalla. 

—  Bussò  alla  porta. 

—  La  fanciulla  aggrottò  le  ciglia. 

[  piccoli  bambini  eseguiscono  le  azioni  indicate,  dopo  aver  letto  menta! 
mente:  ma  non  eseguiscono  con  freddezza,  bensì  mettendo  una  cura  quasi 
artistica  nell'espressione  del  sentimento.  Essi  «  interpetrano  »  l'azione  e  la 
«  studiano  »  talvolta,  provando  e  riprovando,  come  per  una  rappresentazione 
scenica.  L'attitudine  dei  bambini  a  ciò,  è  veramente  meravigliosa.  Si 
aggiunga  poi  che  essi  «  studiano  »  le  parole  negli  esercizi  di  grammatica, 
e  vengono  conoscendone  sempre  più  precisamente  il  significato:  ciò  che  aiuta 
l'interpetrazione.  Per  es.,  quella  frase:  «stava  a  capo  basso»,  non  indica:  «piegò 
il  capo  ».  Se  il  bambino  ha  compreso,  egli  resterà  a  capo  basso,  con  una  espres- 
sione più  o  meno  viva  secondo  il  suo  sentimento.  Così,  p.  es.,  la  frase:  «  gli 
si  buttò  in  ginocchio  davanti  »,  non  porta  nell'azione  il  semplice  inginoc- 
chiarsi, ma  un  atto  più  drammatico,  come  quello  di  gettarsi  alle  ginocchia 
di  qualcuno.  I  fanciulli  s'interessano  molto  l'uno  alle  azioni  dell'altro. 

Ecco  una  seconda  serie  di  letture  (Tavole  XVI   e  XVII). 

Qui  si  hanno  periodi  di  due  proposizioni  coordinate:  i  bambini  esegui- 
scono due  azioni  consecutive,  invece  di  una  sola. 

Serie  II.  ^ 

—  Aprì  la  porta  ed  entrò. 

—  Uscì  dalla  camera  e  chiuse  l'uscio  a  chiave. 

—  S'affacciò  alla  porta  e  la  sospinse  bel  bello. 

—  Egli  gettò  un  grido  di  gioia  e  affrettò  il  passo. 

—  Si  coprì  il  viso  con  le  mani  e  dette  in  un  dirotto  pianto. 

—  Dette  in  una  risata  e  batté  le  mani. 

—  Si  tolse  il  berretto  e  s'inchinò  pro^ndamente. 

—  Egli  scosse  la  testa  e  sorrise. 

—  Spalancò  la  finestra  e  guardò  nel  giardino. 

—  Corse  ad  un  tavolino  e  scosse  un  campanello. 

—  Si  era  sdraiato  con  un  sospiro  di  soddisfazione  sui  morbidi  cuscini...  e  là  giaceva 

con  gli  occhi  fissi  e  la  bocca  semiaperta... 

—  Chiuse  gli  occhi  e  s'addormentò  placidamente. 

Nella  terza  serie  di  letture  ci  sono  invece  periodi  con  più  proposizioni 
coordinate  (Tavole  XVIII  e  XIX). 


?So  PARTE    SECONDA 


Si-RIK    II 


—  Aprì  la  porta,  si  ravviò  lentamente  i  capelli  ed  entrò. 

—  Va  alla  finestra,  apre  un  poco,  fa  capolino. 

—  Il  medico  si  chinò  sul  malato,  gli  tastò  il  polso,  gli  toccò  hi  fronte. 

—  Spalancò  la  bocca  e  gli  occhi  e  guardò. 

—  Si  levò  una  chiave  di  tasca,  aprì  l'uscio,  entrò. 

—  Si  ritirò,  chiuse  la  finestra  e  si  mise  a  passeggiare  su  e  giù  per  la  stanza,  con  un 

passo  di  viaggiatore  frettoloso. 

—  Un  grido  di  gioia  proruppe  dalla  sua  gola:  corse  dalla  madre,  s'inginocchiò  da- 

vanti a  lei. 

—  .\ppoggiò  il  gomito  sinistro  sul  ginocchio,  chinò  la  fronte  nella  palma  e  con  la 

destra  strinse  la  barba  e  il  mento. 

—  Si  appoggiò  alla  sedia,  si  coprì  gli  occhi  con  una  mano  e  pianse. 

—  Si  avvicinò  al  tavolino,  vide  il  ritratto  e  lo  afferrò  con  gioia. 

—  Aveva  sonno;  appoggiò  le  braccia  sul  tavolino  e  si  addormentò. 

—  Trasse  di  tasca  il  fazzoletto,  lo  spiegò  e  ci  si  asciugò  gli  occhi  pieni  di  lacrime. 

Serie  IV.  —  Le  letture  consistono  in  periodi  di  due  proposizioni,  l'una 
delle  quali  è  subordinata  all'altra. 

—  Mentre  disegnava,  guardava  attorno  i  compagni  attentamente. 

—  Si  mise  le  mani  sugli  occhi,  per  stare  più  raccolto  nel  silenzio. 

—  Egli  sorrise  loro  amorevolmente,  dopo  averli  ammoniti  per  un'altra  volta,  quei  bi 

richini! 

—  Socchiuse  gli  occhi  per  sentir  meglio  la  morbidezza  di  quel  velluto. 

—  Seguì  con  lo  sguardo  carezzevole  quella  bambina,  finché  non  fu  sparita. 

—  Quando  ebbe  girato  la  manigha,  spinse  l'uscio. 

—  Giorgio  si  asciugò  gli  occhi  per  non  farsi  scorgere. 

—  Andava  lentamente,  con  la  testa  china,  come  fosse  in  gran  pena. 

—  Si  fermò  in  atto  di  stare  a  sentire. 

—  "  Che  cosa  c'è?  »  domandò  ansiosamente  la  madre. 

—  Sorridendo  il  nonno  carezzò  con  la  mano  la  testa  del  nipote. 

—  Federico  gU  andò  incontro  con  un  volto  premuroso  e  sereno,  come  a  una  persona 

desiderata. 

Serie  V.  —  Prevalgono  periodi  di  più- proposizioni  subordinate  e  coor- 
dinate. Oui  la  lettura  contiene  delle  descrizioni  più  complesse,  e  talvolta  la 
interpetrazione  che  deve  corrisponderle  in  ogni  minimo  particolare,  richiede 
che  il  bambino  pronunci  delle  parole.        • 

—  La  bambina  si  alzò,  tenendosi  con  le  due  mani  il  fazzoletto  sugli  occhi  e  andò 

lenta,  curva  verso  la  finestra. 

—  Abbandonata  la  persona  sulla  spalliera  della  poltroncina,  teneva  il  viso  un  po' 

chino  al  petto  e  le  braccia  strette  alla  vita,  come  se  avesse  freddo. 

—  Sedette  stanco;  appoggiato  il  gomito  destro  al  ginocchio  e  il  viso  sul   palmo  della 

mano,  guardava  sul  pavimento. 

—  Teneva  la  persona  eretta,  le  mani  sul  parapetto  della  finestra  e  respirava  a  pieni 

polmoni  l'aria  fresca  del  di  fuori. 


LETTURA  381 


—  Il  ragazzo  piegò  il  viso,  e  si  recò  la  mano  alla  fronte,  come  se  volesse  raccogliere 

i  propri  pensieri. 

—  Era  là,  in  ginocchio  e  con  la   persona   abbandonata   mollemente,   come  stanca; 

e,   lasciando   cadere   sul   grembo   le   mani   intrecciate,    rivolgeva   al   cielo   la 
faccia. 

—  Giunto  alla  porta  di  casa  sua,  mise  in  fretta  nella  toppa  la  chiave,  che  già  teneva 

in  mano;  aprì,  entrò,  richiuse  diligentemente;  e,  ansioso  di  trovarsi  in  una 
compagnia  fidata,  chiamò  subito:   Perpetua!  Perpetua! 

—  S'alzò,    mentre   le   lacrime  gli  scorrevano  per  le  gote,   andò  alla  parete   ov'era 

appeso   il    vestito,   ci    posò  sopra  orizzontalmente   il    braccio   sinistro,    e   su 
quello  la  testa. 

—  Seduto  all'ombra  d'un  albero,  con  le  spalle  poggiate  al  tronco,  rimaseli,  con  la 

testa  in  seno  e  le  braccia  incrociate,  e  non  si  mosse  neanche  quando  gli  altri 
ripresero  il  lavoro. 

—  Quando  entrai,  lui  scriveva.  Mi  disse  che  avessi  pazienza  un  momento,  mi  pregò 

di  sedere  e  continuò  a  scrivere;  io  approfittai  di  quel  momento  per  dare  un'oc- 
chiata alla  stanza. 

—  Sedeva  in  un  cantuccio  una  vecchierella,  con  un  caldano  tra  i  piedi  pieno  di  brace 

smorzate,  sopra  le  quali  tendeva  le  palme  appoggiando  i  polsi  su  le  estremità 
delle  ginocchia.  . 

—  Lucia  andò  a  sedere  o  piuttosto  si  lasciò  cadere  in  terra,  accanto  al  lettuccio:  e 

appoggiata  a  quello  la  testa,  continuò  a  piangere  dirottamente. 

—  «  Capisco  »  disse  Renzo;  e  stette  con  gli  occhi  fissi  a  terra  e  con  le  braccia  incro- 

ciate sul  petto. 

—  Si  voltò,  guardò  dietro  l'uscio  e  disse  ridendo:  «  oh!  ci  sei!  ». 

—  Corse  da  Alessandra,  gli  mise  il  foglio  sotto  gli  occhi  e  gli  disse:  «  Avevo  ragione?  » 

—  Si  affacciò  al  parapetto  e  si  pose  a  guardare  facendosi  schermo  della  mano  contro 

il  sole. 

—  Cercò  con  cura  nel  cassetto,  e  poi  disse  con  dolore:  «  non  c'è  più  ». 

—  Prese  il  fazzoletto,  lo  guardò  e  disse:  «  non  è  mio  ». 

—  Si  cliinò,  raccolse  la  matita  e  disse:  «  è  spuntata  ». 

—  La  donna,   andatale  vicino,  si  chinò"  sopra  di  lei,  e,  guardandola  pietosamente, 

prendendole  le  mani  come  per  accarezzarla  e  alzarla  a  un  tempo,  le  disse: 
«  oh,  poverina!   venite,  venitccon  noi  ». 

—  11   babbo  si  affaccia  alla     finestra,   guarda  giù,   guarda   il   cielo:  «  bel   tempo!  » 

esclama;  e  voltosi  alla     famiglia     che  gli  sta     dietro  aspettando  un  cenno: 
«  usciamo  »  dice  allegramente. 

—  <i  Lui!  »  disse  il  cardinale  con  un  viso  animato,  chiudendo  il  libro  e  alzandosi 

da  sedere:  «  venga!  venga  subito!  ». 

—  Giunte  le  mani,  piegò  il  viso  sopra  di  esse  e  pregò. 

—  Dopo  aver  accostato  l'uscio  e  data  un'occhiata  alla  stanza,  s'avanzò  con  passo 

sicuro. 

—  Pensò  di  fare  uno  scherzo;  e,  calatosi  il  berretto  sugli  occhi,  s'avventò  improvvi- 

samente su  un  bambino. 

—  Federico  gli  prese  la  mano,  gliela  strinse  e  disse:  «  Favorite  dunque  di  restare  a 

desinare  con  noi.  Vi  aspetto  ». 

—  Il  cardinale  partì  dicendo:  «  la  benedizione  del  Signore  sia  sopra  questa  casa  ». 

—  Il  Povera  Mamma!  »  esclamò  Lucia  gettandole  un  braccio  al  collo  e  nascondendo 

il  viso  nel  seno  di  lei. 


\S2  PARTE    S1-CONDA 


Skrie  \'I.  —  In  questo  Kttiiro.  \i  ò  un'azitìiii'  diainniatica  più  difficile 
ad  interpetrare.  Spesso  on  onc  ]>nimiinian'  <iuaKlic  Irasr  (rome  t;ià  acca- 
deva nella   serie  \'). 

—  Lucia  stava  inininbilc  m  i|iicl  caiitiuno.  tutta  in  un  ^onutolo.  uni  le  s^inocchia 

alzate,  con  le  mani  appt)ggiate  sulle  ginocchia  e  col  viso  nascosto  nelle  mani. 

—  \i  un  bambino  tutto  imbacuccato  in  un  gabbano  da  uomo  si  affaccia  sull'uscio... 

facendo  il  saluto  militare  colla  mano  destra  e  dandosi  con  l'altra  una  stru- 
sciata al  naso,  che  conserva  ancora  qualche  traccia  della  costipazione  avuta. 

—  Sdraiato  nella  poltrona,  con  le  mani  in  tasca  e  una  gamba  acca\alciata  all'altra, 

guardava,  dondolando  il  piede,  gli  alberi  del  vicino  giardino. 

—  «  Oh!  »  diss'egli  buttandosi  a  sedere  con  le  gambe  accaxalciatc  e  lo  mani  diolro  la 

nuca    «  finalmente  non  ci  sono  più  seccatori  ». 
"  Sss!  »  fece  il   ragazzo  aggrottando  le  sopracciglia  e  scotendo  la   mano  destra 
distesa  verso  il  compagno. 

—  Sedette  al  tavolino:  v'incrociò  su  le  braccia,  e  appoggiò  alle  braccia  la  fronte. 

Ma  la  rialzò  subito,  avventò  in  alto  le  pugna  strette  e  le  scosse   rabbiosamente. 

—  «  Vuol  dunque  ch'io  sia  costretta  di  domandare  qua  e  là  cosa  sia  accaduto  al  mio 

padrone?  »  disse  Perpetua,  ritta  dinanzi  a  lui,  con  le  mani  arrovesciate  sui 
fianchi  e  le  gomita  appuntate  davanti,  guardandolo  fisso,  quasi  volesse  suc- 
chiargli dagli  occhi  il  segreto. 

—  Egli  camminava  innanzi  e  indietro...  (3gni  tanto  si  fermava,  tendeva  i'ore<chio, 

guardava  dalle  fessure  dell'imposta...  ». 

—  Di  fronte  alla  porta  della  scuola,  dall'altra  parte  della  via,  stava  con  un  braccio 

appoggiato  al  muro  e  colla  fronte  contro  il  braccio,  uno  spazzacamino,  molto 
piccolo,  tutto  nero  in  viso,  col  suo  sacco  ed  il  suo  raschiatoio,  e  piangeva  dirot- 
tamente, singhiozzando. 


Shrik  vii.  —  Letture  alla  cui  intorprotaziono  occorrono  duo  o  più  per- 
sone. Scenette,  dialoghi. 

—  <■  Si  metta  a  sedere  e  finiamola!  ».  Questo  "  finiamola  »  il  .sindaco  lo  disse  con  un 

tono  di  voce  così  grosso,  che  il  Verdiani  non  ebbe  fiato  di  replicare.  Si  levò 
la  papalina  e  andò  a  sedere  tutto  rannuvolato  sopra  una  seggiola  in  disparte. 

(Fucini). 

—  «  Non  vi  sentite  bene  oggi,  Menico?  •>  —  "  Non  mi  sento  bene  ».  E  si  asciugava  il 

sudore  e  si  ergeva  impettito  per  respirare,  a  bocca  spalancata.   (Fucini). 

—  «Che  cosa  costa?  •>  domandai  all'uomo. 

.  NuUa  ». 

t  Come  nulla?  ». 

.  Nulla  ». 

«Va  bene  farò  così...  ». 

E  tratta  fuori  della  borsa  una  lira:  «Tieni,  ragazzo»  dissi  «dàlia  alla  mamma  ». 

Non  l'avessi  mai  detto.  L'uomo  poggiò  le  mani  alle  tempie,  strinse  e  scosse  la 
testa;  poi,  piegandola  sul  petto,  si  alzò  lentamente  e  mormorò:  «  Non  l'hanno 
la  mamma  ».  (Fi  ciNi). 

—  .  Chi  è?  ». 
•  Apri  1. 


lì.t'tura  383 

A  quella  voce,  la  vecchia  fece  tre  salti;  e  subito  si  sentì  il  paletto  negli  anelli, 
e  l'uscio  si  spa'nncò.  L'Innominato,  dalla  soglia,  diede  un'occhiata  in  giro; 
e.  al  lume  d'una  lucerna  che  ardeva  su  un  tavolino,  vide  Lucia  rannicchiata 
in  terra,  nel  canto  il  più  lontano  dall'uscio.  (Manzoni). 

—  Due  uomini    stavano   l'uno   dirimpetto    all'altro;    un    di  costoro,   cavalcioni    sul 

muricciolo  basso,  con  una  gamba  spenzolata  al  di  fuori  e  l'altro  piede  posato 
sul  terreno  della  strada;  il  compagno,  in  piedi,  appoggiato  al  muro,  con  le 
braccia  incrociate  sul  petto.  (Manzoni). 

—  «  Ora  »  disse  Tonio  «  si  contenti  di  mettere  un  po'  di  nero  sul  bianco...  «. 

"  Bene  bene  »  interruppe  don  Abbondio  brontolando;  tirò  a  sé  un  cassetto  del 
tavolino,  levò  fuori  carta,  penna  e  calamaio,  e  si  mise  a  scrivere,  ripetendo 
a  viva  voce  le  parole  a  mano  a  mano  che  gli  uscivano  dalla  penna. 

(Manzoni). 

—  «  Ora,  signor  Curato  »  disse  Tonio  «  mi  darà  la  collana  della  mia  Tecla  ». 

'  È  giusto  11  rispose  Don  Abbondio;  poi  andò  a  un  armadio,  si  levò  una  chiave 
di  tasca,  e,  guardandosi  intorno  come  per  tener  lontani  gli  spettatori,  aprì 
una  parte  di  sportello,  riempì  l'apertura  con  la  persona,  mise  dentro  la  testa 
per  guardare,  e  un  braccio  per  prendere  la  collana,  la  prese,  e,  chiuso  l'armadio, 
la  consegnò  a  Tonio  dicendo:  «  va  bene  ».  (Manzoni). 

—  Per  una  di  quelle  stradicciuole  tornava  bel  bello  verso  casa  Don  Abbondio. 

Diceva  tranquillamente  il  suo  uffizio,  e,  talvolta,  tra  un  salmo  e  l'altro,  chiudeva 
il  breviario,  tenendovi  dentro,  per  segno  l'indice  della  mano  destra,  e,  messa  poi 
questa  nell'altra  dietro  la  schiena,  proseguiva  il  suo  cammino  guardando  a  terra  e 
buttando  con  un  piede  verso  il  muro  i  ciottoli  che  facevano  inciampo  nel  sentiero. 

(Manzoni). 

—  11  Quella  giovine,  ci  sapreste  insegnare  la  strada  di  Monza?  ». 

«  Andando  di  lì,  vanno  a  rovescio  »  rispondeva  la  poverina.  «  Monza  è  di  qua  »  e 
si  voltava  per  accennare  col  dito;  quando  l'altro  compagno,  afferrandola  d'improv- 
viso per  la  vita,  l'alzò  da  terra.  Lucia  girò  la  testa  indietro  atterrita,  e  cacciò  un  urlo. 

f  (Manzoni). 

«  Ho  mangiato  poco  la,  per  viaggio  ". 

«Eadanari,  come  stiamo?  ". 

Renzo  stese  una  mano,  l'avvicinò  alla  bocca,  e  vi  fece  scorrer  sopra  un  piccol 

soffio. 
«  Non  importa»  disse  Bartolo:  «n'ho  io:  e  non  ci  pensare,  che  presto,  cambiandosi 

le  cose,  se  Dio  vorrà,  me  li  renderai,  e  te  n'avanzerà  anche  per  te  ». 
«  Ho  qualcosina  a  casa  e  me  li  farò  mandare  ». 
«  Va  bene  e  intanto  fa  conto  dime.  Dio  m'ha  dato  del  bene,  perchè  faccia  del  bene; 

e  se  non  ne  fo  ai  parenti  e  agli  amici,  a  chi  ne  farò?  ». 
«  L'ho  detto  io,  della  Provvidenza!  »  esclamò  Renzo,  stringendo  affettuosamente 

la  mano  al  buon  cugino.  (Manzoni). 

—  «  Dio  sa  quant'è  che  non  avete  mangiato!  ». 

«  Non  me  ne  ricordo  più...  Da  un  pezzo  ». 

«  Poverina!  avrete  bisogno  di   ristorarvi  ». 

«  Sì  »  rispose  con   voce  fioca. 

■  A  casa  mia,  grazie  a  Dio,  troveremo  subito  (Qualcosa.  Fatevi  coraggio  ». 

(Manzoni). 


P\RTF.    SECMNP' 


con  do 
•ntati. 


inipa- 


1  bambini  non  si  limitano  solo  a  riprodurre  le  scene;  ma.  in  un  s 
tempo,  essi  leygono  ad  alta  voce  tutti  questi  brani  che  hannn  rappre; 
e  per  la  preparazione  avuta,  vi  danno  una  grande  espressione. 

Essi  tendono  a  leggere  e  rilegtiere  moltissimo  volte  1  brani,  e  ne 
rano  molti  a  memoria. 

Per  questo  noi  abbiamo  messo  insieme  alcune  \.^  ^ic,  facendone  un  li- 
brettino: i  bambini  le  leggono  mentalmente  e  ad  alta  voce,  o  le  imparano  a 
memoria  e  le  recitano. 


Dal  libriccino  delle  poesie: 


Dormiva  nella  culla  un  bel  bambino, 
E  la  mamma  lo  stava  a  rimirare; 
Voleva  dargli  il  bacio  del  mattino. 
Ma  il  bacio  lo  poteva  risvegliare; 
Svegliarlo  non  voleva,  e  con  la  mano 
Gli  buttò  cento  baci  da  lontano. 

Un  sogno. 
\'idi  una  fata  un  giorno 
Che  avea  le  trecce  d'oro, 
E  un  abito  di  perle 
Più  ricco  d'un  tesoro. 

•  Vieni  con  me  »  mi  disse 
«Che  ti  farò  regina». 
«  Non  vengo,  bella  fata  ; 
Io  sto  con  la  mammina  n. 


Lenta  la  neve  fiocca,  fiocca,  fiocca, 
Senti,  una  culla  dondola  pian  piano. 
Un  bimbo  piange,  il  piccol  dito  in  bocca, 
Canta  la  vecchia,  il  mento  in  su  la  mano. 

La  gallina. 
Io  .vi  domando  se  si  può  trovare 
Un  più  bravo  animai  della  gallina. 
Se  non  avesse  il  vizio  di  raspare 
Ne  vorrei  sempre  aver  una  vicina. 
Tutti  i  giorni  a  quell'ora,  «coccodè!» 
Corri  a  guardar  nel  covo  e  l'ovo  c'è. 

La  povera  bambina. 

Disse:  »  mia  madre  è  morta!  io  son  digiuna 

E  la  stagione  è  cruda; 
In  terra  a  me  non  pensa  anima  alcuna: 

Sono  orfanella  e  ignuda». 


Il  pesce. 
Un  dì  fuor  della  vasca  del  giardino 
Guizzò  imprudentemente  un  pesciolino. 
Gigi  lo  vide,  e  tutto  disperato 
Gridò  alla  mamma:  un  pesce  s'è  annegato! 

(LlN.\  SCHWARZ). 
Quel  che  possiede  un  bimbo. 
Due  piedi  lesti  lesti 

per  correre  e  saltare. 
Due  mani  sempre  in  moto 

per  prendere  e  per  fare. 
La  bocca  piccolina 

per  tutto  domandare. 
Due  orecchie  sempre  all'erta 

intente  ad  ascoltare. 
Due  occhioni  spalancati 

per  tutto  investigare. 
E  un  cuoricino  buono 

per  molto,  molto  amare! 

(LlN.\  ScHWARZ). 
Il  buon  odore. 
«  Ma,  bimbo  mio,  perchè 
Sciupar  questo  bel  fiore?...». 
"  Cercavo  il  buon  odore... 
Non  so  capir  dov'è!  <■. 

(Lina  Schwarz). 
Ninna-nanna  di  Natale. 
Ninna-nanna...  gelato  è  il  focolare 

fanciul,  non  ti  svegliare. 
Per  coprirti  dal  freddo,  o  mio  bambino. 
Cucio  in  un  vecchio  scialle  un  vestitino. 
Ma  il  lucignolo  trema  e  l'occhio  è  stanco 

bimbo  dal  viso  bianco. 
Chi  sa  se  per  domani  avrò  finito 
Ouesto  che  aspetti  povero  ve-^tito!... 
i.\i)A  Negri). 


LETTURA  385 

Dopo  la  preparazione  descritta i  bambini  possono  «capire «ciò  che  leggono. 
Tutte  le  difficoltà  nella  comprensione  dei  periodi  e  delle  loro  costruzioni  più 
complicate  sono  superate:  essi  hanno  la  conoscenza  grammaticale  della  lingua, 
e  la  sua  costruzione,  come  il  significato  delle  parole,  li  interessa. 

Fu  preparata  dentro  loro  una  specie  di  forza  compressa  e  che  tra  poco 
darà  luogo  a  un  movimento  intenso! 

Ecco  infatti  scoppiare  la  passione  della  lettura.  1  bambini  vogliono 
Il  leggere  ».  «  leggere  »,  «  leggere  ».  Noi  raccogliamo  un  po'  in  fretta  dei  libri, 
ma  questi  non  sono  mai  sufficienti  all'avidità  dei  bambini.  Abbiamo  più  volte 
dovuto  riconoscere  che  la  letteratura  infantile  è  assai  scarsa,  per  corrispon- 
dere a  così  grandi  bisogni!  È  per  questo  che  noi,  pur  volendo  in  principio 
attenerci  solo  a  libri  italiani,  abbiamo  dovuto  ricorrere  a  molte  traduzioni 
di  libri  esteri  e  costruire  una  «  piccola  biblioteca  ».  Ma  sono  d'accordo  con 
gli  educatori  americani,  i  quali  non  danno  ai  bambini  delle  elementari  solo 
le  «  bibliotechine  »  ma  aprono  loro  delle  grandi  sale  riservate  nelle  biblio- 
teche pubbliche^,  dove  i  bambini  vanno  a  scegliere  dai  cataloghi  ricchissimi, 
le  opere  che  desiderano  di  conoscere. 

Per  guidare,  perfezionare  e  ordinare  questo  slancio,  e  coltivate  anche 
l'arte  del  leggere  ad  alta  voce  è  necessario  però  di  considerare  un  altro  ele- 
mento della  lettura,  cioè: 

LE    AUDIZIONI. 

Quando  lo  sviluppo  del  bambino  è  avanzato  con  i  detti  esercizi,  la  maestra 
può  cominciare  a  leggere  ad  alta  voce.  Noi  lo  facevamo  durante  le  ore  del 
disegno. 

La  maestra  che  legge  dovrebbe  essere  un'artista  come  dicitrice:  perciò 
sarebbe  necessaria  oltre  a  una  complessa  educazione  artistica  della  maestra, 
questa  educazione  speciale  nell'arte  del  leggere. 

Una  delle  differente  tra  le  maestre  dei  comuni  metodi  e  le  nostre  maestre. 
è  che  quelle  parlavano  di  «  un'arte  della  maestra  »  consistente  in  «  artifìci 
di  furberia  »  per  riuscire  a  far  apprendere  al  bambino,  suo  malgrado,  ciò  che 
essa  vuole;  queste  invece  devono  essere  artiste  come  cultrici  di  arti  belle. 

Poiché  l'arte  si  è  dimostrata  in  questo  metodo,  come  un  «  mezzo  di 
vita  ».  È  la  bellezza  in  tutte  le  sue  forme,  che  aiuta  l'uomo  interiore  a  cre- 
scere. Abbiamo  visto  che  nell'ambiente  e  nel  materiale  di  sviluppo  tutto 
deve  essere  curato  dal  punto  di  vista  artistico,  perchè  si  manifestino  quei 
fenomeni  di  attenzione  e  di  persistenza  nel  lavoro  che  sono  la  chiave  segreta 
dell'autoeducazione. 

La  maestra  dovrebbe  essere  cultrice  di  musica,  di  disegno  e  di  recitazione: 
sensibile  all'armonia  delle  cose,  in  modo  che  il  suo  «buon  gusto»  sappia 
disporre  e  mantenere  l'ambiente;  e  sopratutto  deve  possedere  quella  perfetta 


^SO  PARVI      SI  CDNDA 

delicatezza  di  maniera  che  <^niaii.i  da  un  cuore  sensibile,  aperto  a  ricevere 
le   manifestazioni   dell'anima   infantile. 

Qui  dunque  la  maestra  dicitrice  ha  un  grande  lavoro  da  compiere. 

Mentre,  nel  tranquillo  silenzio  che  nasce  dal  'avoro,  i  bambini  sono  in- 
tenti a  disegnare,  essa  può  leggere  qualche  cosa.  Talvolta  potranno  essere 
le  sue  sole  letture  a  trattenere  tutta  la  piccola  assemblea.  Ma  non  sarà  sempre 
facile.  Sono  le  condizioni  musicali,  quelle  che  intratterranno  i  piccoli  «  buon- 
gustai »  dell'arte,  nell'intenta  immobilità  di  chi  è  insaziato  di  godere.  Forse 
una  dicitrice  veramente  perfetta,  potrebbe  trattenere  l'assemblea  dei  bambini, 
scegliendo  una  lettura  appassionante:  ma  l'esperienza  ci  ha  detto  che  è  più 
facile  farsi  udire  dai  bambini  quando  essi  sono  occupati  in  un  lavoro  che  non 
richiede  troppa  concentrazione  e  che  non  è  sostenuto  da  ispirazione. 

Le  letture  che  sono  state  fatte,  furono  molteplici  e  varie.  Favole,  novelle, 
aneddoti,   romanzi,   racconti  storici. 

Le  letture  fatte  furono:  le  Favole  di  Anderson,  alcune  novelle  del  Ca- 
puana, il  Ciiore  di  De  Amicis,  episodi  della  vita  di  Gesù  Cristo,  Fabiola, 
I  promessi  Sposi,  La  Capanna  dello  zio  Tom,  La  storia  del  risorgimento 
italiano,  L'educazione  del  Selvaggio  dell' Aveyron  di  Itard. 


I  LIBRI  PREFERITL 

In  genere  l'udir  leggere  cose  interessanti  appassiona  moltissimo  il  bam- 
bino. Ma  recherà  forse  impressione  il  sapere  quali  di  queste  letture  fecero  la 
maggiore  impressione!  Esse  furono  la  Storia  del  Risorgimento  italiano  e 
V  Educazione  del  Selvaggio  dell'  Aveyron.  Il  fatto  merita  di  essere  descritto 
con  qualche  particolarità. 

Il  libro  della  Storia  del  Risorgimento  non  era  uno  di  quelli  che  si  credono 
adatti  ai  bambini;  al  contrario,  esso  è  l'opera  di  Pasquale  de  Luca:  /  Li- 
beratori (Bergamo,  Istituto  italiano  d'arti  grafiche,  1909)  scritta  per  isve- 
gliare  l'amor  patrio  tra  gl'italiani  della  Repubblica  Argentina.  Ciò  che  carat- 
terizza questo  libro  sono  i  documenti  del  tempo  riportati  in  facsimile  e  atte- 
stanti l'autenticità  dei  fatti.  Ci  sono  brani  di  giornali  dell'epoca,  sentenze 
di  morte,  lettere  autografe  di  Pio  IX,  di  Garibaldi,  alcuni  documenti  singolari 
pure  riprodotti  in  facsimile,  con  una  nota  di  spese  per  somministrazione  di 
colpi  di  bastoni,  stampe  allegoriche  affisse  nei  muri  alla  vigilia  delle  som- 
mosse, dispacci  telegrafici;  e  riprodotte  pure  in  facsimile,  medaglie  comme- 
morative; inni  patriottici  dei  quali  è  riportata  anche  la  musica,  e  che  si  ese- 
guivano al  pianoforte,  mentre  i  bambini  impararono  a  cantarli,  e,  infine, 
ricche  illustrazioni. 

Questa  lettura  documentata  era  così  appassionante,  che  i  bambini  s'in- 
vestivano delle  situazioni;  essi  discorrevano  animatamente  su  vari  argomenti, 


LETTURA  07 

giudicando  e  discutendo;  erano  indignati  di  un  editto  del  re  di  Napoli  ten- 
dente a  ingannare  il  popolo,  fremevano  delle  ingiustizie  e  delle  persecuzioni; 
si  entusiasmavano  degli  eroismi  e,  infine,  volevano  riprodurre  delle  scene. 
Si  mettevano  d'accordo  in  tre  o  quattro  e  rappresentavano  degli  episodi  con 
una  drammaticità  interessante.  Una  bambina  portò  un  volume  che  racco- 
glieva gl'inni  patriottici  italiani,  e  quello  occupò  molto  i  fanciulli,  che  ne 
impararono  parecchi  e  li  eseguirono  in  coro. 

Infine,  il  risorgimento  italiano  riviveva  nei  piccoli  cuori,  come  non  vive 
più  nel  cuore  degli  adulti.  Molti  bambini  scrissero  spontaneamente  le  loro 
impressioni  giudicando  i  fatti  in  un  modo  veramente  originale. 

Poi  vollero  tenere  un  ricordo  e  pregarono  la  maestra  di  appuntare  i  fatti 
principali  e  le  date  e  tutti  le  copiarono  sui  loro  quaderni.  Essi  sapevano  in- 
fine la  storia  in  un  modo  sorprendente. 

Questi  fenomeni  corressero  alcune  idee  che  io  avevo  avuto  sull'insegna- 
mento della  storia.  Il  mio  concetto  era  stato  quello  di  preparar  delle //ws 
cinematografiche  e  di  dare  delle  rappresentazioni.  Ma,  naturalmente,  essendo 
ciò  fuori  delle  mie  possibilità,  avevo  dovuto  rinunciare  all'esperimento. 

La  lettura  del  libro  del  De  Luca,  fu  una  rivelazione.  Per  insegnare  la 
storia  ai  bambini  basta  dare  una  «  verità  vivente  e  documentata  ».  Non  occor- 
rono cinematografi;  ma  bisogna  cambiare  completamente  i  testi  delle  scuole. 

I  bambini  sono  sensibili  al  vero  e  al  bello  molto  più  di  noi:  occorre  pre- 
sentare ai  loro  occhi  dei  quadri  completi  di  verità,  che  presentino  al  vivo  i 
fatti  e  le  situazioni  dei  tempi.  Come  il  De  Luca,  preso  dall'amore  dei  lontani 
fratelli,  volle  con  un'opera  fatta  insieme  di  verità  e  di  amore  svegliarli  e  j urli 
7nvere  tra  noi  nell'italianità,  così  occorrerebbero  persone  ugualmente  animate 
d'umano  zelo,  che  volessero  chiamare  l'anima  dei  bambini.  Poiché  anch'essi 
sono  fratelli  lontani  che  vengono  da  un'altra  patria,  e  che  noi  dobbiamo  ri- 
svegliare, e  condurre  a  viver  tra  noi. 

Un  altro  libro  che  fece  grande  impressione  fu  la  lettura  del  Selvaggio 
dell' Aveyron   di   Itard. 

Le  madri  dei  bambini  vennero  a  scuola  per  chiederci:  «  che  cosa  avete 
letto  ieri  di  tanto  impressionante?  fatecene  parte  anche  a  noi  ». 

I  fanciulli  avevano  raccontato  d'aver  sentito  una  storia  straordinaria, 
di  un  bambino  abbandonato  vissuto  con  le  bestie,  e  che  poi  a  poco  a  poco  co- 
mincia a  capire,  a  sentire,  e  a  vivere  come  noi.  Tutti  i  particolari  psicologici 
dei  tentativi  educativi,  di  studi,  sembravano  toccare  l'anima  dei  bambini! 
Tanto  che  noi,  meravigliate  di  tali  f^tti,  pensammo  di  condurre  questi  fan- 
ciulli più  grandi  in  una  Casa  di  Bambini,  e  di  spiegar  loro  il  metodo  di  educa- 
zione. Essi  si  interessarono  vivamente,  e  già  alcuni  di  questi  fanciulli  sono 
oggi  collaboratori  nella  preparazione  di  Case  di  Bambini.  Essi  possono  se- 
guire lo  'Svolgersi  dello  spirito  infantile»  con  una  sensibilità  che  ci  sorprende; 
tuttavia  se  riflettiamo  che  i   migliori  maestri  dei  bambini  sono    i    bambini 


3Ò6  PARTE    SliCONDA 

stessi,  c  che  i  piccolini  si  affratellano  assai  più  a  un  ragazzetto  che  a  un  adulto, 
sapremo  deporre  la  meraviglia  che  ci  reca  la  caduta  di  un  pregiudizio. 

Noi  ci  siamo  foggiati  i  bambini  su  un'idea  fantastica,  relegandoli  in  una 
specie  umana  diversa  dalla  nostra.  Ma  essi  sono  i  nostri  "gli,  più  puri  di  noi. 
L'amore,  il  bello,  il  vero,  li  affascina  intensamente,  ed  essi  vi  si  gettano  come 
nelle  vere  necessità  della  vita. 

I  fenomeni  a  cui  abbiamo  assistito  debbono  farci  fare  molte  riflessioni. 
Noi  siamo  dunque  riusciti  a  insegnare  storia  e  perfino  pedagogia  con  le  n  letture». 
Infatti  le  letture  non  sono  d'ogni  genere?  le  storie  dei  viaggi  insegnano  la 
geografìa;  la  vita  degli  insetti  insegna  le  scienze  naturali  e  via  dicendo. 

La  maestra  dunque,  con  le  letture  può  far  penetrare  il  bambino  in  vari 
campi;  e  questi,  appena  pe  abbia  conoscenza,  potrà  entrarvi  liberamente, 
dando  sfogo  alla  sua  passione  per  la  lettura. 

Ciò  che  noi  dobbiamo  fare  è  offrire  al  bambino  u  i  mezzi  ><  per  istruirsi,  e 
conservargli  pure  le  sorgenti  della  vita  intellettuale  e  della  vita  del  sentimento. 
Il  resto  viene  da  sé.  Come  dicevano  gli  antichi,  l'istruzione  «  necessaria  »  è 
«leggere,  scrivere  e  far  di  conto»,  perchè  queste  cose  l'uomo  non  può  trovarle 
da  sé. 

Noi  possiamo  oggi  ripetere  che  il  «  metodo  »  deve  essere  precisato  scien- 
tificamente là  dove  occorre  aiutare  la  «formazione  dell'uomo»  affinchè  egli 
possa  svolgere  le  sue  attività  rinforzandole  e  non  deprimendole;  e  affinchè 
possa  ricevere  gli  aiuti  che  gli  sono  necessari,  senza  nulla  perdere  della  pura 
freschezza  delle  sue  interiori  attività. 

Ma  non  è  detto  che  «  un  metodo  rigoroso  debba  sempre  e  in  tutto  condurre 
il  fanciullo»;  quando  egli  è  un  forte  e  porta  con  se  i  mezzi  di  ricerca,  molte  co- 
gnizioni saprà  strapparle  da  sé  al  mondo. 

Noi  legavamo  il  bambino  al  materiale  negli  esercizi  dei  sensi,  ma  lo 
lasciavamo  a  sé  quando  egli  esplorava  l'ambiente.  Così  in  ogni  ulteriore 
passo,  noi  dobbiamo  armare  l'uomo  rinforzandolo  e  poi  lasciare  ch'egli  di- 
venti un  libero  esploratore. 

Che  il  bambino  ami  molto  la  lettura  e  che  preferisca  nella  lettura  «  il  vero  » 
è  cosa  già  per  altra  via  sperimentata.  Cito  a  questo  proposito  i  risultati  del- 
l'inchiesta sulle  letture  infantili,  promossa  dalla  sezione  «  Educazione  »  della 
Federazione  Emiliana  per  le  bibliotechine  scolastiche  (i). 

II  formulario  era  il  seguente  : 

—  Rammenti  quali  libri  hai  letti  e  quali  ti  sono  piaciuti  di  più? 

—  In  quale  modo  te  li  sei  procurati? 

—  Conosci  il  titolo  di  qualche  libro  che  desidereresti  leggere? 

—  Preferisci  le  fiabe  o  i  racconti  di  fatti  veri  o  verosimili?   Perchè? 


(i)  Botleltitio   delle    Bibliolechine   per  le   scuole   elementari   italiane.  Bologna. 
aprile  191 2. 


LETTURA  .ì^9 

—  Preferisci  i  racconti  che  fanno,  piangere  o  quelli  che  fanno  ridere? 

—  Ti  piacciono  le  poesie? 

—  Leggi  volentieri  avventure  di  viaggi? 

—  Sei  abbonato  a  qualche  giornalino?   A  quali?  • 

—  Se  la  mamma  ti  volesse  fare  un  regalo,  fra  l'abbonamento  a  un  giornalino  e  un 

libro  illustrato  quale  preferiresti,  e  perchè? 

Dalle  inchieste  condotte  con  molta  esattezza,  risulta  che  in  un'altissima 
percentuale  i  bambini  preferiscono  le  letture  che  trattano  di  cose  vere. 

Ecco  qualcuna  delle  ragioni  date  dai  bambini  su  tali  preferenze:  «  in 
prò  dei  fatti  veri:  pel  fine  pratico  d'istruirmi;  perchè  le  fiabe  sono  fatti  che 
non  possono  essere;  perchè  i  racconti  veri  non  esaltano  la  mente;  perchè  mi 
istruiscono  nella  storia;  perchè  quando  si  sono  letti  può  rimanere  nella  mente/' 
qualche  buona  idea;  perchè  le  fiabe  fanno  desiderare  delle  cose  inverosimili; 
perchè  s'imparano  molte  idee  di  esperienza;  perchè  i  racconti  fantastici  fanno 
desiderare  cose  soprannaturali  ».  In  favore  delle  fiabe  abbiamo:  «perchè  sono 
dilettevoli  nelle  ore  di  svago;  perchè  leggendo  mi  par  d'essere  in  mezzo  alle 
fate  e  agl'incantesimi)»  e  poche  altre.  Quelli  che  preferiscono  i  racconti  seri 
giustificano  i  loro  gusti  così:  «  perchè  mi  sento  più  buono,  e  capisco  tutto  il 
male  che  faccio;  perchè  l'animo  s'intenerisce;  perchè  mi  destano  nel  cuore 
V  sentimenti  buoni  e  gentili  ».  Pei  racconti  da  ridere  abbbiamo  questa  ragione 
ripetuta  da  molti:  «  perchè  mentre  leggo,  mi  distraggo  dai  miei  piccoli  dolori  ». 
Ma  in  complesso  la  grande  maggioranza  nega  all'allegria  ogni  efficacia  educa- 
tiva. Quest'opinione,  o  meglio  questo  sentimento  così  diffuso  tra  i  bambini 
non  è  forse  l'indizio  di  alcun  che  di  errato  nell'indirizzo  dell'educazione  che 
diamo  loro? 


Tavola   XVI.   —   Lettura  interpetrata  : 
Dette  in  una  risata  e  battè  le  mani  »    ^pag.    379). 
(Setxe  II). 


i 


Tavola   XVIII.  —  Interpetrazione  spontanea  della  lettura: 

«  Trasse  di  tasca  il  fazzoletto, 

lo  spiegò  e  ci  si  asciugò  gli  occhi  pieni  di  lacrime  t    (pag.  380). 


Aveva  sonno  : 


I'avola    XIX.  —  Lettura   iuterpetrat 
appoggiò  le  braccia  sul  tavolino,  la 
e  si  addormentò  »  (pag.  380). 


1  suUr  braccia 
{S,r,e  III). 


Tavola    XX.  —  Analogamente   i   bambini   interpetrano  le  espressioni 
e  le   pose  raffigurate  nei  quadri. 


ARITMETICA 


OPERAZIONI  ENTRO  IL  DIECI 


I  bambini  nella  «  Casa  dei  Bambini  «  erano  giunti  a  compiere  le  quattro 
operazioni  nella  loro  espressione  più  semplice;  e  il  materiale  di  sviluppo  con- 
sisteva nelle  «  aste  delle  lunghezze  »  le  quali  materializzavano  i  numeri  i, 
^>  3.  4.  5.  6,  7,  8,  9,  IO,  serbando  ciascuna,  a  mezzo  dei  colori  alternati 
rosso  e  bleu  in  cui  erano  distinte,  la  quantità  di  unità  che  rappresentava. 
Il  concetto  che  il  numero  collettivo  fosse  rappresentato  da  un  oggetto  solo 
contenente  i  segni  di  riconoscimento  relativi  alla  quantità  di  unità,  anziché 
da  tanti  oggetti  quante  sono  le  unità  rappresentate  nel  numero,  era  ciò  che 
aveva  facilitato  e  reso  interessante  e  attraente  il  primo  ingresso  nel  complesso 
arduo  campo  dei  numeri.  Che  il  cinque,  p.  es.,  sia  rappresentato  da  un  og- 
getto solo,  distinto  in  cinque  parti,  anziché  da  cinque  oggetti  uguali  che  la 
mente  deve  collegare  in  un  insieme,  risparmia  uno  sforzo  mentale,  e  dà  chia- 
rezza all'idea. 

Era  su  quel  principio  realizzato  dal  sistema  delle  aste,  che  i  bambini 
erano  riusciti  a  compiere  si  facilmente  lo  prime  operazioni  aritmetiche: 
7  -|-  3  =  io;  2  +  8  =  io;  io  -4  =  6,  ecc. 

II  materiale,  dunque,  servì  eccellentemente.  Esso  però  è  troppo  limitato 
in  quantità,  e  troppo  grande  in  dimensioni  e  quindi  non  facilmente  manegge- 
vole, per  diffondersi  utilmente  e  sufficientemente  a  tutta  una  scolaresca,  la 
quale  si  sia  iniziata  all'aritmetica. 

Ecco  perchè,  conservando  il  medesimo  concetto  fondamentale,  abbiamo 
preparato  un  materiale  piccolo,  abbondante,  accessibile  a  una  quantità  no- 
tevole di  bambini  che  lavorino  nello  stesso  tempo. 

Esso  consiste  in  perle  legate  rigidamente  da  un  filo  di  ferro:  i,  2,  3,  4, 
5,  6,  7,  8,  9,  IO  (Tavola  XXI).  Queste  perle  sono  colorate  differentemente:  la 
fila  di  dieci  perle  è  arancione;  quella  di  nove  è  turchina;  quella  di  otto  è  vio- 
letta; quella  di  sette  é  bianca;  quella  di  sei  è  grigia;  quella  di  cinque  è  celeste; 


394  PARTI-:    SIXONDA 

quella  di  quattro  ò  gialla;  tnulia  di  tio  è  rosa;  (Hulla  di  dui'  ò  verde. 
Poi  ci  sono  perle  isolate  per  l'unità. 

Queste  perle  sono  di  vetro  lucente:  e  il  filo  di  metallo  bianco  con  cui 
sono  infilate  e  fissate  in  cima  e  in  fondo  con  una  ripiegatura  a  occhiello,  è  rigido 
e  resistente.  Questi  oggettini  attraenti  sono  raccolti  in  cinque  copie  in  ogni 
scatola  ;  ed  è  perciò  come  se  ogni  bambino  potesse  disporre  di  cinque  sistemi 
di  aste  per  le  sue  combinazioni  numeriche:  gli  oggetti,  essendo  poi  così  maneg- 
gevoli e  piccoli,  permettono  il  lavoro  a  tavolino.  Questo  materiale  sempli- 
cissimo, di  facilissima  preparazione,  iia  avuto  un  successo  straordinario  tra  i 
bambini  di  cinque  anni  e  mezzo. 

Essi  hanno  lavorato  con  una  meravigliosa  intensità,  compiendo  perfino 
sessanta  operazioni  aritmetiche  di  seguito,  ed  empiendo  quaderni  interi  di 
operazioni  nello  spazio  di  pochi  giorni. 

La  carta  preparata  per  questi  esercizi  è  in  foi^'li  (luadrettati,  non  però 
tutti  uguali  nel  colore  della  rigatura.  Alcuni  fogli  sono  quadrettati  in  nero, 
altri  in  rosso,  altri  in  verde,  altri  in  azzurro,  altri  in  rosa  o  in  arancione. 
La  varietà  dei  colori  contribuisce  a  trattenere  al  lavoro  il  bambino.  Egli 
ha  empito  di  operazioni  un  foglio  rigato  in  rosso:  ama  sceglierne  un  altro  az- 
zurro, e  così  via.  *' 

L'esperienza  ci  ha  inoltre  condotto  a  preparare  una  grande  quantità 
di  «  decine  »;  i  bambini  finivano  con  lo  scegliere  nella  scatola  tutti  i  pezzi 
da  dieci  per  contare  le  decine  in  successione:  io,  20,  30,  40,  ecc. 

Per  questo  abbiamo  come  materiale  primitivo  delle  perle  anche  le  sca- 
tole delle  decine,  cioè  tutte  piene  di  pezzi  da  dieci.  Insieme  a  ciò  vi  sono 
dei  cartelli  su  cui  sta  scritto  io,  20,  ecc.  I  bambini  uniscono  dtie  o  più 
decine,  in  corrispondenza  dei  cartelli. 

Questo  è  un  inizio  per  andare  verso  i  multipli  di  dieci:  dei  cartoni  col 
numero  100  e  col  numero  1000,  permettono,  per  soN'iapposizione,  di  for- 
mare dei  numeri  come:  1916. 

Il  <i  lavoro  con  le  perle  »  è  stato  stabilito  subito  perchè  esperimentato, 
come  una  conquista  maturata  nel  suo  stesso  apparire  (Tavola  XXII).  La  pos- 
sibilità di  complicare  ed  ampliare  i  primitivi  esercizi  con  le  aste,  ha  reso 
più  rapido,  sicuro  e  generalizzato  il  calcolo  mentale  che  spontaneamente  si 
sviluppa,  come  per  una  legge  di  risparmio  che  tenda  all'attuazione  del  «  mi- 
nimo sforzo  ».  Infatti  il  bambino  a  poco  a  poco,  senza  piiì  contare  le  perle, 
riconosce  al  colore  i  numeri:  turchino,  9;  giallo,  4;  ecc.,  e,  quasi  senza  avve- 
dersene, contando  oramai  dei  colori,  anziché  delle  quantità  di  perle,  fa 
veri  e  propri  calcoli  mentali:  appena  il  bambino  si  renda  conscio  di  ciò, 
con  sua  gran  gioia  fa  la  dichiarazione  del  passaggio  al  piano  più  elevato:  «  io 
conto  a  mente,  faccio  più  presto  ».  .allora  il  primo  materiale  delle  perle  è 
superato. 


ARITMETICA  395 


DIECINE,  CENTINAIA  E  MIGLIAIA. 

Materiale.  —  Ho  fatto  costruire  una  catena,  facendo  legare  insieme 
dieci  bastoncini  da  dieci  perle  ciascuno;  questa  viene  chiamata  «  la  catena 
del  cento  ».  Poi  ho  fatto  riunire  per  mezzo  di  brevi  catenelle  che  sono  molto 
pieghevoli,  dieci  catene  da  cento,  venendo  così  a  formare  la  «  catena  del 
mille  ». 

Queste  catene  hanno  lo  stesso  colore  dei  bastoncini  da  dieci:  cioè  sono 
costruite  tutte  con  perle  arancione.  La  loro  lunghezza  reciproca  è  sorprendente; 
mettiamo  prima  una  perla  isolata  (unità),  poi  un  bastoncino  da  io  che  è 
lungo  circa  7  cm.  (decina),  poi  una  catena  da  cento,  che  è  lunga  circa  cm.  70 
(centinaio)  e,  infine  la  catena  del  mille  lunga  circa  sette  metri  (Tavola  XXIII). 
Questo  slancio  del  mille  porta  addirittura  in  un  altro  ordine  di  quantità; 
mentre  l'i,  il  io,  il  100,  si  possono  tenere  sul  tarvohno  per  studiadi  comoda- 
mente, non  basta  la  lunghezza  della  stanza  a  contenere  la  catena  del  mille! 
Bisogna  uscire  nel  corridoio  o  andare  nel  grande  salone  ;  mettersi  insieme 
in  più  bamoini,  lavorare  pazientemente  per  disporla  in  linea  retta  e  poi 
passeggiare  in  su  e  in  giù,  per  vederla  tutta. 

Questa  «  impressione  «  dei  rapporti  di  quantità  è  un  vero  avvenimento. 
Per  qualche  giorno,  la  sorprendente  «  catena  del  mille  »  afferra  l'attività 
dei  bambini  (Tavola  XXIV). 

Le  catenelle  tra  centinaio  e  centinaio,  permettono  di  piegare  la  catena 
del  mille:  allora  si  possono  giustapporre  le  catene,  una  vicina  all'altra,  for- 
manti nell'insieme  la  figura  di  un  lungo  rettangolo,  che  permette  rilevare 
in  superfìcie  la  quantità  che  prima  aveva  impressionato  come  lunghezza 
nella  Tavola  XXV  si  vede  la  catena  del  mille  distesa;  e  nella  Tavola  XXVI, 
si  vede  ripiegata  in  dieci  file  di  cento,  a  forma  di  rettangolo.  ''^^^ 

Sul  tavoHno  possono  ora  star  tutti  uno  sotto  l'altro:  la  perlina  isolata, 
e  poi  l'asticina  del  dieci,  poi  la  catena  del  cento  e,  infine,  la  striscia  del  mille. 

Chi  si  chiedesse  come  condurre  il  fanciullo  a  valutare  numericamente 
le  proporzioni  di  quantità  intuite  ad  occhio,  si  farebbe  la  stessa  domanda 
che  ci  siamo  fatta  noi. 

Ouand'ecco  i  bambini  si  mettono  a  contare  perla  a  perla,  paziente- 
mente, da  uno  a  cento  (Tavola  XXIV).  E  poi  si  mettono  attorno  alla  catena  del 
mille,  per  nulla  esitanti  innanzi  all'ardua  impresa,  in  due  o  tre,  quasi  a  darsi 
reciproco  aiuto  per  contare  anche  la  catena  del  mille.  Cento,  e  dopo  cento 
che  viene?  cento  ino.  E  infine?  duecento,  duecento  uno...  Così  giunsero  un 
giorno  tino  a  settecento.  «  Sono  stanco»  disse  il  bambino.  «Ci  metto  un  segno 
e  continuo  domani». 


^l)t)  PAKTE    SECONDA 

Sotto  conto,  sotto  conto...  «  Guanla  "  dicoxa  un  altro:  «  sono  sette,  sette 
conto;  sì,  conta  le  catene:  sette  cento,  otto  conto,  nove  cento  e  mille.  Si- 
gnora! signora!  la  catena  da  mille  ha  dieci  catene  da  cento,  ecco  qui!  ».  E  altri 
bambini  che  avevano  lavorato  sulla  catena  del  conto,  richiamavano  anch'essi 
l'altrui  attenzione:  "  oh  guaid.i  stuarda!  1.)  catona  di  conto  ò  dieci  pozzi  da 
dicci!  ». 

Così  fu  compreso  che  i  concetti  di  diecina,  continaia  e  migliaia,  si  da- 
vano offrendo  le  catene  all'intelligente  curiosità  infantilo,  e  rispettaiuio 
gli  spontanei  sforzi  delle  loro  attività  libere  (Tavole  XXII 1  e  XXIV). 

K  so  così  ò  avvenuto  nella  maggior  parte  dei  casi,  si  può  coniprcndorc 
quale  semplice  intervento  occorra  là  dove  la  deduzione  suddetta  non  venisse 
fatta  spontaneamente:  basterà  con  un  cenno  richiamar  l'attenzione  su  ciò 
che  "  si  maneggia  «,  perchè  l'idea  dei  rapporti  decimali  risalti  chiaramente. 
Chi  ha  preso  una  certa  pratica  di  questo  metodo,  sa  attendere;  comprende 
come  il  bambino  abbia  bisogno  di  lavorare  col  suo  pensiero  rostantcmonte 
e  lentamente,  e  come,  se  lo  maturazioni  interiori  avvengono  naturalmente, 
le  esplosioni  intuitive  siano  immancabili. 

Pili  noi  lasceremo  i  bambini  ■<  al  loro  interesso  »  più  avranno  valore  i 
frutti  che  se  ne  potranno  ricavare. 


I  ..  TELAI  DEI  RAPPORTI  DECIMALI  ., 

Invece  occorre  indubbiamente  l'opera  diretta  della  maestra,  la  sua 
breve  e  chiara  spiegazione,  per  presentare  un  altro  matorialo.  che,  si  potrebbe 
dire,  è  simbolico  rispetto  ai  rapporti  decimali. 

Si  tratta  di  due  telai  (pallottolieri)  semplicissimi,  della  stessa  struttura 
e  dimensione  dei  telai  delle  allacciature  pei  bambini  piij  piccoli:  quindi  oggetti 
leggeri  e  maneggevoli,  che  potrebbero  essere  anche  una  proprietà  indivi- 
diiale  dei  fanciulli.  Infatti  questi  telai  si  possono  costruire  facilmente,  e 
costano  pochissimo. 

Uno  di  essi,  è  voltato  per  largo  e,  nel  senso  della  larghezza,  porta  quattro 
fili  metallici  trasversali,  ognuno  dei  quali  ha  infilate  dieci  perle  (Tavola  XXVI). 

Le  tre  prime  file  in  alto  sono  equidistanti,  ma  l'ultima  in  basso  dista 
molto  di  più,  ed  è  distinta  dalle  altre  per  mezzo  di  un  bottone  metallico 
infisso  sull'asta  sinistra  del  telaio:  questa  poi,  in  alto  del  bottone  porta  un 
colore,  e  in  basso  del  bottone  un  altro.  In  corrispondenza  dei  punti  d'attacco 
dei  fili,  sull'asta  verticale  sinistra  del  telaio,  sono  stampati  dei  numeri:  in 
alto  I,  poi  IO,  poi  loo;  e.  in  corrispondenza  del  filo  isolato,  looo. 

Si  spiega  al  bambino  che  noi  supponiamo  che  il   valore  di  ogni   perla 


ARITMETICA  397 

della  prima  fila  sia  di  unità,  come  le  pedine  separate;  che,  invece,  ogni  perla 
della  seconda  fila  rappresenta  una  decina  (una  delle  asticine  di  dieci);  che 
il  valore  delle  perle  in  terza  fila  è  tale,  come  se  ciascuna  rappresentasse  una 
catena  da  cento.  E,  infine  poi,  quelle  perle  in  basso,  nella  linea  isolata  e  sepa- 
rata da  un  bottone,  hanno  un  tal  valore  che  ogni  perla  rappresenta  una 
catena  del  mille  (i). 

Non  è  molto  facile  render  maneggevole  questo  simbolo;  ma  ciò  avverrà 
tanto  meglio  se  il  bambino  avrà  potuto  rimanere  tranquillamente  occupato 
a  ,i,'uardare,  contare  e  studiare  le  catene.  ATtora,  essendo  maturato  sponta- 
neamente in  lui  il  concetto  di  rapporto  tra  unità,  decina,  centinaia  e  migliaia, 
molto  più  facile  sarà  riconoscere  e  agire  sul  simbolo. 

Sono  uniti  al  telaio  dei  fogli  appositamente  rigati. 

Essi  sono  divisi  per  lungo  in  due  parti  uguali;  e,  così  a  destra  come  a 
sinistra,  sono  verticalmente  rigati  da  righe  colorate:  una  verde  piii  a  destra, 
poi  una  turchina,  quindi  una  rosa,  parallele  ed  equidistanti:  una  fila  verti- 
cale di  punti,  separa  il  gruppo  delle  tre  linee,  da  un'altra  linea  isolata,  più 
a  destra.  Sulle  tre  prime  linee  da  destra  a  sinistra,  si  scriveranno  (relativamente) 
le  unità,  le  decine  e  le  centinaia;  sull'interna  le  mighaia. 

La  metà  destra  della  pagina  è  unicamente  destinata  a  chiarire  questa 
idea,  ed  a  mettere  in  rapporto  la  scrittura  con  il  pallottoliere  simbolico  dei 
rapporti  decimali. 

A  questo  scopo,  si  può  prima  contare  ogni  fila  del  pallottoliere,  dicendo: 
i»  fila:  una  unità,  due  unità,  tre  unità,  quattro  unità,  cinque  unità,  sei  unità, 
sette  unità,  otto  unità,  nove  unità,  dieci  unità. 

Tutte  e  dieci  le  unità,  valgono  quanto  una  sola  perla  del  piano  inferiore. 

Si  contano  ugualmente  le  perle  del  piano  inferiore:  una  decina,  due 
decine,  tre  decine,  quattro  decine,  cinque  decine,  sei  decine,  sette  decine, 
otto  decine,  nove  decine,  dieci  decine. 

Tutte  e  dieci  le  perle  delle  decine,  valgono  quanto  una  sola  perla  del 
piano  inferiore. 

Si  contano  anche  le  perle  della  terza  fila,  spostandole  ad  una  ad  una: 
un  centinaio,  due  centinaia,  tre  centinaia,  quattro  centinaia,  cinque  centinaia, 
sei  centinaia,  sette  centinaia,  otto  centinaia,  nove  centinaia,  dieci  centinaia. 

Tutte  e  dieci  le  perle  delle  centinaia,  valgono  come  una  sola  perla  delle 
migliaia. 

Le  quali  sono  pure  dieci:  un  migliaio,  due  migliaia,  tre  migliaia,  quattro 
migliaia,  cinque  mighaia,  sei  mighaia,  sette  mighaia,  otto  migliaia,  nove 
migliaia,  dieci  migliaia;  così  :  mille,   due   mila,  tre  mila,  quattro  mila,  cinque 


(i)  Sarebbe  più  efficace  porre  in  questo  primo  telaio  le  perle  fnon  solo  di  colore 
diverso,  ma  anche  di  dimensione  progressivamente  maggiore,  come  mi  fu  consigliato  da 
un  professore  portoghese  che  ha  seguito  un  mio  corso  di  lezioni. 


^gS  CARTE    SIXONDA 

inil.i,  sci  mila,  sotto  mila,  otto  mila,  novo  mila,  dioci  mila.  La  monto  dol 
bambino  può  figurarsi  dieci  soparato  oatono  da  millo:  il  simbolo  si  riferisco 
quindi  a  una  tangibile  idea  di  quantità. 

Ora  si  tratta  di  scrivere  tutte  queste  mosse  con  cui  abbiamo  successi- 
vamente contato  dieci  unità,  dieci  decine,  dieci  centinaia  e  dieci  migliaia. 
Sulla  prima  linea  verticale  a  destra  (quella  verde)  si  scriveranno  una  sotto 
l'altra  le  unità;  sulla  seconda  linea,  turchina,  le  decine;  sulla  terza,  rosa,  le 
centinaia;  infine  sulla  linea  isolata,  al  di  là  dei  punti,  le  migliaia. 

Le  linee  orizzontali  dol  foglio  pormottono  in  tal  modo  di  giimgoro  lino 
all'unità  di  migliaia. 

Ecco  che,  giunti  a  scrivere  nove,  bisogna  uscire  dalla  linea  delle  unità 
e  passare  a  quella  della  decine:  infatti  dieci  unità  sono  una  decina,  E  cosi 
giunti  alla  cifra  nove  delle  decine,  occorre  passare  alla  linea  delle  centinaia, 
porche  dieci  decine  sono  appunto  un  centinaio.  E,  infine,  scritte  le  novo 
cifro  delle  centinaia,  si  passa  alla  linea  dello  migliaia,  perchè  appunto  dioci 
continaia  fanno  un  migliaio  (Tabella  E). 

Le  unità  (da  i  a  9)  stanno  dunque  scritto  nella  linea  più  a  destra;  poi, 
nella  vicina  linea  a  sinistra,  stanno  scritte  le  decine  da  i  a  9;  infine,  nella  terza 
linea  stanno  scritte  le  centinaia,  da  i  a  9.  Sempre  così,  da  i  a  9;  non  ci  può 
essere  altro.  Il  di  più  fa  cambiar  posto  alle  medesime  cifre.  Ecco  la  cosa  che 
deve  essere  maturata  tranquillamente. 

Sono  quelle  nove  cifre  che  cambiano  posto,  per  formar  tutti  i  numeri  pos 
sibili:  non  è  dunque  la  cifra  in  sé  stessa,  ma  è  la  sua  posizione  rispetto  alle 
altre,  che  le  dà  ora  il  valore  di  uno,  ora  di  dieci,  ora  di  cento  o  di  mille.  Così 
si  traducono  simbolicamente  quei  valori  reali  che  crescono  in  modo  sì  prodi- 
gioso, che  noi  non  potremmo  più  neanche  immaginarli.  Avere  una  fila  di  dieci 
mila,  lunga  settanta  metri!  e  poi  ancora  una  fila  con  dieci  di  quelle  file  lunghe 
come  una  strada!  È  necessario  dunque  ricorrere  ai  simboli.  Il  valore  di  quel 
posto  è  grandissimo. 

Come  si  fa  a  contrassegnare  una  cifra  per  indicare  qual'c  il  suo  posto 
rispetto  alle  altre,  e  perciò  il  suo  valore?  Non  essendoci  sempre  delle  linee 
verticali  indicanti  la  relativa  posizione,  si  mettono  tanti  zeri  a  destra  della 
cifra.  Lo  zero,  si  sa  già  dalla  «  Casa  dei  Bambini  »,  non  ha  nessun  valore,  e 
non  può  neanche  dare  nessun  valore  alla  cifra  cui  si  accompagna.  Ma  esso 
serve  a  tenere  il  posto  e  a  far  capire  il  valore  della  cifra  che  ha  a  sinistra. 
Non  è  che  lo  zero  dia  valore  a  i  e  lo  faccia  diventar  io;  è  che  lo  zero  del  io 
sta  ad  indicare  che  quell'uno  non  è  una  unità,  ma  sta  al  posto  successivo 
delle  decine  e  vuol  dire  una  decina  e  niente  unità.  Se  invece  alla  decina 
si  accompagnassero,  p.  es.,  4  unità,  allora  ci  sarebbe  un  4  al  posto  delle  unità, 
e  r  I  alle  decine. 

Il  bambino  sa  già  scrivere  dieci  e  anche  cento  nella  «  Casa  dei  Bambini  n; 
perciò  è  ben  facile  scrivere  ora,  con  l'aiuto  degli  zeri,  e  in  colonna,  contando 


ARITMETICA  399 

da  uno  a  mille:  uno,  due,  tre,  quattro,  cinque,  sei,  sette,  otto,  nove,  dieci, 
venti,  trenta,  quaranta,  cinquanta,  sessanta,  settanta,  ottanta,  novanta, 
cento,  duecento,  trecento,  quattrocento,  cinquecento,  seicento,  settecento, 
ottocento,  novecento,  mille  (Tabella  F). 

Imparato  bene  a  contare  così,  si  può  leggere  qualunque  numero  di 
quattro  cifre. 

Componiamo  i  numeri  sul  pallottoliere;  componiamo,  p.  es.,  il  numero  4827 
(Tavola  XXVII);  si  spingono  allora  quattro  perle  a  sinistra  nella  fila  delle  mi- 
gliaia, otto  nella  fila  delle  centinaia,  due  in  quella  delle  decine,  e  sette  in  quelle 
delle  unità,  e  si  legge:  quattromila  ottocento  ventisette;  quel  numero  si  scrive 
mettendo  le  cifre  sulla  stessa  riga,  e  nella  posizione  reciproca  simbolica  dei 
rapporti  decimali:  4827.  Così  si  può  fare  del  nostro  millesimo;  1916,  e  si  scrive, 
a  sinistra,  come  è  indicato  nel  foglio. 

Si  componga  ora  sul  pallottoliere  simbolico  2049:  si  spingano  a  sinistra 
due  perle  del  mille,  quattro  delle  decine  e  nove  delle  unità.  Nella  fila  delle 
centinaia  sul  pallottoliere  «  non  c'è  nulla  »:  ecco  una  dimostrazione  della  fun- 
zione dello  zero,  che  sta  a  tenere  i  posti  vuoti. 

Così  nel  numero  4700  composto  sul  pallottoliere,  si  spingono  quattri 
perle  sul  filo  delle  migliaia  e  sette  sul  filo  delle  centinaia;  gli  altri  due  fili 
restano  vuoti.  Scrivendo,  quei  posti  vuoti  son  riempiti  da  zeri,  cioè  da  cifre  di 
nessun  valore. 

Quando  il  bambino  ha  ben  capito  tutto  questo,  egli  moltiplica  da  sé 
gli  esercizi  con  grandissimo  interesse.  Manda  a  sinistra  delle  perle  a  caso 
in  qualcuna  o  in  tutte  le  file,  e  poi  interpreta  e  scrive  il  numero  sui  foglietti 
appositamente  preparati.  Quand'egli  è  entrato  in  questo  esercizio,  la  posi- 
zione delle  cifre,  e  quindi  le  operazioni  con  numeri  di  più  cifre,  in  colonna, 
sono  idee  pienamente  conquistate.  Per  maturarle,  basta  lasciare  il  bambino 
al  suo  autoesercizio  (Tavola  XXVIII). 

Ben  presto  egli  chiederà  di  andare  oltre  il  mille  (Tavola  XXIX). 

Ecco  un  altro  pallottohere  a  sette  file:  esso  ha  le  unità,  decine  e 
centinaia  semplici;  le  unità,  decine  e  centinaia  di  migliaia;  e  la  fila  dei 
milioni.  Il  passaggio  dall'un  pallottoliere  all'altro,  presenta  molto  inte- 
resse, ma  nessuna  difficoltà.  I  bambini  avranno  bisogno  di  ben  poche 
spiegazioni  e  cercheranno  di  capire  da  sé  il  pili  possibile.  Le  «  grandi  cifre  » 
saranno  per  essi  la  cosa  più  interessante  e  perciò  più  facile.  Ben  presto 
vedremo  i  loro  quaderni  pieni  delle  cifre  più  favolose;  essi  sono  oramai  ma- 
neggiatori di  milioni. 

In  rapporto  al  grande  pallottoliere  (lo  stesso  telàio,  ma  messo  in  senso 
verticale),  il  quale  ha  l'asta  di  sinistra  distinta  in  tre  colori  secondo  i  gruppi 
dei  fili  (le  unità,  decine  e  centinaia  semplici  sono  separate  da  un  bottone 
da  quelle  di  migliaia,  e  queste  son  separate  da  un  bottone  dalla  fila  iso- 
lata dei  milioni),  esiste  un  foglio  appositamente  preparato  e  corrispondente. 


400  PARTE    SECONDA 

Su  di  esso  si  scriveranno  a  destra,  i  numeri  corrispondenti  al  pallottoliere, 
contando  dall'unità  al  milione,  cioè:  uno,  due,  tre,  quattro,  cinque,  sei,  setto, 
otto,  nove,  dieci,  venti,  trenta,  quaranta,  cinquanta,  sessanta,  settanta, 
ottanta,  novanta,  cento,  duecento,  trecento,  quattrocento,  cinquecento, 
seicento,  settecento,  ottocento,  novecento,  mille,  duemila,  tremila,  quattro- 
mila, cinquemila,  seimila,  settemila,  ottomila,  novemila,  diecimila,  venti- 
mila, trentamila,  quarantamila,  cinquantamila,  sessantamila,  settantamila, 
ottantamila,  novantamila,  centomila,  duecentomila,  trecentomila,  quattro- 
centomila, cinqueccntoinila.  sciccntomila.  sctteccntomila.  ottoccntomila,  nove- 
centomila,  un  milione  (Tabella  G). 

Dopo  ciò  il  bambino  spostando  verso  sinistra  una  o  più  perle  di  qualche- 
duna  o  di  tutte  le  file,  cerca  d'interpretare  e  poi  di  scrivere  nella  metà  sinistra 
del  foglio  i  numeri  che  risultano  da  tali  spostamenti  casuali:  come  è,  p.  es., 
nel  pallottoliere  il  numero  6.206.818;  e  sul  foglio  i  numeri:  i.iii.iii;  8.640.850; 
1.500.000;  3.780.000;  5.840.714;  720.000;  500.000;  430.000;  35.840;  80.724; 
15.229;   1.240. 

Quando  si  tratterà  di  sommare  o  di  sottrarre  numeri  di  più  cifre,  di  met- 
tere i  risultati  in  colonna,  ecc.,  si  troverà  tutto  così  estremamente  facilitato, 
che  risulterà  quasi  come  una  sorpresa  (Tavola  XXXIII). 


LA  TAVOLA  PITAGORICA. 

(Tavola  di  yiioltiplicazione). 

M.MERi.M.E.  —  I!  materiale  della  tavola  pitagorica,  consiste  di  più 
parti. 

Gli  oggetti  sono:  un  cartone  quadrato  che  porta  cento  incavi  (io  x  io), 
in  ognuno  dei  quali  può  collocarsi  una  perla.  In  alto,  e  in  corrispon- 
denza d'ogni  fila  verticale  di  fori,  sono  stampati  i  numeri  i,  2,  3,  4,  5, 
6,  7,  8,  9,   IO. 

A  sinistra  è  possibile  incastrare  un  cartellino  che  porta  in  rosso  una 
delle  suddette  cifre:  questo  cartellino,  che  farà  da  moltiplicando,  si  può  di 
volta  in  volta  cambiare;  nel  sistema  esistono  dieci  di  tali  cartellini,  con  le 
dieci   cifre. 

A  sinistra  in  alto  c'è  un  piccolo  incavo  ove  si  porrà  una  marchetta  rossa: 
ma  questo  particolare  è  affatto  secondario. 

Questo  cartone  quadrato  è  bianco,  listato  di  rosso. 

Annessa  a  questo  oggetto  è  una  elegante  scatola,  contenente  cento 
perle  sciolte.  L'esercizio  che  deve  farsi  con  tale  materiale  è  estremamenti; 
semplice. 


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ARITMETICA  40I 

Si  supponga  di  dover  moltiplicare  il  6  con  la  serie  naturale  dei  numeri 
da  I  a  IO  (Tavola  XXX):  6x1;  6x2;  6x3;  6x4;  6x5;  6x6;  6x7;  6x8; 
6x9;  6x10. 

Si  pone  nello  spazio  a  sinistra  il  cartellino  portante  il  numero  6.  Mol- 
tiplicando 6x1,  il  bambino  fa  due  cose:  pone  la  marchetta  rossa  sull'i  she 
sta  stampato  in  alto,  e  pone  sei  perle  in  colonna  verticale  sotto  il  numefo  uno. 

Moltiplicando  6  x  2,  il  bambino  sposta  la  marchetta  rossa  sul  2,  e  aggiunge 
altre  sei  perle  in  colonna  sotto  il  2;  così  moltiplicando  6x3,  fa  passare  la 
marchetta  sul  3,  e  aggiunge  sei  perle  in  linea  verticale,  sotto  il  3;  e  in  tal 
modo  procede  fino  a!  6x10. 

Lo  spostamento  della  marchetta  serve  a  indicare  il  moltiplicatore  di 
volta  in  volta,  e  richiede  da  parte  del  bambino  un'attenzione  sempre  attiva, 
una  grande  esattezza  di  esecuzione  (Tavola  XXXI). 

Mentre  il  bambino  compie  queste  operazioni,  egli  scrive  le  sue  moltipli- 
cazioni. A  tal  uopo,  esistono  speciali  fogliettini,  intestati,  eleganti,  che  il 
bambino  può  tenere  alla  destra  del  materiale  di  moltiplicazione. 

Esistono  dieci  di  questi  fogliettini  in  serie;  e  in  ogni  sistema,  ci  sono 
dieci  serie,  cioè  cento  fogliettini,  annessi  ad  ogni  materiale  di  moltiplicazione 

Ecco  nella  tavola  che  segue  il  fogliettino  preparato  per  moltiplicare  il  3. 
Tutto  è  pronto  nella  stampa:  manca  solo  che  il  bambino  scriva  al  loro  posto  i 
singoli  prodotti  che  otterrà  aggiungendo  ogni  volta  tre  perle,  come  si  è  visto. 
Egli,  se  non  fa  errori,  scriverà  dunque:  3,  6,  9,  12,  15,  18,  21,  24,  27,  30. 

E  analogamente  con  tutta  la  serie  dei  fogliettini,  da  i  a  io.  Essendovi 
dieci  copie  d'ogni  fogliettino,  il  bambino  può  ripetere  dieci  volte  questo 
esercizio. 

Egli,  così,  impara  a  memoria  le  singole  moltiplicazioni:  e  lo  vedremo  aiu- 
tarsi ad  imparare  a  memoria  anche  in  altri  modi;  ecco  li  un  bambino  che  pas- 
seggia su  e  giii  tenendo  in  mano  un  fogliettino  di  moltiplicazione  ch'egli 
guarda  di  tanto  in  tanto.  È  un  fogliettino  empito  da  lui;  forse  egli  studia 
a  mente:  sette  per  sei,  quarantadue;  sette  per  sette,  quarantanove;  sette  per 
otto,  cinquantasei... 

II.  materiale  della  tavola  pitagorica  è  uno  dei  più  appassionanti:  i  bam- 
bini empiono  sei  o  sette  foglietti  uno  dopo  l'altro,  e  restano  giorni  e  setti- 
mane in  questo  esercizio.  Quasi  tutti  chiedono  di  portarlo  a  casa.  La  prima 
volta  che  il  materiale  fu  presentato  avvenne  una  specie  di  rivoluzione: 
tutti  volevano  portar  via  il  materiale.  Non  essendo  stato  permesso,  i  bam- 
bini tormentarono  le  loro  madri  «  perchè  lo  comperassero  ».  Ci  volle  del 
bello  e  del  buono  per  persuaderli  che  gli  oggetti  non  erano  in  commercio 
e  non  si  potevano  avere.  Ma  i  bambini  non  si  rassegnarono:  e  una  ragazza 
più  grande  che  era  con  loro,  si  fece  capo  d'una  ribellione:  «  La  dottoressa 
vuol  fare  un  esperimento  con  noi;  ebbene,  diciamole  che  se  non  ci  dà  il 
materiale  della  moltiplicazione  non  veniamo  più  a  scuola  ». 


402 


PARTE   SECONDA 


Questa  minaccia  non  era  graziosa  in  so.  ma  la  rendeva  interessante  il 
(atto  che  la  tavola  pitasjorica,  spauracchio  dei  ragazzi,  diventava  una  sedut- 
tnce.  una  tentatrice,  che   faceva   diventare   lupi  gli  agnelli. 

Quando  i  bambini  hanno  più  volte  riempito  dello  intere  serie  di 
fogliettini  con  Taiuto  del   materiale,  viene  loro  presentata   una  tabella  per 


Tavola  di  moltipucazione 


Combinazioni 


3  = 

4  = 

5  = 

6  = 

7  = 

8  = 

9  = 
IO  = 


i  confronti,  affinchè  essi  possano  veritìcare  se  nelle  moltiplicazioni  par- 
ziali hanno  commesso  degli  errori.  Tabella  per  tabella,  numero  per  nu- 
mero, fanno  il  lavoro  di  paragonare  ogni  singolo  prodotto,  col  numero 
ad  esso  corrispondente  in  ognuna  delle  dieci  colonne.  Quando  la  verifica 
è  stata  compiuta  esattamente,  i  fanciulli  posseggono  le  loro  serie,  garan- 
tite da  errori. 


ARITMETICA 


403 


Tavola  complessiva  delle  moltiplicazioni 
secondo  le  combinazioni  dei  numeri  nella  serie  progressiva  da  i  a  io. 


I.  I  = 

2 

1=  2 

3 

1=  3 

1=  4 

1=  5 

I  .  2  = 

2 

2 

2=  4 

- 

2=6 

2=  8 

2=  IO 

I-  3  = 

3 

2 

3=  6 

^ 

3=  9 

3  =  12 

3  =  15 

1 

I.  4  = 

4 

2 

4=  8 

3- 

4  =  12 

4  =  16 

4  =  20 

1-5  = 

5 

2 

5=10 

3- 

5  =  15 

5  =  20 

5  =  25 

1.0  = 

6 

2 

6=12 

3- 

6=18 

6  =  24 

6  =  30 

I.  7  = 

7 

2 

7=14 

3- 

7  =  21 

7  =  28 

7=35 

I.  8  = 

8 

2 

8=16 

3- 

8  =  24 

8  =  32 

8  =  40' 

I.  9  = 

9 

2 

9  =  18 

3- 

9  =  27 

9  =  36 

9=45 

I.  IO  = 

10 

2 

10=20 

3. 

10  =  30 

IO  =40 

10  =  50 

6.  1=  6 

7- 

1=  7 

8 

1=  8 

9- 

1=  9 

IO. 

1=  10 

6.  2  =  12 

7- 

2  =  14 

8 

2  =  16 

9- 

2  =  18 

io- 

2=  20 

6.  3=18 

7- 

3  =  21 

8 

3  =  24 

9- 

3  =  27 

io. 

3=  30 

6  .  4  =  24 

7  ■ 

4  =  28 

8 

4  =  32 

9- 

4=36 

IO  . 

4=  40 

6.  5  =  30 

7- 

5  =  35 

8 

5  =  40 

9- 

5  =  45 

IO. 

5=  50 

6.  6  =  36 

7- 

6  =  42 

8 

6  =  48 

9- 

6=54 

IO. 

6=  60 

6.  7  =  42 

7- 

7  =  49 

8 

7  =  56 

9- 

7  =  63 

IO. 

7=  70 

6.  8  =  48 

7- 

8  =  56 

8 

8  =  64 

9- 

8  =  72 

IO. 

8=  80 

6-  9  =  54 

7- 

9=63 

8 

9  =  72 

9- 

9  =  81 

IO. 

9=  90 

6 .  IO  =  60 

7  • 

10  =  70 

S 

IO  =  80 

9- 

io  =  90 

IO 

10  =  100 

404 


PARTE   SECONDA 


Si  copino  una  accanto  all'altra  m-I  soi^ucntc  n 
dei  risultati  verificati:  sotto  il  2  la  colonna  del  2 
sotto  il  4  quella  del  4,  ecc. 

Tavola   pitagorica. 


1        2       3       4       5       6 


o,  lo  singole  colonne 
1  3  quella  del  3, 


Allora  si  otterrà  una  tavola  uguale  a  quella  che  nel  materiale  è  offerta 
come  modello  di  confronto:  la  tavola  riassuntiva  delle  moltiplicazioni.  Essa 
è  la  tavola  pitagorica. 

Tavola  riassuntiva  delle  moltiplicazioni 
(Unione  dei  risultati  in  colonna). 


1 

^ 

^ 

4 

= 

6 

7 

8 

9   10 

2 

' 

' 

8 

IO 

" 

14 

16 

18  20 

3 

6 

9 

" 

« 

■« 

21 

24 

27|30 

4 

« 

12 

16 

» 

24 

- 

32 

36  40 

5 

„ 

15 

20 

.5 

30 

35 

40 

45  50 

6 

" 

18 

.4 

30 

36 

.. 

48 

54  60 

7 

14 

21 

28 

35 

42 

4, 

56 

63  |70 

8 

r6 

24 

'. 

40 

48 

56 

64 

72 

H 

9 

18 

27 

3. 

45 

54 

(^'S 

72 

81  90 

10 

20 

30 

40 

50 

60 

70 

80 

90  |lOO 

-A    PITAGORICA. 


ARITMETICA 


405 


Il  bambino  possiede  la  tavola  pitagorica,  come  risultato  di  molti  lavori 
parziali.  Sarà  facile  insegnargli  a  «  leggerla  «  come  tavola  di  moltiplicazione: 
egli  la  sa  già  a  memoria.  Potrà  allora  riempire  a  memoria  i  moduli  vuoti; 
l'unica  difficoltà  che  gli  resta  è  di  riconoscere  in  quale  casella  dovrà  scrivere 
il  numero,  che  è  quella  corrispondente  così  al  moltiplicando  come  a)  mol- 
tiplicatore. Nel  sistema  ci  sono  dieci  moduli  vuoti  per  la  tavola  pitagorica. 
Quando  il  bambino,  libero  d'intrattenersi  quando  e  quanto  vuole  in  tali 
esercizi,  li  ha  tutti  superati,  egli  certo  ha    imparato  la    tavola  pitagorica. 


DIVISIONE. 

Materiale.  —  Lo  stesso   materiale   può  essere  utilizzato   per  la  divi- 
sione, salvo  le  schede  che  sono  diverse. 

Si  prende  a  caso  un  numero  qualunque  di  perle  della  scatola  e  si  contano. 
Supponiamo  che  le  perle  siano  27;  questo  numero  si  scrive  nello  spazio 
vuoto  a  sinistra  della  tabella  per  la  divisione. 


Divisione 

Avanzo 

:     2  =    

27   ■     6  = 

:     8  =    3 

■     9  =          3 
:  IO  =          2 

3 

7 

Poi,  preso  il  cartone  quadrato  coi  cento  incavi  e  la  scatola  delle  perle, 
si  procede  all'operazione. 

Supponiamo  di  dividere  prima  27  per  io  :  deponiamo  dieci  perle  in  fila 
verticale  sotto  l'uno;  poi  accanto  ancora  altre  dieci  perle  sotto  il  due;  sotto 


4ob 


PARTE    SECONDA 


il  tre,  però,  le  perle  non  sono  sufficienti  a  completare  la  fila.  Allora  il  2  si 
scrive  nelle  linee  orizzontali  a  sinistra,  in  corrispondenza  del  io;  e  nella  linea 
a  destra  si  scrive  l'avanzo  7. 

Dividiamo  ora  per  nove.  Si  compone  sotto  l'uno  una  fila  di  nove  perle;  pò 
ancora  un'altra  fila  sotto  il  due;  quindi  ancora  una  sotto  il  tre.  Nessuna  perla 
avanza.  Sulla  linea  a  sinistra,  in  corrispondenza  del  nove,  si  scrive  la  cifra  3. 
Dividendo  per  otto,  si  dispongono  otto,  perle  in  fila  verticale  sotto  l'uno;  e 
poi  vicino  altre  file  uguali  sotto  il  2  e  sotto  il  3;  alla  fila  4  rimangono  solo  3 
f>erle;  esse  sono  l'avanzo.  E  così  via  (Tavola  XXXII). 

Un  pacchetto  di  cento  moduli  per  la  divisione,  sono  raccolti  in  una  ele- 
gante copertina  verde  scuro,  legata  da  un  nastro  di  seta. 

Invece  i  moduli  per  le  tavole  di  moltiplicazione  parziali,  con  le  rispettive 
tabelle  di  confronto  e  le  tavole  pitagoriche,  sono  riunite  in  una  busta  di 
pergamena  rilegata  in  cuoio. 


Divisione 

Avanzo 

:     2  = 

:     3  = 
:     4  = 
:     5  = 
:    6  = 
:     7  = 
:     8  = 

:    9  = 

:   IO  = 

LE   OPERAZIONI   A   PIÙ    CIFRE. 


Oramai  le  operazioni  a  più  cifre  «  sono  pronte  »:  i  materiali  necessari 
sono  tutti  posseduti  dal  bambino  e  anche  la  sua  mente  è  preparata  a  com- 
binarli insieme. 


ARITMETICA  407 

Per  queste  operazioni  occorre  un  materiale  che  per  le  prime  tre  ope- 
razioni, addizioni,  sottrazioni,  moltiplicazioni,  è  il  pallottoliere  ;  e  per  la  divi- 
sione è  un  materiale  più  complicato,   che  sarà  descritto  a  suo  luogo. 


Addizione. 

L'addizione  a  più  cifre  sul  pallottoliere  è  quanto  vi  ha  di  più  semplice 
e  perciò  di  attraente.  Sia  per  es.  ad  eseguire  la  seguente  addizione: 

1320 
435     + 


Si  spostano  prima  le  perle  relative  al  primo  numero,  cioè  i  nella  fila 
delle  migliaia,  3  in  quella  delle  centinaia  e  2  in  quella  delle  decine  ;  poi  si 
spostano  le  perle  relative  al  secondo  numero,  le  quali  vanno  a  collocarsi 
vicino  alle  prime,  cioè  :  4  nella  linea  delle  centinaia,  3  in  quella  delle  decine 
e  5  in  quella  delle  unità.  Non  rimane  che  scrivere  il  numero  segnato  dal 
complesso  delle  perle  spostate,  cioè:  1755. 

Dato  il  caso  più  complesso  che  le  perle  spostate  sulla  stessa  hnea  supe- 
rino il  IO,  la  cosa  si  risolve  molto  facilmente,  così  :  giunti  al  dieci,  si  rimette 
al  posto  l'intera  fila  e  si  sposta  in  corrispondenza  una  perla  nella  fila  sot- 
tostante, poi  si  continua  l'operazione.  Così,  per  es.,  sia  da  sommare: 

390 

482     + 


Si  spostano  prima  le  perle  relative  al  390,  cioè  3  nelle  centinaia,  9  nelle 
decine  o  viceversa  cominciando  dalle  unità,  si  spostano  prima  le  9  perle 
delle  decine  e  quindi  quelle  delle  centinaia.  Al  secondo  numero  si  spo- 
stano 4  delle  centinaia  e  poi  si  cominciano  a  spostare  le  decine.  Appena 
spostatane  una,  la  fila  del  io  è  completa:  essa  si  rimette  a  posto  e  si  muove 
un'altra  perla  sottostante;  poi  si  continuano  a  spostare  le  perle  dèlie  decine 
che,  per  esserne  già  stata  spostata  una,  rimangono  7.  Si  potrebbe  comin- 
ciare lo  spostamento  dalle  unità,  anziché  dalle  centinaia,  e  in  tal  caso  ver- 
rebbe sul  filo  delle  centinaia,  prima  la  perla  rappresentante  le  dieci  perle 
di  sopra  e  poi  le  altre  quattro  che  si  devono  sommare.  Finita  l'operazione 
si  trascrive  il  numero  indicato  dalla  posizione  delle  perle:  872. 

Col  maggior  pallottoliere  si  possono  eseguire  addizioni  molto  complesse 
con  lo  stesso  procedimento. 


4o8  PARTE   SECONDA 


Sottrazione. 

Il  pallottoliere  si  presta  ugualmente  bene  ad  eseguire  delle  sottrazioni. 
Sia,  ad  esempio,  impostata  la  seguente   operazione: 

8947 
6735     — 


Si  spostano  le  perle  relative  al  primo  numero  ;  quindi  si  tolgono  da 
questa  le  perle  relative  al  secondo  numero.  Le  perle  rimanenti  indicano  il 
numero  relativo  alla  differenza,  che  può  trascriversi:  2212. 

Dato  il  caso  più  complesso  in  cui  siano  necessari  dei  riporti,  si  procede 
così  :  esaurite  le  perle  di  una  fila,  viene  a  spostarsi  la  fila  intera  di  nuovo, 
togliendo  però  una  perla  dalla  fila  inferiore;  poi  si  continuano  gli  sposta- 
menti. Per  es.  :  sia  da  eseguire  la  sottrazione  seguente  : 

8954 
7593     — 


Si  spostano  le  perle  relative  al  primo  numero  :  si  tolgono  3  perle  dalle 
unità.  Alla  fila  delle  decine  si  cominciano  a  togliere  le  perle,  come  volen- 
done spostare  9  ;  ma  spostatene  le  prime  cinque,  la  fila  diventa  vuota,  mentre 
altre  quattro  ancora  occorrebbe  spostarne.  Si  sposta  una  delle  perle  dalla 
fila  sottostante  e  si  rimettono  a  posto  tutte  e  dieci  quelle  delle  decine,  e 
su  queste  si  continua  a  spostare  perle  fino  a  raggiungere  il  nove,  cioè  se 
ne  spostano  altre  quattro.  Di  sotto  le  perle  rimaste  sono  8  e  da  queste  se 
ne  levano  cinque,  ecc.  Finché  rimane  la  differenza:  1341. 

Si  comprende  come  la  tecnica  dei  cosidetti  «  riporti  »  diventi  fami- 
liare e  chiara  nella  sua  comprensione. 

Moltiplicazione. 

Quando  si  tratterà  di  fare  una  moltiplicazione  a  più  cifre,  il  bambino 
ha  non  solo  a  memoria  la  tavola  di  moltiplicazione,  ma  distingue  bene  le 
unità  dalle  decine,  dalle  centinaia,  ecc.,  e  i  loro  reciproci  rapporti  gli  sono 
familiari.  Egli  conosce  bene  le  cifre  e  i  posti  relativi  al  loro  valore,  fino 
ai  milioni.  Che  una  unità  superiore  si  cambi  in  dieci  unità  inferiori  è  oramai 
una  constatazione  abituale. 

Basterebbe  dunque  dire  al  bambino  che  ogni  cifra  del  moltiplicatore  deve 
moltiplicarsi  a  parte  per  tutte  le  cifre  del  moltiplicando,  e  i  singoli  prodotti 


ARITMETICA  409 

messi  in  colonna  devono  poi  sommarsi  insieme,  perchè  egli  s'ingolfi  nella  nuova 
difircoltà  con   successo. 

Ma  i  processi  analitici  hanno  troppo  valore  formativo  nel  trattenere 
lungamente  l'attenzione,  per  non  utilizzarli  al  massimo  punt^^possibile. 
Sono  essi  che  conducono  a  quella  maturazione  interiore  che  permette  di  appro 
fondire  le  cognizioni,  e  dalla  quale  esplodono  le  sintesi  spontanee  e  le  astrazioni. 

Per  questo  i  bambini,  con  esercizi  rapidamente  graduali,  si  abituano 
a  scrivere  l'analisi  di  ogni  moltiplicazione  nei  suoi  fattori:  in  modo  che,  com- 
piuto tale  lavoro  ordinativo  del  materiale,  non  restano  più  ad  eseguire  che 
le  moltiplicazioni  apprese  nella  tavola  pitagorica. 

Ecco  un  esempio  d'analisi  per  una  moltiplicazione  a  tre  cifre  nel  molti- 
plicando e  nel  moltiplicatore:  356x742. 


!2  unità 
4  decine 
7  centinaia 


6  unità 


356  =   j  5  decine 

'  3  centinaia 


Ciascuna  delle  prime  cifre  si  combina  con  le  tre  dell'altro  numero,  nel 
modo  seguente: 

u.  6  1 

d.  5       X   u.  2  = 

e.  3  \ 


12  unità 
IO  decine 
6  centinaia 

u.  6  1 

d.  5       X   d.  4  = 

e.  3  1 

,    24  decine 
20  centinaia 
12  migliaia 

cc.,.jl 

2  centinaia 
5  migliaia 
I  decine  di  migliaia 

e-  3 

Quando  tale  analisi  è  scritta,  comincia  il  lavoro  sul  pallottoHere,  dove  il 
bambino  traduce  tutte  le  operazioni  nel  modo  seguente  :  2  X  6  unità  portano 
a  spostare  le  dieci  perle  della  prima  fila,  tuttavia  esse  non  sono  sufficienti.  ' 
Allora  si  tirano  indietro  le  dieci  perle,  e  si  fa  avanzare  una  perla  sul  filo  sot- 
tostante delle  decine,  mentre  nelle  unità  si  lasciano  avanti  due  sole  perle  (12). 
Quindi  si  moltiplica  2x5  decine.  C'è  già  una  perla  alle  decine,  dovrebbero 
aggiungersene  altre  dieci:  ecco  dunque  avanzarsi,  invece  di  queste,  una  perla 
sul  filo  delle  centinaia.  A  questo  punto  le  perle  sono  così  distribuite  :  2 

I 


Si  moltiplica  2.3  centinaia,  e  si  fanno  avanzare  sei  perle  sulla  fila  corri- 
spondente. Terminata  dunque  la  moltiplicazione  delle  sole  unità  del  molti- 
plicatore, le  perle  al  pallottoliere  hanno  le  seguente  posizione  :  2 

I 
7 


4IO  PARTE    SECONDA 


Passiamo  alle  decine. 

4 .  6  decine  =  24.  Si  tratta  perciò  di  far  avanzare  quattro  perle  alle  decine, 
e  due  alle  centinaia:  2 

5 

g 

4  X  5  =  20  centinaia,  e  perciò  due  migliaia:   2 

5 
9 
2 

4x3  migliaia  =  12  migliaia:  perciò  avanzano  due  perle  alle  migliaia  e 
una  alle  decine  di  migliaia:  2 
5 
9 
4 
I 

Ecco:  7.6  centinaia  sono  42  centinaia,  perciò  quattro  perle  s'avanzano 
al  migliaio  e  due  al  centinaio:  ma  qui  c'erano  già  nove  perle,  ne  resta  dunque 
una  sola,  perchè  le  altre  dieci  vanno  a  costituire  una  nuova  perla  del  migliaio: 

2 
5 


Poi  ecco:  5.7  migliaia,  cioè  35  migliaia,  sono  dunque  cinque  migliaia  e  tre 
decine  di  migliaia:  si  avanzano  le  tre  perle  sul  filo  quinto  e  le  5  sul  quarto:  ma 
qui  essendoci  già  nove  perle,  ne  restano  quattro  sole,  dieci  andando  a  for- 
mare una  nuova  perla  del  quinto  filo:   2 

5 
I 

4 

5 

Infine,  ecco  7  3  decine  di  migliaia  cioè  21  decine;  si  avanza  un'altra  perla 
sul  quinto  filo,  e  due  sul  sesto. 

Ecco  la  distribuzione  delle  perle  sul  pallottoliere  alla  fine  dell'operazione: 


2   perle  sul     I  filo  delle  unità 


5 

). 

II 

» 

decine 

r 

» 

III 

) 

centinaia 

4 

.. 

IV 

.. 

migliaia 

6 

» 

V 

. 

diecine  di  migliaia 

2 

'■ 

VI 

» 

centinaia  di  migliaia 

ARITMETICA 


411 


Tale  distribuzione,  tradotta  in  cifre,  dà  il  seguente  numero:  264.  152  che 
si  può  scrivere  accanto  ai  due  fattori,  ^enza  i  prodotti  parziali  cioè,  742  x  356 
=  264  152. 

Mentre  è  molto  complicato  descrivere  tutto  ciò,  resta  facile  e  interessante, 
come  un  giuoco  di  aritmetica,  l'esercizio  sul  pallottoliere.  f 

Il  giuoco  di  perle  del  pallottoliere,  che  contiene  il  segreto  di  così  sorpren- 
dente risultato,  è  non  solo  un  esercizio  che  sempre  pili  chiarisce  i  rapporti 
decimali  di  valore  reciproco  e  di  posizione;  ma  anche  spiega  il  procedimento 
delle  operazioni  astratte. 

Infatti  nell'operazione  comune  eseguita  sulle  cifre: 

356  X 
742 


712 
1424 
2492 
264152 


«-«- 


®-^»-^  ^  ®- 


-•-@  ♦  «  •  ♦  ^»-»-» 


ci   sono    le    stesse    operazioni;    ma    le    cifre    oramai   scritte   non    si    possono 
modificare,  come   è  invece   possibile   di   fare   muovendo   le    perle,  e  lì  per 

lì  sostituendo  i  valori  decimali  su- 
periori agli  inferiori,  quando  per  un 
«  meccanismo  »  dovuto  al  pallotto- 
liere, sono  esaurite  le  dieci  perle  di 
una  fila.  Non  potendosi  perciò  nel 
calcolo  scritto  fare  tali  sostituzioni, 
bisogna  scrivere  tutti  i  prodotti  par- 
ziali successivamente,  mettendoli  in 
colonna  secondo  i  loro  valori,  e  poi, 
infine,  sommarU. 

Lavoro  molto  più  lungo  anche 
perchè  scrivere  una  cifra  è  un  atto 
pili  complicato  che  spostare  una  perla 
liscia  la  quale  scorre  sì  facilmente  sul 
filo  metallico.  E,  anche,  lavoro  assai 
meno  chiaro  degli  spostamenti  delle 
perle,  quando  si  è  abituati  a  maneg- 
giare il  telaio,  quando  non  c'è  dubbio 
sul  posto  dei  valori,  e  quando  è  dive- 
nuta una  routine  sostituire  una  perla  del  filo  inferiore  allorché  è  al  com- 
pleto la  decina  del  filo  superiore.  Inoltre  è  anche  più  facile  aggiungere 
nuovi   prodotti,   senza   possibilità   di   sbagliare.    Infatti    riprendiamo    l'ope- 


Fig.   I.   —   La  disposizione  delle 
segna  il  numero:   49.152. 


perle 


412 

PARTE   SECONDA 

razione   al    punto   in    cui 

su!    tohiio    c'orano    1 

figura  (fig.  i):     2 

5 

I 

9 

lo  porlo  conio  e  indicato  nella 


•  • 


#^♦-•-•- 


-©-♦-<»-•-#- 


ed  occorreva  aggiungere  33  migliaia,  cioè  cinque  perle  alle  migliaia  e  tre  al 
filo  delle  decine  di  migliaia.  Ebbene,  si  possono  subito  far  avanzare  le  tre  perle 
del  quinto  filo,  cioè  delle  decine  di  migliaia,  senza  preoccuparsi  di  ciò  che 
avverrà  di  sopra,  dovendo  aggiungere  5  a  9.  Ciò  che  avviene  di  sopra  non 
imbarazza  affatto,  né  è  necessario  che 
l'operazione  nel  filo  sujierioro  preceda 
l'inferiore   (fig.  2). 

Infatti,  se  aggiungendo  il  5  al  9 
dovranno  rimanere  sulla  4*  fila  solo 
quattro  perle,  perchè  le  dieci  saranno 
sostituite  da  una  nuova  perla  nel  filo 
inferiore,  questa  nuova  perla  può 
avanzarsi  anche  dopo  che  le  altre 
tre  (del  3.5)  vi  sono  state  collocate. 
Si  può  acquistare  col  pallottoliere  una 
abilità  di  mano  e  di  calcolo,  che  rende 
le  moltiplicazioni  più  rapide:  forse, 
mentre  il  bambino  che  fa  l'operazione 
sulle  cifre  sta  ancora  alla  prima  mol- 
tiplicazione parziale,  quello  che  la- 
vora al  pallottoliere  dà  il  prodotto 
finale.  Anche  tra  adulti  è  interessante 
la  gara  di  compiere  la  stessa  moltipli- 
cazione, uno  al  pallottoliere  e  l'altro 
sulla  carta  coi  metodi  a  noi  ordinari. 

È  anche  interessante  non  tradurre  sul  pallottoliere  i  singoli  prodotti 
uno  sotto  l'altro,  come  è  indicato  nell'ordine  dei  fattori  analizzati;  ma  tradurli 
a  caso.  Infatti  è  indifferente  muovere  le  perle  a  salti  o  in  fila:  si  possono 
muovere  per  primo  le  decine  di  migliaia,  poi  le  centinaia,  le  unità,  quindi 
le  migliaia,  ecc.  Tali  esercizi,  che  danno  dell'operazione  aritmetica  una 
cognizione  tanto  profonda,  non  sarebbero  possibili  con  l'operazione  astratta 
eseguita  solo  con  le  cifre.  È  evidente  che  tali  esercizi  possono  moltiplicarsi 
come  un  piacevole  giuoco. 


Fig.  2.  — 
il    numero 


La  disposizione  delle  perle  segna 
54.152,  cioè  sono  state  sommate 
ligliaia  al  numero  49.152. 


ARITMETICA 


413 


Modo  di  ordinare  la  moltiplicazione  sui  fogli  rigati. 


Sia  la  moltiplicazione:  8640  X  2531.  Scriviamo  le  cifre  del  moltiplicand'^ 
ima  sotto  l'altra,  ma  sui  posti  relativi:  si  sa  che  questo  può  scriversi  anche 
riempiendo  i  vuoti  con  degli  zeri. 

Ripetiamo  così  il  moltipHcando  tante  volte  quanto  sono  le  cifre  del 
moltiplicatore;  ma  invece  di  scrivere  accanto  a  queste  le  parole  unità,  de- 
cine, ecc.,  indichiamo  ciò  con  degli  zeri,  che,  per  chiarezza,  riempiamo  al 
di  dentro. 

Il  bambino  deve  già  sapere,  appunto  dagli  esercizi  sui  fogli,  che  lo 
zero  significa  uno  spostamento,  e  che  ogni  moltiplicazione  per  dieci  pro- 
voca uno  spostamento. 

Gli  zeri  dunque  delle  cifre  del  moltiplicatore,  provocano  dei  corrispon- 
denti spostamenti  in  massa  del  moltiplicando. 

La  figura  fa  vedere  facilmente  ciò  che  non  è  altrettanto  facile  spiegare 
a  parole  (fìg.-3): 

o 
I 


X  3 


8»      6     4 
2»      5      I 

4 

6     o 

8»      o     o 

e  : 

8»        O       O 

4 

6     0 

8»      o     o 

4 

6     o 

8»      o     o 


X   3< 


X  500 


4 
6     o 

I  8»      o     o 

o 

4     o 

6»      00 

8      o»      o     o 

o     o 

4»      00 

6      o»      00 

8     o      o»      00 

o»  00 

4     o*  o    o 

6     o      0*  00 

8»    o  o    o      o»  00 


X   5 


Fig.   3- 


414  PARTE    SECONDA 

Ed  eccoci  al  procodinionto  coimino  della  moltiplicazione.  A  questo,  un 
bambino  di  sette  anni  può  arrivare  facilmente  dopo  gli  esercizi  detti,  e  al- 
lora il  numero  delle  cifre  è  indifferente;  anzi  piace  molto  al  bambino  la- 
vorare su  cifre  favolosamente  grandi,  come  lo  dimostra  l'esempio  dato 
sotto,  il  quale  è  uno  dei  consueti  esercizi  dei  fanciulli  che  da  se  stessi 
scelgono  moltiplicando  e  moltiplicatore  (la  maestra  non  penserebbe  mai  a 
enormi  cifre!),  ed  eseguiscono  l'operazione  senza  più  né  analisi  di  fattori, 
né  aiuto  dei  pallottolieri:  ma  precisamente  col  procedimento  comune  da  noi 
usato.  Ciò  si  vede  anche  dal  modo  come  l'operazione  è  impostata  e  quindi 
eseguita  dal  bambino. 

22.364.253  X  345.234.()ii 

22364253  X 
34523461 I 


22364253 
22364253 
134185518 
89457012 
67092759 
44728506 
111821265 
89457012 
67092759 

7720914184760583 


Divisione  a  più  cifre. 


È  possibile  riprodurre  le  divisioni  anche  a  più  cifre  nel  divisore,  col 
materiale  delle  perle  :  ciò  che  può  essere  un  «  passatempo  aritmetico  » 
specialmente  atto  ad  occupare  l'attività  del  bambino  quando  è  in  casa. 
Esso  «  chiarisce  »  i  procedimenti  dell'operazione:  è  quasi  nn' aritmetica  ra- 
zionale che  si  sovrappone  a  quella  empirica,  la  quale  fa  ridurre  il  mecca- 
nismo dell'operazione  astratta,  a  una  semplice  routine.  I  «  passatempi  » 
aprono  perciò  la  via  all'aritmetica  ragionata,  che  attende  il  bambino  nei 
gradi  superiori. 

Il  materiale  necessario  non  è  più  qui  il  pallottoliere,  ma  quel  cartone 
quadrato  che  serviva  per  le  prime  moltiplicazioni  parziali  e  per  le  divisioni 
a  una  cifra  ;  solo  occorrono  più  cartoni,  e  insieme  un  materiale  adatto  di 
perle.  Il  lavoro  è  troppo  complicato  per  venire  chiaramente  descritto:  ma  è 
facilissimo  e  interessante  ad  eseguirsi  praticamente. 


ARITMETICA  415 

Basti  accennare  come  s'impianti  il  lavoro  col  materiale.  Le  unità,  de- 
cine, centinaia,  ecc.,  hanno  colori  diversi:  unità,  bianco;  decine,  verde;  centi- 
naja,  rosso.  Ci  sono  poi  dei  sostegni  di  vario  colore:  bianco  per  le  unità,^ 
decine,  centina] a  semplici;  grigio  per  le  miglia] a,  nero  pei  milioni:  e  delle  sca- 
tole che  sono  fuori  bianche,  grigie  o  nere,  e  dentro  bianche  o  veréi  o 
rosse.  Ad  ogni  scatola,  nel  materiale,  corrisponde  un  sostegno  contenente 
dieci  tubetti  di  dieci  perle. 

Supponiamo  di  dover  dividere  87.632  per  64.  Allora  si  preparano  in  fila 
una  accanto  all'altra,  cinque  scatole  ordinate  secondo  il  colore  da  sinistra 
verso  destra,  come  segue:  due  grigie  a  sinistra  con  l'interno  verde  e  bianco, 
e  tre  a  destra  bianche  con  l'interno  rosso,  verde  e  bianco;  nella  prima  si  ■ 
mettono  otto  perle  verdi,  nella  seconda  sette  perle  bianche,  nella  terza  sei  perle 
rosse,  nella  quarta  tre  perle  verdi,  e  nella  quinta  due  perle  bianche.  Dietro 
a  ciascuna  scatola  c'è  il  sostegno  relativo  con  dieci  tubetti,  che  servono  a 
scambiare  le  unità  di  ordine  superiore  con  quelle  di  ordine  inferiore  nei 
rapporti  decimali  (Tavola  XXXIV,  1°). 

I  cartoni  quadrati  sono  due,  uno  accanto  all'altro,  e  situati  sotto  alla  fila 
delle  scatole;  in  uno  è  infilato  nello  spazio  ben  noto  il  cartellino  con  la  cifra  6 
(a  sinistra)  e  nell'altro  (a  destra)  quello  con  la  cifra  4. 

Dovendo  dunque  dividere  87.632  per  64,  si  pongano  le  ultime  scatole 
di  sinistra  (8  e  7)  al  disopra  dei  due  cartoni  quadrati.  Nel  primo  si  dispongono 
le  otto  perle  su  linee  di  sei,  come  nelle  divisioni  più  semplici:  e  nel  secondo  si 
dispongono  le  sette  perle  su  linee  di  quattro  corrispondentemente  alla  cifra 
del  cartellino  indicatore.  I  quozienti  devono  livellarsi  su  quello  del  primo 
cartone:  tutto  il  resto  è  avanzo.  Il  quoziente  in  questo  caso  è  i;  e  gli  avanzi 
sono:  2  nel  primo  quadrato  e  3  nel  secondo  (Tavola  XXXIV,  2°). 

Ciò  fatto,  si  spostano  le  scatole  colorate  di  un  posto  a  sinistra:  allora  la 
prima  scatola  esce  dal  giuoco  e  il  suo  posto  è  preso  dalla  seconda;  così,  sopra  il 
primo  cartone  non  c'è  più  la  scatola  grigio-verde  ma  quella  grigio-bianca;  e 
sopra  il  cartone  del  4  è  passata  la  scatola  rossa. 

Occorre  dunque  aggiustare  i  colori.  Le  due  perle  avanzate  sul  cartone 
di  6  sono  verdi;  mentre  la  scatola  ora  sovrapposta  è  bianca.  Bisogna 
perciò  scambiare  le  perle  verdi  in  bianche,  prendendo  per  ognuna  di  esse 
un  tubetto  di  dieci  perle  bianche.  Le  perle  bianche  che  erano  sul  cartone 
del  4  come  avanzo,  devono  essere  trasportate  nell'altro  cartone  che  porta 
i  colori  bianchi.  Ora,  non  resta  che  a  disporre  le  perle  bianche  su  righe  di 
sei;  mentre  l'altra  scatola  vicina,  a  perle  rosse,  si  vuota  sul  cartone  col  di- 
visore quattro,  disponendo  le  perle  in  file  di  quattro,  come  nelle  divisioni  sem- 
plici (Tavola  XXXIV,  3°). 

Aggiustato  così  il  materiale  secondo  i  colori,  bisogna  procedere  al  li- 
vellamento secondo  il  quoziente  che  risulta  nel  primo  cartone,  che  si  fa 
mediante  gli  scambi  di  una  perla  d'ordine  superiore  con  dieci  perle  d'ordine 


4lb  PARTE   SECONDA 

inferiore.  Così,  p.  es.,  nel  caso  nostro  ci  sono  ora  23  perle  bianche  sul  primo 
cartone  distribuite  in  file  di  sei:  ciò  che  dà  un  quoziente  di  tre  e  avanzo 
di  cinque;  nel  secondo  cartone  quadrato,  invece  ci  sono  sei  perle  rosse  distri- 
buite in  file  di  quattro,  ciò  che  dà  un  quoziente  di  uno  con  avanzo  di  due. 
Comincia  il  lavoro  di  livellamento.  Esso  consiste  col  prendere  ad  una  ad  una 
le  perle  del  cartone  di  sinistra,  per  es.,  bianche  in  questo  caso,  e  cambiarle 
con  dieci  rosse,  disponendo  queste  in  file  di  quattro  sull'altro  cartone,  finché 
non  si  raggiunge  un  quoziente  uguale  nei  due  cartoni:  il  resto  è  avanzo.  In 
questa  divisione  basta  cambiare  una  sola  perla  bianca.  Ciò  fa  un  quoziente 
di  tre  con  avanzo  di  quattro  in  ciascuno  dei  cartoni  (Tavola  XXXIV,  4°). 
E  si  continua  allo  stesso  modo  fin  che  le  scatole  han  finito  di  sfilare. 
L'ultimo  avanzo  che  resta,  è  l'avanzo  della  divisione. 
L'esercizio  richiede  pazienza,  esattezza;  ma  interessa  moltissimo,  e 
potrebbe  essere  un  eccellente  «  solitario  »  pei  bambini,  nelle  serate  che  pas- 
sano in  casa.  Nessuna  fatica  intellettuale,  ma  molto  movimento,  molta  intensa 
attenzione  (Tavola  XXXV).  I  quozienti  e  gli  avanzi  si  possono  scrivere 
su  un  foglio  di  carta  a  operazione  compiuta,  e  possono  così  venire  verificati 
dalla  maestra. 

Quando  il  bambino  abbia  fatto  molti  di  questi  esercizi,  gli  viene  spontaneo 
di  «  prevedere  »  i  risultati  dell'operazione  senza  il  materiale  scambio  e  la  collo- 
cazione delle  perle;  e  quindi  di  abbreviare  il  procedimento  meccanico.  Quando 
egli  «  vedrà  »  infine  la  cosa  a  colpo  d'occhio,  si  troverà  a  fare  le  divisioni 
più  difficili,  di  un  numero  qualunque  di  cifre,  coi  nostri  processi  ordinari, 
senza  aver  fatto  alcuna  fatica,  senza  esser  dovuto  passare  a  traverso  un  pro- 
gresso, senza  avere  avuto  affaticanti  lezioni  e  umilianti  correzioni.  E  avrà 
non  solo  imparato  a  eseguire  divisioni,  ma  sarà  padrone  del  loro  meccanismo; 
gli-  sarà  nota  la  ragione  di  ogni  particolare  del  procedimento  come  forse  non 
saranno  mai  in  grado  di  comprendere  i  giovani  delle  scuole  secondarie,  quando 
coi  mezzi  didattici  comuni  devono  capire,  col  nuovo  e  oscuro  fardello  del- 
l'aritmetica razionale,  l'incomprensibile  operazione  eseguita  già  per  vari  anni 
senza  raziocinio. 


ESERCIZI  SUI  NUMERI 

(Multipli,  Numeri  primi.   Divisibilità  dei 

Quando  il  bambino,  a  traverso  gli  aiuti  del  materiale,  ha  maturato  le  idee 
fondamentali  riguardo  alle  quattro  operazioni,  ed  è  passato  a  eseguirle  astrat- 
tamente, egli  può  continuare  a  fare  degli  esercizi  sui  numeri,  atti  a  condurlo 
verso  uno  studio  di  essi  più  profondo  e  capace  di  aprirgli  una  via  verso  le 
cognizioni  più  complesse  ed  elevate  che  l'attendono  nelle  scuole  secondarie. 


ARITMETICA  417 

Tali  studi  sono  intanto  un'occasione  per  meglio  ricordare  le  cose  già 
note  e  per  ampliarle:  essi  potrebbero  apparire  come  passatempi,  come  dei  modi 
piacevoli  per  maturare,  a  scuola  o  a  casa,  delle  idee  e  delle  conoscenze  già 
possedute. 

Un  primo  esercizio  è  quello  di  continuare  le  moltiplicazioni  di  ogni 
numero  per  la  serie  naturale  dei  numeri  da  i  a  io,  iniziato  con  gli  esercizi  della 
tavola  pitagorica,  eseguendo  tali  moltiplicazioni  astrattamente,  cioè  senza 
l'aiuto  del  materiale.  Diamo  un  limite  alla  serie:  la  moltiplicazione  si  arre- 
sterà quando  il  prodotto  avrà  raggiunto  il  numero  100.  Per  rendere  prati- 
camente possibile  che  le  serie  di  moltiplicazioni  possano  farsi  ciascuna  in  una 
sola  colonna  si  arresterà  a  50  l'esercizio,  per  poi  riprenderla  da  51  a  loo. 

Ne  risultano  le  due  seguenti  tabelle  [H,  I);  le  quali,  tuttavia,  sono  già 
preparate  nel  sistema,  e  servono  al  bambino  per  consultazione  e  per  confronto. 

Leggere  in  colonna  uno  sotto  l'altro  i  prodotti  relativi  a  ciascun  numero, 
e  impararli  a  memoria,  è,  intanto,  imprimere  nella  memoria  la  serie  crescente 
dei  multipli  di  ogni  numero  da  i  a  100. 

Su  queste  tavole  il  bambino  può  fare  un  interessante  esercizio.  Egli  ha 
dei  fogli  di  carta  stretti  e  lunghi,  a  sinistra  dei  quali  sta  la  serie  dei  numeri: 
da  I  a  50  e  da  51  a  100.  Si  avvicina  il  foglio  ai  prodotti  di  ciascuna  serie,  e  si 
cercano  i  numeri  corrispondenti  ad  essi  nella  collana  del  foglio:  e,  vicino  al 
numero  corrispondente,  si  scrivono,  col  segno  di  eguaglianza,  i  due  fattori  della 
moltiplicazione.  Così,  p.  es.:  6  =  2  .  3;  8  =  2  .  4;   io  =  2  .  5;  ecc. 

Lo  stesso  si  fa  con  la  seconda  colonna  (del  3)  e  con  le  successive:  risulterà 
p.  es.  6  =  2.3  =  3.2;  18  =  2. 9  =  3. 6  =  6. 3  =  9.  2. 

Invece  in  rapporto  ad  alcuni  numeri  non  ci  sarà  alcuna  scomposizione 
in  fattori;  le  loro  righe  resteranno  del  tutte  vuote.lEcco  una  prima  presenta- 
.zione  intuitiva  dei  «  numeri  primi  ». 

Ecco  le  tabelle  al  completo  {L,  M). 


PARTE    SECONDA 


o 

S 

^ 

§ 

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2 

w 

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11 

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11 

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ARITMETICA 


419 


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II 

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4^0 


PARTE  SECONDA 


Tabella  L. 


84 


90 
91 
92 
93 
94 
95 
% 
97 
98 
99 
100 


ARITMETICA 


2 
3 

4=2.2 

5 

6  =  2.3  = 

7 

3-2 

8  =  2.4  = 

9  =3-3 
10  =  2.5  = 
11 

4.2 
5-2 

12  --  2.6  = 
13 

3.4=4.3  =  6.2 

14  =2.7  = 

7-2 

15  =  3-5  = 

16  =2.8  = 

5-3 

4.4=8.2 

17 

18=2.9  = 
19 

3.6=6.3  =  9.2 

20  =  2  .  IO 

=  4-5  =  5-4=  10.2 

21  =  7-3  = 

22  =  2.11 
23 

3-7 

24  =  2  .  12 

=  3.8  =  4.6  =  6.4  = 

25=5-5 

26  =  2  .  13 

27  =  3-9  = 

28  =  2 . 14 
29 

9-3 
=  4-7=7-4 

30  =  2  .  15 
31 

32  =  2  .  16 

33  =  3  .  II 

=  3.  IO  =  5. 6  =  6. 5 

=  4-8  =  8.4 

34  =  2  .  17 

35  =  5-7  = 

36  =2.  18 
37 

7-5 
=  3.  12  =  4. 9  =  6. 6 

38  =  2  .  19 

39=3-13 
40  =  2  .  20 
41 

=  4.  IO  =5. 8  =  8. 5 

42  =  2 . 21 
43 

=  3.  14  =6. 7=7.  6 

44  =  2 . 22 

=  4.11 

45  =  3-15 

46  =  2  .  23 
47 

=  5-9  =  9-5 

48  =  2  -  24 

=  3.  16  =  4.  12  =  6.6 

49=7.7 

50  =  2  .  25  = 

=  5.  IO  =  10.5 

8.3 


10.3 


10.4 


Tabella  M. 


3-17 

2 . 26  =  4 . 13 


=  2.  27  =  3. 18  =  6. 9  =  9. 6 

=  5-11  / 

=  2.  28  =  4. 14  =  7.  8  =  8.  7 
=  3-19 
=  2.  29 

=52.30  =  3.20  =  4.15  =  5.12  =  6.10=15.4 


2.31 

21  =  7.9  =  9.7 

32  =  4. 16  =  8.8 
13 

33  =  3.22  =  6.  II 


34  =  4  - 17 
23 

35  =  5  .  14  =  7 .  IO  =  IO  .  7 


=  2.36  =  3.24=4.18=6.12  =  8.9=9. 

=  2.37 

=  3  -  25  =  5  - 15 

=  2  .  38  =  4 .  19 

=  7.11 

=  2  .  39  =  3  .  26  =  6  .  13 

=  2  .  40  =  4 .  20  =  5  .  16  =  8 .  IO  =  IO . 
=  3  .  27  =  9 .  9 
=  2 .  41 


4.21  =  6. 14  =  7.12 


86  = 

87  = 

88  = 
89 

90  = 

91  = 

92  = 

93  = 

94  = 

95  = 

96  = 
97 

98  = 

99  = 
100 


2  .  42  =  3  .  28 

5-17 

2-43 

3-29 

2  .  44  =  4 .  22  =  8 .  II 

2-45=3-30=5-18=6.15  =  9.10=10.9 

7-13 

2  .  46  =  4  .  23 

3-31 

2.47 

5-19 

2. 48  =  3.  32  =4. 24  =  6.  16=  8.12 

2  .  49  =  7  .  14 

3-33=  9" 
=  2  .  50  =  4  .  25  =  5  .  20  =  IO  .  IO 


422  PARTE   SECONDA 

Formata  in  tal  modo  la  tavola  da  i  a  50  e  poi  da  51  a  100  dei  numeri 
scomposti  nei  loro  fattori  e  dei  numeri  primi,  si  può  passare  ad  alcuni  esercizi 
con  le  perle.  I  bambini  meditano  ora,  sul  materiale,  le  cose  che  hanno  ricavato 
confrontando  le  tavole.  Si  consideri,  p.  es.^  6  =  2  .  3  =  3  .  2. 

Il  bambino  prenderà  sei  perle  e  ne  farà  prima  due  gruppi  di  3;  poi  ne 
farà  tre  gruppi  di  2. 


Cosi  per  ogni  numero  a  s\io  piacimento, 

18  =  2.9=   SSIIIIS 

=  9-2=  :  :  :  : 
=  6.3=  .'.  .'.  / 


^       e  •  •  • 

=  3  •  6  =    ,,, 


•  •  • 


il  bambino  potrà  provare  in  tutti  i  modi  a  cercare  altre  combinazioni;  come 
pure  potrà  in  ogni  maniera  tentare  di  dividere  in  gruppi  eguali  i  numeri  primi. 

Questo  giuoco  intelligente  e  piacevole,  rende  chiaro  al  bambino  il  concetto 
della  «  divisibilità  »  dei  numeri.  Quella  scomposizione  dei  fattori  della  molti- 
plicazione è  un  modo  di  «  dividere  »  i  numeri.  Il  bambino,  p.  es.,  ha  diviso 
il  18  successivamente  in  2  gruppi,  in  9,  in  6,  in  3.  Ha  anche  diviso  il  6 
prima  in  due  gruppi,  e  poi  in  tre. 

Quando  si  tratta  di  moltiplicare  tra  loro  i  due  fattori,  non  c'è  nessuna 
differenza  nel  risultato  se  si  moltiplica  2.3  o  3.2:  «  invertendo  l'ordine  dei  fat- 
tori il  prodotto  non  cambia  ».  Ma  nella  divisione  si  tratta  di  disporre  a  gruppi 
eguali  tra  loro  le  quantità  contenute  nel  numero:  ed  ogni  modificazione  in  tale 
equa  distribuzione  degli  oggetti,  ha  un  carattere  distintivo.  Ogni  combinazione 
è  una  diversa  maniera  di  «  dividere  »  il  numero. 

Il  concetto  della  divisione  riesce  chiaro:  6:3  =  2  vuol  dire  che  il  6  si 
può  dividere  in  tre  gruppi,  ed  allora  in  ogni  gruppo  ci  sono  due  oggetti.  Esem- 
pio: 6:2  =  3  vuol  dire  che  il  6  si  può  anche  dividere  in  due  soli  gruppi 
eguali  tra  loro:  in  tal  caso  ogni  gruppo  comprende  tre  oggetti.  I  rapporti 
tra  la  moltiplicazione  e  la  divisione  sono  evidenti;  siamo  partiti  da  6  =  3.2; 
6  =  2.3.  Questo  è  unjpenetrare  addentro  nel  fatto  che  la  moltiplicazione  serve 
di  prova  alla  divisione,  e  prepara  a  comprendere  i  procedimenti  pratici  delle 
operazioni.  Così,  trattandosi  un  giorno  di  eseguire  una  divisione,  sarà 
reso  facile  ed  evidente  il  computo  che  bisogna  fare  a  mente  per  saggiare  se 
o  no  un  numero  o  una  parte  di  esso,  è  divisibile  per  l'altro.  Cosa  che  general- 
mente non  si  fa,  come  preparazione  alla  divisione:  mentre  si  fa,  con  l'apprendere 
la  tavola  pitagorica,  una  preparazione  alla  moltiplicazione. 


ARITMETICA  423 


Dai  suddetti  esercizi  (Tabella  M)  altri  ne  potrebbero  derivare  facendo 
sui  numeri  stessi  ulteriori  osservazioni. 

Esaminiamo  p.  es.  il  numero  40:  una  delle  sue  scomposizioni  è  la  se- 
guente: 40  =  2  .  20. 

Vediamo  ora  come  si  scompone  il  numero  20: 

20  =  2  .  io;  e  il  IO  =  2  .  5. 

Raccogliendo  i  piccoli  numeri  nei  quali  sono  stati  scomposti  i  numeri 
maggiori,  e  sostituendo  i  piccoli  ai  grandi,  si  può  scrivere: 

40  =  2  .  2  .  2  .  5  0  anche  40  =  2'  .  5. 

Facciamo  lo  stesso  pel  60.- 

60  =  2  .  30  =  2  .  2  .  15  =  2  .  2  .  3  .  5  =  2' .  3  .  5. 

Si  sono  scomposu  in  tal  modo  i  numeri  in  fattori  primi:  2'  .5;   2^  .  3  .  5. 

Vediamo  che  cosa  hanno  in  comune  i  due  grandi  numeri  così  scom- 
posti :  nel  2'  è  compreso  il  2'  ;  la  serie  dei  fattori  primi  si  può  scrivere 
perciò: 

2^2.5;  2V3.5; 

la  parte  comune  (massimo  comune  divisore)  è  2* .  5  =  20. 

È  interessante  fare  le  prove  e  constatare  che  il  60  e  il  40  sono  divi- 
sibili per  20  e  per  nessun  numero  ad  esso  maggiore. 


Un  altro  esercizio  sui  numeri  consiste  nel  segnare  su  delle  tavole  ove  i 
cento  numeri  in  serie  naturale  sono  disposti  io  per  io,  a  quadrato,  tutti  i  mul- 
tipli di  2,  di  3,  di  4,  di  5,  di  6,  di  7,  di  8,  di  9,  di  io.  I  numeri  segnati,  formano 
dei  disegni  speciali  che  si  possono  osservare  e  studiare  comparativamente. 
Per  esempio,  nella  tavola  dei  multipli  di  due  sono  segnati  in  linea  verticale 
tutti  i  numeri  pari;  in  quella  del  4  si  ha  lo  stesso  tipo  a  linee  verticali, 
ma  i  numeri  sono  segnati  uno  sì  e  uno  no;  nel  6,  lo  stesso  tipo  ma  i  nu- 
meri sono  segnati  uno  sì  e  due  no;  e,  infine,  nei  multipli  di  8  si  ripete  il 
tipo  stesso,  ove  però  i  numeri  sono  segnati  uno  si  e  3  no.  Nella  tavola  del 
tre  le  linee  sono  oblique  da  destra  a  sinistra  e  tutti  i  numeri  che  si  tro- 
vano su  tali  linee  sono  segnati.  Nel  6  c'è  la  stessa  disposizione,  ma  i  numeri 
sono  segnati  uno  sì  e  uno  no.  Il  6  partecipa  dunque  così  al  2  come  al  3,  che 
sono  i  suoi  fattori. 


424 


PARTE    SECONDA 


Tabella  N. 


I 

2 

.; 

4 

5 

6 

7 

8 

0 

10 

I 

2 

3   4 

5   (1   7   8   9  IO 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

IO 

20 

II 

12 

13  14 

15  16  17  18  19  20 

.'1 

22 

-'3 

24 

-'3 

26 

27 

28 

29 

30 

21 

22 

25    24 

25  2b  27  28  29  30 

JI 

32 

33 

34 

35 

36 

37 

38 

39 

40 

31 

32 

33  34 

35  36  37  38  39  40 

41 

42 

43 

44 

45 

46 

47 

48 

49 

50 

41 

42 

43  44 

45  4"  47  48  49  50 

51 

52 

53 

54 

55 

56 

57 

58 

59 

60 

51 

52 

53  54 

55  56  57  58  59  60 

bi 

62 

'•3 

64 

•'5 

66 

(^7 

68 

(,9 

70 

61 

62 

63  64 

65  66  (17  68  69  70 

71 

72 

73 

74 

75 

76 

77 

78 

79 

80 

71 

72 

73  74 

75  76  77  78  79  80 

81 

82 

^3 

84 

85 

86 

S7 

88 

89 

90 

81 

82 

83  84 

85  86  87  88  89  90 

91 

92 

93 

94 

95 

% 

97 

98 

99 

100 

91 

92 

Q3  04 

q5  96  07  98  99  100 

I 

2 

3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

IO 

I 

2 

3   4 

5   6   7   8   9  10 

II 

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II 

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73  74 

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I 

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9 

IO 

I 

2 

3   4 

5   6   7   8   9  IO 

II 

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II 

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Si 

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% 

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91 

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95  96  97  98  99  100 

ARITMETICA 


425 


I 

2 

3 

4 

5 

6 

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IO 

2 

3 

4 

5 

6 

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9 

IO 

II 

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ib 

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33 

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36 

il 

/ 
38 

39 

40 

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bi 

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n 

78 

79 

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123456789  10 

II  12  13  14  15  16  17  18  19  20 

21  22  23  24  25  26  27  28  29  30 

31  32  33  34  35  36  37  38  39  40 

41  42  43  44  45  46  47  48  49  50 

51  52  53  54  55  56  57  58  59  60 

61  62  63  64  65  66  67  68  69  70 

71  72  73  74  75  76  77  78  79  80 

81  82  83  84  85  86  87  88  89  90 

91  92  93  94  95  96  97  98  99  100 


420  PARTE    SECONDA 


IL  QUADRATO  E  IL  CUBO  DEI  NUMERI. 

Prendiamo  due  pezzi  da  due  perle  (verdi)  che  erano  servite  a  contare, 
nei  primi  esercizi  con  le  perle.  Essi  qui  (anno  però  parte  di  un  altro  sistema 
di  perle.  Insieme  ai  due  piccoli  pezzi  formati  ciascuno  di  due  perle  verdi 
infilate  a  un  filo  rigido,  esiste  una  piccola  catenina  ove  i  due  pezzi  sono  riuniti 
insieme  :••-••   La  catenella  rappresenta  2 .  2. 

Esiste  un'altra  combinazione  degli  stessi  oggetti:  i  due  bastoncini  da 
due  perle  sono  legati  insieme,  ma  non  imo  in  fila  all'altro,  bensì  uno  sopra 
l'altro:  ;  ; 

Essi  sono  la  stessa  cosa,  cioè  entrambi  come  numero  sono  2.2;  ma  come 
collocazione  sono  diversi;  uno  ha  forma  di  linea,  l'altra  di  quadrato.  Si  può 
riflettere  su  ciò:  che,  se  disponiamo  una  sull'altra  le  asticine,  tante  quante 
sono  le  perle  infilate  in  ogni  asticina,  si  ha  la  forma  di  quadrato. 

Infatti  nel  sistema  esistono  quadrati  di  3x3  perle  rosa;  di  4x4  perle 
gialle;  di  5x5  perle  celesti;  6x6  perle  grigie;  ']-><.']  perle  bianche;  8x8  perle 
violetta;  9x9  perle  bleu;  10x10  perle  arancione,  cioè  riproducenti  i  colori 
delle  asticine  di  perle  che  servivano  in  principio  per  la  numerazione. 

In  rapporto  ad  ogni  numero  esiste  una  quantità  d'asticine,  uguale  al 
numero  delle  perle  infilate  per  formare  il  numero:  3  per  il  3;  4  per  il  4,  ecc.; 
inoltre  esiste  un  egual  numero  di  asticine  legate  a  catena:  3x3;  4x4  e,  come 
si  è  visto,  un'altra  uguale  quantità  legata  a  quadrato. 

Il  bambino  non  solo  può  contare  le  perle  delle  catene  e  dei  quadrati; 
ma,  con  le  corrispondenti  asticine  libere  che  possiede,  può  riprodurle,  dispo- 
nendo le  asticine  stesse  o  una  in  fila  all'altra  in  linea,  o  una  sopra  l'altra  a 
quadrato.  È  il  numero  ripetuto  tante  volte  quante  sono  le  unità  che  contiene: 
è  il  numero  moltiplicato  per  se  stesso. 

Prendendo  un  quadratino,  p.  es.,  di  quattro,  si  possono  contare  quattro 
perle  da  ciascun  lato  del  quadrato;  moltipHcando  4  X  4  si  ha  il  numero 
complessivo  delle  perle  del  quadrato:  16.  Moltiplicando  un  lato  per  se  stesso, 
si  ha  la  superficie  del  piccolo  quadrato.  Così  per  quello  di  5,  8,  9,  ecc.  Il 
quadrato  di  dieci,  p.  es.,  ha  dieci  perle  in  ogni  lato:  moltiplicando  io  X  io 
cioè  il  lato  per  se  stesso,  si  ha  il  numero  complessivo  delle  perle  che  formano 
la  superficie  del  quadrato  :  100. 

Tuttavia  non  è  la  forma,  che  dà  questo:  mettendo  in  fila  orizzontale 
i  dieci  bastoncini  che  possono  formare  il  quadrato,  si  ha  la  catena  del  100. 
Così  per  ogni  quadrato:  la  catena  5x5  come  il  quadrato  5x5  contiene  lo 
stesso  numero  di  perle:  25.  Si  insegna  al  bambino  a  scrivere  i  numeri  al 
quadrato:  5^  =  25;  7^^  =  49;  io' =  100,  ecc. 


ARITMETICA 


427 


Il  materiale  è  costruito  in  rapporto  ai  numeri  2,  3,  4,  5,  6,  7,  8,  9,  io.  Esso 
può  lasciarsi  al  bambino,  cominciando  dai  numeri  più  piccoli;  e,  col  materiale  e 
1  a  libertà,  le  idee  penetreranno  e  si  matureranno  (Tavole  XXXV^  e  XXXVII). 

Oltre  ai  quadrati,  nel  sistema  sono  considerati  i  cubi  dei  numeri,  e  in 
rapporto  a  ognuno  di  essi  ci  sono  gli  stessi  materiali,  cioè: 

—  la  catena  del  cubo  del  numero  costruita  a  mezzo  di  catene  del  quadrato 
rilegate  da  catenelle  mobili,  le  quali  permettono  di  ripiegarle  una  sull'altra; 

—  un  numero  di  quadrati  disposti  a  forma  di  quadrato,  corrispondente 
alla  quantità  delle  unità  contenute  nel  numero  stesso;  cioè  vi  sono  quattro 
quadrati  pel  numero  4;  sei  quadrati  pel  6;  dieci  pel  io,  ecc.  ; 

—  un  vero  cubo  di  perle  costruito  legando  uno  sull'altro  il  numero  ne- 
cessario di  quadrati. 

Prendiamo  a  considerare  il  cubo  di  quattro.  Esiste  dunque  una  catena, 
formata  da  quattro  catene  rappresentanti  il  quadrato  di  quattro:  e  separate 

morbidamente,  sì  che  la  lunga 
-••••-••••  —  ••••-  ••••-^^     catena  si  può  tutta  ripiegare 
^••••"••••-••••-••••-^     sulla  lunghezza  del  quadrato 
~  -•••  m--^    ^j^g  ^)    (^Qgj  disposta,   la   ca- 

tena del  cubo  riproduce  quat- 
tro quadrati,  simili  a  quelli 
sciolti,  che  possono  dispor- 
visi  al  di  sotto.  Con  la  dif- 
ferenza però,  che  tirando  un 
estremo  della  catena,  essa  si 
svolge   sopra   una  sola  linea 

(fig-  Sì- 
La  quantità  è  sempre  la  stessa,  cioè  quattro  volte  il  quadrato  di  quattro: 

4X4X4  =  4'X4  =  4'- 

Il  cubo  di  quattro  esiste  legato  nel  sistema:  ma  si  può  riprodurre  sovrap- 
ponendo i  quattro  quadrati  sciolti,  uno  sull'altro. 


Fig.  4.  —  La  figura   rappresenta  la  catena  del  cubo  di  4 
)iegata  in  modo  da  formare  i  quadrati;   e  i  quattro  quadrati. 


parte  dell'intera  ca 


Osservando  il  cubo:  esso  ha  lo  spigolo  di  4;  moltiplicando  quattro  volte 
il  quadrato,  si  ha  il  cubo.  Moltiplicando  la  superficie  di  un  quadrato,  pel  numero 
di  unità  contenute  nello  spigolo,  si  ha  il  volume  del  cubo:  4^X4. 

Con  ciò  il  bambino  può  ricevere  una  prima  intuizione  dei  procedimenti 
necessari  per  calcolare  la  superficie  e  i  volumi. 

Noi,  con  questo  materiale  non  dobbiamo  proporci  d'insegnare  molto; 
ma  di  lasciare  molto  libero  il  bambino  di  maturare  le  proprie  idee,  osservando, 
sperimentando,  meditando  sul  maneggevole  e  attraente  materiale. 


4-:S  PARTE   SECONDA 


A  poco  a  poco  vedremo  empirsi  lavagnette  e  quaderni  con  calcoli  di 
numeri  elevati  al  quadrato  e  al  cubo,  indipendentemente  dalla  ricca  serie 
d'oggetti  che  il  materiale  di  sviluppo  offre  al  bambino. 

Nei  calcoli  sul  quadrato  e  cubo  dei  numeri,  sarà  facile  notare  come  a 
moltiplicare  per  dieci  basta  spostare  l'unità,  cioè  aggiungere  uno  zero. 

L'unità  per  dieci  è  io  ;  il  dieci  per  dieci  è  uguale  a  loo;  il  cento  per 
dieci  è  uguale  a  looo,  ecc. 

Il  bambino  stesso  se  ne  sarà  spesso  accorto  da  sé  prima  di  giungere  a 
questo  punto:  o  l'avrà  appreso  osservando  i  compagni. 

Alcune  delle  nozioni  fondamentali  che  richiedono  speciali  e  laboriose 
lezioni  coi  metodi  comuni,  sono  qui  naturalmente  e  spontaneamente  intuite. 

Uno  studio  interessante  e  che  completa  quello  già  fatto  sulle  catene 
del  100  e  del  looo  sono  i  confronti  tra  le  catene  dei  quadrati  tra  loro,  e  quelle 
dei  cubi  tra  loro.  La  progressione  dei  quadrati  giunge  dal  quadrato  di  due  alla 
catena  del  cento;  quella  dei  cubi  va  fino  alla  catena  del  mille:  tali  diversi  rap- 
porti di  progressione  della  lunghezza,  sono  illustrativi,  impressionanti,  e  di  più 
preparano  le  conoscenze  avvenire.  Quando  un  giorno  il  bambino  sentirà  parlare 
di  «  progressione  geometrica  »,  di  «  quadrati  delle  distanze  «  capirà  immediata- 
mente e  con  grande  chiarezza. 

Sarà  pure  interessante  costruire  una  «  torretta  »  (Tavola  XXXVIII)  con 
i  cubi  delle  perle!  Benché  ricordi  quella  dei  cubi  rosa,  questa  torre  che  sembra 
tutta  costruita  di  gioielli,  contiene  una  profonda  conoscenza  sui  rapporti  delle 
quantità:  questi  cubi  oramai  non  sono  conosciuti  superficialmente  per  im- 
pressioni sensoriali,  ma  sono  noti  fino  nell'intimo,  per  il  lavoro  progredito 
dell'intelligenza. 


XXI. 
ognu 


Il  materiale   delle   perle   usatu  per   addizioni   e  » 
dei   nove   numeri   è  di   colore   diverso    (pag.    393) 


Tavola    XXIT.  —  Bambina  rhe  fa  addizioni  col   laaifualf   àelk-  perle  (pag.    )y4)-      i! 


-woi.A   XXllI.  —  Una  bambina  fohta  la  catena  del   mille  ammassata  sulla 
/  e  l'altra,   seduta  in  poltrona,  conta  la  catena  del  cento  (pag.   395). 


Tavoi  A    XXIV.  —  Contegsiu  e   calcoli   sulle  catene   (pag.    395) 


XXV.  —  Cubo  di  dieci;  dieci  quadrati  di  dieci;  e  catene  di  dieci,  cento  e  mille  (pag.  395). 


catena  (pag.  ^.jM. 


■■^^atofa..  'mm^MmÈmismtL  ^^^fHmmmà^^ 


XXVII   —  Primo   «  telaio  »   dei  rapporti  decimali: 
jmposto  il  numero  4827  (png.  39y). 


■ 

1      . 

1 

1 

■ 

Tavola   XXIX. 


Secondo   «  telaio 
iposto  il  numero  6 


rapporti  decimali  : 
i8  (pag.  S'jg)- 


ambino  che  lavora  col  materiale  delle  moltiplicazioni:  a  sinistra,  dispone  le  perle 
nel  cartoncino;   a  destra,   scrive  il  risultato  (pag.   401). 


Tavola   XXXIII.  —   Fserciz!  d'aritmetica  (pag.   400  e  sogg.). 


Tavola   XXXV.  —  Bambina   che  esegue   una  divisione  a  più   cifre. 
(Escola  Montessori   di   Barcelona,   Spagna)   (pag.   416). 


W.W'I    ~  Quadrato  e  >\ib.)  del  qu^ittn,  e  del  cinque  (materiale  delle  perle)  (pag.  427). 


«ini  fiii^'  rir-^'ir-^ir 


XXXVIT.  —  Ouadr; 
e  trattenute  da  spilli 


ibi  di  quattro  e  di  cinque  :  le  catene  dei  cubi  sono  ripiegate  sopra  se  < 
Ddo  da  riprodurre  la  corrispondente  serie  di  quadrati  (pag.  427). 


GEOMETRIA 


Nella  «  Casa  dei  Bambini  »  gì'  incastri  piani  che  servivano  per  gli  esercizi 
sensoriali  avevano  condotto  i  fanciulli  a  familiarizzarsi  con  molte  figure  della 
geometria  piana:  quadrato,  rettangolo,  triangolo,  poligono,  circolo,  ellisse,  ecc. 
E  nei  cartoncini  di  3°  grado,  ove  le  figure  sono  delineate,  egli  aveva  preso 
l'abitudine  di  riconoscere  le  figure  geometriche  disegnate  da  una  semplice 
linea.  Infine  poi,  aveva  avuto  sotto  mano  una  serie  d' incastri  di  ferro  che 
riproducevano  alcune  delle  figure  geometriche  già  conosciute  degli  incastri 
piani,  i  quali  servivano  al  fanciullo  a  disegnare  i  contorni  delle  figure  stesse 
che  venivano  riempite  poi  con  linee  parallele  tracciate  con  lapis  colorati 
(esercizi  per  il  maneggio  dell'  istrumento  di  scrittura). 

Il  materiale  geometrico  che  si  presenta  nelle  classi  elementari  è  da  con- 
siderarsi come  una  continuazione  di  quello  usato  nelle  «  Case  dei  Bambini  ». 

Esso  ricorda  molto  gl'incastri  di  ferro:  se  non  che,  ogni  cornice  dell'in- 
castro è  fissata  a  una  lastra  quadrata  che  fa  da  fondo.  Non  c'è  quindi 
bisogno  per  questi  incastri  di  un  appoggio,  come  erano  i  telai  o  i  leggìi 
negli  altri  incastri;  ed  ogni  pezzo  è  completo  e  indipendente.  Ne  risultano 
piastrelle  aventi  la  cornice  verde  col  fondo  bianco  ;  mentre  l' incastro,  cioè 
il  pezzo  mobile,  è  rosso.  Quando  l'incastro  è  a  posto,  la  sua  faccia  supe- 
riore rossa  è  sullo  stesso  piano  della  cornice  verde. 

La  particolarità  di  questi  incastri  mobili,  è  di  non  essere  fatti  di  un 
solo  pezzo  per  ogni  piastrella  ma  di  più  pezzi,  i  quali  devono  tutti  insieme 
essere  perfettamente  contenuti  nel  fondo  bianco  della  piastra. 

L' uso  degli  incastri  così  modificati  è  molteplice,  ed  ha  come  suo  scopo 
fondamentale  di  prestarsi  all'autoeducazione  del  bambino  negli  esercizi  di 
geometria  e  talvolta  nella  risoluzione  di  veri  problemi.  Il  fatto  di  poter 
0  maneggiare  delle  figure  geometriche  »,  di  poterle  disporre  variamente,  di 
poterne  giudicare  i  rapporti,  richiama  intensamente  l'interesse  del  bambino: 
tutte  le  piastre  da  incastro  che  si  riferiscono  all'equivalenza  delle  figure, 
ricordano  precisamente  certi  «  giuochi  di  pazienza  »  che  si  sono  inventati 
pei  fanciulli,  i  quali  però  non  hanno  un  preciso  scopo  educativo.  Qui  il  bam- 
bino esce  invece  da  tali  esercizi  con  delle  «  chiare  convinzioni  »  più  che  con 


432  PARTE    SECONDA 

delle  semplici  o  cognizioni  »  su  principi  di  geometria,  che  riesce  ben  diflficile 
dare  coi  metodi  comuni  nelle  \ecchie  scuole.  La  differenza  tra  figure  uguali, 
simili  ed  equivalenti  ;  la  possibilità  di  ridurre  ogni  figura  piana  regolare  a 
un  rettangolo  equivalente  ;  e  perfino  la  risoluzione  del  teorema  di  Pitagora, 
sono  acquisti  spontanei  e  appassionanti  per  ogni  bambino.  Così  si  dica  per 
il  calcolo  sulle  frazioni  che  riesce  tanto  interessante  negU  esercizi  con  gl'in- 
castri circolari  :  il  significato  di  «  frazione  »  e  anche  il  valore  delle  frazioni, 
come  pure  la  riduzione  di  frazioni  ordinarie  in  frazioni  decimali,  divengono 
conquiste  chiare  della  mente,  conquiste  formative  e  al  tempo  stesso  dina- 
miche delle  attività  intellettuali.  Il  bambino,  esercitatosi  lungamente  e  spon- 
taneamente su  tali  mezzi  di  sviluppo,  non  solo  ha  continuato  a  fortificare 
le  sue  attività  ragionatrici  e  la  forza  del  carattere,  ma  ha  acquistato  delle 
cognizioni  superiori  e  chiare  che  hanno  ingrandito  la  sua  mente;  egli,  nelle 
successive  astrazioni  spontanee,  avrà  la  possibilità  di  un  progresso  sorpren- 
dente. Mentre  un  ragazzo  di  ginnasio  spreca  ancora  le  sue  attività  intellet- 
tive a  «  capire  »  un  rapporto,  inafferrabile  per  lui,  tra  figure  geometriche, 
i  nostri  bambini  delle  scuole  elementari  lo  «  trovano  da  sé  »,  e  se  ne  ralle- 
grano tanto  che  subito  tornano  alla  ricerca  di  altri  rapporti,  e  così  via.  Essi 
galoppano  liberamente  sopra  una  strada  piana,  spinti  dall'energia  interiore 
del  loro  organismo  psichico  crescente  ;  invece  gli  altri  bambini  vanno  coi 
piedi  legati  e  nudi,  tra  ciottoli  pungenti. 

Ogni  .(  conquista  fatta  positivamente  »  su  degh  oggetti,  col  nostro  metodo 
di  libertà,  cioè  lasciando  che  il  bambino  si  eserciti  nel  momento  in  cui  egli  è 
più  adatto  all'esercizio  e  permanga  nell'esercizio  fino  alla  maturità,  porta 
come  conseguenza  a  una  spontanea  astrazione.  Come  condurre  un  bambino 
ad  li  astrarre  »,  se  non  ha  la  sufficiente  maturità  della  mente  e  se  non  ha 
sufficienti  cognizioni  ?  Questi  due  punti  d'appoggio  sono  come  i  piedi  del- 
l'uomo  psichico  che  deve  camminare  verso  le  sue  più  alte  attività.  Noi 
vedremo  sempre  ripetersi  questo  fenomeno.  Ogni  ulteriore  «  esercizio  di  ma- 
turazione interna  »,  ogni  ulteriore  «  cognizione  »,  porterà  il  fanciullo  a  nuovi 
€  sempre  più  alti  voli  nel  campo  dell'astratto.  È  però  bene  avere  affermato 
questo  principio:  che  la  mente,  per  volare,  deve  partire  da  un  punto  di 
appoggio  come  l'areoplano  parte  dal  suo  hangar;  e  deve  avere  raggiunto 
un  "grado  di  maturazione  »  come  l' uccellino,  quando,  pei  suoi  primi  voli, 
esce  dal  nido  dove  crebbe  e  si  fortificò.  L'areoplano  senza  il  suo  riforni- 
mento neWhangar,  e  l'uccello  col  solo  «  istinto  di  volare  >■,  senza  i  processi 
di  sviluppo  dall'ovo  al  libero  volo,  sono  cose  inesistenti. 

Una  macchina  perpetuamente  volante  senza  mai  essere  rifornita  di  mate- 
riali per  l'energia  propulsiva,  e  un  istinto  senza  organismo,  sono  vanità. 
E  così  è  per  la  mente  dell'  uomo  il  «  volo  »  dell'  immaginazione  che  spazia 
e  crea.  Benché  ciò  sia  la  sua  «  maniera  d'essere  »,  il  suo  »  superiore  istinto  », 
pure  egli  ha  bisogno  di  appoggiarsi  sul  vero,  di  organizzare  le  interiori  energie, 


GEOMETRIA  433 

di  volta  in  volta.  Più  un  materiale  può  afferrare  l'attenzione  del  bambino 
e  trattenerla,  più  esso  ci  promette  un  «  lavoro  astratto  »,  una  «  creazione 
immaginativa  »  come  conseguenza  di  una  potenzialità  sviluppata.  Ma  questa 
creazione  immaginativa  che  sempre  torna  a  ispirarsi  sulla  «  realtà  »  e  ad  attin- 
gere «  nuove  energie  »,  non  sarà  vana,  esauribile  e  folleggiante  al  vento  come 
la  cosiddetta   "  immaginazione  ■>  che  si  cerca  di  svolgere  nella  scuola. 

Senza  il  ■•  rifornimento  positivo  »  non  si  può  mai  vedere  un  «  volo  spon- 
taneo della  mente  ■';  ed  ecco  nelle  comuni  scuole  le  difficoltà  insormontabili 
di  "  sviluppare  l'immaginazione  »,  di  "  portare  all'istruzione  ».  Infatti,  il 
fanciullo  senza  forza  motrice,  portato  artificialmente  in  alto  dal  maestro  che 
lo  sforza  ad  «  astrarre  »,  può,  al  massimo,  imparare  a  discendere  con  un 
lento  volo  come  un  paracadute  :  ma  non  mai  ad  «  innalzarsi  energicamente 
e  vertiginosamente  da  sé  ».  Ecco  la  differenza:  e  quindi  la  necessità  di  con- 
siderare «  il  fondamento  positivo  trattenente  la  mente  nell'autoesercizio  siste- 
matico 1  di  preparazione;  dopo  la  qual  cosa,  basta  «  lasciar  libertà  »  al  genio 
che  s' innalza. 

Non  c'è  bisogno  di  ripetere  come  anche  nel  periodo  di  h  rifornimento  » 
la  libertà  è  la  guida  per  trovare  il  «  momento  adatto  >  e  il  «  tempo  suffi- 
ciente '\  perchè  di  questo  è  stato  già  insistentemente  parlato.  Ma  è  bene 
fissare  qui  ancora  più  chiaramente  l'idea  che  un  «  materiale  di  sviluppo  » 
predeterminato  con  ricerche  sperimentali  e  «  messo  in  rapporto  col  fanciullo  » 
(lezioni),  compie  una  tale  opera  complessa  per  le  reazioni  psichiche  che  è 
capace  di  provocare,  che  ne  possono  derivare  i  più  splendidi  fenomeni  di 
sviluppo  intellettuale. 

Uno  dei  materiali  più  ricchi  di  applicazione  è  questo  appunto  degli 
incastri  geometrici,  i  quali  corrispondono  mirabilmente  agli  »  istinti  di  lavoro  » 
della  mente  infantile. 

Gli  esercizi  che  si  fanno  con  tal  materiale,  non  sono  soltanto  di  «  com- 
posizione »  dei  pezzi  d' incastro  o  di  sostituzione  di  essi  nelle  relative  piastre; 
ma  vi  si  uniscono  gli  esercizi  di  disegno,  che,  col  lungo  lavoro  che  richie- 
dono, permettono  alla  mente  del  bambino  di  soffermarsi  su  ogni  particolare 
e  di  meditarvi. 

Il  disegno  fatto  sugli  incastri  geometrici,  come  sarà  detto  in  seguito, 
è  di  due  generi  :  uno  geometrico  e  uno  artistico.  Inoltre,  la  fusione  dei  due 
generi  viene  a  dare  applicazioni  nuove. 

Il  disegno  geometrico  consiste  nel  riprodurre  le  figure  delineate  relative 
agh  incastri  :  e  con  ciò  il  bambino  impara  a  maneggiare  vari  istrumenti  di 
disegno:  come  squadra,  riga,  compasso,  goniometro.  In  tah  esercizi  il  bam- 
bino acquista  delle  vere  e  proprie  cognizioni  di  geometria,  con  l'aiuto  di 
un  apposito    <  album  »  che  fa  parte  del  sistema. 

Altre  specie  di  disegni  poi,  consistono  nel  «  combinare  »  le  varie  figure 
geometriche  tra  loro  per  mezzo  dei  pezzi  d' incastro  che  si  possono  variamente 

28 


434  PARTE    SECONDA 

disporre.  Vengono  delincati  i  contorni,  e  le  figure  riempite  o  coi  lapis  colo- 
rati o  ad  acquerello.  Tali  combinazioni  sono  vere  creazioni  estetiche  da 
parte  dei  fanciulli.  Gl'incastri  poi  sono  in  tali  reciproche  proporzioni,  che 
dalle  loro  combinazioni  risulta  un'armonia  artistica  la  quale  facilita  lo  sviluppo 
del  senso  estetico  dei  bambini.  Noi  abbiamo  potuto  riprodurre  con  gl'in- 
castri alcune  decorazioni  classiche  che  si  trovano  nello  nostre  maggiori  opere 
d'arte,  come  le  decorazioni  di  Giotto. 

Infine,  una  combinazione  tra  disegno  geometrico  e  artistico  è  quella  di 
decorare  le  varie  parti  delle  figure  geometriche,  come  i  centri,  i  lati,  gli 
angoli,  le  circonferenze,  ecc.;  o  anche  quella  di  rifinire  con  qualche  dettagHo 
a  mano  libera  le  decorazioni  che  risultano  dalle  combinazioni  di  incastri. 
Ma  di  tutto  ciò  sarà  meglio  dato  un  concetto  passando  ad  esporre  il  mate- 
riale sistematico. 


DESCRIZIONE  DEL  MATERIALE  DI  SVILUPPO 
RIFERENTESI  ALLA  GEOMETRIA. 

(Tests  sistematici). 

Prima  serie  d'  incastri  :  /  quadrati:  figure  divise.  —  È  una  serie  di 
undici  incastri  quadrati:  tutte  le  piastrelle  hanno  come  fondo  Io  stesso  qua- 
drato bianco  di  io  cm.  di  lato. 

Una  delle  piastrelle  contiene  un  quadrato  intero,  e  le  altre  sono  com- 
poste così  (fig.  6): 

un  quadrato  diviso  in  due  rettangoli  uguali 

"              quattro  quadrati  uguali  tra  loro 

otto         rettangoli       »  » 

sedici       quadrati          »  » 
poi  : 

un  quadrato  diviso  in  due          triangoli    eguali  tra  loro 

quattro           «                »  » 

otto                  >.                 ..  ). 
sedici 

Il  bambino  può  prendere  il  quadrato  diviso  in  due  rettangoli  e  quello 
diviso  in  due  triangoli,  e  scambiare  le  figure,  cioè[empire  il  primo  quadrato 
coi  triangoli  e  il  secondo  coi  rettangoli.  I  due  triangoli  sono  sovrapponibili, 
mettendoli  a  contatto  dalla  parte  inferiore,  ove  non  c'è  il  bottone  di  presa: 
cosi  i  rettangoli.  In  tal  modo  viene  a  dimostrarsi  l'uguaglianza  con  la  sovrap- 
posizione. Ma,  fra  triangoli  e  rettangoli  c'è  un  rapporto:  infatti  essi  sono 
ciascuno  la  metà  dello  stesso  quadrato;  eppure  sono   differentissimi  per  la 


GEOMETRIA 


435 


forma.  Ecco  l' intuizione  delle  «  figure  equivalenti  ».  I  due  triaiigoli  sono 
eguali  tra  loro,  anche  i  due  rettangoli  sono  eguali  tra  loro  ;  invece  il  trian- 
golo ed  il  rettangolo  sono  tra  loro  equivalenti.  Il  bambino  va  subito  ja 
paragonare  per  sovrapposizione  il  triangolo  ed  il  rettangolo,  e  si  accorge 
che"  il   triangolino  che   sovrasta  al   rettangolo,  è   uguale  al   triangolino  che 


,  &  & 

9 

9I 
[ 

'9:  9 

L 

9  \ 

Fig.   6.  —  Incastri  geometrici  di   ferro  ;  il  quadrato    diviso   in    due,  quattro,  otto,'  sedici   parti  : 
al  disopra  le   figure  sono   triangoli,   al   disotto  sono   quadrilateri,  rispettivamente   equivalenti. 


rimane  in  esso  scoperto;  e  che  perciò  triangolo  e  rettangolo,  pur  non  avendo 
la  stessa  forma,  hanno  la  stessa  superficie. 

L'esercizio  di  osservazione  si  ripete  in  modo  analogo  con  gli  altri  incastri 
del  quadrato  diviso  successivamente  in    quattro,  in  otto  [e  in   sedici  parti. 

Il  quadrato  che  è  la  quarta  parte  del  grande  quadrato,  risultante  dalla 
divisione  di  questo  secondo  le  due  mediane,  è  equivalente  al  triangolo  che 
risulta  dalla  divisione  dello  stesso  grande  quadrato  in  quattro  triangoli 
secondo  le  due  diagonali.   E  così  via. 

La  differenza  tra  equivalente  ed  eguale  si  rileva  paragonando  le  figure. 
I  due  rettangoli  che  risultano  dalla  divisione  del  gran|^  quadrato  secondo  una 
mediana,  sono  eguali  tra  loro.  Cosi  i  due  triangoli  risultanti  dalla  divisione 
del  gran  quadrato  secondo  la  diagonale,  ecc.  Invece  sono  simili  le  figure 
che  hanno  la  stessa;  forma  e  dimensioni  diverse.  Per  esempio,  il  rettangolo 
metà  del  quadrato  grande,  e  quello  metà  del  quadrato  piccolo,  cioè  ottava 
parte  del  grande,  non  sono  tra  loro  né  eguah,  né  equivalenti,  ma  sono  simili. 
Lo  stesso  si  dica  del  gran  quadrato  e  di  quelli  che  rispettivamente  rappre- 
sentano  la  sua  quarta  e  sedicesima  parte.  E  così  via. 

Nelle  divisioni  del  quadrato  c'è  l'idea  intuitiva  della  frazione.  Tuttavia 
non  è  questo  il  materiale  usato  per  lo  studio  delle  frazioni.  A  tale  scopo 
esiste  una 


PARTE    SECONDA 


SIaONOA  SERIK   U' INCASTRI  :/rtf2(V)«;. 

omo  tondo  vin  circolo  bianco  di  io  cm. 


-  Sono  \indici  piastrelle  che  hanno 
di  diametro.    TI   primo   circolo  ha 


:,.. ?.?...  ..Cf'^ q7. oi:0.     .   "ò     .      ol.o  .    .'o"..     .oli«% 

Fig.   ;.   —   liicaslii   ce'-imi'triii  ;  il   circolo  intero  e  diviso  in   tliip,   tre,   quattro, 
cinque,   sei,  sette,   ottu,  nove,   dieci    parti. 


un  incastro  intero,  ma  'gli  altri  successivamente  contengono  il  circolo  diviso 
in  2,  3.  4.  5,  6,  7,  8,  9,  IO  parti  eguah  (tìg.  7). 

I  bambini  imparano  a  misurare  l'an.golo  di  ogni  pezzo  e  quindi  a  con- 
tare praticamente  i  gradi.  A  questo  scopo  viene  usata  una  piastra  rotonda  in 
cartonaggio  (fig.  8)  ove  al  centro  è  disegnato  in  nero  su  fondo  chiaro  un  semi- 
circolo di  raggio  uguale  a  quello  degli  incastri  circolari  :  esso  è  diviso  in  18  set- 
tori da  raggi  che  sorpassano  la  circonferenza  e  continuano  sul  fondo,  e  portano 


70„  80»  90"  ioO"„o„ 
60°    >      \ i /       ,     120" 


l-ig.  8.  —  Strumento  per  la  nnsura 
degli  angoli  in  gradi. 

all'estremo  la  numerazione  relativa  di  dieci  in  dieci  gradi,  da  o"  a  iSo».  Cia- 
scun settore,  poi,  porta  sull'arco  il  segno  di  divisione  in  io  parti  (gradi). 

Dallo  0°  a  180°  è  segnato  più  in  grosso  il  diametro,  il  quale  è  anche 
sporgente  per  facilitare  l'aggiustamento  dell'angolo  da  misurare  e  per  otte- 
nere una  i;sattezza  rigorosa  di  posizione  ;  come  pure  è  piii  grosso  il  raggio 
che  cade  su  90°.  Il  bambino  depone  il  pezzo  d'incastro  sul  circolo,  in  modo 
che  il  vertice  dell'angolo  cada  sul  centro,  e  uno  dei  lati  sia  sovrapposto  al 
raggio  0°.  Si  legge  all'estremo  opposto  dell'arco  dell'incastro,  la  grandezza 


GEOMETRIA  437 

dell'angolo  in  gradi.  Dopo  tali  esercizi,  con  un  comune  goniometro -i'bambini 
sanno  misurare  tutti  gli  angoli.  Inoltre  imparano  che  il  circolo  è  di  360°. 
il  mezzo  circolo  è  di  180°,  e  che  l'angolo  retto  misura  90°. 

Sapendo  che  la  circonferenza  è  di  360°,  possono  calcolare  di  quanti 
gradi  sia,  p.  es.,  l'angolo  dell'incastro  che  rappresenta  la  settima  parte  del 
circolo,  cioè  360°  :  7  =  51°;  cosa  che  subito  dopo  possono  verificare  con  gl'istru- 
menti,  cioè  ponendo  il  settore  sul  circolo  graduato. 

Tali  calcoli  e  misure  vengono  ripetute  con  tutti  i  settori  del  sistema 
d'incastri  corrispondenti  al  circolo  diviso  da  due  a  dieci  parti.  Approssima- 
tivamente, al  goniometro  : 


7  " 

circolo 

=   120»;           < 

3600  : 

3    - 

120° 

I 
4 

" 

^     00°  ; 

360°  : 

4  = 

900 

I 
J 

" 

-     720; 

3()oo  : 

5   —- 

720 

I 
~6 

- 

-■t=     bo°  ; 

3600  : 

6  = 

600 

I 

y 

-     51°; 

300°  : 

7     = 

51° 

I 

-^    45°  ; 

360°  : 

8   ---- 

45° 

I 
9 

-    40°; 

300°: 

9   "" 

400 

I 

=  Ò60; 

360°  : 

IO    = 

360 

Così  il  bambino  impara  a  scrivere  le  frazioni  : 

iiiiiiiii 
"2  '  3  '         "4"'  5  '  b  '  7  '  8  '  9  '         IO 

ne  ha  l' intuizione  materiale  e  insieme  il  rapporto  aritmetico. 

Il  materiale  si  presta  a  infinite  combinazioni,  che  sono  tutte  veri  e 
propri  esercizi  di  calcolo  sulle  frazioni  (fig.  9).  Cosi,  per  es.,  il  bambino  può 
togliere  da  un  circolo  i  due  mezzi  circoli,,  e  metterci  quattro  settori  di  90°: 
egli  ha  empito  lo  stesso  fondo  circolare  con  pezzi  diversi,  e  può  trarne  la 
seguente  conclusione  : 


PARTE    SECONDA 


H   può  dir«^  che  due  metà  sono  eguali  a  quattro  (]u;uti.  e  scrivere  cioè: 

L  =  ± 
2         4 


Fìg.   y.     --   La    fibula   rappresenta  la  seguente  somma: 

6  2 

1-  -  =  I 

IO         5 

Con   sei  pez7.i  tolti  al  circolo  diviso  in    io  parti  e  due   pezzi   tolti  al  circolo  diviso  in   5   parti, 

si  è  empito  l'intero  spazio  di   un   altro  circolo. 

Questa  non  è  che  l'espressione  della  stessa  cosa.  È  stata  fatta  a  mente 
una  somma,  vedendo  i  pezzi;  ed  è  stata  trascritta.  Componiamola  con  quanto 
fu  scritto  prima,  vale  a  dire  con  l'analisi  di  questa  somma  : 

224444 

Quando  il  denominatore  è  uguale,  la  somma  delle  frazioni  si  fa  som- 
mando i  numeratori  : 


I   _  4 


JL  +  ±  =  i.;        L  +  ±  +  ^  +  - 
222  44444 


Le  due  metà  e  i  quattro  quarti,  sono  il  circolo  intero. 


GEOMETRIA  439 

Ora,  empiamo  un  circolo  con  parti  diverse  :  per  es.,  con  un  mezze  circolo 
e  due  quarti    di    circolo:   si  ha  i  = —  +  — .    E    anche   risulta  nell'incastro 

che:  —  =  — .  Se    si    volesse    empire    il    circolo,    lasciandovi    il    pezzo    più 

grande  ( — ),  col  minimo  numero    possibile    di    pezzi,    bisognerebbe    togliere 

i  due  settori  di  —  e  metterci  un  altro  mezzo  circolo  ;  allora  : 


222' 


Empiamo  un  circolo  con  tre  settori  da  —  e  4  settori  da  — 

5  IO 


Lasciando   i    pezzi   più  grandi,    e  volendo   empire  il   circolo  col    minor 
numero  di  pezzi  possibile,   bisognerebbe   cambiare  i    —    con    — .    Allora: 

5        5         5 

512 
Empiamo  il  circolo  così:     —  +  —  +  -?r  =     i- 
^  IO        4         8 

Cerchiamo  di  mettere  i  pezzi  più  grandi  possibili,  sostituendo   a  tanti 
pezzi  piccoli  uguali  tra  loro  un  pezzo  grande  che  li  comprende  tutti  :  allora 

nello  spazio  occupato  dai  —  si  può  mettere  un  solo  pezzo  da  — ;   e   nello 
spazio  occupato   da   -^    si  può  mettere  un   pezzo  da   — .    Allora  il  circolo 


risulta  riempito  così  : 


24424 


Continuiamo  a  fare  la  stessa  cosa,  cioè  a  mettere  i  pezzi  più  grandi 

;ce  dei     - 
4 
empito  così  : 


invece  dei     -  si  può  mettere  un  altro  mezzo  circolo;  allora  l'incastro  rimane 


+  -=_  =  !. 
2  2 


PARTE    SECONDA 


Tutti  quieti  spostamenti  si  possono  esprimere  in  cifra  così: 

10        ^         8         2         4        4 
^  i-  +  i-  .  i-  +  -L  =  i  =  r. 

2  4  _'  2  _' 

h  un  modo  di  iniziare  i  bambini  ci'n  l'intuizione  alle  operazioni  che 
servono  a  ridurre  le  frazioni  ai  minimi  termini. 

Anche  le  frazioni  apparenti,  a  cui  essi  arrivano  subito  sommando  una 
(]uantità  di  settori  che  empia  due,  tre,  quattro  circoli,  li  interessano  molto. 
Cercare  gli  interi  che  esistono  sotto  le  apparenze  di  frazioni,  è  un  po'  come 
mettere  a  posto  gli  incastri  circolari  che  qualcuno  mescolasse  tutti  insieme 
tra  loro.  Anche  il  desiderio  di  apprendere  le  vere  operazioni  sulle  frazioni 
si  manifesta  nei  bambini.  Essi  inventano,  con  frazioni  apparenti,  dei  calcoli 
che  sono  impressionanti  a  vedersi  come,  per  es.,  il  seguente: 


[«Mi 


J    ^    TI  -I  [^    +     (I     +    2    +    12)    +     I] 


H   -^   15  +   I    _  24  _ 


Può  essere  guida  al  lavoro  del  bambino,  una  serie  di  comandi,  che  egli 
può  scegliere  nel  loro  «  deposito  n. 
Eccone  qualche  esempio: 

Prendi  —   di  25  perle. 
5 


Prendi  —  di  24  fagioli. 
Prendi  —  di  27  fagioli. 
Prendi  —   di  40  fagioli. 


In  quest'ultimo  caso  le  operazioni  sono  due: 
60  :  5  =  12;    12  X  2  =  24;   ovvero  2  X  60  =  120;    120  :  5  =  24,  ecc. 


GEOMETRIA  44I 


Riduzione  delle  frazioni  ordinarie  in  frazioni  decimali.  —  A 
questo  scopo  esiste  nel  materiale  una  piastrella  simile  a  quella  jdegl' incastri 
coi  circoli.  Soltanto  che  la  cornice  è  chiara  e  sopra  di  essa  seno  segnate 
delle  divisioni  in  io  parti,  e  ogni  parte  è  ancora  divisa  in  dieci  :  in  queste 
suddivisioni,  la  lineetta  del  cinque  è  distinta  (un  po'  più  lunga).  Su  ogni 
grande  divisione  sono  segnate  le  cifre:  io,  20,  30,  40,  50,  60,  70,  80,  90,  100. 


Fig.  IO.  —  Istruraento  ili  misura  che  riduce  in  decimi  la  frazione  di  circolo 
(riduzione  delle   frazioni   nrilinarie  in   decimali). 


Il  segno  100  è  in  alto,  e  in  rapporto 'ad  esso  esiste  un  raggio  rilevato  nel 
circolo  del  fondo,  il  quale  serve  per  appoggiarci  i  settori  che  si  devono 
misurare  (fìg.  io). 

Volendo  ridurre  la  frazione  ordinaria  in  decimale,  si  pone  il  settore 
noto  adagiato  lungo  il  raggio  rilevato,  e  con  l'arco  combaciante  co!  con- 
torno dell'incastro:  dove  l'arco  finisce,  è  segnata  la  cifra  che  rappresenta 

i  centesimi  corrispondenti  al  settore.  Così,  ponendovi  il  settore    — ,  il    suo 

arco  finisce  a  25  ;  dunque    —    =  0,25. 
4 
La  fig.    II  rappresenta  schematicamente  il   processo  pratico   da  usarsi 
col  nostro  materiale  per  la  riduzione  delle  frazioni  ordinarie  in^frazioni  deci- 


44-' 


PARTE    SECONDA 


Fig.  Il    —  Esempi  di  riduzione  delle  frazioni  ordinarie  in  decimali:  i  pezzi  d'incastro  corrispondenti 
a   frazioni  di  circolo,  seno  disposti  dentro  l' istrumento  di  misura  che  li  riduce  in  decimali  : 


GEOMETRIA 


443 


mali.   In  alto  sono  collocati,  entro  il  circolo  diviso  in  centesiipi,  i  segmenti 

cniTispondenti    a   — ,  a  —   e  ad   —   del  circolo. 
3  4  o 

In  basso  è  deposto  nel  circolo  centesimale  il  solo  segmento  di  una  terza 


Essi  segnano 

In  basso  è  d 

parte  del  circolo 


0,33- 


Collocando    invece    il    settore     —    il    suo    arco    finisce    a    20,    dunque: 
5 


Ma  dentro  il  circolo  possono  mettersi  più  settori,  per  esempio: 

^   +^   +   ^    +    ' 
4  7  9  IO 

basta  leggere  il  punto  dove  finiscono  tutti  gli  archi  dei  settori  giustapposti 
e  si  ha  la  somma  delle  frazioni  ridotte  in  decimali  (fig.  12). 


Su  queste  basi  è  facilissimo  svolgere  le  conoscenze  aritmetiche.  Invece  di  1 
che  rappresenta  tutto  il  circolo,  mettiamo  100,  che  rappresenta  le  suddivisioni 
di  esso  per  la  riduzione  in  decimali,  e  dividiamo  il  100  in  tante  parti  di  cir- 
colo, quanti  sono  i  settori  che  entrano  nel  circolo  stesso,  ed  ecco  fatta  la  ridu- 
zione :  tutte  quelle  parti  che  risultano,  sono  altrettanti  centesimi.  Dunque  : 


100  :  4   =  25  centesimi;   cioè  : 


25 


ovvero  0,25. 


La  divisione   si  esegue    dividendo  il    numeratore  per  ii  den'^'miuatore  : 
1:4  =  0,25. 


444 


PAKTE    SECONDA 


Terza  serie  d'incastri:  Ji^nun-  equivalenti.  —  1  quadinti  tlivisi  in  ret- 
taiit:oli  e  triangoli,  contenevano  due  concetti:  la  fraziimo  i  IVquix  alenza 
dolio  figure. 

Per  il  concetto  della  frazione  c'è  un  materiale  speciale,  il  quale,  oltre 
a  svolgere  il  concetto  intuitivo  della  frazione,  ha  permesso  anche  delle 
operazioni  sulle  frazioni  e  la  loro  riduzione  in  decimali;  inoltro  esso  ha 
portato  altre  conoscenze,  come  la  misura  degli  angoli  in  gradi. 

Por  il  concetto  sull'equivalenza  delle  figure,  c'è  pure  un  altro  mate- 
riale a  so. 

Esso  condurrà  a  calcolare  la  superficie  delle  varie  forme  geometriche 
ed  anche  a  dare  l'intuizione  di  alcuni  teoremi  che  finora  sono  stati  estra- 
nei alle  scuole  elementari,  come  superiori  alle  possibilità  comprensive  dei 
bambini. 

Materiale.  —  Equivalenza  del  triangolo  con  un  rettangolo  avente  un 
lato  uguale  alla  sua  base,  e  l'altro  uguale  alla  metà  della  sua  altezza  (fig.  13). 

In  un  largo  incastro  rettangolare,  ci  sono  due  spazi  bianchi:  il  triangolo 
ed  il  rettangolo   equivalenti.  I  pezzi  da  incastrare  nel  rettangolo  sono  tali 


iicastn  geometr 


che  possono  entrare  così  nell'uno  come  nell'altro  spazio,  come  si  vede  nella 
figura  6.  Ciò  dimostra  l'equivalenza.  Lo  spazio  triangolare  dell'incastro 
completo,  è  empito  con  due  pezzi  che  sono  il  triangolo  diviso  da  una  linea 
trasversale  condotta  sulla  metà  della  base:  togliendo  i  due  pezzi  e  sovrappo- 
nendoli, si  verifica  che  essi  sono  ugualmente  alti. 

Ma  già  il  lavoro  con  le  perle  e  il  calcolo  sui  quadrati  dei  numeri,  ci  ha 
indirizzati  a  trovare  la  superficie  del  quadrato  moltiplicando   un    lato   per 


GEOMETRIA 


445 


l'altro;  analogamente  la  superficie  di  un  rettangolo  si  calcola  moltipli- 
cando un  lato  per  l'altro.  E  siccome  il  triangolo  può  ridursi  in  rettan- 
golo, è  facile  calcolare  la  sua  superficie,  moltiplicando  la  base  per  la  metà 
dell'altezza. 

Materiale.  —  Equivalenza  tra   il  rombo   e  un   rettangolo  che  ha  un 
lato  uguale  a  quello  del  rombo,  e  l'altro  uguale  all'altezza  del  rombo. 


Fig.  14.  —  Incastri 
il    rombo    diviso    in    due    triangoli. 


L'incastro  contiene  un  rombo   di\iso  da   una   diagonale   in  due  trian- 
goli  (fig.  14)   e  un  rettangolo  (fig.   15)  empito  di  pezzi  che  (vuotato  dai  due 


Fig.   15.  —  Incastri  geometrici:  rombo  e  rettangolo  sono  equivalenti; 
coi  pezzi  che  stanno  dentro  il  rettangolo  si  può  empire  perfettamente  il  rombo 


triangoH  lo  spazio  del  rombo)  possono  empire  anche  il  rombo  (fig.  lò).  Nel 
materiale  ci  sono  anche  il  rombo  e  il  rettangolo  interi:  essi,  sovrapposti, 
dimostrano  di  essere  ugualmente  alti. 


44^ 


PARTE   SECONDA 


L'equivalenza  essendo  dimostrata  dallo  spostamento  dei  pezzi  che  pos- 
sono empire  le  duc|figurc.  facilmente  può  risultare  che,  analogamente  a  quanto 


Fip.   i6.  —  Viceversa,  coi  peni   del  rombo  si  può  empire  perfettamente  il  rettangolo. 

si  è  detto  sopra:  la  superficie  del  rombo  si  trova  moltiplicando  il  lato  o  la 
base  per  l'altezza. 

Materiale.  —  Equivalenza  fra  il  trapezio  e  un  rettangolo  che  ha  un 
lato  uguale  alla  somma  delle  due  basi,  e  l'altro  uguale  alla  metà  dell'altezza. 

Il  bambino  stesso  può  trovare  l'altra  combinazione,  cioè:  l'equivalenza 
del  trapezio  con  un  rettangolo  avente  un  lato  uguale  all'altezza  e  l'altro 
uguale  alla  semisomma  delle  basi.  Basta  perciò  taghare  in  due  il  lungo 
rettangolo  e  sovrapporre  le  due  metà. 


geometrici  :  nduzione  del   trapezio  in  uq  rettangolo  equivalente. 


GEOMETRIA 


a  ■§ 


§  s 


a? 


44S 


Il  grande  incastro  rettangolare  contiene  tre  spazi:  due  trapezi  uguali, 
e  il  rettangolo  equivalente,  un  lato  del  quale  è  uguale  alla  somma  delle  basi 
e  l'altro  lato  uguale  alla  metà  dell'altezza  di  essi.  Uno  dei  trapezi  è  empito 
da  due  pezzi,  cioè  dal  trapezio  tagliato  trasversalmente  in  due  parti  a  livello 
della  metà  dell'altezza;  so\Tapponendo  queste  due  parti,  risulta  che  esse 
sono  ugualmente  alte. 

L'altro  trapezio  ò  empito  di  pezzi  che  possono  disporsi  nel  rettangolo 
coprendolo  completamente  (tìg.  17).  Dimostrata  l'equivalenza  è  anche  provato 
che  la  superfìcie  del  trapezio  si  calcola  moltiplicando  la  somma  delle  basi 
per  la  metà  dell'altezza  ovvero  la  semisomma  delle  basi  per  l'altezza.  (I  bam- 
bini, misurando  i  lati  col  doppio  decimetro,  calcolano  veramente  la  super- 
ficie degli  incastri  e  poi  quelle  dei  tavolini,  ecc.). 

Materi.'\le.  —  Equivalenza  tra  un  poligono  regolare  e  un  rettangolo- 
avente  un  lato  uguale  al  perimetro,  e  l'altro  uguale  alla  metà  dell'apotema. 

Negli  incastri  ci  sono  due  piastrelle  che  hanno  come  fondo  il  decagono;  una 
è  empita  dal  decagono  intero;  l'altra  dal  decagono  diviso  in  dieci  triangoli. 

La  fig.  18  riproduce  una  tavola  dell'album  di  geometria,  rappresentante 
l'equivalenza  tra  il  decagono  e  un  rettangolo  avente  un  lato  uguale  al  peri- 
metro, e  l'altro  lato  uguale  alla  metà  dell'apotema. 

La  fìg.  19  rappresenta  i  pezzi  d'incastro  e  cioè  il  decagono  e  il  ret 
tangolo  equivalente  :  e  sotto  a  ciascuno,  i  triangoli  in  cui  essi  si  decompon- 
gono, triangoli  che  vengono  a  corrispondersi  perfettamente. 


] 


Fig.    19.   —    Incastri   geometrici:   nella   figura  snnn  riportati  «iolo   i   przzi  da   incastrare. 
Il    decagono    e    il    rettangolo    (equivalenti)    si    possono    comporre    con    gli    stessi    triangoli, 


In  essa  viene  a  dimostrarsi  che  il  rettangolo  equivalente  al  decagono 
può  avere  un  lato  uguale  all'intera  apotema  e  l'altro  uguale  alla  metà  del 
perimetro. 


GEOMETRIA 


449 


La  fig.  20  rappresenta  i  pezzi  d'incastro  collocati  nelle  piastre. 

Un  altro  incastro  dimostra  l'equivalenza  del  decagono  e  di  un  rettan- 
golo che  ha  come  lati  il  perimetro  del  decagono  e  la  metà  dell'altezza  di 
ogni   triangolo   componente   il   decagono;    in   esso    possono   disporsi   tutti  i 


Fig.   20.  —  Incastri  geometrici:  equivalenza  del  decagono  con  un   retta 
a  metà  del  perimetro  e  come  alterza  l'apotema  {decomposizione  e  ricomposizic 


come  base 
I  dei  triangoli). 


triangoli  divisi  ^«^versalmente  a  metà  (v.  fig.  i8,  uno  dei  piccoli  triangoli 
superiori  deve  essere  diviso  longitudinalmente  in  due).  Cosi  viene  inclusa  la 
dimostrazione  che  :  la  superficie  di  un  poligono  regolare  si  calcola  molti- 
plicando il  perimetro  per  la  metà  dell'apotema. 


Alcuni  teoremi  fondati  sull'equivalenza. 

A)  Tutti  i  triangoli  aventi  la  stessa  base  e  la  stessa  altezza  sono  equi- 
valenti. 

Ciò  sarebbe  incluso  nel  fatto  che  la  superficie  di  un  triangolo  si  cal- 
cola moltiplicando  la  base  per  la  metà  dell'altezza,  e  perciò  i  triangoli  che 
hanno  ugual  base  ed  uguale  altezza,  devono  essere  equivalenti. 

Per  la  dimostrazione  intuitiva  di  questo  teorema,  esiste  il  seguente 

Materiale.  —  Il  rombo  e  il  rettangolo  equivalenti,  sono  divisi  ciascuno 
in  due  triangoH;  i  triangoli  del  rombo,  avendo  le  diagonali  opposte,  hanno  una 


/ 


450 


PARTE   SECONDA 


forma  diversa.  I  tre  differenti  triangoli  risultanti  da  tali  divisioni,  hanno 
la  baso  uguale  (si  può  materialmente  constatare  giustapponendo  i  pezzi  del- 
l'incastro, secondo  la  base)  ed  entrano  nel  medesimo  luni;o  rettangolo  che 


Fig.   21.  —  Incastri  geometrici:   i   triangoli  aventi  la  base  uguale  e  comune  1  altezza 

sono   equivalenti.  (T    tre    triangoli    che    rispondono    a    queste    condizioni    sono    ciascun. 

In   metà  di   figure   Bi.ì  dimostrate   equivalenti). 


si  trova  come  sfondo  sotto  le  precedenti  figure:  perciò  è  dimostrato  che  i 
tre  triangoh  hanno  la  stessa  cdtezza.  Essi  sono  equivalenti,  poiché  ciascuno 
è  metà  di  figure  equivalenti  (fig.  21). 


Il   materiale  illustra  tre  diversi  casi: 
in  cui  i  due  cateti  sono  uguali; 


B)  Teorema  di  Pitagora.  —  In  un  triangolo  rettangolo  il  quadrato  del- 
l'ipotenusa è  uguale  alla  somma  dei  quadrati  dei  due  cateti. 

Materi.^le.  - 
Primo  caso: 

Secondo  caso:  in  cui  i  due  cateti  stanno  in  proporzione  tra  loro  come  3  :  4; 
Terzo  caso:       generale. 

Primo  caso:  La  dimostrazione  del  primo  caso  è  estremamente  intuitiva. 

La  fig.  22  riproduce  l'incastro  ove  i  due  quadrati  dei  cateti  sono  divisi 
per  mezzo  di  una  diagonale  in  due  triangoli;  e  il  quadrato  dell'ipotenusa,  per 
mezzo  delle  due  diagonali,  è  diviso  in  quattro  triangoli.  Gli  otto  triangoli 
così  risultanti,  sono  tra  loro  tutti  uguali.  Quindi  i  triangoli  dei  due  cateti 
possono  entrare  nel  quadrato  dell'ipotenusa  e  viceversa:  i  quattro  triangoli 
dell'ipotcnusa  possono  andare  ad  empire  i  due  quadrati  dei  cateti.  Gli  spo- 
stamenti sono  divertenti,  tanto  più  che  i  triangoli  dei  due  cateti  hanno  lo 
stesso  colore,  mentre  i  quattro  triangoli  dell'ipotenusa  hanno  un  colore 
diverso. 


GEOMETRIA 


451 


Secondo  caso.  —  I  cateti  stanno  tra  loro  come  3  :  4. 

Neil'  incastro  i  tre  quadrati  sono  empiti  con  quadratini  di  tre  diversi 
colori.  Il  loro  numero  è;  nel  quadrato  del  cateto  minore  j""  =9;  in  quello'"de 
cateto  maggiore  4'  =  16  ;  in  quello  dell'ipotenusa  5'  =  25  (fìg.   23). 


43-  r.XKTE    SECONDA 

Il  giuoco  dogli  spostamenti  è  evidente.  E  mentre  i  due  quadrati  dei 
cateti  possono  empirsi  completamente  coi  quadratini  dell'ipotenusa,  così  che 
essi  diventano  delio  stesso  colore,  il  ijuailrato  dell' iinttennsa  può  essere  ornato 


Fig.   24.  —  Sono  stati   spostati    i  quadratini  in    modo  che  i    Quadrali  dei    cateti 

restano  entrambi  empiti  coi  quadratini  dell'ipotenusa;  e  il  quadrato  di  questa 

roi   quadratini  dei  cateti,  disposti  a  disegno. 


a  graziosi    disegni   variamente   disponendo   i   quadratini   a   due    colori    dei 
cateti  (fig.  24). 

Terzo  caso  (caso  generale).  —  Il  grande  incastro  è  molto  complicato  e  di 
difficile  descrizione.  Esso  si  presta  a  un  notevole  esercizio  intellettuale.  La 
tavola  dell'incastro,  grande  cm.  44  X  24,  si  può  rassomigliare  a  uno  scac- 
chiere ove  dei  pezzi  spostabili  possono  determinare  varie  combinazioni. 
I  principi  inclusi  come  già  dimostrati  o  intuiti,  e  che  conducono  alla  dimo- 
strazione del  teorema  sono  : 

i»  che  due  quadrilateri  aventi  uguale  base  e  uguale  altezza  sono 
equivalenti; 

2°  che  due  figure  equivalenti  a  una   terza  sono  equivalenti  tra  loro. 


GEOMETRIA 


453 


Nell'incastro,  il  quadrato  dell'ipotenusa  è  diviso  in  due  rettangoli,  come 
dimostra  la  figura  25  (il  secondo  lato  è  determinato  dalle  divisioni  dell'  ipote- 


nusa, su  cui  cade  l'altezza  del  triangolo  abbassata  dal  vertice  opposto).  Inoltre 
esistono  nell'incastro  due  romboidi,    ciascuno  dei  quali    (come    dimostra  la 


no  sostituì 
4    T 


up   romboidi   nello  spazio  corrispondente 
ileir  ipotenusa. 


fig.  26)  ha  un  lato  eguale  rispettivamente  al  grande    e   al  piccolo  quadrato 
dei  cateti;  e  l'altro  lato  uguale  all'ipotenusa. 

L'altezza  minore   dei   due   romboidi,  come  si  vede   nella    figura  stessa, 
corrisponde  rispettivamente  all'altezza,  ossia  al  lato  minore,  dei  rettangoli. 


454 


l'ARTE    SECt).\DA 


Ma  laltezza  maggiore  corrispondo  rispetti\  amento  ai  lati  dei  duo  quadrati 
doi  cateti  (corno  si  vedo  nella  fig.  -7). 

Tali  corrispondenze  dimensionali  non  occono  dir  --iann  ^ià  noto  al  bam- 
bino.  Egli  vedo  doi  pezzi  d'incastro  rossi  e  !;ialli  e  sciiiplucmonto  li  sposta 


k-iiti  ai   quadrai 


introducendoli  negli  incavi  dell'incastro.  È  la  penetrazione  matirialo  dei 
pezzi  mobili  sui  fondi  bianchi,  che  dà  al  bambino  la  possibilitcà  di  ragio- 
nare sul  teorema,  non  la  conoscenza  astratta  di  corrispondenze  dimensio- 
nali dei  lati  e  delle  altezze  delle  figure.  Così  ridotto  l'esercizio,  osso  si 
fa  molto  semplice  e  interessante.  Il  materiale  suddetto  si  presta  a  dare 
diverse    dimostrazioni. 


I)iMOSTR.-\ziONE   A  :    sostttuzioHC    materiale   dei   pezzi.   —   Partiamo    dal- 
l'incastro  empito  normalmente  (ftg.  25):  si  tolgano   prima  i  due  rettangoli 
dell' i})oten usa   (deponendoli  nei  lunghi  solchi  laterali)  e   abbassato  il  trian- 
golo, si  riempia  lo  spazio  rimasto  vuoto  coi  due  romboidi  (fig.  26). 
È  sempre  il  medesimo  spazio  riempito  piima  con: 
triangolo  +  due  rettangoli  ;  e  poi  con  : 
triangolo  -f  due  romboidi. 

Dunque  la  somma  dei  due  rettangoli  (quadrato  dell'ipotenusa)  è  equi- 
valente alla  somma  di  due  romboidi. 

Nelle  ulteriori  sostituzioni  consideriamo  i  romboidi  (anziché  i  rettan- 
goli) per  dimostrare  la  loro  rispettiva  equivalenza  coi  due  quadrati  sui 
cateti.   Cominciamo,  p.  es.,  dal    quadrato  maggiore:  partiamo  dall'incastro 


GEOMETRIA 


455 


in  posizione  normale,  cioè  come  nella  fìg.  25  e  consideriamo  lo  spazio  occu- 
pato dal  triangolo  e  dal  quadrato  maggiore.  Per  considerare  questo  spazio 
si  possono  levare  i  pezzi  e  vuotarlo.  E  poi  empirlo  successivamente'^ 
1°  col  triangolo  e  il  gran  quadrato  nella  disposizione  normale  : 
20  coi  triangolo  e  il  grande  romboide,  come  nella  fìg.  28. 


W'''^yyyM>>//////////^^^^^ 


FiK    28     —   NpUo    spazio     triangolo  -f  quadrato  del  maggior  cateto, 
sono  invece  incastrati   i   pezii      tuangolo  -r  romboide   raaggioie 


E  cosi   via,  \edi  fìg.  29. 

Come  si  è  detto,  l'incastro  si  presta  anche  a  un'altra  dimostrazione. 


'\'i-   ;y.  —  Nello  spazio  ove  erano  incastrati   _..„„. , 

sono  stati  sostituiti  i  pezzi  cosi;   triangolo -j- romboide  mii 


golo  e  il  quadrato  del  cateto  micore 


456 


PARTE   SECONDA 


Dimostrazione  B  :  basata  sulle  equivalenze.  —  In  questa  seconda  di- 
mostrazione vengono  a  dimostrarsi  le  equivalenze  tra  i  romboidi,  e,  ri- 
spettivamente, i  rettangoli  e  i  quadrati,  fuori  della  figura:  cioè  per  mezzo 
degli  incavi  paralleli  che  si  vedono  ai  lati  della  piastra.  Tali  incavi,  ove 
i  pozzi  vi  siano  deposti,  dimostrano  cho  i  pezzi  stessi  hanno  la  stessa 
altezza. 

Ecco  dunque  come  si  procede: 

Si  parta  dall'incastro  in  disposizione  normale  (fig.  25).  Quindi,  tolti 
i  due  rettangoli  si  depongano  insiomo  con  i  rombi  negli  incavi  paralleli  di 
sinistra:   i  maggiori  nell'incavo  più  largo,  i    minori    in  quello   più   stretto: 


Fin.  30.  —  I   due  romboidi  hanno  rispettivamente  in  comune  coi  due  rettangoli  un  lato  e  l'altezza 
perciò  sono  equivalenti  ai  rettangoli. 


le  figure  incastrate  hanno  uguale  altezza.  Basterà  poi  far  combaciare  i 
pezzi  secondo  la  base  per  verificarne  l'uguaglianza:  dunque  le  figure  sono 
a  due  a  due  equivalenti   (fig.  30). 

Si  torni  ora  alla  disposizione  normale  dell'incastro  e  si  proceda  analo- 
gamente pei  quadrati  (fig.  27).  NegH  spazi  paralleli  di  destra  si  possono 
disporre  il  gran  quadrato  in  fila  col  grande  romboide,  disposto  però  in  un 
altro  senso  (nel  senso  della  sua  maggiore  altezza);  e  così  si  possono  mettere 
nell'incavo  minore  di  destra,  il  piccolo  quadrato  e  il  piccolo  romboide.  Essi 
hanno  rispettivamente  la  stessa  altezza  ;  e  la  base,  per  giustapposizione  dei 
pezzi,  si  può  facilmente  verificare  uguale.  Ecco  dunque  che  i  quadrati  e  i 
romboidi  sono  rispettivamente  equivalenti.  1  rettangoli  e  i  quadrati,  equi- 
valenti ai  medesimi  romboidi,  sono  perciò  equivalenti  tra  loro;  e  il  teorema 
risulta  dimostrato. 


GEOMETRIA 


457 


Il  sistema  della  geometria  ha  ancora  degli  altri  materiali,  ma  di   minore 
mportanza. 

Quarta  serie  d'incastri:  divisione  del  triangolo.  —  Questo  materiale 
si  compone  di  quattro  piastre  uguali,  che  hanno  come  fondo  un  triangolo 


[olari,  del  triangolo  diviso  in  due,  tre,  quattro  parti 
spostati  dal  fondo  delle  piastre. 


equilatero  di  io  cm.  di  lato.  I  pezzi  da  incastrare  devono  empire  esattamente 
i  fondi  triangolari  delle  piastre  (fìgg.  31  e  32). 

Uno  è  empito  da  un  incastro  intero:  il  triangolo  equilatero.       -^ 

Un  altro  è  empito  da  due  triangoli  rettangoli  scaleni,  ciascuno  uguale 
alla  metà  del  triangolo  equilatero,  il  quale  fu  diviso  secondo  l'altezza. 

Nel  terzo  il  triangolo  è  diviso  in  tre  parti  dalle  bisettrici  dei  tre  angoli: 
cioè  in  tre  triangoli  ottusangoli  isosceli. 

Il  quarto  finalmente  è  diviso  in  quattro  triangoli  equilateri,  cioè  di  forma 
simile   al   grande   triangolo. 


45>' 


PARTE    SECONDA 


11  bambino  può  fare  su  questi  triangoli  uno  studio  più  esatto  ed  analitico 
di  quello  che  fece  osservando  i  triangoli  negli  incastri  piani  usati  nella  Casa 
dei  Bambini.  Egli  misura  gli  angoli  in  gradi,  distinguendo  il  retto  (qo»)  dal- 
l'acuto (<  qafi)  dall'ottuso  (>  90»). 

Inoltre,  misurando  gli  angoli  di  un  triangolo  qualsiasi,  trova  ilie  la  loro 
somma  è  sempre  uguale  a  180°,  cioè  a  due  angoli  retti. 

Può  osservare  che  nel  triangolo  equilatero  tutti  gli  angoli  sono  eguali 
tra  loro  e  precisamente  a  bo°:  che  in  quello  isoscele  sono  uguali  tra  loro  i 


Fig.  32.  —  Gl'incastri   trianiiolari  collocati   nelle  piastre. 

due  angoli  giacenti  agli  estremi  del  lato  disuguale,  mentre  nei  triangoli 
scaleni  anche  gli  angoli  sono  tutti  disuguali  tra  loro.  Nel  triangolo  rettangolo 
la  somma  dei  due  angoli  acuti  è  uguale  a  un  retto.  Si  può  definire  che  i  trian- 
goH  sono  simili  quando  hanno  tutti  gli  angoli  corrispondenti  eguali. 

Materiale  delle  figure  inscritte  e  concentriche.  —  In  questo 
materiale,  che  in  gran  parte  è  costituito  da  quello  già  descritto,  e  ne  è  perciò 
un'applicazione,  sul  fondo  bianco  degli  incastri  si  possono  deporre  delle 
figure  inscritte,  o  concentriche.  Così,  p.  es.,  entro  al  fondo  bianco  del  triangolo 
equilatero  maggiore,  può  deporsi  il  piccolo  triangolo  equilatero  rosso,  che  ne 
è  la  quarta  parte:  ogni  vertice  tocca  il  punto  medio  d'ogni  lato  (fig.  31). 

Esistono  pure  nel  materiale  due  quadrati:  uno  che  ha  7  cm.  di  lato,  e  un 
altro  di  cm  3,5;  essi  hanno  la  rispettiva  cornice  a  fondo  bianco.  11  quadrato  di 


GEOMETRIA  459 

7  cni.  può  deporsi  sul  fondo  del  gran  quadrato  di  io  cm.  in  modo  che  ogni 
\'erticc  tocchi  il  punto  medio  di  ogni  lato  della  cornice. 

In  modo  analogo  si  può  deporre  quello  di  5  cm.  (quarta  pa«rte  del  gran 
quadrato)  nella  cornice  del  quadrato  di  7  cm.;  quello  di  3,5  cm.  nel  quadrato 
di  5  cm.;  e,  infine,  il  quadratino  che  è  la  16=1  parte  del  gran  quadrato,  nella 
cornice  del  quadrato  di  5  cm. 

Esiste  poi  un  circolo  tangente  alla  cornice  del  grande  triangolo  equila- 
tero: questo  circolo  si  può  anche  mettere  sul  fondo  bianco  del  circolo  grande 
(io  cm.  di  lato),  e  in  tal  caso  deve  rimanere  tutto  all'intorno  una  striscia 
circolare  bianca  (circoli  concentrici).  Dentro  il  circolo  più  piccolo  suddetto, 
rimane  inscritto  perfettamente  il  triangolo  equilatero  minore  (quarta  parte 
del  grande). 

Infine,  esiste  un  circolo  piccolissimo,  tangente  al  piccolo  triangolo  equi- 
latero. 

Oltre  a  questi  circoli,  che  sono  in  rapporto  col  triangolo,  ce  ne  sono  altri 
due  tangenti  al  quadrato,  e  precisamente  al  quadrato  del  lato  di  7  cm.,  e  al 
quadrato  di  lato  di  cm.  3,5 

Il  grande  circolo  di  io  cm.  di  diametro,  poi,  s'inserisce  perfettamente 
nel  quadrato  di  10  cm.  di  lato;  e  tutti  gli  altri  circoli  sono  ad  esso  concentrici. 

Tali  rapporti  rendono  le  figure  degli  incastri  adatte  a  composizioni 
artistiche,  le  quali  si  prestano  al  disegno  decorativo  (vedi  capitolo  seguente: 
Disegno). 

Sono,  infine,  unite  al  sistema  due  stelle  che  servono  pe!  disegno  decorativo: 
le  due  stelle  o  fiori  sono  costruite  sul  quadrato  di  cm.  3,5  di  lato:  nell'un  fiore 
il  circolo  poggia  sul  lato  a  semicircolo  (fiore  semplice);  nell'altro  il  circolo 
medesimo  è  costruito  intorno  al  vertice,  e  viene  tracciato  oltre  il  semicircolo, 
fino  all'incontro  reciproco  dei  quattro  circoli  (fiore  e  foglie). 


UN  RAPIDO  SGUARDO  AL  PROGRESSO  DELLA  COLTURA. 

Geometria  solid.a.. 

Come  i  bambini  sono  iniziati  a  saper  calcolare  la  superficie  d'ogni  forma 
geometrica  regolare  con  l'aiuto  delle  cognizioni  d'aritmetica  acquistate,  per 
mezzo  del  materiale  delle  perle,  sul  quadrato  e  sul  cubo  dei  numeri,  cosi 
è  facilissimo  iniziare  sugli  stessi  principi  il  bambino  a  calcolare  il  volume  dei 
solidi. 

Che  moltiplicare  la  superficie  per  l'altezza  conduca  a  calcolare  il  volume 
d'un  prisma,  è  facile  riconoscerlo  dopo  avere  studiato  i  cubi  dei  numeri 
con  i  cubi  di  perle. 

Ci  sono  nel  materiale  tre  pezzi  di  geometria  solida:  un  prisma,  una  pi- 
ramide di  eguale  base  e  uguale  altezza,  e  un  prisma  di  egual  base  e  un  terzo 


4t>o 


TAKTK    SECONDA 


doll'alto/.za.  Essi  sono  cavi;  i  due  prismi,  chiusi  da  un  coperchio,  sono  vere 
scatole  e  la  piramide  senza  coperchio,  serve  a  prendere  e  travasare  delle 
sostanze  (figg.  33  e  34). 

Onesti  solidi   si  riempiono  di  sostanze  varie,   come  mii;lio  e  sabbia,  e 
in  ciò  si  fa  seguire  quella  tecnica  che  si  usa  per  \ahitare  con  tali  mezzi  le 


f{S;j-.H! 


fe 


14.  —  Solidi  geometrici  cavi 


rapacità,  come,  p.  es.,  quando  in  antropologia  si  vuol  misurare  la  capacità 
di  un  cranio.  Riuscire  ad  empire  completamente  un  recipiente  in  modo  che  il 


mente  una  quantità  scarsa  di  sostanze,  la  quale  perciò  non  corrispon 
vero  volume,  ma  ad  un  \'olumc  minore. 


|eral- 
lae  al 


GEOMETRIA  461 

Occorre  saper  empire  una  cavità,  come  occorre  abilità  per  fare  un 
pacco  ove  gli  oggetti  occupino  il  minore  spazio  possibile.  Questo  è  un 
esercizio  piacevole  pei  bambini:  di  scuotere  i  recipienti  e  farcj,  entrare  la 
massima  quantità  di  sostanza,  come  pure  di  rasare  la  superficie  quando 
l'oggetto  è  empito. 

Le  cavità  del  resto,  possono  anche  empirsi  con  dei  liquidi,  che,  in  tal  caso, 
occorre  imparare  a  travasare  senza  farne  perdere  alcuna  quantità. 

Questi  procedimenti  tecnici  sono  una  preparazione  a  maneggiare  poi 
le  misure  metriche. 

I  bambini  constatano  così  che  la  piramide  ha  Io  stesso  volume  del  pic- 
colo prisma,  cioè  uguale  alla  terza  parte  del  prisma  grande:  e  quindi  il  volume 
si  calcola  moltiplicando  la  superfice  della  base  per  la  terza  parte  dell'altezza. 

Empiendo  di  creta  il  piccolo  prisma,  si  ha  una  misura  sufficiente  a  em- 
pire la  piramide,  e  possono  fabbricarsi  così  con  la  plastilina  i  due  solidi  equi- 
valenti in  volume,  usando  come  forme  i  detti  oggetti  del  materiale.  Prendendo 
cinque  parti  di  plastilina  uguali  a  quella  necessaria  per  empire  il  piccolo 
prisma,  si  possono  fabbricare  i  tre  solidi. 


Avute  queste  idee  fondamentali  è  facile  studiare  tutto  il  resto:  poche 
spiegazioni  saranno  a  ciò  necessarie. 

In  molti  casi  le  ricerche  possono  essere  spinte  da  problemi  offerti  a  ri- 
solvere agli  stessi  bambini:  come  si  troverà  la  superficie  del  circolo?  come 
il  volume  del  cilindro?  come  quello  del  cono? 

E  così  possono  essere  problemi,  i  calcoli  della  superficie  totale  dei  so- 
lidi. Spesso  essi  avranno  delle  intuizioni  spontanee;  ed  è  certo  spontaneamente 
che  i  bambini  procedono  a  misurare  le  superficie  totali  dei  solidi  che  sono 
a  loro  disposizione:  e  vanno  per  questo  a  riprendere  anche  i  materiali  della 
«  Casa  dei  Bambini  ». 

Il  materiale  offre  una  serie  di  solidi  in  legno,  la  cui  misura  fondamentale 
è  sempre  quella  di  io  cm. 
Essi  sono: 

il   parallelepipedo  quadrangolare  (io,  io,  20  cm.); 

il  parallelepipedo  quadrangolare  uguale  a  una  terza  parte  di  esso; 

la  piramide  quadrangolare  (io,   io,  20  cm.); 

il  prisma  triangolare  (io,  20  cm.); 

il   prisma  triangolare  uguale  a  '/s  di  esso; 

la  piramide  corrispondente   (io,  20  cm.); 

il  cilindro  (diametro  io,  alt.  20  cm.); 

il  cilindro  uguale  a  '/a  ^i  esso; 

il  cono  (diametro  io,  alt.  20  cm.); 


402  PARTE    SECONDA 


la  sfera  (asse  io  cm.); 
un  ovolo  (asse  maggiore   io  cm); 
un  ellissoide  (asse  maggioro  io  cm.). 
E  i  jxìliedri  regolari  : 
tetraedro; 
esaedro  (cubo); 
ottaedro; 
dodecaedro; 
icosaedro; 
(questi  poliedri  hanno  le   facce  variamente  colorate). 

Applicazioni  :  le  potenze  dei  numeri. 

Materiale: 

due  cubi  di  spigolo  uguale  a  cm.  2;  un  prisma  uguale  al  doppio  di 
tati  cubi;  un  prisma  eguale  al  dojipio  del  prisma  precedente;  sette  cubi 
aventi  4  cm.  di  spigolo. 

Con  essi  si  fanno  le  seguenti  composizioni: 

i  due  cubi  minori  giustapposti:   2; 

gli  stessi,  accanto  ai  quali  il  prisma  che  è  uguale  al  doppio  cubo,  me  sso 
di  prospetto  ai  due  cubi:  2^; 

gli  stessi  col  doppio  prisma  sovrapposto;  2^;  e  così  viene  costruito 
un  cubo  avente  4  cm.  di  spigolo: 

ponendovi   accanto   un   altro  cubo  di  4  cm.  si  ha  2^ 

mettendo  di  prospetto  ad  essi  altri  due  cubi  uguali  al  precedente, 
si  ha:   2^ 

e  mettendo  sopra  di  essi  gli  altri  quattro  cubi  uguali,  si  ha  2'. 
In  tal  modo  si  è  ricostruito  un  cubo  avente  io  cm.  di  spigolo. 

Cosi:  2',  2°  hanno  la  disposizione  a  cubo; 

2^,  2^*  hanno  la  disposizione  a  quadrato; 

2,  2*  hanno  la  disposizione  lineare. 

Il  cubo  di  un  binomio:   (rt  +  è)  '  =  a'  ~(-  6^  +3  a-  ò  +  3  6*  a.  Materiale  : 

un  cubo  con  6  cm    di  spigolo; 
un  cubo  con  4  cm.  di  spigolo; 

tre  prismi  con  una  faccia  quadrata  di  4  cm.  di  spigolo  e  l'altezza 
di  6  cm.; 

tre  prismi  con  una  faccia  quadrata  di  6  cm.  di  spigolo  e  l'altezza 
di  4  cm. 

Con  questi  pezzi  si  ricostruisce  il  cubo  di  io  cm.  di  spigolo. 
Queste   due   combinazioni   sono   contenute   entro    apposite   scatole   cu- 
biche adatte  al  cubo  avente  io  cm.  di  spigolo. 


463 


Pesi  e  misure.  —  Tutto  quanto  riguarda  i  pesi  e  le  misure,  sono  appli- 
cazioni simili  di  operazioni  e  di  raziocinio.  r 

I  bambini  hanno  a  loro  disposizione  e  imparano  a  maneggiare  molti 
degli  oggetti  che  servono  per  le  misure  in  commercio  o  negli  usi  pratici 
della  vita. 

Già  fin  dalla  «  Casa  dei  Bambini  »  essi  ebbero  tra  le  mani  il  sistema 
delle  aste  per  le  lunghezze,  che  contiene  il  metro  e  le  sue  suddivisioni  in 
decimetri. 

Qui  poi  essi  hanno  a  disposizione  il  decametro  a  fettuccia,  con  cui  mi- 
surano pavimenti,  ecc.,  e  ne  calcolano  le  superfici.  Hanno  il  metro  sotto  molte 
forme:  nell'antropometro,  nella  riga  da  disegno;  e  poi  maneggiano  una  fet- 
tuccia metrica  metallica,  una  comune  fettuccia  da  sarta,  e  l'asta  metrica 
che  usano  i  mercanti. 

II  doppio  decimetro  diviso  in  millimetri,  essi  lo  usano  largamente  nel 
disegno;  e  si  divertono  a  calcolare  le  superfici  delle  figure  geometriche  dise- 
gnate, o  degli  incastri  di  ferro.  Spesso  calcolano  la  superficie  del  fondo  bianco 
d'un  incastro;  e  quelle  dei  singoli  pezzi  che  possono  entrare  sul  fondo  per 
verificare  se  la  somma  di  questi  è  uguale  a  quella.  Che  le  misure  crescano 
di  dieci  in  dieci  assumendo  nomi  diversi,  è  cosa  facile  a  intuire  e  a  ricordare 
per  essi,  avendo  già  una  preparazione  al  calcolo  decimale,  e  possedendo, 
con  gli  esercizi  grammaticali,  grande  facilità  ad  accrescere  il  loro  patrimonio 
di  vocaboli. 

Le  relazioni  reciproche  tra  lunghezza,  superfici  e  volume,  essi  le  calco- 
lano riprendendo  i  tre  sistemi  delle  lunghezze,  grossezze  e  grandezze.  Gli 
oggetti  che  differiscono  solo  in  lunghezza,  variano  di  io  in  io;  quelli  che  diffe- 
riscono in  superficie,  variano  di  100  in  100;  quelli  che  differiscono  in  volume, 
variano  di  1000  in  1000. 

Il  materiale  delle  perle  e  i  cubi  della  «  torretta  »  rosa  costruita  durante 
la  prima  infanzia,  paragonati  insieme,  danno  la  spinta  a  uno  studio  più  pro- 
fondo degli  oggetti  sensoriali  che  furono  già  un  tempo  materia  di  assiduo 
lavoro. 

Con  l'aiuto  del  doppio  decimetro  i  bambini  fanno  i  calcoli  per  valutare 
i  volumi  di  tutti  i  pezzi  solidi,  nelle  gradazioni  di  dieci  oggetti:  aste,  prismi 
marrone,  cubi  rosa.  Quindi,  prendendo  gli  estremi  di  ogni  sistema,  consta- 
tano i  rapporti  diversi  tra  gli  oggetti  che  differiscono  in  una  sola  dimensione, 
in  due  e  in  tre  dimensioni.  Del  resto  era  già  noto  che  il  quadrato  di  io  è  100; 
e  che  il  cubo  di  io  è  1000. 


4(M  PARTE    SECONDA 


I  bambini  dispongono  di  vari  istrunienti  scientifici:  termometri,  appa- 
recchi di  distillazione,  bilance,  o,  come  si  è  detto,  delle  principali  «  misure 
in  uso  ". 

Un  decimetro  cubo  di  metallo  vuoto,  come  i  solidi  geometrici  che  servono 
al  calcolo  dei  volumi,  si  empie  d'acqua  ed  ecco  il  litro  che  può  misurarsi  nella 
bottiglia  di  vetro,  la  quale  è  munita  di  bollo.  Tutti  i  multipli  e  sottomul- 
tipli decimali  di  esso,  sono  facilmente  comprensibili.  Tuttavia  i  bambini 
si  trattenevano  a  travasar  liquidi  a  traverso  tutte  le  piccole  o  misure  per 
il  vino  e  per  l'olio  »  che  sono  in  commercio. 

Essi  distillano  poi  l'acqua  con  l'apparecchio  di  distillazione,  misurando 
col  termometro  a  ioo°  la  temperatura  dell'acqua  in  ebollizione,  e  la  tempe- 
ratura del  miscuglio  frigorifero;  e  raccolgono  l'acqua  che  servirà  a  determi- 
nare il  peso  del  kgr.  tenendola  alla  temperatui-a  di  4". 

.■\nche  gli  oggetti  che  servono  a  misurare  la  capacità  sono  a  disposizione 
dei  bambini. 

Non  c'è  bisogno  d'intrattenersi  su  tali  particolari  che  sono  la  moltitudine 
delle  conseguenze  provenienti  insieme  da  una  preparazione  metodica  dell'in- 
telligenza e  dalla  possibilità  di  rimanere  in  contatto  con  oggetti  reali. 

L'na  quantità  grandissima  di  problemi  dati  da  noi,  e  composti  dagli  stessi 
bambini,  sta  a  testimoniare  come  facile  sia  lo  scaturire  spontaneo  degli  effetti 
esteriori,  quando  siano  preparate  le  cause  interne!... 


J 


DISEGNO 


DISEGNO  GEOMETRICO  LINEARE. 

Decorazioni. 

Si  è  già  accennato  più  sopra  che  il  materiale  degli  incastri  geometrici 
ha  pure  un'applicazione  al  disegno. 

È  col  disegno  che  il  bambino  può  soffermarsi  pili  a  lungo  sulle  figure 
geometriche  che  ha  maneggiate,  spostate,  combinate,  facendovi  sopra  un  sì 
complesso  lavoro  di  ragionamento.  Infatti  egli  le  riproduce  tutte  col  disegno 
lineare,  imparando  a  maneggiare  molti  istrumenti,  come:  riga  centimetrata, 
doppio  decimetro,  squadra,  goniometro,  tiralinee  e  compassi.  È  unito  a  questo 
scopo  al  materiale  della  geometria,  un  grande  ed  elegante  album  ove  insieme 
alle  tavole  riproducenti  le  figure  esistono  pure  delle  tavole  illustrative  che 
danno  brevi  spiegazioni  e  delucidazioni  sulle  figure  disegnate,  e  contengono 
la  relativa  nomenclatura.  Il  bambino,  oltre  a  copiare  i  disegni,  può  pure  co- 
piare in  calligrafia  le  tavole  esplicative  e  riprodurre  così,  intero  e  nitido,  il 
bell'album. 

Queste  tavole  esplicative  sono  semplicissime:  ecco,  p.  es.,  quella  che  si 
riferisce  al  quadrato: 

((  Quadrato  :  Il  lato  della  base  è  diviso  in  io  centimetri. 

«  Tutti  gli  altri  lati  sono  eguali,  quindi  misurano  ciascuno  io  centimetri. 

«  Il  quadrato  ha  quattro  lati  eguali  tra  loro  ed  ha  quattro  angoli  pure 
«  eguali  tra  loro  sempre  retti.  Questi  sono  i  caratteri  che  distinguono  il  qua- 
«  drato,  cioè  il  numero  quattro  e  insieme  l'uguaglianza  dei  lati  e  degli  angoli  ». 

I  bambini  squadrano  i  fogli  e  costniiscono  le  figure,  con  un'attenzione 
e  un'applicazione  veramente  ammirabile.  Amano  molto  maneggiare  i  com- 
passi e  sono  estremamente  orgogliosi  di  possederli. 

Una  bambina  chiese  a  sua  madre  per  il  Natale  <'  l' ultima  bambola  e 
una  scatola  di  compassi  »,  come  se  si  trattasse  di  chiudere  un'epoca  della  vita 
e  cominciarne  un'altra. 

Un  bambino  pregò  sua  madre  di  accompagnarlo,  quando  andava  a 
comperargli  i  compassi.  Quando  essi  furono  nel  negozio,  chi  vendeva  gli  oggetti 


4<»''*  PARTE    SECONDA. 

restò  mcravifjliato  che  i  compassi  dovessero  servire  a  un  così  piccolo  bambino, 
e  offrì  una  scatola  delle  più  semplici,  u  No,  non  questi  »  protestò  il  bambino; 
"  voglio  una  scatola  di  compassi  da  ingej^nere  ».  E  ne  pretese  una  delle  più  com- 
plicate; era  per  questo  che  aveva  voluto  accompagnare  sua  madre. 

Quando  i  bambini  disegnano,  apprendono  molte  particolarità  relative 
alle  figure  geometriche:  lati,  angoli,  basi,  centri,  mediane,  raggi,  diametri, 
rettori,  segmenti,  diagonali,  apoteme,  circonferenze,  perimetri,  ecc. 

Essi  però  non  imparano  tutto  questo  aridamente,  e  non  si  limitaiui  a 
riprodurre  l'album.  Infatti  ogni  bambino  arricchisce  il  proprio  album  di  tavdle 
speciali  ch'egli  compone  dajsè  secondo  le  sue  preferen/.e.  Mentre  le  tavole  che 
riproducono  l'album  sono  disegnate  su  comuni  fogli  bianchi  di  carta  da  di- 
segno, con  inchiostro  di  China,  le  tavole  speciali  sono  invece  disegnate  su  carte 
colorate  o  brune,  con  inchiostri  d'ogni  colore  e  con  porporine  (argento  e  oro). 
I  fanciulli  vi  riproducono  le  figure  geometriche,  ma  le  empiono  con  decorazioni 
latte  a  penna  o  ad  acquerello.  Tali  decorazioni  servono  specialmente  a  rile- 
vare, in  un'analisi  geometrica,  le  varie  parti  delle  figure,  come:  centri,  angoli, 
circonferenze,  mediane,  diagonali,  ecc.  (Tavole  XXXIX,  XL  e  XLI). 

Il  motivo  decorativo  è  scelto  o  addirittura  inventato  dai  bambini; 
rome  pure  è  individualmente  libera  la  scelta  dei  colori  cosi  del  fondo  come  degli 
inchiostri  o  dell'acquerello.  Ma  a  nutrire  l'immaginazione  estetica  del  fan- 
ciullo serve  l'osservazione  diretta  della  natura  (fiori  e  loro  parti,  polline,  foglie, 
sezioni  di  steli  osservati  al  microscopio,  semi  di  piante,  conchiglie,  insetti,  ecc.) 
Inoltre  essi  hanno  a  loro  disposizione  disegni  artistici,  collezioni  di  fotografìe 
riproducenti  opere  d'arte,  e  i  famosi  album  di  Haeckel  :  «Le  forme  arti- 
stiche della  natura  »  che  tanto  interessano  e  incantano  i  fanciulli. 

Il  disegno  occupa  per  molte  e  molte  ore  il  fanciullo:  tanto  che  si  coglie 
questo  tempo  per  le  letture,  e  quasi  tutta  la  storia  è  appresa  durante  questo 
mite  lavoro  di  copia  o  di  semplice  decorazione,  così  adatto  alla  concentrazione 
del  pensiero. 

Il  disegno  copiativo  o  quello  di  decorazione  ispirato  direttamente  da 
cose  viste  ;  la  scelta  dei  colori  per  la  riempitura  di  figure  geometriche  o  per 
piccoli  e  semplici  disegni  che  servono  a  rilevare  il  centro  o  un  lato  della  figura: 
l'atto  meccanico  di  stemperare  un  colore,  di  sciogliere  la  porporina,  o  di  con- 
frontare una  serie  d'inchiostri,  quello  di  temperare  un  lapis,  di  orientare  un 
loglio  di  carta,  di  determinare  per  tentativi  l'apertura  di  un  compasso,  è  tutto 
un  complesso  lavoro  di  pazienza,  di  esattezza,  ma  che  non  richiede  grande 
concentrazione  intellettuale.  Esso  è  perciò  un  lavoro  di  costanza  più  che  d'ispi- 
razione, dove  la  facoltà  dell'osservazione  di  ogni  particolare  per  una  riprodu- 
zione esatta  ordina  e  riposa  la  mente,  più  che  metterla  in  moto  pei  suoi  lavori 
associativi  e  creativi.  L'individuo  è  incatenato  dalle  mani,  più  che  dalla  mente: 
ma  anche  la  mente  è  trattenuta  da  queste  occupazioni  in  modo  ch'essa  non 
può  partire  pel  mondo  dei  sogni. 


DISEGNO  469 

Sono  riunioni  tranquille  di  lavoro,  ove  i  fanciulli  occupano  solo  una  parte 
di  sé  ma  tendono  l'altra  parte  verso  qualche  altra  cosa.  Come  avviene  quando 
nelle  sere  d'inverno  la  famiglia  raccolta  accanto  al  fuoco,  leggermente  oc- 
cupata in  tenui  lavori  manuali  che  non  richiedono  intelligenza,  segtfe  le 
lingue  di  fuoco  con  una  certa  beatitudine,  pronta  a  passar  così  nella  pace 
ore  e  ore:  ma  sente  che  una  parte  dei  bisogni  non  è  soddi^atta.  Allora  questo 
(■  il  tempo  scelto  per  favoleggiare,  per  ricrearsi  in  letture  amene. 

Anche  per  i  nostri  bambini,  questo  è  il  tempo  delle  audizioni  di  letture 
d'ogni    genere. 

È  durante  questi  esercizi  ch'essi  hanno  udito  leggere  così  dei  romanzi, 
t)iialc-  /  Promessi  Sposi,  come  libri  di  psicologia,  quale  V Educazione  del  selvaggio 
dell' Aveyron  di  Itard,  o  libri  di  storia  patria.  I  fanciulli  prendono  un  interesse 
profondo  alla  lettura:  ciascuno  occupato  insieme  del  proprio  disegno  e  dei 
fatti  che  ode  descrivere,  sembra  generalmente  che  trovi  nell'una  occupazione 
l'energia  per  perfezionare  l'altra.  L'attenzione  meccanicamente  data  al  disegno, 
trattiene  la  mente  dalla  fantasticheria  e  la  rende  capace  di  assorbire  completa- 
mente la  lettura:  d'altronde  il  piacere  che  infiltrasi  a  poco  a  poco  in  tutta  l'a- 
nima per  la  lettura  sembra  dare  nuova  energia  alla  mano  e  all'occhio:  le 
linee  diventano  esattissime,  il  colorito  delle  figure  si  raffina. 

Quando  poi  l'interesse  della  lettura  ha  un  colmo  d'intensità,  comin- 
ciano da  parte  dei  bambini  le  osservazioni,  le  esclamazioni,  gH  entusiasmi, 
le  discussioni  che  animano  e  rallegrano  il  lavoro  senza  interromperlo.  Ma 
è  avvenuto  anche  qualche  volta  che  un  disegno  fu  abbandonato  in  massa, 
per  imbastire  una  scena  di  commedia  e  rappresentare  subito  un  fatto  sto- 
rico che  a\'ea  toccato  il  cuore;  ovvero,  come  successe  alla  lettura  del  Sel- 
vaggio dell'  Aveyron,  le  mani  restaron  sospese  quasi  inconsciamente  nell'in- 
tensità dell'emozione,  mentre  il  viso  con  una  espressione  di  estasi  come 
innanzi  a  cose  straordinarie,  impensate,  commoventi,  pareva  interpretare  il 
noto  verso  sentimentale  : 

«  donna  simile  a  questa  non  vidi  mai  ». 

Composizioni  .artistiche  con  gl'  incastri.  —  1  nostri  incastri  geo- 
metrici, che  sono  tutti  in  determinati  rapporti  di  dimensione  tra  loro,  e  inclu- 
dono un  sistema  di  figure  inscritte  l'una  nell'altra,  si  prestano  a  bellissime 
combinazioni.  In  queste  i  fanciulli  compiono  vere  creazioni,  e  talvolta  perse- 
guono una  loro  idea  artistica  per  giorni  e  settimane.  Già  gli  stessi  incastri, 
con  la  rimozione  o  la  combinazione  di  pezzi  entro  i  fondi  bianchi  delle  piastre, 
producono  delle  decorazioni  (figure  35  e  36). 

La  facilità  di  comporre  i  disegni  disponendo  i  pezzi  di  ferro  sopra  un 
foglio  di  carta  e  delineandoli,  e  l'armonia  che  facilmente  si  raggiunge  in  tal 
modo,  appassiona  il  bambino:  il  quale  produce  così  talvolta  lavori  meravi- 
t;liosi. 


PARTE    SECONDA 


Diiranto  questo  disegno  creativo,  come  duranto   il  di^if^no  dal   vero,  i' 
1  ambino  è  profondamente  e  totalmente  concentrati)  (favole    Xl.ll  e  \  1.111} . 


Fig.    ?5.   —   CorabiTiazMni   ili   pezzi   d'incastro  entri   le  piastre. 

tutta    la   sua   intelligenza   è   presa,  e  sarebbe   incdmpatibile.   durante   tal    ^e 
nere  di  disegno,  ogni  lettura  istrutti\a. 


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FiK.    ^6.  —   Combinazioni   'ii   pezzi   d  incastro  entro   le  pia 


DISEGNO  471 

Coi  nostri  incastri,  sono  state  riprodotte  alcune  decorazioni  classiche, 
che  si  ammirano  nelle  nostre  maggiori  opere  d'arte  italiane,  come  in  quelle 
di  Giotto  nell'arte  fiorentina  (Tavole  XLIV,  XLV,  XLVI  e  XLVII)< Allor- 
quando i  bambini  cercano  di  riprodurre  con  gl'incastri  le  4ecorazioni  classiche 
della  collezione  di  fotografie,  sono  portati  a  una  osservazione  si  minuziosa, 
che  essa  può  considerarsi  un  vero  studio  artistico.  I  rapporti  tra  le  proporzioni 
delle  varie  figure  sono  da  essi  gustati  in  modo  che  l'occhio  si  forma  ad  apprez- 
zare l'armonia.  Un  godimento  superiore  come  quello  estetico  comincia  così 
fin  dall'infanzia  a  trattenere  le  anime  nei  livelli  più  nobili  e  più  alti. 


DISEGNO  LIBERO  -  DISEGNO  DAL  VERO. 

Tutti  i  precedenti  esercizi  sono  «  formativi  »  per  l'arte  del  disegno.  Essi 
mettono  a  disposizione  del  bambino  la  possibilità  manuale  di  eseguire  un 
disegno  geometrico,  e  la  preparazione  dell'occhio  ad  apprezzare  le  armo- 
niche proporzioni  tra  figure  geometriche.  Le  osservazioni  molteplici  di 
disegni,  l'abitudine  ad  osservare  minutamente  oggetti  naturali,  sono  altret- 
tante preparazioni.  Ma  si  può  dire  che  tutto  il  metodo,  educando  insieme 
l'occhio  e  la  mano,  e  abituando  a  osservare  e  ad  eseguire  dei  lavori  con  grande 
costanza,  prepara  i  mezzi  meccanici  per  il  disegno;  mentre  l'anima  lasciata 
libera  di  elevarsi  e  di  creare  è  pronta  a  produrre. 

È  formando  l'individuo  che  lo  si  prepara  a  quella  manifestazione  mera- 
vigliosa dell'anima  umana,  che  è  il  disegno.  Saper  vedere  il  vero  nelle  forme, 
nei  colori,  nelle  proporzioni  ;  possedere  i  movimenti  della  propria  mano,  ecco 
quanto  basta.  L'ispirazione  poi  è  cosa  individuale  e  ciascuno,  quando  pos- 
siede quegli  elementi  formativi,  può  darvi  espressione. 

Non  vi  può  essere  un  «  esercizio  graduale  del  disegno  »  fino  alla  creazione 
artistica;  ma  solo  la  formazione  dei  meccanismi  e  la  libertà  dello  spirito 
posson  portare  a  tanto. 

Ecco  perchè  noi  non  abbiamo  insegnato  direttamente  il  disegno  ai  bam- 
bini, ma  solo  ve  li  abbiamo  preparati  indirettamente,  lasciandoli  quindi  li- 
beri nel  misterioso  e  divino  lavoro  di  riprodurre  le  cose  a  traverso  il  proprio 
sentimento. 

Il  disegnare  diventa  allora  un  bisogno  di  espressione  come  il  parlare; 
quasi  ogni  idea  cerca  di  esprimersi  nel  disegno:  e  lo  sforzo  nel  perfezionare 
tale  espressione  è  del  tutto  simile  a  quello  che  fa  il  bambino  allorquando 
è  spinto  a  perfezionare  il  proprio  linguaggio  per  vedere  tradotto  nella  realtà 
il  pensiero  della  mente.  Questo  sforzo  è  spontaneo;  e  il  vero  maestro  di  disegno 
sta  nella  vita  interiore  che  si  svolge,  si  affina  e  cerca  poi  irresistibilmente  di 
nascere  e  di  esistere  al  di  fuori  con  qualche  opera  esteriore. 


472  PARTE    SECONDA 

(iiù  fui  da  piccoli  i  bambini  cercano  spontancanuiitr  di  cklinearo  i 
.  ontorni  degli  oggetti  che  vedono;  ma  gli  orribili  disegni  che  si  fanno  vedere 
nelle  comuni  scuole  cosiddette  «  libere  »  come  »  caratteristiche  »  dell'infanzia, 
non  si  vedono  tra  i  nostri  bambini.  Quegli  orrendi  sgorbi  sì  teneramente 
raccolti,  osservati  e  catalogati  dagli  psicologi  moderni  come  "  documenti  » 
dell'anima  infantile,  non  sono  che  mostruose  espressioni  di  abbandono  del- 
l'anima; son  la  rivelazione  che  quell'occhio  infantile  è  incolto,  la  mano  inerte, 
l'anima  sorda  cosi  al  bello  come  al  brutto,  cieca  al  vero  come  al  falso.  Essi, 
come  quasi  tutti  i  «  documenti  »  raccolti  dagli  psicologi  che  studiano  i  bam- 
bini nelle  scuole,  rivelano  non  l'anima,  ma  gli  errori  dell'anima.  E  i  disegni 
-pecialmente,  con  le  loro  deformità  mostruose,  dicono  a  gran  voce  che  cosa 
sia  l'uomo  senza  educazione. 

I  '■  disegni  liberi  »  dei  bambini  non  sono  quelli.  Si  comincia  ad 
.ivere  il  disegno  libero,  quando  si  ha  un  fanciullo  libero,  che  potè  cre- 
scere e  perfezionarsi  in  tutte  le  sue  attività  di  assimilazione  dell'am- 
biente e  di  riproduzione  meccanica:  e  che,  libero  di  creare  e  di  esprimere, 
crea   ed   esprime. 

La  preparazione  sensoriale  e  manuale  al  disegno  non  è  che  un  alfabeto; 
ma  senz'esso  il  bambino  è  un  analfabeta  che  non  può  esprimersi.  E  come  non 
si  può  fare  uno  studio  sulla  scrittura  d'un  analfabeta,  così  nessuno  studio 
psicologico  può  farsi  sui  disegni  di  bambini  abbandonati  al  loro  caos  interno, 
al  loro  disordine   muscolare. 

Tutte  le  espressioni  psichiche  acquistano  valore  quando  acquista  valore 
la  personalità  interiore  con  lo  svolgersi  dei  processi  formativi.  Fino  a  che  questo 
jmncipio  fondamentale  non  sarà  un  acquisto  assoluto,  noi  non  avremo  idea 
della  psicologia  del  fanciullo  nei  suoi  poteri  creativi. 

Così  noi  non  sapremo  «come  si  svolge  il  disegno  quale  espressione  na- 
turale »,  se  non  sapremo  come  deve  svolgersi  il  bambino  per  dispiegare  le  sue 
naturali  energie.  Non  sarà  una  "  scuola  di  disegno  »  che  potrà  svolgere  univer- 
salmente il  gran  linguaggio  della  mano;  ma  sarà  la  «  scuola  dell'uomo  nuovo  « 
che  la  farà  sorgere  come  un'acqua  sorgiva  che  zampilli  spontanea  da  una 
fonte  inesauribile. 

Bisogna  dare  un  occhio  che  veda,  una  mano  che  obbedisca,  un'anima 
che  mediti,  per  dare  il  disegno:  e  in  ciò  deve  concorrere  tutta  la  vita.  Ecco 
perchè  è  con  la  vita  stessa  che  ci  si  prepara  al  disegno;  ma  fatto  questo,  è  la 
scintilla  interna  che  fa  il  resto. 

Lasciate  allora  all'uomo  quel  gesto  sublinr^  che  segna  sulla  tela  le 
tracce  della  divinità  creatrice.  Lasciatelo  svolgere,  fin  da  quando,  piccolo 
bambino,  prende  un  gesso  e  riproduce  sulla  lavagna  un  semplice  contorno, 
vede  una  fogliolina  e  ne  depone  la  prima  immagine  sopra  una  bianca 
paginetta.  Quegli  è  il  fanciullo  in  cerca  d'ogni  linguaggio,  d'ogni  espressione, 


DISEGNO  473 

perchè  nessun  linguaggio  è  sufficiente  a  sfogare  la  vita  zampillante  dentro 
di  lui.  Egli  parla,  scrive,  disegna  e  canta,  come  un  usignuolo  gorgheggia 
in  primavera. 

*  *  * 

V 

Si  pensi  dunque  agli  «  elementi  »  che  posseggono  i  nostri  bambini  nella 
loro  formazione  in  rapporto  al  disegno:  essi  sono  degli  «  osservatori  »  del 
vero,  sapendo  nel  vero  rilevare  le  forme  e  i  colori. 

Per  apprezzare  i  colori,  hanno  una  particolare  sensibilità,  che  cominciò 
a  svilupparsi  fino  dai  primi  anni  della  vita,  negli  esercizi  sensoriali.  La  loro 
mano  è  educata  ai  più  fini  movimenti:  essi  ne  sono  «  padroni  »  fino  da  quando 
erano  nelle  «  Case  dei  Bambini  ».  Quando  poi  essi  cominciano  a  delincare 
figure,  copiano  dal  vero  gli  oggetti  più  diversi  che  non  sono  soltanto  fiori,  ma 
tutte  le  cose  che  li  interessano:  vasi,  colonne,  e  perfino  paesaggi.  I  loro  ten- 
tativi sono  spontanei;    essi  disegnano  così  sulla  lavagna  come  sulla  carta. 

Riguardo  al  colore,  si  noti  come  già  fin  dalla  «  Casa  dei  Bambini  «  i  fan- 
^:iulli  imparano  a  preparare  le  tinte,  componendole  essi  stessi,  graduandole,  ecc., 
ciò  che  li  appassiona  grandemente.  Nell'età  più  avanzata  poi,  la  cura  loro 
nel  cercare  di  formare  delle  tinte  che  corrispondano  perfettamente  al  colore 
naturale,  è  veramente  interessante  (i)  :  essi  provano  e  riprovano  a  sommare 
i  più  diversi  colori,  a  diluirli  o  a  saturarli  fin  che  proprio  non  giungono  a  ri- 
produrre la  tinta  desiderata!  Ed  è  meraviglioso  vedere  come  l'occhio  riesca 
ad  apprezzare  le  più  fini  differenze  di  colorito,  e  a  riprodurle  spesso  con  me- 
ravighosa  corrispondenza. 

Ciò  che  ha  portato  un  notevole  aiuto  al  disegno  è  stato  lo  studio  delle 
scienze  naturali. 

Una  volta  io  provai  a  far  vedere  ai  bambini  come  si  seziona  un  fiore; 
a  tal  uopo  portai  in  iscuola  tutto  il  necessario:  aghi,  pinzette,  vetrini  da 
orologio,  ecc.,  come  si  fa  negli  esercizi  di  scienze  naturali  all'Università. 

Il  mio  scopo  era  stato  solo  quello  di  tentare  se  l'anatomia  dei  fiori  e  le 
preparazioni  che  gli  studenti  di  scienze  naturaH  fanno  all'Università,  sareb- 
bero in  qualche  modo  accessibih  ai  bambini.  Fin  da  quando  io  ero  stata  nei 
gabinetti  di  botanica  all'Università,  avevo  provato  l'impressione  che  quegli 
esercizi  di  preparazione  dei  materiali  di  studio,  fossero  cose  adatte  ai  bambini. 
Tutti  gli  studenti  sanno  quanto  sia  difficile  preparare  con  gU  aghi  la  dis- 
sezione di  uno  stelo,  di  uno  [stame,  di  un  epiteHo;  e  come  la  mano,  abi- 
tuata da  anni  e  anni  solo  a  scrivere,  si  adatti  faticosamente  a  tal  genere  di 
lavori  fini.  Ma  vedendo  quanta  abilità  avevano  i  nostri  bambinetti  nelle  loro 


(i)  Si  mettono  a  disposizione  dei  bambini,  in  un  primo   momento,   so 
betti  dei  3  colori  fondamentali  rosso,  giallo,  turchino;  ed  essi  ne  ottengono 


soltanto 
I  un  gran  nu- 
mero di  tinte. 


474 


PARTE    SECONDA 


pillole  mani,  volli  tentare  la  prova,  dando  loro  al  completo  l'istrununtarii) 
^^l■il-ntifico,  per  constatare  se  la  mente  infantile  e  la  caratteristica  abilità 
manuale  dei  nostri  piccini  fossero  adatte  a  tali  lavori  più  della  mentalità  e 
iliila  mano  di  uno  studente  di  diciannove  anni. 

Infatti  non  mi  ero  ingannata:  i  fanciulli  eseguirono  con  estrema  isattez/.a 
♦■  \ivissimo  interesso  la  sezione  di  una  mammola,  imiiaramln  subito  a  usare 


%^ 


La    bambina    ha    scritta)    dietro   al    disegno:    "  Veduta    dei    pelif 
dell'ovario  della  rosa  nel  microscopio:   vicino  sta  il  preparato». 


tutti  gl'istrumenti.  Ma  quale  fu  la  mia  meraviglia  nel  vedere  che  essi  non 
disprezzavano,  gettandole  via  alla  rinfusa,  tutte  le  parti  dissecate,  come 
facevamo  noi  quando  eravamo  studenti  di  scienze  naturali;  bensì  depone- 
vano in  un  ordine  estetico  e  con  somma  cura  tutte  le  parti  del  fiore  sopra 


DISEGNO  475 

un  foglio  di  carta  bianca.  Fu  come  una  secreta  intesa:  tutti  i  bambini,  con 
gran  gioia,  si  misero  a  disegnarle,  e,  esatti  e  compiti  come  son^  in  tutte  le 
cose,  instancabili  e  pazienti,  cominciarono  a  stemperale  i  colori,  a  formare 
le  tinte;  e,  lavorando  fino  all'ultimo  minuto  della  giornata  di  scuola,  compi- 
rono il  loro  acquerello,  ove  lo  stelo  e  le  foglioline  erano  verdi,  i  singoli  petali 
\iola,  e  gli  stami,  tutti  allineati,  gialli,  e  il  pistillo,  dissecato,  riprodotto 
nel  suo  verdognolo  chiaro.  Il  giorno  dopo  una  bambina  mi  portò  un  compo- 
nimento, che  fu  tra  i  più  graziosi  e  vivaci,  ove  descriveva  l'entusiasmo  del 
nuovo  lavoro,  e  le  particolarità  mai  prima  osservate  dell'intimità  di  una 
mammoletta. 

Le  due  espressioni:  disegno  e  composizione,  erano  state  le  manifestazioni 
spontanee  del  loro  gioioso  ingresso  nei  recessi  della  scienza. 

10  allora,  incoraggiata  da  tanto  successo,  introdussi  in  iscuola  dei  sem- 
plici microscopi  a  piccolo  ingrandimento,  dove  i  bambini  principiarono  ad 
osservare  il  polline  dei  fiori,  e  qualche  membrana  di  rivestimento.  Infine, 
coi  bisturi  fecero  anche  delle  lini  sezioni  degli  steli,  e  le  osservarono  con  ar- 
dente interesse. 

Essi  «  disegnavano  tutto  ciò  che  vedevano  ». 

11  disegno  sembrava  essere  il  naturale  compimento  delle  loro  osservazioni. 
I  bambini  giunsero  in  tal  modo  a  disegnare  e  a  dipingere  senza  maestro 

di  disegno,  producendo  lavori  che,  come  composizioni  di  figure  geometriche 
(Tavola  XLVIII)  da  un  lato,  e  come  copia  (fig.  37  e  le  tavole  XLIX,  L  e  LI) 
di  fiori  dal  vero,  furono  giudicate  di  un  pregio  non  comune  come  lavori  di 
bambini. 


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Tavola   XXXIX.  —  Esempi  di   decorazioni  del  quadrato:   mediane  e  diagonali 
(dalle  forme  natmrali  di  Haeckel)  {pag.   468). 


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Tavola  XL.  —  Decorazioni  Jel  centro  e  dei;U  angoli  (dalle  loiiuc  udiuiali  Ji  Haeckell  (pag.  468) 


XLI.  —   Decorazic 
(dalle  forme  u 


li  del  triangolo:  centro,   ansoli  e  bisettrici 
turali  di   Haeckel)   (pag.   468). 


Tavola  XLIl. 


Tavola  XLIII. 
Tavole  XLII  e  XLIII.  —  I  bambini  fanno  combinazioni  omameatali  coi  pezzi  cicali  inca-itri  geometrici  (pag.  4.70). 


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Sf4>>E 

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Tavola   XLV   (pag.   471)- 


Tavola   XLIV   (pag.  471). 

Composizione  fatta  coi  seguenti  pezzi  d'incastro: 
quadrato  grande  (io  cm.  di  Iato); 
quadrato  inscritto  in  esso  (7  cm.  di  lato); 
■    quadrato  di  3,5  cm.  di  lato; 

grande  cìrcolo  (con  cui  si  costruisce  la  stellina 

corativa  del  piccolo  quadrato)  ; 
fiore  semplice  (con  cui  si  decora  il  grande  quadra 
Il  solo  lavoro  fatto  a  mano  libera  è  la  mod^ficazl 
dei  lati  curvi  del  piccolo  quadrato  entro  il  fiore. 

Una  tale  decorazione  si  trova  nella  Cattedrale  di 
renze,  sui  finestroni  intomo  all'abside;  fotografie 
questo  dettaglio  artistico  si  trovane 


I  triangolo  equilatero    (^ 


Il  disegno  è  composto  con  i  seguenti 
il  quadrato  grande  {io  cm.)  ;  ^ 
il  quadrato  uguale  a  1 

del  grande  triangolo); 
il  quadrato  di  cm.  3,5  di  Iato, 
a  circolino  serve  a  costruire  i  quattro  semicerchi  sul  qua 
Irato  minore  che  serve  di  decorazione  alla  stella    format; 
;on  l'incrocio  dei  due  grandi  quadrati. 

II  quadrato  di  era.   3,5  non  figura  nel  disegno.ma  serv. 
i  inscrivere  perfettamente,  e  perciò 
lei   centro    delle   suddette    figure,    U 

Il  fiore  che  sta  dentro  alla  croce  risultante 
:ompasso;  il  piccolo  dettaglio  decorativo  delle  braccia  dell; 


è    disegnata 


col 


Tavola   XLVI   (pag.   471). 


Decorazione  costruita  con  i  seguenti  pezzi 
d' incastro  : 

quadrato  grande   (io  cm.); 

quadrato  uguale  alla  4'  parte  del  grande 

quadrato   (5  era.); 
quadrato  di  cm.   3,5  di  lato. 
C  è  una  modificazione  dei  contorni,  sosti- 
tuiti da  due  linee  parallele,  e  alcuni  ritocchi 
del   quadratino  interno,  modificato  a  croce. 


Tavola   XLVII   (pag.   471 


Costruzione  fatta  con  due  pezzi  d' incastro  : 
il  quadrato  uguale  a  '/+  del  grande  qua- 
drato (5  cm.   di  lato); 
e    il    triangolo    uguale  a  '/16  del    grande 
quadrato. 
La  decorazione  si  trova  sotto  il  quadro  della 
Madonna   nella    chiesa    superiore    di  S.   Fran- 
cesco in  Assisi  (Umbria). 
Ne  è  autore  Giotto. 


Tavola  XLVIII   (pas.   475). 


Il  disegno  è  fatto  senza  l'aiuto  desìi  incastri  ;  la  bambina,  con  l'aiuto 
dei  compassi,  realizza  l'idea  spontanea  della  sua  mente.  II  rombo  è 
dipinto  in  nero  ;  la  croce  è  di  un  rosso  vinoso  a  tinte  sfumate  ;  e  il 
circolo  è  giallo,  più  carico  al  centro  e  sfumato  verso  la  periferia.  La 
combinazione  dei  colori  è  molto  armoniosa  e  di  grande  efietto. 


Tavola  XLIX.  —  Espressione  spontanea 
di  un  esercizio  di  scienze   naturali   (pag.  475). 


Tavola   !..  —  Conseguenza  di   aver  portato  a  scuola   una  bacca  di  piseUc 
per  osservarvi  l'impianto  dei  semi  (pag.  475)- 


\^g&    j-: 


Tavola  LI.  —  Disegno  a  lapis  (dal  vero)   (pag.   475)- 


EDUCAZIONE  MUSICALE 


Dal  tempo  in  cui  apparve  il  mio  primo  volume  sul  metodo  educativo 
dei  piccoli  bambini,  un  notevole  progresso  si  è  fatto  in  ciò  che  riguarda  l'edu- 
cazione musicale. 

La  signorina  Maccheroni,  stabilitasi  a  Roma  per  lavorare  con  me  al- 
l'esperimento sulla  continuazione  dei  metodi  nelle  classi  elementari,  ha  po- 
ti' 0  largamente  provare  dei  lests,  e  così  furono  stabiliti  i  primi  passi  di 
Questa  importante  parte  dell'educazione.  Avevamo  come  collaboratori  i 
signori  Tronci  di  Pistoja,  che  si  assumevano,  con  la  più  intelligente  corri- 
spondenza ai  nostri  sforzi,  la  fabbricazione  del  materiale. 

Già  fino  dalla  pubblicazione  del  primo  libro,  era  stato  preparato  un 
materiale  di  campane  per  servire  a  educare  l'orecchio  a  percepire  le  differenze 
dei  suoni  musicali.  Le  modalità  praHche  di  questo  materiale  sono  state  modi- 
ficate e  perfezionate  ulteriormente  anche  dopo  la  pubblicazione  del  mio 
«  Own  Handbook  »  (Londra,  Heinemann,  1914)  dove  è  comparsa  per  la  prima 
volta  una  trattazione  sul  metodo  musicale. 

La  parte  fondamentale  del  sistema  consiste  in  una  serie  di  campane 
riproducenti  i  toni  e  i  semitoni  compresi  in  una  ottava.  Il  materiale  deve 
avere  i  caratteri  generali  del  materiale  sensoriale,  cioè  che  gli  oggetti  differi- 
scano in  una  sola  qualità,  quella  destinata  a  stimolare  il  senso  che  vuole 
educarsi.  Così  le  campane  devono  essere  uguali  apparentemente:  in  dimen- 
sione, in  forma,  ecc.;  ma  devono  dare  suoni  diversi. 

L'esercizio  primitivo  è  quello  di  riconoscere  le  «  identità  ",  cioè  di  accop- 
piare le  campane  che  danno  suoni  eguah. 

Ecco  ora  com'è  composto  il  sistema  delle  campane.  Abbiamo  fatto  fab- 
bricare un  sostegno,  che  è  d'una  estrema  semplicità:  cioè  una  tavoletta  (di  legno, 
ma  la  materia  potrebbe  essere  anche  diversa!)  lunga  m.  1,15  e  larga  m.  0,25 
su  cui  appoggiare  le  campane.  La  larghezza  di  questa  tavoletta  è  tale  da 
contenere  due  piedi  di  campana  nel  senso  della  loro  lunghezza,  così  che  è 
possibile  deporvi  due  campane  una  avanti  l'altra.  La  tavoletta  è  divisa  in  spazi 
bianchi  e  neri,  larghi  quanto  è  largo  il  piede  di  ciascuna  campana:  gli  spazi 
bianchi  corrispondono  ai  toni  e  i  neri  ai   semitoni  (fie.  38). 


4So 


PARTE    SECONDA 


(ìucsta  tavoletta,  che  apparentemente  serve  solo  di  appoggio,  è  in  realtà 
una  misuriì.  poiché  essa  signa  la  posizione  caratteristica  delle  note  nella 
scala  diatonica,  cioè  coi  rettangoli  bianchi  e  neri  indica  l'intervallo  tra 
nota  e  nota  in  detta  scala,  che  è  di  un  mezzo  tono  tra  la  terza  e  quarta,  e 
tra  la  settima  e  ottava  nota,  e  di  un  tono  tra  le  altre. 

Le  campane  di  confronto,  si  tengono  fisse  e  disposte  in  ordine  nello  spazio 
superiore;  esse  non  sono  tutte  eguali,  ma  anzi  in  gradazione  di  dimensioni, 
secondo  la  nota.  Ciò  non  solo  facilita  e  rende  economica  la  fabbricazione, 
poiché  le  campane  che  hanno  la  stessa  dimensione,  dovendo  avere  uno  spessore 


più  o  meno  grosso,  richiedono  una  lavorazione  molto  difficile,  quindi  costano 
di  j)iù:  ma  abitua  l'occhio  a  vedere  una  differenza  di  materia,  là  dove  c'è 
una  differenza  di  manifestazione.  Invece  le  altre  campane,  sulli  quali  il 
bambino  deve  esercitare  i  sensi,  sono  tutte  eguali  tra  loro. 

L'esercizio  consiste  in  ciò:  il  bambino  batte  con  un  martello  una  delle 
campane  fisse,  e  cerca  tra  le  altre  mescolate  insieme,  quella  che  produce  lo 
stesso  suono;  trovata,  la  depone  sulla  tavoletta  innanzi  alla  campana  fissa 
corrispondente.  Nei  primi  esercizi  si  pongono,  sugli  spazi  bianchi,  solo  i  toni 
dell'ottava;  in  seguito  si  metteranno  anche  i  semitoni. 

Dopo  questo  esercizio  sensoriale  primitivo,  che  corrisponde  all'appaia- 
mento degli  altri  stimoli  (cromatici,  tattili,  ecc.),  il  bambino  passa  all'altro 
consistente  nel  distinguere  le  differenze,  e,  in  esse,  le  gradazioni  degli  sti- 
moli (come  faceva  con  le  tavolette  dei  colori,  con  i  rumori,  ecc.).  In  questo 
caso,  il  bambino  prende  sopra  un  tavolo  qualunque,  solo  le  otto  campane 
dei  toni,  apparentemente  uguali;  le  mescola,  e,  battendole,  riconosce  il  do 
e  tutte  le  altre  note  dell'ottava,  che  pone  una  in  fila  all'altra. 

Come,  trattandosi  di  altri  esercizi  sensoriali,  veniva  a  darsi  la  nomen- 
clatura relativa  allo  stimolo  riconosciuto,  così  qui  si  dà  il  nome  delie  note  : 
do,  re,  mi,  fa,  sol,  la,  si.  Ho  fatto  fabbricare  a  tal  uopo  dei  piccoli  dischetti 
(la  forma  rotonda  ricorda  la  testa  della  nota  scritta)  che  possono  deporsi  sui 
piedi  delle  campane,  e  portano  scritto  il  nome  della  nota:  questi  dischetti  si 
possono  già  porre  sui  piedi  delle  campane  fisse:  così  fin  dall'esercizio  di  appa- 
iamento, il  bambino  (che  sa  leggere)   può  associare  a!  suono  il  nome    della 


EDUCAZIONE    MUSICALE  4OI 

nota.  Quando  poi  il  fanciullo  mette  in  gradazione  le  campane,  egli  può  deporre 
sui  piedi  di  esse  i  dischetti  dei  nomi. 

Ci  sono  persone  che  hanno  veduto  questo  materiale  ed  hanno  fatto  le  più 
solenni  dichiarazioni  deUa  loro  incapacità  naturale  a  comprendere  la  musica, 
affermando  che  la  musica  rivela  i  suoi  segréti  a  pochi  eletti. 

Ma  anzitutto  qui  si  tratta  di  distinguere  note  così  diverse  tra  loro  che  ne 
è  stato  misurato  il  diverso  numero  di  vibrazioni:  una  differenza  materiale 
che  ogni  orecchio  normale  esercitato  percepisce  naturalmente  senza  alcun  pro- 
digio di  natura  musicale.  Allo  stesso  modo  dovrebbe  essere  privilegio  di  un 
genio  distinguere  un  colore  da  un  altro  simile!  La  particolare  disposizione 
alla  «  musica  »  è  data  da  altri  fatti  di  ordine  superiore,  quali  l'intuizione  delle 
leggi  di  armonia  e  di  contrappunto,  l'ispirazione  a  creare. 

Nel  fatto  pratico  si  è  visto  che  quando  il  materiale  era  usato  timida- 
mente per  40  bambini  da  3  a  6  anni,  solo  607  bambini  si  rivelavano  capaci  di 
comporre  a  orecchio  la  scala  maggiore;  quando  il  materiale  fu  usato  pili 
francamente,  tutti  si  avviarono  per  lo  stesso  cammino  e  fecero  le  stesse  con- 
quiste, nello  stesso  modo  che  tutti  arrivano  a  leggere,  a  scrivere,  ecc.  E  se 
ci  fu  una  differenza  individuale,  non  fu  nella  possibilità  di  fare  tali  esercizi, 
ma  nella  passione  con  cui  gli  esercizi  erano  fatti,  e  per  i  quali  alcuni  bambini 
veramente  si  commovevano.  Il  sentimento  di  amore  per  conquiste  elevate  è 
nei  bambini  assai  più  frequente  di  quanto  noi,  misurando  da  noi  stessi,  pos- 
siamo supporre.  In  ogni  caso  l'esercizio  è  la  via  che  conduce  alla  dichiara- 
zione della  vocazione  personale. 

I  piccoli  bambini  prendono  un  solo  campanello,  anzi  lo  ghermiscono 
quando  qualche  bambino  più  grande  sparpaglia  sul  tavolino  quadrato  gli  8 
campanelli  di  eguale  apparenza  per  comporre  a  orecchio  la  scala;  e  lo  bat- 
tono a  lungo,  tenendolo  in  mano,  mirandolo  e  colpendolo  sempre  più  len- 
tamente. 

I  più  grandicelli  si  interessano  all'appaiamento  e  ripetono  molte  volte 
l'esercizio. 

Ma  un  fascino  speciale  esercita  il  suono  successivo  degli  otto  campanelli 
pusti  in  ordine,  ossia  l'audizione  della  scala. 

Nennella,  della  Casa  dei  Bambini  di  via  Giusti,  batte  200  volte  di 
seguito  la  scala,  100  l'ascendente  e  100  la  discendente. 

L'intera  classe  può  essere  interessata  a  quest'audizione;  e  allora  i  bambini 
seguono  nella  calma  del  silenzio  questo  succedersi  di  suoni  di  classica  bellezza. 
Mario  andava  a  collocarsi  nell'ultimo  posto,  ossia  lontano;  metteva  i  gomiti 
sul  tavolino,  la  testa  sulle  mani  e  restava  così  immobile  nel  silenzio  della  sala 
semioscura,  manifestando  con  l'atteggiamento  della  persona  e  l'espressione 
del  viso,  uno  straordinario  interesse. 

Ed  al  momento  opportuno  viene  l'interesse  a  riprodurre  con  la  voce 
la  nota.   I  bambini  accompagnano  la  scala  con  la  voce  e   raggiungono  una 


4S_'  parti:  sf.conoa 

esatta  inipostaziono  della  iidt.i.  talcliò  la  loro  voco  in  ipusto  cstMcizio  è 
dolco  0  armonica,  senza  nulla  delle*  stridìo  dolio  voci  infantili  che  can- 
tano canzoncine!  È  avvenuto  anche,  nella  classe  di  via  Triontalc,  che  dei 
bambini  chiedevano  di  faro  (]uosto  esercizio:  accompaj;naro  lon  la  \  oco 
la  scala  che  un  bambino  batteva  piano  sui  campanelli  K  quest'interesse 
era  supcriore  a  quello  che  i  bambini  sentivano  per  il  canto  delle  canzon- 
cine, lo  quali  con  i  vari  «  salti  «  che  presentano,  la  pronunzia  delle  pa- 
role, l'espressione  musicale,  la  velocità  imposta  dall'espressione  ecc.,  possono 
essere  facilmente  riconosciute  come  non  adatte  all'inizio  delle  esercitazioni 
di  canto. 

La  memoria  assoluta  della  nota  si  è  verificata  nei  bambini  senza  a\cr 
nulla  fatto  per  provocarla  direttamente.  Quando,  compiuta  una  lunga  serie 
di  esercizi  di  appaiamento,  i  bambini  passano  a  formare  la  scala  servendosi 
di  una  sola  serie  di  campanelli,  essi  ripetono  molte  volte  questo  esercizio  e 
in  varie  guise.  Per  es.  talvolta  cercano  il  do  basso  e  poi  cercano  il  re,  ecc., 
ossia  cercano  sempre  il  suono  più  basso.  Altra  volta  presa  una  nota  a  caso 
ne  prendono  una  seconda  e  la  collocano  di  qua  o  di  là  dalla  prima  secondo 
che  è  più  alta  o  più  bassa,  e  così  via. 

Ma  accade  poi  che  prendendo  a  caso  un  campanello  dicano,  appena  lo 
hanno  ascoltato:  questo  è  mi,  questo  è  do,  ecc. 

Un  bambino  che  aveva  fatto  splendidamente  nel  maggio  davanti  a  Sua 
Maestà  la  Regina  Madre  l'esercizio  con  i  campanelli  e  non  aveva  avuto 
più  da  quel  giorno  il  materiale  nella  sua  Casa  dei  Bambini  di  via  Giusti, 
nel  novembre  successivo  fu  pregato  di  usare  dei  tubi  (i)  sonori  ch'egli  quasi 
non  conosceva  e  che,  per  non  essere  stati  mai  usati,  erano  in  grande  disor- 
dine. Erano  i6  tubi,  tutti  mescolati  tra  loro,  della  doppia  scala  diatonica. 
Egli  ne  prese  uno,  lo  battè,  e  disse:  Questo  mi  dice:  si,  e  lo  appese  all'uncino 
corrispondente  dell'apposito  sostegno.  Eppoi:  questo  mi  dice:  mi,  e  lo  appese 
all'uncino  corrispondente;  e  collocò  così  i  i6  tubi  in  ordine  sui  due  sostegni  pa- 
ralleli. Egli  si  era  molto  esercitato  nell'anno  scolastico  precedente  ed  aveva 
conservata  questa  memoria  assoluta  della  nota. 

A  questo  punto,  come  avviene  per  i  colori,  per  le  forme  geometriche,  ecc.,  il 
bambino  comincia  a  esplorare  l'ambiente  e  viene  a  dire  alla  maestra  che  suona: 
Questo  (battendo  un  tasto)  è  ste  eeee...  ossia  la  nota  della  prima  parola  di  una 
canzoncina  (Stella,  stellina...).  E  il  tasto  che  il  bambino  batte  è  un  do,  preci- 
samente la  nota  intonata  con  la  sillaba:  ste  di  «  stella  ».  Una  più  larga  espe- 
rienza potrà  dare  graziosi  esempi  di  questa  esplorazione  musicale  nell'am- 
biente. 


(I)  I  tubi  sono  un  materiale  parallelo  ai  campanelli  e  consighabili    alle   scuole   cfie 
possono  avere  un  più  ricco  arredamento. 


EDUCAZIONE    MUSICALE  483 


LETTURA  E  SCRITTURA  MUSICALE. 

Materiale.  —  La  presentazione  del  rigo  musicale  (nelle  «  Case  dei  Bam- 
bini »)  è  fatta  con  una  tavoletta  di  legno  verniciata  in  verde,  che  porta 
incavato  il  rigo;  su  ogni  riga  e  su  ogni  spazio,  relative  all'ottava  cui  corri- 
spondono i  suoni  delle  campane,  sta  un  piccolo  incavo  circolare  entro  cui 
può  deporsi  ad  incastro  il  dischetto  d'una  nota. 

Dentro  l'incavo  sta  scritto  un  numero:  i,  2,  3,  4,  5,  6,  7.  I  dischetti 
che  servono  a  questo  esercizio  portano  scritto  sulla  faccia  inferiore  un  numero, 
e  sulla  superiore  il|nome  della  nota;  es.,  i,do;  2,  re;  ^,  mi;  4, fa;  5,  sol;  ò,  la; 
7,  si  (fig.  39). 

do  -  re  -  mi  -  fa  -  sol  -  la  -  si  -  do. 


-® 


^^ 


^^ 


^^ 


Fig     39 


Con  questa  guida  il  bambino  può  collocare  le  note  sul  rigo  senza  sbagliare 
e   studiarne   le   posizioni.    Gl'incavi   sono   disposti   in    maniera    che   rimanga 
uno  spazio  vuoto,  là  dove  c'è  un  semitono: 
do,  re,  mi,  fa,  sol,  la,  si,  do. 

In  quello  spazio  si  possono  mettere  dei  dischetti  neri,  rappresentanti 
i  semitoni. 

In  un  altro  grado  dell'esercizio,  il  rigo  è  un'assicella  di  legno  simile 
alla  prima,  dove  però  mancano  gl'incavi. 

Il  bambino  dispone  di  un  gran  numero  di  dischetti  i  quali  da  un  lato 
portano  scritta  la  nota;  e  colloca  sul  rigo  trenta  o  quaranta  di  questi 
dischetti  alla  rinfusa,  ponendoli  ciascuno  al  loro  posto,  secondo  il  nome  della 
nota:  ma  la  parte  del  nome  deve  restare  al  di  sotto, "sì  che  sul  rigo  non  si 
vedono  che  dei  dischetti  senza  nome. 

Quando  il  bambino  ha  finito,  li  capovolge  tutti  senza  spostarli  e  può 
cosi  leggere  i  nomi  e  giudicare  se  la  collocazione  fu  giusta:  i  dischetti  aventi 
gli  stessi  nomi  devono  trovarsi  sulla  stessa  riga  o  sul  medesimo  spazio.  Se 
mai  venisse  iln  dubbio  sulla  collocazione  delle  note,  l'altro  rigo  con  gl'incavi 
numerati  può  servir  di  controllo. 


4.'^4  PARTE    SECONDA 

Giunto  a  questo  punto  delle  sue  conoscenze,  il  bambino  può  fare  degli 
esercizi  leggendo  lo  scritto  musicale  e  toccando  le  campane  secondo  le  note 
ch'egli  interpetra. 

1  righi  musicali  sono  preparati  su  cartoncini  rettangolari  alti  17  cm., 
e  le  note  hanno  circa  cm.  2  di  diametro.  1  cartoni  sono  variamente  colo- 
rati in  bleu,  viola,  giallo,  rosso  (fig.  40). 


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Fig.  40.  —  I  cartoui  per  la  lettura  musicale:  ciascun  cartone  contiene  un  solo  rigo. 

1  bambini,  poi,  cominciano  essi  stessi  a  scrivere  le  note:  e  noi  abbiamo 
preparato  per  loro  a  tale  scopo  piccole  paginette,  che  possono  raccogliersi 
in  un  quaderno  od  album  (fig.  41  e  42). 

Ci  sono  alcune  canzoni  modulate  su  due  o  tre  note  e  sì  semplici,  che  il 
bambino  può  ritrovarle  a  orecchio  sui  campanelli:  quando  egli,  dopo  essersi 
esercitato,  è  sicuro  di  riprodurre  la  canzone,  scrive  le  note  su  un  rigo,  e  com- 
pone cosi  la  sua  musica. 


EDUCAZIONE    MUSICALE  485 


Fig.  41.  —  Modulo  per  la  scrittura  musicale. 


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PAKTK    SECONDA 


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Fig.   42.  —  T    bambini   vi   scrìvono  gli  fscrcizii   che  esegxiisc<»iin  sui   caiiipaaelli. 


EDUCAZIONE    MUSICALE  487 


LE  DUE  CHIAVI  DI  VIOLINO  E  DI  BASSO. 

La  disposizione  romboidale  delle  note.  —  Tutte  le  conoscenze 
di  lettura  musicale  del  bambino  si  riferivano  alla  chiave  di  violino. 

Noi  tuttavia  non  abbiamo  ancora  presentato  nessun  segno  della  chiave. 
Prima  di  conoscere  questo,  i  bambini  devono  apprendere  la  posizione  delle 
note  sui  due  righi. 

A  questo  scopo,  seguendo  la  scuola  del  Conservatorio  Musicale  di  Milano, 
abbiamo  adottato  il   doppio  rigo  (fig.  43). 


fig-   43- 


La  riga  interrotta  indica  il  posto  del  do,  e  questo  è  il  punto  di  partenza 
della  scala;  infatti  le  note,  passando  di  riga  in  spazio  e  così  via,  vanno  secondo 
la  serie  naturale: 

do,  re,   mi,  fa,  sol,  la,  si,  do; 

e  lo  stesso  avviene  tornando  indietro: 

do,  si,  la,  sol.  fa,  mi.  re,  do. 

Essendo  dunque  chiaro  il  posto  del  do,  le  altre  note  al  disopra  e  al  di- 
sotto si  trovano  facilmente;  dal  do  di  sinistra,  si  può  salire  fino  al  do  dell'nt- 


o— ^ 


°-^~o--^ 


488  PARTI-:    SECONDA 

tava  successiva,  e  poi  discendere;  e  così,  sempre  dal  do  di  sinistra,  si  può 
scendere  fino  al  do  dell'ottava  inferiore  e  poi  risalire. 

Ciò  facendo  col  disporre  sui  rifjhi  uniti  i  dischetti  delle  note,  ne  risulta 
il  disegno  di  un  rombo  (rombo  delle  note)  (fìg.  44). 

Basta  separare  i  due  righi  l'uno  dall'altro  e  si  hanno  le  disposizioni  delle 
note  secondo  la  chiave  di  violino  e  quella  di  basso.  Tali  disposizioni  diverse 
verranno  contraddistinte  mettendo  alla  sinistra  del  rigo  i  due  segni  diversi 
delle  chiavi,  che  sono  preparati  come  oggetti  a  parte  nel  materiale  (fit;.  45). 


In  tal  modo  i  bambini  hanno  imparato  la  scala  di  do  maggiore  nelle 
due  chiavi.  La  distribuzione  degli  spazi  bianchi  e  neri  li  pone  in  grado  di 
riconoscere  le  note  anche  sul  pianoforte. 

Fa  parte  del  materiale  una  piccola  tastiera,  i  cui  tasti  sono  piccoli  in 
modo  da  corrispondere  alle  dimensioni  della  mano  del  bambino;  essa  può 
servire  a  un  esercizio  delle  dita.  I  tasti  battuti  sollevano  un  martello  (visi- 
bile a  traverso  un  cristallo)  che  porta  il  nome  della  nota  battuta:  in  tal 
modo  il  bambino,  mentre  esercita  le  dita  al  movimento,  studia  la  distribu- 
zione delle  note  sulla  tastiera.  11  piccolo  pianoforte  è  muto.  Ma  una  specie 
di  istrumento  a  canna  d'organo  si  può  applicare  al  disopra  dei  martelli,  in 
modo  che  ogni  martello,  alzandosi,  batta  sopra  una  canna,  che  dà  il  suono 
corrispondente. 

Tutti  gh  esercizi  fatti  fin  qui  hanno  come  base  e  come  punto  di  partenza 
gli  esercizi  sensoriali:  è  l'orecchio  che  riconosce  i  suoni  fondamentali,  quello 
che  ha  permesso  una  vera  educazione  musicale.  Tutto  il  resto,  come  la  scrit- 
tura, ecc.,  '(  non  è  musica  ». 


EDUCAZIONE    MUSICALE  489 


LE  SCALE  MAGGIORL 


Per  la  conoscenza  delle  scale  è  stato  ultimamente  applicato  un  ulteriore 
materiale. 

Si  osservi  la  Tavola  LII  ;  essa  rappresenta  un  cartone  sul  quale  è  dise- 
gnata una  figura  che  ricorda  la  tavola  su  cui  si  appoggia,  nei  primi  esercizi,  il 
materiale  delle  campane.  Cioè  in  essa  sono  segnate  le  distanze  di  tonalità  che 
decorrono  tra  le  varie  note  di  una  scala. 

Infatti  la  scala  è  una  serie  di  otto  suoni  le  cui  distanze  sono  quelle  in- 
dicate nella  figura  dai  segni  neri:  i  tono,  i  tono,  14  tono,  i  tono,  i  tono, 
I  tono,    y^  tono  (Tavola  LII). 

Nella  scila  di  do  maggiore  tali  distanze  si  distribuiscono  tra  le  note 
seguenti:  un  tono  tra:  do  e  re;  re  e  mi;  fa  e  sol;  sol  e  la;  la  e  si;  e  mezzo 
tono  tra:  mi  e  fa  e  tra  si  e  do.  Ma  se  invece  di  cominciare  dal  do,  la  scala 
comincia  da  un'altra  nota  qualsiasi,  le  distanze  reciproche  caratterizzanti 
la  scala  restano  sempre  le  medesime:  è  come  se  si  spostasse  tutta  la  scala 
nella  sua  caratteristica  costruzione  di  tonalità. 

Per  questo,  come  indica  la  Tavola  LII,  sotto  la  figura  che  comprende  due 
ottave,  c'è  un'altra  figura,  che  è  un  pezzo  di  cartone  mobile,  scorrevole, 
il  quale  porta  disegnato  in  bianco  e  in  nero  la  costruzione  dell'ottava.  Spo- 
stiamo tale  striscia  scorrevole  (che  è  attaccata  al  grande  cartone  a  mezzo 
di  un  nastrino);  e  spostiamola,  come  è  segnato  nella  figura,  a  livello  di  mi. 
Le  distanze  tra  i  toni  della  scala  di  mi  sono  le  stesse  che  per  tutte  le  scale, 
cioè  quelle  segnate  ne!  piccolo  cartoncino:  occorre  perciò  toccare  nella  grande 
scala  le  note  corrispondenti  agli  spazi  bianchi  del  cartoncino,  cioè: 
mi,  fa  diesis,  sol  diesis,  la,  si,  do  diesis,  re  diesis. 

Si  può  ripetere  la  stessa  cosa,  spostando  il  cartoncino  successivamente 
su  tutte  le  note:  in  tal  modo  si  vengono  a  costruire  tutte  le  scale.  Ciò  può 
costituire  un  esercizio  teorico,  molto  interessante,  perchè  il  bambino  può 
scrivere  da  sé  tutte  le  scale. 

Ma  a  tale  scopo  corrisponde  un  vero  materiale  musicale,  come  si  vede 
nella  Tavola  LUI.  Qui,  sopra  una  tavola  di  legno  simile  alla  prima  usata  pei 
campanelli,  ma  lunga  due  ottave,  sono  disposti  dei  prismi  di  egual  dimen- 
sione, ma  tinti  in  bianco  e  in  nero  secondo  i  toni.  Ogni  prisma  ha  una  lastrina 
scoperta  secondo  un  rettangolo  uguale  in  tutti  i  pezzi  apparentemente,  ma 
che  però  è  realmente  di  varia  lunghezza  nei  diversi  prismi:  battute  le  lastrine 
sse  danno  tutte  le  note  di  due  ottave,  e  i  prismi  fanno  da  risuonatori, 
i  suoni  sono  dolci  e  armoniosi,  e  di  una  singolare  chiarezza,  sì  che  l'istrumento 
è  veramente  musicale.  Nella  Tavola  LUI,  ogni  pezzo  è  poggiato  nella  posizione 
della  scala  maggiore  di  do. 


Poiché,  qualunque  sia  la  scaia,  le  distanze  dei  toni  sono  le  stesse,  se  si 
sposta  la  massa  dei  prismi  da  destra  verso  sinistra,  facendola  scorrere  sul 
piano  di  legno,  avviene  che  alcuni  prismi  cadono  dalla  tavola  e  l'insieme 
dei  prismi  è  spostato,  come  si  spostava  il  piccolo  cartone  sul  grande  cartone 
della  Tavola  LII.  Qualunque  sia  lo  spostamento,  si  avrà  una  scala  battendo 
tutti  i  prismi  che  stanno  in  corrispondenza  degli  spazi  bianchi  della  tavola  di 
legno  (Tavola  LIV). 

Cosi,  per  es.,  togliendo  i  primi  due  prismi  do  e  do  diesis  a  sinistra  e 
■-liingendo  da  destra  a  sinistra  tutta  la  teoria  dei  prismi  in  modo  che  il  re 
giunga  al  posto  già  occupato  dal  do,  se  si  batte  sulle  lastrine  che  posano 
sulla  norma  della  scala  maggiore,  si  ha  la  scala  maggiore  di  re.  E  osser- 
vando le  note  che  la  compongono,  troviamo  :  re,  mi,  fa  diesis,  sol,  la,  si, 
do  diesis,  re. 

Basta  questo  piccolo  cenno  per  comprendere  quanto  sia  interessante 
questo  istrumento,  il  quale  contiene  in  sé,  sotto  forme  semplici,  piacevoli 
e  chiare  i  principi  fondamentali  dell'armonia. 

Le  tre  tabelle  seguenti  delle  scale  possono  servire  di  guida  alle  maestre 
per  usare  ristrumento,  e  comprenderlo  (vedi  tabelle  0,  P.  Q). 


L.tf,  lU^^.k^. 


Queste  scale  cominciano  con  note  non  accidentate,  ossia  bianche 


Man  mano  che  i  bambini  compongono  cosi  tutte  le  scale  essi  le  scri- 
vono sull'apposito  quaderno  facendo  uso  dei  segni  relativi  agli  accidenti 
musicali.  Essi  sono  invitati  a  scrivere  le  scale  con  un  certo  ordine:  prima 
la  scala  con  un  diesis,  poi  la  scala  con  due,  con  tre,  ecc.  Ed  ecco  un  campo 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


4QI 


offerto  all'osservazione:  la  scnla  con  due  diesis  ha  lo  stesso  diesis  della  scala 
precedente  ;  la  scala  con  tre  diesis,  ha  i  due  delle  scale  precedenti,  ecc.  ;  i 
diesis  si  seguono  a  distanza  di  5  in  5. 

Tabella   P. 


UkU\'U^ 


scale  cominciano  con  note  accidenta 


Se  poi  col  primo  materiale  non  fu  omesso  di  insegnare  la  scala  minore 
armonica  con  il  cambiamento  del  3°  e  del  6°  campanello  e  fu  esercitato  il  bam- 


ic-jJ!^     "^       o^ 


Tabella  Q. 


Riassunto  delle  scale  con  distinzione  tra  diesis  e  bemolli. 


492 


PARTE    SECONDA 


bino  a  formarla  o  ad  ascoltarla,  fit^.  46,  è  una  cosa  assai  semplice  con  questo 
ni.iteriale.  comporre  tutte  le  scale  minori 


m 


m, 


M 


g   7 


Si  hanno  così  esercizi  che  preparano  al  riconoscimento  del  tono  maggiore 
e  minore  oltre  che  al  riconoscimento  dei  differenti  toni. 

Così  pure  è  facile  suonare  uno  stesso  semplice  motivo  nei  diversi  toni 
basta  spostare  il  sistema  di  queste  lastrine  come  si  è  detto,  e  suonare  la- 
sciandosi guidare  dagli  spazi  bianchi  e  neri  della  tavola  di  sostegno. 

Esempio  di  una  trasposizione  di  tono: 


Ò«>VK>     bv     bo 


n  1^  j  li  oij-j/jij^L 


ÒiM^O      ì^l     le 


r^l^  J  Ij  ^^lj;jji/; 


ooiwj    Bv 


-jji^  jii/,njirS 


%<yi*A  fcv    Qa. 


A  questo  punto  nasce  un  vivo  desiderio,  nei  bambini,  di  produrre  suoni 
e  le  scale  stesse  su  tutti  i  timbri  possibili,  cioè  di  suonare  istrumenti  diversi:  a 
fiato,  a  corda,  ecc. 

Un  istrumento  che  conduce  il  bambino  a  produrre  e  a  riconoscere  le 
note  è  il  monocorde  (Tav.  LV):  cioè  una  semplice  scatola  risuonante  che  porla 


EDUCAZIONE    MUSICALE  49; 


distesa  una  corda.  Il  primo  esercizio  è  quello  dell'accordatura,  con  una  nota 
dei  prismi  risuonanti  (do).  A  tal  uopo  esiste  una  chiavetta  con  cui  si  può 
stendere  e  allentare  la  corda  stessa.  C'è  poi  da  apprendere  il  maneggio 
dell'archetto  di  violino  o  di  una  semplice  penna  da  mandolino;  ovvero  il 
bambino  può  imparare  a  pizzicare  la  corda,  come  si  fa  nelle  lire  e  nelle  arpe. 

In  uno  dei  monocordi  le  note  sono  segnate  da  asticine  trasversali  fisse, 
e  il  loro  nome  è  stampato  negli  spazi  corrispondenti.  Ma  nell'altro  monocorde 
non  c'è  traccia  di  note,  e  il  bambino  deve  saper  trovare  da  sé  a  orecchio 
le  distanze  nelle  quali  esse  si  producono:  piccole  asticine  mobili  servono  al 
bambino  a  segnare  i  punti  ch'egli  trova  come  producenti  una  nota  determi- 
nata: e  tali  segni  sensibili  lasciati  da  lui,  possono  servire  di  controllo. 

Anche  piccole  canne  a  flauto,  molto  armoniose,  attraggono  i  gusti  mu- 
sicali del  bambino  (Tav.  LVI). 


Comporre  le  scale,  udirle,  ecco  un  vero  esercizio  di  educazione  musicale.  La 
stessa  melodia,  scala  maggiore,  si  ripete  in  toni  diversi.  Ascoltarla  attentamente, 
ripeterla,  osservare  quali  note  la  compongono,  ecco  un  esercizio  simile  a  quello 
dell'audizione  della  nota,  ma  assai  superiore. 

È  da  questo  esercizio  che  si  dovrà  prendere  il  volo  verso  la  compren- 
sione della  melodia. 

Affinchè  l'ascoltare  la  musica  sia  un  fatto  intelligente,  e  non  simile  a 
quello  dei  bambini  che  leggono  forte  i  libri  senza  capire,  con  voce  stentorea 
e  senza  alcuna  penetrazione  del  significato,  occorrono  esercizi  di  preparazione: 
queste  audizioni  delle  varie'scale  per  la  conoscenza  del  tono,  e  le  audizioni 
che  i  nostri    bambini   fanno   per  la  interpetrazione  del  ritmo. 


ESERCIZI  RITMICI. 

Una  delle  più  riuscite  applicazioni  è  stata  l'esercizio  primitivamente 
ideato  per  aiutare  il  perfezionamento  della  deambulazione  nei  bambini,  cioè 
quello  di  «  camminare  sul  filo  ». 

È  noto  come  nella  prima  parte  del  metodo  esistesse  tra  gli  esercizi  di 
educazione  motrice,  quello  di  camminare  mettendo  i  piedi  disposti  per  lungo 
su  una  linea  disegnata  in  terra,  come  fanno  i  funamboli.  Ciò  aiuta  molto  a 
stabilire  l'equilibrio,  e  quindi  a  raddrizzare  la  persona  e  a  renderla  più  libera 
e  disinvolta  nell'andamento. 

La  signorina  Maccheroni  ha  iniziato  i  suoi  esercizi  ritmici,  accompagnando 
il  cammino  dei  bambini  con  la  musica  suonata  al  pianoforte.  Questo  anzi 
divenne  il  segno  di  chiamata  dei  bambini  a  tali  esercizi:  la  maestra  suona, 
e  allora  i  bambini  vengono  spontaneamente  a  «  disporsi  sul  filo  »  quasi  tutti. 


4^4  PARTE   SECONDA 

Nei  primi  tempi  la  suonata  è  puramente  un  segnale  e,  certo,  un  accom- 
pai;namonto  piacevole  all'esercizio  motore.  Ma  non  si  rileva  alcun  accordo 
tra  il  movimento  del  bambino  e  il  ritmo  musicale.  Ripetendo  però  le  stesse 
battute  per  molto  tempo,  viene  lentamente  ad  iniziarsi  il  fenomeno:  qualche 
bambino  comincia  ad  accordare  il  passo  al  ritmo.  Ci  sono  molte  differenze 
individuali,  ma,  insistendo  con  la  stessa  musica,  quasi  tutti  i  bambini  fìni- 
■^cono  per  essere  sensibili  al  ritmo.  Allora  si  svolgono  nella  persona  infantile, 
dello  "  attitudini  «  generali  del  corpo  in  rapporto  alla  musica,  che  sono  di 
un  grande  interesso.  In  primo  luogo  i  bambini  cambiano  l'andamento,  secondo 
la  musica:  il  cammino  leggero,  il  cammino  marziale,  la  corsa,  «nascono  »  dietro 
la  spinta  ritmica:  cioè  la  maestra  non  '«  insegna  »  al  bambino  a  risponderò 
alla  musica  con  un  diverso  modo  di  camminare;  ma  il  fenomeno  si  svolgo 
■spontaneamente.  Ed  ecco  che  il  bambino  «  interpreta  »  il  ritmo  e  vi  corri- 
sponde col  movimento.  Perchè  ciò  avvenga,  è  necessario  che  la  maestra  suoni 
perfettamente,  seguendo  tutti  i  particolari  di  punteggiatura;  ò  il  sentimento 
o  la  rigorosa  diligenza  ch'essa  pone  nell'esecuzione,  che  «  farà  nascere  »  mi 
bambini  il  sentimento  musicale. 

Ma  ò  importante  aggiungere  qui  qualche  particolare  sulla  esecuzione 
di  questi  primi  esercizi  ritmici. 

I  bambini  cominciano,  dunque,  imparando  a  camminare  sul  "  filo  »  :  ossi 
amano  di  camminare  sopra  quella  linea  attratti  da  xm  fascino  sconosciuto  a  noi 
adulti,  come  meditando.  Questo  è  il  momento  di  mettersi  al  piano  e,  senza 
nulla  dire,  suonare  la  i*  melodia  della  nostra  serie.  I  bambini  sorridono, 
guardano,  continuano  a  camminare  e  rientrano  in  un  raccoglimento  ancora  più 
profondo. 

La  melodia,  come  voce  che  persuada,  conduco  a  prenderò  in  considera- 
zione i  tempi  e  un  poco  alla  volta  i  piccoli  piedi  Vanno  a  posarsi  sul  filo  «  a 
tempo  di  musica  ».  Ci  sono  bambini  di  tre  anni  che  camminano  a  tempo  fino 
dalla  prima  o  seconda  audizione.  Certo,  dopo  poche  audizioni  tutta  una  classo 
di  40  bambini  cammina  a  tempo. 

È  importante  notare  come  è  un'errore  il  suonare  battendo  forte  il  tempcj, 
ossia  suonando  forte  la  nota  che  cade  sulla  divisione  del  tempo.  Si  devo 
suonare  con  tutta  l'espressione  che  la  melodia  richiede,  sicuri  che  la  cadenza 
ritmica  si  fa  manifesta  appunto  dalla  melodia  stessa.  Suonare  una  nota  più 
forte  delle  altre  solo  perchè  su  di  essa  cade  l'accento  ritmico,  è  togliere  al 
brano  tutto  il  suo  valore  melodico  e  quindi  anche  il  potere  di  provocare  una 
reazione  motrice  in  rapporto  al  ritmo.  È  necessario  suonare  con  esattezza, 
con  sentimento,  cioè  con  una  interpretazione  quanto  è  possibile,  buona.  No 
risulta  allora  un  «  tempo  musicale  »  che  come  ognuno  sa,  non  è  il  «  tempo  mec- 
oanico  "  del  metronomo.  Se  è  semplicemente  assurdo  suonare  col  metronomo 
un  notturno  di  Chopin,  è  (certo  assai  meno,  ma  sempre  assai)  antipatico  suo- 
nare col  metronomo  anohe  un    ballabile.    Chi    appunto  avendo  una   grande 


EDUCAZIONE    MUSICALE  495 

rapacità  di  sentire  la  esattezza  del  «  tempo  »  suona  con  speciale  riguardo  a 
tale  esattezza,  sa  che  però  non  può  seguire  il  metronomo  senza  soffrire! 

I  bambini  sentono  il  ritmo  di  una  musica  suonata  con  sentimento  musi- 
cale; e  non  solo  col  passo  seguono  il  tempo,  ma  con  tutta  l'andatura  della  per- 
sona vanno  da  un  tempo  all'altro  portati  dalla  frase  melodica  che  svolgendosi 
poggia,  come  su  sostegni,  sui  tempi  componenti  la  battuta.  Ecco  perchè  questo 
esercizio  è  un'altra  cosa  da  quello  di  far  camminare  i  bambini  a  tempo  di 
battuta  di  mani,  ecc.,  o  ^1  comando  di  un!...  due!... 

Una  bambina  di  io  anni  danzava  al  suono  di  un  valtzer  di  Chopin  suonato 
con  le  più  larghe  concessioni  ai  «  rallentando  »  o  «  affrettando  »  e  alle  corone; 
essa  trovava  nei  suoi  movimenti  •■.n'ampiezza  corrispondente  a  quella  che  un 
marcato  «  rallentando  »  concede  alle  note...  Questo  modo  di  danzare  richiede 
una  perfetta,  intima  corrispondenza  con  la  musica;  ed  è  ciò  che  i  bambini, 
anche  piccolini,  posseggono  in  alto  grado  e  sviluppano  camminando  a  lungo 
e  indisturbati  al  suono  di  una  melodia  che  si  ripete.  Ed  è  interessante  vedere 
come  essi  prendono  un  andamento  totalmente  conforme  all'espressione  della 
musica  che  seguono:  un  piccolino  di  tre  anni  alla  i^^  melodia  teneva  le  mani 
con  le  palme  vòlte  verso  terra  e  camminava  flettendo  a  ogni  passo  le  ginocchia 
molleggiando  così  sulle  gambe  con  leggerezza  ;  e  al  passare  dalla  i^^  alla  2^ 
melodia,  non  soltanto  la  velocità  del  passo  cambiava,  ma  l'atteggiamento 
di  tutta  la  persona.  Ciò  è  cosa  minima  come  fatto  esterno;  ma  grande  come 
fatto  interno,  poiché  questo  cambiare  di  atteggiamento  costituisce  un  fatto 
artistico.  È  una  interpretazione  sincera  di  cui  può  andar  fiero  il  compositore 
se  realmente  il  linguaggio  musicale  è  una  delle  piiì  delicate  maniere  di  tra- 
smettere il  sentimento. 

La  2*  melodia  della  nostra  serie  è  un  andante,  un  po'  staccato:  la  prima 
è  lenta  e  legata.  I  bambini  sentono  il  legato,  cui  corrispondono  con  movi- 
menti posati;  lo  staccato  li  fa  sollevare  da  terra;  il  crescendo  accentua  i  loro 
passi,  fa  battere  i  piedi  sul  pavimento;  i\  forte  li  porta  a  battere  anche  le  mani, 
il  calando  li  riporta  al  passo  silenzioso  che  durante  il  piano  raggiunge  un 
silenzio  ideale.  La  risoluzione  della  frase  musicale  li  ferma  o  li  tiene  sospesi 
fino  a   che  giunge  la  ripresa  o  la  fine  e  allora  si  fermano   d'un   tratto. 

Beppino,  di  tre  anni,  batte  il  tempo  con  l'indice  della  mano  destra,  teso; 
la  musica  (una  canzone)  ha  due  parti  che  ripetutamente  si  alternano,  una 
legata  e  una  staccata;  ed  egli  muove  la  mano  con  moto  uniforme  al  legato, 
e  a  scatto  allo  staccato. 

Quaranta  bambini  camminano  pianissimo  durante  una  musica  suonata 
pianissimo.  Gli  stessi  bambini  il  primo  giorno  che  sentirono  il  piano,  dicevano 
alla  maestra:  suona  forte!  non  si  sente;  eppure  allora  la  maestra  non  suonava 
pianissimo,  ma  mezzo  forte! 

Dapprima,  i  bambini  interessati  alla  i"  melodia,  sono  «  sordi  »  alle  altre. 
I  bambini  della  scuola  dell'Umanitaria  in  Via  S.  Barnaba  a  Milano,  arrivati 


4Q<'  PARTE    SECONDA 

a  uniformarsi  alla  i»  melodia  non  si  accorgono  che  la  maestra  suona  la  2»  e 
conservano  cosi  bene  il  passo  che  la  maestra,  tornando  a  suonare  la  i*,  si  trova 
in  accordo  con  il  loro  passo,  mentre  sui  visi  dei  bambini  fiorisce  un  sorriso  come 
1  voce  di  persona  conosciuta! 

Con  tentativi  così  discreti,  la  maestra  senza  turbare  i  bambini  scopre  il 
momento  in  cui  essi  hanno  pronto  l'orecchio  a  una  nuova  melodia,  e  se  anche 
sono  pochi  a  seguire  le  due  prime  melodie,  la  maestra  contenta  questi  pochi 
alternando  le  due  prime  melodie,  senza  disturbare  gli  altri  che  a  poco  a  poco 
come  svegliandosi  vengono  ad  avvertire  i  cambiamenti  di  musica  e  a  unifor- 
marvisi. 

In  un  asilo  comunale  di  Perugia  fu  fatto  all'improvviso  da  una  visitatrice, 
che  poteva  prendersi  questa  libertà,  un  tentativo  di  questo  genere  :  i  bambini 
furono  condotti  nella  grande  sala  dell'esperimento  finale  e  lasciati  liberi 
"mentre  veniva  suonata  al  piano  la  3»  melodia,  la  marcia.  I  più  grandi  vi  si  uni- 
formarono subito.  Fu  suonato,  dopo  qualche  tempo  ch'essi  marciavano,  il 
^alop:  ci  fu  un  momento  di  indecisione  in  alcuni,  mentre  altri  non  si  accorsero 
del  cambiamento  di  musica.  Ad  un  tratto  due  o  tre  si  gettarono  nella  corsa  come 
abbandonati  all'onda  musicale,  come  portati  dalla  musica,  così  che  ap- 
pena toccavano  quello  stesso  suolo,  su  cui  poco  prima  la  marcia  pareva  at- 
taccarli a  ogni  passo.  Una  parte  dei  bambini  di  questa  classe  si  era  seduta 
sui  banchi  a  gradinata:  erano  i  bambini  più  piccoli,  ed  essi  salutarono  con  un  ca- 
loroso battimani  questa  corsa  vittoriosa!  Ciò  sgomentava  le  maestre,  ma  era 
certo  molto  bello! 

Perciò,  dire  ai  bambini:  saltate,  correte,  marciate,  è  rendere  inutile 
il  suonare.  Delle  due  cose  una:  o  suonare  o  comandare.  Anche  quando 
si  fa  l'esercizio  della  lettura  dei  cartellini  non  si  dice  al  bambino  la 
parola  che  deve  leggere.  Non  comandi,  non  falsa  accentuazione  delle 
note,  non  posizioni  imposte.  La  musica,  se  si  vuol  credere  ch'essa  esiste 
ed  è  un  linguaggio  espressivo,  consiglia  tutto  ai  bambini  liberi,  ritmo  e 
interpretazione  del  pensiero  musicale  con  atteggiamenti  e  movimenti  del 
corpo  e  dell'anima! 

Nannina  (di  quattro  anni)  allargava  graziosamente  la  sua  ampia  vestina 
tenendo  le  braccia  mollemente  abbandonate  lungo  il  corpo,  piegava  un  poco 
le  ginocchia,  gettava  la  testa  indietro  e  volgendo  il  suo  soave  visino  mandava 
dei  sorrisi  a  chi  le  stava  dietro,  quasi  estendendo  la  sua  amabilità  anche 
dietro  di  sé. 

Beppino  (di  quattro  anni  e  mezzo)  sta  con  i  piedi  uniti,  fermo  in  mezzo 
all'ellisse  disegnata  in  terra  su  cui  camminano  i  bambini  e  segna  il  tempo 
della  prima  melodia  col  braccio  tesO;  abbassando  la  persona  in  un  corretto 
inchirfo  a  ogni  tempo:  questo  abbassarsi  e  alzarsi  del  busto  riempie  esatta- 
mente lo  spazio  tra  un  tempo  e  l'altro,  ed  ha  una  espressione  perfettamente 
concorde  con    quella  della  melodia. 


EDUCAZIONE    MUSICALE  497 

Nannina,  la  stessa  gentile  bambina  di  cui  si  è  parlato  prima,  al  suono 
di  una  marcia  militare,  irrigidisce  la  persona,  fa  il  viso  scuro  e  cammina 
duramente. 

Intervenire  con  opportuna  lezione  per  il  perfezionamento  dei  movimenti 
è  invece  cosa  che  fa  felici  i  bambini.  Erminia,  Graziella,  Peppinella,  Sofìa, 
Amelia  si  abbracciavano  con  entusiasmo  tra  loro  e  abbracciavano  la  maestra 
per  avere  imparate  alcune  mosse  di  una  danza  ritmica. 

Otello,  Vincenzino,  Teresa,  avendo  ottenuto  un  migliore  effetto  dai  loro 
colpi  di  tamburello,  dai  lorc%passi  e  gesti,  ringraziavano  la  maestra  che  li 
aveva  aiutati  con  opportune  lezioni:  Vincenzino,  dandole  un  brillante  sguardo 
allorché  nel  camminare  le  passava  vicino;  facendole,  Teresa,  una  furtiva  ca- 
rezza con  la  mano  e  Otello  facendo  una  piccola  corsa,  staccandosi  cioè  dal 
filo  e  stringendosele  vicino  per  un  breve  momento. 

Se  fu  rispettata  la  spontaneità  d'ogni  bambino,  se  cioè  ogni  bambino 
potè  prepararsi  secondo  la  sua  via,  ascoltare  le  melodie,  seguirle  col  passo  e  con 
liberi  movimenti,  interpetrarle  ;  se  ognuno  potè  penetrare  indisturbato  nel 
cuore  di  questo  bellissimo  fatto  che  è  la  comprensione  del  linguaggio  mu- 
sicale, allora  è  facile  alla  maestra  che  ha,  p.  es.,  40  bambini  di  tre  a  cinque 
anni  e  mezzo  e  non  ha  altro  aiuto  che  una  custode  ed  ha  magari  un  appar- 
tamento intero  anziché  una  sala  chiusa,  mettersi  al  piano  e  insegnare  a 
otto  bambini  un  ballo  lungo  ed  esatto,  come,  per  esempio,  i  Lancieri,  in 
cinque   quadri. 

Ed  allora,  come  appunto  il  maestro  d'orchestra  che  ha  preparati  i  suoi  al- 
lievi, la  maestra  con  un  minimo  lavoro  ottiene  quell'effetto  dei  balH,  ecc.,  che 
sta  tanto  a  cuore  generalmente  alle  maestre.  Allora:  marcie,  contro  marcie, 
intreccio  di  file  di  bambini,  movimenti  simultanei,  alternati,  tutto  si  ottiene 
con  perfetta  esattezza,  dato  che  ogni  movimento  corrisponde  esattamente 
allo  svolgersi  della  melodia. 

Per  esempio,  dei  bambini  camminano  a  due  a  due  tenendosi  per 
la  mano  durante  il  suono  di  una  breve  melodia,  e  al  finir  di  questa  essi 
lentamente  si  pongono  in  ginocchio,  di  maniera  che  il  suono  dell'ultima 
nota  li  trova  nell'atto  di  giungere  col  ginocchio  a  terra,  pianamente. 
Questa  simultaneità  preparata  dallo  svolgersi  della  melodia  raggiunge  una 
e^  ittezza  soave. 

L'effetto  di  questi  esercizi  nei  bambini  è  infine  una  calma  di  tutta  la 
1    i-nna,  una  calma  interna  dell'animo. 

Quando  i  bambini  di  una  scuola  allora  apertasi  in  Milano  (1908)  reagi- 
v.mo  al  suono  del  piano  saltando  disordinatamente  e  agitando  braccia,  spalle, 
gambe,  quasi  a  rappresentare  in  un  caos  il  complesso  dei  movimenti  rit- 
mici, essi  tentavano,  senza  una  guida,  l'interpetrazione  musicale;  ma  fini- 
rono col  fermarsi:  dissero  che  ciò  era  brutto.  Però  avevano  intui^to  la  pos- 
sibilità di  una  ordinata  reazione  motrice  e  stando    fermi    ascoltavano  con 


4()S  PAKTK    SKCONIIA 

multo  Ulti  rossi',  attoiidovano  la  rivelazione  del  gran  segreto.  Ed  ecco  che  si 
mossero  poi  di  nuo\o  per  camminare  semplicemente  a  tempo. 
Riziero  (la  cui  grafica  era  press'a  poco  questa: 

/? 


cioè  riposante  sulla  linea  di  quiete  e  con  frequenti  escursioni  nel  campo 
negativo)  non  prendeva  parte  agli  esercizi  ritmici,  anzi  li  disturbava, 
molestando  i  bambini,  o  facendo  rumore.  Ma  imparò  a  non  disturbare,  ossia 
a  star  quieto,  ciò  che  realmente  non  sapeva  fare:  star  quieto,  fermo,  in  uno 
stato  d'animo  dolce,  mite,  è  una  grande  conquista  per  un  bambino  disordi- 
natissimo.  Dopo  ciò  imparò  a  muoversi  delicatamente,  con  rispetto  agli 
altri,  ed  ebbe  un'espressione  delicata  di  riguardo  verso  i  compagni:  p.  es.  arros- 
siva se  essi  gli  sorridevano,  e  anche  senza  prendere  parte  ai  loro  esercizi, 
vi  partecipava  con  una  tenera  attenzione.  Da  questo  punto  Riziero  entrò 
in  una  forma  di  vita  superiore:  di  ordine,  lavoro,  gentilezza. 

Anche  il  fatto  che  i  bambini  ascoltano  talvolta  la  musica  stando 
seduti  comodamente  intorno  alla  sala  e  guardano  gli  altri  bambini  che 
camminano,  danzano,  ecc.,  è  un  fatto  grazioso.  Questi  bambini  seduti 
stanno  composti,  osservano  i  compagni,  dicono  fra  loro  discretamente  qualche 
parola  o  anche  si  abbandonano  all'interessante  espressione  di  movimenti  con 
le  braccia!... 

Tutto  ciò  in  condizioni  di  calma  e  di  interesse  che  non  possono  disgiun- 
gersi da  una  eccellente  formazione,  da  un  simpatico  ordine  che  si  stabi- 
lisce in  loro. 

Evidentemente  una  corrispondenza  mirabile  nasce  tra  la  maestra  che, 
commossa,  trepidante,  eseguisce  con  tutte  le  abilità  della  mano  e  le  potenze 
dell'animo  suo,  perchè  sente  svolgersi  intorno  a  sé  il  fenomeno  musicale  nei 
bambini,  e  i  bambini  che,  a  poco  a  poco,  si  trasformano  sotto  tale  influenza 
e  dimostrano  una  comprensione  sempre  più  intima  e  completa  della  musica. 

Non  è  più  solo  «  il  passo  »,  è  l'attitudine  di  tutto  il  corpo  che  vi  corri- 
sponde: le  braccia,  la  testa,  il  busto,  sono  «  mossi  »  della  musica. 

Infine  molti  tra  i  bambini  «battono  il  tempo»  con  segni  della  mano,  e 
interpetrano  giustamente,  senza  che  nessuno  abbia  loro  insegnato  la  divisione  '• 
del  tempo  a  3  a  4,   ecc.  Quando  si  sveglia  il  vivo  interesse  a  «  indovinar^ 
il  tempo  »  i   bambini  cercano  degli  oggetti:  bacchette,  tamburelli,  nacchei 
e  l'esercizio  collettivo  si  stabilisce  perfettamente.  Il  bambino  «  è  preso  da 
musica  ».   Egli  obbedisce  col  corpo  all'ordine  musicale,  e  sempre  più  si  per 
feziona  in  tale  obbedienza  dei  suoi  muscoli. 

Ecco  un  grazioso  aneddoto  che  dimostra  fino  a  qual  punto  i  bambini 
sentano  dipendenti  »  dalla  musica  che  li  fa  muovere. 


EDUCAZIONE    MUSICALE  499 

Una  volta  mio  padre  entrò  in  una  sala  ove  una  piccola  bambina  parigina, 
che  egli  amava  molto,  stava  appassionatamente  marciando  al  ritmo  di  una 
suonata  al  pianoforte.  La  bimba  era  solita  di  correre  incontro  a  mio  padre: 
e  quel  giorno,  appena  lo  scorse,  si  mise  a  gridare  verso  la  signorina  Maccheroni 
che  suonava:  «  arréte!  arréte  »,  perchè  essa  voleva  salutare  mio  padre,  ma 
(>  non  lo  poteva  »  fin  che  la  musica  continuava  a  «  comandare  »  al  suo  corpo 
di  muoversi  secondo  il  ritmo.  Infatti  solo  quando  la  signorina  Maccheroni 
cessò  di  suonare,  essa  corse  a  salutare  mio  padre. 

*  *  * 

Noi  abbiamo  sperimentato  una  serie  di  suonate  e  credo  utile  riportare 
quelle  scelte  definitivamente,  perchè  esse  hanno  corrisposto,  ovunque  sono 
state  provate,  al  fine  di  provocare  i  suddetti  fenomeni  nei  bambini.  Sono 
poche  battute  scelte  da  sei  noti  brani  di  musica:  quelle  poche  battute,  ripe- 
tute ciascuna  più  e  pivi  volte  e  suonate  con  la  maggiore  esattezza,  saranno 
certo  sentite  nel  loro  ritmo,  o  prima  o  poi,  dai  bambini. 

Il  passaggio  dal  seguire  il  tempo  ad  i  (ossia  un  colpo  per  ogni  tempo)  al 
segnare  la  battuta  (ossia  un  colpo  sul  primo  tempo)  venne  perla  prima  volta 
in  una  «  Casa  di  Bambini  «  diretta  dalla  sig.  Maccheroni  in  una  mattinata 
in  cui  i  bambini  seguivano  molto  hetamente  la  musica  camminando  e  bat- 
tendo sui  tambureUi.  Fu  una  bambina  ad  accennare  la  battuta.  Il  bambino  0, 
che  le  era  dietro,  immediatamente  dopo  fece  la  conquista;  e  mentre  la  bam- 
bina perse  subito  questo  privilegio,  0  lo  perfezionò.  Dopo,  altri  bambini  fecero 
questa  conquista  come  per  una  economia  di  forze:  prima  battevano  un  colpo 
ogni  tempo  in  un  movimento  veloce,  ed  era  una  rapida  successione  di  colpi; 
ad  un  tratto   batterono   un   colpo  solo  sul  primo  tempo  della  battuta. 

Volendo  indicare  così  un  tempo  *  : 


I    r  I    I     I    I     I    I    I     \    \     I 

i  bambini  in  principio  segnano  il  tempo,  senza  riguardo  alla  battuta,  così: 

I        I        I        I        I        I        I        I        I        I        I        I 

Ma  viene  il   momento  in  cui,  d'un  tratto,  sentono  la  battuta;  e  quindi 
lo  segnano: 


cioè  i  loro  movimenti  corrispondono  soltanto  al  primo  tempo  della  battuta. 

Maria   Louise   (di  quattro   anni  appena)  camminava   al   suono   di   una 

marcia    ^    suonata  molto  leggermente.  A  un  tratto  essa  grida  alla  maestra: 


500  PARTE    SECONDA 

Rfgard,  rcgard  camme  je  Jais!  Essa  faceva  un  p.issn  saltata  e  sollm'ava 
graziosamente  le  braccia  sul  primo  tempo  della  battuta.  lùl  eia  stianidina- 
riamente  felice  e  graziosa! 

È  abitvidine  di  chi  vuol  «  far  capire  »  la  divisione  del  tempi>,  di  suonare /or/c 
il  tempo  chiamato  in  teoria  «  tempo  forte  »,  appunto  il  i»  tempo  d'ogni  bat- 
tuta; talché  si  può  sentir  dei  maestri  di  bambini  o  di  giovanetti  suonare  una 
melodia  facendo  esageratamente  forte  il  i°  tempo  e  pianissimo  i  tempi  suc- 
cessivi. Naturalmente  la  reazione  motrice  è  corrispondente:  vibrata  per  le 
note  forte,  leggera  per  le  note  piano.  Ma  che  valore  ha  ciò  in  rapporto  alla 
compren'iionc  della  divisione  del  tempo?  Certo  nessuno! 

Quello  che  la  teoria  chiama  tempo  forte  e  tempo  debole,  non  è  in  rapporto 
al  forte  e  piano  nel  senso  comune  e  materiale  della  parola:  si  tratta  di  un 
forte  enfatico,  espressivo,  di  un  forte  che  ha  la  sua  ragione  nelle  leggi  del  tempo 
musicale,  della  composizione  melodica  e  non  nel  polso  di  chi  suona.  Se  cosi 
fosse,  ecco  che  sarebbe  arbitrio  di  chi  suona  fare  forte  il  !<>  o  il  2°  o  il  3»  tempo 
della  battuta,  mentre  invece  è  il  1°  che  è  forte. 

In  realtà,  bambini  a  cui  furono  suonate  le  sei  melodie  proposte  per  l'inizio 
di  questo  studio,  e  sempre  suonate  con  rigorosa  interpretazione  musicale  e  con 
espressione,  riuscirono  a  sentire  come  tempo  forte  il  1°  della  battuta,  e  a  divi- 
dere così  in  battute  circa  30  pezzi  di  musica  di  varie  misure;  e,  anche  l'annn 
successivo  (dopo  le  vacanze  estive),  chiedevano  sempre  nuova  musica  per 
il  gusto  di  scoprirne  la  misura.  Essi  si  mettevano  a  lato  della  maestra  che 
suonava,  e  con  gesti  delle  mani,  o  con  discreti  colpi  di  nacchere  o  di 
tamburelli,  accompagnavano  ogni  nuova  musica.  In  generale  essi  ascolta- 
vano in  silenzio  la  i*  battuta  eppoi  entravano  con  i  loro  piccoli  colpi, 
come  orchestra  ben  addestrata.  Essi  non  si  curavano  allora  di  cammi- 
nare; e  godevano  di  questo  loro  studio,  mentre  i  piccoli,  lietissimi  di  questa 
musica,  camminavano  indisturbati  su  quel  filo  che  doveva  condurli  a  più 
grandi  conquiste. 

Il  tempo  forte  è  la  rivelazione  di  leggi  superiori;  esso  è  talvolta  suonato, 
per  ragioni  d'espressione,  assai  piano  ed  ha  sempre  la  solennità  del  tempo 
dominante  il  ritmo  e  può  essere  anche  sincopato,  mancante;  così  come  l'ora- 
tore giunto  al  momento  solenne  dice  piano  la  frase  che  impressiona  o  anche 
fa  una  pausa,  tace:  essa  risuona  fortemente  nell'animo  di  chi  ascolta. 

Lo  stesso  errore  che  conduce  a  suonare  forte  il  1°  tempo  d'ogni  bat- 
tuta affinchè  i  bambini  lo  prendano  in  considerazione,  conduce  anche  a  con- 
sigliare ai  bambini  dei  movimenti  secondari  oltre  al  movimento  principale 
che  segni  il  primo  tempo;  i  bambini  devono  fare  allora  p.  es.  4  movimenti 
per  un  tempo  *  :  movimenti  in  aria  per  i  tempi  secondari  e  un  movimento 
più  energico  per  il  1°  tempo.  Questo  fa  che  l'interesse  alla  successione  dei 
movimenti  tolga  l'attenzione  dal  fatto  importante  che  è  sentire  il  valore 
del    1°   tempo.    Bambini   che   sentono   il    tempo    forte  perchè   chi    suona    lo 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


5^1 


-nona  forte;  e  che  vanno  da  un  tempo  forte  al  tempo  forte  successivo 
condotti  da  una  successione  di  movimenti,  non  seguono,  evidentemente, 
la  melodia.  Una  bambina  preparata  con  tali  procedimenti  si  trovava  (avendo 
sbagliato  a  segnare  il  tempo  forte)  a  perseverare  costantemente  nell'errore, 
condotta  dai  suoi  quattro  movimenti.  È  un  poco  come  la  presentazione  del 
cubo  o  del  triangolo  fatta  a  bambini  di  tre  anni  dalla  maestra,  che  ne  enumera 
i  lati,  gli  spigoli,  gli  angoli,  ecc.  In  realtà  i  bambini  non  riconoscono  il  trian- 
golo o  il  cubo. 

I   nostri  bambini   vengono   poi  ad  accennare  con   movimenti   leggeri    i 
tempi  secondari,  così: 


1 — \ — r 


T~i    r 


1 — i — r 


1 — \ — r 


e  poi  li  contano;  ed  eccoci  arrivati  a  quello  che  è  il  punto  di  partenza  dei  metodi 
comuni:    contare    1234   per   andare   a    tempo. 


Come  un'applicazione  pratica  della  conoscenza  già  acquistata  della  divi- 
sione del  tempo  in  battute,  viene  poi  l'esercizio  di  suonare  le  scale  col 
tempo  2,  3,  4  e  con  le  terzine. 

La  scala,  che  è  il  tipo  classico  della  melodia,  si  presta  bellamente  a  queste 
interpetrazioni  varie  con  varie  misure.  Chi  non  ha  passato  delle  ore  al  piano 
suonando  scale  e  trovando  deliziosa  questa  varietà?  la  stessa  scala  di  do 
p.  es.,  suonata  così: 


^ 


^ 


^ 


^ 


e  suonata  cosi: 


^^jjJUrrurm-Trm^ 


^g 


^jj^A^  r^^ff^ 


PARTE    SECONDA 


Il  piccolo  pianoforte  (i)  può  servire  a  questo  esercizio.  Ma  giova  far  pre- 
■edere  l'esercizio  più  facile  per  i  movimenti  delle  dita  e  la  posa  della  mano. 


fe 


i  j  Ij  vlOir^^ 


ì 


^M 


^m 


j 


^^^^^^ 


^ 


^pg^ 


^''^sii\i^ilJ7^^^jì 


I  bambini  che  sono  giunti  a  riconoscere  e  a  dividere  la  melodia  in  battute 
e  la  battuta  in  2,  3,  4...  capiscono  con  grande  semplicità  i  valori  delle  note. 
Basta  far  sentire  al  bambino  ogni  esercizio  prima,  ed  egli  lo  ripete  esattamente 
venendo  così  a  scomparire  ogni  arida  spiegazione  circa  i  «  valori  »  musicali. 

La  scrittura: 


^^^p^^fPffl^^ì  J-JTj  iìD-^^ 


-©- 


non  presenta  una  speciale  difficoltà  se  la  frase  viene  prima  fatta  udire. 


(i)  Vedi  la  figura  nel  mio  manuale  pratico,  nell'edizione  inglese  già   citata,  o  ntl- 
l'edizione  spagnuola  (Manuale  pratico  del  Metodo  Montessori,  Barcelona.  Araluce,  1915). 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


per  es 


50: 


A  questo  punto  si    suonano   degli    esercizi    per    l'analisi  della   battuta, 


Jrrri  '^  -4 


E^ 


^S 


^^ 


^^ 


5^^ 


"cr 


j  j  j  jj  ^g=i[rr  rri  '^ 


^^ 


f=f?? 


^^ 


^ 


-e>- 


I  bambini  seguono  questi  esercizi  camminando  in  modo  da  fare  un 
passo  a  ogni  nota.  Anche  bambini  di  quattro  anni,  preparati  con  gli  eser- 
cizi precedenti,  riescono  a  seguire  questi  esercizi  interessandosi  vivamente 
alla  nota  lunga  che  H  tiene  fermi  nella  posizione  di  un  piede  avanti  sul 
filo  e  l'altro  indietro  pure  con  la  punta  sul  filo,  come  accade  a  chi  si  ferma 
prima  di  portare  avanti  il  piede  che  è  ancora  indietro  (Tavola  LVII). 

E  siccome  i  bambini  già  sanno  leggere  la  musica,  si  sospende  innanzi 
a  loro  un  cartone  verde  (simile  anche  nelle  dimensioni  ai  righi  musicali  a 


•ARTE    SEC<^N.DA 


loro  noti)  SU  cui  è  scritto  l'esercizio  elio  vìmc  suonato  al  piano  dalla  m; 
stra  o  che  essi  eseguono  sul  filo.   Esempi  : 


^1-^  bibi^J 


E  ancht 


r^  ijiJjjijijjijiJiiJM'iii 


i^j  1 .1  Ifi-U  \ff\  f  \:r\=F^t^W^ 


é 


t^-MjJlJIJilJIJjlJljjl^ 


E  anche  si  suonano  semplici  melodie,  come  (i) 


è 


I  j  j  J    |Jr  j-|;j  j_|  jj  j 


Si  capisce  che  prima  o  poi  i  bambini  fissano  l'attenzione  sulla  diversa 
forma  delle  note  e  scoprono  il  fatto  che  qxiesta.  diversa  forma  è  in  rapporto 
con  il  diverso  valore  della  nota  : 


o'         J        i 


Allora  è  il  momento  di  dare  con  brevi  spiegazioni    la    lezione    sul   \ 
lore  delle  note.  Dopo  ciò  il  bambino  può   "  scrivere  »  a  memoria  una  se 


(i)  Melodie  composte  dal  prof.  Jean  Gibert  della  Scuola  elementare  Montessori  di 
Barcelona. 


EDUCAZIONE   MUSICALE  505 


plice  melodia  che  la  maestra  abbia  prima  suonato  al  piano:  quasi  sempre 
il  bambino  la  scrive  con  esattezza,  dando  prova  di  avere  conoscenza  dei  varii 
valori  musicali  usati  in  tale  melodia.  Il  bambino  si  serve  per  questo  eser- 
cizio di  una  grande  tavola  verde  contenente  varii  «  righi  musicali  n  su  cui 
si  possono  fissare  a  piacere  delle  note  mobili,  munite  di  una  punta  che  si 
affonda  nel  legno. 

I  bambini  scrivono  poi  sul  loro  quaderno  i  semplici  esercizii  per  l'ana- 
lisi della  battuta  trasportati  'ffei  varii  toni,  dopo  essersi  esercitati  a  suo- 
narli col  sistema  delle  lastrine. 

Gli  esercizii  per  l'analisi  della  battuta  sono  così  semplici  che  i  bam- 
bini stessi  hanno  imparato  a  suonarli  sul  pianoforte;  ed  allora  è  accaduto 
che  la  classe  è  andata  da  sola  nella  sala  del  piano:  un  bambino  si  è 
messo  a  suonare  e  gli  altri  hanno  seguito  la  musica  sul  filo. 

I  bambini  camminando  cantano  poi  le  scale  e  le  facili  melodie,  delle 
quali  arrivano  a  riconoscere  le  note,  dicendo  il  nome  delle  note  :  ma  essi 
addolciscono  così  la  voce  fino  a  darle  un'espressione  che  si  può  dire  arti- 
stica. Quando  è  il  maestro  che  suona,  la  musica  riveste  il  fascino  dell'ar- 
monia giacché  il  maestro  può  suonare,  invece  della  semplice  scala,  gli  ac- 
cordi relativi,  ciò  che  dà  una  pienezza  vigorosa  e  dolcissima  alla  scala. 

Questi  esercizi  per  l'analisi  della  battuta  sono  stati  anche  utilissimi 
per  la  loro  applicazione  ad  esercizi  ginnastici.  I  bambini  li  hanno  seguiti 
con  movimenti  ginnastici,  con  i  movimenti,  per  es.,  del  Dalcroze  che  si  adat- 
tano alle  varie  misure  74.  .'A.  ^U-  ^cc,  e  che  hanno  una  bellezza  estetica. 
Si  è  trovato  che  tali  movimenti  riuscivano  per  la  loro  complessità  diffi- 
cili a  chi  ancora  non  era  sufficientemente  esercitato  nella  interpetrazione 
del  diverso  valore  delle  note  —  e  invece  riuscivano  facilissimi  a  chi  ormai 
sentiva  chiaramente  questi  diversi  valori.  Si  è  così  avuta  una  chiara  espe- 
rienza che  la  preparazione  sensoriale  deve  precedere;  e  che  la  difficoltà  che 
può  incontrare  in  questi  esercizi  dei  movimenti  il  Dalcroze,  dipende  da  una 
insufficiente  preparazione  sensoriale. 

Analogamente  si  possono  illustrare  i  diversi  particolari  della  scrittura 
musicale:  la  nota  puntata,      • 


r 


il  legato,   lo  staccato,  ecc. 


50b 


PARTE   SECONDA 


Sia  esempio  di  un  effetto  di  «  legato 


h-  ijn  ^jA>ifiii*^i\m^,ìv 


httjn^U^^-^oj^mU^m 


^fsQ'(s.\'^^0'-^\'^^^U00 


(Sonnambula.  Quintetto). 

Questo  esempio,  che  prende  tutto  il    valore   espressivo   dalle  legature, 
dimostra  anche  il  valore  delle  note: 


r  =  cr 


Occorre  peraltro  una  raccolta  di  brani  di  musica,  in  cui  il  valore  delle  note 
sia  evidente,  chiaro,  di  modo  che  i  bambini  vengano  a  conoscere  i  valori  di- 
versi; conoscenza  che  deve  essere  fatta  «  con  l'orecchio  ascoltando  la  musica  », 
non  con  l'occhio  guardando  segni,  mentre  qualcuno  li  spiega. 

La  nota  *j^  ha  sempre  un  contenuto  musicale  diverso  dalla  nota  '/,6-  Un 
pezzo  musicale  composto  di  note  che  valgono  '/,j  o  '/jj  ha  un  carattere 
proprio:  allegria  o  agitazione;  e  un  pezzo  composto  di  note  '/^  o  *|^  è  solenne, 
religioso,  mesto  o  grandioso. 

Lo  stesso  dicasi  di  ogni  segno  musicale  il  cui  valore  è  espresso  dalla  nota 
suonata  con  quel  valore  e  con  quel  segno. 

Qualcuno  crede  che  suonando  pei  bambini,  e  perciò  copiando  della  musica 
destinata  ai  bambini,  si  possano  sopprimere  i  segni  musicali  d'espressione,  che 
corrispondono,  p.  es.,  alla  punteggiatura  di  un  periodo;  ma  ciò  toglie  ogni  valore 
alle  note.  Per  es.  il  legato  e  lo  staccato  determinano  reazioni  motrici  diverse,  e 
i  segni  che  denotano  la  differenza:  ^-^"^^  e  •  hanno  perciò  il  massimo  valore. 

I  fanc  iulli  riescono  assai  facilmente  a  leggere  e  ad  usare  i  segni  accessori 
della  scrittura  musicale,  dei  quali  conoscono  tutto  il  valore  per  averli  sen- 
titi. Non  è  stato  neanche  necessario  avere  tali  segni  come  «  oggetti  sensibili  » 
quali:  bacchettine  da  porre  sul  rigo  di  legno  per  dividere  battuta  da  battuta, 
parentesi,  frazione  del  tempo,  ecc.  Benché  noi  U  avessimo  fatti  fabbricare, 
finimmo   coH'abolirli,    perchè   essi   riuscivano    oramai  d'ingombro. 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


507 


Invece  abbiamo  trovato  una  grande  corrispondenza  verso  i  nostri  car- 
telli colorati,  grandi,  di  un  solo  rigo,  già  descritti,  ove  si  scrivono  delle  battute, 
che  i  bambini  leggono  con  un  gusto  speciale,  eseguendo  sui  campanelli.  Esempi 
vedi  figg.  47,  48  e  49. 

a . ^.^ , ^ , V 


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V 


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Con  ciò  è  aperta  la  via  a  un  vero  insegnamento  musicale. 

Una  volta  la  signorina  Maccheroni,  mentre  stava  eseguendo  le  solite  suo- 
nate ritmiche,  riprodusse  una  suonata  melodiosa  e  religiosa  «O  Sanctissima  x 
che  i  bambini  sentivano  per  la  prima  volta.  Allora  i  bambini  si  staccarono  dal 
filo  e  le  vennero  tutti  intorno  al  pianoforte  per  ascoltare:  due  o  tre  bambinette 
s'inginocchiarono  in  terra,  e  altre  si  misero  in  pose  plastiche  con  le  braccia, 
rimanendo  immobili.  Ciò  fece  comprendere  la  loro  sensibilità  alla  melodia: 
essi  non  si  sentivano  mosse  a  marciare,  ma  a  pregare  e  ad  assumere  pose. 

Non  abbiamo  ancora  potuto  sperimentare  completamente,  in  modo  da  defi- 
nire con  precisione  un  n  materiale  musicale  »,  adatto  ai  bambini  secondo  l'età; 
ma  si  è  già  largamente  tentato  con  successo  di  far  gustare  ai  bambini  la  melodia 
e  l'espressione  sentimentale  della  musica.  È  indubitata  la  praticità  e  opportu- 
nità di  «audizioni  musicali»  o,  se  si  vuole,  di  «  concerti  pei  bambini  »,  graduati, 
eseguiti  con  istrumenti  vari,  ma  separatamente;  e  specialmente  riprodotti 
dalla  voce  umana  bene  educata  al  canto. 

Se  degli  «  artisti  »  venissero  analizzando  ai  bambini  il  linguaggio  della 
musica,  facendola  gustare  frase  per  frase  sotto  diversi  timbri,  questa  nuova 
applicazione  «  scientifica  »  dell'arte,  sarebbe  una  vera  benefattrice  dell'uma- 
nità. Quanti  uomini  abili  a  gustare  profondamente  la  musica,  verrebbero 
preparati    nell'avvenire,    nelle    assemblee    di    piccoli    intelligenti    di    musica, 


the  seguono  appassionatamente  le  più  espressive  melodie,  in  un  silenzio  così 
assoluto  come  nessun  artista  celebre  può  oggi  sognare  di  ottenere  in  un'as- 
semblea di  adulti!  Nessuno  tra  quegli  uditori  è  lì  freddo,  lontano  col  suo 
pensiero:  ma  dai  \olti  commossi  trasparisce  l'intcrmi  lavorio  di  un'anima  che 
fausta  un  nettare  necessario  alla  sua  vita.  Quanto  volte  una  posa  plastica,  un 
lanciuUo  inginocchiato,  un  viso  estatico,  toccheranno  soavemente  il  cuore  di 
un  artista,  come  oggi  non  possono  toccarlo  gli  applausi  d'una  folla,  spesso 
indifferente  o  distratta. 

Solo  chi,  spesso,  ferito  nel  cuore  dalla  difficoltà  di  essere  compreso  da 
altri  uomini,  o  disanimato  dalla  freddezza  e  grossolanità  altrui,  o  i>ppresso 
dalla  disillusione,  o  in  qualsiasi  modo  dolorosamente  solitario  e  bisognoso 
di  espansione,  ha  sentito  nella  musica  la  voce  che  apre  le  porte  del  cuore, 
e  fa  scaturire  un  benefico  pianto  o  solleva  lo  spirito  in  un  alto  conforto, 
solo  questi  potrà  comprendere  come  la  musica  sia  una  compagna  necessaria 
all'umanità.  Noi  oggi  crediamo  che  la  musica  sia  una  indispensabile  riani- 
matrice pei  soldati  che  vanno  a  morire;  ma  quanto  più  essa  sarebbe  una 
rianimatrice  per  tutti  coloro  che  devono  vivere! 

Questa  convinzione  è  già  nel  cuore  di  molti  :  infatti  si  cerca  di  mettere 
a  portata  del  popolo  la  musica,  coi  concerti  nelle  pubbliche  piazze,  o  col 
rendere  sempre  più  accessibile  a  ogni  classe  sociale  le  sale  di  concerti. 

Ma  tutto  ciò  non  sarebbe  forse  come  mettere  in  circolazione  delle  edi- 
zioni popolari  di  Dante,  in  un  popolo  di  analfabeti  ?  È  l'educazione  che 
occorre  prima:  senza  essa,  ecco  un  popolo  di  sordi,  cui  è  negato  ogni  godi- 
mento musicale.  L'orecchio  non  sa  percepire  e  apprezzare  i  suoni  sublimi 
che  poniamo  alla  sua  portata;  ed  ecco  che  mentre  la  musica  di  Bellini  o  di 
Wagner  suona  sulle  piazze,  le  osterie  sono  egualmente  piene. 

Se  invece  crescesse  un  popolo  da  questi  nostri  bambini,  basterebbe 
percorrere  la  strada  con  una  musica  elevata  e  tutti  le  terrebbero  dietro; 
si  vuoterebbero  i  luoghi  ove  oggi  l'uomo  rozzo  e  abbandonato  cerca 
godimenti,  come  un  cane  randagio  cerca  di  che  nutrirsi  frugando  in  un 
mucchio  d'immondizie;  e  quasi  un'incarnazione  del  simbolo  di  Orfeo,  si  ve- 
drebbero i  cuori  che  oggi  sono  di  pietra,  attratti  e  animati  da  una  sublime 
melodia. 

IL  CANTO. 

11  canto  ha  avuto  il  suo  punto  di  partenza  dalla  scala.  Cantare  la  scala 
accompagnandosi  con  i  campanelli  prima,  e  poi  col  piano,  è  un  primo  e 
grande  godimento  per  i  bambini.  Cantare  la  scala  piano  piano,  cantarla 
forte,  tutti  insieme,  uno  a  uno;  cantarla  divisi  in  due  gruppi,  e  alternan- 
dosi le  note  da  un  gruppo  all'altro... 

Tra  i  canti  proposti  ai  bambini  ha  avuto  il  miglior  successo  il  canto 
gregoriano  sillabico. 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


501) 


Esso  rassomiglia  a  un  parlare  perfezionato,  ha  la  stessa  intonazione  del 
discorso,  la  stessa  soavità  di  una  frase  detta  bene  ed  ha  la  piena  rotondità 
della  frase  musicale.  Gli  esempi  qui  sotto  riportati  hanno  quasi  l'andamento 
della  scala. 

Esempi:  N.  i. 


É 


cfio—'ux. te  \joz,Ju    oc        òw tHZA. 


'yu\  .Jy'Q/y 


jAi «x/v^-vt -.^-ttu4^ 


^ 


JiA^-An.     -Via  — toò    ivi  Jacth-lc-€An    'oX.-Xb.-X.kx  —  ^ 


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S 


'itw-'ò.e     £uxa-bd    J«.-tM.— ^Aa— /ie4*a     cli-'U.-'W- 


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•IL-MAMn    Via-Cu/^vl     -OL-^O— XX'— AVIvaA      LmaM.    'VW-'OO      LiX/H  — ti  — .C^'' 


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5 IO  PARTE   SECONDA 

Come  queste,  molte  altre  frasi  di  cauto  gregoriano  hanno  fatto  la  de- 
lizia dei  bambini  della  Scuola  Elementare  Montessori  di  Barcelona,  i  quali 
si  interessavano  poi  vivamente  a  leggere  questa  semplicissima  musica  e  a 
suonarla  sul  piano,  o  sulle  lastrine,  o  sul  monocorde. 


FRASI  MUSICALI  PER  GLI  ESERCIZI 
RITMICI  INIZIALL 

Riporti. lUM  qui  per  intero  le  frasi  uuisicali  da  noi  usale  per  gli  eser- 
cizi ritmici  iniziali,  capaci  di  provocare  la  sensazione  del  ritmo,  e  le  rea- 
zioni motrici  spontanee  al  ritmo  stesso,  le  quali  costituiscono  oramai  nelle 
nostre  scuole  un  materiale  stabilito  sperimentalmente. 

Rrani  di  musica  da  cui  sono  tolte  le  Jrasi:        Reazione  motrice  che  le  frasi  provocano  : 

1°  «Ancora  un  bacio"  mazurka,  Bastia- 

NELLi Camminano  a  passo  lento. 

2"  «Si  j'étais  roi»,  Adolfo  Adam.   .    .  Camminano  a  passo  andante, 

j;"  «Marcia  Aquila»,  Wagner     ....  Camminano  a  passo  di  marcia. 

4°  «  Galop  »,  Strauss Corrono. 

5°  «Canzone  popolare» Saltano. 

6°  «  Pas  des  patineurs  » Fanno  il  passo  composto. 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


51 


ANCORA  UN   BACIO 


(Mazurka) 


Bastianelli 


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J        -8:  "t 

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Q ^ — L 

cj= — ) — 1 

512 


PARTE    SECONDA 


SI  JTTAIS  ROI 


CìaaÀou:^. 


ADOLFO  ADAM 


Cv.'^-O^.V.V      -iC^^KA^X^ 


^,  ^.^>^.,. 

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EDUCAZIONE    MUSICALE 


513 


MARCIA  AQUILA 


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514 


PARTE    SECONDA 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


515 


GALOP 


5i6 


PARTE   SECONDA 


CANZONE    POPOLARE 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


517 


PAS   DES  PATINEURS 


SlS 


l'ARTl"    SlUONUA 


O  SANCTISSIMA 


a^^u.<iu 


EDUCAZIONE    MUSICALE 


519 


DEAR  LITTLE  CHILDREN  <• 


M_ 


Dear  little  children 
Happy   and  ^ay 
Happy  at  work  and 
Happy  at  their  play. 


Build  a  pretty  tower 
Or  a  long  stair, 
Matching  pretty  colois 
Happy  every  where. 


(i)    Parole  e  musica  di   Miss   Helen    Parkhurst,  già  insegnante   in 
cana,  ora  ispettrice  Jelle  Scuole   Montessori   negli  Stati   Uniti   d'America. 


Scuola    Norma 


5ao  PARTE   SECONDA 


LE  AUDIZIONI  MUSICALI. 

La  frase  «  O  Sanctissima  »  è  da  noi  considerata  come  introduzione 
alle  audizioni  nivisicali.  È  quella  frase  che  la  signorina  Maccheroni  suonò 
un  giorno  tra  gli  esercizi  ritmici.  Come  si  è  detto,  i  bambini  che  erano  abi- 
tuati a  cambiare  forma  di  marcia  mentre  camminavano  sul  filo,  ma  a  non 
muoversi  da  esso,  si  staccarono  tutti  mettendosi  intorno  al  pianoforte,  immo- 
bili, seri,  intenti:  mentre  due  o  tre  bambini  si  inginocchiarono  e  presero  delle 
pose  plastiche. 

È  da  questo  fenomeno  così  interessante,  che  sorse  in  noi  l'idea  delle  «  au- 
dizioni musicali  »,  cioè  di  piccoli  concerti  per  i  bambini.  I  bambini  a  poco  a 
poco  entrano  mirabilmente  nella  interpretazione  della  musica.  Dopo  i  ripetuti 
esercizi  ritmici,  quando  i  bambini  ne  seguono  bene  le  battute,  ogni  suonata 
è  loro  accessibile;  allora  non  sono  più  sole  frasi  che  si  suonano,  ma  pezzi  di 
musica  intera.  Così  nelle  audizioni,  benché  in  principio  occorra  scegliere 
delle  frasi,  a  poco  a  poco  i  bambini  entrano  a  gustare  la  bella  musica,  e  ne  ri- 
conoscono il  sentimento  ch'essa  esprime  e  che  l'ha  ispirata.  Essi  dicono, 
per  es.,  questa  piange,  questa  prega,  questa  ride,  questa  grida. 

Ma  occorre  la  massima  diligenza  nell'esecuzione  di  questi  brani.  I  bam- 
bini sono  un  uditorio  speciale  che  è  qualcosa  di  più  di  quello  che  si  chiama 
un  <i  uditorio  intelligente  di  musica  ».  Esso  è  l'uditorio  nel  quale  si  «  deve 
sviluppare  l' inteUigenza  musicale  »;  noi  non  dobbiamo  agire  soltanto  per  dare 
un  gradimento  superiore,  ma  per  creare  sentimenti  superiori.  Perciò  non  sarà 
mai  troppo  ciò  che  faremo  pei  bambini;  i  più  grandi  artisti  e  i  più  grandi  ese- 
cutori forse  un  giorno  sentiranno  come  un  privilegio  «  aver  suscitato  il  primo 
amore  »  per  la  musica  nelle  innocenti  anime!  e  avere  fatto  della  musica  una 
compagna  dell'uomo,  una  protettrice  e  una  consolatrice. 

Ma  anche  non  essendo  grandi  artisti  e  grandi  esecutori,  è  però  con  tutta 
l'anima  e  con  tutta  l'abilità  di  cui  disponiamo,  che  dobbiamo  farci  porgi- 
tori della  musica  ai  bambini.  Noi  siamo  i  trasmettitori  di  uno  stimolo  sublime, 
e  dobbiamo  esser  compresi  di  tale  missione. 

I  brani  da  noi  usati  con  successo  nelle  audizioni  musicali,  sono  stati 
i  seguenti,  oltre  al  primo  «  O  Sanctissima  »  e  a  un  «  Pater  Noster»  : 

A)  Racconti: 

«  Tacea  la  notte  placida».  Trovatore. 

«  Nella  fatai  di  Rimini  e  memorabiì  guerra  ",  Lucrezia  Borgia. 

«  Regnava  nel  silenzio  »,  Lucia  di  Lamermoor. 

«  Racconto  di  Azucena  »,  Trovatore. 

«  A  fosco  cielo,  a  notte  bruna  »,  Sonnambula. 

•  Tutte  le  feste  al  tempio  »,  Rigolelto. 

(I  Quell'uom  dal  fiero  aspetto  »,  Fra  Diavolo. 


EDUCAZIONE    MUSICALE  52I 

B)  Descrizioni: 

«Il  chiaro  di  luna»,  Beethoven. 

«Nevica;  qualcunD  passa  e  parla»  (preludio  del  II  atto  della 

Bohème),  Puccini. 
Preludio  deir.4  ida,  prima  della  romanza  «  Cieli  azzurri  ». 
«  Marcia  trionfale»  dell'Aida  (che  ha  in  sé  il  carattere  della 

scena  cui  appartiene).  Verdi. 

C)  MciTivi  passionali:  ^ 

A  llegria  : 

«  Libiam  nei  lieti  calici»,  Traviata. 

«  In  Elvezia  non  v'ha  rosa  fresca  e  bella  al  par  d'Alina  »,  Son- 
nambula. 
«Sempre  libera  degg'io  folleggiar»,   Traviata. 
«  La  vaga  pupilla  »  (coro  di  contadini),  Faust. 

Contentezza  trepida: 

«Rivedrò  le  foreste  imbalsamate»,  Aida,  Verdi. 

Grido  passionale: 

«Amami,  Alfredo»,  Traviata. 

«  Era  desso  il  figliuol  mio  »,  Lucrezia  Borgia. 

A  ngoscia  : 

«  Mio  figlio,  ridate  a  me  il  mio  figlio  »,  Lucrezia  Borgia. 
«  Infelice,  il  veleno  bevesti  ». 

Minaccia: 

«  Bada,    Santuzza,   schiavo    non    sono  »,    Cavalleria    Rusticana. 

Motivo  seducente: 

«La  calunnia  è  un  venticello».  Barbiere  di  Siviglia. 
«  La  Piovra»,  Iris 


Pace  e  gioia  sia  con  voi  »,  Barbiere  di  Siviglia. 
Grazie  al  ciel,  per  una  serva»,  Fra  Diavolo. 


/ 


1  Permettereste  a  me  »,  Faust. 
Che  gelida  manina,  se  la  lasci  riscaldare».  Bohème,  Puccini. 


PARTF.    SECONDA 


Ah  perchè  non  posso  odiarti,   iufedol,  com'io  vorrei»,  Son- 
ttavibula. 


Mite  dolore  di  sacrificio: 

«  Vecchia  zimarra,  senti  »,  Bohème.  Puccini. 


Romanze  di  Mendelson. 
Musica  di  Mozart. 
Musica  di  Chopin. 

D)  Canzoni  e  danze  regionali  popolari. 


I 


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mm 


Tavola  LII   (pag.   489). 


Tavola   LUI   (pag.  489). 


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Materiale  per  lo  studio  delle  «  scale  maggiori  > 


Taxcia   L\'.  —   Il  monocorde  (pag.   492). 


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ixoi.A   LVI.   —  Canne  metalliche   a  flauto  (pag.   493). 


Tavola  LVII.  —  Bambina  nell'atto  di  eseguire  un  esercizio  per 
l'analisi  della  battuta  camminando  sul  filo  (Scuola  Montes- 
sori  di  Barcelona,  Spagna)  (pag.  503). 


Tavola   LVIII.   ~   11  sistema  dei  campanelli 


LO    STUDIO    DELLA   METRICA 

NELLE  SCUOLE   ELEMENTARI 


Uno  degli  studii  originali  che  è  stato  fatto  nel  nostro  esperimento,  fu 
quello  della  metrica,  finora  riservato  solo  alle  scuole  secondarie. 

L'amore  che  i  bambini  hanno  per  la  poesia,  e  la  loro  squisita  sensibilità 
al  ritmo,  mi  fecero  pensare  che  le  radici  naturali  della  poesia  potevano  tro- 
varsi nei  bambini.  Per  questo  io  accennai  alla  signorina  Maria  Fancello. 
professoressa  di  letteratura  e  mia  collaboratrice,  di  tentare  questo  studio. 
Essa  si  mise  all'impresa  con  bambini  di  differente  età:  e,  dietro  la  mia  guida, 
fu  possibile  scoprire  un  campo  di  educazione  altamente  interessante,  che  ten- 
derebbe a  dare  al  popolo,  il  quale  si  prepara  nelle  scuole  elementari,  una  base 
letteraria  e  insieme  una  fonte  di  godimento  atta  a  elevarlo  intellettualmente. 

Un  popolo  capace  di  gustare  la  poesia,  di  giudicare  della  bellezza  del 
verso,  e  quindi  di  mettersi  a  contatto  con  l'anima  dei  maggiori  poeti,  sa- 
rebbe un  popolo  del  tutto  diverso  dal  nostro.  Esso  ci  farebbe  pensare  alle 
genti  della  favola  antica,  che,  parlando  in  poesia  e  muovendosi  al  ritmo, 
preparavano  con  la  gentilezza  una  civiltà  immortale. 

Non  sarebbe  il  caso  di  riportare  qui^er  disteso  tutti  i  tentativi  fatti 
in  questo  esperimento:  ma  basti  riassumerne  i  risultati,  che,  come  indirizzo 
e  come  materiale,  potrebbero  essere  utilizzati  da  altri. 


Quando  i  bambini  sono  alquanto  avanzati  negli  esercizi  di  lettura,  la 
poesia,  che  già  fino  dalla  Casa  dei  Bambini  tanto  li  attraeva,  può  diven- 
tare un  materiale  che  soddisfa  in  parte  la  loro  insaziabile  volontà  di  leggere. 

È  un  passo  assai  facile  quello  di  offrire  loro  delle  poesie  a  strofe  di  varia 
lunghezza,  divise  in  modo  assai  visibile  l'una  dall'altra;  e  di  far  contar  i 
versi,  insegnando  le  due  nuove  parole  «  strofa  »,  «  verso  ».  È  un  riconosci- 
mento di  «  oggetti  »  che  ricorda  un  poco  il  primo  esercizio  di  lettura,  quando 
i  bam.bini  mettevano  un  noìne  sulle  cose:  ma  lo  ricorda  in  modo  ridotto; 
e  nel  tempo  stesso  c'è  l'esercizio  di  contare  i  versi:  è  quasi  un  esercizio 
riassuntivo  di  primitiva  semplicità. 


3.'b  PARTE   SECONDA 

Contati  i  versi,  potranno  distinguersi  poi  le  strofe  secondo  il  numero 
di  essi  in:  terzine,  quartine,  mestine,  ottave,  ecc.  Tale  esercizio  non  rap- 
presenta che  una  «  messa  in  posizione  »  per  prendere  lo  slancio. 

Ecco  il  secondo  passo  che  subito  segue:  riconoscere  e  notare  le  rime 
uguali,  sottolineandole  sul  foglio  stesso  con  un  lapis  colorato:  ad  ogni  rima 
diversa  usare  un  colore  diverso. 

Questo  esercizio  è  graditissimo  a  piccoli  bambini  di  sette  anni:  ma  già 
diventa  un  esercizio  troppo  semplice  e  privo  d'interesse  per  bambini  di 
otto  o  nove  anni:  nel  compierlo,  bambini  di  sette  e  di  dieci  anni  impiegano 
presso  a  poco  lo  stesso  tempo.  (È  forse  utile  notare  come  questi  esercizi 
si  mostrano  tests  impareggiabili  di  esattezza  per  la  misura  del  tempo  di 
lavoro).  L'interesse  nel  piccolo  bambino,  e  la  mancanza  d'interesse  nel  grande, 
producono  questo  pareggiamento. 

Già  i  bambini  di  otto  anni,  appena  segnate  le  rime  coi  lapis  colorati, 
(anno  un  lavoro  più  complesso:  contrassegnano  con  lettere  d'alfabeto  le 
rime  uguali:  es,  :  aa,  bb,  ce,  ecc. 

Mettendo  a  sinistra  i  numeri  ordinativi  contrassegnanti  le  rime  delle 
strofe,  si  ha  sul  foglio  il  lavoro  seguente: 

1°  Rondinella  pellegr««a  a 

2°  Che  ti  posi  sul  verone  b 

3"  Ricantando  ogni  mattma  a 

4°  Quella  flebile  canzone  b 

5°  Che  vuoi  dirmi  in  tua  fave/Za  e 

6°  Pellegrina  rondinella}  e 

Rimane  evidente  così  la  differenza  tra  rime  alternate  e  rime  baciate; 
e  la  morfologia  della  strofa  già  apparisce  con  chiarezza. 


Ripetendo  la  lettura  dei  versi,  allo  scopo  di  riconoscere  le  rime,  i  bambini 
accennano  all'accento  del  verso,  in  modo  spontaneo.  Ciò  è  conosciuto;  anzi 
le  maestre,  nell'insegnamento  comune,  si  s|brzano  di  «  correggere  la  canti- 
lena »  che  i  bambini  fanno  leggendo  i  versi.  Questa  cantilena  è  appunto 
l'accentuazione  del  ritmo  poetico. 

Un  giorno,  un  bambino,  dopo  aver  letto  per  lungo  tempo  dei  versi  de- 
casillabi, mentre  aspettava  nel  corridoio  della  scuola  il  momento  di  uscire, 
si  mise  a  passeggiare  facendo  dietro  front  ad  ogni  tre  passi  e  dicendo  forte: 
«  tatatà,  fatata,  tatatàtta  »  dietro  front,  e  poi:  «  fatata,  fatata,  tatatàtta  »  e 
battendo  ad  ogni  passo  l'aria  col  pugno.  Il  bambino  rispondeva  col  movi- 
mento al  ritmo  del  verso,  così  come  potrebbe  corrispondersi  al  ritmo  della 
musica.  Ed  era  una  «  ginnastica  ritmica  »  a  interpetrazione  perfetta,  dove 


LO   STUDIO    DELLA   METRICA   NELLE   SCUOLE    ELEMENTARI  527 

il  pugno  marcava  i  tre  accenti  del  decasillabo,  e  il  dietro  front  il  «verso» 
cui  corrispondeva  il  «  voltarsi  »  per  tornare  indietro. 

Arrivati  a  una  tale  educazione  sensoriale,  rimane  facile  pei  bambini 
segnare  gli  accenti.  Prepariamo  allo  scopo  dei  fogli  ove  le  poesie  sono  scritte 
in  modo  assai  chiaro;  i  bambini  segnano  con  un  nitido  accento  la  lettera 
su  cui  l'accento  ritmico  cade.  Il  materiale  deve  essere  preparato  con  ordine. 

L'esperienza  ci  ha  dimostrato  che  r  bambini  riconoscono  prima  l'accento 
nei  versi  lunghi  e  parisillabi,  in  cui  gli  accenti  siano  regolari  e  ben  mar- 
cati; e  passano  a  riconoscere,  nelle  loro  graduali  difficoltà,  gli  accenti 
secondo  il  seguente  ordine: 

1°  decasillabi:  esempio: 

S'ode  a  dèstra  uno  squillo  di  trómba;  (i) 
A  sinistra  rispónde  uno  squillo: 
D'ambo  i  lati  calpésto  rimbomba 
Da  cavalli  e  da  fanti  il  terrén. 
Quinci  spùnta  per  l'aria  un  vessillo; 
Quindi  un  altro  s'avanza  spiegato: 
Ecco  appare  un  drappèllo  schierato; 
Ecco  un  altro  che  incóntro  gli  vièn. 

(Manzoni,  La  battaglia  di  Maclodio). 
2°  dodecasillabi:  esempio: 

Ruéllo,   Ruèllo,  divora  la  via. 
Portateci  a  vólo,  bufère  del  cièl. 
È  prèsso  alla  mòrte  la  vèrgine  mia, 
Galoppa,  galoppa,  galoppa,   Ruél. 

(Prati,  Galoppo  notturno). 
3°  ottonari:  esempio: 

Solitàrio  bosco  ombróso, 
A  te  viene  afflitto  cor. 
Per  trovar  qualche  ripòso 
Fra  i  silènzi  in  quest'orjór. 

(Rolli,  La  lontananza). 
4°  senarì:  esempio: 

Pur  baldo  di  spème 
L'uom,  ùltimo  giùnto, 
Le  céneri  prème 
D'un  móndo  defunto; 
Incalza  di  sècoli 
Non  anco  maturi 
I  fùlgidi  augùri. 

(Zanella,  La  conchiglia  fossile). 


(1)  Sono  qui  stampate  in  carattere  grassetto  le  vocali  su  cui  il  bambino  ha  segnato 
con  unfaccento  ben  marcato  la  percussione  ritmica. 


528  PARTE   SECONDA 


Invece  negli  imparisillabi  le  difficoltà  sono  maggiori  nei  versi  lunghi  e 
specialmente  neW endecasillabo,  che  è  una  composizione  di  settenari  e  quinarii 
uniti  insieme  e  tutti  e  due  variabilissimi. 

Le  difficoltà  presentarono  questa  gradazione: 

1°  settenarii:  esempio; 

(.ila  riédo   Primavèra 
Col  suo  fiorito  asi^étto. 
Già  il  grato  zéttìrétto 
Scherza  fra  l'èrbe  e  i  fior. 

(Metastasio.   ì'niiiaveta). 

2°  quinarii:  esempio: 

Vivace  simbolo 
De  la  famiglia, 
Le  die  la  trèmula 
Madre  a  la  figlia. 
Le  die  la  suòcera 
Buòna  a  la  nuòra 
Ne  l'ùltim'òra. 

(Mazzoni.  Per  un  mazzo  di  chiavi). 

3°  novenarii:  esempio: 

Te  triste!  Che  a  valle  ti  aspettano 

I  giórni  di  càntici  privi; 

Oh  nò,  non  dai  mòrti,  che  t'amano,  .^ 

Ti  guarda,   fratèllo,  tlai  vivi. 

(Ca\'allotti,  Su  in  alto). 

4"  endecasillabo:  esempio: 

Per  me  si  va  nella  città  dolènte 
Per  me  si  va  nell'etèrno  dolóre 
Per  me  si  va  tra  la  perduta  gènte. 

(Dante,  La  Divina  Commedia,  Ini.). 

Insieme  a  questi  versi,  come  variazione  e  curiosità  più  che  come  difficoltà, 
i  bambini  possono  riconoscere  i  loro  corrispondenti  versi  tronchi  o  sdruccioli, 
i  quali  perciò  possono  offrirsi  come  materiale  insieme  a  quello  dei  versi  piani. 
Esempio  : 

quinarii  piani  e  sdruccioli  alternati  : 

In  cima  a  un  àlbero 
C'è  un  uccellino 
Di  nuòvo  gènere... 
Che  sia  un  bambino? 

(L.  ScHWARZ,   Uccellino). 


LO    STUDIO    DELLA   METRICA   NELLE   SCUOLE    ELEMENTARI  529 

decasillabi  interi  e  tronchi  alternati: 

Lungi,  lungi,  su  l'ali  del  canto 
Di  qui  lungi  recare  io  ti  vó": 
Là,  ne  i  campi  fioriti  del  santo 
Gange,  un  luògo  bellissimo,  io  so. 

(Carducci,  Lungt.  lungi). 

Invece  presenta  una  difficoltà  ulteriore  la  poesia  che  ha  versi  pari- 
sillabi e  imparisillabi  alternati:  tuttavia  questa  difficoltà  è  accettata  con 
vera  festa  dai  bambini  che  sentono  di  percepire  una  nuova  musica.  Spesso, 
dopo  il  piacevole  sforzo  di  aver  studiato  una  poesia  a  versi  alternati,  i 
bambini  scelgono  come  «  lavoro  di  riposo  »  lo  studio  di  versi  tutti  uguali 
parisillabi. 

Esempio  di  versi  misti: 

Eran  trecènto,  eran  gióvani  e  fòrti, 
E  sono  mòrti! 

-    Me  ne  andavo  al  mattino  a  spigolare 
Quando  ho  visto  una  barca  in  mezzo  al  mare: 
Era  una  barca  che  andava  a  vapóre, 
E  alzava  una  bandièra  tricolóre. 
All'isola  di  Ponza  s'è  fermata, 
È  stata  un  pòco  e  pòi  si  è  ritornata; 
S'è  ritornata  ed  è  venuta  a  tèrra: 
Sceser  con  l'armi,  e  a  noi  non  fècer  guèrra. 

{Prati.  La  spigolatrice  di  Sapri). 


Contemporaneamente  allo  studio  degli  accenti,  e.  come  un  esercizio 
«  facile  »  o  «  di  riposo  »  si  può  far  rilevare  e  segnare  la  cesura  nei  metri 
latini  e  la  pausa  nei  versi  italiani  doppi.  In  questo  lavoro  i  bambini  mo- 
strano uno  straordinario  interesse:  moltiplicando  gli  esercizi  e  prolungando  il 
lavoro,  anziché  dare  segni  di  stanchezza,  essi  sembrano  crescere  in  gioia  e 
floridezza.  Una  bambina,  in  sei  minuti  primi,  segna  la  pausa  in  settantasei 
dodecasillabi  senza  commettere  nessun  errore.  Per  questo  il  materiale  deve 
essere  molto  abbondante.  Esempio: 

Dagli  atri  muscosi,  |  dai  fori  cadenti. 
Dai  boschi,  dall'arse  |  fucine  stridenti 
Dai  solchi  bagnati  |  di  servo  sudor, 
Un  volgo  disperso  |  repente  si  desta 
Intende  l'orecchio,  |  solleva  la  testa 
Percosso  da  novo  |  crescente  rumor. 

{Manzoni,   Italiani  r  Longobardi). 


l'AKTE    SECONDA 


È  un  p;issapgio  puramente  sensoriale  quello  di  percepire  le  «  sillabe  del 
voi-so  »:  (^  rome  segnare  il  tempo  della  musica,  senza  tener  conto  della  battuta. 
Sillabando  secondo  il  ritmo,  e  battendo  con  le  dita  sul  tavolino,  si  possono  rico- 
noscere anche  le  sillabe  ritmiche  più  difficili  (con  dieresi  e  sinalele).  Esempio: 
l-.i  I  so  I  ninia  |  sa  |  pi  |  en  |  za  e  "I  |  pri  |  mo  A  |  ino  |  re 

Onesto  verso  è  riportato  qui  perchè  un  bambino  stesso  lo  ha  diviso  nel 
modo  suddetto,  nel  suo  primo  tentativo  spontaneo  di  sillabazione.  Ma  il 
materiale  va  presentato  normalmente  per  ordine  di  difficoltà,  cioè  ricomin- 
(iando  col  materiale  già  usato  per  gli  accenti.  In  tal  modo  anche  gli  accenti 
acquistano  un  nuovo  interesse,  perchè  si  riconosce  «  su  quali  sillabe  essi  ca- 
dono «:  e  lo  studio  metrico  si  viene  così  completando. 

Ne  risulta  una  facile  applicazione  di  nomenclatura:  versi  dodecasillabi, 
endecasillabi,  decasillabi,  ecc. 

La  semplice  osservazione  fa  giungere,  dopo  ciò,  i  bambini  alla  scoperta 
delle  leggi  ritmiche  del  verso.  Noi  pensavamo  che  essi  potessero  scrivere  da 
sé  così,  per  esempio:  i  versi  dodecasillabi  hanno  dodici  sillabe  e  quattro 
accenti  che  cadono  sulla  2»,  sulla  5»,  sulla  8»  e  sulla  11»  sillaba,  ecc.  Ma  in- 
vece il  moto  spontaneo  dei  bambini  fu  di  comporre  degli  specchi,  nei  fogli 
quadrettati,  come  il  seguente: 


1    1    2    ,    3    ,    4    1    5    ,    6    ,    7    1    8    1    9    1  10   1  n 

"i-w 

Decasillabo  piano 

i         h'i 

16. 

i           9'  ' 

:  1 

»           tronco 

i           3»  1                   6»  i        1           9» 

1 

1        1 

1     ! 

i  i 

i 

1    1    i    i         i 

1 

Ottonario  piano 

1        1 
i         1  3»  1         i 

ìt-I 

»         tronco 

3.      1    1 

^1    i 

1 

1 

i    1 

ì           1           ; 

1        ,        : 

i 

i 

1     i 

1 

Dodecasillabo  piano 

2M        i        i  5» 

8" 

II» 

•           tronco 

1  2» 

1    I5. 

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II» 

II.;        Il 

1 

1 

1 

1     j 

1 
1 

LO   STUDIO  DELLA   METRICA    NELLE   SCUOLE    ELEMENTARI 


531 


Bastò  quindi  accennare  ai  segni  che  si  usano  per  la  grafia  metrica,  perchè 
bambini  componessero  con  la  più  grande  facilità  i  quadri  grafici.   Esempì: 


Ottonario                     j    1 

2    1    3    1    4    1    5    j    6 

,j. 

9    {   10  1   11   [   12      13 

H-'-hM- 

>  1  ^ 

1                   1 

Il  ritorno  in  Italia 
dopo  la  battaglia 

di  Marengo. 

'"^11  — 

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1         1          1         1 

^  ^  1  ,  U  '  ^  1  ^  ;  .  1  ^ 

ì         1 

La  Lontananza. 

~^\-\-\-\-\'^ 

1       ! 

^  ^l^l^i^l^l^l^ 

1        !         1        1 
1        1        1 

1  -      1     1     1  -  ì 

'   1   ! 

1   !   !   !   1    ì 

MI! 

Decasillabo 

1 

2 

3 

,|s 

6 

7 

8        9 

10 

» 

12 

13 

La  Passione. 

' 

— 

-     - 

-h 

"^      -1 

-- 

- 

JL 

j. 

- 

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- 

1   1 

1 

1 

Il  giuramento  di 
Pontida. 

- 

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1 

1 

1 

La  Battaglia  di 
Maclodio. 

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1 

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1 

_.. 

1 

Lungi,  lungi,  ecc. 

- 

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5iJ  PARTI-:    SKCdNDA 

Dopo  questo,  ò  un  si-niplicc  riassunto  lo  studio  completo  dolio  strofe: 
segnare  in  esse  i  versi,  le  rime,  gli  accenti,  le  sillabe;  distinguerle,  perciò, 
e  classificarle  diventa  un  lavoro  piacevole. 

Una  bambina,  mentre  stava  eseguendo  questo  lavoro  riassuntivo  su 
quattro  terzine  di  Dante,  chiama  la  maestra  per  dirle  con  stupore;  «  \'ede,  si- 
ijntirina,  dove  sta  l'ultimo  accento,  comincia  la  rima!  ». 

Per  me  si  va  nella  città  dolènte: 
Per  me  si  va  nell'eterno  dolóre; 
Por  me  si  va  tra  la  perduta  gènte. 

Giustizia  mosse  il    mio    aito  fattóre,' 
Fecemi  la  divina  Potesta/i-, 
La  somma  Sapienza  e  il  prinKj  amóre. 

Dinanzi  a  me  non  far'  cose  create... 

(Dante,  La   Divina  Commedia). 

Così  anche  in  questo  studio  i  bambini,  seguendo  le  orme  della  loro 
formazione,  sono  passati  dall'esercizio  sensoriale  alla  conoscenza  intellet- 
tuale e  alla  rappresentazione  grafica:  e  diventano  poi  gli  «  esploratori  del- 
l'ambiente »,  che  fanno  la  «  scoperta  »  delle  leggi. 


ALLEGATI 


Allegato  I. 

METODO   MONTESSORI 


CARTELLA 

PER    LO    STUDIO    INDIVIDUALE 

DEL   BAMBINO 


PARTE    SECONDA  337 


Ordinamento  Generale  della  scuola  che  11  bambino  frequenta -Anno  i9i    -19i 


Orario 

Vacanze     

Insegnamenti 


Refezioni 
Personale  dirigente 


Indirizzo 


^ 

Locali 

Rapporti  col  pubblico  e  con  le  famiglie 


5.ìS 


Generalità  sul   Bambino 


Cognome  e  Nome 

Data  di  Nascita 

Data  della  presentazione 

Età  dei  genitori  P.  M. 

Professione  dei  genitori 

P. 

M. 
Abitazione 
Antecedenti  personali  del  bambino 


Aspetto  del  bambino 
Note  sulla  famiglia 


539 


Data  annuale   191     -191 


Nome 


Data  di  Nascita 


Giorno  del  principio 


6    I 


j:  3  - 

IH 


Note    sullo   sviluppo   fisico 


540 


PARTE    SECONDA 


Data  annuale  191     -191 


Nome 

Giorno 

di  nascita 

Mese 

Statura  (m.) 

Note 

SeUcmbrc.          .     . 

Otiobre.     .     . 

Novembre.      . 

- 

Gennaio    ... 

Febbraio  .... 

Marzo 

A  prile 

Maggio     .... 

Giugno      .... 

Luglio 

Agosto 

Data  annuale   191     -191 


Nome 

Giorno  di  Nascita 

Mese 

Peso  in  Kg. 

1'   Settimana                   2'    Settimana 

3'   Settimana                   4*   Settimana      , 

Settembre 

Ottobre 

i 

■      ■    1 

Novembre      .... 

Dicembre 

Gennaio 





Febbraio 

Marzo 

Aprile 

Maggio 

Giugno     

Luglio 

i 
i 

Agosto         .        :        .        .        . 

i 

\ 


Cognome  e  Nome 
Anno  191     -191 


Diario  Psicologico 


344 


PARTE   SECONDA 


Diario 

|s! 

1 

1^>1 

M.sf 

iliOTHO 

543 


Guida  alle  osservazioni  psicologiche 


LAVORO 

Notare  quando  un  bambino  comincia  a  restare  costantemente  a  un  lavoro. 

Quale  lavoro  e  quanto  tempo  vi  persiste  (lentezza  nel  portarlo  a  termine 
o  ripetizione  dello  stesso  esercizio). 

Particolarità  individuali  nell'applicazione  ai  singoli  lavori. 

A  quali  lavori  sucressi\  amente  si  applica  nello  stesso  giorno  e  con  quale 
costanza. 

Se  ha  periodi  di  laboriosità  spontanea  e  per  quanti  giorni. 

Come  manifesta  il  bisogno  di  progredire. 

Quali  lavori  sceglie  nella  loro  progressione,  rimanendovi  con  persistenza. 

Persistenza  malgrado  stimoli  che  nell'ambiente  tenderebbero  a  distrarre 
la  sua  attenzione. 

Se  avviene  che  dopo  una  distrazione  forzata    riprenda    un    lavoro   che 


gli  fu  fatto  interrompere. 


CONDOTTA 


Notare  lo  stato  di  ordine  o  di  disordine  negli  atti  del  bambino. 
Suoi  atti  disordinati. 

Notare  se  ci  sono  cambiamenti  della  condotta  durante  lo  svolgersi   dei 
fenomeni  del  lavoro. 

Notare  se  nello  stabilirsi  dell'ordine  negli  atti  ci  sono  : 

crisi  di  gioia; 

stati  di  serenità; 

manifestazioni  di  affettività. 
Parte  che  i  bambini  prendono  allo  sviluppo  dei  compagni. 

OBBEDIENZA 

Notare  se  il  bambino  corrisponde  agi'  inviti  quando  è  chiamato. 
Notare  se  e  quando  il  bambino  comincia  a  prender  parte  ai  lavori  altrui 
con  intelligente  sforzo. 

Notare  lo  stabilirsi  dell'obbedienza  alle  chiamate. 

Notare  lo  stabihrsi  dell'obbedienza  ai  comandi. 

Notare  quando  il  bambino  manifesta  l'obbedienza  con  desiderio  e  gioia. 

Notare  i  rapporti  dei  vari  fenomeni  dell'obbedienza  nei  suoi  gradi. 

a)  con  lo  sviluppo  del  lavoro; 

b)  coi  cambiamenti  della  condotta. 


Anno  191     -191  Sigli 


Inchieste  Private 


548  PARTE    SECONOA 

Anno   191     -191  Sigla 

Inchiesta  Biologica 

Genitori  : 

Età  in  cui  i  genitori  contrassero  matrimonio  

Se  i  genitori  sono  p^jrenti  . 

Loro  malattie  

Bambino  : 

Se  la  gravidanza  e  il  parto  relativi  al  bambino  furono  normali 

Se  ci  fu  allattamento  materno,  artificiale  o  mercenario 
Stato  di  salute  del  bambino  nel  primo   anno  di  età 
Malattie  sofferte  dal  bambino  in  tutto  il  resto  della  sua  vita  . 
A  che  epoca  mise  i  denti,   camminò  e  parlò 


Anno  191     -191 


Sigla 


Inchiesta  Sociale 


Padre 
Madre 


profeuione 


Hanno  in  famiglia  l'abitudine  di  segnare  le  spese? 
Abitudini  di  famiglia  (divertimenti  -  vita  domestica) 


Numero  delle  persone  componenti  la  famiglia  (quanti  adulti  e  quanti  bambini) 

Hanno  persone  di  servizio  ? 

Quante  persone  della  famiglia  guadagnano  ? 

Hanno  beni  di  fortuna  ? 

Fanno  subaffitti  ? 

Possono  riuscire  a  tenere  la  casa  in  ordine  ? 


550  PARTE    SFXONDA 


Anno  191     -191  Sigli 


Guida  per  I*  Inchiesta  /borale 


Criteri  di  lode  e  di  vanto  in  famiglia  -  (notare  ciò  di  cui  si  vantano:  reli- 
giosità, patriottismo  o  il  contrario  di  ciò  -  laboriosità,  affettività,  onestà 
-  lusso  -  gentilizio  -  beneficenza  -  carità  -  indipendenza,  ecc.).  Sui 
rapporti  sociali  tra  marito  e  moglie  (diritti  -  privilegi  -  uguaglianza). 
Titoli  di  speciale  merito  a  vantaggio  dei  membri  della  famiglia  (medaglie  - 
atti  di  coraggio  -  decorazioni  -  singolarità). 

Criteri  di  biasimo  e  di  scusa  -  (ciò  di  cui  si  lamentano  a  carico  di  i  membri 
della  famiglia:  bevitori,  mancanza  di  affettività,  giuoco  -  mancanza 
di  religione  -  di  disciplina  -  di  sottomissione  alle  autorità  -  spreco  - 
ozio  -  matrimoni  inferiori). 

Criteri  educativi  in  famiglia  -  (Quale  concetto  si  fanno  i  parenti  dell'edu- 
cazione :  severità  -  dolcezza  -  premi  -  castighi  -  collaborazione  della 
coscienza  infantile  -  libertà  dei  bambini  e  in  che  modo  intesa). 

Giudizio  materno  sul  bambino 

Cure  che  si  prestano  al  bambino  e  quali  diritti  gli  si  riconoscono. 


Allegato  II. 


RIASSUNTO    DELLE    LEZIONI    DI    DIDATTICA 

date  in  Roma  nella  Scuola  Magistrale  Ortofrenica 

ranno  1900 (0 


«  quella  del  sistema  nervoso  e  dei  sensi;  da  quella  dei  sensi  alle  nozioni;  dalle  na/ 
«  zioni  alle  idee;  dalle  idee  alla  moralità:  tale  è  la  via  educativa  percorsa  da 

SÈGUIN  ». 

Prima  però  di  cominciare  l'educazione  è  necessario  «  preparare  «  il  bambino 
a  riceverla,  con  un'altra  educazione,  che  oggi  tende  ad  assumere  altissima  impor- 
tanza, che  deve  essere  il  piano  sul  quale  edificheremo  tutta  l'altra  educazione,  e 
sul  quale  essa  dovrà  portare  i  suoi  frutti.  Voglio  dire;  l'educazione  igienica,  che 
nei  fanciulli  deficienti  assume  talvolta  il  significato  di  educazione  medica. 

Perciò  il  metodo  educativo  dei  deficienti  si  chiama:  medico-pedagogico. 


Voi  che  sapete  l'importanza  delle  sensazioni  interne,  dei  sentimenti  dal  lato 
educativo,  comprenderete  che  è  necessario  che  l'organismo  funzioni  bene  per  corri- 
spondere ai  nostri  sforzi  educativi,  è  quindi  necessario  mantenere  il  benessere  se 
esiste,  ristabilirlo  se  manca. 

Ecco  la  necessità  di  badare  bene  alla  nutrizione  e  allo  stato  dei  visceri.  Voi  sa- 
pete la  corrispondenza  che  passa  tra  la  sensibilità  generale  e  il  sentimento  morale; 
i  delinquenti,  le  prostitute,  hanno  scarsa  sensibihtà,  dolorifica  e  tattile:  così  avviene 
spesso  nei  deficienti;  onde  la  necessità  di  risvegliajre  con  opportuna  cura  igienica 
questo  senso.  Così  non  si  potranno  educare  i  muscoli  a  un  dato  movimento  coordi- 
nato, se  essi  sono  alterati  nella  loro  funzionalità:  paresi,  ecc.;  e  dovrà  precedere  alla 
educazione  propriamente  detta,  una  cura  medica  che  li  ristabilisca,  possibilmente, 
nella  loro  integrità. 

Sarà  impossibile  educare  i  sensi,  p.  es.  l'udito,  se  un  fatto  patologico  dà  una  sor- 
dità parziale,  l'odorato  se  l'escrezione  soverchia  di  muco  impedirà  agli  stimoli  esterni 
di  colpire  le  terminazioni  nervose  sensoriali,  ecc.,  e  dovrà  prima  una  cura  medica 
allontanare  questi  stati  morbosi. 


(I)  Riassuitto  delle  lezioni  di  didattica  dellu  Pro'.ssa   .ìf.i 
Romano,  via  Frattina  62,   Roma. 


352  PARTE    SECONDA 


EDUCAZIONE   MEDICA. 


Haghi  gt-nfraii:  sviluppanci  la  sfiisihilità  dclk-  pa|)illc  ncivosc,  sf  scino  bie\i; 
danno  tono  ai  tessuti  oellnlari  o  muscolari,  in  particohir  modo  alla  polle. 

CaUi  f  freddi  ;Utornati:  è  un  mozzo  educativo  jiotonte  por  richiamare  l'attenzione 
dcJ  bambino  sull'ambiente  esterno. 

Hagni  caldi  parziali:  si  fanno  su  regioni  poco  sensibili,  onde  svilupiiarc  la 
sensibilità  —  es.:  mani,  so  riesce  impossibile  l'educazione  tattile;  piedi,  se  il  difetto 
d'equilibrio  nella  stazione  eretta  e  nella  deambulazione  proviene  da  mancata  sensi- 
bilità plantare. 

Bagno  freddo  parziale:  sulla  testa,  mentre  l'individuo  è  immerso  nel  bagno 
totale  tepido:  è  un  tonico  del  cuoio  capelluto,  facilita  il  ravvicinamento  delle  ossa 
del  cranio  e  la  formazione  d'ossa  wormiane,  evita  le  congestioni  cerebrali;  attiva 
e  regolarizza  la  circolazione  cerebrale.  È  specialmente  ùtile  negli  idrocefalici,  e 
nei  microcefali;  ma  tutti  ricavano  benefizio  da  questo  bagno  che  ò  tra  tutti  l'ec 
celiente. 

Bagni  a  vapore:  sviluppano  la  traspirazione,  che  a  volte  manca  o  è  parziale 
nei  deficienti,  portando  perciò  gravi  disturbi.  Questi  bagni  inoltro  predispongono 
le  terminazioni  nervose  alla  più  alta  sensibilità. 

Sono  però  sempre  controindicati  simili  bagni  negli  epilettici,  noi  bambini  ca- 
chettici, pallidi,  rachitici. 

In  genere  si  usano:  i  bagni  a  vapore  parziali:  nelle  mani  e  noi  piedi  più  special- 
mente; anche  nella  lingua.  /  bagni  freddi  generali:  nei  casi  di  sovreccitazione:  iperat- 
tività  motoria;  eccessiva  sensibilità  dolorifica  e  tattile.  Si  devono  accompagnare 
questi  bagni  con  continue  lozioni  fredde  sul  capo. 

Con  grandissima  utilità  possono  unirsi  ai  bagni:  le  frizioni  e  il  massaggio. 

Le  frizioni  si  fanno:  secche,  umide,  alcooliche,  aromatiche,  grasse. 

Queste   frizioni  si  fanno  parzialmente: 

a)  sulla  spina  dorsale,  evitando  possibilmente  la  regione  lombare  per  non 
provocare  eccitazioni  genesiche:  per  lo  più  frizioni  secche  con  una  pozza  di  flanella 
fino  all'arrossamento  della  pelle.  Sono  utilissimo  dopo  un  bagno  caldo  con  ablu- 
zione fredda; 

b)  sul  petto,  per  attivare  la  respirazione; 

e)  sul  ventre,  per  correggere  alcuni  stati  morbosi  intorni:  è  meglio  però  usare 
il  massaggio; 

d)  sugli  arti,  efficacissime  le  frizioni  aromatiche  od  alcooliche. 

Con  efficacia  grandissima  si  fa  seguire  alla  breve  frizione  alcoolica  o  aromatica, 
il  massaggio  sul  ventre  e  negli  arti. 

Il*massaggio  sul  ventre,  attiva  la  circolazione  intestinale  e  stimola  o  regolarizza 
i   movimenti  delle  tonache  muscolari  degli  intestini. 

Sui  muscoli  degli  arti,  il  massaggio  agisce  in  modo  sorprendente:  va  a  colpire 
le  fibre  muscolari  nell'intima  loro  struttura  e  lo  mette  in  movimento;  regolarizza 
la  funzione  muscolare  facendo  perdere  l'eccessiva  contrattilità  o  facendo  acquistare 


ALLEGATI  553 

la  contrattilità  manrante.   I  muscoli  emaciati  si  rigenerano;  le  masse  muscolari  si 
sviluppano  rigogliose;  mentre  i  tessuti  grassi  si  riassorbono. 

Il  bagno  ripetuto  anche  più  volte  al  giorno,  le  frizioni  e  il  massaggio,  hanno 
compiuto  dei  veri  miracoli  di  rigenerazione  fisica. 


ALIMENTAZIONE. 

I  disturbi  intestinali  hanno  diretta  influenza  sulla  funzionalità  del  sistema 
nervoso  centrale:  quindi  sono  degni  di  speciale  considerazione  nei  deficienti,  ove 
una  febbre  intestinale  può  dare  fenomeni  di  meningismo,  e  dove  un  disturbo  di  di- 
gestione, anche  afebbrile,  è  capace  di  produrre  degli  accessi  convulsivi. 

L'igiene  dell'alimentazione,  che  è  presso  a  poco  quella  stessa  dei  fanciulli  nor- 
mali, deve  essere  adunque  rigorosamente  osservata. 

Prima  norma  è  che  i  fanciulli  mangino  a  pasto  e  che  mai  negli  intervalli  intro- 
ducano sostanze  alimentari  nello  stomaco.  Per  lo  più  si  crede  che  un  confetto,  un  frutto 
dato  negli  intervalli  non  disturbi  la  dieta:  errore  grossolano  di  molte  madri,  che  sono 
in  tal  modo  causa  di  gravi  enteriti  nei  loro  figli. 

Tenere  i  bambini  a  pasto  vuol  dire  non  dar  loro  nulla  fuori  dei  pasti;  nulla,  cioè 
nemmeno  il  più  piccolo  confetto,  nemmeno  una  mollica  di  pane,  nemmeno  una 
goccia  di  latte.  Questo  rigore  darà  pure  abitudini  igieniche  al  bambino.  Bisogna 
regolare  il  numero  dei  pasti:  la  quantità  di  ognuno,  la  qualità  dei  cibi. 

Numero  dei  pasti: 
da  2  a  7  anni  quattro  pasti  al  giorno; 
da  8  a  14  anni  tre  pasti  al  giorno; 
fatti  a  ore  regolari,  e  seguiti  sempre  da  un  regolare  riposo  intelletluale  che  dovrà 
essere  preso  in  considerazione  da  chi  fa  gli  orari  delle  scuole. 

Merita  uno  studio  speciale  la  ricerca  di  quali  azioni  si  potranno  far  compiere 
ai  bambini  durante  la  digestione,  e  quali  organi  potranno  agire  mentre  lo  stomaco 
compie  il  lavoro  della  digestione.  È  bene  toghere  i  fanciulli  dalle  stanze  chiuse  ove 
essi  giuocano  sollevando  polvere,  e  mandarli  in  luoghi  aereati,  possibilmente  in  un 
giardino  o  in  un  boschetto  ricco  di  piante  aromatiche;  il  primo  lavoro  che  potrà  com- 
piere il  bambino  dopo  il  pasto,  sarà  una  breve  e  lenta  passeggiata  all'aria  aperta. 

Quantità.  —  La  quantità  sarà  regolata  in  modo  da  fare  i  pasti  eguali  a  due  a 
due  fino  a  7  anni,  due  pasti  grandi  e  due  merende.  Dopo  i  7  anni  una  merenda  e  due 
grandi  pasti.  Su  questo  non  mi  fermo. 

Qualità.  —  Pei  deficienti  sarebbe  utile  che  il  medico  ordinasse  di  giorno  in 
giorno  la  dieta  dopo  avere  esaminate  le  diarie  dell'infermeria,  come  si  fa  negli  ospe- 
dali. Poiché  la  qualità  nell'alimentazione  può  comprendere  in  sé  una  vera  e  propria 
cura  di  alcune  forme  morbose  e  di  alcuni  accessi  morbosi. 

Si  sa  che  nell'alimentazione  debbono  distinguersi  le  sostanze  riparatrici  dei  tes- 
suti, sostanze  veramente  nutritive,  e  altre  sostanze  che  hanno  invece  l'ufficio  di  ecci- 
tare i  tessuti,  e  queste  sono  le  sostanze  di  risparmio  (alcool,  caffè,  the,  ecc.). 

Fra  le  sostanze  nutritizie  propriamente  dette,  abbiamo  le  albumine,  i  grassi 
0  gli  idrati  di  carbonio,  sostanze  zuccherine,  amidacee  e  feculente.  Le  sostanze  grassa 
sono  le  meno  digeribili,  ma  danno  il  maggior  numero  di  calorie. 


554  PARTE    SECONDA 

È  noto  come  il  bilancio  della  alimentazione  si  misuri  da  quello  dell'albumina, 
che  è  l'alimento  por  eccellenza.  L'albumina  è  vegetale  e  animale;  quella  animale 
è  più  nutritiva,  più  facilmente  digeribile,  e  dà  più  calorie  che  quella  vegetale. 

Gli  alimenti  che  d.'inno  albumina  aninìale  sono:  il  latte,  le  uova,  la  carne. 

Quelli  che  danno  albumina  vegetale  sono  »  legumi.  Secondo  i  ceti  sociali  si  usa 
nutrire  i  bambini  fino  a  6  anni  coi  seguenti  alimenti  albuminati:  uova,  latte,  legumi. 
Dai  (1  anni  agli  8:  uova,  latte,  carne  di  pesce,  legumi.  In  seguito  si  dà  pure  carne 
di  pollo,  carne  di  vitello,  infine  carne  di  bue. 

Se  pei  bambini  normali  è  bene  usare  una  pana  alimentazione  carnea,  pei  defi- 
cienti è  desiderabilissima  un  ricca  alimentazione  di  carne  e  in  genere  dalbuiinna, 
come  in  tutte  le  persone  deboli,  che  debbono  ricostituirsi.  La  migliore  carne  da  uscire 
sarebbe  quella  ricca  di  sostanze  mucillaginose  e  di  zucchero,  come  si  trova  nei  vitelli 
e  in  generale  negli  animali  giovani.  Ma  l'alto  prezzo  di  questa  carne  non  ne  rende  pos- 
sibile l'uso  in  grande.  Oggi  si  trova  però  in  commercio  un'altra  carne  ricca  di  mucil- 
lagine,  di  zucchero,  altamente  nutritiva,  assai  bene  assimilabile  e  che  va  a  basso  prezzo: 
la  carne  di  cavallo,  .\nche  i  purées  di  legumi,  conditi  con  grasso,  burro  artificiale,  ecc.. 
sono  consigliabili  per  questi  bambini. 

Per  I  bambini  agitati  si  evitino  i  grassi,  gli  olì,  gli  acidi,  i  feculenti. 

Per  i  bambini  apatici,  a  digestione  torpida:  si  usino  condimenti  abbondanti 
e  tonici,  come  le  spezie  oramai  abolite  dalla  cucina  comune,  specialmente  pei  bambini, 
ma  che  dovrebbero  esser  rimesse  in  uso  in  un  istituto  di  deficienti,  anche  perchè  le 
spezie  si  possono  opportunamente  mischiare  a  sostanze  ferrugginose  delle  quali 
mascherano  il  sapore. 

Infine  si  regolerà  la  nutrizione  sullo  stato  deirindi\-iduo:  e  non  sarà  applicabile 
la  «  razione  di  collegio  ».  A  maggior  ragione  si  dica  questo  in  rapporto  alle 

Bevande.  —  Mentre  si  toglie  il  vino  dall'alimentazione  dei  bambini  niirmali 
fino  a  7  anni  e  si  evitano  le  sostanze  eccitanti  come  thè,  caffè,  ecc.,  invece  è  spesso  ne- 
cessario introdurre  queste  bevande  nell'alimentazione  dei  bambini  deficienti,  sempre 
però  nella  dieta  ordinata  giornalmente  dal  medico  ai  singoli  individui. 

Bambini  apatici,  a  digestione  lenta  atonica:  vino,  caffè  (//  caffè  sia  dato  durante 
il  pasto,  0  prima  del  pasto). 

Bambini  agitati:  latte  e  acqua:  dopo  il  pasto:  infuso  di  tiglio  zuccherato,  o  un 
leggero  infuso  di  foglie  d'arancio,  ecc. 

Una  speciale  educazione  occorre  per  far  imparare  ai  bambini  la  masticazione 
completa  e  la  deglutizione:  movimenti  degli  organi  della  masticazione  che  li  preparano 
in  parte  al  linguaggio. 

ESCREZIONI. 

Tra  le  irregolarità  fisiologiche  merita  una  considerazione  speciale  quella  che  ri- 
guarda le  escrezioni. 

Deiezioni.  —  Si  sa  che  molti  idioti  sono  chiamati  sudici,  e  di  questi  si  fanno  se- 
zioni speciali  negli  istituti:  i  sudici  hanno  perdite  involontarie  di  feci  e  di  urine,  come 
i  bambini  nella  prima  età  infantile.  Assai  spesso  quando  esiste  questo  difetto,  le  deie- 
zioni sono  liquide;  qualche  volta  nò.  Si  comprende  che  per  vincere  questo  difetto 


ALLEGATI  555 

è  necessario  un  duplice  ordine  di  mezzi:  il  primo  tende  a  regolarizzare  la  funzione 
intestinale,  rendendo  solide  le  feci;  il  secondo  a  rinforzare  gli  sfinteri  affinchè  possano 
trattenerle. 

Per  regolarizzare  la  funzione  intestinale  è  bene  osservare  rigorosamente  l'igiene  del- 
l'alimentazione riguardante  tanto  la  regolarità  dei  pasti,  quanto  la  masticazione  dei  cibi. 

Inoltre  è  bene  regolarizzare  il  tempo  della  defecazione  provocandola  a  intervalli 
legolari  sempre  più  lontani,  con  un  leggero  massaggio  e  con  frizioni  calde  o  aromatiche 
sul  ventre. 

Per  rmforzare  gli  sfinteri  si  usano  mezzi  ricostituenti  e  tonici  generali  (ferro, 
.stricnina)  e  tonici  locali,  come  semicupi  freddi,  a  doccia,  semicupi  elettrici,  ecc. 

Infine  mettendo  una  sonda  nell'orificio  anale,  af&nchè  questa  provochi  le  contra- 
zioni anulari  dello  sfintere  e  lo  abitui  all'azione  costrittiva. 

Urina.  —  È  noto  come  alcuni  bambini  deficienti  abbiano  il  difetto  di  perdere 
involontariamente  l'urina,  specialmente  di  notte,  fino  a  età  inoltrata.  I  predisposti 
all'epilessia  hanno  pur  questo  difetto.  La  cura  è  analoga  a  quella  del  difetto  prece- 
dentemente trattato.  Si  deve  badare  alle  bevande,  evitando  tutte  quelle  diuretiche 
e  non  dandone  nessuna  in  troppa  quantità.  Cura  ricostituente  generale:  doccie  locali, 
pulizia  rigorosa  onde  evitare  le  funeste  conseguenze  dell'onanismo. 

L'educazione  avrà  pure  gran  parte  nella  cura  di  questo  difetto:  si  farà  mingere 
il  bambino  di  tanto  in  tanto,  provocando  la  urinazione  con  l'incoraggiamento  della 
\oce  o  con  l'esempio,  lodando  assai  chi  compie  pulitamente  questa  funzione  naturale 
e  biasimando  chi  è  tutto  bagnato,  sudicio,  ecc.  È  poi  bene  far  mingere  regolarmente 
il  bambino  prima  che  si  corichi,  risvegliarlo  una  volta  o  due  durante  la  notte  e  pro- 
vocare la  minzione  il  mattino  allo  svegliarsi  spontaneo.  Spesso  questo  difetto  è  col- 
legato a  qualche  anomalia  della  escrezione  del 

Sudore.  —  Il  sudore,  che  ha  presso  a  poco  la  stessa  composizione  dell' arina,  è 
una  escrezione  lungamente  compensatrice  di  quella  renale.  Si  è  notato  che  spesso 
l'escrezione  del  sudore  o  manca  affatto  nei  deficienti  od  è  limitata  ad  alcune  regioni, 
come  le  pinne  del  naso,  le  palme  delle  mani,  ecc.  Necessita  assolutamente  provocare 
e  regolarizzare  in  tutta  la  superficie  del  corpo  questa  importante  escrezione;  e  ciò 
deve  farsi  coi  bagni  caldi,  coi  bagni  a  vapore,  con  le  frizioni  secche,  prolungate  e  fatte 
con  pezze  di  flanella  calde;  con  abiti  di  lana  permanentemente  aderenti  alla  pelle, 
e  simili  mezzi  meccanici.  Ma  si  deve  assolutamente  evitare  l'uso  di  speciali  sostanze 
diaforetiche,  che  spesso  potrebbero  recare  un  fatale"  indebolimento  dell'organismo: 
mentre  gli  altri  mezzi  su  menzionati  riescono  innocui  o  ricostituenti  e  risvegliano 
la  sensibilità  generale. 

Muco  nasale,  lacrime.  —  Spesso  mancano  queste  escrezioni  nei  deficienti;  talvolta 
l'escrezione  nasale  è  invece  abbondantissima  e  sostituisce  quella  lacrimale  che  manca 
'affatto  sì  che  il  bambino  arriva  ad  una  età  abbastanza  inoltrata  senz'aver  mai  pianto. 
In  tal  caso  la  scarsità  delle  lacrime  predispone  ad  alcune  malattie  degli  occhi  e  l'ec- 
cessiva escrezione  di  muco  nasale  impedisce  la  sensazione  olfatti\-a. 

I  vapori  caldi  lungamente  inspirati  e  sostanze  odorose  irritanti  o  fortemente 
eccitanti,  poste  di  tratto  in  tratto  sotto  le  nari  del  bambino,  correggeranno  il  difetto 
dell'eccessiva  escrezione  di  muco,  e  attireranno  la  sensazione  olfattiva.  Subito  dopo 
principia  una  regolare  secrezione  di  lacrime. 


S5<>  PARTE    SECONDA 

SalifOiioHc.  —  Uno  dei  difotti  pili  ripugnanti  che  si  riscontrano  negli  idioti  è 
>luello  della  continua  ivrdita  di  saliva,  che  cala  dalle  labbra  semiaperte  e  cascanti. 
Ma  oltre  a  dare  un'apparenza  ripugnante,  questo  difetto  produce  pure  gravi  danni. 
Infatti  la  saliva  che  bagna  di  c<intinuo  gli  organi  interni  della  bocca,  li  rende  flaccidi 
e  tumidi;  la  lingua  e  in  genere  gli  organi  della  favella,  perdono  il  regolare  potere  con- 
trattile e  così  è  resa  impossibile  l'articolazione  della  parola.  La  sensazione  gusta- 
tiva e  la  tattile  sono  abolite  affatto;  la  masticazione  quindi  è  ditficile,  irregolare 
la  deglutizione,  donde  gravi  disturbi  a  carico  degli  organi  digerenti. 

.\<1  ovviare  questo  grave  difetto  si  usano  vari  ed  efficaci  mezzi  curativi  ed  educativi. 

Primo:  ricostituenti  generali;  poi:  docce  parziali  gelate  sullo  sfintere  orale,  cor- 
rente elettrica  sulle  labbra. 

Introduzione  di  bastoncini  di  legno  di  licpiorizia,  prima  più  grossi  poi  gradualmente 
sempre  più  sottili,  tra  le  labbra  per  {stimolarle  al  succhiamento  piacevole,  quindi  alla 
contrazione,  che  finirà  per  dare  il  tono  muscolare  necessario.  Durante  questo  eser- 
cizio si  cerca  di  chiudere  ogni  tanto  le  labbra  del  bambino,  meccanicamente,  affinchè 
egli  sia  costretto  a  deglutire  la  saliva  che  gli  empie  la  bocca,  e  così  avvezzarlo  alla 
deglutizione. 

L'igiene  deve  estendersi  ancora  al  vestiario  del  bambino  e  all'ambiente  in  cui  vive. 

Vestiario.  —  I  vestiti  devono  essere  lunghi  affinchè  si  possano  facilmente  togliere 
e  rimettere;  affinchè  non  impediscano  e  anzi  aiutmo  le  normali  funzioni  del  corpo 
(respiro)  e  non  provochino  vizi  pericolosi  (onanismo).  La  facilità  di  potere  vestirsi 
e  spogliarsi,  permetterà  di  imparare  più  presto  al  bambino  di  servirsi  da  sé;  anche 
nelle  piccole  occorrenze  della  giornata,  ove  è  necessario  uno  spogliamento  parziale. 
La  biancheria  e  i  vestiti  siano  di  cotone;  solo  d'ins'erno  si  daranno  calze  di  lana: 
una  speciale  cura  deve  essere  data  alla  scelta  delle  calze,  che  possono  molto  aiutare 
lo  sviluppo  della  sensibilità  plantare  e  aiutare  l'educazione  del  cammino. 

Ambiente.  — Le  norme  dell'igiene  comune  vanno  applicate  all'abitazione  del 
fanciullo  deficiente.  Certo  per  lui  è  di  prima  necessità  non  solo  un'aereazione  perfetta, 
ma  un  ambiente  a  sé,  un  ambiente  vuoto,  a  pareti  imbottite,  ove  possano  ovviarsi 
i  pericoli  cui  andrebbe  incontro  un  ragazzo  idiota  impulsivo,  o  ur  "^iota  che  non 
sappia  camminare,  ecc.,  in  una  stanza  ricca  di  mobili  dagli  spigoli  pericolosi,  o  di 
ninnoli  che  possono  diventare  un'arma  in  mano  al  bambino. 

La  II  stanza  del  bambino  »,  la  cui  ricchezza  consiste  nella  posizione  igienica,  e 
nell'essere  affatto  vuota  di  mobili,  ed  a  pareti  elastiche,  è  ciò  che  di  meglio  può  con- 
cedere una  famiglia  ricca  per  aiutare  l'educazione  d'un  bimbo  deficiente. 


EDUCAZIONE  MUSCOLARE 

L'educazione  ha  lo  scopo  di  far  compiere  all'individuo  un  lavoro  utile  alla  societàijiBJ?' 
questo  lavoro  sarà  sempre  eseguito  a  mezzo  di  muscoli,  sia  esso  un  lavoro  manuale    ' 
sia  parola,  sia  scritto.  Infine,  l'intelligenza  deve  avere  a  suo  servizio  i  muscoli;  perché 
essi  le  possano  obbedire  è  necessario  che  vi  siano  preparati  da  una  educazione  che 
li  coordini.  L'educazione  muscolare  ha  dunque  lo  scopo,  nei  deficienti,  di  provocare 
o  di  coordinare  movimenti  utili. 


ALLEGATI  557 

Prepaia:  alla  ginnastica;  ai  lavori  d'uso  domestiro  (lavarsi,  vestirsi,  ecc..  appa- 
recchiare, tirare  il  carretto,  ecc.);  ai  lavori  inanuali  (professionali);  al  linguaggio 
(movimenti  degli  organi  vocali). 

La  preparazione  consiste  nell'ottenere  rimmobiìità  tonica  del  bambino,  nella 
stazione  eretta.  Si  deve  arrivare  a  tenere  il  bambino:  in  piedi,  in  prima,  a  testa  alta, 
cogli  occhi  fissi  nell'occhio  del  maestro. 

Da  questa  posizione  d'immobilit.à  tonica,  iiotendo  il  bambino  fissare  lo  sguardo, 
si  passerà  agli  esercizi  d'imitazione. 

Per  ottenere  l'immobilità  tonica  occorre  passare  ~per  procedimenti  diversi  se- 
condo i  casi  individuali:  stimolare  i  torpidi,  gli  apatici;  frenare  gli  iperattivi;  correggere 
le  paresi,  i  tic,  ecc.  Quindi  occorre  l'educazione  medica  prima  di  quella  pedagogica: 
qui  sarà  il  caso  d'applicare  la  ginnastica  medica,  pei  movimenti  attivi  e  pei  mo- 
vimenti passivi,  alternandola  con  massaggio,  bagni  elettrici,  ecc. 

Noto  qualche  anomalia  motoria  facile  a  riscontrarsi  nei  deficienti: 

Atonia:  il  bambino  non  si  muove,  non  si  regge  in  piedi,  non  sa  tenersi  seduto, 
non  esegue  alcun  movimento. 

Iperattività:  sono  caratteristici  dei  movimenti  quasi  continui,  incoordinati. 
ovvero  disordinati  e  senza  scopo  utile:  saltare,  bastonare,  stracciare  tutto  indiffe- 
rentemente, ecc.  Onesti  sono  i  pericolosi  a  sé  e  agli  altri. 


Movimenti  meccanici. 

A)  rivolti  su  se  stessi:  succhiare  le  dita,  lisciarsi  continuamente  una  parte  della 
pelle,  mordersi  le  unghie. 

Questi  movimenti  sono  causati  da  una  sensibilità  parzialmente  sviluppata;  p.  es.: 
lisciano,  accarezzano  quella  regione  cutanea  ove  solo  è  sviluppata  la  sensibilità 
tattile,  ecc. 

B)  rivolti  su  oggetti  ambienti:  dare  piccoli  colpi  su  un  tavolo,  stracciare  con- 
tinuamente e  lentamente  dei  pezzi  di  carta,  ecc. 

Anche  questo  è  rilegato  con  un  piacere  sensoriale. 
Dondolamenti: 

a)  sdraiati:  dondolano  la  testa  da  destra  a  sinistra; 

è)  seduti:  dondolano  il  tronco  dall 'avanti  indietro; 

e)  in  piedi:  si  dondolano  da  destra  a  sinistra  posando  alternativamente  tutto 
il  peso  del  corpo  da  un  piede  all'altro. 
Il  cammino  è  difficile,  incerto. 

Questi  difetti  motori  provengono  dalla  difficoltà  che  ha  il  bambino  di  trovare 
il  suo  centro  di  gravità  e  quindi  l'equilibrio. 
Incapacità  di  alcuni  movimenti  parziali. 

a)  incapacità  a  muovere:  alcune  dita,  la  lingua,  le  labbra,  ecc.;  risulta 
da  ciò  l'impossibilità  di  eseguire  i  più  semplici  esercizi  manuali  (opponibilità, 
prensione,  e  in  seguito  impossibile  abbottonare,  ecc.),  e  l'impossibilità  di  articolare 
alcune  parole. 

b)  incapacità  a  contrarre  gli  sfinteri  (perdita  di  deiezioni,  di  saliva). 


558  PARTE   SECONDA 

L'atiiHÌa  e  l'iix>rattività  si  vincono  con  mezzi  educativi  opposti,  dei  tiiiali  or  ora 
[^«ilerenio:  i  movimenti  parziali  spajiscono  con  l'educazione  generalo  cUi  sensi,  i 
dondolamenti  con  esercizi  di  equilibrio. 

A)  Provocare  i   movim<>iti  aitivi  mi  bambino  alpnico.  fino  a  comi  urlo   all'im- 
m(^b:litiì  t<ìtiica  nella  stazione  cretlii. 

Bisogna  provocare  prima  i  movimenti  più  facili,  poi  i  più  difficili. 

.Abbiamo  una  guida  per  seguire  tale  processo  educativo  nello  spontaneo  svolgersi 
dei  mo\nmentinel  bambino  normale:  egli  comincia  certamente  coi  movimenti  spontanei 
piv^  facili  e  arriva  a  poco  a  poco  ai  più  difficili. 

Il  bambino  ha  come  primo  movimento  la  prensione,  poi  il  movimento  degli  arti 
inferiori  pel  cammino,  quindi  la  stazione  e  il  cammino  libero. 

Prensione.  —  Se  nessuno  stimolo  esterno  è  capace  di  colpire  l'idiota  basso,  non 
sarà  possibile  provocare  la  prensione  mostrandogli  un  oggetto  quahnKpic.  che  pel 
colore  o  pel  sapore  o  per  altro  potrebbe  interessare  un  bambino. 

È  necessario  allora  ricorrere  all'istinto  della  conservazione,  all'innato  terrore 
\>e\  vuoto  che  hanno  quasi  sempre  gl'idioti.  Il  fanciullo,  sentendosi  cadere,  per  istinto 
si  aggrapperà  con  le  mani  a  un  sostegno:  questo  è  il  primo  principio  in  cui  sarà  pos- 
sibile educarlo  alla  prensione. 

Procedimento.  —  Si  dispongono  materialmente  le  mani  del  bambino  intorno 
ad  un  piolo  d'una  scala  sospesa  al  soffitto:  poi  si  abbandona  a  sé  il  bambino,  il  quale, 
.ivendo  già  le  dita  disposte  attorno  al  sostegno,  non  farà  che  stringere  le  mani  per 
sostenersi.  Tuttavia  ciò  non  accadrà  la  prima  volta.  Il  maestro,  con  lunga  pazienza, 
stando  sempre  pronto  a  raccogliere  il  bambino  tra  le  sue  braccia,  continuerà  questo 
esercizio,  nel  quale  l'idiota  prova  forte  emozione  e  dove  tutti'i  suoi  muscoli  devono 
necessariamente  contrarsi. 

Pure  basata  sull'istinto  di  conservazione  è  l'altalena  dove  l'idiota  deve  afferrarsi 
con  le  mani  a  un  sostegno  per  non  cadere. 

Infine:  si  sospende  al  soffitto  una  palla,  che  si  manda  a  percuotere  -  intinuamente 
il  volto  del  bambino,  il  quale  per  difesa  dovrà  allontanarla  afferrandc.a. 

Nei  meno  bassi  si  ricorre  all'istinto  della  nutrizione  che  pure  esiste  sempre  in 
questi  bambini. 

Stazione.  —  Sotto  questo  nome  si  considerano  pure  i  movimenti  che  precedono 
la  stazione  eretta. 

Per  vincere  la  pieghevolezza  delle  ginocchia  che  impedirebbe  la  stazione,  si  usa 
la  poltroncina  ad  altalena,  ove  il  sedile  è  lungo  fino  quasi  ai  piedi  del  bambino,  e  dove 
con  una  fascia  si  fissano  le  ginocchia;  i  piedi  del  bambino  vanno  a  battere  contro  una 
tavola  di  legno:  e  con  tale  esercizio  si  preparano  gli  arti  inferiori  a  sostenersi  appog- 
giandosi su  un  piano. 

Dopo  ciò,  si  pone  il  bambino  sulle  sbarre  fisse,  che,  collocandole  sotto  le  ascelle, 
sostengono  il  fanciullo,  il  quale  appoggia  i  piedi  in  terra. 

Qui  cerchiamo  di  provocare  i  movimenti  del  cammino  (esercizi  degli  arti  inferiori). 

Poi  facciamo  esercitare  i  muscoli  che  sostengono  la  colonna  vertebrale:  il  bambino 
è  seduto;  prima  il  dorso  sta  dritto  contro  una  spalliera,  poi  deve  star  dritto  senza  spal- 
liera. A  poco  a  poco  si  provoca  il  cammino  togliendo  il  fanciullo  dalle  sbarre,  sostenen- 
dolo con  una  semplice  cintura  ginnastica.  Finché  si  lascia  libero. 


ALLEGATI  559 

Dopo  che  il  bambino  saprà  camminare,  noi  potremo  «  comandargli  »  di  star  fermo 
in  piedi,  nella  posizione  della  immobilità  tonica. 

B)  Frenare  l'iperattività  costringendo  meccanicamente  alla  immobilità. 

Nei  bambini  iperattivi  bisogna  frenare  prima  le  braccia,  tenendole  prigioniere 
tra  le  nostre  mani;  poi  frenare  i  movimenti  degli  arti  inferiori  tenendo  le  gambe 
del  bambino  fortemente  costrette  tra  le  nostre  ginocchia;  infine,  rattenere  il  bambino 
seduto  tutto  immobile,  le  sue  gambe  strette  tra  le  ginocchia  del  maestro,  le  sue  brac- 
cia tra  le  mani  di  lui,  il  tronco  spinto  e  tenuto  fermo  contro  la  parete.  Similmente 
procedendo  si  riuscirà  a  tenerlo  fermo  nella  stazione  eretta,  in  posizione  di  immobilità 
tonica. 

Regola  generale.  —  Gli  esercizi  delle  membra,  cominciando  da  quelle  superiori, 
devono  precedere  quelli  diretti  specialmente  sulla  colonna  vertebrale. 

«  L'immobilità  tonica  è  il  passaggio  necessario  da  una  immobilità  atonica,  ovvero 
n  da  una  azione  disordinata  a  un'azione  convenuta  tra  il  sistema  muscolare  e  l'intel- 

«  letto.  SÉGUIN  ». 

Abbiamo  visto  più  sopra  che  la  posizione  d'immobilità  tonica  richiede  pure 
la  fissità  dello  sguardo  del  bambino,  perchè  egli  dovrà  da  questo  momento  principiare 
ad  eseguire  dei  movimenti  coordinati  imitando  ciò  che  vede  fare  al  maestro. 

Educazione  dello  sguardo. 

Tenendo  all'oscuro  molto  tempo  il  bambino,  e  mostrandogli  una  luce  improvvisa 
intensa,  egli  dovrà  provare  la  sensazione  del  rosso. 

Tenendolo  nella  camera  oscura  poco  tempo,  la  luce  improvvisa  richiamerà  lo 
sguardo  del  bambino. 

La  luce  si  farà  muovere  sulla  parete  finché  il  bambino  la  segua  con  lo  sguardo. 

Nella  camera  bianca,  si  mostra  al  fanciullo  un  drappo  rosso  che  si  muove  e  gira. 

Gli  SI  mostra  un  pallone  rosso  che  sospeso  al  soffitto,  viene  a  colpirlo  sul  viso. 

Dopo  questi  esercizi  preparatori  cerchi  il  maestro  d'afferrare  con  lo  sguardo 
suo  quello  del  bambino,  e  di  fissarlo,  servendosi  pure  di  stimoli  uditivi  (voce  umana 
in  comando). 

Infine,  ad  ottenere  la  immobilità  completa,  è  consigliabile  il  grande  specchio 
sul  quale  si  potranno  far  passare  delle  luci  e  dove  il  bambino  fisserà  con  Io  sguardo 
a  propria  immagine  e  quella  del  maestro  «  che  sta  immobile  »  e  che  il  bambino  potrà 
mitare. 

Esercizi  d'imitazione. 

1)  S'insegna  al  bambmo  a  far  conoscenza  con  se  stesso,  mostrandogli  e  facen- 
dogli toccare  le  varie  parti  del  suo  corpo,  fino  alla[nozione  di  destra  e  sinistra. 

Cominciando  dalle  parti  più  grossolane:  braccia,  gambe,  tronco,  testa,  che  no- 
mineremo pei  movimenti  d'insieme,  alle  più  fini:  dita,  falangi,  organi  dell'apparato 
orale,  che  nomineremo  nella  educazione  della  mano  e  del  linguaggio. 

2)  Gli  si  fanno  eseguire  movimenti  coordinati  relativi  alla  ginnastica  (cammino, 
corsa,  salto,  spinta  delle  braccia). 


5()0  PARTE    SECONDA 

3)  Relativi:  <»)  ai  lavori  manuali  grossi>laui  (csorcizi  della  vita  pratica:  lavarsi, 
vestirsi,  prendere  e  posare  oggetti,  aprire  e  chiudere  cassetti,  ecc.);  h)  e  ai  hnori  nia- 
nnali  fini  (avviamento  ad  esercizi  professionali:  intreccio,  lavori  di  Froebel) 

4)  Relativi  al  linguaggio  articolato. 

Su  tale  procedimento  educativo  sono  da  seguirsi  le  seguenti: 

Regolf  gfHfrali:  i»  i  movimenti  di  insieme  devono  preceder!'  (|uclli  parziali: 
.»•  .solo  analizzando  nei  suoi  tempi  successivi  un  movimento  complesso,  e  perfezio- 
nandone punto  per  punto  ogni  dettaglio,  arriveremo  a  far  eseguire  un  movimento 
completo  perfetto. 

Quest'ultima  regola  valga  in  modo  >i)e(ialc  poi  I  (duca/ionc  nianu.iic  e  del  lin- 
guaggio. 

Ottenuti  i  movimenti  d'insieme,  ci  occorrerà  spesso,  prima  di  passare  a  cpielli 
parziali,  alternare  alla  cura  educativa  quella  medica: 

I"  per  mancanza  di  vigore   d'alcuni   muscoli   di  (piale  Ik    ilito  (bagni  elettrici 
parziali,   ginnastica   passiva); 

2°  per  retrazioni,  mancato  sviluppo  dell'. ipoinMosi  palmare,  ci  (.  (trattamento 
ortopedico). 

La  ginnastica,  il  lavoro  manuali'  ffrofessionnlc.  il  linguaggio  articolalo,  sono  rami 
speciali  dell'insegnamento,  che  per  li>  più  richiedono  insegnanti  speciali 


EDUCAZIONE  DEI   SENSI. 

Schemi  pi:r  l'esami:. 

Vista.     -  Senso  cromatico. 

È  necessario  richiamare  l'attenzione  del  bambino  più  volte  sullo  stesso  colore, 
(ìresentandolo  sotto  aspetti  vari  e  in  ambienti  diversi. 

Lo  stimolo  deve  essere  forte. 

Altri  sensi  concorrano  per  associarsi  a  quello  cromatico  (es.  stereogno'  .ico,  gu- 
stativo, ecc.). 

Ad  ogni  nozione  che  il  maestro  dà,  vi  unisca  la  parola,  la  sola  paiola  che  vi  si  ri- 
ferisce, pronunciandola  spiccatamente. 

I.  /  grembialini  didattici.  —  Si  mostrano  i  colori  su  larga  superficie  mobile, 
come:  un  grembiale  indossato  dalla  maestra. 

Es.:  un  grembiale  rosso.  La  maestra  lo  mostra  toccandolo  a  larghi  gesti,  sollevan- 
dolo, richiamando  continuamente  l'attenzione  del  bambino:  «  guarda!  »  «  sta  attento!  » 
e  dicendo  poi  piano  e  lentamente:  «  questo...  tutto  questo...  è  di  colore...  >'  gridando: 
«'  rosso!   rosso!   rosso!  ». 

Due  grembiali:  uno  rosso,  uno  bleu;  lo  stesso  procedimento  pel  bleu. 

Distinzione  tra  i  colori;  tre  tempi: 
a)  questo  è...  rosso! 
h)  voi,  dal  grembialino...  rosso! 
e)  che  colore  e  questo? 

Tre  grembiali:  rosso,  bleu.  giallo,  guarniti  di  bianco  e  di  nero. 


ALLEGATI  56 I 


li.  Gl'incastri.  — •  Colore   e    forma,    cerchio    rosso,    quadrato    hleu,    tre    tempi: 
1°  questo...  è....  rosso!  rosso!  toccalo:  senti?  il  dito  va  sempre  avanti:  è  tutto  tondo, 
è  tondo!  è  tondo!  tutto  tondo!  mettilo  a  posto. 
2°  Dammi  il  rosso. 
3°  Di  che     colore  è  questo  tondo? 

III.  La  camera  oscura.  —  Compare  un  colore  di   bengala   rosso:    è  rosso!... 
Il  colore  comparisce^dietro  un  disco  rotondo;  è  rosso! 

Il  colore  cotnpare  bleu  dietro  una  finestra   quadrata:  è  turchino!  turchino!    ecc. 

IV.  Si  fa  mangiare  un  disco  di  bucchero  rosso,  un  mattoncino  di  zucchero 
turchino. 

Si  fa  odorare  una  stoffa  rossa  fortemente  profumata  di  muschio,  o  turchina  con 
odor  di  assafetida,  ecc. 

V.  Tavola  di  colori. 

VI.  Primo  gioco  di   Froebel. 

Il  primo  materiale  didattico  porti  i  colori  insegnati;  si  richiami  sull'ambiente 
la  nozione  data  del  colore. 

Forme.  —  I  solidi.  —  Gl'incastri. 
Procedendo  sempre  coi  tre  tempi  detti: 

—  mostrare  ; 

—  far  riconoscere; 

—  far  nominare. 

Dimensioni.  —  Aste  dello  stesso  spessore  e  di  lunghezze  graduali:  si  mostrano 
le  forme  estreme  facendole  toccare,  facendole  spostare  (raccogli  la  più  lunga,  mettila 
sul  tavolino,  ecc.),  poi  l'estreme  e  l'intermedie,  infine  tutte. 

Si  scompongano,  poi  si  facciano  rimettere  in  ordine  di  graduazione:  si  noti  se  il 
bambino  sceglie  bene  nel  mucchio  disordinato  le  graduali  dimensioni,  o  se  solo  giusta 
ponendo  asta  ad  asta  avverte  le  differenze  ordinatamente,  e  dopo  quanti  esercizi 
il  bambino  sceglie  bene  nel  mucchio,  e  fino  a  quale  differenza  minima  di  lunghezza 
il  bambino  sceglie  bene. 

Così  per  la  grossezza:  prismi  di  uguale  lunghezza  e  di  spessore  graduale;  lo 
stesso  procedimento  e  analoghi  esercizi. 

Applicazione  di  giochi  alla  valutazione  delle  distanze. 

Senso  tattile  propriamente  detto.  —  Tavoletta  con  una  superficie  rugosa  (a  grat- 
tugia) e  una  liscia. 

Tavoletta  con  cinque  superficie  adiacenti  di  graduale  scabrosità.  Applicazioni 
alla  palpazione  delle  stoffe  (giochi  d'indovino). 

Giuoco.  —  Il  bambino  bendato  viene  lievemente  solleticato.  Deve  prendere  ciò 
che  lo  solletica,  portandovi  rapidamente  la  mano  (gioco  dell'acchiappamosca,  per 
la  localizzazione  dello  stimolo), 
astringenti  ; 

Litjuidi   ^    viscidi  ; 
untuosi. 


5b2  PARTE    SECONDA 

Senso  lattile  muscolare 

Corpi  elastici         i  \   di  gonuiia  ; 

-       •         ■  •     {    P'""'   \     ,.  , 

toipi  resistenti     |  (    di  legno. 

(applicazione  alla  palpazione  della  pelle  di  guanto,  delle  stoffe) 

Senso  muscolare.  —  Palle  della  stessa  ai)parenza  e  di  peso  graduale.  Monete  al  peso. 

Senso  stercoenostico.  —  Riconoscimento  delle  forme  fondamentali;  riconoscimento 
d'oggetti   rari;   riconoscimento  delle   monete. 

Senso  termico.  —  Liquido  caldo,  ghiacciato;  calore  della  tela,  della  lana.  Legno, 
incerata,   metallo. 

Odorato.  —  Assafetida,  essenze  di  rose,  di  menta,  ecc. 

/    fumo  di  tabacco; 

.    *   zucchero  bruciato  ; 
Vapori  odorosi    <    . 

^  '  incenso; 


acero  bruciato. 

Ìdi  legno 
di  paglia       , 
di  carta         I  ,•       ■      •  •       n        ■. 

,.  ,  ai>plicazioni   sane  alla   vita  pratica. 

t    di  lana  i     "  ^ 

Giuochi  d'indovino    .    ',    di  cotone     [ 

'    di  pietanze 

/  latte  fresco,  latte  acido    carne  fresca,  carne  in 
Odore   di  sostanze   ahmen-   \        .....        ,    e    ■  i  ju 

{  principio   di  putrefazione,  burro  rancido,  burro 

tari  (vita  pratica).  /  ^ 

\  fresco,  ecc. 

Gusto.  —  I    quattro    sapori    fondamentali    (giochi    d'indovine  •.    Applicazioni 

educative  al  refettorio  e  in  cucina. 

Saggio  di  varie  sostanze  alimentari  : 

latte,  latte  e  farina  ; 

„        ..,,,•  \   vino  annacquato  ; 

Esercizi  della  vita  pratica    . 

I        »     aspro 

»    dolce,  ecc. 
Gli  esercizi  dei  sensi  .si  cominciano  nelle  classi  inferiori  sotto  forma  di  giochi  d'indo- 
vino: nelle  classi  superiori,  si  applica  l'educazione  dei  sensi  ad  esercizi  della  vita  pratica. 
Udito.  —  Misurazione  empirica  della  acutezza  uditiva;  gioco: 
Il  maestro,  a  io  m.  di  distanza,  a  voce  mormorata  dice  ai  bambini  bendati  dove 
ha  nascosto  un  oggetto  «Trovatelo!  »  Chi  ha  sentito  lo  trova.  Tolti  dalle  file  i  bambini 
che  hanno  udito,  il  maestro  si  avvicina  di  un  passo  e  si  riferisce  ad  un  altro  oggetto,  ecc. 
Intensità  del  suono: 

Getto  in  terra  cubi  di  metallo  di  varia  grossezza,  monete  graduali; 
Batto  successivamente  su  bicchieri  sempre  più  grandi; 
Campanelli  di  grandezza  graduale. 
Timbro.  —  Produrre  suoni  e  rumori  diversi  : 

„.  (    di  metallo; 
Campanelli   ,     ,. 

'    di  terracotta; 

Campanelli  ]      ,  .     .  ' 
'    chiusi  ; 


ALLEGATI  303 

Battere  con  un  bacchetta  di  legno  su  piatti  di  metallo,  bicchieri,  ecc.; 
Riconoscere  istrumenti  vari; 
Riconoscere  varie  voci  umane  ; 
Riconoscere  voce  di  uomo,  di  donna,  di  fanciullo; 
Riconoscere  al  passo  le  persone  ecc.  ecc. 
Altezza: 

Salti   d'ottava,    di   terza,    ecc.; 
Accordo  maggiore  e  minore. 
L'educazione  musicale  merita  un  capitolo  a  parte. 
Proiezione  del  stiono,  localizzazione  nello  spazio: 
Il  bambino  è  bendato;  il  suono  si  produci  : 
1°    avanti  di  lui; 
dietro  a  lui  ; 

dai  lati  destro  o  sinistro  ; 
sul  capo. 
2°  il  bambino  bendato  riconosce  a  quale  distanza  relativa  si  producono   più 

suoni. 
30  il  bambino  riconosce  da  quale  lato  della  sala  provengono  i  suoni;  cammina 
dietro  chi  parla,  ecc. 
Piano  orizzontale.  —  È  la  prima  nozione  di  relazione  tra  oggetti  ambiente,  che 
si  dà  al  bambino. 

Quasi  tutti  gli  oggetti  che  cadono  sotto  i  sensi  del  bambino,  posano  sopra  un 
piano  orizzontale:  anche  il  suo  tavolo,  il  suo  sedile,  ecc.,  che  essi  stessi  sono  piani  oriz- 
zontali là  ove  il  bambino  si  siede,  ove  appoggia  i  suoi  giocattoli. 

Se  il  piano  non  fosse  orizzontale,  gli  oggetti  cadrebbero,  e  andrebbero  a  finire 
in  terra,  che  è  un  piano  orizzontale. 

Porre  un  oggetto  sul  tavolo  del  bambino,  sollevarne  la  tavola  mobile  per  far 
vedere  che  l'oggetto  cade. 

Giuoco  d'indovino  sul  piano.  —  Questo  serve  per  fissare  la  nozione  di  piano  e 
insieme  educa  lo  sguardo  e  richiama  e  fissa  l'attenzione  del  bambino. 

1°  Sotto  uno  dei  tre  bicchieri  d'alluminio  si  mette  una  palla  rossa,  una 
ciliegia,  o  un  confetto.  Il  bambino  si  deve  ricordare  sotto  quale  bicchiere  è  nascosto 
l'oggetto:  la  maestra  prova  lei  e  sbaglia  sempre  alzando  i  bicchieri  vuoti  e  poi 
rimettendoli  al  posto:  il  bambino  invece  trova  subito  J 'oggetto. 

2°  La  maestra  muove  i  tre  bicchieri  sul  piano;  il  bambino^deve  fissare  il  suo 
bicchiere  e  non  perderlo  mai  d'occhio. 

30  L'esercizio  si  ripete  con  6  bicchieri. 
Giuoco  della  scacchiera.  —  Serve  per  apprendere  al  bambino  i  limiti  e  le  varie 
parti  di  un  piano. 

La  scacchiera,  a  grossi  quadri  bianchi  e  neri,  è  limitata  da  una  cornice  rilevata. 
Si  fissano  vari  punti  sul  piano:  avanti,  indietro,  destra,  sinistra,  centro,  mettendo 
in  ogni  punto  un  soldatino.  Si  fanno  spostare  i  soldatini  dal  bambino,  dietro  l'ordine 
della  maestra:  l'ufficiale  a  cavallo  sta  al  centro;  il  porta-bandiere  avanti  a  destra,  ecc. 
Infine,  si  fanno  marciare  i  soldati  verso  il  centro,  facendoli  passare  solo  pei  qua- 
drati neri,  o  solo  pei  quadrati  bianchi,  ecc. 


564  PARTE    SECONDA 

Si  applicheranno  queste  nozioni  agli  esercizi  della  vita  pratica:  i  bambini  già 
s.ipevano  apparecchiare  stanza  rendersi  conto  di  ciò  che  facevano:  d'ora  innanzi 
la  maestra  dirà:  —  Disponete  i  piatti  sul  piano  della  tavola;  dal  lato  sinistro  mettete 
la  bottiglia,  al  centro  ecc. 

Si  farà  apparecchiare  con  piccole  stoviglie  una  piccola  tavola,  facendo  dispone 
gli  oggetti  dietro  il  comando  della  maestra. 

Infine  si  proctnicrà  alle  costruzioni  di  Fróebci  sul  piano,  coi  cubetti  e  i  mat- 
toncini. 

//  giuoco  degli  incastri  come  preparazione  alla  lettura,  al  disegno  e  alla  scrittura. 
—  Dopo  che  il  bambino  conosce  i  colori  e  le  forme  dell'incastro,  si  fanno  sovrapporre 
i  pezzi  dei  colori  del  grande  incastro: 

i"  sopra  un  cartoncino  ove  sono  semplici-niente  disegnate  a  colori  superficie 
corrispondenti  ai  pezzi  ; 

2f  sopra  un  cartoncino  ove  le  stesse  figure  sono  semplicemente  delineate  in 
dimensioni  a  colore  (astrazione  lineare  d'una  figura  regolare). 

Incastro  delle  forme  ove  i  pezzi  sono  tutti  dello  stesso  colore  {turchino).  —  11  bam- 
bino riconosce  la  forma  e  sovrappone  i  pezzi: 

1°  su  un  cartoncino  ove  la  figura  è  semplicemente  disegnata  ; 
2°  su  un  altro  ove  la  figura  è  solo  delineata  (astrazione  lineare  di  figure  geo- 
metriche   regolari). 

Contemporaneamente  il  bambino  toccava  i  pezzi.  Il  disco:  è  tutto  liscio,  si  gira, 
si  gira,  si  gira,  è  tutto  tondo.  Il  quadrato:  si  va  avanti,  c'è  una  punta,  si  va  avanti  e 
c'è  un'altra  punta,  ci  sono  quattro  punte. 

Nel    triangolo   ci   sono   tre    punte. 

Poi  il  bambino  tocca  le  figure  semplicemente  delineate  sul  ca  concino:  quello 
tutto  tondo,  cerchio;  quello  con^ quattro  punte,  quadrato;  quello  con  tre  punte^ 
triangolo.  Il  bambino  tocca  le  stesse  figure  con  un'asticina  di  legno. 


LETTURA  E  SCRITTURA  SIMULTANEE. 

A  questo  punto  si  presenta  il  cartellone  delle  vocali,  dipinte  in  rosso:  il  bambino 
vede  «  delineate  a  colori  delle  figure  irregolari  ».  Si  offrono  al  bambino  le  vocali  in  legno 
rosso  per  sovrapporle  ai  segni  del  cartoncino.  Si  fanno  toccare  le  vocali  di  legno  nel 
senso  della  scrittura  e  si  nominano:  le  vocali  sono  disposte  per  analogia  di  forma 
(lettura) 


Poi  si  dice  al  bambino  p.  es.:  cercami...  o!  mettilo  al  posto. 

Poi  «  che  lettera  è  questa?  »  Qui  si  vedrà  che  molti  bambini  sbagliano  solo  guar- 
dando la  lettera,  indovinano  invece  toccandola.  Osservazioni  interessanti  si  possono 
fare  rilevando  i  vari  tipi  individuali:  visivo,  motore. 

Si  fa  toccare  poi  al  bambino  la  lettera  delineata  sul  cartellone,  prima  con  l'indice 
solo,  poi  con  l'indice  e  il  medio,  poi  con  un  bastoncino  di  legno,  tenuto  come  la  penna; 
la  lettera  deve  essere  toccata  nel  senso  della  scrittura. 


ALLEGATI  565 

Le  consonanli  sono  disegnate  in  turchino  e  disposte  in  vari  cartelloni,  secondo 
l'analogia  di  forma  (lettura  unita,  scrittura):  vi  è  annesso  l'alfabetario  mobile  in 
legno  bleu,  da  sovrapporre  ai  cartelloni  come  per  le  vocali.  Annesso  all'alfabetario 
sta  una  serie  di  altri  cartelloni  ove  accanto  alla  consonante  uguale  a  quella  di  legno, 
stanno  dipinte  una  o  due  figure  d'oggetti  il  cui  nome  principia  con  la  lettera  disegnata. 
Accanto  alla  lettera  corsiva,  sta  pure  dipinta  con  lo  stesso  colore  una  lettera  più  pic- 
cola, di  carattere  stampato. 

La  maestra  nominando  le  consonanti  col  metodo  fonico,  indica  la  lettera,  poi 
il  cartellone,  pronunciando  il  nome  degli  oggetti  che  vi  sono  dipinti  e  calcando  sulla 
prima  lettera;  es.  m...  mamma,  mela,  «dammi  la  consonante...  m  »  «mettila  al  posto», 
«toccala»,  ecc.  Si  studieranno  qui  i  difetti  del  linguaggio  del  bambino. 

Toccare  le  lettere  nel  senso  della  scrittura,  inizia  l'educazione  muscolare  che 
prepara  alla  scrittura.  Una  nostra  bambina  a  tipo  motore,  istruita  con  questo  me- 
todo, ha  riprodotto  tutte  le  lettere  a  penna,  alte  circa  8  mm.,  ben  prima  ancora 
di  saperle  riconoscere,  con  sorprendente  regolarità:  questaj  bambina  riesce  assai 
bene  anche    nei    lavori  manuali. 

Il  bambino  che  guarda,  riconosce  e  tocca  le  lettere  nel  senso  della  scrittura,  si 
prepara  alla  lettura  e  scrittura  simultanee,  anzi  contemporanee. 

Toccare  le  lettere  e  insieme  guardarle,  fissa  più  presto  la  loro  imagine,  pel  con- 
corso di  più  sensi;  in  seguito  si  separano  i  due  fatti:  guardare  (lettura),  toccare  (scrit- 
tura). Secondo  i  tipi  individuali,  alcuni  impareranno  prima  a  leggere,  altri  a  scrivere. 

Lettura.  —  Si  fanno  pronunciare  al  bambino  le  lettere,  quando  già  ha  im- 
parato a  riconoscerle,  e  anche  a  scriverle:  allora  l'alfabeto  si  dispone  per  ordine  fo- 
nico e  si  dispone  diversamente  secondo  i  difetti  individuali,  che  si  sono  rilevati  quando 
il  bambino  spontaneamente  ripeteva  il  suono  delle  cohsonanti  e  delle  vocali  o  la  pa- 
rola che  si  riferiva  alle  varie  consonanti  nei  cartelloni  illustrati. 

Cominceremo  a  presentare  e  far  leggere  le  lettere  (prima  a  sillabe  e  parole)  che 
il  bambino  sa  pronunciare,  per  passare  a  grado  a  grado  a  quelle  che  pronuncia  con 
maggior  difficoltà  o  non  pronuncia  affatto  (correzione  del  linguaggio);  per  la  corre- 
zione del  linguaggio  col  metodo  fonomimico  è  necessario  un  capitolo  a  parte;  nella 
scuola  dei  bambini  è  desiderabile  per  questo  insegnamento  anche  una  maestra  a  parte, 
come  per  la  ginnastica,  pei  lavori  manuali,  pel  canto. 

A  chi  non  avesse  difetti  di  linguaggio,  s'insegnano  le  lettere  dell'alfabeto  nell'or- 
dine  fonico    fisiologico. 

Accanto  alla  grossa  lettera  in  corsivo,  si  pone  la  piccola  lettera  in  carattere 
stampato:  s'insegna,  poi  si  fa  riconoscere  chiedendo  ad  ogni  lettera  grande:  «  dammi 
la  compagna  piccola  ».  Anche  sui  cartelloni  illustrati  stanno  vicine  le  lettere  nei  due 
caratteri.  Infine  si  mostra  la  lettera  di  carattere  stampato  dicendo:  «dammi  la 
compagna  grande  »  e  poi  che  «  lettera  è  ?  ». 

Le  piccole  lettere  «  non]si  toccano  »  perchè  non  si  dovranno  mai  scrivere. 

Disegno  e  scrittura. 

Si  offre  al  bambino  una  pagina  ove  stanno  delineati  un  cerchio  e  un  quadrato; 
si  fa  empire  col  lapis  colorato  rosso,  il  cerchio;  col  turchino,  il  quadrato  (incastri).  Si 


566  PARTE   SECONDA 


danno  cerchi  e  quadrati,  sempre  più  piccoli,  cerchi  e  triangoli,  varianiento  combinati 
nella  disposizione,  e  si  fanno  empire  coi   lapis  colorati. 

Poi  si  fa  delineare,  ripassando  il  segno  nero  sugli  stessi  modelli,  coi  lapis  colorati: 
il  cerchio,  il  triangolo,  il  quadrato;  a  ciò  viene  più  facilmente  il  bambino  educato 
a  toccare  con  l'asticina  di  legno  le  figure  delineate  sui  cartelloni  degli  incastri. 

Alla  scrittura  direttamente  passa  dopo  gli  esercizi  eseguiti  con  l'asticina  di  legno 
sui  cartelloni  dell'alfabeto  scritto.  Si  potrà  aiutare  in  principio  il  bambino,  facendogli 
ricalcare  il  segno  da  noi  fatto  sul  quaderno  a  lapis. 

Quando  il  bambino  scrive,  gli  si  fa  osservare  ch'egli  scrive  su  un  piano  delimi- 
tato, che  comincia  dall'alto,  che  va  da  sinistra  verso  destra,  che  a  poco  a  poco  scende 
in  basso,  ecc. 

Il  Séguin  insegna  la  scrittura  cominciando  coi  bastoncelli  e  le  curve.  Prepara  i 
quaderni  di  bastoncelli  disegnandoli  così: 

il  bastoncello  che  il  bambino  deve  eseguire  è  delimitato  da  due  punti  e  segnato 
con  una  fine  linea;  ai  lati,  come  modello,  ci  sono  due  bastoncelli  eseguiti  dal  maestro. 
Analogamente  per  le  curve  (  (  (  .  Fa  comporre  le  lettere  stampate  maiuscole  con 
aste  e  curve  B  D,  ecc. 


Lettura  e  scrittura  simultanea  di  parole. 

II  bambino,  con  l'educazione  dei  sensi,  ha  acquistato  delle  nozioni  di  colore, 
di  forma,  di  superficie,  liscia  o  aspra,  di  odore,  di  sapore,  ecc. 

Ha  pure  contemporaneamente  appreso  la  numerazione  (uno,  ('  .e,  tre,  quattro 
punte). 

Riuniamo  tutte  le  possibili  nozioni  intorno  a  un  oggetto,  e  daremo  la  prima  idea 
concreta  dell'oggetto  stesso:  lezione  oggettiva. 

A  questa  idea  uniamo  la  parola  che  rappresenta  l'oggetto. 

Come  l'idea  concreta  risulta  dalla  riunione  di  nozioni  ben  note,  così  la  parola 
risulta  dalla  riunione  di  suoni  noti,  di  segni  conosciuti. 

Lezione  di  lettura.  —  Sta  sul  tavolino  il  grande  leggìo  per  l'alfabetario  mobile  a 
lettere  nere  stampate:  la  maestra  vi  dispone  le  vocali  e  alcune  consonanti. 

I  bambini  hanno  ciascuno  al  suo  posto  il  piccolo  alfabetario  mobile  nelle  scatole 
di  cartone:  essi  prendono  dalla  scatola  e  dispongono  sul  banco  le  lettere  nello  stesso 
ordine  che  vedono  sul  leggìo. 

La  maestra  presenta  un  oggetto  il  cui  nome  sia  una  parola  semplice  es.  pane, 
lume;  richiama  l'attenzione  del  bambino  sull'oggetto,  riassumendo  brevemente  una 
lezione  oggettiva  già  fatta,  destando  l'interesse  del  bambino  sull'oggetto. 

«Vogliamo  scrivere  la  parola  pane?»  «Sentite  come  dico  io,  guardate  come  dico  «. 
La  maestra  pronuncia  spiccatamente  i  singoli  suoni  delle  lettere  che  compongono  la 
parola  esagerando  i  movimenti  degli  organi  vocali,  affinchè  i  bambini  li  vedano  bene; 
li  fa  ripetere  loro,  continuando  l'educazione  del  linguaggio. 

Un  bambino  viene  al  leggìo  a  scegliere  le  lettere  corrispondenti  ai  suoni  e  a 
disporle  nell'ordine  dei  suoni  che  compongono  la  parola.  Altrettanto  fanno  i  bam- 


ALLEGATI  567 

bini  con  le  letterine  sul  banco.  Ogni  sbaglio  dà  luogo  a  una  correzione  utile  alla 
classe  intera.  La  maestra  ripete  la  parola  innanzi  a  chi  ha  sbagliato,  cercando  che. 
il  bambino  si  corregga  da  sé. 

Quando  tutti  i  bambini  hanno  disposto  bene  le  letterine,  la  maestra  fa  vedere 
un  cartellino  (a  biglietto  da  visita)  dove  è  scritta,  in  letterine  stampate  alte  circa  un 
centimetro,  la  parola  pane.  La  fa  leggere  a  tutti  i  bambini:  chiama  un  bambino  a 
deporre  il  biglietto  ove  è  scritta  la  parola,  sull'oggetto  ch'essa  parola  rappresenta. 
Così  fa  con  altri  due  o  tre  oggetti,  con  altre  due  o  tre  parole;  es.:  pane,  lume,  cece. 
Quindi  la  maestra  toglie  i  cartellini  dagli  oggetti,  e  li  mescola:  chiama  un  bambino: 
«dimmi  qual'è  l'oggetto  che  ti  piace  di  più?  »;  es  :  lume.  «  Cercami  il  cartellino  dove  è 
scritta  la  parola  lume».  Scelto  il  biglietto  si  fa  leggere  a  tutti  i  bambini:  «  è  vero 
che  c'è  scritto  lumc?«. 

"  Metti  il  biglietto  a  posto  (sull'oggetto)  ».  Così  per  gli  altri. 

Nelle  seguenti  lezioni,  ai  cartellini  nuovi  si  mescolano  i  vecchi  ai  quali  "  non  cor- 
risponde più  l'oggetto  >i,  e  si  fanno  scegliere  i  cartellini  nuovi  tra  tutti  per  deporli 
sull'oggetto. 

Un  primo  libro  di  lettura  dovrebbe  portare  queste  parole  accanto  alla  figura 
dell'oggetto  ch'esse  rappresentano. 

Così  s'insegna  a  unire  i  singoli  segni  in  parole;  quando  i  bambini  hanno  imparato 
a  sillabare,  si  continuano  le  lezioni  di  lettura  senza  oggetto  ma  sempre  con  parole 
che  pei  bambini  abbiano  un  significato  possibilmente  concreto. 

Scrittura.  —  Già  i  bambini  sanno  scrivere  il  segno  corsivo  che  corrisponde  alla 
letterina  piccola  «  che  non  si  tocca  »  e  non  si  scrive  (stampata),  ma  solo  si  legge.  Essi 
devono  ora  scrivere  vicine  e  in  corsivo  le  letterine  che  hanno  unite  nell'alfabetario 
mobile  per  formare  le  parole.  Ad  ogni  parola  letta  o  scritta,  ad  ogni  lezione  oggettiva, 
ad  ogni  azione,  si  vanno  preparando  i  biglietti  stampati  che  andranno  in  seguito  a 
formare  insieme  proposizioni  e  frasi  «  a  parole  mobili  »,  così  come  le  singole  letterine 
mobili  andarono  a  formare  le  parole.  In  seguito  le  semplici  proposizioni  si  riferiranno 
ad  azioni  compiute  dai  bambini  stessi:  si  cominceranno  a  unire  due  o  più  parole:  lana 
rossa,  confetto  dolce,  cane  quadrupede,  ecc.,  e  poi  si  arriverà  alla  proposizione: 
«la  minestra  è  calda»,  «Maria  mangia  i  confetti».  I  bambini  comporranno  le  propo- 
sizioni coi  cartellini,  poi  le  scriveranno  sui  quaderni.  Per  facilitare  la  scelta  dei  cartel- 
lini si  dispongono  essi  entro  casellari  speciali.  Per  e^^.:  un  casellario  porta  scritto  in 
grande:  Nome.  Ed  ogni  casella  porta  scritto,  p.  es.,  persone,  cibi,  vestiario,  ani- 
mali,  ecc. 

Un  altro  casellario:  .aggettivi  e  ogni  casella:  colori,  forme,  qualità,  ecc.  Un  altro: 
Particelle:  particelle  per  il  nome  (articolo),  particelle  per  congiunzione,  ecc. 

Una  cassettina  per  azioni,  ove  è  scritto  in  alto:  Verbi  e  nelle  caselle:  infinito, 
presente,  passato,  futuro. 

I  bambini  finiscono  coli 'imparare  per  pratica  a  prendere  e  a  rimettere  a  posto 

-asellarì  i  bigliettini. 

■  essi  è  facile  cercare,  p.  es.,  nei  «colori»,  «forme»,  «qualità»,  ovvero:  «per- 
animali  »,  «  cibi  ».  Essi  sanno  che  quelli  sono  i  «  casellari  delle  parole  ». 

^.'n  giorno  verrà  che  la  maestra  cercherà  di  spiegare  il  significato  di  quella  parola 


5<>*^  PARTE    SF.CONDA 

scritta  in   alto  in   grande   sui   lasellari .   <•  Nomo  »,   «  Aggettivo  »,   «  Verbo  ».   e  allora 
entrerà  a  spiegare  la 

GRAMMATICA. 

Col  nome  chiamo  le  persone  e  gli  oggetti.  Le  persone  rispondonojse  le'chiamo; 
gli  animali  pure,  gli  oggetti  no,  perchè  non  possono;  ma  se  potessero  risponderebbero. 
Per  es..  se  dico:  «  Igina  !  »  Igina  risponde.  Se  dico  «ceci!»  i  ceci  non  rispondono  perchè 
non  possono,  ma  se  no  risponderebbero.  Voi  capite  quando  io  chiamo  un  oggetto  e 
per  esempio  me  lo  portate  voi  :  io  dico  :  «fagiuoli  !  quaderno  !  »  So  non  vi  dico  il  nome 
dell'oggetto,  voi  non  capite  di  che  voglio  parlare,  perchè  ogni  oggetto  ha  un  nome 
diverso;  il  nome  è  la  parola  che  rappresenta  l'oggetto.  Se  io  dico  un  nome  voi  capite 
subito  che  oggetto  rappresenta  la  parola  che  io  pronuncio;  p.  es.:  albero,  banco,  pe- 
cora, penna.  Se  io  non  dico  il  nome,  voi  non  capite  di  che  cosa  io  voglio  parlare;  pei 
esempio,  se  dico:  «portatemi  qui...»,  «presto,  portatemelo  qui,  lo  voglio!»;  Ma  cosa?... 
se  non  vi  dico  il  nome  non  capite.  L'oggetto  s'indica  con  una  parola  che  è  il  suo  nomo. 
Per  capire  se  una  parola  è  un  nome,  bisogna  chiedersi:  «  è  qualche  cosa?  risponderebbe? 
lo  potrei  portare  alla  maestra?  »  Es.;  «pane»  sì  è  un  oggetto, Ju tavola»  sì;  «custode  >• 
risponderebbe. 

Cerchiamo  un  po'  tra  i  cartellini;  li  prendo  da  più  casellari  e  li  mischio;  leggiamo: 
'dolce.'»  portami  dolce:  c'è  un  oggetto  che  risponde?  «mi  porti  un  confetto?», 
•'  io  non  ho  detto  confetto,  ho  detto  dolce  »,  •  mi  vuoi  dare  lo'zucchero  ?  »,  «  io  non  ho 
detto  zucchero,  ho  detto  dolce»,  «volevo  invece  l'acqua  dolce  della  botti/  ina  dei 
sapori  ».  Dunque  dolce  non  è  un  oggetto,  voi  non  potete  indovinare  l'oggetto  che 
voglio  io  ;  invece  se  dico  :  confetti,  zucchero,  acqua,  bottiglina,  allora  sì  che  capite 
cosa  voglio,  quale  oggetto  voglio,  perchè  quelle  parole  significano  degli  oggetti, 
chiamano  degli  oggetti;  quelle  parole  sono   nomi. 

Cerchiamo  ancora  tra  i  cartellini  dei  nomi. 

Prendiamo  il  libro  di  lettura,  leggiamo  due  righe,  e  vediamo  un  po'  se  ci  sono 
dei  nomi. 

«  Ditemi  voi,  ora,  dei  nomi  •>. 

Come  si  fa  a  trovare  dei  nomi?  Guardatevi  intorno,  guardatevi  addosso;  ogni  og- 
getto che  voi  vedete  nominatelo,  la  parola  che  direte  sarà  un  nome. 

Maestra,   vestito,  cravatta,  cinta,  banco,  custode,  classe,  bambini,  libro,  ecc. 

Guardate  questo  quadro  che  rappresenta  tante  cose:  le  figure  rappresentano  delle 
persone,  degli  oggetti  ;  nominateli,  ogni  parola  che  voi  direte  sarà  un  nome. 

Verbo,  Azione. 

"  Igina,  esci  dal  banco,  cammina  ». 

[gina  ha  fatto  tante  azioni:  è  uscita;  ha  fatto  l'azione  di  uscire,  ha  camminalo, 
ha  fatto  l'azione  di  camminare. 

Adesso  scrivi  il  tuo  nome  nella  lavagna;  ha  fatto  l'azione  di  scrivere:  cancella: 
ha  fatto  l'azione  di  cancellare. 

Io,  per  dire  queste  cose  a  Igina,  ho  fatto  l'azione  di  «  parlare  ».  Come  il  nome 
s'insegnava  su  oggetti,  qui  è  necessario  far  agire  e  non  presentare  oggetti  nei 
quadri,  perchè  i  quadri  non  possono  rappresentare  azioni. 


ALLEGATI  569 

Solo  in  seguito  si  fanno  fare  piccoli  esercizi  d'imaginazione:  «  guardate  gli  oggetti 
e  pensate  quale  azione  possono  compiere?  "  o  guardate  la  classe  e  ditemi  quali  azioni 
vi  si  possono  compiere?,  quali  azioni  si  compiono  in  bottega?  • 

Cerchiamo  tra  i  cartellini  mischiati.  Cerchiamo  sul  libro.  Ditemi  voi  dei  verbi, 
(infinito). 

\ome:  di  persona,  di  cosa  (proprio  e  comune).  Nome,  singolare  e  plurale,  femminile 
e  maschile,  coi  relativi  articoli.  «Scegliete  l'articolo  che  sta  bene  con  questo  nome». 

Verbo.  —  Presente,  passato,  futuro. 

!•  L'azione  che  faccio  adesso,  l'ho  io  fatta  altre  volte?  l'ho  fatta  ieri?  l'ho  sempre 
fatta  in  passato?  »  Sì.  «  Ebbene,  quando  io  faccio  l'azione  di  camminare  adesso,  dico 
cammino:  quando  voglio  intendere  quella  di  ieri,  dico:  ho  camminato».  La  stessa 
azione,  se  si  fa  in  tempi  diversi,  si  dice  diversamente.  Non  è  curioso  questo?  La  pa- 
rola che  significa  un  oggetto  non  cambia  mai:  i  fagiuoli  sono  fagiuoli  oggi  erano  fa- 
giuoli  ieri;  l'azione  muta  le  parole  che  la  significano  secondo  i  tempi.  Oggi  cammino, 
ieri  ho  camminato,  domani  camminerò.  Eppure  sono  sempre  io  che  compio  l'azione, 
e  la  compio  allo  stesso  modo,  mettendo  un  piede  avanti  l'altro. 

Quelli  che  compiono  un'azione  la  compiono  sempre:  vedete  quell  uccellino 
che  vola,  che  compie  l'azione  di  %'olare,  anche  ieri  ha  volato,  nel  passato  ha  volato, 
nel  tempo  passato  ha  volato;  ebbene  domani  pure,  cioè  nel  futuro,  se  \ive  volerà,  e 
volerà  sempre  allo  stesso  modo,  cioè  sbattendo  le  ali. 

Vedete  come  è  curioso  il  verbo?  muta  le  parole  secondo  i  tempi,  è  diverso  secondo 
che  indica  azioni  del  tempo  presente,  del  tempo  passato  e  del  tempo  futuro. 

Guardate:  io  tiro  fuori  dei  cartellini:  e  compongo  una  piccola  frase: 

I  adesso  |      1  Pio  1        mangia  1      1  una  1      1  mela  1 

Io  cambio  la  parola  che  indica  il  tempo  in  cui  a\-viene  l'azione,  levo  il  cartellino 
adessr  e  ci  metto  quello  con  ieri  1  Va  bene  così  la  frase?  «No?...  bisogna  mu- 
ta   1  il  tempo  del  verbo  • .  Rimettete  a  posto  nei  casellari  che  conoscete  i  cartellini. 

AGGETTrVO.       * 

Tutti  gli  oggetti  hanno  delle  qualità:  vediamo  un  po'  che  qualità  ha  questo  con- 
fetto?, è  rosso,  è  dolce,  è  rotondo,  è  buono: 

Che  qualità  ha  questo  banco?,  è  nero,  è  duro,  ecc. 

E  i  bambini?  sono  buoni,  belli,  studiosi,  gentili,  ubbidienti;  oppure  sono  cattivi, 
brutti,  disordinati,  sgarbati,  disubbidienti? 

Leggiamo  dei  cartellini  per  vedere  se  tro\-iamo  le  parole  che  significano  qualitr 
degli  oggetti?  Poi:  tiriamo  fuori  tanti  cartellini  dal  casellario  degli  aggettivi,  e  taici 
dal  casellario  dei  nomi.  E  a  ogni  nome  mettiamo  accanto  dei  cartellini  che  ci 
stiano  bene. 

Per  es  :  adesso  faccio  io;  guardate:  Pio.  rosso,  ru\ndo,  quadrupede,  tr3jparente. 

■  Ho  messo  bene?  ».  E  allora  trovate  voi  degU  aggettivi  che  si  adattimi  aJ  nome. 
Gli  aggettivi  sono  parole  che  rappresentano  qualità  di  un  dato  oggetto,  quindi  devono 
adattarsi  al  loro  nome. 


PAKTE    SECONDA 


Troviitr  .logli  oggL-tiivi  che  stiano  beno  col  uoiuc  cane:  bisn(;iiii  clu'  essi  siano 
parole  cho  rappresentano  qualche  qualità  del  cane.  Rimettete  al  jiosto  nei  casellini 
tutti  i  bigliettini  (esercizio  ettìcacissinio). 

(Questo  il  metodo  per  insegnare  la  grammatica;  insegnamento  clic  si  applica  agli 
nijgetti.  alle  azioni  della  vita,  e  può  adornarsi  e  rendersi  più  piacevole  con  brevi  rac- 
contini. 

I  limiti  dell'insegnamento  di  grammatica  si  estendono  fin  dove  si  può.  senza 
insistenza:  se  il  bambino  compie  la  sua  educazione  nella  scuola  dei  deficienti,  potrà 
anche  fare  a  meno  d'una  complicata  grammatica;  se  il  bambino  lia  fatto  grandi  pro- 
i^ressi  e  può  tornare  nelle  classi  dei  normali,  s'inoltri  per  lui  l'insegnamento  fino  a 
l^orlo  a  livello  delle  comuni  scuole. 

LE  LEZIONI  OGGETTIVE. 

Siamo  brevi:  \-ivaci  descrizioni  di  un  oggetto.  Si  tenga  desta  ])iù  che  si  può  l'at- 
tenzione del  bambino  con  le  modulazioni  della  voce,  con  le  lodi,  le  esclamazioni 
eccitando  la  sua  curiosità.  Non  si  cominci  mai  con  la  parola,  ma  sempre  con  l'oggetto. 
Si  facciano  applicare  alla  conoscenza  dell'oggetto  tutte  le  applicabili  nozioni  note  ai 
bambini;  si  descriva  prima  in  tal  modo,  poi  si  parli  del  suo  uso,  della  si^^i  origine. 

Esempio:  guardate  un  po'  di  che  colore  è,  che  forma  ha;  toccatelo,  o  (  ustatelo,  ecc. 
Se  è  possibile,  si  faccia  vedere  l'uso  dell'oggetto;  si  faccia  vedere  l'origine  dell'oggetto 
più  che  è  possibile.  Possibilmente,  come  si  dà  l'idea  concreta  dell'oggetto  descriven- 
dolo e  facendo  percepire  le  varie  sue  qualità  ai  sensi  del  bambino;  così  si  cerchi  che  la 
variazione  dell'Mso  dell'oggetto,  sia  la  descrizione  di  azioni  che  il  bambino  vede  com- 
piere, ecc. 

Tale  è  l'ideale;  bisognerà  cercare  di  avvicinarvisi  nei  Hmiti  del  possibile:  inoltre 
si  faccia  rivedere  più  volte  l'oggetto  in  ambienti  diversi  o  sotto  aspetti  diversi,  sì 
che  esso  ecciti  e  mantenga  l'attenzione  del  bambino  come  cosa  sempre  nuova.  Esem- 
pio: lezione  sulla  gallina:  si  mostri  un  modello  colorato  in  cartapesta,  si  mostri  la 
gallina  vera  che  vive  nel  campicello,  si  mostri  la  gallina  figurata  a  colori  in  un  grande 
quadro,  si  mostri  in  proiezione  luminosa  nella  camera  oscura,  si  ripresenti  figurata  in 
piccolo  nel  libro  del  bambino,  tra  figure  d'altri  volatili  domestici,  ecc. 

Questo  naturalmente  in  giorni  diversi. 

La  paiola  sia  sempre  unita  all'oggetto:  scriviamo  la  parola  sulla  lavagna,  piepa- 
riamo  il  cartellino  stampato  e  mettiamolo  nel  casellario  delle  parole. 

Chi  vuole  tirare  il  carrettino  con  la  tavola  nera,  che  porteremo  nel  campicello 
pei   iscriveici  le  parole? 

Cerchiamo  un  po'  sul  libio  se  accanto  alla  figura  c'è  scritta  la  parola:  gallina. 

Scrivetela  sui  vostri  quaderni. 

Chi  sa  ripetere  ciò  che  abbiamo  detto  sulla  gallina-' 

Scdvete  ciò  che  sapete  sulla  gallina. 

Secondo  le  classi,  si  daranno  più  o  meno  nozioni  sull'oggetto,  passando  da  una 
sommaria  a  una  più  minuta  descrizione,  fino  a  parlare  di  uso,  costumi,  origine. 

Dallo  scrivere  la  semplice  parola  fino  al  componimento  descrittivo. 

Le  lezioni  sull'oggetto  siano  sempie  bievi;  e  si  ripetano  in  giorni  diversi 


ALLEGATI  57I 

Per  le  legioni  sui  vegetali  è  necessario  il  campicello:  si  farà  vedere  a  seminare, 
si  farà  vedere  la  pianta  ciesciuta,  si  farà  vedere  il  raccolto,  si  faià  vedere  possibil- 
mente l'uso  domestico  dei  più  comuni  vegetali. 

Così  pei  fiori,  ecc. 

Non  manchi  mai  nel  campicello  un  carrettino  con  la  tavola  nei  a  e  il  gessetto  per 
iscrivere. 

Sono  necessarie  pei  le  le^iioni  oggettive  i  giocattoli  che  rappresentano  mobili, 
stoviglie,  oggetti  d'uso  domestico,  istrumenti  di  vari  mestieri,  camere  e  relativi  mo- 
bili da  disporre  in  esse,  casette,  alberi,  chiesuole  per  costruire  villaggi,  ecc.  E  poi  bam- 
bole fornite  di  tutti  gli  oggetti  di  vestiario. 

La  scansia  delle  boccette  con  esemplari  di  bevande. 

Stoffe  di  tutte  le  qualità,  sulle  quali  si  applichi  la  palpazione  come  educazione 
del  tatto. 

Origine  delle  stoffe,  lavorazione,  ecc. 

Principali  minerali. 

STORIA. 

L'insegnamento  della  storia  si  fa: 

i"  nel  teatrino,  coi  quadri  viventi,  poi  con  l'azione; 
2°  descrivendo  grandi  quadri  illustrati  a  colori; 

3°  pai  landò  sulle  ^gure  luminose  che  compariscono   nella  sala  nera  per  le 
proiezioni. 

Quando  il  maestro  descrive  sia,  al  solito,  conciso  e  vivace  nella  sua  descrizione. 
I  racconti  storici,  come  ogni  altra  lezione,  arricchiranno  di  cartellini  stampati 
il  casellario  delle  parole. 

Le  nozioni  varie  sulle  stagioni,  i  mesi  dell'anno,  ecc.,  si  impartiscono  come  illu- 
strazioni di  quadri.  Ogni  mattina  il  bambino  dovrà  dire:  che  giorno  è  oggi,  che  giorno 
era  ieii,  che  giorno  saia  domani,  che  giorno  è  del  mese. 

GEOGRAFIA. 

1.  Siano  prima  esercizi  sul  piano  pei  punti  cardinali,  si  facciano  applica:'ioni 
varie  di  giochi  ginnastici,  di  giochi  d'indovino. 

2.  Piccole  costruzioni  sul  campicello;  facciamo  un  laghetto,  facciamo  un'isola, 
una  penisola,  un  fiumicello. 

3.  Porteremo  le  casette  e  la  chiesuola  nel  giardino,  faremo  un  piccolo  villaggio: 
a  nord  metteremo  la  chiesa,  a  est  la  caserma,  ecc. 

All'ovest  del  villaggio  sta  un  monte,  ci  metteremo  sopra  una  bella  banderuola 
italiana. 

4.  Si  disporrà  in  classe  una  camera  coi  relativi  mobili,  sopra  un  cartone  ove 
è  disegnata  la  pianta  della  camera.  Ora  togliamo  tutti  i  mobili:  resta  sulla  carta  un 
segno  che  c'indica  ove  essi  erano. 

Si  faccia  ora  vedere  un  piccolo  villaggio  con  le  case,  le  strade,  gli  alberi,  ecc.  To- 
gliamo via  tutto:  restano  sulla  carta  i  disegni:  vogliamo  riconoscerli?  qui  stava  la 
chiesa,  ecc. 


57^  PARTE    SECONDA 


lìuesta  è  una  carta  geografica. 

Leggiamola,  servendoci  dei  punti  cardinali. 

5.  Per  le  regioni,  «i  possono  fare  piccole  costruzioni  con  la  creta,  per  rappre- 
sentare i  monti,  ecc..  disegnarli  all'intorno,  poi  tagliarli  e  leggere  la  carta  geografica 
rimasti,  ecc. 

ARITMETICA. 

I  bambini  «ontano,  un  naso,  una  bocca;  uno  due  mani;  uno,  due  piedi;  uno,  due 
tre;  uno.  due.  tre.  i)uattro  punte  negli  incastri;  una.  due,  tre,  quattro,  cinque,  sei 
soldatini  sul  piano. 

Quanti  cubetti  abbiamo  adoperato  per  la  costruzione?  nove. 

Così  la  prima  numerazione. 

Calcolo.  —  Il  calcolo  s'insegna  praticamente  in  bottega,  fin  dal  principio.  Il 
bottegaio  vende  una  ciliegia  al  soldo.  I  bimbi  hanno  due  soldi  e  comprano  due 
ciliege. 

Dà  due  noci  al  soldo:  mettete  sul  piatto  un  soldo  e  fatevi  porre  accanto  due  noci: 
contiamo  tutte  le  noci:  quattro,  ecc. 

Un  bambino  vuole  una  sola  ciliegia  e  ha  un  pezzo  da  due  soldi:  il  bottegaio  deve 
dargli  un  soldo  di  resto:  ^2  +  2  =  4;  2 — 1  =  1).  Scambio  delle  monete  (.si  noterà  che 
alcuni  bambini  in  principio  riconoscono  meglio  le  monete  alla  palpazione  che  alla 
visione  (tipi  motori). 

Segni  grafici.  —  Cartelloni  con  le  9  cifre,  uno  ogni  cifra;  portano  il  disegno  di 
svariatissimi  oggetti  in  quantità  ognuno  relativa  alla  cifra  disegnata  in  grande. 

Esempio:  sul  cartellone  dell'i  ci  sarà  attorno  al  segno  grafico:  una  ciliegia,  un 
cagnolino,  una  palla,  una  chiesa,  un  soldo.  Ieri  il  bottegaio  vendeva  una  ciliegia 
al  soldo.  È  qui  la  ciliegia?  Sì,  c'è  una  ciliegia;  e  questa  cosa  e?  una  chiesa;  e 
questo?  «un  soldo»,  ecc.  E  questo  segno?...  Esso  rappresenta  il  numero  uno.  Si 
presenta  la  cifra  di  legno:  è  uno!  mettetelo  sul  segno  del  cartellone;  è  uno! 

I  cartelloni  si  porteranno  alla  bottega:  chi  ha  un  soldo?  chi  ha  due  soldi?,  ecc. 
cerchiamo  tra  questi  cartelloni  la  cifra.  Il  bottegaio  vende  tre  ccci  al  soldo,  cerchiamo 
la  cifra  tra  i  cartelloni. 

Si  apprende  il  numero  alla  bottega,  nelle  lezioni  del  dopopranzo;  si  mostrano  i 
segni  grafici  rappresentanti  il  numero,  la  mattina  dopo.  Quindi  alla  bottega  si  por- 
tano i  cartelloni  coi  segni  grafici  già  noti,  e  si  fanno  riconoscere.  Dai  calcoli  si  rica- 
vano altri  numeri. 

.\llora  la  mattina  dopo  si  fanno  apprendere  i  segni  grafici  dei  nuovi  numeri  ri- 
cavati il  giorno  innanzi  in  bottega,  e  così  via. 

Per  rendere  interessante  la  bottega,  si  ripetono  sommariamente  le  lezioni  ogget- 
tive riferentisi  agli  oggetti  che  si  vendono;  si  fa  notare  come  gli  oggetti  devono 
essere  integri,  affinchè  il  bambino,  ricevendoli,  li  guardi  bene,  li  osservi  in  tutte  le 
loro  parti  e  li  rifiuti  se  non  sono  integri,  o  se  li  hanno  scambiati. 

Es.:  se  danno  una  ciliegia  fradicia,  non  si  accetta:  un  cece  invece  d'un  fagiolo, 
non  si  accetta.  Bisogna  pagare  solo  quando  si  è  ben  certi  d'essere  stati  serviti  bene. 
(Esercizi  della  vita  pratica). 


ALLEGATI  573 

Il  bottegaio  in  principio  scambierà  solo  gli  oggetti  per  abituare  alla  osservazione 
delle  qualità  il  bambino  che  compera. 

In  seguito  cercherà  ai  alterare  i  numeri  degli  oggetti  per  abituare  il  bambino  a 
osservare  le  quantità  numeriche. 

Cifre  pari  e  dispari. 

Le  pari,  sono  in  rosso;  le  dispari,  in  bleu.  Si  hanno  le  cifre  mobili  di  legno. 

Cubetti  rossi  e  bleu  in  numero  relativo  alle  cifre.  Si  hanno  cartelloni  con  le  cifre 
disegnate  a  colori,  e  sotto  ogni  cifra  dei  quadratini  rossi  e  bleu  disposti  in  modo  che 
si  possa  ben  vedere  la  divisibilità  in  due  dei  numeri  pari  e  la  indivisibilità  dei  dispari, 
perchè  rimane  un  quadratino  in  mezzo; 


Il  bambino  sovrappone  le  cifre  mobili  e  i  cubetti  ai  segni  dei  cartelloni.  La  mae- 
stra allora  separa  con  le  mani  le  due  file  dei  cubetti  corrispondenti  alle  cifre  pari 
(rosse):  questo  si  divide  bene.  Cerca  di  separare  le  dispari  (bleu):  questo  non  si 
può.  resta  un  cubetto  in  mezzo! 

Il  bambino  ha  le  cifre  e  i  cubetti;  li  dispone  sul  banco,  copiando  la  figura  dal  car- 
tellone e  cercando  egli  di  separare  le  due  file  dei  numeri  pan,  non  potendo  farlo 
coi  dispari. 

Se  i  numeri  che  si  dividono  in  due  sono  pari,  quelli  che  non  si  dividono  sono 
dispari. 

Casellario  dei  numeri.  —  Su  questo  casellario  sono  disegnate  sopra  ogni  casella 
le  cifre  in  rosso  e  in  bleu,  uguali  a  quelle  dei  cartelloni.  Il  bambino  getterà  in  ogni 
casella  i  cubetti  corrispondenti  alla  cifra,  dopo  che  li  ha  disposti  nell'ordine  pari  e 
dispari  sul  banco,  dicendo  il  nome  della  cifra  e  aggiungendo:  «  pari  »,  o  <t  dispari  », 

Esercizio  di  applicazione  e  di  memoria.  —  Il  cartellone  delle  cifre  pari  e  dispari 
a  colori  sta  sul  leggio  in  vista  a  tutti  i  bambini:  sul  banco  della  maestra  sono  ammuc- 
chiati 1  cubetti  rossi  e  bleu. 

La  maestra  distribuisce  tra  1  bambini  le  cifre  di  legno  e  dice  «  guardatele  !  », 
poi  subito  dopo  i  bambini  escono  dai  banchi  e  vanno  insieme  al  tavolo  della  maestra 
a  prendere  i  cubetti  relativi  alla  propria  cifra.  Tornano  al  posto  e  dispongono  i  cubetti 
sotto  la  cifra  nell'ordine  appreso. 

La  maestra  noterà: 

1°  se  il  bambino  ha  ricordato  il  colore  della  cifra  (spesso  qualcuno  che  ha  la 
cifra  rossa  prende  i  cubetti  bleu)  ; 
■2°  se  ha  ricordato  il  numero; 
3°  se  ricorda  la  disposizione. 

Infine  noterà  se  il  bambino  ricorda  che  il  cartellone  dal  quale  può  copiare  sta 
sul  leggìo  e  se  pensa  di  osservarlo. 

Quando  il  bambino  sbaglia,  la  maestra  lo  fa  correggere  da  sé,  facendogli  osser- 
vare il  cartellone. 


PARTE    SECONDA 


Decina.  Numer.\zione. 

Classi    superiori   alla  preparai  ria. 

Ih  btittega  si  vendono  io  (ìt»getti  al  soldo  (cs.:  io  fagiuoli),  un  soldo  alla  decina, 
una  decina  =  dieci      io; 
due  decine  =  venti     20; 
tre  decine  =  trenta  30,  occ. 
l.f  decine  da  40  in  su  si  imparano  più  facilmente,  essendo  i  loro  nomi  simili 
al  numero,  con  la  desinenza  in  anta:  si  preparano  dei  cartoni  a  lungo  rettangolo  in 
cui  sono  scritte  le  nove  decine  una  sotto  l'altra:  «[uindi  nove  cartoncini  ove  sono 
ripetute  nove  volte  ogni  decina  in  colonna. 

Quindi  tanti  cartellini  con  le  singole  cifre:  i,  2,  3,  4,  5,  (>,  7,  8,  ()  da  sovrapporsi 
allo  zero  nei     artoni  della  decina  ripetuta  nove  volte. 


Sarà  più  difficile  per  la  prima  decina,  ove  i  nomi  non  corrispondono  ad  essa: 
undici,  dodici,  ecc.,  ma  diverrà  facilissima  per  le  altre  decine,  .\ppena  il  bambino 
saprà  contare  fino  a  venti,  saprà  pure  contare  fino  a  cento. 

In  seguito  si  fanno  sovrapporre  i  cartellini  sul  1°  cartone  della  serie  delle  decme, 
e  si  fanno  leggere  i  numeri  risultanti. 

Problemi.  -    I  problemi  in  principio  sono  pei  fanciulli  un  esercizio  di  memoria. 

Infatti  essi  sciolgono  il  problema  praticamente  alla  bottega  sotto  forma  di  giuoco, 
comprando  prestando  danari,  dividendo  coi  fratelli,  sottraendo  una  parte  della 
merce  per  darla  a  una  sorella,  ecc.  ecc.  La  mattina  dopo  il  problema  si  rifensce  al- 
l'esercizio di  bottega;  i  bambini  devono  solo  ricordarsene  e  mettere  in  iscritto  il 
fatto  avvenuto. 

/  problemi  si  svolgono  quindi  contemporaneamente  alle  operazioni,  ai  calcoli. 
La  maestra  spiega  le  operazioni  partendo  dal  problema,  che  pel  bambino  è  un  giuoco 
assai  divertente. 

Infine  il  problema  diventa  un  componimento  d'immaginazione:  «immaginate 
un  po'  d'essere  andati  in  bottega  o  d'aver  comprato,  ecc.,  ecc.  ».  Infine  si  può  arrivare 
a  veri  problemi  che  richiedono  ragionamento. 

In  bottega  la  maestra  esegue  le  operazioni  sulla  lavagna,  aiutandosi  prima  coi 
segni,  es.:  «  tu  hai  comprato  due  soldi  di  fagiuoli  a  tre  il  soldo,  scriviamo  un  po'  » 
III    III   contiamo:  sono  6. 


ALLEGATI  575 

III      III 

Allora:  3-1-3  =  6.  E  possiamo  anche  dire:  2  gruppetti  di  |||  uguale  6,  due  volte 
tre  sei;  due  per  tre,  sei;  2x3  =  6.  Quanto  fa  3  +  3?  Quanto  fa  2  x  3?  Quanto  fa  3  x  2? 

La  mattina,  al  problema  scritto,  il  bambino  abbia  in  principio  sotto  gli  occhi 
i  cartelloni  dei  calcoli  con  tutte  le  loro  combinazioni,  ai  quali  potrà  ricorrere. 

Solo  in  seguito  calcolerà  a  memoria. 

Esempi  di  cartelloni. 
Cartelloni   dell'  addizione . 


1  +  1  =  2 

2+1  =  3 

3+1=4 

1  +  2  =  3 

2  +  2  =  4 

3  +  2  =  5 

1  +  3  =  4 

2  +  3  =  5 

3  +  3  =  6 

1  +  4  =  5 

2  +  4  =  6 

3  +  4  =  7 

Della  moltiplicazione. 

1x1=1  2x1=2  3x1=3 

1X2  =  2  2x2=4  3x2  =  (. 

1X3  =  3  2x3  =  6  3X3  =  C) 

Così  della  sottrazione. 

Lo  svolgimento  delle  varie  operazioni  è  avvenuto  logicamente  negli  esercizi  di 
bottega,  dove  la  moltiplicazione  è  risultata  un  prodotto  di  somme,  la  divisione  un 
risultato  di  sottrazioni  successive. 

Noi  abbiamo  nelle  nostre  classi,  lezioni  di  aritmetica  tutti  i  giorni:  un  giorno 
nel  dopo  pranzo  si  prepara  praticamente  alla  bottega  la  lezione  teorica  del  mattino 
di  poi.  Quindi  il  giorno  che  v'è  pratica  non  v'è  teorica  e  viceversa. 

Con  lo  stesso  metodo  si  svòlgerà  il  sistema  metrico  decimale  applicato  ai  pesi 
e  alle  misure  e  alle  prime  monete. 

La  bottega  dovrà  essere  fornita  delle  bilancie  coi  pesi,  del  metro,  del  litro,  ecc. 

Tutte  le  monete,  poi,  dovranno  esser  note,  e  così  i  biglietti  fino  a  lire  100. 

La  lezione  della  bottega  continui  sempre  ad  essere  non  solo  una  preparazione  al 
calcolo,  ma  anche  una  preparazione  alla  vita  pratica.  Es.:  vendendo  le  stoffe,  si  dia  una 
idea  del  vero  prezzo  di  esse,  si  faccia  notare  la  qualità  con  la  palpazione,  ecc.,  s'insegni 
ad  osservare  se  il  negoziante  serve  bene;  si  addestri  allo  scambio  della  moneta.  II 
denaro  che  i  bambini  spendono  in  bottega,  deve  essere  da  loro  guadagnato  come 
votazione  dello  studio  e  della  condotta. 


REGOLE  GENERALL 

Per  attrarre  l'attenzione  del  bambino  deficiente,  sono  necessari  forti  stimoli 
sensoriali:  quindi  le  lezioni  debbono  essere  eminentemente  oggettive.  Ogni  lezione 
deve  cominciare  dalla  presentazione  di  oggetti,  che  la  maestra  illustrerà  con  poche 
parole,  ma  spiccatamente  pronunciate,  con  modulazioni  di  voce  continue,  e  accom- 
pagnate da  vivace  espressione  mimica. 


57^  PARTE    SECONDA 

1..»  lozione  sia  dilettente,  presentata  possibilnn  ntc  sotto  forma  di  giuoco  e 
tale  da  destaro  la  curiosità  del  bambino:  come  i  giuochi  doU'iudovino.  dell'acchiap- 
pamano,  del  sonnambulo,  del  bottegaio  cieco;  il  gioco  della  bottega,  ecc.  ecc. 

Ma  comunque  divertente,  la  lezione  sia  sempre  breve  m  modo  che  la  sua  fine 
lasci  in  desiderio  il  bambino;  la  sua  attenzione,  che  presto  si  esaurisce,  non  deve 
essere  esaurita  dalla  lezione.  Per  fissare  le  nozioni  noi  dovremo  ripetere  la  lezione 
molte  volte:  ogni  volta  però  il  medesimo  oggetto  sia  presentato  sotto  forma  diversa, 
in  diverso  ambiente,  sì  che  apparisca  come  nuovo  e  desti  quindi  interesse:  il  racconto 
.storico,  nei  quadri  \nventi,  al  gran  quadro  disegnato  a  colori,  sulla  camera  oscura  in 
proiezione  luminosa,  ecc. 

Quando  le  lezioni  devono  essere  di  necessità  quasi  individuali,  come  nelle  prime 
classi,  si  abbia  l'avvertenza  di  tenere  occupati  tutti  gli  altri  bambini  con  oggetti 
diversi:  incastri,  telai  per  allacciare,  abbottonare,  agganciare,  ecc. 

Se  un  bambino  si  rifiuta  alla  lezione,  non  è  bene  forzarlo;  ma  cei  heremo  clie  ci 
obbedisca  indirettamente  per  imitazione  di  compagni,  ci  rivolgeren.j  ai  vicini  di 
buona  volontà  e  li  colmeremo  di  elogi.  "  N.,  è  bravo!,  come  è  bravo!  "  quasi  sempre 
anche  il  bambino  prima  recalcitrante  saprà  sottomettersi.  Quando  un  fanciullo'  ci 
ha  corrisposto  bene,  mostrando  di  avere  appreso  ciò  che  gli  insegnavamo,  non  si 
inviti  a  ripetere  ancora,  perchè  stancandosi  facilmente  la  sua  attenzione  potrà  dire 
male  in  secondo  tempo  ciò  che  prima  aveva  detto  bene,  e  ciò  lo  scoraggerà.  Invece 
bisogna  contentarsi  della  prima  buona  risposta,  colmare  d'elogi  il  bambino  che  ne 
serberà  cosi  più  facilmente  compiacente  memoria,  e  tornarvi  su  solo  il  giorno  dopo, 
o  almeno  a  distanza  di  ore. 

Fa  eccezione  la  lezione  di  lavoro  manuale,  che  sarà  lunga  un'ora  intera,  e  che 
soltanto  prenderà  l'aspetto  di  sena  occupazione  e  non  di  giuoco.  Si  applichi  presto 
il  bambino  a  lavori  utili,  anche  se  faticosi  o  un  poco  dannosi  (lavori  di  traforo  in 
legno,  ecc.). 

Deve  fin  dal  principio  abituarsi  il  bambino  a  superare  vittoriosamente  le  asprezze 
del  lavoro  manuale,  che.  solo,  un  giorno  potrà  dargli  il  pane.  Ad  eccitarlo  al  lavoro  ci 
saranno  dei  compensi:  il  bambino  guadagnerà  nell'ora  del  lavoro  il  denaro  con  cui 
comprerà  in  bottega,  con  cui  potrà  procurarsi  il  suo  posto  al  teatro  e  nella  sala  delle 
proiezioni.  II  bambino  che  non  lavora  sarà  privato  delle  lezioni  più  divertenti,  come 
quelle  di  musica  e  di  ballo,  che  verranno  subito  dopo  l'ora  del  lavoro.  Del  resto  quasi 
sempre  questi  bambini  si  applicano  volentieri  ai  lavori  manuali,  i  quali  debbono  es- 
sere scelti  e  adottati  secondo  le  tendenze  naturali  dei  singoli  fanciulli,  sì  che  sul  la- 
voro il  bambino  possa  trovare  la  maggiore  sua  soddisfazione,  e,  per  la  naturale  ten- 
denza, riescire  a  perfezionarsi  in  modo  ch'esso  riesca  utile  a  sé  stesso  e  ad  altri. 


EDUCAZIONE  MORALE. 

Noi  intendiamo  per  educazione  morale  quella  che  tende  a  rendere  sociale  un 
individuo  per  sua  natura  extra  o  antisociale.  Essa  comprende  più  parti  e  potremo 
farne  un  parallelo  con  l'educazione  fin  qui  trattata  che  chiameremo;  «  educazione 
intellettuale  ». 


ALLEGATI  577 

In  essa  cominciavamo  dal  correggere  a  mezzo  d'una  opportuna  cura  igienica 
tutti  quei  difetti  fisici  che  potevano  opporsi  ad  una  ifficace  opera  educativa;  anche 
qui  con  mezzi  igienici,  tenteremo  di  eliminare  quei  difetti  che  spesso  sono  il  risultato 
d'un  malessere  fisico  passeggero.  Cercheremo  cioè  di  interpretare  quelle  che  comune- 
mente si  chiamano  cattiverie  dei  bambini,  le  quali  non  sono  apparentemente  provo- 
cate da  causa  alcuna,  per  ricercare  se  esse  provengano  da  qualche  disturbo  intestinale 
o  dallo  stato  di  incubazione  di  qua'che  malattia  infettiva,  dei  quali  stati  d'incubazione, 
i  sintomi  devono  essere  noti  ali  educatore.  Le  madri  inglesi  usano  empiricamente 
di  dare  un  purgante  o  di  applicare  una  doccia  al  bambino  «  cattivo  »,  spesso  con 
buon  successo  correttivo:  ma  non  è  prudente  usare  l'empirismo  là  dove  la  scienza 
può  dare  norme  ben  più  sicure  ed  efficaci. 

L'igiene  dei  bambini  deve  essere  nota  all'educatore  e  formare  sempre  il  cardine 
del  metodo  educativo.  Passando  all'educazione  vera,  noi  cominciavamo  là  col  ri- 
dure il  bambino  alla  immobilità  tonica;  qui  cominceremo  col  ridurre  il  bambino  al- 
Vobbedieìiza. 

Per  dare  là  il  primo  concetto  della  propria  personalità  fisica  al  bambino  (imi- 
tazione personale:  toccare  le  parti  del  proprio  corpo),  e  della  sua  relazione  con  l'am- 
biente (imitazione  impersonale:  spostare  gli  oggetti,  ecc.),  ricorrevamo  alla  imi- 
tazione: qui,  per  ispirargli  i  primi  doveri,  gli  creeremo  un  ambiente  moralmente 
corretto,  ambiente  ove  egli,  già  sottomesso  nell'obbedienza,  imiterà  le  persone  che 
agiscono  bene. 

Là  continuavamo  con  l'educazione  dei  sensi;  qui  si  procederà  all'educazione  del 
sentimento;  là  si  passava  all'educazione  intellettuale  propriamente  detta;  qui  alla 
educazione  della  volontà. 

Quindi  il  parallelo  è  perfetto: 
educazione  igienica;  igiene; 
immobilità  tonica:  ubbidienza; 
imitazione;  imitazione  (ambiente); 
educazione  dei  sensi:  educazione  del  sentimento; 
educazione  intellettuale  propriamente  detta:  educazione  della  v(jlontà. 


Ubbidienza. 

Il  maestro  che  comanda  è  una  volontà  che  s'impone  al  bambino  deficiente,  il 
quale  manca  di  volontà;  e  si  sostituisce  alla  sua  o  spingendolo  all'azione  o  inibendo 
i  suoi  impulsi.  È  necessario  che  fin  dal  principio  il  bambino  senta  questa  volontà 
che  a  lui  s'impone  e  sempre  fatalme'^te  lo  vince:  e  che  comprenda  come  conti o  questa 
volontà  egli  non  potrà  mai  resistere. 

Il  maestro  che  ha  comandato,  deve  farsi  obbedire  a  ogni  costo,  sia  pur  ricorrendo 
in  principio  a  mezzi  coercitivi;  nessuna  cosa  mai  potrà  far  desistere  il  maestro  dal 
suo  comando:  il  bambino  deve  sottomettersi  e  ubbidire.  Perciò  il  maestro  comandi 
in  principio  solo  cose  che  egli  potrà  ottenere;  peres.:  di  far  muovere  il  bambino,  poiché 
potrà  nei  casi  estremi  muoverlo  per  forza;  o  di  farlo  star  fermo,  poiché  potrà  magari 
legarlo  con  fascie  o  mettergli  la  camicia  di  forza.  Ma  non  gli  comanderà  mai,  p.  es.,  di 


57^  PARTE    SECONDA 


chiedere  i>crdono,  perchè  il  bambino  potrà  rifiutarsi  e  contto  tale  ritiutu  può  divenire 
impotente  il  maestro  e  perdere  della  sua  autorità. 

Per  avere  la  forza  del  comando,  il  maestro  deve  possedere  un  forte  potere  sug- 
gestivo, che  potrà  acquistare  parzialmente  con  arte.  Il  maestro  dovrebbe  essere 
fisicamente  bello,  di  imponente  persona;  dovrebbe  avere  una  voce  limpida,  modulata; 
un  potente  sguardo,  energico  il  gesto  ed  espressiva  la  mimica  del  volto.  Cose  che  in 
gran  parte  possono  acquistarsi  studiando  la  mimica  e  la  declamazione;  ciò  che  un 
perfetto  maestro  di  deficienti  dovrebbe  fare. 

Lo  studio  artistico  deJ  comando  che  il  maestro  deve  fare  si  divide  in  tre  parti; 

a)  studio  della  voce  e  della  parola; 

b)  studio  del  gesto; 

e)  studio  dello  sguardo. 

La  voce  e  la  parola.  —  La  voce  deve  essere  limpida  e  melodiosa;  l'articolazione 
della  parola  perfetta.  Chi  ha  difetti  di  pronuncia  rinunzi  ad  educare  i  deficienti; 
se  un  giorno  siamo  raffreddati  e  gli  scatti  della  nostra  voce  possono  assumere  intona- 
zioni false  o  ridicole,  rinunciamo  per  quel  giorno  a  correggere  e  comandare  un  defi- 
ciente. 

La  nostra  voce  deve  colpire  l'udito  e  suggestionare  il  bambino.  Se  le  grida,  le 
tirate  declamatorie,  sono  oramai  abolite  nell'educazione  comune,  faranno  bene  nella 
pratica  pei  deficienti;  mentre  nell'educazione  intellettuale  di  questi  infelici  fanciulli 
dovevamo  pronunciare  poche  parole,  spiccatamente,  qui  non  si  esiti  il  diluvio  delle 
parole,  purché  si  seguano  senza  monotonia,  purché  la  voce  passi  dal  tono  di  rimpro- 
vero interrotto,  dagli  scatti  rapidi  e  stridenti,  al  tono  commovente,  drammatico,  in- 
terrotto da  esclamazioni  di  dolore;  al  tono  tenero,  carezzevole,  pietoso.  Poche  parole 
spicchino  nella  moltitudine  loro,  quelle  che  col  grido  o  l'esclamazione  vogliamo  far 
capire  al  bambino;  le  altre  non  saranno  altro  per  lui  che  <(  suono  modulato,  melo- 
dioso o  straziante  ».  Questo,  quando  nel  «comando»  di  non  fare  il  mtde  entra  pure 
il  mezzo  correttivo;  o  di  compiere  un'azione,  entra  l'incitamento,  la  minaccia  e  la 
promessa;  e  in  tal  caso  con  la  musica  della  voce  umana  cominciamo  già  l'educazione 
del  sentimento. 

Ma  spesso  il  comando  è  semplice:  si  comanda  al  bambino  di  fare  una  cosa:  egli  non 
si  oppone,  ma  non  si  decide  nemmeno  facilmente;  noi,  con  le  nostre  parole,  vogliamo 
fargli  comprendere  ciò  che  gli  chiediamo.  In  questo  caso,  la  tecnica  del  semplice 
comando  si  divide  in  due  parti:  quella  del  comando  incitativo  e  quella  del  comando 
esplicativo.  Il  comando  intero  dovrà  ripetersi  più  volte  variando  intonazione  ogni 
volta,  e  accentuando  sempre  una  parola  diversa,  finché  progressivamente  avremo 
accentuato  tutte  le  parole.  Es.:  «Umberto,  metti  codesto  libro  sulla  tavola  ».  La  prima 
volta  il  comando  sarà  incitativo,  richiamerà  l'attenzione  del  fanciullo  e  lo  stimolerà 
ad  agire;  l'accento  cadrà  sul  nome  del  bambino  e  sull'imperativo;  il  tono  sarà  di  co- 
mando assoluto:  "  Umberto...!  metti...  codesto  Hbro  sul  tavolino  ».  Poi  il  tono  muterà, 
si  raddolcirà  andando  dal  comando  alla  spiegazione,  la  parola  prima  netta,  vibrante, 
irresistibile,  si  muterà  in  espressioni  lente,  distaccate,  penetranti:  «  Umberto!  metti 
codesto  libro  sul  tavoUno  ». 

«  Umberto!  metti  codesto  libro  sul  tavolino  ». 

«  Umberto!  metti  codesto  libro  sul  tavolino  ». 


ALLEGATI  579 

Mentre  la  voce,  comandando' e  descrivendo,  spingeva,  guidandolo,  il  bambino 
all'azione  da  noi  voluta,  ci  aiutava,  nel  potere  suggestivo,  e  nella  spiegazione. 

Gesto.  —  Il  maestro  deve  studiare  particolarmente  il  gesto  espressivo  col  quale 
sempre  dovrà  accompagnare  la  parola,  così  per  eccitare  all'azione,  come  pei  provo- 
care l'imitazione  e  spiegare  il  comando.  Tanto  perfetto  dovrebbe  essere  e  tanto 
espressivo  nel  gesto,  da  farsi  comprendere  anche  senza  {)aroIe. 

Se,  p.  es.,  il  maestro  vuol  comandare  l'immobilità  al  bambino,  insieme  all'impe- 
rioso scatto  della  voce,  il  maestro  si  fermi,  e  stia,  quasi  irrigidito,  fissando  con  Io 
sguardo  il  fanciullo,  in  modo  ch'esso  colpito,  suggestionato,  imiti  quella  rigida  im- 
mobilità che  vede  innanzi  a  sé.  E  poi  per  mantenerlo  immobile,  il  maestro  attiri  l'at- 
tenzione del  fanciullo  con  un  sibilo  heve,  quasi  continuo,  ipnotizzante. 

Se  vorrà  eccitare  al  movimento  un  apatico,  il  maestro  stesso  si  moverà,  accom- 
pagnando alla  eccitazione  della  voce  quella  del  moto  di  tutta  la  persona. 

Nel  comando  semplice,  il  maestro  userà  il  solo  gesto  del  braccio: 
Comando,  fase  eccitativa:  linea  diritta  e  rapida. 
Idem,  fase  espUcativa:  linea  curva  e  lenta. 

Comando  d' immobilità:  questo  semplice  dall'alto  al  basso,  dal  difuori  a!  didentro. 
Idem,  Comando  di  movimento:  dal  basso  all'alto,  dal  didentro  al  difuori. 

Sguardo  ed  espressione  mimica.  —  Lo  sguardo  ha  grande  potenza  sul  fanciullo; 
è  quello  stesso  sguardo  che  afferrò  il  suo  e  lo  condusse  poi  nei  primi  insegnamenti 
(V.  «Educazione  dello  sguardo»). 

«  Tutte  le  espressioni  dello  sguardo  son  buone  purché  il  maestro  le  impieghi  a 
proposito;  poiché  non  si  tratta  qui  di  fare  gli  occhiacci  al  bambino,  come  potrebbe 
credersi,  per  ispirargli  paura;  ma  si  tratta  semplicemente  di  far  esprimere  agh  occhi 
insieme  alla  intera  fìsonomia,  tutti  i  sentimenti  che  il  maestro  stesso  dovrà  provare 
alla  vista  d'un  bambino  obbediente  o  ribelle,  paziente  o  collerico  e  di  dare  a  questa 
espressione  tale  chiarezza  che  il  bambino  non  possa  mai  ingannarsi  »  (Séguin,  pa- 
gina 679). 

La  fìsonomia  del  maestro  deve  essere  mobile,  espressiva,  quindi  in  rapporto 
armonico  con  ciò  che  deve  esprimere  (pace,  lotta,  gaiezza);  e  non  deve  mai  alterarsi 
o  mutare  dalla  sua  espressione  del  momento,  per  un  fatto  estraneo  che  potesse  so- 
pravvenire; altrimenti  i  bambini  impareranno  a  provocare  simili  avvenimenti  pas- 
seggeri. 

Questi  comandi,  che  richiedono  da  parte  del  maestro  tanto  studio  artistico,  non 
saranno  certo  necessari  durante  tutto  il  periodo. 


PARTE    SECONDA 

'»=:=:£"==-:. .- ■--"■ 

.)  studio  della  voce  e  della  p.-ula; 
6)  studio  del  gesto; 

promessa;  e  m  tai  i-<i= 


promessa;  e  m  ta.  ca.u  ....  ^^^ 

si  oppone,  ma  non      a  chiediamo.  In  questo  caso,  comando 


volta  il  co 
ad  agire 


ad  agire;  l'^*^^^"^"  ,'^";:  "    ,  ^etti...  codesto  libro  sul  ^^^  "';  ^     ^^,^^^  librante, 


J''  aviazione  da  n  '         ''°'"^"^ando\.  j  ~~ ~-~-.^__^ 

Ì?s=§=-#^^'  ■■■"■ 
•■"■~-"=r,:ci......,.„,,:::::;- 


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&  e.  STRINI)  -  Roma 


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ESSORI 


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IL  mf;^  ^do 


DAGOGIA      )CIENTIFICA 


ALL'EDUCAZION    INFANTILE 


CASE  DEI   1  .MBINI 


SECONDA    EDIZIONE    ACCRE     IUTA    ED    AMPLIATA 


CON   MOLTE  FIGUF    £  TAVOLE 


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