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Full text of "The Life of Lorenzo de' Medici, called the Magnificent"

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LIFE 


OF 


LORENZO  DE'  MEDICL 


VOL.  III. 


THE 


LIFE 


OF 


./ 


LORENZO  DE'  MEDICI. 

CALLED 

THE  MAGNIFICENT. 


BT  WILLIAM  ROSCOE. 


THE    FIRST   AMERICAN, 

FROM    THE   FOURTH    LONDON   EDITION,  CORRECTED, 

IN   THREE  VOLUMES. 

VOL.  III. 


PHILADELPHIA : 

PRINTED  FOR   BRONSON  llf  CHAUNCEY. 
1803. 


POESIE 


DEL  MAGNIFICO 


LOREJ^ZO  DE'  MEDICI, 


TRATTE   DA   TESTI   A   PENNA 


BELLA  LIBRERIJ  MEDICEO-LAURRNZIAXA. 


VOL.    III. 


INDICE. 

AMBRA,  FAVOLA, •     •     .  1 

LA  CACCIA  COL  FALCOJVE^        16 

ELEGIA, 31 

AMORI  DI  VEJVERE  E  MARTE,      ......  36 

LA  COJVFESSIOJVE, 41 

LE  SETTE  ALLEGREZZE  n^AMORE,    ...  42 

CAJVZOJVE,  Prenda  Plata,        46 

CAJVZOJ^E,   Con  tua  promesse, 47 

CAJVZOJVE,  lo  iirego  Dio,         48 

CAJVZOJVE,  lo  ho  d"  amara  dolcezza, 49 

SOJVETTO,  Se  come  Giove, 51 

SOJVETTO,  Fugiendo  Loth, 52 

SOJVETTO,  Segui  anhna  divota, 53 


A  SUOI  COMPATRIOTTI, 

AMATORl  DELLA   BELLA  FAVELLA   ITALIANA, 

Z'  Editor e, 

NeL  darvi  a  leggere  questi  poemetti,  die  il  mio  caro 
amico,  e  concittadino,  il  Sig.  Guglielmo  Clarke,  accu- 
ratamente  trasse  dagli  original!  esistenti  nella  Libreria 
MediceO'Laurenziana^  d'altro  non  occorre  avvertirvi,  se 
non,  che  per  darvi  un  saggio  della  lingua  Toscana,  nel 
secolo  del  1400,  I'antica  ortografia  e  stata,  per  quanto  fu 
possibile,  conservata. 


AMBRA. 


FAVOLA. 


Fug  IT  A  e  la  stagion,  ch'  avea  conversi 
E  liori  in  pomi  gia  maturi,  e  colti ; 
In  ramo  piu  non  pub  foglia  tenersi, 
Ma  sparte  per  li  boschi  assai  men  folti 
Si  fan  sentir,  se  avvien  clie  gli  attraversi 
II  cacciator,  e  pochi  paion  molti : 
La  fera,  se  ben  P  orme  vaghe  asconde, 
Non  va  secreta  per  le  secche  froncle. 

Fra  gli  arbor  secchi  stassi  '1  lauro  lieto, 
E  di  Ciprigna  P  odorato  arbusto  ; 
Verdeggia  nelle  bianche  Alpe  P  abeto, 
E  piega  i  rami  gia  di  neve  onusto ; 
Tiene  il  cipresso  qualche  uccel  secreto  ; 
E  con  venti  combatte  il  pin  robusto  ; 
L'umil  ginepro  con  le  acute  foglie, 
Le  ii\an  non  piigne  altrui,  che  ben  le  coglie, 

L'  uliva 


2  POESIE 

L'  uliva,  in  qualche  dolce  piaggia  aprica, 
Secondo  il  vento,  par  or  verde,  or  bianca 
Natura  in  questa  tal  serba,  e  nutrica 
Quel  verde,  che  nell'  altre  fronde  manca  : 
Gia  i  peregrin!  uccei  con  gran  fatica 
Hanno  condotto  la  famiglia  stanca 
Di  la  del  mare,  e  pel  cammin  lor  mostri 
Nereidi,  Tritoni,  e  gli  altri  mostri. 

Ha  combattuto  delP  imperio,  e  vinto 

La  notte,  e  prigion  mena  il  breve  giorno  : 
Nel  ciel  seren  d'  eterne  fiamme  cinto 
Lieta  il  carro  stellato  mena  intorno  ; 
Ne  prima  surge,  ch'  in  oceano  tinto 
Si  vede  P  altro  aurato  carro  adorno ; 
Orion  freddo  col  coltel  minaccia 
Phebo,  se  mostra  a  noi  la  bella  faccia* 

Seguon  questo  notturno  carro  ardente 
Vigilie,  escubie,  sollecite  cure, 
E  'I  sonno,  c  benche  sia  molto  potente, 
Queste  importune  il  vincon  spesso  pure, 
E  i  dolci  sogni,  che  ingannon  la  mente, 
Quando  e  oppressa  da  fortune  dure  : 
Di  sanita,  d'  assai  tesor  fa  festa 
Alcun,  che  infermo  e  povero  si  desta. 

O  miser  quel,  che  in  notte  cosi  lunga 
Non  dorme,  e  '1  disiato  giorno  aspetta ; 


Se 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  3 

Se  avvien,  che  molto,  e  dolce  disio  il  punga, 
Quale  il  future  giorno  li  prometta  ; 
E  benche  ambo  le  ciglia  insieme  aggiunga, 
E  i  pensier  tristi  escluda,  e  i  dolci  ammetta ; 
Dormendo,o  desto,  accioche  il  tempo  inganni, 
Gli  par  la  notte  un  secol  di  cent'  anni. 

O  miser  chi  tra  1'  onde  trova  fuora 
Si  lunga  notte,  assai  lontan  dal  lito  ; 
E  '1  cammin  rompe  deila  cieca  prora 
II  vento,  e  freme  il  mar  un  fer  mugito  ; 
Con  molti  prieghi  e  voti  P  Aurora 
Chiamata,  sta  col  suo  vecchio  marito  : 
Numera  tristo,   o  disioso  guarda 

I  passi  lenti  della  notte  tarda. 

Quanto  e  diversa,  anzi  contraria  sorte 
De'  lieti  amanti  nell'  algente  bruina, 
A  cui  le  notti  sono  chi  are,   e  corte, 

II  giorno  oscuro,  e  tardo  si  consuma. 
Nella  stagion  cosi  gelida,  e  forte, 
Gia  rivestiti  di  novella  piuma, 
Hanno  deposto  gli  augelletti  alquanto, 
Non  so  s'io  dica,  o  lieti  versi,  o  pianto. 

Stridendo  in  ciel  e  gru  veggonsi  a  lunge 
L'  acre  stanipar  di  varie,  e  belie  forme ; 
E  P  ultima  col  coUo  steso  aggiunge 
Ov'  e  quella  dinanzi  alle  vane  orme  ; 

E  poiche 


4  POESIE 

E  poiche  negli  aprichi  lochi  giunge, 
Vigile  un  guarda,  e  P  altra  schiera  dorme  5 
Cuoprono  i  prati,  e  van  leggier  pe'  laghi 
Mille  spetie  d'  uccei,  dipinti,  e  vaghi. 

L'  Aquila  spesso  col  volato  lento 

Minaccia  tutti,  e  sopra  il  stagno  vola, 
Levonsi  insieme,  e  caccionla  col  vento 
Dellc  penne  stridenti,  e  se  pur  sola 
Una  fuor  resta  del  pennuto  armento, 
L'  uccel  di  Giove  subito  la  invola  : 
Resta  ingannata  misera,  se  crede 
Andarne  a  Giove  come  Ganimede. 

Zefiro  s'e  fuggito  in  Cipri,  e  balla 
Co'  fiori  ozioso  per  P  erbetta  lieta ; 
L'  aria  non  piu  serena,  bella,  e  gialla, 
Borea,  ed  Aquilon  rompe,  ed  inquieta  : 
L'  acqua  corrente  e  querula  incristalla 
II  ghiaccio,  e  stracca  or  si  riposa  cheta  : 
Preso  il  pesce  nelP  onda  dura  e  chiara, 
Resta  come  in  ambra  aurea  zanzara. 

Quel  monte,  die  s'oppone  a  Cauro  fero, 
Che  non  molesti  il  gentil  fior  cresciuto 
Nei  suo  grembo  d'  onor,  ricchezze,  e  'mpero, 
eigne  di  nebbie  il  capo  gia  canuto ; 
Gli  omer  cadenti  giu  dal  capo  altero 
Cuoprono  i  bianchi  crini,  e  '1  petto  irsuto 

L'  orribil 


DI   LORENZO   DE'   MEDICI.  5 

L'  orribil  barba,  ch'  e  pel  ghiaccio  rigida  : 
Fan  gli  occhi,  e  '1  naso  un  fonte,  c  '1  ciel  lo 
'nfrigida. 

La  nebulosa  ghirlanda,  die  eigne 

L'  alte  tempie,  gli  mette  Noto  in  testa ; 
Borea  dalP  Alpe  poi  la  caccia,  e  spigne, 
E  nudo,  e  bianco,  il  vecchio  capo  resta  y 
Noto  sopra  P  ale  umide,  e  maligne 
Le  nebbie  porta,  e  par  di  nuovo  il  vesta  ; 
Cos!  MORE  LLC  irato,  orcarco,  or  lieve, 
Minaccia  al  pian  subietto  or  acqua,  or  neve. 

Partesi  d'  Etiopia  caldo  e  tinto 

Austro,  e  sazia  le  assettate  spugne, 
NelP  onde  salse  de  Tirreno  intinto, 
Appena  a'  destinati  luoghi  giugne, 
Gravido  d'  acqua,  e  da  nugoli  cinto, 
E  stanco  stringe  poi  ambo  le  pugne  ; 
I  liumi  lieti  contro  alle  acque  amiche 
Escono  allor  delle  caverne  antiche. 

"Rendono  grazie  ad  Ocean  padre  adorni 
D'ulve,  e  di  fronde  iluvial  le  tempie; 
Suonan  per  festa  conche,  e  torti  corni, 
Tumido  il  ventre  gia,   superbo  sempre* 
Lo  sdegno  concepnto  molti  gioriii 
Contro  alle  ripe  timide  s'ademple  ; 

VOL.  III.  .       c  Spiimoso 


6  POESIE 

Spumoso  ha  rotto  gia  1'  inimic'  argine, 
Ne  serva  il  corso  deiP  antico  margine. 

Non  pervietorte,  o  per  cammino  oblico, 
A  guisa  di  serpenti,  a  gran  volumi 
Sollecitan  la  via  al  padre  antico  ; 
Congiungo  V  onde  insieme  i  Ionian  fiumi, 
E  dice  P  uno  all'  altro,  come  amico, 
Niiove  del  suo  paese,  e  de'  costumi : 
Cosi  parlando  insieme  in  strana  voce, 
Ciercon,  ne  truovon,  la  sm:irrita  foce. 

Quando  gonfiato,  e  largo  si  ristrigne 
Tra  gli  alti  m.onti  d'  una  cliiusa  valle, 
Stridon  frenate,  turbide,  e  maligne 
L'  onde,  e  miste  con  terra  paion  gialle  : 
E  gravi  petre  sopra  petre  pigne, 
Irato  a'  sassi  dell'  angusto  caile  ; 
L'  onde  spumose  gira,  e  orribil  freme  i 
Vede  il  pastor  dall'  alto,  e  sicur  teme.; 

Tal  fremito  piangendo  rende  trista 

La  terra  dentro  al  cavo  ventre  adusta ; 
Caccia  col  fumo  fuor  iiamma,  e  acqua  mista 
Gridando,  clie  esce  per  la  bocca  angusta  ; 
Terribile  agli  orecchi,  et  alia  vista  : 
Teme  vicina  il  suono  alta,  e  combusta 
Vol  TERR  A,  e  i  lagon  torbidi,  che  spumano, 
E  piova  aspetta  se  piu  alto  fumano. 

Cosi 


DI   LORENZO   DE'   MEDICI.  7 

Cosi  crucciato  il  fer  torrente  frende 
Superbo,  e  le  contrarie  ripe  rode  ; 
Ma  poiche  nel  pion  largo  si  distende, 
Quasi  contenta,  allora  appena  s'  ode  : 
Incerto  se  in  su  torna,   o  se  pur  scende, 
Ha  di   monti  distanti  fatto  prode ; 
Gia  vincitor,  al  cheto  lago  incede, 
Di  rami,  e  tronchi  pien,  montane  prede. 

Appena  e  suta  a  tempo  la   villana 
Pavida  a  aprir  alle  bestie  la  stalla  ; 
Porta  il  figlio,  che  piange  nella  zana  ; 
Segue  la  figlia  grande,  et  ha  la  spalla 
Grave  di  panni  vili,  lini,   e  lana : 
Va  P  altra  vecchia  masseritia  a  gaila : 
Nuotano  i  porci,  e  spaventati  i  buoi, 
Le  pecorelle,  che  non  si  toson  poi. 

Alcun  della  famiglia  s'e  ridotto 
In  cima  della  casa,    e  su  dal  tetto 
La  povera  ricchezza  vede  ir  sotto, 
La  fatica,   la  speme,    e  per  sospetto 
Di  se  stesso,  non  duolsi,  en  non  fa  motto ; 
Teme  alia  vita  il  cor  nel  tristo  petto, 
Ne  di  quel  ch'  e  piu  car  par  conto  faccia ; 
Cosl  la  maggior  cura  ogni  altra  caccia. 

La  nota,    e  verde  ripa  allor  non  frena 
I  pesci  lieti,  che  han  piu  ampj  spazj  : 

L'antica 


8  POESIE 

L'  antica,  e  giusta  voglia  alqiiaiito  e  piena 
Di  veder  nuovi  liti ;   e  noii  ben  sazj 
Questo  nuovo  piacer  vaghi  li  mena 
A  vcder  le  ruine,  e  i  grandi  strazj 
Degli  edificj,    e  stotto  1'  acqua  i  muri 
Veggon  lieti,  ed  an  cor  non  ben  sicuri. 

In  giiisa  allor  di  piccola  isoletta, 

Ombrone,  amante  superbo,   ambra  eigne; 
Ambra  non  meno  da  lauro  diletta, 
Geloso,   se'l  rival  la  tocca,    e  strigne  ; 
Ambra  Driade  a  Delia  sua  accetta, 
Quanto  alcuna  che  stral  fuor  d'  arco  pigne ; 
Tanto  bella,  e  gentii,  eh'  al  fin  le  noce, 
Leggier  di  piedi,  e  piu  ch'  altra  veioce. 

Fu  da'  primi  anni  questa  Nyncipha  amata 
Dal  suo  LAURO  gentii,  pastore  alpino, 
D'  un  casto  amor,  non  era  penetrata 
Lasciva  fiamma  al  petto  peregrino ; 
Fugiendo  il  caldo  un  di  nuda  era  entrata 
Nelle  onde  fredde  d'  ombron,  d'  Appenino 
Figlio,  superbo  in  vista,  e  ne'  costumi, 
Pel  padre  antico,  et  cento  frati  fiumi. 

Come  le  membra,  verginali  entrorno 
Nelle  acque  brune  e  gelide,  sentio, 
Et,   mosso  da  leggiadro  corpo  adorno, 
Delia  spelonca  usci  P  altero  Dio, 

Dalla 


DI    LORENZO    DE'    MEDICI.  9 

Dalla  sinistra  prese  il  torto  corno, 
E  nudo  il  resto,  accieso  di  disio, 
Difende  il  capo  inculto  a'  phebei  raggi, 
Coronato  d'  abeti,  e  montan  faggi. 

E  verso  il  loco  ove  la  Nympha  stassi, 
Giva  pian  pian,  coperto  dalle  fronde  ; 
Ne  era  visto,  ne  sentire  i  passi 
Lasciava  il  mormorio  delle  chiare  onde ; 
Cosi  vicin  tanto  alia  Nympha  fassi, 
Che  giimger  crede  le  sue  treccie  bionde, 
E  quella  bella  Nympha  in  braccio  havere, 
E  nudo,  il  nudo  e  bel  corpo  tenere. 

Sicome  pesce,  alhor  che  incauto  cuopra 
El  pascator  con  rara  et  sottil  maglia, 
Fuggie  la  rete  qual  sente  di  sopra, 
Lasciando  per  fuggir  alcuna  scaglia ; 
Cosi  la  Nympha,  quando  par  si  scuopra, 
Fuggie  lo  dio,  che  adosso  se  le  scaglia  ; 
Ne  fu  SI  presta,  anzi  fu  si  presto  elli, 
Che  in  man  lasciolli  alcun  de'  suoi  capclii. 

E  saltando  delP  onde  strigne  il  passo, 
Di  timor  piena  fuggie  nuda,  e  scalza  ; 
Lascia  i  panni,  e  li  strali,  et  il  turcasso  ; 
Non  cura  i  pruni  acuti,  o  P  aspra  balza  ; 
Resta  lo  Dio  dolente,  afflitto,  e  lasso. 
Pel  dolor  le  man  stringe,  al  ciel  gli  occhi  alza, 

Maladisce 


10  POESIE 

Maladisce  la  man  crudele,  e  tarda, 
Qiiando  i  biondi  capelii  svelti  guarda. 

E  seguendola  alhor,  diceva,   o  mano 
A  vellere  i  bei  crin  presta,  e  ferocc, 
Ma  a  tener  quel  corpo  piu  che  humano, 
E  farmi  lieto,  ohime,  poco  veloce  : 
Cosi  piangendo  il  prhno  errore  iiivano, 
Credendo  almeno  aggiugner  con  la  voce 
Dove  arrivar  non  puote  il  passo  tardo, 
Gridava,  o  nympha,  un  fiume  sono,  et  ardo ; 

Tu  m'accendesti  in  mezzo  alle  fredde  acque 
El  petto  d'  uno  ardente  desir  cieco  ; 
Perche,  come  nelP  onde  il  corpo  giacque, 
Non  giace,  che  staria  meglio,  con  meco  ? 
Se  P  ombra,  e  P  acqua  mia  chiara  ti  piacque, 
Piu  belle  ombre,  piu  belle  acque  ha  ilmio  speco; 
Piaccionti  le  mie  cose,  e  non  piaccio  io  ? 
Et  son  pur  d'  Appenin  figliuolo,  et  Dio. 

La  Nympha  fuggie,  e  sorda  a'  prieghi  fassi, 
A'  bianchi  pie  aggiugne  ale  il  timore  ; 
Sollecita  lo  Dio  correndo  i  passi, 
Fatti  a  seguir  veloci  dalP  amore  ; 
Vede  dapruni  et  da  taglienti  sassi, 
I  bianchi  pie  ferir  con  gran  dolore  ; 
Crescie  el  desio,  pel  quale  aghiaccia,  e  suda, 
Veggendola  fuggir,  si  bella,  e  nuda. 

Timida, 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  H 

Timida,  e  vergognosa  ambra  pur  corre, 
Nel  corso  a'  venti  rapidi  non  cede  ; 
Le  leggier  piante  sulle  spighe  porre 
Potria,  e  sosterrieno  il  gentil  piede  ; 
Vedesi  ombrone  ognor  piu  campo  torre, 
La  Nympha  ad  ogni  passo  maiico  vede, 
Gia  nel  plan  largo  tanto  il  corso  avanza, 
Che  di  giugnerla  perde  ogni  speranza. 

Gia  priaper  li  monti  aspri,  e  repenti 
Venia  tra  sassi  con  rapido  corso, 
I  passi  alti,  manco  espediti,  e  lenti, 
Faceano  a  lui  sperar  qualche  soccorso  ; 
Ma  giunto,  lasso,  giu  ne'  pian  patenti, 
Fu  messo  quasi  al  fiume  stanco  un  morso, 
Poi  che  non  puo  col  pie,  per  la  campagna 
Col  disio  e  cogli  occhi  P  accompagna. 

Che  debbe  far  1'  innamorato  Dio, 

Poiche  la  bella  Nympha  piu  non  giugne  ? 
Quanto  gli  e  piu  negata,  piu  desio 
L'  innamorato  core  accende,  e  pugne ; 
La  Nympha  era  gia  presso  ove  arno  mio 
Ricieve  ombrone,  eP  onde  sue  congiugne, 
Ombrone,   arno  veggiendo,  si  comforta, 
E  surge  alquanto  la  speranza  morta. 

Grida  da  lungi ;   o  arno,  a  cui  rifugge 
La  maggior  parte  di  noi  fiumi  Toschi, 

La 


12  roEsiE 

La  bella  Nympha,  che  come  ucciel  fiigg^? 
Da  me  seguita  in  tanti  moiiti,  e  boschi, 
Sauza  alcuna  pietate,  il  cor  mi  strugge, 
Ne  par,  ciie  amor  il  duro  cor  conoschi  ; 
Rendimi  lei,  e  la  speranza  persa; 
E  il  legier  corso  siio  rompi,  e'ntraversa. 

lo  sono  CM B RON,  chc  le  mie  ceriile  onde 
Per  te  racogiio,  a  te  tutte  le  serbo, 
E  fatte  tue  diventon  si  profoiide, 
Che  sprezzi  e  ripe,  e  ponti  alto  e  superbo  ; 
Questa  e  mia  preda,  e  queste  treccie  bionde,^ 
Qiiali  in  man  porto  con  dolore  acerbo, 
Ne  fan  chiar  segno  ;  in  te  mia  speme  e  sola  -y 
Soccorri  presto,  che  la  Nympha  vola. 

Arno  udendo  ombrone,  da  pieta  mosso, 
Perche  el  tempo  non  basta  a  far  risposta, 
Ritenne  P  acqua,  e  gia  gonfiato,  e  grosso, 
Da  lungi  al  corso  della  bell'  ambra  osta  ; 
Fu  da  nuovo  timor  freddo,  e  percosso 
II  Ycrgin  petto,  quanto  piu  s'  accosta  ; 
Drieto  ombron  sente,  e  inanzi  vede  un  lagOy 
Ne  sa  che  farsi  el  cor  gelato,  et  vago. 

Come  fera  cacciata,  e  poi  difesa, 
Dei  can  fuggiendo  la  bocca  bramosa, 
Fuor  del  periglio  gia,  la  rete  tesa 
Veggiendo  inanzi  agli  occhi  paiirosa, 

Quasi 


DI    LORENZO    DE'   MEDICI.  13 

Quasi  gia  certa  d'  haver  esser  presa, 

Ne  fuggie  inanzi,  o  indrieto  tornare  osa ; 
Teme  i  can,  alia  rete  non  si  fida, 
Non  sa  che  farsi,   e  spaventata  grida. 

Tal  della  bella  Nympha  era  la  sorte, 
Da  ogni  parte  da  paura  oppressa, 
Non  sa  che  farsi,    se  non  desiar  morte ; 
Vede  1'  im  fiume,  e  P  altro,  che  s'  appressa ; 
E  disperata  alhor  gridava  forte  : 
O  casta  Dea,  a  cui  io  fui  concessa 
Dal  caro  padre,  e  della  madre  antica, 
Unica  aita  all'  ultima  fatica. 

Diana  bella,  questo  petto  casto 
Non  maculo  giammai  folle  disio, 
Guardalo  hor  tu,  perch'  io  Nympha  non  basto 
A   duo  nimici,  e  P  uno  e  P  altro  e  Dio  ; 
Col  desio  del  morir  m'  e  sol  rimasto 
Al  core  il  casto  amor  di  lauro  mio  ; 
Portate,  o  venti,  questa  voce  estrema 
A  LAURO  mio,  che  la  mia  morte  gema. 

Ne  eron  quasi  della  bocca  fuore 

Queste  parole,   che  i  candidi  piedi 
Furno  occupati  da  novel  rigore, 
Crescierli  poi,    e  farsi  un  sasso  vedi; 
Mutar  le  membra,   e'l  bel  corpo  colore, 
Ma  pur,  che  fussi  gia  donna,  ancor  credi ; 
VOL.   III.  D  Le 


14  POESIE 

Le  membra  mostron,    come  suol  figura 
Bozzata,  e  non  finita  in  petra  dura. 

Ombrone  pel  corso  faticato,  e  lasso, 
Per  la  speranza  della  cara  preda, 
Prende  nuovo  vigore,  e  strigne  il  passo, 
E  par,   che  quasi  in  braccio  haver  la  creda ; 
Crescier  veggiendo  inanzi  agli  occhi  un  sasso, 
Ignaro  ancor,    non  sa  d'  onde  proceda ; 
Ma  poi  veggiendo  vana  ogni  sua  voglia, 
Si  ferma  pien  di  maraviglia,   e  doglia. 

Come  in  un  parco,  cerva,  o  altra  fera, 
Ch'  e  di  materia,   o  picciol  muro  chiuso, 
Soprafatta  dai  can,  campar  non  spera, 
Vicina  al   muro   e  per  timor  la  suso 
Salta,   e  si  lieva  inanzi  al  can  leggiera, 
Resta  il  can  dentro,  misero  e  deluso, 
Non  potendo  seguir  ove  e  salita, 
Fermasi,  e  guarda  il  loco  onde  e  fuggita. 

Cosi  lo  Dio  ferma  la  veloce  orma, 

Guai'da  piatoso  il  bel  sasso  crescente  ; 
II  sasso,   che  ancor  serba  qualche  forma 
Di  bella  Donna,   e  qualche  poco  sente ; 
E  come  amore  e  la  pieta  P  informa, 
Di  pianto  bagna  il  sasso  amaramente  ; 
Dicendo  :  o  ambra  mia,  queste  son  P  acque, 
Ove  bagnar  gia  il  bel  corpo  ti  piacque  ; 

lo 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI  15 

lo  non  harei  creduto  in  dolor  tanto, 
Che  la  propria  piata  vinta  da  quella 
Delia  mia  Nympha,  si  fuggissi  alquanto, 
Per  la  maggior  pietad'  ambra  miabella; 
Questa  non  gia  mia,  move  in  me  il  pianto  : 
E  pur  la  vita  trista,  e  meschinella, 
Anchorche  eterna  ;   quando  meco  penso 
E'  peggio  in  me,  che  in  lei  non  haver  senso. 

Lasso,  ne'  monti  miei  paterni  eccelsi 
Son  tante  Nymphe,  e  sicura  e  ciascuna, 
Fra  mille  belle  la  piu  bella  scelsi, 
Non  so  come  ;   et  amando  sol  quest'  una, 
Primo  segno  d'  amore,  i  crini  svelsi ; 
Et  cacciala  delP  acquafresca  e  bruna, 
Tenera,  e  nuda  ;  e  poi,  fuggiendo  esangue, 
Tinge  le  spine  e  i  sassi  sacro  sangue. 

Et  finalmente  in  un  sasso  conversa. 
Per  colpa  sol  del  mio  crudel  disio  : 
Non  so,  non  sendo  mia,  come  1'  ho  persa, 
Ne  posso  perder  questo  viver  rio  ; 
In  questo  e  troppo  la  mia  sorte  avversa, 
Misero  essendo  et  immortale  Dio  ; 
Che  s'io  potessi  pur  almen  morire, 
Potria  el  giusto  immortal  dolor  finire. 

lo  ho  imparato  come  si  compiaccia 

A  Donna  amata,  et  il  suo  amor  guadagni ; 

Che 


16  POESIE 

Che  a  quella  che  piu  ami,  piu  dispiaccia. 
O  Borea  algente,  che  gelato  stagni, 
L'  acqua  corrente  fa  s'induri,  e  ghiaccia, 
Che  petrafatta  la  Nympha  accompagni ; 
Ne   Sol  giammai  co'  raggi  chiara  e  gialli 
Risolva  in  acqua  i  rigidi  cristalli. 


LA  CACCIA  COL  FALCONE. 

Era  gia  rosso  tutto  1'  oriente, 

E  le  cime  de'  monti  parien  d'  oro ; 
La  passeretta  schiamazzar  si  sente  ; 
El  contadin  tornava  al  suo  lavoro  ; 
Le  stelle  eron  fugite,  gia  presente 
Si  vedea  quasi  quel,  ch'  amb  P  alloro  ; 
Ritornavansi  al  bosco  molto  in  fretta 
L'  alocho,  el  barbagianni,  e  la  civetta. 

La  volpe  ritornava  alia  sua  tana ; 
El  lupo  ritornava  al  suo  diserto. 
Era  venuta  e  sparita  Diana, 
Pero  egli  saria  suto  scoperto  : 
Havea  gia  la  sollecita  villana 
AUe  pecore,  e  i  porci  I'uscio  aperto  ; 
Netta  era  I'aria,  fresca,  e  cristallina, 
Et  aspettar  buon  di  per  la  mattina. 


Quando 


DI   LORENZO    DE'    MEDICI.  17 

Quando  fui  desto  da  certi  romori 
Di  buon  sonagli,   et  allettar  di  cani : 
Hor  su  aiidianne  presto,  ucellatori, 
Perche  gli  e  tardi,  e  i  luoghi  son  lontani : 
El  canattier  sia  '1  primo  ch'  esca  fuori ; 
Almen   die    sian  de'  cavalli  stamani ; 
Non  ci  guastassi  di  can  qualche  paio ; 
Deh  vanne  innanzi  presto,   capellaio. 

Adunque  il  capellaio  nanzi   camina, 

Chiama   Tamhuro,    Pezuolo,    e  Martello, 

La  Foglia,   la  Castagna,   e  la  Guerrina, 

Fagiano,    Fagianin,   Roca,  e  Capello, 

E  Friza,  e  Biondo,  Bamboccio,  e  Rosina, 

Ghiotto,    la  Torta,   Viola,  e  Pestello, 

E  Serchio,  e  Fuse,  e  '1  mioBuontempo  vecchio, 

Zambraco,  Buratel,   Scaccio,  e  Penecchio. 

Quando  hanno  i  can  di  campo  preso  un  pezzo, 
Quattro  segugi  van  con  quattro  sparvieri ; 
GuGLiELMo,    die  per  suo  antico  vezzo 
Sempre  quest'  arte  ha  fatto  volontieri ; 
Giovanni  Franco,  e   dionigi  il  sezzo, 
Che  innanzi  a  lui  cavalca  il  fogla  amieri; 
Ma  perche  era  buon'  ora  la  mattina, 
Mentre  cavalca  dionigi  inchina. 

Ma  la  fortuna,    die   ha  sempre  piacere 

Di  far  diventar  brun  quel,  ch'  e  piu  bianco, 

Dormendo 


18  POESIE 

Dormendo  dionigi  fa  cad  ere 
Appiinto  per  disgrazia  al  lato  manco ; 
Si  che  cadendo  adosso  alio  sparviere, 
Ruppegli  un'  alia,  e  macinnolli  il  fianco, 
Questo  li  piacque  assai,  benche  nol  dica, 
Che  gli  par  esser  fuor  di  gran  fatica. 

Non  cade  dionigi,  ma  rovina, 
E  come  debbi  creder  toccb  fondo, 
Che  com  un  tratto  egli  ha  preso  la  china, 
Presto  la  truova  com  un  sasso  tondo  ; 
Disse  fra  se  meglio  era  stamattina 
Restar  nel  letto,  come  fe  gismondo, 
Scalza,  e  in  camiscia  sulle  pocce  al  fresco ; 
Non  c'  mciampo  mai  piu,  se  di  quest'  esco. 

lo  ho  avuto  pur  poco  intelletto 
A  uscire  staman  si  tostofuori, 
Se  mi  restavo  in  casa  nel  mio  letto. 
Per  me  meglio  era,  e  per  li  uccellatori  ; 
Messo  harei  '1  disinar  bene  in  assetto, 
,  E  la  tovaglia  adorna  di  bei  fiori  ; 
Meglio  e  stracar  la  coltrice,  e  '1  guanciale, 
Che  il  cavallo,  e  '1  famiglio,  e  farsi  male. 

Intanto  vuol  lo  sparviere  impugnare, 

Ma  gli  e  si  rotto,  che  non  puo  far  V  erta; 
Dionigi  con  la  man  1'  osa  pigliare, 
E  pur  ricade,  e  di  questo  s'  accerta, 

Che 


DI    LORENZO    DE'   MEDICI.  19 

Che  d'  altro  li  bisogna  procacciare ; 
Nei  rassettargli  la  manica  aperta 
Le  man  ghermilU,  e  lui  sotto  se  '1  caccia, 
Saltolii  adosso,  e  feime  una  cofaccia. 

Dov'  e  '1  CORONA  ?  ov'  e  giovan  simone  ? 
Dimanda,  braccio,  ov'  quel  del  gran  naso  ? 
Br  AC  c  10  ripose;   a  me  varie  cagione 
Fatto  han  eh'  ognun  di  loro  sia  rimaso  ; 
Non  prese  mai  il  corona  uno  starnone, 
Se  per  disgrazia  non  P  ha  preso,  o  a  caso  ; 
Se  s'  e  lasciato  adunque  non  s'  ingiuria  : 
Menarlo  seco  e  cattiva  auguria. 

LuiGi  PULci  ov'  e,  che  non  si  sente  ? 
EgU  se  n'ando  dianzi  in  quel  boschetto, 
Che  qualche  fantasia  ha  per  la  mente, 
Vorra  fantasticar  forse  un  sonetto  ; 
Guarti  corona,  che  se  non  si  pente, 
E'  barbotto  staman  molto  nel  letto, 
E  sentii  ricordarli  te  corona, 
Et  a  cacciarti  in  frottola,  o  in  canzona. 

Giovan  simone  ha  gia  preso  la  piega 
D'  andarne,  senza  dire  alii  altri  addio  ; 
Senza  licenzia  n'  e  ito  a  bottega, 
Di  che  gran  sete  tiene,  e  gran  desio  ; 
LuiGi  quando  il  fiero  naso  piega, 
Cani,  e  cavalli  adombra,  e  fa  restio  ; 

Per 


20     '  POESIE 

Per  questo  ognun  che  resti  si  contenta, 
Cio  che  lo  vecie  fuggie,  e  si  spaventa. 

Restono  adunque  tre  da  uccellare, 

E  drieto  a  questi  andava  molta  gente  ; 
Chi  per  piacere,  chi  pur  per  guardare  ; 

BaRTOLO,   et  ULIVIER,     BRACCIO  e   il 

pAtente, 
Che  mai  noii  vidde  piii  starne  volare  ; 
Et  io  con  lor  mi  missi  parimente, 

PlETRO     ALAMANNI,      C    il    PONTINAR     GIO- 
VANNI 

Che  pare  in  siilla  nona  un  barbagianni, 

Strozzo  drieto  a  costor,  come  maestro 
Di  questa  gente,  andava  scosto  un  poco  ; 
Come  quello  che  v'  era  molto  destro 
E  molte  volte  ha  fatto  simil  gioco  ; 
E  tanto  cavalcamo  pel  silvestro, 
Che  finalmente  fumo  giunti  al  loco 
Piii  bel,  che  mai  vedesse  creatura  : 
Per  uccellar  1'  ha  fatto  la  natura. 

E  si  vedea  una  gentil  Valletta, 
Un  fossatel  con  certe  macchie  in  mezzo, 
Da  ogni  parte  rimunita,  e  netta, 
Sol  nel  fossato  star  possono  al  rezzo  ; 
Era  da  ogni  lato  una  piaggetta, 
Che  d'  uccellar  facea  venir  riprezzo 

A  chi 


DI    LORENZO    DE'   MEDICI.  21 

A  chi  non  avessi  occhi,  tanto  e    bella  ; 
El  mondo  non  ha  una  pari  a  quella. 

Scaldava  il  Sole  al  monte  gia  le  spalle, 
E  '1  resto  della  valle  e  aricora  ombrosa ; 
Quando  giunta  la  gente  in  su  quel  calle, 
Prima  a  vedere,  e  disegnar  si  posa, 
E  poi  si  spargon  tutti  per  la  valle  ; 
E  perche  a  punto  riesca  ogni  cosa, 
Chi  va  go'  can  chi  alia  guardia,  al  getto^ 
Sicome  strozzo  ha  ordinato,  e  detto. 

Era  da  ogni  parte  uno  sparviere 

Alto  in  buon  luogo  da  poter  gittare ; 

L'  altro  a  capo  n'  era  del  canattiere, 

E  alia  brigata  lo  vorra  scagliare  ; 

Era  BARTOLo  al  fondo,  et  uliviere, 

Et  alcun  altro  per  poter  guardare 

A  mezza  piaggia  ;   e  in  una  bella  stoppia, 

El  cappellaio  ai  can  leva  la  coppia. 

Non  altrimenti  quando  la  trombetta 
Sente  alle  mosse  il  lieve  barbaresco,     ' 
Parte  correndo,  o  vuo  dir,  vola  in  fretta  ; 
Cosi  i  cani,  che  sciolti  son  di  fresco  ; 
E  se  non  pur  che  '1  canattier  gli  aletta, 
Chiamando  alcuni,  et  a  chi  squote  il  pescho, 
Sarebbe  il  seguitarli  troppa  pena  ; 
Pur  la  pertica,  e  il  lischio  li  rafrena. 

VOL.  III.  E  Tira 


22  POESIE 

Tira  buon  can,  su,  tira  su,   cammina, 

Aiidianne,  andianne,  torna  qui,  te,  torna ; 
Ah  sciagurato  Tamburo,  e  Guerrina, 
Abiate  cura  a  Serchio,  che  soggiorna  ; 
Ah  bugiardo,  ah  pohron,  volgi  Rossina, 
Guata  buon  can,  guata  brigata  adorna ; 
Te,  Fagiano,   o  che  volta  fu  mai  quella; 
In  questo  modo  il  canattier  favella. 

State  avveduti,  ah  Scaccio,   frulla,  frulla ; 
E  che  leva  cacciando  1'  amor  mio  ? 
Ma  io  non  veggo  pero  levar  nulla, 
E  n'ha  pur  voglia,  e  n'  ha  pur  gran  desio 
Guarda  la  Torta  la  che  si  trastulla, 
O  che  romor  faranno,  e  gia  '1  sent'  io ; 
Chi  salta,  e  balla,  e  chi  le  levera, 
Di  questi  cani  il  miglior  can  sera. 

Io  veggo  che  Buontempo  e  in  su  la  traccia. 
Ve'  che  le  corre,  e  ie  far  a  lev  are, 
Habbi  cura  a  Buontempo,  che  e'  le  caccia, 
Parmi  vederle,  e  sentirle  frullare, 
Benche  e'  sia  vecchio  assai,  non  tidispiaccia, 
Ch'  io  P  ho  veduto,  e  so  quel  che  sa  fare, 
Io  so  che  '1  mio  Buontempo  mai  non  erra, 
Ecco,  a  te  ulivier,  guardale  a  terra. 

Guarda  quell'  altra  all'  erta,  una  al  fossato, 
Non  ti  diss'  io,  che  mi  parea  sentire  ? 

Guardane 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  23 

Guardane  una  alia  vigna,  e  1'  altr'  allato, 
Guardane  dua  da  me,  guardane  mi  He  ; 
Alia  brigata  prima  havea  gittato 
GiovAN  FRANCESCO,  et  cmpicva  le  villc 
Di  grida,  e  di  conforti  al  suo  uccello  ; 
Ma  per  la  fretta  gitto  col  cappello. 

Ecco  GUGLiELMO  a  tc  uua  nc  viene, 
Cava  il  cappello,  et  alzerai  la  mano  ; 
Non  istar  piu  guglielmo,  ecco  a  te,  bene  ; 
GuGLiELMo  getta,  e  grida,  ahi  villano  ! 
Segue  la  starna,  e  drieto  ben  le  tiene 
Quello  sparviere,  e  in  tempo  momentano 
Dette  in  aria  forse  cento  braccia  ; 
Poi  cadde  in  terra,  e  gia  la  pela,  e  straccia. 

Garri  a  quel  can,   guglielmo  grida  forte, 
Che  corre  per  cavargnene  di  pie  ; 
E  perche  le  pertiche  erono  corte, 
Un  sasso  prese,  et  a  Guerrina  die  ; 
Poi  corre  giu,  sanz'  aspettar  piu  scorte, 
E  quando  presso  alio  sparvier  piu  e, 
Non  lo  veggendo,  cheto  usava  stare. 
Per  udir  se  lo  sente  sonaglare. 

E  cosi  stando  gli  venne  veduto; 

Presto,  grida,  a  caval,  la  prima  e  presa  ; 
Lieto  a  lui  vanne  destro,  et  avveduto  ; 
Come  colui,  che  1'  arte  ha  bene  intesa  ; 

Preseli 


24  roEsiE 

Preseli  il  geto,  e  per  quel  1'  ha  tenuto  ; 
Dalli  il  capo,  e  '1  cervello,  e  non  li  pesa ; 
Sgermillo,  e  P  unghia  e  '1  becco  gli  havea  netto ; 
Poi  rimisse  il  cappello,  e  torna  a  getto. 

GiovAN  FRANCESCO  intaiito  havea  ripreso 
II  suo  sparviere,  e  preso  miglior  loco ; 
Parli  veder,  che  a  lui  ne  venga  teso 
Uno  starnone,  e  come  presso  un  poco 
Gli  fu,  egli  ha  tutte  le  dita  esteso, 
E  gitto  come  maestro  di  tal  gioco  ; 
Giunse  la  starna,  e  perche  era  vecchia, 
Si  fe  lasciare,  e  tutto  lo  spennecchia. 

In  vero  egli  era  un  certo  sparverugio, 

Che  somigliava  un  gheppio,  tanto  e  poco, 
Non  credo  preso  havesse  un  calderugio  ; 
Se  non  faceva  tosto,  o  in  breve  loco, 
Non  havere  speranza  nello  indugio  : 
Quando  e'  non  piglia,  e'  si  levava  a  gioco  ; 
E  la  cagione  che  quell  tratto  e'  non  prese, 
Fu,  clie  non  vi  avea  il  capo,  e  non  vi  attese. 

Intanto  venne  uno  starnone  all'  erta, 

Viddelo  il  fog  la,  e  fece  un  gentil  getto  ; 
Lo  sparvier  vola  per  la  piaggia  aperta, 
E  presegnene  innanzi  al  dirimpetto  ; 
Corre  giu  il  fog  la,  e  pargnene  haver  certa, 
Perb  die  io  sparvier  molto  e  perfetto ; 

Preselo 


DI    LORENZO    DE'   MEDICI.  25 

Preselo  al  netto,  ove  non  era  stecco, 

E  in  terra  insanguinoUi  i  piedi,  e  '1  becco. 

E  questo  fe  die  lo  sparviere  e  soro, 
Et  intanto  ulivier  forte  griclava  ; 
Chiama  giu  il  cappellaio,  chiama  costoro, 
Guardate  una  n'  e  qui,  cosi  parlava, 
Tu  lega  i  can,  per 6  che  basta  loro 
La  Rocca,  che  di  sottera  le  cava ; 
Vien  giu  guglielmo,  non  ti  star  al  rezzo, 
E  tu,  e  '1  FOG  LA  la  mettete  in  mezzo. 

Cosi  fu  fatto,  e  come  sono  in  punto, 
II  canattier  dicea,  sotto  Rocca  ; 
Qui  cadde,  ve',  e  se  tu  '1  harai  giunto, 
Siesi  tuto,   corri  qui,  te,  ponlibocca; 
Poi  dice,  havete  voi  giiardato  a  punto  ? 
Et  in  quel  lo  starnon  del  fondo  scocca  ; 
Ecco  atCFOGLA:   c'IFogla  grida,  e  getta, 
E'  1  simil  fe  guglielmo  moltoin  fretta. 

Lascib  la  starna  andare  lo  sparviere, 

Et  attende  a  fugir  quel,  che  gli  ha  drieto  ; 
Disse  guglielmo,  tu  P  hai,  fogla  amieri  ; 

*  *  * 

Corri  tu,  che  vi  se'  presso,   ulivieri, 

Diceva  il  fogla,  e  guglielmo  sta  cheto ; 
Corse  ulivieri,  e  come  a  loro  e  sceso, 
Vidde,  che  P  uno  sparviere  ha  P  altro  preso. 

Quel 


26  POESIE 

Quel  del  FOG  LA  havea  preso  per  la  gorga 

Quel  di  GUGLiELMo,  e  crede,  che  '1  suo  sia  ; 

Perche  a  guglielmo  tal  parole  porga  : 

La  tua  e  stata  pur  gran  villania, 

Non  credo  a  starne  lo  sparviere  scorga, 

Ma  a  sparvieri ;   egli  e  troppa  pazzia, 

A  impacciarsi  uccellando  con  fanciulli ; 

Quest!  non  son  buon  giochi,  o  buon  trastulli. 

Guglielmo  queto  sta,  e  gran  fatica 
Duraatener  P  allegrezza  coperta  , 
Pur  con  humil  parole  par  che  dica  ; 
lo  nonlo  viddi,  e  questa  e  cosa  certa, 
E  questo  piu,  e  piu  volte  riplica  ; 
Intanto  il  fogla  havea  gia  sceso  P  erta, 
E  come  alio  sparviere  e  prossimano, 
Quel  di  guglielmo  e  guasto,  il  suo  e  sano. 

E  getta  presto  il  suo  loghero  in  terra, 
Lo  sparviere  non  men  presto  rispose, 
E  come  a  vincitor  in  quella  guerra, 
Vezzi  li  fa,  et  assai  piacevol  cose  ; 
Vede  intanto  guglielmo,  che  lui  erra, 
E  guasto  e  il  suo  sparviere,  onde  rispose 
Al  FOGLA  ;   tu  se'  pur  tu  ilvillano, 
Et  alzo  presto  per  darli  la  mano. 

Ma  come  il  fogla  s'  accorse  dellatto, 

Scostossi  un  poco,  accioche  non  li  dessi ;     . 

Disse 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  27 

Disse  GUGLIELMO  al  FOGLA,    tu  sc'  itiatto, 
Se  ne  credi  andar  netto  ;   e  s'  io  credessi 
Non  far  vendetta  di  quel,  che  m'  hai  fatto. 
Credo  m'  impiccherei,  e  s'  io  havessi 

MeCp   MICHEL    DI    GIORGIO,  o'l  RANNUCINO, 

Attenderesti  ad  altro,   cervellino. 

El  FOGLA  innanzi  allafuria  si  leva, 
E  stassi  cheto,  et  ha  pur  patienza, 
E  altro  viso,  e  parole  non  haveva, 
Che  quel,  eh'  aspettando  in  favor  la  sentenza, 
E  poi  subitamente  la  perdeva ; 
Disse  GUGLIELMO  ;   voglio  haver  prudenza, 
TerroUa  a  mente  insino  all'  hore  extreme, 
E  rivedremci  qualche  volta  insieme. 

Gia  il  Sole,  in  verso  mezzo  giorno  cala, 
E  vien  P  ombre  stremando,  che  raccorcia ; 
Da  loro  proportione  e  brutta  e  mala, 
Come  a  figura  dipinta  in  iscorcia  ; 
Rinforzava  il  suo  canto  la  cicala, 
E  '1  mondo  ardeva  a  guisa  d'  una  torcia  ; 
L'  aria  sta  cheta,  et  ogni  fronde  salda 
Nella  stagion  piu  dispettosa,  e  calda. 

Quando  il  mio  dionigi  tutto  rosso, 
Sudando,  come  fassi  un  novo  fresco ; 
Disse,  star  piu  con  voi  certo  non  posso, 
Deh  vientene  almen  tu  giovan  Francesco  ; 

Ma 


28  POESIE 

Ma  venitene  tutti  per  ir  gi  osso ; 
Troppo  sarebbe  fiero  barbaresco, 
Chi  volessi  hor,  quando  la  terra  e  accesa, 
Aspettar  piu  per  pascersi  di  presa  : 

E  detto  questo,  die  volta  al  cavallo, 

Senza  aspettar  giovan  Francesco  ancora  ; 
Ciascnn  si  mette  presto  a  seguitallo, 
Che  '1  sole  tutti  consuma,  e  divora  ; 
El  cappellaio  vien  drieto,  e  seguitallo. 
I  bracchi,  ansando  con  la  lingua  for  a  ; 
Quanto  piu  vanno,  il  caldo  piu  raddoppia  ; 
Pare  appicciato  il  foco  in  ogni  stoppia. 

Tornonsi  a  casa  chi  tristo,  e  chi  lieto, 
E  chi  ha  pieno  il  carnaiuol  di  starne  ; 
Alcun  si  sta  senza,  et  e  tristo  e  cheto, 
E  bisogna  procacci  d'  altra  carne  ; 
GuGLiELMo  viene  dispettoso  adrieto, 
Ne  puo  di  tanta  guerra  pace  fame  ; 
Giovan  Francesco  gianon  se  ne  cura  ; 
Che  uccella  per  piacere,  e  per  natura. 

E  giunti  a  casa,  riponeva  il  cuoio, 
E  i  can  governa,  e  mette  nella  stalla 
II  canattier  ;   poi  all'  infrescatoio 
Rinovasi  ognun  co'  bicchieri  a  galla  ; 
Quivi  si  fa  un  altro  uccellatoio, 
Quivi  le  starne  alcun  non  lascia,  o  falla  ; 

Pare 


DI   LORENZO   DE'  MEDICI.  29 

Pare  trebbiano  il  vin,  sendo  cercone, 
Si  fa  la  voglia  le  vivande  buone. 

El  primo  assalto  fii  sanza  romore, 
Ognuno  attende  a  menar  la  mascella  ; 
Ma  poi,  passato  un  po'  il  primo  furore, 
Chi  d'  una  cosa,  chi  d'  altra  favella ; 
Ciascuno  al  suo  sparvier  dava  1'  honore, 
Cercando  d'  una  scusa  pronta,  e  bella ; 
E  chi  molto  non  sa  con  lo  sparviere, 
Si  sforza  hor  qui  col  ragionare,  e  here. 

Ogni  cosa  guastava  la  quistione 

Del  FOGLA  con  guglielmo,  onde  si  leva 

Su  DioNiGi  con  buona  intentione, 

E  in  questo  modo  a  guglielmo  diceva : 

Vuoci  tu  tor  tanta  consolatione  ? 

E  benche  il  caso  stran  pur  ti  pareva, 

Fa  che  tu  sia  com  son  io  discreto, 

Che  averai  il  mio  sparviere,  e  statti  cheto. 

Queste  parole,  e  questo  dolce  stile, 

Perche  guglielmo  P  ama,  assai  li  piace  ; 
E  perche  gli  era  pur  di  cor  gentile, 
Delibero  col  fog  la  far  la  pace  ; 
Onde  li  disse  con  parole  humile. 
Star  piu  teco  non  voglio  in  contumace, 
E  voglio  in  pace  tutto  sofFerire  ; 
Fatto  questo  ciascun  vanne  a  dormire. 
vol.  III.  F  E  quel 


30  POESIE 

E  cj'jel  die  si  sognassi  per  la  nolle, 
Quello  sarebbe  bello  a  poter  dire  ; 
Ch'  io  so,  ch'  ogiiiin  rimettera  le  dotte, 
Insiuo  a  terza  vorranno  dormire ; 
Pol  ce  n'  aiidremo  insieme  a  quelle  grotte, 
E  qualche  lasca  farem  fuora  uscire. 
E  cosi  passo,  compar,  lieto  il  tempo, 
Con  mlile  rime  in  ziicchero,  et  a  tempo. 


DI    LORENZO   DE'   MEDICI.  31 


ELEGIA. 

ViNTo  dalli  amorosi  empj  martirj, 
Pill  volte  ho  gia  la  mano  a  scriver  porta, 
Come  il  cor  viva  in  pianti,  et  in  sospiri, 

Donna,  per  farti  del  mio  stato  accorta ; 
Ma  poi,  temendo  non  P  haressi  a  sdegno, 
Ho  dal  primo  pensier  la  man  distorta. 

Cos!  mentre  die  dentro  il  foco  al  legno 

E  stato  acceso,  hora  il  disio  m'  ha  spinto, 
Hor  m'  ha  paura  ritenuto  al  segno  : 

Ma  pill  celar  non  puossi ;   et  gia  depinto 
Porto  el  mio  mal  nella  pallida  faccia. 
Come  chi  da  mal  lungo  e  stanco,  e  vinto. 

El   cor    dentro    avvampa    hor,  di    fuor    tiitto 
aghiaccia ; 
Onde  convien,  che  a  maggior  forza  io  ceda — 
^  ^  ^ 

Speme,  soverchio  amor,   mia  fedeltate 

Questo  laccio  amoroso  hanno  al  cor  stretto, 
Et  furato  lor  dolce  libertate. 

Ben  veggio  il  per  so  ben,  ma  perch'  io  aspetto 
Trovar,  donna  gentile,  in  te  merzede 
Fa,  che  di  ben  seguirti  ho  gran  diletto  ; 

Che 


32  POESIE 

Che  s*  egli  e  ver  quel  ch'  altri  dice,  o  crede, 
Che  persa  e  belta  in  donna  sanza  amore  ; 
Te  ingiuriar  non  vorrei,  e  la  mia  fede  : 
Perche  non  cerco  alcun  tuo  disonore. 
Ma  sol  la  grazia  tua,  e  che  ti  piacci, 
Che  '1  mio  albergo  sia  dentro  al  tuo  core, 

Mostron  pur  que'  belli  occhi,  e'  non  ti  spiacci 
El  mio  servire  ;   e  cosi  amor  mi  guida 
Ognor  piu  dentro  ne'  tenaci  lacci ; 

Ne  restera  giammai  finche  me  occida, 
Donna,  se  tua  pieta  non  mi  soccorre, 
Che  morte  hor  mi  minaccia,  et  hor  mi  sfida: 

Ahi,  folic  mio  pensier,  che  si  alto  porre 
Vuolse  P  effetto ;  ma  se  a  te  m'  inchina, 
Madonna,  il  cielo,  hor  me  H  posso  opporre  I 

Cosi  mi  truovo  in  ardente  fucina 

D'  amore,  et  ardo,  e  son  d'  arder  contento, 
Ne  cierco  al  mio  mal  grave  medicina, 

Se  non  quando  mancar  li  spirti  sento ; 
Alhor  ritorno  al  veder  li  occhi  belli ; 
Cosi  in  parte  s'  acqueta  el  mio  tormento. 

Talche  se  pur  talvolta  veder  quelli 

Potessi,  o  in  braccio  haverti,  o  pure  alquanto 
Tener  le  man  ne'  crispi  tua  capelli, 

Mancherian  i  sospir,  P  angoscia,  el  pianto, 
Et  quel  dolore  in  che  la  mente  e  involta, 
E  in  cambio  a  quel  sai'ia  dolcezza,  e  canto. 

Ma  tu  dalli  amorosi  lacci  sciolta, 

Crudel,  non  curi  di  mie  pene  alhora, 
Anzi  gli  occhi  mi  ascoiidi,  altrove  volta. 

Li 


DI   LORENZO   DE'  MEDICI.  33 

Li  occhi  tuo  belli,  lasso,  ove  dimora 
II  pharetrato  Amor  ver  me  protervo, 
Ove  suo  dardi  arruota,  ove  gP  indora. 

Et  cosi  il  mio  dolor  non  disacervo, 
Ma  resto  quasi  un  corpo  semivivo, 
Con  piu  grave  tormento,  et  piu  acervo. 
Ma  fa  quel  vuoi  di  me  per  fin  eh'  i'  vivo, 
lo  t'  amero,  poiche  al  ciel  cosi  place ; 
Cosi  ti  giuro,  et  di  mia  man  ti  scrivo. 

Ne  gesti,  o  sguardi,  o  parola  fallace 

D'  altra  non  creder  dal  tuo  amor  mi  svella, 
Ch'  al  sine  i'  spero  in  te  pur  trovar  pace. 

Solo  a  te  pensa  Palma,  et  sol  favella 
Di  te  la  lingua,  e  il  cor  te  sol  vorrebbe, 
Ne  altra  donna  agli  occhi  mia  par  bella. 
Tanto  amor,  tanta  fe  certo  dovrebbe 
Haver  mossa  a  piata  una  Sirena, 
Et  liquefatto  un  cor  di  pietra  harebbe. 

Nata  non  se'  di  Tigre,  o  di  Leena, 
Ne  preso  il  latte  nella  selva  Ircana, 
O  dove  il  ghiaccio  el  veloce  Istro  affrena. 

Onde  se  quella  speme  non  e  vana, 

Che  mi  dan  gli  occhi  tua,  il  occhi  che  ferno 
La  piaga  nel  mio  cor,  ch'  ancor  non  sana, 

Non  vorrai.  Amor,  di  me  piu  scherno. 
Cosi  ti  prego  ^  *  * 

Tua  piata  faccia  il  nostro  amor  eterno. 

Venga,  se  dee  venir,  tuo  aiuto  quando 
Giovar  mi  possa,  et  non  tardi  tra  via, 
Che  nuoce  spesso  a  chi  ben  vive  amando. 

Ma, 


34  POESIE 

Ma,  lasso,  hor  quel  mi  duole  e,  ch'  io  vorria, 
II  volto,  e  i  gesti,  e  ilpianto  ch'  el  cor  preme, 
Accompagnassin  questi  versi  mia ; 
^Ma  s'  egli  avvien,  che  soletti  ambo  insieme, 
Posso  il  braccio  teiierti  al  colla  avvolto, 
Vedrai  come  d'  amore  alto  arde,  e  geme. 

Vedrai  cader  dal  mio  pallido  volto 
Nel  tuo  candido  sen  lacrime  tante, 
Da'  mia  ardenti  sospiri     ^     *     molto. 

E  se  la  lingua  pavida,  e  tremante 
Non  ti  potra  del  cor  lo  aiFetto  aprire, 
Come  intervien  sovente  al  lido  amante, 

Dagli  baldanza     *     *     *     dire, 

Quando  gran  fiamma  in  gentil  cor  accenda 
Lo  amor,  la  speme  del  iedel  servire, 

Chi  sia  che  tanta  cortesia  riprenda  ? 
Anzi,  perche  mal  puossi  amor  celare, 
Che  altri  dal  volto,  o  gesti  nol  comprenda, 

Sovente  io  mi  odo  drieto  susurrare, 
Quanto  e  dal  primier  suo  esser  mutato 
Questo  meschin,  per  crudel  donna  amare. 

Non  rispondo,  anzi  vergognoso  guato 
A  terra,  come  chi  talvolta  intende 
Quel,  che  a  ciascun  credea  esser  celato. 

La  tua  impieta  te  stessa,   et  me  riprende, 
Che  non  bene  tua  bellezza  accompagna, 
Et  al  mio  bon  servir  mal  cambio  rende. 

Ne  percio  mai  il  cor  di  te  si  lagna, 
Ne  si  dorra  sino  alio  extremo  punto, 
Ma  ben  vorrebbe,  e  percio  il  volto  bagna. 

Teco 


DI     LORENZO    DE'     MEDICI.  35 

Teco  V  avessi  il  cicl,  donna,  congiunto ; 
In  matrimonio  :   ah,  che  pria  non  venisti 
Al  mondo,  o  io  non  son  piu  tardo  giunto  ? 

Che  gli  occhi,  co'  quai  pria  tu  il  core  apristi, 
Ben  mille  volte  harei  baciato  il  giorno, 
Scacciando  i  van  sospiri,  e  i  pensier  tristi. 

Ma  questo  van  pensiero  a  che  soggiorno  ? 
Se  tu  pur  dianzi,  et  io  fui  un  tempo  avanti 
Dal  laccio  coniugal  legato  intorno, 

Qual  sol  morte  convien,  che  scioglia     ^     ^     *- 
Puoi  ben  volendo,  e  te  ne  prego,  e  stringo, 
Ch'  un  cor,  un  sol  voler  sia  tra  due  amanti. 

Ben  t'  accorgi.  Madonna,  che  non  lingo 
Pianti,  sospiri,  o  le  parole  ardente  ; 
Ma  come  Amor  la  detta,  io  la  dipingo* 

Occhi  belli,  anzi  stelle  luciente, 
O  parole  soavi,  accorte,  e  sagge, 
Man  decor,  che  toccar  vorrei  sovente, 

Amor  e  quel,  che  a  voi  pregar  mi  tragge, 
Non  sia.  Madonna,  il  mio  servire  invano, 
Ne  in  van  la  mia  speranza  in  terra  cagge. 

Tu  hai  la  vita,  e  la  mia  morte  in  mano. 
Vivo  contento,  s'  io  ti  parlo  un  poco, 
Se  non,  morte  me  ancide  a  mano  a  mano. 

Fa  almen,  s'  io  moro,  dell'  extremo  foco 
Le  mia  ossa  infeiice  sieno  extorte, 
E  poste  in  qualche  abietto,  e  picciol  loco. 

Non  vi  sia  scritto  chi  della  mia  morte 
Fussi  cagion,  che  ti  saria  gravezza ; 
Basta  1'  urna  di  fuor  stampata  porte, 

''  Troppo  in  hii  amor,  troppo  in  altrui  durezza.'' 


36  rOESIS 


AMORI  DI  VENERE,  E  MARTE. 


VENERE    PARLA. 

SU  Nymphe  ornate  il  glorioso  monte — 
Di  canti,  e  balli,  e  resonanti  lire  ; 
Fate  di  fior  grillande  alme  alia  fronte, 

Che  mi  par  Marte  amico  mio  sentire  ; 
E  dalla  plaga  lattea  su  nel  cielo 
Visto  ho  la  stella  sua  lieta  apparire. 

Spargete  all'  aura  i  crini  avvolti  in  velo, 
E  liete  tutte  nel  fonte  Acidalio 
Gratiose  vi  lavate  il  volto,  e  il  pelo. 

Le  sacre  Muse  dal  liquor  Castalio 
Di  dolci  carmi  piene  inviterete  ; 
Stendete  drappi,  ornate  il  ciel  col  palio. 

Bacco,  e  Sileno  mio  liete  accogliete, 
E  se  Cerer  non  e  sdegnata  ancora 
Per  Proserpina  sua,  la  chiamerete. 

Va,  Climen  nympha  mia,  dalP  Aurora, 
Digli,  che  indugi  alquanto  il  bel  mattino, 
Lieta  col  suo  Titon  faccia  dimora. 
Tu  Clytia  andrai  nel  bel  monte  Pachino, 
Tu  nel  Peloro,  e  tu  nel  Lilibeo, 

Guardate  di  Sicilia  ogni  confino, 

SI, 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  37 

Si,  che  Volcano  mio  fabro  Pheteo 
Con  Marte  non  mi  trovi  in  adulterio, 
Donde  fabula  sia  poi  d'  ogni  Deo. 

Ascondi  Luna  il  iucido  cmisperio  ; 
Voi  per  le  selve  non  latrate,  o  cani, 
Sicche  d'  infamia  non  si  scuopri  il  vero* 

Vien  lieta  notte,  e  voi  profundi  Mani 
Scurate  P  ora,  o  tu  iigliiK)!  Cupido, 
Mi  do  nelle  tue  braccia,  in  le  tue  mani. 

Con  le  tue  fiamme  dolce  ardente  rido, 
Fa  lume  a  Marte,  mio  sposo,  et  signore, 
Tu  me  feristi,  Amor,  di  te  me  fido. 

Marte,  se  oscure  ancor  ti  paron  i'  ore, 

Vienne  al  mio  dolce  ospizio,  ch'  io  t'  aspetto  ; 
Vulcan  non  v'  e,  che  ci  disturbi  amore. 

Vien,  ch'  io  V  invito  nuda  in  mezo  il  letto, 
Non  indugiar,  ch'  el  tempo  passa,  e  vola, 
Coperto  m'  ho  di  fior  vermigii  il  petto. 

Vienne  Marte,  vien  via,  vien  ch'  io  son  sola  ; 
Togliete  e  lumi,  el  mio  mai  non  Io  spengo  ; 
Non  sia  chi  piu  mi  parli  una  parola. 


MARTE    PARLA. 


Non  qual  nimico  alle  tue  stanze  vengo, 
Vener  miabella,  ma  sanz'  arme,  o  dardo, 
Che  contro  ai  colpi  tua  null'  arme  tengo. 
VOL.  III.  G  Altra 


38  POESIE 

Altra  cosa  e  vedcre  un  grato  sguardo 
D'  un  amoroso  lume,  ovunque  e' vada, 
Che  spada,  o  lancea,  o  vessillo,  a  stendardo. 

*'  Amor  regge  suo  impero  sanza  spada  ;" 
Coperto  no,  ma  vuole  il  corpo  nudo, 
Dolce  contento  a  seguir  cio  che  aggrada  ; 

Odir  parlar,  non  dispietato,  e  crudo, 
Ma  dolce  in  se,  qiial  di  piata  s'  accolga ; 
E  questa  V  arme  sia,  la  lancia,  e  '1  scudo. 

Intorno  al  col  suo  bianca  treccia  avvolga, 
Deili  ardenti  amator  dura  catena, 
E  forte  laccio,  che  giammai  si  sciolga. 

Baciar  la  bocca,  e  la  fronte  serena, 
E  dua  celesti  lumi,  e  '1  bianco  petto, 
La  iunga  man  d'  ogni  bellezza  plena. 

Altra  cosa  e  giacer  nelP  aureo  letto 

Con  la  sua  dolce  arnica,  et  cantar  carmi, 
Che  affaticar  il  corpo  al  scudo,  e  elmetto. 

Gustar  quel  frutto,  che  puo  lieto  farmi. 
Ultimo  fin  d'  un  tremante  diietto ; 
Tempo  e  d'  amor,  tempo  e  da  spada,  etarmi. 


APOLLO     PARLA. 


Ingiuria  e  grande  al  letto  romper  fede  ; 

Non  sia  chi  pecchi,  e  di',  chi  '1  sapra  mai  ? 
Che  '1  sol,  le  stelle,  el  ciel,  la  luna  il  vede. 

E  tu 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  39 

E  tu  che  lieta  col  tuo  Marte  stai, 

Ne  pensi,  il  ciel  di  tua  colpa  dispone  ; 
Cos!  spesso  un  gran  gaudio  torna  in  guai. 

Ogni  lungo  secreto  ha  sua  stagione ; 
Chi  troppo  va  tentando  la  fortuna, 
Se  allide  in  qualche  scoglio,  e  ben  ragione. 

Correte,  o  Nymphe,  a  veder  sol  quest'  una 
Adulterata  Venere  impudica, 
E  '1  traditor  di  Marte  ;   o  stelle  !   o  luna  ! 

Giove,   se  non  ti  par  troppa  fatica, 

Con  Giunon  tua  gelosa,  al  furto  viene ; 
Non  pecchi  alcun,   se  non  vuol  che  si  dica, 

Vieni  a  veder,   Mercurio,  le  catene, 
Che  tu  riporti  in  ciel  di  quest'  e  quella  ; 
Che  nul  peccato  mai  fu  senza  pene. 

Pluto,  se  inteso  hai  ancor  questa  novella, 
Con  Proserpina  tua  lassa  1'  inferno  ; 
Ascendi  all'  aura  relucente  et  bella. 

Alme,  che  ornate  il  bel  paese  eterno 
De'  campi  Ely  si,  al  gran  furto  venite  ; 
Convien  si  scuopra  ogni  secreto  interno. 
Glauco,  Neptuno,  Dori,  Alpheo  correte 
Al  tristo  incesto,  et  Ino,  et  Melicerta, 
Con  le  Driade,   e  '1  gran  padre  d'    Amphy- 

trite. 
Accio  cho  in  terra,  in  mare,  et  in  ciel  sie  certa 
Infamia  tal  d'  una  malvagia  et  rea, 
Et  grave  strupo,  e  inhonestate  aperta. 

Vulcan, 


40  POESIE 

Vulcan,  vieni  a  veder  tua  Cytherea, 
Come  con  Marte  suo  lieta  si  posa, 
Et  rotta  t'  ha  la  fede,  et  fatta  rea. 

Debbe  al  consortio  tuo  esser  piatosa, 
Ad  altri  no  ;  ma  gP  e  fatica  grave 
Posser  guardare  una  donna  amorosa. 

Che  sa  la  vuol,  non  fia  chi  mai  la  cave  ; 

Tu  dor  mi  forse,  ma  se  '  1  mio  sono  hai  inteso, 
Vieni  a  veder  di  lei  V  opere  prave. 

Lascia  Sicilia,  e  '1  tuo  stato  sospeso  ; 
Che  patir  tanta  ingiuria  honora  te  poco, 
Vendetta  brama  Dio  d'  un  core  ofFeso. 


VULCANO    PARLA. 

Non  basta  havermi  il  ciel   dall'  alto  loco 
Gittato  in  terra,  et  da  sua  mensa  privo, 
Et  fatto  fabro,  et  Dio  del  caldo  foco  ; 

Che  per  piu  pena  mia  ciaschedun  Divo 

Cierchi  straziarmi,  et  dimostrar  lor  prove  ; 
Ma  tanta  ingiuria  mai  non  la  prescrivo. 

lo  pur  attendo  a  far  saette  a  Giove, 
Sudando  intorno  alP  antica  fucina, 
Et  Marte  gode  mie  fatiche  altrove. 

Venere,  Vener  mia,  spuma  marina, 
Tu  Marte  adulter,  pena  pagherete, 
Che  grave  colpa  vuol  gran  disciplina. 
•^         *         ^ 


DI  LORENZO   DE'  MEDICI  41 


LA  CONFESSIONE. 

DONNE,  et  fanciulle,  io  mi  fo  conscienzia 
D'  ogni  mie  fallo,  e  vo'  far  penitenzia. 

Io  mi  confesso  ad  voi  primieramente, 
Ch'  io  sono  stato  al  piacer  negligente ; 
Et  molte  cose  ho  lasciato  pendente  ; 
Di  questo  primo  i'  mi  fo  conscienza. 

Io  havea  lungo  tempo  disiato 

A  una  gentil  donna  haver  parlato, 
Poi  in  sua  presentia  fui  ammutolato  ; 
Di  questo  ancora  i'  mi  fo  conscienza. 

Gia  in  un  altro  loco  mi  trovai, 
Et  un  bel  tratto  per  vilta  lasciai ; 
E  non  ritorno  poi  quel  tratto  mai : 
Di  questo  ancora  i'  mi  fo  conscienza. 

Ah,  quante  volte  io  me  ne  son  pentito  ! 
Presi  una  volta  un  piu  tristo  partito, 
Ch'  io  pagai  innanzi,  e  poi  non  fui  servito : 
Di  questo  ancora  i'  mi  fo  conscienza. 

Io  mi  ricordo  ancor  d'  altri  peccati ; 
Che,  per  ir  drieto  a  parole  di  frati, 
Molti  dolci  piaceri  ho  gia  lasciati  : 
Di  questo  ancora  i'  mi  fo  conscienza. 

Dolgomi 


42  POESIE 

Dolgomi  ancor,  die  non  ho  conosciuto 

La  giovenezza,  e  '1  bel  tempo  che  ho  aviito, 
Se  non  hor,  quando  egli  e  in  tutto  perduto ; 
Di  questo  ancora  i'  mi  fo  conscienza. 

Dico  mia  colpa,  et  ho  molto  dolore 

Di  vilta,  negligentia,  et  d'  ogni  errore : 
Ricordi,  o  non  ricordi,  innanzi  Amore 

Generalmente  io  ne  fo  conscienza. 

Et  prego  tutti   voi,   che  vi  guardiate, 
Che  simili  peccati  non  facciate ; 
Accio  che  vecchie  non  ve  ne  pentiate, 
Et  in  van  poi  ne  facciate  conscienza. 


LE  SETTE  ALLEGREZZE  D'AMORE. 

DEH  state  a  iidire  giovane  et  donzelle 
Queste  sette  allegrezze,  ch'  io  vo'  dire, 
Devotamente,  che  son  dolce,  e  belle, 
Che  amore  a  chi  Io  serve  fa  sentire  ; 
Io  dico  a  tutte  quante,  et  primo  a  quelle, 
Che  son  vaghe  et  gentile,  e  in  sul  fiorire  ; 
Gustate  ben  queste  allegrezze  sante, 
Che  amor  ve  ne  contenti  tutte  quante. 

Prima  AUegrezza,  che  conciede  amore 
Si  e  mirar  dua  piatosa  occhi  fiso, 

Esciene 


DI    LORENZO    DE'   MEDICI.  43 

Esciene  un  vago,   bel,  dolce  splendore  ; 
Veder  mover  la  bocca  un  dolce  riso, 
Le  man,  la  gola,  e  modi  pien  d'  honore, 
L'  andar,  ch'  uscita  par  del  paradiso ; 
Ogni  atto,  e  movimento,  che  si  faccia, 
Et  cosi  prima  un  cor  gentil  s'  allaccia. 

La  seconda  allegrezza,  che  amor  dona, 
E,  quando  ho  gratia  di  toccarla  mano 
Accortamente,  ove  si  balla,  o  suona, 
O  in  altro  modo  stringnerla  pian  piano  ; 
Et  mentreche  si  giuoca,   o  si  ragiona, 
Gittar  certe  parole,  et  non  in  vano  ; 
Toccare  alquanto,  et  stringner  sopra  a'  panni 
In  modo,  che  chi  e  intorno,  se  ne  inganni. 

Terza  allegrezza,  qual  Amor  conciede, 
E  quando  ella  unatua  lettera  accetta, 
E  degna  di  rispondere,  e  far  fede 
Di  propria  man,   che  el  collo  al  giogo  metta  ; 
Bene  e  duro  colui,  che,  quando  vede 
Si  dolce  pegno,  lacrime  non  getta  ; 
Leggiela  cento  volte,  e  non  si  satia, 
Et  con  dolci  sospiri  amor  ringratia. 

Piu  dolce  assai  quest'  allegrezza  quarta, 
Se  ti  conduci  a  dir  qualche  parole 
A  solo  a  solo,  a  far  del  tuo  cor  carta, 
Et  dire  a  boccha  ben  dove  ti  duole  ; 

Se 


44  roEsiE 

Se  advicn,  che  amor  le  some  ben  comparta, 
Senti  dir  cose  da  fermare  el  sole  : 
Dolci  pianti,   et  sospiri,  etmaladire 
Usci,  et  finestre,  che  ti  pub  impedire. 

Che  pub  gustar  questa  quinta  allegrezza 

Pub  dir,  che  amor,  e  il  suo  servitio  piaccia, 
Se  advien,  che  baci  con  gran  tenerezza 
Un'  amorosa,  vagha,  e  gentil  faccia, 
Le  labra,  et  dentro  ov'  e  tanta  dolcezza, 
La  gola,  el  petto,  et  le  candide  braccia, 
Et  tutte  P  altre  membre  dolce,  et  vaghe, 
Lasciando  spesso  e  segni  delle  piaghe. 

Questa  sesta  allegrezza,  ch'  io  dico  hora, 
E  il  venir  quasi  alia  conclusion  ; 
Et  a  quel  fin,  perche  ogni  huom  s'  innamora, 
Et  si  sopporta  ogni  aspra  passione ; 
Chi  1'  ha  provato,  et  chi  lo  prova  ancora, 
Sa  che  dolcezza,  et  che  consolatione 
E  quella,  di  poter  sanza  sospetto 
Tenere  il  suo  signore  in  braccio  stretto. 

Vien  drieto  a  questa  P  ultima  allegrezza ; 
Che  amore  in  fin  pur  contentar  ci  vuole  : 
Non  si  pub  dir  con  quanta  gentilezza, 
Con  che  dolci  sospir,  con  che  parole, 
Si  perviene  a  questa  ultima  allegrezza, 
Come  si  piange  dolcemente,  e  duole  ; 

Fassi 


DI   LORENZO    DE'   MEDICI.  45 

Fassi  certi  atti  alhor,  chi  noii  vuol  fingere, 
Ch'  un  dipiiitore  non  sapre'  dipingere. 

Queste  sono  allegrezze,  che  Amor  da, 
O  donne,  a  chi  lo  serve  fedelmente, 
Perb  gustile,   e  pruovile  chi  ha 
Bellezza,  et  gentilezza,  eta  florente, 
Che  perder  tempo  duole  a  chi  piu  sa ; 
Queste  allegrezze,  ch'  io  ho  detto  al  presente, 
Chi  le  dice,  et  prova  con  divotione, 
Non  puo  morire  sanza  extrema  untione. 

Questo  povero  Cieco,  quale  ha  detto 
Queste  allegrezze,  a  voi  si  racomanda, 
Amor  1'  ha  cosi  concio  el  poveretto, 
Come  vedete,  et  cieco  attorno  il  manda, 
Vorrebbe  qualche  carita  in  effetto, 
Almen  la  gratia  vostra  v'  addimanda ; 
Fategli  qualche  ben,  donne  amorose, 
Che  gustar  possa  delle  vostre  cose. 

El  poveretto  e  gia  condotto  a  tale, 

Che  non  ha  con  chi  fare  el  Carnasciale. 


VOL.   III. 


46  POESIE 


CANZONE. 

PRENDA  piata  ciascun  della  mia  doglia, 
Giovane,  et  donne,  et  sia  chiunche  si  voglia. 

Sempre  servito  io  ho  con  pura  fede 
Una,  la  qual  credea  fussi  pietosa, 
Et  che  dovessi  haver  di  me  merzede, 
Et  non,  come  era,  fussi  disdegnosa; 
Hor  m'  ho  perduto  il  tempo,  et  ogni  cosa, 
Che  si  rivolta,  come  al  vento  foglia. 

O  lasso  a  me  !    ch'  io  non  credetti  mai, 
Che  sua  occhi  leggiadri,  e  rilucenti 
Fussin  cagione  a  me  di  tanti  guai, 
Di  tanti  pianti,  et  di  tanti  lamenti ; 
Ah  crudo  amore,  hor  come  gliel  consenti  ? 
Di  tanta  crudelta  suo  core  spoglia. 

O  lasso  a  me!  questo  non  e  quel  merto, 
Ch'  io  aspettava  di  mia  fede  intera, 
Questo  non  e  quel,  che  mi  fu  oiferto  ; 
Questo  ne'  patti  nostri,  Amor,  non  era  ; 
Folic  e  colui,  che  in  tua  promessa  spera, 
E  sotto  quelia  vive  in  pianti,  e  in  doglia. 

Cantato 


DI   LORENZO   DE'   MEDICI.  47 

Cantato  in  parte  vi  ho  la  doglia  mia, 

Che  vi  debba  haver  mosso  haver  piatate  ; 
Et  quanto  afflitta  la  mia  vita  sia, 
Perche  di  me   compassioiie  habbiate  ; 
Et  prego  Amor,  che  piu  felice  siate, 
Et  vi  contenti  d'  ogni  vostra  voglia. 


CANZONE. 


CON  tua  promesse,   et  tua  false  parole, 
Con  falsi  risi,  et  con  vago  sembiante, 
Donna,  menato  hai  il  tuo  fedele  amante, 
Sanza  altro  fare  ;   onde  m'  incresce,  et  duole. 

lo  ho  perduto  drieto  a  tua  bellezza 
Gia  tanti  passi  per  quella  speranza, 
La  quale  mi  die  tua  gran  gentilezza, 
Et  la  belta,  che  qualunche  altra  avanza ; 
Fidomo  in  lei,  et  nella  mia  costanza. 
Ma  insino  a  qui  non  ho,  se  non  parole. 

Di  tempo  in  tempo  gia  tenuto  m'  hai 

Tanto,   ch'  io  posso  numerar  molti  anni, 
Et  aspettavo  pur,  di  tanti  guai 
Ristorar  mi  volessij  et  tanti  affanni ; 

Et 


48  POESIE 

Et  conosco  hor,  che  mi  dileggi,  et  inganni 
La  fede   mia  non  vuol  da  te  parole. 

Donna,  stu  m'ami,  come  gia  m'  hai  detto, 
Fa,  eh'  io  ne  vegga  qualche  sperantia ; 
Deh  non  mi  tener  piu  in  contanto  aspetto, 
Che  forse  non  haro  piu  patientia, 
Se  vuoi  usare  in  verso  me  dementia, 
Non  indugiare,  et  non  mi  dar  parole. 

Va  canzonetta,  et  priega  el  mio  Signore, 
Che  non  mi  tenga  piu  in  dubbio  sospeso, 
Di,  che  mi  mostri  una  volta  il  suo  core, 
Et  se  e  perduto  il  tempo,  ch'  io  ho  speso, 
Come  io  haro  il  suo  pensiero  inteso, 
Prendo  partito,  et  non  vo'  piu  parole. 


CANZONE. 

IO  prego  Dio,  che  tutti  i  mal  parlanti 
Facci  star  sempre  in  gran  dolor i,  e  pianti. 

E  prego  voi,  o  gentil  donne,  e  belle, 
Che  non  facciate  stima  di  parole, 
Pero  che  chi  tien  conto  di  novelle, 

D'  ogni 


DI    LORENZO   DE'   MEDICI.  49 

D'  ogni  piacer  privare  al  fin  si  suole  ; 
Honestamente,  e  liete  star  si  vuole, 
Vivere  in  gioie,  et  in  piaceri,  e  canti. 

Deh  lasciam  dir  chi  vorra  pur  mal  dire, 
E  non  guardiamo  al  lor  tristo  paiiare  ; 
Allegro  si  vuol  vivere,  e  morire, 
Mentre  che  in  giovinezza  habbiamo  a  stare  ; 
E  chi  vorra  di  noi  mal  favellm  e, 
El  cor  per  troppa  invidia  se  gli  schianti, 

Canzona,  truova  ciascheduno  amante, 
E  le  donne  leggiadre,  alte,  e  gentile, 
Ricorda  lor,  che  ciascun  sia  costante 
Al  sno  am  ore  con  animo  virile  ; 
Perche  il  temer  parole  e  cosa  vile, 
Ne  fu  iisanza  mai  di  veri  amanti. 


CANZONE. 

r  HO  d'  amara  dolcezza  ii  mio  cor  pieno, 
Come  amor  vuole,  e  d'  un  dolce  veneno  : 

Nessuno  e  piu  di  me  lieto,  e  contento, 
Nessuno  merta  maggior  compassione  ; 
La  dolcezza,  et  dolor,  che  insieme  sento. 


Di 


50  POESIE 

Di  rider  damni,  e  sospiri  cagione  ; 
Nori  puo  iiitender  si  dolce  passione, 
Scusa  non  fo,  chi  non  ha  gen  til  core. 

Amore  et  honestate,  et  gentillezza, 
A  chi  misura  ben,  sono  una  cosa : 
Per  me  e  perduta  in  tutto  ogni  bellezza, 
Ch'  e  posta  in  donna  altera,  et  disdegnosa ; 
Chi  riprender  mi  puo,  s'  i'  son  piatosa, 
Quanto  honesta  comporta,  et  gentil  core  ? 

Riprenderammi  chi  ha  si  dura  mente, 
Che  non  conoschi  li  amorosi  rai : 

10  prego  amore,  che  chi  amor  non  sente 
Nol  faccia  degno  di  sentirla  mai  ; 

Ma  chi  P  osserva  fedelmente  assai, 
Ardali  sempre  col  suo  foco  il  core. 

Sanza  ragion  riprendami  chi  vuole, 
Se  non  ha  cor  gentil,  non  ho  paura ; 

11  mio  constante  amor  vane  parole 
Mosse  da  invidia,  poco  stima  o  cura, 
Disposta  son,  mentre  la  vita  dura, 

A  seguir  sempre  si  gentil  amore. 


DI   LORENZO  DE'  MEDICI.  51 


SONETTO. 


HERMELINO  EQUO   SU.'E  PUELLJE  UTENDUM   MISSO. 

SE  come  Giove  trasformossi  in  toro, 
Anch'  io  potessi  pigliar  tua  figura, 
Hermellin  mio,  senza  darti  tal  cura, 
Portare  vorre'  io  stesso  il  mio  thesoro. 

Non  SI  da  lungi,  ne  con  tal  martoro, 
Ne  pria  nell'  onde  mai  con  tal  paura 
Portato  harei  quell'Angioletta  pura, 
Che  hora  m'  e  donna,  et  forse  poi  sia  alloro. 

Ma  poiche  cosi  va,  Hermellino  mio, 
Tu  solo  porterai  soave,  ei  piano 
La  pretiosa  salma,  e  '  1  mio  desio ; 

Guarda  non  molestar  col  fren  sua  mano, 
Ubidisci  colei,  che  ubidisch'  io, 
Poiche  SI  tosto  Amor  vuole,  che  amiano. 


52  POESIE 


SONETTO. 

FUGIENDO  Loth  con  la  sua  famiglia 
La  citta,  ch'  arse  per  divin  g-iuditio  ; 
Guardando  indrieto,  et  visto  el  gran  supplitio, 
La  donna  immobil  forma  di  sal  piglia. 

Tu  hai  fuggito,  et  e  gran  maraviglia, 
La  citta,  ch'  arde  sempre  in  ogni  vitio ; 
Sappi  anima  gentil,  ch  '  1  tuo  offitio 
E  non  voltare  a  lei  giammai  le  ciglia. 

Per  ritrovarti  il  biion  pastore  eterno 
Lascia  el  greggie,  o  smarrita  pecorella, 
Truovati,  e  lieto  in  braccio  ti  riporta. 

Perse  Eiiridice  Orfeo  gia  in  suUa  porta, 
Libera  quasi,  per  vol  tarsi  a  quella ; 
Pero  non  ti  voltar  piii  alio  inferno. 


DI   LORENZO   DE'  MEDICI,  S3 


SONETTO. 

SEGUI,  Anima  divota,  quel  fervore, 
Che  la  bonta  divina  al  petto  spira, 
Et  dove  dolcemente  chiama,   et  tira 
La  voce,  o  pecorella,  del  pastore  : 

In  questo  nuovo  tuo  divoto  ardore 

Non  sospetti,   non  sdegni,  invidia,  o  ira, 
Speranza  certa  al  sommo  bene  aspira, 
Pace,  et  dolcezza,  et  fama  in  suave  odore. 

Se  pianti,  o  sospir  semini  talvolta 
In  questa  santa  tua  felice  insania, 
Dolce,  et  eterna  poi  la  ricolta. 

'^  Populi  meditati  sunt  inania" 

Lasciali  dire,  et  siedi,  et  Cristo  ascolta, 
O  nuova  cittadina  di  Bettania. 


IL    FINE, 


TOL.    III. 


^ 


APPENDIX. 


APPENDIX. 


NO  I. 

^x  adnotationibus  Isf  monmnentis  Ang,  Fabronii  ad  vitam 
Laur,  Medicis  fiertineiitibus, 

LN'  libro  perantiqiio  inscripto :    Notizie    della  Famiglia 
dei  Medici  :   haec  in  prnemio  leguntur. 

Al  Nome  di  Dio  mccclxxiii.  di  Gennajo. 

Al  nome  di  Dio  e  della  sua  Santissima  Madre  Ma- 
donna Santa  Maria  e  di  tutta  la  corte  del  Paradise 
checcidia  gratia  di  bene  fare  e  di  bene  dire. 

lo  Filigno  di  Chonte  de'  Medici  veggendo  le  passate 
fortune  di  guerre  citanesche  e  di  fuori,  e  le  fortunose 
pistolenze  di  mortalita,  che  Domenidio  a  mandate  in 
terra,  e  che  si  teme  che  mandi,  vigiendole  a  nostri  vi- 
cini,  faro  memoria  delle  cose  passate  chio  vedro,  che 
possano  essere  di  bisongno  sapere  a  voi  che  rimarrete 
o  verrete  dietro  amme,  a  cio  che  voi  le  troviate,  se  bi- 
songno fosse,  per  ciauno  chaso :  pregando  voi  che 
scriviate  bene  per  loinanzi,  e  che  conserviate  quelle 
terre   e   chase,   che   troverete    inscritte   in  questo   libro, 

la 


58  APPENDIX,  NO  I. 

la  maggiore  parte  aquistate  per  la  dengna  memoria  del 
nobile  chavaliere  Mess.  Giovanni  di  Chonte  meo  fra- 
tello,  dopo  la  di  cui  morte  io  formo  questo  libro, 
levando  del  suo  e  daltri,  e  priegovi,  che  questo  libro 
guardiate  bene,  e  tengniate  en  luogho  segreto,  sicche 
ninvenisse  a  mano  altrui,  e  si  perche  vi  potrebbe 
essere  de  bisongno  per  lonanzi,  come  ora  bisongna  a 
noi,  che  ci  conviene  trovare  carte  di  c.  anni  per  cha- 
gioni,  che  nanzi  troverete  inscritto,  peroche  gli  stati 
si  mutano,  e  non  anno  fermezza. 

Ancora  vi  priego,  che  non  solamente  conserviate 
lavere,  ma  co  iserviate  lo  stato  aquistato  pe  nostri  pas- 
sati,  il  quale  e  grande,  e  maggiore  soleva  essere,  e 
comincia  a  manchare  per  carestia  di  valenti  uomini 
chabbiamo,  de'  quale  solevamo  avere  gran  quantita. 

Ed  era  tanta  la  nostra  grandigia,  che  si  dicea,  tusse 
com  uno  de  Medici,  e  ogni  uomo  ci  temea  ;  e  anchora 
si  dice,  quaiido  un  cittidino  fa  una  forza  o  ingiuria 
altrui,  se  gli  el  facesse  uno  de  Medici,  che  si  direbbe: 
anchora  e  grandissima  e  di  stato  d'  amichi  e  di  ric- 
chezza,  piaccia  a  Dio  conservarlaci. 

E  oggi  in  questo  d\,  lodato  Idio,  siamo  uomeni  in- 
torno  cinquanta. 

E'  nota  poi  chio  naqqui,  sono  niorti  di  casa  nostra 
intorno  a  cento  viomeni  ;  e  di  pochi  e  famiglia,  e  oggi 
siamo  male  a  fanciuUi,  cioe  nabiamo  pochi. 


I  scivero 


APPENDIX.    NO  I.  59 

I  scrivero  in  piu  parti  questo  libro,  e  prima  mettero 
note  di  charte,  quanto  potro  sapere  e  dote,  fini,  com- 
promessi  e  altre,  poi  mettero  tutte  le  compere,  e  chi 
fece  le  charte,  poi  mettero  tutte  le  case  e  terre  confinate 
coggi  possediamo,  &c. 


N«  II. 

Jo.  Lamii*  Delicia  Eruditoruniy  v,  xii.  fi.  169.  Flor.  1742. 

Copia  di  Parlamento  dell'  anno  1433.  e.  34.  levato  da 
un  libro  di  propria  mano  di  Cosimo  de'  Medici, 
dove  scriveva  i  suoi  ricordi  d'  importanza  ;  e  fu 
levata  detta  copia  da  Luigi  Guicciardini. 

JxiCORDO  come  a  di  primo  di  Settembre  entro  all* 
Uffizio  del  Sig.  Giovanni  di  Matteo  dello  Scelto,  Do- 
nato  di  Cristofano  Sannini,  Carlo  di  Lapo  Corsi,  laco- 
po  Berlingliieri,  Mariotto  di  Mess.  Niccolo  Baldovi- 
netti,  Bartolommeo  di  Bartolommeo  Spini,  Bernardo 
di  Vieri  Guadagni  Gonfaloniere  di  Giustizia,  e  Berto 
di  Messer  Marco  di  Cenni  Albergatore  ;  e  quando  fu- 
rono  tratti  si  comincio  a  mormorare,  che  al  tempo  loro 
si  farebbe  novitti  nella  Terra  ;  e  fummi  scritto  in  Mu- 
gello  dove  era  stato  piu  mesi  per  levarmi  dalle  contese, 
e  divisioni,  ch'  erano  nella  citta,  ch'  io  tornassi,  e  cosi 
tornai  a  di  4.  II  di  medesimo  visitai  il  Gonfaloniere, 
e  gli  altri,  come  insieme  Giovanni  dello  Scelto,  il 
quale,  reputava  miolto  amico,  ed  erami  obligato,  e  il 
simile   degli    altri ;    e   dicendo  loro  quello  si  deceva,  ei 

prestamente 


60  APPENDIX.  NO  II. 

prestamente  tutti  lo  negarono,  e  die  fussi  di  buon 
animo,  che  volevano  lasciare  la  Terra,  come  1'  avevano 
trovata.  Ordinarono  a'  5.  una  Pratica  d'  otto  Citta- 
dini,  due  per  quartieri,  dicendo  volevano  con  il  con- 
siglio  di  quest!  fare  ogni  loro  deliberazione,  e  furono 
questi,  Messer  Giovanni  Guicciardini,  Bartolommeo 
Ridolfi,  Ridolfo  Peruzzi,  Tommaso  di  Lapo  Corsi^ 
Messer  Agnolo  Acciaioli,  Giovanni  di  Messer  Rinaldo 
Gianfigliazzi,  Messer  Rinaldo  degli  Albizi,  ed  io  Co- 
simo.  E  benche  per  la  Terra,  come  si  e  detto,  fusse 
sparso  dovessino  fare  novita,  pure  avendo  da  loro 
quello  aveva,  e  reputandoli  amici,  non  vi  prestassi 
fede.  Segui  che  a  di  7.  la  mattina  soto  colore  di 
volere  la  detta  Pratica,  mandarono  per  me,  e  giunto  in 
Palazzo  trovai  la  maggior  parte,  de  compagni,  e  stando 
U  ragionare,  dopo  buono  spazio  mi  fu  comandato  per 
parte  de  Signori,  che  io  andassi  su  di  sopra,  e  dal  Ca- 
pitano  de'  Fanti  fui  messo  in  una  Camera,  che  si 
chiama  la  Barberia,  e  fui  serrato  dentro  ;  e  sentendosi, 
tutta  la  Terra  si  sollevo.  II  di  fecero  consiglio  de' 
Richie sti,  e  per  lo  Gonfaloniere  fu  detto,  che  quello 
avevano  fatto  di  ritenermi,  era  per  buona  cagione, 
come  altra  volta  sarebbe  loro  noto  ;  e  che  di  questo 
non  volevano  consiglio,  e  licenziarono  i  Richiesti :  e  li 
Signori  per  le  sei  fave  mi  confinarono  a  Padova  per  un 
anno.  Fatta  questa  azione  fu -subito  avvisato  Lorenzo 
mio  fratello,  ch'  era  in  Mugello,  e  Averardo  mio  cu- 
gino,  ch'  era  a  Pisa,  e  cosi  fu  fatto  intendere  a  Niccolo 
da  Tolentino  Capitano  di  Guerra  del  Comune,  ch'  era 
molto  mio  amico.  Lorenzo  vennc  il  di  medesimo  in 
Firenze,  e  mandarono  i  Signori  per  lui  che  andasse  a 
Palazzo,  gli  fu  significato  il  perche,  subito  si  parti,  e 
ritornossi  al  Trebbio.  Averardo  si  parti  da  Pisa  pres- 
to, 


APPENDIX.  NO  II.  61 

to,  che  avevano  dato  ordine  farlo  pigliare  Ik,  e  cosi  se 
ci  avessero  preso  tutti  a  tre,  ci  facessero  male  arrivare. 
Niccolo  da  Tolentino  sentito  il  caso  a  dl  8.  venne  la 
mattina  con  tutta  la  sua  Compagnia  alia  Lastra,  e  con 
animo  di  fare  novita  nella  Terra,  perche  io  fussi  lasci- 
ato ;  e  cosl  subito  che  si  sentl  il  caso  nell'  Alpe  di  Ro- 
magna,  e  di  piu  altri  luoghi,  venne  a  Lorenzo  gran 
quantita  di  fanti.  Fu  confortato  il  Capitano,  e  cosi 
Lorenzo  a  non  fare  novita,  che  poteva  esser  cagione  di 
farmi  fare  novita  nella  persona,  e  cosl  feciono  ;  e  ben- 
che  chi  consiglio  qiiesto  fussino  parenti,  e  amici,  e  a 
buon  fine,  non  fu  buono  consiglio  ;  perche  se  si  fussino 
fatti  innanzi,  ero  libero,  e  chi  era  stato  cagione  di 
questo,  restava  disfatto.  Ma  tutto  si  vuol  dire  fussi  per 
lo  meglio,  perche  ne  segui  maggior  bene,  e  con  piu  mio 
onore,  come  innanzi  faro  menzione.  Non  parendo  agli 
amici  miei  si  dovessi  far  novita,  come  ho  detto,  el  Ca- 
pitano si  torno  indietro  alle  stanze,  mostrando  esser 
yenuto  per  altra  cagione,  e  Lorenzo  se  n'  ando  a  Ve- 
nezia  coi  miei  figli,  e  portonne  quello  pote  de'  denari, 
e  delle  cos  sottili.  E  Signori  confinarono  il  detto  Lo- 
renzo per  un  anno  Venezia,  e  me  a  Padova  per  5.  anni, 
e  Averardo  a  Napoli  per  5.  anni.  Dipoi  a  di  9.  feci- 
ono sonare  a  parlamento,  e  vennero  in  Piazza  quelli 
ch'  erano  stati  cagione  della  novita  con  fanti,  avevano 
fatto  venire  de  fuori  ventitre  Cittadini,  e  fu  piccolo 
numero,  e  poco  popolo  vi  si  trovo,  perche  in  vero  il 
forte  de'  Cittadini  n'  erano  mal  contenti. 

Per  Parlamento  dierono  Balia  a'  Cittadini,  come    si 

costumaVa  in  tali  casi,  e  confinarono  me  per  anni  10.  a 

Padova,   Lorenzo   per   anni  5.  a  Venezia,  Averardo  per 

VOL.  m.  K  anni 


62  APPENDIX.  NO  IL 

anni  10.  a  Napoli,  Orlando  cle'  Medici  per  anni  10.  in 
Ancona,  e  Giovanni  d'  Andrea  de  Messer  Alamanno  e 
Bernardo  d'  Alamanno  de'  Medici  a  Rimini  ;  e  fecero  la 
mia  famiglia  de'  Medici  de'  Grandi,  eccetto  i  figliuoli  di 
Messer  Veri,  perche  Niccolo  era  Gonfaioniere  ;  eccetto 
ancora  i  figliuoli  d'  Antonio  di  Giovenco  de'  Medici,  per- 
che Bernardetto  era  molto  amato  dal  Capitano  della  Gu- 
erra,  e  per  contemplazione  del  Capitano  mostrarono  ec- 
cettuare  il  detto  Averardo  e  fratelli  ;  feciono  piu  ordini 
contro  a  nci,  e  massime  che  io  non  potessi  vendere 
possessioni,  ne  denari  di  monte  ;  e  ritennommi  in 
Palazzo  in  sino  a  di  3.  d'  Ottobre. 

Sentendosi  questo  a  Venezio,  mandarono  subito  qui 
tre  Ambasciatori,   cioe   Messer  Luisi  Storlando,   Messer 

Tommaso    Micheli,     e li  quali    con  ogni  is- 

tanza  proccurarono,  e  concordarono  la  mia  liberazione 
con  offerire  tenermi  a  Venezia,  e  promettere  non  farei 
contro  alia  Signoria,  e  obbedirei  a  quello  mi  fussi  com- 
mandato  ;  e  benchc  non  facessono  ottenere  fussi  libero, 
pure  la  venuta  loro  giovo  assai,  perche  c'  era  di  quelli 
confortavano  fussi  morto,  e  ebbono  promissione  non 
mi  sarebbe  fatto  offensione  nella  persona.  Per  simil 
modo  mando  qui  il  Marchese  di  Ferrara  Ser  Gherar- 
dino  da  Sabiglia  al  Capitano  della  Balia,  ch*  era  Messer 
Lodovico  del  Ronco  da  Modena,  suddito  del  Marche&e, 
a  comandargli,  che  se  io  gli  fussi  messo  nelle  mani, 
non  ne  facessi  altro  conto,  che  se  fussi  Messer  Lionar- 
do  suo  ligliuolo ;  e  che  se  ne  fuggisse  m^eco,  e  non  du- 
bitasse  di  danno,  nc  di  nessuna  altra  cosa. 

Mi  ritennero,   siccome   e   detto,  in  sino  a'   3.  di  Ot- 
tobre per  due   cagioni,  la  prima  perche  potessero  otte- 
nere 


APPENDIX.  NO  II.  63 

Here  nella  Balia  nell'  ordinare  la  terra  a  loro  modo  ; 
die  quando  non  si  riceva,  minacciavano  che  mi  fareb- 
bono  morire,  e  per  qiiesta  paiira  gli  amici,  e  i  parenti, 
che  si  trovavano  nella  Balia,  deliberavano  quello  era 
loro  messo  innanzi,  La  seconda  fii,  che  credettono,  che 
per  tenermi  in  prigione,  e  aver  fatto  io  non  mi  potessi 
valere  del  mio,  farci  fallire  ;  il  che  non  riusci  loro,  che 
non  per  questo  perdessimo  credit©  ;  ma  da  molti  Mer- 
catanti  forestieri,  e  Signori,  ci  fu  offerto,  e  mandato  a 
Venezia  gran  somma  di  denari.  In  fine  vedendo  non 
riusciva  loro  il  pensiero  di  farci  fallire ;  Bernardo 
Giiadagni,  offertogli  da  due  persone  denari,  cioe  dal 
Capitano  della  Giierra  fiorini  500.  e  dallo  Spedalingo 
di  S.  Maria  Nuova  fiorini  500.  i  quali  ebbe  contanti,  e 
Mariotto  Balduinetti  per  mezzo  di  Baccio  d'  Antonio 
di  Baccio  fiorini  800.  a  di  3.  d'  Ottobre  la  notte  mi 
trassero  di  Palazzo,  e  menommi  fuori  della  Porta  a  S. 
Gallo :  ebbono  poco  animo,  che  se  avessero  voluto 
denari,  1'  averebbono  avuti  diecimila,  o  piu,  per  uscir 
di  pericolo. 

A  di  4.  di  Ottobre  il  di  di  S.  Francesco  arrival  a 
Cutigliano  nella  montagna  di  Pistoia,  e  fui  accom- 
pagnato  da  due  degli  otto  della  Guardia,  cioe  Francesco 
Soderini,  e  Cristofano  .  .  del  Chiaro.  Dagli  uomini 
della  montagna  fui  presentato  di  biada  e  cera,  come  se 
fussi  Ambasciadore.  A  di  5.  mi  partii,  e  venni  a  Fas- 
sano  Terra  del  Marchese  di  Ferrara,  e  fui  accom- 
pagnato  da  piu  di  20.  uomini  della  montagna.  A  di 
6.  arrival  a  Modana,  e  il  Governatore  ch'  era  Messer 
Piero  .  .  venne  a  me  per  parte  del  Signore,  mi  visito, 
e  presento,  e  la  mattlna  mi  fe  dare  compagnia,  e  guida. 
A  di  7.  arrival  al  Bondeno,  e  1'  altra  mattlna  per  acqua 

andai 


64  APPENDIX.  NO  II. 

andai  a  Francolino ;  stetti  due  giorni  per  aspettare  An- 
tonio Uguccione  d'  Contrari,  che  per  parte  del  Mar- 
chese  mi  fece  molte  offerte.  A  di  11.  arrival  a  Vene- 
zia,  dove  mi  venne  incontro  molti  Gentiluomini  nostri 
amici,  insieme  con  Lorenzo  ;  e  fui  ricevuto,  non  come 
confinato,  ma  come  Ambasciadore.  La  mattina  se- 
guente  visitai  la  Signoria,  e  ringraziaila  di  quelle  aveva 
operato  per  la  mia  salute,  mostrando  riconoscere  la  vita 
da  quella  :  fui  ricevuto  con  tanto  onore  e  tanta  carita, 
che  non  si  potrebbe  dire,  dolendosi  delli  affanni  mia, 
&  ofFerando  la  Signoria,  la  Citta,  V  entrata  loro,  per 
ogni  mio  contentamento,  e  la  casa  :  da  molti  Gentil- 
uomini fui  visitato,  e  presentato.  A  di  13.  mi  partj  per 
andare  a  Padova,  come  m'  era  comandato,  e  in  miia 
compagnia  venne  Messer  lacopo  Donato,  e  m'  alloggio 
in  una  sua  bella  casa  fornita  di  panni,  e  di  letta,  e  di 
cose  da  mangiare  per  ogni  gran  maestro  ;  e  stette  meco 
per  infino  ritornai  a  Venezia,  che  furono  circa  a  di  20. 
A  Padova  venne  a  casa  a  me  a  visitarmi  per  parte  della 
Signoria  di  Venezia,  offerendomi  tutto  quello  potesse 
fare  per  loro  in  mia  complacenzia.  Ho  voluto  fare 
ricordo  deil'  onore  che  mi  fu  fatto  per  non  essere  in- 
grato  in  fame  ricordo,  e  ancora  perche  fu  cosa  da  non 
credere,  essendo  cacciato  di  casa,  trovar  tanto  onore, 
perche  si  suol  perdere  gli  amici  con  la  fortuna  ;  fu  re- 
plicato  a  Lorenzo  1'  onore  avevo  ricevuto,  e  per  via  de 
mercanti,  e  per  un  m.azzieri  de'  Signori,  che  venne 
meco  insino  a  Padova,  al  quale  fu  comandato  non  ne 
dovesse  parlare. 

Dipoi  del  mese  di  Decembre  chiedendo  io  di  grazia 
a  Signori  di  potere  stare  a  Padova,  e  a  Venezia,  e  per  lo 
territorio  della  Signoria  di   Venezia  essendo   de'  Signori 

Barto- 


APPENDIX.    NO  II.  6  5 

Bartolommeo  de  Ridolfi  Gonfalonieri  di  Giustizia,  fu 
deliberato,  e  ottenni  di  potere  stare  per  il  territorio 
Veneziano,  non  m'  appressando  a  Firenze  piu  che  170. 
miglia ;  e  questo  fecero  ancora  a  complacienzia  della 
Signoria  di  Venezia,  la  quale  per  loro  Ambasciatore,  che 
fu  Messer  Andrea  Donate,  ne  richieseno  la  Citta ; 
bene  appiccorono  questa  grazia  sotto  gran  pene,  non  si 
potessi  piu  rimuovermi,  o  farmi  grazia  di  confini,  come 
appare  per  la  declarazione  fetta. 

Al  tempo  di  questi  Signori  fu  confinato  Puccio,  e 
Giovanni  d'  Antonio  di  Puccio,  i  quali  erano  miei  prin- 
cipali  amici ;  e  di  poi  al  tempo  de  Priori  seguenti,  ch' 
era  Gonfaloniere  Mariotto  Scambrilla,  fu  confinato  Mes- 
ser Agnolo  Acciaioli,  per  ccrte  novelle  aveva  scritto  a 
Puccio  e  a  noi ;  le  quali  in  vero  non  erano  d'  importanza, 
nc  da  esserne  cacciato. 

Ricordo  che  a  di  1.  Settembre  1434.  entrarono  de' 
Signori  Gio.  di  Mico  Cappone,  Caca  di  Buonaccorso 
Pitti,  Niccolo  di  Cecco  Donati  Governatore  di  Gius- 
tizia, Piero  d'  Antonio  di  Piero  Feltriano,  Toto  Martini 
per  artefici,  Simone  di  Francesco  Guiducci,  e  .  .  .  . 
di  Tommaso  Redditi,  Baldassarri  d'  Antonio  di  Santi, 
Neri  di  Domenico  Bartoleni ;  e  come  furono  tratti  tutti 
i  buoni  Cittadini,  presero  vigore,  e  conforto,  parendo 
fusse  tempo  di  uscire  dal  mal  governo  avevano,  il  che 
prima  averebbono  fatto,  se  avessero  avuto  Signori  che 
avessono  voluto  attendere  ;  perche  in  vero  tutto  il  Po- 
polo,  e  tutti  i  buoni  Cittadini,  stavano  mal  contenti ;  e 
subito  venne  a  me  a  Venezia  Antonio  di  Ser  Tommaso 
Masi,  mandato  da  piu  Cittadini,  perche  venissimo  verso 
Firenze,     offerendo,   quando    sentissono    fussimo    presi, 


66  APPENDIX.    NO  II. 

si  solleverebbono,  e  metterebbonci  dcntro ;  e  cosi  da 
molti  parenti,  e  amici  eravamo  continuo  sollecitati. 
Parveci  volere  intendere  1'  animo  de'  Signori  con  dire, 
non  volevamo  fare  contro  al  volere  della  Signoria ;  e 
per  questo  mandammo,  da  Venezia  a  Firenze  Antonio 
Martelli,  perche  sentisse  da'  Signori  la  loro  intenzione, 
da'  quali  ebbe  buona  risposta  che  venissimo,  e  cosi  per 
fante  proprio  ci  avviso  per  sua  lettera  ;  la  quale  avuta 
ci  partinimo  da  Venezia  29.  di  Settembre  Lorenzo  e  io 
Cosimo;  e  Averardo  rimase  a  Venezia  ammalato  di 
febbre,  che  non  poteva  venire,  e  a'  30.  arrivamo  al 
Ponte  a  Lago.  Stemmo  in  casa  dell'  Magnifico  Uguc- 
cione,  il  quale  insieme  col  Marchese,  a  nostra  richiesta, 
aveva  ordinato  gran  quantita  di  Fanti  nella  montag- 
na  di  Modena,  e  del  Frigano,  e  ancora  200.  Cavalli 
aveva  a  suo  soldo,  perche  venissono  con  noi,  com'  era 
prima  ordinato ;  e  a  di  1.  d'Ottobre  essendo  la  mattina 
a  udir  Messa,  avemmo  un  Corrieri  d'  Antonio,  Salutati 
con  lettere,  per  le  quali  ci  avvisava,  come  sentendosi  per 
la  Terra  1 'animo  de  Signori,  e  presentendosi  la  nostra 
venuta,  i  nostri  nemici  avevano  preso  1'  armi  a  di  26.  cioe, 
Messer  Rinaldo  delli  Albizi,  Ridolfo  Peruzzi,  e  piii  altri 
in  numero  di  600  persone  :  di  poi  la  sera  mancando  loro 
I'animo,  e  essendo  mezzano  d'  accordo  per  parte  del 
Papa,  Messer  Giovanni  Vitelleschi  allora  Vescovo  di 
Hecanati,  e  dipoi  Arcivescovo  di  Firenze,  e  poi  Cardi- 
nal e,  il  quale  era  molto  mio  amico,  si  ridussono  a  S. 
Maria  Novella  dove  abitava  il  Papa  ;  e  sentendo  che  gli 
amici  nostri  erano  provvisti,  e  di  gente,  e  d'  armi,  per 
tema  di  loro  persone,  Messer  Rinaldo,  e  Ormanno  suo 
figliuolo,  e  Ridolfo  Peruzzi,  si  rimasero  la  notte  la,  e 
non  vollero  uscire  ;  e  chi  era  con  loro  si  parti  chi  in 
qua,    e  chi  in  la,    e  andaronsi    a  disarmare.     II  perche  i 

Signori 


APPENDIX.    NO  11.  6^ 

Signori  fecero  venire  dentro  gran  numero  di  fanterie 
che  solo  di  Mugello,  e  dell'  Alpe,  e  di  quello  di  Ro- 
magna,  venne  a  casa  nostra,  piu  di  fanti  3000.  e  cosi 
fecero  venire  la  compagnia  di  Niccolo  da  Tolentino  ; 
e  a  di  29.  il  di  di  S.  Michele  fecero  parlamento  in  su  la 
piazza,  dove  fu  tutto  il  Popolo  armato,  che  fu  numero 
grandissimo    e     bene     in     punto,    dettero    la     Balia    a 

Cittadini,    e    annullarono    quello    avevano 

fatto  r  anno  passato,  e  il  primo  partito  e  deliberazione 
che  fecero,  fu  che  Cosimo  e  Lorenzo  fussero  restituiti 
ne'  primi  onori,  e  annullato  tutto  quello  fusse  fatto 
contra  di  loro,  che  non  vi  fu  4.  fave  in  contrario,  con- 
fortandoci  per  parte  di  tutti  a  venire  presto.  E  letta 
detta  lettera  subito  la  mandammo  a  Venezia,  dove  se 
ne  fece  gran  festa,  e  noi  andammo  a  visitare  il  Mar- 
chese,  il  quale  dimostro  maggior  allegrezza  di  noi ; 
ringraziammolo  de'  favori,  che  ci  aveva  prestati,  e  a  dl 
2.  ci  partimmo  di  Ferrara,  e  a  3.  fummo  a  Modana, 
dove  fummo  ricevuti  con  grand'  onore  in  casa  del 
Marchese,  e  venneci  incontro  il  Governatore  e  il  Po- 
desta,  e  molti  Cittadini  di  Modana.  A  di  4.  venimmo 
e  per  la  via  sempre  ci  fu  fatto  le  spese  dal  Mar- 
chese, e  per  tutto  trovammo  fanti,  che  erano  ordinati  a 
venire  con  noi,  i  quali  licenziammo,  perche  non  era  di. 
bisogno  ;  e  a  5.  venimmo  a  Cutigliano,  e  poi  a  Pistoia, 
e  appunto  in  capo  dell'  anno  in  quel  medesimo  di,  ciob 
a  5.  d'  Ottobre,  e  in  quella  medesima  ora,  rientramimo 
in  su  quello  del  Commune,  e  in  quel  medesimo  luogo. 
Di  questo  ho  fatto  ricordo  perch^  ci  fu  detto  da  piu 
persone  devote,  e  buone,  quando  fummo  cacciati,  che 
non  passerebbe  1'  anno  che  saremmo  restituiti,  e  torne- 
remmo  a  Firenze.  Per  la  via  trovammo  molti  Citta- 
dini, che  ci  venivano  in  contro,  e  a  Pistoia  tutto  il  Po- 
polo 


«8  APPENDIX.     NO  II. 

polo  si  fece  alia  porta  per  vederci  cosi  arraati,  qiiando 
vi  passammo,  che  non  volemmo  entrare  dentro.  Venim- 
ino  a  di  6.  a  desinare  al  nostro  luogo  a  Careggi,  dove 
fu  gran  gente  ;  i  Signori  bi  mandarono  a  dire  non  entras- 
simo  dentro,  se  non  ce  lo  fecevano  intendere,  e  cosi 
fecemo ;  e  tramontato  il  Sole  mandarono  a  dire  che 
venissimo,  e  cosi  ci  movemmo  con  gran  compagnia,  e 
perche  tutta  la  via,  si  stimava  facessimo  in  sino  a  casa 
nostra,  era  piena  d'  uomini,  e  di  donne,  Lorenzo,  ed  io 
con  un  famiglio,  e  un  mazziere  volgemmo  lungo  le 
niura,  e  venissimo  dietro  a'  Servi,  e  poi  dietro  a  Santa 
Reparata,  e  dal  Palazzo  del  Podesta,  e  dal  Palazzo  dell' 
esecutore  entrammo  nel  PaJazzo  de'  Signori,  senza 
essere  quasi  veduti  da  persona,  perche  tutto  il  popolo 
era  nella  via  larga,  e  da  Casa  nostra  a  aspettarci,  e  per 
questa  cagione  non  vollero  i  Signori  entrassimo  di  di 
per  non  far  maggior  tumulto  nella  Terra.  Da  Signori 
fummo  ricevuti  graziosamente,  e  ringraziatigli  con  quelle 
parole  is  richiedeva,  vollero  che  insieme  con  piu  altri 
Cittadini  rimanessimo  in  Palazzo  con  le  loro  Signorie, 
e  cosi  fecemo. 

Trovammo  prima  che  giugnessimo,  era  stato  confi- 
nato  Messer  Rinaldo,  e  Ormanno  suo  figliuolo,  Ridolfo 
Peruzzi,  e  molti  altri  Cittadini ;  e  la  Terra  era  pacifi- 
cata,  benche  continuamente  in  Piazza,  e  in  Palazzo 
stessono  buon  numero  di  fanti  armati,  per  sicurta  del 
Palazzo. 

Dipoi  in  Calendi  Novembre  si  fecero  i  Priori  a  ma- 
no  di  la  dair  acqua,  Sandro  di  Giovanni  Biliotti,  Piero 
di  Bartolommeo  del  Benino  in  Santa  Croce,  Andrea 
Nardi,    e     Lodovico    da    Verrazzano,    in   Santa    Maria 

Novella  ; 


APPENDIX.  NO  II.  69 

Novella ;  Giovanni  Minerbetti  Gonfaloniere  di  Gius- 
tizia,  Brunetto  Beccaio  per  Arcefice  in  S.  Giovanni, 
Ugolino  Martelli,  e  Antonio  di  Ser  Tommaso  Masi. 
Questi  Priori  coniinarono  molti  Cittadini,  e  cosl  posarono 
a  sedere  molte  famiglie  sospette,  e  fecero  molte  cose  in 
favore  dello  Stato;  e  a  loro  tempo  spiro  la  Balia  data 
a  piu  Cittadini,  e  finirono  li  squittini,  e  rimasero  le  borse 
per  5.  anni  in  mano  degli  Accoppiatori,  cioe  le  borse 
del  Priorato  ;  E  potranno  de'  Priori  e  Gonfaloniere  di 
Giustizia,  quelle  vorranno  fare  a  loro  piacimento.  E 
del  naese  di  Gennaio  prossimo  fui  il  primo  tratto  delle 
borse  dello  squittino  per  Gonfaloniere  di  Giustizia,  e 
al  mio  tempo  non  si  confine,  ne  si  fece  male  a  persona. 
Ma  Francesco  Guadagni,  e  piu  altri,  i  quali  trovai  nelle 
mani  del  Capitano   della    Balia,   Sc  avevano   raffermo   la 

lo  operai  in  forma  non  morirono,  ma  furono 

condennati  in  perpetua  carcere,  e  cosi  al  mio  tempo 
feci  levare  certi  fanti  armati,  die  stavano  alia  porta  del 
Palazzo,  ridurre  il  Palazzo,  e  la  piazza  come  solevano 
stare  innanzi  alia  novita,  e  feci  prolungare  la  leg  a  con  la 
Signoria  di  Venezia  per  10.  anni. 


NO  III. 

Ex  M,  S.  sec,  XV.  ficnes  auctorem, 

Leonardi  Arethii  Ejiistola  ad  Cosmum  Medicem  de  conver- 
sione  Rfiistolarum  Platonis  e  Grceco  in  Latinum, 

INTER   clamosos     strepitus    negotiorumque    procellas, 

quibus   Florentina   palatia,    quasi   Euripus   quidam,   sur- 

sum     deorsumque     assidue    restuant,    cum    singula    non 

voi.   ITT.  L  mode 


70  APPENDIX.  NO  in. 

modo  drcta,  sed  verba  etiam  interrumperentur,  tamen, 
ut  potui,  Latinas  efTeci  Piatonis  epistolas,  quas  nunc 
tibi  dono  dedo  atque  mitto ;  putans  niulto  pretiosius- 
quiddam  ad  te  mittere  quam  si  tantidem  pondo  auri 
dilargirer.  A  te  certe  longe  carius  gratiusque  existi- 
mandum.  Etenim  aiiriim  tibi  abunde  est,  Sapientia  vero 
nee  tibi  nee  alteri  cuiquam  hominum  abunde.  Deinde 
quse  comparatio  justa  esse  potest  aurum  inter  ac  sapi- 
entiam  1  Ad  quam  non  solum  opulentia  ista  privato- 
rum  eximia,  verum  etiam  regum  opes  atque  potentia, 
fascesque  Sc  imperia  comparata  vilescunt.  Fragilia 
nempe  bona,  ac  nescio  an  omnino  bona  sint  existimanda, 
quse  auferri  nobis  atque  eripi  possunt,  £c  quorum  pds- 
sessio  usque  adeo  imbecilla  est  Sc  incerta,  ut  nemo 
exploratum  habere  queat  ad  vesperas  usque  esse  dura- 
turam  :  sapientix  vero  ac  virtutis  stabilis  est  firniaque 
possessio.  Neque  enim  eripi  ab  homine  uila  vi  possunt, 
neque  fortunse  subjacent  ictibus.  Nee  eas,  ut  philoso- 
phis  placet,  labefactat  oblivio.  Prjcterea  cum  homo 
constet  ex  animo  &  corpore,  ac  utriusque  particulsi 
bona  S;:  quasi  dotes  qusedam  existant,  ut  animi  quidem 
sapientia,  fortitudo,  justitia,  cjcteracque  virtutes,  cor- 
poris autem  valitudo,  forma,  firmitas,  patientia  laborum, 
pernicitas,  et  hujuscemodi  alia,  nemini  dubium  esse 
potest,  quanto  animus  corpori  dignitate  prsestat,  tanto 
bona  animi  bonis  corporis  antecellere.  Divitiai  vero  & 
opes,  nee  animi  sunt  neque  corporis  bona.  Itaque  ne 
nostra  quidem  ilia  dicuntur,  sed  externa  &;  a  corporis 
dignitate  longe  superantur.  Itaque  comparare  divitias 
ad  sapientiam,  nihil  est  aliud  quam  infimi  gradus 
bonum  cum  supremo  conferre.  Et  de  his  quidem 
satis.  Traductio  autem  harum  epistolarum  ita 
vehementer    mihi    jocunda   fuit,    ut    cum    Platone    ipso 

loqui. 


APPENDIX.  NO  III.  n 

loqui,  eumque  intueri  coram  viderer.  Quod  co  rnagis 
in  his  mihi  accidit  quam  in  ceteris  ejus  libris,  quia  hie 
neque  fictus  est  sermo,  nee  alteri  attributus  ;  sed  procul 
ab  ironia  atque  figniento,  in  re  seria  actionem  exigente, 
ab  illo  summo  ac  sapientissimo  homine  perscriptus. 
Saepe  enim  preestantes  viri,  doctrinam  vivendi  aliqviam 
prosecuti,  multa  prsecipiunt  aliis,  quae  ipsi  dum  agunt 
prxstare  non  possunt.  Ex  quo  fit  ut  ahter  loquantur, 
aliter  vivant.  Cerno  integritatem  hominis  incorrup- 
tam,  libertatem  animi,  fidei  sanctitatem.  Inter  hsec 
prudentiam  eximiam,  justitiam  singularem,  constantiam 
vero  non  protervam  neque  inhumanam  :  sed  quae  Sc 
consuli  sibi  Sc  suaderi  permittat.  In  amicos  vero 
tantam  benevolentiam,  ut  commoda  sua  propria  illorum 
commodis  posthabere  videatur.  Ad  h^ec  autem  dii 
boni  1  quK  consiliorum  suorum  explicatio,  qux  cir- 
cumspectio,  qux  observatio,  qux  modestia,  jam  vero  de 
adeunda  republica  qux  appetitio  qux,  ratio,  qux  consi- 
deratio,  qux  religio  !  Fateor  in  his  magnum  &c  absolutum 
quendam  virum  bonum  mihi  ad  imitandum  proponi. 
Imitatationes  vero  nonnunquam  efficaciores  sunt  quam 
doctrinx,  ut  in  oratoribus  k  histrionibus  intueri  licet ; 
quorum  artes  difficihus  quidam  addiscunt,  facilius  imi- 
tantur.  Ego  certe  plus  utilitatis  lectione  harum  pau- 
carum  epistolarum  percepisse  me  intelligo,  quam  ex 
multis  voluminibus  antea  perlectis  :  ita  mihi  viva  hxc 
quodammodo  Sc  spirantia,  ilia  vero  intermortua  Sc  um- 
bratilia  videbantur.  Qux  enim  in  re  agenda  mihi  am- 
biguitas  esse  queat,  in  qua  videam  Platonem  ita  fecisse. 
Tu  igitur  has  epistolas  multum  lege  quxso,  ac  singulas 
earum  sententias  inemorlx  commenda,  prxcipue  vero 
qux  de  republica  monent.  Intelliges  vero  quid  dicam 
si    cuncta   diligenter   triteque    perlegeri.s.      Nee  eo  ista 

scribo 


72  APPENDIX.  NO  III. 

scribo  quod  tuje  aut  intelligeiitise  aut  voluntati  diffidam, 
sed  quod  propositum  tuum,  auctoritate  summi  viri, 
confirmandum  8c  corroborandum  censeo.  Vale,  & 
munus  hoc  meum  non  tarn  verbis,  quam  lectione  operi- 
busque  tibi  non  frustra  collatum  ostendas. 


NO  IV. 

£a:  Aug,  Fabronii  Monum,  ad  vitam  Cosmi  Med, 
Pius  PP.  II.  Cosmo  Medici. 

-DlLECTE  fili,  Salutem  Sc  Apostolicam  benedic- 
tionem.  Mors  bonae  memoriae  Johannis  filii  tui, 
quam  modo  intellexerimus,  molesta  nobis  plurimum 
fuit,  non  ob  id  solum,  quia  per  naturam  est  immatura, 
sed  quia  aetati,  8c  valetudini  tuae  multum  adversa. 
Consolandus  esses  omnibus  horis,  Sc  vita  in  dulcedine 
Spiritus  protrahenda :  sed  hoc  nos  consolatur,  quia 
sapiens  es,  8c  exercitatus  in  fortunae  casibus,  8c  mode- 
rari  tuis  sensibus  potes.  Ita  rogamus  te,  Cosme,  facias, 
Sc  convertas  ad  Deum  oculos,  8c  iiii  benedicas.  &:  in 
bonum  omnia  deputes.  Ncque  enim  scimus  arcana 
Dei  ;  novit  illc  solus  quid  nobis  expediat,  Sc  quorum 
indigemus.  Credamus  nobiscum  8c  cum  illo  actum 
misericorditer  esse.  Venturorum  nee  tu  eras  consciusj 
nee  ille.  Hortamur  tuam  nobilitatem,  Fili,  ut  volun- 
tatem  banc  Domini  patienter  feras,  sicut  te  ferre  audi- 
mus,  neque  dolori  indulgeas.  Aetati  tuae  moeror  non 
convenit,  5c  valetudini  contrarius  est.  Expedit  nobis, 
patriae   tuae,   Sc   toti    Italiae,   ut   quam   diutissime  vivas. 

Johannem 


APPENDIX.  NO  IV.  Tt 

Johannem  fiiium  bonis  operibus,  Sc  piis  prosequere. 
Aliud  ex  tota  substantia  tua  non  stetit,  eleemosinae, 
devotio,  Sc  oratio  sunt  sua  suffragia.  Haec  pauca  ad 
te  scripsimus,  ut  tristitiam  nostram  agnosceres,  Sc  de 
tua  nos  esse  sollicitos  intelligeres.  Singula  in  partem 
caritatis  accipito.  Datum  Romae  apud  Sanctum  Pe- 
trum,  sub  anulo  piscatoris  die  non.  Novembris  14.63» 
Pontificatus  nostri  anno  sexto. 

Pio  II.  S.  P.  Cosmus  Medices. 

Videor  te  legens,  Beatissime  Pater,  tanta  est  verbo- 
rum  vis,  Sc  sapientia,  eum  vere  audire  me  consolantem, 
cujus  tu  vere  vicem  geris.  Quid  enim  melius,  aut 
sanetius,  Sc  plane  divinus  scribi  potuit  ?  Igitur  hac 
consolatione  tua,  Beatissime  Pater,  id  est  effectum,  ut 
qui  prius  utile  esse,  &  laude  dignum  putarem  quam 
minimum  dolere  (nam  nihil  baud  possum)  nunc  etiam 
nefas  aliter  ac  tu  suadeas,  facere  existimem.  Itaque  do 
operam  pro  viribus,  Sc  pro  iniirmitate  animi  mei,  ut 
feram  aequo  anim.o  tam  adversum  casum,  ut  mlhi  qui- 
dem  visum  est.  Sed  Deus  novit  solus  quid  adversum 
sit.  Nos  nescimus,  ut  sapienter,  religioseque  scribis, 
Quanquam  cum  Johanne  fiiio  nunquam  male  actum 
putavi,  qui  non  e  vita,  sed  e  morte  migrasset  ad  vitam. 
Est  enim  mors  haec,  quam  nos  vocamus  vitam.  Ilia 
vere  vita  est,  quae  aeterna  est.  Si  quid  in  ejus  obitu 
mail  videbatur,  nobis,  qui  ejus,  ut  opinamur,  indigeba- 
mus,  id  evenisse  judicavi.  Sed  nos  nescimus  quid 
petamus.  Coniido  fore  ut  Deus  misereatur  etiam  nos- 
tri, qui  relicti  sumus,  secundum  multitudinem  mise- 
rationum  suarum,  quoniam  suavis  est  Dominus,  Sc 
multum   Taisericors.       De  vita  autem    mea,    quod  Sum- 

mus 


74  APPENDIX.  NO  IV. 

mus  Pontifex  Christi  Vicarius  sollicitus  est,  etiam  feli- 
citati  ascribo.  Curabo  id  quidem  non  his  de  causis, 
quibus  tu  pro  divina  humanitate  tua  curandam  scribis. 
Quid  enim  jam  nos  possumus  ?  Aut  quid  unquara 
potuimus  ?  Sed  ut  Dei  tarn  excellens  vivendi  munus 
non  neglexisse,  aut  tot,  tantorumque  beneficiorum  di- 
vina pietate  susceptorum  oblitus  fuisse  videar.  Tu, 
quo  id  facere  possim,  Beatissime  Pater,  velim  pro  me 
filiolo  tuae  Sanctitatis  ad  Deum  preces  porrigas. 


NO  V. 

JExtat  in  Tabulario  Mediceo  :  Copia  d'  una  lettera  scritta 
da  Pietro  di  Cosimo,  a  Lorenzo  e  Giuliano  de' 
Medici,  da    Careggi    a    Cafaggiolo    il    di  26  Luglio 

1464. 

OCRIPSIVI  jer  1'  altro,  &  avvisai  come  Cosimo  era 
aggravato  dal  male,  di  poi  mi  pare  che  si  vadi  logorando, 
Sc  questo  pare  a  lui  medesimo,  in  modo  che  Martedi 
sera  voile  che  in  camera  non  fossi,  se  non  Monna  Con- 
tessina  et  io.  Comincio  da  principio  a  dire  tutta  la  sua 
vita,  dipoi  entro  sul  governo  della  citta,  e  poi  seguitando 
a  quello  de'  trafichi,  di  poi  alia  cura  familiare  delle 
possessione  et  di  casa,  et  sopra  e  fatti  di  voi  due,  con- 
fortando,  essendo  voi  di  buono  ingegno,  io  vi  dovessi 
ailevare  bene,  perche  mi  leveresti  assai  faticha,  8c  che 
di  due  cose  si  doleva,  1'  una  di  non  haver  fatto  quanto 
arebbe  voluto  Sc  potuto  fare,  1'  altra  che  essendo  io  mal 
sano  mi  lasciava  con  assai  noia.  Di  poi  desse  non  vo- 
lere    fare    testament©    alcuno,    perche  mai  non    fu    suo 

pensiero 


APPENDIX.    NO  V.  75 

pensiero  di  farlo,  eziandio  vivente  Giovanni,  perche 
sempre  ci  vide  con  buono  amore  8c  in  buono  accordo 
8c  stima,  &  che  quando  Iddio  facesse  altro  di  lui,  non 
voleva  alcuna  pompa,  ne  dimostratione  nell'  esequie,  & 
come  in  vita  altravolta  mi  aveva  detto,  mi  ricordava  dove 
voleva  la  sepoltura  sua  in  S.  Lorenzo;  8c  tutto  dissc 
con  tanto  ordine  8c  con  tanta  prudentia,  8c  con  uno 
animo  si  grande,  che  fu  una  maraviglia,  soggiungendo 
che  era  vissuto  lunga  eta,  8c  in  modo  che  si  partiva 
molto  ben  contento,  quando  Dio  lo  volessi.  Di  poi 
jermattina  di  buon  ora  si  fece  levare,  calzare  8c  vestire 
di  tutto,  essendoci  il  Priore  di  S.  Lorenzo,  quel  di  S, 
Marco,  e  della  Badia  ;  si  confesso  dal  Priori  di  S.  Lo- 
renzo 8c  di  poi  fece  dire  la  messa,  alia  quale  tutta 
ripose  come  da  sano.  Dipoi  domandato  delli  articoli 
della  fede,  a  tutti  rispose  per  lettera,  fece  la  confessione 
lui  medesimo,  8c  prese  il  S.  Sacramento  con  tanta  devo- 
tione,  quanto  si  potessi  dire,  havendo  prima  chiesto 
perdono  a  ciascuno.  Le  quali  cose  m'  hanno  fatto  cres- 
cere  I'animo  8c  la  speranza  verso  Messer  Domenedio, 
Sc  benche  secondo  il  senso,  io  non  sia  senza  dolore, 
pure  veduto  la  grandezza  dell'  animo  suo,  la  disposi- 
tione  buona,  sono  in  gran  parte  contento,  che  viene  a 
'  quel  fine  che  tutti  habbiamo  a  fare.  Lui  si  stette  jeri 
assai  bene,  8c  cosi  questa  nocte  passata ;  pure  rispetto 
air  eta  grave  non  posso  sperar  molto  del  suo  guarire. 
Fate  fare  per  lui  orationi  ai  Frati  del  Bosco,  Sc  fate  dar 
elemosina  come  pare  ad  voi,  pregando  Iddio  ce  lo 
lasci  ancora  per  un  tempo,  sendo  per  lo  meglio.  Et 
voi  pigliate  exemplo,  che  siete  giovani,  Sc  con  buono 
animo  pigliate  la  parte  vostra  delle  fatiche,  poiche 
Messer  Domenedio  dispone  cosi,  8c  fate  conto  d'  essere 

huomini. 


76  APPENDIX.    NO  V. 

huominij  essendo  garzoni,  che  cosi  lo  richiede  lo  stato" 
vostro  8c  il  caso  presente,  Sc  sopra  tutto  attendete  a 
quelle,  che  vi  puo  fare  onore  8c  utile,  perche  e  venuto 
il  tempo  che  bisog-iia  che  vol  facciate  sperientia  di  voi  ; 
et  vivete  col  timor  di  Dio,  8c  sperate  bene.  Quello  che 
seguira  di  Cosimo  vi  advisero.  Noi  attendiamo  ognora 
un  medico  di  Milano,  ma  ho  piii  speranza  in  Messer 
Domenedio,  che  in  altri.  Non  altro  al  presente.  Cha- 
reggi  ai  26.  Luglio  1464. 


NO   VI. 


Ricordi  di  Piero  de'  3Iedlci. 


RiCORDO  che  a  di  1.  d'  Agosto  1464.  a  ore  xxii  1. 
Cosimo  di  Giovanni  d'  Averardo  de'  Medici  passo  di 
questa  presente  vita,  essendo  stato  pel  passato  molto 
vexato  da  dolore  di  giunture,  benche  d'  ogni  altro  male 
fosse  sano,  salvo  che  in  quest'  ultimo  fine  della  vita  sua 
per  spazio  d'  un  mese  fosse  oppressato  per  difecto  d' 
orina  con  al  quanta  febbre.  Era  d'  eta  d'  anni  d'  lxxvii. 
i^-rande  e  bello  uomo,  e  di  perfecta  natura,  excepto  e' 
mali  sopradecti.  Fu  uomo  di  grandissima  prudentia, 
e  vie  maggior  bonta,  el  piOi  riputato  ciptadino,  8c  di 
maggior  credito  che  a\esse  la  nostra  cipta  per  lunghi 
tempi ;  e  quello  che  ebbe  maggior  fede,  8c  piii  amato 
da  tucto  el  popolo :  '  ne  si  ricorda  morire  alcuno  a 
questa  eta  con  migliore  grazia  e  maggior  fama,  e  di 
cui  piu  dolesse  a  ciascuno  ;  e  meritamente,  perche  non 
si  trovo  nessuno  che  con  ragione   si  dolesse  di  lui :  ma 

furono 


APPENDIX.    NO  VI.  77 

furono  molti,  e'  quali  da  lui  erano  stati  serviti,  & 
sovvenuti,  8c  ajutati ;  di  che  piii  si  dilecto  che  alcun 
altro  :  e  non  solamente  parent!  e  amici,  ma  gli  strani, 
e  ancora,  che  par  difficile  a  crederlo,  non  che  a  farlo, 
chi  non  gli  era  amico  :  col  quale  laudabil  modo  si  fece 
pill  e  piu  persone,  che  per  difecto  loro  e  d'  altri  non 
gli  erano  amici,  amicissimi.  Fu  molto  liberale,  cari- 
tativo,  e  misericordioso,  e  molte  elemosine  fece  in  sua 
vita ;  e  non  solamente  nella  cipta  e  distretto,  ma  eziandio 
ne'  luoghi  molto  lontani,  in  accrescimento  di  Religioni,  e 
reparatione  di  Chiese,  Sc  generalmente  d'  ogni  ragione  di 
beni,  che  accadesse.  Fu  per  sua  sapientia  molto  extimato 
e  creduto  da  tutti  e'  Signori  e  Potentie  d'  Italia,  e  fuori 
d'  Italia.  Fu  onorato  di  tutti  gli  uficj  degni  nella  nostra 
cipta ;  di  fuori  non  voile  mai  accettare  alcuno  oficio. 
Esercito  le  piii  honorate  et  importanti  legationi,  che  a' 
suoi  tempi  accadessero  alia  nostra  Repubblica :  & 
nella  cipta  fece  ricchi  molti  uomini  per  mezzo  de' 
traffichi  suoi,  oltre  alia  ricchezza  che  di  lui  rimase, 
nel  quale  esercizio  fu  non  solamente  savio,  ma  bene 
avventurato  mercatante.  Mori,  come  si  dice,  el  di  sopra 
decto,  nella  casa  e  luogo  nostro  da  Careggi,  avendo 
prima  ricevuti  tutti  e  Sacramienti  di  Sancta  Chiesa  con 
grandissima  divotione,  e  riverentia :  non  voile  fare 
testamento,  ma  liberamente  el  tutto  rimise  in  me.  Fu 
seppellito  el  di  seguente  nella  Chiesa  di  S.  Lorenzo  in 
terra,  e  nella  sepoltura  innanzi  per  lui  ordinata,  senza 
alcuna  honoranza,  o  pompa  funebre,  dove  non  voile 
altri  che  Calonaci  &  Preti  di  decta  Chiesa,  8c  Frati  di 
S.  Marco,  e'  Calonaci  Regolari  della  Badia  di  Fiesole  ; 
ne  con  piu  e  manco  cera  che  a  uno  mediocre  mortorio 
si  richiede,  perche  cosi  dispose  per  I'  ultima  sua  pa- 
rola ;  affermando,  le  limosine  e  altri  beni  doversi  fare 
VOL.  III.  M  in 


78  APPENDIX.    NO  VI. 

in  vita,  che  giovano  piu  che  di  poi,  come  aveva  facto 
lui.  II  perche  non  ostanta  questa,  volendo  io  satisfare 
al  debito  filiale  verso  la  pieta  paterna,  feci  fare  quanto 
si  richiedeva,  Sc  era  conveniente  a  chi  restava  ;  et  ordi- 
nal le  elemosine,  8c  uficj,  che  nel  presente  libro  segiii- 
ranno. 


N«  VII. 

H  O  S  P  E  S. 


jEdes  CERNIS  FAMA  CELEBERRIMAS.  PUL- 
CHERRIMAS  ATQUE  MAGNIFICAS.  A 
COSMO  MEDICE  PATRE  PATRIiL.  MI- 
CHELOTIO  ARCHITECTO  ERECTAS  A.  S. 
PLUS  MINUS  CIO  CCCC.  XXX.  IN  QUIBUS 
MAGNUS  ILLE  SENEX  SUCCESSORESQUE 
SUI  IN  R.  P.  FLORENTINA  PRINCIPES. 
ET  ALEXANDER  DUX  R.  P.  FLOR.  PE- 
TRUS  MEDICES  COSMI  I.  TERTIUS  FILI- 
US  HABITARUNT.  HIC  A  SENATU  FLO- 
RENTINO  COSMUS  MEDICES  DUX  FLO- 
RENTI/E.  PLENIS  LIBERISQUE  SUFFRA- 
GIIS  CREATUS  AD  QUINQUE  ANNOS  SE- 
DEM  SUAM  AC  REGIAM  HABUIT.  CAP- 
TIVOS  MONTIS  MURLI  VICTORIiE  TES- 
TES VIDIT.  NUPTIAS  CELEBRAVIT.  RE- 
GIAM STIRPEM  FELICITER  HODIE  REG- 
NANTEM  FUNDAViT.  VARUS  TEMPORI- 
BUS  ROMANI  PONTIFICES.  ROMANI  IM- 
PERATORES.     REGES.     REGINiE    ALIIQUE 

PRIN- 


APPENDIX.  NO  VII.  79 

PRINCIPES.  INNUMERIQUE  PROCERES 
HOSPITIO  EXCEPTI.  LEO  X.  P.  M.  IN  ITU 
BONONIAM  REDITUQUE  CAROLUS  V. 
IMPERAT.  GUI  ORATORES  TUNETANI 
REGIS  HIC  SOLENNE  TRIBUTUM  SOL- 
VERUNT.  CAROLUS  VIII.  GALLIARUM 
REX.  CARLOTA  CYPRI  REGINA,  ET  SAR- 
MATI^  REGINA.  THOM^  REGIS  FILIA. 
FRIDERICUS  PRINCEPS  SALERNI.  FER- 
RANDI  REGIS  NEAPOLITANI  FILIUS  ET 
MARIA  HIPPOLYTA  DUX  CALABRIiE. 
GALEATIUS  MARIA  SFORTIA  MEDIO- 
LANI  DUX.  HIC  LITTERii.  LATINS  GRM- 
C^QUE  RESTAURAT^.  MUT^E  ARTES 
EXCULT^.  PLATONICA  PlilLOSOPHIA 
RESTITUTA.  ACADEMIA  FLORENTINA  A 
COSMO  I.  VERNACUL^  ETRUSCiE.  LIN- 
GUAE CULTUI  SACRATA.  SEMPER  HI 
PARIETES  COLUMNiEQUE  ERUDITIS  VO- 
CIBUS  RESONUERUNT.  iEDES  HASCE. 
TANT^  GLORIA  VIX  CAPACES,  GAB- 
RIEL CHIANNI  ET  RIVALTI  MARCHIO 
SENATORIS  FRANCISCI  RICCARDI  F.  A 
FERDINANDO  II.  M.  E.  D.  A.  CIO.  13  C 
LVIIII.  COMPARATAS.  IN  POSTICA  PAR- 
TE AUXIT.  FRANCISCUS  MARCHIO.  COS- 
MI  MARCHIONIS  F.  GABRIELIS  SUPRA- 
DICTI.  EX  FRATRE  N.  ET  HERES.  VETUS- 
TAM  ^DIUM  MAGNIFICENTIAM  ^MU- 
LATUS.  ILLAS  SACELLO  SACRIS  RELI- 
QUIIS  REFERTO.  BIBLIOTHECA.  MUSEO. 
SIGNIS.  SCALPTIS  CiELATISQUE  GEM- 
MIS. 


80  APPENDIX.  NO  VII. 

MIS.  VETERIBUS  NUMMIS.  ANAGLYPHIS. 
PICTURIS  INSTRUCTAS.  INTUS  FORIS^ 
QUE  DUPLO  AMPLIAVIT.  VETEREM 
PARTEM  IN  MELIOREM  FORMAM  REDE- 
GIT.  ORNAVIT.  ORNAT.  A.  CIO.  lOCC. 
XV. 

H  O  S  P  E  S 

MEDICEAS  OLIM  jEDES.  IN  QUIBUS  NON 
SOLUM  TOT  PRINCIPES  VIRI.  SED  ET 
SAPIENTIA  IPSA  HABITAVIT.  jEDES  OM- 
NIS  ERUDITIONIS.  QUiE.  HIC  REVIXIT. 
NUTRICES.  NUNC  ETIAM  AD  ERUDITUM 
LUXUM  ANTIQUITATIS  ET  ELEGANTIA- 
RUM  THESAURUM. 

GRATUS  VENERARE. 


NO  VIII. 

£x  Monum,  jing.  Fahronii, 

Laurentio    de^    Medlcis    Filio    Carissimo^    Romae^    Petrus 
Medic es,     Florentiae  die  15.  Martii  1465. 

lo  mi  ritrovo  in  tanta  afflictione  Sc  dispiacere  pel 
Hiesto  8c  doloroso  caso  della  morte  dell'  Illmo  Duca  di 
Milano,  che  io  non  so  dove  mi  sia,  8c  per  tua  discre- 
tione  puoi  giudicare  quanto  cimporta  8c  publice  Sc 
privatim,    8c    parmi    col    suo  M.    Oratore  che    costi    si 

truova. 


APPENDIX.  NO  VIII.  81 

truova,  te  ne  debba  per  mia  parte  con  lui  cordialmente 
dolere,  &  te  conforto  a  pigliarne  pensiero  8c  non  ma- 
ninconia,  la  quale  non  giovaniente,  Sc  i  pensieri  alle 
volte  sono  utili,  facendoli  buoni.  lo  ancora  che  mi 
sia  duro  quanto  puoi  stimare,  m'  ingegno  pigliarne 
partito  meglio  che  posso,  8c  spero,  che  quel  che  al 
presente  non  puole  in  me  la  ragione,  ancorche  difficile 
sia,  lo  fara  el  tempo.  E  ci  sono  poi  lettere  da  Milano 
de'  9.  8c  de'  10.  le  quali  mando,  perche  tu  intenda 
come  le  cose  di  la  passano,  che  alia  ventura  andranne 
meglio  che  non  era  1'  oppinione  8c  credentia  di  molti. 
lo  scrissi  di  principio  a  N.  S.,  il  quale  come  capo  8c 
guida  non  solamente  della  Lega,  ma  di  tucti  e  Chris- 
tiani,  che  facesse  pensiero  alia  conserva  di  quello  stato, 
che  vi  puo  fare  piii  sua  Beatitudine,  che  nessuno  altro, 
8c  quando  non  fosse  per  altro  rispecto  per  mantenere 
ia  pace  8c  la  quiete  d'  Italia,  8c  benche  io  creda  Sua 
Beatitudine  esserci  optimamente  disposta,  pure  acca- 
dendo  fame  ogni  opportuna  opera,  perche  sai  quel  che 
richiede  V  oficio  8c  debito  nostro  verso  la  felicissima 
memoria  del  S.  passato  e  della  Excellentia  di  Madonna 
8c  de'  suoi  incliti  figliuoli.  Et  appresso  leverai  via 
sonare  d'  instrumenti,  o  canti  e  balli,  o  simili  altre 
cose  d'  allegrezza  ;  8c  della  cagione,  perche  e  venuto 
Malatesta,  per  ora  lascia  stare,  8c  maxime  in  fino  a 
Pasqua,  8c  non  ne  ragionare,  perche  credo  bisognera 
mutare  proposito,  8c  di  quello  che  io  deliberero  saprai, 
Sc  tu  non  ne  parlare  con  nessuno,  excepto  non  Gio- 
vanni 8c  Malatesta. 

Per  r  ultima  tua  delli  VIII.  eri  arrivato  costi  a  sal- 
vamento  che  mi  piace,  8c  all'  entrata  tera  stato  facto 
grande    honore,    che    tutto    habbiamo    a    riconoscere    8c 

da 


82  APPENDIX.  NO  VIII. 

da  Dio  Sc  dagli  huomini  del  niondo,  a  chi  siamo  trop- 
po  obligati,  Sc  ni  fa  pensiero  di  satisfare  in  parte  al 
debito  coir  opere,  Sc  fare  conto  d'  essere  vecchio  in- 
nanzi  al  tempo,  che  cosi  richiede  el  bisogno. 

Deir  altre  cose  che  costi  seguono  alia  giornata  in- 
tenderati,  come  per  altra  to  detto,  con  Giovanni  (Tor- 
nabuoni.)  Sc  infrall  altre  metti  el  capo  a  intendere  lo 
state  di  cotesta  regione,  e  ne'  termini  che  ella  si  truova, 
accio  che  al  suo  ritorno  tu  lo  raporti  chiaro  ne'  ter- 
mini, in  che  si  truova.  Ne  altro  al  presente  :  Christo 
ti  guardi. 

Erami  scordato  come  jersera  ci  furono  lettere  da 
Mantova  delli  11.  Sc  avvisono  come  quello  Sig.  avea 
capitolato  8c  conchiuso,  Sc  restare  soldato  del  Re  Fer- 
rando,  Sc  questo  per  un  passo  e  grande  Sc  utile  ;  cosi 
habbiamo  questo  di  lettere  similmente  delli  1 1 .  da  Ge- 
neva, Sc  raccontano  come  quelli  cittadini  universal- 
niente  tutti  come  sono  stati  alia  devozione  della  felice 
memoria  del  Signore  passato,  vogliono  essere  a  Madon- 
na &  alii  figliuoli  :  Sc  havevano  facto  octo  cittadini, 
che  col  Governatore  insieme  circa  tale  effect©  faces- 
sono  quanto  fusse  di  bisogno. 

Eidem, 

A  questi  di  to  scripto  a  bastanza.  Ho  di  poi  una 
tua  de'  15,  Sc  per  essa  intendc,  come  costi  era  la 
nuova  deila  morte  del  Duca  di  Milano,  el  quale  Dio 
habbi  ricevuto  a  gratia,  e  delle  provisioni  facte  costi 
del  mandare  a  Milano  Sc  scrivere  aitrove,  Sc  ultima- 
mente    della    determinazione     havea    fatto    N.    S.    della 

conserva 


APPENDIX.  NO  VIII.  83 

conserva  di  quello  stato,  che  molto  e  piaciuto  univer- 
salmente  a  ciascuno.  Noi  qui  per  lo  simile  siamo  in 
disposizione  far  tanto  per  quella  lUma.  Madonna  8c 
pe'  suoi  incliti  figliuoli  quanto  per  la  liberta  nostra  che 
non  manco  cimporta,  Sc  potra  essere  che  non  sara  a 
fare  altro  che  dimostrationi,  perche  per  infino  a  di  17. 
del  presente,  che  sono  1'  ultime,  habbiamo  da  Milano> 
non  v'  era  innovato  cosa  nessuna,  Sc  tutto  passava  in 
buona  pace  8c  quiete,  8c  per  quanto  si  sente  a  Vinezia, 
secondo  le  parole  e  le  dimostrationi,  quella  Signoria 
mostrava  volere  vivere  in  buona  pace  Sc  quiete  con 
Madonna  Sc  con  li  figliuoli,  come  havevan  fatto  colla 
felice  memoria  del  Padre.  lo  sono  di  quelli  che  lo 
credo,  parendomi  che  la  ragione  lo  persuada.  Circa 
questa  parte  non  mi  distendo,  havendotene  per  altra 
mia  detto  allungo,  Sc  perche  rimando  le  lettere  chio  6 
di  la  ma  a  ogni  modo  conosco  essere  grande  profitto 
8c  utilita,  che  la  Sanctita  di  N.  S.  dimostri  volere,  che 
si  conservi  la  pace  Sc  quiete  d'  Italia,  8c  a  questo  effec- 
to  credo  concorreremo  tucti ;  Sc  perchio  sono  certo 
Sua  Beatitudine  ce  inclinata,  8c  sempre  na  facto  dimo- 
stratione,  me  ne  passo  di  leggiere,  sperando  che  per  la 
gratia  di  Dio  &:  V  opere  di  Sua  Sanctita  tucto  habbi  a 
succedere  bene. 

Resto  avisato  come  colla  Sanctita  del  Papa  eri 
stato  Sc  parlato  della  faccenda  di  Stefano  da  Osimo,  8c 
come  Sua  Sanctita  restava  contenta,  che  cosi  porta  la 
ragione  pel  bene  commune  deile  parti  Sc  1' universale  della 
citta,  8c  parmi  N.  S.  lantcnda  a  buon  verso  8c  sapien- 
tissimamente  che  non  si  da  tagliare,  ma  tenere  in 
spalla,  che  non  puo  stare,  se  non  per  giovare,  e  po- 
trebbe    essere,   che  la    dispositione    del    tempo    farebbe 

mutare 


84  APPENDIX.  NO  VIII. 

mutare  proposito  pure  a  me  ;  basta  sentire  che  questo 
non  sia  motuproprio  di  Sua  Beatitudine,  ma  daitri,  &c 
vedi  sopra  tucto  di  fare  che  resti  satisfacto  Sc  con- 
lento,  perche  quando  fusse  altrimenti,  restarei  mal 
quieto  nell'  animo. 

Non  so  quello  harete  eseguito  dipoi  circa  la  dis- 
positeria  dello  allume,  la  quale,  come  per  altra  ho  dec- 
to,  son  contento  che  accept!  in  mio  nome,  Sc  non  du- 
bito  ce  ne  governeremo  in  modo,  che  la  S.  di  N.  S.  se 
ne  terra  ben  servita  5c  contenta  ;  circa  di  cio  ti  ristrig- 
nerai  con  Giovanni  Tornabuoni,  &  di  questa  8c  dell' 
altre  cose  ne  determincrete  quello  che  crederete  sia  el 
meglio. 

Come  per  altra  to  decto  delP  andare  tuo  piu  in  la, 
mi  pare  da  soprastare  per  insino  facto  la  pasqua:  in 
questo  mezzo  s'  intendera  tanto  innanzi  che  c'  inseg- 
nera  deliberare  el  meglio.  Facesti  bene  a  incitare 
Messer  Agnolo,  el  quale  aspectiamo  qui  ogni  giorno. 
Le  lettere  da  Milano,  ch'  io  ti  mandai  ne'  di  passati,  8c 
quelle  che  ti  si  mandano  al  presente,  rimandale  indrieto. 
Qui  si  actende  ognora  sentire  dell'  entrata  dell'  lUmo. 
Galeazzomaria.  El  Conte  d'  Urbino  a  di  18.  fu  alia 
Scarperia  senza  venire  qui,  che  stimo  lo  facesse  per 
non  perder  tempo :  subitto  doverra  essere  a  Milano ; 
Sc  simile  el  Sig.  Alessandro  :  di  quel  che  seguira  sarai 
avvisato.     El   Sig.    Gismondo   era   arrivato  a   Vinegia. 

Egle  el  vero  che  1'  Arcidiacono  e  stato  in  extremo 
di  morte,  di  poi  e  migliorato  in  modo,  che  non  si  stima 
habbia   a  morire   di   questo   male,  e   1'  inpensiero,   che 

avevi 


APPENDIX.  NO  VIII.  85 

avevi  facto  di  Pellegrino,  lodo  sommamente,  et  essendo 
accaduto  el  bisogno  glarei  dimostrato  quanto  desidero 
conpiacerlo  Sc  servirlo :  quando  tu  vedi  el  Vescovo  di 
Raugia,  raccomandami  alia  Sua  Signoria,  &  simile  a 
Messer  Lionardo  Dati.  Ne  altro.  Christo  ti  guardi.  A  di 
22.  di  Marzo  1465. 


NO   IX. 

Lettcra  di  Luigi  Pulci  a  Lorenzo   de^  Medici, 
Tratta  da  testa  a  fienna  nel  archivio  del  Palazzo  Vecchio  a 
Firenze. 

Al  nome  di  dio.  a  di  22  Apr.  1465.  Caro  mio  Lo- 
renzo, tu  ci  lasciasti  si  sconsolati  nel  tuo  partire,  ch' 
io  non  credo  ancora  potere  sostenere  la  penna  a  scri- 
verti  questa  lettera.  Ho  bene  intesto  da  Braccio  dili- 
gentemente  del  tuo  cammino,  et  stimo  al  presente  sia 
in  Vinegia ;  et  accioche  noi  facciamo  buono  principio 
al  mio  scrivere,  dico  ch'  io  son  tutto  soletto,  smarrito, 
afflitto  senza  te.  D'  altra  parte  io  son  molto  contento 
della  tua  dipartita,  pero  ch'  io  la  riputo  avventurata 
per  molte  ragioni.  Tu  vedrai  cose  degne  et  varie,  di 
die  suole  volentieri  pascersi  il  tuo  ingegno,  Io  quale  io 
extimo  prestantissimo  di  tutti  gli  aitri,  excepto  in  una 
sola  cosa,  et  cetera  ceterorum.  Et  la  tua  consolazione 
non  puo  per  alcuno  modo  essere  senza  mio  gaudio. 
Et  ancora  ho  chiamata  piu  volte  felicissima  questa  tua 
partenza ;  accioche  tu  non  abbi  commesso  peccato,  ad 
ajutare  nelia  sua  petizione  nuovamente  afiermata, 
quello,  con  che  i'  amico  di  Valdarno  del  corno,  voleva 
cntrare  nelP  orto  del  Borromeo  per  le  mura ;  overo 
VOL.  III.  N  con 


SS  APPENDIX.    NO  IX. 

con  che  egli  pota  le  pergole,  quando  non  v'  agiugne 
clappie  col  suo  pemiatuzzo.  Non  domandare  s'  ella  ci  e 
alzata  tre  braccia  piu  che  quest'  anno  passato  la  neve  ; 
ct  io  n'  ho  tanta  havuta  pel  capo,  e  per  gli  occhi,  che 
non  sa  se  non  a  fare  di  me,  come  facemo  in  Miigello 
di  pesci  al  salceto  poi  che  furono  morti.  Et  al  tutto  la 
mia  buona  diligenzia,  la  mia  povera  fatica  in  ricercare 
per  ogni  parte  vocaboli  accomodati  al  bisogno,  per 
ritrovare  V  origine  vero,  andando  personahnente,  e 
perduta,  e  cassa,  '^Moi  f,iu  non  -uo  cantar  com?  io  solea^''^ 
&c.  Se  tu  ci  fiissi  io  farei  mazze  di  sonetti  come  di 
ciriege  in  questo  calendo  di  maggio.  Io  direi  cose  ch' 
el  sole  et  la  hma  si  fermarebbono,  come  a  Josue,  per 
udirle.  Tuttavia  n'  o  tra  denti  qualcuno  per  uscir 
fuori  ;  poi  dico  il  niio  Lorenzo  non  ci  e,  nel  quale  era 
veramente  ogni  mio  refugio,  et  ogni  speranza.  Questo 
solo  mi  ripreme  ;  ma  sia  felice  e  presto  il  tuo  tornare 
ch'  io  faro  pure  un  tratto  ridere  il  popolo  tutto ;  poi 
me  n'  andro  in  sul  carre  Delio ;  et  la  mia  patria  sara 
dove  Io  stajo  della  farina  valli  pochi  soldi,  e  dove  s' 
infarinino  i  pesci,  e  funghi  secchi,  et  le  zucche,  et  non 
gl'  huomini,  &c.     Vale — 

Ex  M,   S,  in  Pal,  vet,  FlorentiiS  adservato, 

Xobilissimo  atque  Optimo  adolescenti  Laureniio  Medici  Petri 
Filio  tanquam  fratri  suaviscimo—Peregrinus  AUius 
S,    D. 

Ne  forte  mireris  hominem  tibi  deditissimum,  in 
tuo  a  patria  discessu,  aniicorum  ilia  comnumia  tibi 
minime  prsstitisse,  reddam,  si  ^potero,  rationem  per 
litteras,  quas  ne  multum  differam,  facit  incredibiie  de- 
.siderium    tui,    pietasque     in    te    nostra    singularis.     Ut 

enim 


APPENDIX.  NO  IX.  87 

cnim  ii  quibus  forte  vulnera  resecantur  vultus  aver- 
tunt,  neque  Medici  manus  aspicere  patiuntur,  sic  ego 
cum  a  me  dimidium  mei  separatur,  JEqiiiore  animo 
absens  tui  quam  prxsens  extitissem.  Accessit  et  alia 
cura  quam  nos  dicendam  in  aliud  tempus  aifferemus  ; 
sed  profecto  hoc  vero  afiirmare  possum,  inter  tot  caia- 
mitates  quibus  me  fortuna  vehementer  exercuit,  nihil 
mihi  hac  nostra  disjunctione,  his  annis  accidisse  mo- 
lestius.  Neque  tamen  ego  is  sum  ut  aliquis  forte 
putaret  malignus  alienee  voluntatis  interpres,  qui  ut 
mel  muscze,  cadavera  corvi  sequuntur,  sic  fcenerator 
amicitias  proposita  metiar  utilitate  ;  sed  tanta  certe  ob 
singulares  virtutes  tuas  et  mores  ingenuos  exarsit  in 
nobis  benevolentias  magnitudo,  ut  sine  te  ab  ipsa  pene 
humanitate  destituti  esse  videamur.  Et  jam  tam  brevi 
paucorum  dierum  intervallo,  tam  diu  videmur  suavis- 
sima  consuetudine  tua  caruisse,  ut  quin,  aliquid  ad  te 
demus  litterarum  quibus  tecum  quasi  coram  colloqua- 
mur,  facere  nullo  modo  possimus.  Qui  enim  aliter 
desiderium  nostrum  fallamus,  atque  orbitatem  nostram 
consolemur?  Atque  in  hoc  illud  nobis  deesse  senti- 
mus,  illud.  requirimus,  illud  omnibus  votis  expetimus, 
jocundissimas  sermonum  tuorum  per  litteras  vices, 
quze  quidem  si  cogitationibus  nostris  accesserint,  mul- 
tum  erit  profecto  de  nostro  desiderio  diminutum. 
Videbimur  enim  nobis  et  tecum  esse,  et  vivas,  ut  ait 
Maro,  audire  et  reddere  voces.  Quam  quidem  rem 
facere  tu  profecto  debes  ;  sive  ut  amicitise  satisfacias, 
sive  ut  hac  exercitatione  aliquam  dicendi  facultatem 
consequaris  ;  est  enim,  ut  ait  Cicero,  optimus  ac  prse- 
stantissimus  dicendi  effector  ac  magister  stilus  :  quern 
prsEcipue  adolescentes  intermittere  nullo  pacto  debent ; 
Frequens    namque    a    teneris    anufs   faciendum    pericu- 

lum, 


88  APPENDIX.  NO  IX. 

lum,  atqiie  altius  agendze  radices  eoriim  studiorum  ex 
quibiis  postea  in  provectiore  setate  maximam  gratiani 
atqiie  uberrimos  friictus  expectamus.  Et  quarum,  ut 
inqiiit  idem  Cicero,  laudum  gloriam  adamamus,  quibus 
artibus  ese  laudes  comparentur,  in  iis  est  potissimuni 
certe  ab  adolescentia  laborandum.  Usus  prseterea  et 
experientia  omnibus  in  rebus  dominatur,  sine  quibus 
profecto  nedum  res  tarn  ardua,  tarn  prseclara,  sed  ne 
minimse  quidem  et  vilissimse  artium  perdiscuntur. 
Quod  si  ulla  res  est  quae  assidui  usus  ac  sedulitatis  in- 
diget,  ea  certe  stilus  est :  qui  ut  frequenti  exercitatione 
alitur,  ita  desuetudine  obsolescit,  atque  intercidit. 
Neque  solum  in  iis  qui  nondum  jecerunt  dicendi  fun- 
damenta,  sed  et  in  iis  qui  multum  in  ea  re  perfecerunt, 
si  intcrmittatur,  scribendi  languescit  industria.  Quare 
sive  ob  exercitationis  utilitatem,  sive  ut  amico  tibi  de- 
ditissimo  rem  gratam  facias,  scribe  ad  nos,  quam  scepis- 
sime,  neve  nos  suavissima  verborum  tuorum  vicissitudi- 
ne  fraudes.  Satis  enim  erit  superque  satis  ejus  aspectu 
carere,  qui  uno  tantum  obtutu  (neque  hoc  te  latet)  ex 
maxima  animi  perturbatione  ad  summam  tranquillitatem 
revocare  potestatem  habet.  Vale  et  nos  ama,  nosque 
Gentili  nostro  commendato.  Ex  Florentia  4.  Kalendas 
Novembris  1463. 


NO  X. 

Ex  Monum,  Ang,  Fabronii, 
Rex  Siclliae  Laurentio, 


M.AGNIFICE    vir    amice    noster    carissime.     Amava- 
move   prima  si  per  le   virtute    vostre,    si  per   li  meriti 

paterni 


APPENDIX.    NO  X.  89 

paterni  8c  aviti,  ma  nuovamente  inteso  con  quanta  pni- 
dentia  virilita  8c  animo  vi  siate  portato  in  la  reforma- 
tione  del  novo  reggimento,  £c  quanta  demonstratione 
habiate  data  de  vui  liberamente,  havete  tanto  adiuncto 
all'  amore  ve  portavamo,  che  e  stata  una  moltiplicatione 
infinita.  Congratulomene  dunque  al  Magnifico  Piero, 
che  abbia  ini  si  digno  figliolo  :  congratulomene  etiam  al 
populo  Fiorentino,  che  habia  si  notabile  difensore  de  la 
sua  libeita  :  8c  non  mino  ad  nui  medisimi,  che  abbiamo 
tale  aniico,  in  lo  quale  la  virtute  con  gli  anni  insiemc 
piglia  ogne  di  manifestissimo  augmento.  Apparteneria 
forse  ad  nui  excitarve  ad  le  opere  laudabili,  ma  la  natura 
vostra  generosa  et  prona  ad  le  cose  digne  non  ha  bi- 
sogno  de  excitatore.  Ultra  di  questo  la  memoria  del 
vostro  nobilissimo  avo  et  lo  exempio  del  patre,  che 
havete  avanti  locchi,  hanno  in  se  tanta  efficacia,  che 
non  rechedino  exortatione  ne  conforto  alcuno.  Pur 
lamore,  che  ve  portamo  ne  stringe  a  pregarve  vogliate 
de  continue  producere  tali  fructi,  quali  havete  comen- 
zato  ad  dare  delle  vostre  digne  opere  con  tanta  laude 
de  vui  propri,  gloria  del  vostro  Magnifico  Patre,  8c  ex- 
pectatione  de  la  vostra  citta,  8c  finalmente  con  lauda- 
bilissimo  testimonio  de  Italia  tutta,  in  notizia  della 
quale  e  andata  la  virtu  vostra.  Seguitate  dunque  como 
havere  comenzato,  dando  ogne  di  de'  vui  ali  cit- 
tadini,  Sc  amici  vostri  maior  speranza  dela  virtu  pro- 
pria, 8c  de  haver  ad  esser  digno  successore  della  nota- 
bilissima  casa  vostra.  Ad  la  qual  cosa  cosi  como  non 
ve  mancano  anche  abundantemente,  ve  suppliscono  tutte 
facultate  ad  cio  necessarie,  8c  de  la  cassa  8c  de  la  cit- 
tate,    cosi    haverete    etiam    da    lontano    amici,   che  ve 

da ran no 


90  APPENDIX.    NO  X. 

daranno  vera   &  eifectuoso   evidentia   de  vera  &  perfecta 
amicitia,  inter  li  quali  have^rete  nui  per  precipui. 

Datum    in   Castro  novo  Neapolis    XXVIII.   Sept.    1466. 

Rex  Ferdinandus. 


-       NO   XI. 

Lettera  di  Angela  Acciajoli   a  Pietro  Medici, 
Siena  17.  Settembre  1466. 

OPECTABILIS  vir  frater  honorande.  lo  mi  rido  di 
quel  ch'  io  veggio.  Dio  t'  ha  apparecchiato  potermi 
cancellare  tucte  le  ragioni  che  io  ho  teco,  Sc  non  lo  sai 
fare,  e  mi  fu  totla  la  patria  8c  lo  stato  per  tuo  padre  ; 
tu  se'  in  termine  che  me  lo  puoi  rendere  :  io  1'  ajutai 
che  non  li  fusse  tolta  la  roba,  ora  e'  tolgono  a  me  & 
grani  &  certe  miserie  di  masserizie  ;  tu  me  le  puoi  sal- 
vare  ;  non  dormire  piii  in  dimostrare  che  tu  non  vuoi 
essere  ingrato  ;  io  non  dico  questo  per  la  roba,  bench' 
io  n'  abbi  bisogno,  quanto  io  lo  dico  per  rispetto  tuo : 
raccomandomi  a  te. 

Risjiosta  di   Pietro  Medici  ec, 
Firenze   22.  Settembre  1466. 

Magnifice  eques  tanquam  pater  honorande.  II 
vostro  ridere  ha  fatto  che  io  non  pianga,  che  pure  avevo 
dispiacere   di  questa   vostra  fortuna.     Ma  voi    usate    el 

vostro 


APPENDIX.    NO  XI.  91 

Tostro  consueto  senno,  die  in  simili  casi  h  necessario. 
La  vostra  colpa,  come  per  altra  mia  ve  ho  detto  e  mani- 
festa  &  tale,  che  la  mia  o  altra  intercessione  non  giove- 
rebbe.  lo  di  mia  natura  volentieri  dimentico  Sc  a  voi 
Sc  a  ciascun  altro,  che  contro  di  me  ha  havuto  animo 
inimico  8c  hostile.  lo  ho  dimesso  ogni  ingiuria;  la 
Repubblica  non  puo  e  non  debbe  per  lo  exemplo  cosi 
de  leggiere  perdonare,  come  voi  sapete  meglio  di  me, 
che  solete  di  queste  cose  vedere  assai,  &  in  pubblico  8c 
in  privato  predicarle.  Scrivete  che  fusti  cacciato  per 
moi  padre,  Sc  per  salvargli  la  roba ;  ricordate  gli  ob- 
blighi.  Non  niego  essere  stato  sempre  grande  amicitia 
la  vostra  con  mio  padre,  8c  con  noi  altri,  la  quale  se- 
condo  ragione  mi  vi  dovea  fare  figliuolo,  come  io  sem- 
pre mi  vi  sono  reputato.  Fusti  cacciato  con  mio  padre, 
fusti  eziandio  richiamato  con  lui,  come  piacque  alia 
Repubblica,  che  di  noi  ha  piena  ^  libera  potentia,  nee 
redo  1'  amicitia  nostra  con  voi  vi  sia  stata  danno  o  ver- 
gogna  alcuna,  come  chiaro  si  dimostra,  Sc  forse  che  la 
ragione  oblighi  8c  benefizj  fra  noi  batte,  e  resta  piu  del 
pari,  che  non  vi  pare  secondo  el  vostro  scrivere,  benche 
io  certamente  sempre  mi  vi  riputai  obligato ;  ma  voi 
me  avete,  se  bene  examinate  la  coscientia  vostra,  assai 
disobligo  ;  nientedimeno  voglio  restarvi  obligato  in  quanto 
appartiene  a  me  privatamente,  che  la  ingiuria  publica 
non  posso,  ne  voglio  ne  debbo  perdonare,  ed  in  privato 
dimenticare  el  tutto,  Sc  dimettere  ogni  ingiuria,  Sc  restare 
quel  figliuolo  che  debbo  essere  in  verso  di  voi  tal  padre. 


92  APPENDIX.    NO  XII. 

NO   XII. 

JRicordi  dtl   I'.IagniJico    Lorenzo    di  Piero   di    Cosimo    de* 
Medici, 

Cavati   da  due  fogli  scritti  di  sua  jiroiiria  mano. 

ESTRATTI      DA    UN      CODICE     DELLA      PUBBLICA      LIBRERIA 
MAG  LI  A  EEC  HI  AN  A. 

E  stamjiati  net  nuovo  Liinario  dclla  ToscanadeW  anno  1775. 

NaRRAZIONE  breve  del  corso  di  mia  vita  e  d'  alcune 
altre  cose  d'  importaiiza  degne  di  memoria  per  lume 
e  informazione  di  chi  succedera  massimamante  de'  figli 
noslri  cominciata  questo  di   15.  Marzo  1472. 

Trovo  per  libri  di  Piero  nostro  padre,  che  io  nacqui 
a  di  primo  di  gennaio  1448,  ed  ebbe  detto  nostro  padre 
di  Maria  Lucrezia  di  Francesco  Tornabuoni  nostra  madre 
sette  ligli,  quattro,  maschi,  e  tre  femmine,  dei  quali  res- 
tiaiTio  al  presente  quattro  due  maschi  e  due  femmine, 
cioe  Giuliano  mio  fratello  d'  eta  d'  anni  .  .  .  ed  io  d' 
anni  24.  e  la  Bianca  donna  di  Guglielmo  de'  Pazzi,  e 
laNannina  donna  di  Bernardo  Rucellaj. 

Giovanni  di    Averardo,    ovvero  di  Bicci    dei   Medici 

nostro  bisavolo  trovo   che   mori  a  di   20.   Febbraio   1428. 

a   ore  4.   di   notte   senza  voler  far  testamento,  lascio    il 

valsente  di  Fiorini  178.  mila  221.  di  suggello  come  appare 

per  un  ricordo  di  mano  di  Cosimo  nostro  avolo  a  un  suo 

libro  segreto  di  cuoio   rosso  a  c.  7.  visse   detto  Giovanni 

anni  68. 

Rimase 


APPENDIX.  NO  XII.  93 

Rimase  di  lui  due  fig*li  cioe  Cosimo  nostro  avolo 
allora  d'  eta  d'  anni  40.  e  Lorenzo  suo  fratello  d'  eta  di' 
anni  30. 

Di  Lorenzo  nacque  Pier  Francesco  a  di  ...  nel 
1430.  che  al  presente  vive. 

Di  Cosimo  nacque  Piero  nostro  Padre  a  di  .  .  e  Gio- 
vanni nostro  zio  a  di  .  .  . 

A  di  .  .  .  di  Settembre  1433.  fu  sostenuto  in  Palazzo 
Cosimo  nostro  avolo  con  pericolo  di  pena  e  supplicio 
capitale. 

E  a  di  9.  di  Settembre  confinato  e  relegato  a  Padova 
lui,  e  Lorenzo  suo  fratello,  e  a  di  11.  confermato  per  la 
Balia  del  1433. 

E  a  di  16.  di  Dicembre  1433.  allargato  di  potere  stare 
in  tutte  le  terre  de'  Veneziani,  non  piu  presso  a  Firenze 
che  fusse  Padova. 

A  di  29.  di  Settembre  1434.  per  il  consiglio  della 
Balia  fu  revocato  nella  Patria  con  grandissimo  contento 
di  tutta  la  Citta,  e  quasi  di  tutta  Italia,  dove  poi  visse 
insino  all'  ultimo  de'  suoi  giorni  Principale  nel  governo 
della  nostra  Repubblica. 

Lorenzo  de'  Medici  fratello  di  Cosimo  nostro  avolo 
passo  da  questa  vita  a  di  20.  di  Settembre  1440.  d'  eta 
di  anni  46.  in  circa  a  Careggi  a  ore  4.  di  notte  senza 
voler  fare  testamento,  resto  suo  unico  Erede  Pier 
Francesco,  suo  figlio  e  trovossi  alia  sua  morte  il  valsente 

VOL.    III.  o  di 


94  APPENDIX.  NO  XII. 

di  fiorini  235.  mila  137.  cli  suggello  come  appare  a  detto 
libro  segreto  di  Cosimo  a  c.  13.  del  qual  valsente  Cosimo 
sopradetto  tenne  a  utile  a  beneiizio  di  detto  Pier  Frances- 
co figlio  del  detto  Lorenzo,  come  di  Piero,  e  Giovanni 
suoi  figli  insino  che  fu  d'  eta  conveniente,  come  appare 
tutto  particolarmente  per  i  libri  di  detta  Cosimo,  dove  e 
tenuto  particolarmente  conto  di  tutto. 

A  di  .  .  .  di  Dicembre  1451.  sendo  detto  Pier  Fran- 
cesco in  eta  si  divise  da  noi  per  lodo  dato  M.  Marcello. 
degli  Strozzi,  e  Al  am  anno  Salviati,  M.  Carlo  Marsup- 
pini,  Bernardo  de'  Medici,  Amerigo  Cavalcanti,  e  Gio- 
vanni Serristori,  per  il  qual  lodo  gli  fu  consegnato  la  meta 
di  tutti  e  nostri  beni  grassamente  dandoli  il  vantaggio, 
ed  i  migliori  capi,  e  di  tutto  fu  rogato  Ser  Antonio  Pugi 
Notaro. 

E  nei  medesimo  tempo  lo  ritiro  compagno  per  il  terzo 
in  tutti  e  nostri  traffichi,  dove  ha  avanzato  piii  di  noi,  per 
aver  avuto  manco  spese. 

Giovanno  nostro  zio  sopradetto  mori  a  di  primo  di 
Novembre  1463.  nella  nostra  casa  di  Firenze  senza 
fare  testamento,  perche  non  aveva  figli  ed  era  in 
potesta  paterna,  non  di  meno  fu  inessa  ad  esecuzjone 
interamente  la  sua  ultima  volonta,  ebbe  di  Maria  Gi- 
nevra  degl'  Alessandri  un  figliuolo  chiamato  Cosimo 
che  moii  di  Novembre  1461.  d'  etd,  di  anni  9.  in 
circa. 

Cosimo  nostro  avoio  uomo  sapientissimo  moii  a 
Careggi  a  di  primo  di  Agosto  1464.  d'  eta  d'  anni  76. 
in  circa,   molto  lacerato   dalia   vecchiezza,  e   dalla  gotta, 

con 


APPENDIX.  NO  XII.  95 

con  grandissimo  clolore,  non  solamente  cli  noi,  e  di  tutta 
la  Citta,  ma  generalmente  di  tutta  Italia  perche  fu  uomo 
famosissimo  ed  ornato  di  molte  singolari  virtu,  mori 
in  grandissimo  stato  quanto  Cittadino  Fiorentino,  di 
cui  sia  memoria,  fu  sepellito  in  San  Lorenzo,  non 
voile  far  testamento  ne  voile  pompa  funebre,  nondi- 
meno  tutti  i  Signori  d'  Italia  mandarono  ad  onorarlo,  e 
a  condolersi  della  sua  morte,  e  infra  gli  altri  la  Maesta 
del  Re  Luigi  di  Francia  commisse  fusse  onorato  della  sua 
bandiera,  die  per  rispetto  di  quanto  aveva  ordinato, 
di  non  voler  pompa,  non  voile  Piero  nostro  padre  die  si 
facesse. 

Per  decreto  pubblico  fu  intitolato  Pater  Patriae,  di  die 
abbiamo  in  casa  il  privilegio  o  lettera  patente. 

Dopo  la  cui  morte  seguirono  molte  sedizioni  nella 
Citta,  specialmente  fu  perseguitato  per  invidia  nostro 
padre,  e  noi  non  senza  gran  pericolo,  e  degli  amici,  e 
dello  Stato,  e  facolta  nostre.  Da  die  iiacque  il  Parla- 
mento  e  novita  del  1466.  die  furono  relegati  M.  Agnolo 
Acdaiuoli,  M.  Dietisalvi,  e  Niccolo  Soderini  con  altri,  e 
riformossi  lo  Stato. 

L'  anno  1465.  per  la  familiarita  tenuta  nostro  avolo, 
e  nostro  padre  con  la  casa  di  Francia,  la  Maesta  del  Re 
Luigi  insigni  e  orno  1'  Arme  nostra  di  tre  gigli  d'  oro 
nel  campo  azzurro,  die  portiamo  al  presente,  di  die 
abbiamo  lettere  patenti  col  suggello  Reale  pendente, 
die  fu  approvato,  e  confermato  in  Palazzo  per  8.  fave  de' 
Priori. 

L' anno 


96  APPENDIX.  NO  XII. 

L'  jinno  1467.  di  Luglio  ci  venne  il  Duca  Galeazzo 
di  Milano  cli'  era  in  campo  contro  Bartolommeo  da 
Bergamo  in  Roniag-na  che  vessava  lo  Stato  nostro,  e 
alloggio  in  casa  nostra,  che  cosi  voile,  benche  dalla 
Signoria  gli  fusse  stato  apparecchiato  in  Santa  Maria 
Novella. 

II  medesimo  anno  1467.  circa  il  Febbraio,  e  Marzo, 
si  compro  Serezzana,  o  Serezzanello,  e  Castel-Nuovo 
da  M.  Lodovico,  e  M.  Tommasino  da  Campo  Fregosi 
per  opera  di  Piero  nostro  padre,  non  ostante  fussino  nella 
guerre  folta,  e  fecesi  il  pagamento  a  Siena  per  Frances- 
co S^ssetti  nostro  Ministro,  e  compagno  in  quel  tempo 
degli  Ufiziali  del  Monte. 

lo  Lorenzo  tolsi  Donna  Clarice  figliuola  del  Sig- 
nore  lacopo  Orsino,  ovvero  mi  fu  data,  di  Dicembre 
1468.  e  feci  le  nozze  in  casa  nostra  a  di  4.  di  Giugno 
1469  trovomi  di  lei  insino  a  oggi  due  figliuoli  una  fem- 
mina  chiamata  Lucrezia  d'  eta  d'  anni  .  .  .  e  un  maschio 
chiamato  Piero  di  ....  mesi,  e  lei  gravida,  Iddio  ce  li 
presti  lungamente,  e  la  guardi  lungamente  da  ogni  peri^ 
colo,  sconciossi  de'  altri  due  figli  maschi  di  mesi  cinque 
in  circa,  e  vissero  infino  al  battesimo. 

Di  Luglio  1469.  a  richiesta  dell'  Illustrissimo  Duca 
Galeazzo  di  Milano  andai  a  Milano  e  gli  tenni  a  batte- 
simo ii  suo  primogenito,  chiamato  Giovanni  Galeazzo 
a  nome  di  Piero  nostro  padre,  dovi  fui  molto  onorato, 
e  piu  ch'  alcun'  altro  che  vi  fusse  per  si  mil  cosa, 
benche  ve  ne  fussi  de'  piu  degni  assai  di  me,  e  per  fare 
ii  debito   nostro   donammo  alia  Duchessa  una  collano  d' 


APPENDIX.  NO  XII.  97 

oro  con  un  grosso  Diamante  die  costo  circa  ducati  tre 
mila.  Donde  e  seguito  ch'  il  prelato  Signore  ha  Yoluto 
che  battezzi  tutti  gli  altri  suoi  figli. 

Per  eseguire  e  far'  come  gli  altri  giostrai  in  suUa 
piazza  di  Santa  Croce  con  grande  spesa,  e  gran  sunto, 
nella  quale  trovo  si  spese  circa  fiorini  10.  mila  di  sug- 
gello  ;  e  benche  d'  anni,  e  di  colpi  non  fussi  molto 
strenue,  mi  fu  giudicato  il  primo  onore  cioe  un  elmetto 
fornito  d'  ariento,  con  un  marte  per  cimiero. 

Piero  nostro  padre  passo  da  questa  vita  alii  2.  di 
Dicembre  1469.  d  eta  di  anni,  .  .  .  molto  afflitto  dalle 
gotte,  non  voile  far  testamento,  ma  fecesi  1'  inventario, 
e  trovammoci  allora  il  valsente  di  fiorini  dugento  tren- 
tasette  mila  novecento  ottanto  nove,  come  appare  a  un 
libro  verde  grande  di  mia  mano  in  carta  di  capretto  a 
c.  31.  Fu  sepeliito  in  S.  Lorenzo,  e  di  continuo  si  fa 
la  sua  sepoltura,  e  di  Gio.  suo  fratello,  piu  degna  che 
sappiamo  per  mettervi  ie  ioro  ossa.  Iddio  abbia  avuto 
misericordia  delle  anime.  Fu  molto  planto  da  tutta  la 
Citta,  perche  era  uomo  intero,  e  di  perfettissima  bonta, 
e  dai  Signori  d'  Italia  massimamente  i  principali  fum- 
mo  per  lettere,  e  imbasciate,  e  condoglienze  delia  sua 
morte,  e  cosi  offerito  lo  Stato  Ioro  per  la  nostiii 
difesa. 

II  secondo  di  dopo  la  sua  morte  quantunque  io 
Lorenzo  fussi  molto  giovane,  cioe  di  anni  21.  vennono 
a  noi  a  casa  i  Principali  delia  Citta,  e  dello  Stato,  a  do- 
lersi  del  caso,  e  confortarmi,  che  pigliassi  la  cura  delia 
Citta,    e  dello  Stato,  come  avevano  fatto  1'  Avolo,   e   il 

padre 


98  APPENDIX.  NO  XII. 

padre  mio,  le  qiiali  cose  per  esser  contro  alia  mia  eta, 
di  gran  carico,  e  pericolo,  mal  volentieri  accettai,  e  solo 
per  conservazione  degli  amici  e  sostanze  nostre,  perche 
a  Firenze  si  puo  mal  vivere  senza  lo  Stato,  delle  quali 
infino  a  qui  siamo  riusciti  con  onore,  e  grazia,  repu- 
tando  tiitto,  non  da  prudenza,  ma  per  grazia  di  Dio,  e 
per  i  buoni  portamenti  de'  miei  passati. 

Gran  somma  di  denari  trovo  abbiamo  spesi  dall' 
anno  1434.  in  qua,  come  appare  per  un  quadernuccio 
in  quarto  da  detto  anno  1434  lino  a  tutto  1471.  si  vede 
somma  incredibile,  perche  ascende  a  fiorini  663755,  tra 
muraglie  limosine,  e  gravezze  senza  '1  altre  spese,  di 
che  non  voglio  dolermi,  perche  quantunque  molti  giu- 
dicassero  averne  una  parte  in  borsa,  io  giudico  essere 
gran  lume  alio  Stato  nostro  e  pajommi  ben  collocati,  e 
ne  sono  molto  ben  contento. 

Di  Settembre  1471,  fui  eletto  Imbasciatore  a  Roma 
per  '1  incoronazione  di  Papa  Sisto  IV.  dove  fui  molto 
onorato,  e  di  quindi  portai  le  due  teste  di  marmo  an- 
tiche  delP  Immagine  di  Augusto,  e  di  Agrippa,  le  quali 
mi  dono  detto  Papa,  e  piu  portai  la  scodella  nostra  di 
Calcidonio  intagliata  con  molti  altri  cammei,  e  medag- 
lie,  che  si  comprarono  allora  fra  le  altre  il  Calcidonio. 


APPENDIX.  NO  XIII.  99 


NO  XIIL 


Ex  Band.  Sjiec,  Lit.  Flor.  v,  up.  HI. 

Christophori  Landini   Xandra^  Liber  secundus,  ad   Petrmn 
Medicem. 

JN  OSTRI  certa  salus  Medices,  quo  sospite,  nunquam 

Defuerunt  sacrisp  raemia  virginibus, 
Quo  Duce,  Tyrrhenis  deductum  montibus  Arnum 

Praeferet  Aoniis  turba  canora  iugis. 
Publica  si  quando  cessant  tibi  munera,  8c  audes 

Instaurare  brevi  seria  longa  ioco, 
Ne  pudeat  nostros  percurrere  Petre  libellos, 

Et  nugas  hilari  fronte  probare  meas. 
Magnos    magna    decent,    fateor :    tamen    haec     quoque 
fessos, 

Quae  reparent  animos,  ne  fugienda  putes. 
Scipio  nam  quanlus  cessit,  cui  punica  virtus, 

Fortia  cum  Lybici  contudit  arma  Ducis. 
Hunc  tamen  in  placido  viderunt  ocia  ludo, 

Ostrea  Campano  spargere  lecta  salo. 
Tristius  in  terris,  quam  Stoica  dicta  Catonis, 

Nil  Danai,  Latii  nil  meruere  viri, 
Hie  tamen  ad  multam  convivia  ducere  noctem. 

Et  solitus  curas  saepe  levare  mero. 
Sic  Tu,  quo  magni  populi  flectuntur  habenae, 

Dum  legis  haec,  sanctum  pone  supercilium. 
Saepe  tibi -reditus,  Petre,   ad  maiora  dabuntur, 

Si'reparas  mentem,  qua  geris  ilia,  iocis. 

Ad 


100  APPENDIX.  NO  XIIL 


Ad  Petrum  Medic  cm, 

Carminibiis  nostris  veniet  tibi  siqua  voluptasy 

Ut  reieves  animum  carmina  nostra  lege. 
Quod  si  nee  salibus  poterunt,  uUove  lepore, 

Te  retinere  Petre,  tu  tamen  ilia  leges. 
Sic  Rex  Peliacus  quamvis  non  docta  Poetae 

Suscepit  laeta  carmina  fronte  tamen  : 
Et  magis  officium  studiosi  movit  amici, 

Quod  tardum  vatis  laeserat  ingenium. 
Ergo  non  munus,  sed  dantis  munera  mentem 

Inspice  1  sicque  libens  carmina  nostra  leges. 
Non  tarn  magnificus,  non  est  qui  maxima  donat, 

Quam  qui  parva  libens  sumere  dona  potest. 

Ad  Petrum  Medicem  de  suis,    is'  Moecciiatis  laudibus, 

Pvrpureis  semper  vernent  tibi  busta  rosetis, 

Inque  tuum  tellus  sit  levis  usque  caput, 
Ulla  nee  Elysios  passim  celebrata  per  agros, 

Quam  tua  Moecenas  rideat  umbra  magis. 
Moecenas,   inopes  quondam  miserate  Poetas, 

Moecenas  Phoebi,  Pieridumque  decus, 
Te  duee  grandisonans  consurgit  in  arma,  virumque, 

Olim  qui  denas  vix  cecinisset  aves. 
Alter  erat  tenuis  pauper  praeconis  alumnus, 

Cuius  erat  Lalagen  dicere  posse  labor, 
Hie  ubi  Campanos  a  te  deductus  in  agros 

Pauperiem  verso  sentit  abire  pede, 
Protinus  heroum  Lesboo  carmine  laudes, 

Et  superum  cecinit  dulcia  furta  Deum  ; 

-     Nee 


APPENDIX.    NO  XIII.  191 

Nee  mirum  tristipulsis  e  pectore  curis, 

Libera  si  tantum  mens  agitabat  opus. 
Seel  nunc  Moecenas  Tyrrhenis  alter  in  oris 

Conspicitur,  claris  qui  favet  ingeniis. 
Vos  modo  sublimi  vates  eonsurgite  versa, 

Qui  cupitis  sacra  cingere  fronte  caput. 
Sive  Sophocle's  libet  haec  cantare  cothurnis, 

Seu  iuvat  Aonii  ludere  more  senis. 
Nam  Medicum  Fesulis  stabunt  dum  fulta  columnis 

Atria  magnanirais  concelebrata  viris, 
Nee  vos  materies,  nee  merces  carminis  unquam 

Deseret,  hoc  virtus  praestat  utrumque  Petri. 
Ille  coiit  musas,  doctos  colit  ille  Poetas, 

Unquam  nee  merita  laude  earere  sinit. 
Nam  novit  quaeeumque  armis,  quaecumque  togata 

Pace,  gerant  clari  nobilitate  viri, 
Ni  fuerint  magno  Musarum  fulta  favore, 

Tendere  in  aeternum  non  reditura  situm. 
Ergo  colit  doctos,  doctorum  &:  carmina  vatum, 

Quae  sirit  digna  cani  maxima  facta  gerit. 
Nusquam  magnanimo  gtnitus  fortique  parente, 

In  coeptis  gravibus  degener  ipse  fuit. 
Nam  tantum  emicuit  iuvenili  in  pectore  quondam 

Consilium,  quantum  vix  solet  esse  seni. 
Inque  dies  crevit  virtus  crescentibus  annis, 

Se,que  tulit  gradibus  accumulata  novis. 
Unde  Sc  maturo  gravior  cum  cesserat  aetas, 

Non  cuncta  ex  usu  mens  meliora  facit. 
Quid  mage  jam  sanctum,  vei  quid  divinius  unquam 

Lydius  Etrusca  vidit  in  urbe  Leo  ? 
Ergo  agite,  o  vates,  sublimi  insurgite  versu, 

Seu  libeat  natum  dicere,  sive  patrem. 

VOL.  TIT.  p  lam 


102  APPENDIX.  NO  XIII. 

lam  canite  altlsono  Medicum  pia  carmine  facta. 
Quels  servata  salus  saepe  fuit  patriae. 

Et  si  vos  patriae  pietas  tenet  ulla  parentis, 
lam  Patriam,  versa  concelebrate  novo. 


NO  XIV. 

Ex  Monum,  Ang,  Fabronii, 

PrivUegiuin  Ludovici  XI,  quo  Mcdiceis  concessit  aurca 
Gallormn  Regis  Lilia  in  suorum  stemmata  inserere^ 
extat  in  Filza  VI.  di  document!  originali,  cstque 
hujusmodi, 

JL4OYS  par  la  grace  de  Dieu  Roy  de  France.  Savoir  fai- 
sons  a  tous  presens  Sc  advenir.  Que  nous  ayans  en  me- 
moire  la  grande  louable  £c  recommandable  renommee, 
que  feu  Cosme  de'  Medici  a  eue  en  son  vivant  en  tous 
ses  faits  &  affaires,  les  quels  il  a  conduitz  en  si  bonne 
vertu  &  prudence,  que  ses  enfans  Sc  autres  ses  parens 
8c  amis  en  doivent  estre  recomm^andez  &  eslevez  en 
tout  honneur.  Pour  ces  causes  Sc  en  obtemperant  a 
la  supplication  &  requeste,  qui  faite  nous  etre  de  la 
partie  de  notre  ames,  Sc  leal  Conseilleur  Pierre  de  Me- 
dici filz  de  dit  feu  Cosme  de  Medici,  avons  de  notre 
certaine  science,  grace  especial,  plaine  puissance  Sc 
auctorite   Royal   octroye    Sc  octroyons  par   ces  presentes 

que  le  dit  Pierre  de  Medici Sc  ses  heires  8c 

successeurs  nez  £c  a  naistre  en  loyal  mariage  puissent 
doresenevant  a  tousjours  perpetuellement  avoir  8c  por- 
ter en  leurs  armes  trois  fleurs  de  lis  en  la  forme  8c  ma- 
niere    qu'    elles    sont    ici    portraictes  .  .  .  .  Et    Icelles 

armes 


APPENDIX.    NO  XIV.  103 

armes  leur  avons  donnees  8c  donnons  par  ces  dites 
presentes  pour  en  user  par  tous  les  lieux  &  entre  toutes 
les  personnes  que  bon  leur  semblera  &  tant  en  temps 
de  paix,  que  en  temps  de  guerre  sans  que  aucun  em- 
peschement  leur  puisse  etre  mis  ou  donne  ores  ne  poui 
les  temps  advenir  en  quelque  maniere  que  ce  faire  au 
contraire.  Et  afin  que  ce  soit  chose  ferme  Sc  stable  ar 
tousjours  nous  avons  fait  mettre  notre  seel  aux  deux 
presentes  sauf  en  autres  choses  notre  droit,  Sc  1'  au- 
truy  en  toutes.  Donne  a  Mont  Lucon  du  moys  de 
Mai  r  an  de  grace  1465.  Sc  de  notre  Regne  le  qua- 
triesme. 


NO  XV. 

Ejc  codice  XLII.  membranaceo  in  8.  Plutei  XXXIX. 
Bibliothecae  Mediceae  iMurcntianae^  qui  continet  Ugo- 
lini  Verird  Flamjiiettam  (pag.  41.)  descriptum  est  «f- 
quens   carmen  eleglacum^  quod  est  XLII,  Libri   II, 

Ad  Lucretiam  Donatam,  ut  amet 
Laurentium  Medicem. 

CrLORIA  sis  quamvis  Tuscae,  Lucretia,  gentis, 

Aequiparesque  ipsas   nobilitate  Deas  ; 
Nee  tua  Tyndaridi  concedat  forma  Lacaenae, 

Aethereo  tantum  fulget  in  ore  decus  ; 
Sis  nive  candidior,  sis  formosissima  tota, 
Extet  ut  in  toto  pulchrius  orbe  nihil  ; 
Sis  facie  insignis  quamvis,  &  crine  soluto 
Ipse  tuis  pulcher  cedat  Apollo  comis. 

Sidereas 


104  APPENDIX.  NO  XV. 

Sidereas  quamvis  vincant  tiia  lumina  flammas, 

Et  tua  sint  astris  aemula  labra  poli  ; 
Vincat  ebiir  nitidum  quamvis  tua  lactea  cervix, 

Et  superent  roseae  punica  mala  geiiae  ; 
Os  minimum,  dentesque  pares  candore  micantes, 

Et  risum  Juno  vellet  habere  tuum ; 
Et  Tyrio  niveus  perfusus  rideat  ostro 

Vviltus,  nativus  sit  color  usque  genis  ; 
Et  planae  scapulae,  nihil  ut  sit  rectius  ilHs, 

Brachia  non  tacta  candidiora  nive  ; 
Parva  mamillarum  niveo  sit  pectore  forma^ 

Nee  nimium  pinguis,  nee  macileTita  himis  ; 
Tyrrhenas  coUo  superes  tenus  usqvie  puellas, 

Nullaque  ad  exiguos  vertice  menda  pedes  ; 
Et  quamvis  victae  cedant  tibi  voce  Syrenae, 

Et  Charites  choreis,   cedat  &  ipsa  Venus ; 
Sit  roseo  vultu  divina  infusa  venustas, 

Fecerit  ut  manibus  Jupiter  ipse  suis  ; 
Incessusque  tuos  quamvis  soror  ipsa  Tonantis, 

Denique  quidquid  habes  vellet  habere  tui ; 
Atque  pudicitiae  exemplar  Lucretia  cedat 

Cujus  habes  nomen,  moribus  ilia  tuis  ; 
Et  ouamvis  omni  penitus  sis  parte  beata, 

Ut  te  felicem  quisque  vocare  queat  ; 
Non  tamen  idcirco  talem  contemnere  amantem 

Debes,  sed  magis  hie  ultro  petendus  erat. 
Si  te  uivitiae  capiunt  ditissimus  hie  est. 

Divitias  moneo  nulla  puella  velil. 
Divitiis  periere  viri,  periere  puellae, 

Alcmeonis  mater  testis  avara  mihi  est. 
Si  te  nobilitas  titulis  insignis  avorum 

Tanp-it,  quis  Mcdice  est  nobilitate  prior? 


Non 


APPENDIX.  NO  XV.  lOi 

Non  fuit  in  populo  generosior  iilla  Quiritum 

Stirps,  neque  tarn  claris  nobilitata  viris. 
Si  mores,  si  forma  placet,  juvenilis  8c  aetas, 

Judice  te,  juvenis,  pulcber,  Sc  ipse  probus. 
Quin  age  non  alius  tota  praestantior  urbe 

Est  juvenis,  si  non  saevus  adesset  amor. 
Hunc  quoque  Castaliis  Musae  nutriere  sub  antris, 

Et  totum  bunc  fovit  Calliopea  sinu. 
Hunc,  saeva,  immiti  patieris  amore  perire  ? 

Et  quis  te  juvenis  dignior  alter  erat? 
Hie  te  dilexit,  salvo  Donata  pudore  ; 

Et  famam  laesit  fabula  nulla  tuam. 


NO    XVI. 

Invc7itiva     cP    una     imjiositione    di    7nio'ca    gravczza^  per 
Lodovico  Ghetii, 

Tratta  da  testo  a^fienna  del  Sccol.  27". 

x\CCIO  cbe  e  sottcposti  del  magnifico  commune  di 
Firenze,  et  alconi  altri  m2.1ivoli  d'  essa  communita,  et 
con  doglenza  e  ramaricbi  non  usino  andare  dicendo  ne 
infamando  che  essi,  con  infinita  gravezza,  e  stensioni 
incomportabili,  sieno  rubati  et  discrti  da  essa  commu- 
nita, in  avere,  ct  in  persona ;  et  con  queste  cose  in- 
citando  e  capitani  et  e  tyranni  di  Italia,  alchuna  volta 
muoversi  et  fare  imprese  di  guerra  contro  alia  nostra 
citta  di  Firenze,  sperando  di  fare  ribellioni  negli  ag- 
ravati  popoli,  (et  advengha  dio  cbe  questa  loro  speranza 
sempre  insino  al  di  doggi  sia  loro  fallata,  non  resta 
percio   che   la   difesa  sia  suta  sanza  danni  et  pericoli  et 

grande 


106  APPENDIX.    NO  XVI. 

grande  spesa  della  detta  citta  e  del  suo  paese,)  et  veduto 
che  le  terre  d'  Italia  non  sono  atte  a  venire  meno,  ma  di 
continuare,  e  crescere,  et  che  la  prefata  nostra  citta  sia 
posta  in  sito  che  per  salute  della  nostra  liberta,  quasi 
a  tutte  le  predette  guerre  ci  bisogni  porre  mano,  et 
participare  et  riparare  ;  et  che  queste  cose  non  si  pos- 
sino  fare  sanza  continova  spesa,  la  quale  come  detto  e 
di  sopra,  per  molti  si  dice  con  grande  doglenza  non 
potersi  sopportare,  &  che  convenghono  partirsi,  le 
quali  cose  seguitando  saria  con  grande  danno,  et  biasi- 
mo,  et  pericolo  della  predetta  nostra  citta 

Adunque  e  da  vedere,  poiche  la  spesa  e  necessaria 
per  salute  della  liberta  e  stato  di  Firenze,  se  si  puo 
porre  questa  gravezza  in  forma  et  in  modo  si  ugual- 
mente,  che  voluntaria  da  tutti  possa  essere  sopportata, 
sanza  biasimo,  o  lamento  d'  alchuna  persona. 

E  perche  lo  scriptore,  avendo  sopra  di  cio  facta 
alcuna  imaginatione,  dilibera-  dime  il  suo  pensiero ; 
sempre  siserbato  migliore  e  piu  giustificato  modo. 

Et  dicho  cosi,  accioche  ciaschuno  participi  general- 
mente  alia  detta  gravezza,  laquale  conviene  essere  tanta 
che  supplischa  al  bisogno  del  commune,  che  ella  si 
pongha  a  perdere.  Lo  decimo,  per  stima,  sopra  tutti 
i  fructi  che  frutta  il  terreno  sottoposto  al  commune  di 
Firenze,  cioe  sopra  grano,  et  biade  grosse,  et  minute, 
legume  d'  ogni  ragione,  lo  decimo  del  vino,  et  sopra  lo 
fiTitto  del  bestiame  grosso,  et  minuto,  dogni  genera- 
tione,  lo  decimo  dell  olio,  et  lino,  canape,  safforano, 
guadij  robbia,   di  legne   da   fuoco,   di   fitti   lavorj,   et  lo 

decimo 


APPENDIX.    NO  XVI.  lor 

decimo  di  strame,  di  paschi  d'erbe,  et  di  fitti   d'  orti,  et 
sopra  la  industria  de  detti  che  lavorano  1'  orta. 

Ancora  lo  decimo  de'  fitti  di  mulina,  o  pigioni  di  case, 
di  botteghe,  et  d'  alberghi,  et  popra  ogni  altra  cosa  che 
pagasse  fitti  e  pigioni. 

Ancora  lo  decimo  sopra  la  rendita  del  monte. 

Ancora  lo  decimo  sopra  e  salari,  e  soldi  degli  uffi- 
ciali,  dentro  alia  Citta,  e  di  fuori,  et  di  loro  giudici,  et 
cavallieri,  et  sopra  la  pensioni  de  Castellani,  tanto  quegli 
che  vanno  di  fuori  della  jurisdizione  del  commune  di 
Firenze,  quanto  a  quegli  della  Citta  et  distretto ; 
eccettuati  gP  ufficj  forestieri  quali  non  sieno  tenuti  a 
decimo. 

Ancora  porre  lo  decimo  sopra  alia  industria  et  gua- 
dagno  delle  sette  maggiori  arti,  tanto  di  fuori  della  Citta 
et  suggetti  del  commune,  quanto  dentro,  et  ancora 
sopra  e  salarj  de'  loro  fattori  grossi  che  avessono  da 
Fl.  30  in  su  di  salario,  exceptuati  quejli  che  lavorano  di 
mano. 

Similemente  sopra  lo  decimo  della  industria  et  gu- 
adagno  sopra  questc  delle  quattordici  minori  arti,  cosi 
di  fuori  come  di  dentro,  et  e  loro  fattori  e  lavoranti, 
sieno  de  loro  prezzi  e  salarj  franchi,  concio  sia  cosa 
che  lavorino  di  mano,  e  quasi  sono  tutte  povere  per- 
sone. 

Et  nota,  che  a  tutti  quanti  questi  decimi,  verrieno 
a  essere  tenuti   generalemente,    ogni  persona,  tanto   gli 

ecclesiastic!, 


108  APPENDIX.    NO  XVI. 

ecclesiastici,  come  e  laici,  et  simile  gP  assenti,  e  fores- 
tieri  abitanti,  conciosiacosachc  ciascuno  dessi  possiede 
col  favore  del  commune,  et  beneficio  della  pace,  et 
della  giustizia,  et  cosi  debbono  debitamente  participare 
agi'  affamii,  et  se  pure  alchuni  cierici,  o  terre  exenti 
si  ric'dsassi,  la  via  et  el  modo  e  per  le  ragioni  sopra  dette 
a  fargli  acceptare  voluntariamente.  > 

Insino  a  qui,  s' e  detto  di  sopra,  sopra  a  che  sarebbe 
da  mettere  la  impositione  del  decimo  ;  resta  ora  a  di- 
cliiarare  quanto  gittasse. 

Et  intorno  a  questo  che  a  me  pare,  et  per  alcuni 
intendenti  si  dicie,  che  la  Citta  di  Firenze,  col  suo  ter- 
ritorio,  facci  huoraeni  ottanta  mila  di  -guardia  ;  che  se 
COS!  fusse,  che  si  presume  sia,  seguiterebbe  secondo 
naturale  ragione,  che  ogni  huomo  di  guardia,  compu- 
tata  la  sua  persona,  facessi  1'  uiio  per  1'  alto  cinque  bo- 
che,  tra  femmine,  et  fanciulii,  et  vecchj  ;  che  verreb- 
bono  a  moltiplicare  boche  a  quattro  cento  migliaja. 

Arebbesi  ora  a  vedere  queste  boche  quanto  pane^ 
vino,  olio,  carne,  vogliono  1'  anno  ;  e  per  questa  via  si 
trovera  quasi  tutta  la  quantita  de  fructi,  e  quali,  se  non 
e  qualche  sterminata  carestia,  tutto  eschono  del  territorio 
di  Firenze,  sicche  appresso  verro  a  dichiarare  quanto^ 
vogliono  le  sopradette  boche. 

Dicho  adunque  che  quattro  cento  milli- 
aja  di  boche,  aiutante  la  pichola  coUa  grande, 
et  el  cittadino  col  contadino  lavoratore,  vu- 
ole  Staja  XIIII.  per  bocha  V  anno,  che 
monterd   lo  graiio,   dugento  trenta    due  mil- 

liaja 


APPENDIX.  NO  XVI.  109 

liaja  di  moggia,  lo  quale  stimo  a  Fior 

el  moggio  monta  Fior 111,815 

Et  pur  stimo  che  le  dette  boche,  risto- 
rando  1'  una  1'  altra  anchora  del  vino,  avan- 
za  oltre  all'  anno,  quantunque  a  molti  ne 
manchi,  tutto  arbitro  che  voglieno,  Cogna 
CCC.  m.  lo  quale  stimo  quello  d'  allungie 
con  quello  d'  appresso,  e  buoni  co'  mezzani 
et  manuali,  che  1'  uno  per  1'  altro  vaglia  Fio- 
rini  tre  e  mezzo  cioe  Fl.  3i  che  monta  a 
una  miglione  di   Fiorini — el  decimo  Fl.  .  .  .         100,000 

Et  stimo  che  voglino  sopra  dette  boche, 
tra  per  ardere  e  per  mangiare,  olio  orcia 
cento  migliaja,  a  fior  1^  1'  orcio,  che  monta 
lo  decimo,   fior 15,000 


E  perche  della  carne  non  posso  fare  ap- 
punto  per  molti  rispetti,  nel  conto  piglo 
questo  ordine,  che  io  stimo  che  nel  territo- 
rio  di  Firenze  sia  pechore,  fra  mezzane,  e 
basse,  et  grosse,  et  montanine,  circa  ad  uno 
miglione,  alle  quali  1'  una  per  1'  altra  metto 
per  decimo  21  fi.  fra  V  agnello,  lana,  et  cac- 
cio  ;  et  nota  che  tanto  metto  alle  minute,  et 
basse,  quanto  alle  grosse,  considerato  che  le 
grosse  anno  piu  spesa  per  I'  andata  di  ma- 
remma  et  che  monti  questo  decimo  fior.  .  .  . 

Et    stimo  che   nello    detto  territorio,    tra 

allevare   a  mano,  et   in  selva,  s'    alievi  porci 

quaranti  migliaja  a   quali    si   debba  mettere, 

cioe   alii   allevati   a  mano,   et  in   casa,   stimo 

VOL.  III.  q_  sieno 


110  APPENDIX.    NO  XVI. 

sieno  la  meta  grossi  uno  per  porche,  et  agli 
della  selva,  considerato  sta  due  anni  a  alle- 
varsi,  pure  uno  grosso  per  anno ;  inontino 
a  e  decimi  in  tutto,  ridotti  in  somma  fior.  2509 

A  quegli  che  allevano  e  porci  temporili, 
per  rivendere,  non  gli  metto  per  carne,  ma 
per  industria  allerte  inanzi. 

Ancora  stinio,  che  fra  vache,  bufoli,  et 
cavalle,  sia  che  figlino  nel  territorio  di  Firen- 
ze,  capi  ventimila,  e  piu ;  alle  quali  per  lo 
decimo  del  fructo,  metto  uno  quarto  di  fior. 
per  capo,  che  monta  fior 5000 


Ancora  stimo  che  oltre  alle  sopradette 
boche  sia  nella  citta,  contado,  et  distretto  di 
Firenze  tra  cortegiani,  soldati  a  cavallo,  et  a 
pie,  et  marinai,  et  viandanti,  et  inendicanti, 
et  altri  forestieri,  circa  a  boche  XX  m.  le 
quali  voglono  molto  piu  roba  che  I'  ordinarie 
boche  ;  stimo  voglono  1'  uno  per  1'  altro  fior. 
XII.  per  uno,  tra  pane,  vino,  et  carne,  et 
oglo,  che  monti  fior.  240,000  lo  decimo  sie 
fior 24,000 

Ancora  fo,  oltre  al  nostro  bisogno,  for- 
nite  tutte  le  sopradette  boche,  per  uno  anno 
che  e  detto,  che  avanzi  sopra  la  spesa,  grano 
per  quattro  me  si,  che  sarebbe  alia  ragione 
detta  moggi  ottanta  mila  di  grano,  lo  decimo 
sarebbe   otto   mila  chea  fior.   5i  per  moggio 

sono  fior 44,000 

Ancora 


APPENDIX.  NO  XVI.  Ill 

Ancora  slimo  che  in  Firenze,  e  nel  paese, 
fra  cortigiani,  et  soklati,  et  di  cittadini,  muli, 
cavagli,  somieri  da  soma,  circa  a  venti  quat- 
tro  migliaja,  cioe  che  mangino  biada,  le 
quali  stimo  V  una  per  1'  altra  mangino  i  di 
stajo  el  di\  che  monta  P  anno  circa  a  cin- 
quanta  migliaja  di  moggia  di  biada  grossa, 
che  lo  decimo  sarebbe  moggia  5000  a  fiorini 
due  et  mezzo  1'  uno  anno  per  1'  altro  el 
moggio,    monta  fior 12,500 

Ancora  lo  decimo  del  miglo,  et  saggina, 
e  panicho,  che  stimo  montera  meglo  che  fior.  3000 

Ancora  lo  decimo  di  fave,  ceci,  e  d'  altri 
lagumi  fructi  meglio  che  fior 2000 

Ancora  lo  decimo  del  lino,  canape,  gua- 
di,  robbia,   zafferano,   e    fitti   d'  orti,  fior.       •  3000 

Ancora  lo  decimo  di  legname  da  edificj 
et  d'    altri  lavori,  e  di   quello  da  ardere  fior.  3000 

Ancora  lo  decimo  di  strame,  paglia,  fie- 
no,  e  paschi  di  montagne,  e   di  marina,   fior.  5000 

Ancora  lo  decimo  delle  selve  che  si  ven- 
dono,  et  ghiande,  e  lo  decimo  delle  castagne, 
fior 1000 

Ancora  stimo,  che  oltre  al  olio  che  e 
stimato  adrieto,  che  bisogna  per  nostro  uso. 


112 


APPENDIX.    NO  yVI. 


si  tragha  et  consumi  in  arte  di  lana,  che  si 
fa  nella  citta,  e  distretto,  oltre  accio,  quelle 
che  avanza  oltre  al  nostro  uso,  in  tutto  orcia 
sexanta  migliaja  che  naonte  a  fior.  li  1'  orcio 
fior.  novanta  migUaja — lo  decimo,   fior.     . 


9000 


Ancora  stimo  secondo  lo  macinato  che 
voglono  le  boche  in  fitti  de'  Mulini  coUo 
decimo  che  guadagna  il  mugnaio,  frutti  a 
decimo  tra  el  padrone  et  el  mugnaio  pre- 
detto,   fior.  cinquanta  mila 


5000 


Ancora  credo  e  tengho,  che  fmcti  la 
pigione  delle  case  et  di  botteghe,  et  d'  al- 
berghi  di  Firenze,  et  del  suo  territorio,  e 
distretto,   lo  decimo  fior 


5000 


Ancora  credo  che  frutti  lo  decimo  de' 
salarj  de  capitani,  vicarj,  et  podesta,  e  de 
loro  giudici  et  cavalierj,  e  castellani,  1'  anno 
che  sono  uficj  etiandio  lo  salario  de  gli  ufici 
di  dentro  fior 


5000 


Ancora  lo  decimo  della  rendita  del  monte, 
chosi  come  detto  abbiamo  di  interessi,  cioe 
fior.  dugento  migliaja — fior.     ...... 


20,000 


Ancora  lo  decimo  della  industria  delle 
sette  maggiori  arti,  e  lo  decimo  de  salarj  de 
fattori  loro — fior. 


50,000 


Ancora 


APPENDIX.  NO  XVI.  113 

Ancora  la  industria  delle  qualtordici 
minori  arti,  lo  decimo  fior.  venticinque 
migliaj^.      • 25,000 


Somma  in  tutto,  fior.     .      .      .       475,815 

Nota  che  io  stimo  per  molti  membri  che  anno  le 
supradette  arti,  et  maxime  le  minori,  che  si  stendono 
nello  distretto  di  fuori  in  grande  numero,  et  sia  molto 
maggioi-e  quantita,  che  io  non  disegno  di  sopra. 

Ora  qui  e  una  difficulta  contraria  a  questo  disegno, 
cioe  che  nel  sopradetto  disegno  se  a  d'  inchiudere  lo 
decimo  della  meta  di  fructi  a  lavaratori  che  lavorano  a 
mezzo,  e  quali  essendo  gravati  di  soldi  tre  di  stimo  per 
testa,  non  potrebbono  sopportare  ancora  lo  decimo. 

A  questo  si  dice  non  volendo  guastare  el  numero 
delle  taxxe,  in  che  entrano  el  sopradette  soldi  tre  per 
testa,  et  cogli  dettl  lavaratorj.  Et  nota  che  se  del  sala- 
rio  non  fusse  excettuato  persona,  et  da  altri  non  fus- 
sino  e  riagravati  piu  che  non  potessono  computare  che 
si  piglasse  della  sopradetta  somma  del  decimo,  tanto  che 
si  pagassi  pegli  detti  contadini,  la  loro  taxa,  salvo  et 
riservato  a  quegli  che  anno  et  lavorano  lo  terreno  pro- 
prio,  sicche  sbattuta  la  quantita  che  tocha  a  detti  lava- 
ratorj, et  ancora  a  quello  bischonto  di  non  essere  si 
grassa  1'  entrata  del  decimo  come  si  disegna,  che  la  detta 
somma  resterebbe  in  su  quattro  cento  migliaja  netti  di 
fiorini  400,000. 

Et  accio  che  questo  decimo  piu  pienamente  gittasse 
le  sopradetti  quantita  di  fiorini,  credo  che  sarebbe   buo- 

no 


114  APPENDIX.    NO  XVI. 

no  providemento  di  fare  per  le  genti  che  a  ciascuno 
persona  habitante  a  Pisa  o  nel  paese,  fusse  lecito  di 
lavorare  in  ciascuno  terreno  sodo  di  quello  di  Pisa> 
sanza  alchuna  contraditione  di  padroni  o  d'  altri,  pa- 
gando  egli  a  padroni  de  terreni  1'  usato  convenevole 
araticho,  et  lavorando  egli  con  quattro  bestie,  o  bovine, 
o  buffoline,  o  cavalline,  et  da  indi  in  su  potessi  trarre 
per  mare  o  per  terra,  la  meta  de  grani  o  biade  ricoglessi, 
pagando  V  usata  tracta,  con  questo  inteso,  che  el  grano 
non  passasse  a  Firenze,  soldi  venti  lo  stajo,  et  passando 
non  si  posse  trarre. 

Seguiteranne  che  gli  abitanti  forestieri  cresceranno 
a  Pisa  et  nel  contado  ;  et  miglioreranno  le  gabelle  per 
la  tracta,  et  entreranno  danarj  assai  contanti  di  fores- 
tieri in  paese,  pero  che  gnuna  cosa  che  empia  di  danari 
piu  maneschi  uno  paese  quanto  fa  chi  a  a  vendere 
grano.  Ancora  ne  seguitera  che  sempre  Pisa  sara  for- 
nita  per  quello  •  restera  che  sara  grande  quantita  di 
grano. 

Ancora  e  da  notare,  che  chi  paghasse  a  ragione  di 
lior.  5  |-  lo  moggio  del  grano,  per  la  sopradetta  imposi- 
tione  del  decimo,  sara  per  questo  necessario  per  la  via 
della  tratta,  mantenere  el  grano  in  su  soldi  xx  lo  stajo, 
perche  se  valessi  sol  x  per  pagare  lo  detto  decimo  gli 
converrebbe  vendere  2  stajo  di  grano  per  fare  soldi  xx, 
et  a  questo  modo  arebbe  a  pagare  due  decimi  et  cosi 
dell'  olio  et  del  vino.  Non  credo  si  potessi  fare  salvo,  se 
non  per  una  via  cioe  in  tenerlo  in  su  lior  5  I ;  questo 
tengho  in  me  per  ora. 

Avete  veduto  come  il  mio  disegno  delle  impositione 
del  decimo  soprastato   gitterebbe  fior.  400,000  o  piii,  e 

quali 


APPENDIX.  NO  XVI.  115 

quali  si  vorebbono  per  piu  habilita  pagare  in  tre  ter- 
mine,  et  questo  e  che  quella  parte  che  tochassi  a  lavora- 
tori  d'  altrui,  gP  osti  loro  ne  fussono  tenuti,  accio  che 
in  su  la  ricolta  la  rechassono  al  loco,  sicche  questa  sus- 
tanza  rimanessi  a  1'  oste  e  pagassi  P  oste  se  detto  lavo- 
ratore  eon  pagasse  al  tempo. 

De  detti  fiorini  cccc.  m.  a  chiarire  per  sperienza 
ciascuna  persona  che  non  cl.  m.  di  fiorini  P  anno,  si 
puo  mantenare  et  contentere  cavagli  4000,  fanti, 
1000  (a),  siche  abbi  ad  avvanzare  della  quantita  fior 
ccL.  m.  e  cosi  con  quegli  si  puo  sdebitare  el  debito  del 
monte,  e  poi  resterebbono  le  rendite  et  el  comune  libero, 
colle  quali  si  potra  fare  e  mantenere  piu  gente  bisog- 
nando.  Et  non  sara  di  bisogno  ne  prestanza,  ne  bal- 
zello.  Et  sarebbesi  fuori  d'  una  grande  pistolenza  e 
malattia.  Et  seguiterebbe  che  ci  ritornerebbe  assai 
cittadini.  Et  molti  danari  uscirebbono  fuori  per  ogni 
via.  L'  arti,  el  popolo,  el  paese,  multiplicherebbe,  e 
crescerebbe  la  riputatione,  e  non  si  direbbe  pe'  nostri 
vicini  che  fussimo  falliti  et  in  piegha.  Et  e  tiranni 
non  farebbono  pensiero  affare  si  leggiermente  guerra, 
colle  loro  false  speranze. 


ia)  Piutosto,  Cavagli  looo.    Fanti  4000. 


116  APPENDIX.  NO  XVII. 

NO  XVII. 
Ex  Otier,  Ang,  Politiani,  Ed,  Jldi,  1498. 
Ad  Lauren,  Medlcem, 

t/UM  referam  attonito  Medices  tibi  carmina  plectro, 

Ingeniumque  tibi  serviat  omiie  meum, 
Quod  tegor  attrita  ridet  plebecula  veste, 

Tegmina  quod  pedibus  sunt  recutita  meis  ; 
Quod  digitos  caligas  disrupto  carcere  nudos 

Permittunt  cselo  liberiore  frui  ; 
Intimabombycuni  vacua  est  quod  stamine  vestis, 

Sectaque  de  cxsa  vincula  fallit  ove  ; 
Rid^t,  et  ignavum  sic  me  putat  esse  poetam, 

Nee  placuisse  animo  carmina  nostra  tuo. 
Tu  contra  effusas  toto  sic  pectore  laudes 

Ingeris,  ut  libris  sit  data  palma  meis  ; 
Hoc  tibi  si  credi  cupis,  et  cohibere  popellum, 

Laurenti,  vestes  jam  mihi  mitte  tuas. 

Ad  eitndem^  gratiarum  actio, 

Dum  cupio  ingentes  numero  tibi  solvere  grates, 

Laurenti,  a^tatis  gloria  prima  tux, 
Excita  jamdudum  longo  mihi  murmure  tandem 

Astitit  arguta  Calliopeia  lyra  ; 
Astitit,  inque  meo  preciosas  corpore  vestes 

Ut  vidit,  pavidum  rettulit  inde  pedem  ; 
Nee  potuit  culti  faciem  dea  nosse  poetse, 

Corporaque  in  Tyrio  conspicienda  sinu  : 


Si 


APPENDIX.  NO  XVII.  117 

Si  minus  ergo  tibi  meritas  ago  carmine  grates, 
Frustrata  est  calammn  Diva  vocata  meum  ; 

Mox  tibi  siiblato  modulabor  pectine  versus, 
Cultibus  assuerit  cum  mea  musa  novis. 


NO  XVIII. 
Aloysius  Laurentio  de^  Medicis, 

JVlAGNIFICE  vir  affinis  noster  carissime.  Non  pos- 
sumus  non  laetari  summopere,  cum  bene  valere  vos  Sc 
vestra  omnia  bene  esse  sentimus.  Redivit  nuper  ad 
nos  e  Roma,  dilectus  consiliarius  noster  magister  Lu- 
dovicus  de  Ambasia,  qui  cum  iter  per  Florentiam 
fecerit,  abunde  retulit  prospera  vobis  omnia  succedere, 
quod  profecto  nobis  admodum  voluptati  fuit :  addidit- 
que  quantum  a  vobis  perhumaniter  exceptus  fuerit, 
quamve  interrogatus  diligenter  &:  summo  cordis  affectu 
de  his  quae  nostra  sunt,  Sc  nostra  &  regni  nostri  com- 
moda  concernunt.  Quod  etsi  factum  sciamus  non 
praeter  solitum,  habemus  tamen,  quas  possumus,  gra- 
tias  ingentiores  praestantiae  vestrae,  quae  ita  omni 
tempore  solicitam  se  praebeat  rerum  nostrarum,  quas 
sibi  Sc  amicis  cordi  non  dubitamus,  tametsi  quis  hor- 
tatus  fuerit  nos,  ut  rem  majori  experimento  compro- 
baremus  :  sed  sinentes  eum  in  sua  sententia  credimus 
contrarium,  Sc  nobis  Sc  vobis  notum  satis,  experientia 
docente.  De  vobis  erga  nos  integram  illam  servabi- 
mus  opinionem,  quam  gessimus  semper,  Sc  verba  Sc 
rerum  efFectus  comprobarunt. 

VOL.  III.  R  Caetej'um 


118  APPENDIX.  N«  XVIII. 

Caeterum  facit  ilia,  quam  semper  erga  nos  ges- 
sistis,  benevolent! a,  ut  quae  nostra  intersunt  libenter 
vobisciim  communicemus.  Relatum  fuit  nobis  supe- 
rioribus  mensibiis  Regem  Ferdinandum  tractasse,  ut 
filia  sua  Primogenita  matrimonio  jungeretur  moderno 
Duci  Subaudiae,  cum  dote  trecentum  millium  ducato- 
rum,  sed  rem  adhuc  esse  imperfectam  :  ex  quo  mente 
revolventibus  nobis  quid  potius  bono  Sc  commodo 
ipsius  Regis  8c  nostro  conveniret,  illud  videtur  potis- 
simum,  ut  invicem  nos  8c  ilium  ligaret  aliquod  matri- 
monii vinculum  :  quocirca  in  banc  sententiam  8c  deli- 
berationem  venimus,  quod  contenti  essemus,  quod  filia 
sua  Delphino  Viennensi  primogenito  nostro  nuberet : 
quod  per  vos  eidem  Regi  notum  fieri  vellemus,  8c  fieri 
inde  certiores  de  mente  sua  circa  hoc,  8c  si  negocium 
aggredi  intendit,  quam  dotem  fiiiae  se  daturum  dicet  ; 
quamvis  ab  ipso  potius  quam  dotis  summam  quantita- 
tem,  cujus  rei  loco  8c  tempore  vestroniet  verbo  stabi- 
mus,  veram  amicitiam  8c  confederationem  perpetuam 
expeteremus,  quae  sibi  contra  quoscumque  inimicos 
suos  ac  praesertim  contra  domum  Andegavensem, 
quae  nobis  etiam  infida  fuit  8c  est,  adjumento  8c  favori 
erit.  Speramus  etiam,  quod  hac  conventione  mediante 
Rex  ipse  contra  Regem  Ara,gonum  nobis  praestabit  aux- 
ilium  Sc  favorem,  8c  amicus  erit  amicis  nostris,  8c  inimi- 
cus  inimicis.  Quae  omnia  nobis  aperienda  duximus  his 
nostris  tantum,  ut  quamprimum  habita  communicatione 
horum  omnium  cum  Rege  ipso,  vestro  medio,  aut  illo- 
rum,  quibus  onus  per  vos  demandatum  erit,  quantoci- 
us  fieri  poterit,  certiores  fiamus  de  his,  quae  intendit  8c 
sentit  Rex  ipse  super  haec,  quae  si  Majestati  suae  con- 
venire  videbuntur,  ut  executioni  mandentur,  dabit^r 
opera,  8c   Oratores  nostros   Florentiam   mittemus   ve!  m 

regi  vim 


APPENDIX.  NO  XVIII.  119 

regnum  suum  pro  conclusione  terminanda,  qua  habita, 
poterit  8c  ipse  suos  transmittere  ad  nos  visum  filium 
nostrum  primogenitum,  &  ad  alia  exequenda  quae  oc- 
currunt.  Et  gratum  esset  quod  tarn  pro  his,  quam 
pro  aliis  nonnullis  negociis,  quae  nobiscum  communi- 
canda  saepe  veniunt,  ad  nos  aliquem  ex  vestris  mitte- 
retis,  qui  saltern  certo  tempore  apud  nos  esset,  qui  ha- 
bebit  opportunitatem  adeundi  Sc  redeundi.  Sed  hunc 
vellemus  praemonitum,  ne  alicui  se  commiltat  ex 
Magnatibus  &  Dominis  de  sanguine  nostro,  sed  nobis 
tantum.  Postremo  quae  oblectant  non  omittemus. 
Rogamus  igitur  vos,  ut  aliquem  canem  ex  vestris  a 
vobis  dono  habeamus,  St  etiamsi  vmum  mittatis,  satis 
erit,  dummodo  pulcher  sit  Sc  magnus,  quern  apud  per- 
sonam nostram  Sc  cameram  servari  faciemus.  Scrip- 
turn  Ambasiae  decima  nona  die  mensis  Junii  14T3. 


NO  XIX. 

Ferdinandus  Rex  Siciliae 
JLaurcntio  dt'  Medicis* 


JVIaGNIFICE  vir  amice  noster  carissmie.  Etsi  tanto 
in  nos  amore  esse  jampridem  vos  intellexerimus,  ut 
nulla  praeterea  testificatione  opus  sit,  quin  exaltatio- 
nem  nostri  status  Sc  nominis  semper  optaveritis,  tamen 
litterae  eae  quas  nuperrime  accepimus,  Sc  ea  quae 
Augustinus  Biliottus  retulit,  ita  nobis  amorem  ipsum 
significarunt,  ut  omnino  difficillimum  nunc  quidem 
videatur  judicare,  utrum  ab  Alfonso  ipso  filio  nostro 
magis  vel   amemur  'vel  veneremur,  quam   a   Laurentio, 

qui 


no  APPENDIX.  No  XIX. 

qui  &  amantissimus  nostri  est,  Sc  officii  plenissimus. 
Facitis  itaque,  ut  amicum  amicissimum  decet,  qui 
nobis  conditionem  proponatis,  quae  honori  &.  commo' 
do  nostro  factura  sit  maximam  aGcessionem,  dum  foe- 
dus  feriendum,  Sc  iniendam  esse  affinitatem  cum  Rege 
Maximo  Francorum,  dandamque  filiam  nostram  filio 
■ejus  primogenito  uxorem  suadetis,  ut .  ipse  suis  ad  vos 
litteris  scribit.  Qua  de  re  nos  vobis  debere  profite- 
mur,  quantum  ut  cupimus  persolvere,  ita  posse  opta- 
nius.  Sed  ut  meam  mentem  aliquando  intelligatis, 
esset  sane  nobis  non  modo  gratum,  sed  optatissimum 
etiam  cum  Rege  ipso  foedus  percutere,  inireque  affini- 
tatem, quem  ut  nobilissimo  genere,  ita  amplissimo 
regno,  primum  esse  in  toto  orbe,  non  ignoramus. 
Sed  quando  iis  conditionibus  res  ipsa  proponitur, 
quam  cum  integritate  honoris  nostri  accipere  nullo 
modo  possumus,  caussa  est  cur  molestissime  feramus. 
Etenim  non  modo  adversus  Serenissimum  Regem  Ara- 
gonum  patruum  nostrum  nos  unquam  colligare,  sed 
ipsi  deesse  tarn  iniquum  putamus,  ut  prius  mori  sta- 
tuamus,  quam  id  simus  facturi,  vel  quod  ita  ejus  in 
nos  beneficia  postulant,  vel  quod  pietas  nostra  in  ilium 
tanta  est,  ut  nobis  ipsis  deesse,  quam  illi  aequius  pute- 
mus ;  neque  movere  nos  debet,  quod  Rex  ipse  poUice- 
tur,  si  conditionem  acceperimus,  futurum  se  hostem 
familiae  Andegavensis.  Ille  enim  jure  optimo  & 
posset  Sc  deberet  id  facere  propter  Andegavensium 
ipsorvnn  perndiam,  eorumdemque  in  euni  inimicitias. 
At  ego  immanitate  ac  potius  feritate  adductus  videbor, 
si  patruo  defuero,  cum  adesse  saltern  ratione  familiae, 
quando  cetera  arctiora  vincula  deessent,  semper  de- 
bebo,  nisi  is  esse  voluerim,  qui  meis  desira,  ut  adsim 
externis.      Quamobrem    quod    ad  iniendam  affinitatem, 

foedus- 


APPENDIX.  NO  XIX.  121 

foedusque  Rex  ipse  paciscitur,  ut  ego  patruo  meo  ad- 
verser atque  sibi  foveam,  aequius  sanctiusque  fuisset, 
si  se  affinitatis  ipsius  gratia  fautorum  mecum  patruo 
meo  dixisset ;  visiisque  esset  cum  pro  sua  humanitate 
agere,  turn  affinitatem.  hanc  faniiliae  meae  commodo 
potius  quam  ejusdem  incomniodo  desiderare,  et  ho- 
noris mei  habere  rationem.  Impedit  etiam  haec  non 
minus  ictum  foedus  &c  societas,  quae  nobis  est  cum 
Illmo  Burgundiae  Duce,  quam  ut  optatissimum  fuit 
inire,  ita  nunc  tueri  esse  debet  jucundissimum.  Ex 
quo  fit  ut  nisi  Rex  ipse  cum  illo  etiam  Principe  in 
pace  victurus  sit,  perducere  quo  velle  se  ostendit  nego- 
tium  non  potuerimus.  Ita  enim  aequitatis  amatores, 
fidei  nostrae  observatores  sumus,  ut  hanc  omnibus 
nostris  commodis  prueponamus.  Honorem  autem  nos- 
trum tanti  facimus,  ut  non  modo  res  caeteras,  verum 
etiam  regnum  universum  nostrum  ammittere,  Sc  ca- 
pitis subire  periculum  malimus,  quam  ex  eo  ipso  ho- 
nore  quidquid  imminui  patiamur.  Verum  si  Rex  ipse 
facturus  est,  quod  ejus  ahoqui  humanitatis  officium 
fuerit,  ut  neque  in  patruum  nostrum,  neque  in  Du- 
cem,  amicum  socium  Sc  fratrem  bellum  sit  habiturus, 
sed  vires  suas  in  fidei  hostes  versurus,  ex  quibus  glo- 
riam  atque  triumphum  honestius  possit  referre,  non 
modo  affinitatem  societatemque  annuemus,  sed  pollice- 
bimur  nos  omnia  facturos,  quae  vei  honori,  vel  com- 
modo ei  futura  intelligamus.  Neque  vero  Regi  ipsi 
aegre  ferendum  est,  si  fidem  datam  honoremque  ac  fa- 
miliae  nostrae  imperium  non  minui  aut  labefactari  ve- 
limus :  quandoquidem  si  aliter  faceremus,  neque  ipsi 
in  nobis  spem  reponere,  aut  fidem  habere  conveniens 
foret,  quem^  scimus  etiam  non  ignorare  gerenda  esse 
bella   in  eos,  a  quibus   injuriam    acceperit.     Nos   p.utem 

qua 


122  APPENDIX.  NO  XIX. 

qua  injuria  provocemur,  aut  ab  rege  patruo  nostro,  aut 
ab  Illmo  Burgundiae  Duce,  quis  est  qui  ignoret  ? 
Quod  si  regnum  ipse  habere  potest  tranquillum  &  otio- 
sum,  simul  Deo  immortali  gratias  agere,  eumdemque 
precari,  ut  tale  semper  habere  liceat,  simul  eo  conten- 
tus  esse  debet ;  ne  si  aliud  appetat,  non  suum,  violare 
jus  videatur  humanae  societatis.  Quamobrem  suadere 
vos  Regi  poteritis  honestissimas  conditiones,  quas  si 
accepturus  est,  accipiemus  nos  quas  ille  nobis  proponit. 
Proinde  date  operam,  ut  persuadeatis,  ita  enim  nos 
vobis  obligaveritis,  ut  qui  nunc  magnum  quoddam  vobis 
debemus,  infinitum  simus  debituri.  Reliquum  est,  si 
quid  vestra  caussa  efficere  possumus,  licet  utamini  facul- 
tate  nostra,  quoad  nostrae  vires  patientur.  Datum  in 
Castello  Novo  Neapolis  die  IX.  Augusti  1473. 


NO  XX. 

Marsilius  Ficinus  Flor,  Martino  Uranio  Amico  Vnico  S,  D» 

WlHIL  a  me  justius  postulare  poteras,  quam  quod 
per  loannem  Straeler  congermanum  tuum,  iam  saepe 
requiris,  amicorum  videlicet  nostrorum  catalogum,  non 
ex  quovis  commercio,  vel  contubernio  confluentium, 
sed  in  ipsa  duntaxat  liberalium  disciplinarum  commu- 
nione  convenientium.  Quum  enim  absque  amicorum 
meorum  praesentia  esse  nusquam  aut  debeam,  aut 
velim,  ipseque  sim,  non  in  Italia  solum  in  me  ipso, 
sed  in  te  etiam  in  Germania,  merito  amicos  hie  meos, 
istic  etiam  mihi  adesse  desidero.  Omnes  quidem  in- 
genio,    moribusque    probatos     esse    scito:     nullos     enim 

habere 


APPENDIX.    N<^  XX.  12S 

habere  umquam  amicos  statui,  nisi  quos  judicaverim 
litteras,  una  cum  honestate  morum,  quasi  cum  love 
Mercurium,  conjunxisse.  Plato  enim  noster  in  epis- 
tolis,  integritatem  vitae  veram  inquit  esse  Philosophi- 
am  ;  litteras  autem,  quasi  externum  Philosophiae  nun- 
cupat  ornamentum.  Idem  in  epistolis  ait,  philosophi- 
cam  communionem,  omni  alia  non  solum  benevolentia, 
sed  etiam  necessitudine  praestantiorem  stabilioremque 
existere.  Sed  ut  mox  veniam  ad  catalogum,  cunctos 
summatim  amicos  ita  laudatos  accipito.  At  si  pro- 
prias  cujusque  laudes  slngulatim  narrare  voluero,  opus 
inceptavero  longe  proiixum  -,  si  quos  practermisero, 
non  aeque  laudatos,  pre  us  invidiosum.  Omnino 
vero  absurdum  fuerit,  si  di.  i  amicos  ordine  disponere 
tento,  interim  comparationibus  omnia  perturbavero, 
odium  pro  benevolentia  postrem.o  reportans.  Primum 
suminuinque  inter  amicos  locum  patroni  nostri  Me- 
dices  jure  optimo  sibi  vindicant.  Magnus  Cosmus, 
gemini  Cosmi  filii,  viri  pra.estantes,  Petrus,  atque 
Joannes,  gemini  quoque  Petri  nati,  magnus  Lauren- 
tius,  et  inclitus  lulianus  ;  tres  Laurentii  liberi,  mag- 
nanimus  Petrus,  loannes  Cardinalis  plurimum  vene- 
randus,  lulianus  egregia  indole  praeditus.  Ac  ne  in 
longum  singulorum  laudes  prosequar,  una  Medices 
omnes  communi  laude  complectar ;  Genus  heroicum. 
Praeter  Patronos,  duo  sunt  nobis  amicorum  genera. 
Alii  enim,  non  auditores  quidem  omnes,  nee  omnino 
discipuli,  sed  consuetudine  familiares,  ut  ita  loquar, 
confabulatores,  atque  ultro  citroque  consiliorum,  dis- 
cipiinarumque  liberalium  communicatof-es.  Alii  au- 
tem, praeter  hos  quos  dixi,  nos  quandoque  legentes, 
et  quasi  docentes  audiverunt,  esti  ipsi  quidem  quasi 
discipuli,    non   tamen    revera   discipuli ;    non    enim  tan- 

tum 


124  APPENDIX.  NO  XX. 

turn  mi  hi  adrogo,  ut  docuerim  aliquos,  aut  doceam, 
sed  Socratico  potius  more  sciscitor  omnes  atque  hortor, 
foecundaque  familiarium  meorum  ingenia,  ad  partum 
adsidue  provoco.  In  primo  genere  sunt  Naldus  Nal- 
dius,  a  tenera  statim  aetate  mihi  familiaris ;  post  hmic 
in  adolescentia  nostra  Peregrinus  Allius,  Christophorus 
Landinus,  Baptista  Leo  Albertus,  Petrus  Pactius,  Be- 
nedictus  Accoltus  Arretinus,  Bartolomaeus  Valor, 
Antonius  Canisianus ;  paullo  post  lo.  Cavalcantes, 
Dominicus  Galectus,  Antonius  Calderinus,  Hierony- 
mus  Rossius,  Amerigus  et  Thomas,  ambo  Bencii, 
Cherubinus  Quarqualius  Geminianenses,  Antonius 
Seraphicus,  Michael  Mercatus,  ambo  Miniatenses, 
Franciscus  Bandinus,  Laurentius  Lippius  Collensis, 
Bernardus  Nuthius,  Comandus,  Baccius  Ugolinus, 
Petrus  Fannius  Presbyter.  Horum  plurimi,  exceptis 
Landino,  et  Baptista  Leone,  et  Benedicto  Accolto, 
primas  lectiones  nostras  nonnumquam  audiverunt.  In 
aetate  vero  mea  jam  matura  familiares,  non  auditores 
Antonius  Allius,  Ricciardus  Anglariensis,  Bartolo- 
maeus Platina,  Oliverius  Arduinus,  Sebastianus  Sal- 
vinus  Amitinus  noster,  Laurentius  Bonincontrius, 
Benedictus  Biliottus,  Georgius  Ant.  Vespuccius,  lo. 
Baptista  Boninsegnius,  Demetrius  Byzantius,  lo.  Vic- 
torius  Soderinus,  Angelus  Politianus,  Pierleonus  Spo- 
letinus,  lo.  Picus  Miranduia.  In  secundo  genere,  id 
est  in  ordine  auditorum,  sunt  Carolus  IVIarsuppinus  ; 
Petri  quinque,  Nerus,  Guicciardinus,  Soderinus,  Com- 
pagnius,  Parentus  ;  Philippi  duo,  Valor  scilicet  et  Car- 
duccius ;  loannes  quattuor,  Canacius,  Necius,  Guic- 
ciardinus, Rosatus  ;  Bernard!  quattuor,  Victorius, 
Medices,  Canisianus,  Micheloctius  ;  Francisci  quat- 
tuor,   Berlingherius,     Rimicinus,    Gaddus,    Petrasancta ; 

Amerigus 


APPENDIX.  NO  XXI.  125 

Amcrigus  Cursiniis,  Antonius  Lanfredinus,  Blndaccius 
Ricasulaiuis,  Alamannus  Donatus,  Nicolaus  Micheloc- 
tiiis,  Matthaeus  Rabbatta,  Alexander  Albitius,  Fortuna 
Ebraeus,  Sebastianus  Presbyter,  Angelus  Carduccius, 
Andreas  Cursus,  Alexander  Borsius,  Blasius  Bibienius, 
Franc.  Diaccetus,  Nicolaus  Valor. 


NO  XXI. 

ANGELI  POLITIANI  CONJURATIONIS  PACTI- 
AN^  ANNI  M.CCCC.  LXXVIII.  COMMENT ARI- 
UM. 

Jiixta    Edit,   Joannis   Adimari    ex    Marchionibus    Bumbce, 
JVeajiGli,  1769. 

Jr ACTIANAM  conjurationem  paucis  describere  insti- 
tuo  ;  nam  id  in  primis  rnemorabile  facinus  tempestate 
mea  accidit,  parumqne  abfuit,  quin  Fiorentinam  omnem 
Rempubiicam  penitus  everteret. 

Cum  is  igitur  esset  ejus  Urbis  status,  ut  omnes 
boni  a  Laurentio,  8c  Juliano  fratribus,  reliquaque  Me- 
dicum  familia  starent  ;  Pactiorum  una  gens,  ac  Salvi- 
atorum.  nonnulli  coepere  praesentibus  rebus  clam 
primo,  mox  etiam  palam  adversari.  Invidebant  enim 
Medicae  familiae  ;  ejusque  summam  nostra  in  Repub- 
lica  auctoritatem,  Sc  privatum  decus,  quantum  in  eis 
esset,  obterebant. 

Erat    Pactiorum     familia     civibus,     plebique     juxta 

invisa :    nam,    praeterquam    quod  avarissimi  essent  om- 

voL.  in.  s  nes, 


126  APPENDIX.  NO  XXI. 

nes,  neqiie  eorum  contumax,  atque  insolens  ingenium 
satis  aequo  animo  tolerari  poterat :  ejus  familiae  prin- 
ceps  Jacobus  Pactius  Equestris  ordinis  vir,  diem  noc- 
temque  aleae  vacabat ;  sicubi  male  jactus  caderet, 
Deos,  atque  homines  diris  agebat  :  nonnunquam  vero 
&  alveolum  tesserarium,  aut  quod  aliud  irato  offerre- 
tur,  temere  in  proximum  quemque  jaculabatur  :  saepe 
Sc  ad  ipsum  alveolum  furiosi  instar  frontem  allidebat. 
Ipse  pallidus,  &c  exanguis,  caput  jactare  semper,  8c 
quod  levitatis  maximum  foret  argumentum,  nunquam 
ore,  nunquam  oculis,  nunquam  manibus  consistere. 
Duo  in  homine  ingentia  vitia,  eaque,  quod  mirum 
esset,  maxime  inter  se  contraria  eminebant :  multa 
avaritia,  multa  ambitio.  Domum  paternam  magnifice 
exstructam  a  fundamentis  diruit :  novam  exaedificare 
adgressus  est ;  mercenarias  ibi  operas  conducere  soli- 
tus,  neque  tamen  integrum  solvere  ;  pauperculosque 
homines  misere  sibi  vix  manuum  mercede  in  diem  vic- 
tum  parantes  defraudabat  ;  quare  omnibus  erat  invisus. 
Non  ipse,  non  ejus  majores  gratiosi  populo  unquam 
fuerant.  Erat  praeterea  sine  legitima  prole  :  quaprop- 
ter  Sc  a  suis  necessariis,  quippe  qui  hereditatem  hominis 
captarent,  praetor  caeteros  colebatur.  Incuria  in  ho- 
mine maxima,  maximaque  rei  familiaris  negligentia : 
cumque  hi  essent  hominis  mores,  facile  rem  facturus 
videbatur,  quod  ipsi  ad  maturandum  facinus  calcar 
maximum,  facesque  subdidit.  Non  enim  sperabat 
homo  insolens,  Sc  ambitiosus  decoctoris  ignominiam 
non  iniquissimo  se  iaturum  animo :  studebat  itaque 
uno  incendio  sese,  suamque  omnern  patriam  concre- 
mare. 

Franciscus 


APPENDIX.    NO  XXI.  127 

Franciscus  autem  Salviatus  homo  repente  fortuna- 
tus,  quippe  qui  Pisanum  haucl  multo  antea  Archlepis- 
copatum  esset  adeptus,  vix  ipse  sese,  suamque  fortunam 
capiens,  coeperat,  supra  quam  dici  potest,  secundis 
rebus,  insolescere  ;  nihilque  non  sibi  de  sese,  suaque 
fortuna  polliceri.  Is  Franciscus  homo  fuit  (id  quod 
Dii,  atque  homines  sciunt)  omnis  divini,  atque  humani 
juris  ignarus,  &  contemptor;  omnibus  flagitiis,  Sc  faci- 
noribus  coopertus  ;  luxuria  perditus,  and  lenociniis  infa- 
mis.  '  Aleae  Sc  ipse  studiosissimus  :  maximus  praeterea 
adulator :  multae  levitatis,  ac  vanitatis :  idem  audax 
promptus,  callidus,  &  impudens  ;  Quibus  artibus  (adeo 
fortunam  nihil  puduit)  8c  Archiepiscopatum  est  adeptus' 
&  coelum  ipsum  votis  captabat. 

Hie  una  cum  Francisco  Pactio,  quod  propter  insi- 
tam  animo  vanitatem  ingentes  spes  sibi  proposuerat, 
consilium  Laurentii,  ac  Juliani  necandi,  occupandaeque 
Reipublicae  multo  antea  Romae  dicitur  agitasse.  Tan- 
dem in  suburbana  Jacobi  Pactii  Villa,  quod  Montug- 
hium  dicitur,  una  omnis  factio  in  facinus  conjurant. 
Ejus  conjurationis  formulam  Salviatus  ipse  praescribit. 
Franciscus  ex  Antonio  Jacobi  fratre  erat  natus,  qui 
cum  contumacis  homo  ingenii  esset,  magnos  sibi  spi- 
ritus,  magnam  arrogantiam  sumpserat.  Mirifice  indig- 
nari  praeferri  sibi  Medicam  familiam  :  semper  Lau- 
rentio,  semper  Juliano  obtrectare  ;  eosque  passim  tra- 
ducere  :  nulli  maledicto  parcere,  nullis  contumeliis,  ni- 
hil pensi  habere,  dum  illis,  quantum  in  se  esset,  inju- 
riam  faceret.  Romae  plurimum  ad  nummariam  ipsam 
Pactiorum  mensam  aetatem  agere  :  nam  Florentiae  ni- 
hili  suam  esse  auctoritatem  sentiebat,  propter  earn, 
quam    sibi   Medices   germani  pietate,   &  bonis  moribus 

vendi- 


128  APPENDIX.    NO  XXI. 

vendicarant.  Erat  autem  Sc  ipse  (id  quod  Pactiis 
omnibus  peculiare  fuit)  supra  quam  dici  potest,  ad 
excandescentiam  proclivis.  Statura  fuit  brevi,  gracili 
corpusculo,  colore  sublivido,  Candida  coma,  cujus  &  in 
cultu  nimium  ferebatur  occupatus.  Is  vero  ejus  cor- 
poris, vultusque  habitus,  ii  gestus  erant,  ut  facile  intel- 
ligeres  hominis  incredibilem  insolentiam,  quam  tamen 
ipse  primis  maxime  congressibus  magnopere  obtegere 
conabatur.  Neque  id  satis  ex  sententia  succedebat. 
Sanguinarius  praeterea  homo  erat,  8c  qui,  dum  renm 
quamcunque  ipse  animo  volveret,  expeditum  iret,  nul- 
loque  honestatis,  nuUo  religionis,  nullo  famae,  aut  no- 
minis   respectu  detineretur. 

Jacobus  dein  Salviatus  homo  ad  captandos  homi- 
num  animos  maxime  factus,  semper  iis  arridere  modis 
omnibus,  laute  omnes  accipere,  scortis,  8c  comessatio- 
nibus  intentus  agere  :  mercaturae  tamen  studiosus,  8c 
gnarus  ferebatur. 

In  his  erat  8c  Jacobus  tertius,  Pogii  illius  eloquen- 
tissimi  viri  filius.  Hie  8c  ob  angustiam  rei  familiaris, 
aesque  alienum,  quod  grande  conflaverat,  8c  ob  inge- 
nitam  quandam  sibi  vanitatem,  rerum  novarum  cupidus 
erat.  Ejus  praecipua  in  maledicendo  virtus,  in  qua  vel 
patrem  maledicentissimum  referebat.  Semper  ille  aut 
Principes  insectari  passim,  aut  in  mores  hominum  sine 
ullo  discrimine  invehi,  aut  cujusque  docti  scripta  laces- 
sere  ;  nemini  parcere.  Ipse  ex  multa  historiarum 
memoria,  magnaque  loquendi  copia  mirifice  superbus 
esse :  eas  omnibus  circulis,  coronisque,  vel  ad  satieta- 
tem  audientium  ingerere.  Patrimonium,  quod  ipsi 
ampium  ex   hereditate    paterna  obvenerat,    totum   paucis 

annis 


APPENDIX.  NO  XXI.  129 

jinnis  profuderat :  quare  Sc  egestate  coactus,  Pactiis, 
Salviatoque  se  totum  addixerat  :  Erat  enim  id,  quod 
semper  fuerat,  cuicimque  emptori  venalis. 

Fuit  in  his  8c  quartus  Jacobus,  Archiepiscopi  frater, 
omnino  vir  obscurus,  ac  sordidus. 

Bernardus  praeterea  Bandinus  perditus  homo, 
audax,  impavidus,  quern  &  ipsum  dilapidata  res  fami- 
liaris  in  omne  flagitium  praecipitem  ageret. 

Septem  ii  fuere  cives,  qui  faclnus  susceperint  ; 
additi  his  Joannes  Baptista  ex  oppido  Montesicco,  ac 
Hieronymi  Comitis  familiaris,  Antonius  Volaterranus, 
quern  vel  patrium  odium,  vel  facilis  quaedam  hominis, 
Jevisque  ad  obsequendam  natura  in  facinus  soilicitabat. 
Stephanus  praeterea  Sacerdos  Jacobi  Pactii  scriba, 
homo  impudens,  8c  male  audiens  omni  crimine,  qui  Sc 
in  Jacobi  domo  baud  satis  honeste  versari  ferebatur : 
ejus  enim  unicam  filiam  adulterio  conceptam  literas 
docebat. 

Conjurationis  hujus  Sc  Renatum,  Sc  Gulielmum 
Pactios  non  ignaros  fuisse  compertum  est.  Gulielmus 
ipse  Blancam  Laurentii  Medicis  sororem  in  matrimo- 
nium  duxerat,  eque  ea  amplam  jam  sobolem  susceperat ; 
quare  Sc  duabus  (quod  dicitur)  selUs  sedere  putabatur. 
Hie  ejus,  quem  saepe  dicimus,  Francisci  major  nata 
erat  germanus.  Renutus  autem  ex  Petro  Equestris 
ordinis  viro,  Jacobi,  atque  Antonii  fratre  genitus,  Guli- 
elmi  Sc  Francisci  patruelis.  Erat  hie  homo  baud  incal- 
lidus,  maximusque  odii,  atque  injuriae  dissimulator: 
Animi   vero   maximi   neque  tamen  audax,  sed   qui   rem 

maturius 


130  APPENDIX.  NO  XXI. 

maturius  quamcunque  is  animo  agitasset,  expeditum 
iret.  Tenax  idem,  8c  pecuniae  avidus  :  quapropter  Sc 
multitudini  minime  charus. 

Cliens  praeterea  Gulielmi  Neapoleo  Francesius 
non  ultimas  partes    in    eo    negotl,    "^sumpserat. 

Interfuere  ei  facinori  8c  nonnulli  obscuriores,  par- 
tim  ex  Archiepiscopi,  partim  ex  familia  Pactiorum. 
Hos  inter  Sc  Brigliainus  quidam  homo  extremae  condi- 
tionis,  k.  Nannes  Notarius  Pisanus  vir  sceleratus  Sc 
factiosus. 

Sed  qui  ex  peregrinis  primas  partes  susceperat,  is 
erat,  quern  diximus,  Joannes  Babtista  Hieronymi  fami- 
liaris.  Hie  rem  totum  biennium  jam  ante  agitatam, 
in  quintum  kalend.  Majas  anni  a  Christiana  salute 
octavi  8c  septuagesimi  supra  mille  8c  quadringentos, 
inque  ipsum  Dominicum  ante  Ascensionem  diem  re- 
jecerat.  Erat  is  magni  vir  ingenii,  multi  consilii,  8c 
sagacis  animi,  ad  obeundas  res  maxime  dexter  :  neque 
vero  in  iis  non  saepe  exercitatus.  Magnam  in  eo  fidem 
Salviatus,  magnam  conjurati  omnes  habuerant.  Res 
ipsa  jam  postulat  uti  conjurationis  consilium  expli- 
cemus. 

Medicum  familia  cum  plerisque  in  rebus  splendida 
semper,  magnificentissimaque  est,  tum  vel  maxime  in 
Claris  hospitibus  accipiendis.  Nemo  unquam  vir  clarus 
aut  Florentiam,  aut  Florentinum  agrum  petiit,  in 
quem  non  ilia  domus  hoc  rnagnificentiae  genere  usa 
sit.  Cum  igitur  in  suburbano  illo  Jacobi  rure,  ubi 
supra,  conjurationem  factam  ostendimus,  Raphael   forte 

Cardinalis, 


APPENDIX.  NO  XXI.  131 

Cardinalis,  ex  Hieronymi  Comitis  sorore  natus,  haud 
multo  antea  divertisset,  banc  tanti  facinoris  ansam  con- 
jurati  occupant.  Nunciant  Cardinalis  nomine  geminis 
fratribus,  uti  se  Fesulis,  quae  ipsorum  suburbana  Villa 
est  accipiant.  Eo  Laurentius,  atque  egomet  cum  puero 
Petro  Laurentii  filio  accedimus.  Julianus,  quod  vale« 
tudine  impediretur,  domi  restitit :  id,  quod  rem  in 
ipsum,  quem  diximus,  diem  extraxit.  Iterum  familia- 
rius  homini  nunciant  cupere  Cardinalem  Sc  Florentiae 
convivio  accipi.  Urbanae  domus  ornamenta,  vestem, 
aulea,  gemmas,  argentum,  pretiosam  omnem  supellec- 
tilem  inspicere.  Nullum  optimi  juvenes  dolum  suspi- 
cantur.  Domum  parant,  ornamenta  depromunt,  ves- 
tem explicant,  argentum,  signa,  toreumata  in  propatulo 
conlocant,  producunt  gemmas  in  promptuarium  :  mag- 
nificentissime  convivium  adparatur. 

Ecce  tibi  ante  tempus  conjuratorum  manus  scitan- 
tur,  ubi  Laurentius  ?  ubi  Julianus  ?  Dicunt,  in  Templo 
Divae  Reparatae  esse  ambos  ;  eo  contendunt.  Cardi- 
nalis in  suggestum  Chori  de  more  subducitur.  Dum- 
que  Eucharistiae  Mysteria  celebrantur,  Archiepiscopus 
cum  Jacobo  Poggio,  Sc  duobus  Jacobis  Salviatis,  aliis- 
que  nonnullis  coniitibus  in  Curiam  contendit,  uti  Dominos 
Florentinos  arce  deturbet,  ipse  Curiam  occupat :  Reliqui 
in  Templo  ad  facinus  obeundum  remanent.  Destinatus 
ad  Laurentii  caedem  Johannes  Baptista,  negotium  detrec- 
tarat  ;  Antonius  Volaterranus,  Stephanusque  susceper- 
ant :  Reliqui  in  Julianum  tendebant. 

Ibi  primum  peracta  Sacerdotis  communicatione, 
signo  dato,  Bernardus  Bandinus,  Franciscus  Pactius, 
aliique  ex   conjuratis,   orbe   facto,  Julianum  circumveni- 

unt. 


132  APPENDIX.  NO  XXI. 

lint.  Princeps  Bandinus,  ense  per  pectus  adacta, 
juvenem  transverberat.  Ille  moribundus  aliquot  passus 
fugitare ;  illi  insequi.  Juvenis,  cum  jam  sanguis  eum 
viresque  defecissent,  terrae  concidit.  Jacentem  Fran- 
ciscus  repetito  saepe  ictu,  pugione  trajecit.  Ita  pium 
juvenem  neci  dedunt.  Qui  Julianum  sequebatur  fa- 
mulus, terrore  exanimatus  in  latebras  se  turpiter  con- 
jecerat. 

Interim  8c  Laurentium  delecti  sicarii  invadunt ;  ac 
primo  quidem  Antonius  Volaterranus  sinistram  ejus 
humero  injicit,  ictuni  in  jugulum  destinat.  Ille  im- 
perterritus  humeraleni  amictum  exuit,  laevoque  advol- 
vit  brachio  ;  simul  gladium  vagina  liberat,  uno  tantum 
ictu  petitur  :  nam  dum  sese  expedit,  vulnus  in  collo 
accipit.  Mox  se  homo  acer,  Sc  animosus  stricto  gladi- 
olo  ad  sicarios  vertere,  circumspectare  se  caute,  &:  tueri. 
Illi  exterriti  fugam  capiunt.  Neque  vero  segnis  in  eo 
tuendo  Andreae,  &  Laurentii  Cavalcantis  (quibus  ille 
pedissequis  utebatur)  opera  fuit.  Cavalcantis  brachium 
vulneratur.     Andreas  integer  superat. 

Videre  erat,  tumultuantem  populum,  viros,  mulier- 
culas,  Sacerdotes,  pueros  fugitantes  passim  quo  pedes 
vocarent.  Omnia  fremitu  plena,  Sc  gemitu :  nihil  ex- 
audiri  tamen  expressae  vocis.  Fuere  &  qui  crederent 
Templum  corruere. 

Qui  Julianvim  trucidarat  Bernardis  Bandinus,  non 
contentus  suis  partibus,  ad  Laurentium  contendit.  Ille 
se  commodum  cum  paucis  in  Sacrarium  conjecerat. 
Bernardus  obiter  Franciscum  Norium  prudentem  vi- 
rum,  Sc    mcrcatuiis    Medicae    familiae  praefectum,  ense 

per 


APPENDIX.  NO  XXI.  133 

per  stomachiim  adacto  iino  vulnere  perimit.  Ejus  cada- 
ver spirans  adhuc  idem  in  sacrarium,  quo  se  Laurentius 
receperat,  invectum  est. 

Turn  ego,  qui  eodem  me  contuleram,  aliique  non- 
nulli,  fores,  quae  aheneae  essent,  occlusimus.  Ita  pe- 
riculum,  quod  a  Bandino  ingrueret,  propulsavimus. 
Dum  fores  servamus,  Irepidare  intus  alii,  de  Laurentii 
vulnere  solliciti  esse.  Ibi  Antonius  Rodulphus  Jacobi 
filius  honestus  adolescens  Laurentii  vulnus  exugere. 
Ipse  nullam  suae  salutis  rationem  ducere ;  sed  rogitare 
continenter :  Ecquid  Julianus  valeat.  Interdum  vero 
&  indignabundus  minitari  querique,  quod  a  quibus 
minime  aequum  fuerat,  sua  vita  peteretur.  Continuo 
juvenum  globus,  qui  Medicae  domui  fidi  essent,  ad 
sacrarii  fores  cum  telis  constipantur.  Clamant  una- 
nimes  ami  cos  sese,  &:  necessarios.  Exeat ^  exeat  Lau- 
rentius^ priufsquam  adversa  Jactzo  robur  capiat,  Nos  tre- 
pidi  intus  ambigere,  hostes,  an  amici  forent ;  rogitare 
tamen  an  incolumis  Julianus.  Ipsi  ad  ea  nihil  respon- 
dere.  Tum  Sismundus  Stupha  egregius  juvenis,  k 
qui  Laurentio  jam  inde  a  puero  miro  amore,  mira 
pietate  esset  conjunctus,  scalas  conscendit,  speculam, 
quae  in  Templum  despiceret,  ubi  &  organa  essent  mu- 
sica  festlnans  petit.  Facinus  continuo  ex  Juliani  cada- 
vere,  quod  prostratum  viderat,  intelligit.  Qui  prae 
foribus  adstabant,  videt  esse  amicos  ;  jubet  aperiri  : 
illi  frequentes  Laurentium  in  armatorum  globum  adcipi- 
unt.  Domum  per  dispendia,  ne  in  Juliani  cadaver  incl- 
deret,  perducunt. 

Ego     recta    domum     perrexi ;     Julianumque     multis 

confectum     vulneribus,    multo     crucre    foedatum    mise- 

voL.  III.  T  rabiliter 


134  APPENDIX.    NO  XXI. 

rabiliter  jacentem  offendi.  Ibi  titubans,  &  prae  doloriii 
magnitudine,  vix  satis  animi  compos,  a  quibusdam  ami- 
cis  sublevatus,  domumque  sum  deductus. 

Omnia  ibi  armatorum  plena  erant,  omnia  faventium 
clamoribus  personabant :  strepitu,  8c  vocibus  tectum 
omne  resultabat.  Videres  pueros,  senes,  juvenes,  sacros, 
&  prophanos  viros  arma  capere  :  Domum  Medicam 
quasi  publicam  omnium  salutem  defensare. 

Interim  Pisaii'is  Praesui  Caesarem  Petrucium  Vexil- 
liferum,  quod  ajunt,  Justitiae,  remotis  arbitris  in  col- 
loquium vocat,  eo  consilio,  ut  hominem  trucidet.  Velle 
se,  ait,  nennulla  Pontificis  referre  nomine.  Quidam 
ex  Perusinis  proscriptis,  qui  hominem  facinoris  conscii 
in  Curiam  comitabantur,  in  publici  cubiculum  Scribae 
se  conjiciunt,  ubi  locum  idoneum  teneant.  Fores  con- 
cludunt  cubiculi,  neque  eas,  ubi  res  postulat,  aperire 
queunt;  ita  neque  sibi,  neque  suis  auxilio  esse.  At 
Caesar  ubi  titubantem  Salviatum  contemplatur,  dolum 
suspicatus,  lictores  ad  arma  concitat :  Salviatus  metu 
perturbatus,  e  cubiculo  se  proripit.  Ille  in  Jacobum 
Poggii  iilium  incidit,  eumque,  ut  est  homo  ingentis 
animi,  capillo  correptum  humi  deturbat,  custodibusque 
servandum  mandat :  mox  ad  summam  turrim  cum  Domi- 
norum  manu  festinus  evadit.  Ibi  quantum  in  se  est, 
correpto  e  culina  veru  (nam  id  ei  telum  metus,  atque  ira 
obtulerant)  fores  tuetur  ;  suam  atque  publicam  salutem 
magna  animi  praesentia  acerrime  defensat.  Idem  alii 
pro  se  quisque  viriliter  agunt. 

Crebrae  in  Florentina  curia  sunt  januae  :  Eae  a  lic- 
toribus  occlusae,  capita   conjuratomm  separant.     Ita  illi 

in 


APPENDIX.    NO  XXI.  135 

in  multos  diducti  rivulos  impetum  perdvnit.  luterea 
omnis  curia  intus  fremere,  paiicique  ex  civibus  co  con- 
venire. 

Jacobus  autem  Pactius,  ubi  spem  necandi  Laurentii 
se  fefellisse  intellexit,  baud  ignarus  quantum  sceleris 
in  se  admisisset,  utraque  palma  suam  ipse  faciem  ceci- 
xlerat.  Mox  dum  se  domum  corriperet  priusquam  de 
templo  egrederetur,  ad  terram  prae  angustia  conlapsus 
est.  Tandem  ubi  rem  in  angusto  esse  vidit,  fortunam 
periclitari  deliberans,  cum  paucis  ex  necessariis  recta 
in  forum  contendit  :  populum  ad  arma  convocat.  Ni- 
hil succedere  illi  ;  verum  omnes  hominem  scelestum, 
&  tum  prae  formidine  vix  sonum  vocis,  qui  exaudiretur, 
erumpentem,  contemptui  habere  facinusque  detestari. 
Is  ubi  nihil  in  populo  auxilii  videt,  trepidare,  animoque 
destitui. 

Qui  in  summam  curiae  arcem  receperant  se,  saxa 
ingentia,  telaque  in  Jacobum  jaculantur :  Homo  pavi- 
tans  domum  se  refert.  Eodem  &  Franciscus,  acceptis 
in  eo  tumultu  gravibus  vulneribus,  repente  confugerat. 

Interim  Laurentiani  curiam  recipiunt.  Perusini 
effracto  ostio  trucidantur :  Tum  8c  in  reliquos  saevi- 
tum.  Jacobum  Poggii  e  fenestris  suspendunt ;  Car- 
dinalem  comprehensum  magno  praesidio  in  curiam 
subducunt,  aegreque  hominem  a  populi  impetu  tuentur. 
Qui  eum  assectari  consueverant,  plerique  a  plebe 
occisi  ;  omnia  direpta,  cadavera  ipsa  foede  lacerata. 
Jam  ante  Laurentii  fores  caput  humanum  lanceae  prae- 
fixum,  jam  humeri  partem  adtulerant.  Nihil  tamen 
undique     magis     exaudiri    quam     populi    voces  :    Pilas^ 

Pllas  : 


136  APPENDIX.    NO  XXI. 

Pilas  ;    id    enim    Medicae   familiae   insigne   est,    clami- 
tantes. 

At  Jacobus  Pactius  desperatis  rebus  fuga  sibi  con- 
sulit :  portam,  quae  ad  Crucis  dicitur,  cum  armatorum 
manu  petit  ;   inde   erumpit. 

Interim  ad  Medicum  aedes  miro  studio,  miro  favore 
popidus  confluere  ;  proditores  ad  supplicium  flagitare ; 
iiulli  maledicto,  nullis  minis  parcere,  dum  ad  poenam 
sceleratos  rapi  cogerent.  Ibi  Jacobi  Pactii  domus  vix  a 
direptione  defensa,  Franciscus  nudus,  ac  saucius  ex  ipsis 
patrui  aedibus  a  Petro  Corsino,  qui  magna  clientum  manu 
stipatus  eo  accurrerat,  ad  laqueum  rapitur  pene  semi- 
vivus  :  non  enim  facile,  aut  pronum  erat  furenti  populo 
temperare.  Mox  8c  Pisanus  Praesul  ex  ea,  qua  & 
Franciscus  Pactius  fenestra  pendebat,  supra  ipsum  ex- 
animum  corpus  suspenditur.  Cum  dejiceretur  (id,  quod 
mirum  omnibus  visum  iri  arbitror)  nemini  tamen  igno- 
tum  eo  tempore  extitit,  sive  id  casus  aliquis,  seu  rabies 
dederit,  ipsum  illud  Francisci  cadaver  dentibus  invadit ; 
alteramque  ejus  mamillam  vel  cum  laqueo  suilocatus, 
apertis  furialiter  oculis  mordicus  detinebat.  Post  Iiunc 
Sc  duo  Jacobi  ex  Salviatorum  familia  laqueo  guttur 
franguntur.  Memini  me  tum  venire  in  forum  (nam 
domi  quieta  jam  res  erat)  ibique  multa  cadavera  foede 
lacerata  passim  videre  projecta  :  Multa  in  ea  populi  ludi- 
bria,  multae  detestationes. 

Erat  enim  Medica  domus  multis  causis  populo  grata. 
Tum  Juliani  caedem  detestari  omnes,  indignum  facinus 
clamitare.  Juvenem  egregium,  delicias  Florentinae 
juventutis,    per   scelus,     per  dolum,    ac   proditionem,    a 

quibus 


APPENDIX.  NO  XXI.  137 

quibus  minime  oportuit,  interemptum ;  familkim  im- 
potentem,  ac  sacrilegam,  Diis  hominibusque  infestam, 
tantum  facinus  perpetrasse.  Stimulabat  plebem  Sc 
memoria  recens  ejus  virtutis.  Nam  cum  paucis  ante 
annis  equestre  illud  cataphractorum  equitum  certamen 
celebraretur,  mira  virtus  Juliani  extiterat,  palmamque, 
&  spolia  domum  reportaverat ;  quae  res  magnopere 
Yulgi  animos  conciliat.  Ad  haec  8c  facinoris  indigni- 
tas  accedebat.  Neque  enim  quicquam  tarn  scelestum 
dici,  aut  excogitari  poterat,  quod  hujus  atrocitatem 
sceleris  adaequaret.  Fremebant  omnes,  Juvenem  pium, 
innocentem,  in  templo,  inter  aras,  Sc  sacra  crudeliter 
trucidatum  ;  violatum  hospitium,  violata  sacra,  pollu- 
tum  humano  sanguine  templum  :  Ipsum  autem  Lau- 
rentium,  in  quern  unum  Florentina  omnis  Respublica 
recumberet,  ipsum  ilium  Laurentium,  in  quo  spes 
omnes,  opesque  populi  sitae  forent,  ferro  petitum,  id 
vero   indignissimum    clamitabant. 

Jam  ex  omnibus  municipiis,  ut  quaeque  Urbi  proxi- 
ma  essent,  magna  vis  armatorum  in  forum,  in  trivia, 
in  INIedicam  praecipue  domum  confluere ;  ostentare 
pro  se  quisque  suum  studium  :  Gives  catervatim  cum 
liberis,  k  ciientibus  poiliceri  suam  oper?vm,  suas  vires, 
atque  opes :  omnes  ex  uno  Laurentio,  &  publicam,  Sc 
privatam  pendere  ipsorum  salutem,  dictitare.  Videre 
erat  continues  aliquot  dies,  undique  in  domum  Lau- 
rentianam  arma  convcbi,  importari  carnes,  8c  panes, 
quaeque  essent  victui  opportuna.  Ipse  Laurentius  non 
vuinere,  non  meiu,  non  dolore,  quern  ex  fratris  nece 
maximum  coeperat,  impediri  quo  minvis  rebus  suis 
prospiceret  :  preliensare  cives  omnes  ;  gratiam  st  sin- 
gulis 


138  APPENDIX.  NO  XXI. 

gulis  habere,  ipsis  omnibus  suam  dicere  salutem  re- 
ferre  acceptam ;  populo  sese  de  ipsius  salute  anxio, 
nonnunquam  e  fenestris  ostentare  :  Ibi  adclamare  om- 
nis  populus  ;  manus  ad  coelum  tollere  ;  gratulari  ejus 
saluti,  exultare  gaudio.  Ipse  rebus  omnibus  intentus 
agere,    neque  animo,    neque  consilio  destitui. 

Dum  haec  aguntur,  nuntiatum  est  Johannem  Fran- 
ciscum  Tollentinatem  Fori  Cornelii  praefectum  cum 
delecta  equitum  manu,  in  nostrum  agruna  ex  ipsis 
Fori  Cornelii  finibus  irrupisse.  Idem  mox  Sc  Tipher- 
natem  fecisse  Laurentium,  qua  parte  SenensJum  fines 
Florentinum  discriminant  agrum,  multorum  nunciis, 
litterisque  admonemur.  Turn  utcumque  a  nostris  pul- 
sum  domum  suam  recepisse  se.  Nocte  atra,  vigiliae 
per  urbem  dispositae  ;  domus  Laurentiana  diligenter 
custodita :  stationes  annatorum  in  quadriviis,  in  foro, 
tota  urbe.  Postridie  ejus  diei  Johannes  Bentivolus 
Bononiensis  eques,  suaeque  princeps  reipublicae,  vir 
multis  officiis  familiae  Medicum  conjunctissimus  in 
Mugellanum  cum  aliquot  equitum  turmis,  multisque 
peditum  cohortibus  auxilio  venerat.  Jamque  tota  urbs 
peditibus  oppleri  coepta.  Sed  veriti  octoviri,  quorum 
princeps  Dionysius  Puccius,  nequid  milites  praedae 
avidi  tumultuarentur,  delectis  qui  custodiae  urbis  prae- 
essent,  reliquos,  ut  primum  in  urbem  venerant,  suam 
quemque  domum,  aut  sicubi  usu  fore  decernerent,  re- 
gredi  jubent. 

Renatus  interim  Pactius,  qui  pridie  ejus  diei,  quo 
facinus  gestum  est,  in  Villam  Mugellanam  se  recepe- 
rat,  ibique  milites  cogebat,  cum  duobus  fratribus 
Joanne,     2c     Nicolao    captus    ducitur.        Guilielmi,    ac 

Francisci 


APPENDIX.  NO  XXI.  139 

Francisci  frater,  Joannes  Pactius,  in  horto  quodam  suae 
domui  contiguo  deprelienditur.  Qui  Jacobum  sequuti 
sunt,  ab  omnibus  jam  destitutum  in  Castaneo  Vico 
comprehendunt.  Qui  primus  hominem  adsequutus 
est,  is  fuit  Alexander  quidam  Agricola  annis  plurimum 
XX.  natus ;  ipse  homini  manum  injicit.  At  Jacobus 
septem  prolatis  aureis  obsecrare  rusticum  incipit,  uti 
se  neci  dedat  ;  neque  vero  id  homini  persuadet.  Ut 
vero  magis  hoc,  magisque  precibus  contendit,  a  fratre 
Alexandri  Scipione  verberatur.  Tum  intellexit  homo 
pavitans,  verum  esse  quod  dicitur :  Duciint  volentem. 
fata,  nolentem  trahunt,  Ibi  Florentiam  cum  praesidio 
octovirum,  ne  a  plebe  laniaretur,  in  curiam  prolatus, 
expressa  nullo  tormento  totius  facinoris  confessione, 
paucis  post  horis  laqueo  poenas  luit.  Hie  homo  jam 
letho  vicinus,  haudquaquam  sui  illius  rabidi  furiosique 
ingenii  obliviscitur  ?  manes  suos  adverso  Daemoni  de- 
dere  se  clamat.  Post  eum  8c  de  Renato  supplicium 
sumptum.  Reliqui  fratres  in  vincula  conjecti  :  Eorum 
minimus  natu  Galeottus,  impubes  adhuc  muUebri  stola 
amictus,  fugam  trepidus  moliebatur ;  ibi  agnitus  in 
eundem  carcerem  conjicitur :  Eodemque  haud  multo 
post  8c  Andream  Pactium  Renati  fratrem  ex  fuga  re- 
tractum  obtrudunt. 

Bandinus  fugitans  in  Tiphernatem  incidit,  a  quo 
in  aciem  receptus  Senas  pervasit.  Neapoleo  a  Petro 
Vespuccio  adjutus,  fuga  sibi  salutem  petiit.  Aliquot 
post  dies  8c  de  Joanne  Baptista  supplicium  sump- 
tum. 

Qui  Laurentium  percusserant  Antonius  Volaterra- 
nus,    8c   Stephanus,    in    Florentina  Abbatia  aliquot  dies 

latuere. 


140  APPENDIX.    NO  XXI. 

hituerc.  Id  ubi  rescituni,  continuo  gregatim  eo  po- 
pulus  convolut ;  vixqiie  ab  ipsis  monachis,  quod  relir 
gione  prohibit!,  iion  eos  indicassent,  manum  absti- 
nent ;  abreptos  sicarios  foede  la.cerant :  ibi  demuni 
mutilato  naso,  trimcis  auribus,  multis  colaphis  con- 
tusi,  ad  laqueum  post  confessionem  sceleris  rapiuntur. 
Praemia  deinde  publice  his  decreta,  ac  per  praeconem 
denunciata,  qui  Bandinum,  Sc  Neapoleonem  aut  oc- 
ciderent,  aut  viventes  agerent  captivos.  Guilielmus 
Pactius,  qui  affinitate  fretus  in  Laurentianam  domum 
confugerat,  una  cum  liberis  ejus  vigesimum  trans 
quintum  ab  urbe  lapidem  proscribitur.  Multae  prae- 
terea  insequutae  caedes,  atque  omnes  conscii  partim 
caesi,  partim  in  vinculis  habiti,  aut  proscripti  sunt. 

Romae  ubi  nunciatum  est,  maximus  dolor,  mira 
oninivim  de  Laurentii  incolumitate  exultatio. 

Funus  Juliano  magnifice  ductum,  Sc  justa  manibus 
in  Divi  Laurentii  templo  persoluta.  Pleraque  juventus 
western  mutavit.  Ipse  unde  viginti  vuhieribus  perfos- 
sus  erat.      Annos  vixerat  quinque  &  viginti. 

Ubi  rescitum  est  a  Petro  Vespuccio  Neapoleonem 
adjutum,  continuo  &  ipsum  capiunt.  Hie  homo  pro- 
digus  jam  inde  a  pueritia  bona  paterna  dilapidaverat : 
quamobrem  &  hereditatis  jure  parentis  testamento 
n\ox  cecidit.  Domi  erat  illi  summa  inopia,  foris 
grande  aes  alienum  :  quare  Sc  praesenti  republica  of- 
fendebatur,  Sc  re  rum  novarum  cupiens  erat.  Atque 
is,  ut  primum  Juliani  caedes  patrata  est,  coepit,  ut 
erant  hominis  subita,    ac  repentina   consilia,    Pactiorum 

facinus 


APPENDIX.    N'^  XXT.  141 

fticiniis  verbis  adtollere  :  Mox,  lit  omnem  populum, 
omnes  cives  videt  a  Laurentio  stare,  confestim  se  ad 
diripiendam  Pactiorum  domum  corripuit ;  nactusque 
praedam  inhiantes  milites  parum  abfuit  (nisi  Petrus 
Corsinus  egregius  juvenis  ejus  ferociae  occurrisset) 
quill  civitatem  omnem,  bona,  fortunasciue  civium  in 
summum  periculum  adduceret ;  adeo  homo  praeceps 
ac  furiosus,  populum,  militesque  omnes  ad  pmedam 
animaverat.  Demum  Sc  ipse  in  carcerem  conjectus, 
&  Marcus  filius,  ad  quintum  ab  urbe  lapidem  pro- 
se riptus.  , 

Paucis  post  diebus  cum  juges  pluviae  essent  inse- 
quutae,  rcpente  ex  omnibus  agris  magna  vis  hominum 
in  urbem  confluit.  Nefas  esse  clamitant  Jacobi  Pactii 
corpus  in  sacro  conditum.  Ideo  tandiu  perpluisse, 
quod  hominem  nefarium,  &c  qui  ne  in  morte  quidem 
religionis  ullam,  aut  Dei,  rationem  habuerit,  contra 
jus,  fasque  in  templo  condiderint.  Officere  id  (quae 
vetus  est  rusticorum  superstitio)  lactentibus  adhuc  frvi- 
mentis  ;  idem  Sc  plebs  omnis,  ut  in  tali  re  assolet, 
passim  dictitare.  Mox  vero  ad  ipsum  sepulcri  locum 
conveniunt  frequentes,  effossumque  hominis  cadaver, 
in  pomerio  defodiunt  :  Statimque  foedatus  nubibus 
aer  (adeo  plebis  opinioni  fortuna  favel)at)  Solis  fulgo- 
rem  coepit  ostendere. 

Postridie  ejus  diei,  id  quod  iTionstri  simile  visum 
est,  puerorum  ingens  multitude,  velut  quibusdam  fu- 
riarum  arcanis  facibus  accensa,  conditum  rursus  ca- 
daver eflbdiunt  ;  prohibentem  ncscio  quem,  parum 
abfuit,  quin  lapidibus  necarent.  Eiim,  quo  fuerat 
VOL.  III.  T^  smTocatus 


142  APPENDIX.    N^  XXI. 

suffocatus  laqueo  adpreheiidunt,  multis  convitiis  ac 
ludibriis  per  omnes  urbis  vicos  raptant.  Alii  enim 
perridiculum  praeeuntes,  decedere  viae  obvios  jubere, 
quod  se  equitem  insignem  dicerent  adducere  ;  alii  ba- 
culis,  stimulisque  increpitantes  monere  hominem,  ne 
praestolantibus  se  in  foro  civibus  esset  in  mora  :  Mox 
ad  suas  adductum  aedes,  januam  capite  pulsare  subi- 
gunt,  simul  exclamant  :  ecquis  intus  familiarium  sit, 
ccquis  redeuntem  magno  comitatu  domum  excipiat. 
In  forum  venire  prohibiti,  ad  Arni  flumen  contendunt, 
eoque  cadaver  abjiciunt.  Id  cum  supernataret,  magna 
vis  rusticorum  convitia  fundentes  subsequebantur. 
Unde  Sc  quidam  non  irridicule  dixisse  fertur ;  fuisse 
illi  omnia  ex  sententia  successura,  si  quern  extinctus 
habuit  populi  comitatum,  Sc  vivens  habuisset. 

Multa  praeterea  jocularia  carmina  in  Jacobi  Pactii 
contumeliam,  inque  omnium  conjuratorum  detestatio- 
nem  passim  per  urbem  a  pueris  cantitata ;  multi  un- 
dique  famosi  libelli  in  eosdem  conscripti. 

Bona  eorum  in  publicum  adducta  ;  factumque  Se- 
tt atusconsultum  ne  quis  post  earn  diem  ejus  nomen 
familiae  usurparet ;  ne  qua  usquam  Pactiorum  insignia 
remanerent :  neve  quis  nostra  in  Rep.  affinitatem  cum 
ipsis  contraheret :  qui  contra  faceret,  eum  contra 
Remp.  contraque  Senatus  auctoritatem  facere. 

Ex  hac  tanta  rerum  commutatione,  saepe  ego  de 
humanae  ibrtunae  instabiiitate  sum  admonitus,  maxi- 
meque  admiratus  incredibilem  omnium  de  Juliani  in- 
teritu  dolorem.  Cujus  quae  forma  corporis,  quive  ha- 
bitus,     qui  mores     fuerint,    paucis     absolvam.      Statura 

fuit 


APPENDIX.    NO  XXL  US 

fuit  procera,    quadrate    corpore,     magno,    8c  prominenti 

pectore ;    teretibus,   ac   musculosis   brachiis,    valicUs    ar- 

ticulis,    compressa    alvo,    amplis     femoribus,    suris     ali- 

quanto  plenioribus,   vegetis,  nigrisque   oculis,  acri  visu, 

subnigro    colore,     multa    coma,    capillo    nigro,    Sc    pro- 

misso,   atque    in    occiput    a    fronte    rejecto  :    equitandi, 

jaculandique  gnarus :    saltu   et   palaestra  excellens :    ve- 

natu  mirum  in  modum  delectari  solitus :  vigiliae,  atque 

inediae    juxta    patiens :     potionis    adeo    exiguae,    ut    ea 

aliquando   vel  integrum  diem  sponte  abstinuerit.     Mag- 

ni    erat    animi  ;     maximae    constantiae  ;     religionis,    & 

bonorum    niorum   cultor ;    picturam    maxime    amplecte- 

batur,     &    musicam,    atque    omne    munditiarum  genus : 

ingenio    erat  ad   Poesin    non   inepto.     Scripsit    nonnulla 

Etrusca   carmina,   mire    gravia,    Sc    sententiarum   plena : 

amatoria   carmina   libens    lectitabat.     Facundus   erat,    8c 

prudens,   minime    tamen    promptus.     Idem  8c   urbanita- 

tum   mirus   amator,    Sc   ipse    non    inurbanus  :   mendaces 

magnopere    oderat,    Sc     injuriarum    memores.     In   cultu 

corporis    mediocris  ;     mire     vero    elegans,     Sc     lautus. 

Gravis    decorusque    erat    ejus    incessus  ;    atque    omnino 

dignitatis  plenus.     Obsequii    erat  multi,  multae    huma- 

nitatis.     Magnae    in    fratem    pietatis,    atque      observan- 

tiae  ;  magni   roboris,   et   virtutis.     Haec  ilia,   atque    alia 

chainim    populo,    charum    suis,     dum    vixit,     reddebant. 

Haec   eadem  nobis  omnibus  luctuosam   egregii  Juvenis, 

atque  acerbissimam  memoriam  relinquunt.    Deum  tamen 

optimum,    maximumque  ne  prohibeat  precamur  : 

Hunc  saltern  everso  Juvencm  succunere  sciifclo. 

Anno  MCCCCLXXVIII. 


144  APPENDIX.  N*^  XXII. 


NO  XXII. 

Jacopo  dc''  Pazzi  Laurmtio  Medici  Floreyitiae, 

JVIaGNIFICO  Lorenzo.  lo  mi  raccomando  sempre 
alia  tua  buona  gratia.  Sono  avixato  del  nuovo  ordiiie 
della  gravezza  preso,  e  della  electione  degli  uomini,  la 
qualcosa  io  lode  e  commendo,  non  volendo  eiitrare  in 
niiova  distributione,  che  havesse  a  dare  lungo  travaglio 
alia  citta.  Cosi  sono  informato  da  quel  di  casa  haverli 
parlato  del  caso  mio,  e  risposta  tua  essere  stata  tanto 
gratiosa  e  benigna,  quanto  dire  si  puo  ;  il  che,  non  che 
mi  sia  facile  a  crederlo,  ma  mil  tengo  per  decto  per 
molti  rispecti,  maxime  considerando  alle  tue  supreme 
virtu  e  bonta,  sapiendo  tu  essere  informato  in  buona 
parte  de'  danni  grandi  ricevuti  e  del  disordine  e  travag- 
lio grande  in  che  mi  trovo,  che  e  di  qualita,  chel  caso 
mio  non  ha  bisogno  ns  di  piagha  ne  di  scarpello,  ma 
di  pichoni ;  e  pero  ti  prego  strettissimamente,  Magni- 
fico  Lorenzo  mio,  tu  voglia  essere  contento  volermi 
havere  per  raccomandato,  e  mettermi  nel  numero 
delle  tue  prime  spetialita  in  forma,  che  io  possa  stare  a 
Firenze,  che  se  Dio  m'  ajuti,  se  la  necessita  non  mi 
stringnesse,  mi  verghognerei  a  supplicarti  o  richiederti 
di  quello  non  fusse  la  verita,  o  che  t'  avesse  a  dare 
alchuno  charicho.  In  effecto  ogni  mia  fede  e  speranza 
e  in  te,  e  sapiendo  io  che  le  parole  teco  sono  superfine, 
faro  sanza  piu,  dire  raccommandandomi  di  nuovo  a  te, 
che  Iddio  in  felicissimo  stato  ti  conservi.  In  Avignone 
a  di  21,  di  Diccmhrc  14  7,4. 


APPENDIX.  NO  XXII.  145 


Idem, 

Magnifico    Lorenzo.     lo    mi    raccommando    sempre 
alia  tua  buona   gratia.     Sono  avisato  della  tua  valetudine 
per    lo  Dio   gratia,   e    mediante   1'   acqua   della   Poretta, 
essere  sanza  piii  dubio  di    febre,  e   ne  se  ito   a  Pisa  per* 
pigliare   aria,  di    che    ricevo  singularissimo  piacere,  &  a 
Dio  piaccia  in   buona  felicita   lungo  tempo   prosperarti. 
Intendo  al  si  del  nuovo   ordine  di   gravezza,  e  electione 
degli   huomeni ;   il   che   lodo   e  commendo,  non   volendo 
maxime     intrare     in     niiova    gravezza,    che     havesse    a 
dare   maggiore     confusione  alia   citta.     Per  lo  simile  mi 
dicevono  quei  di    casa   haverti   parlato  del  caso  mio,  e  la 
risposta  tua   non   potrebbe    essere  stata  piu  amorevole  ne 
piu   gratiosa,  di   che   mi   rendono  certissimo  per  infiniti 
rispecti,     maxime    sendo  tu    informato   in   buona    parte 
del  disordine   e  travaglio   in  che  mi  triiovo.     II  perche  ti 
priego,   Magnifico   Lorenzo  mio,  ti   voglia  placare,  met- 
termi  nel  numero  dei  principali,  Sc  chi  tu  abbi  a  prestare 
il  f^vore  tuo,  e  volere   che  io  possa  riputarmi  per  Dio  & 
per  te  potere  stare  a  Firenze.     Certificandoti,  che  il  caso 
mio  non  ha  bisogno  di   pialla,  ma  di  grosso  pichone.     E 
piacessi  a  Dio  non   dicessi  il  vero,  come  dico.     Ma  sapi- 
endo  io,  che  teco  mi  bisogni  spendere  poche  parole,  faro 
sanza  piu   dirti,  se  non  di  nuovo  pregarti  tu  mi  vogli  iix 
detto  numero  porre  :   che   I'Altissimo  in   felicita  ti  salvi. 
In  Avignone  a  di  23.  Dicembre  1474. 


^146  APPENDIX.  NO  XXIII. 


NO  XXIII. 
Ex  Codice  170.  Provisionum  Reifiublicae  Florentinae, 

In  Dei  nomine  Amen,  anno  Incarnationis  Domini 
nostri  Jesu  Christi  millesimo  quadringentesimo  septua- 
gesimo  octavo  Indictione  XI.  die  vigesimo  tertio  men- 
sis  Maii,  in  Consilio  populi  civitatis  Florentiae  mandato 
Magnificorum  &  Excelsorum  Dominorum  Dominorum 
Priorum  Libertatis  Sc  Vexilliferi  Justitiae  populi  Floren- 
tini,  &c. 

Novum  Sc  omnibus  saeculis  pene  inauditum  scelus 
in  pernitiem  Reipublicae  Florentinae  plures  annos  ma- 
chinatum,  &  jam  prope  peractum  proximis  diebus 
cuncti  cognovistis.  Conjurarunt  enim  in  patriam,  Pac- 
tii,  &  Salviatus  Pisanus  Archiepiscopus  in  primis, 
Sc  externi  fautores  nonnulii,  qui  nulla  reiigione  prae- 
diti,  rerum  novarum  cupidi,  8c  ambitione  maxime 
ducti  foeda  crudeliaque  in  cives  facinora  fecere,  ma- 
jora  Sc  molituri.  Nam  assueti  privatim  Sc  publice" 
omnia  rapere,  delubra  spoliarcj  sacra  profanaque  om- 
nia polluere,  summo  quidem  Magistratui  tendere  insi- 
dias  per  Archiepiscopum  non  dubitarunt,  opportuna 
loca  armatis  militibus  obsederunt ;  ipsi  cum  telis  erant 
intenti  paratique  ad  omne  facinus,  nihil  magis  quam 
tempus  rei  gerendae  spectantes,  nullis  neque  vigiliis, 
neque  laboribus  fatigati  :  tandem  V.  Kal.  Maii  in  Ba- 
silica Virginis  Matris  post  Eucharistiae  consecrationem, 
assistente  Cardinal!,  quem  cum  dicto  Archiepiscopo  8c 
primoribus  civibus,  8c  nonnullis  ex  conjuratis,  Lauren- 
tius  8c   Jullraius   Medices   eo   die    lautissime   ac   magni- 

ficentissime 


''  APPENDIX.  NO  XXIII.  X^n 

ficentissime  convivio  erant  accepturi,  ausi  sunt  Pactii 
optimos  cives  affines  suos  &  de  Republica  optime  me- 
ritos  armis  impetere  plurimis  satellitibus  nequissimia 
ac  perditis  hominibus  constipati,  Sc  occidere  sunt  eos 
enixi.  Non  successit  res  ad  votum.  Evasit  enim  illo- 
rum  manus  quamvis  saucius  Laurentius,  lumen  civita- 
tis  nostrae,  vivitque  incolumis,  Deoque  vindice,  cae- 
des,  quam  aliis  Reipublicae  malo  paraverant,  in  necis 
auctores  magistrosque  conversa  est.  Maxima  profecto 
gratia  est  habenda  Deo,  quando  referri  non  potest,  qui 
misericorditer,  non  severe  nobiscum  agens,  nobis  hunc 
optimum  virum  clementissimum  Sc  Reipublicae  conser- 
vavit,  cujus  salus  ex  illius  viri  salute  pendebat,  eo 
praesertim  tempore  :  quippe  tantum  luminis  Sc  gratiae 
cunctis  civibus  infudit,  ut  cum  primum  scelus  inno- 
tuit,  armati  omnis  ordinis  aetatisque  ad  tutandam 
patriae  libertatem,  Sc  Reipublicae  dignitatem  conser- 
vandam  subito  accurrerint,  Palatium  receperint,  loca 
opportuna  urbis  armatis  complerint,  cuncta  communie- 
rint.  O  mira  adversus  patriam  caritas,  o  ineffabilis 
Dei  misericordia,  cujus  nutu  incruenta  fuit  victoria ! 
Nullus  (mirabile  dictu  !)  vulnus  accepit,  exceptis  tan- 
tum  parricidis,  eorumque  satellitibus.  Cuncti  fere 
sontes  eodem  die  poenam,  fracta  laqueo  gula,  dederunt, 
vel  capti  venere  in  potestatem  Magistratus,  cui  curae 
fuit,  ne  quid  Respviblica  detrimenti  caperet.  Ita  Deo 
volente  proceres  urbis  experrecti  Rempublicam  capes- 
senmt,  libertatem  Sc  civium  animas,  quae  in  dubio 
erant,  vigil  ando  Sc  bene  consulendo  conservarunt. 
Conjurati  vero,  nullo  adhibito  tormento,  confessi,  sese 
caedem,  status  mutationem,  aliaque  foeda  atque  cru- 
delia  facinora  in  cives  patriamque  paravisse,  militum 
manus    locis  opportiuiis,    unde  celeriter  adesse  possent, 

non 


148  APPENDIX.  NO  XXIIL 

non  sine  magnis  sumptibus,  £c  suis,  8c  externorum 
faiitorum  disposuisse  (8c  jam  adventabant  hostes)  prope 
parem  sceleri  exitum  invenerunt.  Spectavitque  popu- 
lus  frequens  eorum  suppliciiim,  partimque  gaudio  8c 
laetitia  gestiebat)  sontes  suspend!  cernens,  partim  luctu 
8c  moerore  tenebatur,  recordatus  acerbi  crudelissimi- 
qiie  casus  optimi  8c  gratiosi  Juliani  civis  sui.  Visa 
est  eo  tempore  Florentina  Respublica  multo  magis 
miserabilis.  Mirabantur  cum  tam  late  propagati  fines 
essent  imperii,  domique  otium  ac  divitiae  abunde  es- 
sent,  quae  prima  mortales  putant,  inventos  esse  cives 
rebus  omnibus  affluentes,  qui  se  remque  publicam  ob- 
stinatis  animis  perditum  irent.  Haec  omnia  repetentes 
tristi  animo  Magnifici  8c  Excelsi  Domini  D.  P.  Liber- 
tatis  8c  Vexillifer  Justitiae  populi  Florentini  primorum 
civium  judicio  8c  suo  censuerunt  indignum  esse  pati 
illorum  memoriam  extare,  qui  iibcrtatem  patriae  op- 
pugnaverunt,  8c  in  eo  luerunt,  ut  Florentinum  nomen 
extinguerunt.  Immo  sanciendum  lege  fore,  ut  Pactio- 
rum  insignia,  nomenque  decusque  privatim  8c  publice 
supprimatur  8c  extinguatur,  nee  nisi  per  ignominiam, 
cum  de  parricidis  Sc  conjuratis  in  patriam  meminisse 
oportuerit,  memorentur.  Ideo  habita  primo  super 
infrascriptis  omnibus  8c  singulis  die  22.  mensis  Mail 
an.  Domini  1478.  indictione  XI.  inter  se  ipsos  Domi- 
nos  Priores  8c  Vexilliferuni  Justitiae  in  sufficienti  nu- 
mero  congregates  in  Palatio  populi  Florentini  delibe- 
ratione  solemni,  8c  inter  eosdem  facto  solemni  8c  se- 
creto    scruptinio    8c    misso    partito    ad    fabas     nigras    8c 

albas providerunt,    ordinaverunt,    8c  deliberave- 

Yunt,  quod  insignia  Pactiorum,  quae  nostri  arma  do- 
mus  appellant,  ubicumque  sculpta,  ficta,  caelata,  vel 
picta  reperiuntur  in  locis   publicis^seu   sacris,  seu  pro- 

fanis. 


APPENDIX.  NO  XXIII.  149 

faliis,  dejiciantur,  tollantiir,  eoque  loco  signa  populi 
Florentini  iigantur,  pingantur,  aptentur ;  ubi  vero  in 
aliis  essent  locis,  penitus  deleantur,  supponanturque 
illorum  insignia,  quorum  talia  loca  fient.  Quanm  rem. 
cum  primum  licebit,  eritque  otium,  rebellium  Offiti- 
ales  curent  effici.  Quadrivium  autem  sive  angulus 
Pactiorum  non  ita  amplius  nominetur,  verum,  mutato 
liomine,  nuncupetur,  uti  Priores  Libertatis  Sc  Vexil- 
lifer  Justitiae  instituerint  atque  declaraverint.  Si  quis 
deinde  decreti  negligens  aut  temere  pristino  vocabulo 
nominaverit,  ad  arbitrium  Octovirorum  custodiae  civi- 
tates  mulctetur.  Currus  ignis  sacri,  qui  ad  Pactiorum 
aedes  omnibus  annis  per  urbem  duci  consuevit  a  tem- 
plo  D.  Jo.  Baptistae  Sabati  S.  die  non  fiat  amplius, 
sed  provideant  Consules  callis  mali,  ut  eo  die  quo- 
tannis  idem  ad  templum  ante  fores  loco  aperto  8c  com- 
modo  is  adsit  ignis,  ita  ut  inde  sumi  a  volentibus 
possit,  8c  Pactiorum  decus,  non  mos  sublatus  videa- 
tur.  Si  qua  alia  restant,  quae  ad  Pactiorum  decvis 
spectent,  quaeque  ad  eorum  honorem  fieri  consuerint, 
cuncta  ex  nostrorum  hominurai  memoria  deleantur  8c 
sint  extincta,  idque  curent  Octoviri. 

Quicumque  superant  ex  ipsa  familia,  Sc  quot  quot 
ejus  nominis  sunt,  intra  Florentini  fines  imperii  de- 
beant  intra  bimestre  tempus,  quot  quot  autem  extra 
eos  fines  reperiuntur,  saltem  intra  sex  menses  proxi- 
mos,  mutasse  signa  sive  arma,  &c  nomen  domus,  quo- 
modo  sibi  quisque  voluerit,  idque  significari  ac  notum 
fieri  curasse  intra  dicta  temporum  spatia  Octoviris, 
aut  eorum  Scribae,  atque  ita  in  eorum  libro,  in  quo 
apud  eos  Sc  relegati  et  rebelles  descripti  sunt,  de  prae- 
dictis  diligens  fiat  scriptura,  8c  nova  familiae  nomina 
VOL.  III.  X  signaque 


150  APPENDIX.    NO  XXIII. 

signaque  siimpta  notentur,  curentque  Octoviri,  ut  nota 
sint  haec,  uti  convenientius  judicarint,  ne  hoc  ignorent 
hi,  ad  quos  spectare  potest ;  ex  iis  Pactiis  quicumque 
haec  neglexerit,  sed  post  factam  talem  commutationem, 
ea  non  observaverit,  ipso  facto  rebellis  intelligatur, 
absque  alia  solemnitate  servanda.  Praeterea  nulli  sculp- 
toi'um,  pictorum,  aurificum,  fusorum,  fictorum,  aut 
aliorum  opificum  liceat  in  jurlsdictione  populi  Floren- 
tini  sculpere,  caelare,  pingere  aut  facere  aliquo  loco, 
vase,  panno,  vel  re  Pactiorum  insignia  sive  anna ;  sed 
omnes  homines,  qui  ea  domi  quoquo  more  vel  loco 
haberent,  delevisse  aut  mutasse  oporteat  saltern  intra 
quatuor  menses  proxime  futuros  post  conclusionem 
praesentis  provisionis  ;  sub  poena  florenorum  quin- 
quaginta  largorum  cuilibet  contrafacienti  aut  praedicta 
non  observanti  auferenda,  &  Communi  Florentiae  ap- 
plicanda,  pro  qua  sint  supposita  Officio  ac  Magistratui 
Octovirorum.  Eandem  quoque  poenam  incurrat  qui- 
cumque faciet,  aut  fieri  curaret,  vel  uteretur  aliqua  re 
de  vetitis  supradictis,  Sc  ob  earn  poenam  sit  suppositus 
ut  supra,  &  semper  notificator  lucretur  quartam  par- 
tem ;  Sc  insuper  quicumque  capiet  uxorem  natam  seu 
nascituram  per  lineam  masculinam  ab  aliquo  descen- 
denti  per  lineam  masculinam  Domini  seu  a  Domino 
Andrea  Guglielmini  de  Pazzis,  vel  nuptui  traderet 
cuipiam  ex  talibus  descendentibus  aliquam  suam  filiam^ 
intelligatur  ipso  facto,  £c  ipsemet  8c  omnes  sui  des- 
cendentes  per  lineam  masculinam  admonitus  in  per- 
petuum,  privatusque  omnibus  officiis  Sc  dignitatibus 
tum  Communis,  turn  pro  Communi  Florentiae,  ac  sic 
pcrpetuo  observetur.  Intelligatur  autem  contrafacere 
seu  contrafecisse  huic  capitulo,  quo-ad  uxorem  capien- 
dam  maritus   tantum,    Sc  ipsi   Sc  suis   descendentibus,  sit 

apposita 


APPENDIX.  NO  XXIII.  151 

apposita  dicta  poena.  In  locanda  autem  &  in  matri- 
monium  tradenda  aliqua  puella  vel  foemina  cuipiam 
ex  talibus  descendentibus,  sit  poena  apposita  &  prae- 
judicia  supradicta :  praedicta  omnia  8c  singula  sane  & 
recte  intelligendo,  &  referendo  cuilibet  personae  ac  rei 
quantum  &  quomodo  congruit  convenitque. 

Qua  Provisione  lecta  &  recitata,  ut  supradictum 
est,  Magnificus  vir  Jacobus  Domini  Alexandri  de 
Alexandris  Vexillifer  Justitiae  8c  tunc  Praepositus 
dicti  Officii  de  voluntate,  consilio,  et  consensu  suorum 
collegarum  in  dicto  Consilio  praesentium  in  numero 
opportuno  proposuit  earn,  8c  contenta  in  ea  inter  Con- 
siliarios  dicti  Consilii,  Sc  super  ea  Consiliariorum  ro- 
gata  sententia,  Sec. 


NO  XXIV. 

LUIGI fier  la  gratia  di  Dio  Re  di  Francia, 

C/ARISSIMI  8c  grandi  amici.  Noi  abbiamo  di  pre- 
sente  saputo  el  grande  8c  inhumano  oltraggio,  oppro- 
brio,  ingiuria,  che,  non  e  molto,  furono  facti  tanto  a 
Vostre  Signorie,  come  alle  persone  de  nostri  carissimi 
8c  amati  cugini  Lorenzo  8c  Giuliano  de'  Medici,  8c  a 
loro  amici  8c  parent!,  servidori  8c  allegati  per  quegli 
del  Bancho  8c  delle  alleganze  de'  Fazzi  ;  Sc  cost  la 
morte  del  nostro  decto  cugino  Giuliano  de'  Medici, 
donde  noi  siamo  stati  8c  siamo  cosi  dolenti  come  di 
cosa,  che  ci  potessi  advenire  ;  Sc  percio  die  lo  honore 
vostro    8c   il  nostro  ve   stato    tanto  grandemente  effeso ; 

Sc  per- 


152  APPENDIX.  NO  XXIV. 

Sc  perche  e  Medici  sono  nostri  parenti,  amici  8c  colle- 
gati,  Sc  perche  noi  reputiamo  el  decto  oltraggio  8c  la 
morte  del  decto  nostro  cugino  Giuliano  essere  di  tale 
effecto,  che  se  fusse  fatto  Sc  commesso  nella  nostra 
propria  persona,  Sc  per  questo  tutti  e  decti  Pazzi  cri- 
minosi  laesae  Majestatis  ;  noi  che  per  niente  vorremo 
sofferire,  che  la  cosa  restasse  impimita,  ma  desideriamo 
de  tucto  nostro  cuore  ne  sia  facto  punitione  Sc  correc- 
tione  per  exemplo  di  tutti  gli  altri.  Et  habbiamo  pen- 
sato  di  mandare  verso  Vostre  Signorie  il  nostro  amato 
e  fedele  Consigliere  Sc  Cameriere  el  Signore  d'Argen- 
tona  Siniscalco  del  nostro  paese  de  Poetous,  che  e  oggi 
uno  degli  uomini  che  noi  habbiamo,  nel  quale  habbi- 
amo maggior  fidanza,  per  farvi  sapere  bene  a  lungo 
la  nostra  intentione,  che  vi  dira  Sc  exporra  piu 
cose  toccanti  questa  materia.  Preghiam  voi  che  di 
tucto  quello  vi  dira  da  nostra  parte,  che  gli  vogliate 
credere,  Sc  prestargli  altrettanta  fede,  quanta  voi  fa- 
reste  alia  nostra  propria  persona,  perche  con  questa 
intentione  ve  lo  mandiamo.  Pregando  Iddio,  carissimi 
Sc  grandi  amici,  che  vi  tenga  in  sua  guardia.  Dat.  12.. 
Maii  1478.  ^ 

Laur,  Med,  Ludovico  Francia  Regi, 

Serenissime  Reg  Sc  Domine  mi  singularissime. 
Litterae  Majestatis  Vestrae,  quas  ilia  ad  me  super  in- 
felici  nostro  casu  dignata  est  scribere,  incredibilem 
quemdam  in  me  amorem  Sc  paternam  charitatem  prae 
se  ferunt  ;  nam  Sc  quam  ipsa  acerbe  calamitatem  nos- 
tram  tulerit,  Sc  quam  egregio  in  nos  animo  sit,  facile 
lis  litteris  certior  sum  factus.  Quod  si  velim  nunc  ei 
gratias    pro    merito    agere,    ineptus    profecto,    tantique 

beneficii 


APPENDIX.  NO  XXIV.  153 

beneficii  ignarus  sim  judicandus.  Tanta  enim  amoris 
benevolentiaeque  significatio  in  humilem  servuluni  a 
Regia  Majestate  profecta  nullis  certe  aut  rebus  aut 
verbis  nostris  pensari  potest.  Est  tamen  magnanimi- 
tatis  Regiae,  vestraeque  praesertim  animum  hunc 
meum     fide     plenum    saltern    pignoris,     aut    arrhabonis 

loco     accipere.       Rcsiduuiii    nostri     dehiti    speramus    Ma- 

jestati  Vestrae  Deum  saltern  persoluturum.  Quod 
autem  tarn  sapienter  vestra  eadem  Majestas  me  conso- 
latur,  ut  tantam  calamitatem  forti  animo  fcram,  sic 
pro  certo  habeat  me  non  tarn  hoc  tempore  meam  ipsius 
vicem,  quam  Christiani  nominis  indignitatem  dolere  ; 
unde  enim  maximum  auxilium  mihi  in  tam  acerbo  casu 
sperabam,  in  eo  potissimum  totius  mali  caput  fontemque 
deprehendo.  Nam  8c  sese  unum,  multis  praesentibus, 
fateri  ultro  est  ausus,  ejus  facinoris  caussam  extitisse,  & 
in  me  meosque  filiolos,  successores,  com.piices  Sc  bene- 
volos  excommvmicationem  iniquissimam  promulgavit. 
Nee  contentus  eo,  etiam  arma  contra  banc  Rempubli- 
cam  parat,  etiam  Ferdinandum  Regem  in  nos  concita- 
vit,  etiam  Ferdinandi  primogenitum  cum  magna  mili- 
tum  muititudine,  cum  infestis  armis  contra  banc  Rem- 
publicam  venire  compulit,  ut  quos  dolo  &  fraude  non 
penitus  delevit,  vi  £c  armis  dekat.  Ego  enim  mihi 
sum  conscius,  Deus  autem  testis  adest,  nihil  me  com- 
misisse  contra  Pontificem  nisi  quod  vivam,  quod  me 
interfici  non  sim  passus,  quod  Omnipotentis  Dei  gra- 
tia me  protexerit ;  hoc  meum  est  peccatum,  hoc  scelus, 
ob  hoc  unum  exterminari  cxcommusiicarique  sum  me- 
ritus.  Deum  tamen  optimum  cordium  scrutatorem, 
justissimum  judicem,  meae  innoctiitiae  testem,  minime 
permissurum  credo,  ut  quem  iilemet  inter  suas  aras  8c 
sacra,   ante  sui  corporis  sacramentum,  a  sacrilegis   illis, 

non 


154  APPENDIX.  NO  XXIV. 

non  ab  hac  etiam  injustissima  calumnia  defensum  velit. 
Nobiscum  faciunt  Canonicae  leges,  nobiscum  jus  na- 
turale  &  politicum,  nobiscum  Veritas  &  innocentia, 
nobiscum  Deus  atque  homines  sunt :  ille  haec  omnia 
nno  tempore  violat,  8c  nos  secum  volutari  percupit. 
Haec  ego  ad  Majestatem  vestram  tanquam  ad  pium 
parentem  scribenda  dccrpvl,  a  qua  procul  diibio  propter 
suam  bonitatem,  innocentiam,  animique  magnitudinem 
multum  auxilii,  multum  favoris  ac  praesidii,  ubi  opus 
fuerit,  expectamus :  Neminem  enim  bonum  passurum 
arbitramur,  ut  qui  se  in  haec  facinora  praecipitem 
jaciat,  in  idem  secum  praecipitium  &  Christianum  no- 
men  protrahat.  Valeat  V.  S.  M.  cui  me  semper 
humillime   commendo.       Florentiae  die   19.  Junii   1478. 

Laur,  Med,  Hispaniaruin  Regi, 

Serenissime  &:  Excellentissime  Domine  mi  rex  :  post 
humilem  commendationem,  Sec.  Nunciatum  mihi  est 
superioribus  diebus  Majestatem  vestram  in  acerbissimo 
illo  tempore,  quo  mihi  dulcissimus  frater  mens  Julianus 
tam  crudeliter  in  medio  templo  ereptus  est,  ego  vul- 
nere  petitus  sum,  scripsisse  ad  me  quasdam  litteras  ple- 
nas  amoris  &  charitatis ;  quae  tamen  nescio  qua  caussa 
mihi  redditae  non  fuerunt.  Atque  utinam  redditae  forent  ! 
Mirifice  enim  tanti  Regis  commotio  dolorem  ilium  re- 
centem  adhuc  meum,  qui  me  pene  obruit,  lenisset.  Quod 
si  vei  tunc  saltem  8c  a  Maj estate  vestra  missas,  Sc  in 
itinere  detentas  scivissem,  non  mediocri  mihi  solatio 
£c  hoc  ipsum  extitisset.  Egissemque  jam  tunc  gratias 
Majestati  vestrae  pro  sua  hac  tam  egregii  in  me  animi 
significatione  :  £c  nunc  profecto  quam  maximas  possum 
ago,    meque    ipsi    magnopere  devinctum    obligatumque 

profiteor. 


APPENDIX.  NO  XXIV.  155 

profiteer.  Neque  quicquam  malim  hoc  tempore,  qiiam 
dari  occasionem  mihi,  qua  meam  erga  Majestatem  ves- 
tram  devotionem  aliquo  argumento  ostendere  possim. 
Sed  cum  non  ipsae  modo  litterae,  sed  vel  nutus  tanti 
Regis  omnes  meas  superet  vires,  quando,  re  ipsa,  mihi 
nequeo  satisfacere,  animo  certe  meo  vestrae  semper 
Majestati  devotissimio  uberrime  mihi  satisfaciam.  Com- 
mendo  autem  me  semper  Majestati  Vestrae,  Domine  mi 
Rex,  eamque  rogo,  ut  me  sub  umbra  alarum  suarum 
accipiat.  Res  nostras  Majestati  vestrae  scio  esse  notissi- 
mas.  Nos  quantam  possumus  ad  bellum  accingimur, 
damusque  operam,  ut  viribus  saltem  hostium  resistamus. 
Et  resistemus  procul  dubio,  ut  spero  ;  nam  Sc  ipsi  nobis 
non  desumus,  8c  affuturum  Deum  meliori  caussae  spera- 
mus.  Iterum  me  Vestrae  Serenissimae  Majestati  com- 
mendo,  quam  Deus  perpetuo  felicissimam  conservet. 
Florentiae  die  3.  Aprilis  1479.  Ejusdem  Serenissimae 
Majestatis  Vestrae 

Devotissimus  Servitor 

Laurentius  de'  Medicis. 


NO  XXV, 


llUJUS  EpistoU  Exemfilar  extat  inter  Acta  Synodi  Flo- 
rentine,    V,  Ajifi,  XXVII, 


156  APPENDIX.  NO  XXVL 

NO   XXVI. 
SIXTUS  PAPA  IV. 

Ad  futuram  rei  memoriam, 

InIQUITATIS  filius  8c  perditionis  alumnus  Lauren- 
tius  de'  Medicis,  8c  nonnulli  alii  cives  Florentini,  ejus 
in  hac  parte  complices  8c  fautores,  superioribus  annis 
reprobi  sensus,  ac  perversae  8c  damnatae  conditionis 
filio  Nicolao  de  Vitellis,  ut  ejusdem  Romanae  Eccle- 
siae  Civitatem  Castelli  nobis  rebellem  faceret,  eamque 
per  tyrannidem  occuparet,  8c  detineret  occupatam, 
consulere,  favere  8c  auxiliari,  etiam  postquam  per  litte- 
ras  8c  nuncios  nostros  Laurentium,  8c  complices  prae- 
dictos  paterne  monueramus,  atque  ut  a  praestandis 
dicto  Nicolao  auxiliis  hujusmodi  desisterent,  charitative 
requisiveramus,  quibus  potuere  viribus  non  expaverunt, 
quinimo  tanquam  aspis  surda  nostris  hujusmodi  re- 
quisitionibus  aures  claudentes  pertinaces,  etiam  post- 
quam dilectus  filius  noster  Julianus  tituli  S.  Petri  ad 
Vincula  Presbyter  Cardinalis  in  partibus  illis  Aposto- 
licae  Sedis  Legatus,  quem  cum  exercitu,  ut  ipsam  civi- 
tatem Castelli  ad  ejusdem  Ecclesiae  obedientiam  8c 
devotionem  reduceret,  transmiseramus,  se  illuc  contule- 
rat,  ac  exercitus  hujusmodi  noster  apud  civitatem  ante- 
dictam  castra  metaretur,  8c  illam  teneret  obsessam, 
Laurentius  8c  complices  praedicti,  non  ignari  etiam 
gravium  aliarum  censurarum  Sc  poenarum,  quas  per 
certas  alias  nostras  speciales  litteras  publicatas  ipso 
facto  erant  incursuri  quicumque  dicto  Nicolao  8c  ejus 
gentibus  auxilium  darent,  consilium,  vel  favorem,  quod- 

que 


APPENDIX.    NO  XXVI.  157 

que  omnes  &  singulos,  qui  ipsi  Nicolao  quovis  moclo 
obligati  ad  ejus  defensionem  censeri  poterant,  quam- 
quam  contra  dictam  Romanam  Ecclesiam  ad  eumdem 
Nicolaum  ipsius  Ecclesiae  subditum  Sc  vassallum,  prae- 
seitim  ill  hujusmodi  rebellione  defendeiidum  nemo 
potuit,  ut  notorium  est,  se  obligare,  ad  cautelam  tamen 
ab  omni  foederis,  ligae,  8c  juramenti  vinculo  quemcum- 
que  ad  hujusmodi  cffectum  tendente  absolveramus, 
eidem  Nicolao,  quantum  in  eis  per  amplius  favere  Sc 
auxiliari  non  destiterunt,  usque  adeo,  ut  cum  Nicolaus 
antedictus,  omnipotent!  Dex)  caussam  Ecclesiae  suae 
curante,  a  praedicta  civitate  ejectus  extitisset,  nosque 
in  ea  arcem  pro  potiori  illius  tutela,  construi  Sc  aedili- 
cari  mandavissemus,  idem  Laurentius  8c  complices 
praedicti  Nicolao  praedicto,  ut  contra  fidem  per  eum 
nobis  datam,  civitatem  praenominatam  per  proditionem 
reingredi,  Sc  iterum  occupare,  praedictam  Romanam 
Ecclesiam  spoiiando,  valeret,  rursus  assistere  ac  post- 
modum  ipse  Nicolaus  hujusmodi  periido  suo  propo- 
sito,  adnitentibus  in  contrarium  8c  contra  eos,  qui 
dictae  arci  per  nos  propositi  erant,  deceptus  remansisset, 
eamdem,  cum  suis  receptare,  plerasque  simultates  8c 
conspirationes  cum  eo  adversus  eamdem  Romanam 
Ecclesiam  facere,  mala  malis  addendo,  similiter  non 
formidaverint. 

His  quoque  non  contenti,  cum  dicta  civitate  ipsam 
Romanam  Ecclesiam,  ut  cupiebant,  spoliare  non  pos- 
sent,  ut  adversus  eamdem,  a  qua  tot  honores  Sc  com- 
moda,  ac  etiam  in  eorum  opportunitatibus  auxilia  con- 
secuti  esse  dignoscuntur,  conceptum  virus  diiTusiua 
evomerent  suis  pravis  Sc  dolosis  niachinationibus,  ut 
quidam  Carolus  de  Montone  Perusinam  etiam  civitatem 
VOL.  HI.  Y  a  nos- 


158  APPENDIX.    N"  XXVI. 

a  nostrae  8c  praedictae  Romanae   Ecclesiae  obedieiitia  ^ 
devotione,  quibus  subest,   subtraheret,   ac   suae  tyrannidi 
subjiceret,    solicitatis  ad    id   etiam   nonnullis   dictae  civi- 
tatis     civibus,    procurarunt,     propter    quae    non     minus 
graves  impensas   subire,   quam  de  aliquorum  subditorum 
nostrorum   fide   dubitare,    &  in   nonnullos,  qui  culpabiles 
reperti    fuerunt,    animadvertere    coacti    sumus.      Quin- 
imo    deinceps   cum    praedictum    Carolum    vana    spe    in 
hujusmodi    negotio    8c    tractatu    illusum    videret,    ne   ab 
incoeptis    ob    inopiam    desistere    cogeretur,   Laurentius 
antedictus  non   advertens,  quod   Italiae  pace   turbata,    8c 
debilitatis    dictae    Ecclesiae     Romanae    viribus,   atrocis- 
simo   Turcorum  Principi  immanissimo  Fidei  Orthodoxae 
hosti,  facilior  ad  Italiam  ipsam  aditus   aperiebatur,   prae- 
dictum   Carolum,     ut    congregato    facinorosorum    homi- 
num  exercitu    in   Senensem   agrum  incursiones   faceret, 
ipsumque  depopularetur,    8c    in    praedam   daret,  ac    plu- 
rima  inibi  nefanda  perpetraret,   induxit,   ad  finem  etiam, 
ut   substentato    pro    tempore    ejus   exercitu,    nee    inter- 
missa  interim   proditione,   solicitatione,   Perusinam   civi- 
tatem    praedictam  Carol  as   ipse  de   improviso  ingredi,  cc 
ea  per  fraudem   potiri  valeret.     Quod  quidem   cum    per 
Dei  potentiam  minus  eis   ad  votum    similiter,   successis- 
set,   8c  nos  pro  conservanda   Italiae  pace    Castrum    Mon- 
tonis    a    dicto    Carolo    in  territorio    Perusino  per   antea 
possessum,    qui  his   scandalis  occasionem    praebuerat,  S>i 
in   dies  praebere    posse    videbatur,   prout  pote rat,   veri si- 
militer,   ibrmidari,     ad     jus     8c     proprietatem     cjusdem 
Romanae   Ecclesiae,  data  prius  pro   to  reconipensa,  re- 
duci    curarcmus,     idem    Laurentius    8c    complices,     etsi 
nulla   injuria  per  nos,    aut  per   nostros   iacessiti   fuissent, 
in  suo   pravo   a.nimo   contra   Romanam  Ecclesiam    prae- 
dictam imprcbe    perseverantes,    ne    hujusmodi    Castrum 

ad 


APPENDIX.  NO  XXVT.  159 

ad  eamdem  Ecclesiam  deveniret,  neve  scandalorum 
materia  tolleretur,  destinatis  ad  id  armigeris,  quorum 
nonnulli  ductores  a  nostris  postea  intercepti  sunt,  ex- 
quisitis  8c  damnatis  viis  impedire  tentarunt. 

Insuper  ut  eamdem  Romanam  Ecclesiam,  cumulatis 
contra  eamdem  improbis  favoribus,  magis  opprimere 
conarentur,  Deiphebum  de  Anguillaria  quondam  Aversi 
etiam  de  Anguillaria  Comitis  filium  per  felicis  recorda- 
tionis  Paullum  secundum  Praedecessorem  nostrum, 
exigentibus  ejus  demeritis,  olim  a  detentione  terrarumj 
castrorum  &  locorum,  qui  in  territorio  ipsius  Romanae 
Ecclesiae  per  tyrannidem  possidebat,  amotum,  £c  a 
terris  ejusdem  Romanae  Ecclesiae  exulem  factum,  ut 
se  Carolo  praedicto  cum  armata  manu  conjungeret, 
quo  praedicta  Ecclesia  Romana  a  duobus  fortius  laces- 
seretur,  evocari,  venientemque  in  territoriis  Dominii 
Florentini  recipi,  ac  per  plures  dies  ibidem  commorari 
procurarunt. 

Praeterea  ad  Castra  ejusdem  Ecclesiae  anhelantes, 
Sc  apertis  faucibus  inhiantes,  Castrum  Citernae  Civitatis 
Castelli  Diocesis,  quod  ad  eandem  Ecclesiam  pertinere 
dignoscitur,  per  insidias  nocturnas  clam  invadere,  8c 
dato  ad  id  nonnullis  armigeris  negotio,  tyrannidi  eorum 
subjicere,  quamvis  temerariis  eorum  ausibus  iidelium 
dicti  Castri  custodum  opera  8c  diligentia  obstiterit, 
minime  erubuerunt  ;  nee  minus  sententias  £c  censuras 
per  Praedecessores  nostros,  8c  nos  successive  in  Bulla, 
quae  in  Coena  Domini  singulis  annis  legitur  Sc  publi- 
catur,  in  eos  latas,  qui  ad  Sedem  Apostolicam  venientes, 
vel   recedentes   ab    eadem,    temeritate    propria    capiunt, 

detinent, 


160  APPENDIX.  NO  XXVI. 

detinent,  aut  talia  fieri  mandant,  nee  non  qui  Romipetas 
&  peregrinos  ad  Urbem  caussa  peregrinationis  8c  devotio- 
iiis  a.ccedentes  capiunt,  detinent,  sen  depraedantur,  aut 
aliis  super  his  auxilium  praestant,  consilium  Sc  favorem, 
|:^5jiformiter  Sc  per  piratas  Sc  latrunculos  maritimos,  8c  il- 
los  praecipue,  qui  mare  nostrum  a  monte  Argentario  us- 
que ad  Terracinam  discurrere,  8c  navigantes  in  illo  de- 
praedari,  vulnerare,  interficere,  8c  rebus  ac  bonis  suis  spo- 
liare  praesumpserint,  receptant,  aut  eis  auxilium  dant, 
consilium,  vel  favorem,  simul  etiam,  qui  victualia, 
vel  alia  ad  usum  Romanae  Curiae  necessaria  de- 
ducentes,  ne  ad  Curiam  ipsam  deducantur,  vel  de- 
ferantur,  impediunt,  invadunt,  seu  perturbant,  8c  qui 
talia  facientes  receptant,  vel  defendunt,  idem  Lauren- 
tius,  Sc  complices  sui  praedicti  parvi  pendentes,  Sc 
elevata  cervice  atque  animo  more  Pharaonis  indurato 
contemnentes  Sc  spernentes,  multos  ad  ipsam  Curiam 
RomanaiTi  caussa  prosequendi  negotia  sua  venientes  Sc 
novissime  dilectos  filios  Bernardum  Sculteti  de  Luni- 
borgo,  Thimoholui  de  Leytzhau,  Sc  Henricum  Brandis 
Clericum  Lubicensem,  Romipetas  Sc  peregrinos, 
qui  ad  Urbem  eandem  caussa  devotionis  accede- 
bant,  capere,  bonis  spoliare,  8c  carceri  mancipare,  nee 
non  quasdam  triremes  remigiis  Sc  aliis  navalibus  instru- 
mentis  abunde  munitas  in  mare  nostrum  praefatum 
discurrentes  8c  navigantes,  in  illo  depraedantes,  bo- 
nisciue  Sc  rebus  eorum  spoliantes,  vulnerantes  Sc  inter- 
ficlentes,  nee  non  8c  victualia,  quae  ad  usum  dictae 
Curiae  Ronianae  necessaria  ad  eandem  pro  tempore 
deferebantur,  invadentes,  receptare,  defendere,  favori- 
bus  prosequi,  alimenta  eisdem  non  dener^-ando,  ut  (quod 
dcterius   est)    etiam    stipendiis    ordinariis    conducere    Sc 

adjuvare 


APPENDIX.  NO  XXVI.  161 

udjuvare  praesumpserunt,  contumaciter  in  hujusmodi 
censiiris  8c  poeiiis,  etiam  per  diuturna  tempora  insor- 
^lescentes. 

PoiTo  lie  quid  sceleris  intentatum  aut  inausum  relin- 
querent,  non  immemores  aut  ignari  censurarum  Sc 
poenarum  in  sacris  canonibus  contra  violatores  Ecclesi- 
asticae  libertatis  8c  dictae  Sedis  auctoritatis  per  eosdeni 
Praedecessores  nostros  diversis  temporibus  successive 
promulgatarum  8c  contentarum,  cum  nos  dudum  Eccle- 
siae  Pisanae  certo  modo  vacanti,  de  venerabilium  Fra- 
trum  nostrorum  S.  R.  E.  Cardinalium  consilio,  de 
persona  bonae  memoriae  Francisci  Arcbiepiscopi  Pisani 
€umdem  illi  in  Archiepiscopum  praeficiendo  providis- 
semus,  Laurentius  Sc  complices  sui  praedicti,  ne  provisio 
hujusmodi  debitum  sortiretur  efTcctum,  per  plura  tem- 
pora proliibere  mandatis  nostr's  palam  resistendo  non 
formidarunt.  Deindeque  cum  per  Omnipotentis  Dei 
gratiam  dictae  Sedis  praevaluisset  auctoritas,  idemque 
Franciscus  Archiepiscopus,  qui  etiam  ex  insigni  familia 
Salviatorum  optimorum  civium  Florentinorum  existe- 
bat,  mandatorum  nostrorum  vigore  regiminis  Sc  admi- 
nistrationis  dictae  Pisanae  Ecclesiae  pacilicam  posses^ 
sionem  consecutus  fuisset;  idem  Laurentius  pravo  Sc 
maligno  animo  tam  in  cum,  quam  in  multos  alios  dictae 
civitatis  Fiorentinae  etiam  priinarios  Sc  optimates  cives 
odia  exercens  continue,  dicti  Arcbiepiscopi  auctoritatem 
conculcare,  8c  in  iis,  quae  ad  eum  spectabant,  indebite 
se  inimiscere,  ac  ipsius  Arcbiepiscopi,  sicut  et  tyrannide 
quadam  Florentini  populi,  onmem  auctoritatem  sibi 
vendicare  8c  usurpare  non   cessavit. 

Cum  nos   Salvatoris  nostri   exemplo,  cujus  propriutn 
est  misereri  semper  &c    parcere,  sperantes   eosdem  Lau- 
rent! um 


162  APPENDIX.    N*'  XXVI. 

rentium     &    complices    tot  &  tantorum   excessuum    per 
eos   contra  nos  &    praefatam  Romanam  Ecclesiam  impie 
commissorum  poenitere,  &  illatas   injurias   atque  damna 
hujusmodi   bene   operando  in   dies  recompensare  debere 
haec  omnino  pro  Italiae  praeseitim  pace   Sc  quiete  aequo 
animo    tolerare    devovissemus,    eosdemque    Laurentium 
&    complices    paterna    charitate,    ac    si    nunqiiam  talia 
commisissent,    prosequeremur,  Sc    pro  posse   non    cessa- 
remus,  in  cunctis   complacere  eisdem,    contrarium    spei 
nostrae  hujusmodi    nobis  ex   di recto  successit,  nam   cum 
ex   eo,  quia  Laurentius  ipse  novissime    multos   ex  dictis 
civibus   Florentinis  primariis  partim  relegare,   part.m  de 
medio    toUere,  Sc    occidere,    sicut    fertur,    intendens,    ut 
latior   sibi   ad  vindictam    8c  crudelitatem  hujusmodi  cam- 
pus   pateret,  sese    in  unum    ex   Octo  civibus  Florentinis 
de     Balia    nuncupatis,      assumi     £c     eligi     procuraverat 
aegere     hoc    ferentibus     civibus,    ad    aliquas    civiles     & 
privatas  inter   eos  dissensiones  deventum   esset,  Lauren- 
tius praedictus  Sc  tunc   Priores   Libertatis,    ac  Vexillifer 
Justitiae   dictae    civitates   f  lorentinae,    assistentibus   eis- 
dem  complicibus    reliquis    ex   dictis  Octo  de  Balia  nun- 
cupatis, Sc    nonnullis   aliis    civibus   dictae    civitatis,    Dei 
timore     penitus    abjecto,     furore    succensi,     Sc    diabolica 
suggcstione  vexati,    ac  tanquam  canes  ad  efferam  rabiem 
ducti,  ut   tandem    sua    libidine    potiti,  in    Ecclesiasticas 
personas,      quantum     possent,    ignomlniosius     saevirent, 
(proh    dolor,  Sc   inauditum    scelusl)    in    Archiepiscopum 
praedictum    manus    violentas     injicere,     Sc    captum    per 
plurcs  horas  in    publico    Palatio   residentiae    eorumdem 
Priorum  Sc  Vexilliferi  detinere,   ac  tandem  communicato 
invicem     desuper     consilio,    eum     publice    in     fenestris 
dicti  Palatii   eminentibus  coram   populo  in  die  Dominico 
laqueo    turpiter    suspendi    fecere  ;     cumque    vitam    fini- 
visset,  laqueum    scindi,    ut   corpus   ipsius  in  terram   ca- 

deret 


APPENDIX.    NO  XXVI.  163 

<leret  quemadmoduni  cecidit  (quod  neduni  referre,  sed 
meminisse  horremiis)  procurare  minime  erubucrunt ; 
multosque  deinde  alios  Presbyteros  8c  Ecclesiasticos 
viros  bonae  conditionis  8c  famae,  quorum  aliqui  erant 
ex  dilecti  filii  iiostri  Raphaelis  S.  Georgii  ad  Velum 
aureum  Diaconi  Cardinalis  in  Provincia  nostra  Ducatus 
Spoletani,  8c  nonnullis  aliis  civitatibus,  terris  8c  locis 
praedictae  Romanae  Ecclesiae  dictae  Sedis  Legati,  8c 
aliqui  ex  dictis  Archiepiscopi  familiaribus,  partim  sus- 
pendi,  partim  gladiis  £c  fustibus  confodi  8c  necari 
palam  8c  publice  in  Ecclesiasticae  dignitatis  opprobrium 
fecerint,  Sc  deterrima  prioribus  aggrediendo  Raphaelem 
Cardinalem  8c  Legatum  praedictum  in  dicta  civitate 
Florentina  in  Ecclesia  Cathedrali,  dum  ibidem  divinis 
Officiis  8c  Missarum  solemniis  eadem  die  Dominica 
interesset,  capere  8c  capi  mandare,  capturamque  ipsam 
ratam  habentes,  eumdem  sub  fida  custodia  in  praedicto 
Palatio  teneri  curarunt  8c  curant,  8c  dum  venerabilis 
frater,  Nicolaus  Episcopus  Modrusensis  nostcr,  £c  ejus- 
dem  Sedis  Nuncius  ad  hoc  specialiter  destinatus,  prae- 
dictos  Laurentium,  Priores,  Vexilliferum,  ac  complices, 
ut  Raphaelem  Cardinalem,  8c  Legatum  praeiibatum  in 
sua  libertate  reponerent,  nostro  nomine  requisivisset, 
illud  negare,  8c  se  eumdem  Cardinalem  dimittere  nolle 
pertinaciter  affirmare  non  dubitarunt  in  Clericalis  Ordi- 
nis  8c  Pastoralis  Officii  vituperium.  Quae  omnia  in 
Raphaelem  Cardinalem,  Sc  Legatum  ac  Archiepisco- 
pum,  Presbyteros  8c  Clericos  praedictos  perpetrata, 
communi  omnium  de  eis  notitiam  habentium  judicio 
damnata,  publica  omnium  fama  id  attestante,  8c  facti 
notorietate  approbante,  adeo  referuntur,  ut  eorumdem 
tie  iliis  notitiam  habentium  animi  in  hoc  suspensi  k.  oculi 

pendentes 


164  APPENDIX.  N^  XXVI. 

pendentes  esse  asserantur,  £c  expectent  quid  a  nobis  in 
tales  pro  tantorum  scclerum  ultione  staUiatur. 

Nos  igitur  praeniissis  omnibus  debita  meditatione 
pensatis,  quamvis  immensa  scelestissimorum  honiinum 
trudelitateni,  feritatenique  immanissimam,  ac  flagiti- 
osissimum  Sc  ignominiosum  universae  Ecclesiae  Sanctae 
Dei  dedecus  turpiter  illatum  videamus,  Iz  a  Praedeces- 
soribus  nostiis  in  magnos  Principes  ob  minora  facinora 
acriter  saevitum  esse  conspiciamus,  tf  infra,  habita 
super  his  cum  eisdem  fratribus  nostris  S.  R.  E.  Cardi- 
nalibus  matura  deliberatione,  de  illorum  unanimi  con- 
silio,  Sc  assensu,  auctoritate  Apostolica  tenore  praesen- 
tium  declaramus  iniquitatis  filios  Laurentium,  Priores, 
Vexilliferum,  Octo  de  Balia  antedictos,  tunc  &c  qui  illis 
in  eorum  Prioratus  Sc  \^exilliferatus,  ac  Octo  de  Balia 
Officii  successerunt  nunc  existentes,  ac  omnes  £c  sin- 
gulos  Ecclesiasticos  k.  saeculares,  qui  eis  in  praemissis 
in  Archiepiscopum  Sc  Raphaelem  Cardinalem,  Presby- 
teros  £c  Clericos  praefatos  commissis  praestiterunt  8c 
praestant  auxilium,  consilium  vel  favorem,  detentio- 
nemque  Raphaelis  Cardinalis  praeiati  continuant,  quo- 
rum nomina  Sc  cognomina  ac  si  exprimerentur,  volumus 
haberi  pro  expressis,  cujuscumque  status,  gradus,  ordi- 
nis  vel  conditionis  existant,  &:  quacumque  Ecclesiastica 
vel  mundana  dignltate  fungantur,  propter  praemissa  in 
Raphaelem  Cardinalem  Franciscvim  Archiepiscopum, 
Presbyteros  ^  Clericos  praefatos  commissa,  juxta  bonae 
memoriae  Bonifacii  Papae  Octavi  similiter  Praedeces- 
soris  nostri,  &  Viennensis  Conciiii,  ac  aliorum  Prae- 
decessorum  nostrorum  Constitutiones  Sc  Decreta  crimi- 
nis   laesae  Majestatis   reos,   sacrilegos,    excommvmicatos, 

anathe- 


,  APPENDIX.  NO  XXVI.  165 

anathematizatos,  infames,  diffidatos,  intestabiles.  Et  ut 
publica  repulsa  confusi  luilluni  inveniant  suae  militiae 
successorem,  cujuslibet  haereditates  esse  ab  intestate 
incapaces,  feudis  insuper  ac  locationibiis,  officiis  & 
bonis  spiritualibus  8c  temporalibus,  qui  singuli  eorum 
a  praefatis  Romana  Sc  Pisana  Ecclesiis,  necnon  dic- 
torum  Laiu'entii,  Priorum,  Vexilliferi,  Octo  de  Balia, 
&  alioium  complicum  filios  8c  nepotes  per  rectam  lineam 
descendentes,  quibuscumque  beneficiis  Ecclesiasticis, 
quae  quomodolibet  tempore  perpetrationis  excessuum 
praedictorum  obtinebant,  qualiacumque  forent,  spe 
promotionis  in  futurum  omnino  sublata,  privatos,  nee 
non  feuda  ad  bona  locata  hujusmodi,  ad  Ecclesias  ipsas, 
ita  ut  ii,  ad  quos  spectant,  de  illis  pro  sua  voluntate 
disponant,  reversa  esse.  Et  cuncta  eorumdem  Lauren- 
tii,  Priorum,  Vexilliferi,  8c  Octo  de  Balia,  ac  auxilium, 
consilium,  vel  favorem  praestantium,  complicum,  8c 
adhaerentium  hujusmodi  aedificia  in  ruinam  dari  debere, 
ita  ut  eorum  habitationes  desertae  fiant,  &c  non  sit  qui 
eas  inhabitet  in  posterum  ;  8c  ut  perpetuam  notam  in- 
famiae  perpetua  ruina  testetur,  nullo  unquam  tempore 
reparentur :  nullum  eis  debita  reddere,  nullumve  in 
judicio  respondere  teneri :  nuUi  quoque  filiorum  aut 
nepotum  praedictorum  per  virilem  sexum  descenden- 
tium  ab  eisdem,  alicujus  aperiri  debere  januam  digni- 
tatis aut  honoris  Ecclesiastici  vel  mundani,  8c  ad  alicu- 
jus loci  regimen  ascendere  omnino  posse ;  postulandi 
facultatem  eis  negatam  Notariatus,  Judicatus,  8c  quod- 
libet  aliud  officium,  seu  ministerium  publicum  interdic- 
tum ;  ad  Ordinis  ascensum  inhibitum,  ad  beneficia  8c 
officia  Ecclesiastica  denegatum  ascensum  existere.  Et 
ut  magis  sit  famosa  eorum  infamia,  ad  actus  legitimes 
VOL.  III.  z  nullum 


166  APPENDIX.  NO  XXVI. 

nullum  eis  aditum,  nuUamve   poitam   patere.     Quidquid 
in  bonis  tunc   inveniebatur,  eorumdem   Fisci  &   Reipub- 
licae  dominio   applicatum  fore,  ita  ut   ex  illis  nil  trans- 
mittatur  ad  posteros,  sed   potius   cum   eis,  8c   sua   dam- 
nata   existant.     Florentinam   praeterea   8c   Fesulanam  ac 
Pistoriensem   illi    propinquiores   dominio  subjectas   Civi- 
tates  8c   Dioceses   Ecclesiastico   £c  strictissimo   interdicto 
suppositas  esse,  Sc  praeter  has  poenas,  eosdem   Lauren- 
tium,   Priores,  Vexilliferum,  Octo  de  Balia,  auxiliatores, 
consultores,   fautores,   complices    S^   adhaerentes    omnes, 
£c    singulas     alias     excommunicationis,    anathematis,    8c 
aeternae  maledictionis   sententias,   censuras    8c   poenas  in 
tam  gravia  crimina  8c   excessus  perpetrantes  tam  a  jure, 
quam   per   extravagantes  constitutiones   8c   litteras  Prae- 
decessorum     praedictorum,     8c    nostras    inflictas    incur- 
visse  ;     ipsam    quoque    civitatem    Florentinam,    si    infra 
mensem  ei    a  jure  statutum  Laurentium,  Priores,  Vex- 
illiferum, Octo,  auxiliatores,  consultores,  complices,  fau- 
tores,   8c    adhaerentes    praedictos,    prout    tanti    facinoris 
exigit  enormitas,  8c  ei  facultas  affuerit,  non  duxerit  puni- 
niendos,  Pontificali,   Archiepiscopali,  qua  decoratur,  dig- 
nitate   privatam   fore,  8c  nihilominus   interdictam    rema- 
nere,  8cc.     Denique  Laurentium  Mediceum  ac  Magistra- 
tus  solemni  ritu  diebus   festis   anathemate  percelli  jussit, 
atque  cum   iis   eorumque   sectatoribus   ac  sociis   quodvis 
genus  commercii   haberi  vetuit.     Datum  Romae  apud  S. 
Petrum  anno  Incarnation! s  Dominicae  millesimo  quadrin- 
gentesimo   septuagesimo   octavo    Kal.   Junii   Pontificatus 
nostri  anno  VII. 


APPENDIX.  NO  XXVII. 


NO  XXVII. 


J^LORENTINA  Synodus  in  luce  ilia  Spiritus  Sancti 
congregata,  quae  illuminat  omnem  hominem  venien- 
tem  in  hunc  mundum,  8c  revelat  abscondita  tenebra- 
rum  ad  perpetuum  veritatis  testimonium,  Sc  Sixtianae 
caliginis  dissipationem.  Infallibilis  summi  Patris  prae- 
scientia,  qua  nobis  clamavit  ab  initio,  judicate  matrem 
vestram^  judicate  quonia-m  uxor  mea  non  est,  facit,  ut  re- 
jectam  in  faciem  filiorum  pudibunda  ejus  operientium 
crapulam  salva  conscientia  extergamus.  Dies  enim 
venere  comminationis  illius,  nudabo  ignominiam  tuam, 
destruent  lupanar  tuum,  demoliantur  firostibulum  adulterii 
tui,  b*  desinea  farnicari,  mercedesque  ultra  non  dabis  ama- 
toribus  tuis. 

Nam  Sixtus  leno  matris  suae  oblitae  jam  dierum 
adolescentiae  suae,  quando  erat  nuda,  operuit  con- 
fusione  faciem  suam,  ingressus  vineam  Domini  Saba- 
oth  bonos  palmites  extirpavit,  malos  inseruit,  turrim 
aedificatam  disjecit,  maceriem  opposuit  pro  muro  Hie- 
rusalem,  hortum  conclusum  dissipavit,  locustas  8c 
brucos  in  agrum  Domini  convocavit.  Quam  celestis 
sponsus  formosam  suam  unicam  8c  columbam  sine  ma- 
cula appellabat,  hie  adulterorum  minister  deformam 
meretricem  8c  corvum  sordibus  plenum  reddidit  :  emp- 
tam  in  templo  profanis  vendidit,  Sc  ex  ejus  pretio  por- 
cos  auratis  glandibus  enutrivit.  Successor  inde  Petri 
filium  interemit,  8c  diaboli  Vicarius  christianissimum 
quemque  adortus  est.  Gubernator  naviculae  in  solam 
Circis  insulam   enavigavit,   8c  ejecto  Joanne  8c   Andrea, 

Tyresias 


168  APPENDIX.  NO  XXVII. 

Tyresias  tantum  8c  Hieronymos  transportavit.  Cla- 
vi^er  Superorum  inferis  omnibus  ostium  aperuit,  Sc 
funiculo  illo,  quo  Dominus  ex  Ecclesia  vendentes  & 
ementes  columbas  de  templo  ejecit,  sicariis  suis  laque- 
vmi  fecit.  Pastor  infectus  sanas  oves  persecutus  est, 
Sc  sues  solos,  in  quorum  gregem  Salvator  innniundos 
spiritus  abire  jussit,  in  caulis  ejus  congregavit.  Prop- 
terea,  dicit  Dominus,  congregabo  omnes  quos  dilexisti 
cum  universis  quos  odisti,  tit  videani  turpitudineni  tuam^ 
Isf  denudent  te  vestimentis  tuis,  Turpitudo  ejus  nova, 
quam  Dominus  per  nos  universis  ejus  fidelibus  ostendi 
voluit,  Sixti  ascensus  est,  aliunde  quam  per  ostium  in 
Florentinum  ovile  ;  homicidium  est  innocentis  agni  Ju- 
liani  de  Medicis,  quem  tamquam  fur  Sc  latro  ante  altare 
Domini  mactavit  8c  perdidit :  illud  per  Salviatum  Archi- 
episcopum  Pisanum  molitus  est,  hoc  per  Raphaelem 
perfecit  Riarium,  quem  quia  puerum  ad  Cardinalatum 
evexerat,  voluit,  ut  his  primitiis,  8c  per  sanguinem 
Christiajium  defectum  suppleret  aetatis.  Commisit 
haec  praeterea  inter  Missarum  solemnia,  dum  corpus 
Domini  a  Sacerdote  sumeretur,  ut  Christum  quoque, 
cujus  se  Vicarium  dicit,  traderet,  ac  secum  faceret 
proditorem.  Et  clamat  in  suis  censuris,  proh  dolor  ! 
snspenderunt  Archiepiscopum  ;  Archiepiscopum,  qui  nun- 
quam  fuit  Christianus,  Archiepiscopum  molientem, 
seditionem,  occupantem  Palatium  publicum,  8c  sus- 
pensurum  Priores  patriae  libertatis,  nisi  se  defendis- 
sent :  excommvuiicat  Magnificum  Laurentium  sanctis- 
simum  civ  em,  quod  se  mactari,  ut  frater,  non  per- 
miserit,  Dominos  urbis  quod  se  dejici  de  fenestris  no- 
luerint.  O  excommunicatam  excommunicationem  ! 
O  maledictam  maledictionem  damnatissimi  judicis  ! 
cujus   maledictione   os  plenum  est^  ^  a?naritudme  i^  dolo^ 

sub 


APPENDIX.    NO  XXVII.  169 

sub  lingua  ejus  labor   ^   dolor,  sedet  in  insidiis  cum  diviti- 
bus,  ut  intei'Jiciat  innocentem, 

Permittitur  etiam  diabolo  defensio,  nee  vim  vi  re- 
pellere  natiira  unquam  aut  leges  uUae  vetuerunt.  Et 
pro  poenitentia  commissi  sceleris,  pro  dissimulatione, 
quam  etiam  per  castigationem  suorum  perferre  potuit, 
pro  aliqua  commiseratione,  quae  ab  eo  fusi  sanguinis 
expectabatur,  subdit  interdicto  civitatem,  quod,  liber- 
tatem  suam  tutata  sit :  pro  remuneratione  servati  Car- 
dinalis,  quem  aut  homicidii  paiticipem  ob  tam  familiarem 
conjurationem,  aut  nimium  adolescentem  fateri  opor- 
tet,  saevit  in  animas,  litterisque  necat,  quos  ferro  non 
potuit. 

Reos  sanguinis,  ne  particeps  fiat  sanguini;3,  defen- 
dit  Ecclesia.  Hie  quia  Sanctae  Reparatae  templum 
cruentavit,  fuso  se  immiscet  sanguini,  maledicit  mor- 
tuo,  vulneratum  persequitur  ;  nam,  ne  alterum  quo- 
que  gladium  contineat,  armat  Ferdinandum  Regem,  qui 
aperto  marte  perficiat,  quod  ipse  occulte  Sc  per  prodi- 
tionem  molitus  est  ;  sic,  ut  fuit,  scelus  scelere  tegitur, 
8c  mendacium  mendacio  excusatur.  Nee  unquam  par- 
cit  malus,  qui  semel  bonum  offendit.  Stimulabat  pri- 
mum  ambltiosa  malignitas  ;  nunc  &c  conscientia  8c  detecta 
proditio  faciunt,  ut  declaret  quod  intelligi  non  vult, 
quo  opprimatur,  aut  auctoritati  detur,  si  nequit  rationi, 
quod  intelligitur. 

II.  Sed  priusquam  suis  litteris  respondeamus,  mo- 
dum  tam  nefandae  conjurationis  percurramus,  Sc  mo- 
dum,  quem  nos  non  fingimus,  aut  arbitramur,  sed 
quem  sui   deprehensi    sine   tortura  scripsere,    8c  Praetor 

alienigena, 


170  APPENDIX.  NO  XXVII. 

alienigena,  ac  sex  viri  religiosi  a  sanctioribus  nostras 
civitatis  praesentes  subscripsere  :  neve  minus  credatur 
purae  veritati  nostrae,  quam  figmentis  illius,  ob  ciijus 
honorem  tacebamus,  inseremus  propria  verba  Jo.  Bap- 
tistae  Montesecco,  qui  mandatum  Sixti  acceperat,  ex- 
cerpta  fideli  manu,  ex  confessione  ipsius,  quam  vir 
gravis,  verus,  8c  tantum  proditor,  ne  Domino  suo 
asset  proditor,  reliquit.  Caussam  vero  tam  insolentis 
odii,  &  inexpectatae  retributionis  in  familiam  de  Me- 
dicis,  quae  semper  ei  &c  Sedi  Apostolicae  servierat, 
nullam  invenimus,  nisi  quamdam  perditam  carnis  Sc 
sanguinis  revelationem,  qua  ob  Comitem  ilium  suum 
Hieronymum,  in  cujus  manibus  nunc  Ecclesia  Dei 
est,  delirat,  furit  Sc  insanit.  Habit  hie  suus  Imolam 
S.  Romanae  Ecclesiae  urbem,  quam,  ejecto  Taddeo 
Manfredo,  se  tenere  post  mortem  sui  Pontificis  posse 
diffidebat,  nisi  vicinum  dominium  Florentinum  aliquo 
foedere  amicitiae  obligaret.  Major  autem  obligatio 
inveniri  posse  non  videbatur,  quam  si  suo  beneficio 
praeessent,  qui  in  ea  Republica  primates  essent ;  fieri 
autem  id  sine  status  mutatione  non  poterat,  mutari 
autem  status  sine  morte  Laurentii  8c  Juliani  de  Me- 
dicis  impossibile  videbatur :  nullus  enim  pene  in  ea 
civitate  patricius  est,  qui  hac  promovente  domo,  patri- 
cius  non  sit ;  nullus  plebejus,  qui  Cosmianis  opibus  8c 
pane  Laurentiano  pastus  aliquando  non  fuerit.  Hac 
igitur  impellente  rabie,  Comes  oblitus  omnis  humani, 
divinique  juris,  oblitus  beneficiorum,  oblitus  condi- 
tionis  suae,  qui  cerdo  fuerat,  stirpem  Cosmianam  de- 
lere  aggreditur,  Pactiam  subrogare,  ex  qua  etiam 
Franceschinum  libidinum  socium  inter  familiares  habe- 
bat.  Hunc,  ac  Salviatum  Archiepiscopum,  ut  omnia 
ex    suorum   ore    referamus,  ita  primum   secum    locutos 

Johannes 


APPENDIX.  NO  XXVII.  in 

Johannes  Baptista  moriturus  scripsit.  "  Noi  determi- 
"  niamo  mutar  lo  stato  di  Firenze,  e  vogliamo  1'  ajiito 
"  tuo.  To  gli  risposi,  che  per  loro  faria  ogni  cosa 
"  ma  essendo  soldato  del  Papa  e  del  Conte,  non  ci 
"  poteria  intervenire  :  I'Arcivescovo  mi  rispose  ;  come 
"  credi  tu  facciamo  questa  cosa  senza  consentimento 
"  del  Conte  ?  Imnio  cio  che  si  ricerca  e  che  si  fa,  e 
"  per  sua  sicurta,  ed  esaltar  piii  lui,  che  noi,  e  per 
"  mantenerlo  nello  stato  suo.  Avvisandoti  se  questa 
"  cosa  non  si  fa,  io  non  ti  daria  del  suo  stato  una  fava, 
"  perche  Lorenzo  de'  Medici,  che  gli  vuol  male,  dope 
"  la  morte  del  Papa  non  cerchera  mai  altro  che  torli 
"  quel  poco  di  stato,  e  farlo  mal  capitare.  Et  infra  :  e 
"  in  quanto  pericolo  era  lo  stato  del  Conte  dopo  la 
"  morte  del  Papa,  e  che  mutandosi  detto  stato  saria 
"  istabilito  di  non  potere  il  suddetto  Conte  aver  piu 
"  male,  e  che  per  questo  si  voleva  fare  ogni  cosa." 

Sed  haec  quantum  ad  caussam,  8c  primam  facem 
incendii,  ut  intelligatur  nulla  lacessitum  injuria  Comi- 
tem  Hieronymum,  sed  ut  tutius  possideret,  quod  male 
occupaverat,  in  familiam  conspirasse  de  Medicis. 
Mensum  vero  eum  a  suo  animum  Laurentii  &  inten- 
tionem  ex  his,  quae  sequuntur,  apparet. 

"  E  fummo  insieme  con  Lorenzo,  ne  altrimenti 
"  mi  rispose,  che  se  fosse  stato  padre  al  Conte,  ne 
"  con  altro  amore,  in  modo  che  a  fe  maravigliare.  Et 
"  infra:  io  me  ne  andai  a  Imola,  dove  stetti  pochi 
"  giorni,  perche  cosi  aveva  in  commissione  per  la 
"  espedizione  di  detta  causa,  e  nel  tornare  addietro  fui 
"  a  Cafaggiolo,  dove  trovai  la  Magnificenza  di  Lo- 
"  renzo   e   di    Giuliano,  e  avendo    riferito   &l  Magnifico 

"  Lorenzo 


172  APPENDIX.  N^  XXVIL 

"  Lorenzo  come  aveva  trovato  le  cose  del  Conte,  mi 
"  consiglio  con  le  piii  cordiali  parole  ed  amorevoli  del 
^  mondo.'' 

Nonne  ex  his  colligitur  Comitem  statui  suo  ful- 
crmn  removisse,  quaesisse  laqueum  {in  mar-ginc)  ab 
ejus  infirmitate  abegisse  Medicos,  advocasse  insanos  : 
nam  ipsum  sic  mandasse  huic  suorum  militum  ductori 
tmn  ex  multis  ejus  ad  Archiepiscopum  Sc  Pazzios  lit- 
teris,  turn  ex  his  verbis,  cum  essent  ante  Pontiiicem, 
&  de  morte  istorum  tractaretur,  suadente  Pontifice,  ut 
si  fieri  posset,  status  sine  caede  mutaretur,  deprehendi- 
tur.  "  E  quest'  ordine  ci  fu  dato  tutto  per  il  Sig. 
"  Conte  in  Roma."  Item  {in  margine)  tanquam  sine 
sanguine  tanta  mutatio  fieri  posset,  retulit  sic  Comitem 
respondisse  :  "  se  far<^.  quanto  se  podera  non  interven- 
*^-  gha ;  pure  quando  intervenisse,  la  Vostra  Santita 
«  perdonera  a  chi  il  fesse.  Rispose  il  Papa  al  Conte  : 
"  tu  sei  una  bestia"  tamquam  vellet  dicere  a  doman- 
darmene,  nam  Sc  ipsum  Pontificem  consensisse  caedi 
subsecuta  verba  satis  plane  demonstrant.  "  Con 
"  questo  ci  levassimo  da  S.  Santita,  facendo  conclu- 
"  sione  esser  contento  dare  ogni  favore  &  ajuto  di 
^'  gente  d'  arme,  o  d'  altro,  che  a  cio  fosse  necessario, 
"  V  Arcivescovo  rispose  e  disse.  Padre  Santo  siate 
"  contento,  che  guidiamo  noi  questa  barca,  che  la  gui- 
"  deremo  bene;  e  Nostre  Signore  rispose,  io  sono 
"  contento  ;  Sc  con  questo  ci  levassimo  da'  suoi  piedi. 
"  Et  infra :  dicendo  impero  sempre,  che  V  onore  di  N. 
"  Santita  e  del  Conte  ci  fosse  raccomandato,  e  con 
*'  quest'  ordine  la  Domenica  mattina  a  di  26.  d'  Aprile 
"  1478.  si  fe  in  S.  Reparata  quanto  e  pubblico  a  tutto 
"  il  mondo,  8cc." 

Eat 


APPENDIX.    NO  XXVII.  173 

Eat  nunc  Sixtus,  &  se  Pontificem  dicat,  justum  hel- 
ium movisse  praedicet,  recte  censuras  promulgasse 
clamet ;  sed  quid  probationis  opus  est  ?  Fassus  est,  & 
hoc  ipsemet  post  detectam  conjurationem.  Sed  nolu- 
mus,  nisi  quae  vidimus,  &  manus  nostrae  contractave- 
runt,  in  testimonium  rei  afferre  ;  scribit  tamen  ad  eum 
Philelphus  vir  non  minoris  doctrinae,  quam  aetatis 
istud  idem  audivisse  se  Mediolani  his  verbis  :  "  at  au- 
"  dio  abs  te,  quo  nihil  est  absurdius,  magisque  indig- 
"  rum  sanctissimo  ore  tuo  id  jactitatum  esse  tui  consilio 
"  Sc  jussu,  Sec." 

Videte  quam  obcaecatus,  quam  perditus  sit  senex, 
conjurat  ob  Comitem,  omnia  vult  patiatur  prius  Sedes 
Apostclica,  quam  Comes  ;  nee  erubescit,  qui  modo 
panem  vicatim  mendicabat,  fateri  se  voluisse  per  pro- 
ditionem  statum  antiquissimae  Reipublicae  reformare, 
quo  melius  aut  oimiem  sui  Comitis  in  se  culpam  trans- 
ferret,  aut  ambitionem  dissimulet.  Haec  enim  prima 
ejus  in  eumdem  conjurationis  ratio  fuit,  ut  ex  his  ver- 
bis ejus  colligitur.  "  E  cosi  ti  dico  Gio.  Batista,  che 
io  desidero  assai,  che  lo  stato  di  Fiorenza  si  muti, 
8cc.  che  ogni  volta  che  ne  fusse  Lorenzo  fuoraj 
faressimo  di  quella  Repubblica  quello  voiessimo,  e 
saria  a  un  gran  proposito  nostro.  II  Conte  e  1'  Ar- 
civescovo,  che  erano  presenti,  dissero  :  La  Santita 
Vostra  dice  il  vero,  che  quando  aviate  Fiorenza  in 
vostro  arbitrio,  e  poterne  disporre,  come  potrete, 
la  S.  V.  mettera  legge  a  mezza  Italia,  e  ognuno 
avra  caro  esservi  amico,  &c."  Sed  quid  Florentinis 
cum  Papa  in  his  quae  Spiritus  non  sunt,  8c  quo  sae- 
culo,  8c  qua  pera  banc  arrogantiam  prompsit,  ut  cogi- 
voL.  III.  A  a  taret 


174  APPENDIX.    No  XXVII. 

taret    vir    religiosus   de     invadenda    Republica    Floren- 
tina  ? 

Mittitur  denique  Pisas  Archiepiscopus  Salviatus, 
Florentiam  Fraiiceschinus  Pazzius,  Imolam  Joannes 
hie  Baptista,  qui  suo  nobis  banc  digito  veritatem  os- 
tendit,  Sc  Tiphernum  Laurentius  Eques  Castellanus, 
qui  praesto  essent  cum  expeditis  militibus  ad  diem 
caedis  ;  alios  non  habebat  Comes,  quos  Consiliarios 
suos  appellaret,  Sc  hi  omnes  pariter  in  negotio  palam 
deprehensi.  Creatur  interea  Cardinalis  in  Studio  nos- 
tro  Pisano  suus  hie  adolescens  nepos  Comitis.  Venit 
Montughium  Pazziorum  villam,  tamquarn  profecturus 
Perusiam  suae  jam  legationis  Provineiam  ;  secum  erat 
Archiepiseopus  Salviatus  ;  visitatur  publico  privatoque 
nomine  a  civibus  universis.  Invitatur  Fesulas  a  Mag- 
nifico  Laurentio,  ubi  etiam  quantum  postea  pereepi- 
mus,  si  Julianus  adfuisset,  inter  epulas  homieidium 
commisissent ;  adesse  autem  non  potuit,  quia  erat 
infirmus,  &  ut  omnia  nude  referamus,  ancha,  id  est 
sanguinis  tumore  tenebatur.  Alterum  sine  altero 
aggredi  periculosum  existimabant.  Nam  alias  perdu- 
cere  ilium  Romam  tentavere,  quo  securius  disjunetis 
ab  invicem  fratribus  homicidia  diversis  in  loeis  com- 
mitterentur.  Non  creditis  Romam  solitam  esse  asy- 
lum omnibus  etiam  sontibus,  non  fuisse  tutam  homini 
christianissimo  ?  Legite  quam  ipsemet  quoque  Joan- 
nes Baptista  admiratus  sit.  "  E  domandandolo  io  che 
"  niodo  era  questo,  mi  disse  Lorenzo  di  venire  questa 
"  Fasqua,  e  quanto  prima  si  senta  la  sua  partita,  Fran- 
"  ceseo  partira    ancor  lui,  £c  andera   a   spedirsi,  e   fara 

^  '  «il 


APPENDIX.  NO  XXVII.  175 

"  il  servizio    a  quello    rimarrk,  &  all'  altro    innanzi  che 
"  tomi,  ec. 

<'  Domaiidai  il  Conte  ;  sa  Nostro  Signorc  qucsto 
«  medesimo,  niadio  si  dico.  Diavolo  egli  e  gran  fatto, 
<'  che  il  consent!.  Mi  rispose,  non  sai  tu,  che  gli 
"  facciamo  fare  quello  vogliamo  noi  ?  Basta,  che  le 
"  cose  anderanno  bene.  E  stettesi  in  queste  trame 
"  parecchi  di  del  suo  venire,  o  no.  Da  poi  veduto 
'«  che  non  veniva,  deliberammo  ad  ogni  modo  cavarne 
"  le  mani." 

Proponitur  itaque,  dum  e^sent  Fesulis,  desiderium 
tlsendae  Florentiae  ;  offert  Laurentius  se  refacturum 
libenter  in  urbe,  quod  ruri  omiserat.  Acceptatur, 
venltur.  Die  Dominica  XXVI.  Aprilis  itur  ad  Ecr 
clesiam,  solenmiter  Missa  celebratur. 

Domi  interea  parabatur  convivium,  quantum  nun^ 
quam  alias  magnincum  :  videte  quam  diversa  hospitum 
&  convivarum  intentio.  Deambulubat  circa  Chorum 
Laurentius  ;  Julianus,  quia  claudus  erat,  stabat,  re- 
ducturi  ambo  domum  Cardinalem,  qui  quod  venerat 
saeptus  armatis  pedissequis,  &  pluribus  stipatoribusj. 
quam  ejusmodi  soleant  dignitates,  multis  reprehension! 
fuit,  suspicion!  nulli  ;  quis  enim  unquam  Cardinalem, 
dum  res  divina  ageretur,  necaturum  hospites  suos,  si 
non  legisset  illud,  gui  comedunt  tecum,  portent  insidias, 
credidisset?  Archiepiscopus  simulata  salutatione  ma- 
tris,  relicto  in  Ecclesia  Cardinale,  domum  se  contu- 
lerat.  Conventum  enim  erat  inter  eos,  ut  auditis  cam- 
panis  in  elevatione  corporis  Christi,  Emissarii  in  Eccle- 
sia genuflexos  8c  adorantes  fratres  trucidarent,  Archiepis- 
copus 


we  APPENDIX.  NO  XXVII. 

copus  in  Palatio  civitatis  curia,  Dominos  verbis,  ac 
aditus  armatis  occuparet.  Jacobus  Eques  Pazzius  com- 
missd  a  sicariis  in  templo  caede,  cum  manu  armatorum 
populum  convocans  invasoribus  Palatii  succurreret. 
Ingressi  enim  jam  erant  tanquam  familia  Cardinalis 
Urbem  lecti  sub  Johanne  Baptista  milites,  de  quibus 
in  confessione  sua  "  8c  a  me  ordino  me  ne  andassi  a 
"  Imola  con  cento  provigionati."  Agrum  quoque 
Aretinum  Laurentius  Castellanus,  Mugellam  Tolenti- 
nus,  Imolae  Gubernator  cum  exercitu  Sixtiano  intra- 
vefant.  Evenit  autem,  ut  in  Ecclesia  ab  Elevatione 
ad  Communionem  res  differretur.  Voluit  nam  Domi- 
nus,  arbitramur,  aut  in  hoc  secum  sanguine  novam 
sponsam  descendentem  de  caelo  communicare,  aut  a 
sua  hujus  innocentiam  mortis  ostendere.  Ut  enim 
Sacerdos  in  ejus  memoriam  calicem  sumpsit,  ambo 
inermes  8c  sine  ulla  suspicione  ab  armatis  sicariis  in- 
vaduntur,  occiditur  statim  Julianus  a  Franceschino 
Pazzio,  Bernardoque  Bandino  lateri  ejus  haerentibus, 
iniirmus  quidem,  8c  qui  ea  die  praeter  morem  gladio- 
lum,  qui  ei  uiceratum  crus  quatiebat,  domi  reliquerat, 
sicque  innocens  juvenis,  gaudium  universae  terrae, 
iilius  ac  nepos  eorum,  qui  semper  erexere  Ecclesias, 
in  Ecclesia  trucidatur  inter  Missarum  solemnia,  qui 
mille  paverat  Sacerdotes,  &c  in  oculis  novi  Cardinalis, 
qui  eum  erat  convivio  excepturus,  immolatur.  Vere 
martyr  patriae  suae,  qui  nulla  sua  culpa,  sed  quod  sine 
ejus  morte  nee  frater,  nee  ilia  subjici  poterat,  interfi- 
citur.  Laurentius,  sive  quod  pluris  faciens  Dominus 
ejus  elecmosinas,  quam  symonias  Comitis  Hieronymi, 
obunibrazit  cajiut  ejus  in  die  belli^  sive  quod  strenue  ma- 
nu 8c  clamore  populi  se  defenderet,  uno  tamen  vul- 
nere    accepto  sospes   in  Sacrarium   se  recipit.     It  tamen 

rumor 


APPENDIX.  N<^  XXVIL  177 

i-umor  per  urbem  utrumque  esse  mortuum,  ac  supera- 
tum  Palatium,  arcem  civitatis.  Intraverat  enim  jam 
illud  Salviatus  sub  praesentandi  Brevis  Apostolici  no- 
mine, portamqiie  ac  aditus  supremos  tenebat.  Nullus 
tamen  victores  secutus  est ;  arma  capit  Patritius  quis- 
que  ac  Plebejus.  Locum  alii  caedis,  alii  aedes  Lauren- 
tianas,  Forum  majus  multi  petiere  :  civitas  universa 
consurgit :  ploratus  auditur  eorum^  qui  arma  capere  non 
possunt,  sublatos  e  medio  patres  paupei'um,  propugna- 
cula  libertatis,  panem  patriae.  Magistratus  interea,  qui 
tenebatur  verbis  Archiepiscopi  quo  adveniret  Eques  Paz- 
zius,  cognito  dolo,  arreptis  candelabris,  arreptis  verubus, 
cum  alia  arma  non  haberet,  invasores  detrudit,  turrim 
ascendit,  venientemque  in  subsidium  Jacobum  saxis  e 
campo  subjecto  repellit :  tenebant  tamen  inferiorem 
Palatii  partem  Salviatani  banc  ingressi  per  fractam 
ariete  portam  cives  capiunt,  suspendunt,  praecipitant. 
Juventus  interea,  quae  ad  locum  caedis  concurrerat, 
jacentem  Julianum  offendit,  ululat,  amplectitur,  Lau- 
rentium  a  Sacrario  domum  reducit,  vulnus,  quod  ei 
inflictum  collo  fuerat,  ob  suspicionem  veneni  sugit 
labiis,  parricidas  insequitur.  Mirum  quam  brevi  tan- 
tum  incendium  extinctum  sit,  quam  nullus  e  tot  pro- 
ditoribus  evaserit.  Solus  Cardinalis  opera  Laurentii, 
qui  etiam  in  tanta  clade  amissi  optimi  fratris,  Sc  propriae 
vitae  periculo  suae  erga  illam  dignitatem  rcverentiae  est 
recordatus,  a  furore  populi  liberatus  est.  Hunc  Lauren- 
tiani  in  Palatium  vix  deduxerunt,  reliquos  omnes  sanguis 
ille  innocens  aut  suspensos  vidit  laqueo,  aut  discerptos 
unguibus. 

III.  Sic   se  res   habuit,    Christian!   lectores,    hac    de 
caussa,  hoc   ordine,    his   mediis    tentata  eversio  Floren- 

tina 


178  APPENDIX.  NO  XXVII. 

tina  est.  Per  haec  vestigia  eum,  qui  venit^  ut  vitam 
habeant^  13"  abiindantius  habeant^  Sixtus  secutus  est. 
Sanguis  optime  de  Christiana  religione  meritus  per 
Principem  religionis  fusus,  violata  per  Pontificem  Ec- 
clesia,  poUuta  per  summum  Sacerdotem  sacra  sunt, 
Et  haec  neqiiis  ignoret  aut  excusare  possit,  confirmat 
aperto  bello,  &  promulgatis  censuris  coeptam  conjura- 
tionem  sequitur.  Earn  muherculam  imitatur,  quae 
vento  detectum  calvitium,  ut  posteriori  veste  reterreret, 
nates  detexit.  In  cubiculo  suo,  ut  vidistis,  tractata 
res  est :  suus  Comes  F  actios  ad  necem  armavit,  suus 
cardinalis  farniliam  caedi,  presentium  sceleri  praestitit, 
suus  exercitus  fidelis  fines  nostros  pro  Turcis  ingressus 
est.  Quis  jam  non  videat  dehrum  senem  his  suis  pro- 
mulgatis censuris  voluisse  notam  macula,  lutum  ster- 
core  lavare  ?  Ecquis  fidelis  non  moveatur  ad  tarn 
sceleratam  machinationem,  studeatque  saluti  suae  per 
nostrum  periculum  providere  ?  Non  enim  pro  sua, 
sed  Domini  caussa  claves  expediunt,  qui  ligandi  atque 
solvendi  auctoritatem  habent.  Non  adimunt  defen- 
sionem,  qui  judices  esse  volunt,  non  imprimunt  cen- 
suras,  qui  officio  satisfacturi  sunt,  non  evaginant  gla* 
dium,  qui  nolunt  mortem  peccatoris,  sed  ut  ma^is 
convertatur  £c  vivat.  Non  jubent,  solvai  nemc,  exigant 
omnes,  qui  suum  unicuique  tribuunt,  cum  hi  praeser- 
tim  quos  ad  decoctionem  compellere  cupiebat,  suis 
creditis  non  receptis,  debitis  omnibus  persolutis  sic  ex- 
communicati  &  lacessiti,  dispensatori  ejus  non  inveni- 
enti  Romae  qui  illi  suas  pecunias  crederet,  de  qua- 
dringentis  aureis  in  quotidianas  expensas  subvenerint, 
quae  omnia  tam  vobis  timenda  sunt,  quam  nobis  de- 
ploranda.  Sed  ad  refellendam  sententiam  ejus  fin 
marline,    quamquam    rem   exposuisse    superasse   sit)  ut 

factis, 


APPENDIX.  N«  XXVII.  179 

factis,  non  verbis,  ratibnibus  non  querelis  caussam  nos- 
tram    tueamur,  veniamus. 

Hie  quidem  undecim  capita  rerum  objicit  Sixtus 
Laurentio  Medici,  ut  multis  vincat,  quern  una  ratione 
non  potuit  :  adjutum  Vitellium  :  tentatam  Perusiam  ; 
defensum  Montonium  :  vocatum  Deiphaebum :  Tyfer- 
num  expetitam :  captos  Romipetas  :  Pyratas  immis- 
SOS :  negatam  Salviato  Pisano  sacram  possessionem : 
suspensionem  ejusdem  familiarium  :  denique  mortem 
Archiepiscopi,  ac  derentionem  Cardinalis. 

Quae  omnia  tarn  vera  sunt,  qiiam  falsum  suis  ma- 
chinationibus  Julianum  non  esse  occisum.  Bone  De- 
us,  qiiaip  toties  labitur,  qui  semel  offendit  ad  lapidem 
pedem  suum  (in  margine.  Quam  vera  ea  vox  Pauli  '- 
quoniam  Ijf  ijise  circundatus  est  injirmitate ) .  Non  satis 
est  Solium  illud  Pontificium  prostituisse ;  vult  etiam 
censuras  in  contemptum,  Sc  eamdem  turpitudinem  ad- 
ducere  (in  margine,  Plenitudinem  potestatis,  quae  ad 
criminalia  non  extenditur,  evacuat  auctoritate,  dum 
replet  injustitia).  Vocat  filium  iniquitatis  Laurentium, 
qui  non  iniqua  tunc  egit,  cum  pristinae  paupertatis 
suae  victum  subministravit,  cum  postmodum  assumpto 
ad  Pontificatum,  primus  omnium  obedientiam  prae- 
stitit,  &c  semper  fuit  aequissimus.  Vocat  perditionis 
alumnum,  quia  perditum  cupiebat :  at  secundum  Bo- 
minum,  qui  eum  e  tot  gladiis  eripuit,  salutis  fuit  alum- 
nus, quod  etiam  is,  qui  eum  occisurus  erat,  praemo- 
nuit.  "  Non  me  gli  fate  dare  in  Chiesa,  die  quelli 
«  Santi  V  ajuteranno  ;"  religiosior  sicarius,  quam  theo- 
logus  Pontifex.  Declarat  excommunicatum,  ut  boni 
omnes   intelligant    extra    communionem    esse    malorum 

juxta 


180  APPENDIX.  NO  XXVII. 

juxta  illud  :  odivi  Ecclesiam  malignantium^  Isf  cum  impiit 
non  sedebo,  Maledicit  ut  super  maledictionem  ipsius 
Dominus  inducat  benedictionem.  Et  monuimus^  inquit, 
firius^  immo  necare  voluit  prius  :  gladium  prius  adegit 
jugulo,  quam  verbum  auri.  Nunc  conclamat  post  in- 
fectam  rem,  ut  verbis  conficiat  quern  ferro  non  po- 
tuit. 

IV.  Dicit  sensisse  cum  Laurentio  quosdam  com- 
plices ejus.  Interroget  Cardinalem  suum  Sancti  Geor- 
gii  ad  Velabrum,  populusne,  an  complices  isti  erant, 
qui  in  illo  tumultu  capiti  suo  enses  intentabant  ?  Po- 
pulusne an  complices  illud  remiserunt  ?  Partem  ne 
civitatis  an  totam  vidit  pro  Laurentio  in  parricidas  in- 
surgere  ?  Raptavit  ne  per  urbem  cadaver  Pactii,  qui 
animam  suam  ^moriens  diabolo  commendavit  multitu- 
do  complicum  an  puerorum  I  Cujus  erat  illud  threa- 
trale  carmen,  "  Muoja  il  Papa,  muoja  il  Cardinale, 
"  viva  Lorenzo,  die  ci  da  del  pane"  a  complicibus 
ejusmodi  aegre  repressum.  Vidit  ille  omnia,  audivit, 
tetigit ;  modo  sinatur  ingenue  loqui,  nee  prius  Hiero- 
nymum  adeat,  quam  Vicarium  ejus  Sixtum.  Magnus 
certe  fuit  is  complicum  numerus,  qui  clamante  Pazzio 
libertatem,  mortuos  esse  Laurentium  8c  Julianum, 
palatium  cessisse  victoribus,.  neminem  reliquerit  vel 
affinem,  qui  eum  sequeretur  ;  mitis  ea  tyrannis,  quae 
plures  habuit  mortua  defensores,  quam  vivens  ac  vic- 
trix  libertas  sectatores  :  illud  quoque  quam  ridiculum 
est,  quam  falsi,  Sc  imperiti  judicii  argumentum,  vo- 
luisse  Laurentium  creari  se  ex  Octo  viris  Baliae,  ut 
aliquos  cives  e  Republica  ejiceret.  Per  alios  faciunt, 
Sixte  Pontifex,  per  alios  Principes  civitatum,  cum 
quid   ejusmodi   est  agendum.      Auctores    tamen   haberi 

voluit 


APPENDIX.    NO  XXVII.  181 

voluit  eoriim,  quae  populo  sint  placitura ;  8c  ne  longe 
exempla  petantur,  cum  prlmum  in  hos  parricidas  ani- 
madvertendum  fuit,  Magistratu  se  Laurentius  abdica- 
vit,  acceptarat  id,  ut  nimiam  illius  dignitatis  in  se 
licentiani  corrigeret,  8c  ut  extorres  quidam  per  eum 
in  patriam  revocarentur,  non  novi  proscriberentur. 
Nunc  vis  eum  omnia  posse  in  Florentina  Rcpublica, 
quo  melius  communibus  jaculis  privatam  simultatem 
ferias  ;  nunc  adeo  debilem  effingis,  ut  esse  in  Magis- 
tratu indigeat,  quo  aliquid  in  ea  pro  arbitrio  statuere 
possit.  Sistas,  Sixte,  oportet,  si  vis  banc  tuam  decla- 
rationem,  non  confusionem  a.ppellari — Sed  quid  verba 
singula  repellimus  ?  Cuperemus  pro  honore  Romanas 
Sedis,  nt  una  saltem  clausula  praeter  illam  (licet  im- 
meriti)  in  tarn  longo  processu,  vel  excessu  potius,  veri- 
tate  niteretur  :  nam  ilia  de  fratrum  nostrorum  consensu 
quid  mendacius,  quid  impudentius  I  Verius  dixisset 
de  filii  nostri  Hieronymi  sinu  ;  nam  fratres  illi  sui 
viri  sanctissimi  nunquam  tot  mendaciis  consenserunt ; 
vivi  sunt,  possunt  interrogari  ;  sed  credite,  (ideles  ; 
Monacho  ad  ultimum  ad  summum  gradum  provecto 
nihil  frontosius,  nihil  privati  appetitus  pertinacius,  pub- 
lici  honoris  negligentius. 

I.  Quantum  autem  ad  Nicolaum  Vitellium,  ju- 
vere  hominem  Florentini,  ne  sua  patria  ejiceretur, 
dum  is  praesertim  nee  rebellabat,  nee  unquam  alias  tarn 
obediens  Ecclesiae  fuit,  qui  ita  ex  foedere  icto  de  vo- 
luntate  Pavili  Pontificis  per  Sixtum  quoque  alioquin 
confirmato  .tenebatur.  Revocari  autem  id  subito  lege 
uUa  non  pcrmittebatur,  cum  hoc  quod  Tifernates 
cum    Florentinis   contraxerant,    liberum    esset,    duraret, 

VOL.    III.  B  b  Sc 


182  APPENDIX.    NO  XXVII. 

?c  per  conversationem  sua  cum  Ecclesia  initum  esset 
&  concessum  :  ilia  enim  perturbatio,  &  in  media  eorum 
obedientia  ac  pace  Italiae  exercitus  immissio,  quid  sibi 
voluit  ?  quid  subesse  c£.ussae  poterat,  quid  externos, 
ne  dum  conjunctos  exire  in  occursum  non  deberet? 
Utendum  quidem  fuit  licentia,  nedum  concesso  foe- 
dere,  quod  saltern  intelligeretur  Pontifexne,  an  milita- 
ris  excursio  improvisam  iilam  calamitatem  inferret. 
Nam  patuit  postea  quid  statui  Florentine  illius  civitatis 
motus  portend  /oat,  quanquam  multarum  caedium  8c 
perturbationum  fomes  erat  &,  initium.  Fuit  insuper 
auxilium  illud  ejusmodi,  ut  fidem  Ligae  servaret,  Pon- 
tiiicis  mentem  ofTendere  non  posset :  nam  Legati  copi- 
alas  tarn  verum  est  alioquin  fuisse  lacessitas,  quam 
falsum  Florentinos  eam  solvere  obsidionem  non  potu- 
isse,  si  voluissent.  Hujus  rei  testem  alium  nolumus, 
quam  nepotem  suum,  ipsum  scilicet  Cardinalem  S. 
Petri  ad  Vincula,  quem  is  falso  in  testimonium  suum 
Bullis  inseruit.  Fatetur  hie  ingenue  palam  se  nun- 
quam  in  ea  legatione  aut  Laurentium,  aut  aliquid  Lau- 
rentii  contra  Ecclesiam  vidisse  ;  dignior  nepos  thiara, 
quam  patruus  pileo.  Fuit  absolutus  praeterea  jam 
tertio  Laurentius  ab  omni,  si  quem,  ob  missos  a  prin- 
cipio  milites  fines  defensiiros,  in  canonem  incidisset. 
Nam  quartus  hie  est  annus  hujus  rei,  cujus  nunc  judi- 
cium repetit,  immemor,  quod  Dominus  bis  in  idipsum 
non  judicat,  immemor  quod  Salva.tor  dixit,  si  fieccaverit 
in  te  frater  tuiis^  vadt  isf  corripe  eum  inter  ie  ^  ifisum 
solum^  immemor,  quod  subjunxit  etiam,  septuagici 
sejities,  immemor  illius  ad  Petrum,  cujus  tam  vices 
gerit,  quam  m.onitum  servat,  niitte  gladium  tuum  in  vagi- 
nam,  nain  qui  gladio  ferit,  gladio  Jierit» 

At 


APPENDIX.    NO  XXVII.  183 

At  qiieritur  revocatum  post  ope  Laurentii  in  patri- 
am  Vitellium  ;  tanquam  ea  imprudentia  sint  Florentini, 
ut  malint  jacentem  erigere,  quam  stantem  non  tueri. 
Durasset  Viteilius,  permansisset  Tiferni  Vitellius,  si 
Florentimis  manum  apposuisset ;  quid  enim  obstabat, 
quo  minus,  capta  urbe,  arx  quoque  imperfecta  capere- 
tur,  nisi  quod  deficientibus  externis  amicis,  defecere 
&  interni  qui  eum  revocaverant.  Nam  Joannem  Vitelli 
Vitellii  filium,  qui  eorum  stipendiis  militabat,  nedum 
reliquos  tenuerunt  Praetores  Florentini,  ne  patrem 
contra  Ecclesiam  sequeretur,  ita  ut  ejectum  se  Tiferno 
Viteilius  a  Ilorentinis  non  revocatum  quereretur. 
Laurentium  vero  postmodvim  revocasse  Nicolajum  ex 
agro  patriae  suae  vicino,  Sc  praeter  auctoritatem  Flo- 
rentinae  Libertatis  transtulisse  Fisas,  quo  pacatus  Six- 
tus  civitate  ilia  potiretur,  non  dicit,  Subticet  beneficiaj 
offensas  derivat  in  crimina,  suspiciones  afiert  pro  com- 
missis,  in  non  subditos,  non  confessos,  non  convictos, 
non  citatos  sententiam  profert  excommunicationis.  Sic 
redditur  pro  bono  malum,  sic  fratilis  gratitudo  pro  cus- 
todito  sublatum  Tifernum  queritur.  Sic  quod  tumul- 
tuarie  coepit,  tumultuarie  8t  nullo  servato  juris  ordine 
prosequitur. 

II.  Sunt  juncti  foedere  Florentini  cum  Perusinisj 
&  his  Perusinis,  qui  Comiti  Carolo  adversantur,  Ponti- 
fici  favent,  &  culpat  Vicarius  veritatis  Laurentium, 
quod  per  Comitem  Carolum,  quaesierit  abducere  Peru- 
siam  ab  Ecclesiae  reverentia.  Vanum  omnino  Sc  ridi- 
culum  mendacium,  &  quod  se  ipsum  solvat,  sociasque 
calumnias  apud  recta  judicia  mentitas  demonstret. 
Nam  hi  quoque  Perusini,  qui  Caroli  partes  sequebantur, 
cum    Florentiae     exularent    in    Pactiana     conjuratione 

depre- 


184  APPENDIX.  NO  XXVII. 

depvehensi  cum  reliquis,  qui  Achiepiscopum    ad    occu- 
pandum  Palatium   secuti    sunt,    periere.     Et,  in  quit,  ut 
subdat   PerusiaiTi   per   Carolum   suae  tyrannidi.      Subdi- 
turne   per  redituni   unius    civis  tarn  facile  populosissima 
civitas  nunquam   verum  jugum  passa  servitutis  ?  Eratne 
insuper    Comes   Carolus    tam    servus,    ut    praestaret   ei 
secum    patriam    alienae     subdere     ditioni  ?       Tyrannus 
praeterea    Laurentiusne    est,  qui    suo    exercitu    potuerit 
rem    tantam     aggredi  ?     At     forsan    discessus    Caroli  a 
Venetis   fuit   adeo   ignotus,    ut   simulatus   putari  posset. 
Pudet  respondere   tam   puerilibus    verbis    8c     impudenti 
mendacio    verecundam    opponere   A'eritatem.     Credimus 
eum     congerere    in     hanc     Bullam     voluisse     quidquid 
adversi   in    suo    Pontificatu,    quidquid   poenarum   offen- 
derit :  tot   enim   pene    execrationes   in    suis   litteris  con- 
glutinat,    quot    vulnera    Juliano     etiam    jacenti    sicarius 
ejus  infiixit,  ut   idem  judex  videretur  8c  occisor.     Unam 
tamen  injustam  juste    poenam   adhibuit.     Privavit   Pisa- 
nos   dignitate   Archiepiscopali,  qui   nihil    aliud   egerunt, 
quam   quod   cives  duos   in   eo   suspendio  amisere,  8c  id 
fecit,  putamus,    quia  voluit    etiam    habere   partem   cum 
his,    qui    illos    privarunt    Archiepiscopos,    Sc   sentire    in 
aliquo  Presbytericidis,   ut  senserat  cum   homicidis.     Ve- 
rius  quidem  privarat  eos  {in   marghie,  tam  antiqua  dig- 
nitate) cum   Pisanae  eorum  Ecclesiae  Simoniacum  prae- 
fecit   lenonem   hereticum.     Sed  hanc  novam   excogitavit 
privationem,    ut    cognosceretis   a    multitudine  poenarum 
ejus  tam    odii   copiam,     quam  justitiae   paupertatem  (m 
marginc^   Florentinae    quoque    Ecclesiae   tam  Justus   fuit 
quam   pius.       Interdixit   illam   prius    armis   quam   cen- 
suris,  prius   A'ctuit   homicidio,  quam  interdicto,  divinum 
in   ea  celebrari  officium,    8c  id   etiam  credimus,  ut  intel- 

ligeretis 


APPENDIX.  NO  XXVII.  185 

Hgeretis  praecederc  in  co  diabolum,  subscqiii  Ani^elum, 
niucronem  spiritualem  temporalis  esse  ministrum.  At 
inquit  Paulus  ;  si  quis  tcmjilum  Dei  violaverit,  difiperdet 
ilium  Deus), 

III.  Objicit  tertio  loco  obsessum  a  se  MontoniuiTi 
adjutum  fuisse  a  populo  Florentino,  8c  ad  fidem  faci- 
endam  quosdam  interceptos  niilites  subsidiarios  adducit. 
Deus  immortalis  !  quam  fulcimus  pluribus,  quod  debi- 
lius  videmus  !  Ipse,  qui  Comitem  Carolum  in  Senenses 
pepulerat,  Florentinos,  qui  hominem  abscedere  jusse- 
runt,  accusat.  Nos  jurene,  an  injuria  nobilis  Senex 
ad  propria  rediens  sua  sede  spoliatus  fuerit,  unde  illi 
incubuit  post  necessitas,  ut  vivere  posset,  sua  a  Senen- 
sibus  repetere,  non  requirimus.  Nolumus  enim  quae 
nostri  judicii  non  sunt,  ut  Sixtus  nobis,  affirmare.  Sed 
ob  aliud  quam  Montonium,  ob  aliud  venisse  illuc  castra 
Sixtiana  ostendemus.  Legite  banc  sui  Joannis  Baptis- 
tae  narrationem,  non  extortam  cruciatu,  nee  ad  ejus  rei 
fidem  exactam  :  cognoscetis  Sixtum  proditionem  prodi- 
tione  voluisse  occulere,  imitatum  eas  muliercuias,  quae 
cum  ipsae  meretrices  sint,  alias  fornicarias  appel- 
lant. Haec  sunt  verba  Jo.  Baptistae,  mendacium 
illud,  dum  aliud  narrat,  aperientia.  "  Dipoi  co- 
''  menzo  andare  per  il  tavolero  fatto  del  Conte 
"  Carlo,  e  per  dicta  cagione  bisogno  mettere  insieme 
"  ognuno,  che  1'  hebbero  niolto  caro,  Sc  essendo  il 
"  campo  del  Conte  Carlo  in  quello  di  Siena,  e  com- 
"  prendendosi  chiaramente  la  cosa  non  potere  aver  du- 
"  rata,  fu  fatta  deliberatione  d'  andare  a  campo  a  Mon- 
'•  tone,  e  tenere  in  tempo  1'  assedio  piu  che  si  posseva, 
"  accioche  chostoro  havessero  tempo  a  dare  ordine  alia 
"  espedizione,  e  per  decta  cagione  venne  Francesco  de' 
"  Pazzi    in   quello    tempo   qui  in    Fiorenza   con    dimos- 

"  tratione 


186  APPENDIX.    NO  XXVII. 

"  tratione  di  fuggire  V  acre,   8cc.  £t  infra,    E  da  parte 

"  del  Conte   gli   sollecitai  assai  a  decta  espedizione   pri- 

"  ma    ch'   el   campo  si   dividesse.     Loro    me  resposero, 

"  che    non    bisognava  speroni,   ma   morso,   &   ad  omne 

«*  modo  vedera  spedirla  in  questo  tempo,   e  che  io  stesse 

"  parato,   che  sperava    avvisarme   presto   quello  havesse 

"  a  fare,   e  che  al   sue   avviso  non  preterisse  niente,  Sc 

"  io  dissi   di  farlo,    e  con    questo   me  n'  andai  ;  2c   non 

"  trovando   chostoro   comoditi  di  farlo   in  quello  tempo^ 

"  deliberarono  lasciare  stare  sin  a  tempo  nuovo,  &  awiso 

"  che  se  deviasse  il  campo." 

Et  scribit  in  suis  censuris  bonus  Pontifex  ad  pacem 
Italiae  conservandam  se  illuc  suas  copias  misisse.  Pax- 
ne  Italiae  erat,  an  perturbatio  ?  An  aditus  Turcorum 
per  eversionem  Florentinae  civitatis,  commotio  omnium 
Christianorum  ?  Sunt  ociosi  Veneti  pugnantes  tot 
annos  contra  Turcos  pro  uni versa  Christianitate  ;  quid 
eos  abducere  a  muro  Hierusalem  in  auxilium  sociorum 
quaerit?  Est  bonus  Auditor  spiritus  prophetici  Orfano 
tu  eris  adjutor ;  quid  puerum  Ducem  Mediolani  beilis 
implicare  conatur  ?  Est  Florentinis  forsan  foedus  cum 
eo,  qui  irritat  Turcum  in  Christianos,  qui  eorum  agrum 
diripit,  incendit  oppida,  civitatem  premit  ?  Nunc  in- 
telligimus  cur  vendebat  Ecclesias.  Habebat  unde 
simoniam  excusare  posset :  in  propugnatores  fidei  :  in 
pupillum  Sc  viduam :  in  eos  qui  semper  tcclesiae 
partes  secuti  sunt.  Credebatis  omnia  Tyresianas  cre- 
pidas  obligurisse.  Restabat  8c  quod  in  hoc  sanctum 
opus  exponere  posset.  Appellat  bellum  pacem  noster 
hie  Vicarius  veritatis,  ut  omnia  ei  inversa  sunt,  8c  a 
contrario  sensu  interpretata.  In  cervices  Florentino- 
rum,  in  jugulum  hujus  populi,  qui  toties  sanguinem 
suum    pro    dignitate    Pontificum    fudit,    vicinus    ille    ad 

Montonium 


APPENDIX.  NO  XXVII.  187 

Montonium  exercitus  cogebatur,  ut  cum  primum  con- 
jurati  in  urbe  homicidium  commisissent,  externa  haec 
auxilia  ad  fovendam  proditionem,  vel  diripiendam  po- 
tius  opulentissimam  civitatem  convolarent.  Nam  is 
exercitus  nonne  illius  Sixti  erat,  qui  Spoletum,  Tuder- 
tumque  Apostoli  Petri  urbes  sine  caussa  diripuit  ?  Et 
quid  pietatis  in  alienas  sperari  poterat,  si  in  suas,  dum 
longa  processione  Legatum  excipiunt,  tam  crudeliter 
saevitum  est  i  Quod  si  Montonio  opem  ferre  voluis- 
sent  Florentini,  non  erat  ea  vis  obsidionis,  non  tam 
male  munitum  oppidum,  ut  propinqua  hyeme,  nee 
loci  domino,  duce  fortissimo  absente,  defendi  non  pos- 
set. Sed  facies  ejus  mendacii,  ut  ostendimus,  tam 
deformis  est,  quam  vultus  male  compositus.  Nam 
nee  illud  quoque  huic  purgationi  deest,  quod  in  omni- 
bus suis  rebus  abunde  semper  subministratur,  repug- 
nantia  scilicet,  Sc  sui  ipsius  redargutio.  Immemor 
enim  omnium,  praeterquam  dolosae  intentionis,  crimen 
nunc  appellat,  quod  olim  innocentiam  nominavit.  Hoc 
ejus  ad  Laurentium  Breve  est.  Legite  cognituri  quam 
alius  posito,  alius  sufhpto  cucullo  sit  Monachus. 

Dilecte  fili  salutem  &.  Apostolicam  benedictionem. 
Intelleximus  ex  litteris  venerabilis  Fratris  Fr.  Archi- 
episcopi  Pisani  Referendarii  nostri  te  vehementer  ani- 
mo  angi,  quod  processus  contra  Carolum  de  Fortebrac- 
cis  facti,  in  quibus  tui  nominis  mentio  fit  missi  vulga- 
tique  fuerint.  Non  est,  fili  dilecte,  quod  moleste  id 
feras  ;  nos  enim  optime  de  tua  devotione  sentimus, 
innocentiamque  tuam  exploratam  habemus.  Nee  idcirco 
processus  hujusmodi  misimus,  ut  te  notare,  sed  ut 
purgare  vellemus.  Verba  litterarum  nostrarum,  in 
quibus  processus  inclusimus,  ita  sonant,  ut  ille  mentitus 
esse,    si    forte    apud    alios   jactasset,    &    viros    magnae 

aucto- 


188  APPENDIX.  NO  XXVII. 

auctoritatis  falso  nominando,  perfidiae  suae,  favorem 
quaerere  voluisse  videatur.  Nos  nihil  sinistri  suspi- 
cari  de  tua  in  nos  spectata  caritate  possumus, 
neqiie  unquam  suspicati  sumus.  Quare  hortamur, 
ut  omnem  animi  molestiam  deponas,  tibique  per- 
suadea.s  nos  te  unice  diligere,  &  ad  paternum  nos- 
trum in  te  amoreni  niiiil  addi  posse,  queniadmodum 
ex  litteris  dilecti  filii  nobilis  viri  Hieronymi  nostri 
secundum  carnem  nepotis  notum  tibi  esse  potest. 
Datum  Romae  apud  S.  Petrum  sub  annulo  Piscatoris 
die  XXVII.  Pontincatus  nostri  an.  VII.  L.  Grifus. 

Quid  dicitis,  Christiani  Lectores  ?  Idem  ne  est  hie, 
qui  ob  Montonium  excommunicat,  an  latet  anguis  in 
herba,  £c  est  hamus,  non  amor,  quem  paternum  appel- 
iat  ?  Nam  eo  potissimum  tempore  Breve  hoc  reddi- 
tum  est,  quo,  soluta  Montoniana  obsidione,  Romam 
Laurentium  attrahere  cupiebat.  Utrum  capiatis  dolum 
ne  an  contradictionem,  Sixtianum  est.  {In  margine. 
Nam  egregie  hie  juxta  Prophetam  mentita  est  iniquitas 
sibi.') 

IV.  De  vocato  in  Thusciam  Deiphaebo  mala  pro 
bonis  recipiunt  Florentini.  Scit  enim  Sixtus,  scit  sua 
conscientia,  bis  hunc  venientem  ad  stipendia  Florenti- 
norum,  bis  sua  caussa  fuisse  rejectum.  Recitaremus 
hie  iitteras,  quibus  8c  interrogatus  est  Sixtus,  &  re- 
spondit,  nisi  tribuere  nimium  etidenti  mendacio  videre- 
mur,  praesertim  cum  vivat  Deiphaebus,  qui  testis  esse 
potest  locupletissimus,  Sc  apud  illos  militet,  potius 
quam  Florentinos.  Sed  dicat,  precamur,  Deiphaebi 
pecuniae  nonne  apud  suos  Pactios  erant  ?  Nonne  per 
eos  ad  paternum  regnum  aspirabat  ?  Si  aspirabat,  Floren- 
tini   praeterea  cur  minus  Christiani  sunt,  quam   Veneti, 

quibus 


APPENDIX.  NO  XXVII.  189 

quibiis  Deiphaebum  militare  conceditur  ?  At  vicini  terris 
Ecclesiae  non  sunt,   ut  Florentini ;    Viciniores    Senenses 
sunt   Florentinis,    &  ad   hos  divertit  bis   Deiphaebus  ut 
ad   Florentines :     cur   his   crimen    est,   quod    ill  is    meri- 
tum  ?    Nisi   quia  noverca   non  mater,  ira  non  ratio  banc 
sententiam    promulgavit.       Sed    banc    calliditatem    quis 
Sixtum  nostrum,  qui  tam  simplex  haberi  vult,   docuit  ut 
omnem   culpam,    omnem   caussam   censurarum    &   belli 
in   solum   Laurentium   rejiceret,    quo   dempto    intestinis 
odiis   capite,   facilius  reliquum  civitatis  corpus  invaderet. 
Verum  altius  radices  suas  agit  Laurus.     Nimis  sua   ilia 
viriditas,    dum    fulmina    8c    hyemes    contempsit ;    nimis 
ante   oculos    omnium    caedes   ilia  versatur ;    nimis    cog- 
nitum   Laurentium  potius  fuisse  vulneratum,  &  unicum, 
quern    habebat,     amisisse    fratrem    ob    patnam,    quam 
patriam  ob    ejus  ullam  in  aliquem  injuriam  fuisse  laces- 
sitam.      Nam    haec,    quae   objicit    Sixtus,    aut  publico, 
aut  privato    nomine  sunt  gesta.     Si  publico,  auget  Lau- 
rentio    commiserationem    Sc    gratiam,    quia    solus    pro 
omnibus  patiatur,    cum  solus   praesertim,  praeter   locum 
relictum   sibi    a   majoribus    suis,  nihil   publici  commodi 
capiat,    omnia  substineat.      Si  privato,  quod   fieri  nequit 
in  urbe  libera,  acquirit    haec  iiisecutio  tam  Sixto  odium, 
quia   innocentem  pro    noccinte   puniat,    quam   Laurentio 
auctoritatem,  quia  umis  tot   obierit,  ut  rempublicam   & 
communem     reliquJs     patriam    augeret.       Nihil     enim 
Sixtianam    versuciam    tam   puerilem    demonstrat,    quam 
fundatum   super  illato   homicidio   bellum :    hoc   Petrum, 
qui  sedem  erexit,  nedum  hunc,    qui  illam  dejecit,   dam- 
naret. 

V.  Ut  ad  Citernam  oppidum  insidiis  petitum  venia- 

mus,   &   haec   multo  post    reperitur   querela  tam  fulcta 

VOL.  Ill,  c  c  veritate 


190  APPENDIX.  NO  XXVII. 

veritate  quam  superior.  Non  occupant  per  insidias  noc- 
lurnas  alienas  iirbes  Respublicae,  Sixte  Pontifex.  Ty- 
rannorum  ea  ars  est,  Sc  eorum,  qui  non  per  comitia, 
sed  cubicula  res  suas  gubernant.  Ignota  cordis  pec- 
cata  castigas,  qui  manus  8c  oris  manifestam  injuriam 
intulisti.  Centurionis  puerum  sepelis,  qui  Lazarum 
in  tua  sede  foetentem  non  excitas*  Sed  iiujus  tuae 
calumniae  quam  vel  saltern  conjecturam  affers  ?  Nonne 
tua  Citerna  est?  Nimium  tuis  verbis  tribui  vis,  qui 
contra  evidens  factum  sola  auctoritate  niteris,  8c  aucto- 
ritate,  cui  sine  probatione,  in  terris,  quae  Ecclesiae 
sunt,  credi  non  debet.  Dominus  certe,  qui  est  scruta- 
tor covdium,  suum  Adam  saltem  citavit,  tu  alienum  ne 
audias  opprimis.  Si  tunc  praeterea  peccavit  Lauren- 
tius,  cur  nor\  tunc  excommunicatus  est  ?  Cur  in  eum 
solum  saevitur  ?  Certe  nulla  fuit  culpa,  quae  nuUam 
tunc  ab  irato  judice  poenam  substinuit.  Quod  si  cle- 
mentiae  suae  id  dari  contendat,  contendemus  8c 
nos  verisimile  non  esse  ut  verbis  clemens  sit,  qui 
sanguini  non  pepercerit.  Sed  statera  dolosa  calumniam 
dilexit,  8c  ut  trabem  suam  aliena  festuca  excluderet, 
laborare  fecit  Dominurn  in  sermonibus  suis,  quos  etiam 
ne  timeamus  sanctae  nos  Scripturae  monuerunt.  A 
verbis  viri  jieccaloriH  ne  timuerUis^  quia  gloria  ejus  stercus, 
i^  vermis  est  ;  hodie  extolUtur^  ^  eras  non  invenitur,  quia 
conversus  est  in  terrain  suam^  l^  cogiiatio  ejus  peribit  (in 
margine  :  verba  oris  ejus  iniqnitas  iP"  dolus  noluit  intelligere 
ut  bene  ageret), 

Peregrinorum  similiter  objectionem  non  possumus 
non  mirari,  cum  &:  Laurentius  semper  paveret  pauperes, 
exceperit  peregrinos,  liberaverit  obnoxios,  8c  Florentini 
hoc  apprime  intelligant,  nihil  eis  esse  Romipetis  utilius. 

Quod 


APPENDIX.  NO  XXVII.  191 

Quod  si  quis  mercator  in  eorum  patria  spoliatiis  ipsos 
transeuntes  apud  judicem  de  licentia  Pontilicis  hie 
convenerit,  ac  etiam  sine  solution e  dimiserit,  non  prop- 
terea  arbitramur  post  tantam  dilationem,  aut  civitatem 
hanc  debuisse  sacris  interdici,  aut  Laurentium,  ad  quera 
parum  ea  res  pertinuit,  excommunicari,  aut  praedatores 
propterea  debuisse  ablata  non  restituere  :  subjiceremus 
hie  fidem  oblatorum  nisi  id  melius  ipsi  testarentur, 
subjiceremus  BuUam  facultatis  in  eos  concessae,  nisi 
longior  esset  quam  nostra  haec  defensiuncula  capere 
possit.  Registrum  tamen  Romae  est ;  tarn  possumus 
nos  mentiri,  quam  ipse  non  erubescer^. 

VI.  De  pyratis  etiam  P'lorentinis  videre  potius  libet 
quam  respondere.  Quis  enim  unquam  audivit  Floren- 
tinos  pyraticam  exercuisse  ?  Utinam  non  fuissent 
semper  pyratarum  praeda,  quam  nunquam  ejusmodi 
artificium  exercuere.  Quod  si  aliquem  ejus  generis 
hominem  ad  defensionem  suarum  triremium  conduxcre, 
Sc  is  aliquid  ex  se  commiserit,  num  propterea  innocens 
pro  nocente  plectendus  erat  :  num  tam  atrox  sententia 
aliam  non  requirebat  caussae  cognitionem  ?  Sed  repe- 
tita  tam  longo  intervallo  memoria,  tam  impudens  fuit 
precipitanda  sententia.  Judicaret  saitem  quod  sentit ; 
aliquam  saitem  judicii  formam  praeferret :  toleraremus. 
At  contra  earn  innocentiam,  quae  etiam  ipsi  judici 
exploratissima  est,  contra  omnem  stilum  justitiae,  om- 
nem  ordinem  juris  sub  pretextu  notorii,  ignoti,  nedum 
non  probati  damnari,  non  possumus  non  contemnere, 

VII.  Negatam  vero  a  principio  Salviato  Pisani  Ar- 
cliiepiscopatus  possessionem  tam  excusamus,  ut  dolea- 
mus  aliquando    postmodum    fuisse    concessam.     Si  per- 

stitissemus 


192  APPENDIX.  NO  XXVII. 

stitissemus  in  ea  inobedientia,  nostrae  nunc  obedientiac 
retribution  em  non  lugeremus.  Per  eum  enim  tSixtus, 
ut  vidistis,  omnem  proditionem  istam  machinatus  est. 
Zelo  domus  Domini,  Sc  ut  aliquid  videretur  habere 
gustus  populus  Florentinus,  hunc  eo  anno  promotum,  quo 
aurato  vultu  per  urbem  in  bacchanalibus  &  camelo  vec- 
tus  est,  recusavit  primum,  acceptavit  post  ne  obstinatus 
videretur,  qui  jam  ostenderat,  non  sua  electione,  sed 
ejus,  qui  hominem  propriis  manibus  consecravit,  dig- 
nissimae  Ecclesiae  male  esse  provisum  :  si  igitur  ante 
obedientiam  nihil  contra  renitentes  factum  est,  ad  quid 
post  in  Laurentium,  cujus  opera  est  data  possessio,  red- 
dita  spolia,  receptus  honorifice  fertur  censura  ?  Quid  bills 
imperfect!  homicidii  pro  justitia  vomitur  ? 

VIII.  At  dicet,  suspensus  fuit,  &  per  vos  laqueo 
necatus.  Suspensus  leno,  suspensus  parricida,  suspen- 
sus lusor,  suspensus  proditor  ;  Sc  id  in  ipsa  enormitate 
criminis  dum  fureret  populus  in  proditores  patriae^ 
quorum  hie  erat  caput,  dum  cives  primarii  de  salute 
patriae  trepidabant.  Archiepiscopus  non  erat,  quern 
popularis  ille  furor,  dum  palatium  suum  defendit,  sus- 
pendit.  Archiepiscopi  enim  talia  non  faciunt ;  arma- 
tus  scuto  &;  ense  captus  est ;  invasor  Curiae  reten- 
tus.  Et  quis  hunc  pro  Archicpiscopo  cognovisset, 
aut  cognitum  sacerdotaliter  tractasset  ?  Noluissemus 
ipsmn  Sixtum  sic  inventum  fuisse  a  Savonensibus 
suis.  Quod  si  injiciens  manum  quocumque  modo 
in  Clericum  excommunicandus  sit,  cur  non  hi,  qui 
manus  injecerunt,  excommunicantur  ?  Quid  miser 
Laurentius  vulneratus  8c  confectus  doiore  interempti 
fratris  juxta  illud,  ulula  abies^  quia  cecidit  cedrus^  de  sua 
vita,  de    suo  statu,  de  salute   patriae    anxius  impetitur  ? 

Quid 


APPENDIX.  NO  XXVII.  193 

Quid  additur  afflicto  afflictio,  8c  pro  medela  illati  vulne- 
ris  vulnus  adjungitur  ?  Est  ne  haec  ilia  manifesta  Sc 
rationabilis  caussa,  pro  qua  tantam  ferri  censurani  sacri 
Canones  statuerunt  ?  Est  hie  gladius  ille  bis  acutus  ex 
ore  sedentis  in  throno  procedens,  ut  laudetur  peccator 
in  desideriis  animae  suae,  Sc  iniquis  benedicatur  ? 
Maledicitur  innocens,  qui  pene  occisus  est :  cccisor  & 
proditor  patriae,  bonae  memoriae  filius  appellatur. 
Haeccine  memoria,  Sixte  Pontifex,  tuae  bonitatis  Sc 
justitiae  I  Parricidarumne  patrem  te  Cardinales  isti 
creaverunt !  Hinc  forsan  cum  hunc  solus,  £c  per  saltum 
promovisti,  hi  vota  sua  reddere  noluerunt,  qui  tarn  bo- 
nae memoriae  partem  omnem  tibi  relinquere  statuerunt. 
Perfidia  fidem,  nocentia  innocei-itiam,  scelus  bonitatem 
perdidit,  Sc  vis  ad  nomen  censurarum  benedictum 
maledictum  existimemus  ?  Non  sic  impii,  non  sic, 
sed  tanquam  pulvis,  quein  projicit  ventus  a  facie  terrae, 
frustraque  jacitur  rete  ante  oculos  pennatorum.  Vah 
qui  dicis  amarum  dulce,  8c  dulce  amarum,  ponens 
tenebras  lucem,  Sc  lucem  tenebras  !  nam  sicut  avis  in 
incertum  volans,  Sc  passer  quolibet  vadens,  sic  maledic- 
tum frustra  prolatum  venit  super  eo,  qui  misit  illud  ; 
propiores  enim  sunt  ligationi  manus  habentis  potesta- 
tem  ligandi,  quam  ejus,  qui  iigandus  sit,  aut  solvendus. 
Idem  Sc  de  reliquis  Cardinaiis  familiaribus,  qui  armati 
inventi  sunt,  referemus  Clericos  non  esse,  qui  Domini 
sorte  relicta  arma  capiunt  Sc  daemones  sequuntur;  ait 
enim  Scriptura  de  ejusmodi  Clericis,  Clericatus  eorum 
non  proderunt  els,  Quis  viros  graves,  nedum  furentem 
multitudinem  requirat,  ut  ad  pectus  manus  contineant, 
si  videant  capi  arcem  suae  civitatis,  opprimi  libertatem, 
occupari  patriam  per  proditionem  ? 

Excom- 


194  APPENDIX.  NO  XXVII. 

Excommunicet  eos,  qui  contra  omnem  religionem, 
contra  omnem  aequitatem,  contra  omnem  humanitatem 
benemeritos  de  se  cives  8c  hospites  offenderunt,  non 
cos,  qui  se  defenderunt,  &  pro  patria  demicaverunt. 
Geterum  libenter  hie  intelligeremus  ab  eo,  qui  tot  tam 
tonstanter  proponit,  unde  nunc  maledicat,  quod  modo 
benedixit.  Nonne  ilia  sua  vox  fuit,  cum  audivit  sus- 
pensum  fuisse  ob  proditionem  Archiepiscopum  &  Sti- 
patores :  "  Benedicti  vos  a  Domino,  qui  hominem 
"  suspendistis ;  nunquam  voluissemus  praefecisse  eum 
"  illi  Ecclesiae."  Nonne  etiam  mentionem  habuit  de 
mittendo  Florentiam  Legato  qui  afflictos  consolaretur  ? 
Et  unde  post  tam  repens  exorta  in  contrarium  senten- 
tia  ?  Tam  subito  mutata  in  crudelitatem  commiseratio  ? 
Nondum  erat  for s an  captus  Jo.  Baptista,  qui,  sua  con- 
fessione,  Sixti  occultam  voluntatem  in  apertam  neces- 
sitatem  converteret :  vel  pendet  ab  alio,  &  est  Vicarius 
alicujus  hostis  nobis  ignoti,  &  hominis,  utinam  boni,  non 
ejus  qui  Ecclesiam  suam  super  firmam  petram  fun- 
davit  :  utinam  boni  diximus,  utinam  non  ejus,  qui 
fines  sibi  extendere  non  potest,  nisi  suos  minuat  Eccle- 
sia  :  ejus,  qui  suum  alienis  stipendiis  bellum  gerit,  ejus 
qui  non  tam  pii  Pontificis  opera  Romanae  sedi  erat 
obnoxius,  quam  hunc  suo  commodo  nunc  sibi  manci- 
pium  fecit.  Nam  credit  ne  Sixtus  ad  minimum  usque 
quadrantem  stipendia  haec  illi  se  non  soluturum  ? 
Urbes  Ecclesiae  nunc  emuntur,  dum  exhausti  Pontificis 
mala  coepta  foventur.  Percurrimus  haec  singultuoso 
stilo  &  abrupto,  quia  dolor  orationem  mutilat.  Quis 
enim  magis  vulnera  sentit  Ecclesiae,  quam  Florentinus  ? 
Si  tam  Hispanum  aut  Ligurem  ejus  calamitas  tangeret, 
non  adeo  dolenter  cladem  illius  &  nostram  intueremur. 
Privigni    mutrem  in    filios    armaverunt,    &    ubera,  quae 

reple- 


APPENDIX.  NO  XXVII.  195 

replevimus,  in  amaritudinem  nobis   8c  venenum  conver- 
terunt. 

IX.  Sed  ad  captum  Cardinalem  veniamus,  in  cujiis 
oculis  caedes  ilia  nefandissima,  8c  sacrilegium  commis- 
sum  est.  Qua  in  re  si  pro  bono  opere  lapidatum  Lau- 
rentium  videbitis,  credetis  8c  reliquas  purgationes  ejus 
non  minori  dignas  esse  commiseratione,  quam  fide. 
Hoc  litterarum  ipsius  Cardinalis  ad  Pontificem  exem- 
plum  est :  ipse  de  se  testimonium  prehibeat,  qui  scit,  an 
caperetur,  an  a  furore  populi  Laurentii  opera  libera- 
retur.  "  Paucis  ante  diebus,  Beatissime  Pater,  Sane- 
"  titati  Vestrae  significavi  liberam  mihi  abeundi  facul- 
"  tatem  fuisse  concessam.  Declaravi  praeterea, 
"  quantum  huic  Senatui,  Sc  praesertim  Laurentio  Me- 
"  dici  ob  mirificam  in  me  pietatem  essem  obnoxius. 
"  Postremo  Sanctitatem  Vestram  suppliciter  obsecra- 
"  bam,  ut  pro  beneficiis  in  me  suo  nomine  collatis, 
"  beneficio  aliquo  Florentinos  afficeret ;  verum  longe 
"  me  mea  fefellit  opinio,  siquidem  nuntiatum,  populo 
"  Florentino  &c  Laurentio  praesertim  sacris  interdic- 
"  tum  fuisse,  &  quibus  bona  desiderabam  expectabam- 
"  que,  mala  nunc  (heu  miser  !)  video  contigisse : 
"  mirabitur  forte  Sanctitas  Vestra,  quod  me  modo 
"  miserum  nuncuparim.  Quid  mirum  ?  Exprimere 
"  non  possum,  Beatissime  Pater,  quanto  dolore  pre- 
"  mar,  quod  vel  parum  apud  Sanctitatem  Vestram 
"  meae  preces  valuisse  putentur,  vel  in  eos  ingratus 
"  existimer,  quibus  usque  adeo  gratus  esse  percupio, 
"  ut  non  prius  abire  hinc  meo  quidem  judicio  decere 
"  videatur,  quam  lata  in  eos  sententia  retractetur.  Si 
"  pietas  de  Medicis  huic  populo  manifestissima 
"  Beatitudini    Vestrae   satis   nota    esset,    nunquam    tan- 

"  quam 


196  APPENDIX.  NO  XXVII. 

"  quam  impios  eos  execraretur.  Quantum  laetatua 
"  sum,  quando  me  Vestra  Sanctitas  Cardineis  tltulis 
"  declaravit,  tantum  certe,  multoque  magis  gaudebo, 
"  cum  sensero  meo  nomine  hos  optimates  optima  de 
"  nobis  meritos,  aiiquando  muneribus  gratitudinis  or- 
"  navisse.  Tunc  maxime  Beatitudini  Vestrae  me 
"  commendatum  esse  cognoscam,  cum  Senatum  hunc 
*'  Laurentiumque  nostrum  imprimis  intelligam  com- 
"  mendatum.  E  Monasterio  Annunciatae  Florentiae  ; 
"  die  10.  Junii  1478."  Quid  igitur  captum  Cardina- 
lem  queritur  Sixtus,  si  ipse  se  liberum  8c  debitorem 
Laurentio  profitetur  ?  Si  honorifice  ac  etiam  praestitis 
in  sumptus  itineris  pecuniis  remissus,  si  redditum  illi 
bonum  pro  malo  contra  morem  Sixtianum  est  ?  Quod 
de  superioribus,  quae  tam  recentem  Sc  manifestam 
redargutionem  non  habeant  credendum,  si  in  hoc  tan\ 
evidenti  mendacio  non  verum  deprehenditur  :  nam  ipse 
quoquemet  Sixtus  per  Episcopum  Modrusiensem  gra- 
tias  retulit  Magistratui  Florentino,  quod  roganti  Cardi- 
nali  suo  &  exigenti  deductio  in  Palatium  concessa 
fuerit,  quod  a  furore  populi  liberatus,  quod,  honorifice 
tractatus.  Sed  prostituta  mulier,  ut  diximus,  8c  extra 
Monasterium  Monachus  ejusdem  frontis  sunt.  Nos 
vulnera  Sc  necem  ostendimus,  ille  verba  k.  fictas  calum- 
nias  adducit  :  nos  eversam  pene  ipsam  Rempublicam 
proponimus,  ille  pro  remedio  tam  enormis  injuriae 
Oratoi  em  nostrum  Sc  mercatores  Florentinos,  qui  Romae 
versabantur,  capi  jubet  :  nos  Cardinalem  servatum 
remittimus,  ille  civitatem  sacris  interdicit,  parat  exer- 
citum,  ut  corpora  simul,  8c  animas  bonus  pastor  in- 
terimat.  Ob  ?iecatos  inquit,  Ckricos  :  non  dicit,  armati 
erant,  palatium  capiebant,  seditionem  move  rant,  janito- 
rem    Curiae,  abreptis    clavibus,    tenebant,     gladios     in 

jugulum 


APPENDIX.  NO  XXVII.  197 

jugulum  Dominoriim  vibrabant,  Julianum  occiderant. 
Accersendine  erat  tempus  Joannem  Andreae,  qui  cap. 
Si  quis  suadente  diabolo  declararet  ?  Suasit  id  Dominus, 
suasit  natura,  suasit  ratio ;  privilegio  privatur,  qui 
privilegio  abutitur  :  nee  ideo  Ecclesiastica  dignitas 
pe  rmibsa  est,  ut  clericus  grassari  in  Ecclesia  permit- 
tatur. 

Sed  quis  judicem  eum  existimet,  qui  gestae  rei 
partem  unam  tantum,  Sc  illam  multo  aliter,  quam  ^esta 
sit,  in  sua  sententia  exprimat  ?  Trucidati  in  Ecclesia, 
sine  caussa  vulnerati  inter  Missarum  solemnia  sine  ullo 
Dei  respectu  impetimur.  A  proditore,  ab  hoste  aperto 
judicamur.  Et  quis  banc  censuram  timeat  !  Quis 
non  clamet  in  coelum  t  Quis  non  premat  calcibus 
omnem  religionem,  omne  exetrationum  genus,  nedum 
banc  venientem  a  tarn  iniqua  proditione  sententiam. 
Nescimus  quidem  utro  major  sit,  Sixti  ne  temeritas,  an 
injustitia,  qui  censuris  &  armis  credat  commissum  ho- 
micidium  8c  seditionem  justificare.  {In  margine,  Pug- 
nant  sane  inter  se  vis  &  censura  ;  qui  utrumque  adhibet, 
utroque  indiget.  Vim  prohibuit  Dominus  Pastoribus, 
cum  jussit  Petro,  ut  etiam  pro  se  Christo  gladium  non 
educeret.)  Censuram  quoque  aliter  alius  Sixtus,  quam 
hie  noster  exerceat,  instituit.  Scribit  enim  hie  Hispanis 
Episeopis.  Incerta  nemo  Pontificum  judicare  praesu- 
mat,  &  quamvis  vera  sint,  non  tamen  eredenda,  nisi 
cum  certis  indiciis  comprobantur,  nisi  cum  manifesto 
judicio  convineantur,  nisi  quae  judiciario  ordine  publi- 
cantur.  Hie  Christianior  Christo,  Sixtior  omni  Sixto 
vim  Sc  arma  in  Christianos,  censuras  contra  omnem 
ordinem  juris  exercet.  Sed  qui  nee  Christum  audit, 
nee  Secundum  Sixtum  &;  se  ipsum  judicat,  jam  a  qui- 
voi,.  III.  n  d  bus 


198  APPENDIX.  NO  XXVII. 

bus    audiendus    sit    vos   judicate,    qui    Sc    ilium    &    nos 
audistis. 

X.  Duo  haec  sunt  capita  suarum  censurarum  :  de- 
tentio  Cardinalis  &:  suspensio  Archiepiscopi  ;  reliqua 
omnia  pro  fulcris  istorum  congeruntur.  Cardinalem 
non  hostiliter,  sed  reverenter,  non  temere,  sed  sapienter 
fuisse  servatum  per  ejus  litteras,  redditum  per  rem 
ipsam  probavimus.  Quern  si  etiam  vi,  nedum  precibus 
Sc  sumptibus  publicis  in  privata  custodia,  nedum  Pala- 
tio  publico  Florentini,  postquam  audierunt  suos  Romae 
esse  conjectos  in  arcem  Adriani,  tenuissent,  a  sacris 
canonibus  ob  rerum  suarum  defensionem  non  discessis- 
sent.  Liber  enim  erat  servatus,  sedato  jam  populo, 
Cardinalis,  cum  auditur  Romae  captos  esse  Florenti- 
nos,  ac  eorum  bona  omnia  pene  esse  direpta.  Quo 
factum  est,  ut  Cardinalis  non  tanquam  obses,  sed  inter- 
cessor servaretur,  illisque  redditis  redderetur.  Ar- 
chiepiscopum  quoque  non  fuisse,  nedum  suum  Episco- 
pum,  quem  Florentini  suspenderunt,  at  Salviatum 
indicat  Innocentius,  qui  diffidatum  appellat,  excommu- 
nicatum,  &  sine  alia  declaratione  omni  dignitate  priva- 
tum eum,  qui  per  assassinium  hominem  Christianum 
occideret.  Direptionem  domus  Laurentii  promiserat 
occisori  Laurentii,  Sc  licet  laqueus  contritus  sit,  non 
minus  tamen  ipse  degradatus  est.  Nee  dicat  liabito 
etiam  consilio  id  factitatum  esse ;  aliud  enim  illi  Palatii 
liberatores  non  consuluere,  nisi  ut  subito,  Sc  priusquam 
id  Laurentius  intelligeret,  suspenderetur  ;  timebant 
enim  ne  ob  religionem  id  in  Archiepiscopo  statueret, 
quod  in  Cardinale  mandaverat.  Repentinus  fuit  tu- 
multus,  repentina,  8c  nuUo  Priorum  rite  communicate 
consilio,    adhibita    sunt     remedia.        Notum    praeterea 

adhuc 


APPENDIX.    NO  XXVII.  199 

adhuc  non  erat  his,  qui  se  defendebant,  quo  in  statu 
civitas  esset,  quamquam  serperet  in  familias  Pazziorum 
factio.  Sciebant  autem  solere  in  seditionibus,  demptis 
capitibus,  &  reliquos  conjuratos  arma  deponere.  Erat 
enim  adhuc  in  armis  eques  Pactius.  Veniebant  hinc 
Tiferno  per  Senenses,  hinc  Foro  Cornelio  per  agrum 
Mugellanum  in  auxilium  conjuratorum  copiae  Sixti- 
anae,  quas  verisimile  erat  subsistere,  audito  ^um,  qui 
Palatium  capturus  erat,  esse  suspensum.  Nonne  lice- 
bat  nascentem  flammam,  vel  natam  potius,  priusquam 
invalesceret,  exstinguere  ?  Hinc  Salviatum,  non  Ar- 
chiepiscopum,  absque  ulla  quaestione,  vix  scelus  con- 
fessum,  e  fenestris  precipitarunt,  nee  Cardinali  igitur, 
nee  Archiepiscopo  injuria  illata  est.  Tarn  canonice 
nobiscum  egissent  ipsi,  tarn  Christiane,  tarn  ex  lege 
vixissent,  quam  eos  clementius  quam  decuit  tractavi- 
mus  ?  Quid  enim  hi  sunt  aut  virtute  aut  nobilitate  ad 
Julianum  Medicem,  quern  nobis  occiderunt?  Sed  vi- 
deat  Cardinalis,  ne  plus  injuriae  ejus  restitutio  suis  in- 
tulerit,  sublata  belli  caussa,  quam  detentio :  ut  enim 
dignitatem  illam  homicidio  praeposuerat,  sic  materiem 
belli  &  ansam  esse  cupiebant. 

XI.  Restat  itaque,  ut  sententia  nulla  sit,  quae 
nullam  habuit  judicandi  caussam  :  falsum  sit  judicium, 
quod  mendacio  nititur.  Excommunicatus  non  sit,  qui 
alios  excommunicare  vult  violenter  Sc  injuste.  Acce- 
perit  Spiritum  Sanctum,  non  simoniace  sit  creatus,  qui 
vocem  suam  veri  Pastoris,  non  haeretici  hominis  vult 
haberi.  Praeveniat  citatio  oportet  ex  jure  Divino,  8c 
alibi  quam  Romae  in  faucibus  hostium,  ut  Laurentius 
recte  excommunicetur,  eb  id  enim  potissimum  Clemens 
sententiam    Henrici    Imperatoris    in    Robertura    Regem 

non 


200  APPENDIX.  NO  XXVII. 

lion  revocavit,  qui  eum  ad  locum  suspectum  citaverat. 
Moveat  uliud  opus  est  quam  perficiendi  homicidii  desi- 
denum,  ut  injustitia,  non  odium  videatur.  Vuliiera 
enim  fasciolis  non  gladiis,  offensae  indulgentiis,  non 
censuris  leniri  solent.  At  Sixtus  veneimm  vulneri, 
liastam  gladio,  exercitum  sicario  addidit,  h  qu.ndo 
obclucta  jam  erat  cicatrix,  muris  Hierusalem  admovit 
machinas,  censuras  publicavit.  Peccarit  sane  Lauren- 
tius  quam  dicit,  commiserit  quae  congerit  ;  num  prop- 
terea  erat  a  religioso  Pontifice  necandus  in  P'xclesia, 
num  mittendus  exercitus  in  eos,  qui  Laurentii  non 
sunt  ?  {In  margine  :  quae  enim  utilitas  in  sanguine  pec- 
catoris  ?  non  infernus  confitebitur  Deo,  neque  mors 
laudabit  eum.)  Sentimus,  quod  nusquam  legimus, 
expugnationes  urbium,  direptiones  templorum,  vesta- 
lium,  puerorumque  raptus,  sanctum  omne  Sc  innocens 
concedi  praedae  militari,  baculum  esse  &  disciplinam 
Pontificis  in  eos  maxime,  quibus,  si  interrogetur  cur 
bellum  intulerit,  nesciat  ipsemet  vel  unam  caussam 
assignare,  nisi  dicat,  ut  Florentinos  pro  Comite  Hieronymo^ 
occisos  firo  homicidia  puniam,  Excommunicationis  enim 
aliqua  praetendi  a  Pontifice  caussa  potuit ;  belli  contra 
eos,  qui  semper  juri  paruerunt  (in  margine  :  nisi  sanc- 
tior  Nicolao,  qui  scribit,  sancta  Dei  Ecclesia  gladium 
non  habet  nisi  spiritvalem^  quo  non  occidit^  sed  vivijicat) 
nesciraus  aliam,  quam  imperfectum  in  Ecclesia  homi- 
cidium.  Execrationem  quoque  in  Laurentium  latam, 
ex  Sixto,  quantum  videmus,  excerpsit,  ubi  discipli- 
nans,  non  eradicaiis  jubetur  esse,  censura. 

Hinc  illam  imprimi  fecit,  non  contentus  calamo, 
illam  vendi  in  campo  Florae,  non  contentus  valvis  Ec- 
ciesiarum,   ut   ejus   disciplina    ad   eos  prius   perveniens, 

ad 


APPENDIX.  NO  XXVII.  $oi 

ad  eos  quos  non  pertinebat,  eradicans  esset  non  emen- 
dans.  Hinc  etiam  mandat  populo,  ut  Priorum  ac 
Octo  virorum  aedes  tarn  publicas  quam  privatas  demo- 
liatur.  Prudens  sane,  grata,  ac  religiosa  sententia, 
credit  eos  qui  defenderunt  esse  offensuros.  Provocat 
in  servatores  Cardinalis  eos  qui  discerpere  Cardinalem 
voluerunt.  Praecipit  contra  Jus  Divinum  ac  praecep- 
tum  Domini,  ne  occidas,  ut  ejus  videatur  Vicarius,  qui 
animam  suam  posuit  pro  ovibus  suis.  Non  contentus 
caede  una,  totam  urbem  involvere  eadem  ruina  conten- 
dit ;  quis  enim  tarn  inops  mentis  est,  ut  credat,  sine 
caede  multorum  Sc  sanguine  sex  Sc  triginta  domos  op- 
timatum  posse  subvert!  ?  Virum  autem  sanguinum  8c 
dolosum  quomodo  patietur  Dominus  illud  subjicere, 
jubtam  vel  injustam  Pastoris  sententiam  esse  timen- 
dam  ?  Nam  illud  quoque  sacri  Canones  addidere,  con- 
tra notoriam  Sc  manifestam  caussam  sententiam  non 
valere.  Si  praeterea  dixit  timendam,  non  jussit  obser- 
vandam  fin  margine :  nam  praevidens  hoc  flagitium 
Spiritus  Sanctus  praedixerat  per  Prophetam  ;  con  side- 
rat  peccator  justum,  &  quaerit  interficere  eum  :  Domi- 
nus autem  non  derelinquet  eum  in  manibus  ejus,  nee 
damnabit  eum,  cum  judicabitur  illi),  maluntque  boni 
judicio  falsi  Pastoris  damnari,  quam  in  minimam  Evan- 
gelii  litteram  impingere  ;  sed  banc  quoque  suam  hu- 
jusmodi  sententiam,  constans  sibi  Pontifex,  quodam- 
modo  paullo  post  abrogavit.  Scripsit  enim  mox  eidem 
populo,  quem  sacris  interdixerat  Breve  in  haec  verba. 
"  Si  qui  bunt,  qui  existiment  nos  defecisse  a  desiderio 
"  juvandae  Reipublicae  Christianae,  8c  arma  adversus 
"  civitatem  istam  movere,  errant  quidem  vehementer ; 
**  nam  neque  publicae  saluti  nunquam  deerimus,  neque 
"  adversus    civitatem    Florentinara,     quam     semper    ex 

"  cordc 


302  APPENDIX.    NO  XXVII. 

"  corde  dileximus,  quicquam  sinistri  cogitamus.     Absit 
"  a  nobis  haec  cogitatio." 

Quomodo  autem  quis  diligatur  &  interdicatur,  nihil 
sinistri  in  eum  cogitetur,  &  militum  direptioni  detur, 
hi  judicent,  qui  noverunt  quam  differat  in  hypocrita 
manus  ab  ore,  ab  opere  verbum.  Et  audebit  etiam 
aliquando  dicere  se  ad  libertatem  Ecclesiae  defenden- 
dam  bellum  Florentinis  movisse,  qui  fecit  earn  servam 
omnium  saecularium  :  qui  prius  earn  lavit  sanguine  in- 
nocentis,  quam  suis  purgavit  sacrilegiis  ;  qui  eami  spe- 
luncam  latronum  reddidit,  omnique  immunitate  spoli- 
avit ;  qui  denudavit  femur  virginis  in  confusione  ;  qui 
caedem,  quam  nunquam  intulit  Italiae,  prius  libidini 
unius  juveni,  prius  militari  praedae,  quam  transalpinis 
nationibus  concessit.  Deus,  qui  absconditorum  es  cog- 
nitor,  qui  nosti  omnia  antequam  fiant,  tu  scis,  quia 
falsum  testimonium  tulit  contra  nos,  nee  oblitus  es  sea- 
belli  pedum  tuorum  in  die  furoris  tui. 

In  tam  manifesta  itaque  innocentia  lacessiti,  non 
servata  forma,  non  servato  jure,  damnati,  ad  quern 
recurremus  ?  Ad  Pastorem  animarum  nostrarum  ? 
At  is  pro  remedio  perturbatae  pacis,  tentatae  tyrannic 
dis,  invasi  Palatii,  afHictae  civitatis,  vulnerati  Lau- 
rentii,  occisi  in  Ecclesia  per  proditionem  Juliani  ex- 
communicat,  interdicit,  &  Curiam  ac  domos  Prin- 
cipum  civitatis  solo  aequari  jubet,  obsidet  oppida  nos- 
tra, diripit  segetes,  urit  villas,  sugentes  ubera  Sc  om- 
nem  moventem  feras  aetatem  militum  suorum  furopi 
exponit.  Oh  Pastor  !  Oh  idolum  derelinquens  gre- 
gem  1  Gladium  super  brachium  ejus,  Sc  super  oculum 
dextrum  ejus :  brachium  ejus  ariditate  siccabitur,  & 
•  oculus 


APPENDIX.  NO  XXVIL  203 

oculus  dexter  ejus  tenebrescens  obscurabitur.  Ad 
alterum  igitur  lumen,  ipsum  scilicet  Caesarem  semper 
Augustum  confugiemus ;  id  enim  Dominus,  ut  huic 
nocti  praeesset  creavit ;  Christianissimum  Regem  Fran- 
corum,  in  cujus  tutela  Christi  Ecclesia  est,  sub  cujus 
alarum  umbra  populus  Florentinus  semper  protectus 
est,  invocabimus ;  omnes  Principes  Sc  populos  Christi- 
anos  implorabimus,  ut  quando  jam  vident  simoniace 
creatum  Pontificem,  templa,  Cardinales,  Missas  ad 
homicidia  fidelium  exercere,  Concilium  (in  77iargine^ 
ad  quod  appellaviiiius)  amplius  non  differant :  sponsam. 
i.Uius,  in  cujus  sanguine  baptizati  sunt,  a  tanta  turpi- 
tudine  liberent :  dicimus  Ecclesiae,  ut  qui  Ecclesia 
sunt,  per  Evangelium  quod  ita  praecipit,  nos  obdurate 
huic  inauditus  audiant.  Dolenter,  £c  eo  impellente, 
id  facimus.  Sed  cum  Deo  resistat,  qui  veritatem  re- 
primit :  turbinem  metat,  qui  ventum  seminavit  (in 
margine  :  Tninoris  enim  Jieccati  esf,  inquit  Hieronymus, 
segui  malum  quod  bonum  fiutaris^  quam  non  audere  defen- 
dere  quod  bonum  pro  certo  noveris :  8c  Bernardus  ;  melius 
est  ut  scandalum  oriatur^  quam  Veritas  relinquatur ), 
Abeat  itaque  leno,  casta  erit  mater :  angularem  lapi- 
dem  non  premat  petra  scandali,  8c  non  erit  ultra  offen- 
diculum  amaritudinis,  nee  spina  dolorem  inferens. 
Stuporem  enim  dentium,  £c  omnem  hunc  nobis  infide- 
lium  morsum  acerbae  uvae  paternae  pepererunt.  No- 
vistis  multi  Julianuiii  Medicem,  bonitatem  ejus  8c  vir- 
tutem  pene  omnes  audistis.  Cedri  non  fuerunt  alti- 
ores  illo  in  paradiso  Dei,  8c  tamen  in  templo  per  pro- 
ditionem  Pontificiam  tam  crudeliter  occisus  est.  San- 
guinem  ejus  de  manu  Sixtiana  requirens  Dominus, 
non  potest  8c  eorum,  qui  haec  patiuntur,  consensum 
non    requirere.     Mercenarium     jam    pro    Pastore    habi- 

tum 


204  APPENDIX.  NO  XXVII. 

turn  alieno  sanguine  cognoscite.  Fructus  ejus  obscuri 
non  sunt ;  simonia,  luxus,  homicidium,  proditio,  hae- 
resis.  Jam  siquid  aliud  expectatis,  quod  mentita  ves- 
timenta,  Sc  quid  intrinsecus  sit  declaret  apertius,  simi- 
lem  aliquain  nostrae  proditionem,  8c  insuper  belium 
expectatis. 

Columnae  Sc  vos  aureae  super  bases  ars^enteas,  lapi« 
dem,  quern  dedistis  offensionis,  excutite.  Non  negate 
suos  cardines  templo,  cujus  vectes  is  jam  demolitus  est. 
Turbatur  navir.ula  Petri,  quod  in  ea  erat  Judas  fin  mar- 
gine^  intus  est  qui  concitat  tempestatem).  Dicite  illi 
erranti  cum  Domino.  Vadt  fiost  Sathana^  scandalum  nobis 
es  ;  non  sapis  quae  Dei  sunt,  Infatuatum  sal  foras  inittitCy 
priusquam  conculcetur  ah  hominibus,  Minatur  enim  vobis 
Dominus  in  matre,  si  pudori  illius  non  consulitis.  Oblita 
es,  inquit,  legis  Dei  tui,  obliviscar  filiorum  tuorum, 
auferat  fornicationes  a  facie  sua,  &  adulteria  sua  de  me- 
dio uberum  suorum,  ne  forte  expoliem  earn  nudam,  Sc 
statuam  eam  secundum  diem  nativitatis  suae. 

Dominus  Deus  noster.  cujus  manus  est  super  omnes, 
qui  quaerunt  eum  in  bonitate,  custodiat  corda  vestra,  Sc 
intelligentias  vestras.  Liberet  vos  a  falsis  Pastoribus,  qui 
veniunt  in  vestimentis  ovium,  intrinsece  autem  sunt  lupi 
rapaces. 

Datum  in  Ecclesia  nostra  Cathedrali  Sanctae  Repa- 
ratae  23  Julii  1478. 


I 


APPENDIX.  NO  XXVm.  205 


NO  XXVIII. 


Excusatio   Florentinorum  per,  D,  Bartholomaeurn    Scalam 
ex  MS,  Codicc  Bibliothtcae  Stroctianae, 

iblNGULIS  atque  universis,  in  quos  haec  scripta  incide- 
rint,  Priores  Libertatis,  &  Vexillifer  Justitiae  Sc  Populus 
Florentinus  salutem. 

Rem    sumiis    narraturi    inauditam    8c     novam,    adeo 
alienam   ab   omni    humana   natiira    8c    consuetudine    Vi- 
vendi,   ut    nihil   dubitemus   omnes   qui   audierint,  vehe- 
menter   tantam  atrocitatem,  atque  immanitatem  rei   ad- 
miraturos.     Movet    autem   nos  non   caussa   modo  nostra, 
ut   haec   scribe remus,  8c  nota   faceremus,  sed  Christiana 
etiam    8c    publica,     quae    profecto,     his    gubernatoribus, 
his    moribus,     dilabatur    brevi,     8c      funditus     dispereat 
necesse    est.      Dum     enim    Religionis    nostrae    hostis 
post  tot   tantasque  de   bonis   claras    victorias   in    limine 
insultat,   Italiae   superbissimus    atque    formidabilissimus, 
dum  imminet  cervicibus   nostris,    Sc  comminatur  Romae, 
Sc  nomini    Christiano   excidium,    Sixtus   Romanus   Pon- 
tifex,    Sc  illi   sui   praeclari    rerum    administratores     pro- 
ditionibus     dant     operam     sceleratissimis  :       insidiantur 
vitae     8c     libertati     populorum ;      incessunt     maledictis 
cunctos     bonos ;     interdicunt    sacris    admodum     execra- 
biliter,    ac   bellum    inferunt    Christianis ;     Sc   direptioni- 
bus   Sc   praedae  atque    incendiis,  quocumque   arma   con- 
vertunt,    pro    viribus     involvunt ;     nihil     pensi     aut    ha- 
bentes,    sed    foedantes    omnia     divina    atque     humana, 
barbaro  potius   quodam    8c   ferino,  quam    aliquo  humano 
more.     Certo   scimus  non  facile  fuisse  nos  assensicnem 
VOL.  III.  E  e  adepturos 


206  APPENDIX.  NO  XXVIII. 

adepturos  ob  tarn  nefarii  facinoris  magnitudinem  ;  sed 
fama  rei  gestae  jam  per  universum  fere  orbem  vulgata, 
patrocinatur  vero,  &  fidem  scriptis  his  pulcherrime 
procurat.  Quod  si  ex  primis  quoque  scelerum  Minis- 
tris  audientur  ea,  quae  ipsi  cum  in  nostras  devenissent 
manus  morituri  fassi  sunt,  &  chirographo  suo  tradide- 
runt  nobis,  erit  profecto  apud  vos  omni  ex  parte  cor- 
roborata  8c  stabilita  Veritas.  Igitur  visum  est,  ut  ordi- 
nein  omnem  rei  ipsi  edoceant.  Ex  ipsis  ergo  Johan- 
nem  Baptistam  de  Montesicco  audiamus ;  ipse  rem 
omnem  ordine  aperiet,  cujus  attestationis  exemplar  hoc 
est,  videlicet. 

Questa  sera  la  confessione,  la  quale  fara  Giovam- 
batista  da  Montesicco  de  sua  mano  propria,  in  la  quale 
fara  chiaro  a  omne  uno  V  ordine,  Sc  el  modo  dato  per 
mutar  lo  stato  della  citta  de  Fiorenza,  comentiando 
dal  principio  infino  alia  fine,  ne  lasciando  cosa  alcuna 
inderietro,  imo  in  narrando  tutte  le  persone,  con  chi 
lui  n'  aveva  auto  colloquio,  &  particolarmente  narrando 
le  puntali  parole  auto  con  tutti  quelli,  con  chi  n'  ha  par- 
lato  ;  e  prima  con  1'  Arcivescovo  e  Francesco  de'  Pazzi 
ne  parlai  in  Roma  in  la  camera  del  detto  Arcivescovo, 
dicendome  volerme  revelare  un  suo  secreto  Sc  pensiero, 
che  avevono  piu  tempo  auto  core,  e  qui  con  Sacra- 
mento volse,  che  io  gli  promettessi  tenerli  secreti,  ne  de 
questa  cosa  parlarne,  ne  non  parlarne  se  non  quanto  saria 
il  bisognio,  e  quanto  porteria,  e  vorria  a  loro,  Sc  io  cosi 
gli  promissi. 

L'  Arcivescovo  comincio  a  parlare,  facendome  en- 
tendere,  como  lui  e  P'rancesco  avevono  el  modo  di 
mutare   lo  Stato  di   Fiorenza,  e   che   determinavono   ad 

omnc 


APPENDIX.  NO  XXVIII.  207 

omne  mocio  farlo,  &  die  ci  voleva  1'  ajuto  mio.  lo 
glie  rispuosi,  die  per  loro  faria  ogni  cosa,  ma  essendo 
soldato  del  Papa  e  del  Conte,  io  non  ci  podeva  iiiteiv 
venire  ;  loro  mi  rispiioson :  como  credi  tu  die  noi 
faremo  questa  cosa  senza  consentimento  del  Conte ; 
imo  cio  die  si  cerca,  e  die  si  fa  per  esaltario  e  magni- 
iicario  cosi  lui,  come  noi,  e  per  mantenerlo  nello  Stato 
suo,  avvisandoti,  die  se  questa  cosa  non  si  fa,  non  ghe 
daria  del  suo  Stato  una  fava,  perclie  Lorenzo  de'  Me- 
dici gli  vuol  mal  di  morte,  ne  crede  die  sia  uomo  al 
mondo,  die  gli  voglia  peggio ;  e  dopo  la  morte  del 
Papa  non  cerchera  mai  altro  die  torli  quel  poco  Stato, 
e  farlo  mal  capitare  della  persona,  perclie  da  lui  se 
sente  grandemente  ingiuriato.  Et  volendo  io  enten- 
dere  el  perclie  &c  la  cagione  Lorenzo  era  cosi  inimico 
del  Conte,  mi  disse  cose  assai  sopra  questa  parte  e  della 
Depositeria  e  dell'  Arcivescovato  di  Pisa,  Sc  piu  cose, 
die  sareano  longhe  a  scrivere  ;  e  in  fine  fu  fatto  questa 
conclusione,  die  dove  concorreva  1'  onore,  e  utole  del 
Conte,  Sc  el  loro,  io  mi  sforzeria  a  fare  juxta  posse  tutto 
quel,  die  pel  Conte  mi  sara  comandato  ;  Sc  tutte 
queste  cose  furono  comune  frallo  Arcivescovo  Sc 
Francesco,  Sc  die  un  altro  di  se  devesse  essere  insieme 
Sc  con  il  Conte  proprio,  e  pigliare  determinazione  de 
quello  s*  aveva  da  fare,  Sc  cosi  se  remase.  Sec.  La 
cosa  remase  cosi  per  parecchi  giorni,  ne  me  fo  detto 
altro,  ma  so  bene,  die  fra  I'Arcivescovo  e  Francesco  Sc 
el  Signer  Conte  ne  fo  in  questo  tempo  parlato  piu 
volte. 

Dapoi  un  giorno  fui  chiamato  dal  Signor  Conte  in 
camera  sua,  dove  era  I'Arcivescovo,  e  cominzio  a  par- 
larsi    de    novo    di    questa    cosa,    dicendome    el   Conte  ; 

I'Arci- 


208  APPENDIX.  NO  XXVIII. 

V  Arcivescovo  me  dice,  che  t'  hanno  parlato  d'  una 
faccenda,  che  avemo  alle  mani  :  que  te  ne  pare  ?  lo 
gli  rispuosi :  Signore,  non  so  que  me  ne  dire  di  questa 
cosa,  perche  non  la  intendo  ancora ;  quando  1'  avero 
intesa,  diro  el  mio  parere.  L'Arcivescovo  :  como  non 
t'  ho  io  ditto,  che  volemo  mutare  lo  Stato  in  Fiorenza  f 
Madiasi  che  me  1'  avete  detto,  ma  non  m'  avete  detto 
el  modo  ;  che  non  avendo  inteso  el  modo,  non  so  que 
ne  parlare.  Allora  e  V  uno  e  1'  altro  ussinno  fuora,  e 
cominciorno  a  dire  della  malivolenza  e  mal  animo, 
che  '1  Magnifico  Lorenzo  aveva  contro  de  loro,  e  'n 
quanto  pericolo  era  lo  Stato  del  Conte  dopo  la  morte 
del  Papa,  &  che  mutandosi  ditto  Stato  saria  uno  sta- 
bilire  el  Sig.  Conte  da  non  possere  avere  mai  piu 
male,  e  che  per  questo  si  voleva  fare  ogni  cosa.  E 
domandandoglie  io  del  modo  e  del  favore,  mi  dissero  ; 
noi  averemo  questo  modo,  che  in  Fiorenza  e  la  casa 
de'  Pazzi  e  de'  Salviati,  che  si  tirano  dietro  mezzo  la 
citta  di  Fiorenza.  Bene  ;  avete  A^oi  pensato  el  modo  ? 
El  modo  lassa  io  pensare  a  costoro,  che  dicono  non 
potersi  fare  per  altra  via,  che  tagliare  a  pezzi  Lorenzo 
e  Giuliano,  &  aver  poi  preparato  le  genti  d'  arme,  8c 
andarsene  a  Fiorenza,  e  che  bisogna  accumulare  queste 
genti  d'  arme  in  modo,  che  non  se  ne  dia  sospetto: 
che  non  dandose  suspetto,  ogni  cosa  verria  ben  fatta. 
Io  gli  rispuosi  :  Signore,  vedete  quel  che  voi  fate  :  io 
vi  certifico,  che  questa  e  una  gran  cosa  ;  ne  so  como 
costoro  se  lo  possono  fare,  perche  Fiorenza  e  una  gran 
cosa ;  e  la  Magnificenza  di  Lorenzo  ci  ha  una  grande 
benevolenza,  secondo  io  intendo.  El  Conte  disse  : 
dicono  costoro  el  contrario ;  che  ci  ha  poca  grazia,  Sc 
e  malissimo  voluto,  &  che  morti  loro,  ognuno  giungera 
le    mani   al    Cielo.      L'Arcivescovo  usi  fuora,   e  disse  : 

Giovam- 


APPENDIX.  NO  XXVIII.  209 

Giovambatista,  tu  non  sei  mai  stato  a  Fiorenza  :  le 
cose  de  la,  &  la  cognizione  di  Lorenzo  noi  lo  'ntendi- 
amo  meglio  di  voi,  e  sappiamo  la  benevolenza  e  la  ma- 
levolenzia,  che  egli  ha  in  nel  popolo,  e  de  questo  non 
dubitare,  che  la  reussira,  como  noi  siamo  qui.  Tutto 
el  facto  e,  che  ce  resolviamo  del  modo.  Bene  ;  que 
modo  ci  e?  El  modo  ci  e  riscaldar  Messer  Jacomo, 
che  e  piu  freddo  che  una  ghiaccia ;  e  como  aviamo 
lui,  la  cosa  e  spacciata,  ne  n'  e  da  dubitar  punto. 
Bene  ;  a  Nostro  Signore  como  piacera  questa  cosa  ?  E' 
me  respuosoro  :  Nostro  Signore  li  faremo  far  sempre 
quello  vorrimo  noi,  8c  ancora  la  Sua  Santita  vuol  male 
a  Lorenzo ;  desidera  questo  piii  che  altro  che  sia. 
Aveteneghe  voi  parlato  ?  IN'Iadiasi,  e  faremo  che  te  ne 
dira  ancora  a  tc,  e  te  fara  intendere  la  sua  intenzione. 
Pensiamo  pure  in  que  modo  possiamo  mettere  le  genti 
d'  arme  insieme  senza  suspetto,  che  1'  altre  cose  passa- 
ranno  tutte  bene.  Fo  preso  el  modo  di  far  far  la  mos- 
traj  e  de  mutare  le  genti  d'  arme  da  stanzia  a  stanzia,  e 
mandare  quelli  del  Signor  Napolione  in  quello  di  Todi  e 
de  Perusia,  e  cosi  el  Signor  Giovanfrancesco  da  Gon- 
zaga ;  e  cosi  fo  dato  ordine.  Da  poi  comincio  andar 
per  il  tavoliero  el  fatto  del  Conte  Carlo,  e  per  ditta 
casione  bisogno  mettere  insieme  ognuno,  che  1'  ebbero 
molto  caro :  Sc  essendo  il  campo  del  Conte  Carlo  in 
quello  di  Siena,  8c  comprendendose  chiaramente  la  cosa 
non  avere  durata,  fu  fatta  deliberazione  d'  andare  a 
campo  a  Montone,  e  tenere  in  tempo  1'  assedio  piu  che 
se  posseva,  a  cagion  che  costoro  avesser  tempo  a  dare 
ordine  alia  spedizione  della  faccienda ;  e  per  detta  oc- 
casione  venne  Francesco  de'  Pazzi  in  quel  tempo  qui  in 
Fiorenza  con  demostrazione  di  fuggir  1'  aiere,  Sc  fo  a 
questo    effetto ;    8c   essendo    stato    dttto    Francesco    per 

alcuni 


510  APPENDIX.  NO  XXVIII. 

alcuni  giorni,  scrisse  a  Roma  all'  Arcivescovo,  como 
passavano  le  cose,  £<.  che  bisognava  riscaldare  e  pun- 
gere  Messer  Jacomo,  e  farghe  intendere  tutti  li  favori 
se  ara  in  questa  cosa,  Sec.  Et  il  niodo  delle  genti  d' 
arme,  e  tutto  quello  favore  se  podeva  avere,  farglielo 
intendere  chiaramente,  &  inteselo  se  lassasse  poi  il 
pensiero  a  lui,  che  a  tutto  daria  buon  ordene  ;  Sc  ac- 
cadendd  in  quello  medesimo  tempo  la  malattia  del  Sig. 
Carlo  di  Faenza,  &  essendo  stato  longo  tempo  amma- 
lato,  venne  in  pericolo  de  morte,  Sc  dubitandose  assai 
della  morte  sua,  parse  al  Conte  Sc  alio  Arcivescovo 
avere  scusa  licita  di  mandarme  qui  con  intenzione, 
che  io  vedesse  i  modi  di  questa  citta  Sc  ancora  del 
Magnifico  Lorenzo,  e  che  io  parlasse  con  seco,  Sc  in- 
tendesse  da  lui,  volendo  el  Conte  cercare  de  aravere 
el  suo  stato,  cioe  Valdeseno,  que  favorise  podeva  avere 
de  Sua  Magnificenza  e  da  questa  Repubblica  per  suo 
mezzo,  &  che  glie  fesse  intendere,  che  il  Sig.  Conte 
sperava  piii  in  sua  Magnificenza,  che  persona  del 
mondo,  e  che  in  questo  io  intendesse  il  consiglio  8c  el 
parere  suo,  e  che  gli  fesse  ancora  intendere,  che  non 
ostante  alcune  cose  fossero  state  fra  loro  e  '1  Conte, 
le  voleva  buttare  tutte  da  parte,  8c  in  omne  cosa  de- 
sponerse  a  compiacerlo,  8c  averlo  in  loco  de  patre  ;  8c 
con  molte  altre  buone  parole  appresso,  quali  erono  la 
maggior  parte  simulate.  Et  arrivando  qui  tardi  la 
sera,  non  poti  parlare  con  Sua  Magnificenzia.  La 
mattina  andai  a  trovarlo,  e  se  ne  venne  di  sotto  vestito 
a  nero  per  la  morte  dell'  Orsino,  8c  fommo  insieme, 
ne  altramente  me  respuose,  che  si  fosse  stato  patre  del 
Conte,  ne  con  altro  amore,  in  modo  che  a  me  fe  ma- 
ravigliare,  avendo  inteso  da  altri,  8c  poi  ritrovandolo 
cosi  ben  disposto  in  le    cose   del  Conte,   che    varamente 

non 


APPENDIX.  NO  XXVIII.  211 

non  s'averia  possuto  parlore  per  niimo  fratello  piu  amo- 
revolmente,  che  me  parlo,  dicendome  :  Tu  te  ne  girai 
a  Imola,  e  vederrai  come  trovi  le  cose,  e  daraimene 
avviso  de  quello  te  parera  s'  abbia  a  fare  dal  canto 
nostro,  che  tutto  si  fara  senza  mancare  de  niente  per 
satisfare  alia  Signoria  del  Conte,  al  quale  e  in  questo 
Sc  in  omne  altra  cosa  me  sforzero  sempre  a  satisfarlo 
....  con  li  piu  amorevoli  ricordi  che  possesse  mai 
patre  a  figliolo,  li  quali  ricordi  li  tacero  per  bene:  la 
sua  Magnificenzia  gli  deve  bene  avere  a  memoria : 
per  quando  gli  parra,  che  io  gli  chiarisca,  pensece 
bene    e    diamene     avviso,    che    io    gli    chiariro. 

Dipoi  me  ne  andai  all'  ostaria  della  Campana  a 
desinare  ;  et  avendo  a  parlare  a  Francesco  de'  Pazzi, 
&  con  Messer  Jacomo  pur  de'  Pazzi,  ai  quali  avevo 
lettere  di  credenza  del  Sig.  Conte  e  dello  Arcivescovo, 
infin  che  si  desino,  mandai  ad  intendere  qui  n'  era  de^ 
loro  :  me  fo  detto,  che  Francesco  era  andato  a  Lucca, 
e  ncn  c'  essendo,  mandai  a  dire  a  Messer  Jacomo  pre- 
detto,  che  io  aveva  bisogno  de  parlarli,  &  de  cose  de 
'mportanza,  Sc  che  se  voleva,  che  io  andassi  a  casa  sua, 
che  io  anderia,  Sc  se  lui  voleva  venire  all'  ostaria,  che 
io  r  aspettaria.  Messer  Jacomo  predetto  venne  all' 
ostaria  della  Campana,  dove  lui  &  mi  ci  ritirassimo  in 
una  camera  in  segreto,  h  per  parte  del  Nostro  Signore 
el  confortai,  e  salutai,  8c  cosi  da  parte  del  Sig.  Conte 
Jeronimo  e  dell'  Arcivescovo,  de'  quali  Conte  &  Arci- 
vescovo io  avevo  una  lettera  credenzial  per  uno  :  le  ap- 
presentai  ;  le  lesse,  e  lette  disse  :  che  avemo  noi  a 
dire,  Giovambatista  ?  Avemo  noi  a  parlare  de  Stato  ? 
Dissi  madiasi.  Mi  rispuose  :  io  non  ti  voglio  intendere 
per  niente,    perche   costoro   si   vanno   rompendo   il   cer- 

vello. 


^    212  APPENDIX.  NO  XXVIII. 

vello,    Sc   voglion    deventare    Signori    de   Fiorenza,   8c   io 
intendo   nieglio   queste   cose  nostre  de  loro  :  non  me  ne 
pailate  per  niente,  die  non  ne  voglio  ascoltare.     E  per- 
suadendolo   io   pure    all'    ascoltarme,   se  contento  d'   in- 
tendermi.      Que  vuoi   tu  dire  ?    Io  vi  conforto  da  parte 
di  Nostro  Signore,  con  el   quale   prima  che  io  partissi, 
gli  parlai,    8c   presente   el   Conte  e    1'    Arcivescovo    me 
disse  Sua   Santita,  che  io  vi  confortasse  a  spedire  questa 
causa    de    Fiorenza,    perche  lui  non    sa    in    que    tempo 
possa  accadere   un  altro  assedio   de   Montone   da  tenere 
sospese   8c   insieme  tante  gente  d'  arme  e  cosi  appresso 
al   vostro   terreno  ;    Sc    essendo   pericoloso   Io    indusiare, 
ve    conforta   a    far    questo.       Madiasi    che    Sua    Santita 
dice,  che  vorria  seguisse  la  mutazione    della   Stato,   ma 
senza   morte  de   persona.       E  dicendoli   io,   presente  el 
Conte    e    1'    Arcivescovo,    Padre    Santo    queste    cose    se 
potranno  forse   mal   fare   senza   morte    di  Lorenzo   e    di 
.Giuliano,  e  forse  delli  altri  ;  Sua  Santita   mi  disse  :     io 
non  voglio  la  morte  di  niuno  per  niente,  perche  non  e 
offizio    nostro    acconsentire    alia    morte    di    persona  ;     e 
benche  Lorenzo  sia  un  vlllano,  8c  con  noi  si   porte  male, 
pure  io  non  vorria   la  morte  sua  per  niente,  ma  la  mu- 
tazione   dello   Stato   si.      Et  el  Conte  respuose  :  se  fara 
quanto  se   podera,    accio  non   intervenga  ;    pure  quando 
intervenisse,   la  Vostra  Santita  perdonera  bene  a  chi  '1 
fesse.      El   Papa  respuose    al   Conte  :    tu  sii  una   bestia. 
Io  te   dico  :  non  voglio  la  morte  de  niuno,  ma  la  muta- 
zione  dello    Stato  si.      E   cosi    ti    dico,    Giovambatista, 
che  io  disidero  assai,  che  Io  Stato  di  Fiorenza  se  mute, 
8c  che  se  ieve  delle  mani  de  Lorenzo,  che  elli  e  un  villano, 
8c  un  cattivo  uomo,  8c   non  fa  stima  de  noe,  e  tuttavolta 
ched  e'  fosse  fuor  de   Fiorenza  lui,  farissimo   de   quella 
Repubblica  quello  vorressimo,    8c  saria  ad  un  gran  pre- 

posito 


APPENDIX.    NO  XXVIII.  213 

posito  nostro.  E  '1  Conte  e  1'  Arcivescovo,  che  erano 
present!,  dissero :  la  Santita  Vostra  dice  il  vero ;  che 
quando  aviate  Fiorenza  in  vostro  arbitrio,  8c  posserne 
desponere,  come  porrete,  si  sera  in  mano  de  costoro, 
la  Santita  Vostra  mettera  legge  a  mezza  Italia,  Sc  omne 
una  avera  caro  esserve  amico  ;  sicche  siate  contento  si 
faccia  ogni  cosa  per  venire  a  questo  effetto.  Sua  San- 
tita disse  ;  io  ti  dico  che  non  voglio.  Andate  e  fate 
quello  volete  voi,  purche  non  v'  intervenga  morte.  Et 
con  questo  ci  levassimo  dinanzi  da  Sua  Santita,  facen- 
do  poi  conclusione  essere  contento  dare  omne  favore 
8c  ajuto  de  gente  d'  arme,  o  d'  altro,  che  accio  fosse 
necessario.  L'  Arcivescovo  rispuose  8c  disse  ;  Padre 
Santo,  siate  contento,  che  guidiamo  noi  questa  barca, 
che  la  guideremo  bene.  Et  Nostro  Signore  disse  ;  io 
son  contento.  E  con  questo  ci  levassimo  da'  suoi  piedi, 
e  reducessemonce  in  camera  del  Conte,  dove  fo  poi 
discussa  la  cosa  particolarmente,  e  concluso  che  questa 
cosa  non  se  poteva  fare  per  niun  modo  senza  la  morte 
de'  costoro,  cioe  del  Magnifico  Lorenzo  e  del  fratello. 
Et  dicendo  io  essere  mal  fatto,  mi  rispuosero,  che  le 
cose  grandi  non  si  possevano  fare  altramente  ;  8c  sopra 
de  cio  fo  dato  molti  esempli,  che  seria  lungo  a  scri- 
verli  ;  8c  finaliter  fo  concluso,  che  per  intendere  e 
modo,  bisognava  essere  qui  8c  parlar  con  Francesco  8c 
Messer  Jacomo,  e  intendere  appunto  quello  era  da  fare, 
Sc  intesolo  mandare  ad  effetto.  Io  foi  qui,  e  non  tro- 
vando  Francesco,  non  volsi  fare  altra  conclusione  ;  se 
non  che  mi  disse  :  vattene  a  Imola,  e  alia  toniata  tua 
sara  qui  Francesco,  8c  delibererasse  tutto  quello  sara 
da  fare.  Io  me  ne  andai  a  Imola,  dove  stetti  pochi 
giorni,  perche  cosi  aveva  io  in  commissione  per  la 
espedizione  di  detta  causa,  e  in  nel  tornare  e  dietro  foi 
vol,.  Tii.  F  f  a  Ca- 


214  APPENDIX.    NO  XXVIII. 

a  Cafaggiolo,  dove  trovai  la  Magnificenza  di  Lorenzo 
e  de  Giuliano,  e  avendo  referte  al  detto  Magnifico 
Lorenzo  como  aveva  trovate  le  cose  del  Conte,  me 
consiglio  con  le  piu  cordiali  8c  amorevoli  parole  del 
mondo,  dicendome  die  per  il  Signor  Conte  aveva  deli- 
berato  fare  ogne  cosa  per  farli  intendere  die  gli  voleva 
essere  buono  amico  ;  £c  avendo  Sua  Magnificenzia  deli- 
berato  tornare  a  Fiorenza,  ce  ne  venissimo  di  coni- 
pagnia,  dove  per  la  via  mi  fe  intendere  ancora  piu 
chiaramente  quanto  era  el  suo  buon  animo  verso  del 
Conte,  die  lo  tacero,  perclie  seria  longo  lo  scrivere. 
Arrival  in  Fiorenza,  e  fui  con  Francesco,  con  il  quale 
presi  ordine  di  non  partire  quel  di,  acciocche  la  notte 
ce  retrovassimo  con  Messer  Jacomo  ;  8c  cosi  fo  fatto. 
La  notte  ditto  Francesco  venne  per  me,  8c  condus- 
seme  in  camera  de  M.  Jacomo,  dove  fo  parlato  assai 
di  questa  cosa,  Sc  la  conclusione  fo  questa,  die  per  la 
espedizione  bisognava  piii  cose  ;  una  die  1*  Arcives- 
covo  fosse  de  qua,  8c  die  vedesse  venirci  con  qualclie 
scusa  licita  in  modo  non  desse  suspetto,  8c  a  questo 
lassava  pensarlo  al  Conte,  e  a  lui,  Sc  die  alia  sua  ve- 
nuta  si  piglieria  poi  forma  de  quello  s'  avesse  a  fare,  e 
die  si  fosse  cifre,  per  le  quali  si  patesse  scrivere  bene, 
k  che  non  dubitava,  avendo  el  favore  delle  genti  del 
Papa  ec.  che  la  cosa  non  venissi  fatta,  ma  die  per 
farla  netta,  bisognava,  die  detti  doi  fratelli  fossero  fora, 
Sc  che  immediate,  che  la  cosa  avesse  questo,  di  certo 
la  spacciariamo,  8c  che  tra  '1  Magnifico  Lorenzo  e  '1 
Signor  di  Piombino  si  trattava  parentado  per  Giuli- 
ano, e  seguendo,  saria  necessario  uno  de  loro  andasse 
la,  el  quale  andava  ;  la  cosa  era  spacciata,  ma  essendo 
totti  dua  in  la  citta,  per  niente  non  voleva  fare,  perch e 
rion    gli   pareva   posser    riuscirlo  ;     Sc    Francesco    diceva 

aitraiiiente, 


APPENDIX.  NO  XXVIII.  215 

kltramente,  che  ad  omne  modo  si  faria,  8c  sempre  gli 
ajido  per  la  mente  in  Chiesa,  o  a  giuoco  di  carte  o  a 
nozze,  purche  fossino  tutti  dua  in  un  luogo,  gli  ba- 
steria  V  animo  di  farlo,  8c  che  non  ci  voleva  se  non  po- 
chi  non  seco,  8c  recercommene  a  me,  che  io  volessi 
quello,  che  mai  el  volsi  fare.  Lui  disse  trovaria  bene 
11  modo  a  far  questo,  8c  che  se  desse  pur  piu  tempo 
che  se  poteva,  e  mandassesi  1'  Arcivescovo  in  qua,  che 
a  tutto  se  daria  bene  espedizione,  Sc  che  de  tutto  quello 
s'  avesse  a  fare,  si  avviseria.  Intesa  la  conclusione, 
me  n'  andai  a  Roma,  e  referii  el  tutto  al  Conte  8c  alP 
Arcivescovo,  8c  subito  fu  presa  per  il  Conte  delibera- 
zione  de  mandare  V  Arcivescovo  sotto  colore  delle  cose 
di  Favenza,  8cc.  8c  a  n:ie  ordino  che  me  n'  andassi  a 
Imola  con  cento  provisionati,  8c  con  quelle  poche  genti 
d'  arme,  che  gli  erono  state  preparate  ad  omne  requisi- 
zione  de  costoro,  8c  etiam  con  i  suoi  popoli,  8cc.  Io 
me  partii,  8c  andamene  a  Imola,  8>c  poi  a  Montugi  ;  e 
fui  una  notte  con  Messer  Jacomo  e  con  Francesco,  e 
fegli  intendere  1'  ordine  dato  da  ogni  banda,  e  che  ques- 
ta  cosa  bisognava  espedizione,  k  da  parte,  &c.  del 
Conte  gli  soliicitai  assai  a  detta  espedizione  prima  che 
il  campo  si  dividesse  loro ;  me  rispuosero,  che  non 
bisognava  sproni,  ma  morso,  8c  che  ad  omne  modo 
vederia  espedirlo  in  questo  tempo,  8c  che  io  stesse  pre- 
parato,  che  sperava  avvisarne  presto  quello  avessi  a 
fare,  e  che  al  suo  avviso  non  preterisse  niente  ;  &  io 
dissi  di  farlo,  e  con  questo  me  ne  andai,  8c  non  tro- 
vando  costoro  comodita  di  farlo  in  quel  tempo  per 
essere  la  persona  del  Conte  Carlo  qui,  e  alloggiato  in 
casa  de'  Martelli,  deliberorno  lassarlo  stare  per  fine  a 
tempo  nuovo,  &c  avviso,  che  si  devidesse  il  campo,  & 
cosi   fo  fatto,  ne   di    questa  cosa  fo   parlato  piu  per  un 

pezzo, 


216  APPENDIX.  NO  XX VIII. 

pezzo,  8cc.     Et  essendo   stato   a   Imola  per  la   recupera- 

zione     cli    Valdiseno,    Sc    essendosi     recuperato,    me     n' 

andai    a   Roma   questo    Marzo,    dove   trovai  la   Signoria 

del   Conte,    e    Giovanfrancesco   da   Tolentino,  e   Messer 

Lorenzo   da  Castello   e   Francesco   de'   Pazzi,    Sec.   fra  i 

quali  molte   volte   si   parlava  de   queste  cose,  Sc    die  se 

cominciava  adesso  approssimar  il  tempo  d'  espedir  detta 

causa ;    Sc   domandando    io    que    modo    era   questo,    mie 

disse  :  Lorenzo  deve    venire    qvii   per   questa    Pasqua,  Sc 

quamprimum   se  senta  la  sua  partita,  Francesco  se  par- 

tira   ancora  lui,  Sc   andera   a  spedirsi  ;   Sc  farse  il  servizio 

a    quello   remanent,    Sc    all'    altro,   innanzi    die  torni,  se 

pensera   quello    si   doverra    fare   di   lui,    Sc  terrassi    con 

esso  tal   modo,  die  la  cosa   sara  bene   assettata  innanzi 

die    se   parta   da   noi.     Io    gli    dissi :    Faretelo   niorire  ? 

Mi    rispuose :     madiano,    die     questo     non    voglio    per 

niente,    die    qui   abbia    alcuno    dispiacere :     ma   innanzi 

die    parta,    le    cose    saranno    bene    assettate    in    forma, 

die   staranno   bene.     Domandai    il   Conte :    Nostro    Sig- 

nore    sa   questo  ?    Me    disse  :    madiasi.     Dico  ;    Diavolo, 

egli   e   gran   fatto   die    '1  consenta  !    Me    respuose  :  non 

sai    tu,  die    '1    famiiio   fare    quello    volemo   noi  ?    Basta 

die    le    cose    anderanno    bene.      Et     stettesi    in    queste 

trame    parecchi   di    del    suo  venire,    o    no.     Dappoi    ve- 

duto   die    non   veniva,    deliberarono    ad    ogni   modo   ca- 

varne   le   mani   prima   che   fosse    fora   Maggio,  Sec.     Et 

como  lio   detto   di    questo  piu   e  piu  volte  ne   fo   parlato 

in    camera    del    Conte,    Sc    como    mancava    materia,    se 

tornava   su   questo,  e    clii   prima  si  trovava  insieme   con 

loro,  ne    parlava,    dicendo,    che   per  niente    la   cosa   po- 

deva   durare    cosi,  che   non   venissi   a    palese,    e    questo 

per  essere  in   tante  lingue,  Sc   che   ad  ogni  modo  bisog- 

nava    darii    spedizione,    onde    che    per  detta    casione  fu 

preso 


APPENDIX.  NO  XXVIir.  217 

pveso  per  partito,  che  Francesco  se  ne  venisse  cjui ;  e 
Giovanfrancesco  da  Tolentino  8c  io  ce  ne  andassimo  a 
Imola,  8c  Messer  Lorenzo  da  Castello,  8ic.  per  dare 
ordene  quelle  s'  avesse  da  fare,  e  poi  se  ne  tornasse  a 
Castello  8c  omne  uno  con  le  preparazioni  fatte  stesse 
apparecchiato  a  tutto  quello,  che  da  Messer  Jacomo, 
r  Arcivescovo  e  Francesco  fosse  ordinato  et  che  ad 
omne  sua  requesta  onneuno  fosse  presto  a  far  quanto 
per  loro  saria  comandato.  Et  quest'  ordene  ce  fu  dato 
tutto  per  el  Signor  Conte  m  Roma. 

Da  poi  venne  ultimamente  il  Vescovo  de  Lion,  el 
quale  ce  comando  de  nuovo,  che  ad  omne  requisizion 
de'  sopradetti  fussemo  apparecchiati  sanza  fare  una 
difficolta  al  mondo  ;  Sc  cosi  s'  e  fatto,  ne  mai  se  'ntese 
niuno  loro  ordene,  se  non  lo  Sabato  a  doi  ore  di  notte, 
e  poi  la  Domenica  mutorno  ancora  proposito  :  8c  in 
questa  forma  sono  state  governate  queste  cose  diciendo 
impero  sempre,  che  1'  onor  de  Nostro  Signore  e  del 
Conte  ci  fosse  raccomandato.  Et  con  questo  or- 
dene la  Domenica  mattina  a  dl  26.  d'  Aprile  1478, 
si  fece  in  Santa  Liberata  quanto  e  pubblico  a  tutto  el 
mondo. 

Item  che  tornando  di  Romagna,  8c  andando  a 
Roma,  quando  fu  la,  8c  parlando  con  Nostro  Signore 
d'  altre  cose  me  disse  :  poi  Giovambatista  dell'  Arci- 
vescovo 8c  de  Francesco,  che  diceva  voler  far  tante 
cose,  e  non  savessero  mutare  uno  Stato  come  quello 
de  Fiorenza ;  ma  non  credo  s'avesse  pure  accozzare 
tre  ove  in  un  bacile,  se  non  con  cianciatori ;  tristi  che 
s'empaccia  con  loro. 


Item 


21 S  APPENDIX.  NO  XX Vm. 

Item  che  '1  Signor  Conte  mi  ha  ditto  molte  volte, 
die  Nostro  Signore  ha  cosi  gran  desiderio  della  muta- 
zione  di  questo  Stato  come  noi,  Sc  se  tu  intendesse 
quello  dice,  quando  semo  lui  e  mi,  diresti  quelle  che 
dico  io. 

lo  Giovan  Batista  da  Montesicco  confesso  e  fo 
fede  essere  vere  tutte  le  predette  cose  scritte  in  un  fog- 
lio  intero  &  in  mi  altro  mezzo,  e  qui  di  sopra,  e  quantcr 
io  ho  scritto  avere  detto  a  Messer  Jacomo  qui  in  Fio- 
renza  della  mente  Sc  volunta  della  Santita  del  Papa,  & 
queste  cose  sono  verissime,  &  io  mi  trovai  presente, 
quando  la  Sua  Santita  lo  disse,  &  tutto  questo  e  scritto, 
e  di  mia  mano  propria. 

Io  Matteo  Tuscano  da  Milaiio  Cavaliero  e  presente- 
mente  Podesta  della  Magnifica  Citta  di  Fiorenza  sono 
stato  presente  insema  colli  Reverendi  Patri  infrascritti 
(m?  infra)  che  '1  prefato  Joanne  Baptista  ha  detto,  che 
quanto  e  scritto  sopra  in  un  foglio  intero,  e  in  un  altro 
mezzo,  e  in  questo,  che  tutti  s'  allegheranno  inseme, 
sono  ne  sua  propria  mano,  &  confesso  essere  vero 
quanto  de  sopra  e  scritto,  &  cosi  ne  fazzo  fede  de  mia 
propria  mano,  che  gli  e  la  propria  verita  quanto  in  esse 
scritto  se  contene  :  a  di  4  di  Maggio  1478,  in  Fiorenza. 
(^Omittimus  alias  alioriim  subscri/itiones,) 

Noti  jam  sunt  Conjuratores,  atque  eorum  omnia 
consilia  ex  ipsis  conjuratis.  Nos  modo  quid  inde  secu- 
tum  sit,  brevi  perstringemus.  Cum  dies  advenisset 
Aprilis  vigesimus  sextus,  qui  destinatus  erat  facinori, 
in   Liberatae    Templum    conjurati    tectis   gladiis   conve- 

nerunt, 


APPENDIX.  NO  XXVIII.  219 

nerunt,  lioram  caedi  constitutam  expectantes.  Con- 
venerat  eodem  Sc  Irequentissimus  populus  ad  sacroriini 
apparatiora  spectacula.  Raphael  enim  Cardinalis  ex 
nepte  natus  Sixti  Pontificis  sacris  solemnioribus  prae- 
sidebat,  accipiendus  convivio  a  Laurentio  Julianoque 
Medicibus  post  peracta  sacra,  quod  proditores  de  in- 
dustria  curaverant,  ut  eos,  si  in  Templo  perfici  res  non 
posset,  domi  inter  epulandum  obtruncarent.  Aderant 
igitvir  in  primis  Laurentius  Julianusque  fratres,  ut  Car- 
dinalem  Sc  convivas  domum  reducerent.  Conjurati 
autem  ad  fractionem  Eucharistiae  (id  enim  datum  sig- 
num  erat),  strictis  gladiis  Julianum  confodiunt  ante 
aras,  caeduntque  ;  atque  eodem  tempore  altera  manus, 
ut  diversa  spatia  circum  Altare  faciebat,  Laurentium 
adoritur,  8c  sub  aurem  dextram  in  collo  vulnerat.  Deus, 
suo  clementissimo  beneficio,  ex  tam  diro  infortunio 
salvum  reddidit.  Ipse  quoque  suae  saluti  fortiter  est 
opitulatus,  Sc  gladiolo,  quern  ex  consuetudine  Floren- 
tinae  juventutis  ad  ornatum  gerebat,  stricto,  dantibus 
viam  proditoribus,  in  Sacrarium  confugit. 

Eodem  tempore,  quo  id  negotii  susceperat  Francis- 
cus  Salviatus  Archiepiscopus  Pisanus,  cum  ad  id  deiec- 
tis  armatis  satellitibus  Palatium  occupat  Status  nostri 
8c  Florentinae  Libertatis  domicilium  :  Magistratus  cum 
circumveniri  se  improvisum  sensisset,  in  deambulacra 
conscendit,  8c  illic  aditibus  clausis  se  tutatur ;  atque 
inde  Jacobum  Pazium  Equitem  Florentinum  imman- 
issimum  patricidam  cum  globo  armatorum  accurrentem 
Sc  ferentem  conjuratis  auxilium,  lapidibus  ex  deambu- 
latris  magnis  jactibus  deturbat,  arcetque  Palatio.  Fla- 
bet  in  summo  aedificii  Palatium  duas  quasi  porticus, 
tectam    alteram,    sine     tegumento    alteram,    in    modum 

dupliciH 


220  APPENDIX.  NO  XXVIII. 

duplicis  coronae  ad  deambiilandi  usum  fabricatas,  iinde 
Sc  deambulacri  nomen  est.  Ea  non  modo  ornatius  faci- 
unt  Palatium,  &  commoditatem  deambiilandi  Sc  sub 
tecto  Sc  sub  dio  praebent,  sed  belligerandi  Sc  arcendi, 
unde  unde  veniat  invasorem,  pulcherrime  faciunt  facul- 
tatem.  Dum  igitur  Magistratus  hinc  repugnat  atque 
insectatur  lapidibus  parricidas,  populus,  caede  cognita 
civium  suorum,  &c  Laurentii  vulnere,  Sc  vim  inferri 
Magistratui,  percitus  furore  incredibili  Sc  dolore  arma 
capit,  in  Curiam,  ut  Magistratui  succurrerent,  convola- 
runt.  Principes  quoque  civitatis,  atque  optimates 
cuncti  idem  factitant.  Ad  aedes  Mediceas  sugendo 
vulneri  ob  veneni  suspicionem  amici  dant  operam.  Ad 
Palatium  ad  effringendum  trabalibus  crebris  ictibus 
atque  igni  appositis  accensis  facibus  fores  acerrimis 
insudatur  studiis.  Vix  integram  horam  occupatores 
substinuerunt  impetum.  Victi  ergo,  partim  prime 
impetu  caesi,  partim  vivi  capti  Sc  conjecti  in  vincula, 
post  quaestiones  breves  perierunt.  Johannes  Baptista 
de  Monte  si  ceo  erutus  tandem  e  latebris,  per  quas  pau- 
cos  dies  difiiigerat,  quae  supra  sunt  posita,  cum  sua 
manu  perscripsisset,  Sc  se  ita  scripsisse,  8c  vera  esse 
quae  scripsisset,  pluribus  clarorum  virorum  attesta- 
tionibus  corroboratum,  ut  fieri  ipse  voluit,  vidisset, 
quamquam  in  suprascripta  confessione  ejus  quaedam 
bonis  de  caussis  subtracta  sint,  Sc  ea  tantum  apposita, 
quae  ad  Sixtum  Pontificem,  atque  Ecclesiae  Guberna- 
tores  pertinent,  capitis  est  damnatus.  Sic  Gives  Givi- 
tasque,  Sc  Libeitas,  proditorum  manus  effugerunt.  Nam 
Sc  Johannes  Franciscus  Tolentinas,  qui  Imola  absens, 
cum  expeditis  Sixti  Papae  militibus,  jussus  ad  destina- 
tum  caedi  diem  ferre  conjuratis  auxilium,  quique  jam 
in    Mugeilanum   a^rum    descenderat,    re   cognita,    unde 

abierat, 


APPENDIX.  NO  XXVIII.  221 

ubierat,  revertitiir.  Idem  tacit  8c  Laurentius  Tipher- 
nas,  qui  alia  parte  eadem  de  caussa  a  Civitate  Castelli 
iiiovens,  Sc  per  agrum  discurrens  nostrum  ad  Senenses 
fines  accurrerat.  Raphael  Cardinalis,  quern  praeesse 
sacris  supra  diximus,  sic  procurantibus  pluribus  civibus 
Sc  Laurentio  Medice  imprimis,  qui  in  tanto  periculo 
suo,  in  tot  tantisque  negotiis  8c  tumultibus,  atque 
omni  confusione  rerum,  hujus  quoque  officii  non  est 
oblitus,  in  Palatium  perductus,  vix  furentes  populi 
manus  evasit.  Moverat  scilicet  Laurentium  Cardina- 
latus  dignitas  8c  Sanctae  Romanae  Ecclesiae  reverentia, 
ut  eum  intactum  inviolatumque  curaret ;  ubi  cum  pau- 
cos  dies  publicis  sumptibus  honorificentissime  fuisset, 
quoad  populi  furor  elanguesceret  8c  fieret  remissior, 
Romam  abiit  incolumis.  Quae  tamen  vel  in  primis 
praetenditur  caussa,  cur  interdicamur  sacris,  8c  com- 
munio  fidelium  separemur?  Ita  de  bono  opere  lapi- 
damur,  8c  ubi  gratias  reportasse  oportuit,  immeritis- 
sime  damnamur.  Tandem  quod  foeda  proditione  non 
successit,  tentatur  Ecclesiasticis  censuris  atque  armis. 
BelluiTi  infertur  a  Sixto  Pontifice  Maximo  8c  praeclaris 
illis,  quos  gubernationi  Status  Ecclesiae  proposuit,  non 
aliam  ob  caussam,  nisi  quod  trucidari  nos  non  sivimus  ; 
fiam  id  quoque  accusat  in  interdictis,  Sc  de  proditori- 
bus,  atque  Archiepiscopo  Pisano  sumptum  esse  sup- 
plicium  moleste  fert ;  quae  altera  caussa  est  interdict! 
8c  censurarum.  Quamvis  quam  juste,  quam  pie,  quam 
religiose,  8c  Pontificaliter  factum  sit,  plurium  est  doc- 
tissimorum  Jurisconsultorum  &  CoUegioruni  declara- 
turn  testimonio,  8c  publicis  eorum  scriptis  in  aperto 
positum,  8c  quod  Palatium,  Statumque  8c  Libertatem 
nostram,  quaf  vita  quoque  est  carior,  defendimus.  Sic 
VOL.  iiT.  G   JT  Pontificis 


222  APPENDIX.  No  XXVIII. 

Pontificis  Christianorum  maximiis  exercitus  in  populum 
reUgJosissimum,  &  illius  Pontificalis  fastigii  semper 
observantissimum,  infestissimus  insurgit,  jamque  agrum 
vastat,  Castella  diripit  atque  incendit ;  foeminas,  ma- 
resque  &  sacra  8c  profana  loca  militari  licentiae  &  libi- 
dini  elargitur.  Deus  bone  quandiu  tantam  iniquitatem 
sustinebis  ?  Quando  laborantis  gregis  tui  misereberis, 
&  confirmabis  populum  tuum  ?  Ad  te  quoque,  ad  te 
confugimus,  Federice  Serenissime  Imperator  semper 
Auguste.  Memineris  rogamus  fidelissimae  urbis  tuae 
Florentiae  8c  populi  hujus  isti  Sacratissimae  Majestati 
Imperatoriae  semper  devotissimi.  In  nobis,  ni  fallimur, 
caussa  agitur  publica  Christianae  Religionis,  quae  dum 
Sixtus  suis  bellum  infert,  versatur  in  periculo  manifes- 
tissimo  victoriosissimis  8c  potentissimis  hostibus  in 
limine  Italiae  ita  insultantibus.  Tua  est  in  primis  re- 
rum  omnium  Christianarum  cura.  Tu  quoque,  Lu do- 
vice  Francorum  invictissime  Rex  8c  Christianissime, 
virtutem  ut  excites  tuam  admodum  necesse  est,  Sc  suc- 
curras  rebus  Christianis  periciitantibus.  Idem  nisi 
ca.eteri  quoque  Principcs  8c  Populi  Christiani  fecerint, 
multum  de  salute  Christianarum  re  rum  dubitare  cogi- 
mur.  Agite  igitur,  agite  omnes,  expergiscimini  jam, 
8c  capessite  rem  communem  ;  8c  cum  Christo  Optimo 
Maximo  Redemptore  8c  Saivatore  nostro,  qui  caus- 
sam  suam  profecto  non  deseret,  in  commune  consulite. 
Ex  Florentia  dio  X.  Mensis  Augusti  mcccclxxviii. 

Bartholomaeus  Scala  Cancel.  Florentinus. 


APPENDIX.  NO  XXIX.  223 

NO  XXIX. 

Philelfihus  Laurentio  Medici  Florentiae, 

JVIAGNIFICE  clarissimeque  vir  tanquam  frater  hono- 
rande.  Quanto  sia  stato  el  dispiacere  ho  ricevuto  del 
vostro  acerbissimo  caso  per  due  altre  mie  lettere  lo  ha- 
vete  potuto  comprendere.  Delle  cose  passate  Sc  inrecu- 
perabili  bisogna  haver  patientia,  e  ben  provvedere  per  lo 
advenire,  il  che,  come  prudentissimo  che  voi  siete,  sono 
certo  el  dovete  fare,  al  che  sommamente  ve  conforto  & 
priego. 

Harei  carissimo  essere  advisato  del  fundamento  Sc 
processo  de  tanto  tradimento,  &;  a  cui  petitione  Sc  a  che 
fine  se  faceva,  acciocche  una  perpetua  memoria  per  me 
scripta  fusse,  avisandove  che  a  niuno  la  sparmiero  Sc  sia 
chi  si  vuole. 

In  quanto  a  Vostra  Magnificentia  paresse,  io  harei 
caro  essere  rebandito  :  potreste  tenere  quella  via  voile 
tenere  il  vostro  Magnifico  avolo  Cosmio,  il  quale,  come 
me  significo  per  Messer  Angelo  Acciajolo  &  per  Messer 
Nicodemo  Tranchedino,  per  non  aprire  la  via  alii  altri 
rubelli  ordeno,  chel  Duca  Francesco  scrivesse  una  let- 
tera  a  cotesta  Illustr.  Comunitate,  demandando  de 
gratia  che  io  fosse  rebandito,  h.  cosi  a  contemplatione 
d  quello  io  come  forestiere  fusse  messo  a  partito. 
Ma  il  prefato  Signore  per  tema  de  perderme  entorbido 
el  tucto.  De  questo  fatene  quello  a  voi  pare.  Ben  ve 
aviso,  che    io  ve     sarei   utile   in    Firenze    quanto   pochi 

amici 


224  APPENDIX.  NO  XXIX. 

nniici    voi    habiate.     lo   ve    ho    dedicato    el    corpo  c   1' 


Farebbe  molto  per  Vostra  Magnificentia  havere  in 
Milano  Aciarito,  il  quale  e  amato,  &:  e  di  grande  repu- 
tatione  in  Corte  e  tra  tutti  i  Milanesi,  e  lui  solo  ha 
la    pratica   e    1'  usanza.     Vale  ex  Mediolano    20.    Maii 

1478. 


NO  XXX. 

BARTHOLOMiEUS  SCALA  Laurentio  Medici  sa- 
lutem  dicit.  Succenseo  tibi  ad  longa  tempora,  mi  Lau- 
renti,  mtum  columen,  idest  donee  redieris.  Quid 
enim  potest  esse  longius  ?  Non  possum  vero  non  admi- 
rari  istam  fortitudinem  animi  tui  atque  constantiam. 
Reviviscit  in  te  ilia  antiqua  virtus  £c  magnitudo  animi, 
quae  quanto  magis  nova  est,  magisque  aliena  ab  his 
modis  &^-  consuetudine  vitae,  tanto  est  admirabilior 
tantoquc  ornatior.  De  me  fatebor  id  quod  est.  Non 
possum  esse  fortis,  nee  solum  non  admirari  istam  deli- 
berationem  tuam,  sed  etiam  non  valde  timere.  Sum 
vero  aliquot  dies  exanimatus  metu,  Sc  vix  apud  me 
sum :  si  coilegero  animuni,  poteris  habere  saniores 
littcras.  Decemviri  coUegae  tui  oratorem  te  post  dis- 
cessum  tuum  ad  Neapolitanum  Regem  statuerunt. 
Idem  novi  quoque  Decemviri  decreverunt.  Putabam 
autem  posse  id  fieri  a  Centumviris  honoratius,  sed 
quibusdam  amicis  id  attentare  non  est  visum  :  in  quorum 
ego  sententiam   facile   concessi,    quod    in   tanta  suspen- 

sione 


APPENDIX.  NO  XXX.  225 

sione   animorum    utque  expectatioiie   rerum  quid  melius 
factu  sit,  non  est  facile  cognoscere. 

Calles  nostros  mores.  Qui  novas  res  cupiunt,  si  qui 
sunt,  qui  his  minime  contenti  sint,  oblatam  occasionem 
confundendarum  rerum  avide  accipiunt. 

Rogavi  ergo  &  scripsi  Deccmvirorum  mandatum, 
quam  potui,  elegantius :  Sc  ut  esse  magis  credidi  in 
rem  communem  &  tuam,  si  separari  tua  a  nostra,  idest 
a  publica  potest,  ut  ego  non  posse  certe  scio,  8c  sum 
aperte  saepe  testificatus.  Si  tu  adfuisses,  non  ita  in  con- 
denda  laborassem. 

Cui  vero  mirum  est  si  sine  meo  sole  obcaecatus  .... 
sine  duce  vager,  £c  sine  mea  Arcto  etiam  naufragem. 
Si  scire  quid  expectas  a  me  de  rebus  nostris,  animum 
in  pacem  intenderunt,  8c  fieri  eam  per  te  posse  honora- 
tam  Sc  dignam  civitate  putant :  ab  omni  nota,  quae  vel 
quid  minimum  obscurare  antiquam  Florentinae  gentis 
gloriam  queat,  plurimum  abhorrent.  Si  tu  eam  nobis 
confeceris  e  sententia,  redibis  totus  aureus,  beabisque 
nos.     Magna  spes  est  in   tua   prudentia  Sc  auctoritate. 

Regis  quoque  mentem  non  ex  praesenti  rerum  con- 
ditione  pensant,  sed  paullo  altius  res  ab  eo  gestas  Sc  pa- 
terna  in  nos  studia  meritaque  recensent. 

Quid  multa  dixerim  ?  Linguis  atque  animis  huic 
fortissimo  incoepto  tuo  plerique  favemus.  Me  tibi  plu- 
rimum   commendo.     Vale.    Ex   Florentia    die    V.   Dec. 

1479. 


22S  APPENDIX.  NO  XXXL 

NO  XXXI. 

Ferdinandus  Rex  Siciliae  Laurentio  Medici, 

MaGNIFICO  LORENZO  heri  alle  20.  hore  heb- 
bemo  per  cavallaro  aposta  lettera  del  Magnifico  Messer 
Lorenzo  de  Castello  Oratore  della  Santita  de  Nostro 
Signore,  quale  ve  mand^mo  intro  la  presente  ;  Sc  vi- 
dendo  quello  ne  scrivea,  como  ancora  vui  vederite,  ne 
parse  per  non  disturbare  tanto  bene  quanto  delle  con- 
clusione,  delle  cose  agitate  se  spera,  scriver  a  quisti 
nostri  supra  fedessero  fin  ad  altro  nostro  mandato :  8c 
poco  spacio  da  poi  venne  ipso  Messere  Lorenzo.  & 
licet  per  lettera  de  Messere  Annello  havessemo  visto 
quanto  de  bona  volunta  la  Santita  de  Nostro  Signore 
era  condescesa  a  tutte  quelle  conditione  della  pace,  che 
ultimamente  erano  state  mandate  de  volunta  vostra  & 
de'  quisti  Magnifici  Oratori  Ducali,  tamen  dicto  Messer 
Lorenzo  lo  have  dicto  con  tanta  majore  efficacia, 
quanto  piu  lo  have  inteso  per  altre  lettere  have  havute 
cosi  dalla  dicta  Santita  como  dal  Conte  Hieronimo.  Et 
perche  lo  possate  vedere,  ve  mandamo  con  la  presente 
copia  de  quanto  Messer  Anello  ne  ha  scripto.  Benche 
heri  la  donassemo  al  vostro  Ser  Nicolo,  &  credimo  ve 
la  habbia  mandata.  Da  po  venne  el  cavallaro  con  le 
lettere  de  Messere  Princevallo,  per  le  quale  intesimo  la 
ragione  e  cagione,  per  le  quale  a  vui  non  parea  dever 
retornar  secondo  Messer  Lorenzo  havea  scripto  8c  man- 
dato dicendo.  El  che  inteso  per  ipso  Messer  Lorenzo, 
se  ne  e  mostrato  mal  contento,  dicendo,  che  havendo  la 
Santita  de    Nostro  Signore    acceptato    tutto    quello    per 

nui 


APPENDIX.  NO  XXXI.  227 

nui  li  e  stalo  scripto  per  grandissimo  desiderio  e  vo- 
lunta,  che  have  de  questa  pace,  dubita  grandemente, 
che  lion  retornando  viii,  e  dilatandose  qiiesta  conclu- 
sione  per  qualsevoglia  respecto,  porranno  facilmente 
feguir  inconvenienti,  che  non  solamente  serranno 
causa  de  disturbar  questa  pace,  nia  de  far  malcontenti 
tutti  quelli  la  desiderano.  Et  respondendoseli,  che  la 
partuta  vostra  era  stata  non  voluntaria,  ma  necessaria 
per  le  cose  de  Fiorenza  star  in  grandissimo  periculo  de 
trabuccar  a  camino  contrario  a  quello  desidera  la  San- 
tita  de  Nostro  Signore ;  &  nui  resposse,  che  conside- 
rato  el  tempo  non  era  disposto  a  navigare,  Sc  conside- 
rato  a  Fiorenza  omne  homo  avera  la  inteso  vui  esserve 
partuto,  &  che  el  tempo  contrario  ve  ha  impedito,  & 
che  tra  quisto  mezzo  essendo  supra  venuta  da  Nostro 
Signore  la  resposta  con  la  conclusione,  quale  per  tucti 
se  desiderava,  site  retornato,  acciocche  alia  conclu- 
sione della  pace  non  se  havesse  de  dar  dilatione :  & 
circa  questo  ve  porrissivo  allargar  quanto  ve  paresse,  8c 
etiam  porrissivo  scrivere  alii  amici  vostri  che  bisognan- 
do  per  qualsevoglia  respecto  per  tener  le  cose  della 
Comunita  vostra  quiete,  se  poteno  ajutare  delle  gente 
de  Nostro  Signore  e  nostre.  Non  solamente  quella 
Comunita,  Sc  li  amici  vostri  non  haveranno  dispiacere 
della  vostra  retornata  qua,  ma  ne  pigliaranno  grandis- 
simo conforto  e  consolatione  praesertim  che  vui  ancora 
li  possite  scrivere,  che  la  conclusione  se  farra  de  con- 
tinente,  &  al  piu  tardo  alia  resposta,  che  venera  da 
Milano,  che  ne  sera  tra  secte  di,  8c  che  etiam  se  li  po 
scriver,  che  immediate  chel  tempo  serra  disposto,  vui 
continuarete  vostro  camino,  concludendo  che  quando 
vui  non  retornassivo,  lui  se  parteria  immediate,  Sc 
serra  in  tucto  exclusa  questa  pratica  ;    el  quale    lagiona- 

men  to 


228  APPENDIX.  NO  XXXf. 

mento  ne  piacque  g-randemente,  &  simo  certi  iion  me- 
no  piacera  a  vui.  Et  parendone  le  ragione  de  Messer 
Lorenzo  bone  5c  efiicace,  8c  pensando,  che  della  vos- 
tra  toinata  qiui  son  per  seguire  infiniti  beneficii  senza 
alcuno  vostro  sconcio,  8c  del  contrario  infiniti  mali, 
ve  pregamo  quanto  ne  e  possible  vogliate  omnino  dis- 
ponerve  e  per  terra  o  per  mare,  como  piu  ve  piacera  a 
tornare,  acciocche  ultra  li  altri  beneficii  son  per  se- 
guire a  vui  Sc  a  tucti  per  la  conclusione  de  questa  pace 
e  lega,  quale  indubitataniente  se  concludera  vui  retor- 
nando,  se  possa  dir  vui  csserne  causa,  che  non  sola- 
mente  li  misi  passati  per  fare  quello  effecto  venissivo 
qua  con  tanta  liberalita,  non  perdonando  a  pericoli  del- 
la  persona  ne  dello  stato,  ma  da  poi  con  non  minor 
volunta  e  promptezza  siate  retornato,  &c  quisto  acto  a 
judicio  nostro  e  de  tal  natura,  che  credimo  lo  animo 
della  Santlta  de  Nostro  Signore  ne  restara  tanto  placato 
Sc  satisfacto,  che  con  alcuna  altra  cosa  non  lo  porris- 
sivo  piu  satisfare ;  demostrarasse  la  grandissima  sin- 
cerita  &  optima  volunta  vostra  alia  pace,  Sc  alia  obe- 
dientia  de  Nostro  Signore,  disturbarite  le  pratiche  de 
qualunca  ha  tra.vagliato  e  travagiia  alienar  Nostro  Sig- 
nor  da  queste  conclusione,  che  questra  vostra  retornata 
cancellera  in  tucto  quests  persuasione  8c  suspecti,  Sc 
asserenera  lo  animo  de  Nostro  Signore  non  solum  verso 
nui  8c  vui,  ma  ancora  verso  quiili  lUustrissimi  Signori 
de  Milano,  adeo,  che  simo  certi  nulla  cosa,  che  a  pro- 
posito  vostro  sia  Sc  vui  desiderate,  ne  porra  essere  de- 
negata;  avisandove,  che  non  simo  fora  de  speranza, 
tornando  vui,  questi  Magnifici  Ambasciadori  Ducali 
non  debiano  differir  la  stipulatione  delli  contracti,  per- 
ehe  alloro  non  e  prohibito  la  stipulatione  ma  solamente 
U    e    comandato,  che    non   concludendose    la    pace    tra 

otto 


APPENDIX.  NO  XXXI.  229 

otto  di  Sc  poi  tra  quattro  altri,  se  debiano  partire,  8c 
se  cosa  alcuna  li  ha  de  indurre  a  stipulare  de  continente 
serra  la  presentia  vostra  per  lo  beneficio  certo,  che  de 
quella  conclusione  se  vede  have  de  seguire  a  tutti  ques- 
ti  stati  :  &  non  dubitamo  con  ragione  se  nnostrara  loro 
possono  &c  devono  far  qiiesta  conclusione.  Ma  la  piu 
viva  ragione  serra  la  presentia  &:  lo  conforto  vostro  ;  &; 
praesertim  perche,  statim  fatta  la  conclusione,  possate 
partire  Sc  tornare  a  Fiorenza  con  tanta  gloria  e  stability 
delle  cose  di  quella  Excelsa  Repubblica.  A  nui  pare 
soverchio  scrivere  altre  ragione  &  cause  per  persuader- 
ve  la  vostra  retornata,  che  essendo  vui  de  tanta  pru- 
dentia  &  intellecto,  ne  intendite  multo  piii  che  nui. 
Solaniente  ve  dirimo,  che  in  satisfactione  de  quanto 
havessemo  possuto,  o  porrimo  fare  tucta  nostra  vita  in 
vostro  beneficio,  vogliate  retornare  per  fare  questa  con- 
clusione, la  quale  a  judicio  nostro  importa  tanto  alii 
comuni  stati,  che  non  dubitamo,  per  fuggire  li  con- 
trarj  effecti,  che  possono  seguire  del  vostro  non  tor- 
nare, se  fussivo  in  Pisa,  non  che  a  Cajeta  retornaris- 
sivo,  &  ve  pregamo  non  vogliate  mostrare  de  farla  si 
non  allegramente  como  certamente  possite  e  devite, 
ancorche  ultra  lo  effecto  de  tanto  bene  e  per  seguire 
de  la  vostra  retornata,  la  Santita  de  Nostro  Signore  habia 
de  intendere  lo  havite  facto  con  jocondissimo  animo* 
Datum  in  Castello  novo  Neap.     1.  Martii  1480. 


VOL.   III.  H  h 


230  APPENDIX.    No  XXXII. 


NO  XXXII. 

Al  mio  caro  quanta  fratello  Albino^ 
Segretario  dello  Illustrissimo  Sig;  Duca  di  Calabria, 

Albino  mio  caro  quanto  buon  fratello.  lo  non  so 
ancora  giudicare,  se  le  vostre  de'  2  8c  8.  del  presente 
mi  hanno  portato  maggiore  piacere  che  dispiacere,  pro- 
ducendomi  insieme  nello  animo  uno  sviscerato  deside- 
rio  della  gloria  del  nostro  Sig.  Duca,  a  che  si  e  dato 
grandissimo  principio  per  la  profligatione  di  cotesti  cani 
Turchi  a  di  8. ;  &  uno  stemperamento  che  io  ho,  che 
al  Signore  non  venga  per  la  animosita  sua  qualche  si- 
nistro  caso.  Quelle  zerbottane,  di  che  me  scrivete, 
in  mezzo  delle  quali  spesso  si  trova  il  Signore,  me 
hanno  piu  d'  una  volta  impallidito,  perche  piu  d'  una 
volte  ho  letta  la  vostra  lettera  ad  mia  maggior  satisfac- 
tione  :  se  e  possibile,  Albino  mio,  mandateci  spesso  di 
queste  nuove  non  miste  da  tanto  suspetto,  Sc  confortate 
il  Signore  ad  haversi  cura  alia  persona.  Non  voglio 
dire  piu,  perche  mi  stempero  mentre  che  ci  penso. 
Conservesi  per  Dio  a  se,  8c  a  noi  altri  sui  servitori,  8c 
facci  quello  medesimo  col  pericolo  d'  altri  non  suo. 
Voi  che  le  siete  appresso,  dovete  procurare  questo  in- 
nanzi  alia  vita  vostra,  e  se  non  lo  volete  fare  per  vos- 
tro  conto,  fatelo  per  mio,  se  mi  volete  bene,  8c  raccom- 
mandatemi  al  Signore,  8c  io  aspetto  la  risposta  vostra 
ad  questa  con  sommo  desiderio  per  intendere,  che 
questo  mio  amorevole  ricordo  habbi  giovato  senza  di- 
minuzione  alcuna  di  quello  che  io  tengo  per  constantis- 
simo,  8c    questo  e  che  presto  el    Signore    habbi   ad    re- 

portare 


APPENDIX.  NO  XXXIII.  231 

portare  la  laurea  di  cotesta  expugnatione  :  orsu  aspet- 
to  esserne  ragguagliato  alia  giornata  da  voi.  Floren- 
tiae  die   18  Mail  1481.  Laurentius  de^  Medicis, 


NO  XXXIII. 

AT.  jinselmo    Calderoni,  jiraldo   delta    Signoria   di  Firenze 
mandato   a   Cosmo  de^  Medici, 

Da  testa  a  fienna  della  Libreria  Laurenziana, 

SONETTO. 

vj  LUME  de'  terrestri  cittadini, 

O  chiaro  specchio  d'  ogni  mercatante, 
O  vero  amico  a  tuct'  opere  sante, 
O  speranza  de'  grandi,  Sc  de  piccini  ; 

*  *  # 

O  soccorso  d'  ognun  che  bisognante, 
O  de'  popilli,  e  vedovi  aitante, 
O  forte  scudo  de'  Toscan  confini ; 

O  sopra  ogn'  altro  a  Dio  caritativo, 
Prudente,   temperate,  giusto,  e  forte, 
O  padre  al  buono  8c  padrigno  al  cattivo, 

O  di  somma  pietate  largho  porte, 
O  adversario  d'  ogn'  acto  lascivo  ; 
O  tu  che  rende  per  mal  buone  sorte  ! 

Dobbiam  fino  alia  morte, 
Per  Cosimo  &  Lorenzo  tucti  noi 
Pover,  pregare  Iddio  sempre  per  voi. 

Di 


232  APPENDIX.  N^  XXXIII. 

Di  Maestro  JSficcolo  Cieco  fier  efiso  Cosimo  de^  MedicL 
SONETTO. 

O  DELLA  nostra  Italia  unico  lume, 
O  Cicerone  in  arti  oratorie, 
O  nuovo  Tito  Livio  all'  alte  historic, 
O  fior  d'  ogni  poetico  volume  1 

O  voi  che'l  fonte  pegaseo  consume, 
O  albergo  di  tucte  le  memorie, 
O  ch'  alle  muse  hai  dato  eterne  gloria, 
O  di  philosophia  lecto  de  piume ! 

lo  corro   a  voi  come  cervo  a  chiar  fonte, 
A  tormi  sete,  Sc  viver  piu  contento. 
Perche  la  patria  e  si  ingrata  al  suo  nato ! 

E'l  nato  exalta  lei  con  voglie  pronte  ; 

Et  chi  ne  sostien  morte,  Sc  chi  tormenti, 
Et  io  ne  so  parlar  che  1'  ho  provato. 


NO  XXXIV. 

Rime  del  Burchiello^ 

Da   testo  a  jienna  del  sec,  xv. 

jLjI  tutto  el  centro  che  la  Europia  eigne, 
Italia  n'  c  Reina  incoronal^, 
Secundo  che  pe'  savi  si  distingue  : 

II  frutto  che  la  ciba,  et  tiene  ornata, 
E^  la  porpora  vesta  di  Toscana, 
Di  fior'  d'  alisi,  et  gigli  seminata : 


Lo 


APPENDIX.  NO  XXXIV.  SSS 

Lo  specchio  in  che  costei  si  mira,  e  vana, 

Si  e  Fiorenza  terra  sopra  marte, 

Che  strigne  ogni  terrena  etsi  lontana. 
Perche  eglie  giiida,  et  fuor  di  molte  parte 

Si  manda  per  rifar  lo  studio  athene, 

Molta  sua  imbasceria,  con  libri,  et  carte  ; 
O  quanta  nobil  gente  si  niantiene 

In  questa  vaga  et  bella  imbasceria, 

Con  poco  senno  le  lor  menti  piene. 
Se  ti  piacessi  lettor,  pr^gheria 

Cho  ti  agustassi  d'  esta  gente  el  nome, 

Se  vuoi  avere  alquanta  giuUeria,  b'c. 
*  *  * 

Maestro  inio  se  a  dirmi  non  se'  lasso, 
lo  te  priegho  per  dio  che  ancor  mi  dica, 
E  nomi  di  questi  altri  apasso  apasso. 

Et  egli  a  me  :  e'  non  mi  fia  laticha, 
Et  presto  ti  faro  da  loro  contento, 
Villano  e  quelio  ch'  a  te  nulla  disdicha. 

Rivoglanci  diss'  egli  al  nostro  armento, 
Et  mostrerotti  uno  nuovo  pesce  medic  ho, 
Grande  di  carne,  e  di  poco  sentimento  ; 

Ne  a.ltrimente  a  chi  teme  il  solleticho, 
Chi  lo  tocha  per  motti  lo  f;i  ridere, 
Tal  fecie  a  me  quel  maestro  farneticho. 

Com  io  lo  vidi,  credetti  dividere, 
Le  mia  mascella,  per  troppo  letitia, 
Tal  che  Ser  Gigi  disse,  non  ti  uccidere  ; 

Et  fa  di  tanto  ridere  masseritia, 
Che  tu  vedrai  venire  dirieto  a  lui, 
Gente  che  riderai  piu  ch'  a  divizia 

Se  vuoi  sapere  el  nome  di  costui, 

Maestro  Antonio  Falcucci  egl'  e  chiamato, 
Ch'a  ogni  sole  gli  paion  tempi  buoi ; 

Costui 


234  APPENDIX.    No  XXXIV. 

Cestui  e  si  perfetto  smemorato, 

Che  se  toccasse  el  polso  al  campanile, 
Sonando  a'  festa  non  V  aria  trovato. 

Et  non  ostante  che  sia  tanto  vile, 

EgP  ha  morti  piCi  huomini  a  suoi  giorni, 
Che  la  spada  d'Orlando  signorile. 

Dagli  licenza,  et  di  che  non  ci  torni ; 
Pero  che  dove  sta  vifa  moria, 
Con  suoi  nuovi  sciloppi,  et  masusorni. 

Et  io  al  medico,  trovate  la  via, 

Quanto  piu  tosto  meglio  siate  atene, 
Et  fate  a  noi  di  voi  gran  carestia. 

Quale  colui  che  dal  capo  alle  reno 

Porta  gran  peso,  et  lui  fa  gire  in  archo, 
Cos!  fe  quel  medico  di  sene  : 

Cosi  sen  gia  di  vergogna  carco, 

Et  noi  agli  altri  a  rimirar  ci  demmo, 
Che  ciaspettavan  per  volere  il  varcho,  is'c. 


NO  XXXV. 

Va  Testo  a  jienna  della  Libreria  Laurenziana, 

Bernardo  Pulci  a  Lor,  de^  Medici. 

SONETTO. 

W  ATURA  per  se  fa  il  verso  gentile. 
Studio  le  rime,  e  ricche  le  'nvenzioni ; 
Vere  scienze  solvon  le  quistioni. 
El  dilectarsi  poi  fa  il  dolce  stile  ; 

Amor  I'ingegno  sempre  fa  soctile  : 
Dote  dal  Cielo,  privilegii,  e  doni. 
Son  questi :  benche  sien  molte  cagioni, 
Che  fan  no  un  dir  superbo,  I'altrui  humile. 

Diversi 


APPENDIX.  NO  XXXV.  235 

Diversi  casi  fanno  il  dir  diverse ; 

Quando  amor,   &  foituna,   a  dir  ti  strigne, 

E  colori  temperrai  con  discretione  : 
Chi  pensa  il  vero  e  poi  compone  il  verso, 

Eterno  con  la  penna  si  dipigne. 

Che  poi  morendo  ha  piu  riputatione. 

SONETTO. 

NUOVA  influenza  dalle  Muse  piove, 
Novellamente  ed  ho  cangiato  stile, 
Cagion  di  quel  Signor,  vagho  et  gentile, 
Che  per  Calisto  fe  transformar  Giove. 

Cosi  amore  d'un  esser  me  rinuove, 
Libero  sendo  :  in  acto  hora  servile, 
Et  tant'  e  in  se  crudel,  quant'  io  humile, 
Colei  che  favellando  i  sassi  muove. 

Sonetto  mio,  a  Cafaggiuolo  andrai, 
Paese  bel,  che  siede  nel  mugello, 
Dove  tu  troverai  Lorenzo  nostro ; 

Et  con  gran  riverenza  porgi  a  quello 
Questi  altri  tuo  consorti  ;   &  sol  dirai 
Questi  presenta  a  voi  Bernardo  vostro. 


NO  XXXVI. 

Al  Sig,  Jacopo  Facciolati,  a  Padova. 

Venezia,  30.  Maggio  1742. 

jLjA  Lettera  al  Principe  Federigo  d'  Aragona  mi  ha 
dato  lume,  per  venir.  in  chiaro  dell'  essere  e  del  nome 
del  compilatore  della  vostra  Raccolta  di   Rimatori   anti- 

chi, 


236  APPENDIX.  NO  XXXVI. 

chi,  e  del  tempo,  in  cui  ella  fii  fatta.  E  qiianto  a! 
tempo,  si  dice  quasi  nel  cominciamento  di  essa,  che 
trovandosi  Federigo  nella  Pisana  Citta  nel  fiassato  anno^ 
ed  essendo  entrato  col  raccoglitore  in  ragionamento  in- 
torno  a  cjuegli,  che  nella  volgar  lingua  aveano  scritto, 
mostro  d'aver  desiderio,  che  per  opera  di  lui  tutti  quegli 
Scrittori  lo  fossero  insieme  in  un  medesimo  -volume  raccolti, 
II  tempo  in  cui  Federigo  ando  in  Toscana,  fu  nel  1464. 
come  si  ha  da  Scipione  Ammirato  nell'  Istoria  Fioren- 
tina  torn.  III.  pag,  93.  ne  si  trova,  che  in  altro  tempo 
egli  facesse  cjuel  viaggio.  La  raccolta  dunque  ne  fu 
fatta  r  anno  seguente,  cioe  nel  1465.  Un  anno  fu 
impiegato  nel  farla,  e  non  senza  molta  fatica,  da  chi 
si  prese  il  carico  di  soddisfare  alle  instanze  di  quel 
Signore.  DelP  essere  del  raccoghtore,  due  indizj  mi 
porge  la  medesima  Lettera  :  1'  uno  che  e'  fosse  persona 
di  qualita  e  d'  altro  rango,  poiche  1'  espressioni,  con  le 
quali  tratta  con  un  Principi  figliuolo  e  fratello  di  Re, 
e  che  poscia  fu  iRe  di  Napoli  anch'  egli,  non  converreb- 
bono  a  persona  privata  e  di  bassa  sfera,  ma  bensi  ad  una, 
cho  non  conosce  superiore,  e  che  parla  da  grande  e  per 
nascita  e  per  fortuna.  L'altro  indizio  si  e,  che  questi  fosse 
Toscano,  poiche  parlando  quivi  dei  Rimatori  di  quella 
nazione,  li  nomina  semplicemente  con  1'  aggiunto  di 
nostri,  Tutte  queste  pero  non  sarebbono,  se  non  sem- 
plici  conghietture,  e  lontane  per  farci  credere,  che  il 
raccoglitore  fosse  stato  Lorenzo  de^  Medici  il  Magnijico^ 
il  Cjuale  era,  come  si  sa,  di  quell'  alta  famiglia  e  gran- 
dezz'd  in  Firenze  sua  patria,  e  che  nel  1465.  era  d' anni 
17.  o  18.  stante  1'  esser  lui  nato  nel  Gennajo  del 
1448.  Cio  che  irii  ha  indotto  a  dirlo  francamentCy 
qual  precedentemente  vei  dissi,  per  Lorenzo  de'  Me- 
dici, si  e  quel  tanto  che  si  legge  nel   fine   della  suddetta 

sua 


APPENDIX.  NO  XXXVL  237 

sua  lettera  al  Principe  d'  Aragona.  Habbiamo  nello 
ESTREMO  del  libra  (jierche  cos:  ne  pare  te  fiiacesse) 
aggiunti  alcuni  delli  NOSTRI  SONETTI  e  CAN- 
ZONE, accio  die  quelli  leggendo  se  Hnnovelli  nella  tua 
mente  la  miafcde^  e  amore  insieme  verso  la  tua  Signoria, 
Ripigliato  adunque  per  mano  il  vostro  bel  Codice,  ed 
esaminatelo  ben  bene  verso  il  fine,  ho  ritrovato,  che 
I'ultimo  componimento  con  nome  di  autore  era  alia 
pag,  283.  2.  un  Sonetto  del  Notaro  Jacopo  da  Lentino^ 
Poeta  notissimo  Siciliano,  vivuto  pero  dugent'  anni  al- 
meno  prima  dell'  anno  1464.  onde  conclusi,  che  questi 
non  poteva  csser  1'  autore  d'  una  Raccolta,  dove  stavano 
reg-istrati  i  nomi,  e  i  componimenti  di  tanti  Poeti  vivuti 
ne'  due  secoli  susseguenti.  Piacciavi  ora  dare  un'  at- 
tenta  occhiata  alia  Jiag,  284.  e  anche  alle  susseguenti 
sino  alia  fine  del  Codice,  e  vedrete,  che  le  Rime  quivi' 
trascritte  sono  tutte  di  un  anonimo  raccoglitore,  che  a 
veruna  de  esse  non  ha  voluto  apporre  il  suo  nome,  come 
ne  pur  1'  avea  apposto  alia  sua  Lettera  proemiale  :  onde 
alia  pag,  285.  2.  malamente  e  stato  riempiuto  un  picciol 
vacuo,  con  recente  inchiostro,  col  nome  di  JVotar 
Jacomo^  il  quale  sara  bene  che  nel  facciate  radere  inte- 
ramente.  Dopo  cio  messomi  a  leggere  i  componimenti 
del  predetto  anonimo  raccoglitore,  venni  subito  in  sos 
petto,  che  questi  esser  potessero  del  suddetto  Lorenzo 
e  pero  tolto  per  mano  il  volume  delle  sue  Foesie  volgari 
stampate  in  Vinegia  in  casa  d<?'  Jigliuoli  di  Aldo  nel  1554 
in  ottavo^  vi  ritrovai  tutti  quasi  i  componimenti,  cioe  i 
Sonetti  e  la  Canzone,  che  stanno  nel  Manoscritto,  tol- 
tone  le  cinque  ultime  Ballate,  o  sia  Canzoni  a  ballo, 
che  saran  forse  in  altro  volume  con  quelle  del  Poliziano 
e  di  altri  stampate  :  di  che  non  mi  son  potuto  accer- 
tare,  per  esserne  senza.  Dopo  cio  credo  che  non  vi 
VOL.  III.  I  i  rimarru. 


23a  APPENDIX.  NO  XXXVI. 

rimarra  dubbio  alcuno  intorno  a  quanto  vi  scrissi.  Puo 
essere,  che  io  mi  risolva  a  dime  qualche  cosa,  se  mel 
permette,  in  una  delle  mie  Annotazioni  all'  Eloquenza 
Italiana  del  fu  Monsig.  Fontanini,  le  quali  a  quest'  ora 
sarebbono  terminate,  se  le  mie  frequenti  e  lunghe  in- 
disposizioni  non  mi  avesser  costretto  a  sospenderne  il 
lavoro.  Vi  ho  recato  un  lungo  tedio,  e  pero  senz' 
altro  passo  a  dirvi,  che  di  vero  cuore  sono  e  saro 
sempre  .... 


NO  XXXVII. 

Risjietti  del  Politiano. 


O  TRIOFANTE  sopra  ogni  altra  bella, 
Gentile,  onesta,  Sc  gratiosa  Dama, 
Ascolta  el  canto,  non  che  ti  favella 
Colui,  che  sopra  ogni  altra  cosa  t'  ama  ; 
Perche  tu  sei  la  sua  lucente  stella ; 
Et  giorno,   e  notte  il  tuo  bel  nome  chiam; 
Principalmente  a  salutar  ti  manda, 
Poi  mille  volte  ti  si  raccomanda. 

Et  priegati  umilmente,  che  tu  degni 
Considerar  la  sua  perfetta  fede, 
Et  che  qualche  pieta  nel  tuo  cuor  regni, 
Come  a  tanta  bellezza  si  richiede  ; 
Egli  ha  veduto  mille,   e  mille  segni 
Delia  tua  gentilezza,  Sc  ogn'  or  vede, 
Or  non  chiede  altro  el  tuo  fedel  suggetto, 
Se  non  veder  di  quei  segni  I'effetto. 

Sa  ben,  che  non  e  degno,  che  tu  I'ami 


Non 


APPENDIX.    NO  XXXVII.  239 

Non  n'  e  degno  vedere  i  tuoi  belli  ochi, 
Massime  avendo  tu  tanti  bei  dami, 
Che  par  die  ognun  solo  el  tiio  bel  viso  adochi  ; 
Ma  perche  sa,  che  onore,  8c  gloria  t'  ami, 
E  stimi  poco  altre  frasche,  o  linochi, 
Et  lui  senipremai  cerca  farti  onore, 
Spera  per  questo  eiitrarti  un  di  nel  core. 
Quel  che  non  si  conosce,  e  non  si  vede, 
Chi  I'ami,  o  chi  1'  aprezi  niai  non  truova, 
E  di  qui  nasce,  che  taiito  suo  fede, 
Non  sendo  conosciuta,  non  gli  giova, 
Che  troveria  ne'  belli  occhi  merzede, 
Se  tu  facessi  di  lui  qualche  pruova  ; 

Ognun  zimbella,  ogoun  guata,  e  vagheggia, 
I'  sol  per  fedelta  esco  di  greggia. 
E  se  potessi  vin  di  solo  soletto 
Trovarsi  teco  sanza  gelosia, 

Sanza  paura,  sanza  niun  sospetto, 
E  raccontarti  la  sua  pena  ria  ; 

Mille,  e  mille  sospiri  uscir  dal  petto, 

E  i  tuoi  begli  occhi  lagrimar  faria, 

E  se  sapessi  ben  aprire  il  suo  cuore 

Ne  crederebbe  acquistare  el  tuo  amore. 
Tu  sei  de'  tuoi  begli  anni  ora  in  sul  fiore, 

Tu  sei  nel  colmo  della  tua  bellezza, 

Se  di  donarla  non  ti  fai  onore, 

Te  la  torr^  per  forza  la  vecchieza, 

Che  '1  tempo  vola,  e  non  si  arreston  I'ore, 

E  la  rosa  sfiorita  non  si  appreza, 

Dunque  alio  amante  tuo  fanne  un  presente, 

Chi  non  fa,  quando  puo,  tardi  si  pente. 
II  tempo  fugge,  e  tu  fuggir  lo  lassi, 

Che  non  ha  el  mondo  la  piu  cara  cosa, 

E  se 


240  APPENDIX.  NO  XXXVII. 

E  se  tu  aspetti  ch'l  Maggio  trapassi, 
Invan  cercherai  poi  di  cor  la  rosa ; 
Quel  che  non  si  fa  presto,  mai  poi  fassi, 
Or  che  tu  puoi,  non  istar  piu  pensosa, 
Piglia  il  tempo  che  fugge  pel  ciuffetto, 
Prima  che  nasca  qualche  stran  sospetto. 

Egli  e  nello  inira  due  pur  troppo  stato, 
Et  non  sa,  se  si  dorme,  o  se  s'  e  desto, 
O  segli  e  sciolto,  o  segli  e  pur  legato, 
Deh  fa  un  colpo,  Dam  a,  e  sic  pel  resto, 
Hai  tu  piacer  di  tenerlo  impiccato  i 
O  tu  I'affoga,  o  tu  taglia  il  capresto ; 
Non  piu  per  dio,  questa  ciriegia  abocca  ; 
O  tu  stendi  omai  I'arco,  o  tu  lo  scocca. 

Tu  lo  pasci  di  frasche,  e  di  parole, 

Di  risi,  e  cenni,  e  di  vesciche,  e  vento, 
E  di,  che  gli  vuoi  bene,  e  che  ti  duole 
Di  non  poterlo  far,  Dama,  contento, 
Ogni  cosa  e  possibile  a  chi  vuole, 
Purche  '1  fuoco  lavori  un  poco  drento, 
Non  piu  pratiche,  omai  faccisi  I'opra, 
Prima  che  affatto  questo  amor  si  scuopra. 

Ch'  egli  ha  deliberato,  e  posto  in  sodo, 
Se  gli  dovessi  esser  cavato  il  cuore, 
Di  cercare  ogni  via,  ogni  arte,  e  modo. 
Per  corre  i  frutti  un  di  di  tanto  amore  ; 
Scior  gli  conviene,  o  tagliar  questo  nodo, 
Pur  sempre  intende  salvarti  Ponore, 
Ma  e'  convien,  Dama,  che  anche  tu  aguzzi 
Pervenire  ad  effetto  i  tuoi  feruzzi. 

E  se   tu  pur  restassi  per  paura 

Di  non  perder  la  tua  perfetta  fama, 
Usa  qui  Parte,  e  poi  molto  ben  cura, 


Che 


APPENDIX.  NO  XXXVII.  241 

Che  ingegno,  o  che  cervello  ha  quel  che  t'  ama ; 

S'  egli  e  discreto,  non  istar  piu  dura 

Che  piu  si  scuopre,  quanto  piu  si  brama ; 

Cerca  de'  modi,  truova  qualche  mezo, 

E  non  tenere  troppo  il  caval  rezo. 
Se  tu  guardissi  a  parole  di  frati, 

lo  direi,  Dama,  che  tu  fossi  sciocca, 

E'  sanno  ben  riprendere  e  peccati, 

Ma  non  si  accorda  il  resto  colla  bocca ; 

E  tutti  siam  d'una  pece  macchiati, 

lo  ho  cantato  pur,  zara  a  chi  tocca, 

Poi  quel  proverbio  del  Diavolo  e  vero, 

Che  non  e  come  si  dipigne  nero. 
E  non  ti  die  tanta  bellezza  Iddio, 

Perche  la  tenga  sempre  ascosa  in  seno, 

Ma  perche  ne  contenti  al  parer  mio 

El  servo  tuo  di  fede,  e  d'  amor  pieno  ; 

Ne  creder  tu,  che  si  a  peccato  rio, 

Per  esser  d'altri,  uscir  un  p6  del  freno, 

Che  se  ne  dai  a  lui  quanto  e  bastanza, 

Non  si  vuol  gittar  via,  quel  che  t'  avanza. 
Egli  e  pur  megiio,  8c  piu  a  Dio  accetto 

Far  qualche  bene  al  povero  affamato, 

Che  ha  presentato  nei  divin  conspetto, 

Cento  per  un  ti  fia  remunerato ; 

Datti  tre  volte  della  man  nel  petto, 

Et  di  tuo  colpa,  di  questo  peccato, 

E  non  vuol  troppo,  e  basta  che  raguzoli 

Sotto  la  mensa  tua  di  que'  minuzoli. 
Et  pero,  Donna,  rompi  un  tratto  il  ghiaccio, 

Assaggia  anche  tu  el  frutto  dell'  amore  ; 

Quando  V  amante  tuo  ti  ara  poi  in  braccio, 

D'  aver  tanto  indugiato  arai  dolore  ; 

Quest! 


242  APPENDIX.  No  XXXVII. 

Quest!  mariti  non  ne  sanno  straccio, 
Perche  non  hanno  si  infiammato  el  cuore  ; 
Cosa  desiderata  assai  piu  giova, 
E  se  nol  credi,  fanne  pur  la  prova. 
Queslo  mio  ragionare  e  un  Vangelo, 
lo  t'  ho  contato  apertamente  tutto  ; 
So  che  nell'  novo  su  conosci  il  pelo, 
E  sapranne  ben  trarre  el  ver  construtto ; 
E  s'  io  aro  punto  di  favor  dal  cielo, 
Forse  ne  nascera  qualche  buon  frutto  ; 
Fatti  con  Dio,  che  '1  troppo  dire  offende, 
Chi  e  savia,  e  discreta,  presto  intende. 


NO  XXXVIII. 

Stanze  di  Francesco  Berni., 

Orlando  Innamorato.  lib,  iii.  caiito  7. 

OuiVI  era  non  so  come  capitato 
Un  certo  buon  compagno  Fiorentino, 
Fu  Fiorentino  e  nobil,  ben  che  nato 
Fusse  il  padre  e  nutrito  in  Casentino, 
Dove  il  padre  di  lui  gran  tempo  stato 
Sendo,  si  fece  quasi  cittadino, 
Et  tolse  moglie  e  s'  saccaso  in  Bibbiena 
Ch'  una  Terra  e  sopr'  Arno  molto  amena. 

Costui  chi'o  dico  all'  Amporecchio  nacque, 
Che'  e  famoso  castel  per  quel  Masetto, 
Poi  fu  condotto  in  Firenze,  ove  giacque 
Fin  a  diciannove  anni  poveretto, 
A  Roma  ando  da  poi  com'  a  Dio  piacque 


Pien 


APPENDIX.  NO  XXXVIII.  243 

Pien  di  molta  speranza  Sc  di  concetto 
D'un  certo  suo  parente  Cardinale, 
Che  non  gli  fece  mai  ne  ben  ne  iTiale. 
Morto  lui,  stette  con  un  suo  Nipote 
Dal  qual  trattato  fu  come  dal  Zio, 
Onde  le  bolge  trovandosi  vote 
Di  mutar  cibo  gli  venne  disio, 
Et  sendo  all'hor  le  laudi  molto  note 
D^un  die  serviva  al  Vicario  di   Dio 
In  certo   officio  che  chiaman  Datario, 

Si  pose  a  star  con  lui  per  Secretario. 

*  *  * 

Di  persona  era  grande,  magro  &  schietto, 
Lunghe  &  sottil  le  gambe  forte  haveva, 
E'l  naso  grande,   e'l  viso  largo,  Sc  stretto 
Lo  spatio  che  le  ciglia  divideva, 
Concavo  I'occhio  haveva  azurro  Sc  netto, 
La  barba  folta  quasi  il  nascondeva 
Se  I'havesse  portata,   ma  il  padrone 
Haveva  con   le  barbe  aspra   quistione. 

Nessun  di  servitu  gia  mai  si  dolse 
Ne  piu  ne  fu  nimico  di  costui, 
Et  pure   a  consumarlo  il  Diavol  tolse, 
Sempre  il  tenne  fortuna  in  forza  altrui, 
Sempre  che  comandargli  il  padron  volse 
Di  non  servirlo  venne  voglia  a  lui, 
Voleva  far  da  se  non  comandato. 
Com'  un  gli  comandava  era  spacciato. 

Cacce,   musiche,  feste,  suoni,  Sc  balli, 
Gioche,  nessuna  sorte  di  piacere 
Troppo  il  movea,  piacevangli  i   cavalli 
Assai,  ma  si  pasceva  del  vedere, 
Che  modo  non  havea  da  comperalli, 

Onde 


244  APPENDIX.  NO  XXXVIII. 

Onde  il  suo  sommo  bene  era  in  jacere 
Nudo,  lungo,  disteso,  e'l  suo  diletto 
Era  non  far  mai  nulla,   Sc  stars!  in  letto. 
Tanto  era  dallo  scriver   stracco  &:  morto, 
Si  i  membri  e  i  sensi  haveva  strutti  &  arsi, 
Che  non  sapeva  in  piu  tranquillo  porto 
Da  Qosi  tempestoso  mar  ritarsi, 
Nq  piu  conforme  antidoto  Sc  conforto 
Dar  a  tante  fatiche,  che  lo  starsi, 
Che  starsi  in  letto  Sc  non  far  mai  niente, 
Et  cosi  il  corpo  rifare  &c  la  mente. 


NO  XXXIX. 

Stanze  di  Lor,  de^  Medici, 

LA    NENCIA    DA    BARBERINO. 

ArDO  d'amore,  e  conviemmi  cantare 
Per  una  dama  che  mi  strugge  il  core, 
Ch'  ogn'  otta  ch'  io  la  sento  ricordare 
El  cuor  mi  brilla,  e  par  che  gli  esca  fore. 
Ella  non  trova  di  beliezza  pare 
Con  gl'  occhi  getta  fiaccole  d'  amore, 
Io  sono  stato  in  citta  e  castella 
Et  mai  non  vidi  gnuna  tanto  bella. 
Io  sono  stato  a  Empoli  al  mercato, 
A  Prato,  a  Monticelli,  a  san  Casciano  : 
A  Colle,  a  Poggibonzi,  a  San  Donato  ; 
Et  quinamonte  insino  a  Dicomano  : 
Figline,  Castelfranco  ho  ricercato, 
San  Pier,  el  Borgo,  Montagna,  e  Gagliano 


Piu 


APPENDIX.  NO  XXXIX.  245 

Pill  bel  mercato  che  nel  mondo  sia, 
E'  a   Barberin  dov'  e  la  Nencia  mia. 
Non  vidi  mai  fanciullatanto  honesta, 
Ne  tanto  saviamente  rilevata  ; 
Non  vidi  mai  la  piu  pulita  testa, 
Ne  si  lucente,  ne  si  ben  quadrata  : 
Ell  ha  due  occhi  che  pare  una  festa 
Quando  ella  gl'  alza  ;  e  che  ella  ti  guata  : 
Et  in  quel  mezo  ha  el  naso  tanto  bello, 
Che  par  proprio  bucato  col  succhiello. 
Le  labbra  rosse  paion  di  corallo, 
E  havvi  drento  duo  filar  di  denti, 
Che  son  piii  bianchi  che  quei  di  cavallo, 
Et  d*  ogni  lato  ella  n'  ha  piu  di  venti : 
Le  gote  bianche  paion  di  cristallo, 
Senz'  alrri  lisci  ovver  scorticamenti ; 
Et  in  quel  mezzo  elP  e  come  una  rosa  "^ 

Nel  mondo  non  fu  mai  si  bella  cosa, 
Ben  si  potra  tener  avventurato, 
Che  sia  marito  di  si  bella  moglie  ; 
Ben  si  potra  tener  in  buon  d\  nato 
Chi  ara  quel  Fioraliso  senza  foglie  : 
Ben  si  potra  ten ersi  consolato, 
Che  si  contenti  tutte  le  sue  voglie 
D'  aver  la  Nencia  e  tenersela  in  braccio, 
Morbida,  e  bianca,  die  pare  un  sugnaccio. 
lo  t'  ho  agguagliata  alia  Fata  Morgana 
Che  mena  seco  tanta  baronia  ; 
lo  t'assomiglio  alia  stella  diana, 
Quando  apparisce  alia  capanna  mia  ; 
Piu  chiara  se'  che  acqua  di  fontana 
Et  se'  piCi  dolce  che  la  Malvagia 

VOL.     III.  rr     U  ^  , 

^.^  Quando 


246  APPENDIX.  NO  XXXIX. 

Quando  ti  sguardo  da  sera,  o  mattina, 
Piii  bianca  se'  che'I  fior  della  farina* 

Ell'  ha  due  oechi  tanto  rubacuori 
Ch'  ellatrafigere'  con  essi  immuro  : 
Chiunche  la  vede  convien  che  s'  innamori  ; 
Ell'  ha  il  suo  cuore  piOi  ch'un  ciottol  duro : 
Et  sempre  ha  seco  un  migliajo  d'amadori 
Che  da  qnegli  occhi  tutti  presi  furo  : 
Ma  ella  guarda  sempre  questo  ^  quelle, 
Per  modo  tal  che  mi  strugge  il  cervello. 
*  *  * 

Nenciozza  mia  chi'  vo  sabato  andare 
Fino  a  Fiorenza,  a  vender  duo  somelle 
Di  scheggie  che  mi  posi  ieri  a  tagliare, 
In  mentre  che  pascevan  le  vitelle. 
Procura  ben  se  ti  posso  arrecare, 
O  se  tu  vuoi  ch'  io  t'arrechi  cavelle, 
O  liscio,  6  biacca  drento  un  cartoccino, 
O  di  spilletti,  o  d'agora  un  quattrino. 

Eir  e  direttamente  ballerina  : 

Ch'  ella  si  lancia  com'una  capretta  ; 
Et  gira  piu  che  ruota  di  mulina, 
Et  dassi  delle  man  nella  scarpetta, 
Quand'  ella  compie  el  ballo  ella  s'inchina, 
Poi  torna  indrieto  e  duo  tratti  scambietta  ; 
Ella  fa  le  piu  belle  riverenze 
Che  gnuna  cittadina  di  Firenze. 

Che  non  mi  chiedi  qualche  zacherella, 
Che  so  n'  adopri  di  cento  ragioni  ; 
O  uno  intaglio  per  la  tua  gonnella 
O  uncinegli,  o  noagliette,  o  bottoni, 
O  pel  tuo  camiciotto  una  scarsella, 

O  cintolin 


APPENDIX.  N^  XXXIX.  247 

O  cintolin  per  legar  gli  scuffioni, 
O  voi  per  ammagliar  la  gammurrina 
Una  Cordelia  a  seta  cilestriiia. 

Se  tu  volessi  per  portare  al  collo 
Un  corallin  di  que'  bottoncin  rossi 
Con  un  dondol  nel  mezzo,  arrecherollo, 
Ma  dimmi  se  gli  vuoi  piccoli,  o  grossi, 
E  s'  so  dovessi  trargli  dal  midollo 
Del  fusol  della  gamba,  o   degli  altr'  ossi, 
E  s'  io  dovessi  impegnar  la  gonnella, 
I'  te  gli  arrechero,  Nencia  mia  bella. 

Se  mi  dicessi,  quando  Sieve  e  grossa, 
Gettati  dentro,  i'  mi  vi  getteria  ; 
E  s'  io  dovessi  morir  di  percossa, 
II  capo  al  muro  per  te  batteria  ; 
Comandami,  se  vuoi,   cosa  ch'  i'  possa, 
E  non  ti  peritar  de'  fatti  mia  ; 
Io  so  che  molta  gente  ti  promette, 
Fanne  la  prova   d'  un  pa'  di  scarpette. 

Io  mi  sono  avveduto,  Nencia  bella, 

Ch'  un  altro  ti  gaveggia  a  mio  dispetto  ; 
E  s'  io  dovessi  trargli  le  budella, 
E  poi  gittarle  tutte  inturun  tetto  ; 
Tu  sai,  ch'  io  porto  allato  la  coltella, 
Che  taglia,   e  pugne,   che  par  un  diletto, 
Che  s'  io  el  trovassi  nella  mia  capanna, 
Io  gliele  caccerei  piu  d'  una  spanna. 


248         APPENDIX.  NO  XL. 


NO  XL. 

TRIONFO  DI  BACCO  E  ARIANNO, 

Di  Lor.  de*  Medici, 

V^UANT'  e  bella  giovinezza, 
Che  si  fugge  tuttavia  ; 
Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman  non  ci  e  certezza. 

Quest'  e  Bacco,  e  Arianna, 

Belli,  e  Pun  dell'  altro  ardenti ; 

Perche  '1  tempo  fugge,  e'nganna, 

Sempre  insieme  stan   contenti: 

Queste  Ninfe,   e  altre  genti 

Sono  ailegre  tuttavia  : 

Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 

Di  doman  non  ci  e  certezza. 

Questi  lieti  Satiretti, 

Delle  Ninfe  innamorati  ; 
Per  caverne,  e  per  boschetti 
Han  lor  posto  cento  aguati  : 
Hor  da  Bacco  riscaldati, 
Ballon  saltan  tuttavia: 
Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman  non  ci  e  certezza. 

Queste  Ninfe  hanno  ancor  caro, 
Da  ioro  essere  ingannate  ; 
Non  puon  far'  a  Amor  riparo, 
Se  non  genti  rozze,   e'   ngrate  : 
Hora    insieme  mescolate, 
Fanno  festa  tuttavia : 


Chi 


APPENDIX.  NO  XL.  249 

Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman  non  ci  e  certezza. 
Questa  soma,  die  vien  dreto, 
Sopra  r  Asino,  e  Sileno, 
Cosi  vecchio,  e  cbro,  e  lieto, 
Gia  di  carne,  e  d'  anni  pieno : 
Se  non  puo  star  ritto,  almeno 
Ride,  e  gode  tuttavia : 
Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman  non  ci  e  ceitezza. 
Mida  vien,  dopo  costoro, 
Cio  che  tocca,  ora  diventa  ; 
E  che  giova  haver  tesoro, 
Poi  che  I'huom  non  si  contenta  ? 
Che  dolcezza  vuoi  che  senta  ? 
Chi  ha  sete  tuttavia  ? 
Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman  non  ci  e  certezza.  ' 

Ciascuno  apra  ben  gli  orecchi, 
Di  doman  nessun  si  paschi  ; 
Oggi  siam  giovani,  e  vecchi,' 
Lieti  ognun  femmine,  e  maschi  : 
Ogni  tristo  pensier  caschi, 
Facciam  festa  tuttavia  : 
Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman  non  ci  e  certezza. 
Donne,  e  giovanetti  Amanti, 
Viva  Bacco,  e  viva  amore  ; 
Ciascun  suoni,  balli,  e  canti, 
Arda  di  dolcezza  il  core  : 
Non  fatica,  non  dolore, 
Quel  c'ha  esser,  convien  sia  : 

Chi 


350  APPENDIX.  NO  XL. 

Chi  vuol'  esser  lieto  sia, 
Di  doman,  non  ci  e  certezza ; 
Quant'  e  bella  giovinezza 
Che  si  fugge  tuttavia  ? 


NQ  XLI. 

CANZONE   A    BALLO. 

Di  Lor.  Be'  Medici. 


Ben  venga  ma^gio, 

E'l  gonfalon  selvaggio. 
Ben  venga  Primavera, 

Ch'  ognun  par  che  innamori  ; 
E  voi  donzelle  a  schiera 
Con  li  vostri    amadori, 
Che  di  rose,  e  di  fiori 
Vi  fate  belle  il  maggio. 
Venite  alia  frescura 
Delli  verdi  arbuscelli  : 
Ogni  bella  e  sicura 
Era  tanti  damigelli ; 
Che  le  fiere,  e  gP  uccelli 
Ardon  d'amor  il  maggio. 
Chi  e  giovane,  e  bella, 
Deh  non  sie  punto  acerba 
Che  non  si  rinnovella 
L'  eta  come  fa  1'  herba. 
Nessuna  stia  superba, 
Air  amadore  il  maggio. 
Ciascuna  balli  e  canti 

Di  questa  schiera  nostra  : 


Ecco 


APPENDIX.  N<5  XLI.  .  251 

Ecco  e  dodici  amanti, 

Che  per  voi  vanno  in  giostra 

Qual  dura  allor  si  mostra 

Fara  sfiorire  il  maggio. 
Per  prender  le^donzelle 

Si  non  gP  amanti  armati ; 

Arrendetevi  belle 

A'  vostri  innamorati ; 

Rendete  e  cuor  furati, 

Non  fate  guerra  il  maggio. 
Chi  1'  altrui  cuore  invola 

Ad  altri  doni  el  core : 

Ma  chi  e,  quel  che  vola  ? 

E'  1'  Angiolel  d'amore, 

Che  viene  a  fare  honore 

Con  voi  donzelle  al  maggio. 
Amor  ne  vien  ridendo 

Con  rose,  e  gigli  in  testa  : 

E  vien  di  voi  caendo, 

Fategli  o  belle  festa  : 

Qual  sara  la  piu  presta 

A  dargli  el  fior  del  maggio. 
Ben  venga  il  peregrino, 

Amor  che  ne  comandi  ? 

Che  al  suo  amante  il  crino 

Ogni  bella  ingrillandi ; 

Che  le  zitelle,  e  grandi ; 

S'  inn  amor  an  di  maggio. 


252  APPENDIX.  NO  XLII. 

No  XLII. 
Joannes  Picus  Mir  an,     Laurentio  Medici, 

J-iEGI,  Laiirenti  Medice,  Rhytlimos  tuos,  quos  tibi  ver- 
naculae  musae  per  aetatem  teneram  suggesserunt.  Ag- 
novi  musarum  8c  gratiarum  legitimam  foeturam,  aetatis 
tenerae  opus  non  agnovi.  Quis  enim  in  tuis  Rhythmis 
Sc  numerosa  versuum  junctura  saltantes  ad  numeruni 
gratias  non  peresenserit  ?  quis  in  canoro  dicendi  genere 
&  modulato  canentes  musas  non  audiat  ?  quis  in  lepore 
non  affectato,  hilari  argutia,  mellitis  salibus,  aptis  ille- 
cebris,  miro  candore  in  prudenti  dispositione,  in  gravis- 
simis  sensibus  ex  penetralibus  philosophiae  erutis  ado- 
lescentem  hominem  agnoscat  ?  Scio  profecto  me  non 
esse  in  hoc  albo,  nee  eum  qui  hue  ascendam,  idest,  ad 
judicium  rerum.  Sed  vellem  dici  posse  extra  suspici- 
onem  adulationis  quod  de  illis  sentio.  Dicerem  pro- 
fecto non  esse  veterem  scriptorem,  quern  in  hoc  genere 
dicendi  longo  intervallo  non  antecesseris.  Quod  ne 
putes  dictum  ob  gratiam,  afferam  tibi  hujusce  sensus 
rationes  meas.  Sunt  apud  vos  duo  praecipue  celebrati 
poetae  Florentinae  linguae,  Franciscus  Petrarcha,  8c 
Dante s  Aligerius ;  de  quibus  illud  in  universum  sim 
praefatus  esse  ex  eruditis,  qui  res  in  Francisco,  verba 
in  Dante  desiderent ;  in  te  qui  mentem  habeat  8c  aures 
neutrum  desideraturum,  in  quo  non  sit  videre,  an  res 
oration e,  an  verba  sententiis  magis  illustrentur.  Sed 
expend amus  velut  in  librili  particulatim  uniuscujusque 
merita.  Franciscus  quidem  si  reviviscat,  quod  attinet 
ad  sensus,  quis  eum  dubitet  ultro  herbam  tibi  daturum  ? 
adeo  tu  Sc  acutus  semper,   gravis  8c  subtilis,  ille  vero  de 

medio 


APPENDIX.  NO  XLII.  253 

medio  plurimum  arripiens,  sententias  colorat  verbis,  8c 
quae  sunt  gregaria  egregia  facit  genere  dicendi :  in  quo 
videamus  quid  libi  ille,  quid  tu  illi  praestes.  In  qui- 
busdam  dulcior  apparuerit,  sed  mihi  illius  dulcedo  (ut 
ita  dixerim)  dulciter  acida  &  suaviter  austera.  Ille 
fusus  8c  aequabiliter  deliniens,  tu  majestate,  &c  quadam 
vivaci  luce  orationis  animos  perstringens.  In  illo  am- 
bitiosa  8c  nimia,  in  te  neglecta  potius  quam  affectata 
diligentia.  Ille  tener  Sc  mollis,  tu  masculus  Sc  torosus. 
Ille  volubilis  Sc  canorus,  tu  pressus,  plenus,  firmus,  8c 
modulatus.  Ille  forte  lepidior,  tu  certe  amplior  8c 
erectior.  Ille  fucatior,  sed  tu  nervosior.  In  illo  est, 
quod  amputes,  in  te  nihil  redundans  8c  nihil  curtum. 
Sed  forte  audaculus,  qui  tollendum  aliquid  de  illo  dix- 
erim. At  ita  est  certe,  ita  multis  videtur,  quorum 
judicio  confido  :  nam  meo  nihil  ;  cum  saepe  sit  videre 
peccantem  ilium,  quod  Asiatici  peccabant,  idest  infar* 
cientem  verba  quasi  rimas  expleat,  adhibentemque, 
voces  plenas  Sc  concinnas,  non  ut  exornent,  sed  ut  sus- 
tineant  quasi  tibicines,  carmen  ne  claudicet.  In  te 
omnia  verba  non  minus  in  re  necessaria,  quam  in  ornatu 
grata,  ita  ut  qui  ex  te  demat,  mutilet  ;  qui  ex  illo,  ton- 
dat  &  repurget.  Quod  si  demus  (quod  nunquam 
dabo)  lepidiora  esse  quae  ille  scripserit,  8c  comptiora 
tuis,  facile  id  fuit  praestare  hominem,  cui  non  esset 
cum  ipsis  sensibus  labor  Sc  pugna.  At  tuae  illae  acres, 
subtiles,  8c  (ut  uno  dixerim  verbo)  Laurentianae  senten- 
tiae,  vix  dici  potest,  ut  calamistros  respuant,  8c  istos 
fucos  non  libenter  admittant.  Quas  ille  tractandas  si 
habuisset,  quem  moUem  legimus,  nitidum  8c  jucun- 
dum,  legeremus  equidem  spinosum,  squalidum  8c  in- 
gratum ;  cum  sit  videre  ilium,  quoties  aliquid  tale 
aggreditur,  acytum  implicitum  vel  nodosum,  tarn  stylo 
VOL.  III.  L  1  cadere. 


254  APPENDIX.    N>^  XLII. 

cadere,  quam  seiisu  surgit.  CUm  vero  illam  siiam 
verborum  ostentat  supellectilem,  sua  unguenta,  cincin- 
nos  Sc  flores  admoneret  saepe  si  adesset  Castritius,  quod 
admonuit  in  Graccho,  ne  falleremur,  rotundato  sono, 
Sc  versuum  cursu,  sed  inspiceremus  quidnam  subesset, 
quae  sedes,  quod  firmamentum,  quis  fundus  verbis  : 
quod  si  facias  illic,  videas  Epicuri  quandoque  vacuum, 
ita  aut  nullum  subesse  sensum,  aut  frigidum  8c  levem. 
Qua  parte  (quamvis  est  maxima)  etiam  illi  si  non 
praestes,  non  video  omnino,  cur  praestet  ille  tibi  di- 
cendi  gratia  :  cum  6c  verba  apud  te  esse  non  possint 
illustriora,  Sc  coUocatio  illorum  ita  sit  apta,  ut  nee 
cohaerere  melius,  nee  fluere  rotundius,  nee  cadere 
numerosius  ullo  modo  possint.  Sed  jam  Dantem  te- 
cum pensiculimus,  de  quo  fortasse  plures  controver- 
siam  sint  facturi.  Sunt  enim  multi,  qui  in  scriptorum 
collatione  non  taiTi  expendant  merita,  quam  annos 
numerent,  jubentque  alios,  ut  priscos  legant  cum  reve- 
rentia,  coaetaneos  ipsi  legere  non  possunt  sine  invidia. 
Primas,  certe,  quod  ad  stylum  spectat,  denegaturum 
tibi  neminem  puto,  ita  est  Dantes  nonnunquam  hor- 
ridus,  asper  Sc  strigosus,  ut  multum  rudis  Sc  impolitus  : 
hoc  ejus  etiam  aurarii  fatentur ;  sed  in  aetatem  8c 
saeculum  illud,  id  quod  sit  ita,  culpam  rejiciunt ;  om- 
nino tu  cratione  cultior,  8c  non  ille  granidior.  At 
sensibus  (Inquient)  grandior  Sc  sublimior.  Quaeso, 
quid  mirum  in  philosophica  re  ilium  philosophari,  ipsa 
natura  ad  hoc  cogente,  atque  ultro  suppeditante  sen- 
tentias  ?  Si  de  Deo,  de  anima,  de  beatis  agitur,  affert 
quae  Thomas,  quae  Augustinus  de  his  scripserunt ;  8c 
fuit  ille  in  his  tractandis  meditandisque  tam  frequens 
quam  assiduus,  tu  in  obeundis  maximis  negotiis  publicis 
Sc  privatis.  Non  fuit  tam  praeclarum  in  Dante  hoc  fecisse, 

quaiTV 


APPENDIX.    NO   XLII.  255 

quam  won  fecisse  turpe  fuerat :  at  fuit  dubio  procul 
summi  ingenii  opus,  quod  ipse  praestas,  philosophica 
facere,  quae  sunt  amatoria,  8c  quae  sunt  sua  severitate 
austerula,  superinducta  venere  facere  amabilia.  Ita  in  tuis 
versibus  amantium  lusibus,  Philosophorum  seria  sunt 
admixta,  ut  8c  ilia  hinc  dignitatem,  8c  haec  illinc  hila- 
ritatem  gratiamque  lucrifecerint  ;  ut  ambo  hac  copula 
&  retinuerint  quod  erat  proprium,  8c  mutuo  se  sibi  ita 
participaverint,  ut  habeant  utraque  singulatim  quaje 
prius  erant  simul  amborum.  Sed  non  est  hoc  tani 
admirandum,  quam  illud,  quod  me  maxime  movit : 
ita  haec  a  te  invecta,  ut  non  invecta,  sed  de  materiae 
ipsius  (de  qua  agis)  eruta  gremio,  8c  ex  ilia  ipsa  (ut  ita 
dixerim)  te  irrigante  solum,  efliorescere  videantur,  ut 
appareant  nativa,  non  adventitia  ;  necessaria,  non  com- 
portata  ;  genuina  omnino,  non  insititia,  hoc  est  quod 
admirari  satis  non  possum,  quo  mihi  videris  Dantem 
exsuperasse.  Nam  Sc  si  ille  sublimis  A^olat,  materiae 
alis  attollitur  ;  tu  repugnante  ilia  8c  deorsum  trahente 
tolleris  in  altum  alis  ingenii,  atque  ita  tolleris,  ut  a 
materia  non  discedas,  sed  illam  tecum  simul  attollas, 
tantum  de  ipsa  tu,  quantum  de  Dante  ipsa  fuit  bene- 
merita.  Jam  videre  licet  quid  te  inter,  Franciscumque 
8c  Dantem  intersit,  de  quibus  hoc  addiderim,  Francis- 
cum  quandoque  non  respondere  pollicitis,  habentem 
quod  allectet  in  prima  specie,  sed  ulterius  non  satisfa- 
ciat  :  Dantem  habere  quod  in  occursu  quandoque 
offendat,  sed  juvet  magis  intima  pervadentem.  Tua 
non  minus  habent  in  recessu  quod  detineat,  quam 
habeant  in  prima  fronte  quod  capiat.  Adde  quod  illi 
suas  poeses  in  secessibus,  in  umbraj  in  summa  studio- 
rum  tranquillitate  :  tu  tuas  inter  tumultus,  curiae  stre- 
pitus,     fori    clamores,    maximas  curas,    turbulentissimas 

tempes- 


255  APPENDIX.  N^  XLII. 

tempestates,  occupatissimus  cecinisti.  Illis  erant 
Musae  ordinarium  negotium,  8c  principale  :  tibi  ludus, 
&  a  curis  quaedam  relaxatio.  Illis  summa  defatigatio, 
tibi  defatigatio  otium.  Deniqiie  eo  animum  remittens 
pertigisti,  quo  illi  omnes  animi  neruos  contendentes 
fortasse  non  pertigerunt.  Sed  quid  dicam  de  mea 
paraphrasi  ?  meam  enim  cur  non  appellem  vel  hujus, 
quae  niea  est,  appellationis  jure  ?  demuni  cur  non 
meam,  quam  etsi  veneror  ut  tuam,  amo  tamen  ut 
meam  ?  admiror  profecto  illam,  8c  te  in  ilia ;  ex  qua 
conjicio  quantum  ego  aberam  a  vera  laude  tuorum 
versuum,  in  quibus  quae  erant  maxima,  quaeque  max- 
ime  illustria,  quibus  sum  noctuinis  oculis,  non  intro- 
spexeram,  vidi  deinde  per  te  reveiata,  qui  id  solus  8c 
poteras  Sc  debebas  ;  debebas  autem  tibi  8c  nobis,  no 
multa  Sc  te  gloria,  8c  nos  voluptate  fraudares.  Lego 
(deum  testor)  maxime  Laurenti  eam,  non  tarn  ad  delec- 
tationem.  quam  ad  doctrinam.  Quot  enim  ibi  ex 
Aristotele,  auditu  scilicet  physico,  ex  libris  de  Anima, 
de  Moribus,  de  Caelo,  ex  Problematis  ?  Quot  ex 
Platonis  Frotagora,  ex  Republica,  ex  Legibus,  ex  Sym- 
posio  ?  quae  omnia  quamquam  alias  apud  illos  legi, 
lego  tamen  apud  te  ut  nova,  ut  meliora,  Sc  in  nescio 
quam  a  te  faciem  transformata,  ut  tua  videantur  esse, 
&  non  illorum  ;  Sc  legens  discere  mihi  aliquid  videar, 
quod  maximo  est  indicio,  haec  te  sapere  non  tam  ex 
commentario,  quam  ex  te  ipso.  Solent  enim  plurimi 
majore  in  Uteris  sophisteia  quam  opera,  cum  quid  scrip- 
turi  sunt,  philosophos  habere  velut  pragmaticos,  eis 
dogmata  quaedam  suggerentes,  quae  ingerant  suis  libel- 
jis,  ut  videantur  philosophi.  Sed  facile  hos  deprehen- 
das,  nam  videas  ilia  nee  recte  disposita,  nee  cohaeren- 
tia,   8c    ab    ipsis    non   explicata,    sed   implicata.     Atque 

homines 


APPENDIX.  NO  XLH.  257 

homines  alioquin  eloquentes,  in  illis  dicendis  apparent 
infantissimi.  At  te  quis  non  videat  ea  non  tenei-e 
precario,  sed  lit  in  quae  jus  habeas  8c  potestatem  pro 
arbitrio  versare,  agere,  tractare  ?  Haec  tu  (proh  felix 
ingenium)  in  aestu  Reip.  in  actuosa  vita  es  assecutus, 
quae  nos  philosophorum  non  discipuli,  sed  inquilini, 
in  umbratili  vita  &:  cellularia,  sequimur  potius  quam 
consequimur.  Sed  quid  dicam  de  paraphraseos  tuae 
suavissimo  stylo?  is  mihi  videtur  penitus,  qui  Caesaris 
in  Romana  lingua.  Est  enim  oratio  non  manu  facta, 
non  bracteata,  non  torta;  sed  suo  ingenio  erecta,  Can- 
dida, &  quadrata,  nee  temere  excurrens,  sed  pedem 
servans,  nee  luxurians,  nee  jejuna,  nee  lasciviens,  nee 
ingrata,  dulciter  gravis,  graviter  amabilis,  verba  electa 
8c  non  captata ;  illustria,  non  fucata ;  necessaria,  non 
quaesita ;  non  explicantia  rem,  sed  ipsis  oculis  subji- 
cientia.  Praetereo  quam  tuae  personae  semper  rnemi- 
neris,  quam  sint  ubique  tuae  illius  prudentiae  inspersu 
passim  semina  atque  vestigia.  Haec  ego  hi  cum  multis, 
Sc  alius  quisquam  longe  potiora.  Sed  duo  praecipua 
praeter  haec  vidi,  quae  videant  forte  non  mnlti  quam- 
quam  oculatiores.  Primum  est  illud,  ut  ilia  suas  divi- 
tias  dissimulet,  ut  invidiam  fugiat,  flores  in  sinu  habeat, 
non  ostentet,  non  exurgat  in  plantas,  sed  subsidat  in 
genua,  ut  minor  appareat.  Alterum  quid  sit  non 
video,  neque  enim  tam  solers,  sed  video  esse  nescio 
quid  (ut  dicam  signatissime)  Laurentianum.  Quod  si 
quis  videat  Lavu'entii  dotes,  ingenium,  praestantiam, 
Laurentium  totum  videat  graphice  effigiatum.  Sed 
haec  nimis  fortasse  multa,  quae  dixi  etiam  invitus,  ipsa 
me  transversum  (ut  dicunt)  trahente"  in  verba  animi 
sententia.  Illud  non  praeteribo,  hortari  tc  quanto 
possum  opere  maximo,  ut   aliquod   quandoque  a  mode- 

ra]ida 


258  APPENDIX.  NO  XLII. 

randa  republica  otiolum  suffuratus,  absolvendae  pava- 
phrasi  impartiaris,  tibi  quidem  et  linguae  patriae  ad 
honorem,  civibus  tuis  8c  nobis  omnibus  futurae  ad  uaiim 
Sc  voluptatem.     Florentiae  idibus  Julii  mcccclxxxiv. 


NO  XLIII. 

Federicus  Dux  Urbini, 

Laiu'entio  Medici  de  Florentia. 

JVIaGNIFICE  frater  carissime.  Per  la  copia  de  una 
io  scrivo  alio  illustrissimo  Duca  di  Ferrara,  la  quale  io 
mando  alii  Signori  Otto  della  Balia,  la  vostra  Magnifi- 
Gentia  vedra  Io  aviso  ho  havvito  della  perdita  della  Roc- 
cha  di  Melara,  £c  Io  pensero  de  li  inimici,  die  e  de  unire 
1'  armata  loro  de  acqua  cum  questi  di  sopra,  &;  unita- 
mente  poi  cum  Io  favore  del  curso  del  fiume  andarsene 
ad  Ferrara  ;  &  non  e  dubio,  che  non  si  facendo  dala 
Serenissima  Lega  celere  &:  potentissima  provvisione  in 
qualche  parte,  li  potria  reuscire  Io  pensero,  perche 
quello  Illustrissimo  Signore  da  se  non  e  bastante  ad  sub- 
stinere  tanto  peso,  commo  la  V.  M.  intende  per  se  me- 
desimo. 

Lo  remedio,  che  mi  occurre  a  tanto  eminentissimo 
periculo,  si  e,  che  cotesta  Excelsa  Signora  volando,  le 
mandi  quelio  piu  numero  de  fanti  li  sia  possibile,  maxi- 
me  de  quelli  de  Romagna,  &  de  Valle  de  Lamone,  li 
quali  8c  per  la  vicinita,  8c  per  essere  homini  exercitati, 
verranno  piii  a  proposito   del   bisogno,  che  de  volere  fare 

pensero 


APPENDIX.  NO  XLIII.  259 

peRsero  de  mandare  altri  ;  Sc  io  maiKlandome  lo  Illus- 
trissimo  Signore  Duca  di  Milano  quella  gente  da  pede 
&  da  cavallo  li  ho  scripto,  descendero  nel  Ferrarese  per 
fare  tenere  la  briglia  in  mano  alii  inimici,  8c  quando  per 
la  Serenissima  Lega  se  facciano  quelle  provisione  li  e 
necessario  &  per  lo  honore  Sc  per  lo  utile,  Sc  per  modo, 
che  io  possa  stare  a  fronte  delli  inimici,  me  basta  lo 
animo  farli  intendere,  che  da  fare  uno  pensiero  ad 
mandarlo  ad  eifetto  ci  e  grandissima  differenza.  Non 
me  euro  essere  piii  longo  cum  la  Vostra  Magnificen- 
tia,  perche  so  certo  che  per  sua  prudentia  intendendo 
quanto  questa  cosa  sia  importante,  cum  omne  diligen- 
tia  opera  per  le  neces,sarie  provisione. 

Ricordo  alia  Vostra  Magnificentia  sollecite  lo  man- 
dare  li  fanti  ragionati  in  le  terre  del  Sig.  Constantio  8c 
mie  :  Sc  questo  pure  se  vol  fawe  cum  omne  celerita,  per- 
che io  ho  dato  ordine,  che  li  miei  homini  d'arme  se  ne 
vengono  ad  trovarme,  che  non  ce  restando  ditti  fanti, 
non  se  porriano  movere  perche  el  non  seria  secura  cosa 
de  spogliare  le  terre  del  prefato  Sig.  Constantio,  Sc  mie, 
non  ce  restando  gente  da  posserle  defendere  in  omne 
caso. 

Seria  de  parere,  che  lo  Sig.  Constantio  prcditto  se 
ritirasse  in  Toscana  8c  cum  la  persona,  8c  cum  la 
gente,  Sc  che  li  fossero  deputate  le  stantie  in  quello  di 
Rezo  Sc  in  Angira,  la  quale  cosa  vene  alio  proposito 
della  securta  dello  stato  de  cotesta  Excelsa  Signoria,  del 
suo  Sc  mio,  Sc  minacciare  li  inimici  per  tutto,  Sc  porria 
essere  che  la  fortuna  porgesse  tale  occasione,  che  saria 
stato  optima  provisione  de  avere  preso  simile  partito  ; 
pero  ricordo  alia  Magnificentia  Vostra  opei"e,  che  senza 

metterc 


26(5  APPENDIX.  N<5  XLIII. 

iTiettere  dilatione  de  uno  actimo  de  tempo  se  li  ordini 
venga  ad  lo  dicto  loco  :  Sc  io  in  questo  ponto  per  una 
mia  ho  persuasa  la  sua  Signoria  ad  cio.  Ex  Revere  4. 
Mali  1482. 


NO  XLIV. 

Guidantonio  Vespucci* 

Laurentio  Medici. 

jM  \GNIFICE  vir.  Se  I'avviso  mio  della  creationc 
del  Pontefiice  fu  tardetto,  ne  fu  causa,  perche  Antonio 
Tornabuoni  spaccio  sanza  aspettarmi,  perche  ero  in  luo- 
go  udivo  messa  con  gli  altri  Oratori,  Sc  non  potevo 
uscire  si  tardi  :  la  staffetta  di  Milano  fu  spacciata  per 
Francesco  da  Casale  &  non  per  I'Oratore  ;  habbiatemi 
per  scusato. 

Di  questo  Pontifice  vi  diro  quanto  ne  intendo. 
La  natura  sua,  quando  era  Cardinale,  era  molto  hu- 
mana  8c  benigna,  &  a  ciaschuno  faceva  carezze  assai, 
Sc  baciava  qualunche  piu  che  chi  voi  sapete :  e  non 
molto  di  sperienza  delli  Stati,  di  non  molta  letteratura, 
ma  pur  non  e  in  tutto  ignorante  ;  era  tutto  di  S.  Pier 
in  Vincula,  8c  lui  lo  fece  far  Cardinale  :  pieno  in  viso 
8c  assai  gi'ande,  di  eta  di  circha  55.  anni,  assai  robust©, 
ha  uno  fratello,  ha  figliuoli  grandi  bastardi,  credo  al- 
meno  uno,  8c  figliuole  femmine  maritate  qui  :  Cardi- 
nale non  andava  bene  col  Conte  :  San  Pier  in  Vincula 
si  puo  dir  esser  Papa,  8c  piu  potra,  che  con  Papa 
Sisto,  se  se  lo  sapra  mantenere :  ha  uno  Fratre  Ge- 
nuese,  che   si   dice   ha  donna,  naturalmente    Guelfo,    8c 

e  della 


APPENDIX.  NO  XLIV.  261 

^  della  casa  Zibo  :  ha  qui  uno  nipote  Prete  8c  parente 
di  Filippo  di  Neronc,  che  ha  per  donna  una  Maria  Cle- 
menza  che  fu  moglie  di  Stoldo  Altoviti.  El  Capitano 
vecchio  de'  fanti  ha  per  donna  una  sua  parente.  Essi 
monstrato  huomo  piu  per  esser  consigliato,  che  consigliare 
altri. 

La  electione  sua  e  stata  in  questa  forma,  che  li 
Reverendissimi  Monsignori  di  Ragona  e  de'  Visconti 
veduto  non  poter  fare  el  Vicecanc*  lliere,  Sc  veduto  el 
Vicecancelliere,  cerchava  far  guardia,  s'  ingegnorono 
tirar  qui  el  Vicecancelliere,  Sc  fare  el  facto  loro,  & 
ante  omnia  accordarono  il  Camarlingo  Sc  Ursino  con 
San  Pier  in  Vincula,  e  quali  vi  cominciarono  ad  incli- 
nare,  Sc  parmi  assicurassino  con  promesse  le  cose  del 
Conte  Sc  del  Camarlingo,  Sc  molti  habbino  satisfacto 
di  cose  prima  al  Cardinale  di  Ragona  la  casa  sua,  a 
Messer  de'  Visconti  la  Casa  del  Conte,  la  qual  se  paga 
al  Conte  per  Sua  Beatitudine,  Sc  tanto  che  ascende 
ultra  alia  casa  a  dodici  mila  ducati,  Sc  la  Legatione  del 
Patrimonio,  Sc  ne  ara  non  so  che  a  Castello,  al  Savello 
la  Legatione  di  Bologna,  a  Milano  la  Legatione  di 
Vignone,  le  quali  tutte  ultime  Legationi  havea  S.  Pier 
in  Vincula,  Sc  a  tutto  ha  consentito  per  condurre  quest' 
opera,  imo  ha  renunziato  ad  alcune  badie  per  satisfare 
ad  altri  che  io  non  so.  Colonna  non  dubito  sara  an- 
chor satisfacto  ;  el  Vicecancelliere  ancora  s'  e  assicurato 
di  certe  sua  cose  di  Spagna.  Noara  ha  havuto  non  so 
che  Castello  :  di  altri  non  intendo,  ma  extimate  ce  ne 
assai  simile. 

Concludovi,     che    questa    electione    si    da    tutta    all' 

opera  di  Mons.  de   Visconti,    Sc  parrebbemi  gli   dovessi 

VOL,  III.  M  m  scrivere, 


261  APPENDIX.  NO  XLIV. 

scrivere,  die  havendo  lo  bisogno  dell'  opera  sua  nelle 
faccende  vostre,  ci  vogli  ajutare  8c  scrivere  una  buona 
lettera  a  S.  Pier  in  Vincula,  perche  del  caso  di  Fonte 
Dolce  non  dubito  se  non  di  lui,  &c  lui  e  Papa  8c  plus- 
qiiam  Papa.  Et  credatis  che  Monsig.  Ragona  &  Vis- 
coi>ti  hanno  in  ogni  electione  a  mettere  a  sacco  questa 
Corte,  &  sono  e  maggior  ribaldi  del  mondo. 

lo  attendero  qui  fra  pochi  di  a  ressetare  le  cose 
vostre,  Sc  intendo  farlo,  perche  in  su  questi  principj  e 
Pontefici  sogliono  essere  gratiosi,  &  di  voi  la  Santita 
Sua  sente  bene  8c  mecho  era  assai  dimestico.  Ricor- 
dovi  innanzi  §'  entri  in  nuova  pratica  el  farmi  aver  li- 
cenzia,  che  vorrei  esser  costi  per  tutto  Settembre  almeno, 
8c  vi  prego  mi  vogliate  exaudire  di  farmi  el  mio  Simone 
degli  Otto.  Romae  die  29.  Augusti  1484.  Ricordovi  el 
sollecitare  la  impresa  de  Serrezzana,  innanzi  costui  pigU 
piedt)  perche  poi  sara  pericoloso. 


NO  XLV. 

Laur,  f/e'    Med.   ad  Albinuin, 

JLlAVETE  intesa  1'  offerta  mi  e  stata  fatta  di  stato  in 
quel  Regno,  quando  non  donasse  li  presidj  al  Sig.  Re, 
See.  8c  cosi  avete  intesa  la  mia  risposta  .  .  •  Dogliome 
che  lo  Sig.  Re  non  habbia  quella  reputatione  aveva  altro 
te»ipo  de'  denari  8c  de  gente  d'  arme,  che  S.  M.  era 
stimata  lo  Jodice  d'  Italia;  adesso  che  sia  lo  contrario, 
me  ne  doglio  per  la  servitu  che  loro  ho  ;  pure  in  nullo 
caso  mancaro  a  S.  M.  Dispiacemi  iino  all'  anima,  che  lo 

Sig. 


APPENDIX.  NO  XLV.  263 

Sig.  Duca  habbia  questo  nome  di  crudele,  8c  falsa- 
mente  le  sia  imposto  ;  pur  Sua  Eccellenza  tuttavia  se 
forze  toglierlo  con  ogni  arte,  che  certo  li  mettera  bon 
conto.  Et  cosi  se  le  gabelle  se  tolerano  raal  volentieri 
dalli  popoli,  levele,  via,  &  torne  alii  soliti  pagamenti, 
che  vale  piu  havere  un  carlino  con^  piacere  &  aniore, 
che  diece  con  dispiacere  &  isdegno,  che  certamente 
indurre  usanza  nova  ad  ogni  popolo  ,pare  forte.  Flo- 
rentiae  3.  Novemb.  1485. 

Anco  ricordamo  a  S.  S.  che  lo  partire  de'  niercatanti 
da  Napoli,  quali  dicono  per  sua  causa  essere  partiti,  I'l 
da  mal  nome  per  ogni  loco,  alii  quali  se  non  satisfa  el 
debito,  almeno  satisfaccia  de  bone  parole,  accio  che  non 
se  dica  quello  che  non  e,  et  quello  che  e  ;  pero  Sua  Ec- 
cellenza accarezze  ogn'  uno,  come  e  solita,  che  li  animi 
delU  homini  se  vincono  &  obbligano  piu  presto  con  bone 
parole,  che  non  severitate,  &  questo  vise  con  ogni  ma- 
niera  de  gente,  che  in  fine  li  mettera  bon  conto.  Qhe 
lo  S.  Virginio  conduca  quanti  Baroni  puote  in  questo 
de  Roma,  perche  vole  del  suo  soldarli  fin  alia  summa 
de  300.  homini  d'arme.  Una  delle  principali  cose  che 
mi  pare  necessaria  e  che  Sua  Signoria  tenga  ben  con- 
tenti  tutti  i  soldati,  che  mai  n'hebbe  necessario  come 
hoggi.  Ultimamente  S.  M.  stia  de  buono  animo,  che 
in  ogni  modo  serra  victoriosa,  che  prima  questa  Sig- 
noria delibera  perdere  lo  stato  suo,  che  detta  Maesta 
habia  a  patire  :  del  resto  me  remetto  alia  vostra  rela- 
tione. 


264  APPENDIX.  NO  XLVI. 


NO  XLVI. 

Laurcntio  de^  Medici  Florentinae* 
Rex  Siciliae. 

M\GNIFICO  LORENZO,  laudabile  cosa  e  persis- 
tere  nel  consueto  bene  operare,  8c  satisfare  alle  obliga- 
zioni,  &c,  como  se  dice,  par  pari  reddere  ;  ma  in  vero 
in  le  amicitie  confirmate,  Sc  dove  se  va  con  una  me- 
desima  volunta  &  disegno,  ad  nostro  judicio  se  recerca 
non  attendere  ad  quanto  se  debia  fare,  ma  ad  quello 
piu  che  sia  possibile  farse.  In  le  occuiTentie  di  questo 
inverno  ne  doleva  fino  ad  V  anima  che  ad  Sarzana  se 
facesse  novita,  non  per  comparire,  ma  perche  non 
haveviamo  possuto  comparire,  justa  el  desiderio  nostro. 
Turbavane,  che  eramo  eshausti,  le  cose  del  regno  non 
reassectate,  le  pratiche  con  la  Santita  de  N.  S.  assai 
turbide,  8c  che  havevamo  notitia  dell'  apperato  Tur- 
chesco,  como  de  poi  se  e  per  tucto  inteso  ;  8c  non  de 
manco  al  primo  adviso  8c  rechesta  circa  la  novita  de 
Serzanello,  sat'sfecimo,  Sc  con  volunta  8c  con  opera 
circa  la  gente  d'arme  8c  galere  recercate,  dolendone 
imperC)  cordialmente,  che  alia  rechesta  non  possevamo 
adj\mi2;ere  quel  che  el  debito  nostro  officio,  8c  la  promta 
volunta  recercava,  stando  tuttavia  con  attentione,  se 
la  fortuna  avesse  producta  alcuna  occasione  de  possere 
alcun  tanto  piii  satisfure  ad  noi  medesimi  in  queste 
occurrentie  della  Repubblica  vostra  :  de  che  havendo 
ultimarnente  da  diverse  8c  bone  vie  Parmata  de'  Tur- 
chi  havere  ad  soprastare  per  questa  stasone  8c  che  dalP 
altro  canto  Genuesi  armavano  ad  fine  de  damnificare 
le  marine  nostre,    per   divertere  Sc  distrahere   le    vostre 

forze 


APPENDIX.  NO  XLVI.  265 

forze  dall'  obsiclione  de  Serzana,  subito  senza  piu  dif- 
ferire,  rengratiando  N.  S.  Dio,  che  ne  havea  ofierta 
comodita,  deHberammo  mandare  ad  questa  impresa 
otto  altre  galere,  bene  instiucte,  £c  lo  robore  del  nos- 
tra stolo,  colo  havimo  facto  intendere  al  Mag.  Mis- 
ser  Bernardo,  Sc  eodem  tempore  insemi  con  la  deli- 
beratione  havimo  dato  ordine  ad  la  esecutione,  facendo 
scrivere  da  nostro  figliolo  D.  Federico,  el  quale  ha  cura 
delle  cose  de  mare  Sc  ad  Brindisi,  &  per  fe  marine  de 
Calabria,  che  dicte  octo  galere  subito  subito  siano 
de  qua,  &  tengano  la  via  de  Serzana  ad  giongerse  con 
le  altre  :  ne  se  persuada  la  V.  Mag.  che  la  mente  nos- 
tra habbia  da  firmarse  qua,  perche  con  lo  pensero  dis- 
cuteremo  se  altro  per  noi  fai^  se  potera,  £c  al  pensero 
adjungeremo  I'opera,  sequendo  lo  exemplo  della  vostra 
Repubblica,  Sc  anco  vostro  proprio,  8c  havendo  sempre 
avante  li  occhi  quel  che  se  facto  in  nostro  adjuto  S- 
favore  :  Sc  quanto  in  noi  sera  facendo  tale  opere  £c  de- 
portamenti,  che  li  beneficii  ricevuti  habbino  ad  restare 
bene  testificati  della  buona  8c  grata  voluntu  nostra  ap- 
presso  el  populo  de  Fiorenza,  Sc  appresso  la  V.  M. 
Havemo  dunque  voluto  ultra  quel  che  scrivemo  vA  11 
Ex.  Sigg.  Sc  ad  Marino  fare  nota  per  propria  lettera 
questa  nostra  dellberatione  ad  ia  W  M.,  la  quale  se 
renda  certa  che  dalle  faculta  nostre  ad  le  sue  proprie 
Sc  della  sua  Repubblica,  non  se  ha  da  fare  differentis 
alcuna,  perche  de  tucte  cose  nostre  volimo,  che  la 
commodita  8c  lo  uso  sia  non  manco  de'  Sigg.  Fioren- 
tini  Sc  de  V.  M.,  che  lo  nostro  ;  8c  questa  intra  noi 
ha  da  essere  institutione  8c  legge  perpetua.  Confortamo 
lu  M.  V.  ad  attender  bene  alia  sua  valeludine.  Dat.  in 
Castello  Nove  Neap.  3.  Junii  1487. 


26S  APPENDIX.  NO  XLVII. 


NO  XLVII. 


Magnifico  inro  Johanni  de  Lanfredinis, 

Oratori  Florentino   Romae, 

Laur,  Med, 

InTENDO  per  la  vostra  de'  di  13.  che  N.  S.  ha 
preso  qualch-e  molestia  per  la  instantia  fatta  per  voi 
acciocche  Hon  si  proceda  piii  oltre  in  queste  citationi. 
A  me  rincre&ce  ogni  molestia  di  Sua  S.  ma  molto  mi 
dorebbe,  quando  accadessi  in  lei  alcuna  opinione,  che 
le  parole  o  effetti  miei  procedessino  da  alcuna  cagione, 
altra  che  dal  bene  di  Sua  S.  la  quale  potete  accertare, 
che  in  ogni  partito  i<.  evento  io  voglio  sopportare  come 
servitore  quella  medesima  fortuna,  Sc  questa  massima 
tenga  ferma  per  sempre.  Se  io  ho  persuaso  alia  S.  Sua 
a  temperarsi  in  queste  cose  contra  il  Re,  I'ho  fatto  per 
le  infrascritte  ragioni.  Come  per  1'  ultima  vi  scripsi, 
a  me  pare  necessario,  che  la  S.  Sua  si  proponga  uno  di 
questi  tre  infrascripti  fini,  cioe  o  con  la  forza  havere 
la  ragione  sua  col  Re,  o  veramente  accordarsi  come  si 
puo,  o  quando  pure  quello  accordo,  che  si  potessi  al 
presente  fare,  fussi  con  poco  honore,  temporeggiare 
pill  honore volmonte  che  si  puo,  aspettando  migliore 
occasione  ;  la  prima  conditione  saria  piu  honorevole, 
ma  a  mio  parere  e  di  qualche  pericolo  Sc  di  gran  spesa, 
ne  credo  che  horamai  si  possa  fare  senza  mettere  una 
nuova  Potentia  nel  Reame  :  a  questo  mi  pajono  neces- 
sarie  tre  cose,  cioe,  che  almeno  o  Vinitiani  o  Milano 
siano  d'accordo  a  questa  impresa;  la  seconda,  che 
questa  tale   Potentia,    che    s'  introducessi   di   nuovo,  sia 

per 


APPENDIX.  NO  XL VII.  267 

per  se  medesima  potente  Sc  di  gente  &  di  danari  ;  la  ^ 
terza,  che  per  N.  S.  si  faccia  ogni  estrema  potentia 
senza  perdonare  a  spesa  o  a  cosa  alcuna  per  octenere 
la  impresa,  8c  e  necessario  che  tra  quello  che  puo  il 
Papa,  &  quello  che  puo  questo  tale,  che  s'introducessi, 
e  vi  sia  maggiore  potentia,  che  non  e  quella  del  Re 
sola,  presupponendo  che  se  Vinetia  adherissi  a  questa 
disposizione,  havessi  a  fare  questo  effelto  di  teaere 
Milano,  che  non  soccorressi  il  Re.  Chi  havessi  intel- 
ligentia  co'  Baroni  del  Re,  o  altri  simili  adminiculi, 
tanto  meglio  si  poteria  fare.  Hora  a  questa  prima  parte 
io  potria  ingannarmi,  quando  la  ho  dissuasa  a  N.  S., 
perche  non  veggio  di  queste  condition!  tanto  che  mi 
paja  ad  sufiicentia,  che  forse  ne  e  cagione  il  non  sapere 
io  tutti  i  secreti  di  questa  cosa :  per  quello  che  io 
vegga  o  intenda  non  ci  e  ragione,  perche  N.  S.  debba 
per  hora  havere  questa  dispositione  o  speranza,  havendo 
a  pigliare  o  Spagna  o  Francia  a  questo  effetto,  8c 
Spagna  mi  pare  che  sia  poco  potente,  maxime  alio 
sconfortare,  cioe  spendere.  In  Francia  secondo  la 
natura  loro,  non  so  come  si  possa  fare  fondamento, 
pure  presupposto  che  mutassi  natura,  mi  accorderei 
con  N.  S.  che  fussi  manco  male,  maxime,  perche 
sarebbe  manco  pericoloso  uno  augumento  di  potentia 
in  uno  di  casa  di  Lorena,  che  in  Spagna,  perche  il 
Duca  di  Lorena  non  e  pero  Re  di  Francia,  Sc  veggiamo 
per  experientia,  che  il  Re  di  Napoli  e  molto  piu  stretto 
con  Spagna,  che  il  Duca  di  Lorena  con  Francia,  8c 
nondimeno  il  Re  di  Napoli  &  Spagna  non  sono  amici, 
Sc  ciaschuno  che  fussi  Re  del  Reame,  farebbe  poi  il 
conto  suo.  Con  tutte  queste  ragioni  non  intendendo 
io  altro  particulare,  non  conforterei  mai  N.  S.  a  tentare 
mai  per  oni  simile  impresa :   cc  se  cosi  c-,  Io  esasperare 

il 


5^58  APPENDIX.  N^  XLVII. 

il  Re  con  citationi  £^  simili  cose  per  questo  capo  non 
giova,  anzi  clii  fussi  ad  ordine  a  poter  fare  gagliarda- 
mente  questa  impresa,  mi  parebbe  tanto  piu  da  fug- 
gire  ogni  dimostrazione  di  malo  animo  per  fuggirfr 
il  pericolo  di  quello,  che  puo  fare  il  Re  dal  dire  al  fare, 
che  a  me  non  pare  poco,  &  pero  sarebbe  meglio  dissi- 
mulare  Sc  secretamente  atteiidere  a  prepararsi,  che  mos- 
trare  malo  animo  prima  che  allri  potessi  offendere,  che 
non  e  altro  che  dare  occasione  ad  altri  di  prepararsi  8c 
offendere  prima,  si  che  per  ogni  ragione  in  questo  prime 
paruto  a  me  non  pare  sia  bene  citare  il  Re.  Qanto 
alia  seconda  parte  dello  accordarsi,  potrei  ancora  ingan- 
narmi,  perche  forse  si  propongono  tali  conditioni,  che 
non  sono  note  a  me,  le  quali  si  adjutano  meglio  con 
questo  modo  della  citatione,  che  forse  servirebbe  quando 
le  pratiche  fussino  mature  Sc  quasi  resolute,  nel  quale 
caso  il  darsi  in  qualche  modo  reputatione  suole  ajutare 
meglio  il  risolvere  :  ma  se  non  ci  e  altro  che  quello  che 
io  so,  le  pratiche  pajono  acerbe  Sc  non  punto  di  facile 
resolutione,  Sc  pero  questi  modi,  che  si  tenessino  per 
ajutare  tali  pratiche,  potrebbono  forse  generare  qualche 
scandolo  o  ruptura,  che  e  il  contrario  dello  accordo. 
Quanto  al  temporeggiare,  credo  che  questa  parte  non 
bisogna  disputare,  perche  seuza  comparatione  e  meglio 
posare  le  cose  ai  presente  con  reputatione  di  N.  S.  che 
tentare  la  fortuna,  niassime  perche  voi  conoscete  molto 
meglio  di  me,  che  il  Re  ha  gran  faculta  di  offendere. 
Hora  come  dico  di  sopra  per  non  sapere  piu  innanzi 
in  queste  cose  non  ve  ne  posso  dire  altro.  Se  il  pro 
poco  temere  del  Papa  nasce  da  qualche  buon  fonda- 
mento,  fate,  che  lo  sappi  ancora  io  per  levarmi  questa 
molestia,  Sc  benche  io  no:i  sia  di  natura  vile,  per  la 
fede,  che  mostra  il    Papa  in    me,    ho    molto   maggiore 

sospetto 


APPENDIX.  NO  XLVII.  269 

sospetto    delle    cose    sue,    die    iion  harei   clelle   proprie. 
Quando   la   S.  S.   ne  sara  sicura,   io  attribuisco  tanto  alia 
prudentia    Sc    autorita    sua,    clie    ne    restero    ancora  io 
quieto.      Insino    che   non    intendo   altro    fondamento    di 
questa  sua  sicurta,    vi  confesso,   che  non  sto  con  I'animo 
riposato.     Se    ci    e    cosa    alcuna,     per    V  amore    di  Dio 
fatemela    intendere,   che  per   1'   ordinario   non   mi  sento 
bene.    Non    creda  il  Papa  per    cosa  del    mondo,   che  ad 
alcuno   particulare   proposito  fuori    del   bisogno   di  S.  S. 
io   pensi,   dica,   o   adoperi    cosa   alcuna,   perche    il   bene, 
che  ho  havuto   da  N.  S.  8c  quello  che  io  ne  asnetto,   pro- 
cede     tutto     dal    suo     buono     stato      reputatione.      Del 
Sig.    Lodovico   ho   detto    quanto    intendo,    &    aperto    it 
cuore   mio   della   natura   sua.     Io    so  che  vo  rettamente, 
&  ho   il   mio   primo   fondamento   in   N.  S.  ne  diro  altro 
che  quello  mi   habbi  detto   molte  volte,  cioe  che  quando 
la    S.    Sua    si    possa     accordare    col    Re   con    qualche 
parte   dello   honore   suo,  mi   pare   meglio  uno  comunale 
eccordo,  che   una  buona    guerra  :  quando  questo  havessi 
difficulta,   m'   ingegnerei   temporeggiare    con   honore    & 
sicurta,   presupposto   che  non   ci  sieno  quelle  condition!, 
che  bisognerebbero  ad  valersi  contro   il  Re,  le  quali  dice 
di  sopra,  perche  quando  ci  fussino,  sono  certo  il  Re  nello 
accordo     si  lasceria    maneggiare,     8c    consentirebbe    all' 
honesto,   8c   perche   io  credo,    che   il    Re    intenda  molto 
bene   il   male,    che     gli  puo    essere   fatto ;     dubito  per 
questo  non  venga  in  piu  gagliardia.     Tutte  queste  mie 
ragioni   potrebbero  essere   resolute  invento  ;  tale  secreto 
potrebbe    havere    N.    S.    che    non  e   noto   a  me.     Non 
credo,  che  sia  molesto  alia   S.    Sua  questo  mio  discorso 
con   questa   risolutione,    che    io  ho  sempre  a  sopportare 
quella   medesima   fortuna,    che   la   S.    S.    voglio    havere 
licentia  di  parlare    sempre    liberamente,   8c    fare    quello 
VOL.  III.  N  n  che 


270  APPENDIX.  No  XLVII. 

che  vuole  S.  S.  Ringratiate  con  og-ni  vostra  efficacia  la 
S.  di  N.  S.  della  amorevole  &c  benigna  risposta  vi  ha 
fatta  circa  la  protetione  dell'  Ordine  de'  Servi  in  Mes. 
Giovanni.  Tutte  queste  cose  mi  obbligano  immortal- 
mente  alia  S.  Sua.  Piacemi  assai,  che  siate  state  a 
Cervetri  &  a  S.  Severa,  8c  sopratutto  mi  piace  vi  hab- 
bino  satisfatto  i  modi  &  i  governi  del  Sig.  Francesco 
con  cotesti  suoi  sudditi,  perche  Dio  mi  e  testimone^ 
che  non  amo  meno  lo  honore  8c  bene  suo  che  il  mio. 
Pregovi  &  conforto  quanto  posso  adoperare  con  N.  S. 
per  dare  perfetione  alle  cose  di  S.  Severa,  poiche  voi 
medesimo  giudicate  la  importantia  Sc  necessita  di  ag- 
giungere  questo  stato  a  Cervetri.  Cosi  vorrei  mi  ris- 
pondessi  qualche  cosa  di  Gallese,  perche  possa  rispon- 
dere  a  quello  amico,  che  dovera  presto  tornare  a  me. 
Bisogna  che  N.  S.  acconci  una  volta  il  Sig.  Francesco 
in  modo,  che  ogni  di  non  habbi  havere  molestia  per  le 
cose  sue,  accioche  lui  8c  noi  possiamo  vivere  lieti  8c 
di  buona  voglia,  perche,  dicendo  pure  il  vero,  il  Sig. 
Francesco  non  ha  ancora  stato  conveniente  a  uno  nipote 
di  uno  pontefice,  e  pure  ci  appressiamo  al  settimo  anno 
del  Pontificato.  Debbesi  havere  piu  rispetto  cominciando 
a  venire  in  famigHa  et  con  piu  giustificatione  per  questo 
lopuoajutare  N.  S.  Florentiae  die   17.  Octobris  1489. 


APPENDIX.  NO  XLVIIL  371 

NO  XLVIII. 

JLaurentio   de^    Medici, 
Ferdinandus   Rex  Siciliae, 

JVlAGNIFICE  vir  compater  Sc  amice  noster  carissime. 
Non  era  necessario,  ehe  da  voi  fossemo  rengratiati  di 
quelle  per  lettera  de  nostra  matio  ve  ho  offerto  in  bene- 
ficio  di  Mes.  Joanni  vostro  figlio,  perche  sape  Dio  lo 
animo  Sc  la  volunta.  nostra,  quanto  desideressimo  fare 
tutte  le  cose  del  niondo  per  ijsarve  gratitudine  per  quel- 
lo  havete  continuamente  operate  in  beneficio  nostro,  & 
de  questo  Stato,  del  quale  sempre  potete  fare  quella 
stima,  che  fereste  delle  cose  vostre  medesime,  perche 
li  oblighi,  che  ne  havimo,  cosi  recercano,  8c  mai  ve 
poriamo  offerire  tanto  in  beneficio  vostro  8c  della  casa 
vostra,  che  ne  para  havere  satisfacta  una  milleslma  parte 
de  quello,  e  lo  animo  8c  desiderio  nostro  de  fare,  secundo 
speramo  per  experientie,  omni  di  porite  conoscere  piu 
manifestamente.  Datum  in  Castello  Novo.  Neap.  23. 
Agosto  1488. 


NO  XLIX. 

Pietro  da  Bibbiena  a  Clarice  de''  Medici  a  Roma,. 

JJOMINA  mea.  Scrivendovi-  io  in  nome  di  Loren- 
zo, non  me  accade  dire  altro  alia  M.  V.  se  non  che 
da  sabato    in  qua  ho  script©  piu  lettere  a  quella,  8c  per 

questa 


272  APPENDIX.  NO  XLIX. 

questa  le  mando  lo  inventario  del  presente  del  Soldano 
daio  a  Lorenzo,  el  quale  mandai  pero  a  Piero,  ma  verra 
piu  adagio.     Vale. 

Un  bel  cavallo  bajo  ;  animali  strani,  montoni  e  pecore 
di  varj  colori  con  orecchi  lunghi  sino  alle  spalle,  &  code 
in  terra  grosse  quasi  quanto  el  corpo ;  una  grande  am- 
polla  di  balsamo  ;  ii.  corni  di  zibetto  ;  bongivi,  Sc  legno 
aloe  quanto  puo  portare  una  persona  ',  vasi  grandi  di 
porcellana  mai  piOi  veduti  simili,  ne  meglio  lavorati  ; 
drappi  de  piu  colori  per  pezza ;  tele  bambagine  assai, 
che  loro  chiamaho  turbanti  finissimi ;  tele  assai  coUa  salda, 
che  lor  chiamano  sexe  j  vasi  grandi  di  confectione,  mira- 
bolani  Sc  giengituo. 


NO  L. 
AURELII  BRANDOLINI. 

FLORENTINI. 

Cognomento   Lippi. 

Z)e  laudibus  Laurentii  Medicis, 

\J  MEA  Tyrrhenas  nondum  sat  nota  per  urbes 

Hue  ades  imparibus  vecta  Thalia  modis. 
Vade  age  laurigeros  Medicum  pete  Iseta  penates, 

Magnaque  Phcebei  limini  vise  laris. 
Est  via  longa  quidem  fateor,  sed  splendor,  &  ampli 

Maxima  Laurenti  gloria  vincit  iter. 
Hunc  igitur  forti  superabis  mente  laborem  ; 

PrK'mia  sunt  viso  sat  tibi  magna  viro.  V 

Nee 


APPENDIX.  NO  T..  273 

Nee  vereare  sacris  aditum  non  esse  Camoenis, 

Ilia  domus  Musis  nocte,  dieque  patet. 
Non  nisi  ciilta  tamen  te  coetu  intersere  tanto, 

Odit  barbaricos  docta  caterva  sonos. 
Ecquis  enim  Phcebo,  Phoebique  sororibus  illo  est 

Gratior  ?  Aonio  quis  magis  amne  bibit  ? 
Sed  sis  culta  licet ;  moneo  tua  tempora  serves 

Omnia  non  omni  tempore  visa  placent. 
Excipiere  ilia  (serves  si  tempora)  fronte, 

Quam  prjestare  solet  civibus  ille  suis. 
Mox  cum  te  placido  trepidantem  perleget  ore, 

Illi  hsec  de  multis  pauca,  sed  apta  refer, 
Ausonios  inter  proceres,  celeberrime  princeps, 

Inter  Sc  Etruscos  gloria  sunima  viros  ; 
Accipe  Laurenti  quae  dat  tibi  munera  Lippus, 

Lippus  Partenope  civis  ab  urbe  tuus. 
Sunt  ea  parva  quidem,  sed  sint  tibi  grata  precamur, 

Namque  ea  sunt  animi  pignora  magna  sui. 
Mens  pia  coelestes,  non  grandis  victima  placat, 

Hostia  parva  Deum,  sit  modo  sancta,  juvat. 
Gratus  erat  Baccho  quamvis  pauperrimus  esset 

Icarus  ;  £c  dignus  numinis  hospes  erat. 
Alcides  domitis  invicto  robore  monstris 

Accubuit  mensis  ssepe,  Molorche,  tuis. 
Ipse  quoque  immensum  fertur  quum  viseret  orbem 

Juppiter  in  parva  discubuisse  casa. 
Cumque  torum  pomis  oneraret  agrestibus  hospes, 

Vilia  non  puduit  sumere  poma  Jovem. 
Tu  quoque  parva  licet  placido  mea  carmina  vultu 

Accipe.    Moeonius  det  tibi  magna  pater. 
Et  daret,  8c  cuperet  Pitii  pro  nomine  Achillis, 

Proque  Itaco  nomen  ponere  posse  tuum. 

A  St 


574  APPENDIX.  N^  L. 

Ast  ego  quod  possum  fero  ;  tu  ne  parva  ferentem 

Despicias  ;  animo  dona  repende  meo. 
Non  sunt  parva  tamen  ;  magnam  celebrantia  nomen, 

Qux  tu  vel  solo  nomine  magna  facis. 
Sed  quisnam  merito  divinas  carmine  laudes 

Concipere,  &  tanto  par  queat  esse  viro  ? 
Moeonides  iterum  liceat  Ciceroque  resurgant, 

Moeonides  dicet  cum  Cicerone  parum. 
Ipse  potes  solus  digno  tua  condere  gesta 

Carmine,  te  prater  dicere  nemo  valet. 
Vincitur  ingenium  tanto  jam  nomine  nostrum, 

Tergaque  succumbunt  pondere  victa  gravi, 
Sed  tamen  incipiam,  deerunt  si  carmina  tantis 

Laudibus,  ignosces,  sit  voluisse  satis. 
Rursus  in  ambiguis  versatur  cura  tenebris. 

Rursus  in  incertum  mens  vaga  fertur  iter. 
Quae  quibus  anteferam,  qu^e  prima  aut  ultima  dicam, 

Quis  mihi  sit  finis  principiive  locus  ? 
Bella  ne  dent  aditum  ?  quis  bello  est  major,  &  armis  ? 

Quis  magis  in  dubio  Marte  timendus  adest  ? 
Quid  tu  te  ^acidse  fulgentibus  induis  armis  ? 

,  Exue,  non  faciunt  ista,  Patrocle,  tibi. 
Indue,  Laurenti,  nee  eris  simulatus  Achilles, 

Indue,  non  Hector,  te  duce,  fortis  erit. 
Nee  nisi  te  armari  pro  se  voluisset  Achilles, 

Dixisset  comiti :  cede  Meneacide. 
Tu  quoque  quid  spolium  verbis  tibi  summus  Ulixe  ? 

Huic  dedit  iEacides,  non  tibi :  redde  suum  est. 
Non  tibi  sed  nobis  cessit  Telamonius  Ajax 

Tu  quoque  (sed  facies  jam  puto)  cede  libens. 
Hunc  decet  jEacide  spoliis  gaudere  superbis, 

Hunc  decet  Hectoreas  vincere  ssepe  manus. 

Aspice 


APPENDIX.  NO  L.  275 

Aspice  quantus  eat  rutilis  bellator  in  armis, 

Quantus  agat   celerem,  quamque  tremendus  equum. 
Quo  tenet  ingentes  habitu,  quo  dirigit  hastas, 

Qua  ferit  ipse  alios,  qua  cavet  arte  sibi. 
Defendit  clypeo,  ferit  ense,  excellit  utroque, 

Tutus  abit  clypeo,  victor  at  ense  redit. 
Nemo  levi  melior  jaculo  volucrique  sagitta, 

Nemo  pedes  melior,   nemoque  prsestat  eques. 
Seu  cursu  spatium  rapido  vis  pervolet  ingens  ; 

Vincet  Thraicio  vos  Aquilone  sati. 
Seu  velis  exiguum  sonipes  se  verrat  in  orbem, 

Vincere  te  propria,  Castor,   in  arte  potest. 
Hunc  Pellaeus  equus  cuperet  modo  viveret  unum, 

Hunc   cuperet  solum  Caesarianus  equus. 
Magna  gerit  sumptis  miles  fortissimus  armis, 

Sed  majora  toga,  consiliisque  gerit. 
Maxima  consilio,  non  armis  bella  geruntur, 

Ilia  quidem  faciunt  jussa,  sed  ista  jubent. 
Hoc  probat  illustris  facinus  Themistoclis  ingens 

Libera  eonsiliis  Graecia  tota  suis. 
Romaque  prudenti  nisi  libera  facta  fuisset 

Consilio ;  Poeni  serva  futura  fuit. 
Maximus  Hannibalem  nullo  mucrone  repressit, 

Vastaret  Latias  quum  sine  fine  domos ; 
Per  juga,  per  summos  colles  residere  solebat, 

Castraque  in  excelso  semper  habere  loco. 
Nubila  quum  tandem  nimbum  montana  dedere 

Sensit,  &  Hannibales  Hannibal  esse  duos, 
Artibus  his  Fabius  victorem  contudit  hostem, 

Restituitque  ipiora  rem  tibi  Roma  tuam. 
Quid  Cato  !  nonne  tuam  peperit  bis  victa  ruinam 

Carthago  ?  8^  verbis  diruit  ante  suis  ? 

Quid 


276  APPENDIX.  NO  L.- 

Quid  loquar  ereptam  veniente  tirannide  Romam 

Non  nisi  consiliis,  Marce  dlserte,  tuis. 
Jure  parens  igitur  patriae  meri toque  vocaris, 

Reddita  te,  Cicero  Consule,  Roma  sibi  est. 
Nonne  igitur  posito  fiunt  quoque  maxima  bello  ? 

Nonne  locum  media  pace  triumphus  habet  ? 
Hunc  sibi  facundo  fretus  Laurentius  ore 

Consiliis  meruit  saepe  referre  suis. 
Saepe  alias,  sed  parta  recens  (ut  caetera  mittam) 

Non  sinit  indictum  gloria  abire  decus. 
Quis  Volaterrani  funesta  incendia  belli 

Nescit,  Sc  armatas  Marte  furente  manus  ? 
Quantus  Sc  Ausonias  urbes  incenderat  ardor  ? 

Sustulerant  animos  ira,  dolorque  truces. 
Acta  furore  gravi  socia  defecerat  urbe, 

Armarat  validas  in  sua  fata  manus. 
Undique  finitimos  rupto  jam  foedere  ad  arma 

Concierat  populos  Italicosque  duces. 
Instabant  magni  nostris  discrimina  belli, 

Nee  par  tot  populis  urbs  erat  una  satis. 
Perdere  vel  socios  erat,  aut  superare  necesse  ; 

Ardua  res  nimis  haec,  foeda  erat  ilia   nimis. 
Quid  faceret  ?  dubia  trepidabat  in  urbe  senatus, 

Certabant  animis,  hinc  decus,  inde  pudor. 
Jamque  videbaris  succumbere  victa  pudori 

Gloria,  jam  turpi  vertere  terga  fuga, 
Ni   tibi  subveniens  Tuscae  lux  unica  terrae 

Ad  tua  victricem  signa  tulisset  opem. 
Protinus  ille  gravi  trepidantem  voce  senatum 

Arguit,  8c  segues  increpat  usque  viros. 
Hinc  decus  eximium,  &  victricem  collocat  urbem, 

Hinc  victam,  multo  cumque  pudore  locat ; 


Et 


APPENDIX.  NO  L.  277 

Et  jubet  aequata  geminas  expendere  lance, 

Quaque  velint  potius  vivere  in  urbe  rogat. 
Erigit  hinc  animos  facunda  voce  jacentes, 
•  Spemque  dat  hostiles  vincere  posse  manus. 
Quoque  geri  possit  pacto  res  indicat  omnis, 
Consiliumque  probat  civibus  inde  suum. 
Dicta  placent  patribus  :  rerum  hiiic  traduntur  habenae, 

Hie  jubet,  urbs  nulla  conficit  ilia  mora. 
Verba  fides  sequitur  :  superat  Laurentius  hostem, 

Et  venit  in  Tuscum  terra  inimica  jugum. 
Quae  gesta,  aut  quas  his  poteris  conferre  triumphos  ? 

Ista  decent  animum,  vir  generose,  tuum. 
Nonne  ha^c  innumeros  meruerunt  gesta  triumphos  ? 

Plurimaque  hoc  meruit  laurea  serta  caput  ? 
Cuncta  quidem  cives  ilium  meruisse  fatentur  ; 

Cunctaque  detulerant ;  cepit  at  ille  nihil. 
O  magnum,  Sc  nullo  visum  unquam  tempore  factum ! 

O  vir,  sed  magnos  inter  habende  Deos ! 
Quid  tibi  pro  tantis  dignum  virtutibus  optem, 

Aut  quae  coelestes  praemia  digna  ferant  ? 
Maxima  quum  fuerint  uno  te  coepta  jubente, 

Et  sint  consiho  bella  peracta  tuo  ; 
Abnuis  oblatos  ultro,  refugisque  triumphos  ; 

Detrahis  &  capiti  laurea  serta  tuo, 
Et  quando  haec  Fabium,   quando   haec   renuisse    Ca- 
millum, 
Aut  Curium,   lector,   Fabritiumque  vides  ? 
Nonne  &  ab  hoc  maduit  civili  sanguine  Caesar  ? 

Quum  sibi  sublatum  non  tulit  esse  decus. 
Denique  quis  meritae  non  poscit  praemia  palmae  ? 

Vincere  n^agnanimi  est,  praemia  nolle  Dei. 
VOL.   III.  o  Q  Hi(i 


278  APPENDIX.  NO  L. 

Hie  mihi  millenas  ausim  deposcere  lingua-s, 

Et  totidem  voces,  feiTeaque  ora  simiil, 
Ut  tantas  merito  resonarem  carmine  laudes, 

Viveret  Sc  tan  to  nomen  in  orbe  tuum. 
Talia  non  debent,  nee  possunt  gesta  perire  : 

Omnibus,   Aonides,   haee  celebrate  modis. 
Quid  magis  heroas  Latio  juvat  edere  versu  ? 

Quid  magis  Herculea  monstra  subacta  manu  f 
Quid  magis  Argolicas  chartis  mandare  phalanges? 

Fietaque  Priamidae  gesta  referre  juvat  ? 
Quis  Romana  puer,  quis  Puniea  praelia  nescit  ? 

Quis  jam  Pellaei  non  tenet  acta  ducis? 
Scribite  nunc  alios,  alios  celebrate  triumphos, 

Inclita  Laurenti  dicite  facta  mei. 
Hie  solus  meritos  novit  non  velle  triumphos, 

Quodque  petunt  alii,  despicit  ipse  decus. 
Jure  potes  talem,    Laurenti,  temnere  pompam, 

Non  etenim  gestis  par  erat  ilia  tuis. 
Gloria  majorum  tibi  dat  contempta  triumphum, 

Majus  Sc  a  spreto  surgit  honore  decus. 
Deque  triumphandi  victa  ambitione  triumphas  : 

Non  datur  humanis  viribus  istud  opus. 
Quum  reliquos  soleas  mortales  vincere,  minim  I 

Exuperant  laudes  haec  nova  facta  tuas, 
O  decus,  o  praestans,  divinaque  gloria,  quando 

Jam  nullum  poteras  vincere,  te  superas. 
Quin  tibi  non  unus  meritusve,  actusve  triumphus  : 

Innumeros  tribuunt  talia  facta  tibi. 
Quid  quod  k  officiis  servas  civilibus  urbem  ; 

Inque  dies  auges  nobilitasque  magis. 
Sed  neque  quid  praestes  hac  est  mihi  parte  tacendum, 

Ni  tua  versiculis  deinoror  acta  meis. 

Sed 


APPENDIX.  NO  L.  279 

Sed  tibi  (si  fauces  £c  copia  vocis  adesset) 

Lrbs  mallet  lingua  cuncta  relerre  sua. 
Tu  tamen  illius  haec  pectore  prompta  putato, 

Haec  tibi  si  posset,  nunc  velit  ipsa  lo^ui. 
Principio  victrix  numeroso  ex  hoste  triuniphat ; 

Imputat  hoc  meritis  maxima  facta  tuis. 
Otia  composito  tutissima  foedere  firmat : 

Hoc  quoque  quis  nescit  muneris  esse  tui  ? 
Bella  silent :  placida  cives  modo  pace  fruuntur, 

Nee  minor  inter  se  pax  quoque  parta  aomi  est. 
Omnibus  indulsit  miti  Laurentius  ore  : 

Unanimos  claudant  moenia  ut  una  viros. 
In  curvam  rigidus  falcem  nunc  flectitur  ensis, 

Vomeribus  cassis,  vitibiis  hasta  bona  est. 
Armaque  qui  coluit  miles,  nunc  incolit  arva  ; 

Arma  quoque  hie  semper,  sed  meliora  gerit. 
Scilicet  Sc  rastros,  &  magno  pondere  aratrum  ; 

Quaeque  habet  alma  Ceres,  quaeque  Lyaeus  habet. 
Fossor  inermis  arat,  graditurque  viator  inermis  ; 

Nee  timet  hostiles  ille,  vel  ille  manus. 
Aurea,  Laurenti,  redeunt  te  sospite  saecla, 

Aurea  te  nobis  sospite  vita  redit. 
Nee  valet  hoc  quisquam  (velles  licet  ipse)  negare, 

Nam  te  quisque  petit,  suspicit,  optat,  amat. 
Quidquid  habent  omnes,  tibi  se  debere  fatentur, 

Et  sonat  in  popiilo  nomen  ubique  tuum. 
Defessus  viridi  requiescit  arator  in  umbra, 

Dumque  sedet,  laudes  concinit  ille  tuas. 
Serus  ab  Etrusca  discedens  urbe  viator, 

Se  tutum  meritis.  cantat  abire  tuis. 
Hie  te  divitias  rogat,  &  rogat  ille  favorem, 

Accipit  optatum,  laetus  uterque  suum. 


^0  APPENDIX.  NO  L. 

Te  pupillus  adit  solum,  verumque  patronum : 
Te  simul  orba  parens,  virgoque  casta  petit. 
Optat  opem  hie,  victum  petit  haec,  rogat  ilia  maritiim 
Sentit  opem  hie,  victum  haec  impetrat,  ilia  virum. 
Haec  rogat  amissam  misero  pro  conjuge  dotem, 

Hanc  quoque  non  pateris  dote  carere  sua. 
Ut  juvet  in  carum  pietas  impensa  maritum, 

Efficis,  8c  dotem  das  sibi  ferre  suam. 
Nee  satis  hoc  ;  inopi  querula  nil  voce  petenti 

Ultro  ades,  Sc  gratum  porrigis  auxilium. 
Suppeditas  largas  (cum  parva  est  copia)  fruges, 

Ut  vivat  mentis  plebs  numerosa  tuis. 
Denique  quidquid  habent  pueri  juvenesque,  senesque, 

Aut  virgo,  aut  mater,  munus  id  omne  tuum  est. 
Magna  quidem  dixi ;  longe  majora  sequuntur  : 

Haec  quoque  sint  quamvis  non  tibi  magna  satis. 
Instituis  Sanctis  victricem  moribus  urbem, 

Discat  ut  exemplo  se  superare  tuo. 
Jura  aliis  saneis,  sed  quae  prius  ipse  probaras-, 
Quaeque  jubes  aliis,  tu  prius  ipse  facis. 
'     Fusa  prius  luxu  nunc  est  moderata  juventus, 
Et  coepit  similis  moribus  esse  tuis. 
Deposuit  Tyrias  vilis  plebecula  vestes, 
Et  didicit  fines  nosse  modesta  suos. 
Omnia  non  debet,  possit  licet  omnia  vulgus, 

Quaeque  valent  omnes  omnia  ferre,  nefas. 
Quisque  igitur  cohibet  luxum,  Tyriasque  lacdrnas 

Ponit,  &c  in  modica  se  tenet  usque  toga. 
Hoc  faciunt  alii,  suptrat  Laurentius  omnes, 

Gaudeat  ut  mores  urbs  imitata  ducis. 
Tu  quoque  delitias  posuisti,  virgo,  nocentes, 
Non  poteras  alio  vivere  casta  modo. 

Non 


APPENDIX.  N°  L.  281 

Non  nisi  fulgentem  gemmis,  auroque  puellam 

Caecus  Amor  sequitur,  quam  bene  cernit  amor. 
Non  petit  ancillas  aurata  veste  carentes 

Ille  puer ;  sed  te,  culta  puella,  petit. 
Nulla  piidica  diu,  formosaque  vivere  posset, 

Ipsa  esset  quamvis  Pallade  casta  magis." 
Vivere  casta  (gerit  quum  gemmas  femina)  non  vult ; 

Culta  nimis,  juvenes  credite,  virgo  vocat. 
Si  tua  simplicibus  facies  contenta  fuisset, 

Tindari  non  te  bis  subripuisset  amor. 
Tu  quoque  non  raptam  quaesisses  anxia  natam, 

Flava  Ceres,  cultu  si  foret  usa  tuo. 
At  tu  delitiis  vives  nunc  casta  fugatis, 

Munere    Laurenti,  Tusca  puella,   tui. 
Ilium  igitur  venerare  sacri  tibi  numinis  instar, 

Quo  duce  parta  redit  vita  pudica  tibi. 
Tu  quoque  laxa  prius  ;  nunc  frugi,   &  parca  juventus 

Illius  (esto  memor)  te  tibi  reddis  ope. 
Hoc  duce  pestiferum  posuit  Florentia  luxum, 

Et  retinet  fines  femina,  virque  suos. 
Imbuit  ingenuis  victricem  moribus  urbem  : 

Luxuriem,  8c  turpes  sustulit  illecebras.  . 
Protulit  imperium  pugnando  Roma  superbum, 

Sed  praestans  animi  perdidit  imperium. 
Nam  quum  Marte  suo  nuUos  non  vinceret  hostes, 

Armaque  jam  toto  spargeret  orbe  potens ; 
Anxia  captivo  parebat  turpiter  auro, 

Docta  alios,  sed  se  vincere  docta  parum. 
Non  sic  imperium  servat  Florentia  partum, 

Non  sic  magna  diu  vivere  posse  putat. 
Sed  postquam  externos  vincendo  sustulit  hostes, 

Luxuriem,  &  molles  vincere  discit  opes. 

Optimus 


283  APPENDIX.   N^  L. 

Cptimus  hoc  docuit  civis,   facit  ipsa  libenter  ; 

Qui  jubet  hoc  fieri,    fecerat  ipse  prius. 
Namque  ubi  finitimos  vicit  Laurentius  hostes, 

Se  docet  exemplo  vincere  quemque  sue. 
Caesar  adulteriis  poenam  statuisse  minacem 

Dicitur,   ipse  tamen  turpis  adulter  erat. 
Haud  satis  esse  putat  sanctas  hie  scribere  leges, 

Ut  faciant  alii  quae  jubet,   ipse  facit. 
Condidit  aeternis  meliorem  legibus  urbem, 

Moeniaque  huic  circum  nobiliora  dedit. 
Quid  Numa,  quid  Minos,  Lacedaemoniusque  Lycurgus 

Urbibus  audebant,  condere  jura  suis  ? 
Esto  tamen.  nullas  modo  quisquam  conferat  istis  : 

Scripta  legunt  homines  ilia,   sed  ista  viaent. 
Moenia  quid,  Theseu,  quid  moenia,   Romule  pastor, 

Condere,  vel  Romae   Cecropiaeve  fuit  ? 
Romule,  non  Romam,   Theseu,  non  condis  Athenas, 

Sed  qui   jura  dedit,  conditor  ille  fuit. 
His  magnae,  his,  inquam,  cinguntur  moenibus  urbes  : 

Haec  non  tormenti  robore  fracta  cadunt. 
Perpetuam  leges  urbem,   non  moenia,    servant ; 

Moenibus  icta  ruit,  legibus  aucta  regit. 
His  igitur  Tuscam  cinxit  Lau^'entius  urbem 

Moenibus,   ut  nullo   robore  victa   ruat. 
Ergo  pater  patriae  communi  est  voce  vocandus, 

Dicite  io  cives  jure,  pater  patriae. 
Quid  quod  8c  Alpheas  iterum  sibi  condere  Pisas 

Mens  fuit,    8c  coeptis  ducta  Minerva  comes. 
Undique  Palladias  studiosus  contulit  artes, 

Ut  colerent  unum,  quem  coiit  ipse  locum. 
Elicuit  medlis  hie  Pallada  solus  Athenis, 

Lit  praesit  studiis  non  aliena  suis. 

Solus 


APPENDIX.  NO  L.  283 

Solus  Sc  Aonio  ductus  Helicone  sorores 
Ire  nee  invitas  per  juga  Tusca  facit. 
Ipse  pater  Phoebus  Cyrrha  Delphisque  relictis, 

Venit,  8c  auratam  protulit  ante  chelym. 
Numina  quando  etiam  Pisas  injussa  frequentant, 

Certatimque  suae  quisque  dat  artis  opus. 
Hoc  tibi  (quis  nescit  ?)  Laurenti  numina  praestant : 

Tune  putas  Pisas  sponte  petisse  sua  ? 
Quae  tot  causa  Deos,  quisve  illuc  cogere  posset  ? 

Cui  veniunt  igitur  numina  ?  nempe  tibi. 
Quem  potius,   quaesc,   superique  hominesque  frequen- 
tent  ? 
Ecquis  numinibus  carior  atque  viris  ? 
Esse  hunc  Cecropiae  carum  junctumque  Minervae, 

Consilium  prudens  juraque  sancta  probant. 
Quis  neget  hunc  olim  dbctas  aluisse  Camoenas  ? 

Atque  Aganippeo  fonte  levasse  sitim  ? 
Quum  superent  veteres  etiam  sua  carmina  vates, 

Parque  habeat  reliquis  partibus  ingenium. 
Qun  etiam  doctos  profert  extempore  versus, 

Qii  deceant  calamum,  culte  Tibulle,  tuum. 
Oblcquiturque  lyra  numeros  resonante  disertos ; 

Eit  lyra  numeris,  ingeniumque  lyrae. 
Hicne  potest  Phoebo  gratus  non  esse  Poeta  ? 

An  quisquam  Phoebo  gratior  esse  potest  ? 
Quin  Hum  proprias  Deus  excoluisse  per  artes 

Dicitur,  &  cytharam  sponte  dedisse  suam. 
Nunc  k  uterque  simul  noctesque,  diesque  moratur, 

Et  canit  ad  doctam  doctus  uterque  lyram. 
Hactenus  in  tacito  servaram  pectore  fixum 

Clarius  et  cunctis  (credite)  majus  opus. 
Dicturus  fueram  Phoebi  quoque  sanguine  natum, 
Auctoremque  sui  stemmatis  esse  Deum. 

Sed 


384  APPENDIX.  NO  L. 

Sed  mea  ne  risum  parerent  ut  vaua,  verebar- 

Nam  solet  a  magnis  rebus  abesse  fides. 
At  nunc  intrepido  sic  jussit  pectore  numen, 

Vix  credenda  quidem,  sed  tamen  acta  loquar. 
Est  Deus  in  nobis  ;   coelestis  pectora  versat 

Spiritus,  aethereo  missus  ab  usque  polo. 
Saepe  8c  coUoquio  fruimur  propiore  Deorum. 

Ipsa  petunt  nostros  numina  saepe  lares. 
Hesterna  meditans  igitur  dum  luce  require 

Piogeniem,  &  patres,  vir  generose,  tuos  ; 
Astitit  aurato  fulgens  mihi  Phoebus  amictu> 

Et  coepit  posita  talia  verba  lyra : 
Inclita  Laurenti,  vates  studiose,  requires 

Stemmata  ;  sed  sine  me  non  mea  nosse  potes.^ 
Ipse  ego  sum  tanti  praeclarus  sanguinis  auctor : 

Desine  tu  genus  addubitare  meum. 
Ipse  ego  sum  Medicae  (si  nescis)  gentis  origo, 

Primaque  in  inventis  est  medicina  meis. 
Quoque  magis  credas ;  hie  nostra  ex  arbore  ductun 

Sumpsit ;  8c  a  lauro  nobile  nomen  habet. 
Jure  igitur  cytharam,  nostrasque  huic  tradimus  jrtes : 

Laurea  jure  sedet  vert  ice  multa  suo. 
Dixit ;  8c  a  nobis  multo  fulgore  recedens, 

Ambrosio  totam  sparsit  odore  domum. 
Ergo  age,  Laurehti,  divino  sanguine  gaude, 

Gaudeat  et  Phoebo  vestra  parente  domus. 
Nee  minus  ipse  tuo  laetus  sis,  Phoebe,  nepote. 

Suscipiat  sobolem  gens  quoque  laeta  suam. 
Gaudeat,  ut  tanto  Florentia  gaudet  alumno, 

Tuscaque  laetetur  pignore  terra  suo. 
Tu  superas  veteres,  juvenum  pulcherrime,  dives, 

Si  fas  est  magnos  vincere  posse  Decs. 

Cornua 


APPENDIX.    NO  L.  285 

Comua  quid,  Liber,  quid  jactas,   Phoebe,   pharetram? 

Phoebe,  tibi  pharetram,  cornua.  Liber,  habe. 
Est  tibi  formosum  praestanti  robore  corpus, 

Cui  natura  parens  tnunera  cuncta  dedit. 
Sunt  Sc  opes  tantae,  Croesos  ut  viceris  omnes, 

Seque  putet  Croesus  nunc  habuisse  nihil. 
Fabritios,  Curiosque  tamen  (qui  crederet  ?)  aequas  : 

Difficile  est  Croesum  vinccre,  Sc  esse  Numam. 
Laurigeros  etiam  memisti  saepe  triumphos, 

Magnaque  parta  foris  gloria,  magna  domi. 
Pierides  idem  retines,  castamque  Minervam  ; 

Consulit  haec,  vatem  te  chorus  ille  facit. 
Adde  quod  8c  Phoebi  generoso  es  sanguine  cretus, 

Et  genere,  ingenio,  fidibus,  arte  vales. 
Quid  magis  aut  optent  homines,  aut  numina  praestent  ? 

Omnia  supremum  jam  tetigere  gradum. 
Quod  tribuant  nee  habent  superi,  licet   addere  vellent : 

Nee  tibi  vir  cupidus,  quod  magis  optet  habet. 
Tu  juvenis  locuples,  sapiens,  generosus,  honestus  ; 

Singula  quid  referam  ?  cuncta  beatus  habes 
O  fortunatos  homines,  o  saepe  beata 

Saecula,  quae  tanto  digna  fuere  viro. 
Quae  tam  laeta  dies  tanti,  rogo,  munera  partus 

Gentibus  innumeris,  ^  tibi,  terra,  dedit  ? 
Hanc  dare  qui  sobolem  tanti  potuere  parentes  ? 

Cui  licuit  tanti  pignoris  esse  patrem  ? 
Quae  majora  Deus  potuit  dare  munera  terns  ? 

Quid  potuit  majus  terra  rogasse  Deum  ? 
Aurea  falcifero  non  debent  saecula  tantum, 

Nee  tantum  Augusto  saecula  pulchra  suo. 
Quantum  nostra  tibi,  tibi  se  debere  fatentur 

Aurea,  Laurenti,  munere  facta  tuo. 
Nee  tam  laeta  suis  fuit  umquam  Pella  duobus, 

Nee  tam  Roma  suis  inclita  Caesaribus, 
VOL.  III.  p  p  Quam 


286  APPENDIX.  NO  L. 

Quam  tua  te  gaudet,  tua  te  Florentia  jactat, 

Et  queritur  meritis  non  satis  esse  stuis. 
Te  sibi  conveniens  retinet  modo  sospite  nomen, 

Te  sibi  conveniens  sospite  nomen  habet. 
Vive  igitur  sospes,  multo  sed  tempore  vive, 

Vincat  Nestoreos  &  tua  vita  dies. 
Semper  Sc  aspiret  vultu  tibi  diva  sereno, 

Augeat  inque  dies  te  magis  atque  magis. 
Sint  tibi  persimiles  fecunda  conjuge  nati, 

Quos  amet,  &c  meritis  urbs  sciat  esse  tuos. 
Sentiat  aut  nullum  aut  serum  domus  inclita  luctum, 

Et  fiant  nati  te  seniore  senes. 
At  tu  cum  meritis  totum  repleveris  orbem. 

Nee  jam  te  poterunt  astra  carere  diu, 
Serus  ad  aetherei  culmen  te  confer  olympi 

Gaudiaque  optato  carpe  beata  polo. 


NO  LL 

Laurentio  de^  MecUcis, 

Aug,   Politianus, 


JMaGNIFICE  Patrone.  Da  Ferrara  vi  scripsi  Pulti- 
ma.  A  Padova  poi  trovai  alcuni  buoni  libri,  cioe  Sim- 
plicio  sopra  el  Cielo,  Alexandre  sopra  la  topica,  Gio- 
van  Grammatico  sopra  le  Posteriora  8c  gli  Elenchi,  uno 
David  sopra  alcnne  cose  de  Aristotile,  ii  quali  non  hab- 
biamo  in  Firenze.  Ho  trovato  anchora  uno  Scriptore 
Greco  in  Padova,  Sc  facto  el  pacto  a  tre  quinterni  di 
foglio  per  ducato. 

$  Maestro 


APPENDIX.  N^  U.  587 

Maestro  Pier  Leone  mi  mostro  e  libri  suoi,  tra  li 
quali  trovai  un  M.  Manilio  astronomo  Sc  poeta  antiquo, 
el  quale  ho  recato  meco  a  Vinegia,  Sc  riscontrolo  con 
lino  in  forma  che  io  ho  comprato.  E'  libro,  che  io  per 
me  non  ne  viddi  mai  piu  antiqui.  Simiiliter  ha  certi 
quinterni  di  Galieno  de  dogmate  Aristotelis  8c  Hippocratis 
in  Greco,  del  quale  ci  dara  la  copia  a  Padova,  che  si  e 
facto  pur  frutto. 

In  Vinegia  ho  trovato  alcuni  libri  di  Archimede  8c  di 
Herone  mathematici  clie  ad  noi  manciOio,  Sc  uno  Phornuto 
de  Deis  ;  e  altre  cose  buoue.  Tanto  che  Papa  Janni  ha 
che  scrivere  per  un  pezo. 

La  libreria  del  Niceno  non  abbiamo  potuto  vederc. 
Ando  al  Principe  Messer  Aidobrandino  Oratore  del 
Duca  di  Ferrara,  in  cujus  domo  habitamus.  Fugli 
negato  a  lettere  di  scatole :  chiese  pero  questa  cosa 
per  il  Conte  Giovanni  8c  non  per  me,  che  mi  parve 
bene  di  non  tentare  questo  guado  col  nome  vostro. 
Pure  Messer  Antonio  Vinciguerra,  8c  Messer  Antonio 
Pizammano,  uno  di  quelli  due  gentilhomini  philoso- 
phi,  che  vennono  sconosciuti  a  Firenze  a  vedere  el 
Conte,  Sc  un  fratello  di  Messere  Zaccheria  Barbero 
son  drieto  alia  traccia  di  spuntare  questa  obstinatione. 
Farassi  el  possibile  :  questo  e  quanto  a'  Irori^'^^. 
Piero  Lioni  e  stato  in  Padova  molto  perseguitato,  '  8c 
non  e  chiamato  ne  quivi  n^  in  Vinegia  a  cura  nissuna. 
Pure  ha  buona  scuola,  8c  ha  la  sua  parte  favorevole : 
hollo  fatto  tentare  dal  Conte  del  ridursi  in  Toscana. 
Credo  sara  in  ogni  modo  difficil  cosa.  In  Padova  sta 
malvolentieri,    Sc    la    conversatione    non    li   pud  dispia- 

Ift  cere, 


«88  APPENDIX.    NO  LI. 

cere,  ut  ipse    ait.     Negat  tamen  se  velle   in  Thusciam 
agere. 

Niccoletto  verrebbe  a  starsi  a  Pisa,  ma  vorrebbe  un 
beneficio,  hoc  est,  un  di  quelli  Canonicati  ;  ha  buon  nome 
in  Padova,  8c  buona  scuola.  Pure,  nisi  fallor,  e  di  questi 
strani  fantastichi ;  lui  mi  ha  mosso  questa  cosa  di  bene- 
iicii :  siavi  adviso. 

Visitai  stamattina  Messer  Zaccheria  Barbero,  &  mon- 
strandoli  io  Paftectione  vostra  ec.  mi  rispose  sempre 
lagrimando,  &  ut  visum  est,  d'amore  :  rlsolvendosi  in 
questo  :  in  te  uno  spem  esse.  Ostendit  se  nosse  quan- 
tum tibi  debeat.  Sicche  fate  quelle  ragionaste,  ut  favens 
ad  majora.  Quello  Legato  che  toma  da  Roma,  &  qui 
tecum  locutus  est  Florentiae,  non  e  punto  a  loro  proposito, 
ut  ajunt. 

Un  bellissimo  vaso  di  terra  antiquissimo  mi  mon- 
stro  stamattina  detto  Messer  Zaccheria,  cl  quale  nuo- 
vamente  di  Grecia  gli  e  stato  mandate  :  Sc  mi  disse,  che 
sel  credessi  vi  piacessi,  volentieri  ve  lo  manderebbe 
con  due  altri  vasetti  pur  di  terra.  Io  dissi  che  mi  pareva 
proprio  cosa  da  V.  M.  Sc  tandem  sara  vostro.  Domat- 
tina  faro  fare  la  cassetta,  Sc  manderollo  con  diligentia. 
Credo  non  ne  habbiate  uno  si  bello  in  eo  genere.  E' 
presso  che  3.  spanne  alto  Sc  4.  largo.  El  Conte  ha  male 
negli  occhi,  Sc  non  esce  di  casa,  ne  e  uscito  poiche  venne 
a  Vinegia. 

Item  visitai  hiersera  quella  Cassandra  Fidele  lit- 
terata,  Sc  salutai  ec.  ec.  per  vostra  parte.  E'  cosa, 
Lorenzo,  mirabile,  ne  meno  in  Volgare  che  in  Latino, 

discretissima 


APPENDIX.  NO  LI.  289 

discretissima  Sc  meis  oculis  etiam  bella.  Partimmi 
stupito.  Molto  e  vostra  partigiana,  8c  di  voi  parla  con 
tutta  practica,  quasi  te  intus  &:  in  cute  norit.  Verra  un 
di  in  ogni  modo  a  Firenze  a  vedervi,  sicche  apparecchia- 
tevi  a  farle  honore. 

A  me  non  occorre  altro  per  hora,  se  non  solo  dirvi, 
che  questa  impresa  dello  scrivere  libri  Greci,  Sc  questo 
favorire  e  docti  vi  da  tanto  honore  Sc  gratia  universale, 
quanto  mai  molti  e  molti  anni  non  ebbe  homo  alcuno. 
E  particolari  vi  riserbo  a  bocca.  A  V.  M.  mi  racco- 
mando  sempre.  Non  ho  anchoi'a  adoperata  la  lettera 
del  cambio  per  non  essere  bisognato.  Venetiis  20.  Junii 
1491. 


NO  LII. 

Exstat  Romae  in  Bibllotheca  Corsina^  CatulU^  TibuUi^  ac 
Profiertii  editio.^  anni  mcccclxxii,  una  cum  Statii  Sil~ 
vis,  quae  fuit  Angeli  Politiani,  cujus  juanu  haec  in  Jine 
noiata  sunt* 

Band,  Cat.  Bib,  Laur,  v,  ii.  p,  97. 

V/ATULLUM  Veronensem,  librariorum  inscitia  cor- 
ruptum,  multo  labore  multisque  vigiliis,  quantum  in 
me  fuit,  emendavi  ;  quumque  ejus  Poetae  plurimos 
textus  contulissem,  in  nullum  profecto  incidi,  qui  non 
itidem,  ut  meus,  esset  corruptissimus.  Quapropter 
non  paucis  Graecis,  Sc  Latinis  auctoribus  comparatis, 
tantum  in  eo  recognoscendo  operae  absumpsi,  ut  mihi 
videar  consequutus,  quod  nemini  his  temporibus  doc- 
torum      hominum     contigisse      intelligerem.      Catullus 

,   Veronensis, 


290  APPENDIX.  NO  LIL 

Veronensis,  si  minus  emendatus,  at  saltern  maxima  ex 
parte  incorruptus,  mea  opera,  meoqiie  labore  8c  in- 
dustria  in  manibus  habitat.  Tu  labori  boni  consule, 
&  quantum  in  te  est,  quae  sunt  aut  negligentia,  aut 
inscitia  mea  nunc  quoque  corrupta,  ea  tu  pro  tua  hu- 
mani^tate  corrige,  Sc  emenda ;  meminerisque  Angelum 
Bassum  Politianum,  quo  tempore  huic  emendationi  ex- 
tremam  imposuit  manum,  annos  decem  Sc  octo  natum. 
Vale  jucundissime  Lector.  Florentiae  mcccclxxiii. 
pridie  Idus  Sextiles.  Tuus  Angelus  Bassus  Politia- 
nus. 

Similis  nota  in  Jlne  Propertii  occurrit,  l^  quidem  ita, 
Catulli,  TibuUi,  Propertiique  libellos,  coepi  ego,  Ange- 
lus Politianus,  jam  inde  a  pueritia  tractare,  8c  pro  aetatis 
ejus  judicio,  vel  corrigere,  vel  interpretari ;  quo  fit,  ut 
multa  ex  eis  ne  ipse  quidem  satis,  ut  nunc  est,  probem. 
Qui  leges,  ne  quaeso,  vel  ingenii,  vel  doctrinae,  vel 
diligentiae  nostrae  hinc  tibi  conjecturam,  aut  judicium 
facito.  Permulta  enim  infuerint  (ut  Flautino  utar  verbo) 
me  quoque  qui  scripsi  judice  digna  lini.     Anno  1475. 


NO  LIII. 

Georgiiis  Merula   Alexandrinus^  Laurentio  ilf  Juliano  Me^ 
dices  if  Salutem* 

VETEREM  legimus  professorum  morem  fuisse, 
quem  posteriores  crescentibus  subinde  disciplinis  ser- 
vaverunt,  ut  veri  habendi  gratia,  si  quid  a  scriptoribus 
perperam     dictum    fuisset,    id     corrigere    &    emendare 

vellent ; 


APPENDIX.    NO  LIII.  291 

vellent ;  nee  vel  amicis,  vel  preceptoribus  parcerent, 
modo  veritati  consiilerent.  Sic  Aristoteles  Platonem, 
Varro  Lelium,  Casselium  Sulpieius,  Hilarium  Hie- 
ronymus,  rursum  Hieronymum  Augustinus  reprehen- 
dit.  Alii  quoque  permulti  leguntur,  quorum  concer- 
tatione  bonae  artes  Sc  illustratae  sunt  Sc  creverunt 
maxime.  Hos  ego  imitari  cupiens,  cum  opus  Galeoti, 
quod  de  homine  inscribitur,  legissem,  plurimaque  non 
dico  minus  eleganter  dicta,  vel  parum  docte  tractata, 
sed  plane  falsa  offendissem,  veritus  ne  lectio  novi  operis 
avido  lectori  imponeret,  8c  eo  magis,  cum  non  deessent 
qui  mendose  8c  vitiose  precepta  defenderent,  quae  vete- 
rum  auctoritate  Galeotus  niti  videretur,  non  potui  sane 
pati  bona  ingenia  sic  decipi,  8c  turpiter  errare.  Opem 
itaque  cum  veritati,  turn  amicis  ferre  volui,  atque  ea 
refellere,  quae  plurima  temere  8c  sine  judicio  dicta,  in 
eo  opere  leguntur.  Turn  in  libellum  coacta  Laurentio 
Sc  Juliano  Medices  privatim  dedicare  statui,  in  quo- 
rum sinu,  nostra  aetate,  maxima  spes  8c  studiorum 
ratio  fovetur.  Sic  enim  vos  partes  litterarum  suscepis- 
tis,  ut  litteratorio  gymnasio  in  nobilissima  Italiae  parte 
nuper  constitute,  jam  leges  sanctissimae  Sc  liberales 
disciplinae  sic  Laurentium  8c  Juiianum  parentes  appel- 
lare  possint,  quemadmodilm  Florentia  Cosmum  salutis 
Sc  ocii  sui  auctorem,  publico  decreto,  patrem  patriae 
dixit.  Cujus  urbis  fato  nimirum  gratulandum  est, 
quod  negotiis  publicis  avum,  filium,  Sc  nepotes,  pre- 
fectos  continua  serie  habuerit,  per  quos  certa  quaedam 
&  solida  Florentini  populi  felicitas  perduravit.  Et  ita 
nunc  urbs  pulcherrima  £c  opulenta  floret,  ut  non  mi- 
nus e  re  Florentina  sit,  Laurentio  Sc  Juliano  Medices 
urbis  tutelam  per  manus  traditam  fuisse,  quam  Cos- 
mum  8c  Petrum  illi   praefuisse  :    quorum  prudenti  con- 

silio 


292  APPENDIX.  NO  LIII. 

silio  et  magnifica  opera,  undique  prementibus  bellisj 
tutus  &  incolumis  status  civitatis  servatus  fuerit.  Sed 
nee  vos  poeniteat,  qui  in  administrandis  rebus  urbicis 
occupati  semper  magna  tractatis,  ad  haec  legend  a  de- 
scendere  ;  quando  memoriae  proditum  sit  illustres  rerum 
publicarum  principes  hoc  fecisse.  Sic  Cicero  post  pero- 
ratas  causas  &  curas  publicas  Antonii  Gnifonis  scholam 
frequentavit ;  et  Julius  Caesar,  sive  in  bello,  sive  in 
civili  negotio,  de  analogia  libros  conscripsit.  Nos  autem 
etsi  in  errores  hominis  sibi  plurimum  arrogantis,  8c  qui 
omne  genus  scriptorum  tractare  audet,  invehamur  ;  ta- 
men  nee  petulanti,  nee  contumelioso  sermone  res  agitur, 
sed  litteris  Sc  eruditione  certatur  ;  ut  scilicet  aliquando 
recte  dijudicari  possit,  veriusne  Galeotus,  an  Georgius  dc 
re  Latina  dissei'at. 


NO  LIV. 

Joannes  Picus   MirandiUa^ 

Laurentio  Medicis, 

ApOLOGIAM  nostram  dicavi  tibi,  Laurenti  Medi-= 
ces,  ut  rem  non  utique  (Deum  testor)  vlsam  mihi  dig- 
nam  tanto  viro,  sed  tibi  eo  jure  debitam  quo  mea  om- 
nia jam  pridem  tibi  me  debere  intelligo.  Hoc  enim 
habeas  persuasissimum,  quicquid  ego  aut  sum,  aut 
sum  futurus,  id  tuum  esse,  Laurenti,  Sc  futurum  sem- 
per in  j)osterum.  Minus  dico  quam  vellem,  8c  verba 
omnino  frigidiora  haec  quam  ut  satis  exprimant  quod 
concipio,  in  quo    amore,    qua   fide,   qua  observantia,  8c 

prosequar. 


APPENDIX.  NO   LIV.  293 

prosequar,  Sc  a  multis  jam  annis  fiierim  te  prosequu- 
tus.  MoYeor  cum  pluribiis  in  me  collatis  officiis, 
amantissimum  animum  tuum  plane  testantibus,  turn 
tuis  non  tam  fortunae  quam  animi,  iisdemque  raris, 
immo  tibi  peculiaribus  bonis,  quae  narrare  in  presentia 
pudor  me  non  sinit  tuus.  Redeo  ad  Apologiam,  quam 
hilari,  quaeso,  suspicias  fronte ;  exiguum  sane  munus, 
sed  fidei  meae,  sed  observantiae  profecto  in  omne 
tempus  erga  te  meae,  non  leve  testimonium.  Quam 
si  forte  eveniat  ut  a  niagnis  quibus  es  semper  occupa- 
tissimus  tractandis  rebus  attingas,  memineris  non  tam 
hoc  ipsum,  properatum  scilicet  opus  potius  quam  ela- 
boratum,  &  operis  argumentum,  ex  alieno  mihi,  non. 
meo,  sumendum  fuisse  judicio,  quam  non  iccirco 
illam  nuncupatam  tibi,  ut  quae  in  rnea  non  est,  in  me 
agnoscas,  ingenii  aut  doctrinae  praestantiam  ;  sed  ut 
scias  (nam  dicam  iterum)  me  quicquid  sum,  tuae  am- 
plitudini  esse  deditissimum. 


NO  LV. 

Marsilius  Ficinus  Angela  Politiano  Poetae  Flomerico^ 
S.  D, 

vJUID  totiens  quaeris  librorum  meorum  titulos,  An- 
gele  ?  An  forte  ut  tuis  me  carminibus  laudes  ?  at  non  in 
numero,  sed  in  eiectione  laus :  non  in  quantitate,  sed  in 
qualitate  bonum.  An  potius  ut  mea  apud  te  habeas 
omnia,  quoniam  amicorum  omnia  communia  sint  ? 
utcunque  sit,  accipe  quod  petieras.  E  Graeca  lingua 
in  Latinum  transtuli  Proculi  Platonici  physica,  8c  theo- 
logica  elementa.  Jamblici  Calcidei  ,  libros  de  secta 
VOL.  III.  (^q  Pythagorica 


294  APPENDIX.    NO  LV. 

Pythagorica    qiiatuor.     Theonis     Smyrnei    mathematica. 
Platonicas     Speusippi     definitiones.        Alcinoi      epitoma 
platonicum.       Zenocratis    librum     de     mortis     consola- 
tione.     Carmina  simbolaque  Pythagorae.     Mercurii  Tris- 
megisti    librum    de   potentia   &    sapientia   Dei.     Platonis 
libros  omnes.     Composvii    autem  commentarium  in  evan- 
geliam.     Commentariolum  in  Phedrum  Platonis.     Com- 
mentarium in  Platonis  Philebum  de  summo  bono.     Com- 
mentarium  in  Platonis  Convivium  de  amore.     Composui 
physiognomiam.     Declarationes   Platonicae  disciplinae  at 
Christophorum  Landinum,  quas  postea  emendavi.     Com- 
pendium  de   opinionibus   philosophorum   circa   Deum  Sc 
animam.     Economica.     De  voluptate.     De   quatuor  phil- 
osophorum    sectis.       De    magnificentia.       De    felicitate. 
De  justicia.     De  furore  divino.     De   consolatione    paren- 
tum   in   obitu   filii.     De   appetitu.     Orationem  ad  Deum 
theologicam.     Dialogum  inter  Deum  8c  animam  theolog- 
icum.     Theologiam  de  immortalitate  animorum  in  libros 
decemque  divisam.     Opus  de  Christiana  religione.     Dis- 
putationes   contra  astrologorum    judicia.     De  raptu  Pauli 
in  tertium  coelum.  De  lumine  argumentum  in  Platonicam 
theologiam.     De   vita   8c   doctrina    Platonis.     De   mente 
questiones    quinque.     Philosophicarum  epistolarum  volu- 
men.     Ltinam  Angele,  tam  bene  quam  multum  scripser- 
imus.     Utinam  tantum  caeteris  nostra  placeant,  quantum 
ego  tibi,  tuque  mihi.     Vale. 


APPENDIX.  NO  LVI.  295 


NO  LVI. 


Ad  Petrum  Medicem  in  obitu  Magni  Cosmi  ejus  Genitoru^ 
qui  vere  dum  vixit  ojitimus  Parens  Patriae  cognomina-^ 
tus  fuit, 

Mildus  JValdius. 

IjLRGO  quis  Infandum  possit  narrare  dolorem  ? 

Quis  possit  lacrimas  expiicuisse  graves  ? 
Quae  mihi,  quae  possit  carmen  spirare  Dearum  j 

Dum  gravis  alili^it  ptctora  nostra  dolor  ? 
Dumque  adeo  Medicis  lugemus  funera  Cosmi, 

Natus  ut  extincti  tristia  busta  patris. 
Quiim  nova  praesertim  quae  jam  dictare  solebant 

Vatibus  Aonio  verba  notanda  pede, 
Nunc  etiam  nigra  squallescant  veste  Camoenae, 

Et  solvant  tristes  in  sua  colla  comas. 
Cum  graviter  Phoebus  casu  concussus  acerbo 

Dicatur  xnoesta  conticuisse  lyra. 
Nam  neque  Syllani  tantum  te  Cosme  Quirites 

Extinctum  lacrimis  condoluere  suis, 
Sed  Superi,  quorum  lugendi  rarior  usus, 

Et  procul  a  tristi  vivere  moestitia. 
Quod  bene  de  cunctis  adeo  si  Cosme  fuisti 

Promeritus,  vita  dum  fruerere  pia, 
Ut  sua  nunc  moestis  tundentes  pectora  palmis, 

Heu  mortis  doleant  fata  severa  tuae  ; 
Non  precor  e  nostro  discedat  corpore  luctus, 

Aut  sim  praecipuae  conditionis  ego. 
Hoc  precor,  usque  adeo  laxentur  membra  dolore, 

Ut  pateat  stupido  pectore  vocis  iter, 

Qua 


296  APPENDIX.  N^  LVI. 

Qua  liceat,  moesto  dum  fundimus  ore  querelas, 

Fortunae  miseras  condoluisse  vices  ; 
Qua  liceat,  patriae  dum  dantur  justa  parenti, 

Tristia  flebiliter  publica  damna  queri. 
Tempus  erat  Titan  quo  fervida  signa  per  orbem 

Aitior  Herculei  terga  Leonis  adit, 
Cum  prope  jam  positus  supremo  in  limine  vitae 

Senserat  extremum  Cosmus  adesse  diem. 
Ergo  non  vanos  metuens  in  morte  dolores 

Inscia  quos  homintim  turba  timere  solet, 
Sed  constans,  veluti  qui  dudum  certus  eundi 

Sidereas  cuperet  nempe  redire  domos, 
Advocat  hie  natum,  qui  verba  extrema  parentis 

Audiat,  heu  levibus  non  referenda  modis. 
Qui  simul  accitus  monitis  gravioribus,  ille 

Divini  subiit  era  verenda  patris. 
Naturam  nivei  Medices  imitatus  oloris 

Suprema  moriens  talia  voce  dedit. 
Si  morbus  gravior  tristi  vitiata  senecta 

Corpora  nostra  vetat  vivere  posse  diu  ; 
Te  precor,  ut  nostri  tales  de  pectore  curas, 

Et  medicam  mittas,  quam,  Petre,  quaeris,  opcm^ 
Nee  tu  Parcarum  durum  contende  tenorem 

Humanis  unquam  flectere  consiliis : 
Nam  me  fata  vocant  (video)  nam  Juppiter  ipse 

Me  jubet  humanas  deseruisse  vices. 
Non  invitus  eo,  nee  me  mortalia  tangunt 

Vota,  nee  est  vitae  jam  mihi  cura  meae. 
Humanas  pridem  meditor  deponere  curas ; 

Et  procul  humano  me  removere  gradu, 
Corporis  ut  caecis  tenebris  vinclisque  solutis 

Extremum  vale  am  carpere  mente  bonum. 


Quo 


APPENDIX.  Ncv  LVI.  297 

Quo  facere  id  possim,  curas  tu,  nate,  paternas 

Suscipe  ;  sunt  humeiis  pondera  digna  tuis. 
Quarum  nulla  magis  nie  me  nunc  urget  euntem^ 

Nee  magis  ingenium  degravat  uUa  meum, 
Quam  me,  quae  semper  vita  mihi  carior  ipsa 

Extitit,  heu  patriam  linquere,  nate,  piam. 
Quod  te,  per  gem.inos,  tua  pignora  cara,  nepotes 

Oroque,  perque  meum,  Petre,  senile  caput, 
Ardenti  ut  studio  Lydos  tueare  penates, 

Et  procul  infesto  semper  ab  hoste  tegas, 
Et  quae  nunc  multos  est  jam  servata  per  annos 

Florentis  placidus  ocia  pacis  ames. 
Concordes,  moneo,  semper  complectere  cives, 

Et  quibus  est  Patriae  maxima  cura  suae. 
His  precor,  ut  sociis  Etrusci  fraena  Leonis 

In  rectum  semper  flectere,  nate,  velis. 
Nee  tu  justitiae  monitus  contemne  severos, 

Dum  statues  urbi  libera  jura  tuae. 
Namque  potes  diros  populi  vitare  tumultiis, 

Hac  duce  dum  m-eritus  quemque  tuetur  hones. 
Quin  ubi  te  justis  urbes  populique  videbunt 

Legibus  Etruscas  instituisse  domos, 
Undique  convenient  ad  te,  mi  nate,  frequentes, 

Qui  rebus  cupient  consuluisse  suis. 
O  quam  conspicies  banc  urbem,  qualia  cernes 

Tempore  Lydorum  surgere  regna  brevi ! 
Cum  tibi  vel  reges  potius  parere  monenti, 

Quam  reliquis  mores  iraposuisse  volent. 
Hie  ego  si  tenues  fuero  dilapsus  in  auras, 

Ut  nequeam  sedes,  nate,  videre  novas  ; 
Attamen  Etrusci  gaudebo  ut  regna  Leonis 

Accipiam  mouitis  aucta  fuisse  tuis. 

Nam 


298  APPENDIX.  N^  LVT. 

Nam  me  quae  tenuit  vivum,  tellure  repostum 
Suscipiet  patriae   maxima  cura  meae. 
Jamque  vale,  8c  nostrum  pompis  ornare  sepulchrum 
Desine  !   quod  terra  est,  fac  quoque  terra  tegat. 


NO  LVII. 
Christoiihori  Landini^  iii  obitu  Michaelis   Verini, 

ELEGIA. 

£a7id.   Cat,  Lib,  Laiir,  vol.  III.  /z.  463. 

EsTNE  levis  rumor  ?   sic,  o,  seu  conscia  veri 

Fama  ?    sed  heu  niniis  est  conscia  fama  mali ; 
Occidit  heu,  vestrum  crimen,  crudelia  fata, 

Occidit  heu  Michael,  luctus,  amorque  patris  ; 
Occidit,  Aonio  quem  vos  nutristis  in  antro, 

Musae,  Cyrrhaei  quen    lavit  unda  jugi  ; 
Occidit  heu  Michf  ci — proprio  nam  nomine  dixit 

Princeps  Aonii  Calliopea  chori. 
Quis  Deus   est,   Michaei  resonat ;  modo  nosse  velimus 

Prisca  Palaestino  verba  notata  sono ; 
Ipse  Deus  quid  sit.  vix  puber  nosse  laborat. 

Tempore  quo  reliquis  ludus  et  umbra  placet. 
Veinim  id  quum  vera  faceret  ratione,  putandum  est 

Verini  agnomen  non  sine  sorte  datum. 
Quid  pietas,   quid  casta  fides,   quid  possit  honestum, 
'  A  teneris  annis  hie  monumenta  dedit ; 

Quique 


APPENDIX.  NO  LVII.  299 

Quique  solet  primam  nimium  vexare  juventam, 

Expers  obscaeni  semper  amoris  erat. 
Vivebat  caelebs,  primis  atque  integer  annis 

Contempsit  Cypriae  dulcia  dona  Deae. 
Hoc  tulit  indigne,  superat  qui  cuncta  Cupido, 

Cui  parent  superum  numina  magna  DeAm? 
Et  parat  viitrici  puerum  terebrare  sagitta, 

Altitonum  valeat  qua  superare  Jovem. 
Sed  frustra  aurato  tentat  praefigere  telo 

Pectora,  quae  sanctae  Falladis  arma  tegunt. 
Hoc  cernens,  aliosque  dolos,  aliudque  volutans 

Consilium,  insolita  callidus  arte  petit ; 
Nam  morbum  inmisit,  quem  nee  queat  ipse  Machaon, 

Nee  tua  docta  manus  pellere,  Phoebigena. 
Convocat  heic  medicos  Paullus,  quem  cura  nepotis 

Anxia  sollicitum  nocte,  dieque  premit. 
Conquirunt  igitur  veterum  monumenta  virorum, 

Siqua  datur  morbo  jam  medicina  gravi, 
Quae,  Galiene,  tuo  divine  volumine  monstras, 

Quaeque  docet  Coi  pagina  docta  senis, 
Quid  velit  Hippocratis  magni  doctrina,  quid  ille, 

Cujus  Arabs  justo  paruit  imperio. 
Mosaicosque  manu  versat,  Latios,  Danaosque, 

Quique  colunt  ripas,  advena  Nile,  tuas. 
Denique  perceptis  cunctorum  sensibus,  omnes 

Hue  veniunt,  atque  haec  mens  fuit  una  viris  ; 
Non  posse  extremae  hunc  tempus  sperare  juventae, 

Gaudia  percipiat  ni  tua,  pulcra  Venus. 
Res  miranda  quidem,  rara  et  per  saecula  visa, 

Exemplum  in  puero  tale  pudicitiae  : 
Qui  vitae  sanctum  potuit  praeferre  pudorem, 

Viveret  ut  senjper,  tunc  voluisse  mori. 

I  nunc, 


300  APPENDIX.  NO  LVIL 

I  nunc,  Hippolytum  verbis  extolle  superbis, 

Bellerophonteum  nomen  in  astra  refer. 
Non  hie  Antiam,  non  pulcrae  gaudia  Fhaedrae, 

Omnia  sed  Veneris  furta  nefanda  fugit. 
At  ne  forte  piites  nullo  hunc  caluisse  furore, 

Nulla  nee  alig-eri  tela  tulisse  Dei  ; 
Sunt  geminae  Veneres,  gemini  hinc  oriuntur  Amores, 

Terra  haec  demersa  est,  caelitus  ilia  venit. 
Altera,  vulgarem  vero  quam  nomine  dicunt, 

Namque  levis  plebisvilia  corda  domat, 
Mortalesque  artus,  homines,  formaeque  caducae 

Terrenum  miseros  corpus  amare  jubet. 
Altera  caelestis  superis  dominatur  in  oris, 

Mater  nulla  illi  est,  Juppiter  ipse  pater, 
Haec,  quas  nulla  mali  violant  contagia  sensus, 

Divino  mentes  urit  amore  pias. 
Hie  Michael  valido  praefixus  pectora  telo, 

Caelum  amat,  et  caeli  moenia  mente  capit : 
Nee  quidquam  puerile  sapit  puerilibus  annis, 

Tristis  at  in  tenera  fronte  senecta  sedet. 
Sevocat  a  sensu  mentem,  taetramque  perosus 

Luxuriem,  aethereae  scandit  ad  astra  plagae, 
Cunctaque  sub  pedibus  mittens,  quae  mersa  sub  ipsa 

Materia,  in  tenebris  corpora  caeca  tegunt, 
Et  magni  volitans  mundi  per  curva,  supernos 
'^^    Spirituum  volucer  tentat  adire  choros. 
Interea  pestis  teneros  depascitur  artus, 

Contrahit  in  rugas  squallida  membra  lues, 
Et  toto  succum  flaccescens  corpore  sugit 

Pus  solidum,  innatus  deserlt  ossa  vigor. 
Donee  ab  absumptis  animus  discedere  membris 

Cogitur,  et  putri  carcere  pulsus  abit. 

Pulsus 


APPENDIX.  NO  LVII.  301 

Pulsus  abit,  sed  laetus  abit,  vinclisque  solutus 

Cognoscit  quantum  mors  habet  ista  boni, 
Exsilioque  gravi  liber,  caelestia  summi, 

Quae  patria  est,  ardet  visere  templa  Dei. 
Sed  quid  te  plorem  puerum,  Verine,  quid  ultra 

Fata  tuae  mortis  stultus  iniqua  querar  ? 
Mortuus  en  vivis  ;  sed  nos  dum  nostra  manebit 

Vita,  nimis  blanda  morte  maligna  premet 


Gabrielis  Medlolanensis  Theologi    Carmen  in   sepulcro  ejus- 
dem. 

Conditur  hoc  tumulo  tuus,  o  Florentia,  vates, 

Verinae  Michael  stirps  generosa,  domus, 
Qui  dulces  Elegos  scripsit  lanugine  prima, 

Naso,  tuis  similes,  terse  TibuUe  tuis. 
Ad  tria  lustra,  duos  hie  vix  adjecerat  annos, 

Quum  vitam  hanc  miseram  pro  meliore  dedit. 
Occidit  obscaenae  Veneris  contagia  vitans, 

Aeger,  et  hanc  medicus  dum  sibi  spondet  opem. 

In  Michaelem  Verinum, 
Ex.  Op,  Ang\  Politian'u  Aid.  1498. 

Verinus  Michael  fiorentibus  occidit  annis  ; 

Moribus  ambiguum  major,  an  ingenio. 
Disticha  composuit  docto  miranda  parenti, 

Quae  claudunt  gyro  grandia  sensa  brevi. 
Sola  Venus  poterat  lento  succurrere  morbo. 

Ne  se  pollueret,  maluit  ille  mori. 
Sic  jacet,  heu  patri  dolor,  et  decus,  unde  juventus 

Exemplum,  vates  materiam  capiant. 
VOL.  III.    '  R  r  Conso- 


Soa  APPENDIX.  NO  LVII. 


Consolatoria  a,  S,    Ugolino  Verini  per  la  morte  di  Michele^ 
suo  Jigliuolo» 

Di  Girol.  Benivieni,  nelle  sue  ojiere,  Ven»  1524. 

Oual  piu  ingrata  virtu,  qual  impia  sorte, 
™  Qual  duro  fren,  qual  cieco  inetto  &  stolto 
Furor,  qual  nuova  legge  iniqua  e  cruda 
Fia  che'l  fonte  immortal,  ch'acerba  morte 
D'amaro  pianto  ha  intorno  al  cor  raccolto, 
Con  le  sue  proprie  man  restringa  e  chiuda 
Taci  lingua  crudtl,  rustica,  e  nuda 
D'ogni  pieta,  cruel  el,  anzi  tenore 
Farai  piangendo  a'  suoi  giusti  lamenti* 
Gr  improbi  tuoi  dolenti 
Sospir,  perche,  perche  la  via  del  core 
Non  apron  lasso?  e  perch'  agli  occhi  in  tanto 
Duol,  Padre,  hor  nieghi  '1  disiato  pianto  ? 

Rompi  hormai'l  duro  fren,  I'iniqua  legge 
Sprezza,  ch'  al  tuo  dolor  non  se  conviene, 
Ne  si  puo  modo  por  ch'  indietro  il  volga. 
Chi  del  cieco  dolor  governa  e  regge 
L'improbo  e  duro  freno  e  in  poche  pene, 
Ne  sa  ben  com'  un  cor  s'  affliga  e  dolga. 
Rompa  hor  dunque'l  van  fren,  apra  e  disciolga 
L'indurati  sospir,  I'horribil  pioggia 
Che  1'  attoiiito  cor  restringe  e  serba. 
Ahime  che  tropp'  acerba 
Tropp'iniqua  cagion  dentr'  al  cor  poggia. 
Non  virtu,  ma  furor  quel  piant'  infrena 
Che  sciolto  invita,  e  chiuso  ad  morir  mena. 

Piangi 


APPENDIX.    NO  LVII.  303 

Piangi  dunniie;  infelice  e  miser  Padre, 
Poiche  morte  crudel  quel  sol  n'ha  spento 
Quel  sol  ch'  esser  potea  tua  guida  e  scorta. 
Kcco  Amor,  Phebo,  e  1'  altre  sue  leggiadre 
Suore,  piangend'  al  tuo  flebil  lamento 
Fan  tenor,  poi  ch'  ogni  lor  gloria  e  morta. 
Teco  piange  ogni  padre,  e  chi  non  porta, 
Chi  non  ha  al  tuo  dolor,    e  a'  tuoi  affanni 
Pieta,  non  puo  saper  che  cosa  e  tiglio. 
O  nostro  human  consiglio 
Pien  d'  ignoranza,  almen  hor  con  tuoi  danni 
Conosci,  impio  mio  cor,  quanto  sia  inferma 
La  mente  di  ciascun  che  qui  si  ferma. 

Lasso,  quante  speranze  insieme,  e  quanti 
Fior  di  futuri  ben  nel  vivo  obietto 
Posto  havea'l  ciel,  le  stelle,  e  la  natura  ! 
Amor  suo  albergo  fe  degli  occhi  santi, 
Del  volto  gratia,  e  del  pudico  petto, 
Honesta  sempre  immaculata  e  pura. 
Quici  (e  ch'il  crederia  ?)  de  Pimpia  e  dura 
Falce,  V  ultimo  coipo  aspettar  volse 
Pria  che  V  alma  oscurar,  Candida  e  bella. 
Cosi  di  sua  novella 

Pianta,  acerbo  quel  fior  per  forza  colse 
Morte  crudele,  il  cui  ben  culto  frutto 
Far  di  se  potea  lieto  il  mondo  tutto. 

Sette  e  sette  anni  e  tre  gia  volto  il  sole 

Havea'l  gran  cerchio  suo,  dal  primo  giorno 
Ch'  al  bel  nostro  orizonte  il  tuo  sol  nacque  ; 
Quando  credo,  per  far  dell'  alme  e  sole 
Sue  vive  'uce  il  ciel  piii  riccho  e  adorno, 
Morte  al  mondo  oscurar  quel  sol  gli  piacque  : 

E  per- 


304  APPENDIX.    NO  LVll. 

E  perche  mentre  in  terra  afflitto  giacquc> 
Nel  siio  corporeo  vel,  mirabilmente 
Qiial  fussi  '1  suo  valor  ne  mostro  alhora ; 
Ben  creder  dei  che  hora 
Dell'  immense  sue  pene  il  premio  sente, 
Et  ch'  in  cambio  al  dolor  caduco  e  breve, 
Immortal  gaudio  sii  nel  ciel  riceve. 

Cosi  da  quest'  inferma  e  cieca  vita 

Qual  contr'  al  suo  disio  per  forza'l  tenne 
Chiuso,  piangendo  in  questo  oscuro  speco, 
Felice  e  in  grembo  al  suo  fattor  salita 
L'  alma,  a  veder  la  patria  ond'ella  venne, 
Per  essempio  del  ciel,  nel  mondo  cieco. 
Et  hor  lasso,  da  noi  partendo,  seco 
Se'n  portol  vero  ben,  quel  ben  dal  quale 
Ogni  tuo  bene  human  diriva  e  pende  ; 
Ivi  tant'hor  risplende, 

Che  se  in  virtu  del  ciel  1'  orr.hio  mortale 
Potessi  gli  occhi  suoi  ben  guardar  fiso, 
Cangere'l  tristo  pianto  in  dolce  riso. 

Dunque  qual  nuovo  error  ti  stringe  e  muove 
A  pianger  quel  che  ti  dovria  far  lieto, 
Se  vero  e  che'l  suo  ben  ricerchi  e  chieggia  ? 
Non  sai  ben  che  salito  in  parte  e,  dove 
Com'  in  fulgido  specchio  ogni  secreto 
Del  tuo  misero  cor  convien  che  veggia  ? 
Quinci'l  fonte,  onde  in  van  con  verso  ondeggia 
Dal  cor  per  li  occhi  un  lagrimoso  fiume 
Scorge,  e  pietoso  del  tuo  mal  si  turba, 
Cosi  oscura  e  deturba 
L'  infelice  tuo  pianto  il  divin  lume 


Di 


APPENDIX.  N"  LVII.  305 

Di  quel,  ch'  acceso  d'  amoroso  zelo, 
Cosi  Padre  ti  parla  infin  dal  cielo. 

Non  hai  padre,  non  hai,   come  tu  pensi, 
Perduto  quel  di  cui  mentre  ch'  io  vissi 
Miser  in  terra  havesti  a  pena  un  ombra. 
Hor  se  1'  interno  sole  da'  ciechi  sensi 
Sciolto,  se  gli  occhi  infermii  al  ciel  tien  fissi, 
Vedrai  ben  quanto  error  t'involve  e'ngombra. 
Vivo  son  io,  e  qualunque  altro  adombra. 
Vostro  career  mortal   ben  dir  si  puote 
Morto,   quand'  altri  al  mondo  '1  tien  per  vivo. 
Dunque  Padre  s'  io  vivo, 
Com'  io  fo,  lieto  in  queste  eterne  rote, 
Et  se  tu  mi  ami,  o  se'l  mio  ben  ti  piace, 
Pon  la  lingua  in  silentio  e  gli  occhi  in  pace. 

Canzona,  io  credo  hormai  che  1'  impia  piaga 
Ch'  accesa  in  mezzo  al  miser  petto  spira, 
Benche  cruda,  palpar  si  possa  in  parte. 
Va  dunque,   e  come  del  pio  cor  presaga 
Vedi,  e  se  forse  ancor  per  se  respira 
Da  tante  e  tante  lagrime  gia  sparte, 
Di  che  se'l  ciel,  1'  ingegno,    il  tempo  p  1'  arte 
Non  ponno  in  lui,  ch'  ahnen  I'inclini  e  volti 
La  voglia  di  colui  che  accio  1'  induce  : 
Et  che  1'  amate  luce, 
Senza  timor  alcun,  non  dopo  molti 
Anni,   dell'  alma  sua  vera  Phenice, 
Vedra  in  ciel,  piu  che  mai  bella  e  felice. 


J06  APPENDIX.  NO  LVIIL 


NO  LVIII. 


I>e  studio  Pisanae  Urbis^  ^   ejus  situs  maximd  felicitate^ 
ad  Laurentium  Medicem* 

Car,  de  Maxirnis. 

XTE,    quibus  studiis  amor  est  accendere  mentes, 

Ingenii  quibus  aura  favet,  quibus  atthere  ab  omni 

Hac  una  astriferi  datur  ad  fasugia  regni 

Ire  via,  et  merito  concessum  assistere  caelo ; 

Ite — datur  veteres  tandem  consurgere  Pisus, 

Et  priscus  renovatur  honos.     Sint  diruta  quamvis 

Moenia  Tyrrhenum  late  dominata  per  aequor, 

Tu  tamen  exstincaim  studiis  melloribus  urbem 

Instaurare  paras,  atque  intermissa  Minervae 

Sacra  novas,    Medices  ;   procul  exsultantia  cerno 

Littora,   et  arridet  vicina  Palaemonis  mida. 

Quid  mirum  ?  geminus  qui  faucibus  excipit  Arnum 

Collis  ovat,  Dominique  intrantis  laeta  salutat 

Stagna  Dryas,  mediamque  libens  transmittit  in  urbem. 

Vix  mihi  certa  fides,  num  tu  Pelopeia  tellus, 

Num  vos   Tyrrhenae,  tristissima   moenia,  Pisae  ? 

Unde  haec  laeta  dies  tam  festinantibus  horis 

Effulsit,   quaenam  vobis  inopina  reluxit 

Gratia,  quaeve  hilaris  subito  fortuna  renata  est  ? 

O  bona  lux  !    patriis  nuper  discedere  tectis 

Incola  jussus  erat,  vacuoque  in  limine  m.atres 

Flebant,  crudeles  &  detestantia  Divos 

Ora  cruentabant,  tantae  memoresque  ruinae 

Errabant  tristes,  &  sparsis  crinibus  umbrae. 

Quae  modo  tam  volucri  i-edierunt  gaudia  penna  ? 

Quaenam  fata  locis  1  plectrone  haec  saxa  canoro 

Demulcet 


APPENDIX.  NO  LVIII.  307 

Demulcet  dorso  residens  delphinis  Arion  ? 
Dircaeae  num  fila  lyrae  ?  Stupet  Italus  orbis, 
Hucque  flu  it-  Libycis  nee  qui  Deus  exstat  arenis, 
Aurato  insignis  cornu,  nee  opaca  Sibyllae 
Tot  siniul  adjunctas  videre  silentia  gentes. 
Nee  minim,  nam  tu  mediis  de  nubibus  urbi 
Alluces,  positaque  hane  erigis  aegide,  Pallas, 
Et  dubium  juvenem,  nee  adhue  fidentis  habenas 
Ipsa  impellis  equi,  &  magnis  hortatibus  urges. 
Quin  age,  seu  ebara  nune  in  Tritonide  virgo 
Lanifieas  monstras  artes  ;  seu  eorpora  pura 
Tingis  aqua,  &  primos  non  dedignaris  honores  ; 
Sive  ad  Ceeropias  frustra  lamenta  profundis 
Relliquias,  einerique  virum,  ineumbisque  ruinae  ; 
Seu  potius  laetas  inter  Dea  eandida  Divas 
Texis  opus,  niveoque  animas  in  stamine  telam, 
Hue  propera,  hue  totis  ad  terram  labere  pennis ; 
Sume  vias ;  non  te  poseunt  juga  Sarmata  multo 
Pressa  gelu,  aut  Cancro  ferventis  gleba  Syenes ; 
Sed  vocat  uvifero  madidus  de  palmite  Frater, 
Deque  Fluentino  propior  Cyllenius  axe  ; 
Laeta,  hilarisque  veni,  qualem  post  bella  gigantum 
Vidit  paeifei'a  velatus  fronde  saeerdos. 
Adspiee  cognatis  quanto  tibi  moenibus  arae 
Thure  sonant ;  nee  enim  liaee  superis  ineognita  sedes, 
Sed  de  sacrifico  dieta  est  bona  Thuseia  ritu. 
Heic  tibi  non  oleae  deerunt ;  aptissima  ponto 
Pinus  habet  eolles  ;  hue  si  te  forte  tulisses, 
Quum  tua  Phryxaeas  esset  eursura  per  undas 
Puppis,  et  Argois  aptares  robora  remis, 
Non  aliis  elassem  tentasses  ducere  silvis. 
Heie  tua  fatiferos  primum  tuba  compulit  enses, 

Et  bellator  equus  clangentes  arsit  ad  iras. 

Ubera 


308  APPENDIX.  NO  LVIII. 

Ubera  quid  referam  terrae,  formasque  locorum  ? 
Vobis  Campanae  nee  cedat  Thiiscia  glebae  ; 
Et  si  larga  magis  multiim,  si  ditior  istis 
Stet  natura  locis,  et  pleno  copia  cornu, 
Thusca  magis  cultu  tellus  Formosa,  magisque 
Ingeniosus  ager ;  medio  pomaria  saxo 
Cernis,  et  agricolam  sterili  de  vertice  messemi 
CoUigere.     His  credunt  Cerealia  semina  sulcis 
Spargere  Triptolemum,  picturatosque  dracones 
Arentem  placidis  terram  irrorare  venenis. 
Non  taceaiii  Thuscis  et  quae  nascantur  in  oris 
Pectora,  consiliis,   duroque  aptissima  bello, 
Contentique  magis  laeta  sub  pace  quiescunt. 
At  tu,  Laurenti,  quae  te  pietatis  imago 
Moverit  hos  tantos  ut  molirere  paratus, 
Dinumera,  et  caeptis  quando  mihi  parcere  tantis 
Difficile  est,  tu  tende  chelym,  partemque  tuarum 
Tot  mihi  de  cumulis  da  nunc  perstringere  rerum  ; 
Et  mea  si  nimium  levis,  et  temeraria  virtus, 
Da  veniam,  trepidamque  ratem  propel le  per  Efuros. 
Et  tu,  Cos  ME  Pater,  cujus  sibi  numen  adorat 
Arnus,  Romano  cognatus  \ertice  Tybri, 
Praebe  animos,  impelle  lyram,  et  majore  cothurno 
Ire  jube,  numen  t:ertum,  et  mihi  major  Apollo. 
Est  in  Pisano  saltu  nemus,  ardua  multum 
Cui  coma,  frondentesque  in  caelum  surgitis  alni, 
Montivagis  domus  apta  feris,  accessaque  numquani 
Solis  equis  ;  habitant  salientes  robora  Fauni  ; 
Virginibus  sacra  silva  choris,  castaeque  Dianae 
Creditur :  ipsa  loci  facies  dat  signa,  novaeque 
Auditae  voces,  et  visae  per  juga  Nymphae. 
Hue,  quum  civiles  cessarent  undique  curae, 
Urbanusque  labor,  laeto  Laurentius  ore 

Vcnerat 


APPENDIX.  NO  LVIII.  309 

Venerat :  Herculeo  sic  quondam  robore  fidens 
Atlas,  deposita  gavisus  mole  laboris, 
Et  super  injecto  paullum  subductus  ab  astro. 
Nee  mora,  pars  multa  cingunt  indagine  valles, 
Pars  urgere  canes,  et  vincula  demere  collo ; 
Cornua  mille  sonant,  vestigatorque  Molossus 
Dat  signum,  fugiente  fera,  tremit  icta  fragore 
Silva,  et  diffusi  fugiunt  per  devia  Panes. 
Vallis  erat,  vitreas  ubi  formosissima  servat 
Nais  aquas,  densisque  expellens  frondibus  aestus 
Brumam  Nympha  sibi  facit,  et  nunc  roscida  musco 
Strata  tegit,  tremulosque  lacus  nunc  flore  coronat 
Narcisso,  aut  foliis,  casus  qui  luget  amaros. 
His  Dea  venatu  defessa  loquacibus  undis 
Assuerat  Dictymna  suas  renovare  sagittas, 
Et  multo  nitidos  temerabat  sanguine  rivos  : 
Et  turn  forte  aderat,  quae  vocibus  excita  vidit 
Quum  primum  per  lustra  virum,  quo  subter  anhelat 
Arte  laboratis  circumspiciendus  habenas 
Acer  equus,  laterique  haeret  fidissima  tigris, 
Spartana  de  matre  canis  ;  Mea  Cosmea  proles, 
Haec  ait,  o  superi  quantum  debere  fatemur  ! 
O  vos,  vicinae  quantum  exsultabitis  arces  I 
Nee  mora,  velocem  pedibus,  similemque  sagittae 
Ire  jubet  cervam,  quae  se  frondentibus  umbris 
Opponat,  monstretque  viro,  turn  deinde  revertat 
In  liquidum  fontem  volucri  vestigia  gyro. 
Ilia  volat  celeri  frondosa  per  avia  saltu  ; 
Quam  simul  adspexit  celso  de  vertice  tigris 
Irrumpit  siivis,  animos  vox  nota  ministrat 
Festinantis  heri,  timidis  it  pendula  costis 
Tigris,  et  in  vallem  vicinis  dentibus  urget. 

VOL.  III.  s  s  Ecce 


310  APPENDIX.  NO  LVIII. 

Ecce  per  irrigui  nemorosa  cubilia  fontis 
Accelerat  Diana  gradus,  optataque  lora 
Pernicis  Dea  pressit  equi,  et  sic  ora  resolvit : 
Chare  iiimis,  dilecte  mihi,  quern  gentis  Etruscae 
Fas  dixisse  Deum,  quantum  tibi  Numina  debent ! 
Quantum  ego  !  nam  solis  habitabam  frigida  lucis, 
Virginibus  comitata  meis,  atque  acre  nudo. 
Hippolytus  mihi  nullus  erat,  qui  retia  posset 
Tendere,  et  alatos  mecum  praevertere  cervos  ; 
Languebant  Satyri,  Nymphaeque,  et  flumina,  et  auras 
Implebant  queruHs  actae  clamoribus  umbrae* 
Per  te  cuncta  mihi  redeunt,  manesque  quiescunt, 
Exsultant  silvis  Dryades,  Nereides  undis  ; 
Nee  deserta  queror,  nam  te  mihi  semper  in  istis 
Coilibus  adspicio  comitem,  et  mea  lustra  frequentas 
Candidior,  similisque  Deo  :  quotiesque  putarem 
Fratrem  materna  venisse  per  aequora  Delo, 
Si  calami  ex  humeris  starent,  et  flexilis  arcus  ? 
Dum  ioquor,  inque  tuos  figo,  placidissime,  vultus 
Lumina,  quanta  paras  oculis  !  o  quantus  in  ore 
Stat  genitor,  patriique  nitet  splendoris  imago  1 
Virtus  quanta  patet,  quanti  monstrantur  honores  ? 
Et  tibi,  si  qua  fides  superis,  longaeva  merenti 
Tempora  et  astra  dabunt.     Sed  ne  pars  uUa  parato 
Deficiat  caelo,  nostris  his  annue  dictis  ; 
Ostendam  quo  sis  fugiturus  tramite  terras. 
Est  mihi  chara  soror,  quam  nee  Cytherea,  nee  umquam 
Vos  jaculatores  illam  fixistis  Amores, 
Vertice  nata  Jovis,  cui  cessa  potentia  ferri, 
Proximaque,  in  studiis  nee  eiiim  minor  addita  virtus. 
Nunc  incerta  loci,  varias  defv^rtur  in  urbes, 
Qua  se  ponat  humo,  sedem  quibus  eligat  oris 

Nescit, 


APPENDIX.  NO  LVIIL  311 

Nescit,  et  exstinctas  semper  suspirat  Atheiias  : 
Nee  voluit  parvi  ripis  cf)nsidere  Rheni, 
Nee,   Ticine,  tuis ;  hie  enim  civilibus  armis 
Noxius,  hie  magno  didicit  servire  tyranno. 
Libera  mens  illi  est ;  da  tu,  charissime,  portus, 
Da  fessae  sua  tecta  Deae  ;  non  heic  furit  ensis 
Civicus,  et  claro  gens  est  dilecta  Leoni, 
Magnanimae  servitque  ferae,  placidasque  jubarum 
Non  timet  ad  setas  primis  vagitibus  infans 
Ludere,  et  a  forti  pendent  cervice  puellae. 
Eja  age,  perge,  adero,  mecumque  ad  tanta  jiivabit 
Frater,  et  hue  gentes  gemino  niittemus  ab  axe. 
Dixerat :  alatis  et  se  per  devia  plantis 
Sustulit  in  silvas,  lateri  cui  plvirima  virgo 
It  comes,  et  nitida  sequitm'  vestigia  palla, 
A  jaculis  lucent  humeri,   nervoque  sonanti 
Omnibus  arcus  erat,  Zephyris  raptique  capilli 
Colla  repercussis  umbrabant  Candida  tergis, 
Divinumque  cohors  late  dispersit  odorem 
Per  silvam,  et  casti  lustraiamt  a\ia  vultus  ; 
Quaque  recesserunt  sese  violaria  plantis 
Supposuere,  latus  subitoque  rosaria  tractu 
Cinxere,  et  ramus  se  culmine  flexit  ab  alto. 
Venantes  sensere  viri,  subitusque  per  ora 
Fulgor  iit,  blando  mansit  fera  juncta  Molosso, 
Quae  prius  auditis  fugit  latratibus  umbram. 
Hauserat  has  voces,  hortatricisque  Dianae 
Numen  agit  Medicem  :  vix  bino  Sole  calentes 
Aeripedes  fumastis  equi,  totiesque  relapsi 
Vos  ponti  mersistis  aquis,  et  vera  per  urbes 
Fama  volat,  Studlum  lapsis  componere  Pisis 
Te  te,  Laurenti  ;  nee  enim  minus  inclyta  virtus 
Ista  tibi,  quam  quum  Volterras  marte  rebelles 

Ausu5 


312        ^  APPENDIX.  NO  LVIIL 

Ausus  es  ipse  tuis  de  tot  modo  civibus  unus 
Vincere,  et  iiijectis  hostem  frenare  catenis. 
Ergo  ubi  multivago  discurrit  fama  volatu, 
Et  circumfusi  procul,  ut  sensere  parari, 
Accurrunt  populi  ;  florentes  mittit  alumnos 
Trinacris  ora,  venit  Gallis  admistus  Iberus, 
Quique  racemifero  vultum  crinesque  sequuti 
Se  vovere  Deo  ;  ruit  hue  gens  omnis  ;  anhelant 
Aequora,  &  Inoi  capiunt  vix  claustra  Learchi. 
En  ego  nunc  etiam  nimium  fidente  carina 
Dum  feror,  et  puppem  majori  credimus  Austro, 
Distrahor,  et  rapido  multum  increscentibus  undis 
Nutat  cyniba  mari,  et  scindunt  mea  vela  procellae. 
Nam  quis  inexpleti  referat   certamina   circi, 
Quis  tantos  rerum  motus  ?  non  si  mea  texant 
Tempora  Maeoniae  laurus,  et  Cynthius  haustus 
Bellerophonteos  plenis  indulgeat  urnis, 
Sit  satis,   et  tantos  valeam  narrare  paratus. 
Cedite  vicinae,  liceat  mihi  dicere,  Senae, 
Tuque  Antenoreo  tellus  fundata  colono, 
Felsineaeque  nives,  tuque  o  cui  sanguine  nostro, 
Ticine,  infausto  tumuerunt  flumina  bello  ; 
Non  vestris  tarn  grande  sonat  facundia  muris  ; 
Non  heic  qui  populos  doceant  sub  lege  tenere, 
Justitiaeque  sacros  monitus,  et  jura  ministrent, 
Deficiunt,  nee  qui  conducere  vulnera,  morbos, 
Ostendant,  somnos  et  quid  fugientibus  aegris 
Efficiat,   mortes  et  qua  teneantur  ab  herba ; 
Sidera.  qui  reseret,  magnique  volumina  coeii 
Explicet ;   heic  omni  fulgent  ex  arte  nitentes 
Stipanturque  viri  ;  Graecae  hue  facundia  fluxit 
Romanaeque  decus  linguae,  majoraque  dictis 
Sunt  et  plura  meis  ;  nihil  his  quod  dicere  possis 


Deerit 


APPENDIX.  NO  LVIII.  3ia 

Deerit  grande  locis  ;  gcnialis  gratia  terris 
Indulsit,  largum  sen  fundat  Juppiter  imbrem, 
Tunc  quum  saevit  hiems,  Calabros  seu  Sirius  urit, 
Aut  fervet  latos  Nemeae  populator  in  agros, 
Temperies  his  mira  locis  ;  uberrima  tellus 
Ipsa  suas  distinguit  opes  ;  heic  flumina  fecit 
Flexivagis  ambire  vadis  ;  hinc  surgere  in  altum 
Verticibus  montes,  vastas  radicibus  imis 
Hinc  cadere  in  valles  ;  ast  inde  tepentia  fumant 
Balnea  de  terra,  multumque  salutifer  agris 
Nascitur  humor  aquae  ;  stagnis  sudare  videres 
Numina,  anhelantesque  hiberno  frigore  Nymphas. 
Ista  vaporiferae  nee  vincant  aequora  Baiae, 
Nee  vos  vicinae  notissima  Balnea  Lucae. 
Quid  bipara  referam  pendentes  arbore  fructus, 
Quid  bene  partitis  laetissima  dotibus  arva 
Naturaeque  vices  ?  hinc  pubescentibus  uvis, 
Ulmea  serpentes  pingunt  fastigia  vites, 
Et  circum  amplexis  servant  connubia  nodis ; 
mine  effusis  large  super  arva  canistris 
Laeta  Ceres  natam  Stygiis  invitat  ab  undis ; 
Exoratque  Jovem  ;  Thuscis  deque  urbibus  una 
Romanae  par  haec,  et  terra  simillima  glebae  est. 
l.anigerae  pecudes,  campisque  armenta  vagantur, 
Lascivique  greges  ;  nemora  heic  habitataque  miti 
Lustra  fera ;  arboreis  heic  se  cum  cornibus  infert 
Actaeon,  trepidae  saliunt  et  per  juga  damae, 
Et  mollis  lepus,  et  maculato  tergore  caprae. 
Non  ursus,  non  tigris  adest ;  si  forte  malignus 
Frendit  aper,  vel  spumivomo  diffulminat  ore, 
Te  sibi,  Laurenti,  fatis  melioribus  usum, 
Thestiaden  sentit,  si  quive  in  valle  leones 
Occurrunt,  placidi  lambunt  vestigia,  et  altas 

Summisere 


314  APPENDIX.  NO  LVIII. 

Summisere  jubas,  et  te  voluere  magi  strum. 
Non  sileam  positus  urbis ;  slant  m.argine  piano 
Moenia,  et  Lereas  medio  Iransmisse  canali 
Arne,  domos,  urbemque  tuis  interfluis  undis, 
Arne,  Fluentinos  qui  praeterlaberis  hortos, 
Pecundisque  secas  rivis  :  non  fonte  refuso, 
Nee  rapidis  transcurris  aquis,  sed  pontis  habenas 
Dignaris,  curvos  et  te  qiiater  addis  in  arcus  ; 
Inde  tuam  aeqiioreis  immisces  Dorida  nymphis, 
Fessaqut  littorea  praetexis  cornua  myilo. 
Parte  alia  portus,  cinctis  ubi  Nereus  midis 
Innatat,  et  posito  paullum  fervore  quiescunt 
Aequora,  et  intluso  Nereides  amne  lavantur. 
Heic  Athamantheus  nautis  venientibus  infans 
Lustratam  flammis,  et  ituram  in  nubila  turrim, 
Per  latas  ostendit  aquas,  parvoque  reclamat 
Vagitu,  et  vigili  noctem  propellit  olivo. 
Nee  procul  a  terra  surgentes  cautibus  altis. 
Bis  geminas  arces  servat,  cingitque  catena, 
Brontis  opus,  tutis  ubi  possit  navita  velis, 
Securo  totas  noctes  traducere  somno. 
Heic  et  Atlantiades  dulci  testudine  pontum 
Mulcet,  et  auratis  invitat  Pallada  chordis, 
Hortaturque  viros,  fidissima  laudis  imago 
Quos  superis  facit  ire  pares,    et  vivida  virtus. 
Ille  renascentes  canit  alta  ab  origine  Pisas, 
Seu  quod,  magne  Pelops,  dederis  tu  nomina  terris^ 
Fundarisque  urbem,  seu  quod  tuus  accola  muros 
Heic  posuit,  nomenque  Eleaea  adjecit  ab  urbe. 
Pisanos  etiam  plectro  movet  ille  triumphos, 
Et  quos  terra  viros,  bellis  navalibus  aptas 
Quas  tulit  ista  manus,  felix,  nimis  improba  felix, 
Si  non  finitimo  fregisset  jura  Leoni, 

Victrici 


APPENDIX.  NO  LVIII.  315 

Victrici  tumefacta  manu,  rebusque  secimdis. 

Namque  Fluentinae  socialia  foedera  genti 

Abruptamque  fidem,  jiistisque  hinc    excita  bellis 

Pectora,  et  armatas  Deus  addit  in  ordine  turmas, 

Excidiumque  urbis  quanto  Deus  hie  tonat  ore? 

Qiiis  modus  in  cithara  !  credas  fera  bella  movere, 

Vincula  captivo  rursumque  imponere  collo. 

Nee  procul  his  laudes,  et  facta  referre  suoruna  , 

Gaudet,  et  a  Fesulis  primae  fundamina  terrae, 

Antiquos  fasces,  et  relligionis  honores  ; 

Hinc  memorare  viros,  inter  quos,  Maxime,  primus, 

Cos  ME,  venis,  teque  innumeris  cum  laudibus  offers, 

Templorum,  Patriaeque  Pater,  te  curia  felix, 

Te  duce  libertas  populis,  cultusque  Deorum 

Crevere,  et   priscis  demissa  altaria  Thuscis. 

Proh  vanae  mentes  hominum  1  te  civicus  error 

Jussit  ab  emeritis  patriae  discedere  tectis  ; 

Sed  Dii  quam  melius  !  vix  in  se  vertitur  annus, 

Vix  Janos  videre  duos,  quum  teque,  tuosque 

Indiga  gens  Cosmi,  patrias  revocavit  ad  aras. 

Sic  etiam  immeritum  damnavit  Roma  CamiUum, 

Acrisioneis  illumque  reduxit  ab  oris ; 

Sic  sponte  ingratos  effugit  Scipio  cives, 

Ultoresque  suo  titulos  dedit  ille  sepulcro. 

Scilicet  hoc  etiam  timuit  Florentia,  neve 

In  mare  tarn  turpi  flueres  languentibus  undis, 

Arne,  nota,  aequoreis  et  ne  vox  ista  nataret 

Fluctibus,  emeritos  cineri  persolvit  honores, 

Et  dignam  posuit  titulis  sulcantibus  urnam. 

Haec  tibi,  Ccsme,  Deus,  fessosqiie  ex  aggere  laudum 

Conciliat  nervos,  junctaque  retemperat  aure. 

Mox  vestri  canit  acta  libens  miranda  parentis, 

Et  vos,  o  gemini  Medices,  certissima  Thuscis 

Sidera, 


316  APPENDIX.    NO  LVIII. 

Sidera,  olorini  referensque  ingentia  furti 

Pigiiora,  fraternum  vobis  inspirat  amorem, 

Et  tibi,  Laurenti,  remm  concessit  habenas, 

Cui  major  de  more  dies,  et  firmior  aetas 

Exemplis  urit  mentes  ;  inceptaque  suadet 

Tanta  sequi,  atque  animum  patrios  accendit  ad  actus. 

Numquam  ille  adversos  ferro  saevibat  in  hostes, 

Nulla  cruentatis  edebat  fun  era  dextris  ; 

Sed  mitis,  simplexque  animus,  semperque  serena 

Ma-naque  mens  victo  suadebant  parcere  civi. 

Testis  Pittus  erit,  tunc  quum  male  gratus  honoris 

Per  vos  accepti,  civilem  movit  Erynnim  : 

Nee  teaitum  infirmae  potuere  in  corpore  vires, 

Herculis  auderet  quin  mente  aequare  labores. 

Dum  tali  canit  ore  Deus,  longeque  vagatur 

In  virtute  patris,  teque  altos  urget  ad  ausus, 

Vertitur  ad  cantus,  semperque  cadentia  verba 

In  te,  Laurenti,  placidisque  remurmurat  undis 

Arnus,  et  haec  totos  ad  carmina  porrigit  amnes. 

Accelerat  Niobe,  quae  si  lapis,  attamen  audit. 

Nee  magis  illacrymat.     Gressus  et  cetera  reddunt 
Fila  lyrae  ;  sed  ne  superos  rursum  improba  laedat, 

Os  tacet,  et  frustra  conantem  verba  relinquunt. 
Hue  etiam  quae  te  timuit,  Polypheme,  furentem, 

Et  pavet,  adjunctis  et  adhuc  se  mergit  in  undis, 

Cum  sibi  dilecto  Galatea  allabitur  Aci. 

Quin  et  vos  Siculis  mersae  Syrenes  in  undis, 

Quarum  praedulci  cantu  scrutator  aquarum 

Aure  soporata  medium  delapsus  in  aequor, 

Surgitis,  et  victis  ad  cantus  plauditis  alis. 

Scylla  silet,  rapidi  ponunt  ad  carmina  venti, 

Et  mitis  natura  feris,  rabiemque  luporum 

Mulcet,  et  arctatas  cohibet  cava  fistula  malas. 

Silva 


APPENDIX.  NO  LVIII.  317 

Silva  comas  praebet,  venit  cum  frondibus  Echo, 
Reddita  voxqiie  illi  est,  et  fari  posset,  ad  istas 
Sed  potius  voces  omni  vult  ore  tacere  ; 
Cornigeri  nudam  nee  prendimt  Dorida  Panes. 
Hos  inter  coetus  plectri  modulamine  capta, 
Adque  tuum  nomen  versis  Tritonia  cristis, 
Laurenti,  aethereae  plaga  qua  candentior  orae 
Parte,  nitet,  labi  visa  est,  non  Gorgonis  atrae 
Concutiens  vultus,  stillantiaque  arma  cruorem, 
Sed  Dea  flaventes  foliis  pacalis  olivae 
Intertexta  comas,  laetis  quas  Gloris  in  hortis 
Docta  pinxit  acu  :  summo  de  vertice  in  armos 
Nunc  lapsi  ludunt  flores,  nunc  frontis  oberrant 
Marginibus,  tremulum  medios  internatat  aurum, 
Multicoltor  radiatque  lapis,  neve  aura  capillos 
Spargeret,  in  nodum  filis  religaverat  auri. 
Sic  Dea  lapsa  polo,i  laetis  sic  adstitit  aris  : 
Stridentes  dant  signa  foci,  meliorque  per  urbem 
Plausus  abit,  variis  sparguntur  floribus  arces, 
Et  rebus  mutatur  honos.     Prius  apta  palaestrae, 
Nocturnis  melius  nunc  ardetoliva  lucernis, 
Quaeque  erat  undosas  toties  passura  procellas, 
Et  factura  vagis  pontem  super  aequora  nautis, 
Fissilis  edoctos  abies  aptatur  ad  usus. 
Non  tuba  nunc,  non  castra  movent,  nee  casside  malas 
Atterit,  aut  duros  exercet  Diva  labores  ; 
Laetior  ingenuis  sed  se  nunc  artibus  infert, 
Certatusque  virum,  et  Medicis  dignatur  honores. 
Ponite  jam  luctus,  lamentaque  tristia,  Pisae  : 
Hue  rnelior  fortuna  redit,  veteremque  malorum 
Jam  pensare  juvat  faciem  ;  felicior  aetas 
His  permissa  locis.     En  mixto  hinc  inde  tumultii 
Facundo  innumerae  miscentur  milite  pugnae. 

VOL.  III.  T  t  Vobis 


318  APPENDIX.  N«  LVIII. 

Vobis  loiigiis  honos ;  nee  enim  dilecta  Minervac 

Ulla  magis  teilus,  hac  permutaret  Athenas, 

Si  starent,  numquamque  aliis  babitabit  in  oris, 

Deque  ullis  capiet  non  thura  libentius  aris. 

Vivite,  et  in  longas  aevum  traducite  metas-, 

Neve  Fluentinas  umquam  mutetis  habenas. 

Nobile  servitium  magno  parere  Leoni  est. 

At  vos,  o  juvenes,  quorum  praecordia  pulcrae 

Laudis  inardescunt  cumulis,  et  per  vaga  mundi 

Nubiia  sidereos  conscenderc  quaeritis  axes. 

His  mecum  properate  choris,  gratesque  feramus 

Usque  meo  Medici  ;  rebus  venerandaque  multis 

Tu  Pallas,  superis  et  qui  regnatis  in  oris, 

Vos  virides,  Stygiique  omnes,  quique  antra  tenetis^ 

Et  siivas,  et  stagna  Dei,  Indigetesque,  Laresque, 

Vitales  densate  colos,  dextramque  tenete 

Atropos,  et  juveni  plenos  extendite  fusos. 

Tuque  omni  dilecte  Deo,  de  Pleiade  nate, 

Qui  plectro  majore  sonas,  hunc  cantibus  effer, 

Hunc  superis  ostende  tuis,  laudunique  suaruni 

Agmina  cognatam,  Cylleni,  prefer  ad  Arcton. 

Me  quoque  jam  fessum,  quique  ad  tua  carmina  victam 

Pono  cheiym,  sua  facta  doce,  et  pendentis  ab  orc 

Usque  tuo  nostrae  Libethridos  instrue  mentem. 

Mox  ego,  Dive  veils,  tunc  quum  fidentior  altis 

Per  mare  curret  aquis,  flatuque  vehetur  amico 

Cymba,  coronatis  lauro  Peneide  rostris, 

Illi  dona  feram,  et  libamina  prima  dicabo. 

Haec  ego  ;  turn  casto  risit  Tritonia  vultu, 

Mentem  fassa  suam,  risit  qua  parte  fugatas 

Adspexi  nubes,  ocuiisque  recanduit  aer. 

Sic  magis  incussis,  et  prono  vertice  nervis, 

Et  subito  metis  Caducifer  annuit  alis, 

§ig;naque  de  laeto  fecere  tonitrua  caelo. 


APPENDIX.  NO  LIX.  319 

NO  LIX. 

Laurentio  cle^  Medicis  Florentiae, 
Angelus  Politianu.^, 

MaGNIFICE  Domine,  &c.  Mona  Clarice  sta  bene^ 
et  cosi  tucta  questa  brigata.  Qui  non  sera  ancom  udito 
nulla  del  roniore  cccorso,  del  quale  ne  ha  per  questo 
medesimo  apportatore  dato  adviso  ad  me  il  Franco, 
che  ci  ha  levata  ogni  sospitione,  perche  ci  sia.mo  assai 
fondati  in  sulla  sua  lettera,  che  Mona  Clarice  dubitava 
non  fussi  la  cosa  piu  grave,  et  che  voi  de  industria  V 
allegerissi.  In  somma  e  restata  di  buona  voglia,  et 
acquievit. 

A    noi    non    manca    nulla  ;  et    solamente   habbiani© 

passione    delle  molestie  vostre,  che    sono    pure    troppe. 

Iddio  ci  adjutera.  Spes  enim  in  vivis  est,  desperatio 
mortui. 

Vorrebbe  Mona  Clarice,  che  quando  costa  non 
haves&i  troppo  bisogno  di  Giovanni  Tornabuoni,  lo  ri- 
mandassi  in  qua,  che  gli  pare  esser  sola  sanza  epso, 
et  per  ogni  rispetto  gli  pare  sia  a  proposito  la  stanza  sua 
qui. 

lo  attend©  a  Piero,  e  sollecitolo  a  scrivere  ;  et  in 
pochi  di  credo  vi  scrivera,  che  voi  vi  maraviglierete, 
che  habbiamo  qua  un  maestro,  che  in  quindici  di  in- 
segna  a  scrivere,  et  fa  maraviglie  in  questo  mestiero. 
E  fanciulli  s'  attendono  a  vezzeggiare   piu   che  1'  usato, 

et 


320  APPENDIX.    NO  LIX. 

et  sono  tutti  rifatti.  Iddio  ajuti  loro  e  voi.  Piero  non 
si  spicca  mai  da  me,  o  io  da  lui.  Vorrei  esservi  a  propo- 
sito  in  maggiori  cose  ;  ma  poiche  mi  tocca  questo,  lo 
faro  volentieri.  Rogo  tamen,  ut  aliquid  aut  litterarum 
aut  nimtii  hue  perlatum  iri  cures,  desque  operam,  ne 
quidquid  est  in  me  auctoritatis,  patiaris  xolescere,  quo 
et  puerum  facilins  in  officio  teneam,  et  -  eo  munere,  ut 
par  est,  defungar.  Sed  haec  si  commoaum  ;  sinminus, 
quod  sors  feret,  feremus  aequo  animo.  State  di  buona 
voglia,  et  fate  buono  animo,  che  e  grandi  uomini  si  fan- 
no  nelle  adversita.  Durate,  et  vosmet  rebus  servate 
secundis.  Raccomandomivi.  Pistorii  die  26.  Augusti 
1478. 


Magnifice  mi  patrone.  Desidero  assai,  che  la  Mag- 
nificentia  Vostra  non  si  sia  turbata  d'  una  mia  li  scripsi 
stamani  dettatami  dalla  passione,  la  quale  ho  non 
d'  altro,  che  di  non  potere  havere  patientia.  Spero  in 
bonam  partem  acceperis,  rebusque  nostris  prospectum 
curabis. 

Mona  Clarice  vi  manda  tre  fagiani,  et  una  starna. 
Dice  ne  habbiate  cura,  come  ne  venissimo  da  nemici : 
perche  non  sa  chi,  o  quale  sia  questo  apportatore,  il 
quale  e  il  padre  del  ragazzo  vostro,  che  ruppe  ia  gamba, 
cavallaro  di  Pistoja. 

Per  costui  vi  mando  e  consiglj  di  Messer  Bartolom- 
meo  Sozzini.  Hoili  sollecitati  a  ogni  hora,  et  trovato 
li  scriptorl  ;  et  elli  ancora  vi  ha  usata  diligentia  somma. 
Ma  non  si  e  potuto  far  piu  presto. 

Piero 


APPENDIX.  NO  LIX.  32 \ 

Piero  sta  bene,   et  io  li  ho  grancUssima    cura.     Cosi 

tutti    li  altri    sono    sani.  Governiamoci   il    meglio  pos^ 

samo,  ma  a  me   toccano  tutte  le   botte,  pure  te    propter 
Lybicae,  &c. 

Io  aspetto  con  desiderio  novelle,  che  la  moria  sia 
restata  per  il  sospetto  ho  di  voi,  et  per  tornare  a  servire 
voi,  che  con  voi  volevo  et  credevomi  stare.  Ma  poiche 
voi,  o  piu  tosto  la  mia  mala  sorte  mi  ha  assegnato  questo 
grado  appresso  di  Vostra  Magnificenza,  Io  sopportero, 
quamvis  durum  nee  levius  fit,  patientia.  Raccomandomi 
a  V.  M.  Pistorii  die  24.  Augusti  1478. 


Magnifice  mi  Domine.  Tutta  questa  vostra  bri- 
gata  sta  bene  :  Piero  studia  cosi  modice,  et  ogni  di 
andiamo  a  piacere  per  la  terra  :  visitiamo  questi  horti, 
che  ne  e  piena  la  citta,  et  qualche  voita  la  libreria  di 
Maestro  Zambino,  che  ci  ho  trovate  parecchie  buone 
cosette  et  in  Greco  et  in  Latino.  Giovanni  se  ne  va 
tutto  il  di  in  sul  cavallino,  et  tirasi  drieto  tutto  qucisto 
popolo.  Mona  Clarice  si  porta  molto  bene  :  piglia 
pero  poce  piacere,  se  non  delle  .  novelle  buone  si  seh- 
tono  di  costri.  Poco  esce  di  casa.  Non  ci  manca  in 
effetto  nulla.  Non  si  accepta  presenti,  da  in  sal  ate, 
fichi  et  qualche  fiasco  di  vino,  o  qualche  beccafico,  o 
simili  cose  infuori.  Questi  ciptadini  ci  porterebbero 
acqua  cogli  orecchi  ;  et  da  Andrea  Panciatichi  siamo 
trattati  tanto  amorevolmente,  che  tutti  ci  pare  esserli 
obbligati.  In  effetto  a  ogni  cosa  di  qui  sa  1'  occhio. 
Et-  gia    si    comincia  a  far   buona    guardia    alle    porte. 

Attendete 


S22  APPENDIX.    NO  LIX. 

Attendete  aiK:ora  voi  a  darvi  buon  tempo,  et  vinc^'e  ; 
et  quando  si  puo,  venite  a  vedere  questa  Aostra  brigata, 
che  vi  aspetta  a  man  giunte.  Raccomaiidomi  a  V.  M. 
Pistorii  31.    August!    1478. 


Magnifice  Domine  mi.  Mona  Clarice  s'e  sentita 
da  hiersera  in  qua  un  poco  chiuccia  :  scrive  lei  a  Mona 
Lucretia,  che  dubita  di  non  si  sconciare,  o  di  non  ha- 
vere  il  male,  che  ebbe  la  donra  di  Giovanni  Torna- 
buoni.  Comincio  dopo  cena  a  giacere  in  sul  lettuccio. 
Stamani  si  levo  del  letto  tardi.  Desino  bene  ;  et  doppo 
desinare  se  tornata  a  giacere.  Qui  sono  con  lei  queste 
donne  de  Panciatichi,  che  e  nnolto  intendente.  Dicemi 
Andrea,  che  ella  gli  ha  decto,  che  Mona  Clarice  non 
e  sanza  pericolo  di  sconciarsi.  M'  e  paruto  d'  avvisarvi 
di  tutto.  Dicono  pero  tutte  queste  donne,  che  credono 
non  hara  male.  Lei  a  vederia  non  mostra  altro  segno  di 
malata,  nisi  quod  cubat,  et  quod  paullo  commotior  est, 
quam  consuevit. 

Piero  ando  incontro  stamattina  a  questo  Signore, 
et  fu  il  primo.  Disse  poche  parole  nella  sentenza  gli 
scrivete ;  et  molto  bene.  El  Signore  solo  mise  in- 
nanzi,  et  cosi  entro  in  Pistoja.  Mona  Clarice  gli  pre- 
sento  un  bel  mazzo  di  starne  :  stasera  andremo  a  visitarlo 
alle  22.  hore,  che  siamo  hora  a  hore  19.  Fe  compagnia 
a  Piero  GJovanni  Tornabuoni  :  et  lui  riprese  le  parole 
di  Piero.  Mostra  questo  Illmo  Sig.  secondo  dicone 
questi  sui,  di  venire  con  una  voglia  troppo  grande  di  farsi 
honore,  et  di  satisfare  a  cotesta  Excelsa  Signoria  et  max- 
ime  alia  V.  M. 

Clarice 


APPENDIX.  NO  LIX.  323 

Clarice  vi  manda  non  so  quante  starne  gli  sono 
state  donate,  poiche,  presento  qucsto  Signore.  In  staro 
intento  a  quanto  seguira  ;  et  in  quello  sapro,  faro  niio 
debito,  e  di  tutto  avvisero  V.  M.  la  quale  Iddio  conservi. 
Raccomandomivi.     Pistovii  die  7.  Septembris  1478. 


NO   LX. 


j^ngelus   rolhianus. 


Magnificae  Dominae  Lucretiae  de  Medicis  Florentiat. 

JVIaGNIFICA  Domina  mea.  Le  novelle,  che  noi 
vi  possiamo  scrivere  di  qui,  sono  queste.  Che  noi 
habbiamo  tanta  acqua,  et  si  continua,  die  non  possia- 
mo uscir  di  casa,  et  habbiamo  mutata  la  caccia  nel 
giuoco  di  paila,  perche  e  funciulli  non  lascino  1'  exer- 
citio.  Giuchiamo  comunemente  o  la  scodella  o  il 
savore  o  la  came,  cioe  che  chi  perde  non  ne  mangi. 
E  spesso  spesso  quando  questi  miei  scolari  perdono, 
fanno  un  cenno  a  Ser  llumido.  Altro  non  ce  che 
scrivetvi  per  ora  di  nostre  novelle.  lo  mi  sto  in  casa 
al  fuoco  in  zoccoli  et  in  palandrano,  che  vi  parrei  la 
malinconia,  se  voi  mi  vedessi :  ma  forse  mi  pajo  io  in 
ogni  modo,  et  non  fo,  ne  veggo,  ne  sento  cosa  che 
mi  dllecti,  immodo  mi  sono  accorato  per  questi  nostri 
casi.  Et  dormendo  et  vegliando  sempre  ho  nel  capo 
questa  albagia.  Eravamo  due  di  fa  tutti  in  su  1'  ale, 
perche  intendemo  non  esser  costa  piii  moria  :  hora 
tutti  siamo  rimasti  basosi,  intendendo,  che  pur  va  piz- 
zicando  qualche  cosa.  Quando  siamo  costa,  habbia- 
mo 


324  APPENDIX.  NO  LX. 

mo  pur  qualche  refrigerio,  quando  non  fussi  mai  altro 
se  non  vedere  ritornare  Lorenzo  a  casa.  Qui  tuttavia 
dubitiamo,  et  d'  ognl  cosa :  et  quanto  a  me  vi  pro- 
metto,  che  io  aftogo  neli'  accidia,  in  tanta  solitudine 
mi  truovo.  Dico  solitudine,  perche  Monsignore  si 
rinchiude  in  camera  accompagnato  solo  da  pensieri,  et 
sempre  lo  truovo  addolorato,  et  mpensierito  per  modo, 
che  mi  rinfresca  piu  la  malinconia  a  essere  con  lui. 
Ser  Alberto  del  Malerba  tutto  di  biascia  ufficio  con 
questi  fanciulli  :  rimangomi  solo,  et  quando  sono  res- 
uicco  dello  studio,  mi  do  a  razolare  tra  morie  et 
guerre,  et  dolore  del  passato  et  paura  dell'  advenire  j  ne 
ho  con  chi  crivellare  queste  mie  fantasie.  Non  truovo 
qui  la  mia  Mona  Lucretia  in  camera,  colla  quale  io 
possi  sfogarmi,  et  muojo  di  tedio  :  quanto  allegeri- 
mento  ci  habbiamo,  sono  le  lettere  di  costa,  cioe  quelle 
del  Malerba,  che  pur  ci  ha  scripte  a  questi  di  delle 
novelle  ;  et  sovi  dire,  che  le  scrive  tutte  buone  per  V 
ordinario.  Et  noi  per  un  poco  ogni  cosa  ci  crediamo, 
tanto  habbiamo  voglia  che  sieno  vere.  Ma  si  convertono 
pur  poi  in  bozzachini  queste  susine.  Nientedimeno 
quanto  posso  io  per  me,  mi  vo  armando  di  buona  speranza, 
et  a  ogni  cosa  m'appicco  per  non  irne  cosi  al  primo  tratto 
in  fondo. 

Altro  non  ho  che  scrivervi.     Raccomandomi  a  V.  M. 
Ex  Cafagiolo  die  18.  Decembris  1478. 


APPENDIX.  NO  LXI.  335 


NO  LXI. 

Laurentio  Medici  Florentiae, 

Clarice  Ursini, 

JVlAGNIFICE  Conjux  ec.  Intendo  costi  la  morig. 
far  danno  piii  che  Tusato.  Quanto  possono  e  prieghi 
di  vostra  donna  et  figliuoli  vi  exorto  a  dovervi  guardare, 
et  anche  se  possete  con  riguardo  di  qui  venire  a  vedere 
queste  feste,  ci  sara  consolatione.  El  tutto  rimetto  in 
vostra  prudentia.  Harei  caro  non  essere  in  favola  del 
Francho,  come  fu  Luigi  Pulci,  ne  che  Messer  Agnolo 
possa  dire  che  stara  in  casa  vostra  a  mio  dispetto  ;  et 
anche  1'  habbiate  facto  mettere  in  camera  vostra  a 
Fiesole.  Sapete  vi  dissi,  che  se  volevi  che  stessi,  ero 
contentissima,  e  benclie  habbia  patito,  che  mi  dica 
mille  villanie,  se  e  di  vostro  consentimento,  sono  pa- 
tiente,  ma  non  che  lo  possa  credere.  Credo  bene  che 
Ser  Niccolo  per  voler  fare  pace  con  lui,  me  habbia 
tanto  sollecitata.  E  fanciulli  sono  tutti  sani,  et  hanno 
voglia  di  vedervi,  et  maxime  io,  che  non  ho  altro 
struggimento  che  questo,  habbiavi  a  star  costi  a  questi 
tempi.  Sempre  a  voi  mi  raccomando.  In  Cafaggiolo 
28.  Mail  1479. 


NQ  LXII. 
Ricordi  di  Lorenzo, 

A  Di  19.  di   Maggio    1483.  vemie  la  niiova,  che  el  Re 

di   Francia   per    se   medesimo   aveva  data    la   Badia    di 

VOL.  III.  u  u  Fonte 


326  APPENDIX.    NO  LXII. 

Fonte  Dolce  a  Giovanni  nostro.  A  di  31.  venne  la 
nuova  da  P».oma  ch'  el  Papa  gliel  aveva  conferita,  et 
factolo  abile  a  tenere  benefizj  sendo  d'  anni  7.  die  Icr 
fece  Protonotario.  A  di  1.  Giiigno  venne  Giovanni 
nostro  a  Firenze  dal  Poggio,  et  io  in  sua  compagnia  ; 
giunto  qui  fu  cresimato  da  Monsig.  nostro  d'  Arezzo, 
et  datali  la  tonsura,  et  fu  chiamato  Mess.  Giovanni. 
Feronsi  le  predette  cerimonie  in  cappella  di  casa.  La 
sera  poi  si  torno  al  Poggio.  A  di  8.  Giugno  detto 
venne  Jacopino  cornere  di  Francia  sulle  12.  ore  con 
lettere  del  Re,  che  haveva  dato  a  Mess.  Gio.  nostro 
1'  Arcivescovado  di  Hayx  in  Provenza,  et  a  vespro  fu 
spacciato  el  fante  per  Roma  per  questa  ragione  con 
lettere  del  Re  di  Francia  al  Papa  et  Card,  di  Macone, 
et  al  Co.  Girolamo,  che  in  quest'  ora  medesima  se  gli 
sono  mandate  per  il  Zenino  corriere  a  Furli.  Dio 
mandi  di  bene.  A  di  11.  torno  el  Zenino  dal  Co. 
con  lettere  al  Papa  et  S.  Giorgio,  et  spacciaronsi  a 
Roma  per  la  posta  di  Milano.  Dio  mandi  di  bene. 
In  questo  di  medesimo  dopo  messa  in  cappella  di  casa 
si  cresimarono  tutte  le  fanciulle  di  casa  et  fanciugli  da 
M.  Giovanni  in  fuori.  A  di  15.  a  ore  8.  di  notte 
venne  lettere  da  Roma,  che  il  Papa  faceva  difficulta 
di  dare  1'  Arcivescovado  a  Mess.  Giovanni  per  la  eta, 
et  subito  si  spaccio  el  fante  medesimo  al  Re  di  Fran- 
cia. A  di  20.  venne  nuova  de  Lionetto  che  V  Arci- 
vescovo  non  era  morto.  A  di  1.  Marzo  1484.  mori 
1'  Abute  di  Fasignano,  et  spacciossi  una  cavalcata  per 
stafietta  a  Messer  Gio.  d'  Antonio  Vespucci  Imbascia- 
tore  a  Rcma,  che  facessi  opera  col  Papa  della  detta 
Abbadia  per  Messer  Gio.  nostro.  A  di  2.  se  ne  prese 
la  tenuta  col    segno  della   Signoria  per  vigore  della  re- 

servatione, 


APPENDIX.    NO  LXII.  327 

servatione,  che  ne  aveva  fatta  Papa  Sixto  a  Mess.  Gio- 
vanni confermata  da  Innocenzio  nella  gita  di  Piero  nostro 
a  Roma  a  dare  ubbidienza. 


NO  LXIII. 

Alexandri  Braccii,  dcscrijitio  Horti  Lcuirentii  Afedicis, 

Ad*  CL  Equitem  Venetian  Bernardum  Bembum. 

IN  E  me  forte  putes  oblitum,  Bembe,  laboris 

Propositi  nuper  cum  Meliore  mihi, 
Decrcvi  Mediciim  quaecumque  legantur  in  horto 

Scribere,  quod  Melior  non  qiieat  ille  tuus. 
Prodeat  in  campum  nunc,  et  se  carmine  jactet, 

Namque  mihi  validas  sentiet  esse  manus ; 
Cumque  viro  forti,  cum  bellatore  tremendo, 

Miiite  cum  strenuo  praelia  saeva  geret ; 
Victorique  dabit  victus  vel  terga  potenti, 

Me  vocitans  clarum  magnanimumque  ducem, 
Vei  captiva  meos  augebit  praeda  triumphos, 

Afferet  et  titulos  Crescia  paima  novos. 
Nunc  hortus  qui  sit  Medicum  placido  accipe  vultij^ 

Perlege  nunc  jussu  carmina  facta  tuo  ; 
Villa  suburbanis  felix  quern  continet  arvis, 

Caregio  notum  cui  bene  nomen  inest. 
Non  fuit  hortorum  Celebris  tam  gloria  quondam 

Hesperidum,  jactet  fabula  plura  licet. 
Regis  et  Alcinoi,  forti sque  Semiramis  horti 

Pensilis,  aut  Cyrum  quem  coluisse  ferunt, 
Quam  nunc  est  horti  Laurentis  gloria  nostri, 

Inclyta  fama,  decus,  nomina,  cultus  honor. 

Heic 


328  APPENDIX.  N^  LXIII. 

Heic  ole^  est  pallens,  Bellonae  sacra  Minervac, 

Et  Veneri  myrtus,  aesculus  atque  Jovi. 
Heic  tua  frons  est,  qua  sese  Thirintius  heros 

Cinxit  honoratum,  popule  celsa,  caput. 
Est  etiam  platanus  vastis  ita  consita  ramis, 

Illius  ut  late  protegat  umbra  solum. 
Heic  viridis  semper  laurus,  gratissima  Phoebo, 

Qua  meriti  vates  tempoi-a  docta  tegunt. 
Ante  Mithridatis  quam  nondum  Roma  triumphum 

Videret,  hoc  surgit  hebanus  ampla  loco. 
Heic  piper,  et  machir,  gariophilon,  assaron,  ochi> 

Mellifluens  nardum,  balsama,  myrrha,  lothon, 
Intubus  est  etiam,  therebinthus,  casia,  cedron, 

Heic  et  odoratus  nobilis  est  calamus. 
Tus  quoque  fert  sacrum  superis  heic  terra  Sabaeum, 

Fert  cythisum,  clarum  laudibus  Ant'ochi. 
Est  abies,  pinus,  buxus,  viridisque  cupressus, 

Nascitur  heic  quercus,  robora,  taeda,  larix. 
Est  suber,  est  cerrus,  fagus,  quin  carpinus,  ilex, 

FraxiuLis,  et  quidquid  silva,  nemusque  ferunt. 
Svmt  ulmi,  salices,  dumi,  fragilesque  genistae, 

Sambucusque  levis,  sanguineusque  frutex. 
Cornus,  lentiscus,  terrae  quoque  proxima  fraga, 

Praedulces  siliejuae,  castaneaeque  nuces. 
Sunt  et  quae  Romae  dederat  tua  poma  Lucullus, 

Cerase,  mora  rubens,  acida  sorba,  juglans, 
Heic  et  Avellanae  sunt  appia  mala,  pyruraque 

Omnigenum,  ficus,  persica,  chrysomila. 
Punica  mala,  et  cotona,  cidoneumque  volemum, 

Turbaque  prunorum  vix  numeranda  subit. 
Vicia,  panicumque,  fabae,  farrago,  lupinum, 
Pisa,  cicer,  milium,  far,  triticumque  bonum, 

Ervum, 


APPENDIX.  NO  LXIII.  329 

Ervum,  fasellus,  lens,  sisima,  oriza,  siligo, 

Tiphae,  similago,  sunt  aliae  segetes  ; 
Quin  cucumis,  melopepo,  cucurbita  longa,  papaver, 

Allia,  caepa  rubens,  porraque  cum  raphanis, 
Angurium,  coriander,  eruca,  nepeta,  et  anesum, 

Marubium  triste  est,  asparagusque  simul, 
Serpillum,  petroselinum,  amarathus,  onyx, 

Beta,  cicoreum,  brassica,  menta,  ruta. 
Quid  dicam  varias  uvas,  dulcesque  liquores, 

Quid  mage  sunt  suaves  Hectare,  melle,  sapa  ? 
Quid  violas  referam,  celseminos  bene  olentes, 

Quid  niveas  memorem  purpureasque  rosas  ? 
Cur  te,  Bembe,  moror  ?  sunt  lioc  plantata  sub  horto, 

Quidquid  habent  Veneti,  Tuscia  quidquid  habet ; 
Pomorum  species  hoc  omnis  frondet  in  horto, 

Hortus  et  hie  olerum  fert  genus  omne  virens. 
Heic  florum  poteris  cunctorum  sumere  odores, 

Heic  si  tu  quaeras,  omne  legumen  erit. 
Haec  nos  pauca  tibi  de  multis  scripsimus,  at  quum 

Plura  voles,  mehus  lumine  cuncta  leges  ; 
Lustrabisque  oculis  exceisa  palatia  regum 

Instar,  et  egregia  quaeque  notanda  tuis. 
Nam  si  cuncta  velim  perstringere  versibus,  o  quam 

Difficile  ;  atque  audax  aggrederemur  opus. 


NO  LXIV. 

Instruzioni  date  a  Piero  ck  Lorenzo  de'  Medici. 
Mella  gita  di  Roma  a  d)  26.  di  J^Tovembre  I4S4. 

X  ER  Siena  avrai  solamente  tre  lettere  di  credenza, 
a  Messer  Paolo  di   Gherardo,  una  a   Messer  Cristofano 

di 


una 


350  APPENDIX.   NO  LXIV. 

di  Guido,  e  uila  a  Messer  Andrea  Piccolomini,  i  quali 
essendo  in  Siena  visiterai  a  casa  loro,  e  date  le  lettere 
di  credenza,  mi  raccomanderai  alle  Magnificenze  loro, 
usando  le  medesime  parole  quasi  a  tutti  e  tre,  et  in 
questo  effetto  ;  che  andando  tii  a  Roma,  vai  a  questi 
Ambasciatori,  et  avendo  a  passar  per  Siena,  ti  commissi 
visitassi  le  loro  Magnifies; nze,  alle  quali  avendo  io  affezi- 
one  e  reverenza,  come  a'  padri,  ho  voluto  conoschino 
ancor  te,  e  ti  conoschino  in  luogo  di  iisrliuolo,  e  pos- 
sinti  comandare  in  ogni  tempo  e  luogo,  come  potre'io, 
perche  non  altrimenti  gli  obbedirai,  e  che  potendo  loro 
disporre  di  tutte  le  facolta,  stato,  e  fieliuoli  mia,  tale 
quale  tu  se',  ti  presenti  loro  come  )or  cosa,  e  cosi  ne 
disponghino  ad  ogni  loro  beneplacito.  In  questi  eiTetti 
userai  le  parole  tue  bene  accomodate,  naturali  et  non 
forzate,  et  non  ti  curare  di  parere  a  costoro  troppo  dotto, 
usando  termini  umani,  dolci  e  gravi,  e  con  costoro,  e  con 
ciascun  altro. 

Avrai  la  lista  n'  alcuni  cittadini  Sanesi,  i  quali 
avendo  tempo,  a.ncora  visitai,  usando  le  parole  e  gli 
eiTetti  sopradetti^  et  offerendo  mc  coei  ai  tre  di  scpra, 
come  agli  altri  per  la  conscrvazione  del  loro  stato,  per 
lo  quale  farei,  come  per  lo  mio  proprio>  massime  per- 
che tutta  la  citta  nostra  general.mente  e  in  questa  dis- 
posizione,  offerendomi  e  raccomandandomi  a  ci^s- 
cuno. 

Ne'  tempi  e  luoghi,  dove  concoiTeranno  gli  altri 
giovani  degl'  Imbasciatori,  portati  gravemente,  e  cos- 
tumatamente,  e  con  umanita  verso  gli  altri  pari  tuoi, 
guardandoti  di  non  preceder  loro  se  fossino  di  piu  eta 
di    te,    poiche    per    esser   mio   figliuolo,    non    sei    pero 

altro, 


APPENDIX.  NO  LXIV.  331 

altro,  che  cittadino  di  Firenze,  come  sono  ancor  loro, 
ma  quando  poi  parra  a  Giovanni  di  presentarti  al  Papa 
separatamentC;  prima  informato  bene  di  tutte  le  ciri- 
monie,  che  si  usano,  ti  presenteria  alia  Sua  Santita,  et, 
baciata  la  lettera  mia  che  avrai  di  credenza  al  Papa, 
supplicherai,  che  si  c^egni  leggerla,  e  quando  ti  toc- 
chera  poi  a  parlare,  prima  mi  raccomandcrai  a'  piedi 
di  Sua  Beatitudine,  e  diragli,  che  io  conosco  molto 
bene,  ch'  era  obbligo  mio  personalmente  conferirmi  a 
piedi  di  Sua  Beatitudine,  come  feci  alia  Santissima 
memoria  del  Predecessore  di  quella  ;  ma  spero  in 
quella  per  umanita  sua  mi  avera  per  scusato,  perche  in 
quel  tempo,  che  andai  a  Roma,  potevo  lasciare  a  casa 
mio  fratello,  ch'  era  di  qualita  di  poter  supplire  molto 
bene  in  mia  assenza  ;  al  presente  non  posso  lasciare  a 
casa  uomo  di  piu  eta  autorita,  che  sei  tu,  e  pero  credo 
non  sai-ebbe  grato  a  Sua  Santita,  che  io  avessi  preso 
partito  di  andarvi,  ma  che  in  mio  luogo  ho  mandato 
te,  non  mi  parendo  di  poter  fare  maggior  segno  del 
desiderio  che  avrei  d'  esser  andato  in  persona.  Ho 
mandato  te  oltre  ie  altre  ragioni,  perche  tu  cominci  a 
buon'hora  a  conoscer  la  Sua  Beatitudine  per  Padre  e 
Signore,  at  abbi  cagione  di  continuare  in  questa  devo- 
zione  piu  lungo  tempo,  nella  quale  nutrisco  anco  gli 
altri  mia  figliuoU,  i  quali  non  vorrei  avere,  quando 
non  fossino  di  questa  disposizione.  Appresso  farai 
intendere  a  Sua  Santita,  come  io  ho  fermo  proposito 
di  non  mi  partir  mai  dai  comandamenti  di  quella,  per- 
che oltre  air  essermi  naturale  la  devozione  della  S. 
Sede  Apostolica,  a  quella  di  Sua  Beatitudine  mi  cos- 
tringono  molte  ragioni  et  obbligationi,  che  insino 
quando  era  in  minoribus  la  casa  nostra  aveva  con  la 
persona   di    quella :  oltre    di  questo  ho    provato    quanto 

dam:io 


333  APPENDIX.  NO  LXIV. 

danno  mi  sia  stato  il  non  avere  avuto  grazia  col  Pon- 
tefice  passato,  sebbene  a  me  pare  senza  mia  colpa 
aver  sopportate  molte-  persecuzioni,  e  piuttosto  per 
altri  mia  peccati,  che  per  altra  ingiuria  o  offesa  fatta 
alia  Sua  Santa  memoria.  Pura  lascio  questo  al  giu- 
dizio  degli  altri,  e  sia  come  si  vuole,  io  sto  in  fermo 
proposito  non  solamente  non  offendere  in  alcmia  cosa 
Sua  Beatitudine,  ma  pensare  il  di  e  la  notte  a  tutte  le 
cose,  che  stimi  potergli  esser  grate  :  et  cosi  facendo 
spero  V  allegrezza  e  contento,  che  ebbi  delP  assunzione 
di  Sua  Beatitudine  al  Pontificato,  doversi  lungo  tempo 
conservare  in  me,  suppUcando  umilmente  Sua  Beatitvi- 
dine,  che  si  degni  d'accettar  me,  e  voi  altri  mia  figliu- 
oli,  et  ogni  altra  mia  cosa  per  umiii  figliuoli  et  servi- 
tori  suoi,  et  conservarci  nella  sua  grazia,  massime 
perche  io  e  voi  ci  sforzeremo  con  V  opere  nostre  farci 
ogni  di  manco  indegni  della  grazia  di  Sua  Beatitu- 
dine. 

Appresso  farai  intendere  a  Sua  Santita,  che  aven- 
dogli  tu  raccomandato  me,  ti  sforza  I'amore  di  tuo 
fratello  raccomaadargli  ancor  Messer  Giovanni,  il 
quale  io  ho  fatto  Prete,  e  mi  sforzo  e  di  costumi  e  di 
lettere  nutrirlo  in  modo,  che  non  abbia  da  vergognarsi 
fragli  altri.  Tutta  la  speranza  mia  in  questa  parte  e 
in  Sua  Beatitudine,  la  quale  avendo  cominciato  a  fargli 
qualche  dimostrazione,  per  sua  umanita  e  clemenza, 
d'  amore,  e  che  noi  siamo  nella  sua  grazia,  suppli- 
cherai  si  degni  continuare  per  modo,  che  alle  altre  ob- 
bligazioni  della  casa  nostra  verso  la  Sede  Apostolica 
s'  aggiunga  questo  particolare  di  Messer  Giovanni  per 
i  benefizj  che  avra  da  S.  Beatitudine,  ingegnandoti 
con  queste   et    altre   parole    raccomandarglielo,    e   met- 

terglielo 


APPENDIX.  NO  LXIV.  333 

terglielo  in  grazia  piu  die  tu  puoi  ;  e  questo  mi  pare 
che  basti  col  Papa.  Harai  mie  lettere  di  credenza  per 
tutti  i  Cardinali,  le  quali  darai  o  no  secondo  parra 
a  Giovanni.  In  genere  a  tutti  mi  raccomanderai,  e 
dirai  come  tu  se'  ito  a  Roma,  perche  oltre  alia  servitu 
mia,  Loro  Reverendissime  Signorie  conoschino  in  chi 
lia  a  continovare  la  servitil  di  casa  nostra,  e  nossinti 
comandare  et  usare,  come  possono  tutte  1'  altre  mie 
cose,  offerendoti  ec.  Questo  farai  con  tutti  general- 
mente,  ma  in  specie  cogl'  infrascritti  quel  piu  che 
diro  appresso,  e  prima. 

Col  Cardinale  Visconti  dirai,  che  quando  mai  non 
fossi  Cardinale,  la  casa  nostra  ha  obbligationi  antique 
e  natural!  con  tutta  la  sua  Illustrissima  casa,  e  che  tu 
te  gli  dai  a  conoscere  per  mio  figliuolo,  naturale  Sfor- 
zesco,  e  vero  servitore  di  Sua  Signoria  Reverendissi- 
ma,  e  con  queste  condizioni  ti  comandi  sempre,  e  do- 
mesticamente  ti  tratti,  et  abbi  per  suo  servitore,  che 
cosi  nascon  tutti  quegli  di  casa  nostra. 

Col  Cardinale  d'Aragona  dirai  che  avendo  io  tutta 
la  mia  speranza  e  fede  nella  Maesta  del  Re  suo  padre, 
il  debito  tuo,  come  mio  figliuolo  e  di  presentarti  a  Sua 
Sig.  Reverendissima,  e  dartegli  per  servitore  ancora 
per  particolare  obbligo  che  abbiamo  con  Sua  Signoria 
Rma.  e  che  tu  e  gli  altri  mia  figliuoli  oltre  a  molti 
altri  benefizj  ricevuti  dalla  Maesta  del  Re,  non  dimen- 
ticherete  mai  quello  dell'  onore,  che  mi  fece  a  Napoli 
ultimamente,  e  dell'  avermene  rimandato  a  casa  nel 
modo  che  fece,  e  che  tu  pensi  molto  bene,  che  condi- 
zioni erano  quelle  di  voi  altri  mia  figliuoli,  quando 
fossi  seguito  altro,  e  pero  per  quest'  obbligo  massima- 
voL.  III.  :jv  X  mente 


SM  APPENDIX.  NO  LXIV. 

mente  Sua  Rma.  Signoria  e  tutti  gli  altri  figliuoU 
della  Maesta  del  Re  possino  venderti  Sc  impegnarti  e 
fame  in  eftetto  come  di  lor  cosa. 

Col  Cardinale  Orsino  dirai,  ch'  io  t'  ho  maftdato  la, 
perche  vegga  come  le  piante  di  casa  loro  provino  ne*^ 
terreni  nostri,  e  che  frutti  ci  fanno,  e  che  tal  qual  sono, 
ne  mando  le  primizie  a  Sua  Signoria  Rma.  e  sebbene 
tu  non  sei  degno  figliuolo  di  casa  Orsina,  pure,  come 
tu  sei,  vuoi  essere  servitore  di  Sua  Signoria  Rma.  alia 
quale  come  a  capo  della  casa  ti  presenti  pronto  e  dis- 
posto  in  quel  che  potrai  in  tutta  la  vita  tua,  a  pagar 
V  obbligo,  che  hai  con  quella  inclita  casa,  il  quale  non 
puo  esser  maggiore,  avendo  tu  avuto  da  quella  V  essere, 
e  per  questa  medesima  ragione  ti  par  dovere  impetrare 
da  Sua  Signoria  Rma.  come  capo  ec.  e  che  abbia  ad 
aver  cura  di  te,  e  tenerti  le  mani  addosso,  perche  dell' 
onore  8c  incarico  tuo  non  ne  harebbe  per  manco  parte 
S.  R.  S.,  che  io  tuo  padre,  raccomandogli  la  Clarice, 
e  tutti  gli  altri  tuoi  fratelli  e  sirocchie,  ec. 

Con  quel  Cardinali,  che  per  qualche  capo  fossero 
parenti  di  casa  Orsina,  come  credo  sia  Savelli,  Conti, 
e  Colonna,  userai  qualche  parola  piu  domestica,  mos- 
trando  che  oltre  agli  altri  obblighi,  che  intendo  io 
avere  con  loro  Rme.  Signorie,  e  questo,  che  Dio  ci 
ha  fatto  grazia,  che  siamo  parenti  delle  loro  indite 
case,  la  qual  cosa  reputiamo  tra'  maggiori  ornamenti 
della  casa  nostra.  A  Monsignore  nostro  1'  Arcives- 
covo  di  Firenze  mostrerai  tutta  questa  istruzione  prima 
che  cominci  ad  eseguirla  in  alcun  luogo  ;  la  quale 
secondo  V  eta  tua  e  molto  breve,  e  questo  nasce  perche 
ho  speranza,    che   Sua  Signoria  supplira,  come    meglio 

inform  ata 


APPENDIX.  NO  LXIV.  S3i 

informata  e  piu  piiidente,  certificandola,  die  io  non 
dico  questo  per  cerimonie,  ma  pel  vero,  e  pero  fa.piu 
e  manco  quello  che  ti  dira  Sua  Signoria,  come  se  io 
proprio  te  Io  dicessi.  Ad  ogni  modo  visiterai  tutti  quei 
Signori  di  casa  Orsina  che  fossero  in  Roma  usando 
ogiii  riverente  termine,  &  raccomandandomi  a  Loro 
Signorie,  &  oiferendoti  per  figliuolo  e  servitor  loro, 
poiche  loro  si  sono  degnati,  che  noi  siamo  loro  parenti, 
del  qual  obbligo  tu  sei  quello,  che  n'  hai  la  map:tior 
parte  per  essere  tanto  piu  degnamente  nato,  e  pero  ti 
sforzerai  giusta  tua  possa  di  pagarlo  almanco  con  la 
volonta.  Io  ti  mando  con  Giovanni  Tornabuoni,  il 
quale  in  ogni  cosa  hai  ad  obbedire,  ne  presumere  4i 
far  cosa  alcuna  senza  lui,  e  con  lui  portandoti  modesta- 
mente,  &  umanamente  con  ciascuno,  e  soprattutto 
con  gravita,  alle  quali  cose  ti  debbi  tanto  piu  sforzare, 
quanto  1'  eta  tua  Io  comporta  manco.  E  poi  gli  onori 
e  carezze,  che  ti  saranno  fatte,  ti  sarebbon  d'  un  gran 
pericolo,  se  tu  non  ti  temperi,  e  ricordati  spesso  chi 
tu  sei.  Se  Guglielmo  o  i  suoi  figliuoli  o  nipoti  venis- 
sero  a  verderti,  vedigli  gratamente,  con  gravity,  pero  e 
modo,  mostrando  d'  aver  compassione  delle  loro  con- 
dizioni,  e  confortandogli  a  far  bene,  e  sperar  bene  fa- 
cendolo.  Se  paresse  a  Monsig.  nostro  Arcivescovo, 
che  tu  ti  trasferissi  in  qualche  luogo  fuora  di  Roma 
per  visitare  qualche  Signore  di  casa  Orsina,  puoi  farlo, 
Sc  ubbidire  Sua  Signoria  in  questa  8c  in  ogni  altri  cosa, 
come  dico  di  sopra,  non  altrimenti  che  facessi  a  mc 
proprio.  A  Guglielmo  dirai,  che  avendogli  scritto  la 
Bianca  a  stanza  mia  e  di  Bernardo  Rucellai,  che  vogli 
compiacergU  del  Canonicato  di  Pisa  per  poter  fare 
eerta     commutazione     a    suo    proposito,     sia    contento 

farlo, 


S36  APPENDIX.  N^  LXIV. 

farlo  offerendogli  Bernardo  massime  di  salvarlo,  e  sicu- 
i*ar]^  in  quel  migiior  modo  che  sapra  chiedere,  stringen 
dolo  poi  con  le  parole  a  questo  effetto. 


NO  LXV. 
Ad  Archangelum  Vicentinum  Pair  em  et  Concanonicum* 

Quanta  ordine  Joannes  Medices   Cardinalatds  accefiit  insig- 
nia, 

JVIaXIMUS  annus  videri  tibi  potest,  ex  quo  ad  tc 
nil  scripsi,  Pater  Archangele,  et  mc  quidem  negligen- 
tiae  atque  torporis  etiam  accuso,  ut  facilius  veniain  a  te 
pronierear  ;  quam  si  non  dederis,  neque  censuram  tam 
formido,  quam  amo  amicissimam  et  aequissimam 
tuam.  Meo  tamen  ex  animo  efiiuere  nunquaiii  sane 
potuit,  neque  ullo  tempore  poterit  sancta  et  suavis- 
sima  recordatio  tui,  etsi  pepercerim  calamo  tam  diu, 
nulla  se  mi  hi  offe rente  vel  occasione,  vel  causa  scri- 
bendi.  Verum  me  dormientem  excivit  res  modo, 
quara  (ut  puto)  tu  libenter  Archangele  sis  auditurus : 
qui  non  parvam  vitae  partem  egisti  Fesulis,  et  inclytam 
Mediceorum  familiam  excoluisti,  illis  prope  vernacu- 
lus,  semperque  charissimus.  Res  plane  haec  est,  ut 
tibi  aliquanto  notescant,  quae  sunt  apud  nos  acta  quo 
die  Joannes  Medices,  Laurentii  magni  filius,  Cardinal- 
at"s  accepit  insignia:  cujus  rei  ordinem,  mysteria, 
plausus,  publicam  laetitiam,  liberalem  impensam,  lauta 
ambitiosaque  convivia  enumerare,  atque  describere 
facundissimi  Oratoris,  vel  Historici  opus  utique  sit  : 
'«ed     grandiloquo    aeque    Poetae    res    tanta    convenerit. 

Ego 


APPENDIX.  NO  LXV.  337 

Ego  ingenue  fateor,  me  a  tanto  facinore  vinci,  qui 
etiamsi  velim,  neque  rei  illustranclae  satis  posseni 
operae,  temporisque  navare,  sacris  quadragesimae 
sanctae  mysteriis  in  aliud  nie  revocantibus.  Verum 
enimvero  in  breviarum  quoddam  potlora  attamen 
stringam,  ne  palatum  incassum  tibi  exacuerim.  Cum 
itaque  Joannes  hie  Medices  quintumdecimum  aetatis 
annum  tantum  agens  Cardinalis  declaratus  est,  turn 
Pontifex  et  sacri  Patres  voluerunt  impuberem  ilium 
tanti  ordinis  administratione  insignibusque  ad  trienni- 
um  usque  carere  :  quo  tantisper  et  moribus  et  doctri- 
nis  coalesceret,  atque  proficeret,  et  viilute  ac  sapien- 
tia  mactus,  tanto  fastigio,  tantarumque  rerum  suscep" 
tione  dignus  evaderet.  Venit,  Deo  ilium  servante, 
optatus  hie  dies,  plenitudoque  triennii.  Suscepturus 
itaque  haec  ornamenta,  quae  diximus.  Pallium  scilicet, 
Biretum,  ardentem  Pileum,  desponsationis  Annulum, 
pridie  quam  talibus  iniciaretur,  ad  nos  post  meridiem 
Fesulas  conscendit,  parvo  suorum  admodum  comitatu, 
et  humili,  ac  simplici  cultu.  Postridie  affuit  mane 
Joannes  Picus  Mirandula  noster,  et  Jacobus  Salviatus 
Cardinalis  Sororius,  ac  Simeon  Staza  notarius :  cum 
quibus  hora  diei  circiter  sexta  de  cubiculo  egressus 
sacer  adolescens  templum  intravit.  Ubi  primum  in 
Virginis  laudem  (Sabbatum  enim  erat,  dies  Virgini 
vetere  religione  dicatus)  ritu  can  tuque  solenni  agl 
coepit  ea  res  sacra,  quam  vulgo  dicimus  Missam  :  in 
qua  cum  prius  sacrosanctum  ego  Domini  corpus  san- 
guinemque  libassem,  tum  ille  ante  Aram  in  genua 
flexus  concommunicavit  singulari  humilitate,  et  quan- 
tum agnosci  poterat,  devota  quidem  mcnte,  et  erccta 
semper  in  Deum.  Peracta  re  sacra  vestimenta  mox  a 
me  quoque    sunt   benedicta  :    postea  vero   sublata   manu 

builam, 


338  APPENDIX.  NO  LXV. 

bullam,  bfeveque  Pontificis  Maximi  tenens,  ilium  hunc 
in  modum  affatus  equidem  sum.  "  Quod  tibi  ecclesia 
"  sanctae  Dei  patriae,  Generique  tuo  foelix  salutare- 
"  que  sit,  hodie  Joannes  Medices  decursum  est  trien- 
"  nium  Cardinalatui  tuo  per  banc  bullam,  breveque 
*'  praefixum.  Legant  qui  volunt.  Servata  sunt  om* 
"  nia :  de  quibus  tu  Simeon  publicam  tabellam,  testi- 
«  moniumque  conficito."  Subinde  pallio  a  me  induc- 
tus  est,  ita  precante,  "  Induat  te  Deus  novum  homi- 
"  nem,  qui  secundum  Deum  creatus  est  in  justicia  et 
"  sanctitate  veritatis."  Biretum  denique,  Galerum, 
Annulumque  porrexi  his  rursum  cum  verbis,  "  Haec 
"  sunt  decora  dignitatis  subiimis  tuae  a  Sede  aposto- 
"  lica  tibi  tradita  atque  concessa :  quibus  quamdiu 
"  vixeris,  ad  Dei  laudem,  tuique  salutem  utinam  sem- 
"  per  utare."  Quibus  ita  pei^actis,  Hymnum,  "  Veni 
"  creator  spiritus,"  canoris  vocibus  ante  Aram  Fra- 
tres  cecinere.  Postremo  quantam  Cardinalis  singulus 
potest  indulgentiam,  elargitus  astantibus,  et  idem  visi- 
tantibus  altare  eodem  die  quotannis,  rediit  nobiscum 
in  domum.  Paulo  post  prandium  Petrus  frater  cum 
paucis  en  affuit,  delatus  sonipede  mirae  ferocitatis,  ac 
magnitudinis,  auratis  bracteis  quaque  fulgente.  A 
porta  interea  Sancti  Galli,  qua  itur  Fesulas,  tanta 
effusa  equitum  ac  peditum  manus,  ut  plena  undique 
via  nulli  contra  in  urbem  eunti  transitum  cederet. 
Quae  omnis  multitudo  sistere  jussa  est  ad  Munionis 
pontem,  nee  datum  uUi  quidem  cis  pontem,  amnem- 
que  transire.  At  vero  rebus  caeteris  ex  constituto  dis- 
positis,  descendit  ille  cum  fratre,  trajectoque  flumine 
exceptus  est  medius  inter  Pontifices,  Prothonotarios, 
alios  praelatos,  ac  primores  urbis  cives,  et  ambitiosissima 
pompa  deductus  in   urbem  per  viam   majorem,  quae  ad 

aedes 


APPENDIX.  NO  LXV.  339 

aedes  ducit  suas.  Qui  cum  pervenisset  ad  Virginis  Nun- 
tiatae  basilicam,  mula  descendens,  ad  illius  humiliter  se 
constravit  aram,  pro  se  orans  voce  summissa,  Inde  ad 
Divae  Liparatae  templum  profectus  pari  modo  sic  est 
opem  gratiamque  precatus  :  Denique  in  lares  se  recepit 
quos  habitat  suos.  Ubi  ferme  tota  in  unum  conspecta  est 
civitas  ita  frequens  ut  non  via  modo,  sed  fenestrae  et  tecta 
ipsa  vix  caperent  prospectantes.  In  sequentem  vero  noc- 
tem  jugis  in  plateis,  inque  turribus  et  pinnis  ignes  collu- 
centes  illuminarunt  veluti  diem,  et  conclamantium  vocibus 
ominifariisque  tinnitibus,  atque  crepitibus  aether  semper 
insonuit,  ut  obliti  sint  homines  somnos  hac  tanta  laetitia, 
inspectumque  sit  quanti  faciat  Reipublicae  servatorem  et 
columen  gratissima  civitas.  Haec  dixisse  extempore  sit 
mihi  satis  :  seriem  alius  copiosius  ornatiusque  conscrip- 
serit.  Vale  atque  ora  ut  ista  sint  fausta.  Fesulis  pridie 
idus  Martias. 


NO  LXYI. 

Lorenzo  de^  Medici  Padre, 
A  Messer  Giovanni  de^  Medici  Card. 

JVIESS.  Giovanni :  Voi  sete  molto  obbligato  a  Mess. 
Domenedio,  e  tutti  noi  per  rispetto  vostro,  perch^ 
oltra  a  molto  beneficj  8c  honori,  che  ha  ricevuti  la  casa 
nostra  da  lui,  ha  fatto  che  nella  persona  vostra  veggia- 
mo  la  maggior  dignita,  che  fosse  mai  in  casa ;  &  an- 
cora  che  la  cosa  sia  per  se  gi*ande,  le  circostantie  la 
fanno  assai  maggiore,  massime  per  1'  eta  vostra  8c 
conditione  nostra.  Et  pero  il  primo  mio  ricordo  e, 
chi  vi   sforziate   esser  grato  a  M.   Domenedio,  ricordan- 

dovi 


340  APPENDIX.  NO  LXVI. 

dovi  ad  ogn'  hora,  che  non  i  merlti  vostri,  prudentia 
o  sollecitudlne,  ma  mirabilmente  esso  Iddio  v'  ha  fatto 
Cardinale,  Sc  da  lui  lo  riconosciate,  comprobando 
questa  conditione  con  la  vita  vostra  santa,  esemplare, 
&  honesta,  a  che  siete  tanto  piu  obbHgato  per  havere 
voi  gia  dato  qualche  opinione  nella  adolescentia  vostra 
da  poterne  sperare  tali  frutriv  Saria  cosa  molto  vitu- 
perosa,  k  fuor  del  debito  vostro  Sc  aspettatione  mia, 
quando  nel  tem}X)  che  gli  altii  sogliono  acquistare  piu 
ragioiie  Sc  miglior  forma  di  vita,  voi  dimenticaste  il 
vostro  buono  instituto.  Bisogna  adunque,  che  vi  sfor- 
ziate  alleggerire  il  peso  della  dignita  che  portate,  vi- 
vendo  costumatamente,  et  perseverando  nelli  studj 
convenienti  alia  professione  vostra.  L'  anno  passato 
io  presi  grandissima  consolatione,  intendendo,  che 
senza  che  alcuno  ve  Io  ricordasse,  da  voi  medesimo  vi 
confessaste  piu  volte  et  communicaste  ;  ne  credo,  che 
ci  sia  miglior  via  a  conservarsi  nella  gratia  di  Dio,  che 
lo  abituarsi  in  simili  modi,  et  perseverarvi.  Questa 
mi  pai-e  il  piu  utile  et  conveniente  ricordo  che  per  lo 
prlmo  vi  posso  dare.  Conosco  che  andando  voi  a 
Roma,  che  e  s.entina  di  tutti  i  mali,  entrate  in  maggior 
difficulta  di  faro  quanto  vi  dico  do  sopra,  perche,  non 
solamente  gli  esempj  muovono,  ma  non  vi  mancheran- 
no  particolari  incitatori  et  corruttori ;  perche,  come  voi 
-potete  intendere,  la  promotione  vostra  al  Cardinalato, 
per  1'  eta  vostra  et  per  le  altre  conditione  sopradette, 
arreca  seco  grande  invidia,  et  quelli,  che  non  hanno 
potuto  impedire  la  perfetione  di  questa  vostra  dignita, 
s'  ingegneranno  sottilmente  diminuirla,  con  denigrare 
1'  opinione  della  vita  vostra,  et  farvi  sdrucciolare  in 
quella  stessa  fossa,  dove  essi  sono  caduti,  confidandosi 
molto  debba  lor  riuscire   per   1'  eta  vostra.     Voi  dovete 

tanto 


APPENDIX.  NO  LXVL  341 

tanta  piii  opporvi  a  queste  difficulta  qiianto  nel  Col- 
legio  hora  si  vede  manco  virtu  :  et  io  mi  ricordo  pure 
havere  veduto  in  quel  Collegio  buon  numero  d'  huomi- 
ni  dotti  et  buoni,  e  di  santa  vita :  peru  e  meglio  se- 
guire  questi  esempj,  perche  facendolo,  sarete  taiuo  piu 
conosciuto  et  stimato,  quanto  1'  altrui  conditioni  vi 
distingueranno  dagli  altri.  E'  necessario  die  fuggiate, 
come  Scilla  et  Cariddi,  il  nome  della  hipocrisia,  et 
come  la  mala  fama,  et  die  usiate  mediocrita,  sforzan- 
dovi  in  fatto  fuggire  tutte  l.e  cose,  che  oiVendono  in  di- 
mostrazione,  et  in  conversatione,  non  mostrcindo  aus- 
terita,  o  troppa  seveiitd  ;  che  sono  cose,  le  quali  col 
tempo  intenderete  et  farete  meglio,  a  mia  opinione, 
che  non  le  posso  esprimere.  Voi  intenderete  di  quanta 
importanza  et  esempio  sia  la  persona  d'  un  Cardinale,  et 
che  tutto  il  mondo  starebbe  bene  se  i  Cardinali  fussino 
come  dovrebbono  essere  ;  perciocche  farebbono  sembre 
un  buon  Papa,  onde  nasce  quasi  il  riposo  di  tutti  i 
Christiani.  Sforzatevi  dunque  d'  essere  tale  voi,  che 
quando  gli  altri  fussin  cosi  fatti,  se  ne  potesse  aspet- 
tare  questo  bene  universale.  Et  perche  non  e  maggior 
fatica,  che  conversar  bene  con  diversi  huomini,  in 
questa  parte  vi  posso  mal  dar  ricordo,  se  non  che 
■y'  ingegnate,  che  la  conversatione  vostra  con  gli  Car- 
dinali et  altri  huomini  di  conditione  sia  caritativa  et 
senza  offensione  ;  dico  misurando  ragionevolmente,  et 
non  secondo  1'  altrui  passione,  perch^  moiti  volendo 
quello  che  non  si  dee,  fanno  della  ragione  ingiuria. 
Giustificate  adunque  la  conscientia  vostra  in  questo, 
che  la  conversatione  vostra  con  ciascuno  sia  senza 
offensione  ;  questa  mi  pare  la  regola  generals  molto  a 
proposito  vost  o,  perche  quando  la  passione  pur  fa 
qualche  inimico,  come  si  partono  questi  tali,  senza 
VOL.  tii.  Y  y  ragione, 


342  APPENDIX.  NO  LXVL 

ragione,  dalP  amicitia,  cosi  qualche  volta  tornano  facil- 
mente.  Credo  per  questa  prima  andata  vostra  a  Roma 
sia  bene  adoperare  piu  gli  orecchi  che  la  lingua.  Hog- 
gimai  io  vi  ho  dato  del  tutto  a  M.  Domenedio,  et  a  S. 
Chiesa ;  onde  e  necessario,  che  diventiate  un  buono 
Ecclesiastico,  et  facciate  ben  capace  ciascuno,  che 
amate  1'  onore  et  stato  di  S.  Chiesa,  et  della  Sede  Apos- 
tolica  innanzi  a  tutte  le  cose  del  mondo,  posponendo 
a  questo  ogni  altro  rispetto ;  ne  vi  manchera  m^odo 
con  questo  riservo  d'  ajutare  la  citta  et  la  casa  ;  perche 
per  questa  citta  fa  1'  vmione  della  Chiesa,  et  voi  dovete 
in  cio  essere  buona  catena,  et  la  casa  ne  va  colla  citta. 
Et  benche  non  si  possono  vedere  gli  accidenti  che  ver- 
ranno,  cosi  in  general  credo,  che  non  ci  habbiano  a 
mancare  modi  di  salvare,  come  si  dice,  la  capra  e  i 
cavoli,  tenendo  fermo  il  vostro  primo  presupposto,  che 
anteponiate  la  Chiesa  ad  ogni  altra  cosa.  Voi  siete  il 
piii  giovane  Cardinale  non  solo  del  Collegio,  ma  che 
fusse  mai  fatto  infino  a  qui ;  et  pero  e  necessario,  che 
dove  havete  a  concorrere  con  gli  altri,  siate  il  piu  sol- 
lecito,  il  piu  humile,  senza  farvi  aspettare  o  in  Cap- 
pella,  o  in  Concistoro,  o  in  Deputazione.  Voi  cono- 
scerete  presto  gli  piu  e  gli  meno  accostumati.  Con 
gli  meno  si  vuol  fuggire  la  conversatione  molto  intrin- 
seca,  non  solamente  per  lo  fatto  in  se,  ma  per  1'  opi- 
nione  ;  a  largo  conversare  con  ciascheduno.  Nelle 
pompe  vostre  lodero  piu  presto  stare  di  qua  dal  mode- 
rate che  di  la  ;  et  piii  presto  vorrei  bella  stalla,  et 
famiglia  ordinata  et  polita,  che  ricca  et  pomposa. 
Ingegnatevi  di  vivere  accostumatamente,  riducendo  a 
poco  a  poco  le  cose  al  termine,  che  per  essere  hora  la 
famiglia  et  il  padron  nuovo  non  si  pud.  Gioje  e  seta 
in  poche    cose    stanno  bene  a  pari   vostri.     Piu  presto 

qualche 


APPENDIX.  NO  LXVI.  845 

qualche  gentilezza  di  cose  antiche  et  belli  libri,  et  piu 
presto  famiglia  accostumata  et  dotta  che  grande.  Con- 
vitar  piu  spesso  che  andare  a  conviti,  ne  pero  superflua- 
mente.  Usate  per  la  persona  vostra  cibi  grossi,  et  fate 
assai  eseixitio ;  perche  in  cotesti  panni  si  viene  presto 
in  qualche  infermita,  chi  non  ci  ha  cura.  Lo  stato 
del  Cardinale  e  non  manco  sicuro  che  grande  ;  onde 
nasce  che  gli  huomoni  si  fanno  negligenti,  parendo  loro 
haver  conseguito  assai,  et  poterlo  mantenere  con  poca 
fatica,  et  questo  nuoce  spesso  et  alia  conditione  et  alia 
vita,  alia  quale  e  necessario  che  abbiate  grande  avver- 
tenza ;  et  piu  presto  pendiate  nel  fidarvi  poco,  che 
troppo.  Una  regola  sopra  1'  altre  vi  conforto  ad  usare 
con  tutta  la  soUecitudine  vostra  ;  et  questa  e  di  levarvi 
ogni  mattina  di  buona  hora,  perche  oltra  al  conferir 
molto  alia  sanita,  si  pensa  et  espedisce  tutte  le  fac- 
cende  del  giorno,  et  al  grado  che  havete,  havendo  a 
dir  1'  ufficio,  studiare,  dare  audientia  ec.  ve  '1  trovarete 
molto  utile.  Un'  altra  cosa  ancora  e  sommamente 
nesessaria  a  un  pari  vostro,  cioe  pensare  sempre,  et 
massime  in  questi  principii,  la  sera  dinanzi,  tutta 
quello  che  havete  da  fare  il  giorno  seguente,  acciocche 
non  vi  venga  cosa  alcuna  immeditata.  Quanto  al  par- 
lar  vostro  in  Concistorio,  credo  sara  piii  costumatezzaj 
et  piu  laudabil  modo  in  tutte  le  occorrenze,  che  vi  si 
proporranno,  riferirsi  alia  Santita  di  N.  S.  causando, 
che  per  essere  vol  giovane,  et  di  poca  esperientia,  sia 
piu  ufficio  vostro  rimettervi  alia  S.  S.  et  al  sapientissi- 
mo  giuditio  di  quella.  Ragionevolmente  voi  sarete 
richiesto  di  parlare  et  intercedere  appresso  a  N.  S.  per 
molte  specialita.  Ingegnatevi  in  questi  principj  di 
richiederlo  manco  potete,  et  dargliene  poca  molestia, 
che   di    sua   natura    il  Papa  e  piu  grato  a  chi  manco  gli 

spezza 


344  APPENDIX.   No  LXVL 

spezza  gli  orecchi.  Questa  parte  mi  pare  da  osservare 
per  non  lo  infastidire  ;  et  cosi  1'  andargli  innanzi  con 
cose  piacevoli,  o  pur  quaiido  accadesse,  richiederlo  con 
humilt  I  et  modeslia  doveri  sodisfargU  piu,  et  esser  piii 
secondo  la  natui-a  sua.     State  sano  :  di  Firenze. 


NO  LXVII. 

Laurentio  de^  Medicis  Florentiae* 
Servitor  Stefihanus,      Fabr,  x».  ii.  p,  296» 

JMaGNIFICO  Lorenzo.  Per  un'  altra  mia  scrittavi 
hiersera  la  M.  V.  hara  inteso  V  ordine  si  tenne  hier- 
mattina  qui  all'  entrare  di  Madonna  Duchessa.  Per 
questa  vi  ho  da  significare  come  questa  mattina  si  e 
fatto  al  sponsalitio,  et  udito  la  Messa  del  congiunto  nel 
Duomo ;  e  stato  una  bellissima  et  dignissima  cerimo- 
nia,  come  qui  appresso  intendera  la  M.  V.  In  prima 
si  fece  codunare  tutta  la  Corte  et  gentilhuomini  in 
Castello.  Dipoi  alle  15.  hore  il  Sig.  Duca,  il  Sig. 
Messer  Lodovico,  et  tutti  li  altri  Baroni  et  Signori  ci 
sono,  andarono  a  levare  Madonna  Duchessa  di  camera 
et  ognuno  monto  subito  a  cavallo,  et  inviatosi  fuori  di 
Castello  a  coppia,  all'  ultima  porta  era  uno  baldachino 
di  damaschino  bianco  con  P  arma  del  Sig.  el  quale  fu 
portato  da  circa  40.  dottori,  tutti  vestiti  di  raso  cher- 
misi  et  scarlatto  con  certi  letitii  al  coUo,  et  la  berretta 
era  madesimamente  con  una  piega  di  letitii.  II  Sig. 
Duca,  et  la  Exc.  di  Madonna  entrorno  sotto  detto  bal- 
dachino, et  cosi  ne  andorno  di  coppia  insino  al  Duo- 
mo- 


APPENDIX.  NO  LXVII.  345 

mo.  Giunti  la,  si  canto  la  Messa  co'  cantori  del  Sig., 
et  il  Vescovo  di  Piacenza  la  disse.  Finita  che  fu,  il 
Vescovo  Sansoverino  fece  le  parole  molto  accomodata- 
Tnente.  Dipoi  il  Sig.  decte  lo  anello  alia  Exc.  di  Ma- 
donna. Fatte  che  furono  tutte  queste  cose  lo  Illmo. 
Sig.  Duca  fece  Cavaliere  il  nostro  Piero  AUamanni,  et 
il  Magnifico  Mess.  Bartolommeo  Calcho  :  a  Piero 
dono  una  vesta  di  broccato  a  oro  ricca  et  bella  quanto 
dir  si  possa,  et  lo  acto  e  stato  molto  honorevole. 
Messer  Galeazzo  et  il  Conte  di  Cajaza  li  messero  li 
speroni  et  cinsero  la  spada.  Dipoi  tutta  la  brigata 
monto  a  cavallo,  et  ritornossi  a  Cr^stello  con  grandis- 
sima  festa  et  triompho,  et  secondo  il  computo  fatto  da 
chi  era  presente  vi  si  trovo  de'  cavalli  500.  In  prima 
vi  fu  annoverato  35  regole  tra  Frati  e  Preti,  che  anda- 
rono  innanzi  a  tutta  la  corte  insimo  al  Duomo.  60 
Cavalieri  tutti  vestiti  di  broccato  a  oro  con  le  collane. 
50  donne,  28  vestite  di  broccato  a  oro  con  perle,  gioje  et 
collane  assai.  62  trombetti,  12  pifferi.  Da  Castello  al 
Duomo  sone  1200.  passi,  che  di  sopra  era  coperto  di 
panni  bianchi,  et  le  mura  da  ogni  banda  coperte  di  tape- 
zerie  et  con  festoni  di  ginepro  et  mele  arancie,  che  mai 
vedesti  la  piu  bella  cosa.  Di  poi  tutti  li  usci  et  finestre 
erano  piene  di  fanciulle  et  donne  vestite  ricchissima- 
mente,  et  per  obviare  al  tumulto  del  popolo  tutti  e 
canti  della  strade,  che  mettevano  in  questa  principale, 
dove  s'  andava,  erano  sbarrati,  et  alia  guardia  di  ogni 
canto  erano  da  dieci  in  dodici  provisionati.  In  sulla 
piazza  del  Duomo  stetter  del  continuo  200.  stradiotti 
et  balestrieri  a  cavallo  :  ogni  cosa  e  ita  molto  ordinata- 
mente  in  modo  non  e  nato  uno  minimo  scandalo,  che 
e  non  piccola  maraviglia  per  la  grajide  et  innumerabile 
multitudine,    che   e   in   questa   citta.     E'  vero  che  circa 

V  arme 


346  APPENDIX.   NO  LXVII. 

V  arme  si  e  usato  extrema  diligentia  per  farle  porre  giu 
a  ogni  persona  dalli  nostri  in  fuori,  che  sempre  1'  hanno 
portate  per  tutto. 

La  Exc.  del  Duca  havea  in  dosso  una  vesta  di  broc- 
cato  a  oro  col  riceio  tanto  ricca  et  bella  quanto  dire  si 
possa ;  nella  berretta  havea  una  punta  di  diamante  con 
una  perla  grossa  piu  che  una  nocciuola  tonda  di  gran- 
dissimo  valore :  al  petto  havea  uno  pendente  con  uno 
balasso,  et  di  sopra  uno  diamante,  cosa  veramente  excel* 
lentissima. 

La  Exc.  di  Madonna  Duchessa  era  ancora  lei  vestita 
di  broccato,  et  havea  certa  ghirlanda  di  perle  in  capo  con 
certe  gioje  molto  belle,  et  cosi  vi  era  molte  altre  donne 
vestite  ricchissimamente  :  non  scrivo  el  nome  loro  per 
non  lo  sapere. 

Messer  Annibale  havea  una  vesta  di  broccato  a  oro 
divisa  con  certe  liste  di  velluto  nero,  et  nella  rimboc- 
catura  dinanzi  al  petto  vi  era  un'  aquila  di  perle  che 
stava  gentilmente,  ma  non  era  molto  ricca,  piuttosto  si 
poteva  chiamare  polita.  II  Sig.  Lodovico  et  il  Sig. 
Galeotto,  et  il  Sig.  Ridolfo  con  tutti  questi  altri  Sfor- 
zeschi  erano  etiam  vestiti  di  broccato,  et  i  piu  si  accor- 
dano  ci  sia  stato  de  vestire  da  300.  in  su,  tra  di  argento 
«t  di  oro.  Di  velluto  et  raso  non  vi  dico  nulla,  perche 
insino  a  chuochi  ne  erano  vestiti. 

La  vesta  del  nostro  Piero  col  broncone  e  suta  tenuta 
cosa  admiranda,  et  secondo  il  judicio  mio  ha  abbattuto 
ogni  altra.  Hoggi  questi  Signori  hanno  mandato  per 
epsa,    et  1'  hanno   voluta   vedere,  et  molto  bene  exami- 

nare, 


I 


APPENDIX.  NO  LXVII.  347 

nare,  et  in  effetto  ognuno  ne  sta  maravigliato.  lo  cog- 
Dosco  havere  scripto  confuso  et  senza  ordiiie  :  a  bocca 
poi,  piacendo  a  Dio,  suppliremo  piu  diffusamente  et  con 
maggiore  otio,  che  non  posso  fare  al  presente  per  havere 
a  cavalcare  a  Corte  con  Piero.  Altro  non  mi  occorre. 
Raccomandomi  sempre  alia  Magnificenza  vostra.  Medio*- 
lani  die  2.  Februarii  1488. 


NO  LXVIII. 


Angelas  Politianus  Laurentio  Medici  Patrono  Suo  S. 

OAPIENTER  ut  cetera  Laurenti  facis  :  qui  sanctos 
istos  extremae  quadragesimae  dies  consumere  in 
Agnano  tuo  malueris,  quam  Florentiae.  Quis  enim 
tutior  portus,  in  quern  de  tantis  occupationum  fluctibus 
enates,  quam  tyrrheni  Uteris  amoenissimus  iste  sinus 
atque  secessus,  ubi  quasi  quoddam  naturae  certamen 
sit,  et  gratiae.  Sed  ego  quoque,  imitatus  exemplum, 
ceu  fugitivus  urbis,  assiduus  in  Fesulano  fui,  cum  Pico 
Mirandula  meo,  Coenobiumque  illud  ambo  regularium 
Canonicorum  frequentavimus,  avi  tui  sumptibus  ex- 
tructum.  Quin  Abbas  in  eo  Matthaeus  Bossus,  Vero- 
nensis,  homo  Sanctis  moribus,  integerrimaque  vita,  sed 
et  litteris  politioribus  mire  cultus,  ita  nos  humanitate 
sua  quadam  tenuit,  et  suavitate  sermonis,  ut  ab  eo 
digressi  mox.  Ego  et  Picus,  soli  propemodum  relicti 
(quod  antea  fere  non  accidebat)  nee  esse  alter  alteri  jam 
satis  videremur.  Hoc  ille  arbitror  sentiens  Dialogum 
nobis  a  se  compositum  de  salutaribus  animi  gaudiis 
obtulit,  quasi  vicarium,  cujus  materia  stilusque  nos  ita 
cepit,  ut  quam   diu  quidem   legebamus,    facile   auctoris 

praesentia 


348  APPENDIX.  NO  LXVIIL 

praesentia  careremiis.  Eum  ii^itur  ego  Dialogum  mitto 
ad  te  quoque,  Laurenti,  quern  subter  piiieta  ista  legas, 
ad  aquae  caput.  Delectaberis  arbitror  argumento,  sen- 
sibus,  indole,  nitore,  varietate,  copia  :  nee  in  eo  tamen 
domesticas  quoque  laudes  desiderabis.  Ac  si  tuis  hue 
etiam  accesserit  calculus,  dabitur  opera  protinus,  lit  in 
multa  liber  exemplaria  transfundatur.     Vale. 


N<^  LXIX. 
Matthaei  Bossi  ad  Laur,  Medicem, 

De  transmisso  Dialogo^  Efiist, 

JJe  quo  Politianus  noster  scripsit  ad  te  inclyte  Me- 
dices,  Dialogus  noster  impressus  est  quern  ego  edidi 
quo  anno  Cosmus  Paternus  tuus  Avus  ad  superna  subla- 
tus  terris  excessit.  Inde  ille  ad  haec  tempora  usque 
obscurus  jacuit,  et  nisi  religiosis  hominibus  nostris  ulli 
vix  cognitus.  Refrixerat  enim  in  me  calor  ille  et 
primus  amor,  qui  quemque  afficit  ut  sua  initia  praema- 
turosque  labores  amet  etiam  immodice,  cum  is  interea 
ita  dimissus  sua  veluti  sponte  se  tollens  perfugit  in 
sinura  lo.  Pici  Mirandulae,  et  ejus  Politiani  quern  dixi, 
qui  praeclarum  sibi  ocium  et  a  frequenti  turba  recessum 
nostro  sacro  in  Fesulano  saepe  captabant :  Viri  ambo 
admirandae  doctrinae  atque  virtutis,  et  studiosissimi 
splendoris  et  magnitudinis  tuae,  quinetiam  neque  mihi 
non  dediti  ;  qui  opus  complexi  hospitioque  dignati  non 
antea  destiterunt  et  curare  et  agere,  quam  uno  ex  stipite 
sexcenti  vel  surculi  ducti  ;  quorum  unus  imprimis  tibi 
Laurenti  destinandus  fuit  faustiore  tanquam  auspicio. 
Cujus    frons   hilaris    sublandietur  primum    forsitan   tibi, 

cum 


APPENDIX.    NO  LXIX.  349 

cum  titulum  audies  De  veris  et  salutaribus  animi 
gaudiis.  Deinde  cum  rimari  perrexeris  corpus,  et  mem- 
bra deprehendes  ubi  solidae  inanisque  laetitiae  fines 
sint  positi,  teque  ipsum  adhuc  peregrinantem  a  caelo 
interque  vitae  mortalis  erumnas  fluitantem,  ut  puto, 
solabere  recte  factorum  et  foellcissimi  ac  sempiterni  aevi 
praegustata  laetitia,  si  tamen  res  tanta  a  me  potuit  per- 
poliri  satis  ac  iliustrari.  In  quo  neque  modestissimi  et 
pii  animi  tui  censvu^am  vereor,  quem  sincera  albaque 
Veritas  delectare  magis  quidem  solet,  quam  fucus  et  falera. 
Ex  his  itaque  ilium  quem  tibi  transmittimus  lautius 
cultum  gratioremque  indole  non  dedignabere  Laurenti 
suscipere;  cui  hie  ludus  est,  et  Avitus  et  proprius,  ut 
magna  largiri  ,  sic  nee  parva  oblata  contemnere.  Regum 
profecto  opus,  si  non  Dei  magis,  cui  tuenti  moderan- 
tique  omnia,  ut  sane  possunt,  debent  reges  et  amplissimi 
viri  esse  persimiles.     Vale  laetus  Deo  ac  patriae  vive. 


NO  LXX. 

Petrus  Bonus  Avogarius  Artiiim  Medicinae  Doctor, 
Laurentio    Medici  Florentiae, 

JVIaGNIFICE  ac  potens  domine,  domine  mi  singula- 
rissime  salutem  perpetuam,  &c.  lo  ho  receputo  una 
lettera  di  V.  M.  dal  Magnifico  Messer  Aldovrandino 
Oratore  del  Duca  di  Ferrara,  et  ho  inteso  quanto  me 
scrive  V.  Exc.  sopra  el  facto  del  remedio  desidera 
have  re  perfecto  in  doloribus  juncturarum,  particular]  z- 
zando  la  cosa,  quando  e  come,  &:c.  Dico,  che  primo 
VOL.  III.  z  z  et 


350  APPENDIX.  NO  LXX. 

et  ante  omnia  V.  M.  deve  fare  qualche  purgatione  in- 
nanti  la  primavera,  cioe  innanti  sia  mezzo  Marzo,  et  poi 
se  que  11a  sentisse  qualche  movimento  di  doglia,  se  unza 
con  quella  unzione,  facta  segondo  el  modo  chio  scrips! 
a  Mes.  Aldovrandino,  el  quale  a  V.  M.  appresente  la 
vicepta ;  facto  questo  cessera  la  doja,  quando  venisse, 
et  non  vegnendo,  puote  aliquando  pigliare  qualche  me* 
dicina  che  purgasse  la  materia  peccante.  La  medicina 
mia  si  e  uno  confecto  facto  in  forma  solida  descriptione 
mesne,  che  si  chiama  ellescof,  et  bisogna  pigliarne 
mezza  onza  alia  volta  la  mattina  nel  levare  del  sole,  et 
fare  cussi  una  volta  el  mexe,  maxime  quando  V.  Ex. 
sentisse  qualche  doglia.  Per  >fare  autem,  che  non 
ritorni,  bisogna  havere  una  preda,  che  si  chiama  eli- 
tropia,  e  ligarla  in  anello  di  oro  in  modo,  che  tucchi  la 
carne,  e  bisogna  portare  nel  dito  anulare  della  man 
stanca ;  fazendo  questo  non  retornera  mai  la  doglia 
arctetica,  o  podagrica,  perche  ha  proprietate  occulta  et 
a  forma  specifica,  strenze  li  humori  non  vadino  alle 
zonture  ;  ego  autem  hoc  expertus  sum  in  me.  Et- 
enim  divina  res  et  miraculosa.  Post  hoc  interim  re- 
trovaro  in  questa  esta  del  mese  de  Agosto  el  celidonio, 
che  e  una  preda  rossa,  che  nasce  nel  ventre  della  ron- 
dana,  e  mandarollo  a  V.  M.  che  el  lighera  in  panno  di 
lino,  et  cuseralo  sotto  la  sena  stancha  al  zipone,  che 
tucchi  la  camisa,  et  fara  simile  operatione  come  fa  la 
preda  elitropia  antedicta,  et  cussi,  Deo  Duce,  V.  M. 
sara  libera  e  sicura  da  ogni  dolore  de  zonture.  In 
questo  proposito  Messer  Aldovrandino  etiam  parlera, 
cum  V.  M.  et  informera  quella  ad  plenum.  Azo  che 
V.  Exc.  intenda  de  cose  molte  future,  li  mando  el 
juditio   mio  dell'   anno  1488.   ligato  cum   la  presente,  et 

are  com- 


APPENDIX.    NO  LXX.  351 

arecomandome   mille   volte    alia    Exc.   V.  la   quale   Dio 

conservi   in  stato  felicissimo.     Ex  Eerrara  die   11.  Febr. 
1488. 


NO  LXXI. 

Laurentio   cW    Me  die  is. 


Ludoxucus  et  Chechiis  Ursiua, 

JViAGNIFICO  et  colendissimo  Laurentio  nostro  ; 
siamo  certi  che  la  INI.  V.  prima  che  ora,  sara,  stato  ad- 
visato  della  morte  di  questo  iniquo  et  maledetto,  non 
vogiio  dire  N.  S.  che  non  meritava  essere.  Ma  per 
satisfare  in  parte  al  debito  nostro,  benche  prima  non 
se  sia  possuto,  cie  parso,  considerato  la  temeraria  sua 
presuntione  et  bestialita,  che  habbi  havuto  tanto  ardire, 
che  se  sia  voluto  inbrattare  nel  sangue  di  quella  Mag- 
nifica  et  Excelsa  Casa  vostra,  significarli  la  crudele 
morte,  che  li  habbiamo  fatto  fare,  et  meritamente.  La 
M.  V.  sappia  come  questo  tiranno,  ultra  la  famiglia 
sua  di  casa,  tenea  cento  provisionati.  Iddio  ci  ha  in- 
spirati  in  modo,  che  non  extimando  periculo  alcuno, 
quantunche  li  fosse  grandissimo,  et  cie  siamo  mossi 
cum  una  firmissima  deliberatione  o  de  non  tornare  a 
casa,  o  veramente  d'  eseguire  quanto  habl)iamo  facto, 
che  considerando  la  grandissima  guardia,  che  questo 
iniquo  tenea,  et  non  essere  stato  noi  piu  che  9.  persone 
ad  fare  questo  effecto,  lo  accusamo  piuttosto  ad  una 
cosa  divina  che  humana,  como  puo  conjecturare  la 
M.  V.  che  exceptandone  epso  maledetto,  et  uno  bari- 
ceilo  di  sua  natura,  non  si  e  sparso  pure  una  goccia  di 
sangue  ;  cosa  da   non  credere.      Questa    Comunita    non 

se 


352  APPENDIX.  NO  LXXI. 

se  poteria  ritrovare  de  miglior  voglia,  et  non  poteria 
essere  meglio  unita  insieme  de  quello  e.  Habbiamo 
voluto  significare  tutte  queste  cose  alia  M.  V.  perche 
quella  grandemente  e  stata  ojffesa,  et  siamo  certi  ne 
havera  singular  piacere.  Nui  non  poteressimo  mai 
significare  a  quella  li  soi  poitamenti,  ma  per  declararne 
in  parte,  sappia  non  solamente  non  amava  li  soi  cit- 
tadini,  ma  non  faceva  exstima  ne  di  Dio  ne  de'  Santi  : 
era  bevitore  del  sangue  de'  poveromini,  non  attende^a 
mai  promessa  alcuna,  finalmente  non  se  amava  che  se 
medesimo.  Avea  conducto  questa  terra  in  una  ex- 
trema  necessita,  et  in  modo  die  appena  ci  restava  el  fiato. 
Tandem  e  piaciuto  all'  Omnipotente  Iddio  liberare- 
questo  nostro  populo  di  mano  di  questo  Nerone,  et 
quello  che  volea  fare  a  nui  altri,  Iddio  ce  lo  ha  prima 
facto  fare  sopra  il  capo  suo,  che  non  poteva  piu  sus- 
tinere  tante  insidie  et  malignita,  quanto  in  epso  reg- 
nava.  Per  li  soi  mali  portamenti,  et  per  amore  della 
M.  V.  della  quale  siamo  servitori,  et  per  il  bene  della 
Repubblica,  et  per  il  nostro  proprio  interesse,  habbiamo 
facto  questo,  che  habbiamo  liberato  questo  nostro 
populo  dallo  inferno.  Pertanto  preghiamo  la  M.  V. 
che  in  questo  nostro  bisogno  ci  voglia  prestare  quello 
adjuto  et  favore,  che  speramo  nella  M.  V.  cum  con- 
siliarse  quanto  habbiamo  ad  fare  in  questo  nostro 
bisogno,  offerendoce  alia  M.  V.  per  quanto  vagliamo 
ad  ogni  suo  beneplacito,  farli  cosa  grata.  Ricomen- 
diamo  di  continuo  a  quella,  quae  bene  valeat. 

Et  ad  cio  che  in  tutto  quella  resti  satisfacta  1'  ad- 
visiamo  como  di  questa  maledetta  stirpe  non  se  ne 
trovera  mai  piu  radice.  Et  del  facto  delle  rocche 
speramo   che    per  tutto  el  di  de  oggi   haverne   una,    et 

1'  altra 


APPENDIX.  NO  LXXI.  SSS 

V  altra  assediarli  in  modo,   che  per  forza  bisognera,  che 
pigli  partito.     Ex  Foiiivio  die  19.  Aprilis  1488. 


NO  LXXII. 

Magistro  Francisco  de  Pistorio  Ordinia  Mi7ioVniiu 

Poggiua  Florenti7ius, 

VeNERABILIS  Pater.  Pridem  habui  literas  a  te 
ex  Chio  duplicatas.  Ante  habueram  alias,  quibus  res- 
pondi,  et  item  scripsi  ad  praestantissimum  virum  An- 
dream  Justinianum  ;  quas  literas  misi  Cajetam,  et  inde 
relatum  est,  literas  ad  te  missas  per  quandam  navem 
Januensium.  Eas  existimo  qiiamprimiim  ad  te  delatum 
iri.  In  prioribus  Uteris,  ut  primum  rescribam  ad  ea, 
quae  mihi  cordi  admodum  sunt,  scribis  te  habere  nomine 
meo,  hoc  est,  quae  te  ad  me  delaturum  polliceris,  tria 
capita  marmorea  eximii  operis,  unum  Minervae,  alterum 
Junonis,  teriium  Bacchi.  Itaque  scias  me,  receptis  Ute- 
ris, magno  gaudio  affectum.  Delector  enim  supra  mo- 
dum  his  sculpturis  :  adeo  ut  curiosus  earum  dici  possim. 
Movet  me  ingenium  artificis,  cum  videam  naturae  ipsius 
vires  repraesentari  in  marmore.  Nunc  vero  scribis  te 
habere  caput  Phoebi,  et  addis  ad  ejus  excellentiam  Vir- 
gilii  versum, 

Miros  ducent  de  marmore  vultua. 

Nihil  potes  mihi  facere  acceptius,  mi  Francisce,  quam 
si  similibus  sculpturis  ad  me  onustus  redieris  :  in  quo 
meo  animo  morem  geres,  satisfaciesque  quampluri- 
mum.     Multi  variis  morbis  laborant,  hie   praecipue   me 

tenet, 


354  APPENDIX.  NO  LXXII. 

tenet,  ut  iiimium  forsan,  et  ultra  quam  sit  docto  viro 
satis.  Admiror  haec  marmora  ab  egregiis  artificibus 
sculpta ;  licet  enim  natura  ipsa  excellentior  sit  iis,  quae 
instar  ejus  fiunt ;  tamen  cogor  admirari  artem  ejus, 
qui  in  re  muta  ipsam  exprimit  animantem,  ita  ut  nil 
praeter  spiritum  persaepe  abesse  videatur.  Itaque  in 
hoc  maxime  incumbas,  oro,  ut  coUigas,  ac  corradas  un- 
dequaque,  vel  precibus,  vel  pretio  quicquid  ejusmodi 
magnum  putes  ;  si  quod  vero  signum  integrum  posses 
reperire,  quod  tecum  afferres,  triumpharem  certe.  Ad 
hoc  advoca  consilium  Andreae  nostri,  cui  etiam  hac 
de  re  scribo  :  qui  si  mihi  aliquid  de  suis  miserit,  bene 
foeneratum  feret  :  id  certe  re  ipsa  experietur,  se  com- 
placuisse  homini  minime  ingrato.  Satisfaciam  saltem 
Uteris  beneficio  suo,  eumque  celebrem  reddam  apud 
multos  pro  sua,  si  qua  erit,  in  me  beneficentia.  Nam, 
quod  centum  ferme  statuas  integras  scripsisti  repertas 
fuisse  Chii,  in  antro  quodam,  me  diutius  suspensum 
tenuisti  varia  cogitantem,  quid  sibi  tot  statuarum  in  eo 
loco  voluerit  congregatio.  Cupiebam  certe  alas  mihi 
dari,  ut  quantocius  maria  possem  trajicere,  ad  ea  signa 
inspicienda.  Quid  id  sit,  exquiras  perdiligenter,  et 
nihil  omittas,  quin  his  rebus  suffultus  venias,  confi- 
dasque  Poggium  tuum  pro  hoc  tuo  labore  diligentiaque 
tibi  cumulate  satisfacturum.  Quod  tamdiu  fueris 
Chii,  culparem,  nisi  capita  ilia  pro  te  causam  egissent. 
Sed  optimum  consilium  videtur,  quod  conferas  te  eo, 
unde  frequentiores  Alexandriam  navigant.  Unum  te 
oro,  ut  in  reditu  naviges  tuto  mari,  et  navi  tuta.  De 
capitibus,  quod  scribis,  gratum  est  ;  sed  omnia  mihi 
devota  et  concessa  existimabo.  Cum  aspexero  imagi- 
nes   illas,    quae   mihi    rebus    caeteris,  te   excepto,  erunt 

jucundiores, 


APPENDIX.  NO  LXXII.  355 

jucundiores,  Pontifici,  cum  tempus  se  dabit,  dicam 
quae  videbuntur  aptiora  ad  banc  moram  excusandam. 
Sed,  ut  dicere  solebat  Cato,  Satis  citb,  si  satis  bene. 
Dixi  Cypriano  contribuli  tuo,  te  bene  valere,  idem  ut 
tuis  significet  rogans,  quod  se  facturum  recepit,  cum 
primum  scribet  ad  suos.  Sed  tamen  scias  Pistorii  per- 
magnam  fuisse  pestem  praeterita  aestate.  Quoniam 
scio  te  non  esse  pecuniosum,  quicquid  dandum  esset 
pro  his,  et  aliis  capitibus,  aut  signis,  pro  adimplendo 
memoriali  meo,  sumas  alicunde  mutuo  sub  fide  mea ; 
nam  praesto  tibi  erunt  in  reditu  tuo :  quanquam  co- 
gam  quemdam  Januensem,  ut  scribat  istic  Andreolo 
nostro,  aut  alteri,  ut  tibi  vel  xx.  vel  xxx.  aureos  no- 
mine meo  tradat,  si  tibi  fuerit  opus  pro  emendis  sculp- 
turis.  Hos  sume  pro  libito  ;  nam  tibi  praesto  erunt, 
quemadmodum  pollicitus  est.  Vale,  et  me  Andreolo 
nostro  commenda.     Romae. 


NO  LXXIII. 


Poggiiis  Florentinus^  Suffreto^  Rhodi  commoranti. 

V  IR  insignis,  existimo  te  fortassis  miraturum,  me 
hominem  ignotum  tibi  longoque  a  terrarum  tractu  dis- 
junctum  audere  te  aliquid  rogare,  ac  si  tibi  magna 
consuetudine  conjunctus  essem.  Sed  cum  videam  te 
eisdem  rebus  delectari  quas  ego  summo  studio  per- 
quiro,  scio  te  mihi  veniam  daturum,  si  diligentiam 
tuam  fuero  imitatus,  ut  quae  tu  omni  cura  investigas, 
mihi    quoque    summe    sentias    placere.     Dedi    olim    in 

mandatis 


356  APPENDIX.  NO  LXXIII. 

mandatis  egregio  viro  fratri  Francisco  Pistoriensi,  ma- 
gistro  in  theologia,  ad  partes  Graeciae  proficiscenti  ut 
diligenter  inquireret,  si  quid  signorum  reperire  pos- 
set, quae  ad  me  deferret.  Delector  enim  admodum 
picturis  Sc  sculpturis  in  memoriam  priscorum  excellen- 
tium  virorum,  quorum  ingenium  atque  artem  admi- 
rari  cogor,  cum  rem  mutam  atque  inanem  veluti  spi- 
rantem  ac  loquentem  reddunt.  In  qviibus  persaepe 
etiam  passiones  animi  ita  rtpresentant,  ut  quod  neque 
laetari,  neque  dolere  potest,  simile  tristanti  ac  ridenti 
conspicias.  Scripsit  mihi  nuper  Franciscus  magnam 
copiam  horum  signorum  te  congregasse,  et  ilia  prae- 
cipue  quae  fuerunt  Garsiae,  quorum  et  aliqua  mihi 
descripsit.  Hoc  idem  asseverabat  modo  mihi  Petrus 
Laviola,  thesaurarius  religionis,  vir  mihi  amicissimus. 
Quo  cum  de  hujusmodi  signis  agerem,  percunctarer- 
que,  quomodo  aliquid  ex  tuis  habere  possera,  dixit  mihi 
e  vestigio,  ut  ad  te  scriberem,  aliquidque  postularem, 
te  virum  doctissimum  esse  atque  humanissimum,  ideo- 
que  mihi  quae  pete  rem  non  negaturum.  Credidi 
equidem  te  talem  esse.  Neque  enim  ejusmodi  signa 
estimantur,  nisi  a  viris  excellenti  ingenio  et  doctrina 
eleganti,  et  praesertim  dedito  studiis  humanitatis.  Sed 
quo  doctior  et  liberalior,  eo  prudentior  esse  debeo  in 
poscendo.  Urget  me  cupiditas  ad  petendum,  pudor 
trepide  et  remisse  cogit  rogare.  Itaque  tantum  a  te 
petam,  quantum  patitur  humanitas  ac  liberalitas  tua. 
Gratissimum  mihi  erit  et  prae  caeteris  acceptum,  si 
quid  signorum  quae  habes  egregiorum,  quae  quidem 
multa  esse  dicuntur,  et  varii  generis,  mihi  impertitus 
fueris.  Collocabis  munus  apud  hominem  non  ingra- 
tum,  sed  qui  agere  gratias  et  reddere  paratus  sit,  cum 
tempus    dederit    facultatem.     Franciscus    tecum    super 

hujusmodi 


I 


APPENDIX.  NO  LXXIII.  357 

hujusmodi  re  loquetur,  rogabitque  nomine  meo,  qui  et 
ipse  majorem  in  modum  rogo,  ut  aliquid  niihi  conce- 
dere  velis,  aut  precibus,  aut  precio,  meqiie  hoc  beneficio 
devincere,  quod  non  frustra  in  me  conferes.  Dulce  est, 
inquit  Cicero,  officium  serere,  beneficium  ut  possis  mete- 
re.  Sed  nolo  multis  precibus  tecum  agere,  ne  videar 
di^idere  tuae  liberalitati.     Romae. 


NO  LXXIV. 
Poggius  Florentinus  viro  insigni  Andreolo  Juetiniano. 

Won  respondi  antea  Uteris  tuis,  neque  libi  gratias 
egi  pro  muneribus  quae  ad  me  misisti,  propterea  quod 
Franciscus  Pistoriensis  qui  ea  detulit,  adeo  suis  men- 
daciis,  quae  plura  sunt  verbis,  mihi  stomachum  com- 
movit,  ut  non  possem  quieto  esse  animo  ad  responden- 
dum, praesertim  cum  de  eo  mihi  scribendum  esset, 
qui  longe  abest  a  boni  viri  moribus,  qualem  eum  esse 
existimabam.  Itaque  compressi  calamum  quoad  refri- 
gesceret  indignatio  quam  erga  eum  concepi.  Sed  ne 
nunc  quidem  continere  manum  potui,  quin  paulum 
querar  levitatem  hominis  (ut  verbis  levioribus  utar)  ac 
vanitatem.  Nam  cum  is  olim  in  primo  suo  ad  Grae- 
ciam  accessu,  multa  mihi  scripsisset,  maria,  ut  aiunt, 
et  montes  poUicitus,  cum  signa  pku-a  ad  me  se  dela- 
turum  promisisset  tua,  suaque  pariter  opera  adinventa, 
non  solum  postea  non  attuiit  ad  me,  quae  toticns  suis 
Uteris  praedicaret  quaecunque  tu  ei  tradideras  mihi  de- 
ferenda,  sed  cum  Suffrctus  quidam  PJiodius  ei  consis*-- 
nasset  tria  capita  marmorea,  et  si  gnu  m  inte^jrum  duo- 
voL.  III.  3  a  rum 


358  APPENDIX.  NO  LXXIV. 

rum  feiv  cubitoruni)  quae  Franciscus  se  ad  me  aliatu- 
rum  promisit,  capita  quaedam  dedit,  slgno  autem  me 
fraudavlt,  asserens  id  sibi  infirmo  corpore  e  navi  esse 
sublatum.  In  quo,  ut  conjicio,  manifeste  mentitus 
fuit.  Noil  enim  marmoris  sculpti  Cathalani  cupidi 
sunt,  sed  auri,  &  servorum  quibus  ad  remigium  utan- 
tur.  Capita  vero  ilia  quae  mihi  tradi  volebas,  non  Ca- 
thalani vi  aut  ferro  subripuerunt,  sed  Florentiam  sunt 
comportata,  quae  ille  quibus  voluit  donavit.  Quae 
cum  tgo^  moleste  ferrem,  tamen  promissionibus  suis 
credens,  cum  in  Graeciam  rediturus  esset,  (cupiebam 
enim  praesentem  injuriam  futuro  beneficio  compen- 
sari,)  nihil  de  ea  re  ad  te  scripsi.  Adde  quod  cum  ille 
secum  detulisset  quaedam  capita  impressa  in  cera,  ap- 
tissima  ad  obsignandum  iiteras,  idque  se  tuo  mandate 
fecisse  testaretur,  ut  aliquod  elicerem  quod  ad  me 
destinare  cupiebas,  non  modo  signum  non  attulit,  cum 
ilium  multis  ad  id  verbis  hortatus  essem,  sed  alia  in- 
sup&r  promissione  elusit.  Primae  literae  quas  ad  me 
scripsisti,  capite  quodam  satis  venusto  erant  obsignatae, 
quod  ille  nomine  tuo  mihi  promisit,  cum  ille  nunc  in 
adventu  suo  (novissimae  enim  literae  alio  capite  signa- 
tae  erant)  nihil  secum  tulisset.  Dixit  item  te  secun- 
dum signum  mihi,  si  id  cuperem,  traditurum,  quod 
idem  etiam  alteri  promisit.  Capita  vero  quae  ad  me 
per  eum  misisti,  cura.vit  ut  Cosmo  traderentur,  mihi 
simulans,  se  aegre  ferre  quod  in  manus  alterius  devenis- 
sent.  Cosmo  vero  qui  hie  est,  dixit  se  illi  gratias 
agere  quod  ilia  accipere  dignatus  esset,  et  simul  illi 
quoque  signum  quo  epistolam  obsignasti,  quod  est 
Trajani  caput,  se  daturum  operam  dixit  ut  sibi  tradere- 
tur.     Itaque,   vides     quanta   hominis   hujus    sit    fallacia, 

quanta 


y' 


APPENDIX.  NO  LXXIV.  359 

*|uanta  verbositas,  quanta  verborum  officina.  Scio  ego, 
iieqiie  hoc  exprobandi  causa  dico,  quantum  nuhi  Fran- 
ciscus  debeat.  Scio  quae  mea  fuerint  in  ilium  ofPicia. 
Taceo  benevolentiam,  charitatem,  amorem,  quo  ilium 
lit  virum  bonum  compicctebar,  ut  paulum  ista  abster- 
rere  hominem  debuissent,  ne  me  totiens  fallendo  decipe- 
ret.  At  ilium  non  solum  priori  s  errati  non  poenituit,  sed 
illud  majore  fraude  cumulavit.  Reddidit  tamen  numis- 
ma  aureum,  cultelios,  et  item  munuscula  quae  preclaris- 
sima  foemina  uxor  tua  ad  meam  uxorem  destinavit :  quae 
fuerunt-  ambobus  gratissima.  Pro  his  ago  tibi  Uteris 
gratias,  quandoquidem  re  ipsa  non  possum.  Dona  tua 
Pontifici  me  intermedio  sunt  reddita,  quae  ilie  grato 
animo  cepit.  Dispensationem  pro  iilia  tua  nubenda 
ego  solus  procuravi,  feciqire  ut  satisfacerem  aliqua  ex 
parte  meritis  in  me  tuis  :  pro  ea  vero  nihil  expensum 
est.  Reliquorum  vero  quae  quaerebas,  curam  Fran- 
cisco reliqui,  ut  ea  procuret  apud  eos  quos  piurls 
quam  me  fecit.  Sed  nisi  cito  deficiam,  reddani  ei 
beneficium  cumulatum.  Ilaec  quae  scripsi  vera  esse 
si  cut  Evangelium  puta,  nulla  in  re  mentior,  scripta 
sunt  ex  ipsius  ore  veritatis.  Si  qua  deinceps  a  me 
velis,  aut  si  quid  ampiius  ad  me  mittere  voiueris,  nulla 
in  re  utaris  opera,  aut  intercessione  Francisci  ;  qui 
enim  praesentem  decipere  non  est  veritus,  multo  auda- 
cius  fraudare  absentem  non  formidabit.  Sum  tecum 
de  eo  pro  suis  operibus  parcissime  locutus.  Haec  ad 
te  scripsi  manu  festina.  Saluta  laetissimam  miilierem 
uxorem  tuam,  et  simul  filiam,  meis  et  uxoris  meae 
verbis.  Ego  mi  Andrcole  tuus  sum.  Vellem  tecum 
aliquid  rerum  mearum  participare,  sed  cui  trad  am  nes- 
cio.  Scribas  mihi  ad  quern  Januae  ea  mittere  possim, 
qui  ilia  curet  ad  te  deferenda.  Vale,  et  me  ama.  Vel- 
lem 


360  APPENDIX.  NO  LXXIV. 

lem  ego  signum  aliquod  aptum  ad  signandum  literas. 
Si  quod  habes  superfluum  usui  tuo,  quod  quidem 
egregium  sit,  rogo  per  amicitiam  nostram,  ut  illud  mihi 
elargiri  digneris.  Aliqua  in  re  alia  munus  recognos- 
cam.     Ferrariae  die  15  mensis  Maii. 


NO  LXXV. 

Extat  Liber  in  Tabulario  Mediceo  qui  inscribitur  Libro 
scritto  anno  1464,  appartenente  a  Piero  di  Cosmo 
de'  Medici,  in  quo  hae  gemmae  et  numismata  enume- 
rantur, 

M[eDAGLIE   cento  d'  oro  pesano  libbre  2  oncie 

una  fior  .......       300 

Medaglie  cinquecentotre  dariento  pesano  libre 
sei  ........ 

Un'    anello   d'    oro    con    una    corniuola    d'    una 


mosca  m  cavo  ...... 

Un'   anello    d'    oro   con    una   corniuola    con    uno 


100 

r 

r 

10 


Un'    anello   con  una   testa   d'    un  Fauno  di  rilie- 

Yo  di  diaspro  ...... 

Un'   anello   d'    oro    con    una    testa  di    donna    di 

rilievo  in  cammeo 10 

Un'  antlio   d'  oro   con    due   rubini  con  una  test^ 

di  Domitiano  di  rilievo  .         .         •         •  15 

Un'   anello    d'   oro     con   la    testa   di   Medusa    di 

rilievo  .  ......         2© 

Un'   anello  d'    oro   con  la  testa  di   Cammilla  in 

cammeo  di  rilievo 60 

Un 


APPENDIX.    NO  LXXV. 


361 


Un  suggello  d'  oro  con  una  figura  in  damatisto  in 

cavo  .  .  .  .  .         . 

Un  suggello  d'  oro  con  una  testa  d'  uomo  in  daraa 

tisto  in  cavo  .... 

Un  suggello  d'  oro  con  una  testa  di   donna  in  da 

matisto  in  cavo 
Uno  Niccolo   legato  in  oro  con  la  testa  di  Vespa 

siano  in  cavo  .... 

Una  corniuola  legata  in  oro  con  uno  uomo  mezzo 

pesce   et  una    fanciulla   in    cavo 
Una  corniuola  legata  in  oro  con  una  femina  a  se 

dere,  et  uno  maschio  ritto  in  cavo 
Un  Cammeo  legato  in  oro  con  una  testa  di  uomo 

in  nudo  in   cavo 
Un  Cammeo  legato  in  oro  con  una  testa  vestita 

in  cavo  .... 

Uno     Sardonio    legato    in    oro    con    un    toro    in 

cavo  ..... 

Una  corniuola  legata  in  oro  con  una  testa  di  Adri 

ano  di  rilievo  .  ... 

Un  Cammeo  legato   in  oro   con  una  testa  di  fanci 

ullo  di  rilievo         .... 
Uno  Calidonio  legato  in  oro  con  una  testa  di  tutto 

rilievo  .... 

Un  Cammeo  con  una  testa  d'  uomo  di  rilievo  legato 

in  oro  .... 

Un  Cammeo  legato  in   oro  con    2  figure  ritte  di 

rilievo  .... 

Un  Cammeo  legato  in  oro  con  2  figure,  et  un  Hone 

di  rilievo         ..... 
Un  Cammeo  legato  in  oro  con    tre  figure,    ed  un 

albero  di  rilievo 


30 
20 
15 
25 
25 
25 
40 
50 
60 
50 
50 
40 
50 
60 
60 

60 
Un 


^2  APPENDIX.  NO  LXXV. 

Un  CanAmeo  legato  in  oro  d'   assai  rilievo   con  2 
'  figure  una  a  sedere,  e   una   ritta  .  .         70 

Un  Cammeo  legato  in   oro  con   due  figure,    e  un 

albero  in   mezzo,   Sec.    di  rilievo  .  .         80 

Un  Cfccmmeo  legato  in  oro  con  la  storia  di  Dedalo 

di  rilievo  .  .  .  .  .100 

Un  Cammeo  legato  in  oro  con  una  figura,   et  uno 

fanciuUo  in  spalla  di  rilievo  .  .  .       200 

Un  Cammeo  legato  in  oro  con  1'   Area  di  No^y  et 

piu  figure,  et  animali  di  rilievo  .  .       300 

Una  tavola    di    bronzo    dorata  con    saggi  di  ari- 

ento.  .  .  ...        100 

Una  tavola  greca   con    uno  S.  Michele   de   Bario 

legata  in   ariento  dorato.  .  .  .20 

Una  tavola  greca  di  pietra  fine  con  nostra  Donna, 

et  12  Apostoli  ornata    d'    ariento  .  .  25 

Una  tavola   greca  di  Musaico   con   S.   Jo.  Batista 

intero  ornata   d'   ariento  .  .  .20 

Una  tavola  greca  di  Musaico   ornata  d'  ariento  col 

Giudizio.  ....  .30 

Una  tavola  alia  greca  con  una  nostra  Donna  ornata 

d'  ariento  .  .  .  .  .35 

Una  tavola  greca   con  nostro  Signore   dipinto   or- 
nata d'  ariento         .         .  .         .  .         .         40 

Una  tavola  greca   con   2   figure   ritte   di    Musaico 

ornata  d'  ariento  .  •  •  .50 

Una  tavola  greca  di  Musaico  con  una   Annuntiata 

ornata  d'  ariento         ......         40 

Una  tavola   greca  di   Musaico  con  uno  S.  Niccolo 

ornata  d'  ariento  .  .  •  .50 

Una  tavola  greca  di  Musaico  con    uno   mezzo   S. 

Jo.  ornata  d'  ariento  .  .        •    .  •         60 

Una 


APPENDIX.  NO  LXXV.  363 

Una  tavola   greca    di    Musaico  con  uno  S.  Piero 

ornata  cP  ariento 50 

Una   tavola  greca   con  una  i  figura  del  Salvatore 

ornata  d'  ariento  .  -  .  .  .  .100 
Una  tavola  d'  ariento  dorato  con  uno  quadro  smal- 

tato,  et  tondo  ......         50 

Una  tavola    d'   ariento    intagliata  la    paxione   di 

Cristo  .         .         .         .         .         .         .         15 


2624 


Succedunt   his  e  diversi  vasi  preziosi,  e  altre  cose 

di  valuta,  che  fanno  la  somma  di  Fiorini         .     8110 

Varie  gioje   inventariate   che    fanno  la   somma  di 

Fior 17689 

Gli  arienti,  che  si  trovavano  in  Firenze,  e  nelle 
Ville  di  Careggi,  e  di  Cafaggiolo. 

Catalogo  dei  libri. 


N^  LXXVI. 
Matthaei  Bossi  ad  Laurentium  Medicem^ 

Exhortatona^   ut  Abbatiam    Fesulanam  pergat    absolvere, 
Efiiatola, 

V^UOD  tu  Laurenti  clarissime  atque  magnanime  for- 
tasse  vix  cogitas,  omnes,  qui  in  Fesulanum  ad  nos 
divertunt  inspecturi  monasterium  omni  opere  clarum, 
intuentibusque  mirabile,  cum  partiunculas  illas,  templi 
frontem  scilicet,  et  subsellia  fratrum,  quae  Chorus 
appellantur,    nonnullaque    alia    minora    conspiciunt    in- 

ubpoluta 


364  APPENDIX.  NO  LXXVI. 

absoluta     senescere,    relictaque    jacere,    conversi     ad  tc 
suspirant,    t^bique   animum   ad    haec    perficienda   divini- 
tus    dari,  ut  datae   sunt   divinitus   vires,  comprecari  non 
desinunt.     Ego   vero,  qui   tcmplo,    aedibusque    surgenti- 
bus   operam,    curara,    intentionemque   etiam   non  exigu- 
am  praesens    adhibui,  charusque    ex   mea  hac  diligentia 
tuis   progenitoribus  extiti,  et  qui  mecum   sub   his  tectis 
Concanonici    Christo    famulantur    et    militant,    quantum 
foelicem   hunc   diem   quo    beneficam  tuam   manum    ap- 
ponas  operi  peroptemus,    nuUis    plane   verbis  satis  indi- 
carc  possum.     Vincit  enim  hie   ardor,  qui    decorem  do- 
mus   Dei   et   locum   habitation's   gloriae    ejus    tantopere 
cupit   ac   diligit,    eloquium   meum   omne,   atque   sermo- 
nem.     Taceo   ordinem  universum   nostrum,   omni   prae- 
sertim  Italia  diffusum,  et,   Deo   miserante,  numero   vir- 
tutibusque   nitentem,  cujus  vel  tibi    aliqua  ratio  habenda 
etiam   est,  cum   tui   peculiarius   simiis   omnes,   et  quan- 
tum    fictilia    et    moribunda    vascula   possumus    tua    pro 
salute,  quae    una  omnmm   est  et  concivium  tuorum   et 
nostra,    precibuSj   gemitibus,    votis,    meritorumque    sup- 
petiis    caelum    pulsamus.     NulUe   hinc   atque    hinc   lit- 
terae,  quibus    non  queratur,  num   perficiendi  operis  tibi 
insideat  animus.     Qoud  si  coeperis  velle,  atque  ita  equi- 
dem  velle,  ut   incipias  agere,  non  solis   nobis,  qui  tecum 
Florentiae  degimus,  sed   singulis  qui   ferme  omnem,  ut 
diximus,  Italiam   complent,  nostris  te  confratribusj  dum 
stabit  Regularis   haec  nostra  religio,  excolendum  memo- 
randumque   praestabis :    tantus   est   universorum   delubri 
hujus  amor,  et  ut  absolvatur  aviditas.     Quibus  plane  re- 
bus   versatis   saepe    mecum    atque    libratis,    consilioque 
eorum   maxime   adhibito  qui  chari  tibi  sunt,  tuaque  pro 
dignitate  et  laude  vel  animas  objectarent,  statui  equidem 
mihi  te,  Laurenti  insignis  atque  magnanime,  multa  alia 

atque 


APPENDIX.  NO  LXXVI.  365 

atque    diversa    cogltantem,    rei  praeterea  publicae   tuae 
perpetuo    consulentem,    et    caelestis     providentiae    dono 
foelici    omnium  commodo    primatum  agentem,    ad    nos 
etiam   tanquam    ad    praeclaram    aliquam    tuam  laudem, 
ac     sempiternam    in    caelo    mercedem    revocare    atque 
convertere,    qui    inchoatum    a    paterno   tuo  Avo,  deinde 
a    Petro  genitore    destitutnm  nunquai-n  opus,    nee  pror- 
sus    ipse     destituas,      eorum    virtutum    omnium     atque 
opum,    haeres    non  modo  pulcherrimus  et  nobilissimus, 
s.ed  tantae    praeterea  foelicitatis   et  nominis,    ut   majors 
quam    illi    ipsi    unquam,    tu  facile    possis,    qui    avitam 
tirtutem    omnem,      fortunas,     atque    potentiam    servasti 
non    solum   ac   tenuisti,    sed   afflante    tibi    Christo,    tarn 
longe  lateque  extendisti  ac  dilatasti,  ut  nemo  jam  videat 
quo  te  sublimius  tua  virtus   possit  attollere,  et   illustriua 
collocare.     Ingens   animus,    ac   sapientissimus   tuus,    ef- 
floruit  in  utraque   fortuna   admirabilis   atque  conspicuus, 
omniumque    vocibus     nobilitatus.       Quid    Laurenti,    per 
Deum,    tu   virium,    tu  in  genii,  tu  fortitudinis  declarasti, 
cum     furentem   illam  fragoremque    tonantem,    et    inno- 
centissimi  tui  sanguinis  et  generosi  spiritus  necem  extre- 
maque   nefanda   exanhelantem,    modo   cederts,  modo   re- 
pugnans,  incredibili  constantia,  dexteritate,  prudentiaque 
tua   sub  jugum   traxisti,  et  tanquam  manibus  post  terga 
revinctam   in   triumphum  duxisti  ?     Quae   tandem,    cum 
grassari  violentius   ultra  non   posset,    benigno    te    vultu 
conspexit  vel  invita.     Quam  certe  fortunam,    non  ut  in- 
sanus    hominum    furor,    vel   omnipotentem   vel   divinam 
appello ;     sed    in    quo    Peripatetic!,    nostrique    catholic! 
recte    cpnveniunt,    vim   quandam    et    fiatum,    unde    aut 
quomodo    fiat  ignotum.      Hanc   contra   assistentem   tibi 
Deum,    proximeque    tuentem    habuisti,    illi     te   concili- 
ante  virtute,   Sanetorumque    gemitibus,    qui   fidentes  illi 
VOL.  III.  3  s  atque 


366  APPENDIX.  N<3  LXXVI. 

atque    clamantes   novit    exaudire,    de   angustiis   eriperc, 
atque    salvare  :     ut    inde     elucescat    vox    ilia    laetissimi 
Pauli,  "   ut  castigati   et    non   mortificati,    et   quasi  mo- 
«  rientes,    et   ecce   vivimus    :"   nianasseque   et  videatur 
comicus  etiam   ille   versiculus,    "  Qui  per  virtutem  pe- 
«  ritat,     non    interit."       Tu    itaque    protectus    divinitus 
atque  servatus,    una  et   Immortalitatis   gloriam   tibi  pro- 
pagasti,    et    incolumitatem    patriae    quietisque    dulcedi- 
nem   attulisti :    quae   cum   flos   Italiae  jure  nuncuperetur 
et  extet,    sic  fausto   caelestique  dono  te   suum  alumnum 
insignem,     charissimasque    delicias    peperit,      cujus    au- 
spicio,    sapientia,    virtute   mirabili,    foelix  degeret  atque 
regnaret :      quod    semper    est    assecutura   facillime,     si 
quandiu    tibi    vita    supererit,     quibus    caepisti    itineribus 
gradiere,    et  te  non    cura   modo,    sed    procuratio   atque 
anxietas   tuendae  illius  atque   ornandae  semper  incende- 
rit,  pro    qua  dedisti    hactenus   et  opes  et   sanguinem,    et 
ab   cujus  cervicibus    bellorum   pericula    plerumque   pro- 
pulsasti,    qui   et  imperium    auxisti,    et  Tuscuiti  nomen 
ad    barbaras    usque    et   remotissimas   gentes  extendisti. 
Tibi   serenissimi   Reges,    tibi   respublicae   potentissimae, 
tibi   Sultanus  grandis,    tibi   formidatus   omnibus    Turco- 
rum     imperator    mittunt     et    legatos    et    munera.     Te 
Romanus  pater,    terrestris   Deus   et  mortale  numen,  ac- 
ceptissimum    et    perdilectum     veluti    filium    salutari    ac 
beatissimo    complexus    est   sinu.      Complexi    et    pileati 
patres,    qni   tuum    filium   adhuc    impuberem   eu    primis 
litterarum  instltutis,    ac   Sanctis   moribus   sub   pedagogo 
coalescentem,  cardinei  culminis  numero  adjungere  ultra 
mores   et  leges    non    dubitarunt.      Tu    lucrosae    civitati 
ubique    fere    gentium    atque    locorum   commercia  tutis- 
sima   et  mercaturam  coaptasti,    ut   caeteris  ferme  Italis 
/    urbibus  tua  ista  (dicam  ut  audio)  et  nummatior  sit,  et 

omni 


APPENDIX.  NO  LXXVI.  S67 

omni  cultu  et  affluentia  rerum  uberior.  At  vero  fa- 
mem  atque  penuriam,  si  quando  incidit,  vel  consilio, 
vel  opibus  ingentibus  tuis,  patria  pietate,  aut  levasti, 
aut  propulisti,  atque  ita,  lit  reliquae  saepe  Italiae  orae, 
tractusque  famelici,  in  Florentinmn  agrum  (quod  mi- 
rum  videtur,  sed  ita  sane  res  est,)  ad  laniRcium,  efTos- 
siones,  cementationes,  scrobationes,  ligonizationes,  re- 
liquaque  onera  sordida  ac  despicatissima,  ceu  ad  beatas 
olim  promissionis  glebas  confugerint.  Sed  qualis  ego 
aut  quantus  tuarum  Uudum  campum  usurpo,  qui  ab 
illo  eloquentiae  atque  doctrinae  nitore  longe  equidem 
absum,  qui  explicandae  convenit  rei  ?  cui  neque  hujus 
negotii  im-praesens  est  ullo  modo  propositum,  cum  ad 
incitandum  te  magis  ac  permovendum  mea  tota  anni- 
tatur  et  gliscit  oratio :  quam  ut  exaudias,  Laurenti 
benefice,  invocatum  supplex  te  venio,  cohortor,  adjuro. 
Neque  enim  alium  praeter  te  incolumem  haec  fabrica 
habet,  quern  citra  injuriani  possit  rogare.  Ex  te  pen- 
det  tota,  tuoque  genere  sui  auctore,  ut  quae  per  ilios 
crevit  in  tantam  admirationem  et  decus,  per  te  aeque 
haereditario  quodam  jure  accipiat  postremam  digiiiia- 
tem,  levigationem,  et  manum.  Negotium  exigui  sane 
temporis,  parvique  sumptus,  at  speciosissimuni,  at  iie- 
cessarium,  at  pium,  at  sanctum,  planeque  et  onmibus 
gratum,  his  maxime,  qui  tam  pio  inflammatoque  studio 
opus  coepere,  majoribus  illustribus  tuis,  nisi  tam  hu- 
manis  exuti,  ut  superstitiose  in  poetarum  fabulis  est, 
lethaeo  amne  libato  humana  dememinere.  Sed  absit  a 
nobis,  et  ab  salutari  sanctaque  fide  somniatus  hie  gur- 
ges,  oblivionem  ac  noctem  offundens  atque  invoivens 
profectis  a  nobis.  Perniciosa  haec  infideiitas  est,  ra- 
tione  vacans  et  mente,  sacrisque  repugnans  litteris, 
praeclarisque   et  multis    Sanctorum    exempUs,  ac  visis. 

Sed 


368  APPENDIX.  NO  LXXVI. 

Sed  quod  ad  te  attinet,  dabit  ista  res  imprimis  immen- 
sum  tibi  ac  sempiteraum  praemium  apud  ilium,  Lau- 
renti,  ilium  inquam,  qui  pro  his  caducis  parvisque 
muneribus  spondet  munus  aeternum.  Dabit  et  inter 
mortales,  quibus  omnibus  magis,  quam  nobis  ipsis  nati 
singuli  sumus,  tibi  laudem  et  gratiam,  qua  nulla  hones- 
tior,  nulla  communior,  nulla  dulcior,  nullaque  est 
diuturnior.  Pecunia,  signa  toreumata,  purpura,  gem- 
mae, ambitiosus  victus  et  prodigus,  equorum  strata, 
multitudo  puerorum,  omnia  vix,  diurna,  quin  effugiunt 
velut  umbra.  At  operum  magnificentia  sanctorum, 
maxime  et  publicorum,  aeternitatem  quandam  aemula- 
tur,  vel  monumentis  litterarum  illustrata,  vel  quod  ut 
permanere  hujusmodi  talia  diutissime  possint,  vim  ha- 
bent  atque  naturam  ;  cumque  ea  ipsa  senuerint,  reli- 
gione  praecipua  turn  excolantur,  quod  vicinitatem.  ha- 
bere cum  Deo  videntur  quae  longissime  perstant ; 
cum  lapsa  corruerint,  misericordiam  et  pietatem  etiam 
ab  hostibus  sentiant.  Sane  itaque  quaecunque  ad 
magnum  illud  sacrificium  transtuleris,  caelestique  area 
condideris,  ea  sola,  Laurenti,  et  tua,  et  tibi  propria 
erunt,  neque  cum  iis  varia  insolensque  fortuna  com- 
municabit  unquam,  sed  neque  ulla  temerabit  invidia. 
Cogita  tu  omnium  prudentissime,  quantum  ex  hoc 
majores  tui  Medicae  familiae  reliquerunt  honoris  et 
nominis  ;  quantus  odor  religionis  et  pietatis  omnium 
impievit  aures  atque  intuitus,  et  ad  devotionem  animos 
incitavit.  Vestes  et  gemmas,  servos,  ministros,  ancil- 
las,  caeteraque  id  genus  nemo  curat,  nemo  commemo- 
rat,  nemo  et  praedicat,  quoniam  utique  danda  fortunae 
sunt  ista.  Aedificiorum  vero  sumptus,  et  sacrarum 
aedium  ornatus,  quoniam  virtutis  sunt  opera,  quisque 
non  civis  niodo,  sed  peregrinus,  non  Italus  noster,  sed 
Barbarus   quoque   obstupescit,   nee    urbem  praeterit,  nisi 

^  prius 


J 


APPENDIX.  NO  LXXVI.  «6& 

prills  collustratis  tantis  operibus,  tamque  magnificis  at- 
que  sublimibus.  Haec  qiiaeriintur  studiose,  haec  vi- 
suntur  cupide,  haec  obstupescunt  quotidie  omnigenae 
gentes  et  populi.  Hinc  per  omnium  ora,  Cosmi  no- 
men,  et  Petri  genitoris  tui  vagatur  et  volitat,  et  emor- 
tui  adhuc  versantur  in  luce  celebrati  omnium  Unguis 
et  litteris.  Quaeso,  quo  zelo  incendebatur  Cosmus 
idem  noster  jam  senex,  eventusque  praesagiens,  cum 
Fesulanum,  quo  de  nunc  agimus,  opus  construeretur  ? 
qui  nos  exsuscitans  frequenter  aiebat,  "  Euge  fratres, 
"  instate  strenue  operi,  satagite,  manus  ducite,  ad 
"  vesperum  inclinatur,  et  properat  dies,  festinatque 
"  et  subit  occasus."  Et  tuum  genitorem  eo  tempore 
dixisse  memini,  "  Quantum  vestro  pecuniarum  im- 
"  pendimus  operi,  tantum  extra  petulantiam  ludumque 
"  fortunae  nobis  in  lucrum  concedit.''  His  impen- 
sis  aluntur  artifices,  sustentantur  inopes,  cohonesta- 
tur  patria,  et  religiose  excolitur  Deus.  Te  idem  sen- 
sisse  atque  optasse  jamdudum  facile  credimus,  immo 
confidimus,  Magnanime  Laurenti  ac  pientissime.  Sed 
tempora  quandoque  vidimus,  et  occasionem  tuo  voto 
defuisse.  Nunc  vero  cum  arrideat  tibi  summa  pros- 
peritas,  teque  eo  dignitatis  et  loci  pervexerit  non  casus 
aliquis,  sed  maxima  tua  et  admirabilis  virtus,  ut  hono- 
ribus,  potentia,  opibus,  ulla  recordatione  majoribus, 
ornatus  sis  ac  cumulatus,  aggredere  ac  perfice  prospero 
sidere,  ac  benefactore  Jesu  Christo  favente,  nostram 
hanc  quam  te  rogavimus  fabricam.  Quod  ut  queas 
efficere,  ardenter  omnes  vitam  tibi  incolumitatemquc 
precabimur.  Vale  Tuscae  gloriae  splendor,  et  pater, 
tuosque  supplices  audi.  Ex  Abbatia  Fesulana  tuu, 
Nonis  Septembribus. 


sro  APPENDIX.  NO  LXXVIL 


NO  LXXVIL 


Angelus  Politianus^  Jacobo  jinfiguano  suo,  S.  D. 

VULGARE  est,  ut  qui  serius  paulo  ad  amicorum 
literas  respondeant,  nimias  occupationes  suas  excusent. 
Ego  vero  quo  minus  mature  ad  te  rescripserim,  non 
tain  culpani  confer©  in  occupationes  (quanquam  ne 
jpsae  quidem  defuerunt)  quam  in  acerbissimum  potius 
hunc  dolorem  quern  mihi  ejus  viri  obilus  attulit,  cujus 
patrocinio  nuper  unus  ex  omnibus  literarum  professori- 
bus,  et  eram  fortunatissimus,  et  habebar.  Illo  igitur 
nunc  extincto,  qui  fuerat  unicus  author  eruditi  laboris 
videlicet,  ardor  etiam  scribcndi  noster  extuictus  est, 
omnisque  prope  veterum  studioium  alacritas  elanguit. 
Sed  si'  tantus  amor  casus  cognoscere  nostros^  et  quaiem  se 
ille  vir  in  extremo  quasi  vitae  actu  gesserit  audire, 
quanquam  et  fietu  impedior,  et  a  recordatione  ipsa,  quasi- 
que  retractatione  doloris  abhorret  animus,  ac  resilit,  ob- 
temperabo  tamen  tuae  tantae  ac  tani  honestae  voluntati, 
cui  deese  pro  instituta  inter  nos  atnicitia,  neque  volo, 
neque  possum.  Nam  profecto  ipsemet  mihi  nimium  et 
incivilis  viderer,  et  inhumanus,  si  tibi  et  tali  viro,  et 
mei  tam  studioso  rem  ausim  prorsus  uUam  denegare. 
Caeterum  quoniam  de  quo  tibi  a  nobis  icribi  postulas, 
id  ejusmodi  est,  ut  facilius  sensu  quodam  animi  tacito, 
et  cogitation e  comprehendatur,  quam  aut  verbis,  aut 
Uteris  exprimi  possit,  hac  lege  tibi  jam  nunc  obsequium 
nostrum  astringimus,  ut  neque  id  polliceamur  quod 
implere  non  possimus,  tua  certa  causa  non  recusemus. 
Laboraverat    igitur    circiter     menses    duos    Laurentius 

Medices 


APPENDIX.    NO  LXXVII.  371 

Medices  e  doloribus  iis,  qui  quoniam  viscerum  cartila- 
gini  inhaereantj  ex  augmento  Hyfiochondrii  appellantur. 
Hi  tametsi  neminem  sua  quidem  vi  jugulant,  quoniam 
tamen  acutissimi  sunt,  etiam  jure  molestissimi  perhi- 
bentur.  Sed  enim  in  Laurentio,  fatone  dixerim,  an 
inscitia,  incuriaque  medentium  id  evenit,  ut  dum  cu- 
ratio  vloloribus  adhibetur,  febris  una  omnium  insidio- 
sissima  contracta  sit,  quae  sensim  illapsa,  non  quidem 
arterias,  aut  venas,  sicuti  caeterae  solent,  sed  in  artus, 
in  viscera,  in  nervos,  in  ossa  quoque,  et  medullas  in- 
cubuerit*  Ea  vero  quod  subtiliter,  ac  latenter,  quasi- 
que  lenibiis  vestigiis  irrepserat,  parum  primo  animad- 
versa,  dein  vero  cum  satis  magnam  sui  significationem 
dedisset,  non  tamen  pro  eo  ac  debuit  diligenter  curata, 
sic  hominem  debilitaverat  prorsus,  atque  afflixerat,  ut 
non  viribus  modo,  sed  corpore  etiam  pene  omni  amisso, 
et  consumpto  distabesceret.  Quare  pridie  quam  na« 
turae  satisfaceret,  cum  quidem  in  villa  Caregia  cubaret 
aeger,  ita  repente  concidit  totus,  nullam  ut  jam  suae 
salutis  spem  reliquam  ostenderet.  Quod  homo,  ut 
semper  cautissimus,  intelligens,  nihil  prius  habuit, 
quam  ut  animae  medicum  accerseret,  cui  de  contractis 
tota  vita  noxiis  Christiano  ritu  connteretur.  Quem 
ego  hominem  postea  mirabundum,  sic  prope  audivi 
narrantem,  nihil  sibi  unquam  neque  majus,  neque  in- 
credibilius  visum,  quam  quomodo  Laurentius  constans, 
paratusque  adversus  mortem,  atque  impeiterritus,  ct 
praeteritorum  meminisset,  et  praesentia  dispensasset, 
et  de  futuris  item  reUgiosissime  prudentissimeque  ca- 
visset.  Nocte  dein  media  quiescenti,  meditantique, 
sacerdos  adesse  cum  sacramento  nunciatur.  Ibi  vero 
excussus,  Proculy  inquit,  a  me  hoc  absit,  jiatiar  ut  Jesum 
meum,  qui   mc  Jinxit^  qui  me  redemit^  ad  usque  cubicidum. 

hoc 


372  APPENDIX.    NO  LXXVII. 

hoc  venire :  tollite  hhic,  obsecro,  mc  quamfirimum^  tollite, 
ut  Domino  occurram.  Et  cum  dicto  sublevans  ipse  se 
quantum  poterat,  atque  animo  corporis  imbeciliitatem 
sustentans,  inter  familiarium  manus  obviam  seniori  ad 
aulani  usque  procedit,  cujus  ad  genua  prorepens,  sup- 
plexque  ac  lachrymans  :  Tune<,  inquit,  mitissime  Jesu,  tic 
nequissimum  hunc  servum  tuum  dignaris  invisere  ?  At 
quid  dixi  servum  ?  immo  vere  hostem  potius^  et  quidem 
ingratissimum,  qui  tantis  abs  te  cumulatus  henejiciis^  nee 
tibi  dicto  unquam  audiens  fuerim^  et  tuam  toties  majestatem 
laeserim*  Quod  eg-o  te^  /ler  illam  qua  genus  omne  homi- 
num  comfilecteris,  charitatem^  quaeque  te  caelitus  ad  nos  in 
terrain  deduxit,  nostraeque  humanitatis  induit  involucris^ 
quae  famem^  quae  sitim^  quae  frigus^  aestum^  labores^  ir- 
7'isus,  contumelias^  Jiagella  et  verbera^  quae  postremo  etiam 
mortem^  crucemque  subire  te  comjiulit  ;  Per  hanc  ego  te, 
salutijer  Jesu,  quaeso,  obtestorque,  avertas  faciem  a  pecca^ 
tis  meis ;  ut  cum  ante  tribunal  tuum  constitero,  quo  me 
jamdudum  citari  plane  sentio,  non  mea  fraus,  non  culpa, 
plectatur,  sed  tuae  crucis  ineritis  condonetur,  Valeat,  va- 
leat  in  causa  mea,  sanguis  ille  tuus  Jesu  preciosissimus, 
quern  pro  asserendis  in  libertatem  hominibus,  in  ara  ilia 
sublimi  nostrae  redemptionis  effudisti.  Haec  atque  alia 
cum  diceret  lachrymans  ipse,  lachrymantibusque  qui 
aderant  universis,  jubet  eum  tandem  sacerdos  attolli, 
atque  in  lectulum  suum,  quo  sacramentum  commodius 
administraretur,  referri.  Quod  ille,  cum  aliquandiu 
facturum  negasset,  tamen  ne  seniori  suo  foret  minus 
obsequens,  exorari  se  passus,  iteratis  ejusdem  ferme 
sententiae  verbis,  corpus  ac  sanguinem  dominicum 
plenus  jam  sanctitatis,  et  divina  quadam  maj estate  ve- 
rendus  accepit.  Tum  consolari  Petrum  filium  (nam 
leliqui  aberant)  exorsus,  ferret  aeque  animo  vim  neces- 
sitatis 


APPENDIX.  NO  LXXVII.  37S 

sitatis  admonebat,  non  defuturum  caelitiis  patrocinium, 
quod  ne  sibi  quidem  unquam  in  tantis  re  rum,  fortu- 
naeque,  varietatibus  defuisset ;  virtutem  inodo  et  bo- 
nam  tiientem  coleret,  bene  consulta  bonos  eventus 
paritura.  Post  ilia  contemplabundus  aliquanniu  qui- 
evit.  Exclusis  dein  caeteris  eundem  ad  se  natum 
■\focat,  niulta  monet,  multa  praecipit,  multa  edocet, 
quae  nondum  foras  emanarunt,  plena  omnia  tamen 
(sicuti  audivimus),  et  sapientiae  singularis,  et  sancti- 
moniae  ;  quorum  tamen  unum  quod  nobis  scire  qui- 
dem licuerit,  adscribam.  Gives,  inquit,  7m  Petre,  sue- 
cessorem  te  meuvi  hand  dubie  agnoscent,  JVcc  autem  ve- 
reor,  ne  non  eadem  futurus  authoritate  in  hac  Refiublica 
sis,  qua  nos  ipsi  ad  hanc  diem  fiuerimus,  Sed  quoniam 
civitas  omnis  corpus  est  (quod  ajunt)  multorum  cajmum, 
neque  mos  geri  singulis  potest,  memento  in  ejusmodi  varie- 
tatibus id  co7isiliur.i  sequi  semper,  quod  esse  quam  hoTiestis- 
simum  intelliges,  magisque  imiver sitatis,  quam  seorsum 
cujusque  rationem  habeto,  Mandavit  et  de  funere,  ut 
scilicet  avi  Cosmi  exemplo  justa  sibi  iierent,  intra  mo- 
dum  videlicet  eura  qui  privato  conveniat.  Venit  dein 
Ticino  Lazarus  vester,  medicus  (ut  quidem  visum  est) 
experientissimus,  qui  tamen  &ero  advocatus,  ne  quid 
inexpertum  relinqueret,  preciosissima  quaedam  gem- 
mis  omne  genus,  margaritisque  conterendis  medica- 
menta  tentabat.  Quaerit  ibi  tum  ex  familiaribus  Lau- 
rentius  (jam  enim  admissi  aliquot  fueramus)  quid  ille 
agitaret  medicus,  quid  moliretur.  Cui  cum  ego  re- 
spondissem,  epithema  eum  concinnare,  quo  praecordia 
foverentur,  agnita  iile  statim  voce,  ac  me  hiiare  intuens 
(ut  semper  solitus)  heus,  inquit,  he  us  Augele :  simul 
brachia  jam  exhausta  viribus  aegre  attollens,  manus 
ambas  arctissime  prehendit.  Me  vero  singultus  iachry- 
voL.  III.  3  c  iiiucque 


374  APPENDIX.  NO  LXXVII. 

maeque  cum  occupavissent,  quas  celare  tamen  rejecta 
cervice  conabar,  nihilo  ille  commotior,  etiam  atque 
etiam  manus  retentabat.  Ubi  autem  persensit  fletu 
adhuc  praepediri  me,  quo  minus  ei  operam  darem, 
sensim  scilicet  eas,  quasique  dissimulanter  omisit. 
Ego  me  autem  continuo  in  penetrale  tnalami  conjicio 
flentem,  atque  habenas  (ut  ita  dicam)  dolori  et  lachrymis 
laxo.  Mox  tamen  reverter  eodem,  siccatis  quantum 
licebat  oculis.  Ille  ubi  me  vidit  (vidit  autem  statim) 
vocat  ad  se  rursum,  quaeritque  perblande,  quid  Picus 
Mirandula  suus  ageret.  Respondeo,  manere  eum  in 
urbe,  quod  vereatur,  ne  illo  si  veniat,  molestior  sit. 
At  ego,  inquit,  vicissim  ni  verear,  ne  molestum  sit  ei 
hoc  iter,  videre  atque  alloqui  extremum  exoptem,  pri- 
usquam  plane  a  vobis  emigro.  Vin'  tu,  inquam,  ac- 
cersatur?  Ego  vero,  ait  ille,  quamprimum.  Ita  sane 
facio.  Venerat  jam,  assederat,  atque  ego  quoque  juxta 
genibus  incubueram,  quo  loquentem  patronum  faci- 
lius,  utpote  defecta  jam  vocula,  exaudirem.  Bone 
Deus,  qua  ille  liunc  hominem  comitate,  qua  humani- 
tate,  cjuibus  etiam  quasi  blanditiis  excepit  ?  Rogavit 
primo,  ignosceret  quod  ei  laborem  hunc  injunxisset, 
amori  hoc  tamen  et  bene  volenti  ae  in  ilium  suae  adscri- 
beret,  libentius  sese  animam  editurum,  si  prius  amicis- 
simi  hominis  aspectu  morientes  oculos  satiasset.  Turn 
sermones  injecit  urbanos,  ut  solebat,  et  familiares. 
Non  nihil  etiam  tunc  quoque  jocatus  nobiscum,  quin 
utrosque  intuens  nos  :  Vellem^  ait,  distulisset  me  saltern 
mors  haec  ad  eum  diem^  uuo  vestratn  plane  bibliothecam 
absoliu8snn,  Ne  muitis.  Abierat  vix  dum  Picus,  cum 
Ferrariensis  Hieronymus,  insignis  et  doctrina,  et  sanc- 
timonia  vir,  caelestisque  doclrinae  predicator  egregius, 
cubiculum    ingreditur :    hortatur  ut    fidem   teneat  ;    ille 

vero 


APPENDIX.   NO  LXXVII.  375 

vero  tenere  se  ait  inconcussam  :  iit  quam  emendatissi- 
me  posthac  vivere  destinet ;  scilicet  facturum  obnixe 
respondit :  ut  mortem  denique,  si  necesse  sit,  aequo 
animo  tolleret ;  nihil  vero^  inquit  ille,  jucuvdius,  sicjui- 
dem  ita  Deo  dccretum  sit,  Recedebat  homo  jam,  cum 
Laurentius,  Heiis^  inquit,  henedictiontin  fiatcr^  priusijuam 
a  nobis  firojicisceris,  Simul  demisso  capita  vultuque,  et 
in  omnem  piae  religionis  imaginem  formatus,  subinde 
ad  verba  illius  et  preces  rite  ac  memoriter  responsita- 
bat,  ne  tantillum  quidem  familiarium  luctu,  aperto 
jam,  neque  se  ulterius  dissimulante,  commotus.  Di- 
ceres  indictam  caeteris,  uno  excepto  Laurentio, 
mortem.  bic  scilicet  unus  ex  omnibus  ipse  nul- 
1am  doloris,  imihan  perturbationis,  nullam  tristitiae 
significationem  dabat,  consuetumque  animi  vigo- 
rem,  constantiam,  aequabiiitateni,  magnitudinero,  ad 
extremum  usque  spiritum  producebat.  Instabant  Me- 
dici adhuc  tamcn,  et  ne  nihil  agere  videreutur,  oi- 
ficiosissime  hominem  vexabant.  iSinil  ille  tamea  as- 
pernari,  nihil  aversari  quod  illi  modo  obtr.lissent,  non 
quidem  quoniam  spe  vitae  blandientis  iiiiceretur,  sed 
ne  quein  forte  moriens,  vel  levissime  perstringeret. 
Adeoque  fortis  ad  extremum  perstitit,  ut  de  sua  quo- 
que  ipsius  morte  nonnihil  caviilaretur,  sicuti  cum  por- 
rigenti  cuidam  cibum,  rogantique  mox  quam  piacuis- 
set,  respondit  :  quam  solet  morienti.  Post  id  blande 
singulos  amplexatus,  petitaque  suppliciter  venia,  si  cui 
gravior  forte,  si  molestior  morbi  vitio  fuisset,  totum  se 
post  ilia  perunctioni  summae,  deniigrantisque  animae 
commendationi  dedidit.  Recitari  dein  evangelica  histo- 
iia  coepta  est,  qua  scilicet  irrogati  Christo  cruciatus 
explicantur,  cujus  ille  agnoscere  se  verba  et  sententias 
prope  omnes,    rnodo   labra    tacitus    movens,    modo   lau- 

fruentes 


376  APPENDIX.  NO  LXXVII. 

giicnlcs  oculos  erigens,  interdum  etiam  digitorum 
geslu  signilicabat.  Postremo  sigillum  crucifixi  argen- 
teura,  margarids  geinmisque  magnifice  adornatum,  de- 
fixis  usciuequaqiie  oculis  intuens,  identidemque  deoscu- 
lans  expiiavit — Vir  ad  omnia  summa  natus,  et  qui 
flantem  reflantemque — ^toties  fortunam,  usque  adeo  sit 
alterna  veiificatione  moaeratus,  ut  nescias  utrum  se- 
cundis  rebus  constantior,  arx  adversis  aequior  ac  teni- 
perantior  apparuerit :  ingenio  vero  tanto  ac  tarn  facili, 
et  perspicaci,  ut  quibus  in  singulis  excellere  alii  mag- 
num putant,  ille  universis  pariter  emineret.  Nam  pro- 
bilatem,  justitiam,  fidem,  nemo  arbitror  nescit  ita  sibi 
Laurentii  Medicis  pectus  atque  animum,  quasi  gratis- 
simum  aliquod  domicilium,  templumque  delegisse. 
Jam  comitas,  humanitas,  affabilitas  quanta  fuerit,  eximia 
quadam  in  eum  totius  populi,  atque  omnium  plane  or- 
dinum  benevolentia  declaratur.  Sed  enim  inter  haec 
omnia,  liberalitas  tamen,  et  magnificentia  explendes- 
cebat,  quae  ilium  pene  immortali  quadam  gloria  ad 
Deos  usque  provexerat :  cum  interim  nihil  ille  fam.ae 
duntaxat  Cc.usa,  &  nominis,  omnia  vero  virtutis  amore 
persequebatur.  Quanto  autem  literatos  homines  studio 
<:omplectebatur  r  Quantum  honoris,  quantum  etiam 
reverenliae  omnibus  exhibebat  ?  Quantum  denique  ope- 
rae  industriaeque  suae  conquirendis  toto  orbe  terra- 
rum,  coemendisque  linguae  utriusque  voluminibus  po* 
suit,  quantosque  in  ea  re  quam  immanes  sumptus  fecit  ? 
lit  non  aetas  mcdo  haec,  aut  hci*c  seculum,  sed  pos- 
teritas  etiam  ipsa,  maximam  in  hujus  hominis  interitu 
iacturam  fecerlt.  Caeterum  consolantur  nos  maximo 
in  luctu  liberi  ejus,  tanto  patre  dignissimi,  quorum  qui 
niaximus  natu  Petrus,  vixdum  primum  et  vigesimum 
ingressus  annum,  tanta  jam    et   gravitate,  et  prudentia, 

et 


APPENDIX.  NO  LXXVII.  S77 

et   authoritate   molem   t.otius   Reip.   sustentat,    ut   in    eo 
statim   revixisse   genitor  Laurentius   existimetur.     Alter 
annorum    duodeviginti    Joannes,     et    Cardinalis    amplis» 
simus    (quod    nunquam    ciiiqiiam    id    aetatis    contigerit) 
et  idem  pontifici    maximo,  non    in  ecclesiae  patrimonio 
duntaxat,    sed   in   patriae    quoque    suae    ditione    legatus, 
talcm   tantumque   se  jam  tarn   arduis   negotiis  gerit,    et 
praestat,    ut  omnium   in  se  mortalium  oculos  converterit, 
atque    incredibilem    quandam,     cui    responsurus    planis- 
sime    est,     expectationem    concitaverit.      Tertius    porro 
Julianus,    impubes    adhuc,    pudore  tamen   ac   venustate, 
neque    non  probitatis,     et  ingenii   miriiica  quadam    sua- 
vissimaque     indole,     totius     sibi     jam    civitatis    animos 
devinxit.      Verum   ut   de    aliis   in  praesenti  taceam,    de 
Petro   certe  ipso   cohibere  me   non  possum,    quin  recenti 
re   testimonium   hoc  loco  paternum   adscribam.     Duobus 
circiter   ante   obitum  mensibus,    cum  in  suo  cubiculo  se- 
dens   (ut   solebat)   Laurentius,    de    Philosophia,  et  Uteris 
nobiscmn   fabularetur,    ac  se  destinasse  diceret   reliquam 
aetatem   in  iis   studiis  mecum,  et   cum   Ficino,   Picoque 
ipso   Mirandula   consumere,    procul    scilicet   ab  urbe,  et 
strepitu  ;  negabam   equidem  hoc  ei  per  suos  cives  licere, 
qui   quidem  indies   viderentur   rnagis  magisque  ipsius  et 
consilium,    et    authoritatem    desideraturi.      Turn    subri- 
dens  ille,    Atqui  jam,    inquit,    vices    nostras    alumno    tuo 
delegabimus,    atque   in    emn   sarcinam  hanc,  et  onus  omncy 
reclinabimiis,       Cumque    ego    rogassem,      an     adhuc'  in 
adolescente,    tantum   virium   deprehendisset,  ut  eis  bona 
fide  incumbere  jam  possemus,   E^o  vera,   ait  ille,  quanta 
ejus    et  quam  solida  video  esse  fundanienla^  laturum  sficro 
haud   duhie    quicguid   inaedijicavero.       Cave   igiiur  flutes, 
Jng-e/e,    quenqiiam    adhuc  ex  nostris,    indole  fidsse  tanta, 
quantam  jam  Petrus  ostcndit^  ut  sfierem.  fore,  atque  adco 

a  usurer 


573  APPENDIX.  N^  LXXVII. 

augur er  (nisi  me  ipsius  ingenii  aliquot  jam  experimenter 
fefellerint)  ne  cui  sit  ma'pruin  suorum  coyicessuru^:.  At- 
que  hujus  quidem  judicii  praesagiique  p?iterni,  magnum 
profecto  et  clarum  specimen  hoc  nuper  dedit,  quod 
aegrotanti  praesto  fuit  semper,  omniaque  per  se  pene 
etiam  sordida  ministeria  obivit,  vigiliainim  patientissi- 
mus,  et  inediae  ;  nunquamque  a  lectulo  ipso  patris^ 
nisi  cum  maxime  Respublica  urgeret,  avelli  passus. 
Et  cum  mirifica  pietas  extaret  in  vultu,  tamen  ne  mor- 
bum  aut  solicitudinem  paternam  moerore  suo  adau- 
geret,  gemitus  omneis,  et  lachrymas  incredibili  virtute 
quasi  devorabat.  Porro  autem,  quod  unum  tristissima 
in  re  pulcheirimum,  ceu  specfaculum  videbamus,  in- 
vicem  pater  quoque  ipse,  ne  tristiorem  filium  tristitia 
sua  redderet,  frontem  sibi  extempore  velut  aliam  fin- 
gebat,  ac  fluenies  oculos  in  illius  gratiam  continebat, 
nunquam  aut  consternatus  animo,  aut  fractus,  donee 
ante  ora  natus  obversaretur.  Ita  uterque,  cercatim  vim 
facere  afFectibus  suis,  ac  dissimulare  pietatem  pietatis 
studio  nitebatur.  Ut  autem  Laurentius  e  vita  decessit, 
dici  vix  potest,  quanta  et  humanitiite,  et  gravitate  cives 
omneis  suos  Fetrus  noster  ad  se  domum  confluentes 
exceperit,  quam  et  apposite,  et  varie,  et  blande  etiam 
dolentibus,  consolantibusque  pro  tempore,  suamque 
operam  pollicentibus  respondent ;  quantam  deinde,  et 
quam  soiertem  rei  constituendae  famiiiari  curam  im- 
penderit ;  ut  necessitudines  suas  omneis  gravissimo 
casu  perculsas  sublevarit :  ut  vel  minutissimum  quem- 
que  ex  familiaribus  dejectum,  diffidentemque  sibi  ad- 
versis  rebus  coliegerit,  erexerit,  animaverit,  ut  in 
obeunda  quoque  Republica  nulli  unquam,  aut  loco, 
aut  tempori,  aut  muneri,  aut  homini  defuerit,  nulla 
denique   in   parte   cessaverit ;  sic  ut  eam  plane  institisse 

jam 


APPENDIX.  NO  LXXVII.  379 

jam  viam  atqiie  ila  pleno  gradu  iter  ingressus  videatur, 
brevi  \it  putetur  parentem  quoque  ipsum  vestigiis  con- 
secuturus.  De  funere  autem  nihil  est  quod  dicam. 
Tantum  ad  avi  exemplum  ex  praescripto  celebratum 
est,  quemadmodum  ipse,  ut  dixi,  moriens  mandaverat : 
tarn  magno  autem  omnis  generis  mortalium  concursu, 
quam  magnum  nunquam  antea  memincrimus.  Pro- 
digia  vero  mortem  ferme  haec  antecesserunt,  quanquam 
alia  quoque  vulgo  feruntur.  Nonis  Aprilibus,  hora 
ferme  diei  terliaj  triduo  antequam  animam  edidit 
Laurentius,  mulier,  nescio  quae,  dum  in  aede  sacra 
Mariae  novellae,  quae  dicitur,  declamitanti  e  pulpito 
dat  operam,  repente  inter  confertam  populi  multitu- 
dinem  expave facta  consternataque  consurgit,  lympha- 
toque  cursu,  et  terrificis  clamoribus,  Heus  /leus,  inquit, 
cives,  an  hiinc  non  cernids  fcrocientem  taurum^  qui  tem- 
iiluTYi  hoc  ingens  fiammads  cornibus  ad  terrain  dt-jicit  ? 
Prima  porro  vigilia,  cum  coelum  nubibus  de  impro- 
vise foedaretur,  continue  Basilicae  ipsius  maximae 
fastigium,  quod  opere  miro  singuiarem  toto  terrarum 
orbe  testudinem  supereminet,  tactum  de  coelo  est,  ita 
ut  vastae  quaepiam  dejicerentur  moles,  atque  in  eam 
potissimum  partem,  qua  Medicae  convisuntur  aedes, 
vi  quadam  horrenda,  et  impetu,  marmora  imnnania 
torquerentur.  In  quo  illud  etiam  praescito  non  caruit, 
quod  inaurata  una  pila,  quales  aliae  quoque  in  eodem 
fastigio  conspiciuntur,  excussa  fulmine  est,  ne  non  ex 
ipso  quoque  insigni  proprium  ejus  familiae  detrimen- 
tum  portenderetur.  Sed  et  illud  memorabile,  quod, 
ut  primum  detonuit,  statim  quoque  serenitas  reddita. 
Qua  autem  nocte  obiit  Laurentius,  stella  solito  clarior, 
ac  grandior,  suburbano  imminens,  in  quo  is  animam 
agebat,  illo  ipso   temporis  articvilo  decidere,  extinguique 

visa, 


580  APPENDIX.  NO  LXXVIL 

visa,  quo  compertum  deinde  est  eum  vita  demigrassc. 
Quin  excurrisse  etiam  faces  trinoctio  perpetue  dc 
Faesulanis  montibus,  supraqne  id  templum,  quo  re- 
liquiae conduntur  Medicae  gentis,  scintillasse  nonnihil, 
moxque  evanuisse  feruntur.  Quid  ?  quod  et  leonum 
quoque  nobilissimum  par  in  ipsa  qua  publice  conti- 
nentur  cavea,  sic  in  pugnam  ferociter  concurrent,  ut 
alter  pessime  acceptus,  alter  etiam  leto  sit  datus. 
Arreti  quoque  supra  arcem  ipsam,  geminae  perdiu  ar- 
sisse  flammae,  quasi  Castores  feruntur,  ac  lupa  iden- 
tideni  sub  moenibus  ululatus  terrificos  edidisse.  Qui- 
dam  iiiud  etiam  (ut  sunt  ingenia)  pro  monstro  inter- 
pretantur,  quod  excellentissimus  (ita  enim  habebatur) 
hujus  aetatis  medicus,  quando  ars  eum  pracscitaque 
fefellerant,  animum  despondent,  puteoque  se  sponte 
demerserit,  ac  principi  ipsi  Medicae  (si  vocabulum 
spectes)  familiae  sua  nece  parentaverit.  Sed  video  me, 
cum  quidem  multa,  et  magna  reticuerim,  ne  forte  in 
speciem  adulationis  inciderem,  longius  tamen  provectum, 
quam  a  principio  insdtueram.  Quod  ut  facerem,  partim 
cupiditas  ipsa  obsequendi,  obtemperandique  tibi  Optimo, 
doctissimo  prudentissimoque  homini,  mihique  amicis- 
simo,  cujus  quidem  studio  satisfacere  brevitas  ipsa  in 
transcursu  non  poterat :  pai'tim  etiam  amara  quaedam 
dulcedo,  quasique  titillatio  impulit,  recolendae,  frequen- 
tandaeque  ejus  viri  memoriae.  Cui  si  parem  similem- 
que  nostra  aetas  unum  forte  atque  alterum  tulit,  potest 
audacter  jam  de  splendore  nominis  et  gloria,  cum  vetus- 
tate  quoque  ipsa  contendere.  Vale  15.  Cal.  Junias 
MccccLxxxzii.  in  Faesulano  Rusculo. 


APPENDIX.  NO  LXXVIII.  381 


NO  LXXVIII. 

Rime  di  Jacofio    Sanazzaro, 
JVella  Morte  di  Pier  Leone^   Medico. 

II  qual  per  la  morte  del  gran  Lorenzo  de^  Medici  Ju  gittaU 
in  un  pozzo  a  Careggi, 

XjA  notte,  che  dal  ciel  carca  d'   obblio 

Suol  portar  tregua  a'  miseri  mortali, 

Venuta  era  pietosa  al  pianger  mio  : 
E  gia  con  1"  ombra  delle  sue  grand'  ali 

II  volto  della  terra  avea  coverto  ; 

E  tacean  le  contrade,   e  gli  animali  ; 
Quando  me  lasso,  e  di  mia  vita  incerto, 

Non  so  com',  in  un  punto  il  sonno  prese 

Sotto  1'  asse  del  ciel  freddo,  e  scoverto. 
Ed  ecco  il  verde  Dio  del  bel  paese, 

Arno,  tutto  elevato  sopra  1'  onde, 

S'  offerse  agli    occhi   miei  pronto,  e  palese. 
Di  limo  un  manto  avea  sparso  di  fronde, 

E  di  salci  vma  selva  in  su  la  testa. 

Con  la  qual  gli  occhi,   e'l  viso  si  nasconde. 
Oime,  Fiorenza,  oime,  qual  rabbia  e  questa  ? 

Venia  gridando,  oime,  non  ti  rincrebbe  ? 

Con  voce  paventosa,  irata,  e  mesta  ; 
Pietosa  oggi  ver  te  Tracia  sarebbe  ; 

Pietosi  i  fieri  altar  di  quella  terra 

La  qual  sol  un  Busiri  al  suo  temp'  ebbe. 
VOL.  III.  %  D  Bell 


382  APPENDIX.  N^  LXXVIII. 

Ben  fosti  iiglia  tu  d'  ingiusta  guerra  ; 
Ben  sei  madre  di  sangue  ;  e  pid  sarai, 
Se  vendetta  dal  ciel  non  si  dis^erra. 

Indi  rivolto  a  me,  disse,  Che  fai  ? 

Fuggi  le  mal  fondate,  ed  empie  mura  : 
Ond'  io  tutto  smairito  mi  destai  ; 

E  tanta  ebbe  in  me  foi-za  la  paura, 

Che  sconsigliato,  e  sol,  presi  '1  cammino 
Senz'  altra  scorta  che  di  notte  oscm^a. 

Errando  sempre  andai  fin  al  mattino, 

Tanto,  ch'  allor  da  lunge  un'  ombra  scorsi 
Chi  in  abito  venia  di  peregrine. 

Al  volto,  ai  gesti,  ed  all'  andar  m'  accorsi 
Che  spirto  era  di  pace,  al  ciel  amico ; 
Onde  piu  ratto  per  vederlo  io  corsi. 

E,  mentre  in  arrivarlo  io  m'  affatico, 
Ei  riprese  la  via  per  entro  mi  bosco, 
Sempre  guard ando  me  con  volto  oblico. 

Non  mi  tolse  il  veder  quell'  aer  fosco, 

Che  V  lume  del   suo  aspetto  era  pur  tanto, 
Che  basto  ben  per  dirli,  Io  ti  conosco  ; 

O  gloria  di  Spoleto,  aspetta  alquanto — 
E  volendo  seguire  il  mio  sermone, 
La  lingua  si  resto  vinta  dal  pianto. 

Allor  voltossi  ;  ed  ioj  O  Pier  Leone, 
Ricominciai  a  lui  con  miglior  lena, 
Che  del  mondo  sapesti  ogni  cagione, 

Deh  dimmi,  questa  vita  alma,  e  serena, 
Per  qual  demerto  suo  tanto  ti  spiacque, 
Che  volesti  morir  con  si  gran  pena  ? 
Qual  si  fero  desir  nel  cor  ti  nacque, 
Qual  cieco  sdegno  a  non  curar  ti  strlnse 


Del 


APPENDIX.  NO  LXXVIII.  383 

Del  corpo  tuo,  che  'n  tanto  obbrobrio  giacque  ? 
Che  ti  val,  se  '1  tuo  senno  ogn'  altro  vinse  ? 

Che  r  ingegno,  e  '1  valor  ?  se  l'  ultim'  ora 

Con  la  vita  la  gloria  insieme  estinse  ? 
O  padre,  o  signor  mio,  1'  iiscir  di  fora, 

Come  tu  sai,  non  e  permesso  all*  alma ; 

Ne  far  si  dee,  se  '1  ciel  non  vuole  ancora : 
Che  '1  dispregiar  deila  terrena  salma 

A  quel  con  piu  vergogna  si  dibJice, 

Che  piu  braman  d'  onor  aver  la  palma. 
Ogni  riva  del  mondo,   ogni  pendice 

Cercai,    rispose,    e  femmi  nn  altro  Ulisse 

Filosofia,   che  suol  far  1'  uom  felice. 
Per  lei  le  sette  erranti,  e  1'  altre  fisse 

Stelle  poi  vidi,  e  le  fortune,  e  i  fati, 

Con  quanto  Egitto,  e  Babilonia  scrisse ; 
E  piu  luogh'  altri  assai  mi  fur  mostrati, 

Ch'  Apollo,  ed  Esculapio  in  la  bell'  arte 

Lasciar  quasi  inaccessi,   ed  intentati. 
Volava  il  nome  mio  per  ogni  parte  i 

Italia  il  sa ;  che  mesta  og-gi  sospira, 

Bramando  il  suon  delle  parole  sparte. 
Pero  chi  coii  ragion  ben  dritto  mira, 

Potra  veder  ch'  in  un  si  colto  petto 

Non  trovo  loco  omai  disdegno,  od  ira. 
Dunque  da  te  rimuovi  ogni  sospetto  ; 

E  se  del  morir  mio  1'  infamia  io  porto, 

Sappi  che  pur  da  me  non  fu  '1  difetto  : 
Che,  mal  mio  grado,  io  fui  sospinto,  e  morto 

Nel  fondo  del  gran  pozzo  orrendo,  e  cup9i 

Ne  mi  valse  al  pregar  esser  accorto  : 
Che  quel  rapace,  e  famulento  lupo 

Non  ascoltava  suon  di  voci  umane, 

Quand© 


!84  APPENDIX.  NO  LXXVIIL 

Quando  giii  mi  irjando  nel  gran  dirupo. 

O  dubbj  fati,  o  sorti  invoke,  e  strane, 

O  niente  ignara,  e  cieca  al  proprio  danno, 
Come  fur  tue  difese  insulse,  e  vane  ! 

Previsto  avea  ben  io  i'  occulto  inganno 
Ch'  al  mio  morir  tessea  1'  avara  invidia, 
E  sapea  ch'  era  giunto  all'  ultim'  anno. 

Ma  credendo  i'uggir  Ponto,  o  Nomidia, 
Di  Padoa  mi  partii,  venendo  in  loco 
Ove,  lasso,  trovai  frode,  e  perfidia. 

E  qiial  farfalla  al  desiato  foco, 
Tirata  dal  voler,   si  riconduce, 
Tanto,   ch'  al  fin  le  pare  amaro  il  gioco, 

Tal  mi  moss'  io  correndo  alia  mia  luce  ; 
Lorenzo,  dico,  il  cui  valore,  e  '1  senno 
A  tutta   Italia  fu  maestro,  e  duce. 

Cosi  le  stelle  in  me  lor  forza  fenno. 
Or  va,   mente  ingannata,  in  te  ti  fida, 
Che  muover  credi  il  ciel  con  picciol  cenno. 

Quell'  alma  provvldenzia  che  '1  ciel  guida, 
Non  vuol  ch'  umano  ingegno  intender  possa 
L'  ammirando  segreto  ove  s'  annida. 

E  non  pur  voi   che  sete  in  questa  fossa. 

Ma  gli  Angeli  non  hanno  ancor  tal  grazia, 
Quantunque  scarchi  si  an  di  carne,  e  d'  ossa. 

Di  contemplar  ciascun  s'  allegra,   e  sazia 
Nel  sommo  Sol :  pur  quelle  leggi  eterne 
Lasciando  a  parte,  il  ciel  loda,  e  ringrazia. 

Tanto  si  sa  la  su,  quanto  decerne 

L'  alto  motor.     Colui  che  piu  ne  volse. 
Or  geme,  e  mugghia  nelle  notti  inferne. 

Quando  dal  corpo  mio  1'  alma  si  sciolse, 
Non  le  gravo  '1  partir ;  ma  1'  empia  fama 


Che 


APPENDIX.  NO  LXXVIII.  385 

Che  lasciava  di  se  qua  giu,  le  dolse  : 
Ne  d'  altro  innanzi  a  Dio  or  si  richiama. 

Se  '1  feci,  se  '1  peiisai,  se  fui  nocente, 

Tu  ciel,  tu  verita,  tu  terra,  esclama. 
O  mal  nata  avarizia,  o  sete  ardente 

De  mondani  tesor,  che  sempre  cresci ! 

Miser  chi  dietro  a  te  suo  mal  non  sente. 
Or  va,  infelice,  a  te  stessa  rincresci : 

Poi  che  fan  senza  te  piu  lieta  vita 

Le  fere  vaghe,  e  gli  augelletti,  e  i  pesci. 
Ma  quella  man  che  'n  me  fu  tanto  ardita, 

Per  ch'  e  cagion  che  il  mondo  oggi  m'  incolpe 

Contra  mia  voglia  a  profetar  m'  invita. 
lo  dico  che  di  questa,  e  d'  altre  colpe 

Vedrassi  di  la  su  venir  vendetta, 

PriiTia  che  '1  corpo  mio  si  snerve,  o  spolpe. 
Macchiare,  ahi  stolta,  e  sanguinaria  setta, 

Macchiar  cercasti  un  nitido  cristallo, 

Un*  alma  in  ben  oprar  sincera,  e  netta. 
Sappi,  crudel,  se  non  purghi  '1  tuo  fallo, 

Se  non  ti  volgi  a  Dio,  sappi  ch'  i'  veggio 

Alia  ruina  tua  breve  intervallo ; 
Che  cadera.  quel  caro  antico  seggio, 

(Questo  mi  pesa,)  e  finira  con  doglia 

La  vita  che  del  mal  s'  elesse  il  peggio. 
Poi  volse  i  passi,  e  disse,  Quella  spoglia 

Che  fu  gittata,  ed  or  di  tomba  e  priva, 

Ben  verra  con  pieta  chi  la  raccoglia. 
Ma  che  piu  questo  a  me  ?  pur  1'  alma  e  viva, 

Ed  onorata  nei  superni  chiostri, 

Ove  umana  virtu  per  fede  arriva  : 
Ivi  convien  che  '1  suo  ben  far  si  mostri. 


!86  APPENDIX.  NO  LXXIX. 


NO  LXXIX. 


JEx  Diario   anonymi   cujiisdam  Florentini^    quod  extat  in 
Bibliotheca  Magliabechiana, 

A  Di  8.  d'  Aprile  1492.  in  Domenica  circa  ore  5.  di 
notte  mori  il  Magnifico  Lorenzo  di  Piero  di  Cosimo  de' 
Medici,  a  Careggi,  d'  eta  d'  anni  44.  non  finiti,  il  quale 
era  stato  malato  circa  a  mesi  due  d'  una  strana  infer- 
mita,  con  grandissimi  dolori  di  stomaco  e  di  capo,  che 
mai  potettono  i  Medici  conoscere  la  sua  malattia.  Dubi- 
tossi  di  veleno,  e  massime  perche  un  Mess.  Pierlione  da 
Spuleti  singolarissimo  Medico,  che  era  stato  alia  cura 
sua  in  tutta  la  malattia,  la  mattina  seguente  dopo  la 
sua  morte,  fu  trovato  essere  stato  gittato  in  un  pozzo  a  S. 
Cervagio  alia  Villa  di  Francesco  di  Ruberto  Martelli, 
dove  era  stato  trafugato,  perche  certi  famlglj  di  Loren- 
zo 1'  avevano  voluto  ammazzare,  per  sospetto  che  non 
avessi  a\^'elenato  Lorenzo,  ma  non  se  ne  vedde  segno 
alcuno. 


NO  LXXX. 

Joannes  Cardlnalis  de*  Medici, 
Magnifico  viro  Petro  de^  Medicis, 

V-/ARISSIME    frater    mi,    ac    unicum    nostrae    domus 
columen.     Quid   scribam,   mi   frater,    praeter   lachrimas 

p,ene 


APPENDIX.  N<^  LXXX.  387 

pene  nihil  est,  perche  considerando  la  felice  memoria 
di  nostro  Padre  essere  mancliata,  flere  magis  libet, 
quam  quidpiam  loqui.  Pater  erat,  ac  qualis  Pater  i 
In  filios  nemo  eo  indulgentior  :  teste  non  opus  est,  res 
ipsa  indicat.  Non  mirum  igitur,  se  mi  dolgo,  se  pi- 
ango,  se  quiete  alcuna  non  truovo,  ma  alquanto,  mi 
frater,  mi  comforta,  die  ho  te,  quern  loco  defuncti 
patris  semper  habebo.  Tuura  erit  imperare,  mcum 
vero  jussa  capessere  :  farannomi  e  tua  comandamenti 
sempre  sommo  piacere  supra  quam  credi  potest.  Fac 
periculum :  impera ;  nihil  est,  quod  jussa  retardem. 
Oro  tamen,  mi  Petre,  is  velis  esse  in  omnes,  in  tuos 
praesertim,  qualem  desidero,  beneficum,  affabilem, 
comem,  liberalem,  con  le  quali  cose  non  e  cosa  che 
non  si  acquisti,  e  non  si  conservi.  Non  ti  ricordo  ques- 
to,  perche  mi  diffidi  di  te,  ma  perche  cosi  mio  debito 
richiede.  Confirmant  me  multa  ac  consolantur,  con- 
cursus  lugentium  domum  nostram  factus,  tristis  totius 
urbis  ac  moesta  facies,  publicus  luctus,  et  caetera  id 
genus  plurima,  quae  dolorem  magna  ex  parte  levant ; 
ma  quello,  che  piu  che  altro  mi  conforta,  e  1'  havere  te, 
nel  quale  tanto  mi  confido,  quanto  facilmente  dire  non 
posso.  Di  quello,  che  avvisi  si  debba  tractare  con  N. 
S.  non  s'  e  facto  nulla,  perche  cosi  e  paruto  nieglio : 
piglierassi  un'  altra  via,  secondo  che  per  le  lettere  delli 
Imbasciatori  intenderai :  credo  si  pigliera  uno  modo  et 
piu  comodo,  et  piu  facile,  el  quale,  ut  quod  mihi  vide- 
tur,  ti  satisfera.  Vale :  nos  quoque,  ut  possumus, 
valemiis.    Ex  Urbe  die  12.  Aprilis  1492. 


388  APPENDIX.    NO   LXXXL 

NO  LXXXL 

Laurentio   de^    Medicis, 
A  bagno  a   Vzgnone,  Filius  Petrus  de^  Medicis, 

MaGNIFICE  Pater,  &c.  Intesi  da  Ser  Piero  par  una 
sua,  che  hebbi  hiermattina,  quanto  desideravi  si  fa- 
cessi  circa  la  venuta  di  Messer  Hermolao,  el  quale 
venne  hieri  dopo  mangiare,  et  quasi  ex  improv.iso, 
che  non  se  ne  seppe  nulla,  se  non  forse  un'  hora  in- 
nanzi.  lo  gli  andai  incontro,  et  da  quattro  o  cinqu' 
altri  in  fuora  non  vi  venne  altri,  et  bisogno,  che  gli 
smontassi  all'  osteria,  che  ancora  non  era  ad  ordine  la 
stantia,  che  vi  si  meno  poi  a  pie.  Subito  che  io  fui 
smontato,  tornai  da  lui  per  invitarlo,  come  mi  era  suto 
scripto,  et  visitarlo,  et  per  intendere  quanto  voleva 
stare  qui  fermo  ;  invitailo  per  hoggi,  et  intesi  non 
stava  piu  qui  che  oggi,  et  domane  cavalcava  per  essere 
domane  sera  a  Poggibonsi,  o  in  luogo,  che  1'  altro  di 
desini  in  Siena,  dove  non  posso  intendere  se  si  fermera. 
Noi  lo  habbiamo  hoggi  convitato,  che  non  si  potria 
dire,  quanto  lui  lo  ha  havuto  a  caro.  Habbiamogli 
dato  in  compagnia  a  tavola  chi  lui  dcsiderava,  oltra 
quelli  che  lui  haveva  seco,  che  haveva  un  suo  fratello 
carnale,  un  Segretario  di  San  Marco,  et  un  Dottore. 
Di  qui  vi  fu  el  Conte  dalla  Mirandola,  Messer  Mar- 
silio,  M.  Agnolo  da  Montepulciano,  et  per  torre  un 
cittadino,  et  non  uscire  di  parente  et  letterato,  togliem- 
mo  Bernardo  Rucellai,  che  non  so  se  habbiamo  facto 
bene   o  male.      Dipoi  che   havemmo   desinato,    li  mon- 

strai 


APPENDIX.  NO  LXXXI.  389 

strai  la  casa,  le  medaglie,  vasi  et  cammei,  et  in  sum- 
ma  ogni  cosa  per  insino  al  giardino,  di  die  prese 
grande  piacere,  benche  non  credo  s'  intenda  molto  di 
scultura.  Pure  gli  piaceva  assai  la  notitia  et  1'  anti- 
quita  delle  medaglie,  et  tutti  si  maravigliavano  del 
mmiero  di  si  buone  cose,  Sec.  Di  lui  non  vi  saprei- 
dire  particulare,  se  non  die  e  un  homo  molto  elegante 
nel  parlare  per  quello  io  ne  intendo.  Ajutasi  delle 
lettere,  et  fassene  honore  et  in  rubare  motti,  et  in 
dime  ancora  in  Latino.  Lo  aspecto  lo  vedrete,  die 
non  puo  essere  migliore,  et  secondo  i  facti.  Tempe- 
rato  in  ogni  sua  cosa,  et  pare  ne  liabbi  bisogno,  die 
pare  molto  cagionevole  et  debole  di  complexione.  Ha 
nome  di  experto  in  rebus  agendis,  ma  non  pare  con- 
sonino  queste  cose  insieme,  die  piu  presto  pare  da 
ceremonia  die  no.  Non  potrebbe  monstrare,  piu  die 
si  faccia,  essere  vostro  amico,  et  credo  sia,  et  molto 
gratamente  ha  ricevuto  ogni  honore,  die  gli  e  state 
facto,  et  non  punto  alia  \'eneziana,  che  non  pare  di 
la  se  non  al  vestire.  Ma  secondo  che  dice  ha  ^randis- 
simo  desiderio  di  vedervi,  et  dice  volere  divertere  per 
trovarvi  ed  abbracciarvi  :  hovdo  voluto  sif^fnificare  se  a 
voi  facessi  per  proposito  di  aspettarlo,  che  dice  have  re 
commissione  etiam  di  salutarvi  da  parte  della  sua  Sig- 
noria.  Qui  gli  e  stato  facto  honore  publico  da'  citta- 
dini,  et  ristorato  del  lasciarlo  smontare  all'  Osteria,  et 
stamane  innanzi  venisse  a  desinare  visito .  la  Signoria 
con  molte  grate  parole,  le  quali  non  scrivo,  perclie 
credo  Ser  Niccolo  ve  le  scrivera  lui,  che  cosi  gli  ho 
decto.  Fuvi  un  poco  di  scandalo,  che  nel  rispondere 
el  Gonfaloniere  prese  un  poco  di  vento  presso  al  fine, 
et  cosi  si  resto  senza  troppa  risposta,  che  credo  nello 
animo  suo  se  ne  rldessi,  et  ab  uno  didicerit  omnes, 
VOL.  III.  3  E  che 


390  APPENDIX.  NO  LXXXI. 

che  cosi  se  ne  doleva  hoggi  qualchuno  de'  nostri.  Cir- 
ca V  onore  non  so  che  mi  vi  dire  altro.  El  convito 
come  gl'  ando  faro  fare  una  iistra  all'  Orafo,  8c  ve  la 
mandero  forse  con  questa,  se  lo  trovano.  Jacopo  Gu- 
icciardini  si  sta  cosi  presto  un  poco  peggio  che  no ; 
che  hieri  gli  venne  un  poco  d'  accidente  di  tossa,  et 
sputo  cosa,  secondo  dicono  quelli  sua,  molto  strana, 
et  pure  inoltra  con  gP  anni  in  modo,  che  a  lungo 
andare,  a  mio  juditio,  quod  absit,  io  ne  dubito  piu  presto 
che  no.  La  Contessina  sta  bene,  et  ha  gia  tre  sciloppi, 
et  seguita  di  purgarsi  :  et  tutta  1'  altra  brigata  di  qui  sta 
benissimo.  Non  vi  scrivo  nulla  della  libreria,  perche 
rispecto  alia  venuta  dello  Imbasciatore  sono  a  quello 
medesimo  che  1'  altro  di.  Raccomandomi  a  voi.  Firenzc 
a  di  10.  di  Maggio  1490, 


NO  LXXXII. 

Titi  Vespasiani  Strozac^ 
Ad  Angelum  Poetam, 
Ex,  Ed,  Aid,   1513. 

AnGELE,  si  quis  erit,  lacrymosi  plena  doloris 

Qui  tua  non  tristi  carmina  fronte  legat, 
Ille  feras  inter  saevis  in  rupibus  ortus, 

Aspera  duritie  vincere  saxa  potest. 
Non  ego  talis  in   hoc,   sed  amici  fletibus  angor, 

Immeriti  quern  sors  vexat  acerba  mali. 
Certe  dignus  eras  hominum,  coelique  favore, 

Nee  t9i'  .asus  convenit  iste  viro. 

In 


APPENDIX.  NO  LXXXn.  S9l 

In  te  consumpsit  vires  fortuna  nocendo, 

Nil  superest,  ut  jam  possit  obesse  tibi. 
Sed  licet  in  tenues  concesserit  irrita  ventos 

Intempestiva  spes  tua  morte  Ducis, 
Nee  promissa  Patris  servet  tibi  Filius  haeres, 

Abstuleritque  tuas  Gallus  adulter  opes 
Non  tamen  ista  valent  rectam  infortunia  mentem 

Eripere,  et  virtus  inviolata  manet. 
Candidus  ille  viget  moruni  tenor,  et  pia  vitae 

Simplvcitas  nullis  est  labefacta  dolis  ; 
Parsque  tui  melior  fraudein  praedonis  iniqui 

Dtspicit,  ac  ferrum,  terribilesque  uiinas. 
Namque  sacros  inter  celebraberis,  Angele,  vates, 

Seraque  posteritas  scripta  diserta  leget : 
Et  clarum  toto  stabit  tibi  nomen  in  orbe, 

Donee  in  aequoreas  Rex  Padus  ibit  aquas. 
Dura  fuit  rerum  jactura,  ut  scribis,  at  illud 

Triste  magis,  versus  tot  periisse  tuos. 
Namque  donium,   et  vestes,  nummosque,  et  praedia 
siquis 

Perdidit,  haec  aliqua  sunt  reparanda  via. 
Casus,  et  indulgens  hominum  praesentia  multis 

Amissas  duplici  foenore  reddit  opes. 
Quis  tibi  restituet  non  exemplaribus  ullis 

Tradita,  per  longas  carmina  facta  moras  ? 
Quorum  siqua  manet  memori  sub  mente  reposta 

Pars  tibi,  plura  tamen  pectore  lapsa  reor. 
Atque  ita  susceptus  frustra  est  labor  ille,  jacctqiic 

Clarorum  in  tenebris  fama  sepulta  virum. 
Quo  fit,  ut  indigner,  doleamque,  impune  quod  ausus 

In  te  sit  tantum  barbarus  ille  nefas. 
Ille  sacras  aedes  potuit  spoliare,  Deosque 
Qui  vertit  duras  in  tua  damna  manus. 

Non 


;92  APPENDIX.  N^  LXXXII. 

Non  ilium  pudor,  aut  pietas,  aut  gratia  movit, 

Nee  vindex  magni  terruit  ira  Dei. 
Et  bona  Pieridum  dextro  tibi  numine  parta, 

Sacrilega  rapuit  barbara  turba  manu. 
Sed  non  parva  mali  restant  solatia,  quod  non 

Ullius  culpae  conscius  ipse  tibi  es. 
Adde  quod  illustres  multi  graviora  tulerunt 

Kis,  quae  tu  pateris,  nee  meruere  viri. 
Respice  Threicii  fatum  miserabile  vatis, 

Est  et  Arioniae  cognita  causa  fugae. 
'    Exul,  inops,  degens  in  amaris  Naso  querelis 

Finiit  extrcmam  per  mala  multa  Diem. 
Hos  praeter  facile  est  aliorum  exempla  referre, 

Quae  quoniam  tibi  sunt  nota,  silenda  puto. 
Sed  tamen  ad  vatem  pauca  haec  de  vatibus  istis 

Dicta  velim,  quamvis  fabula  trita  foret. 
Quod  petis,  egregii  pietas  spectata  Casellae 

Et  favet,  et  voto  est  officiosa  tuo. 
Nee  tibi  Castellus  Regi  gratissimus,  et  qui 

Rectum  amat,  optatam  ferre  negabit  opem. 
Nos  quoque,  si  precibus  quidquam,   studioque  vah 
mus. 

Si  quid  apud  magnum  est  gratia  nostra  Dueem, 
Hoc  erit  omne  tuum,  nee  non  curabimus,  una 

Consulat  ut  rebus  Regia  cura  tuis. 
Caetera  semper  agat  quamvis  dignissima  laude 

Borsius,  baud  minor  hae  gloria  parte  venit, 
Quod  bonus  afflictis  suceurrere  novit,  et  idem 

Magna  solet  meritis  praemia  ferre  viris. 
'    Saepius  hoc  alii  senserunt.     Angele,  rursum 

Ad  vivas  sitiens  ipse  recurris  aquas. 


APPENDIX.  NO  LXXXIII.  39S 


NO  LXXXIII. 

Robertus    Ubaldimis    de    Galliano,    Dominicanae    Faniiliae 
Monac/ms,  de  obitu  Ang»  Politiani, 

OEPULTURA  Domini  Angeli  Politiani,  Item  ne 
memoria  oblivioni  detur  omnino,  ubi  jacet  corpus 
clarissimi,  ac  doctissimi,  et  eloquentissimi  viri  Domini 
Angeli  Politiani,  Canonici  Cathedralis  Ecclesiae  Flo- 
rentinae,  hie  mihi  suprascripto  Fratri  Roberto  visum 
est  justum,  et  bonum,  annotare  locum  sepulturae  suae, 
quoniam  et  teneor,  quum  fuerit  ipse  mihi  olim  magis- 
ter,  et  ego  illi  discipulus,  et  ejus  infirmitati  frequenter 
interfui,  una  cum  venerando  Patre,  Fratre  Dominico 
Pisciensi,  familiari  suo,  ac  etiam  morti  ejus,  imo  et 
qui  post  mortem  ipsius,  propriis  manibus,  ex  commis- 
sione  Reverendi  Patris,  Fratris  Hieronymi  Savonaro- 
ke,  Ferrariensis,  Generalis  Vicarii  tunc  Congrega- 
tionis  nostrae  S.  Marci,  dedi  eidem  habitum  Ordinis 
nostri,  et  indui  corpus  ejusdem  habitu  illo,  quem  antea 
in  vita  optaverat  et  petierat,  et  sepulturam  apud  nos 
requisierat.  Unde  et  Domini  Canonici  Ecclesiae  su- 
perscriptae  ad  funus  ejus  venerunt  una  cum  omnibus 
Fratribus  nostri  Conventus.  Hue  detulere  corpus 
ipsius  de  voluntate  etiam  suae  sororis,  et  quorumdam 
nepotum  ipsius,  qui  tunc  aderant  ea  de  causa  Floren- 
tinae  urbi,  et  pro  tunc  sub  deposito  quodam  in  capsa 
mia  in  Coemeterio  secularium,  quod  juxta  Ecclesiam 
nostri  Conventus  est,  et  sub  ea  portione,  quae  in  Coe- 
meterio ipso  est,  et  in  capite  portionis  ipsius  juxta  Al- 
tare  quod  ibidem  est,  fuit  conditum  ipsum  corpus  habitu 

nostri 


394  APPENDIX.  NO  LXXXIII. 

nostri  Ordinis  vestitum.  Sed  post  quum  nuUus  at- 
tenentium  suorum  adimplesset  quod  dixerant,  faciendo 
sibi  ornatum  sepulchrum  ad  memoriale  perenne,  fuit 
sepultum  in  dicta  capsa  in  sepulchre  quod  ibidem  est 
commune,  ubi  Fratres  sepeliunt  eos  qui  apud  nos  sepe- 
liri  petunt,  et  locum  sepulturae  apud  nos  minime 
habent.  Obiit  autem  prefatus  Orator  summus,  atque 
Poeta  insignis  de  mense  Septembris  ;  credo  quod  in 
principio  illius  mensis  ;  non  tamen  memoria  me.a  hoc 
tenet  adamussim  ;  sed  de  anno  Domini  1494.  eo  anno, 
quo  Comes  Mirandulanus,  cujus  etiam  familiari  con- 
suetudine  utebatur,  et  ante  ipsius  obitum  per  duos  men- 
ses ;  et  obiit  in  domo,  horto  qui  dicebatur  Giardinus 
Dominae  Claricis  dim  uxoris  magnifici  Laurentii  de* 
Medicis.  Fuerat  enim  praeceptor  Petri  filii  majoris  natu 
ipsius  Magnifici  Laurentii.  Et  haec  ad  memoriam  rei 
sint,  &c. 


NO  LXXXIV. 

Discorsoy  o  jipologia  di  Lorenzo  de^  Medici, 

Sofira  la  nascita,  et  morte  rf'  Alessandro   de^  Medici  jirimo 
Duca  di  Firenze, 

ij£  10  avessi  a  giustificare  le  mie  azzioni  appresso  di 
coloro,  i  quali  non  sanno  che  cosa  sia  Liberta,  6  Ti- 
rannide,  io  m'  ingegnerei  di  dimostrare,  e  provocare 
con  ragioni,  come  gli  uomini  non  devon  desiderare 
cosa  pill  del  viver  politico,  e  in  liberta,  trovandosi  la 
politica  pill   rara,  e  manco  durabile  in  ogni  altra  sorte 

di 


I 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  395 

di  Governo,  che  nella  Repiiblica,  e  dimostrarei  ancora, 
com^  essendo  la  Tirannide  totalmente  contraria  al  viver 
politico,  ch'  ei  devono  parimente  odiarla  sopra  tutte  le 
cose  ;  e  com'  egli  e  prevaluto  altre  volte  tanto  piu 
questa  opinione,  che  quelli,  che  hanno  liberata  la  lore 
Patria  dalla  Tirannide,  soiio  stati  reputati  degni  de* 
secondi  onori  dopo  gli  Edificatori  di  quella.  Ma  aven- 
do  a  parlare  a  chi  sa,  e  per  ragione,  e  per  pratica,  che 
la  Liberia  e  bene^  e  la  Tirannide  e  male^  presupponendo 
universale,  parlero  particolarmente  della  mia  azione, 
non  per  domandarne  premio,  ma  per  dimostrare,  che 
non  solamente  io  ho  fatto  quello  a  che  e  obligato  ogni 
buon  cittadino,  ma  che  io  averei  mancato  8c  alia 
Patria,  &  a  me  medesimo,  se  io  non  V  avessi  fatto. 

E  per  cominciarmi  dalle  cose  piu  note,  io  dico,  che 
non  e  alcuno,  che  dubiti  che  il  Duca  Alessandro,  (che  si 
chiamava  de'  Medici,)  non  fusse  Tiranno  della  nostra 
Patria,  se  gia  non  son  quelli,  che  per  favorirlo,  e  tener  la 
parte  sua  ne  divenivan  ricchi,  i  quali  non  potevan  pero 
essere,  ne  tanto  ignoranti,  ne  tanto  aececati  dall'  uti- 
lita,  che  non  conoscessero,  ch'  egli  era  Tiranno.  Ma 
perche  ne  tornava  bene  a  loro  in  particolare,  curandosi 
poco  del  Publico,  seguitavano  quella  fortuna ;  i  quali 
in  vero  erano  uomini  di  poca  qualita,  &  in  poco  nu- 
mero,  tal  che  non  possono  in  alcun  modo  contrape- 
sare  il  resto  del  Mondo,  che  Io  reputava  Tiranno. 
Ne,  alia  verita,  perche  essendo  la  Citta  di  Firenze 
per  antica  possessione  del  suo  popolo  libera,  ne  seguita, 
che  quelli  che  la  comandano,  che  non  sono  proposti 
dal  popolo  per  comandarla,  sono  Tiranni,  come  ha 
fatto  la  Casa  de'  Medici,  la  quale  ha  ottenuta  la  supe- 
riorita  della  nostra  Citta  per  molti   anni,    con  consenso 

e  par- 


396  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

e  participazione  della  minor  parte  del  popolo :  ne,  coi> 
tutto  questo,  ebbe  ella  mai  autorit.i,  se  non  limitata, 
insino  a  tanto  che  dopo  molte  alterazioni  venne  Papa 
Clemente  VII.  con  quella  violenza  che  sa  tutto  il 
Monde,  per  privare  deila  liberta  la  sua  Patria,  e  fame 
questo  Alessandro  Padrone  ;  il  quale  giunto,  che  fu  in 
Firenze,  perche  non  si  avesse  a  dubitare,  s'  egli  era 
Tiranno,  levata  via  ogni  civilta,  h.  og-ni  reliquia,  e 
nome  di  Republica,  e  come  fusse  necessario  per  esser 
Tiranno  non  esser  men'  empio  di  Nerone,  ne  meno 
odiatore  degli  uomini,  6  lussurioso  di  Caligola,  ne 
meno  crudele  di  Falari,  cerco  di  superare  le  scelera- 
tezze  di  tutti  ;  perche,  oltre  alle  crudelta  usate  ne' 
cittadini,  che  non  furono  punto  inferiori  alle  loro, 
supero  (nel  far  morire  la  Madre)  I'empieta  di  Nerone, 
perche  Nerone  lo  fece  per  timore  dello  stato,  e  della 
vita  sua,  e  per  prevenire  quello  che  dubitava  non 
fusse  fatto  a  lui.  Ma  Alessandro  commesse  tale  scele- 
ratezza  solo  per  mera  crudelta,  e  inumanita,  come  io 
diro  appresso  ;  ne  fii  punto  inferiore  a  Caligola  col 
vilipendere,  befPare,  e  straziare  i  cittadini  con  gli  adul- 
terii,  con  le  violenze,  con  le  parole  villane,  e  con  le 
minacce,  che  sono  a  gli  uomini,  che  stiman  1'  onore, 
piu  dure  a  sopportare  che  la  morte,  con  la  quale  al 
fine  gli  perseguitava.  Supero  la  crudelta  di  Falari  di 
gran  lunga,  perche  dove  Falari  puni  con  giusta  pena 
Perillo  della  crudele  invenzione  per  tormentare  e  far 
morire  gli  uomini  miseramente  nel  Toro  di  Bronzo,  si 
puo  pensare  che  Alessandro  1'  averebbe  premiato,  se 
fosse  stato  al  suo  tempo,  poiche  lui  medesimo  cogi- 
tava,  e  trovata  nuove  sorti  di  tormenti,  e  morti,  come, 
murare  gli  uomini  vivi  in  luoghi  cosi  angusti,  che  non 
si    potessero    ne    voltare,    ne   muovere,    ma    si    potevan 

dire 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  S97 

dire   miirati   insieme   con   le   pietre,  e   co'  maltoni,  e  in 
tale   stato    gli    faceva    morire,    e    allungare    1*    infelicita 
loro  pill  ch'  era   possibile,  non    si   saziando  quel  mostro 
con   la   morte   semplice  de  suoi   cittadini  ;  tal  che  J   sei 
anni,    ch'    egli   visse    nel    principato,    e    per  libidine,    e 
per   avarizia,  e  per   uccisioni,  si   posson  comparare    con 
sei  altri   di   Nerone,  di   Caligola,  e   di    Falari,  scieglien- 
doli   per  tutta   la  vita  loro  i  piii  scelerati,  a  proporzione 
pero  della   citta,  e    dell'  imperio  ;  perche  si  trovera  in  si 
poco  tempo   essere   stati    cacciati   dalla  patria  loro  tanti 
cittadini   e   perseguitati,    poi   moltissimi    in   esilio,    tanti 
essere    stati    decapitati    senza    processo,   e  senza    cause, 
e  totalmente  per  vani   sospetti,  e  per   parole  di   nessuna 
importaiiza,   altri    essere    stati   avelenati,  e  morti    di    sua 
mano   propria,  6   de'    suoi    satclliti,    solamente    per    non 
avere    a  vergognarsi    da    certi,    die    1'    avevano    veduto 
nella   fortuna  in  ch'  egli   era  nato  e  allevato;  e  si  trove- 
ranno    in    oltre    essere    state     fatte    tante     estorsioni,    e 
prede,    essere    stati    commessi    tanti    adulterii,    e    usate 
tante    violenze,  non   solo    nelle    cose   profane,    nia  nelle 
sacre   ancora,  ch'  egli   apparira.  difficile  a  giudicare  chi 
sia    stato   piu,  6    scelcrato   e    inipio  il    Tiranno,  o   pazi- 
ente    e     vile    il    popolo    Fiorentino,     avendo    sopportato. 
tanti    anni    cosi    grave    calamita,    essendo    all'   ora   mas- 
sime   piu  certo  il  pericolo  nello   starsi,  che  nel   mettersi 
con  qualche    speranza   a   liberar  la   patria,  e   assicurarla 
per    1'   avenire.     Per<^   quelli,    che   pensano,    che    Ales- 
sandro   non   si    dovesse    chiamar    Tiranno,  e   per   essere 
itato    messo    in   Firenze    dall'    imperatore,    qual'  e   opi- 
nionc    che    abbia    autorita.    d'    investire    dcgli    stati    che 
gli   pare,    s'    ingannano,    perche    quando    I'    imperatore 
abbia    cotesta    autorita,   egli    non    1'    ha    da    fare    senza 
giusta  causa,  e    nel   particolare  di   Firenze   egli  non   lo 
VOL.  III.  3  F  poteva 


398  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

poteva  fare  in  nessun  modo,  e&seDcloci  ne'  i  capitoli 
ch'  ei  fece  col  popolo  FiorentinD,  dlla  fine  dell'  assedio 
del  1530,  expressamente  dichiarato,  che  non  potesse 
mettere  quella  citt^c  sotto  la  servitu  de'  Medici  ;  oltre 
che  quando  ben  1'  imperatore  avesse  avuta  autorita 
di  fado,  e  non  1'  avesse  fatto  con  tutte  le  ragioni  e 
giustificazloni  del  iVlondo,  tal  ch'  ei  fusse  stato  piu 
legitimo  prenclpe  del  Re  di  Francia,  la  sua  vita  disso- 
luta-  la  sua  avarizia,  la  sua  crudelta,  V  avrebbono  fatto 
Tiranno ;  il  che  si  puo  manifestamente  conoscere  per 
V  esempio  di  lerone,  e  del  leronimo  Siracusano ,  de' 
quali  1'  uno  fii  chiamato  Re,  e  1'  altro  Tiranno,  perch'  es- 
sendo  lerone  di  quella  santita  di  vita  che  testificano  tutti 
gli  scrittori,  fu  amato  mentre  visse,  e  desiderato  dopo 
la  moite  sua,  da'  sijoi  cittadini,  ma  leronimo  suo  fig- 
liuolo,  che  poteva  parere  piu  confermato  nello  stato, 
e  piu  legitimo  mediante  la  successione,  fu  per  la  sua 
trista  vita  cosi  odiato  da'  medesimi  cittadini,  ch'  egli 
visse  e  mori  da  Tiranno,  e  quelli  che  1'  ammazzarona 
furono  lodati  e  celebrati,  dove,  s'  eglino  avessino  morto 
il  padre,  sarebbono  stati  biasimati,  e  reputati  parricidi  ; 
si  che  i  costumi  son  quelli,  che  fanno  divenire  i  pren- 
cipi  tiranni  contro  a  tutte  1'  investitiu'e,  tutte  le  ragioni, 
e  successioni  del  Mondo.  Ma  per  non  consumar  piu 
parole  in  provar  quello,  ch'  e  piii  chiaro  del  sole, 
vengo  a  risponder  a  quelli,  che  dicono,  ancorch'  egli 
fusse  Tiranno,  che  io  non  lo  dovevo  ammazzare, 
essenc'o  io  suo  servitore,  e  de'  sangue  suo,  e  fidandosi 
egli  di  me ;  i  quali  non  voriei,  che  portassino  altra 
pena  dell'  invidia,  e  malignita  loro,,  so  non  che  Dio 
gli  facesse  parenti,  servitori,  e  confidenti  del  Tiranno 
della  loro  Patria,  se  non  e  cosa  troppo  empia  deside- 
rare  tanto  male    ad   una  Citta    per  ia  colpa  di    pochi, 

poiche 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  399 

poiche  cercano  di  oscurare  la  buona  intenzione  con 
queste  calunnie,  che  quando  le  fussino  vere,  non 
avrebbono  elle  forza  alcuna  di  farlo,  e  tanto  piu,  che 
io  sostengo,  che  io  non  fui  mai  servitore  di  Ales- 
sandro,  ne  lui  era  del  sangue  mio,  o  mio  parente,  e 
jprovero,  ch'  ei  non  si  fido  mai  di  me  volontariamente. 
In  due  modi  si  puo  dire,  che  uno  sia  servo,  o  servi- 
tore di  un  altro,  6  piscliando  da  lui  premio  per  servirlo 
6  per  essergli  fedele,  o  essendo  suo  schiavo,  pcrche 
i  sudditi  ordinariamente  non  son  compresi  sotto  questo 
nome  di  servo,  e  di  servitore.  Che  io  non  fussi 
schiavo  ad  Alessandro  e  chiarissimo,  si  come  e  chiaro 
ancora  (a  chi  si  cura  di  saper'o)  che  io,  non  solo  non 
ricevevo  premio,  6  stipendio  alcuno,  ma  che  io  pagavo 
a  lui  la  mia  parte  delle  gravezze,  come  gli  altri  cittadini ; 
e  s'  egli  credeva,  che  io  fussi  suo  suddito,  6  vassalo, 
perch'  egli  poteva  pivi  di  me,  ei  dovette  conoscere  ch' 
ei  s'  ingannava,  quando  noi  fummo  del  pari,  si  che  io 
non  fui  mai,  ne  potcvo  esser  chiamato  suo  servitore. 
Ch'  egli  non  fusse  della  casa  de'  Medici,  e  mio  parente 
€  manifesto,  perch'  egli  era  nato  di  una  donna  in- 
fima,  e  di  vilissimo  stato,  da  Colle  Vecchio,  in  quel 
di  Roma,  che  serviva  in  casa  di  Lorenzo  agli  ultimi 
servizi  della  casa,  ed  era  maritata  a  un  vetturale,  e 
infin  qui  e  manifestissimo.  Dubitasi,  se  il  duca  Lo- 
renzo in  quel  tempo,  ch'  egli  era  Fuoruscito,  ebbe  che 
fare  con  questa  serva,  e  s'  egli  accadde,  non  accadde 
piu  d'  una  volta ;  ma  chi  e  cosi  imperito  del  consenso 
degli  uomini,  e  della  legge,  ch'  ei  non  sappia,  che 
quando  un  donna  ha  marito,  e  ch'  ei  sia  dove  lei, 
ancorch'  ella  sia  trista,  e  ch'  ella  esponga  il  corpo  suo 
alia  libidine  di  ogn'  uno,  che  tutti  i  figliuoli,  ch'  ella 
fa,    con   sempre   giudicati,    e   sono   del   marito?    perche 

le 


400  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

le    legg-i    vogliono   conservar    1'    onesta,  quanto    si   pu6. 
Se  dunque   questa   serva   da    Coilevecchio   (della    quale 
non   si   sa   per  la   sua  nobilitd    ne   nome,    ne   cognome). 
era    marltata  a  un  vetturale,    (e   questo    e    manifesto  e 
noto   a   tutto   il   mondo,)    Alessandro,   secondo    le    leggi 
umane  e  divine,    era   figliuolo  di    quel   vetturale,  e   non 
del  duco   Lorenzo ;  tanto  ch'  egli  non  aveva  meco  altro 
interesse,   se   non   ch'   egli    era  figliuolo  di  un   vetturale 
della  casa  de'  Medici.     Ch'   egU  non   si   fidasse   di   me, 
lo    proYo,   perch'   egli   non   voile   mai   acconsentire,   che 
io  poitassi  armi,  ma  mi   tenne  sempre  disarmato,  come 
faceva   gli  altri   cittadini,  i   quali  egli    aveva  tutti  a  sos- 
petto.     Oltre  a    questo   mai   si    fido    meco   solo,    ancor 
che   io  fussi   sempre  senz'  armi,   e  lui   armato,  che   del 
continuo   aveva  seco  tre   6   quattro   de'  suoi   satelliti ;  ne 
quella   notte,  che   fu  1'  ultima,  si  sarebbe   fidato,   se  non 
fusse    stata   la    sfrenata    sua    libidine    che    1'    occeco,   e 
lo   fece   mutare,     contro    a    sua  voglia,    proposito  ;    ma 
come  poteva  egli  essere,  ch'  egli  si  fidasse   di  me,   che 
non  si  fido  mai   d'   uomo   del   mondo  ?  perche  non  amo 
mai  persona,  e  ordinariamente  gli  uomini  non  si   posson 
fidare,    se   non   di   quelli,   che   amano.     E  ch'   egli   non 
amasse   mai  persona,  anzi  ch'   egli  odiasse  ogn'  uno,   si 
conosce,  poich'   egli   odio,    e    perseguito    con    veleni,    e 
insino  alia   morte  le  cose   sue  proprie,  che    gli  dovevano 
esser  piu   care,    cioe   la   Madre,    et  il   cardinale    Ipolito 
de'    Medici,    ch'     era    riputato    suo    Cugino.      Io    non 
vorrei,    che   la   grandezza  delle    sceleratezza  vi   facesse 
pensare,    che     queste    cose     fussono    finte    da    me    per 
aggravarlo,    perche    io    son    tanto    lontano    dall'    averle 
finte,    che  io   le  dico  piu   semplicemente  che   io   posso, 
per  non  le   fare  piu  incredibili  di   quelle  ch'   elle  sono 
per  natura.     Ma  di    questo   ci    sono  infiniti  testimonii, 

infiniti 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  404 

infiniti    examini,    la    fama   freschissima,   d'   onde   si    sa 
per    ttrto,    che    qucsto    mostro,    questo    portenio,    fece 
avelenare   la    piopria    Madre,    non    per    altra   causa,   se 
non    perche    vivendo    ella,     faceva    testimonianza     della 
sua    ignobiita,    perche,   ancorche   fusse   stalo  molti    anni 
in  giandezza,   egii   I'   aveva    lasciata  nella    sua    poverta, 
e  ne'   suoi   esercizi   a   lavorar  la   Terra,     sin    tanto   che 
quel   cittadini,  che  avevan  fuggita   dalla  nostra    citta    la 
crudelta,   e  P  avarizia  del   Tiranno,  insieme   con   quelli 
che   da  lui  n'   erano   stati   cacciati,  volsono  menare   all' 
imperatore  a  Napoli    questa  sua  Madre,    per    mostrare 
a   sua  maesta  d'    end'    era  nato  colui,  il  quale  ei  com- 
portava  che    comandasse  Firenze.     All'   era  Alessandro, 
non    scordatosi    per    la    vergogna    della    pieta    ed    amor 
della    Madre   (quale  lui  non  ebbe  mai)  ma  per  una  sua 
innata    crudelta    e     ferit^,     commesse,    che    sua    madre 
fusse   morta,    avanti  ch'   ella    andasse    alia    presenza  di 
Cesare  ;     il  che   quanto    li  fusse    difficile,    si    pub    con- 
siderare,  immaginandosi   una  vecchia,  che    stava   a  filar 
la  lana,   e   da  pascer   le   pecore  ;    e   s'  ella   non  sperava 
piu    ben    nessuno     dal    suo    figliuolo,    almeno    la    non 
temeva    cosa    si   inumana,    e   si    orrenda,    e    se   ei    non 
fusse   stato,  oltre  il  piu  crudele,   il  piu    insensato  uomo 
del  Mondo,  ei    poteva    pure  condurla  in   qualche    luogo 
segretamente,    dove    se    non    1'   avesse   voluta    tener    da 
madre,  la  poteva  tener    almanco  viva,   e  non   voler  all' 
ignobiita    sua    aggiugnere    tanto    vituperio,     e    cosi  nc- 
fanda     sceleratezza.     E,     per    tornar    a    proposito,     io 
conclude,  che,   perche   lui   non   amo   sua    madre,    ne    il 
cardinale    de'  Medici,  ne  alcuno   altro  di  quelli   che    gli 
erano    piu  congiunti,     che    egli    non    amo   mai   alcuno, 
perche,   ccme  io   ho  detto,  non   ci   possiamo    noi   fidare 
di  quelli   che  noi    non  amiamo  ;  si    che  io    non  fui  mai 

suo 


402  APPENDIX.  NQ  LXXXIV. 

siio  servitore,  ne  parente,  ne  lui  mai  si  fido  di  me. 
Ma  mi  par  bene,  che  per  esser  male  informali,  o  per 
qualche  altro  rispetto,  diccno,  che  io  ho  errato  ad 
amazzare  Alessandro,  allegandone  le  sopradette  ra- 
gioni  ;  mostrino  esser  molto  meno  informati  delle 
ieggi  ordinate  contro  a  Tlranni,  e  delle  azzioni  lodate 
dag'li  uomini,  che  hanno  morto  infino  i  pioprii  fratelli 
per  la  liberta  della  patria  :  perche  se  le  leggi  non  solo 
permetlono,  ma  aGtringrono  il  figliuolo  ad  accusare  il 
padre,  in  caso  ch'  ei  cerchi  di  occiipare  la  Tirannide 
della  sua  patria,  noa  ero  io  tanto  piu  obligato  a  cer- 
car  di  liberar  la  patria,  gia  serva,  con  la  morte  di 
lino,  che  quando  fusse  sta^o  di  casa  mia  (che  non  era) 
a  loro  modo  sarebbe  stato  bastardo,  e  lontano  5,  o  6 
gradi  da  me  ?  e  se  Timoleone  si  trovo  ad  ammazzare 
il  pro]»rio  frattello  per  liberar  la  patria,  e  ne  fu  tanto 
lodato  e  celebrato,  che  ne  e  ancora,  perche  averanno 
questi  malevoli  autorita  di  biasimarmi  ?  Ma  quanto 
air  ammazzare  un  che  si  fidi  (il  che  io  non  dico  di 
aver  fatto)  dico  bene,  che  se  io  1'  avessi  fatto,  io  non 
avrei  errato,  e  se  io  noii  1'  avessi  potuto  fare  altri- 
menti,  I'avrei  fatto.  Io  domando  a  questi  tali,  se  la 
loro  patria  fusse  oppressa  da  un  Tiranno,  se  Io  chia- 
merebbono  a  combattere  ?  o  se  gli  farebbono  prima 
intendere,  che  Io  volessino  ammazzare  i  o  se  eglino 
andrebbono  deliberati  per  ammazzarlo,  sapendo  di 
aver  ancor  loro  a  morire  ?  ovvero,  se  cercherebbono 
di  ammazzarlo  per  tutte  le  vie,  e  con  tutti  gli  inganni, 
«  con  tutte  le  strategemme,  purch'  egli  restasse  morto, 
e  loro  vivi  ?  Quanto  a  me,  io  penso,  che  non  piglia- 
rebbono  briga  di  ammazzarlo  nelF  un  modo,  e  neir 
altro,  ne  si  puo  credere  altrimenti  ;  poiche  biasimano, 
che  io  ho  preso    quel  modo,    ch'    era   piu    da    pigliare. 

Se 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  403 

Se    questo   consenso,    e     questa    legge,    che    e    fra    gli 
iiomini   santissima,  di    non   ingannare   chi  si  fida,  fusse 
levata  via,  io    credo    certo   che    sarebbe    peggio    essere 
uomo,    che    bestia,    perche    gli    uomini    mancherebbono 
principalmente  della  fede,  dell'  amicizia,  del   consorzio, 
e  della  maggior   parte   delle   qualita,   che    ci   fanno   su- 
perior!  agli   animi    bruti,    essendo   che   nel    resto,    una 
parte   di  loro   e   di   piu  forze   di    noi,   e   di    piu   vita,   e 
manco    sottoposti   a  casi   e   alle    necessita    umane  ;    ma 
non   per    questo    vale   la  consequenza,  che  questa  fede, 
che    questa  amicizia,  si   abbia  da    osservare    ancora  con 
i   Tiranni,    perche   siccome   loro    pervertono,    e    confon- 
dono   tutte   le   leggi,    e   tutti   li   buoni   costumi,  cosi   gli 
uomini   sono    obligati,   contro    a    tutte    le   leggi   e  tutte 
Pusaze,  cercar  di    levargli   di   terra,  e    quanto  prima  la 
fanno,  tanto    piu    sono    da    lodare.     Certo    sarebbe    una 
buona     legge    per    i     Tiranni     questa,     che    vorrebbero 
introdurre,    ma    cattiva    per    il    Mondo,     che    nessuno 
debba  offendere  il   Tiranno  di   quelli   in  cui  egli  si   fida, 
perche    fidandosi    egli   di    ogni    uno,  non    potrebbe    per 
vigore  di    questa  nostra   legge   esser  offeso  da  persona, 
e   non   avrebbe  bisogno   di   guardie,    o   fortezze ;  si   che 
io    concludo,     che    i    Tiranni    in    qualunque     modo     si 
ammazzino,   siano  ben   morti.     Io    vengo   ora  a    rispon- 
dere  a  quelli,  che  non  dicono  gia,  che  io  facessi  errore 
ad   ammazzare   Alessandro,  ma  che    io    errai   bene  nel 
modo  del  proceder  poi   dopo  la  morte  ;  a'  quali  mi   sara 
un  poco    piu  difficile   rispondere,    che   a  gli   altri,    per- 
che   P   evento  pare,  che   accompagni    la    loro   opinione, 
dal   quale  loro   si  muovono   totalmente,   senz'   aver   altra 
considerazione,    ancorche    gli    uomini    savii    siano    cosi 
alieni  dal   giudicare  le  cose   da  gh   eventi,  che  gli  usino 
lodar    le  buone,  e   savie   operazioni,  ancorche   P    effetto 

soiiisca 


404  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

sortisca  tristo,  e   biasimar  le   triste,  ancorche    lo  sortis^ 
cano   buono.     lo  voglio  oitre  a   questo   dimostrare,   non 
solo,   che   io   non  potevo   far  piu  di   quello,   che  io   feci, 
ma    ancora,    che    se    io  tentava    altro,    chelne  risultava 
danno  alia  causa,  e   a  me  biasimo.     Dico  dunque,  che 
il    fine    mio    era    di     iiberar     Firenze,  e    V    ammazzar 
Alessandro   era    il    mezzo.     Ma    perche    io    conoscevo, 
che  questa   era  mi'  im.presa,  che   in    non   potevo  condur 
solo,   e  communicarla   non  voievo   per   il  pericolo   mani- 
festo,   che   si   corre   in   ailargar   cose    simile,  non    tanto 
della    vita,    quanto   del    non   poter    condarle    a    fine,    io 
mi  risolvetti   a  far   da   me,  finche    io   potetti    fare  senza 
la  compagnia,  e   quando   io    non   potevo   far  piu  da  me 
cosa    alcuna,    all'    ora   allargarmi,    e    domandare    ajuto, 
il    quale    consiglio    mi     successe     felicemente    fino    alia 
morte  di  Alessandro,  che    insino  all'   ora   ero    stato  suf- 
ficiente    a  far    quanto    bisognava,    ina    d'  allora    in   qua 
cominciai   ad  aver   bisogno   di   ajuto,  perche   io  mi   tro- 
vavo   solo  senz'   amici,    e  confidenti,  e  non  avendo  altre 
armi,    che  quella   spada,    con   cui   1'    avevo   morto.     Bi- 
sognandomi     dunque     domandar    ajuto,     non    potevo    io 
piu    convenientemente    sperare   in    quelli   di   fuora,    che 
in   quelli   di  Firenze  ?  avendo   visto   con    quanto    ardore 
e  quanto  animo  loro   cercavano  di  riavere   la   loro  liber- 
ta,    e    per  il    contrario    con     quanta    pazienza    e    vilta, 
quelli    ch'    erano    in    Firenze    sopportavano    la    servitu, 
e   sapendo,   che    gli   eran   parte  di   quelli,   che  nel  1530 
si    eran    trovati    a   difender    cosi    viiluosamente   la    loro 
liberta,  e   che    il    resto    erano    Fuorusciti    volontari,    d' 
onde   si   poteva  piu   sperare   in    loro,    che    in    quelli    di 
dentro,    poiche    questi    vivevano     sotto  la    Tirannide,   e 
quelli    volevano    piu    tosto    esser   liberi    che    servi  ;    sa- 
pendo 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  405 

pendo   ancora,    die   i   Fuorusciti   erano    armati,    e    quel 
di   dentro    disarmati.     In    oltre   tenendo   per   certo,   che 
quel   di   fuora  volessono  unitamente   la  liberta,   e   sapen- 
do,    che    in    Firenze   vi   erano   mescolati   moiti  di    quei, 
che    volevano    la    Tirannide,  poiche   si    vidde    poi,   (che 
rale  il   giudicar  dagli    eventi,)    che    in   tutta  quella   citta 
in  tante   occasioni   non    fu  chi  si   portasse,    non   dico   da 
buon    cittadino,  ma   da    uomo,    fuorche    due,    o    tre ;    e 
quest!  tali  che  mi   biasimano,  pare  che  cerchino   da  me, 
che  io   atevo  da  andar  convocando  per  la  citta  il  popolo 
alia  liberta,  e   mostrar  loro    il  Tiranno    raorto,    e  vogU- 
ono,  che   le  parole  avesson  mosso   quel   popolo,  il   quale 
conoscevano   non  •  esscr  stato   mosso  da  fatti.     Avevo  io 
dunque   a  levarmi   in   spalla  quel   corpo  a  uso  di  Facchi- 
no,   e   andar   gridando  solo   per  Firenze,  come  i  pazzi  ? 
Dico  solo,  perche   Piero   mio  serritore,  che  nell'  ajutar- 
melo    ammazzare    si     era    portato    cosl    animosamente, 
dopo   il  fatto,   e   poi  ch'   egli   ebbe   a  pensar  il   pericolo, 
ch'   egli   avea    corso,   era  tanto   avilito,   che   di   lui    non 
potevo   disegnare   cos'  alcuna,  e   non  avevo  io  a  pensare, 
sendo  nel    mezzo    della   guardia   del   Tiranno,   e  si  puo 
dire   nella  medesima  casa,   dov'  eran  tutti  i   suoi   servi- 
tori,  e   essendo   la  notte  un   lume  di  luna  splendissimo, 
di    aver  io  a   essere,    o  preso,   o  morto  prima,    che   io 
avessi   fatto  tre   passi  fuora  dell'   uscio  ?  e  se    io  avessi 
levatag-li    la  testa,  che  quella   si  poteva  celare  sotto  a  un 
mantcUo,    dove   avevo    io  a    indirizzarmi    essendo    solo, 
e   non    conoscendo  in    Firenze    alcuno,    in   chi   io   con- 
fidassi  ?    chi    mi   avrebbe    creduto  ?    perchj    una     testa 
tagliata   si    transfigura    tanto,    che    aggiunto    il   sospetto 
ordinario,    che  hanno   gli    uomini    di    esser    tentati,    o 
ingannati,  e  massime   da   me,  ch'   ero   tenuto  di  mente 
contraria  a   quella,    che   io  avevo  fatto,    io   poteva   pen- 
voL.  III.  3  G  sarc 


406  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

sare  di  trovar  prima  uno,  che  mi  ammazzasse,  clie 
uno,  che  mi  credesse,  e  la  morte  mia  in  quel  caso  im- 
portava  assai,  perche  averebbe  data  riputazione  alia 
paite  contraiia,  e  a  quelli,  che  volevano  la  Tirannide, 
potendo  parere,  chs  in  quel  moto  fusse  in  parte  la 
morte  di  Alessandro  vendicata,  e  cosi  procedendo  per 
quel  verso,  io  potevo  piu  niiocere  alia  causa,  che 
giovare ;  pero  io  fui  di  tanto  contraria  opinione  di 
costoro,  che  non  che  io  publicassi  la  morte  di  Ales- 
sandro, io  cercai  di  occultarla  e  piu  che  io  poteva  in 
quell'  istante,  e  portai  meco  la  chiave  di  quella  stanza, 
dov'  eg-li  era  rimasto  morto,  come  quello,  che  averei 
voluto,  se  fusse  stato  possibile,  che  in  un  medesimo 
tempo  si  fusse  scoperto,  che  il  Tiranno  era  morto, 
e  che  i  Fuorusciti  erano  mossi  per  venire  a  ricuperar  la 
liberta ;  e  da  me  non  resto,  che  cosi  non  fusse* 
Certi  altri  dicono,  che  io  dovevo  chiamar  la  guardia 
del  Tiranno,  e  mostrarglielo  morto,  e  domandar  loro, 
che  mi  conservassono  in  quello  stato,  come  succes- 
sore,  e  in  somma  darmi  loro  in  preda,  e  di  poi,  quando 
le  cose  fussono  state  in  mio  potere,  che  io  avessi  resti- 
tuita  la  Republica,  come  si  conveniva.  Questi  che  la 
discorrono  per  questo  verso,  almanco  conoscono,  che 
nel  popolo  non  era  da  confidare  in  conto  alcuno,  ma 
non  conoscono  gia,  che  se  quei  soldati  in  quei  primi 
moti,  e  per  il  dolore  di  veder  morto  il  loro  signore 
avessono  morto  me  (come  e  versimile)  che  io  avrei 
perso  insieme  la  vita,  e  I'onore,  perche  ogn'  uno  av- 
rebbe  creduto,  che  io  avessi  voluto  far  Tiranno  me,  e 
non  liberar  la  patria ;  dal  qual  concetto,  si  come  io 
sono  stato  sempre  alienissimo  nel  mio  pensiero,  cos> 
mi    sono   ingegnato    di   tener    lontani    gli   animi    degli 

altri  ; 


APPENDIX.  NO  LXXXIV.  407 

altri  ;    si   che   nell'  un   modo  io  avrei  noclulo  alia  causa, 
e  nell'  altro    all'    onor    mio  :    ma    io    confessarei    facil- 
mente  di    avere   errato,    non   avendo  preso  uno  d'l  questi, 
o   simili   partiti,    se   io   non  avessi  avuto  da  pensare,  che 
i  Fuorusciti   dovessero   finir  meco  1'  ope '-a,  che  io  avevo 
cominciata ;     perche  avendoli    io   visti   venire   cosi  fran- 
camente   a   Napoli   con   tanta  ripiitazione,     e   con   tanto 
animo,     e     cos?    unitamente,     a     ridomandare     la  loro 
liberta    in    presenza    del    Tiranno,     ch'    era    non   solo 
vivoj    ma    Genero    dell'    Imperadore,    non    avevo    io    a 
tener   per  certo,    che   da  poi,    ch'   egli  era  niorto,    che 
1'    Imperadore    era    in    Spagna,    e    non   a    Napoli,    ch' 
eglino  avessono    a    raddoppiare,    e  la  potenza,  e  V  ani- 
mo  che   io   avevo   visto   in  loro,  e  che  dovessono  ripigli- 
are   la   loro   liberta,    dove   non  avessono  piu   constrasto  ? 
Certo   che  mi   parrebbe   di    essere   stato  maligno,    se  io 
non   avessi   sperato   questd  da   loro,    e   temerario,    se  io 
non   avessi  preso   questo   partito.     Io   confesso,    che  non 
mi    venne    mai    in     considerazione,     che    Cosimo    de* 
Medici   dovesse   succedere   ad    Alessandro,    ma    qiiando 
io  r  avessi  pens;ito,   o   creduto,    io  non  mi   sarei  gover- 
nato     al     altrimenti    dopo   la   morte    del    Tiranno,    che 
come   io   feci,    perche   io  non   mi  sarei  mai  immaginato, 
che    gli    uomini    (che    noi    repiitiamo    Savii)     dovessero 
preporre    alia    vera    presente    gloria,    la    futura  incerta, 
c  trista  ambizione. 

a 

Egli  e  altrettanta  difliicolta  dal  discorrer  le  cose  al 
farle,  quanta  ne  e  dal  discorrerle  inanzi  al  dopo. 
Pert)  quelli  che  discorrono  ora  cosi  facilmente  quello, 
che  io  dovevo  fare  all'  ora,  se  si  fussono  trovati  in  sul 
fatto,  avrebbono  un  poco  meglio  considerato  quanto 
era    posslbile    soUevare    un   popolo,     che   si   trovava  in 

corpo 


408  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

corpo  una  Guardia,  e  in  capo  una  Fortezza,  che  gli 
era  di  magu^iore  spavento,  quanto  la  cosa  era  piu  nu- 
ova,  ed  insolita  a  Firenze,  tanto  piu  era  a  me  difficile, 
che  oltre  al  poilare  il  nome  de'  Medici,  ero  in  con- 
cetto di  amatore  della  Tirannide ;  e  cosi  quelli,  che 
discorrono  le  cose  dopo  il  fatto,  veggono  che  le  sono 
mai  successe  :  se  mi  avessino  avuto  a  consigliare  all'  ora 
quando  eglino  avrebbono  visto  da  una  banda  tanta  diffi- 
culta,  e  dall'  altra  i  Fuorusciti  con  tanta  riputazione,  e 
tanto  numero,  cosi  ricchi,  cosi  uniti  per  la  liberta.  come 
tutto  il  Mordo  credeva,  e  che  non  avessono  ostacolo 
alcuno  al  tomare  in  Firenze,  poiche  il  Tiranno  era 
levato  via,  io  credo-,  che  sarebbono  stati  di  contraria 
opinione  a  quella  che  ora  sono  ;  e  in  somma  la  cosa 
si  riduce  qui\  che  dove  volevaiio,  che  io  solo  disarmato 
andassi  svegliando,  e  convocando  il  popolo  alia  liberta, 
e  che  io  mi  opponessi  a  quelli,  ch'  erano  di  contraria 
opinione  (il  ch'  era  impossibile)  io  Io  volevo  fare  in 
compagnia  de'  Fuorusciti,  e  col  favore  degli  uomini 
del  dominio,  quali  io  sapevo,  ch'  erano  la  maggior 
parte  per  noi.  E  se  noi  fussimo  andati  alia  volta  di 
Firenze  con  quella  celerita,  e  risoluzione,  che  si  ricer- 
cava,  noi  non  trovavamo  fattoci  contro  provedimento 
alcuno ;  ne  1'  elezione  di  Cosimo  (che  era  si  mal 
fondata,  e  cosi  fresca)  ci  poteva  nuocere,  o  impedire. 
Se  dunque  io  avessi  trovati  i  Fuorusciti  di  quell'  ani- 
mo,  e  di  quella  prontezza  (ch'  era  pero  la  mag^or 
pane  di  loro,  ma  quelli  che  potevano  m^anco,  non 
avendo  altre  qualita  che  di  esser  Fuorusciti)  nessuno 
neghera,  che  la  cosa  non  fusse  successa  appunto,  come 
io  mi  ero  immaginato ;  il  che  si  puo  provare,  e  con 
molte  ragioni,  che  per  non  esser  troppo  lungo,  si 
tralasciano,    e    per    il    caSo    di    Monte    Murlo,    perche 

dopo 


APPENDIX.  N^  LXXXIV.  40§ 

dopo  molti  niesi,  che  dovevano,  e  da  poiche  eglino 
avevano  lasciato  acquistare  agli  avversarii  tanta  riputa- 
zione,  quanto  loro  ne  avevano  perduta,  succedess' 
egli  di  liberar  Firenze,  se  la  malignitu,  e  V  innetta 
ambizione  di  pochi  non  avesse  dato  agli  avversarii 
quella  vittoria,  che  loro  stessi  non  speravano  mai,  e 
che  quando  si  viddero  vincitori,  non  jx)tevano  ancor 
credere  di  aver  vinto  :  tanto  che  i  Fuorusciti  perderono 
un  impresa,  che  da  ogn'  uno  era  giudicato,  che  non  si 
potesse  perdere.  Pero  chi  vorra  di  nuovD  giudicare 
dagli  eventi,  conoscera,  che  all'  ora  eglino  avrebbon 
rimesso  Firenze  in  liberta,  se  si  fussono  saputi  gover- 
nare  ;  tanto  piu  era  la  cosa  certa,  se  dopo  la  morte  di 
Alessandro  immediatamente  avessono  fatto  la  meta 
della  sforza,  che  feciono  all'  ora,  e  che  non  fecero, 
quando  eglino  dovevano,  perche  non  volsono  ;  che 
altra  ragione  non  se  ne  puo  assegnare.  Ancora  voglio 
confessare  a  qiiesti  tali  di  essermi  nial  governato  dopo 
la  morte  di  Alessandro,  se  loro  confessano  a  me  di 
aver  fatto  quel  medesimo  giudizio  in  quell'  instante, 
ch'  eglino  intesero,  che  io  1'  avevo  morto,  e  che  io 
mi  era  salvato,  ma  se  feciono  all'  ora  giudizio  con- 
trario,  e  se  parve  all'  ora,  che  io  avessi  fatto  assai  ad 
ammazzarlo,  e  salvarmi,  e  se  giudicarono  (essendo 
usciti  fuora  tanti  cittadini,  e  cosi  potenti,  e  di  tanta 
riputazione)  che  Firenze  avesse  riavuta  la  liberta,  io 
non  voglio  concedere  loro  ora,  che  si  ridichino,  ne  che 
pensino,  che  io  mi  partissi  di  Firenze  per  poco  animo, 
o  per  soverchio  desiderio  di  vivere,  conciosiacosache 
mi  stimerebbono  di  troppo  poco  giudizio,  se  volessino 
che  io  avessi  indugiato  insino  all'  ora  a  conoscere,  che 
quello  che  io  trattava  era  non  pericolo,  ma  se  conside- 
ravano,    che   io   non  pensai    mai    alia  salute   mi  a  piu  di 

quello, 


410  APPENDIX.  NO  LXXXIV. 

quelle,  e  ragionevole  pensarvi,  e  se  io  me  ne  andai  di 
poi  a  Constantinopoll,  io  Io  feci  quando  io  vidde  le  cose, 
non  solo  andate  a  mal  cammino,  ma  disperate,  e  se  la 
mala  fortuna  non  mi  avesse  perseguliato  infin  la,  forse 
quel  viaggio  non  sarebbe  riuscito  vano.  Per  tutte  queste 
ragioni  io  posso  piu  tosto  vantarmi  di  aver  liberata 
Firenze,  avendola  lasciata  senza  Tiranno,  che  non  possoa 
loro  dire,  che  io  abbia  mancato  in  conto  alcuno,  perche 
non  solo  io  ho  morto  il  Tiranno,  ma  sono  andato  io  mede- 
Simo  ad  essortare,  e  sollecitare  quelli,  che  io  Scipeva,  che 
potevano,  e  pensava,  che  vollessino  fare  piu  de9;U  altri 
per  la  liberla  della  patria  loro.  E  clie  colpa  dunque  e  la 
mia,  se  io  non  gli  ho  trovati  di  quella  prontezza,  e  di 
quell'  ardore,  ch'  eglino  dovevano  essere  ?  o  che  piu  ne 
posso  io  ?  Guardisi  in  quello,  che  io  ho  potuto  far  senza 
1'  ajuto  d'  altri,  se  io  ho  mancato.  Nel  resto  non  doman- 
date  degli  uomini,  se  non  quello,  che  possono,  e  tenete 
per  certo,  che  si  mi  fusse  stato  possibile  fare,  che  tutti  i 
cittadini  di  Firenze  fussero  di  quell'  animo  verso  la  patria 
che  dovrebbono,  che  cosi,  come  io  non  ebbi  rispetto  per 
levar  via  il  Tiranno,  ch'  era  il  mezzo  per  conseguire  il 
fine  propostomi,  e  metter  a  manifesto  pericolo  la  vita 
mia,  e  lasciar  in  abbandono  mio  padre,  mio  fratello,  e  le 
mie  cose  piu  care,  e  metter  tutta  la  mia  casa  in  quella 
rovina,  ch'  ella  si  trova  al  presente,  che  per  il  fine  stesso 
non  mi  sarebbe  tanta  fatica  spargere  il  proprio  s?ngue,  e 
quello  de'  miei  insieme,  essendo  certo,  che  ne  loro,  ne 
io  averessimo  potuto  finire  la  vita  nostra  piu  gloriosamcnte 
in  servizio  della  patria. 


APPENDIX.  NO  LXXXV.  4U 

NO  LXXXV. 

DEO  LIBERATOR!, 

Jt  ER  non  venire  piu  in  potere  de'  maligni  inimici 
miei,  ove,  oltre  all'  essere  stato  ingiustamente  e  crudel- 
mente  straziato,  sia  costretto  di  nuovo,  per  violenza 
di  toinnenti,  dire  alcuna  cosa  in  pregiudizio  delP 
onore  dell'  innocenti  parenti,  et  amici  miei,  la  qual 
cosa  e  accaduta  a  questi  giorni  alio  sventurato  Giu- 
liano  Gondi :  lo  Filippo  Strozzi  mi  sono  deliberato, 
in  quel  modo  che  io  posso,  quantunque  duro  (rispetto 
all'  anima)  mi  paia,  con  le  mie  proprie  mani  finire  la 
vita  mia :  L'  anima  mia  a  Iddio,  somma  miserecordia, 
raccomando,  humilmente  pregandolo,  se  altro  darle 
di  bene  non  vuole,  che  le  dia  almeno  quel  luogo  dove 
Catone  Uticense,  e  altri  simili  virtuosi  uomini  hanno 
fatto  tal  fine. 

Prego  D.  Giovan  di  Luna  castellano,  che  mandi  a 
torre  del  mio  sangue  dopo  la  mia  morte,  e  ne  faccia 
fare  un  migliaccio,  mandandolo  a  Cibo  cardinale,  af- 
fine  che  si  satii  in  morte  di  quello,  che  satiare  non  si 
e  potuto  in  vita,  perche  altro  grado  non  gli  manca  per 
arrivare  al  ponteficato,  a  che  esso  si  disonestamente 
aspira :  E  lo  prego  che  faccia  sepellire  il  mio  corpo  in 
Santa  Maria  Novella,  appresso  a  quello  della  mia 
donna,  quando  che  no,  mi  staro  dove  mi  metteranno  : 
Prego  bene  i  miei  Figliuoli  che  osservino  il  testamento 
fatto  da  me  in  Castello,  il  quale  e  in  mano  di  Bene- 
detto Ulivieri,   eccetto  clie   la   partita   del   Bundino ;    E 

sodisfare 


4l2 


APPENDIX.  NO  LXXXV, 


sodisfare  ancora  al  signor  D.  Giovan  di  Luna  di  molti 
comodi  da  lui  ricevuti,  e  spese  fatte  per  me,  non  1'  aven- 
do  sodisfatto  mai  di  cos'  alcuna ;  e  tu  Cesare  con  ogni 
riverenza  ti  prego  t'  inform!  meglio  de'  modi  della  povera 
citla  di  Firenze,  riguardando  altrimenti,  che  tu  non  hai 
fatto  al  ben  di  quella,  se  gia  il  fine  tuo  non  e  di  rovinarla. 


Philippiis  Strozza,  jam] am  mori turns. 


Exoriare  aliquis  nostris  ex  ossibiis  iiltor. 


END  OF  THE  APPENDIX, 


DESCRIPTIOJ\r  OF  THE  PLATES, 


VOL.  I. 

Frontispiece— Portrait  of  Lorenzo  de'  Medici,  from  the 
museum  of  Gimian  Batt.ista  Dei,  at  Florence.  I  have  pre- 
ferred this  portrait  to  that  pubhshed  by  FabrOni,  after  Ghir- 
landajo,  as  bearing  a  grea'"er  resemblance  to  the  medallions 
that  remain  of  Lorenzo,  and  as  being  more  conformable  to 
the  description  of  his  person  by  Valori  and  others. 

Title  Page — The  arms  of  the  Medici  family. 

Chap.  I — Portrait  of  Cosmo  de'  Medici,  from  Pontormo.  The  em- 
blem in  the  reverse  was  adopted  by  Cosmo  in  reference  to 
the  death  of  his  son  Giovanni  de'  Medici,  in  1461,  and 
the  hopes  which  he  entertained  from  his  surviving  offspring. 

Chap.  II — The  Giostra,  or  Tournament  of  Lorenzo,  from  the  an- 
.    cient  edition,  without  date,  of  the  poem  on  that  subject  by 
Luca  Pulci. 

Chap.  Ill — Portrait  of  Giuliano  de'  Medici,  with  his  seal,  as  preser- 
ved in  the  Strozzi  library. 

Chap.  IV — The  Medal  struck  by  Antonio  .Pollajuolo,"^on  the  conspi- 
racy of  the  Pazzi. 

Chap.  V — A  Bacchanalian  Scene,  from  an  antique  gem  in  the  Mu- 
seum Florentmum,  in  allusion  lo  the  Ca7iti  Carnascialeschi. 

End  of  vol.  I — Medallions  of  Marsilio  Ficino,  and  Luigi  Pulci. 
The  former  from  the  Promptuarlum  Iconuni,  Lugd.  157Q. 
The  latter  from  the  rare  edition  of  the  Morga?2te,F/or.  1546. 

VOL.  III.  3  H 


DESCRIPTIOJ^  OF  THE  PLATES. 


VOL.  II. 

Title  Page — The  Impresa,  ordevice  assumed  by  Lorenzo  de' Me- 
dici, and  which  generally  accompanies  his  portrait. 

Chap.  VI — Medallion  of  Lorenzo,  with  the  emblem  of  Florence  in 
the  reverse,  as  given  by  Adimari  in  his  edition  of  the  Com' 
merit.  Conjur.  Factiattae,  of  Politiano,  Napoli,  1769. 

Chap.  VII — Medallion  of  Politiano,  with  the  emblem  of  Study  as 
the  reverse  ;   from  the  same  work. 

Chap.  VIII— The  Palace  of  the  Medici  in  Florence,  erected  by  Mi- 
chelozzi,  and  now  the  residence  of  the  family  of  Riccardi. 

Chap.  IX — Portrait  of  Michelagnolo  Buonaroti,  from  the  original 
print  of  Giulio  Bonasoni,  published  by  Gori,  in  his  edition 
of  the  life  of  Michelagnolo,  by  Condivi,  Flor.  1746. 

Chap.  X — Portrait  of  Leo  X.  after  Raffaello,  with  his  arms  and 
pontifical  emblems. 

End  of  vol.  II — Medal  ofNiccolo  Valori,  the  first  historian  of 
Lorenzo  de'  Medici,  with  the  arms  of  his  family,  anciently 
called  Rustichelli,  from  the  Famiglie  nobili  Florentine  of 
Scip.  Ammirato.  Flor.  1615. 

VOL.   III. 


Title  page — The  arms  of  the  Medici  reclinedagainst  a  Laurel, 
in  allusion  to  Lauro,  the  poetical  name  assumed  by  Loren- 
zo de'  Medici. 


INDEX. 


AcCIAJUOLI  Jgnolo,  his  letter  to  Piero  de' 

Medici  .  ,  .  .  . 

Donato,  inscribes   several  of   his  works  to   Piero 

de'  Medici 
his  embassy  to  Rome 
death  .  ... 

AccoLTi  Benedetto^  his   history  of  the    wars  be 

tween  the  Christians    and    the  Turks 
Agnana,   a  farm  of  Lor.  de'  Medici 
Alberti    Leo  Battista^  his   Latin   comedy   enti 

tied  Philodoxios 
introduced  by  Landino  in  his  Disfiutationes  Ca 

maldulenses  .  . 

Albizi  Rinaldo  de\  opposes  Cosmo  de'  Medici 

banished     ....... 

Alexander    VI.    his    elevation    to    the    pontiii 

cate  .... 

Ambra^  an  Italian  poem  by  Lorenzo  de'  Medici 
Ambra^  a  Latin  poem  of  Politiano 
Ancient  authors,  their  works  discovered 
Ancients  and  moderns  compared 
Architecture  encouraged  by  Lor.  de'  Medici 
Argyropylus  Johannes^   instructs  Lorenzo  in  the 

Aristotelian   philosophy 
teaches  the  Greek  language  at  Florence 
his  death  .... 

Arts,  their  progress 


i.  125 

i.  278 

i.  290 

i.  124 

ii.  191 

1.    119 


!• 

I'i^ 

i. 

20 

'• 

28 

i. 

338 

i. 

375 

ii. 

186 

i. 

33 

i. 

257 

ii. 

294 

i. 

101 

ii. 

107 

ii. 

110 

ii. 

237 

Arts, 

416 


INDEX. 


Arts,  state  of  them  in  tlie  middle  ages 
revival  in  Italy         .... 
their  imperfection 
causes  of  their  improvement 

Augur ELLi  Aurelio^  a  Latin  poet 


ii.  238 

ii.  239 

ii.  256 

ii.  259 

ii.  147 


B 

Baldini  Baccio^  an  early  engraver  on  copper 
Baldovinetti,  excelled  in  painting  portraits 
Baldovini,  Lamento  di  Cecco  da  Varlunga 
Bandini  Bernardo^  an  accomplice  in  the  conspi 

racy  of  the  Pazzi         .... 
Bar  BAR  o  Rtmolao  .... 

Beca  da  Dicomano^  rustick  poem  of  Luigi  Pulci 
Beccatelli  Antonio^    his  Hermaphroditus^    an< 

other  poems  .         .         .  i.  71 

Bembo,  Bernardo  .... 

Pietro 

verses  to  the  memory  of  Politiano 
Bentivoglio  Giovanni^  assists  Lor. 

attacks  Manfredi,  prince  of  Faenza 
Beoni,  a   satirical  poem  of  Lor.  de'  Medici 
Berlinghieri   Francesco^  ha  Geograjia 
Bessarion  Cardinal,  his  dispute  with  George  of 

Trebisond 
Bianchi  and  JVeri 
Boccaccio  Giovanni^  his  Decanierone 

Latin  writings 
Bologna,  battle  of,      . 
Bos  so  Matteo^  his  character  and  works 
Braccio  Alessandro^  a  Latin  poet 
Brunelleschi  Filipjio 
Bruni  Leonardo^  called  Leonardo   Aretino,   his 
character  and  writings 
promotes  the  cause  of  learning 


ii.  304 
ii.  252 
i.  397 


12; 


243 
348 
396 

141 

288 
lb. 
356 
270 
232 
386 
154 


11 


74 

7 

322 

70 

i.    115 

ii.   216 

ii.    147 

i.     84 


i.     29 

ii.     73 
Buonaroti 


INDEX. 


4ir 


BuoNAROTi  Michelag-nolo,  studies  in  the  gardens 
of  S.  Marco        ...... 

resides  with  Lorenzo      .         .         •         •         . 

advantages  over  his   predecessors 

his  sculptures 

great  improvement  of  taste  introduced  by  him 

unjustly  censured  .         .         .         .         » 

Michelagnolo    the    younger,  his   rustick   comedy 

entitled  La  Tancia       .  .  .         •  . 

BuRCHiELLo,  his  wdtings  .         .         •         . 


ii.  275 
ii.  278 
ii.  281 
ii.  282 
ii.  284 
ii.  287 


397 
325 


Caffagiolo,  description  of,  .         -         • 

Calabria  duke  of,  defeats  the  Florentines 

defeated  by  Roberto  Malatesta 
Calphurnius,  his    writings   discovered   in   En 

gland      ^ 

Cantalicio,  a  modern  Latin  poet     . 
Canti   Carnascialeschi  .... 

Careggi,   description  of,  ... 

Castagna  Andrea  da,  paints  the  portraits  of  the 
Pazzi  conspirators        .... 
introduces  the  practice  of  painting  in  oil 
Cennini    BevTiardo,  the  first  Florentine  printer 
Chalcondyles   Demetrius,    teaches  the    Greek 
language  at  Florence  .... 

story  of  his  quarrel  with  Politiano  refuted 
Chrysoloras  Emanuel      .  .  .  .  . 

the  modern  father  of  classical  learning 
CiBO  Giambattista,  v.  Innocent  VIII. 
CiBO  Francesco,  marries  Madalena,  daughter  of 

Lorenzo  de'  Medici 

Cicero,  several  of  his   writings   discovered  by 
Poggio 


ii.  191 
i.  292 
ii.      15 


i.  41 
ii.  147 
i.  406 


n. 

188 

i. 

278 

ii. 

253 

ii. 

83 

ii. 

110 

ii. 

112 

i. 

29 

ii. 

74 

ii.  206 


Cirifo 


418 


INDEX. 


Ciriffo  Cahjaneo,  heroick  poem  of  Luca  Piilci 
Clarice,  wife  of  Lorenzo        .         ,  i.  158 

quarrels  with  Politiano 

her  death       .         .         • 
Classical  learning,  progress  of,  in  Italy 
Classick  authors  discovered 

eai'ly  editions  of, 
Collectiones  Cosmianae         • 
CoLONNA    OttOs   Martin  V.  elected  pope 
Columella,  his  works  discovered     . 
Constantinople,  capture  of, 
CoNTucci  Andrea^   an  eminent  painter 
CoRNiuoLi  Giovanni  delle,  a  celebrated  engraver 

Qn  gems 
CossA,  Balthazar  John  XXIII 
Council  of  Florence  1438 
Cremona,  congress  of, 
Crescimbeni,  his  character  of  the  poetry  of  Lo 
renzo  ...  .... 


1. 

330 

ii. 

168 

ii. 

174 

ii. 

219 

67. 

135 

i. 

33 

ii. 

84 

i. 

70 

i. 

16 

i. 

3§ 

i. 

60 

ii. 

292 

ii. 

309 

1. 

16 

i. 

47 

ii. 

19 

i.  417 


D 


Dante,   his  Inferno  .... 

character  of  his  sonnets 
Latin  writings 
Denmark,   king  of,    at  Florence 
DoMENico  de'  Camei,  an  engraver  on  gems 
DoNATELLO,  favourcd  by  Cos.  de'  Medici 

his  works  in  sculpture 
DoNATO    Lucrezia^    mistress  of  Lor. 
Drama,  Italian,  its    rise     .... 
musical,   its  origin      .... 
Driadeo    d''   Amore^   pastoral   romance    of  Luca 
Pulci 


i.  319 

i.  367 

ii.  68 

i.  213 

ii.  310 

i.  84 

ii.  257 

i.  145 

i.  397 

i.  404 


i.   33; 


Engraving 


INDEX 


419 


Engraving  on  copper,  invention  of, 

on  gems,  revival  of,     . 
EsTE  Borso  d\  marqviis  of  Ferrara 

jErcole  d\  duke  of  Ferrara,  assists  Lorenzo 

is  succoured  by  Lorenzo 


•     ii. 

303 

.     ii. 

307 

i. 

172 

i. 

271 

•     ii* 

13 

Federigo  of  Aragon,   his  interview  with    Lo 
renzo  at  Pisa 
Lorenzo  addresses  his  poems  to  him   . 
Ferdinand   king   of  Naples,  his  letter  to  Lo 
renzo  .... 

declines   the   proposed   marriage  between  his 

daughter  and  the  dauphin  of  France 
leagues  with  the  pope  against  the  Florentines 
is  visited  by  Lorenzo  at  Naples 
concludes  a  peace  with  him 
threatened  by  the  pope  .     •     . 

defended  by  Lorenzo 
reconciled  to  the  pope 
his  cruelty  and  perfidy 
Ferrara,  its  government 
Ferrara  duke  of,  attacked  by  the  Venetians  and 
the  pope  ..... 

defended  by  Lorenzo 
FiciNo  Marsilio,  educated  in  the  Platonick  phi 
losophy       ...... 

instructs  Lorenzo 

his  abstract  of  the  doctrines  of  Plato 
introduced  by  Lorenzo  in  his  Altercazione 
YiBELis   Cassandra,   her   extraordinary    accom 
plishments  .         .         .         »         . 


i.  102 
i.  341 

i.  112 

i.  210 
i.  282 
i.  293 
304 
29 
32 
35 
46 
172 


50 
101 
217 
218 


ii.   132 
Fiesole, 


420 


INDEX. 


Fiesole,   its  situation 

destroyed  .... 

FiLELFo  Francesco^  his  character 

researches  after  ancient  manuscripts 

dissensions  with  Poggio 
Florence,  its  origin 
government 

council  of,       . 

its  state  at  the  death  of  Piero  de'  Medici 

review  of  its  government 

regulations  introduced  by  Lorenzo 

its  prosperity  .... 

extinction  of  the  republick 
Florentine  secretaries,  eminent  scholars, 
FoLENGi  JWcco/o,  a  Latin  poet    . 
Franco  Matteo^  his  sonnets 
Frescobaldi,  conspiracy  of,     . 


1. 

4 

i. 

5 

i. 

44 

i. 

46 

i. 

77 

i. 

4 

i. 

6 

i. 

4r 

i. 

iro 

ii. 

50 

ii. 

53 

ii. 

55 

ii. 

422 

ii. 

117 

ii. 

147 

i. 

337 

ii. 

17 

Genazano  M(fzna;zo,  a  distinguished  preacher  ii.  211 
Gentile  d^  Urbmo,  bishop  of  Arezzo,  instructs 

Lorenzo       .         .         .         .         .         .         .  i.     98 

ode  addressed  to  him  by  Politiano  .  .  i.  272 
summons   a    convention   at    Florence  against 

Sixtus  IV i.  281 

George  of  Trebisond^  his  dispute  with  cardinal 

Bessarion  .  .  .  .  .  ,  i.  74 
Ghiberti  Lorenzo^  his  works  in  sculpture     i.  87.  ii.  256 

Gfos/ra  of  Lorenzo  and  Giuliano         .         .         .  i.    126 

Giotto,  character  of  his  paintings  .  .  .  ii.  241 
Granacci  Francesco^  a  fellow-student  of  Michel- 

agnolo         .......  ii.  276 

his  talents ii.  292 

Greek  academy  instituted  at  Florence         .         .  ii.   104 

Grocin   ffzY/zam,  a  student  at  Florence.     .         .  ii.   114 

Grosso 


INDEX.  421 

Grosso  JViccolo^  called  //  Cafmrra^  his  works  in 

iron                .             .              .             .             .  ii.  293 

GuARiNo  Veronese,  an  eminent  scholar         i.  31.  ii.     73 
his  researches  after  the  remains  of  ancient  au- 
thors             .             .             .             .             .  i.     40 

Guelphs  and  Ghibelines                .             .             •  i.       7 

H 

Hawking,  poem  on,  by  Lor.  de'  Medici               .  i.  377 

Hermaphroditus^  a  licentious  work  of  Beccatelli  i.     71 


Innocent    VIII.   his   election  to  the  pontificate, 
and  character 

Lorenzo  gains  his  confidence 

he  prepares  to  attack  the  king  of  Naples 

opposed  by  Lorenzo 

is  reconciled  to  the  king 

threatens  him  with  fresh  hostilities 

pacified  by  Lorenzo 

his  death 
Isabella  of  Aragon,  her  nuptials  with  Galeazza 
Sforza,  duke  of  Milan 

anecdote  respecting  her 
Italian  language,  its  degradation 

revivers  of  it  in  the  XV.  century 
Italy,  its  political  state 

general  traquillity  of, 
invaded  by  the  French 


.  ii. 

23 

.  ii. 

ib. 

.  ii. 

28 

.  ii. 

31 

ii. 

35 

ii. 

46 

.  ii. 

49 

ii. 

338 

zzs 

ii. 

208 

ii. 

209 

i. 

322 

i. 

325 

16 

5.  ii. 

4 

ii. 

61 

ii. 

339 

Landing  Christoforo^  instructs  Lor.  .  .      i.   JOd 

his  character                  .             .  .  .      i.   122 

Disfiutatioiies  Camalduknses      •  .  i,  140.  ii.     84 

VOL.  III.                             3  I  Landino, 


422 


INDEX. 


ii. 

71 

ii. 

86 

i. 

381 

ii. 

385 

i. 

25 

i. 

51 

ii. 

77 

ii. 

346 

ii. 

387 

1. 

53 

i. 

SI 

Landing,  his  poetry       ....     ii.   142 
his  commentary  on  Dante 
his  edition  of  Horace 
Laudi  of  Lorenzo  de'  Medici 
Leo  X.  -v.  Giovanni  de'  Medici,  age  of, 
Library  of  S.  George  at  Venice  founded  by  Cos 
mo  de'  Medici 
Laurentian,  established 
its  progress 

plmidered  by  the  French 
restored  .... 

Library  of  S.  Marco  at  Florence  founded  by  Nic 
colo  Niccoli 
of  the  Vatican,  founded  by  Nicholas  V. 
LiNACER    Thomas^   studies  the  Greek  tongue  at 

Florence 
LiPPi  Filif}fio^  the  elder,  favoured  by  Cosmo  de 
Medici  .  .  . 

monument  erected  to  him  by  Lorenzo 
Filijipo^  the  younger,  his  paintings     . 
LivY,  researches  after  his  writings 
Louis  XI.  of  France,  negotiates  for  the  marriage 
of  the  dauphin  with  a  daughter  of  the  king 
of  Naples  .  .  .  .      i. 

advises  Lorenzo  not  to  attend  the  congress  of 
Cremona  .  .  -  .     ii, 

Lucretius,  discovery  of  his  works  .  .      i. 

M 

Madalena,  daughter  of  Lorenzo,  marries  Fran- 
cesco Cibo  .  .  .  .     ii. 

Maffei  ji?Uo?iio,  an  accomplice  in  the  Pazzi  con- 
spiracy 

Maffei  Rafflaello^  kindness  of  Lorenzo  to  him 

Mahomet  II.  captures  Constantinople  ,  . 


ii.    1!4 


1.  86 
ii.  250 
ii.   253 

i.     40 


207 

19 

38 


ii.   206 

i.  243 
i,  277 
.      i.     60 
Mahomet 


INDEX. 


423 


Mahomet  II.  captures  the  island  of  Negropont 
captures  Otranto 

his  death  .... 

Malatesta  Roberto^  commands  the  Florentine 

troops  .... 

engages  in  the  service  of  the  pope 

his  death  .... 

Manetti  Giannozzo 

studies  perspective 

Manfredi   Galeotto,    his   tragical  death 

Mantegna  Aiidrea^  his  engravings 

Masaccio,  favoured  by  Cosmo  de*  Medici 

Maximis  Carolus  de\  his  poem  on  the  restoration 

of  the  academy  at  Pisa 
Medici  family,  antiquity  of 

nature  of  their  influence  in  Florence     . 

sources  of  their  wealth 

their  commercial  concerns 

other  sources  of  their  revenue 

expelled  from  Florence 

their  adherents  decapitated 

restored  to  Florence. 

Alessandro  de\    natural  son  of  Lorenzo,   duke 

of  Urbiiio 
assumes  the  sovereignty  of  Florence    . 
assassinated  by  Lorenzino  de'  Medici 
Cosmo  de\  Pater  Patriae 
assists    Balthaz.  Cossa,  John    XXIII. 
is  banished  to  Padua 
is  allowed  to  reside   at  Venice 
founds  the  library  of  S.  George  at  Venice 
recalled  from  banishment 
encoura.ges  men  of  learning  , 

founds  the  Laurentian  Library 
applies  himself  to  study 


1.  178 
i.  309. 
ii.   10 


291 
U 
15 
30 
ii.  248 
ii.  229 
ii.  304 
i.  86 


i4r 

IL 

IS 

179 

182 
183- 
342 
368 
378 


403 
409 
412 
15 
16 
21 
24 
25 
i.  27 
i.  28 
i.  51 
i.  63 
IMedici 


424 


INDEX. 


Medici  Cosmo  de*,  his  celebrity 
his  death  and  character 
encourages  the  arts         .         • 
his  collection  of  antiques 
his  repartees 
his  great  prosperity 
Cosmo  de\  first  grand  duke     . 
Giovaimi  de\    an   ancestor  of   Lorenzo,    reen 

forces  the  fortress  of  Scarperia 
Giovanni  de\  surnamed  cfe'  Bicci^  father  of  Cos 

mo   Pater  Patriae 
his  last  advice  to  his  two  sons 
Giovanrd  de\  son  of  Cosmo,  his  death 
Giovanni  de\  Leo  X.  second  son  of  Lorenzo, 

born  .... 

his  character 

raised  to  the  dignity  of  cardinal 
letter  to  him  from  Lorenzo  on  his  promotion 
letter  from  him  to  his  brother  Piero,    on  the 

death  of  their  father  . 
his  conduct  in  his  exile 
his  election  to  the  pontificate 
promotes  his  relations 
restores  his  dominions  to  peace 
Giovanni  de\  son   of  Pierfrancesco,  assumes 

the  name  of  Popolani 
Giovanni  de\   captain  of  the    Bande  nere 
Giidia7io  de\  brother  of  Lorenzo,  born  . 
his  Giostra,  and  poem  on  that  subject  by  Poll 


tiano 


his  character            ..... 
assassinated  in  the  conspiracy  of  the  Pazzi 
his  obsequies           ..... 
personal  accomplishments 
Giuliano  de\  duke   of  Nemomrs,  third  son  of 
Lorenzo,  born  


i.  68 

i.  80 

i.  83 

ii.  270 

i.  88 

i.  90 

ii.  421 

i.  12 


13 
14 
67 


ii.  168 

ii.  178 

ii.  195 

ii.  197 

ii.  336 

ii.  376 

ii.  379 

ii.  380 

ii.  382 

ii.  405 

ii.  406 

i.  65 


i.  125 
i.  176 
i.  246 
i.  262 
i.     ih. 


ii.    168 
Medici 


INDEX. 


4'25 


Medici  GiuUano  dt\  his  character  « 

his  death        ...... 

Giulio  de\   Clement    VII.    born 

follows  the  fortunes  of  the  cardinal  Giovanni 

obtains  the   pontificate  and   erects  a  building 

for  the  Laurentian  Library 
IfipMito    de\  natural  son  of  Giuliano,   duke  o 

Nemours  ..... 

his    death       ,,..•. 

Lorenzo  de\  brother  of  Cosmo 

collects  remains  of  antiquity 

Lorenzo  il  Magnifico,  born 

his  early  accomplishments 

his  person  and  character 

education        ...... 

studies  under   Landino   and  Argyropylo 

his  interview  with  Federigo  of  Aragon  at  Pisa 

visits  Rome  ..... 

rescues  his  father  from  an  attempt  on  his  life 

defeats  the  conspiracy  of  Luca  Pitti 

letter   to  him  from  Ferdinand  king  of  Naples 

his  clemency 

his  Giostra^  and  poem  of  Luca  Pulci  on  that 

subject        ...... 

his  description  of  his  mistress 

sonnets  in  her  praise       .... 

marries  Clarice  Orsini 

his  journey   to    Milan  .         .         . 

intrusted  with  the  direction  of  the  Florentine 

state  ...... 

appointed  syndick  of  the  republick 
devotes  his  leisure  to  literature         • 
his  embassy  to  Sixtus  IV. 
suppresses    the   revolt   at  Volterra 
establishes  the  academy  at  Pisa 


ii.  590 

ii.  394 

i.  263 

ii.  379 

ii.  391 

ii.  396 

ii.  411 

i.  14.  43 

ii.  266 


65 

95 
97 
98 
100 
102 
103 
108 
111 
112 
113 

125 
146 
152 
158 
159 


174 
179 
187 
198 
200 
203 
Medici 


426 


INDEX. 


Medici  Lorenzo  de\  negotiates  for  a  marriage 
between  the  dauphin  and  a  daughter  of  the 
king  of  Naples 

his  poem  entitled  Altercazione 

wounded  in  the    conspiracy  of  the  Pazzi 

conduct  after  the  conspiracy 

prepared  to  resist  the   pope   and  the   king  of 
Naples         .... 

his  kindness  to  the  relations  of  the  conspirator 

danger  of  his  situation 

sends  his  family   to   Pistoia 

negotiates  for  peace 

resolves  to  visit  the  king  of  Naples 

his  letter  to  the  magistrates  of  Florence 

embarks   at   Pisa 
interview  with  the   king 

concludes  a  treaty  with  him 
his  reception  at  f  lorence 

concludes    a  peace  with   the   pope 

his  studies 

his  early  writings 

inquiry  into  his  poetical  character 

his  talents  for  description 

poetick  comparison 

personification 

of  the  passions  and  affections 

his  talents  for  the  Prosolwfioeia 

various  species  of  poetry  cultivated  by  him 

sonnets  and  lyrick  pieces 

Selve  cf  amove 

Ambra^  a  fable  .  .  . 

poem    on    hawking 

moral  pieces 

sacred  poems 

I  Beoni^  a  satire    . 


2or 

217 

248 
260 


268 
275 
285 
286 
288 
293 
295 
300 
301 
302 
307 
311 
315 
341 
343 
345 
347 
354 
:^56 
357 
363 
368 
371 
375 
376 
377 
381 
386 
Medici 


INDEX. 


427 


Medici  Lorenzo  de\  la  Nencia  da  Barberino 
dramatick  works 
Canti   Carnascialeschi 
Canzo7ii  a  ballo 
character   of  his  poetry  by  Pico  of  Mirandula 

and  others 
celebrated  in  the  Mutricia  of  Politiano 
he  endeavours  to  secure  the  peace  of  Italy 
conspiracy  against  him  by  Frescobaldi 
defends  the  duke  of  Ferrara  against  the  pope 
and  Venetians 

obtains  the  confidence  of  Innocent  VIII. 
joins  the  army  before  Pietra  Santa 
defends  the   king  of  Naples  against- Innocent 

VIII 

reconciles  the  pope  and  the  king 
suppresses  the  insurrection  at  Osimo 
joins  the  army,  and  captures  Sarzana 
protects  the  smaller  slates  of  Italy 

reconciles  the  pope  and  the  king  of  Naples 
second  time 

regulates  the  government  of  Florence 

his  high  reputation 

his  ardour  in  collecting  ancient  manuscripts 

establishes  the  Greek  academy  at  Florence 

domestick  character     .  .  • 

accused  of  being  addicted  to  licentious  amour 

vindicated  .... 

conduct  towards  his  children 

discharges  his  debts,  and  quits  commerce  for 
agriculture 

favours  learned  ecclesiasticks 

erects  a  bust  of  Giotto 

encourages  the  arts 

raises  a  monument  to  Fra  Filippo  at  Spoleto 


i. 

396 

i. 

400 

i. 

406 

i- 

410 

i. 

414 

i. 

419 

ii. 

3 

ii. 

r 

ii. 

13 

ii. 

23 

ii. 

27 

ii. 

33 

ii. 

35 

ii. 

38 

ii. 

40 

ii. 

43 

ii. 

47 

ii. 

53 

ii. 

58 

ii. 

79 

ii. 

105 

ii. 

159 

ii. 

164 

ii. 

165 

ii. 

169 

ii. 

180 

ii. 

211 

ii. 

244 

ii. 

247 

ii. 

250 

Medici 

428 


INDEX. 


Medici  Lorenzo  de\   augments  his  collection  of 
antique  sculptures 
establishes  a  school  for  the  study  of  the  antique 
favours  Michelagnolo 
other  artists  favoured  by  him  . 
attempts  to  revive  I\Iosaick 
intends  to  retire  from  publick  life 
is  taken  sick,  and  removes  to  Careggi 
conduct  in  his  last  sickness 
interview  with  Pico  and  Politiano. 
with  Savonarola 

his  death  .... 

his  character    .... 
review  of  his  conduct  as  a  statesman    . 
attachment  of  the  Florentines  to   him 
circumstances  attending  his  death 
testimonies  of  respect  to  his  memory 
monody  on  his  death  by  Politiano 
Lorenzo  c/e',  duke  of  Urbino    . 
his  death  and  monument 
Lorenzo  de%  son  of  Pierfrancesco,   called  Lo 

retizino  .... 

assassinates  the  duke  Alessandro. 
motives  and  consequences  of  the  attempt 
is  assassinated  at  Venice 
Fiero  de\  son  of  Cosmo,  marries  Lucretia  Tor 

nabuoni         . 
his  conduct  after  the  death  of  Cosmo 
promotes  the  interests  of  learning 
his  death  and  character 

Fiero  de\   son  of  Lorenzo  il  Magnifico^  born 
his  character     .... 
visits  pope  Innocent  VIII. 
marries  Alfonsina  Orsini 
visits  Milan     .... 


.  ii. 

271 

e  ii. 

272 

.  ii. 

274 

.  ii. 

290 

.  ii. 

300 

.  ii. 

315 

.  ii. 

318 

.  ii. 

320 

.  ii. 

322 

.  ii. 

324 

.  ii. 

326 

.  ii. 

327 

.  ii. 

329 

.  ii. 

331 

.  ii. 

332 

.  ii. 

335 

.  ii. 

352 

.  ii. 

398 

ii. 

399 

.  ii. 

406 

ii. 

412 

.  ii. 

418 

.  ii. 

421 

i. 

65 

i. 

104 

i. 

117 

i. 

160 

I  ii. 

168 

•  ii. 

176 

.  ii. 

193 

.  ii. 

204 

ii. 

208 

Medici 

INDEX, 


4%$ 


Medici  Piero  de\  expelled  from  Florence 

his  death  and  character 

sonnet  by  him         ...... 

Salvestro  de'  •••••• 

Veri  de'  

Merula  Giorgio,  his  contix5versy  with  Politiano 
MicHELOzzi  Michelozzo,  accompanies  Cosmo  in 

his  banishment  • 

Milan,  its  government         • 
Miscellanea  of  Politiano 
MoNTESicco  Giambaftista^  an  accomplice 

conspiracy  of  th  e  Pazzi 
Morgante  Maggiore  of  Luig;i  Pulci     . 
Mosaick,  attempts  to  revive  it 
Museum  Florentinum,  its  origin 


in  the 


344 
372 
374 
12 
13 
100 

25 

168 

93 

243 
333 
300 
270 


N 

Naldo  de  JValdis^  his  Latin  poetry     .         .         .     ii 
Naples,   its    government  .         .         .         .      i 

Nardi  Bernardo^  attacks  the  town  of  Prato         .      i 
JVencia  da  Barberino,  rustick  poem  of  Lorenzo  de' 

Medici •      i 

NiccoLi  Niccolo.,  a  promoter  of  learning 

founds  the  library  of  S.  Marco 

collects  the  remains  of  ancient  art 
Nicholas  V.  founds  the  Vatican  Library 


142 
167 
177 

396 

54 

266 


o 


Olgiato  Girolamo^  assassinates  the  duke  of  Milan  i. 

Orazioni  of  Lorenzo  de'  Medici           .         .         .  i. 

Orfeo  of  Politiano      ......  i, 

Orsini  Clarice^  wife  of  Lorenzo,  v,  Clarice. 

Otranto,  captured  by  the  Turks          .         .         .  i. 

retaken  by  the  duke  of  Calabria     .         .         .  ii« 


■9-OL.  Ill 


3  K 


232 
381 
404 

309 
11 

PALEOLOGU? 


430 


INDEX, 


Paleologus  John^  emperonr  of  the  east,  at  Flo- 
rence .... 
Paul  II.  his  death  and  character 

a  prosecutor  of  men  of  learning 
Pazzi,  conspiracy  of 

origin  of  the  attempt 

the  family  of  .         .         . 

reasons   of  their  enmity  to  the   Medici 

arrangements  for  its  execution 

the  conspirators  attack  the  palace 

repulsed  by  Cesare  Petrucci 

memorials  of  it      . 

Giacojio    dt'*^    his   miserable    death 

Guglidmo  de^^  banished 
Perugia,  battle  of 
Petrarca,  his  writings     . 

his  sonnets 

his   Latin    writings 

collects  ancient  medals 
Petronius,  his  works  discovered 
Petrucci   Cemre,  defends  the  palace 
Pico   Giovanni^  of  Mirandula,    his  character  of 
the  poetry  of  Lorenzo 

his  history  and  character 

last  interviev/  with  Lorenzo 

his  death  * 

Pietra  Santa,  captured  by   the  Florentines 
Pisa,  its  academy  established     . 

poem  thereon  by  Carolus  de  Maximis 
Pi  SAN  I  A'icolo,  isf  Andrea^  their  works  in  sculp' 
ture 


1. 

47 

i. 

194 

i. 

195 

i. 

235 

i. 

241 

i. 

238 

i. 

239 

i. 

243 

i. 

250 

i. 

252 

i. 

265 

i. 

256 

i. 

258 

i. 

291 

i. 

320 

i. 

367 

ii. 

70 

ii. 

265 

i. 

41 

i. 

251 

i. 

414 

ii. 

125 

ii. 

322 

ii. 

349' 

ii. 

27 

i. 

203 

ii. 

147 

ii. 

255 

PiTTI 

INDEX. 


43^ 


PiTTi  Luca^  his  conspiracy  against  the  Medici 
Palazzo^  its  erection  and  progress 
Plato,  revival  of  liis  philosophy 
Platonick  academy,  its  progress 

festival  ..... 

cITectD  of  this  institution 

number  and  celebrity  of  its  members 
Platus  Fiatinus  of  Milan,   a  Latin  poet 
pLAUTUs,  his  works  discovered 
Pletho    GeiniGihus 
PoGGio,  studies  under  Chrysoloras 

discovers  the  writings  of  many  of  the  ancient 
authors        ..... 

his  quarrel  with  Filelfo 

industry  in  collecting  antique  sculptures 

Giacofio,  engaged  in  the  conspiracy  of  the  Pazzi 

his  death        ..... 
Poggio  Cajano,  description  of 
PoLiTiANo    Jlgnolo^  his  Giostra  of  Giuliano   de 
Medici  .... 

his  birth  and  education 

temper  and  character 

his  ode  to  Gentile  d'  Urbino 

his  musical  drama  entitled  Or/so 

his  JVutricia  .... 

ode  Ad  Horatium  Flaccum  . 

his  industry  as  a  commentator 

authors  commented  by  hiin 

corrects  the  Pandects  of  Justinian 

his  Miscellanea        .... 

controversy  with  Merula 

controversy  with  Scala 

his  translation  of  Herodian 

of  Homer  into  Latin  hexameter  verse 

character  of  his  Latin  poetry 

accompanies  the  family  of  Lorenzo  to  Pistoia 


i.  106 

i.  110 

i.  49 

i.  215 

i.  223 

i.  224 

i.  226 


146 
38 
49 
31 


12 


37 

77 
267 
242 
i.  253 
ii.    182 

5.  134 
i.  188 
i.  192 
i.  272 
i.  404 
i.  419 


87 

89 

92 

93 

93 

100 

120 

ii.    137 

ii.    139 

ii.    149 

ii.    170 

POLITIANO 


11. 

ii. 

ii. 
ii. 
ii. 
ii. 
ii. 


432 


INDEX. 


PoLiTiANO,  his  letters  to  Lucrezia,  the  mother 
of  Lorenzo  .         .         .         ,         , 

dissensions  between  him  and  Madonna  Clarice 

she  expels  him  the  house 

he  retires  to  Fiesole,  and  writes  his  poem  en 
titled  Rusticus  .... 

his  last  interview  with  Lorenzo  de^  Medici 

absurd  account  respecting  his  death        . 

his  monody  on  Lorenzo 

celebrated  by  cardinal  Bembo 

authentick  account  of  his  death 
PoLLAjuoLO  Antonio^   his   medal  on  the  conspi 
racy  of  the  Pazzi         .... 

introduces  the  study  of  anatomy 
Printing,  invention  of,         .         .         .         .         , 

introduction  in  Florence 
PuLCi  Bernardo^  his  writings  .  • 

Luca^  his  Giostra  of  Lorenzo  de'  Medici      i. 

his  other  writings  .... 

Lmgi^  his  Morgante         .  .  . 

sonnets  ...... 

La  Beca  da  Dicomano^  a  rustick  poem 


11. 

172 

ii. 

173 

ii. 

174 

ii. 

175 

ii. 

322 

ii. 

350 

ii. 

351 

ii. 

356 

ii. 

359 

i. 

268 

ii. 

251 

i. 

58 

ii. 

82 

i. 

327 

125. 

132 

i. 

329 

i. 

333 

i. 

337 

i. 

396 

Q 

QuiNTiLiAN,  his  works  discovered 


37 


R 

Raimondi  Marc  Jntonio,  his  engravings 

JRapJirtsentazione  antichi 

Bccujierationes  Fesulanae  of  Matteo  Bosso 

Reformation,  its  rise 

RiARio  riero^  his  dissipation 

Girolamo  ..... 

engages  in  the  conspiracy  of  the  Pazzi 
assassinated  .... 


11* 

305 

400 

.  ii. 

217 

.  ii. 

383 

211 

212 

236 

.  ii. 

221 

Ri 

A.RIO 

INDEX. 


4SS 


RiARio    Raffaetto^   an  instrument  in  the    Pazzi 
conspiracy  »  •  • 

escapes  with  his  life  • 

Rome,,  its  government 

RucELLAi   Bernardo^  marries  Nannina  sister  of 
Lorenzo 

RusTici  Gianfrancesco^  an  eminent  painter 

jRicsHcus,  a  Latin  poem  of  Politiano 

S 

Salviati  Francesco,  archbishop  of  Pisa,  engages 
in  the  conspiracy  of  the  Pazzi 
his  death  ..... 

Averardo,  favoured  by  Lorenzo  de*  Medici 
Giacopo,  marries  Lucrezia,  daughter  of  Lorenzo 

i.  276 
Salutati  Coluccio,  congratulates  Demetrius  Cy- 

donius  on  his  arrival  in  Italy 
Sangallo  Giidiano  da,  an  eminent  architect 
Sarzana,  attacked  by  the  Florentines 

captured  .... 

Satire,  jocose  Italian,  its  rise 
Savonarola  Girolamo,  his  character 
visits  Lorenzo  in  his  last  sickness 
commotions  excited  by  him  at  Florence 
his  disgrace  and  execution 
Saxus   Pamjihilus,  his  verses  to  the  memory  of 

Politiano 

Scala  Bartolomeo,  draws  up  a  memorial  of  the 
conspiracy  of  the  Pazzi 
his  character 
controversy  with  Politiano 
Jlessandra,  her  learning  and  accomplishments 
Sculpture,  progress  of,  .  * 

state  amongst  the  ancient  Romans 


. 

i. 

236 

i.253. 

276 

• 

i. 

168 

of 

. 

ii. 

205 

• 

ii. 

291 

, 

ii. 

175 

242 
255 
276 


ii.  207 


11. 

76 

ii. 

296 

ii. 

25 

ii. 

140 

i. 

387 

ii. 

214 

ii. 

324 

ii. 

363 

ii. 

368 

161 


i. 

28S 

ii. 

117 

ii. 

120 

ii. 

130 

ii. 

255 

ii. 

261 

Sculpture, 


454 


INDEX. 


Sculpture,  researches   after  the  works  of  the  an 

cients  in  sculpture 
Selve  d^  amove  of  Lorenzo  de'  Medici 
Sforza  Constantino^  general  of  the  Florentines 

Galeazzo  Maria,  duiie  of  Milan 

visits  Florence         ..... 

assassinated  ..... 

Galeazzo^Mvs  nuptials  with  Isabella  of  Aragon 

Lodovico^  called  //  Moro,  his  ambition 

invites  the  French  into  Italy 
SiGNORELLi  Luca,  character  of  his  paintings 
SiLius  Italicus,  discovery  of  his  poem 
Sim  ONE  TT  A,  mistress  of  Giuliano  de*  Medici 

her  death  and  funeral 
SiMONETA    Ceccoj  opposcs   the    authority  of  Lo 
dovico  Sforza  .... 

his  death  .  .  .  .  .  . 

SixTUs  IV.  succeeds  to  the  pontificate 

engages  in  the  conspiracy  of  the  Pazzi 

his  extreme  violence       .... 

excommunicates  Lorenzo  and  the  magistrate;: 
of  Florence  ..... 

endeavours  to  prevail  on  the  Florentines  to  dc 
liver  up  Lorenzo         .... 

his  obstinacy  .         . 

perseveres  in  the  war 

his  ambition  and  rapacity 

leagues  with  the  Venetians  against  the    duke 
of  Ferrara  ..... 

deserts  and  excommunicates  the  Venetians 

his  declh  and  character  .         . 

Sonnet,  Italian,  its  origin  and  defects 
Squarcialupi  Antonio,  a  celebrated  musician 
Statius,  his  works  discovered 


11.  264 

i.  371 

i.  291 

i.  168 

i.  185 

i.  231 

ii.  203 

i.  233 

ii.  339 

ii.  254 

i.  38 

i.  140 

i.  148 

i.  234 
i.  235 
i.  198 
i.  236 
i.  278 

i.  279 

!.  282 


1. 


!90 


i. 

308 

ii. 

16 

ii. 

11 

ii. 

19 

ii. 

21 

i. 

364 

ii. 

155 

i. 

39 

Strozzi 

INDEX.  435 

Strozzi  Filijijio^  opposes  the  authority  of  Cosmo 

de'  Medici  iirst  grand  duke         .         .         •  ii.  423 

his  death .  ii.  424 

Synod  convened  at  Florence        .             .             .  i.  281 

reply  to  Sixtus  IV.       ....  ih» 


ToscANELLi  Pao/o,  erects  the  Florentine  Gnomon  ii.  152 
Traversari  Ambrogio^  visits  Cosmo  de'  Medici 

in  his  banishment     .             .             .             .  i.  26 

his  character                  .             .             .             .  i.  27 

studies  under  Emanuel  Chrysoloras     .             .  i.  29 

U 

UccELn  Paolo^  studies  perspective  and  fore-     . 

shortening  .    ,  .  .  .     ii.  248 

Urbino  Raffaello  de%   his  obligations  to   Michel- 

agnolo  .  .  .  .  .     ii.  285 


Valerius    Flaccus,    his  works  discovered  by 

Poggio          .             .             .             .             .  i.      37 

Venice,  its  government  and  resources    .             .  i.    166 

Verini  Ugolino,  his  Latin  poetry            .             .  ii.   143 

ikTz'cAae/,  his  accomplishments  and  early  death  ii.   144 

Vicentino  Valerio^  an  engraver  on  gems           .  ii.  311 
VoLPAijA  Lorenzo  de\    constructs  a  time-piece 

for  Lorenzo  de'  Medici         .             .             .  ii.   153 

Volterra,  its  revolt  and  sackage  .             .             .  i.  200 

Z 

Zambino  of  Pistoia,   his   library             .             .  ii.    17 i 

TILE   EifD. 


SUBSCRIBERS'  NAMES. 


NEW-HAMPSHIRE. 


Hon. 


Samuel  Hunt, 
Simeon  Olcott, 


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VERMONT. 

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Theodore  Lyman,  Esq. 


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RHODE-ISLAND. 


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Benjamin  Hazard,  Esq. 
William  Hunter,  Esq. 


VOL.   Ill, 


Mr.  J.  Richardson,  4  Copies. 
William  R.  Wilder, 

%  6  Copies, 

,i      L 


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CONNECTICUT. 

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Hon.  Charles  Chaiincey, 
Mr.  John  Chester,  jun. 
Hon.  Samuel  W.  Dana, 

John  Davenport, 
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James  Hillhoiise, 
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Daniel  Cady,  Esq. 
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Edward  Livingston, 
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William  Gilbert  Miller, 

Joseph  S.  Mabbet, 

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Robert  Parkinson, 

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Bela  Redfield, 

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James  S.  Smith,  Esq. 
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BenjamVi  Smith, 
John  Stewart, 
T.  T.  Smith, 
John  V.  Schaich, 
John  Stewart, 
H.  Swartwout, 

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George  Tibbets, 
Isaiah  Townsend, 
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Sebastian  Tymesen, 

Hon.  Jeremiah  Van  Rensel- 
air, 

Hon.  Abraham  Van  Vichten, 

Stephen  Van  Renselair,  Esq. 

p.  S.  Van  Renselair,  Esq. 

Jer.  Van  Renselair,  Esq. 

James  Van  Ingen,  Esq. 

John  Van  Schaick,  Esq. 

Isaac  A.  Van  Hock,  Esq. 

William  P.  Van  Ness,  Esq. 

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Abraham  Van  Ingen, 
Cornelius  Van  Schaick, 
Abraham  Van  Viick, 
Samuel  Van  Wych 

James  Watson,  Esq. 

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John  V/ells,  Esq. 


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James  Woods,  Esq  Mr.  Jabez  Walton, 

Messrs.  D.  Sc  S.  Whiting-,  Ebenezer  Wilson,  jun* 

100  Copies.  John  V.  N.  Yates,  Esq. 
Mr.  Solomon  Willbiir,  jmi.  Mr.  Henry  Yates,  jmi. 
J.  Walton, 


NEW- 
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David  H.  Bishop, 
William  E.  Beach, 
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James  Ewing,  Esq. 
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JERSEY. 

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William  Halsey,  Esq. 

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John  Hopkins,  jun. 
George  Henry, 
Andrew  Hyle, 
William  R.  Hart, 
Matthias  D.  D.  Hart, 

Rev.  Henry  Kollock, 

Mr.  Jacob   Klady, 

Martin  Lambert, 
Joseph  Lyon,  jun. 

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Rev.  A  .C.  M'Wharter,D.  D. 

Col.  John  Neilson, 

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J.  W.  Scott, 

Jno.  Sims, 

Thomas  St.  John, 

Gabriel  Tichenor, 


John  Vandegrift, 
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Rev.  C.  H.  Wharton,  D.  D. 

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Isaac  H.  Vv^illiamson,  Esq. 

A.  D.  Woodruff,  Esq. 

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Whig  Society, 


PENNSYLVANIA. 

Thomas  B.  Adams,  Esq.       Mr.    John  Yarnall  Bryant, 
Mr.  John  Adlum,  G.  L.  Barreut, 

George  G.  Ashbridge,  Henry  Budd, 


Miss  Aitkin,  2  Copies. 

Hon.  H.  H.  Brackenridge, 

Horace  Binney,  Esq. 

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George  W.  Biddle, 
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William  Bethell, 
Samuel  F.  Bradford, 

100  Copies. 
Frederick  Brown, 


Miss  Eliza  Boude, 

Daniel  Ciymer,  Esq. 

John  Cla^k,  Esq. 

Charles  Chauncey,  Esq. 

Dav'  1  Cald  v^il,    Esq. 

Joseph  Clay,  Esq. 

Mr.  Sanmei  Church,  jun. 
William  Clai^ke, 
Benjam/n  Carr, 
Conrad  Carpenter, 
James  W.  Clement, 
Alexander  Cobean, 
Robert  Craig, 
John  Cross, 
William  Croxford, 
John  Conrad, 

Thomas  Duncan,  Esq. 

Peter  S.  Du  Ponceau,  Esq. 

William  De  Wees,  M.  D. 

Mr.  Benjamin  Davies, 
Thomas  W.  Duffield, 
William  Davidson, 


SUBSCRIBERS'  NAMES. 


Mr.  Benjamin  Day, 

W.  C.  Davids, 
John  Ewing*,  Esq. 
Samuel  Ewinp;,  Esq. 
Mr.  Joseph  Bennet  Eves, 

Warder  Emlen, 
Samuel  M.  Fox,  Esq. 
Walter  Franklin,  Esq. 
Mr.  George  Fox, 

Redwood  Fisher, 

Alexander  Fridge, 

Moses  Farrar, 

William  Fry, 
Rev.  Ashbel  Green,  D.  D, 
Edward  Gilfillan,  M.  D. 
George  Gillasspy,  M.  D. 
Mr.  Hance  H.  Gibbs, 

Jacob  Glause, 

William  G.  Govett, 

Charles  Goldsmith, 

Abraham  Golden, 

John  Grant, 

Hyman  Gratz, 
Hannah  Gibbs, 
Hon.  Joseph  Hemphill, 
Hon.  John  Jos.  Henry, 
John  Hallowell,  Esq. 
Joseph  Hopkinson,  Esq. 
Major  Samuel  Hodgdon, 
Charles  Hall,  Esq. 
Robert  Hazlehurst,  Esq. 
Washn.  L.  Hannum,  Esq* 
Mrs.  Elizabeth  Hartung, 
Mr.  Thomas  M.   Hall, 

Jehu  Hay, 

John  E.  Hall, 


Mr.  Philip  W.  Havacker, 
Robert  Hayes, 
Jacob  Harper, 
Henry  K.  Helmuth, 
John  K.  Helmuth, 
George  A.  Henry, 
E.  Humphreville, 
James  Humphreys, 
Lawrence  Huron, 
Samuel  Hindman, 
John  L.  Hody, 

Jared  Ingersoll,  Esq. 

Rev.  Jacob  J.  Janeway, 

Mr.  Joseph  Jones, 

John  Johnson,  jun. 
Thomas  P.  Jones, 

Michael  Keppele,  Esq. 

Mr.  Charles  Kane, 
Elisha  Kane, 
Francis  Kennedy, 
Thomas  Kerr, 
James  Knox, 
Thomas  Knox, 
John  Knox, 
Frederick  Kuhl,  jun. 
Jacob  Klady 

Hon.  William  Lewis, 

Rev.  John  B.  Linn, 

Hon.  George  Logan, 

Moses  Levy,  Esq. 

Samson  Levy,  Esq. 

Conrad  Laub,  Esq. 

Mr.  Joseph  Lamb,  jun. 
Robert  C.  Latimer, 
John  B.  Large, 
David  Lewis, 


SUBSCRIBERS'  NAMES. 


Mr.  Joseph  S.  Lewis, 

Richard  Lee, 

John  Lippard, 

Jeremiah  Lambert, 

James  Bourbon  Loveless, 
James  Milnor  Esq. 
Algernon  S.  Magaw,  Esq. 
Richard  M'CalK  Esq. 
Mr.  Benjamin  W.  Morris 

G.  W.  Mecum, 

Thomas  M'Euen 

Thomas  M'Dowel, 

Peter  Miercken, 

Joseph  Miles, 

Jacob  Martin, 

Thomas  Maybury 

Nathaniel  Major, 

William  M'Kensey, 

Alexander  M'Kenzie, 

John  Napier, 

Lewis  Neil, 

J.  Newman, 

John  Newbold, 

Caleb  Newbold,  jun. 

Peter  Niff, 

Robert  Nisbet, 

William  North, 
:[ohn  C.  Otto,  M.  D. 
Mr.  Jacob  S.  Otto, 

John  H.  OsAvald, 

William  Overman, 

John  Overy, 
Zalegman  Phillips,  Esq. 
Mr.  Zachariah  Pouison,  jun.  Mary  Saul, 

Silas  Porter,  Mr.  Arthur  Sanderson, 

S,  Passey,  Andrew  Shock, 


Mr.  Richard  Potter, 
Samuel  Potts, 
William  Patton^ 
W^illiam  Page, 
Thomas  Price, 
Thomas  Price, 
John  Quinlan, 

Hon.  Jimes-  Ross, 

William  Rawle,  Esq. 

William  Ross,  Esq. 

Jacob  Rudisell,  Esq. 

Richard  Rush,  Esq. 

Major  I.  L  Ulrick  Rivardi, 

Mr.  Samuel  Relf, 
Josiah  Roberts, 
William  Robinson,  Jun, 
Thomas  Rodman, 
William  Rodgers, 
Samuel  Robinson, 
James  Robinson, 
Thomas  Rowland, 

Jonathan  Smith,  Esq. 

John  R.  Smith,  Esq. 

William  Smith,  Esq. 

John  B.  N.  Smith,  Esq. 

William  Sergeant,  Esq. 

John  Sergeant,  Esq; 

Joseph  Strong,  M.  D. 

Mr.  John  R.  C.  Smith, 
Robert  Smith. 
John  Jacob  Sommer, 
Thomas  Sheeve, 
Samuel  Story, 


SUBSCRIBERS'  NAMES. 


Mr.  George  SheafF, 
Gilbert  Stewart, 
Thomas  Shewell, 
Thomas  Smith, 

Hon.  William  Tilghman, 

William  H.  Todd,  Esq 

Mr.  Samuel  T^cem,  jun. 
Isaar  Tyson, 

Geoi'^e  Vaux,  Esq. 

Mr.  Abraham  Van  Beuren, 

John  B.  Wallace,  Esq. 

D.  Watts,  Esq. 

Bird  Wilson,  Esq. 

Mr.  Thomas  White, 


Mr.  Gideon  Hill  Wells, 
Caleb  P.  Wayne, 
Fishbourn  Wharton, 

Frederick  Wolbert,  Esq. 

Mr.  Jeremiah  Warder,  jun. 
Thomas  Wignell, 
John  Weeden, 
Thomas  Wotherspoon, 
Silas  E.  Weir, 
James  Wood, 
Isaac  Whitelock, 
Thomas  Wilson, 
Nicholas  West, 

Thomas  B.  Zantzinger,  Esq, 


DELAWARE. 

Archibald  Alexander,  Esq.    Col.  Allen  M'Lane, 
Hon.  James  A.  Bayard, 
James  Brobson,  Esq. 


Mr. 


James  Booth,  Esq. 

John  Bird,  Esq. 

Mr.  Abraham  Broom, 

Maxwell  Bines, 
John  Caldwell,  Esq. 
William  Collins,  Esq. 
Th.  Clayton,  Esq. 
John  Dickinson,  Esq. 
W.  C.  Frazer,  Esq. 
Washington  E.  Finney,  Esq. 
Benjamin  Gibbs,  jun.  Esq.    Mr 


Thomas  L.  Macomb, 
French  M'Mullen, 
James  M'Calmont, 
George  Pierce, 

Caesar  A.  Rodney,  Esq. 

G.  Read,  Esq. 

James  Rogers,  Esq. 

Gen.  Henry  M.  Ridgley, 

Mr.  Samuel  Spackman, 
Thomas  Stockton, 
E.  A.  Smith, 
Evan  Thomas, 
N.  Van  Dyke, 


Mr.  John  Hayes, 
John  Hall,  jun. 
Kensey  Johns, 
William  C.  Kerr, 
James  Lea, 

VOL.  III. 


Hon.  Samuel  White, 
William  H.  Wells, 

Mr.  Thomas  Witherspoon, 
James  Wilson. 


3  PI 


SUBSCRIBERS'  NAMES. 


MARY 

Ashton  Alexander,  M.  D. 
Charles  C.  Brown,  Esq. 
James  P.  Boyd,  Esq. 
Mr.  James  O.  Bryan, 
Hon.  Samuel  Chase, 

Samuel  Chase,  jun.  Esq. 
John  Caldwell,  Esq. 
James  Cowan,  Esq. 
Edward  J.  Cole,  Esq. 
Mr.  William  Carmichael, 

Israel  Cope, 

James  Chester, 
James  Davidson,  Esq. 


LAND. 

Patrick  Grant,  Esq.  2  copies 
Mr.  Philemon  W.  Hemsley, 

James  Kemp, 

John  Merryman,  jun. 
Matiitiit^ui  Potter,  M.  D. 
Mr.  Charles  b.  Ridgeley, 
William  E.  Seth,  £^. 
James  Smith,  M.  D. 
Mr.  Isaac  Smith, 
Robert  Tuit,  Esq. 
Mr.  John  I.  Troup, 
Hon.  Robert  Wright, 
Mr.  Thomas  Wilson, 

John  Walraven. 


DISTRICT  OF  COLUMBIA. 
His  Exc.  Thomas  Jefferson,  Mr.  Thomas  Swann. 


VIRGINIA. 


Mary  Davie, 
Col.  John  G.  Gamble, 
Charles  W.  Grym.es,  Esq. 
Robert  Gwathmey,  Esq. 
John  Hopkins,  Esq. 
Mr.  James  Hunter, 
Hon.  John  Marshall, 
Hon.  William  Marshall, 


Charles  F.  Mercer,  Esq. 

Hon.  William  C.  Nicholas, 

Mary  Peyton, 

Mr.  John  Ranee,  jun. 

Robert  F.  N.  Smith,  Esq. 

Mr.  Carey  Selden, 

Hon.  Bushrod  Washington. 


NORTH-CAROLINA. 


John  Devereux,  Esq. 
Mr.  William  Graston, 

Edv.  ard  Graham, 

F.  Nash, 

John  S.  Pasteur, 


Hon.  John  Stanly, 
John  Lewis  Taylor,  Esq, 
Benjamin  Woods,  Esq. 
Mr.  B.  Wait. 


SUBSCRIBERS'  NAMES. 

SOUTH-CAROLINA. 
Hon.  Charles  C.  Pinckney,  Mr.  John  J.  Kimly. 

GEORGIA. 

Hon.  James  Jackson. 

KENTUCKY. 
Hon.  John  Brown. 


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H  .  V. 


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