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dr. med. maria montessori
L'AUTOEDUCAZIONE
NELLE SCUOLE ELEMENTARI
CON FIGURE E TAVOLE ILLUSTRATIVE
Continuazione del Volume:
// Metodo della Pedagogia scientifica applicato all'educazione infantile
nelle Case dei Bambini
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ROMA ■
ERMANNO LOESCHER & C.
P. MAGLIONE & C. STRINI
EDITORI- -IBRAI DI S. M. LA REGINA
1916
Dr. Med. maria MONTESSORl
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L'AUTOEDUCAZIONE
NELLE SCUOLE ELEMENTARI
Continuazione del Volume:
// Metodo della Pedagogia scientifica applicato all'educazione infantile
nelle Case dei Bambini
ROMA
ERMANNO LOESCHER & C.
P. MAGLIONE & C. STRINI
EDITORI-LIBRAF DI S. M. LA REGINA
1916
L'autrice avendo oUemperalo alle vigenti leggi
il diritto di riproduzione, anche parziale, e di traduzione
tanto per l'Italia che per l'Estero
/2. 5". 5" 5".
r
Tiponrili» dell'Unione Editrice. Vi» Federico Ceti. 45
A SUA MAESTÀ
MARGHERITA DI SAVOIA
PRIMA REGINA D' ITALIA
La nostra prima Regina vide nel o lavoro un'opera utile
alla Patria e all'Umanità : e però e con saggia previsione
/' iiiea di preparare alcune maestre in ni che ne fossero apostoli
pienamente consapevoli e capaci di prosarla. Così il Suo alto
Patronato si volse particolarmente a corvare nella fedeltà delle
sue origini e dei suoi scopi spirituali, Izra conosciuta e sparsa
nel mondo nelle sue apparenze sociali
INDICE DELLE MATERIE
Prefazione Pag. xvii
PARTE PRIMA.
I. Uno sguardo alla vita del bambino:
I criteri generali dell'igiene psichica dei bambini sono paralleli a quelli
dell' igiene fisica / ' * ^'^' ^
La libertà del bambino è oggi solo fisica - Diritti civili /el bambino
nel XX secolo ./ 9
Come riceviamo i bambini che vengono al mondo . . . . / 15
Nell'uomo la vita del corpo deve dipendere dalla vita deUo spirito. . . 19
II. Uno sguardo all'odierna educazione:
Criteri che informano l'educazione morale e l'istruzione
È il maestro che crea la mente del bambino - Come s/ insegna
La scienza positiva fa il suo ingresso nella scuola . .
Scoperte della medicina: deformazioni e malattie . .
La scienza innanzi ai bambini non corrispose alla sua
Scoperte della psicologia sperimentale : surménage - es;
missione ....
urimento nervoso
La scienza s'imbatte nella siepe dei problemi insoluti/. 45
/
III. U mio contributo sperimentale: [
L'organizzazione della vita psichica s'inizia con un fenomeno caratteri-
stico di attenzione , 51
Lo sviluppo psichico si organizza con l'aiuto di stimoli esterni, che de-
vono essere sperimentalmente determinati 53
Gli stimoli estemi si possono determinare in qualità e quantità .... 56
Il materiale di sviluppo è necessario solo come « punto di partenza » . . 61
I fatti psichici 65
Guida alle osservazioni psicologiche 92
IV. La preparazione della maestra
93
x^,
/ INDICE DELLE MATERIE
ibieate . ^«i?- i'
^n moto libep "
I. Attenzione
\\T. Volon
Vili. Intell^ewa 143
I X. Immagimiione :
L'imiiiai^iazionc creatrice della scienza si basa sul vero 177
Anche l'inmaginazione artistica si basa sul vero 180
L'immagirizione nei bambini 187
Favola e rligione 196
L'educaziae dell'immaginazione nelle scuole elementari 198
X. La questioR morale 203
L'educazicne del senso morale 243
L'essenza (eli educazione morale 247
La nostra nsensibilità 252
Morale e reigione 255
Il sentimenn religioso nei bambini 258
PARTE SECONDA.
I « TESTS» SISTEMATICI PER LO SVILUPPO INTELLETTUALE
NELLE CLASSI ELEMENTARI.
Grammatica /^rts,'. 2O5
Dai meccanismi aio svolgimento intclletiuale del linguaggio 2^17
Studio delle parole 272
Suffissi e prefissi 273
Forme dell'articolo : flessione dei nomi :
Concordanza fra articolo e nome 277
Singolare e plurale 278
Maschile e femminili- 279
Le lezioni - I comandi 284
Comandi sui nomi 289
Aggettivi :
Analisi 291
Aggettivi qualificativi 291
Spostamenti 293
Flessione 294
INDICE DELLE MATERIE XI
Concordanza logica e grammaticale fra nome e aggettivo . . Pag. 295
Ancora sugli aggettivi qualificativi .... 296
.\ggettivi quantitativi 298
Aggettivi ordinativi 298
Aggettivi dimostrativi ... 298
.Aggettivi possessivi ■ 299
Verbi :
Analisi 300
Spostamenti 302
Lezioni e comandi sui verbi :;o2
Lezioni accompagnate da esperimenti 305
Rubrica 306
Preposizioni :
Analisi 307
Spostamenti 309
Lezioni e comandi sulle preposizioni jio
A vverbi :
Analisi 312
Spostamenti 313
Lezioni e comandi sugli avverbi 316
Un'esplosione di attività - L'avvenire del linguaggio scritto nell'edu-
cazione popolare . . 318
Pronomi :
Analisi 321
Spostamenti 322
Lezioni e comandi sul pronome 323
Flessioni 325
Concordanze tra pronome e verbo 326
Coniugazione dei verbi 327
Congiunzioni :
Analisi 329
Spostamenti 330
Lezioni e comandi sulle congiunzioni 330
In/rriczioni :
Analisi 332
Analisi delia proposizione e del periodo:
Proposizione 334
Periodo 343
La punteggiatura 359
Le classificazioni .5^2
Lettura 369
Parte meccanica ST^
L'analisi della lettura: espressione e interpetrazione 372
Parte sperimentale - Lettura ad alta voce 37^
INDICE DELLE MATERIE
Letture interpretato Pag. 378
Le audizioni. .VS5
I libri proforiti. .586
Aritmetica 391
Operazioni ontro il dieci 3<)3
Diecine, centinaia e migliaia 395
I « telai dei rapporti decimali » 39'>
La tavola pitagorica 400
Divisione 405
Le operazioni a più cifre 406
Esercizi sui numeri 416
II quadrato e il cubo dei numeri 426
Geometria 429
Descrizione del materiale di sviluppo riferentesi alla geometria .... 434
Un rapido sguardo al progresso della coltura - Geometria solida .... 459
Disegno 4'>5
Disegno geometrico lineare - Decorazioni 4*V
Disegno libero - Disegno dal vero 471
Educazione musicale 477
Lettura e scrittura musicale 483
Le due chiavi di violino e di basso 487
Le scale maggiori 489
Esercizi ritmici 493
Il canto 508
Frasi musicali per gli esercizi ritmici iniziali 510
Le audizioni musicali 520
Lo studio della metrica nelle scuole elementari 523
AllegaU 533
Allegato I. Cartella per io studio individuale del bambino 535
Allegalo II. Riassunto delle lezioni di didattica date in Roma nella Scuola
Magistrale Ortofrenica l'anno 1900 351
INDICE DELLE TAVOLE
GRAMMATICA.
I. Lettura dei cartellini.
II. ScatoUere grammaticale: articoli e nomi.
III. Il bambino ha eseguito un esercizio di flessione
dei nomi nel genere e nel numero ; mentre la bam-
bina sta facendo un esercizio di accordanza tra
nome e articolo.
IV. Il bambino ha eseguito un esercizio di flessione
dei nomi.
V. Scatoliere grammaticale: articoli, nomi e ag'
gettivi.
VI. Scatoliere grammaticale : articoli, nomi, agget-
tivi, verbi.
VII. Scatoliere grammaticale: articoli, nomi, agget-
tivi, verbi, preposizioni.
Vili. (( Metti il cono azzurro vicino al cubo rosa n
IX. Scatoliere grammaticale: articoli, nomi, agget-
tivi, verbi, preposizioni, avverbi.
X. Scatoliere grammaticale ; articolo, nome, agget
tivo, verbo, preposizione, avverbio, pronome.
XI. Secondo momento dell'esercizio : nella frase cosi
ricomposta sui suoi elementi, si sostituiscono
pronomi ai nomi, levando e mettendo dei cartel
lini : « Il libro scivolò in terra, essa Io rimise sul
tavolo ».
XII. Un verbo coniugato: sono dispiegati sei tempi
dell'indicativo.
XIII. Casellario grammaticale: articolo, nome, ag-
gettivo, verbo, preposizione, avverbio, pronome
congiunzione.
.\IV. Scatoliere grammaticale: tutte le parti del
discorso.
XV. Lettura interpetrata: « Gli parlò all'orecchio ».
.XVI. Lettura interpetrata: « Dette in una risata
e battè le mani ».
XVII. Lettura interpetrata : « Si tolse il berretto
e s'inchinò profondamente ».
XVIII. Interpetrazione spontanea della lettura:
i( Trasse di tasca il fazzoletto, lo spiegò e ci si
asciugò gli occhi pieni di lacrime » .
XI.X. Lettura interpetrata: « Aveva sonno: ap-
poggiò le braccia sul tavolino, la testa sulle
braccia, e si addormentò ».
XX. Analogamente i bambini interpetrano le espres-
sioni e le pose raffigurate nei quadri.
ARITMETICA.
XXI. Il materiale delle perle usato per addizioni
e sottrazioni : ognuno dei nove numeri è di colore
diverso.
X.XII. Bambina che fa addizioni col materiale delle
perle.
X.XIII. Una bambina conta la catena del ntilte
ammassata sulla tavola: e l'altra, seduta in pol-
trona, conta la catena del cento.
XXIV. Conteggio e calcoli sulle catene.
XXV. Cubo di dieci; dieci quadrati di dieci; e ca-
tene di dieci, cento e mille.
XXVI. Nel telaio, le perle a sinistra segnano il
numero un; e il materi ale delle perle indica i ,
IO, 100, looo in quadrati e cubo, e in catena.
XXVII. Primo « telaio » dei rapporti decimali : a
sinistra è composto il numero 4827.
X. XVIII. Esercizi d'aritmetica: sul piccolo telaio
è rappresentato il numero 4.278.
XXIX. Secondo « telaio » dei rapporti decimali: a
sinistra è composto il numero 6.206.818.
XXX. Materiale della Tavola Pitagorica.
XXXI. Bambino che lavora col materiale delle mol-
tiplicazioni.
XXXII. Una divisione eseguita sul materiale e tra-
scritta nel foglietto.
XXXIII. Esercizi d'aritmetica.
XXXIV. Quattro momenti successivi di una divi-
sione a più cifre eseguiti col materiale.
XXXV. Bambina che esegue una divisione a più
cifre.
INDICE DELLE TAVOLE
XXXVL Quadrato e cubo del ^aUro e del ctnqut i
(materiale delle perlrV
XXXVII. Quailrati e cubi di quattro e di cinque: j
le catone dei cubi s^mo ripiegate sopra se stesse ;
e trattenute da spilli, in modo da riprodurre la I
corrispondente sene di quadrati. i
XXXVIII. I cubi e i numeri, sovrapposti a torre.
niSEGNO.
XXXIX. Esempi di decorazioni del quadrato: me-
diane e diagonali.
XL. Decorazioni del centro e degli angoli.
XLI. Dccorarioni del triangolo: centro, angolo e
bisettrici.
XLII e XLIII. I bambini fanno combinazioni or-
namentali coi pezzi degli incastri geometrici.
XLIV. Composizione fatta con pezzi d'incastro.
XLV. Disegno composto con. pezzi d'incastro.
XLVI. Decorazione costruita con pezzi d'incastro.
XLVII. Costruzione fatta con due pezzi d'incastro.
XI.VIII. Disegno fatto senza l'aiuto degl'incastri.
XLI.X. Espressione spontanea di un esercizio di
scienze naturali.
L. Conseguenza di aver portato a scuola una bacca
di piselli per osservarvi l'impianto dei semi.
LI. Disegno a lapis (dal vero).
EDUCAZIONE MUSICALE.
LII, LUI e LIV. Materiale per lo studio delle
0 scale maggiori ».
LV. Il monocordc.
LVl. Canne metalliche a flauto.
LVII. Bambina nell'atto di eseguire un esercizio
per l'analisi della battuta camminando sul filo.
LVIIL II sistema dei campanelli.
L'AUTOEDUCAZIONE
NELLE SCUOLE ELEMENTARI
PREFAZIONE
La continuazione del mio metodo per l'educazioije dei piccoli
bambini, condotta fino all'istruzione elementare (lej prime classi
elementari, fino a dieci anni d'età), rappresenta un lavoro speri-
mentale di tre anni.
• Fu nel 191 1 che una mia amica, Donna Maria Maraini
Guerrieri Gonzaga, volle mettere le prime basi ad un esperi-
mento privato del tutto libero, per cercare se con altri materiali
più avanzati si fosse potuto continuare l'indirizzo educativo che
già aveva avuto successo coi piccoli bambini.
A lei si unì nella generosità la compianta baronessa Alice
Franchetti, la quale, nel suo spirito superiore, aveva avuto un
concetto grande di quest'opera; e, benché sofferente, volle
ancor vivere e partecipare alla vita con opere che aiutassero le
nuove generazioni. Così di Lei restano a ricordarla, oltre a l'af-
fetto imperituro di chi ebbe il privilegio d'avvicinare e com-
prendere il suo animo eccezionale, le scuole che fondò per i
bambini dei contadini nella sua tenuta della Montesca (Città di
Castello), ove fu posto il mio metodo per i piccolini, e dove
XVIII PREFAZIONE l
Klla stessa, raccog-liendo quanto di meglio era al biondo in
fatto di cduca;^onc, adattò mirabilmente metodi per cuole ele-
mentari rurali, lì oltre a tale opera educativa, che l quasi la
sopravvivenza dell'anima sua là dove entrò sposa dll barone
Franchetti, anche questo esperimento viene a ricordarli. Il suo
desiderio fu, come quello della marchesa Maraini Guerrieri
Gonzaga, che questo tentativo sperimentale si svolgeste senza
intromissione, senza controllo alcuno: nella sua pieni spon-
taneità. E, compiendo l'atto generoso, Essa si addormentava,
lasciando a noi il profumo della sua gentilezza. In questo mo-
mento in cu: il libro che narra tale esperimento esce alle stampe,
tutti quelli che la conobbero, che l'amarono, che furono Ida lei
beneficati, che sperimentarono nella sofferenza che cosa fòsse la
sua amicizia, sentiranno rivivere la sua memoria: e questo è
il miglior sentimento per iniziare la lettura di questo libro.
Se una commemorazione ancora si deve fare, è quella dei
miei Genitori, i quali accompagnarono tutti i miei sacrifici, le
mie ansietà, e assisterono a quest'ultimo esperimento che doveva
aprire le vie di una continuazione indefinita al primo lavoro che
aveva iniziato con successo una riforma educativa; e poi, come
se fossero sodisfatti di ciò che avevano veduto, si addormenta-
rono quasi insieme, sicuri di lasciarmi una famiglia nell'umanità.
Io sono ben lungi dal fare qui un resoconto finanziario del
mio esperimento; ma sarà facile comprendere come in tali im-
prese spesso le necessità superino le previsioni. Mantenere una
scuola; fare dei tentativi sperimentali ove si richiede una fabbrica-
zione di materiali, per la quale non c'è ancora alcuna organiz-
zazione nell'ambiente sociale, e quindi non ci sono operai pre-
parati a eseguire i lavori; e tutto ciò in mezzo a un notevole
PREFAZIONE XIX
movimene d' interesse che sorgeva da varie parti nel mondo —
costituiva un'opera ben più imponente di quella supposta in prin-
cipio. Oltre alle maestre, che, scelte tra le migliori e più abili
persone, avevano lasciato i loro impieghi per dedicarsi a questa
opera la quale doveva perciò assumerne la responsabilità, veniva
ad occorrere un altro genere di personale, come avvocato, dattilo-
grafa, ecc.: e un ufficio doveva essere impiantato a lato della
scuola. Basterebbe pensare alla corrispondenza, ai brevetti, alle
visite per informazioni di persone che venivano da ogni parte
del mondo con lettere commendatizie delle ambasciate, con
presentazioni e raccomandazioni da Università estere, ecc., —
per capire l' imbarazzo di una tal situazione, ad affrontare la
quale nulla era stato preparato.
Vanno ricordati vari aiuti, tra cui, primo, quello della nostra
Regina Madre che, con pensiero di saggia previdenza, desiderò
che venissero preparate delle maestre, capaci di propagare
l'idea in modo sicuro, e che potessero essere inviate a fondare
delle scuole modello; quello della Montessori Society di Londra,
che voleva concorrere insieme all'esperimento e alla preparazione
di maestre inglesi ; quello di Mrs. Phipps di Pittsburg, che, nel
generoso desiderio di voler fondare un istituto nell'avvenire,
volle intanto inviare una prova del suo interesse in un aiuto
destinato a incoraggiare l'idea di una preparazione di maestre
degli S. U. d'A.
Anche il Ministero della Pubblica Istruzione in Italia ha
concorso a questo esperimento; per mettermi in condizione di
dedicarvi tutto il mio tempo senza rinunciare al postp di pro-
fessore all'Istituto Superiore di Magistero femminil;^ in Roma,
esso, incaricandomi annualmente di compiere stydi sull'istru-
zione primaria, mi ha esonerata dall'insegnamento.
PREFAZIONE
Tuttavia (e l'avvenire dimostrerà quanto grandi uano i bi-
sogni di quest'opera) tali aiuti non sarebbero stati succienti: e
andarono a beneficio dell'opera, prima, tutto il frutto cht dette la
traduzione del mio libro in lingua inglese, e poi grkn parte
di quanto fu ricavato dai Corsi Internazionali per |i-eparare
maestre al metodo dei piccoli bambini.
Oggi che, solo per tener fronte e aiutare il movimenta locale,
si sono fondate tante «Società Montessori» ove persona ricche
riunite insieme danno il loro contributo, si comincerà, credo, a
comprendere quali fossero i bisogni di un centro che circo di
tener fronte al movimento nel mondo intero, di assicurire dei
diritti legali, e di fare un esperimento tanto complesso,
quello che è descritto in questo libro!
Noi saremmo state smarrite nel gran lavoro, se uqanima
preziosa. Donna Maria Maraini Guerrieri Gonzaga, sostenen-
doci con la sua fede, con la sua attività, oltre che col generoso
contributo suo e della sua famiglia (Maraini e Moris), non ci
avesse accompagnate di giorno in giorno in tutta la durata
del difficile cammino.
Se un giorno questo lavoro sperimentale, destinato a
fondare una « scienza » dell'educazione e una nuova com-
prensione della psicologia umana, darà qualche frutto di
bene nel mondo, si dovrà ricordare il periodo della sua
preparazione.
Mentre da ogni parte tutti discutevano, chiedevano di « ve-
dere e di avere » e domandavano la « continuazione » del metodo,
solo pochi, assai pochi, pensarono che ciò di cui tanto si par-
lava non aveva alcun appoggio, alcuna organizzazione, alcuna
possibilità economica di sussistere — e si offrirono ad aiutare la
.risoluzione praica di un problema tanto difficile!
\
\
PREFAZIONE
Quest) riconoscimento sarà il compenso che io spero alle
persone dette che mi aiutarono, e specialmente a Donna Maria
Maraini, quella unica che riconobbe come era necessario se-
guire a jasso a passo e giorno per giorno col proprio sacrifizio e
col proprio sforzo, questo piccolo germe così pieno di promesse.
Negli obblighi di riconoscenza che ho assunto in questo
lavoro, debbo includere quelli che mi legano a due preziose
collaboratrici. Si dice che la verità riconosciuta fa degli apostoli;
e tali furono le mie prime seguaci: Anna Fedeli e Anna Macche-
roni — delle quali la prima lasciò il suo posto di direttrice della
Scuola Normale di Foligno; la seconda rinunciò a un posto
di professoressa nelle Scuole normali che le veniva offerto, per
dedicarsi a questo lavoro, a beneficio del quale dettero tutto
il danaro che possedevano dalla loro famiglia e tutti i loro
risparmi.
E difficile riconoscere in un'opera comune quale sia il
contributo preciso di ciascuno: e questo esperimento dev'es-
sere considerato come il frutto di una collaborazione pienamente
fraterna ; dove però la parte della « grammatica » è in parti-
colar modo dovuto alla signorina Fedeli, squisita cultrice della
lingua italiana, e quella musicale alla signorina Maccheroni.
Una parola di storia.
Essendo questo libro la continuazione del primo, pubblicato
nel 1909 dal barone Leopoldo Franchetti, è bene fare un
cenno sulla diffusione che l'opera ebbe in questi sei anni:
diffusione di quella parte del metodo che è preparazione di
questa, cioè il metodo per l'educazione dei bambini da 3 a
6 anni d'età.
PREFAZIONE
Il libro fu tradotto nelle seguenti lini^ue: inglese,\francese,
tedesca, russa, spagnuola, catalana, polacca, rumena, olandese,
giapponese, chinese.
Furono dati in Italia i seguenti corsi per preparare Wiaestre:
Corso a Città di Castello — tenuto per conto e \n casa
dei baroni Franchetti, nel 1909 — ove si iscrissero più\di no-
vanta maestre ;
Due corsi, tenuti presso le Suore Francescane Missio-
narie di via Giusti, in Roma, le quali offrirono la più generosa
ospitalità, fondando un asilo modello. I due corsi tenuti pijesso
di loro, ebbero il patronato della Regina Madre e il sostegno
morale di un gruppo di signore romane ;
Due corsi tenuti in Roma per opera della municipalità;
Due corsi internazionali tenuti in Roma sotto il patro-
nato della Regina Madre e sotto l'egida del « Comitato Nazio-
nale Montessori », ai quali presero parte allieve delle seguenti
nazionalità estere :
Stati Uniti d'America,
India,
Germania,
Giappone,
Inghilterra,
Transwaal,
Spagna,
Panama,
Russia,
Australia,
Olanda,
Canada,
Polonia,
Austria.
La preparazione delle maestre cercò di corrispondere alia
domanda urgente che veniva da ogni lato per la fondazione di
scuole.
Ma oramai la preparazione delle maestre, specialmente
quando si tratterà di diffondere anche il metodo per le scuole
PREFAZIONE XXIU
elementari, avrebbe bisogno, per essere più efficace, di un
Istituto di studi originali e insieme di preparazione di
maestre, di ispettrici e di persone che a loro volta potes-
sero fondare centri per la preparazione delle maestre nei
loro paesi.
L'Istituto rappresenta un aspirazione, una necessità che
qualcuno indubbiamente dovrà realizzare; l'avvenire di questa
opera sta in tale realizzazione.
Rotna, jo luglio igi6.
Maria Montessoki.
PARTE PRIMA
I.
Uno sguardo olla vita del bambino
I criteri generali dell'igiene psichica dei bambini sono pa-
ralleli a quelli dell'igiene fisica. — Molte persone, chiedendomi di
continuare, per l'educazione dei bambini d'età maggiore di sette anni,
il medesimo indirizzo usato pei più piccoli, mettevano in dubbio che
ciò sarebbe stato possibile.
Le difficoltà poste erano specialmente di ordine morale.
Non deve oramai il fanciullo cominciare a seguire la volontà degli
altri, anziché la propria? Non dovrà un giorno affrontare un vero
sforzo, nel compiere un lavoro « necessario » anziché un lavoro « scelto »?
Infine, non dovrà essere iniziato al « sacrifizio » poiché la vita del-
l'uomo non è una vita facile e fatta di godimento?
Alcuni, poi, venendo a qualche particolare pratico dell'istru-
zione elementare, la quale si affaccia già ai sei anni e a sette deve neces-
sariamente essere affrontata, mettevano questa semplice obbiezione:
ecco che si a\'anza il brutto spettro della tavola pitagorica, l'arida
ginnastica mentale imposta dalla grammatica: che farete voi? abolirete
tutto questo, o converrete che bisognerà pure « assoggettare » il bam-
bino a tali necessità?
È e\idente che tutto questo ragionamento si aggira attorno al-
l'interpretazione di quella «libertà», che é dichiarata fondamento del-
l'indirizzo educativo da me sostenuto.
Forse tra poco tempo tutte queste obbiezioni faranno sorridert-,
e alcuni chiederanno di abolirle insieme ai commenti, nelle futnrt'
4 PAKTI-: PRIMA
edizioni. Ma in questo momento esse hanno ragione di esistere e di es-
sere commentate. Tuttavia una risposta diretta, convincente e chiara
non è facile, perchè si tratta di spostare addirittura delle questioni
sulle quali tutti hanno dei convincimenti radicati.
Forse un parallelo gioverà a risparmiare gran parte del lavoro.
« Indirettamente » ha risposto già a tutto questo il progresso che c'è
stato nel trattamento dei piccoli bambini sulla guida dell'igiene. Che
cosa si faceva prima? Forse molti ancora ricorderanno d'avere assi-
stito a delle « pratiche » ritenute dogmi nelle masse. Il bambino
doveva essere fasciato « perchè non si storcessero le gambe « ; biso-
gnava tagliargH il « filetto della lingua » perchè un giorno potesse
parlare; occorreva tenergli sempre la cuffia perchè le orecchie rimanes-
sero sempre aderenti alla testa; le posizioni del bambino giacente erano
determinate in modo che non derivassero deformazioni poi permanenti
del tenero cranio; infine, le buone mamme toccavano e ritoccavano il
nasino del piccolo nato perchè crescesse lungo e profilato e non rima-
nesse troppo rotondo e schiacciato: e mettevano al bambino gli orec-
chini d'oro subito dopo la nascita perchè ciò «acutizzava la vista».
Forse queste pratiche saranno già dimenticate in alcuni paesi; ma in
altri esse sono « tuttora in uso ». Chi non ricorda i sussidii usati per
aiutare il bambino a camminare? Già dai primi mesi della nascita -- in
un'epoca della vita in cui le vie nervose non sono completamente svi-
luppate ed è « impossibile » al bambino coordinare i movimenti — le
madri perdevano qualche mezz'ora del giorno a « insegnare al bam-
bino il passo ». Esse tenevano il piccolo lattante pel corpo e utilizzavano
i movimenti disordinati dei piccoli piedi per illudersi che ci fosse già
l'inizio del cammino: e poiché infatti a poco a poco il fanciuUino co-
minciava ad accavallare i piedi e infine a muovere più arditamente le
gambe, le madri attribuivano ai loro sforzi tale progresso. Quando poi
il movimento era press'a poco stabilito— ma non l'equilibrio e quindi
la possibilità pel bambino di tenersi in piedi — le madri usavano certe
cinghie con cui sostenevano il corpo del bambino e lo facevano così
« camminare in terra » insieme con esse; ovvero, quando non potevano
perdere tempo, mettevano il bambino in certe ceste fatte a campana,
che perciò, avendo larga base, non si potevano rovesciare, e dentro v'in-
filavano il bambino che rimaneva con le braccia fuori, sostenuto nel
1. - UNO S(;UARDO ALLA VITA DEL BAMBINO 5
corpo dall'orlo superiore del cesto: egli così, pur non sapendo reggersi
in piedi, avanzava, muovendo le gambe, cioè « camminava ».
Sono pure relitti di un passato recente alcune specie di corone
molto convesse, i cércini, che si mettevano intorno alla testa del bam-
bino quando egli era « giudicato capace di reggersi in piedi » e quindi
veniva emancipato dal cesto. Il bambino, lasciato di un tratto a se
stesso e abituato fino allora a sostegni paragonabili alle grucce degli
storpi, cadeva a ogni momento, e la corona era una difesa alla testa
che altrimenti si sarebbe ferita.
Che cosa rivelò la scienza, quando fece il suo ingresso nella sal-
vazione del fanciullo? Non dette certo dei mezzi perfezionati per rad-
drizzare il naso e le orecchie, e non illuminò le madri sul modo di
aiutare fin dalla nascita il bambino a camminare. No. Essa, prima di
tutto, dette la convinzione che la natura stessa provvede a determi-
nare la forma della testa, del naso, delle orecchie; che l'uomo parlerà
bene senza bisogno di tagliare il « filetto della lingua »; che le gambe
crescono dritte naturalmente, non solo, ma che la funzione della
deambulazione si stabilisce da sé in natura, e non ha bisogno d'in-
terventi.
Quindi occorre « lasciar fare alla natura il piìi liberamente possi-
bile »; e quanto più il bambino sarà Ubero di sviluppare, tanto più presto
e perfettamente raggiungerà le sue forme e le sue funzioni superiori.
Ecco abolite le fasce e raccomandata « la più grande tranquillità in
posizione di riposo »: il bambino, con le sue gambe libere, sarà lasciato
disteso, non più sballottato per « ricrearlo » come molti facevano, illu-
dendosi di divertirlo ; né « sforzato » a camminare fuor di tempo.
Quando sarà la sua ora, egU si alzerà e camminerà.
Oggi più o meno tutti sono convinti di questo, e sono pressoché
scomparsi dal commercio fasce, cinghie e cestini.
I bambini, in proporzione, hanno le gambe più diritte e cammi-
nano meglio e più precocemente di prima.
Questo é un fatto stabilito. Ed é un fatto di grande soUievo ;
perchè in verità, quale preoccupazione non era mai questa, di credere
che la drittezza delle gambe, la forma del naso, delle orecchie, della
testa, fossero opera diretta delle nostre cure! Che responsabihtà, alla
quale ciascuno si sentiva inferiore! E che pace il dire: é la natura che ci
PARTF. PRIMA
pensa; io lascerò libero il bambine) o ne contemplerò il » crescere in
bellezza »: io assisterò tranquillamente al miracolo.
Qualche cosa di simile sta avvenendo per la \'ita interiore del
bambino. Noi siamo assillati dalle preoccupazioni: bisogna formare
il carattere, è necessario sviluppare l'intelligenza, bisogna svolgere i
sentimenti. E ci domandiamo: come fare? Noi tocchiamo qua e là
l'anima del bambino, o la costringiamo in speciali strettoie, come piti
o meno favevano le madri toccando il naso del bambino o fasciando
le orecchie. E nascondiamo le nostre preoccupazioni dietro una specie
di successo mediocre, in quanto gli uomini crescono infatti avendo
carattere, intelligenza e sentimento. Quando però tutte queste cose
mancano, siamo vinti. Come fare? Chi darà a un degenerato il carat-
tere, chi a un idiota l'intelligenza, chi a un pazzo morale il sentimento?
Se veramente, toccando l'anima qua e là, fosse per un tale tocco
che l'uomo acquista tutte queste cose, basterebbe toccare con un po'
più di energia chi ne è evidentemente più scarso. Ma non avviene cosi.
Dunque non siamo noi i creatori delle forme interiori, come non
siamo quelli delle forme esterne.
È la natura, è la « creazione » che regge tutte queste cose. Se
noi ci facciamo un convincimento di ciò, nasce come principio la ne-
cessità di (( non porre ostacoli allo sviluppo naturale »; e invece di
tanti separati problemi — quali sarebbero l'aiuto per sviluppare il
carattere, l'intelligenza e il sentimento — un solo problema si affacce-
rebbe come base di tutta l'educazione: « come lasciare libero il bambino?».
In questa libertà, devono essere inclusi principi analoghi a quelli
che la scienza dette per le forme e le funzioni del corpo in crescenza:
una libertà, nella quale appunto la testa, il naso, le orecchie, diventa-
vano le più belle e la deambulazione la più perfetta possibile secondo
le forze congenite dell'individuo. E così qui la libertà, unico mezzo,
deve portare al massimo sviluppo individuale il carattere, l'intelli-
genza, il sentimento: e deve dare a noi dirigenti la « pace », la possi-
sibilità di contemplare il « miracolo » della crescenza.
Questa libertà, libera anche noi dal peso angoscioso di una respon-
sabilità fittizia e da una illusione pericolosa.
Guai a noi, allorché ci crediamo responsabili di fatti che non ci
toccano e allorché c'illudiamo di compire cose che invece si com-
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO 7
pieno indipendentemente da noi. Perchè allora noi siamo come dei
pazzi; e viene la domanda profonda: e della nostra vera missione,
della nostra vera responsabilità, che cosa ne è? Se siamo illusi, quale
è la nostra vera realtà? £ quali mancanze, quali « gravi peccati »
commettiamo noi? Se crediamo ora, come Chanteclair, che il sole nasce
il mattino perchè il gallo ha cantato, che doveri troveremo, ritor-
nando in noi stessi? Chi-i. rimasto in abbandono, pel fatto che noi ci
siamo dimenticati di « mangiare il nostro vero pane »?
La storia della « redenzione fisica » del bambino ha una conti-
nuazione molto illustrativa per noi.
L'igiene non si è limitata a un compito di « illustrazione antropo-
logica », come è quello di mettere, più che a conoscenza nella « con-
vinzione » di tutti, che il corpo sviluppa da sé : perchè, realmente,
la questione infantile non riguardava le forme più o meno perfette del
corpo. La vera questione infantile che richiamò l'opera della scienza,
fu la spaventevole mortalità dei bambini.
Ci sembra certo strano, oggi, considerare queste verità; che cioè
nell'epoca in cui le malattie infantili facevano strage, non era la mor-
talità che preoccupava, ma era la forma del naso o la direzione delle
gambe: mentre la « vera questione », che era questione di vita o di
morte, passava inosservata. Quante persone avranno sentito, come
me, dialoghi simili a questo: « Io sono molto pratica nel curare i bam-
bini: ho avuto nove figli! » e E quanti ne avete vivi? » « Vivi ne ho due ».
E tuttavia quella madre diventava lo stesso una consigliera autorevole.
Le statistiche sulla mortalità rivelarono cifre così alte, da far
chiamare il fenomeno « strage degli innocenti ». La famosa grafica
del Lexis, che non riguarda questo o quel paese ma l'andamento medio
della mortalità umana in generale, rivela che la spaventevole realtà
e universale. Essa ha due diversi fattori: uno, indubbiamente, è la
caratteristica debolezza del bambino; l'altro, una mancanza di prote-
zione alla sua debolezza: una « mancanza » che si era generalizzata in
tutti i popoli. Certo non mancava la buona volontà, il sentimento
d'amore verso i bambini; ma mancava qualche cosa d'ignoto, mancava
la difesa contro un pericolo spaventevole, innanzi a cui gli uomini
passa\'ano senza conoscenza. Si sa oggi che le malattie « infettive »,
specialmente di origine intestinale, erano quelle che mietevano le nuo\e
e PARTE PRIMA
vite. Le malattie intestinali, diminuendo la nutrizione o producendo
veleni in im'età in cui la delicatezza dei tessuti è a ciò sensibilissima,
producevano la quasi totalità della strage. Quindi risaltarono gli errori
che si commettevano consuetamente versoti bambini. Gli errori erano
una mancanza di pulizia che oggi ci farebbe stupire, e un'assenza
completa di « regole « sull'alimentazione infantile. I pannoHni sudici
che axvolgevano il bambino sotto le fasce,vvprima d'esser lavati, ve-
nivano più e più volte asciugati al sole, e rimessi così addosso al bam-
bino. Nessuna cura di lavare la mammella q' la stessa bocca del bam-
bino, malgrado fermentazioni così gravi dà produrre malattie locali.
L'allattamento era fatto senza regola: solo il pianto del bambino di-
rigeva giorno e notte la sua alimentazione; e più le indigestioni e quindi
le sofferenze si moltiplicavano, più si moltiplicavano le razioni ali-
mentari, aggravando lo stato del bambino. Chi non ha visto in quel
tempo madri che portavano in braccio bambini ardenti di febbre e
che toccavano continuamente con la mammella la piccola bocca ur-
lante, nella speranza di farla tacere? E pure, in quelle madri, quale
abnegazione, e che sincera angoscia!
La scienza dettò regole semplicissime: raccomandò la pulizia più
perfetta possibile, e indicò un principio così evidente in se stesso, da
far stupire che tutte le genti non l'avessero capito da sé: e cioè che
anche il piccolo bambino, come noi, deve stare a pasto, e può prendere
nuovo alimento solo dopo che ha già digerito il precedente; e quindi
egli deve succhiare solo ogni tante ore, secondo i mesi di età, seguendo
le modifìcantisi funzioni fisiologiche dello sviluppo. Né si debbono
mai dare in mano al bambino crostine di pane per passatempo, come
facevano tante madri, specialmente del popolo, per calmare il pianto
del bambino, perchè alcune particelle possono essere inghiottite senza
che il fanciullo sia ancora capace di digerirle.
La preoccupazione delle madri era: e come faremo dunque quando
il bambino piangf? Con gran meraviglia si vide con l'esperienza che i
bambini piangevano molto meno o non piangevano più affatto: si videro
persino dei neonati nella prima settimana di vita, attendere le due ore
di intervallo tra poppate successive, tranquilli, rosei, con gli occhi
aperti: così silenziosi da non dar segni di sé, come la natura nei suoi
momenti di solenne immobilità. Infatti, perché dovevano piangere
UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO
continuamente? Quel pianto era il segno di uno stato di cose che si
traduceva così: soffrire e morire.
E per questi piangenti, nulla faceva il mondo. Essi erano legati
nelle fasce e consegnati spesso a una bambina di pochi anni incapace
di responsabilità; essi non avevano una stanza, né un letto.
È stata la scienza che, redimendoli, ha creato le bambinaie, le
culle generalizzate a tutti, le stanze per i bambini, gli abiti per loro,
sostanze alimentari appositamente preparate dalle grandi industrie
per l'alimentazione igienica dopo l'allattamento, e una specialità me-
dica. Infine, tutto un nuovo mondo intelligente, pulito, grazioso. Il
bambino è diventato il nuovo uomo che ha conquistato i proprii diritti
alla vita e che perciò ha dovuto far creare un « ambiente per sé ».
Così in rapporto diretto alla diffusione delle norme infantili igieniche
si vide « diminuire la mortalità ».
Se dunque noi diciamo che anche spiritualmente il bambino deve
essere « lasciato libero » perché é la natura creatrice che può formarlo,
e non noi: non diciamo di lasciarlo abbandonato e senza cure.
Forse, guardandoci intorno, ci avvedremo che, se nulla possiamo
direttamente sulle sue forme individuali di carattere, d'intelligenza,
di sentimento — esiste però una serie di doveri da parte nostra e un
insieme di cure, che abbiamo trascurato: e dalle quali dipende la
vita e la morte dello spirito.
Il criterio di « libertà » non è dunque un criterio di « abbandono^),
ma anzi esso, facendoci passare dalla illusione alla realtà, ci guida alla
più positiva ed efficace « cura del bambino ».
La libertà del bambino è oggi solo fìsica. - Diritti civili del
bambino nel XX secolo. — L'igiene ha « liberato » la vita fìsica del
bambino. I fatti esterni che consistono nell'abolizione delle fasce, nella
vita all'aria aperta, nel riposo concesso a sazietà — e simili — sono la
parte più visibile, più tangibile universalmente. Ma essi costituiscono
solo dei « mezzi » per « raggiungere » la libertà. Una liberazione ben più
importante é quella di aver tolto, innanzi al cammino della vita, i peri-
coli di malattia e di morte. Appena l'ostacolo di alcuni errori fondamen-
tali fu tolto, i bambini non solo sopravvissero in numero assai maggiore,
ma si constatò che essi crescevano meglio. È veramente l'igiene che li ha
,i..ii.,M ,1 iur«vii< 111 ptsi), in statura, in bellezza; e che ha migliorato il
loro ricambio materiale? L'igiene non ha fatto tutto questo. Chi po-
trebbe, lo dice anche il Vangelo, far crescere un uomo di un solo cubito?
L'igiene ha soltanto liberato il corpo del bambino dagli ostacoli che gl'im-
pedivano di crescere. Erano dei legami esterni che ostacolavano il
ricambio materiale e tutta l'evoluzione naturale della vita: l'igiene ha
spezzato questi legami. E tutti hanno sentito che era avvenuta una li-
berazione; a fatto compiuto ognuno ha ripetuto: i bambini devono
essere liberi. La corrispondenza diretta tra « condizioni di vita fisica
raggiunte » e « libertà acquistata » è oramai intuita universalmente.
In tal modo il bambino è servito come una pianticella. Da lungo
tempo i vegetali di un orto o di un giardino ben tenuto, avevano
acquistato i diritti a cui è giunto oggi il bambino. Buona nutrizione,
ossigeno, temperatura adatta; difesa minuziosa dai parassiti che pro-
ducono le malattie delle piante; sì, oramai anche il figlio di un principe
può avere altrettante cure, quanto il più bel cespo di rose di una villa.
Il paragone vecchio: il bambino è come un fiore, è la realtà a cui oggi
aspiriamo: è tuttavia un privilegio riservato solo ai bambini fortunati.
Ma svegliamoci da un così grave errore. Il bambino è un uomo. Ciò che
basta a una pianta non può bastare a lui: pensiamo in qual miseria è
caduto un uomo paralitico del quale oramai possa dirsi: non gli resta
più altro che la vita vegetativa. « Come uomo », egli è morto. Noi di-
ciamo di lui con tristezza: « non gli resta altro che il corpo «.
Il bambino come uomo, questa è la figura che deve imporsi in-
nanzi a noi. Dobbiamo vederla in quella società umana tumultuante,
che con eroici sforzi aspira alla « vita ».
Quali sono i diritti dei bambini ? Consideriamoli un momento
come « classe sociale », come una classe di lavoratori: infatti essi la-
vorano a produrre uomini. La generazione futura, sono loro. Essi sono
che lavorano, sostenendo le fatiche della crescenza fisica e spirituale.
Stanno continuando il la\oro compiuto per pochi mesi dalla loro madre,
e ad essi è lasciato il compito più laborioso, più complesso e difficile.
Non hanno nulla quando nascono fuorché delle potenzialità: essi deb-
vono far tutto in un mondo che, a confessione dello stesso adulto, è
pieno di difficoltà. Che cosa si fa per aiutarli, così deboli, pellegrini in
un mondo sconosciuto? Nascono più fragili e più incapaci di un animale.
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO II
e devono diventare tra pochi anni « gli uomini », devono far parte di
una società organizzata, complicata, costruita con lo sforzo secolare
d'infinite generazioni. In un tempo in cui la civiltà, cioè la possibilità
di vivere bene, è basata sul « diritto » acquistato attivamente e consa-
crato nelle leggi, che diritti ha colui che viene tra noi senza forza e senza
pensiero? Sembra il bambino Mosè disteso nel cestino di vimini tra le
acque del Nilo: egli rappresenta l'avvenire del popolo eletto, ma tro-
verà una principessa che, passando di là, per caso, lo veda?
Al caso, alla fortuna, all'amore, a tutto ciò noi affidiamo il bam-
bino: e sembra infatti si rinnovi il castigo biblico sugli egiziani op-
pressori: la strage dei primogeniti.
Guardiamo come i diritti sociali accolgono il bambino al suo in-
gresso nel mondo. Siamo al xx secolo; in molte delle nazioni dette ci-
vili, esistono ancora come istituzioni il brefotrofio e il baliatico. Che cosa
è il brefotrofio? è un sequestro di persona; una prigione terribile, oscuia,
ove troppo spesso il prigioniero trova la morte, come in quei carceri me-
dioevali donde la vittima, giustiziata in silenzio, spariva senza che nes-
suno lo sapesse. Egli non vedrà mai, mai, i suoi cari. Il nome della sua
famiglia è cancellato, i beni sono confiscati. Il più gran delinquente
avrà un ricordo della madre, saprà di avere avuto un nome, e potrà
averne una memoria ciinsolatrice come chi è divenuto cieco quando ram-
menta i colori e la luce del sole; ma egli è come il cieco-nato. Qualsiasi
malfattore ha più diritti di lui: eppure nessuno più di lui potrebbe pro-
vare la sua innocenza. Anche ai tempi delle tirannie più obbrobriose,
l'innocente oppresso accendeva un fuoco di giustizia che prima o poi
doveva divampare in rivoluzione. Le persone che i tiranni sequestra-
vano perchè erano state a caso testimoni delle loro colpe, e facevano
cadere nei trabocchetti ove tenebre e inaudite sofferenze erano ormai
per loro il retaggio infelice, fecero pur sollevare i popoli a proclamare
il principio che la giustizia è uguale per tutti. Ma per loro no. La società
non si accorse che essi pure sono uomini: essi infatti sono soltanto i
«fiori» dell'umanità. E per salvare l'onore, il buon nome, qual'è la so-
cietà che non si farebbe solidale nel sacrificare dei « fiori »?
Il baliatico è nell'oso sociale. Un uso di lusso, da un lato: qualche
tempo fa una ragazza anche mediocremente borghese che andava
a marito, si vantava così del benessere promessole dallo sposo: « avrò
IJ l'AKTl- TKIMA
nioca. cameriera e balia)-. Dall'altro lato, la robusta contadina che ha
messo al mondo un figlio, guardando con compiacenza la turgidezza del
proprio seno, pensa: «potrò trovare un buon baliatico ». K solo la recen-
tissima igiene che ha messo una specie di marchio di vergogna sulle
madri che per pigrizia non vogliono allattare i propri figli; al nostro
tempo le regine e le imperatrici che allattarono i propri figli sono ancora
additate con ammirazione qu;ili esempì alle madri. // dovere materno
proclamato dall'igiene di allattare i proprii figli si fonda su un principio
fisiologico: il latte materno nutrisce meglio che ogni altro latte; tuttavia,
malgrado l'indicazione egoistica, esso è tutt'altro che universalmente
abbracciato. Si vedono ancora a passeggio delle robuste madri che
conducono una balia, pomposamente vestita di rosso o d'azzurro a
ricami d'argento e d'oro, che porta il bambino. Le madri ricche hanno
una balia dimessamente vestita clie non esce mai con loro, ma che segue
sempre la nurse moderna, pratica d'igiene infantile, e clic sa tenere il
bambino <i come un fiore «.
E l'altro?... Per ogni bambino che ha un doppio seno a .sua dispo-
sizione.^ce n'è uno che non ha nulla. Questa ricchezza non è una pro-
duzione industriale. Essa è misurata dalla natura con precisione.
Per ogni^nuova vita, la razione di latte. Il latte non si può produrre
diversamente che producendo una vita. Lo sanno bene i lattai: le vacche
buone si allevano igienicamente, e i vitelli si mandano al macello.
Quale pena, però, si prova ogni volta che un piccolino delle bestie
è allontanato da sua madre! non è così anche pei cagnolini, per i gattini?
Quando la cagnetta di casa ha messo al mondo troppi piccoli e non
può allattarli tutti, bisogna ucciderne alcuni: che sofferenza sincera
nel cuore della padrona che ha il suo bel piccolino in casa allattato
da una splendida balia! Via, ciò che fa soprattutto compassione, è
la cagna ansiosa, piangente, che non capisce se ha o non ha forze per
allattare iutd quei^cagnolini informi nati da lei, ma che non può privarsi
di nessuno senza disperazione. Ma la balia, è altra cosa: si è presentata
da lei stessa, contrattando la vendita del suo latte. Che ci fosse l'ultra,
nessuno ci ha pensato!
Solo un diritto, una legge avrebbe potuto proteggerlo, perchè la
società è basata sul diritto. C'è, è vero, il diritto di proprietà, che è
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO I3
assoluto: basta rubare un panetto, pur essendo affamati, e si è ladri,
si è puniti dalla legge e messi fuori dalla società. Il diritto della pro-
prietà è una delle più formidabili basi sociali. Un amministratore
di beni stabili, poi, che venda la proprietà posseduta dal padrone, ne
faccia danaro per goderselo, e lasci nella più profonda miseria il pro-
prietario, è un criminale difficile a concepirsi. Perchè, chi può comperare
senza la firma del proprietario? La società è proprio costituita in modo
che certi delitti non solo sarebbero puniti, ma << non sarebbe possibile
commetterli ». Ma per i piccoli bambini ciò si fa tutti i giorni: non è
un delitto; è un lusso. Quale più sacra proprietà che il latte materno
per il piccolo bambino? egli può dire come Napoleone imperatore:
« Dio me l'ha dato ». Sulla legittimità della proprietà non c'è alcun
dubbio: il suo solo capitale, il latte, è venuto al mondo con lui e per lui.
Tutta la sua ricchezza è lì: la forza di vivere, di crescere, di acquistare
robustezza sta tutta in quel nutrimento. Se mai il bambino defraudato
dovesse diventare debole, rachitico, che sarebbe di lui, condannato
dalla povertà a un duro mestiere? Quale rifacimento di danni! quale
questione d'infortunio sul lavoro con lesioni permanenti sarebbe questa,
se un giorno il bambino si affacciasse come uomo innanzi alla giustizia
sociale!
Nei paesi civili le madri ricche allattano i ligH perchè !'« igiene »
ha dimostrato che ciò è vantaggioso alla salute del bambino: ma non
perchè fu riconosciuto esteso al bambino il « diritto civile » dell'adulto.
Esse considerano quei paesi ove il baliatico è un'istituzione, come paesi
meno evoluti ma della stessa civiltà.
Si dirà: ma quando la madre è malata e non può allattare il bam-
bino? Ebbene è il figlio della malata che in tal caso è lo sventurato.
Perchè dovrebbe un altro assumere per lui la sua sventura? Quanti poveri
ci sono che soffrono la miseria, eppure non possono per questo togliere
agli altri la ricchezza che sarebbe loro sì necessaria. Se oggi anche uno
dei nostri imperatori avesse bisogno, per guarire da un atroce tormento,
di un bagno di sangue umano, non per questo suo tormento si lascerebbe
dissanguare altri uomini sani come farebbe un imperatore barbaro. Sono
cose ovvie che formano la nostra civiltà. E questo che ci differenzia
dagli antropofagi e dai pirati. E riconosciuto il diritto dell'adulto.
1^ l'ARTl- l'KlMA
Non però il diritto dtl bambino (i). Riconoscere il diritto del-
l'adulto. 0 non quello del bambino, quale viltà! Riconoscere la giu-
stizia, sì. ma solo per quelli che possono difendersi e protestare: e nel
resto, rimanere barbari. Perchè oggi ci potranno essere popoli più o
meno evoluti sotto il punto di vista igienico, ma appartengono tutti
alla stessa civiltà: il diritto del più forte.
Quando noi ci mettiamo sul serio il problema^ dell'educazione mo-
rale del bambino, dobbiamo darci intorno un'occhiata, e farci almeno
veggenti del mondo che gli abbiamo preparato. Vogliamo che egli
diventi come noi incosciente nel calpestare il debole? che contenga come
noi nella coscienza idee di giustizia che si arrestano innanzi a chi non
protesta? Vogliamo farlo, come noi, mezzo uomo civile là ove dovrà
incontrare i suoi pari, e mezzo .bestia do\e incontrerà il mondo degli
oppressi e degli innocenti?
Se questo non è, allora, prima di dare l'educazione morale al
bambino, facciamo come il sacerdote che sta per ascendere l'altare: egli
s'inchina pentito e confessa innanzi al mondo intero i propri peccati.
Questo bambino fuori della legge, è come un braccio lussato. L'uma-
nità non può lavorare per fabbricarsi la sua moraUtà se non lo mette a
posto; è questo che farà anche cessare i dolori e le paralisi dei muscoli
feriti che vi stanno aggrappati: la donna. La questione sociale del bam-
bino, evidentemente, è la più completa e profonda: essa è la questione
del nostro presente e del nostro, avvenire.
Se noi conteniamo nella nostra coscienza dei fatti di così grave in-
iriustizia, per non dire dei delitti! senza accorgercene: quante mai forme
minori d'oppressione graveranno sul fanciullo?
(i) Naturalmente, nel caso in cui il bambino della balia sia morto, non può
più parlarsi di lesione di diritti. Ma tali casi non rispondono neanche al bisogno
di balia per quelli in cui la madre ricca non possa, per ragioni patologiche, allat-
tare il suo bambino.
È da citarsi una provvida legge in Germania, la quale proibisce alla balia <ii
accettare un baliatico se non sono passati sei mesi dalla nascita del suo proprio
bambino, perchè tale periodo si ritiene sufficiente a garantire la salute dell'infante.
Anchf le cure particolari che si danno all'allattamento artificiali', permettono di
sostituire in Germania il baliatico con buon successo pel bambino (he non può
avere l'allattamento materno. Tale legge e tali istituzioni sond il ])rimo passo al
riconoscimento di " diritti civili » ai neonati poveri.
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO 15
Come riceviamo i bambini che vengono al mondo. — Guar-
diamoci intorno: tino a ieri nulla era preparato per ricevere questo
ospite sublime. Non è molto tempo che si fabbricano i piccoli letti
per i bambini; ma cercate per loro, tra tante e tante produzioni
siiperflue, barocche, di lusso, cercate gli oggetti che sono loro destinati.
Non lavabi, non poltrone, non tavolini, non spazzole. Tra tante case,
non una casa per loro; solo alcuni fanciulli ricchissimi, privilegiati,
hanno una stanza, quasi un luogo di relegazione.
Immaginiamo di subire per un giorno solo il tormento a cui ven-
gono condannati.
Supponiamo di trovarci tra un popolo di giganti, con le ganzile
lunghissime in confronto alle nostre, col corpo enormemente grande,
ma assai più snello a nostro confronto. Gente agilissima, intelligentissima
al nostro paragone. Vogliamo salire nelle loro case: i gradini sono alti
fino al ginocchio, e bisogna pur tentare di salir con loro; vogliamo se-
derci, il sedile ci arriva quasi alle spalle: arrampicandoci con fatica giun-
giamo finalmente ad appollaiarci lì sopra. Vorremmo spazzolarci il \e-
stito, ma ci sono spazzoloni che la nostra mano non può neanche ab-
bracciare né sostenere, tanto è il loro peso: per spazzolare le unghie ci
presentano una spazzola da vestiti. Nella catinella del lavabo faremmo
volentieri un bagno ad immersione: ma la forza del nostro braccio non
potrebbe mai sollevarla. Se sapessimo che questi giganti ci aspettavano,
dovremmo dire: non hanno fatto niente per riceverci, per offrirci una
vita comoda. 11 bambino tro\a tutto ciò che desidera sotto forma di
giocattoli per le bambole: non per lui è stato fabbricato un ambiente
ricco, multiforme, grazioso; ma le bambole hanno case, salotti, cucine,
armadi; per esse è riprodotto in piccolo tutto ciò che l'uomo adulto
possiede. Il bambino però tra tutte queste cose non può viverci: egli può
solo giocarci. Il mondo gli è stato dato per ischerzo, perchè nessuno
ancora ammette ch'egli sia un uomo vivente. Egli trova che per rice-
verlo la società gli ha preparato un'ironia.
Che il fanciullo rompa i giocattoh è tanto noto, che questo atto
di distruzione delle sole cose fabbricate per lui, ci sembra la prova della
sua intelligenza. Noi diciamo: « egli distrugge perchè vuol capire »:
in verità il bambino va cercando se dentro i giocattoli ci fosse qualche
cosa d'interessante perchè fuori essi non hanno nessun interesse per
l6 PARTE PRIMA
lui: qualche \olta li spezza rabbiosamente, come un uomo offeso. Al-
lora, secondo noi, egli « distrugge per cattiveria ».
Il bambino tende a vivere realmente di tutte le cose che lo circon-
dano; egli vorrebbe proprio usare un la\abo da sé, vestirsi, pettinare
veramente i capelli di una testa vivente; spazzare proprio i pavimenti;
vorrebbe anch'egh possedere sedie, tavoli, poltrone, attaccapanni, ar-
madi. Quello che desidera è proprio di lavorare, di raggiungere uno
scopo intelligente, di avere il confort della sua vita. Con ciò deve non
soltanto « funzionare da uomo », ma deve « costruire l'uomo »: questa
è la tendenza prepotente della sua natura, la sua « missione ».
Noi lo abbiamo visto nelle « Case dei Bambini » beato e paziente,
lento ed esatto, come il più meraviglioso lavoratore, e il conservatore
più scrupoloso degli oggetti. Per farlo felice basta la più piccola cosa:
attaccare gh abiti a un attaccapanni messo in basso nel muro, a portata
della sua mano; aprire una porta leggera, il cui manubrio è proporzio-
nato alla sua mano; spostare silenziosamente e garbatamente una sedia
il cui peso è adatto alle sue braccia. Ecco un fatto semplicissimo: offrirgli
un ambiente ove tutte le cose siano costruite secondo le sue propor-
zioni: e lì lasciarlo vivere. Allora si svolge in lui quella « vita attiva »
che ha fatto tanto mera^'igliare, perchè non si è visto in essa un semplice
esercizio compiuto con piacere, ma la rivelazione di una vita spirituale.
In quell'ambiente armonioso, si è visto il bambino fissarsi nel lavoro
intellettuale come un seme che abbia posto la radichetta nel suo ter-
reno, e di là poi svolgersi e crescere con un mezzo solo: la lunga costanza
in ogni esercizio.
Quando si vedono i piccolini che agiscono così, intenti alla loro
opera, lenti nell 'eseguirla per l'immaturità della loro costituzione, come
sono lenti nel camminare, perchè ancora le gambe sono corte, si ha
proprio l'intuizione ch'essi stanno elaborando la loro vita: come una cri-
salide elabora lentamente la farfalla dentro al suo bozzolo. Impedire
le loro occupazioni, sarebbe una violenza alla loro vita. Invece che cosa
si fa generalmente coi bambini? Tutti li interrompiamo senza alcun
riguardo, senza alcun rispetto, con le maniere che usavano i padroni
verso gli schiavi, che non avevano alcun diritto umano. A\'ere « dei
riguardi » a un bambino, come a una persona adulta, sembrerebbe
perfino ridicolo a molte persone. E pure noi con quale severità diciamo
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO I7
al bambino: « non c'interrompere ». Se il piccolino sta facendo una cosa,
per esempio se mangia da sé, viene un adulto e lo imbocca; se cerca di
infilarsi un grembiale, corre l'adulto e lo veste; tutti si sostituiscono a lui
brutalmente, senza il minimo rispetto. E pure noi siamo sensibilissimi
alla « proprietà » del nostro lavoro; chi cerca di sostituirsi a noi, ci
offende: nella Bibbia, la sentenza: « il suo posto lo avrà un altro », sta
tra le minacce all'uomo -perduto.
Che ci avverrebbe se cadessimo schiavi di un popolo incapace
di comprendere i nostri sentimenti, di un popolo gigantesco, più
forte di noi ? Mentre stiamo mangiando tranquillamente la nostra
minestra, gustandola a nostro piacere (e sappiamo che godimento è
questo <( essere in libertà ») ecco un gigante che ci strappa il cucchiaio
di mano e ci fa deglutire così in fretta, che per poco non restiamo soffo-
cati. La nostra protesta: « per carità, piano » sarebbe accompagnata
da uno stringimento di cuore: la nostra digestione sarebbe compromessa.
Se un'altra volta, mentre pensando a qualche cosa di piacevole, stiamo
lentamente infilandoci il paletot con quella beatitudine e quella «li-
bertà » che abbiamo a casa nostra, ci piombasse addosso un gigante e in
un batter d'occhio, avendoci vestiti, ci portasse di peso fuori dell'uscio,
noi sentiremmo così menomata la nostra dignità, che tutto il piacere
sperato dalla passeggiata, andrebbe perduto. La nostra nutrizione non
viene proprio solo dalla minestra inghiottita, e il benessere non viene
proprio solo dalla passeggiata, ma anche dalla « libertà » che accompagna
tutte queste cose. Noi ci sentiremmo ribelli e offesi, non certo per odio
a quei giganti, ma solo per amore a una tendenza interiore a far fun-
zionare liberamente la nostra vita. C'è qualche cosa dentro di noi
che l'uomo non conosce, che solo Dio conosce, e la sta manifestando
impercettibilmente a noi stessi, affinchè la compiamo. È questo amore
che piti profondamente nutrisce e dà il benessere alla nostra vita, in
tutti i suoi atti anche minimi. Per cui si dice: « l'uomo non vive di solo
pane ». Quanto più grande ciò deve essere nei bambini, ove la creazione
è in atto!
Con la lotta e con la ribellione essi debbono difendere le loro pic-
cole conquiste nell'ambiente; quando vogliono esercitare i sensi, come
quello del tatto, ognuno li condanna: non toccare! Se cercano di pren-
dere in cucina qualche oggetto, qualche detrito per impastare un pie-
IJS PARTI-: PRIMA
colo piatto, tutti lo scacciano. Essi sono spietatamente ricondotti ai
giocattoli. Quante volte uno di quei meravigliosi momenti, in cui la
loro attenzione si fissa e va iniziandosi all'interno quel processo di or-
ganizzazione che deve s\ilupparli, sarà stato bruscamente interrotto,
negli sforzi spontanei dei bambini, cercanti alla cieca, nell'ambiente, le
cose di cui nutrire l'intelligenza! Non abbiamo forse tutti l'impressione
che qualche cosa sia stato soffocato per sempre nella nostra vita?
Senza sapere bene spiegarcene la ragione sentiamo però che qual-
cosa di prezioso fu perduto nel cammino della nostra vita : che noi
fummo defraudati, diminuiti. Forse nei momenti in cui stavamo per
creare noi stessi, venimmo interrotti, perseguitati: e il nostro organismo
interno restò rachitico, debole e insufficiente.
Immaginiamoci degli individui adulti non fissati nelle loro condi-
zioni come la maggior parte degli uomini, ma in uno stato di auto-crea-
zione interiore, come sono gli uomini di genio. Supponiamo uno scrit-
tore sotto l'ispirazione poetica: egli si trova nel momento in cui l'opera
benefica, ispiratrice sta per essere data in aiuto agU altri uomini. Ovvero
supponiamo il matematico che intravede la soluzione di un grande pro-
blema donde scaturirebbero principi nuovi, utili all'umanità. Oppure
supponiamo un artista nella cui mente si è allora formata l'immagine
ideale che è necessario fissare subito sulla tela perchè non si perda un
capolavoro. Supponiamo tali uomini in simili momenti psicologici.
E che venisse in mezzo a loro una persona brutale gridando ad alta voce
di seguirla, e li prendesse per la mano o li spingesse fuori per le spalle.
Per che cosa? Ecco lì pronto il tavoliere per una partita a scacchi. Ah!
direbbero quegli uomini, non avreste potuto farci niente di più atroce!
La nostra ispirazione è perduta, l'umanità sarà priva di un poema, di
un capolavoro d'arte, di una scoperta utile, per questa sciocchezza!
Ma il bambino non perde uno dei suoi prodotti: egli perde se stesso.
Poiché il suo capolavoro, che egli compone nell'intimo del suo genio
creatore, è l'uomo nuovo. Quei «capricci», quelle «cattiverie», quegli
0 sfoghi misteriosi » dei piccolini, sono forse l'occulto grido d'infelicità
che manda la loro anima incompresa.
Ma non è solo l'anima che soffre: con essa, anche il corpo. Perchè
questo è che caratterizza l'uomo: la parte che ha lo spirito ^u tutta la
sua esistenza fisica.
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO - I9
In un istituto di bambini abbandonati, c'era un piccolino estrema-
mente brutto, che tuttavia si era guadagnato il più tenero amore da
parte di una signorina che lo assisteva. Questa nurse raccontò un giorno
a ima patronessa che quel bambino si andava facendo bello. La signora
andò a vedere, ma lo trovò bruttissimo, e pensò come l'abitudine can-
celli ai nostri occhi i difetti degli altri. Passato ancora del cempo la
nurse tornò a farle la stessa osservazione: la signora, compiacente,
fece un'altra visita, e vedendo il calore con cui la signorina le parlava
di quel bambino pensò commossa che forse era l'amore che l'accecava.
Trascorsero dei mesi e finalmente la nurse, con aria trionfante, disse che
oramai nessuno poteva più ingannarsi perchè il bambino era diventato
proprio « bello ». La signora, stupita, dovè constatare che era vero:
il corpo del bambino si era addirittura trasformato sotto l'influsso di
un grande amore.
Quando c'illudiamo di dare lutfG ai bambini, dando aria e nutri-
mento, in verità, non diamo neanche questo: il nutrimento e l'aria non
bastano al corpo dell'uomo: tutte le funzioni fisiologiche sono sotto-
messe a un benessere superiore, ove risiede la chiave unica di tutta la
vita. Il corpo del bambino vive anche della gioia dell'anima.
La stessa fisiologia c'insegna queste cose. Un pasto frugale preso
all'aria aperta può nutrire il corpo assai meglio d'un lauto pranzo in
luogo chiuso ove l'aria è attossicata, perchè tutte le funzioni del corpo
sono più attive all'aria aperta, e l'assimilazione è più completa. Ugual-
mente però un pasto frugale preso tra persone care, simpatiche, è molto
più nutriente di quello che prenderebbe, per esempio, alla tavola si-
gnorile della sua padrona bisbetica, un umile e perseguitato segretario.
La libertà, in questo caso, è il grido che spiega tutto. Parva domus sed
mea, si diceva fino dall'epoca romana per significare quale è la casa più
salubre. Là dove la « nostra vita » è oppressa, non c'è salute, sia pure
a principeschi banchetti, o dentro magnifici edifizi.
Nell'uomo la vita del corpo deve dipendere dalla vita dello
spirito. — La fisiologia spiega minutamente i meccanismi di tali feno-
meni. Nei fatti morali, c'è una concomitanza delle funzioni del corpo, così
esatta, che si possono descrivere da queste alterazioni i vari stati sen-
timentali di dolore, di collera, di noia, di piacere. Nel dolore, per esem-
PARTE PRIMA
pio, il cuori' diminuisco la sua attività, come sotto un'azione paraliz-
zante: tutti i \asi sanguigni si restringono e il sangue circola più len-
tamente, le glandolo non possono più secernere normalmente i loro suc-
chi, ed ecco il pallore del viso, l'apparenza di stanchezza nella persona
cadente, la bocca arida per mancanza di saliva, l'impossibilità di di-
gerire, per scarsità del succo gastrico, la mano fredda. A lungo il dolore
morale provoca perciò denutrizione, quindi dimagramento: e predi-
spone il corpo, indebolito, alle malattie infettive. La noia è come una
paralisi galoppante del cuore: si potrebbe svenire di noia, ciò che popo-
larmente si esprime con la frase: « morire dalla noia »; ma un'azione
riflessa mette quasi sempre in salvo, come una valvola automatica di
sicurezza: è lo sbadiglio, cioè una spasmodica inspirazione profonda, che
dilata gli alveoli polmonari, fa affluire il sangue dal cuore come una
pompa aspirante, e lo rimette in moto. Nella collera avviene come una
contrazione tetanica di tutti i capillari sanguigni donde il più profondo
pallore, e l'espulsione dal fegato di una maggiore quantità di bile. Nel
piacere i vasi sanguigni sono dilatati, la circolazione e perciò tutte le
funzioni di secrezione e di assimilazione sono facilitate: il volto è colo-
rito, il succo gastrico e la saliva sono percepite come quell'allegro appe-
tito e quell'acquolina alla bocca, che invitano a rifornire il corpo di ali-
mento, tutti i tessuti lavorano attivamente a liberarsi dai loro veleni
e ad assimilare il nuovo nutrimento: i polmoni « allargati » immagaz-
zinano le grandi quantità di ossigeno che bruceranno tutti i rifiuti senza
lasciar traccia di tossico. È un'iniezione di salute.
Una prova ancor più eloquente dell'influenza dello spirito sulle
funzioni del corpo, l'abbiamo in Italia, ove, dopo che fu abolita la pena
di morte, venne messa come sua corrispondente pei criminali, la così
detta pena del cellulare. Con i moderni criteri igienici sulle carceri,
il cellulare non può certo chiamarsi un luogo di crudeltà per il corpo:
ma è solo un luogo dove ogni alimento spirituale è stato abolito. Con-
siste in una cella a pareti grigie, completamente nuda: essa comunica
soltanto con una stretta lingua di terra chiusa da alte mura dove il
condannato può passeggiare all'aria libera, perchè tutto intorno, benché
nascosta ai suoi sguardi, è aperta campagna. Che cosa manca al corpo?
esso ha l'alimento, ha un riparo dalle intemperie, ha un giaciglio, ha un
luogo dove rifornirsi d'ossigeno puro: il corpo può riposare, anzi null'al-
I. - UNO SGUARDO ALLA VITA DEL BAMBINO
tre può fare che riposare. Sembra quasi ideale, per chi non abbia voglia
di far niente e desideri la vita vegetativa. Ma all'orecchio di quel car-
cerato non arriverà un suono, non una voce umana; egli non vedrà più
un colore, una forma. Non una notizia giungerà a lui dal mondo. Solo,
in una fìtta tenebra spirituale, passeranno, interminabili, ore, giorni,
stagioni, anni. Ebbene, l'esperienza ha dimostrato che questi infelici
non possono vivere. Essi impazziscono e muoiono. Non solo la mente, ma
il corpo muore dopo pochi anni. Di che cosa muore?... Se fosse stata una
pianta, nulla sarebbe mancato a quell'uomo, ma egli ha bisogno di
un'altra nutrizione. Il vuoto dell'anima è mortale anche all'ultimo delin-
quente, perchè così è la natura umana. Le sue carni, le sue viscere, le
sue ossa, muoiono senza l'alimento spirituale, come una quercia mo-
rirebbe senza i nitrati della terra e senza l'ossigeno dell'aria. Fu procla-
mata infatti come una grande crudeltà questa morte lenta, sostituita
alla morte violenta. Morir di fame in nove giorni come il conte Ugolino è
piti crudele che morir bruciato in mezz'ora come Giordano Bruno; ma
morire per inedia dello spirito, in uno spazio di anni, è la massima cru-
deltà trovata finora tra i castighi dell'uomo.
Che sarà del bambino, se un delinquente brutale e robusto è ucciso
dal vuoto dell'anima; che sarà del bambino se non consideriamo in lui
i bisogni della vita interiore? Il suo corpo è fragile, le sue ossa sono in
via di crescenza, i suoi muscoli sovraccarichi di zucchero non possono
ancora elaborare le forze, ma solo elaborare se stessi: la delicata strut-
tura dell'organismo ha bisogno, è vero, di nutrimento e di ossigeno; ma
la sua funzione per compiersi bene ha bisogno di gioia. È per la gioia
spirituale che « le ossa dell'uomo tripudieranno ».
II.
Uno sguardo all'odierna educazione
Criteri che informano l'educazione morale e l'istruzione. —
Mentre l'adulto relega il bambino tra i giocattoli e lo allontana ine-
sorabilmente da quegli esercizi che servirebbero a svilupparlo interior-
mente, pretende che lo imiti nelle cose morali. L'adulto dice al bam-
bino: « fai come me ». Non per formazione, ma per imitazione, il
bambino dovrebbe diventare adulto. Sarebbe come se un padre dicesse
alla mattina al suo bambino: « guardami bene, guarda come sono alto:
stasera quando torno a casa voglio trovarti cresciuto di quindici cen-
timetri ».
L'educazione in tal modo è molto semplificata. Si legge al bambino
un atto eroico e gli si dice: « diventa un eroe ». Gli si racconta un fatto
morale e si finisce con una raccomandazione: « sii virtuoso ». Gli si fa
noto un esempio straordinario di carattere, e con l'esortazione: « ac-
quista anche tu un forte carattere » il bambino è messo sulla strada di
diventare un grand'uomo.
Se i bambini si mostrano malcontenti, agitati, si racconta loro
che non mancano di nulla, che sono fortunati d'avere un padre e
una madre, e si finisce: « bambini, siate felici; il bambino deve essere
sempre lieto »; ed ecco come il fanciullo viene soddisfatto nei suoi
bisogni misteriosi.
Gli|adulti sono tranquilli quando hanno fatto così. Essi raddriz-
zano il carattere e la morale del loro figlio, come un tempo gli raddriz-
zavano le gambe tenendogliele strette nelle fasce.
24 PARTE PRIMA
K vero che talvolta i bambini ribelli (^in1l>^1Iano l'in\ililità di tali
insegnamenti. In tal <aM' iki racconti ben ai)piopriati sull'indegnità
di tale ingratitudine, sui pericoli della disobbedienza, sulla bruttezza
dell'ira, \engono scelti da un buon educatore per illuminare i difetti del
discepolo. Non altrimenti per un cieco sarebbero appropriati dei racconti
sul pericolo della cecità; per uno storpio, la descrizione delle pene nel
camminare. Anche nelle cose materiali avviene così: un maestro di
musica si liinita a dire al principiante : « tieni bene le dita ; finche
non terrai bene le dita non potrai suonare ». Una madre dirà al
tìglio, obbligato a stare seduto e curvo tutto il giorno sui banchi
di scuola, relegato dal consorzio civile, per studiare continuamente:
:< Abbi un bel portamento, non esser così goffo in società, mi fai
vergognare ».
Se il bambino dicesse un giorno: « ma siete voi che m'impedite di
sviluppare la volontà e il carattere: quando sembro così cattivo è ap-
punto perchè cerco di salvarmi ; come posso io non esser goffo se fui
sacrificato?» per molti sarebbe una rivelazione, per molti altri sarebbe
«una mancanza di rispetto)).
C'è una tecnica per ottenere che il fanciullo raggiunga quelle fina-
lità che l'adulto si propone per lui: essa è molto semplice. Bisogna ri-
durre il bambino a fare ciò che vuole l'adulto; l'adulto allora lo potrà
condurre al bene, alla forza, al sacrificio, e il bambino morale è fatto.
Domare il bambino, sottometterlo, renderlo obbediente, ecco il pernio
dell'educazione. Ottenuto questo, con qualunque mezzo, anche con la
violenza, tutto il resto viene di conseguenza; è per il bene del bambino
che bisogna fare ciò. Altrimenti non lo si potrebbe condurre. È un primo
passo cardinale che .si chiama: « educare la volontà del bambino » e
che permetterà all'adulto di parlare ormai di sé, come Virgilio parlava
di Dio:
Vuoisi così colà dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare.
Dopo questo passo l'adulto studierà in sé stesso quali sono le cose
più difficili per lui e quelle imporrà per tempo al fanciullo perchè si abitui
alle diffirili necessità della vita dell'uomo. Ma spesso gl'imporrà anche
delle rondizioni che l'adulto non avrebbe la forza di sopportare nemmeno
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 25
in minima parte... come, per esempio, quella di ascoltare immobil-
mente per tre o quattro ore al giorno, durante anni, un conferenziere
pesante e noioso!
È il maestro che crea la mente del bambino. Come si insegna.
— Ciò che informa la scuola è il medesimo concetto; è il maestro che
deve formare l'allievo: nelle sue mani sta lo sviluppo dell'intelligenza
e la coltura dei bambini. Egli ha un compito e una responsabilità ve-
ramente formidabili! I problemi che sorgono innanzi a lui sono innume-
revoli, acuti, e formano come una siepe di spine che lo separano dai suoi
scolari. Che cosa dovrà egli inventare, prima di tutto, per richiamare
sopra di sé l'attenzione dei suoi scolari, e quindi poter introdurre nella
loro mente ciò che gli sembra necessario? Come dovrà dare una nozione
perchè resti nella loro memoria? È necessario conoscere per questo
la psicologia, il modo preciso come avvengono i fatti psichici, le leggi
della memoria, il meccanismo psichico con cui si formano le idee, le
leggi con cui le idee si associano e piano piano spingersi fino alle più ele-
vate attività e muoverle per far ragionare i ragazzi. È lui che, cono-
scendo tutte queste cose, deve poi comporre e arricchire le intelligenze.
E non facilmente, perchè sempre, al disopra di questo difficile lavoro,
sta la difficoltà delle difficoltà, vale a dire che il ragazzo si presti a tutto
questo, che lo assecondi, e non sia ingrato allo sforzo che il maestro
compie per lui. Per questa ragione l'educazione morale è il punto di
partenza: occorre prima di tutto disciplinare la classe. Se non per
amore, per forza indurre gli scolari a prestarsi ad assecondare l'opera
del maestro. Senza questo punto di partenza, tutta l'educazione e
l'istruzione sarebbero impossibili, la scuola inutile.
Un'altra difficoltà è quella di economizzare le forze dello scolaro,
vale a dire di utilizzarle il piìi possibile, farle fruttare senza farne spreco.
Quanto riposo è necessario? quanto a lungo può durare un lavoro? Forse
dopo i primi tre quarti d'ora di occupazione saranno necessari dieci
minuti di pausa: ma dopo altri tre quarti d'ora ci vorranno quindici minuti
di sospensione; e così nel progresso della giornata: infine occorrerà un
quarto d'ora di riposo dopo dieci minuti di occupazione. Ma quali sono
gl'insegnamenti più adatti alle forze del bambino nelle varie ore del
giorno? è meglio cominciare con la matematica o col dettato? in quale
26 PARTE PRIMA
momento sarà più disposto il bambino a compone con la sua immagi-
nazione, alle 9 ovvero alle ii del mattino?
Ancora altre preoccupazioni sono necessarie alla sollecitudine di
un maestro perfetto: come dovrà egli scrivere alla lavagna affinchè i
fanciulli seduti lontano possano vedere? perchè altrimenti, se non ve-
dessero, ecco l'opera sua andata a male. E che quantità di luce occor-
rerà far cadere sulla lavagna per rendere possibile a distanza la
visione chiara del bianco sul nero, in quelle dimensioni della scrittura
scelte dal maestro per adattarsi appunto alla visione in lontananza?
Cosa grave, perchè se il bambino, da lontano, forzato dalla necessaria
disciplina a guardare e imparare, dovesse fare eccessivi sforzi di accomo-
dazione dell'occhio, potrebbe a lungo andare diventare miope: allora
U maestro axrebbe fabbricato un cieco. Cosa grave.
Chi ha mai pensato all'angosciosa situazione di un tale maestro?
Per farsene un'idea bisognerebbe pensare a una giovane sposa che, sa-
pendo di dover avere un bambino, si mettesse questi problemi: come
potrò io comporre un bambino se non so l'anatornia? come gli farò lo
scheletro? bisogna che studi bene la struttura delle ossa. Voglio imparar
come poi vi si attaccano i muscoli: ma come mettere il cervello dentro
una scatola chiusa?... E il piccolo cuore dovrà pulsare continuamente,
fino alla morte? È impossibile che non si stanchi...
O, analogamente, si potrebbe meditare così sul neonato: egli,
evidentemente, non potrà camminare se prima non conosce bene le
leggi dell'equilibrio; lasciato a se stesso, solo a vent'anni potrebbe ca-
pirle: farò dunque in modo d'insegnargliele precocemente, affinchè
possa camminare il più presto possibile.
Il maestro di scuola, è lui che compone l'intelligenza dello scolaro:
lo scolaro cresce tanto quanto lo fa crescere il maestro, vale a dire sa
precisamente ciò che il maestro gli ha fatto sapere e capisce né più né
meno di quello che il maestro gli ha fatto capire. Quando un ispettore
visita una scuola e interroga gli scolari, se è soddisfatto si volge
al maestro e dice: << bravo maestro ». Perchè quella é indubbia-
mente opera sua: dalla disciplina per farsi ascoltare ai meccanismi
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 27
psichici ch'egli ha seguito per insegnare, tutto è opera direttamente
sua. Iddio entra nella scuola come simbolo nel crocifisso, ma il crea-
tore è il maestro.
Molti soccorsi si danno ai maestri in questo loro compito sovrumano.
C'è una specie di divisione di lavoro, per cui alcune persone più compe-
tenti preparano gli" schemi delle lezioni o sulla psicologia se l'insegna-
mento è posto sopra un assetto scientifico, o sui principi indicati da un
grande pedagogista, come, per esempio, l'Herbart ; inoltre le scienze,
come l'igiene e la psicologia sperimentale, vengono ad alleviare molte
difficoltà pratiche e ad aiutare nel disporre le aule scolastiche, nel com-
pilare programmi, orari, ecc.
Ecco, per esempio, degli schemi per le lezioni a base psicologica:
ciò che si osserva è l'ordine di successione pei fatti psichici che devono
sorgere nel fanciullo: così esercitandosi, lo scolaro viene non solo ad ap-
prendere, ma a formare la sua intelligenza secondo i propri mec-
canismi (i).
Lezione di cose.
Una candela: Educazione delle funzioni sensoriali e percettive:
Vista: bianca, solida.
Tatto: untuosa, liscia.
Nomenclatura. Parti della candela: lucignolo, superficie, estremità,
orli, parte superiore, parte inferiore, parte di mezzo. La candela che noi
usiamo è di cera mescolata con stearina. Questa si ricava dal grasso del bue
e del montone. Per questo si chiama candela stearica. Vi sono candele di
cera. Esse sono giallognole e meno untuose. La cera è il prodotto delle api.
Vi sono anche delle candele di sego molto untuose e di odore nauseante quando
abbruciano.
Memoria. Avete mai visto una cereria? Avete mai visto un alveare?
Le cellette delle api di che cosa sono fatte? Quando accendete la candela?
Non avete mai portato la candela accesa distrattamente? Non vi è successo
nulla di grave?
Immaginazione. Disegnare sulla lavagna il contorno di una candela.
Paragonare, associare, astrarre. Simiglianza e differenza tra una can-
dela di cera, di stearica e di sego.
(i) Questi due esempi sono stati tratti dalla nota rivista / Diritti della Scuola,
anno XIV.
28 l'AKlK l'KlMA
Giudicare, ragionare. Sono utili le candele? Erano più utili prima
od ora che abbiamo il gas e la luce elettrica?
Sentimenti. Come si divertono i fanciulli a visitare una cereria! 1^ bi Ilo
infatti vedere come si fabbrica una candela di cui tanto ci serviamo. Quando
possiamo appagare il desiderio d'istruirci proviamo piacere e soddisfazione.
Volizioni. Che faremmo del grasso di maiale se non sapessimo ricavare
la stearina? Che faremmo della cera se non sapessimo utilizzarla? L'uomo sa
lavorare e sa trasformare tanti prodotti in sostanze e in oggetti utili. Il la-
voro è la vita nostra. Benediciamo i lavoratori. Amiamo il lavoro noi pure
e dedichiamoci ad esso con diligenza.
(Si noti che i bambini stanno tutti fermi ad ascoltare).
Sulle linee di un medesimo meccanismo psichico può esser fatta
qualsiasi lezione: anche una lezione morale. Esempio:
Educazione morale derivata dall' osservazione dei fatti.
(Si noti che i fatti sono inventati e raccontati).
Gentilezza di modi. Fatto: « È vero, fanciulla, che la chiesa di questo
villaggio è distante pili di un chilometro da qui? Devo recarmici per ordine
della mamma. Credevo di esservi giunta e ne ero contenta. Vengo di lontano
e sono tanto, tanto stanca... ». « Invece, rispose la fanciulla che era sul can-
cello della sua abitazione, sei proprio distante ancora un chilometro e mezzo.
Ma entra pel mio cancello, segui la scorciatoia che t'insegnerò attraverso i
miei campi. In cinque minuti arriverai alla chiesa ». Che fanciulla gentile!
Rapporti di successione di causa ad effetto. La fanciulla del villaggio
usò una gentilezza alla piccola viandante. Questa giunse in poco tempo
alla chiesa, si affaticò meno e ne provò un gran sollievo.
Memoria. \ov foste mai gentili con i vostri compagni? Prestaste sempre
ad un compagno ciò che vi chiedeva? Ringraziaste sempre con gentilezza
chi vi fece dei favori?
Paragonare, associare, astrarre. Paragone tra un fanciullo gentile
e uno sgarbato.
Giudicare, ragionare. Perchè bisogna essere gentili con tutti? Basta
essere servizievoli per mostrarsi gentili?
Sentimenti. Chi è gentile ha un animo ricco di dolcezza, di soavità. Quanta
simpatia desta in tutti! La persona sgarbata s'irrita per un nonnulla. Ella desta
disgusto e timore negli altri. Chi è gentile dimostra affetto per il prossimo.
Volizioni. Voi, o fanciulle, abituatevi ad essere gentili con tutti. Do-
vete essere gentili quando fate qualche favore, se no il favore può sembrare
uno sgarbo. Voi avete bisogno di qualcosa e la chiedete con arroganza?
È più facile riceviate un no, che un si. Invece come si può dirvi di no, se chie-
dete qualcosa gentilmente?
II. - UNO SGUARDO ALL'ODIERNA EDUCAZIONE
È forse più interessante seguire una lezione vera e propria attuata
nella pratica, e considerata come un modello offerto alla generalità
dei maestri. Riporto a tale scopo una delle lezioni premiate a una gara
didattica indetta in Italia (i). In essa non ci dovrebbe essere, secondo
il tema, che un primo fatto psichico: la percezione sensoriale. (I la-
vori, anziché essere contrassegnati dal nome dell'autore, erano con-
traddistinti con un motto):
Motto. Le cose sono i primi e migliori maestri.
Mi segno questi termini :
Far percepire l'idea del freddo gelido in contrasto con quella del caldo
(e basta, basta!!, perchè le idee non sono chicche da gustare una dopo l'altra,
ma sublimi fatti psichici di una grande complessità, e, perciò, di una molto
difficile assimilazione).
Collegare all'idea da impartire, la cultura di un senso di compassione
e di pietà per i miserabili cui l'inverno è causa di tanto soffrire ; senso che
molte volte avevo già tentato di risvegliare.
Quanto precede è per me; quanto segue per i bimbi.
— Bambini: come stiamo bene qui! Tutto è pulito; tutto è al suo posto:
io voglio tanto bene a voi; voi volete tanto bene a me; non è vero, bambini?
B. — Io si. Io si. Anca io (correggo).
— Dimmi, Gino, hai freddo tu? Hai detto subito di no. E bene; no,
proprio: stiamo davvero bene qui! Là, in quell'angolo (lo indico bene) c'è
una cosa che manda tanto...
B. — Caldo. È la stufa.
— Ma fuori di qui; dove non c'è la stufa; dove si distende l'orizzonte
(i bambini hanno una certa famigliarità con questa parola), il caldo non c'è.
B. — C'è il freddo. (Risposta dovuta a la chiarezza della legge dei
contrarli) .
— Questa notte... mentre noi dormivamo; mentre forse la mamma
vostra aggiustava i vostri vestitini... cara mamma, come è buona! questa
notte, adagio, adagio, sono caduti dall'alto, tanti, tanti fiocchi bianchi...
La neve, la neve! esclamano i piccini. — Bambini; diciamo: sono caduti
tanti fiocchi di neve. Com'è bella la neve! Andiamo a vederla da vicino? '
B. — Sì... sì... sì... sì...
— Ma, è tanto bella che ci verrà voglia di prenderne un po'! E non
è permesso prenderla, forse? Di chi è la neve? (Non ottengo risposta). Chi
l'ha comperata? Chi l'ha fatta? Voi? No. Io? No. La mamma? No. Allora l'ha
(i) Essa apparisce pubblicata nella rivista Im voce delie Maestre d'Asi!
anno Vili.
30 PARTE PKIMA
comperata il papà! (Mi guardand attoniti: già sono domande alquanto strane).
No. ancora! Dunque la neve è. ..di tutti. E bene: se è così ne possiamo pren-
dere una piccola manata. (Segni evidentissimi di gioia). Vi distribuisco
subito (i bambini non hanno il banco a cassetto per riporvi i loro lavorini)
le scatolette che ieri avete fabbricato. (Mezzo più efficace per far intuire
l'utilità del lavoro). Esse sapranno contenere bene la bella neve. (Intanto
che agisco, parlo, per non permettere all'attenzione di venir meno). Prendo
anch'io la mia; quella che ho fatto con voi: è più grande della vostra; e dunque
conterrà più neve, la mia o la vostra?
B. — La sua.
— Andiamo, bambini: una candida manata deve entrare nelle vostre
scatolette. Che piacere!
(Andando). Fermiamoci un momentino: come stiamo bene qui! Posiamo
una mano sopra il viso. Com'è caldo il viso e com'è calda anche la mano! An-
diamo a sentire se, quando la mano avrà toccato la neve, sarà ancora calda.
B. — Sarà fredda.
— Sicuro. (Uscendo). Quanto è bella! È caduta di lassù: il cielo ha re-
galato alla terra una veste tutta...
B. — Bianca.
A questo punto, i miei bambini, abitualmente affidati a quel principio
di sana ordinata libertà, che è il maggior coefficiente della formazione del
carattere, toccano, prendono la neve: alcuni ne rompono la superfìcie con
un piccolo disegno. Li lascio fare. È un minuto, perchè do subito una specie
di assalto alla loro attenzione.
— Bambini, anch'io voglio prendere un po' di neve; ma insieme a tutti
voi. Fermi! Diritti! Guardatemi bene. Togliamo via un piccolo lembo della
grande veste. Mettiamolo nella scatoletta. Ecco fatto! (Entrando). Ah, che
freddo! I bambini che sono poco coperti, sono quelli che hanno freddo di più.
Poverini! E quelli che in casa non hanno quella cosa piena di carbone acceso!
B. — La stufa.
— Che freddo sentiranno! Su; svelti svelti: al posto tutti quanti. Met-
tete sul banco la scatoletta. Come è fredda la neve! Avete sentito come ha
fatto diventare fredda la nostra mano, che era calda?
B. — La mia è fredda, .^nche la mia!
— Io, in cortile, ho veduto Carolina che ha preso un po' di neve, e poi
l'ha lasciata cadere subito: non è stata forte abbastanza, per resistere a tanto
freddo! Ma poi ha provato ancora, e non l'ha più lasciata uscire di mano.
B. — Io no; l'ho mettuta (correggo) subito nella scatoletta.
— Bambini; quando il freddo è forte forte come quello della neve,
si chiama gelo. Dillo tu, Guido. Come si chiama? Adesso tu, Giannina. E la
neve che è fredda cosi... com'è? Chi indovina?
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE
(Un bambino) — Gelata.
— Di': la neve è gelata.
— Noi siamo tornati dentro, perchè fuori c'è gelo, e dentro c'è.
B. — Caldo.
— Ma abbiamo portato con noi, una cosa gelata che si chiama.
B. — Neve.
— Che cosa manda a noi la stufa? Vi ricordate? (i)
B. — Il caldo.
— Voglio me lo dica Maria. Adesso, Peppino.
— Sapete? Anche la bocca manda caldo. Apritela; Non molto! Met-
teteci davanti una mano, la destra. Respirate come faccio io. Un'altra volta:
respiriamo: adesso mandiamo fuori il respiro, come faccio io. Ancora: respi-
riamo; mettiamo fuori il respiro: ancora... ancora... ancora... così, va bene.
Sentite. Anche la bocca ci dà un po' di...
B. — Caldo.
— Proviamo ora a metterci un po' di neve. Un pezzettino così. Oh,
il caldo della bocca scappa: al tocco gelato della neve è già scappato.
B. — È fredda adesso la bocca!
— Sì; è vero: è fredda; di un freddo forte forte che si chiama...
B. — Gelo.
— Giuseppe forse non lo sa... non me l'ha detto con gli altri! Ditelo
ancora, che lo dirà anche lui. Un'altra volta; basta. Bravo Giuseppe! Dunque
la nostra bocca è diventata...
B. — Gelata.
— Mangiamo un altro pezzetto di neve. In bocca, la neve diventa acqua,
perchè è fatta di acqua soltanto. Anche il pane è fatto di acqua, ma non di
acqua soltanto, anche... Come fa il fornaio a fare la pasta per il pane, senza la...
B. — È la farina.
— E poi ci vuole...
B. — Il sale.
— E poi?
B. — Il Hevito.
— Vedo che Luigi mangia ancora la neve. Anche Alfonso e Pierino.
Vi piace?
B. — Sì signora.
— Vi piace a tutti, vero?
B. — Sì signora. Io sì. Io sì. (Correggo).
(i) È per memoria che i bambini devono sapere se la stufa manda caldo.
32 TARTE PKIMA
— Mangiatene pure ancora; ma non molto, può farvi male. È tanto
gdaia\ (ripeto spesso questa parola, pcrcliC' ò l'cspressiono dell'idea che
voglio dare).
— Quando nevica fa molto freddo, e pensate che vi sono tanti bam-
bini, tanta gente, che sono mal coperti, che non hanno stufa; sono poveri!
Essi soffrono molto e qualcuno, anche, muore: povera gente! Come siamo
fortunati noi, invece! Abbiamo tanti indumenti (conoscono questa parola) per
coprirci; abbiamo una stufa a casa, una a scuola che ci scaldano. Che fortuna!
(Una bambina) — Io non l'ho.
— Io so che non l'ha neppure Emilio. Mi dispiace tanto. Bambini, vo-
gliate bene ad Emilio e Giuseppina, tanto: più che non agli altri bambini
perchè sono...
B. — Poveri...
— L'avete mangiata tutta?
B. — No signora.
— Ora andremo in cortile a gettar via la neve che ci è rimasta. Poi
metteremo le scatolette su questa tavola ad asciugare. E domani vi farò
vedere la vignetta di una bella nevicata. Andiamo; venite fuori e portate
presto le scatolette vuote dove ho detto io.
Intendo di ripetere sotto altro aspetto questa lezione e combinarne
altre, riferendole a soggetti di altre idee, che si possono conferire sullo
stesso argomento.
Come tutto nella natura fìsica e morale è unito, legato, stretto, indi-
visibile, graduato, così il più grave danno dello sviluppo umano, è costituito
dal fatto educativo isolato e saltuario, perchè non si può sciogUere ciò che
è, da una eterna santa legge, concatenato.
In questa lezione « modello « si sostiene di aver dato solo due
percezioni: di caldo e di freddo, e di aver lasciata molta libertà al bam-
bino, ma una libertà « bene intesa ».
Ora, dare realmente solo due percezioni è ben difficile, trattan-
dosi di persone immerse in un ambiente ricco di stimoli e aventi all'in-
terno già immagazzinato un intiero caos d'immagini. Ma, avendo
un tale obbietto, si può cercare di eliminare possibilmente tutte le
altre percezioni, per far rimanere quelle due e di polarizzare su esse
l'attenzione in modo che nel campo della coscienza restino nell'ombra
tutte le altre immagini. Questo sarebbe il criterio scientifico tendente
ad isolare le percezioni ; ed è appunto questo il procedimento pratico
[I. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 33
che usiamo nel nostro metodo per le « lezioni » sensoriali. Nel caso
del caldo e del freddo il bambino verrebbe « preparato » con l'iso-
lamento del senso: egli sarebbe stato bendato in un luogo silenzioso,
affinchè solo gli stimoli termici potessero giungere fino a lui. Innanzi
al bambino sarebbero stati posti due oggetti perfettamente uguali
tra loro in tutti i caratteri percepibili col senso tattile muscolare:
stessa dimensione, stessa forma, medesimo stato di levigatezza, mede-
sima resistenza alla pressione; per es. due sacche di gomma identiche,
empite con la medesima quantità 'd'acqua, e perfettamente asciutte
al di fuori. L'unica differenza è la temperatura dell'acqua nelle due
sacche: nell'una calda, per es., a 6(f; nell'altra fredda, per es., a 10°.
Dopo aver richiamato l'attenzione del bambino sull'oggetto-? si fa pas-
sare la mano del bambino bendato sulla sacca calda, e poi sulla fredda:
mentre la mano passa sulla calda gli si dice: è calda!, mentre passa
sulla fredda gli si dice: è fredda! P^ la lezione è finita. Sono state due
sole parole: e una lunga preparazione tendente a far sì che possibil-
mente in rapporto a quelle due parole giungessero al bambino le due
sole sensazioni che vi corrispondono. Infatti gli altri sensi, vista e udito,
erano sottratti agli stimoli; e sotto la mano nessuna differenza per-
cepibile esisteva tra i due oggetti, fuorché quella di temperatura. È
così che si può raggiungere un grado approssimativo di probabilità
nel far percepire due sole sensazioni contrastanti.
Si dirà: e la libertà del bambino?
Ebbene, noi conveniamo che ogni lezione lede la libertà del bam-
bino, per questo la facciamo durare lo spazio di qualche secondo: il
tempo per pronunciare letteralmente due parole: caldo! freddo! ma
sotto l'influsso della preparazione che, prima isolando il senso, fa
quasi il buio nella coscienza, e vi proietta poi solo due immagini. Come
sullo schermo di una macchina per le proiezioni, il bambino riceve
i suoi acquisti psichici, ovvero come dei semi cadenti sopra un terreno
creativo: ed è nella libera scelta successiva e nella ripetizione dell'eser-
cizio, come nelle successive attività spontanee associative e riproduttive,
che il bambino sarà lasciato « libero ». Più che una lezione, egli ricevè
un contatto determinato col mondo esterno: è questa determinazione
scientifica che dà a tale contatto un carattere speciale che lo distingue
dai contatti indeterminati che il bambino riceve continuamente dal-
34 HAKTH PRIMA
l'ambiento. La moltitudine di tali contatti indetcrminati formarono
in lui il caos: i contatti determinati \i iniziano l'ordine, poiché, con la
tecnica dell'isolamento cominciano a far «distinguere una cosa dal-
l'altra ».
Sono i principi della psicologia sperimentale che hanno dettato la
tecnica delle nostre lezioni. E tale « indirizzo » contrasta senza dubbio
con quello dettato invece dalla psicologia speculativa dei tempi pas-
sati, sulla quale si basano tuttora i metodi educativi ( omunemente in
uso nelle scuole.
Fu r Herbart che mise la psicologia tìlosotìca d'allora come
principio per ridurre a sistema le regole pedagogiche. Egli, dalla
esperienza individuale ha creduto di afferrare il modo universale
di svolgere la mente, e ha fatto di questo una base psicologica ai
metodi d'insegnamento. Il pedagogista tedesco, il cui metodo oggi, per
opera del Credaro, prima professore di pedagogia all'Università di
Roma, poi Ministro dell'Istruzione, dovrebbe informare tutto l'inse-
gnamento elementare in Italia, dette un tipo unico di lezione sui noti
quattro tempi (i gradi formali) chiarezza, associazione, sistema, metodo.
I quali si possono press 'a poco tradurre così : presentazione di un
oggetto e suo esame analitico (chiarezza), giudizi e paragoni con altri
oggetti circostanti o con immagini mnemoniche (associazione), defi-
nizione dell'oggetto dedotta dai precedenti giudizi (sistema), nuovi
principi che scaturiscono dall'idea che si è approfondita e che con-
ducono ad applicazioni pratiche di ordine morale (metodo).
Il maestro deve condurre la mente del fanciullo su tali lince in
ogni insegnamento: non deve però sostituirsi a lui, ma anzi far pensare
il bambino stesso, indurlo ad esercitare le proprie attività. Così, per es.,
nell'associazione il maestro non dovrà dire: « guarda intorno il tale o il
tal'altro oggetto, osserva come è simile... ecc. »; ma domanderà allo
scolaro: che «cosa vedi intorno? c'è nulla che somigli...» ecc. Ugualmente
per la definizione, non dirà, il maestro, per es.: « L'uccello è un ani-
male vertebrato coperto di piume; che ha due arti trasformati in
alÌB ecc. ma, con domande incalzanti, con correzioni e simili, indurrà
il bambino a trovare da sé la precisa definizione. Se il processo mentale
dei quattro tempi di Herbart venisse naturalmente, sarebbe neces-
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 35
sario che ci fosse un grande interesse per l'oggetto; è l'interesse che
farebbe trattenere, o, come dice il noto pedagogista, farebbe « pro-
fondare » la mente nell'idea e la manterrebbe in un sistema, pur ab-
bracciando idee multilaterali: è necessario perciò, che 1' « interesse » sia
destato e permanga in tutto l'insegnamento. È ben noto che un allievo
dell'Herbart aggiunse per questo un primo tempo, quello dell'inte-
resse, ai quattro tempi di Herbart, facendo riallacciare ogni nuova
conoscenza alla vecchia: « andare dal noto a l'ignoto » perchè ciò che
è assolutamente nuovo non può destare interesse.
« Rendersi interessanti artificialmente » cioè interessanti a chi
non avrebbe interesse per noi, ecco un compito ben diffìcile! e trattenere
su noi con interesse per ore ed ore e per anni, non una, ma una mol-
titudine di persone, le quali non hanno nulla di comune con noi, nem-
meno l'età: ecco un compito sovrumano. Questo è il compito del maestro
o, come egli dice, è la sua « arte », se vuole che quell'assemblea di
bambini che egli ha ridotto all'immobilità con la disciplina, lo segua
con la mente, capisca ciò ch'egli dice, e impari: lavoro intimo, ch'egli
non può più imporre, come impone la posizione del corpo, ma che deve
« guadagnare « rendendosi e mantenendosi « interessante ». « L'arte di
far scuola » dice l'Ardigò « consiste principalmente in questo: di co-
noscere fino a che punto e in che maniera uno può trattenere l'atten-
zione degli alunni. I maestri più abili sono quelli che non affaticano
mai troppo una frazione del cervello dei loro scolari, in modo che la
loro attenzione volgendosi ora qua ora là, riposa; e più forte può tor-
nare all'argomento principale del discorso ». «
Un'arte assai più laboriosa è quella di condurre i bambini col loro '
proprio lavoro mentale a tro\'are non già ciò clie essi troverebbero
naturalmente, ma quello che vuole il maestro, il quale però non dice
ciò che vuole: spingendo i bambini ad associare « spontaneamente » le
loro idee — come le associa il maestro — e perfino arrivando a far
comporre dai bambini delle definizioni con le precise parole che il
maestro ha tra sé stabilite, senza manifestarle. Cosa che sembrerebbe
una cabala, un gioco di prestigio. Tuttavia ciò si è usato e si usa, e forma
in certi casi tutta l'arte del maestro.
Il Tolstoi, quando nel 1862 fece i suoi giri d'ispezione nelle sciiole
di Germania, fu colpito da uro di tali « insegnamenti »; e descri^'e tra
PARTE PRIMA
gli scritti pedagogici deiriasnaja Poliana una lezione che merita di
essere riportata, per cjuanto oggi nelle scuole di Germania non sarebbe
forse più possibile d'incontrare un tale esempio.
lasnaja Poliana, iSOj.
Calmo, sicuro, il professore siede in classe: gl'istrumcnti sono pronti:
piccole tavole con le lettere, un libro con l'immagine di un pesce, fisch. Il
maestro guarda gli allievi: egli sa già tutto quello che devono comprendere;
sa in che consiste la U)ro anima, e varie altre cose che ha imparato al se-
minario.
Apre il libro e mostra il pesce. « Cari bambini, che cosa è questo? » i
poveri bambini gioiscono vedendo il pesce, se però non sanno già, per averlo
inteso da altri scolari, con quale salsa sarà servito. In ogni modo essi dicono:
« è un pesce ». « No! » riprende il professore (tutto ciò non è un'invenzione
né una satira, ma il racconto esatto di un fatto che, senza eccezione, ho visto
in tutte le migliori scuole di Germania e nelle scuole inglesi che hanno adot-
tato questo modo d'insegnare). «No» dice il professore « Che vedete dunque? ».
I bambini tacciono. Non dimenticate che hanno l'obbligo di rimanere seduti,
tranquilli, ciascuno al suo posto e di non muoversi. « Dunque, cosa vedete? ».
« Un libro » dice il più stupido. Durante questo tempo i bambini intelligenti
si sono chiesti mille volte ciò che vedono; essi sentono che non potranno
indovinare ciò che esige il professore e che bisogna rispondere che questo
pesce non è un pesce, ma qualcosa ch'essi non sanno nominare. «Sì sì» fa il
maestro con gioia. « Benissimo, un libro; e poi? » domanda il maestro. I più intel-
ligenti e spiritosi indovinano e dicono con gioia tutti orgogliosi: « delle lettere! ».
e No, no, niente affatto », risponde con tristezza il maestro: « Bisogna riflet-
tere prima di parlare ». Di nuovo tutti gl'intelligenti sono tristi e tacciono;
non cercano neanche più; oramai pensano agli occhiali del professore e si
domandano perchè non se li leva piuttosto che guardare al di sopra di
essi, n Avanti, dunque: che c'è nel libro? ». Tutti tacciono. « Ma che cosa c'è
qui? i>. « Un pesce! » dice un audace. « Sì, un pesce. Ma è un pesce vivo? ».
« No, non è vivo ». « Benissimo. Allora è morto? ». « No ». « Bene! Allora
cos'è questo pesce? ». « Una immagine ». « Proprio così! molto bene! ».
Tutti ripetono: è un'immagine. E pensano che sia finita. No, bisogna dire
ancora che è un'immagine, che rappresenta un pesce. E per la stessa
via il maestro ottiene che gli allievi dicano che è un'immagine che rap-
presenta un pesce. Egli s'immagina che così i suoi allievi ragionino e non
gli passa nemmeno per la mente che, se ha l'obbligo d'insegnare agli
allievi a dire precisamente: è un Hbro con una immagine di un pesce,
sarebbe assai più semplice dirla, questa formula straordinaria, e farla im-
parare a memoria.
II. - UNO SGUARDO ALL'ODIERNA EDUCAZIONE 37
Accanto a questa antica lezione raccolta dal Tolstoi in una
scuola elementare di Germania, può essere citata la lezione seguente
proposta modernamente da un distinto pedagogista e filosofo francese,
i cui testi sono classici nelle scuole del suo paese e all'estero, e usati
anche nelle Scuole Pedagogiche d'Italia. Si tratta, come dice un sotto-
titolo sul frontespizio, di « Lezioni destinate a formare educatori e
cittadini coscienti dei propri doveri, utili alla famiglia, alla patria,
all'umanità » (i). Siamo dunque nell'ambito delle scuole medie. La
lezione che cito è un'applicazione pratica del principio d'impartire
lezioni a mezzo d'interrogazioni (metodo socratico) e verte sopra un
tema morale: il « diritto ».
— Voi, ragazzi, non avete mai confuso il vostro compagno Paolo con questa
tavola o con questo albero? — Oh! no. — Perchè? — Perchè questa tavola
è inanimata e insensibile; invece Paolo vive e sente. — Bene, se voi battete
la tavola non sente nulla e voi non le fate male; ma avete voi diritto di di-
struggerla? — No, si distruggerebbe la cosa altrui. — Che cosa dunque ri-
spettate nella tavola? il legno inanimato e insensibile, ovvero la proprietà
di colui, cui essa appartiene? — La proprietà di colui cui essa appartiene.
— Avete voi il diritto di battere Paolo? — No, perchè gli faremmo male e
patirebbe. — Che cosa rispettate in lui? la proprietà di un altro o Paolo stesso?
— Paolo stesso. — Voi non potete adunque né batterlo, né rinchiuderlo,
né privarlo di cibo? — No! i carabinieri ci arresterebbero! — Ah! oh! la paura
del carabiniere... ma è solo per ciò che vi arrestereste dal far male a Paolo? —
Oh! no signore! perchè noi amiamo Paolo e non vogliamo farlo soffrire,
perchè non ne abbiamo il diritto. — Credete dunque che bisogna rispettare
Paolo nella vita e nella sensibilità, perchè la vita e la sensibilità sono da
rispettare? — Sì, signore.
— Vi è dunque questo soltanto da rispettare in Paolo? Esaminiamo,
cercate bene. — I suoi libri, il suo abito, la sua cartella, la colazione che
vi è dentro. — Sia. Che volete dire? — Noi non possiamo stracciare i suoi
libri, macchiare il suo abito, distruggere la sua cartella, mangiare la sua cola-
zione. — E perchè? — Perchè queste cose sono sue e non è permesso prendere
la roba altrui? — Come si chiama l'atto con cui si prende la roba altrui? —
Furto. — • Perchè il furto è proibito? — Perchè si va in prigione. — Sempre
la paura dei carabiniere! ma è sopratutto per questo che non bisogna ru-
bare? — No, signore, perchè la cosa altrui deve essere rispettata, come la
(i) E. Alengry, U educazione sulle basi della psicologia e della morale, con prefa-
zione di Luigi Credaro. (II ediz. italiana sulla XII ediz. francese, Paravia & C).
3^ l'AKTK l'KIMA
persona altrui. — Benissimo. La proprietà è il prolungamento della persona
innana e si deve rispettare eome quella.
— È qui tutto? non vi è altro da rispettare in Paolo rlie il corpo, i libri
e i quaderni? Non vedete altra cosa?... Non trovate più nulla?... Vi metterò
sulla \ia io: Paolo è uno scolaro studioso, un compagno franco e servizievole;
voi tutti lo amate come si merita. Come si chiama la stima che noi abbiamo
per lui. la buona opinione che noi abbiamo di lui? — L'onore... la reputazione...
— t)rbene, questo onore, questa reputazione Paolo si acquistò con la buona con-
dotta e i buoni costumi. Sono cose che gli appartengono. — Sì signore; noi non
abbiamo il diritto di rubargliele. — Benissimo, ma come si chiama questo furto,
cioè il furto dell'onore e della reputazione? E prima di tutto, come si può
rubarglieli? Sono forse essi che si possono prendere e mettere in tasca? —
No. ma si può parlare male di lui. — Come? — Si può dire che egli ha fatto
del male a un compagno... che ha rubato delle mele nel vicino frutteto... che ha
sparlato di un altro... — Sia; ma come, così parlando, voi gli rubereste l'onore e
la reputazione? — Signore, non gli si crederà piiì, si avrà cattiva opinione di
lui, si batterà, rimprovererà, e si lascerà in disparte... — Dunque, se voi dite
male di Paolo, allorché questo male è falso, gli farete piacere? — No, signore,
gli si recherà dolore, gli si farà torto, il che sarebbe assai brutto e cattivo. —
Sì, miei ragazzi, questa menzogna con l'intenzione di nuocere sarebbe assai
brutta e cattiva e si chiama la calunnia. Io vi spiegherò più tardi che si
chiama maldicenza il male che si dice di una persona, quando questo male è
vero, e vi mostrerò le funeste conseguenze della calunnia e della maldicenza.
Riassumiamo adunque ciò che dicemmo: Paolo è un essere vivente e
sensibile. Non dobbiamo procurargH sofferenze, né derubarlo, né calunniarlo;
dobbiamo rispettarlo. Si chiamano diritti queste cose rispettabili che sono
in Paolo e lo rendono una « persona morale ». L' obbligazione che noi abbiamo
di rispettare questi diritti si chiama dovere. Si chiama poi giustizia l'obbligo
o il dovere di rispettare i diritti altrui. Giustizia deriva da due parole latine
(in jure stare) che significano: « mantenersi nel diritto ».
1 doveri di giustizia da noi numerati si riassumono così: Non ferire...
non far soffrire... non rubare... non calunniare. — Riflettete alle parole che
dite sempre: « Non» con un verbo infinito imperativo. Che significa questo?...
— Un obbligo, un comando... un divieto. — Via, spiegate. — L'obbligo
del rispetto... il comando di rispettare i diritti... il divieto di rubare. —
In che cosa dunque si riassumono essi? Nel non fare del male.
La scienza positiva fa il suo ingresso nella scuola. l.a
scienza positiva fu invitata ad entrare nella scuola, come in un caos
ove c'era bisogno di separare la luce dalle tenebre; come in un luogo
disastroso ove c'era necessità di pronti soccorsi.
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE jJ9
Scoperte della medicina: deformazioni e malattie. — Infatti
la prima scienza penetrata nella scuola, fu la « medicina » che orga-
nizzò un'igiene speciale al caso, una specie di servizio della Croce
Rossa. La parte più interessante dell'igiene penetrata nella scuola, fu
quella che rilevò e descrisse i « morbi dello scolaro », cioè le malattie
acquisite pel solo fatto di studiare a scuola. Le principali di queste
malattie sono la scoliosi e la miopia. La prima, acquisita per la troppo
prolungata permanenza nella posizione seduta e per la viziosa posizione
che devono prendere le spalle nello scrivere. La seconda pel fatto che,
nel luogo ove il bambino deve rimanere seduto, la luce non è sufficiente
alla chiarezza della visione; ovvero tale luogo è troppo lontano dalla
lavagna o dai luoghi ove è necessario che il bambino legga, e il prolun-
gato sforzo di accomodazione porta alla miopia. Altre minori ma-
lattie generalizzate vennero pure descritte; e un indebolimento or-
ganico così diffuso che l'igiene consigliò come un ideale la distribu-
zione gratuita a tutti gli scolari dell'olio di fegato di merluzzo, o, in
genere, di ricostituenti. Le anemie, le malattie di fegato, le nevrastenie
furono pure studiate come morbi dello scolaro.
Così per l'igiene fu aperto un nuovo campo per accogliere il più
rigoglioso ramo delle malattie professionali, e la scrittura e la lettura
dovettero essere studiate minutamente nei loro metodi d'insegnamento,
in rapporto a deviazioni della colonna vertebrale e a vizi di rifrazione
dell'occhio.
Non avvenne che risaltasse, con. l'aiuto della medicina, come po-
trebbe sembrare, la figura del bambino, quale vittima di un lavoro ina-
datto e sproporzionato: e sorgesse un nuovo ramo di «medicina legale ».
Infatti è la medicina che constata le malattie e la morte delle vittime
del brefotrofio, delle vittime dell'allattamento artificiale o irrazionale
collegato ai baliatici; è essa che rivede a uno a uno tutti questi casi indi-
viduali che sono l'esponente di un fatto legale: la mancanza dei diritti
civili pei bambini. Ora ecco che la medicina entra in un altro luogo ove
le vittime non sono « dei casi », ma sono le generalità, sono la popolazione
stessa dei bambini: e questa volta è proprio la legge che impone loro i
doveri e li obbliga in massa a un lavoro forzato di molti anni, ove il
corpo sarà sottoposto alla tortura. Se una medicina legale è sorta in rap-
porto ai delinquenti, come mai non è sorta in rapporto agli innocenti?
40 rARTK l'KIMA
La scienza innanzi ai bambini non corrispose alla sua mis-
sione. — La medicina si e limitata ad alleviare le malattie prodotte
artificialmente. Essa ha constatato una causa di malattia e l'ha lasciata
indisturbata, limitandosi ad alleviare i mali che ne derivano alla mol-
titudine delle vittime. Essa non si è atteggiata alla sua gran dignità
di « difenditrice » della vita; ma, come un servizio di Croce Rossa in
una guerra, se limitata a curare i feriti e ad alleviare le condizioni
dei softerenti: senza pensare che l'autorità acquistata come custode
della salute, poteva farle mandare il supremo grido di pace, che ponesse
fine a una guerra così pericolosa, così ingiusta e inumana.
Come lottando contro i microbi essa riportò la sua più gloriosa
bandiera di \ittoria contro la morte, così qui, lottando direttamente
contro le cause d'impoverimento delle generazioni, essa poteva ambire
al gran vessillo di protettrice della posterità. Invece si è limitata a ela-
borare un ramo di studii atteggiati a scienza: l'igiene scolastica; fa-
cendosi complice di un errore sociale.
Apriamo un trattato recente d'igiene scolastica: esso non fa che
riassumere le idee e i lavori di tutto il mondo.
<i Indicheremo rapidamente le condizioni che favoriscono lo
sviluppo della scoliosi. L'età in cui abitualmente apparisce la malattia
è la seconda infanzia, donde il nome di scoliosi dell'adolescenza: infatti
la scoliosi di origine rachitica, che apparisce nella prima infanzia, è
più rara e c'interessa meno direttamente. La causa più frequente
e che deve richiamare tutta la nostra attenzione, è l'attitudine viziosa
adottata dalla maggior parte dei nostri scolari durante l'esecuzione
dei loro lavori scolastici; questa causa è così abituale, che si è potuto
dire della scoliosi ch'essa era la malattia professionale dello scolaro; il
dott. Le Gendre, in una formula che si giudicherà forse un po' severa,
ma che disgraziatamente non manca di verità, ha potuto dire delle
nostre scuole, ch'esse sono una fàbbrica di miopi e di gobbi.
'< La miopia riconosce sopratutto per causa le condizioni stesse
nelle quali i bambini sono collocati in iscuola: l'insufìfìcienza della luce,
l'impiego di caratteri di stampa troppo piccoli, l'uso frequente della
lavagna dove il maestro non ha sempre cura di proporzionare l'al-
tezza dei caratteri ch'egli traccia alla distanza a cui devono essere
letti, sono altrettante cause di fatica oculare. L'acuità visiva di un
UNO SGUARDO ALL'ODIERNA EDUCAZIONE
occhio dato, dice il dott. Leprince, decresce rapidamente quando l'in-
tensità della luce cade al disotto di un certo limite. L'allievo, la\o-
rando con una luce insufficiente, rimedia all'acutezza difettosa di cui
è causa, ingrandendo l'angolo visivo sotto il quale gli appariscono i
dettagli dell'oggetto fissato; cioè ravvicinando questo in modo smi-
surato.
« Al limite dell'acutezza visiva, il tempo necessario per riconoscere
una lettera data, aumenta fortemente. La luce insufficiente, quindi,
dovrebbe rallentare il lavoro; a meno che l'allievo non aumenti l'acu-
tezza col ravvicinamento. La miopia costituisce così un vero adatta-
mento alle condizioni difettose del lavoro, permettendo di lavorare
più rapidamente » (i) .
Sembrerebbe così naturale dire: lasciate dunque che il bambino
si cerchi un posto più illuminato, che se la lavagna è lontana si avvi-
cini per leggere, che se la luce insufficiente rende il lavoro più lento,
proceda più adagio; si tratta di cose tanto innocenti: mutar di posto,
muovere un passo, impiegare qualche minuto di più a fare una cosa...
chi è mai quel tiranno che negherebbe così piccola grazia, condannando
alla cecità?
Questo è il maestro, che cerca a mezzo di predicazioni morali,
di farsi amare da tali vittime?
Sarebbe così semplice lasciare che i bambini, stanchi di star seduti,
si alzassero, e stanchi di scrivere, smettessero: e così non torcereb-
bero le loro ossa. Chi non si commoverebbe innanzi a un tale spet-
tacolo di bambini che deformano la colonna vertebrale nel banco,
come al medio evo si deformava il collo del piede con la tortura dello
stivaletto? Per qual ragione, poi, è necessario sì spietato tormento?
Perchè un uomo si è sostituito a Dio nel voler formare la mente
dei bambini a propria immagine e somiglianza. E ciò non si può rag-
giungere senza sottoporre alla tortura un essere libero. Ecco la sola
ragione.
Sono da citarsi i rimedi con cui, una così detta scienza, preten-
derebbe di opporsi alla scoliosi degli scolari. Essa ha determinato la
(i) Bron.m?det e MosNV, Hygiène scolaire. Boillièrc, Paris, 1914, pagg. 4.50,
496, 142, 143.
4a rARTK PRrMA
pisizione precisa nella quale un bambino potrebbe rimanere lunga-
mente seduto e applicato al lavoro, senza danno delle vertebre:
n II bambino, seduto al tavolo di lavoro, deve avere i piedi po-
sati a piatto, a piombo sul suolo o sopra un appoggiapiedi; le gambe
devono formare con la coscia un angolo retto, come pure la coscia col
tronco, salvo una leggera inclinazione del banco stesso. Il tronco deve
essere senza inflessioni laterali della colonna vertebrale, le braccia de-
vono discendere parallelamente lungo il corpo, il torace non deve es-
sere disturbato dall'orlo anteriore del tavolino, il bacino deve essere
appoggiato simmetricamente, la testa leggermente inclinata avanti a
30 centimetri dal piano della tavola; l'asse degli occhi, restando paral-
lelo al bordo anteriore del tavolino, deve essere orizzontale; gli avam-
bracci, fissati ai due terzi sulla tavola, vi riposino senza appoggiarvisi.
« Affinchè tutte queste condizioni siano raggiunte, è necessario che
il banco sia esattamente appropriato alla statura del bambino: le
parti costituenti di esso dovranno a\ere proporzioni secondo quelle
del corpo e delle membra dello scolaro ».
Ecco le misure che il Dufessel giudica indispensabili per dare al
bambino il banco che gli conviene:
i» « la statura;
2° « l'altezza della gamba presa sotto il ginocchio, essendo il
bambino seduto ad angolo retto e i piedi ben piatti. Questa misura
dà l'altezza del sedile al disopra dell'appoggiapiedi;
30 « il diametro antero-posteriore del corpo preso dallo sterno,
e che, aumentato di cinque centimetri, dà la distanza dal leggìo alla
spalliera;
40 'I la lunghezza del femore, i cui due terzi rappresentano la
profondità del sedile;
50 « infine l'altezza della cavità epigastrica al disopra del sedile,
aumentata di qualche centimetro, indica l'altezza del leggìo.
" Aggiungeremo che in seguito alla crescenza rapida del bambino,
queste misure dovrebbero essere prese due volte nel corso dell'anno
scolastico, e con ciò la maestra dovrebbe far coincidere i cambiamenti
di posto dei bambini ».
Esiste un piccolo crostaceo, il paguro, che, essendo nudo, sceglie
una conchiglia \uota e vi si adatta dentro: quando è cresciuto e la
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 43
conchiglia si è fatta troppo stretta, esce fuori e s'interna in una più
grande. Ciò il paguro lo fa da sé, senza uno scienziato che lo misuri e
un maestro che gli scelga la conchiglia. Ma un bambino, per noi e per
la scienza, è inferiore a questi ignobili invertebrati!
La difficoltà di trattenere quaranta o cinquanta bambini immo-
bili per ore intiere nella posizione igienica suddetta, e di trovare dei
banchi pronti a ricevere con sì grande esattezza i corpi crescenti, non
rende pratico tale rimedio: quindi la gobba rimane. Il problema resta
insoluto.
Per questo è sembrato assai piìi pratico stabilire in alcune scuole
modello di Roma, una specie di istituto ortopedico dentro la scuola:
esso è composto di un macchinario ricco e molto costoso, ove gli sco-
lari, a turno, vengono sospesi per la testa in una impiccagione simile
a quella usata in medicina per combattere le deviazioni vertebrali
nel morbo di Pott (tubercolosi del corpo vertebrale) e nel rachitismo.
I bambini sani, come i malati, soffrono in tali applicazioni: ma d'altra
parte si possono presentare statistiche incoraggianti. Se l'impiccagione
s'inizia regolarmente a l'età di sei anni, essa si bilancia in modo per-
fetto con i danni portati dalla degenza prolungata sui banchi della
scuola — e il bambino rimane liberato dalla scoliosi.
Scoperte della psicologia sperimentale: surménage - esau-
rimento nervoso. — Se l'igiene, entrata nella scuola, ha scoperto la
scoliosi e la miopia dello scolaro, la psicologia sperimentale ha sco-
perto il surménage, e ha studiato la fatica dello scolaro. Essa ha se-
guito le orme della medicina, ha cercato cioè di alleviare gli affaticati,
ed ha dato luogo ad un ramo di scienza il cui titolo non è ancora ben
definito, perchè alcuni lo chiamano la psicologia sperimentale applicata
alla scuola, altri la Pedagogia scientifica.
Bisogna ricordare che la psicologia sperimentale fu stabilita nel
1860 dal Fechner, il quale era un fisico abituato a sperimentare sulle
cose, non sugli esseri viventi, e che adattò senz'altro i metodi della
fìsica alle misure psichiche, fondando così la psico-fìsica. Gl'istrumenti
inventati specialmente per applicazioni estesiometriche, furono di una
estrema esattezza; ma i risultati delle misure ebbero oscillazioni così
grandi che, per legge matematica, non si possono riferire a « errori
44 l'AKTli PIUMA
di misura » ma ad «errori di metodo». Infatti pur rimanoudo nel campo
fisico, occorre per misurare il liquido un istrumento di misura diverso
da quello che serve per misurare il solido; non si potrebbe, per es., mi-
surare una stoffa a litri, né il vino a metri; e quanto più diverso dovrà
essere il metodo di misura tra sostanze fisiche ed energie spirituali?
Dopo la psicofisica nacque per opera del Wundt la psicofisiologia.
Il Wundt essendo un fisiologo, applicò allo studio psichico i metodi
di studio delle funzioni fisiologiche. Egli non prese di mira l'istrumento
di misura esatto; ma misurò esattamente nel tempo le reazioni ner-
vo-^e. Se dalle ricerche primitive del Fechner derivarono istrumenti
così esatti da misurare il rumore che fa una goccia d'acqua cadendo
dall'altezza di un metro, dalle ricerche del Wundt si diffondono i
cronometri, i quali giungono a misurare perfino i millesimi di secondo.
Ma lo spirito non corrispose all'esattezza delle ricerche; i risultati
dimostrarono con le loro oscillazioni che non si misurava nulla — che
l'oggetto di misura sfuggiva. Basti citare che tra le misure della rapi-
dità delle correnti nervose nei nervi e anche nei nevrassi della midolla,
l'E.xner giunse ad ammettere che la rapidità fosse di 8 metri e il Bloch
di 194 metri, nella stessa unità di tempo.
Malgrado tanto contrasto tra l'esattezza dei mezzi di ricerca e le
enormi oscillazioni dei risultati, che per legge matematica dimostravano
l'assurdo, pure la psicologia sperimentale si diffuse in larghi studi,
illudendosi d'avere una base di sostegno nella matematica.
E da questa scienza che si è staccato un ramo per penetrare nella
scuola con lo scopo di aiutare lo spirito dello scolaro, e di rinvigorire
la pedagogia.
I mezzi di ricerca non sono più soltanto quelli antichi della psico-
fisica e della psicofisiologia; la psicologia sperimentale oramai eman-
cipata dalle sue origini, si è sviluppata indipendentemente. Essa si
serve oggi anche di testi puramente psicologici per le sue ricerche; e
di questi, benché non vi escluda i mezzi di ricerca di gabinetto con
istrumenti veri e proprii di misura come gli estesiometri e gli ergo-
grafi, fa il più largo uso nelle scuole.
Per esempio: leggere una pagina stampata e cancellare dalla prima
a l'ultima tutte le a, è uno dei tests più noti per saggiare l'attenzione,
a patto di misurare col cronometro il tempo a ciò impiegato.
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 45
Contare da uno a cento a voce e contemporaneamente eseguire
in iscritto delle operazioni aritmetiche, è una misura sulla distribuzione
dell'attenzione, purché si calcoli cronometricamente il tempo e si segnino
poi tutti gli errori commessi. Far eseguire a più persone contemporanea-
mente simili esercizi, è studiare comparativamente delle attività indi-
viduali. Nelle scuole, anche dei dettati determinati prima e fatti fare
ad una scolaresca, sempre misurando il tempo e comparando gli errori,
possono essere misure facilmente praticabili e con risultati collettivi.
Questi esperimenti (lo raccomandano tutti gli psicologi) devono
essere fatti senza perturbare l'andamento ordinario della scuola. Sono
un di più, un extra, che si somma semplicemente come ricerca scientifica
al funzionamento regolare degli studi.
Da simili esperienze sono risultate principalmente: la quantità di
errori commessi e la difficoltà di prestare attenzione; cioè la rivela-
zione della stanchezza, dello stato di affaticamento nei bambini.
Ciò dette un « allarme »: l'antica pedagogia si era occupata solo
di quello che i bambini devono fare. L'idea di un pericolo per le loro
forze nervose nasceva solo al tocco della scienza.
Gli sforzi si moltiplicarono nelle ricerche sulla fatica, con l'intento
più lontano di « combatterla » o « alleviarla ». Furono studiati^ tutti
i fattori dell'affaticamento: l'età, il sesso, il grado d'intelligenza, il
tipo individuale, l'influenza delle stagioni, l'influenza dei vari mo-
menti del giorno, dei vari giorni della settimana, l'influenza dell'abi-
tudine, dell'allenamento e dell'interesse; il cambiamento di lavoro, la
posizione del corpo, e perfino l'orientazione secondo i punti cardinali.
La scienza s'imbatte nella siepe dei problemi insoluti. —
La conclusione di tante ricerche è una crescente moltitudine di pro-
blemi insoluti. Non si è potuto sapere se i maschi si affatichino più
o meno delle femmine. Non si può aftermare se l'intelligente vada sog-
getto alla fatica più del meno intelligente. Sul tipo individuale, la
conclusione del Tissié è la più attendibile: « Ogni soggetto si affatica
o no secondo la propria volontà ». Per le stagioni si nota che la fatica
è in accrescimento dal primo all'ultimo giorno di scuola, ma non si
può decidere se si tratti dell'influenza delle stagioni, o se, come dice
lo Schuyten, il fanciullo vada esaurendosi per colpa del sistema sco-
4() PAKTK PRIMA
lastico. Sui momenti del giorno, «rimane da sapere se la fatica prodotta,
quando si la\ tira tici vwnienti preferiti sia necessariamente minore; ma
è un problema difficile a risolvere ». 1 giorni della settimana ove la
fatica è minore sono il lunedì e il venerdì, ma le ricerche in proposito
non sono definitive; su l'abitudine, l'allenamento, l'interesse: «si è
discusso a proposito di questi fattori antagonistici della fatica, se essi
diminuiscano realmente la fatica o soltanto la velino, ma la questione
rimane indecisa ». Sul cambiamento di lavoro sono state fatte ricerche
interessanti e molteplici, con analogo risultato, cioè che il cambiare
spesso lavoro affatica di più che il permanere in un solo lavoro, e l'in-
terromperlo presto affatica più che il persistervi. Ecco un esperimento,
citato dal Claparède (i), dello Schultze: « un giorno le fanciulle
dove\ano addizionare per 25 minuti e copiare per altri 25 minuti. Un
altro giorno dovevano fare il medesimo lavoro, ma ripartito diversa-
mente: addizionare per 50 minuti, copiare per altri 50 minuti. Ora
queste ultime prove dettero risultati di gran lunga superiori alle prime ».
È però notevole come, malgrado tali risultati, si usi praticamente
nelle scuole V interruzione continua e il cambiamento del lavoro, come un
portato scientifico della lotta contro la fatica.
l^na delle ricerche direttamente interessanti la scuola, è quella
del coefficiente ponogenico delle varie materie d'insegnamento, cioè
della fatica da esse generata. 11 Wagner ritiene a priori die il 100,
quale coefficiente massimo, appartenga alla matematica: in tal caso,
si avrebbero nelle scuole i seguenti coefficienti ponogenici j)er ogni
materia:
Matematiche 100
Latin<j 01
Greco fjo
Ginnastica •. ... qo
Storia e Geograha 85
Francese, Tedesco 'Sz
Storia naturale . . 80
Disegno, Religione . -77
I, i .. .Ì-..RÉDE, Psicologia del fanciullo e pedai^ofia sperimentale, IQ12
pag. 217 a 231 considera metodicamente tutti questi fattori in riassunto.
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 47
Si noti il modo arbitrario e sorprendente con cui si stabiliscono tali
risultati: tuttavia in nome di una « scienza sperimentale » possono
farsi le seguenti deduzioni:
'( Sarebbe interessante ricercare se l'ordine dei coefficienti pono-
genici variino con l'età dei fanciulli; il che ci farebbe conoscere da una
parte quanto sia più adatto il cervello per lo studio di una materia,
e sia perciò più opportuno farla prevalere nei grogrammi; dall'altra
ci aiuterebbe a ordinare l'orario quotidiano, facendo, se è possibile,
le lezioni più affaticanti al principio della giornata » (Claparède, op. cit.).
Un altro ordine di ricerche recenti è quello sulle toxine prodotte
dalla fatica: il Weichardt ha potuto isolare le toxine e fabbricare delle
antitoxine della fatica, avendo un buon successo nei topi. Le espe-
rienze si sono ripetute anche in una clinica. Riguardo al comportarsi
delle toxine, fu constatato che esse si producono in grande quantità
nel lavoro « noioso » mentre se ne hanno solo tracce nel lavoro « in-
teressante ».
Da tutta questa scienza infarcita di ricerche che danno come
risultato dei problemi insoluti, s'intravede che nessun fattore preso
in considerazione può alleviare la fatica, neanche l'interruzione e il
cambiamento di lavoro, perchè ciò accresce invece di diminuire l'affa-
ticamento. Solo il fatto di rendere piacevole, interessante il lavoro,
di dare col lavoro gioia anziché pena, eliminerebbe il surménage.
«La necessità di rendere attraenti l'educazione e l'istruzione è stata
propugnata da tutti i pedagogisti degni di questo nome, come Fénelon,
Rousseau, Pestalozzi, Herbart, Spencer », dice il Claparède « ma è
ancora sconosciuta nella pratica quotidiana della scuola ». (Pag. 136).
« Primo dovere dell'educatore è, per consenso comune, quello di
non far male: primo non nuocere, precetto che vale anche nella pra-
tica medica. Osservarlo alla lettera è certo impossibile perchè ogni me-
todo di educazione scolastica nuoce in qualche modo allo sviluppo normale
del fanciullo. Ma l'educatore cercherà di alleviare il danno che l'istru-
zione porta necessariamente con sèn. (Pag. 48).
Magro conforto, dopo tanti studii e tante ricerche, convenire di
avere incontrato un problema ad ogni passo e di non ax^erne risolto
nessuno. Infatti sotto a tutto questo c'è il problema dei problemi:
rendere piacevole, pieno di gioia un luogo ove perfino il corpo è con-
torto e tormentato e dove la noia avvelena il sangue. K impossibile
istruire senza recar danno: ma bisognerebbe recar danno producendo
piacere. Situazione davvero imbarazzante! Ecco perchè una fila inter-
minabile di punti interrogativi fanno da motivo decorativo di questa
nuova scienza, la quale potrebbe più propriamente intitolarsi: igno-
rabimi4s.
È per questa ragione che i motivi indicati dall'igiene e dalla psi-
cologia tendono oggi ad allontanare senz'altro l'insieme dei mali irre-
parabili, « diminuendo la pena », cioè abbreviando gli orari scolastici,
assottigliando i programmi, evitando i compiti scritti. Così un nuovo
spettro, quello dell'ignoranza, e quindi dell'abbandono dei bambini
nella maggior parte della giornata, si presenta quale sostituto allo
spettro della rovina. Mentre i nostri tempi axTebbero bisogno di una
cura intensiva delle nuove generazioni, e di una preparazione di cul-
tura sempre più vasta e complessa!
Sembra, è vero, che una via di scampo possa venire offerta oggi
dalla scoperta delle antitoxine della fatica. « Pensate! » esclama giu-
stamente il Claparède « un siero contro la fatica! come sarebbe pre-
zioso ». Sotto questo punto di vista i coefficienti ponogenici potrebbero
trovare, secondo me, un'applicazione più pratica e razionale, che quella
di rivelare i « programmi »: infatti essi, indicando la produzione di
toxine, sembrano piuttosto destinati a dirigere il dosaggio dell'anti-
toxina per ogni singolo insegnamento, che a determinare l'orario sco-
lastico. In un avvenire non lontano, progredendo queste scienze au-
siliarie della scuola e della pedagogia, si potrebbe forse impiantare
accanto alle sale ortopediche, un gabinetto fisio-chimico ove ogni sera
gli scolari, uscendo dalla benefica impiccagione che bilanciò l'offesa
allo scheletro, potrebbero entrare con una specie di ricetta ponogenica
composta sugli insegnamenti subiti, e ricevere l'iniezione liberatrice
dai veleni della noia.
Sembrerebbe un'ironia di cattivo genere, questa, forse: ma non
è vero. Là dove l'istituto ortopedico è un fatto già reahzzato nella
pratica, tra poco potrebbe nascere il gabinetto chimico. Se un problema
di libertà si vuole risolvere con delle macchine — e se un problema di
giustizia, si vuol guardare dal lato chimico — simili conseguenze sa-
ranno il fine logico di scienze sviluppate su tali errori.
II. - UNO SGUARDO ALL ODIERNA EDUCAZIONE 49
Una vera scienza sperimentale che guidi l'educazione liberando
il bambino dalla schiavitù, evidentem.ente non è ancora nata :
ed essa dovrà apparire innanzi alle « scienze -) pullulate sui mali
del fanciullo martirizzato, come la chimica innanzi all'alchimia :
e come la m.edicina positiva innanzi alla medicina empirica dei
secoli scorsi.
Credo interessante riportare qui le impressioni di una persona
che, venendo dal campo delle matematiche, è entrata a studiare bio-
logia e psicologia sperimentale.
Si tratta di un giovane ingegnere inglese, il quale avendo eviden-
temiente una vocazione diversa, ha coltivato per due anni lo studio
del mio metodo, e poi è tornato nelle università del suo grande
paese, come studente di biologia.
Ecco il suo giudizio sulla Psicologia Sperimentale:
« In psicologia studiamo le ricerche sperimentali modernissime. Trattiamo
adesso del pensiero, dell'immaginazione. Veramente non trovo illuminante
questo corso, ma capisco che è necessario conoscere tali ricerche. Nulla c'è
nella psicologia moderna di adeguato al soggetto del nostro metodo. Questi
ricercatori mi sembrano persone che guardino un albero notando le forme
esterne più evidenti: la forma di una foglia, di uno stelo, ecc., facendo tutto
ciò con una grande serietà e un linguaggio molto preciso (credendo forse che
in questo stia la scienza): ma spesso confondendo la funzione della definizione
con quella della descrizione. È così che descrizioni di cose meravigliose e
affascinanti si riducono ad aride definizioni, per rivestirsi della loro scienza;
e non possono essere di alcuna ispirazione al pensiero.
Non meditano mai; leggono molto; pensano con immagini mentali che
non rappresentano i fatti più che un diagramma disegnato sulla lavagna non
rappresenti un organo vivente; e tali immagini differiscono spesso da psi-
cologo a psicologo — ma il loro linguaggio è sempre uniforme. Fanno tutto
questo credendo di avanzare, e non insegnano ai loro studenti l'osserva-
zione di sé stessi senza pregiudizi, ma invece insegnano loro dei pregiudizi;
infarcendoli di definizioni e di descrizioni le più strane e informi, che impe-
discono loro proprio di pensare.
Mentre dentro l'albero ci sarebbe la struttura fondamentale, che essi
non hanno nemmeno cominciato a rilevare, scoprendo la quale tutte le cose
esterne si troverebbero spiegate; diminuirebbero allora d'importanza i det-
tagli: essi sorgendo da una sola radice, potrebbero essere tutt'al più classi-
ficati in un modo semplicissimo.
50 PARTE PRIMA
Onesta . scienza ' mi ricorda quella antica sulle costellaziDiii. (juando
ancora non si consideravano le leggi del moto planetario, e ci si limitava
a descrivere \'« orsa maggiore » il « cancro » il « capricorno », ecc.
Detesto questi uomini secchi che non sanno la loro ignoranza e scri\ono
libri enormi e aridi con una grande maestà, come se rivelassero una conoscenza
assoluta: libri che poi pesano sopra la mente degli studenti, facendoli secchi
come i maestri. Ma la preoccupazione degli studenti mi sembra unicamente
quella di passare agli esami, non mai di avanzare nella scienza: e i professori
li H servono » in questo senso. Così siamo tutti in una schia\iti'i, dovuta a un
sistema di educazione sbagliato, che bisogna riformare ».
III.
11 mio contributo sperimentale
L'organizzazione della vita psicliica s'inizia con un fenomeno
caratteristico di attenzione. — Il mio lavoro sperimentale sui pic-
coli bambini da tre a sei anni è stato appunto un contributo pratico
alla ricerca delle cure di cui ha bisogno l'anima del bambino: cure
analoghe a quelle che l'igiene trovò per il suo corpo.
Credo però necessario di far rilevare il fatto fondamentale che mi
condusse a determinare questo metodo.
Io stavo facendo le mie prime prove nell 'applicare i principi e
parte del materiale che mi erano serviti molti anni prima all'educazione
dei bambini deficienti, sopra i piccoli bambini normali di S. Lorenzo,
quando mi accadde di osservare una bambina di circa tre anni, che
rimaneva profondamente assorta sopra un incastro solido, sfilando e
infilando i cilindretti di legno nei loro posti rispettivi. L'espressione
della bambina era di una sì intensa attenzione, che mi sembrò quella
una manifestazione straordinaria: i bambini fino allora non avevano
mai mostrato una tale fissità sopra un oggetto: e la mia convin-
zione sulla instabilità caratteristica dell'attenzione nel piccolo bam-
bino, che passa senza posa da cosa a cosa, mi rendeva ancor più sensi-
bile al fenomeno.
Io osservai intensamente la piccina senza disturbarla in principio
e cominciai a contare quante volte ripeteva l'esercizio: ma poi, vedendo
che continuava molto a lungo, presi la poltroncina su cui era seduta,
e posi poltroncina e bambina sulla tavola; la piccolina raccolse in
fretta il suo incastro, poi lo posò attraverso i braccioli della poltron-
52 PARTE PRIMA
cina. e niottondtìsi in i^rembo i cilindretti, continuò il suo lavoro. Allora
invitai tutti i bambini a cantare: essi cantarono, ma la bambina con-
tinuò imperturbata a ripetere il suo esercizio anclie dopo che il breve
canto fu cessato. Io avevo contato quarantaquattro esercizi; e quando
finalmente cessò, cessò in modo affatto indipendente dagli stimoli del-
l'ambiente che potevano disturbarla: e la bambina si t:;uardò intorno
soddisfatta, quasi s\egliandosi da un soimo riposante.
La mia impressione indimenticabile credo che somigliasse a quella
provata da chi ha fatto una scoperta.
Quel fenomeno divenne poi comune nei bambini: esso potè dunque
essere stabilito come una reazione costante che si presenta in rapporto
a certe condizioni esterne, le quah possono determinarsi. E ogni volta
che avveniva una simile polarizzazione dell'attenzione, cominciava
il bambino a trasformarsi completamente, a farsi più calmo, quasi
più intelligente e più espansivo: egh mostrava qualità interiori straordi-
narie, che ricordavano i fenomeni di coscienza più alti, come quelli
della conversione.
Sembrava come se, in una soluzione satura, si fosse formato un
punto di cristallizzazione, intorno al quale poi tutta la massa caotica
e fluttuante andava a riunirsi in un cristallo di forma meravigliosa.
Analogamente, avvenuto il fenomeno di polarizzazione dell'attenzione,
tutto quanto di disordinato e fluttuante esisteva nella coscienza del
bambino, sembrava andasse organizzandosi in una creazione interiore,
i cui caratteri sorprendenti si riproducevano in ogni individuo.
Ciò faceva pensare alla vita dell'uomo che può restare dispersa tra
cosa e cosa, in uno stato inferiore di caos, fin che una cosa speciale
intensamente l'attrae, la fìssa, e allora l'uomo ha la rivelazione di se
stesso, sente di cominciare a vivere.
Questo fenomeno spirituale che può coinvolgere tutta la coscienza
dell'adulto, non è dunque che uno degli aspetti costanti dei fatti di
« formazione interiore ». Esso si riscontra come inizio normale della
vita interiore dei bambini; e ne accompagna lo svolgimento, in modo
da divenire accessibile alle ricerche, come un fatto sperimentale.
Fu così che l'anima del bambino dette le sue rivelazioni, e sulla
guida di queste sorse un metodo ove la libertà spirituale venne
illustrata.
III. - II. MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 53
Il racconto di questa storia iniziale si è sparso rapidamente per
tutto il mondo: e sembrò al suo primo apparire come la storia di un
miracolo. Poi a poco a poco, moltiplicandosi gli esperimenti tra le razze
più diverse, si sono venuti rischiarando i principi semplici ed evidenti
di questo « trattamento « spirituale.
Lo sviluppo psichico si organizza con l'aiuto di stimoli
esterni, che devono essere sperimentalmente determinati. —
Il contributo che ho dato all'educazione del piccolo bambino tende
appunto a precisare, sulle rivelazioni dell'esperimento, la forma della
libertà nello sviluppo interiore.
Non si potrebbe concepire libertà di sviluppo, se per sua natura
stessa il bambino non fosse capace di uno spontaneo sviluppo organico,
ove la ricerca dello sforzo (espansione delle forze latenti), la conquista
dei mezzi necessari a uno svolgimento armonico innato, non esistes-
sero. Per avanzare in tale espansione, il bambino lasciato libero nelle
sue attività, deve trovare nell'ambiente qualche cosa di organizzato
in rapporto diretto alla sua organizzazione interiore che sta svolgendosi
per leggi naturali. Come l'insetto libero] deve trovare nella forma e
nelle qualità dei fiori una corrispondenza diretta di forma e di sostanze.
Indubbiamente l'insetto è libero quando, cercando il nettare suo nu-
trimento, va in realtà aiutando la riproduzione delle piante. Nulla di
pili meraviglioso in natura, che la corrispondenza tra gli organi delle
due serie di esseri destinati a una così provvidenziale cooperazione.
Il segreto del libero sviluppo nel bambino sta dunque tutto nel-
l 'organizzare per lui i jmezzi necessari alla sua nutrizione interna:
mezzi corrispondenti a un impulso^'primitivo 'nel bambino, parago-
nabile a quello che rende il neonato capace di succhiare il latte alla
mammella, la quale nella sua forma esterna e nella sostanza elabo-
rata, corrisponde perfettamente ai bisogni del bambino.
È nella soddisfazione di questo impulso primitivo, di questa
fame interiore che la personalità infantile comincia a organizzarsi e
a rivelare i suoi caratteri, così come il neonato, nutrendosi, va organiz-
zando il suo corpo e i suoi movimenti naturali.
Noi non dobbiamo dunque porci come problema educativo la
ricerca di mezzi per organizzare la personalità interna del bambino e
34 l'AKTK PRIMA
per s\olgerc i suoi singoli caratteri; ma solo il problema di porgere al
bambino l'alimento che gli è necessario.
K in esso che il bambino svolge un'atti\ità organizzata, complessa,
nella quale, mentre risponde a un impulso primitivo, esercita l'intel-
ligenza e svolge qualità che noi riteniamo elevate, e che supponemmo
estranee alla natura del piccolo bambino, come la pazienza, la costanza
nel lavoro; o. nell'ordine morale, l'ubbidienza, la mansuetudine, l'af-
fettività, la gentilezza, la serenità: qualità che siamo abituati a
separare tra loro in ordini diversi e che ci siamo fin qui illusi di
dover fare sviluppare noi direttamente ad una ad una nell'uomo;
per quanto, all'atto pratico, non abbiamo mai saputo con quali
mezzi riuscirvi.
Perchè il fenomeno a\\-enga è necessario che Io sviluppo spontaneo
del bambino sia lasciato libero: cioè senza che l'interxento di un'in-
fluenza intempestiva ne perturbi la calma e pacifica espansione: così
come il corpo del neonato deve essere lasciato in riposo perchè assi-
mili il suo nutrimento e cresca- bene.
In tale attitudine, dobbiamo attendere i miracoli della vita inte-
riore, le sue espansioni e insieme le sue esplosioni impro\'vise e sor-
prendenti: così come la intelligente madre, dando solo nutrimento e
riposo al suo bambino, lo contempla vedendolo crescere, e insieme
attende le esplosioni della natura: il primo dente, la prima parola, e
infine l'atto con cui un giorno il bambino s'alzerà in piedi e cam-
minerà.
Ma perchè i fenomeni psichici di crescenza si \erificliino, bisogna
preparare 1'» ambiente », in un modo determinato: e offrirne i mezzi
esteriori direttamente necessari.
Ecco il fatto positivo che il mio esperimento ha concretato. Finora
si parlava di libertà del bambino in modo vago: non era neanche sta-
bilito un limite chiaro tra « libertà » e « abbandono ». Si diceva: « la
libertà ha i suoi limiti », « la libertà deve essere ben intesa ». Ma un
metodo speciale che indicasse « come deve essere interpretata la li-
bertà; e quale sia il qtiid intuito che con essa deve coesistere » non era
stato determinato.
Tale determinazione deve aprire una nuova via a tutta l'edu-
cazione.
IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 55
Bisogna dunque che l'ambiente contenga i mezzi per l'autoeduca-
zione. Questi mezzi non possono essere « presi a caso »; essi rappre-
sentano il risultato di uno studio sperimentale, il quale non può essere
fatto da tutti perchè occorre una preparazione scie tifica a così deli-
cato lavoro: inoltre esso è, come tutti gli stiidi spenaientali, laborioso,
lungo, esatto. Occorrono molti anni di prova, prima di esporre dei
mezzi che siano realmente necessari allo sviluppo psichico. Quei peda-
gogisti dunque che rimettevano la gran questione della libertà del-
l'allievo al buon senso o alla preparazione del maestro, erano lontani
dal risolvere il problema della libertà. Il più grande scienziato o la per-
sona naturalmente piìi adatta a educare, non potrebbero mai lì per
lì trovare tali mezzi, perchè alla preparazione e alle doti naturali oc-
corre aggiungere il fattore tempo — il lungo tempo di un esperimento
preparatorio. Deve dunque precedentemente esistere una scienza la
quale ha già fornito i mezzi dell'autoeducazione. Chi parla oggi di li-
bertà nella scuola, deve contemporaneamente esporre degli oggetti
— quasi un istrumentario scientifico adatto a renderla possibile.
L'istrumento scientifico deve essere stato costruito con un cri-
terio di esattezza. Come le lenti del fisico si costruiscono secondo le leggi
di rifrazione della luce, così l'istrumento pedagogico deve essere co-
struito sulle manifestazioni psichiche del bambino.
Tale istrumento si potrebbe paragonare a un niental-test sistema-
tizzato. Esso però non è stabilito con un criterio esterno di misura,
allo scopo di valutare l'istantanea reazione psichica che produce: ma,
a' contrario, esso è uno stimolo che deve determinarsi sulle reazioni
psichiche che è capace di produrre e di mantenere in modo perma-
nente. È la reazione psichica, cioè, che determina e stabilisce il
mental-test sistematico. La reazione psichica che serve come unico
termine di confronto nella determinazione dei tests, è una polarizza-
zione dell'attenzione e la ripetizione degli atti che vi sta in rapporto.
Quando uno stimolo corrisponde in tal modo alla « personalità riflessa »
esso serve non a misurare, ma a mantenere una reazione attiva; quindi
ò uno stimolo di « formazione interiore ». Infatti su tale attività ri-
5f) l'AKTE l'KlMA
svegliata e inantonuta, l'organismo associativo inizia le sue elabora-
zioni interiori in rapporto agli stimoli.
Con ciò non viene a penetrare nell'ambito antico della pedagogia
una scienza « misuratrice " della personalità, come ha latto fni qui
la psicologia sperimentale introdotta nella scuola, ma una scienza
- trasformatrice » della personalità, capace quindi di prendere il posto
di una \'era e propria pedagogia. Mentre la pedagogia antica, in tutte
le varie sue interpetrazioni, partiva dal concetto di una « personalità
recettiva », che doveva cioè ricevere gl'insegnamenti ed essere passi-
vamente formata, questo indirizzo scientifico parte dal concetto di una
personalità attiva — riflessa e associativa — che deve svolgersi attra-
\erso una serie di reazioni verso stimoli sistematici, sperimentalmente
determinati. Questa nuova « pedagogia » perciò appartiene alla serie
delle moderne scienze, e non delle antiche speculazioni, benché essa
non si basi direttamente sugli studii semplicemente misuratori « della
psicologia positixa ». Ma il « metodo » che la informa, cioè il tenta-
tivo, l'osservazione, la riprova, il riconoscimento di fenomeni nuovi,
la loro riproduzione e utilizzazione, la mette indubbiamente tra le
scienze sperimentali.
Gli stimoli esterni si possono determinare in qualità e quan-
tità. - - Nulla di più interessante che tali esperimenti. Con essi possono
determinarsi con la più grande esattezza degli stimoli esterni, così per
la qualità come per la quantità. Per esempio, delle piastrelle molto pic-
cole e di varie forme geometriche non richiamano altro che in modo
passeggero l'attenzione di un bambino di tre anni: ma aumentando a
poco a poco la dimensione, si arriva a quel limite in cui l'attenzione
è stabilmente fissata, e allora tali piastrelle provocano un'attività che
resta permanente, e l'esercizio che ne risulta diventa un fattore di
sviluppo. La prova si ripete su molti bambini, e viene così a stabi-
lirsi la dimensione di una serie di oggetti.
Analogamente per il colore e per tutte le qualità. Perchè una qua-
lità sia sentita al punto da far fissare l'attenzione, è necessaria una
Cri ta estensione e una certa intensità dello stimolo, che si possono
determinare sul grado di reazione psichica del bambino: così si dica per
la minima estensione cromatica sufficiente a richiamare l 'attenzione sulla
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 57
superfìcie delle tavolette colorate, ecc. La qualità dunque si deter-
mina su l'esperimento psichico, dalle attività che essa provoca nel
bambino, il quale resta a esercitarsi sul medesimo oggetto per
lungo tempo, elaborando così un fenomeno di sviluppo interiore, di
autoformazione.
Tra i caratteri degli oggetti, deve farsene rilevare uno, che richiama
attività più alte dell'intelligenza: quello di contenere il controllo del-
l'errore.
Affinchè ci sia un processo di autoeducazione, non basta che lo
stimolo « richiami o un'attività, bisogna pure che la diriga. Il fanciullo
deve non soltanto persistere lungamente in un esercizio, ma bisogna
che vi persista senza commettere errori. Tutte le qualità fìsiche o intrin-
seche degli oggetti devono essere determinate, oltreché dalle reazioni
immediate di attenzione provocate nel bambino, anche da questo fon-
damentale carattere di permettere il controllo dell'errore, cioè di ri-
chiamare la collaborazione attiva di più alte attività (confronto, giu-
dizio). Per esempio, uno dei primi oggetti che attraggono l'attenzione
del bambino di tre anni, cioè gl'incastri solidi (serie di cilindretti di
varia dimensione che s'infilano e si sfilano dai loro posti), contiene il
più meccanico dei controlli; perchè commettendo un solo errore nèl-
l 'infilare i cilindretti, uno di essi resta fuori di posto. Quindi un errore
è un ostacolo che solo la correzione può far sormontare, altrimenti
l'esercizio non può più procedere. D'altronde la correzione è così facile,
che il bambino vi giunge da sé. Il piccolo problema sorto innanzi al
bambino, quasi come un oggetto inaspettato salta fuori da una botte
à surprise, lo ha « interessato ».
Si noti però che il « problema » sorto non è in sé lo stimolo all'in-
teresse— non è quello che spinge alla ripetizione dell'atto, al progresso
del bambino. Ciò che interessa il bambino è la sensazione non solo di
spostare gli oggetti, ma di acquistare sensibilmente una veggenza nuova,
quella di riconoscere le differenze di dimensioni tra i cilindretti, diffe-
renze che prima non percepiva. Il problema si affaccia solo in rapporto
aXVerrore, non accompagna il processo normale di sviluppo. Un inte-
resse stimolato solo dalla curiosità, dal « problema «, non sarebbe quel-
l'interesse formativo che trae le sue scaturigini dai bisogni della vita
stessa e che perciò dirige la costruzione della personalità interiore. Se
tisso solo il problema a condurre dietro a sé l'anima, esso potrebbe
disperderne l'ordine, come ogni altra causa esterna che cerchi di se-
lf une per vie false la vita. Io insisto forse eccessivamente su questo
punto, per rispondere ad obbiezioni e ad osservazioni nìolto imjiortanti
ohe mi sono state fatto.
infatti, già nelle seconde serie di oggetti che tendono a educare
l'occhio alle dimensioni, non è meccanico il controllo dell'errore, ma è
psicologico: il bambino stesso, avendo ormai l'occhio educato a rico-
noscere differenze di dimensioni, vedrà l'errore, purché gli oggetti
raggiungano una determinata dimensione, e siano vistosamente colorati.
E per questo che gli oggetti successivi portano, si può dire, il oon^
frollo dell'errore nella loro stessa grandezza e nei vivaci colori. Un
controllo dell'errore di tutt 'altro genere, e di ordine assai più elevato,
è quello offerto nel " materiale della tavola pitagorica, ove oramai il
controllo consiste nel confrontare l'opera propria con un modello: con-
fronto che importa un notevole sforzo intelligente della volontà del
bambino, e che lo pone ormai nelle vere condizioni di un'autoedu-
cazione cosciente. Ma comunque graduale sia il controllo dell'errore,
e benché sempre più esso si allontani da un meccanismo esterno, per
affidarsi alle attività inteme che a poco a poco si sviluppano, esso é
sempre determinato, come tutte le qualità degli oggetti, sulla fonda-
mentale reazione del bambino, che vi presta una prolungata attenzione,
e ripete gli esercizi.
Invece per determinare la quantità degli oggetti, il criterio speri
mentale è diverso. Allorquando gl'istrumenti sono stati elaborati con
molta esattezza, avviene che essi provocano un autoesercizio così
ordinato e rispondente ai fatti di sviluppo interno, che a un certo
punto si rivela un nuovo quadro psichico, una specie di piano superiore
nello sviluppo complessivo.
Allora il bambino abbandona spontaneamente gli oggetti, ma non
con segni di stanchezza, bensì portato da nuove energie. E la sua mente
è capace di astrazioni. In questo grado di sviluppo, il bambino porta
la sua attenzione sul « mondo esterno » e l'osserva con un ordine, che
è l'ordine formatosi nella sua mente insieme al precedente sviluppo;
e comincia spontaneamente a fare una serie di comparazioni misurate
e logiche, che rappresentant) un vero acquisto spontaneo di « cono-
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 59
scenza ». È questo il periodo oramai noto come il periodo « delle sco-
perte », scoperte che provocano nel bambino entusiasmo e gioia.
Questo più elevato piano di sviluppo è fecondissimo per la ulteriore
ascesa. Occorre che l'attenzione del bambino non sia trattenuta sugli
oggetti, quando il delicato fenomeno di astrazione s'inizia. Per esempio,
il maestro che chiamasse il bambino a riprendere la sua attività sugli
oggetti in tale momento, ritarderebbe il suo sviluppo spontaneo,
vi porrebbe un ostacolo. Spento quell'entusiasmo che porta il bambino
a innalzarsi e a provare tante emozioni intellettuali, si è chiusa una
via di progresso. Ora, lo stesso errore, può essere commesso dalla
esorbitante quantità del materiale di sviluppo; esso può disperdere l'at-
tenzione, meccanizzare gli esercizi sugli oggetti, e far passare il bam-
bino accanto al suo momento psicologico di ascensione, senza accorger-
sene, senza afferrarlo. Tali oggetti in piìi sono oggetti vani e accanto
alla loro vanità può « perdersi l'anima ».
Il necessario e sufficiente che risponde ai bisogni interni della vita
in via di sviluppo cioè di ascensione: ecco ciò che si deve esattamente
determinare. Ora, è l'osservazione delle espressioni e dell'insieme delle
manifestazioni attive del bambino che fa determinare la «quantità».
Quei bambini che furono lungamente applicati al lavoro su quei dati
oggetti — con tali espressioni di attenzione intensa — a un tratto,
come aeroplani i quali compirono la loro breve corsa sul terreno, si
alzano a poco a poco, insensibilmente. L'apparente distrazione dagli
oggetti, è rivelata nella sua reale essenza dall'espressione luminosa,
intensa del volto atteggiato alla più viva gioia. Il bambino appa-
rentemente non fa nulla, ma sarà questione di un istante: tra poco egli
parlerà e ci dirà che cosa avviene dentro di lui, e poi la sua attività
scoppiettante lo porterà in giro in continue esplorazioni e scoperte.
Egli è salvo.
Ecco invece altri bambini che ebbero lo stesso fenomeno primiti\'o
ma furono circondati da troppi oggetti. Nel momento di maturità, si
mostrarono presi, impigliati, proprio sensibilmente « legati dai laccioli «
alla terra. Una diminuzione della intensità dell'attenzione sui nuovi
oggetti, la instabilità e quindi la stanchezza si manifestano in un e\\-
dente spegnimento di attività Citeriori. II bambino prende attitudini
inferiori di risate vuote, di atti sgarbati, di mollezze. E domanda « altri
bO PARTE PRIMA
Oggetti» e poi «altri oggetti ». poiché egli è rimasto chiuso « nel giro
vizioso delle vanità » e non sente più altro che il bisogno di alleviare
la sua noia. Similmente all'adulto che nel caos della vita commise lo
stesso errore, egli diventa indisciplinato, fiacco, è « in pericolo di per-
dersi ». Se qualcuno non l'aiuta strappandogli gli oggetti vani, e indi-
candogli « il suo cielo », difficilmente avrà l'energia di farlo da sé.
Questi due tipi estremi danno una idea dei criterii coi quali
si determina sperimentalmente la « quantità » degli oggetti di svi-
luppo.
Il (// più indebolisce, ritarda il progresso: ciò è stato provato e ri-
provato da tutte le mie collaboratrici. Se poi, al contrario, il mate-
riale è insufficiente, e l'autoesercizio primitivo riesce incapace di con-
durre a quella maturità che fa ascendere, non esplode quel fenomeno
spontaneo di astrazione, che è il secondo gradino dell'autoeducazione,
avanzante in un progresso infinito.
Lo stesso fenomeno fondamentale dell'attenzione intensa e pro-
lungata conducente alla ripetizione degli atti, guida a trovare gli sti-
moli appropriati secondo l'età del bambino. Uno stimolo che provoca
in un bambino di tre anni un atto ripetuto quaranta volte di seguito,
può provocare in un bambino di sei anni lo stesso atto ripetuto non
più di dieci volte: l'oggetto che desta l'interesse del bambino di tre
anni, non può più destare interesse nel bambino di sei anni. Tuttavia
il bambino di sei anni è capace di fissare l'attenzione assai più lunga-
mente del bambino di tre anni, quando lo stimolo corrisponda alle
sue attività: se, infatti, un piccolo bambino ' di tre anni può avere
comej massimo la ripetizione dell'atto medesimo per quaranta volte
di seguito, il bambino di sei anni è capace di ripetere duecento volte
l'atto che lo interessa. Se il massimo periodo di lavoro continuato
sullo stesso oggetto può essere pel bambino di tre anni di mezz'ora,
può essere, per quello di sei, superiore a due ore.
Stabilire perciò dei tests sistematici razionali ad uno scopo, come
quello di preparare alla scrittura, senza tenere conto dell'età, non
può a\ere valore. Per esempio, il mio sistema per la scrittura, si
fonda sulla preparazione diretta dei movimenti che fisiologicamente
vi concorrono: cioè, il maneggio dell'istrumento di scrittura, e il trac-
ciato della lettera dell'alfabeto. I bambini, empiendo i contorni degli
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 6l
incastri con tanti segni paralleli in un caso, e toccando le lettere sme-
rigliate nell'altro, fissano i due meccanismi muscolari in modo sì per-
fetto, che ne risulta infine l'esplosione di una « scrittura spontanea »
calligrafica, e meravigliosamente uniforme in tutti i bambini — poiché
essi, quasi plasmati da uno stesso stampo, hanno fissato i movimenti
toccando lo stesso alfabeto, e quindi vengono a riprodurne fedelmente
la forma. Perchè ciò avvenga-, ossia perchè un vero meccanismo motore
sia fissato, occorre la prolungata ripetizione dell'esercizio. Ora, il bam-
bino che sente al massimo punto l'interesse per empire le figure con
segni paralleli, e, sopratutto, per toccare le lettere, è per lo piti tra
quattro o cinque anni d'età. Se noi offriamo lo stesso materiale a un
bambino di sei anni, egli non toccherà più le lettere in modo sufficiente
e scriverà per sempre imperfettamente, in confronto al bambino che
cominciò l'esercizio in età adatta. Ciò si ripeta per tutti gli altri par-
ticolari del sistema. Si può dunque giungere a determinare sperimen-
talmente, con una esattezza fin qui credo non raggiunta, quali' siano
le attitudini del bambino secondo le età, e quindi, offerto l'opportuno
materiale di sviluppo, quale sia secondo le età il livello medio dello
sviluppo intellettuale.
Ecco un accenno alla possibilità di determinare i mezzi di sviluppo
così esattamente, da far esistere una vera corrispondenza tra i bisogni
interiori e gli stimoli, come esiste una corrispondenza tra l'insetto e
il fiore.
Chi ha già « pronto tutto ciò », ha un compito « ben facile » nel
far sviluppare naturalmente la vita psichica del bambino! Con tali
oggetti a disposizione, ognuno può realizzare la libertà nella scuola.
Questo esperimento lungo, occulto — ispiratomi, come già dissi, da
Itard e Séguin — è appunto il mio contributo iniziale all'educazione.
Tutto questo lavoro preparatorio è servito alla « determinazione »
del metodo oggi conosciuto, ma è anche la chiave per la sua conti-
nuazione.
Il materiale di sviluppo è necessario solo come « punto di
partenza » . — Nella organizzazione dei mez^ esterni di sviluppo resta
dunque « una impronta materiale » dell'interno svolgimento: è ciò di
cui l'anima ha bisogno nel suo cammino, nella sua corsa, nei suoi voli.
'<- PARTE PRIMA
l.a jiarto niatorialo non contiene l'impronta di tutta l'anima: come l'im-
pronta del piede non è l'impronta di tutto il corpo; come il campo di
aviazione non è il luogo di mo\ imento dell'areoplano, ma ne è la parte
di terraferma necessaria al \-olo, ed è pure il riposo, il rifugio, V hangar
ove l'areoplano deve sempre tornare. Così nella formazione psichica
c'è una parte materiale necessaria a che lo spirito si elevi, e dove lo
spirito deve trovare il rifugio, il riposo, il punto d'appoggio. Senza
Ciò esso non può^crescere ed elevarsi « liberamente ».
Perchè sia un vero appoggio, « deve riprodurre le sue l'orme »
e « contenerle » nella parte corrispondente ai bisogni dell'aiuto ma-
teriale. Così, per esempio, nel primo periodo della vita psichica, il ma-
teriale corrisponde al primitivo esercitarsi dei sensi — ed è in qualità
e quantità determinato dai bisogni sensoriali dati dalla natura e
permette un esercizio delle attività sufficiente per maturare uno
stato superiore psichico di osservazione e di astrazione. Viceversa,
nulla corrisponde nel materiale alla successiva corsa pel mondo che lo
spirito infantile compie con tanta sua beatitudine e con tanti acquisti
nella conoscenza. Ma vediamo poi lo spirito bisognoso di esercizi più ele-
vati — ed ecco lo stesso fenomeno primitivo di attenzione che si eser-
cita oramai sull'alfabeto e sul materiale dell'aritmetica, e il ripetersi, più
complessi, degli esercizi metodici dell'intelligenza nel mettere in rap-
porto le immagini uditive con quelle visive e motrici della parola par-
lata e scritta e nello studio positivo delle quantità, delle proporzioni,
del numero. Si manifestano allora i medesimi fenomeni concomitanti
di « pazienza », di « costanza » e nel tempo stesso di vivacità, di atti-
\ità e di gioia caratteristici dello spirito ciuando le interne energie
hanno trovato la loro tastiera, la. palestra su cui esercitarsi comodamente
e tranquillamente.
E lo spirito, che in tal modo si organizza sulla guida di un ordine
che risponde all'ordine suo naturale, viene fortificato, cresce rigoglio-
samente e si manifesta neW equilibrio, nella serenità, nella calma, che
danno poi la meravigliosa disciplina caratteristica della condotta dei
nostri bambini.
11 materiale esterno, deve dunque offrirsi ai bisogni psichici del
bambino come una scala che di grado in grado lo aiuta a salire; e sui
gradi di questa scala vanno necessariamente disponendosi i mezzi di
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 63
cultura, di formazione superiore. Perchè appunto gli esercizi psichici
hanno bisogno di nuovo materiale e questo, per corrispondere al loro
scopo, deve contenere nuove e più complesse forme di oggetti capaci
di fissare l'attenzione, di far maturare l'intelligenza nel continuo eser-
cizio delle proprie energie, e di produrre quei fenomeni di costanza
nell'applicazione e di pazienza, che aumentano poi l'elasticità, l'equi-
librio psichico e la capacità di astrazione e di creazione spontanea. Così
nello sviluppo successivo dei bambini, li vedremo applicarsi anche
a quegli esercizi di memoria che ci sembrano i più aridi, poiché
in essi è nato il bisogno non soltanto di trattenere in sé le immagini
che s'incontrano nel mondo, ma di « acquistare rapidamente » con uno
sforzo determinato delle cognizioni. Un esempio di ciò è il fenomeno
sorprendente e generale dello studio a memoria delle tavole di molti-
plicazione: mentre l'apprendimento a memoria di poesie e di brani in
prosa, benché sia talvolta una passione, non ci reca sorpresa.
Così pure è interessante il distacco che a un certo punto il bambino
realizza dai sussidi pei calcoli aritmetici: egli, a un certo limite di ma-
turità, vuole « ragionare sull'astratto » e fare « calcoli astratti sui nu-
meri » come obbedendo a una spinta interiore, che vuole insieme
liberare l'anima da ogni legame e realizzare una economia di tempo.
Allora si vedono bambini di otto anni diventare calcolatori precoci e
appassionati.
Questi fanciulli slanciati così sulle vie dell'autoeducazione, acqui-
stano una singolare « sensibilità » dei propri bisogni interiori. Come il
neonato tenuto alle regole dell'alimentazione razionale, tace tranquillo
nelle due ore di digestione e di assimilazione, e poi piange proprio nel
momento in cui l'ora del nuovo cibo è suonata, così questi fanciulli
« chiedono aiuto », chiedono « nuovo materiale » nuove « forme di la-
voro », allorquando hanno compiuto i loro misteriosi fenomeni di ma-
turazione interna; e li chiedono determinatamente, indicando quale è la
loro ulteriore necessità; così come un bisognoso fisiologico saprebbe
indicare distintamente se ha fame, sete o sonno. Analogamente un
bambino chiederà delle letture, o degli esercizi di grammatica, o dei
mezzi per osservare la natura. La sua sensibilità si manifesta in un
desiderio intenso, chiaro, a cui il maestro non ha che da corri-
spondere.
b4 PARTE PRIMA
È e\idente come una base esterna sia necessaria nel succes-
sivo svolgersi di tali fenomeni: e come il maestro, dietro la ri-
chiesta del bambino in cosciente evoluzione, non possa corrispon-
dere a caso: ma sulla guida di un piano che fu precedentemente
delcrminato dall'esperienza. Cioè, quei mezzi esterni ai quali è stato
più volte accennato, quella scala i cui gradini conducono l'anima
all'ascesa, devono essere già stati stabiliti dall'esperienza, come erano
stati stabiliti tutti i mezzi precedenti del primo sviluppo infantile.
La costruzione della scala ascensionale, dei mezzi esterni di
appoggio per l'anima in evoluzione, si allarga sempre più; come
un cono rovesciato il cui vertice tocca gli inizi stessi della vita
psichica, p>oggiando su quell'impulso primitivo che porta il bam-
bino di due anni e mezzo di età verso gh stimoli sensoriali, come
la fame porta il neonato a compiere i moti complessi e meravi-
gliosi del succhiamento. E mentre si allarga, va complicandosi coi
crescenti bisogni psichici del fanciullo e include in sé i principi
della cultura.
L'organizzazione esterna più elevata non ha per solo fattore co-
struttivo la parte psicologica, ma anche l'altro fattore che riguarda
il contenuto stesso della coltura. Ogni disciplina, come per esempio,
l'aritmetica, la grammatica, la geometria, le scienze naturali, la musica,
la letteratura, deve essere presentata negli oggetti esterni in una co-
struzione sistematica ben definita. Al lavoro primitivo essenzialmente
psicologico, deve unirsi perciò la collaborazione di specialisti d'ogni sin-
gola disciplina, perchè sia stabilito quell'insieme di mezzi necessari e
sufficienti a provocare l'autoeducazione.
Questo è il lavoro sperimentale preparatorio che stabilisce quei
mezzi di sviluppo, quelle impronte esteriori, necessarie a svolgere la
vita intima e che devono possedere nella loro costruzione una esatta
corrispondenza ai bisogni psichici di formazione.
Esse potrebbero corrispondere, fino ad un certo punto, al cosiddetto
materiale didattico o materiale oggettivo degh antichi metodi. Senonchè
il significato ne è profondamente diverso. Il materiale oggettivo delle
antiche scuole era di sussidio alla maestra per far comprendere le sue
spiegazioni alla collettività di una classe che l'ascoltava passivamente.
Gli oggetti si riferivano unicamente alle cose da spiegare le quali erano
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 65
scelte a caso, vale a dire senza alcun criterio scientifico di rapporti coi
bisogni psichici del fanciullo.
Qui invece, i mezzi di sviluppo sono sperimentalmente determinati
in rapporto allo svolgimento psichico del fanciullo; e non hanno come
scopo di dare una conoscenza, ma rappresentano dei mezzi che valgono
a far esplicare spontaneamente le interne energìe.
La costruzione materiale esterna, è poi offerta e lasciata liberamente
alle naturali energie individuali dei fanciulli. Essi scelgono gli oggetti
che preferiscono: e tale « preferenza >> è dettata dai bisogni interiori di
« crescenza psichica ». Ogni bambino s'intrattiene su ogni oggetto scelto
quanto tempo vuole; e questa « volontà « corrisponde alla necessità
di intima maturazione dello spirito, maturazione che richiede un eser-
cizio costante prolungato nel tempo. Nessuna guida, nessun maestro
potrebbe indovinare il bisogno intimo di ogni allievo e il tempo di matu-
razione a ciascuno necessario: ma lasciando libero il bambino, tutto ciò,
guidato dalla natura, ci viene rivelato.
I fatti psichici. — Bisogna mettersi da un punto di vista scien-
tifico per interpretare i fatti che si manifestano nei bambini allorché
essi vengono trattati con questo metodo; e separarsi completamente
dall'antico concetto scolastico, secondo il quale si seguivano « i pro-
gressi dei bambini nel profitto dello studio ». Qui occorre, press'a poco
come naturalisti, osservare lo svolgersi di alcuni fenomeni della
vita. Si preparano, è vero, speciali « condizioni esteriori », ma gU
effetti psichici sono collegati direttamente allo svolgersi spontaneo
delle attività interiori del bambino.
Non c'è dunque alcuna corrispondenza diretta tra maestra e bam-
bino: l'insegnamento non è certo una causa degli effetti che si riscon-
trano. Sono gli oggetti del sistema che, come « reattivi », provocano
delle reazioni psichiche particolari, che possono riassumersi in un ri-
sveglio, in una organizzazione della personalità. La disciplina, come
prima conseguenza di un ordine che interiormente si va formando, è
il fenomeno principe che si attende come « segno esterno » d'un inte-
riore lavoro che si è iniziato.
Nei primi giorni in cui una nuova scuola viene aperta, può consi-
derarsi come caratteristico un disordine iniziale, specialmente se la
('(' PARTE PRIMA
maestra è alla sua prima esperienza, e quindi sopraffatta dalla sua stessa
aspettativa. Quella corrispondenza immediata tra bambino e materiale
non sempre si \erifica: la maestra può rimanere disorientata dal fatto
che i bambini non si gettano, coni 'ella sperava, sugli oggetti, sceglien-
doli secondo il proprio gusto. Se le scuole sono di bambini molto poveri
ciò av\iene sul momento quasi sempre: ma se invece si tratta di bam-
bini ricchi, già sazi degli oggetti più vari, dei più splendidi giocattoli,
è molto raro che esista una attrazione verso gli stimoli che si presen-
tano. Questo conduce, naturalmente, a un disordine, ove la maestra si
faccia ima specie di catena di questa « libertà » ch'essa deve rispettare,
e un dogma delle corrispondenze tra stimolo e psiche infantile. Irtvece
le maestre sperimentate hanno meglio compreso come la libertà co-
minci là dove s'inizia la vita che dovrà poi svolgersi nel bambino, e
posseggono un tatto che facilita molto l'orientamento nel periodo ini-
ziale.
Tuttavia le esperienze nelle più difficili condizioni, come quelle
tra una maestra al suo primo esperimento, e una classe di bambini
ricchi, sono le più illustrative e ci danno un quadro più chiaro del fe-
nomeno psichico fondamentale, il quale si potrebbe paragonare a un
ordine che scaturisce dal caos.
Cito, a tale proposito, varie descrizioni, alcune delle quali \ennero
pubblicate, come quelle fatte da Miss George della sua prima scuola
negli Stati Uniti, e quella di M.Ue Dufresne in Inghilterra.
Il disordine iniziale è dato in un quadro assai eloquente da Miss
George: « Essi (i bambini) si strappavano in principio gli oggetti uno da
le mani dell'altro: se io cercavo di mostrare un oggetto a un particolare
alunno, gli altri lasciavano cadere ciò che avevano in mano e rumoro-
samente, senza scopo, si raccoglievano intorno a noi. Quando avevo
finito di spiegare un oggetto, tutti lo ghermivano e lottavano tra loro
per possederlo... I bambini non mostravano nessun interesse al mate-
riale: passavano da un oggetto all'altro senza persistere in nessuno... ».
e ... Un bambino era così incapace di star fermo, che non poteva ri-
manere seduto il tempo necessario che occorreva a far girare le dita
intorno a uno dei piccoli oggetti circolari che si danno ai bambini. In
molti casi, il movimento dei bambini era senza scopo: essi correvano
intorno alla stanza senza avere una mèta prefissa. In questi movimenti
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 67
non avevano l'attenzione di rispettare gli oggetti, infatti inciampavano
contro la tavola, capovolgevano le sedie e camminavano sopra il ma-
teriale; qualche volta cominciavano un lavoro da una parte, poi corre-
vano in un'altra direzione; prendevano un oggetto e lo lasciavano a
capriccio ».
La signorina Dufresne così descrive il disordine iniziale del suo
primo tentativo: « Io debbo confessare che le prime quattro settimane
furono scoraggianti: i bambini non potevano fissarsi in un lavoro piti
di qualche momento; nessuna perseveranza, nessuna iniziativa da parte
loro; talvolta si seguivano l'un l'altro e agivano come un gregge di
agnelle; quando un bambino prendeva un oggetto, tutti gli altri vole-
vano imitare: qualche volta si rotolavano in terra e rovesciavano le
sedie ».
Da un esperimento su bambini ricchi qui in Roma, si è avuta la
seguente laconica descrizione: « La preoccupazione più grande era la
disciplina. I bambini si mostravano disorientati nel lavoro, e sembra-
vano refrattari ad essere iniziati ».
Queste persone, che sperimentavano ad insaputa l'una dell'altra,
hanno poi una uniformità nel constatare l'iniziarsi dell'ordine: il feno-
meno è unico: a un dato momento, un bambino s'interessa intensamente
a uno degli esercizi. Non è necessario che sia quel determinato oggetto,
per esempio, il primo del sistema: può essere invece uno qualunque
degli oggetti della serie, che fìssa così profondamente l'attenzione del
bambino : ciò che ha valore, non è l'oggetto esterno; ma è il fatto
interno dell'anima che risponde a uno stimolo, e si sofferma.
Ora, quando un fanciullo riesce ad avere questo interessamento
profondo per una qualunque delle cose che noi presentiamo come ri-
spondenti ai suoi bisogni psichici, egli s'interessa dopo a tutti gli oggetti,
e comincia a svolgere delle attività come per un fenomeno naturale.
L'inizio, una volta avvenuto, porta a una progressione che permane
stabilmente e si svolge da sé. È però il fenomeno non di una progres-
sione lenta, graduale, come quella che potrebbe provenire da una mi-
surata e sistematica azione esteriore, ma piuttosto assume il carattere
« esplosivo » di fatti improvvisi che si stabiliscono a un tratto, e che ci
fanno pensare alle crisi della vita fisiologica, così caratteristiche nel
periodo di crescenza. Difatti è da un giorno all'altro che al bambino
68 PARTI- PRIMA
spunta un dente; è da un giorno all'altro clic egli pronuncia la prima
parola; è da un giorno all'altro che muove il primo passo; e quando il
primo dente è spuntato, tutta la dentatura verrà; detta la prima parola,
ecco che si svolge il linguaggio; mosso il primo passo, il cammino si
stabilisce per sempre.
Simili crisi avvengono pure nel primo stabilirsi di un ordine psi-
chico, che è l'inizio dello svolgimento progressivo della vita interiore.
Ecco alcune frasi rilevate dalla descrizione fatta da Miss George
sull'avvento della disciplina:
« In pochi giorni, quella massa nebulosa di vorticose particelle ^ i
bambini disordinati — cominciò ad assumere definita forma. I bambini
sembrava che cominciassero ad orientarsi sopra se stessi; nei molti
oggetti che avevano disprezzato in principio come giocattoli sciocchi,
essi cominciavano a scoprire un originale interesse, e, come risultato
di questo nuovo interesse, cominciarono ad agire come individui in-
dipendenti ». L'espressione successiva di Miss George è: « Essi diven-
nero estremamente individualizzati ». « Allora accadeva che un oggetto
il quale assorbiva tutta l'attenzione di un bambino, non aveva la più
piccola attrazione per un altro; i bambini si dividevano gli uni dagli
altri nelle loro manifestazioni di attenzione... ». «... La battaglia è
definitivamente vinta, solo quando il bambino scopre qualche cosa,
un particolare oggetto che spontaneamente eccita in lui un grande
interesse. Alcune volte questo entusiasmo arriva all'improvviso, o
con una strana rapidità ».
« Una volta ho provato un bambino con quasi tutti gli oggetti del
sistema senza eccitare una sola favilla di attenzione: allora casual-
mente gli mostrai le due tavolette dei colori rosso e bleu, e richiamai
la sua attenzione sopra la differenza dei colori. Egli le pigliò subito
con una specie di sete e imparò cinque colori in una sola lezione; nei
giorni successivi prese tutti gli oggetti Jdel sistema che aveva prima
sdegnato, e a poco a poco s'impadronì di tutti.
« Un bambino che in principio aveva un piccolissimo potere di
concentrare la sua attenzione, trovò la sua uscita da questo stato di
caos in uno dei più complessi oggetti del materiale: le cosiddette « lun-
ghezze»; giocò continuamente con esse per una settimana di seguito e
imparò a contare e a fare semplici addizioni. Allora egli cominciò a
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 69
tornare ai cilindri, agli incastri, agli oggetti più semplici, e si interessò
a tutte le parti del sistema.
« Appena i bambini trovano i loro oggetti interessanti, il disordine
scompare d'un tratto; finisce il vagabondaggio mentale, ed essi s'in-
trattengono con i blocchi, con i colori, ecc. ».
E interessante seguire ancora Miss George nella descrizione di
qualità speciali che si sviluppano dopo tale fenomeno. Essa illustra
con un grazioso episodio, il risvegliarsi di una individualità:
« C'erano due sorelle, una di tre anni, l'altra di cinque. La bambina
di tre anni, come individualità, non esisteva, in quanto seguiva la so-
rella maggiore in modo preciso: per esempio la sorella maggiore aveva
un lapis bleu e la piccola non era contenta finché non aveva un lapis
bleu; la sorella maggiore mangiava del pane e burro, e qualunque cosa
avesse la piccola di diverso non mangiava se non pane e burro, e via
dicendo. Questa bambina non si interessava a nessuna cosa della scuola,
ma solo seguiva sua sorella, imitando quello che essa faceva. Un giorno
la piccolina si interessa ai cubi rosa, compone la sua torre, ha un in-
teresse vivissimo, ripete molto questo esercizio e dimentica completa-
mente la sorella. La sorella maggiore è tanto meravigliata di questo
fatto, che la chiama e le dice: com'è che io sto empiendo un circolo e tu
stai fabbricando la torre? E da quel giorno la piccolina divenne una
personalità e cominciò a svolgersi da sé e non fu più soltanto l'imita-
zione, lo specchio di sua sorella ».
Questi fatti interessanti, cioè lo svolgimento spontaneo di qualità
che prima non esistevano nell'individuo, e che esplodono dopo che si
è stabilito il fenomeno fondamentale dell' interesse intenso e prolun-
gato a un lavoro, sono stati confermati da esperimenti ripetuti nei
luoghi più diversi e da persone che non avevano comunicazioni tra loro.
Così, per esempio, Miss Dufresne parla di una piccola bambina di
quattro anni, che non era assolutamente capace di portare un bicchiere
empito d'acqua, anche solo a metà, senza versarla: assolutamente; sì che
essa rifuggiva da un simile lavoro, perchè sapeva di non poterlo fare.
Venne a interessarsi ad un lavoro qualsiasi col materiale e dopo ciò, Co-
minciò a trasportare i bicchieri d'acqua con grande facilità; ora, siccome
c'erano dei compagni che dipingevano con l'acquerello, la sua smania
era di portare à tutti l'acqua senza più versarne una goccia.
PARTE PRIMA
Un altro fatto che merita profonda attenzione è quello rac-
ct>ntato da Miss Barton. una maestra australiana. Essa aveva una
piccola bambina che non aveva ancora sviluppato il linguaggio e
mandava soltanto dei suoni inarticolati, tanto che i genitori l'ave-
vano fatta visitare da un medico per sapere se era anormale; ma
il modico aveva affermato che la bambina non era affatto anormale,
e che se ancora non aveva sviluppato esteriormente il linguaggio,
lo avrebbe però fatto in seguito. Questa piccola bambina un giorno
s'interessò agli incastri solidi, trattenendosi molto tempo a levare e
mettere i cilindretti di legno nei loro incavi; e dopo aver ripetuto
con intenso interesse il lavoro, corse dalla maestra dicendo; « vieni a
vedere » !
Un fatto che si riscontra costantemente quando i bambini comin-
ciano a interessarsi al lavoro e a svolgere se stessi, è la vivace gioia a cui
sembrano in preda. Direbbero alcuni psicologi: è « il tono sentimentale »
corrispondente all'acquisto intellettuale; un fisiologo, facendo un para-
gone esattissimo, potrebbe affermare che la gioia è Vindice della cre-
scenza interiore, come l'aumento di peso è l'indice della crescenza del
corpo.
I bambini sembrano avere la « sensazione » della loro crescenza
interna, la coscienza degli acquisti che fanno ingrandendo se stessi:
essi dimostrano esternamente con una espansione di gioia il fatto supe-
riore che si è iniziato in loro. « I bambini mostravano tutti » — dice Miss
George — « quell'orgoglio che viene a noi quando abbiamo prodotto
veramente qualche cosa di nuovo da noi stessi. Essi saltavano e mi get-
tavano le braccia al collo, quando avevano imparato a fare qualche
cosa di molto semplice, e mi dicevano: — Ho fatto tutto da me; tu non
immaginavi che io potessi fare questo; oggi ho fatto meglio di ieri ».
È dopo questi fatti che si stabilisce una reale « disciplina «, della
quale le più manifeste azioni si potrebbero mettere in rapporto a ciò
che noi chiameremmo « rispetto per il lavoro altrui e considerazione
pel diritto degli altri ». Perchè non succede più che un fanciullo voglia,
togliere il lavoro ad un altro; anche se lo desidera, aspetta paziente-
mente che quell'oggetto sia libero; e spesso il bambino s'interessa ad
osservare il compagno che lavora con quell'oggetto che desidera posse-
dere. Quindi, allorché la disciplina si stabilisce per questi fatti interiori,
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE JI
avviene d'un tratto che un fanciullo lavora indipendentemente dal-
l'altro, quasi a sviluppare la propria personalità; ma da questo lavoro
non consegue un « isolamento morale »; al contrario, c'è tra i bambini
un rispetto reciproco, un'affettività, un sentimento che unisce le persone
anziché separarle; e quindi nasce quella complessa disciplina che con-
tiene in sé anche il sentimento che deve accompagnare l'ordine di una
collettività.
Miss Dufresne racconta: « Dopo le vacanze di Natale, al rientrare
in iscuola, si produsse nella classe un grande cambiamento. Sembrava
che l'ordine si stabilisse da sé, senza che io c'entrassi affatto. I bam-
bini apparivano troppo occupati dal loro lavoro per fare tutti quegli
atti disordinati che prima facevano. Andavano, i bambini, da se stessi,
a scegliere nell'armadio tutti quegli oggetti che prima aveva sem-
brato annoiarli. Prendevano le form.e geometriche, i cilindri graduati,
cominciavano a far scorrere le loro dita sui contorni delle forme di
legno; i piìi piccoli sceglievano sopratutto i telai per abbottonare, al-
lacciare, ecc.; e li prendevano uno dopo l'altro senza mostrarsi stanchi
e sembravano felici dei nuovi oggetti. Un'atmosfera di lavoro si sparse
nella classe. I bambini che finora avevano scelto gli oggetti solo per un
capriccio del momento, provavano oramai come il bisogno di una specie
di regola, di una regola personale e interiore: essi concentravano i loro
sforzi su questo lavoro, esatti e metodici, provando una vera soddi-
sfazione a sormontare le difficoltà. Questo lavoro preciso produsse un
risultato immediato sul loro carattere. Essi diventarono padroni dei
loro nervi ».
Uesempio che più colpì Miss Dufresne, fu quello di un bambino di
quattro anni e mezzo il quale era sembrato in principio molto nervoso,
sovreccitato, e che disturbava tutta la classe. « Questo bambino
aveva sviluppata in modo straordinario l'immaginazione, tanto che
dandogli un oggetto, egli in questo non osservava la forma dell'oggetto
stesso, ma lo personificava, e personificava anche se stesso parlando
continuamente, immaginando di essere una persona diversa da quella
che era; ed anche era impossibile di fissare la sua attenzione sopra gli
oggetti. Mentre divagava così con la sua mente, era incapace di fare
qualsiasi azione precisa, per esempio, di abbottonare un solo bottone... ».
« ...D'un tratto si cominciò ad operare in lui una meraviglia — continua
7J PARTE PRIMA
Miss Dufresne. — Io constatai con stupore un cambiamento conside-
revole elle av\enne in lui; prese come occupazione favorita uno degli
esercizi e si scelse poi tutti gli altri: e in questo modo si calmarono i
suoi nervi ».
Scelgo da alcuni studi individuali fatti da due maestre d'una
«Casa dei Bambini» ricchi di Roma, quelli di due bambini, molto
diversi tra loro. Uno dei bambini è venuto a scuola troppo tardi, già
grande, già s\dluppato in un altro ambiente: l'altro invece è piccolo e si
trova nell'età normale per entrare nella « Casa ». Il grande (di cinque
anni) era stato già in un giardino Froebeliano dove fu considerato assai
molesto per la sua vivacità. « Nei primi giorni era un tormento per noi,
perchè voleva lavorare, ma non si contentava di nessuna occupazione.
Egli diceva di tutto: questo è un gioco; e girellava per la scuola, o dava
noia ai compagni. Finalmente s'interessò al disegno ». Per quanto il
disegno verrebbe dopo degli esercizi sensoriali, fu lasciato libero di
fare ciò che desiderava: le maestre giustamente pensarono che sarebbe
stato inutile insistere per applicare invece il bambino a un differente
esercizio. Infatti il bambino avendo superato l'età nella quale il mate-
riale precedente risponde ai bisogni psichici, è per la prima volta
attratto da un esercizio superiore, quale il disegno. « Mentre prima
il bambino era passato di occupazione in occupazione e aveva anche
preso delle lettere dell'alfabeto senza però mai fermarsi sopra nessun
oggetto, quasi improvvisamente la disciplina si stabilì. Noi non
sappiamo quale fu il momento preciso in cui la modificazione av-
venne, ma la disciplina si mantenne, si perfezionò e si fece più
elevata mentre cresceva l'interesse del bambino per ogni sorta di
occupazione. Infatti, mentre l'interesse si era iniziato nel disegno,
il bambino prese dopo spontaneamente le lunghezze, poi sovrappose
gli incastri piani, e andò man mano a tutti quegli esercizi dei sensi
che la maestra aveva trascurati ». Cioè il bambino di età superiore
scelse gli esercizi in un ordine rovesciato, andando quasi esattamente
dai più difficili a quelli primordiali.
L'altro bambino di tre anni e mezzo era pure indisciplinato. Le
maestre già disperavano di poterlo condurre all'ordine, quando il bam-
bino cominciò ad interessarsi a un incastro solido e a un telaio. Da
allora continuò a lavorare e cessò di disturbare i compagni.
ni. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 73
Nelle nostre « Case dei Bambini » poveri in Roma, dirette dalla
signorina Maccheroni, fu possibile fare più metodiche osservazioni, le
quali vennero rappresentate con delle grafiche per rendere più facil-
mente visibile l'andamento dei fenomeni.
La linea trasversa A B rappresenta lo stato di quiete: al disopra
si registrano i fenomeni di ordine (lavoro); al disotto quelli di disordine.
Quando un bambino è entrato nella quiete dopo la prima profonda
attrazione ad un lavoro, può in lui stabilirsi uno stato permanente
di ordine. In tale stadio possono studiarsi le migliori condizioni di
lavoro.
Curva primitiva del lavoro ordinato.
Ecco la maniera in cui esso si svolge: tipo individuale di una matti-
nata di lavoro disciplinato:
Il bambino rimane quieto alquanto tempo, poi sceglie un lavoro
facile per lui, come mettere in gradazione i colori; vi persiste, ma non
molto tempo; passa a un lavoro più complesso, come quello di comporre
le parole con l'alfabetario mobile e vi persiste lungamente (circa mez-
z'ora). In tale stadio il bambino cessa di lavorare, gira intorno alla sala,
sembra meno calmo: e presenterebbe a prima vista i caratteri della
stanchezza. Ma, dopo pochi minuti, egli si dispone a un lavoro assai più
difficile e vi persiste con tale insensità di attenzione, che dimostra tro-
varsi all'acme della sua attività (fare le addizioni e scriverle). Com-
piuto questo lavoro, la sua attività cessa con segni di serenità, egli con-
templa a lungo il proprio lavoro, poi si avvicina alla maestra e le fa
74 PARTE PRIMA
delle confidenze. Laspetto dv\ bambino è quello di una persona ripo-
sata, sollevata, soddisfatta.
È interessante l'apparenza di stanchezza che si ha tra il primo
e il secondo periodo di lavoro: in quel momento l'aspetto del bambino
non è quieto, sollevato come alla fine della curva: anzi egli dà segni di
agitazione, si muove, passeggia, ma non disturba gli altri. Si direbbe
che va alla ricerca della massima soddisfazione del suo interesse, si
prepara al « gran lavoro ».
Invece quando il ciclo è compiuto il bambino si distacca dal suo
interiore concentramento — soddisfatto e rinforzato — e sente impulsi"^
sociali superiori, come quello di fare delle confidenze, di porsi in intima
comunicazione con altre anime.
Un simile andamento, diventa col tempo l'andamento generale di
una classe intera già disciplinata. Ecco come la signorina Maccheroni
riassume tale fenomeno complessivo:
Intiera classe al lavoro.
Nel primo periodo della mattina, fino circa alle io, l'occupazione
scelta è generalmente un lavoro già noto e facile.
Alle IO c'è un momento di grande spostamento; i bambini sono irre-
quieti, non lavorano ad alcuna cosa, non cercano oggetti. L'impressione
è quella di una classe stanca, che comincia a disordinarsi. Dopo pochi
minuti l'ordine più perfetto è stabilito, i bambini sono addirittura
immersi in un lavoro intensissimo: essi hanno scelto occupazioni nuove
e difficili.
Quando questo lavoro cessa, i bambini sono lieti, gentili, calmi.
Se nel periodo di falsa stanchezza, alle ore io, la maestra mal pra-
tica, interpretando come disordine il fenomeno di sospensione o di
Ili - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 75
preparazione al grande lavoro, interviene, richiama a sé la scolaresca,
la « fa riposare » ecc., allora l'agitazione persiste e il lavoro successivo
non si organizza. I bambini non sono sereni: permane in loro uno stato
anormale. Cioè se essi vengono interrotti nel loro ciclo, perdono tutti
i caratteri che sono collegati a una funzione interiore regolarmente e
completamente compiuta.
* * *
La c^lrva unica del lavoro individuale ordinato, non è generale né
rigidamente costante nel tipo descritto. Ma può considerarsi come il
tipo medio di lavoro, nell'ordine raggiunto. Sarà interessante, prima
di tutto, considerare la curva dei bambini che non si sono ancora ordi-
nati. I bambini poveri non presentano quasi mai quello stato di con-
fusione completa in cui si trovano i bambini ricchi: essi sono sempre
più o meno attratti dagli oggetti e vi corrispondono con un certo in-
teresse fin dal primo momento. Tale interesse, però, è dapprima su-
perficiale. Essi sono attirati piuttosto dalla curiosità, dal desiderio di
avere tra mano delle « belle cose ». S'intrattengono, è vero, qualche
tempo con singoli oggetti, li cambiano, scelgono: ma senza che ancora
si svolga un profondo interesse. Il carattere di questo periodo, che può
completamente mancare in una classe di bambini ricchi, è un'alternativa
di disordine. Ecco una grafica che lo rappresenta:
Differenze individuali.
Stadio precedente all'ordine:
curva individuale di un bambino povero.
Le varie curve di lavoro s'incontrano al disotto della linea di quiete,
nello stato di disordine. Solo a un richiamo dell'ordine collettivo il
bambino sta nella quiete, a meno che non si elevi verso il lavoro: in tal
caso però non vi persiste e la curva piomba subito al disotto. E notevole
PARTE PRIMA
come nell'andamento irregolare di questa grafica, si possa rintracciare
un periodo di lavoro facile che precede im periodo di lavoro difificile
(telaio, incastri piani) e tra l'uno e l'altro la massima discesa nel
disordine.
Curve di lavoro
DI UN BAMBINO POVERISSIMO, gUASI ABBANDONATO DAI GENITORI, DISTURBATORE.
Stadio del disordine.
Il bambino di cui si tratta (0) sembra che abbia la tendenza a im-
parare dagh altri; egh sfugge il lavoro o vi si arresta appena: e sembra
che non tolleri un insegnamento diretto. Se si cerca d'insegnargli qualche
cosa, fa una smorfia e fugge via. Si muove, disturba i compagni, sembra
intrattabile: ma segue attentamente le lezioni che la maestra fa agli altri
bambini.
Verso l'ordine.
Entrato nel lavoro, dopo anere appreso, vi persiste e si nota nella
curva l'andamento normale: cioè, un lavoro precedente, una pausa (dove
il bambino ricade leggermente e fuggevolmente nel suo difetto di di-
sturbare i compagni) quindi la curva del gran lavoro e il riposo finale
(ove pure si ripete la ricaduta nel difetto). Sulle vette della grafica sta
con l'interesse al lavoro una grande bontà: il bambino non solo è se-
reno, ma ha un aspetto di beatitudine, di grande dolcezza; al massimo
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 77
del lavoro spesso guarda i compagni e manda loro con le dita piccoli
baci, ma senza interrompere l'intensa sua applicazione. Si direbbe che
nella pienezza della sua interiore soddisfazione un ruscello d'amore
sgorghi dalle profondità dell'animo suo prima in apparenza così rozzo.
Curva di lavoro di un bambino debole.
La grafica è fatta di tante curve che cadono sulla linea di quiete:
manca l'unità della curva, perciò l'unità dello sforzo. L'acume del lavoro
è successivo ad un precedente lavoro piìi facile: e l'esercizio stesso è
brevemente ripreso (colori) dopo che il grande slancio fu esaurito. Il
riposo non è deciso, il bambino riprende un lavoro facilissimo (inca-
stri solidi). Si direbbe che nell'impulso interno non intero, non deciso,
si manifesti il carattere fiacco. 11 bambino fa tanti successivi sforzi per
alzarsi: ma non sa prendere il grande slancio, né la decisione di cessare
il lavoro. Il bambino è quieto, ma il suo stato di quiete è senza slanci:
non ha né irrequietezze, né serenità, né forti manifestazioni affettive.
Andamento del progresso.
Quando tutta la classe si é ordinata può osservarsi il progressivo
svolgersi delle attività interiori.
Bisogna ricordare che il materiale di sviluppo presenta esercizi
graduati che vanno dal più rudimentale esercizio dei sensi, a esercizi
di scrittura, calcolo e lettura. I bambini sono liberi di scegliere l'eser-
cizio che vogliono: ma, naturalmente, poiché essi sono iniziati a ciascun
esercizio dalla maestra, vanno a scegliere solo gli oggetti di cui cono-
scono l'uso. La maestra, osservandoli, si accorge quando il bambino è
maturo per esercizi superiori e ve lo inizia; ovvero il bambino vi entra
osservando altri bambini più avanzati di lui.
PARTE PRIMA
Tali condizioni devono essere presenti alla mente per seguire il
0 progresso « nel lavoro.
Le due curve rappresentano stadi di maggiore svolgimento rispetto
alla curva primordiale del lavoro ordinato. Tende ad eliminarsi lo stadio
di irrequietezza tra il piccolo e il grande lavoro; il bambino sembra più
sicuro di sé: va più direttamente e facilmente alla scelta del suo massimo
esercizio.
Restano dunque due fasi successive di lavoro ininterrotte: una si
potrebbe chiamare la fase di entratnement, l'altra la. jase del gran lavoro.
Il lavoro di entratnement dura un tempo assai più breve, mentre il
^ran lavoro ha un ciclo più lungo: si noti che il riposo nei suoi caratteri
di sollieio, di serenità, si osserva dopo che il massimo sforzo si è sponta-
neamente esaurito. Invece permane sempre il fatto che interrompendo
lo sforzo, il bambino mostra segni di stanchezza (irrequietezza): ovvero
diventa distratto.
Nella prima curva, il lavoro di entratnement è costituito da due la-
vori facili, durati poco tempo: dai quali si passa direttamente al
gran lavoro. La finale è un riposo pieno di pensiero: il bambino cessa di
lavorare, ma contempla a lungo in silenzio il lavoro eseguito, prima
di accingersi a rimetterlo a posto. Ovvero, dopo aver contemplato il
proprio lavoro, va quietamente a osservare il lavoro degli altri.
Nella seconda curva siamo a un parallehsmo sensibile con la hnea
di quiete: il bambino permane al lavoro pressoché uniformemente, e
la sola differenza tra il lavoro di entratnement e il gran lavoro è la di-
versa durata. Il periodo contemplativo diventa oramai un evidente
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 79
« periodo di lavoro interiore », quasi un periodo di « assimilazione » o
di « maturazione interna ». In esso si fa sempre più frequente l'osser-
vazione del lavoro altrui, come uno studio spontaneo di « comparazione »
tra sé e i compagni; ovvero si sviluppa un interesse attivo nella contem-
plazione deir« ambiente » esterno: periodo delle scoperte. Si può dire
che il bambino studia se stesso nelle proprie produzioni e si mette in rap-
porto con i compagni e con l'ambiente.
Ora il « compiersi » di un ciclo intero esercita un'influenza sempre
più estesa sulla personalità del bambino. Non soltanto egli è spinto
a un lavoro intimo di concentrazione subito dopo il gran lavoro; ma
riesce infine a conservare sempre un'attitudine di pensiero, d'interno
equilibrio, di sostenuta attenzione verso l'ambiente. Allora diventa
una personalità che è salita a un grado superiore. Questo è il periodo in
cui il bambino comincia a divenire « padrone di se stesso » ed entra in
quel così caratteristico fenomeno che ho chiamato dell' « obbedienza ».
Egli può obbedire, cioè può possedere le sue azioni e quindi dirigerle
secondo il desiderio di un'altra persona. Egli può lasciare un lavoro che
viene interrotto, senza per questo soffrirne uno squilibrio, o dare i segni
della stanchezza. Inoltre il lavoro è divenuto un'attitudine costante
e il bambino oramai non sa star piii in ozio. Quando, per esempio, fac-
ciamo venire alcuni bambini che si trovano in questo stadio di sviluppo,
alle lezioni di magistero ove essi servono da «soggetti di studio », i bam-
bini si prestano docilmente a ciò che noi chiediamo da loro: si lasciano
misurare la statura, la testa, si prestano ad eseguire gli esercizi che loro
chiediamo, mostrando sempre di corrispondere con interesse, non con
rassegnazione, come fossero consci di collaborar con noi. Ma quando
debbono aspettare, seduti da una parte, il momento di diventare utili,
essi non possono stare in ozio, ma lavorano. 'L'inattività diventa intol-
lerabile. Spesso, mentre io facevo lezione, i piccolini prendevano delle
allacciature o addirittura ricoprivano il pavimento con l'alfabetario
mobile componendo parole: là dove poterono farlo, in questi momenti
di attesa, alcuni bambini disegnarono o dipinsero all'acquerello.
Tutte queste cose sono ormai espressioni di attività intelligente,
che fanno parte del loro organismo psichico.
Ma perchè tale attitudine permanga e la personalità continui nel
suo sviluppo è necessario che un vero lavoro sia tutti i giorni compiuto.
So l'AKih PKIMA
È dal <i completo ciclo di uno sforzo », dalla metodica « concentra-
zione )> che deriva l'equilibrio, l'w elasticità » di adattamento e quindi
la possibilità di atti superiori, come quello dell'» obbedienza ».
Ciò fa pensare ai consigli che dà la religione cattolica per conservare
le forze della vita spirituale: cioè un periodo di « concentrazione inte-
riore » a cui si riattacca la possibilità di disporre poi di « forze morali ».
È dalla metodica « meditazione » che la personalità morale deve pren-
dere i poteri di solidificazione, senza i quali l'uomo interiore, disperso e
squilibrato, non può possedere se stesso e disporre di sé a nobili scopi.
I bambini hanno « sempre bisogno » del periodo di concentrazione,
del tempo di « gran la\oro » donde traggono le possibilità dello svi-
luppo ulteriore.
Ecco una grafica che rappresenta uno stadio molto alto del bam-
bino:
Stadio superiore
tipo medio.
Già i lavori di entrainement sono elevati: il bambino, appena viene a
scuola, sceglie, per esempio, l'alfabetario o scrive, poi (gran lavoro) legge.
In ricreazione sceglie un'occupazione intelligente: guarda i libri illustrati.
Tutte le occupazioni intellettuali si sono elevate; insieme alle atti-
tudini morali (ubbidienza, serenità costante).
Volendo considerare la linea di quiete come un livello di sviluppo
consegue che il livello si è elevato.
In uno stadio superiore, la grafica del lavoro tende a farsi retta,
parallela alla linea di quiete.
Può intanto stabilirsi che c'è la possibilità di determinare dei gradi
di sviluppo o dei tipi medi di sviluppo interiore, sui quali studiare le
HI. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE
8l
variazioni individuali. Nel tipo primordiale c'è il disordine nella con-
dotta e la impossibilità di fissare l'attenzione: in tal caso non si ha una
vera linea di lavoro, e la prevalenza della grafica rimane al disotto della
linea di quiete. Nel tipo in cui è avvenuto il fenomeno di fissazione per-
manente dell'attenzione in un lavoro, viene a stabilirsi la grafica media
caratteristica del lavoro normale ordinato, nel primo grado: cioè, la-
voro di entratnement seguito da un periodo d'irrequietezza, e il gran
lavoro seguito da uno stato di riposo.
Quindi si distingue un secondo grado, ove la media è caratteriz-
zata dalla scomparsa del periodo d'irrequietezza: e il gran lavoro finisce
nella contemplazione: stadio delle scoperte, delle osservazioni genera-
lizzate, dell'obbedienza; il lavoro è un'attitudine.
Dopo ciò viene un'elevazione generale che si riconosce dall'ele-
\-arsi dei lavori à'entraìnement; la condotta disciplinata è un'attitudine.
Durante questi passaggi la grafica del lavoro tende a farsi retta e
parallela alla linea di quiete.
Quadro riassuntivo dello sviluppo.
Grafiche medie-
82 I-ARTE PRIMA
L'elevarsi del livello del piano è in rapporto con le qualità del la-
voro intellettuale più progredito: e il raddrizzarsi della linea è in rap-
porto con qualità di cosiiluzione interna, di organizzazione della persona-
lità: qualità che sarebbero considerate di ordine morale, come: serenità,
disciplina, padronanza di sé nell'obbedienza e nelle varie attività.
Quando il lavoro è divenuto un'attitudine, rapidamente si eleva il
livello intellettuale, e l'ordine organizzato fa diventare un'attitudine
la condotta. I bambini allora lavorano con ordine, costanza e disciplina
in un modo permanente, naturale: come il ritmo respiratorio è il lavoro
permanente, calmo e \ivifìcatore dell'organismo fisico.
Pernio, mezzo di tale costruzione della personalità, è stato il lavoro
libero, corrispondente ai bisogni naturali della \'ita interiore: quindi il
lavoro intellettuale libero si dimostra base della disciplina interiore. La
conquista maggiore delle « Case dei Bambini « è di ottenere dei bam-
bini disciplinati.
È questa organizzazione interna che dà loro un « tipo » speciale,
il quale è necessario per continuare poi il libero esercizio delle attività
nelle conquiste della cultura di età successive.
L'epoca delle scuole elementari viene insensibilmente a continuare
quella delle « Case dei Bambini ». In esse, la condotta è un'attitudine
sovrapposta e fusa con la più antica attitudine al lavoro. Basterà oramai
presentare un materiale di sviluppo ulteriore, perchè il bambino, eser-
citandosi su esso gradualmente, superi i vari limiti intellettuali di
coltura.
La differenza che si presenta nelle età successive è data da un in-
teresse intellettuale che non è più solo l'impulso a esercitare se stesso
nella ripetizione degli esercizi, ma è un superiore interesse verso il
proprio lavoro, e tende a completare un'opera esterna, o a completare
una conoscenza nel suo insieme. Così il bambino crea e cerca cose or-
ganizzate in se stesse; egU per esempio vuol comporre un disegno da
combinazioni di figure geometriche con gh incastri di ferro, e si dedica
a tale lavoro con intensità fino a che non lo ha completato. Ecco ancora
un fanciullo occuparsi per sei o otto giorni di seguito al medesimo la-
voro. Un altro bambino s'interessa alle potenze dei numeri o alla tavola
pitagorica, e persiste nel medesimo lavoro molti giorni di seguito, finché
non ne ha maturato la conoscenza.
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 83
Sulla base di un ordine interiore venuto da interna organizzazione,
la mente edifica ora il suo castello, con la lentezza, la calma con cui un
organismo vivente che è nato, accresce se stesso.
Solo una prima idea è quella che si può dare adesso sulla possi-
bilità pratica di determinare livelli niedii di sviluppo interiore secondo
le età. Occorrerebbero molti esperimenti perfetti, ove bambini omo-
genei, ambienti completamente adatti e maestre pratiche dessero un
sufficiente materiale di osservazione. Allora degli studiosi potrebbero
mettersi a un lavoro scientifico, il quale presenterebbe un'esattezza forse
superiore a quella che oggi è possibile per misurare il corpo, e darne
medie matematiche di crescenza.
Si rifletta però come gli accenni che oggi possono offrirsi, rappre-
sentino un lungo lavoro sistematizzato, e come essi poggino sul più
grande lavoro di trovare i mezzi materiali esterni per lo sviluppo na-
turale.
Ciò valga a dare un'idea delle difficoltà di una ricerca scientifica,
che oggi molti credono di fare con arbitrari e superficiali tests, quali
sono quelli di Binet e Simon!
Lo studio del fanciullo non può essere fatto a « istantanee »; è
solo una « cinematografia » che può illustrarne i caratteri.
I « mezzi esterni » organizzati come corrispondenti ai bisogni della
\ita psichica, sono di fondamentale importanza: perchè, come si
possono giudicare le differenze individuali nell'acquisto dell'ordine
interiore, nell'elevazione all'astrazione, nei gradi progressivi di uno
sviluppo intellettuale, nel raggiungimento della disciplina, se non esi-
stono mezzi esterni determinati, costanti, che conducano come gradini
d'ajjpoggio, il bambino in formazione verso la sua ascesa?
Per determinare logicamente le differenze individuali ci deve essere
un termine costante; e questo è il mezzo esterno su cui ogni personalità
si erige. Quando l'appoggio è il medesimo, ed è, in generale, rispondente
ai bisogni psichici dell'età, allora una differenza di interna costruzione
è legata all'individuo stesso. Altrimenti, se i mezzi fossero differenti, è
ad essi pure che potrebbero attribuirsi le differenziate reazioni.
84 PAKTF I>KIM.\
È ov\io. infine, clic si debba, in ogni ricerca scientifica, determi-
nare Yisfrumcnto di misura. Ma ogni cosa da misurare esige un istru-
mento proprio, e l'istruniento costante nella misura psichica deve essere
il 0 metodo di educazione ».
Una serie di formule, quale i tests Binet-Simon, non possono mi-
surare nulla, né dare un'idea sia pure approssimativa dei livelli intel-
lettuali secondo l'età: poiché i fanciulli che rispondono, donde trassero
le loro risposte? Quanto di esse è dovuto all'attività intrinseca dell'in-
dividuo e quanto all'azione dell'ambiente? E se questa parte « dovuta
all'ambiente » è ignota, chi può determinare l'intrinseco valore psi-
chico da darsi alla risposta?
In ogni personalità dobbiamo distinguere due parti: una è l'at-
tività propria, naturale, spontanea con la quale si può prendere dal-
l'ambiente, elaborare internamente, costruire e accrescere la propria
personalità, quindi caratterizzarla; un'altra parte è il mezzo esterno col
quale tutto ciò si può fare. Per es., un bambino che riconosce a quattro
anni sessantaquattro colori, dimostra d'aver avuto un'attività notevole
nel percepire i colori, nell'ordinari] in gradazione nella sua mente, ecc.;
ma dimostra anche di avere avuto dei mezzi per essere giunto a tale
acquisto; per es. egh ha avuto sessantaquattro tavolette di colori, sulle
quali ha potuto esercitarsi lungamente, affatto indisturbato per tutto
il tempo che fu necessario a tale assimilazione.
Il fatto psichico P è una somma di due fattori: uno interno e uno
esterno:
I + E
dei quali l'incognita, non misurabile direttamente, I, può essere indi-
cata con X: P = X + E
Se noi confrontassimo due bambini: uno che ebbe i sessantaquattro
colori nelle suddette condizioni e un altro che rimase abbandonato
a se stesso in un ambiente povero, quindi a tinte prevalenti grigie e
brune, che rimase torpido nell'attenzione, ecc., troveremmo una diffe-
renza psichica notevolissima. Questa differenza però non è intrinseca:
infatti potrebbe darsi che il secondo bambino messo nelle condizioni del
primo, riconoscesse i sessantaquattro colori. Il giudizio che diamo in
tal caso è su un fatto esterno, non su potenzialità interiori. Noi giu-
dichiamo in realtà due diversi ambienti, non due diversi individui.
IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 85
Per giudicare le differenze individuali, bisogna che i due bambini
abbiano avuto gli stessi mezzi di sviluppo. In tal caso, se essi alla stessa
età non riconoscono egualmente i sessantaquattro colori, ma uno per
esempio giunge a riconoscerne solo trenta, allora si delinea ura vera
differenza psichica individuale, l 'no dei tests proposti da uno dei mag-
giori cultori di psicologia sperimentale in Italia, per determinare il
livello intellettuale nei bambini subnormali {arriérés, deficienti) con-
sisteva nel far scegliere a un bambino il cubo più grande e il cubo piii
piccolo di una serie. Questa scelta, come in quasi tutti i tests proposti
a tale scopo, viene considerata come indipendente dall'influenza della
culttira, dell'educazione; e si considera come esponente di un'attività
intima, propria dell'intelligenza in se stessa. Ma se innanzi al test fosse
stato posto uno dei deficienti che io educai col mio metodo, egli avrebbe
scelto il più grande e il più piccolo cubo, per influenza di un lungo eser-
cizio sensoriale, assai più facilmente dei bambini scelti dallo psicologo
tra le sue scuole speciali, ed il mio deficiente avrebbe potuto essere di
minore età non solo, ma anche in se stesso più arnéré dell'altro. Il
test avrebbe dunque misurato i diversi metodi d'educazione, mentre
le differenze psichiche tra i due bambini, realmente esistenti per età
o per livello intellettuale, sarebbero restate realmente mascherate.
L'uomo è una fusione tra la sua personalità e la sua'^educazione,
chiamando edticazione anche la serie di esperienze che egli fa nella
sua vita. Le due cose nell'individuo non si possono scindere: l'intelli-
genza senza la conoscenza è un'astrazione. Ciò che si ripete per tutti
gli esseri viventi: che l'individuo non può scindersi dall'ambiente, è
tanto più profondo per la vita psichica, poiché il suo contenuto, come
i mezzi dell'auto-esperienza che ha svolto psichicamente l'uomo, sono
sua parte essenziale, sono ormai l'individuo stesso. E pure tutti sappia-
mo^che l'individuo psichico non è il suo ambiente, ma è una vita a sé.
Dando la formula
P = X + E
ove À"" é la parte interna, intrinseca, propria alla \ita individuale, si
può dire che ogni individuo ha la sua X. Ma per avvicinarsi alla co-
noscenza diretta di questa, occorre conoscere P ed E.
Chi si ferma ad un esame o crede di procedere a una « misura
psichica « fermandosi ai fatti psichici, in realtà misura la mescolanza
00 PAKTI-: l'KIMA
di duo incognite, ima delle quali, essendo fuori deH'indixiduo. rondo
nulli i risultati della ricorca.
Per istudiare dunque le differenze individuali su singole attività,
come la percezione dei colori, dei suoni musicali, delle lettere dell'al-
fabeto; ovvero la capacità di osservare l'ambiente, e di rilevarne gli
errori; ovvero la coordinazione dei movimenti, il linguaggio, ecc., bi-
sogna aver prima determinato una costante: i mozzi di sviluppo offerti
dall'ambiente.
Qui si delinea una semplice e netta differenza tra pedagogia o psi-
cologia: la pedagogia determina sperimentalmente i mezzi di sviluppo
e il modo di applicarli rispettando la libertà interiore; la psicologia
studia nella specie o nell'individuo le reazioni medie o le reazioni indi-
viduali. Ma le due cose sono i due aspetti di un fatto solo: che è lo
sviluppo dell'uomo; l'individuo e l'ambiento sono i duo fattori X e E
del medesimo prodotto: il fatto psichico.
Anche le singole ricerche psichiche di ordine morale, per aver una
seria attendibilità, devono esser basate sopra l'osservazione prolun-
gata, dopo che le atticità interne si sono ordinate: poiché facile è l'errore
di giudizio in un caos. In clinica psichiatrica o in patologia criminale
quando si dice « tenere il soggetto in osservazione » a scopo di diagnosi,
significa metterlo in un ambiente speciale, disciplinato, igienico, ecc.,
e osservare lungamente il soggetto in tale ambiente. Ciò ha un valore
ancora più esteso e più profondo, quando si tratti di individui normali
in evoluzione. Bisogna in tal caso offrire non solo l'ambiente esterno
ordinato, ma ordinare il mondo interiore caotico del fanciullo: e dopo
ciò, osservarlo lungamente.
Serva d'esempio la seguente osservazione fatta su due bambini
tra i più interessanti che frequentarono le nostre scuole. Essi furono
presentati nella scuola delle maestro al mio ultim.o Corso Internazionale
in Roma.
Aspetto dei due bambini
mentre rimangono come soggetti di osservazione antropologica,
nella sala delle lezioni alle maestre.
l.a scolaresca di persone adulte rumoreggia: chi fa osservazioni,
chi ride. Nel mezzo della sala c'è un paidometro. Il contegno dei due
in. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE 87
bambini è press'a poco uguale. Essi stanno da un lato seduti tranquilla-
mente e lavorano con dei telai di allacciature che sono andati a scegliersi
nella stanza vicina spontaneamente: non alzano la testa al rumore,
non prendono parte alle risa. La loro attitudine è di chi « lavora e non
perde tempo ». Chiamati a misurarsi con un solo cenno, essi obbedi-
scono meravigliosamente: lasciano subito il lavoro e si muovono come
affascinati, ridenti: essi provano evidentemente piacere nell'obbe-
dienza, per un fascino interno che viene dalla coscienza di saper lavorare,
0 di esser pronti a lasciare ciò che piace, ad una chiamata superiore.
Si dispongono da sé con esattezza sul paidometro per farsi misurare:
se alcun perfezionamento è necessario in qualche particolare della po-
sizione del corpo, basta mormorare una parola al loro orecchio ed ecco
l'impercettibile mossa necessaria, perfettamente eseguita: essi posseg-
gono i loro movimenti volontari e li possono dirigere: hanno la possi-
bilità di tradurre in atto le parole udite: per questo possono obbedire: e
ciò forma per loro una conquista interiore affascinante. Quando era
finita la misura, nessuno diceva niente: essi restavano un momento
in aspettazione, poi lanciavano un'occhiata intelligente e un sorriso,
che era come il loro saluto: hanno capito e tornano spontaneamente
nel loro angolo a riprendere i telai e a rimettersi al lavoro. Poco dopo
è ancora necessaria la loro presenza e si ripete il fatto medesimo.
Se pensiamo che bambini di quella età (circa quattro anni e mezzo)
lasciati a sé, camminano rovesciando gli oggetti quasi senza accorger-
sene e hanno bisogno di qualcuno che si faccia vittima del loro ca-
priccio o che cerchi brutalmente di domare il loro disordine, dovremo
riconoscere il perfezionamento interiore compiutosi nei due piccoli
bambini, che hanno raggiunto lo stadio di sviluppo ove il lavoro é di-
v(>nuto un'attitudine, e la obbedienza una conquista affascinante.
Le misure antropometriche avevano dimostrato che uno dei bam-
bini, 0, era di misure normah (peso, statura, altezza del busto) e l'altro,
A , era inferiore alle misure normali.
Ecco alcune note fatte dalla maestra sulla condotta di questi
due bambini quando erano nello stato di disordine;
0: violento, disturbatore, fa dispetti ai compagni, non si applica
mai, ma guarda soltanto ciò che fanno gli altri e poi li interrompe:
o assiste alle lezioni individuali della maestra con un'aria canzona-
88 PARTE l'KlMA
tona e cinica. II padre dice che il bambino a casa è violento, pre-
potente e intrattabile.
.4." è tranquillo. Ma ha fino alla manìa il difetto di fare da spia
ai compagni, denunciando alla maestra ogni loro più piccolo atto
che potrebbe giudicarsi errato o scorretto.
Entrambi i bambini sono poverissimi. 0 è pressoché abbandonato
dalla sua famigha.
Giudizio ulteriore che la maestra ha potuto farsi dei due bambini
dopo che si sono ordinati col lavoro:
0: tutte le violenze di 0 in casa si riducevano alla conquista del
pane: il padre, molto povero, ma anche trascurato, negava il pane
ed bambino: questi non si rassegnava, non piangeva, ma lottava
costantemente, con tutti i mezzi di cui poteva disporre, fino a otte-
nere il suo pane. La maestra avendo chiesto al padre perchè negava
il pane, ebbe in risposta: « perchè poi, quando ne ha mangiato, ne
chiede ancora ».
In iscuola, egli corre da compagno a compagno, da lezione a
lezione, disturbando e passando sopra a tutto, perchè sta conquistando
con le stesse attitudini il suo pane spirituale.
Egli è un fanciullo che vuole prepotentemente vivere: la difesa
della propria vita sembra il suo carattere prevalente.
Quando la vita è salva, il bambino diventa non soltanto mite,
ma di una singolare dolcezza e delicatezza di sentimenti. Egli è quel
bambino che, nella gioia del lavoro appreso e compiuto, guarda intorno
teneramente i compagni e manda loro piccoli baci con le dita. Mentre
per gli altri bambini entrati nell'ordine la nota della maestra è « la-
voro )), per 0 la nota è: « lavoro e bontà ».
Quando ancora non si era organizzata la refezione calda, i bam-
bini portavano colazioni assai diverse; due o tre bambini erano abba-
stanza agiati e a\evano carne, frutta, ecc. 0, sedeva accanto a uno
di questi. La tavola era apparecchiata e 0 non poteva mettere sul
piatta altro che il suo pezzo di pane conquistato con la lotta: egli guar-
dava il vicino come per regolarsi sul tempo che metteva a mangiare,
senza sguardi di desiderio: al contrario con grande dignità cercava di
mangiare lentamente il pezzo di pane, per non finire prima e dare così
IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE
la prova di stare senza mangiare mentre l'altro ancora mangiava.
Egli sbocconcellava il pane con lentezza e serietà.
Questo senso della propria dignità — sovrastante i desideri della
gola pur tentata! — esisteva nel bambino insieme alla sensazione
dei bisogni fondamentali della propria vita, per cui era spinto a lot-
tare e a conquistare il « necessario ». Era pur questa squisita sensibi-
lità, che si manifestava poi nell'espressione affettiva del suo volto com-
mosso e nelle espansioni di tenerezza universale che non attendevano
ricambio.
La cosa impressionante è che questo bambino, il quale avrebbe
potuto essere denutrito, aveva le misure antropologiche, compreso il
peso, normali. Egli, nato nella povertà e nell'abbandono, aveva difeso
se stesso: la normalità del suo corpo era dovuta a uno sforzo eroico.
A: il bambino si è mostrato sempre tranquillo: entrò presto nel-
l'ordine attivo del lavoro voluto e compiuto. Egli si applicava con
intensa attenzione e costanza. Sarebbe il tipo del bambino buono e
bravo delle comuni scuole. Spesso si presentava a scuola senza pane.
La sua bontà aveva un lato passivo che diventava un pericolo mortale
per il bambino: egli passava attraverso la denutrizione senza reagire;
egli usufruiva largamente dei mezzi di vita psichica che gli erano
offerti, ma non li avrebbe saputi conquistare. La sua bontà rimase
deUo stesso tipo, prima e dopo l'ordine; non aveva commozioni
né espansioni. Le misure antropologiche, inferiori alla norma, deno-
tavano già che il bambino camminava nella vita col passo della
vittima: ed entrava nella schiera di coloro che « devono essere salvati
dagli altri ».
La nota morale caratteristica era lo « spionaggio «. La maestra
osservandolo rilevò che il bambino non lavorava semplicemente come
gli altri, ma spesso ricorreva a lei per sapere se ciò che stava facendo,
era fatto bene o male. E ciò non solo per i lavori col materiale, ma
anche per ogni atto di indole morale che egli fosse per compiere: la
sua preoccupazione sembrava quella di sapere se faceva berte o male.
Poi, con una cura minuziosa, cercava di fare bene. Riguardo allo spio-
naggio, la maestra notò come il bambino non mostrasse alcuna animo-
sità contro i compagni; li osservava con attenzione, e poi andava da lei
dicendo di loro come diceva di se stesso: il tale ha fatto questo: è bene
L
QO PARTE PRIMA
o male? Il bambino cercava pnì di evitare ciò che net^'li altri era stato
tiiudicato « male ».
Quello che appariva uno spionaggio, era la manifestazione del
problema che domina\a la coscienza infantile: il problema del bene
e del male. Non bastava a lui la scarsa esperienza della propria vita,
voleva usufruire dell'esperienza di tutti gli altri per sapere che cosa
fosse bene e che cosa fosse male: quasi che nella sua natura fare il
bene e fuggire il male fosse l'unica sensibilità e stesse per divenire
l'unica aspirazione.
Il caso di questo bambino fa pensare a un pregiudizio popolare
che dice: «la tal persona era troppo buona, non poteva vivere n. Il
bambino A, sembrava chiamato a tal destino. I bisogni del corpo
sfuggivano, quelli della vita intellettuale erano indifferenti: la bontà
sola rimaneva come spinta della sua vita. E allora, se la società non se
ne accorge e non assume essa una speciale protezione della vita fragile
di tali bambini, essi avanzano verso la morte prematura come angeli
che guardino il cielo.
Queste due storie, dovute all'osservazione della signorina Macche-
roni, traducono un giudizio superficiale che sarebbe potuto restare
permanente in una scuola comune: violento e spia.
Se noi chiamiamo scienza ciò che condusse a far tradurre quelle
parole in eroe e angelo e a far commuover tanti cuori accanto a quei
due bambini quando essi furono compresi a traverso la loro meravi-
gliosa educatrice, possiamo stabilire che « il giudizio amorevole è giu-
dizio sapiente ». La misericordia di Cristo nel giudicare vi apparisce
illustrata.
Il « fatto psichico » , dunque, parte da un principio il quale si po-
trebbe tradurre così: « che il bambino viva ». Tutto il resto viene da sé.
Questo fatto di vita fondamentale si manifesta come una polariz-
zazione %lla personalità interiore: quasi un punto di cristallizzazione,
intorno al quale, purché ci sia materia omogenea, e ambiente indistur-
bato, si compone la forma definitiva.
Tale fatto iniziale è un la\'oro ripetuto con una speciale intensità
di attenzione.
III. - IL MIO CONTRIBUTO SPERIMENTALE QI
Nella mia « carta biografica « io non do perciò un lungo formu-
lario di studi analitici, ma do una « guida alle osservazioni psicologiche »
fondata sulla concezione sintetica che ho cercato d'illustrare. Chi non
è iniziato a questo metodo di osservazione non ha alcuna luce da tale
guida, la quale è completamente fuori dai concetti di studio psicolo-
gico che esistono oggi in rapporto all'osservazione degU scolari. Ma chi
vi è iniziato, la comprende senza bisogno d'illustrazione.
Le maestre hanno anche un linguaggio nel quale s'intendono tra
loro senza usare i termini comuni, che sono impropri a dare l'idea
esatta dei fatti ch'esse vedono svolgersi. Così esse non dicono mai: il
bambino sviluppa, oppure progredisce, oppure è buono o cattivo, ecc.
Ma il termine unico è questo: il bambino si ordina, o non si ordina. È
l'ordine interiore che esse attendono; e su questo principio di essere o
non essere, si fonda il tutto o il nulla.
Ciò fa pensare a un concetto più profondo della « crescenza ».
Dire che un essere vivo cresce è cosa molto superficiale, poiché egli
cresce, sì, ma sul fatto che si fece internamente un ordine.
Quando per esempio l'embrione di un animale si forma, cresce; ma
chi l'avesse osservato internamente sarebbe stato colpito da un fatto
ben più meraviglioso dell'» accrescimento » esterno. All'interno sta av-
venendo un aggruppamento mirabile delle cellule: alcune formano un
foglietto che si ripiega e fa l'intestino, altre si dividono per formare il si-
stema nervoso, un gruppetto si distingue e si specializza a far il fegato,
e così sempre più prosegue un ordinarsi delle parti, e un distinguersi mi-
nuzioso di ogni particolare disposizione delle cellule. È sulla possibilità
che ha questo ordine di stabilirsi, che poggeranno poi le funzioni.
La cosa importante non è che l'embrione cresca; è che si ordini.
E per l'ordine e con l'ordine che viene la « crescenza » e insieme la
possibilità di vivere. Un embrione, pur cresciuto, ma che non ha bene
ordinato le parti interne, non è vitale. Non certo l'impulso stesso, ma
il mistero della vita, è lì. La condizione fondamentale perchè una vita
che ebbe l'impulso ad esistere, conduca a realizzare l'essere vitale, sta
tutta nell'ordine interiore raggiunto. ^k^..^.)."'
Ora l'insieme dei fenomeni che sono accennati nella « Guida
alle osservazioni psicologiche», rappresenta appunto !'« ordinarsi»
interiore del bambino.
92 PARTE PRIMA
Guida alle osservazioni psicologiche. - Lavoro. — Notare
quando un bambino comincia a restare costantemente a un lavoro.
Quale lavoro e quanto tempo vi persiste (lentezza nel portarlo a
termine o ripetizione dello stesso esercizio). -;,
Particolarità individuali nell 'applicarsi ai singoli lavori.
A quali lavori successivamente si applica nello stesso giorno e
con quale costanza.
Se ha periodi di laboriosità spontanea e per quanti giorni.
Come manifesta il bisogno di progredire.
Quali la\ori sceglie nella loro progressione, rimanendovi con per-
sistenza.
Persistenza malgrado stimoli che nell'ambiente tenderebbero a
distrarre la sua attenzione.
Se avviene che dopo una distrazione forzata riprenda un lavoro
che gli fu fatto interrompere.
Condotta. — Notare lo stato di ordine e di disordine negli atti
del bambino.
Suoi atti disordinati.
Notare se ci sono cambiamenti della condotta durante lo svolgersi
dei fenomeni del lavoro.
Notare se nello stabilirsi dell'ordine degli atti ci sono:
crisi di gioia,
stati di serenità,
manifestazioni di affettività.
Parte che i bambini prendono allo sviluppo dei compagni.
Obbedienza. — Notare se il bambino corrisponde agl'inviti
quando è chiamato. ''
Notare se e quando il bambino comincia a prender parte ai
lavori altrui con intelligente sforzo.
Notare lo stabilirsi dell'obbedienza alle chiamate.
Notare lo stabilirsi dell'obbedienza ai comandi.
Notare quando il bambino manifesta l'obbedienza con desiderio
e gioia.
Notare i rapporti del vari fenomeni dell'obbedienza nei suoi gradi:
a) con lo sviluppo del lavoro;
b) coi cambiamenti della condotta.
IV.
La preparazione della maestra
La possibilità di osserv^are come fenomeni naturali e' come rea-
zioni sperimentali lo svolgersi della vita psichica del bambino, tra-
sforma la scuola stessa in azione, in una specie di gabinetto scientifico
per lo studio psicogenetico dell'uomo. Essa — forse in un prossimo
avvenire — sarà per eccellenza il campo sperimentale degli psicologi.
Preparare una simile scuola in modo perfetto, è perciò non soltanto
preparare « un miglior modo di educare i bambini », ma anche pre-
parare i materiali per una scienza rinnovata. Tutti sappiamo oggi
che per i naturalisti occorre, nei gabinetti scientifici, un'organizza-
zione tendente a preparare i materiali d'osservazione. Per osservare
una semplice cellula in movimento, bisogna avere dei vetrini inca-
vati per la goccia pendente; bisogna avere pronte delle « soluzioni
fresche » ove le cellule viventi, immerse, possano continuare a vivere;
bisogna aver pronti terreni di cultura, ecc. Per tutto ciò esistono
impieghi speciali, queUi dei cosidetti « preparatori », i quali non sono
gli assistenti o gli aiuti del professore, ma degli impiegati che un
tempo furono servi superiori, poi divennero operai elevati; oggi
infine sono quasi sempre essi stessi dei dottori laureati. Infatti il loro
compito è delicatissimo: essi debbono avere delle nozioni biologiche,
delle nozioni fisiche e chimiche, e tanto più sono «preparati» da una
cultura analoga a quella degli stessi ricercatori, tanto più si fa rapido
e sicuro il cammino della scienza.
È strano pensare che, tra i tanti gabinetti naturalistici, solo
quello di « psicologia sperimentale » abbia creduto di poter '.( fare a
q4 IWKTE PRIMA
inolio " d'una organizzazione per preparare i soggetti di osservaziono.
Se oggi si dicesse a uno psicologo di istituire l'impiego del «prepara-
tore », egli intenderebbe un preparatore degli « istrunienti », e si porrebbe
così press'a poco sul tipo dei gabinetti di y?s/r:/.
Ma il fatto di preparare l'essere vi\-ente che produce il fenom(>no
non penetrerebbe: e pure se solo per osservare una cellula, un microbo
\ivente, il naturalista ha bisogno del '(preparatore )., quanto più grande
dovrebbe essere tale necessità quando si tratti di osservare l'uomo!
Gli psicologi credono di preparare i « soggetti » preparando con
una parola l'attesa, la loro attenzione e spiegando loro come devono
procedere per corrispondere all'esperimento: una persona qualunque,
anche sconosciuta, che capiti per caso nel gabinetto, è buona a tale
scopo. Infine, lo psicologo oggi procede un po' come il bambino che
acchiappa a volo una farfalla, l'osserva un attimo e la lascia poi volar
via: non come il biologo che pro\vede a organizzare le sue prepara-
zioni in un gabinetto scientifico.
Invece dal quadro psicologico di sviluppo, sia pure incompleto,
che ci si è presentato nel nostro esperimento, si dimostra la delicatezza
che occorre nel presentare al bambim; i mezzi di sviluppo, e sopratutto
nel rispettare la sua libertà, condizioni necessarie perchè i fenomeni
psichici si rivelino e possano costituire un \ero « materiale di osser-
vazione »: e ciò comporta un ambiente speciale e una preparazione
di personale pratico, che formano un insieme infinitamente superiore
in complessità e in organizzazione ai gabinetti naturalistici com.uni.
Tale gabinetto non può essere altro che la più perfetta scuola tenuta
con metodi scientifici; ove la maestra sarebbe una persona parallela
a quella del « preparatore laureato >. ^ ., ' •
Certamente non tutte le scuole inrebbero tale significato^ altissimo
di scienza. Ma è indubbio che le scuole e le maestre dovranno orien-
tarsi tutte sulla via delle scienze sperimentali. La salvezza psichica
dei bambini si basa sui mezzi e sulla libertà di vivere: e ciò deve di-
ventare un altro dei « diritti alla vita » riconosciuto alle nuove gene-
razioni e che dovrà sostituire come « concetto filosofico e sociale »
l'odierna e obbligatorietà dell'istruzione », che pesa insieme sull'economia
dello Stato e sulle forze della posterità. Se i fenomeni psichici dei bam-
bini non serviranno nelle comuni scuole a impinguare la psicologia.
b
IV. - LA PREPARAZIONE DELLA MAESTRA 95
essi saranno fine a se stessi, come è fine a se stessa la bellezza della
natiira. ^^
Non certo a servizio di una scienza dovrà nascere la nuova scuola,
ma a servizio dell'umanità vivente: e le maestre potranno godere
nella contemplazione di vite svolgentisi sotto ai loro occhi, senza
farne parte alla scienza, chiuse in un santo egoismo, che eleverà il
loro spirito, come fa ogni contatto intimo con le anime.
È indubbio che la preparazione della maestra deve essere fatta
ex novo con questo metodo di educazione, e che la personalità dell'edu-
catrice e la sua importanza sociale dovranno uscirne trasformate.
Già nelle prime prove disorganizzate che ebbero luogo fino ad
oggi, si è venuto delineando un imovo tipo di maestra: invece della
parola, essa deve imparare il silenzio; invece d'insegnare, deve osser-
vare; invece della dignità orgogliosa di chi voleva apparire infallibile,
ella assume una veste di umiltà.
Non altrimenti avvenne la trasformazione del professore univer-
sitario, quando le scienze positive fecero il loro ingresso nel mondo.
Che differenza tra i dignitosi professori antichi, ricoperti della tojtja
spesso guarnita d'ermellino, seduti su cattedre alte come troni, i quali
parlavano con un verbo sì autorevole, che la scolaresca doveva non
solo credere, ma giurare in verba magistri. E i professori di oggi,
che lasciano il posto in alto agli studenti affinchè possano vedere,
e riserbano solo a sé stessi il basso, sul nudo pavimento: e mentre gli
studenti stanno seduti, solo il professore è in piedi, spesso coperto
d'un camiciotto di tela grigia come un operaio.
Gli studenti sanno ch'essi raggiungeranno il più alto progresso,
quando saranno in grado di poter « verificare » se ciò che il professore
spiega è vero, o, ancor più, di poter continuare a far progredire la
scienza mettendo anche il proprio nome tra quelli citati come suoi
contributori o come scopritori di nuove verità.
In queste scuole, invece della dignità e della gerarchia, impera
perciò l'interesse di vedere il fenomeno chimico o fisico o naturale
che si deve produrre; e innanzi a questo tutto il resto sparisce. Anche
Cfb FAKTt. l'KIMA
la disposizione dell'aula è sottoposta allo stesso motivo: se il fenomeno
richiede luce, essa ha delle intiere pareti di cristallo; se richiede il
buio è costruita in modo che sia possibile ridurla in camera nera. Che
si produca il fatto: ciò è importante; sia poi un cattivò odore o un pro-
fumo; una scintilla elettrica o i colori dei tubi di Geissle; una risonanza
coi risuonatori di Helmholtz.o la disposizione geometrica del pulviscolo
su una lastra metallica in vibrazione: la forma di una foglia oil muscolo
di una rana in contrazione; la ricerca del punto cieco dell'occhio o il
ritmo della pulsazione del cuore: tutto è indifferente e tutto è incluso:
l'ansiosa ricerca appassionante è la ricerca della verità. Questo è
che la nuova gioventù pretende dalla scienza. Non cerca l'arte oratoria
del professore, il bel gesto, la barzelletta che alleggerisca il peso del
discorso, la chiusa rianimatrice della elaborata conclone, e tutti quegli
espedienti che un'arte speciale svolgeva un tempo, per allacciare la
sua attenzione. Piìi che attenzione è passione oramai che anima i
giovani, i quali uscendo dalle aule universitarie spesso non rammen-
tano ne la voce ne l'aspetto del loro professore.
Non per questo si vien meno al rispetto e a.ìl'amore verso il maestro.
Soltanto la venerazione che uno studente sente oggi dentro al suo cuore
per quel grande scienziato e benefattore dell'umanità, che gli sta là
dinanzi in blouse di tela e in umile aspetto, è diversa dal timore un
po' misto di ridicolo, che incutevano un tempo la toga e la parrucca.
Su questa via deve procedere oggi la trasformazione della scuola e
della maestra.
Quando in iscuola un fatto fondamentale è centro di tutto, e
questo fatto è un fenomeno naturale, la scuola è avviata sulle ormo
della scienza. Allora la maestra deve assumere quelle « attitudini >.
che sono necessarie innanzi alla scienza.
Nei suoi cultori ci sono dei « caratteri « indipendenti dal conte-
nuto del pensiero: infatti i fisici, i chimici come gli astronomi, i bo-
tanici come gli zoologi, pur avendo un contenuto di conoscenza del
tutto diverso, sono però tutti cultori di scienze positive; ed hanno
caratteri -comuni che li differenziano dagli antichi metafisici. Questi
non sono collegati col contenuto, ma col metodo delle scienze. Se dunque
la pedagogia deve entrare tra le scienze, il metodo deve caratteriz-
zarla; e col metodo non col contenuto deve prepararsi la maestra.
IV. - LA PREPARAZIONE DELLA MAESTRA 97
Infine essa più che da una cultura, deve essere distinta da qualità.
La qualità fondamentale è quella di sapere « osservare », qualità
tanto importante, che le scienze positive si chiamarono anche « scienze
di osservazione », denominazione che si è cambiata in « scienze speri-
mentali » per quelle in cui all'osservazione può unirsi l'esperimento.
Per osservare, evidentemente, non basta avere i sensi e non basta
avere una conoscenza: è un'attitudine che bisogna sviluppare con Y eser-
cizio. Quando si vogliono far osservare ai profani i particolari di una
stella a traverso il telescopio o i particolari di una cellula a traverso
il microscopio, per quanto si cerchi di spiegare a voce ciò che si « deve
\edere », il profano non vede. Quando delle persone, convinte della
grande scoperta di De Vries, vanno al suo laboratorio per vedere le
mutazioni nelle varie pianticelle della Aenothera, spesso invano il
De Vries spiega le differenze minime ma essenziali, ma denotanti
nuove specie, tra le piantine appena germinanti. Si sa che per spiegare
\ma nuova scoperta a un pubblico, occorre esporgli i fatti più grosso-
lani; esso non potrà gustare quei dettagli minimi che furono la vera
essenza della scoperta. Perchè non sa osservare.
Per osservare bisogna essere « iniziati «: e questo è il vero avvia-
mento alla scienza. Perchè se i fenomeni non si vedono è come se non
esistessero: invece l'anima dello scienziato è tutta fatta di un appassio-
nato interesse a ciò che vede. Chi si è iniziato a vedere, comincia
ad interessarsi : e tale interesse è la forza motrice che crea lo spirito
dello scienziato. Come pel piccolo bambino l'interiore ordinarsi è il
punto di cristallizzazione intorno al quale tutta la forma psichica verrà
a comporsi, così per la maestra l'interesse al fenomeno osservato, sarà
il centro sul quale si formerà da sé tutta la sua personalità nuova.
La qualità di osservazione, include in sé altre qualità minori,
come la pazienza. Rispetto allo scienziato, il profano non soltanto
sembra un cieco che non vede né a occhio nudo, né con l'aiuto di lenti:
ma apparisce come una persona « impaziente ».
Se l'astronomo non ha già messo a fuoco il telescopio, il profano
non potrebbe aspettare che lo facesse; mentre lo scienziato lavore-
rebbe a tale scopo senza neanche più accorgersi che sta compiendo
un lavoro lungo e paziente, il profano fremerebbe mille volte, pensando
agitato: « che cosa sto a fare io qui? non posso perdere tempo ». I mi-
I
qS l'AKTE l'KIMA
oroscopisti, quando aspettano un pubblico profano, allestiscono una
lunga fila di microscopi già messi a fuoco, perchè sanno che i \isitatori
\orranno vedere « subito » e « in fretta », e vorranno vedere « molto ".
Si può benissimo immaginare uno scienziato che dà alti contributi
di lavoro di gabinetto, che ha cattedre, dignità civili, incarichi di ogni
sorta, il quale compiacentemente si presti a far vedere a una signora
un tessuto cellulare al microscopio. Egli, come la cosa più naturale
del mondo, farebbe con grave e serena lentezza tutte queste cose: ta-
gliare una sezione finissima da un pezzo incluso in paraffina; pulire
accuratamente il vetrino portaoggetto e il vetrino coprioggetto; ri-
pulire bene le lenti del microscopio, mettere a fuoco il preparato e
accingersi a spiegare. Ma certo la signora in tutto questo tempo mille
\'olte è stata sul punto di dire: «scusi, professore, ma, veramente...
ho un impegno... ho molto da fare...». Quando poi ha guardato senza
vedere, il suo rimpianto si fa acerbo: ;■ quanto tempo ho perduto! «
eppure, essa, non ha niente da fare e getta via tutto il suo tempo. Ciò
che manca non è il tempo, è la pazienza. Chi. è impaziente non sa dare
il s-alore alle cose: non apprezza altro che i propri impulsi e le proprie
soddisfazioni. Il « tempo » è contato solo sul proprio sforzo. Ciò che sod-
disfa può essere del tutto vuoto, deprezzato, di valore negativo, ma
non importa, il valore consiste nella soddisfazione che dà: e se dà sod-
disfazione non fa perdere tempo. Ma una tensione di nervi, un istante
di predominio sopra di sé, il mettersi in una aspettazione senza risul-
tato immediato, ecco ciò che non si può tollerare e che dà l'impressione
di « perdere tempo ». Lo dice anche un proverbio popolare: « aspettare
e non venire è una cosa da morire ». Queste persone impazienti agi-
scono come persone sempre affaccendate, che fuggono quando c'è
da fare qualche cosa.
E proprio una vera educazione che occorre per vincere questo stato;
bisogna padroneggiare e superare se stessi, per mettersi in rapporto
col mondo esterno e apprezzarne i valori. Senza questa preparazione,
non si possono mettere in valore le minime cose donde la scienza trae
le sue conclusioni.
Sapersi trattenere con tutta l'esattezza intorno a un lavoro che
ha uno scopo apparentemente minimo, è proprio un caposaldo per
chi vuole avanzare nella scienza. Guardiamo che cosa fa un fisico
I
IV. - LA PREPARAZIONE DELLA MAESTRA gg
per mettere a livello uno strumento: con quanta pazienza gira ora una
vite ora un'altra, tenta e ritenta, lungamente: per che cosa? per pro-
curare a una superficie la direzione rigorosamente orizzontale. Sta-
bilito il metro di confronto in metallo duro, con quale cura bisogna
conservarlo affinchè le oscillazioni di temperatura non ne alterino
la lunghezza sia pure in grado infinitesimo: esso sarà il termine di con-
fronto per le misure. E pure, in sé, che cosa minima! conservare un
metro... Quando il grande chimico vuol cercare se tracce di una so-
stanza possano dare reazioni, sembra un ragazzino che giochi con le
boccette: prende un matraccio, lo empie delle sostanze che vuole stu-
diare e poi lo vuota: quindi lo riempie d'acqua e cerca la reazione:
la reazione avviene; allora vuota ancora il m.atraccio, lo riempie nuo-
vamente di acqua, e riprova se c'è ancora reazione. Così stabilisce in che
rapporto di diluizione quella sostanza dà tracce di sé. È il minimo, in
questo caso, che ha importanza; è per trovare questo minimo imper-
cettibile, trascurabile, che il grand'uomo ha agito come un bambino.
Qiiest 'attitudine di umiltà fa parte della pazienza. In tutte le
cosl lo scienziato è umile: dal fatto piìi 'esterno di essere disceso dalla
cattedra-trono per mettersi a lavorare in piedi intorno a un tavolino;
dall'essersi levata la toga per indossare la Mouse di operaio; dall'es-
sersi spogliato della dignità di chi detta un vero autoritario e inoppu-
gnabile, per assumere lo stato di chi cerca il vero insieme agli allievi e
invita 9 verificarlo, affinchè non imparino ima dottrina, ma siano spinti
dal vero a una attività; — fino ai lavori che egli compie nei laboratori.
Egli non ritiene nessuna cosa indegna di assorbire completamente le
sue forze, di richiamare tutta la sua attenzione, di occupare intiera-
mente il suo tempo. Anche ripieno di onori sociali, egli rimane nella
stessa attitudine, che è per lui l'unico vero onore, la fonte reale della
sua grandezza. Un microbo, uno sputo; qualunque cosa, può occupare
lo scienziato, sia pure egli senatore o ministro di Stato. L'esempio di
Cincinnato è nulla vicino allo scienziato moderno. Anche perchè questi
lavoratori, incommensurabilmente più di Cincinnato, portano gloria
e salvezza ali 'umanità.
Ma la forma di umiltà più grande, negli scienziati, è la prontezza
che hanno nel rinunciare a se stessi non solo in tutte le cose esterne.
ma proprio in quelle intime: come sarebbero le ideaHtà carezzate,
lOO PAKTK PRIMA
i convincimenti germogliati nella loro coscienza. Innanzi al vero, lo
scienziato non ha preconcetti, ed è pronto a rinnegare tutto quanto
aveva potuto formare di di\'erFO in se stesso. Così è che, a passo a
passo, egli si purifica dall'errore e mantiene la siia mente sempre
fresca, sempre pura, nuda come la verità con cui vuole fondersi in un
sublime connubio.
Non è forse per queste ragioni, che oggi un pediatra ha una di-
gnità sociale e un'autorità infinitamente maggiori di un maestro di
scuola? eppure il pediatra non fa altro che cercare il vero tra le escre-
zioni del corpo malato del bambino: ma il maestro, copre di errori la
sua anima.
Che sarebbe però se il maestro cercasse il vero nell'anima del
fanciullo? quale incomparabile dignità! Ma per innalzarsi a tanto,
bisogna ch'egli s'inizii alle vie dell'umiltà, della rinuncia di sé, della
pazienza; che distrugga la superbia, erigentesi sul vuoto delle vanità.
Dopo, anch'egli potrà rivestire in ispirito lo scienziato, e potrà dire
ai popoli: che avete visto nelle altre vere scienze? avete forse visto
delle canne al vento? delle persone vestite delicatamente? no, avete
visto dei profeti: ma io sono più che profeta, io sono colui che grida
nel deserto: raddrizzate le vie del Signore.
Più degli altri scienziati. Poiché questi restano sempre estranei
all'oggetto del loro studio: l'energia elettrica, l'energia chimica, la
vita dei microbi, gli astri, sono cose diverse e lontane dallo scienziato.
Ma l'oggetto del maestro è l'uomo stesso: egli trae qualcosa più che
l'interesse al fenomeno, dalle manifestazioni psichiche dei bambini:
egli trae la rivelazione di se stesso, e il suo sentimento vibra a con-
tatto di altre anime come la sua. Tutta la vita, non parte della vita,
può essere presa in lui. Allora quelle virtù come Vumiltà e la pazienza,
che sorgono nello scienziato limitatamente a quegli scopi esterni che
si prefigge, possono qui coinvolgere tutta l'aninia. Allora non si tratta
più di « pazienza dello scienziato » o di « umiltà dello scienziato i), ma
di virtù dell'uomo nella loro pienezza.
IV. - LA PREPARAZIONE DELLA MAESTRA lOI
Quell'espansione spirituale dell'uomo di scienza ristretta quasi
in un tubo come i raggi di luce a traverso i cilindri del telescopio,
può essere qui sparsa sull'orizzonte come lo sfolgorìo del sole. I.e così
dette virtù sono le vie necessarie, i modi di essere per raggiungere la
verità; ma secondo che questa verità cade su una forza fìsica, sopra un
protozoo o sull'anima dell'uomo ben diverso deve essere il godimento
dello scienziato. Quel nome unico, non sembra adatto alle due forme.
Subito si comprende che lo scienziato in confronto al Maestro deve
essere qualche cosa di limitato e di arido. La nobiltà del suo spirito
è alta come l'uomo, ma con le dimensioni di una forza bruta, o di una
vita inferiore.
La vita spirituale dell'uomo si può fondere con le virtù dello
scienziato, solo quando l'oggetto di studio e lo studioso possono venire
fusi insieme. Allora la scienza può diventare scaturigine di sapienza,
e può accomunarsi insieme la vera scienza positiva con la vera scienza
dei santi. Esiste un reale meccanismo di corrispondenza tra le virtù
dello scienziato e le virtù dei santi: è con l'umiltà e la pazienza che lo
scienziato si mette a contatto della natura materiale; ed è con l'umiltà
e la pazienza che il santo si mette a contatto con la natura spirituale
delle cose e perciò principalmente con l'uomo. Lo scienziato è virtuoso
solo nei limiti dei suoi contatti materiali: il santo è tutto composto
con quelle virtù, e i suoi sacrifici come i suoi godimenti, sono ugual-
mente illimitati. Le scienziato è un veggente nei limiti del suo campo
di osservazione; il santo è un veggente spirituale, ma vede anche le
cose materiali e le sue leggi, più chiaramente degli altri uomini, e le
riveste di spirito.
Lo scienziato moderno, sa che è mirabile ogni essere vivente e che
i più semplici e primitivi rivelano più facilmente le leggi naturali, le quali
poi aiutano a interpetrare gli esseri più complicati. Ma anche S. Fran-
cesco lo sa: « T'accosta, o sorella — egli dice alla cicala che canta
sul fico vicino alla finestretta della sua cella — nelle più piccole creature
rivelasi meglio la potenza e la bontà del Creatore ».
Ogni più piccola cosa è degna di osservazione minuziosa per lo
scienziato; egh conta gli articoli che compongono le zampe di un insetto
e conosce le venature delle sue ali più fragili: trova particolari interes-
santi la dove l'occhio comune nemmeno si sofferma. Anche S. Francesco
U)2 l'AKTE PRIMA
osserva le stesse cose, ma rice\-e un sentimento di gioia spirituale (^ ne fa
un inno: « Chi, chi mi diede questi leggeri pieducci forniti di salde ossidile
pieghevoli, per saltellare spedita di ramo in ramo, di frasca in frasca?
Quegli mi diede ancora gli occhi, glohetti cristallini che volgonsi e guar-
dano innanzi e indietro, per ispiare tutti i miei nemici, il predace nibbio,
il nero corvo, la ghiotta papera. E mi diede l'ale, molle tessuto d'oro
verde azzurro, che riflette il colore del cielo e degli alberi miei ».
La vege^enza della maestra dovrebbe essere insieme esatta come
quella dello scienziato e spirituale come quella del santo. La prepara-
zione alla scienza e la preparazione alla santità, dovrebbero insieme
plasmare un'anima nuova, perchè l'attitudine della maestra deve es-
sere insieme positiva, scientifica e spirituale.
Positiva e scientifica, perchè c'è un compito esatto da compiere;
e con rigore di osservazione, bisogna mettersi in rapporto immediato
con la verità; bisogna sfrondare tutte le illusioni, tutte le creazioni
vane della fantasia: distinguere senza errore il vero dal falso. Appunto
come fa lo scienziato che apprezza ogni minima particella di materia,
ogni iniziale ed embrionaria forma di vita, ma elimina tutti gli errori
ottici, tutte le confusioni che impurità e sostanze estranee potrebbero
mettere ne la ricerca del vero. E per conquistare tale attitudine è
necessario il lungo esercizio, e la vasta osservazione della vita sulla guida
delle scienze biologiche.
Spirituale, perchè è sull'uomo che tali sue attitudini devono eser-
citarsi, e perchè le caratteristiche della creatura che deve essere il
suo particolare oggetto di osservazione, sono spirituali.
Io inizierei perciò le maestre alla osservazione delle forme più
semplici degli esseri viventi, con tutti quei sussidi che la scienza in-
segna; ne farei delle microscopiste; le inizierei alla coltivazione e alla
osservazione delle piante nella loro fisiologia; le farei osservatrici
d'insetti, le farei penetrare nello studio delle leggi generali biologiche.
Ma non con la sola teoria, bensì praticando da sé, nei gabinetti e in
seno alla libera natura.
Né da questa osservazione complessa dovrebbe essere escluso il
« bambino fisico ». Anzi la preparazione piìi diretta e immediata a
un compito superiore, dovrebbe essere la conoscenza dei bisogni fisici
del bambino dalla nascita all'età in cui la vita psichica, iniziando
IV. - LA PREPARAZIONE DELLA MAESTRA IO3
la sua organizzazione, è suscettibile di trattamento. Io non intendo
con ciò solo un insegnamento teorico di anatomia, fisiologica e
igiene; ma una « pratica » presso i piccoli bambini, tendente a se-
guire direttamente la loro crescenza e a provvedere a tutti i loro
bisogni fisici. La maestra dovrebbe cioè prepararsi seguendo i me-
todi delle scienze biologiche, entrando con semplicità e obbiettività
nel campo stesso in cui s'iniziarono gli studenti di scienze naturali
e di medicina, quando fecero le prime prove nei gabinetti sperimentali,
prima di addentrarsi nei più profondi problemi della vita relativi alle
loro specialità. Anche quei giovani destinati nelle nostre Università a
penetrare vaste e complesse scienze, dovettero provare in principio il
pacifico e riposante lavoro di preparare un infusorio o la sezione dello
stelo di una rosa, sentendo nascere, nell'osservare al microscopio,
quella commozione fatta di meraviglia, che sveglia la coscienza e l'at-
trae verso i misteri della vita con appassionato entusiasmo. È così
che tutti noi, abituati fino allora a leggere nelle scuole solo i pesanti
e aridi libri stampati, sentimmo aprirsi innanzi al nostro spirito il libro
della natura, infinito nel suo contenuto di creazione e di miracolo, e
rispondente alle nostre latenti e incomprese aspirazioni.
Questo deve essere anche il libro della nuova maestra, l'abbece-
dario della scuola che dovrà plasmarla alla missione di dirigere la
vita infantile. Da tale preparazione dovrebbe nascere nella sua co-
scienza un concetto della vita, capace di « trasformarla », di far scaturire
in lei una particolare « attività », un'« attitudine » che la renda abile
per la sua missione. Essa dovrebbe diventare « una forza » prox'viden-
ziale, una « forza » materna.
Ma tutto ciò non è che una parte della « preparazione ». La maestra
non deve rimanere così alla sogha della vita come fanno gh scienziati
che sono destinati a osservare le piante e gli animali e che per questo
sono soddisfatti di ciò che la morfologia e la fisiologia possono offrire.
Il suo compito non è neanche di rimanere, come i pediatri, innanzi
« al corpo alterato nelle sue funzioni », i quali si soddisfano della pato-
logia. Essa deve riconoscere che i metodi di quelle scienze sono limi-
tati. Allorquando pronuncerà il suo « introibo ad altare Dei », e muoverà
il passo su quei gradini che, nel tempio della vita, innalzano verso il
tabernacolo spirituale, dovrà elevare i suoi occhi verso l'alto, e sentire
104 PARTE PRIMA
che, tra il greegt^ adorante del vasto tempio della seienza, ella è un sa-
cerdote.
Più vasto e grandioso, deve essere il suo campo: essa va ad osser-
\are « la vita interiore dell'uomo ». Quell'arido indirizzo il quale si
limita alle meraviglie della materia vivente non basta più: tutti i
frutti spirituali della storia dell'umanità e della religione saranno
i frutti necessari a nutrirla. Le manifestazioni alte dell'arte, dell'amore,
della santità, sono le manifestazioni caratteristiche di quella vita,
ch'essa non solo va ad osservare, ma a ser\ire e che è la « propria
vita «; non qualcosa di estraneo e perciò di freddo, di arido; ma è la
vita intima ch'essa ha in comune con tutti di uomini, e che è la vera
e sola vita reale dell'uomo.
II gabinetto scientifico, il campo naturale ove la maestra s'ini-
zierà a «osservare i fenomeni della vita interiore», devo essere la scuola
ove si svolgono i bambini liberi con l'aiuto del materiale di sviluppo.
Sarà allorquando essa si sentirà infiammata d'interesse « vedendo »
i fenomeni spirituali dei bambini, e proverà una gioia serena e un de-
siderio insaziabile nell 'osservarli, che dovrà .sentirsi « iniziata ».
Fissa allora comincerà a diventare « maestra ».
V.
L'ambiente
Oltre la maestra, anche l'ambiente scuola deve essere trasformato.
L'introduzione del « materiale di sviluppo » in una scuola comune,
non può costituire « tutto » il rinnovamento esterno. I.a scuola deve
diventare il luogo dove il bambino può vivere nella sua libertà; e
la sua libertà non può essere soltanto quella intima, spirituale, della
crescenza interiore. L'intiero organismo del bambino, dalla sua parte
fisiologica vegetativa alla sua attività motrice, deve trovarvi le «mi-
gliori condizioni di sviluppo ». Ciò include tutto quanto già l'igiene
fisica ha trovato per aiutare la vita infantile. Nessun luogo sarebbe
più adatto che queste scuole, per determinare e popolarizzare la riforma
del vestiario dei bambini, il quale dovrebbe corrispondere a varie ne-
cessità, come quelle della pulizia, della semplicità adatta a render
facili tutti i movimenti, e della confezione opportuna a permettere
ai bambini di vestirsi da sé. Né miglior luogo di questo per attuare
e popolarizzare l'igiene infantile relativa all'alimentazione. Convincere
il pubblico dell'economia che può realizzarsi con tali pratiche; dimo-
strargli come l'eleganza, la proprietà in sé stesse non costino nulla,
e che anzi esse richiedono la semplicità, la misura, e perciò escludono
tutto il superfluo che é tanto costoso, sarebbe un'opera di rigenera-
zione sociale.
Questo si dica specialmente se le « Case dei Bambini « si trovano,
come fu nel periodo iniziale, dentro il casamento stesso ove abitano
i genitori.
I locali di una siimla libera devono avere delle esigenze speciali:
l'igiene psichica viene ^d influire su essi come già fe^e l'igiene fisica.
Infatti è dietro i (Iettami dell'igiene fisica che oggi le scuole si fab-
bricano con aule molto più vaste, perchè gli ambienti si misurano
su la « cubatura » in rapporto ai bisogni fisiologici della respirazione: e
per gli stessi dettami che furono moltiplicati i gabinetti e anche impian-
taci dei bagni; per questo le scuole hanno pavimenti e alti zoccoli delle
pareti, lavabili; anche è per l'igiene che si e già introdotto nelle scuole
il riscaldamento e spesso anche la refezione, mentre il giardino o le
>nste terrazze già si ritengono una necessità per garantire il benessere
fisico del bambino. Le larghe finestre già aprono vaste vie alla luce,
e furono ovunque impiantate palestre ginnastiche con locali vastissimi
e con istrumenti varii, complessi e costosi. Infine poi, i banchi jtiù com-
plicati, taholta vere macchine di ferro e di legno, con poggia piedi,
sediH, e scrittoi meccanicamente roteanti sopra se stessi, al fine di
risparmiare insieme i movimenti del bambino e le deformazioni dovute
all'imnvìbilità, sono il portato economicamente disastroso di un
falso principio d'« igiene scolastica». Nelle scuole moderne quell'uni-
formità bianca, la lavabilità di ogni oggetto, denota il trionfo di
un'epoca in cui la lotta contro il microbo sembrò l'unica chiave della
vita umana.
L'igiene psichica si presenta oggi alla soglia della scuola, coi
suoi nuovi dettami, che non sono certo, economicamente più gravi di
quelli già fatti adottare dal primo passo trionfante dell'igiene fisica.
Essa pure richiede che le aule scolastiche siano ingrandite, ma non
in rapporto alla respirazione, perchè il riscaldamento che permette
di tenere le finestre aperte, distrugge il calcolo sulle cubature; ma chiede
che siano ingrandite in rapporto alla libertà che deve essere lasciata
al bambino di « muoversi ». Siccome però, non è nell'aula che il fanciullo
deve fare le sue passeggiate, questo ingrandimento può essere sufficiente
quando lascia la possibilità di aggirarsi tra il mobilio. Tuttavia, se si
vuole raggiungere « un ideale », può dirsi che l'aula « psichica » dovrebbe
essere grande il doppio dell'aula « fisica ». Tutti noi sentiamo che se una
sala ha una buona metà del suo pavimento sgombro, essa dà un senso
di sollievo: sembra che ci prometta la confortante possibilità di mìioi erci.
Questa sensazione di benessere è qualcosa di più intimo dell'altro
i
V. - L AMBIENTE I07
benessere il quale, in una stanza mediocre e ingombra, sembra promet-
terci che « \'i potremo respirare ».
La scarsità del mobilio è certo una complessa garanzia d'igiene:
qui l'igiene fisica come quella psichica sono d'accordo. Nelle nostre
scuole raccomandiamo del mobilio (^leggero «; esso è perciò « semplice
ed economico » al massimo grado. Se è lavabile, è molto bene, special-
mente perchè i bambini « impareranno a lavarlo » e con ciò faranno
un esercizio piacevolissimo e molto educativo. Ma quello che sopra-
tutto importa è che sia possibilmente « bello, artistico ». La bellezza
non è fatta in questo caso col «superfluo», «col lusso », ma con la grazia
e l'armonia delle hnee e dei colori, uniti a quella massima semplicità
che è richiesta dalla « leggerezza » del mobile. Come il vestito moderno
dei bambini è « elegante » rispetto all'antico, ed è insieme economico
e semplicissimo al suo confronto, così questo mobilio.
Noi avevamo iniziato, in una « Casa dei Bambini » rurale sorta a
Palidano, in memoria del marchese Carlo Guerrieri Gonzaga, lo studio
di un arredamento « artistico ». È noto che ogni cantuccio d'Italia
nasconde un tesoro di arte locale, e non c'è provincia ove nei tempi
antichi non esistessero oggetti comodi e graziosi, dettati insieme dalla
praticità e da un istinto artistico. Quasi tutti questi tesori vanno oggi
dispersi, e perfino la memoria ne è soffocata, sotto la tirannia della
uniforme e goffa moda « igienica » dei giorni nostri. Fu dunque un
progetto molto geniale quello di Maria Maraini, di fare delle ri-
cerche minuziose sull'antica arte rustica locale, e di vivificarla ripro-
ducendo nel mobilio della «Casa dei Bambini » le forme e i colori dei
tavoli, delle sedie, delle credenze, delle stoviglie, i disegni delle stoffe,
e i motivi decorativi caratteristici che si riscontravano nelle antiche
case rustiche. Questa reviviscenza di arte campagnola verrebbe a
riportare in uso oggetti usati dai poveri in epoche più povere della
nostra, e offre intanto una rivelazione di « economia >:. Se, invece dei
a banchi, si fabbricassero di questi semplici e graziosi oggetti, anche
^^- questi mobili della scuola verrebbero a rivelarci come il bello può
^Hl trarsi dal brutto, levandovi la materia superflua; perchè il bello non
^^Hè fatto di materia, ma di ispirazione. Non è dunque dalla ricchezza
^^R materiale, ma dallo spirito afifinato, che noi dobbiamo attendere queste
^^R pratiche riforme.
I08 PARTE PRIMA
Se un giorno simili studi si facessero sull'arte rustica di tutte le pro-
\incie d'Italia, ciascuna delle quali ha le sue proprie tradizioni artistiche,
potrebbero sorgere dei « tipi di, arredamento » valevoli per se stessi ad
1 lexare il gusto e ad affinare i costumi. Essi porterebbero alla luce del
mondo una « moda educatrice », perchè il sentimento d'arte secolare
d'im popolo antichissimo nella sua civiltà, diverrebbe ispirazione di vita
numa ai moderni, i quali sembrano soffocati dall'ossessione dell'igiene
fìsica, e cioè spinti solo da una disperata lotta contro le malattie.
Sarebbe l'umanesimo dell'arte, sorgente di mezzo alle brut-
tezze, all'oscurantismo di chi si era abituato a pensare solo alla
morte. Infatti sembrano oggi ospedali le «case igieniche» coi loro
molìili bianchi e lavabili e le nude pareti; e sembrano poi addirittura
tombe, le scuole coi banchi allineati come catafalchi tutti neri, sol perchè
essi devono essere del colore dell'inchiostro e nascondere le '( macchie >»
che si credono « una necessità », come si credono ancora necessari
certi peccati e certi delitti nel mondo: e nessuno pensa invece di evitarli!
Le aule scolastiche hanno i banchi tutti neri, e le pareti grigie e nude,
più disadorne di quelle di una stanza mortuaria: esse sono così perchè
l;i spirito del bambino resti (ieriutrito, affamato, fino al punto di « ac-
cettare » l'indigesto nutrimento intellettuale che la maestra impartisce.
Cioè deve essere tolto all'ambiente ogni causa di distrazione; così
il maestro con la sua arte oratoria e con l'aiuto dei suoi laboriosi espe-
dienti, può giungere ad attirare a sé l'attenzione riottosa de' suoi al-
lievi. Invece la scuola spirituale non pone limiti alla bellezza del suo
ambiente, altro che i limiti economici. Nessun ornamento potrebbe
« distrarre » il fanciullo concentrato in un lavoro; al contrario la bel-
lezza ispira insieme il raccoglimento, e porge riposo allo spirito affa-
ticato. Infatti le chiese, che sono per eccellenza i luoghi del « racco-
glimento » e del riposo della vita interiore, hanno chiesto alle più alte
ispirazioni del genio, di adunarvi lutte le bellezze.
Sembrerà certo strano il linguaggio, ma se noi vogliamo riportarci
ai principii della scienza, si potrebbe dire che il luogo adatto alla vita
dell'uomo è un luogo artistico: e perciò se la scuola vuol diventare
un « gabinetto di osservazione della vita umana » deve raccogliervi
il bello, come un gabinetto di batteriologia deve raccogliervi le stufe
e i terreni nutritizii.
V. - L AMBIENTE lOQ
I mobili dei bambini, tavole e sedie, devono essere « leggeri »
non solo per venir trasportati facilmente dalle braccia infantili, ma per-
chè per la loro stessa fragilità riescano educativi. È pel medesimo
criterio che si danno ai fanciulli piatti di ceramica, bicchieri di vetro,
sopramobili friabili. Infatti questi"; oggetti sono i denunciatori dei mo-
vimenti rudi, errati, «ineducati». Allora il fanciullo è portato a correg-
gersi, e perciò si esercita a non urtare, a non rovesciare, a non rompere,
raddolcendo sempre più i suoi movimenti e rendendosene a poco a
poco padrone e dirigente perfetto. Per la stessa via il bambino
si abituerà a far tutto il possibile per non macchiare gli oggetti, così
belli e così gai, che rallegrano il suo amibiente. Così è che il bambino
avanza nella propria perfezione: o, se si vuole, è così che egli viene a
coordinare perfettamente i suoi movimenti volontari. E la stessa via per
cui, gustato il silenzio e la musica, egli farà di tutto per non produrre
rumori discordanti, dai quali oramai il suo orecchio educato rifugge.
Invece quando il bambino urta cento volte violentemente un
pesantissimo banco ferrato, che le braccia di un facchino muoverebbero
a stento; quando fa mille e mille macchie d'inchiostro invisibili su
un banco nero; quando lascia cadere cento volte un piatto di ferro in
terra senza che mai s'infranga, egli resta immerso nel suo mare di
difetti senza avvedersene, mentre l'ambiente esterno è costruito
in modo da « nascondere » e perciò incoraggiare i suoi errori, con mefi-
stofelica ipocrisia.
II moto libero. — E oramai un principio igienico da tutti rico-
nosciuto, che i bambini hanno bisogno di « moto «. Anzi, quando si
parla di '(bambini liberi» s'include prevalentemente il concetto: «liberi
di muoversi », cioè di correre, di saltare. Nessuna madre, oramai, si
rifiuta di convenire col pediatra che il suo bambino deve andare nei
parchi, sui prati, e là muoversi all'aria aperta liberamente.
Quando si parla di libertà nella scuola per i bambini, vien subito
in mente tale concetto di igiene fisica. Noi c'immaginiamo il bambino
libero, che fa salti mortali al disopra dei banchi, o corre all'impazzata
sbattendosi contro un muro: sembra che la sua « libertà di muoversi »
debba portare con sé l'idea di « un grande spazio » e che perciò, con-
tenuta negli stretti limiti di una stanza, sia necessariamente una lotta
tra violenza e ostacolo, un «lisordine inronipaMbilr con la corrette//:! e
col lavoro.
Ma nei criterii dell'" igiene psichica >-, la « libertà di muoversi «
non è limitata a un concetto così primiti\ o di « libertà somatica <-
motrice ". Infatti noi potremmo dire di mi cagnolino o di un gattino
ciò che diciamo per i bambini: essi debbono essere liberi di correr.
e di saltare e potrebbero farlo, come spesso fanno, in un parco o in un
prato, con e come i bambini. Se però vogliamo mettere lo stesso con-
cetto di libertà motrice nel guidare la vita di un uccello, noi tacciamo
qualche cosa per lui; cerchiamo di mettere alla sua portata i rami di un
albero o delle asticine traverse, che offrano presa alle zampe dell'uccel-
lino, le quali non sono fatte per camminare distese sul terreno come
quelle di un rettile, ma invece sono adatte ad abbracciare circolar-
mente un'asticina. Sappiamo che un uccello, lasciato «libero di muo-
versi » sopra una distesa infinita di sola pianura, sarebbe infelice.
E come mai non pensiamo che se occorre preparare ambienti di-
versi da un rettile a un uccello affinchè siano « liberi di muoversi >\ dob-
biamo essere in errore accomunando nella stossa forma di libertà i nostri
figli coi cani e coi gatti? E pure i bambini spesso, « abbandonati a sé "
perchè si muovano, mostrano impazienza, sono facili alla pr^itesta, al
pianto: e se sono grandi, hanno bisogno d'inventare qualche cosa, onde
nascondere a sé stessi l'intollerabile noia e l'umiliazione di camminare
per camminare, di correre per correre. Il bambino grande va cercan-
dosi uno scopo a tutto ciò; il piccolo « fa dei capricci ». Non è facile
che la m.otilità dei bambini così abbandonata, riesca a nobili scopi;
all'infuori del vantaggio fisiologico di nutrizione generale, cioè della
vita vegetativa, non c'è utiHtà di sviluppo. I nioximenti si fanno « sbar-
bati », il bambino inventa capriole scomposte, cammina barcollando,
cade facilmente, fracassa gli oggetti. Evidentemente egli non è come
il gattino libero, cosi pieno di grazia, così affascinante nelle sue movenze,
e tendente a perfezionarci suoi movimenti nella corsa e nel salto leggero,
che sono posti in lui dalla natura. Nell'istinto motore del bambino si
/direbbe che non c'è grazia, non c'è spinta naturale alla perfezione.
Ovvero bisogna concludere che « quel moto » sufficiente al gatto, non
è sufficiente al bambino. E che se la natura nel bambino è diversa,
deve anche essere diversa la via della sua libertà.
I
V. - L AMBIENTE III
Se il bambino nel suo movimento non ha « uro scopo intelligente «,
manca in lui la guida; allora il movimento lo stanca. Molti uomini sen-
tono il vuoto talvolta spaventevole di doversi « muovere senza scopo ».
Una delle condanne crudeli che si sono inventate per castigare gli
schiavi, è stata quella di fare Scavare delle buche profonde nella
terra e poi farle nuovamente riempire e così di seguito, cioè di far
lavorare senza scopo.
DegH esperimenti sulla stanchezza, hanno dimostrato che la stessa
quantità di lavoro con uno scopo intelligente, stanca molto meno
dello stesso lavoro senza scopo. Tanto che oggi, in psichiatria, per rie-
dificare la personalità dei nevrastenici, si consiglia non «il moto all'aria
aperta », ma il « lavoro all'aria aperta ».
Un lavoro « ricostituente », cioè che non è il prodotto di uno
«sforzo mentale», ma è im provocatore di coordinazione dell 'orga-
nismo psicomuscolare. Questi sono i lavori non produttivi di oggetti, ma,
si potrebbe dire, lavori conservatovi d'oggetti, come sarebbero: spolve-
rare o lavare il tavolino, spazzare in terra, apparecchiare o sparec-
chiare ^un a [tavola, lustrare le scarpe, spiegare' un tappeto. Sono i
lavori chcjun servo fa per conservare gli oggetti di proprietà d^l suo
padrone; cosa ben lontana dai lavori dell'operaio che, invece, con
uno sforzo intelligente, ha prodotto quegli oggetti. Due generi di lavori
profondamente diversi. L'uno è semplice, è un'attività coordinata
che fa appena un passo più in alto dell'attività necessaria a pas-
seggiare o a saltare: perchè dà semplicemente uno scopo a tali movi-
menti semplici. Invece il lavoro « produtti\'0 » comporta un precedente
lavoro intellettuale di preparazione, e include una serie di acquisti
m.otori assai complicati e insieme un'applicazione di esercizi sensoriali.
Il primo è il lavoro adatto ai piccoli bambini che devono « muoversi
per imparare a coordinare i loro movimenti ».
E consiste nei cosiddetti esercizi di vita pratica, che corrispondono
al principio psichico di « libertà del movimento ». Basta a ciò preparare
« un ambiente adatto » come si preparerebbe un ramo d'albero in una
uccelliera e poi lasciar liberi i bambini ai loro istinti di attività e di
imitazione. Gli oggetti circostanti devono essere proporzionati alle
dimensioni ed alle forze del bambino: mobili leggeri che egli possa tra-
sportare; credenze basse alle quali il suo braccio possa giungere; ser-
112 PARTK l'RIMA
rature di facile maneggio; cassetti che scorrono; sportelli leggeri da
aprirsi e chiudersi; attaccapanni fissati nel muro a "portata di mano
ciel bambino; spazzole che la sua piccola mano possa abbracciare;
saponette che siano contenute nel cavo della sua mano; catinelle sì
piccole che egli possa avere la forza di vuotarle; scope col manico
breve, liscio e leggero; vestiti che egli possa facilmente togliersi e indos-
sare; ecco un ambiente che invita all'attività e nel quale a poco a poco
il bambino instancabilmente perfeziona i suoi movimenti e acquista
grazia ed abilità umane, così come il piccolo gattino acquistava le sue
graziose mosse e le sue abilità feline, muovendosi sulla sola guida
dell'istinto.
K questo campo aperto alla libera attività del bambino, che gli
permetterà di muover'^i e di formarsi come un uomo. Non è il moviniento
per sé stesso, ma è un poderoso coefficiente alla formazione complessa
della sua personalità, che egli trae da questi esercizi. I suoi sentimenti
sociali nei rapporti che viene a contrarre con gli altri bambini liberi
e attivi, collaboratori di una specie di ménage adatti a proteggere ed
aiutare la loro crescenza; il sentimento di dignità che viene al bambino
il quale inipara a bastare a sé stesso in un ambiente che egli conserva i
e domina; tutti questi sono i coefficienti di umanità che accompagnano
il « libero movimento ». Dalla coscienza di questo svolgimento della j
sua personalità, il bambino trae i motivi della sua persistenza in questi «
lavori, la diligenza nell'eseguirli, e la gioia superiore che dimostra ^^
quando li ha compiuti. Egli indubbiamente in tale ambiente lavora x
sé stesso e fortifica la sua vita interiore, come quando, aveildo il corpo :•
immerso nell'aria aperta e le membra in moto sui prati, lavorava alla v
crescenza del suo organismo fisico e lo fortificava.
\
VI.
Attenzione
Il fenomeno che si attende dal piccolo bambino, quando egli
ò posto nell'ambiente della sua crescenza interiore, ^^ questo: che ad
nn tratto il fanciullo fissi la sua attenzione sopra un oggetto, lo usi
secondo lo scopo per cui è stato costruito, e continui indefinitamente
a ripetere lo stesso esercizio. Chi ripeterà un esercizio venti volte,
chi quaranta volte e chi duecento; ma questo è il primo fenomeno
atteso, come inizio di quegli atti a cui è legata la crescenza interiore.
Ciò che muove il bambino a tale manifestazione di attività, è
c'videntemente un impulso interiore primitivo, quasi un vago senso
di fame interna; ed è l'impulsiva soddisfazione di questa fame, che
muove poi veramente la coscienza del bambino su quel determinato
oggetto, e lo conduce a poco a poco a un primordiale ma c(5rnplesso
e ripetuto esercizio dell'intelligenza nel comparare, giudicare, decidere
un atto, correggere un errore. Quando il piccolino, occupato con gl'in-
castri solidi, infila e sfila i dieci cilindretti nei diversi loro posti, per
trenta o quaranta volte di seguito; e avendo sbagliato, si pone un
problema e lo risolve, s'interessa sempre piìi e ritenta le prove; egli
iHolunga un complesso esercizio delle sue attività psichiche che dà
luogo a uno sviluppo interiore.
È probabilmente una sensazione interna di questo sviluppo,
che rende piacevole l'esercizio, e costante e prolungato lo stesso lavoro.
Come per dissetare, occorre non vedere l'acqua o solo assaggiarla,
ma berne a sazietà, cioè finché non sia introdotta appunto < lucila quan-
114 l'ARTK PRIMA
tità di cui l'orf^anismo ha bisogno, rosi per saziare questa specie di
fame e di sete psichira. non basta « veder fuggevolmente le cose » o
tanto meno « sentirle descrivere »; ma bisogna possederle e usarne
tanto quanto è necessario ai bi-^ogni della vita intcriore.
Questo fatto si è ri^'elato come base di tutta la costruzione psichica,
e come solo segreto dell'educazione. L'oggetto esterno è una palestra
su cui lo spirito fa i suoi esercizi; e tali esercizi « interiori -) sono pri-
miti\amentp » in so slessi » lo scopo dell'azione. Così, lo scopo degl'in-
castri solidi non è che il bambino prenda conoscenza delle dimensioni,
quello degli incastri piani non è che dia lui un concetto delle forme,
ma lo scopo di questi, come di tutti gli altri oggetti, òche il bambino
eserciti le sue attività. Il fatto poi che veramente il bambino acquisti in
tal modo delle conoscenze chiare e di cui la memoria è vivida in rap-
porto alla fissità e intensità dell'attenzione, è un effetto necessario: ed è
appunto la conoscenza sensoriale acquistata su dimensioni, forme, co-
lori, ecc.. che rende possibile la continuazione di analoghi esercizi
interni, in un campo sempre più vasto e superiore.
l^ inora tutti gli psicologi erano slati d'accordo nel dire che l'insta-
bilità dell'attenzione è caratteristica nel piccolo bambino di treo quattro
anni di età: egli attratto da tutte le cose, passa da oggetto in oggetto
senza mai potersi fissare su alcuno: e in genere, la difficoltà di tratte-
nere l'attenzione dei bambini costituiva lo scoglio della loro 'ducn-
zionc. " In tutti i bambini riscontriamo quella mobiHtà estrema del-
l'attenzione, che rende tanto difficile il dar loro le prime lezioni ».
Dice il James: « Il carattere riflesso e passivo dell'atteneione, per cui
sembra che il bambino appartenga meno a se stesso che a qualunque
oggetto che attragga per caso la sua attenzione, è la prima cosa che
colui che insegna deve cercare di vincere ». « La facoltà di richiamare
continuamente indietro un'attenzione vagabonda che tenda a disper-
dersi, è veramente la radice del giudizio, del carattere e della volontà:
(^ quell'educazione che riuscisse ad affinare questa facoltà, sarebbe
l'educazione per eccellenza » (W. James, Principi di psicologia] .
L'uomo dunque agendo per se stesso, non riuscì mai a trattenere
e fissare quell'attenzione cercante, che passa da cosa a cosa.
In fatti l'attenzione del piccolo bambino non è stata, nel nostro
esperimento, trattentita artificialmente da un « maestro », ma fu un
VI. - ATTENZIONE II5
« Oggetto » che trattenne e fissò l'attenzione del piccolo bambino, come
se corrispondesse ad un impulso interiore; impulso che, evidentemente,
si rivolge solo verso le cose che sono « necessarie » al suo sviluppo.
Similmente, quella complessità di movimenti coordinati che il neonato
com.pie nel succhiare, sono limitati al primo e inconscio bisogno di
nutrizione: non sono un acquisto cosciente determinato a uno scopo.
E 1 acquisto cosciente determinato a uno scopo, che sarebbe impos-
sibile pei movimenti della bocca del neonato, come pei primi movimenti
dello spirito del bambino.
Occorre quindi che lo stimolo esterno che ^i presenta in principio
sia proprio la mammella e il latte dello spirito, ed è allora solo che nasce
quel fenom.eno sorprendente, di un piccolo viso concentrato in un'at-
tenzione intensa.
Ecco un bambino di tre anni capace di ripetere cinquanta volte
di seguito un medesimo esercizio: accanto a lui molte persone si muo-
vono: un pianoforte suona; si ode intonare un coro; ma nulla distrae
il piccolo bambino dalla sua profonda concentrazione. Non altrimenti
un poppante resta attaccato alla mammella, senza xeiiire interrotto
da fatti esteriori, e non se ne distacca altro che per sazietà.
Solo la natura compie tali miracoli.
Se dunque la natura ha un fondamento nelle manifestazioni
psichiche, per comprendere la natura e assecondarla, era necessario
studiarla nei periodi iniziali, più semplici e solo capaci di ri\elarci
le verità, che saranno poi guida nella interpretazione di successi\e
e pili complesse manifestazioni. Ciò che, invero, molti psicologi hanno
fatto: ma essi, appHcandoi metodi analitici della psicologia sperimentale,
non partirono da quel punto donde le scienze biologiche trassero le
loro conoscenze della vita, cioè la libertà degli esseri viventi che si \ o-
gliono osservare. Se il Fabre non si fosse fatto servo degli insetti,
lasciandoli padroni delle loro manifestazioni naturali, e osservandoli
senza che la sua presenza in alcun modo perturbasse le loro funzioni,
ma avesse preso degli insetti trasportandoli nel suo gabinetto e sotto-
ponendoli a delle prove, egli non ci avrebbe rivelato la vita meravi-
gliosa degli insetti.
Se i batteriologi non avessero, come metodo di ricerca, costruito
un ambientf» di vita simile a quella naturale pei microbi, così per le
PAKTE PRIMA
«ostaii/.t" nutritixo, «-onn- per le condizioni di lonìjunatura, ecc., al fine
di » farli \i\ere liberamente » e rosi manifestare i loro caratteri: e si
fossero limitati a (issare -ul microscopio i pernii di una malattia,
non esisterebbe oggi la scienza che sal\-a la vita a tanti uomini e difende
intere nazioni dalle epidemie.
La libertà di vivere, questo è che forma la base di ogni metodo di
osserx'azione sugli esseri viventi.
La libertà è la condizione sperimentale per istudiare i fenomeni
dell'attenzione del bambino. Basta pensare che i fatti di attenzione
infantile, essendo prevalentemente sensoriali, hanno un potente con-
comitante fisiologico di « accomodazione » degli organi di senso: acco-
modazione che, fisiologicamente incompleta nel piccolo bambino,
lui bisogno di organizzarsi secondo natura. Un oggetto non adatto
a divenire stimolo utile ai poteri di accomodazione in via di svi-
luppo, sarebbe non solo incapace di trattenere l'attenzione come fatto
psichico, ma anche come fatto fisiologico, stancando o addirittura
ledendo i meccanismi dell'accomodazione dell'occhio o dell'orecchio.
Ma il bambino che sceglie gli oggetti e vi permane con tutta l'intensità
dell'attenzione, conie lo manifestano le contrazioni muscolari che danno
1 espressione mimica alla sua fisionomia, evidentemente prova piacere
e il piacere è un indice di sano funzionamento; esso accompagna sempre
l'esercizio utile ai meccanismi del corpo.
L'attenzione richiede anche una preparazione dei centri ideativi,
in rapporto all'oggetto esterno che deve su di sé richiarrfarla: cioè un
« adattamento » interiore, psichico. I centri cerebrali devono essere
eccitati a loro volta per via interna, quando uno stimolo esterno agisce.
Così, per esempio, chi aspetta una persona, la vede arrivare da lontano:
ciò non solo perchè la persona si fa presente ai sensi, ma perchè era
« attesa ». Questa persona ancora lontana richiama l'attenzione, perchè
i centri cerebrali erano già eccitati a tale scopo. Per analoghi fatti,
un cacciatore può percepire i più leggeri rumori che la selvaggina fa
tra i boschi. Infine, sulla cellula cerebrale due forze agiscono, come
sopra una porta chiusa: la forza esterna sensoriale che bussa, e quella
interiore che dice: apri. Se la forza interiore non apre, invano lo sti-
molo esterno bussa alla porta. E allora anche i più grandi stimoli
possono passare inosservati. L'uomo distratto, può mettere il piede
VI. - ATTENZIONE II7
in un burrone. L'uomo concentrato in un lavoro, può non sentire
una musica che passa per istrada.
11 fatto centrale concomitante dell'attenzione, questo è che ha
il pili gran valore psicologico e filosofico, e che ha sempre assunto il
massimo dei valori pratici in pedagogia. Tutta l'arte dei maestri
è consistita, in sostanza, nel preparare l'attenzione dei bambini al-
Yattesa dei loro insegnamenti, nell'accaparrarsi la cooperazione di
quelle forze intime che devono « aprire la porta » quando essi « bus-
sano ». E siccome la cosa completamente ignota, o quella inaccessibile
a comprensione, non richiama alcun interesse sopra di sé, così i ca-
pisaldi dell'arte magistrale furono di andare guadualmente dal noto
all'ignoto, e dal facile al difficile. E il noto preesistente, che eccita
all'attesa e apre la porta al nuovo ignoto; ed è il facile già presente,
che apre nuove vie di penetrazione e mette l'attenzione in istato
di attesa.
Cioè, secondo i concetti pedagogici, deve essere possibile « pre-
pararsi i buoni uffici >), la cooperazione dei concomitanti psichici del-
l'attenzione. Tutto starebbe nell'abilità di maneggio tra il noto e
l'ignoto e simili cose: allora il maestro bravo sarebbe come il grande
stratega militare, che prepara al tavolino il piano di una battaglia.
E l'uomo potrebbe diriger l'uomo, condurlo dove gli piace.
Questo del resto è stato per lungo tempo il principio materiali-
stico imperante in psicologia. Secondo Spencer la mente è in principio
come un'argilla indifferente, sulla quale « piovono » le impressioni
esteriori, lasciandovi tracce piìi o meno profonde. Sono le « esperienze »
che secondo lui e secondo gli empiristi inglesi, costruiscono la mente
anche nelle sue più alte attività. L'uomo è ciò che l'esperienza lo ha
fatto: quindi, in educazione, preparando un castello adatto di espe-
rienze, si può fabbricar l'uomo. Concezione non meno materialistica
di quella che si affacciò per un momento innanzi ai meravigliosi pro-
gressi della chimica organica, quando la serie delle sintesi successe
a quella delle analisi. Allora si credette che potendo fabbricar una specie
di albumina per sintesi, ed essendo l'albumina la base organica delle
cellule, ed essendo l'uovo dell'uomo niente altro che una cellula, si
potesse un giorno fabbricare l'uomo stesso sul tavolo del chimico.
La concezione dell'uomo creatore dell'uomo, cadde subito nel campo
ll^ PARTE PRIMA
matonaie; ma V homunculus psichico permane ancora tra le conce-
zioni pratiche della pedagogia.
Nessuna sintesi chimica poteva mettere nella cellula, apparen-
temente semplice come un grumo di protoplasma nucleato. quel-
Viittivilà sine materia, quella forza potenziale di vita, quel fattore
misterioso che porta una cellula a creare un uomo.
E l'attenzione inafferrabile dei bambini, starebbe a dirci che anche
l'uomo psichico sta entro analoghe leggi di autocreazione.
La scuola più moderna di psicologi spiritualisti, tra cui il James,
riconosce nel concomitante dell'attenzione, un fatto collegato con la
natura del soggetto, una « forza spirituale », uno dei « misteriosi fat-
tori della \ ita »:
là onde vegna lo intelletto
Delle, prime notizie uomo non sape.
Né dei primi appetibili l'affetto,
Che sono in voi, si come studio in ape
Di far lo mèle
Dante.
C'è nell'uomo un'attitudine speciale verso le cose esterne, che
fa parte della sua natura, ed è essa che ne determina il carattere. Le
attix'ità interiori agiscono come causa, non reagiscono ed esistono in
quanto effetto di fattori esterni. La nostra attenzione noff si porta su
tutte le cose indifferentemente, ma su quelle « simpatizzanti » coi nostri
gusti. Ci destano interesse le cose utili all'intimità della nostra vita.
Il nostro mondo interiore è creato su una selezione del mondo esterno,
acquistato per e secondo le nostre attività interiori. Il pittore vedrà
del mondo in prevalenza i colori, il musicista sarà attratto dai suoni.
E il modo della nostra attenzione, che rivela noi stessi e ci manifesta
all'esterno nelle nostre attitudini; non è la nostra attenzione che ci
crea. Il carattere individuale, la forma interna, la distinzione di un
uomo dall'altro, si verificano anche per uomini che vissero nello stesso
ambiente, ma che dall'ambiente presero solo ciò che era necessario
a ciascuno. Le « esperienze » con le quali ciascuno costruisce il suo io
in rapporto al mondo esterno, non formano un caos, ma sono dirette
dalle intime attitudini individuali.
VI. - ATTENZIONE IIQ
Se ci fosse un dubbio sulla forza naturale dirigente la formazione
psichica, l'esperienza sui nostri piccoli bambini, sarebbe una specie
di « prova decisiva ». Nessun maestro potrebbe coi suoi artifìci pro-
curare tali fenomeni di attenzione: essi hanno un'origine evidentemente
interiore. 11 potere di concentrazione di piccoli bambini da tre a quattro
anni di età, non ha riscontro altro che nel genio. Questi piccolini sem-
brano l'infanzia di uomini straordinari nei loro poteri di attenzione, come
Archimede che muore trucidato sopra i suoi circoli, dai quali non erano
\alsi a staccarlo i rumori della presa di Siracusa, o come Newton
che, immerso nei suoi studi, dimenticava di mangiare; o come Vit-
torio Alfieri, che, scrivendo una poesia, non sente il rumoroso corteo
di nozze che passa tra grida e squilli, dinanzi alle sue finestre.
Anche questi caratteri dell'attenzione del genio, nessun maestro
« interessante » potrebbe provocarli, sia pure con l'arte più fine: come
nessun cumulo di esperienze passive, potrebbe diventare un tale ac-
cumulatore di energie psichiche.
Se è una forza spirituale che agisce nel bambino, ed egli può per
essa aprire le porte della sua attenzione, anziché un problema di arte
pedagogica nel' costruire la sua mente, è un problema di libertà quello
che necessariamente si affaccia. Dare con gli oggetti esterni il nutri-
mento corrispondente ai bisogni interiori, e imparare a rispettare nel
modo più perfetto la libertà di sviluppo, ecco i fondamenti che logi-
camente devono approfondirsi per costruire una nuova pedagogia.
Non si tratta più di dover creare ì'humunculus come i chimici
del XIX secolo, ma di prendere la lanterna di Diogene e andare in cerca
dell'uomo. Una scienza deve per tentativi stabilire ciò che è necessario
ai bisogni psichici primordiah del bambino: e allora noi assisteremo
allo svolgersi di fenomeni vitali complessi, ove l'intelligenza, la volontà,
il carattere, si svolgono insieme, come insieme sviluppano il cervello,
lo stomaco e i muscoU del bambino che si nutrisce razionalmente.
Insieme ai primi esercizi interiori, si fissano nella mente dei bam-
bino le prime conoscenze ordinate, e il noto comincia ad esistere in
lui, fornendo i primi germi di un interesse intellettuale, accanto a
quello istintivo. Quando ciò è, comincia a stabilirsi uno stato di cose
che ha qualche analogia con quel meccanismo dell'attenzione, che viene
oggi preso dai pedagogisti come base nell'arte dell'insegnare. Il pas-
\20 PAKTK PKIMA
saggio dal iKito all'ignoto, dal somplico al complesso, dal facile al dif-
ficile si ripiodm-e, sotto un itMto punto di vista; ma con caratteri
speciali.
Il processo da! noto all'ignoto non avviene da cosa a cosa, come
jiretenderebbe di fare il maestro, che non fa sviluppare da un centro
le idèe, ma solo le unisce in catena, senza una meta prefissa, facendo
vagare la mente a caso, ma legata a lui. Il noto si stabilisce invece qui,
nel bambino, come un sistema complesso d'idee, il quale sistema fu
costruito attivamente dal bambino stesso con una serie di processi
psichici, che rappresentano in sé stessi una formazione interiore, una
crescenza spirituale.
Perchè tale processo avvenga, noi dobbiamo offrire al bambino
un materiale sistematico, complesso, corrispondente ai suoi istinti na-
turali. Così, per esempio, col nostro materiale sensoriale, offriamo al
bambino una serie di oggetti capaci di richiamare la sua attenzione
istintiva sui colori, sulle forme, sui suoni, sulle qualità tattili, ba-
riche, ecc., e il bambino, coi caratteristici esercizi prolungati sopra ogni
oggetto, comincia a organizzare la sua personalità psichica, ma nel
tempo stesso acquista una conoscenza chiara e ordinata delle cose.
Oramai tutti gli oggetti esterni, pel fatto che hanno forme,
dimensioni, colori, qualità di levigatezza, di peso, di durezza, ecc., non
sono più estranei alla mente! c'è qualcosa nella coscienza del bambino
che lo prepara alVattesa, e lo spinge con interesse a ricej-erli.
Quando il bambino ha aggiunto una conoscenza al primitivo
impulso che dirige la sua attenzione sulle cose esterne, egli è venuto
ad acquistare altri rapporti col mondo, altre forme d'interesse, che
non sono più soltanto quelle primitive collegate con una specie d'istinto
primordiale, ma sono divenute un interesse conoscitivo, basato sugli
acquisti dell'intelligenza.
E vero che anche tutte le nuove conquiste avranno per base
fondamentale, profonda, i bisogni psichici dell'individuo; ma l'ele-
mento intellettuale vi si somma, trasformando un impulso in ricerca
cosciente e volontaria.
Il concetto pedagogico antico, il quale ammette che per richia-
mare l'attenzione del bambino sull'ignoto, bisogna collegare questo col
già noto, perchè è così che si potrà conquistare il suo interesse verso le
VI. - ATTENZIONE 121
nuove cognizioni che si vogliono impartire, non afferra che un dettagho
del complesso fenomeno a cui oggi assistiamo dopo i nostri esperi-
menti.
Perchè il noto rappresenti una nuova fonte d'interesse verso
l'ignoto, bisogna che sia stato esso stesso acquistato secondo la
tendenza della natura: allora avviene che la conoscenza precedente
rende interessanti oggetti sempre piti complessi e di più elevata si-
gnificazione. La cultura che viene a formarsi, assicura perciò la possi-
bilità di una continuazione indefinita, nel succedersi di tali fenomeni
formati\'i.
La cultura poi, in sé stessa, viene a formare un ordine nella mente:
quando la maestra con le sue lezioni semplici e chiare dice: questo è
lungo, questo è corto, questo è rosso, questo è giallo, ecc., fìssa con
una parola il ben distinto ordine delle sensazioni, le classifica, le « ca-
taloga )). E ogni impressione è ben distinta dall'altra, ed ha fissato
nella mente un posto proprio, che può con la parola richiamarsi; oramai,
come in una biblioteca bene organizzata, i nuovi acquisti non saranno
gettati alla rinfusa o mescolati caoticamente, ma verranno di volta
in volta depositati al loro posto, accanto ai precedenti acquisti che
sono della stessa qualità.
Così là mente ha non solo in sé la forza propulsiva ad accrescere
le conoscenze, ma anche un ordine stabile, il quale si mantiene durante
il successi%'o e indefinito suo arricchirsi di nuovi materiali; e mentre
cresce e si fortifica, mantiene il suo « equilibrio ». Quell'esercizio con-
tinuato di comparazioni, di giudizio, di scelta tra le cose, sta poi met-
tendo così logicamente in rapporto tra loro gli interiori acquisti,
che ne risulta una singolare facilità ed esattezza di ragionamento, una
rapidità di comprensione: veramente è attuata la legge del « minimo
sforzo », come ovunque é ordine e attività.
Questo assetto interno come l'adattamento fisiologico, si stabilisce
pel fatto che gli esercizi furono spontanei: é il libero sviluppo di una per-
sonalità che cresce e si va organizzando, quello che definisce tale
stato interiore, come nel corpo dell'embrione il cuore in via di svi-
luppo va facendosi lo spazio del mediastino tra i polmoni, e il diaframma
assume la sua convessità superiore, in rapporto alla dilatazione pol-
monare.
La maestra diiipo questi fenomeni; ma eiò facendo, cerca di non
deviare sopra di se l'attenzione del bambino, dalla cui concentra-
zione dipende tutto l'avvenire. L'arte sua sta nel comprendere e nel
non disturbare i fenomeni naturali.
Ciò che è provato e chiaro nella nutrizione del neonato, e nelle
prime attività coordinate dello spirito, si ripeterà in tutti i periodi
della vita, con le necessarie modificazioni condotte dal complicarsi
dei fenomeni.
Continuando il parallelo con la nutrizione tìsica, si può conside-
rare il bambino crescente che ha messo i denti, ha sviluppato il succo
gastrico ed ha quindi a poco a poco comphcato la sua alimentazione:
finché l'uomo adulto verrà ad alimentarsi con l'aiuto di tutte le compli-
cazioni della cucina e delle tavole moderne: ma per mantenersi in
salute, dovrà mangiare solo le cose che corrispondono agli intimi bi-
sogni del suo organismo: e se introdurrà sostanze eccessive o scarse,
inadatte o veleno.se, ne verrà un impoverimento, un'auto-intossica-
zione, una « malattia ». Ora, è stato lo studio della nutrizione del
bambino nel periodo dell'allattamento e dei primi anni della vita, che
ha creato l'igiene dell'alimentazione anche per l'adulto, e gli ha indi-
cati i pericoli in mezzo ai quali tutti vivevano, nell'epoca in cui l'igiene
del bambino era ignota.
C'è nella vita dello spirito una singolare corrispondenza: l'uomo
a\rà una vita infinitamente più complessa del bambino; ma dovrà
sempre esistere anche per lui un rapporto tra i bisogni della sua natura,
e il modo di sostentare lo spirito. Una regola di vita interna, sarà sempre
una questione di salute per l'uomo.
Tornando all'attenzione, quel fatto primitivo di corrispondenza
tra natura e stimolo, che è il fondamento della vita, dovrà sussistere,
per quanto modificato, anche pei fanciulli più grandi; e rimanere una
ba.se dell'educazione.
Comprendo le obbiezioni dei « pratici ». Bisogna « abituare » i
bambini a prestare attenzione a tutto, anche a cose non piacevoli,
perchè la vita pratica porta appunto alla necessità di questi sforzi.
L'obbiezione è basata su un pregiudizio analogo a quello che fa-
ceva dire un tempo ai buoni padri di famiglia: « i bambini devono
abituarsi a mangiar di tutto »; e così si metteva V educazione morale
VI. - ATTENZIONE I23
fuori di posto; confusione fatale! È avvenuto in quel livello d'idee
oggi sorpassate, che dei padri, quando un figlio a mezzogiorno si ri-
fiutava di mangiare una pietanza sgradita, lo lasciavano digiuno
tutto il giorno mettendogli a disposizione solo quella pietanza che
diventava sempre piti fredda e disgustosa. Finché la fame « fiaccava »
la volontà del figlio, estingueva il capriccio: e la pietanza fredda veniva
inghiottita. È così, pensava quel padre, che mio figlio nelle varie
circostanze che possono presentarsi nella vita, si troverà pronto a
nutrirsi di qualunque cosa; e non sarà ghiotto e capriccioso. Era pure
in questi tempi che s'impediva ai bambini (il cui organismo ha bisogno
di zucchero, perchè i muscoli in crescenza ne consumano molto) di
mangiare i dolci, per iniziarli a vincere la ghiottoneria. Era pure
il tempo in cui un facile e comodo castigo per correggere i bambini
cattivi, era quello di « mandarli a letto senza cena ».
Lo stesso press'a poco fa chi oggi pretende che il bambino presti
attenzione alle cose che non gli piacciono, per abituarsi alle necessità
della vita. Solo che, nel caso dell'alimento psichico, mancando in rap-
porto alla « cattiva e fredda pietanza » la fame, l'alimento è indigesto,
ingombrante e quindi indebolisce e avvelena.
Non è così che si preparerà lo spirito forte, pronto alle eventualità
difficili della vita. Il ragazzo che mangiava la minestra fredda e digiu-
nava la sera, era colui il cui corpo cresciuto male, si trovava piìi debole
di fronte alle infezioni dell'ambiente e cadeva malato: e moralmente
era quegli che, avendo mantenuto dentro di sé appetiti insaziati, trovava
come il più bell'acquisto della sua libertà, nell'età adulta, mangiare
e bere a crepapelle. Non era quel fanciullo d'oggi, che, nutrito razio-
nalmente e fatto robusto nel cprpo, è divenuto l'uomo astinente, il
quale mangia per vivere sano, e lotta contro l'alcoolismo e contro
gli alimenti venefìci o eccessivi: l'uomo moderno che sa difendersi
con tanti mezzi dalle malattie infettive; e che é così pronto agli sforzi
che, senza necessità, cerca e sfida gli strapazzi dello sport e aspira e
giunge alle grandi imprese, come la scoperta dei poli e l'ascensione
delle alte montagne.
E così l'uomo capace di sfidare le agghiaccianti lotte morali,
d'intraprendere le ascensioni spirituali, sarà quello dalla forte volontà,
dallo spirito equilibrato, dalle pronte e costanti decisioni.
124 PARTE PRIMA
E la folto xolcntà. riiitcllotto cquililnalo lo a\ià l'uomo tanto
più, per quanto la sua \ita interiore sarà cresciuta normalmente , orga-
nizzandosi secondo le provvide leggi della natura, formando una indivi-
dualità. Per essere pronti alla lotta, non bisogna aver lottato fin dalla
nascita, ma bisogna essere forti. Chi <'• forte è pronto; nessun eroe era
un eroe prima di aver compiuto il suo atto eroico. Le pro\e alle quali
ci attende la vita sono improvvise, inattese: nessuno ci può preparare
direttamente ad esse; è solo l'anima robusta che ci prepara a tutto.
Quando un essere vivente è in via di evoluzione, per garantirne lo
sviluppo normale, bisogna corrispondere ai singoli bisogni del presente.
Il feto ha bisogno di nutrirsi col sangue: il neonato col latte. Se manca
il sangue ricco di sostanze albunnnose e di ossigeno al feto nella vita
intrauterina, o se delle sostanze venefiche raggiungono i suoi tessuti;
l'essere \ivente non potrà sviluppare normaliTientc, e nessuna cura
successiva potrà fortificare l'uomo venuto da questo prodotto impo-
Aerito. Se manca il latte sufficiente al bambino, la denutrizione di
un'epoca iniziale della vita potrà lasciarlo in un permanente stato d'in-
feriorità. Il lattante si « prepara a camminare » stando senq:)re sdraiato
e dormendo lunghi sonni tranquilli. E succhiando che il bambino inizia
la sua dentizione. Così come l'uccello del nido non si prepara al volo
volando, ma rimanendo immobile nel piccolo guscio caldo ove si prov-
\ede alla sua nutrizione. Le preparazioni della vita sono indirette.
L'attesa del fenomeno di natura, che è il volo maestoso degli uc-
celli, la ferocia della belva, il canto dell'usignolo, la vario"f)inta bellezza
delle ali d'una farfalla, si preparano nei segreti di un nido o di una
tana, o nella immobile intimità di un bozzolo. La natura onnipotente,
chiede per le creature in formazione solo pace. Il resto essa lo dona.
Ora, anche lo spirito infantile deve trovare il suo caldo nido ove
fu assicurata la sua nutrizione, e j^oi dobbiamo e attendere » le rivela-
zioni dello sviluppo.
Offrire perciò gli oggetti fhe corrispondono alle sue tendenze
formative, è una necessità per ottenere il risultato che l'educazione
si prefigge: cioè che le forze latenti nell'uomo si svolgano col minimo
sforzo e il più pienamente possibile.
VII.
Volontà
Quando il bambino sceglie tra una notevole quantità di oggetti
quello che preferisce, si muove per andarlo a prendere dalla credenza e
riportarlo a posto, o consente a cederlo a un compagno; quando aspetta
che uno degli oggetti del materiale che vorrebbe usare sia lasciato
dal bambino che lo tiene in quel momento tra le mani; quando persiste
a lungo con intensa attenzione nel medesimo esercizio correggendo l'er-
rore che il materiale di sviluppo gli rivela; quando nell'esercizio del
silenzio trattiene tutti i suoi impulsi, tutti i suoi movimenti, e poi,
alzandosi alla chiamata, li dirige in modo preciso per non far ru-
more coi piedi, per non urtare nei mobili: egli compie altrettanti atti
di ■:• volontà ». Si può dire che in lui l'esercizio della volontà è con-
tinuo; anzi che ciò che agisce veramente e sovrasta tra le sue attitu-
dini, è la \'olontà il cui edifìcio si erige sul fatto interiore fondamen-
tale di un'attenzione lungamente sostenuta.
Analizziamo qualcuno dei coefficienti della volontà.
L'espressione esterna della volontà è tutta nei movimenti: qua-
lunque azione compia l'uomo, cammini, lavori, parli o scriva, muova
gli occhi a guardare o li chiuda per sottrarsi a una visione, egli agisce
muovendosi ». Un'azione volontaria può essere anche quella d'im-
pedire un movimento: trattenere i disordinati movimenti dell'ira; non
ar luogo all'impulso che ci spingerebbe a strappar di mano ad altri un
oggetto desiderabile; sono tutti fatti volontari. Quindi la volontà
non è un semplice impulso al movimento, ma è la superiore dire-
zione dei movimenti. -^
Senza l'atto compiuto non c'è manifestazione volontaria: chi
pensi di compiere una buona azione e poi non la faccia; chi desideri
l'ARTH l'KlMA
di riparare un'offesa e resti poi senza agire; chi facci^ proposito d'uscir
di casa, di fare una visita o di scrivere una lettera, e se ne trattenga,
non compie atti di volontà. Pensare, desiderare, non basta. È l'azione
che conta. « La \ia dell'inferno è seminata di buone intenzioni ».
La vita volitiva è la vita dell'azione. Ora, tutti i nostri atti rap-
presentano una risultante tra impulsi e inibizioni, e questa risultante
può divenire, nella ripetizione degli atti, quasi abituale e inconscia.
Così è, per esempio, di tutte quelle azioni consuete che costituiscono
nell'insieme il « contegno di una persona bene educata ». Il nostro
impulso ci porterebbe a fare quella determinata visita, ma sappiamo
che potremmo disturbare, che non è il giorno di ricevimento, e ce ne
tratteniamo; staremmo bene seduti in un angolo del salotto, ma entra
una persona \cncrabile e noi ci alziamo in piedi; non è simpatica quella
signora, ma noi ugualmente c'inchiniamo e le baciamo la mano; è
precisamente il dolce preso dalla nostra vicina che noi avremmo de-
siderato, ma ci guardiamo bene dal farlo vedere. Tutti i movimenti
del nostro corpo non sono quelli dettati dall'impulso o dalla stanchezza,
ma sono la corretta riproduzione di ciò che riteniamo decoroso. Senza
impulsi noi non prenderemmo assolutamente parte alla vita sociale;
d'altronde senza le inibizioni non sapremmo correggere, dirigere e
utilizzare gl'impulsi.
Questo reciproco equilibrio tra le opposte forze motrici, è
il risultato di lunghi esercizi, di antiche abitudini in noi; non abbiamo
più alcun senso di sforzo nel compierle, non dobbiamo aiutarci più
coi sussidi della ragione e della conoscenza: questi atti sono divenuti
quasi dei riflessi. E pure si tratta di atti ben lontani dall'atto riflesso:
non è la natura, è l'abitudine che produce tutto ciò. Sappiamo bene
come la persona che non fu educata con l'abitudine, ma solo istruita
in fretta con la conoscenza di certe regole, commette troppo spesso
goffaggini e distrazioni, perchè essa dovrebbe « creare lì per lì » tutti
quegli adattamenti necessari di atti volontari, e lì per lì dirigerli sotto
il controllo vigile e immediato della coscienza: e un tale sforzo conti-
nuato non può assolutamente competere con l'w abitudine » alle maniere
distinte. La volontà immagazzina i suoi prolungati sforzi fuori della
coscienza, o alla sua estrema periferia, e lascia la coscienza stessa
sgombra pei nuovi acquisti e per le prove successive. Cosicché noi
VII. - VOLONTÀ 127
non consideriamo oramai più ^prove di volontà quelle attitudini dove
pure la coscienza si direbbe sempre sospesa e vigilante sugli atti, af-
finchè essi seguano la perfetta regola di un galateo esteriore. Un uomo
educato che agisce così, è niente più di un uomo in sé, di un uomo
« sano' -"diamente ».
Infatti è solo la malattia che disgrega la personalità organizzata
sopra i suoi adattamenti, che potrebbe rimuovere un uomo di società
da tali modi di agire: si sa che un nevrastenico, uno che entri nei pri-
missimi sintomi della paranoia, può sulle prime sembrare appena
appena colui che vien meno alla « buona creanza ».
Ma chi viceversa sta dentro i limiti di quella buona creanza, è
niente più che un uomo normale. Noi non oseremo chiamarlo un « uomo
di volontà »: la coscienza di costui è tuttora scoperta alle prove, e i
meccanismi immagazzinati alla sua periferia non hanno più un vero
« valore volitivo «.
Ma il bambino è alle sue prime armi, e la sua personalità è ben
diversa da questa: egli è come uno squilibrato rispetto all'adulto,
preda quasi sempre ai propri impulsi, talvolta alle più ostinate ini-
bizioni. Le due attività volitive opposte non si sono combinate a
costruire la personalità nuova. L'embrione psichico ha ancora sepa-
rati i due elementi. Ciò che importa grandemente è che tale « combi-
nazione », tale « adattamento » avvenga e si stabilisca come una cinta
di sostegno alla periferia della sua coscienza. Perciò è necessario che
il più presto possibile venga l'esercizio attivo, necessario a raggiungere
tale grado di sviluppo. Lo scopo non è certo di fare del bambino un
piccolo e precoce « gentleman »: lo scopo è che egli eserciti i suoi po-
teri volitivi e metta subito a contatto reciproco gh impulsi con le
inibizioni. È questa « costruzione » che necessita, non lo scopo da
raggiungere esteriormente con tale costruzione.
C'è un modo solo per raggiungere il fine: è che il bambino agisca
in mezzo ad altri bambini, e si eserciti, nella consuetudine stessa della
sua vita, a tale ginnastica della volontà. Il bambino che si occupa in
un lavoro, inibisce tutti gli altri movimenti che non sono quelli di tal
lavoro; fa una scelta fra le coordinazioni muscolari di cui è capace,
vi persiste a lungo e così comincia a fissare tale selezione. Cosa ben
diversa di quando il bambino si muove disordinatamente dando luogo
128 l'AKTE TKIMA
d impulsi incoordinati. Allorché egli comincia a rispettare il lavoro
altrui; a non strappare di mano agli altri l'oggetto che desidera ma
ad attenderlo pazientemente; a camminare senza urtare i compagni,
senza pestar loro i piedi, senza rovesciare la tavola; lo fa organizzando
la sua volontà e mettendo in equilibrio gl'impulsi e le inibizioni. Ciò
dà luogo appunto all'abitudine ad una vita sociale. Non sarebbe
mai possibile raggiungere questa tìnalità tenendo i bambini fermi
e seduti l'uno accanto all'altro: allora i « rapporti tra i bambini »
non possono nascere, e la vita sociale infantile non si produce.
È nei liberi rapporti, nel reale esercizio che fa adattare i limiti
di ciascuno ai limiti altrui, che si possono organizzare le « abitudini »
sociali. Non è certo l'udire la descrizione di ciò che si deve fare, che può
produrre dei meccanismi volontari; non basterà dare « nozioni di
galateo » e di « diritti e doveri » per fare acquistare dei movimenti
garbati. Se così fosse, basterebbe descrivere minutamente i movi-
menti della mano necessarii a suonare il pianoforte, e un allievo at-
tento potrebbe poi alzarsi ed eseguire una suonata di Beethoven. £
la « formazione » che occorre in tutto questo; è l'esercizio che stabi-
lisce gli acquisti della volontà.
Ha un grande valore, in educazione, organizzare per tempo
lutti i meccanismi utili alla costruzione della personalità. Come è
necessario il moto, la ginnastica dei bambini perchè si sa che i
muscoli nell'inazione diventano incapaci di eseguire la i)ioltitudine
di movimenti ai quali il nostro sistema muscolare può dar luogo,
analogamente per mantenere attiva la vita interiore è necessaria
una corrispondente « ginnastica » .
L'organismo senza educazione può essere più facilmente condotto
verso le sue eventuali deficienze: chi è debole di muscoli, tende a non
muoversi e con ciò si perde, mentre bisogna che un'azione si produca
per vincere il pericolo. Così chi è « debole di volontà », chi è « ipobu-
lico » o « abulico », potrebbe facilmente adattarsi a una scuola dove
tutti i bambini stanno fermi a sedere ascoltando o fingendo di ascol-
tare. Molti bambini di questo genere finiscono poi negli ambulatori
per malattie nervose, e hanno tra le loro note scolastiche « ottima
condotta ; nessun profitto nello studio ». Di questi bambini alcune
maestre si limitano a dire: « è tanto buono », e con ciò intendono di
VOLONTÀ 129
difenderli da ogni intervento e di lasciarli sprofondare indisturbati
nella debolezza che li sta inghiottendo come una sabbia mobile. Altri
bambini prevalentemente impulsivi, si fanno notare solo come autori
di disordine, e la loro sentenza è «cattivi». Si domanda in che consiste
la cattiveria: e la risposta è quasi sempre questa: « non sta mai fermo ».
Anche « i dispetti ai compagni » sono le caratteristiche di questi distur-
batori, e i dispetti consistono quasi sempre in ciò: ch'essi cercano in
tutti i modi di strappare i compagni alla loro quiete, e di trascinarli
ad una associazione. Vi sono poi dei bambini che hanno in preva-
lenza i poteri inibitori; la loro timidezza è estrema, sembra tMvolta
che non possano decidersi a rispondere, o, dopo un, eccitamento
esterno, lo fanno, ma con voce esilissima e scoppiando in pianto.
La ginnastica necessaria a tutte e tre queste forme indistinta-
mente è l'azione libera. Il movimento altrui continuo e interessante
è il migliore invito all'abulico; il moto incanalato in esercizi ordinati
^volge le inibizioni -dell'impulsivo; e il bambino troppo soggetto alle
sue forze inibitrici, liberato dai legami della sorveglianza, potendo
agire da solo di nascosto, cioè allontanando da sé tutte le cause che
dall'esterno si sommano all'inibizione, può trovare un equilibrio tra
le due opposte azioni volitive. È pur sempre la stessa via di salvezza
per tutti gli uomini: quella do''- , i deboli si rinforzano, è la via sulla
quale i forti si perfezionano.
Lo squilibrio tra impulsi e inibizioni è non solo un fatto assai noto
e interessante in patologia: ma esso si riscontra, sebbene in minor grado,
tra le persone normali con la stessa frequenza con cui si riscontrano
le deficienze di educazione nei rapporti sociali esteriori.
L'impulso porta i criminali ad atti delittuosi verso gh altri uo-
mini: ma quante volte le persone normali devono pentirsi di un atto
spensierato, di uno scatto di nervi che avrà per loro tristi conseguenze!
Per lo più il normale impulsivo nuoce solo a sé stesso, compromette
la sua carriera, non può far fruttare i 'propri talenti: e soffre di una
conscia schiavitù, come di una sventura a cui forse avrebbe potuto
essere sottratto.
Chi é patologicamente vittima dei propri poteri inibitori è certo
il malato più infelice: egli sta fermo, tace; ma dentro di sé vorrebbe
muoversi; mille impulsi che non trovano uscita martirizzano l'anima
130 PARTI-; l'KIMA
che aspira all'art(\ al hnoio: un disoorsi> eloc]m'nt(- sulle i)r()])ri(- s\en-
turo fluirebbe dallo labbra per chiederò soccorso a un luedieo, o o(jn-
forto a una nobile anima: ma lo labbra tacciono. L'incubo spavon-
te\()lo è comò quello di un uomo vi\-o sepolto in una tomba. Ma quanti
uomini normali soffrono por (pialclie cosa di simile. Kssi axrebbero
do\uto. in una occasione fortunata della vita, farsi innanzi, mostrare
il loro \alore, ma non poterono. Mille volte pensarono che uno sfogo
sincoro dello loro anime avrebbe potuto raddrizzare una situazione
difficile: ma il cuore si chiuse e la bocca restò muta. Con che passione
desiderarono di parlare a una persona superiore che le avrebbe comprese,
illuminate, confortate: ma quando \i si trovarono dinanzi, non sep-
pero dire una parola. La persona desiderata le rianimò, le interrogò,
le spinse ad esprimersi, ma solo un'angoscia interna rispose all'in-
vito; parla! parla! diceva in fondo alla coscienza l'impulso: ma l'ini-
bizione era inesorabile come una forza materiale prevalent(> e vin-
citrice.
E nell'educazione della \olontà, per mezzo di esercizi liberi ove gli
impulsi si fanno equilibrio con le inibizioni, che risiederebbe la cura
di tali soggetti, purché la cura fosse fatta nell'età in cui la volontà
va organizzandosi.
Tale equilibrio depositato come un meccanismo alla periferia
della coscienza, che rende l'uomo di società « corretto » nel suo con-
tegno, non è certo quel che costituisce la « persona di volontà ».
Si è detto che la coscienza resta libera per altri acquisti volitivi. La
dama più aristocratica e fine, potrebbe pure essere una persona « senza
volontà » e « senza carattere », benché sia costruita coi meccanismi
più rigorosi di una volontà meccanizzata e solo rivolta verso gli oggetti
esteriori.
Esiste un'azione \-olontaria londainentale sulla quale si basano
non già i rapporti superficiali tra uomo e uomo, ma su cui si erige la
stessa costruzione della società, e che è caratterizzata dalla «costanza».
L'organizzazione sociale si fonda sul fatto che gli uomini possono
lavorare costantemente, e produrre in certi limiti medi, su cui si
VII. - VOLONTÀ 131
costruisce l'equilibrio economico di un popolo. I rapporti sociali che
sono a base della riproduzione della specie, si fondano sulla costante
unione dei genitori nel matrimonio. La famiglia e il lavoro produttivo :
ecco i due cardini della società; essi poggiano sulla più grande qua-
lità volitiva: la costanza.
Questa qualità è veramente l'esponente della unità continuativa
della personalità interiore. Senza essa, una vita sarebbe una serie di
episodi, un caos; sarebbe come un corpo disgregato nelle sue cellule
anziché un organismo che persiste a traverso i mutamenti della pro-
pria materia. Questa qualità fondamentale, allorché essa coinvolge
il sentimento dell'individuo, l'indirizzo della sua ideazione, cioè tutta
la sua personalità, noi l'abbiamo chiamata il carattere. L'uomo di ca-
rattere è l'uomo persistente: l'uomo fedele alla propria parola, alle
proprie convinzioni, ai propri affetti.
Ebbene, l'insieme di queste particolarità della costanza, ha un
esponente d'immenso valore sociale: la persistenza nel lavoro.
Il degenerato, prima di dar luogo all'impulso criminoso, prima
di aver manifestato la sua incostanza negli affetti, prima di aver tra-
dito la sua parola, prima di aver fatto scempio di tutte le convinzioni
che possono nobilitare l'uomo, aveva una stigma che lo designa\a
come un essere disgregato, perduto: era l'ozio, l 'impossibilità di persi-
stere in un lavoro. Appena un uomo onesto e corretto si ammala
di malattia mentale, prima ancora di manifestare impulsi, disordini
della condotta, delirii, ha un sintomo premonitore : non può più
applicarsi al lavoro. Giustamente il popolo considera buona una ra-
gazza da marito quando è laboriosa; e un uomo è detto onesto e ca-
pace di dare buone garanzie a una ragazza che deve sposarlo, quando
é un bravo lavoratore. Questa bravura non consiste nell'abilità: essa
consiste nella costanza, nella persistenza. Infatti non è un buon partito,
per es., un pseudo artista abilissimo a produrre piccoli oggetti d'arte,
ma che « non ha voglia di lavorare ». Tutti sanno che egli non solo
non potrà economicamente produrre, ma che é un soggetto sospett(3,
pericoloso: egli potrà divenire un cattivo marito, un cattivo padre,
un catti\o cittadino. Invece il più umile artigiano che « la\ora »,
certo contiene in sé tutti gli elementi che possono garantire la feli-
' ita e la sicurezza della vita. Questo indubbiamente è il significato del
IJJ l'ARTE PRIMA
grande elogio romano: « stette in casa e filò la lana y, cioè fu donna di
carattere, degna compagna dei conquistatori del mondo.
Ora il piccolo bambino che manifesta come primo atto costrut-
tivo della sua vita psichica la permanenza in un lavoro, e su questo
atto erige poi l'ordine interiore, l'equilibrio e la crescenza della per-
sonalità, ci dimostra quasi come in una risplendente rivelazione,
qual'è la via su cui si costruisce il valore dell'uomo. Quel piccolo bam-
bino che persiste nei suoi esercizi, assorto e concentrato, elabora evi-
dentemente l'uomo costante, l'uomo di carattere, colui che troverà
in sé tutti i valori umani, facenti corona a quella fondamentale e
unica manifestazione: la costanza nel lavoro. Qualunque sia il lavoro
che il bambino sceglie, purché vi persista, è la stessa cosa. Poiché
ciò che ha valore non è il lavoro in sé, ma è il lavoro come mezzo per
la costruzione dell'uomo interiore.
Chi interrompe i bambini nelle loro occupazioni affinchè si soffer-
mino a imparare certe determinate cose, e li fa cessare dallo studio
dell'aritmetica per passare a quello della geografia e simili, pensando
che sia importante dirigere la loro cultura, confonde il mezzo col fine
e distrugge l'uomo per una vanità. Ciò che è necessario di dirigere,
non è la cultura dell'uomo, è l'uomo stesso.
Se il vero sfondo della volontà è la costanza, noi riconosciamo
però come « atto volontario » per eccellenza, la decisione. È necessario
che noi ci decidiamo per compiere qualsiasi atto cosciente. Ora la de-
cisione è sempre la risultante di una scelta. Abbiamo più cappelli,
dobbiamo decidere quale dobbiamo mettere per uscir di casa: po-
trebbe essere indifferentemente il cappello marrone o il cappello
grigio, tuttavia dobbiamo sceglierne uno. Per tale scelta avremo
i nostri motivi, ce ne saranno così in favore del grigio come del marrone;
ma finalmente uno dei motivi dovrà prevalere e la scelta è fatta. Evi-
dentemente, l'abitudine di prendere il cappello e uscire, facilita la
scelta: siamo quasi inconsci che dei motivi abbiano agito e lottato
in noi. È questione di un minuto, e non c'è alcuna impressione di sforzo.
La nostra conoscenza sul cappello che occorre la mattina o il dopo
VII. - VOLONTÀ 133
pranzo, su quello che occorre pel teatro o per lo sport, ci risparmia
completamente ogni lotta interna.
Ma così non è se, per es., dobbiamo spendere una certa somma
di denaro per fare un regalo. Che cosa compreremo tra tanti oggetti
che sarebbe possibile di scegliere? Se noi non abbiamo la « conoscenza
chiara « delle cose, il nostro lavoro può diventare angoscioso. Vor-
remmo scegliere una cosa artistica, ma non c'intendiamo d'arte, te-
miamo di rimanere ingannati e di fare una brutta figura; non sappiamo
niente degli usi, e non abbiamo idea se sarebbe con\ eniente un merletto
o una coppa d'argento. Abbiamo allora bisogno di qualcuno che ci
illumini su tutti questi particolari che ignoriamo, e andiamo a chiedere
consiglio. Non è però detto che seguiremo il consiglio ricevuto. A
dire la verità, il consiglio si riferiva alla nostra ignoranza: volevamo
un lume alla « conoscenza » più che una spinta al hostro volere. Il vo-
lere è una cosa gelosa che ci riserbiamo per noi, ed è cosa di tutt 'altro
genere di quella conoscenza indispensabile a una decisione. La scelta
che faremo dopo i « consigli « di una o piti persone avrà una impronta
« nostra », sarà la decisione' del nostro io.
È dello stesso genere la scelta che una padrona di casa farà per
preparare un pranzo a degli ospiti; ma lì essa ha una perfetta cono-
scenza delle cose, ha buon gusto, e la decisione si farà con piacere e
senza alcun aiuto.
Ma chi non sa che, in ogni caso, questo decidere è un lavoro in-
terno, un vero sforzo; tanto che le persone di scarsa volontà cercano
di allontanarlo, come qualcosa che rechi pena. Se è possibile, la padrona
di casa lascerà a un cuoco le decisioni; e a una sarta tutti i ragionamenti
necessari a far prevalere uno dei tanti motivi che sono in giuoco per
la scelta di un abito: la sarta, vedendo che una decisione si fa troppo
a lungo desiderare, dirà a un certo momento: « scelga questo che le
sta tanto bene « e la signora accetterà più per sottrarsi alla pena di
decidere che per amore del vestito. Tutta la nostra vita è un continuo
esercizio di decisioni. Quando usciamo di casa, dopo aver chiuso la porta
a chiave, abbiamo la chiara conoscenza di questo atto, la sicurezza che
la casa è difesa, e decidiamo di muovere i passi per andarcene.
Più noi siamo « forti » in questo esercizio e più siamo « indipen-
denti » dagli altri. La chiarezza delle idee, il meccanismo di una abi-
'ARTE l'RIMA
tudino a decidere, ci dà un senso di libertà. La più guinde catena che
possa legarci in una forma umiliante di schia\itù, è l'incapacità a
deciderci e quindi il bisogno di ricorrere agli altri: quel timore di « sba-
gliare », quel senso di essere tra le tenebre, di dover sopportare le con-
seguenze di uno sbaglio che non siamo certi di conoscere, ci fa correre
dietro a un'altra persona come un cane legato alla catena. Noi arri-
veremo fino all'estremo: non sapremo più spedire una lettera, com-
prare un fazzoletto senza il « consiglio ».
Ma quando una vera « lotta » sorgerà dentro a tale coscienza e
la decisione dovrà essere istantanea, allora il « dubbio » formerà tutta
la debolezza di un essere soccombente a un altro essere volontario,
ed ecco un sottomesso diventato succube, senza quasi avvedersene:
esso ha disceso solo di un gradino l'abisso ove corrono il rischio di per-
dersi i « deboU ». Così i giovani più sottomessi, senza volontà propria,
cadono facilmente preda dei pericoli onde è tappezzato il mondo.
Ciò che fa la resistenza non è la visione morale, è l'esercizio della
volontà: e questo esercizio è nella stessa pratica della vita. Una madre di
famigha molto occupata nella sua missione di lavoro domestico, e abi-
tuata a decidere in tutte le cose della sua giornata, ha più probabilità di
vittoria in caso di lotta morale, che una donna la quale senza figli
viva rinchiusa in un ozio domestico accasciante, e sia abituata ad avere,
come sua volontà, la volontà del proprio marito. Eppure entrambe
queste donne possono avere le stesse visioni morali. La prima di queste
donne, se resterà vedova, potrà mettersi al corrente degli affari, e
tirare avanti l'azienda che suo marito conduceva; ma la seconda in
simile ceiso avrà bisogno di una « tutela » e correrà tutti i rischi di
perdersi. Per salvarsi moralmente, bisogna prima di tutto dipendere da
sé stessi, perchè nel momento del pericolo si è soli. E la forza non si
può acquistare istantaneamente. Chi sa di dover lottare nel mondo, si
prepara in forza e in abilità, al pugilato e al duello; non istà con le
mani in mano, perchè sa che altrimenti è perduto, ovvero che dovrebbe
« dipendere » come un'ombra dal corpo, da qualcuno che lo difendesse
a passo a passo, per tutta la vita, cosa che nella pratica è impossibile:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse
racconta Francesca nc\\' Inferno di Dante.
VII. - VOLONTÀ 135
La tentazione, per non vincere, non deve cadere come una bomba
contro un'altra bomba di esplosioni morali istantanee; ma contro
le forti mura di un castello inespugnabile costruito fortemente, pietra
su pietra, fin dal tempo remoto che furono cominciate le fondamenta.
Il lavoro costante, la chiarezza delle idee, l'abitudine a vagliare i
moti\i in lotta nella coscienza, fin nei minimi atti della vita, le de-
cisioni prese a ogni istante su le più piccole cose, il possesso graduale
delle proprie azioni, il potere di dirigere sé stesso crescente a poco a
poco nella somma delle successioni degli atti ripetuti, ecco le piccole
pietre buone su cui si erige il forte edifizio della personalità. Esso potrà
venire abitato dalla moralità, come da una principessa che vive tra
le torri merlate e il fossato di un castello medioevale, cioè in atto
continuo di « difesa », sempre « armata » ma con tutta la .probabilità
di rimanere la « signora », la « castellana ». Se per « costruire la casa »
alla moralità, è necessario anche un esercizio del corpo, come la con-
tinenza dell'alcool, che è il massimo esponente del veleno preso dal-
l'esterno che può indebolire, e il moto all'aria aperta che facilita il
ricambio materiale e quindi ci libera dai veleni che noi stessi fab-
brichiamo e che c'indeboliscono, quanto più sarà necessario l'esercizio
della volontà continuato come un ricambio vivificatore ?
I nostri piccoli bambini costruiscono la propria volontà, quando,
con un processo di auto-educazioije, mettono in moto complesse at-
ti\ità interiori di comparazione e di giudizio, e fanno in tal guisa
i loro acquisti intellettuali con ordine e chiarezza: questo è un genere
di « conoscenza » capace di preparare la decisione e li rende indipen-
denti dal suggerimento altrui; essi poi decidono in ogni atto della loro
giornata, decidono di prendere o di lasciare; decidono di seguire coi
movimenti il ritmo di una canzone; decidono di frenare ogni impulso
motore quando vogliono il silenzio. Quel lavoro costante che edifica
la loro personalità è spinto tutto da decisioni : e ciò tiene luogo del
primitivo stato di caos, ove invece gli atti erano spinti da impulsi.
Una vita volontaria va svolgendosi in loro: e la timidezza e il dubbio
vanno scomparendo, insieme alle tenebre della primiti\a confusione
mentale.
Sarebbe impossibile che la volontà si sviluppasse così se noi in-
\ece di lasciar maturare nella mente l'ordine e la chiarezza, cercas-
IJJO PARTE PRIMA
simo d'ingombrarla con idee caotiche, o coi depositi dilezioni imparate
a memoria: e poi impedissimo ai bambini la decisione, decidendo
sempre per loro in tutte le cose. Le maestre che procedono così hanno
ragione di dire che « il bambino non deve avere volontà «, e d'inse-
;.,Tiargli che « l'erba voglio non si trova '). Infatti esse impediscono
alla volontà infantile di svilupparsi. I fanciulli allora sentono una forza
che inibisce tutti i loro atti, «si fanno timidi » e non hanno coraggio
di intraprendere nulla senza l'aiuto e il consenso della persona da cui
dipendono interamente. « Di che colore sono queste ciliege? >• chiese
una \olta una signora a un bambino che sapeva benissimo che erano
rosse. Ma il bambino timido e timoroso, nel dubbio di fare bene o male
a rispondere, mormorò: « Lo domanderò alla maestra ».
Il meccanismo volitivo che prepara alla decisione è uno dei più
importanti meccanismi della volontà: esso ha valore per sé stesso,
e deve in sé essere stabilito e fortificato. La patologia ce lo illustra iso-
lato da altri dettagli della volontà, e ce lo pone così sotto gli occhi,
come un pilastro della gran volta che sostiene la personalità umana.
La cosiddetta « follìa del dubbio » é uno dei più frequenti episodi nelle
forme degenerative delle psicopatie, e può precedere alcune osses-
sioni, che spingono irresistibilmente a commettere atti immorali o
dannosi. Ma si può avere una folUa del dubbio, semplice" e genuina,
limitata alla impossibilità di decidersi, e che produce un grave stato
di angoscia, senza affatto ledere la moralità, e perfino erigendosi su
uno scrupolo morale. Io conobbi in un ambulatorio di malattie ner-
vose un caratteristico caso di « follìa del dubbio « a base morale.
Si trattava di un uomo che andava a raccogliere le immondizie nelle
case: egli fu preso dal dubbio che inavvertitamente fosse caduto
qualche oggetto utile nel cesto delle immondizie, e ch'egli potesse
essere sospettato di approfittarsene. Per questo l'infelice, sul punto
di partirsene col suo carico, rifaceva tutte le scale, ribussava a tutte
le porte, chiedendo se per caso non fosse rimasto niente di buono nelle
ceste. E, tornato indietro carico di tutte queste assicurazioni, tornava
ancora a bussare e così via. In vano egli ricorreva al medico per chie-
dere un aiuto alla propria volontà. Noi gli ripetevamo che nelle ceste
non c'era nulla, ch'egli poteva stare tranquillissimo su questo punto,
che continuasse senza preoccupazioni il suo mestiere. Allora un lampo
VII. - VOLONTÀ 137
di speranza brillava nei suoi occhi: « Posso stare tranquillo! » ripeteva
andando via. Dopo un minuto eccolo ricomparire: « Dunque posso
stare tranquillo? » Invano era rassicurato: « Sì sì : tranquillo, tran-
quillo )). La moglie Io trascinava via, ma dalla finestra noi vedevamo
a un certo punto il malato fermarsi per la strada, lottare, tornare in-
dietro affannato; ed eccolo ripresentarsi alla porta per chiedere: « Posso
stare tranquillo? ».
Ma quante volte delle persone normali racchiudono e nascondono
in sé i germi di una tal follìa! Ecco una persona che esce, inchiava
la porta, la scuote; ma quando ha fatto due passi l'assalisce il dubbio:
ho chiuso la porta? Sa che l'ha chiusa, ricorda benissimo di averla
scossa, ma una forza irresistibile la fa tornare indietro per verificare
se la porta è veramente chiusa. Ci sono dei bambini che prima "di co-
ricarsi la sera guardano sotto il letto se ci sono delle bestie, per esempio
dei gatti; vedono che non c'è nulla e capiscono che non c'è nulla. Ep-
pure eccoli dopo un po' ridiscendere dal letto per guardare se « c'è
niente sotto ». Questi germi si portano con sé, come bacilli tuberco-
lari inglobati in qualche glandoletta linfatica: tutto l'organismo è de-
bole. Ma ciò viene nascosto senza badarci, come col belletto si na-
scondeva un tempo il pallore del volto.
Basterebbe pensare che la volontà si manifesta in un'azione, alla
quale il corpo deve obbedire, per comprendere come un esercizio
formativo sia necessario a svilupparla nei suoi meccanismi.
Un parallelo perfetto esiste tra la formazione della volontà e
la coordinazione di movimento dei suoi ordegni materiali, i muscoli
striati. Che sia necessario un esercizio per stabilire delle attitudini ai
nostri movimenti è chiaro. Si sa che non si può imparare a ballare senza
esercitarsi; che non si può suonare il pianoforte senza preparare i
movimenti della mano ; ma prima di ciò dovevano già essersi sta-
bilite fin dall'età infantile le coordinazioni fondamentali dei movi-
menti, cioè la deambulazione e la prensione. Non è ancora altret-
tanto chiaro per noi che delle preparazioni graduali consimili siano
necessarie a svolgere la volontà.
Nelle funzioni puramente fisiologiche dell'apparecchio muscolare,
i nostri muscoli volontari non agiscono tutti nello stesso senso, ma
anzi in due sensi opposti : alcuni tendono per es. ad allontanare il
13^ PARTE PRIMA
braccio dal corpo, altri ad a\vicinarlo : alcuni tendono a piegare, altri
a stendere il ginocchio: sono cioè « antagonistici » nella loro azione.
Ogni nio\imento del nostro corpo risulta da una combinazione tra i
muscoli antagonistici, con prevalenza ora degli uni, ora degli altri,
ili una specie di u collaborazione » per la quale ci sono possibili i mo-
\imenti più di\ersi: energici, aggraziati, eleganti. È così che possiamo
stabilire tanto una nobile attitudine del corpo, come una affascinante
corrispondenza motrice al ritmo musicale.
Perchè questa intima combinazione tra antagonisti avvenga,
non c'è che l'esercizio nel muoversi. Si può, è vero, educare il movimento,
ma ciò quando la coordinazione naturale è già avvenuta: allora possono
« proNocarsi » dei mo\imenti speciali come nei giochi sportivi, nei
balli, ecc.. che però devono essere ripetutamente eseguiti dal soggetto
stesso, affinchè si producano in lui le possibiHtà di nuove combinazioni
di movimenti. Non solo per movimenti di agilità e di grazia, ma anche
per quelli di forza, è necessario che il soggetto stesso agisca ripetuta-
mente. È certo la volontà che è in gioco in tutte queste cose: il soggetto
\orrà darsi allo sport, vorrà ballare, vorrà fare esercizi di resistenza,
esporsi a gare di lotta, ecc.: ma per volere questo, è necessario che si sia
esercitato prima ripetutamente onde rendere pronti gli ordegni su cniVatto
volitivo vorrà infine imporsi col suo fiat. Il m.ovimento è sempre volon-
tario, così quando avvengono i primi movimenti che stabiliscono la
« coordinazione muscolare », come quando si seguono gli esercizi
adatti a procurare nuove combinazioni di moximenti (abilità), come
infine, quando la volontà agisce quale comandante che fa eseguire
i <uoi ordini da un esercito bene organizzato, disciplinato e di grande
abilità. L'azione volontaria, nei suoi « poteri » è cresciuta di grado
a mano a mano che i muscoh suoi dipendenti si perfezionavano e si
ponevano perciò nelle condizioni necessarie ad assecondarla.
Certo, a nessuno verrebbe in mente che per educare la motilità
\olor>taria di un bambino, occorresse prima di tutto tenerlo nella
immobilità più assoluta, ingessando le sue membra (non dico spezzan-
dole!) e attendendo poi che i muscoli si facessero atrofici e quasi para-
lizzati: e allora, arrivati a questo punto, bastasse leggere ai fanciulli
delle storie meravigliose di clown, di acrobati, di campioni mondiali
di lotta, onde animarh con l'esempio, infiammarh con un ardente
VII. - VOLONTÀ 139
desiderio di emulazione a fare altrettanto. Evidentemente questo
sarebbe il piìi inconcepibile assurdo.
E pure noi facciamo qualcosa di simile quando, per educare la
« volontà » del bambino, vogliamo prima annientarla o, come diciamo,
« spezzarla »; e quindi impediamo lo sviluppo di ogni fattore della vo-
lontà, sostituendoci in tutto al bambino. È con la nostra volontà
che lo teniamo immobile o lo facciamo agire; siamo noi che scegliamo
e decidiamo per lui. E dopo tutto questo ci contentiamo d'insegnargli
che « volere è potere ». E mettiamo innanzi alla sua fantasia, come
racconti favolosi, la storia di uomini eroici, di giganti della volontà,
con l'illusione che imparando a memoria quelle gesta, un vigoroso
sentimento, di emulazione nasca e compia il miracolo.
Quando ero bambina e frequentavo le prime classi elementari,
ebbi una maestra assai gentile e che ci amava molto. Essa, natural-
mente, ci teneva prigioniere e immobili nei banchi, e parlava di continuo
benché pallida e sfinita. La sua fissazione era di farci imparare a me-
moria la vita delle donne illustri e specialmente delle « eroine » per
spingerci ad imitarle; e ci faceva studiare tante e tante biografie
perchè, in certo modo, ci fossero note tutte le possibilità per diventare
illustri, e anche perchè prendessimo la convinzione che non è poi im-
possibile divenirlo, dal momento che ce ne sono in sì gran numero.
L'esortazione con cui accompagnava questi racconti era sempre la
stessa: « anche tu devi cercare di diventare celebre; non vorrai divenire
celebre anche tu? ». « Oh no! le risposi io un giorno seccata: non lo
diventerò mai: voglio troppo bene ai bambini dell'avvenire, per ag-
giungere un'altra biografia ».
Le relazioni unanimi di educatori di tutto il mondo, negli ultimi
congressi pedagogici e psicologici internazionali, lamentano la « man-
canza di carattere » nella gioventù, come un grande pericolo per la
razza. E pure non è nella « razza » che manchi il carattere; è la scuola
che contorce il corpo, quella che indebolisce l'anima. Basta un atto
di liberazione: e le forze latenti nell'uomo si svilupperanno.
I40 PARTE PRIMA
11 modo poi di ser\-irsi della propria xolontà forte, è una piìi alta
questione, la quale però può poggiar solo sopra un fondamento: che
la volontà esista, si sia sviluppata e sia forte. Uno degli esempi che
usiamo dare ai nostri bambini per far loro amare la forte volontà è
quello di Vittorio Alfieri, il quale a tarda età cominciò a istruirsi,
superando con grande sforzo la noia dei principii. Egli, prima uomo
di mondo, si mise a studiare la grammatica latina e persistè fino a
dixentare un letterato, e, per suo geniale impulso, uno dei nostri più
grandi poeti. La frase che dette per spiegare la sua trasformazione,
è appunto la frase che hanno udito ripetere dai loro maestri tutti i
bambini d'Italia: « volli, sempre volli, fortissimamente volli ».
Ebbene, prima di fare la grande « decisione », Vittorio Alfieri
era la preda di una capricciosa signora di società, che egli amava.
L'Alfieri sentiva che egli perdeva sé stesso, rimanendo schiavo della
sua passione: un interno impulso lo portava ad elevarsi, sentiva l'uomo
grande che era dentro di lui, pieno di forze non ancora sviluppate
ma possenti ed espansive; avrebbe voluto utilizzarle, corrispondere
alla loro chiamata interiore: dedicarsi ad esse; ma ecco che- un bigliet-
tino profumato della signora lo chiamava ad assistere con lei a uno
spettacolo teatrale nel suo palchetto, e la sera era perduta. Il po-
tere che la signora aveva su di lui superava la sua stessa volontà,
che avrebbe voluto resistere; eppure la noia, la rabbia che egli prova\'a
nel rimanere alle insulse rappresentazioni del teatro gli procuravano
tal sofferenza, che gli sembrava perfino di odiare la signora affasci-
nante.
La sua decisione fu materiale: pensò di crearsi un ostacolo insor-
montabile tra lui e lei, e allora si tagliò la bella treccia di capelli che
adornava la sua testa e che era il segno dei gentiluomini, senza la
quale egli non sarebbe potuto uscire di casa senza vergogna; poi si
fece legare con delle corde alla sua poltrona, e lì passò dei giorni,
senza poter leggere nemmeno una riga tanto era agitato: solo l'impossi-
bilità materiale di muoversi e il pensiero di essere ridicolo, lo tratte-
neva lì, contro l'impulso di correre dalla persona amata.
Così fu che egli « volle, sempre volle, fortissimamente volle »
e lasciò libero l'uomo interiore che era in lui di espandersi: così si salvò
dalla vanità e dalla perdizione, e lavorò alla propria immortahtà.
i
VII. - VOLONTÀ 141
Ed è qualcosa di simile che noi vorremmo dai nostri bambini con
l'educazione volitiva: noi vorremmo che essi imparassero a salvarsi
dalle vanità che fanno perdere l'uomo, e si concentrassero nel lavoro
che dà l'espansione della vita interna e conduce a grandi imprese :
noi vorremmo che essi lavorassero alla loro immortalità.
Per questo ansioso e amorevole desiderio, voghamo trascinarli
dietro a noi. Ma non è dentro il bambino quella forza che può condurlo
a salvarsi? Il bambino ci ama con tutto il suo cuore e ci segue con la
passione di cui è capace la sua piccola anima; tuttavia egli ha in sé
qualche cosa che in lui comanda: è la forza della propria espansione.
Per questa forza, per es. egli tocca tutte le cose per prenderne cono-
scenza, e noi gli diciamo: « non toccare »; egli si muove per stabilire il
suo equilibrio, e noi gli diciamo: «sta fermo»; egli c'interroga per essere
illuminato, e noi gli rispondiamo: «non esser noioso». Lo releghiamo,
avvinto e sottomesso, lì vicino a noi con pochi e noiosi giocattoli, come
un Alfieri sul palchetto del teatro. Egli potrebbe pensare: perchè vuole
annientarmi costei, che tanto amo? perchè vuole essa opprimermi
coi suoi capricci? è per capriccio che non mi permette di sviluppare le
forze espansive che sono in me, e mi relega tra cose vane e noiose, solo
perchè io l'amo.
E così O bambino dovrebbe essere un forte come Vittorio Alfieri
per salvarsi: ma troppo spesso non può.
Noi non ci avvediamo che U fanciullo è un oppresso e che lo an-
nientiamo, e poi esigiamo tutto dal suo nuUa per un fiat, per un atto
della nostra onnipotenza. Vorremmo l'uomo adulto, ma senza lasciarlo
crescere.
Quanti penserebbero, leggendo la storia di Vittorio Alfieri, che
essi avrebbero voluto di più dai loro figli: essi avrebbero voluto che
non ci fosse stato bisogno di mettere degli impedimenti materiali
contro la tentazione, come tagliarsi la treccia e legarsi con le corde
alla poltrona; ma che una forza spirituale, fosse stata quella suffi-
ciente a sostenerla. Come un nostro grande poeta, che cantando Lu-
crezia romana, le rimproverava di essersi uccisa, perchè avrebbe do-
vuto « morir di dolore » per l'affronto, se fosse stata ancor pivi onesta.
Ora, quel padre dagli ideali spirituali, probabilmente non si
domanderebbe che cosa ha fatto, lui, perchè il figlio potesse diventare
1^2 l'ARTE PRIMA
forte e innalzarsi fino a ricevere l'aiuto spirituale. Probabilmente
egli è un padre che mise ogni cura nello spezzare la volontà del suo
figlio, nel renderlo sottomesso alla sua propria volontà- Non è il padre
carnale che può fare innalzare lo spirito: ma la voce misteriosa che
parla dentro al cuore dell'uomo nel silenzio. Una voce stridula perchè
contrastante con le leggi della natura, come la voce di questo padre
che vuol sottomettere a sé una creatura, turba quel « silenzio » ove
nella pace e nella Ubertà giungono a compimento le opere divine.
Senza « l'uomo forte » tutto è vano.
Si racconta che una volta un sacerdote presentò a S. Teresa una
giovane che voleva entrare tra le carmelitane, e che, secondo lui,
aveva qualità angeliche. S. Teresa, accettando la neofita, rispose:
<i Guardate, padre mio, nostro Signore avrà dato a questa giovinetta
la divozione, ma essa non ha ora giudizio e non l'avrà mai; e ci sarà
sempre di peso ». "
Di Giovanna D'Arco, che qualcuno ha ritenuto un semplice stru-
mento d'ispirazione divina, uno dei maggiori teologi contemporanei
che ne ha studiata la personalità durante i processi per la santifica-
zione, dice : « Nessuno s'inganni : Giovanna d'Arco non è l'istrumento
cieco e passivo d'una potenza soprannaturale. La liberatrice di Francia
possiede tutta la sua personalità: essa ne dà la prova con l'agire indi-
pendente nelle sue decisioni e nei suoi atti ».
Io credo che l'opera dell'educatore consista prima di tutto nel
difendere le forze e dirigerle senza perturbarle nella loro espansione:
e poi nel mettere a contatto l'uomo con lo spirito che è in lui e che
dovrà servirsi di lui.
vili.
Intelligenza
Fermiamoci un momento a considerare quale sia la « chiave» di cui
possiamo disporre per giungere a realizzare la « libertà « del bambino:
quella che muove i meccanismi necessari all'educazione.
Il bambino « libero di muoversi », e che movendosi si perfeziona,
è quello che ha uno « scopo intelligente » nei suoi movimenti; il bambino
«libero di svolgere la sua interiore personahtà », quello che arsiste
in un lavoro lungamente e su tale fenomeno fondamentale si organizza,
è trattenuto e guidato da uao scopo intelligente. Senza ciò non sarebbe
possibile la persistenza nell'esercizio, la formazione interna, il progresso.
Quando noi ritraendoci dal guidare a passo a passo il bambino
soggiogato e lasciando « libero » il bambino dalla nostra personale
influenza, lo pensiamo in un ambiente a lui proporzionato e a contatto
dei « mezzi di sviluppo », noi lo lasciamo affidato alla « sua propria intel-
ligenza ». La sua attività motrice si rivolge allora ad atti determinati:
egli si lava le mani e il viso, spazza la stanza, spolvera i mobili, si cambia
il vestito, piega i tappeti, apparecchia la tavola, coltiva le piante,
cura gli animali. Sceglie i suoi lavori di sviluppo e vi persiste, trattenuto
e guidato dall'interesse verso un materiale sensoriale che lo conduca
a distinguere una cosa dall'altra, a scegliere, a ragionare, a correggersi:
e gli acquisti fatti in tal modo sono non solo « una causa di formazione »
interna, ma una forza propulsiva al progresso. Così passando da oggetti
semplici a oggetti sempre più complessi, si rende padrone di una cultura,
oltreché, per l'ordine interiore che in lui si va formando e per l'attitu-
dine che acquista, va organizzando il carattere.
144 PAUTli PKIMA
Quando noi, dunque, lasciamo' a sé il bambino, lo lasciamo alla sua
intelligenza. Non, come comunemente si ritiene, « ai suoi istinti»,
intendendo con la parola « istinti » quelli propri degli animali.
Siamo così abituati a \ oler trattenere i bambini nello stesso rango dei
cani e degli animali domestici, che un « bambino libero » ci fa pensare
a un cane che abbaia, salta e ruba le ghiottonerie. E siamo così abi-
tuati a ricevere come manifestazioni di « cattivi istinti » le ribellioni
del bambino trattato come una bestia, le sue latenti proteste e le sue
disperazioni, o le difese che deve inventare per salvarsi da una situa-
zione così umihante, che noi, per elevarlo, prima lo paragoniamo alle
piante e ai fiori, e poi cerchiamo di trattenerlo realmente, il più pos-
sibile, nella «immobilità» fìsica dei vegetali sottraendolo persino alle
stesse sensazioni, ponendolo in schiavitù. Ma egli non diventa mai la
pianta dal « profumo angelico » che vorremmo pretendere da lui ;
anzi i segni della corruzione si manifestano a mano a mano che la
sua « sostanza umana » si mortifica e muore.
Ma lasciando il bambino « libero come uomo » e deponendolo nella
palestra della sua intelligenza, cambia completamente il suo tipo.
Ed è su questo « tipo » che bisogna formare nuove concezioni,
discutendo sulla questione della « hbertà ».
Questa dell'intelligenza dovrà essere la chiave, io credo, anche di
un problema di libertà sociale dell'uomo. Si è parlato, negli ultimi
tempi, di « libertà di pensiero » in un modo molto superficiale. Con lo
stesso pregiudizio che c'è sul bambino, si è creduto di « liberare » l'uomo
« abbandonandolo » ai suoi pensieri; ma era egli capace di « pensare »?
L epoca di tale « libertà » non era quella forse della nevrastenia ce-
rebrale? Non era anche quella in cui si discutevano le leggi per estendere
dei diritti sociali agli analfabeti ?
Ora facciamo un esempio: se ad un malato diciamo di scegliere
tra morbo e salute, lo rendiamo con ciò libero di farlo? Se a un conta-
dino incolto offriamo delle carte monetate buone e false e lo lasciamo
« hbero di scegliere », se egli sceglie le false, non è libero, è ingan-
nato; se egli sceglie le buone non è libero, è fortunato. Libero sarà
quando avrà una conoscenza sufficiente non solo per distinguere le
buone dalle false, ma per pensare quale è l'utilità sociale delle une e delle
altre. È dare questa « formazione interiore » che rende liberi, senza bi-
vili. - INTELLIGENZA I45
sogno di ottenere un « permesso sociale » cioè una conquista esteriore
di libertà. Se la libertà dell'uomo fosse un problema sì semplice, ba-
sterebbe ottenere un articolo di legge che permettesse ai ciechi di ve-
dere e ai sordi di udire, e avremmo risanato una umanità infelice.
La nostra lealtà dovrà riconoscere un giorno che i diritti fondamen-
tali dell'uomo sono quelli della sua « formazione » libera di ostacoli,
libera di schiavitù e libera di assumere dall'ambiente i mezzi necessari
allo sviluppo. Infine, è nell'educazione il fondamento risolutivo dei
problemi sociali riguardanti la « personalità ».
Ora è molto istruttiva per noi la rivelazione fattaci dai bambini,
che r« intelligenza m è la chiave che apre i segreti della loro formazione,
ed è il mezzo stesso della loro costruzione interiore.
L'igiene dell'intelligenza viene così ad assumere una importanza
cardinale. L'intelligenza riconosciuta come mezzo di formazione, come
pernio della vita, non potrà più essere « sfruttata » per raggiungere
dubbie finalità, né soffocata od oppressa senza discernimento.
In un giorno non lontano, l'intelligenza 'dei bambini dovrà diven-
tare per noi oggetto di cura ben più minuziosa e sapiente, che non sia
oggi il corpo, di cui curiamo con mezzi costosi e laboriosi persino le
appendici, come i denti, le unghie, i capelli. E se noi riflettiamo che
quella madre perfettamente conscia dei pericoli e dei ricostituenti
che si riferiscono ai capelli del suo bambino, può opprimere e fare schiava
la sua intelligenza senza accorgersene, dobbiamo subito riconoscere
che lungo dovrà essere il nuovo cammino aperto alla civiltà, se oggi
sono possibili tali contrasti tra le superfluità e i fondamenti della vita.
Che cosa è l'intelligenza? senza risahre alle definizioni che ne
hanno dato i filosofi, possiamo intanto considerare l'insieme delle
attività riflesse ed associative o riproduttive che permettono alla
mente di costruirsi mettendola in rapporto con l'ambiente. Secondo
il Bain, la coscienza della differenza è il principio d'ogni esercizio intel-
lettuale; il primo passo della mente è la « distinzione ». Le « basi » delle
sue funzioni conoscitive verso il mondo esterno, sono le « sensazioni ».
I4b . PARTE PRIMA
Raccogliere i fatti e distinguerli tra loro, ecco l'inizio della costru-
zione intellettiva.
Cerchiamo un po' più di determinazione e di chiarezza, nell'ana-
lisi dell'intelligenza.
Il primo carattere che ci si presenta come indice di sviluppo
intellettuale, si riferisce al tempo. Il popolo ha così bene afferrato
cjuesto carattere primitivo, che la parola « svelto » è sinonimo di intel-
ligente. Essere rapidi nella reazione a uno stimolo, nell'associazione
di idee, nella capacità di formulare un giudizio, ecco la più appari-
scente manifestazione esteriore dell'intelligenza. Questa « sveltezza »
sta certo in rapporto con la capacità di raccogliere le impressioni
dall'ambiente, d'elaborare le immagini, di estrinsecare i prodotti
interiori. Tutto ciò può essere svolto con un esercizio paragonabile a
una u ginnastica » mentale: raccogliere numerose sensazioni, metterle
continuamente in rapporto tra loro, ricavarne giudizi, avere l'abitu-
dine di manifestar questi liberamente, ciò deve rendere, come direb-
bero gli psicologi, sempre più permeabili le vie di conduzione e le vie
associative e sempre più brevi i « tempi di reazione ». Così come in un
movimento muscolare inteUigente la ripetizione dell'atto non solo
lo perfeziona in sé stesso, ma lo rende più rapido. Un bambino inteUi-
gente a scuola è non soltanto quello che capisce, ma quello che capisce
più presto. Viceversa chi impara le medesime cose, ma mettendoci
molto tempo, per esempio due anni invece di uno, è tardivo. Il bambino
«svelto», dice il popolo, «non si lascia sfuggire niente»; egli ha l'atten-
zione sempre desta, è pronto a ricevere ogni sorta di stimoli: come
una bilancia sensibile si muove ad ogni minima variazione di peso,
così il cervello sensibile può rispondere ad ogni più piccola chiamata.
Ed altrettanto è rapido nelle associazioni: « capisce a \olo ", dice
il popolo, per tradurre il suo preciso concetto.
Ora, un esercizio che « metta in moto » i meccanismi intel-
lettuali non può essere che un « autoesercizio ». E impossibile che
un'altra persona esercitandosi invece di noi, ci faccia acquistare delle
attitudini.
Gli esercizi sensoriali risvegliano nei nostri bambini le loro atti\ità
centrah e le intensificano. Quando, isolato il senso e lo stimolo, il
bambino ha delle percezioni chiare nella sua coscienza; quando le
vili. - INTELLIGENZA I47
sensazioni di caldo, di freddo, di ruvido, di liscio, di pesante, di leggero,
quando un suono, un rumore isolato giungono a lui; quando nel silenzio
quasi assoluto chiude gli occhi ed attende una voce mormorante una
parola, avviene come se il mondo esterno avesse bussato alla porta
della sua anima risvegliandone le attività. Ed allorché le moltitudini
delle sensazioni si sommano poi nella ricchezza dell'ambiente, le
une si influenzano armonicamente sulle altre, intensificando le atti-
vità risvegliate: così avviene nel bambino che assorto nella pittura
del suo disegno, mentre suona la musica sa trovare i colori più belli; in
quello che, contemplando il gaio e grazioso ambiente della scuola e le
piante fiorite, intona perfettamente la sua canzone.
Il primo carattere che si manifesta nei nostri bambini, dopo che fu
iniziato il loro processo di autoeducazione, è che le loro reazioni diven-
tano più pronte e più rapide: uno stimolo sensoriale che sarebbe potuto
passare inosservato o avrebbe potuto richiamare torpidamente l'atten-
zione, è vi\'amente percepito. Il rapporto tra le cose e quindi l'errore, è
facilmente riconosciuto, giudicato e corretto. Con la ginnastica sen-
soriale il bambino fa appunto questo esercizio primordiale e fonda-
mentale dell'intelligenza, che sveglia e mette in opera i meccanismi
nervosi centrali.
Visti così nella loro apparenza esterna, i nostri bambini attivi e
svelti, sensibili alla più impercettibile chiamata, pronti ad accorrere
rapidamente verso di noi senza distrarre l'attenzione da ogni loro
movimento e da ogni oggetto esterno che possano incontrare, e para-
gonati ai bambini torpidi delle scuole comuni, goffi nelle loro movenze,
indifferenti agli stimoli, incapaci di associare spontaneamente le idee,
fanno pensare alla civiltà dei nostri giorni paragonata all'antica.
L'ambiente civile antico, rispetto al nostro, è più tardo: noi abbiamo
saputo risparmiare tempo. Si andava in diligenza, ora si va in auto-
mobile, e persino in aeroplano; si parlava a distanza della voce, oggi
si parla a mezzo del telefono; gli uomini si uccidevano ad uno ad uno,
oggi si uccidono in massa. Sì, questo ci fa comprendere che la nostra
civiltà non ha per base il « rispetto alla vita » e « alle anime », ma piut-
tosto il « rispetto al tempo ». E solo in una parte tutta esteriore che la
civiltà ha percorso il suo cammino. Si è fatta più rapida, ha messo in
azione dei meccanismi.
MS
/
Ma l'uomo non ha avuto la stessa preparazione a seguirla: gl'indi-
\idui non si sono accelerati metodicamente; i bambini di questo am-
biente vorticoso non sono uomini nuovi, più attivi, più svelti, più intel-
ligenti. Non si è eretta la personalità umana trasformata, a porre sé
stessa innanzi a tutte le cose, e a utilizzare a beneficio suo tutte le
esterne conquiste. L'uomo torpido risparmia in questa civiltà tempo
e denaro; ma il suo spirito rimane defraudato, oppresso.
S'egli non si erige a riformare sé stesso, in accordo col nuovo
mondo che ha creato, corre il rischio di essere un giorno da esso travolto
e schiacciato.
La rapidità delle reazioni nei nostri bambini, non sono che una
manifestazione esterna dell'intelligenza.
Essa è collegata non solo dlV esercizio ma all'ordine che si è venuto
formando nell'interno: ed è questo lavoro intimo di riordinamento
che raccoglie in sé un più proprio significato di formazione intellettuale.
L'ordine è poi la vera chiave della rapidità nelle reazioni. In una
mente caotica è altrettanto difficile il riconoscimento di una sensa-
zione come la possibilità di elaborare un ragionamento. In ogni cosa,
anche sociale, è l'organizzazione, l'ordine che fa procedere rapidamente
tutti gli affari.
« Saper distinguere », ecco il carattere dell'intelligenza: distinguere
è ordinare, ed anche, nella vita, é preparare la « creazione ».
La creazione trova le sue espansioni nell'ordine. Anche nella genesi
biblica vi è questo concetto. Dio non comincia a creare senza prepa-
razione; e questa preparazione è l'ordine portato nel caos: « E divise
la luce dalle tenebre. E disse : Si radunino le acque in un sol luogo e
l'arida apparisca ». Nella coscienza ci può essere un contenuto vario
e ricco; ma quando esiste confusione mentale, l'intelligenza non appa-
risce. L'apparizione sua è proprio come l'iniziarsi di una luce che faccia
distinguere chiaramente le cose: « sia la luce ».
Allora si può ben dire che aiutare lo sviluppo dell'intelligenza
è aiutare a ordinare le immagini della coscienza.
Dobbiamo pensare allo stato della mente del piccolo bambino
a tre anni, il quale ha già visto un mondo. Quante volte egli è caduto
vili. - INTELLIGENZA I49
addormentato per la stanchezza di aver veduto tante cose: nessuno
ha pensato che passeggiare per lui è lavorare; che vedere, udire, quando
ancora i sensi non sono accomodati, sì che egli deve continuamente
correggere gli errori dei suoi sensi, e verificare con la mano ciò che
ancora con certezza egli non può valutare con gli occhi, è una grande
fatica. Per questo il piccolino sopraffatto dagli stimoli, nei luoghi
ove questi sovrabbondano, piange o si addormenta.
Il piccolo bambino di tre anni porta un pesante caos dentro di sé.
Egli è come un uomo che avesse accumulato una immensa quan-
tità di libri, accatastati senza ordine, e che si domandasse: che ne farò?
Quando potrà egli ordinarli in modo da poter affermare: « io possiedo
una biblioteca »?
Coi nostri cosiddetti « esercizi sensoriali » noi porgiamo ai bambini
la possibilità di distinguere e di classificare. Infatti il nostro materiale
sensoriale analizza e rappresenta gli attributi delle cose; dimensioni,
forme, colori, levigatezza o ruvidezza delle superfici, peso, temperatura,
sapori, rumori, suoni. Sono le (qualità degli oggetti, non gli oggetti
stessi, per quanto queste qualità, isolate l'una dall'altra, sono poi
esse stesse rappresentate da oggetti. Agli attributi: lungo, corto, grosso,
fino, grande, piccolo, rosso, giallo, verde, caldo, freddo, pesante, leggero,
ruvido, hscio, odoroso, rumoroso, sonoro, corrispondono poi altrettante
serie di « oggetti >■ in gradazione. Questa gradazione è importante
per l'ordine, infatti gh attributi degli oggetti non differiscono solo
in qualità, ma anche in quantità. Si può essere più o meno alti o bassi,
piìi o meno grossi o fini ; i suoni hanno varie tonalità; i colori hanno
vari gradi di saturazione; le forme possono essere in vario grado somi-
glianti tra loro; gli stati di ruvidezza o di levigatezza sono tutt 'altro
che assoluti.
Il materiale dei sensi si presta a distinguere tutte queste cose.
Esso permette prima di tutto di constatare l'identità di due stimoli
coi numerosi esercizi di appaiamento e d'incastro.
Quindi la differenza, quando con le lezioni si richiama l'attenzione
del bambino sugli oggetti esterni di una serie: chiaro, scuro, lungo, corto.
Infine egli comincia a distinguere i gradi degli attributi, mettendo
in gradazione la serie degli oggetti: come le tavolette che riportano
\'ari gradi di saturazione dello stesso tono cromatico; le campane
1.50 parti: prima
che riportano i suoni di una ottava ; degli oggetti rappresentanti lun-
ghezze in rapporto decimale, ovvero grossezze in rapporto centesi-
male, ecc.
Questi esercizi, che attraggono tanto il bambino, vengono da lui
ripetuti indefinitamente, come abbiamo visto. La maestra suggella
ogni acquisto con una parola; così la classificazione e compiuta, ed
ha perfino il suo schedario, cioè la possibilità di richiamare l'attri-
buto e la sua immagine, con un titolo.
Ora, siccome noi non abbiamo altra possibilità di distinguere le
cose se non sui loro attributi, la classificazione di questi porta con sé
un ordine fondamentale, comprendente tutte le cose. Oramai il mondo
non è più un caos per il bambino: la sua mente somiglia un po' agli
scaffali ben ordinati di una biblioteca, o a quelli di un ricco museo;
ogni oggetto è al suo posto, nella sua categoria. Ed ogni suo acquisto
non sarà più «immagazzinato», ma «collocato». Quell'ordine primitivo
non \errà mai turbato ma solo arricchito di materia.
Così il fanciullo, avendo acquistato la possibilità di distinguere
una cosa dall'altra, ha posto le basi dell'intelligenza. Non occorre
ripetere quale impulso interno sia l'ordine acquisito, verso la ricerca
di oggetti nell'ambiente; il bambino va oramai a « riconoscere » le cose
che lo circondano. Quando egli scopre con tanta commozione che il
cielo è azzurro, che la sua mano è liscia, che la finestra è rettangolare,
egli in realtà non iscopre né il cielo, né la mano, né la finestra, ma scopre
il loro posto nell'ordine della sua mente. E ciò determina un equilibrio
stabile nella personalità interiore, che porta calma, forza e possibilità
di nuova conquista ; così come i muscoli che hanno coordinato le
loro funzioni, permettono al corpo di tenersi in equilibrio e gli fanno
acquistare quella stabiUtà e sicurezza che facilita tutti i movimenti.
Quest'ordine fa risparmiare forze e tempo ; come un museo bene or-
dinato, risparmia le forze e il tempo dei ricercatori. Il bambino quindi
può eseguire una maggiore quantità di lavoro senza stancarsi, e può
reagire in un tempo più breve.
Distinguere, classificare e catalogare le cose esterne in base ad
un ordine sicuro già esistente nella mente, ecco l'intelligenza e insieme
»
via. - INTFLLIGKNZA I5I
la coltura. Anche popolarmente si ha questo concetto; quando un let-
terato riconosce dallo stile un autore, o il carattere delle composizioni
letterarie di un'epoca, si dice che è « intelligente di letteratura ». Ana-
logamente si dice che è « intelligente di arte « chi riconosce un autore
dal modo con cui sono usati i colori d'un quadro, o chi, dal frammento
di un bassorilievo, sa riconoscere un'epoca. Anche lo scienziato ha il
medesimo tipo. Egli sa osservare le cose, e ogni loro particolare anche
minimo è « messo in valore »; quindi le differenze tra i caratteri delle
cose sono percepite con evidenza e classificate. Lo scienziato distingue gli
oggetti secondo l'ordine della sua mente. Una pianticella, un microbo,
un animale o un avanzo di esso, non sono enigmi per lui, per quanto
gli siano in sé stessi sconosciuti. Lo stesso si dica per il chimico, per il
tìsico, per il geologo, per l'archeologo.
Non è il cumulo di conoscenze dirette delle cose, che forma il let-
terato, lo scienziato, l'intelligente; ma è l'ordine preparato nella mente
che deve riceverlo. Invece la persona incolta ha solo la conoscenza
diretta degli oggetti: essa potrà essere una signora che passa gran parte
della notte a legger libri, o un giardiniere che passa la sua vita distin-
guendo materialmente le piante del suo giardino. La conoscenza di
queste persone incolte è non solo disordinata, ma limitata agli oggetti
coi quali vengono direttamente in rapporto. La conoscenza invece dello
scienziato è infinita, perchè egli possedendo la classificazione degli
attributi delle cose, tutte può riconoscerle e determinarne ora la classe,
ora le parentele, ora le origini: fatti più profondi che le cose stesse non
potrebbero da sé rivelare.
Ora i nostri bambini, analogamente agli « intelligenti » d'arte,
analogamente agli « scienziati », riconoscono nel mondo esterno gli
oggetti dai loro attributi e li classificano; sono perciò sensibili a tutti
gli oggetti : ogni cosa acquista per essi un valore. Invece i bambini
incolti passano ciechi e sordi vicino alle cose, come un uomo ignorante
passa accanto a un'opera d'arte, a una musica classica, senza né ri-
conoscerla, né gustarla.
^^ I metodi educativi in uso fanno il cammino in\erso a quello che
è il nostro cammino: essi, avendo precedentemente abolito l'attività
spontanea, presentano al bambino direttamente gli oggetti col loro
< umolo di attributi, richiamando su ciascuno di essi l'attenzione, e
152 PARTI-: PRIMA
sperano dio da tutto ciò la inente del liambino possa astrarne gli
attributi stessi, senza alcuna guida uè ordine. Così fabbricano in un
essere passivo un caos artitìciale, più limitato di quello che il mondo
naturale offrirebbe.
Il metodo « oggettivo » oggi in uso, che consiste nel presentare
un oggetto e rilevarne tutti gli attributi, cioè descriverlo, non è che una
variazione « sensoriale » del solito metodo mnemonico: invece di de-
scrivere un oggetto assente, si descrive un oggetto presente; invece
di essere solo l'immaginazione che lavora alla ricostruzione, i sensi
intervengono: questo fa sì che le qualità distintive dell'oggetto stesso
siano meglio ricordate. La mente ^ssiva riceve delle immagini, che
sono limitate agli oggetti presentati: e che si « immagazzinano » senza
ordine. Infatti ogni oggetto può avere infiniti attributi: e se, come av-
viene spesso nelle lezioni oggettive, si pongono tra questi le origini
e le finalità dell'oggetto stesso, la mente deve addirittura vagare nel
mondo. Così, p. es., se in una lezione oggettiva sul caffè, quale io la sentii
fare in un giardino d'infanzia, esso si descrive facendone osservare
la dimensione, il colore, la forma, l'odore, il sapore, la temperatura; e poi
si parla deUa pianta e perfino del modo come fu trasportata in Europa
attra\'erso l'Oceano, per finire coli 'accendere una lampadina, fare scal-
dare l'acqua e macinare il caffè ed apprestarne una bibita, si è fatta
disperdere la mente in ispazi infiniti, ma non si è esaurito l'argomento.
Perchè si poteva ancora parlare degli effetti eccitanti del caffè, della
caffeina che da esso si estrae e di tante altre cose. Quest'analisi dilaghe-
rebbe come una macchia d'olio fino alla dispersione, e ciò che riesce
impossibile è di utilizzarla in qualche modo. Se infatti si domandasse
al bambino: « che cosa è dunque il caffè »? egli forse risponderebbe:
« è una cosa così lunga che io non me la posso ricordare ». Una nozione
sì vaga (non si può dire certamente così complessa!) affatica e in-
gombra la mente, e non potrà mai trasformarsi in una eccitazione
dinamica di associazioni similari. Gli sforzi del bambino saranno, al
massimo, sforzi di memoria per ricordare la storia del caffè. Se
delle associazioni si formano nella sua mente, saranno associazioni
inferiori di contiguità: la sua mente andrà dalla maestra che parla
all'Oceano che fu traversato, alla ta^vola da pranzo su cui ogni
giorno a casa comparisce il caffè nelle tazzine: cioè divagherà come
I
vili. - INTELLIGENZA 153
fa la mente oziosa quando si « lascia trascinare » dalla serie delle sue
associazioni passive.
In questa specie di réverie a cui si abbandonano le menti dei bam-
bini, nessuna attività interiore apparisce — né, tanto meno, una diffe-
renza individuale. I fanciulli, col metodo delle lezioni oggettive, riman-
gono sempre degli esseri puramente recettivi: o se si vuole, dei magazzini
dove si suppone che ci sia posto per deporvi sempre nuovi oggetti.
Non sorge alcuna attività che si rivolga verso l'oggetto per rico-
noscerne le qualità, in modo che il bambino stesso se ne faccia un'idea :
né può sorgere nella sua mente la possibilità di collegare altri oggetti
al primo per caratteri di somiglianza. Poiché, in che cosa dovrebbero
somigliare a quello gli altri oggetti? nell'uso ?
Allorché noi associamo per similarità le immagini di oggetti diversi,
dobbiamo estrarre dall'insieme le qualità che gli oggetti stessi hanno in
comune. Se, per esempio, noi diciamo che due piastrelle rettangolari
sono simili, abbiamo prima estratto dalle molteplici qualità di quelle
piastrelle, quali sarebbero il fatto di essere di legno, di essere verni-
ciate, liscie, colorate, di temperatura indifferente, ecc., la qualità relativa
alla loro /orma. Esse sono simili nella forma. Ciò può richiamare una
lunga serie di oggetti: il piano del tavolino, la finestra, ecc., ma per far
ciò è necessario che prima la mente abbia saputo astrarre dai molteplici
attributi di quegli oggetti la forma rettangolare. Il lavoro della mente
in questa ricerca deve necessariamente essere attivo: essa analizza
l'oggetto, ne estrae un determinato attributo, e sulla guida di questo,
fa lina sintesi associando molti oggetti sotto uno stesso mezzo di con-
giunzione. Se questa attitudine di selezione verso alcuni soli degli
attributi che si riferiscono all'oggetto, non si acquista, è impossibile
l'associazione per similarità, la sintesi, e tutto il lavoro superiore del-
l'intelligenza. D'altronde questo é il lavoro intellettuale nella sua realtà,
perché l'intelligenza non ha come suo carattere di « fotografare » gli
oggetti, e « tenerli uno sull'altro » come le pagine di un album, o
giustapposte come le mattonelle di un pavimento. Un tale lavoro di
semplice « deposito « é una violenza alla natura intellettuale. L'intel-
ligenza con i suoi caratteri di ordinamento e di distinzione sa pure
distinguere ed estrarre i caratteri prevalenti degli oggetti, ed è su questi
che essa edifica poi le sue interiori costruzioni.
154 PARTI- PRIMA
Ora. i nostri bambini che hanno la mente ordinata in rapporto
alla classificazione degli attributi, per un aiuto pedagogico ricevuto,
sono condotti non solo ad osservare gli oggetti secondo tutti gli attri-
buti che hanno analizzato, ma anche a distinguere le identità, le dif-
ferenze e le somiglianze; e in questo lavoro viene facile e spontaneo
l'strarre una delle qualità corrispondenti a uno dei gruppi senso-
riali considerati a parte. Cioè, sarà facile pel bambino così riconoscere
le \arie qualità di un oggetto, come rilevare che alcuni oggetti sono
simili di forma, o sono simili di colore; perchè le « forme », i «colori»
sono già stati raggruppati in categorie ben distinte fra loro, e pos-
sono quindi richiamare per similarità delle serie di oggetti. Quella
classificazione degli attributi è una specie di calamita, è una forza
attrattiva di un determinato gruppo di qualità; e gli oggetti che hanno
queste qualità vi sono attratti e riuniti insieme: ecco l'associazione
per similarità, quasi meccanizzata. I libri hanno la forma di prismi:
potrebbe dire uno dei nostri bambini; e tale giudizio sarebbe la con-
clusione di un assai complesso lavoro mentale, se le forme prismatiche
non facessero già una serie ben definita nella sua mente, che attrae
a sé tutti gli oggetti dell'ambiente che hanno quel carattere. Così
il colore bianco dei fogli di carta, interrotto da segni scuri, può essere
attratto da colori sistematizzati nella mente, in un insieme sintetico
che può far dire al bambino: i libri sono fogli di carta bianca stampata.
E in questo lavoro attivo che le differenze individuali possono
delinearsi. Quale sarà il gruppo di attributi che più attra,e gli oggetti
simili? e quale sarà la scelta del carattere prevalente su cui fare una
associazione per similarità? Un bambino troverà che quella tenda
è verde-chiaro; un altro rileverà invece che quella stessa tenda è leg-
gera; uno sarà colpito dal color bianco della mano; un altro, dalla le-
vigatezza della sua pelle. Per un bambino la finestra sarà un rettan-
golo; per un altro essa lascerà trasparire l'azzurro del cielo. La scelta
dei caratteri prevalenti, nei bambini, diviene una « selezione naturale »
in rapporto con le proprie innate tendenze.
Invece uno scienziato sceglierà i caratteri più utili alle sue asso-
ciazioni. Un antropologo potrà scegliere la forma della testa per distin-
guere le razze umane, e un altro potrà scegliere il pigmento cutaneo:
ciò è indifferente. Entrambi gli antropologi possono avere la conoscenza
vili. - INTKLLIGENZA 155
più esatta dei caratteri esterni dell'uomo: ma l'importanza della cosa
sta nel tro\are un carattere su cui fondare la classificazione, su cui
cioè raggruppare in ordine di somiglianza la moltitudine dei caratteri.
Delle persone semplicemente pratiche potrebbero considerare l'uomo
sotto un punto di vista utilitario, anziché scientifico: un fabbricante
di cappelli estrarrebbe dai caratteri umani le dimensioni della testa;
un oratore vedrebbe l'uomo sotto il punto di vista della possibilità
che ha di commuoversi alle sue parole. Ma la scelta, questa è la neces-
sità fondamentale per giungere a realizzare le cose: per uscire dal vago
ed entrare nel pratico; per uscire dalla contemplazione divagante
ed entrare nell'azione.
Ogni cosa creata ed esistente è caratterizzata dal fatto di avere
dei limiti. La nostra stessa organizzazione psicosensoriale si fonda
sopra una selezione. Che cosa fanno i sensi se non corrispondere a
una determinata serie di vibrazioni e non ad altre? Così è che l'occhio
limita la luce e l'orecchio limita i suoni. Per formare il contenuto della
mente, il primo passo è dunque una raccolta necessariamente e mate-
rialmente limitata. Tuttavia la mente limita ancor più la raccolta
possibile ai sensi, foggiandola sull'attività di selezione interiore. Così
è che l'attenzione si fissa su oggetti determinati e non su tutti gli
oggetti: e la volizione sceglie gli atti da compiere realmente tra una
moltitudine di atti che sarebbero possibili.
Nello stesso senso si compie il lavoro alto dell'intelligenza: con
una analoga azione di attenzione e di volontà interiori, essa astrae
i caratteri prevalenti delle cose e perviene così ad associarne e tenerne
presenti le immagini. Essa « tralascia » di considerare un' immensa
zavorra che renderebbe il suo contenuto informe e confuso. Ogni mente
superiore distingue le cose essenziali dalle superflue, respinge queste
ultime, e può così pervenire alle sue caratteristiche creazioni chiare,
fini e viventi. Essa è capace di estrarre ciò che è utile alla sua vita
creativa e così trovare nel cosmo i mezzi della sua salute. Senza questa
caratteristica attività, l'intelligenza non può costituirsi; essa sarebbe
come un'attenzione che passa da cosa a cosa senza mai fissarsi in
alcuna, e come una volontà che non può decidersi a nessuna azione.
» Si può supporre, dice il James, che un Dio, senza danno della
sua attività, veda contemporaneamente tutte le più minute parti
156 PARTE PRIMA
del mondo. Ma so la nostra attenzione umana si disperdesse in questo
modo, noi contempleremmo semplicemente e vacuamente tutte le
cose, senza trovar mai l'opportunità di fare qualche atto particolare ».
È uno dei fenomeni meravigliosi della vita, questo di non potersi
realizzare se non determinando dei limiti: quel mistero per cui ogni
essere vivente ha la sua « forma » e la sua « statura « al contrario dei
minerali che sono indefiniti in forma e dimensione, si ripete per la vita
psichica. Il suo sviluppo, la sua autocreazione, non è che una deter-
minazione sempre più precisa, una « concentrazione » progressiva:
è così che dal caos primitivo viene a poco a poco a <( scolpirsi » la nostra
forma interiore caratteristica. ^
La possibilità di farci un concetto di una cosa, di giudicare e di
ragionare, ha sempre questo fondamento. Quando, dopo aver preso
conoscenza degli attributi che può avere una colonna, si astrae come
fatto generale che la colonna è un sostegno, questa idea sintetica
si è appoggiata sopra una qualità prescelta. Così, nel giudizio che
possiamo emettere: le colonne sono cilindriche, abbiamo estratto
una qualità tra tante altre che ci avrebbero potuto far dire: sono
fredde, sono dure, sono un composto di carbonato di calcio, ecc. E
solo con la capacità di tali selezioni che si rende possibile il ragiona-
mento. Quando, per esempio, nella dimostrazione del teorema di Pita-
gora i bambini maneggiano i pezzi degl'incastri di ferro, devono par-
tire dal punto in cui constatano che un rettangolo è equivalente al
rombo, e un quadrato è equivalente allo stesso rombo. E la consta-
tazione di questo fatto che rende possibile il seguente ragionamento:
dunque il quadrato e il rettangolo sono equivalenti tra loro. Se non
fosse stato possibile determinare quell'attributo, a nessuna conclu-
sione poteva venire il pensiero. La mente è riuscita a scoprire un at-
tributo comune a due figure dissimili ; ed è questa scoperta che può
condurre a una serie di conclusioni per le quali viene infine ad essere
dimostrato il teorema di Pitagora.
Ora, come per la volontà, la decisione presuppone un eser-
cizio metodico delle forze impulsive e inibitrici, che solo l'individuo
vili. - INTELLIGENZA I57
stesso può fare, fino a determinare delle abitudini, così per l'intelli-
genza deve essere l'individuo a esercitarsi nelle sue attività di asso-
ciazione e di selezione, guidato e aiutato da mezzi esteriori, fino a de-
lineare, con la eliminazione definitiva di certe idee e la scelta di altre,
delle « abitudini mentali » caratteristiche all'individualità, al « tipo ».
Poiché in fondo a tutte le attività interiori che possono costruire la
mente, c'è, come rivelano i fenomeni dell'attenzione, la tendenza in-
di\-iduale, la « natura «.
Esiste indubbiamente una profonda differenza tra capire ed
apprendere il ragionamento altrui, e poter « ragionare »; tra imparare
come un artista può vedere il mondo esterno secondo un suo carattere
prevalente di colorito, di armonia e di forma, e vedere realmente
il mondo esterno intorno a un fulcro che sostiene la propria creazione
estetica. Nella mente di chi « impara le cose altrui » può stare, come
in un sacco di roba usata che pesi sulle spalle di un rivendugliolo, così
la soluzione dei problemi di Euclide, come le immagini delle opere
di Raffaello, come le nozioni di geografia e di storia, come le regole
della stilistica, con la stessa indifferenza e la medesima sensazione di
« peso ». Invece chi usa per la propria vita tutto ciò, è come la persona
che è aiutata a raggiungere il suo benessere, il suo sollievo, il suo
confort, da quegli stessi oggetti che sono il « peso » nel sacco del riven-
dugliolo. Tali oggetti però non sono più ammassati senza ordine e senza
scopo in un sacco chiuso, ma sparsi nell'ampiezza di una casa linda
e ordinata. La mente che « costruisce » potrà contenere molto più
di quella ove si ammassano artificialmente le cognizioni come nel
sacco; e in essa, come nella casa, gli oggetti sono ben divisi l'uno
dall'altro, armonicamente disposti, distinti nel loro uso.
Tra « capire » perchè una persona cerca d'imprimere in noi col suo
discorso la spiegazione di una cosa, e « capire » da noi stessi la cosa,
corre una diversità sconfinata: è come se in una cera molle si imprimesse
una forma che poi sarà cancellata e sostituita da altre, e se, invece,
una forma fosse scolpita da un artista come una creazione, sul marmo.
Colui che « capisce da sé » ha una impressione improvvisa : sente
che la sua coscienza si é sgomberata, e qualche cosa di luminoso ri-
splende in essa. Il capire allora non é indifferente: é il principio di
qualche cosa, talvolta é il principio di una vita che si rinnova in noi.
158 l'VKTi: PRIMA
K(Mse nessuna omozione è più piDcUittiva por l'uomo, che l'emozione
intellettuale. Chi fa una scoperta ricca di conseguenze ha certo il
massimo tra i godimenti umani; ma anche chi semplicemente «capi-
sce », ha un godimento superiore che può sovrastare e vincere anche
i più gra\i stati di dolore. Infatti chi è oppresso da una sventura, se
può giungere a distinguere il proprio caso da altri, o a capire un perchè
delle sue afflizioni, prova un sollievo, prova il « senso della salvazione ».
Tra le tenebre confuse in cui era piombato, un raggio intellettuale
consolatore ha brillato. Ciò che è diffìcile appunto, è di trovare la via
di scampo nell'ora delle tenebre. Quando si riflette che un ckne può
morire di dolore sulla tomba del suo padrone e una madre può soprav-»
vivere sulla tomba del suo unico figliuolo, è la ragione che brilla su-
bito come la differenza tra i due. Il cane non può farsi una ragione;
esso può soccombere perchè nessuna luce tra le tenebre della sua in-
telligenza può penetrare a vincere la depressione dell'ambascia.
Ma il pensiero di una giustizia universale, il vivo ricordo della
persona perduta che la fa rimanere fra noi, salvano l'uomo. E a poco
a poco, non l'oblio che solo può salvare l'animale, ma i rapporti in cui
l'intelligenza si mette con l'universo, giunge a ridare la calma alla
anima addolorata. Tale conforto non potrebbe mai essere dato dal-
l'arida lezione di un professore, dall 'apprendere a memoria la teoria
di uno scienziato ripugnante col nostro stato di animo. Quando si
dice « farsi una ragione », « attinger forza da un principio », s'intende
lasciar libera nel suo lavoro di ricostruzione e di salvazione l'intel-
ligenza sempre cercante.
Ora, se l'intelligenza nel « comprendere » può essere addirittura
la salvezza nel pericolo di morte, qual fonte di godinn;nto deve essere
per l'uomo!
Quando si dice « s'apre la mente » s'intende un fenomeno crea-
tivo, che non è l'essere fiaccati da una impressione fatta violentemente
dall'esterno. L'aprirsi della mente è il capire attivo che si accom-
pagna a grandi emozioni, e che perciò si « sente » come un avveni-
mento interno.
Io conobbi una ragazza senza madre, che era stata talmente op-
pressa dagli insegnamenti aridi della scuola, da rimanere pressoché inca-
pace di studiare e persino di comprendere le cose insegnate. La sua vita
vili. - INTELLIGENZA I59
solitaria e senza affetti si era sommata alla stanchezza mentale. Il padre
la fece vivere per qualche anno in aperta campagna come una piccola
selvaggia, e poi la ricondusse in città sottoponendola all'insegnamento
privato di vari « professori ». La fanciulla studiava ed imparava ri-
manendo affaticata e passiva. Il padre le chiedeva ogni tanto: « Ti si
riapre la mente? » e la fanciulla rispondeva sempre: «Non so; che cosa
vuol dire? ». Per una combinazione strana della mia vita, la fanciulla fu
affidata alle mie sole cure: e così io, ancora studente di medicina, feci
la mia prima esperienza pedagogica, sulla quale io qui non mi posso
fermare, benché sarebbe degna di molto interesse. Mentre un giorno
stavamo assieme ed essa si occupava di chimica organica, s'interruppe,
e mi guardò con occhi brillanti, e disse: « Ecco, è adesso! è adesso!
Ho capito! ». Poi si alzò e andò via chiamando e gridando forte:
« Papà papà! Mi si è aperta la mente! ». Io, che ancora non conoscevo
la storia di questa ragazza, rimasi sorpresa e commossa. Ella aveva
preso le mani del padre e gli ripeteva: « Adesso posso dirtelo, sì sì,
prima non sapevo che cosa era: la mia mente si è aperta! ». La gioia del
padre e della figlia, la loro unione in quel momento, mi fecero pensare
alle gioie e alle fonti di vita che noi perdiamo facendo schiava l'in-
telligenza.
Infatti, ogni conquista intellettuale, è pei nostri bambini liberi
una fonte di gioia. Questo è il « piacere » a cui sono ormai in preda r
che li fa sdegnare ogni altro piacere inferiore: è dopo averlo gustato
che i nostri piccini sdegnano i dolci, i giocattoli e le vanità.
È questo che li rende sublimi davanti agli occhi di chi li contempla.
Il loro piacere è quel piacere superiore che distingue l'uomo da
la bestia, e che può salvare perfino dalla perdizione del dolore,
delle tenebre.
Quando a questo metodo si fa l'accusa che esso vuol servire al
« piacere » dei bambini, e ciò è immorale, non si offende il metodo,
ma il bambino. Perchè in quell'accusa ciò che prevale è la calunnia
verso il fanciullo, considerato da tutti a pari della bestia; e si pensa
che il suo « piacere » possa essere soltanto la ghiottoneria, l'ozio o
peggio. Ma nessuna di queste cause potrebbe mai intrattenere il bam-
bino ore e giorni ed anni nel « piacere ». È solo quando egli ha affer-
rato il « piacere umano » che vi persiste e vive, con una gioia che fa
l60 PARTI. PRIMA
ricordare l'impeto di quella fanciulla fuggente verso il padre per an-
nunciargli la fine delle tenebre, dove da anni languiva.
Quelle « crisi » che sono oggi soltanto luci intellettuali del genio che
scopre una verità, non rappresentano forse un fenomeno « naturale »
della vita psichica? Non potrebbe essere che la manifestazione del
genio fosse quella di una « vita forte » salvata dai pericoli per la
sua straordinaria individualità, e perciò appunto capace essa sola di
ri\-elare la vera natura dell'uomo? Il suo tipo allora sarebbe comune,
e tutti gli uomini, in grado maggiore o minore, apparirebbero della
sua stessa « specie ». Anche le « vie » che il bambino segue nella sua
« costruzione attiva » sono quelle del genio. La sua caratteristica è
l'intensità dell'attenzione, la concentrazione profonda che isola da
tutti gli stimoli dell'ambiente, e che per intensità e per durata, corri-
sponde allo svolgersi dei fatti interiori. Come nel genio, la concen-
trazione non resta senza effetti, ma è origine di crisi intellettuali,
di rapidi sviluppi interiori, e soprattutto di una « attività esterna »
che si esplica nell'operare.
Il genio, si potrebbe dunque dire, è l'uomo che ha spezzato i
suoi legami, che si è mantenuto libero, e ha messo innanzi agli occhi
della folla il vessillo dell'umanità da lui conquistata.
Quasi tutte le manifestazioni degli uomini che si sono « liberati »
dai legami esterni dei loro tempi, si riscontrano nei nostri ragazzi.
Così è, per esempio, della sublime « ubbidienza interiore » oggi scono-
sciuta ancora alla maggior parte degli uomini, fuorché ai monaci,
i quali però spesso la posseggono come teoria e la contemplano solo
nell'esempio dei santi; e dei mezzi necessari alla costruzione di una
forte vita interiore, che fanno parte della preparazione dei religiosi,
nella « meditazione » metodica. Nessuno, fuorché i religiosi, fa pra-
tiche di meditazione. Noi sappiamo appena distinguere la medita-
zione dai metodi per « apprendere » intellettualmente. Sappiamo, per
esempio, che leggere di seguito una moltitudine di hbri, disperde le
forze ed il pensiero; e che imparare a memoria un brano di poesia
vuol dire ripeterla tante volte finché non resta impressa: e che tutto
questo non è « meditare ».
Chi impara a memoria un verso di Dante, o chi si sofferma a
meditare un versetto del Vangelo, fa un lavoro ben diverso. Il canto
vili. - INTELLIGENZA Ibi
di Dante « adornerà » per qualche tempo la mente che se lo impresse,
senza lasciar traccia di sé. Il versetto meditato avrà un'azione trasfor-
matrice, riedificatrice. Chi medita, spoglia la propria mente, fino
al possibile, d'ogni altra immagine, e cerca di concentrarla sull'oggetto
della meditazione, in modo che vi restino polarizzate tutte le in-
terne attività: o, come dicono i monaci, « tutte le potenze dell'anima ».
Ciò che si attende dalla meditazione è « un frutto interiore di
fortezza»: l'anima si solidifica, si unisce, e diventa attiva; essa potrà
agire poi sul seme intorno a cui s'è raccolta per farlo fruttificare.
Ora il modo scelto dai nostri bambini per seguire il loro sviluppo
naturale, è la « meditazione », perchè altro non può essere quel soffer-
marsi a lungo sopra ogni singola cosa, traendone una graduale matu-
razione interiore. Lo scopo dei bambini che persistono intorno ad un
oggetto, non è evidentemente quello di « imparare »: essi vi sono
trattenuti dai bisogni della loro vita interna, che deve organizzarsi
e svolgersi per loro mèzzo. Ed essi in tal modo iniziano e continuano
la loro « crescenza ». È quella l'attitudine per la quale a poco a poco
ordinano ed arricchiscono la loro intelligenza. Meditando, entrano
in quella via di progresso che continuerà senza termine.
È dopo un esercizio di meditazione sulle cose che i nostri bambini
si rendono capaci di gustare il silenzio: e poi, fatti delicatamente
sensibili alle impressioni, cercano di non far rumore quando agiscono,
di non lasciarsi sfuggire atti sgarbati, perchè essi stanno gustando il
frutto della « concentrazione » dello spirito.
È in tal modo che si unifica e si fortifica la loro personalità. L'eser-
cizio che serve di mezzo a ciò, è di perfezionare a grado a grado V esat-
tezza con cui percepiscono il mondo esterno, osservando, ragionando
e correggendo gli errori dei sensi in un'attività spontanea continuata.
Sono essi che agiscono, essi che scelgono gli oggetti, essi che persistono
sul lavoro, essi sono che cercano di conquistare nell'ambiente la pos-
sibilità di concentrarsi. Ciascuno si muove secondo l'interno motore.
Essi non sono perturbati da una maestra, da un essere evidentemente
superiore che s' impone con la superba sua ricchezza intellettuale
alla oppressa povertà di chi s'inizia alla vita, ed ottenebra anziché
dar luce, stanca anziché vivificare: ma convivono pacifici con lei,
che quasi pontefice, è serva. Come in un convento idealizzato, l'umiltà.
102 PARTI-; PRIMA
la semplicità, il lavoro, formano l'ambiente o\e chi medita sentirà
un giorno in se la chiaroveggenza, l'intuizione, quasi la sensibilità
che rende pronti a rice\ere la verità.
Per altro scopo ma sulla stessa \ia, tra il silenzio, la semplicità,
e l'umiltà dei monaci, lo spirito si prepara a rice\ere la fede nei
principi della vita.
Molti anni fa, quando io ebbi l'impressione che i nostri bambini
rixelassero dei principi generali di vita, che a noi è dato riscontrare
in pratica solo tra la élite intellettuale e spirituale della società, e che
perciò essi contemporaneamente fossero rivelatori di una forma di
oppressione ancora inconscia che gravaNa sulla umanità deformandone
la vita interiore, ne parlavo lungamente con una intellettuale signora,
la quale si interessava delle mie « teorie » e desiderava ardentemente
che io ne facessi un elaborato trattato iìlosohco; ma non poteva adat-
tare la mente a ciò: che si trattasse di un fatto sperimentale. Sen-
tendomi parlare di bambini, ebbe uno scatto d'impazienza: « Ho ca-
pito, capito abbastanza di questi bambini; come intelligenza sono
tanti geni, e come bontà sono tanti angioU ». Ma quando, insistendo,
riuscii a farla venire a vedere, essa prendendomi per le mani e guardan-
domi fìssa in volto: « Non ha dunque pensato » mi disse « che può mo-
rire da un momento all'altro?... Scriva dunque subito, scriva come
può, più in fretta possibile, come un testamento, la semplice descri-
zione dei fatti, per non portare, morendo, questo segreto con sé ».
Tuttavia io ero in buona salute.
Se osserviamo quale fu il lavoro mentale degli uomini di genio,
ai quali dobbiamo le scoperte che aprirono nuove vie al pensiero,
e che portarono nuove forme di benessere e di progresso sociale, dob-
biamo con\'enire che in esse non c'è niente di straordinario, di inacces-
sibile alla mediocrità. « Il genio coincide col possesso in grado ec-
cellente dell'associazione per similarità. È questo il fatto capitale
nel genio « dice il Bain. Proprio nel « punto centrale « della scoperta,
non c'è rhe una osservazione esatta, e un semplicissimo ragionamento
vili. - INTELLIGENZA 163
di cui tutti si crederebbero capaci, dopo che la scoperta è fatta. Per
lo più è un raccogliere « l'evidenza », che però nessuno vedeva.
Si potrebbe dire che il genio ha la possibilità di isolare nella sua
coscienza un fatto, e di distinguerlo da tutti gli altri, come se in una
camera oscura si facesse cadere un solo raggio di luce sopra un bril-
lante. Quella sola idea, poi, travolge con sé tutta intera la coscienza,
ed è capace di costruire qualche cosa di grande, di prezioso per tutta
l'umanità.
Ma è l'intensità di cose comuni, non è lo straordinario, che pre-
\ale; è l'isolamento in un campo omogeneo, non il valore intrinseco
della cosa, che determina il mirabile fenomeno. Forse dentro mille
e mille coscienze caotiche, quella gemma esisteva, immagazzinata
tra una moltitudine di inutili oggetti ingombranti e non riusciva
nemmeno a farsi distinguere; mentre l'inerzia continuava a far pene-
trare sempre nuovi oggetti tra le pareti dilatate e impotenti. Dopo
la scoperta, molti si accorgono di aver contenuto la stessa verità; ma
non è la verità che ha valore in questo caso, è l'uomo che ha potuto
sentirla e corrisponderci con l'azione.
Molte altre volte non accade che la verità scoperta esista già
nel caos delle coscienze tenebrose, ed allora sembra che la nuova luce,
pur sì semplice, non trovi la sua strada per penetrare nelle coscienze.
Essa è respinta come qualche cosa di estraneo, di fallace; ed oc-
corre molto tempo, occorre che nella intelligenza si faccia un po'
di ordine, uno spazio, perchè la « novità « vi possa penetrare. E pure
essa un giorno sarà trovata limpida come un brillante. Non era la
« natura » dell'uomo che vi ripugnava, erano i suoi « errori ». Pei quali
errori non solo gli uomini sono incapaci di « produrre », ma hanno in
sé un impedimento a « ricevere ». Intanto accade spesso che i pre-
cursori i quali apportano salute, siano perseguitati da una specie di
ingratitudine inconscia, che è frutto di tenebre interiori.
Quale fu il ragionamento di Cristoforo Colombo? Egli pensò:
« se veramente la terra è rotonda, partendo da un punto ed andando
sempre avanti, si deve tornare al punto di partenza ». Questo fu tutto
il lavoro intellettuale che arricchì gli uomini di un nuovo mondo.
Che il grande continente si fosse trovato sulla via di Colombo,
e fosse stato da lui incontrato invece della morte, fu la sorte do\uta
1(14 PARTI' PRIMA
all'ambiente. L'ainbionte piemia talvolta nei modi più sorprendenti
fl piccoli ragionamenti « di questa specie.
Non fu certo un gran lavoro dell'intelligenza umana che operò
tutto questo, ma fu il trionfo di questa idea su tutta la coscienza, e
il coraggio eroico dell'uomo, che gli dettero valore. La grande difficoltà
stava in ciò, che un uomo il quale aveva tale idea persistesse tanto
da convincere gli altri ad aiutarlo nell'impresa, a dargli navi e seguaci.
Non l'idea, la fede di Colombo operò.
Quel ragionamento semplice e logico, accese in lui qualche cosa
che ha ben più valore dell'intelligenza e fece sì che un uomo solo
di umile origine, quasi incolto, potesse regalare ad una regina un
mondo.
Si dice che Alessandro Volta avesse la moglie ammalata di febbre,
quando egli, secondo l'uso del tempo, stava preparando le famose
rane scorticate per farne un brodo; appena appese le rane morte alla
inferriata della finestra in un giorno di pioggia, vide che esse con-
traevano le zampe. « Se i muscoli morti si contraggono, vuol dire che
una forza è penetrata in essi dall'esterno ». Ecco il ragionamento
semplice « del genio », del « grande scopritore ». E, cercando questa
forza, il Volta, per mezzo delle sue pile, seppe rapire alla terra l'elet-
tricità che è veramente, anche come figura, la « scintilla » di un im-
menso progresso. Aver messo in valore un piccolo fatto come quello
di un essere morto che si muove, averlo considerato semplicemente
senza rivestirlo di fantasie, ed essersi fermato innanzi al problema che
ne derivava: perchè si muove?, ecco la via lungo la quale fu raggiunta
una delle più grandi conquiste dell'uomo civile.
Fu simile la scoperta di Galileo quando egli, stando ai piedi
del Duomo di Pisa, seguiva le oscillazioni di una lampada appesa.
Egli osservò che le oscillazioni si compievano tutte nello stesso
tempo: e l'isocronismo del pendolo fu un principio per la misura del
tempo in mano a tutti gli uomini, e per l'astronomo fu la misura
dei mondi.
E assai semplice la storia di Newton, che si sente cadere addosso
un pomo mentre stava sdraiato sotto un albero, e pensa: « Perchè
questo pomo è caduto? ». Da tale semplice origine viene la teoria della
gravità dei corpi, e quella della gravitazione universale.
vili. - INTELLIGENZA 105
Studiando la vita di Papin, si resta meravigliati della sua coltura
che lo poneva all'altezza degli uomini più dotti dei suoi tempi: me-
dico, fisico, matematico, fu ricercato ed onorato dalle Università
d'Inghilterra e di Germania. E pure egli fu utile all'umanità' e
perciò grande, soltanto perchè una pentola d'acqua che bollendo
sollevava il coperchio, fissò la sua attenzione. « Il \'apor d'acqua è
una forza ch§ potrebbe muovere uno stantuffo, come muove un
coperchio, e diventar perciò la forza motrice di una macchina ». La
famosa pentola di Papin è una specie di bacchetta di fata nella storia
dell'umanità che, dopo di essa, cominciò a lavorare e viaggiare seriza
stancarsi. Quanto meravigliose, simili storie delle grandi scoperte che
\'engono dall'umiltà, e operano poi in tutto il mondo un immenso
prodigio !
Esse sono simili alle origini degli esseri viventi che nascono da
due cellule impercettibili, microscopiche, la cui fusione spinge irre-
missibilmente a creare vite complicatissime. Percepire con esattezza,
collegare logicamente le cose percepite: ecco il lavoro dell'intelligenza
superiore. Ma questo lavoro è caratterizzato da una singolare forza
di attenzione, che fa persistere sopra un oggetto la mente in una specie
di meditazione, segno caratteristico del genio; così deriva una vita inte-
riore ricca di attività, come le cellule germinative sono frutto di in-
tere esistenze. Si direbbe che tali mentalità non differiscano dal comune
per la forma, ma per la « forza ». È la vita robusta da cui provengono
quelle due piccole scintille intellettuah, che le rende sì prodigiose.
Se non fossero scaturite da personalità forti, indipendenti, capaci
di agire con persistenza, di dedicarsi con eroismo, quei piccoli lavori
intellettuali sarebbero restati come una cosa morta e trascurabile.
Tutto ciò dunque che rinforza l'uomo inferiore, lo può condurre sulle
orme del genio.
Poiché, riguardo all'intelligenza in sé, è un lavoro piccolo quello
che essa deve compiere, ma chiaro, sfrondato da superflue complica-
zioni. La semplicità è quella che conduce alla scoperta; la semplicità
che come la verità deve essere nuda. Solo poco è necessario; ma
questo poco deve costituire una unità poderosa: il resto è vanità.
E più la vanità, cioè il vano ingombro della mente è grande, e
più ottenebra la chiarezza, e disperde le forze, rendendo diffìcile o
lfl6 PARTI PRIMA
impossibile non solo ragionare e agire, ma perline percepire la realtà,
vedere.
Sarebbe interessante considerare rapidamente per quali errori
intellettuali collettivi viene ostacolato il progresso di una scoperta
nuova, semplice e apportatrice di sollievo all'umanità, e può essere
perfino lungamente negata l'esistenza reale dei fatti evidenti, sol perchè
ancora non erano conosciuti.
Fermiamoci un momento a studiare la scoperta della malaria.
Questa scoperta dovuta al Ross, inglese, per gli uccelli, ed al Grassi,
italiano, per l'uomo, consiste nell'avere trovato che il plasmodio della
malaria, producentc la malattia, viene inoculato negli animali che
ne vanno soggetti e nell'uomo, da speciali zanzare. Vediamo quale
era lo stato della scienza prima della scoperta. Nel 1880 il Laveran
aveva descritto un microrganismo animale, il quale viveva a spese
dei corpuscoli rossi del sangue, producendo col ciclo della sua vita
l'accesso febbrile. Gli studi ulteriori confermarono e precisarono
questo fatto e il plasmodium malariae fu conosciuto universalmente.
Era noto che i microrganismi animali, a differenza di quelli vegetali,
dopo un ciclo di vita in cui, la produzione avviene per scissione, cioè
per suddivisione di un solo corpo in parecchi altri corpi uguali al primo,
danno luogo a àeWe forme sessuate, maschili e femminili; le quali sono
separate ed incapaci di scissione, ma che devono fondersi insieme;
e allora l'organismo riprende di nuovo il suo ciclo di scissioni sino alle
forme sessuate.
Il Laveran aveva trovato che nel sangue di malati, i quali gua-
riscono spontaneamente delil. febbre malarica, si trova una grande
quantità di corpiccioli i quali non hanno più la forma rotondeggiante
dei plasmodi, ma sono a semiluna e raggiati. Egli li interpretò come
trasformazione dei plasmodi, e siccome erano « alterati nella forma »
e « incapaci di dare la malattia » li interpretò come organismi « dege-
nerati », quasi fossero deformati ed esauriti dal « troppo lavoro » pre-
cedentemente compiuto. Queste forme si chiamarono « forme dege-
nerative del Laveran ». Dopo che nel 1900 fu fatta la scoperta della
trasmissione della malaria, furono riconosciute le « forme degenerative »
I
INTELLIGENZA 167
del Laveran come gli individui sessuati del ciclo riproduttivo: indi-
vidui che non erano capaci di coniugarsi nel sangue dell'uomo, ma
che solo nel corpo delle zanzare potevano dar luogo al nuovo essere.
Si potrebbe riflettere: perchè il Laveran non riconobbe semplicemente
quelle forme sessuate e come mai anzi non cercò il periodo della co-
niugazione nei plasmodi, che erano microrganismi animali? Se avesse
avuto innanzi alla mente il ciclo completo dei protozoi, li avrebbe ri-
conosciuti. Invece, evidentemente, davanti alla sua fantasia erano
più vi\'e le teorie di Morel sulla degenerazione dell'uomo ; e sembrò
" geniale » il salto che portava, a traverso quelle teorie così lontane,
fimo all'interpretazione dei plasmodi. Si potrebbe dire che il « gesto
geniale », la generalizzazione immaginosa, impedirono al Laveran di
vedere il vero. Una forma di superbia e di leggerezza è riconoscibile
in tali errori.
Tuttavia qualcosa di più grave ci sorprende: e come mai centinaia
e migliaia di studiosi in tutto il mondo, abbracciarono ad occhi chiusi
l'errore di Laveran, e nessuno (tra tanti) ebbe per conto proprio il
ciclo dei protozoi innanzi agli occhi, e nessuno fu così indipendente da
voler cominciar a studiare per proprio conto il fenomeno? che cosa
è questa forma mentale di inerzia? e perchè si produce nell'uomo?
Tutti questi seguaci, non curanti del problema messo h sotto ai loro
occhi dalle forme sessuate del plasmodio, lo lasciavano lì, poiché non
era stato ancora risolto, e certo non intuivano la celebrità, il progresso
della scienza e il bene dell' umanità che sarebbero scaturiti se quel
problema fosse stato un ostacolo che avesse arrestato su di sé il loro
pensiero, dicendo: « risolvimi ».
Passavano oltre indifferenti, plaudendo al gesto geniale della
mi'Ute del Laveran; ripetendo con lui: sono forme degenerate. Un
gesto vano, era quello che si portava dietro delle turbe di persone
le quali avevano abdicato alla propria personalità senza esserne co-
scienti.
Un'altra conoscenza biologica acquisita era che il .sistema circo-
latorio è un sistema chiuso di vasi, e che l'epitelio di rivestimento
non è permeabile a corpi solidi non taglienti, come sarebbero i mi-
crobi \egetali, o, tanto meno, i protozoi rotondeggianti, molto più
f^randi dei microbi e di consistenza molli. Questo fatto dimostrato
loS PARTE PRIMA
e noto, avrebbe dovuto pone un problenìa innanzi alle menti degli
studiosi: come fanno ad entrare nel torrente circolatorio i protozoi
della miUaria? Ma, tino dai tempi di Ippocrate, da Plinio, Celso, Ga-
leno, si era detto che la febbre veniva dall'» atmosfera tossica » dei
luoghi paludosi, dalla cattiva aria del mattino e della sera, tanto
che ancora fino a pochi anni prima della scoperta si coltivavano gli
eucalipti con la fede che avrebbero filtrato e disinfettato l'aria. Come
mai nessuno, si chiedeva in qual modo dunque daWaria i plasmodi
potevano entrare nel torrente sanguigno? Da quale specie di torpore
era presa l'intelligenza di persone che si erano specializzate nel la-
\-oro intellettuale? Ecco una somma colossale di intelligenza, senza
nessuna individualità.
Finché il Ross scopre che negli uccelli la malaria è inoculata da
peculiari zanzare.
E ecco, finalmente, il ragionamento fondamentale donde scaturì
la conoscenza della verità: « se negli uccelli è la zanzara che inocula
la malaria, anche nell'uomo dovrà avvenire lo stesso ».
Ragionamento semplice, che conduce come una freccia alla sco-
perta definitiva. Nulla sembrò più incredibile che nei luoghi malarici
ci fosse aria buonissima e fertile terreno, e che si sarebbe potuto re-
spirare mattina e sera di quell'aria restando in ottima salute, purché
le zanzare non pungessero, e che le falangi di contadini consumati
dalle anemie malariche, si sarebbero rinvigoriti e salvati, coprendosi
con un velo. Ma dopo il primo stordimento, e venendo la convinzione
dai fatti, ci fu la recriminazione di tutte le intelligenze: e come mai
non lo scoprimmo prima? Non era forse noto il ciclo dei protozoi?
Non si ripeteva da tutti che il sistema circolatorio era chiuso ed im-
permeabile ai microrganismi? Non era naturale pensare che solo un
insetto succhiatore di sangue poteva inocularlo?
Quanti studiosi sentirono che la gloria era passata vicino a loro,
e ne furono stupiti e dolenti come i pellegrini di Emmaus, che resta-
rono a ripetersi tra loro dopo che il Maestro fu scomparso senza che
lo avessero riconosciuto: « Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre
parlava e ci rivelava la scrittura? ».
Quanti dovettero pensare: noi lavorammo tanto per ingombrare
la nostra mente, e pure una cosa sola era necessaria: farci umili e sem-
vili. - INTELLIGENZA 169
plici, ma indipendenti. Invece ci empimmo di tenebre, e il raggio
che ci avrebbe fatto veggenti, non penetrò fino a noi.
Osserviamo dei fatti più grossolani. Si conosceva empiricamente
fin dalla civiltà greca, che possono cadere «pietre dal cielo». Nelle
più antiche cronache cinesi sono registrate cadute di aeroliti. Nel medio
evo e nell'evo moderno si fanno sempre più frequenti le notizie in-
torno alla caduta di aeroliti. E perfino dei fatti straordinari registrati
nella storia sono accaduti in rapporto a simili fenomeni: fu la meteorite
caduta nel 1492 che servì all'imperatore Massimiliano I di Germania
ad eccitare la cristianità alla guerra contro i Turchi. Tuttavia fino al
secolo xviii non era ammesso dagli scienziati il fenomeno. Una delle
più grandi meteoriti è quella caduta presso Agram nel 1751, del peso
di circa 40 kg. e che fu deposta e catalogata nel gabinetto mineralogico
di Corte a Vienna. Ora ecco ciò che lo Stùtz, un erudito tedesco, dichiara
in proposito nel 1790: « Che il ferro sia caduto dal cielo possono crederlo
i profani alla storia naturale, possono averlo creduto nel 175 1 anche
gli uomini illuminati della stessa Germania, data la universale ignoranza
allora dominante fra noi della storia naturale e della fisica; ma al no-
stro tempo sarebbe imperdonabile ammettere solo la verosimiglianza
di simili favole ».
Nello stesso anno 1790 essendo caduta in Guascogna una aero-
lite di dieci chilogrammi, avvertita da una gran quantità di per-
sone, ne fu redatta una relazione ufficiale firmata da trecento te-
stimoni, e inviata all'Accademia di Parigi. La risposta fu che « era
stato molto divertente ricevere il documento legale di una simile
stupidità » (i).
Quando pochi anni dopo il Chladni, di Wittenberg, fondatore della
acustica scientifica, cominciò a convenire sul fenomeno e a credere
all'esistenza degli aeroliti, fu citato come «un uomo che disconosceva
ogni legge e che non rifletteva di quanto male era colpevole nel mondo
morale »; e un erudito dichiarò che « se avesse visto cadere ai suoi
piedi ferro dal cielo, non ci avrebbe creduto ».
(i) Ma un grande fisico, non potendo prender parte a tale divertimento scrisse:
« È triste vedere un Municipio che dà fede con un protocollo alle dicerie del volgo,
e vedere testimonianze autentiche di un fatto che evidentemente è impossibile » .
170 r.\KTi: PRIMA
Incrotlulità più grande di quella di S. Tommaso che disse: «Se
io non tocco non credo ». Qui invece esistono pezzi di ferro di dieci,
di quaranta chili, che si possono toccare: ma l'erudito dice: « anche se
tocco, non credo ».
Non basta dunque vedere per credere; bisogna credere per vedere.
La fede è che conduce la vista; non la vista che produce la fede. Quando
il cieco del Vangelo manda l'ansioso grido : « Fa che io vegga », egli
chiede la « fede » poiché sa che si possono avere gli occhi e non vedere.
Il fatto di non essere sensibile all'evidenza, è poco considerato
in psicologia, e tanto meno fa parte di un criterio pedagogico. E pure
sono notissimi molti fatti consimili benché in un campo psicologico
inferiore: p. es., che senza il consenso interno dell'attenzione, invano
gli stimoli agirebbero sui sensi. Mille esperienze di questo genere
entrano a far parte della conoscenza comune. Non basta che un oggetto
sia innanzi ai nostri occhi perché noi lo vediamo: bisogna che ci portiamo
la nostra attenzione; una preparazione interna che prepari a ricevere
le impressioni dello stimolo, è necessaria.
In un campo , più ejetto e puramente spirituale, avviene pure
qualche cosa di simile: un'idea non può entrare trionfalmente nella
coscienza, se una preparazione di fede non l'attende. Senza ciò essa
può bussare anche violentemente e brutalmente, con una evidenza
clamorosa, senza poter penetrare. Bisogna che il campo della coscienza
sia non solo libero, ma in « attesa ». Chi è disperso in un caos di idee
non può accettare una verità che arriva all'improvviso nel campo
impreparato.
Questo fatto non è analogo solo ad altri fatti psichici di infe-
riore importanza, come quello delle percezioni sensoriali in rapporto
all'attenzione: ma é pure analogo ai fatti dello spirito che sono così
noti nel campo religioso. Invano si spiega od anche si fa vedere un
fatto sia pure straordinario se non c'è la fede: non è l'evidenza, è la
fede che lascia penetrare la verità. Gli stessi sensi sono un mezzo
vano se l'interiore attività non é essa ad aprire le porte per ricevere.
Quando nel Vangelo si narrano i miracoli più clamorosi di Cristo,
segue sempre la conclusione: « e molti di quelli che videro, credettero ».
La parabola dell'invito a pranzo, a cui non possono rispondere quelli
che hanno degli affari che li preoccupano, sembra accennare a un
vili. - INTELLIGENZA I7I
fatto simile a questo fatto intellettuale, ove le « preoccupazioni « di
complicate idee preesistenti, impediscono alla nuova verità evidente
che si presenta, di penetrare. Per questo occorre il precursore a pre-
parare il Messia. E per questo il Messia, come le idee nuove, sono
accolti dai « semplici », da coloro che non sono « carichi di pesanti
preoccupazioni » e che conservano i caratteri naturali dello spirito,
di essere puro e sempre in « attesa ».
Quando Harvey nel 1628 scoprì la circolazione del sangue, la
fisiologia era pressoché sconosciuta; e la medicina si trovava nel pieno
periodo del suo empirismo. È noto che la facoltà di medicina di Parigi
" malgrado le esperienze » rifiutò di credere alla circolazione, perse-
guitando e calunniando l 'Harvey. « Quello che mi piace in mio figlio »
dice il Dyafoirns « ed in cui segue il mio esempio, è che rimane fedele
alle opinioni dei nostri antichi, e che mai non ha voluto né comprendere
né ascoltare le ragioni e l'esperienza delle pretese scoperte del nostro
secolo, per quanto riguarda la circolazione del sangue ».
Uno dei documenti umani più impressionanti é la storia della
scoperta dei foglietti germinativi nello sviluppo embrionale dei verte-
brati. Nel 1700 era in vigore, nelle idee sulla generazione, la teoria
della preformazione: cioè si credeva che nei germi ci fossero piccoli
esseri già completamente formati, che dovevano poi dispiegare ed
accrescere le parti, di dimensioni infinitesime, che erano implicate le une
nelle altre. Ciò per tutti gli esseri viventi, vegetali, animali e umani.
Una tale teoria aveva condotto per proprio sviluppo logico, all'altra
più ampia teoria della « inclusione vicendevole »; cioè, dovendo essere
tutti gli organismi viventi preformati, era necessario che fossero esi-
stiti tutti, fin dall'epoca della creazione, l'uno incluso, accartocciato
nell'altro. Nelle ovaie di Eva doveva trovarsi tutta l'umanità. Quando
il Leuwenhoek, nel 1690, scoprì al microscopio gli spermatozoi, venne
l'idea che ogni cellula maschile contenesse al completo un omino mi-
croscopico: l'homunculus; ed allora fu pensato che non Eva, ma Adamo
avesse contenuto in sé tutta l'umanità. Di qui le due opposte teorie
che nel xviii secolo tennero ben separati gli avversari: quella degli
x-jz parti; prima
ovulisti e quella degli animalculisti ; e una tale disputa non sembrava
sulla via di una possibile decisione. Nomi* illustri di scienziati e di fi-
losofi si legano a tali dispute: per esempio quello dello Spallanzani
e del Leibnitz, il quale applica anche all'anima i principi della genera-
zione. « Così io penserei » dice il Leibnitz « che le anime che un giorno
saranno anime umane, sono state presenti nel seme, che hanno sempre
esistito in forma di corpi organizzati nei loro progenitori fin d'Adamo,
cioè fin dal principio delle cose » (i). L'Haller, ovulista, il cui nome di
fisiologo fu molto autorevole, in una celebre opera: Elementa physio-
logiae, sostenne decisamente il principio: « Nulla est epigenesis ! Nulla in
corpore animali pars ante aliam facta est, et omnes simul creatae exi-
stunt )) cioè nulla è creato di nuovo, nessuna parte del corpo animale è
stata fatta prima dell'altra, tutte sono create allo stesso tempo. Fa-
cendo, secondo la cosmogonia biblica, un calcolo del numero degli
uomini che dovevano essere accartocciati nelle ovaie di Eva, egli li
suppone in numero di duecento miliardi. Era questo lo stato del pen-
siero quando Gaspare Federico Wolff nel 1759 fece noti alcuni suoi studi
nell'opera Theoria generationis, ove sosteneva, sull'autorità di esperi-
menti e di osservazioni al microscopio fatte su embrioni di pollo, che i
nuovi esseri non sono preformati, ma si creano completamente da sé,
partendo dal nulla, ossia da una cellula microscopica semplice come
tutte le cellule primitive. Egli descriveva il modo semplice con cui
avviene la vera evoluzione degli individui: da una cellula, per divisione,
se ne formano due e poi quattro e poi otto, e così via. E le cellule così
germinate si dividono in due o tre lamelle o « foglietti primitivi » dai
quali poi vengon tutti gli organi, e, primo, il canale digerente. «Questa
affermazione » dice il Wolff, « non è già una teoria immaginaria: è la
descrizione di fatti raccolti con la più sicura osservazione ».
Tutti gli scienziati del suo tempo conoscevano e maneggiavano U
microscopio: a tutti era accessibile un uovo e quindi un embrione di
pollo da osservare; il problema della genesi individuale non li lasciava
indifferenti, ma anzi li aveva spinti ai più complicati sforzi della fan-
tasia, e li aveva divisi in fazioni, come avversari in una battaglia del
pensiero. Poteva qualcuno, se non altro pel sentimento di Sansone, di
(i) DuWAnlropogcnia di Haeckel.
vili. - INTKLLIGENZA I73
distruggere sé stesso insieme ai Filistei, tentare la prova, osservare. Il
dubbio almeno che potesse esserci la verità in ciò che era stato veduto e
descritto, che si poteva riprodurre, avrebbe pur dovuto animare qual-
cuno ad avventurarsi in una via che, se vera, era grandiosa e serbava
un avvenire di scoperte e di gloria. Ma no. Una nebbia fìtta ottenebrava
le menti, e la lampante verità non potè penetrarla ; così ogni progresso
dell'embriologia restò precluso.
Erano scorsi cinquant'anni, e il Wolff, povero e perseguitato, esule
dalla sua patria, era morto a Pietroburgo, quando il Pander ed Ernesto
\on Baer, affacciarono di nuovo nel campo delle scienze la teoria dei
« foglietti blastodermici ». Allora il mondo scientifico si accorse della
verità ed abbracciò l'evidenza, dando principio agli studi di embrio-
logia, che tanto illustrarono il xix secolo.
Perchè dovettero scorrere cinquanta anni, affinchè gli uomini
vedessero ciò che era evidente? che cosa era avvenuto in questi cin-
quant'anni? Il lavoro del Wolff seppellito, ignorato, non poteva aver
avuto nessuna influenza. Il fatto fu proprio che dopo si vide ciò che
prima era stato impossibile di vedere. Una specie di maturità nell'in-
terno degli uomini doveva essere avvenuta, per cui gli occhi spirituali
ebbero tempo di aprirsi e videro. Quando quegli occhi erano chiusi,
vana fu l'evidenza. Una lotta diretta cinquant'anni prima, si sarebbe
dispersa contro ostacoli inespugnabili; ma, passato . il tempo, senza
alcuna lotta non solo, ma senza alcuna azione, la cosa si ripresentò
e fu semplicemente e universalmente abbracciata.
Questo fatto potrà essere discusso trattandosi di maturazione
interiore delle masse; ma è indiscutibile per l'individuo. Quando una
cosa evidente non è veduta, occorre ritirarsi e lasciar maturare l'indi-
viduo. La lotta « per far vedere l'evidenza » sarebbe aspra e debili-
tante. Ma quando la maturità sarà venuta, allora noteremo il veggente
entusiasmarsi e gettar frutti, come la vite della terra promessa.
Quando Carlo Darwin nel 1859 espose la teoria dell'evoluzione
nel suo libro: Origine delle specie, intuiva la grande influenza che
essa avrebbe portato sul pensiero dei suoi tempi, perchè si trovò
scritto sul suo taccuino: « La mia teoria condurrà a una filosofìa ».
Il suo concetto della lotta per l'esistenza e della selezione naturale
dei caratteri, così largamente abbracciato dal pensiero dei tempi, popò -
174 l'AKTl PKIMA
larizzò. trascinandoli con sé, e quasi fondendoli nello stesso sno con-
tenuto, i principi del Lamarck sulla formazione casuale dei nuo\i
caratteri delle specie per adattamento all'ambiente. Questi principi,
escludendo insieme la creazione e le sue finalità, \enivano implici-
tamente a negare che l'anima è immortale. Si pensi al potere di
una tale rivoluzione: l'anima era stata lo scopo della vita per molli
si'coli e, crollando la fede fondamentale dell'esistenza, la vita stessa
della coscienza ne restava sconvolta. Si potrebbe supporre che si
cercassero ansiosamente delle contraddizioni nella teoria distruggi-
trice, se non altro come per un istinto di conservazione d'antiche
credenze radicate nella razza.
Ma prendiamo a considerare i due principi rivoluzionari che
tanto colpirono ed entusiasmarono la coscienza degh studenti uni-
versitari di più generazioni. Un principio era: « non c'è funzione
senza organo ». L'altro principio che pure infiammava i giovani stu-
diosi era: «la funzione crea l'organo ». Come mai! non c'è funzione
senza organo, non può neanche esistere la funzione senza l'organo:
e poi invece la funzione senza organo può esistere con tale potere
da creare} Nessuna pivi palese, più tangibile contraddizione sarà mai
esistita in nessuna teoria.
E non è a dire che il darwinismo e i principi del Lamarck si
studiassero in fretta, confusi in una serie svariata di teorie filosofiche:
perchè il darwinismo si era isolato come un'idea vittoriosa, che
discaccia tutte le altre idee, come la luce del giorno che discaccia
le tenebre della notte. E gli studiosi vi si soffermavano volendo\'i
costruire una nuova morale e una nuo\'a coscienza; perciò quei due
principi non erano studiati freddamente e distrattamente. E pure
essi penetravano insieme nella coscienza e vi suscitavano entusiasmo
ciascuno per conto suo: su tale contraddizione trionfante si voleva
distruggere un mondo e crearne un altro.
La conclusione ultima del pensiero, allora, fu questa: « noi siamo
delle vere bestie, non c'è nessuna differenza sostanziale tra gli animali
e noi ; noi siamo scimmie, ma per antica progenie discendiamo dai
vermi di terra ». Con quanto ardore i professori dalla cattedra andavano
analizzando la psicologia dell'uomo per dimostrare che, comunque si
cercasse, nulla, nulla poteva trovarsi che non fosse negli animali, e con
vili. - INTELLIGENZA I75
che nutrito applauso li salutava la scolaresca! Quando i professori di
psichiatria con le vivisezioni toglievano il cervello ai piccioni o alle
scimmie e poi, guariti gli animali, li esponevano nei congressi interna-
zionali di psicologia, allo studio delle loro reazioni psichiche, osser-
vandone le attitudini del corpo, l'attività a percepire e simili cose,
richiamavano la piìi sincera attenzione: tutti credevano veramente
che un animale senza cervello potesse portar luce sulla psicologia
dell'uomo!
Se si pensa che questa era l'epoca dei positivisti, di coloro cioè
che «non credevano senza toccare», si è colpiti da una impressione
Iprofonda : l'intelligenza corre dunque dei pericoli, come lo spirito. Essa
può ottenebrarsi, può contenere una contraddizione, un « peccato »
senza avvedersene, e per un solo peccato inavvertito può precipitare
in una specie di delirio, in una deviazione mortale. Essa ha dunque
« una via » di salvezza, come lo spirito, ed ha bisogno di essere sostenuta
per non perdersi. Questo* sostegno non è quello dei sensi. Essa ha biso-
gno, come lo spirito, di una continua purificazione che, come il pesce
di Tobia, deterga gli occhi dalla cecità. La «cura di sé», quella cura
che l'igiene oggi raccomanda per il corpo, per cui noi perdiamo tanto
tempo a nettare e lustrare perfino le unghie, deve essere estesa all'uomo
interiore, perchè si conservi nella sua salute e nella sua integrità.
A questo deve mirare r« educazione dell'intelligenza ». Educai e
l'intelligenza è salvarla dai suoi propri pericoli di malattia e di morte :
è « purificarla dai suoi peccati ». La fatica in se stessa d'imparare le
cose, non è essa che educhi l'intelligenza. Lo sappiamo ai nostri tempi,
in cui tanti sono gli squilibrati, i pazzi; e, tra quelli che vengono con-
siderati sani, possono pur scoppiare conseguenze materiali di deliri
che minacciano di perdizione tutta l'umanità.
Non la preoccupazione di « far imparare le cose » al bambino,
ma di mantenere sempre viva quella luce in lui che si chiama l'intelli-
genza, ecco ciò che deve dirigere le nostre cure. Se dovessimo per ciò
consacrarci come le antiche vestali, sarebbe opera degna di tant»)
compito.
IX.
Immaginazione
L' immaginazione creatrice della scienza si basa sul vero.
— Se, un secolo fa, qualcuno avesse detto a quegli uomini che
\iaggiavano in diligenza, e avevano lumi a olio, che ci sarebbe stata
un giorno la luce sfolgoreggiante che irradia le notti di New York;
che gli uomini avrebbero chiesto aiuto di mezzo all'oceano e sareb-
bero stati intesi; che essi avrebbero volato più dell'aquila — i nostri
buoni padri antichi avrebbero sorriso d'incredulità. La loro immagi-
nazione non sarebbe mai arrivata a concepire tutto ciò. Per loro,
gli uomini moderni sarebbero sembrati quasi uomini di un'altra specie.
È che l'immaginazione degli uomini moderni ha costruito sulla
indagine positiva della scienza: mentre gli antichi lasciavano vagare
la loro mente nel mondo dell'irreale.
Questo solo fatto, ha cambiato la faccia del mondo.
Quando l'uomo si smarriva nelle pure speculazioni, l'ambiente
suo restava immutato: ma, quando l'immaginazione potè partire dal
contatto con la realtà, allora cominciò il pensiero a costruire delle
opere, sulle quali il mondo esterno andò trasformandosi.
Quasi che il pensiero dell'uomo avesse assunto un potere mera-
viglioso, quello di creare.
Noi immaginiamo così il pensiero di Dio: tutta la creazione è
il pensiero divino, che ha la proprietà di realizzarsi. Dio pensa: ed
ecco la luce, l'ordine del creato, gli esseri viventi.
L'uomo moderno, col metodo delle scienze positive, sembra aver
trovato la traccia segreta del pensiero che lo mette sulle orme della
PARTE PRIMA
divinità ; che gli dà la rivelazione della sua vera natura, ris]iondente
al detto biblico: « creiamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza ».
Così l'intelligenza umana disse: « sia la luce >> e fu uno sfolgo-
reggiare magico di luce che viene e va ad un suo tocco. « Voli
l'uomo nell'aria e si elevi al disopra di tutti gli uccelli creati » —
e così fu. » Vada la voce dei naufraghi misteriosamente e senza
suono, e giunga ai lontani », e così fu. « Si moltiplichino gli oggetti,
le piante nelle loro varietà, in modo che tutti gli uomini abbiano
più ampi mezzi di vita », e così fu.
L'immaginazione ha creato, quando e partita dalla creazione,
quando cioè ha raccolto prima il vero esistente. Allora solo essa ha
compiuto cose meravigliose.
Come quell'uccellino-mosca, che si nascose sotto le ah di un'aquila,
la quale volava in alto — e quando si fu così elevato smisuratamente
per lui, allora si staccò dall'aquila e principiò a volare ancor più
alto con le sue proprie forze: così è l'uomo, il quale prima si tiene
alla natura e nelle speculazioni più severe a lei s'attacca e con essa
salisce in alto, nella ricerca della verità: quindi se ne distacca e la
sua immaginazione crea allora al disopra della natura stessa. In
questo modo l'uomo sembra riflettere caratteri divini : il meraviglioso,
il miracoloso escono da lui in forma tanto grande, che l'uomo del
passato, l'uccellino-mosca senza aquila, non avrebbe potuto neanche
concepirlo.
Nel peccato originale è raccontata questa storia eterna, dell'^ow^o
che vuol fare da se, che vuole sostituirsi a Dio, emanciparsi da lui,
e creare. E così cade nell'impotenza, nella schiavitù e nell'infelicità.
La mente che lavora da sé, indipendentemente dal vero, lavora
nel vuoto. Quella sua facoltà creativa è un mezzo per lavorare sulla
realtà. Ma se essa scambia il mezzo col fine, è perduta.
Questa specie di peccato dell'intelligenza, che tanto ricorda il
peccato originale, di scambiare cioè il mezzo col fine, si ripete sotto
ogni forma, come una « forza d'inerzia » che pervade la vita psichica.
Così l'uomo scambiò il mezzo, che è più semplice, più facile e
comprensibile, col fine, in molte delle sue funzioni. Quando, per es.,
la nutrizione divenne eccesso della gola, e l'appetito fine a sé -stesso,
il corpo, invece di rinnovarsi nella salute e nella purità, ne fu avve-
XX. - IMMAGINAZIONE I79
lenato. Così quando nella riproduzione della specie la vita sessuale
.divenne fine a sé stessa, anziché il rinnovamento della vita, portò dege-
nerazione e sterilità. Un peccato simile commette l'uomo con l'intelli-
genza, allorché impiega la sua attività creativa del pensiero in se
stessa, senza poggiarla sulla verità: egli si crea aUora un mondo
irreah' pieno d'errori, e distrugge la possibilità di creare realmente,
come un Dio, producendo opere esteriori. '
Per questo la scienza positiva ci rappresenta la « redenzione »
del pensiero, la purgazione del suo peccato originale, il ritomo alle
leggi naturali delle energie psichiche. Gli scienziati sembrano quegli
uomini biblici cui fu dato, dopo la schiavità d'Egitto, la facoltà di
esplorare la terra promessa, e che tornarono indietro con un grappolo
d'uva tanto grande, che due uomini facevano fatica a trasportarlo ;
e il popolo ne rimase stupefatto.
Così oggi gli scienziati sono penetrati nella teiTa promessa della
verità, ove risiede il segreto di scrutare la natura, portandone fuori,
al pubblico, frutti stupefacenti. Questo segreto è semplice : è un
metodo esatto, fatto di osservazione, di prudenza e di pazienza.
Tutti gli uomini potrebbero esservi ammessi: anzi, tali virtù rispon-
dono ai bisogni « occulti », intimi della loro vita spirituale.
Si potrebbe domandare: perchè solo gli esploratori debbono pene-
trarvi, e il popolo rimanere al di fuori, passivo goditore dei frutti ?
Perché il metodo della scienza positiva, che mette l'uomo sulla
via di conoscere il vero, di raccogliere la realtà — e quindi di edificare
su questa la propria immaginazione — é un monopolio, un privilegio
di pochi eletti ?
Quel metodo che segna la redenzione dell'intelligenza, deve essere
il metodo che plasma tutta la nuova umanità — il metodo formativo
delle nuove generazioni.
Nel racconto biblico, gli esploratori erano messaggeri e testimoni
dell'esistenza della terra promessa, in cui tutto il popolo doveva
penetrare E così qui: tutti gh uomini devono essere ammessi al
metodo scientifico ; a ogni bambino deve esser dato di sperimentare
direttamente, di osservare, di mettersi in contatto con la realtà.
Allora i voli della immaginazione s'inizieranno da un piano già ele-
vato: e l'intelligenza verrà posta sulle sue vie naturali di creazione.
iRo PARTI- PRIMA
Anche T immaginazione artistica si basa sul vero. Il la-
voro doli 'intelligenza non è tutto nella esatta osservazione e nel
ragionamento logico, semplice, al cjuale possono riportarsi le grandi
scoperte scientifiche; ma è un lavoro più alto innanzi al quale nessuno
dirà, come di fronte a certe scoperte scientifiche: « anch'io l'avrei
saputo fare ».
Dante, Milton, Goethe, Raffaello, Wagner, sono poderosi misteri,
miracoli d'intelligenza, che non possono collegarsi col semplice osservare
e ragionare. Tuttavia ogni uomo ha la sua parte d'immaginazione
artistica, ha l'istinto di creare il bello con la sua mente; e da questo
istinto sviluppato viene tutto il vasto tesoro d'arte sparso quasi in
briciole d'oro ovunque fu intensa vita civile, ovunque l'intelligenza
ebbe tempo di maturare nella pace. In ogni provincia che conserva
tracce di popoli antichi si notano tipi locali artistici di lavori, di sup-
pellettih, di canzoni poetiche e di musiche popolari. Questa multi-
forme creazione dell'uomo interiore, poi, lo avvolge; e protegge il
suo spirito nei bisogni intellettuali, come la conchigha iridescente
a\'\olge il mollusco.
Oltre al lavoro di osservazione della realtà materiale, c'è un
lavoro creativo che innalza l'uomo dalla terra e lo trasporta in un
mondo superiore ove ogni anima, nei propri limiti, può giungere.
Nessuno però può dire che l'uomo crei i prodotti artistici dal nulla.
Ciò che si chiama creazione è in realtà una composizione, una costru-
zione fatta sopra un materiale primitivo della mente, che è necessario
raccoghere dall'ambiente coi sensi. Questo è il principio generale rias-
sunto dal motto antico: « Nihil est in intellectu quod prius non fuerit
in sensu ». Noi non sappiamo « immaginare » cose che non cadano
realmente sotto i nostri sensi: lo stesso linguaggio ci mancherebbe
a esprimere fatti che uscissero da questi limiti usuah, entro i quali
è contenuta la nostra conoscenza. L'immaginazione di Michelangelo,
non seppe figurare Dio altro che sotto le forme di un augusto vecchio
con la barba bianca. Volendo immaginare le pene eteme dell'in-
ferno si parla di fuoco: il paradiso, vien figurato nella luce. I ciechi
e i sordi nati, non possono farsi alcuna idea precisa sulle sensazioni
che non hanno mai potuto percepire. Si sa che i ciechi nati imma-
IX. - IMMAGINAZIONE . l8l
ginano i colori paragonandoli ai suoni: alcuni, p. es., immaginano il
rosso come un suono di tromba, l'azzurro come la dolce musica di un
violino. I sordi, leggendo descrizioni di musiche deliziose, immaginano
la bellezza classica di un quadro dipinto. I temperamenti dei poeti,
degli artisti, sono eminentemente sensoriali. E non sono in egual misura
tutti i sensi che concorrono a dare un tipo all'immaginazione indivi-
duale, ma, più spesso, alcuni dei sensi sono prevalenti. I musicisti sono
uditivi, e tenderebbero a descrivere il mondo sui suoni ch'esso manda
sino a loro: il gorgheggio dell'usignolo nel silenzio d'un bosco, lo scro-
sciar della pioggia nelle solitudini della campagna, possono essere fonti
d'ispirazione per grandi compositori di musica; e alcuni, descrivendo
una campagna, ne citano solo i silenzi e i rumori. Altri invece, prevalen-
temente visivi, sono impressionati dalle forme e dai colori delle cose.
Oppure sono il moto, la flessuosità, la spinta delle cose; sono le im-
pressioni tattili di morbidezza, di asprezza, quelle che formano il
contenuto descrittivo di tipi immaginativi in cui prevalgono le sensa-
zioni tattili e muscolari.
Ci sono delle persone che hanno avute impressioni non sen-
soriali, e sono persone la cui vita spirituale fu molto intensa. Esse
hanno delle impressioni interiori che non sono ritenute come frutto
dell'immaginazione ma come realtà semplicemente percepite. Che
siano realtà lo afferma non solo l'introspezione dei soggetti normali,
ma lo dicono anche le conseguenze sulla loro personalità interiore:
« Le rivelazioni avute da Dio » dice S. Teresa u si distinguono per i
grandi beni spirituali di cui lasciano arricchita l'anima; esse sono ac-
compagnate da luce, da discernimento e da saggezza ». Ma se vogliono
descrivere tali impressioni che non penetrano per mezzo dei sensi,
devono prendere a prestito il linguaggio sensoriale: « Io sentivo una
voce » dice il Beato Raimondo da Capua « che non era ne l'aria
e che pronunciava parole le quali colpivano il mio spirito, ma non
l'orecchio: tuttavia io le capivo più distintamente che se mi fossero
venute da una voce esteriore: io non saprei riprodurre questa voce,
se voce si può chiamare quella che non aveva alcun suono. Questa
voce formava delle parole e le presentava al mio spirito ». La \ita
di S. Teresa è infarcita di descrizioni simili, in cui essa cerca di far
I^-' PARTI-. PRIMA
comprendere con l'improprio linguaggio dei sensi, che non vide vera-
mente con gli occhi, ma con l'anima.
La differenza tra queste impressioni intcriori, possibili a trovarsi
anche nei non santi e che non costituiscono certo la santità, e le allu-
cinazioni dei pazzi è ben distinta. Nel pazzo, per una eccitazione della
corteccia cerebrale, si riproducono vecchie immagini depositate con
la memoria sensoriale, che si proiettano al di fuori, donde furono prese,
coi caratteri sensoriali esteriori: sì che l'allucinato crede realmente di
\edere con gli occhi i suoi fantasmi, ode realmente le voci che lo perse-
guitano: egli è in preda a uno stato patologico: tutta la persona rivela
i segni della decadenza organica, concomitanti al disgregamento psi-
chico.
All'infuori dunque d'impressioni direttamente interiori assai rare,
e non utili neanche per raggiungere la santità, impressioni che possono
formare oggetto di studio per specialisti come i teologi o i membri
della Società inglese delle ricerche psichiche, ma non entrare in con-
cetti educativi, resta da considerare un solo materiale di costruzione
per le attività intellettuali: quello dei sensi.
L'immaginazione non può avere che una base sensoriale.
L'educazione sensoriale che prepara a percepire esattamente tutti
i dettagli differenziati tra le qualità delle cose, sta dunque a base della
« ossers^azione » delle cose e dei fenomeni che cadono sotto i nostri
sensi: e con ciò essa aiuta a raccogliere dal modo esterno il materiale
per l'immaginazione.
La creazione immaginativa non ha solo un vago appoggio sen-
soriale: non è cioè il divagare senza freno della fantasia in immagini
di luci, di colori, di suoni, di impressioni; ma è una costruzione inte-
ramente legata alla realtà: e più essa si attiene alle forme del mondo
esterno creato, più alto è il pregio della sua creazione interiore.
Anche immaginando un mondo irreale, extraumano, l'immaginazione
deve essere contenuta tra limiti che ricordano quelli della realtà.
L'uomo crea, ma sul modello della creazione divina nella quale egli è
materialmente e spiritualmente immerso.
In opere letterarie eccelse, come è la Divina Commedia, noi am-
miriamo il continuo riportarsi della mente dell'altissimo Poeta, a
IX. - IMMAGINAZIONE 183
cose materiali e sensibili che illustrano col confronto le cose im-
maginate:
Quali colombe dal disio chiamate,
Con l'ali aperte e ferme, al dolce nido ^
Volan, per l'aer; dal voler portate
Cotali uscir dalla schiera ov'è Dido,
A noi venendo per l'aer maligno...
(Canto V, Inferno).
E come quei, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge all'acqua perigliosa, e guata;
Così l'animo mio, che ancor fuggiva,
Si volse indietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.
(Canto I, Inferno).
Come le pecorelle escon dal chiuso
Ad una, a due, a tre: e l'altre stanno
Tìmidette atterrando l'occhio e '1 muso;
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno.
Addossandosi a lei s'ella s'arresta.
Semplici e quete, e lo perchè non sanno:
Sì vid'io muovere, a venir, la testa
Di quella mandra fortunata allotta.
Pudica in faccia e nell'andare onesta.
(Canto III, Purgatorio),
Quali per vetri trasparenti e tersi,
O ver per acque nitide e tranquille.
Non sì profonde che i fondi sien persi,
Tornan dei nostri visi le postille
Debili sì, che perla in bianca fronte
Non vien men forte alle nostre pupille;
Tali vid'io più facce a parlar pronte...
(Canto III, Paradiso).
Le similitudini di Dante sono continue e meravigliose; ma ogni
scrittore elevato, ogni grande oratore, riattacca di continuo il frutto
1S4 parti: prima
deUimnìagina/iono alla osservazione della realtà; e allora noi diciamo
che è geniale, Hininiaginoso », nutrito, e che il suo pensiero è chiaro e
\ivo.
« Come un branco di segugi dopo avere inseguita invano una lepre,
tornano mortificati verso il padrone, coi musi bassi, e con le code
ciondoloni, così in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al
j)alazzotto di Don Rodrigo » (Manzoni, / promessi sposi).
L'immagine rimane limitata nelle figure reali; ed è questa misura
e questa forma, che dà forza alla creazione della mente. Chi immagina
deve possedere un ricco magazzino di osservazioni sensibili, e piìi esse sono
esatte e perfette, e più la forma creata è possente. I pazzi parlano
di cose fantastiche, e noi non diciamo per questo che essi hanno molta
« immaginazione »: tra la confusione delirante del pensiero e la «figura»
dell'immaginazione corre un abisso. Là mancano insieme la possibilità
di percepire esattamente le cose reali, e quella di costruire organica-
mente con l'intelligenza; qua son le due cose che insieme esistono,
come forme strettamente legate l'una all'altra.
Il valore del discorso immaginato consiste in ciò che le immagini
siano originali, che l'autore egli stesso unisca insieme l'immagine vera
e quella creata, sentendone per propria attitudine l'associazione giusta
e armoniosa. Se egli ripetesse, copiandole, immagini altrui, non sa-
rebbe nulla. Dunque è necessario che ogni artista sia un osservatore; e
così, andando alla generalità delle intelligenze, è necessario che y)er
sviluppare l'immaginazione ciascuno si « leghi » prima alla realtà.
La stessa cosa è per l'arte. L'artista « immagina » la sua figura;
egli non la copia, la « crea ». Ma questa creazione è appunto il frutto
della mente che si radicò nella osservazione della realtà. Il pittore,
lo scultore, sono per eccellenza tipi visivi sensibilissimi alle forme
e ai colori dell'ambiente, capaci di percepirne le armonie ed i contrasti:
ed è affinando il potere di osservazione, che finalmente l'artista si
perfeziona, e riesce a creare un capolavoro. L'immortale arte greca,
è quella per eccellenza fondata sulle osservazioni; gli artisti greci, pei
costumi ^succinti che erano in moda, potevano largamente contemplare il
corpo umano; e conia squisita sensibilità dell'occhio sapevano discernere
il corpo bello dal disarmonico, fino a creare, nell'impulso del genio,
la figura ideale concepita dal fondersi delle singole bellezze scelte tra
IX. - IMMAGINAZIONE 185
i dettagli, nel magazzino sensoriale della mente. L'artista, quando crea,
non compone certo mettendo insieme le parti a formare il tutto come
in un mosaico: nello slancio dell'ispirazione egli vede in sé la figura
nuova, nata dal suo genio; ma i particolari accumulati vanno a nutrirla,
come il sangue va a nutrire l'uomo nuovo nel seno materno.
Raffaello girava sempre pel Trastevere, un quartiere popolare dove
erano le donne più belle di Roma, per cercare il tipo di una Madonna.
Fu lì che egli conobbe la Fornarina e le sue modelle. Ma la Madonna egli
la dipinse riproducendo « l'immagine del suo spirito ». Dicono che Mi-
chelangelo passasse le serate guardando lontano, nel vuoto; e quando
gli domandavano che cosa guardasse, egli diceva: « Io vedo una cupola»
e fu dietro questa forma creatasi mirabilmente in lui, che sorse la fa-
mosa cupola di S. Pietro in Roma. Ma essa non sarebbe mai nata nella
mente dello stesso Michelangelo, se gli studi di architettura non vi
avessero preparati i materiali.
Nessun genio ha potuto mai creare l 'assolutamente nuovo. Basta
pensare ad alcune forme diffuse nell'arte, che sono grottesche, pesanti,
appunto come la fantasia umana incapace di innalzarsi dalla terra.
A me sembra incredibile che ancora esista e nessuno abbia corretto
la figura dell'angelo con le ali. Per indicare un essere più diafano del-
l'uomo, senza il peso corporeo, figurano robusti uomini con la schiena
armata di ali colossali dalle pesanti penne. Questa fusione in un essere
solo di caratteri naturali tanto .dissimili, come i capelli e le penne;
e l'attribuzione di sei arti, cioè braccia, gambe e ali come per un insetto,
a una figura umana; quindi questa « strana concezione » è rimasta
quale materializzazione non certo di una» idea artistica, ma di una po-
vertà di linguaggio. Infatti parliamo di angeli che « volano » , poiché
il nostro linguaggio é umano e terreno, e non può trovare gli attributi
degli angeli. E pochi sono gli artisti che nell'Annunciazione rappre-
sentano l'Angelo come un figura luminosa, fine ed evanescente.
Più il parallelo con la verità è perfetto, più l'arte é fine.
Quando, per esempio, in un salotto viene fatto un complimento,
se questo parte da un nostro vero carattere, e lo accarezza da vicino,
noi ce ne sentiamo lusingati, perché esso ci riguarda veramente, e
dobbiamo concludere che la persona ci ha osservati ed ha avuto per noi
un'ammirazione sincera. Allora pensiamo di questa persona: essa è
lòO PARTli PRIMA
intellettuale e fine; e siamo portati a ricambiarla con gentilezza. Ma se
il complimento parla di qualità ,che non possediamo, o altera od
esagera ciò che è nostro, noi pensiamo con disgusto: « che persona
grossolana! » e ci sentiamo ancor più allontanati da essa.
Certo avrà fatto una grande impressione sul cuore di Beatrice,
il sublime sonetto di Dante:
Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia. quand'alia altrui saluta,
Ch'ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non l'ardiscon di guardare.
Ella sen va, sentendosi laudare,
Benignamente d'umiltà vestuta,
E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira.
Che dà per gli occhi una dolcezza al core.
Che intender non la può chi non la prova.
E' par che della sua labbia si muova
Un spirito soave pien d'amore
Che va dicendo all'anima: Sospira.
(ì'ita nuova, § XXVI).
Ben diverse impressioni sull'amor proprio e sulla sensibilità
delicata di un'anima femminile deve fare quest'altro sonetto, che è
goffo e ampolloso perchè pieno di figure improprie ed esagerate:
Lo vostro bel saluto e il gentil sguardo
Che fate, quando v'incontro, m'ancide;
Amor m'assale e già non ha riguardo
S'egli face peccato, o'vver mercide;
Che per mezzo lo cor mi lancia un dardo.
Che d'oltre in parti lo taglia e divide;
Parlar non posso, che in gran pena io ardo
Si come quello che sua morte vide.
Per gli occhi passa, come fa lo trono,
Che fér per la finestra della torre,
E ciò che dentro trova, spezza e fende.
Rjmagno come statua d'ottono.
Ove vita né spirto non ricorre.
Se non che la figura d'uomo rende.
(GuiNizELLi, 1300).
IX. - IMMAGINAZIONE l8j
Se dunque l'immaginazione ha per base l'osservazione della realtà
e il suo perfezionarsi ha un rapporto con l'esattezza delle osservazioni,
occorre preparare i bambini a sapere esattamente percepire le cose
dell'ambiente, per assicurar loro il materiale dell'immaginazione.
Anche l'esercizio dell'intelligenza che ragiona entro rigidi limiti, e
che distingue le cose una dall'altra, prepara un cemento per le costru-
zioni immaginative: poiché queste sono tanto più belle per quanto più
legate ad una forma e logiche nelle associazioni delle singole immagini.
La fantasia che esagera e inventa grossolanamente, non mette sulla
buona strada.
Tale preparazione scava i letti ove le acque sorgive della crea-
zione intellettuale scorreranno in fiumi o ridenti o maestosi, senza alla-
gare e perciò distruggere la bellezza dell'ordine interiore.
In quanto a far scaturire queste sorgive acque dell'interna crea-
zione, noi non possiamo nulla. « Non ostacolare mai l'irrompere spon-
taneo dell'attività che scaturisce sia pure come l'umile fìl d'acqua di
alcune sorgenti quasi invisibili » e « attendere »: ecco l'opera nostra.
Perchè illuderci di poter « creare una intelligenza » noi, che non
possiamo se non « osservare e attendere » il filo d'erba che spunta,
il microbo che si scinde?
Dobbiamo pensare che l'immaginazione creatrice deve erigersi
come un palazzo illuminato, su fondamenta più oscure internate nella
roccia, per non essere un castello di carta, un'illusione, un errore.
E che la salvezza dell'intelligenza è quella di poter « poggiare i piedi
sul masso ».
L'immaginazione nei bambini. — £ molto comune la credenza
che il piccolo bambino sia caratterizzato da una vivacissima immagi-
nazione e che perciò una educazione speciale debba influire su lui, per
coltivare così speciale dono di natura.
Egli ha una mentalità diversa dalla nostra : irrompe da i nostri
limiti vigorosi e ristretti, e si compiace di vagare pei mondi affasci-
nanti dell'irreale, similmente a quello che accade tra i popoli selvaggi.
Questo carattere infantile ha dato luogo, anzi, alla generalizzazione
di un'idea materialistica oggi sorpassata: « l'ontogenesi riassume la
filogenesi », cioè la vita dell'individuo riproduce la vita della specie:
188 parti: prima
come nella vita dell'uomo si riproduce la vita della civiltà, nel piccolo
Ixiinbino si trovano dei caratteri psichici propri dei selvaggi. Per
questo il bambino, come i selvaggi, resta affascinato dal fantastico, dal
soprannaturale, dall'irreale.
Piuttosto che lasciarsi andare a simili voli di una fantasia scienti-
fica, resta molto più semplice constatare che un organismo ancora im-
maturo come quello del bambino, abbia delle lontane somiglianze con
mentalità meno mature delle nostre, come quella dei selvaggi. Ma vo-
lendo lasciare nella loro credenza quelli che interpetrano come «stato
selvaggio » la mentalità infantile, si può sempre obbiettare che, in ogni
modo, questo stato selvaggio essendo passeggero e dovendo essere sli-
perato, l'educazione dovrà aiutare il bambino a superarlo; non dovrà
sviluppare lo stato selvaggio o trattenere il bambino in esso.
Tutte le forme d'imperfetto sviluppo che riscontriamo nel bambino
hanno qualche somiglianza con paralleli caratteri nel selvaggio: per
esempio, nel linguaggio, la povertà dei vocaboli, l'esistenza di soli vo-
caboli concreti e la generalizzazione delle parole, per cui una sola
parola serve a più usi e a indicare più oggetti, la mancanza di voci
\ erbali per cui i bambini usano soltanto l'infinito. Ma nessuno dirà che
<' per questa ragione » dobbiamo trattenere artificialmente il bambino
in un linguaggio così primitivo, affinchè passi con comodo il suo pe-
riodo preistorico.
E se alcuni popoli restano permanentemente in uno stato di imma-
ginazione in cui prevale l'irreale, il nostro bambino però appartiene
a popoli ove U fascino della mentalità sono le grandi opere d'arte, le
costruzioni civilizzatrici della scienza: e tali prodotti della immagi-
nazione superiore, rappresentano l'ambiente in cui l'intelligenza del
nostro bambino è destinata a formarsi. E naturale che il fanciullo
nel periodo nebuloso della sua niente sia attratto dalle idee fantastiche;
ma noi non dobbiamo per questo dimenticare che egli è il nostro
continuatore, quindi quegli che dovrà superare noi stessi: e il meno
che a tale scopo dobbiamo dargli, è il massimo di cui disponiamo.
Una forma di immaginazione ritenuta « propria » dell'infanzia,
e riconosciuta quasi universalmente come immaginazione creatrice,
è quel lavoro spontaneo della mente infantile, pel quale i bambini
attribuiscono caratteri desiderati ad oggetti che non li posseggono.
IX. - IMM.\GINAZIfiNE lOQ
Chi non ha visto un bambino cavalcare e frustare il bastone
paterno, come se montasse un vero cavallo? Ecco una prova della
« immaginazione » del bambino. Quale piacere provano i fanciulli
a mettere insieme con le sedie e le poltrone un magnifico cocchio;
e, mentre alcuni sdraiati dentro guardano beatamente una campagna
immaginaria o salutano una folla plaudente; altri bambini appol-
laiati sulle spalliere frustano l'aria come toccassero dei focosi cavalli?
Ecco altre prove dell' « immaginazione » .
Ma osserviamo dei bambini ricchi, i quali posseggono pacifici
poney, e vanno abitualmente in carrozza o in automobile; essi
{guarderebbero con un senso di disprezzo il bambino che corre fru-
stando forsennatamente un bastone: sarebbero meravigliati di veder
tanto felici dei bambini che si illudono di essere trascinati da poltrone
ferme. Essi direbbero di tali bambini: <( sono dei poveri; fanno così
perchè non hanno cavalli e carrozze ». Un adulto si rassegna: un bam-
bino s'illude. Ma quella non è una prova di immaginazione, è la prova
di un desiderio insoddisfatto: non è un'attività legata a doni di na-
tura; è una manifestazione di povertà cosciente, sensibile. Nessuno
certo potrà dire che è necessario, per educare un bambino ricco, to-
gliergli il cavallo e dargli un bastone. Come pure non è necessario im-
pedire al bambino povero di accontentarsi del suo bastone. Se un
uomo povero, un mendicante, avesse solo del duro pane da mangiare,
e si mettesse accanto all'inferriata.d'una ricca cucina sotterranea perchè
sentendo gU odori, immaginerebbe di mangiare delle buone pietanze
insieme al pane, chi potrebbe impedirglielo? Ma nessuno dirà che per
svolgere le attività immaginative dei fortunati ai quaU le vere pietanze
sono destinata; occorra toglier loro la carne, e dare pane e odore.
Una povera madre che amava molto il suo piccolo bambino, gli
offriva così il solo pezzo di pane di cui disponeva: lo divideva in due
parti e gliele dava successivamente dicendo: «Questo è il pane, questa
è la carne ». Il bambino era contento. Ma nessuna madre vorrà denu-
trire il suo bambino, per sviluppargli in simile modo l'immaginazione.
E pure io mi sentii seriamente chiedere da qualcuno se fosse stato
dannoso offrire un pianoforte ad un bambino che continuamente
esercitava le dita sopra un tavolo, come se suonasse il pianoforte.
« E perchè dovrebbe essere dannoso? » chiesi io. « Perchè in tal caso
lyO PARTI l'KIMA
egli imparerebbe la musica, è vero, ma non eserciterebbe più la sua
immaginazione: e non so se sia più utile l'una cosa o l'altra ».
Su tale credenza sono fondati alcuni giochi di Froebel. Si dà
a un bambino un mattoncino, dicendo: « questo è un cavallo ». Si
dispongono poi dei mattoncini in un certo ordine, e si dice: « questa
è la scuderia »; u ora. collochiamo i cavalli nella scuderia ». Poi i mat-
toni si mettono in un altro ordine: «questa è una torre, è la chiesa del
villaggio >.. ecc. In tali esercizi gli oggetti (i mattoncini) si prestano
assai meno all'illusione che un bastone per un cavallo, dove almeno
il bambino monta, frusta e si muove. Costruire torri e chiese con
cavalli, mette al colmo la confusione mentale. Inoltre in questo caso
non è il bambino che « immagina spontaneamente » e lavora con la
sua testa: perchè egli deve vedere in quel momento ciò che la maestra
dice. E non si controlla se il bambino pensa che veramente la stalla
è diventata una chiesa, o se la sua attenzione sta vagando altrove.
Certo egli \orrebbe muoversi e non può, perchè deve contemplare
quella specie di cinematografo di cui la maestra parla nel successivo
ricorrere delle immagini, ma dove, purtroppo, non esistono che dei
pezzetti di legno tutti eguali tra loro.
Che cosa si coltiva così, in tali menti immature? Che cosa tro-
\'iamo di simile nel mondo degli adulti, in modo che si possa capire
a quali forme definitive si preparerebbe la mente con tale educazione?
Ci sono degli uomini che realmente scambiano un altiero per un trono,
e danno ordini da re: alcuni credono di essere Dio, perchè le « false
percezioni» e, nelle forme più gravi, le «illusioni» sono l'inizio di falsi
raziocini, e le concomitanti del delirio. I pazzi non producono nulla:
come nulla producono, né per sé né per gli altri, quei bambini condannati
aU'immobiUtà di una educazione che vorrebbe sviluppare in pazzia
le loro innocenti manifestazioni di desideri insoddisfatti.
Noi crediamo pure di svolgere molto l'immaginazione del bambino
dandogli a credere per vere delle cose fantastiche. Così, per esempio,
il Natale è personificato, nei paesi latini, da una brutta donna, la Be-
fana, che vede attraverso i muri, scende attraverso i camini, e porta
i giocattoli ai fanciulli che sono stati buoni, mentre lascia del carbone
a quelli che furono cattivi. Nei paesi anglo-sassoni, invece, il Natale
è un vecchio cadente, coperto di neve, che porta in una enorme cesta
1
IX. - IMMAGINAZIONE I9I
i giocattoli ai fanciulli, entrando realmente di notte nelle loro case.
Ma come potrebbe sviluppare l'immaginazione dei bambini, ciò che
è invece frutto della nostra immaginazione? Noi soli immaginiamo
e non loro; essi credono, non immaginano. La credulità è infatti un ca-
rattere delle menti immature a cui manca l'esperienza e la conoscenza
delle cose reali, e a cui l'intelligenza che distingue il vero dal falso,
il bello dal brutto, il possibile dall'impossibile, fa ancora difetto.
È forse la credulità che noi vogliamo sviluppare nei nostri bambini,
solo per la ragione che essi, nell'epoca ove, naturalmente, sono igno-
ranti e immaturi, si dimostrano creduli? Certo la credulità può esistere
anche nell'adulto; ma essa è in contrasto con l'intelligenza, e non è
né suo fondamento né suo frutto. E nei tempi di oscurantismo intel-
lettuale che la credulità germoglia; e noi siamo gloriosi di averli sor-
passati. Citiamo la credulità come uno stigma di inciviltà.
Ecco, per esempio, un piccante aneddoto del xvii secolo. A Parigi
il Ponte Nuovo era il luogo di passaggio e il convegno degli oziosi. Tra
la folla s'annidavano di frequente saltimbanchi e ciarlatani. Una volta
un ciarlatano sfavasi facendo la sua fortuna: egli vendeva un unguento
della Cina che ingrandiva gli occhi, ravvicinava gli angoli della bocca,
e faceva uscire il naso a chi lo aveva corto e rientrare a chi lo aveva
lungo. Il signor di Sartine, comandante di polizia, chiamò a sé questn
ciarlatano per farlo imprigionare, e gli disse:
— Mariolo, come fai ad attirare tanta gente e guadagnare tanto
denaro ?
— Signore — rispose l'altro — quante persone credete voi che
passino sul ponte in una giornata ?
— Da dieci a dodicimila — rispose il signor di Sartine.
— Ebbene, Signore, quante credete che siano le persone intelli-
genti tra tutta la folla ?
— Un centinaio — rispose il comandante.
— E forse molto — replicò il ciarlatano — ma, infine, ve le
lascio; io mi tengo le novemilanovecento per guadagnar denaro.
Da quel tempo al nostro, la situazione differente è che ci sono più
persone intelligenti e meno persone credule. L'educazione non deve
fare dunque il cammino verso la credulità, ma verso la intelligenza.
Chi poi fondasse sulla credulità l'educazione, costruirebbe sulla sabbia.
ri)-' PARTK PRIMA
Io conosco un aneddoto che forse si riproduce nella nostra società
in mille esempi. Due signorine di una iamiglia principesca erano state
educate in un convento, ove, per sottrarle alle seduzioni e vanità
della vita a cui le fanciulle erano destinate, le monache le avevano
persuase che il mondo è ingannatore; e che se, quando ci fanno tanti
elogi, ci si potesse nascondere per sentire cosa dicono quando siamo spa-
riti, si ascolterebbero cose ben tristi per noi. Venute all'età di essere
presentate in società, le due giovani principesse vi apparirono la prima
volta in un dopopranzo, avendo la madre loro fatti molti inviti. Tutti
prodigarono lodi gentili alle fanciulle. Nel salone c'era un arco chiuso
da una grande tenda. Esse si accordarono e, curiose di sentire cosa
avrebbero detto di loro quando fossero scomparse, uscirono e si na-
scosero un momento dietro la tenda. Allora quegli elogi che in loro
presenza erano stati più misurati, raddoppiarono appena i gentili
oggetti della comune ammirazione si furono dileguati. Le due signo-
rine mi dissero che in quel momento provarono un indescrivibile
sconvolgimento: esse pensarono che tutto quanto le monache avevano
fatto loro credere fosse falso; rinnegarono lì per lì la religione e fecero
proponimento di gettarsi nei divertimenti. « Poi dovemmo noi stesse
ricostruire la nostra vita, abbracciare di nuovo le verità della religione,
e comprendere da noi stesse il vuoto della vita brillante ».
La credulità scomparisce a poco a poco con l'esperienza e con la
maturità della mente: l'istruzione aiuta a questo. Sia nei popoli, sia
nelle persone, l'evoluzione della civiltà e delle anime conduce a dimi-
nuire la credulità: il sapere, come si dice comunemente, disperde le
tenebre dell'ignoranza. Sul posto vuoto, che è l'ignoranza, la fantasia
facilmente divaga, appunto perchè le manca quel sostegno che permette
un'elevazione. Così le colonne di Ercole sparirono quando lo stretto
di Gibilterra divenne la porta degli oceani; ed ai pellirosse, che il grande
spirito di democrazia americano accoglie nelle sue scuole civilizzatrici,
nessun Colombo potrebbe più dire che il cielo lo ubbidisce oscurando
il sole per ordine suo, perchè le eclissi sono fenomeni noti a loro come
alla razza bianca.
Questa immaginazione illusoria costruita sulla credulità è forse
ciò che dobbiamo « sviluppare » nei bambini? Certo non è il nostro
desiderio che essa persista: infatti quando il bambino « non crede
IX. - IMMAGINAZIONE I()3
più alle fole « ce ne rallegriamo. Noi diciamo allora: « non è piti un
bambino «. Deve succedere così e lo aspettiamo: verrà un giorno, in
cui non crederà più a queste storie. Ma se questa maturazione avviene,
dobbiamo domandarci: « che cosa abbiamo fatto noi per aiutarla? »;
« quale appoggio demmo noi a questa mente debole perchè si rad-
drizzasse ? » Il bambino superò i suoi ostacoli, malgrado la nostra
spinta che lo teneva indietro nell' illusione e nell'ignoranza. Il
bambino superò sé e noi. Egli andò là dove la sua interna forza di
sviluppo e di maturazione lo conduceva. Egli potrebbe però dirci:
« Quanto ci avete fatto soffrire! era già tanto grande la nostra fatica
per elevarci, e voi ci opprimevate! ». Non sarebbe questo come compri-
mere le gengive affinchè non nascano i denti, per la ragione che il
carattere del bambino è di essere sdentato? E non sarebbe lo stesso
impedire al piccolo corpo di raddrizzarsi, perchè il carattere precedente
era di non tenersi in piedi? Infatti così noi procedevamo quando vole-
\'amo trattenere il linguaggio infantile nel suo stato di inferiorità e di
imprecisione: invece di aiutare il bambino facendogli sentire spicca-
tamente i suoni della parola e facendogli vedere i movimenti della
bocca, noi assumevamo il suo linguaggio rudimentale e gli ripetevamo
i suoni primordiali ch'egli emetteva, dicendogli « tette », « mimi » e
poi parlando con sigmatismo e con altri difetti di consonanti, propri
agli inizii della parola articolata. Così lo trattenevamo lungamente in
un periodo formativo, pieno di difficoltà e di sforzi per il bambino,
respingendolo indietro, nel faticoso stato infantile.
E così stiamo facendo oggi per la cosidetta educazione della im-
maginazione.
Noi ci divertiamo con le illusioni, le ignoranze, gli errori della men-
talità immatura, come un giorno non lontano ci divertivamo a veder
ridere l'infante sballottato dall'alto in basso: cosa così pericolosa e
riprovata dall'igiene infantile. Infine, siamo noi che ci divertiamo
con le feste del Natale, e con la credulità del bambino. Confessandoci,
dobbiamo riconoscere che siamo un po' come quella gran dama che
si occupava leggermente d'un ambulatorio di bambini poveri, ma che
ripeteva ad ogni momento: « Se non ci fossero più bambini malati,
mi sentirei infelice ». E così noi: « Se non ci fosse più la credulità dei
bambini, mancherebbe un gran sollievo alla nostra vita».
194 P\RTK PRIMA
Formare artificialmente uno stadio di sNilui^po, e di\crtirsene,
come nelle corti antiche arrestavano artificialmente la crescenza
del corpo di alcune \ itti me per f.unr nani e sollazzo di re. è una delle
colpe inavvertite dei nostri tempi. (Quest'affermazione può sembrare
dura, ma essa tocca un fatto reale. Noi ne siamo inconsci, è vero;
ma pure ne parliamo sempre, quando diciamo tra noi con tanto disprezzo
per l'età immatura: «non siamo mica bambini». Se nel bambino non
arrestassimo l'iiuwaturità per contemplare immobile lo stato inferiore;
ma invece lasciassimo libera la crescenza ammirando le meraviglie
del perfezionamento sempre sulla via di piìi alte conquiste, diremmo
di lui come Cristo: « Chi vuole essere perfetto diventi come un pic-
colo bambino ».
Se ciò che si chiama immaginazione infantile è il prodotto della
« immaturità » della mente, in rapporto con la povertà in cui lasciamo
il bambino e l'ignoranza in cui egli si trova, occorre prima arricchire
la sua vita di un ambiente ove egli diventi il possessore di qualche
cosa, e arricchire la sua mente di conoscenza e di esperienza fatta
sulla realtà. E avendogli dato ciò, lasciarlo maturare nella libertà.
E dalla libertà dello sviluppo, che noi possiamo attendere le manife-
stazioni della sua immaginazione.
.\rricchire il bambino, che è il povero dei nostri tempi; clu'
non jlia imlla, perchè è schiavo di tutti, ecco il primo atto verso
di lui. Si dirà: come dare cavalli, carrozze e pianoforti a tutti i
bambini? Non è così. I rimedii non sono mai diretti, quando si tratta
di una vita complessa. Il .bambino che non ha nulla, è quegli che
immagina le cose più lontane dalla possibilità di ottenerle. Il mise-
rabile sogna i milioni, l'oppresso sogna il trono. Ma colui che possiede
qualche cosa, si attacca a ciò che possiede per curarlo e per accrescerlo
ragionevolmente.
Un disoccupato sognerà di diventare principe: ma il sogno d'un
maestro di scuola è quello di diventare direttore. Così il bambino che
ha una « casa » propria; che possiede scope, strofinacci, stoviglie, sa-
poni, toelette e mobili, è beato nel conservare tutte queste cose. I suoi
desideri si calmano, e la pace che ne deriva apre una via di espansione
alle attività interiori creatrici.
IX. - IMMAGINAZIONE I95
É il (( vivere nel proprio reale possesso « che calma il bambino, e
attutisce desideri i quali consumano nella vanità dell'illusione le sue
preziose forze. Non è immaginare di vivere nel proprio possesso, che
può fare altrettanto. Alcune maestre che tenevano un asilo modello
mi dissero una volta: « anche noi facciamo fare ai bambini gli esercizi
di vita pratica che voi descrivete: venite a vedere ». Andai. Erano pre-
senti anche delle autorità, e un professore universitario di pedagogia.
Alcuni bambini seduti a un tavolino avevano dei giocattoli e ap-
parecchia\'ano una tavola da bambola: i loro visi erano senza espres-
sione. Io guardai stupita le persone che mi avevano invitata: esse si
mostravano serene: evidentemente pensavano che tra apparecchiare
una ta\'ola per gioco e apparecchiarla realmente non ci fosse differenza:
la vita imm.aginata e la vita vissuta eran la stessa cosa per loro. Non
è forse questo un errore sottile che può insinuarsi fin dall'infanzia e
permanere poi come una forma mentale? Forse per questo errore un
grande professore di pedagogia, italiano, mi aveva detto: «Nuova la
libertà? vi prego, leggete Comenius, egli ne parla già». Io dissi: «Sì,
molti ne parlano, ma questa è una forma di libertà realizzata ». Egli
sembrava non capire la differenza. « Non credete » dovetti soggiungere
« che ci sia differenza tra chi parla di milioni e chi li possiede? ».
Contentarsi dell'immaginario e vivere come se ciò che immaginiam.o
esistesse realmente: correr dietro alla illusione e « non riconoscere »
la realtà, è cosa tanto comune, che, appena afferrata, vien fatto di
gridare: «svegHati al vero, o uomo! » — e la coscienza tocca una specie
di tarlo roditore sottilmente insinuato nella nostra intelligenza.
La facoltà d'immaginare esiste sempre, ci siano o no basi su cui
poggiare, materiali con cui costruire; ma quando essa non elabora
dalla realtà e dalla verità, invece del divino edifizio, forma delle incro-
stazioni che comprimono l'intelligenza e impediscono alla luce di pene-
trarvi.
Quanto tempo e quante forze l'uomo non ha perduto e perde per
questo errore? Come il vizio, che è un consumo di funzione senza scopo.
PAKTl PRIMA
consuina il corpo tino a renderlo come malato, così l'immaginazione
senza il vero può consumare l'intelligenza fino a darle dei caratteri simili
alla mentalità dei pazzi.
Favola e religione. — Ho sentito piìi volte ripetermi che l'edu-
ciuione dell'immaginazione fatta a base di fantasia « prepara l'animo
del bambino » a ricevere l'educazione religiosa. E che una educazione
a base di « realtà » come si vorrebbe in questo metodo è troppo arida,
e secca le fonti spirituali. Un simile ragionamento, però, non può
essere condiviso dalle persone religiose. Esse sanno bene che la favola
e la fede sono ai due poli estremi: poiché la favola è per se stessa la
cosa non vera; e la fede è il sentimento stesso della verità, che deve
accompagnare l'uomo fino alla morte. La religione non è un prodotto
della immaginazione fantastica; ma è la più grande realtà, la sola
verità per l'uomo religioso. Essa è la fonte, il sostegno della sua vita.
L'uomo che non è religioso non è certo una persona mancante di
immaginazione, ma piuttosto mancante di equilibrio interiore: egli è,
rispetto all'uomo religioso, meno sereno, meno forte alle sventure,
non solo, ma anche più barcollante nelle proprie idee. Egli è più
debole e più infelice; e invano si aggrappa alla sua immaginazione per
farsi un mondo fuori della realtà. Qualche cosa in fondo a lui grida
con David: «Dio, Dio mio, di te ha sete l'anima mia». E se egH
spera di giungere solo con l'immaginazione alla meta della sua vita
reale, può in un supremo momento di lotta sentirsi affondare il
piede tra sabbie mobili.
Quando un apostolo cerca di chiamare un'anima alla religione
onde porre il suo piede pericolante sul sasso, al sentimento si rivolge,
non all'immaginazione: perchè egli sa che non deve creare nulla, ma
solo chiamare a gran voce ciò che dorme negh abissi del cuore. Egli
sa che deve scuotere una vita caduta nel torpore come corpo vivente
sepolto tra le nevi; e non deve già costruire il fantoccio di ghiaccio che
si scioglie ai raggi del sole.
Che l'immaginazione fantastica penetri la reHgione, ciò è vero:
ma come errore. Nel medio evo, per es., si attribuivano, con molto
semplicismo, le epidemie ad una azione diretta di castigo divino; oggi
esse si attribuiscono, come fatto immediato, ai microbi. Le macchine
IX. - IMMAGINAZIONE I97
a vapore di Papiri fecero pensare a un'azione diabolica. Ma questi sono
appunto i pregiudizi che, come tutte le fantasie, pullulano sul vuoto
dell'ignoranza.
Non tutta la religione è costruita così, come un castello fantastico
eretto sul fondo dell'ignoranza. Altrimenti si dovrebbero vedere i
popoli selvaggi religiosi e quelli civili pri^d di religione: invece i sel-
\aggi hanno una religione fantastica, fragile, costituita in gran parte
sul terrore che danno i misteriosi fatti della natura, e i civili hanno
una religione positiva, forte che sempre più si purifica: mentre la
scienza della realtà, penetrando nella natura, non fa che esaltarne ed
illustrarne i misteri.
Proprio oggi, che dalle scuole si tende a levare la religione, vor-
rebbe essa farvisi penetrare coltivando la favola? È così semplice aprire
direttamente le porte alla religione stessa e farla penetrare coi suoi
fulgori affinchè scaldi e invigorisca la vita.
Essa deve entrare come il sole nel creato, non come la befana per
la cappa del camino.
La favola poteva in qualche modo preparare alla religione pagana,
che spezzava il divino in tante piccole deità simbolizzanti il mondo
estemo, il quale, essendo preso dai sensi, si può prestare alle illusioni;
ma non può certo preparare al cristianesimo che mette Dio a con-
tatto della vita interiore dell'uomo la quale è unica e intera, e insegna
le leggi di una vita che è « sentita » dagli uomini. Se le scienze posi-
tive furono estranee alla religione, non vuol dire che sia lo studio
della realtà che per se stesso ne allontani. Le scienze positive fin
oggi studiarono il « mondo esterno » nei suoi analitici dettagli, e se
esse potevano mettere in « simpatia « una religione, questa poteva
essere la religione pagana. Infatti la scienza ha sensibilmente portato
finora un soffio di paganesimo tra noi. Ma quando essa giungerà a
penetrare l'uomo interiore, illustrandone le leggi della vita e le realtà
dell'esistenza, una gran luce cristiana dovrà esser fatta sugli uomini: e
forse i bambini, come gli angeli su Betlemme, canteranno l'invocato
inno di pace tra scienza e fede.
San Giovanni, nel deserto, « raddrizzava le \ie del Signore » e
purificava gli uomini dai più grossi errori. Così un metodo che dia in-
terno equilibrio e allontani i più grossolani errori che soffocano le
u/«^ parti: prima
energie spirituali, prepara a riee\ere la verità e a far riconoscere le
« \ ie della \ ita ».
L'educazione dell' immaginazione nelle scuole elementari. —
(.he cosa si fa nelle comuni scuole elementari per educare l'imma-
ginazione?
La scuola, nella maggior parte dei casi, è un luogo spoglio, nudo,
o\ e il colore grigio delle pareti, le tende di mussolo bianco alle finestre,
precludono ai sensi ogni via di sfogo. Lo scopo di questo triste scenario
è che I'« attenzione » dello scolaro non sia trattenuta da stimoli, e venga
condotta a fissarsi sul maestro che parla. I fanciulli, seduti, ascoltano
per ore ed ore nell'immobilità. Quando questi fanciulli disegnano,
de\ono riprodurre perfettamente un altro disegno. Quando si muovono,
è interpetrando esattamente un comando altrui. La loro personalità
è apprezzata solo per l'obbedienza passiva; l'educazione della loro vo-
lontà consiste nella metodica rinuncia al volere.
'i La nostra pedagogia abituale » dice il Claparède « opprime i
bambini con una quantità di conoscenze che mai potranno servire
a dirigere la loro condotta; li fa ascoltare senza che desiderino d'inten-
dere; li fa parlare, scrivere, redigere, comporre, dissertare quando non
hanno niente da dire; li fa osservare senza che abbiano alcuna curiosità,
li fa ragionare senza che abbiano alcun desiderio di scoprire qualche
cosa; fa far loro degli sforzi che si figura essere volontari, senza aver
dapprima l'acquiescenza del loro io al compito imposto: consenso in-
teriore che solo darebbe alla sommissione al dovere, un valore morale ».
Questi fanciulli posti in schiavitù usano gli occhi per leggere,
la mano per iscrivere, gli orecchi per ascoltare ciò che dice il maestro.
Solo il corpo sta fermo: ma la loro mente non può soffermarsi su cosa
alcuna. Essa deve, con un continuo sforzo, correr dietro alla mente
del maestro, la quale a sua volta è spinta a correre da un programma
che fu stabilito a caso, non certo sulle tendenze infantili. La mente deve
passare di cosa in cosa. Immagini fuggitive e incerte come sogni appa-
riscono di tanto in tanto dinanzi agli occhi del bambino: il maestro
disegna un triangolo sulla lavagna e poi lo cancella. Fu una visione
momentanea e astrattamente rappresentata: un triangolo concreto
non fu mai tra le mani di quei bambini; essi debbono ricordarne con
IX. - IMMAGINAZID.NK I99
isforzo un contorno, contro cui, fra poco, astratti calcoli geometrici
faranno ressa: tale figura non opererà mai nulla dentro di loro, non
sarà sentiia, combinata con altre; non sarà mai una ispirazione. E
così di tutte le altre cose. Lo scopo sembra la fatica in se stessa: quella
fatica che ha arrestato sopra di sé quasi tutti gli sforzi della psicologia
sperimentale.
In questo ambiente dove è proibito il libero esercizio, la scelta
del laxoro, la meditazione, e dove c'è l'oppressione di ogni sentimento
1 d V. sottratto ogni stimolo esterno che potrebbe arricchire l'intelh-
;enza di conquiste proprie, si vuole esercitare l'immaginazione facendo
fare « dei componimenti ». Cioè il fanciullo dovrebbe produrre senza pos-
sedere i materiali necessari; dare, senza avere; attingere da attività
interne che gli s'impedì di sviluppare. E la produzione dovrebbe venire
à?L\\' esercizio della produzione: il « molto esercizio nel comporre » do-
vrebbe sviluppare l'immaginazione: dallo sfruttamento del vuoto
do\'rebbero conseguire i prodotti più complessi dell'intelligenza.
Si sa che la massima difficoltà nelle scuole è rappresentata dal
« comporre ». Tutti i maestri hanno constatato che i bambini sono « po-
veri d'idee », che hanno una « mente disordinata », che sono « affatto
privi d'originalità ». La « prova scritta » del comporre è sempre stata
la più angosciosa: è a tutti nota la figura del fanciullo che sente dettare
un tema obbligato e che dovrà entro poche ore consegnare una compo-
sizione scritta, un prodotto dell'immaginazione; è con angoscia, col
cuore serrato, le mani fredde, gli occhi ansiosamente interroganti
l'orologio nella paura dell'ora che fugge, sotto la sorveglianza diffidente
d'un maestro che si è trasformato per l'occasione in un guardiano-spia
simile a quella dei bagni penali; così è ch'egli subisce fino in fondo
la tortura. Guai a lui, se non consegna il componimento: egli è perduto
perchè si tratta della prova principale, di quella ove egli è libero di
manifestare il proprio valore, di dare il vero frutto individuale in cui
altri cercheranno il controllo della sua intelligenza. Su questa via le
nostre giovani generazioni trovarono spesso la nevrastenia, e perfino
il suicidio! Gli scolari non possono rispondere come il maggior poeta
dei nostri tempi, il Carducci, quando gli fu chiesto di scrivere un'ode
in occasione della morte di un personaggio: « È un'ispirazione, non
un'occasione, che può farmi scrivere un'ode ».
'OO PARTK PRIMA
K iiitonssanto studiavo coim' lu-llo «i scuole modonio», ov e pene-
Irato un principio cii igiene psichica, si cerchi di aiutare gli scolari,
diminuendo il loro sforzo esauriente e conducendoli a passo a passo
\erso la composizione. Il componimento (si passi un momento sopra
alla contraddizione) viene « insegnato ». La maestra fa delle « lezioni
colletti\e » sul comporre, così come ne farebbe per spiegare l'aritmetica:
ijuesto si chiama « il comporre orale collettivo ».
Lascio la parola agli specialisti del genere, riportando un lirano
ove è racchiusa una preparazione dei maestri a tali lezioni.
I. Procedimento da tenere nel modo di indicAri: il tema.
Prendiamo, a cagion d'esempio, il breve raccontino seguente co-
stituito da tre fasi: x° Ernesto non seppe la lezione; 2° la maestra
sgridò 6e\'eramente il bambino; 3"^ Ernesto pianse e promise di far
bene. Se indichiamo il raccontino con le parole: " Ernesto non seppe
la lezione " (fatto primo, causa), avremo che l'alunno andrà facil-
mente all'effetto costituito dalle due altre fasi, che logicamente e
in ordine cronologico, seguono la causa. Se invece diamo come tema
l'indicazione corrispondente alla seconda fase: " la maestra sgridò il
bambino ", obblighiamo l'alunno a risalire alla causa e a far seguire alla
seconda, la terza fase. In più difficile situazione poniarno l'alunno
se diamo come tema: "Ernesto pianse e promise di far bene ", giacché
esso è costretto a risalire alla seconda e da questa alla prima fase.
« Quindi la prima fase in ciascuna brevissima narrazione deve
servire come indicazione del tema.
« Procedimento: l'insegnante deve scrivere il tema sulla lavagna
e invitare la scolaresca a pensare (non a dire) a una possibile conse-
guenza del fatto indicato dal tema. L'insegnante deve far capire che
la scolaresca deve lavorare " per proprio conto " e cioè senza l'aiuto
di suggerimenti. Vediamo:
0 Luisa buttò nel fuoco un pezzo di lana (tema). Pensate a una
possibile conseguenza, dite cosa avvenne di conseguenza.
« La lana mandò un cattivo odore? Benissimo. Tu, ripeti il raccontino:
« Luisa buttò nel fuoco un pezzo di lana. La lana mandò un cattivo
odore. Nessuno sa aggiungere un altro pensierino, un'altra possibile
conseguenza?
IX. - IMMAGINAZIONE
« La maestra rimproverò Luisa? Un'alunna aprì la finestra? La mae-
stra ripeta l'esercizio servendosi dei temi A,B,C, e facendo scrivere sul
quaderno lo svolgimento avuto dalla collaborazione della scolaresca.
« Poscia propone un tema e lascia libere le alunne di svolgerlo
senza aggiungere schiarimenti.
Tema A. — Luisa buttò nel fuoco un pezzo di stoffa di lana. (La lana
mandò un cattivo odore. La maestra rimproverò Luisa. Una compagna aprì
la finestra per fare andar via il cattivo odore).
Tema B. — Ernestino rovesciò l'inchiostro per terra. (Il pavimento si
macchiò. La maestra rimproverò il fanciullo. Ernestino promise di essere più
attento).
Tema C. — Elisa lesse bene il racconto. (La maestra la lodò e le diede un
bel voto. Elisa fu tanto contenta).
Tema D. — Mario macchiò il quaderno. (La maestra non gli corresse il
compito e lo rimproverò. Il fanciullo andò a casa piangendo).
« Dopo tutto questo esercizio collettivo la maestra dà libera-
mente un tema come il seguente: " Maria seppe bene la lezione ".
Le bambine, nello svolgimento, devono attenersi agli esempi prece-
denti; cioè indicare in due frasi gli effetti logici di tale causa (la
maestra le diede dieci e la lodò; poi le disse di essere sempre così
studiosa) ».
Talvolta l'insegnamento ha un indirizzo psicologico, anziché lo-
gico. In tal caso i « pensierini » non sono collegati da causa ad effetto,
ma dallo svolgersi delle attività psichiche nelle tre sfere percettiva,
sentimentale e volitiva. Esempi:
— Amelia mi hia fatto fiutare dell'ammoniaca (fatto percepito). — Che
odoraccio (sentimento). — Non voglio sentirlo più (volizione).
— Gigi mi ha tirato i capelli (fatto percepito). — Ho provato dolore
(sentimento). — Subito ho allontanato la mano del mio compagno (volizione).
(/ Diritti della Scuola, anno XIV, n. i6, pag. 232).
Con tali mezzi si distrugge, evidentemente, ogni possibilità d'ispi-
razione, di creazione. Il bambino deve seguire frase per frase ciò che
la maestra indica: ecco dunque scomparsa ogni attitudine a « comporre »
da se stessi. Non solo il bambino resta vuoto di materiale per creare,
i02 PARTI-; l'RIMA
Citino in passato, ma la stossa tiftiliidinc viono a scomparire; sì che se
domani un materiale si formasse nella sua mente, non ci sarebbe più
lo slancio per utilizzarlo, e una routine scolastica incatenerebbe il
pensiero.
L'educazione intoUellualo fatta dal maestro con tali mezzi, fa
pensare a uno chaufteur che chiudesse il motore d'un automobile,
e cercasse poi di spingerlo a forza di braccia. Egli in tal ca.so è un fac-
chino e l'automobile una macchina inutile. Quando invece il motore
è aperto, l'interna forza muove l'automobile e lo chauffeur deve solo
dirigerlo perchè \ada hmgo la strada sicura e non urti negli ostacoli,
né precipiti nei fossi, perchè nella sua corsa non faccia danno a nessuno.
Questa direzione è la sola cosa necessaria: ma la vera marcia è
do\uta unicamente all'interno impulso, che nessuno può creare.
È su tale principio che venne il primo rinascimento letterario
italiano, quando con Dante sorse il « dolce stil nuovo » come spontanea
espressione del sentimento:
Il Io mi sono un che, quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando».
Il bambino deve crearsi una vita interiore per potere esprimere
qualche cosa: deve prendere dal mondo esterno spontaneamente
un materiale di costruzione per « comporre »; deve liberamente eser-
citare la sua intelligenza per essere pronto a trovare i legami logici
tra le cose. Dobbiamo offrire al bambino ciò che è necessario alla sua
interna vita, e lasciarlo libero di produrre. Forse non sarebbe impos-
sibile incontrare un bambino che, con un lampo negli occhi, corre a
scrivere una lettera; o un altro che passeggia meditando e coltiva una
ispirazione nascente.
Noi dobbiamo curare e nutrire il fanciullo interiore e attendere
le sue manifestazioni. Se la creazione immaginativa verrà tardi, sarà
perchè tardi l'intelligenza è matura a creare: e noi non vorremmo
opprimerla con una finzione, come non mettiamo dei bafìfi finti al
bambino per la ragione che altrimenti li metterebbe solo a venti anni.
X.
La questione morale
Quando abbiamo detto in principio che la scienza positiva ave\ a
dato come contributo sociale solo la « riforma » della vita fisica, coi
moderni dettami dell'igiene, abbiamo fatto un torto alla scienza po-
sitiva. Essa non ha soltanto considerato la vita « fisica », ma anche la
\ita « morale ».
Basta pensare agli studi di batteriologia che si riferiscono ai
veicoli delle malattie infettive nell'ambiente, per riconoscere un primo
segnacolo che sancisce la comunità degli interessi umani, con un'enfasi
mai raggiunta. I microbi si moltiplicano di preferenza nei luoghi umidi,
sudici; le persone denutrite sono più facilmente predisposte alle ma-
lattie, e così anche quelle sopraffaticate. Dunque la malattia e la
morte prematura, sarebbero un retaggio dei poveri, che, denutriti e so-
praffaticati, vivono in luoghi umidi e sudici. Ma no. C'è la questione dei
veicoli. I microbi, dalle sorgenti d'infezione, si spargono dovunque; col
polviscolo, cogli insetti, cogli oggetti usuali della vita, infine coi mezzi
di trasporto. Essi sono in una quantità inconcepibile, favolosa: ed ogni
persona malata è una sorgente quasi fantastica di malattia e di morte.
Una sola persona basterebbe a contaminare l'Europa. I mezzi di tra-
sporto permettono ai microbi di traversare in tutti i sensi gli oceani
e i continenti; basta osservare le linee dei transatlantici e delle ferrovie
del globo per riconoscere le vie di comunicazione tra le malattie che
affliggono l'umanità in tutti i luoghi della terra. Basta studiare le
trasformazioni industriali della materia, per seguire nei suoi particolari
204 PARTI-: PRIMA
il cammino giornaliero dei microbi, che mettono in comunicazione
intima tutte le classi sociali. La persona ricca indossa a contatto
del corpo, della biancheria che proviene e che riposa continuamente
nelle mani dei poveri; essa non mette in bocca l'ahmento senza che le
mani dei poveri glielo offrano, maneggiato e rimaneggiato da loro.
L'aria che il ricco respira, può contenere col pulviscolo i germi dissec-
cati che un operaio tubercoloso ha sparso sul terreno. Non c'è via di
scampo. Lo dicono le statistiche: le curve di mortalità per malattie
infettive in ogni paese sono spaventosamente alte, e riguardano ricchi
e poveri; benché i poveri muoiano, in proporzione, in una quantità
doppia dei ricchi. Ci si potrebbe hberare da tanto flagello? — certa-
mente, a patto che non ci fossero più sorgenti di infezioni, cioè che non
vi fossero più al mondo luoghi malsani, né persone denutrite costrette
a lavorare al di là dell^ loro forze. L'unica via di scampo per gl'indi-
vidui è che tutta l'umanità sia salva.
Grande principio che sembra lo squillo di una tromba: uomini,
aiutatevi l'uno l'altro; se non vi aiuterete, morrete.
Ecco infatti che la scienza come sua attuazione pratica di lotta
contro la mortalità, ha fondato le «opere di risanamento»; ha sventrato
le città, ha incanalato l'acqua, ha costruito case per i poveri, ha pro-
tetto il lavoro degli operai. Tutto l'ambiente tende a migliorare le
« condizioni di vita » delle popolazioni. Nessuna « opera di carità »,
nessuna espressione d'amore, di pietà, ha mai potuto fare altrettanto.
La scienza ha rivelato che quell'opera che si chiamava « opera di carità»
e che era considerata solo come una virtù morale, rappresentava in-
vece il primo passo, sia pure ristretto e insufficiente, verso la reale
salvazione della salute di tutti gh uomini. Era « ciò che bisogna fare »
per combattere contro la morte. Ma per raggiungere lo scopo, l'opera
deve essere universale; e deve costituire una « riforma » della società.
Allora diventa un « progresso sociale », ove non ci sono benefìcatori
e beneficati, ma solo una umanità che ha elevato il proprio benessere.
Quel principio: tutti gh uomini sono fratelli; amatevi gli uni gli altri;
aiutatevi, e la mano destra non sappia cosa fa la sinistra, è attuato
praticamente.
Al tempo del « sentimento », il povero era uno stimolo, e il bene-
fattore era un reagente: il povero non serviva veramente a « educare »
LA QUESTIONE MORALE 205
il sentimento del ricco. Se a quei tempi il povero avesse detto: « dammi
il necessario, altrimenti morrai », il ricco si sarebbe sdegnato. Egli
era ben lungi dal considerare il povero un vero « fratello », con cui
aveva in comune i diritti e i pericoli di morte.
Oggi la scienza ha dato un altro assetto alle cose. Essa ha realizzato
la carità beneficando ricchi e poveri ; ed ha costituito in principio di
civilizzazione, ciò che prima era un « principio morale » affidato al
sentimento.
Anche nei « costurfu » l'igiene è penetrata dettando norme indivi-
duali di vita. È per essa che la crapula è scomparsa; quei pranzi epi-
cureici celebri ai tempi antichi, sono oggi sostituiti dai pranzi « igie-
nici » ove il pregio consiste nella sapiente proporzione tra i bisogni del
corpo e il cibo apprestato. Il vino e l'alcool sono combattuti più
ancora dai ricchi che dai poveri. Si mangia per vivere in buona salute^
cioè senza eccessi e senza veleni.
E questo che predicava l'antica morale, combattente contro il
vizio della gola, e proclamando il digiuno e l'astinenza rome virtù.
Nessuno mai però a quei tempi avrebbe immaginato che un giorno
dei milionari sostituissero definitivamente al vino le limonate; e che
i grandi pranzi scomparissero del tutto e ne restasse soltanto la notizia,
come di una « curiosità » del passato. Ancor più: nessuno di questi
moderni astinenti fa pompa della sua virtìi: essi sembrano corrispon-
dere con semplicità all'antico precetto evangelico: « quando digiunate
non vogliate fare i malinconici, come gl'ipocriti: ma profumatevi la
testa affinchè il vostro digiuno sìa noto non agli uomini, ma solo al
Padre celeste, il quale sta nel segreto ».
Se uno degli antichi predicatori si fermasse a conversare con questi
astinenti, resterebbe pure edificato dalla loro conversazione. Dove
sono andate le « piacevolezze » che formavano lo « spirito », la « delizia »,
la « gaiezza » al tempo di Margherita di Valois? I racconti boccacceschi
non potrebbero più penetrare tra i discorsi della società inglese, e in
genere di una società moderna aristocratica, anche se di grado so-
ciale molto inferiore a quella che circondava Margherita di Valois.
Oggi, le persone sono timorose fino allo scrupolo di pronunciare una
parola scorretta, di accennare anche alle più innocenti funzioni del
corpo, di nominare fino le parti stesse del vestiario che stanno a
contatto della carne. Essi parlano solo di toso olc\at(> ; è giudicato
brillante nella conversazione fine solo colui che <i ammaestra », che
parlando liei suoi viaggi fa conoscere i costumi dei popoli, che par-
lando di poHtica mette al corrente delle situazioni. Le risa smodate,
i lazzi, i iresti procaci, sono inconcepibili; ognuno rattiene composta*
mente le proprie membra, abolendo addirittura anche il gestire vi\acc
ed innocente che accompagna naturalmente il discorso; il tono di voce
è moderato, appena sensibile. Direbbe l'antico predicatore: « Costoro
han portato all'esagerazione le esortazioni di S. Paolo: non si senta
nominare fra \oi fornicazione o impurità, come ai santi si conviene:
né oscenità, né sciocchi discorsi o buffonerie, che sono cose indecenti».
Tra tale evoluzione dei costumi, ecco ancora l'igiene che, fattasi
guida della moda, ha a poco a poco semplificato il vestito, ha tolto le
pomate e i belletti, ha abolito le crinoline, ha modificato i busti, e le
scarpe, ha fatto sparire gli strascichi per le strade e ha uniformato
tutti i vestiari. Un uomo dei tempi antichi se oggi apparisse tra noi
chiederebbe: « perchè il popolo fa penitenza? vedo gli uomini senza
ornamento e coi capelli tagliati; e le donne che, con una edificante
rinunzia alla vanità, vanno per la strada senza parnicche vistose e
senza nei sul viso, coi loro capelli annodati semplicemente: vedo le
contesse vestite senza costumi di prezzo, quasi come le donne povere,
entrambe coperte di abiti scuri, semplici, monacali. Le carrozze sono
brune come caiTÌ mortuari e i servi sono vestiti di gramaglie. Per le
strade non impazza più il carnevale; tutti vanno silenziosi e composti ».
Chi mai avrebbe potuto persuadere le genti antiche affannantisi
a predicare contro l'eccesso delle vanità, che un tale quadro non sarebbe
stato quello di un tempo di penitenza, ma quello della vita consueta?
Queste nuove genti, dal canto loro, sono ben lontane dal credersi
immerse in una vita di sofferenza; al contrario, esse riguardano il
« mondo » del passato con orrore: mai vorrebbero tornare al tempo
quando gH uomini si facevano schiavi dei pomposi costumi e dei belletti,
si avvelenavano nelle crapule <■ morivano nelle infezioni. Esse si sonr)
liberate da tanti legami vani, ed hanno realizzato un maggior benes-
sere della vita. Tutto il confori che rende oggi delizioso il vivere, sarebbe
un segreto incomprensibile per un nobile dei secoli passati. E il segreto
della vita.
LA QUESTIONE MORALE
Ir Forse analogamente si guardavano tra loro un tempo i monaci
e i gaudenti del secolo: quelli, nella rinuncia ai legami del mondo e
alle sue vanità, serbavano un « segreto di vita » piena di ignorate de-
lizie, e riguardavano con orrore i pretesi godimenti del secolo: mentre
qua gli uomini inconsci, fatti schiavi dalla cima dei capelli nascosti
nella parrucca ai piedi stretti negli stivalini, chiamavano «godimenti e
vita » i mezzi di morte.
* * *
Un altro contributo ha dato ancora la scienza positiva, penetrando
direttamente nel campo morale. È essa che, coi metodi statistici della
sociologia, ha sviscerato i problemi sociali dell'immoralità e della crimi-
nahtà studiandone i fattori esterni; e con l'antropologia criminale
ha rivelato i «tipi inferiori» che, per tabe ereditaria, sono i predisposti
innati a tutte le infezioni morali dell'ambiente. Le teorie sulla degene-
razione di Morel e le conseguenti teorie lombrosiane sui delinquenti,
sono state indubbiamente apportatrici di luce in quel caos dove sta-
vano insieme mescolati i giudizi su la bontà e la malvagità umana. Le
forme di « degenerazione » attecchiscono per eccellenza il sistema ner-
voso, e tutte le personalità anormali che ne derivano sono « deviate «
dal tipo comune. Esse hanno una intelligenza ed una moralità
diverse. Le false percezioni, i falsi raziocini, le illusioni, le anomalie
della volontà come: impulsi, abulie e fobie; lo scarso senso morale
su cui l'intelligenza anormale edifica dei deliri sistematizzati che
• s'interpetrano come principi filosofici, fanno di queste persone una
categoria a parte, extrasociale.
La debolezza generale nervosa, e l'intelligenza deviata che non
pro\'oca l'interesse al lavoro, fanno di queste persone individui incapaci
di produrre che perciò cercano di vivere a spese della produzione altrui.
Questo fatto fondamentale che unisce all'odio verso il lavoro produttixo,
uno sforzo verso la rapina, U conduce a usufruire di tutte quelle cause
ambiente che preparano i mezzi esterni della criminalità. Questi
uomini sono « cattivi ». Ma, andando ad osservare bene, non è veramente
di malvagità che si tratta, ma di stati morbosi e di errori sociali. Se
così è, questi cattivi, che, nati senza loro colpa tanto infelici, vengono
trascinati dalla società alla perdizione, sono delle vittime. Tutta la
loro storia, indagata più intimamente, lo rivela. Essi sono perseguitati
20S PARTI PRIMA
ed abbandonati fin da bambini: incapaci di rendersi amabili per la dr-
ficienza mentale, pel disordine voliti\'o, per l'anomalia degli affetti e
anche per la disarmonia fisica, passano dalle persecuzioni materne alle
persecuzioni della scuola e infine della società, raccogliendo sopra di sé
tutti i castighi.
Fu impressionante il primo quadro che fece il Morel di questi
« morti della specie ». Secondo la sua teoria primitiva, che pure con-
tiene una sintesi la quale, se non è esatta, riassume con chiarezza com-
prensi\a il fenomeno, allorquando una causa di degenerazione agisce
sull'uomo, questi può avere una progenie debole, la cui debolezza si
aggrava nelle due o tre generazioni successive, finché si estingue nella
sterilità terminale di individui estremamente degradati. Secondo il Morel
i pazzi, i delinquenti, gli epilettici, gli idioti sono la triste serie di questa
estinzione dell'uomo. Poiché l'uomo che muore lasciando una forte prole,
non muore in realtà ma si rinnova: alla vecchiezza, succede la giovi-
nezza. Solo il degenerato muore, poiché la sua specie si « estingue »: e le
poche generazioni infehci che si producono, rappresentano una « vivente
agonia ». Questa «specie agonizzante» che vive tra quella sana, e le mo-
stra le sue debolezze, i suoi deliri, le sue convulsioni, le sue irritabilità
e i suoi egoismi, viene poi respinta nelle tombe dei \ivi. quali sono i
manicomi e le carceri.
Che quadro vivente, e quale monito per l'uomo!
Un « errore » può essere per lui mortale: come la maledizione
biblica, si trasmette alle generazioni e conduce alla perdizione eterna.
Come è spaventevole il pensiero del figlio innocente, sul cui
capo si accumula il castigo! E come pone in evidenza che la nostra vita
presente non è tutto, ma ha una corttinuazione nella quale raccogHeremo
i veri premi o i veri castighi della nostra esistenza. Il figlio bello, sano,
prolifico, o il figlio deforme, malaticcio, sterile e incapace di amarci e di
comprenderci: sta a noi in gran parte la scelta. L'igiene della genera-
zione é la più poderosa tra le igieni morali. Se la salvezza della \'ita
individuale si può acquistare a prezzo di provvedere alla vita igienica
di tutta l'umanità, quella della specie si ottiene seguendo rigorosamente
le « leggi della salute », le « leggi della vita ». L'alcooHsmo, ogni intossi-
cazione, il surménage, le malattie costituzionali, lo sperpero di forze
nervose, il vizio, l'ozio, sono tutte cause di degenerazione.
X. - LA QUESTIONE MORALE 209
E la scienza che è andata predicando tutte queste cose, per la sal-
vezza degli uomini: e con questo si è fatta propagatrice di « virtù ».
Ma sopra ogni cosa ha illustrato il grande principio del « perdono >
che era rimasto tra i misteri della morale religiosa.
Nessuno, qualche secolo fa, comunque pietoso e generoso, avrebbe
tuttavia guardato il delinquente con occhi tanto pieni di pietà e di
giustizia, come la scienza. Essa ha designato una vittima di cause so-
ciah delle quali tutti siamo responsabili: e dobbiamo perciò accusarci
noi tutti delle colpe commesse dall'individuo inferiore, e muovere con
la pienezza delle nostre forze verso la rigenerazione. Solo i santi in-
tuirono queste verità, offrendo per la comunità degh uomini i loro meriti,
e addossandosi le colpe di tutti: «Voi renderete conto — dice S. Giovanni
Crisostomo - non della vostra salute solamente, ma di quella univer-
sale: chi prega deve sentirsi carico degli interessi dell'intero genere
umano ».
£ certo che se un Taigete avesse depurato la nostra razza dalle sue
deformità, e se un'analoga morale ci avesse resi indifferenti aUfi malattie,
alle debolezze e alle sofferenze dell'umanità, la scienza rP^neratrice
non sarebbe potuta sorgere. Solo raccoghendone gli effett^^i può ri-
salire alle cause morbose e salvare l'umanità pericolante. Le cause
di morte sono invisibili ^ insensibili come il microbo : l'uomo può bere
il veleno credendo di bere un nettare. Guai se i malati, i degenerati,
non si presentassero come un'avanguardia a testimoniare degh inconsci
errori, i quali minacciano perdizione. La scienza, appunto, non si è
limitata a « curare » i malati come in un, servizio di infermeria: ma è
penetrata per quella porta vistosa ed è risahta a ritroso verso l'umanità
normale inconscia dei suoi pericoli. Non è la « cura » dei malati, è
r« igiene universale» il suo risultato ultimo. Noi dobbiamo il « comfort»
igienico che garantisce la nostra salute e diminuisce in modo sì porten-
toso la mortalità generale, al fatto che i malati furono raccolti e curati.
La promessa di rigenerazione dell'Eugenica, che fa intravvedere uni-
\ersalmente una prole più rigogliosa e felice che in passato, venne fatta
perchè noi raccogliemmo con carità tutti i deficienti, gii epilettici, i mal-
vagi. Fu là che dovè rivolgersi il nostro sguardo per rintracciare le \ie
della salute, per giungere alle porte di un mondo migliore.
Quando il Cristo indica agh uomini la salvezza, segna col dito i
2IO PARTI PRIMA
rithiti (1i'll;\ soriotà ilo\c si lumno 1,'li effetti srnsibili del male, iHMcliè
Io causo dol malo son troppo sottili, non sono dirottamenti' visibili:
" Udrete con i vostri orecchi e non intenderete: mirerete coi vostri occhi
e non vedrete ».
Ma invoc(> lo estreme consct;uen/e sono e\identi, e basta che
la << xolontà » deirnomo acconsenta a raccoglierle con carità, senza ri-
pugnanza, per giungere alla salvazione. Nel giudizio finale, dice S. Mat-
teo, saranno separati i perduti dai sah'i e il Re chiamerà questi ultimi
alla sua destra dicendo: « Venite, o eletti dal padre mio, a godere il
regno che vi fu preparato fin dall'eternità. Perchè io iblii fame e mi
rifocillaste: ebbi sete e mi deste da bere; ignudo, lìii ricopriste: infermo,
mi visitaste; carcerato, veniste da me ». « E quando noi — rispondono i
giusti —t'abbiamo incontrato. Signore, affamato, assetato e ignudo?
Quando noi ti abbiamo visto infermo e carcerato e venimmo a \ isi-
tarti? ". K il Re risponderà: » Ogni voha che avete fatto qualcosa a
uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me». Allora dirà
a quelli della sinistra: «Andate, maledetti, alla perdizione eterna,
perchè ebbi fame e non mi rifocillaste ; ebbi sete e non mi deste da bere;
infermo e carcerato, non mi visitaste ». E costoro pure risponderanno:
« Ma quando ti abbiamo incontrato infermo, affamato, assetato, carce-
rato, e non ti abbiamo assistito? ». Allora risponderà loro : « Ogni volta
che incontraste uno di quei minimi fratelli, quegli ero io ».
Questa in fondo è la vera differenza tra la morale pagana e quella
cristiana : tra l'erudita filosofia greca e la pratica scienza moderna :
tra l'ideale estetico e l'ideale di » vita ».
La scienza positiva ci ha dunque portati a realizzare una parte
del cristianesimo. Si potrebbe quasi dire che i monac i rappresentavano
in pratica, attraverso i secoli e le differenti civiltà, la « sola forma »
di vita, che è la vita: quella rivelata oggi dalla scienza. Essi, tra i crapu-
loni disordinati ebbero una « regola » che sempre più si rivela igienica:
essi mangiarono il rozzo pane, la frutta fresca, il latte appena munto,
molte verdure e poche carni, in pasti frugaH, ma regolari. Essi tra l'ag-
glomeramento infetto, scelsero le grandi case ampie in aperta cam-
pagna o almeno eccentriche, possibilmente sulle alture; il loro lusso
X. - LA QUESTIONE MORALE
non furono i mobili pesanti e imbottiti, ma il vasto terreno in cui fare
possibilmente vita all'aria aperta. Le vesti ampie, i comodi sandali
o i piedi ignudi, gli abiti di lana, gli esercizi fisici, il lavoro della terra,
i x'iaggi, li fanno quasi precursori della vita sportiva. Ogni convento
spargeva beneficenze tutto intorno, raccoglieva i poveri, curava i malati,
quasi a dimostrare che quella vita piìi libera e privilegiata non era
che un aspetto, il quale va necessariamente accompagnato dall'aiuto
\'erso l'umanità. Essi rappresentarono la élite intellettuale e sociale :
furono i benedettini che curarono i manoscritti e tesaurizzarono l'arto;
furono i seguaci di S. Bernardo che esercitarono l'agricoltura; furono i
figli di S. Francesco che predicarono la pace.
Ovvero si potrebbe dire che la società moderna, guidata dallo studio
positivo delle leggi della vita e dalle cure nel salvarla, si è incontrat:)
con le leggi relis^iose che rivelavano le vie della vita; e va realizzando
una forma di civiltà, che ricorda in certo modo e riproduce le antiche
oasi dello spirito.
Se però si arrischia un parallelo tra la società moderna e un
convento, quale convento sarebbe essa mai?
Ecco un monastero dove i frati mangiano secondo la regola, ve-
stono l'abito igienico, sono corretti nel linguaggio, non vengono a risse
clamorose, mettono in comune gli interessi della vita, spargono fred-
damente opere di beneficenza, come una consuetudine o una necessità
dell'ordine; e anche fanno le loro meditazioni sulla vita eterna, sulla
•azione, sui premi e castighi nella vita futura, ma %enza esserne
cati. Essi però hanno perduto la fede, e non si amano tra loro;
'ambizione, l'astio e persino l'odio, tengono lontano la pace interna:
e sotto a tutto questo comincia a infiltrarsi la corruzione: il segno
della decadenza piti' profonda si è ormai mostrato: è perduta la ca-
'# stità. Quella che è per eccellenza il vessillo cristiano, il segno di rispetto
alla \-ita, la consacrazione della purità che conduce alla vita eterna, fu
travolta insieme con la fede. L' « amore » dell'uomo è incompatibile
con l'eccesso della bestia. È nella castità che nasce come un profumo
l'amore ardente verso tutti gli uomini, la comprensione delle altrui
anime, l'intuizione della verità. Questo fuoco ardente che si chiama
la carità, è esso che mantiene accesa la vita, e dà il valore a tutto
cose. « Quando distribuissi ai poveri tutte le mie facoltà e quando
y^c
saoritìcassi il corpo ad essere bruciato — dice San Paulo se non
ho la carità nulla mi gio\a. E quando avessi la profezia e intendessi
tutti i misteri e tutto lo scibile, se non ho la carità, sono un niente.
Quando io parlassi tutte le lingue degli uomini, se non ho la carità
sono come un bronzo suonante o un cembalo squillante ».
Nei conventi « degenerati » si perde il più grande acquisto, il più
elevato, l'ultimo li\ello raggiunto dalla perfezione: così come la perso-
nalità colpita da degradazione, perde prima gli ultimi e più elevati
acquisti e conserva solo gli inferiori.
Nel « convento sociale » invece, l'ultimo acquisto non è ancor
fatto: ecco la differenza e il riscontro. L'elevazione sociale verso il
cristianesimo è solo ai suoi primi gradini. Manca la « carità » e quindi
la «castità»; e tutto ciò è assente sopra il fondo arido lasciato dalla
mancanza di fede, e dall'oppressione della vita spirituale. La scienza po-
sitiva non ha ancor toccato la vita interiore dell'uomo, e l'ambiente
sociale non realizza perciò nella sua « forza di civilizzazione univer-
sale » gli acquisti umani superiori.
Quando noi ci preoccupiamo di dare 1' « educazione morale» ai
nostri bambini, dobbiamo prima domandarci se veramente li amiamo,
e se siamo sinceri nel desiderare la loro « moralità ».
Mettiamoci nella vita pratica. Padri e madri, che cosa potete spe-
rare dai vostri figliuoli? La guerra europea, rispetto alla vita del corpo,
è un ben piccolo esempio in confronto ai pericoli spirituali che essi
corrono ! Immaginiamo una guerra ben più vasta, universale, ove sono
chiamati tutti i giovani, e dove' i superstiti si segnano a dito come
qualche cosa di assolutamente eccezionale. Voi dunque dovete alle-
vare i figliuoli per la morte. A che prò, allora, affannarsi tanto per
loro ? non è forse inutile curare i loro capelli morbidi, le loro rosee
unghie, la bellezza fresca e affascinante del loro corpicciolo rigoglioso,
se tra poco devono morire ?
Ah! chi ama i fanciulli si eriga contro questa guerra mortifera
e lotti per la pace!
E eloquente questo « credo » che Mme de Héricourt espose nel suo
libro: La jemme affranchie, verso l'epoca della Rivoluzione francese:
X. - LA QUESTIONE MORALE 213
« Madri, voi ammonite il bambino: Non dire bugie, perchè questa
è cosa indegna di una persona che si rispetti. Non rubare: ti piacerebbe
forse che rubassero le cose tue? questa è una azione disonesta. Non oppri-
mere i compagni che vedi più deboli di te, e non essere scortese con essi,
perchè sarebbe una viltà. Eccellenti principi. Ma quando poi il bambino
è diventato un adolescente, la madre dice: Bisogna che un gio\ane si
sfoghi. E sfogarsi vuol dire sedurre, essere adultero, frequentare il
lupanare. Come! è quella madre che diceva al fanciullo: non mentire —
la stessa che oggi permette all'uomo di tradire una donna come lei!
È quella che insegnava al bambino di non rubare un giocattolo, che
oggi trova lecito al figlio di rubare la vita, l'onore di una donna come
lei. È quella che gli raccomandava di non opprimere i deboli, che
oggi gli permette di schierarsi tra gli oppressori di un individuo umano,
che la società ha fatto schiavo! ».
Queste madri, si fanno solidali col fatto degradante che travolge
tutta l'umanità.
Oggi si accentua rm movimento sociale contro la tratta delle schia\e
bianche; e contemporaneamente sorge una scienza, l'Eugenica, che tende
a proteggere la salute della posterità.
Cose eccellenti. Ma la questione che sta a base di tutto questo, è
una questione spirituale. Non sono le schiave bianche gli esseri umani
e perduti »: esse sono le vittime di un fatto universale di perdizione e
di schiavitù. E se un pericolo spirituale sì grave incombe su di noi, qual
mai igiene esterna potrà salvarci se non è preceduta-da una lotta diretta
contro questo pericolo? I veri « perduti » sono colcwo i quali persistono in
uno stato di morte, senza avvedersene. Chi ne è «avvertito», già solo per
questo, può trovarsi sulla via della salvezza. Le cosidette schiave bian-
che, poste al ludibrio della società, opprese dal castigo, esse gridano
vendetta al cospetto dell'universo, e coprono di vergogna l'umanità;
ma non sono le vere perdute, non sono le sole schiave. Perduto è l'uomo
giovane, innocente, ben educato, che, senza rimorso, senza avvedersi
della propria degradazione, approfitta di un essere umano fatto schiavo
per lui, e di più lo copre di disprezzo, senza sentire la voce della co-
scienza che lo ammonisce : « perchè osservi tu la pagliuzza che sta nel-
l'occhio del tuo fratello, e non ti togli la trave che sta nel tuo occhio ?».
Quest'uomo che forse cerca di difendere il suo corpo da conseguenze
JI4 l'AUri l'Kl.MA
Jisastmso. benché spesso non vi possa sfuggire; e che perciò arrischia
per nulla un suicidio della propria persona e della specie; e che si af-
fanna solo a cercare per sé una posizione sociale e una famiglia ono-
rata— questi è l'uomo \eramente perduto fra le tenebre, ruoino ridotto
in schiavitù.
E con lui è schiava anche la madre che non può più seguire il figlio
suo. ch'essa allevò nella salute del corpo con tanta cura, e che curò
nella gentilezza morale con tutta la passione del suo cuore: è schiava,
quando quel figlio le è strappato per andare forse nella morte o nella
rovina della salute fisica, e per discendere nella degradazione morale,
mentre essa non può fare altro che fissarlo, silenziosa e immobile.
Ella miseramente si scusa, dicendo che la dignità e la purità non le
permettono di seguire il figlio in questo cammino. Ciò che sarebbe
come dire: ecco là il figlio mio ferito e sanguinante, ma io non posso se-
guirlo, perchè la strada è fangosa e potrei insudiciarmi gli stivalini.
Dove è il cuore di una vera madre? in quale degradazione cadde
il sentimento materno ? «Sarebbe solo degna e pura — esclama Madame
de Héricourt — quella donna capace di educare un figlio che non avesse
mai niente di obbrobrioso da confessare a sua madre ».
Quella madre annientata, ha perduto se stessa.
Grande e possente è invece la dignità materna: ecco, nei tempi an-
tichi, Veturia romana, madre di Coriolano, che, avendo inteso come il
figlio, traditore della patria, sta per assalire Roma alla testa di un eser-
cito nemico, esce coraggiosa dalle mura protettrici della sua città e
muove incontro al potente condottiero, tra le schiere nemiche, per do-
mandargli: « Sei tu mio figlio, o sei un traditore? ». Alle quali parole
Coriolano rinuncia alla sua indegna impresa.
Così ai nostri tempi la vera madre dovrebbe sorpassare le mu-
raglie del pregiudizio e le frontiere della schiavitù, ed avere tanta
dignità da potere affrontare il figlio, dicendogli: «Tu non sarai un tradi-
tore dell'umanità! ».
Qual cosa mai grava sulla donna perchè ella abbia perduto persino
il diritto sacro di salvare i figli ? e cos'è che affievolisce tanto il senti-
mento, da condurre un giovinetto a sdegnare l'autorità materna solo
per farsi giovinastro ? E questa morte dell'anima, non sono i fatti
esterni che segnano la nostra sentenza.
X. - LA QUESTIONE MORALE 215
Se la scienza positiva, che si è limitata a studiare le cause esterno
delle malattie, o le cause della degenerazione, e si è limitata a indicare
l'igiene fisica, cioè le difese della vita materiale, ha portato un così
largo contributo di moralità: tanto più si deve sperare un elevamento
morale, da una scienza positiva che si rivolga a difendere la «vita inte-
riore » dell'uomo.
E se la prima parte, seguendo scrupolosamente con ricerche
esatte la verità, è venuta a realizzare socialmente dei principi cristiani,
è supponibile che la sua continuazione, condotta con la stessa lealtà
ed esattezza di ricerche, venga nello stesso senso a colmare i vuoti
che la civiltà moderna contiene ancora.
Questa, io credo, è la risposta più chiara e più diretta a tutti co-
loro che si domandano che cosa si potrà sperare per la moralità e la
religione delle nuove generazioni, da questo metodo di educazione
« troppo positivo ».
Se la medicina sperimentale, risalendo alle cause dei morbi, è
venuta a sviscerare i problemi che riguardano la salute, una scienza
sperimentale che si rivolga a studiare le attività psichiche dell'uomo
normale, deve condurre a scoprire le leggi superiori della vita e della
salute dell'uomo.
Questa scienza non è ancora stabilita, e attende i suoi ricl^rcatori:
ma si può intanto prevedere che se dalla medicina è venuta una igiene
universale, che dà a tutti gli uomini la guida della vita fisica, da questa
nuova scienza dovYà sorgere una igiene che dà a tutti gli uomini la
guida pratica della vita morale.
E se la medicina positiva sorse dagli ospedali, ove i malati erano
stati raccolti dalla beneficenza privata e pubblica, con intenti carita-
tevoli e con guide di cura empirica; questa scienza dovrà sopratutto
rivolgere le sue ricerche e fondarsi per le sue esperienze, nelle scuole,
cioè nei luoghi ove si raccolgono tutti i bambini con intenti di eleva-
zione sociale, e con guide empiriche di educazione.
Quale fu la nota elevata della medicina scientifica, che andò so-
stituendosi a quella empirica? Mentre la medecina empirica procedeva
2Ib PARTI l'KIMA x
con salassi e vescicanti, la medicina sciontifioa olpvò od ilhistrò l'an-
tichissimo principio che ria stato dimenticato e che contene\a in
sintesi tntta la nuo\-a sapienza : la vis medicatrix naiurae, cioè la forza
medicatrice della natura. Nell'organismo vivente esiste un potere natu-
rale di combattere e vincere le malattie: ed è a quello che bisogna
mirare per costruire una medicina razionale; chi crede che siano il
medico e la medicina a guarire il malato, è un empirico ; ma chi sa
che «solo l'organismo» può produrre la guarigione, e che perciò oc-
corre proteggere e aiutare le forze che la natura dà per la salvezza,
quegli è uno scienziato.
Ora : l'insieme delle cure occorrenti per proteggere le forze natu-
rali di difesa e di riorganizzazione nella medicina positiva, sono ben
più minuziose e si diffondono in campi ben più vasti, che non l'empi-
rismo antico. Il numero grande di specialisti in confronto all'unico
tipo del medico dei secoli passati, basti ad accennare all'enorme dif-
ferenza di azione pratica che il nuovo indirizzo comporta.
E anche interessante dare un'occhiata al cammino fatto dalla
medicina: essa ha cominciato a curare i morbi ; e da questi è salita
a scoprire le leggi della vita fisica normale, e a dare guida ai sani per
conservare la salute. Giunta però a questo punto, ha trovato che
quegli stessi mezzi necessari a conservare la salute, sono pure i mezzi
migliori per guarire i morbi; perchè è poi unica la sorgente di vita
che dà la salute e la vis medicatrix naturae. Così, per esempio, oggi il
vitto razionale, non è solo un mezzo igienico che tutta l'umanità deve
usare per conservarsi sana : ma è pure il contributo maggiore a cui
si riattacca la cura delle malattie. La dietetica, così pei gottosi, come
pei pellagrosi, come pei febbricitanti, come pei tubercolosi, come pei
diabetici, sta in prima linea per la sua importanza : al suo confronto
i sali di litina, i caffeici, il creosoto, sono nuUità. Anzi la tendenza
moderna è di togliere addirittura (jucste medicine venefiche; e di
sostituirvi completamente le cure naturali di riposo, la ginnastica
medica, le cure idroterapiche, e sopratutto le cure climatiche. La
psichiatria e la nevropatologia poi, hanno addirittura introdotto le
cure di lavoro per occupare, con ordinate attività intelligenti, le per-
sonalità che cominciano a disgregarsi. A mano a mano che si pro-
gredisce in questo cammino, viene a trionfare il concetto della « gua-
X. - LA QUESTIONE MORALE
rigione naturale » cioè la considerazione sempre più chiara delle forze
che sostengono la vita.
Solo la natura può tutto: e il medico, per diventare utile, deve
sempre più fedelmente seguire le sue orme e farsi suo servitore.
È naturale che l'investigazione conducesse a dei tentativi per
interpetrare queste forze da cui la salute dipende. Infatti gli studi
sulla « immunità « sono stati i più brillanti, i più popolarizzati e i
più scientifici tra tutti quelli della medicina.
Allorché il Metznikoff credè di scoprire che sono i leucociti del
sangue a inglobare e digerire i microbi e così a salvare l'uomo dall'in-
fezione, sembrò che un lampo di luce limpida e semplice rischiarasse
tutto il mistero. Ma, appena la teoria fu emessa, cadde, sotto gli studi
successivi che ne furono una critica demolitrice, perchè non sempre
i leucociti possono inglobare i microgermi vivi; occorrono delle « con-
dizioni » dell'organismo perchè essi abbiano questa forza, ed ecco allora
spostato il nodo della questione. Inoltre non sono i microbi material-
mente che danno il morbo, ma sono i loro veleni. Così le teorie
tossiche sembrarono guidare definitivamente le ricerche: ma allora si
entrò in un mare di complicazioni, e si vide che solo « dei lati »,
degli « attributi », quasi, dell'immunità ci sono accessibili, ma che la
sostanza, l'ultima parola, che sta al fondo di tutti gli aspetti che
le ricerche ci palesarono, è: « mistero ». «
Perciò oggi si tace sulle questioni dell'immunità: ciò che era noto
come una idea popolare, si trattiene tra gli studi oscuri a cui non deb-
bono accostarsi neanche gli studenti dell'Università.
Tuttavia è « impossibile » che si sviluppi la medicina fondata
sulle forze naturali, senza che si impongano gli studi del mistero della
vita che nasconde le sue sorgenti, ma che continuamente espande
le sue forze.
La sorgente invisibile ma reale della salute e della guarigione,
è sempre là al culmine di tutti gli sforzi; e la palpitante energia che ne
scaturisce inesauribilmente, essa è la sola realtà che resti evidente-
mente quale risorsa dei viventi. Tale medicina e tale mistero non
possono formare che un'unità.
Ed è probabile che così avvenga per quella scienza che studia
la salute e le malattie dell'anima. Se essa scopre che anche l'anima.
iliS 1" AKTK l'KIM \
corruttibile, soggetta ai morbi vd alla niort».', h.i Ir sue leggi di salute
e la sua vis medicatrix nutitrac, do\rà moUiplicurc smisuratamente
lo « cure » rivolte a rispettare e ad aiutare questa forza preziosa di
\ita: e al tempo stesso la sua sorgente misteriosa donde essa scaturi-
sce dovrà imporsi, come l'immunità si è imposta alla medicina moderna.
Allora vita, moralità e religione saranno indissolubilmente unite.
Andiamo incontro al bambino di due anni e mezzo o tre anni,!
allorquando tocca tutti gli oggetti, ma specialmente alcuni con unal
e\idente preferenza: gli oggetti più semplici, come per esempio, un
blocco di carta rettangolare, un calamaio quadrato, un campanello
rotondo e lucente. Tutte cose che non « gli sono destinate ».
Ecco la mamma che lo trascina via: un po' lo accarezza, un po'
gli dà dei piccoli colpi sulle mani, e gh grida : « Non si tocca! cattivo! ».
Mi trovai una volta innanzi ad una delle tante scene di famiglia che
passano inosservate. Il padre, medico, era seduto alla scrivania: la
madre teneva in braccio un bambino piccolissimo che tendeva le piccole
mani \-erso gli oggetti sparsi sul tavolo. < Questo bambino — diceva
il medico — così piccolo, è di una cattiveria incorreggibile. Per quanto
facciamo, io e la madre, per le\ argli il vizio di toccare le mie cose, non
ci riusciamo ». « Cattivo! Cattivo! » — ripeteva la mamma tenendogli
strette le manine, mentre il bambino si gettava indietro urlando,
e dimenava i piedi come per dare dei calci.
Quando sono più grandi di tre o quattro anni, la lotta si accentua:
i bambini vorrebbero « fare ». Chi li osserva bene si accorge che essi
hanno una « tendenza ». Vorrebbero imitare quello che fa la madre,
se la madre è una « donna di casa ». La seguono volentieri in cucina:
\-orrebbero prendere parte ai suoi lavori, toccano le sue cose, cercano
di nascosto d'impastare, di cuocere, di lavare i panni, di spazzare i
pavimenti. La madre se ne sente oppressa; non fa che ripetere: stai
fermo, lascia stare, non mi seccare, vai via.- Allora il bambino strepita,
si getta in terra, batte i piedi; ma poi ricomincia più di nascosto che
può, più in fretta che può: ed è così che per far presto a lavare delle
cose, si bagna tutto; per nascondere un intingolo di contrabbando,
X. - LA QUESTIONE MORALE Ziq
insudicia il pavimento. Le disperazioni della madre, le sgridate, i
rabbuffi si moltiplicano: e il bambino reagisce coi « capricci », con i
pianti, ma ricomincia sempre daccapo.
Dove la madre non è una massaia, il bambino, se è intelligente,
è ancor più infelice. Egli cerca qualcosa che non trova e piange senza
apparente ragione; si sfoga in bizze di cui non si può rintracciare la
causa. Dei padri si lamentano quasi con disperazione: il mio bambino
è così intelligente, ma tanto cattivo! non c'è nulla che lo possa con-
tentare; non si fa che comprargh dei giocattoli; ne è addirittura so-
praffatto: ma non vale niente.
L'ansiosa domanda delle madri è questa: « Cosa mi consigliate
di fare quando il bambino fa i capricci? Quando fa le bizze? È tanto
cattivo, non sta mai fermo: io non ci posso più combattere ».
Di rado si sente una madre dire: « il mio bambino è buono: dorme
sempre». Chi non ha sentito qualche madre popolana urlare minaccio-
samente al bambino piangente che porta fra le braccia: « stai zitto!
stai zitto, ti dico! » e allora, naturalmente, il bambino spaventato rad-
doppia le grida.
Questo è il primo dissidio dell'uomo che fa ingresso nel mondo:
egli deve lottare coi genitori, con coloro che gli dettero la vita. E
ciò avviene perchè la sua vita infantile è « diversa » da quella .dei
genitori: il bambino si deve « formare » mentre i genitori si soi^o
già formati. Il bambino deve muoversi molto per coordinare i suoi
movimenti ancora disordinati: i genitori invece, hanno la motilità
volontaria organizzata e possono contenere i loro movimenti; forse
spesso sono affaticati dal lavoro. Il bambino non ha ancora i sensi
bene sviluppati: i poteri di accomodazione sono insufficienti e bisogna
che si aiuti col tatto, con la palpazione, per rendersi conto così degli
oggetti come dello spazio: è con l'esperienza delle sue mani che rad-
drizzerà i suoi occhi. Invece i genitori hanno i sensi sviluppati, già
hanno corretto le illusioni primitive dei sensi, i poteri di accomoda-
zione sono perfetti, se non si sono guastati con l'abuso: in ogni modo
l'attività cerebrale accomoda i sensi a ricevere l'impressione giusta:
non han bisogno di toccare. I bambini sono ansiosi di far conoscenza
col mondo esterno: i genitori lo conoscono a sazietà.
Perciò essi non si comprendono.
PARTE PRIMA
I genitori vorrebbero che i bambini fossero come loro, e questo
esiger di\ersi è una « cattixeria ». Basta pensare alla madre che si
trascina dietro il bambino piccolo il quale deve correre mentre essa
cammina: che ha le gambe corte mentre essa le ha lunghe; deboli,
mentre essa le ha forti; che deve trascinare il peso del proprio corpo
e della testa sproporzionatamente grandi in confronto alla madre,
che ha il busto e la testa proporzionatamente più piccole e snelle. Il
bimbo è stanco e piange, e la madre grida : « Cammina ! cattivo ! io
non voglio capricci. Vorresti che ti portassi in braccio, pigrone ! ma
no, io non te la dò vinta ».
Oppure ecco la madre che vede il suo bambino sdraiarsi volentieri
in terra; o starvi prono col ventre a terra e i piedini sollevati, reggen-
dosi sui gomiti e guardando intorno: « Su da terra! t'insudici tutto,
cattivo ! ».
Tutto ciò non si traduce così: « Il bambino è di\erso dall'adulto.
Le forme del suo corpo sono tali che la sua testa e il busto sono enor-
memente grandi in rapporto alle gambe piccole e tenere perchè sono
la parte che più deve crescere. Quindi il bambino non può resistere'
al cammino, e deve preferire la posizione sdraiata, che è molto igie-
nica per lui. Egli è meraviglioso nella sua tendenza a sviluppare :
prende le prime nozioni del mondo esterno, e aiuta il senso della vist:i
e dell'udito col tatto, per prendere cognizione della forma degli oggetti
e della distanza. Si muove continuamente, perchè deve coordinare
e adattare la sua motilità. Quindi muoversi molto, camminar poco,
gettarsi in terra, toccare tutto, sono i segni che egli vive, ch'egli cre-
sce ». No, tutto questo si traduce così: « è cattivo ! ».
Evidentemente questa non è una questione migrale. Noi non
cercheremo i mezzi per « correggere » queste prave tendenze del-
l'uomo appena nato. Non è una questione morale. È però una que-
stione di vita.
II bambino cerca di « vivere » e noi glielo vogliamo impedire.
In questo senso, per noi, ciò diventa una questione morale; poiché
cominciamo ad analizzare degli errori che, da parte nostra, producono
un danno, ledono il diritto altrui. Inoltre, sotto a questo nostro er-
rore di trattamento, si nasconde, si vela il nostro egoismo: la colpa
del bambino^è^poi; in sostanza, di darci «fastidio»; noi lottiamo contro
LA QUESTIONE MORALE
questo per difendere il nostro benessere, la nostra libertà. Quante
volte sentimmo in fondo al cuore di essere ingiusti, ma seppellimmo
qiiesta impressione: tanto il piccolo ribelle non accusa, non tiene
rancore. Al contrario, come persiste nelle sue « cattiverie » che sono
forme di vita, così egli persiste nell'amarci, nel perdonarci tutto, nel
dimenticare le offese, per solo desiderarci, per volerci abbracciare, per
volersi accoccolare sulle nostre ginocchia, per volersi teneramente
addormentare sul nostro seno. Anche questa è una forma di vita.
E noi, se ne siamo stanchi o sazi, lo respingiamo, nascondendo un
po' ipocritamente anche questo eccesso di egoismo con una apparenza
di bene per il bambino: «non tante smorfie!». L'insulto, la ca-
lunnia sono sempre sulle nostre labbra come un ritornello: « cattivo!
cattivo! ». Eppure il profilo del bambino potrebbe essere quello della
perfetta bontà: « non pensa male, non gode della ingiustizia, a tutto
si accomoda, tutto crede, tutto spera ». Noi, no; non possiamo sempre
dire altrettanto.
Se la lotta tra l'adulto e il bambino finisse nella «pace», e l'adulto
accettando le condizioni infantili cercasse di aiutarle, egli potrebbe
avanzare verso uno dei godimenti piìi eccelsi che la natura gli abbia
offerto in dono: quello di seguire il bambino nel suo sviluppo naturale,
di vedere svolgere l'uomo. Se il bocciolo di rosa che s'apre è diventato
un luogo comune di poesia, che più sarà l'anima infantile che si mani-
festa? Ora questo dono ineffabile che ci fu messo accanto affinchè il
miracolo ci accompagnasse e ci confortasse, noi lo calpestiamo con ,
ira, bestemmiando come forsennati.
Quando il bambino vuol toccare e fare, malgrado le « correzioni
d'ogni genere», egli persiste in esercizi necessari «al suo sviluppo»,
e vi dispiega una forza contro la quale noi siamo spesso impotenti:
con la stessa persistenza egli respira, piange quando ha fame, e si
raddrizza quando vuol camminare. Così il bambino si ri'olge ad og-
getti esterni che corrispondono ai suoi bisogni: se li trova, vi dispiega
le sue forze, fa esercizi muscolari o esercizi sensoriali, e allora è lieto :
ovvero non li trova e si agita come nei suoi bisogni insoddisfatti.
'ARTI- PRIMA
1 giocattoli sono troppo leggeri per soddisfare le braccia che hanno
l^isogno di fare degli sforzi sollevando e smuovendo oggetti; essi sono
troppe^ complicati per soddisfare i sensi clic hanno liisogno di ana-
lizzare le singole sensazioni. Essi sono vanità, e in sì- slessi rappre-
sentano finzioni e parodie della vita reale. Eppure è il mondo dei
nostri bambini: in mezzo al quale essi sono costretti a «consumare»
le loro forze potenziaH, in una rabbia continua, che li ])()rta a distrug-
gere le cose.
Quella sentenza: il bambino ha « l'istinto « della distruzione,
essi, per fortuna, non la odono pronunciare. E neanche giunge a loro
l'altra sentenza che vi sta in contraddizione: essi hanno fortemente
sviluppato l'istinto di «proprietà», l'egoismo. Il bambino ha invece solo
l'istinto prepotente di « crescere », perciò di elevarsi, di perfezionarsi;
egli, in ogni periodo di vita, ha l'istinto di preparare il periodo succes-
sivo. Ciò che è molto più semplice a capire, degli istinti strani che
noi vorremmo calunniosamente attribuirgli.
Provate a lasciare il bambino agire da sé: egli si « trasforma ».
Nella Casa dei Bambini « Guerrieri Gonzaga», bastò dare un pettine,
e la bambina più ribelle, più cattiva, quella che, secondo la maestra
« aveva bisogno di essere domata », dixentò una bambinella graziosa
e vivace che pettinava accuratamente la sue compagne, con una evi-
dente felicità. Bastò dire a una bambina goffa e torpida che veniva
avanti tendendo le braccine perchè le si tirassero su le maniche: « fallo
da te », e un lampo di vivacità brillò nei suoi occhi, un'espressione di
soddisfatto orgoglio e di sorpresa illuminò il suo viso spento: e con ^•era
felicità si mise a tirarsi su le maniche. Data loro una catinella ed un
sapone, con quanta cura vuotavano e riponevano il recipiente nel
timore di romperlo; e come vezzeggiavano il sapone, appoggiandolo
piano piano! Sembrava che fosse stata data la carica a una macchina
di figure moventi, con accompagnamento di musica : le figure erano
i fanciulli, la musica era la loro gioia.
Essi, lavorando a vestirsi, spogliarsi, lavarsi, pettinarsi, a pulire
e a rassettare l'ambiente, lavorano se stessi. E poiché amano tanto
gli oggetti utili, che conserverebbero per anni interi anche un pez-
zettino di carta, piuttosto che urtare mobili, rompere oggetti, essi
perfezionano i loro movimenti.
LA QUESTIONE MORALE 223
Ma noi ci mettiamo accanto a queste vite che corrono trionfalmente
verso la loro salvezza, cerchiamo di avvincerle a noi, malgrado la lotta
che si è iniziata e lo spavento che abbiamo già provocato. Noi ci met-
tiamo dolcemente accanto a loro come dei seduttori: e poiché il bambino,
quando rompe degli oggetti evidentemente ^ ne duole, e cercherebbe
così appunto di correggersi e di perfezionarsi, noi gli risparmiamo
questo dolore, che corrisponderebbe a una specie di « pentimento
dei muscoli per aver peccato», e gli diamo oggetti infrangibili: piatti,
catinelle, bicchieri di ferro; i giocattoli di stoffa: dei begli orsetti; le
bambole di gomma. Ecco lì oramai il « peccato » nascosto. Qualunque
sbaglio di muscoli, passerà inosservato al bambino; il dolore del male
fatto, il pentimento, lo sforzo di perfezionarsi, egli non li sentirà più.
Potrà mettersi a giacere nell'errore ; eccolo lì, goffo, pesante, senza
espressione sul viso, con un orsetto tra le braccia. Oramai è legato
insieme alla vanità e all'errore; e ne ha perduta la coscienza.
L'adulto lo circuisce sempre più strettamente; egli fa tutto al
bambino: lo veste, perfino lo imbocca. Ma lo scopo del bambino non
è di esser vestito, di nutrirsi materialmente ; il suo scopo profondo è
di « fare », di esercitarsi intelligentemente e così salire al suo piano
superiore. Con che sottile insinuazione l'adulto cerca di confonderlo:
tu ti sforzeresti, e perchè? Per essere lavato? Per avere indosso il
grembialino ? Tu avrai tutto questo senza alcuno sforzo. Troverai
tutto fatto con maggiore perfezione, con una larghezza infinitamente
più grande. Tu, senza muJ-vere dito, avrai cento volte di più di quello
che potresti fare con tutta la fatica di cui sei capace. Non avrai più
neanche da metterti il pane in bocca, anche quel lavoro ti sarà rispar-
miato e il nutrimento penetrerà in te più copioso.
Il diavolo fu meno crudele quando tentò Cristo nel deserto, mo-
strandogli tutti i regni del mondo nella' loro magnificenza : « Tutto
questo io ti darò se prostrato mi adorerai ». Ma il bambino non ha la
potenza di Cristo nel rispondere: «Va via, Satana; che sta scritto:
Adora il Signore Dio tuo e servi lui solo ». Il bambino dovrebbe ob-
bedire a Dio, che nella natura gli ordina l'azione ; e dovrebbe come la
vita, conquistare il suo mondo, ma nei suoi fini d'elevazione, non nelle
magnificenze e comodità esterne. Ma tentato, non può resistere. E
finisce col possedere gli oggetti, le cose belle e fatte: l'anima sua non
224 parti: prima
progredisce: il fine va smarrito. Ecco là il bambino goffo, sballottati),
inetto, schiavo. Quei muscoli incapaci, sono l'astuccio di un'anima
prigioniera. Egli è oppresso assai più da questa inerzia mortale, che
dalla lotta a corpo a corpo con cui iniziò i suoi rapporti con l'adulto.
Spesso ha degli scatti di rabbia come il peccatore; egli morde l'orsetto
che non può rompere, piange disperatamente quando lo lavano e lo pet-
tinano, e si ribella e si dibatte quando lo vestono. I movimenti permessi
dal diavolo, sono solo quelli dell'ira. Ma gradualmente, egli si deprime
nell'impotenza. Gli adulti dicono: « I bambini sono ingrati: essi ancora
non posseggono i sentimenti superiori; amano solo il proprio benessere».
Chi non ha incontrato delle madri, delle bambinaie pazienti,
che (I sopportano » da mattina a sera quattro o cinque bambini incon-
tentabili, i quali gridano e fanno capricci tra i loro piatti di ferro e
le bambole di pezza ? Sembra che esse dicano : « i bambini sono così » :
e che il compatimento benevolo tenga luogo della naturale reazione
d'impazienza. Si dice di queste persone: « Come sono buone! come
sono pazienti! ».
Ma il diavolo ha appunto la sua pazienza in questo : nel saper
mirare le agonie e le ribellioni impotenti delle anime che sono in suo
potere, le quali giacciono nella vanità, oppresse da una grande quan-
tità di mezzi, dei quali hanno perduto il fine ; nelle quali fu spenta la
coscienza del peccato, e che perciò a poco a poco vanno ingolfandosi
nei mortali errori. Egli è paziente nel mirarle, nel sopportare le loro
grida; — e porge ancora orsetti e bambole di gomma, e li imbocca, li
infarcisce cioè sempre più di nuove vanità mascheranti gli errori, e
nutrisce il loro corpo.
Chi, preso dal dubbio, chiedesse di quelle madri e di quelle bam-
binaie: «sono veramente buone?» potrebbe attingere un'idea dalla-
risposta del Cristo: « un solo è buono: il Padre » cioè il creatore. La
bontà è l'attributo di Dio. Chi crea è buono, buona è solo la creazione.
Così è buono solo chi aiuta la creazione a raggiungere i suoi fini.
Ecco la scuola. Le idee di bontà e di cattiveria lì devono essere
l>en chiare; perchè quando una maestra deve uscire di classe, chiama
una bambina affinchè, in sua assenza, scriva sulla lavagna i nomi delie
LA QUESTIONE MORALE 225
« Buone » e delle « Cattive », in due colonne contraddistinte da quei
due titoli scritti in alto. La bambina qualunque che è stata chiamata
può giudicare, perchè nulla è più semplice che distinguere la bontà
e la cattiveria in iscuola; buoni sono quelli zitti e fermi; cattivi sono
quelli che parlano e si muovono. Le conseguenze del giudizio non sono
gravi. La maestra metterà delle buone o delle cattive «note in condotta».
Ciò non porta conseguenze disastrose; è solo, si potrebbe dire, qualche
cosa di parallelo al giudizio sociale che si fa sugli uomini: essi sono
di buona o di cattiva condotta: ma ciò non riguarda la società; non
ne vengono né gli onori, né la prigione. È una sentenza, semplicemente;
un giudizio. Ma da questo dipendono la « stima », e anche perfino
r« onore ». Cose che moralmente hanno un grande valore. In iscuola
la « condotta buona » é l'inerzia, la « cattiva condotta » è l'attività.
La « stima » della direttrice, della maestra, delle compagne: cioè
tutta la parte « morale », si potrebbe dire, del premio e del castigo,
dipende da tale sentenza. Come nella società, essa non ha bisogno
di « giudici speciali », di « autorità »; è qualcosa che c^tutti » vedono
e giudicano: è il vero giudizio morale dell'ambiente: infatti è la bambina
qualsiasi, o talvolta è l'inserviente che scrive le liste sulla lavagna.
La condotta d'altronde non è qualcosa di misterioso, di filosofico:
essa è l'insieme degli atti compiuti; sono i fatti stessi della vita, acces-
sibili a tutti, che la determinano. E tutti possono vederli e dare la
sentenza.
In\'ece ci sono dei fatti molto più gravi le cui conseguenze rica-
dono sulla collettività, toccano dei principi di giustizia, su cui tutti
hanno il diritto di confidare: e perciò occorrono dei « giudici autore-
\oli » inappellabili: una specie di suprema corte di cassazione fatta
alla spiccia.
Quando in un esame, dove i bambini restando seduti uno vicino
all'altro devono dare lì per lì le prove di ciò che hanno imparato, cioè
consegnare come pegno visibile ed accessibile a tutti i giudici, quale
\ero e proprio incartamento legale, il compito: vale a dire il dettato,
il componimento, il problema: allora se un bambino aiuta un altro,
egh non è più soltanto cattivo, è reo. Perchè non solo ha spiegato
un'attività, ma un'attività che andava a benefìcio di un altro. Il ca-
stigo può essere assai grave : l'annullamento dell'esame ; ciò che \uol
22b PARTE PRIMA
dire, talvolta la perdita di un anno scolastico; cioè ripetere l'anno,
l'n bambino che aiuta un altro è bravo; ebbene, egli può avere per
castigo di dover tornare a far l'esame tra molti mesi o addirittura
di retrocedere di dodici mesi nella sua vita e ricominciare. 1 casi sono
tanti: potrebbe essere che la famiglia di questo bambino bravo
fosse po\'era, e che il bambino facesse sforzi per riuscire bene, onde
aiutare presto la sua famiglia col lavoro proprio infantile: chissà
come la comprensione di questo stato famigliare può toccare il cuore
di un bambino? Egli ha visto nel compagno che si era confuso, forse
un altro povero nelle sue condizioni. Quante volte una lite in casa,
il cibo non sufficiente fece perdere nell'agitazione sul letto ore e ore
di sonno; e la mattina la mente era confusa. Forse quel compagno
disgraziato era venuto a trovarsi in uno di questi casi proprio alla
vigilia degli esami.
Bisogna capire certe situazioni: la madre a casa che conta i
giorni di ogni anno scolastico che passa, perchè i giorni sono altret-
tanti sacrifizi; ella certo all'esame segue il figlio col cuore in ango-
scia; il suo viso sporgente alla finestra quando il ragazzo .già vien su
da lontano, esprime la domanda: come è andato? Questo quadro era
vivente nel cuore del bambino bravo, quando aiutò l'altro.
Poteva, veramente, tener tutto per sé, perfezionare il proprio la-
\(jro, o consegnarlo prima. Perchè giustizia vuole che si conti a mi-
nuto, quasi coi cronometri della psicologia sperimentale, il tempo im-
piegato a fare il lavoro. La giustizia è rigorosa. La maestra sul compito
consegnato dal bambino scrive l'ora: consegnato alle 10,32, consegnato
alle 11,5. Se due lavori hanno presso a poco un valore simile, così
che non si potrebbe proprio giudicare dal contenuto quale è migliore:
ma tutti e due sono al di sopra di tutti gli altri, allora si presenta un
caso difficile: bisogna determinare qual'è il primo. Fatto di immensa
gravità, perchè c'è il premio. Nel dubbio è l'ora che decide. Uno fu
consegnato alle 10,30, l'altro alle 10,35. ^ primo è quello consegnato
alle 10,30, perchè questo bambino ha potuto fare un lavoro equivalente,
impiegando cinque minuti di meno. Da che può qualche volta dipen-
dere un premio? E per questo che occorre grande esattezza nella pre-
parazione all'esame per un bambino diligente; se quei due erano egual-
mente bravi e egualmente svelti: ma uno, aveva avuto cura di pre-
LA QUESTIONE MORALE 227
pararsi dei pennini buoni e dell'inchiostro scorrevole e l'altro no,
ecco che per una negligenza uno ha giocato il premio. È vero che
sono i genitori e non i bambini a dare le penne. A rigor di giustizia
tutti dovrebbero aver le stesse penne; ma così si entra in un mare
di scrupoli che può offuscare la giustizia. No, la giustizia deve. essere
severa, ma senza scrupoli. Ora, dicevo, quel bambino bravo che ha
aiutato il compagno, ha perso tempo, quindi ha perso già solo per
questo una parte del merito: egli dunque si è « sacrificato » per un
compagno.
Tutte le considerazioni, tutte le circostanze attenuanti non var-
rebbero ad allontanare il flagello. Le condizioni di famiglia, la madre...
nessuna cosa può valere innanzi all'annullamento di un esame. Per-
fino ai grandi delinquenti si contano le circostanze attenuanti, che
diminuiscono la pena. Ma la scuola è un'altra cosa: qui si tratta
di cose precise: c'è stata l'infiltrazione di uno scolaro in un altro, e
i compiti non permettono più di giudicare i bambini individualmente.
D'altronde è l'esame la prova individuale. Se l'annullamento è nella
sessione d'esami ultima, bisogna ripetere l'anno: e quando si ripete,
si ripete un anno intero. Non è come in galera dove si possono
contare anche i mesi e le settimane. Qui l'unità di misura è l'anno
scolastico. E poi in galera è un'altra cosa: là si tratta di delitti che pos-
sono essere collegati a forze e condizioni irresistibili a fare il male...
Ma dal bene, chi non può trattenersi? Fare il bene non è una forza
irresistibile, in nessun caso.
La scuola, del resto, per ovviare a questi inconvenienti, educa i
bambini a « trattenersi » dal reciproco aiuto durante tutto l'anno. Fa
ancor più: impedisce addirittura ai bambini di comunicare tra loro.
Che caccia! La maestra abile, pratica, ha una vera tattica strategica; e
conosce tutte le arti infantili in questa lotta sorda e subdola. Essi sono
"Capaci di tutto» per sostenersi l'un l'altro e per comunicare tra loro.
Se il « suggerire » quando uno dice la lezione, può giungere all'orec-
chio della maestra, ecco uno scolaro, che, davanti a quello che de\e
ripetere la lezione tiene attaccato alle spalle il libro ove l'altro può
leggere. O se la maestra, furba, fa uscire il paziente dai banchi per
sottrarlo ad ogni aiuto, possono essere dei segni che i compagni fanno,
magari con l'alfabeto manuale dei sordomuti. Ma ecco che la maestra.
J-'.^ parti: prima
con la scusa della la\ agna fa voltare il paziente con la faccia al muro,
ed essa guarda la scolaresca con occhi di brace. Allora il paziente è
isolato. A una maestra brava « non sfugge niente »; essa è capace di
sorprendere un bigliettino arrotolato che un bambino ha fatto scivo-
lare sotto il banco di un altro: e magari sequestra una carta asciugante
che due bambini si scambiano con la scusa di servirsene, mentre sopra
ci hanno scritto.
E per questo che i banchi ben fatti devono essere scoperti davanti,
perchè altrimenti sotto è troppo facile farsi passare degli oggetti : ma
con dei banchi non solo igienici, ma anche «morali», riescono diffìcil-
mente questi sotterfugi.
Veramente questi banchi senza copertura anteriore, servono anche per
sorvegliare proprio dal lato veramente morale gli scolari : perchè, sempre
seduti, messi uno vicino all'altro senza possibilità di comunicazioni spiri-
tuali, con la testa stordita dal continuo vociare del maestro, accade spesso
che delle abitudini viziose, come l'onanismo, si originino proprio in iscuola.
Se ne parla meno apertamente che della scoliosi, della miopia, del surmé-
nage, ma è un fatto constatato da lungo tempo : assai prima che la scienza
fosse penetrata a studiare i mali della scuola. La sedentarietà rende dif-
fic le la circolazione nel bacino, e provoca delle stasi sanguigne ; d'altronde,
quale altro sfogo alle forze nervose?... E la cosa si propaga spavente-
volmente.
Ma il banco aperto, non permette sotterfugi. Tutte le cure « morali »
combattenti gli abusi, sono in fiore nella scuola. Nelle scuole di Roma, per
esempio, l'ordine e la sorveglianza sono così perfetti, che non è permesso ai
bambini nemm.eno di andare al gabinetto. Si sa, questo « gabinetto » di qual
disordine era causa ! Se un bambino era stanco di star seduto o di ascol-
tare il maestro, chiedeva di uscire: egli era capace di restare veramente
chiuso nel gabinetto del tempo per sollevarsi un po' lo spirito in un luogo
migliore di quello donde usciva, perchè nel corridoio uno scolaro non può
soggiornare : le custodi sorvegliano continuamente. Ma era divenuto un tale
abuso questo del « gabinetto », che si è pensato di rimediarvi. Oggi si è calco-
lato presso a poco il tempo fisiologico, e a orario stabilito, tutta la scolaresca
intiera, accompagnata dalla maestra, in fila a due per due, marciante a
tempo come i soldati alle manovre, va a sfilare davanti ai gabinetti. I bam-
bini dalla prima fila in giù entrano successivamente e gh altri, fermi, con-
tinuano però sempre a segnare il passo: i bambini a mano a mano che
escono dal gabinetto, si rimettono in fila e riprendono anche essi coi com-
X. - LA QUESTIONE MORALE 229
pagni a segnare il passo. Sembra, a vederla, una mossa adatta alla circo-
stanza. Non parliamo dello stato in cui troveranno il gabinetto gli ultimi
della fila di quaranta o cinquanta bambini, che non sono entrati per finta,
perchè era stato calcolato il « tempo fisiologico »; e non domandiamoci dove
s'è nascosta l'igiene. Guardiamo « di fuori » i gabinetti : una porticina che
lascia un grande spazio in basso e un grande spazio in alto; così il pudore,
ma nel tempo stesso anche la morale, sono salve : lì dentro non si può fare
altro che il proprio dovere. Piiì modernamente però, i cessi delle scuole si
fanno senza sedili; col foro in terra, per evitare i contatti e salvare l'igiene:
la posizione incomoda non permette un soggiorno superiore alla vera neces-
sità. Sembra che sia il miglior modo pratico di impianto di questo genere,
pi'i dormitori pubblici, pei ricoveri di mendicità e per le scuole.
La scuola è il luogo dove si sviluppa il « sentimento sociale »:
è la società del bambino. Veramente non è la scuola in sé stessa né
0
la convivenza, ma è l'educazione che vi si dà nel modo descritto che
deve sviluppare questo sentimento. Perchè quando il mio metodo
fu conosciuto, benché io vi pariassi di luoghi ove i bambini convivono
piacevolmente e lavorano, mi fu chiesto con tono critico: « e come
si svilupperà il sentimento sociale, se i bambini lavorano ciascuno
per proprio conto? ». È dunque quella irreggimentazione ove i bambini
fanno tutte le cose allo stesso tempo, persino l'andare al gabinetto,
che deve sviluppare il « sentimento » sociale. La società dei bambini
é fatta a rovescio di quella comune: qui la socievolezza comporta
dei liberi e corretti rapporti di cortesia e di aiuto reciproco, benché
ciascuno faccia i propri affari: lì invece la socievolezza comporta la
comunanza di posizioni del corpo e di atti uniformi collettivi, ma con
l'abolizione di ogni rapporto piacevole o cortese: l'aiuto poi, che nel-
l'altra società è una virtù, qui è il maggior delitto, la peggiore forma
d'indisciplina.
I moderni metodi d'insegnamento raccomandano alla maestra di
tìnire ogni lezione con la morale, come nelle favole antiche. Si tratti
di una lezione sugli uccelli, sul burro o sui triangoli, tutte devono
finire in morale. «La maestra non si lasci sfuggire occasione... » 3Ì
raccomanda: « moralizzare è il vero scopo della scuola ».
230 parti: prima
Quello dell'aiuto reciproco ò il ritornello principale; perchè tutte
lo morali hanno come kit moti/, di « amarsi gli uni con gli altri »,
così anche la morale della scuola. Per esortare i bambini ad aiu-
tarsi, a volersi bene, la maestra seguirà forse un metodo psicologico
in tre tempi distinguendo le percezioni, le associazioni e il volere;
o\\ero seguirà il metodo della causa collegata agli effetti: questo a
suo piacimento; ma sempre trattenendo la classe in quella « disciplina »
e in quella « bontà » che formano la sua essenziale costituzione.
Quello però che rappresenta un validissimo aiuto a sostenere
l'organismo cducati\o della scuola, sono i premi ed i castighi.
I pedagogisti ne fanno un caposaldo delle loro trattazioni. Tutti
più o meno ammettono la necessità di uno stimolo esterno per spin-
gere i ragazzi di scuola a studiare e a tenere una buona condotta;
benché alcuni siano di parere che sarebbe giusto istillare nel bam-
bino l'amore del bene per il bene, e che il sentimento del dovere
e non il timore del castigo dovrebbe trattenere dal male. Opinione
questa da tutti riconosciuta nobile, ma non pratica. Immaginare che
il bambino possa essere animato al lavoro dal solo sentimento di dover
compiere il proprio dovere, è un « assurdo pedagogico »; né è suppo-
nibile che il bambino possa permanere sulla via del lavoro e del bene,
solo in vista di un fine lontano, quale sarebbe la bella posizione sociale
che un giorno potrà conquistare nel mondo, studiando. Occorre uno
stimolo diretto, una sanzione immediata. Si potranno, è vero, « at-
tenuare » i castighi e render meno vistose le premiazioni, ciò che si fa
generalmente. Infatti non ci sono più in iscuola le fustigazioni e i
castighi corporali che fino a non molto tempo fa esistevano come con-
suetudine nelle carceri, nei manicomi e nelle scuole; oggi i castighi
sono tenui: cattivi voti, rimproveri, rapporti in famiglia, sospensioni
dalla scuola. E così sono anche state abolite le premiazioni solenni, ove
gli scolari salivano, come in trionfo, il palco delle premiazioni per acco-
gliere dalle mani delle personalità più illustri e nobili del paese il premio,
accompagnato dalle loro gentih parole di incoraggiamento, mentre il pub-
blico, formato per lo più dai genitori commossi e orgogliosi dei loro fi-
gliuoli, aveva mormorii di ammirazione e di consenso: oggi tutte queste
superfluità sono abolite; si consegna il premio, l'oggetto, così, puramente
e semplicemente, in un'anticamera della scuola, alla presenza delle
LA QUESTIONI-; MORALE
bidelle. Purché il ragazzo abbia l'oggetto meritato: questo è l'impor-
tante. Anche le medaglie con cui gli scolari potevano fregiarsi il petto,
sono state abolite: il premio è un libro, un oggetto utile. Anche in iscuola
è entrato un senso di praticità. Forse tra poco si darà ai bravi una sa-
ponetta, o il taglio di un grembiule, così a quattr'occhi.
Ma il premio ci deve essere.
Nessuno però, tra le tante discussioni dei pedagogisti e tra le
evoluzioni dei castighi e dei premi, si è domandato che cosa è il bene
che si premia e che cosa è il male che si castiga; se, prima di stimolare
i fanciulli ad un'impresa, convenga dare un'occhiata all'impresa stessa
e giudicarne il valore.
Oramai gli studi positivi sulla scuola danno una luce sufficiente
per costruire un nuovo piedestallo alla vecchia questione. È bene al-
lettare i bambini con un premio, per ispingerli all'esaurimento del si-
stema nervoso, alla miopia? Ed è bene arrestarli col castigo quando
essi, presi da un istintivo slancio di salvazione, cercano di sfuggire
ai pericoli? Oramai tutti sanno che i «premiati» delle scuole elementari,
sono i mediocri scolari del ginnasio; e i premiati del ginnasio sono gli
esauriti del liceo; e i sempre premiati sono poi facilmente i vinti
della vita sociale.
Sapendo ciò, è utile spingere da un lato, respingere dall'altro,
affinchè i bambini rimangano proprio fermi in quel punto della perdi-
zione? Non basterebbero già i pericoli della scuola senza aggiungervi gli
stimoli per gettarvisi dentro con tutte le proprie energie ? Sono stati
fatti in questi ultimi tempi i più interessanti studi tra scolari, bravi e
non bravi, premiati e castigati. Alcuni antropologi un po' ingenui nella
scienza, hanno studiato la questione in così buona fede, che si sono per-
fino proposti di cercare se i bambini più bravi premiati avessero delle
stigme di superiorità morfologica, i segni congeniti di un privilegio della
natura, un cervello più sviluppato della mediocrità. Invece le note
antropologiche rivelarono in essi una inferiorità fìsica : cioè minore
statura e specialmente una scarsità impressionante del perimetro tora-
cico. Nella testa non c'erano differenze che li distinguesse dagli scolari
meno bravi : molti dei bravi portavano gH occhiali.
Allora si vide più chiaramente il quadro della vita di un bambino
rhe fa dihgentemente tutti i compiti con quella paura degli sbagli, che
2,^2 PARTI-: PKIMA
può di\enlare angosciosa ; e che studia tutte le lezioni, privandosi
necessariamente, per far ciò. di una passeggiata, di uno svago, di
qualche ora di riposo. Ossessionato dall'ansietà di essere il primo, o
mosso perfino dalle illusioni di una vita avvenire più brillante di
quella dei compagni, animato dalle lodi e dai prenii che gli fanno cre-
dere di essere una « speranza della patria », la « consolazione dei geni-
tori »; così, come stordito da una visione favolosa, egli precipita nel-
l'impotenza avvenire. Invece i negligenti hanno un perimetro toracico
bene sviluppato, e sono i ragazzi più allegri della classe.
Altri tipi di scolari « bravi » sono quelli aiutati in casa da ripe-
titori o da madri istruite che si dedicano a loro ; e altri tipi di scolari
non bravi, castigati, sono quelli di poveri bambini che non hanno una
casa ospitale, che restano abbandonati a sé, talvolta in istrada; o per-
fino che già lavorano per guadagnarsi il pane nelle prime ore del mat-
tino, prima di venire a scuola. In una inchiesta che io feci, i bambini
lodati, passati senza esame, stavano nella categoria di quelli che por-
tavano colazioni abbondanti; i bambini castigati, gli ultimi della classe,
tra quelli senza colazione o con solo pane.
Non è a dire che in tal modo sia esaurita l'enumerazione delle
cause che contribuiscono al duplice fenomeno in rapporto coi premi
e i castighi; ma è stata certo aperta una via ben chiara e ben trac-
ciata per la comprensione dei fatti.
Il premio ed il castigo non sono soltanto un episodio tinaie, ma sono
un esponente della organizzazione morale della scuola. Come l'annulla-
mento dell'esame di chi ha aiutato un compagno, non è che l'episodio
estremo di una « educazione » consueta tendente a isolare nell'egoi-
smo ; così il premio e il castigo sono gli estremi episodi di un prin-
cipio costante che sostiene l'organismo della scuola; l'emulazione.
Il principio è che i bambini i quali vedono altri più bravi di loro,
che raccolgono alte votazioni, lodi e premi, sono eccitati a imitarli,
a far meglio, a raggiungerli. Così nasce quasi un meccanismo che ele\a
tutta la scuola, non solo verso il lavoro, ma verso lo «sforzo». C'è lo
scopo morale di abituare i bambini a « soffrire ».
Prendiamo un esempio di questa emulazione. Quando il medico
osservatore fece il suo ingresso nella scuola, la sua attenzione venne
richiamata sugli organi di senso, ed egli trovò molti sordastri tra i
X. - LA QUESTIONE MORALE 233
bambini. Costoro, intendendo meno, avevano un'apparenza meno in-
telligente (Jegli udenti ed erano stati messi per « castigo » negli ultimi
banchi in fondo alla sala. Essi spesso erano ripetenti perchè non avevano
mai imparato a scrivere « sotto dettato », e facevano degli errori in-
credibili, imperdonabili. L'emulazione e il castigo erano stati impo-
tenti; neanche relegato alla massima distanza dal maestro che parla, il
sordo si era corretto. E così si trovarono bambini coreici, puniti ri-
petutamente affinchè stessero fermi: esortati invano a imitare quelli
tra i compagni che serbavano una condotta esemplare. Una grandissima
quantità di scolari afflitti dalle glandule adenoidi, che perciò respira-
vano con la bocca e non erano capaci di prestare attenzione, riporta-
vano pessime votazioni e castighi perchè non stavano mai attenti;
mentre quel difetto di tenere la bocca aperta era invano combattuto
dalla solerte ed amorevole maestra, che moltiplicava i raccontini
morali sulla bruttezza dei bambini che stanno a bocca aperta e magari
col dito in bocca.
Molti dei bambini pigri, che non volevano far la ginnastica come gli
altri, che avrebbero preteso di fermarsi dando così un pessimo esempio
che poteva essere imitato, furono riconosciuti affetti da vizi cardiaci, da
anemie, da mali di fegato. Uno poi degli esempi più brillanti di emu-
lazione è quello delle gare ginnastiche: gare di resistenza e gare di velo-
cità. I ragazzi sono spinti a rimanere nell'esercizio il maggior tempo
possibile: ovvero a percorrere uno spazio nel minor tempo possibile; qui
lo sforzo è la base dell'esercizio. Ora gli studi antropologici hanno
rivelato come vi siano due tipi principali di costituzione: uno nel quale
prevale il busto e uno nel quale prevalgono le gambe. Là dove il busto
è molto sviluppato e i polmoni e il cuore sono ampi, è possibile la le-
sistenza più che l'agilità; il contrario avviene per l'opposto tipo ove,
per la lunghezza delle gambe e la leggerezza del busto, è invece l'agilità
che prevale. Nessuna emulazione potrà cambiare l'un tipo nell'altro.
Lo studio morfologico del bambino, il cui corpo si trasforma a traverso
le età, esso dovrebbe essere base per l'organizzazione, di esercizi ginna-
stici, quando questi si volessero imporre: non già l'emulazione. Ciò
che è fondato sul corpo, come costituzione o come malattia, deve es-
sere considerato nel corpo. Non sarà un sentimento di emulazione che
potrà fare il miracolo.
2J4 PARTI- PRIMA
Questo pregiudizio dell'emulazione è così radicato, che quando io,
nel i8q8. cominciai in Italia la mia battaglia perchè sorgessero delle
classi aggiunte per fanciulli deficienti annesse alle scuole elementari,
mi fu contrapposto il principio dell'emulazione: i fanciulli deficienti
non rice\-eranno più aiuto dall'esempio dei bambini bravi e studiosi;
e abolita tra loro, già tanto deboli, l'emulazione, non faranno' addirit-
tura più niente.
Ma l'emulazione può venire solo tra forze pari. Quando si fanno
le " gare » si devono scegliere i « campioni ». Per un deficiente l'esempio
del bambino bravo è solo umiliante: la sua inferiorità, la sua impotenza
gli sono continuamente rinfacciate da quella vita vittoriosa. Egli
giace disanimato, tanto più che la maestra, piena di zelo, lo rimpro-
vera e lo castiga per la sua miseria e gli addita il radioso esempio del
forte. Uno spiraglio di luce, un filo di speranza sarebbe per lui quello
di intravvedere la possibilità di fare qualche cosa nei limiti delle
proprie forze, che però avesse un valore; di penetrare in un luogo dove
potesse anche egli competere con qualcuno ed essere incoraggiato.
Allora sarebbe come gli altri, si sentirebbe animato, confortato: e
il misero fiore che è in lui potrebbe espandersi. Egli ha molto, molto
più bisogno d'incoraggiamento, di conforto, di stimoli esterni eccitanti
all'attività, che non il ragazzo normale.
E del ragazzo normale, del bravo, di colui che è di esempio agli
inferiori, che cosa succede? Di chi egli si fa enmlo? Chi lo trae
dietro a sé perchè salisca? Se tutti hanno bisogno di essere tirati
su, per salire, chi tira cohii che sta a capo? Questa volta la que-
stione si sposta. È a tergo che egli vien tirato. Ecco il tipo beatis-
simo di chi si fa emulo degli inferiori. Questo mi fa pensare a una
gara descritta dal Voisin che veniva organizzata da un imbecille
del suo ospizio. Questo ragazzo che era molto alto, andava a sce-
gliersi tra gli idioti i ragazzi più bassi di statura, gli infantili, e poi
istigava tutti alla corsa : egli arrivava sempre il primo e ne era
beato. Tuttavia questo non è un esempio limitato all'ospizio del Voisin,
ma è V attitudine morale di tutti i forti che sono pigri, ma ambiziosi;
e vogliono sopraffare gli altri, senza troppa fatica, senza perfezionarsi,
contando molto sui fenomeni di contrasto. Ecco un facile parlatore,
che cerca di farsi precedere da un oratore infelice. Così fanno le ragazze
LA QUESTIONE MORALE 235
belle che non hanno mezzi per adornarsi e quindi per far risaltare la loro
bellezza; esse vanno sempre insieme alle amiche più brutte.
Io lessi una volta una graziosa favola, che era evidentemente la
parodia di questo fenomeno. C'era un re che aveva un naso tanto
lungo da essere addirittura ridicolo; quando un re vicino gli an-
nunziò la sua visita, egli ne fu profondamente turbato, perchè si
vergognava di mostrare il suo difetto a un popolo vicino. Allora il
primo ministro ideò un espediente ed espose al re questo progetto pra-
tico: « Maestà, fate ritirare per la circostanza la vostra nobile corte,
io farò cercare in tutto il regno gli uomini che hanno il naso più spet-
tacoloso e per la circostanza essi saranno la vostra corte». Infatti
così si fece: e vennero rintracciati tali nasi che quello del re sembrava
al confronto un nasino molto conveniente. Così il collega augusto
si accorse che c'era una corte dei nasi, ma non rilevò che ci fosse
un re nasuto.
Queste, dalla gara degl'imbecilli alla corte dei nasi, son cose che
fanno sorridere: ma non così le gare morali dei nostri bambini. I fan-
ciulli sani, che accanto ai sordi, ai malati, ai deficienti, sentono solo di
esser «superiori»; i bambini fortunati che una madre colta può aiutare,
i quali vicino a fanciulli poveri, infelici e abbandonati, sentono soltanto
di servire ad essi d'esempio; i ragazzi ben nutriti, riposati da un lungo
sonno nei loro letti soffici, che messi vicino a piccoli e commoventi
operai i quali si alzara^o prima del sole per andare a vendere i giornali, a
portare il latte nelle case, e giunsero a scuola stanchi, sentono di esser
« migliori » di costoro, e di servire loro da « stimolo >> per « far meglio »;
tutti questi fanciulli normali sono sviati moralmente. Essi vengono
sedotti affinchè abbraccino inconsci l'ingiustizia. Essi vengono ingannati.
Non sono i migliori, sono i più fortunati; e il loro cuore buono dovrebbe
essere portato a riconoscere la verità: a compatire i malati, a conso-
lare gli sventurati, ad ammirare gli eroi. Essi non hanno colpa se,
invece di tutto questo, nel cuor loro germinano la vanità, l'ambizione
e l'errore.
E vero che la maestra educa i loro cuori appunto così: facendo
pensare ai bambini malati, infelici ed eroici, a mezzo di raccontini mo-
rali che tutti indistintamente imparano allo stesso modo. Essa illustra
con enfasi ciascuno dei buoni sentimenti dell'uomo. Ma non mai si
-2jO PARTI- PRIMA
ptMisa che i malati, gli infelici, gli eroi sono lì, perchè lì nella scuola
\aiin() tutti i hanihiiii: essi però non possono comunicare tra loro e
conoscersi ; e così questi soggetti realmente presenti si distinguono
solo perchè raccolgono tutte le sgridate, tutti i castighi, tutte le umiha-
zioni, mentre i fortunati li sopraffanno pavoneggiandosi, col loro esem-
pio, e raccogliendo premi e lodi, ma perdendo l'anima.
In questa confusione morale ove « fu perduta la vista di Dio »
come all'inferno, quale forte è spinto a svolgere tutte le sue attività
preziose, a coltivare il proprio cuore ? Tutti si perdono: i forti come
i deboli ; rari sono coloro che posseggono intimamente un istinto ve-
ramente capace di salvarli, che non cedono alle tentazioni dei premi,
alle minacce dei castighi, alle suggestioni continue delle emulazioni e
delle subdole lotte, ma escono di là con le forze ancora intatte, e col
cuore puro, sensibile ai fatti grandi dell'umanità. Che passarono senza
essere tocchi da quelle vane glorie e da quelle persecuzioni, e si in-
camminarono sulla via di una vita produttiva che attinge il bello ed
il bene da energie interiori ed è sensibile alla verità: essi sono salutati
come uomini di genio, come i benefattori del genere umano.
Quando si va ad analizzare positivamente il bene e il male, si
sente che nella realtà molto del « male » che teoricamente si deplora
negli individui, si va dissolvendo tra le cause esteriori. La deprava-
zione del volgo si dissolve tra il pauperismo e l'alcoolismo; il delitto,
tra la degenerazione; le colpe dei bambini e degli scolari, tra le
tenebre del pregiudizio. Ma essendo queste cause non assolute, non
immobili, bensì relative a stati transitori che si possono rimuovere,
l'antica contemplazione filosofica del male si risolve in parte in altret-
tante questioni ed azioni sociali. Dare lavoro, combattere l'alcoolismo,
questo è che, togliendo tante cause di male, apporta un gran contri-
buto alla moralità. Tentare la rigenerazione e la educazione dei de-
generati, è combattere la criminalità e perciò moralizzare.
Così, se nella scuola le tenebre più fìtte del pregiudizio sono causa
di tante immoralità, riformare la scuola su principi naturali, ecco il
primo passo per contribuire alla sua moralizzazione.
I
LA QUESTIONE MORALE 237
Questo dunque, e non le analitiche questioni sui premi e castighi
e sull'emulazione, o sulla maniera più opportuna e pratica di insegnare
i principi morali, o sulla creazione di nuovi decaloghi, può affrontare
la grande questione. Quello che finora abbiamo considerato sì legger-
mente come un problema didattico, è invece una vera e grande que-
stione sociale.
Quando un problema morale si limita agli effetti di cause correg-
gibili, esso non è che apparente. Così, per esempio, immaginiamo un
momento un quartiere popolare, ove il pauperismo infierisce, e i poveri
facilmente vengono a risse per un pezzo di pane; ove il sudiciume,
le osterie, l'abbandono civile degradano: e tutti, uomini e donne, ca-
dono facilmente nel vizio. Noi di questa gente abbiamo sul momento
una sola impressione: « che gente cattiva! » Invece supponiamo un
quartiere moderno di una città laboriosa, ove le case popolari sono
igieniche, gli operai hanno un'equa retribuzione del loro lavoro, dove
i teatri popolari tenuti con vero senso di arte hanno sostituito le osterie;
ed entriamo nella trattoria ove gli operai prendono i loro pasti tranquilla-
mente, educatamente; noi siamo portati a dire: « che buona gente! «.
Ma sono veramente essi diventati buoni? Buoni furono coloro che mi-
gliorarono le condizioni sociali. Ma gli individui che ne usufruiscono
«vivono meglio», e non sono, a rigor di termine, «piìi meritevoli » in
senso morale.
Se così fosse, basterebbe immaginare una società ove il pi-oblema
economico fosse risolto, ed ecco uomini « morali » solo per esser nati
in altri tempi. Evidentemente la questione « morale » è diversa; è una
questione di vita, una questione di « natura », e non può essere mutata
da eventualità esterne. Gli uomini potranno essere più o meno fortunati,
potranno nascere in ambienti più o meno civili, ma saranno sempre
uomini aventi innanzi una « questione morale », che è profonda al di
là della fortuna e della civiltà.
È facile persuadersi che la creduta « cattiveria » dei fanciulli è
la espressione di una «lotta per l'esistenza spirituale»: essi vogliono
far \'ivere l'uomo interiore che è in loro, e noi vogliamo impedirglielo:
noi gli porgiamo il veleno delle tenebre, dell'errore. Essi combattono
per il pane spirituale come i poveri combattevano per il pane materiale;
e si degradano cadendo vittime delle nostre seduzioni, come i poveri
238 PARTI' PRIMA
si degradanti oodcndo al fascino dell'alcool: e in questa lotta e in questa
degradazione, i bambini si sono rivelati dei «poveri», dei «bisognosi >,
abbandonati nella miseria. Nessuno mai più di loro ha dimostrato
che r« uomo non vive di solo pane »; e che la « questione del pane ->
non è la vera « questione dell'uomo ». Tutte le sofferenze, tutte le lotti-,
tutte le rivendicazioni che già la società conosce pei bisogni corporali,
si ripetono lì, con sorprendente chiarezza, pei bisogni spirituali. I bam-
bini hanno bisogno di crescere, di perfezionarsi, di nutrire l'intelligenza,
di svolgere le energie interiori, di formare il carattere, e per questo hanno
bisogno di essere liberati dalla schiavitù e di conquistare i « mezzi
dell'esistenza ». Non basta loro nutrire il corpo, sono affamati di nu-
trimento intellettuale; i vestiti che riparano le membra dal freddo
non bastano ai bambini: essi domandano le vesti della fortezza e gli or-
namenti della grazia, per riparare e adornare lo spirito. Perchè noi
adulti abbiamo attutito questi bisogni fino al punto di credere real-
mente che la questione economica avrebbe risolto il problema della
vita dell'uomo? E non abbiamo neanche immaginato che, dopo quello,
ancora potrebbero apparire la lotta, l'ira, la disperazione e la degrada-
zione, per bisogni superiori insoddisfatti? quella lotta, quell'ira, quella
disperazione e quella degradazione che incontriamo a tutt'oggi nei
bambini, i quali sono pur così ben nutriti, ben vestiti e ben riscaldati,
secondo le norme di un'igiene fìsica perfezionata.
Corrispondere ai bisogni intellettuali dell'uomo, in modo che essi
siano « soddisfatti » è dare un grande contributo alla moralità. Infatti
i nostri bambini, quando hanno potuto liberamente occuparsi in
lavori intelhgenti, e sono anche stati liberi di corrispondere ai loro
bisogni interiori, di trattenersi lungamente sugli stimoli scelti, di
poter astrarre quando la maturità era venuta, di potersi concentrare
nella meditazione, hanno dimostrato che l'ordine e la calma si facevano
in loro ; è dopo ciò che la grazia delle movenze, la capacità di gustare
il bello, la sensibilità alla musica, e, infine, la gentilezza nei rapporti
tra loro, sono scaturite come polla d'acqua sorgiva da una fonte
interiore.
Tutto questo, è stato un lavoro di «liberazione». Noi non abbiamo
con mezzi speciali moralizzato i bambini; non abbiamo insegnato loro a
« vincere » i capricci e a rimanere tranquilli nel lavoro; non abbiamo
X. - LA QUESTIONE MORALE 239
insegnato la calma e l'ordine esortandoli a seguire degli esempi, e spie-
gando come l'ordine sia utile all'uomo; non abbiamo fatto prediche
per insegnare la cortesia dei rapporti, per animare al rispetto verso il
lavoro altrui, alla pazienza dell'attesa per non ledere gli altrui diritti.
Nulla di ciò: noi abbiamo soltanto liberato il bambino, e lo abbiamo
aiutato a «vivere». Egli è che ci ha rivelato «in qual modo» vive il fan-
ciullo, e quali altri bisogni ci sono per lui, oltre a quelli materiali.
Allora un'attività prima sconosciuta nei piccoli bambini, e delle
virtù di laboriosità, di costanza e di pazienza, si sono manifestate tra le
crisi di gioia, in un'atmosfera di consueta serenità. Essi erano penetrati
in una via di pace. Un ostacolo fino allora contrapposto alla natura,
era stato sorpassato.
E come gli uomini, soddisfatti nel bisogno dell'alimento e allon-
tanati dai veleni, si sono mostrati più calmi, e capaci di preferire go-
dimenti superiori a quelli bassi e degradanti, così il bambino, soddisfatto
nelle sue necessità interiori, è entrato nella serenità ed ha mostrato
la sua tendenza ad ascendere.
Con tutto questo, però, non si è toccata alle sue radici la questione
morale: ma si è sfrondata e purificata da tutte quelle scorie che la ri-
coprivano. Più l'uomo è soddisfatto nei suoi bisogni, e più è felice; ma
non già « pieno di meriti », come noi sappiamo intuire che debba essere
veramente l'uomo dotato di un alto senso di moralità. Piuttosto ab-
biamo spogliato l'uomo dai suoi meriti: la « bontà » è sparita insieme
alla « cattiveria » innanzi alla riforrha sociale. Quando abbiamo scoperto
che tante forme di bontà erano forme di fortuna e tante forme di
malvagità erano forme di sventura, abbiamo lasciato l'uomo completa-
mente nudo, spogliato dalla verità.
Egli deve ora riprendere la propria vita dalle sue radici e « farsi
dei meriti ». Qui principierà a rinascere morale, dalla sua pura e neces-
saria crisalide di uomo vissuto « igienicamente ».
Se tutto l'edifizio di questo metodo educativo parte da un atto
di attenzione intensa sopra uno stimolo sensoriale e va costruen-
dosi sulla educazione dei sensi, limitandosi a ciò evidentemente
240 PARTI. PRIMA
non prenderebbe a considerare tutto l'uomo. Poiché se l'uomo non
vive solo di pane materiale, non \ i\ rà nemmeno di questo solo pane
intellettuale.
Gli stimoli dell'ambiente non sono soltanto gli oggetti, ma anche le
persone, con le quali non abbiamo i soli rapporti sensoriali. Noi non
ci contentiamo infatti di vederne la bellezza, a cui era tanto sensibile
l'occhio dei Greci, né di udirne la parola o il canto. Ma i veri rapporti tra
uomo ed uomo, benché entrino pei sensi, si stabiliscono nel sentimento.
Il « senso morale » di cui parla la scienza positiva è in gran
parte il senso di simpatia verso i nostri simih, la comprensione dei loro
dolori, il sentimento di giustizia: la cui mancanza sconvolge la \'ita
normale. Non si può essere « morali » imparando a memoria i codici
e gli usi, perchè mille volte la memoria di ciò potrebbe venir meno, e
la più piccola passione potrebbe sopraffarci: i delinquenti, infatti, anche
se sono astutissimi, studiosi e « rasentatori » dei codici, cadono nella
colpa; mentre i normali, pure ignorantissimi delle leggi, non le trasgre-
discono mai, per un « senso interiore che li guida « .
La scienza positiva comprende nel « senso morale » qualche cosa
di complesso, che è insieme sensibilità alla pubblica opinione, alle
leggi, alla rehgione; e, in tanta molteplicità, non definisce poi chiara-
mente in che consista il « senso morale «. E per intuizione che se ne
parla: ciascuno guarda in se stesso che cosa si « muova » a quell'appel-
lativo; e nella rispondenza in sé deve capire, giudicare in che consista
questo « senso morale ». Ma la religione è semplice e precisa: essa chiama
questo senso interno che sta alla radice della vita : amore. In questo
non entrano le leggi sociali più che non vi entri l'intero universo.
L'amore é il contatto tra le anime e Dio : e quando esso esiste, tutto
il resto è vanità. Il bene scaturisce da esso naturalmente, come i raggi
di luce scaturiscono dal sole. La creazione stessa è stata data in
custodia a questa fonte di amore, ed è l'amore che la mantiene come
contributo delle creature alle provvide forze della natura.
Anche gli studi biologici che si addentravano a scoprire i segreti
della natura, si sono incontrati nell'ic amore » come nella chiave della
vita. Gli scienziati hanno finito col vedere, dopo tante ricerche, la
cosa più evidente: che è l'amore che mantiene le specie animali, non
la « lotta per l'esistenza ». Infatti la lotta per l'esistenza ser\e a distrug-
LA QUESTIONE MORALE 24I
gere; e, in quanto alla sopravvivenza, essa non è solo dei « forti » come si
credette in principio. Ma l'esistenza, essa è collegata all'amore. In-
fatti, gli individui che lottano e vincono, sono adulti; ma chi è che pro-
tegge l'essere neonato e in via di formazione? Se sono le dure corazze
cornee le protezioni della sua specie, egli non le ha; se è la forza
di muscoli, egli è debole; se sono le zanne, egli ne è privo; se è l'agilità,
esso non si sa ancora muovere ; se è la fecondità, egli non è ancor
maturo. Allora, ecco che tutte le specie dovrebbero essere estinte,
perchè non vi è forte che non sia già vissuto come un debole ; e non
vi ha infanzia che non sia pivi debole di una qualsiasi vita adulta.
E l'amore che protegge tutte queste debolezze, che spiega la «soprav-
vivenza ». L'amore materno, infatti, richiama oggi, come fenomeno
naturale, l'attenzione più interessata degli scienziati. Se la lotta per
l'esistenza aveva messo innanzi agli occhi un quadro uniforme di
distruzione, i fenomeni liell'amore materno oggi si manifestano nelle
più ricche ed affascinanti forme, le quali sono quasi il lato occulto e
sentimentale delle meravigliose varietà di forme della natura. È oramai
questo uno dei « fondamentali caratteri della specie » che tutti gli stu-
diosi debbono conoscere.
Anche gl'insetti, che il Fabre ha illustrato con tanta ricchezza,
benché così piccoli, così lontani da noi, presentano dei meravigliosi
fenomeni d'amore materno. Uno dei primi articoli pubblicati da un
naturalista su questi fenomeni, la Psychologie d'une araignée, po-
trebbe servire come motivo di un dramma. Il ragno, come è noto,
fabbrica un sacco di fili, che per lo più attacca sul dorso delle foglie,
e vi depone e conserva le uova: egli, però, si mette dentro insieme
alle uova per proteggere il tesoro della specie. Se viene rotto artificial-
mente il sacco in qualche punto, ecco pronto il ragno a riparare. In
un esperimento fu tolto il ragno dal sacco, e portato lontano per
venti giorni. Che cosa è questo ragno? pochi millimetri cubi di so-
stanza molliccia e scura, non ha cervello né cuore, la sua vita è sì
breve che venti giorni contano molto per esso; ed ecco questo ani-
maletto non cessar mai dai suoi tentativi di fuga, mai dalla sua agita-
zione; finché, dopo venti giorni, liberato, si precipita verso il sacco, vi
si nasconde, e ne ripara le pareti. Dove mai si localizzava tanta me-
moria e tanto amore? Togliendo dal sacco la vera madre, e ponendoci
242 PARTE PRIMA
invece un altro ragno, questo, come assumendo immediatamente
un'adozione, fa da madre, difende il nido dagli assalti, e ripara le pareti
se hanno subito lesioni. C'è dunque un istinto materno nella specie, indi-
pendente dalla propria maternità. Ma se al sacco adottato si avvicina la
vera madre, quella adottiva non solo non cerca di difendere, ma fugge, e
cede il posto. Con quale mai fenomeno di telepatia l'ospite nascosta nel
sacco sentiva la forza materna avvicinarsi ? Ecco la fine dell'esperi-
mento: i piccoli ragni sono nati e stanno rinchiusi nel sacco insieme alla
loro madre: lo sperimentatore straccia il sacco per vedere che cosa
avverrà. I piccoli ragni fuggono tutt 'intorno: la madre resta ferma,
aggrappata agli a\'anzi lacerati del nido e muore, quasi violentemente,
uccisa dalla distruzione della sua specie. L'amore materno non ha
dunque bisogno di organi complicati; non di cervello, non di cuore,
non di sensi, quasi che potesse esistere senza materia; esso è la forza
che assume la vita per proteggere e conservare sé stessa, e che sembra
preesistere e accompagnare la creazione; quella di cui parla il libro
della sapienza: « Il Signore mi ebbe con sé al cominciamento delle opere
sue, da principio, prima che alcuna cosa creasse. Non erano ancora gli
abissi, ed io ero già concepita. Con lui ero io disponendo tutte le cose,
ed era mio diletto lo scherzare innanzi a lui continuamente, lo scher-
zare nell'universo. Chi mi troverà avrà trovato la vita ».
E, assai prima che i biologi si fossero accorti come l'amore è l;i
forza più potente che protegge la specie, e spiega la sopravvivenza, la
religione aveva additato l'amore come forza che mantiene la vita.
Non basta esser creati, bisogna ancora essere amati, per vivere. Questa
è la « legge » di natura. « Chi non ama è nella morte ». Quando Mosè
dà il decalogo che deve portare il popolo ebreo alla salvazione, lo fa
precedere dalla « legge »: « Ama Iddio sopra ogni cosa, ed ama il
prossimo tuo come te stesso ». Quando gli ebrei andavano intomo a
Cristo, chiedendogli « dicci la legge », Egli rispondeva : « E non la sai ?
La legge è: ama il prossimo tuo » come per dire: la legge è evidente, è
unica, é la legge della vita, che perciò ci deve essere stata sempre, fin
dal principio del mondo. A S. Pietro però che doveva essere il capo
della nuova religione, fu illustrato meglio l'amore, il passaggio dall'an-
tico al nuovo regno. « Amate — dice il Cristo — come io vi ho amato >.
cioè non come voi siete capaci di amare, ma come sono capace di amare
X. - LA QUESTIONE MORALE 243
io. C'è un abisso tra il modo come gli uomini sanno amare sé stessi, e
come Cristo sa amare gli uomini. Gli uomini si precipitano talvolta
verso la loro stessa perdizione; sono capaci di confondere il bene col
male, la vita con la morte ; l'alimento col veleno. È ben fragile dunque
quell'affidamento: «ama il prossimo tuo come te stesso». Ed è vera-
mente una legge nuova quella che insegna : « ama come io ti ho amato ».
Infatti Mosè ave\a dovuto accompagnare la legge dell'amore con
un decalogo di indicazioni pratiche : « onora il padre e la madre », « non
ammazzare», «non rubare», «non dire il falso», «non desiderare le cose
altrui ». Cristo invece insegna che basta non fare il «bilancio dell'amore »
e non c'è più bisogno di alcun appoggio di regole. Basta superare il
bilancio: ed ecco l'uomo, per ciò solo, entrato senz'altro per la porta
della sah'ezza. « Se amate quelli che vi amano, qual merito ne avrete?
Anche i peccatori amano chi li ama. Se fate del bene a coloro che lo fanno
a voi, qual merito ne avrete? Fanno proprio altrettanto i peccatori.
E se prestate a coloro dai quali sperate il contraccambio, qual merito
ne avrete? I peccatori pure prestano ai peccatori per riceverne altr^
tanto. Amate pertanto i vostri nemici; fate del bene, e date in r
senza speranza di profìtto e sarete figli dell'Altissimo»
Liberatevi da tutti i legami e da tutte le misure e
sola cosa necessaria: essere vivi, sentire: è questa ^
Cristo quando, come Mosè, salisce sulla mon+
dersi, anzi chiamando dietro a sé la folla e
i segreti della verità: « Beati quelli eh
frire è sentire, è vivere. Beati que'''
fame di giustizia, beati i per'-
puro, libero dalle tenebr-
sente è perduto: gr
guai ai satólli, f^
bilità". E a''
e anche y
il sepolcro
è una tomba
L'educazioi.
cazione morale, con
J44 PARTE PRIMA
durre il bambino verso le illusioni, la falsità o le tenebre, deve com-
prendere una base sensitiva, e su essa erigersi. L'educazione dei sensi,
e la libertà di innalzare l'intelligenza secondo le proprie leggi da un
lato; l'educazione del sentimento, e la libertà spirituale, per elevarsi
dall'altro, ecco due analoghi concetti, e due vie parallele.
Pensiamo alla nostra posizione innanzi ai bambini : noi siamo i
loro «stimoli» con cui dovranno esercitare il loro sentimento che si
va delicatamente svolgendo.
Per l'intelletto, ecco lì tanti oggetti: i colori, le forme, ecc.; ma per lo
spirito, siamo noi stessi. Di noi si dovranno nutrire le pure anime dei
bambini; fissarsi in noi col loro cuore, come l'attenzione si fissava sopra
uno stimolo preferito; ed amandoci elevarsi nella loro intima creazione
spirituale.
Quando l'interesse del bambino lo conduceva a prendere la
scatola dei colori, e poi ve lo tratteneva, gh oggetti si prestavano pas-
sivamente a lui, ma i colori riflettevano dei raggi luminosi del sole, che
andavano a colpire le vergini retine degli occhi non ancora completa-
mente maturati e adattati. Così noi, quando il bambino ci si rivolge
col suo cuore e si fissa a chiedere nutrimento all'anima nostra,
p do\Temmo sempre essere pronti, come oggetti passivi, nel senso di non
j^ ^ sottrarci mai per nostro egoismo alle necessità del bambino; ma corri-
^ tf <? ^ spendendo con tutte le intime attività per riflettere su lui i raggi lu-
^ e?" e? ^ minosi di cui ha bisogno la sua anima pura e non ancora adattata
^.^/^/j^cfalla vita.
s!^ ^'^ <é^ nP' .^ ^^oi non dobbiamo chiamarlo per nome, e offrirgli la nostra
J^ >? ^ -é" t-t^erezza invitandolo a prendere il nostro aiuto: ma, come il mate-
^ ^ !p -^ <fiate che lì allineato con le attrattive della levigatezza, della lucen-
■^ ^ . cs s? t<S%z^ e delle forme interessanti e variate, e con esposti vistosamente
y '^ ^ S^.f^^ i^z^ dell'alto esercizio intellettuale negli alfabetari colorati e nelle
<^' o"" §^ r'^ ^t(^h&' contengono i primi segreti della numerazione, — così noi
' ^ ■ ^ ^}' <ì' drx^k-mQs' attendere; non freddamente, bensì facendo sentire che
'^ z? ,' ^ ^rUi^niwn^un ricco materiale che sta lì a disposizione pronto ad
<i' ^ _!§■ . "^ e^rc«5pr.^, appena la mano si levi a cogliere. La nostra « corrispon-
:^ J5. e? e?' iSei^a ^1 bambino deve essere così piena, così sollecita, e così com-
-zj -o i^ e R^ta?. come quella degli oggetti che si lasciano maneggiare, ma che
^ e? ;;^ e-'^ ^ T^d^gni tocco^i^feono in alto la vita intellettuale del bambino.
^ J^ /^ .O^J>
LA QUESTIONE MORALE 245
Quanti avranno l'esperienza che, accarezzando i bambini, questi
si ritraggono come ripugnanti ed offesi; e quanti avranno notato che
il bambino respinto nel suo slancio affettuoso, si ripiega sopra se stesso,
e si umilia, come una mimosa toccata. Ecco in che consiste il rispetto
che noi dobbiamo alla libertà spirituale del fanciullo: giammai attratti
dalle sue grazie affascinanti dobbiamo aggredirlo, con le nostre carezze:
e non mai, anche se questi ci vengono quando noi non siamo disposti
a riceverli, mai respingere i loro slanci affettuosi, ma corrispondervi
con delicatezza e sincera devozione. Noi siamo gli « oggetti » del suo
amore, gli oggetti sui quali la vita si va organizzando. Le maestre
e le madri più perfette saranno quelle che prenderanno ad esempio il
materiale didattico, e vorranno imitarlo empiendosi in tutti i sens
di ricchezza morale, ed essendo in ogni dettaglio piene di risposte;
passive come abnegazione, quanto attive come fonti di amore. E se
tutti gli oggetti sensoriali riuniscono le possibili vibrazioni accessibili
all'uomo: le vibrazioni delle luci e dei colori, come quelle dei suoni
e del calore, così quelle dovranno in sé riunire tutte le vibrazioni della
interiore sensibilità, attendendo che l'anima assetata scelga.
Si potrebbe dire: e come far sì che il bambino ci ami, che il bambino
« senta »?
Se il bambino non vedesse i colori, sarebbe cieco: e nessuno potrebbe
dargli la vista. E così se il bambino non sentisse, nessuno potrebbe dargh
la sensibilità: ma poiché la natura ha unito la madre al figlio, non solo
con la carne, ma più stabilmente, con l'amore, così è indubitato che il
bambino porta con sé nella nascita non solo la carne, ma l'amore. Ora
chi ama, sia pure un solo oggetto, ha in sé un senso che può all'infinito
ricevere impressioni: chi vede un oggetto ha la vista, dunque chi vede
un oggetto vedrà. Chi ama la madre, chi ama il figlio, « ama »; quel
senso interno vibra e certamente non per il solo oggetto che ha in
quel momento presente.
Perfino quella povera ragnessa, deposta artificialmente nel sacco
di un'altra madre, adotta e difende le uova straniere, perché il ragno
è capace di amore materno.
Dunque il bambino che ama la madre, e che fu aiutato dal suo
amore, ha quel « senso interno » per cui é capace di amare. Gh « oggetti
umani » che cadono sotto quel senso ne avranno dei riflessi.
240 PAKTi: PRIMA
Dobbiamo « attendere » di « esser veduti » da lui: vorrà quel giorno
in cui, tra tanti oggetti intellettuali, il bambino si accorgerà del nostro
spirito, e si adagierà dolcemente in noi. Sarà quella per lui una rinascita,
simile all'altra, quando un oggetto lo attirò e lo trattenne. È impossi-
iiile che quel giorno, quel momento, non arrivi. Noi abbiamo esercitato
virso il bambino una fine opera di carità, porgendogli i mezzi che sazia-
\ano i suoi bisogni intellettuali, senza farci sentire, tenendoci in di-
sparte: ma sempre presenti e pronte all'aiuto. Noi abbiamo dato grandi
soddisfazioni al bambino soccorrendolo: allorché egli aveva bisogno di
chiarire ancor più l'ordine della sua mente col linguaggio, noi gli
abbiamo offerto i nomi delle cose, ma solo quelli, ritraendoci subito
indietro senza nulla chiedergli, senza far valere nulla di noi. Noi gli
abbiamo rivelato i suoni dell'alfabeto, il segreto dei numeri, lo ab-
biamo messo in rapporto con le cose; ma limitandoci solo a ciò che
era utile a lui, quasi nascondendo il nostro corpo, il nostro respiro, la
nostra persona.
Quando ebbe desiderio di scegliere, mai trovò in noi un ostacolo ;
quando si trattene\ a a lungo in un esercizio, noi agivamo da lungi per
difendere la tranquillità del suo lavoro, come una madre che difende il
sonno ristoratore del suo bambino.
Quando egli si slanciò nell'astrazione, non sentì in noi altro che
l'eco della sua gioia. .
11 bambino ci trovò instancabili sempre, quando chiese; quasi
che la nostra missione verso di lui fosse quella di offrire, come il dar
profumo senza tregua e senza limiti è la missione del fiore.
Egh trovò accanto a noi una nxiova vita, non meno dolce che il
latte succhiato dal seno materno, e donde nacque il suo primo amore.
Perciò egli sentirà un giorno questo essere che vive per farlo vivere;
dal cui sacrificio scaturisce la sua libertà di vita e di espansione.
E, certamente, quel giorno verrà in cui il suo spirito sentirà il
nostro spirito. Allora egli principierà a gustare quella delizia suprema
che sta nell'adagiarsi in contatto anima ad anima, e la nostra voce
non sarà più udita dalle sue orecchie soltanto. Il poterci obbedire,
comunicare a noi le sue conquiste, con noi dividere le sue gioie, sarà
il nuovo elemento della sua vita. Noi vedremo il bambino che ad un
tratto si accorge dei compagni, e s'interessa quasi quanto noi ai loro
X. - LA QUESTIONE MORALE 247
progressi e ai loro lavori. Sarà delizioso assistere alla scena di quattro
o cinque fanciulli che rimangono col cucchiaio sospeso sulla scodella
fumante, senza più sentire lo stimolo della fame, perchè si sono as-
sorti nel contemplare gli sforzi del piccolino che cerca d'infilarsi la
salvietta e finalmente vi riesce; e allora ecco quegli spettatori assu-
mere un'espressione di sollievo e di orgoglio, quasi come dei padri che
a\'essero assistito alla vittoria di un figlio. I bambini con il loro pi-o-
gresso, con le loro esplosioni interiori, con la loro obbedienza così dolce,
ci daranno dei sorprendenti compensi. Al di là di quello che immagi-
niamo sarà abbondante il frutto ch'essi ci lascieranno cogliere. Così av-
viene con la vita interpetrata nei suoi segreti: « date e vi sarà dato; vi
metteranno in seno una misura buona, pigiata, scossa e straboccante ».
L'essenza dell'educazione morale. — È il mantener viva la
sensibilità interiore e il perfezionarla, che forma l'essenza dell'educa-
zione morale. Intorno ad essa, come nell'educazione intellettuale che
procede dall'esercizio .dei sensi, si fa l'ordine: si vede il bene distinto
dal male. Nessuno può insegnare in tutte le particolarità la distinzione
tra bene e male, a chi non la vede. Vederla, questa differenza, e cono-
scerla, non sono la stessa cosa.
Ma per «aiutare il bambino » occorre che anche l'ambiente sia ordi-
nato, e che il bene vi sia distinto dal male. Là dove ci fosse confusione
tra le due cose, dove si confondesse il bene con l'apatìa e il male con
i 'attività, il bene con la fortuna e il male con la sventura, non si trove-
rebbe un ambiente adatto ad aiutare lo stabilirsi dell'ordine nella co-
scienza morale. Tanto meno poi dove ci fossero degli atti di ingiustizia
palese, delle persecuzioni. Allora la coscienza infantile sarebbe come
un'acqua che fosse stata intorbidata, e ciò potrebbe avvelenare più che
l'alcool non faccia sulla vita del feto. Forse l'ordine potrebbe essere
del tutto discacciato, come la limpidezza della coscienza: e non sap-
piamo che conseguenza ne porterebbe in seguito l'uomo « morale ».
« Chi scandalizzerà alcuno di questi piccolini, sarebbe meglio per lui
che fosse sommerso nel profondo del mare. Se la tua mano o il tuo
piede ti è di scandalo, troncalo e gettalo via ».
Tuttavia, l'ambiente ordinato non è tutto. x\nche nell'educa-
zione intellettuale non c'era solo l'esercizio spontaneo ravvivante
24?^ PARTE PRIMA
l'intclligen/.a: ma ancora le lezioni della maestra che sanzionavano
e illuminavano l'ordine interno che stava svolgendosi. Ella diceva in
quel caso: «questo è rosso», « questo è verde». E così qui dirà: «questo
è bene »; « questo è male ». E non di rado incontrerà bambini simili
a quello descritto più sopra, che fanno del bene e del male il centro
di tutta la coscienza, e al disopra del pane materiale e del nutrimento
intellettuale, pongono la questione più di tutto necessaria alla loro
\ita: dove sta il bene? e che cosa è il male? Ma non bisogna dimenti-
care che le lezioni morali sono brevi; e che Mosè, il padre dei sapienti,
per moralizzare non un bambino ma una stirpe, diede con semplicità
dieci comandamenti, che al Cristo sembrarono superflui. E vero però
che in testa c'era la « legge » dell'amore; e che il Cristo ha dato in-
vece del decalogo un ampliamento della legge, che comprende in sé
tutte le legislazioni e tutti i codici morali.
È possibile che, a parte le cognizioni di morale, si possa distin-
guere il bene dal male per un « senso interno »; e in tal caso, evidente-
mente, deve trattarsi di bene e di male assoluti; cioè collegati con la
vita stessa, non con le abitudini sociali acquisite. Si è sempre parlato
di una « voce della coscienza » che c'insegna all'interno a distinguere
le due cose: il bene dà la serenità, che è ordine; dà l'entusiasmo, che è
forza; il male è avvertito come un dolore talvolta insopportabile:
il rimorso, che è tenebra e disordine non solo, ma è febbre, malattia
dell'anima. Certo non sono le leggi sociali, né l'opinione pubblica,
ne il benessere materiale, né i pericoli che si corrono, che possono dare
quelle diverse sensazioni. Anzi spesso la serenità si trova in mezzo
agli sfortunati, mentre il rimorso di Lady Machbet, che vede la goccio-
lina di sangue sulla mano, mordeva il cuore di una persona che aveva
conquistato un regno.
Che ci sia una sensazione interna, la quale fa avvertire i pericoli
o fa riconoscere le circostanze favorevoli alla vita, non è meraviglioso.
Se la scienza oggi dimostra che i mezzi per mantenere la vita anche
materiale corrispondono alle « virtù » morali, si può concludere che
con la sensibilità interna, si può intuire ciò che è necessario alla vita.
I
ì
LA QUESTIONE MORALE 249
Non hanno forse dimostrato un analogo fatto le scienze biologiche?
La biometria applicata all'uomo, ha permesso di ricostruire l'uomo
medio assoluto, cioè quello che ha le misure medie in ogni parte
del corpo; e queste misure medie, con gli studi statistici e morfolo-
gici della medicina, si sono trovate corrispondenti alla « normalità ».
Quindi l'uomo medio sarebbe quello così perfettamente costituito,
che non ha predisposizioni morfologiche alle malattie degli organi.
Ricostruita una figura d'uomo sulle proporzioni biometriche medie,
si trovQ che esso corrispondeva singolarmente alle proporzioni delle
statue greche. Questo fatto contribuì a dare una nuova inter-
pretazione al « sentimento estetico «. Evidentemente era pel senti-
mento estetico, che gli artisti greci avevano potuto estrarre con l'oc-
chio la misura media di ogni organo e costruirne con esattezza un
meraviglioso insieme. Il « godimento » dell'artista era il godimento
del « bello »; ma piìi profondamente egh sentiva ciò che conteneva
il trionfo della vita, e lo distingueva dall'errore della natura, che
predispone alle malattie. Il trionfo della creazione può dare un intimo
piacere, a chi può « sentirlo »: gli errori, anche piccoli, possono allora
essere percepiti come disarmonia. L'educazione estetica è, infine,
simile alla approssimazione matematica verso la media assohita:
ci si può avvicinare alla misura reale infinitamente, e più ad essa ci
avviciniamo, più è possibile avere un mezzo di paragone assoluto per
considerare le deviazioni. Il grande artista sa riconoscere così il « bello »
di un dettaglio anche in mezzo ad altri dettagli non armonici: e tanto
più è capace di possedere un senso assoluto del bello, tanto più è sen-
sibile a percepire qualsiasi sproporzione di forma.
Qualche cosa di simile può avvenire nella coscienza per la distin-
zione tra il bene e il male: tanto più che il bene rappresenta assai più
direttamente del bello una reale utilità per la vita, e il male rappresenta
grossolanamente il pericolo. Non hanno forse gli animali uno spiccatis-
simo istinto di conservazione che detta loro infiniti particolari della con-
dotta così per mantenere la vita, come per difenderla? I cani e i cavalli,
i gatti e, in genere, gli animali con cui noi conviviamo, non aspet-
tano inconsci e tranquilli come l'uomo il terremoto imminente, ma si
agitano. I cani degli esquimesi che tirano le slitte, quando sta per
formarsi un crepaccio nel ghiaccio, si distaccano l'uno dall'altro come
250 l'AKTl PRIMA
piT evitare di caderxi dentro: nn-nlie l'uomo non fa ciie osservai(>
con istuporc questi incra\igliosi istinti. L'uomo non ha da natura
istinti così intesi: è con la intelligenza e con la sensibilità della
coscienza al bene e al male, che egli fabbrica le sue difese e riconosce i
suoi pericoli. E se la sua intelligenza che addirittura può trasformare
il mondo, lo porta a così suprema altezza, vicino all'animale; quanto
pure potrebbe egli elevarsi sviluppando la sua coscienza morale!
Inxece l'uomo oggi è ridotto al punto di doversi domandare sul
serio se l'animale non sia migliore di lui. Quando l'uomo vuole van-
tarsi dice: io sono fedele come un cane; puro come una colomba; forte
come un leone.
Infatti gli animali hanno sempre quell'istinto che è ammi-
re\ole, poiché concede loro un potere misterioso: ma se all'uomo
manca la sensibilità della coscienza, egli è inferiore agli animali; nulla
può più difenderlo dagli eccessi; egli può correre alla rovina propria,
alle stragi ed alle distruzioni, in modo che gH animali ne sarebbero
pieni di stupore e di terrore, e potendo si metterebbero ad ammaestrare
gli uomini, perchè giungessero fino a loro. Gli uomini senza coscienza
sono come animah senza istinto di conservazione; dei pazzi che corrono
verso la distruzione.
A che prò l'uomo scopre con la scienza le leggi della conserva-
zione fìsica, fino al più minuto dettaglio, se non cura ciò che corri-
sponde nell'uomo all'» istinto » della propria salvezza? Se un indi-
viduo conosce a perfezione il modo di mangiare igienicamente, di
pesarsi per seguire l'andamento della propria salute, di bagnarsi e
di fare il massaggio, ma perde l'istinto della sua umanità, e uccide
un proprio simile o si suicida, a che valgono tutte le cure? E se non
sente più nulla nel suo cuore: e il vuoto lo attira piombandolo nella
malinconia, che fa egli del suo corpo nutrito e lavato?
Il bene è vita; il male è mòrte: la distinzione reale è netta così
come le parole.
La nostra coscienza morale è, come l'intelligenza, capace di per-
fezionamento, di elevazione; ecco una delle più fondamentali differenze
con gli istinti degli animali.
Si può perfezionare la sensibilità della coscienza, come il senso
estetico, a riconoscere e, infine, a godere il « bene » fino presso ai
LA QUESTIONE MORALE 25I
suoi limiti dell'assoluto; e così ad essere sensibili perfino alle più
piccole deviazioni verso il male. Chi sente così, è sicuro di essere «salvo»;
chi sente meno, deve esser più vigile, e conservare e sviluppare quanto
più può quella sensibilità misteriosa e preziosa che conduce a distin-
guere il bene dal male. È uno dei fatti più importanti della vita esa-
minare metodicamente la propria coscienza, avendo come fonte il-
luminatrice non soltanto la conoscenza dei codici morali, ma l'amore.
È solo con l'amore che si perfeziona quella sensibilità. Chi non ha
l'educazione del senso, non può giudicare se stesso. Un medico, per
esempio, può conoscere a perfezione i sintomi di una malattia, sapere
minutamente come sono le alterazioni dei toni cardiaci e della resi-
stenza del polso nei mali di cuore: ma se l'orecchio non può percepire
i toni, se la mano non può apprezzare le sensazioni tattili che dà il
polso, a che gli serve la sua scienza? Il suo potere di capire le malattie
parte dai sensi: e se quello gli manca, la sua sapienza davanti all'am-
malato è una vanità. Così è per le diagnosi sulla propria coscienza:
essendo sordi e ciechi, quanti e quanti sintomi passeranno inosser-
vati! e non sapremo su che fondare il nostro giudizio. Il tedio delle
imprese inutili ci abbatterà fin dal primo momento.
Invece è il « sentire » che spinge innanzi nella perfezione.
Ci sono state delle persone che hanno avuto un potere straordi-
nario di riconoscere il bene e il male, come gli artisti della Grecia furono
straordinari nel riconoscere le forme normali nel corpo, sulla guida
del sentimento estetico. Santa Teresa racconta che quando qualche
persona mondana non buona si avvicinava a lei, soffriva come se sentisse
un cattivo odore. Ella spiega bene che non sentiva odore alcuno, ma-
terialmente; ma soffriva in realtà, non con l'immaginazione; era la
sofferenza di un vero incomodo interno che non poteva tollerare.
Più interessante è il seguente aneddoto che si riferisce ai primi
padri della Chiesa, che vivevano nel deserto. « Noi eravamo — racconta
uno dei monaci — seduti ai piedi del nostro vescovo; ascoltavamo ed
ammiravamo i suoi santi e salutari insegnamenti. Ecco che apparisce
d'un tratto la prima delle « mime », la più bella tra le ballerine di
Antiochia, tutta coperta di gioielli: le sue gambe nude sparivano
sotto le perle e l'oro; aveva la testa e le spalle scoperte. Un gran cor-
teggio l'accompagnava; gli uomini del secolo non si stancavano di
^52 PARTE PRIMA
divorarla cogli occhi. Un profumo delizioso che esalava da tutta la
sua persona veniva a profumare l'aria che noi respiravamo. Quando
fu passata il nostro padre che l'aveva a lungo guardata, ci disse:
" Non siete stati affascinati da tanta bellezza? " Noi tutti tacemmo.
"Io - riprese il vescovo — ho provato un grande piacere a guardarla;
perchè Iddio l'ha destinata a giudicarci un giorno. Io la vedo — sog-
giunse poi — come una colomba nera e insudiciata; ma questa colomba
sarà lavata e volerà verso il cielo, bianca come neve ". Infatti poco
dopo quella donna tornò per farsi battezzare. " Mi chiamo Pelagia
— disse — pel nome che mi hanno dato i miei parenti; ma le genti
di Antiochia mi chiamano La Perla per la quantità di gioielli di cui i
miei peccati mi hanno adornata ". Due giorni dopo, dette tutti i suoi
beni ai poveri, si vestì di cilizio, ed andò a chiudersi in una cella
sul Monte Oliveto, di dove non si mosse più fino alla morte ». (Dal
MoNTALKMBERT, Les Moims d'Occident, voi. I, pag. 86).
La nostra insensibilità. — Quel fine sentire che può rispon-
dere con la sofferenza al male, o col piacere al bene visto negli altri,
come per un miracolo, quanto è lontano da noi, che nella nostra
società possiamo vivere a lungo con un delinquente, stimarlo, strin-
gergli la mano, fino a che il delitto clamorosamente scoperto non
lo designa. E noi diciamo: « chi Io avrebbe creduto! Stava tra noi,
come una persona per bene ».
E pure è impossibile che il delinquente non avesse dei segni,
delle alterazioni di sentimento, delle mancanze di cuore, che avrebbero
potuto farcelo riconoscere tanto prima. Nessuno dice che tutti dob-
biamo divenire degli esteti miracolosi come gli scultori Greci, o sen-
sibili come dei santi; ma, se ammettiamo che passare accanto alla
bellezza dell'arte senza avvedersene sia una cosa rozza, e che confon-
dere le orribili goffaggini e la mostruosità con le bellezze ideali,
non distinguere lo stridore delle ruote del tram o il chiasso assordante
di istrumenti stonati, da le musiche di Bellini o di Wagner, sia qual-
che cosa che la civiltà non può comportare, sia una insensibilità che
ciascuno, vergognoso, nasconderebbe arrossendo, perchè non ci accor-
giamo che siamo appunto così, per la sensibilità morale? Eccoci ad
aver confuso tra loro delle persone virtuose e dei delinquenti, senza
X. - LA QUESTIONE MORALE 253
nulla av^'ertire. Come fu che tante volte negli errori giudiziari la
voce dell'innocente non risuonò al nostro orecchio, benché il giudizio
fosse pubblico? e lo si lasciò languire nel carcere per anni ed anni?
Come mai la bontà è così oscura che la confondiamo con la fortuna?
Come è che quei ricchi di cui parla il Vangelo: « guai a voi, ricchi,
perchè avete già la vostra consolazione », pensano di andare a « mora-
lizzare » i poveri, senza neanche dare un'occhiata alla propria vita
morale e alla loro? quasi credessero che i ricchi sono buoni e i poveri
sono cattivi?
Se delle simili tenebre fossero nel campo intellettuale, noi non
sapremmo concepire la forma di pazzia che si presenterebbe ai nostri
occhi. Ci sono delle confusioni nel campo morale, di cui non è pos-
sibile farsi idea in altri campi della vita. Se un giorno la gioventù
più veggente di oggi sentirà che sui campi di battaglia della guerra
europea si è festeggiato il Natale, essa comprenderà le origini della
guerra stessa. Poiché David, in tale situazione, inconcepibile per lui,
avrebbe trovato lieve il suo grido: « Il Dio tuo, dov'è? ». Aver perduto
Dio, sembrerebbe il più evidente lamento. Ma festeggiarlo con indif-
ferenza, vuol dire essere incoscienti di averlo perduto: e da quanto
tempo morì l'anima e da quando si cominciò a costruire sulla morte?
Quale terribile episodio di pazzia questo del mostruoso eccidio su cui
si pianta l'albero della pace per festeggiare il Cristo?
Troppo siamo lontani dal soffrire il cattivo odore di Santa Teresa,
e dal godere per la visione della bianca colomba nascosta sotto le su-
dice penne! Noi non siamo lontani di là come è il gusto di un con-
tadino da quello di un artista, ma come lo é un cadavere da un
vivente. Evidentemente, noi avevamo già subito una morte, di cui non
ci eravamo avveduti.
Sta dunque qui, e non nell'igiene il segreto della nostra vita.
Koi abbiamo qualche cosa di più corruttibile che il corpo; abbiamo
una vita più fragile di quella fisica; e il pericolo delle tenebre incombe
su noi. Ecco il segreto dell'uomo.
Se l'uomo perde la sua luce conducente verso un mondo migliore,
cade in un abisso, al di sotto di tutti gli animali creati.
Chi ama, dunque, su queste fonti della vita porterà le sue cure;
che cos'è la fragilità dei polmoni di un bambino neonato che una
-'34 1'. KTI PKIMA
snaturata madre priva di aria per soffocarlo, che cosa è questo atto
sì lieve, che pure distrugge una vita, in confronto all'atto tanto più
lieve e mortale, con cui si può procurare la morte dell'anima?
La morte dell'anima è, come quella del corpo, contraddistinta
dalla perdita della sensibilità: invano il cadavere si prova coi ferri
ro\enti: esso non risponde.
Chi vive, però, non ha solo la capacità di reagire ad uno stimolo,
sia pure molto più lieve che il tocco di un ferro rovente: chi vive
e sente, può perfezionarsi - e questa è la vita.
Basterebbe che le anime « sentissero ». E come potrebbero
più vivere tranquille nel male? Se, sotto le finestre delle nostre case,
delle persone andassero accumulando immondizie e a poco a poco noi
sentissimo ammorbare l'aria, chi potrebbe resistere senza protestare,
e rimuovere la causa della sofferenza? Se poi avessimo un bambino,
grideremmo ancor più forte, e ci metteremmo magari con le nostre
mani a pulire, per rispetto alla salute di lui. Ma se il corpo della
madre e del fanciullo giacciono cadaveri, essi non sentiranno nem-
meno l'aria pestilenziale.
Il carattere « della vita ^) è c|uello di ripulire l'ambiente e l'anima
dalle sostanze che ledono la salute. Il Cristo viene chiamato: « l'agnello
che toghe i peccati dal mondo »; non il maestro che predica, ma colui
che depura. E questa è la morale conseguente alla sensibilità: l'azione
di purificare il mondo, di togliere gli ostacoli alla vita, di liberare lo
spirito dalle tenebre mortali.
I meriti di cui ciascun uomo sente di dover dare conto innanzi
alla sua coscienza, non sono quelh di aver gustato la musica, o di a\er
fatto una scoperta, ma quello di aver contribuito a salvare e a mante-
nere la vita.
E a questi meriti depuratori, come al progresso, non ci sono
limiti.
« Liberati da tutti i legami e seguimi », dice il Cristo a chi gli do-
manda fin dove si può giungere.
Poiché l'uomo, alle forze proprie, può aggiungerne altre che lo
sospingono verso l'alto, all'infinito: innanzi a lui, dormiente, c'è
l'invisibile scala di Giacobbe percorsa da angeli che l'invitano verso
il cielo, cioè verso la vita soprannaturale. Sì, essere pia che uomo.
LA QUESTIONE MORALE 255
Questo è un sogno per chi non ha fede, ma è la meta realiz-
zabile, lo scopo della vita in chi ha la fede.
Per Federico Nietzsche il superuomo è un' idea senza conseguenza
pratica, strana, erronea anche innanzi alle stesse teorie dell'evolu-
zione alle quaU s'ispira. Essa non ha dato alcun aiuto a vincere
i mali dell' umanità : anzi come una catena verrebbe a trattenere
r uomo in basso, cercante suUa terra i mezzi per creare da sé stesso
r uomo superiore a sé stesso : e lo fa smarrire nell' egoismo, nella
crudeltà, nella follìa.
Ma innumerevoli santi hanno sentito e operato secondo la loro
affermazione: « non son piìi io che vive, é Cristo che vive in me ».
Se, come dice il nostro poeta, l 'uomo é « crisalide chiamata
a formare l'angelica farfalla », non é dubbia la via: egU deve spi-
ritualmente o ascendere o morire.
Perciò non è tutta la vita, seguire le leggi dell' « igiene « fisica
e psichica, ma è solo la vita che attinge dall'ambiente i mezzi della
sua purificazione, della sua salute; — quella però che é soprannaturale,
chiede all'amore e alla luce divina le forze necessarie alla sua tra-
sformazione.
Infatti non è Vestasi che caratterizza i santi ; ma è la lotta
reale e vittoriosa tra l'inferiore e la superiore personalità.
Morale e religione. — È noto che nelle forti impressioni reh-
giose, come sono le crisi delle conversioni, ciò che caratterizza il fe-
nomeno é « una luce interiore », é un « ordine » che si stabilisce im-
provvisamente, per cui si vede ciò che prima non si vedeva: la distin-
zione tra il bene ed il male e quindi la rivelazione di sé stesso. Infatti
i convertiti, nel momento in cui la rivelazione è avvenuta, non sem-
brano preoccuparsi della divinità o dei dogmi o dei riti; sono persone
in preda a una violenta commozione, le quali sembrano dimenticare
tutta la loro vita fisica e intellettuale e si occupano di se stessi intorno
ad un punto centrale della coscienza che sembra infiammato e fulgido
in un modo prodigioso. Il grido del convertito é per lo più questo:
« io sono un peccatore! ». Sembra che le tenebre si siano staccate da
lui, insieme a tutto il male che lo corrodeva, lo indeboliva, lo asfis-
siava, e che egli vede, oramai separato da sé, terribile, fosco, pieno
256 PARTI-: PRIMA
di pericoli spaventevoli. È questo che lo fa agitare e piangere, e che
lo spinge verso qualcuno che lo comprenda, lo sollevi e lo aiuti.
I conxertiti hanno bisogno di aiuto come i neonati: essi piangono e
si agitano come l'uomo che nasce di nuovo alla vita e che non ha
alcun rispetto umano, alcuna costrizione. E la vita sua che egli sente;
e il valore della sua vita gli sembra più grande delle ricchezze e delle
convenienze del mondo intero. Il suo sollievo estatico, è di essere
scampato da un grande pericolo; la sua ansietà è di essere «liberato»
dal male che l'opprimeva. Prima di fare un passo di più egli dovrà a
lungo ripensare il tempo spaventoso in cui il male era radicato in lui
senza che lo sentisse:
lì come quei, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge all'acqua perigliosa e guata:
Così l'animo mio, che ancor fuggiva,
Si volse indietro a rimirar lo passo
Che non lasciò giammai persona viva.
(Dante, Inferno, canto I).
Quel male teneva compressi i tesori dello spirito che, ormai libe-
rati, sembrano rinfrescare e rianimare innanzi ai suoi occhi tutto il
mondo circostante:
Ciò che io vedeva mi sembrava un riso
Dell'universo...
(Dante, Paradiso, canto XXVII).
Uno dei casi più singolari di conversione che io ho udito raccon-
tare è il seguente. In una chiesa affollata un monaco celebre per la sua
arte oratoria, teneva una predica, che era ascoltata con devota am-
mirazione. A un tratto un singhiozzare alto lo interrompe e un uomo
tra la folla dice forte stendendo le mani verso il pulpito: « Sono un
gran peccatore! ». Il monaco, come si fa in simili casi, soccorse il con-
vertito e ricevè il completo sfogo di quell'anima, che strappava da sé
tutto il male che l'aveva corrosa. Poi, curioso di sapere quale argo-
mento avesse toccato il cuore di quell'uomo, gli chiese quale parte
della predica aveva specialmente influito sul prodigio. « Ah — rispose
il convertito — io non ho inteso neppure una parola di ciò che dicevate;
entrai in chiesa senza sapere perchè: in quel momento voi rivolgeste
LA QUESTIONE MORALE 25/
il vostro dito con forza verso di me: Sì, è vero, gridai, sono io, sono
un peccatore! e sentii scendere dalle mie spalle come una pesante cappa
di piombo che mi opprimeva: allora un pianto irrefrenabile mi salì
dal cuore». Nessun elemento intellettuale, dunque, entrava nella conver-
sione; non era una « convinzione », nemmeno una « conoscenza » nuova
che aveva agito; ma solo era avvenuto un fenomeno spontaneo della
coscienza, che divideva, forse dopo una inconscia preparazione, la luce
dalle tenebre e iniziava la creazione dell'uomo nuovo.
Il convertito sente più di ogni altro con chiarezza che il male è
di « ostacolo » a una forma di godimento superiore a tutti i godimenti
elevati che l'uomo possa gustare. Non si è soltanto purificato, ma
la purificazione lo ha trasformato. Egli è come un diamante pieno di
scorie e di fango, che di un tratto avesse separato la pietra preziosa
dalle sostanze sovrapposte, e fosse uscito limpido e terso alla superficie
della terra: esso non è solo una pietra pulita e magnifica; ciò che ve-
ramente lo trasforma è il sole che ora si può riflettere in esso e farlo
brillare. Questo è lo splendore insospettato, che vi si aggiunge natu-
ralmente e che non ha nulla a che fare né con le perdute scorie, né
con le intrinseche qualità del gioiello. Le scorie non lo deturpavano
soltanto, ma gli impedivano di incontrare i raggi che devono formare
il suo caratteristico pregio.
Tutti i religiosi sanno che il male è una « catena » per noi, la
quale ci trattiene sotto terra come in una tomba: e che i sentimenti
contrari all'amore sono altrettanti ostacoli che impediscono la nostra
espansione, e il nostro libero contatto con l'essenza divina che è in noi.
Basta la più piccola scoria, la più sottile infiltrazione per alterare la
nostra limpidezza e farci uscire dallo scrigno degli eletti: un solo
sguardo che giudica il fratello invece di assolverlo; un sentimento che
trattiene ostile il nostro cuore su lui; o, infine, l'astio che genera la
rabbia e l'odio divoratore.
« Manifesti siano i desideri contrari allo spirito: essi sono le ini-
micizie, le contese, le emulazioni, le risse, le discordie, le sette, le in-
vidie, i venefici, gh omicidi ». Accostarsi all'altare col cuore ferito
sia pure lievemente da un seduttore stimolo contro la carità, é vano:
è come se una lepre ferita si precipitasse verso la tana portando lo
strale che la trafigge da parte a parte: essa non va a salvarsi, va a mo-
258 PARTI PRIMA
rire nella sua tana. « E così tu, se stai per fare l'offerta all'altare e
ti so\-viene di avere alcunché contro il fratello, va, riconciliati prima
col fratello, e poi torna a fare la tua offerta ».
Chi perdona le offese, non fa un atto logico di giustizia, né fa
il bene alla persona perdonata; quindi giudicare se l'offesa meriti o
no il perdono, se la persona abbia da noi bisogno o no di essere assolta,
è tempo perduto. Non per la giustizia o per la persona dobbiamo per-
donare, ma per noi stessi: chi ha perdonato, ha strappato da sé l'astio,
il risentimento, tutto ciò che opprimeva lo spirito e lo incatenava,
facendolo impotente ad elevarsi. Ecco perchè bisogna perdonare: per
ispezzare quel legame che impedisce il libero moto, e l'ascesa. Allor-
quando si tagliava la gomena del pallone, non si pensava se ciò fosse
giusto verso la terra e se la gomena lo meritasse: si faceva perchè era
necessario, affinchè il pallone si alzasse. Chi ascendeva, poi, godeva
dall'alto le meraviglie di uno spettacolo che non si può godere sulla
terra. Chi vorrebbe fare un bilancio tra questo guadagno ed il sacri-
fìcio della gomena?
Perdona e sentirai dal mondo intiero l'assoluzione universale
ascendere verso di te: segno che sarai salito. Haec est vera fraiernitas,
quae vicit mundi crimina.
Il sentimento religioso nei bambini. — Non sono molte le
ricerche fatte sulle crisi della coscienza e sul sentimento religioso spon-
taneo dei bambini. E vero che in questi ultimi tempi, nel singolare
movimento religioso che ci fu in Inghilterra, avvennero fatti sorpren-
denti di religiosità nei bambini: è dopo che la piccola Nelly di cinque
anni morì desiderando la comunione, che Pio X vi ammise i bambini
di qualunque età. Ma l'argomento non fa largamente parte degli studi
positivi dei giorni nostri.
L'unico studio di questo genere apparso nei pubblici congressi
di psicologia, è stato quello illustrato nel « Premier Congrès Interna-
tional de Pedologie, Bruxelles, aout 1911 »: Quelques observations
sur le développement de l'émotion morale et religieuse chez un enfant,
Ghidionescu doct. en Philosophie (Bucarest). Il bambino che forma
il soggetto dell'osservazione, non aveva avuto alcuna educazione reli-
giosa. Un giorno il bambino fu visto scoppiare in pianto improvvisa-
X. - LA QUESTIONE MORALE 259
mente, senza che alcuna apparente occasione vi avesse contribuito.
Alla madre che aveva chiesto al bambino perchè piangeva, questi ri-
spose: « Perchè mi ricordo di aver visto maltrattare un cagnolino due
mesi e fa; in questo momento lo sento ». Un anno e mezzo dopo
avvenne una crisi analoga. Egli una sera guardava la luna dalla fine-
stra, quando, a un tratto, dette in un dirotto pianto. « Non mi rimpro-
verate — disse con agitazione il bambino — mentre guardavo la luna
ho sentito i dispiaceri che vi ho dato, e ho capito di avere offeso Iddio»/.
Questo interessante studio rivela fasi successive di un fenomeno
spontaneo di coscienza morale: c'è prima la rivelazione del sentimento
vivo, che, dopo due mesi da che il fatto è avvenuto, provoca nel bambino
una crisi di pianto: egli sente le sofferenze del cagnolino maltrattato.
E dopo molto tempo che questa azione della coscienza si è iniziata,
ecco l'ordine: il bambino distingue gli atti buoni dai cattivi, e si ac-
corge di aver dato dei dispiaceri ai genitori: dispiaceri che probabil-
mente erano leggerissimi, sì da passare quasi inosservati alla sua co-
scienza mentre avvenivano; nel momento però in cui egli si purifica
da queste minime scorie, egli sente Iddio. « Ho capito di avere offeso
Iddio " egli dice, e sa bene di non avere offeso i genitori. Ora, mai
alcuno gli aveva parlato di Dio, né lo aveva educato a esaminare la
sua coscienza.
Durante la mia esperienza io non ho avuto occasione di assistere a
un simile ciclo di sviluppo interiore. Le mie esperienze sulla educazione
religiosa, sono state finora necessariamente scarse: infatti nella Casa
dei Bambini tenuta dalle Suore Francescane di via Giusti l'educazione
religiosa era data coi metodi comuni e non si potevano fare studi
od osservazioni originali. Viceversa il partito politico imperante nei
municipi aveva abolito la religione dalle scuole pubbliche con un
rigore settario che faceva temere la parola Dio, come si teme la pa-
rola diavolo tra i bigotti.
La mia esperienza dovè quindi essere limitata ad alcuni dei bam-
bini accolti privatamente in casa mia, appartenenti a famiglie non reli-
giose, e che perciò non avevano subito alcuna influenza religiosa (i).
(i) Si stanno ora compiendo interessanti esperimenti sull'educazione religiosa
nella « Hscola Montessori « di Barcelona, tenuta dalla Deputazione Provinciale di
quella città.
:;oo PARTI-; prima
Uno dei mici piccoli allievi era dell'età di sette anni compiuti
quando in casa sua, un amico di famiglia, vedendolo intelligente e
sapendolo educato nella «i libertà », volle provare a descrivergli breve-
mente l'evoluzione animale, secondo i principi di Lamark e di Darwin.
Il fanciullo seguì con molta attenzione il discorso e poi chiese: « ebbene,
l'uomo viene dalla scimmia, e questa da un altro animale e così via:
ma il primo da chi viene? ». « Il primo » rispose il narratore « si è for-
mato a caso ». Allora il bambino scoppiò in una grande risata, e chia-
mando la madre, le diceva concitato: « Ma senti, senti che sciocchezza:
la vita che si forma a caso! questo è impossibile ». « E come dunque
si forma la vita? ». « È Dio » rispose il bambino con convinzione.
Lo stesso fanciullo, col permesso della madre, fu preparato insieme
a una sua sorella alla Comunione: un giovane sacerdote esteta e fine-
mente educato si accinse all'impresa. Io ero curiosa di vedere quali ob-
biezioni avrebbe fatto il bambino: ma non fui ammessa alla sua istru-
zione. Solo un giorno, in cui l'istruzione era quasi finita, io fui presente.
Il sacerdote parlava della conservazione del vino e dei casi pratici
in cui il celebrante può trovarsi durante le funzioni sacre. Mi sembrò
che quel discorso fosse del tutto inadatto ai bambini, e. che dovesse
distorgUerU dallo scopo: ma con meravigUa io vidi i loro volti intenti
verso l'altare; essi erano evidentemente estranei a tali spiegazioni
minuziose, ma invasi da un sentimento che li attraeva: come per
l'innocente Parsifal, il calice col sangue divino chiamava la loro
anima aperta a riceverlo. Quando essi fecero la Comunione, mi per-
suasi che la loro anima accettava i misteri con dolce fede, e con una
semplicità assoluta, come se fosse comprensibile per loro tutto ciò
che è di Dio, e assurdo soltanto quello che lo nega. La loro conquista
li accompagnò nella vita.
Una loro piccola cugina, che fu preparata solo dopo molto tempo
a ricevere la Comunione come loro, e che non era affatto educata reli-
giosamente in casa sua, un giorno, mentre lavorava in classe con
entusiasmo, si mise a dire: « Come è bella l'anatomia del fiore; mi
piacciono tanto l'aritmetica e la geometria: più bella di tutte le cose
però è la religione ».
Stava in iscuola una bambina più grande i cui genitori, padre
e madre, erano addirittura ostili alla religione. Questa bambina, mal-
LA QUESTIONE MORALE
grado dimostrasse molto interesse agli esercizi di scuola, era sempre
agitata. Quando poi avevano luogo nella sua villa dei meravigliosi
balli di bambini, che erano sapientemente organizzati e riuscivano
vere opere d'arte, essa si mostrava ancor piti agitata e cinica, quasi
fosse stata ferita da una disillusione. Un giorno ella chiamò un'orfa-
nella di Messina che era tra i nostri bambini venuti dalla scuola di
via Giusti, e la condusse con sé in un angolo appartato, chiedendole
di recitare il Pater noster. L'orfanella lo recitò, mentre la ricca bam-
bina la divorava con gli occhi. Quindi, come obbedendo a un'ispira-
zione, andò verso il pianoforte per suonare: ma le sue mani trema-
vano: si gettò da un lato, col gomito sulla tastiera e la testa abban-
donata, non sapendo più nascondere la sua commozione. L'anima sua
cercava di dissetarsi: nulla poteva darle pace, se non una sola cosa di
cui chi l'amava voleva privarla. Ancora era vivo e cercante il suo
cuore: « Come il cervo assetato desidera le fontane d'acqua, così te
desidera, o Dio, l'anima mia ».
Non si era formata ancora intorno a lei la rozza scoria fatta di
tenebre, che rende così diffìcile all'uomo adulto di abbracciare i misteri
dello spirito con la semplicità del bambino. Più tardi ciò è incom-
prensibile, come a Nicodemo che ribatte al Cristo: « Rinascere!... e come
potrò io rientrare nell'utero di mia madre? ».
Ma basta così rapida visione, per comprendere che il piccolo bam-
bino non ha solo i bisogni intellettuali, e che, prima assai che la sua
intelligenza sia svolta e soddisfatta, lo spirito aperto e puro riflette
la luce divina. Egli è forse il Parsifal che noi attendiamo, così de-
pressi e malati nel cuore, mentre per l'impurità delle nostre mani, la
colomba non può più discendere nel Santo Graal verso il calice empito
col sangue della Pace (i).
(i) La questione morale t' qui solo accennata e accennata non nella sua com-
pletezza. Questo lavoro rappresenta infatti un contributo sperimentale all'educa-
zione dell'intelligenza. Adesso si è appena iniziato in Barcelona (Spagna) uno studio
sperimentale sull'educazione morale e religiosa dei bambini: questa sarà l'opera che
dovrà far seguito alla presente.
Non so prevedere se io e i miei collaboratori potremo riuscire in tanta impresa*
PARTE SECONDA
I "TESTS,, SISTEMATICI
PER LO SVILUPPO INTELLETTUALE
NELLE CLASSI ELEMENTARI
GRAMMATICA
DAI MECCANISMI
ALLO SVOLGIMENTO INTELLETTUALE
DEL LINGUAGGIO
Nelle « Case dei Bambini » eravamo giunti a un grado di sviluppo in cui i
bambini scrivevano parole e anche frasi; e leggevano dei cartellini (Tavola I)
ove erano descritte azioni che essi interpetravano praticamente, mostrando
così di averle comprese. Il materiale di sviluppo per la scrittura e lettura
consisteva in due alfabetari: uno più grande, che aveva le vocali di un colore
diverso dalle consonanti; e uno meno grande, avente tutte le lettere del
medesimo colore. Il grado di sviluppo, però, non era ben determinato: si
potrebbe dire che i bambini avevano fissato i meccanismi della scrittura e
della lettura e si avviavano verso uno svolgimento intellettuale relativo a
tale conquista. Questo « avviamento », incerto nella sua limitazione, era, più
che altro, una via aperta al progresso, quella su cui doveva venire a sta-
bilirsi uno sviluppo ulteriore: la scuola elementare.
Nel piccolo bambino, ciò che veramente venne precisato con la prima
parte del metodo, furono i i< meccanismi » psicomotori della parola scritta,
i quali dovevano venire a stabihrsi con un processo lento di maturazione
— con un esercizio metodico delle vie psicomotrici — similmente a ciò
che avviene per lo stabilirsi naturale del linguaggio articolato.
In un periodo superiore, la « mente « potrà servirsi nei suoi processi
progressivi del linguaggio scritto, che fu meccanicamente stabilito così nella
produzione (scrittura) come nell'interpetrazione (lettura).
Ciò è stabilito normalmente a cinque anni d'età. Il bambino, allorché
principia a pensare e a servirsi, in rapporto a tale sviluppo del pensiero, del
linguaggio scritto, entra nel periodo delle scuole elementari. Ciò per un
fatto di maturazione, non per altri fatti come quello dell'età, ecc.
È vero, si è detto in un primo periodo, che i bambini restavano nella
« Casa dei Bambini » fino all'età di sette anni; è pur vero però che essi impara-
268 PARTI SECONDA
vano scrittura, calcolo, lettura e perfino composizione; s'inoltravano perciò
così per età c»me per istruzione, nelle scuole elementari. Tuttavia quel pe-
riodo, dal meccanismo grafico in poi, era nebuloso. Noi ora l'abbiamo, con
ulteriori studi sperimentali, « determinato », oltre a sorpassarlo di gran lunga.
Ciò dimostri però, che con l'istruzione elementare sul principio non
usciamo dalla « Casa dei Bambini », anzi, vi rientriamo a dar forma distinta
alle nebulosità piene di speranza tra le quali il primo studio era terminato.
Quindi la « Casa dei Bambini » e le elementari, non sono cose distinte — come
potrebbero esserlo l'asilo froebeliano e le elementari — ma sono « la stessa
cosa », la continuazione dell'identico fatto.
Rientriamo perciò nella « Casa dei Bambini » e prendiamo ad avvici-
nare il bambino di cinque anni e mezzo. Oggi, nelle « Case dei Bambini »
che seguirono il progresso degli studi, vi s'inizia senz'altro l'istruzione ele-
mentare.
Dal secondo alfabetario della « Casa dei Bambini », si passa ad un
terzo alfabetario; ove le lettere dell'alfabetario mobile sono assai più pic-
cole, perfettamente calligrafiche, e in numero di venti per ogni esemplare,
anziché di quattro come negli alfabetari inferiori; inoltre l'alfabetario com-
pleto è tre volte ripetuto: ce n'è uno di color bianco (gesso), uno nero
(inchiostro nero) e uno rosso (inchiostro rosso). Sono perciò sessanta copie
di ogni lettera dell'alfabeto: inoltre vi esistono anche tutti i segni d'inter-
punzione: punti, virgole, accenti, apostrofi, punti interrogativi ed esclamativi.
Le lettere sono di semplice carta lucida (i).
Gli usi di questi alfabetari sono molteplici; perciò procediamo alquanto,
prima di fermarci ad esaminarli.
Tutti certo hanno trovato naturalissimo quell'esercizio della « Casa dei
Bambini » in cui si poneva il cartellino che portava scritto un nome, sull'og-
getto corrispondente. Era la prima lettura; noi riconoscevamo che il bambino
sapeva leggere, dal fatto che riconosceva r« oggetto » indicato dal cartellino.
In tutte le scuole del mondo troverebbero logico simile procedere. Forse, io
credo, in tutte le scuole ove è penetrato il metodo oggettivo, si fa qualcosa
di simile e non si trova che sia una difficoltà, ma una facilitazione, pel
bambino, imparare così i nomi degli oggetti.
Noi dunque già da tempo e con vari metodi in uso, insegniamo con un
metodo oggettivo, con l'aiuto di esercizi pratici: il nome.
E perchè insegnare così solo il nome? Non è forse esso una parte del di-
scorso come un'altra? E se c'è un modo che facilita la conoscenza del nome,
(l) Altri esemplari portano invece lettere dell'alfabeto secondo la forma dello stam-
pato: e sono disposte nel casellario secondo l'ordine in cui sono le lettere dell'alfabeto
nelle macchine da scrivere.
GRAMMATICA 269
non potranno esserci maniere simili per facilitare la conoscenza di tutte
le altre parti del discorso, come sarebbero l'articolo, l'aggettivo, il verbo,
il pronome, l'avverbio, l'interiezione, la congiunzione, la preposizione?
Quando si mette un cartellino con la parola interpetrata sull'oggetto
ad essa corrispondente, si viene a distinguere il nome dalle altre parti del
discorso, e si viene intuitivamente a definire; quindi è già stato fatto un primo
passo reale dentro la grammatica.
Ma se con la « lettura » si è cosi entrati direttamente nella « classifica-
zione » delle parole, prima, componendo con l'alfabetario mobile o scrivendo
tutte le parole, il bambino aveva fatto un lavoro preparatorio, cioè l'analisi
dei suoni, l'analisi delle parole stesse: infatti, leggendo, come abbiamo visto,
ò l'accento tònico scoperto dal bambino, che gli fa riconoscere la parola (i).
Non solo i suoni e gli accenti, ma la forma della parola il bambino è venuto
ad analizzare.
Quale cosa assurda sarebbe mai tentare uno studio di fonologia e di
morfologia in un asilo d'infanzia, con bambini di quattro anni d'età! Ep-
pure i bambini hanno fatto questo. L'analisi era il « mezzo » per giungere
alla parola, era la « facilitazione » che rendeva possibile al piccolo bambino
di scrivere senza sforzo.
E perchè un simile procedere sarà utile per la « parola» e non pel discorsor
Noi, procedendo alla « classificazione » delle parole col distinguere da tutte
le altre il nome, siamo penetrati nell'analisi del discorso, come facendo toc-
care la prima lettera smerigliata e facendone pronunciare il suono, avevamo
fatto il primo passo nell'analisi della parola. Non c'è che da continuare.
E forse arriveremo al « discorso analizzato per intiero » come arrivammo
alla composizione delle parole, trovando in ciò « un mezzo di facilitazione >.
un aiuto così singolarmente efficace, da portare il bambino a « scrivere bene »
i suoi pensieri con precocità e perfezione.
Eravamo già penetrati, dunque, da lungo tempo nella grammatica,
non abbiamo che da proseguire. La cosa potrà apparire ardita, ma non
importa. Quella grammatica, quello spauracchio non meno terribile dello
spaventevole antico procedimento d'imparare a leggere e scrivere, diventerà
forse un esercizio appassionante; sarà la benefattrice che conduce piacevol-
mente a « trovar le cose fatte ». Sì, il bambino si troverà col suo discor-
setto uscito dalla sua penna, e ne sarà felice non meno di quando gli uscivan
dalle mani le prime parole.
(i) Nel libro // Metodo della Pedagogia Scientifica, ecc., è descritto come il bambine
comincia a leggere: egli pronuncia nella parola i suoni corrispondenti alle singole lettere
dell'alfabeto senza rilevarne il senso, ma rileggendo sempre più presto, trova l'accento
tonico e la parola è riconosciuta.
270 r.NRTK SECONDA
ln\oro. quella buona grammatica! se diventa l'aiuto amabile e indi-
spensabile a «costruire il discorso», assume tutt'altro tipo di quell'assas-
sina che squartava i discorsi senza che ci si potesse più raccapezzar niente
Veniva sì facile dire: il discorso ora è fatto, lascialo stare. Perchè scomporlo?
f>erchè togliergli il senso che lo anima e farne un'accozzaglia di parole
insensate? Perchè sciupare ciò che esiste per farci ingolfare in un'analisi
incomprensibile? Se. infatti, a chi sa già leggere, noi imponessimo il lavoro
di scomporre tutte le parole in suoni, ciò importerebbe un tale sforzo di
volontà, che solo un glottologo potrebbe applicarvisi diligentemente, spinto
dai suoi fini speciali. Mentre il bambino di quattro anni, quando da quei
suoni senza significato passa a comporre un insieme che corrisponde a un'idea
che rappresenta una conquista utile, meravigliosa, è altrettanto attento
quanto il glottologo e forse più appassionato di lui. Così è per la gramma-
tica, quando dalle analisi ci fa salir su su, in alto, empiendosi sempre più di
significato, acquistando a passo a passo un interesse sempre maggiore, fin
che eccoci al culmine: il discorso è pronto, compreso e chiaro fin nelle
sue più intime viscere; bello come una creazione, nato perfetto, e rhv nes-
suno più dovrà toccare.
I, 'analisi dei suoni che conduce coi nostro metodo alla scrittura spon-
tanea, non è adatta a tutte le età. Sono i piccoli bambini di quattro anni o
quattro anni e mezzo che vi prendono quella caratteristica passione, per cui
vi persistono tanto, come in nessun'altra età, e crescono poi perfetti nella
scrittura meccanica. Ebbene, anche lo studio analitico del discorso, questo sof-
fermarsi sulle parole con intenso interesse, non è di tutte le età: sono i bam-
bini da cinque a sette anni, quegli amatori appassionati delle parole, che vi
son predisposti; son quelle menti immature che ancora non possono inter-
petrare chiaramente un discorso, ma comprendono le parole, che possono
persistere estatiche, piene d'interesse, instancabili, sugli elementi del di-
scorso.
Il nostro metodo, certo, è cominciato con delle eresie. La prima fu chi'
il bambino è adatto al massimo punto a scrivere nell'età da quattro a cin(iiie
anni; un altro passo ancora: il bambino è in età di studiar la grammatica
da cinque anni e mezzo a sette anni, ad otto.
Era un pregiudizio credere che per analizzare occorre prima avere co-
struito. Sono le cose create dalla natura che ci occorre analizzare per com-
prenderle: dobbiamo analizzare una viola strappandole i petali e sezionandola
per veder com'è composta, poiché essa nasce bell'e fatta. Ma per costruire
una viola artificiale, noi facciamo l'inverso: noi prepariamo a parte a parte
gli steli, poi i petali che lavoriamo separatamente tagliandoli, colorandoli
e stirandoli col ferro caldo; a parte prepariamo i mazzetti degli stami, la gomma
per mettere insieme le parti e così via. Per alcune persone semplici, adatte
ai lavori manuali leggeri, sono piacevolissime quelle singole manipolazioni.
GRAMMATICA 1^X
quei preparativi cosi svariati, che conducono infine a un bel fiore tanto
più perfetto per quanto più si seppero pazientemente e abilmente preparare
le singole parti.
L'analisi, infine, serve non solo a scomporre, ma anzi a costruire. Per
costruire una casa la si lavora analiticamente, pietra a pietra, dalle fonda-
menta fino al tetto: e chi l'ha costruita la conosce nei suoi particolari, e può
apprezzarne tutte le qualità assai meglio di chi, per farsi un concetto preciso
della sua costruzione, si mettesse a demolirla. E ciò perchè la « costruzione »
è un lavoro assai più lungo che la demolizione, quindi particolarmente adatto
a lasciar soffermare sull'analisi delle parti: inoltre perchè diverso è il senti-
mento di chi, pieno di speranza, pieno di sorprese e di compiacimenti, va
elevando a poco a poco un edificio, da quello di colui che vede cadere un
insieme arm.onico, in parti amorfe.
Per queste molte ragioni, il bambino nell'età dell'» interesse alle parole «
può utilizzare la grammatica, soffermandosi sulle varie parti analitiche del
discorso, secondo i suoi processi di « maturazione » interna: e si troverà in tal
modo a possedere la sua lingua e perciò ad aver la possibilità di apprezzarla.
La grammatica, per noi, non è un libro.
Come i nomi che il bambino doveva porre sugli oggetti corrispondenti
quando li aveva compresi, erano scritti su dei cartellini, così tutte le parole
sono scritte su dei cartellini. Essi sono tutti di dimensione uguale: piccoli
cartoncini rettangolari di cm. 5x3 '/al e di colori diversi, cioè: nero pel nome,
nocciola per l'articolo, marrone per l'aggettivo, rosso pel verbo, rosa per
l'avverbio, Verde pel pronome, viola per la preposizione, giallo per la con-
giunzione, celeste per l'interiezione.
Questi cartellini si depongono dentro speciali scatole, che sono in nu-
mero di otto: la prima a due soli reparti; la seconda, invece, a tre; la terza
a quattro; e così via, fino all'ottava che ne ha nove. Ogni reparto ha una
parete più alta ove si può introdurre un cartellino che porta scritto il titolo
corrispondente al contenuto, cioè il nome della relativa parte del discorso;
e il cartellino che porta questo nome, ne veste anche il corrispondente colore.
La maestra comporrà queste scatole in modo da prepararle per lo studio
di due o più parti del discorso.
I nostri esperimenti ci hanno condotto a « precisare » tutti gli esercizi,
in modo che le maestre dispongano di un materiale ben preparato: ciò potrà
facilitare e anche garantire il loro lavoro.
3rj2 PASTE SECONDA
STUDIO DELLE PAROLE
Il piccolo bambino, quando comincia a leggere, dimostra un vivo
desiderio di apprendere delle parole; infatti nella « Casa dei Bambini »
avvenne quel fenomeno così impressionante della inesauribile « pesca » dei
cartellini: i bambini leggevano uno dopo l'altro tutti i cartellini contenenti
dei nomi.
Infatti il bambino deve farsi il suo i patrimonio » di parole: il carattere
del suo linguaggio è appunto la povertà di vocaboli. Egli va verso quell'età
in cui avrà bisogno di esprimere i suoi pensieri e deve ora fornirsi del materiale
necessario per allora. Molti avranno osservato che i bambini ascoltano a
parlare con intensa attenzione, anche quando è impossibile che possano
capire il significato del discorso: essi cercano di afferrare delle parole, e tal-
volta lo dimostrano ripetendo con gioia un vocabolo che hanno potuto
ritenere. Dobbiamo corrispondere a tale tendenza del bambino, e offrirgli
un materiale abbondante, organizzando poi degli esercizi, che le sue reazioni
ci faranno determinare e stabilire.
Il nostro sistema consta di un materiale molto abbondante, tutto deter-
minato.
Ma non avviene la stessa gradazione di scelta del materiale nella ge-
neralità dei bambini, anzi, sempre più si delineano le differenze individuah.
Per alcuni bambini degli esercizi sono facili, per altri diffìcili; neanche l'or-
dine di scelta è il medesimo.
Il materiale di sviluppo deve essere ben conosciuto dalla maestra, come
pure essa deve praticamente saper capire quando è il momento di offrire
un esercizio. In realtà, chi fa un poco di pratica riconosce che i fatti vanno
svolgendosi spontaneamente, e facilitano in modo sorprendente il compito
della maestra.
GRAMMATICA 273
SUFFISSI E PREFISSI.
Esistono delle tavole che si appendono al muro, e che i bambini possono
guardare e anche prendere: in esse sono stampati gruppi di parole.
Eccole :
Tavole dei suffissi.
Serie I.
buono - buonuccio, buonino, buonissimo;
casa - casona, casetta, Casina, casettina, casuccia, casaccia, casettaccia;
formica - formicona, formicuccia, formicola, formichetta;
ragazzo - ragazzone, ragazzino, ragazzaccio, ragazzetto;
lettera - letterina, letterone, letteruccia, letteraccia;
cesto - cestino, cestone, cestello, cestellino;
piatto - piattino, piattello, piattone;
campana- campanone, campanello, campanellino, campanina, rampanaccio;
giovane - giovanetto, giovincello, giovinastro;
fiore - fioretto, fiorellino, fioracelo, fiorone;
tarlalo - tavolino, tavolone, tavolaccio;
seggiola - seggiolone, seggiolina, seggiolaccia;
pietra - pietruzza, pietrina, pietrone, pietraccia;
"iasso - sassetto, sassolino, sassettino, sassone, sassaccio;
pianta - piantina, pianticella, pianticina; pianterella, piantona, piantacela;
fuoco - fuocbetto, fuocherello, fuocone, fuochettino;
/està - festicciola, festona, festaccia;
piede - piedino, piedone,\ieduccio, piedaccio;
mano- manina, manona, manaccia, maruircia;
seme - semino, semetto, semone. semaccio, semettino;
i-emplice - semplicino, semplicetto, sempliciotto, semplicione, semplicissimo;
chiotto - ghiottone, ghiottoncello, ghiottaccio, ghiottissimo;
vecchio - vecchietto, vecchione, vecchiaccio, vecchissimo;
cieco - ciechino, ticchetto, ciecolino ciecone, ciecaccio.
L'esercizio del bambino consiste in questo; egli compone con l'alfabe-
tario d'un colore (es.: nero) la prima parola d'una riga e poi sotto ripete con
lo stesso colore le lettere che corrispondono alla prima parola, ma appena
le lettere cambiano egli usa un alfabetario di colore diverso (es.: rosso). Cosi
il tema è sempre dello stesso colore, mentre cambia colore il suffisso; esempio:
buono
hnonuccio
buonino
buon jssmo
274
PARTE SECONDA
Poi il bambino sceglie un'nltra parola e ripete IV-^ercizio e cosi \ia: spesso
egli stesso trova delle parole
Una tavola diversa di suffissi ò la seguente, ove ogni gruppo di jìarole
ha un suffisso costante, mentre i temi variano. Qui il suffisso fa variare il signi-
ficato della parola; dal nome della cosa deriva ora quello del mestiere, ora del
negozio di vendita, ora di azioni, ora di idee collettive, ora di idee astratte.
Naturalmente il bambino non rileva tutte queste cose in principio, ma si
limita alle sue composizioni coi due alfabetari. In seguito poi, durante lo svol-
gimento della grammatica, potrà ritornare sulla lettura delle tabelle, che
stanno sempre esposte, e cominciare a rilevare il valore di queste differenze.
Serie
II.
macello
macellaio
bestia
bestiame
seUa
sellaio
osso
ossame
forno
fornaio
corda
cordame
cappello
vetro
calzolaio
libro
oste
cappellaio
vetreria
calzoleria
libreria
osteria
foglia
pollo
grato
beato
inquieto
fogliame
pollame
gratitudine
beatitudine
inquietudine
pane
cera
panetteria
cereria
grano
colombo
granaio
colombaio
dente
dentista
paglia
pagliaio
farmacia
farmacista
frutto
frutteto
elettricità
elettricista
canna
canneto
telefono
telefonista
oliva
oliveto
arie
artista
quercia
querceto
esercizio i
del bambino coi
due a:
Ifabet;
ari sarà, per es., il seguente
frutto
frutte/o
oliva
oliveto
canna
canneto
quercia
querceto
Tavola dei
prefissi.
Serie
III.
nodo - annodare, snodare, riannodare
scrivere - riscrivere, trascrivere, sotto-
scrivere, descrivere
coprire - scoprire, ricoprire
gancio - ;igganciare, sganciare, riaggan-
ciare
legare - collegare, rilegare, allegare, sle
garp
holione - .ibbottonare, sbottonare, riab-
bottonare
macchiare - smacchiare, rimacchiare
chiudere - socchiudere, schiudere, ri-
chiudere, rinchiudere
guardare - riguardare, traguardare, sog-
guardare
vedere - travedere, rivedere, intravedere
perdere - disperdere, sperdere, ri perdere
mettere - emettere, smettere, rimettere,
permettere, commettere, promettere,
sottomettere.
vincere - rivincere, avvincere, convin-
cere, stravincere.
GRAMMATICA
275
L'esercizio coi due alfabetari sarà, per es., il seguente:
coprire
scoprire
ftcoprire
Tavola delle parole composte.
cartapecora
cartapesta
madrevite
madreperla
melagrana
melarancia
biancospino
asciugamano
lavamano
palcoscenico
passatempo
Serie IV.
guardaboschi
guardaroba
guardaportone
capoluogo
capomastro
capofila
capopopolo
caposquadra
capogiro
capolavoro
giravolta
mezzaluna
mezzanotte
mezzogiorno
acchiappacani
cantastorie
ragnatela
portabandiera
portalettere
portamonete
portasigari
portalapis
lustrascarpe
falsariga
ficcanaso
cassapanca
arcobaleno
terrapieno
bassorilievo
granduca
pianoforte
spazzacamino
pettirosso
1 bambini vanno a leggere una parola alla \olta e cercano di riprodurhi
a memoria coi due alfabetari, distinguendo le due parole di rui ciascuna
è composta; esempio:
carta pecora
bianco spino
spazza camino
piano forte
lava mano
La seguente tavola raggruppa le- parole in famiglie; essa potrà ser-
vire ai bambini che sono già avanzati nel riconoscimento delle parti del
discorso.
Tutte le parole derivano da qualche altra parola più semplice, irriduci-
bile, che è quasi un capostipite da cui le altre parole, per opera di suffissi o
di prefissi, derivano. Questi capostipiti sono parole primitive, che un giorno
il bambino potrà, nella sua mente, cercare in un gruppo di derivati, giun-
.gendo così a riconoscere che la parola primitiva può essere un nome, un
aggettivo o un verbo, cioè quella parola che contiene l'idea più semplice; come
derivati possono essere: nomi, aggettivi, verbi o avverbi.
Nelle tabelle stanno esposte delle famiglie di parole, e alla maestra è
risparmiata la fatica di trovarle da sé; d'altronde i bambini sapranno un
giorno servirsene da soli. L'esercizio che essi fanno è sempre coi duo alfa-
betari diversamente colorati, dai quali si può cstrarre a vista d'occhio la
parola madre.
PARTI. SECONDA
Famìglie di parole.
terra - terrazzo, torrcinotu, terra])ii'no, atterrare, terreno, terriccio, terricciola, terri-
torio, conterraneo, terrestre, terreo, terroso, dissotterrare;
ferro - ferraio, ferriera, ferrata, ferrigno, ferrugginoso, ferrare, sferrare, inferriata;
soldo - assoldare, soldato, soldatesca, soldatescamente;
grandi - ingrandire, grandiosità, grandioso, grandiosamente, grandeggiare;
scrivere - scrittura, scritto, scritturare, scrittore, iscrizione, trascrivere, sottoscrivere,
riscrivere;
scuola - scolaro, scolaresca, scolastico, scolasticamente;
bene - beneficio, beneficare, benefattore, beneficato, beneficenza, beneficamente, bene-
dizione, benedire, benedicente, benedetto, ribenedire, benessere, benevolo, bene-
volmente, benevolenza, benigno, benignità, dabbene;
felice - felicità, felicemente, felicitare, felicitazione;
fiamma - fiammante, fiammeggiante, fiammeggiare, fiammella, fiammiferi, infiam-
mare;
bagno - bagnante, bagnino, bagnarola, bagnatura, bagnare, ribagnare;
freddo - freddoloso, infreddatura, freddamente, raffreddore, raffreddare, sfreddare;
polvere - spolverar(;, impolverare, polverino, polverizzare, polverone, polveroso,
polveriera, polverizzatore;
pesce- pescare, pescatore, ripescare, pescabile, ripescabile;
opera - operaio, operare, operazione, operoso, operosamente, cooperare, coopera-
zione, inoperoso;
canto - cantore, cantante, cantare, cantarellare, canticchiare, ricantare;
gioco - giocare, giocattolo, giocarellare, giocatore, giocoso, giocosamente;
dolore - aoloroso, dolorosamente,dolente, addolorare, dolersi, condolersi, condoglianza,
addolorato;
pietra - pietrificare, pietrificazione, pietroso, impietrire, pietraio;
sole - assolato, soleggiante, insolazione, soleggiare;
festa - festeggiare, festino, festeggiatore, festeggiato, festaiolo, festante, festevole,
festevolmente, festosamente;
allegro - allegria, allegramente, rallegrare, rallegramento;
seme - semina, semenza, seminare, semenzaio, seminatore, riseminare, seminazione,
disseminare, seminatrice.
L'esercizio con gli alfabetari colorati sarebbe, p, es., così;
assoXaìo seminazione
soleggiante seminatrice
insolazione disseminare
soleggiare riseminare
sole seminatore
^egramente semenzaio
rallegrare seminare
rallegramento semenza
allegria semina
allegro seme fi).
(i) Esso fa riconoscere tanto la radice quanto la parola madre, che é la più breve.
GRAMMATICA
FORME DELL'ARTICOLO E FLESSIONE DEI NOMI
CONCORDANZA TRA ARTICOLO E NOME.
Tutte le parole che abbiamo scelto per lo studio grammaticale, sono stam-
pate ciascuna sopra un piccolo cartoncino rettangolare, come si è detto.
I cartellini si tengono uniti a gruppi a mezzo di un anellino di elastico, e si
depongono in apposite scatole.
La prima scatola che si presenta ha due reparti: sopra uno di questi
s'infila un cartellino ove sta scritto « articolo »; sopra l'alto, un cartellino ove
sta scritto: « nome » (Tavola II).
I cartellini degli articoli giacciono nel loro posto, e così i nomi. Quando
i bambini avranno finito i loro esercizi, riporranno i cartellini dei nomi nella
loro casella e cosi gli articoli: se la parola « articolo », « nome » non fosse
sufficiente a provocare la distinzione, è il colore che la facilita: infatti i due
cartelH indicatori .portano lo stesso colore dei cartellini, cioè nero pei nomi,
e nocciola per gli articoli.
È un esercizio che ricorda quello degli alfabetari, dove in ogni casella
è ingommata una lettera dell'alfabeto.
II bambino comincia a parlare di casella dell'articolo, casella dei nomi,
cartellini dell'articolo, cartellini dei nomi ; e viene così a distinguere le due
parti del discorso.
Il materiale dfeve essere esattamente preparato, e in una quantità
stabilita.
Nel primo esercizio si danno nelle scatole dei cartellini mescolati, ma per-
fettamente corrispondenti per la combinazione tra articolo e nome; e il
lavoro del bambino sta nell'accordarli, ponendo innanzi al cartellino di ogni
nome, quello di un articolo: lungo e paziente lavoro di ricerca che riesce
singolarmente affascirkante pel bambino.
Le parole da noi preparate sono le seguenti; si ripeta però che i cartellini
276
PARTU SliCONDA
non sono deposti nelle scatole con quest'ordine, ma sono mescolati: gli arti-
coli tra loro e i nomi tra loro:
il fazzoletto
i colori
l'occhio
il libro
i fiori
l'amico
il vestito
i disegni
l'acqua
il tavolino
i compagni
l'albero
lo specchio
gli zoccoli
gl'invitati
lo zucchero
gli uomini
gl'incastri
lo zio
gli articoli
gl'italiani
lo stivale
gli stracci
gl'insetti
la stoffn
le sedie
la perla
le scarpe
la piramide
le addizioni
la finestra
lo piante
Il bambino cerca di combinare articolo e nome, e li pone l'uno accanto
all'altro sul piano del tavolino: l'esercizio è guidato dall'orecchio, come lo
era la composizione della parola nell'alfabetario mobile. Ma il porro degli
oggetti reali che corrispondono ai suoni fissati col linguaggio comune, e
vedere precisati dei rapporti tra parole, ai quali non si era pensato; averi'
un controllo esterno di questi rapporti e [lungamente esercitarsi su quelh
due specie di parole, distinte dal caos di parole immagazzinato nella mente,
è un esercizio evidentemente necessario; e il bambino ne prova quel sollievo
che corrisponde sempre a un bisogno interiore soddisfatto. Con la più intensa
attenzione egU persiste fino alla fine nell'esercizio e se ne mostra molto sod-
disfatto; la maestra, passando, guarda se tutti i cartellini sono messi a posto
esattamente; ma sarà il bambino che la chiamerà ad ammirare o a verifi-
care l'opera compiuta, prima di accingersi a raccogliere insieme tutti gli
articoli e poi tutti i nomi, e a riporli nel casellario.
Questo è il primo passo; ma egli poi procederà con sempre maggiore
entusiasmo a fare !'« ordine » tra le parole della sua mente, e quindi ad ar-
ricchire il suo patrimonio di vocaboli, collocando i nuovi acquisti nel posto
già determinato. Egli continua così a costruire l'ordine interiore che già,
nei precedenti esercizi dei sensi, aveva iniziato rispetto agli oggetti esterni.
SINGOLARE E PLURALE. *
Gli esercizi di flessione dei nomi nel numero e nel genere, si fanno senza
l'aiuto delle scatole. Già il bambino sa che quelle parole sono: articoli e nomi.
Perciò noi diamo ora dei gruppetti di quaranta cartellini (nomi e arti-
coli) raccolti per mezzo di anellini elastici.
In ciascuno, il gruppetto dei dieci nomi singolari, legato a parte, serve
di trama all'esercizio: questi nomi si dispongono sul tavolino uno sotto l'altro;
si tratterà di combinarci intorno tutti gli altri cartellini, che sono invece me-
GRAMMATICA
279
scolati. Due cartellini in più, di colore diverso, con le parole «singolare» «plu-
rale», si mettono in alto come titolo a capo delle colonne (Tavole III e IV).
Noi abbiamo preparato quattro serie di dieci nomi in ordine alfabetico:
così quattro bambini contemporaneamente possono fare l'identico esercizio:
e scambiandosi poi il materiale, portano la loro attenzione sopra un gruppo
notevole di parole.
Ecco le disposizioni che vengono a prendere i cartellini nei quattro esercizi:
Singolare
il bambino
il berretto
la bocca
il calamaio
la calza
il cartellino
la casa
il cappello
la ciabatta
il colore
Singolare
la maestra
la mano
la matita
il naso
il nastro
l'occhio
l'orologio
il panchetto
la patata
la penna
Plurale
i bambini
i berretti
le bocche
i calamai
le calze
i cartellini
le case
i cappelli
le ciabatte
i colori
Plurale
le maestre
le mani
le matite
i nasi
i nastri
gli occhi
gli orologi
i panchetti
le patate
le penne
Singolare
Plurale
il dente
i denti
l'elastico
gh elastici
il fagiolo
i fagioli
la fava
le fave
la gamba
le gambe
il gesso
i gessi
la giacca
le giacche
il grembiale
i grembiali
la gomma
le gomme
la lavagna
le lavagne
Singolare
Plurale
il piede
i piedi
il quaderno
i quaderni
la rapa
le rape
la scarpa
le scarpe
la tasca
le tasche
il tavoUno
i tavolini
la testa
le teste
l'unghia
le unghie
il vestito
i vestiti
il vino
i vini
MASCHILE E FEMMINILE.
Un an.dogo materiale è stato preparato per le forme maschili e fem-
nnnili, o\e è separato il gruppetto dei dieci nomi maschili.
Mischile
l'amico
l'asino
il babbo
il benefattore
il bottegaio
il conte
il cugino
il cuoco
il cacciatore
il cavallo
Femminile
l'amica
l'asina
la mamma
la benefattrice
la bottegaia
la contessa
la cugina
la cuoca
la cacciatrice
la cavalla
il canarino
il dottore
il duca
il dattilografo
l'elefante
il figlio
il fratello
il gallo
il gatto
l'imperatore
Femminile
la canarina
la dottoressa
la duchessa
la dattilografa
l'elefantessa
la figlia
la sorella
la gallina
la gatta
l'imperatrice
PARTIÌ SECONDA
l'ispettore
il leone
il lupo
il lettore
il maestro
il marchese
il mulo
il nonno
il nemico
il nipote
l'ispettrice
la leonessa
la lupa
la lettrice
la maestra
la marchesa
la mula
la nonna
la nemica
la nipote
Maschile
Torologiaio
l'oste
il poeta
il pellicciaio
il padre
il re
il ranocchio
lo sposo
il servo
il somaro
Fanminile
l'orologiaia
l'ostessa
la poetessa
la pellicciaia
la madre
la regina
la ranocchia
la sposa
la serva
la somara
Infine ci sono tre serie di nomi nelle quattro forme: singolare e plurale,
maschile e femminile. Ogni gruppo ha ottanta cartellini (nomi e articoli) dei
quali sono contraddistinti nel gruppetto direttivo i dieci cartellini portanti
i nomi maschili singolari.
I cartellini dei titoli sono sci: singolare e plurale ; ^^ per ciascun(j i due
cartellini: maschile e fenuninile.
Ecco il materiale disposto in ordine (Tavola III).
l'amico
il bambino
il burattinaio
il contadino
il cavallo
il compagno
il disegnatore
il dattilografo
l'ebreo
il fanciullo
l'amica
la bambina
la burattinaia
la contadina
la cavalla
la compagna
la disegnatrice
la dattilografa
l'ebrea
la fanciulla
gli amici
i bambini
i burattinai
i contadini
i cavalli
i -compagni
i disegnatori
i dattilografi
gli ebrei
i fanciulli
Femminile
le amiche
le bambine
le burattinaie
le contadine
le cavalle
le compagne
le disegnatrici
le dattilografe
le ebree
le fanciulle
Singolare
MaschtU lù
il gatto
li giardiniere
il giovinetto
l'infermiere
l'italiano
i! lavoratore
il medico
il materassaio
l'operaio
il pittore
la gatta
la giardiniera
la giovinetta
l'infermiera
l'italiana
la lavoratrice
la medichessa
la materassaia
l'operaia
la pittrice
1 gatti
i giardinieri
i giovinetti
gl'infermieri
gl'italiani
i lavoratori
i medici
i materassai
gh operai
i pittori
le gatte
le giardiniere
le giovinette
le infermiere
le italiane
le lavoratrici
le medichesse
le materassaie
le operaie
le pittrici
GRAMMATICA
Singolare
Plurale
Maschile
Femmintlr
Maschile
Femminile
il ragazzo
la ragazza
i ragazzi
le ragazze
il romano
la romana
i romani
le romane
lo scolaro
la scolara
gli scolari
le scolare
il sarto
la sarta
i sarti
le sarte
il santo
la santa
1 santi
le sante
il tagliatore
la tagliatrice
i tagliatori
le tagliatrici
l'uomo
la donna
gli uomini
le donne
il vecchio
la vecchia
i vecchi
le vecchie
il visitatore
la visitatrice
i visitatori
le visi latrici
lo zio
la zia
gh zii
le zie
Con le quattro torme del nome ; maschile e femminile, singolare e plu-
rale, si praticano nelle nostre scuole anche degli esercizi collettivi che rie-
scono assai piacevoli ai bambini. Un bambino, per es., distribuisce i car-
tellini plurali e poi legge forte un nome singolare : chi ha il plurale corri-
spondente, risponde immediatamente. Lo stesso per il maschile e femminDe,
e per le quattro forme insieme.
Quando gli esercizi con questo materiale sono divenuti familiari al bam-
bino, se ne possono presentare altri (i seguenti) che racchiudono maggiori
difficoltà. Essi comprendono: i nomi che cambiano interamente nei due generi,
maschile e femminile, e dei quali si sono dati finora solo i casi più noti e
familiari, come: babbo, mamma, ecc. (serie A); o i nomi la cui forma è
unica nei due generi al singolare (serie B); o quelli in cui la forma del genere
è unica così al singolare come al plurale (serie C); o i nomi dove c'è una sola
forma al singolare al plurale (serie D); o i nomi in cui le due forme del
genere hanno significato diverso (serie E); infine nemiche passando dal sin-
golare al plurSe cambiano genere (serie F). Ecco il materiale raccolto:
Serie .4.
SiNG
Mischile
OLARE
Femminile
Pli
Maschile
JRALE
Femminile
il babbo
la mamma
i babbi
le mamme
il becco
la capra
i becchi
le capre
il frate
la suora
i frati
le suore
il fratello
la sorella
i fratelli
le sorelle
il genero
la nuora
i generi
le nuore
il montone
la pecora
i montoni
le pecore
il maschio
la femmina
i maschi
le femmine
il marito
la moglie
i mariti
le mogli
il padre
la madre
i padri
le madri
il padrino
la madrina
i padrini
le madrine
il porco
la scrofa
i porci
le scrofe
il toro
la vacca
i tori
le vacche
l'uomo
la donna
gli uomini
le donne
il re
la regina
i re
le regine
PARTE SECONDA
Serie
B.
Singolare
Plurale
MasckUi
Femminee
Maschile
Femminile
l'artista
l'artista
gli artisti
le artiste
il collega
il dentista
la
la
collega
dentista
i colleghi
i dentisti
lo colleghe
le dentiste
il pianista
il telefonista
la pianista
la telefonist
a
i pianisti
i telefonisti
e pianiste
le telefoniste
il telegrafista
il violinista
la
la
telegrafista
violinista
i telegrafisti
i violinisti
le telegrafiste
e violiniste
Serie
C.
SlNGOLARK
Plurale
Maschtlf
Femminile
Maschile
Femminile
il consorte
la
consorte
i consorti
le consorti
il custode
la
custode
i custodi
le custodi
il cantante
la cantante
i cantanti
le cantanti
l'erede
l'erede
gli eredi
e eredi
il giovane
l'inglese
la
la
giovane
inglese
i giovani
gl'inglesi
le giovani
le inglesi
li nifwte
la
nipote
Serie
D.
i nipoti
le nipoti
Singolare
Plurale
il bazar
i bazar
il caffè
i caffè
il gas
1 gas
la gru
le gru
il lapis
la libertà
i lapis
le libertà
l'omnibus
gli omnibus
la virtù
le virtù
Serie E.
Maschile
Singola!
Fcmmtnilf
Macchile
Plurale
Femminile
il melo
la
mela
i meli
e mele
il pesco
l'olivo
la pesca
l'oliva
i peschi
gli uh vi
e pesche
e ulive
il pugno
il manico
la
la
pugna
manica
i pugni
i manichi
e pugne
e maniche
il suolo
la suola
i suoli
e suole
Serie
F.
Singolare
Plurale
il centinaio
le centin
aia
il dito
le dita
la eco
gli echi
il paio
il riso
le paia
le risa
l'uovo
le uova
GRAMMATICA 283
Tutti questi gruppi di parole nel loro ordine, sono riprodotti in speciali
libretti ohe i bambini possono portare a casa per rileggerli. All'atto pratico è
risultato comodo e necessario fare dei libretti che corrispondono ad ogni
esercizio grammaticale. Per es., per il singolare e plurale, c'è un libretto
corrispondente che ha in ogni pagina i nomi di un gruppo di cartellini. Lo
stesso per il maschile e femminile, ecc.
I bambini generalmente, si soffermano con grande piacere a rileggere le
parole nell'ordine da loro stessi trovato nell'esercizio coi cartellini: ciò richiama
e fissa le loro idee; porta una specie di maturazione interna, che spesso ha
come conseguenza la spontanea scoperta delle leggi grammaticali sulla fles-
sione o un interesse vivace che spinge il bambino a esclamazioni e a risa,
osser\-ando qual grande variazione di significato può portare un piccolo mu-
tamento della parola. Nel tempo stesso questi esercizi sì semplici e sì fecondi
di risultati, si prestano a un lavoro in casa e assai bene corrispondono alla
domanda d'occupazione con la quale i nostri bambini aggrediscono di continuo
i loro parenti. A tale scopo si sono preparati gli alfabetari a forma di stam-
pato, dove lettere e segni d'interpunzione sono disposti come nella mac-
china da scrivere. Il bambino a casa può comporre parole (nel seguito
del progresso anche frasi da lui inventate) ed esercita così l'occhio a sce-
gliere le lettere secondo l'ordine delle macchine da scrivere. Se la famiglia
acquisterà una macchina, allora il bambino potrà riprodurre con essa le
parole e le frasi già composte con l'alfabetario mobile e conservarne come
controllo il documento.
PARTE SECONDA
LE LEZIONI — I COMANDI
Le prime lezioni di grammatica che io feci ai bambini, risalgono a sedici
anni fa quando, nel 1899, feci il mio tentativo di educazione sui fanciulli defi-
cienti, nella Scuola Magistrale Ortofrenica che fu fondata in Roma, in seguito
a un mio corso dato ai maestri nelle scuole normali della nostra capitale.
In quel tentativo io venni a penetrare nell'insegnamento elementare, tanto
che alcuni dei bambini deficienti sostennero gli esami nelle scuole pubbliche.
Un brevissimo e incompleto riassunto delle mie lezioni di didattica
nei corsi fatti per preparare maestri, in quel lontano tempo, esiste ancora
in dispense che portano questo titolo: « Riassunto delle lezioni di didattica
della Dottoressa Montessori. Anno 1900 » (Allegato II).
L'insegnamento della grammatica, allora, non fu completo e profondo
come è potuto riuscire coi bambini normali, ma fu un insegnamento brillante:
la grammatica era « vissuta », e i bambini vi prendevano il più vivo interesse.
Anche allora, quei miseri fanciulli che provenivano, come rifiuti delle scuole
pubbHche, dalla strada o direttamente dal manicomio, passavano le più liete
mezz'ore, e si abbandonavano alle più schiette risa, nei loro esercizi di gram-
matica. Ecco riportato dalle vecchie dispense del 1900 un cenno sul mate-
riale didattico allora usato, e un cenno delle lezioni sul " nome » (Allegato II,
pag. 551 e seg.).
« Ad ogni parola letta e scritta... si vanno preparando i biglietti stampati,
« che andranno in seguito a formare insieme proposizioni e frasi a parole mo-
>■ bili, così come le singole lettere mobili andarono a formare le parole. In
" seguito le semplici proposizioni si riferiranno ad azioni compiute dai bam-
" bini stessi: si cominceranno a unire due o più parole: lana rossa, confetto
" dolce, cane quadrupede, ecc., e poi si arriverà alla proposizione: la minestra è
" calda. Maria mangia i confetti. I bambini compongono le proposizioni coi car-
" tellini. Per facilitare la scelta dei cartellini, questi si dispongono entro casel-
<- lari speciah. Per es.: un casellario porta scritto in alto: Nome, ed ogni casella
" porta scritto, p. es.: persone, cibi, vestiario, animali, ecc. Un altro casellario;
■' Aggettivi, e ogni casella: colori, forme, ecc. Un altro: Particelle, particelle
« per il nome, articolo; particelle che saranno per congiunzione, ecc. Una
GRAMMATICA 285
« cassettina per azioni, ove è scritto in alto Verbi, e sulle caselle: infinito,
« presente, passato, futuro ».
* I bambini finiscono coU'imparare per pratica a prendere e a rimettere
« a posto nei casellari i bigliettini. Per cui è facile, p. es., cercare in colori,
« forme; ovvero persone, animali, cibi. Essi sanno che quelli sono i casellari
« delle parole ».
« Un giorno verrà che la maestra cercherà di spiegare il significato di
« quella parola scritta in alto: Nome, Aggettivo, Verbo ; e allora entrerà a
« spiegare la grammatica ».
« Lezione sul nome. Col nome chiamo le persone e gli oggetti. Le per-
« sone rispondono se le chiamo; gli animali pure, gli oggetti no, perchè non
« possono, ma se potessero risponderebbero. Per es., se dico: « Igina! » Igina
« risponde. Se dico: « ceci! » i caci non rispondono perchè non possono, ma
« se no risponderebbero. Ma voi capite quando chiamo un oggetto e me lo
« potete portare voi; io dico: « fagiuoli! quaderno! ». Se non vi dico il nome
« dell'oggetto, voi non capite di che voglio parlare, perchè ogni oggetto ha
« un nome diverso; il nome è la parola che rappresenta l'oggetto. Se io dico
« un nome voi capite subito che oggetto rappresenta la parola che io pro-
« nuncio; p. es.: albero, banco, pecore, penna. Se io non dico il nome voi non
« capite di che cosa voglio parlare; p. es., se dico: «portatemi qui... » «presto,
« portatemelo qui, lo voglio! ». Ma cosa?... se non dico il nome non capite.
« L'oggetto s'indica con una parola che è il suo nome. Per capire se la pa-
« rola è un nome bisogna chiedersi: « è qualche cosa? risponderebbe se po-
« tesse? lo potrei portare alla maestra? ».
« Esempio: pane, sì è un oggetto; tavola, sì; custode risponderebbe ».
« Cerchiamo un po' tra i cartellini: li prendo da più casellari e li mischio;
« leggiamo: dolce ! portami dolce; c'è un oggetto che risponde? mi porti un
« confetto? ma io non ho detto confetto, ho detto dolce; mi vuoi dare lo zuc-
« chero? io non ho detto zucchero, ho detto dolce; volevo l'acqua dolce della
« bottiglina dei sapori ».
« Dunque dolce non è un oggetto, voi non potete indovinare l'oggetto che
« voglio io; invece se dico: confetti, zucchero, acqua, bottiglia, allora sì che
« capite cosa voglio, quale oggetto voglio, perchè quelle parole significano
« degli oggetti, chiamano degli oggetti, quelle parole sono nomi ».
Tuttavia questo riassunto non dà l'idea della riuscita di quelle lezioni.
Quando io dicevo con tono imperioso, ma come se mi mancasse la parola:
«portatemi... portatemi... portatemi...» essi mi si raggruppavano intorno
guardando fissamente la mia bocca, come cagnolini a cui si faccia l'atto di
lanciar lontano qualche cosa. Erano pronti a slanciarsi per prender l'og-
getto, come il cagnolino si sarebbe slanciato dietro l'oggetto gettato lontano.
Ma la parola non veniva: « portatemi... ». Finalmente con impazienza gri-
2Sb PARTK SIìCONDA
davo: « ma portatemelo, insomma, lo voglio! » allora i visi si aprivano e i
fanciulli gridavano ridendo: «ma che cosa? ma cosa vuole? che dobbiamo
prendere! ».
Questa era la vera lezione sul nome. E quando dopo molta fatica usciva
la parola: «dolce», ecco i bambini a portarmi tutti i possibili oggetti dolci:
e io rifiutavo brevemente: « non ho chiesto un confetto, non ho chiesto lo
zucchero ». I bambini guardavano l'oggetto che avevano in mano, tra ridendo
e pensando: « non era un nome! ».
Questo primo inizio di lezioni, che sembiavano dei comandi a cui mancava
la parola, e che conducevano a capire qualche parte del discorso, provocando
scene vive e interessanti, è stato la spinta allo svolgimento che oggi abbiamo
dato alle lezioni sulla grammatica; lezioni, che è venuto nel nostro uso di
chiamare: « comandi ».
Però, coi bambini normali, questi » comandi » si sono moltiplicati ed
evoluti: ed essi non sono più afìfidati alla maestra e, quasi, alla sua arte dram-
matica, che doveva rianimare le deboli forze nervose dei deficienti e tenere
avvinta la loro attenzione. 1 comandi oggi sono scritti, e si leggono. Essi
si sono fusi con l'esercizio della lettura muta sui cartellini e interpretata
con l'azione, esercizio nato spontaneamente e con tanto affascinante suc-
cesso nelle « Case dei Bambini ». Perciò si parla oggi nei corsi elementari
di « leggere i comandi », o anche di « scrivere i comandi ».
Lo studio 'della grammatica, si è oramai determinato in una serie me-
todica d'esercizi, di cui il materiale è stato preparato sull'esperimento. Chi
leggerà questo metodo, si farà subito un'idea chiara del compito della maestra.
Essa ha un materiale tutto pronto, non deve pensare a comporre una sola frase,
non a consultare un programma. Gli oggetti che sono a sua disposizione
contengono tutto il necessario, e basta che ella ne conosca l'esistenza e l'uso.
Le lezioni che deve fare sono sì semplici e così scarse di parole, che diventano
pili lezioni di gesti e d'azione, che di parole.
Si pensi poi che a quanto qui è aridamente notato, corrisponde, nella at-
tuazione pratica della scuola, [un Vero laboratorio intellettuale: i bambini
agiscono di continuo e agiscono da sé. Una volta presentato il materiale,
essi lo riconoscono, amano di cercarlo e di saper trovare da soli precisamente
l'oggetto che vogliono scegliere; anche si scambiano materiale e perfino le-
zioni tra bambino e bambino. La maestra, con le sue poche lezioni, mette
come in comunicazione dei fili elettrici: ecco le conseguenze sproporzionate
di quell'atto si semplice! ecco il suono di un campanello, la luce d'una lam-
padina, il moto di una macchina. Le accadrà talvolta di stare una settimana
intera senza bisogno di alcun intervento.
E pure, quale delicatezza, che tatto è necessario per offrire quel materiale
per fare con garbo quella lezione che è un tocco delicato verso interne atti-
vità; per lasciar liberamente svolgersi tutte le manifestazioni spontanee!
GRAMMATICA 287
per tener d'occhio a tanti diversi fenomeni, per « dare continuamente olio
alle lampade! ».
Quando, p. es., la maestra, passando accanto al tavolino ove un bambino
ha analizzato coi cartellini colorati una frase, sposta come per fare uno scherzo
uno dei cartellini, essa deve avere non solo il tatto psicologico d'intervenire
a proposito presso il bambino, ma anche deve aver presente la regola
grammaticale della quale dà alla mente infantile la prima intuizione. Perciò
ogni suo minimo atto è importante come quello d'un pontefice verso le anime,
e scaturisce dalla sua coscienza sempre vigile, sempre carica di forza po-
tenziale. È lei che, invece di attuare completamente ciò che contiene in
sé, agisce perchè si attuino le potenzialità dei bambini.
La preparazione esteriore della maestra si riferisce poi alla conoscen/'a'
del « materiale ». Esso deve esserle talmente presente, da farle subito ricor-
dare per ogni caso, ciò di cui può disporre. La pratica, del resto, la metterà
subito in ordine.
Gli esercizi principali della grammatica sono: le « concordanze » fatte
con l'aiuto di fascetti di cartellini appositamente preparati, come già si è
visto per le concordanze fra articolo e nome, e come si vedrà in seguito tra
articolo, nome e aggettivo, tra pronome e verbo, e pronome e nome: e le due
forme di esercizio che abbiamo chiamato; k le analisi » e « i comandi ».
I comandi sono insieme lezioni della maestra ed esercizi dei bambini: essi
consistono nel chiarire il significato delle parole, e spesso in una « pratica »
interpretazione di esse ; alla spiegazione segue subito un esercizio dei bam-
bini che interpretano a loro volta praticamente il senso d'una o più frasi
scritte in un biglietto ch'essi leggono, come si faceva nei primi esercizi di
lettura nelle « Case dei bambini »: nel biglietto sono contenute le parole spie-
gate allora dalla maestra. Queste lezioni si sono fatte nel nostro esperimento,
subito dopo il «silenzio», come abitualmente si faceva per la lettura nelle
' Case dei Bambini ». Infatti i bambini, dopo aver letto i comandi, esegui-
scono le azioni in esse descritte. A queste lezioni però non prendono parte
tutti i bambini, ma per lo piii un gruppo; talvolta un solo bambino; altre
volte quasi tutti. Se è possibile, i comandi si fanno in una stanza vicina:
mentre nella gran sala di lavoro altri bambini possono occuparsi altrimenti.
Se no, tutto avviene nella stanza medesima. I comandi sono lezioni che si
potrebbero dire una " introduzione all'arte drammatica »; si organizzano li
per lì piccole azioni, piene di vivacità e d'interesse. L'interpretazione esatta
della parola, che porta quella precisa attitudine e non altro, appassiona tal
volta singolarmente i bambini.
Invece l'analisi è di tutt'altro genere. Essa consiste in un lavoro al ta-
volino, lavoro d'isolamento e di concentrazione. Mentre il comando dà l'in-
tuizione, l'analisi produce la maturazione. In questi esercizi si usano i casel-
lari grammaticali: in uno spazio pili grande che ciascuno di essi contiene, sono
288 PARTE SECONDA
deposti dei cartelli con ciascuno una frase stampata, es.: _^etta il tuo fazzoletto:
il bambino tira fuori un cartello e lo pone da un lato sul tavolino: poi,
prendendo dalle caselle i cartellini colorati corrispondenti alle parole della
frase li pone uno vicino l'altro, ricomponendo con essi la frase intera, es.:
t getta il tuo fazzoletto". Il bambino fa un lavoro in se stesso semplicissimo;
infatti egli traduce coi cartellini colorati le frasi stampate sui biglietti,
compone le frasi, press'a poco come faceva con l'alfabetario mobile compo-
nendo parole; ma qui l'esercizio è ancor più semplice, perchè il bambino non
deve ricordare la frase: la frase è lì scritta innanzi ai suoi occhi. Tutta l'at-
tività del bambino deve concentrarsi su altri fatti: perciò è eliminato ogni
sforzo intellettuale dalla composizione in se stessa. Intanto il bambino deve
fare attenzione ai colori, e ai posti dei cartellini nel casellario, poiché egli deve
raccogliere i cartellini ora dalla casella dei nomi, ora da quella degh avverbi,
ora da quella delle preposizioni, ecc., e il colore, come la posizione (su ogni
casella si scrive il titolo, come si è già veduto) gli fanno pili volte ribadire la
conoscenza di una « classificazione » delle parole secondo il senso gram-
maticale.
Ma ciò che rende interessanti tali esercizi di analisi, sono gli spostamenti.
È la maestra che, passando, sposta i cartellini: e con ciò essa provoca l'in-
tuizione delle regole grammaticali e delle definizioni. Infatti allorché essa /ez^a
il cartellino che si riferisce alla parte nuova dell'esercizio, la frase rimanente,
col suo cambiamento di significato, fa risaltare la funzione della parte man-
cante. È una lontana riproduzione delle luci che la patologia e la vivisezione
portano alla fi.siologia: un organo mancante alla sua funzione, illustra preci-
samente la funzione; perchè mai si rileva tanto l'utilità precisa d'una cosa,
come quando essa, che era prima funzionante, si è perduta. Inoltre gli « spo-
stamenti » di cartellini dimostrano che il senso del discorso non è dato dalle
parole, ma daìVordinc delle parole: ciò produce molta impressione. Ecco
gli stessi cartellini nel caos e nell'ordine loro: prima un accozzo di parole in-
sensate, poi l'espressione d'un pensiero.
Allora nasce un vivo interesse per l'ordine delle parole; non é più l'asso-
luta confusione che nasconde completamente il senso, la sola cosa che il
bambino cerca; ma egli comincia a gustare gli spostamenti fini che, senza
distruggere l'espressione di un pensiero, ne attenua però la chiarezza, lo fa
suonar male », lo complica Ecco dove la maestra deve tener presente le
regole sulla collocazione delle varie parti del discorso; questo è che renderà
" abile la sua mossa » e le darà magari occasione di fare una piccola spiega-
zione brillante, quasi un'osservazione di sfuggita: e questo potrà dare al bam-
bino una profonda o cognizione grammaticale i-. Il bambino, quando abbia
compreso, diventerà uno stratega assorto nel comporre i movimenti dei cartel-
lini che esprimono il pensiero; egli, se giunge ad afferrare questo segreto, non
si sazierà sì presto d'un esercizio tanto affascinante. E nessuno come lui avrà
GRAMMATICA 28cj
mai avuto la pazienza di studiare così lungamente e profondamente la
grammatica.
Questo fine lavoro non è del tutto facile per la maestra e perciò il
materiale le suggerisce ogni particolare: essa deve essere alleviata il più
possibile dal lavoro di preparazione e di ricerca; troppo grande è il suo
compito di delicato intervento. Noi nel preparare il materiale abbiamo lavo-
rato per lei, siamo stati gli operai che hanno confezionato tutti gli oggetti
necessari alla vita: a lei non resta che « vivere e far vivere ».
Ciò faccia comprendere ancor più come sia fuori della realtà quel concetto
pedagogico « modernista » il quale interpreta la libertà nella scuola limitan-
dosi a dire alla maestra: « cercate di corrispondere ai vostri allievi, senza
preoccuparvi di nessun legame >\ Quando chiediamo a una maestra di « cor-
rispondere » ai bisogni della vita interiore dell'uomo, le chiediamo una cosa
assai grande- « essa non potrà mai compierla, se prima non abbiamo pensato
a servirla, a porgerle tutto il necessario ».
Ecco ora il materiale.
COMANDI SUI NOMI.
Le chiamate.
(Si offrono dei biglietti sui quali sono stampati i comandi e i bambini
leggono e riproducono).
— Chiama forte :
Maria! Nina! Gigina!...
e dopo un po' chiama ancora:
bionda! beila! buona!
— Chiama così :
Pietro! porta una sedia.
Mario! prendi un cubo.
Luigi ! tira fuori un telaio.
Nino! Nino! porta subito il..., — portamelo subito! presto!
— Chiama prima lungamente cosi :
. . . vieni ! vieni a darmi un bacio — ti ^ o, vieni !
Infine di' :
Maria! vieni a darmi un bacio.
Questi comandi si prestano ad una piccola azione drammatica: è vera-
mente una commedia che i bambini recitano. Ora, la tendenza alla recita-
zione, all'azione mimica è spiccatissima e s'inizia già all'età di cinque anni.
^QO PARTE SECONDA
1 piccoli bambini proxano un singolare fascino a pronunciare delle parole
con tono sentimentale e ad accompagnarle con dei gesti. La semplicità
delle commedie per bambini di cinque anni, non si potrebbe immaginare:
solo l'esperienza ha potuto indicarcela. Infatti un giorno i nostri piccoli
bambini furono invitati ad assistere a una piccola produzione drammatica
dei bambini piii grandi della scuola pubblica. Essi avevano seguito la rappre-
sentazione con un interesse veramente sorprendente. Però ricordarono
solo tre parole, e con queste tre parole essi misero su la loro azione drammatica,
che non si stancavano mai di ripetere il giorno dopo.
I comandi «delle chiamate», sono perciò delle vere commedio pei nostri
bambini.
II bambino chiama pronunciando il nome con accento strisciato: e il bam-
bino chiamato si avvicina; poi fa lo stesso con gli altri nomi: ogni chiamato si
avvicina. Allora cominciano le chiamate vane: biondo! biondo! bello! Nessuno
si muovo. Grande impressione.
Le chiamate imperiose, come quelle preganti, si prestano poi suprema-
mente all'azione drammatica. Pietro, chiamato, ha portato la sedia. Mario
ha preso il cubo; Luigi ha tirato fuori un telaio: ma Nino sta lì, intento, so-
speso mentre il fanciullo s'inquieta: ma portamelo qui! qui subito!
E quanto è espressiva la vana preghiera: vieni! ti prego, vieni a darmi
un bacio: vieni! vieni! ; finché il grido: Maria! vieni: porta come conseguenza
che Maria accorre e il bacio sì lungamente invocato arriva.
Queste commedie hanno bisogno di un vero studio: i bambini ripetono
r loro parti quasi all'infinito.
GRAMM VTICA 2yl
AGGETTIVI
ANALISI.
Materiale : La scatola grammaticale :
oggetti vari già noti:
oggetti nuovi.
Il materiale per l'analisi delle parole consiste in bigliettini: articoli (color
nocciola), nomi (color nero) e aggettivi (color marrone), che si collocano
in una scatola a tre caselle, su ciascuna delle quali sta un cartellino por-
tante la parola corrispondente: articolo, nome, aggettivo. Dalla parte opposta
delle tre caselle, c'è uno spazio nella scatola, dentro il quale si pongono dei
cartelli, i quali portano scritte delle frasi da analizzare (Tavola V).
AGGETTIVI QUALIFICATIVI.
Il bambino, dunque, deve leggere le frasi, prendere gli oggetti che vi sono
indicati, e poi comporre le frasi stesse coi cartellini nel modo seguente.
Sia questa l'indicazione del cartello:
il colore verde
il colore turchino
il colore rosso.
Il bambino prende le tre tavolette dei colori dal sistema, già noto, delle « Case
dei Bambini » per l'educazione del senso cromatico, e le pone sul tavolo.
Poi compone la frase coi cartellini:
m
colore I verde
e pone vicino il colore verde, quindi, lasciando stare i due primi cartellini,
cambia solo quello relativo all'aggettivo: turchino, egli allora cambia l'oggetto
cioè toglie il verde e mette il turchino. Infine cambia ancora l'aggettivo.
zqz
PARTE SIXONDA
e pone \-icino alla mun a frase il terzo colore. I tre oggetti diversi furono di-
stinti dairaRgotti\-o :
I verde
a colore
turchino
rosso.
Tutte le frasi si riferiscono agli oggetti del materiale di sviluppo: per
alcune (acqua calda, fredda, tepida, ghiacciata; acqua incolora, acqua colo-
rata) occorre preparare il materiale. Nella scatola si pongono sei fogli che
portano stampate le frasi; e nei casellari si ripongono i relativi cartellini,
che sono in numero precisamente corrispondente alle necessità dell'esercizio
e non alle frasi (gli articoli e i nomi non sono ripetuti).
Ci sono cinque serie di esercizi, relativi a vari gruppi di sensazioni:
Senso cromatico.
il prisma marrone
il prisma azzurro
il colore verde
il colore turchino
il colore rosso
i lapis neri
i lapis colorati
l'acqua colorata
l'acqua incolora
il colore giallo
il colore arancione
il colore scuro
il colore chiaro
Senso visivo: forma.
il triangolo equilatero
il triangolo isoscele
il triangolo scaleno
il triangolo acutangolo
il triangolo ottusangolo
il triangolo rettangolo
l'incastro circolare
l'incastro quadrato
l'incastro rettangolare
la piramide quadrangolare
la piramide triangolare
il prisma azzurro rettangolare
il prisma azzurro triangolare
la scatola cilindrica
la scatola prismatica
B. Senso visivo: dimensioni.
l'asta lunga
l'asta corta
il cubo grande
il cubo piccolo
il cilindro alto
il cilindro basso
il prisma marrone grosso
il prisma marrone fino
il rettangolo largo
il rettangolo stretto
l'incastro solido
l'incastro piano
D. Senso tattile-muscolare.
la supeifice piana
la superfìce curva
la stoffa ruvida
la stoffa liscia
l'acqua calda
l'acqua fredda
l'acqua tiepida
l'acqua fredda
l'acqua ghiacciata
la tavoletta pesante
la tavoletta leggera
la stoffa morbida
la stoffa dura
GRAMMATICA 293
E. Senso uditivo, olfattivo e gustativo:
il rumore forte l'odore buono
il rumore leggero l'odore cattivo
il suono acuto il sapore amaro
il suono basso il sapore dolce
l'acqua odorosa il sapore acido
l'acqua inodora il sapore salato
La maestra che sorveglia, osserva se il bambino ha preso gli oggetti
indicati, e, se è il caso, procede agli
SPOSTAMENTI.
Ricordi a tal uopo le regole grammaticali sulla collocazione dell'agget-
tivo, alcune delle quali (le prime) le saranno certamente utili per applicarle
ai primi spostamenti:
l'aggettivo si colloca generalmente dopo il nome: messo prima del nome
si nota di meno, messo dopo il nome si rileva di piii e quindi assume un diverso
valore ;
quando l'aggettivo serve a segnare il superlativo della qualità, non solo
si mette dopo il nome, ma lo si fa anche precedere dall'articolo (Umberto
il buono).
Esempio: il bambino ha composto coi cartellini la seguente frase:
il triangolo rettangolo
la maestra può spostare:
il rettangolo triangolo
e analogamente:
il prisma rettangolare azzurro
il rettangolare azzurro prisma
i lapis neri
i neri lapis
il colore rosso
il rosso colore
Il senso, l'abitudine fanno rilevare al bambino la posizione normale
dell'aggettivo.
^94
parti: seconda
In alluno frasi, come:
il sapore dolce
il rumore leggero
l'aggettivo messo prima del nome rende vago e generico il senso che è cosi
bene precisato dall'aggettivo messo al posto normale:
il dolce sapore
il leggero rumore.
La maestra, dopo aver fatto gli spostamenti, se questi hanno interessato
il bambino, può dire, p. es.: l'aggettivo si mette dopo.
Essa avrà fatto una lezione di grammatica superiore.
FLESSIONE.
Un altro esercizio a tavolino si riferisce alle fiessioni; e questo porta insieme
la conoscenza di una notevole quantità di aggettivi. Due serie di venti
aggettivi maschili e di venti femmiiiiU (nei due numeri) e altre due serie di
venti aggettivi singolari e di venti plurali (nei due generi) costituiscono quat-
tro gruppi di cartellini di cui la metà (legata a parte) serve a dirigere la
collocazione dell'altra metà. Ecco le parole raggruppate insieme:
Singolare
Singoiar*
acuto
acuti
malata
malate
aUegro
aUegri
odorosa
odorose
attenta
attente
arioso
ariose
basso
bassi
prezioso
preziosi
buona
buone
piena
piene
caldo
caldi
pesante
pesanti
cattiva
cattive
pulito
puliti
dolce
dolci
rozza
rozze
duro
duri
rosso
rossi
educata
educate
robusta
robuste
felice
felici
sincero
sinceri
fredda
fredde
studioso
studiosi
grande
grandi
stretto
stretti
grazioso
graziosi
stupida
stupide
gioiosa
gioiose
vecchia
vecchie
gentile
gentili
morbido
morbidi
italiano
italiani
leggera
leggere
lieto
lieti
lunga
lunghe
largo
larghi
grosso
grossi
lento
lenti
colorita
colorite
GRAMMATICA
MasehiU
Ffmmvnìr
Maschile
FtmmtniU-
aJti
alte
ottimo
ottima
bello
bella
ordinato
ordinata
bravi
brave
pigri
pigre
biondo
bionda
pallido
pallida
chiaro
chiara
piccolo
piccola
corto
corta
ruvidi
ruvide
coraggiosi
coraggiose
serio
seria
disordinato
disordinata
suo
sua
dolce
dolce
sgarbato
sgarbata
debole
debole
tuo
tua
esatto
esatta
timido
timida
freddo
fredda
ultimo
ultima
graziosi
graziose
vostro
vostra
grande
grande
zoppi
zoppe
garbati
garbate
zitto
zitta
gentili
gentili
carino
carina
italiani
italiane
liscio
liscia
inglese
inglese
obbediente
obbedient(
lento
lenta
contenti
contente
svelto
svelta
allegro
allegra
Come con le quattro forme dei nomi, cosi con le forme degli aggettivi
si fanno piacevoli esercizi collettivi analoghi. Distribuiti, per es., agli altri
bambini gli aggettivi nelle forme plurali, un bambino legge successivamente
ad alta voce gli aggettivi al singolare attendendo per ciascuno la risposta
de! bambino che ha l'aggettivo corrispondente.
CONCORDANZA LOGICA E GRAMMATICALE
TRA NOME E AGGETTIVO.
Un altro esercizio a tavolino consiste nel disporre due gruppi di cin-
quanta cartellini, venticinque dei quali (gruppo dirigente) sono nomi, e gli
altri venticinque aggettivi. Messi in fila i nomi, il bambino tra gli agget-
tivi mescolati insieme, cerca quelli che gli sembrano adatti al nome e ve
li pone vicino; talvolta la vicinanza di un nome e di un aggettivo in con-
trasto tra loro, desta la più viva ilarità; i bambini provano ad adattare
più aggettivi possibili allo stesso nome, e fanno combinazioni che sono
molto divertenti.
PARTE SECONDA
Ecco duo gruppi, ohe sono preparati nH materiale-
contadina
allegra
iavagnotta
rettangolare
casa
bella
foglio
bianco
zia
brava
panchetto
basso
mamma
cara
prisma
grasso
professore
alto
vaso
largo
maestra
magra
foglia
verde
lavandaia
pulita
circolo
perfetto
marinaio
robusto
pizzicagnolo
grosso
carrettiere
abbronzato
testa
unta
bambino
buono
gomma
densa
fanciullo
stizzito
acqua
limpida
figlio
obbediente
saponetta
odorosa
pietra
nera
medico
bravo
latte
bianco
giardiniere
bizzarro
formaggio
tenero
cane
arrabbiato
carne
fresca
manicotto
morbido
vino
rosso
gatto
arruffato
disegno
grazioso
colombo
viaggiatore
perla
lucente
uomo
brontolone
vetro
trasparente
ragno
pericoloso
ragazzina
impertinente
serpente
velenoso
asino
paziente
medicina
amara
gallina
grassa
nonna
indulgente
topo
agile
babbo
severo
vespa
maligna
cassetto
ordinato
L'esercizio si eseguisce anche collettivamente da tutti 1 bambini : si
mettono sopra una tavola i nomi e su un'altra gli aggettivi; e i bambini
movendosi come nella lezione del silenzio, vanno a scegliere prima un nome
e poi un aggettivo. Quando tutti hanno scelto, ci^iscuno legge torte il suo
nome e aggettivo, tra l'interesse generale.
ANCORA SUGLI AGGETTIVI QUALIFICATIVI.
Comandi (lezioni individuali).
Lo studio dell'aggettivo può essere per la maestra occasione di fare
delle lezioni per dare la conoscenza di alcune qualità fisiche dei corpi, ancora
sconosciute ai bambini. Cosi, p.jes., essa potrà presentare un vetro trasparente,
un vetro nero o un qualsiasi schermo opaco, e un pezzo di carta bianca
che abbia delle macchie di olio, e far rilevare che a traverso il vetro si ve-
GRAMMATICA 297
dono distintamente gli oggetti, a traverso la macchia di olio si vede solo
la luce; e nulla a traverso lo schermo opaco.
Ovvero potrà prendere un imbutino di vetro e disporvi dentro un filtro
di carta bibula, quindi una spugna e un pezzo di stoffa impermeabile. Farà
vedere come l'acqua passi a traverso il filtro, come la spugna la imbeva,
come la stoffa impermeabile la trattenga.
Ovvero, prendendo due provette di vetro ed empiendole d'acqua a varie
altezze, farà osservare come in un caso la superficie dell'acqua sia concava
e in un altro caso convessa.
I comandi sono stampati su striscie di carta che, ripiegate, si uniscono
ciascuna con un anellino di elastico a una serie di bigliettini marrone rela-
tivi agli aggettivi contenuti nei comandi.
Ecco, ad esempio, il materiale preparato:
Riempi due provette con acqua: una ricolma e l'altra invece non colma. Osserva
la forma che prende la superficie dell'acqua e applica questi aggettivi: con-
cava, convessa.
Prendi vari oggetti (come: carta da filtro, stoffa, spugna) per provare se lasciano
passar l'acqua e poi applica questi aggettivi: permeabile, impermeabile, poroso.
Prendi un vetro hmpido, un foglio di carta nera, e un foglio di carta oleata e guarda
a traverso la luce; poi applica i seguenti aggettivi: trasparente, opaca, translucida.
Anche per le comparazioni di peso, si possono fare alcune lezioni dimo-
strative, ponendo in un bicchiere d'acqua dell'olio ovvero dell'alcool colo-
rato con anilina; o ponendo sull'acqua un pezzetto di sughero e lasciandovi
cadere una pallina di piombo.
Comando: Fai le comparazioni di peso tra l'acqua e l'alcool colorato; tra l'acqua
e l'olio; l'acqua e il sughero ; l'acqua e il piombo ; e poi scrivi quali sono più
pesanti o we^o pesanti delle altre.
II bambino, come risposta, deve dare un piccolo lavoro scritto, come:
L'acqua è più pesante dell'olio, ecc.
1 bambini eseguiscono le piccole esperienze indicate, imparano a maneg-
giare provette, imbuti, filtri; a versare delicatamente le ultime gocce d'acqua
per la preparazione della superficie concava e convessa; a versare leggermente
l'alcool colorato e l'olio sull'acqua, ecc. Così essi fanno un primo passo pratico
nella scienza.
Nella continuazione dello studio degli aggettivi qualificativi, una serie
di comandi si riferisce ai comparativi e superlativi; già un esempio è penetrato
nelle lezioni sperimentali sul peso. Ecco altri comandi, ove il biglietto è
collegato ai cartellini marroni relativi:
Prendi la scala delle grossezze o altri oggetti e ndatta\i questi aggettivi: grosso, fino,
grossissimo, finissimo.
.-•y-s parti: sixonda
Pit-ndi lo otto tavolette .lei colore che più ti piace, e, fatta la sfumatura, .ipplica
questi aggettivi di qualità; chiaro, chiarissimo, scuro, scurissimo.
Prendi la serie dei circoli degli incastri piani e scegli i circoli a cui si adattano questi
aggettivi: grande, piccolo, intermedio.
! Vendi le stoffe o altri oggetti e adattavi questi aggettivi //soo. liscissimo, ruvido,
ruvidissimo, morbido, morbidissimo.
Prendi la serie dei cubi rosa o altri oggetti e adattavi questi aggettivi: grande, gran-
dissimo, piccolo, piccolissimo.
Fai una gradazione di oggetti secondo il loro pesn e pnj applica gli aggettivi: pesavh\
pesantissimo, grave, leggero, leggerissimo.
AGGETTIVI QUANTITATIVI.
Comandi {Leziotii individuali).
Come sopra, il biglietto è legato da un elastico insieme a una serie di
cartellini marrone: ciò forma un gruppo. Nel materiale sono preparati i tre
seguenti gruppi: ■
a) Prendi le marchette e fanne dei mucchi che corrispondano per la quantità a
questi aggettivi: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, venti,
h) Prendi un po' di fagioli e fanne dei mucchi in modo da adattarvi questi aggettivi:
pochi, niente, molti, alcuni,
e) Stabilisci prima una piccola quantità di perle e poi forma altri mucchi per adattarvi
questi aggettivi: doppia, tripla, quadrupla, quintupla, sestupla, decupla, mezza,
eguale.
AGGETTIVI ORDINATIVI.
Comandi individuali.
— Fai la scala delle grossezze e poni sui gradini questi aggettivi ordinativi :
primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo.
— Distingui i cassettini della credenza con gli aggettivi ordinativi, cominciando
dall'alto: primo, secondo, terzo, quarto, quinto.
— Distingui i cassettini della credenza con gli aggettivi ordinativi cominciando dal
basso: primo, secondo, terzo, quarto, quinto.
AGGETTIVI DIMOSTRATIVI.
Lezioni collettive.
La maestra raccoglie, avendone apportunità, un gruppo di bambini,
e dà loro qualche semplice spiegazione sul significato delle parole: questo
(vicino a noi), codesto (vicino a voi), quello (lontano).
GRAMMATICA 299
Quindi distribuisce i comandi, che richiedono un'azione collettiva:
Raggruppatevi in cotesto angolo della sala, poi venite tutti insieme in questo an-
golo, quindi correte tutti verso (/«e/Z'angolo.
Chiama uno dei compagni e '^dicagli di posare una scatola su questo tavolino,
un vasetto su cotesto tavolino, e un piattino su quel tavolino.
Dì a un tuo compagno, indicandogli i luoghi col dito: metti una perla verde "in
questo vaso, una perla azzurra in codesto vaso, e una perla bianca in quel vaso.
Disponi i bambini in tre diversi punti della sala a gruppi e poi comanda: quel
gruppo prenda il posto di questo; invece cotesto gruppo si sciolga, e i bambini
tornino a posto.
AGGETTIVI POSSESSIVI.
Comandi collettivi.
Analogamente la maestra spiega il significato delle parole: mio, tuo,
no, ecc., anche con un semplice cenno della mano. Ecco i comandi:
- Indica gli oggetti dicendo: questa lavagnetta è w»«; cotesta è tua; quella è sua.
- Indica i posti dicendo: quello è il suo posto; codesto è il posto tuo e questo
il mio.
- Distribuisci i cestini dicendo: questo è mio: quest'altro di chi è? è tuo.? e questo?
ah . . . questo è suo.
- Prima faremo un giretto tutti insieme; poi noi andremo ai nostri posti, voi an-
drete ai vostri posti ed essi andranno ai posti loro.
- Dividiamo le cose; mettiamo qui la roba nostra e là la roba loro.
- Noi verremo ora ai vostri posti e voi andrete ai loro posti; essi intanto si alze-
ranno e poi verranno ad occupare i nostri posti.
PAKTr: SKCONDA
VERBI
Quando facevo le mie prime lezioni di grammatica ai bambini deficienti,
mi ero fermata principalmente ai nomi e ai verbi. Il nome, oggetto; e il verbo
azione, moto, erano distinti con la più grande chiarezza, come presso a poco
noi distinguiamo la materia dalla forza, la chimica dalla fìsica. Lo stato
e il moto, come la forza potenziale e attuale, sono espressi dal verbo.
Mentre quindi il bambino prendeva degli oggetti studiando il nome e
gli attributi, qui dovrà eseguire delle azioni.
Nell'esecuzione delle azioni egli deve necessariamente essere guidato;
perchè non sempre sarà capace di interpetrare una parola con l'azione che
precisamente vi corrisponde, anzi sarà lo studio del verbo che inizierà una
serie d'insegnamenti sugli atti da eseguire. La maestra perciò dovrà fare delle
lezioni individuali, insegnando al bambino a interpetrare il verbo.
ANALISL
Col solito mezzo, si presenta una scatola avente quattro caselle per l'ar-
ticolo, il nome, l'aggettivo e il verbo, contrassegnate da altrettanti cartellini
nocciola, nero, marrone e rosso (Tavola VI). Nella casella posteriore stanno
per ogni esercizio sei biglietti ciascuno portante delle frasi: e ad ogni parola
scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, eccetto per quelle parole che
sono ripetute in frasi successive. Così per esempio, se nel cartello sono scritte
le due seguenti frasi:
chiudi l'uscio
serra l'uscio,
nei cartellini corrispondono solo le seguenti parole: l'uscio, così il
bambino, composta la prima frase, varia solo un cartellino {serra, invece di
chiudi) e vede così per opera del verbo cambiarsi l'una nell'altra, due frasi
che indicano azioni diverse. Il bambino eseguirà l'azione e comporrà coi car-
tellini la frase relativa sul tavolino.
GRAMMATICA
301
Nelle serie da noi preparate i verbi sono contrastanti o sinonimi. Ecco il
materiale:
chiudi l'uscio
serra l'uscio
posa un pennino
getta un pennino
alza la tua seggiolina
solleva la tua seggiolina
— prendi la matita nera
lascia la matita nera
— fai un nodo
sciogli un nodo
— spargi alcune perline
raccogli alcune perline
socchiudi l'alfabetario
chiudi l'alfabetario
lancia una piccola gomma
getta una piccola gomma
abbassa la mano
alza la mano
mostra la manina pulita
nascondi la manina pulita
tocca le stoffe vellutate
palpa le stoffe vellutate
scrivi una breve parola
cancella una breve parola
stacca un piccolo quadro
appendi un piccolo quadro
componi una parola
scomponi una parola
delinea un circolo
riempi un circolo
— capovolgi un vasetto vuoto
rovescia un vasetto vuoto
— inchina la testa
alza la testa
— porta una sedia leggera
trascina una sedia leggera
Serie D.
apri la porta vicina
spalanca la porta vicina
solleva un tavolino libero
leva un tavolino libero
accarezza un tuo piccolo compagno
bacia un tuo piccolo compagno
— serra la credenza grande
disserra la credenza grande
— copri il viso
scopri il viso
— avvicina due prismi marrone
scosci? due prismi marrone
Serie E.
stendi la mano destra
ritira la mano destra
stringi i pugni
apri i pugni
mchiava la credenza grande
schiava la credenza grande
mescola la gradazione viola
componi la gradazione viola
costruisci la torretta rosa
guasta la torretta rosa
stendi il tappeto grande
ripiega il tappeto grande
PARTE SECONDA
SPOSTAMENTI.
La maestra tenga presente nella sua mente le regole grammaticali sulla
collocazione del verbo, per dare al bambino l'intuizione della sua posizione
normale, che è di precedere il complemento oggetto : « prima il verbo, e poi
l'oggetto verso il quale si porta l'azione ".
Esempio:
apri la porta vicina
la maestra sposterà mettendo il verbo in fondo :
la porta vicina apri
e similmente:
nascondi la manina pulita
la pulita manina nascondi.
Togliendo il verbo, sparisce l'azione da compiere :
accarezza, bacia un tuo piccolo compagno
un tuo piccolo compagno
O, facendo spostamenti generali, si può dimostrare quante combinax,ioiii
insensate ci possono essere sul disordine: mentre uno solo è l'ordine scu-
sato e chiaro.
Esempio:
Serra la credenza grande
la grande credenza serra
grande serra la credenza
la credenza serra grande
credenza la grande serra
leva un tavolino libero
libero tavolino un leva
un tavolino leva libero
im leva libero tavolino
tavolino un libero leva
LEZIONI E COMANDI SUI VERBL
Lo studio dei verbi e cioè gli tscn izi 'li inter])ctrazic.ne di essi, sono
fatti assai piacevolmente dai bambini.
Sono preparati dei pacchetti di dieci cartellini rossi ciascuno, legati
da un elastico; il bambino esegue le azioni una dopo l'altra; e può.
GR,\MMATICA
infine, copiare i cartellini, cosa che generalmente piace molto ai bambini
di poca età.
— passeggia, canta, salta, balla, inchinati, siedi, dormi, svegliati, prega, sospira
— scrivi, cancella, piangi, ridi, nasconditi, disegna, leggi, parla, ascolta, corri
— riordina, pulisci, spolvera, spazzolati, abbottonati, allaccia, annoda, aggancia,
specchiati, saluta
— pettinati, lavati, asciugati, saluta, abbraccia, bacia, sorridi, sdraiati, leggi, sbadiglia.
Questo per i verbi più comuni, che sono già più o meno noti al barn
bino; ma eccoci a delle vere « lezioni sui verbi ».
La maestra si propone come tema una serie di verbi sinonimi, ed in-
segna ad un gruppo di bambini il loro significato « tradotto nell'azione »,
eseguendo l'azion; essa stessa.
Quindi distribuisce ai bambini dei comandi i quali contengono quei
verbi: comandi che possono essere in più copie, se i bambini sono moltissimi.
I bambini leggono ciascuno per conto proprio il cartellino ricevuto, ed
eseguiscono l'azione, ricordando la lezione della maestra.
Ecco il materiale che noi abbiamo sperimentato :
Tema: Posare, gettare, lanciare, scagliare.
Comandi : — Prendi una marchetta e posala sul pavimento. Poi riprendila e gettala
nello stesso punto.
— Annoda il tuo fazzoletto per farne una palla; e poi lancialo in aria. Corri là
dove cade e di là scaglialo contro la parete.
— Posa pian piano in terra il tuo fazzoletto; poi riprendilo e gettalo in terra.
Riprendilo ancora fanne una pallottola e lancialo. Corri là dove è caduto,
prendilo e scaglialo contro una parete della sala.
Tema: Sollevare, alzare, levare.
Comandi: — Solleva l'incerata del tuo tavolino e rimettila giù per bene. Poi levala
del tutto ed alzala quanto più puoi. Poi rimetti a posto.
— Solleva alquanto la tua sedia: poi prendila ed alzala quanto più puoi. Posala
e riprendila poco dopo per levarla del tutto.
— Alza quanto più puoi un vaso del nostro salotto, come per guardarlo; poi rimet-
tilo al posto, e sollevalo un poco come per vedere cosa c'è sul tavolo sotto di
esso; quindi levalo via del tutto come per riporlo.
Tema: Aprire, spalancare, chiudere, socchiudere, serrare, disserrare.
Comandi: — Vai a una finestra: aprila, anzi, spalancala: dopo qualche momento
socchiudila; aspetta ancora e poi chiudila del tutto.
— Vai a una porta: aprila e poi spalancala ; dopo un po' socchiudila: aspetta an-
cora e poi chiudila del tutto. Se c'è la chiave, serrala, ma prima di venir
via disserrala, affinchè tutto resti come al solito
304 PARTE SFXONDA
Tema: Respirare, sospirare, inspirare, espirare.
Comandi: — Vai avanti ad una finestra aperta e respira alquanto a pieni polmoni,
facendoti sentire a respirare: poi sospira profondamente e torna indietro.
— Mettiti avanti ad un finestrone aperto. Inspira tutto ad un tratto quanta aria
puoi, trattenendola dentro a lungo. Poi espira lentamente.
Tema: Appendere, affiggere, sospendere.
Comandi: — Appendi il tuo miglior disegno a un chiodo nella parete del salottino.
— AffiiS' '1 tuo miglior disegno a una parete con degli spilli.
— Sospendi un tuo disegno dinanzi ad un bambino per farglielo osservare.
— Provati a sospendere ad un dito una seggiolina.
Tema: Avvolgere, involgere, svolgere.
Comandi: — Involgi un vasetto nella carta.
— Avvolgi la carta velina attorno al vasetto e poi svolgila.
Tema: Volgere, capovolgere, rovesciare.
Comandi: — Prendi un quadretto e volgilo verso una bambina, perchè lo veda: poi
dinanzi ad essa capovolgilo: e quando lo ha guardato anche così, rovescialo.
Tema : Sbuffare, soffiare, alitare.
Comandi: — Appressa il dorso della mano alle labbra e cerca di alitarvi sopra deli-
catamente: che cosa senti?
— Appressa il dorso della mano alle labbra e soffiaci sopra. Che cosa senti?
— Passeggia su e giù per la stanza, sbuffando come se fossi infastidito.
Tema: Mormorare, susurrare, brontolare.
Comandi: — Invita un bambino ad ascoltare bene ciò che tu dirai: e allora mor-
mora tra i denti qualche parola. Poi chiedigli se ha capito.
— Avvicinati a due bambini, e susurra una parolina all'orecchio di uno di questi.
Poi chiedi all'altro se ha sentito.
— Avvicinati a un bambino e brontola verso di lui qualche cosa: poi osserva che
cosa fa il bambino.
Tema: Toccare, tastare, palpare, sfiorare.
Comandi: — Prendi l'armadietto delle stoffe e tastalo ad occhi chiusi come per
riconoscerlo.
— Prendi le stoffe dell'armadietto e toccale ad una ad una come negli esercizi del
tatto.
Prendi le stoffe dall'armadietto e palpale per sentirle bene.
- Prendi il velluto e sfioralo appena coi polpastrelli delle dita.
Tema: Spargere, spruzzare, aspergere.
Comandi: — Stendi in terra il tappeto incerato e aspergilo tutto con acqua.
— Stendi in terra il tappeto incerato e spruzzavi sopra dell'acqua con la mano.
Stendi in terra il tappeto incerato e spargivi l'acqua di un vasetto.
GRAMMATICA 305
Tkma: Barcollare, dondolare, erigersi.
Comandi: — Cammina su e giù per la sala, erigendoti bene sulla persona.
— Cammina su e giù per la sala, barcollando come se ti girasse la testa.
— Cammina su e giù per la sala, dondolandoti sui fianchi.
Tema: Acchiappare, acciuffare, afferrare.
Comandi: — Invita un bambino a correre innanzi a te in punta di piedi e cerca
di acchiapparlo.
— Afferra un bambino improvvisamente per le braccia.
— Invita un bambino a correre con te in punta di piedi, e cerca di acciuffarlo.
LEZIONI ACCOMPAGNATE DA ESPERIMENTI.
Oltre a spiegare con l'azione eseguita il significato del verbo, si pos-
sono provocare delle azioni che in se stesse portano al bambino cognizioni
nuove. In tal caso la maestra invece di eseguire dei semplici movimenti,
esegue degli esperimenti, che poi il bambino, o nello stesso giorno o in giorni
successivi, potrà eseguire da se stesso, secondo le indicazioni dei comandi.
Tema: Mescolare, emulsionare, stemperare.
Comandi: — Mescola in un bicchiere acqua e aceto.
— Metti in un bicchiere un po' di oho e battilo fortemente finché sia emulsionato.
- Stempera in due provette dell'anilina rossa e dell'anilina gialla; poi mescola in
parti uguali le due acque colorate e osserva se si forma un altro colore.
Tema: Sciogliere, fare la sospensione, saturare.
Comandi: — Metti un pochino di zucchero nell'acqua e muovila con un cucchiaino
finché si è sciolto tutto. L'acqua deve restare limpida e lo zucchero deve
sparire.
— Metti molto zucchero in poca acqua e muovila col cucchiaino; se lo zucchero
sparisce solo in parte, ma ne resta ancora sul fondo, vuol dire che l'acqua
è satura.
— Getta in un bicchier d'acqua dell'amido e muovi forte col cucchiaino: l'acqua
resta bianca perchè l'amido non si scioglie, ma resta sospeso.
Tema: Decantare, filtrare.
(^)MANDi: — Prendi il bicchiere d'acqua satura di zucchero, e quello ove è sospeso
l'amido e lascia depositare sul fondo le sostanze sospese, fin che l'acqua resta
limpida: poi decantala.
— Filtra l'acqua satura di zucchero e l'acqua che tien l'amido sospeso; poi assaggia
l'una e l'altra.
Se tutti questi comandi saranno eseguiti, il bambino dimostrerà un
.trrandissimo desiderio di continuare, interessandosi così attivamente al signi
(k ato dei verbi, da non più aver bisogno di comandi per indursi a studiare
30b PARTI Sl-;COND.\
queste parole. La domanda frequente dei bambini è: quanti verbi ci sono
nella lingua italiana? quanti ce ne sono in quella inglese e nella tedesca?
Per questo noi abbiamo preparato pei nostri bambini i dizionari dei
sinonimi e le tabelle delle parole.
Ma intanto essi cominciano a fabbricarsi da sé i primi dizionari. Intatti
giunti a questo punto i fanciulli cominciano a possedere una
RUBRICA.
Ogni bambino ha la sua rubrica, e comincerà a scriverci tutte le pa-
role, man mano che impara a conoscerle, nella pagina relativa alla lettera
d'alfabeto iniziale.
L'esperimento ci va ora determinaudi) la quantità di conoscenze che
si può offrire al bambino nei varii periodi del suo sviluppo, nella scuola
elementare: conoscenze sperimentali di storia naturale, fisica, chimica, ecc.,
col relativo materiale esatto di parole. Non potendo dare ora un quadro
completo di ciò, accenniamo qui che con ogni esperimento si dà al bam-
bino una certa quantità di nomi, aggettivi, verbi, i quali vengono man
mano registrati nella rubrica.
GRAMMATICA 3O7
PREPOSIZIONI
ANALISI.
Il primo esercizio è anche qui quello della composizione di frasi analizzate
coi cartellini colorati.
La scatola grammaticale ha cinque caselle sormontate dai cinque cartel-
lini aventi il colore corrispondente alla parte grammaticale : nocciola, articolo;
nero, nome; marrone, aggettivo; rosso, verbo; viola, preposizione (Tavole VII
e Vili). Nella casella posteriore sono deposti sei biglietti che portano stam-
pate delle frasi: i cartellini colorati non corrispondono esattamente alle
parole delle frasi che dovranno ricomporre perchè le parole comuni nelle
frasi di uno stesso biglietto non sono ripetute; ed è solo la preposizione,
che, sostituita, cambia la frase.
Ecco le serie delle frasi alcune delle quali la maestra potrà già avere
illustrate nelle lezioni (v. Comandi).
Serie A. — (Relazioni di posizione reciproca nello spazio):
— Prendi la scatola con le perle colorate
Prendi la scatola senza le perle colorate
Prendi la scatola insieme con le perle colorate
— Colloca il prisma sotto a! cilindro
Colloca il prisma sopra al cilindro
— Posa la penna avanti ai calamaio
Posa la penna dietro al calamaio
Posa la penna a lato del calamaio
— Poni la perla verde nella scatola
Poni la perla verde dentro la scatola
— Disponi alcune perle in mezzo a le marchette rosse
Disponi alcune perle Ira le marchette rosse
— Porta il tavolino dirimpetto a una finestra
Porta il tavolino acc mto a una finestra.
Jo8 PARTK SECONDA
Si-KiE /' — (Ancora sulle relazioni di posizione reciproca nello spazi
- Metti la marchetta fuori de la scatola
Metti la marchetta drtitro la scatola
- Porta una sedia alta di là da la porta
Porta una sedia alta di qua da la porta
Porta una sedia alta oltre la porta
Metti un bambino di fronte a la lavagna
Metti un bambino di fianco a la lavagna
— Allinea le sedie libere lungo la parete
Allinea le sedie libere contro la parete
Poni il cono azzurro vicino al cubo rosa
Poni il cono azzurro accosto al cubo rosa
— Colloca il quadretto sopra la credenza
Colloca il quadretto su la credenza.
e. — (Relazioni di appartenenza, di materia, di uso):
— Paragona :
la stoffa di cotone
la stoffa di lana
la stoffa di seta
— Prendi il triangolo di ferro
Prendi il triangolo di legno
— Cerca il piattino di vetro
Cerca il piattino di maiolica
— Trova una spazzola prr le scarpe
Trova una spazzola per il vestito
Osserva un disegno di Cesarino
Osserva un disegno di Carlino
— Prendi la gomma per attaccare
Prendi la gomma per cancellare.
/). — (Relazioni di direzione o di prfìvenienza nel moto):
— Fai un giro da destra a sinistra
F"ai un giro da sinistra a destra
— Traccia un segno dal basso a l'alto
Traccia un segno da l'alto al basso
— Vai dal tuo posto a la credenza
Vai da la credenza al tuo posto
— Passa la penna da la mano destra a la mano sinistra
Passa la penna da la mano sinistra a la mano destra
— Tendi un laccio da la porta a la finestra
Tendi un laccio da la finestra a la porta
— Corri dal lavabo al tappeto
Corri dal tappeto al lavabo.
ìkammatica 509
SPOSTAMENTI.
Il bambino ha ricostruito coi cartellini la prima frase di ogni biglietto,
ed ha riprodotto le altre solo sostituendo i cartellini delle preposizioni.
Così ha veduto come la posizione reciproca degli oggetti fosse determinata
precisamente e solo dalla preposizione; essa quindi mette in relazione le
parole. Infatti nella frase:
Porta il tavolino dirimpetto a una finestra
togliendo la preposizione resta:
Porta il tavolino una finestra
ed è spezzata la relazione prima esistente tra tavolino e finestra. '
La maestra non dimentichi la regola sulla collocazione della preposizione:
la preposizione deve sempre precedere il suo complemento; non ammette
parole tra sé e la parola di cui esprime la relazione.
Esempi di frasi analizzate a cui fu tolta la preposizione:
Esempio : trova una scatola legno
cerca il piattino vetro
metti la marchetta la scatola
porta una sedia alta la porta
vai credenza tuo posto
Per far intuire la posizione normale della preposizione, si possono fare
delle serie di spostamenti lasciando insieme unite, nella posizione normale,
la preposizione e il suo complemento: in tal caso si conserva un senso alla
frase; esempio:
Tendi un laccio dalla porta alla finestra
Dalla porta alla finestra tendi un laccio
Tendi dalla porta un laccio alla finestra
Dalla porta alla finestra un laccio tendi
Dalla porta tendi alla finestra un laccio.
L'orecchio del bambino però riconoscerà la frase ■. giusta », la pili sem-
plice e chiara:
Tendi un laccio dalla porta alla finestra
Invece distaccando la preposizione dal suo complemento, o inverteiido
la loro reciproca posizione normale, il senso stesso è perduto:
Tendi un laccio porta dalla finestra alia
Tendi laccio dalla un porta finestra alla
Laccio dalla tendi porta alla un finestra
l'ARTlì SECONDA
Similnuntc por altro trasi:
Corri dal lavabo al tappeto
Corri lavabo tappeto (detini/.ione)
Corri lavabo dal tappeto al
Dal corri lavabo al tappeto
Lavabo dal al corri tappeto (collocazione).
LEZIONI E COMANDI SULLE PREPOSIZIONI.
Anche sulle preposizioni la maestra può tare brevi lezioni a gruppi di
bambini, per ispiegare il significato, scegliendone come tema due o tre.
Le lezioni sono sempre attive, pratiche, e consistono, in questo caso, nel far
capire i rapporti che si stabiliscono tra le cose o tra le azioni da eseguire,
secondo questa o quella preposizione. Subito dopo tali schiarimenti si di-
stribuiscono i comandi, che i bambini eseguono.
Ecco il nostro materiale;
Tema; Vicino, accollo, lontano.
Comando ; — Uno di voi venga in mezzo alla sala. Gli altri gli vadano pian piano
vicino: aspettino un poco e poi gli vadano accosto: ancora un poco e poi fug-
gano lontano da lui.
Tema; In. dentro, fuori.
Comando: — Alzatevi, andate nella sala vicina e tornate subito al posto. Poi alza-
tevi ancora e andate a chiudervi dentro la sala vicina; aspettate alquanto e
poi uscite fuori dalla sala in punta di piedi.
Tema; Di là da, di qua da, oltre.
Comandi; — Lasciate il posto e formate circolo di là da la porta che mette nel-
l'altra sala ; dopo un poco rientrate e formate circolo di qua da la porta.
Tutti i bambini vadano a disporsi in fila oltre la porta che mette nel salone.
Tema: Tranne o eccetto.
Comandi: — Tutti i bambini, tranne due, si alzino e girino tra i tavolini in punta
di piedi.
— Tutti i bambini, eccetto due, si alzino e girino intorno ai tavolini in punta di
piedi.
Tema ; Di fianco, di fronte, avanti.
Comandi: — Disponetevi l'uno di fronte u l'altro.
— Disponetevi l'uno di fianco a l'altro.
— Disponetevi l'uno avanti l'altro, col viso rivolto dalla stessa parte.
GRAMMATICA 311
Tema: Dirimpetto, dietro.
Comando ; — Formate due file nella sala grande, l'una dirimpetto a l'altra; e dof>o
l'una si disponga dietro l'altra.
Tema : Su, secondo, lungo.
Comandi : — Uscite dal posto, formate una fila e camminate sul filo segnato in terra;
tornate indietro camminando secondo il filo.
— Uscite dal posto, formate una fila, e disponetevi lungo la parete.
Tema : Fra, in mezzo a.
Comando: — Girate fra i tavoli; poi raccoglietevi e continuate a girare in mezzo
a la sala.
Tema : Da. a, fino a.
Comando: — Alzatevi, uscite dal posto e appressatevi a la finestra; aspettate un
momento e poi tutti insieme tornate da la finestra al posto.
- Disponetevi in fila e poi chinatevi in avanti fino a toccare il pavimento con la
punta delle dita.
Tema: Attorno, intorno.
Comando: — Fate un giro attorno a la sala; poi disponetevi intorno al tavolo più
grande.
Tema: Verso, contro.
Comando: -- Alzatevi e andate con la seggiola verso la parete più libera; sedete
alquanto, poi alzatevi di nuovo e mettete la sedia contro la parete.
Tema: Attraverso, per.
Comandi: — Uscite per la porta che dà nel corridoio, e rientrate per quella che
dà nel salone.
— Formate quattro gruppi uguali, agli angoli del salone: poi i gruppi degli angoli
si scambino i posti passando attraverso la sala.
Tema: Di.
Comando ; — Scambiatevi i posti in gran silenzio; Luigi prenda il posto di Carlo,
Carlo il posto di Gino e così via. Poi tornate ciascuno al vostro posto senza
far rumore.
Tema: Con, senza.
Comando: — Fate un giro sul filo con i bicchieri pieni di acqua colorata: e fate
un secondo giro senza i bicchieri pieni di acqua colorata.
Comandi : — Afferrate un oggetto ad occhi chiusi e toccatelo per riconoscerlo.
— Preparatevi per lavorare.
312 PARTE SECONDA
A V VERBI
ANALISI.
Anche qui gli esercizi constano di frasi analizzate coi cartellini colorati,
e di comandi.
La scatola grammaticale contiene sei caselle sormontate dai bigliettini che
portano insieme titolo e colore della parte: nocciola, articolo; nero, nome; mar-
rone, aggettivo; rosso, verbo; viola, preposizione; rosa, avverbio (Tavola IX).
Nel reparto dei biglietti se ne mettono sei per ogni esercizio: e vi corri-
spondono nelle caselle i cartellini colorati, al modo solito.
(ìruppo a. — (Avverbi di maniera):
— Vai lentamente vicino alla finestra
Vai piano piano vicino alla finestra
— Vai di passo fuori della sala di lavoro
Vai di corsa fuori deUa sala di lavoro
— Esci silenziosamente dal posto
Esci rumorosamente dal posto
— Porta lentamente la mano destra alla fronte
Porta rapidamente la mano destra alla fronte
— Alzati bruscamente da sedere senza far rumore
Alzati piano piano da sedere senza far rumore
— Stringi fortemente la mano a un bambino
Stringi leggermente la mano a un bambino.
Gruppo B. — (Avverbi di luogo e di tempo):
— Getta là la tua gomma
Getta lì la tua gomma
— Leggi qui il tuo biglietto
Leggi altrove il tuo biglietto
— Cammina sempre in punta di piedi per la sala
Cammina di tanto in tanto in punta di piedi per la sala
— Scrivi adesso una parola gentile sull i lavagna
Scrivi subito una parola gentile sulla lavagna
— Metti ora a posto il materiale di lavoro
Metti sempre a posto il materiale di lavoro
— Dirigi lassit lo sguardo
Dirigi laggiù lo sguardo.
GRAMMATICA 313
Gruppo C. — (Avverbi di ciuantità, di comparazione e di negazione):
— Passeggia per il corridoio dondolando alquanto le braccia
Passeggia per il corridoio dondolando molto le braccia
— Prova a scrivere chinando assai la testa
Prova a scrivere chinando poco la testa
Prova a scrivere non chinando affatto la testa
— Prendi dalla credenza del materiale un oggetto molto ruvido
Prendi dalla credenza del materiale un oggetto poco ruvido
— Scegh la tinta più chiara della gradazione marrone
Scegli la tinta meno chiara della gradazione marrone
— Trova la tinta piti scura della gradazione grigia
Trova la tinta meno scura della gradazione grigia
— Cerca il prisma piit grosso della scala delle grossezze
Cerca il prisma meno grosso della scala delle grossezze.
Gruppo D. — (Awerbi di comparazione):
— Cerca tra le stoffe un pezzo tanto morbido quanto il velluto
— Trova tra i colori una tinta tanto scura quanto la lavagna
— Scegli un altro pezzo di stoffa tanto lucida quanto il raso
— Cerca tra gl'incastri piani un rettangolo largo quanto la metà del quadrato
— Prendi la più lunga delle aste delle lunghezze
. — Cerca un oggetto del nostro materiale tanto alto quanto largo.
SPOSTAMENTI.
Le frasi analizzate sono ricomposte riproducendo, al solito, soltanto
la prima frase di ogni biglietto: ed è la sostituzione dell'avverbio che muta
l'una frase nell'altra. Un primo spostamento è quello di togliere l'avverbio
da quelle frasi ove esso funziona come un « aggettivo del verbo » e fa perciò
mutare un'azione in un'altra.
Prendiamo ad esempio le frasi seguenti:
Vai lentamente vicino alla finestra
Vai piano piano vicino alla finestra
Tolto l'avverbio rimane la frase:
Vai vicino alla finestra
Il bambino può eseguire l'azione, che in tal caso è unica. È invece l'av -
verbio che modifica l'azione. Mettendo i due avverbi nasce innanzi al bam-
bino il problema d'interpretare due movimenti diversi: cioè andare alla
finestra o lentamente o piano piano.
Ciò è più evidente nelle frasi ove gli avverbi indicano modificazioni
dell'azione contrastanti come, p. es.:
Esci silenziosamente dal posto
Esci rumorosamente dal posto.
,;i^ PARTK SECONDA
Togliendo i cartellini dell'avverbio resta la frase: « esci dal posto » la
quale indica un'azione che il bambino può eseguire; ma quale modificazione
e qual varietà di movimenti, con l'aggiunta degli avverbi!
Così le tre frasi:
Prova a scrivere chinando assai la testa
Prova a scrivere chinando poco la testa
Frova a scrivere non chinando affatto la testa
che restano a indicare un solo atto senza gli avverbi:
Prova a scrivere chinando la testa
Quali delicati mutamenti delle attitudini della testa si possono deter-
minare con l'aggiunta degli avverbi! Sono essi che modellano il movimento.
Anche in altre frasi, ove l'avverbio è, si può dire, l'aggettivo dell'agget-
tivo, e fa perciò esso solo cambiare oggetti, si possono ripetere spostamenti
analoghi a quelli precedenti:
Prendi dalla credenza del materiale un oggetto ruvido.
poco
È sostituendo l'avverbio che restano indicati due oggetti diversi, i quali
hanno bensì la stessa qualità, ma in differente grado. Sono, p. es., due oggetti
della medesima serie:
Cerca il prisma grosso della scala delle grossezze
meno
-T- .pi" J „ ,
Irova la tinta scura della gradazione grigia.
Togliendo gli avverbi, tale determinazione di grado nelle qualità scom-
parisce: ed ecco frasi assai meno precise nella loro indicazione:
Prendi dalla credenza del materiale un oggetto ruvido
Cerca il prisma grosso della scala delle lunghezze
Trova la tinta scura della gradazione grigia.
Per procedere agli spostamenti che devono dimostrare quale sia la posi-
zione normale dell'avverbio, la maestra ne tenga presente la regola: l'avverbio
si pospone al verbo (nel tempo composto va tra l'ausiliare e il participio,
p. es.: «ho già parlato»; ovvero tra il tempo di modo finito e l'infinito, es.:
« posso poco applicarmi »).
Nelle frasi analizzate dai bambini basta ricordare, per quel che riguarda
gli avverbi, che essi modificano il verbo, che vanno posposti al verbo.
Se nella frase:
prova a scrivere, chinando assai la testa
GRAMMATICA 315
l'avverbio si mette dopo l'altro verbo, è su questo che avviene la modifica-
zione, e il senso della frase cambia:
prova a scrivere assai, chinando la testa,
('osi nell'altra frase:
Passeggia per il corridoio, dondolando alquanto le braccia
Passeggia alquanto per il corridoio, dondolando le braccia.
Alterando poi la posizione normale, si avrebbero le frasi seguenti:
Prova a scrivere, assai chinando la testa
Assai prova a scrivere, chinando la testa
Passeggia per il corridoio, alquanto dondolando le braccia
Alquanto passeggia per il corridoio, dondolando le braccia
Rumorosamente esci dal posto.
E mettendo l'avverbio dopo l'oggetto:
Prova a scrivere chinando la testa assai
Passeggia per il corridoio, dondolando le braccia alquanto
Esci dal posto rumorosamente.
È l'orecchio del bambino che giudica e riconosce la frase giusta,
normale.
Invece gli avverbi di grado e di modo si « premettono » agli ag-
gettivi:
Prendi dalla credenza del materiale un oggetto molto ruvido
Cerca il prisma pili grosso della scala della lunghezza
Trova la tinta meno scura della gradazione grigia.
Ecco ciò che risulta dallo spostamento dell'avverbio e dell'aggettivo,
dalla loro reciproca posizione normale:
Prendi dalla credenza del materiale un oggetto ruvido molto
Cerca il prisma grosso più ddla scala delle lunghezze
Trova la tinta scura meno della gradazione grigia.
Quando poi si tratta di avverbi di tempo o di luogo, essi possono stare, '
come uno squillo di tromba che richiama l'attenzione, anche in principio
della frase:
Metti ora a posto il materiale di lavoro
Ora metti a posto il materiale di lavoro
Scrivi adesso una parola gentile sulla lavagna
Adesso scrivi una parola gentile sulla lavagna.
PARTE SECONDA
LEZIONI E COMANDI SUGLI AVVERBL
Tfma; Diritto, a zig zag.
Comando. — Passate nell'altra ?ala andando diritto: tornate a posto, ranniiinando
a zig zag.
Tema: Leggermente, gravemente, pesantemente.
Comando: — Andato nell'altra sala camminando leggermente; ritornate camminando
gravemente rome persone serie, non pesantemente come chi non sa camminare.
Tema: Ad un tratto, gradatamente.
Comando: — Formate una fila e camminate avanti, cominciando tutto a un tratto
la battuta del piede sinistro. Ritornando qui, fate che la battuta si vad;i gra-
datamente spegnendo.
Tema: Presto, di corsa, di passo.
Comando: — Uscite prestojàa.] posto e andate di corsa nell'altra sala senza far rumore.
Ritornando, andate di passo.
Tema: Distrattamente, attentamente.
Comando: — Camminate prima un po' distrattamente per la sala; ma poi, tornando a
posto, camminate attentamente.
Tema: Sempre, spesso, raramente.
Comandi: — Formate una fila e andate nell'altra sala soffermandovi spesso. Ritor-
nando indietro, fermatevi raramente.
— Andate a fare un piccolo giro nell'altra sala; e, tornando al posto, camminate
sempre ad occhi chiusi, ma badando di non urtare tra i mobili.
Tema: Di tanto in tanto, più raramente.
Comando: — Camminate in punta di piedi per la sala, ma fate '// tanto in tanto \ina
battuta col piede sinistro, e più raramente una battuta di mano.
Tema: Avanti, indietro, su e giù.
Comando: — Camminate su e giii per la sala.
— Uscite dal posto: camminate avanti verso di me sin che io non dica: «alt!»; al-
lora ritornate indietro, correndo sulla punta dei piedi.
Tema: Lentamente, bruscamente.
Comandi: — Alzatevi lentamente da sedere.
— Alzatevi bruscamente da sedere.
Tema: Gentilmente, garbatamente.
Comandi: — Scambiatevi il posto, offrendo gentilmente il vostro a un altro bambino.
— Salutatevi tra voi, stringendovi garbatamente la mano.
GRAMMATICA 3I7
Tema: Cosi.
Comando: — State attenti: uno di voi lasci il posto e si metta davanti agli altri
nella posizione che più gli piace. Allora gli altri facciano come lui; e restino
qualche minuto così.
Tema: Via.
Comando: — Raccoglietevi in mezzo alla sala grande, e poi tutto ad un tratto,
fuggite via: di lì a un poco raccoglietevi di nuovo insieme.
Tema: Bene, male, cosi cosi, benino, maluccio, benissimo, malissimo, meglio, peggio.
Comando: — Fate il silenzio: uno di voi chiami i bambini, osservando attentamente
come si muovono, e poi li giudichi senza parlare, ma distribuendo i seguenti
cartellini: bene, male, così così, benino, maluccio, benissimo, malissimo, meglio
di tutti, peggio di tutti.
Tema: Successivamente, alternativamente, simultaneamente (contemporaneamente).
Comando: — Portate contemporaneamente le due braccia in alto.
— Formate una fila e camminate, battendo alternativamente le mani e il piede sinistro.
— Portate simultaneamente {contemporaneamente) il piede sinistro e il braccio si-
nistro avanti.
Tema: Qui, qua, costì, costà, lì, là, altrove.
Comandi: — Formate una fila e i primi quattro bambini vengano qui; gli ultimi
quattro bambini vadano lì: voi altri restate costì.
— Un bambino venga qui (proprio vicino a me) e gli altri si dispongano qua, a destra
del mio tavolo.
— Vi prego, lasciate il posto: metà di voi si metta li, e gli altri vadano a formare
gruppo là.
— Formate gruppo: poi alcimi di voi restino costì e gli altri vadano costà. Dopo ciò,
cambiate posto.
— Fate in punta di piedi un giro attorno alla stanza; e poi girate altrove, non uscendo
però mai dalle vostre sale.
Tema: Prono, supino, bocconi, carponi, diritto.
Comandi: — Fate circolo attorno a un piccolo bambino che prende successi\'a-
mente le posizioni: prono, bocconi, supino, sul tappeto.
— Fate l'atto di camminare carponi, ma poi riprendete subito a camminare dritto.
PARTE SECONDA
UN'ESPLOSIONE DI ATTIVITÀ; L'AVVENIRE DEL LINGUAGGIO
SCRITTO NELL'EDUCAZIONE POPOLARE.
fi rispetto all'avNerbio che. nei nostri esperimenti privati, è avvenuta
quasi l'esplosione di una nuova attività tra i bambini.
Essi hanno voluto comporre dei comandi: li improvvisavano e poi li leg-
i^evano ad alta voce ai compagni; ovvero cedevano loro il biglietto che avevano
scritto perchè lo interpetrassero eseguendo il comando. Tutti si prestavano
con entusiasmo all'esecuzione, e vi si attenevano con la più scrupolosa esat-
tezza. L'azione dei bambini era lo scritto tradotto in moto, in realtà, nei suoi
più minuti particolari. Così, se una parola era inesatta o sbagliata l'esecu-
zione vi dava il più clamoroso rilievo, e chi aveva scritto, vedeva innanzi
agli occhi un'esecuzione ben diversa dal suo pensiero. Allora capiva di
avere espresso male o inesattamente il suo pensiero, e si disponeva a correg-
gerlo, come dopo una rivelazione che moltiplicava le sue forze: egli cercava
tra le parole quella che occorreva perchè la sua idea diventasse una scena
vivente innanzi ai suoi occhi.
Si supponga infatti che un bambino abbia scritto le frasi seguenti da
noi usate nell'analisi con i cartellini:
Cammina sempre in punta di piedi pei la sala
Cammina di tanto in tanto in punta di piedi per la sala
con l'intenzione che un bambino camminasse, la prima volta andando semt>re
in punta di piedi, e la seconda volta andando di tanto in tanto in punta di
piedi. E invece vedesse un bambino che si mette a camminare in punta
di piedi continuando esageratamente a lungo (sempre); e che poi si sedesse
e, di tanto in tanto, si alzasse per riprendere a camminare, andando in punta
di piedi. Egli si troverebbe in faccia a un grande problema: « come dovevo
esprimermi? ».
Come fu di una bambina che scrisse: «camminate intorno ai tavolini ■• in-
tendendo che i compagni dovessero girare in fila attorno a ciascun tavolino,
come serpeggiando; invece vide formarsi la fila dei compagni, liscia e dritta,
che faceva un giro attorno alla massa dei tavolini. E allora essa rossa in viso
e affannata gridava: «ferma! ferma! non è così!» come se le facessero male in
qualche parte del corpo, ed ella non potesse tollerare (|uel]'errorc. quel cozzo
tra il pensiero che aveva e la realizzazione ottenuta.
Questo accenno rapidissimo che, però, io credo, meriterà in seguito
un grande ampliamento, sulla guida di più vaste esperienze, basti ad aprire
la visione di un campo fertilissimo di sviluppo della lingua scritta, nella sua
più rigorosa purezza. Evidentemente l'esperienza odierna dimostra possibili
GRAMMATICA 3I9
non solo la composizione spontanea senza errori grammaticali, così come ci fu
la scrittura spontanea senza errori di ortografia; ma lo sviluppo dell'amore
alla chiarezza e alla purezza della lingua, che è una preziosa forma propulsiva
a perfezionarla, e che indica perciò un elevamento di progresso civile nella
massa del popolo.
Quando i bambini sono presi dalla passione di scrivere esattamente \
loro pensieri, quando la chiarezza diventa mèta spontanea dei loro sforzi,
essi cercano col più vivo interesse le « parole ». Sentono che esse non sono
mai troppe per esprimere, per iscolpire con esattezza l'edifizio delicato del
pensiero. I problemi della lingua si affacciano come una rivelazione alla loro
coscienza: « quante parole ci sono? » domandano: « quanti nomi? quanti verbi?
quanti aggettivi? e come si fa a saperli tutti? ».
Essi non si contentano più della loro piccola rubrica: chiedono un ricco
materiale di parole, che essi oramai gustano sotto l'aspetto attraente dell'or-
dine, della interpretazione, e ne sono insaziabili.
Da tali fenomeni è sorta in noi l'idea di dare ai bambini un patrimonio di
parole sufficientemente ricco per ciò che riguarda il nome, il verbo e l'ag-
gettivo; e di esporre tutte le parole relative alle altre parti del discorso. La
differenza di proporzione tra il vero contenuto della lingua (materia e forza,
cioè nome con i suoi aggettivi e verbi), e le altre parole che servono a con-
giungere, a mettere in rapporto, a rappresentare per brevità, cioè a cementare
la materia, riesce interessantissima a bambini di otto anni d'età. Per essi ab-
biamo cercato di preparare le tabelle delle parole, e i dizionari dei sinonimi
pei nomi, pei verbi e per gli aggettivi.
Ecco intanto alcuni saggi di « comandi » scritti dai bambini, improv-
visati come per im' esplosione scaturita da interiore maturità: si faccia
un confronto tra l'aridità e uniformità dei nostri comandi, e la varietà, la
ricchezza d'idee dei comandi dei bambini. Noi, evidentemente, eravamo
smorti preparando il materiale; ma essi rivelano uno spirito ardente, vivace,
una vita in pieno rigoglio.
Comandi improvvisati dai bambini:
— Fa' la torretta rosa malissimo.
— Fa' esattamente le pose di tutte le fotografie che sono in questa sala.
— Fate come se foste due vecchi uomini, e parlate piano come se foste molto tristi;
e uno dica questo; È assai triste, che il nostro Pancrazio sia morto! E l'altro
dica: E domani ci dobbiamo mettere i vestiti neri? Poi camminate silen-
ziosamente.
— Camminate zoppicando pesantemente e poi cascate tutt'ad un tratto bocconi
come se foste sfiniti; poi tornate indietro leggermente, senza cascare, né
zoppicare.
— Andate camminando lentamente e col capo basso come se foste molto tristi, poi
tornate allegramente, saltellando leggermente.
— Prendi un fiore, e va' di corsa a porgerlo alla signorina.
J20 PARTE SECONDA
— Fate un mezzo giro del salone zoppicando, e l'altro mezzo giro car/)oni.
— Fate subito il silenzio, poi fate in silenzio tutte le pose delie fotografie di (jiiestu
sala.
— Andate dal posto alla soglia della porta carponi, poi alzatevi e, zoppicando leg-
germente, fate un mezzo giro del salone grande, e l'altro carponi, fino alla
soglia della porta, là alzatevi e correte leggermente al posto.
— Andate silenziosamente nell'altra sala, fate tre giri attorno alla tavola grande, poi
tornate al posto.
— Andate nell'altra sala correndo assai, poi ritornate indietro rallentando a poco
a poco, finché arriviate al posto.
— Andate subito alla credenza e prendete i cartelloni delle lettere, e poscia fate
due giri della sala grande con un cartellone in testa, provando a non farlo
cadere mai; poi tornate a posto nello stesso modo.
— Fate il giro del salone grande, camminando pesantemente, poi sedetevi come se
foste molto stanchi e addormentatevi; dopo un poco svegliatevi e ritornate a
posto.
— Formate una fila e camminate in avanti, finché arriviate in un posto libero; là
formate un circolo, e poi un rombo, e poi un quadrato, e poi infine un tra-
pezio.
— Andate nella sala grande discorrendo piano. Tutto ad un tratto cadete in terra leg-
germente, addormentatevi, dopo un po' svegliatevi e guardatevi intorno di-
cendo: Dove siamo?... Poi tornate a posto.
-GRAMMATICA 32I
PRONOMI
ANALISI.
Materiale. — Una scatola grammaticale a sette caselle sormontate dai
cartelli colorati portanti i titoli; cioè: nocciola per l'articolo; nero pel nome;
marrone per l'aggettivo; rosso pel verbo; viola per la preposizione; rosa per
l'avverbio; verde per il pronome. Vie poi uno spazio riservato ai biglietti che
portano stampate le frasi da analizzare (Tavole X e XI). I cartellini non cor-
rispondono al numero delle parole, ma all'esercizio di sostituire nella frase i
pronomi ai nomi.
Gruppi delle frasi: Gruppo A. — (Pronomi indicativi).
— La sorella piangeva. Carlino con un bacio consolò la sorella.
La sorella piangeva; egli con un bacio la consolò.
— Il libro scivolò in terra. Emma rimise il libro sul tavolo.
Il libro scivolò in terra: essa lo rimise sul tavolo.
— Fecero una sorpresa alla mamma: scrissero una lettera alla mamma.
Fecero una sorpresa alla mamma: le scrissero una lettera.
— La maestra esclama: il disegnino è bello! vuoi regalare alla maestra il disegnino?
La maestra esclam.a: il disegnino è bello! me lo vuoi resalare?
Gruppo B. — (Pronomi dimostrativi di persona e di cosa).
— Mostra a un bambino i prismi della scala marrone:
questo prisma è più grosso di cotesto prisma, quel prisma è più fino di
questi prismi.
Mostra a un bambino i prismi della scala marrone:
questo è più grosso di cotesto, quello è più fino di questi.
— Osserviamo i bambini:
questo bambino è più alto di cotesta bambina, quel bambino è più basso di
quella bambina. y
Osserviamo i bambini:
questi è più alto di costei, colui è più basso/di colei.
322 PARTI-. SECONDA
— Un cono sta sopra un cilindro: tu prova a inettcìo il cilindro sopra il cono.
Un cono sta sopra un cilindro: tu prova a mettere questo sopra quello.
— Mostriamo a un piccolo bambino i cubi della torretta rosa:
questo cubo è il più grande, cotesto cubo viene subito dopo nella serie;
quei cubi sono i più piccoli della serie.
Mostriamo a un piccolo bambino i cubi della torretta rosa:
questo è il più grande, cotesto xnene subito ilopo nella serie; quelli sono i più
piccoli della serie.
Gruppo C. — (Pronomi relativi o congiuntivi).
— , Chiedi un pennino a Mario; Mario te lo regalerà volentieri.
Chiedi un pennino a Mario, il quale te Io regalerà volontieri.
Chiedi un pennino a Mario, die te lo regalerà volontieri.
— Domanda ai bambini: quale bambino vuol vedere il mio lavoro?
Domanda ai bambini: chi vuol vedere il mio lavoro?
— Ieri mettesti i fiori in un vasetto: cambia l'acqua di quel vasetto.
Cambia l'acqua di quel vasetto nel quale ieri mettesti i fiori.
Cambia l'acqua di quel vasetto dove ieri mettesti i fiori.
Cambia l'acqua di quel vasetto in etti ieri mettesti i fiori.
— Scegli tra le stoffe, la stoffa più somigliante al tuo vestito.
Scegli tra le stoffe quella che più somiglia al tuo vestito.
Scegli tra le stoffe quella a cui più somiglia il tuo vestito.
Scegli tra le stoffe quella alla quale più somiglia il tuo vestito.
— Scegli un incastro tra quegl'incastri da adoperarsi per disegnare.
Scegli un incastro tra quelli che si adoperano per disegnare.
Scegli un incastro tra quelli i quali si adoperano per disegnare.
SPOSTAMENTI
Già nell'esercizio dell'analisi è risultata chiara la funzione che ha il
pronome di sostituire il nome; perchè i bambini stessi, costruendo soltanto
la prima frase del biglietto coi cartellini colorati, hanno formato la seconda
appunto togliendo via i cartellini dei nomi, e ponendovi invece quelli corri-
spondenti dei pronomi (Tavole X e XI).
Per gli spostamenti che la maestra deve fare per dare l'intuizione del
posto normale in cui deve essere collocato il pronome, ella ricordi che i pro-
nomi indicativi precedono il verbo (eccetto nelle interrogazioni e quando si
vuol dare molto rilievo al soggetto) se non s' incorporano al verbo come suffissi.
Esempio:
la sorella piangeva: egh con un bacio la consolò
la sorella piangeva: egli con un bacio consolò la
il libro scivolò in terra, essa lo rimise sul tavolo
il libro scivolò in terra, essa rimise lo sul tavolo.
GRAMMATICA 323
Mentre invece il nome che il pronome rappresenta, stava dopo il verbo:
nella sostituzione dunque ci fu insieme lo spostamento da un lato all'altro
del verbo.
il libro scivolò in terra: essa rimise il libro sul tavolo
il libro scivolò in terra; essa lo rimise sul tavolo
fecero una sorpresa alla mamma: scrissero una lettera alla mamma
fecero una sorpresa alla mamma: le scrissero una lettera
... vuoi regalare il disegnino?
In vuoi regalare? (i).
LEZIONI E COMANDI SUL PRONOME.
Tema; Pronomi indicativi soggettivi: io, tu, egli, noi, voi. coloro.
Spiegati i pronomi il più brevemente e praticamente possibile, sul cri-
terio della posizione reciproca di chi parla e di chi ascolta, ecc., un bambino
comanda agli altri, i quali eseguono insieme con lui.
Esempio: la maestra spiega così: non dico Anna Fedeli, dico io; non
dico a Carlino che è xjui: Carlino, dico: tu; non dico di Gigino laggiri: Gigino;
dico: egli, ecc.
Un bambino comanda eseguendo, e facendo eseguire ai compagni:
Comandi : — Io giro attorno al tavolino
tu gira attorno al tavolino
egli giri attorno al tavolino
noi giriamo attorno al tavolino
voi, girate attorno al tavolino
coloro girino attorno al tavolino
— Io alzo le braccia — Io sollevo la sedia
tu alza le braccia tu solleva la sedia
egli alzi le braccia egli sollevi la sedia
noi alziamo le braccia no; solleviamo la sedia
voi, alzate le braccia voi, sollevate la sedia
coloro alzino le braccia coloro sollevino la sedia
— Io prendo il calamaio — Io sventolo il fazzoletto
tu prendi il calamaio tu sventola il fazzoletto
egli prenda il calamaio egli sventoli il fazzoletto
ecc. ecc.
Dopo ciò può stabilirsi il concetto che:
la prima persona è quella che parla
la seconda persona è quella che ascolta
la terza persona è quella lontana da tutt'e due.
(i) Sui pronomi indicativi, soggetti e complementi, si continua Io studio dopo che
si è fatta l'analisi della proposizione.
.524 PARTE SIXONDA
Allora si possono stabiliiv dolio azioni per piccoli gruppi, e ottcnoro liollr
scenelte coi seguenti comandi:
- La prima persona deve domandare, la seconda persona deve rispondere: la terza
persona da lontano, deve cercare di udire tutte due.
I .1 prima persona fa l'atto di scrivere: la seconda persona la l'atto di spiarla; la
terza persona dice: « non va bene!... ».
Questi comandi possono essere tradotti a voce da un bambino:
— /ri ti domando piano una cosa, tu mi rispondi; ed egli da lontano deve cercare di
udire tutti e due.
/(' farò l'atto di scrivere; tu devi agire come se volessi leggere (piello che sto
scrivendo; egli laggiù allora griderà: « non va bene! ».
Te.m.\: Pionomi indicativi oggettivi: mi, ti. si. lo, la. ci, vi, si, li, le.
l'n i)ambino comanda eseguendo, e facendo eseguire ai compagni:
Comandi; — Io alzo la tela cerata del tavolino; io mi alzo; io ti alzo; io lo alzo; io
la alzo.
— Tu sposta la penna; tu sposta/t; tu sposta»»'; tu .sposta/o; tu sposta/a.
— Carlo pulisca il tavolino;- Carlo si pulisca; Carlo mi pulisca; Carlo ti pulisca; Carlo
h pulisca: Carlo la pulisca.
— Noi salutiamo la maestra, noi ci salutiamo; noi ì)i salutiamo; noi li salutiamo; noi
le salutiamo.
— Voi, accostate la sedia alla parete; voi vi accostate alla parete; voi ci accostate
alla parete; voi li accostate alla parete; voi le accostate alla parete.
— Coloro avvicinano le sedie; coloro si avvicinano; coloro ci avvicinano; coloro 11/
avvicinano; coloro li avvicinano; coloro le avvicinano.
Tema: Pronomi indicativi di complemento: me, te, se, le, gli, lui. lei, ci, vi, loro.
È sempre il bambino che comanda, esegue e fa eseguire:
Comandi: — Distribuirò dei vasetti: uno a me, uno a te, uno a lui, Mno a lei.
— Luigino dia un comando a lui, uno a lei. uno a me. uno a se stesso; e tutti i bam-
bini eseguiscano esattamente.
— -attenti ai comandi: Carlo dagli una perla azzurra; Mario dìille una perla bianca.
Tema: Prono-ni dimostrativi personali: questi, costui, colui (costei, colei), costoro,
coloro.
Stabiliti i criteri di posizione nello spazio, i bambini leggono ed ese-
guono:
Comandi: — Distribuisci i pronomi: questi (costei), costui (costei), colui (colei); e
quando i bambini hanno preso la loro posizione, da' a ciascun bambino un
comando diverso.
— Chiama presso di te un bambino ed una bambina e poi comanda: costui vada a
prendere un piccolo vaso; costei vada a prendere una marchetta; costoro va-
dano lontano a fare il silenzio.
GRAMMATICA
325
— Indica due bambini, che stanno in piedi presso di te, e uno lontano: colui venga
qui a portare una poltroncina a costei e una sedia a questi. Poi torni a posto.
Quindi tutti insieme i bambini eseguano il comando che costoro daranno.
(Non essendoci maschi e femmine, dei distintivi speciali, o dei vestiari,
potranno simularlo per le scene dei comandi).
Tem.a: Pronomi dimostrativi di cosa: questo, cotesto, quello, ciò, ne.
Ugualmente stabiliti i criteri di posizione, si eseguiscono i
Comandi: — I bambini si dividano in tre gruppi e occupino tre posti a piacere
nella sala; cambiate il posto: lasciate cotesto e andate in quello.- lasciate
qitello e venite in questo.
— Cambiamo posto alle sedie: Carlo, prendi cotesta e mettila vicino a questa; Bice,
prendi quella vicina all'armadio a cassettini e mettila accosto alla parete.
(I pronomi relativi sono presentati solo negli esercizi di analisi, ma ver-
ranno richiamati nello studio del periodo).
FLESSIONI.
Per gli esercizi di flessione del pronome si usano gli stessi mezzi usati
per le altre flessioni, cioè si danno dei fascetti di cartellini, un gruppo di quali
è legato a parte e serve di guida. Il bambino ordina i cartellini sul piano del
tavolino, mettendo quelli del gruppo direttivo nell'ordine delle persone:
prima, seconda e terza.
Gruppo A.
— Pronomi
i indicativi.
Gruppo C. — Pronomi
dimostrai
Maschile
Femmi
niU
cosa.
io
noi
io
noi
Maschile
Femminile
tu
egli
voi
loro
tu
ella
voi
loro
questo
questi
questa
queste
esso
essi
essa
esse
cotesto
cotesta
lo
li
la
le
cotesti
coteste
lui
lei
quello
quella
gli
le
quegli, quei
ciò
ne
quelle
ciò
ne
Gruppo B. — Pronomi dimostrativi di
persona.
Maschile Femminile
Gruppo D. — Pronomi relativi di per-
sona e cosa.
questi
costui
colui
costoro
coloro
costei
costei
colei
costoro
coloro
il quale
i quali
che
chi
la quale
le quali
che
chi
PARTE SECONDA
CONCORDANZE TRA PRONOME E VERBO.
I bigliettini che si danno al bambino per le concordanze sono i pronomi
personali soggetti (verde) e le voci verbali (rosso) di tre tempi semplici:
presente, passato e futuro di un verbo. I gruppi sono tre, secondo i tre verbi:
amare, temere, sentire; il bambino deve disporre i pronomi in ordine di
persona prima, seconda, terza, facendo precedere i tre singolari, ed apporre
vicino ad essi le voci verbali concordanti. Il controllo sta nel senso del lin-
guaggio di ciascun bambino: tuttavia la maestra passa e verifica. L'eser-
cizio risulta così:
Grippo A.
IO amo
tu ami
egli ama
noi amiamo
voi amate
essi amano
IO amavo
tu amavi
egli amava
noi amavamo
voi amavate
essi amavano
10 amero
tu amerai
egli amerà
noi ameremo
voi amerete
essi ameranno
Grippo B.
10 temo
tu temi
egli teme
noi temiamo
voi temete
essi temono
10 temeva
tu temevi
egli temeva
noi temevamo
voi temevate
essi temevano
io temerò
tu temerai
egli temerà
noi temeremo
voi temerete
essi temeranno
1(1 sento
tu senti
egli sente
noi sentiamo
voi sentite
essi sentono
io sentivo
tu sentivi
egli sentiva
noi sentivamo
voi sentivate
essi sentivano
io sentirò
tu sentirai
egli sentirà
noi sentiremo
voi sentirete
essi sentiranno
11 bambino può mescolare variamente le voci verbali; cioè può confon-
dere tra loro i cartellini relativi ai tre tempi, e poi ricostruire i tre gruppi,
sulla guida dei pronomi, il cui ordine gli è oramai familiare.
È dopo questo che si passa alla:
GRAMMATICA 327
CONIUGAZIONE DEI VERBI.
Materiale. — Nel nostro materiale sono preparate le coniugazioni dei
verbi ausiliari (essere e avere) e i modelli della prima, seconda e terza co-
niugazione. I cartellini sono di colore diverso nei cinque verbi: giallo, essere;
nero, avere; rosa, amare; verde, temere; celeste, sentire. In ogni cartellino,
assieme alla voce verbale sta scritto il pronome: ciò non solo per semplificare
e rendere rapido l'esercizio; ma anche per garantire l'autoesercizio, venendo
i pronomi a dare l'ordine alle voci verbali di ogni tempo.
Le voci verbali di un verbo coniugato precedute dal pronome, sono
dunque raccolte in un gruppo di cartellini. Qui però i gruppi non sono sì sem-
plici come in altri casi. Per il verbo, i cartellini vengono raccolti in una spe-
cie di busta rossa, legata con un nastrino e portante sul dorso l'infinito del
verbo. Queste buste, pur semplicissime, sono estremamente attraenti, ed
eleganti (Tavola XII).
Tutto il verbo legato col nastrino rappresenta un piccolo prisma rosso
che ha le tre seguenti dimensioni di spigolo: cm. 35x4x5,5.
Sciolto il nastrino e aperta la busta, si trovano all'interno piccolissimi
volumetti, con la copertina rossa: sono i modi del verbo; e lo hanno scritto sul
frontispizio:
modo indicativo,
modo condizionale,
modo congiuntivo,
modo imperativo,
modo infinito.
Affinchè sia facile rimettere in ordine gli oggetti, e affinchè l'ordine sia
conosciuto, ognuna delle buste porta in un angolo una cifra romana: I, IT,
ITI, IV, V: inoltre porta pure una cifra inglese, indicante il numero dei tempi
relativi al modo.
Aprendo il volumetto, e togliendo la copertina, si trovano dentro tanti
altri volumetti più piccoli, tutti ricoperti di rosso. Sono i tempi e su ogni
copertina è scritto in mezzo il titolo e da un lato il numero d'ordine del tempo
nel modo seguente, distinguendo i tempi semplici con una s, e quelli com-
posti con una e. Ecco, p. es., i titoli degli otto volumetti contenuti dentro al
volumetto del modo indicato:
tempo presente, -ft
tempo passato imperfetto. 2s
tempo passato remoto, 35
328 PARTE SECONDA
tempo futuro, 45
tempo passato prossimo, i e
tempo trapassato prossimo, 2 e
tempo trapassato remoto, 3 e
tempo futuro anteriore. 4 e.
Aprendo tinalmente ciascuno di questi volumetti la cui faccia è larga
cm. .5.5X4 e il cui spessore è appena un millimetro, ecco i cartellini con le
voci verbali del tempo precedute dal pronome.
La disposizione ricorda un po' quella dell'uovo che contiene un altro uovo
più piccolo e questo ancora un altro: l'elegante pacchetto infioccato che è il
verbo coniugato, contiene i volumi dei modi; e ciascuno di questi, i volumi
dei tempi. La numerazione ordinata dei modi e dei tempi; e, infine, il pro-
nome che serve a ordinare le voci verbali, permettono al bambino di coniugare
da sé interamente ogni verbo e di studiare la classificazione delle sue voci.
I fanciulli, infatti, non hanno bisogno di alcun aiuto in questo esercizio.
Avuto l'attraente, complicato, misterioso pacchettino rosso, essi dispiegano
ordinatamente il verbo completamente coniugato, sul piano del tavolino.
Imparate a poco a poco le voci verbali, essi mescolano variamente i cartellini
dei vari tempi e poi li riordinano. Finché finiscono col mescolare tra loro i
cartellini del verbo intiero, come facevano nelle «Case dei Bambini» con le
64 tavolette dei colori, e ricostruiscono, tempo per tempo, modo per modo,
l'intera coniugazione. Infine essi chiedono di scrivere i verbi; e preparano da sé
nuovi volumetti di cartellini: i nuovi verbi delle tre coniugazioni.
Fanno perciò parte del materiale molti volumetti, preparati sempre con
la fodera rossa e con i cartellini dai più vari colori; ma che non sono scritti.
Sono i bambini stessi che scriveranno sui cartellini, coniugando nuovi verbi
delle tre coniu.gazioni.
Tanto il lavoro di svolgere il verbo coniugato, come quello di scrivere
un nuovo verbo, può essere fatto a casa.
GRAMMATICA 329
CONGIUNZIONI
ANALISI.
Materiale. — Il casellario grammaticale ha otto scompartimenti per i
cartellini: nocciola (articolo); nero (nome); marrone (aggettivo); rosso (verbo);
\noia (preposizione); rosa (avverbio); verde (pronome); giallo (congiunzione);
ed ha lo spazio pei biglietti delle frasi da analizzare, i quali si presentano
a gruppi (Tavola XIII).
Gruppo A. — Congiunzioni semplici (copulative, disgiuntive, negative,
relative, avversative).
— Porta via la penna e il calamaio. (
Porta via la penna 0 il calamaio.
Non portare via né la penna, né il calamaio.
- Di' ai bambini che lavorino silenziosamente.
— Occorre che tutti i disegni stiano raccolti dentro i cassettini.
— Non lasciare qua e là gli oggetti di cui ti sei servito, ma rimetti tutto a posto ac-
curatamente. 1
— Rivolgi una parola gentile ad un compagno, non ad alta voc^, ma sommessamente.
— Sposta il tavolo vicino al quale lavori; ma di poco, e senza far rumore.
Gruppo B. — Congiunzioni complesse (condizionali, temporali, causali,
finali, eccettuative, elettive).
- Potrai spingere un tasto del pianoforte senza ottenere il suono, se farai lentamente.
— Potresti scrivere con la sinistra, se toccassi le lettere con quella mano.
— Otterrai il silenzio dai bambini, appena scriverai la parola: « silenzio » sulla la-
vagna.
— Ouel bambino felice canticchia mentre lavora.
— Richiudi sempre la porta, quando passi da una stanza all'altra.
— Bisogna che ogni bambino sia ordinato, affinché tutta la «Casa dei Bambini » ap-
parisca <j:(iinata.
J30 PARTE SECONDA
Gri'ppo C. — Continuano le congiunzioni complesse:
La "Casa dei Bambini ■ piace perchè è beila e perchè vi si lavora tanto comoda-
mente.
Te lo darò, poiché tu lo vuoi.
— Ti condurrò a passeggio al giardino ])ubblico, piuttosto che jier le strade affollate.
— Tutto puoi chiedermi, fuorché di lasciarti maneggiare quell'oggetti) pericoloso.
— Ti regalerò quel giocattolo, sebbene mi sarebbe piaciuto di pii: regalarti un bel libro.
— Promettigli che andrai domani a trovarlo, purché dopo tu mantenga la promessa.
SPOSTAMENTI.
Togliendo il cartellino della congiunzione, si toglie il collegamento tra
le parole, e con ciò riesce possibile l'intuizione della sua funzione.
— Porta via la penna e il calamaio.
Porta via la penna il calamaio.
— Porta via la penna o il calamaio.
Porta via la penna il calamaio.
— Potresti scrivere con la sinistra, se toccassi le lettere con quella mano.
Potresti scrivere con la sinistra, toccassi le lettere con quella mano.
La congiunzione si mette in mezzo alle parole o alle frasi che collega;
senza ciò può abolirsi o alterarsi il senso:
porta via la penna e il calamaio,
porta via e la penna il calamaio.
La « Casa dei Bambini » piace perchè è bella.
La « Casa dei Bambini » perchè piace, è bella.
LEZIONI E COMANDI SULLE CONGIUNZIONI.
Fem.a: Congiunzioni semplici (copulative, disgiuntive, negative): e, a, né.
Comandi: — Voi dovete fare il silenzio al posto, e muovervi solo alla mia chiamata.
— Voi dovete fare il silenzio al posto, o muovervi silenziosamente tra i banchi.
— Camminate liberamente per la sala in punta di piedi, badando di non incontrarvi
mai, né di seguirvi l'un l'altro.
Tema: che (relativa o dichiarativa).
Co.MANDo: — Uscite dalla sala e aspettate là fuori... che... io vi faccia il cenno di
Tkma: ma, invece (avversativa).
Comandi: — Mettetevi su due linee: l'una si sposti da sinistra verso destra; l'altra
invece faccia il movimento contrario.
— [^'ormate una lunga fila, e camminate avanti: giunti in fondo alla sala, non vi fer-
mate, ma voltate a sinistra.
GRAMMATICA 33I
Tema: se (condizionale).
Comando: — Voi potrete sentire il rumore della goccia d'acqua cheTfarò cadere, se
resterete un minuto in profondo silenzio.
Tema: mentre, quando, appena (temporali).
Comandi: — Alcuni di voi passeggino alquanto tra i tavoli, e poi si fermino in mezzo
alla sala; gli altri bambini, mentre quelli si raccolgono in gruppo, cerchino di
coprire loro gli occhi di nascosto con le mani.
— Uno di voi corchi di uscire dalla sala; quando sta per varcare la soglia dell'uscio
gli altri debbono sbarrargli il passo.
— Preparatevi per uscire dal posto: appena io dirò: via! andate di corsa in fondo
alla sala.
Tema: affinchè, perchè (finah).
Comando: — Uno di voi deve cercare di toccarvi, mentre camminate per la sala:
voi dovete far di tutto affinchè con ci riesca.
— Comanderò un'azione ad un bambino: gli altri devono far di tutto perchè non riesca
ad eseguirla.
Tema: piuttostochè, anziché (elettive).
Comando: — S'alzino in piedi i bambini che desiderano di mettersi a lavorare
piuttosto che andare un poco fuori a divagarsi.
Tema: perchè, poiché (causali).
Comando: — Prima di mettersi a lavorare, raccogliamoci in silenzio, perchè nel
raccoglimento penseremo che cosa dovremo fare.
Tema: fuorché, salvochè (eccettuative).
Comando: — Alzatevi e girate liberamente per tutta la sala, fuorché da questa
parte (i).
(i) Lo studio della congiunzione vien ripreso dopo che si è studiato il periodo.
132 PARTE SECONDA
IN ri{RIHZIONI
Essendo questa l'ultima jiarte del discorso rimasta a studiare, i bambini
sono giunti a riconoscere tutte le parti del discorso. Non è dunque più neces-
sario comporre artificialmente delle monche frasi che contengono solo le
parti del discorso note al bambino. Per questo sono state scelte delle frasi
da autori classici (quasi tutte dal Manzoni).
Siccome l'interiezione è un'espressione abbreviata in una sola parola,
essa si presta molto all'interpretazione drammatica; i bambini quindi sulle
medesime frasi fanno il doppio lavoro di una analisi generale e della « lettura
espressiva « o recitazione delle frasi da essi scelte e studiate (in sostituzione
dei comandi). Inoltre sarà presentata una tabella contenente la classifica-
zione completa delle interiezioni; ed i bambini potranno leggerla, dando ad
una ad una la interpetrazione espressiva della voce e del gesto.
Questa sarà la prima tavola di classificazione presentata.
In seguito tutte le parti del discorso verranno ripresentate con la defini-
zinne e la classificazione.
ANALISI.
Materiale. — 11 casellario grammaticale è completo: esso ha nove ca-
selle pei cartellini colorati: nocciola per l'articolo, nero pel nome, marrone
per l'aggettivo, rosso pel verbo, viola per la preposizione, rosa per l'avverbio,
verde pel pronome, giallo per la congiunzione, celeste per l'interiezione.
Nel reparto dei biglietti delle frasi, stanno i gruppi ai quali corrispondono i
cartellini riproducenti esattamente tutte le parole in essi contenute (Tav. XIV).
Gruppo A.
— Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi.
— Oihò vergognai scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole.
— Addio! monti sorgenti dalle acque ed elevati al cielo. Quanto è triste il passo di
chi, cresciuto tra voi, se ne allontana.
— E sopratutto non si lasci uscire parola su questo avviso che le abbiamo dato
per suo bene; altrimenti ehm!
— Misericordia! cos'ha signor padrone?
— Ah! voi vorreste farmi parlare e io non posso.
grammatica 333
Gruppo B.
— Eh via! che mi venite a rompere il capo, con queste fandonie.
— Un bravo! bene! scoppiò da tutte le parti della sala.
— Ehi! ehi! dove andate, galantuemo?
— Poh! rispose Tonio piegando il capo sulla spalla destra, e alzando la mano sinistra
con un viso che diceva: « mi fai torto! ».
— Ah no, per carità, non dite così.
— Oh! questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace davvero!
Gruppo C.
— Chi è là dentro? ohe! ohe!
— Via via, niente paura.
— Ih! buon per te che ho le mani impicciate, riprese la donna, dimenando i pugni.
— ■ Toh, disse Renzo; è un poeta costui. Ce n'è anche qui, di poeti.
— Ronzo russava ancora da circa sette ore ed era ancora poveretto! sul più bello,
quando due forti scosse alle braccia lo fecero riscuotere.
— Ahi! ohi! ahi! grida il tormentato.
— Dov'è questo paese? Eh eh eh! rispose il frate, trinciando verticalmente l'aria
con la mano distesa per significare una gran distanza.
— Ohi! ohi! ohi! che cosa vuol farne di quell'ordigno, costui?
— Animo, vada a prendere il breviario e il cappello e andiamo.
— Uh! ha voglia di scherzare, lei.
— Ton ton ton ton! i contadini balzano a sedere sul letto. Cos'è cos'è! Campana a
martello.
— Poh! zia, non son poi un ragazzo.
Tabella delle interiezioni classificate.
(Lettura espressiva delle parole per interpretazione spontanea).
Definizione : L'interiezione è un'espressione abbre\"iata in una parola.
Interiezioni :
Di dolore: ahi! ohi! ohimè! ahimè! ah4-oh! poveretto! ^.
Di preghiera: deh! mercè! aiuto! per carità! per an^r di Dio!
Di meraviglia, di ammirazione: Oh! ih! nientedimeno! poh! to'! ehi corbezzoli!
bazzecole! caspita! cospetto! uh! oooh! misericordia! diavolo! bubbole!
Di minaccia : ehm ! guai !
Di nausea, di orrore : puh ! puah ! brrr ! '^
Di sdegno; oibò! vergogna!
Di dubbio: uhm!
Di fastidio: auf! auff!
Per richiamare, azzittire: ehi! ohe! olà! alto là! psssl'st! pssst!
Per indicare : ecco ! riecco ! eccomi ! eccoci !
Per sollecitare: orsù! via! suvvia! animo! coraggio! arri là! hop hop!
Per salutare: salve! vale! addio! arrivederci! ave!
Per applaudire, esaltare: bene! bravo! viva! evviva ! gloria! osanna! alleluja!
Per imprecare : accidenti ! accidempoli ! perbacco ! canchero ! malannaggia !
Per .^imitar e rumori, suoni: crac! patatrac! piff paff! dindon! ton ton ! zum
zum ! bum bum !
Per imitare voci: gnau! chicchirichì! coccodè! era era era! uè uè uè! giù giù giù!
pi pi pi ! cri cri ! fron fron ! hu bu ! ecc.
Ji4 l'ARTr STXONDA
ANALISI DELLA PROPOSIZIONE
E DEL PERIODO
PROPOSIZIONE.
Il materiale per l'analisi logica consiste in rotoletti fatti con una striscia
di carta, un po' più larga e più solida di quella usata in telegrafia, sulla
quale sono stampate proposizioni e periodi in serie determinate. E una
tabella divisa in due file di rettangoli, entro ciascuno dei quali è scritta
una specificazione delle parti della proposizione: la proposizione scritta sulla
striscia arrotolata, si strappa in parti, e ciascuna di queste parti si col-
loca in un rettangolo, sulla guida della specificazione. È ancora un'applica-
zione dei casellari, usata per analizzare i segni alfabetici e quindi i suoni
componenti la parola., o le parole come parti del discorso : qui il casellario
è ridotto a un semplice disegno. Le tabelle per l'analisi logica sono di carta
colorata, artisticamente disegnate e ornate. Ne abbiamo preparato quattro
tipi, come ornamento e colore, perchè questa esteriorità ha anch'essa un'in-
fluenza sul lavoro dei bambini.
Ecco le divisioni delle tabelle :
GRAMMATICA
335
Tabella A.
'?>5B^-':S'?'^Bff$'-'"»5&S»5&'?T 'y^''P^-^^^S>'S^?'$'C'^;S'<P'&>^''^'r^'y^^^' v^'?^T«S^?3&^>^-3f^*^^">>!&9©'?*&
VERBO
(Predicato verbale o nominale)
chi è che?,
che cosa è che?.
SOGGETTO
chi?... che cosa?...
(Complemento oggetto o diretto)
a chi?... a che cosa?...
(Complemento di termine)
da chi?... da che cosa?..
(Complemento di agente)
di chi?... di che cosa?. .
(Complemento di appartenenza, di materia)
quando?...
(Complemento di tempo)
dove?...
(Complemento di luogo)
da dove?...
(Complemento di provenienza)
(Complemento di modo)
per quale causa?
(Complemento di causa)
per qual fine?
(Complemento di fine)
per mezzo di chi?.,,
per mezzo di che cosa?.
(Complemento di mezzo)
con chi?... con che cosa?..,
(Complemento di compagnia)
(Complemento attributivo)
(Complemento vocativo)
336 PARTE SECONDA
Le due caselle in alto (predicato, soggetto) sono pili ampie e più adorne
delle altre caselle; le parole: «predicato, soggetto», sono stampate con una
scrittura tutta maiuscola. Invece le altre caselle sottostanti sono più sem-
plicemente ornate, e i caratteri non sono maiuscoli. Ciò serve a distinguere
le parti principali dalle secondarie, nella proposizione. I titoli e le domande
sono in colore diverso, per es.: nero i titoli e rosso le domande. Ovvero rossi i
titoli e verdi le domande. Queste, inoltre, sono, come dimensione di caratteri,
prevalenti sui titoli. Invece nelle prime due caselle, sono prevalenti i titoli.
11 bambino comincia a distinguere la proposizione, cioè a portarvi la
sua attenzione. Quante volte ha letto, pronunciato e composto delle propo-
sizioni! Ma ora le osserva dettagliatamente e le studia. La proposizione è
un breve discorso a senso compiuto che, esprimendo un'azione o un modo
di essere, aggira le sue diverse parti'attorno ad un verbo. L'esercizio primo
del bambino, deve essere di trovare il verbo: ciò che non gli è difficile,
dopo i precedenti esercizi. Appena trovato il verbo, è il soggetto che è
essenziale di riconoscere: dato il verbo, il soggetto si trova con la domanda:
" chi è che? ... ».
Esempio : // bambino legge. La parola « legge » è il verbo : si strappa il
pezzetto della striscia di carta ove è la parola « legge » e si pone nella ca-
sella del verbo. Poi si fa la domanda: «chi è che legge? il bambino». Il
pezzetto della striscia di carta ove è scritto « il bambino», si strappa e
si pone nella casella del soggetto.
Un'altra proposizione. Sulla striscia di carta sta scritto: « il vasetto è
rotto ». La maestra fa una breve spiegazione che il verbo «è», solo, non
avrebbe un significato speciale: « è», non vuol dir niente, è che cosa?...
quindi bisogna unire al verbo essere il suo attributo: « è rotto ». In tal
caso si ha un predicato nominale. Mentre, quando il verbo contiene un signi-
ficato speciale di azione: « legge », si ha un predicato verbale.
Si strappa dunque la striscia ove sta scritto: « è rotto » e si mette
nella casella del verbo. «Che cos'è che è rotto? il vasetto ». La striscia ov'è
scritto « il vasetto », si mette nella casella del soggetto.
Sarebbe possibile copiare tutto ciò in calligrafia, così:
Proposizione: il bambino legge
fi bambino: soggetto
legge: predicato (verbale).
Serie l. — Proposizioni semplici.
La prima striscia è preparata con le seguenti proposizioni semplici
(senza complementi).
— I! bambino legge. — Il vasetto è rotto.
— Carlo è biondo. — Alcune piante fioriscono.
GRAMMATICA 337
— La lavagna è pulita. — Chi è venuto?
— La matita è appuntata. — Il cielo è azzurro.
— Io sono pronto. '' — Io esco.
— I bambini passeggiano. — Il tempo passa.
— La direttrice suona.
Serie IL — Proposizioni complesse con alcuni complementi.
Sulla striscia di carta sono scritte successivamente l'una all'altra, le
seguenti frasi :
— Essa amava teneramente il suo bambino.
— I sordomuti parlano con i gesti. ''
— Egli portò molti fiori alla maestra.
— La mamma disse il perchè.
— Tu farai, Mario, questo piacere alla sorellina.
— Maria ti presterà il libro per qualche giorno.
— Luigina dette un soldo al poveretto.
— Da dove vieni, Maria?
— Io lo farò, mamma.
• — Il piccolo Luigi, di tre anni, ha pulito tutta la lavagna.
— Quale bravo bambino Io disegnò?
— lersera mostrai quella graziosa letterina al babbo.
— • Sul terrazzo sventola una grande bandiera tricolore.
— Sei tu andato a teatro?
— ' Il vento sbatteva la pioggia contro le finestre.
— L'amica scrollò le spalle.
Applicazione ; esempì.
Si stacca la striscia che contiene la prima proposizione: « essa amava tene-
ramente il suo bambino ». Strappato il pezzetto di carta ov'è scritto « amava »,
lo si mette nella casella del verbo. Chi è che amava? Essa. La parola « essa «
viene posta nella casella del soggetto. Essa amava... chi? il suo bambino.
La striscia ov'è scritto « il suo bambino » viene staccata e posta nella ca-
sella del complemento oggetto o diretto. (È cosi, leggendo le denominazioni
scritte nelle caselle, che il bambino viene a classificare i complementi).
« Come lo amava? in qual modo? teneramente ». Il pezzetto di carta ov'è
scritto « teneramente », si pone nella casella del complemetito di modo. La
frase è finita.
Ora il bambino può copiare l'analisi, o farne delle altre, a suo piacimento.
Copiando, potrà scrivere così:
Proposizione: Essa amava teneramente il suo bambino.
Essa: soggetto
amava: predicato (verbale)
teneramente: complemento di modo
il suo bambino : complemento oggetto.
ijS PARTI SFCONDA
Por classiftcare i complementi vocativi e attributivi, basterà una seni-
plicissinja indicazione della maestra.
Esempio: «.Tu farai. Mario, questo piacere alla sorellina '■k La parola
« Mario » è qui una specie d'invocazione: « o Mario, tu farai ...» Quasi sempre
i vocativi possono riconoscersi perchè chiedono innanzi a sé quell'ao... ».
Nell'altra proposizione: ^ // piccolo Luigi, di tre anni, ha pulito tutta la
latuigna «. Quel «di tre anni» è un attributo di Luigi, e si pone nella casella
dei complementi attributivi.
Serie III. — Proposizioni composte, con due o più elementi della stessa
specie.
Sulla striscia di carta arrotolata sono scritte le seguenti proposizioni,
che si possono leggere e staccare una dopo l'altra, svolgendo il rotolo.
— Il bambino dorme e sogna.
— Tutti amano le frutta e i fiori.
— Egli prese carta, penna e calamaio per scrivere alla sua amica.
— Carlino aprì e richiuse il libro.
— Il babbo e il medico uscirono dalla stanza del piccolo malato.
— Le donne consigliarono la pace, la pazienza e la prudenza.
— La madre e il figlio abbracciarono Geltrude.
— Esempi e ragioni non gli mancheranno.
— Nel principio Dio creò il cielo e la terra.
— Sui tetti delle case noi vediamo camini ed abbaini.
Serie IV. — Proposizioni ellittiche, ove è sottinteso il soggetto.
Il bambino interpreta la proposizione completandola e trovando quale
è l'elemento che manca.
— La ringrazio. — Siamo contentissimi.
— Verrete? — Vi saluto.
— Sono stanco. — Vado a casa.
— Non mi sento bene oggi. — Lampeggia.
— Com'è andata? — M'impose silenzio.
— Dico la verità. — Ascolto.
Serie V. — Proposizioni ellittiche, ove è sottinteso il predicato.
— Silenzio ! — Onore al merito.
— Perchè tanto rumore? — Bravo!
— Sotto la neve, pane. — Che brutto tempo!
— A buon intenditor, poche parole. — Buon giorno!
— Oggi a me, domani a te, — Che bella sala luminosa!
— A domani! — Patti chiari.
GRAMMATICA 339
Serie VI. — Proposizioni ellittiche, ove è sottinteso il complemento oggetto.
— Per favore, apritemi! — Apparecchia subito!
— Quell'uomo, guadagna! — Avete vendemmiato?
— Intanto egli spende e spande come — E spronò via.
un riccone. — Per carità, chiudete!
Serie VII. — Proposizioni complesse ove sono molti complementi e dove
si sommano le di)
— Ferruccio era rientrato stanco, infangato, con la giacchetta lacera e col livido
d'una sassata sulla fronte.
— Luigino andava a casa a passo frettoloso.
— Noi sentimmo delle risate di bambini nel cortile.
— Io mi trovai, fanciulla, un bel mattino
di mezzo maggio, in un verde giardino.
— La bella bimba dai capelli neri
è là sul prato.
— Il mio povero cuor mai non v'oblia
o sguardi, o baci, o tenere carezze,
o dolce amore della madre mia.
— La donna mi andava innanzi curva, con un bimbo in collo.
— La vocina di Carluccio si sentiva distintamente, in mezzo a tutte le altre, tre-
mula e armoniosa.
— Domani verrò in città a piedi.
— Camillo passava l'estate tutti gli anni coi suoi genitori sulla vetta di una
amena collina.
— Quella sera la casa di Ferruccio era più quieta del solito.
— Non voglio noie stamani.
— Non ne voglio sapere affatto.
— Mi dite voi il perchè?
— Di quando in quando una frotta di persone traversava la visi a passo frettoloso.
— 11 dottore mormorò una parola all'orecchio del Sindaco.
— In quel momento egli sentì bussare alla porta.
— Vengo da Milano per rivedere la mamma.
^ C'era una volta un piccolo agnellino
bianco, liscio, pulito...
»
Collocazione delle parti nella proposizione — Spostamenti.
Regola. — La lingua italiana segue di preferenza l'ordine diretto nella
prosa; e solo eccezionalmente l'ordine inverso.
Invece in poesia è più frequente l'ordine inverso.
L'ordine diretto consiste nel porre :
prima il soggetto;
poi il predicato;
quindi il complemento diretto (oggetto).
340 PARTK SECONDA
Gli altri complementi poi seguono secando l'importanza che dà loro il
contenuto, il senso della proposiziono.
Tali concetti sono si semplici e chiari, che il bambino può assai facil-
mente comprenderli.
Tuttavia il metodo di darne l'intuizione, non sarà una spiegazione, ma
la dislocazione reciproca delle parti, che è resa possibile per essere la pro-
posizione divisa in tanti brani, i quali si possono muovere e combinare a
piacere. Analogamente, dunque, a ciò che si fece per dare un'idea della
collocazione delle varie parti del discorso, spostando i cartellini, qui si pro-
cede spostando i brani della striscia scritta.
Esempio:
II vento
sbatteva
la pioggia
contro la finestra.
(soggetto)
(predicato)
(compi, i.ggetto)
(compi, di luogo)
Spostando i brani, si possono avere le altre seguenti costruzioni:
Sbatteva - il vento - la pioggia - contro la finestra.
Contro la finestra - il vento - la pioggia - sbatteva.
Sbatteva - il vento - contro la finestra - la pioggia.
Contro la finestra - il vento - sbatteva - la pioggia.
Il vento - la pioggia - sbatteva - contro la finestra.
Serie Vili. — Ordine diretto ed inverso.
Su ciascuna proposizione può venir dimostrato l'ordine diretto e inverso.
Per lo studio della inversioni gli esempì possono essere tratti dal linguaggio
poetico.
Nella serie VITI le proposizioni sono tutte di ordine inverso:
— E l'erbajol rinnova
di sentiero in sentiero
il grido giornaliero.
— Qua e là sui crocicchi, nelle piazze, davanti ai caffè, sulle gradinate delle chiese,
c'erano dei capannelli d'uomini e di ragazze.
— Or cantano i passeri intorno
la piccola croce.
— Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
— Di rondini una schiera
volando intomo va.
. .. , aiuto per pietà !
gridava, solamente per trastullo,
Checco il guardian, sciocchissimo fanciullo.
GRAMMATICA
341
Gli esercizi sull'ingranaggio delle parti nella proposizione possono es-
sere diretti allo scopo di far conoscere ed usare delle forme grammaticali
che prima lo studio delle singole parole non permetteva ; come : le forme
verbali e le forme del pronome indicativo usato come complemento oggetto
e di termine.
Serie IX.
Le forme del verbo.
La striscia di carta porta le tre forme del verbo (attiva, passiva e ri-
flessiva) successivamente, le quali vengono analizzate sulla tabella analitica
della proposizione.
Forma attiv.a
l'azione è fatta dal soggetto
Carlo veste la sorellina.
La mamma avvia alla scuo-
la la bambina.
La maestra lodò Maria per
la sua bella azione.
La piccola amica scusò
Luisa dello sgarbo.
Il portinaio accusò il ra-
gazzetto.
La mamma cullava la pic-
cola bambina nella seg-
giolina a dondolo.
La mamma distese il ma-
latino sul soffice divano.
Il buon vecchio amava as-
sai Luigi.
Luigi conosceva il piccolo
spazzacamino.
Forma p.\ssiva
l'azione è fatta dal compi
di agente
La sorellina è vestita da
Carlo.
La bambina è avviata alla
scuola dalla mamma.
Maria fu lodata dalla mae-
stra per la sua beila,, a-
zione.
Luisa fu scusata dalla pic-
cola amica dello sgarbo.
Il ragazzetto fu accusato
dal portinaio.
La piccola bambina era
cullata dalla madre nella
seggiolina a dondolo.
Il maialino fu disteso dalla
mamma sul soffice di-
vano.
Luigi era amato assai dal
buon vecchio.
Il piccolo spazzacamino era
conosciuto da Luigi.
l'ORMA RIFLESSIVA
il soggetto è il complemento
La sorellina si veste. \
La bambina si avvia alla
scuola.
Maria si lodò per la sua
belia. azione.
Luisa si scusò ddlo sgarbo
Il ragazzettf> si accusò.
La piccola bambina si cul-
lava nella seggiolina a
dondolo.
Il malatino si distese sul
soffice divano.
Luigi si amava assai.
Luigi e il piccolo spazza
camino si conoscevano.
Ò42 PARTE SECONDA
Serie X. — Uso del pronome indicativo.
Le stesse frasi preparate per le analisi sui pronomi indicativi, soggetti
o complementi, i-d altre ancora, possono essere analizzate sul quadro logico
della proposizione.
Carlino con un bacio consolò la sorella.
Carlino con un bacio la consolò.
Emma rimise il libro sul tavolo.
Rssa lo rimise sul tavolo.
Scrissero una lettera alla mamma.
Le scrissero una lettera.
Vuoi regalare alla tua maestra il disegnino?
Vuoi regalarwe/o?
Io raccontai al babbo l'accaduto.
Io glielo raccontai.
Dì ogni cosa alla tua mamma.
Dille ogni cosa.
Mostra al dottore la tua ferita.
Mostra^// la tua ferita.
Non dir male della tua buona vicina.
Non dirne male.
Non infastidire il cane.
Non infastidir/r).
L'esercizio poi delle dislocazioni lascia rilevare le regole della colloca-
zione di questi pronomi nella proposizione. Le maestre debbono ricordare
queste regole, e cioè:
— i pronomi debbono stare accanto al verbo, o prima o dopo o come suffissi ;
— di due pronomi vicini, precede quello che è complemento di termine e segue
quello che è complemento oggetto.
GRAMMATICA 343
PERIODO.
È un complesso di proposizioni che dà un senso compiuto. L'ingra-
naggio delle proposizioni nel periodo è corrispondente a quello degli ele-
menti della proposizione. Il materiale per l'analisi del periodo è perciò ana-
logo a quello per l'analisi delle proposizioni: striscioline di carta arrotolate,
in cui sono scritti i periodi da scomporsi nelle proposizioni ; e una tabella con
caselle ove possono disporsi, dietro le indicazioni ch'esse contengono, le
varie proposizioni staccate l'una dall'altra.
La casella maggiore è riservata alla « proposizione principale » intorno
alla quale le altre proposizioni si dispongono come coordinate o come subor-
dinate.
Essendo il lavoro logico di scomposizione del periodo abbastanza inte-
ressante per trattenere l'attenzione del bambino in pili forme di studio, il
materiale presenta, oltre alle striscie di carta arrotolate e alla tabella del-
l'analisi, anche dei quadri ove l'analisi è compiuta e razionalmente dimo-
strata ; e questi quadri servono insieme come « tavole di confronto » per
gli esercizi fatti dai bambini stessi, e come tavole di studio dell'anaUsi
stessa. Naturalmente, quando il bambino fa l'esercizio con le striscioline di
carta e la tabella analitica, non ha sott'occhio le tavole di confronto: egli
è però sempre libero di consultarle. Ma il suo interesse sta appunto nel
riuscire da sé, a collocare le proposizioni del periodo.
PARTE SECCINDA
-»?- 5w->5-Jw-»? 3Sw-^ 5wr>5ccs^-v: Sw-»r Sw-^-^.->5:a%--^ a^,-»?^.;
PROPOSIZIONE PRINCIPALE
Pri)i)osÌ7.ioni iiicidental
Proposizioni subordinate attributive
chi è che?...
(p. subordinata soggettiva)
(juandor'...
(p. subordinata di tempo)
per qual fine?...
Ip subordinata di fine)
(p subordinata di comparazione
o di modo)
malgrado che cosa?...
fp subordinata ili concessione)
chi?... che cosa?...
(p. subordinata oggettiva)
dove?...
(p, subordinata di luogo)
per quale causa?...
(p. subordinata di causa)
a che condizione?...
(p. subordinata di condizione)
che cosa consegue?...
(p. subordinata di conseguenza
I) di correlazione)
GRAMMATICA 345
Serie I. — La costruzione del periodo è di forma coordinata: cioè le
proposizioni restano indipendenti, hanno ciascuna un senso compiuto, e
potrebbero stare quindi anche separatamente: esse sono perciò delle pro-
posizioni principali coordinate tra loro:
— Cercai attentamente e lo trovai.
— Battè rabbiosamente un piede, s'alzò e fuggì via.
— Battè le mani dalla gioia e si mise a saltare.
— Si coprì gli occhi con una mano e pianse,
— Si guardavano in viso gli uni con gli altri : ognuno aveva una domanda da
fare; nessuno una risposta da dare.
— Son qui: ma bisogna aiutarmi, bisogna ubbidire.
— Si voltan tutti a quella casa, vi s'avvicinano in folla, guardano in su, stanno
in orecchi.
— Chi accorre, chi sguizza tra uomo e uomo e se la batte.
— Continuarono in silenzio la loro strada, e poco dopo sboccarono finalmente suUa
piazzetta davanti alla chiesa del convento.
— Il guardiano cominciava a ringraziare, ma la signora l'interruppe.
— Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere.
— Non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi!
Qui il bambino, dividendo il periodo in proposizioni, può poi riunire
tutte queste una sotto l'altra e verificare che hanno un senso compiuto,
e che ciascuna può stare da sé:
Cercai attentamente. Si voltan tutti a quella casa.
E lo trovai. Vi si avvicinano in folla.
Guardano in su.
Battè rabbiosamente un piede. Stanno in orecchi.
S'alzò.
E fuggì via.
Battè le mani dalla gioia.
Chi accorre. ^
Chi sguizza tra uomo e uomo.
E (chi) se la batte.
E si mise a saltellare. Continuarono in silenzio la loro strada.
E poco dopo sboccarono finalmente sulla
Si coprì gh occhi con una mano. piazzetta davanti alla chiesa del con-
fi pianse. vento.
Si guardavano in viso gli uni con gh altri. ^ guardiano cominciava a ringraziare.
Ognuno aveva una domanda da fare. ^a la signora l'interruppe.
Nessuno (aveva) una risposta da dare. ^^^ ^^ f^^e ^^^ p^^l^^e.
Non mi fate piangere.
Son qui.
Ma bisogna aiutarmi. Non fate pettegolezzi.
Bisogna ubbidire. Non fate schiamazzi.
Serie II. — La costruzione del periodo è di forma subordinata : solo
la proposizione principale ha un senso compiuto ; le altre lo acquistano
solo collegandosi alla principale.
34t> PARTE SECONDA
Qui la proposizione subordinata serve di complemento attributivo, a
uno degli elementi della proposizione principale :
— L'anello d'oro che trovaste ieri per le scale, era della signora Giulia.
— L'uomo che mi ha accompagnato alla scuola era il buon Giuseppe.
— Egli amava quel suo cavallino, che gli obbediva così bene.
— Sono molto buoni i colori ad acquarello, che mi regalò per Natale la zia.
— E penso a te e al tuo figliuolo, che si chiamava come il mio.
— Il temperino che ha fatto la punta alla matita, era affilato di fresco.
— Dunque vi sono ancora
Dei poveri bambini
Che van scalzi pel mondo?
— Eccovi i danari che mi avete prestato. i
— S'avvicinò ai bambini che leggevano adagio adagio.
— La casa che io abito è bella e soleggiata.
— I piccoU compagni con i quali gmoco sempre, non vennero ieri alla scuola.
— Quel giovane che lo amava assai, prese le sue difese.
TAVOLA DI CONFRONTO.
Proposizione princip/U,e : Proposizione ATTRiBurrvA :
(L'elemento a cui si riferisce la proposizione (Per darle un senso occorre unirla alIVlemonto
attributiva è scritto in corsivo). dolla principale a cui si riferisce).
L'anello d'oro era della signora Giulia. che trovaste ieri per le scale.
L'womo era il buon Giuseppe. che mi ha accompagnato alla scuola.
Egli amava quel suo cavallino. che gli obbediva così bene.
Sono molto buoni i colori ad acquarello. che mi regalò per Natale la zia.
E penso a te e al tuo figliuolo. che si chiamava come il mio.
Il temperino era affilato di fresco. che ha fatto la punta alla matita.
Dunque vi sono ancora dei poveri ham- che van scalzi pel mondo.
bini.
Eccovi i denari. che mi avete prestato.
S'avvicinò ai bambini. che leggevano adagio adagio.
La casa è bella e soleggiata. che io abito.
I piccoH compagni non vennero ieri alla con i quali gioco sempre.
scuola.
Quel giovane prese le sue difese. che lo amava assai.
Serie IIL — La costmzione del periodo è di forma subordinata —
cioè soltanto la proposizione principale ha un senso compiuto e le altre lo
acquistano solo messe in rapporto alla principale. Le proposizioni subordi-
nate di questa serie, però, non si riferiscono, come nell'altra, a « una parola»
della proposizione principale, della quale parola completano il senso, determi-
nando un attributo di essa : ma invece si riferiscono al contenuto, al pensiero
espresso dalla proposizione principale, e di quel pensiero completano l'espres-
sione. Sono perciò in rapporto logico con la proposizione principale. Saranno
le domande che si trovano nella Tabella analitica, che (tranne per le proposi-
GRAMMATICA
347
zioni principali) guideranno il bambino a trovare il posto delle singole propo-
sizioni subordinate ed a classificarle secondo i termini segnati nel casellario.
Periodi che si succedono sulla striscia arrotolata :
— Non dimenticare, Enrico, di scrivermi una lunga lettera appena arrivato colà.
— Via, via non avete detto voi stesso che bisogna tenetlo di conto?
— Quando Ambrogio sentì una voce conosciuta, lasciò andare la corda.
— Entrati che furono, il padre Cristoforo riaccostò la porta adagio adagio.
— Mentre ella partiva, Renzo susurrò : «non m'avete mai detto niente».
— Si portò la cocca del grembiale sugli occhi per asciugarsi le lacrime che le scen-
devano abbondanti sulle guance.
— Chi cerca trova.
— Chi tardi arriva, dice il proverbio, male alloggia.
— Chi va piano va sano, dicono gh antichi.
— È inutile che tu ti provi a consolarmi.
— E s'allontanarono dopo aver fatto una voce a Carmela perchè non li seguitasse.
— Io faccio voti perchè la Camera dei deputati accolga la domanda dei superstiti
garibaldini.
— Ricordo ora che devo ringraziarti del favore che mi facesti.
TAVOLA DI CONFRONTO.
Proposizione princip.\le
e incidentali
Non dimenticare, Enrico,
Via via, non avete detto voi stesso
Ambrogio lasciò andare la corda
Il padre Cristoforo riaccostò la
porta adagio adagio
Renzo susurrò
Si portò la cocca del grembiale
sugli occhi
Trova
Male alloggia
Dice il proverbio (incidentale).
Va sano
Dicono gh antichi (incidentale).
È inutile
E s'allontanarono
lo faccio voti
Ricordo ora
Domanda:
quandt)?
che cosa?
chi é che-
chi e che
che cosa?
quando?
per qual fin,
per qual fin,
SUBORDIN.'^TE E ATTRIBUTIVE:
di scrivermi una lunga lettera
appena arrivato colà,
che bisogna tenerlo di conto?
quando sentì una voce conosciuta.
entrati che furono.
non m'avete mai detto niente
mentre ella partiva.
per asciugarsi le lagrime
che le scendevano abbondanti sulle
guance (attributiva),
chi cerca,
chi tardi arriva.
chi va piano.
che tu ti provi a consolarmi.
dopo aver fatto una voce a Carmela
perchè non lì seguitasse.
perchè la Camera dei Deputati ac-
colga la domanda dei superstiti
garibaldini.
che devo ringraziarti del favore
che mi facesti (attributiva).
34»
PARTE SECONDA
Serie IV. — La costruzione del periodo è di forma complessa, cioè
comprende insieme proposizioni coordinate e proposizioni subordinate :
— Detto questo si ritirò e chiuse la finestra.
— S'acquetò e disse: lei ne sa più di me.
— Egli ti farà da padre, ti guiderà, ti troverà del lavoro per fin che tu possa
tornare a viver qui tranquillamente.
— Una delle più grandi consolazioni di questa vita è l'amicizia ; e una delle con-
solazioni dell'amicizia è quell'avere una persona a cui confidare un segreto.
— Dove ora sorge quel bel palazzo, con quell'alto loggiato, c'era allora e c'era
ancora non son molt'anni, una piazzetta, e in fondo a quella la chiesa e il
convento dei cappuccini, con quattro grand'olmi davanti.
— Renzo andò diritto alla porta, si ripose in seno il mezzo pane che gli rimaneva,
levò fuori e tenne preparata in mano la lettera e tirò il campanello.
— S'aprì uno sportellino che aveva una grata, e vi comparve la faccia del padre
portinaio a domandare chi era.
— Chi va piano va sano e va lontano.
— Carmela lo guardò fisso negli occhi e poi abbassò la testa e lo sguardo, proprio
come se pensasse.
— Si voltò, guardò dietro l'uscio e disse: oh, ci sei!
TAVOLA DI CONFRONTO.
Proposizione principale;
Si ritirò
S'acquetò
Egli ti farà da padre
Una delle più grandi
consolazioni di questa
vita è l'amicizia
C'era allora... una piaz-
zetta
Renzo andò diritto alla
porta
S'apri uno sportelli
Va sano
Carmela lo guardò . fisso
negli occhi
Si voltò
Proposizione coordinata ;
e chiuse la finestra
e disse
ti guiderà
ti troverà del lavoro
e una delle consolazioni
dell'amicizia è
e e era ancora
e in fondo a quella
(c'erano) la chiesa e il
convento dei cappuc-
cini con quattro gran-
d'olmi davanti
— si ripose in seno il
mezzo pane
— levò fuori
e tenne preparata in
mano la lettera
e tirò il campanello
e vi comparve la faccia
del portinaio
e va lontano
e poi abbassò la testa e
lo sguardo
— guardò dietro l'uscio
— e disse
quando?
che cosa?
fino a quando?
Proposizioni subordinate
E attributive:
detto questo.
lei ne sa più di me.
per fin che tu possa
tornare a vivere qui
tranquillamente.
quell'avere una persona
a cui confidare un se-
greto (attributiva).
dove ora sorge quel bel
palazzo con quell'alto
loggiato.
non son molt'anni.
che gh rimaneva.
che aveva una grata (at-
tributiva)
a domandare
chi era.
chi va piano,
proprio come
GRAMMATICA
349
Serie V. — La costruzione del periodo è di forma correlativa : cioè le
proposizioni sono in esso dipendenti l'una dall'altra.
— Tanto va la gatta al lardo, che vi lascia lo zampino.
— Tanto pregò, che l'ottenne.
— Corsi tanto, che lo raggiunsi.
— Tanto gli piacque, che lo comperò, anche a costo di un sacrifizio.
— Ne rimase così rattristato, che nessuno riusciva a consolarlo.
— Tanto più si studia, quanto più si è incoraggiati dal successo.
— Io studiai tanto, che superai felicemente gh esami.
— Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamoroso, la sparizione di tre
persone da un paesello era tale avvenimento, che le ricerche, per premura
e per curiosità, dovevano naturalmente essere molte e Calde e insistenti.
TAVOLA DI CONFRONTO.
Principale e sue coordinate:
Tanto va la gatta al lardo
Tanto pregò
Corsi tanto
Tanto gli piacque
Ne rimase così rattristato
Lo scompiglio di quella notte
era stato tanto clamoroso,
la sparizione di tre persone da un
paesello era un tale avveni-
mento (coordinata)
Quanto più si è incoraggiati dal
successo
Io studiai tanto
cuc cosa ne consegue,
che cosa ne consegue?
che cosa ne consegue?
malgrado che cosa?
che cosa ne consegue
che cosa ne consegue
Subordinate :
che ci lascia lo zampino.
che l'ottenne.
che lo raggiunsi.
che lo comperò.
anche a costo di sacrificio.
che nessuno riusciva a consolarlo
che le ricerche, per premura e
per curiosità, dovevano natu-
ralmente essere molte e calde
e insistenti.
tanto più si studia.
che superai felicemente gli esami.
Collocazione delle proposizioni nel periodo — Versioni.
Resta molto facile col nostro materiale far comprendere ai bambini la
dipendenza reciproca delle proposizioni subordinate.
Facciamo i casi più comuni, eccepibili allo studio dei bambini ; ci sono
delle proposizioni subordinate di primo grado, allorché esse dipendono diret-
tamente dalla proposizione principale ; e subordinate di secondo grado,
quando dipendono da un'altra subordinata (subordinate di una subordinata).
Lo stesso si dica delle coordinate: anche le coordinate possono essere
di primo grado, allorché sono parallele alla proposizione principale, e di
secondo grado, invece, quando son parallele a una subordinata
;,.S*' PARTE SF.CONDA
Kblx'iie, potendo strappare il periodo in tante striscie quante sono le
proposizioni, si dispongono queste sul tavolino in ordine di subordinazione,
ponendo, per esempio, a sinistra la principale e poi via via verso destra
le subordinato.
Siano le frasi :
— E il vecchio raccontava t- prendeva gusto ad esagerare le sue storie per spa-
ventare le donne.
— Ero un monellaccio, non lo nego, ma nessuno badava a me, se non per mal-
trattarmi.
— Anche il dottore, \-isto che il malato non peggiorava e non migliorava, diradò
le sue \isite.
Separate le proposizioni, esse si collocano su una tabella che ha tre
freccie : presso la prima va la principale ; presso la seconda le subordinate
di 1° grado; presso la terza le subordinate di 2° grado come nella tab. C.
I suddetti periodi andrebbero divisi come segue :
Principale
E il vecchio raccontava
e prendeva gusto
grado
a esagerare le sue storie
Subordinata
per spaventare le donne.
T.'^BELLA e
Renzo disse finalmente
Ero un monellaccio,
non lo nego (incidentale)
ma nessuno badava a me
Anche il dottore diradò le
sue visite
Subordinata
dì
i" grado
che andava da don Ab-
bondio
se non per maltrattarmi.
Subordinata
di
1" ^rado
prendere i concerti per
lo sposalizio
che il malato non peggio-
rava
e non migliorava.
GRAMMATICA 35I
Quando i bambini fanno l'analisi logica del periodo con l'aiuto della
tabella analitica, le proposizioni che restano così classificate, possono ripor-
tarsi sulla tabella per lo studio delle dipendenze reciproche (tabella C)
per disporle secondo le posizioni indicate dalle tre frecce.
Tutto ciò prepara nel bambino l'intuizione della « costruzione del pe-
riodo » cioè della «collocazione)) delle sue parti (proposizioni).
Il materiale, permettendo, dopo l'analisi, le dislocazioni, gli spostamenti
delle parti, lascia, come si è veduto per la proposizione, rilevare le regole
che le maestre debbono tener presenti ; e cioè le seguenti :
— Le subordinate attributive vanno sempre poste dopo il nome al quale portano
una nuova determinazione ;
— Le subordinate soggettive possono stare prima o dopo la, principale;
— Le subordinate oggettive vanno dopo la principale e se sono anteposte, vanno
richiamate con un pronome.
— Per tutte le altre subordinate il posto dipende dal rilievo che si vuol dare a
ciascuna di esse.
— L'ordine diretto nel periodo è una costruzione analoga a quella della proposi-
zione in ordine diretto; e cioè:
prima la proposizione soggettiva,
poi la principale,
poi la proposizione oggettiva
e di seguito le altre subordinate.
Il fenomeno della coordinazione è generale e si verifica tanto per la
principale come per le subordinate. "
Gli esercizii speciali relativi a questo studio consistono infine nel met-
tere in ordine diretto i periodi di alcune facili poesie.
Serie VI. — Versioni da eseguirsi sulla tabella, con la striscia:
I. Pria di lasciar la sponda Imita il buon nocchiero pria di la-
II buon nocchiero imita ; sciar la sponda ; vedi se l'onda è in calma.
Vedi se in calma è l'onda, guarda se il dì è chiaro.
Guarda se chiaro è il dì.
Voce dal sen fuggita Più non vale richiamar voce fuggita
Più richiamar non vale ; dal sen. Non si tratrien lo strale quando
Non si trattien lo strale uscì dall'arco.
Quando dall'arco uscì.
(Metastasio).
352
PARTE SECONDA
2. Do\-unquc il guardo io giro.
Immenso Dio. ti vedo:
Nell'opre tue tammiro,
Ti riconosco in me.
La terra, il mar, le sfere
Parlan del tuo potere;
Tu sci per tutto, e noi
Tutti viviamo in te.
(Metast.\sio).
3. Cade la sera: l'umile
famiglia si riposa:
si avvolge nel silenzio
ogni mortale cosa.
Discendi, o Padre, e visita
La terra che si tace:
Manda, o Signor degli umili,
A tutti la tua pace.
(Giulio Gargano).
4. Biancheggia in mar lo scoglio;
Par che vacilli, e pare
Che lo sommerga il mare
Fatto maggior di sé.
Ma dura a tanto orgoglio
Quel combattuto sasso;
E il mar tranquillo e basso
Poi gli lambisce il pie.
(Metastasio).
5. Nell'ora che roseo il cielo raggiorna.
L'artiere sollecito all'opra ritorna:
Il mantice soffia: l'incude sonora
A' torpidi annunzia ch'è sorta l'aurora.
Compagni, spontanei voliamo al lavoro:
Il tempo precipita, il tempo è tesoro.
(Giacomo Zanella).
6. Una goccia, o nuvoletta!
Sitibondo un fior gridò,
— Or non posso, ho troppa fretta —
Gli rispose e via passò.
Chino al suol che umor gli nega,
Il meschino inaridì.
Al mendico che ti prega
Non risponder mai così !
(Giuseppe Capparozzo).
Ti vedo, immenso Dio, dovunque ii
giro il guardo; t'ammiro nell'opre tue
ti riconosco in me.
La terra, il mar, le sfere parlan del
tuo potere; tu sei per tutto, e tutti noj
viviamo in te.
La sera cade; l'umile famiglia si ri-
posa; ogni cosa mortale si avvolge nel
silenzio.
Discendi, o Padre, e visita la terra che
si tace; manda la tua pace a tutti, o Si-
gnor degli umili.
Lo scoglio bianche.Eigia in mar; par
che vacilli : e pare che il mare, fatto
maggiore di sé. lo sommerga.
Ma quel combattuto sasso dura a
tanto orgoglio, e poi il mar tranquillo e
basso gli lambisce il pie.
L'artiere sollecito ritorna all'opra nel-
l'ora che il cielo roseo raggiorna ; il man-
tice soffia, l'incude sonora annunzia ai
torpidi che l'aurora è sorta. Compagni,
voliamo spontanei al lavoro; il tempo
precipita, il tempo è tesoro.
Un fior sitibondo gridò: Una goccia
o nuvoletta ! Gli rispose : — Or non posso,
ho troppa fretta. E passò via.
Il meschino inaridì chino al suol che
gli nega umor. Non risponder mai così
al mendico che ti prega!
GRAMMATICA
353
7. Quell'onda che ruina
Dalla pendice alpina.
Balza, si frange e mormora
Ma limpida si fa.
Altra riposa, è vero.
In cupo fondo ombroso,
Ma perde in quel riposo
Tutta la sua beltà.
(Metastasio).
8. Sorge, appena il sole è nato,
L'operosa artigianella,
E rallegra il vicinato
Col suo canto niÀttinier.
Poi, seduta alla finestra,
Cresce i punti al suo lavoro,
E alternando va con loro
I suoi semplici pensier.
O fanciulla, hai ben ragione
Se il tuo spirto è così gaio :
Sei felice al tuo telaio,
Ricca sei del tuo lavor.
(Antonio Peretti).
Quell'onda che ruina dalla pendice
alpina, balza, si frange e mormora, ma
si fa limpida.
Altra riposa in cupo fondo ombroso,
è vero, ma perde tutta la sua beltà in
quel riposo.
L'operosa artigianella sorge appena
il sole è nato e rallegra il vicinato col
suo canto mattinier.
Poi cresce i punti al suo lavoro, se-
duta alla finestra, e va alternando i suoi
semplici pensier con loro.
O fanciulla, hai ben ragione se il tuo
spirto è gaio così : sei felice al tuo telaio,
sei ricca del tuo lavor.
TAVOLA DI CONFRONTO.
1. Imita il buon nocchiero
Pria di lasciar la sponda.
Vedi...
...se in calma è l'onda.
Guarda...
...se chiaro è il dì.
2. Ti vedo immenso Dio
Dovunque il guardo io giro,
T'ammiro nell'opre tue,
Ti riconosco in me.
La terra, il mar, le sfere
Parlan del tuo potere.
Tu sei per tutto
E noi tutti viviamo in te.
3. Cade la sera.
L'umile famiglia si riposa,
Si avvolge nel silenzio
Ogni mortale cosa.
principale
subm-dinaia di tempo
coordinata alla principale
subordinata oggettiva
coordinata alla principale
subordinata oggettiva
principale
subordinata di luogo
I coordinate alla principale
ì principale
^ coordinate alla principale
principale
coordinata alla principale
^ coordinala alla principale
^
354
PARTE SECONDA
Discendi o Padre
E visit;^ la terra...
...che si tace.
Manda, o Signor degli umili,
A tutti la tua pace.
principale
coordinata alta principale
subordinata attributiva di
coordinata alla principale
4. Biancheggia in mar lo scoglio.
Par...
...che vacilli...
...e pare
Che lo sommerga il mare
Fatto maggior di sé.
Ma dura a tanto orgoglio
Quel combattuto sasso
E il mar tranquillo e basso
Poi gli lambisce il pie.
principale
coordinata alla principale
sttbordinata oggettiva
coordinata alla principale
subordinata oggettiva
subordinata attributiva di « mare
t principale
i coordinata alla principale
5. L'artiere sollecito all'opra ritorna
Nell'ora...
...che roseo il cielo raggiorna,
Il mantice soffia,
l'incude sonora
Ai torpidi annunzia...
...ch'è sorta l'aurora.
Compagni, spontanei...
...voliamo al lavoro,
Il tempo precipita,
il tempo è tesoro.
principale
secondaria attributiva di « ora »
coordinate alla principale
subordinata oggettiva
I principale
ì coordinale alla principale
6. Sitibondo un fior gridò:
Una goccia, o nuvoletta !
Gli rispose:
Or non posso,
ho troppo fretta,
E via passò.
Il meschino inaridì chino al suol
Che umor gli nega.
Non risponder mai così al mendico
che ti prega.
principale
subordinata oggettiva
principale
subordinata oggettiva
coordinata alla subordinata oggettiva
coordinata alla principale
principale
secondaria attributiva di « suol «
principale
secondaria attributiva di « mendico »
7. Quell'onda balza, si frange e mormora
Che ruina dalla pendice alpina
.Ma limpida si fa.
Altra riposa in cupo fondo ombroso,
è vero.
Ma perde in quel riposo tutta la sua
beltà.
principale composta
secondaria attributiva di « onda
coordinata alla principale
principale
incidentale
coordinata alla principale
GRAMMATICA 355
L'operosa artigianella sorge principale
appena il sole è nato subordinata di tempo
E rallegra il vicinato col suo canto
inattinier. coordinata alla principale
Poi cresce i punti al suo lavoro principale
seduta alla finestra subordinata di « modo "
E alternando va con loro i suoi sem-
plici pensier. coordinata alla principale
O fanciulla hai ben ragione principale
Se il tuo spirto è così gaio subordinata oggettiva
Sei felice al tuo telaio \ ,. „ ...
r,. • j 1 i 1 ( coordinate alla principale
Ricca sei del tuo lavor. ) ' ^
Congiunzioni coordinanti e subordinanti.
Lo studio del periodo così condotto, permette la comprensione più chiara
dell'uso di alcune parti grammaticali, come la congiunzione.
Le congiunzioni, nel loro valore e nella loro fondamentale distinzione
in coordinanti e subordinanti secondochè uniscono proposizioni per coordi-
nazione o subordinazione, vengono facilmente capite. I seguenti quadri ser-
vono a rappresentare la generalità dei casi.
I fanciulli sono così preparati ad analizzare in seguito i periodi com-
plessi dei comandi e delle letture che sono già loro familiari (vedi capi-
tolo Lettura).
Quadro delle congiunzioni nella forma coordinata. ^
disgiuntive : o, ovvero, ossia, piuttosto
copulative : e, anche, pure, inoltre, ancora
Congiunzioni ' avversative : ma, però, tuttavia, pure, anzi, invece
coordinanti ^ dichiarative: cioè, vale a dire
asseverative: infatti, veramente
consecutive : dunque, perciò, così.
Le proposizioni principali e le coordinate alle principali possono cominciare
con una di queste congiunzioni.
PARTI- SECONDA
Tabklla D
Ql' APRO CHK RAPPRFSKNTA L'I'SO DiaLK CONGIUNZIONI NKL COSTRUTTO SUBORDINATO
-»r^>ìr -^ -=T -»r -s: -s; -s; -s: -s: -s; -^ -^ -^ -^ '
;OPOSIZlONE PRINCIPALE
Proposizioni incidentali
)nc siiburdinata attribiitiv;
hr, il quale, nii...
Proposizione subordinata soggettiva
che
Proposizione subordinata temporale
quando, allorché, appena,
finché dopoché, tnentre, prima che...
Proposizioni subordinate finali
affinchè, acciocché, onde,
perchè...
Proposizioni subordinate di modo
e di comparazione
come, più che, meno che, che non,
di quello che...
Proposizione subordinata concessiva
benché, quantunque, sebbene,
nonostante che,
ancorché, per quanto...
Proposizione subordinata oggettiva
che
Proposizioni subordinate locali
dove, donde, dovunque...
Proposizioni subordinate causali
che, perchè, poiché, giacché,
siccome...
Proposizioni subordinate condizionali
se, qualora, purché,
a patto che...
Proposizione subordinata consecutiva
e correlativa
così che, di modo che, tanto che.
GRAMMATICA 357
Accordo dei tempi e dei modi verbali.
Una serie speciale di esercizi sulla dipendenza delle subordinate alla
principale, illustrerebbe il comportarsi in esse reciproco del verbo; e servi-
rebbe a far rilevare come cambiando il tempo della voce verbale nella prin-
cipale, debba esser corrispondentemente cambiato quello della voce verbale
della subordinata.
Serie VII. — Accordo dei tempi e dei modi verbali nelle parti del pe-
riodo :
Ti scrivo perchè devo darti delle notizie assai importanti.
» scrissi » dovevo » » » » «
Non vengo perchè ho da fare i compiti.
» venni u avevo » » » »
Ti lodo perchè hai lavorato bene.
» lodai >) lavorasti »
Anche da lontano ti seguirò perchè il tuo lavoro m'interessa.
» » » » seguii » » » » » interessava.
Te lo dirò poiché tu lo vuoi.
» » dissi » » » volevi.
Egli non risponde perchè la tua lettera è troppo imperiosa.
» » rispose » -> » » era >> >.
Desidero che impari a leggere e a scrivere bene.
Desideravo » imparassi » » » » » »
10 sarò orgoglioso che tu cresca appassionato allo studio.
» ero » » )) crescessi » > »
11 babbo ti prega che cambi contegno.
» » » pregava » cambiassi «
Credo che solamente i ricchi possano essere felici.
Credevo « « » » potessero d »
Non voglio che i miei libri vadano in giro inutilmente.
» volli « « » Il andassero » » »
Cerco che quel povero figliolo ritorni alle sue prime abitudini
Cercai t » » n ritornasse » » » «
'^•jS PARTE SECONDA
Io ti dico che lo farò.
« ■' dicevo » " avrei fatto.
Ti prometto che non dirò più butjio.
• promisi » " avrei detto «
Penso che non tornerai tanto presto.
Pensavo » » saresti tornato " »
Lo sai che il tuo babbo andrà lontano lontano.
•' sapevi « » " n sarebbe andato » "
Ti assicuro che lo custodirò gelosamente.
" assicurai " » avrei custodito »
Ti ripeto che non dovrai pentirtene.
» ripetei » » avresti dovuto »
Leggerò anche questo libro se potrò.
Leggerci » » » » potessi.
Verrò prima se potrò.
Sarei venuta » » avessi potuto.
Ti presto volentieri il mio se ti starà bene.
» presterei » » » » » stesse »
Te lo finisco io se non ti dispiace.
» » finirei » » » » dispiacesse.
Continuerò a lavorare se non sarò troppo stanca.
Continuerei « » » » fossi » »
Te lo regalo se tu lo desideri.
" » regalerei » » » desiderassi.
GRAMMATICA
LA PUNTEGGIATURA
La dislocazione della proposizione e del periodo, così come è material-
mente possibile con i nostri mezzi, permette la chiara intelligenza delle pause
e dell'uso, quindi, dei segni di sospensione. Questi segni sono anche negli
alfabetarii.
Perciò tutti gli esercizi fin qui enumerati, sono eseguiti dando spon-
tanea attenzione alla punteggiatura.
Tuttavia sono preparate delle serie di frasi da analizzare, che illustrano
le principali regole dell'uso dei segni d'interpunzione.
Queste frasi (proposizioni e periodi) sono quasi tutte tolte dal Manzoni
poiché il Manzoni curò più di ogni altro scrittore la punteggiatura.
Serie I. — La virgola separa gli elementi coordinali.
— Don .\bbondio andò, tornò di lì a un mon-'ento, col breviario sotto il braccio,
col cappello in capo, e col suo bordone in mano.
— Così detto e pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì dalla camera, e chiuse l'uscio
a chiave.
— .\llora incrociò le braccia sul petto, mise un sospiro, abbassò gli occhi sull'acqua
che gli scorreva ai piedi, e pensò.
— j uel volto, quelle parole, quell'atto, gli avevan dato la vita.
— Sentì allora un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre parole
d'esser trattata diversamente.
— Le frasi, le parole, le virgole di quel foglio sciagurato passavano e ripa-^savano
nella sua memoria.
Serie IL — La virgola racchiude i vocativi e le proposizioni incidentali.
— Tu, Renzo, procura di venirci.
— Coteste, mi scusi, sono di quelle sue solite chiacchiere che non concludon nulla.
— Cugino, quanto pagate questa scommessa?
— Dopo aver camminato un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che da se non
ne poteva uscire.
— Che ne dite. Perpetua ?
— In una Milano, bisogna dirla, c'è ancora del tim^ di Dio...
j6o PARTE SI- CON DA
Serie 111. — La virgola stacca le proposizioni specialmente quando gli
elementi dell'una potrebbero sembrare appartenenti all'altra e quando l'una
si trova incastrata tra gli clementi essenziali dell'altra.
— Andò addirittura, secondo che aveva disegnato, alla casetta d'un certo Tonio,
ch'era lì poco distante.
— Altri, passando davanti all'uscio, rallentavano il passo.
— Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi e indietro, a pa*si luiii^lii,
quella sala.
— I servitori, attirati già dal rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo
la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi.
— L'innominato, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con
una mano.
— Quando Fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la sala, un mormoiio di pietà
e di rispetto.
Serie IV. — La virgola segna una pausa dove è sottintesa una parola
(talvolta la sospensione si fa più lunga con i due punti o il punto e virgola).
— Nondimeno, confidenza in Dio!
— Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone, subito!
— Basta : quel che Dio vuole.
— A Pescarenico, subito! a sapere, a vedere, a trovare...
— 0 Un po' per uno, tormento che sei » disse il marito « abbondanza, abbondanza ".
— "Di grazia» diceva anche lui, «signori miei, un po' di luogo, un pochino; ap-
pena appena da poter passare ».
(V. anche la serie delle proposizioni ellittiche).
Serie V. — // punto e virgola segna una sospensione più forte tra le
proposizioni.
In alcuni casi speciali si adoperano i due punti. Altri segni di punteg-
giatura.
— " Dite pure tutto quello che pensate», disse il Cardinale: « parlate liberamente».
— <■ No, signore, no, signore», di>se subito Agnese : «non ho parlato per questo... ».
— Agnese e Lucia sentirono un ronzio crescente nella strada ; mentre pensavano
cosa potesse essere, videro l'uscio spalancarsi, e comparire il porporato col
parroco.
— " Povera giovine », cominciò : « Dio ha permesso che foste messa a una gran
prova: ma v'ha anche fatto vedere che non aveva levato l'occhio da voi,
che non v'ha dimenticata...».
— Prima di tutto aiKJcremo in istrada; e là sentiremo e vedremo cosa convenga
di fare.
— Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza doman-
darne il nome; è certo d'allontanarsi da Milano, spera d'andar verso Ber-
gamo; questo gli basta per ora.
— Riposarono parte della notte in un'osteria, secondo il solito; ripartirono innanzi
giorno; e arrivarono di buon'ora a Pescarenico.
GRAMMATICA 361
— «L'ho detto: e quando si tratta d'un affare serio, vi farò vedere che non sono
un ragazzo ».
— e Largo, largo, signori, in cortesia ; lascin passare' un povero padre di famiglia;
che porta da mangiare a cinque figlioli ».
— Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare;
ma la parola gli muore in bocca ; allenta le braccia e cerca di farle liberare
in fretta dalle cinghie.
— Salì in soffitta; da un pertugio, guardò ansiosamente nella strada, e la vide
piena zeppa di furibondi ; sentì le voci che chiedevano la sua morte ; e più
smarrito che mai, si ritirò, e andò a cercare il più sicuro e riposto nascon-
diglio.
— Lo sogguardava, avrebbe voluto attaccare un discorso amichevole ; ma, — cosa
devo dirgli ? — pensava : — devo dirgli ancora : mi rallegro ? Mi rallegro
di che?
Serie VL — // punto, il punto interrogativo, il punto esclamativo e gli
altri segni.
A questa serie dovrebbero appartenere dialoghi, racconti vivaci, espres-
sioni di stati di sentimento resi al vivo.
E questi, come anche i piccoli brani, debbono esser tratti dai nostri
maggiori autori che hanno emerso per la naturalezza e vivacità dell'espres-
sione e per l'uso di una sicura tecnica ortografica.
Noi ci varremo dell'ultima serie delle letture per l'interpetrazione, con
l'uso della quale precisamente questo esercizio coincide.
,Vl2 PARTr SECONDA
LE CLASSIFICAZIONI
Da t\itto il lavoro seguito (in qui, i bambini sono venuti a fissare prati-
camente un gran materiale di parole della lingua italiana {hitti gli articoli,
preposizioni, avverbi, pronomi, congiunzioni, interiezioni; molti nomi, agget-
tivi, verbi che aumenteranno con l'allargarsi ulteriore della cultura) — nel
suo uso e nel suo ingranaggio nel discorso.
Può quindi seguire, a questo punto, un lavoro riflesso di classificazione
di queste parole che i bambini trovano materialmente scritte e distinte nei
biglietti diversamente colorati. Questa « classificazione » si fa sulla guida di
tavole separate.
La « classificazione » segna la preparazione ad uno studio teorico della
lingua che dovrà svolgersi nei corsi ulteriori, cioè in un secondo periodo
d'istruzione.
Classificazione delle parole secondo la loro formazione.
, prnnitive
Parole derivate (i)
' composte (2).
(i) Nelle derivate si comprendono anche le alterate. La derivazione si fa con i suffissi.
. accrescitiva (sino al superlativo)
, ,. . . ) diminutiva
Le alterazioni sono \ . ^.
ì vezzeggiativa
' peggiorativa.
(2) Nelle composte si comprendono tutte le formazioni con i prefissi e per l'unione
di due parole.
GRAMMATICA
363
Classificazione delle parole secondo la loro variazione
per: genere, numero, persona; modo, tempo.
preposizione
. , .,. \ avverbio
Invariabili ,
I congiunzione
interiezione
Sono semplici o composte, cioè for-
mate di una o di più parole.
Variabili
articolo
nel genere e nel
numero
nel genere, nu
mero, persona
nel numero, per-
sona , modi e
tempi
aggettivo
verbo
Leggi generali della fle^siovc nel ge-
nere :
la desinenza del maschile cambia in
a al femminile o ha un'alterazione
più profonda.
Flessione nel numero:
maschile desinenza al sing. 0 plur. i
femminile » » » « » <^
masch. femm. » " » e » i
nel genere e nel numero segue le
regole generali della flessione.
I personali hanno voci proprie.
I tre tipi di coniugazione:
I» l'infinito termina in are
Ilo l'infinito termina in ere
HI" l'infinito termina in ire.
Forme irregolari
Classificazione delle parole secondo l'uso
(parti del discorso).
articolo
nome
aggettivo
verbo
avverbio
preposizione
pronome
congiunzione
interiezione.
N.B. — Nell'uso, le parti del discorso non esercitano solo il loro ufficio, ma può
'una prestarsi all'ufficio dell'altra: cosi può far da nome; l'aggettivo, il verbo, l'av-
l'erbio, la congiunzione, ecc. — può far da aggettivo il participio passato e presente del
i-erbo, ecc.
.ìt>4 PARTE SECONDA
Il nome è :
Il nome.
proprio — comune
concreto — astratto
collettivo — individua
L'articolo.
Gli articoli (i) sono.
//, determinativo
un, indeterminativo.
quantitativo
L'aggettivo:
qualificativo: proprietà e qualità delle co.se e degli esseri viventi
I cardinale: uno, due, tre, quattro, ecc.
determinativo ] "moltiplicativo: doppio, triplo, quadru-
(numerale) j P^O' ecc.
I frazionario : mezzo
' alcuno, alquanto, tanto, altrettanto,
\ quanto, molto, poco, del, qualche, pa-
indeterminativo | recchio, assai, ogni, tutto, ninno,
nessuno, punto, ciascuno, qualunque,
certo, altro, troppo
dimostrativo (posizione nello spazio)
questo, cotesto, quello, tale, cotale, quale,
altro, stesso, medesimo
(i) Nell'accordo col nome, questi articoli diventano:
Il lo la
i gli le
GRAMMATICA
363
ordinativo (posizione
reciproca)
primo, secondo, terzo, ecc.
ultimo, penultimo
possessivo
(appartenenza)
mio, tuo, suo
proprio, altrui
Il verbo
Ìesistcn,-:?. : essere
modo dell'esistenza: predicato nominale (es. : è bello)
azione : predicato verbale (es. : corro)
Transitivo: l'azione ri-
cade sull'ambiente
esterno
abbassare, alzare, aggiungere, menomare, avvicinare, al-
lontanare, allungare, allargare, comprimere, trarre, mi-
surare, numerare, ripartire, eguagliare, pesare, tempe-
rare, liquefare, condensare, sciogliere, tagliare, rompere,
accendere, elettrizzare, magnetizzare, piegare, pulire,
pungere, ficcare, legare, rinfrescare, illuminare, afflig-
gere, desiderare, aiutare, ricusare, amare, aspettare, as-
salire, scorgere, biasimare, schernire, curare, montare,
guardare, domandare, persuadere, sentire, imparare,
cercare, chiamare, colpire, difendere, dire, dominare,
educare, scegliere, liberare, accaparrare, dare, toccare,
vestire, sortire, nascondere, rapire, ecc., ecc.
1 nascere, crescere, morire, divenire, spuntare, sbocciare,
scoppiare, fiorire, respirare, radicare, soffocare, impaz-
zire, languire, essiccare, dimagrare, ammalare, piangere,
latrare, cantare, gridare, stare, rimanere, esitare, sof-
resta nel soggetto \ frire, dormire, tremare, ballare, ridere, pugnare, celiare,
j discorrere, andare, entrare, venire, correre, volare, pran-
[ zare, cenare, vegliare, parlare, abbaiare, mugghiare, pen-
\ sare, meditare, riflettere, ragionare, ecc., ecc.
Impersonale: manca
soggetto
lampeggia, nevica, piove, grandina, annotta, albeggia,
tuona, pioviggina, balena, diluvia, rumoreggia, ecc., ecc.
accade, sembra, pare, avviene, importa, bisogna, conviene,
preme, basta, risulta, ecc. ecc.
366
PARTE SECONDA
L'avvkkbk).
Avverbi
di maniera
di luogi
di tempo
di quanti
piano, di passo, di corsa, lentamente, silenziosa-
mente, rumorosamente, rapidamente, brusca-
\ mente, leggermente, fortemente, moderatamente,
debolmente, bene, male, così così, meglio, peggio,
carponi, bocconi, prono, supino, pian piano, al-
trimenti, volentieri, alla peggio, alla meglio, alla
rinfusa, così, ecc.
\ qui, qua, costì, costà, li, là, altrove, su. giù, per
I di qui, per di là
sempre, mai. ancora, jeri, jer l'altro, oggi, do-
I mani, poco fa ora. or ora, adesso, spesso, subito,
1 finalmente, ormai, eli quando in quando, tuttora,
' prima, poi
1 molto, poco, assai, niente, nulla, più, meno, tanto,
parecchio, alquanto, circa, abbastanza, quanto,
' oltremodo, pochino, solo, solamente, troppo
di comparazione |
più, meno, poco più, poco meno, molto più, molto
meno, tanto quanto
1 sì, certo, appunto, sicuro, senza dubbio, senz'altro,
di affermazione < veramente, infatti, sicuramente, certamente, ali-
ene, anzi
di negazione
\ no, non mai, nemmeno, neanche, neppure, nient'af-
/ fatto, per nulla, niente
l forse, probabilmente,
di dubbio > , ,
I soche
mai, per caso, pres-
Preposi-
zioni
La preposizioni-.
semplici I di, a, da, in, con, per, tra
Ì accanto a, accosto a, dietro di, intorno a, in-
sieme con, di qua da, di là da, per mezzo di,
sotto a, ecc.
GRAMMATICA
367
Il pronome:
indicativi
soggettivi
complementari
determinativi
indeterminativi
j io, tu, egli, ella, noi, voi, loro, esso, essi
\ mi, ti, si, io, la. ci, vi, li, le, me, te se, lui,
( lei, gli, loro
1 questi, costui, colui, co-
i di persona stei, colei, costoro, co-
' f loro, altri, altrui
/ ,. \ questo, cotesto, quello,
I di cosa .,
/ ciò, ne
1 uno, alcuno, taluno, certuno, qualcuno,
( qualcheduno, ognuno, nessuno, ciascuno,
( tutto, niente, nulla
congiuntivi e relativi
/ il quale
i che
1 chi
J cui
I onde
, chiunque
La congiunzioni;.
Congiunzioni
disgiuntive: o, ovvero, ossia, piuttosto
copulative: e, anche, pure, inoltre, ancora
avversative: ma, però, tuttavia, pure, anzi, invece
dichiarative: cioè, vale a dire
relative: che \
asseverative: infatti, veramente
consecutive: dunque, perciò, così, di modo che, tanto che
temporali: dacché, dopoché, finché, mentre, quando, appena
causali: perchè, poiché
concessive: benché, quantunque, sebbene
condizionali: se, qualora, purché
finali: affinchè, acciocché
locali: dove, donde, dovunque
comparative: come
Per l'interiezione vedi la tabella a pag. 333.
ì
Tavola I. — Lettura elei cartellini (pag. 267).
■«4 ■■'^■
Tavola II. — Scatoliere grammaticale : articoli e nomi.
La figura inoltra come i- 'praticamente eseguito l'esercizio (pag. 277),
Tavola III. — Il bambino ha eseguito un esercizio di flessione dei nomi nel genere e nel numero;
mentre la bambina sta facendo un esercizio di accordanza tra nome e articolo (pag. 279 e seg.).
i
Tavola IV. — II bambino ha eseguito un esercizio di flessione dei nomi ('pag. lyq e seg )
^m.mm
Favola V. — Scatoliere grammaticale: articoli, nomi e aggettivi,
figura mostra come è praticamente eseguito l'esercizio (pag 291).
VI. — Scatoliere grammaticale: articoli, nomi, aggettivi, verbi (pag. 300).
Tavola VII. — Scatoliere grammaticale: articoli, nomi, aggfttti\'i, verbi, preposizioni. Le due tavole
(tavole VII e Vili) dimostrano come è praticamente eseguito l'esercizio per il quale vengono studiate
con gli oggetti le relazioni vicino a, accosto a; e quindi ricomposte le espressioni: « Metti il C(
accosto al cubo rosa » (pag. 307).
Tavola Vili. — « Metti il cono azzurro vicino al cubo rosa » (pag.'3o7).
Tavola IX. — Scatoliere grammaticale: articoli, nomi, aggettivi, verbi, preposizioni, avverbi (pag 312)
Ta\oi.a X. — Scatolieie grammaticale : articolo, nome, aggettivo, verbo, preposizione, avverbio,
pronome. La figura dimostra il primo momento dell'esercizio, e cior, la composizione della frase che era
analizzata nei cartellini : « Il libro scivolò in terra, Emma rimise il libro snl tavolo » (vedi pag. }2i e. seg.).
Tavoi..\ XI. — Secondo momento dell'esercizio; nella frase così ricomposta sui si
costituiscono i pronomi ai nomi, levando e mettendo dei cartellini: " Il libro scivolò
rimise sul tavolo ■> (pag. 321 e seg ).
Tavola XIII. — Casellario grammaticale :
rticolo, nome, aggettivo, \-erbo. preposizione, avverbio, pronome, congiunzione (pag. 329
Tavola MV. -- Scatoliere grammaticale: tutte le parti del discorso (pag. 332).
LETTURA
LA LETTURA
PARTE MECCANICA.
Incomincia la lettura nelle « Case dei Bambini » fin dal momento in
cui, composta una parola all'alfabetario mobile, i bambini la « rileggono ».
Benché si sia detto fin d'allora che ciò non rappresenta la « vera lettura
della parola « poiché vi manca l'interpetrazione (infatti i bambini conoscono
già la parola, avendola essi stessi composta, e non ne hanno la rivelazione
dal solo riconoscimento dei segni grafici), pure anche questa parte rappre-
senta un forte contributo alla lettura. Si ricordino tutti i particolari di questo
periodo dello sviluppo del linguaggio grafico: il suo meccanismo è stretta-
niente collegato con quello del linguaggio articolato.
Quando l'attenzione del bambino è vivamente portata al riconosci-
mento della parola scritta, è possibile trattenerla sull'analisi dei suoni compo-
nenti la parola; come in una certa età il bambino prova interesse nel toccare
la lettera, così anche prova interesse nell'udire e nel pronunciare i suoni della
parola articolata. Anzi, si dimostrò come il linguaggio grafico, negli esercizi
con l'alfabetario, è proprio il mezzo necessario a « trar fuori » e a « perfezio-
nare » il linguaggio articolato. È in questo che si rende possibile la corre-
zione dei difetti della parola, e si aiuta a sorpassarne normalmente il periodo
formativo.
Si tratta dunque ora di prendere a considerare tale ginnastica del mecca-
nismo della pronuncia, che deve iniziarsi nell'epoca del suo sviluppo naturale
perchè ne venga di conseguenza il perfezionamento. Così è che i bambini
possono arrivare a pronunciare bene speditamente. È pronunciando bene,
facendo tanti esercizi uditori della parola e tanti esercizi d'interpetrazione
Ì-J2 PARTI' SECONDA
dei segni grafici, che il bambino compone insieme i meccanismi fondamentali
della scrittura e della lettura.
La buona pronuncia della parola letta ha un grande valore: si può dire
che l'intento della lettura nelle odierne scuole elementari, è questo principal-
mente. Tuttavia è ben difficile ottenere questo intento quando già la pro-
nuncia si sviluppò e si fissò con dei difetti. In tal caso, i difetti conseguiti
ad un errore primitivo dell'educazione, diventano l'oggetto di tutte le cure,
quasi quasi lo « scopo » della lettura. Vediamo infatti che perfino nella terza
classe elementare i maestri si affannano ancora a far leggere per insegnare a
Il pronunciar bene « e nei libri di lettura ci sono delle serie graduate di esercizi
preparati su questo principio: delle difficoltà della pronuncia. Evidentemente
tale scopo tutto meccanico, fisiologico, è estraneo alla vera lettura. Esso si
presenta come un impedimento allo sviluppo vero della lettura: è quasi un
« corpo estraneo » formatosi lì, come una malattia, a impedire l'alta e grande
funzione intellettuale che interpetra il misterioso linguaggio dei segni, e ne
rapisce le affascinanti rivelazioni. Il bambino dall'avida intelligenza, co-
stretto ad arrestare il pensiero perchè la sua lingua trascurata è oramai zop-
picante, e ridotto alla fatica di raddrizzarla, soffre e s'inaridisce. Invece l'eser-
cizio fatto in tempo, quando tutto il suo organismo nervoso e psichico ten-
deva a perfezionare i meccanismi del suo linguaggio, lo avrebbe affascinato
a guidare questi sulla retta via, e a farli crescere agili e diritti.
Quando l'intelligenza vuol volare, le sue ali devono essere pronte. Guai
se il pittore, quando l'ispirazione giunge, dovesse mettersi a fabbricare i
pennelli!
L'ANALISI DELLA LETTURA: ESPRESSIONE
E INTERPETRAZIONE.
Già fino dalla prima pubblicazione sul metodo educativo delle « Case
dei Bambini » furono distinti i due fatti diversi che intervengono nella let-
tura, cioè l'interpetrazione del senso, e la pronuncia della « parola » fatta ad
alta voce. Fu l'esperienza che richiamò la nostra attenzione su tale analisi,
come guida nello svolgimento della lettura. Infatti, come sa chi ha seguito
quest'opera nei suoi inizi, i bambini, quando lessero per la prima volta in-
terpetrando il senso della lettura, lo fecero senza parola, cioè leggendo men-
talmente. L'interpetrazione infatti porta raccoglimento; è l'intelligenza, che
legge. La pronuncia ad alta voce è ben altra cosa, non solo affatto distinta,
ma secondaria. Ad alta voce si parla; e il parlare sta, con l'udire, a formare
il linguaggio articolato: esso mette in comunicazione immediata due o più
persone che si scambiano in tal modo i pensieri formatisi nel secreto del-
l'anima.
LETTURA 373
Ma la lettura sta in rapporto con la scrittura. Qui non esistono suoni
da udire o da pronunciare. È la persona solitaria, che può mettersi in comu-
nicazione non solo con gli uomini viventi su tutta la terra, ma pure con quelli
che furono nei secoli dei secoli fino alla preistoria. Non sono i suoni, è la scrit-
tura che permette queste comunicazioni. Ed è la mente che le riceve, silen-
ziosamente; così sono muti di suoni i libri.
La lettura ad alta voce è una mescolanza di due linguaggi, quindi qualche
cosa di più complesso che il linguaggio articolato e la lettura presi separa-
tamente.
Nella lettura ad alta voce l'individuo parla non per esprimere i propri
pensieri, bensì quelli rivelati dal linguaggio scritto. La parola, in tal caso manca
del suo naturale stimolo interiore che le dà l'espressione. Essa infatti è sten-
tata e monotona, quasi come il linguaggio di un sordo-muto. Le parole, che
sono frutto dell'interpetrazione dei singoli segni alfabetici, vengono stentata-
mente; il senso, che è frutto dell'iriterpetrazione dell'intera frase mentre l'oc-
chio legge a parola a parola e la traduce in suoni, difficilmente è colto e
ridotto con l'espressione.
Perchè in modo appena comprensibile l'espressione riveli il senso, è stato
necessario che la mente e l'occhio facessero il rapido lavoro di scorrere la frase
intera, mentre la lingua ne pronunciava lentamente, stentatamente e mono-
tonamente le parole!
E se si pensa che tutto ciò si richiede dal bambino delle scuole elementari
insieme alla correzione della pronuncia, si comprende come la lettura sia uno
degli scogli su cui va a battere la navicella senza bussola delle nostre scuole
odierne!
Lo studio che noi abbiamo potuto fare sulla lettura è uno, forse, dei più
completi. Infatti la rivelazione fattaci dal bambino che interpetrava con la
lettura mentale il senso delle frasi seritte sui bigliettini, e poi eseguiva l'azione,
è stata una chiave per l'esperimento. L'interpetrazione del bambino — così
pronta e facile — come è pronta in lui ogni azione, ci rivela ciò che egli ha
capito e quindi ciò che può capire. In tal modo noi abbiamo potuto graduare
sperimentalmente le letture e poi, sulla loro raccolta, studiare quali sono le
difficoltà che successivamente esse presentano. È interessantissimo constatare
che i bambini ci hanno fatto raccogliere degli esempi di proposizioni e di pe-
TÌoài che un grammatico non avrebbe saputo meglio comporre e graduare
onde facilitare lo studio della lingua. Di qui sempre più si faceva in noi la con-
vinzione che la grammatica può essere un aiuto alla costruzione della lingua
e che essa compenetra perciò la lettura e la composizione scritta.
Il setiuento quadro potrà ossero utile a doliiicaro intanto ncH'in^ifmo i
fatti dolla lettura.
scrittura
mecranica
grammaticale (controllata noUa traduzione in
azioni)
narrazione e descrizione
niLicanica
C o ni p o s i z i o r
delle parole l / grammaticale (i) ^tradotta in
*^ ' I azione)
lettura interpretata . deelamatoria (arte del dire)
' istruttiva
\ espressa (ad alta voce)
Cominciamo a stabilire che la lettura vera è solo V« interpetrazione ».
La lettura ad alta voce è invece un complesso di lettura e di espressione
a mozzo del linguaggio articolato; cioè un lavoro complesso ove intervengono
i due grandi meccanismi del linguaggio articolato e del linguaggio grafico.
La lettura ad alta voce permette ad una assemblea di prendere parte alla
lettura che le viene comunicata a mezzo del linguaggio articolato. Tuttavia
non è uguale il lavoro mentale necessario ad ascoltare dalla viva voce di un
uomo, che vi si appassiona, il racconto di cose ch'egli ha provate, e udire leggere
le stesse cose da una persona che non le ha provate, ma che per esprimerle
deve fare un immenso e rapido sforzo d'interpetrazione. La lettura fatta
così per <i trasmissione » presenta le più gravi difficoltà. Tutti noi sappiamo
che è difficile resistere a una lettura: e che il « saper leggere » è un rarissimo
pregio. Chi sa leggere, sa farsi ascoltare quasi come uno che parla.
Insegnare a leggere, dunque, in questo senso, non è insegnare a inter-
petrare il senso, ciò che è sufficiente per « leggere utilmente »: ma è sovrap-
porre un'arte alla lettura. E poiché questa arte espressiva è l'arte drammatica,
di\enta necessario lo sviluppo di questa arte, per insegnare a leggere. Sarà
solo per essa, che si renderà possibile la trasmissione della lettura a una col-
lettività.
Evidentemente, più l'esercizio di « immedesimarsi » nelle cose lette è
svolto e ripetuto, e più verrà la possibilità di esprimere. Non è dunque il tono
di voce e le pause o il gesto che noi dobbiamo insegnare dall'esterno, per at-
tuare quest'arte; ma è la intensa, la viva interpetr azione che porta a imme-
(i) Le prime letture sono una speciale grammatica e un dizionario.
LETTURA 375
desimarsi della cosa letta, quella che condurrà all'intento quando essa sia
praticata come consuetudine, come « forma di lettura ».
Se per provare l'interpetrazione della lettura, c'è l'azione con la quale si
eseguisce quanto nella lettura è descritto; per provare l'interpetrazione della
lettura trasmessa ad alta voce, c'è il ripetere a mezzo del linguaggio artico-
lato delle cose udite. Cioè i bambini per provarci che hanno capito qualche
cosa della lettura ad alta voce, ci potranno poi ripetere, « raccontare » ciò che
hanno udito.
È interessantissimo osservare che cosa consegue da tutto ciò.
Mentre alcuni bambini stanno zitti, altri si offrono di raccontare: il loro
racconto non è chiaro, o manca di qualche particolare. Allora ecco che dei
bambini correggono quegli che racconta dicendo, p. es.: « no, no, non è così »
oppure: « ma. aspetta, dunque hai dimenticato questa cosa ».
Infatti non sono la stessa cosa, aver capito e poter raccontare ciò che si è
capito. Nel racconto c'è una succcssi\a esplicazione di complesse attività
interiori, che si somma all'altra attività di « aver capito ". Sono ancora i tre
tempi delle prime lezioni date ai bambini.
Primo tempo. Dare la percezione: (questo è rosso, questo è turchino).
Secondo tempo. Provocare il riconoscimento: (quale è rosso? quale è turchino?).
Terzo tempo. Provocare l'espressione: (com'è questo?...).
Cosi il bambino che giunge ad esprimere col suo racconto, sia pure im-
perfetto, ciò che ha capito dalla lettura, si trova in uno stadio più avanzato,
rispetto agli altri bambini che non saprebbero raccontare.
Quegli stessi però che non sono in grado di raccontare, possono trovarsi
nello stadio precedente, in cui sono capaci di « riconoscere »; ed allora eccoli
vivacissimi critici, continui interruttori, per dirsi l'un l'altro: « no, non è così »
« hai dimenticato questo e quest'altro ».
Provi uno di noi a raccontare nel modo più perfetto e completo la cosa
letta e vedremo quei petulanti inteo-uttori ascoltarci estasiati, approvandoci,
con tutte le forme di approvazione di cui sono capaci.
Sulla guida di tali manifestazioni, si può fare uno studio psicologico suf-
ficiente a determinare le letture adatte ai fanciulli secondo la età, i modi più'
efficaci di leggere ad alta voce e le vie di sviluppo che segue ogni bambino nel
suo nascosto mondo interiore.
Perchè ciò sia, evidentemente, i bambini devono essere liberi nelle loro
manifestazioni.
La lettura che si fa nelle comuni scuole, ove un bambino chiamato dalia
maestra legge forte, mentre la maestra stessa interrompe continuamente o
per correggere la pronuncia, o per aiutare con le sue spiegazioni e i suoi sug-
gerimenti l'interpetrazione del senso, non sarebbe utile ad un esperimento,
perchè non sapremmo più se il bambino ha capito la lettura o le spiegazioni
376 PARTE SECONDA
della maestra, e perrhò, interrotto dalle correzioni sulla pronuncia, egli ha
dovuto sviare la sua attenzione su questo particolare del tutto estraneo al
senso da interpretare. Quando poi la maestia chiama un bambino a caso per
fargli raccontare ciò che è stato letto; ovvero non a caso, ma scegliendo quegli
che si mostrò più disattento, più estraneo alla lettura (con lo scopo morale di
correggerlo!..) — e, mentre il bambino racconta, soffoca continuamente gl'in-
terruttori dicendo: «silenzio, voi non siete interrogati)), o: «zitti, aspettate
che vi chiami», «non interrompete, non sta bene interrompere chi parla)),
essa è evidentemente fuori dalla via illuminativa.
Dal punto di vista psicologico, perciò, le scuole odierne non potevano
dare alcuna rivelazione, né, quindi, potevano porgere aiuti ad una pedagogia
scientifica innovatrice.
PARTE SPERIMENTALE — LETTURA AD ALTA VOCE.
Benché noi diamo la massima importanza alla lettura interpetrata,
pure offriamo al bambino un libriccino di lettura ch'egli può leggere da sé
a bassa voce e poi. quando ha ben capito, può leggere anche a voce alta,
ma esprimendosi chiaramente e bene.
Farà forse meravigliare la semplicità di queste letture quando si sappia come
i piccoli bambini vi restano immersi, vi si entusiasmano, e le trovano così
affascinanti da consumare il loro hbriccino a furia di leggerlo e di rileggerlo.
Ora lo leggono di seguito, dal principio alla fine; ora lo aprono a caso, e leg-
gono la pagina che sta sotto i loro occhi. E quando hanno finito di leggerlo,
lo rileggono; alcuni amano di leggere e rileggere una sola pagina più e più volte.
Si vedono questi piccolini alzarsi a un tratto con enfasi, e cominciare a
leggere ad alta voce una di queste pagine, tanto studiate e meditate.
Fu con uno scrupoloso ed esatto esperimento, che venne composto il
libriccino. Esso è scritto solo in una delle due pagine che si offrono ad aper-
tura del libro, cioè non c'è nulla scritto al rovescio della pagina di destra.
1.0 scritto poi non sempre riempie la pagina, la (]uale sopra e sotto lo scritto è
tutta adorna di fregi.
Ecco le venti pagine di questo libriccino primordiale:
i^ pagina: La mia scuola si chiama « Casa dei Bambini ».
2» pagina: Nella « Casa dei Bambini » ci sono per noi tante seggioline e piccoli
tavolini.
3* pagina: Ci sono pure graziose credenzine; ogni bambino ha il suo cassetto.
4» pagina: Piante verdi e mazzolini di fiori sono da pertutto nella nostra bella
scuola.
5 pagina: Io mi fermo spesso a guardare i quadri appesi alle pareti.
'i* pagina: Noi facciamo tutto: ci laviamo, mettiamo in ordine gli oggetti, pu-
liamo i mobili, studiamo e impariamo tante cose.
LETTURA 377
7^ pagina: Sapete come abbiamo imparato a vestirci? Lavorando molto con le nostre
dita sui telai per allacciare, slacciare, agganciare, sganciare, abbottonare,
sbottonare, annodare, snodare.
8» pagina: I cubi della torretta sono dieci e sono di diversa grandezza: io li spargo
prima su un tappeto e poi mi diverto a metterli uno sull'altro, scegliendo sempre
il più grande.
9" pagina: La torretta serve anche a fare un bell'esercizio di equilibrio: si porta in
giro per la sala senza farla scomporre. Ma spesso non ci si riesce!
IO» pagina: Anche le aste lunghe mi piacciono: si devono mettere vicino le aste in
gradazione: badando che i pezzi turchini stiano vàcini ai pezzi turchini e i pezzi
rossi vicini ai rossi.
Così si forma una scala a strisele rosse e turchine.
II'' pagina: Ma una vera scala io la formo con i prismi marrone. Questi prismi sono di
grossezza diversa.
10 li metto l'uno accosto all'altro, per ordine di grossezza: ed ecco una
bella scala con dieci gradini.
12* pagina: Gl'incastri solidi sono sostegni di legno dove si incastrano dei cilindretti
di diversa dimensione: ci sono quelli che variano nella grossezza; quelli che
variano nell'altezza e quelli che variano nella grandezza.
L'esercizio consiste nel rimettere a posto i cilindretti dopo averli ben
guardati e toccati.
1.5''' pagina: Spesso si sbaglia lavorando agli incastri solidi. Quando si mette un cilin-
dretto nel posto che non è suo, alla fine del lavoro si rimane con un pezzo in
mano che non va in nessun posto. Ma l'esercizio allora diverte! Si osserva bene,
si trova l'errore e si ricomincia da capo.
I più bravi lavorano agli incastri solidi anche ad occhi chiusi!
14» pagina: Questi colori si chiamano: rosso, nero, verde, giallo, turchino, marrone,
rosa, violetto.
15» pagina: Io mi diverto molto a mettere insieme le tinte uguali, ritrovandole fra
tante sparse sopra il mio tavolo.
Così formo una lunga striscia variopinta...
16» pagina: Noi impariamo a disporre tutti i sessantaquattro colori per gradazione;
abbiamo otto belle sfumature, ci?-scuna formata di otto tinte che variano di
intensità.
I bambini bravi sanno formare tutto un bel tappeto a striscie sfuniatel
17* pagina: Noi abbiamo due armadierfi pieni di stoffe: stoffe di ogni genere, dalle più
ruvide e dure alle più liscie e morbide; canovaccio, cotone, tela, lana, fla-
nella, velluto, ecc.
Quando le manine sono pulite, quante cose si scoprono con i polpastrelli
delle dita!
18* pagina: Un bambino bendato rimescola con le manine le stoffe: le palpa e sorride
ed infine leva in alto le manine con due pezzi di stoffa uguale.
11 piccolo cieco ha veduto con le mani che quei due pezzi di stoffa erano uguali!
iq* pagina: Questi sono gli incastri piani: sono piastrelle turchine da incastrare in
certi telaietti che le contengono tanto bene!
Facciamo scorrere due ditini, l'indice e il medio, lungo il contorno della pia-
strella; e poi nell'incavo del telaietto.
Dopo un po' di esercizio, anche ad occhi bendati si mettono bene a posto
le sei piastrelle !
■^jS PARTIÌ SIXONUA
20* papìna: Con tjli incastri piani !io imparato a riconoscoro molte ligure: il (iiiadrato,
il circolo, il rettangolo, la ellisse, il triangolo, l'ovale, il jH-ntagono, l'esagono,
l'ettagono, l'ottagono, l'ennagono e il decagono
f! stato facile per me imparate tntti cpiesti nomi peniu' fjl'incastri sono
tanto divertenti !
LETTURE INTERPETRATE.
T," letture inli-rpotratc si fanno, come nei primi esi)ivimeiiti «Ielle " Case
dei Bambini >>. per mezzo dei bigliettini.
11 bambino sceglie un bigliettino (dello serie graduali preparate); lo
legge mentalmente, e poi eseguisce l'azione che nel bigliettino è indicata.
Furono assai interessanti le nostre esperienze successive, allorquando gli
esperimenti vennero posti sopra una base più rigorosa.
Dando ad un piccolo bambino di cinque anni un bigliettino ove erano
scritte due azioni come, per esempio:
Si appoggiò alla sedia:
si coprì gli occhi con una mano e pianse
«fcgli eseguiva una sola delle azioni; per esempio:
si appoggiò alla sedia
ovvero-
si coprì gli occhi con una mano e pianse.
E, malgrado il bambino si mostrasse appassionato di possedere e d'in-
terpetrare i bigliettini, quelli a due proposizioni lo lasciarono più freddo dei
bigliettini a una sola proposizione e indicanti un'azione sola come, per esempio:
il ragazzo scappò via.
Allora l'entusiasmo dei piccolini, la cuia nell'eseguire l'azione al vivo,
la smania di ripeterla, e le manifestazioni di gioia, l'occhio lucente, il volto
colorito, ci dicevano che quella era la lettura adatta.
Così la prima serie di letture (tutta sperimentale) è form.ata di semplici
proposizioni, sul genere delle frasi analizzate negli esercizi di .grammatica,
dal verbo al pronome (Tavola XV).
Quasi tutti questi brani sono stati tolti da opere che fanno tisto di lingua.
Serie T.
— Diede un'occhiata in giro.
— Li guardò con la coda dell'occhio.
— II ragazzo scappò via!
— Gli si buttò in ginocchio davanti.
— Ei passeggiava lentamente su e giù.
LETTURA 379
— Stava a capo basso.
— Fece di sì col capo.
— Mise le braccia in croce sul petto.
— Si mosse rapidamente verso l'uscio.
— Si mise a camminare innanzi e indietro per la stanza.
— Gli accarezzava il capo con la mano tremante.
— Gli fece cenno di stare indietro.
— Gli parlò all'orecchio.
— Gli posò una mano sulla spalla.
— Bussò alla porta.
— La fanciulla aggrottò le ciglia.
[ piccoli bambini eseguiscono le azioni indicate, dopo aver letto menta!
mente: ma non eseguiscono con freddezza, bensì mettendo una cura quasi
artistica nell'espressione del sentimento. Essi « interpetrano » l'azione e la
« studiano » talvolta, provando e riprovando, come per una rappresentazione
scenica. L'attitudine dei bambini a ciò, è veramente meravigliosa. Si
aggiunga poi che essi « studiano » le parole negli esercizi di grammatica,
e vengono conoscendone sempre più precisamente il significato: ciò che aiuta
l'interpetrazione. Per es., quella frase: «stava a capo basso», non indica: «piegò
il capo ». Se il bambino ha compreso, egli resterà a capo basso, con una espres-
sione più o meno viva secondo il suo sentimento. Così, p. es., la frase: « gli
si buttò in ginocchio davanti », non porta nell'azione il semplice inginoc-
chiarsi, ma un atto più drammatico, come quello di gettarsi alle ginocchia
di qualcuno. I fanciulli s'interessano molto l'uno alle azioni dell'altro.
Ecco una seconda serie di letture (Tavole XVI e XVII).
Qui si hanno periodi di due proposizioni coordinate: i bambini esegui-
scono due azioni consecutive, invece di una sola.
Serie II. ^
— Aprì la porta ed entrò.
— Uscì dalla camera e chiuse l'uscio a chiave.
— S'affacciò alla porta e la sospinse bel bello.
— Egli gettò un grido di gioia e affrettò il passo.
— Si coprì il viso con le mani e dette in un dirotto pianto.
— Dette in una risata e batté le mani.
— Si tolse il berretto e s'inchinò pro^ndamente.
— Egli scosse la testa e sorrise.
— Spalancò la finestra e guardò nel giardino.
— Corse ad un tavolino e scosse un campanello.
— Si era sdraiato con un sospiro di soddisfazione sui morbidi cuscini... e là giaceva
con gli occhi fissi e la bocca semiaperta...
— Chiuse gli occhi e s'addormentò placidamente.
Nella terza serie di letture ci sono invece periodi con più proposizioni
coordinate (Tavole XVIII e XIX).
?So PARTE SECONDA
Si-RIK II
— Aprì la porta, si ravviò lentamente i capelli ed entrò.
— Va alla finestra, apre un poco, fa capolino.
— Il medico si chinò sul malato, gli tastò il polso, gli toccò hi fronte.
— Spalancò la bocca e gli occhi e guardò.
— Si levò una chiave di tasca, aprì l'uscio, entrò.
— Si ritirò, chiuse la finestra e si mise a passeggiare su e giù per la stanza, con un
passo di viaggiatore frettoloso.
— Un grido di gioia proruppe dalla sua gola: corse dalla madre, s'inginocchiò da-
vanti a lei.
— .\ppoggiò il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte nella palma e con la
destra strinse la barba e il mento.
— Si appoggiò alla sedia, si coprì gli occhi con una mano e pianse.
— Si avvicinò al tavolino, vide il ritratto e lo afferrò con gioia.
— Aveva sonno; appoggiò le braccia sul tavolino e si addormentò.
— Trasse di tasca il fazzoletto, lo spiegò e ci si asciugò gli occhi pieni di lacrime.
Serie IV. — Le letture consistono in periodi di due proposizioni, l'una
delle quali è subordinata all'altra.
— Mentre disegnava, guardava attorno i compagni attentamente.
— Si mise le mani sugli occhi, per stare più raccolto nel silenzio.
— Egli sorrise loro amorevolmente, dopo averli ammoniti per un'altra volta, quei bi
richini!
— Socchiuse gli occhi per sentir meglio la morbidezza di quel velluto.
— Seguì con lo sguardo carezzevole quella bambina, finché non fu sparita.
— Quando ebbe girato la manigha, spinse l'uscio.
— Giorgio si asciugò gli occhi per non farsi scorgere.
— Andava lentamente, con la testa china, come fosse in gran pena.
— Si fermò in atto di stare a sentire.
— " Che cosa c'è? » domandò ansiosamente la madre.
— Sorridendo il nonno carezzò con la mano la testa del nipote.
— Federico gU andò incontro con un volto premuroso e sereno, come a una persona
desiderata.
Serie V. — Prevalgono periodi di più- proposizioni subordinate e coor-
dinate. Oui la lettura contiene delle descrizioni più complesse, e talvolta la
interpetrazione che deve corrisponderle in ogni minimo particolare, richiede
che il bambino pronunci delle parole. •
— La bambina si alzò, tenendosi con le due mani il fazzoletto sugli occhi e andò
lenta, curva verso la finestra.
— Abbandonata la persona sulla spalliera della poltroncina, teneva il viso un po'
chino al petto e le braccia strette alla vita, come se avesse freddo.
— Sedette stanco; appoggiato il gomito destro al ginocchio e il viso sul palmo della
mano, guardava sul pavimento.
— Teneva la persona eretta, le mani sul parapetto della finestra e respirava a pieni
polmoni l'aria fresca del di fuori.
LETTURA 381
— Il ragazzo piegò il viso, e si recò la mano alla fronte, come se volesse raccogliere
i propri pensieri.
— Era là, in ginocchio e con la persona abbandonata mollemente, come stanca;
e, lasciando cadere sul grembo le mani intrecciate, rivolgeva al cielo la
faccia.
— Giunto alla porta di casa sua, mise in fretta nella toppa la chiave, che già teneva
in mano; aprì, entrò, richiuse diligentemente; e, ansioso di trovarsi in una
compagnia fidata, chiamò subito: Perpetua! Perpetua!
— S'alzò, mentre le lacrime gli scorrevano per le gote, andò alla parete ov'era
appeso il vestito, ci posò sopra orizzontalmente il braccio sinistro, e su
quello la testa.
— Seduto all'ombra d'un albero, con le spalle poggiate al tronco, rimaseli, con la
testa in seno e le braccia incrociate, e non si mosse neanche quando gli altri
ripresero il lavoro.
— Quando entrai, lui scriveva. Mi disse che avessi pazienza un momento, mi pregò
di sedere e continuò a scrivere; io approfittai di quel momento per dare un'oc-
chiata alla stanza.
— Sedeva in un cantuccio una vecchierella, con un caldano tra i piedi pieno di brace
smorzate, sopra le quali tendeva le palme appoggiando i polsi su le estremità
delle ginocchia. .
— Lucia andò a sedere o piuttosto si lasciò cadere in terra, accanto al lettuccio: e
appoggiata a quello la testa, continuò a piangere dirottamente.
— « Capisco » disse Renzo; e stette con gli occhi fissi a terra e con le braccia incro-
ciate sul petto.
— Si voltò, guardò dietro l'uscio e disse ridendo: « oh! ci sei! ».
— Corse da Alessandra, gli mise il foglio sotto gli occhi e gli disse: « Avevo ragione? »
— Si affacciò al parapetto e si pose a guardare facendosi schermo della mano contro
il sole.
— Cercò con cura nel cassetto, e poi disse con dolore: « non c'è più ».
— Prese il fazzoletto, lo guardò e disse: « non è mio ».
— Si cliinò, raccolse la matita e disse: « è spuntata ».
— La donna, andatale vicino, si chinò" sopra di lei, e, guardandola pietosamente,
prendendole le mani come per accarezzarla e alzarla a un tempo, le disse:
« oh, poverina! venite, venitccon noi ».
— 11 babbo si affaccia alla finestra, guarda giù, guarda il cielo: « bel tempo! »
esclama; e voltosi alla famiglia che gli sta dietro aspettando un cenno:
« usciamo » dice allegramente.
— <i Lui! » disse il cardinale con un viso animato, chiudendo il libro e alzandosi
da sedere: « venga! venga subito! ».
— Giunte le mani, piegò il viso sopra di esse e pregò.
— Dopo aver accostato l'uscio e data un'occhiata alla stanza, s'avanzò con passo
sicuro.
— Pensò di fare uno scherzo; e, calatosi il berretto sugli occhi, s'avventò improvvi-
samente su un bambino.
— Federico gli prese la mano, gliela strinse e disse: « Favorite dunque di restare a
desinare con noi. Vi aspetto ».
— Il cardinale partì dicendo: « la benedizione del Signore sia sopra questa casa ».
— Il Povera Mamma! » esclamò Lucia gettandole un braccio al collo e nascondendo
il viso nel seno di lei.
\S2 PARTE S1-CONDA
Skrie \'I. — In questo Kttiiro. \i ò un'azitìiii' diainniatica più difficile
ad interpetrare. Spesso on onc ]>nimiinian' <iuaKlic Irasr (rome t;ià acca-
deva nella serie \').
— Lucia stava inininbilc m i|iicl caiitiuno. tutta in un ^onutolo. uni le s^inocchia
alzate, con le mani appt)ggiate sulle ginocchia e col viso nascosto nelle mani.
— \i un bambino tutto imbacuccato in un gabbano da uomo si affaccia sull'uscio...
facendo il saluto militare colla mano destra e dandosi con l'altra una stru-
sciata al naso, che conserva ancora qualche traccia della costipazione avuta.
— Sdraiato nella poltrona, con le mani in tasca e una gamba acca\alciata all'altra,
guardava, dondolando il piede, gli alberi del vicino giardino.
— « Oh! » diss'egli buttandosi a sedere con le gambe accaxalciatc e lo mani diolro la
nuca « finalmente non ci sono più seccatori ».
" Sss! » fece il ragazzo aggrottando le sopracciglia e scotendo la mano destra
distesa verso il compagno.
— Sedette al tavolino: v'incrociò su le braccia, e appoggiò alle braccia la fronte.
Ma la rialzò subito, avventò in alto le pugna strette e le scosse rabbiosamente.
— « Vuol dunque ch'io sia costretta di domandare qua e là cosa sia accaduto al mio
padrone? » disse Perpetua, ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui
fianchi e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse suc-
chiargli dagli occhi il segreto.
— Egli camminava innanzi e indietro... (3gni tanto si fermava, tendeva i'ore<chio,
guardava dalle fessure dell'imposta... ».
— Di fronte alla porta della scuola, dall'altra parte della via, stava con un braccio
appoggiato al muro e colla fronte contro il braccio, uno spazzacamino, molto
piccolo, tutto nero in viso, col suo sacco ed il suo raschiatoio, e piangeva dirot-
tamente, singhiozzando.
Shrik vii. — Letture alla cui intorprotaziono occorrono duo o più per-
sone. Scenette, dialoghi.
— <■ Si metta a sedere e finiamola! ». Questo " finiamola » il .sindaco lo disse con un
tono di voce così grosso, che il Verdiani non ebbe fiato di replicare. Si levò
la papalina e andò a sedere tutto rannuvolato sopra una seggiola in disparte.
(Fucini).
— « Non vi sentite bene oggi, Menico? •> — " Non mi sento bene ». E si asciugava il
sudore e si ergeva impettito per respirare, a bocca spalancata. (Fucini).
— «Che cosa costa? •> domandai all'uomo.
. NuUa ».
t Come nulla? ».
. Nulla ».
«Va bene farò così... ».
E tratta fuori della borsa una lira: «Tieni, ragazzo» dissi «dàlia alla mamma ».
Non l'avessi mai detto. L'uomo poggiò le mani alle tempie, strinse e scosse la
testa; poi, piegandola sul petto, si alzò lentamente e mormorò: « Non l'hanno
la mamma ». (Fi ciNi).
— . Chi è? ».
• Apri 1.
lì.t'tura 383
A quella voce, la vecchia fece tre salti; e subito si sentì il paletto negli anelli,
e l'uscio si spa'nncò. L'Innominato, dalla soglia, diede un'occhiata in giro;
e. al lume d'una lucerna che ardeva su un tavolino, vide Lucia rannicchiata
in terra, nel canto il più lontano dall'uscio. (Manzoni).
— Due uomini stavano l'uno dirimpetto all'altro; un di costoro, cavalcioni sul
muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori e l'altro piede posato
sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le
braccia incrociate sul petto. (Manzoni).
— « Ora » disse Tonio « si contenti di mettere un po' di nero sul bianco... «.
" Bene bene » interruppe don Abbondio brontolando; tirò a sé un cassetto del
tavolino, levò fuori carta, penna e calamaio, e si mise a scrivere, ripetendo
a viva voce le parole a mano a mano che gli uscivano dalla penna.
(Manzoni).
— « Ora, signor Curato » disse Tonio « mi darà la collana della mia Tecla ».
' È giusto 11 rispose Don Abbondio; poi andò a un armadio, si levò una chiave
di tasca, e, guardandosi intorno come per tener lontani gli spettatori, aprì
una parte di sportello, riempì l'apertura con la persona, mise dentro la testa
per guardare, e un braccio per prendere la collana, la prese, e, chiuso l'armadio,
la consegnò a Tonio dicendo: « va bene ». (Manzoni).
— Per una di quelle stradicciuole tornava bel bello verso casa Don Abbondio.
Diceva tranquillamente il suo uffizio, e, talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva
il breviario, tenendovi dentro, per segno l'indice della mano destra, e, messa poi
questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino guardando a terra e
buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero.
(Manzoni).
— 11 Quella giovine, ci sapreste insegnare la strada di Monza? ».
« Andando di lì, vanno a rovescio » rispondeva la poverina. « Monza è di qua » e
si voltava per accennare col dito; quando l'altro compagno, afferrandola d'improv-
viso per la vita, l'alzò da terra. Lucia girò la testa indietro atterrita, e cacciò un urlo.
f (Manzoni).
« Ho mangiato poco la, per viaggio ".
«Eadanari, come stiamo? ".
Renzo stese una mano, l'avvicinò alla bocca, e vi fece scorrer sopra un piccol
soffio.
« Non importa» disse Bartolo: «n'ho io: e non ci pensare, che presto, cambiandosi
le cose, se Dio vorrà, me li renderai, e te n'avanzerà anche per te ».
« Ho qualcosina a casa e me li farò mandare ».
« Va bene e intanto fa conto dime. Dio m'ha dato del bene, perchè faccia del bene;
e se non ne fo ai parenti e agli amici, a chi ne farò? ».
« L'ho detto io, della Provvidenza! » esclamò Renzo, stringendo affettuosamente
la mano al buon cugino. (Manzoni).
— « Dio sa quant'è che non avete mangiato! ».
« Non me ne ricordo più... Da un pezzo ».
« Poverina! avrete bisogno di ristorarvi ».
« Sì » rispose con voce fioca.
■ A casa mia, grazie a Dio, troveremo subito (Qualcosa. Fatevi coraggio ».
(Manzoni).
P\RTF. SECMNP'
con do
•ntati.
inipa-
1 bambini non si limitano solo a riprodurre le scene; ma. in un s
tempo, essi leygono ad alta voce tutti questi brani che hannn rappre;
e per la preparazione avuta, vi danno una grande espressione.
Essi tendono a leggere e rilegtiere moltissimo volte 1 brani, e ne
rano molti a memoria.
Per questo noi abbiamo messo insieme alcune \.^ ^ic, facendone un li-
brettino: i bambini le leggono mentalmente e ad alta voce, o le imparano a
memoria e le recitano.
Dal libriccino delle poesie:
Dormiva nella culla un bel bambino,
E la mamma lo stava a rimirare;
Voleva dargli il bacio del mattino.
Ma il bacio lo poteva risvegliare;
Svegliarlo non voleva, e con la mano
Gli buttò cento baci da lontano.
Un sogno.
\'idi una fata un giorno
Che avea le trecce d'oro,
E un abito di perle
Più ricco d'un tesoro.
• Vieni con me » mi disse
«Che ti farò regina».
« Non vengo, bella fata ;
Io sto con la mammina n.
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca,
Senti, una culla dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca,
Canta la vecchia, il mento in su la mano.
La gallina.
Io .vi domando se si può trovare
Un più bravo animai della gallina.
Se non avesse il vizio di raspare
Ne vorrei sempre aver una vicina.
Tutti i giorni a quell'ora, «coccodè!»
Corri a guardar nel covo e l'ovo c'è.
La povera bambina.
Disse: » mia madre è morta! io son digiuna
E la stagione è cruda;
In terra a me non pensa anima alcuna:
Sono orfanella e ignuda».
Il pesce.
Un dì fuor della vasca del giardino
Guizzò imprudentemente un pesciolino.
Gigi lo vide, e tutto disperato
Gridò alla mamma: un pesce s'è annegato!
(LlN.\ SCHWARZ).
Quel che possiede un bimbo.
Due piedi lesti lesti
per correre e saltare.
Due mani sempre in moto
per prendere e per fare.
La bocca piccolina
per tutto domandare.
Due orecchie sempre all'erta
intente ad ascoltare.
Due occhioni spalancati
per tutto investigare.
E un cuoricino buono
per molto, molto amare!
(LlN.\ ScHWARZ).
Il buon odore.
« Ma, bimbo mio, perchè
Sciupar questo bel fiore?...».
" Cercavo il buon odore...
Non so capir dov'è! <■.
(Lina Schwarz).
Ninna-nanna di Natale.
Ninna-nanna... gelato è il focolare
fanciul, non ti svegliare.
Per coprirti dal freddo, o mio bambino.
Cucio in un vecchio scialle un vestitino.
Ma il lucignolo trema e l'occhio è stanco
bimbo dal viso bianco.
Chi sa se per domani avrò finito
Ouesto che aspetti povero ve-^tito!...
i.\i)A Negri).
LETTURA 385
Dopo la preparazione descritta i bambini possono «capire «ciò che leggono.
Tutte le difficoltà nella comprensione dei periodi e delle loro costruzioni più
complicate sono superate: essi hanno la conoscenza grammaticale della lingua,
e la sua costruzione, come il significato delle parole, li interessa.
Fu preparata dentro loro una specie di forza compressa e che tra poco
darà luogo a un movimento intenso!
Ecco infatti scoppiare la passione della lettura. 1 bambini vogliono
Il leggere ». « leggere », « leggere ». Noi raccogliamo un po' in fretta dei libri,
ma questi non sono mai sufficienti all'avidità dei bambini. Abbiamo più volte
dovuto riconoscere che la letteratura infantile è assai scarsa, per corrispon-
dere a così grandi bisogni! È per questo che noi, pur volendo in principio
attenerci solo a libri italiani, abbiamo dovuto ricorrere a molte traduzioni
di libri esteri e costruire una « piccola biblioteca ». Ma sono d'accordo con
gli educatori americani, i quali non danno ai bambini delle elementari solo
le « bibliotechine » ma aprono loro delle grandi sale riservate nelle biblio-
teche pubbliche^, dove i bambini vanno a scegliere dai cataloghi ricchissimi,
le opere che desiderano di conoscere.
Per guidare, perfezionare e ordinare questo slancio, e coltivate anche
l'arte del leggere ad alta voce è necessario però di considerare un altro ele-
mento della lettura, cioè:
LE AUDIZIONI.
Quando lo sviluppo del bambino è avanzato con i detti esercizi, la maestra
può cominciare a leggere ad alta voce. Noi lo facevamo durante le ore del
disegno.
La maestra che legge dovrebbe essere un'artista come dicitrice: perciò
sarebbe necessaria oltre a una complessa educazione artistica della maestra,
questa educazione speciale nell'arte del leggere.
Una delle differente tra le maestre dei comuni metodi e le nostre maestre.
è che quelle parlavano di « un'arte della maestra » consistente in « artifìci
di furberia » per riuscire a far apprendere al bambino, suo malgrado, ciò che
essa vuole; queste invece devono essere artiste come cultrici di arti belle.
Poiché l'arte si è dimostrata in questo metodo, come un « mezzo di
vita ». È la bellezza in tutte le sue forme, che aiuta l'uomo interiore a cre-
scere. Abbiamo visto che nell'ambiente e nel materiale di sviluppo tutto
deve essere curato dal punto di vista artistico, perchè si manifestino quei
fenomeni di attenzione e di persistenza nel lavoro che sono la chiave segreta
dell'autoeducazione.
La maestra dovrebbe essere cultrice di musica, di disegno e di recitazione:
sensibile all'armonia delle cose, in modo che il suo «buon gusto» sappia
disporre e mantenere l'ambiente; e sopratutto deve possedere quella perfetta
^SO PARVI SI CDNDA
delicatezza di maniera che <^niaii.i da un cuore sensibile, aperto a ricevere
le manifestazioni dell'anima infantile.
Qui dunque la maestra dicitrice ha un grande lavoro da compiere.
Mentre, nel tranquillo silenzio che nasce dal 'avoro, i bambini sono in-
tenti a disegnare, essa può leggere qualche cosa. Talvolta potranno essere
le sue sole letture a trattenere tutta la piccola assemblea. Ma non sarà sempre
facile. Sono le condizioni musicali, quelle che intratterranno i piccoli « buon-
gustai » dell'arte, nell'intenta immobilità di chi è insaziato di godere. Forse
una dicitrice veramente perfetta, potrebbe trattenere l'assemblea dei bambini,
scegliendo una lettura appassionante: ma l'esperienza ci ha detto che è più
facile farsi udire dai bambini quando essi sono occupati in un lavoro che non
richiede troppa concentrazione e che non è sostenuto da ispirazione.
Le letture che sono state fatte, furono molteplici e varie. Favole, novelle,
aneddoti, romanzi, racconti storici.
Le letture fatte furono: le Favole di Anderson, alcune novelle del Ca-
puana, il Ciiore di De Amicis, episodi della vita di Gesù Cristo, Fabiola,
I promessi Sposi, La Capanna dello zio Tom, La storia del risorgimento
italiano, L'educazione del Selvaggio dell' Aveyron di Itard.
I LIBRI PREFERITL
In genere l'udir leggere cose interessanti appassiona moltissimo il bam-
bino. Ma recherà forse impressione il sapere quali di queste letture fecero la
maggiore impressione! Esse furono la Storia del Risorgimento italiano e
V Educazione del Selvaggio dell' Aveyron. Il fatto merita di essere descritto
con qualche particolarità.
Il libro della Storia del Risorgimento non era uno di quelli che si credono
adatti ai bambini; al contrario, esso è l'opera di Pasquale de Luca: / Li-
beratori (Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1909) scritta per isve-
gliare l'amor patrio tra gl'italiani della Repubblica Argentina. Ciò che carat-
terizza questo libro sono i documenti del tempo riportati in facsimile e atte-
stanti l'autenticità dei fatti. Ci sono brani di giornali dell'epoca, sentenze
di morte, lettere autografe di Pio IX, di Garibaldi, alcuni documenti singolari
pure riprodotti in facsimile, con una nota di spese per somministrazione di
colpi di bastoni, stampe allegoriche affisse nei muri alla vigilia delle som-
mosse, dispacci telegrafici; e riprodotte pure in facsimile, medaglie comme-
morative; inni patriottici dei quali è riportata anche la musica, e che si ese-
guivano al pianoforte, mentre i bambini impararono a cantarli, e, infine,
ricche illustrazioni.
Questa lettura documentata era così appassionante, che i bambini s'in-
vestivano delle situazioni; essi discorrevano animatamente su vari argomenti,
LETTURA 07
giudicando e discutendo; erano indignati di un editto del re di Napoli ten-
dente a ingannare il popolo, fremevano delle ingiustizie e delle persecuzioni;
si entusiasmavano degli eroismi e, infine, volevano riprodurre delle scene.
Si mettevano d'accordo in tre o quattro e rappresentavano degli episodi con
una drammaticità interessante. Una bambina portò un volume che racco-
glieva gl'inni patriottici italiani, e quello occupò molto i fanciulli, che ne
impararono parecchi e li eseguirono in coro.
Infine, il risorgimento italiano riviveva nei piccoli cuori, come non vive
più nel cuore degli adulti. Molti bambini scrissero spontaneamente le loro
impressioni giudicando i fatti in un modo veramente originale.
Poi vollero tenere un ricordo e pregarono la maestra di appuntare i fatti
principali e le date e tutti le copiarono sui loro quaderni. Essi sapevano in-
fine la storia in un modo sorprendente.
Questi fenomeni corressero alcune idee che io avevo avuto sull'insegna-
mento della storia. Il mio concetto era stato quello di preparar delle //ws
cinematografiche e di dare delle rappresentazioni. Ma, naturalmente, essendo
ciò fuori delle mie possibilità, avevo dovuto rinunciare all'esperimento.
La lettura del libro del De Luca, fu una rivelazione. Per insegnare la
storia ai bambini basta dare una « verità vivente e documentata ». Non occor-
rono cinematografi; ma bisogna cambiare completamente i testi delle scuole.
I bambini sono sensibili al vero e al bello molto più di noi: occorre pre-
sentare ai loro occhi dei quadri completi di verità, che presentino al vivo i
fatti e le situazioni dei tempi. Come il De Luca, preso dall'amore dei lontani
fratelli, volle con un'opera fatta insieme di verità e di amore svegliarli e j urli
7nvere tra noi nell'italianità, così occorrerebbero persone ugualmente animate
d'umano zelo, che volessero chiamare l'anima dei bambini. Poiché anch'essi
sono fratelli lontani che vengono da un'altra patria, e che noi dobbiamo ri-
svegliare, e condurre a viver tra noi.
Un altro libro che fece grande impressione fu la lettura del Selvaggio
dell' Aveyron di Itard.
Le madri dei bambini vennero a scuola per chiederci: « che cosa avete
letto ieri di tanto impressionante? fatecene parte anche a noi ».
I fanciulli avevano raccontato d'aver sentito una storia straordinaria,
di un bambino abbandonato vissuto con le bestie, e che poi a poco a poco co-
mincia a capire, a sentire, e a vivere come noi. Tutti i particolari psicologici
dei tentativi educativi, di studi, sembravano toccare l'anima dei bambini!
Tanto che noi, meravigliate di tali f^tti, pensammo di condurre questi fan-
ciulli più grandi in una Casa di Bambini, e di spiegar loro il metodo di educa-
zione. Essi si interessarono vivamente, e già alcuni di questi fanciulli sono
oggi collaboratori nella preparazione di Case di Bambini. Essi possono se-
guire lo 'Svolgersi dello spirito infantile» con una sensibilità che ci sorprende;
tuttavia se riflettiamo che i migliori maestri dei bambini sono i bambini
3Ò6 PARTE SliCONDA
stessi, c che i piccolini si affratellano assai più a un ragazzetto che a un adulto,
sapremo deporre la meraviglia che ci reca la caduta di un pregiudizio.
Noi ci siamo foggiati i bambini su un'idea fantastica, relegandoli in una
specie umana diversa dalla nostra. Ma essi sono i nostri "gli, più puri di noi.
L'amore, il bello, il vero, li affascina intensamente, ed essi vi si gettano come
nelle vere necessità della vita.
I fenomeni a cui abbiamo assistito debbono farci fare molte riflessioni.
Noi siamo dunque riusciti a insegnare storia e perfino pedagogia con le n letture».
Infatti le letture non sono d'ogni genere? le storie dei viaggi insegnano la
geografìa; la vita degli insetti insegna le scienze naturali e via dicendo.
La maestra dunque, con le letture può far penetrare il bambino in vari
campi; e questi, appena pe abbia conoscenza, potrà entrarvi liberamente,
dando sfogo alla sua passione per la lettura.
Ciò che noi dobbiamo fare è offrire al bambino u i mezzi >< per istruirsi, e
conservargli pure le sorgenti della vita intellettuale e della vita del sentimento.
Il resto viene da sé. Come dicevano gli antichi, l'istruzione « necessaria » è
«leggere, scrivere e far di conto», perchè queste cose l'uomo non può trovarle
da sé.
Noi possiamo oggi ripetere che il « metodo » deve essere precisato scien-
tificamente là dove occorre aiutare la «formazione dell'uomo» affinchè egli
possa svolgere le sue attività rinforzandole e non deprimendole; e affinchè
possa ricevere gli aiuti che gli sono necessari, senza nulla perdere della pura
freschezza delle sue interiori attività.
Ma non è detto che « un metodo rigoroso debba sempre e in tutto condurre
il fanciullo»; quando egli è un forte e porta con se i mezzi di ricerca, molte co-
gnizioni saprà strapparle da sé al mondo.
Noi legavamo il bambino al materiale negli esercizi dei sensi, ma lo
lasciavamo a sé quando egli esplorava l'ambiente. Così in ogni ulteriore
passo, noi dobbiamo armare l'uomo rinforzandolo e poi lasciare ch'egli di-
venti un libero esploratore.
Che il bambino ami molto la lettura e che preferisca nella lettura « il vero »
è cosa già per altra via sperimentata. Cito a questo proposito i risultati del-
l'inchiesta sulle letture infantili, promossa dalla sezione « Educazione » della
Federazione Emiliana per le bibliotechine scolastiche (i).
II formulario era il seguente :
— Rammenti quali libri hai letti e quali ti sono piaciuti di più?
— In quale modo te li sei procurati?
— Conosci il titolo di qualche libro che desidereresti leggere?
— Preferisci le fiabe o i racconti di fatti veri o verosimili? Perchè?
(i) Botleltitio delle Bibliolechine per le scuole elementari italiane. Bologna.
aprile 191 2.
LETTURA .ì^9
— Preferisci i racconti che fanno, piangere o quelli che fanno ridere?
— Ti piacciono le poesie?
— Leggi volentieri avventure di viaggi?
— Sei abbonato a qualche giornalino? A quali? •
— Se la mamma ti volesse fare un regalo, fra l'abbonamento a un giornalino e un
libro illustrato quale preferiresti, e perchè?
Dalle inchieste condotte con molta esattezza, risulta che in un'altissima
percentuale i bambini preferiscono le letture che trattano di cose vere.
Ecco qualcuna delle ragioni date dai bambini su tali preferenze: « in
prò dei fatti veri: pel fine pratico d'istruirmi; perchè le fiabe sono fatti che
non possono essere; perchè i racconti veri non esaltano la mente; perchè mi
istruiscono nella storia; perchè quando si sono letti può rimanere nella mente/'
qualche buona idea; perchè le fiabe fanno desiderare delle cose inverosimili;
perchè s'imparano molte idee di esperienza; perchè i racconti fantastici fanno
desiderare cose soprannaturali ». In favore delle fiabe abbiamo: «perchè sono
dilettevoli nelle ore di svago; perchè leggendo mi par d'essere in mezzo alle
fate e agl'incantesimi)» e poche altre. Quelli che preferiscono i racconti seri
giustificano i loro gusti così: « perchè mi sento più buono, e capisco tutto il
male che faccio; perchè l'animo s'intenerisce; perchè mi destano nel cuore
V sentimenti buoni e gentili ». Pei racconti da ridere abbbiamo questa ragione
ripetuta da molti: « perchè mentre leggo, mi distraggo dai miei piccoli dolori ».
Ma in complesso la grande maggioranza nega all'allegria ogni efficacia educa-
tiva. Quest'opinione, o meglio questo sentimento così diffuso tra i bambini
non è forse l'indizio di alcun che di errato nell'indirizzo dell'educazione che
diamo loro?
Tavola XVI. — Lettura interpetrata :
Dette in una risata e battè le mani » ^pag. 379).
(Setxe II).
i
Tavola XVIII. — Interpetrazione spontanea della lettura:
« Trasse di tasca il fazzoletto,
lo spiegò e ci si asciugò gli occhi pieni di lacrime t (pag. 380).
Aveva sonno :
I'avola XIX. — Lettura iuterpetrat
appoggiò le braccia sul tavolino, la
e si addormentò » (pag. 380).
1 suUr braccia
{S,r,e III).
Tavola XX. — Analogamente i bambini interpetrano le espressioni
e le pose raffigurate nei quadri.
ARITMETICA
OPERAZIONI ENTRO IL DIECI
I bambini nella « Casa dei Bambini « erano giunti a compiere le quattro
operazioni nella loro espressione più semplice; e il materiale di sviluppo con-
sisteva nelle « aste delle lunghezze » le quali materializzavano i numeri i,
^> 3. 4. 5. 6, 7, 8, 9, IO, serbando ciascuna, a mezzo dei colori alternati
rosso e bleu in cui erano distinte, la quantità di unità che rappresentava.
Il concetto che il numero collettivo fosse rappresentato da un oggetto solo
contenente i segni di riconoscimento relativi alla quantità di unità, anziché
da tanti oggetti quante sono le unità rappresentate nel numero, era ciò che
aveva facilitato e reso interessante e attraente il primo ingresso nel complesso
arduo campo dei numeri. Che il cinque, p. es., sia rappresentato da un og-
getto solo, distinto in cinque parti, anziché da cinque oggetti uguali che la
mente deve collegare in un insieme, risparmia uno sforzo mentale, e dà chia-
rezza all'idea.
Era su quel principio realizzato dal sistema delle aste, che i bambini
erano riusciti a compiere si facilmente lo prime operazioni aritmetiche:
7 -|- 3 = io; 2 + 8 = io; io -4 = 6, ecc.
II materiale, dunque, servì eccellentemente. Esso però è troppo limitato
in quantità, e troppo grande in dimensioni e quindi non facilmente manegge-
vole, per diffondersi utilmente e sufficientemente a tutta una scolaresca, la
quale si sia iniziata all'aritmetica.
Ecco perchè, conservando il medesimo concetto fondamentale, abbiamo
preparato un materiale piccolo, abbondante, accessibile a una quantità no-
tevole di bambini che lavorino nello stesso tempo.
Esso consiste in perle legate rigidamente da un filo di ferro: i, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, IO (Tavola XXI). Queste perle sono colorate differentemente: la
fila di dieci perle è arancione; quella di nove è turchina; quella di otto è vio-
letta; quella di sette é bianca; quella di sei è grigia; quella di cinque è celeste;
394 PARTI-: SIXONDA
quella di quattro ò gialla; tnulia di tio è rosa; (Hulla di dui' ò verde.
Poi ci sono perle isolate per l'unità.
Queste perle sono di vetro lucente: e il filo di metallo bianco con cui
sono infilate e fissate in cima e in fondo con una ripiegatura a occhiello, è rigido
e resistente. Questi oggettini attraenti sono raccolti in cinque copie in ogni
scatola ; ed è perciò come se ogni bambino potesse disporre di cinque sistemi
di aste per le sue combinazioni numeriche: gli oggetti, essendo poi così maneg-
gevoli e piccoli, permettono il lavoro a tavolino. Questo materiale sempli-
cissimo, di facilissima preparazione, iia avuto un successo straordinario tra i
bambini di cinque anni e mezzo.
Essi hanno lavorato con una meravigliosa intensità, compiendo perfino
sessanta operazioni aritmetiche di seguito, ed empiendo quaderni interi di
operazioni nello spazio di pochi giorni.
La carta preparata per questi esercizi è in foi^'li (luadrettati, non però
tutti uguali nel colore della rigatura. Alcuni fogli sono quadrettati in nero,
altri in rosso, altri in verde, altri in azzurro, altri in rosa o in arancione.
La varietà dei colori contribuisce a trattenere al lavoro il bambino. Egli
ha empito di operazioni un foglio rigato in rosso: ama sceglierne un altro az-
zurro, e così via. *'
L'esperienza ci ha inoltre condotto a preparare una grande quantità
di « decine »; i bambini finivano con lo scegliere nella scatola tutti i pezzi
da dieci per contare le decine in successione: io, 20, 30, 40, ecc.
Per questo abbiamo come materiale primitivo delle perle anche le sca-
tole delle decine, cioè tutte piene di pezzi da dieci. Insieme a ciò vi sono
dei cartelli su cui sta scritto io, 20, ecc. I bambini uniscono dtie o più
decine, in corrispondenza dei cartelli.
Questo è un inizio per andare verso i multipli di dieci: dei cartoni col
numero 100 e col numero 1000, permettono, per soN'iapposizione, di for-
mare dei numeri come: 1916.
Il <i lavoro con le perle » è stato stabilito subito perchè esperimentato,
come una conquista maturata nel suo stesso apparire (Tavola XXII). La pos-
sibilità di complicare ed ampliare i primitivi esercizi con le aste, ha reso
più rapido, sicuro e generalizzato il calcolo mentale che spontaneamente si
sviluppa, come per una legge di risparmio che tenda all'attuazione del « mi-
nimo sforzo ». Infatti il bambino a poco a poco, senza piiì contare le perle,
riconosce al colore i numeri: turchino, 9; giallo, 4; ecc., e, quasi senza avve-
dersene, contando oramai dei colori, anziché delle quantità di perle, fa
veri e propri calcoli mentali: appena il bambino si renda conscio di ciò,
con sua gran gioia fa la dichiarazione del passaggio al piano più elevato: « io
conto a mente, faccio più presto ». .allora il primo materiale delle perle è
superato.
ARITMETICA 395
DIECINE, CENTINAIA E MIGLIAIA.
Materiale. — Ho fatto costruire una catena, facendo legare insieme
dieci bastoncini da dieci perle ciascuno; questa viene chiamata « la catena
del cento ». Poi ho fatto riunire per mezzo di brevi catenelle che sono molto
pieghevoli, dieci catene da cento, venendo così a formare la « catena del
mille ».
Queste catene hanno lo stesso colore dei bastoncini da dieci: cioè sono
costruite tutte con perle arancione. La loro lunghezza reciproca è sorprendente;
mettiamo prima una perla isolata (unità), poi un bastoncino da io che è
lungo circa 7 cm. (decina), poi una catena da cento, che è lunga circa cm. 70
(centinaio) e, infine la catena del mille lunga circa sette metri (Tavola XXIII).
Questo slancio del mille porta addirittura in un altro ordine di quantità;
mentre l'i, il io, il 100, si possono tenere sul tarvohno per studiadi comoda-
mente, non basta la lunghezza della stanza a contenere la catena del mille!
Bisogna uscire nel corridoio o andare nel grande salone ; mettersi insieme
in più bamoini, lavorare pazientemente per disporla in linea retta e poi
passeggiare in su e in giù, per vederla tutta.
Questa « impressione « dei rapporti di quantità è un vero avvenimento.
Per qualche giorno, la sorprendente « catena del mille » afferra l'attività
dei bambini (Tavola XXIV).
Le catenelle tra centinaio e centinaio, permettono di piegare la catena
del mille: allora si possono giustapporre le catene, una vicina all'altra, for-
manti nell'insieme la figura di un lungo rettangolo, che permette rilevare
in superfìcie la quantità che prima aveva impressionato come lunghezza
nella Tavola XXV si vede la catena del mille distesa; e nella Tavola XXVI,
si vede ripiegata in dieci file di cento, a forma di rettangolo. ''^^^
Sul tavoHno possono ora star tutti uno sotto l'altro: la perlina isolata,
e poi l'asticina del dieci, poi la catena del cento e, infine, la striscia del mille.
Chi si chiedesse come condurre il fanciullo a valutare numericamente
le proporzioni di quantità intuite ad occhio, si farebbe la stessa domanda
che ci siamo fatta noi.
Ouand'ecco i bambini si mettono a contare perla a perla, paziente-
mente, da uno a cento (Tavola XXIV). E poi si mettono attorno alla catena del
mille, per nulla esitanti innanzi all'ardua impresa, in due o tre, quasi a darsi
reciproco aiuto per contare anche la catena del mille. Cento, e dopo cento
che viene? cento ino. E infine? duecento, duecento uno... Così giunsero un
giorno tino a settecento. « Sono stanco» disse il bambino. «Ci metto un segno
e continuo domani».
^l)t) PAKTE SECONDA
Sotto conto, sotto conto... « Guanla " dicoxa un altro: « sono sette, sette
conto; sì, conta le catene: sette cento, otto conto, nove cento e mille. Si-
gnora! signora! la catena da mille ha dieci catene da cento, ecco qui! ». E altri
bambini che avevano lavorato sulla catena del conto, richiamavano anch'essi
l'altrui attenzione: " oh guaid.i stuarda! 1.) catona di conto ò dieci pozzi da
dicci! ».
Così fu compreso che i concetti di diecina, continaia e migliaia, si da-
vano offrendo le catene all'intelligente curiosità infantilo, e rispettaiuio
gli spontanei sforzi delle loro attività libere (Tavole XXII 1 e XXIV).
K so così ò avvenuto nella maggior parte dei casi, si può coniprcndorc
quale semplice intervento occorra là dove la deduzione suddetta non venisse
fatta spontaneamente: basterà con un cenno richiamar l'attenzione su ciò
che " si maneggia «, perchè l'idea dei rapporti decimali risalti chiaramente.
Chi ha preso una certa pratica di questo metodo, sa attendere; comprende
come il bambino abbia bisogno di lavorare col suo pensiero rostantcmonte
e lentamente, e come, se lo maturazioni interiori avvengono naturalmente,
le esplosioni intuitive siano immancabili.
Pili noi lasceremo i bambini ■< al loro interesso » più avranno valore i
frutti che se ne potranno ricavare.
I .. TELAI DEI RAPPORTI DECIMALI .,
Invece occorre indubbiamente l'opera diretta della maestra, la sua
breve e chiara spiegazione, per presentare un altro matorialo. che, si potrebbe
dire, è simbolico rispetto ai rapporti decimali.
Si tratta di due telai (pallottolieri) semplicissimi, della stessa struttura
e dimensione dei telai delle allacciature pei bambini piij piccoli: quindi oggetti
leggeri e maneggevoli, che potrebbero essere anche una proprietà indivi-
diiale dei fanciulli. Infatti questi telai si possono costruire facilmente, e
costano pochissimo.
Uno di essi, è voltato per largo e, nel senso della larghezza, porta quattro
fili metallici trasversali, ognuno dei quali ha infilate dieci perle (Tavola XXVI).
Le tre prime file in alto sono equidistanti, ma l'ultima in basso dista
molto di più, ed è distinta dalle altre per mezzo di un bottone metallico
infisso sull'asta sinistra del telaio: questa poi, in alto del bottone porta un
colore, e in basso del bottone un altro. In corrispondenza dei punti d'attacco
dei fili, sull'asta verticale sinistra del telaio, sono stampati dei numeri: in
alto I, poi IO, poi loo; e. in corrispondenza del filo isolato, looo.
Si spiega al bambino che noi supponiamo che il valore di ogni perla
ARITMETICA 397
della prima fila sia di unità, come le pedine separate; che, invece, ogni perla
della seconda fila rappresenta una decina (una delle asticine di dieci); che
il valore delle perle in terza fila è tale, come se ciascuna rappresentasse una
catena da cento. E, infine poi, quelle perle in basso, nella linea isolata e sepa-
rata da un bottone, hanno un tal valore che ogni perla rappresenta una
catena del mille (i).
Non è molto facile render maneggevole questo simbolo; ma ciò avverrà
tanto meglio se il bambino avrà potuto rimanere tranquillamente occupato
a ,i,'uardare, contare e studiare le catene. ATtora, essendo maturato sponta-
neamente in lui il concetto di rapporto tra unità, decina, centinaia e migliaia,
molto più facile sarà riconoscere e agire sul simbolo.
Sono uniti al telaio dei fogli appositamente rigati.
Essi sono divisi per lungo in due parti uguali; e, così a destra come a
sinistra, sono verticalmente rigati da righe colorate: una verde piii a destra,
poi una turchina, quindi una rosa, parallele ed equidistanti: una fila verti-
cale di punti, separa il gruppo delle tre linee, da un'altra linea isolata, più
a destra. Sulle tre prime linee da destra a sinistra, si scriveranno (relativamente)
le unità, le decine e le centinaia; sull'interna le mighaia.
La metà destra della pagina è unicamente destinata a chiarire questa
idea, ed a mettere in rapporto la scrittura con il pallottoliere simbolico dei
rapporti decimali.
A questo scopo, si può prima contare ogni fila del pallottoliere, dicendo:
i» fila: una unità, due unità, tre unità, quattro unità, cinque unità, sei unità,
sette unità, otto unità, nove unità, dieci unità.
Tutte e dieci le unità, valgono quanto una sola perla del piano inferiore.
Si contano ugualmente le perle del piano inferiore: una decina, due
decine, tre decine, quattro decine, cinque decine, sei decine, sette decine,
otto decine, nove decine, dieci decine.
Tutte e dieci le perle delle decine, valgono quanto una sola perla del
piano inferiore.
Si contano anche le perle della terza fila, spostandole ad una ad una:
un centinaio, due centinaia, tre centinaia, quattro centinaia, cinque centinaia,
sei centinaia, sette centinaia, otto centinaia, nove centinaia, dieci centinaia.
Tutte e dieci le perle delle centinaia, valgono come una sola perla delle
migliaia.
Le quali sono pure dieci: un migliaio, due migliaia, tre migliaia, quattro
migliaia, cinque mighaia, sei mighaia, sette mighaia, otto migliaia, nove
migliaia, dieci migliaia; così : mille, due mila, tre mila, quattro mila, cinque
(i) Sarebbe più efficace porre in questo primo telaio le perle fnon solo di colore
diverso, ma anche di dimensione progressivamente maggiore, come mi fu consigliato da
un professore portoghese che ha seguito un mio corso di lezioni.
^gS CARTE SIXONDA
inil.i, sci mila, sotto mila, otto mila, novo mila, dioci mila. La monto dol
bambino può figurarsi dieci soparato oatono da millo: il simbolo si riferisco
quindi a una tangibile idea di quantità.
Ora si tratta di scrivere tutte queste mosse con cui abbiamo successi-
vamente contato dieci unità, dieci decine, dieci centinaia e dieci migliaia.
Sulla prima linea verticale a destra (quella verde) si scriveranno una sotto
l'altra le unità; sulla seconda linea, turchina, le decine; sulla terza, rosa, le
centinaia; infine sulla linea isolata, al di là dei punti, le migliaia.
Le linee orizzontali dol foglio pormottono in tal modo di giimgoro lino
all'unità di migliaia.
Ecco che, giunti a scrivere nove, bisogna uscire dalla linea delle unità
e passare a quella della decine: infatti dieci unità sono una decina, E cosi
giunti alla cifra nove delle decine, occorre passare alla linea delle centinaia,
porche dieci decine sono appunto un centinaio. E, infine, scritte le novo
cifro delle centinaia, si passa alla linea dello migliaia, perchè appunto dioci
continaia fanno un migliaio (Tabella E).
Le unità (da i a 9) stanno dunque scritto nella linea più a destra; poi,
nella vicina linea a sinistra, stanno scritte le decine da i a 9; infine, nella terza
linea stanno scritte le centinaia, da i a 9. Sempre così, da i a 9; non ci può
essere altro. Il di più fa cambiar posto alle medesime cifre. Ecco la cosa che
deve essere maturata tranquillamente.
Sono quelle nove cifre che cambiano posto, per formar tutti i numeri pos
sibili: non è dunque la cifra in sé stessa, ma è la sua posizione rispetto alle
altre, che le dà ora il valore di uno, ora di dieci, ora di cento o di mille. Così
si traducono simbolicamente quei valori reali che crescono in modo sì prodi-
gioso, che noi non potremmo più neanche immaginarli. Avere una fila di dieci
mila, lunga settanta metri! e poi ancora una fila con dieci di quelle file lunghe
come una strada! È necessario dunque ricorrere ai simboli. Il valore di quel
posto è grandissimo.
Come si fa a contrassegnare una cifra per indicare qual'c il suo posto
rispetto alle altre, e perciò il suo valore? Non essendoci sempre delle linee
verticali indicanti la relativa posizione, si mettono tanti zeri a destra della
cifra. Lo zero, si sa già dalla « Casa dei Bambini », non ha nessun valore, e
non può neanche dare nessun valore alla cifra cui si accompagna. Ma esso
serve a tenere il posto e a far capire il valore della cifra che ha a sinistra.
Non è che lo zero dia valore a i e lo faccia diventar io; è che lo zero del io
sta ad indicare che quell'uno non è una unità, ma sta al posto successivo
delle decine e vuol dire una decina e niente unità. Se invece alla decina
si accompagnassero, p. es., 4 unità, allora ci sarebbe un 4 al posto delle unità,
e r I alle decine.
Il bambino sa già scrivere dieci e anche cento nella « Casa dei Bambini n;
perciò è ben facile scrivere ora, con l'aiuto degli zeri, e in colonna, contando
ARITMETICA 399
da uno a mille: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci,
venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, settanta, ottanta, novanta,
cento, duecento, trecento, quattrocento, cinquecento, seicento, settecento,
ottocento, novecento, mille (Tabella F).
Imparato bene a contare così, si può leggere qualunque numero di
quattro cifre.
Componiamo i numeri sul pallottoliere; componiamo, p. es., il numero 4827
(Tavola XXVII); si spingono allora quattro perle a sinistra nella fila delle mi-
gliaia, otto nella fila delle centinaia, due in quella delle decine, e sette in quelle
delle unità, e si legge: quattromila ottocento ventisette; quel numero si scrive
mettendo le cifre sulla stessa riga, e nella posizione reciproca simbolica dei
rapporti decimali: 4827. Così si può fare del nostro millesimo; 1916, e si scrive,
a sinistra, come è indicato nel foglio.
Si componga ora sul pallottoliere simbolico 2049: si spingano a sinistra
due perle del mille, quattro delle decine e nove delle unità. Nella fila delle
centinaia sul pallottoliere « non c'è nulla »: ecco una dimostrazione della fun-
zione dello zero, che sta a tenere i posti vuoti.
Così nel numero 4700 composto sul pallottoliere, si spingono quattri
perle sul filo delle migliaia e sette sul filo delle centinaia; gli altri due fili
restano vuoti. Scrivendo, quei posti vuoti son riempiti da zeri, cioè da cifre di
nessun valore.
Quando il bambino ha ben capito tutto questo, egli moltiplica da sé
gli esercizi con grandissimo interesse. Manda a sinistra delle perle a caso
in qualcuna o in tutte le file, e poi interpreta e scrive il numero sui foglietti
appositamente preparati. Quand'egli è entrato in questo esercizio, la posi-
zione delle cifre, e quindi le operazioni con numeri di più cifre, in colonna,
sono idee pienamente conquistate. Per maturarle, basta lasciare il bambino
al suo autoesercizio (Tavola XXVIII).
Ben presto egli chiederà di andare oltre il mille (Tavola XXIX).
Ecco un altro pallottohere a sette file: esso ha le unità, decine e
centinaia semplici; le unità, decine e centinaia di migliaia; e la fila dei
milioni. Il passaggio dall'un pallottoliere all'altro, presenta molto inte-
resse, ma nessuna difficoltà. I bambini avranno bisogno di ben poche
spiegazioni e cercheranno di capire da sé il pili possibile. Le « grandi cifre »
saranno per essi la cosa più interessante e perciò più facile. Ben presto
vedremo i loro quaderni pieni delle cifre più favolose; essi sono oramai ma-
neggiatori di milioni.
In rapporto al grande pallottoliere (lo stesso telàio, ma messo in senso
verticale), il quale ha l'asta di sinistra distinta in tre colori secondo i gruppi
dei fili (le unità, decine e centinaia semplici sono separate da un bottone
da quelle di migliaia, e queste son separate da un bottone dalla fila iso-
lata dei milioni), esiste un foglio appositamente preparato e corrispondente.
400 PARTE SECONDA
Su di esso si scriveranno a destra, i numeri corrispondenti al pallottoliere,
contando dall'unità al milione, cioè: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, setto,
otto, nove, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, settanta,
ottanta, novanta, cento, duecento, trecento, quattrocento, cinquecento,
seicento, settecento, ottocento, novecento, mille, duemila, tremila, quattro-
mila, cinquemila, seimila, settemila, ottomila, novemila, diecimila, venti-
mila, trentamila, quarantamila, cinquantamila, sessantamila, settantamila,
ottantamila, novantamila, centomila, duecentomila, trecentomila, quattro-
centomila, cinqueccntoinila. sciccntomila. sctteccntomila. ottoccntomila, nove-
centomila, un milione (Tabella G).
Dopo ciò il bambino spostando verso sinistra una o più perle di qualche-
duna o di tutte le file, cerca d'interpretare e poi di scrivere nella metà sinistra
del foglio i numeri che risultano da tali spostamenti casuali: come è, p. es.,
nel pallottoliere il numero 6.206.818; e sul foglio i numeri: i.iii.iii; 8.640.850;
1.500.000; 3.780.000; 5.840.714; 720.000; 500.000; 430.000; 35.840; 80.724;
15.229; 1.240.
Quando si tratterà di sommare o di sottrarre numeri di più cifre, di met-
tere i risultati in colonna, ecc., si troverà tutto così estremamente facilitato,
che risulterà quasi come una sorpresa (Tavola XXXIII).
LA TAVOLA PITAGORICA.
(Tavola di yiioltiplicazione).
M.MERi.M.E. — I! materiale della tavola pitagorica, consiste di più
parti.
Gli oggetti sono: un cartone quadrato che porta cento incavi (io x io),
in ognuno dei quali può collocarsi una perla. In alto, e in corrispon-
denza d'ogni fila verticale di fori, sono stampati i numeri i, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, IO.
A sinistra è possibile incastrare un cartellino che porta in rosso una
delle suddette cifre: questo cartellino, che farà da moltiplicando, si può di
volta in volta cambiare; nel sistema esistono dieci di tali cartellini, con le
dieci cifre.
A sinistra in alto c'è un piccolo incavo ove si porrà una marchetta rossa:
ma questo particolare è affatto secondario.
Questo cartone quadrato è bianco, listato di rosso.
Annessa a questo oggetto è una elegante scatola, contenente cento
perle sciolte. L'esercizio che deve farsi con tale materiale è estremamenti;
semplice.
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ARITMETICA 40I
Si supponga di dover moltiplicare il 6 con la serie naturale dei numeri
da I a IO (Tavola XXX): 6x1; 6x2; 6x3; 6x4; 6x5; 6x6; 6x7; 6x8;
6x9; 6x10.
Si pone nello spazio a sinistra il cartellino portante il numero 6. Mol-
tiplicando 6x1, il bambino fa due cose: pone la marchetta rossa sull'i she
sta stampato in alto, e pone sei perle in colonna verticale sotto il numefo uno.
Moltiplicando 6 x 2, il bambino sposta la marchetta rossa sul 2, e aggiunge
altre sei perle in colonna sotto il 2; così moltiplicando 6x3, fa passare la
marchetta sul 3, e aggiunge sei perle in linea verticale, sotto il 3; e in tal
modo procede fino a! 6x10.
Lo spostamento della marchetta serve a indicare il moltiplicatore di
volta in volta, e richiede da parte del bambino un'attenzione sempre attiva,
una grande esattezza di esecuzione (Tavola XXXI).
Mentre il bambino compie queste operazioni, egli scrive le sue moltipli-
cazioni. A tal uopo, esistono speciali fogliettini, intestati, eleganti, che il
bambino può tenere alla destra del materiale di moltiplicazione.
Esistono dieci di questi fogliettini in serie; e in ogni sistema, ci sono
dieci serie, cioè cento fogliettini, annessi ad ogni materiale di moltiplicazione
Ecco nella tavola che segue il fogliettino preparato per moltiplicare il 3.
Tutto è pronto nella stampa: manca solo che il bambino scriva al loro posto i
singoli prodotti che otterrà aggiungendo ogni volta tre perle, come si è visto.
Egli, se non fa errori, scriverà dunque: 3, 6, 9, 12, 15, 18, 21, 24, 27, 30.
E analogamente con tutta la serie dei fogliettini, da i a io. Essendovi
dieci copie d'ogni fogliettino, il bambino può ripetere dieci volte questo
esercizio.
Egli, così, impara a memoria le singole moltiplicazioni: e lo vedremo aiu-
tarsi ad imparare a memoria anche in altri modi; ecco li un bambino che pas-
seggia su e giii tenendo in mano un fogliettino di moltiplicazione ch'egli
guarda di tanto in tanto. È un fogliettino empito da lui; forse egli studia
a mente: sette per sei, quarantadue; sette per sette, quarantanove; sette per
otto, cinquantasei...
II. materiale della tavola pitagorica è uno dei più appassionanti: i bam-
bini empiono sei o sette foglietti uno dopo l'altro, e restano giorni e setti-
mane in questo esercizio. Quasi tutti chiedono di portarlo a casa. La prima
volta che il materiale fu presentato avvenne una specie di rivoluzione:
tutti volevano portar via il materiale. Non essendo stato permesso, i bam-
bini tormentarono le loro madri « perchè lo comperassero ». Ci volle del
bello e del buono per persuaderli che gli oggetti non erano in commercio
e non si potevano avere. Ma i bambini non si rassegnarono: e una ragazza
più grande che era con loro, si fece capo d'una ribellione: « La dottoressa
vuol fare un esperimento con noi; ebbene, diciamole che se non ci dà il
materiale della moltiplicazione non veniamo più a scuola ».
402
PARTE SECONDA
Questa minaccia non era graziosa in so. ma la rendeva interessante il
(atto che la tavola pitasjorica, spauracchio dei ragazzi, diventava una sedut-
tnce. una tentatrice, che faceva diventare lupi gli agnelli.
Quando i bambini hanno più volte riempito dello intere serie di
fogliettini con Taiuto del materiale, viene loro presentata una tabella per
Tavola di moltipucazione
Combinazioni
3 =
4 =
5 =
6 =
7 =
8 =
9 =
IO =
i confronti, affinchè essi possano veritìcare se nelle moltiplicazioni par-
ziali hanno commesso degli errori. Tabella per tabella, numero per nu-
mero, fanno il lavoro di paragonare ogni singolo prodotto, col numero
ad esso corrispondente in ognuna delle dieci colonne. Quando la verifica
è stata compiuta esattamente, i fanciulli posseggono le loro serie, garan-
tite da errori.
ARITMETICA
403
Tavola complessiva delle moltiplicazioni
secondo le combinazioni dei numeri nella serie progressiva da i a io.
I. I =
2
1= 2
3
1= 3
1= 4
1= 5
I . 2 =
2
2
2= 4
-
2=6
2= 8
2= IO
I- 3 =
3
2
3= 6
^
3= 9
3 = 12
3 = 15
1
I. 4 =
4
2
4= 8
3-
4 = 12
4 = 16
4 = 20
1-5 =
5
2
5=10
3-
5 = 15
5 = 20
5 = 25
1.0 =
6
2
6=12
3-
6=18
6 = 24
6 = 30
I. 7 =
7
2
7=14
3-
7 = 21
7 = 28
7=35
I. 8 =
8
2
8=16
3-
8 = 24
8 = 32
8 = 40'
I. 9 =
9
2
9 = 18
3-
9 = 27
9 = 36
9=45
I. IO =
10
2
10=20
3.
10 = 30
IO =40
10 = 50
6. 1= 6
7-
1= 7
8
1= 8
9-
1= 9
IO.
1= 10
6. 2 = 12
7-
2 = 14
8
2 = 16
9-
2 = 18
io-
2= 20
6. 3=18
7-
3 = 21
8
3 = 24
9-
3 = 27
io.
3= 30
6 . 4 = 24
7 ■
4 = 28
8
4 = 32
9-
4=36
IO .
4= 40
6. 5 = 30
7-
5 = 35
8
5 = 40
9-
5 = 45
IO.
5= 50
6. 6 = 36
7-
6 = 42
8
6 = 48
9-
6=54
IO.
6= 60
6. 7 = 42
7-
7 = 49
8
7 = 56
9-
7 = 63
IO.
7= 70
6. 8 = 48
7-
8 = 56
8
8 = 64
9-
8 = 72
IO.
8= 80
6- 9 = 54
7-
9=63
8
9 = 72
9-
9 = 81
IO.
9= 90
6 . IO = 60
7 •
10 = 70
S
IO = 80
9-
io = 90
IO
10 = 100
404
PARTE SECONDA
Si copino una accanto all'altra m-I soi^ucntc n
dei risultati verificati: sotto il 2 la colonna del 2
sotto il 4 quella del 4, ecc.
Tavola pitagorica.
1 2 3 4 5 6
o, lo singole colonne
1 3 quella del 3,
Allora si otterrà una tavola uguale a quella che nel materiale è offerta
come modello di confronto: la tavola riassuntiva delle moltiplicazioni. Essa
è la tavola pitagorica.
Tavola riassuntiva delle moltiplicazioni
(Unione dei risultati in colonna).
1
^
^
4
=
6
7
8
9 10
2
'
'
8
IO
"
14
16
18 20
3
6
9
"
«
■«
21
24
27|30
4
«
12
16
»
24
-
32
36 40
5
„
15
20
.5
30
35
40
45 50
6
"
18
.4
30
36
..
48
54 60
7
14
21
28
35
42
4,
56
63 |70
8
r6
24
'.
40
48
56
64
72
H
9
18
27
3.
45
54
(^'S
72
81 90
10
20
30
40
50
60
70
80
90 |lOO
-A PITAGORICA.
ARITMETICA
405
Il bambino possiede la tavola pitagorica, come risultato di molti lavori
parziali. Sarà facile insegnargli a « leggerla « come tavola di moltiplicazione:
egli la sa già a memoria. Potrà allora riempire a memoria i moduli vuoti;
l'unica difficoltà che gli resta è di riconoscere in quale casella dovrà scrivere
il numero, che è quella corrispondente così al moltiplicando come a) mol-
tiplicatore. Nel sistema ci sono dieci moduli vuoti per la tavola pitagorica.
Quando il bambino, libero d'intrattenersi quando e quanto vuole in tali
esercizi, li ha tutti superati, egli certo ha imparato la tavola pitagorica.
DIVISIONE.
Materiale. — Lo stesso materiale può essere utilizzato per la divi-
sione, salvo le schede che sono diverse.
Si prende a caso un numero qualunque di perle della scatola e si contano.
Supponiamo che le perle siano 27; questo numero si scrive nello spazio
vuoto a sinistra della tabella per la divisione.
Divisione
Avanzo
: 2 =
27 ■ 6 =
: 8 = 3
■ 9 = 3
: IO = 2
3
7
Poi, preso il cartone quadrato coi cento incavi e la scatola delle perle,
si procede all'operazione.
Supponiamo di dividere prima 27 per io : deponiamo dieci perle in fila
verticale sotto l'uno; poi accanto ancora altre dieci perle sotto il due; sotto
4ob
PARTE SECONDA
il tre, però, le perle non sono sufficienti a completare la fila. Allora il 2 si
scrive nelle linee orizzontali a sinistra, in corrispondenza del io; e nella linea
a destra si scrive l'avanzo 7.
Dividiamo ora per nove. Si compone sotto l'uno una fila di nove perle; pò
ancora un'altra fila sotto il due; quindi ancora una sotto il tre. Nessuna perla
avanza. Sulla linea a sinistra, in corrispondenza del nove, si scrive la cifra 3.
Dividendo per otto, si dispongono otto, perle in fila verticale sotto l'uno; e
poi vicino altre file uguali sotto il 2 e sotto il 3; alla fila 4 rimangono solo 3
f>erle; esse sono l'avanzo. E così via (Tavola XXXII).
Un pacchetto di cento moduli per la divisione, sono raccolti in una ele-
gante copertina verde scuro, legata da un nastro di seta.
Invece i moduli per le tavole di moltiplicazione parziali, con le rispettive
tabelle di confronto e le tavole pitagoriche, sono riunite in una busta di
pergamena rilegata in cuoio.
Divisione
Avanzo
: 2 =
: 3 =
: 4 =
: 5 =
: 6 =
: 7 =
: 8 =
: 9 =
: IO =
LE OPERAZIONI A PIÙ CIFRE.
Oramai le operazioni a più cifre « sono pronte »: i materiali necessari
sono tutti posseduti dal bambino e anche la sua mente è preparata a com-
binarli insieme.
ARITMETICA 407
Per queste operazioni occorre un materiale che per le prime tre ope-
razioni, addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, è il pallottoliere ; e per la divi-
sione è un materiale più complicato, che sarà descritto a suo luogo.
Addizione.
L'addizione a più cifre sul pallottoliere è quanto vi ha di più semplice
e perciò di attraente. Sia per es. ad eseguire la seguente addizione:
1320
435 +
Si spostano prima le perle relative al primo numero, cioè i nella fila
delle migliaia, 3 in quella delle centinaia e 2 in quella delle decine ; poi si
spostano le perle relative al secondo numero, le quali vanno a collocarsi
vicino alle prime, cioè : 4 nella linea delle centinaia, 3 in quella delle decine
e 5 in quella delle unità. Non rimane che scrivere il numero segnato dal
complesso delle perle spostate, cioè: 1755.
Dato il caso più complesso che le perle spostate sulla stessa hnea supe-
rino il IO, la cosa si risolve molto facilmente, così : giunti al dieci, si rimette
al posto l'intera fila e si sposta in corrispondenza una perla nella fila sot-
tostante, poi si continua l'operazione. Così, per es., sia da sommare:
390
482 +
Si spostano prima le perle relative al 390, cioè 3 nelle centinaia, 9 nelle
decine o viceversa cominciando dalle unità, si spostano prima le 9 perle
delle decine e quindi quelle delle centinaia. Al secondo numero si spo-
stano 4 delle centinaia e poi si cominciano a spostare le decine. Appena
spostatane una, la fila del io è completa: essa si rimette a posto e si muove
un'altra perla sottostante; poi si continuano a spostare le perle dèlie decine
che, per esserne già stata spostata una, rimangono 7. Si potrebbe comin-
ciare lo spostamento dalle unità, anziché dalle centinaia, e in tal caso ver-
rebbe sul filo delle centinaia, prima la perla rappresentante le dieci perle
di sopra e poi le altre quattro che si devono sommare. Finita l'operazione
si trascrive il numero indicato dalla posizione delle perle: 872.
Col maggior pallottoliere si possono eseguire addizioni molto complesse
con lo stesso procedimento.
4o8 PARTE SECONDA
Sottrazione.
Il pallottoliere si presta ugualmente bene ad eseguire delle sottrazioni.
Sia, ad esempio, impostata la seguente operazione:
8947
6735 —
Si spostano le perle relative al primo numero ; quindi si tolgono da
questa le perle relative al secondo numero. Le perle rimanenti indicano il
numero relativo alla differenza, che può trascriversi: 2212.
Dato il caso più complesso in cui siano necessari dei riporti, si procede
così : esaurite le perle di una fila, viene a spostarsi la fila intera di nuovo,
togliendo però una perla dalla fila inferiore; poi si continuano gli sposta-
menti. Per es. : sia da eseguire la sottrazione seguente :
8954
7593 —
Si spostano le perle relative al primo numero : si tolgono 3 perle dalle
unità. Alla fila delle decine si cominciano a togliere le perle, come volen-
done spostare 9 ; ma spostatene le prime cinque, la fila diventa vuota, mentre
altre quattro ancora occorrebbe spostarne. Si sposta una delle perle dalla
fila sottostante e si rimettono a posto tutte e dieci quelle delle decine, e
su queste si continua a spostare perle fino a raggiungere il nove, cioè se
ne spostano altre quattro. Di sotto le perle rimaste sono 8 e da queste se
ne levano cinque, ecc. Finché rimane la differenza: 1341.
Si comprende come la tecnica dei cosidetti « riporti » diventi fami-
liare e chiara nella sua comprensione.
Moltiplicazione.
Quando si tratterà di fare una moltiplicazione a più cifre, il bambino
ha non solo a memoria la tavola di moltiplicazione, ma distingue bene le
unità dalle decine, dalle centinaia, ecc., e i loro reciproci rapporti gli sono
familiari. Egli conosce bene le cifre e i posti relativi al loro valore, fino
ai milioni. Che una unità superiore si cambi in dieci unità inferiori è oramai
una constatazione abituale.
Basterebbe dunque dire al bambino che ogni cifra del moltiplicatore deve
moltiplicarsi a parte per tutte le cifre del moltiplicando, e i singoli prodotti
ARITMETICA 409
messi in colonna devono poi sommarsi insieme, perchè egli s'ingolfi nella nuova
difircoltà con successo.
Ma i processi analitici hanno troppo valore formativo nel trattenere
lungamente l'attenzione, per non utilizzarli al massimo punt^^possibile.
Sono essi che conducono a quella maturazione interiore che permette di appro
fondire le cognizioni, e dalla quale esplodono le sintesi spontanee e le astrazioni.
Per questo i bambini, con esercizi rapidamente graduali, si abituano
a scrivere l'analisi di ogni moltiplicazione nei suoi fattori: in modo che, com-
piuto tale lavoro ordinativo del materiale, non restano più ad eseguire che
le moltiplicazioni apprese nella tavola pitagorica.
Ecco un esempio d'analisi per una moltiplicazione a tre cifre nel molti-
plicando e nel moltiplicatore: 356x742.
!2 unità
4 decine
7 centinaia
6 unità
356 = j 5 decine
' 3 centinaia
Ciascuna delle prime cifre si combina con le tre dell'altro numero, nel
modo seguente:
u. 6 1
d. 5 X u. 2 =
e. 3 \
12 unità
IO decine
6 centinaia
u. 6 1
d. 5 X d. 4 =
e. 3 1
, 24 decine
20 centinaia
12 migliaia
cc.,.jl
2 centinaia
5 migliaia
I decine di migliaia
e- 3
Quando tale analisi è scritta, comincia il lavoro sul pallottoHere, dove il
bambino traduce tutte le operazioni nel modo seguente : 2 X 6 unità portano
a spostare le dieci perle della prima fila, tuttavia esse non sono sufficienti. '
Allora si tirano indietro le dieci perle, e si fa avanzare una perla sul filo sot-
tostante delle decine, mentre nelle unità si lasciano avanti due sole perle (12).
Quindi si moltiplica 2x5 decine. C'è già una perla alle decine, dovrebbero
aggiungersene altre dieci: ecco dunque avanzarsi, invece di queste, una perla
sul filo delle centinaia. A questo punto le perle sono così distribuite : 2
I
Si moltiplica 2.3 centinaia, e si fanno avanzare sei perle sulla fila corri-
spondente. Terminata dunque la moltiplicazione delle sole unità del molti-
plicatore, le perle al pallottoliere hanno le seguente posizione : 2
I
7
4IO PARTE SECONDA
Passiamo alle decine.
4 . 6 decine = 24. Si tratta perciò di far avanzare quattro perle alle decine,
e due alle centinaia: 2
5
g
4 X 5 = 20 centinaia, e perciò due migliaia: 2
5
9
2
4x3 migliaia = 12 migliaia: perciò avanzano due perle alle migliaia e
una alle decine di migliaia: 2
5
9
4
I
Ecco: 7.6 centinaia sono 42 centinaia, perciò quattro perle s'avanzano
al migliaio e due al centinaio: ma qui c'erano già nove perle, ne resta dunque
una sola, perchè le altre dieci vanno a costituire una nuova perla del migliaio:
2
5
Poi ecco: 5.7 migliaia, cioè 35 migliaia, sono dunque cinque migliaia e tre
decine di migliaia: si avanzano le tre perle sul filo quinto e le 5 sul quarto: ma
qui essendoci già nove perle, ne restano quattro sole, dieci andando a for-
mare una nuova perla del quinto filo: 2
5
I
4
5
Infine, ecco 7 3 decine di migliaia cioè 21 decine; si avanza un'altra perla
sul quinto filo, e due sul sesto.
Ecco la distribuzione delle perle sul pallottoliere alla fine dell'operazione:
2 perle sul I filo delle unità
5
).
II
»
decine
r
»
III
)
centinaia
4
..
IV
..
migliaia
6
»
V
.
diecine di migliaia
2
'■
VI
»
centinaia di migliaia
ARITMETICA
411
Tale distribuzione, tradotta in cifre, dà il seguente numero: 264. 152 che
si può scrivere accanto ai due fattori, ^enza i prodotti parziali cioè, 742 x 356
= 264 152.
Mentre è molto complicato descrivere tutto ciò, resta facile e interessante,
come un giuoco di aritmetica, l'esercizio sul pallottoliere. f
Il giuoco di perle del pallottoliere, che contiene il segreto di così sorpren-
dente risultato, è non solo un esercizio che sempre pili chiarisce i rapporti
decimali di valore reciproco e di posizione; ma anche spiega il procedimento
delle operazioni astratte.
Infatti nell'operazione comune eseguita sulle cifre:
356 X
742
712
1424
2492
264152
«-«-
®-^»-^ ^ ®-
-•-@ ♦ « • ♦ ^»-»-»
ci sono le stesse operazioni; ma le cifre oramai scritte non si possono
modificare, come è invece possibile di fare muovendo le perle, e lì per
lì sostituendo i valori decimali su-
periori agli inferiori, quando per un
« meccanismo » dovuto al pallotto-
liere, sono esaurite le dieci perle di
una fila. Non potendosi perciò nel
calcolo scritto fare tali sostituzioni,
bisogna scrivere tutti i prodotti par-
ziali successivamente, mettendoli in
colonna secondo i loro valori, e poi,
infine, sommarU.
Lavoro molto più lungo anche
perchè scrivere una cifra è un atto
pili complicato che spostare una perla
liscia la quale scorre sì facilmente sul
filo metallico. E, anche, lavoro assai
meno chiaro degli spostamenti delle
perle, quando si è abituati a maneg-
giare il telaio, quando non c'è dubbio
sul posto dei valori, e quando è dive-
nuta una routine sostituire una perla del filo inferiore allorché è al com-
pleto la decina del filo superiore. Inoltre è anche più facile aggiungere
nuovi prodotti, senza possibilità di sbagliare. Infatti riprendiamo l'ope-
Fig. I. — La disposizione delle
segna il numero: 49.152.
perle
412
PARTE SECONDA
razione al punto in cui
su! tohiio c'orano 1
figura (fig. i): 2
5
I
9
lo porlo conio e indicato nella
• •
#^♦-•-•-
-©-♦-<»-•-#-
ed occorreva aggiungere 33 migliaia, cioè cinque perle alle migliaia e tre al
filo delle decine di migliaia. Ebbene, si possono subito far avanzare le tre perle
del quinto filo, cioè delle decine di migliaia, senza preoccuparsi di ciò che
avverrà di sopra, dovendo aggiungere 5 a 9. Ciò che avviene di sopra non
imbarazza affatto, né è necessario che
l'operazione nel filo sujierioro preceda
l'inferiore (fig. 2).
Infatti, se aggiungendo il 5 al 9
dovranno rimanere sulla 4* fila solo
quattro perle, perchè le dieci saranno
sostituite da una nuova perla nel filo
inferiore, questa nuova perla può
avanzarsi anche dopo che le altre
tre (del 3.5) vi sono state collocate.
Si può acquistare col pallottoliere una
abilità di mano e di calcolo, che rende
le moltiplicazioni più rapide: forse,
mentre il bambino che fa l'operazione
sulle cifre sta ancora alla prima mol-
tiplicazione parziale, quello che la-
vora al pallottoliere dà il prodotto
finale. Anche tra adulti è interessante
la gara di compiere la stessa moltipli-
cazione, uno al pallottoliere e l'altro
sulla carta coi metodi a noi ordinari.
È anche interessante non tradurre sul pallottoliere i singoli prodotti
uno sotto l'altro, come è indicato nell'ordine dei fattori analizzati; ma tradurli
a caso. Infatti è indifferente muovere le perle a salti o in fila: si possono
muovere per primo le decine di migliaia, poi le centinaia, le unità, quindi
le migliaia, ecc. Tali esercizi, che danno dell'operazione aritmetica una
cognizione tanto profonda, non sarebbero possibili con l'operazione astratta
eseguita solo con le cifre. È evidente che tali esercizi possono moltiplicarsi
come un piacevole giuoco.
Fig. 2. —
il numero
La disposizione delle perle segna
54.152, cioè sono state sommate
ligliaia al numero 49.152.
ARITMETICA
413
Modo di ordinare la moltiplicazione sui fogli rigati.
Sia la moltiplicazione: 8640 X 2531. Scriviamo le cifre del moltiplicand'^
ima sotto l'altra, ma sui posti relativi: si sa che questo può scriversi anche
riempiendo i vuoti con degli zeri.
Ripetiamo così il moltipHcando tante volte quanto sono le cifre del
moltiplicatore; ma invece di scrivere accanto a queste le parole unità, de-
cine, ecc., indichiamo ciò con degli zeri, che, per chiarezza, riempiamo al
di dentro.
Il bambino deve già sapere, appunto dagli esercizi sui fogli, che lo
zero significa uno spostamento, e che ogni moltiplicazione per dieci pro-
voca uno spostamento.
Gli zeri dunque delle cifre del moltiplicatore, provocano dei corrispon-
denti spostamenti in massa del moltiplicando.
La figura fa vedere facilmente ciò che non è altrettanto facile spiegare
a parole (fìg.-3):
o
I
X 3
8» 6 4
2» 5 I
4
6 o
8» o o
e :
8» O O
4
6 0
8» o o
4
6 o
8» o o
X 3<
X 500
4
6 o
I 8» o o
o
4 o
6» 00
8 o» o o
o o
4» 00
6 o» 00
8 o o» 00
o» 00
4 o* o o
6 o 0* 00
8» o o o o» 00
X 5
Fig. 3-
414 PARTE SECONDA
Ed eccoci al procodinionto coimino della moltiplicazione. A questo, un
bambino di sette anni può arrivare facilmente dopo gli esercizi detti, e al-
lora il numero delle cifre è indifferente; anzi piace molto al bambino la-
vorare su cifre favolosamente grandi, come lo dimostra l'esempio dato
sotto, il quale è uno dei consueti esercizi dei fanciulli che da se stessi
scelgono moltiplicando e moltiplicatore (la maestra non penserebbe mai a
enormi cifre!), ed eseguiscono l'operazione senza più né analisi di fattori,
né aiuto dei pallottolieri: ma precisamente col procedimento comune da noi
usato. Ciò si vede anche dal modo come l'operazione è impostata e quindi
eseguita dal bambino.
22.364.253 X 345.234.()ii
22364253 X
34523461 I
22364253
22364253
134185518
89457012
67092759
44728506
111821265
89457012
67092759
7720914184760583
Divisione a più cifre.
È possibile riprodurre le divisioni anche a più cifre nel divisore, col
materiale delle perle : ciò che può essere un « passatempo aritmetico »
specialmente atto ad occupare l'attività del bambino quando è in casa.
Esso « chiarisce » i procedimenti dell'operazione: è quasi nn' aritmetica ra-
zionale che si sovrappone a quella empirica, la quale fa ridurre il mecca-
nismo dell'operazione astratta, a una semplice routine. I « passatempi »
aprono perciò la via all'aritmetica ragionata, che attende il bambino nei
gradi superiori.
Il materiale necessario non è più qui il pallottoliere, ma quel cartone
quadrato che serviva per le prime moltiplicazioni parziali e per le divisioni
a una cifra ; solo occorrono più cartoni, e insieme un materiale adatto di
perle. Il lavoro è troppo complicato per venire chiaramente descritto: ma è
facilissimo e interessante ad eseguirsi praticamente.
ARITMETICA 415
Basti accennare come s'impianti il lavoro col materiale. Le unità, de-
cine, centinaia, ecc., hanno colori diversi: unità, bianco; decine, verde; centi-
naja, rosso. Ci sono poi dei sostegni di vario colore: bianco per le unità,^
decine, centina] a semplici; grigio per le miglia] a, nero pei milioni: e delle sca-
tole che sono fuori bianche, grigie o nere, e dentro bianche o veréi o
rosse. Ad ogni scatola, nel materiale, corrisponde un sostegno contenente
dieci tubetti di dieci perle.
Supponiamo di dover dividere 87.632 per 64. Allora si preparano in fila
una accanto all'altra, cinque scatole ordinate secondo il colore da sinistra
verso destra, come segue: due grigie a sinistra con l'interno verde e bianco,
e tre a destra bianche con l'interno rosso, verde e bianco; nella prima si ■
mettono otto perle verdi, nella seconda sette perle bianche, nella terza sei perle
rosse, nella quarta tre perle verdi, e nella quinta due perle bianche. Dietro
a ciascuna scatola c'è il sostegno relativo con dieci tubetti, che servono a
scambiare le unità di ordine superiore con quelle di ordine inferiore nei
rapporti decimali (Tavola XXXIV, 1°).
I cartoni quadrati sono due, uno accanto all'altro, e situati sotto alla fila
delle scatole; in uno è infilato nello spazio ben noto il cartellino con la cifra 6
(a sinistra) e nell'altro (a destra) quello con la cifra 4.
Dovendo dunque dividere 87.632 per 64, si pongano le ultime scatole
di sinistra (8 e 7) al disopra dei due cartoni quadrati. Nel primo si dispongono
le otto perle su linee di sei, come nelle divisioni più semplici: e nel secondo si
dispongono le sette perle su linee di quattro corrispondentemente alla cifra
del cartellino indicatore. I quozienti devono livellarsi su quello del primo
cartone: tutto il resto è avanzo. Il quoziente in questo caso è i; e gli avanzi
sono: 2 nel primo quadrato e 3 nel secondo (Tavola XXXIV, 2°).
Ciò fatto, si spostano le scatole colorate di un posto a sinistra: allora la
prima scatola esce dal giuoco e il suo posto è preso dalla seconda; così, sopra il
primo cartone non c'è più la scatola grigio-verde ma quella grigio-bianca; e
sopra il cartone del 4 è passata la scatola rossa.
Occorre dunque aggiustare i colori. Le due perle avanzate sul cartone
di 6 sono verdi; mentre la scatola ora sovrapposta è bianca. Bisogna
perciò scambiare le perle verdi in bianche, prendendo per ognuna di esse
un tubetto di dieci perle bianche. Le perle bianche che erano sul cartone
del 4 come avanzo, devono essere trasportate nell'altro cartone che porta
i colori bianchi. Ora, non resta che a disporre le perle bianche su righe di
sei; mentre l'altra scatola vicina, a perle rosse, si vuota sul cartone col di-
visore quattro, disponendo le perle in file di quattro, come nelle divisioni sem-
plici (Tavola XXXIV, 3°).
Aggiustato così il materiale secondo i colori, bisogna procedere al li-
vellamento secondo il quoziente che risulta nel primo cartone, che si fa
mediante gli scambi di una perla d'ordine superiore con dieci perle d'ordine
4lb PARTE SECONDA
inferiore. Così, p. es., nel caso nostro ci sono ora 23 perle bianche sul primo
cartone distribuite in file di sei: ciò che dà un quoziente di tre e avanzo
di cinque; nel secondo cartone quadrato, invece ci sono sei perle rosse distri-
buite in file di quattro, ciò che dà un quoziente di uno con avanzo di due.
Comincia il lavoro di livellamento. Esso consiste col prendere ad una ad una
le perle del cartone di sinistra, per es., bianche in questo caso, e cambiarle
con dieci rosse, disponendo queste in file di quattro sull'altro cartone, finché
non si raggiunge un quoziente uguale nei due cartoni: il resto è avanzo. In
questa divisione basta cambiare una sola perla bianca. Ciò fa un quoziente
di tre con avanzo di quattro in ciascuno dei cartoni (Tavola XXXIV, 4°).
E si continua allo stesso modo fin che le scatole han finito di sfilare.
L'ultimo avanzo che resta, è l'avanzo della divisione.
L'esercizio richiede pazienza, esattezza; ma interessa moltissimo, e
potrebbe essere un eccellente « solitario » pei bambini, nelle serate che pas-
sano in casa. Nessuna fatica intellettuale, ma molto movimento, molta intensa
attenzione (Tavola XXXV). I quozienti e gli avanzi si possono scrivere
su un foglio di carta a operazione compiuta, e possono così venire verificati
dalla maestra.
Quando il bambino abbia fatto molti di questi esercizi, gli viene spontaneo
di « prevedere » i risultati dell'operazione senza il materiale scambio e la collo-
cazione delle perle; e quindi di abbreviare il procedimento meccanico. Quando
egli « vedrà » infine la cosa a colpo d'occhio, si troverà a fare le divisioni
più difficili, di un numero qualunque di cifre, coi nostri processi ordinari,
senza aver fatto alcuna fatica, senza esser dovuto passare a traverso un pro-
gresso, senza avere avuto affaticanti lezioni e umilianti correzioni. E avrà
non solo imparato a eseguire divisioni, ma sarà padrone del loro meccanismo;
gli- sarà nota la ragione di ogni particolare del procedimento come forse non
saranno mai in grado di comprendere i giovani delle scuole secondarie, quando
coi mezzi didattici comuni devono capire, col nuovo e oscuro fardello del-
l'aritmetica razionale, l'incomprensibile operazione eseguita già per vari anni
senza raziocinio.
ESERCIZI SUI NUMERI
(Multipli, Numeri primi. Divisibilità dei
Quando il bambino, a traverso gli aiuti del materiale, ha maturato le idee
fondamentali riguardo alle quattro operazioni, ed è passato a eseguirle astrat-
tamente, egli può continuare a fare degli esercizi sui numeri, atti a condurlo
verso uno studio di essi più profondo e capace di aprirgli una via verso le
cognizioni più complesse ed elevate che l'attendono nelle scuole secondarie.
ARITMETICA 417
Tali studi sono intanto un'occasione per meglio ricordare le cose già
note e per ampliarle: essi potrebbero apparire come passatempi, come dei modi
piacevoli per maturare, a scuola o a casa, delle idee e delle conoscenze già
possedute.
Un primo esercizio è quello di continuare le moltiplicazioni di ogni
numero per la serie naturale dei numeri da i a io, iniziato con gli esercizi della
tavola pitagorica, eseguendo tali moltiplicazioni astrattamente, cioè senza
l'aiuto del materiale. Diamo un limite alla serie: la moltiplicazione si arre-
sterà quando il prodotto avrà raggiunto il numero 100. Per rendere prati-
camente possibile che le serie di moltiplicazioni possano farsi ciascuna in una
sola colonna si arresterà a 50 l'esercizio, per poi riprenderla da 51 a loo.
Ne risultano le due seguenti tabelle [H, I); le quali, tuttavia, sono già
preparate nel sistema, e servono al bambino per consultazione e per confronto.
Leggere in colonna uno sotto l'altro i prodotti relativi a ciascun numero,
e impararli a memoria, è, intanto, imprimere nella memoria la serie crescente
dei multipli di ogni numero da i a 100.
Su queste tavole il bambino può fare un interessante esercizio. Egli ha
dei fogli di carta stretti e lunghi, a sinistra dei quali sta la serie dei numeri:
da I a 50 e da 51 a 100. Si avvicina il foglio ai prodotti di ciascuna serie, e si
cercano i numeri corrispondenti ad essi nella collana del foglio: e, vicino al
numero corrispondente, si scrivono, col segno di eguaglianza, i due fattori della
moltiplicazione. Così, p. es.: 6 = 2 . 3; 8 = 2 . 4; io = 2 . 5; ecc.
Lo stesso si fa con la seconda colonna (del 3) e con le successive: risulterà
p. es. 6 = 2.3 = 3.2; 18 = 2. 9 = 3. 6 = 6. 3 = 9. 2.
Invece in rapporto ad alcuni numeri non ci sarà alcuna scomposizione
in fattori; le loro righe resteranno del tutte vuote.lEcco una prima presenta-
.zione intuitiva dei « numeri primi ».
Ecco le tabelle al completo {L, M).
PARTE SECONDA
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ARITMETICA
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PARTE SECONDA
Tabella L.
84
90
91
92
93
94
95
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97
98
99
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ARITMETICA
2
3
4=2.2
5
6 = 2.3 =
7
3-2
8 = 2.4 =
9 =3-3
10 = 2.5 =
11
4.2
5-2
12 -- 2.6 =
13
3.4=4.3 = 6.2
14 =2.7 =
7-2
15 = 3-5 =
16 =2.8 =
5-3
4.4=8.2
17
18=2.9 =
19
3.6=6.3 = 9.2
20 = 2 . IO
= 4-5 = 5-4= 10.2
21 = 7-3 =
22 = 2.11
23
3-7
24 = 2 . 12
= 3.8 = 4.6 = 6.4 =
25=5-5
26 = 2 . 13
27 = 3-9 =
28 = 2 . 14
29
9-3
= 4-7=7-4
30 = 2 . 15
31
32 = 2 . 16
33 = 3 . II
= 3. IO = 5. 6 = 6. 5
= 4-8 = 8.4
34 = 2 . 17
35 = 5-7 =
36 =2. 18
37
7-5
= 3. 12 = 4. 9 = 6. 6
38 = 2 . 19
39=3-13
40 = 2 . 20
41
= 4. IO =5. 8 = 8. 5
42 = 2 . 21
43
= 3. 14 =6. 7=7. 6
44 = 2 . 22
= 4.11
45 = 3-15
46 = 2 . 23
47
= 5-9 = 9-5
48 = 2 - 24
= 3. 16 = 4. 12 = 6.6
49=7.7
50 = 2 . 25 =
= 5. IO = 10.5
8.3
10.3
10.4
Tabella M.
3-17
2 . 26 = 4 . 13
= 2. 27 = 3. 18 = 6. 9 = 9. 6
= 5-11 /
= 2. 28 = 4. 14 = 7. 8 = 8. 7
= 3-19
= 2. 29
=52.30 = 3.20 = 4.15 = 5.12 = 6.10=15.4
2.31
21 = 7.9 = 9.7
32 = 4. 16 = 8.8
13
33 = 3.22 = 6. II
34 = 4 - 17
23
35 = 5 . 14 = 7 . IO = IO . 7
= 2.36 = 3.24=4.18=6.12 = 8.9=9.
= 2.37
= 3 - 25 = 5 - 15
= 2 . 38 = 4 . 19
= 7.11
= 2 . 39 = 3 . 26 = 6 . 13
= 2 . 40 = 4 . 20 = 5 . 16 = 8 . IO = IO .
= 3 . 27 = 9 . 9
= 2 . 41
4.21 = 6. 14 = 7.12
86 =
87 =
88 =
89
90 =
91 =
92 =
93 =
94 =
95 =
96 =
97
98 =
99 =
100
2 . 42 = 3 . 28
5-17
2-43
3-29
2 . 44 = 4 . 22 = 8 . II
2-45=3-30=5-18=6.15 = 9.10=10.9
7-13
2 . 46 = 4 . 23
3-31
2.47
5-19
2. 48 = 3. 32 =4. 24 = 6. 16= 8.12
2 . 49 = 7 . 14
3-33= 9"
= 2 . 50 = 4 . 25 = 5 . 20 = IO . IO
422 PARTE SECONDA
Formata in tal modo la tavola da i a 50 e poi da 51 a 100 dei numeri
scomposti nei loro fattori e dei numeri primi, si può passare ad alcuni esercizi
con le perle. I bambini meditano ora, sul materiale, le cose che hanno ricavato
confrontando le tavole. Si consideri, p. es.^ 6 = 2 . 3 = 3 . 2.
Il bambino prenderà sei perle e ne farà prima due gruppi di 3; poi ne
farà tre gruppi di 2.
Cosi per ogni numero a s\io piacimento,
18 = 2.9= SSIIIIS
= 9-2= : : : :
= 6.3= .'. .'. /
^ e • • •
= 3 • 6 = ,,,
• • •
il bambino potrà provare in tutti i modi a cercare altre combinazioni; come
pure potrà in ogni maniera tentare di dividere in gruppi eguali i numeri primi.
Questo giuoco intelligente e piacevole, rende chiaro al bambino il concetto
della « divisibilità » dei numeri. Quella scomposizione dei fattori della molti-
plicazione è un modo di « dividere » i numeri. Il bambino, p. es., ha diviso
il 18 successivamente in 2 gruppi, in 9, in 6, in 3. Ha anche diviso il 6
prima in due gruppi, e poi in tre.
Quando si tratta di moltiplicare tra loro i due fattori, non c'è nessuna
differenza nel risultato se si moltiplica 2.3 o 3.2: « invertendo l'ordine dei fat-
tori il prodotto non cambia ». Ma nella divisione si tratta di disporre a gruppi
eguali tra loro le quantità contenute nel numero: ed ogni modificazione in tale
equa distribuzione degli oggetti, ha un carattere distintivo. Ogni combinazione
è una diversa maniera di « dividere » il numero.
Il concetto della divisione riesce chiaro: 6:3 = 2 vuol dire che il 6 si
può dividere in tre gruppi, ed allora in ogni gruppo ci sono due oggetti. Esem-
pio: 6:2 = 3 vuol dire che il 6 si può anche dividere in due soli gruppi
eguali tra loro: in tal caso ogni gruppo comprende tre oggetti. I rapporti
tra la moltiplicazione e la divisione sono evidenti; siamo partiti da 6 = 3.2;
6 = 2.3. Questo è unjpenetrare addentro nel fatto che la moltiplicazione serve
di prova alla divisione, e prepara a comprendere i procedimenti pratici delle
operazioni. Così, trattandosi un giorno di eseguire una divisione, sarà
reso facile ed evidente il computo che bisogna fare a mente per saggiare se
o no un numero o una parte di esso, è divisibile per l'altro. Cosa che general-
mente non si fa, come preparazione alla divisione: mentre si fa, con l'apprendere
la tavola pitagorica, una preparazione alla moltiplicazione.
ARITMETICA 423
Dai suddetti esercizi (Tabella M) altri ne potrebbero derivare facendo
sui numeri stessi ulteriori osservazioni.
Esaminiamo p. es. il numero 40: una delle sue scomposizioni è la se-
guente: 40 = 2 . 20.
Vediamo ora come si scompone il numero 20:
20 = 2 . io; e il IO = 2 . 5.
Raccogliendo i piccoli numeri nei quali sono stati scomposti i numeri
maggiori, e sostituendo i piccoli ai grandi, si può scrivere:
40 = 2 . 2 . 2 . 5 0 anche 40 = 2' . 5.
Facciamo lo stesso pel 60.-
60 = 2 . 30 = 2 . 2 . 15 = 2 . 2 . 3 . 5 = 2' . 3 . 5.
Si sono scomposu in tal modo i numeri in fattori primi: 2' .5; 2^ . 3 . 5.
Vediamo che cosa hanno in comune i due grandi numeri così scom-
posti : nel 2' è compreso il 2' ; la serie dei fattori primi si può scrivere
perciò:
2^2.5; 2V3.5;
la parte comune (massimo comune divisore) è 2* . 5 = 20.
È interessante fare le prove e constatare che il 60 e il 40 sono divi-
sibili per 20 e per nessun numero ad esso maggiore.
Un altro esercizio sui numeri consiste nel segnare su delle tavole ove i
cento numeri in serie naturale sono disposti io per io, a quadrato, tutti i mul-
tipli di 2, di 3, di 4, di 5, di 6, di 7, di 8, di 9, di io. I numeri segnati, formano
dei disegni speciali che si possono osservare e studiare comparativamente.
Per esempio, nella tavola dei multipli di due sono segnati in linea verticale
tutti i numeri pari; in quella del 4 si ha lo stesso tipo a linee verticali,
ma i numeri sono segnati uno sì e uno no; nel 6, lo stesso tipo ma i nu-
meri sono segnati uno sì e due no; e, infine, nei multipli di 8 si ripete il
tipo stesso, ove però i numeri sono segnati uno si e 3 no. Nella tavola del
tre le linee sono oblique da destra a sinistra e tutti i numeri che si tro-
vano su tali linee sono segnati. Nel 6 c'è la stessa disposizione, ma i numeri
sono segnati uno sì e uno no. Il 6 partecipa dunque così al 2 come al 3, che
sono i suoi fattori.
424
PARTE SECONDA
Tabella N.
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4
5
6
7
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420 PARTE SECONDA
IL QUADRATO E IL CUBO DEI NUMERI.
Prendiamo due pezzi da due perle (verdi) che erano servite a contare,
nei primi esercizi con le perle. Essi qui (anno però parte di un altro sistema
di perle. Insieme ai due piccoli pezzi formati ciascuno di due perle verdi
infilate a un filo rigido, esiste una piccola catenina ove i due pezzi sono riuniti
insieme :••-•• La catenella rappresenta 2 . 2.
Esiste un'altra combinazione degli stessi oggetti: i due bastoncini da
due perle sono legati insieme, ma non imo in fila all'altro, bensì uno sopra
l'altro: ; ;
Essi sono la stessa cosa, cioè entrambi come numero sono 2.2; ma come
collocazione sono diversi; uno ha forma di linea, l'altra di quadrato. Si può
riflettere su ciò: che, se disponiamo una sull'altra le asticine, tante quante
sono le perle infilate in ogni asticina, si ha la forma di quadrato.
Infatti nel sistema esistono quadrati di 3x3 perle rosa; di 4x4 perle
gialle; di 5x5 perle celesti; 6x6 perle grigie; ']-><.'] perle bianche; 8x8 perle
violetta; 9x9 perle bleu; 10x10 perle arancione, cioè riproducenti i colori
delle asticine di perle che servivano in principio per la numerazione.
In rapporto ad ogni numero esiste una quantità d'asticine, uguale al
numero delle perle infilate per formare il numero: 3 per il 3; 4 per il 4, ecc.;
inoltre esiste un egual numero di asticine legate a catena: 3x3; 4x4 e, come
si è visto, un'altra uguale quantità legata a quadrato.
Il bambino non solo può contare le perle delle catene e dei quadrati;
ma, con le corrispondenti asticine libere che possiede, può riprodurle, dispo-
nendo le asticine stesse o una in fila all'altra in linea, o una sopra l'altra a
quadrato. È il numero ripetuto tante volte quante sono le unità che contiene:
è il numero moltiplicato per se stesso.
Prendendo un quadratino, p. es., di quattro, si possono contare quattro
perle da ciascun lato del quadrato; moltipHcando 4 X 4 si ha il numero
complessivo delle perle del quadrato: 16. Moltiplicando un lato per se stesso,
si ha la superficie del piccolo quadrato. Così per quello di 5, 8, 9, ecc. Il
quadrato di dieci, p. es., ha dieci perle in ogni lato: moltiplicando io X io
cioè il lato per se stesso, si ha il numero complessivo delle perle che formano
la superficie del quadrato : 100.
Tuttavia non è la forma, che dà questo: mettendo in fila orizzontale
i dieci bastoncini che possono formare il quadrato, si ha la catena del 100.
Così per ogni quadrato: la catena 5x5 come il quadrato 5x5 contiene lo
stesso numero di perle: 25. Si insegna al bambino a scrivere i numeri al
quadrato: 5^ = 25; 7^^ = 49; io' = 100, ecc.
ARITMETICA
427
Il materiale è costruito in rapporto ai numeri 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, io. Esso
può lasciarsi al bambino, cominciando dai numeri più piccoli; e, col materiale e
1 a libertà, le idee penetreranno e si matureranno (Tavole XXXV^ e XXXVII).
Oltre ai quadrati, nel sistema sono considerati i cubi dei numeri, e in
rapporto a ognuno di essi ci sono gli stessi materiali, cioè:
— la catena del cubo del numero costruita a mezzo di catene del quadrato
rilegate da catenelle mobili, le quali permettono di ripiegarle una sull'altra;
— un numero di quadrati disposti a forma di quadrato, corrispondente
alla quantità delle unità contenute nel numero stesso; cioè vi sono quattro
quadrati pel numero 4; sei quadrati pel 6; dieci pel io, ecc. ;
— un vero cubo di perle costruito legando uno sull'altro il numero ne-
cessario di quadrati.
Prendiamo a considerare il cubo di quattro. Esiste dunque una catena,
formata da quattro catene rappresentanti il quadrato di quattro: e separate
morbidamente, sì che la lunga
-••••-•••• — ••••- ••••-^^ catena si può tutta ripiegare
^••••"••••-••••-••••-^ sulla lunghezza del quadrato
~ -••• m--^ ^j^g ^) (^Qgj disposta, la ca-
tena del cubo riproduce quat-
tro quadrati, simili a quelli
sciolti, che possono dispor-
visi al di sotto. Con la dif-
ferenza però, che tirando un
estremo della catena, essa si
svolge sopra una sola linea
(fig- Sì-
La quantità è sempre la stessa, cioè quattro volte il quadrato di quattro:
4X4X4 = 4'X4 = 4'-
Il cubo di quattro esiste legato nel sistema: ma si può riprodurre sovrap-
ponendo i quattro quadrati sciolti, uno sull'altro.
Fig. 4. — La figura rappresenta la catena del cubo di 4
)iegata in modo da formare i quadrati; e i quattro quadrati.
parte dell'intera ca
Osservando il cubo: esso ha lo spigolo di 4; moltiplicando quattro volte
il quadrato, si ha il cubo. Moltiplicando la superficie di un quadrato, pel numero
di unità contenute nello spigolo, si ha il volume del cubo: 4^X4.
Con ciò il bambino può ricevere una prima intuizione dei procedimenti
necessari per calcolare la superficie e i volumi.
Noi, con questo materiale non dobbiamo proporci d'insegnare molto;
ma di lasciare molto libero il bambino di maturare le proprie idee, osservando,
sperimentando, meditando sul maneggevole e attraente materiale.
4-:S PARTE SECONDA
A poco a poco vedremo empirsi lavagnette e quaderni con calcoli di
numeri elevati al quadrato e al cubo, indipendentemente dalla ricca serie
d'oggetti che il materiale di sviluppo offre al bambino.
Nei calcoli sul quadrato e cubo dei numeri, sarà facile notare come a
moltiplicare per dieci basta spostare l'unità, cioè aggiungere uno zero.
L'unità per dieci è io ; il dieci per dieci è uguale a loo; il cento per
dieci è uguale a looo, ecc.
Il bambino stesso se ne sarà spesso accorto da sé prima di giungere a
questo punto: o l'avrà appreso osservando i compagni.
Alcune delle nozioni fondamentali che richiedono speciali e laboriose
lezioni coi metodi comuni, sono qui naturalmente e spontaneamente intuite.
Uno studio interessante e che completa quello già fatto sulle catene
del 100 e del looo sono i confronti tra le catene dei quadrati tra loro, e quelle
dei cubi tra loro. La progressione dei quadrati giunge dal quadrato di due alla
catena del cento; quella dei cubi va fino alla catena del mille: tali diversi rap-
porti di progressione della lunghezza, sono illustrativi, impressionanti, e di più
preparano le conoscenze avvenire. Quando un giorno il bambino sentirà parlare
di « progressione geometrica », di « quadrati delle distanze « capirà immediata-
mente e con grande chiarezza.
Sarà pure interessante costruire una « torretta » (Tavola XXXVIII) con
i cubi delle perle! Benché ricordi quella dei cubi rosa, questa torre che sembra
tutta costruita di gioielli, contiene una profonda conoscenza sui rapporti delle
quantità: questi cubi oramai non sono conosciuti superficialmente per im-
pressioni sensoriali, ma sono noti fino nell'intimo, per il lavoro progredito
dell'intelligenza.
XXI.
ognu
Il materiale delle perle usatu per addizioni e »
dei nove numeri è di colore diverso (pag. 393)
Tavola XXIT. — Bambina rhe fa addizioni col laaifualf àelk- perle (pag. )y4)- i!
-woi.A XXllI. — Una bambina fohta la catena del mille ammassata sulla
/ e l'altra, seduta in poltrona, conta la catena del cento (pag. 395).
Tavoi A XXIV. — Contegsiu e calcoli sulle catene (pag. 395)
XXV. — Cubo di dieci; dieci quadrati di dieci; e catene di dieci, cento e mille (pag. 395).
catena (pag. ^.jM.
■■^^atofa.. 'mm^MmÈmismtL ^^^fHmmmà^^
XXVII — Primo « telaio » dei rapporti decimali:
jmposto il numero 4827 (png. 39y).
■
1 .
1
1
■
Tavola XXIX.
Secondo « telaio
iposto il numero 6
rapporti decimali :
i8 (pag. S'jg)-
ambino che lavora col materiale delle moltiplicazioni: a sinistra, dispone le perle
nel cartoncino; a destra, scrive il risultato (pag. 401).
Tavola XXXIII. — Fserciz! d'aritmetica (pag. 400 e sogg.).
Tavola XXXV. — Bambina che esegue una divisione a più cifre.
(Escola Montessori di Barcelona, Spagna) (pag. 416).
W.W'I ~ Quadrato e >\ib.) del qu^ittn, e del cinque (materiale delle perle) (pag. 427).
«ini fiii^' rir-^'ir-^ir
XXXVIT. — Ouadr;
e trattenute da spilli
ibi di quattro e di cinque : le catene dei cubi sono ripiegate sopra se <
Ddo da riprodurre la corrispondente serie di quadrati (pag. 427).
GEOMETRIA
Nella « Casa dei Bambini » gì' incastri piani che servivano per gli esercizi
sensoriali avevano condotto i fanciulli a familiarizzarsi con molte figure della
geometria piana: quadrato, rettangolo, triangolo, poligono, circolo, ellisse, ecc.
E nei cartoncini di 3° grado, ove le figure sono delineate, egli aveva preso
l'abitudine di riconoscere le figure geometriche disegnate da una semplice
linea. Infine poi, aveva avuto sotto mano una serie d' incastri di ferro che
riproducevano alcune delle figure geometriche già conosciute degli incastri
piani, i quali servivano al fanciullo a disegnare i contorni delle figure stesse
che venivano riempite poi con linee parallele tracciate con lapis colorati
(esercizi per il maneggio dell' istrumento di scrittura).
Il materiale geometrico che si presenta nelle classi elementari è da con-
siderarsi come una continuazione di quello usato nelle « Case dei Bambini ».
Esso ricorda molto gl'incastri di ferro: se non che, ogni cornice dell'in-
castro è fissata a una lastra quadrata che fa da fondo. Non c'è quindi
bisogno per questi incastri di un appoggio, come erano i telai o i leggìi
negli altri incastri; ed ogni pezzo è completo e indipendente. Ne risultano
piastrelle aventi la cornice verde col fondo bianco ; mentre l' incastro, cioè
il pezzo mobile, è rosso. Quando l'incastro è a posto, la sua faccia supe-
riore rossa è sullo stesso piano della cornice verde.
La particolarità di questi incastri mobili, è di non essere fatti di un
solo pezzo per ogni piastrella ma di più pezzi, i quali devono tutti insieme
essere perfettamente contenuti nel fondo bianco della piastra.
L' uso degli incastri così modificati è molteplice, ed ha come suo scopo
fondamentale di prestarsi all'autoeducazione del bambino negli esercizi di
geometria e talvolta nella risoluzione di veri problemi. Il fatto di poter
0 maneggiare delle figure geometriche », di poterle disporre variamente, di
poterne giudicare i rapporti, richiama intensamente l'interesse del bambino:
tutte le piastre da incastro che si riferiscono all'equivalenza delle figure,
ricordano precisamente certi « giuochi di pazienza » che si sono inventati
pei fanciulli, i quali però non hanno un preciso scopo educativo. Qui il bam-
bino esce invece da tali esercizi con delle « chiare convinzioni » più che con
432 PARTE SECONDA
delle semplici o cognizioni » su principi di geometria, che riesce ben diflficile
dare coi metodi comuni nelle \ecchie scuole. La differenza tra figure uguali,
simili ed equivalenti ; la possibilità di ridurre ogni figura piana regolare a
un rettangolo equivalente ; e perfino la risoluzione del teorema di Pitagora,
sono acquisti spontanei e appassionanti per ogni bambino. Così si dica per
il calcolo sulle frazioni che riesce tanto interessante negU esercizi con gl'in-
castri circolari : il significato di « frazione » e anche il valore delle frazioni,
come pure la riduzione di frazioni ordinarie in frazioni decimali, divengono
conquiste chiare della mente, conquiste formative e al tempo stesso dina-
miche delle attività intellettuali. Il bambino, esercitatosi lungamente e spon-
taneamente su tali mezzi di sviluppo, non solo ha continuato a fortificare
le sue attività ragionatrici e la forza del carattere, ma ha acquistato delle
cognizioni superiori e chiare che hanno ingrandito la sua mente; egli, nelle
successive astrazioni spontanee, avrà la possibilità di un progresso sorpren-
dente. Mentre un ragazzo di ginnasio spreca ancora le sue attività intellet-
tive a « capire » un rapporto, inafferrabile per lui, tra figure geometriche,
i nostri bambini delle scuole elementari lo « trovano da sé », e se ne ralle-
grano tanto che subito tornano alla ricerca di altri rapporti, e così via. Essi
galoppano liberamente sopra una strada piana, spinti dall'energia interiore
del loro organismo psichico crescente ; invece gli altri bambini vanno coi
piedi legati e nudi, tra ciottoli pungenti.
Ogni .( conquista fatta positivamente » su degh oggetti, col nostro metodo
di libertà, cioè lasciando che il bambino si eserciti nel momento in cui egli è
più adatto all'esercizio e permanga nell'esercizio fino alla maturità, porta
come conseguenza a una spontanea astrazione. Come condurre un bambino
ad li astrarre », se non ha la sufficiente maturità della mente e se non ha
sufficienti cognizioni ? Questi due punti d'appoggio sono come i piedi del-
l'uomo psichico che deve camminare verso le sue più alte attività. Noi
vedremo sempre ripetersi questo fenomeno. Ogni ulteriore « esercizio di ma-
turazione interna », ogni ulteriore « cognizione », porterà il fanciullo a nuovi
€ sempre più alti voli nel campo dell'astratto. È però bene avere affermato
questo principio: che la mente, per volare, deve partire da un punto di
appoggio come l'areoplano parte dal suo hangar; e deve avere raggiunto
un "grado di maturazione » come l' uccellino, quando, pei suoi primi voli,
esce dal nido dove crebbe e si fortificò. L'areoplano senza il suo riforni-
mento neWhangar, e l'uccello col solo « istinto di volare >■, senza i processi
di sviluppo dall'ovo al libero volo, sono cose inesistenti.
Una macchina perpetuamente volante senza mai essere rifornita di mate-
riali per l'energia propulsiva, e un istinto senza organismo, sono vanità.
E così è per la mente dell' uomo il « volo » dell' immaginazione che spazia
e crea. Benché ciò sia la sua « maniera d'essere », il suo » superiore istinto »,
pure egli ha bisogno di appoggiarsi sul vero, di organizzare le interiori energie,
GEOMETRIA 433
di volta in volta. Più un materiale può afferrare l'attenzione del bambino
e trattenerla, più esso ci promette un « lavoro astratto », una « creazione
immaginativa » come conseguenza di una potenzialità sviluppata. Ma questa
creazione immaginativa che sempre torna a ispirarsi sulla « realtà » e ad attin-
gere « nuove energie », non sarà vana, esauribile e folleggiante al vento come
la cosiddetta " immaginazione ■> che si cerca di svolgere nella scuola.
Senza il ■• rifornimento positivo » non si può mai vedere un « volo spon-
taneo della mente ■'; ed ecco nelle comuni scuole le difficoltà insormontabili
di " sviluppare l'immaginazione », di " portare all'istruzione ». Infatti, il
fanciullo senza forza motrice, portato artificialmente in alto dal maestro che
lo sforza ad « astrarre », può, al massimo, imparare a discendere con un
lento volo come un paracadute : ma non mai ad « innalzarsi energicamente
e vertiginosamente da sé ». Ecco la differenza: e quindi la necessità di con-
siderare « il fondamento positivo trattenente la mente nell'autoesercizio siste-
matico 1 di preparazione; dopo la qual cosa, basta « lasciar libertà » al genio
che s' innalza.
Non c'è bisogno di ripetere come anche nel periodo di h rifornimento »
la libertà è la guida per trovare il « momento adatto > e il « tempo suffi-
ciente '\ perchè di questo è stato già insistentemente parlato. Ma è bene
fissare qui ancora più chiaramente l'idea che un « materiale di sviluppo »
predeterminato con ricerche sperimentali e « messo in rapporto col fanciullo »
(lezioni), compie una tale opera complessa per le reazioni psichiche che è
capace di provocare, che ne possono derivare i più splendidi fenomeni di
sviluppo intellettuale.
Uno dei materiali più ricchi di applicazione è questo appunto degli
incastri geometrici, i quali corrispondono mirabilmente agli » istinti di lavoro »
della mente infantile.
Gli esercizi che si fanno con tal materiale, non sono soltanto di « com-
posizione » dei pezzi d' incastro o di sostituzione di essi nelle relative piastre;
ma vi si uniscono gli esercizi di disegno, che, col lungo lavoro che richie-
dono, permettono alla mente del bambino di soffermarsi su ogni particolare
e di meditarvi.
Il disegno fatto sugli incastri geometrici, come sarà detto in seguito,
è di due generi : uno geometrico e uno artistico. Inoltre, la fusione dei due
generi viene a dare applicazioni nuove.
Il disegno geometrico consiste nel riprodurre le figure delineate relative
agh incastri : e con ciò il bambino impara a maneggiare vari istrumenti di
disegno: come squadra, riga, compasso, goniometro. In tah esercizi il bam-
bino acquista delle vere e proprie cognizioni di geometria, con l'aiuto di
un apposito < album » che fa parte del sistema.
Altre specie di disegni poi, consistono nel « combinare » le varie figure
geometriche tra loro per mezzo dei pezzi d' incastro che si possono variamente
28
434 PARTE SECONDA
disporre. Vengono delincati i contorni, e le figure riempite o coi lapis colo-
rati o ad acquerello. Tali combinazioni sono vere creazioni estetiche da
parte dei fanciulli. Gl'incastri poi sono in tali reciproche proporzioni, che
dalle loro combinazioni risulta un'armonia artistica la quale facilita lo sviluppo
del senso estetico dei bambini. Noi abbiamo potuto riprodurre con gl'in-
castri alcune decorazioni classiche che si trovano nello nostre maggiori opere
d'arte, come le decorazioni di Giotto.
Infine, una combinazione tra disegno geometrico e artistico è quella di
decorare le varie parti delle figure geometriche, come i centri, i lati, gli
angoli, le circonferenze, ecc.; o anche quella di rifinire con qualche dettagHo
a mano libera le decorazioni che risultano dalle combinazioni di incastri.
Ma di tutto ciò sarà meglio dato un concetto passando ad esporre il mate-
riale sistematico.
DESCRIZIONE DEL MATERIALE DI SVILUPPO
RIFERENTESI ALLA GEOMETRIA.
(Tests sistematici).
Prima serie d' incastri : / quadrati: figure divise. — È una serie di
undici incastri quadrati: tutte le piastrelle hanno come fondo Io stesso qua-
drato bianco di io cm. di lato.
Una delle piastrelle contiene un quadrato intero, e le altre sono com-
poste così (fig. 6):
un quadrato diviso in due rettangoli uguali
" quattro quadrati uguali tra loro
otto rettangoli » »
sedici quadrati » »
poi :
un quadrato diviso in due triangoli eguali tra loro
quattro « » »
otto >. .. ).
sedici
Il bambino può prendere il quadrato diviso in due rettangoli e quello
diviso in due triangoli, e scambiare le figure, cioè[empire il primo quadrato
coi triangoli e il secondo coi rettangoli. I due triangoli sono sovrapponibili,
mettendoli a contatto dalla parte inferiore, ove non c'è il bottone di presa:
cosi i rettangoli. In tal modo viene a dimostrarsi l'uguaglianza con la sovrap-
posizione. Ma, fra triangoli e rettangoli c'è un rapporto: infatti essi sono
ciascuno la metà dello stesso quadrato; eppure sono differentissimi per la
GEOMETRIA
435
forma. Ecco l' intuizione delle « figure equivalenti ». I due triaiigoli sono
eguali tra loro, anche i due rettangoli sono eguali tra loro ; invece il trian-
golo ed il rettangolo sono tra loro equivalenti. Il bambino va subito ja
paragonare per sovrapposizione il triangolo ed il rettangolo, e si accorge
che" il triangolino che sovrasta al rettangolo, è uguale al triangolino che
, & &
9
9I
[
'9: 9
L
9 \
Fig. 6. — Incastri geometrici di ferro ; il quadrato diviso in due, quattro, otto,' sedici parti :
al disopra le figure sono triangoli, al disotto sono quadrilateri, rispettivamente equivalenti.
rimane in esso scoperto; e che perciò triangolo e rettangolo, pur non avendo
la stessa forma, hanno la stessa superficie.
L'esercizio di osservazione si ripete in modo analogo con gli altri incastri
del quadrato diviso successivamente in quattro, in otto [e in sedici parti.
Il quadrato che è la quarta parte del grande quadrato, risultante dalla
divisione di questo secondo le due mediane, è equivalente al triangolo che
risulta dalla divisione dello stesso grande quadrato in quattro triangoli
secondo le due diagonali. E così via.
La differenza tra equivalente ed eguale si rileva paragonando le figure.
I due rettangoli che risultano dalla divisione del gran|^ quadrato secondo una
mediana, sono eguali tra loro. Cosi i due triangoli risultanti dalla divisione
del gran quadrato secondo la diagonale, ecc. Invece sono simili le figure
che hanno la stessa; forma e dimensioni diverse. Per esempio, il rettangolo
metà del quadrato grande, e quello metà del quadrato piccolo, cioè ottava
parte del grande, non sono tra loro né eguah, né equivalenti, ma sono simili.
Lo stesso si dica del gran quadrato e di quelli che rispettivamente rappre-
sentano la sua quarta e sedicesima parte. E così via.
Nelle divisioni del quadrato c'è l'idea intuitiva della frazione. Tuttavia
non è questo il materiale usato per lo studio delle frazioni. A tale scopo
esiste una
PARTE SECONDA
SIaONOA SERIK U' INCASTRI :/rtf2(V)«;.
omo tondo vin circolo bianco di io cm.
- Sono \indici piastrelle che hanno
di diametro. TI primo circolo ha
:,.. ?.?... ..Cf'^ q7. oi:0. . "ò . ol.o . .'o".. .oli«%
Fig. ;. — liicaslii ce'-imi'triii ; il circolo intero e diviso in tliip, tre, quattro,
cinque, sei, sette, ottu, nove, dieci parti.
un incastro intero, ma 'gli altri successivamente contengono il circolo diviso
in 2, 3. 4. 5, 6, 7, 8, 9, IO parti eguah (tìg. 7).
I bambini imparano a misurare l'an.golo di ogni pezzo e quindi a con-
tare praticamente i gradi. A questo scopo viene usata una piastra rotonda in
cartonaggio (fig. 8) ove al centro è disegnato in nero su fondo chiaro un semi-
circolo di raggio uguale a quello degli incastri circolari : esso è diviso in 18 set-
tori da raggi che sorpassano la circonferenza e continuano sul fondo, e portano
70„ 80» 90" ioO"„o„
60° > \ i / , 120"
l-ig. 8. — Strumento per la nnsura
degli angoli in gradi.
all'estremo la numerazione relativa di dieci in dieci gradi, da o" a iSo». Cia-
scun settore, poi, porta sull'arco il segno di divisione in io parti (gradi).
Dallo 0° a 180° è segnato più in grosso il diametro, il quale è anche
sporgente per facilitare l'aggiustamento dell'angolo da misurare e per otte-
nere una i;sattezza rigorosa di posizione ; come pure è piii grosso il raggio
che cade su 90°. Il bambino depone il pezzo d'incastro sul circolo, in modo
che il vertice dell'angolo cada sul centro, e uno dei lati sia sovrapposto al
raggio 0°. Si legge all'estremo opposto dell'arco dell'incastro, la grandezza
GEOMETRIA 437
dell'angolo in gradi. Dopo tali esercizi, con un comune goniometro -i'bambini
sanno misurare tutti gli angoli. Inoltre imparano che il circolo è di 360°.
il mezzo circolo è di 180°, e che l'angolo retto misura 90°.
Sapendo che la circonferenza è di 360°, possono calcolare di quanti
gradi sia, p. es., l'angolo dell'incastro che rappresenta la settima parte del
circolo, cioè 360° : 7 = 51°; cosa che subito dopo possono verificare con gl'istru-
menti, cioè ponendo il settore sul circolo graduato.
Tali calcoli e misure vengono ripetute con tutti i settori del sistema
d'incastri corrispondenti al circolo diviso da due a dieci parti. Approssima-
tivamente, al goniometro :
7 "
circolo
= 120»; <
3600 :
3 -
120°
I
4
"
^ 00° ;
360° :
4 =
900
I
J
"
- 720;
3()oo :
5 —-
720
I
~6
-
-■t= bo° ;
3600 :
6 =
600
I
y
- 51°;
300° :
7 =
51°
I
-^ 45° ;
360° :
8 ----
45°
I
9
- 40°;
300°:
9 ""
400
I
= Ò60;
360° :
IO =
360
Così il bambino impara a scrivere le frazioni :
iiiiiiiii
"2 ' 3 ' "4"' 5 ' b ' 7 ' 8 ' 9 ' IO
ne ha l' intuizione materiale e insieme il rapporto aritmetico.
Il materiale si presta a infinite combinazioni, che sono tutte veri e
propri esercizi di calcolo sulle frazioni (fig. 9). Cosi, per es., il bambino può
togliere da un circolo i due mezzi circoli,, e metterci quattro settori di 90°:
egli ha empito lo stesso fondo circolare con pezzi diversi, e può trarne la
seguente conclusione :
PARTE SECONDA
H può dir«^ che due metà sono eguali a quattro (]u;uti. e scrivere cioè:
L = ±
2 4
Fìg. y. -- La fibula rappresenta la seguente somma:
6 2
1- - = I
IO 5
Con sei pez7.i tolti al circolo diviso in io parti e due pezzi tolti al circolo diviso in 5 parti,
si è empito l'intero spazio di un altro circolo.
Questa non è che l'espressione della stessa cosa. È stata fatta a mente
una somma, vedendo i pezzi; ed è stata trascritta. Componiamola con quanto
fu scritto prima, vale a dire con l'analisi di questa somma :
224444
Quando il denominatore è uguale, la somma delle frazioni si fa som-
mando i numeratori :
I _ 4
JL + ± = i.; L + ± + ^ + -
222 44444
Le due metà e i quattro quarti, sono il circolo intero.
GEOMETRIA 439
Ora, empiamo un circolo con parti diverse : per es., con un mezze circolo
e due quarti di circolo: si ha i = — + — . E anche risulta nell'incastro
che: — = — . Se si volesse empire il circolo, lasciandovi il pezzo più
grande ( — ), col minimo numero possibile di pezzi, bisognerebbe togliere
i due settori di — e metterci un altro mezzo circolo ; allora :
222'
Empiamo un circolo con tre settori da — e 4 settori da —
5 IO
Lasciando i pezzi più grandi, e volendo empire il circolo col minor
numero di pezzi possibile, bisognerebbe cambiare i — con — . Allora:
5 5 5
512
Empiamo il circolo così: — + — + -?r = i-
^ IO 4 8
Cerchiamo di mettere i pezzi più grandi possibili, sostituendo a tanti
pezzi piccoli uguali tra loro un pezzo grande che li comprende tutti : allora
nello spazio occupato dai — si può mettere un solo pezzo da — ; e nello
spazio occupato da -^ si può mettere un pezzo da — . Allora il circolo
risulta riempito così :
24424
Continuiamo a fare la stessa cosa, cioè a mettere i pezzi più grandi
;ce dei -
4
empito così :
invece dei - si può mettere un altro mezzo circolo; allora l'incastro rimane
+ -=_ = !.
2 2
PARTE SECONDA
Tutti quieti spostamenti si possono esprimere in cifra così:
10 ^ 8 2 4 4
^ i- + i- . i- + -L = i = r.
2 4 _' 2 _'
h un modo di iniziare i bambini ci'n l'intuizione alle operazioni che
servono a ridurre le frazioni ai minimi termini.
Anche le frazioni apparenti, a cui essi arrivano subito sommando una
(]uantità di settori che empia due, tre, quattro circoli, li interessano molto.
Cercare gli interi che esistono sotto le apparenze di frazioni, è un po' come
mettere a posto gli incastri circolari che qualcuno mescolasse tutti insieme
tra loro. Anche il desiderio di apprendere le vere operazioni sulle frazioni
si manifesta nei bambini. Essi inventano, con frazioni apparenti, dei calcoli
che sono impressionanti a vedersi come, per es., il seguente:
[«Mi
J ^ TI -I [^ + (I + 2 + 12) + I]
H -^ 15 + I _ 24 _
Può essere guida al lavoro del bambino, una serie di comandi, che egli
può scegliere nel loro « deposito n.
Eccone qualche esempio:
Prendi — di 25 perle.
5
Prendi — di 24 fagioli.
Prendi — di 27 fagioli.
Prendi — di 40 fagioli.
In quest'ultimo caso le operazioni sono due:
60 : 5 = 12; 12 X 2 = 24; ovvero 2 X 60 = 120; 120 : 5 = 24, ecc.
GEOMETRIA 44I
Riduzione delle frazioni ordinarie in frazioni decimali. — A
questo scopo esiste nel materiale una piastrella simile a quella jdegl' incastri
coi circoli. Soltanto che la cornice è chiara e sopra di essa seno segnate
delle divisioni in io parti, e ogni parte è ancora divisa in dieci : in queste
suddivisioni, la lineetta del cinque è distinta (un po' più lunga). Su ogni
grande divisione sono segnate le cifre: io, 20, 30, 40, 50, 60, 70, 80, 90, 100.
Fig. IO. — Istruraento ili misura che riduce in decimi la frazione di circolo
(riduzione delle frazioni nrilinarie in decimali).
Il segno 100 è in alto, e in rapporto 'ad esso esiste un raggio rilevato nel
circolo del fondo, il quale serve per appoggiarci i settori che si devono
misurare (fìg. io).
Volendo ridurre la frazione ordinaria in decimale, si pone il settore
noto adagiato lungo il raggio rilevato, e con l'arco combaciante co! con-
torno dell'incastro: dove l'arco finisce, è segnata la cifra che rappresenta
i centesimi corrispondenti al settore. Così, ponendovi il settore — , il suo
arco finisce a 25 ; dunque — = 0,25.
4
La fig. II rappresenta schematicamente il processo pratico da usarsi
col nostro materiale per la riduzione delle frazioni ordinarie in^frazioni deci-
44-'
PARTE SECONDA
Fig. Il — Esempi di riduzione delle frazioni ordinarie in decimali: i pezzi d'incastro corrispondenti
a frazioni di circolo, seno disposti dentro l' istrumento di misura che li riduce in decimali :
GEOMETRIA
443
mali. In alto sono collocati, entro il circolo diviso in centesiipi, i segmenti
cniTispondenti a — , a — e ad — del circolo.
3 4 o
In basso è deposto nel circolo centesimale il solo segmento di una terza
Essi segnano
In basso è d
parte del circolo
0,33-
Collocando invece il settore — il suo arco finisce a 20, dunque:
5
Ma dentro il circolo possono mettersi più settori, per esempio:
^ +^ + ^ + '
4 7 9 IO
basta leggere il punto dove finiscono tutti gli archi dei settori giustapposti
e si ha la somma delle frazioni ridotte in decimali (fig. 12).
Su queste basi è facilissimo svolgere le conoscenze aritmetiche. Invece di 1
che rappresenta tutto il circolo, mettiamo 100, che rappresenta le suddivisioni
di esso per la riduzione in decimali, e dividiamo il 100 in tante parti di cir-
colo, quanti sono i settori che entrano nel circolo stesso, ed ecco fatta la ridu-
zione : tutte quelle parti che risultano, sono altrettanti centesimi. Dunque :
100 : 4 = 25 centesimi; cioè :
25
ovvero 0,25.
La divisione si esegue dividendo il numeratore per ii den'^'miuatore :
1:4 = 0,25.
444
PAKTE SECONDA
Terza serie d'incastri: Ji^nun- equivalenti. — 1 quadinti tlivisi in ret-
taiit:oli e triangoli, contenevano due concetti: la fraziimo i IVquix alenza
dolio figure.
Per il concetto della frazione c'è un materiale speciale, il quale, oltre
a svolgere il concetto intuitivo della frazione, ha permesso anche delle
operazioni sulle frazioni e la loro riduzione in decimali; inoltro esso ha
portato altre conoscenze, come la misura degli angoli in gradi.
Por il concetto sull'equivalenza delle figure, c'è pure un altro mate-
riale a so.
Esso condurrà a calcolare la superficie delle varie forme geometriche
ed anche a dare l'intuizione di alcuni teoremi che finora sono stati estra-
nei alle scuole elementari, come superiori alle possibilità comprensive dei
bambini.
Materiale. — Equivalenza del triangolo con un rettangolo avente un
lato uguale alla sua base, e l'altro uguale alla metà della sua altezza (fig. 13).
In un largo incastro rettangolare, ci sono due spazi bianchi: il triangolo
ed il rettangolo equivalenti. I pezzi da incastrare nel rettangolo sono tali
iicastn geometr
che possono entrare così nell'uno come nell'altro spazio, come si vede nella
figura 6. Ciò dimostra l'equivalenza. Lo spazio triangolare dell'incastro
completo, è empito con due pezzi che sono il triangolo diviso da una linea
trasversale condotta sulla metà della base: togliendo i due pezzi e sovrappo-
nendoli, si verifica che essi sono ugualmente alti.
Ma già il lavoro con le perle e il calcolo sui quadrati dei numeri, ci ha
indirizzati a trovare la superficie del quadrato moltiplicando un lato per
GEOMETRIA
445
l'altro; analogamente la superficie di un rettangolo si calcola moltipli-
cando un lato per l'altro. E siccome il triangolo può ridursi in rettan-
golo, è facile calcolare la sua superficie, moltiplicando la base per la metà
dell'altezza.
Materiale. — Equivalenza tra il rombo e un rettangolo che ha un
lato uguale a quello del rombo, e l'altro uguale all'altezza del rombo.
Fig. 14. — Incastri
il rombo diviso in due triangoli.
L'incastro contiene un rombo di\iso da una diagonale in due trian-
goli (fig. 14) e un rettangolo (fig. 15) empito di pezzi che (vuotato dai due
Fig. 15. — Incastri geometrici: rombo e rettangolo sono equivalenti;
coi pezzi che stanno dentro il rettangolo si può empire perfettamente il rombo
triangoH lo spazio del rombo) possono empire anche il rombo (fig. lò). Nel
materiale ci sono anche il rombo e il rettangolo interi: essi, sovrapposti,
dimostrano di essere ugualmente alti.
44^
PARTE SECONDA
L'equivalenza essendo dimostrata dallo spostamento dei pezzi che pos-
sono empire le duc|figurc. facilmente può risultare che, analogamente a quanto
Fip. i6. — Viceversa, coi peni del rombo si può empire perfettamente il rettangolo.
si è detto sopra: la superficie del rombo si trova moltiplicando il lato o la
base per l'altezza.
Materiale. — Equivalenza fra il trapezio e un rettangolo che ha un
lato uguale alla somma delle due basi, e l'altro uguale alla metà dell'altezza.
Il bambino stesso può trovare l'altra combinazione, cioè: l'equivalenza
del trapezio con un rettangolo avente un lato uguale all'altezza e l'altro
uguale alla semisomma delle basi. Basta perciò taghare in due il lungo
rettangolo e sovrapporre le due metà.
geometrici : nduzione del trapezio in uq rettangolo equivalente.
GEOMETRIA
a ■§
§ s
a?
44S
Il grande incastro rettangolare contiene tre spazi: due trapezi uguali,
e il rettangolo equivalente, un lato del quale è uguale alla somma delle basi
e l'altro lato uguale alla metà dell'altezza di essi. Uno dei trapezi è empito
da due pezzi, cioè dal trapezio tagliato trasversalmente in due parti a livello
della metà dell'altezza; so\Tapponendo queste due parti, risulta che esse
sono ugualmente alte.
L'altro trapezio ò empito di pezzi che possono disporsi nel rettangolo
coprendolo completamente (tìg. 17). Dimostrata l'equivalenza è anche provato
che la superfìcie del trapezio si calcola moltiplicando la somma delle basi
per la metà dell'altezza ovvero la semisomma delle basi per l'altezza. (I bam-
bini, misurando i lati col doppio decimetro, calcolano veramente la super-
ficie degli incastri e poi quelle dei tavolini, ecc.).
Materi.'\le. — Equivalenza tra un poligono regolare e un rettangolo-
avente un lato uguale al perimetro, e l'altro uguale alla metà dell'apotema.
Negli incastri ci sono due piastrelle che hanno come fondo il decagono; una
è empita dal decagono intero; l'altra dal decagono diviso in dieci triangoli.
La fig. 18 riproduce una tavola dell'album di geometria, rappresentante
l'equivalenza tra il decagono e un rettangolo avente un lato uguale al peri-
metro, e l'altro lato uguale alla metà dell'apotema.
La fìg. 19 rappresenta i pezzi d'incastro e cioè il decagono e il ret
tangolo equivalente : e sotto a ciascuno, i triangoli in cui essi si decompon-
gono, triangoli che vengono a corrispondersi perfettamente.
]
Fig. 19. — Incastri geometrici: nella figura snnn riportati «iolo i przzi da incastrare.
Il decagono e il rettangolo (equivalenti) si possono comporre con gli stessi triangoli,
In essa viene a dimostrarsi che il rettangolo equivalente al decagono
può avere un lato uguale all'intera apotema e l'altro uguale alla metà del
perimetro.
GEOMETRIA
449
La fig. 20 rappresenta i pezzi d'incastro collocati nelle piastre.
Un altro incastro dimostra l'equivalenza del decagono e di un rettan-
golo che ha come lati il perimetro del decagono e la metà dell'altezza di
ogni triangolo componente il decagono; in esso possono disporsi tutti i
Fig. 20. — Incastri geometrici: equivalenza del decagono con un retta
a metà del perimetro e come alterza l'apotema {decomposizione e ricomposizic
come base
I dei triangoli).
triangoli divisi ^«^versalmente a metà (v. fig. i8, uno dei piccoli triangoli
superiori deve essere diviso longitudinalmente in due). Cosi viene inclusa la
dimostrazione che : la superficie di un poligono regolare si calcola molti-
plicando il perimetro per la metà dell'apotema.
Alcuni teoremi fondati sull'equivalenza.
A) Tutti i triangoli aventi la stessa base e la stessa altezza sono equi-
valenti.
Ciò sarebbe incluso nel fatto che la superficie di un triangolo si cal-
cola moltiplicando la base per la metà dell'altezza, e perciò i triangoli che
hanno ugual base ed uguale altezza, devono essere equivalenti.
Per la dimostrazione intuitiva di questo teorema, esiste il seguente
Materiale. — Il rombo e il rettangolo equivalenti, sono divisi ciascuno
in due triangoH; i triangoli del rombo, avendo le diagonali opposte, hanno una
/
450
PARTE SECONDA
forma diversa. I tre differenti triangoli risultanti da tali divisioni, hanno
la baso uguale (si può materialmente constatare giustapponendo i pezzi del-
l'incastro, secondo la base) ed entrano nel medesimo luni;o rettangolo che
Fig. 21. — Incastri geometrici: i triangoli aventi la base uguale e comune 1 altezza
sono equivalenti. (T tre triangoli che rispondono a queste condizioni sono ciascun.
In metà di figure Bi.ì dimostrate equivalenti).
si trova come sfondo sotto le precedenti figure: perciò è dimostrato che i
tre triangoh hanno la stessa cdtezza. Essi sono equivalenti, poiché ciascuno
è metà di figure equivalenti (fig. 21).
Il materiale illustra tre diversi casi:
in cui i due cateti sono uguali;
B) Teorema di Pitagora. — In un triangolo rettangolo il quadrato del-
l'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei due cateti.
Materi.^le. -
Primo caso:
Secondo caso: in cui i due cateti stanno in proporzione tra loro come 3 : 4;
Terzo caso: generale.
Primo caso: La dimostrazione del primo caso è estremamente intuitiva.
La fig. 22 riproduce l'incastro ove i due quadrati dei cateti sono divisi
per mezzo di una diagonale in due triangoli; e il quadrato dell'ipotenusa, per
mezzo delle due diagonali, è diviso in quattro triangoli. Gli otto triangoli
così risultanti, sono tra loro tutti uguali. Quindi i triangoli dei due cateti
possono entrare nel quadrato dell'ipotenusa e viceversa: i quattro triangoli
dell'ipotcnusa possono andare ad empire i due quadrati dei cateti. Gli spo-
stamenti sono divertenti, tanto più che i triangoli dei due cateti hanno lo
stesso colore, mentre i quattro triangoli dell'ipotenusa hanno un colore
diverso.
GEOMETRIA
451
Secondo caso. — I cateti stanno tra loro come 3 : 4.
Neil' incastro i tre quadrati sono empiti con quadratini di tre diversi
colori. Il loro numero è; nel quadrato del cateto minore j"" =9; in quello'"de
cateto maggiore 4' = 16 ; in quello dell'ipotenusa 5' = 25 (fìg. 23).
43- r.XKTE SECONDA
Il giuoco dogli spostamenti è evidente. E mentre i due quadrati dei
cateti possono empirsi completamente coi quadratini dell'ipotenusa, così che
essi diventano delio stesso colore, il ijuailrato dell' iinttennsa può essere ornato
Fig. 24. — Sono stati spostati i quadratini in modo che i Quadrali dei cateti
restano entrambi empiti coi quadratini dell'ipotenusa; e il quadrato di questa
roi quadratini dei cateti, disposti a disegno.
a graziosi disegni variamente disponendo i quadratini a due colori dei
cateti (fig. 24).
Terzo caso (caso generale). — Il grande incastro è molto complicato e di
difficile descrizione. Esso si presta a un notevole esercizio intellettuale. La
tavola dell'incastro, grande cm. 44 X 24, si può rassomigliare a uno scac-
chiere ove dei pezzi spostabili possono determinare varie combinazioni.
I principi inclusi come già dimostrati o intuiti, e che conducono alla dimo-
strazione del teorema sono :
i» che due quadrilateri aventi uguale base e uguale altezza sono
equivalenti;
2° che due figure equivalenti a una terza sono equivalenti tra loro.
GEOMETRIA
453
Nell'incastro, il quadrato dell'ipotenusa è diviso in due rettangoli, come
dimostra la figura 25 (il secondo lato è determinato dalle divisioni dell' ipote-
nusa, su cui cade l'altezza del triangolo abbassata dal vertice opposto). Inoltre
esistono nell'incastro due romboidi, ciascuno dei quali (come dimostra la
no sostituì
4 T
up romboidi nello spazio corrispondente
ileir ipotenusa.
fig. 26) ha un lato eguale rispettivamente al grande e al piccolo quadrato
dei cateti; e l'altro lato uguale all'ipotenusa.
L'altezza minore dei due romboidi, come si vede nella figura stessa,
corrisponde rispettivamente all'altezza, ossia al lato minore, dei rettangoli.
454
l'ARTE SECt).\DA
Ma laltezza maggiore corrispondo rispetti\ amento ai lati dei duo quadrati
doi cateti (corno si vedo nella fig. -7).
Tali corrispondenze dimensionali non occono dir --iann ^ià noto al bam-
bino. Egli vedo doi pezzi d'incastro rossi e !;ialli e sciiiplucmonto li sposta
k-iiti ai quadrai
introducendoli negli incavi dell'incastro. È la penetrazione matirialo dei
pezzi mobili sui fondi bianchi, che dà al bambino la possibilitcà di ragio-
nare sul teorema, non la conoscenza astratta di corrispondenze dimensio-
nali dei lati e delle altezze delle figure. Così ridotto l'esercizio, osso si
fa molto semplice e interessante. Il materiale suddetto si presta a dare
diverse dimostrazioni.
I)iMOSTR.-\ziONE A : sostttuzioHC materiale dei pezzi. — Partiamo dal-
l'incastro empito normalmente (ftg. 25): si tolgano prima i due rettangoli
dell' i})oten usa (deponendoli nei lunghi solchi laterali) e abbassato il trian-
golo, si riempia lo spazio rimasto vuoto coi due romboidi (fig. 26).
È sempre il medesimo spazio riempito piima con:
triangolo + due rettangoli ; e poi con :
triangolo -f due romboidi.
Dunque la somma dei due rettangoli (quadrato dell'ipotenusa) è equi-
valente alla somma di due romboidi.
Nelle ulteriori sostituzioni consideriamo i romboidi (anziché i rettan-
goli) per dimostrare la loro rispettiva equivalenza coi due quadrati sui
cateti. Cominciamo, p. es., dal quadrato maggiore: partiamo dall'incastro
GEOMETRIA
455
in posizione normale, cioè come nella fìg. 25 e consideriamo lo spazio occu-
pato dal triangolo e dal quadrato maggiore. Per considerare questo spazio
si possono levare i pezzi e vuotarlo. E poi empirlo successivamente'^
1° col triangolo e il gran quadrato nella disposizione normale :
20 coi triangolo e il grande romboide, come nella fìg. 28.
W'''^yyyM>>//////////^^^^^
FiK 28 — NpUo spazio triangolo -f quadrato del maggior cateto,
sono invece incastrati i pezii tuangolo -r romboide raaggioie
E cosi via, \edi fìg. 29.
Come si è detto, l'incastro si presta anche a un'altra dimostrazione.
'\'i- ;y. — Nello spazio ove erano incastrati _..„„. ,
sono stati sostituiti i pezzi cosi; triangolo -j- romboide mii
golo e il quadrato del cateto micore
456
PARTE SECONDA
Dimostrazione B : basata sulle equivalenze. — In questa seconda di-
mostrazione vengono a dimostrarsi le equivalenze tra i romboidi, e, ri-
spettivamente, i rettangoli e i quadrati, fuori della figura: cioè per mezzo
degli incavi paralleli che si vedono ai lati della piastra. Tali incavi, ove
i pozzi vi siano deposti, dimostrano cho i pezzi stessi hanno la stessa
altezza.
Ecco dunque come si procede:
Si parta dall'incastro in disposizione normale (fig. 25). Quindi, tolti
i due rettangoli si depongano insiomo con i rombi negli incavi paralleli di
sinistra: i maggiori nell'incavo più largo, i minori in quello più stretto:
Fin. 30. — I due romboidi hanno rispettivamente in comune coi due rettangoli un lato e l'altezza
perciò sono equivalenti ai rettangoli.
le figure incastrate hanno uguale altezza. Basterà poi far combaciare i
pezzi secondo la base per verificarne l'uguaglianza: dunque le figure sono
a due a due equivalenti (fig. 30).
Si torni ora alla disposizione normale dell'incastro e si proceda analo-
gamente pei quadrati (fig. 27). NegH spazi paralleli di destra si possono
disporre il gran quadrato in fila col grande romboide, disposto però in un
altro senso (nel senso della sua maggiore altezza); e così si possono mettere
nell'incavo minore di destra, il piccolo quadrato e il piccolo romboide. Essi
hanno rispettivamente la stessa altezza ; e la base, per giustapposizione dei
pezzi, si può facilmente verificare uguale. Ecco dunque che i quadrati e i
romboidi sono rispettivamente equivalenti. 1 rettangoli e i quadrati, equi-
valenti ai medesimi romboidi, sono perciò equivalenti tra loro; e il teorema
risulta dimostrato.
GEOMETRIA
457
Il sistema della geometria ha ancora degli altri materiali, ma di minore
mportanza.
Quarta serie d'incastri: divisione del triangolo. — Questo materiale
si compone di quattro piastre uguali, che hanno come fondo un triangolo
[olari, del triangolo diviso in due, tre, quattro parti
spostati dal fondo delle piastre.
equilatero di io cm. di lato. I pezzi da incastrare devono empire esattamente
i fondi triangolari delle piastre (fìgg. 31 e 32).
Uno è empito da un incastro intero: il triangolo equilatero. -^
Un altro è empito da due triangoli rettangoli scaleni, ciascuno uguale
alla metà del triangolo equilatero, il quale fu diviso secondo l'altezza.
Nel terzo il triangolo è diviso in tre parti dalle bisettrici dei tre angoli:
cioè in tre triangoli ottusangoli isosceli.
Il quarto finalmente è diviso in quattro triangoli equilateri, cioè di forma
simile al grande triangolo.
45>'
PARTE SECONDA
11 bambino può fare su questi triangoli uno studio più esatto ed analitico
di quello che fece osservando i triangoli negli incastri piani usati nella Casa
dei Bambini. Egli misura gli angoli in gradi, distinguendo il retto (qo») dal-
l'acuto (< qafi) dall'ottuso (> 90»).
Inoltre, misurando gli angoli di un triangolo qualsiasi, trova ilie la loro
somma è sempre uguale a 180°, cioè a due angoli retti.
Può osservare che nel triangolo equilatero tutti gli angoli sono eguali
tra loro e precisamente a bo°: che in quello isoscele sono uguali tra loro i
Fig. 32. — Gl'incastri trianiiolari collocati nelle piastre.
due angoli giacenti agli estremi del lato disuguale, mentre nei triangoli
scaleni anche gli angoli sono tutti disuguali tra loro. Nel triangolo rettangolo
la somma dei due angoli acuti è uguale a un retto. Si può definire che i trian-
goH sono simili quando hanno tutti gli angoli corrispondenti eguali.
Materiale delle figure inscritte e concentriche. — In questo
materiale, che in gran parte è costituito da quello già descritto, e ne è perciò
un'applicazione, sul fondo bianco degli incastri si possono deporre delle
figure inscritte, o concentriche. Così, p. es., entro al fondo bianco del triangolo
equilatero maggiore, può deporsi il piccolo triangolo equilatero rosso, che ne
è la quarta parte: ogni vertice tocca il punto medio d'ogni lato (fig. 31).
Esistono pure nel materiale due quadrati: uno che ha 7 cm. di lato, e un
altro di cm 3,5; essi hanno la rispettiva cornice a fondo bianco. 11 quadrato di
GEOMETRIA 459
7 cni. può deporsi sul fondo del gran quadrato di io cm. in modo che ogni
\'erticc tocchi il punto medio di ogni lato della cornice.
In modo analogo si può deporre quello di 5 cm. (quarta pa«rte del gran
quadrato) nella cornice del quadrato di 7 cm.; quello di 3,5 cm. nel quadrato
di 5 cm.; e, infine, il quadratino che è la 16=1 parte del gran quadrato, nella
cornice del quadrato di 5 cm.
Esiste poi un circolo tangente alla cornice del grande triangolo equila-
tero: questo circolo si può anche mettere sul fondo bianco del circolo grande
(io cm. di lato), e in tal caso deve rimanere tutto all'intorno una striscia
circolare bianca (circoli concentrici). Dentro il circolo più piccolo suddetto,
rimane inscritto perfettamente il triangolo equilatero minore (quarta parte
del grande).
Infine, esiste un circolo piccolissimo, tangente al piccolo triangolo equi-
latero.
Oltre a questi circoli, che sono in rapporto col triangolo, ce ne sono altri
due tangenti al quadrato, e precisamente al quadrato del lato di 7 cm., e al
quadrato di lato di cm. 3,5
Il grande circolo di io cm. di diametro, poi, s'inserisce perfettamente
nel quadrato di 10 cm. di lato; e tutti gli altri circoli sono ad esso concentrici.
Tali rapporti rendono le figure degli incastri adatte a composizioni
artistiche, le quali si prestano al disegno decorativo (vedi capitolo seguente:
Disegno).
Sono, infine, unite al sistema due stelle che servono pe! disegno decorativo:
le due stelle o fiori sono costruite sul quadrato di cm. 3,5 di lato: nell'un fiore
il circolo poggia sul lato a semicircolo (fiore semplice); nell'altro il circolo
medesimo è costruito intorno al vertice, e viene tracciato oltre il semicircolo,
fino all'incontro reciproco dei quattro circoli (fiore e foglie).
UN RAPIDO SGUARDO AL PROGRESSO DELLA COLTURA.
Geometria solid.a..
Come i bambini sono iniziati a saper calcolare la superficie d'ogni forma
geometrica regolare con l'aiuto delle cognizioni d'aritmetica acquistate, per
mezzo del materiale delle perle, sul quadrato e sul cubo dei numeri, cosi
è facilissimo iniziare sugli stessi principi il bambino a calcolare il volume dei
solidi.
Che moltiplicare la superficie per l'altezza conduca a calcolare il volume
d'un prisma, è facile riconoscerlo dopo avere studiato i cubi dei numeri
con i cubi di perle.
Ci sono nel materiale tre pezzi di geometria solida: un prisma, una pi-
ramide di eguale base e uguale altezza, e un prisma di egual base e un terzo
4t>o
TAKTK SECONDA
doll'alto/.za. Essi sono cavi; i due prismi, chiusi da un coperchio, sono vere
scatole e la piramide senza coperchio, serve a prendere e travasare delle
sostanze (figg. 33 e 34).
Onesti solidi si riempiono di sostanze varie, come mii;lio e sabbia, e
in ciò si fa seguire quella tecnica che si usa per \ahitare con tali mezzi le
f{S;j-.H!
fe
14. — Solidi geometrici cavi
rapacità, come, p. es., quando in antropologia si vuol misurare la capacità
di un cranio. Riuscire ad empire completamente un recipiente in modo che il
mente una quantità scarsa di sostanze, la quale perciò non corrispon
vero volume, ma ad un \'olumc minore.
|eral-
lae al
GEOMETRIA 461
Occorre saper empire una cavità, come occorre abilità per fare un
pacco ove gli oggetti occupino il minore spazio possibile. Questo è un
esercizio piacevole pei bambini: di scuotere i recipienti e farcj, entrare la
massima quantità di sostanza, come pure di rasare la superficie quando
l'oggetto è empito.
Le cavità del resto, possono anche empirsi con dei liquidi, che, in tal caso,
occorre imparare a travasare senza farne perdere alcuna quantità.
Questi procedimenti tecnici sono una preparazione a maneggiare poi
le misure metriche.
I bambini constatano così che la piramide ha Io stesso volume del pic-
colo prisma, cioè uguale alla terza parte del prisma grande: e quindi il volume
si calcola moltiplicando la superfice della base per la terza parte dell'altezza.
Empiendo di creta il piccolo prisma, si ha una misura sufficiente a em-
pire la piramide, e possono fabbricarsi così con la plastilina i due solidi equi-
valenti in volume, usando come forme i detti oggetti del materiale. Prendendo
cinque parti di plastilina uguali a quella necessaria per empire il piccolo
prisma, si possono fabbricare i tre solidi.
Avute queste idee fondamentali è facile studiare tutto il resto: poche
spiegazioni saranno a ciò necessarie.
In molti casi le ricerche possono essere spinte da problemi offerti a ri-
solvere agli stessi bambini: come si troverà la superficie del circolo? come
il volume del cilindro? come quello del cono?
E così possono essere problemi, i calcoli della superficie totale dei so-
lidi. Spesso essi avranno delle intuizioni spontanee; ed è certo spontaneamente
che i bambini procedono a misurare le superficie totali dei solidi che sono
a loro disposizione: e vanno per questo a riprendere anche i materiali della
« Casa dei Bambini ».
Il materiale offre una serie di solidi in legno, la cui misura fondamentale
è sempre quella di io cm.
Essi sono:
il parallelepipedo quadrangolare (io, io, 20 cm.);
il parallelepipedo quadrangolare uguale a una terza parte di esso;
la piramide quadrangolare (io, io, 20 cm.);
il prisma triangolare (io, 20 cm.);
il prisma triangolare uguale a '/s di esso;
la piramide corrispondente (io, 20 cm.);
il cilindro (diametro io, alt. 20 cm.);
il cilindro uguale a '/a ^i esso;
il cono (diametro io, alt. 20 cm.);
402 PARTE SECONDA
la sfera (asse io cm.);
un ovolo (asse maggiore io cm);
un ellissoide (asse maggioro io cm.).
E i jxìliedri regolari :
tetraedro;
esaedro (cubo);
ottaedro;
dodecaedro;
icosaedro;
(questi poliedri hanno le facce variamente colorate).
Applicazioni : le potenze dei numeri.
Materiale:
due cubi di spigolo uguale a cm. 2; un prisma uguale al doppio di
tati cubi; un prisma eguale al dojipio del prisma precedente; sette cubi
aventi 4 cm. di spigolo.
Con essi si fanno le seguenti composizioni:
i due cubi minori giustapposti: 2;
gli stessi, accanto ai quali il prisma che è uguale al doppio cubo, me sso
di prospetto ai due cubi: 2^;
gli stessi col doppio prisma sovrapposto; 2^; e così viene costruito
un cubo avente 4 cm. di spigolo:
ponendovi accanto un altro cubo di 4 cm. si ha 2^
mettendo di prospetto ad essi altri due cubi uguali al precedente,
si ha: 2^
e mettendo sopra di essi gli altri quattro cubi uguali, si ha 2'.
In tal modo si è ricostruito un cubo avente io cm. di spigolo.
Cosi: 2', 2° hanno la disposizione a cubo;
2^, 2^* hanno la disposizione a quadrato;
2, 2* hanno la disposizione lineare.
Il cubo di un binomio: (rt + è) ' = a' ~(- 6^ +3 a- ò + 3 6* a. Materiale :
un cubo con 6 cm di spigolo;
un cubo con 4 cm. di spigolo;
tre prismi con una faccia quadrata di 4 cm. di spigolo e l'altezza
di 6 cm.;
tre prismi con una faccia quadrata di 6 cm. di spigolo e l'altezza
di 4 cm.
Con questi pezzi si ricostruisce il cubo di io cm. di spigolo.
Queste due combinazioni sono contenute entro apposite scatole cu-
biche adatte al cubo avente io cm. di spigolo.
463
Pesi e misure. — Tutto quanto riguarda i pesi e le misure, sono appli-
cazioni simili di operazioni e di raziocinio. r
I bambini hanno a loro disposizione e imparano a maneggiare molti
degli oggetti che servono per le misure in commercio o negli usi pratici
della vita.
Già fin dalla « Casa dei Bambini » essi ebbero tra le mani il sistema
delle aste per le lunghezze, che contiene il metro e le sue suddivisioni in
decimetri.
Qui poi essi hanno a disposizione il decametro a fettuccia, con cui mi-
surano pavimenti, ecc., e ne calcolano le superfici. Hanno il metro sotto molte
forme: nell'antropometro, nella riga da disegno; e poi maneggiano una fet-
tuccia metrica metallica, una comune fettuccia da sarta, e l'asta metrica
che usano i mercanti.
II doppio decimetro diviso in millimetri, essi lo usano largamente nel
disegno; e si divertono a calcolare le superfici delle figure geometriche dise-
gnate, o degli incastri di ferro. Spesso calcolano la superficie del fondo bianco
d'un incastro; e quelle dei singoli pezzi che possono entrare sul fondo per
verificare se la somma di questi è uguale a quella. Che le misure crescano
di dieci in dieci assumendo nomi diversi, è cosa facile a intuire e a ricordare
per essi, avendo già una preparazione al calcolo decimale, e possedendo,
con gli esercizi grammaticali, grande facilità ad accrescere il loro patrimonio
di vocaboli.
Le relazioni reciproche tra lunghezza, superfici e volume, essi le calco-
lano riprendendo i tre sistemi delle lunghezze, grossezze e grandezze. Gli
oggetti che differiscono solo in lunghezza, variano di io in io; quelli che diffe-
riscono in superficie, variano di 100 in 100; quelli che differiscono in volume,
variano di 1000 in 1000.
Il materiale delle perle e i cubi della « torretta » rosa costruita durante
la prima infanzia, paragonati insieme, danno la spinta a uno studio più pro-
fondo degli oggetti sensoriali che furono già un tempo materia di assiduo
lavoro.
Con l'aiuto del doppio decimetro i bambini fanno i calcoli per valutare
i volumi di tutti i pezzi solidi, nelle gradazioni di dieci oggetti: aste, prismi
marrone, cubi rosa. Quindi, prendendo gli estremi di ogni sistema, consta-
tano i rapporti diversi tra gli oggetti che differiscono in una sola dimensione,
in due e in tre dimensioni. Del resto era già noto che il quadrato di io è 100;
e che il cubo di io è 1000.
4(M PARTE SECONDA
I bambini dispongono di vari istrunienti scientifici: termometri, appa-
recchi di distillazione, bilance, o, come si è detto, delle principali « misure
in uso ".
Un decimetro cubo di metallo vuoto, come i solidi geometrici che servono
al calcolo dei volumi, si empie d'acqua ed ecco il litro che può misurarsi nella
bottiglia di vetro, la quale è munita di bollo. Tutti i multipli e sottomul-
tipli decimali di esso, sono facilmente comprensibili. Tuttavia i bambini
si trattenevano a travasar liquidi a traverso tutte le piccole o misure per
il vino e per l'olio » che sono in commercio.
Essi distillano poi l'acqua con l'apparecchio di distillazione, misurando
col termometro a ioo° la temperatura dell'acqua in ebollizione, e la tempe-
ratura del miscuglio frigorifero; e raccolgono l'acqua che servirà a determi-
nare il peso del kgr. tenendola alla temperatui-a di 4".
.■\nche gli oggetti che servono a misurare la capacità sono a disposizione
dei bambini.
Non c'è bisogno d'intrattenersi su tali particolari che sono la moltitudine
delle conseguenze provenienti insieme da una preparazione metodica dell'in-
telligenza e dalla possibilità di rimanere in contatto con oggetti reali.
L'na quantità grandissima di problemi dati da noi, e composti dagli stessi
bambini, sta a testimoniare come facile sia lo scaturire spontaneo degli effetti
esteriori, quando siano preparate le cause interne!...
J
DISEGNO
DISEGNO GEOMETRICO LINEARE.
Decorazioni.
Si è già accennato più sopra che il materiale degli incastri geometrici
ha pure un'applicazione al disegno.
È col disegno che il bambino può soffermarsi pili a lungo sulle figure
geometriche che ha maneggiate, spostate, combinate, facendovi sopra un sì
complesso lavoro di ragionamento. Infatti egli le riproduce tutte col disegno
lineare, imparando a maneggiare molti istrumenti, come: riga centimetrata,
doppio decimetro, squadra, goniometro, tiralinee e compassi. È unito a questo
scopo al materiale della geometria, un grande ed elegante album ove insieme
alle tavole riproducenti le figure esistono pure delle tavole illustrative che
danno brevi spiegazioni e delucidazioni sulle figure disegnate, e contengono
la relativa nomenclatura. Il bambino, oltre a copiare i disegni, può pure co-
piare in calligrafia le tavole esplicative e riprodurre così, intero e nitido, il
bell'album.
Queste tavole esplicative sono semplicissime: ecco, p. es., quella che si
riferisce al quadrato:
(( Quadrato : Il lato della base è diviso in io centimetri.
« Tutti gli altri lati sono eguali, quindi misurano ciascuno io centimetri.
« Il quadrato ha quattro lati eguali tra loro ed ha quattro angoli pure
« eguali tra loro sempre retti. Questi sono i caratteri che distinguono il qua-
« drato, cioè il numero quattro e insieme l'uguaglianza dei lati e degli angoli ».
I bambini squadrano i fogli e costniiscono le figure, con un'attenzione
e un'applicazione veramente ammirabile. Amano molto maneggiare i com-
passi e sono estremamente orgogliosi di possederli.
Una bambina chiese a sua madre per il Natale <' l' ultima bambola e
una scatola di compassi », come se si trattasse di chiudere un'epoca della vita
e cominciarne un'altra.
Un bambino pregò sua madre di accompagnarlo, quando andava a
comperargli i compassi. Quando essi furono nel negozio, chi vendeva gli oggetti
4<»''* PARTE SECONDA.
restò mcravifjliato che i compassi dovessero servire a un così piccolo bambino,
e offrì una scatola delle più semplici, u No, non questi » protestò il bambino;
" voglio una scatola di compassi da ingej^nere ». E ne pretese una delle più com-
plicate; era per questo che aveva voluto accompagnare sua madre.
Quando i bambini disegnano, apprendono molte particolarità relative
alle figure geometriche: lati, angoli, basi, centri, mediane, raggi, diametri,
rettori, segmenti, diagonali, apoteme, circonferenze, perimetri, ecc.
Essi però non imparano tutto questo aridamente, e non si limitaiui a
riprodurre l'album. Infatti ogni bambino arricchisce il proprio album di tavdle
speciali ch'egli compone dajsè secondo le sue preferen/.e. Mentre le tavole che
riproducono l'album sono disegnate su comuni fogli bianchi di carta da di-
segno, con inchiostro di China, le tavole speciali sono invece disegnate su carte
colorate o brune, con inchiostri d'ogni colore e con porporine (argento e oro).
I fanciulli vi riproducono le figure geometriche, ma le empiono con decorazioni
latte a penna o ad acquerello. Tali decorazioni servono specialmente a rile-
vare, in un'analisi geometrica, le varie parti delle figure, come: centri, angoli,
circonferenze, mediane, diagonali, ecc. (Tavole XXXIX, XL e XLI).
Il motivo decorativo è scelto o addirittura inventato dai bambini;
rome pure è individualmente libera la scelta dei colori cosi del fondo come degli
inchiostri o dell'acquerello. Ma a nutrire l'immaginazione estetica del fan-
ciullo serve l'osservazione diretta della natura (fiori e loro parti, polline, foglie,
sezioni di steli osservati al microscopio, semi di piante, conchiglie, insetti, ecc.)
Inoltre essi hanno a loro disposizione disegni artistici, collezioni di fotografìe
riproducenti opere d'arte, e i famosi album di Haeckel : «Le forme arti-
stiche della natura » che tanto interessano e incantano i fanciulli.
Il disegno occupa per molte e molte ore il fanciullo: tanto che si coglie
questo tempo per le letture, e quasi tutta la storia è appresa durante questo
mite lavoro di copia o di semplice decorazione, così adatto alla concentrazione
del pensiero.
Il disegno copiativo o quello di decorazione ispirato direttamente da
cose viste ; la scelta dei colori per la riempitura di figure geometriche o per
piccoli e semplici disegni che servono a rilevare il centro o un lato della figura:
l'atto meccanico di stemperare un colore, di sciogliere la porporina, o di con-
frontare una serie d'inchiostri, quello di temperare un lapis, di orientare un
loglio di carta, di determinare per tentativi l'apertura di un compasso, è tutto
un complesso lavoro di pazienza, di esattezza, ma che non richiede grande
concentrazione intellettuale. Esso è perciò un lavoro di costanza più che d'ispi-
razione, dove la facoltà dell'osservazione di ogni particolare per una riprodu-
zione esatta ordina e riposa la mente, più che metterla in moto pei suoi lavori
associativi e creativi. L'individuo è incatenato dalle mani, più che dalla mente:
ma anche la mente è trattenuta da queste occupazioni in modo ch'essa non
può partire pel mondo dei sogni.
DISEGNO 469
Sono riunioni tranquille di lavoro, ove i fanciulli occupano solo una parte
di sé ma tendono l'altra parte verso qualche altra cosa. Come avviene quando
nelle sere d'inverno la famiglia raccolta accanto al fuoco, leggermente oc-
cupata in tenui lavori manuali che non richiedono intelligenza, segtfe le
lingue di fuoco con una certa beatitudine, pronta a passar così nella pace
ore e ore: ma sente che una parte dei bisogni non è soddi^atta. Allora questo
(■ il tempo scelto per favoleggiare, per ricrearsi in letture amene.
Anche per i nostri bambini, questo è il tempo delle audizioni di letture
d'ogni genere.
È durante questi esercizi ch'essi hanno udito leggere così dei romanzi,
t)iialc- / Promessi Sposi, come libri di psicologia, quale V Educazione del selvaggio
dell' Aveyron di Itard, o libri di storia patria. I fanciulli prendono un interesse
profondo alla lettura: ciascuno occupato insieme del proprio disegno e dei
fatti che ode descrivere, sembra generalmente che trovi nell'una occupazione
l'energia per perfezionare l'altra. L'attenzione meccanicamente data al disegno,
trattiene la mente dalla fantasticheria e la rende capace di assorbire completa-
mente la lettura: d'altronde il piacere che infiltrasi a poco a poco in tutta l'a-
nima per la lettura sembra dare nuova energia alla mano e all'occhio: le
linee diventano esattissime, il colorito delle figure si raffina.
Quando poi l'interesse della lettura ha un colmo d'intensità, comin-
ciano da parte dei bambini le osservazioni, le esclamazioni, gH entusiasmi,
le discussioni che animano e rallegrano il lavoro senza interromperlo. Ma
è avvenuto anche qualche volta che un disegno fu abbandonato in massa,
per imbastire una scena di commedia e rappresentare subito un fatto sto-
rico che a\'ea toccato il cuore; ovvero, come successe alla lettura del Sel-
vaggio dell' Aveyron, le mani restaron sospese quasi inconsciamente nell'in-
tensità dell'emozione, mentre il viso con una espressione di estasi come
innanzi a cose straordinarie, impensate, commoventi, pareva interpretare il
noto verso sentimentale :
« donna simile a questa non vidi mai ».
Composizioni .artistiche con gl' incastri. — 1 nostri incastri geo-
metrici, che sono tutti in determinati rapporti di dimensione tra loro, e inclu-
dono un sistema di figure inscritte l'una nell'altra, si prestano a bellissime
combinazioni. In queste i fanciulli compiono vere creazioni, e talvolta perse-
guono una loro idea artistica per giorni e settimane. Già gli stessi incastri,
con la rimozione o la combinazione di pezzi entro i fondi bianchi delle piastre,
producono delle decorazioni (figure 35 e 36).
La facilità di comporre i disegni disponendo i pezzi di ferro sopra un
foglio di carta e delineandoli, e l'armonia che facilmente si raggiunge in tal
modo, appassiona il bambino: il quale produce così talvolta lavori meravi-
t;liosi.
PARTE SECONDA
Diiranto questo disegno creativo, come duranto il di^if^no dal vero, i'
1 ambino è profondamente e totalmente concentrati) (favole Xl.ll e \ 1.111} .
Fig. ?5. — CorabiTiazMni ili pezzi d'incastro entri le piastre.
tutta la sua intelligenza è presa, e sarebbe incdmpatibile. durante tal ^e
nere di disegno, ogni lettura istrutti\a.
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FiK. ^6. — Combinazioni 'ii pezzi d incastro entro le pia
DISEGNO 471
Coi nostri incastri, sono state riprodotte alcune decorazioni classiche,
che si ammirano nelle nostre maggiori opere d'arte italiane, come in quelle
di Giotto nell'arte fiorentina (Tavole XLIV, XLV, XLVI e XLVII)< Allor-
quando i bambini cercano di riprodurre con gl'incastri le 4ecorazioni classiche
della collezione di fotografie, sono portati a una osservazione si minuziosa,
che essa può considerarsi un vero studio artistico. I rapporti tra le proporzioni
delle varie figure sono da essi gustati in modo che l'occhio si forma ad apprez-
zare l'armonia. Un godimento superiore come quello estetico comincia così
fin dall'infanzia a trattenere le anime nei livelli più nobili e più alti.
DISEGNO LIBERO - DISEGNO DAL VERO.
Tutti i precedenti esercizi sono « formativi » per l'arte del disegno. Essi
mettono a disposizione del bambino la possibilità manuale di eseguire un
disegno geometrico, e la preparazione dell'occhio ad apprezzare le armo-
niche proporzioni tra figure geometriche. Le osservazioni molteplici di
disegni, l'abitudine ad osservare minutamente oggetti naturali, sono altret-
tante preparazioni. Ma si può dire che tutto il metodo, educando insieme
l'occhio e la mano, e abituando a osservare e ad eseguire dei lavori con grande
costanza, prepara i mezzi meccanici per il disegno; mentre l'anima lasciata
libera di elevarsi e di creare è pronta a produrre.
È formando l'individuo che lo si prepara a quella manifestazione mera-
vigliosa dell'anima umana, che è il disegno. Saper vedere il vero nelle forme,
nei colori, nelle proporzioni ; possedere i movimenti della propria mano, ecco
quanto basta. L'ispirazione poi è cosa individuale e ciascuno, quando pos-
siede quegli elementi formativi, può darvi espressione.
Non vi può essere un « esercizio graduale del disegno » fino alla creazione
artistica; ma solo la formazione dei meccanismi e la libertà dello spirito
posson portare a tanto.
Ecco perchè noi non abbiamo insegnato direttamente il disegno ai bam-
bini, ma solo ve li abbiamo preparati indirettamente, lasciandoli quindi li-
beri nel misterioso e divino lavoro di riprodurre le cose a traverso il proprio
sentimento.
Il disegnare diventa allora un bisogno di espressione come il parlare;
quasi ogni idea cerca di esprimersi nel disegno: e lo sforzo nel perfezionare
tale espressione è del tutto simile a quello che fa il bambino allorquando
è spinto a perfezionare il proprio linguaggio per vedere tradotto nella realtà
il pensiero della mente. Questo sforzo è spontaneo; e il vero maestro di disegno
sta nella vita interiore che si svolge, si affina e cerca poi irresistibilmente di
nascere e di esistere al di fuori con qualche opera esteriore.
472 PARTE SECONDA
(iiù fui da piccoli i bambini cercano spontancanuiitr di cklinearo i
. ontorni degli oggetti che vedono; ma gli orribili disegni che si fanno vedere
nelle comuni scuole cosiddette « libere » come » caratteristiche » dell'infanzia,
non si vedono tra i nostri bambini. Quegli orrendi sgorbi sì teneramente
raccolti, osservati e catalogati dagli psicologi moderni come " documenti »
dell'anima infantile, non sono che mostruose espressioni di abbandono del-
l'anima; son la rivelazione che quell'occhio infantile è incolto, la mano inerte,
l'anima sorda cosi al bello come al brutto, cieca al vero come al falso. Essi,
come quasi tutti i « documenti » raccolti dagli psicologi che studiano i bam-
bini nelle scuole, rivelano non l'anima, ma gli errori dell'anima. E i disegni
-pecialmente, con le loro deformità mostruose, dicono a gran voce che cosa
sia l'uomo senza educazione.
I '■ disegni liberi » dei bambini non sono quelli. Si comincia ad
.ivere il disegno libero, quando si ha un fanciullo libero, che potè cre-
scere e perfezionarsi in tutte le sue attività di assimilazione dell'am-
biente e di riproduzione meccanica: e che, libero di creare e di esprimere,
crea ed esprime.
La preparazione sensoriale e manuale al disegno non è che un alfabeto;
ma senz'esso il bambino è un analfabeta che non può esprimersi. E come non
si può fare uno studio sulla scrittura d'un analfabeta, così nessuno studio
psicologico può farsi sui disegni di bambini abbandonati al loro caos interno,
al loro disordine muscolare.
Tutte le espressioni psichiche acquistano valore quando acquista valore
la personalità interiore con lo svolgersi dei processi formativi. Fino a che questo
jmncipio fondamentale non sarà un acquisto assoluto, noi non avremo idea
della psicologia del fanciullo nei suoi poteri creativi.
Così noi non sapremo «come si svolge il disegno quale espressione na-
turale », se non sapremo come deve svolgersi il bambino per dispiegare le sue
naturali energie. Non sarà una " scuola di disegno » che potrà svolgere univer-
salmente il gran linguaggio della mano; ma sarà la « scuola dell'uomo nuovo «
che la farà sorgere come un'acqua sorgiva che zampilli spontanea da una
fonte inesauribile.
Bisogna dare un occhio che veda, una mano che obbedisca, un'anima
che mediti, per dare il disegno: e in ciò deve concorrere tutta la vita. Ecco
perchè è con la vita stessa che ci si prepara al disegno; ma fatto questo, è la
scintilla interna che fa il resto.
Lasciate allora all'uomo quel gesto sublinr^ che segna sulla tela le
tracce della divinità creatrice. Lasciatelo svolgere, fin da quando, piccolo
bambino, prende un gesso e riproduce sulla lavagna un semplice contorno,
vede una fogliolina e ne depone la prima immagine sopra una bianca
paginetta. Quegli è il fanciullo in cerca d'ogni linguaggio, d'ogni espressione,
DISEGNO 473
perchè nessun linguaggio è sufficiente a sfogare la vita zampillante dentro
di lui. Egli parla, scrive, disegna e canta, come un usignuolo gorgheggia
in primavera.
* * *
V
Si pensi dunque agli « elementi » che posseggono i nostri bambini nella
loro formazione in rapporto al disegno: essi sono degli « osservatori » del
vero, sapendo nel vero rilevare le forme e i colori.
Per apprezzare i colori, hanno una particolare sensibilità, che cominciò
a svilupparsi fino dai primi anni della vita, negli esercizi sensoriali. La loro
mano è educata ai più fini movimenti: essi ne sono « padroni » fino da quando
erano nelle « Case dei Bambini ». Quando poi essi cominciano a delincare
figure, copiano dal vero gli oggetti più diversi che non sono soltanto fiori, ma
tutte le cose che li interessano: vasi, colonne, e perfino paesaggi. I loro ten-
tativi sono spontanei; essi disegnano così sulla lavagna come sulla carta.
Riguardo al colore, si noti come già fin dalla « Casa dei Bambini « i fan-
^:iulli imparano a preparare le tinte, componendole essi stessi, graduandole, ecc.,
ciò che li appassiona grandemente. Nell'età più avanzata poi, la cura loro
nel cercare di formare delle tinte che corrispondano perfettamente al colore
naturale, è veramente interessante (i) : essi provano e riprovano a sommare
i più diversi colori, a diluirli o a saturarli fin che proprio non giungono a ri-
produrre la tinta desiderata! Ed è meraviglioso vedere come l'occhio riesca
ad apprezzare le più fini differenze di colorito, e a riprodurle spesso con me-
ravighosa corrispondenza.
Ciò che ha portato un notevole aiuto al disegno è stato lo studio delle
scienze naturali.
Una volta io provai a far vedere ai bambini come si seziona un fiore;
a tal uopo portai in iscuola tutto il necessario: aghi, pinzette, vetrini da
orologio, ecc., come si fa negli esercizi di scienze naturali all'Università.
Il mio scopo era stato solo quello di tentare se l'anatomia dei fiori e le
preparazioni che gli studenti di scienze naturaH fanno all'Università, sareb-
bero in qualche modo accessibih ai bambini. Fin da quando io ero stata nei
gabinetti di botanica all'Università, avevo provato l'impressione che quegli
esercizi di preparazione dei materiali di studio, fossero cose adatte ai bambini.
Tutti gli studenti sanno quanto sia difficile preparare con gU aghi la dis-
sezione di uno stelo, di uno [stame, di un epiteHo; e come la mano, abi-
tuata da anni e anni solo a scrivere, si adatti faticosamente a tal genere di
lavori fini. Ma vedendo quanta abilità avevano i nostri bambinetti nelle loro
(i) Si mettono a disposizione dei bambini, in un primo momento, so
betti dei 3 colori fondamentali rosso, giallo, turchino; ed essi ne ottengono
soltanto
I un gran nu-
mero di tinte.
474
PARTE SECONDA
pillole mani, volli tentare la prova, dando loro al completo l'istrununtarii)
^^l■il-ntifico, per constatare se la mente infantile e la caratteristica abilità
manuale dei nostri piccini fossero adatte a tali lavori più della mentalità e
iliila mano di uno studente di diciannove anni.
Infatti non mi ero ingannata: i fanciulli eseguirono con estrema isattez/.a
♦■ \ivissimo interesso la sezione di una mammola, imiiaramln subito a usare
%^
La bambina ha scritta) dietro al disegno: " Veduta dei pelif
dell'ovario della rosa nel microscopio: vicino sta il preparato».
tutti gl'istrumenti. Ma quale fu la mia meraviglia nel vedere che essi non
disprezzavano, gettandole via alla rinfusa, tutte le parti dissecate, come
facevamo noi quando eravamo studenti di scienze naturali; bensì depone-
vano in un ordine estetico e con somma cura tutte le parti del fiore sopra
DISEGNO 475
un foglio di carta bianca. Fu come una secreta intesa: tutti i bambini, con
gran gioia, si misero a disegnarle, e, esatti e compiti come son^ in tutte le
cose, instancabili e pazienti, cominciarono a stemperale i colori, a formare
le tinte; e, lavorando fino all'ultimo minuto della giornata di scuola, compi-
rono il loro acquerello, ove lo stelo e le foglioline erano verdi, i singoli petali
\iola, e gli stami, tutti allineati, gialli, e il pistillo, dissecato, riprodotto
nel suo verdognolo chiaro. Il giorno dopo una bambina mi portò un compo-
nimento, che fu tra i più graziosi e vivaci, ove descriveva l'entusiasmo del
nuovo lavoro, e le particolarità mai prima osservate dell'intimità di una
mammoletta.
Le due espressioni: disegno e composizione, erano state le manifestazioni
spontanee del loro gioioso ingresso nei recessi della scienza.
10 allora, incoraggiata da tanto successo, introdussi in iscuola dei sem-
plici microscopi a piccolo ingrandimento, dove i bambini principiarono ad
osservare il polline dei fiori, e qualche membrana di rivestimento. Infine,
coi bisturi fecero anche delle lini sezioni degli steli, e le osservarono con ar-
dente interesse.
Essi « disegnavano tutto ciò che vedevano ».
11 disegno sembrava essere il naturale compimento delle loro osservazioni.
I bambini giunsero in tal modo a disegnare e a dipingere senza maestro
di disegno, producendo lavori che, come composizioni di figure geometriche
(Tavola XLVIII) da un lato, e come copia (fig. 37 e le tavole XLIX, L e LI)
di fiori dal vero, furono giudicate di un pregio non comune come lavori di
bambini.
^^^
^'O^ly
M^^
Tavola XXXIX. — Esempi di decorazioni del quadrato: mediane e diagonali
(dalle forme natmrali di Haeckel) {pag. 468).
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Tavola XL. — Decorazioni Jel centro e dei;U angoli (dalle loiiuc udiuiali Ji Haeckell (pag. 468)
XLI. — Decorazic
(dalle forme u
li del triangolo: centro, ansoli e bisettrici
turali di Haeckel) (pag. 468).
Tavola XLIl.
Tavola XLIII.
Tavole XLII e XLIII. — I bambini fanno combinazioni omameatali coi pezzi cicali inca-itri geometrici (pag. 4.70).
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Tavola XLV (pag. 471)-
Tavola XLIV (pag. 471).
Composizione fatta coi seguenti pezzi d'incastro:
quadrato grande (io cm. di Iato);
quadrato inscritto in esso (7 cm. di lato);
■ quadrato di 3,5 cm. di lato;
grande cìrcolo (con cui si costruisce la stellina
corativa del piccolo quadrato) ;
fiore semplice (con cui si decora il grande quadra
Il solo lavoro fatto a mano libera è la mod^ficazl
dei lati curvi del piccolo quadrato entro il fiore.
Una tale decorazione si trova nella Cattedrale di
renze, sui finestroni intomo all'abside; fotografie
questo dettaglio artistico si trovane
I triangolo equilatero (^
Il disegno è composto con i seguenti
il quadrato grande {io cm.) ; ^
il quadrato uguale a 1
del grande triangolo);
il quadrato di cm. 3,5 di Iato,
a circolino serve a costruire i quattro semicerchi sul qua
Irato minore che serve di decorazione alla stella format;
;on l'incrocio dei due grandi quadrati.
II quadrato di era. 3,5 non figura nel disegno.ma serv.
i inscrivere perfettamente, e perciò
lei centro delle suddette figure, U
Il fiore che sta dentro alla croce risultante
:ompasso; il piccolo dettaglio decorativo delle braccia dell;
è disegnata
col
Tavola XLVI (pag. 471).
Decorazione costruita con i seguenti pezzi
d' incastro :
quadrato grande (io cm.);
quadrato uguale alla 4' parte del grande
quadrato (5 era.);
quadrato di cm. 3,5 di lato.
C è una modificazione dei contorni, sosti-
tuiti da due linee parallele, e alcuni ritocchi
del quadratino interno, modificato a croce.
Tavola XLVII (pag. 471
Costruzione fatta con due pezzi d' incastro :
il quadrato uguale a '/+ del grande qua-
drato (5 cm. di lato);
e il triangolo uguale a '/16 del grande
quadrato.
La decorazione si trova sotto il quadro della
Madonna nella chiesa superiore di S. Fran-
cesco in Assisi (Umbria).
Ne è autore Giotto.
Tavola XLVIII (pas. 475).
Il disegno è fatto senza l'aiuto desìi incastri ; la bambina, con l'aiuto
dei compassi, realizza l'idea spontanea della sua mente. II rombo è
dipinto in nero ; la croce è di un rosso vinoso a tinte sfumate ; e il
circolo è giallo, più carico al centro e sfumato verso la periferia. La
combinazione dei colori è molto armoniosa e di grande efietto.
Tavola XLIX. — Espressione spontanea
di un esercizio di scienze naturali (pag. 475).
Tavola !.. — Conseguenza di aver portato a scuola una bacca di piseUc
per osservarvi l'impianto dei semi (pag. 475)-
\^g& j-:
Tavola LI. — Disegno a lapis (dal vero) (pag. 475)-
EDUCAZIONE MUSICALE
Dal tempo in cui apparve il mio primo volume sul metodo educativo
dei piccoli bambini, un notevole progresso si è fatto in ciò che riguarda l'edu-
cazione musicale.
La signorina Maccheroni, stabilitasi a Roma per lavorare con me al-
l'esperimento sulla continuazione dei metodi nelle classi elementari, ha po-
ti' 0 largamente provare dei lests, e così furono stabiliti i primi passi di
Questa importante parte dell'educazione. Avevamo come collaboratori i
signori Tronci di Pistoja, che si assumevano, con la più intelligente corri-
spondenza ai nostri sforzi, la fabbricazione del materiale.
Già fino dalla pubblicazione del primo libro, era stato preparato un
materiale di campane per servire a educare l'orecchio a percepire le differenze
dei suoni musicali. Le modalità praHche di questo materiale sono state modi-
ficate e perfezionate ulteriormente anche dopo la pubblicazione del mio
« Own Handbook » (Londra, Heinemann, 1914) dove è comparsa per la prima
volta una trattazione sul metodo musicale.
La parte fondamentale del sistema consiste in una serie di campane
riproducenti i toni e i semitoni compresi in una ottava. Il materiale deve
avere i caratteri generali del materiale sensoriale, cioè che gli oggetti differi-
scano in una sola qualità, quella destinata a stimolare il senso che vuole
educarsi. Così le campane devono essere uguali apparentemente: in dimen-
sione, in forma, ecc.; ma devono dare suoni diversi.
L'esercizio primitivo è quello di riconoscere le « identità ", cioè di accop-
piare le campane che danno suoni eguah.
Ecco ora com'è composto il sistema delle campane. Abbiamo fatto fab-
bricare un sostegno, che è d'una estrema semplicità: cioè una tavoletta (di legno,
ma la materia potrebbe essere anche diversa!) lunga m. 1,15 e larga m. 0,25
su cui appoggiare le campane. La larghezza di questa tavoletta è tale da
contenere due piedi di campana nel senso della loro lunghezza, così che è
possibile deporvi due campane una avanti l'altra. La tavoletta è divisa in spazi
bianchi e neri, larghi quanto è largo il piede di ciascuna campana: gli spazi
bianchi corrispondono ai toni e i neri ai semitoni (fie. 38).
4So
PARTE SECONDA
(ìucsta tavoletta, che apparentemente serve solo di appoggio, è in realtà
una misuriì. poiché essa signa la posizione caratteristica delle note nella
scala diatonica, cioè coi rettangoli bianchi e neri indica l'intervallo tra
nota e nota in detta scala, che è di un mezzo tono tra la terza e quarta, e
tra la settima e ottava nota, e di un tono tra le altre.
Le campane di confronto, si tengono fisse e disposte in ordine nello spazio
superiore; esse non sono tutte eguali, ma anzi in gradazione di dimensioni,
secondo la nota. Ciò non solo facilita e rende economica la fabbricazione,
poiché le campane che hanno la stessa dimensione, dovendo avere uno spessore
più o meno grosso, richiedono una lavorazione molto difficile, quindi costano
di j)iù: ma abitua l'occhio a vedere una differenza di materia, là dove c'è
una differenza di manifestazione. Invece le altre campane, sulli quali il
bambino deve esercitare i sensi, sono tutte eguali tra loro.
L'esercizio consiste in ciò: il bambino batte con un martello una delle
campane fisse, e cerca tra le altre mescolate insieme, quella che produce lo
stesso suono; trovata, la depone sulla tavoletta innanzi alla campana fissa
corrispondente. Nei primi esercizi si pongono, sugli spazi bianchi, solo i toni
dell'ottava; in seguito si metteranno anche i semitoni.
Dopo questo esercizio sensoriale primitivo, che corrisponde all'appaia-
mento degli altri stimoli (cromatici, tattili, ecc.), il bambino passa all'altro
consistente nel distinguere le differenze, e, in esse, le gradazioni degli sti-
moli (come faceva con le tavolette dei colori, con i rumori, ecc.). In questo
caso, il bambino prende sopra un tavolo qualunque, solo le otto campane
dei toni, apparentemente uguali; le mescola, e, battendole, riconosce il do
e tutte le altre note dell'ottava, che pone una in fila all'altra.
Come, trattandosi di altri esercizi sensoriali, veniva a darsi la nomen-
clatura relativa allo stimolo riconosciuto, così qui si dà il nome delie note :
do, re, mi, fa, sol, la, si. Ho fatto fabbricare a tal uopo dei piccoli dischetti
(la forma rotonda ricorda la testa della nota scritta) che possono deporsi sui
piedi delle campane, e portano scritto il nome della nota: questi dischetti si
possono già porre sui piedi delle campane fisse: così fin dall'esercizio di appa-
iamento, il bambino (che sa leggere) può associare a! suono il nome della
EDUCAZIONE MUSICALE 4OI
nota. Quando poi il fanciullo mette in gradazione le campane, egli può deporre
sui piedi di esse i dischetti dei nomi.
Ci sono persone che hanno veduto questo materiale ed hanno fatto le più
solenni dichiarazioni deUa loro incapacità naturale a comprendere la musica,
affermando che la musica rivela i suoi segréti a pochi eletti.
Ma anzitutto qui si tratta di distinguere note così diverse tra loro che ne
è stato misurato il diverso numero di vibrazioni: una differenza materiale
che ogni orecchio normale esercitato percepisce naturalmente senza alcun pro-
digio di natura musicale. Allo stesso modo dovrebbe essere privilegio di un
genio distinguere un colore da un altro simile! La particolare disposizione
alla « musica » è data da altri fatti di ordine superiore, quali l'intuizione delle
leggi di armonia e di contrappunto, l'ispirazione a creare.
Nel fatto pratico si è visto che quando il materiale era usato timida-
mente per 40 bambini da 3 a 6 anni, solo 607 bambini si rivelavano capaci di
comporre a orecchio la scala maggiore; quando il materiale fu usato pili
francamente, tutti si avviarono per lo stesso cammino e fecero le stesse con-
quiste, nello stesso modo che tutti arrivano a leggere, a scrivere, ecc. E se
ci fu una differenza individuale, non fu nella possibilità di fare tali esercizi,
ma nella passione con cui gli esercizi erano fatti, e per i quali alcuni bambini
veramente si commovevano. Il sentimento di amore per conquiste elevate è
nei bambini assai più frequente di quanto noi, misurando da noi stessi, pos-
siamo supporre. In ogni caso l'esercizio è la via che conduce alla dichiara-
zione della vocazione personale.
I piccoli bambini prendono un solo campanello, anzi lo ghermiscono
quando qualche bambino più grande sparpaglia sul tavolino quadrato gli 8
campanelli di eguale apparenza per comporre a orecchio la scala; e lo bat-
tono a lungo, tenendolo in mano, mirandolo e colpendolo sempre più len-
tamente.
I più grandicelli si interessano all'appaiamento e ripetono molte volte
l'esercizio.
Ma un fascino speciale esercita il suono successivo degli otto campanelli
pusti in ordine, ossia l'audizione della scala.
Nennella, della Casa dei Bambini di via Giusti, batte 200 volte di
seguito la scala, 100 l'ascendente e 100 la discendente.
L'intera classe può essere interessata a quest'audizione; e allora i bambini
seguono nella calma del silenzio questo succedersi di suoni di classica bellezza.
Mario andava a collocarsi nell'ultimo posto, ossia lontano; metteva i gomiti
sul tavolino, la testa sulle mani e restava così immobile nel silenzio della sala
semioscura, manifestando con l'atteggiamento della persona e l'espressione
del viso, uno straordinario interesse.
Ed al momento opportuno viene l'interesse a riprodurre con la voce
la nota. I bambini accompagnano la scala con la voce e raggiungono una
4S_' parti: sf.conoa
esatta inipostaziono della iidt.i. talcliò la loro voco in ipusto cstMcizio è
dolco 0 armonica, senza nulla delle* stridìo dolio voci infantili che can-
tano canzoncine! È avvenuto anche, nella classe di via Triontalc, che dei
bambini chiedevano di faro (]uosto esercizio: accompaj;naro lon la \ oco
la scala che un bambino batteva piano sui campanelli K quest'interesse
era supcriore a quello che i bambini sentivano per il canto delle canzon-
cine, lo quali con i vari « salti « che presentano, la pronunzia delle pa-
role, l'espressione musicale, la velocità imposta dall'espressione ecc., possono
essere facilmente riconosciute come non adatte all'inizio delle esercitazioni
di canto.
La memoria assoluta della nota si è verificata nei bambini senza a\cr
nulla fatto per provocarla direttamente. Quando, compiuta una lunga serie
di esercizi di appaiamento, i bambini passano a formare la scala servendosi
di una sola serie di campanelli, essi ripetono molte volte questo esercizio e
in varie guise. Per es. talvolta cercano il do basso e poi cercano il re, ecc.,
ossia cercano sempre il suono più basso. Altra volta presa una nota a caso
ne prendono una seconda e la collocano di qua o di là dalla prima secondo
che è più alta o più bassa, e così via.
Ma accade poi che prendendo a caso un campanello dicano, appena lo
hanno ascoltato: questo è mi, questo è do, ecc.
Un bambino che aveva fatto splendidamente nel maggio davanti a Sua
Maestà la Regina Madre l'esercizio con i campanelli e non aveva avuto
più da quel giorno il materiale nella sua Casa dei Bambini di via Giusti,
nel novembre successivo fu pregato di usare dei tubi (i) sonori ch'egli quasi
non conosceva e che, per non essere stati mai usati, erano in grande disor-
dine. Erano i6 tubi, tutti mescolati tra loro, della doppia scala diatonica.
Egli ne prese uno, lo battè, e disse: Questo mi dice: si, e lo appese all'uncino
corrispondente dell'apposito sostegno. Eppoi: questo mi dice: mi, e lo appese
all'uncino corrispondente; e collocò così i i6 tubi in ordine sui due sostegni pa-
ralleli. Egli si era molto esercitato nell'anno scolastico precedente ed aveva
conservata questa memoria assoluta della nota.
A questo punto, come avviene per i colori, per le forme geometriche, ecc., il
bambino comincia a esplorare l'ambiente e viene a dire alla maestra che suona:
Questo (battendo un tasto) è ste eeee... ossia la nota della prima parola di una
canzoncina (Stella, stellina...). E il tasto che il bambino batte è un do, preci-
samente la nota intonata con la sillaba: ste di « stella ». Una più larga espe-
rienza potrà dare graziosi esempi di questa esplorazione musicale nell'am-
biente.
(I) I tubi sono un materiale parallelo ai campanelli e consighabili alle scuole cfie
possono avere un più ricco arredamento.
EDUCAZIONE MUSICALE 483
LETTURA E SCRITTURA MUSICALE.
Materiale. — La presentazione del rigo musicale (nelle « Case dei Bam-
bini ») è fatta con una tavoletta di legno verniciata in verde, che porta
incavato il rigo; su ogni riga e su ogni spazio, relative all'ottava cui corri-
spondono i suoni delle campane, sta un piccolo incavo circolare entro cui
può deporsi ad incastro il dischetto d'una nota.
Dentro l'incavo sta scritto un numero: i, 2, 3, 4, 5, 6, 7. I dischetti
che servono a questo esercizio portano scritto sulla faccia inferiore un numero,
e sulla superiore il|nome della nota; es., i,do; 2, re; ^, mi; 4, fa; 5, sol; ò, la;
7, si (fig. 39).
do - re - mi - fa - sol - la - si - do.
-®
^^
^^
^^
Fig 39
Con questa guida il bambino può collocare le note sul rigo senza sbagliare
e studiarne le posizioni. Gl'incavi sono disposti in maniera che rimanga
uno spazio vuoto, là dove c'è un semitono:
do, re, mi, fa, sol, la, si, do.
In quello spazio si possono mettere dei dischetti neri, rappresentanti
i semitoni.
In un altro grado dell'esercizio, il rigo è un'assicella di legno simile
alla prima, dove però mancano gl'incavi.
Il bambino dispone di un gran numero di dischetti i quali da un lato
portano scritta la nota; e colloca sul rigo trenta o quaranta di questi
dischetti alla rinfusa, ponendoli ciascuno al loro posto, secondo il nome della
nota: ma la parte del nome deve restare al di sotto, "sì che sul rigo non si
vedono che dei dischetti senza nome.
Quando il bambino ha finito, li capovolge tutti senza spostarli e può
cosi leggere i nomi e giudicare se la collocazione fu giusta: i dischetti aventi
gli stessi nomi devono trovarsi sulla stessa riga o sul medesimo spazio. Se
mai venisse iln dubbio sulla collocazione delle note, l'altro rigo con gl'incavi
numerati può servir di controllo.
4.'^4 PARTE SECONDA
Giunto a questo punto delle sue conoscenze, il bambino può fare degli
esercizi leggendo lo scritto musicale e toccando le campane secondo le note
ch'egli interpetra.
1 righi musicali sono preparati su cartoncini rettangolari alti 17 cm.,
e le note hanno circa cm. 2 di diametro. 1 cartoni sono variamente colo-
rati in bleu, viola, giallo, rosso (fig. 40).
^•zjtz — :s_t-
Fig. 40. — I cartoui per la lettura musicale: ciascun cartone contiene un solo rigo.
1 bambini, poi, cominciano essi stessi a scrivere le note: e noi abbiamo
preparato per loro a tale scopo piccole paginette, che possono raccogliersi
in un quaderno od album (fig. 41 e 42).
Ci sono alcune canzoni modulate su due o tre note e sì semplici, che il
bambino può ritrovarle a orecchio sui campanelli: quando egli, dopo essersi
esercitato, è sicuro di riprodurre la canzone, scrive le note su un rigo, e com-
pone cosi la sua musica.
EDUCAZIONE MUSICALE 485
Fig. 41. — Modulo per la scrittura musicale.
4S(>
PAKTK SECONDA
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Fig. 42. — T bambini vi scrìvono gli fscrcizii che esegxiisc<»iin sui caiiipaaelli.
EDUCAZIONE MUSICALE 487
LE DUE CHIAVI DI VIOLINO E DI BASSO.
La disposizione romboidale delle note. — Tutte le conoscenze
di lettura musicale del bambino si riferivano alla chiave di violino.
Noi tuttavia non abbiamo ancora presentato nessun segno della chiave.
Prima di conoscere questo, i bambini devono apprendere la posizione delle
note sui due righi.
A questo scopo, seguendo la scuola del Conservatorio Musicale di Milano,
abbiamo adottato il doppio rigo (fig. 43).
fig- 43-
La riga interrotta indica il posto del do, e questo è il punto di partenza
della scala; infatti le note, passando di riga in spazio e così via, vanno secondo
la serie naturale:
do, re, mi, fa, sol, la, si, do;
e lo stesso avviene tornando indietro:
do, si, la, sol. fa, mi. re, do.
Essendo dunque chiaro il posto del do, le altre note al disopra e al di-
sotto si trovano facilmente; dal do di sinistra, si può salire fino al do dell'nt-
o— ^
°-^~o--^
488 PARTI-: SECONDA
tava successiva, e poi discendere; e così, sempre dal do di sinistra, si può
scendere fino al do dell'ottava inferiore e poi risalire.
Ciò facendo col disporre sui rifjhi uniti i dischetti delle note, ne risulta
il disegno di un rombo (rombo delle note) (fìg. 44).
Basta separare i due righi l'uno dall'altro e si hanno le disposizioni delle
note secondo la chiave di violino e quella di basso. Tali disposizioni diverse
verranno contraddistinte mettendo alla sinistra del rigo i due segni diversi
delle chiavi, che sono preparati come oggetti a parte nel materiale (fit;. 45).
In tal modo i bambini hanno imparato la scala di do maggiore nelle
due chiavi. La distribuzione degli spazi bianchi e neri li pone in grado di
riconoscere le note anche sul pianoforte.
Fa parte del materiale una piccola tastiera, i cui tasti sono piccoli in
modo da corrispondere alle dimensioni della mano del bambino; essa può
servire a un esercizio delle dita. I tasti battuti sollevano un martello (visi-
bile a traverso un cristallo) che porta il nome della nota battuta: in tal
modo il bambino, mentre esercita le dita al movimento, studia la distribu-
zione delle note sulla tastiera. 11 piccolo pianoforte è muto. Ma una specie
di istrumento a canna d'organo si può applicare al disopra dei martelli, in
modo che ogni martello, alzandosi, batta sopra una canna, che dà il suono
corrispondente.
Tutti gh esercizi fatti fin qui hanno come base e come punto di partenza
gli esercizi sensoriali: è l'orecchio che riconosce i suoni fondamentali, quello
che ha permesso una vera educazione musicale. Tutto il resto, come la scrit-
tura, ecc., '( non è musica ».
EDUCAZIONE MUSICALE 489
LE SCALE MAGGIORL
Per la conoscenza delle scale è stato ultimamente applicato un ulteriore
materiale.
Si osservi la Tavola LII ; essa rappresenta un cartone sul quale è dise-
gnata una figura che ricorda la tavola su cui si appoggia, nei primi esercizi, il
materiale delle campane. Cioè in essa sono segnate le distanze di tonalità che
decorrono tra le varie note di una scala.
Infatti la scala è una serie di otto suoni le cui distanze sono quelle in-
dicate nella figura dai segni neri: i tono, i tono, 14 tono, i tono, i tono,
I tono, y^ tono (Tavola LII).
Nella scila di do maggiore tali distanze si distribuiscono tra le note
seguenti: un tono tra: do e re; re e mi; fa e sol; sol e la; la e si; e mezzo
tono tra: mi e fa e tra si e do. Ma se invece di cominciare dal do, la scala
comincia da un'altra nota qualsiasi, le distanze reciproche caratterizzanti
la scala restano sempre le medesime: è come se si spostasse tutta la scala
nella sua caratteristica costruzione di tonalità.
Per questo, come indica la Tavola LII, sotto la figura che comprende due
ottave, c'è un'altra figura, che è un pezzo di cartone mobile, scorrevole,
il quale porta disegnato in bianco e in nero la costruzione dell'ottava. Spo-
stiamo tale striscia scorrevole (che è attaccata al grande cartone a mezzo
di un nastrino); e spostiamola, come è segnato nella figura, a livello di mi.
Le distanze tra i toni della scala di mi sono le stesse che per tutte le scale,
cioè quelle segnate ne! piccolo cartoncino: occorre perciò toccare nella grande
scala le note corrispondenti agli spazi bianchi del cartoncino, cioè:
mi, fa diesis, sol diesis, la, si, do diesis, re diesis.
Si può ripetere la stessa cosa, spostando il cartoncino successivamente
su tutte le note: in tal modo si vengono a costruire tutte le scale. Ciò può
costituire un esercizio teorico, molto interessante, perchè il bambino può
scrivere da sé tutte le scale.
Ma a tale scopo corrisponde un vero materiale musicale, come si vede
nella Tavola LUI. Qui, sopra una tavola di legno simile alla prima usata pei
campanelli, ma lunga due ottave, sono disposti dei prismi di egual dimen-
sione, ma tinti in bianco e in nero secondo i toni. Ogni prisma ha una lastrina
scoperta secondo un rettangolo uguale in tutti i pezzi apparentemente, ma
che però è realmente di varia lunghezza nei diversi prismi: battute le lastrine
sse danno tutte le note di due ottave, e i prismi fanno da risuonatori,
i suoni sono dolci e armoniosi, e di una singolare chiarezza, sì che l'istrumento
è veramente musicale. Nella Tavola LUI, ogni pezzo è poggiato nella posizione
della scala maggiore di do.
Poiché, qualunque sia la scaia, le distanze dei toni sono le stesse, se si
sposta la massa dei prismi da destra verso sinistra, facendola scorrere sul
piano di legno, avviene che alcuni prismi cadono dalla tavola e l'insieme
dei prismi è spostato, come si spostava il piccolo cartone sul grande cartone
della Tavola LII. Qualunque sia lo spostamento, si avrà una scala battendo
tutti i prismi che stanno in corrispondenza degli spazi bianchi della tavola di
legno (Tavola LIV).
Cosi, per es., togliendo i primi due prismi do e do diesis a sinistra e
■-liingendo da destra a sinistra tutta la teoria dei prismi in modo che il re
giunga al posto già occupato dal do, se si batte sulle lastrine che posano
sulla norma della scala maggiore, si ha la scala maggiore di re. E osser-
vando le note che la compongono, troviamo : re, mi, fa diesis, sol, la, si,
do diesis, re.
Basta questo piccolo cenno per comprendere quanto sia interessante
questo istrumento, il quale contiene in sé, sotto forme semplici, piacevoli
e chiare i principi fondamentali dell'armonia.
Le tre tabelle seguenti delle scale possono servire di guida alle maestre
per usare ristrumento, e comprenderlo (vedi tabelle 0, P. Q).
L.tf, lU^^.k^.
Queste scale cominciano con note non accidentate, ossia bianche
Man mano che i bambini compongono cosi tutte le scale essi le scri-
vono sull'apposito quaderno facendo uso dei segni relativi agli accidenti
musicali. Essi sono invitati a scrivere le scale con un certo ordine: prima
la scala con un diesis, poi la scala con due, con tre, ecc. Ed ecco un campo
EDUCAZIONE MUSICALE
4QI
offerto all'osservazione: la scnla con due diesis ha lo stesso diesis della scala
precedente ; la scala con tre diesis, ha i due delle scale precedenti, ecc. ; i
diesis si seguono a distanza di 5 in 5.
Tabella P.
UkU\'U^
scale cominciano con note accidenta
Se poi col primo materiale non fu omesso di insegnare la scala minore
armonica con il cambiamento del 3° e del 6° campanello e fu esercitato il bam-
ic-jJ!^ "^ o^
Tabella Q.
Riassunto delle scale con distinzione tra diesis e bemolli.
492
PARTE SECONDA
bino a formarla o ad ascoltarla, fit^. 46, è una cosa assai semplice con questo
ni.iteriale. comporre tutte le scale minori
m
m,
M
g 7
Si hanno così esercizi che preparano al riconoscimento del tono maggiore
e minore oltre che al riconoscimento dei differenti toni.
Così pure è facile suonare uno stesso semplice motivo nei diversi toni
basta spostare il sistema di queste lastrine come si è detto, e suonare la-
sciandosi guidare dagli spazi bianchi e neri della tavola di sostegno.
Esempio di una trasposizione di tono:
Ò«>VK> bv bo
n 1^ j li oij-j/jij^L
ÒiM^O ì^l le
r^l^ J Ij ^^lj;jji/;
ooiwj Bv
-jji^ jii/,njirS
%<yi*A fcv Qa.
A questo punto nasce un vivo desiderio, nei bambini, di produrre suoni
e le scale stesse su tutti i timbri possibili, cioè di suonare istrumenti diversi: a
fiato, a corda, ecc.
Un istrumento che conduce il bambino a produrre e a riconoscere le
note è il monocorde (Tav. LV): cioè una semplice scatola risuonante che porla
EDUCAZIONE MUSICALE 49;
distesa una corda. Il primo esercizio è quello dell'accordatura, con una nota
dei prismi risuonanti (do). A tal uopo esiste una chiavetta con cui si può
stendere e allentare la corda stessa. C'è poi da apprendere il maneggio
dell'archetto di violino o di una semplice penna da mandolino; ovvero il
bambino può imparare a pizzicare la corda, come si fa nelle lire e nelle arpe.
In uno dei monocordi le note sono segnate da asticine trasversali fisse,
e il loro nome è stampato negli spazi corrispondenti. Ma nell'altro monocorde
non c'è traccia di note, e il bambino deve saper trovare da sé a orecchio
le distanze nelle quali esse si producono: piccole asticine mobili servono al
bambino a segnare i punti ch'egli trova come producenti una nota determi-
nata: e tali segni sensibili lasciati da lui, possono servire di controllo.
Anche piccole canne a flauto, molto armoniose, attraggono i gusti mu-
sicali del bambino (Tav. LVI).
Comporre le scale, udirle, ecco un vero esercizio di educazione musicale. La
stessa melodia, scala maggiore, si ripete in toni diversi. Ascoltarla attentamente,
ripeterla, osservare quali note la compongono, ecco un esercizio simile a quello
dell'audizione della nota, ma assai superiore.
È da questo esercizio che si dovrà prendere il volo verso la compren-
sione della melodia.
Affinchè l'ascoltare la musica sia un fatto intelligente, e non simile a
quello dei bambini che leggono forte i libri senza capire, con voce stentorea
e senza alcuna penetrazione del significato, occorrono esercizi di preparazione:
queste audizioni delle varie'scale per la conoscenza del tono, e le audizioni
che i nostri bambini fanno per la interpetrazione del ritmo.
ESERCIZI RITMICI.
Una delle più riuscite applicazioni è stata l'esercizio primitivamente
ideato per aiutare il perfezionamento della deambulazione nei bambini, cioè
quello di « camminare sul filo ».
È noto come nella prima parte del metodo esistesse tra gli esercizi di
educazione motrice, quello di camminare mettendo i piedi disposti per lungo
su una linea disegnata in terra, come fanno i funamboli. Ciò aiuta molto a
stabilire l'equilibrio, e quindi a raddrizzare la persona e a renderla più libera
e disinvolta nell'andamento.
La signorina Maccheroni ha iniziato i suoi esercizi ritmici, accompagnando
il cammino dei bambini con la musica suonata al pianoforte. Questo anzi
divenne il segno di chiamata dei bambini a tali esercizi: la maestra suona,
e allora i bambini vengono spontaneamente a « disporsi sul filo » quasi tutti.
4^4 PARTE SECONDA
Nei primi tempi la suonata è puramente un segnale e, certo, un accom-
pai;namonto piacevole all'esercizio motore. Ma non si rileva alcun accordo
tra il movimento del bambino e il ritmo musicale. Ripetendo però le stesse
battute per molto tempo, viene lentamente ad iniziarsi il fenomeno: qualche
bambino comincia ad accordare il passo al ritmo. Ci sono molte differenze
individuali, ma, insistendo con la stessa musica, quasi tutti i bambini fìni-
■^cono per essere sensibili al ritmo. Allora si svolgono nella persona infantile,
dello " attitudini « generali del corpo in rapporto alla musica, che sono di
un grande interesso. In primo luogo i bambini cambiano l'andamento, secondo
la musica: il cammino leggero, il cammino marziale, la corsa, «nascono » dietro
la spinta ritmica: cioè la maestra non '« insegna » al bambino a risponderò
alla musica con un diverso modo di camminare; ma il fenomeno si svolgo
■spontaneamente. Ed ecco che il bambino « interpreta » il ritmo e vi corri-
sponde col movimento. Perchè ciò avvenga, è necessario che la maestra suoni
perfettamente, seguendo tutti i particolari di punteggiatura; ò il sentimento
o la rigorosa diligenza ch'essa pone nell'esecuzione, che « farà nascere » mi
bambini il sentimento musicale.
Ma ò importante aggiungere qui qualche particolare sulla esecuzione
di questi primi esercizi ritmici.
I bambini cominciano, dunque, imparando a camminare sul " filo » : ossi
amano di camminare sopra quella linea attratti da xm fascino sconosciuto a noi
adulti, come meditando. Questo è il momento di mettersi al piano e, senza
nulla dire, suonare la i* melodia della nostra serie. I bambini sorridono,
guardano, continuano a camminare e rientrano in un raccoglimento ancora più
profondo.
La melodia, come voce che persuada, conduco a prenderò in considera-
zione i tempi e un poco alla volta i piccoli piedi Vanno a posarsi sul filo « a
tempo di musica ». Ci sono bambini di tre anni che camminano a tempo fino
dalla prima o seconda audizione. Certo, dopo poche audizioni tutta una classo
di 40 bambini cammina a tempo.
È importante notare come è un'errore il suonare battendo forte il tempcj,
ossia suonando forte la nota che cade sulla divisione del tempo. Si devo
suonare con tutta l'espressione che la melodia richiede, sicuri che la cadenza
ritmica si fa manifesta appunto dalla melodia stessa. Suonare una nota più
forte delle altre solo perchè su di essa cade l'accento ritmico, è togliere al
brano tutto il suo valore melodico e quindi anche il potere di provocare una
reazione motrice in rapporto al ritmo. È necessario suonare con esattezza,
con sentimento, cioè con una interpretazione quanto è possibile, buona. No
risulta allora un « tempo musicale » che come ognuno sa, non è il « tempo mec-
oanico " del metronomo. Se è semplicemente assurdo suonare col metronomo
un notturno di Chopin, è (certo assai meno, ma sempre assai) antipatico suo-
nare col metronomo anohe un ballabile. Chi appunto avendo una grande
EDUCAZIONE MUSICALE 495
rapacità di sentire la esattezza del « tempo » suona con speciale riguardo a
tale esattezza, sa che però non può seguire il metronomo senza soffrire!
I bambini sentono il ritmo di una musica suonata con sentimento musi-
cale; e non solo col passo seguono il tempo, ma con tutta l'andatura della per-
sona vanno da un tempo all'altro portati dalla frase melodica che svolgendosi
poggia, come su sostegni, sui tempi componenti la battuta. Ecco perchè questo
esercizio è un'altra cosa da quello di far camminare i bambini a tempo di
battuta di mani, ecc., o ^1 comando di un!... due!...
Una bambina di io anni danzava al suono di un valtzer di Chopin suonato
con le più larghe concessioni ai « rallentando » o « affrettando » e alle corone;
essa trovava nei suoi movimenti •■.n'ampiezza corrispondente a quella che un
marcato « rallentando » concede alle note... Questo modo di danzare richiede
una perfetta, intima corrispondenza con la musica; ed è ciò che i bambini,
anche piccolini, posseggono in alto grado e sviluppano camminando a lungo
e indisturbati al suono di una melodia che si ripete. Ed è interessante vedere
come essi prendono un andamento totalmente conforme all'espressione della
musica che seguono: un piccolino di tre anni alla i^^ melodia teneva le mani
con le palme vòlte verso terra e camminava flettendo a ogni passo le ginocchia
molleggiando così sulle gambe con leggerezza ; e al passare dalla i^^ alla 2^
melodia, non soltanto la velocità del passo cambiava, ma l'atteggiamento
di tutta la persona. Ciò è cosa minima come fatto esterno; ma grande come
fatto interno, poiché questo cambiare di atteggiamento costituisce un fatto
artistico. È una interpretazione sincera di cui può andar fiero il compositore
se realmente il linguaggio musicale è una delle piiì delicate maniere di tra-
smettere il sentimento.
La 2* melodia della nostra serie è un andante, un po' staccato: la prima
è lenta e legata. I bambini sentono il legato, cui corrispondono con movi-
menti posati; lo staccato li fa sollevare da terra; il crescendo accentua i loro
passi, fa battere i piedi sul pavimento; i\ forte li porta a battere anche le mani,
il calando li riporta al passo silenzioso che durante il piano raggiunge un
silenzio ideale. La risoluzione della frase musicale li ferma o li tiene sospesi
fino a che giunge la ripresa o la fine e allora si fermano d'un tratto.
Beppino, di tre anni, batte il tempo con l'indice della mano destra, teso;
la musica (una canzone) ha due parti che ripetutamente si alternano, una
legata e una staccata; ed egli muove la mano con moto uniforme al legato,
e a scatto allo staccato.
Quaranta bambini camminano pianissimo durante una musica suonata
pianissimo. Gli stessi bambini il primo giorno che sentirono il piano, dicevano
alla maestra: suona forte! non si sente; eppure allora la maestra non suonava
pianissimo, ma mezzo forte!
Dapprima, i bambini interessati alla i" melodia, sono « sordi » alle altre.
I bambini della scuola dell'Umanitaria in Via S. Barnaba a Milano, arrivati
4Q<' PARTE SECONDA
a uniformarsi alla i» melodia non si accorgono che la maestra suona la 2» e
conservano cosi bene il passo che la maestra, tornando a suonare la i*, si trova
in accordo con il loro passo, mentre sui visi dei bambini fiorisce un sorriso come
1 voce di persona conosciuta!
Con tentativi così discreti, la maestra senza turbare i bambini scopre il
momento in cui essi hanno pronto l'orecchio a una nuova melodia, e se anche
sono pochi a seguire le due prime melodie, la maestra contenta questi pochi
alternando le due prime melodie, senza disturbare gli altri che a poco a poco
come svegliandosi vengono ad avvertire i cambiamenti di musica e a unifor-
marvisi.
In un asilo comunale di Perugia fu fatto all'improvviso da una visitatrice,
che poteva prendersi questa libertà, un tentativo di questo genere : i bambini
furono condotti nella grande sala dell'esperimento finale e lasciati liberi
"mentre veniva suonata al piano la 3» melodia, la marcia. I più grandi vi si uni-
formarono subito. Fu suonato, dopo qualche tempo ch'essi marciavano, il
^alop: ci fu un momento di indecisione in alcuni, mentre altri non si accorsero
del cambiamento di musica. Ad un tratto due o tre si gettarono nella corsa come
abbandonati all'onda musicale, come portati dalla musica, così che ap-
pena toccavano quello stesso suolo, su cui poco prima la marcia pareva at-
taccarli a ogni passo. Una parte dei bambini di questa classe si era seduta
sui banchi a gradinata: erano i bambini più piccoli, ed essi salutarono con un ca-
loroso battimani questa corsa vittoriosa! Ciò sgomentava le maestre, ma era
certo molto bello!
Perciò, dire ai bambini: saltate, correte, marciate, è rendere inutile
il suonare. Delle due cose una: o suonare o comandare. Anche quando
si fa l'esercizio della lettura dei cartellini non si dice al bambino la
parola che deve leggere. Non comandi, non falsa accentuazione delle
note, non posizioni imposte. La musica, se si vuol credere ch'essa esiste
ed è un linguaggio espressivo, consiglia tutto ai bambini liberi, ritmo e
interpretazione del pensiero musicale con atteggiamenti e movimenti del
corpo e dell'anima!
Nannina (di quattro anni) allargava graziosamente la sua ampia vestina
tenendo le braccia mollemente abbandonate lungo il corpo, piegava un poco
le ginocchia, gettava la testa indietro e volgendo il suo soave visino mandava
dei sorrisi a chi le stava dietro, quasi estendendo la sua amabilità anche
dietro di sé.
Beppino (di quattro anni e mezzo) sta con i piedi uniti, fermo in mezzo
all'ellisse disegnata in terra su cui camminano i bambini e segna il tempo
della prima melodia col braccio tesO; abbassando la persona in un corretto
inchirfo a ogni tempo: questo abbassarsi e alzarsi del busto riempie esatta-
mente lo spazio tra un tempo e l'altro, ed ha una espressione perfettamente
concorde con quella della melodia.
EDUCAZIONE MUSICALE 497
Nannina, la stessa gentile bambina di cui si è parlato prima, al suono
di una marcia militare, irrigidisce la persona, fa il viso scuro e cammina
duramente.
Intervenire con opportuna lezione per il perfezionamento dei movimenti
è invece cosa che fa felici i bambini. Erminia, Graziella, Peppinella, Sofìa,
Amelia si abbracciavano con entusiasmo tra loro e abbracciavano la maestra
per avere imparate alcune mosse di una danza ritmica.
Otello, Vincenzino, Teresa, avendo ottenuto un migliore effetto dai loro
colpi di tamburello, dai lorc%passi e gesti, ringraziavano la maestra che li
aveva aiutati con opportune lezioni: Vincenzino, dandole un brillante sguardo
allorché nel camminare le passava vicino; facendole, Teresa, una furtiva ca-
rezza con la mano e Otello facendo una piccola corsa, staccandosi cioè dal
filo e stringendosele vicino per un breve momento.
Se fu rispettata la spontaneità d'ogni bambino, se cioè ogni bambino
potè prepararsi secondo la sua via, ascoltare le melodie, seguirle col passo e con
liberi movimenti, interpetrarle ; se ognuno potè penetrare indisturbato nel
cuore di questo bellissimo fatto che è la comprensione del linguaggio mu-
sicale, allora è facile alla maestra che ha, p. es., 40 bambini di tre a cinque
anni e mezzo e non ha altro aiuto che una custode ed ha magari un appar-
tamento intero anziché una sala chiusa, mettersi al piano e insegnare a
otto bambini un ballo lungo ed esatto, come, per esempio, i Lancieri, in
cinque quadri.
Ed allora, come appunto il maestro d'orchestra che ha preparati i suoi al-
lievi, la maestra con un minimo lavoro ottiene quell'effetto dei balH, ecc., che
sta tanto a cuore generalmente alle maestre. Allora: marcie, contro marcie,
intreccio di file di bambini, movimenti simultanei, alternati, tutto si ottiene
con perfetta esattezza, dato che ogni movimento corrisponde esattamente
allo svolgersi della melodia.
Per esempio, dei bambini camminano a due a due tenendosi per
la mano durante il suono di una breve melodia, e al finir di questa essi
lentamente si pongono in ginocchio, di maniera che il suono dell'ultima
nota li trova nell'atto di giungere col ginocchio a terra, pianamente.
Questa simultaneità preparata dallo svolgersi della melodia raggiunge una
e^ ittezza soave.
L'effetto di questi esercizi nei bambini è infine una calma di tutta la
1 i-nna, una calma interna dell'animo.
Quando i bambini di una scuola allora apertasi in Milano (1908) reagi-
v.mo al suono del piano saltando disordinatamente e agitando braccia, spalle,
gambe, quasi a rappresentare in un caos il complesso dei movimenti rit-
mici, essi tentavano, senza una guida, l'interpetrazione musicale; ma fini-
rono col fermarsi: dissero che ciò era brutto. Però avevano intui^to la pos-
sibilità di una ordinata reazione motrice e stando fermi ascoltavano con
4()S PAKTK SKCONIIA
multo Ulti rossi', attoiidovano la rivelazione del gran segreto. Ed ecco che si
mossero poi di nuo\o per camminare semplicemente a tempo.
Riziero (la cui grafica era press'a poco questa:
/?
cioè riposante sulla linea di quiete e con frequenti escursioni nel campo
negativo) non prendeva parte agli esercizi ritmici, anzi li disturbava,
molestando i bambini, o facendo rumore. Ma imparò a non disturbare, ossia
a star quieto, ciò che realmente non sapeva fare: star quieto, fermo, in uno
stato d'animo dolce, mite, è una grande conquista per un bambino disordi-
natissimo. Dopo ciò imparò a muoversi delicatamente, con rispetto agli
altri, ed ebbe un'espressione delicata di riguardo verso i compagni: p. es. arros-
siva se essi gli sorridevano, e anche senza prendere parte ai loro esercizi,
vi partecipava con una tenera attenzione. Da questo punto Riziero entrò
in una forma di vita superiore: di ordine, lavoro, gentilezza.
Anche il fatto che i bambini ascoltano talvolta la musica stando
seduti comodamente intorno alla sala e guardano gli altri bambini che
camminano, danzano, ecc., è un fatto grazioso. Questi bambini seduti
stanno composti, osservano i compagni, dicono fra loro discretamente qualche
parola o anche si abbandonano all'interessante espressione di movimenti con
le braccia!...
Tutto ciò in condizioni di calma e di interesse che non possono disgiun-
gersi da una eccellente formazione, da un simpatico ordine che si stabi-
lisce in loro.
Evidentemente una corrispondenza mirabile nasce tra la maestra che,
commossa, trepidante, eseguisce con tutte le abilità della mano e le potenze
dell'animo suo, perchè sente svolgersi intorno a sé il fenomeno musicale nei
bambini, e i bambini che, a poco a poco, si trasformano sotto tale influenza
e dimostrano una comprensione sempre più intima e completa della musica.
Non è più solo « il passo », è l'attitudine di tutto il corpo che vi corri-
sponde: le braccia, la testa, il busto, sono « mossi » della musica.
Infine molti tra i bambini «battono il tempo» con segni della mano, e
interpetrano giustamente, senza che nessuno abbia loro insegnato la divisione '•
del tempo a 3 a 4, ecc. Quando si sveglia il vivo interesse a « indovinar^
il tempo » i bambini cercano degli oggetti: bacchette, tamburelli, nacchei
e l'esercizio collettivo si stabilisce perfettamente. Il bambino « è preso da
musica ». Egli obbedisce col corpo all'ordine musicale, e sempre più si per
feziona in tale obbedienza dei suoi muscoli.
Ecco un grazioso aneddoto che dimostra fino a qual punto i bambini
sentano dipendenti » dalla musica che li fa muovere.
EDUCAZIONE MUSICALE 499
Una volta mio padre entrò in una sala ove una piccola bambina parigina,
che egli amava molto, stava appassionatamente marciando al ritmo di una
suonata al pianoforte. La bimba era solita di correre incontro a mio padre:
e quel giorno, appena lo scorse, si mise a gridare verso la signorina Maccheroni
che suonava: « arréte! arréte », perchè essa voleva salutare mio padre, ma
(> non lo poteva » fin che la musica continuava a « comandare » al suo corpo
di muoversi secondo il ritmo. Infatti solo quando la signorina Maccheroni
cessò di suonare, essa corse a salutare mio padre.
* * *
Noi abbiamo sperimentato una serie di suonate e credo utile riportare
quelle scelte definitivamente, perchè esse hanno corrisposto, ovunque sono
state provate, al fine di provocare i suddetti fenomeni nei bambini. Sono
poche battute scelte da sei noti brani di musica: quelle poche battute, ripe-
tute ciascuna più e pivi volte e suonate con la maggiore esattezza, saranno
certo sentite nel loro ritmo, o prima o poi, dai bambini.
Il passaggio dal seguire il tempo ad i (ossia un colpo per ogni tempo) al
segnare la battuta (ossia un colpo sul primo tempo) venne perla prima volta
in una « Casa di Bambini « diretta dalla sig. Maccheroni in una mattinata
in cui i bambini seguivano molto hetamente la musica camminando e bat-
tendo sui tambureUi. Fu una bambina ad accennare la battuta. Il bambino 0,
che le era dietro, immediatamente dopo fece la conquista; e mentre la bam-
bina perse subito questo privilegio, 0 lo perfezionò. Dopo, altri bambini fecero
questa conquista come per una economia di forze: prima battevano un colpo
ogni tempo in un movimento veloce, ed era una rapida successione di colpi;
ad un tratto batterono un colpo solo sul primo tempo della battuta.
Volendo indicare così un tempo * :
I r I I I I I I I \ \ I
i bambini in principio segnano il tempo, senza riguardo alla battuta, così:
I I I I I I I I I I I I
Ma viene il momento in cui, d'un tratto, sentono la battuta; e quindi
lo segnano:
cioè i loro movimenti corrispondono soltanto al primo tempo della battuta.
Maria Louise (di quattro anni appena) camminava al suono di una
marcia ^ suonata molto leggermente. A un tratto essa grida alla maestra:
500 PARTE SECONDA
Rfgard, rcgard camme je Jais! Essa faceva un p.issn saltata e sollm'ava
graziosamente le braccia sul primo tempo della battuta. lùl eia stianidina-
riamente felice e graziosa!
È abitvidine di chi vuol « far capire » la divisione del tempi>, di suonare /or/c
il tempo chiamato in teoria « tempo forte », appunto il i» tempo d'ogni bat-
tuta; talché si può sentir dei maestri di bambini o di giovanetti suonare una
melodia facendo esageratamente forte il i° tempo e pianissimo i tempi suc-
cessivi. Naturalmente la reazione motrice è corrispondente: vibrata per le
note forte, leggera per le note piano. Ma che valore ha ciò in rapporto alla
compren'iionc della divisione del tempo? Certo nessuno!
Quello che la teoria chiama tempo forte e tempo debole, non è in rapporto
al forte e piano nel senso comune e materiale della parola: si tratta di un
forte enfatico, espressivo, di un forte che ha la sua ragione nelle leggi del tempo
musicale, della composizione melodica e non nel polso di chi suona. Se cosi
fosse, ecco che sarebbe arbitrio di chi suona fare forte il !<> o il 2° o il 3» tempo
della battuta, mentre invece è il 1° che è forte.
In realtà, bambini a cui furono suonate le sei melodie proposte per l'inizio
di questo studio, e sempre suonate con rigorosa interpretazione musicale e con
espressione, riuscirono a sentire come tempo forte il 1° della battuta, e a divi-
dere così in battute circa 30 pezzi di musica di varie misure; e, anche l'annn
successivo (dopo le vacanze estive), chiedevano sempre nuova musica per
il gusto di scoprirne la misura. Essi si mettevano a lato della maestra che
suonava, e con gesti delle mani, o con discreti colpi di nacchere o di
tamburelli, accompagnavano ogni nuova musica. In generale essi ascolta-
vano in silenzio la i* battuta eppoi entravano con i loro piccoli colpi,
come orchestra ben addestrata. Essi non si curavano allora di cammi-
nare; e godevano di questo loro studio, mentre i piccoli, lietissimi di questa
musica, camminavano indisturbati su quel filo che doveva condurli a più
grandi conquiste.
Il tempo forte è la rivelazione di leggi superiori; esso è talvolta suonato,
per ragioni d'espressione, assai piano ed ha sempre la solennità del tempo
dominante il ritmo e può essere anche sincopato, mancante; così come l'ora-
tore giunto al momento solenne dice piano la frase che impressiona o anche
fa una pausa, tace: essa risuona fortemente nell'animo di chi ascolta.
Lo stesso errore che conduce a suonare forte il 1° tempo d'ogni bat-
tuta affinchè i bambini lo prendano in considerazione, conduce anche a con-
sigliare ai bambini dei movimenti secondari oltre al movimento principale
che segni il primo tempo; i bambini devono fare allora p. es. 4 movimenti
per un tempo * : movimenti in aria per i tempi secondari e un movimento
più energico per il 1° tempo. Questo fa che l'interesse alla successione dei
movimenti tolga l'attenzione dal fatto importante che è sentire il valore
del 1° tempo. Bambini che sentono il tempo forte perchè chi suona lo
EDUCAZIONE MUSICALE
5^1
-nona forte; e che vanno da un tempo forte al tempo forte successivo
condotti da una successione di movimenti, non seguono, evidentemente,
la melodia. Una bambina preparata con tali procedimenti si trovava (avendo
sbagliato a segnare il tempo forte) a perseverare costantemente nell'errore,
condotta dai suoi quattro movimenti. È un poco come la presentazione del
cubo o del triangolo fatta a bambini di tre anni dalla maestra, che ne enumera
i lati, gli spigoli, gli angoli, ecc. In realtà i bambini non riconoscono il trian-
golo o il cubo.
I nostri bambini vengono poi ad accennare con movimenti leggeri i
tempi secondari, così:
1 — \ — r
T~i r
1 — i — r
1 — \ — r
e poi li contano; ed eccoci arrivati a quello che è il punto di partenza dei metodi
comuni: contare 1234 per andare a tempo.
Come un'applicazione pratica della conoscenza già acquistata della divi-
sione del tempo in battute, viene poi l'esercizio di suonare le scale col
tempo 2, 3, 4 e con le terzine.
La scala, che è il tipo classico della melodia, si presta bellamente a queste
interpetrazioni varie con varie misure. Chi non ha passato delle ore al piano
suonando scale e trovando deliziosa questa varietà? la stessa scala di do
p. es., suonata così:
^
^
^
^
e suonata cosi:
^^jjJUrrurm-Trm^
^g
^jj^A^ r^^ff^
PARTE SECONDA
Il piccolo pianoforte (i) può servire a questo esercizio. Ma giova far pre-
■edere l'esercizio più facile per i movimenti delle dita e la posa della mano.
fe
i j Ij vlOir^^
ì
^M
^m
j
^^^^^^
^
^pg^
^''^sii\i^ilJ7^^^jì
I bambini che sono giunti a riconoscere e a dividere la melodia in battute
e la battuta in 2, 3, 4... capiscono con grande semplicità i valori delle note.
Basta far sentire al bambino ogni esercizio prima, ed egli lo ripete esattamente
venendo così a scomparire ogni arida spiegazione circa i « valori » musicali.
La scrittura:
^^^p^^fPffl^^ì J-JTj iìD-^^
-©-
non presenta una speciale difficoltà se la frase viene prima fatta udire.
(i) Vedi la figura nel mio manuale pratico, nell'edizione inglese già citata, o ntl-
l'edizione spagnuola (Manuale pratico del Metodo Montessori, Barcelona. Araluce, 1915).
EDUCAZIONE MUSICALE
per es
50:
A questo punto si suonano degli esercizi per l'analisi della battuta,
Jrrri '^ -4
E^
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^^
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"cr
j j j jj ^g=i[rr rri '^
^^
f=f??
^^
^
-e>-
I bambini seguono questi esercizi camminando in modo da fare un
passo a ogni nota. Anche bambini di quattro anni, preparati con gli eser-
cizi precedenti, riescono a seguire questi esercizi interessandosi vivamente
alla nota lunga che H tiene fermi nella posizione di un piede avanti sul
filo e l'altro indietro pure con la punta sul filo, come accade a chi si ferma
prima di portare avanti il piede che è ancora indietro (Tavola LVII).
E siccome i bambini già sanno leggere la musica, si sospende innanzi
a loro un cartone verde (simile anche nelle dimensioni ai righi musicali a
•ARTE SEC<^N.DA
loro noti) SU cui è scritto l'esercizio elio vìmc suonato al piano dalla m;
stra o che essi eseguono sul filo. Esempi :
^1-^ bibi^J
E ancht
r^ ijiJjjijijjijiJiiJM'iii
i^j 1 .1 Ifi-U \ff\ f \:r\=F^t^W^
é
t^-MjJlJIJilJIJjlJljjl^
E anche si suonano semplici melodie, come (i)
è
I j j J |Jr j-|;j j_| jj j
Si capisce che prima o poi i bambini fissano l'attenzione sulla diversa
forma delle note e scoprono il fatto che qxiesta. diversa forma è in rapporto
con il diverso valore della nota :
o' J i
Allora è il momento di dare con brevi spiegazioni la lezione sul \
lore delle note. Dopo ciò il bambino può " scrivere » a memoria una se
(i) Melodie composte dal prof. Jean Gibert della Scuola elementare Montessori di
Barcelona.
EDUCAZIONE MUSICALE 505
plice melodia che la maestra abbia prima suonato al piano: quasi sempre
il bambino la scrive con esattezza, dando prova di avere conoscenza dei varii
valori musicali usati in tale melodia. Il bambino si serve per questo eser-
cizio di una grande tavola verde contenente varii « righi musicali n su cui
si possono fissare a piacere delle note mobili, munite di una punta che si
affonda nel legno.
I bambini scrivono poi sul loro quaderno i semplici esercizii per l'ana-
lisi della battuta trasportati 'ffei varii toni, dopo essersi esercitati a suo-
narli col sistema delle lastrine.
Gli esercizii per l'analisi della battuta sono così semplici che i bam-
bini stessi hanno imparato a suonarli sul pianoforte; ed allora è accaduto
che la classe è andata da sola nella sala del piano: un bambino si è
messo a suonare e gli altri hanno seguito la musica sul filo.
I bambini camminando cantano poi le scale e le facili melodie, delle
quali arrivano a riconoscere le note, dicendo il nome delle note : ma essi
addolciscono così la voce fino a darle un'espressione che si può dire arti-
stica. Quando è il maestro che suona, la musica riveste il fascino dell'ar-
monia giacché il maestro può suonare, invece della semplice scala, gli ac-
cordi relativi, ciò che dà una pienezza vigorosa e dolcissima alla scala.
Questi esercizi per l'analisi della battuta sono stati anche utilissimi
per la loro applicazione ad esercizi ginnastici. I bambini li hanno seguiti
con movimenti ginnastici, con i movimenti, per es., del Dalcroze che si adat-
tano alle varie misure 74. .'A. ^U- ^cc, e che hanno una bellezza estetica.
Si è trovato che tali movimenti riuscivano per la loro complessità diffi-
cili a chi ancora non era sufficientemente esercitato nella interpetrazione
del diverso valore delle note — e invece riuscivano facilissimi a chi ormai
sentiva chiaramente questi diversi valori. Si è così avuta una chiara espe-
rienza che la preparazione sensoriale deve precedere; e che la difficoltà che
può incontrare in questi esercizi dei movimenti il Dalcroze, dipende da una
insufficiente preparazione sensoriale.
Analogamente si possono illustrare i diversi particolari della scrittura
musicale: la nota puntata, •
r
il legato, lo staccato, ecc.
50b
PARTE SECONDA
Sia esempio di un effetto di « legato
h- ijn ^jA>ifiii*^i\m^,ìv
httjn^U^^-^oj^mU^m
^fsQ'(s.\'^^0'-^\'^^^U00
(Sonnambula. Quintetto).
Questo esempio, che prende tutto il valore espressivo dalle legature,
dimostra anche il valore delle note:
r = cr
Occorre peraltro una raccolta di brani di musica, in cui il valore delle note
sia evidente, chiaro, di modo che i bambini vengano a conoscere i valori di-
versi; conoscenza che deve essere fatta « con l'orecchio ascoltando la musica »,
non con l'occhio guardando segni, mentre qualcuno li spiega.
La nota *j^ ha sempre un contenuto musicale diverso dalla nota '/,6- Un
pezzo musicale composto di note che valgono '/,j o '/jj ha un carattere
proprio: allegria o agitazione; e un pezzo composto di note '/^ o *|^ è solenne,
religioso, mesto o grandioso.
Lo stesso dicasi di ogni segno musicale il cui valore è espresso dalla nota
suonata con quel valore e con quel segno.
Qualcuno crede che suonando pei bambini, e perciò copiando della musica
destinata ai bambini, si possano sopprimere i segni musicali d'espressione, che
corrispondono, p. es., alla punteggiatura di un periodo; ma ciò toglie ogni valore
alle note. Per es. il legato e lo staccato determinano reazioni motrici diverse, e
i segni che denotano la differenza: ^-^"^^ e • hanno perciò il massimo valore.
I fanc iulli riescono assai facilmente a leggere e ad usare i segni accessori
della scrittura musicale, dei quali conoscono tutto il valore per averli sen-
titi. Non è stato neanche necessario avere tali segni come « oggetti sensibili »
quali: bacchettine da porre sul rigo di legno per dividere battuta da battuta,
parentesi, frazione del tempo, ecc. Benché noi U avessimo fatti fabbricare,
finimmo coH'abolirli, perchè essi riuscivano oramai d'ingombro.
EDUCAZIONE MUSICALE
507
Invece abbiamo trovato una grande corrispondenza verso i nostri car-
telli colorati, grandi, di un solo rigo, già descritti, ove si scrivono delle battute,
che i bambini leggono con un gusto speciale, eseguendo sui campanelli. Esempi
vedi figg. 47, 48 e 49.
a . ^.^ , ^ , V
-:ifl
3
^ii
^S
^ì=tì
V
I
jsg j ij ;jI;ìq]j:jjh j Ij Jjìjjpnì
Con ciò è aperta la via a un vero insegnamento musicale.
Una volta la signorina Maccheroni, mentre stava eseguendo le solite suo-
nate ritmiche, riprodusse una suonata melodiosa e religiosa «O Sanctissima x
che i bambini sentivano per la prima volta. Allora i bambini si staccarono dal
filo e le vennero tutti intorno al pianoforte per ascoltare: due o tre bambinette
s'inginocchiarono in terra, e altre si misero in pose plastiche con le braccia,
rimanendo immobili. Ciò fece comprendere la loro sensibilità alla melodia:
essi non si sentivano mosse a marciare, ma a pregare e ad assumere pose.
Non abbiamo ancora potuto sperimentare completamente, in modo da defi-
nire con precisione un n materiale musicale », adatto ai bambini secondo l'età;
ma si è già largamente tentato con successo di far gustare ai bambini la melodia
e l'espressione sentimentale della musica. È indubitata la praticità e opportu-
nità di «audizioni musicali» o, se si vuole, di « concerti pei bambini », graduati,
eseguiti con istrumenti vari, ma separatamente; e specialmente riprodotti
dalla voce umana bene educata al canto.
Se degli « artisti » venissero analizzando ai bambini il linguaggio della
musica, facendola gustare frase per frase sotto diversi timbri, questa nuova
applicazione « scientifica » dell'arte, sarebbe una vera benefattrice dell'uma-
nità. Quanti uomini abili a gustare profondamente la musica, verrebbero
preparati nell'avvenire, nelle assemblee di piccoli intelligenti di musica,
the seguono appassionatamente le più espressive melodie, in un silenzio così
assoluto come nessun artista celebre può oggi sognare di ottenere in un'as-
semblea di adulti! Nessuno tra quegli uditori è lì freddo, lontano col suo
pensiero: ma dai \olti commossi trasparisce l'intcrmi lavorio di un'anima che
fausta un nettare necessario alla sua vita. Quanto volte una posa plastica, un
lanciuUo inginocchiato, un viso estatico, toccheranno soavemente il cuore di
un artista, come oggi non possono toccarlo gli applausi d'una folla, spesso
indifferente o distratta.
Solo chi, spesso, ferito nel cuore dalla difficoltà di essere compreso da
altri uomini, o disanimato dalla freddezza e grossolanità altrui, o i>ppresso
dalla disillusione, o in qualsiasi modo dolorosamente solitario e bisognoso
di espansione, ha sentito nella musica la voce che apre le porte del cuore,
e fa scaturire un benefico pianto o solleva lo spirito in un alto conforto,
solo questi potrà comprendere come la musica sia una compagna necessaria
all'umanità. Noi oggi crediamo che la musica sia una indispensabile riani-
matrice pei soldati che vanno a morire; ma quanto più essa sarebbe una
rianimatrice per tutti coloro che devono vivere!
Questa convinzione è già nel cuore di molti : infatti si cerca di mettere
a portata del popolo la musica, coi concerti nelle pubbliche piazze, o col
rendere sempre più accessibile a ogni classe sociale le sale di concerti.
Ma tutto ciò non sarebbe forse come mettere in circolazione delle edi-
zioni popolari di Dante, in un popolo di analfabeti ? È l'educazione che
occorre prima: senza essa, ecco un popolo di sordi, cui è negato ogni godi-
mento musicale. L'orecchio non sa percepire e apprezzare i suoni sublimi
che poniamo alla sua portata; ed ecco che mentre la musica di Bellini o di
Wagner suona sulle piazze, le osterie sono egualmente piene.
Se invece crescesse un popolo da questi nostri bambini, basterebbe
percorrere la strada con una musica elevata e tutti le terrebbero dietro;
si vuoterebbero i luoghi ove oggi l'uomo rozzo e abbandonato cerca
godimenti, come un cane randagio cerca di che nutrirsi frugando in un
mucchio d'immondizie; e quasi un'incarnazione del simbolo di Orfeo, si ve-
drebbero i cuori che oggi sono di pietra, attratti e animati da una sublime
melodia.
IL CANTO.
11 canto ha avuto il suo punto di partenza dalla scala. Cantare la scala
accompagnandosi con i campanelli prima, e poi col piano, è un primo e
grande godimento per i bambini. Cantare la scala piano piano, cantarla
forte, tutti insieme, uno a uno; cantarla divisi in due gruppi, e alternan-
dosi le note da un gruppo all'altro...
Tra i canti proposti ai bambini ha avuto il miglior successo il canto
gregoriano sillabico.
EDUCAZIONE MUSICALE
501)
Esso rassomiglia a un parlare perfezionato, ha la stessa intonazione del
discorso, la stessa soavità di una frase detta bene ed ha la piena rotondità
della frase musicale. Gli esempi qui sotto riportati hanno quasi l'andamento
della scala.
Esempi: N. i.
É
cfio—'ux. te \joz,Ju oc òw tHZA.
'yu\ .Jy'Q/y
jAi «x/v^-vt -.^-ttu4^
^
JiA^-An. -Via — toò ivi Jacth-lc-€An 'oX.-Xb.-X.kx — ^
^
h — '— h
S
'itw-'ò.e £uxa-bd J«.-tM.— ^Aa— /ie4*a cli-'U.-'W-
; ; i j II j i ag
mJL-i
cka Lox — ò*<^ \^x.—^i\. \0
^
•IL-MAMn Via-Cu/^vl -OL-^O— XX'— AVIvaA LmaM. 'VW-'OO LiX/H — ti — .C^''
.t:i
5 IO PARTE SECONDA
Come queste, molte altre frasi di cauto gregoriano hanno fatto la de-
lizia dei bambini della Scuola Elementare Montessori di Barcelona, i quali
si interessavano poi vivamente a leggere questa semplicissima musica e a
suonarla sul piano, o sulle lastrine, o sul monocorde.
FRASI MUSICALI PER GLI ESERCIZI
RITMICI INIZIALL
Riporti. lUM qui per intero le frasi uuisicali da noi usale per gli eser-
cizi ritmici iniziali, capaci di provocare la sensazione del ritmo, e le rea-
zioni motrici spontanee al ritmo stesso, le quali costituiscono oramai nelle
nostre scuole un materiale stabilito sperimentalmente.
Rrani di musica da cui sono tolte le Jrasi: Reazione motrice che le frasi provocano :
1° «Ancora un bacio" mazurka, Bastia-
NELLi Camminano a passo lento.
2" «Si j'étais roi», Adolfo Adam. . . Camminano a passo andante,
j;" «Marcia Aquila», Wagner .... Camminano a passo di marcia.
4° « Galop », Strauss Corrono.
5° «Canzone popolare» Saltano.
6° « Pas des patineurs » Fanno il passo composto.
EDUCAZIONE MUSICALE
51
ANCORA UN BACIO
(Mazurka)
Bastianelli
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512
PARTE SECONDA
SI JTTAIS ROI
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EDUCAZIONE MUSICALE
513
MARCIA AQUILA
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514
PARTE SECONDA
EDUCAZIONE MUSICALE
515
GALOP
5i6
PARTE SECONDA
CANZONE POPOLARE
EDUCAZIONE MUSICALE
517
PAS DES PATINEURS
SlS
l'ARTl" SlUONUA
O SANCTISSIMA
a^^u.<iu
EDUCAZIONE MUSICALE
519
DEAR LITTLE CHILDREN <•
M_
Dear little children
Happy and ^ay
Happy at work and
Happy at their play.
Build a pretty tower
Or a long stair,
Matching pretty colois
Happy every where.
(i) Parole e musica di Miss Helen Parkhurst, già insegnante in
cana, ora ispettrice Jelle Scuole Montessori negli Stati Uniti d'America.
Scuola Norma
5ao PARTE SECONDA
LE AUDIZIONI MUSICALI.
La frase « O Sanctissima » è da noi considerata come introduzione
alle audizioni nivisicali. È quella frase che la signorina Maccheroni suonò
un giorno tra gli esercizi ritmici. Come si è detto, i bambini che erano abi-
tuati a cambiare forma di marcia mentre camminavano sul filo, ma a non
muoversi da esso, si staccarono tutti mettendosi intorno al pianoforte, immo-
bili, seri, intenti: mentre due o tre bambini si inginocchiarono e presero delle
pose plastiche.
È da questo fenomeno così interessante, che sorse in noi l'idea delle « au-
dizioni musicali », cioè di piccoli concerti per i bambini. I bambini a poco a
poco entrano mirabilmente nella interpretazione della musica. Dopo i ripetuti
esercizi ritmici, quando i bambini ne seguono bene le battute, ogni suonata
è loro accessibile; allora non sono più sole frasi che si suonano, ma pezzi di
musica intera. Così nelle audizioni, benché in principio occorra scegliere
delle frasi, a poco a poco i bambini entrano a gustare la bella musica, e ne ri-
conoscono il sentimento ch'essa esprime e che l'ha ispirata. Essi dicono,
per es., questa piange, questa prega, questa ride, questa grida.
Ma occorre la massima diligenza nell'esecuzione di questi brani. I bam-
bini sono un uditorio speciale che è qualcosa di più di quello che si chiama
un <i uditorio intelligente di musica ». Esso è l'uditorio nel quale si « deve
sviluppare l' inteUigenza musicale »; noi non dobbiamo agire soltanto per dare
un gradimento superiore, ma per creare sentimenti superiori. Perciò non sarà
mai troppo ciò che faremo pei bambini; i più grandi artisti e i più grandi ese-
cutori forse un giorno sentiranno come un privilegio « aver suscitato il primo
amore » per la musica nelle innocenti anime! e avere fatto della musica una
compagna dell'uomo, una protettrice e una consolatrice.
Ma anche non essendo grandi artisti e grandi esecutori, è però con tutta
l'anima e con tutta l'abilità di cui disponiamo, che dobbiamo farci porgi-
tori della musica ai bambini. Noi siamo i trasmettitori di uno stimolo sublime,
e dobbiamo esser compresi di tale missione.
I brani da noi usati con successo nelle audizioni musicali, sono stati
i seguenti, oltre al primo « O Sanctissima » e a un « Pater Noster» :
A) Racconti:
« Tacea la notte placida». Trovatore.
« Nella fatai di Rimini e memorabiì guerra ", Lucrezia Borgia.
« Regnava nel silenzio », Lucia di Lamermoor.
« Racconto di Azucena », Trovatore.
« A fosco cielo, a notte bruna », Sonnambula.
• Tutte le feste al tempio », Rigolelto.
(I Quell'uom dal fiero aspetto », Fra Diavolo.
EDUCAZIONE MUSICALE 52I
B) Descrizioni:
«Il chiaro di luna», Beethoven.
«Nevica; qualcunD passa e parla» (preludio del II atto della
Bohème), Puccini.
Preludio deir.4 ida, prima della romanza « Cieli azzurri ».
« Marcia trionfale» dell'Aida (che ha in sé il carattere della
scena cui appartiene). Verdi.
C) MciTivi passionali: ^
A llegria :
« Libiam nei lieti calici», Traviata.
« In Elvezia non v'ha rosa fresca e bella al par d'Alina », Son-
nambula.
«Sempre libera degg'io folleggiar», Traviata.
« La vaga pupilla » (coro di contadini), Faust.
Contentezza trepida:
«Rivedrò le foreste imbalsamate», Aida, Verdi.
Grido passionale:
«Amami, Alfredo», Traviata.
« Era desso il figliuol mio », Lucrezia Borgia.
A ngoscia :
« Mio figlio, ridate a me il mio figlio », Lucrezia Borgia.
« Infelice, il veleno bevesti ».
Minaccia:
« Bada, Santuzza, schiavo non sono », Cavalleria Rusticana.
Motivo seducente:
«La calunnia è un venticello». Barbiere di Siviglia.
« La Piovra», Iris
Pace e gioia sia con voi », Barbiere di Siviglia.
Grazie al ciel, per una serva», Fra Diavolo.
/
1 Permettereste a me », Faust.
Che gelida manina, se la lasci riscaldare». Bohème, Puccini.
PARTF. SECONDA
Ah perchè non posso odiarti, iufedol, com'io vorrei», Son-
ttavibula.
Mite dolore di sacrificio:
« Vecchia zimarra, senti », Bohème. Puccini.
Romanze di Mendelson.
Musica di Mozart.
Musica di Chopin.
D) Canzoni e danze regionali popolari.
I
; I
mm
Tavola LII (pag. 489).
Tavola LUI (pag. 489).
U^ - - - T • mi
««
Materiale per lo studio delle « scale maggiori >
Taxcia L\'. — Il monocorde (pag. 492).
ì
ixoi.A LVI. — Canne metalliche a flauto (pag. 493).
Tavola LVII. — Bambina nell'atto di eseguire un esercizio per
l'analisi della battuta camminando sul filo (Scuola Montes-
sori di Barcelona, Spagna) (pag. 503).
Tavola LVIII. ~ 11 sistema dei campanelli
LO STUDIO DELLA METRICA
NELLE SCUOLE ELEMENTARI
Uno degli studii originali che è stato fatto nel nostro esperimento, fu
quello della metrica, finora riservato solo alle scuole secondarie.
L'amore che i bambini hanno per la poesia, e la loro squisita sensibilità
al ritmo, mi fecero pensare che le radici naturali della poesia potevano tro-
varsi nei bambini. Per questo io accennai alla signorina Maria Fancello.
professoressa di letteratura e mia collaboratrice, di tentare questo studio.
Essa si mise all'impresa con bambini di differente età: e, dietro la mia guida,
fu possibile scoprire un campo di educazione altamente interessante, che ten-
derebbe a dare al popolo, il quale si prepara nelle scuole elementari, una base
letteraria e insieme una fonte di godimento atta a elevarlo intellettualmente.
Un popolo capace di gustare la poesia, di giudicare della bellezza del
verso, e quindi di mettersi a contatto con l'anima dei maggiori poeti, sa-
rebbe un popolo del tutto diverso dal nostro. Esso ci farebbe pensare alle
genti della favola antica, che, parlando in poesia e muovendosi al ritmo,
preparavano con la gentilezza una civiltà immortale.
Non sarebbe il caso di riportare qui^er disteso tutti i tentativi fatti
in questo esperimento: ma basti riassumerne i risultati, che, come indirizzo
e come materiale, potrebbero essere utilizzati da altri.
Quando i bambini sono alquanto avanzati negli esercizi di lettura, la
poesia, che già fino dalla Casa dei Bambini tanto li attraeva, può diven-
tare un materiale che soddisfa in parte la loro insaziabile volontà di leggere.
È un passo assai facile quello di offrire loro delle poesie a strofe di varia
lunghezza, divise in modo assai visibile l'una dall'altra; e di far contar i
versi, insegnando le due nuove parole « strofa », « verso ». È un riconosci-
mento di « oggetti » che ricorda un poco il primo esercizio di lettura, quando
i bam.bini mettevano un noìne sulle cose: ma lo ricorda in modo ridotto;
e nel tempo stesso c'è l'esercizio di contare i versi: è quasi un esercizio
riassuntivo di primitiva semplicità.
3.'b PARTE SECONDA
Contati i versi, potranno distinguersi poi le strofe secondo il numero
di essi in: terzine, quartine, mestine, ottave, ecc. Tale esercizio non rap-
presenta che una « messa in posizione » per prendere lo slancio.
Ecco il secondo passo che subito segue: riconoscere e notare le rime
uguali, sottolineandole sul foglio stesso con un lapis colorato: ad ogni rima
diversa usare un colore diverso.
Questo esercizio è graditissimo a piccoli bambini di sette anni: ma già
diventa un esercizio troppo semplice e privo d'interesse per bambini di
otto o nove anni: nel compierlo, bambini di sette e di dieci anni impiegano
presso a poco lo stesso tempo. (È forse utile notare come questi esercizi
si mostrano tests impareggiabili di esattezza per la misura del tempo di
lavoro). L'interesse nel piccolo bambino, e la mancanza d'interesse nel grande,
producono questo pareggiamento.
Già i bambini di otto anni, appena segnate le rime coi lapis colorati,
(anno un lavoro più complesso: contrassegnano con lettere d'alfabeto le
rime uguali: es, : aa, bb, ce, ecc.
Mettendo a sinistra i numeri ordinativi contrassegnanti le rime delle
strofe, si ha sul foglio il lavoro seguente:
1° Rondinella pellegr««a a
2° Che ti posi sul verone b
3" Ricantando ogni mattma a
4° Quella flebile canzone b
5° Che vuoi dirmi in tua fave/Za e
6° Pellegrina rondinella} e
Rimane evidente così la differenza tra rime alternate e rime baciate;
e la morfologia della strofa già apparisce con chiarezza.
Ripetendo la lettura dei versi, allo scopo di riconoscere le rime, i bambini
accennano all'accento del verso, in modo spontaneo. Ciò è conosciuto; anzi
le maestre, nell'insegnamento comune, si s|brzano di « correggere la canti-
lena » che i bambini fanno leggendo i versi. Questa cantilena è appunto
l'accentuazione del ritmo poetico.
Un giorno, un bambino, dopo aver letto per lungo tempo dei versi de-
casillabi, mentre aspettava nel corridoio della scuola il momento di uscire,
si mise a passeggiare facendo dietro front ad ogni tre passi e dicendo forte:
« tatatà, fatata, tatatàtta » dietro front, e poi: « fatata, fatata, tatatàtta » e
battendo ad ogni passo l'aria col pugno. Il bambino rispondeva col movi-
mento al ritmo del verso, così come potrebbe corrispondersi al ritmo della
musica. Ed era una « ginnastica ritmica » a interpetrazione perfetta, dove
LO STUDIO DELLA METRICA NELLE SCUOLE ELEMENTARI 527
il pugno marcava i tre accenti del decasillabo, e il dietro front il «verso»
cui corrispondeva il « voltarsi » per tornare indietro.
Arrivati a una tale educazione sensoriale, rimane facile pei bambini
segnare gli accenti. Prepariamo allo scopo dei fogli ove le poesie sono scritte
in modo assai chiaro; i bambini segnano con un nitido accento la lettera
su cui l'accento ritmico cade. Il materiale deve essere preparato con ordine.
L'esperienza ci ha dimostrato che r bambini riconoscono prima l'accento
nei versi lunghi e parisillabi, in cui gli accenti siano regolari e ben mar-
cati; e passano a riconoscere, nelle loro graduali difficoltà, gli accenti
secondo il seguente ordine:
1° decasillabi: esempio:
S'ode a dèstra uno squillo di trómba; (i)
A sinistra rispónde uno squillo:
D'ambo i lati calpésto rimbomba
Da cavalli e da fanti il terrén.
Quinci spùnta per l'aria un vessillo;
Quindi un altro s'avanza spiegato:
Ecco appare un drappèllo schierato;
Ecco un altro che incóntro gli vièn.
(Manzoni, La battaglia di Maclodio).
2° dodecasillabi: esempio:
Ruéllo, Ruèllo, divora la via.
Portateci a vólo, bufère del cièl.
È prèsso alla mòrte la vèrgine mia,
Galoppa, galoppa, galoppa, Ruél.
(Prati, Galoppo notturno).
3° ottonari: esempio:
Solitàrio bosco ombróso,
A te viene afflitto cor.
Per trovar qualche ripòso
Fra i silènzi in quest'orjór.
(Rolli, La lontananza).
4° senarì: esempio:
Pur baldo di spème
L'uom, ùltimo giùnto,
Le céneri prème
D'un móndo defunto;
Incalza di sècoli
Non anco maturi
I fùlgidi augùri.
(Zanella, La conchiglia fossile).
(1) Sono qui stampate in carattere grassetto le vocali su cui il bambino ha segnato
con unfaccento ben marcato la percussione ritmica.
528 PARTE SECONDA
Invece negli imparisillabi le difficoltà sono maggiori nei versi lunghi e
specialmente neW endecasillabo, che è una composizione di settenari e quinarii
uniti insieme e tutti e due variabilissimi.
Le difficoltà presentarono questa gradazione:
1° settenarii: esempio;
(.ila riédo Primavèra
Col suo fiorito asi^étto.
Già il grato zéttìrétto
Scherza fra l'èrbe e i fior.
(Metastasio. ì'niiiaveta).
2° quinarii: esempio:
Vivace simbolo
De la famiglia,
Le die la trèmula
Madre a la figlia.
Le die la suòcera
Buòna a la nuòra
Ne l'ùltim'òra.
(Mazzoni. Per un mazzo di chiavi).
3° novenarii: esempio:
Te triste! Che a valle ti aspettano
I giórni di càntici privi;
Oh nò, non dai mòrti, che t'amano, .^
Ti guarda, fratèllo, tlai vivi.
(Ca\'allotti, Su in alto).
4" endecasillabo: esempio:
Per me si va nella città dolènte
Per me si va nell'etèrno dolóre
Per me si va tra la perduta gènte.
(Dante, La Divina Commedia, Ini.).
Insieme a questi versi, come variazione e curiosità più che come difficoltà,
i bambini possono riconoscere i loro corrispondenti versi tronchi o sdruccioli,
i quali perciò possono offrirsi come materiale insieme a quello dei versi piani.
Esempio :
quinarii piani e sdruccioli alternati :
In cima a un àlbero
C'è un uccellino
Di nuòvo gènere...
Che sia un bambino?
(L. ScHWARZ, Uccellino).
LO STUDIO DELLA METRICA NELLE SCUOLE ELEMENTARI 529
decasillabi interi e tronchi alternati:
Lungi, lungi, su l'ali del canto
Di qui lungi recare io ti vó":
Là, ne i campi fioriti del santo
Gange, un luògo bellissimo, io so.
(Carducci, Lungt. lungi).
Invece presenta una difficoltà ulteriore la poesia che ha versi pari-
sillabi e imparisillabi alternati: tuttavia questa difficoltà è accettata con
vera festa dai bambini che sentono di percepire una nuova musica. Spesso,
dopo il piacevole sforzo di aver studiato una poesia a versi alternati, i
bambini scelgono come « lavoro di riposo » lo studio di versi tutti uguali
parisillabi.
Esempio di versi misti:
Eran trecènto, eran gióvani e fòrti,
E sono mòrti!
- Me ne andavo al mattino a spigolare
Quando ho visto una barca in mezzo al mare:
Era una barca che andava a vapóre,
E alzava una bandièra tricolóre.
All'isola di Ponza s'è fermata,
È stata un pòco e pòi si è ritornata;
S'è ritornata ed è venuta a tèrra:
Sceser con l'armi, e a noi non fècer guèrra.
{Prati. La spigolatrice di Sapri).
Contemporaneamente allo studio degli accenti, e. come un esercizio
« facile » o « di riposo » si può far rilevare e segnare la cesura nei metri
latini e la pausa nei versi italiani doppi. In questo lavoro i bambini mo-
strano uno straordinario interesse: moltiplicando gli esercizi e prolungando il
lavoro, anziché dare segni di stanchezza, essi sembrano crescere in gioia e
floridezza. Una bambina, in sei minuti primi, segna la pausa in settantasei
dodecasillabi senza commettere nessun errore. Per questo il materiale deve
essere molto abbondante. Esempio:
Dagli atri muscosi, | dai fori cadenti.
Dai boschi, dall'arse | fucine stridenti
Dai solchi bagnati | di servo sudor,
Un volgo disperso | repente si desta
Intende l'orecchio, | solleva la testa
Percosso da novo | crescente rumor.
{Manzoni, Italiani r Longobardi).
l'AKTE SECONDA
È un p;issapgio puramente sensoriale quello di percepire le « sillabe del
voi-so »: (^ rome segnare il tempo della musica, senza tener conto della battuta.
Sillabando secondo il ritmo, e battendo con le dita sul tavolino, si possono rico-
noscere anche le sillabe ritmiche più difficili (con dieresi e sinalele). Esempio:
l-.i I so I ninia | sa | pi | en | za e "I | pri | mo A | ino | re
Onesto verso è riportato qui perchè un bambino stesso lo ha diviso nel
modo suddetto, nel suo primo tentativo spontaneo di sillabazione. Ma il
materiale va presentato normalmente per ordine di difficoltà, cioè ricomin-
(iando col materiale già usato per gli accenti. In tal modo anche gli accenti
acquistano un nuovo interesse, perchè si riconosce « su quali sillabe essi ca-
dono «: e lo studio metrico si viene così completando.
Ne risulta una facile applicazione di nomenclatura: versi dodecasillabi,
endecasillabi, decasillabi, ecc.
La semplice osservazione fa giungere, dopo ciò, i bambini alla scoperta
delle leggi ritmiche del verso. Noi pensavamo che essi potessero scrivere da
sé così, per esempio: i versi dodecasillabi hanno dodici sillabe e quattro
accenti che cadono sulla 2», sulla 5», sulla 8» e sulla 11» sillaba, ecc. Ma in-
vece il moto spontaneo dei bambini fu di comporre degli specchi, nei fogli
quadrettati, come il seguente:
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Decasillabo piano
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LO STUDIO DELLA METRICA NELLE SCUOLE ELEMENTARI
531
Bastò quindi accennare ai segni che si usano per la grafia metrica, perchè
bambini componessero con la più grande facilità i quadri grafici. Esempì:
Ottonario j 1
2 1 3 1 4 1 5 j 6
,j.
9 { 10 1 11 [ 12 13
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Il ritorno in Italia
dopo la battaglia
di Marengo.
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La Lontananza.
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La Passione.
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Il giuramento di
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La Battaglia di
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5iJ PARTI-: SKCdNDA
Dopo questo, ò un si-niplicc riassunto lo studio completo dolio strofe:
segnare in esse i versi, le rime, gli accenti, le sillabe; distinguerle, perciò,
e classificarle diventa un lavoro piacevole.
Una bambina, mentre stava eseguendo questo lavoro riassuntivo su
quattro terzine di Dante, chiama la maestra per dirle con stupore; « \'ede, si-
ijntirina, dove sta l'ultimo accento, comincia la rima! ».
Per me si va nella città dolènte:
Per me si va nell'eterno dolóre;
Por me si va tra la perduta gènte.
Giustizia mosse il mio aito fattóre,'
Fecemi la divina Potesta/i-,
La somma Sapienza e il prinKj amóre.
Dinanzi a me non far' cose create...
(Dante, La Divina Commedia).
Così anche in questo studio i bambini, seguendo le orme della loro
formazione, sono passati dall'esercizio sensoriale alla conoscenza intellet-
tuale e alla rappresentazione grafica: e diventano poi gli « esploratori del-
l'ambiente », che fanno la « scoperta » delle leggi.
ALLEGATI
Allegato I.
METODO MONTESSORI
CARTELLA
PER LO STUDIO INDIVIDUALE
DEL BAMBINO
PARTE SECONDA 337
Ordinamento Generale della scuola che 11 bambino frequenta -Anno i9i -19i
Orario
Vacanze
Insegnamenti
Refezioni
Personale dirigente
Indirizzo
^
Locali
Rapporti col pubblico e con le famiglie
5.ìS
Generalità sul Bambino
Cognome e Nome
Data di Nascita
Data della presentazione
Età dei genitori P. M.
Professione dei genitori
P.
M.
Abitazione
Antecedenti personali del bambino
Aspetto del bambino
Note sulla famiglia
539
Data annuale 191 -191
Nome
Data di Nascita
Giorno del principio
6 I
j: 3 -
IH
Note sullo sviluppo fisico
540
PARTE SECONDA
Data annuale 191 -191
Nome
Giorno
di nascita
Mese
Statura (m.)
Note
SeUcmbrc. . .
Otiobre. . .
Novembre. .
-
Gennaio ...
Febbraio ....
Marzo
A prile
Maggio ....
Giugno ....
Luglio
Agosto
Data annuale 191 -191
Nome
Giorno di Nascita
Mese
Peso in Kg.
1' Settimana 2' Settimana
3' Settimana 4* Settimana ,
Settembre
Ottobre
i
■ ■ 1
Novembre ....
Dicembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
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Agosto . : . . .
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Cognome e Nome
Anno 191 -191
Diario Psicologico
344
PARTE SECONDA
Diario
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M.sf
iliOTHO
543
Guida alle osservazioni psicologiche
LAVORO
Notare quando un bambino comincia a restare costantemente a un lavoro.
Quale lavoro e quanto tempo vi persiste (lentezza nel portarlo a termine
o ripetizione dello stesso esercizio).
Particolarità individuali nell'applicazione ai singoli lavori.
A quali lavori sucressi\ amente si applica nello stesso giorno e con quale
costanza.
Se ha periodi di laboriosità spontanea e per quanti giorni.
Come manifesta il bisogno di progredire.
Quali lavori sceglie nella loro progressione, rimanendovi con persistenza.
Persistenza malgrado stimoli che nell'ambiente tenderebbero a distrarre
la sua attenzione.
Se avviene che dopo una distrazione forzata riprenda un lavoro che
gli fu fatto interrompere.
CONDOTTA
Notare lo stato di ordine o di disordine negli atti del bambino.
Suoi atti disordinati.
Notare se ci sono cambiamenti della condotta durante lo svolgersi dei
fenomeni del lavoro.
Notare se nello stabilirsi dell'ordine negli atti ci sono :
crisi di gioia;
stati di serenità;
manifestazioni di affettività.
Parte che i bambini prendono allo sviluppo dei compagni.
OBBEDIENZA
Notare se il bambino corrisponde agi' inviti quando è chiamato.
Notare se e quando il bambino comincia a prender parte ai lavori altrui
con intelligente sforzo.
Notare lo stabilirsi dell'obbedienza alle chiamate.
Notare lo stabihrsi dell'obbedienza ai comandi.
Notare quando il bambino manifesta l'obbedienza con desiderio e gioia.
Notare i rapporti dei vari fenomeni dell'obbedienza nei suoi gradi.
a) con lo sviluppo del lavoro;
b) coi cambiamenti della condotta.
Anno 191 -191 Sigli
Inchieste Private
548 PARTE SECONOA
Anno 191 -191 Sigla
Inchiesta Biologica
Genitori :
Età in cui i genitori contrassero matrimonio
Se i genitori sono p^jrenti .
Loro malattie
Bambino :
Se la gravidanza e il parto relativi al bambino furono normali
Se ci fu allattamento materno, artificiale o mercenario
Stato di salute del bambino nel primo anno di età
Malattie sofferte dal bambino in tutto il resto della sua vita .
A che epoca mise i denti, camminò e parlò
Anno 191 -191
Sigla
Inchiesta Sociale
Padre
Madre
profeuione
Hanno in famiglia l'abitudine di segnare le spese?
Abitudini di famiglia (divertimenti - vita domestica)
Numero delle persone componenti la famiglia (quanti adulti e quanti bambini)
Hanno persone di servizio ?
Quante persone della famiglia guadagnano ?
Hanno beni di fortuna ?
Fanno subaffitti ?
Possono riuscire a tenere la casa in ordine ?
550 PARTE SFXONDA
Anno 191 -191 Sigli
Guida per I* Inchiesta /borale
Criteri di lode e di vanto in famiglia - (notare ciò di cui si vantano: reli-
giosità, patriottismo o il contrario di ciò - laboriosità, affettività, onestà
- lusso - gentilizio - beneficenza - carità - indipendenza, ecc.). Sui
rapporti sociali tra marito e moglie (diritti - privilegi - uguaglianza).
Titoli di speciale merito a vantaggio dei membri della famiglia (medaglie -
atti di coraggio - decorazioni - singolarità).
Criteri di biasimo e di scusa - (ciò di cui si lamentano a carico di i membri
della famiglia: bevitori, mancanza di affettività, giuoco - mancanza
di religione - di disciplina - di sottomissione alle autorità - spreco -
ozio - matrimoni inferiori).
Criteri educativi in famiglia - (Quale concetto si fanno i parenti dell'edu-
cazione : severità - dolcezza - premi - castighi - collaborazione della
coscienza infantile - libertà dei bambini e in che modo intesa).
Giudizio materno sul bambino
Cure che si prestano al bambino e quali diritti gli si riconoscono.
Allegato II.
RIASSUNTO DELLE LEZIONI DI DIDATTICA
date in Roma nella Scuola Magistrale Ortofrenica
ranno 1900 (0
« quella del sistema nervoso e dei sensi; da quella dei sensi alle nozioni; dalle na/
« zioni alle idee; dalle idee alla moralità: tale è la via educativa percorsa da
SÈGUIN ».
Prima però di cominciare l'educazione è necessario « preparare « il bambino
a riceverla, con un'altra educazione, che oggi tende ad assumere altissima impor-
tanza, che deve essere il piano sul quale edificheremo tutta l'altra educazione, e
sul quale essa dovrà portare i suoi frutti. Voglio dire; l'educazione igienica, che
nei fanciulli deficienti assume talvolta il significato di educazione medica.
Perciò il metodo educativo dei deficienti si chiama: medico-pedagogico.
Voi che sapete l'importanza delle sensazioni interne, dei sentimenti dal lato
educativo, comprenderete che è necessario che l'organismo funzioni bene per corri-
spondere ai nostri sforzi educativi, è quindi necessario mantenere il benessere se
esiste, ristabilirlo se manca.
Ecco la necessità di badare bene alla nutrizione e allo stato dei visceri. Voi sa-
pete la corrispondenza che passa tra la sensibilità generale e il sentimento morale;
i delinquenti, le prostitute, hanno scarsa sensibihtà, dolorifica e tattile: così avviene
spesso nei deficienti; onde la necessità di risvegliajre con opportuna cura igienica
questo senso. Così non si potranno educare i muscoli a un dato movimento coordi-
nato, se essi sono alterati nella loro funzionalità: paresi, ecc.; e dovrà precedere alla
educazione propriamente detta, una cura medica che li ristabilisca, possibilmente,
nella loro integrità.
Sarà impossibile educare i sensi, p. es. l'udito, se un fatto patologico dà una sor-
dità parziale, l'odorato se l'escrezione soverchia di muco impedirà agli stimoli esterni
di colpire le terminazioni nervose sensoriali, ecc., e dovrà prima una cura medica
allontanare questi stati morbosi.
(I) Riassuitto delle lezioni di didattica dellu Pro'.ssa .ìf.i
Romano, via Frattina 62, Roma.
352 PARTE SECONDA
EDUCAZIONE MEDICA.
Haghi gt-nfraii: sviluppanci la sfiisihilità dclk- pa|)illc ncivosc, sf scino bie\i;
danno tono ai tessuti oellnlari o muscolari, in particohir modo alla polle.
CaUi f freddi ;Utornati: è un mozzo educativo jiotonte por richiamare l'attenzione
dcJ bambino sull'ambiente esterno.
Hagni caldi parziali: si fanno su regioni poco sensibili, onde svilupiiarc la
sensibilità — es.: mani, so riesce impossibile l'educazione tattile; piedi, se il difetto
d'equilibrio nella stazione eretta e nella deambulazione proviene da mancata sensi-
bilità plantare.
Bagno freddo parziale: sulla testa, mentre l'individuo è immerso nel bagno
totale tepido: è un tonico del cuoio capelluto, facilita il ravvicinamento delle ossa
del cranio e la formazione d'ossa wormiane, evita le congestioni cerebrali; attiva
e regolarizza la circolazione cerebrale. È specialmente ùtile negli idrocefalici, e
nei microcefali; ma tutti ricavano benefizio da questo bagno che ò tra tutti l'ec
celiente.
Bagni a vapore: sviluppano la traspirazione, che a volte manca o è parziale
nei deficienti, portando perciò gravi disturbi. Questi bagni inoltro predispongono
le terminazioni nervose alla più alta sensibilità.
Sono però sempre controindicati simili bagni negli epilettici, noi bambini ca-
chettici, pallidi, rachitici.
In genere si usano: i bagni a vapore parziali: nelle mani e noi piedi più special-
mente; anche nella lingua. / bagni freddi generali: nei casi di sovreccitazione: iperat-
tività motoria; eccessiva sensibilità dolorifica e tattile. Si devono accompagnare
questi bagni con continue lozioni fredde sul capo.
Con grandissima utilità possono unirsi ai bagni: le frizioni e il massaggio.
Le frizioni si fanno: secche, umide, alcooliche, aromatiche, grasse.
Queste frizioni si fanno parzialmente:
a) sulla spina dorsale, evitando possibilmente la regione lombare per non
provocare eccitazioni genesiche: per lo più frizioni secche con una pozza di flanella
fino all'arrossamento della pelle. Sono utilissimo dopo un bagno caldo con ablu-
zione fredda;
b) sul petto, per attivare la respirazione;
e) sul ventre, per correggere alcuni stati morbosi intorni: è meglio però usare
il massaggio;
d) sugli arti, efficacissime le frizioni aromatiche od alcooliche.
Con efficacia grandissima si fa seguire alla breve frizione alcoolica o aromatica,
il massaggio sul ventre e negli arti.
Il*massaggio sul ventre, attiva la circolazione intestinale e stimola o regolarizza
i movimenti delle tonache muscolari degli intestini.
Sui muscoli degli arti, il massaggio agisce in modo sorprendente: va a colpire
le fibre muscolari nell'intima loro struttura e lo mette in movimento; regolarizza
la funzione muscolare facendo perdere l'eccessiva contrattilità o facendo acquistare
ALLEGATI 553
la contrattilità manrante. I muscoli emaciati si rigenerano; le masse muscolari si
sviluppano rigogliose; mentre i tessuti grassi si riassorbono.
Il bagno ripetuto anche più volte al giorno, le frizioni e il massaggio, hanno
compiuto dei veri miracoli di rigenerazione fisica.
ALIMENTAZIONE.
I disturbi intestinali hanno diretta influenza sulla funzionalità del sistema
nervoso centrale: quindi sono degni di speciale considerazione nei deficienti, ove
una febbre intestinale può dare fenomeni di meningismo, e dove un disturbo di di-
gestione, anche afebbrile, è capace di produrre degli accessi convulsivi.
L'igiene dell'alimentazione, che è presso a poco quella stessa dei fanciulli nor-
mali, deve essere adunque rigorosamente osservata.
Prima norma è che i fanciulli mangino a pasto e che mai negli intervalli intro-
ducano sostanze alimentari nello stomaco. Per lo più si crede che un confetto, un frutto
dato negli intervalli non disturbi la dieta: errore grossolano di molte madri, che sono
in tal modo causa di gravi enteriti nei loro figli.
Tenere i bambini a pasto vuol dire non dar loro nulla fuori dei pasti; nulla, cioè
nemmeno il più piccolo confetto, nemmeno una mollica di pane, nemmeno una
goccia di latte. Questo rigore darà pure abitudini igieniche al bambino. Bisogna
regolare il numero dei pasti: la quantità di ognuno, la qualità dei cibi.
Numero dei pasti:
da 2 a 7 anni quattro pasti al giorno;
da 8 a 14 anni tre pasti al giorno;
fatti a ore regolari, e seguiti sempre da un regolare riposo intelletluale che dovrà
essere preso in considerazione da chi fa gli orari delle scuole.
Merita uno studio speciale la ricerca di quali azioni si potranno far compiere
ai bambini durante la digestione, e quali organi potranno agire mentre lo stomaco
compie il lavoro della digestione. È bene toghere i fanciulli dalle stanze chiuse ove
essi giuocano sollevando polvere, e mandarli in luoghi aereati, possibilmente in un
giardino o in un boschetto ricco di piante aromatiche; il primo lavoro che potrà com-
piere il bambino dopo il pasto, sarà una breve e lenta passeggiata all'aria aperta.
Quantità. — La quantità sarà regolata in modo da fare i pasti eguali a due a
due fino a 7 anni, due pasti grandi e due merende. Dopo i 7 anni una merenda e due
grandi pasti. Su questo non mi fermo.
Qualità. — Pei deficienti sarebbe utile che il medico ordinasse di giorno in
giorno la dieta dopo avere esaminate le diarie dell'infermeria, come si fa negli ospe-
dali. Poiché la qualità nell'alimentazione può comprendere in sé una vera e propria
cura di alcune forme morbose e di alcuni accessi morbosi.
Si sa che nell'alimentazione debbono distinguersi le sostanze riparatrici dei tes-
suti, sostanze veramente nutritive, e altre sostanze che hanno invece l'ufficio di ecci-
tare i tessuti, e queste sono le sostanze di risparmio (alcool, caffè, the, ecc.).
Fra le sostanze nutritizie propriamente dette, abbiamo le albumine, i grassi
0 gli idrati di carbonio, sostanze zuccherine, amidacee e feculente. Le sostanze grassa
sono le meno digeribili, ma danno il maggior numero di calorie.
554 PARTE SECONDA
È noto come il bilancio della alimentazione si misuri da quello dell'albumina,
che è l'alimento por eccellenza. L'albumina è vegetale e animale; quella animale
è più nutritiva, più facilmente digeribile, e dà più calorie che quella vegetale.
Gli alimenti che d.'inno albumina aninìale sono: il latte, le uova, la carne.
Quelli che danno albumina vegetale sono » legumi. Secondo i ceti sociali si usa
nutrire i bambini fino a 6 anni coi seguenti alimenti albuminati: uova, latte, legumi.
Dai (1 anni agli 8: uova, latte, carne di pesce, legumi. In seguito si dà pure carne
di pollo, carne di vitello, infine carne di bue.
Se pei bambini normali è bene usare una pana alimentazione carnea, pei defi-
cienti è desiderabilissima un ricca alimentazione di carne e in genere dalbuiinna,
come in tutte le persone deboli, che debbono ricostituirsi. La migliore carne da uscire
sarebbe quella ricca di sostanze mucillaginose e di zucchero, come si trova nei vitelli
e in generale negli animali giovani. Ma l'alto prezzo di questa carne non ne rende pos-
sibile l'uso in grande. Oggi si trova però in commercio un'altra carne ricca di mucil-
lagine, di zucchero, altamente nutritiva, assai bene assimilabile e che va a basso prezzo:
la carne di cavallo, .\nche i purées di legumi, conditi con grasso, burro artificiale, ecc..
sono consigliabili per questi bambini.
Per I bambini agitati si evitino i grassi, gli olì, gli acidi, i feculenti.
Per i bambini apatici, a digestione torpida: si usino condimenti abbondanti
e tonici, come le spezie oramai abolite dalla cucina comune, specialmente pei bambini,
ma che dovrebbero esser rimesse in uso in un istituto di deficienti, anche perchè le
spezie si possono opportunamente mischiare a sostanze ferrugginose delle quali
mascherano il sapore.
Infine si regolerà la nutrizione sullo stato deirindi\-iduo: e non sarà applicabile
la « razione di collegio ». A maggior ragione si dica questo in rapporto alle
Bevande. — Mentre si toglie il vino dall'alimentazione dei bambini niirmali
fino a 7 anni e si evitano le sostanze eccitanti come thè, caffè, ecc., invece è spesso ne-
cessario introdurre queste bevande nell'alimentazione dei bambini deficienti, sempre
però nella dieta ordinata giornalmente dal medico ai singoli individui.
Bambini apatici, a digestione lenta atonica: vino, caffè (// caffè sia dato durante
il pasto, 0 prima del pasto).
Bambini agitati: latte e acqua: dopo il pasto: infuso di tiglio zuccherato, o un
leggero infuso di foglie d'arancio, ecc.
Una speciale educazione occorre per far imparare ai bambini la masticazione
completa e la deglutizione: movimenti degli organi della masticazione che li preparano
in parte al linguaggio.
ESCREZIONI.
Tra le irregolarità fisiologiche merita una considerazione speciale quella che ri-
guarda le escrezioni.
Deiezioni. — Si sa che molti idioti sono chiamati sudici, e di questi si fanno se-
zioni speciali negli istituti: i sudici hanno perdite involontarie di feci e di urine, come
i bambini nella prima età infantile. Assai spesso quando esiste questo difetto, le deie-
zioni sono liquide; qualche volta nò. Si comprende che per vincere questo difetto
ALLEGATI 555
è necessario un duplice ordine di mezzi: il primo tende a regolarizzare la funzione
intestinale, rendendo solide le feci; il secondo a rinforzare gli sfinteri affinchè possano
trattenerle.
Per regolarizzare la funzione intestinale è bene osservare rigorosamente l'igiene del-
l'alimentazione riguardante tanto la regolarità dei pasti, quanto la masticazione dei cibi.
Inoltre è bene regolarizzare il tempo della defecazione provocandola a intervalli
legolari sempre più lontani, con un leggero massaggio e con frizioni calde o aromatiche
sul ventre.
Per rmforzare gli sfinteri si usano mezzi ricostituenti e tonici generali (ferro,
.stricnina) e tonici locali, come semicupi freddi, a doccia, semicupi elettrici, ecc.
Infine mettendo una sonda nell'orificio anale, af&nchè questa provochi le contra-
zioni anulari dello sfintere e lo abitui all'azione costrittiva.
Urina. — È noto come alcuni bambini deficienti abbiano il difetto di perdere
involontariamente l'urina, specialmente di notte, fino a età inoltrata. I predisposti
all'epilessia hanno pur questo difetto. La cura è analoga a quella del difetto prece-
dentemente trattato. Si deve badare alle bevande, evitando tutte quelle diuretiche
e non dandone nessuna in troppa quantità. Cura ricostituente generale: doccie locali,
pulizia rigorosa onde evitare le funeste conseguenze dell'onanismo.
L'educazione avrà pure gran parte nella cura di questo difetto: si farà mingere
il bambino di tanto in tanto, provocando la urinazione con l'incoraggiamento della
\oce o con l'esempio, lodando assai chi compie pulitamente questa funzione naturale
e biasimando chi è tutto bagnato, sudicio, ecc. È poi bene far mingere regolarmente
il bambino prima che si corichi, risvegliarlo una volta o due durante la notte e pro-
vocare la minzione il mattino allo svegliarsi spontaneo. Spesso questo difetto è col-
legato a qualche anomalia della escrezione del
Sudore. — Il sudore, che ha presso a poco la stessa composizione dell' arina, è
una escrezione lungamente compensatrice di quella renale. Si è notato che spesso
l'escrezione del sudore o manca affatto nei deficienti od è limitata ad alcune regioni,
come le pinne del naso, le palme delle mani, ecc. Necessita assolutamente provocare
e regolarizzare in tutta la superficie del corpo questa importante escrezione; e ciò
deve farsi coi bagni caldi, coi bagni a vapore, con le frizioni secche, prolungate e fatte
con pezze di flanella calde; con abiti di lana permanentemente aderenti alla pelle,
e simili mezzi meccanici. Ma si deve assolutamente evitare l'uso di speciali sostanze
diaforetiche, che spesso potrebbero recare un fatale" indebolimento dell'organismo:
mentre gli altri mezzi su menzionati riescono innocui o ricostituenti e risvegliano
la sensibilità generale.
Muco nasale, lacrime. — Spesso mancano queste escrezioni nei deficienti; talvolta
l'escrezione nasale è invece abbondantissima e sostituisce quella lacrimale che manca
'affatto sì che il bambino arriva ad una età abbastanza inoltrata senz'aver mai pianto.
In tal caso la scarsità delle lacrime predispone ad alcune malattie degli occhi e l'ec-
cessiva escrezione di muco nasale impedisce la sensazione olfatti\-a.
I vapori caldi lungamente inspirati e sostanze odorose irritanti o fortemente
eccitanti, poste di tratto in tratto sotto le nari del bambino, correggeranno il difetto
dell'eccessiva escrezione di muco, e attireranno la sensazione olfattiva. Subito dopo
principia una regolare secrezione di lacrime.
S5<> PARTE SECONDA
SalifOiioHc. — Uno dei difotti pili ripugnanti che si riscontrano negli idioti è
>luello della continua ivrdita di saliva, che cala dalle labbra semiaperte e cascanti.
Ma oltre a dare un'apparenza ripugnante, questo difetto produce pure gravi danni.
Infatti la saliva che bagna di c<intinuo gli organi interni della bocca, li rende flaccidi
e tumidi; la lingua e in genere gli organi della favella, perdono il regolare potere con-
trattile e così è resa impossibile l'articolazione della parola. La sensazione gusta-
tiva e la tattile sono abolite affatto; la masticazione quindi è ditficile, irregolare
la deglutizione, donde gravi disturbi a carico degli organi digerenti.
.\<1 ovviare questo grave difetto si usano vari ed efficaci mezzi curativi ed educativi.
Primo: ricostituenti generali; poi: docce parziali gelate sullo sfintere orale, cor-
rente elettrica sulle labbra.
Introduzione di bastoncini di legno di licpiorizia, prima più grossi poi gradualmente
sempre più sottili, tra le labbra per {stimolarle al succhiamento piacevole, quindi alla
contrazione, che finirà per dare il tono muscolare necessario. Durante questo eser-
cizio si cerca di chiudere ogni tanto le labbra del bambino, meccanicamente, affinchè
egli sia costretto a deglutire la saliva che gli empie la bocca, e così avvezzarlo alla
deglutizione.
L'igiene deve estendersi ancora al vestiario del bambino e all'ambiente in cui vive.
Vestiario. — I vestiti devono essere lunghi affinchè si possano facilmente togliere
e rimettere; affinchè non impediscano e anzi aiutmo le normali funzioni del corpo
(respiro) e non provochino vizi pericolosi (onanismo). La facilità di potere vestirsi
e spogliarsi, permetterà di imparare più presto al bambino di servirsi da sé; anche
nelle piccole occorrenze della giornata, ove è necessario uno spogliamento parziale.
La biancheria e i vestiti siano di cotone; solo d'ins'erno si daranno calze di lana:
una speciale cura deve essere data alla scelta delle calze, che possono molto aiutare
lo sviluppo della sensibilità plantare e aiutare l'educazione del cammino.
Ambiente. — Le norme dell'igiene comune vanno applicate all'abitazione del
fanciullo deficiente. Certo per lui è di prima necessità non solo un'aereazione perfetta,
ma un ambiente a sé, un ambiente vuoto, a pareti imbottite, ove possano ovviarsi
i pericoli cui andrebbe incontro un ragazzo idiota impulsivo, o ur "^iota che non
sappia camminare, ecc., in una stanza ricca di mobili dagli spigoli pericolosi, o di
ninnoli che possono diventare un'arma in mano al bambino.
La II stanza del bambino », la cui ricchezza consiste nella posizione igienica, e
nell'essere affatto vuota di mobili, ed a pareti elastiche, è ciò che di meglio può con-
cedere una famiglia ricca per aiutare l'educazione d'un bimbo deficiente.
EDUCAZIONE MUSCOLARE
L'educazione ha lo scopo di far compiere all'individuo un lavoro utile alla societàijiBJ?'
questo lavoro sarà sempre eseguito a mezzo di muscoli, sia esso un lavoro manuale '
sia parola, sia scritto. Infine, l'intelligenza deve avere a suo servizio i muscoli; perché
essi le possano obbedire è necessario che vi siano preparati da una educazione che
li coordini. L'educazione muscolare ha dunque lo scopo, nei deficienti, di provocare
o di coordinare movimenti utili.
ALLEGATI 557
Prepaia: alla ginnastica; ai lavori d'uso domestiro (lavarsi, vestirsi, ecc.. appa-
recchiare, tirare il carretto, ecc.); ai lavori inanuali (professionali); al linguaggio
(movimenti degli organi vocali).
La preparazione consiste nell'ottenere rimmobiìità tonica del bambino, nella
stazione eretta. Si deve arrivare a tenere il bambino: in piedi, in prima, a testa alta,
cogli occhi fissi nell'occhio del maestro.
Da questa posizione d'immobilit.à tonica, iiotendo il bambino fissare lo sguardo,
si passerà agli esercizi d'imitazione.
Per ottenere l'immobilità tonica occorre passare ~per procedimenti diversi se-
condo i casi individuali: stimolare i torpidi, gli apatici; frenare gli iperattivi; correggere
le paresi, i tic, ecc. Quindi occorre l'educazione medica prima di quella pedagogica:
qui sarà il caso d'applicare la ginnastica medica, pei movimenti attivi e pei mo-
vimenti passivi, alternandola con massaggio, bagni elettrici, ecc.
Noto qualche anomalia motoria facile a riscontrarsi nei deficienti:
Atonia: il bambino non si muove, non si regge in piedi, non sa tenersi seduto,
non esegue alcun movimento.
Iperattività: sono caratteristici dei movimenti quasi continui, incoordinati.
ovvero disordinati e senza scopo utile: saltare, bastonare, stracciare tutto indiffe-
rentemente, ecc. Onesti sono i pericolosi a sé e agli altri.
Movimenti meccanici.
A) rivolti su se stessi: succhiare le dita, lisciarsi continuamente una parte della
pelle, mordersi le unghie.
Questi movimenti sono causati da una sensibilità parzialmente sviluppata; p. es.:
lisciano, accarezzano quella regione cutanea ove solo è sviluppata la sensibilità
tattile, ecc.
B) rivolti su oggetti ambienti: dare piccoli colpi su un tavolo, stracciare con-
tinuamente e lentamente dei pezzi di carta, ecc.
Anche questo è rilegato con un piacere sensoriale.
Dondolamenti:
a) sdraiati: dondolano la testa da destra a sinistra;
è) seduti: dondolano il tronco dall 'avanti indietro;
e) in piedi: si dondolano da destra a sinistra posando alternativamente tutto
il peso del corpo da un piede all'altro.
Il cammino è difficile, incerto.
Questi difetti motori provengono dalla difficoltà che ha il bambino di trovare
il suo centro di gravità e quindi l'equilibrio.
Incapacità di alcuni movimenti parziali.
a) incapacità a muovere: alcune dita, la lingua, le labbra, ecc.; risulta
da ciò l'impossibilità di eseguire i più semplici esercizi manuali (opponibilità,
prensione, e in seguito impossibile abbottonare, ecc.), e l'impossibilità di articolare
alcune parole.
b) incapacità a contrarre gli sfinteri (perdita di deiezioni, di saliva).
558 PARTE SECONDA
L'atiiHÌa e l'iix>rattività si vincono con mezzi educativi opposti, dei tiiiali or ora
[^«ilerenio: i movimenti parziali spajiscono con l'educazione generalo cUi sensi, i
dondolamenti con esercizi di equilibrio.
A) Provocare i movim<>iti aitivi mi bambino alpnico. fino a comi urlo all'im-
m(^b:litiì t<ìtiica nella stazione cretlii.
Bisogna provocare prima i movimenti più facili, poi i più difficili.
.Abbiamo una guida per seguire tale processo educativo nello spontaneo svolgersi
dei mo\nmentinel bambino normale: egli comincia certamente coi movimenti spontanei
piv^ facili e arriva a poco a poco ai più difficili.
Il bambino ha come primo movimento la prensione, poi il movimento degli arti
inferiori pel cammino, quindi la stazione e il cammino libero.
Prensione. — Se nessuno stimolo esterno è capace di colpire l'idiota basso, non
sarà possibile provocare la prensione mostrandogli un oggetto quahnKpic. che pel
colore o pel sapore o per altro potrebbe interessare un bambino.
È necessario allora ricorrere all'istinto della conservazione, all'innato terrore
\>e\ vuoto che hanno quasi sempre gl'idioti. Il fanciullo, sentendosi cadere, per istinto
si aggrapperà con le mani a un sostegno: questo è il primo principio in cui sarà pos-
sibile educarlo alla prensione.
Procedimento. — Si dispongono materialmente le mani del bambino intorno
ad un piolo d'una scala sospesa al soffitto: poi si abbandona a sé il bambino, il quale,
.ivendo già le dita disposte attorno al sostegno, non farà che stringere le mani per
sostenersi. Tuttavia ciò non accadrà la prima volta. Il maestro, con lunga pazienza,
stando sempre pronto a raccogliere il bambino tra le sue braccia, continuerà questo
esercizio, nel quale l'idiota prova forte emozione e dove tutti'i suoi muscoli devono
necessariamente contrarsi.
Pure basata sull'istinto di conservazione è l'altalena dove l'idiota deve afferrarsi
con le mani a un sostegno per non cadere.
Infine: si sospende al soffitto una palla, che si manda a percuotere - intinuamente
il volto del bambino, il quale per difesa dovrà allontanarla afferrandc.a.
Nei meno bassi si ricorre all'istinto della nutrizione che pure esiste sempre in
questi bambini.
Stazione. — Sotto questo nome si considerano pure i movimenti che precedono
la stazione eretta.
Per vincere la pieghevolezza delle ginocchia che impedirebbe la stazione, si usa
la poltroncina ad altalena, ove il sedile è lungo fino quasi ai piedi del bambino, e dove
con una fascia si fissano le ginocchia; i piedi del bambino vanno a battere contro una
tavola di legno: e con tale esercizio si preparano gli arti inferiori a sostenersi appog-
giandosi su un piano.
Dopo ciò, si pone il bambino sulle sbarre fisse, che, collocandole sotto le ascelle,
sostengono il fanciullo, il quale appoggia i piedi in terra.
Qui cerchiamo di provocare i movimenti del cammino (esercizi degli arti inferiori).
Poi facciamo esercitare i muscoli che sostengono la colonna vertebrale: il bambino
è seduto; prima il dorso sta dritto contro una spalliera, poi deve star dritto senza spal-
liera. A poco a poco si provoca il cammino togliendo il fanciullo dalle sbarre, sostenen-
dolo con una semplice cintura ginnastica. Finché si lascia libero.
ALLEGATI 559
Dopo che il bambino saprà camminare, noi potremo « comandargli » di star fermo
in piedi, nella posizione della immobilità tonica.
B) Frenare l'iperattività costringendo meccanicamente alla immobilità.
Nei bambini iperattivi bisogna frenare prima le braccia, tenendole prigioniere
tra le nostre mani; poi frenare i movimenti degli arti inferiori tenendo le gambe
del bambino fortemente costrette tra le nostre ginocchia; infine, rattenere il bambino
seduto tutto immobile, le sue gambe strette tra le ginocchia del maestro, le sue brac-
cia tra le mani di lui, il tronco spinto e tenuto fermo contro la parete. Similmente
procedendo si riuscirà a tenerlo fermo nella stazione eretta, in posizione di immobilità
tonica.
Regola generale. — Gli esercizi delle membra, cominciando da quelle superiori,
devono precedere quelli diretti specialmente sulla colonna vertebrale.
« L'immobilità tonica è il passaggio necessario da una immobilità atonica, ovvero
n da una azione disordinata a un'azione convenuta tra il sistema muscolare e l'intel-
« letto. SÉGUIN ».
Abbiamo visto più sopra che la posizione d'immobilità tonica richiede pure
la fissità dello sguardo del bambino, perchè egli dovrà da questo momento principiare
ad eseguire dei movimenti coordinati imitando ciò che vede fare al maestro.
Educazione dello sguardo.
Tenendo all'oscuro molto tempo il bambino, e mostrandogli una luce improvvisa
intensa, egli dovrà provare la sensazione del rosso.
Tenendolo nella camera oscura poco tempo, la luce improvvisa richiamerà lo
sguardo del bambino.
La luce si farà muovere sulla parete finché il bambino la segua con lo sguardo.
Nella camera bianca, si mostra al fanciullo un drappo rosso che si muove e gira.
Gli SI mostra un pallone rosso che sospeso al soffitto, viene a colpirlo sul viso.
Dopo questi esercizi preparatori cerchi il maestro d'afferrare con lo sguardo
suo quello del bambino, e di fissarlo, servendosi pure di stimoli uditivi (voce umana
in comando).
Infine, ad ottenere la immobilità completa, è consigliabile il grande specchio
sul quale si potranno far passare delle luci e dove il bambino fisserà con Io sguardo
a propria immagine e quella del maestro « che sta immobile » e che il bambino potrà
mitare.
Esercizi d'imitazione.
1) S'insegna al bambmo a far conoscenza con se stesso, mostrandogli e facen-
dogli toccare le varie parti del suo corpo, fino alla[nozione di destra e sinistra.
Cominciando dalle parti più grossolane: braccia, gambe, tronco, testa, che no-
mineremo pei movimenti d'insieme, alle più fini: dita, falangi, organi dell'apparato
orale, che nomineremo nella educazione della mano e del linguaggio.
2) Gli si fanno eseguire movimenti coordinati relativi alla ginnastica (cammino,
corsa, salto, spinta delle braccia).
5()0 PARTE SECONDA
3) Relativi: <») ai lavori manuali grossi>laui (csorcizi della vita pratica: lavarsi,
vestirsi, prendere e posare oggetti, aprire e chiudere cassetti, ecc.); h) e ai hnori nia-
nnali fini (avviamento ad esercizi professionali: intreccio, lavori di Froebel)
4) Relativi al linguaggio articolato.
Su tale procedimento educativo sono da seguirsi le seguenti:
Regolf gfHfrali: i» i movimenti di insieme devono preceder!' (|uclli parziali:
.»• .solo analizzando nei suoi tempi successivi un movimento complesso, e perfezio-
nandone punto per punto ogni dettaglio, arriveremo a far eseguire un movimento
completo perfetto.
Quest'ultima regola valga in modo >i)e(ialc poi I (duca/ionc nianu.iic e del lin-
guaggio.
Ottenuti i movimenti d'insieme, ci occorrerà spesso, prima di passare a cpielli
parziali, alternare alla cura educativa quella medica:
I" per mancanza di vigore d'alcuni muscoli di (piale Ik ilito (bagni elettrici
parziali, ginnastica passiva);
2° per retrazioni, mancato sviluppo dell'. ipoinMosi palmare, ci (. (trattamento
ortopedico).
La ginnastica, il lavoro manuali' ffrofessionnlc. il linguaggio articolalo, sono rami
speciali dell'insegnamento, che per li> più richiedono insegnanti speciali
EDUCAZIONE DEI SENSI.
Schemi pi:r l'esami:.
Vista. - Senso cromatico.
È necessario richiamare l'attenzione del bambino più volte sullo stesso colore,
(ìresentandolo sotto aspetti vari e in ambienti diversi.
Lo stimolo deve essere forte.
Altri sensi concorrano per associarsi a quello cromatico (es. stereogno' .ico, gu-
stativo, ecc.).
Ad ogni nozione che il maestro dà, vi unisca la parola, la sola paiola che vi si ri-
ferisce, pronunciandola spiccatamente.
I. / grembialini didattici. — Si mostrano i colori su larga superficie mobile,
come: un grembiale indossato dalla maestra.
Es.: un grembiale rosso. La maestra lo mostra toccandolo a larghi gesti, sollevan-
dolo, richiamando continuamente l'attenzione del bambino: « guarda! » « sta attento! »
e dicendo poi piano e lentamente: « questo... tutto questo... è di colore... >' gridando:
«' rosso! rosso! rosso! ».
Due grembiali: uno rosso, uno bleu; lo stesso procedimento pel bleu.
Distinzione tra i colori; tre tempi:
a) questo è... rosso!
h) voi, dal grembialino... rosso!
e) che colore e questo?
Tre grembiali: rosso, bleu. giallo, guarniti di bianco e di nero.
ALLEGATI 56 I
li. Gl'incastri. — • Colore e forma, cerchio rosso, quadrato hleu, tre tempi:
1° questo... è.... rosso! rosso! toccalo: senti? il dito va sempre avanti: è tutto tondo,
è tondo! è tondo! tutto tondo! mettilo a posto.
2° Dammi il rosso.
3° Di che colore è questo tondo?
III. La camera oscura. — Compare un colore di bengala rosso: è rosso!...
Il colore comparisce^dietro un disco rotondo; è rosso!
Il colore cotnpare bleu dietro una finestra quadrata: è turchino! turchino! ecc.
IV. Si fa mangiare un disco di bucchero rosso, un mattoncino di zucchero
turchino.
Si fa odorare una stoffa rossa fortemente profumata di muschio, o turchina con
odor di assafetida, ecc.
V. Tavola di colori.
VI. Primo gioco di Froebel.
Il primo materiale didattico porti i colori insegnati; si richiami sull'ambiente
la nozione data del colore.
Forme. — I solidi. — Gl'incastri.
Procedendo sempre coi tre tempi detti:
— mostrare ;
— far riconoscere;
— far nominare.
Dimensioni. — Aste dello stesso spessore e di lunghezze graduali: si mostrano
le forme estreme facendole toccare, facendole spostare (raccogli la più lunga, mettila
sul tavolino, ecc.), poi l'estreme e l'intermedie, infine tutte.
Si scompongano, poi si facciano rimettere in ordine di graduazione: si noti se il
bambino sceglie bene nel mucchio disordinato le graduali dimensioni, o se solo giusta
ponendo asta ad asta avverte le differenze ordinatamente, e dopo quanti esercizi
il bambino sceglie bene nel mucchio, e fino a quale differenza minima di lunghezza
il bambino sceglie bene.
Così per la grossezza: prismi di uguale lunghezza e di spessore graduale; lo
stesso procedimento e analoghi esercizi.
Applicazione di giochi alla valutazione delle distanze.
Senso tattile propriamente detto. — Tavoletta con una superficie rugosa (a grat-
tugia) e una liscia.
Tavoletta con cinque superficie adiacenti di graduale scabrosità. Applicazioni
alla palpazione delle stoffe (giochi d'indovino).
Giuoco. — Il bambino bendato viene lievemente solleticato. Deve prendere ciò
che lo solletica, portandovi rapidamente la mano (gioco dell'acchiappamosca, per
la localizzazione dello stimolo),
astringenti ;
Litjuidi ^ viscidi ;
untuosi.
5b2 PARTE SECONDA
Senso lattile muscolare
Corpi elastici i \ di gonuiia ;
- • ■ • { P'""' \ ,. ,
toipi resistenti | ( di legno.
(applicazione alla palpazione della pelle di guanto, delle stoffe)
Senso muscolare. — Palle della stessa ai)parenza e di peso graduale. Monete al peso.
Senso stercoenostico. — Riconoscimento delle forme fondamentali; riconoscimento
d'oggetti rari; riconoscimento delle monete.
Senso termico. — Liquido caldo, ghiacciato; calore della tela, della lana. Legno,
incerata, metallo.
Odorato. — Assafetida, essenze di rose, di menta, ecc.
/ fumo di tabacco;
. * zucchero bruciato ;
Vapori odorosi < .
^ ' incenso;
acero bruciato.
Ìdi legno
di paglia ,
di carta I ,• ■ • • n ■.
,. , ai>plicazioni sane alla vita pratica.
t di lana i " ^
Giuochi d'indovino . ', di cotone [
' di pietanze
/ latte fresco, latte acido carne fresca, carne in
Odore di sostanze ahmen- \ ..... , e ■ i ju
{ principio di putrefazione, burro rancido, burro
tari (vita pratica). / ^
\ fresco, ecc.
Gusto. — I quattro sapori fondamentali (giochi d'indovine •. Applicazioni
educative al refettorio e in cucina.
Saggio di varie sostanze alimentari :
latte, latte e farina ;
„ ..,,,• \ vino annacquato ;
Esercizi della vita pratica .
I » aspro
» dolce, ecc.
Gli esercizi dei sensi .si cominciano nelle classi inferiori sotto forma di giochi d'indo-
vino: nelle classi superiori, si applica l'educazione dei sensi ad esercizi della vita pratica.
Udito. — Misurazione empirica della acutezza uditiva; gioco:
Il maestro, a io m. di distanza, a voce mormorata dice ai bambini bendati dove
ha nascosto un oggetto «Trovatelo! » Chi ha sentito lo trova. Tolti dalle file i bambini
che hanno udito, il maestro si avvicina di un passo e si riferisce ad un altro oggetto, ecc.
Intensità del suono:
Getto in terra cubi di metallo di varia grossezza, monete graduali;
Batto successivamente su bicchieri sempre più grandi;
Campanelli di grandezza graduale.
Timbro. — Produrre suoni e rumori diversi :
„. ( di metallo;
Campanelli , ,.
' di terracotta;
Campanelli ] , . . '
' chiusi ;
ALLEGATI 303
Battere con un bacchetta di legno su piatti di metallo, bicchieri, ecc.;
Riconoscere istrumenti vari;
Riconoscere varie voci umane ;
Riconoscere voce di uomo, di donna, di fanciullo;
Riconoscere al passo le persone ecc. ecc.
Altezza:
Salti d'ottava, di terza, ecc.;
Accordo maggiore e minore.
L'educazione musicale merita un capitolo a parte.
Proiezione del stiono, localizzazione nello spazio:
Il bambino è bendato; il suono si produci :
1° avanti di lui;
dietro a lui ;
dai lati destro o sinistro ;
sul capo.
2° il bambino bendato riconosce a quale distanza relativa si producono più
suoni.
30 il bambino riconosce da quale lato della sala provengono i suoni; cammina
dietro chi parla, ecc.
Piano orizzontale. — È la prima nozione di relazione tra oggetti ambiente, che
si dà al bambino.
Quasi tutti gli oggetti che cadono sotto i sensi del bambino, posano sopra un
piano orizzontale: anche il suo tavolo, il suo sedile, ecc., che essi stessi sono piani oriz-
zontali là ove il bambino si siede, ove appoggia i suoi giocattoli.
Se il piano non fosse orizzontale, gli oggetti cadrebbero, e andrebbero a finire
in terra, che è un piano orizzontale.
Porre un oggetto sul tavolo del bambino, sollevarne la tavola mobile per far
vedere che l'oggetto cade.
Giuoco d'indovino sul piano. — Questo serve per fissare la nozione di piano e
insieme educa lo sguardo e richiama e fissa l'attenzione del bambino.
1° Sotto uno dei tre bicchieri d'alluminio si mette una palla rossa, una
ciliegia, o un confetto. Il bambino si deve ricordare sotto quale bicchiere è nascosto
l'oggetto: la maestra prova lei e sbaglia sempre alzando i bicchieri vuoti e poi
rimettendoli al posto: il bambino invece trova subito J 'oggetto.
2° La maestra muove i tre bicchieri sul piano; il bambino^deve fissare il suo
bicchiere e non perderlo mai d'occhio.
30 L'esercizio si ripete con 6 bicchieri.
Giuoco della scacchiera. — Serve per apprendere al bambino i limiti e le varie
parti di un piano.
La scacchiera, a grossi quadri bianchi e neri, è limitata da una cornice rilevata.
Si fissano vari punti sul piano: avanti, indietro, destra, sinistra, centro, mettendo
in ogni punto un soldatino. Si fanno spostare i soldatini dal bambino, dietro l'ordine
della maestra: l'ufficiale a cavallo sta al centro; il porta-bandiere avanti a destra, ecc.
Infine, si fanno marciare i soldati verso il centro, facendoli passare solo pei qua-
drati neri, o solo pei quadrati bianchi, ecc.
564 PARTE SECONDA
Si applicheranno queste nozioni agli esercizi della vita pratica: i bambini già
s.ipevano apparecchiare stanza rendersi conto di ciò che facevano: d'ora innanzi
la maestra dirà: — Disponete i piatti sul piano della tavola; dal lato sinistro mettete
la bottiglia, al centro ecc.
Si farà apparecchiare con piccole stoviglie una piccola tavola, facendo dispone
gli oggetti dietro il comando della maestra.
Infine si proctnicrà alle costruzioni di Fróebci sul piano, coi cubetti e i mat-
toncini.
// giuoco degli incastri come preparazione alla lettura, al disegno e alla scrittura.
— Dopo che il bambino conosce i colori e le forme dell'incastro, si fanno sovrapporre
i pezzi dei colori del grande incastro:
i" sopra un cartoncino ove sono semplici-niente disegnate a colori superficie
corrispondenti ai pezzi ;
2f sopra un cartoncino ove le stesse figure sono semplicemente delineate in
dimensioni a colore (astrazione lineare d'una figura regolare).
Incastro delle forme ove i pezzi sono tutti dello stesso colore {turchino). — 11 bam-
bino riconosce la forma e sovrappone i pezzi:
1° su un cartoncino ove la figura è semplicemente disegnata ;
2° su un altro ove la figura è solo delineata (astrazione lineare di figure geo-
metriche regolari).
Contemporaneamente il bambino toccava i pezzi. Il disco: è tutto liscio, si gira,
si gira, si gira, è tutto tondo. Il quadrato: si va avanti, c'è una punta, si va avanti e
c'è un'altra punta, ci sono quattro punte.
Nel triangolo ci sono tre punte.
Poi il bambino tocca le figure semplicemente delineate sul ca concino: quello
tutto tondo, cerchio; quello con^ quattro punte, quadrato; quello con tre punte^
triangolo. Il bambino tocca le stesse figure con un'asticina di legno.
LETTURA E SCRITTURA SIMULTANEE.
A questo punto si presenta il cartellone delle vocali, dipinte in rosso: il bambino
vede « delineate a colori delle figure irregolari ». Si offrono al bambino le vocali in legno
rosso per sovrapporle ai segni del cartoncino. Si fanno toccare le vocali di legno nel
senso della scrittura e si nominano: le vocali sono disposte per analogia di forma
(lettura)
Poi si dice al bambino p. es.: cercami... o! mettilo al posto.
Poi « che lettera è questa? » Qui si vedrà che molti bambini sbagliano solo guar-
dando la lettera, indovinano invece toccandola. Osservazioni interessanti si possono
fare rilevando i vari tipi individuali: visivo, motore.
Si fa toccare poi al bambino la lettera delineata sul cartellone, prima con l'indice
solo, poi con l'indice e il medio, poi con un bastoncino di legno, tenuto come la penna;
la lettera deve essere toccata nel senso della scrittura.
ALLEGATI 565
Le consonanli sono disegnate in turchino e disposte in vari cartelloni, secondo
l'analogia di forma (lettura unita, scrittura): vi è annesso l'alfabetario mobile in
legno bleu, da sovrapporre ai cartelloni come per le vocali. Annesso all'alfabetario
sta una serie di altri cartelloni ove accanto alla consonante uguale a quella di legno,
stanno dipinte una o due figure d'oggetti il cui nome principia con la lettera disegnata.
Accanto alla lettera corsiva, sta pure dipinta con lo stesso colore una lettera più pic-
cola, di carattere stampato.
La maestra nominando le consonanti col metodo fonico, indica la lettera, poi
il cartellone, pronunciando il nome degli oggetti che vi sono dipinti e calcando sulla
prima lettera; es. m... mamma, mela, «dammi la consonante... m » «mettila al posto»,
«toccala», ecc. Si studieranno qui i difetti del linguaggio del bambino.
Toccare le lettere nel senso della scrittura, inizia l'educazione muscolare che
prepara alla scrittura. Una nostra bambina a tipo motore, istruita con questo me-
todo, ha riprodotto tutte le lettere a penna, alte circa 8 mm., ben prima ancora
di saperle riconoscere, con sorprendente regolarità: questaj bambina riesce assai
bene anche nei lavori manuali.
Il bambino che guarda, riconosce e tocca le lettere nel senso della scrittura, si
prepara alla lettura e scrittura simultanee, anzi contemporanee.
Toccare le lettere e insieme guardarle, fissa più presto la loro imagine, pel con-
corso di più sensi; in seguito si separano i due fatti: guardare (lettura), toccare (scrit-
tura). Secondo i tipi individuali, alcuni impareranno prima a leggere, altri a scrivere.
Lettura. — Si fanno pronunciare al bambino le lettere, quando già ha im-
parato a riconoscerle, e anche a scriverle: allora l'alfabeto si dispone per ordine fo-
nico e si dispone diversamente secondo i difetti individuali, che si sono rilevati quando
il bambino spontaneamente ripeteva il suono delle cohsonanti e delle vocali o la pa-
rola che si riferiva alle varie consonanti nei cartelloni illustrati.
Cominceremo a presentare e far leggere le lettere (prima a sillabe e parole) che
il bambino sa pronunciare, per passare a grado a grado a quelle che pronuncia con
maggior difficoltà o non pronuncia affatto (correzione del linguaggio); per la corre-
zione del linguaggio col metodo fonomimico è necessario un capitolo a parte; nella
scuola dei bambini è desiderabile per questo insegnamento anche una maestra a parte,
come per la ginnastica, pei lavori manuali, pel canto.
A chi non avesse difetti di linguaggio, s'insegnano le lettere dell'alfabeto nell'or-
dine fonico fisiologico.
Accanto alla grossa lettera in corsivo, si pone la piccola lettera in carattere
stampato: s'insegna, poi si fa riconoscere chiedendo ad ogni lettera grande: « dammi
la compagna piccola ». Anche sui cartelloni illustrati stanno vicine le lettere nei due
caratteri. Infine si mostra la lettera di carattere stampato dicendo: «dammi la
compagna grande » e poi che « lettera è ? ».
Le piccole lettere « non]si toccano » perchè non si dovranno mai scrivere.
Disegno e scrittura.
Si offre al bambino una pagina ove stanno delineati un cerchio e un quadrato;
si fa empire col lapis colorato rosso, il cerchio; col turchino, il quadrato (incastri). Si
566 PARTE SECONDA
danno cerchi e quadrati, sempre più piccoli, cerchi e triangoli, varianiento combinati
nella disposizione, e si fanno empire coi lapis colorati.
Poi si fa delineare, ripassando il segno nero sugli stessi modelli, coi lapis colorati:
il cerchio, il triangolo, il quadrato; a ciò viene più facilmente il bambino educato
a toccare con l'asticina di legno le figure delineate sui cartelloni degli incastri.
Alla scrittura direttamente passa dopo gli esercizi eseguiti con l'asticina di legno
sui cartelloni dell'alfabeto scritto. Si potrà aiutare in principio il bambino, facendogli
ricalcare il segno da noi fatto sul quaderno a lapis.
Quando il bambino scrive, gli si fa osservare ch'egli scrive su un piano delimi-
tato, che comincia dall'alto, che va da sinistra verso destra, che a poco a poco scende
in basso, ecc.
Il Séguin insegna la scrittura cominciando coi bastoncelli e le curve. Prepara i
quaderni di bastoncelli disegnandoli così:
il bastoncello che il bambino deve eseguire è delimitato da due punti e segnato
con una fine linea; ai lati, come modello, ci sono due bastoncelli eseguiti dal maestro.
Analogamente per le curve ( ( ( . Fa comporre le lettere stampate maiuscole con
aste e curve B D, ecc.
Lettura e scrittura simultanea di parole.
II bambino, con l'educazione dei sensi, ha acquistato delle nozioni di colore,
di forma, di superficie, liscia o aspra, di odore, di sapore, ecc.
Ha pure contemporaneamente appreso la numerazione (uno, (' .e, tre, quattro
punte).
Riuniamo tutte le possibili nozioni intorno a un oggetto, e daremo la prima idea
concreta dell'oggetto stesso: lezione oggettiva.
A questa idea uniamo la parola che rappresenta l'oggetto.
Come l'idea concreta risulta dalla riunione di nozioni ben note, così la parola
risulta dalla riunione di suoni noti, di segni conosciuti.
Lezione di lettura. — Sta sul tavolino il grande leggìo per l'alfabetario mobile a
lettere nere stampate: la maestra vi dispone le vocali e alcune consonanti.
I bambini hanno ciascuno al suo posto il piccolo alfabetario mobile nelle scatole
di cartone: essi prendono dalla scatola e dispongono sul banco le lettere nello stesso
ordine che vedono sul leggìo.
La maestra presenta un oggetto il cui nome sia una parola semplice es. pane,
lume; richiama l'attenzione del bambino sull'oggetto, riassumendo brevemente una
lezione oggettiva già fatta, destando l'interesse del bambino sull'oggetto.
«Vogliamo scrivere la parola pane?» «Sentite come dico io, guardate come dico «.
La maestra pronuncia spiccatamente i singoli suoni delle lettere che compongono la
parola esagerando i movimenti degli organi vocali, affinchè i bambini li vedano bene;
li fa ripetere loro, continuando l'educazione del linguaggio.
Un bambino viene al leggìo a scegliere le lettere corrispondenti ai suoni e a
disporle nell'ordine dei suoni che compongono la parola. Altrettanto fanno i bam-
ALLEGATI 567
bini con le letterine sul banco. Ogni sbaglio dà luogo a una correzione utile alla
classe intera. La maestra ripete la parola innanzi a chi ha sbagliato, cercando che.
il bambino si corregga da sé.
Quando tutti i bambini hanno disposto bene le letterine, la maestra fa vedere
un cartellino (a biglietto da visita) dove è scritta, in letterine stampate alte circa un
centimetro, la parola pane. La fa leggere a tutti i bambini: chiama un bambino a
deporre il biglietto ove è scritta la parola, sull'oggetto ch'essa parola rappresenta.
Così fa con altri due o tre oggetti, con altre due o tre parole; es.: pane, lume, cece.
Quindi la maestra toglie i cartellini dagli oggetti, e li mescola: chiama un bambino:
«dimmi qual'è l'oggetto che ti piace di più? »; es : lume. « Cercami il cartellino dove è
scritta la parola lume». Scelto il biglietto si fa leggere a tutti i bambini: « è vero
che c'è scritto lumc?«.
" Metti il biglietto a posto (sull'oggetto) ». Così per gli altri.
Nelle seguenti lezioni, ai cartellini nuovi si mescolano i vecchi ai quali " non cor-
risponde più l'oggetto >i, e si fanno scegliere i cartellini nuovi tra tutti per deporli
sull'oggetto.
Un primo libro di lettura dovrebbe portare queste parole accanto alla figura
dell'oggetto ch'esse rappresentano.
Così s'insegna a unire i singoli segni in parole; quando i bambini hanno imparato
a sillabare, si continuano le lezioni di lettura senza oggetto ma sempre con parole
che pei bambini abbiano un significato possibilmente concreto.
Scrittura. — Già i bambini sanno scrivere il segno corsivo che corrisponde alla
letterina piccola « che non si tocca » e non si scrive (stampata), ma solo si legge. Essi
devono ora scrivere vicine e in corsivo le letterine che hanno unite nell'alfabetario
mobile per formare le parole. Ad ogni parola letta o scritta, ad ogni lezione oggettiva,
ad ogni azione, si vanno preparando i biglietti stampati che andranno in seguito a
formare insieme proposizioni e frasi « a parole mobili », così come le singole letterine
mobili andarono a formare le parole. In seguito le semplici proposizioni si riferiranno
ad azioni compiute dai bambini stessi: si cominceranno a unire due o più parole: lana
rossa, confetto dolce, cane quadrupede, ecc., e poi si arriverà alla proposizione:
«la minestra è calda», «Maria mangia i confetti». I bambini comporranno le propo-
sizioni coi cartellini, poi le scriveranno sui quaderni. Per facilitare la scelta dei cartel-
lini si dispongono essi entro casellari speciali. Per e^^.: un casellario porta scritto in
grande: Nome. Ed ogni casella porta scritto, p. es., persone, cibi, vestiario, ani-
mali, ecc.
Un altro casellario: .aggettivi e ogni casella: colori, forme, qualità, ecc. Un altro:
Particelle: particelle per il nome (articolo), particelle per congiunzione, ecc.
Una cassettina per azioni, ove è scritto in alto: Verbi e nelle caselle: infinito,
presente, passato, futuro.
I bambini finiscono coli 'imparare per pratica a prendere e a rimettere a posto
-asellarì i bigliettini.
■ essi è facile cercare, p. es., nei «colori», «forme», «qualità», ovvero: «per-
animali », « cibi ». Essi sanno che quelli sono i « casellari delle parole ».
^.'n giorno verrà che la maestra cercherà di spiegare il significato di quella parola
5<>*^ PARTE SF.CONDA
scritta in alto in grande sui lasellari . <• Nomo », « Aggettivo », « Verbo ». e allora
entrerà a spiegare la
GRAMMATICA.
Col nome chiamo le persone e gli oggetti. Le persone rispondonojse le'chiamo;
gli animali pure, gli oggetti no, perchè non possono; ma se potessero risponderebbero.
Per es.. se dico: « Igina ! » Igina risponde. Se dico «ceci!» i ceci non rispondono perchè
non possono, ma se no risponderebbero. Voi capite quando io chiamo un oggetto e
per esempio me lo portate voi : io dico : «fagiuoli ! quaderno ! » So non vi dico il nome
dell'oggetto, voi non capite di che voglio parlare, perchè ogni oggetto ha un nome
diverso; il nome è la parola che rappresenta l'oggetto. Se io dico un nome voi capite
subito che oggetto rappresenta la parola che io pronuncio; p. es.: albero, banco, pe-
cora, penna. Se io non dico il nome, voi non capite di che cosa io voglio parlare; pei
esempio, se dico: «portatemi qui...», «presto, portatemelo qui, lo voglio!»; Ma cosa?...
se non vi dico il nome non capite. L'oggetto s'indica con una parola che è il suo nomo.
Per capire se una parola è un nome, bisogna chiedersi: « è qualche cosa? risponderebbe?
lo potrei portare alla maestra? » Es.; «pane» sì è un oggetto, Ju tavola» sì; «custode >•
risponderebbe.
Cerchiamo un po' tra i cartellini; li prendo da più casellari e li mischio; leggiamo:
'dolce.'» portami dolce: c'è un oggetto che risponde? «mi porti un confetto?»,
•' io non ho detto confetto, ho detto dolce », • mi vuoi dare lo'zucchero ? », « io non ho
detto zucchero, ho detto dolce», «volevo invece l'acqua dolce della botti/ ina dei
sapori ». Dunque dolce non è un oggetto, voi non potete indovinare l'oggetto che
voglio io ; invece se dico : confetti, zucchero, acqua, bottiglina, allora sì che capite
cosa voglio, quale oggetto voglio, perchè quelle parole significano degli oggetti,
chiamano degli oggetti; quelle parole sono nomi.
Cerchiamo ancora tra i cartellini dei nomi.
Prendiamo il libro di lettura, leggiamo due righe, e vediamo un po' se ci sono
dei nomi.
« Ditemi voi, ora, dei nomi •>.
Come si fa a trovare dei nomi? Guardatevi intorno, guardatevi addosso; ogni og-
getto che voi vedete nominatelo, la parola che direte sarà un nome.
Maestra, vestito, cravatta, cinta, banco, custode, classe, bambini, libro, ecc.
Guardate questo quadro che rappresenta tante cose: le figure rappresentano delle
persone, degli oggetti ; nominateli, ogni parola che voi direte sarà un nome.
Verbo, Azione.
" Igina, esci dal banco, cammina ».
[gina ha fatto tante azioni: è uscita; ha fatto l'azione di uscire, ha camminalo,
ha fatto l'azione di camminare.
Adesso scrivi il tuo nome nella lavagna; ha fatto l'azione di scrivere: cancella:
ha fatto l'azione di cancellare.
Io, per dire queste cose a Igina, ho fatto l'azione di « parlare ». Come il nome
s'insegnava su oggetti, qui è necessario far agire e non presentare oggetti nei
quadri, perchè i quadri non possono rappresentare azioni.
ALLEGATI 569
Solo in seguito si fanno fare piccoli esercizi d'imaginazione: « guardate gli oggetti
e pensate quale azione possono compiere? " o guardate la classe e ditemi quali azioni
vi si possono compiere?, quali azioni si compiono in bottega? •
Cerchiamo tra i cartellini mischiati. Cerchiamo sul libro. Ditemi voi dei verbi,
(infinito).
\ome: di persona, di cosa (proprio e comune). Nome, singolare e plurale, femminile
e maschile, coi relativi articoli. «Scegliete l'articolo che sta bene con questo nome».
Verbo. — Presente, passato, futuro.
!• L'azione che faccio adesso, l'ho io fatta altre volte? l'ho fatta ieri? l'ho sempre
fatta in passato? » Sì. « Ebbene, quando io faccio l'azione di camminare adesso, dico
cammino: quando voglio intendere quella di ieri, dico: ho camminato». La stessa
azione, se si fa in tempi diversi, si dice diversamente. Non è curioso questo? La pa-
rola che significa un oggetto non cambia mai: i fagiuoli sono fagiuoli oggi erano fa-
giuoli ieri; l'azione muta le parole che la significano secondo i tempi. Oggi cammino,
ieri ho camminato, domani camminerò. Eppure sono sempre io che compio l'azione,
e la compio allo stesso modo, mettendo un piede avanti l'altro.
Quelli che compiono un'azione la compiono sempre: vedete quell uccellino
che vola, che compie l'azione di %'olare, anche ieri ha volato, nel passato ha volato,
nel tempo passato ha volato; ebbene domani pure, cioè nel futuro, se \ive volerà, e
volerà sempre allo stesso modo, cioè sbattendo le ali.
Vedete come è curioso il verbo? muta le parole secondo i tempi, è diverso secondo
che indica azioni del tempo presente, del tempo passato e del tempo futuro.
Guardate: io tiro fuori dei cartellini: e compongo una piccola frase:
I adesso | 1 Pio 1 mangia 1 1 una 1 1 mela 1
Io cambio la parola che indica il tempo in cui a\-viene l'azione, levo il cartellino
adessr e ci metto quello con ieri 1 Va bene così la frase? «No?... bisogna mu-
ta 1 il tempo del verbo • . Rimettete a posto nei casellari che conoscete i cartellini.
AGGETTrVO. *
Tutti gli oggetti hanno delle qualità: vediamo un po' che qualità ha questo con-
fetto?, è rosso, è dolce, è rotondo, è buono:
Che qualità ha questo banco?, è nero, è duro, ecc.
E i bambini? sono buoni, belli, studiosi, gentili, ubbidienti; oppure sono cattivi,
brutti, disordinati, sgarbati, disubbidienti?
Leggiamo dei cartellini per vedere se tro\-iamo le parole che significano qualitr
degli oggetti? Poi: tiriamo fuori tanti cartellini dal casellario degli aggettivi, e taici
dal casellario dei nomi. E a ogni nome mettiamo accanto dei cartellini che ci
stiano bene.
Per es : adesso faccio io; guardate: Pio. rosso, ru\ndo, quadrupede, tr3jparente.
■ Ho messo bene? ». E allora trovate voi degU aggettivi che si adattimi aJ nome.
Gli aggettivi sono parole che rappresentano qualità di un dato oggetto, quindi devono
adattarsi al loro nome.
PAKTE SECONDA
Troviitr .logli oggL-tiivi che stiano beno col uoiuc cane: bisn(;iiii clu' essi siano
parole cho rappresentano qualche qualità del cane. Rimettete al jiosto nei casellini
tutti i bigliettini (esercizio ettìcacissinio).
(Questo il metodo per insegnare la grammatica; insegnamento clic si applica agli
nijgetti. alle azioni della vita, e può adornarsi e rendersi più piacevole con brevi rac-
contini.
I limiti dell'insegnamento di grammatica si estendono fin dove si può. senza
insistenza: se il bambino compie la sua educazione nella scuola dei deficienti, potrà
anche fare a meno d'una complicata grammatica; se il bambino lia fatto grandi pro-
i^ressi e può tornare nelle classi dei normali, s'inoltri per lui l'insegnamento fino a
l^orlo a livello delle comuni scuole.
LE LEZIONI OGGETTIVE.
Siamo brevi: \-ivaci descrizioni di un oggetto. Si tenga desta ])iù che si può l'at-
tenzione del bambino con le modulazioni della voce, con le lodi, le esclamazioni
eccitando la sua curiosità. Non si cominci mai con la parola, ma sempre con l'oggetto.
Si facciano applicare alla conoscenza dell'oggetto tutte le applicabili nozioni note ai
bambini; si descriva prima in tal modo, poi si parli del suo uso, della si^^i origine.
Esempio: guardate un po' di che colore è, che forma ha; toccatelo, o ( ustatelo, ecc.
Se è possibile, si faccia vedere l'uso dell'oggetto; si faccia vedere l'origine dell'oggetto
più che è possibile. Possibilmente, come si dà l'idea concreta dell'oggetto descriven-
dolo e facendo percepire le varie sue qualità ai sensi del bambino; così si cerchi che la
variazione dell'Mso dell'oggetto, sia la descrizione di azioni che il bambino vede com-
piere, ecc.
Tale è l'ideale; bisognerà cercare di avvicinarvisi nei Hmiti del possibile: inoltre
si faccia rivedere più volte l'oggetto in ambienti diversi o sotto aspetti diversi, sì
che esso ecciti e mantenga l'attenzione del bambino come cosa sempre nuova. Esem-
pio: lezione sulla gallina: si mostri un modello colorato in cartapesta, si mostri la
gallina vera che vive nel campicello, si mostri la gallina figurata a colori in un grande
quadro, si mostri in proiezione luminosa nella camera oscura, si ripresenti figurata in
piccolo nel libro del bambino, tra figure d'altri volatili domestici, ecc.
Questo naturalmente in giorni diversi.
La paiola sia sempre unita all'oggetto: scriviamo la parola sulla lavagna, piepa-
riamo il cartellino stampato e mettiamolo nel casellario delle parole.
Chi vuole tirare il carrettino con la tavola nera, che porteremo nel campicello
pei iscriveici le parole?
Cerchiamo un po' sul libio se accanto alla figura c'è scritta la parola: gallina.
Scrivetela sui vostri quaderni.
Chi sa ripetere ciò che abbiamo detto sulla gallina-'
Scdvete ciò che sapete sulla gallina.
Secondo le classi, si daranno più o meno nozioni sull'oggetto, passando da una
sommaria a una più minuta descrizione, fino a parlare di uso, costumi, origine.
Dallo scrivere la semplice parola fino al componimento descrittivo.
Le lezioni sull'oggetto siano sempie bievi; e si ripetano in giorni diversi
ALLEGATI 57I
Per le legioni sui vegetali è necessario il campicello: si farà vedere a seminare,
si farà vedere la pianta ciesciuta, si farà vedere il raccolto, si faià vedere possibil-
mente l'uso domestico dei più comuni vegetali.
Così pei fiori, ecc.
Non manchi mai nel campicello un carrettino con la tavola nei a e il gessetto per
iscrivere.
Sono necessarie pei le le^iioni oggettive i giocattoli che rappresentano mobili,
stoviglie, oggetti d'uso domestico, istrumenti di vari mestieri, camere e relativi mo-
bili da disporre in esse, casette, alberi, chiesuole per costruire villaggi, ecc. E poi bam-
bole fornite di tutti gli oggetti di vestiario.
La scansia delle boccette con esemplari di bevande.
Stoffe di tutte le qualità, sulle quali si applichi la palpazione come educazione
del tatto.
Origine delle stoffe, lavorazione, ecc.
Principali minerali.
STORIA.
L'insegnamento della storia si fa:
i" nel teatrino, coi quadri viventi, poi con l'azione;
2° descrivendo grandi quadri illustrati a colori;
3° pai landò sulle ^gure luminose che compariscono nella sala nera per le
proiezioni.
Quando il maestro descrive sia, al solito, conciso e vivace nella sua descrizione.
I racconti storici, come ogni altra lezione, arricchiranno di cartellini stampati
il casellario delle parole.
Le nozioni varie sulle stagioni, i mesi dell'anno, ecc., si impartiscono come illu-
strazioni di quadri. Ogni mattina il bambino dovrà dire: che giorno è oggi, che giorno
era ieii, che giorno saia domani, che giorno è del mese.
GEOGRAFIA.
1. Siano prima esercizi sul piano pei punti cardinali, si facciano applica:'ioni
varie di giochi ginnastici, di giochi d'indovino.
2. Piccole costruzioni sul campicello; facciamo un laghetto, facciamo un'isola,
una penisola, un fiumicello.
3. Porteremo le casette e la chiesuola nel giardino, faremo un piccolo villaggio:
a nord metteremo la chiesa, a est la caserma, ecc.
All'ovest del villaggio sta un monte, ci metteremo sopra una bella banderuola
italiana.
4. Si disporrà in classe una camera coi relativi mobili, sopra un cartone ove
è disegnata la pianta della camera. Ora togliamo tutti i mobili: resta sulla carta un
segno che c'indica ove essi erano.
Si faccia ora vedere un piccolo villaggio con le case, le strade, gli alberi, ecc. To-
gliamo via tutto: restano sulla carta i disegni: vogliamo riconoscerli? qui stava la
chiesa, ecc.
57^ PARTE SECONDA
lìuesta è una carta geografica.
Leggiamola, servendoci dei punti cardinali.
5. Per le regioni, «i possono fare piccole costruzioni con la creta, per rappre-
sentare i monti, ecc.. disegnarli all'intorno, poi tagliarli e leggere la carta geografica
rimasti, ecc.
ARITMETICA.
I bambini «ontano, un naso, una bocca; uno due mani; uno, due piedi; uno, due
tre; uno. due. tre. i)uattro punte negli incastri; una. due, tre, quattro, cinque, sei
soldatini sul piano.
Quanti cubetti abbiamo adoperato per la costruzione? nove.
Così la prima numerazione.
Calcolo. — Il calcolo s'insegna praticamente in bottega, fin dal principio. Il
bottegaio vende una ciliegia al soldo. I bimbi hanno due soldi e comprano due
ciliege.
Dà due noci al soldo: mettete sul piatto un soldo e fatevi porre accanto due noci:
contiamo tutte le noci: quattro, ecc.
Un bambino vuole una sola ciliegia e ha un pezzo da due soldi: il bottegaio deve
dargli un soldo di resto: ^2 + 2 = 4; 2 — 1 = 1). Scambio delle monete (.si noterà che
alcuni bambini in principio riconoscono meglio le monete alla palpazione che alla
visione (tipi motori).
Segni grafici. — Cartelloni con le 9 cifre, uno ogni cifra; portano il disegno di
svariatissimi oggetti in quantità ognuno relativa alla cifra disegnata in grande.
Esempio: sul cartellone dell'i ci sarà attorno al segno grafico: una ciliegia, un
cagnolino, una palla, una chiesa, un soldo. Ieri il bottegaio vendeva una ciliegia
al soldo. È qui la ciliegia? Sì, c'è una ciliegia; e questa cosa e? una chiesa; e
questo? «un soldo», ecc. E questo segno?... Esso rappresenta il numero uno. Si
presenta la cifra di legno: è uno! mettetelo sul segno del cartellone; è uno!
I cartelloni si porteranno alla bottega: chi ha un soldo? chi ha due soldi?, ecc.
cerchiamo tra questi cartelloni la cifra. Il bottegaio vende tre ccci al soldo, cerchiamo
la cifra tra i cartelloni.
Si apprende il numero alla bottega, nelle lezioni del dopopranzo; si mostrano i
segni grafici rappresentanti il numero, la mattina dopo. Quindi alla bottega si por-
tano i cartelloni coi segni grafici già noti, e si fanno riconoscere. Dai calcoli si rica-
vano altri numeri.
.\llora la mattina dopo si fanno apprendere i segni grafici dei nuovi numeri ri-
cavati il giorno innanzi in bottega, e così via.
Per rendere interessante la bottega, si ripetono sommariamente le lezioni ogget-
tive riferentisi agli oggetti che si vendono; si fa notare come gli oggetti devono
essere integri, affinchè il bambino, ricevendoli, li guardi bene, li osservi in tutte le
loro parti e li rifiuti se non sono integri, o se li hanno scambiati.
Es.: se danno una ciliegia fradicia, non si accetta: un cece invece d'un fagiolo,
non si accetta. Bisogna pagare solo quando si è ben certi d'essere stati serviti bene.
(Esercizi della vita pratica).
ALLEGATI 573
Il bottegaio in principio scambierà solo gli oggetti per abituare alla osservazione
delle qualità il bambino che compera.
In seguito cercherà ai alterare i numeri degli oggetti per abituare il bambino a
osservare le quantità numeriche.
Cifre pari e dispari.
Le pari, sono in rosso; le dispari, in bleu. Si hanno le cifre mobili di legno.
Cubetti rossi e bleu in numero relativo alle cifre. Si hanno cartelloni con le cifre
disegnate a colori, e sotto ogni cifra dei quadratini rossi e bleu disposti in modo che
si possa ben vedere la divisibilità in due dei numeri pari e la indivisibilità dei dispari,
perchè rimane un quadratino in mezzo;
Il bambino sovrappone le cifre mobili e i cubetti ai segni dei cartelloni. La mae-
stra allora separa con le mani le due file dei cubetti corrispondenti alle cifre pari
(rosse): questo si divide bene. Cerca di separare le dispari (bleu): questo non si
può. resta un cubetto in mezzo!
Il bambino ha le cifre e i cubetti; li dispone sul banco, copiando la figura dal car-
tellone e cercando egli di separare le due file dei numeri pan, non potendo farlo
coi dispari.
Se i numeri che si dividono in due sono pari, quelli che non si dividono sono
dispari.
Casellario dei numeri. — Su questo casellario sono disegnate sopra ogni casella
le cifre in rosso e in bleu, uguali a quelle dei cartelloni. Il bambino getterà in ogni
casella i cubetti corrispondenti alla cifra, dopo che li ha disposti nell'ordine pari e
dispari sul banco, dicendo il nome della cifra e aggiungendo: « pari », o <t dispari »,
Esercizio di applicazione e di memoria. — Il cartellone delle cifre pari e dispari
a colori sta sul leggio in vista a tutti i bambini: sul banco della maestra sono ammuc-
chiati 1 cubetti rossi e bleu.
La maestra distribuisce tra 1 bambini le cifre di legno e dice « guardatele ! »,
poi subito dopo i bambini escono dai banchi e vanno insieme al tavolo della maestra
a prendere i cubetti relativi alla propria cifra. Tornano al posto e dispongono i cubetti
sotto la cifra nell'ordine appreso.
La maestra noterà:
1° se il bambino ha ricordato il colore della cifra (spesso qualcuno che ha la
cifra rossa prende i cubetti bleu) ;
■2° se ha ricordato il numero;
3° se ricorda la disposizione.
Infine noterà se il bambino ricorda che il cartellone dal quale può copiare sta
sul leggìo e se pensa di osservarlo.
Quando il bambino sbaglia, la maestra lo fa correggere da sé, facendogli osser-
vare il cartellone.
PARTE SECONDA
Decina. Numer.\zione.
Classi superiori alla preparai ria.
Ih btittega si vendono io (ìt»getti al soldo (cs.: io fagiuoli), un soldo alla decina,
una decina = dieci io;
due decine = venti 20;
tre decine = trenta 30, occ.
l.f decine da 40 in su si imparano più facilmente, essendo i loro nomi simili
al numero, con la desinenza in anta: si preparano dei cartoni a lungo rettangolo in
cui sono scritte le nove decine una sotto l'altra: «[uindi nove cartoncini ove sono
ripetute nove volte ogni decina in colonna.
Quindi tanti cartellini con le singole cifre: i, 2, 3, 4, 5, (>, 7, 8, () da sovrapporsi
allo zero nei artoni della decina ripetuta nove volte.
Sarà più difficile per la prima decina, ove i nomi non corrispondono ad essa:
undici, dodici, ecc., ma diverrà facilissima per le altre decine, .\ppena il bambino
saprà contare fino a venti, saprà pure contare fino a cento.
In seguito si fanno sovrapporre i cartellini sul 1° cartone della serie delle decme,
e si fanno leggere i numeri risultanti.
Problemi. - I problemi in principio sono pei fanciulli un esercizio di memoria.
Infatti essi sciolgono il problema praticamente alla bottega sotto forma di giuoco,
comprando prestando danari, dividendo coi fratelli, sottraendo una parte della
merce per darla a una sorella, ecc. ecc. La mattina dopo il problema si rifensce al-
l'esercizio di bottega; i bambini devono solo ricordarsene e mettere in iscritto il
fatto avvenuto.
/ problemi si svolgono quindi contemporaneamente alle operazioni, ai calcoli.
La maestra spiega le operazioni partendo dal problema, che pel bambino è un giuoco
assai divertente.
Infine il problema diventa un componimento d'immaginazione: «immaginate
un po' d'essere andati in bottega o d'aver comprato, ecc., ecc. ». Infine si può arrivare
a veri problemi che richiedono ragionamento.
In bottega la maestra esegue le operazioni sulla lavagna, aiutandosi prima coi
segni, es.: « tu hai comprato due soldi di fagiuoli a tre il soldo, scriviamo un po' »
III III contiamo: sono 6.
ALLEGATI 575
III III
Allora: 3-1-3 = 6. E possiamo anche dire: 2 gruppetti di ||| uguale 6, due volte
tre sei; due per tre, sei; 2x3 = 6. Quanto fa 3 + 3? Quanto fa 2 x 3? Quanto fa 3 x 2?
La mattina, al problema scritto, il bambino abbia in principio sotto gli occhi
i cartelloni dei calcoli con tutte le loro combinazioni, ai quali potrà ricorrere.
Solo in seguito calcolerà a memoria.
Esempi di cartelloni.
Cartelloni dell' addizione .
1 + 1 = 2
2+1 = 3
3+1=4
1 + 2 = 3
2 + 2 = 4
3 + 2 = 5
1 + 3 = 4
2 + 3 = 5
3 + 3 = 6
1 + 4 = 5
2 + 4 = 6
3 + 4 = 7
Della moltiplicazione.
1x1=1 2x1=2 3x1=3
1X2 = 2 2x2=4 3x2 = (.
1X3 = 3 2x3 = 6 3X3 = C)
Così della sottrazione.
Lo svolgimento delle varie operazioni è avvenuto logicamente negli esercizi di
bottega, dove la moltiplicazione è risultata un prodotto di somme, la divisione un
risultato di sottrazioni successive.
Noi abbiamo nelle nostre classi, lezioni di aritmetica tutti i giorni: un giorno
nel dopo pranzo si prepara praticamente alla bottega la lezione teorica del mattino
di poi. Quindi il giorno che v'è pratica non v'è teorica e viceversa.
Con lo stesso metodo si svòlgerà il sistema metrico decimale applicato ai pesi
e alle misure e alle prime monete.
La bottega dovrà essere fornita delle bilancie coi pesi, del metro, del litro, ecc.
Tutte le monete, poi, dovranno esser note, e così i biglietti fino a lire 100.
La lezione della bottega continui sempre ad essere non solo una preparazione al
calcolo, ma anche una preparazione alla vita pratica. Es.: vendendo le stoffe, si dia una
idea del vero prezzo di esse, si faccia notare la qualità con la palpazione, ecc., s'insegni
ad osservare se il negoziante serve bene; si addestri allo scambio della moneta. II
denaro che i bambini spendono in bottega, deve essere da loro guadagnato come
votazione dello studio e della condotta.
REGOLE GENERALL
Per attrarre l'attenzione del bambino deficiente, sono necessari forti stimoli
sensoriali: quindi le lezioni debbono essere eminentemente oggettive. Ogni lezione
deve cominciare dalla presentazione di oggetti, che la maestra illustrerà con poche
parole, ma spiccatamente pronunciate, con modulazioni di voce continue, e accom-
pagnate da vivace espressione mimica.
57^ PARTE SECONDA
1..» lozione sia dilettente, presentata possibilnn ntc sotto forma di giuoco e
tale da destaro la curiosità del bambino: come i giuochi doU'iudovino. dell'acchiap-
pamano, del sonnambulo, del bottegaio cieco; il gioco della bottega, ecc. ecc.
Ma comunque divertente, la lezione sia sempre breve m modo che la sua fine
lasci in desiderio il bambino; la sua attenzione, che presto si esaurisce, non deve
essere esaurita dalla lezione. Per fissare le nozioni noi dovremo ripetere la lezione
molte volte: ogni volta però il medesimo oggetto sia presentato sotto forma diversa,
in diverso ambiente, sì che apparisca come nuovo e desti quindi interesse: il racconto
.storico, nei quadri \nventi, al gran quadro disegnato a colori, sulla camera oscura in
proiezione luminosa, ecc.
Quando le lezioni devono essere di necessità quasi individuali, come nelle prime
classi, si abbia l'avvertenza di tenere occupati tutti gli altri bambini con oggetti
diversi: incastri, telai per allacciare, abbottonare, agganciare, ecc.
Se un bambino si rifiuta alla lezione, non è bene forzarlo; ma cei heremo clie ci
obbedisca indirettamente per imitazione di compagni, ci rivolgeren.j ai vicini di
buona volontà e li colmeremo di elogi. " N., è bravo!, come è bravo! " quasi sempre
anche il bambino prima recalcitrante saprà sottomettersi. Quando un fanciullo' ci
ha corrisposto bene, mostrando di avere appreso ciò che gli insegnavamo, non si
inviti a ripetere ancora, perchè stancandosi facilmente la sua attenzione potrà dire
male in secondo tempo ciò che prima aveva detto bene, e ciò lo scoraggerà. Invece
bisogna contentarsi della prima buona risposta, colmare d'elogi il bambino che ne
serberà cosi più facilmente compiacente memoria, e tornarvi su solo il giorno dopo,
o almeno a distanza di ore.
Fa eccezione la lezione di lavoro manuale, che sarà lunga un'ora intera, e che
soltanto prenderà l'aspetto di sena occupazione e non di giuoco. Si applichi presto
il bambino a lavori utili, anche se faticosi o un poco dannosi (lavori di traforo in
legno, ecc.).
Deve fin dal principio abituarsi il bambino a superare vittoriosamente le asprezze
del lavoro manuale, che. solo, un giorno potrà dargli il pane. Ad eccitarlo al lavoro ci
saranno dei compensi: il bambino guadagnerà nell'ora del lavoro il denaro con cui
comprerà in bottega, con cui potrà procurarsi il suo posto al teatro e nella sala delle
proiezioni. II bambino che non lavora sarà privato delle lezioni più divertenti, come
quelle di musica e di ballo, che verranno subito dopo l'ora del lavoro. Del resto quasi
sempre questi bambini si applicano volentieri ai lavori manuali, i quali debbono es-
sere scelti e adottati secondo le tendenze naturali dei singoli fanciulli, sì che sul la-
voro il bambino possa trovare la maggiore sua soddisfazione, e, per la naturale ten-
denza, riescire a perfezionarsi in modo ch'esso riesca utile a sé stesso e ad altri.
EDUCAZIONE MORALE.
Noi intendiamo per educazione morale quella che tende a rendere sociale un
individuo per sua natura extra o antisociale. Essa comprende più parti e potremo
farne un parallelo con l'educazione fin qui trattata che chiameremo; « educazione
intellettuale ».
ALLEGATI 577
In essa cominciavamo dal correggere a mezzo d'una opportuna cura igienica
tutti quei difetti fisici che potevano opporsi ad una ifficace opera educativa; anche
qui con mezzi igienici, tenteremo di eliminare quei difetti che spesso sono il risultato
d'un malessere fisico passeggero. Cercheremo cioè di interpretare quelle che comune-
mente si chiamano cattiverie dei bambini, le quali non sono apparentemente provo-
cate da causa alcuna, per ricercare se esse provengano da qualche disturbo intestinale
o dallo stato di incubazione di qua'che malattia infettiva, dei quali stati d'incubazione,
i sintomi devono essere noti ali educatore. Le madri inglesi usano empiricamente
di dare un purgante o di applicare una doccia al bambino « cattivo », spesso con
buon successo correttivo: ma non è prudente usare l'empirismo là dove la scienza
può dare norme ben più sicure ed efficaci.
L'igiene dei bambini deve essere nota all'educatore e formare sempre il cardine
del metodo educativo. Passando all'educazione vera, noi cominciavamo là col ri-
dure il bambino alla immobilità tonica; qui cominceremo col ridurre il bambino al-
Vobbedieìiza.
Per dare là il primo concetto della propria personalità fisica al bambino (imi-
tazione personale: toccare le parti del proprio corpo), e della sua relazione con l'am-
biente (imitazione impersonale: spostare gli oggetti, ecc.), ricorrevamo alla imi-
tazione: qui, per ispirargli i primi doveri, gli creeremo un ambiente moralmente
corretto, ambiente ove egli, già sottomesso nell'obbedienza, imiterà le persone che
agiscono bene.
Là continuavamo con l'educazione dei sensi; qui si procederà all'educazione del
sentimento; là si passava all'educazione intellettuale propriamente detta; qui alla
educazione della volontà.
Quindi il parallelo è perfetto:
educazione igienica; igiene;
immobilità tonica: ubbidienza;
imitazione; imitazione (ambiente);
educazione dei sensi: educazione del sentimento;
educazione intellettuale propriamente detta: educazione della v(jlontà.
Ubbidienza.
Il maestro che comanda è una volontà che s'impone al bambino deficiente, il
quale manca di volontà; e si sostituisce alla sua o spingendolo all'azione o inibendo
i suoi impulsi. È necessario che fin dal principio il bambino senta questa volontà
che a lui s'impone e sempre fatalme'^te lo vince: e che comprenda come conti o questa
volontà egli non potrà mai resistere.
Il maestro che ha comandato, deve farsi obbedire a ogni costo, sia pur ricorrendo
in principio a mezzi coercitivi; nessuna cosa mai potrà far desistere il maestro dal
suo comando: il bambino deve sottomettersi e ubbidire. Perciò il maestro comandi
in principio solo cose che egli potrà ottenere; peres.: di far muovere il bambino, poiché
potrà nei casi estremi muoverlo per forza; o di farlo star fermo, poiché potrà magari
legarlo con fascie o mettergli la camicia di forza. Ma non gli comanderà mai, p. es., di
57^ PARTE SECONDA
chiedere i>crdono, perchè il bambino potrà rifiutarsi e contto tale ritiutu può divenire
impotente il maestro e perdere della sua autorità.
Per avere la forza del comando, il maestro deve possedere un forte potere sug-
gestivo, che potrà acquistare parzialmente con arte. Il maestro dovrebbe essere
fisicamente bello, di imponente persona; dovrebbe avere una voce limpida, modulata;
un potente sguardo, energico il gesto ed espressiva la mimica del volto. Cose che in
gran parte possono acquistarsi studiando la mimica e la declamazione; ciò che un
perfetto maestro di deficienti dovrebbe fare.
Lo studio artistico deJ comando che il maestro deve fare si divide in tre parti;
a) studio della voce e della parola;
b) studio del gesto;
e) studio dello sguardo.
La voce e la parola. — La voce deve essere limpida e melodiosa; l'articolazione
della parola perfetta. Chi ha difetti di pronuncia rinunzi ad educare i deficienti;
se un giorno siamo raffreddati e gli scatti della nostra voce possono assumere intona-
zioni false o ridicole, rinunciamo per quel giorno a correggere e comandare un defi-
ciente.
La nostra voce deve colpire l'udito e suggestionare il bambino. Se le grida, le
tirate declamatorie, sono oramai abolite nell'educazione comune, faranno bene nella
pratica pei deficienti; mentre nell'educazione intellettuale di questi infelici fanciulli
dovevamo pronunciare poche parole, spiccatamente, qui non si esiti il diluvio delle
parole, purché si seguano senza monotonia, purché la voce passi dal tono di rimpro-
vero interrotto, dagli scatti rapidi e stridenti, al tono commovente, drammatico, in-
terrotto da esclamazioni di dolore; al tono tenero, carezzevole, pietoso. Poche parole
spicchino nella moltitudine loro, quelle che col grido o l'esclamazione vogliamo far
capire al bambino; le altre non saranno altro per lui che <( suono modulato, melo-
dioso o straziante ». Questo, quando nel «comando» di non fare il mtde entra pure
il mezzo correttivo; o di compiere un'azione, entra l'incitamento, la minaccia e la
promessa; e in tal caso con la musica della voce umana cominciamo già l'educazione
del sentimento.
Ma spesso il comando è semplice: si comanda al bambino di fare una cosa: egli non
si oppone, ma non si decide nemmeno facilmente; noi, con le nostre parole, vogliamo
fargli comprendere ciò che gli chiediamo. In questo caso, la tecnica del semplice
comando si divide in due parti: quella del comando incitativo e quella del comando
esplicativo. Il comando intero dovrà ripetersi più volte variando intonazione ogni
volta, e accentuando sempre una parola diversa, finché progressivamente avremo
accentuato tutte le parole. Es.: «Umberto, metti codesto libro sulla tavola ». La prima
volta il comando sarà incitativo, richiamerà l'attenzione del fanciullo e lo stimolerà
ad agire; l'accento cadrà sul nome del bambino e sull'imperativo; il tono sarà di co-
mando assoluto: " Umberto...! metti... codesto Hbro sul tavolino ». Poi il tono muterà,
si raddolcirà andando dal comando alla spiegazione, la parola prima netta, vibrante,
irresistibile, si muterà in espressioni lente, distaccate, penetranti: « Umberto! metti
codesto libro sul tavoUno ».
« Umberto! metti codesto libro sul tavolino ».
« Umberto! metti codesto libro sul tavolino ».
ALLEGATI 579
Mentre la voce, comandando' e descrivendo, spingeva, guidandolo, il bambino
all'azione da noi voluta, ci aiutava, nel potere suggestivo, e nella spiegazione.
Gesto. — Il maestro deve studiare particolarmente il gesto espressivo col quale
sempre dovrà accompagnare la parola, così per eccitare all'azione, come pei provo-
care l'imitazione e spiegare il comando. Tanto perfetto dovrebbe essere e tanto
espressivo nel gesto, da farsi comprendere anche senza {)aroIe.
Se, p. es., il maestro vuol comandare l'immobilità al bambino, insieme all'impe-
rioso scatto della voce, il maestro si fermi, e stia, quasi irrigidito, fissando con Io
sguardo il fanciullo, in modo ch'esso colpito, suggestionato, imiti quella rigida im-
mobilità che vede innanzi a sé. E poi per mantenerlo immobile, il maestro attiri l'at-
tenzione del fanciullo con un sibilo heve, quasi continuo, ipnotizzante.
Se vorrà eccitare al movimento un apatico, il maestro stesso si moverà, accom-
pagnando alla eccitazione della voce quella del moto di tutta la persona.
Nel comando semplice, il maestro userà il solo gesto del braccio:
Comando, fase eccitativa: linea diritta e rapida.
Idem, fase espUcativa: linea curva e lenta.
Comando d' immobilità: questo semplice dall'alto al basso, dal difuori a! didentro.
Idem, Comando di movimento: dal basso all'alto, dal didentro al difuori.
Sguardo ed espressione mimica. — Lo sguardo ha grande potenza sul fanciullo;
è quello stesso sguardo che afferrò il suo e lo condusse poi nei primi insegnamenti
(V. «Educazione dello sguardo»).
« Tutte le espressioni dello sguardo son buone purché il maestro le impieghi a
proposito; poiché non si tratta qui di fare gli occhiacci al bambino, come potrebbe
credersi, per ispirargli paura; ma si tratta semplicemente di far esprimere agh occhi
insieme alla intera fìsonomia, tutti i sentimenti che il maestro stesso dovrà provare
alla vista d'un bambino obbediente o ribelle, paziente o collerico e di dare a questa
espressione tale chiarezza che il bambino non possa mai ingannarsi » (Séguin, pa-
gina 679).
La fìsonomia del maestro deve essere mobile, espressiva, quindi in rapporto
armonico con ciò che deve esprimere (pace, lotta, gaiezza); e non deve mai alterarsi
o mutare dalla sua espressione del momento, per un fatto estraneo che potesse so-
pravvenire; altrimenti i bambini impareranno a provocare simili avvenimenti pas-
seggeri.
Questi comandi, che richiedono da parte del maestro tanto studio artistico, non
saranno certo necessari durante tutto il periodo.
PARTE SECONDA
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.) studio della voce e della p.-ula;
6) studio del gesto;
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promessa; e m ta. ca.u .... ^^^
si oppone, ma non a chiediamo. In questo caso, comando
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